Running away di Haruakira (/viewuser.php?uid=98001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
C.1 Libertà
- Running away
- Dov' era Dio in quella tenebra?
- Dov' era il posto degli Dei in
quel mondo?
- Ci sono tanti piccoli Inferni su
questa Terra , uno di questi Inferni era una sudicia prigionia
traboccante di dolore ad un passo appena da un mondo di luce. Un
Inferno mondano per nulla dissimile da tanti altri.
- Ma Dio non poteva
varcare quel confine?
- No, gli dei non scendono dai
loro scranni illuminati per bagnarsi i piedi in questo mare miserevole
di dolore e impotenza.
- Ma se lo chiese comunque,
disperatamente: Dov' era finito il suo Dio?
-
- Da piccoli ti insegnano ad avere
paura dell' uomo cattivo, di fantasmi che non possono
toccarti e di bestie che non sono di questo mondo.
Poi ti dicono di non fidarti degli sconosciuti, di non accettare le
caramelle da nessuno, di non allontanarti da sola.
- Ti inculcano la paura per il
lupo, per il serpente, a volte ti invitano persino a temere l' animale
più innocuo.
- Ma nessuno ti dice che il tuo
dolore può venire dalle persone a te più care,
che l' uomo cattivo, il fantasma, la bestia, l' animale può
essere chi ti sta accanto.
- Nonna Katia era solita avvisarla
con quella sua voce un po' rude e un po' gracchiante che il dolore
poteva provenire da chiunque e da qualunque luogo. Non doveva mai
fidarsi, glielo diceva una il cui marito era espatriato in un altro
paese dopo quarant' anni di matrimonio. Puntualmente sua madre la
rimproverava perchè secondo lei il mondo non era poi
così brutto come diceva la nonna, che la stava spaventando
inutilmente. Iniziò ad ammonirla sempre più
spesso e con più vigore quando Dimitri entrò
nelle loro vite.
- Quanto si sbagliava sua mamma.
Eppure era strano che proprio lei credesse ancora nella
bontà della gente.
- Era una specie di sonno
offuscato, poco vivido e sempre più lontano, il viso di sua
nonna si faceva sempre meno delineato, lo scialle verde si confondeva
con il quadro appeso alla parete alle sue spalle, inesorabilmente
quelle vecchie immagini sparivano risalendo in alto verso la coscienza
di sè stessa e di ciò che la circondava.
- Eiri aprì lentamente
le palpebre degli occhi arrossati, sentì una specie di
rantolo allo stomaco ma non era sicura di aver fatto nessuno verso. Ma
quale sogno? Quale? La freddezza dell' acciaio intorno ai polsi e il
riconoscimento dell' ambiente le diedero immediatamente la
consapevolezza della realtà in cui era confinata come un
pugno improvviso contro il petto. Dovette resistere all' istintiva
reazione di piegarsi su sè stessa. Si mosse piano sentendo
vibrare chiaramente nelle orecchie il suono molesto delle catene che la
legavano al muro ricordandole ulterioremente la sua condizione.
Cercò di
mettersi meglio a sedere nel vano tentativo di appoggiare la schiena
contro la parete. Un malcelato gemito di dolore le uscì
dalle
labbra facendola desistere dall' impresa. Alzò gli occhi
scuri
verso la piccola finestra alla sua destra, l' unico buco da cui
filtrava la luce del sole, l' avevano sempre colpita i raggi immobili e
sereni all' interno del quale sambrava danzare quieto un fitto
pulviscolo.
- Sulle gambe poteva
sentire la polvere
accumulata sul pavimento, persino l' umidità viscida e
ammuffita
dalle pietre.
- Lo squittio di un topo le
fece istintivamente portare le gambe al petto in un moto di disgusto e
paura. Rimase in quella posizione nonostante avesse visto la coda
sottile sparire in un buco scavato nell muro. Avrebbe voluto essere un
topo.
Le fogne e la terra sarebbero state di gran lunga migliori di tutto
quello.
- Abbassò stancamente
la testa di lato, avrebbe preferito essere ancora incosciente, magari
addormentarsi per sempre.
- Sarebbe stato bello, le pareva
quasi poetico quel disperato agognare alla pace eterna. Persino il
suono, pace eterna, le richiamava alla mente una quieta
staticità beatamente luminosa, un sorriso ampio e distaccato
sulle labbra, un corpo mollemente adagiato senza che nulla possa
raggiungerlo o urtarlo o ferirlo.
- Invece sentiva il corpo intero
pulsare per il
dolore, reclamare l' annullamento dei sensi quando il suo sangue colava
dal naso sulle labbra, le scendeva fino al mento
e gocciolava sui vestiti sporchi. Avvertiva il senso di bagnato sulle
spalle e al tempo stesso quello del sangue rappresso e appiccicato alla
camicia del pigiama.
- Iniziò a dolerle la
gamba sinistra, forse il tempo doveva cambiare. Era sempre
così.
Anche sua nonna diceva sempre che le facevano male le ossa quando il
clima cambiava bruscamente.
- Tirò leggermente le
mani in avanti più che potè per vedere fin dove
arrivasse
la sua libertà costatando con la solita disperazione che era
davvero breve. Non era neppure un metro, la sua libertà, ed
era
fatta con l' acciaio di una catena pesante e con i braccialetti duri
che si portava legati ai polsi e alle caviglie come marchio di
proprietà.
- Non era quella la
libertà, era un' illusione sperare che quel metro scarso di
metallo potesse essere chiamato libertà.
- Era schiavitù.
- E il suo marchio di schiava era
l' anello d' oro che portava all' anulare sinistro.
- Doveva scappare quel giorno,
quando lo aveva visto in faccia per la prima volta. Bastardo.
- Gli occhi vuoti presero a
guardare i pantaloni del pigiama logori e sporchi di sangue, era
lì dentro da quattro giorni, ed era davvero strano
perchè di solito Dimitri dopo due o tre giorni la tirava
fuori
di lì e si scusava... bè... più o
meno, visto e che la considerava comunque una specie di cosa, un
animale
a voler essere generosi.
- Un rifiuto che lui aveva
generosamente sottratto alla strada e a cui aveva fatto il dono di
essere la moglie agiata di un uomo importante, poteva dormire su
guangiali morbidi e tra lenzuola di seta quel suo corpo indegno.
- Ma rimaneva pur sempre un
rifiuto.
- Dimitri si premurava gentilmente
di ricordarglielo assai spesso in modo che non potesse mai dimenticarlo.
- Doveva avere memoria solo di lui,
senza passato nè presente nè futuro che potessero
essere diversi da lui, che potessero riguardare altro che non fosse lui.
- Questa volta era stata punita
perchè aveva cercato di togliersi la fede.
- Oh, andiamo! Era stata punita per
capriccio.
- Perchè era un pazzo.
- Era di fronte allo
specchio, uno sguardo come sempre rivolto alla
porta nel terrore che Dimitri entrasse all' improvviso e l' altro sull'
immagine di sè che le veniva riflessa. Si stava pettinando
con cura i capelli
castani cercando di disricare bene i nodi perchè a Dimitri
piaceva farsi scivolare i suoi capelli tra le mani, senza ostacoli.
- Aveva abbassato lo sguardo
sulle proprie mani arrossate, una era ancora fasciata con le bende dopo
l' ultima sfuriata di quell' uomo. Aveva adocchiato la fede e si era
messa a piangere, tremando l' aveva sfilata lentamente come se in quel
modo potesse avere l' illusione di un attimo di libertà, che
tolta la fede non esistesse neppure Dimitri e tutto il resto.
- Quando la porta alle sue
spalle si aprì, alzò lo sguardo sullo specchio,
di
scatto, facendo rotolare l' anello sul tavolino, si girò
verso
di lui che le veniva incontro sorridendo rilassato, bello e
apparentemente affabile con i lunghi capelli biondi che ricadevano
placidi sulle spalle, gli occhi azzurri e il completo bianco che
aderiva perfettamente sulla pelle.
- Dimitri vestiva sempre di bianco,
oppure di rosso. Diceva di amare quei due colori per ragioni
completamente diverse, uno perchè puro, l' altro
perchè gli ricordava la passione del sesso e assieme l'
espiazione che simbolicamente donava il sangue versato.
- Si avvicinò a lei
poggiandole delicatamente le mani sulle spalle, abbassandosi all'
altezza delle sue labbra per salutarla, scese a prenderele
delicatamente le mani accorgendosi subito che qualcosa non andava, di
sicuro.
- -Tremano- notò quasi
stupito guardandole coperte dalle sue con la coda dell' occhio senza
però allontanarsi troppo dalle sue labbra.
- Si mise dritto aprendole
entrambe sui palmi delle proprie. Rimase qualche secondo in silenzio,
sospirò come se fosse di fronte a un bambino che aveva
commesso
l' ennesima marachella, sfiorando l' anulare libero con il pollice e l'
indice.
- -Qui... qui manca qualcosa, non
trovi?
- -Io...- Eiri non sapeva che dire,
si sarebbe messa a piangere e a implorare pietà se la paura
non l' avesse bloccata.
- Dimitri arricciò le
labbra, lo faceva sempre quando pensava:- Perchè hai tolto
la
tua fede? Non ti piaceva più? Era il simbolo del nostro
amore.-
- Il simbolo della sua
sottomissione.
- Del suo non appartenersi
più e dell' appartenere incondizionatamente a lui.
- Eiri sfilò le
proprie mani dalle sue, tastando il tavolino alla ricerca dell' anello,
si piegò e tirò una specie di sospiro quando lo
vide a
terra, raccogliendolo. Lo indossò nuovamente e si accorse
che era
preciso.
- -Era stretto- si
giustificò prendendo la palla al balzo.
- Dimitri si sedette di
fronte a lei accavallando le gambe e poggiando pigramente la testa
contro il pungo di una mano:- Ah... era stretto.-
- Glielo sfilò e poi
glielo rimise, ripetendo l' operazione un altro paio di volte.
