La Cacciatrice di Liverpool

di Gulminar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PRELUDIO ***
Capitolo 2: *** Tanya Larsson ***
Capitolo 3: *** Frammenti di un disastro ***
Capitolo 4: *** Alla fonte del male ***
Capitolo 5: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 6: *** Salvare Hermione ***
Capitolo 7: *** New Phoenix ***
Capitolo 8: *** Collegamenti mentali ***
Capitolo 9: *** Jugglershow ***
Capitolo 10: *** Il potere della Cacciatrice ***
Capitolo 11: *** L'Urlo di Golconda ***
Capitolo 12: *** Seguaci del grande mago ***
Capitolo 13: *** EPILOGO - Lacrime nella pioggia ***
Capitolo 14: *** Nota dell'autore ***



Capitolo 1
*** PRELUDIO ***


Ogni volta che finisco una fan fiction, dichiaro a me stesso che sarà l’ultima, ma poi succede sempre che rimane l’ultima finché non scrivo la successiva. Questa storia mi si è piazzata in testa durante l’inverno e non c’è stato verso di mandarla via, ha preteso di essere scritta.

Per chi ha letto “Il canto dell’eroe”, non è un sequel. Troverete alcuni elementi che si ripropongono, ma ciò è dovuto al semplice fatto che le due storie vengono dalla stessa mano.

Per tutti i lettori, potrete tenere per buoni gli avvenimenti narrati in “Harry Potter e i doni della morte”, escluso l’epilogo “19 anni dopo”.

*

La leggenda dei Tulipani di Cristallo

La Cacciatrice di Liverpool

PRELUDIO

23 ottobre 2021
8 AM
Dintorni di Londra


“L’accerchiamento è completo, capitano.”
La voce del giovane alla sua destra le parve troppo alta, forse per via della sua immaginazione sovraeccitata. Era la sua prima missione da caposquadra, non avrebbe permesso a una stupida recluta di mandarla a rotoli. Stava per dire all’idiota di abbassare il tono, ma si trattenne, sarebbero stati altri rumori inutili. Fece un gesto con la mano per indicare che potevano procedere.
“La casa è circondata, non avete scampo!” Gridò. “Gettate le bacchette dalla finestra e uscite con le mani bene in vista!”
Nessuna voce o movimento giunsero a indicare che gli assediati avessero intenzione di obbedire. Lasciò passare la manciata di secondi prevista dal regolamento per casi analoghi.
“Siamo sicuri che il blocco sia attivo su tutta l’area?”
“Sicuri, signora.”
O sono molto coraggiosi, o molto stupidi.
In effetti, il blocco era visibile a occhio nudo su tutta la radura in cui sorgeva la capanna, nessuno avrebbe potuto smaterializzarsi o fuggire in qualsiasi altra maniera.
Oppure hanno qualche asso nella manica.
“Non ci sono vie di fuga!” Tentò di nuovo. “Uscite senza opporre resistenza o saremo costretti ad attaccare!”
“Non occorre, capitano.”
Merda!
L’ultima voce che avrebbe voluto sentire.
La porta della catapecchia si aprì cigolando su vecchi cardini. Tre uomini, mani legate dietro la schiena le une alle altre, furono spinti fuori, incespicarono e si abbatterono a terra in un ammasso informe.
Kendra Lightner uscì dal nascondiglio, senza impartire ordini a quanti erano con lei. In quel momento, voleva solo staccare la testa all’uomo che parlava da dentro la casupola. No, staccare la testa era troppo sbrigativo, voleva farlo morire male.
“Capitano.”
L'accolse Ronald Weasley, comodamente seduto su una vecchia poltrona al centro della stanza. Non si alzò nemmeno in piedi, le indicò invece le bacchette dei tre ricercati, disposte con ordine sul tavolo.
Kendra Lightner era da tutti considerata una persona di giudizio, oltre che un buon Auror. Per diversi secondi ebbe la Cruciatus sulla punta della lingua. Sarebbe stata la fine della sua carriera, nonché un colpo insanabile alla reputazione del Senatore Lightner, che sempre era andato oltremodo orgoglioso della sua bambina.
“Non erano niente di che, in realtà.” Proseguì Weasley.
Parlava con semplicità, non la stava deridendo, ma in quel momento Kendra non era in grado di notare la differenza. Alzò la bacchetta e l’uomo si ritrovò inchiodato alla poltrona, con un peso invisibile che gli schiacciava il torace svuotandogli i polmoni, le mani incollate ai braccioli.
“Brutto testa di cazzo!” Sibilò Kendra, andando a puntargli la bacchetta sotto il mento. “Avevo io il comando dell’operazione, ti era forse sfuggito?”
“No, ho solo velocizzato un po’ le cose.”
Ancora, non si sarebbe detto che volesse farsi beffe di lei, c’era piuttosto un’indifferenza spaventosa nel tono dell’uomo dai capelli rossi, come se tutto ciò che lo circondava non avesse avuto la minima importanza. Kendra non era in grado di rendersene conto, la sua prima missione da comandante rovinata da quel borioso rompiscatole.
“Perché ti chiami Ronald Weasley, pensi di poter fare sempre come ti pare? Io me ne frego del tuo passato! Questa la paghi! Te lo assicuro!”
Un paio di Auror erano apparsi sulla soglia e ascoltavano inorriditi, probabilmente desiderando che la terra li inghiottisse sul momento.
“Come vuoi.” Disse l’uomo accomodante.
“Dillon!” Tuonò Kendra.
“Signora!” Rispose uno degli Auror sulla porta.
“Quest’uomo è in arresto per insubordinazione, fatti consegnare le sue armi.”
Parve che Dillon fosse sul punto di scappare urlando.
“Devo… Devo arrestarlo?”
“Quale parte del mio discorso non ti è chiara, maledetto idiota?”
“Stai solo perdendo tempo.” Le fece notare Weasley. “Ed è tutta rabbia sprecata, ma se arrestarmi può farti sentire meglio…”
Si alzò per slacciarsi il cinturone, in cui teneva bacchetta e articoli magici da battaglia, lo porse gentilmente al furioso capitano, che se lo mise in spalla. Kendra gli rivolse un altro sguardo carico di disgusto, prima di avviarsi alla porta.
“Io non lo farei.”
Kendra era quasi sulla soglia, rivolse a Weasley uno sguardo omicida.
“Cosa?”
“Suvvia, non dirmi che non l’hai notato.”
No, non l’aveva notato, furiosa com’era. Il cuore parve doverle sprofondare fino alle dita dei piedi, nell’istante in cui se ne rese conto. Un circolo di protezione in polvere rossa era stato tracciato sul pavimento, rasente alle pareti. Bastava che mettesse la punta di un piede oltre il limite e avrebbero dovuto scrostare i suoi pezzi da tutta la stanza. Dillon e l’altro sottoufficiale fecero un brusco passo indietro, come se si fossero scottati. Nemmeno loro si erano accorti del pericolo.
Che figura di merda.
Non solo il bastardo le aveva rovinato la prima missione da comandante, si era anche permesso di salvarle la vita.
“Che aspettate, idioti? Spezzate il circolo!”
“Sissignora!”
Dillon e gli altri si misero al lavoro, che rischiava di essere lungo. Spezzare un circolo di quel tipo poteva richiedere ore, il pensiero di passarle prigioniera insieme a Weasley la nauseò.
“Se mi ridai la bacchetta, posso dare una mano anch’io.”
Kendra caricò tutta la forza, la rabbia e la frustrazione accumulate nel braccio sinistro e sparò alla mascella. Weasley si abbatté nuovamente in poltrona, con un labbro sanguinante.

23 ottobre 2021
11 PM
Londra, Quartier Generale Auror, ufficio del Capitano Hurch Miller.


Si diceva che il grande vecchio non dormisse mai, che ormai vivesse nel suo ufficio al secondo piano. In effetti, da quando era morta sua moglie, il capitano trascorreva ben poco tempo a casa. Era un uomo corpulento che aveva passato da tempo la sessantina, ma l’antica grinta di guerriero era ancora fin troppo intuibile, sotto la scorza della vecchiaia.
“Perché ti ostini a metterti nei guai?” Sbottò, dopo un lungo silenzio.
“Cerco solo di rendermi utile.” Rispose Weasley, all’altro capo della scrivania, con l’abituale, disarmante indifferenza.
“Non ti rendi utile a te stesso.”
Il rosso alzò le spalle annoiato.
“Quante volte ti ho detto che non potrò proteggerti per sempre, se ti ostini a comportarti in questo modo? Addirittura lo stato d’arresto, ti rendi conto?”
“La Lightner non era del tutto in sé, penso lo ritirerà.”
“Io penso invece che possa crearti seri fastidi.”
“Ha tirato in ballo suo padre?”
“No, non l’ha fatto, è una dura ma non è una carogna.”
“Capitano.” Weasley si tastò con la punta delle dita il labbro spezzato, cui non erano state prestate cure magiche. “Vi sono grato per quanto avete fatto per me, ma non c’è bisogno che corriate rischi per proteggermi.”
“Continuare a combinare casini non è un buon metodo per mostrare gratitudine.”
“No, non lo è. Quindi, come finirà?”
“Come sempre, sospeso.”
“Per quanto?”
“Due mesi almeno, in via precauzionale, poi la disciplinare esaminerà per l’ennesima volta il tuo caso. Come se dovessi spiegarti ancora queste cose.”
Sapevano entrambi cosa significassero i mesi di sospensione per Ronald Weasley.
Casa vuota, silenzio, solitudine, ricordi, pensieri, dolore… tanto dolore…
“Mi piace come le spiegate. Perché non posso agire da solo? Non avrei limiti e non creerei problemi ai colleghi.”
“Come se non lo sapessi già! Non esistono Auror che agiscono da soli, o forse questa regola non è stata stampata nella tua copia del regolamento?”
“Controllerò.”
“Finiscila di fare dello spirito e vai a casa.” Disse il capitano esasperato. “Ma non a casa tua! Va da uno dei tuoi fratelli, oppure torna dai tuoi per qualche tempo.”
“Sicuramente sarebbero felici di vedermi.” Concesse. “Ma non posso dire lo stesso di me.”
Un’ombra di amarezza si palesò nell’indifferenza. Il capitano si sentì stringere il cuore. Ronald Weasley non si comportava in quel modo perché si riteneva superiore alle regole, o perché si considerava intoccabile per via del suo status di eroe. Cercava il rischio perché desiderava disperatamente morire, ma la morte pareva non volerlo fra i piedi. Quella storia durava da anni.
“Ronald.” Era già sulla porta, si volse, il capitano era in piedi e lo osservava con preoccupazione quasi paterna. “Non fare stupidaggini, per favore.”


All’esterno era scoppiato un grosso temporale e l’aria sotto i portici era satura di umidità. A Ron era sempre piaciuto camminare negli spazi circostanti la caserma, quando c’era poca gente. Con quel tempaccio non c’era nessuno, escluso lui e…
“Kendra.” La salutò con rispetto.
La luce dei lampioni risaltava sull’impermeabile, sulla cascata di ricci rosso scuro che le incorniciava l’ovale severo del viso.
“Mi dispiace per quel pugno.” Disse, senza tergiversare.
“Lascia stare, me lo meritavo. Non sapevo che era la tua prima missione da comandante.”
“Questo non ti giustifica.”
“È vero, non mi giustifica.”
“Comunque, grazie per il cerchio di protezione. Sono stata molto stupida.”
“Ci sta, vista la situazione. Sei un ottimo Auror, devi solo imparare a controllare i nervi. Te lo dice uno che ci ha messo un sacco di tempo per riuscirci.”
Nel ricevere quel complimento da un eroe tanto celebrato, parve che l’atteggiamento glaciale di Kendra fosse sul punto di attenuarsi, ma fu l’impressione di un momento.
“Ho ritirato l’ordine d’arresto.”
“Grazie.”
“Solo perché me l’ha chiesto il capitano.”
“Grazie lo stesso.”
“Perché un uomo che ha combattuto contro la peggior feccia magica della storia, che è considerato uno dei più grandi eroi di tutti i tempi, dovrebbe comportarsi così?”
Diritta al punto.
A Ron venne in mente un’altra persona con quella capacità, anche se non così brutale.
“Se vuoi conoscere la storia…” Fu la sua indifferenza ad andare in pezzi. La voce gli divenne severa, tagliente, al punto che Kendra ne fu intimorita, quando si rese conto di avere davanti il vero Ron Weasley. “Chiedi al capitano, io non ho voglia di raccontarla.” Le diede le spalle. “Mi è bastato viverla.”
Sparì nel sipario di pioggia torrenziale, senza preoccuparsi di sollevare il cappuccio. In quel modo, le lacrime che gli rigavano il viso si sarebbero confuse con quelle che scendevano dal cielo.

24 ottobre 2021
2 AM.
Periferia ovest di Liverpool.


Dolore.
Atroce, lancinante, non poté fare a meno di urlare.
Volse faticosamente la testa verso sinistra, la lama di cristallo arancione era affondata sotto la clavicola. L’aveva passata da parte a parte, inchiodandola al legno della cassa su cui poggiava la schiena. Il resto del corpo era altro dolore, troppo per essere recepito nella sua interezza, la mente ormai funzionava a sprazzi confusi. Alzò lo sguardo e lei le era china di fronte, la mano destra sull’impugnatura della Tonfa Blade che gli aveva piantato nella spalla.
Lei ha tanti nomi.
Assassina di Auror.
Flagello del Merseyside.
Tulipano di Cristallo.

Per gli Auror era la Troia.
Per il Regno Unito era ufficialmente La Cacciatrice di Liverpool.
Un movimento della lama le strappò un altro urlo. Chiuse gli occhi e strinse i denti, cercando di impedire alle lacrime di uscire.
La Cacciatrice le puntò un piede contro il torace e sfilò l’arma con calma, dandole il tempo di assaporare. La sentì allontanarsi e armeggiare da qualche parte alle sue spalle. Qualcosa di pesante cadde sul pontile, percepì vibrazioni lungo le assi sulle quali era seduta.
“Tanya.” Una voce flebile, raschiante, appena udibile.
Il cuore sprofondò mentre metteva a fuoco l’uomo disteso a pochi passi da lei, il volto tumefatto che pareva rivolgerle una tacita richiesta d’aiuto.
“Erik.” Rispose, non poté fare altro.
La Cacciatrice puntò un ginocchio sulla schiena dell’uomo, gli incrociò le Tonfa Blade sotto il collo e le fece scattare lateralmente. Tanya sentì, più che vedere, la gola di Erik squarciarsi. L’uomo si abbatté di faccia sulle assi del pontile e non si mosse più, rimase solo il borbottio del sangue che gocciolava nell’acqua sottostante.
“NO! MALEDETTA!” Non le riuscì più di trattenere le lacrime.
La Cacciatrice impresse alle Tonfa Blade un colpo laterale per liberarle dal sangue e le ripose nel cinturone. Si chinò a fianco del cadavere e depose delicatamente a terra il tulipano di cristallo.
La firma della Cacciatrice.
Alla quale si doveva uno dei suoi soprannomi.
Era stato trovato accanto ad ognuna delle sue vittime.
“Che aspetti, brutta troia! Ammazza anche me!” Stridette Tanya.
“Se lo facesse, finirebbe il gioco.”
La voce più odiosa che Tanya conoscesse.
Fu uno sforzo doloroso voltarsi nella sua direzione, tutto il corpo era un focolaio di dolore. Un uomo, avvolto in un abito da Arlecchino e il volto celato da una maschera da clown, era appollaiato come un grosso rapace su una pila d’imballaggi. Tanya lo immaginò sorridere.
Juggler.
“Vedi, Tanya.” Proseguì l’uomo. “Lei ti ha scelto come sua avversaria, le piace il tuo modo di fare. Apprezza la tua caparbietà nel darci la caccia, la tua determinazione e il tuo coraggio. Si diverte un mondo a sgozzare i tuoi colleghi, ma se ammazzasse te sarebbe la fine del gioco. Un giorno lo farà, ma deciderà lei quando.”
Tanya non rispose, sopraffatta dall’orrore. L’istante successivo Juggler era sparito.
La Cacciatrice parve considerare l’avversaria abbattuta ancora una volta. Era quasi più nera della notte, nella tuta aderente che lasciava intuire un corpo femminile dalle forme armoniose, il cranio avvolto da una maschera priva di lineamenti. Si avvicinò a una grossa cassa di legno abbandonata sul pontile e vi depose quella che Tanya riconobbe come la sua bacchetta. Il tempo di un battito di ciglia e anche lei non era più lì.
Oltre al braccio sinistro, che si muoveva a stento, le gambe erano spezzate. Afferrò con la mano sana il bordo della cassa e riuscì a franare in avanti. Il dolore che veniva dal basso era annichilente e la squassava con ondate di nausea.
Cerca di ragionare con calma.
Trascinarsi con una mano, raggiungere la bacchetta e chiamare aiuto.

Una penosa odissea di pochi metri.
Il corpo di Erik era lungo il percorso, dovette aggirarlo, mormorando fra le lacrime che le dispiaceva. Si spezzò le unghie artigliando vecchie assi consunte, usò persino i denti per aver l’impressione di consolidare la posizione raggiunta, quasi si stesse arrampicando. Avrebbe voluto urlare, ma ogni stilla di fiato residua era finalizzata allo sforzo.
Toccata la cassa, fu colta da un pericoloso moto di soddisfazione per l’obiettivo raggiunto e rischiò di perdere conoscenza. Rimase boccheggiante, con la mano sul bordo di legno, per alcuni minuti. Con uno sforzo di volontà richiamò la mente, che già inseguiva qualche sogno bizzarro. Allungò il braccio verso l’alto e la sommità della cassa parve crescere, cercare di sfuggirle.
Annaspò a lungo senza vedere dove la mano si muoveva. Quando finalmente la sentì stringersi intorno alla bacchetta, le sorse il dubbio di essere nella sua cucina e di avere in mano un semplice cucchiaio di legno.
Sentì qualcosa di freddo contro il palmo, c’era un piccolo oggetto circolare intorno alla bacchetta, sembrava un orecchino. Ormai incapace di ragionare, lo ripose in una tasca interna del soprabito. Prima di svenire, riuscì a lanciare verso il cielo il segnale d’emergenza.

*

Per tonfa si intende un'arma tradizionale delle arti marziali cinesi e giapponesi. È composto da un’impugnatura (tsuka) lunga 12 cm, e da un corpo (yoka) di lunghezza variabile dai 50 ai 60 cm circa. La misura ottimale varia da persona a persona ma in generale, una volta impugnato, deve sporgere all'incirca di 3 cm dal gomito. [Fonte: Wikipedia]
La versione utilizzata dalla Cacciatrice di Liverpool è una variante in cui lo yoka è composto da una lama e non da un bastone, per questo detta Tonfa Blade.

*

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Capitolo 2
*** Tanya Larsson ***


Tanya Larsson


Tanya Cindy Larsson, nata a Londra da madre russa e padre scandinavo. Diplomata a Hogwarts con ottimi voti. Fra le più promettenti reclute dell’Accademia Auror londinese. Entrata giovanissima nella Squadra Phoenix, il corpo scelto del comandante Harry James Potter. Medaglia del Ministero della Magia per servizi resi alla comunità magica. Trasferitasi a Liverpool in seguito allo scioglimento della Phoenix. Incaricata ufficiale per il caso della Cacciatrice.
Sembrava proprio un angelo, stesa in quel letto d’ospedale. I boccoli biondi come un velo che copriva il cuscino, il volto sereno, lontano dalle preoccupazioni, nel sonno indotto dalla magia.
Il capitano Leo Larkin aveva sempre avuto quel difetto, a patto che di difetto si potesse parlare. Si affezionava ai suoi sottoposti, se non altro a quelli che dimostravano di meritarlo. Quando la Cacciatrice riduceva Tanya a mal partito, andava a trovarla quando era sicuro di essere solo, in modo che nessuno potesse notare quanto la cosa lo coinvolgesse.
Nell’ultimo anno era accaduto troppo spesso. Ogni volta un bollettino di guerra, il corpo di Tanya che andava ricostruito. Pareva che la Cacciatrice trovasse una sorta di sadico divertimento nel farla a pezzi senza ucciderla, per poter ricominciare all’occasione successiva. Tanya però non voleva arrendersi e si ostinava a farsi macellare.
Ma questa è l’ultima volta.
Le avrebbero tolto l’incarico, non si poteva evitare. Leo già immaginava quanto si sarebbe infuriata, ma il Ministero era stato fin troppo paziente con i loro insuccessi e occorreva mettere un freno a quella situazione.
Gettò uno sguardo a una copia del Profeta abbandonata su una sedia.
La Cacciatrice di Liverpool oltre le sessanta vittime.
Recitava il titolo in prima pagina.
La cifra era gonfiata ma rendeva l’idea di quanto fosse tragica la situazione.
Nella foto sottostante, la moglie di un assassinato sfogava il dolore.
Quasi sessanta vittime accertate.
Ovviamente senza contare i Babbani.
In poco più di tre anni.

