Running away

di Haruakira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


C.1 Libertà
Running away










Dov' era Dio in quella tenebra?
Dov' era il posto degli Dei in quel mondo?
Ci sono tanti piccoli Inferni su questa Terra , uno di questi Inferni era una sudicia prigionia traboccante di dolore ad un passo appena da un mondo di luce. Un Inferno mondano per nulla dissimile da tanti altri.
 Ma Dio non poteva varcare quel confine?
No, gli dei non scendono dai loro scranni illuminati per bagnarsi i piedi in questo mare miserevole di dolore e impotenza.
Ma se lo chiese comunque, disperatamente: Dov' era finito il suo Dio?




Da piccoli ti insegnano ad avere paura dell' uomo cattivo, di fantasmi che non possono toccarti  e  di bestie che non sono di questo mondo. Poi ti dicono di non fidarti degli sconosciuti, di non accettare le caramelle da nessuno, di non allontanarti da sola.
Ti inculcano la paura per il lupo, per il serpente, a volte ti invitano persino a temere l' animale più innocuo.
Ma nessuno ti dice che il tuo dolore può venire dalle persone a te più care, che l' uomo cattivo, il fantasma, la bestia, l' animale può essere chi ti sta accanto.
Nonna Katia era solita avvisarla con quella sua voce un po' rude e un po' gracchiante che il dolore poteva provenire da chiunque e da qualunque luogo. Non doveva mai fidarsi, glielo diceva una il cui marito era espatriato in un altro paese dopo quarant' anni di matrimonio. Puntualmente sua madre la rimproverava perchè secondo lei il mondo non era poi così brutto come diceva la nonna, che la stava spaventando inutilmente. Iniziò ad ammonirla sempre più spesso e con più vigore quando Dimitri entrò nelle loro vite.
Quanto si sbagliava sua mamma. Eppure era strano che proprio lei credesse ancora nella bontà della gente.
Era una specie di sonno offuscato, poco vivido e sempre più lontano, il viso di sua nonna si faceva sempre meno delineato, lo scialle verde si confondeva con il quadro appeso alla parete alle sue spalle, inesorabilmente quelle vecchie immagini sparivano risalendo in alto verso la coscienza di sè stessa e di ciò che la circondava.
Eiri aprì lentamente le palpebre degli occhi arrossati, sentì una specie di rantolo allo stomaco ma non era sicura di aver fatto nessuno verso. Ma quale sogno? Quale? La freddezza dell' acciaio intorno ai polsi e il riconoscimento dell' ambiente le diedero immediatamente la consapevolezza della realtà in cui era confinata come un pugno improvviso contro il petto. Dovette resistere all' istintiva reazione di piegarsi su sè stessa. Si mosse piano sentendo vibrare chiaramente nelle orecchie il suono molesto delle catene che la legavano al muro ricordandole ulterioremente la sua condizione. Cercò di mettersi meglio a sedere nel vano tentativo di appoggiare la schiena contro la parete. Un malcelato gemito di dolore le uscì dalle labbra facendola desistere dall' impresa. Alzò gli occhi scuri verso la piccola finestra alla sua destra, l' unico buco da cui filtrava la luce del sole, l' avevano sempre colpita i raggi immobili e sereni all' interno del quale sambrava danzare quieto un fitto pulviscolo.
 Sulle gambe poteva sentire la polvere accumulata sul pavimento, persino l' umidità viscida e ammuffita dalle pietre.
Lo squittio di un topo le fece istintivamente portare le gambe al petto in un moto di disgusto e paura. Rimase in quella posizione nonostante avesse visto la coda sottile sparire in un buco scavato nell muro. Avrebbe voluto essere un topo. Le fogne e la terra sarebbero state di gran lunga migliori di tutto quello.
Abbassò stancamente la testa di lato, avrebbe preferito essere ancora incosciente, magari addormentarsi per sempre.
Sarebbe stato bello, le pareva quasi poetico quel disperato agognare alla pace eterna. Persino il suono, pace eterna, le richiamava alla mente una quieta staticità beatamente luminosa, un sorriso ampio e distaccato sulle labbra, un corpo mollemente adagiato senza che nulla possa raggiungerlo o urtarlo o ferirlo.
Invece sentiva il corpo intero pulsare per il dolore, reclamare l' annullamento dei sensi quando il suo sangue colava dal naso sulle labbra, le scendeva fino al mento e gocciolava sui vestiti sporchi. Avvertiva il senso di bagnato sulle spalle e al tempo stesso quello del sangue rappresso e appiccicato alla camicia del pigiama.
Iniziò a dolerle la gamba sinistra, forse il tempo doveva cambiare. Era sempre così. Anche sua nonna diceva sempre che le facevano male le ossa quando il clima cambiava bruscamente.
Tirò leggermente le mani in avanti più che potè per vedere fin dove arrivasse la sua libertà costatando con la solita disperazione che era davvero breve. Non era neppure un metro, la sua libertà, ed era fatta con l' acciaio di una catena pesante e con i braccialetti duri che si portava legati ai polsi e alle caviglie come marchio di proprietà.
Non era quella la libertà, era un' illusione sperare che quel metro scarso di metallo potesse essere chiamato libertà.
Era schiavitù.
E il suo marchio di schiava era l' anello d' oro che portava all' anulare sinistro.
Doveva scappare quel giorno, quando lo aveva visto in faccia per la prima volta. Bastardo.
Gli occhi vuoti presero a guardare i pantaloni del pigiama logori e sporchi di sangue, era lì dentro da quattro giorni, ed era davvero strano perchè di solito Dimitri dopo due o tre giorni la tirava fuori di lì e si scusava... bè... più o meno, visto e che la considerava comunque una specie di cosa, un animale a voler essere generosi.
Un rifiuto che lui aveva generosamente sottratto alla strada e a cui aveva fatto il dono di essere la moglie agiata di un uomo importante, poteva dormire su guangiali morbidi e tra lenzuola di seta quel suo corpo indegno.
Ma rimaneva pur sempre un rifiuto.
Dimitri si premurava gentilmente di ricordarglielo assai spesso in modo che non potesse mai dimenticarlo.
Doveva avere memoria solo di lui, senza passato nè presente nè futuro che potessero essere diversi da lui, che potessero riguardare altro che non fosse lui.
Questa volta era stata punita perchè aveva cercato di togliersi la fede.
Oh, andiamo! Era stata punita per capriccio.
Perchè era un pazzo.
 Era di fronte allo specchio, uno sguardo come sempre rivolto alla porta nel terrore che Dimitri entrasse all' improvviso e l' altro sull' immagine di sè che le veniva riflessa. Si stava pettinando con cura i capelli castani cercando di disricare bene i nodi perchè a Dimitri piaceva farsi scivolare i suoi capelli tra le mani, senza ostacoli.
Aveva abbassato lo sguardo sulle proprie mani arrossate, una era ancora fasciata con le bende dopo l' ultima sfuriata di quell' uomo. Aveva adocchiato la fede e si era messa a piangere, tremando l' aveva sfilata lentamente come se in quel modo potesse avere l' illusione di un attimo di libertà, che tolta la fede non esistesse neppure Dimitri e tutto il resto.
Quando la porta alle sue spalle si aprì, alzò lo sguardo sullo specchio, di scatto, facendo rotolare l' anello sul tavolino, si girò verso di lui che le veniva incontro sorridendo rilassato, bello e apparentemente affabile con i lunghi capelli biondi che ricadevano placidi sulle spalle, gli occhi azzurri e il completo bianco che aderiva perfettamente sulla pelle.
Dimitri vestiva sempre di bianco, oppure di rosso. Diceva di amare quei due colori per ragioni completamente diverse, uno perchè puro, l' altro perchè gli ricordava la passione del sesso e assieme l' espiazione che simbolicamente donava il sangue versato.
Si avvicinò a lei poggiandole delicatamente le mani sulle spalle, abbassandosi all' altezza delle sue labbra per salutarla, scese a prenderele delicatamente le mani accorgendosi subito che qualcosa non andava, di sicuro.
-Tremano- notò quasi stupito guardandole coperte dalle sue con la coda dell' occhio senza però allontanarsi troppo dalle sue labbra.
Si mise dritto aprendole entrambe sui palmi delle proprie. Rimase qualche secondo in silenzio, sospirò come se fosse di fronte a un bambino che aveva commesso l' ennesima marachella, sfiorando l' anulare libero con il pollice e l' indice.
-Qui... qui manca qualcosa, non trovi?
-Io...- Eiri non sapeva che dire, si sarebbe messa a piangere e a implorare pietà se la paura non l' avesse bloccata.
Dimitri arricciò le labbra, lo faceva sempre quando pensava:- Perchè hai tolto la tua fede? Non ti piaceva più? Era il simbolo del nostro amore.-
Il simbolo della sua sottomissione.
Del suo non appartenersi più e dell' appartenere incondizionatamente a lui.
Eiri sfilò le proprie mani dalle sue, tastando il tavolino alla ricerca dell' anello, si piegò e tirò una specie di sospiro quando lo vide a terra, raccogliendolo. Lo indossò nuovamente e si accorse che era preciso.
-Era stretto- si giustificò prendendo la palla al balzo.
Dimitri si sedette di fronte a lei accavallando le gambe e poggiando pigramente la testa contro il pungo di una mano:- Ah... era stretto.-
Glielo sfilò e poi glielo rimise, ripetendo l' operazione un altro paio di volte.
Sorrise:- Non mi sembra. Voi rifiuti avete la pessima abitudine di mentire- fece una smorfia- e non sapete neppure vestirvi- osservò il pigiama azzurro che indossava- cos' è, Eiri? Non ti piacciono i vestiti che ti compro? Vuoi farmi buttare i soldi dalla finestra? - ciò che la inquietava di più era il tono estremamente calmo con cui le parlava, quasi indifferente, come se la cosa non lo riguardasse affatto. Altre volte sembrava più un medico che la analizzava, distaccato.
-Tu più di tutti dovresti conoscere l' importanza del denaro.- aggrottò le sopracciglia- e poi sai cosa? Mi da fastidio il fatto che tu non ti faccia mai bella per me. Non sei affatto sensuale. Poi è normale che io mi arrabbi o che ti tradisca. -sospirò- Oggi ho avuto una pessima giornata, sai?
Si alzò, afferrandola all' improvviso per il polso e trascinandosela dietro tra i corridoi enormi dell' antico palazzo. Eiri vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi leggermente sentendo gorgogliare una risata divertita. 
Spalancò gli occhi rabbrividendo mentre avvertiva chiaramente la pelle d' oca sulle braccia.
Arrivarono nella piccola cella.
Dimitri le sollevò le maniche del pigiama scoprendo uno dei polsi circondato da un vecchio bracciale spesso.
-Questo lo conosco- si ritrovò a sospirarle sulla sua guancia a occhi chiusi.
Era il bracciale della prima catena a cui l' aveva legata. Aveva voluto che lo tenesse. Per ricordo, diceva lui. Perchè gli piaceva che lei portasse un segno che la macchiasse ulteriormente, che la classificasse come sua proprietà.
La legò per i polsi e come ogni volta Eiri iniziò a piangere, con l' orgoglio e la dignità sotto le scarpe a implorare una pietà che non sarebbe arrivata.
-Questa sottomissione è eccitante, peccato che tu piagnucoli troppo- aveva affermato crucciato.
Eiri ruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri, lo avrebbe fatto ugualmente a dire il vero.  In quel momento sentì dei rumori improvvisi, dei passi concitati, infine degli spari. La porta della cella si spalancò e lei non potè fare a meno di urlare. Un uomo con una specie di divisa scura e un equipaggiamento pesante le puntò contro l' arma che reggeva tra le mani.
-Un ostaggio- gridò prima di entrare e di liberarla.
Non le sembrava vero, spostò le pupille da una parte all' altra seguendo i movimenti bruschi dell' uomo, le labbra semiaperte per lo stupore.
-Non si preoccupi, è tutto finito.
Eiri non stava capendo più niente. Forse era la volta buona che arrestavano Dimitri, ma per quanto ne poteva sapere   quello avrebbe potuto essere benissimo una specie di assalto da parte di qualche banda.
L' uomo sparì nuovamente verso il corridoio non appena sentì altri spari. Le aveva detto di restare lì ma Eiri aveva troppa paura. Non voleva morire in una sparatoria o roba del genere, inoltre quella poteva essere la sua unica occasione di essere libera. Si resse malamente sulle gambe e cercò in qualche modo di scappare velocemente, più facile a dirsi che a farsi in quelle condizioni. Camminava più rapida che poteva aggrappandosi al muro, imboccò un ingresso secondario difficilmente conosciuto dagli uomini che imperversavano all' interno del palazzo e si ritrovò ai piani superiori. Regnava uno strano silenzio, a tratti inquietanti. Eiri se lo spiegò immaginando che le forze di Dimitri erano tutte impegnate al piano terra e al massimo nei sotterranei dove si trovavano la maggior parte delle armi e macchinari vari, oltre che i laboratori di ricerca. Afferrò un vestito e un paio di scarpe da ginnastica,  degli oggetti di valore e il denaro che Dimitri non si creava problemi a tenere nel cassetto della scrivania, infine la cassetta di primo soccorso nel bagno, per mettere poi tutto nello zaino con cui era arrivata un anno primo in quel posto.
Nell' ala sinistra del corridoio c' erano delle scale strette, proprio dietro a una porticina di legno, che portavano fino alla cucina, Eiri si ritrovò nell' ambiente odoroso di cibi che cuocevano lentamente sul fuoco, la porticina che portava all' esterno spalancata e nessuna traccia di cuochi o domestici vari. Mise il naso fuori soffocando un ulteriore imprecazione per tutti quei movimenti bruschi.
Si accorse che lo scontro armato era concentrato sul lato principale della villa e di una cameriera che spariva al di là di una siepe. Si mise a correre ritrovandosi senza aspettarselo dall' altro lato del giardino, in un piccolo roseto. Si accodò alla gente che scappava. Attraversò con loro un campo di viti per accasciarsi stanca e in preda agli spasmi del dolore delle ferite tra i grappoli che iniziavano a crescere. Strinse i denti, gli occhi le pizzicavano, faceva male da morire.
Dannatissimo Dimitri.
-Marcisci all' Inferno!- si ritrovò a sputare con un tono ringhioso e abbastanza alto.
I domestici ormai non li vedeva nemmeno più.
Avrebbe continuato da sola, quel miraggio di libertà l' avrebbe fatta andare avanti. Era la sua occasione, forse l' unica. Si alzò in piedi ed attraversò il terreno.
Non si sarebbe fermata fino a che non si sarebbe sentita al sicuro.
Tre mesi più tardi...