- Sorrise:- Non mi sembra.
Voi rifiuti avete la pessima abitudine di mentire- fece una smorfia- e
non sapete neppure vestirvi- osservò il pigiama azzurro che
indossava- cos' è, Eiri? Non ti piacciono i vestiti che ti
compro? Vuoi farmi buttare i soldi dalla finestra? - ciò che
la
inquietava di più era il tono estremamente calmo con cui le
parlava, quasi indifferente, come se la cosa non lo riguardasse
affatto. Altre volte sembrava più un medico che la
analizzava,
distaccato.
- -Tu più di tutti
dovresti conoscere l' importanza del denaro.- aggrottò le
sopracciglia- e poi sai cosa? Mi da fastidio il fatto che tu non ti
faccia mai bella per me. Non sei affatto sensuale. Poi è
normale
che io mi arrabbi o che ti tradisca. -sospirò- Oggi ho avuto
una pessima
giornata, sai?
- Si alzò, afferrandola
all'
improvviso per il polso e trascinandosela dietro tra i corridoi enormi
dell' antico palazzo. Eiri vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi
leggermente sentendo gorgogliare una risata divertita.
- Spalancò gli occhi
rabbrividendo mentre avvertiva chiaramente la pelle d' oca sulle
braccia.
- Arrivarono nella piccola cella.
- Dimitri le sollevò le
maniche del pigiama scoprendo uno dei polsi circondato da un vecchio
bracciale spesso.
- -Questo lo conosco- si
ritrovò a sospirarle sulla sua guancia a occhi chiusi.
- Era il bracciale della
prima catena a cui l' aveva legata. Aveva voluto che lo tenesse. Per
ricordo, diceva lui. Perchè gli piaceva che lei portasse un
segno che la macchiasse ulteriormente, che la classificasse come sua
proprietà.
- La legò per i polsi
e come ogni volta Eiri iniziò a piangere, con l' orgoglio e
la
dignità sotto le scarpe a implorare una pietà che
non
sarebbe arrivata.
- -Questa sottomissione
è eccitante, peccato che tu piagnucoli troppo- aveva
affermato crucciato.
- Eiri ruppe bruscamente il
filo dei suoi pensieri, lo avrebbe fatto ugualmente a dire il
vero. In quel momento sentì dei rumori
improvvisi, dei passi concitati, infine degli spari. La porta della
cella si spalancò e lei non potè fare a meno di
urlare.
Un uomo con una specie di divisa scura e un equipaggiamento pesante le
puntò contro l' arma che reggeva tra le mani.
- -Un ostaggio- gridò
prima di entrare e di liberarla.
- Non le sembrava vero,
spostò le pupille da una parte all' altra seguendo i
movimenti bruschi dell' uomo, le labbra semiaperte per lo stupore.
- -Non si preoccupi, è
tutto finito.
- Eiri non stava capendo
più niente. Forse era la volta buona che arrestavano
Dimitri, ma
per quanto ne poteva sapere quello avrebbe
potuto essere benissimo una specie di assalto da parte di
qualche
banda.
- L' uomo sparì
nuovamente verso il corridoio non appena sentì altri spari.
Le
aveva detto di restare lì ma Eiri aveva troppa paura. Non
voleva
morire in una sparatoria o roba del genere, inoltre quella poteva
essere la sua unica occasione di essere libera. Si resse malamente
sulle gambe e cercò in qualche modo di scappare velocemente,
più facile a dirsi che a farsi in quelle condizioni.
Camminava più rapida che poteva aggrappandosi al muro,
imboccò un ingresso secondario difficilmente conosciuto
dagli
uomini che imperversavano all' interno del palazzo e si
ritrovò
ai piani superiori. Regnava uno strano silenzio, a tratti inquietanti.
Eiri se lo spiegò immaginando che le forze di Dimitri erano
tutte impegnate al piano terra e al massimo nei sotterranei dove si
trovavano la maggior parte delle armi e macchinari vari, oltre che i
laboratori di ricerca. Afferrò un vestito e un paio
di scarpe da ginnastica, degli oggetti di valore e
il denaro
che Dimitri non si creava problemi a tenere nel cassetto della
scrivania, infine la cassetta di primo soccorso nel bagno, per mettere
poi tutto nello zaino con cui era arrivata un anno primo in quel posto.
- Nell' ala sinistra del
corridoio c' erano delle scale strette, proprio dietro a una porticina
di legno, che portavano fino alla cucina, Eiri si ritrovò
nell'
ambiente odoroso di cibi che cuocevano lentamente sul fuoco, la
porticina che portava all' esterno spalancata e nessuna traccia di
cuochi o domestici vari. Mise il naso fuori soffocando un ulteriore
imprecazione per tutti quei movimenti bruschi.
- Si accorse che lo scontro
armato era concentrato sul lato principale della villa e di una
cameriera che spariva al di là di una siepe. Si mise a
correre
ritrovandosi senza aspettarselo dall' altro lato del giardino, in un
piccolo roseto. Si accodò alla gente che scappava.
Attraversò con loro un campo di viti per accasciarsi stanca
e in preda agli spasmi del dolore delle ferite
tra i grappoli che iniziavano a crescere. Strinse i denti, gli occhi le
pizzicavano, faceva male da morire.
- Dannatissimo Dimitri.
- -Marcisci all' Inferno!- si
ritrovò a sputare con un tono ringhioso e abbastanza alto.
- I domestici ormai non li vedeva
nemmeno più.
- Avrebbe continuato da sola,
quel miraggio di libertà l' avrebbe fatta andare avanti. Era
la
sua occasione, forse l' unica. Si alzò in piedi ed
attraversò il terreno.
- Non si sarebbe fermata fino a che
non si sarebbe sentita al sicuro.
-
- Tre mesi più tardi...
-
- ___
- Note: Salve a tutti, spero che la
storia possa piacervi, mi auguro di
non commettere troppi errori e di creare un personaggio il
più
vicino possibile a una qualsiasi persona reale. Speriamo bene.
Ovviamente vorrei
sapere cosa ne pensate voi, sia in positivo che in negativo
eventualmente, la speranza è l' ultima a morire XD
- So di avere altre storie in
corso, sto cercando di continuare a scrivere "Il buon vicinato".
- Il raiting arancione mi sembra
vada abbastanza bene, come vedete nonostante la tematica trattata non
sia delle più leggere, ho evitato di descrivere le scene
violente vere e proprie soffermandomi sul lato psicologico senza
comunque, appunto, renderlo eccessivamete pesante.
- DISCLAIMER: I personaggi di Saint
Seiya non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo
di lucro.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
c. 2 running away
Running
away
Forse non
aveva ancora capito se la sua anima fosse bianca o nera, pura o meno.
Se, con
quel suo animo fuligginoso, potesse servire la Dea.
Chi era degno di farlo?
Chi doveva ammetterlo
tra quelle fila di giusti?
Il giudizio degli uomini
è qualcosa di estremamente vago e fragile. Privo di ogni
assolutezza.
Quello della dea anche.
Vale finchè si è sotto la sua giurisdizione. Il
suo metro è diverso da quello di Hades o Poseidone.
No?
La cosa più
terrificante era per lui il giudizio di se stesso da parte di
sè medesimo. Era impietoso e lo terrorizzava.
Il tempo tra il vuoto delle colonne della terza casa in quell' attimo
era scandito dal passo cadenzato del cavaliere che lo stava
attraversando. Kanon di Gemini non avvertiva nemmeno il rumore sottile
e discreto del proprio respiro. Sembrava che tutto, in quel vuoto
labirintico quale era la sua dimora, fosse eternamente muto. Rade
fiaccole rischiaravano il suo cammino nell' ambiente libero al tempo
stesso opprimente di cui era padrone.
Buio.
Un passo.
Silenzio.
Un altro.
Vuoto.
Un altro ancora.
La dimora di Gemini era fissa in un' immobilità senza tempo.
Lo
inquietava perchè la casa sembrava viva e morta insieme.
Morta nella sua spaventosa staticità in cui tutto
apparentemente taceva.
Viva per il suo cuore malato che secoli infiniti aveva attraversato
riempiendosi di sangue e dolore nel nome della giustizia o
più
spesso dell' ambizione personale dei proprietari che vi si erano
succeduti.
Finalmente vide la luce dell' uscita. Una volta all' aria aperta, in
cima ai gradini che conducevano alla successiva casa del Cancro, si
concesse di respirare.
Respirò a fondo, mosse gli occhi ad abbracciare le rocce, l'
erba, i templi, gli insetti sul terreno secco, ogni cosa, insomma, e
ogni minimo particolare che lo stava circondando.
Si fece attento per respirare gli odori, per guardare con le pupille
spalancate la luce e lo spazio aperto, per sentire, soprattutto, con le
orecchie i suoni e i rumori.
Bramava un movimento repentino e allora guardò in alto
seguendo il volo degli uccelli, assaporando il battito rapido delle
loro ali.
Desiderava un suono, un canto, un rumore così forte da
rompere il silenzio; che gli ricordasse di essere vivo.
Sentì il canto degli uccelli, il ronzio di una zanzara.
Poi nulla.
Scese velocemente i due gradini per risalirne altri cento verso la casa
del Cancro.
Veloce.
L' antro di Cancer puzzava ancora di morte e di sangue. Non sarebbe mai
andato via.
Sentì la sua risata sguaiata. Alta.
"Grazie"
-Ecco il novello cavaliere di Gemini!- lo apostrofò il
custode
camminando baldanzoso verso di lui, le mani sui fianchi e privo
dell'armatura dorata.
Non era cambiato affatto. Lo prendeva per il culo.
-Chi sei tu per giudicarmi?
Death Mask fece spallucce tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla
tasca dei jeans:- E chi lo sa!