Leo sentì l’ormai abituale oppressione al torace. La Cacciatrice era una strega di livello fuori norma, non aveva ancora ucciso Tanya perché con lei pareva divertirsi, ma gli altri Auror finivano ammazzati come i palloncini nei lunapark Babbani. Eppure, tanta abilità non gli sembrava un motivo sufficiente per un tale macello.
Forse c’era qualcosa di vero nelle voci su una società segreta che appoggiava le azioni della Cacciatrice. Un giornalista aveva parlato della setta dei Tulipani di Cristallo e si erano scatenate le più fantasiose speculazioni. Si era documentato, durante il Medioevo era effettivamente esistita una setta di assassini che firmavano le uccisioni come faceva la Cacciatrice, ma risultavano sgominati da secoli. Sul fatto che fossero tornati, i più erano scettici, sembrava più probabile che qualcuno si stesse ispirando alle loro gesta criminose.
Scetticismo o no, ora per le strade serpeggia il terrore.
E loro erano impotenti.
Avvicinò una sedia al letto e strinse una mano di Tanya fra le sue. Era così piccola e calda, così piena di vita. Gli capitava ancora di stupirsi per quanto potere, quanta forza potevano scatenarsi da quel corpo così minuto.
Frena, Leo.
La voce della coscienza, puntuale.
Non devi innamorarti di Tanya, non puoi.
Se lo ripeteva di continuo.
Sei un vecchio di merda, lei merita di meglio.
Per quanto si sforzasse, non riusciva a togliersi dalla testa quei pensieri, ed era inutile ripetersi i mille motivi per cui non era giusto. Aveva quasi il doppio dei suoi anni, escluso il lavoro non avrebbero potuto condurre vite più separate.
Si costrinse ad alzarsi, a rimettere la sedia a posto e lasciare quella stanza.
L’aria nel corridoio era più fresca e gli fu d’aiuto. Si asciugò la fronte con una salvietta.
Non hai più l’età per queste cose.
Si ripeteva stronzate del genere da mattina a sera, nel vano tentativo di convincersi.
Vediamo di concentrarci su quelle importanti.
Sentì l’oppressione al torace accentuarsi. Doveva andare dalla vedova di Erik, la povera donna non era ancora stata informata. Quel piacevolissimo compito toccava a lui, come sempre.


Dopo cinque giorni di pioggia non se ne vedeva la fine, pensò che presto i Babbani avrebbero dovuto usare i canotti per spostarsi. Appese il mantello fradicio all'appendiabiti dell'anticamera, contemplò le stille d’acqua che cantilenavano sul pavimento. Si sentiva troppo stanco anche per un semplice incantesimo che asciugasse il tutto. Passò una mano fra i capelli umidi, nell’inutile tentativo di dare loro un aspetto umano. Esitava a entrare in casa, non aveva voglia di affrontare determinati argomenti con la moglie.
“Harry, sei tu?”
E chi mai dovrebbe essere?
“Sì.” Si arrese. “Sono qui.”
Ginny entrò nel vestibolo con indosso una vestaglia da camera, lo aveva atteso sveglia dopo aver mandato a letto i figli, come sempre faceva da quando erano sposati. Non importava a che ora lui rincasasse, quando capitava che lo facesse.
“Giornata dura?” Chiese la donna, notando l’espressione del marito.
“Tuo fratello è stato sospeso di nuovo.”
Non aveva senso girarci intorno, lo avrebbe saputo comunque. Era amica intima del capitano Miller, che la teneva informata su quasi tutto. Ginny chiuse gli occhi ed emise un sospiro fra il dispiaciuto e l’esasperato. Mai una novità piacevole da quel versante. Harry la abbracciò, facendo attenzione a non urtarle il ventre gonfio. Avrebbe potuto addormentarsi lì, appoggiato alla rassicurante presenza della moglie.
“Sei stato da lui?”
“Ha cambiato indirizzo di nuovo.”
“Maledizione!” Ginny non poté reprimere un moto di rabbia.
“L’ho cercato in tutti i locali dove va di solito, sai com’è quando non vuole farsi trovare.”
“Il fatto che sia così praticamente sempre dovrebbe farmi preoccupare meno?”
“Non ho detto questo.”
Harry era esausto, doveva aver vagato per l’intera Londra, magica e non, alla ricerca di Ron. Ginny era certa che non avesse lasciato nulla di intentato. Purtroppo aveva ragione, quando Ron decideva di stare solo ad autodistruggersi, non era facile trovarlo. Peccato che ciò fosse ormai una costante delle loro vite.
Fece sedere a tavola il marito e gli mise davanti un piatto di zuppa calda. Harry rimase immobile, fissando ora il cibo ora il cucchiaio con cui avrebbe dovuto servirsi.
“L’ha portata mamma, è passata di qui oggi pomeriggio.”
Harry annuì meccanicamente, s'impose di prendere qualche cucchiaiata ma la mano non si mosse. Lo stomaco pareva sigillato, ma non voleva sprecare le attenzioni di Ginny.
“Non ho intenzione di imboccarti, Harry Potter.” Lo canzonò lei. “Se non hai appetito, è il caso che ce ne andiamo a dormire.”
Parole sante, Harry annuì di nuovo in stile automa. Ginny fece sparire la zuppa in qualche anfratto della cucina, sarebbe andata altrettanto bene l’indomani. Guidò il marito barcollante su per le scale e fino alla loro camera, sperando che i ragazzi non si accorgessero che papà era rientrato e non irrompessero schiamazzando dalle loro stanze.
Harry crollò in pantaloni e camicia sul matrimoniale, si addormentò quasi al contatto. Ginny gli tolse almeno le scarpe e cercò di fargli assumere una posizione più comoda. Si accoccolò accanto a lui, nei limiti imposti dalla pancia e dalla posizione sghemba del marito.
Nel voltarsi a spegnere la lampada, lo sguardo le cadde sulla foto che teneva sul comodino, come sempre accadeva. Quattro volti le sorridevano radiosi, nel giorno del matrimonio comune.
Harry e Ginny, Ron e Hermione.
Una coppia ancora felice e una che si era persa per strada.
Una lacrima le rigò il viso. Spesso pensava di togliere la foto, in cui era rimasta impressa la gioia ubriacante di quel giorno, ma poi le mancava sempre la forza di farlo.


Tanya Larsson camminava per le strade della Liverpool Babbana, evitando la zona del porto. Aiutando con la stampella le gambe non ancora sicure nei movimenti, cercava di mettere in ordine i pensieri. Ogni volta che le pareva di aver trovato il filo giusto, tutto si confondeva e le sfuggiva di mano. Un dolore sordo, il pianto della moglie e del figlio di Erik al funerale, la voce raschiante del suo ultimo partner prima di essere ucciso, le ottundevano i sensi e impedivano alla mente di muoversi secondo logica. Non toglieva mai gli occhiali da sole perché non poteva impedire agli occhi di inumidirsi, ogni volta che pensava a Erik e a chi lo aveva preceduto.
Hans.
Un gagliardo irlandese che la Cacciatrice aveva impiccato a un albero sotto i suoi occhi.
Pedro.
Un simpatico giovane di origini spagnole che la Cacciatrice aveva decapitato.
Derek.
Senza che lei potesse intervenire, la Cacciatrice lo aveva fatto divorare dai topi.
Ce n’erano stati altri a cui non si era legata allo stesso modo, ma non per questo le loro morti erano meno importanti. Erik doveva essere l’ultimo, sarebbe andata avanti da sola.
Avanti?
Tendeva a dimenticare, più che volentieri, che le avevano tolto l’incarico ed era a riposo forzato a tempo indefinito. Ciò che la faceva imbestialire era che non poteva dare torto al Ministero. Come diceva Leo, erano stati anche troppo pazienti con i loro insuccessi. Da più di tre anni la Cacciatrice imponeva il suo regno del terrore sulla Liverpool magica, quasi sessanta vittime, senza contare gli innumerevoli e inconsapevoli Babbani. Lei non era riuscita a opporsi in modo efficace, lei che avrebbe dovuto assicurare l’assassina alla giustizia. Lei che era entrata da celebrità nel dipartimento Auror di Liverpool, poiché veniva dalla Squadra Phoenix.
Ricordava ancora le occhiate, i bisbigli, il silenzio che calava quando entrava in qualunque stanza, durante i primi mesi sul nuovo posto di lavoro.
È quella nuova! Quella che era nella Phoenix!
E avanti così, ricamando sul tema.
Quella che era nella Phoenix si sentiva un rudere umano, un’Auror finita, una sconfitta. Ora era soltanto quella che aveva fallito contro la Cacciatrice.
Perdendo un sacco di colleghi.

Il suo appartamento le sembrava più squallido, più grigio e più freddo ogni volta che era costretta a tornarci. Dormiva secondo orari scombinati, mangiava svogliatamente le schifezze che trovava in giro per casa e non voleva vedere nessuno. Aveva poche amiche, nessuna di cui si fidasse abbastanza da chiamarla in un momento del genere. Gli uomini erano sempre stati una piacevole attività sportiva, non ce n’era uno a cui pensava di potersi affezionare seriamente. Persino quel buon diavolo di Leo non sembrava più in grado di aiutarla.
Si sedette nella penombra grigia del salotto. Avrebbe dovuto accendere il camino, ma il gelo autunnale pareva non sfiorarla. Alzò gli occhi alla foto che teneva appesa alla parete di fondo. Le faceva male, ne era consapevole ma non poteva separarsene.
Squadra Phoenix.
La truppa scelta del comandante Harry James Potter.
Un sogno di pace, uguaglianza e giustizia.
Finito troppo presto.
Da sinistra a destra, Harry Potter, il comandante, Marcel Woods, Drew Blizzard, Lance Murdock, Theresa Miller, nipote del leggendario Hurch, i fratelli Jack e Timothy Carter, Jenny Blast, Tanya Larsson, la più giovane del gruppo, Hermione e Ronald Weasley.
Mi mancate.
Mi mancate tutti da morire.

Purtroppo, la fenice non era rinata dalle sue ceneri.

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Capitolo 3
*** Frammenti di un disastro ***


Frammenti di un disastro


Uscì dal bar lasciando il frappé praticamente intatto. Non ne aveva avuto voglia nemmeno ordinando, ma sarebbe stato maleducato fermarsi senza consumare. Nella luce metallica del sole autunnale la città appariva tranquilla, inconsapevole della guerra sotterranea che si dipanava fra Dipartimento Auror e Cacciatrice.
Oreficeria Komarov. Esperienza secolare al vostro servizio.
Recitava l’insegna sul lato opposto della strada.
Tanya strinse la scatolina in cui aveva nascosto l’orecchino della Cacciatrice. Non ne aveva fatto parola nel suo ultimo verbale, non lo aveva consegnato agli specialisti come avrebbe dovuto. Meglio non pensare a cosa avrebbe fatto di lei la Disciplinare, se fossero venuti a sapere che teneva nascosta quella prova, che continuava a indagare nonostante fosse sospesa. Fin da subito, le era sorta l’inspiegabile sensazione che fosse un messaggio della Cacciatrice rivolto a lei sola. Non aveva molto senso, ma nella Phoenix le avevano insegnato a non mettere in dubbio l’istinto.
Aveva fatto le sue prove, l’orecchino non era incantato o maledetto, era un comune ninnolo di pregevole fattura. Appurato questo, lo aveva confinato nella scatolina senza più guardarlo, quasi ne avesse paura. Preferendo evitare di chiedere aiuto a qualcuno del Dipartimento in una cosa tanto contro le regole, aveva deciso che le occorreva il parere di un esperto esterno.
Dietro un colossale bancone di mogano coperto da un elegante drappo verde, stava in bilico su uno sgabello un signore sulla cinquantina, con un completo elegante ma piuttosto trascurato. Una corona di corti ricci ingrigiti gli correva intorno alla pelata. Rivolse un sorriso sghembo alla ragazza con la stampella e mise da parte il librone che stava consultando.
“In cosa posso esserle utile, signorina…”
“Larsson. Potrebbe dare un’occhiata a questo e dirmi cosa ne pensa?”
Mise la scatolina sul bancone, che l’uomo sollevò e aprì con gesti pervasi d’esperienza. Tanya fu colta da una sensazione inattesa, nel rivedere l’orecchino dopo alcuni giorni. Le parve qualcosa di meno sconosciuto.
“Manifattura tedesca, a prima vista.” Sentenziò l’uomo, studiando il ninnolo attraverso un monocolo impolverato. “Schrieger, se non sbaglio.”
“Schrieger?”
“Una famiglia di orefici piuttosto importante in Germania, ma non hanno mai avuto un gran successo in terra britannica.”
L’uomo si volse a consultare la scaffalatura che aveva alle spalle, ricolma di grossi volumi. Accarezzò i dorsi con la punta delle dita fino a trovare quello che gli interessava. Le pagine parevano quelle di un vocabolario, con tanto di illustrazioni.
“Eccolo qua!” Esclamò. “Schrieger Lang, una marca affiliata, mi sono sbagliato di poco.” Girò il volume e lo avvicinò a Tanya.
In effetti, un’immagine riproduceva esattamente l’orecchino della Cacciatrice. Tanya scorse le informazioni riportate, senza trovare nulla che fosse d’aiuto. Oltre al nome dei produttori, c’erano dettagli tecnici a profusione, qualche cenno storico riguardo all’entrata sul mercato e le quotazioni.
“È un pezzo ben fatto, ma abbastanza comune nell’Europa continentale. E senza il compagno vale ben poco.” L’uomo risollevò lo sguardo. “Mi sembra delusa, signorina.”
“Lo sono, speravo, come dire, che ci fosse qualche curiosità intorno. Magari che fosse legato a una leggenda o a qualche personaggio famoso.”
“Non posso aiutarla in questo campo.” L’uomo scosse la testa. “La sola particolarità che mi viene in mente è che il Ministero della Magia, per alcuni anni, incluse coppie di Schrieger Lang negli omaggi ai dipendenti e nelle occasioni importanti, ma è stato un po’ di tempo fa.”
“Vi ringrazio, tornerò in caso di bisogno.”
“Di nulla, è stato un piacere.”


È stata una perdita di tempo.
Tanya rientrò nel suo appartamento in preda alla frustrazione più nera. Non sapeva più nemmeno perché avesse voluto tentare.
Gettò il soprabito sul divano e lanciò via la stampella, costringendo le gambe malferme a sostenerla. Voleva urlare, tirare giù l’appartamento a pugni. Altrimenti uscire di nuovo, andare nei bassifondi a fare a cazzotti con la malavita di bassa lega, oppure vestirsi in modo succinto per farsi sbattere dal primo che capitava, sperando che l’avesse grosso.
Poteva anche cercare di calmarsi e chiamare Leo. Sfogarsi con il capo, solitamente, la faceva sentire meglio. Il caro Leo, quanta tenerezza faceva, nei suoi goffi tentativi di nasconderle ciò che provava. No, negli ultimi tempi non riusciva a dialogare nemmeno con lui, mentre i pochi colleghi con cui aveva legato in quegli anni erano morti per mano della Cacciatrice.
Maledetta troia, stai riuscendo a farmi impazzire.
Guardò ancora l’orecchino, la sensazione percepita nel negozio le parve più debole. Si concentrò per richiamarla. Qualcosa di già visto in passato, sì, ma non nei giorni successivi alla tragica disfatta del pontile, affondava le radici in tempi più remoti.
Risolse di prepararsi una pozione che la facesse dormire per almeno due giorni, la più potente che conosceva. Faceva male al fisico ma non le interessava, qualunque cosa pur di staccarsi dal senso di inutilità che l’aveva travolta.


Birreria della Torre.
Un nome abbastanza insulso ma il locale era accettabile. Non era fra i suoi preferiti ma distava poco dal suo attuale alloggio. In più, essendo in un sobborgo piuttosto malfamato, aveva il vantaggio che la clientela si faceva altamente i fatti propri. Lì nessuno gli avrebbe chiesto autografi o fotografie, se anche lo avesse riconosciuto. Tutti dettagli che dissolvevano lentamente, quando il numero di bicchieri vuoti raggiungeva una certa quota, quando anche i pensieri che lo assillavano cominciavano a mordere con meno ferocia.
“Te ne porto un altro?”
Matt non si era rasato, la sua clientela non era di un livello che gli imponesse di farlo ogni giorno. Non lo impressionava che al tavolo d’angolo ci fosse uno del calibro di Ronald Weasley, per lui era un cliente qualsiasi. Lo osservava con sguardo piatto, in piedi oltre il tavolo.
“Ha bevuto abbastanza.”
Entrambi alzarono gli occhi ad incontrare quelli di Harry, appena entrato, il mantello gocciolante e un’espressione indecifrabile sul volto. Matt si allontanò con un’alzata di spalle, Ron riportò lo sguardo al boccale vuoto che teneva fra le mani.
“Tua sorella vorrebbe vederti, è molto preoccupata.” Esordì Harry, dopo essersi liberato del mantello fradicio e accomodandosi di fronte a lui.
“Sta bene?” Domandò Ron con studiata noncuranza.
“È al sesto mese ma quasi non se ne accorge, ormai è veterana del settore.”
Ron soffiò un vago sogghigno.
“I ragazzi?”
“Mi chiedono sempre perché lo zio Ron non viene mai a trovarli.” Harry non riuscì a evitare che il rimprovero trasparisse dal suo tono.
“E tu cosa rispondi?”
“Che lo zio Ron è sempre molto impegnato.”
“Potresti dire che lo zio Ron è un pessimo zio.”
“Non è vero e loro lo sanno.”
“Non sanno proprio niente!” Il tono di Ron parve incattivirsi, poi si distese. “Ed è un bene.”
“Prima o poi verranno a sapere.”
“Meglio poi che prima.”
Harry stava per ribattere, ma Ron lo prevenne con il discorso di tante altre volte.
“Mi dispiace per Ginny e per i bambini, d’accordo? Non ci riesco a vederli, a vedere nessuno di voi, non ha più senso senza… senza…”
… lei.
La mente di Harry completò la frase che l’altro lasciava sempre in sospeso. Gli venne in mente che nessuno di loro pronunciava il suo nome ad alta voce da anni, un’infida oppressione gli si propagò nel torace.
“E tu dovresti smetterla di venirmi a cercare.” Terminò Ron.
“Non posso smettere di cercarti, sapendo che sei da qualche parte a ridurti in questo stato.”
Ron alzò gli occhi a incontrare i suoi. Uno dei pochi sguardi in grado di fare ammutolire il grande Harry Potter. Avrebbe dovuto aggiungere che era ora di reagire e guardare avanti, ma sarebbe stato inutile come in tutte le occasioni precedenti.
“Se fosse successo a Ginny, cosa avresti fatto?”
Harry sentì il cuore sprofondare fino alle dita dei piedi. Ron non gli aveva mai rivolto quella domanda, ma spesso era rimasta in sospeso fra loro. Se l’era posta tante volte da solo, senza riuscire a darsi una risposta precisa.
Probabilmente mi sarei ucciso.
In cuor suo, si chiedeva perché Ron non avesse già preso quella decisione, ma non lo avrebbe mai ammesso. Nascose le mani sotto il tavolo, tremavano. Fu tentato di colpire Ron, di spaccare le sedie e quanto aveva intorno. Voleva disperatamente sfogare la rabbia per quella situazione senza uscita. Cosa avrebbe fatto Silente? Cosa avrebbero fatto suo padre e Sirius, o Remus? Cosa avrebbe fatto il professor Piton? Anche lui aveva perso la persona amata, forse avrebbe potuto consigliarli, se fosse stato vivo.
“Pago il conto.” Disse alzandosi. “Poi ti accompagno a casa.”
“No.” Grugnì Ron, riportando l’attenzione ai bicchieri vuoti. “Vacci tu a casa, tu che hai una famiglia da cui tornare.”