___
Note: Salve a tutti, spero che la storia possa piacervi, mi auguro di non commettere troppi errori e di creare un personaggio il più vicino possibile a una qualsiasi persona reale. Speriamo bene. Ovviamente vorrei sapere cosa ne pensate voi, sia in positivo che in negativo eventualmente, la speranza è l' ultima a morire XD
So di avere altre storie in corso, sto cercando di continuare a scrivere "Il buon vicinato".
Il raiting arancione mi sembra vada abbastanza bene, come vedete nonostante la tematica trattata non sia delle più leggere, ho evitato di descrivere le scene violente vere e proprie soffermandomi sul lato psicologico senza comunque, appunto, renderlo eccessivamete pesante. 
DISCLAIMER: I personaggi di Saint Seiya non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo di lucro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


c. 2 running away
Running away










Forse non aveva ancora capito se la sua anima fosse bianca o nera, pura o meno.
Se, con quel suo animo fuligginoso, potesse servire la Dea.
Chi era degno di farlo?
Chi doveva ammetterlo tra quelle fila di giusti?
Il giudizio degli uomini è qualcosa di estremamente vago e fragile. Privo di ogni assolutezza.
Quello della dea anche. Vale finchè si è sotto la sua giurisdizione. Il suo metro è diverso da quello di Hades o Poseidone.
No?
La cosa più terrificante era per lui il giudizio di se stesso da parte di sè medesimo. Era impietoso e lo terrorizzava.