Non aveva negato, non aveva detto "io non ti giudico". Lo faceva, oh se
lo faceva, non solo lui ma molti, dai
semplici soldati fino ai saints suoi pari. Lo giudicavano, mentalmente
lo deridevano.
Traditore sconfitto, poi santo per necessità, dicevano.
Indegno dell' armatura che portava.
Indegno come suo fratello che sedeva sul trono del Grande Sacerdote
ancora una volta.
Tuttavia se i gold saint e quasi tutti i cavalieri d' argento e di
bronzo rispettavano in qualche maniera Saga, credevano naturalmente in
lui, memori dell' aura benevola che un tempo lo aveva circondato
facendolo sembrare simile agli dei, nei suoi confronti mancava questa
fiducia. Lui aveva affrettato la corruzione del fratello in maniera
consapevola, lui era nato sporco, impuro, il suo animo non era limpido
come quello del gemello che aveva dovuto affrontare un'
entità
malvagia che a detta dei più non gli apparteneva. Pochi
erano
coloro che disprezzavano il nuovo sacerdote.
-Bada Kanon- sputò Death guardandolo di traverso- neppure tu
puoi giudicare. Non sei nella posizione per farlo quindi non guardarmi
in quel modo, con quell' aria da santarellino. Lo so cosa pensi di me.
Aspirò l' ultima boccata fumo, poi calpestò la
sigaretta sotto la scarpa:- Sparisci.
L' uomo strinse i pugni sui fianchi raddrizzando le spalle:- Voglio
sapere se sei fedele alla dea.
Death si girò completamente verso di lui:- Per chi diavolo
mi
hai preso?- le sue labbra si incresparono in un ghigno, quello di chi
ha ragione- tu non ti fidi di me e io non mi fido di te. Lo vedi? -
allargò le braccia prima di riabbassarle, facendo stizzito:-
e
ora vattene.
Era vero, non poteva giudicare proprio nessuno.
La scalata delle dodici case era davvero lunga, specie per chi tra quei
luoghi si sentiva un estraneo. Nel corso della guerra contro Hades
aveva creduto veramente di potersi redimere. Milo lo aveva accettato
nella cerchia dei santi d' oro, tuttavia la realtà
quotidiana
era ben diversa da quella della battaglia. Non credeva neppure che
avrebbe rivisto la luce del sole, invece la dea era riuscita a farli
tornare alla vita.
La dea lo aveva benedetto, lo aveva perdonato e accolto, aveva guardato
il suo cuore vedendovi il pentimento. Ma gli uomini non possono tanto
nè è semplice per loro scordare il passato.
Questo
pensava Kanon.
Stava andando al tredicesimo tempio a trovare Saga. Un po' per
ricordare a sè stesso che il destino aveva deciso di farlo
essere l' ombra dell' altro, un po' per farsi consolare dalla sua
presenza perchè in fondo lo sapeva, una medaglia ha sempre
due
facce e una senza l' altra non esiste.
Era quasi assurdo, un pensiero contorto. Chissà, forse stava
impazzendo.
Stava salendo, era appena uscito dall' undicesima casa quando vide
Saga. E ovviamente Aiolos.
Aiolos era sempre con Saga.
Aggrottò le sopracciglia per guardarli meglio mentre si
avvicinavano, parlavano e si sorridevano, uno avvolto nel manto bianco
sacerdotale, l' altro nell' oro dell' armatura con quelle ali che lo
facevano sembrare un angelo.
Sembravano quasi perfetti.
Abbaglianti, forse, era il termine giusto.
-Kanon- e Saga lo chiamò e gli sorrise. Non sorrideva spesso
a dire il vero.
Il minore non ricambiò.
Aiolos lo salutò con quell' aura di bontà che
pareva
circondarlo perennemente. Forse era troppo buono, gli venne da pensare.
Troppo poi fa male.
-Dove andavi?- chiese il maggiore- venivi da me?
Kanon si affrettò a negare, serio:- Andavo da Aprhodite.
Si sarebbe messo a ridere.
Aphrodite!
Quando mai si erano parlati.
Oh sì, si sarebbe messo a rotolare a terra per le risate.
Saga aggrottò le sopracciglia sospettoso:- Da Pisces?-
chiese.
Kanon annuì come se fosse la cosa più ovvia del
mondo,
come se lui e Phro fossero compagni di bevute o... o di giardinaggio.
Il pensiero gli fece balzare una capriola allo stomaco, un altra risata
da trattenere. Non ci si vedeva proprio a fare giardinaggio. Con Pisces
poi...
-E' una cosa positiva, no?- fece Aiolos.
Ma quanto sei scemo? pensò il cavaliere di Gemini.
Saga invece forse, forse... non se l' era bevuta.
-A far che?- domandò infatti.
Kanon sbuffò, era un interrogatorio. Non poteva dargli
torto.
Sorrise sornione e vittorioso:- Devo regalare un fiore a una ragazza.
Voglio un consiglio e Pisces se ne intende.
Saga arcuò le sopracciglia, quel giorno il fratello era
assai
espressivo, si disse Kanon:- Ah- concluse stupito domandandosi chi
fosse lei e se,
soprattutto, esistesse.
-Vado- fece il minore superandoli.
Apparentemente sembrava andare tutto bene.
Kanon andò da Aphrodite perchè di certo Saga
avrebbe
chiesto all' altro saint se per caso lo avesse visto. Lo
salutò,
si beccò uno sguardo altezzoso e una frecciatina sul
perchè fosse lì.
-Non ho tempo per i convenevoli, Pisces.
-Sei simpatico, proprio simpatico. Vieni in casa mia, chissà
perchè poi, e a mala pena ti degni di salutare.
Vero, era assolutamente vero. Ma quando mai loro avevano avuto un
rapporto idilliaco? O una qualche forma di rapporto a voler essere
pignoli.
Ora veniva la parte peggiore. Aprhodite era un pettegolo.
-Che fiori si regalano a una donna?
L' altro spalancò gli occhi impercettibilmente e un risolino
gli sfuggì dalle labbra:- Questo è un favore?
-No, direi più che altro una domanda.
-Oh, una domanda- lo assecondò il parigrado sedendosi in una
poltrona di vimini che si affacciava sul giardino, senza perderlo d'
occhio- e perchè la fai proprio a me?
-Te ne intendi.
-Quindi... sei venuto da una persona che si intende di queste cose. E
che quindi può aiutarti- argomentò- allora...
allora
direi che possa definirsi un favore.
E Aphrodite non era uno che faceva niente per niente e non era affatto
discreto, chè se gli avesse davvero fatto un favore, anche
uno
piccolo piccolo, piccolissimo, glielo avrebbe rinfacciato nei secoli
dei secoli e se ne sarebbe vantato per tutto in santuario.
-Senti- Kanon gli diede le spalle- la stai tirando troppo per le
lunghe. Vado dal fioraio.
Fottiti, aggiunse mentalmente.
Aphrodite accavallò le gambe odorando una rosa rossa:-
Permaloso.- e lo salutò così.
Kanon ebbe anche l' impressione di sentirlo canticchiare una cantilena
che faceva: "Kanon è innamorato!"
Scendeva di nuovo infastidito dal caldo secco che annunciava un' estate
afosa e dall' idea di aver sfacchinato tanto per nulla. E di essersi
finto innamorato di una donna immaginaria, lo avrebbero preso per scemo.
Cento gradini, più cento, più cento...
Non finivano mai.
Varcò la soglia dell' ottava casa, se quella di Aphrodite
puzzava dell' odore nauseabondo delle rose, se in quella di Camus si
rabbrividiva di un freddo pungente che invadeva tutti i sensi e ogni
interstizio del corpo, se in quella di Shura avvertivi tutta la
pesantezza della sua lealtà -e della sua colpa che opprimeva
lo sventurato che la attraversava, se quella di Aiolos sapeva di
pulizia e di luce, brillante e trasparente, tanto quanto quella di
Gemini era scura e inquietante, quella di Milo, tra tutte, era la casa
dove non avvertivi proprio nulla.
Era apparentemente neutra e distaccata, abbastanza luminosa
sì, solenne come tutte ma del suo proprietario non diceva
nulla.
Sentì dei passi frettolosi avvicinarsi da un corridoio
laterale e si fermò.
-Ohi! Dovresti chiedermi il permesso per passare. Non si usa
più salutare il padrone di casa?- Milo lo guardava con un
sorriso impertinente, coprì la distanza che li separava
avvicinandosi ulteriormente- hai fatto presto- notò- a
salire e scendere intendo.
Quel ragazzo era veramente curioso. Oltre che particolarmente
intuitivo. Kanon si limitò a scrollare le spalle annuendo.
-E allora... aspetto.
-Cosa?
Milo non la smetteva di sorridete:- Il permesso- disse con
ovvietà
-Ah- fece Kanon realizzando- il permesso. Ma certo, ti accordo il
permesso di passare dall' ottava casa, Scorpio- affermò
solenne.
L' altro sbuffò divertito:- Mi prendi per il culo.
-Anche tu- convenne il maggiore.
Lo Scorpione del cielo si girò tirandogli un lembo del
mantello per trascinarlo nei suoi alloggi privati.
-Aspettami qui- gli disse chiudendosi la porta della stanza da letto
alle spalle. Ne uscì pochi minuti dopo vestito di jeans e
maglietta- ora andiamo alla terza e ti cambi- affermò.
Kanon lo seguì per i corridoi del palazzo senza fare
domande, a parlare era Milo.
-Ti porto in un posto.
-Dove- volle sapere guardandosi intorno col tono di chi però
più che domandare afferma..
-Ti porto in città, c' è un caffè
veramente bello- stavano scendendo le scale del tempio, Milo si mise le
mani diestro alla testa- è bello- ripetè
più a se stesso che a Kanon- non ci vado... non ci vado
da...- si morse le labbra guardando il cielo, pensando- da prima-
concluse in un soffio doloroso.