Tanya si svegliò senza capire dove fosse, poi riconobbe l’aspetto abituale del suo soggiorno e ricordò di essersi addormentata sul divano. Il collo doleva per una posizione errata durante il sonno, se lo massaggiò, ma il fastidio rimase.
Aveva sognato. Era di quelle persone che sognano sempre, ogni volta che dormono. Aveva rivisto il pontile, le botte prese dalla Cacciatrice, ma nel sogno era riuscita a salvare Erik. Benché ferito gravemente, lui l’aveva confortata, le aveva detto che la volta successiva sarebbe stata diversa.
Non ci sarà mai la volta successiva.
Le venne una gran voglia di piangere.
Contemplò la scatolina dell’orecchino abbandonata sul tavolo, un oggetto all’apparenza insignificante. Accanto c’era un grosso album per fotografie. Ricordò di averlo tirato fuori per sfogliarlo, poi la pozione rilassante aveva fatto effetto.
Nella prima pagina c’era una foto di gruppo della Phoenix, simile a quella appesa al muro.
Grosso errore.
Pur essendone consapevole, continuò a sfogliare. C’erano foto di lei con altri membri della squadra, a coppie, a gruppi di tre o quattro, in vari luoghi di quella che era stata la loro sede. Poi foto dell’Accademia, sembrava una bambina in mezzo ai giganti della sua classe di studi. All’ultima pagina sentì il cuore sprofondare.
Ron, Hermione e Tanya.
Escludendo l’oro dei suoi capelli, poteva davvero sembrare loro figlia. Ai tempi della Phoenix, l’avevano praticamente adottata, erano stati molto più che semplici maestri.
Giorni felici.
Prima del disastro.

Poche ore per distruggere ogni cosa.
La scomparsa di Hermione e tutto che andava in sfacelo senza la possibilità di metterci un freno. Mesi e mesi di ricerche disperate, l’angoscia crescente che divorava i membri della squadra, a partire dai comandanti. Il senso di inutilità, il crollo definitivo di Ron e lo scioglimento della Phoenix, avvertiva ancora un dolore quasi fisico a pensarci.
Di ciò che era seguito, aveva ricordi frammentari. Fino alla richiesta di trasferimento, era vissuta in una sorta di stato confusionale, in cui i pensieri parevano non appartenerle più. Non aveva più visto Ron, Harry si era buttato in altri lavori, per lo più evitando tutto e tutti. Anche gli altri membri dell’ormai ex squadra erano divenuti sfuggenti, distanti nelle rare occasioni in cui riusciva a parlare con loro, quasi incolori. Poi Liverpool, dove aveva nutrito la vana speranza di rifarsi una vita.
Dove stava miseramente fallendo.
Di nuovo.

 

*

Next time: "Alla fonte del male"

Il gioielliere magico Komarov prende spunto da un signore che fa lo stesso lavoro in centro a Ravenna e che mi sta cordialmente antipatico.

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Capitolo 4
*** Alla fonte del male ***


Alla fonte del male

Vermi.
Disgustose larve bianche infestavano i resti di cibo rancido sparsi sul pavimento, si arrampicavano su per i muri e ovunque trovassero una superficie incapace di respingerli, come se il loro andare avesse un senso.
Juggler trovava che quei vermi fossero divertenti. Ne raccoglieva alcuni sotto un bicchiere capovolto, poi poteva restare immobile a osservarli anche per ore, finché non esaurivano l’ossigeno e smettevano di muoversi. A volte scommetteva da solo su quale avrebbe resistito di più prima di crepare, a suo dire vinceva quasi sempre.
Gli Auror di Liverpool sono come questi vermi.
Un gemito.
Juggler alzò gli occhi dal bicchiere pieno di creature agonizzanti. Nella stanzaccia fetida c’era solo un’altra persona.
Quanto appare patetica la Cacciatrice di Liverpool, spogliata della sua tenuta da battaglia.
Una minuta figura femminile era crocefissa in ginocchio al muro opposto. Gli anelli di metallo le avevano scavato i polsi, le gambe nude erano coperte di ferite da cui i vermi si cibavano. La testa era reclinata in avanti e una sudicia cascata di capelli ne nascondeva il viso. Solo un minimo accenno di movimento lasciava intendere che respirava.
Così piccola e insignificante, così debole, quando si trovava confinata in quella segreta. Quando la tenevano incatenata perché Juggler potesse torturarla a suo piacimento con semplici ma dolorosi incantesimi, quando la lasciavano libera di razzolare nei liquami e nei resti di cibo che coprivano il pavimento. Non era più forte nemmeno dei vermi che la tormentavano.
Solo se il Consiglio dei Tulipani lo richiedeva, le erano restituiti i poteri e tornava fra le più potenti streghe della sua epoca. Juggler stesso rimuoveva gli inibitori che la costringevano in quello stato larvale, era il momento più pericoloso. Se il dominio sulla sua mente instabile non era perfetto, poteva scatenarsi l’inferno.
La Cacciatrice era un’arma in grado di distruggerli, nel momento in cui ne avessero perso il controllo. Tutti i Tulipani ne erano consapevoli, ma conoscendone l’efficacia sul campo erano disposti a correre il rischio.
La porta alla destra di Juggler si aprì cigolando su vecchi cardini, il carceriere portò istintivamente mano alla maschera che aveva posato sul tavolo, non ebbe il tempo di indossarla. Entrò un uomo dalla figura imponente, la sua mole riempì l’intero vano. Avvolto in un mantello nero notte, portava una maschera priva di lineamenti, non troppo dissimile da quella che la Cacciatrice indossava in battaglia. La porta gli si richiuse alle spalle, senza che lui la sfiorasse.
“Anziano.” Lo salutò Juggler, alzandosi in piedi.
Di colpo, dal volto del carceriere svanì l’ilarità che sempre gli dava giocare con i vermi, o torturare la Cacciatrice. Se uno dei Tulipani più importanti si era scomodato a scendere fino in quel posto schifoso, l’allegria era decisamente fuori luogo.
Il gigante non rispose, considerò invece la donna incatenata al muro opposto.
“Abbiamo percepito un risveglio della sua personalità.” La voce parve far vibrare le antiche pietre della segreta. “Per quanto tenue, è qualcosa di estremamente pericoloso.”
“Ne sono consapevole, signore.” Gracchiò Juggler con il fiato corto.
“Ne sei consapevole?” Fece l’altro, con gelido sarcasmo.
“Appena l’ho percepito, ho rinforzato tutti gli incantesimi di controllo, signore.”
“Ritieni sia sufficiente?”
“Non ho…” Non riuscì ad evitare che la voce si spezzasse. “Non ho motivo di dubitarne…”
“Lo spero, Juggler, per il tuo bene e quello di tutta la Confraternita. Se dovesse recuperare la memoria, potrebbe spazzarci via tutti.”
Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo.
“Un’altra cosa.” Era già sulla porta. “Alla prossima occasione, quella rompiscatole di Tanya Larsson deve morire, avete giocato a sufficienza. Chiaro?”
“Sì, signore.”
Juggler immaginò più che ascoltare i passi dell’anziano che si allontanavano in corridoio, mentre riprendeva a respirare normalmente. Riportò lo sguardo alla Cacciatrice, che per tutta la durata del colloquio non si era mossa. Puntò la bacchetta e le sfogò addosso la rabbia.


Tanya balzò a sedere sul letto, urlando, stringendo convulsamente le pieghe della coperta.
Dolore!
Aveva il volto coperto di lacrime e spentosi l’urlo cominciò a singhiozzare.
Pericolo!
Che razza di sogno aveva fatto? Non lo ricordava, ma l’angoscia era terribile.
Nemici!
Le sensazioni si susseguivano, si affastellavano caotiche lasciandola senza fiato.
Paura!
La destra tremante cercò la bacchetta sul comodino e accese le luci.
Fuggire!
Le visioni dell’oscurità furono dissipate, ma non il senso d’angoscia. Desiderò di non essere sola e poco mancò che quella semplice considerazione la facesse urlare di nuovo.
Nascondersi!
Ma era sola davvero? Cosa aveva percepito? In modo indiretto, come fatto a un’altra persona, eppure così dolorosamente reale. Una parola si formò nella mente, semplice e inquietante.
Il male.
Lo aveva sfiorato, ci si era avvicinata senza rendersene conto, senza nemmeno capire che lo stava facendo. L’incubo l’aveva condotta verso l’origine, ma in pratica di cosa?
La fonte del male.
Si prese la testa fra le mani e si impose di tirare qualche respiro profondo. L’urlo si agitava nel torace, pronto a erompere di nuovo.
Loro sanno e verranno a cercarti.
Qualcuno le aveva parlato? Forse, non riusciva a ricordare. Tutto quel male che aveva percepito, non lo avrebbe ritenuto possibile in un altro frangente.
Aiuto!
Sì, doveva cercare aiuto, ma da chi? E perché? Non lo sapeva ma le sarebbe venuto in mente, fu la sola cosa di cui fu certa durante quella tempesta mentale.
Maledette voci!
Accese le luci in tutte le stanze dell’appartamento, in ogni recesso le parve di vedere figure fatte di oscurità pronte ad attaccare. Volti sospesi negli angoli bui o mani scheletriche che emergevano dagli anfratti, e quella sensazione di essere osservata.
Andate via!
La scatolina con l’orecchino della Cacciatrice era ancora sul tavolo del salotto, ci girò intorno come fosse stata sul punto di esplodere.
Scappa!
Buona idea, ma dove?
Colta da furia animalesca, scardinò lo sportello di una bacheca, senza capire perché lo stesse facendo. Rovistò all’interno, senza sapere cosa stesse cercando, poi le mani si chiusero su un oggetto rettangolare, piuttosto pesante. Un lampo di comprensione, forse. La scatola era chiusa con del nastro adesivo, la fece a pezzi e ne sparse il contenuto sul pavimento. Ritagli di giornale, vecchie fotografie, appunti e altro materiale del genere formò un arabesco confuso ai suoi piedi. Fu colta da un capogiro e cadde in ginocchio, le mani annasparono in mezzo a quel vecchiume e i titoli cominciarono a balzarle agli occhi.
Attacco al Ministero…
Scomparsa la senatrice Weasley…
Nessun indizio sull’identità dei responsabili…

Fu colta da un conato di vomito ma lo represse.
Sgomento fra gli addetti ai lavori…
Il caso affidato alla Phoenix…
Il Ministero invita tutti alla calma…

Non ricordava di aver conservato quel materiale.
Nessuna novità sul caso della senatrice scomparsa…
Dopo un mese di ricerche, la Phoenix senza risultati…
Harry Potter ancora fiducioso…

Tanto meno perché lo avesse fatto.
Sospese le ricerche…
“Una scelta dolorosa ma inevitabile” ha commentato il Ministro della Magia…
Clamoroso!!! Harry Potter scioglie la Phoenix…

Notò l’angolo di una foto sporgere da sotto un ritaglio di giornale. La sfilò lentamente.
Il mondo scomparve, o meglio le parve che le fosse entrato in testa e poi fosse esploso e i frammenti le stessero schizzando fuori dalle orecchie accompagnati da fischi assordanti. Non poteva accettarlo, la realtà non poteva arrivare a tanto. Crollò a terra e sentì la schiena appoggiarsi al divano, mentre gli occhi non riuscivano a staccarsi dalla foto che reggeva con mano tremante.
Dettagli.
Che in precedenza le erano sfuggiti.
Ora brillavano come stelle e apparivano figli di logiche ferree.
In un istante pazzesco tutto si concatenò, tutto acquistò un senso…
Intollerabile.
Perché lei o chiunque al suo posto non avrebbe mai potuto accettare che la realtà, o la sorte, o il caso, o come si volesse chiamare, potesse seguire meccanismi tanto perversi.
Ora non riusciva più a urlare o a piangere, nemmeno a tremare e forse persino a respirare, c’era solo quel silenzio sbigottito, soverchiante. Le implicazioni si dipanavano sotto i suoi occhi, nella sua testa, roventi come lava, devastanti come tornado.
Si impose di ragionare con calma.
Per prima cosa, non poteva rimanere sola.
Leo! Chiama Leo! Subito!
Non capì se l’ordine venisse da lei o da qualcosa di esterno, ma era una buona idea.
Puntò la bacchetta in avanti, facendone scaturire il suo patrono. Il lupo argenteo balzò un paio di volte nella stanza, prima di lanciarsi attraverso il vetro della finestra.
Sono in pericolo, ho paura.
Vieni qui, subito!

Era crudele. Al povero Leo sarebbe venuto un colpo ma si sarebbe precipitato lì all’istante, ed era esattamente ciò che lei voleva.


Leo Larkin pareva invecchiato di colpo, mentre la osservava, severo e preoccupato, da oltre il piccolo tavolo della cucina.
Era arrivato subito, come previsto, ordinando a metà Dipartimento di precipitarsi all’abitazione di Tanya Larsson. Con il cuore in gola, si era aspettato di trovare la Cacciatrice, o una banda di maghi oscuri intenti a fare a pezzi la sua pupilla. Invece c’era solo lei, in evidente stato confusionale, circondata da vecchie foto e ritagli di giornale risalenti al crollo della Phoenix.
Gettò uno sguardo attraverso la persiana abbassata, quando uno degli Auror di ronda all’esterno ci passò davanti. Lo riportò sulla ragazza che, avvolta in una vestaglia di flanella, sorseggiava una tisana rilassante che lui stesso aveva preparato.
Si rese conto di non saper cosa dire. Tanya aveva appena finito di raccontargli una storia delirante a proposito di certe voci nel sonno, di presenze malvagie, di nemici in agguato. Gli aveva parlato di un orecchino ricevuto dalla Cacciatrice in persona, di certe indagini condotte in privato. Poi gli aveva mostrato una foto ed era passata a elencargli alcune coincidenze, che davano a tutto il suo castello di ipotesi una solidità inquietante.
Non può essere.
Per quanto il ragionamento di Tanya si basasse su argomenti validi, la realtà che lasciava intuire era inaccettabile.
“Presumo che tu sia consapevole di quanto può essere grossa la questione.” Esordì, nel modo sbagliato, mettendosi a sedere.
Lei gli rivolse uno sguardo che quasi lo costrinse a distogliere il proprio. Tanya Larsson non era persona da sprecare fiato per rispondere a domande inutili.
“Voglio dire, i tuoi sospetti possono essere fondati…”
“Leo.” Tanya lo interruppe scuotendo la testa. “Qui non si può più parlare di semplici sospetti, le coincidenze sono troppe. Mi viene il dubbio che sia tu a non renderti conto di quanto può essere grossa la questione.”
“Sto cercando di rendermene conto.” Sbottò lui con aria vagamente offesa.
Ci fu una pausa in cui parve di poter sentire i neuroni di Leo in ebollizione.
“Tanya, il Ministero mi sta talmente con il fiato sul collo, che se qualcuno di loro starnutisce mi fa la messa in piega ai pochi capelli che mi rimangono. Dobbiamo trovare una soluzione!”
Tanya scosse la testa.
“Non siete le persone adatte per trovarla.”
“Che vuoi dire?”
“Non metto in dubbio le vostre capacità, ma a questo punto sono io la sola che può occuparsi della Cacciatrice.”
Leo sbuffò, per nulla soddisfatto da quella soluzione.
“Quindi, cosa avresti intenzione di fare?”
“Andrò a parlare con Harry.”
“Harry Potter?” Per la sorpresa, Leo deglutì a vuoto.
“Chi altri?”
“In effetti, se hai ragione…”
“Io ho ragione.”
“E se invece non l’avessi? Immagini che casino ad andare a rivangare inutilmente certe vecchie storie? Quanto dolore potresti ancora causare?”
“Lo so, cioè… lo spero…”
“Ti auguro di sapere ciò che fai, anche perché dovrai farlo da sola.”
“Meglio così.” Sentenziò Tanya, riprendendosi subito dal momento di difficoltà. “E non sarò sola, dal momento in cui rimetterò piede a Londra.”
“Quando pensi di partire?”
“Subito, mi serve solo il tempo di farmi una doccia e riempire la valigia.”


*
 

Next time: "Ritrovarsi".

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Capitolo 5
*** Ritrovarsi ***


Ritrovarsi

Leo aveva insistito perché, prima di partire, si facesse controllare di nuovo dai medimaghi del Dipartimento, ma lei si era messa addosso una gran fretta. L’istinto le diceva che restare a Liverpool era pericoloso, in più, una volta presa la decisione, smaniava di rivedere i vecchi amici.
In quelle condizioni non poteva affrontare il viaggio su una scopa, anche smaterializzarsi o usare la metropolvere poteva crearle problemi. Alla fine aveva dovuto ripiegare su uno snervante viaggio in treno, che l’aveva sfinita comunque. Giunta nel primo pomeriggio nella stanza d’albergo che aveva prenotato a Londra, era crollata in un sonno profondo.


Sulla campagna inglese era scesa una bruma appiccicosa che rendeva tutto indistinto. La casa dei Potter sorgeva in un luogo isolato, una serie di incantesimi tutelava la privacy della famiglia. Tanya sapeva come bypassarli, Harry le aveva spiegato personalmente come fare.
Con un tuffo al cuore, ricordò il momento in cui si erano salutati.
Per qualunque cosa, non esitare a venire da me.
E comunque vieni a trovarci spesso.

Non lo aveva fatto. Dopo il trasferimento non aveva più lasciato Liverpool. Con Harry e altri della ex squadra si erano scritti nei primi tempi, poi la corrispondenza si era diradata fino a sparire.
Esitò all’imbocco del vialetto, pensando che sarebbe stato meglio avvertire del suo arrivo, ma aveva sempre amato le improvvisate e tanti tentennamenti non le si addicevano. Raggiunta la veranda, sentì un tuffo al cuore peggiore dei precedenti. Sulla destra sorgeva un altro edificio, solo una sagoma avvolta dall’oscurità notturna.
La casa di Ron e Hermione.
Dove era rimasta spessissimo a dormire, nel periodo della Phoenix. Dove aveva imparato un sacco di cose da due meravigliosi insegnanti. Aveva ancora le chiavi. Sentì la tentazione di andare a dare un’occhiata ma la represse, sarebbe stato doloroso e basta.
Si risolse a suonare il campanello di casa Potter, sperando di non svegliare nessuno. A forza di cincischiare in albergo si era fatto discretamente tardi. Un paio di luci erano ancora accese, ma forse perché non erano mai spente. Di colpo si chiese cosa stesse facendo, come le fosse saltato in mente di andare fin lì, le sorse l’impressione di stare sbagliando.
La porta si aprì, spazzando via le paranoie.
Una prosperosa matrona dai capelli rossi, visibilmente incinta, apparve sulla soglia illuminata. Tanya sentì un nodo alla gola, rendendosi conto solo in quel momento che non la vedeva da quasi quattro anni, di cosa ciò significasse. Ginny la studiò aggrottando le sopracciglia, poi un lampo di comprensione le illuminò il volto.
“Tanya!”
Le gettò le braccia al collo e la strinse a sé, mozzandole il respiro. Il proverbiale abbraccio stritolatore dei Weasley, le era mancato da morire. Sentì svanire il peso che le aveva oppresso il torace fino a quel momento, inalando il profumo dei capelli di Ginny. Le sembrò passata un’eternità, dall’ultima volta in cui qualcuno l’aveva abbracciata con tanto affetto.
“Ma… Ma…” Ginny aveva gli occhi lucidi ed era il volto della felicità, quando sciolse l’abbraccio per poterla osservare.
“Cosa ci faccio qui?” Disse Tanya. “Avevo bisogno dei miei vecchi amici.”
Era la pura e semplice verità.
Accarezzò timidamente il ventre gonfio di Ginny, chiedendo informazioni con lo sguardo.
“È il quarto.”
“Sono rimasta indietro.”
“Avremo modo di recuperare il tempo perduto!” Ginny la trascinò nell’anticamera. “Non mi sembra vero, sei veramente qui! Harry non crederà ai suoi occhi!”
“È in casa?” Volle sapere Tanya, porgendole il soprabito.
“È di sopra nel suo studio. Vieni, accomodati in salotto mentre vado a chiamarlo.”
La casa non le parve molto diversa da come la ricordava, a parte qualche dettaglio insignificante nel mobilio. Sentì un nodo alla gola, dopo anni era di nuovo in un luogo amico.
“Harry! Harry, scendi!” Ginny corse su per le scale senza preoccuparsi di svegliare i bambini, che dovevano essere già a letto. “Harry, vieni presto!”
“Che succede?”
La voce del comandante, un’altra delle migliaia di piccole cose che le erano mancate.
“Vieni! Non immagineresti mai chi c’è di sotto!”
Ginny si precipitò di nuovo al pianterreno per accendere altre lampade, Harry scese le scale con più calma. Svoltato l’angolo del piccolo soggiorno, si immobilizzò.
“Salve, comandante.” Lo accolse Tanya, che non aveva voluto sedersi.
Ginny si era messa in disparte e osservava la scena al colmo della gioia. Harry aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a farne uscire nulla. Accennò ad alzare le braccia, ma le gambe non vollero farsi avanti. Fu Tanya a chiudere lo spazio fra loro, il comandante la strinse a sé, gettando alla moglie uno sguardo confuso, al quale Ginny rispose solo con un gran sorriso.