Il tempo tra il vuoto delle colonne della terza casa in quell' attimo era scandito dal passo cadenzato del cavaliere che lo stava attraversando. Kanon di Gemini non avvertiva nemmeno il rumore sottile e discreto del proprio respiro. Sembrava che tutto, in quel vuoto labirintico quale era la sua dimora, fosse eternamente muto. Rade fiaccole rischiaravano il suo cammino nell' ambiente libero al tempo stesso opprimente di cui era padrone.
Buio.
Un passo.
Silenzio.
Un altro.
Vuoto.
Un altro ancora.
La dimora di Gemini era fissa in un' immobilità senza tempo. Lo inquietava perchè la casa sembrava viva e morta insieme.
Morta nella sua spaventosa staticità in cui tutto apparentemente taceva.
Viva per il suo cuore malato che secoli infiniti aveva attraversato riempiendosi di sangue e dolore nel nome della giustizia o più spesso dell' ambizione personale dei proprietari che vi si erano succeduti.
Finalmente vide la luce dell' uscita. Una volta all' aria aperta, in cima ai gradini che conducevano alla successiva casa del Cancro, si concesse di respirare.
Respirò a fondo, mosse gli occhi ad abbracciare le rocce, l' erba, i templi, gli insetti sul terreno secco, ogni cosa, insomma, e ogni minimo particolare che lo stava circondando.
Si fece attento per respirare gli odori, per guardare con le pupille spalancate la luce e lo spazio aperto, per sentire, soprattutto, con le orecchie i suoni e i rumori.
Bramava un movimento repentino e allora guardò in alto seguendo il volo degli uccelli, assaporando il battito rapido delle loro ali.
Desiderava un suono, un canto, un rumore così forte da rompere il silenzio; che gli ricordasse di essere vivo.
Sentì il canto degli uccelli, il ronzio di una zanzara.
Poi nulla.
Scese velocemente i due gradini per risalirne altri cento verso la casa del Cancro.
Veloce.
L' antro di Cancer puzzava ancora di morte e di sangue. Non sarebbe mai andato via.
Sentì la sua risata sguaiata. Alta.
"Grazie"
-Ecco il novello cavaliere di Gemini!- lo apostrofò il custode camminando baldanzoso verso di lui, le mani sui fianchi e privo dell'armatura dorata.
Non era cambiato affatto. Lo prendeva per il culo.
-Chi sei tu per giudicarmi?
Death Mask fece spallucce tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans:- E chi lo sa!
Non aveva negato, non aveva detto "io non ti giudico". Lo faceva, oh se lo faceva, non solo lui ma molti, dai semplici soldati fino ai saints suoi pari. Lo giudicavano, mentalmente lo deridevano.
Traditore sconfitto, poi santo per necessità, dicevano.
Indegno dell' armatura che portava.
Indegno come suo fratello che sedeva sul trono del Grande Sacerdote ancora una volta.
Tuttavia se i gold saint e quasi tutti i cavalieri d' argento e di bronzo rispettavano in qualche maniera Saga, credevano naturalmente in lui, memori dell' aura benevola che un tempo lo aveva circondato facendolo sembrare simile agli dei, nei suoi confronti mancava questa fiducia. Lui aveva affrettato la corruzione del fratello in maniera consapevola, lui era nato sporco, impuro, il suo animo non era limpido come quello del gemello che aveva dovuto affrontare un' entità malvagia che a detta dei più non gli apparteneva. Pochi erano coloro che disprezzavano il nuovo sacerdote.
-Bada Kanon- sputò Death guardandolo di traverso- neppure tu puoi giudicare. Non sei nella posizione per farlo quindi non guardarmi in quel modo, con quell' aria da santarellino. Lo so cosa pensi di me.
Aspirò l' ultima boccata fumo, poi calpestò la sigaretta sotto la scarpa:- Sparisci.
L' uomo strinse i pugni sui fianchi raddrizzando le spalle:- Voglio sapere se sei fedele alla dea.
Death si girò completamente verso di lui:- Per chi diavolo mi hai preso?- le sue labbra si incresparono in un ghigno, quello di chi ha ragione- tu non ti fidi di me e io non mi fido di te. Lo vedi? - allargò le braccia prima di riabbassarle, facendo stizzito:- e ora vattene.
Era vero, non poteva giudicare proprio nessuno.
La scalata delle dodici case era davvero lunga, specie per chi tra quei luoghi si sentiva un estraneo. Nel corso della guerra contro Hades aveva creduto veramente di potersi redimere. Milo lo aveva accettato nella cerchia dei santi d' oro, tuttavia la realtà quotidiana era ben diversa da quella della battaglia. Non credeva neppure che avrebbe rivisto la luce del sole, invece la dea era riuscita a farli tornare alla vita.
La dea lo aveva benedetto, lo aveva perdonato e accolto, aveva guardato il suo cuore vedendovi il pentimento. Ma gli uomini non possono tanto nè è semplice per loro scordare il passato. Questo pensava Kanon.
Stava andando al tredicesimo tempio a trovare Saga. Un po' per ricordare a sè stesso che il destino aveva deciso di farlo essere l' ombra dell' altro, un po' per farsi consolare dalla sua presenza perchè in fondo lo sapeva, una medaglia ha sempre due facce e una senza l' altra non esiste.
Era quasi assurdo, un pensiero contorto. Chissà, forse stava impazzendo.
Stava salendo, era appena uscito dall' undicesima casa quando vide Saga. E ovviamente Aiolos.
Aiolos era sempre con Saga.
Aggrottò le sopracciglia per guardarli meglio mentre si avvicinavano, parlavano e si sorridevano, uno avvolto nel manto bianco sacerdotale, l' altro nell' oro dell' armatura con quelle ali che lo facevano sembrare un angelo.
Sembravano quasi perfetti.
Abbaglianti, forse, era il termine giusto.
-Kanon- e Saga lo chiamò e gli sorrise. Non sorrideva spesso a dire il vero.
Il minore non ricambiò.
Aiolos lo salutò con quell' aura di bontà che pareva circondarlo perennemente. Forse era troppo buono, gli venne da pensare.
Troppo poi fa male.
-Dove andavi?- chiese il maggiore- venivi da me?
Kanon si affrettò a negare, serio:- Andavo da Aprhodite.
Si sarebbe messo a ridere.
Aphrodite!
Quando mai si erano parlati.
Oh sì, si sarebbe messo a rotolare a terra per le risate.
Saga aggrottò le sopracciglia sospettoso:- Da Pisces?- chiese.
Kanon annuì come se fosse la cosa più ovvia del mondo, come se lui e Phro fossero compagni di bevute o... o di giardinaggio.
Il pensiero gli fece balzare una capriola allo stomaco, un altra risata da trattenere. Non ci si vedeva proprio a fare giardinaggio. Con Pisces poi...
-E' una cosa positiva, no?- fece Aiolos.
Ma quanto sei scemo? pensò il cavaliere di Gemini.
Saga invece forse, forse... non se l' era bevuta.
-A far che?- domandò infatti.
Kanon sbuffò, era un interrogatorio. Non poteva dargli torto. Sorrise sornione e vittorioso:- Devo regalare un fiore a una ragazza. Voglio un consiglio e Pisces se ne intende.
Saga arcuò le sopracciglia, quel giorno il fratello era assai espressivo, si disse Kanon:- Ah- concluse stupito domandandosi chi fosse lei e se, soprattutto, esistesse.
-Vado- fece il minore superandoli.
Apparentemente sembrava andare tutto bene.
Kanon andò da Aphrodite perchè di certo Saga avrebbe chiesto all' altro saint se per caso lo avesse visto. Lo salutò, si beccò uno sguardo altezzoso e una frecciatina sul perchè fosse lì.
-Non ho tempo per i convenevoli, Pisces.
-Sei simpatico, proprio simpatico. Vieni in casa mia, chissà perchè poi, e a mala pena ti degni di salutare.
Vero, era assolutamente vero. Ma quando mai loro avevano avuto un rapporto idilliaco? O una qualche forma di rapporto a voler essere pignoli.
Ora veniva la parte peggiore. Aprhodite era un pettegolo.
-Che fiori si regalano a una donna?
L' altro spalancò gli occhi impercettibilmente e un risolino gli sfuggì dalle labbra:- Questo è un favore?
-No, direi più che altro una domanda.
-Oh, una domanda- lo assecondò il parigrado sedendosi in una poltrona di vimini che si affacciava sul giardino, senza perderlo d' occhio- e perchè la fai proprio a me?
-Te ne intendi.
-Quindi... sei venuto da una persona che si intende di queste cose. E che quindi può aiutarti- argomentò- allora... allora direi che possa definirsi un favore.
E Aphrodite non era uno che faceva niente per niente e non era affatto discreto, chè se gli avesse davvero fatto un favore, anche uno piccolo piccolo, piccolissimo, glielo avrebbe rinfacciato nei secoli dei secoli e se ne sarebbe vantato per tutto in santuario.
-Senti- Kanon gli diede le spalle- la stai tirando troppo per le lunghe. Vado dal fioraio.
Fottiti, aggiunse mentalmente.
Aphrodite accavallò le gambe odorando una rosa rossa:- Permaloso.- e lo salutò così.
Kanon ebbe anche l' impressione di sentirlo canticchiare una cantilena che faceva: "Kanon è innamorato!"
Scendeva di nuovo infastidito dal caldo secco che annunciava un' estate afosa e dall' idea di aver sfacchinato tanto per nulla. E di essersi finto innamorato di una donna immaginaria, lo avrebbero preso per scemo.
Cento gradini, più cento, più cento...
Non finivano mai.
Varcò la soglia dell' ottava casa, se quella di Aphrodite puzzava dell' odore nauseabondo delle rose, se in quella di Camus si rabbrividiva di un freddo pungente che invadeva tutti i sensi e ogni interstizio del corpo, se in quella di Shura avvertivi tutta la pesantezza della sua lealtà -e della sua colpa che opprimeva lo sventurato che la attraversava, se quella di Aiolos sapeva di pulizia e di luce, brillante e trasparente, tanto quanto quella di Gemini era scura e inquietante, quella di Milo, tra tutte, era la casa dove non avvertivi proprio nulla.
Era apparentemente neutra e distaccata, abbastanza luminosa sì, solenne come tutte ma del suo proprietario non diceva nulla.
Sentì dei passi frettolosi avvicinarsi da un corridoio laterale e si fermò.
-Ohi! Dovresti chiedermi il permesso per passare. Non si usa più salutare il padrone di casa?- Milo lo guardava con un sorriso impertinente, coprì la distanza che li separava avvicinandosi ulteriormente- hai fatto presto- notò- a salire e scendere intendo.
Quel ragazzo era veramente curioso. Oltre che particolarmente intuitivo. Kanon si limitò a scrollare le spalle annuendo.
-E allora... aspetto.
-Cosa?
Milo non la smetteva di sorridete:- Il permesso- disse con ovvietà
-Ah- fece Kanon realizzando- il permesso. Ma certo, ti accordo il permesso di passare dall' ottava casa, Scorpio- affermò solenne.
L' altro sbuffò divertito:- Mi prendi per il culo.
-Anche tu- convenne il maggiore.
Lo Scorpione del cielo si girò tirandogli un lembo del mantello per trascinarlo nei suoi alloggi privati.
-Aspettami qui- gli disse chiudendosi la porta della stanza da letto alle spalle. Ne uscì pochi minuti dopo vestito di jeans e maglietta- ora andiamo alla terza e ti cambi- affermò.
Kanon lo seguì per i corridoi del palazzo senza fare domande, a parlare era Milo.
-Ti porto in un posto.
-Dove- volle sapere guardandosi intorno col tono di chi però più che domandare afferma..
-Ti porto in città, c' è un caffè veramente bello- stavano scendendo le scale del tempio, Milo si mise le mani diestro alla testa- è bello- ripetè più a se stesso che a Kanon- non ci vado... non ci vado da...- si morse le labbra guardando il cielo, pensando- da prima- concluse in un soffio doloroso.
Anche Kanon era un tipo curioso e di norma sapeva quando era il caso di non fare domande, quella volta però non si trattenne. Con Milo era diverso.
-Da prima. Prima di che?- chiese stizzito.
-Prima- ripetè Milo- prma è prima.
-A "prima" deve seguire un' affermazione che risponda alla domanda "di che?" oppure "di cosa?"- fece notare.
Milo rise:- Mi sembri Camus.
-Lo so che me lo vuoi dire- fece Kanon- che devi svuotare il sacco. Altrimenti non avresti detto "prima" se avessi voluto tenerti il resto per te.
-Colpito- convenne Milo. Guardava ancora il cielo, quei gradini li conosceva a memoria- prima che Camus morisse. O forse prima che andasse in Siberia per allenarsi. O per allenare Hyoga. Prima. Ci andavo sempre da quando ho potuto mettere il naso fuori dal tempio; a volte con lui... a volte senza- abbassò le braccia lungo i fianchi e iniziò a guardare i gradini.
-L' hai sempre... amato?- azzardò Kanon.
-Sempre- rispose senza esitazione. Poi si girò verso di lui guardandolo stupito- come diavolo fai a saperlo?
-Vivevo nascosto qui al tempio. Sapevo più cose io che le ancelle- gli disse.
-Ah.
-E quindi... non lo sa nessuno?
Milo parve pensarci un po' su:- Nessuno, credo. Tranne Camus.
-Ovviamente.
-Ma no, neanche tanto- le labbra di Milo si incresparono in un sorriso dolce e malinconico- fa fatica a capirle certe cose. E' proprio ottuso.- e scoppiò a ridere.
Kanon pensò che amare, e più in generale avere dei legami, fosse una gran fregatura, una debolezza enorme. Che Milo soffrisse era piuttosto evidente.
Quando era entrato nella casa dello Scorpione del cielo aveva pensato che non dicesse nulla del suo proprietario. Guardandola meglio dovette ammettere di essersi sbagliato. C' erano delle crepe lievi su qualche muro, qualche colonna antica diversa dalle altre, forse erano quelle del tempio prima che venisse sistemato, il pavimento di pietra scheggiato in qualche punto. Atena aveva fatto sistemare le dodici case dopo l' ultima guerra sacra e Milo aveva preteso che nella propria venisse fatto solo l' essenziale. Non voleva cancellare certe cose, il passato suo e di chi lo aveva preceduto che albergava tra le solide mure. Tante piccole schegge, tanti piccoli dolori, tante piccole gioie.
In fondo era un sentimentale.