Anche Kanon era un tipo curioso e di norma sapeva quando era il caso di
non fare domande, quella volta però non si trattenne. Con
Milo era diverso.
-Da prima. Prima di che?- chiese stizzito.
-Prima- ripetè Milo- prma è prima.
-A "prima" deve seguire un' affermazione che risponda alla domanda "di
che?" oppure "di cosa?"- fece notare.
Milo rise:- Mi sembri Camus.
-Lo so che me lo vuoi dire- fece Kanon- che devi svuotare il sacco.
Altrimenti non avresti detto "prima" se avessi voluto tenerti il resto
per te.
-Colpito- convenne Milo. Guardava ancora il cielo, quei gradini li
conosceva a memoria- prima che Camus morisse. O forse prima che andasse
in Siberia per allenarsi. O per allenare Hyoga. Prima. Ci andavo sempre
da quando ho potuto mettere il naso fuori dal tempio; a volte con
lui... a volte senza- abbassò le braccia lungo i fianchi e
iniziò a guardare i gradini.
-L' hai sempre... amato?- azzardò Kanon.
-Sempre- rispose senza esitazione. Poi si girò verso di lui
guardandolo stupito- come diavolo fai a saperlo?
-Vivevo nascosto qui al tempio. Sapevo più cose io che le
ancelle- gli disse.
-Ah.
-E quindi... non lo sa nessuno?
Milo parve pensarci un po' su:- Nessuno, credo. Tranne Camus.
-Ovviamente.
-Ma no, neanche tanto- le labbra di Milo si incresparono in un sorriso
dolce e malinconico- fa fatica a capirle certe cose. E' proprio
ottuso.- e scoppiò a ridere.
Kanon pensò che amare, e più in generale avere
dei legami, fosse una gran fregatura, una debolezza enorme. Che Milo
soffrisse era piuttosto evidente.
Quando era entrato nella casa dello Scorpione del cielo aveva pensato
che non dicesse nulla del suo proprietario. Guardandola meglio dovette
ammettere di essersi sbagliato. C' erano delle crepe lievi su qualche
muro, qualche colonna antica diversa dalle altre, forse erano quelle
del tempio prima che venisse sistemato, il pavimento di pietra
scheggiato in qualche punto. Atena aveva fatto sistemare le dodici case
dopo l' ultima guerra sacra e Milo aveva preteso che nella propria
venisse fatto solo l' essenziale. Non voleva cancellare certe cose, il
passato suo e di chi lo aveva preceduto che albergava tra le solide
mure. Tante piccole schegge, tanti piccoli dolori, tante piccole gioie.
In fondo era un sentimentale.
_____________________________________________________________________________
HARU DICE: Mi scuso per il ritardo infinito nella pubblicazione, avevo
deciso di non postare fino alla fine degli esami ma avendo un poco di
tempo a disposizione ho terminato di riscrivere il capitolo e ho
pensato di metterlo. Spero che non vi stancherete di seguirmi. Ci tengo
a precisare che questo capitolo non è messo lì
"tanto per", apparentemente può sembrare inutile ai fini
della storia, in realtà non è così. La
ff si propone di essere introspettiva e di toccare e/o sfiorare
determinate corde (come vedete c' è anche qualche accenno di
Milo/Camus se no non mi sento io XD), Kanon è il
protagonista quindi era necesserio, per me, dare un' occhiata al
contesto in cui vive e a come se la passa, diciamo, altrimenti finirei
per privare il personaggio del suo spessore. Se cercate una storia
romantica punto e basta, bè, non è questa.
Sullo Zibaldino presto troverete un paio di estratti dal capitolo
successivo se può interessarvi.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
runing away 3
Running away
Non
si era mai reso conto che
probabilmente per lui la normalità potesse essere
più
entusiasmante di mille intrighi ai danni di uomini e dei, gli poteva
dare un brivido lungo la schiena diverso da quello della lotta.
In
fondo era solo curioso, poteva essere una nuova esperienza in quella
sua vita così sopra le righe.
Il
caffè in cui lo aveva trascinato Milo vantava un' insegna
bianca come il latte, un gatto nero e la scritta "Le Chat Noir"
con dei ghirigori che si attorcigliavano alla coda del felino, una
rosellina stilizzata che faceva capolino nell' angolo sinistro in
basso.
Era appariscente, nulla da dire, tuttavia sembrava anche abbastanza
elegante. Kanon si domandò come avesse fatto a non notarlo
prima. Oh bè, non che lui si guardasse poi molto intorno,
praticamente per tutta la vita aveva avuto dei paraocchi e, inutile
negarlo, vantava una vena di egocentrismo non indifferente. La via su
cui si affacciava il locale era piuttosto ampia, di fronte c' era un
piccolo negozio di fiori con la porta verde, all' angolo un
fruttivendolo con la merce esposta all' esterno.
L' interno del locale era ricco di fiori, le pareti sfoggiavano le
tinte calme e leggere del bianco e del lilla, su una parete vi era una
piccola libreria in legno, il bancone, semicircolare, ospitava vassoi e
vetrine con leccornie invitanti. A Kanon il locale piacque molto,
faceva molto caffè letterario ma allo stesso tempo aveva un
clima familiare. Notò due vecchine sedute in un angolo
intente a
sferruzzare, un paio di operai ciarlare del più e del meno
al
bancone.
Dietro il bancone vi erano una signora avanti con gli anni e una
ragazza, un' altra stava servendo due ragazzi seduti a un tavolo.
Non appena aprirono la porta la donna che intuì essere la
proprietaria, fece un urletto in direzione di Milo che le si
avvicinò con un grosso sorriso. Kanon seguì il
compagno
d' armi, vide la donna guardare spaesata alla sua destra, proprio nel
punto dove un' attimo prima si trovava una delle ragazze ma non vi
badò
più di tanto.
Milo
ordinò una bella torta a forma di cuore. Doveva essere
bella,
sì. E aveva anche chiesto che ci fossero le fragole
sopra:- Ne metta tante- aveva detto alla proprietaria del locale.
Kanon ora capiva perchè ci andava solo quando Camus era nei
paraggi. Lo aveva capito dopo che la signora dietro il bancone gli
aveva detto:- Era da tanto che non venivi, Milo- e gli aveva tirato le
guance come si fa con un bambino.
-Vuoi due fette di torta?- aveva poi aggiunto maliziosa.
E Milo aveva sorriso dicendo che ne voleva una intera. Quella con tante
fragole, per l' appunto.
Kanon aveva capito che la seconda fetta, eventualmente, non sarebbe
stata certo per lui.
-E poi ci prepari due cappuccini... e due pezzi di crostata... quella
al cioccolato.
La signora aveva annuito promettendo di fare in
fretta, mentre andavano a sedersi Kanon disse:- Grazie per aver
ordinato anche per me, non avrei saputo come fare altrimenti.
-Niente, figurati- Milo se la rise sotto ai baffi.
-Perciò usi le torte per i tuoi giochini erotici, uhm?- fece
Kanon guardandosi le unghie con aria noncurante e ghignando
interiormente.
-E-ehi! Non ti permetto di fare simili insinuazioni. Certo, ammetto che
certe prelibatezze addolciscono Camus- lo scorpione sospirò-
ma
ti assicuro che per arrivare ai giochi erotici, come li chiami tu, ce
ne passa di acqua sotto i ponti.
Kanon aveva sghignazzato:- Ah, ti lascia in bianco allora
-La possiamo smettere di parlare della mia vita amorosa?
-E sessuale- aggiunse il maggiore.
-Chi è la donna di prima?
-La proprietaria, no? La conosco da una vita- Milo si guardò
intorno- questo posto è cambiato tantissimo nel corso degli
anni. All' inzio più che un bar sembrava un fast food
americano.
La proprietaria del locale portò personalmente le
ordinazioni al
loro tavolo. Era una donna alta e dalle forme assai morbide, portava un
paio di occhiali bianchi dalla forma vistosa che ogni tanto toglieva
lasciandoli pendere con la catenella sul collo, indossava un vestito
giallo canarino e aveva i capelli cotonati di un rosso accesso, il viso
molto truccato, era impossibile che passasse inosservata.
Si fermò un minuto con loro:- E quel figaccione di Cam dov'
è?- domandò rivolta a Milo.
-Studia
La donna fece una smorfia e un cenno con la mano:- Sempre sui libri
quel ragazzo, dovrebbe godersi di più la vita- poi
posò
gli occhi su Kanon e fece un largo sorriso- però vedo che
sei in
ottima compagnia. Chi è questo bel ragazzone?
Kanon spalancò gli occhi mentre Milo soffocava una risata:-
Un
amico. Signora Grandier le presento Kanon, Kanon la saignora Grandier.
La donna allungò la mano e si profuse in un inchino, Kanon
guardò Milo. Non si aspettava mica il bacia mano? Il ragazzo
alla fine optò per una bella stretta della mano ingioiellata
e
la donna gli sorrise indulgente:- Non ci sai proprio fare con le donne,
eh, ragazzo mio?
I due cavalieri la videro sgonnellare allegra in direzione della cassa,
poi Kanon guardò Milo:- Ma è proprio
così?
-Proprio- annuì l' altro con solennità-
è stata
sposata quattro volte- Milo mostrò le dita della mano e
iniziò ad elencare- il primo dice che fu un errore di
gioventù, un soldato americano o forse russo... o era
spagnolo?
Non mi ricordo. Il secondo marito era brasiliano, lo conobbe quando
abitava a San Paolo, la Madame ha girato un sacco il mondo, lo ha
mollato per tornare in Europa, il terzo... bhè, il terzo
è morto e ora quattro anni fa si è sposata col
meccanico
qui vicino. Si conoscono da una vita- Milo ridacchiò- credo
che
ci sia stata da sempre una certa attrazione tra di loro... non hai idea
degli insulti e delle maledizioni che si lanciavano.
Milo si fermò di colpo notando che Kanon lo guardava fisso:-
Che c' è? Che hai?- domandò stupito.