In pochi secondi, Ginny aveva imbandito un sontuoso banchetto in stile Weasley, nonostante l’ora tarda e il fatto che nessuno avesse effettivamente fame. A Tanya non era dispiaciuto constatare che le usanze della casa non erano cambiate. Aveva cenato al ristorante dell’albergo, ma per i biscotti di Ginny un posto lo avrebbe trovato.
“Perché non ti sei fatta più sentire?” Volle sapere Harry, simulando severità.
“Potrei farti la stessa domanda.” Gli sorrise Tanya di rimando.
“L’ho fatta per primo.”
“A dire il vero, non lo so, sono stata una stupida.”
“Sono pochi i membri della vecchia squadra che non lo sono stati.” Harry liquidò la questione con una scrollata di spalle. “Da questo punto di vista.”
“Come stanno? Non ho loro notizie da una vita.”
“Lance, Jenny e Timothy se ne sono andati in America un paio d’anni fa.”
“Questo lo avevo sentito dire.”
“Mi hanno scritto per un po’, poi hanno smesso. Presumo si stiano facendo valere nei Ranger Magici.”
“Senza dubbio.”
“Marcel e Theresa si sono sposati e sono andati a vivere dalle parti di Bristol, non fanno più gli Auror, lavorano nell’azienda del padre di lei.”
“Ricordo, mi arrivò l’invito al matrimonio ma lo ignorai. Come ti ho detto, sono stata una grossa stupida.”
“Con Drew e Jack continuiamo a sentirci. Anche loro a un certo punto hanno chiesto il trasferimento, dicono che si trovano bene dove sono ora.”
“E il capitano Miller?”
“È sempre al suo posto, inossidabile. Gli farà piacere vederti.”
A quel punto avrebbe dovuto chiedere di Ron, il solo che mancasse all’appello, ma l’istinto le suggerì di aspettare. Il nome del maestro rimase comunque sospeso fra loro.
“Su questo ho qualche dubbio.” Il tono le si incupì. “Purtroppo, sono venuta a parlare di cose molto spiacevoli.”
Odiava dover rovinare l’atmosfera e la gioia del ritrovarsi, ma non era mai stata il tipo da girare intorno alle cose.
“Immaginavo che ci fosse qualcosa, dietro questa tua visita. Dobbiamo parlarne subito?”
Tanya annuì.
“Sarebbe meglio.”
“Vuoi che andiamo nel mio studio?”
“No, penso che anche Ginevra debba ascoltare.”
Pur essendo buone amiche, non era mai riuscita a chiamarla con il nomignolo.
“Allora prego, raccontaci.”
Tanya si chiese se fosse giusto gravare anche loro di quel peso, poi ricordò di essersi già posta il problema e di aver concluso che non poteva esserci altra soluzione.
“Come forse saprete, a Liverpool ho fatto parte del nucleo operativo che avrebbe dovuto catturare la Cacciatrice, non so come la chiamate qui a Londra.”
“La Cacciatrice di Liverpool.” Confermò Harry.
“Ecco, il nucleo operativo non esiste più. La Cacciatrice ha ucciso tutti tranne me. Gli ultimi li ha massacrati sotto i miei occhi, quando non potevo fare nulla, per torturarmi.”
“Continua.” La invitò Harry, prendendo la mano di Ginny.
“È sempre accompagnata da un mago che si fa chiamare Juggler, non sappiamo chi sia. Dietro a loro due, alcuni pensano che ci sia una setta di maghi neri, i Tulipani di Cristallo.”
“L’ho sentito dire, la Cacciatrice firma le sue uccisioni con un tulipano di cristallo.”
“Sì, nel medioevo è esistita una setta di fanatici famosa per questo modus operandi. Se n’è discusso in lungo e in largo, ma non abbiamo prove concrete che siano tornati, quindi non sappiamo se Juggler e la Cacciatrice agiscano per conto proprio o di qualcun altro. Ciò che è certo è che lei è una strega fuori categoria, con capacità impensabili per il novantanove percento di maghi e streghe ordinari. Tutto questo solo per inquadrare un po’ lo scenario generale.”
Fece una pausa per concedersi un sorso di tisana. Harry e Ginny pendevano dalle sue labbra, ma ora veniva la parte più difficile da affrontare.
“Ora devo chiedervi di raccogliere tutto il vostro coraggio, questa cosa vi sconvolgerà. Vorrei potervelo evitare ma temo di non avere scelta, è un peso che non posso portare da sola.”
“Tanya, se hai bisogno di aiuto, sai che questo è il posto giusto.” Cercò di stemperare Harry.
“Non è solo questo. Io mi trovo in un terribile pericolo, è vero, ma forse è il problema minore. Ho rischiato di impazzire, quando ho intuito cosa c’è dietro questa storia. Ed è qualcosa che riguarda direttamente anche voi.”
“Sarebbe a dire?” Tagliò corto Ginny. “Non penso che tu stia cercando di spaventarci, ma è anche vero che girarci intorno non serve.”
“Non spaventarvi!” Tanya fu colta sul vivo. “Sto solo cercando di mettervi in guardia!”
“Da qualcosa che non ci hai ancora spiegato.” Ponderò Harry. “Ora, per favore, tranquillizzati e raccontaci tutto.”
Tanya annuì, dando fondo alla tisana e al suo autocontrollo.
“L’ultima volta che io e la Cacciatrice ci siamo scontrate, Juggler ha detto una cosa strana. Subito non ci ho dato importanza, ma poi ho capito che poteva essere solo il primo di una serie di elementi. La Cacciatrice aveva appena sgozzato il mio ultimo partner, io agonizzavo con le gambe spezzate e la stavo praticamente implorando di uccidere anche me. Juggler ha detto che non l’avrebbe fatto. Secondo lui, alla Cacciatrice piace il mio modo di fare, per questo mi ha scelta come avversaria. Se mi uccidesse, finirebbe il gioco.”
Ginny si era coperta la bocca per l’orrore. Harry ascoltava senza palesare emozioni, ma stringeva forte la mano della moglie. Tanya pensò che non gli aveva ancora detto niente di davvero sconvolgente e sentì un vago senso di nausea salire dallo stomaco.
“Io penso di sapere perché la Cacciatrice abbia scelto me.”
“Perché?” Azzardò Harry.
“Perché mi conosce, da un sacco di tempo.” Gli occhi di Tanya si erano inumiditi di colpo. “Penso che lei sia prigioniera, sotto il controllo di qualcuno molto potente, che in qualche modo mi stia chiedendo aiuto.”
“Tanya, rallenta e cerca di stare calma.” Le ingiunse Harry, tentando di smorzare i toni. “Come sei arrivata a questa conclusione?”
“Quella notte, prima di smaterializzarsi, mi ha lasciato una cosa.”
Tolse da una tasca la scatolina in cui era custodito l’orecchino della Cacciatrice e la pose aperta sul tavolo accanto a loro.
“Ho passato la convalescenza a ragionare su cosa potesse voler dire, penso che sia un messaggio, rivolto a qualcuno che la può aiutare.”
Era arrivato il momento di mostrare loro la foto che l’aveva sconvolta, quello che temeva più di ogni altro. Portò la mano tremante nella stessa tasca.
“Ora dovete promettere che mi lascerete esporre le mie ragioni fino alla fine, qualunque cosa succeda.” Disse con un filo di voce.
“D’accordo.” Fece Harry a disagio, Ginny annuì.
Posò la foto accanto alla scatolina.
Fu come l’aveva immaginato, con i loro sguardi che saettavano dalla piccola lastra ai suoi occhi. La senatrice Hermione Weasley era stata ritratta durante un’occasione ufficiale al Ministero. Dall’orecchio destro, pendeva lo Schrieger Lang.
Tanya incontrò lo sguardo di Harry, che si era fatto di ghiaccio, da quel punto in poi, si sarebbe mossa su un terreno minato.
“Ho verificato, fra la scomparsa di Hermione e le prime apparizioni della Cacciatrice, intercorre un tempo accettabile per annullare la personalità di qualcuno e farne una marionetta.”
Sapeva di stare affondando strali fiammeggianti nel lato più sensibile dei suoi amici, ma non poteva più fermarsi.
“Però potrebbero essere solo coincidenze. C’è un ultimo elemento, quello che per me è la prova determinante. La Cacciatrice conosce la magia di Golconda.”
Ginny, seppur in preda all’orrore, sentì il corpo di Harry tendersi all’udire quel nome.
“Golconda? Chi sarebbe Golconda?” Volle sapere.
“Un potentissimo mago vissuto intorno al Quindicesimo secolo.” Sibilò Harry. “Famoso per i suoi incantesimi senza bacchetta.”
Tanya annuì.
“I libri con gli incantesimi di Golconda sono oggetti inestimabili. Offrono possibilità che non potremmo immaginare, ai pochi che sono abbastanza abili da decifrarli. Se ne conoscono tre esemplari attualmente esistenti. Il primo è conservato a New York, sperduto in un immenso magazzino, nemmeno i gestori saprebbero trovarlo. Il secondo si dice sia nella Biblioteca Segreta di Samarcanda. Il terzo apparteneva a Hogwarts.”
“Prima che Minerva McGranitt lo consegnasse alla migliore delle sue allieve, perché lo studiasse.” Concluse Harry cupo.
Ginny si volse verso il marito, sul volto un misto indecifrabile di incredulità e paura.
“Ho visto tante volte Hermione eseguire gli incantesimi di Golconda, so riconoscerli.” Proseguì Tanya. “E le streghe della nostra epoca in grado di usarli sono ben poche. Hilda Flatwood è morta tre anni fa, dalle parti di Manchester. Alena Kasparova si trova in un carcere di massima sicurezza a Cincinnati. Diana Austen è un’anziana signora che si gode un manipolo di nipotini nella sua tenuta nel Maine. La quarta e ultima era Hermione, la più giovane fra le studiose di Golconda viventi. Quante possibilità ci sono che ne esista una quinta non registrata?”
“Quasi nessuna.” Fu costretto ad ammettere Harry. “Il libro di Golconda scomparve insieme a Hermione, non siamo mai riusciti a trovarlo.”
Sembrava invecchiato di un centinaio d’anni nel giro di pochi secondi. Ginny seguiva il dipanarsi della conversazione come se non conoscesse i due interlocutori.
“Ora capisci?”
“Sì.” Rispose Harry. “Tanya, non riesco a immaginare quanto devi aver sofferto.”
“Non lo si può immaginare. Non so come ci sia riuscita, ma deve aver creato un collegamento fra le nostre menti. L’altra notte, mentre sognavo, credo di aver percepito il male, il dolore che lei sta provando. È stata l’esperienza più orribile che mi sia capitata, anche peggio del vedere uccidere un collega senza poter intervenire. Quando mi sono svegliata, tutti i pezzi sono andati a posto, come ve li ho raccontati. Ho sfiorato la pazzia in quei momenti.”
“Non stento a crederlo.” Convenne Harry.
“Harry, cosa possiamo fare?” Gli chiese Ginny.
“Non lo so, devo pensare, ragionarci con calma.”
Tanya notò che le mani del comandante tremavano.
“Non sarei venuta qui se non avessi la certezza di ciò che dico.” Asserì.
“Non ne dubito. E devo ammettere che la storia che ci hai raccontato ha un senso, ma capisci che non posso prenderla per buona così com’è.”
Era palese lo sforzo dei coniugi Potter per mantenere la calma.
“Lo faresti, se potessi sentire ciò che ho passato io l’altra notte.”
“Abbiamo il pensatoio, puoi fargli vedere i tuoi ricordi.” Si inserì Ginny.
“Se si vuole così male.” Sbottò Tanya.
“Sarebbero comunque sensazioni! Non bastano a provare che Hermione è viva ed è la Cacciatrice di Liverpool! Credimi, Tanya, vorrei tanto poterti dare ragione, vorrebbe dire che finalmente l’abbiamo trovata!” Si fermò, prima che gli si spezzasse la voce. Ginny gli passò un braccio intorno alle spalle che però lui parve voler ignorare.
“Fisicamente potrebbe essere lei.” Argomentò Tanya. “E Hermione è la sola strega che conosco con quelle capacità. Capite che potevo rivolgermi solo a voi…”
“Sì.” Harry le fece cenno di tacere. “Non devi giustificarti di nulla, però…”
Qualunque cosa stesse per dire andò perduta, quando una fiammata verde esplose nel piccolo camino al centro della stanza. Per la tensione che aveva preso la piccola congrega, tutti fecero un balzo sulle poltrone.
Le fiamme verdi delinearono un viso che Tanya riconobbe subito.
“Leo?”
“Comandante Larkin.” Lo salutò Harry.
“Comandante Potter.” Rispose l’altro.
“Voi due siete in contatto?” Esclamò Tanya allibita.
“Mi ha tenuto informato su di te in questi anni.” Ammise Harry.
“Quando pensi di conoscere le persone.” Sbottò la ragazza.
“Comandante, è un grosso sollievo per me sapere che Tanya è con voi, tenetela al sicuro, mi raccomando.” Proseguì il Leo di fuoco, ignorando Tanya.
“Su questo potete stare tranquillo.” Lo rassicurò Harry.
“Bene, tenetela con voi, qui la situazione è critica…”
“Leo, che cazzo succede?” Esplose Tanya.
“Succede che qui è un casino pazzesco! La Cacciatrice è venuta a cercarti a casa, poco dopo che sei partita, ha ammazzato tre dei nostri che erano ancora sul posto. Poi, non trovandoti, ha raso al suolo l’intero palazzo e quelli circostanti, stanno ancora contando i morti. Ecco che cazzo succede! Quindi tu rimani con i Potter e che non ti venga in mente di tornare a Liverpool!”
Detto questo, il volto di Leo e le fiamme verdi si dissolsero, lasciando la stanza avvolta da un silenzio sbigottito.

*

I Ranger Magici sono un noto corpo di polizia attivo in America, fondato e capitanato da Chuck Norris, a casa del quale si conserva un quarto libro di Golconda.
 

*


Golconda è il nome di un'antica città in rovina in India centro meridionale.



 

Un celeberrimo quadro di René Magritte dipinto nel 1953 e appartenente alla corrente del surrealismo.

 

 

Mentre scrivevo, avevo in mente il titolo dell’albo numero 41 di Dylan Dog, uscito nel febbraio del 1990.


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Capitolo 6
*** Salvare Hermione ***


Salvare Hermione

Harry era corso di sopra senza dare spiegazioni e poco dopo era ridisceso con una piccola fiala dorata, recuperata da un cassetto del suo studio. Tanya e Ginny avevano convenuto che la Felix Felicis poteva essere una buona idea. Harry, sotto l’effetto della pozione, aveva deliberato che la cosa giusta da fare era andare subito a parlare con Ron, quindi si era smaterializzato, lasciando le due donne piuttosto perplesse.
Un silenzio pesantissimo calò nella stanza, gravido delle implicazioni, delle speculazioni fatte. Ginny era sconvolta da quanto appreso e non sapeva che comportamento adottare. Quella ragazza, tornata all’improvviso a scombinare le loro vite di nuovo, era stata l’allieva prediletta di Ron e Hermione, con tutto ciò che questo significava.
Tanya guardava risolutamente il pavimento, cercando di metabolizzare le notizie appena ricevute da Leo. La Cacciatrice che andava a cercarla a casa era una novità inquietante, sapeva di scelta definitiva, di chiusura dei giochi. La sensazione di pericolo imminente, di cui si era sentita circondata prima di partire, non era stata casuale.
“Tu lo pensi davvero? Che Hermione sia…”
“Sì!” Tanya le impedì di finire la frase.
Ginny, che si era accostata a una finestra per gettare uno sguardo nella notte, tornò a sedersi accanto a lei. Nel tono di Tanya c’era una convinzione che spaventava.
“Ho sperimentato sulla mia pelle la forza della Cacciatrice, Hermione è la sola strega che conosco con le capacità per essere lei.” Ribadì.
Senza ragionare se fosse necessario o meno, aprì i primi bottoni della camicetta e scoprì una porzione di torace, percorsa da cicatrici palesemente dovute a ferite magiche.
“È così anche il resto.”
Ginny inorridì. Lasciò andare un sospiro di sollievo, quando Tanya nascose nuovamente quelle ferite terribili. Harry aveva ragione, non si poteva immaginare cosa avesse dovuto soffrire.
“Parlami di Golconda.” Buttò lì, cercando di allentare la tensione.
“Come ha detto Harry, fu un abilissimo stregone del Quindicesimo secolo. Si dice che il suo sogno fosse liberare maghi e streghe dal vincolo della bacchetta, permettere alla gente di fare magie senza il limite contingente dello strumento.”
Ginny capì che stava citando quasi a memoria, per un momento le ricordò il tono accademico di Hermione, quando spiegava qualcosa a Harry e a suo fratello.
“E ci riuscì! Scoprì un tipo di magia che non necessitava della bacchetta. Riesci a immaginare cosa avrebbe significato per il mondo magico?”
“Non ne sono certa.”
“Il problema, come lo stesso Golconda spiega nei suoi libri, è che per fare veri incantesimi senza l’ausilio della bacchetta occorrono capacità enormi, e gli individui abbastanza dotati da riuscirci sono pochissimi. Si stima che ne nascano non più di quattro o cinque ogni cento anni, soprattutto donne. Minerva McGranitt doveva aver intuito che Hermione poteva essere una di loro, per questo le affidò il libro di Golconda, dopo il suo settimo anno a Hogwarts. Scomparso Voldemort, la situazione era abbastanza tranquilla perché un manufatto di tale importanza lasciasse la scuola, ovviamente con le dovute cautele.”
“Se era a Hogwarts, perché Voldemort non tentò di impossessarsene?”
“Forse ne ignorava l’esistenza.”
“Tom Riddle era uno studioso troppo attento per lasciarsi sfuggire una cosa del genere.”
“Prima Silente poi Severus Piton lo tennero al sicuro, come la spada di Grifondoro e altri oggetti importanti di Hogwarts. Oppure Voldemort lo ignorò volutamente, sapendo di non poterlo padroneggiare, almeno così pensava Hermione.”
Ginny si sentì indispettita dal fatto che la sua più cara amica, nonché moglie di suo fratello, non le avesse mai parlato di quelle cose, poi un pensiero fece sparire tutto il resto. Non lo aveva fatto con lei, ma con la ragazza che le stava di fronte. Cosa c’era in Tanya di così speciale? Era un’ottima Auror, una strega superiore alla media, ma quanto stava scoprendo andava ben oltre.
“Quando vidi la Cacciatrice usare Golconda ne rimasi sconvolta, non pensai subito che potesse essere Hermione, ma poi arrivarono quei maledetti incubi e alla fine l’orecchino…”
Ginny le prese la mano, sentì che tremava. Tanya si stava facendo distruggere, nella sua guerra privata con la Cacciatrice, e se effettivamente c’era di mezzo Hermione, occorreva trovare un modo per salvarle entrambe.
Salvare Hermione.
Il loro pensiero fisso negli anni successivi alla sua scomparsa, che con il passare del tempo era stato messo da parte, seppur con riluttanza. Per quanto il tutto apparisse improbabile, se non assurdo, ora c’era una possibilità di riaccendere la speranza. Se si fosse abbandonata a quella consapevolezza, sarebbe svenuta lì dov’era.
“Troveremo una soluzione.”
Non doveva dimenticare che quella più scossa dagli eventi era Tanya. La ragazza le rivolse uno sguardo velato di lacrime, di colpo parve più una bambina spaventata che una guerriera Auror scampata miracolosamente a vari massacri.
“Lei è così potente…” L’autocontrollo di Tanya cedette di schianto. “Fuori da ogni categoria… non posso batterla… come non ho mai battuto Hermione!”
Si sciolse in lacrime nell’abbraccio di Ginny che, seppur sorpresa da quel crollo improvviso, fu pronta a reagire.