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HARU DICE: Mi scuso per il ritardo infinito nella pubblicazione, avevo deciso di non postare fino alla fine degli esami ma avendo un poco di tempo a disposizione ho terminato di riscrivere il capitolo e ho pensato di metterlo. Spero che non vi stancherete di seguirmi. Ci tengo a precisare che questo capitolo non è messo lì "tanto per", apparentemente può sembrare inutile ai fini della storia, in realtà non è così. La ff si propone di essere introspettiva e di toccare e/o sfiorare determinate corde (come vedete c' è anche qualche accenno di Milo/Camus se no non mi sento io XD), Kanon è il protagonista quindi era necesserio, per me, dare un' occhiata al contesto in cui vive e a come se la passa, diciamo, altrimenti finirei per privare il personaggio del suo spessore. Se cercate una storia romantica punto e basta, bè, non è questa.
Sullo Zibaldino presto troverete un paio di estratti dal capitolo successivo se può interessarvi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


runing away 3
Running away








Non si era mai reso conto che probabilmente per lui la normalità potesse essere più entusiasmante di mille intrighi ai danni di uomini e dei, gli poteva dare un brivido lungo la schiena diverso da quello della lotta.
In fondo era solo curioso, poteva essere una nuova esperienza in quella sua vita così sopra le righe.


Il caffè in cui lo aveva trascinato Milo vantava un' insegna bianca come il latte, un gatto nero e la scritta "Le Chat Noir" con dei ghirigori che si attorcigliavano alla coda del felino, una rosellina stilizzata che faceva capolino nell' angolo sinistro in basso. Era appariscente, nulla da dire, tuttavia sembrava anche abbastanza elegante. Kanon si domandò come avesse fatto a non notarlo prima. Oh bè, non che lui si guardasse poi molto intorno, praticamente per tutta la vita aveva avuto dei paraocchi e, inutile negarlo, vantava una vena di egocentrismo non indifferente. La via su cui si affacciava il locale era piuttosto ampia, di fronte c' era un piccolo negozio di fiori con la porta verde, all' angolo un fruttivendolo con la merce esposta all' esterno.
L' interno del locale era ricco di fiori, le pareti sfoggiavano le tinte calme e leggere del bianco e del lilla, su una parete vi era una piccola libreria in legno, il bancone, semicircolare, ospitava vassoi e vetrine con leccornie invitanti. A Kanon il locale piacque molto, faceva molto caffè letterario ma allo stesso tempo aveva un clima familiare. Notò due vecchine sedute in un angolo intente a sferruzzare, un paio di operai ciarlare del più e del meno al bancone.
Dietro il bancone vi erano una signora avanti con gli anni e una ragazza, un' altra stava servendo due ragazzi seduti a un tavolo.
Non appena aprirono la porta la donna che intuì essere la proprietaria, fece un urletto in direzione di Milo che le si avvicinò con un grosso sorriso. Kanon seguì il compagno d' armi, vide la donna guardare spaesata alla sua destra, proprio nel punto dove un' attimo prima si trovava una delle ragazze ma non vi badò più di tanto.
Milo ordinò una bella torta a forma di cuore. Doveva essere bella, sì. E aveva anche chiesto che ci fossero le fragole sopra:- Ne metta tante- aveva detto alla proprietaria del locale.
Kanon ora capiva perchè ci andava solo quando Camus era nei paraggi. Lo aveva capito dopo che la signora dietro il bancone gli aveva detto:- Era da tanto che non venivi, Milo- e gli aveva tirato le guance come si fa con un bambino.
-Vuoi due fette di torta?- aveva poi aggiunto maliziosa.
E Milo aveva sorriso dicendo che ne voleva una intera. Quella con tante fragole, per l' appunto.
Kanon aveva capito che la seconda fetta, eventualmente, non sarebbe stata certo per lui.
-E poi ci prepari due cappuccini... e due pezzi di crostata... quella al cioccolato.
La signora aveva annuito promettendo di fare in fretta, mentre andavano a sedersi Kanon disse:- Grazie per aver ordinato anche per me, non avrei saputo come fare altrimenti.
-Niente, figurati- Milo se la rise sotto ai baffi.
-Perciò usi le torte per i tuoi giochini erotici, uhm?- fece Kanon guardandosi le unghie con aria noncurante e ghignando interiormente.
-E-ehi! Non ti permetto di fare simili insinuazioni. Certo, ammetto che certe prelibatezze addolciscono Camus- lo scorpione sospirò- ma ti assicuro che per arrivare ai giochi erotici, come li chiami tu, ce ne passa di acqua sotto i ponti.
Kanon aveva sghignazzato:- Ah, ti lascia in bianco allora
-La possiamo smettere di parlare della mia vita amorosa?
-E sessuale- aggiunse il maggiore.
-Chi è la donna di prima?
-La proprietaria, no? La conosco da una vita- Milo si guardò intorno- questo posto è cambiato tantissimo nel corso degli anni. All' inzio più che un bar sembrava un fast food americano.
La proprietaria del locale portò personalmente le ordinazioni al loro tavolo. Era una donna alta e dalle forme assai morbide, portava un paio di occhiali bianchi dalla forma vistosa che ogni tanto toglieva lasciandoli pendere con la catenella sul collo, indossava un vestito giallo canarino e aveva i capelli cotonati di un rosso accesso, il viso molto truccato, era impossibile che passasse inosservata.
Si fermò un minuto con loro:- E quel figaccione di Cam dov' è?- domandò rivolta a Milo.
-Studia
La donna fece una smorfia e un cenno con la mano:- Sempre sui libri quel ragazzo, dovrebbe godersi di più la vita- poi posò gli occhi su Kanon e fece un largo sorriso- però vedo che sei in ottima compagnia. Chi è questo bel ragazzone?
Kanon spalancò gli occhi mentre Milo soffocava una risata:- Un amico. Signora Grandier le presento Kanon, Kanon la saignora Grandier.
La donna allungò la mano e si profuse in un inchino, Kanon guardò Milo. Non si aspettava mica il bacia mano? Il ragazzo alla fine optò per una bella stretta della mano ingioiellata e la donna gli sorrise indulgente:- Non ci sai proprio fare con le donne, eh, ragazzo mio?
I due cavalieri la videro sgonnellare allegra in direzione della cassa, poi Kanon guardò Milo:- Ma è proprio così?
-Proprio- annuì l' altro con solennità- è stata sposata quattro volte- Milo mostrò le dita della mano e iniziò ad elencare- il primo dice che fu un errore di gioventù, un soldato americano o forse russo... o era spagnolo? Non mi ricordo. Il secondo marito era brasiliano, lo conobbe quando abitava a San Paolo, la Madame ha girato un sacco il mondo, lo ha mollato per tornare in Europa, il terzo... bhè, il terzo è morto e ora quattro anni fa si è sposata col meccanico qui vicino. Si conoscono da una vita- Milo ridacchiò- credo che ci sia stata da sempre una certa attrazione tra di loro... non hai idea degli insulti e delle maledizioni che si lanciavano.
Milo si fermò di colpo notando che Kanon lo guardava fisso:- Che c' è? Che hai?- domandò stupito.
-Niente. Pensavo che sei un pettegolo.
-Non è vero.- si indignò il ragazzo, per poi aggiungere- se dici questo è perchè non hai mai assistito alle riunioni del club di cucito.
-Riconfermo quanto detto prima: sei un pettegolo. Come diavolo fai a sapere delle riunioni del club... o cosa si dicono...?
-Quando ero più piccolino mi mettevo di nascosto dietro il bancone ad ascoltare. La sede del club è questa.
-Questa donna ha un traffico assurdo- constatò Kanon riferendosi alla signora Grandier.
Dalla sua postazione Kanon poteva vedere il bancone e la cassa.
Dietro al bancone era spuntata una ragazza che Kanon paragonò immediatamente ad un topo. Quanto poteva essere alta?, si chiese.
Era piccola, tanto tanto piccola. Lo era, almeno, se paragonata a un omaccione della sua stazza.
Aveva i capelli leggermente ondulati e vaporosi, legati malamente in una coda alta che la faceva sembrare più giovane di quanto certamente non fosse, portava un paio di occhiali dalla montatuta classica che le cadevano costantemente dal naso quando si abbassava e che si affrettava a sistemare con l' indice.
Forse, si disse, era più simile a una talpa.
Le guardò il seno. Chissà che misura portava? Ora che ci pensava non se ne intendeva granchè, nè di tette e nè di donne. Nell' ordine aveva trascorso la vita nascosto al santuario, si era spacciato per Sea Dragon in fondo al mare, era stato impegnato a sopravvivere e poi a sconfiggere Hades. E poi era morto. Insomma, di cose da fare ne aveva avute parecchie per avere il tempo di correre dietro alla gonnelle.
Si ricordava di aver perso la verginità con un' ancella dal seno prosperoso, spacciandosi per Saga.
Kanon tirò la testa all' indietro gorgogliando una risata e Milo lo guardò come a chiedergli che avesse.
Lo aveva fatto un sacco di volte, spacciarsi per Saga per divertirsi con le ancelle. Poi il maggiore lo aveva scoperto.
Kanon guardava i movimenti della ragazza, precisi e abbastanza sicuri nonostante ciò sembrava avere nel corpo una strana energia, una sorta di affaticamento misto a sollievo, era un saint e come tale aveva imparato ad aguzzare i sensi e a scrutare attentamente i propri nemici. Aveva quasi l' impressione di sentire battere forte il suo cuore nelle orecchie, sentire il suo respiro direttamente sulla pelle.
Il cavaliere di Gemini aggrottò le sopracciglia e afferrò la tazza che aveva di fronte portandola alle labbra. Come se avesse avuto il tempo di pensare alle donne, una come quella per giunta. Era abbastanza carina ma se proprio si fosse voluto concedere un' avventura ne avrebbe scelto una più affascinante e spigliata.
Quella era un topo-talpa. Punto.
Però...
Sorrise dentro la tazza calda.
Milo intercettò il movimento dei suoi occhi:- A che pensi?
Kanon sembrò pensarci sopra per qualche momento, poi decise di sputare fuori il rospo:- Alla ragazza dietro il bancone.
Il parigrado si girò beccandosi uno scalpellotto:- Bravo scemo, così ci fai scoprire. Ma tu la discrezione dove ce l' hai?
-Volevo vederla, e che diavolo!- si lagnò l' altro massaggiandosi il collo.
-Bho, tanto non è il mio tipo.
Milo arcuò le sopracciglia:- E allora perchè la guardavi?
-Non lo so. E' che ha un aspetto diverso dalle ancelle o in generale dalle donne con cui siamo abituati a trattare.
Milo la vide mentre serviva un tavolo:- Ha l' aspetto di una persona normale, idiota. E che ovviamente non sa nulla di dei, battaglie e compagnia bella.
-Non sa nulla...- ripetè Kanon. Era un aspetto piuttosto interessante.
Rialzò gli occhi su di lei.
Quel giorno Kanon aveva deciso di interessarsi a qualcuno diverso da se stesso -o da Saga.
La sua curiosità era sempre stata dettata dal desiderio di sapere per ottenere poi qualcosa, per manipolare quel sapere a proprio vantaggio. Una volta redento, benchè questo aspetto non fosse sparito completamente -poteva sempre tornare utile, chissà- la sua, era diventata una curiosità più genuina che gli facesse toccare il mondo esterno con le mani, che lo facesse sentire meno solo nel suo esilio quasi volontario e più uomo tra gli uomini.
Ora aveva deciso di sperimentare un altro tipo di curiosità. Voleva una conoscenza che gli desse un brivido.
Sfruttava, ancora una volta, qualcuno a suo vantaggio.
Era egoista, non ci poteva fare niente.