-Niente. Pensavo che sei un pettegolo.
-Non è vero.- si indignò il ragazzo, per poi
aggiungere-
se dici questo è perchè non hai mai assistito
alle
riunioni del club di cucito.
-Riconfermo quanto detto prima: sei un pettegolo. Come diavolo fai a
sapere delle riunioni del club... o cosa si dicono...?
-Quando ero più piccolino mi mettevo di nascosto dietro il
bancone ad ascoltare. La sede del club è questa.
-Questa donna ha un traffico assurdo- constatò Kanon
riferendosi alla signora Grandier.
Dalla sua postazione Kanon poteva vedere il bancone e la cassa.
Dietro al bancone era spuntata una ragazza che Kanon
paragonò
immediatamente ad un topo. Quanto poteva essere alta?, si chiese.
Era piccola, tanto tanto piccola. Lo era, almeno, se paragonata a un
omaccione della sua stazza.
Aveva i capelli leggermente ondulati e vaporosi, legati malamente in
una
coda alta che la faceva sembrare più giovane di quanto
certamente non fosse, portava un paio di occhiali dalla montatuta
classica che le cadevano costantemente dal naso quando si abbassava e
che si affrettava a sistemare con l' indice.
Forse, si disse, era più simile a una talpa.
Le guardò il seno. Chissà che misura portava? Ora
che ci
pensava non se ne intendeva granchè, nè di tette
e
nè di donne. Nell' ordine aveva trascorso la vita nascosto
al
santuario, si era spacciato per Sea Dragon in fondo al mare, era stato
impegnato a sopravvivere e poi a sconfiggere Hades. E poi era morto.
Insomma, di cose da fare ne aveva avute parecchie per avere il tempo di
correre dietro alla gonnelle.
Si ricordava di aver perso la verginità con un' ancella dal
seno prosperoso, spacciandosi per Saga.
Kanon tirò la testa all' indietro gorgogliando una risata e
Milo lo guardò come a chiedergli che avesse.
Lo aveva fatto un sacco di volte, spacciarsi per Saga per divertirsi
con le ancelle. Poi il maggiore lo aveva scoperto.
Kanon guardava i movimenti della ragazza, precisi e abbastanza sicuri
nonostante ciò sembrava avere nel corpo una strana energia,
una
sorta di affaticamento misto a sollievo, era un saint e come tale aveva
imparato ad aguzzare i sensi e a scrutare attentamente i propri nemici.
Aveva quasi l' impressione di sentire battere forte il suo cuore nelle
orecchie, sentire il suo respiro direttamente sulla pelle.
Il cavaliere di Gemini aggrottò le sopracciglia e
afferrò
la tazza che aveva di fronte portandola alle labbra. Come se avesse
avuto il tempo di pensare alle donne, una come quella per giunta. Era
abbastanza carina ma se proprio si fosse voluto concedere un' avventura
ne avrebbe scelto una più affascinante e spigliata.
Quella era un topo-talpa. Punto.
Però...
Sorrise dentro la tazza calda.
Milo intercettò il movimento dei suoi occhi:- A che pensi?
Kanon sembrò pensarci sopra per qualche momento, poi decise
di sputare fuori il rospo:- Alla ragazza dietro il bancone.
Il parigrado si girò beccandosi uno scalpellotto:- Bravo
scemo,
così ci fai scoprire. Ma tu la discrezione dove ce l' hai?
-Volevo vederla, e che diavolo!- si lagnò l' altro
massaggiandosi il collo.
-Bho, tanto non è il mio tipo.
Milo arcuò le sopracciglia:- E allora perchè la
guardavi?
-Non lo so. E' che ha un aspetto diverso dalle ancelle o in generale
dalle donne con cui siamo abituati a trattare.
Milo la vide mentre serviva un tavolo:- Ha l' aspetto di una persona
normale, idiota. E che ovviamente non sa nulla di dei, battaglie e
compagnia bella.
-Non sa nulla...- ripetè Kanon. Era un aspetto piuttosto
interessante.
Rialzò gli occhi su di lei.
Quel giorno Kanon aveva deciso di interessarsi a qualcuno diverso da se
stesso -o da Saga.
La sua curiosità era sempre stata dettata dal desiderio di
sapere per ottenere poi qualcosa, per manipolare quel sapere a proprio
vantaggio. Una volta redento, benchè questo aspetto non
fosse
sparito completamente -poteva sempre tornare utile, chissà-
la
sua, era diventata una curiosità più genuina che
gli
facesse toccare il mondo esterno con le mani, che lo facesse sentire
meno solo nel suo esilio quasi volontario e più uomo tra gli
uomini.
Ora aveva deciso di sperimentare un altro tipo di curiosità.
Voleva una conoscenza che gli desse un brivido.
Sfruttava, ancora una volta, qualcuno a suo vantaggio.
Era egoista, non ci poteva fare niente.
Aveva frequentato assiduamente il caffè per un mese intero,
a
volte da solo e altre assieme a Milo discorrendo del tempo e
lamentandosi della politica, aveva conosciuto il marito della signora
Grandier, accompagnato assieme al quasi sempre presente Milo le vecchie
sorelle Paparov fino a casa con le buste dalla spesa, bevuto cappuccino
ed evitato gli alcolici quando aveva per caso sentito che lei li
aborriva, una sera l' artropode si era trascinato un allegra comitiva
di gold saint fino al locale e allora la Madama non aveva potuto fare a
meno di strizzare le guance di Mu, Aiolia e Aldebaran, quei monellacci
ormai cresciuti e autori di tante marachelle assieme al custode dell'
ottava. Era stato insomma un cliente assiduo e un giovanotto a modo e
dal comportamento ineccepibile. Con lei ormai riusciva anche a parlare
ogni tanto, era inevitabile.
-Buongiorno Kanon, ti preparo il solito cappuccino?- diceva lei
E lui sorrideva. Un giorno era andata così., Kanon aveva
continuato dicendo:- Sì grazie.- silenzio- hai visto che
brutto
tempo oggi?
Lei alzava gli occhi al cielo:- Ah, non me ne parlare- ridacchiava- mi
sono fatta il bagno per venire fin qui.
-Allora ti lascio l' ombrello, dai.
-No, no, no- metteva le mani avanti e faceva ampi cenni col capo- poi
ti bagneresti tu.
-Milo ora viene. Lo chiamo e gli dico di portare un ombrello in
più.
E proprio quella volta in cui si era offerto di lasciarle
l' ombrello, lei l' aveva guardato, un po' perplessa e un po'
diffidente e aveva detto, con un tono neutro che suonava
però
come un' accusa:- Tu non sei vero.
-Come? E perchè scusa?
-Non lo so, credo sia impossibile che esista gente come te. O menti o
sei un santo.
Kanon aveva riso:- Diciamo che ci sei andata vicino. La seconda, ma non
sono il santo che intendi tu.
-Mh- quella volta era praticamente scappata da lui.
Le aveva chiesto di uscire in un giorno in cui lei faceva il turno di
pomeriggio, c' era il sole e gli era parsa proprio una buona idea, si
era avvicinato al bancone un po' titubante perchè
doveva ammetterlo, non era molto sicuro che lei volesse uscire con lui,
cosa che lo stranizzava parecchio visto che aveva sempre pensato di
avere un certo ascendente sulle donne. Con lei però tutto
sembrava diverso, si limitava a una cordialità distante.
Forse
il problema era lui che fino a quel momento aveva socializzato solo con
gente d' arme.
O lei era strana, tanto, tanto strana. Insomma, con gli altri che
frequentavano il locale non era in brutti rapporti, anzi. Kenneth, l'
altra cameriera -e coinquilina di Eiri-, si era dimostrata allegra ed
espansiva... allora che diamine aveva quella donna?
Le chiedeva di uscire e lei rispondeva di no.
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Angolo autrice: Ne approfitto per scusarmi del ritardo
colossale, volevo solo dire che da ora in poi gli aggiornamenti di
questa storia saranno regolari.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
running away
NOTA:
Ho cambiato il nome della coinquilina di Eiri da Kenneth a Sam.
-Sam è estremamente espansiva. E allegra. Piace a tutti e
poi
è anche molto disinvolta, i ragazzi le vanno dietro sia
perchè è molto carina che simpatica. E poi
indossa dei
vestiti molto belli, non so proprio come faccia, in pieno inverno poi
mi domando com' è che non senta freddo con una gonna corta.
Io
muoio di freddo anche se ho il maglione pesante e il giubbotto.. e poi
non so portare i tacchi. Mi fanno troppo male i piedi. Però
anche se siamo diverse vado davvero d' accordo con Sam, credo che a
questo punto non sbaglierei a definirla la mia migliore amica.
-Perchè mi parli di lei?- la interruppe Irene.
-Come perchè?- Eiri la guardò stupita-
perchè...
perchè è la mia più cara amica,
perchè
è la mia coinquilina.
Irene sorrise, in quel modo buono che era tutto suo:- Ti senti
obbligata a parlarmene perchè è tua amica? Cosa
ti ha
spinta oggi a parlare di lei, di Sam?
Eiri rifletteva e mentre lo faceva cambiò posizione portando
le
gambe, prima distese, contro il petto, i piedi che poggiavano sul
divano morbido. Era nello studio della sua psicologa, Irene.
Irene era una donna calma e pacata, aveva una voce bassa e serena che
trasmetteva tranquillità, non metteva in agitazione nessuno.
Amava tutto ciò che era legato all' oriente e il suo studio
rispecchiava perfettamente questa sua passione. C' erano tende
arancioni in tessuto leggero, candele e odore di incenso, divani bassi
e dagli enormi cuscini. A Eiri piaceva quel posto e le piaceva Irene
con le sue zeppe vertiginose e colorate, unico tocco decisamente
moderno e alla moda sull' abbigliamento fatto di tuniche o ampi
pantaloni e fasce legate intorno ai riccioli castani che sembravano
turbanti.