In meno di un’ora, sentirono il suono di una doppia materializzazione sconvolgere la quiete dell’anticamera. Tanya, sfogata la crisi contro la spalla di Ginny, si era ripresa e ricomposta rapidamente, non ne avrebbero fatto parola con nessuno.
Due uomini comparvero nel salotto. Harry abbracciò la moglie con entusiasmo, mentre il secondo restava sulla soglia, a disagio.
“Hai visto? Ci sono riuscito!” Proclamò euforico il padrone di casa.
Ginny avrebbe voluto prendere a sberle il fratello, non lo vedeva da mesi, ma Harry era ancora sotto l’effetto della Felix Felicis e andava perlomeno assecondato. Fu Tanya ad alzarsi in piedi come a rallentatore. Maestro e allieva si scrutarono in silenzio, per un lungo momento parvero doversi abbracciare ma rimasero immobili.
“Quel pazzoide lì mi ha raccontato una storia assurda su Hermione.” Disse alla fine Ron, con un tono che faceva paura.
Tanya inorridì interiormente, affrontare l’argomento con Ron sarebbe stato molto diverso da com’era stato con i coniugi Potter, per di più non aveva alcuna voglia di raccontare tutto di nuovo.
“La storia di Tanya può avere un fondamento.” Disse Ginny per smorzare la tensione, mentre cercava di fare bere a Harry un po’ di succo di frutta, giusto perché avesse qualcosa da fare che non fosse arrampicarsi su per le tende.
“No.” Disse Ron categorico, passando accanto alla ragazza, che rimase al suo posto come congelata. “La storia di Tanya è senza dubbio vera.”
Si tolse dal collo una catenina, che posò accanto all’orecchino della Cacciatrice.
“È tutto ciò che rimase di Hermione, quel giorno al Ministero.”
A Ginny cadde il bicchiere di mano, l’impatto con il pavimento fu come un’esplosione nel silenzio attonito del salotto.
Appeso alla catenina di Ron, c’era il gemello dello Schrieger Lang.

 

*
 

Next time: New Phoenix.

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Capitolo 7
*** New Phoenix ***


New Phoenix

Kendra Lightner odiava arrivare al lavoro in ritardo, anche solo di pochi minuti. I colleghi conoscevano la sua ossessiva cura per i dettagli e avevano imparato ad assecondarla. I più lasciarono l’ufficio con varie scuse, quando lei si sedette alla sua scrivania. Quella mattina aveva indugiato fra le forti braccia di Sean, un portuale babbano conosciuto un paio di mesi prima. Non provava affetto per lui ma era uno stallone di primo livello.
Sfogliò con relativa attenzione l’ordine del giorno, classificandolo come la più banale routine. A parte un paio d’ore d’allenamento in palestra, era di servizio all’amministrazione. Qualcuno fra i capoccioni doveva essersi convinto che alla figlia del Senatore Lightner piacesse il lavoro d’ufficio, mentre lei era come la sua defunta madre, una donna votata all’azione.
Era martedì mattina e la settimana si prospettava all’insegna della noia, nemmeno un servizio di pattuglia in giro per le strade. A meno che non capitasse qualche casino grosso, ma le possibilità le sembravano scarse. Smaniava perché le affidassero un’altra missione da comandante, una in cui non ci fosse un eroe beone a mandare tutto all’aria.
Pensare a Ron Weasley le suscitava sentimenti contrastanti. Non l’avrebbe mai perdonato, ma un po’ le dispiaceva averlo colpito. Inoltre, non poteva dimenticare il loro ultimo dialogo, era stata alla presenza di una sofferenza che non avrebbe creduto possibile.
“Kendra.”
La voce gentile di Dana, sessantenne segretaria della loro sezione, la distolse dai pensieri. Alzò gli occhi a incontrare quelli della donna, che le porse una busta accuratamente sigillata in ceralacca con l’emblema del Ministero.
“Una comunicazione importante per te, direttamente dall’ufficio del Ministro, mi fai una firma qui per la ricezione.”
Cosa poteva volere da lei il Ministro della Magia? Si chiese, facendo uno scarabocchio sulla ricevuta. Le sorse l’assurdo dubbio che volesse rimproverarla per il diretto mancino rifilato a Weasley, poi si impose di ragionare secondo logica.
Spezzò il sigillo, all’interno c’erano un biglietto ripiegato e un’altra busta più piccola.

Alla gentile attenzione del sottoufficiale Auror Kendra Lightner.

Ho voluto informarvi personalmente che siete stata selezionata per prendere parte a un progetto straordinario del Ministero della Magia. Nella busta allegata troverete luogo e ora del primo incontro, durante il quale vi sarà spiegato dettagliatamente cosa vi si chiede. Il presente messaggio sarà valido come lasciapassare per la riunione, alla quale dovrete recarvi sola.
Il progetto deve rimanere nella più assoluta segretezza, vi preghiamo pertanto di non farne parola con nessuno. In caso contrario il messaggio di invito si autodistruggerà, e voi perderete la possibilità di farne parte.

Certi del vostro interesse, porgiamo distinti saluti.

 

Il Ministro della Magia
Natasha Bradford


Rilesse il messaggio tre volte. Si guardò intorno, quasi temendo che esplodesse se solo qualcuno lo avesse visto nelle sue mani. Si rese conto, in quel momento, che l’ufficio era deserto.
Soppesò la seconda busta. Forse, la settimana non sarebbe stata troppo noiosa.


Non aveva più messo piede in quella casa da quando lei era scomparsa. Aveva raccolto le sue cose e se n’era andato, sigillandola magicamente. Il resto, fin nel minimo particolare, come una tazza dimenticata sul tavolo di cucina, era rimasto immobile. Scomparsa lei, la vita stessa aveva smesso di scorrere. Solo un lieve strato di polvere refrattaria testimoniava degli anni trascorsi.
Tutta la casa trasudava la sua presenza invisibile. Dal mazzetto di fiori ormai sbriciolatisi nell’anticamera del salotto, alla candela che non aveva mai finito di consumarsi sulla trave del camino, dalla carta da parati scelta con tanta cura, ai diplomi e titoli che la coppia aveva collezionato, ordinatamente appesi in soggiorno.
Andò direttamente alla camera da letto. Il matrimoniale era ancora disfatto, il suo pigiama gettato a casaccio fra le lenzuola, quello di Hermione piegato e riposto con ordine su una sedia. La mente registrò quei dettagli, nonostante gli sforzi per evitarli.
Si chinò sul baule di legno che stava all’altro capo della stanza. Mormorò qualcosa, passandovi sopra la bacchetta, e sentì scattare le vecchie serrature. Respirò l’aria che ne uscì quando sollevò il coperchio, sapeva di chiuso ma anche di antico. Un solo oggetto giaceva sul fondo, dovette attendere un paio di minuti prima di avere il coraggio di mettervi mano.
Richiuso il baule, fuggì, quasi fosse stato un ladro in casa sua.


Tanya lo aspettava appoggiata alla staccionata che delimitava il giardino, il mantello e i capelli liberi nel vento autunnale. Sentì i suoi passi sul vialetto.
“Quella è…” La ragazza non poté trattenersi.
“Sì.” Rispose lui.
La spada Hermione.
L’arma a cui Ron aveva dato il nome della persona che amava, ben prima di sposarla. La stessa contro cui Tanya si era esercitata per imparare a tirare di scherma. Non pensava che l’avrebbe rivista, sentì un brivido lungo la schiena e le mani prudere.
Accarezzò le impugnature di due spade corte che portava in cintura, un altro cimelio. Erano appartenute ad Armin Stark, il leggendario maestro di Ron. Aveva pensato di morire per l’emozione, quando le erano state affidate.
Ron scosse la testa.
“Ora non abbiamo tempo, Harry ci aspetta, manchiamo solo noi.”
Tanya si costrinse ad annuire, soffocando il disappunto. Un duello con il maestro, come ai vecchi tempi, avrebbe fatto bene a entrambi.
Ron le porse la mano, si smaterializzarono insieme per ricomparire nel punto di ritrovo convenuto. Era presente solo il conducente della carrozza che il Ministero aveva mandato a prenderli, intorno non si vedeva altro che brughiera battuta dal vento.
Gli interni erano foderati di rosso, Tanya pensò che fosse troppo intenso ma le piacque il contrasto con il grigiore che dominava fuori. Non appena Ron ebbe chiuso lo sportello, la carrozza si mosse sulla vecchia strada sterrata.
“Una volta non eri così silenzioso.” Considerò Tanya, osservando il paesaggio scorrere.
“Una volta non ero sposato con la Cacciatrice di Liverpool.”
Le tornò alla mente una conversazione avuta alcune sere prima. Come avrebbero trovato la Cacciatrice, una volta giunti a Liverpool?
È ovvio, farò da esca.
Lo aveva detto con semplicità.
Harry aveva esclamato subito che non se ne parlava nemmeno, Ron si era limitato ad osservarla. Era seguito un fitto scambio di battute che nemmeno ricordava. Aveva messo in conto che Harry si sarebbe opposto, quindi si era preparata una serie di argomenti che le erano parsi inattaccabili, ma il discorso risolutore lo aveva messo in campo Ron.
Harry, tu hai una certa esperienza in fatto di collegamenti mentali. Nel momento in cui Tanya rimetterà piede a Liverpool, la Cacciatrice, o Hermione che dir si voglia, lo saprà. È molto più probabile che sia lei a piombarci addosso per prima.
Harry, seppur riluttante, aveva dovuto arrendersi all’evidenza. Tanya avrebbe fatto da esca, non lo si poteva evitare. Avevano trascorso le notti seguenti a elencare le precauzioni da prendere, che a lei erano parse inutili dalla prima all’ultima.
“Io… Io spero di restituirtela.”
Aveva in testa quelle parole da un po’, presero forma di colpo, senza darle il tempo di ragionare. A patto che si riuscisse a strapparla a chi la teneva prigioniera, che la si potesse liberare dal controllo, sarebbe tornata Hermione come la ricordavano?
Molto improbabile.
Aveva avuto un assaggio di ciò che le era stato fatto in quegli anni, non voleva pensarci.
L’espressione di Ron non mutò.
“Non prendere impegni di questo tipo.” La redarguì con calma. “E smetti di ragionare come se dovessi fare tutto da sola. Sei tornata a Londra per cercare aiuto e l’hai trovato.”


“Signori, prima di tutto vi ringrazio, a nome di tutto il Ministero, per essere venuti.”
Il Ministro della Magia Natasha Bradford aveva una voce calda, resa roca dall’età. Era seduta al posto d’onore di una tavola ellittica, con Harry e Ron ai fianchi, osservava i presenti senza soffermarsi più del dovuto.
Tanya era seduta fra Drew Blizzard e Jack Carter, suoi ex compagni alla Phoenix. Aveva pensato che il cuore potesse esploderle, quando era entrata nella hall dell’albergo e loro si erano precipitati ad abbracciarla. Drew era ancora bella, anche se gli anni cominciavano a farsi sentire. Jack era ingrassato, in compenso la sua giovialità fracassona non era diminuita. Non conosceva gli altri, Harry e Ron non avevano avuto il tempo o la voglia di spiegarle le loro scelte. Aveva inteso che la giovane donna dai ricci rosso scuro era Kendra Lightner, la figlia del Senatore, quella che aveva rifatto la mascella a Ron. Sugli altri tre presenti, un’altra donna e due uomini, buio completo.
“Tanta segretezza dovrebbe avervi fatto intuire l’importanza della situazione in cui ci troviamo.” Proseguì il Ministro. “I signori Potter e Weasley vi hanno scelti perché siete considerati i migliori nelle vostre aree di competenza. Per ciò che abbiamo intenzione di proporvi, mi auguro che quanto si dice di voi corrisponda a verità. Non vi nascondo che l’eventuale adesione al progetto potrebbe significare molto per le vostre carriere, ma devo avvertirvi che vi troverete in situazioni di grave pericolo. Per questo, nella stanza accanto sono pronti i nostri specialisti della memoria. Se qualcuno di voi dovesse rifiutare, sarà ricondotto a casa e non ricorderà di essere stato qui. Vi chiedo pertanto di firmare questa liberatoria.”
Davanti ad ognuno dei presenti, apparve un foglio di pergamena con i sigilli del Ministero e una piuma pronta a scrivere.
“Potete leggerlo con tutta calma.” Precisò il Ministro.
Era normale prassi, si chiedeva di autorizzare il Ministero a modificare loro la memoria. I più scorsero rapidamente il foglio e firmarono, nessuno ebbe esitazioni.
“Grazie, cedo ora la parola al comandante Potter, perché faccia le dovute presentazioni.”
“Grazie, Ministro.” Proseguì Harry, mentre i fogli volavano a disporsi in una pila ordinata alle spalle di Natasha Bradford. “Partendo dalla mia destra, vi presento Drew Blizzard, Tanya Larsson e Jack Carter, Auror d’assalto ed ex membri della Squadra Phoenix. Kendra Lightner, a sua volta Auror d’assalto e specialista in comunicazioni. Michael Dust e Sofia Harrer, Medimaghi da guerra. E Lionel Donovan, Spezza Incantesimi. Presumo conosciate già me e Ronald Weasley.”
Indicò i presenti con gesti delle mani, ognuno salutò gli altri con un cenno del capo, quando fu chiamato in causa.
“Come anticipato dal Ministro, l’incarico che stiamo per proporvi è estremamente impegnativo, quindi non siate precipitosi nell’accettare.”
Tanya notò alcuni annuire.
“Presumo che tutti abbiate sentito parlare della Cacciatrice di Liverpool e di quante persone siano morte a causa sua. Senza girarci tanto intorno, la nostra intenzione è di formare con voi una nuova Phoenix, che sia in grado di catturare la Cacciatrice.”
Qualcuno stava bevendo e rischiò di strozzarsi, altri si irrigidirono o fecero un balzo sulle poltrone. Un prevedibile mormorio di sorpresa riempì l’aula.
“Comprendo le vostre reazioni.” Proseguì Harry. “So bene cosa può significare per ognuno di voi, ma ribadisco l’invito a pensarci con calma. Cedo ora la parola a Tanya, che è stata a lungo impegnata presso il Dipartimento Auror di Liverpool e ha fatto parte del nucleo operativo incaricato di occuparsi della Cacciatrice. Può spiegarvi meglio di me quanto saranno pericolose le situazioni in cui ci troveremo e perché la Cacciatrice va catturata viva.”


Trascorsa in silenzio l’ora concessa per pensarci, avevano accettato tutti, alcuni senza mascherare l’entusiasmo. L’identità della Cacciatrice aveva fatto impressione, ma non quanto si era aspettata. Aveva raccontato di nuovo la sua storia, omettendo i particolari più personali. Dopo averla ascoltata, Drew e Jack erano diventati ancora più premurosi nei suoi confronti, come ai tempi della prima Phoenix. Per loro era ancora la bimba della compagnia.
Nella tarda mattinata, era stato firmato un documento che rendeva operativa, in via provvisoria, la New Phoenix. Il Ministro e Harry, di comune accordo, si erano riservati la possibilità di renderla ufficiale solo se la prima missione fosse andata a buon fine. Quindi, per il momento, erano semplicemente la squadra incaricata di catturare la Cacciatrice di Liverpool.
Il Ministro aveva fatto stappare lo champagne.
Tanya, mentre brindava con gli altri, si era sforzata di sorridere, ma con l’impressione che non ci fosse proprio nulla da festeggiare.
Altre brave persone che rischiano di farsi massacrare.
Si sentiva già responsabile per loro.
Dopo pranzo, il Ministro li aveva lasciati. Il pomeriggio era trascorso nelle discussioni, Tanya se n’era stancata presto. Qualsiasi linea d’azione proposta le era parsa debole, lei si era limitata a criticarle tutte senza suggerire nulla in alternativa. Quando qualcuno lo aveva fatto notare, si era resa conto che la sua mente era vuota, riusciva solo a pensare al momento in cui avrebbe incrociato le lame con la Cacciatrice.
Salvare Hermione.
Nient’altro importava, ma non doveva dimenticare che quelle persone erano lì per aiutarla.
Non devi fare tutto da sola.
Ron aveva ragione, per quanto lei non riuscisse a convincersene. D’altra parte, da sola cosa avrebbe potuto fare? La Cacciatrice l’aveva sempre massacrata con irrisoria facilità, ma la presenza della New Phoenix sarebbe bastata a rendere le cose diverse? No, era la consapevolezza che stava combattendo per salvare Hermione a dover fare la differenza. Quel pensiero le fece venire un nodo allo stomaco, se l’avesse formulato prima, forse non sarebbe tornata a Londra.
Si rese conto di aver frantumato il bicchiere. Intorno a lei, il bar dell’albergo era quasi deserto, se si escludeva una coppia di anziani coniugi attardatisi a un tavolo d’angolo.
Era riuscita a liberarsi di Drew e Jack lasciandoli in consegna a Harry, Ron si era dileguato appena alzatosi da tavola, Kendra era salita in camera dicendosi stanca, non aveva idea e nemmeno le importava dove fossero gli altri. Con la Lightner avevano chiacchierato un po’ sia a pranzo che a cena. Forse si poteva diventare amiche, a patto di sopravvivere alla missione.
“Quello che stai bevendo è adatto alle persone sole, questa non è una serata per stare soli.”
Ruotò lo sguardo a incontrare quello di Lionel Donovan, lo Spezza Incantesimi. Si era messo in smoking, mentre alla riunione era stato in abiti più sportivi, e si presentava armato di bottiglia, calici e sorriso da gentleman.
“Non accetto galanterie dai colleghi.” Rispose, anche più dura di quanto avesse voluto.
“Ho l’impressione che le accetti di rado, colleghi o no.”
Lionel posò bottiglia e calici sul bancone e si accomodò sullo sgabello accanto, finse di non notare lo sguardo cattivo che lei gli rivolse.
“Non sto scherzando, domani si parte per Liverpool, non è la sera adatta per stare soli.” Proseguì, stappando la bottiglia e avvicinandole uno dei calici.
Tanya si scoprì una spalla, mettendone in mostra le ferite.
“È così anche il resto. Sicuro che non ti faccia ribrezzo?”
Con quella mossa sperava di liberarsi in fretta di lui, ma Lionel non si scompose. Senza che il fascinoso sorriso accennato lo abbandonasse, si sbottonò la camicia, mettendo in mostra un torace a sua volta segnato da un rispettabile assortimento di cicatrici.
“Sono anche io uno che ama il rischio.”
Tanya lottò perché la sorpresa, davanti a cotale fisico, non trasparisse. Sentì l’impulso di allungare una mano per accarezzargli l’addome scolpito ma Lionel si ricompose, avvedendosi dello sguardo di disapprovazione del barista. Era un ottimo esemplare di maschio, dovette ammettere con se stessa, lo aveva già notato durante la riunione. Non era un purosangue inglese, al più pulito dei fascini britannici univa qualcosa di latino dal sapore esotico, risultando molto attraente.
“Mia madre è spagnola.” Disse lui, fugando ogni dubbio.
“Che fai? Leggi nel pensiero?”
“No, anticipo una domanda che solitamente mi fanno.”
“Ci si ferisce così a fare lo Spezza Incantesimi?”
“Solo a farlo come lo faccio io. Su, un brindisi a… quello che vuoi.”
Tanya accettò di fare un primo brindisi a niente in particolare, poi un secondo al loro incontro, uno alla nuova Phoenix, uno a Potter e Weasley e via dicendo. Presto furono entrambi alquanto allegri e Tanya quasi dimentica delle angosce. Lionel le stava raccontando di una sua zia che viveva da una decina d’anni nell’Illinois, quando una voce autoritaria li fece zittire.
“State facendo un po’ troppo casino.”
“Comandante, vuole favorire?” Esclamò Lionel, porgendo a Ron Weasley un terzo calice raccattato da sotto il bancone, con l’ennesima occhiataccia da parte del barista.
“No, grazie, poi rischio di non fermarmi più. C’è una luna gigante questa sera, fa un po’ freddo ma la laguna offre un discreto panorama. Potete smaltire con una bella passeggiata, o nel letto di uno dei due, a vostra discrezione, ma non svegliate tutto l’albergo.”
Tanya soffocò una risata nel palmo della mano, Lionel buttò giù d’un fiato quanto aveva offerto al comandante, che già si allontanava.
“Tu che dici? Io non ho voglia di passeggiare.”
“La mia stanza è accanto a quella dei comandanti, non mi sembra il caso.”
“La mia è un po’ più isolata.”
Già nell’ascensore, Tanya prese a baciarlo con una furia che per un istante sorprese Lionel. Lo sbatté contro la parete e gli aprì la camicia con ben poca delicatezza, per fare quanto non aveva potuto al bancone del bar. Bottoni tintinnarono sul fondo della cabina.
“Non dirmi che basta l’addestramento da Spezza Incantesimi per fare questo.”
“Dieta ferrea e tanta palestra.”
Continuarono a baciarsi nel tragitto dall’ascensore alla stanza di Lionel, un’altra coppia dovette mettersi rasente al muro per lasciarli passare, loro neanche se ne accorsero. Mentre lui cercava di aprire la porta senza versare in terra quanto restava dello champagne, lei gli rimase avvinghiata addosso, esplorandogli la piega del collo con i baci del vampiro. Tanya aveva l’impressione che il sangue le si fosse mutato in fuoco, a quel punto non si sarebbe negata niente, capì che era esattamente ciò di cui aveva bisogno.