Aveva frequentato assiduamente il caffè per un mese intero, a volte da solo e altre assieme a Milo discorrendo del tempo e lamentandosi della politica, aveva conosciuto il marito della signora Grandier, accompagnato assieme al quasi sempre presente Milo le vecchie sorelle Paparov fino a casa con le buste dalla spesa, bevuto cappuccino ed evitato gli alcolici quando aveva per caso sentito che lei li aborriva, una sera l' artropode si era trascinato un allegra comitiva di gold saint fino al locale e allora la Madama non aveva potuto fare a meno di strizzare le guance di Mu, Aiolia e Aldebaran, quei monellacci ormai cresciuti e autori di tante marachelle assieme al custode dell' ottava. Era stato insomma un cliente assiduo e un giovanotto a modo e dal comportamento ineccepibile. Con lei ormai riusciva anche a parlare ogni tanto, era inevitabile.
-Buongiorno Kanon, ti preparo il solito cappuccino?- diceva lei
E lui sorrideva. Un giorno era andata così., Kanon aveva continuato dicendo:- Sì grazie.- silenzio- hai visto che brutto tempo oggi?
Lei alzava gli occhi al cielo:- Ah, non me ne parlare- ridacchiava- mi sono fatta il bagno per venire fin qui.
-Allora ti lascio l' ombrello, dai.
-No, no, no- metteva le mani avanti e faceva ampi cenni col capo- poi ti bagneresti tu.
-Milo ora viene. Lo chiamo e gli dico di portare un ombrello in più.
E proprio quella volta in cui si era offerto di lasciarle l' ombrello, lei l' aveva guardato, un po' perplessa e un po' diffidente e aveva detto, con un tono neutro che suonava però come un' accusa:- Tu non sei vero.
-Come? E perchè scusa?
-Non lo so, credo sia impossibile che esista gente come te. O menti o sei un santo.
Kanon aveva riso:- Diciamo che ci sei andata vicino. La seconda, ma non sono il santo che intendi tu.
-Mh- quella volta era praticamente scappata da lui.

Le aveva chiesto di uscire in un giorno in cui lei faceva il turno di pomeriggio, c' era il sole e gli era parsa proprio una buona idea, si era avvicinato al bancone un po' titubante perchè doveva ammetterlo, non era molto sicuro che lei volesse uscire con lui, cosa che lo stranizzava parecchio visto che aveva sempre pensato di avere un certo ascendente sulle donne. Con lei però tutto sembrava diverso, si limitava a una cordialità distante. Forse il problema era lui che fino a quel momento aveva socializzato solo con gente d' arme.
O lei era strana, tanto, tanto strana. Insomma, con gli altri che frequentavano il locale non era in brutti rapporti, anzi. Kenneth, l' altra cameriera -e coinquilina di Eiri-, si era dimostrata allegra ed espansiva... allora che diamine aveva quella donna?
Le chiedeva di uscire e lei rispondeva di no.




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Angolo autrice:  Ne approfitto per scusarmi del ritardo colossale, volevo solo dire che da ora in poi gli aggiornamenti di questa storia saranno regolari.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


running away
 NOTA: Ho cambiato il nome della coinquilina di Eiri da Kenneth a Sam.