Irene le piaceva perchè l' aveva messa a suo agio. Il primo
giorno le aveva detto "Mettiti comoda, siediti dove vuoi e come vuoi.
Puoi anche sederti sulla scrivania se vuoi", aveva riso e poi aggiunto
"puoi anche toglierti le scarpe, non mi offendo"
Ed Eiri lo aveva fatto, si era tolta le scarpe e aveva incrociato le
gambe sul divano. Le piaceva stare scalza, le dava un piacevole senso
si libertà.
Irene all' inizio si era seduta sulla poltrona, poi un giorno le aveva
chiesto se le dava fastidio se si sedeva sul divano accanto a lei. Eiri
aveva risposto di no e la psicologa si era tolta le scarpe, proprio
come lei e aveva tirato fuori una barretta di cioccolato.
-Ti va una chiacchierata?- aveva domandato.
Avevano rotto il ghiaccio e a volte Eiri la sentiva come un' amica, ma
non era sicura che dovesse essere così.
Eiri aveva parlato di Sam quel giorno perchè ogni tanto si
trovava a pensare che la invidiava, un pochino, e che le sarebbe
piaciuto essere diversa, lo aveva detto a Irene e lei aveva chiesto:
-E perchè vorresti essere diversa? Perchè
vorresti cambiare? Non ti piaci, Eiri?
-A volte no. Credo di essere troppo chiusa, di vedere il mondo che vive
la sua vita e basta.
-E c' è bisogno di cambiare il proprio essere per essere
partecipi della propria vita?
-E' che credo che con questo carattere che ho, così timido e
un
po' pessimista anche... credo che non riuscirei a entrare dentro il
mondo. Mi sento come tagliata fuori. Ho come l' impressione che la
gente mi ignori, che non voglia essere mia amica. Mi sento trasparente.
-Eiri, ma tu, con tutta onestà, hai mai fatto qualcosa per
entrare dentro il mondo, come dici tu?
-...
Dall' altro lato silenzio, Eiri sospirò e
arricciò le labbra contemplando le dita lunghe dei propri
piedi.
-Dici che vuoi cambiare ma prima di tutto vorrei chiederti se desideri
farlo davvero, dal profondo. Non devi pensare che tu non vada bene o
che la gente più timida non abbia delle amicizie,
probabilmente
farà più fatica ma ciò non toglie che
rinunci a
partecipare alla vita. Forse il primo passo sarebbe proprio quello di
aprirsi di più al mondo, seriamente intendo, invece di
evitarlo
come hai fatto fino ad ora. La scorsa settimana mi hai detto che le
uniche volte che esci sono per andare al lavoro e fare la spesa.
Eiri si grattò la testa e abbozzò un sorriso
stanco,
forse si era autocommiserata un po' troppo nascondendosi dietro un
problema che in realtà non lo era.
-E' che ho paura- disse a un certo punto- sono sempre stata abbastanza
diffidente ma dopo... dopo...
Irene fece un cenno affermativo con il capo, Eiri si riferiva
evidentemente a Dimitri:- Continua, ti ho capita tesoro.
-... sono diventata ancora più sospettosa- Eiri
abbassò
gli occhi sulle proprie mani senza in realtà guardarle-
credo
che anche i santi siano bugiardi.- disse dopo un poco. Stava pensando a
Kanon.
Irene sul momento non capì l' affermazione della ragazza,
poi chiese ridendo:- Hai avuto l' onore di conoscere qualche santo in
questi giorni?
-Oh sì! Un santo decisamente terreno e senza aureola pensa
un po'!
Eiri ripensò a Kanon e a quanto secondo lei fosse perfetto.
Troppo, troppo perfetto. Le ricordava Dimitri con quella sua spiccata
abilità all' inganno che glielo aveva fatto passare per un
principe azzurro, l' uomo dei sogni.
-Degli incubi...- borbottò Eiri. Un brivido la fece tremare
visibilmente, Irene aveva notato la pelle d' oca sulle braccia della
ragazza.
-Cosa pensi, tesoro?
Eiri affondò la testa nel maglione sforzandosi di non
piangere, Irene allora le tese un fazzoletto:-Piangi, non ti
trattenere. Qui nessuno ci giudica.-
Eiri afferrò il fazzoletto e scoppiò in un pianto
disperato, incapce di articolare alcun suono se non quello dei propri
singhiozzi, dopo qualche minuto finalmente le sue lacrime diventarono
più silenziose, iniziò a respirare profondamente
e a parlare ancora con la voce rotta:- Mi fa paura il fatto che possa
esistere un altro uomo come Dimitri. E che io lo abbia conosciuto. E'
una persecuzione!- gridò- non ce la faccio più,
non ce la faccio più- Eiri si toccò i capelli,
con lo sguardo ora vuoto- ha persino i suoi stessi capelli...
così biondi e lunghi. Quale uomo porta i capelli a quel
modo?- rise in maniera quasi isterica- pensa un po'? Mi ha chiesto di
uscire. A me!
-Eiri, calmati- Irene la guardava con aria seria, il tono di voce fermo
e deciso- lo stai pensando tu
che questo ragazzo sia come Dimitri, devi sforzarti di vedere le cose
in maniera più distaccata. Ora è stato
questo...come si chiama?
-Kanon
-... Kanon ad avvicinarti ma è certo che se fosse stato
Tizio o Caio tu qui dentro mi avresti fatto lo stesso discorso. Esiste
gente positiva, Eiri, gente con tutta una serie di difetti che non
possiamo vedere da una conoscenza superficiale. Magari Kanon russa o
è permaloso, per fare un esempio. Ma se russa o è
permaloso o qualsiasi altro difetto lo vedrai solo con una conoscenza
più approfondita. Il tuo giudizio è per forza di
cose distorto dalla pessima esperienza con Dimitri... che poi Kanon
abbia i capelli biondi e li porti lunghi è una spiacevole
coincidenza che ti ha allarmata non poco.- Irene le sorrise- capisci
cosa intendo dire?
-Credo di sì. Mi sono fatta prendere dal panico.
Però non lo so, ho ugualmente una strana impressione. Con
Kanon viene sempre un altro ragazzo ma non mi fa sentire strana. Ecco,
l' altro ragazzo, Milo, mi sembra più... genuino,
più spontaneo. Magari è la differenza di
età... Milo è più piccolino, ha solo
vent' anni.
A quel punto Irene disse:-Eiri, posso farti una domanda?- senza
attendere un cenno affermatico continuò- Ma Kanon ti piace?
Eiri arrossì, si vergognava come una ladra e si sentiva
anche una specie di malata, contrasse le dita dei piedi per l'
imbarazzo e si morse l' interno del labbro:- Mi piace è un
parolone- deglutì prima di continuare- mi attira, quello
sì. E' quel genere di attrazione che ti spinge verso un
posto in cui c' è scritto a lettere cubitali "off limits".
E' piuttosto affascinante, quello non lo si può negare.
-E in quel posto c' è anche scritto "pericolo"?
-Forse, non lo so. E' per questo che credo che dovrei stargli lontana.
Non sono mai stata coraggiosa, anzi. Solo che a questo punto mi chiedo
se sono normale, insomma, dopo Dimitri dovrei essere attratta da gente
decisamente pacifica.
Irene rise:- Eiri, ti stai facendo troppi film mentali! Sei tu che stai
creando un background immaginario per questo povero ragazzo!
Quando Eiri tornò a casa si sentiva decisamente stanca, le
sedute con Irene spesso erano sfiancanti, la costringevano a guardarsi
dentro in maniera profonda, come se in quei momenti si attivasse una
scavatrice meccanica dentro di lei.
Passò davanti a "Le Chat Noir" e intravide la zazzerra
bionda di Kanon. Non poteva essere Milo, i suoi capelli erano
più scuri. Decise di non entrare e di tirare dritto. Si
ricordò del giorno in cui lo aveva visto la prima volta, per
poco non le veniva un infarto, era terrorizzata, aveva pensato che
Dimitri l' avesse trovata.
Era dietro al bancone quel pomeriggio e stava pulendo tazze e bicchieri
di una comitiva che era andata via da poco, quando vide una testa
bionda soffocò un urlo tra i denti facendo girare la padrona
del locale verso di sè. Il primo istinto fu quello di
nascondersi dietro il bancone e strisciare fino alla porta di servizio
per scappare a gambe levate. Le pizzicavano un poco gli occhi, quando
il ragazzo si girò e potè vedere il suo viso
tirò un sospiro di sollievo, si toccò il cuore
che pareva scoppiarle nel petto e si andò a nascondere in un
angolino a ridere e a piangere insieme.
Si era nascosta nello sgabuzzino, era scivolata a sedere per terra e
poco importava se qualcuno entrando l' avesse scambiata per pazza, il
terrore e il sollievo si erano alternati nel giro di pochissimi
istanti, si era sentita di nuovo prigioniera in un inferno e poi
immediatamente salva in paradiso.
Eiri sospirò passandosi le mani sul viso stanco, si
fermò non appena sentì una voce chiamare il suo
nome. Quando si girò Kanon era davanti a lei, il petto che
si alzava e abbassava ritmicamente in un respiro appena più
accellerato.
-Ti ho vista passare e non lo so... - si era giustificato. Eiri lo
guardava in attesa di sapere cosa volesse da lei. Kanon
parlò pochi secondi dopo senza alcuna traccia di stanchezza,
la sua voce come sempre era sicura:- Non chiedo mai a una donna di
uscire per due volte di seguito dopo un rifiuto- fece un sorriso
irriverente infilando le mani nelle tasche- veramente non sono mai
stato rifiutato, quindi... vorresti uscire con me?
Eiri aggrottò le sopracciglia:- Per caso sei uno di quegli
uomini che sono abituati ad avere le donne ai loro piedi?
Perchè se è così...
Kanon la interruppe agitando il dito indice davanti al suo naso:-
Affatto. Ho vuto meno donne, come dici tu, di quanto si possa pensare.