Ron entrò nella stanza massaggiandosi le tempie. Aveva vagato su e giù per le scogliere un paio d’ore, nel tentativo, inutile, di calmare il desiderio di alcol. Si sedette alla piccola scrivania da camera, Harry era già nel suo letto in compagnia di un grosso libro.
“Hai detto a Lionel di far distrarre un po’ Tanya?” Domandò Ron.
Harry chiuse il libro e lo mise sul comodino.
“È così palese?” Chiese con nonchalance.
“Harry.” Ron si lasciò sfuggire un sogghigno. “Non è da te interferire in questo genere di cose. Almeno, con me e Hermione non l’hai mai fatto.”
“Te e Hermione eravate patologici.” Tagliò corto Harry. “Ti potrà sembrare una meschinità ma Tanya è la nostra arma principale, non può presentarsi a Liverpool tesa come la corda di un violino. Lionel la farà sfogare, in un modo che spero sia piacevole per entrambi.”
“Ripeto, non è da te giocare con i sentimenti altrui.”
“I sentimenti non c’entrano, io guardo al lato pratico. Grazie a Lionel, Tanya arriverà a Liverpool molto più distesa.”
“È anche per questo che l’hai voluto in squadra. Ora che ci penso, è esattamente il tipo di uomo che piace a Tanya.”
“Servirebbe a qualcosa se negassi?”
Ron rispose con una smorfia. Harry capì che considerava ancora Tanya come una figlia.
“Se ti può far sentire meglio, Lionel aveva già una mezza idea di provarci con Tanya. Non ho dovuto dargli ordini, l’ho solo incoraggiato.”
“Non fraintendermi, non ti sto facendo la morale, anzi, vista in questo modo, è stata un’ottima idea, se Tanya ne trae giovamento.”
“Su questo non ho dubbi.”
“Che vuoi dire? Hai verificato di persona le capacità di Lionel?”
Ron si sedette sul suo letto ghignando, Harry gli tirò una scarpa, che il rosso schivò. Se non altro, era riuscito a vedere il sorriso del suo più caro amico, dopo anni.

 

*

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Capitolo 8
*** Collegamenti mentali ***


Collegamenti mentali

Quella bruma appiccicosa, che non si poteva definire nebbia, gli ricordava in maniera inquietante un autunno di parecchi anni prima, trascorso come un animale braccato insieme agli amici più cari. Nero e silenzioso come una pantera, si aggirava sul ponte del traghetto senza riuscire a scrollarsi di dosso l’agitazione. In testa l’immagine del piccolo vano passeggeri, Ron in un angolo, la schiena appoggiata alla parete e le braccia conserte. Tanya seduta al centro, la squadra intorno a lei in una sorta di testuggine difensiva.
Aveva scommesso sul cavallo giusto. Quella mattina, Tanya si era presentata nella hall dell’albergo molto più rilassata. A colazione e per tutta la giornata, a nessuno erano sfuggiti gli sguardi di complicità che lei e Lionel si scambiavano, le piccole attenzioni reciproche. Il pensiero di aver dato il via a una possibile storia poteva essere piacevole, peccato che stessero per affrontare una missione potenzialmente mortale e non ci fosse tempo per tali distrazioni.
Salvare Hermione.
Quel ritornello era entrato in testa a tutti, diventando quasi odioso.
È più probabile che serva qualcuno che salvi noi da lei.
Non poteva dare torto a Ron, per quanto stentasse a credere che il suo più caro amico avesse raggiunto tali vette di cinismo.
Il cinismo è il futuro di ogni sognatore.
Questa doveva averla sentita alla radio.
Tentò di svuotare la mente scrutando il nero che lo circondava, immaginando il fiume limaccioso, di cui percepiva solo l’umido mormorio. Avrebbe pagato per un diversivo qualsiasi, il tempo andava a rallentatore e nell'oscurità Liverpool attendeva con le sue minacce silenziose.
“Ci siamo quasi, comandante.”
Il nostromo venne in suo aiuto. Harry annuì meccanicamente. Le luci della città erano un baluginio ancora distante nella bruma notturna.
Andò alla porta della cabina e batté quattro colpi nella successione convenuta, si aprì quasi all’istante e il volto di Ron apparve nello spiraglio.
“Muoviamoci.”
Ron annuì e fece un gesto verso l’interno. Harry riuscì a vedere Tanya nella posizione in cui l’aveva lasciata, Lionel e Kendra seduti ai suoi fianchi, gli altri, in piedi intorno a loro, parevano un’agguerrita compagine di guardie del corpo, con una star in attesa di salire sul palco.
Uscirono come stabilito, Tanya confusa fra loro, tutti con il cappuccio tirato sopra la testa. Harry si augurò per l’ennesima volta che quelle precauzioni servissero a qualcosa.
Nel momento in cui Tanya rimetterà piede a Liverpool, la Cacciatrice lo saprà.
Altre parole di Ron che bruciavano come un anatema.
Collegamenti mentali.
Di certo Tanya non possedeva parte dell’anima della sua avversaria, Hermione doveva aver trovato un altro modo per chiedere aiuto, ma quale? La domanda lo tormentava, probabilmente Ron si stava chiedendo la stessa cosa. Non dovevano dimenticare che, dopo Hogwarts, Hermione si era dedicata allo studio di Golconda, aveva raggiunto livelli che loro, e persino Tom, non potevano nemmeno immaginare. Essere sotto controllo magico, eppure riuscire a mettersi in comunione mentale con una persona al punto da farla quasi impazzire.
Cosa sei diventata?
Montarono su due scialuppe, cinque in una e quattro nell’altra, che furono fatte sollevare magicamente e depositate sul pelo dell’acqua. I remi furono spinti fuoribordo e Harry osservò il fianco del traghetto allontanarsi nell’oscurità verso Liverpool. Nella quiete notturna, lo sciabordio della voga gli parve assordante.
Uno stretto pontile si protendeva sul fiume. Harry notò due figure incappucciate in attesa al termine di esso, quella in piedi fece loro cenno di fermarsi, quando furono a portata di voce. Sentì Ron e lo sconosciuto scambiare l’interminabile serie di formule convenute.
“Bene, sbrigatevi!” Ordinarono aspramente dal pontile, quando ebbero finito.
La voce era rauca, inacidita dall’ansia, quegli uomini erano spaventati. Harry non si sentì in grado di dare loro torto, mentre cercavano di individuare Tanya con occhiate preoccupate.
Le barche furono ormeggiate magicamente, dovevano aver reso silenzioso il pontile, perché i loro passi non fecero rumore sulle vecchie tavole. Le guide li condussero attraverso un canneto ad alcune baracche di pescatori, nessuna luce indicava presenze all’interno. Un pertugio si aprì in silenzio e Harry fu fatto passare per primo.
Si trovò in una stanzaccia puzzolente di pesce, fiamme magiche erano sospese sotto il soffitto a illuminare tenuemente la scena. Alle sue spalle, l’intera squadra fu fatta entrare, soltanto le guide rimasero all’esterno.
“Comandante Potter, benvenuto a voi e alla vostra squadra.” Lo salutò Leo Larkin, seduto oltre un tavolaccio sgangherato.
Rispetto all’uomo che gli aveva parlato attraverso il camino, sembrava invecchiato di un’era geologica. Lo sorprese il fatto che non si alzasse per accoglierli più degnamente, appariva terribilmente stanco e abbattuto.
“Spero abbiate fatto buon viaggio.”
“Nei limiti del possibile.”
“Vogliate perdonarmi l’accoglienza in questo postaccio.” Proseguì Larkin. “Purtroppo la Cacciatrice si aggira ormai liberamente nella Liverpool magica e nessuno è al sicuro. Può colpire dove vuole e in qualsiasi momento, spero abbiate un piano per fermarla perché noi siamo allo stremo delle forze. Abbiamo messo al sicuro più persone possibile, anche adesso si sta facendo il massimo in questo senso, purtroppo siamo rimasti in pochi.”
Harry sentì le gelide mani dell’inquietudine insinuarsi. Con la coda dell’occhio cercò di scrutare i compagni, ancora incappucciati, quasi subito individuò un dettaglio che poteva essere fondamentale. La mano di Tanya, doveva essere sua, essendo lei la sola del gruppo a conoscere bene il comandante Larkin. Aveva le dita chiuse a pugno, tranne indice e medio che erano piegati a uncino. Un segnale in codice della vecchia Phoenix.
Qualcosa non va.
Sperò che anche Ron lo avesse notato, o qualcuno fra Drew e Jack. Si augurò che i nuovi fossero stati attenti nel pomeriggio, quando erano stati spiegati i vecchi segnali.
Non siamo neanche arrivati e siamo già nei problemi.
“Se volete seguirmi, abbiamo approntato per voi una base operativa, da cui potrete dirigere le operazioni.” Proseguì Larkin, alzandosi a fatica.
Tutto pareva andare secondo i piani, il traghetto, le scialuppe, il pontile e la baracca da pescatori, ma il Leo Larkin che lui e Tanya conoscevano avrebbe avuto un diavolo per capello, sarebbe andato su e giù saltellando per la stanza, stritolando mani, battendo pacche sulle spalle, parlando troppo in fretta per spiegare loro la situazione, mangiandosi le parole.
“Ci materializzeremo in una sede Auror in disuso, che è stata riattrezzata per l’occasione.”
“Un momento.” La voce di Ron parve spezzare un incantesimo di sospensione. “Jack, la porta! State all’erta voi altri!”
Il rosso, consapevole del segnale di Tanya, doveva aver deciso di vederci chiaro subito. Harry annuì, convenendo silenziosamente, diverse bacchette furono sfoderate. Se erano già caduti in una trappola, tanto valeva fare la voce grossa.
“Non vi offenderete, capitano, se facciamo qualche accertamento.” Proseguì Ron. “Lionel, controlla che quest’uomo sia effettivamente Leo Larkin.”
“Ah, questo intendete, niente in contrario ovviamente.” Disse in tono stanco Larkin, porgendo la bacchetta a Lionel.
Harry sentì i nervi di tutta la squadra tendersi, mentre lo Spezza Incantesimi faceva le sue verifiche. Leo Larkin si lasciò esaminare senza batter ciglio, con aria quasi annoiata.
“È lui, senza dubbio, e non è sotto incantesimo.” Decretò alla fine Lionel.
Un’ombra di delusione si palesò per un istante sul volto di Ron, solo Harry dovette notarla. Nessuno però ripose la bacchetta e Tanya continuò a lanciare il suo silenzioso segnale d’allarme.
“Se volete disporvi intorno al tavolo, è una Passaporta.”


Passaporta che forse non era stata approntata con le dovute cure, perché si schiantarono malamente nell’erba alta. Alla luce della luna attraverso uno squarcio fra le nubi, Harry intuì il profilo di un grande cancello in ferro battuto, al culmine del quale stava come sospesa un’iniziale non più leggibile, ma forse era solo per via dell’oscurità. Oltre doveva esserci una villa con relativa tenuta, ma le condizioni del cancello lasciavano intuire che tutto fosse in abbandono.
“Sarebbe questo il posto?” Volle sapere, rivolto a Leo Larkin.
“Non esattamente.” Rispose questi, emergendo da dove era caduto.
“Che significa non esattamente?” Si inserì Ron.
“La Passaporta era… come dire, manomessa.”
Lo stridio metallico, prodotto da Ron che sfoderava la spada, sconvolse la quiete della brughiera. Senza più remore, puntò l’arma alla gola di Leo Larkin.
“Non è il momento adatto per prenderci per il culo.” Sibilò. “Che sta succedendo?”
La squadra si era ricomposta con ottima efficienza, ebbe tempo di notare Harry.
“Suvvia, Leo.”
Gli sguardi di tutti conversero al sommo di una delle colonne che sostenevano il cancello, dove una piccola figura stava appollaiata, un bastone di qualche genere adagiato sulle ginocchia. Il cuore di Harry perse un colpo, era come Tanya l’aveva descritto. L’iniziale in cima al cancello era una J, ora gli appariva chiara come fossero stati in pieno giorno.
Gli anelli all’estremità del bastone di Juggler tintinnarono lievemente, quando parve voler assumere una posizione più comoda.
“Alla tua età non dovresti essere così in imbarazzo. I nostri ospiti ti hanno chiesto dove ci troviamo, perché non ti spieghi meglio?”
“Vi chiedo scusa.” Disse grave Leo Larkin. “Sono dovuto scendere a patti con loro, per evitare altri morti, mi dispiace. Mi hanno detto di portare qui la New Phoenix, in cambio della pace per Liverpool, non mi hanno lasciato scelta.”
“Come hanno saputo della New Phoenix?” Sibilò Harry.
“La Cacciatrice vede e sente tutto quello che succede a Tanya, anche se sono molto distanti. Se avessi saputo che il collegamento fra loro è così forte, non le avrei permesso di venire a Londra.”
“Ma quanto siamo melodrammatici!” Esclamò Juggler. “Signori, questa è una notte per divertirsi, cosa sono quei musi lunghi? Allora, chi è abbastanza coraggioso per entrare nella Casa dei giochi di Juggler?”

 

*


Next time: Jugglershow

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Capitolo 9
*** Jugglershow ***


Jugglershow


Furono fatti entrare in una vasta anticamera, uno stanzone spoglio, illuminato a stento da due bracieri posti ai lati. Compagini di grossi ratti si disgregarono squittendo al loro ingresso, andando a rintanarsi in invisibili aperture nei muri. Il tanfo avrebbe fatto perdere i sensi a persone meno preparate. La squadra si dispose in assetto da battaglia, armi alla mano.
“Le bacchette non vi serviranno, per il momento.” Disse la voce di Juggler nell’oscurità.
Altre luci si accesero, bracieri posti più in alto. Alzando gli occhi, diversi si coprirono la bocca per l'orrore. Il soffitto non era visibile, celato da un marasma di corpi sospesi nel vuoto. Cadaveri mummificati, si riusciva a intuirne la pelle tesa su ossa sporgenti come un velo quasi impalpabile. Le pose erano contorte, innaturali, grottesche, i volti deformati da espressioni di sovrannaturale sofferenza. Mandibole divelte, chiostre di denti marci senza più labbra, bulbi oculari bianchi parevano fissare i nuovi venuti.
“Perché questa follia?” Gemette Leo Larkin con un filo di voce.
“Loro sono i giudici di gara, scusate se non ve li presento uno alla volta, ma potrebbe risultare noioso, sono di poche parole.” Juggler era disteso sul davanzale di una finestra cieca nel muro opposto all’ingresso. “Si dia inizio ai giochi!” Proclamò con enfasi.
A un tintinnio del suo bastone, tre mummie fluttuanti si schiantarono davanti alla squadra inorridita, rimanendo immobili in pose surreali.
“Tre. Mi piace come numero, dunque facciamo squadre da tre, ma voi siete dieci, il conto non torna. Occorre che uno di voi rinunci a partecipare.”
Più o meno tutti percepirono la minaccia insita in quelle parole, ma non ci fu tempo se non per alzare le bacchette. La punta del bastone di Juggler si illuminò, gli anelli tintinnarono ancora. Leo Larkin trasalì, portandosi al petto una mano tremante.
“Leo!” Esclamò Tanya afferrandogli un braccio.
“Suvvia, Leo, cos’è quello sguardo?” Fece languido Juggler. “Pensavi che al capanno mi fossi limitato a stregare il tavolo?”
Leo Larkin si artigliò il torace, mentre il volto si contorceva per il dolore e il respiro gli diveniva un rantolo. Cadde in ginocchio, Tanya da una parte e Lionel dall’altra gli impedirono di schiantarsi a terra. Sputò una boccata di sangue scuro e si afflosciò come un mucchio di stracci. Tanya continuò a chiamare il suo nome, quando l’ebbero steso a terra. Michael e Sofia si erano precipitati e mormoravamo incantesimi muovendo le bacchette sul corpo esanime.
“Lasciate perdere, signori, non potete fare nulla. Il suo povero vecchio cuore è esploso come un palloncino. Comode queste maledizioni a scoppio ritardato.” Celiò Juggler.
Tanya strinse i denti, nel vano tentativo di trattenere le lacrime. Lionel avrebbe voluto abbracciarla, ma il corpo del morto era rimasto in mezzo a loro.
“AVADA KEDAVRA!”
Dalla bacchetta di Tanya uscì uno sputacchio di luce verde, che svanì nello spazio di pochi centimetri. Nella sala piombò un silenzio mortificato.
“Tanya, mi offende che tu abbia una così bassa considerazione di me, tu che mi conosci più di chiunque altro in questa sala, parlando di vivi, ovviamente.” Argomentò Juggler. “Qui le vostre bacchette sono inutili, pensavi davvero che funzionasse?”
Tanya avvertì la presenza di Ron da una parte e di Lionel dall’altra. Con uno sforzo immane, abbassò la bacchetta e riuscì a ricacciare indietro le lacrime.
“Ora attenzione, miei cari ospiti, con il vostro permesso, formerò le squadre.”
Nello sconcerto generale, il bastone di Juggler continuò a tintinnare. Uno dei cadaveri fluttuanti piombò giù dal soffitto, afferrò Lionel sotto le ascelle e tornò da dov’era venuto, rapido come il pensiero. Il giovane svanì alla vista senza nemmeno il tempo di gridare.
“LIONEL!”
Un altro cadavere saettò dall’alto, circondò il torace di Harry con le braccia e se lo portò via.
Ron tuonò un paio di ordini e la squadra si compattò intorno a lui, si strinsero in un ammasso di corpi come pulcini con una chioccia.
“Signori, evitiamo queste bambinate.” Ingiunse Juggler.
Una forza invisibile li colpì, disgregò la falange mandandoli tutti a terra, come birilli dopo uno strike. Un terzo cadavere cadde e ghermì Sofia, senza darle tempo di reagire. Sparirono accompagnati da un grido più di stupore che di paura.
“E la prima squadra è fatta!” Esclamò gongolante Juggler.
“DOVE LI HAI MANDATI, BASTARDO?” Tuonò Ron.
“Taci, feccia!”
Un cadavere piombò addosso al rosso, lo cinturò con gambe e braccia e lo portò via, nonostante lui si dimenasse furiosamente.
Tanya tentò di sfoderare le spade, ma erano come incollate nei foderi, non riuscì a smuoverle di un millimetro. Possibile che tutte le loro armi fossero abolite?
“Hai fretta?” Domandò Juggler, notando il suo movimento.
Anche Tanya fu prelevata. Jack cercò di afferrarla ma una forza invisibile lo respinse, mandandolo a cozzare di schiena contro una parete.
Fu il turno di Kendra a sparire, i superstiti non tentarono più di opporsi.
“E anche la seconda squadra è a posto!” Proclamò Juggler con soddisfazione. “La terza, di conseguenza, siete voi che rimanete.”


Harry giaceva sulla schiena, pur con l’impressione di essere illeso, attese alcuni secondi prima di sollevarsi. Era immerso nel buio più completo, al punto di dubitare che gli occhi fossero aperti. Il viaggio fra le braccia del cadavere volante era stato come andare sulle montagne russe, con cambi di direzione così bruschi da togliergli il fiato. Era stato deposto a terra con più delicatezza di quanto si fosse aspettato, il cadavere era subito svanito.
Percepì movimento da qualche parte sulla destra ma non osò accendere la bacchetta.
“Chi va là?” Intimò sottovoce.
“Harry?” Un sussurro appena.
“Lionel! Dove sei?”
“Qui!”
Sentì sul braccio la mano del giovane che si protendeva per cercarlo e l’afferrò.
“Avevate idea che fossero così potenti?”
La voce di Lionel non pareva spaventata, piuttosto sorpresa.
“No.” Dovette ammettere Harry. “Ma non dimentichiamo che questa gente è riuscita a catturare e asservire Hermione Granger.”
“Ci sarà qualcun altro oltre a noi?”
Harry capì che il giovane stava cercando di guardarsi intorno.
“Se ho inteso bene le parole di quel pazzo, dovremmo essere in tre.”
“Harry! Lionel!”
“Sofia! Lumos!” Si decise Harry.
Una figura rannicchiata era intenta a massaggiarsi una caviglia. Si precipitarono su di lei.
“Stai bene?”
“Ho preso una storta quando mi hanno depositata.”
“Presumo tu possa sistemarla.”
“Sì, certo.”
Passò la punta della bacchetta sulla caviglia mormorando un paio di incantesimi, quella si sgonfiò all’istante. Harry e Lionel attesero che potesse alzarsi, scrutando nel buio circostante. Entro il raggio luminoso delle bacchette pareva non esserci nulla.
“Se non altro, le bacchette funzionano di nuovo.” Fece notare Sofia.
“Almeno questo.” Convenne Harry.
Le luci si accesero all’improvviso, mettendo a dura prova i loro occhi dopo tanta oscurità.
“Si direbbe una galleria di famiglia.” Azzardò Lionel, appena ebbero rimesso a fuoco.
Erano in un lungo e vasto corridoio illuminato da candelieri a tre bracci infissi nei muri. Sulle pareti stavano appese tele enormi, raffiguranti personaggi in costumi di foggia antica. C’erano nobili dame, distinti gentiluomini, uomini di chiesa, soldati, cavalieri, tutti quadri babbani, immobili entro sfarzose cornici dorate.
“Dubito che gli farebbe piacere, sapere cos’è diventata la loro dimora ancestrale.” Proseguì Lionel, scrutando la tela di un certo Sir Lancel.
Harry lo notò con la coda dell’occhio, mentre si guardavano intorno. Il quadro alle spalle di Sofia parve gonfiarsi, come se volesse uscire dalla cornice, la dama in costume azzurro che vi era ritratta protese le braccia verso l’ignara vittima. Alzò la bacchetta e colpì d’istinto, la figura surreale si contorse e tornò nel quadro, dove si ricompose, ma sul volto le rimase un’espressione famelica che un pittore Babbano non avrebbe mai dipinto.
“Sono stregati! Rimaniamo uniti!” Ordinò Harry.
Formarono un triangolo con le schiene, in modo da non avere punti ciechi. Sir Lancel si protese in avanti, la bocca spalancata in un urlo silenzioso, gli occhi vuoti, ma Lionel lo respinse. Un corpulento abate si scagliò su Sofia ma questa volta lei era pronta.
“Scudo Magico Circolare!” Ordinò Harry. “E leviamoci da qui!”
“Là in fondo c’è una porta!” Indicò Sofia.
“Correte!”
Il corpo di una giovane dama in rosso si allungò come un serpente da un capo all’altro della galleria, bloccando loro il passo, fu tempestata di incantesimi ma non cedette. Altri scattarono in avanti, lo scudo scoppiettò respingendo i primi attacchi, poi divennero troppi. Harry e Sofia si diedero da fare per rinforzarlo, mentre Lionel cercava di ricacciare la dama in rosso nel suo quadro.