-Sam è estremamente espansiva. E allegra. Piace a tutti e poi è anche molto disinvolta, i ragazzi le vanno dietro sia perchè è molto carina che simpatica. E poi indossa dei vestiti molto belli, non so proprio come faccia, in pieno inverno poi mi domando com' è che non senta freddo con una gonna corta. Io muoio di freddo anche se ho il maglione pesante e il giubbotto.. e poi non so portare i tacchi. Mi fanno troppo male i piedi. Però anche se siamo diverse vado davvero d' accordo con Sam, credo che a questo punto non sbaglierei a definirla la mia migliore amica.
-Perchè mi parli di lei?- la interruppe Irene.
-Come perchè?- Eiri la guardò stupita- perchè... perchè è la mia più cara amica, perchè è la mia coinquilina.
Irene sorrise, in quel modo buono che era tutto suo:- Ti senti obbligata a parlarmene perchè è tua amica? Cosa ti ha spinta oggi a parlare di lei, di Sam?
Eiri rifletteva e mentre lo faceva cambiò posizione portando le gambe, prima distese, contro il petto, i piedi che poggiavano sul divano morbido. Era nello studio della sua psicologa, Irene.
Irene era una donna calma e pacata, aveva una voce bassa e serena che trasmetteva tranquillità, non metteva in agitazione nessuno. Amava tutto ciò che era legato all' oriente e il suo studio rispecchiava perfettamente questa sua passione. C' erano tende arancioni in tessuto leggero, candele e odore di incenso, divani bassi e dagli enormi cuscini. A Eiri piaceva quel posto e le piaceva Irene con le sue zeppe vertiginose e colorate, unico tocco decisamente moderno e alla moda sull' abbigliamento fatto di tuniche o ampi pantaloni e fasce legate intorno ai riccioli castani che sembravano turbanti.
Irene le piaceva perchè l' aveva messa a suo agio. Il primo giorno le aveva detto "Mettiti comoda, siediti dove vuoi e come vuoi. Puoi anche sederti sulla scrivania se vuoi", aveva riso e poi aggiunto "puoi anche toglierti le scarpe, non mi offendo"
Ed Eiri lo aveva fatto, si era tolta le scarpe e aveva incrociato le gambe sul divano. Le piaceva stare scalza, le dava un piacevole senso si libertà.
Irene all' inizio si era seduta sulla poltrona, poi un giorno le aveva chiesto se le dava fastidio se si sedeva sul divano accanto a lei. Eiri aveva risposto di no e la psicologa si era tolta le scarpe, proprio come lei e aveva tirato fuori una barretta di cioccolato.
-Ti va una chiacchierata?- aveva domandato.
Avevano rotto il ghiaccio e a volte Eiri la sentiva come un' amica, ma non era sicura che dovesse essere così.
Eiri aveva parlato di Sam quel giorno perchè ogni tanto si trovava a pensare che la invidiava, un pochino, e che le sarebbe piaciuto essere diversa, lo aveva detto a Irene e lei aveva chiesto:
-E perchè vorresti essere diversa? Perchè vorresti cambiare? Non ti piaci, Eiri?
-A volte no. Credo di essere troppo chiusa, di vedere il mondo che vive la sua vita e basta.
-E c' è bisogno di cambiare il proprio essere per essere partecipi della propria vita?
-E' che credo che con questo carattere che ho, così timido e un po' pessimista anche... credo che non riuscirei a entrare dentro il mondo. Mi sento come tagliata fuori. Ho come l' impressione che la gente mi ignori, che non voglia essere mia amica. Mi sento trasparente.
-Eiri, ma tu, con tutta onestà, hai mai fatto qualcosa per entrare dentro il mondo, come dici tu?
-...
Dall' altro lato silenzio, Eiri sospirò e arricciò le labbra contemplando le dita lunghe dei propri piedi.
-Dici che vuoi cambiare ma prima di tutto vorrei chiederti se desideri farlo davvero, dal profondo. Non devi pensare che tu non vada bene o che la gente più timida non abbia delle amicizie, probabilmente farà più fatica ma ciò non toglie che rinunci a partecipare alla vita. Forse il primo passo sarebbe proprio quello di aprirsi di più al mondo, seriamente intendo, invece di evitarlo come hai fatto fino ad ora. La scorsa settimana mi hai detto che le uniche volte che esci sono per andare al lavoro e fare la spesa.
Eiri si grattò la testa e abbozzò un sorriso stanco, forse si era autocommiserata un po' troppo nascondendosi dietro un problema che in realtà non lo era.
-E' che ho paura- disse a un certo punto- sono sempre stata abbastanza diffidente ma dopo... dopo...
Irene fece un cenno affermativo con il capo, Eiri si riferiva evidentemente a Dimitri:- Continua, ti ho capita tesoro.
-... sono diventata ancora più sospettosa- Eiri abbassò gli occhi sulle proprie mani senza in realtà guardarle- credo che anche i santi siano bugiardi.- disse dopo un poco. Stava pensando a Kanon.
Irene sul momento non capì l' affermazione della ragazza, poi chiese ridendo:- Hai avuto l' onore di conoscere qualche santo in questi giorni?
-Oh sì! Un santo decisamente terreno e senza aureola pensa un po'!
Eiri ripensò a Kanon e a quanto secondo lei fosse perfetto. Troppo, troppo perfetto. Le ricordava Dimitri con quella sua spiccata abilità all' inganno che glielo aveva fatto passare per un principe azzurro, l' uomo dei sogni.
-Degli incubi...- borbottò Eiri. Un brivido la fece tremare visibilmente, Irene aveva notato la pelle d' oca sulle braccia della ragazza.
-Cosa pensi, tesoro?
Eiri affondò la testa nel maglione sforzandosi di non piangere, Irene allora le tese un fazzoletto:-Piangi, non ti trattenere. Qui nessuno ci giudica.-
Eiri afferrò il fazzoletto e scoppiò in un pianto disperato, incapce di articolare alcun suono se non quello dei propri singhiozzi, dopo qualche minuto finalmente le sue lacrime diventarono più silenziose, iniziò a respirare profondamente e a parlare ancora con la voce rotta:- Mi fa paura il fatto che possa esistere un altro uomo come Dimitri. E che io lo abbia conosciuto. E' una persecuzione!- gridò- non ce la faccio più, non ce la faccio più- Eiri si toccò i capelli, con lo sguardo ora vuoto- ha persino i suoi stessi capelli... così biondi e lunghi. Quale uomo porta i capelli a quel modo?- rise in maniera quasi isterica- pensa un po'? Mi ha chiesto di uscire. A me!
-Eiri, calmati- Irene la guardava con aria seria, il tono di voce fermo e deciso- lo stai pensando tu che questo ragazzo sia come Dimitri, devi sforzarti di vedere le cose in maniera più distaccata. Ora è stato questo...come si chiama?
-Kanon
-... Kanon ad avvicinarti ma è certo che se fosse stato Tizio o Caio tu qui dentro mi avresti fatto lo stesso discorso. Esiste gente positiva, Eiri, gente con tutta una serie di difetti che non possiamo vedere da una conoscenza superficiale. Magari Kanon russa o è permaloso, per fare un esempio. Ma se russa o è permaloso o qualsiasi altro difetto lo vedrai solo con una conoscenza più approfondita. Il tuo giudizio è per forza di cose distorto dalla pessima esperienza con Dimitri... che poi Kanon abbia i capelli biondi e li porti lunghi è una spiacevole coincidenza che ti ha allarmata non poco.- Irene le sorrise- capisci cosa intendo dire?
-Credo di sì. Mi sono fatta prendere dal panico. Però non lo so, ho ugualmente una strana impressione. Con Kanon viene sempre un altro ragazzo ma non mi fa sentire strana. Ecco, l' altro ragazzo, Milo, mi sembra più... genuino, più spontaneo. Magari è la differenza di età... Milo è più piccolino, ha solo vent' anni.
A quel punto Irene disse:-Eiri, posso farti una domanda?- senza attendere un cenno affermatico continuò- Ma Kanon ti piace?
Eiri arrossì, si vergognava come una ladra e si sentiva anche una specie di malata, contrasse le dita dei piedi per l' imbarazzo e si morse l' interno del labbro:- Mi piace è un parolone- deglutì prima di continuare- mi attira, quello sì. E' quel genere di attrazione che ti spinge verso un posto in cui c' è scritto a lettere cubitali "off limits". E' piuttosto affascinante, quello non lo si può negare.
-E in quel posto c' è anche scritto "pericolo"?
-Forse, non lo so. E' per questo che credo che dovrei stargli lontana. Non sono mai stata coraggiosa, anzi. Solo che a questo punto mi chiedo se sono normale, insomma, dopo Dimitri dovrei essere attratta da gente decisamente pacifica.
Irene rise:- Eiri, ti stai facendo troppi film mentali! Sei tu che stai creando un background immaginario per questo povero ragazzo!
Quando Eiri tornò a casa si sentiva decisamente stanca, le sedute con Irene spesso erano sfiancanti, la costringevano a guardarsi dentro in maniera profonda, come se in quei momenti si attivasse una scavatrice meccanica dentro di lei.
Passò davanti a "Le Chat Noir" e intravide la zazzerra bionda di Kanon. Non poteva essere Milo, i suoi capelli erano più scuri. Decise di non entrare e di tirare dritto. Si ricordò del giorno in cui lo aveva visto la prima volta, per poco non le veniva un infarto, era terrorizzata, aveva pensato che Dimitri l' avesse trovata.
Era dietro al bancone quel pomeriggio e stava pulendo tazze e bicchieri di una comitiva che era andata via da poco, quando vide una testa bionda soffocò un urlo tra i denti facendo girare la padrona del locale verso di sè. Il primo istinto fu quello di nascondersi dietro il bancone e strisciare fino alla porta di servizio per scappare a gambe levate. Le pizzicavano un poco gli occhi, quando il ragazzo si girò e potè vedere il suo viso tirò un sospiro di sollievo, si toccò il cuore che pareva scoppiarle nel petto e si andò a nascondere in un angolino a ridere e a piangere insieme.
Si era nascosta nello sgabuzzino, era scivolata a sedere per terra e poco importava se qualcuno entrando l' avesse scambiata per pazza, il terrore e il sollievo si erano alternati nel giro di pochissimi istanti, si era sentita di nuovo prigioniera in un inferno e poi immediatamente salva in paradiso.
Eiri sospirò passandosi le mani sul viso stanco, si fermò non appena sentì una voce chiamare il suo nome. Quando si girò Kanon era davanti a lei, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente in un respiro appena più accellerato.
-Ti ho vista passare e non lo so... - si era giustificato. Eiri lo guardava in attesa di sapere cosa volesse da lei. Kanon parlò pochi secondi dopo senza alcuna traccia di stanchezza, la sua voce come sempre era sicura:- Non chiedo mai a una donna di uscire per due volte di seguito dopo un rifiuto- fece un sorriso irriverente infilando le mani nelle tasche- veramente non sono mai stato rifiutato, quindi... vorresti uscire con me?
Eiri aggrottò le sopracciglia:- Per caso sei uno di quegli uomini che sono abituati ad avere le donne ai loro piedi? Perchè se è così...
Kanon la interruppe agitando il dito indice davanti al suo naso:- Affatto. Ho vuto meno donne, come dici tu, di quanto si possa pensare.
-Però non sei abituato ad un rifiuto quindi immagino che per te questa sia una specie di sfida.
Kanon la guardò sorpreso:- Non dirmi che anche tu hai letto troppi romanzi rosa
-No- si affrettò a negare con veemenza la ragazza- ma poi scusa, che c' entrano... ah, ho capito.
-Non sono il bel tenebroso, Eiri. E no, non amo questo genere di sfide. E allora che fai? Usciamo?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