-Però non sei abituato ad un rifiuto quindi immagino che per
te questa sia una specie di sfida.
Kanon la guardò sorpreso:- Non dirmi che anche tu hai letto
troppi romanzi rosa
-No- si affrettò a negare con veemenza la ragazza- ma poi
scusa, che c' entrano... ah, ho capito.
-Non sono il bel tenebroso, Eiri. E no, non amo questo genere di sfide.
E allora che fai? Usciamo?
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
4 running away
Eiri lo guardò
mordendosi l' interno della bocca. Si diede
mentalmente della scema, della pazza e dell' idiota per quello che
stava per fare.
Ma forse aveva
ragione Irene. Kanon non era Dimitri.
-Ok- disse alla
fine.
Kanon sorrise:-
Bene. Quando ci vediamo?
Eiri
guardò l' orologio che aveva al polso sinistro:- Ora?-
propose- è ora di mangiare.
Kanon
annuì:- Prima di me non ne vuoi sapere nemmeno morta e ora
non vedi l' ora di avere un appuntamento- la prese in giro.
La ragazza si
stupì. Quell' uomo era anche divertente. Si
domandò se avesse qualche difettuccio. Nonostante questo non
potè fare a meno di sciogliersi di più.
-Ma sentitelo-
rispose- Voglio solo scroccarti da mangiare. Paghi tu no?
-E io che pensavo
che ad invitarmi fossi stata tu.
-Ah
sì? Allora ci deve essere stato un equivoco di fondo.
Kanon seguiva la
ragazza camminare verso il centro:- Dove andiamo?
-In un posto
molto chic.
-Argh- il saint
gemette augurandosi che quel posto non fosse
eccessivamente chic per le sue povere tasche. Alla fine arrivarono di
fronte ad una panineria piena di ragazzi.
Eiri fece un
ampio gesto col braccio:- Ti presento il "Tomato rosso".
Qui fanno i panini migliori della Grecia intera.- Eiri gli fece cenno
di seguirla. Qualche minuto dopo erano seduti ad un tavolino all'
aperto a mangiare patatine e panini e a bere aranciata.
-Non è
roba molto salutare- fece Kanon guardando il suo panino. La mangi
spesso?
Eiri si
fermò con una patatina fritta a mezz' aria:- Non sei uno
di quei tipi fissati col fisico vero?- si assicurò.
-Non proprio ma
ecco... non sono abituato a mangiare queste cose.
-Quando andavo al
liceo il sabato mangiavo fuori con gli amici-
spiegò Eiri- pizza o panini. Cose così. Non ti
saprei
spiegare ma... bho... mi dà una bella sensazione venire qui.
-Io non ho mai
fatto questo genere di cose- disse Kanon
Eiri
sgranò gli occhi:- E' assolutamente impossibile. Tutti gli
adolescenti vivono mangiando schifezze, per lo meno il sabato sera.
Percepì
l' atmosfera farsi seria all' improvviso, Kanon taceva e
la fissava serio. Abbassò subito gli occhi sul tavolo, forse
aveva parlato troppo,
si stava immischiando in cose che non la riguardavano.
Era evidente che
la conversazione non stava procedendo nel modo migliore, si erano come
arenati.
-Va bene dai-
fece allora lei abbozzando un sorriso di scuse- ti ho fatto conoscere
un bel posto no?
Kanon
annuì rilassato allungando la propria mano verso la
vaschetta con le
patatine:- Potremmo venirci il sabato sera allora- le disse
ridacchiando.
Eiri sorrise con
lo sguardo addolcito puntato sulla piazza. Sarebbe stato bello,
sì.
Alla fine erano
stati seduti al tavolino per più di un' ora.
Eiri, una volta che si scioglieva, parlava parecchio. Kanon si chiese
quante cose potessero frullare in quella sua testolina. Chiedeva
sempre, in maniera quasi innocente. Era curiosa.
Era partita dal
suo segno zodiacale per cercare di capire se potessero essere
compatibili.
Non appena Kanon
aveva terminato di dire "Gemelli" Eiri strinse i denti facendo una
faccia afflitta.
-Che c'
è?- aveva chiesto stupito lui- che hai contro i gemelli?
-Niente. E' solo
che secondo me quelli dei gemelli non la raccontano
mai giusta. Hanno una doppia faccia. Senza offesa, eh. Non è
che
io ti conosca e intenda dire...- aveva iniziato balbettando-
cioè, intendo che le esperienze che ho avuto con la gente di
quel segno non sono state proprio idilliache.
-Va bene, va
bene. Ho capito l' antifona- la liquidò Kanon. La
cosa che lo infastidiva è che si sentiva punto sul vivo.
Eiri
aveva ragione, inconsapevolmente gli aveva buttato in faccia la
verità, in maniera piuttosto semplice e sconclusionata tra
l'
altro, e questo non riusciva ad accettarlo. Persino con lei si
sarebbe comportato da ipocrita, lo sapeva perfettamente. Le avrebbe
mentito, era ovvio. La stava frequentando per capriccio,
perchè
aveva voglia di assaggiare la normalità degli uomini comuni.
Di
lei questo la incuriosiva, il suo essere dannatamente normale, una tra
tanti, una che di divino non aveva assolutamente nulla e di spirito
guerriro, poi, nemmeno a parlarne.
Non sacerdotessa,
non guerriera, non amazzone dalle cosce dure e dal
fisico asciutto -e sensuale, dei!- scolpito dalle fatiche e dalle
innumerevoli lotte.
Non dea superba e
potente e neppure candida e virginale da salvare o da combattere.
Si chiese come
fossero le cosce di Eiri, la sua pancia, le sue braccia.
Se fosse un' amante sottomessa oppure focosa. Kanon sorrise, prima o
poi lo avrebbe scoperto, per ora si accontentava di esplorarla con
semplici parole che innocue lambivano l' aria tra l' oro.
Di certo Eiri
odorava di buono, di ciambelle zuccherate e sapone, odori semplici e
genuini, ordinari addirittura, un po' come lei.
Tuttavia si
sentì piuttosto in colpa. Era come se in qualunque cosa
facesse
non poteva - e forse non voleva- liberarsi della natura del segno a cui
era legato. Perchè in fondo la natura dei gemelli era la sua
stessa natura, la sua indole più intrinseca.
Portato per
vocazione all' inganno e alla menzogna.
Sospirò:-
E tu di che segno sei?
-Sono del Toro.
-Del toro-
ripetè Kanon. Gli venne in mente Aldebaran, un
omaccione testardo come pochi ma fondamentalmente buono e pacifico.
Kanon la
fissò.
-Non guardarmi
così- si agitò Eiri- mi imbarazzi.
Candida,
pensò.
-Secondo te Toro
e Gemelli potrebbero andare d' accordo?- le chiese
Eiri fece
spallucce:- In realtà anche se i segni zodiacali hanno
un certo fascino non possiamo basare le relazioni che abbiamo con la
gente solo su queste cose. Poi ogni persona è diversa, il
suo
segno c' entra poco. Io ci scherzo su e ammetto anche che mi piace
leggere l'
oroscopo sul giornale, spulciare le caratteristiche dei segni e cose
così per vedere quanta rispondenza abbiano con la
realtà.
Ma alla fine mi fermo lì, è solo semplice
curiosità. Ecco perchè ti ho chiesto qual'
è il
tuo segno- aveva fatto un ampio sorriso- ora se vuoi puoi dirmi il tuo
gruppo sanguigno, quanto sei alto, qual' è il tuo colore
preferito e il tuo piatto preferito, i tuoi hobby e che lavoro fai.
Kanon aveva
strabuzzato gli occhi. Era un interrogatorio!
Eiri si era messa
a ridere:- Sto scherzando!
Quasi...
Erano passati
quasi due mesi. Kanon era un cliente abbastanza assiduo
del "Le chat Noir" benchè non potesse recarvisi ogni giorno
perchè lentamente la vita al Grande Tempio era ritornata
alla
normalità. Certe missioni lo tenevano lontano da casa anche
per
giorni interi.
Aveva detto ad
Eiri di essere una guardia del corpo. Di Saori Kido.
-Presente la
miliardaria? Lei.
Eiri aveva
strabuzzato gli occhi:- Pensa che gran pezzo di casa che deve avere!-
aveva detto.
Sam, che passava
accanto a loro si era fermata col vassoio vuoto a
mezz' aria:- Quella vestita come una bomboniera?!- aveva urlato-
Madame! Madame!- la proprietaria del locale si era girata in direzione
della rossa, stessa cosa aveva fatto la sparuta clientela- ma l' ha
sentito?
-Cosa ho sentito?
-Kanon qui
è il body guard della Kido- aveva spiegato col forte accento
scozzese.
-La miliardaria?!
-Lei.
Kanon si mise una
mano sulla fronte. Avrebbe dovuto inventarsi qualche
altra frottola. Aveva esagerato. Aiolia lo stava osservando con aria di
rimprovero mentre Milo sghignazzava impunemente.
Non osava
immaginare cosa sarebbe accaduto se Saga fosse venuto a saperlo.
Eiri e Sam erano
appoggiate al bancone, la seconda mollò il
vassoio sporgendosi verso Kanon:- Che tipo è?- aveva
domandato
allargando la bocca in un ghigno smaliziato.
-E'...
è- Kanon guardò di sfuggita Eiri ascoltare in
silenzio. Si maledisse per l' ennesima volta e tossì
rumorosamente. Bè non era poi tanto difficile dare una
descrizione di Atena!
-E' una donna in
apparenza distante, almeno all' inizio ma poi ti
regala praticamente il cuore. E' gentile, generosa e comprensiva.-
tacque qualche secondo- Buona. Buona davvero
Eiri si morse il
labbro, lo faceva spesso, soprattutto quando era
nervosa o imbarazzata e Kanon questo lo sapeva. Aveva imparato molte
cose su di lei, talmente tante che quasi se ne stupì.