Ron emerse da mezzo metro di acqua e melma putrida. Con una sonora imprecazione, afferrò il braccio di Kendra e la rimise bruscamente in piedi. Tanya era già in assetto da battaglia, le lame delle spade circondate da fiamme violacee illuminavano il tetro ambiente.
“Hai idea di dove siamo?” Chiese Ron.
“Nella merda.” Rispose Tanya.
“Fin qui potevo arrivarci da solo.”
Ron sguainò a sua volta, la spada Hermione si illuminò scacciando altre tenebre. Per essere un tunnel scavato nel sottosuolo appariva molto vasto, piuttosto una caverna.
“Come ne veniamo fuori?” Domandò Kendra.
“Per quel po’ che conosco Juggler, tutto ciò che pensa lo trasforma in giochi e competizioni. Per ottenere qualcosa c’è un solo modo, vincere.”
“D’accordo, ma vincere cosa?”
“Qualunque cosa. Ha detto che questa è la sua casa dei giochi, è qui che prendono forma le sue fantasie, come prove per chi entra.”
“E se si perde?”
“Meglio non doverlo imparare.”
Alle sue spalle apparve un mostro verde, il volto di un pesce su un grosso corpo vagamente umanoide, protese braccia membranose per afferrarla. Tanya si piegò sulle ginocchia per sfuggire all’attacco e menò un furioso fendente al fianco della creatura, che si dissolse.
“State all’erta, non saranno tutte illusioni.” Commentò.
“Kendra, percepisci gli altri da qualche parte?” Volle sapere Ron.
“Ho già provato, nessuna traccia. Ogni ambiente della casa deve essere schermato in maniera indipendente e con incantesimi potenti.”
“È una trappola per gli Auror.”” Spiegò Tanya. “Juggler non è il tipo da tralasciare i dettagli.”
“Non pensavo fosse così in gamba.”
“Juggler non è così in gamba. I cadaveri volanti, le bacchette depotenziate, le spade come incollate nei foderi, pure l’incantesimo che ha ucciso Leo, sono tutte trovate in stile Golconda. Juggler tiene solo i fili, è la Cacciatrice a fare il lavoro sporco.”
“Può uccidere anche noi nello stesso modo?”
“Speriamo di no.”
“Cerchiamo la fonte di magia più forte.” Ordinò Ron.
“Da quella parte.” Indicò subito Kendra.
Due omuncoli deformi con enormi teste di rana emersero dal fango e si avventarono sul comandante, che li evitò scattando di lato. Ne colse uno prima che toccasse terra, il corpo diviso in due tronconi si perse nell’oscurità. Ron si avventò sul secondo e lo finì con altrettanta facilità.
“Ma che razza di schifezze sono?”
“Esperimenti, credo.” Disse Tanya. “Dubito che fossero così, prima di incontrare Juggler.”
Un corpo biancastro con tentacoli rossi al posto della faccia comparve ai piedi di Kendra. Ron ebbe tempo solo per notare che la giovane donna si era accorta del pericolo, quella che gli parve una canocchia gigante si materializzò dal nulla, puntandolo di gran carriera. Tanya stava duellando con una sorta di iguana con testa di cane e un serpente al posto della lingua. Altre creature erano in arrivo, si sentivano i loro movimenti nell’oscurità.
La prima cosa da fare, quando ne usciamo, è staccare la testa a Juggler.


Il colpo contro la parete gli aveva fatto perdere i sensi, Jack riemerse dallo stordimento avvertendo il dolore alla nuca. Cercò di sollevare le mani per tastarsela, ma si rese conto di non poterle muovere. I polsi erano incatenati ai braccioli di quella che gli parve una poltroncina da teatro, le caviglie erano ugualmente bloccate.
“Stai bene?”
Drew era sulla sua destra, immobilizzata nella stessa maniera.
“Credo di sì.” Riuscì a biascicare con la bocca impastata. “Dove siamo?”
“Ce lo stavamo chiedendo.”
Michael era incatenato a una terza poltroncina alla sua sinistra. Doveva aver lottato, a giudicare dalle brutte escoriazioni alla fronte e sulle braccia nude.
La luce scendeva dall’alto e illuminava appena lo spazio da loro occupato, intorno non si intuiva niente, era nero compatto.
“Almeno siamo comodi.” Tentò di sdrammatizzare.
Una seconda luce si accese, più in basso rispetto a loro. Al centro di un cono luminoso apparve Juggler, in equilibrio su un alto sgabello che parve fatto di cristallo. Teneva in mano una cartelletta e un microfono senza filo, da qualche parte si accese una musichetta d’accompagnamento degna di un talkshow di infima categoria.
“Signori, benvenuti nell’Arena di Juggler!”
La sala finì di illuminarsi. Erano in un teatro a pianta circolare, lo sgabello di Juggler posizionato sul campo centrale. Alcuni posti intorno a loro erano liberi, altri occupati dai cadaveri che avevano visto fluttuare nella sala d’ingresso.
“In attesa che i vostri amici ci raggiungano, faremo un quiz. È un gioco che piace molto ai babbani. Prima domanda! Come si chiama l’attore protagonista del film Vomita coi lupi? Pietro Lianori? Abule Joe? Poptet Incu? O Abdel Lekalek? Trenta secondi per rispondere.”
I tre Auror scambiarono occhiate attonite.
“Venti secondi!”
Vomita coi lupi?” Ripeté Drew incredula.
“Dieci secondi!”
“Capisco che voglia prenderci in giro, ma questo…”
“Il tempo è scaduto e nessuno ha dato la risposta, penitenza!”
Il bastone magico di Juggler tintinnò, nella mano destra di ognuno dei tre il dito indice si torse all’indietro fino a spezzarsi. Il dolore improvviso li fece urlare.
“Seconda domanda! Come si chiamavano le armate del Generale Gregor che nel 1732 conquistarono la città di Bothroyd? I Gatti Zoppi? I Beatles? Franco? O Barbara Streisand? Trenta secondi per rispondere!”
“Ma chi è Gregor?” Chiese Michael.
Gli altri lo guardarono in modo indecifrabile.
“Venti secondi.” Infierì Juggler.
“E dove sta la città di Bothroyd?” Si domandò Jack.
“Dieci secondi!”
“Barbara Streisand!” Tentò Drew alla disperata.
“La risposta è… sbagliata!” Tuonò Juggler.
Il bastone magico tintinnò di nuovo e fu il medio della destra di Drew a spezzarsi, con il suono scricchiolante di un pezzo di legno in torsione forzata. La donna si piegò in avanti con un grido strozzato, strinse i denti per resistere al dolore e alla nausea.
“Bastardo!” Fremette Jack.
“Ragazzi, il gioco è più serio di quanto sembri.” Fece notare Michael con pragmatica tranquillità. “Cerchiamo di stare calmi e ragionare.”
“Terza domanda! Durante la seconda guerra punica, perché Annibale scelse di non attaccare direttamente Roma, nonostante la schiacciante vittoria ottenuta a Canne? Ebbe un attacco di emorroidi? Il match fu rinviato per impraticabilità del campo? Si era sotto le feste? O si accorse che c’era il pickup di Chuck Norris parcheggiato fuori Roma? Trenta secondi per rispondere!”
“Vi ricordate qualcosa delle guerre puniche?”
“Venti secondi!”
“Se anche fosse, le risposte sono tutte idiote.”
“Dieci secondi!”
“C’era il pickup di Chuck Norris!” Gridò Jack.
“La risposta è esatta! Bravo il signor Carter!”
All’istante, una cascata di sterco putrido cadde dall’alto e sommerse Jack.
“Ma che schifo!” Gemette Drew.
“Se la sbagliavo cosa mi succedeva?” Mormorò Jack esasperato.
“Forse pigliavi un calcione da Chuck Norris.” Ipotizzò Michael.
“Quindi, tutto sommato, mi è andata bene.”
“Magari ci fosse Chuck Norris a salvarci da questo pazzo.”
“QUARTA DOMANDA!”
“Qualcuno mi uccida.”


“SOFIA!” Harry sentì Lionel gridare. “L’hanno presa!”
Non vedeva più i compagni, un gentiluomo in costume nero lo stava schiacciando a terra. Vista l’inutilità degli incantesimi, si risolse a cacciargli la bacchetta in un occhio, spingendo più a fondo che poté senza perdere la presa sull’arma. Il personaggio dipinto esitò l’istante necessario per scrollarselo di dosso a calci, Harry riuscì a rimettersi in piedi. Individuò Sofia in un viluppo di membra che la trascinavano sul pavimento, Lionel colpiva da tutte le parti ma non serviva.
“BOMBARDA!” Ruggì, rivolgendo l’incantesimo contro il quadro.
Il muro circostante esplose con una pioggia di calcinacci, ma la cornice ebbe a malapena un fremito. Harry scagliò gli incantesimi più distruttivi che conosceva, ma non ottenne risultati migliori. Lionel aveva rinunciato ad attaccare, cercava di trattenere la collega tirando per la sola mano che emergeva dall’ammasso. Harry pensò di versargli sopra una fiala di pozione caustica, ma c’era il rischio di danneggiare anche Sofia. Lo prese a calci e pugni, non sapendo che altro fare, nemmeno la sua esperienza serviva contro la follia creativa di Juggler. Una figura priva di lineamenti emerse dal groviglio e colpì Lionel con un devastante uppercut alla mascella, lo Spezza Incantesimi crollò a terra tramortito. Sofia svanì all’interno della cornice, Harry fu gettato a terra dalle figure che tornarono freneticamente nei rispettivi quadri, dove riassunsero le pose ordinate che avevano avuto in origine. Calò un silenzio irreale.
“Lionel!”
Harry si precipitò a soccorrere il giovane rimasto immobile a terra, gli tastò la mascella in cerca di fratture. Non trovandone, si limitò a un paio di potenti incantesimi antidolorifici. Di pugni ne aveva dati e presi tanti, ma una sventola del genere non la ricordava. Lionel emise un gemito strizzando le palpebre e si fece aiutare a mettersi seduto.
“Dov’è Sofia?” Fu la sua prima preoccupazione.
“È scomparsa dentro il quadro. Tu come ti senti?”
“Farò fatica a dimenticare questo sganassone. Presumo che non caveremmo niente da loro, qualora facessimo un tentativo.” Lionel fece cenno alle tele che li circondavano.
Harry scosse la testa.
“Dobbiamo scoprire dove l’hanno portata.”
Aiutò Lionel a rimettersi in piedi, il giovane ebbe un capogiro ma riuscì a controllarlo.
“Ce la fai?”
Annuì, benché fosse palesemente debilitato dal colpo.
Raggiunsero la porta per cui avevano lottato senza che altro li ostacolasse, Lionel diede fondo al repertorio di Spezza Incantesimi per accertarsi che non fosse incantata. Aperti i catenacci, scivolò sui cardini senza incontrare resistenza.
“Le cose che non ho mai visto stanno diventando un po’ troppe.” Commentò Harry.
Le luci si erano accese nel momento in cui avevano varcato la soglia. Erano enormi, alti fino al soffitto, gonfi come palloni e di tanti colori diversi. All’ingresso dei due Auror, presero vita.
“Ora posso preoccuparmi?”


“Michael, non voglio guardare, cosa ti è caduto addosso questa volta?”
“Cimici, blatte, roba schifosa che non conosco.” Rispose l’interpellato con nonchalance.
Dopo una serie di domande sempre più surreali, Drew aveva quattro dita spezzate e puzzava orrendamente di urina, Jack, oltre ad essere coperto di cacca, aveva collezionato cinque fratture, Michael con le dita era ancora fermo a tre, ma era coperto di vomito in cui zampettavano schifezze. Si accorse a stento che la poltroncina alla sua destra svaniva inghiottita dal pavimento, per riemergere poco dopo con un nuovo occupante.
“Che piacere! La signorina Harrer si unisce al gioco!” Rumoreggiò Juggler estasiato.
“Benarrivata.” Riuscì a dire Michael.
Sofia considerò l’ammasso informe di vomito e insetti che le rivolgeva la parola. Si mise a urlare e tentò più volte di fuggire, prima di rendersi conto delle catene.
“M… Michael?” Riuscì a domandare, una volta recuperata la lucidità.
“Quello che ne resta.” Fece l’uomo.
Sofia ebbe pochi secondi per registrare la situazione, nessuno per decifrarla. La musichetta da talkshow si era intensificata, forse per accoglierla più degnamente.
“Quale gioco?”
“È lunga da spiegare.” Disse un cumulo di merda seduto oltre Michael con la voce di Jack.


“Vortice!” Tuonò Ron.
“Sono pronta!” Gli fece eco Tanya.
Le fiamme intorno alle lame si intensificarono, si allargarono fino a fondersi, creando un globo incandescente che li circondò. Tutto fu inondato di luce, come se un piccolo sole si fosse acceso all’improvviso. Il fuoco si allargò vorticando intorno a loro, spazzando via le creature che ancora li attorniavano. Durò un istante, il tempo di raggiungere i limiti della caverna per mondarli dal putridume che vi allignava.
“Mi mancavano queste stronzate!” Esclamò Tanya soddisfatta.
Il Vortice delle Spade Fiammeggianti, la loro tecnica di coppia preferita negli anni della Phoenix. Una fra le tante trovate geniali di Hermione, forse dedotta dagli insegnamenti dell’inesauribile Golconda.
“Dov’è Kendra?”
La soddisfazione di Tanya gelò di fronte al volto duro di Ron.
“Era con noi un attimo fa!” Rispose, gettando intorno sguardi preoccupati.
Erano soli, a parte le poche creature scampate al vortice che si stavano già riorganizzando.
“KENDRA!”
Chiamarono entrambi più volte, ma l’eco delle loro voci si perse contro le volte della grotta, senza che giungesse risposta. Tanya lanciò incantesimi di ricerca da tutte le parti, senza risultato, mentre Ron, masticando imprecazioni, teneva a distanza le creature rimaste.
“Non l’ho vista cadere!” Stridette Tanya.
“Nemmeno io.”
“Non avremo carbonizzato anche lei?”
“No, mentre preparavamo il Vortice era in mezzo a noi.”
Prima Leo, ora Kendra, senza contare tutti gli altri di cui ignoravano la sorte. Tanya sentì la smania di stringere le dita intorno al collo di Juggler.
Fu il puro istinto a salvarla, alzò le spade all’ultimo istante utile. Il contraccolpo fu tremendo e la fece volare nel fango, senza la cognizione di cosa l’avesse colpita.
Rialzando la testa, sentì il cuore accartocciarsi.
Siamo spacciati.
Ron le faceva da scudo, la spada, traboccante di potere, puntata contro una figura nera armata di lucenti Tonfa Blade.

*


La tenuta da battaglia della Cacciatrice è presa in prestito dal devastante personaggio Karl Ruprecht Kroenen, come appare nel film Hellboy del 2004.


*


Next time: Il potere della Cacciatrice.

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Capitolo 10
*** Il potere della Cacciatrice ***


Il potere della Cacciatrice

“HARRY!”
Il comandante stava svanendo fra i corpi gommosi dei nemici, com’era accaduto a Sofia. Si intuiva solo un piede e la mano che reggeva la bacchetta, oltre ai lampi luminosi di incantesimi lanciati ormai alla disperata. Lionel ricorse ai sortilegi più distruttivi del suo repertorio, ma quelli crearono solo scoppi gelatinosi che lo insozzarono da capo a piedi. Era sempre andato matto per quelle caramelle, probabilmente non le avrebbe più toccate.
Harry svanì nella massa informe, Lionel dovette darsi da fare per non essere inghiottito a sua volta. Appesantito dal materiale gommoso, arrancò fino all’imbocco di un corridoio e si gettò all’interno. Due nemici cercarono di seguirlo, ma l’arcata era troppo bassa perché potessero insinuarsi. Attraverso uno spiraglio fra loro, intravide altri due portare via il comandante.
Decisamente nessuno si era aspettato che il nemico fosse così potente.
E la Cacciatrice non è ancora scesa in campo.
Una parvenza di suono alle spalle, qualcosa di strisciante. Lionel ruotò sul posto con calma apparente, mentre un brivido gli percorreva la schiena. Il corridoio era immerso nell’oscurità e puzzava di cose putrefatte. Non poté essere certo di percepire quelle vibrazioni con le orecchie, forse fu l’istinto a fargli accapponare la pelle. Qualcosa di molto sgradevole arrancava nel buio. Lionel materializzò tre sfere di luce fluttuanti, bengala magici da avanscoperta, e le mandò a esplorare il corridoio.
Perché sempre a me le situazioni più antipatiche?
Qualcosa di raccapricciante sollevò la testa ornata da una morchia informe di capelli e fango. Il volto in putrefazione di un cadavere scrutò Lionel, negli occhi una ferrea volontà di annientamento. Artigliò il pavimento con dita deformate da fratture multiple, sporche di fango e sangue rappreso, il corpo coperto da stracci fetidi si mosse a scatti nervosi.
Gettò un’occhiata ai precedenti avversari, che ancora bloccavano l’accesso al corridoio, osservandolo con espressioni anonime.
Forse era meglio vedersela con voi.
Altre creature seguivano la prima, alcune avvinghiate alle pareti avanzavano nella stessa maniera, un paio in incerte posizioni erette.
Ragni deformi.
Spettri della distruzione.
Schiavi spezzati.
Giochi di Juggler.
Non ho intenzione di unirmi a voi.



Le creature scampate al Vortice si dileguarono, forse consapevoli di chi fosse la nuova arrivata. Tanya cercò di rimettersi in piedi ma il fango l’aveva stretta in un abbraccio viscido. Intuì che Ron stava per rivolgersi alla Cacciatrice ma lei gli si avventò addosso, le lame cozzarono con esplosioni di scintille.
La mente di Tanya prese a galoppare.
Ron contro la Cacciatrice.
Per non dire Ron contro Hermione.