4 running away
Eiri lo guardò mordendosi l' interno della bocca. Si diede mentalmente della scema, della pazza e dell' idiota per quello che stava per fare.
Ma forse aveva ragione Irene. Kanon non era Dimitri.
-Ok- disse alla fine.
Kanon sorrise:- Bene. Quando ci vediamo?
Eiri guardò l' orologio che aveva al polso sinistro:- Ora?- propose- è ora di mangiare.
Kanon annuì:- Prima di me non ne vuoi sapere nemmeno morta e ora non vedi l' ora di avere un appuntamento- la prese in giro.
La ragazza si stupì. Quell' uomo era anche divertente. Si domandò se avesse qualche difettuccio. Nonostante questo non potè fare a meno di sciogliersi di più.
-Ma sentitelo- rispose- Voglio solo scroccarti da mangiare. Paghi tu no?
-E io che pensavo che ad invitarmi fossi stata tu.
-Ah sì? Allora ci deve essere stato un equivoco di fondo.
Kanon seguiva la ragazza camminare verso il centro:- Dove andiamo?
-In un posto molto chic.
-Argh- il saint gemette augurandosi che quel posto non fosse eccessivamente chic per le sue povere tasche. Alla fine arrivarono di fronte ad una panineria piena di ragazzi.
Eiri fece un ampio gesto col braccio:- Ti presento il "Tomato rosso". Qui fanno i panini migliori della Grecia intera.- Eiri gli fece cenno di seguirla. Qualche minuto dopo erano seduti ad un tavolino all' aperto a mangiare patatine e panini e a bere aranciata.
-Non è roba molto salutare- fece Kanon guardando il suo panino. La mangi spesso?
Eiri si fermò con una patatina fritta a mezz' aria:- Non sei uno di quei tipi fissati col fisico vero?- si assicurò.
-Non proprio ma ecco... non sono abituato a mangiare queste cose.
-Quando andavo al liceo il sabato mangiavo fuori con gli amici- spiegò Eiri- pizza o panini. Cose così. Non ti saprei spiegare ma... bho... mi dà una bella sensazione venire qui.
-Io non ho mai fatto questo genere di cose- disse Kanon
Eiri sgranò gli occhi:- E' assolutamente impossibile. Tutti gli adolescenti vivono mangiando schifezze, per lo meno il sabato sera.
Percepì l' atmosfera farsi seria all' improvviso, Kanon taceva e la fissava serio. Abbassò subito gli occhi sul tavolo, forse aveva parlato troppo, si stava immischiando in cose che non la riguardavano.
Era evidente che la conversazione non stava procedendo nel modo migliore, si erano come arenati.
-Va bene dai- fece allora lei abbozzando un sorriso di scuse- ti ho fatto conoscere un bel posto no?
Kanon annuì rilassato allungando la propria mano verso la vaschetta con le patatine:- Potremmo venirci il sabato sera allora- le disse ridacchiando.
Eiri sorrise con lo sguardo addolcito puntato sulla piazza. Sarebbe stato bello, sì.

Alla fine erano stati seduti al tavolino per più di un' ora. Eiri, una volta che si scioglieva, parlava parecchio. Kanon si chiese quante cose potessero frullare in quella sua testolina. Chiedeva sempre, in maniera quasi innocente. Era curiosa.
Era partita dal suo segno zodiacale per cercare di capire se potessero essere compatibili.
Non appena Kanon aveva terminato di dire "Gemelli" Eiri strinse i denti facendo una faccia afflitta.
-Che c' è?- aveva chiesto stupito lui- che hai contro i gemelli?
-Niente. E' solo che secondo me quelli dei gemelli non la raccontano mai giusta. Hanno una doppia faccia. Senza offesa, eh. Non è che io ti conosca e intenda dire...- aveva iniziato balbettando- cioè, intendo che le esperienze che ho avuto con la gente di quel segno non sono state proprio idilliache.
-Va bene, va bene. Ho capito l' antifona- la liquidò Kanon. La cosa che lo infastidiva è che si sentiva punto sul vivo. Eiri aveva ragione, inconsapevolmente gli aveva buttato in faccia la verità, in maniera piuttosto semplice e sconclusionata tra l' altro, e questo non riusciva ad accettarlo. Persino con lei si sarebbe comportato da ipocrita, lo sapeva perfettamente. Le avrebbe mentito, era ovvio. La stava frequentando per capriccio, perchè aveva voglia di assaggiare la normalità degli uomini comuni. Di lei questo la incuriosiva, il suo essere dannatamente normale, una tra tanti, una che di divino non aveva assolutamente nulla e di spirito guerriro, poi, nemmeno a parlarne.
Non sacerdotessa, non guerriera, non amazzone dalle cosce dure e dal fisico asciutto -e sensuale, dei!- scolpito dalle fatiche e dalle innumerevoli lotte.
Non dea superba e potente e neppure candida e virginale da salvare o da combattere.
Si chiese come fossero le cosce di Eiri, la sua pancia, le sue braccia. Se fosse un' amante sottomessa oppure focosa. Kanon sorrise, prima o poi lo avrebbe scoperto, per ora si accontentava di esplorarla con semplici parole che innocue lambivano l' aria tra l' oro.
Di certo Eiri odorava di buono, di ciambelle zuccherate e sapone, odori semplici e genuini, ordinari addirittura, un po' come lei.
Tuttavia si sentì piuttosto in colpa. Era come se in qualunque cosa facesse non poteva - e forse non voleva- liberarsi della natura del segno a cui era legato. Perchè in fondo la natura dei gemelli era la sua stessa natura, la sua indole più intrinseca.  Portato per vocazione all' inganno e alla menzogna.
Sospirò:- E tu di che segno sei?
-Sono del Toro.
-Del toro- ripetè Kanon. Gli venne in mente Aldebaran, un omaccione testardo come pochi ma fondamentalmente buono e pacifico.
Kanon la fissò.
-Non guardarmi così- si agitò Eiri- mi imbarazzi.
Candida, pensò.
-Secondo te Toro e Gemelli potrebbero andare d' accordo?- le chiese
Eiri fece spallucce:- In realtà anche se i segni zodiacali hanno un certo fascino non possiamo basare le relazioni che abbiamo con la gente solo su queste cose. Poi ogni persona è diversa, il suo segno c' entra poco. Io ci scherzo su e ammetto anche che mi piace leggere l' oroscopo sul giornale, spulciare le caratteristiche dei segni e cose così per vedere quanta rispondenza abbiano con la realtà. Ma alla fine mi fermo lì, è solo semplice curiosità. Ecco perchè ti ho chiesto qual' è il tuo segno- aveva fatto un ampio sorriso- ora se vuoi puoi dirmi il tuo gruppo sanguigno, quanto sei alto, qual' è il tuo colore preferito e il tuo piatto preferito, i tuoi hobby e che lavoro fai.
Kanon aveva strabuzzato gli occhi. Era un interrogatorio!
Eiri si era messa a ridere:- Sto scherzando!
Quasi...