-Ne parli come se
fosse un angelo o una dea- disse seria.
Il ragazzo si
chiese cosa le passasse per la testa. Gelosia? Non poteva essere gelosa
di Atena! Era la sua dea!
Momento, Eiri
mica lo sapeva e anche se lo avesse saputo probabilmente non sarebbe
cambiato un granchè.
Ad esempio era
venuto a sapere -da Milo che a sua volta lo aveva saputo
da Aphrodite che a sua volta ancora lo aveva saputo da Shura a cui lo
aveva detto direttamente Shyriu- che la giovane Shun Rei covava un po'
di gelosia nei confronti della dea. Non lo avrebbe mai detto.
-No- si
discolpò- è che mi ha aiutato veramente tanto,
tutto qui. Le sono riconoscente.
-Perch...-Sam
bloccò la propria domanda sul nascere, Eiri le
stava letteralmente arpionando il braccio. Ecco, forse quella era una
domanda un po' troppo personale, peccato che la rossa avesse un
concetto tutto suo di cose come privacy, intimità e
compagnia
bella.
-Ma non ce l' ha
un fidanzato?- chiese la signora Maniatis smettendo per un attimo di
sferruzzare.
Atena
fidanzata? Ma stiamo scherzando? E' una dea vergine, per Zeus!
Kanon
ignorò il prorpio rumoroso pensiero e cercò
di dissimulare lo stupore:- Mha, non saprei- fece vago
-Non ce lo vuoi
dire!- disse la Madame battendo il pugno accanto al registratore di
cassa.
-Ma lo volete
lasciare in pace questo povero Cristo?- intervenne
Giorgos Papadoupolos pulendosi le mani sulla tuta da meccanico e
squadrando la moglie- e tu, Antoniette, comprati qualche rivista come
fai sempre invece di torturare il primo disgraziato che passa.
-Sei una lagnia
Giorgios!- affermò la moglie- se non ti interessa torna alle
tue macchine scassate, no?
-Tch- l' uomo si
sfiorò i baffetti bianchi sporcandoli un po'- fammi un
caffè piuttosto. E fallo buono.
La donna si
alzò dirigendosi vero il bancone:- Lo faccio come viene-
ribattè
-Io e Camus un
giorno saremo così felici- sussurrò Milo ai due
amici
-Ma se litigano
tutto il giorno!- sbottò Aiolia
-Non capisci
niente.
Anche Kanon aveva
annuito, era evidente che quei due si amavano e
persino si divertissero a stuzzicarsi a quel modo. Poi si
voltò
verso Milo domandandosi se quella sua affermazione fosse davvero seria
o
fosse piuttosto consapevole di quanto era impossibile e irrealizzabile.
Eiri si era
allontanata per lavare alcuni bicchieri, Sam era rimasta
lì con loro, poi aveva tirato Kanon per la manica
chiedendo:-
Veramente non hai qualche pettegolezzo sulla Kido?
-No.- rispose
secco- tu invece non hai niente da fare?
Antoniette
intanto diede la tazza col caffè al marito:- Due cucchiaini
di zucchero- mormorò mescolandoglielo, poi
afferrò un muffin e lo pose accanto alla tazza.
Giorgios le
sfiorò una mano col dito:- Mi conosci bene eh?
La donna
annuì:- Sono anni che ti sopporto, vecchio mio. Il
caffè lo vuoi ben zuccherato e dopo ti piace mangiarti un
dolcetto- gli strizzò la guancia scura e rise.
Giorgios si
voltò verso i saints:- Ragazzi, lo vedete come sono
fortunato? Me la sarei dovuta sposare prima.
-Ecco, ammettilo.
Diglielo anche tu che non bisogna perder tempo. Tipo tu, Sam, che
aspetti a trovarti un bel giovanotto?- si rivolse a Milo e ad Aiolia-
voi due! Non vi piace Sam?
Aiolia divenne
rosso come un peperone incapace di proferire parola, Milo rise
affermando:- Io passo, sono già impegnato.
-E tu Aiolia?- lo
stuzzicò Kanon
-No... non
è che sia brutta, cioè... è... oh
insomma, la smetti? Anche io sono fidanzato!
-E ti pareva-
sospirò Sam- i migliori partiti sono tutti già
belli che presi- puntò lo sguardo sulla porta a vetri
vedendo comparire una figura baldanzosa- e in giro rimangono solo i
cretini- borbottò riprendendo il vassoio dal tavolo.
Death Mask diede
un' occhiata ai parigrado e si sedette sullo sgabello vuoto accanto a
Kanon:- Fammi un caffè- disse rivolto a Sam.
-'sto stronzo-
sussurrò la ragazza voltandosi verso la macchinetta. Si
vedeva che il saluto era un optional troppo costoso.
-E voi che
diavolo ci fate qua?- domandò il cavaliere del Cancro- tch,
sempre a perder tempo.
-Ha parlato il
gran lavoratore- disse Aiolia.
-Kanon!-
chiamò Antoniette con voce imperiosa- che hai intenzione di
fare con Eiri, eh? Te la sposi o no?
Il saint di
Gemini sputò il cappuccino che aveva appena bevuto, prese un
tovagliolo affrettandosi a ripulire e trascinandosi dietro le parole.
Milo e Death Mask erano scoppiati a ridere impunemente, Aiolia,
scioccato, si ripromise di non mettere più piede in quel
locale, soprattutto se S. Valentino era alle porte.
-Mi sembra... un
po'...- stava dicendo Kanon. Non aveva nemmeno finito di parlare che il
"No" secco e allarmato di Eiri lo aveva interrotto-... prematuro-
sussurrò il ragazzo guardandola a occhi spalancati.
-Cioè-
aveva iniziato la ragazza con foga- come dice lui. Nel senso,
è presto e poi ci dobbiamo conoscere. E poi neanche stiamo
insieme!- aveva detto con tono stridulo per poi guardarsi intorno
consapevole della pessima figura. Tossicchiò:- Scusate, mi
sono fatta prendere.
-Io uno
così me lo sposerei al volo- concluse l' anziana Maniatis.
Il
Mercoledì Kanon ed Eiri andavano al cinema, il sabato sera
giravano per Rodorio o andavano in qualche paese vicino e mangiavano
alla panineria. Niente discoteche e cose del genere. Milo aveva provato
a convincerli e un paio di volte c' era anche riuscito ma nè
a
lei e nè a Kanon, almeno in quel determinato periodo,
andavano
granchè a genio.
-Le discoteche
sono il terreno di caccia ideale- aveva spiegato Milo
ubriaco, una notte, mentre si trascinava e veniva trascinato da Kanon
lungo le scale del Grande Tempio- nemmeno Camus ci viene mai. Mai.
Maledizione! Se vuoi la normalità, Kanon, devi andare in
discoteca- aveva biascicato.
-Per ora no. Non
mi interessa la caccia, sto bene così. Mi piace
la vita da accasato- sorrise. Ed era vero, gli piaceva quella
tranquillità placida e quotidiana priva di turbamenti. In
quel
momento passare da un' avventura all' altra lo riteneva troppo
impegnativo, paradossalmente. Non essere certo di avere qualcuno
accanto, qualcuno da conoscere bene, provare emozioni e brividi troppo
forti, l' eccitazione della caccia e della seduzione... tutto troppo
movimentato.
E nella sua vita
di movimento ce ne era stato fin troppo, aveva bisogno
di fermarsi ed Eiri rappresentava una sosta piuttosto gradevole.
-Milo- si
voltò poi verso l' amico che stava dicendo cose senza
senso- mi spieghi che diavolo di problema avete tu e Aquarius?
Lo Scorpione
dorato si dimenò liberandosi dalla presa dell'
amico che lo sorreggeva e sedendosi con un tonfo sulle gradinate. Aveva
aggrottato le sopracciglia assumendo l' espressione di un bimbo
imbronciato. Scosse un po' la bottiglia semivuota che teneva in mano
perdendosi nel liquido odoroso:- Se mi mettessi a piangere come una
ragazzina, ora, sarebbe poco dignitoso?- chiese.
-Non so. Forse.
Dipende più che altro- Kanon si accovacciò al suo
fianco.
Milo
alzò gli occhi sul cielo notturno pieno di stelle:- La
guerra ha cambiato tutto, Kanon. Siamo lontani. Camus non riesce ad
accettare il fatto di avermi ingannato e forse non mi perdona tutti gli
insulti, legittimi, che gli ho tirato dietro- rise amaramente- e io non
mi perdono il fatto che l' avrei voluto uccidere con le mie stesse
mani. Lo avrei ammazzato per davvero, ne avevo proprio voglia-
ringhiò- Non perdoniamo noi stessi. Come possiamo pensare di
guardarci in faccia? I dolci, le torte e tentativo disperato di
costruire la
parvenza di un fottuto passato non servono a niente. Me lo sento.- si
girò verso l' amico- per la prima volta ho desiderato di non
essera mai stato un cavaliere. Questo compito mi sta chiedendo troppi
sacrifici.
Il ragazzo si
alzò barcollando, poi Kanon fece altrettanto. Non
sapeva che dire. Tutto il discorso di Milo lo aveva spiazzato
lasciandolo senza parole, congelandolo sul posto.
Il loro compito
poteva essere davvero ingrato, su questo aveva ragione.
E non seppe
spiegarsi perchè, ma si sentiva in colpa. In fondo non era
stato lui il responsabile della guerra contro Ade.
Ma di tutto il
resto sì, sembrò gridargli una vocina cattiva.
Al tempo stesso
condivideva il dolore di Milo, se ne sentiva investito.
-Andiamo- gli
disse- si sistemerà tutto. Parla con Camus a cuore
aperto se non lo hai fatto e regalagli un' altra bella torta.
-Magari provo a
farla io questa volta- sorrise Milo.
-Spero che non si
senta male
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