Erano passati quasi due mesi. Kanon era un cliente abbastanza assiduo del "Le chat Noir" benchè non potesse recarvisi ogni giorno perchè lentamente la vita al Grande Tempio era ritornata alla normalità. Certe missioni lo tenevano lontano da casa anche per giorni interi.
Aveva detto ad Eiri di essere una guardia del corpo. Di Saori Kido.
-Presente la miliardaria? Lei.
Eiri aveva strabuzzato gli occhi:- Pensa che gran pezzo di casa che deve avere!- aveva detto.
Sam, che passava accanto a loro si era fermata col vassoio vuoto a mezz' aria:- Quella vestita come una bomboniera?!- aveva urlato- Madame! Madame!- la proprietaria del locale si era girata in direzione della rossa, stessa cosa aveva fatto la sparuta clientela- ma l' ha sentito?
-Cosa ho sentito?
-Kanon qui è il body guard della Kido- aveva spiegato col forte accento scozzese.
-La miliardaria?!
-Lei.
Kanon si mise una mano sulla fronte. Avrebbe dovuto inventarsi qualche altra frottola. Aveva esagerato. Aiolia lo stava osservando con aria di rimprovero mentre Milo sghignazzava impunemente.
Non osava immaginare cosa sarebbe accaduto se Saga fosse venuto a saperlo.
Eiri e Sam erano appoggiate al bancone, la seconda mollò il vassoio sporgendosi verso Kanon:- Che tipo è?- aveva domandato allargando la bocca in un ghigno smaliziato.
-E'... è- Kanon guardò di sfuggita Eiri ascoltare in silenzio. Si maledisse per l' ennesima volta e tossì rumorosamente. Bè non era poi tanto difficile dare una descrizione di Atena!
-E' una donna in apparenza distante, almeno all' inizio ma poi ti regala praticamente il cuore. E' gentile, generosa e comprensiva.- tacque qualche secondo- Buona. Buona davvero
Eiri si morse il labbro, lo faceva spesso, soprattutto quando era nervosa o imbarazzata e Kanon questo lo sapeva. Aveva imparato molte cose su di lei, talmente tante che quasi se ne stupì.
-Ne parli come se fosse un angelo o una dea- disse seria.
Il ragazzo si chiese cosa le passasse per la testa. Gelosia? Non poteva essere gelosa di Atena! Era la sua dea!
Momento, Eiri mica lo sapeva e anche se lo avesse saputo probabilmente non sarebbe cambiato un granchè.
Ad esempio era venuto a sapere -da Milo che a sua volta lo aveva saputo da Aphrodite che a sua volta ancora lo aveva saputo da Shura a cui lo aveva detto direttamente Shyriu- che la giovane Shun Rei covava un po' di gelosia nei confronti della dea. Non lo avrebbe mai detto.
-No- si discolpò- è che mi ha aiutato veramente tanto, tutto qui. Le sono riconoscente.
-Perch...-Sam bloccò la propria domanda sul nascere, Eiri le stava letteralmente arpionando il braccio. Ecco, forse quella era una domanda un po' troppo personale, peccato che la rossa avesse un concetto tutto suo di cose come privacy, intimità e compagnia bella.
-Ma non ce l' ha un fidanzato?- chiese la signora Maniatis smettendo per un attimo di sferruzzare.
Atena fidanzata? Ma stiamo scherzando? E' una dea vergine, per Zeus!
Kanon ignorò il prorpio rumoroso pensiero e cercò di dissimulare lo stupore:- Mha, non saprei- fece vago
-Non ce lo vuoi dire!- disse la Madame battendo il pugno accanto al registratore di cassa.
-Ma lo volete lasciare in pace questo povero Cristo?- intervenne Giorgos Papadoupolos pulendosi le mani sulla tuta da meccanico e squadrando la moglie- e tu, Antoniette, comprati qualche rivista come fai sempre invece di torturare il primo disgraziato che passa.
-Sei una lagnia Giorgios!- affermò la moglie- se non ti interessa torna alle tue macchine scassate, no?
-Tch- l' uomo si sfiorò i baffetti bianchi sporcandoli un po'- fammi un caffè piuttosto. E fallo buono.
La donna si alzò dirigendosi vero il bancone:- Lo faccio come viene- ribattè
-Io e Camus un giorno saremo così felici- sussurrò Milo ai due amici
-Ma se litigano tutto il giorno!- sbottò Aiolia
-Non capisci niente.
Anche Kanon aveva annuito, era evidente che quei due si amavano e persino si divertissero a stuzzicarsi a quel modo. Poi si voltò verso Milo domandandosi se quella sua affermazione fosse davvero seria o fosse piuttosto consapevole di quanto era impossibile e irrealizzabile.
Eiri si era allontanata per lavare alcuni bicchieri, Sam era rimasta lì con loro, poi aveva tirato Kanon per la manica chiedendo:- Veramente non hai qualche pettegolezzo sulla Kido?
-No.- rispose secco- tu invece non hai niente da fare?
Antoniette intanto diede la tazza col caffè al marito:- Due cucchiaini di zucchero- mormorò mescolandoglielo, poi afferrò un muffin e lo pose accanto alla tazza.
Giorgios le sfiorò una mano col dito:- Mi conosci bene eh?
La donna annuì:- Sono anni che ti sopporto, vecchio mio. Il caffè lo vuoi ben zuccherato e dopo ti piace mangiarti un dolcetto- gli strizzò la guancia scura e rise.
Giorgios si voltò verso i saints:- Ragazzi, lo vedete come sono fortunato? Me la sarei dovuta sposare prima.
-Ecco, ammettilo. Diglielo anche tu che non bisogna perder tempo. Tipo tu, Sam, che aspetti a trovarti un bel giovanotto?- si rivolse a Milo e ad Aiolia- voi due! Non vi piace Sam?
Aiolia divenne rosso come un peperone incapace di proferire parola, Milo rise affermando:- Io passo, sono già impegnato.
-E tu Aiolia?- lo stuzzicò Kanon
-No... non è che sia brutta, cioè... è... oh insomma, la smetti? Anche io sono fidanzato!
-E ti pareva- sospirò Sam- i migliori partiti sono tutti già belli che presi- puntò lo sguardo sulla porta a vetri vedendo comparire una figura baldanzosa- e in giro rimangono solo i cretini- borbottò riprendendo il vassoio dal tavolo.
Death Mask diede un' occhiata ai parigrado e si sedette sullo sgabello vuoto accanto a Kanon:- Fammi un caffè- disse rivolto a Sam.
-'sto stronzo- sussurrò la ragazza voltandosi verso la macchinetta. Si vedeva che il saluto era un optional troppo costoso.
-E voi che diavolo ci fate qua?- domandò il cavaliere del Cancro- tch, sempre a perder tempo.
-Ha parlato il gran lavoratore- disse Aiolia.
-Kanon!- chiamò Antoniette con voce imperiosa- che hai intenzione di fare con Eiri, eh? Te la sposi o no?
Il saint di Gemini sputò il cappuccino che aveva appena bevuto, prese un tovagliolo affrettandosi a ripulire e trascinandosi dietro le parole. Milo e Death Mask erano scoppiati a ridere impunemente, Aiolia, scioccato, si ripromise di non mettere più piede in quel locale, soprattutto se S. Valentino era alle porte.
-Mi sembra... un po'...- stava dicendo Kanon. Non aveva nemmeno finito di parlare che il "No" secco e allarmato di Eiri lo aveva interrotto-... prematuro- sussurrò il ragazzo guardandola a occhi spalancati.
-Cioè- aveva iniziato la ragazza con foga- come dice lui. Nel senso, è presto e poi ci dobbiamo conoscere. E poi neanche stiamo insieme!- aveva detto con tono stridulo per poi guardarsi intorno consapevole della pessima figura. Tossicchiò:- Scusate, mi sono fatta prendere.
-Io uno così me lo sposerei al volo- concluse l' anziana Maniatis.

Il Mercoledì Kanon ed Eiri andavano al cinema, il sabato sera giravano per Rodorio o andavano in qualche paese vicino e mangiavano alla panineria. Niente discoteche e cose del genere. Milo aveva provato a convincerli e un paio di volte c' era anche riuscito ma nè a lei e nè a Kanon, almeno in quel determinato periodo, andavano granchè a genio.
-Le discoteche sono il terreno di caccia ideale- aveva spiegato Milo ubriaco, una notte, mentre si trascinava e veniva trascinato da Kanon lungo le scale del Grande Tempio- nemmeno Camus ci viene mai. Mai. Maledizione! Se vuoi la normalità, Kanon, devi andare in discoteca- aveva biascicato.
-Per ora no. Non mi interessa la caccia, sto bene così. Mi piace la vita da accasato- sorrise. Ed era vero, gli piaceva quella tranquillità placida e quotidiana priva di turbamenti. In quel momento passare da un' avventura all' altra lo riteneva troppo impegnativo, paradossalmente. Non essere certo di avere qualcuno accanto, qualcuno da conoscere bene, provare emozioni e brividi troppo forti, l' eccitazione della caccia e della seduzione... tutto troppo movimentato.
E nella sua vita di movimento ce ne era stato fin troppo, aveva bisogno di fermarsi ed Eiri rappresentava una sosta piuttosto gradevole.
-Milo- si voltò poi verso l' amico che stava dicendo cose senza senso- mi spieghi che diavolo di problema avete tu e Aquarius?
Lo Scorpione dorato si dimenò liberandosi dalla presa dell' amico che lo sorreggeva e sedendosi con un tonfo sulle gradinate. Aveva aggrottato le sopracciglia assumendo l' espressione di un bimbo imbronciato. Scosse un po' la bottiglia semivuota che teneva in mano perdendosi nel liquido odoroso:- Se mi mettessi a piangere come una ragazzina, ora, sarebbe poco dignitoso?- chiese.
-Non so. Forse. Dipende più che altro- Kanon si accovacciò al suo fianco.
Milo alzò gli occhi sul cielo notturno pieno di stelle:- La guerra ha cambiato tutto, Kanon. Siamo lontani. Camus non riesce ad accettare il fatto di avermi ingannato e forse non mi perdona tutti gli insulti, legittimi, che gli ho tirato dietro- rise amaramente- e io non mi perdono il fatto che l' avrei voluto uccidere con le mie stesse mani. Lo avrei ammazzato per davvero, ne avevo proprio voglia- ringhiò- Non perdoniamo noi stessi. Come possiamo pensare di guardarci in faccia? I dolci, le torte e tentativo disperato di costruire la parvenza di un fottuto passato non servono a niente. Me lo sento.- si girò verso l' amico- per la prima volta ho desiderato di non essera mai stato un cavaliere. Questo compito mi sta chiedendo troppi sacrifici.
Il ragazzo si alzò barcollando, poi Kanon fece altrettanto. Non sapeva che dire. Tutto il discorso di Milo lo aveva spiazzato lasciandolo senza parole, congelandolo sul posto.
Il loro compito poteva essere davvero ingrato, su questo aveva ragione.
E non seppe spiegarsi perchè, ma si sentiva in colpa. In fondo non era stato lui il responsabile della guerra contro Ade.
Ma di tutto il resto sì, sembrò gridargli una vocina cattiva.
Al tempo stesso condivideva il dolore di Milo, se ne sentiva investito.
-Andiamo- gli disse- si sistemerà tutto. Parla con Camus a cuore aperto se non lo hai fatto e regalagli un' altra bella torta.
-Magari provo a farla io questa volta- sorrise Milo.
-Spero che non si senta male

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