Con tutto ciò che significava.
Era una fortuna che lei portasse sempre quella maschera priva di lineamenti.
Doveva fare qualcosa, Ron era un mago con discreti poteri e maestro di spada, ma la Cacciatrice era di un altro pianeta. Li perse di vista in un attimo, il comandante fu travolto dalla furia devastatrice. Sentì i poteri ruggire e le lame stridere, poi ci fu una tremenda esplosione e la caverna si riempì di polvere.
“RON!”
Non giunse risposta, calò invece un silenzio raggelante.
Si liberò dal fango con uno strattone rabbioso, evitò due rane giganti che tentarono di afferrarla e si inoltrò alla cieca nella nube.
L’esplosione aveva aperto un varco nella parete del sotterraneo, riuscì a raggiungerlo brancolando fra massi spezzati. Intuì fiochi bagliori oltre il sipario caliginoso, capì che erano lampade solo quando fu sulla soglia del crollo. La breccia dava su un corridoio, i punti luce erano infissi nella parete opposta, alternati a massicce porte di legno.
Ron era steso sulla schiena, circondato da macerie e piccole creature acquatiche che si dibattevano in un velo d’acqua stagnante. Fissava il soffitto, non erano visibili ferite, aveva solo il respiro affannato.
“Tutto bene?” Chiese Tanya chinandosi.
“Pare di sì.”
“Lei dov’è?”
“Non lo so, ha sfondato il muro ed è sparita.”
Il corridoio era deserto. Tanya abbassò le spade, se la Cacciatrice fosse stata nelle vicinanze, se ne sarebbe resa conto.
“Non è più qui.” Stabilì, aiutando Ron a rimettersi in piedi. “Sembra quasi che sia intervenuta per farci uscire da quella fogna.”
Fece cenno all’apertura, le creature non avevano l’ardire di varcarla, limitandosi a osservarli con sguardi anonimi dalla penombra della caverna.
“Non fare ipotesi azzardate.” Le ingiunse Ron, massaggiandosi la spalla con cui doveva aver picchiato contro il pavimento.
Tanya gli porse la spada, dopo averla recuperata da un cumulo di macerie.
“Mica tanto azzardate. Ci ha spazzati via in un attimo, poteva fare quello che voleva, invece ha sfondato il muro e se n’è andata. La Cacciatrice non fa mai niente a caso.”
Ron non seppe cosa rispondere, si limitò a scrollare le spalle.
Di tutte le porte che davano sul corridoio, soltanto una era socchiusa, da essa filtrava una lama di luce. Ron la indicò a Tanya e vi si diresse, tenendo la spada pronta a colpire. La ragazza lo seguì, gettando occhiate all’altra estremità del corridoio.
“È vuota.” Disse il comandante, dopo aver scostato la porta con le cautele del caso.
Precedette Tanya all’interno.
La stanza puzzava di putrefazione, muffe e muschi divoravano le pietre. Sul pavimento si contorcevano larve bianche, coinvolte in una danza di spasmi. Resti di cibo marcescente erano i loro campi di gioco. Sul tavolo di fronte alla porta, unico mobile presente, raccoglievano polvere un paio di bottiglie vuote, un bicchiere scheggiato e una bacchetta abbandonata. Dalla parete opposta pendevano catene munite di polsiere, lorde di sangue rappreso.
“È qui!”
“Cosa è qui?”
Ron si volse verso Tanya, rimasta sulla soglia, ebbe quasi paura della sua espressione.
“È qui che la tengono prigioniera.”
I particolari, le sensazioni dell’incubo tornarono. Tanya sentì le viscere congelarsi, fu sul punto di mettersi a urlare come quella notte nel suo appartamento.
I vermi, il muro, le catene!
Juggler!

Pensò che le gambe stessero per abbandonarla.
Quella bacchetta sul tavolo!
Juggler!

Ron fece un passo verso di lei, vedendola vacillare. Negli occhi della ragazza c’era un’angoscia che atterriva.
Dolore!
Juggler!
Il male!
Juggler! Juggler!

La fonte del male, l’aveva raggiunta.
Fuggire!
Dolore!
Juggler!

Le sensazioni dell’incubo si dipanavano, mordevano ed erano violente come coltellate.
Juggler! Juggler! Juggler!
La Cacciatrice sa!
La Cacciatrice è parte di tutti noi!
Juggler! Maledetto Juggler!
La Cacciatrice verrà a cercarti, non importa dove ti nascondi!
La Cacciatrice vede!
La Cacciatrice sente!
Juggler! Juggler!

“Tanya!”
Ron la afferrò per le spalle, la sua voce forte e decisa tagliò come lama di spada il velo del delirio, dandole un insperato lampo di lucidità. Con lei c’era Ron, comandante, maestro, amico, padre adottivo, le venne in mente come se lo ricordasse solo in quel momento. La vista rimise a fuoco il volto dell’uomo, si rese conto di essersi aggrappata a lui.
“Va tutto bene.” Le stava dicendo. “È tutto a posto.”
Con un terribile sforzo di volontà, riuscì a riaversi. Cosa le era appena capitato? Non era certa di volerlo sapere.
Perdersi nell’incubo.
Equivaleva a impazzire.
La Cacciatrice è anche questo.
Scrutò ciò che la circondava, senza staccarsi da Ron.
Il potere della Cacciatrice.
“Stai bene?” Le chiese il comandante.
“Ho urlato?” Volle sapere lei.
“Un po’, che è successo?”
“Non lo so. C’è qualcosa qui che non riesco a spiegarmi.”
Lasciò il suo sostegno e si avvicinò alle catene infisse nel muro.
“È come se la sua presenza avesse pervaso la stanza, mi è parso che mi aggredisse quando sono entrata. Cioè, lei è qui e allo stesso tempo non c’è.”
“Non credo di capire bene.”
“La stanza, le pietre! Trasudano il potere della Cacciatrice, ma perché l’ha fatto? Qui la tengono prigioniera, sicuramente sotto fortissimi incantesimi di controllo. Non può usare i suoi poteri quando è qui. Allora li ha riversati a piccole dosi fin dove le è stato possibile arrivare.”
Ron intuì che stava ormai ragionando a ruota libera per suo conto, che vedeva e sentiva cose che per lui erano invisibili. Rinunciò quindi a fare domande e attese che si spiegasse.
“Forse è stata una forma di ribellione sotterranea, invisibile a chi la tiene prigioniera. Oppure espandere il suo potere in questo modo le è servito per fare altro.”
Corse al tavolo e si impossessò della bacchetta abbandonata. Ron intese che la stava leggendo, passando in rassegna gli incantesimi che aveva eseguito.
“Sì! Ha rinforzato di continuo gli incantesimi di controllo! Capisci cosa significa?”
“Veramente no.” Fece Ron attonito.
“Juggler ha paura! È terrorizzato! Teme che lei possa rompere il controllo e ribellarsi, in quel caso niente la fermerebbe! Non capisci? Dietro la Cacciatrice esiste ancora una volontà, questa stanza ne è la prova! Forse ci ha portato qui proprio per farcelo capire, voleva che la vedessimo! Forse c’è davvero una speranza di far tornare Hermione!”
Ron scosse la testa, non tanto in segno di diniego quanto per esternare la confusione che lo aveva colto. Ebbe l’impressione che Tanya stesse correndo troppo, lasciarsi andare a certe speranze poteva essere pericoloso. Aprì bocca con l’intenzione di smorzare i toni, ma fu un altro il pensiero che si inserì prepotente nella sua voce.
“Sembri proprio lei.”
Tanya si interruppe per rivolgergli uno sguardo indecifrabile.
“Nel modo di muoverti e di parlare.” Spiegò Ron. “Sei uguale a lei.”
Tanya distolse lo sguardo, messa a disagio da quel brusco cambio d’argomento.
“Hermione è stata… sai benissimo cosa siete stati per me.”
A Ron tornarono in mente di colpo gli anni del suo matrimonio. La gioia dello stare insieme, di condividere il futuro, lentamente intaccata dai timori, poi dalla frustrazione. Pur con tutti gli aiuti del caso, magici e non, Hermione non riusciva a rimanere incinta e gli anni passavano. Ron aveva sentito di tante coppie finite male per motivi analoghi, erano stati tempi di angoscia crescente. Entrambi si erano buttati voracemente sul lavoro. Lui si sbatteva missioni su missioni. Hermione, oltre che Senatrice, era diventata consulente tecnico del Dipartimento Auror e, nei ritagli di tempo, anche istruttrice aggiunta. In molti si erano chiesti come riuscisse a svolgere tanti incarichi con la stessa perfetta efficienza. Poi era arrivata Tanya, la ragazzina prodigio che i genitori naturali avevano in sostanza cacciato da casa, perché non condividevano la sua scelta di diventare Auror. Per una coppia che desiderava tanto avere figli ma non ci riusciva, era stato naturale accoglierla, riversare su di lei l’affetto che non poteva sfogarsi in altre maniere. Tanya era entrata a far parte della famiglia Weasley con la naturalezza che le era consona, con cui affrontava tutte le cose. Persino Molly, che non aveva mai visto di buon occhio cose come le adozioni o i figli presi in prestito, stravedeva per lei.
Lasciò che il momento passasse in silenzio, c’erano migliaia di parole che si potevano dire o forse nessuna. Ron decise che poteva tenersi il dubbio.
“C’è una cosa che mi chiedo da quando abbiamo lasciato Londra.” Disse invece.
Tanya annuì, invitandolo a proseguire.
“Abbiamo visto che il legame fra te e la Cacciatrice è incredibilmente forte. Lei sa sempre dove sei e cosa ti succede, tu capisci quando è vicina. Hai detto che ha ucciso molte persone in tua presenza, c’è la possibilità che abbia fatto di te un Horcrux?”
“No.” Tanya negò recisamente. “Ci ho pensato anche io, più di una volta, mi chiedevo quando qualcuno si sarebbe deciso a parlarne. Sono coperta di cicatrici causate dalla Cacciatrice, ma nessuna di esse fa male quando lei è vicina.”
“Non è detto che per rendere Horcrux un essere umano occorra per forza una ferita, o che i legami si comportino tutti alla stessa maniera.”
“Harry mi ha parlato spesso di com’era possedere parte dell’anima di Voldemort, le mie sensazioni sono diverse. E Hermione non l’avrebbe mai fatto, anche in queste condizioni.” Indicò con un gesto la stanza. “Deve aver trovato un altro sistema, di sicuro c’è di mezzo Golconda.”
Ron non parve del tutto convinto ma dovette decidere di non insistere. Hermione che creava un Horcrux con la figlia adottiva pur di chiedere aiuto, il solo pensiero avrebbe dovuto farlo inorridire, invece provava una sorta di calma indifferenza. Anni di cinismo e autodistruzione alcolica lo avevano inaridito fino a tal punto? Una volta di più, provò disgusto di sé.
“Andiamo.” Disse, avvertendo l’impellente bisogno di muoversi.


Percorsero il corridoio di corsa, senza sapere dove andare, importava solo allontanarsi da quella stanza. Un comportamento più adatto a ragazzini che a due Auror di lunga esperienza, se ne resero conto entrambi, quindi rallentarono il passo.
Alla svolta di un corridoio andarono quasi a sbattere contro una figura nera che veniva dalla direzione opposta, gli incantesimi di guardia sulle spade sfrigolarono minacciosi. Lo sconosciuto fece un gran balzo all’indietro, assumendo una posizione difensiva.
“Lionel!” Esclamò Tanya.
Ron la trattenne per una spalla, istintivamente lei aveva fatto un passo avanti. Quello non sembrava lo stesso Lionel che aveva lasciato Londra, lo sguardo si era indurito, facendo trasparire una freddezza non sua. Verificò personalmente che non vi fossero inganni, quindi la lasciò andare.
Tanya gli gettò le braccia al collo, scambiarono un abbraccio e un rapido ma focoso bacio sulle labbra. Si scrutarono per un lungo momento senza parlare, rincuorati dall’essere di nuovo insieme.
“Dove sono gli altri?” Volle sapere Ron, senza tergiversare.
“Ero con Harry e Sofia ma siamo stati separati.”
“Perché hai della gelatina in testa?” Gli chiese Tanya.
Lionel si passò una mano fra i capelli e recuperò un grumo rossastro, che scagliò lontano imprecando, visibilmente disgustato.
“Mi credete, se vi dico che abbiamo incontrato degli orsetti gommosi giganti che hanno portato via Harry?”
E non solo quelli.
Un’intuizione che Ron tenne per sé.
“Ti crediamo, a noi strane rane mutanti hanno portato via Kendra. E Sofia?”
“Lei è sparita risucchiata da un quadro, qualche idea su dove possono averli portati?”
“Speravo l’avessi tu.”
“Ragazzi.”
Entrambi volsero lo sguardo a Tanya, che osservava qualcosa oltre la soglia di un altro corridoio. Immersi nella conversazione, non avevano fatto caso ai suoi movimenti. La raggiunsero pronti a dare battaglia.
Juggler attendeva nella penombra, una mano sul bastone magico puntato a terra. Ron e Lionel avrebbero volentieri attaccato subito, ma Tanya fece loro segno di aspettare.
“Mi rincresce dover interrompere il gioco, d’altra parte ogni cosa ha un inizio e una fine. La Cacciatrice reclama la sua avversaria, mi ha imposto di venirla a cercare senza ulteriori indugi. Se volete essere così gentili da seguirmi, vi condurrò da lei.” Sciorinò Juggler solenne.
“Ne ho abbastanza dei suoi tranelli!”
Tanya bloccò Lionel mettendogli una mano sul petto.
“Conosco quel bastardo, so quando dice la verità. Seguiamolo, ma state in guardia.” Disse sottovoce, in modo che solo i due Auror sentissero.
Ron annuì, impedì comunque a Tanya di andare per prima.
Juggler li condusse per un lungo scalone di pietra, fino a un’anticamera dominata da una grande porta ad arco, oltre la quale vibrava una luce rossa e ostile.
“La Cacciatrice ti aspetta oltre questa porta.” Disse a Tanya, in un tono insolitamente grave. “A voi, signori, consiglio di trovare un posto in tribuna e limitarvi a osservare, la Cacciatrice non apprezza chi interferisce, vi spazzerà via se proverete a intromettervi fra lei e Tanya.” Subito dopo sparì.
Percorsero un breve corridoio in lieve pendenza, che conduceva a un’altra porta ad arco. Giunti sulla soglia, compresero cosa li attendeva.
Le tribune dell’arena erano occupate dai cadaveri che avevano visto fluttuare nella sala d’ingresso. Sul lato opposto attendeva la Cacciatrice in tenuta da battaglia, Tonfa Blade già sfoderate e brillanti di potere. Juggler stava in piedi su una sorta di tribuna d’onore che dominava il campo gare, altri cadaveri gli facevano compagnia.
“Ci sono i ragazzi!” Lionel indicò un settore a destra della tribuna d’onore.
I membri della New Phoenix erano seduti su una sola fila, parevano stare bene, benché fossero lordi di sostanze disgustose.
“Cercate di liberarli.” Disse Tanya, che aveva occhi solo per la Cacciatrice.
“Non devi fare tutto da sola.” Le ricordò Ron, in un blando tentativo di suonare convinto.
“Juggler non scherza mai sulle intenzioni della Cacciatrice.” Rispose Tanya fra i denti. “Questa è la mia battaglia, sapevamo fin dall’inizio che sarebbe andata così.”
Piantò uno sguardo da guerra negli occhi del maestro, sfidandolo a ribattere. Era vero, senza bisogno di parlarne, avevano entrambi presagito da tempo quella conclusione. Ron incassò la sconfitta in silenzio e annuì.
“Cercate di liberare gli altri.” Ribadì Tanya, varcando la soglia.
“Tanya!” Lionel fece per seguirla ma fu respinto da una barriera invisibile, formatasi subito dopo che lei fu passata.
“Maledizione!”
Puntò la bacchetta e aveva già sulle labbra un incantesimo, ma Ron gli mise una mano sul braccio armato e lo costrinse ad abbassarlo. Lionel alzò lo sguardo al volto del comandante.
Ron scosse la testa.
Rassegnazione.
“Ha ragione, tocca a lei.”
“Ma tu…”
“Sì, pensavo di poter dire la mia, trattandosi di mia moglie. Non è così, l’ho capito nel sotterraneo, quando ho incrociato la spada con lei. Hermione è mia moglie ma la Cacciatrice ha scelto Tanya, c’è qualcosa fra loro che le rende avversarie ideali.”
“Ma… se si scontrano…”
Ron intuì quanto fosse spaventato dall’eventualità di perdere Tanya. Per un istante si rivide fra le rovine di Hogwarts, in preda al terrore che a Hermione potesse succedere qualcosa di brutto. Gli posò una mano sulla spalla e si sforzò di suonare il più rassicurante possibile.
“Lo so, ora possiamo solo aver fiducia in Tanya.”
Fu palese lo sforzo di Lionel per accettare quella situazione, non annuì ma nemmeno sollevò altre obiezioni. Ron pensò che sarebbe stato un buon elemento per il futuro della New Phoenix. Sperò anche che all’amore fra i due giovani fosse data la possibilità di crescere.
“Vieni, cerchiamo di raggiungere gli altri.”

*


Ne mangerei sempre a chili!



Next time (problemi tecnici al computer permettendo): L'Urlo di Golconda

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Capitolo 11
*** L'Urlo di Golconda ***


L’urlo di Golconda

La mente è un contenitore per i pensieri.
Quella di Tanya era libera in maniera bizzarra.
La magia può aiutarti a svuotarla.
Non si contavano le volte in cui aveva atteso l’attacco della Cacciatrice sul campo di battaglia, mai le era capitato di avvertire una tale calma. Non era nemmeno questo, la calma è qualcosa di piacevole, lei sentiva un vuoto innaturale quasi in grado di spaventarla.
Magia Superiore.
Golconda.
Non sarà come le altre volte.

Lo capì fissando le anonime fessure sulla maschera della Cacciatrice. Immaginò il volto di Hermione e sentì il vuoto riempirsi di potere. Come aveva presagito, era la consapevolezza di lottare per salvarla a dover fare la differenza. Le spade non le erano mai parse tanto leggere, non aveva mai sentito la magia scorrere con tale facilità.
La Cacciatrice sollevò le Tonfa Blade in una posizione di guardia, come a salutare quella di Tanya. Sarebbe stato l’ultimo scontro, ne erano coscienti entrambe, i loro cammini conducevano a quel momento. Paradossalmente, Hermione aveva continuato a istruire Tanya anche da Cacciatrice.
Magia Superiore.
Quattro lame brillarono.
Golconda.
Il primo impatto fece tremare l’arena ed entrambe furono sbalzate indietro dal contraccolpo. Atterrarono in piedi per studiarsi nuovamente. Il volto di Tanya si colorò di un sorriso, quando capì. In passato, il primo attacco della Cacciatrice era spesso bastato a decidere i loro scontri.


Harry era dimentico dei compagni prigionieri, sparita l’arena, Juggler sulla tribuna d’onore. Non c’era più il mondo, la grottesca vicenda che li aveva condotti fin lì non aveva più importanza. Esistevano solo la Cacciatrice e Tanya, maestra e allieva, madre e figlia adottiva. Due virtuose della spada, streghe con poteri fuori categoria. Tante e tali capacità si dipanavano di fronte ai suoi occhi ipnotizzati. Non si poteva quasi cogliere la rapidità dei movimenti, le lame impattavano con esplosioni di fiamme, la perfezione tecnica delle schermitrici toglieva il fiato. La Cacciatrice aveva forse più forza, di certo più esperienza, ma qualcosa era cambiato sul volto arrossato di Tanya, inspiegabilmente riusciva a eguagliare il livello dell’avversaria.
Harry pensò che persino Tom, se fosse stato presente, si sarebbe seduto a osservare. Non si voltò nemmeno a controllare se gli altri fossero colti dal suo stesso rapimento, certo che fosse così. Cos’era successo a Tanya? Da dove prendeva tutta quella forza?
“Harry!”
Una voce si inserì nel frastuono dello scontro. Tentò di ignorarla, niente doveva disturbare lo spettacolo, ma la voce prese a ripetere il suo nome, mani lo scossero. Tornò sulla terra con un lungo brivido, rendendosi conto che Ron e Lionel si stavano adoperando per liberarlo dalle catene. Non seppe cosa dire ma scattò in piedi non appena poté.
“Liberate gli altri.” Ordinò Ron. “Io prendo Juggler!”
Senza attendere obiezioni, diede loro le spalle e corse a balzelloni attraverso la tribuna, la spada lanciava dardeggi violacei, pregustando lo scontro.
“Non è complicato!” Gridò Lionel.
Harry si diede da fare per aiutarlo, le catene non erano incantate e si spezzavano facilmente. Juggler non aveva tolto loro le bacchette, li considerava insignificanti fino a tal punto?
L’ultimo a essere liberato fu Jack. Nello stesso istante, i cadaveri che gremivano l’arena si alzarono e protesero mani scheletriche verso di loro. Il gruppo si compattò, fece testuggine. I nemici apparivano lenti e goffi, la New Phoenix smaniava per sfogare la rabbia per le umiliazioni subite.
“Signori, buon divertimento!” Tuonò Harry, scagliando una fattura che ridusse a brandelli l'avversario più vicino e diede il via a una gazzarra furibonda di vivi contro morti.


Hermione le aveva parlato di quelle sensazioni. I pensieri erano leggeri, le decisioni rapide e facili da prendere. C’era solo il fuoco che le scorreva nelle vene, le sembrava di liquefarsi, di essere potere puro, mentre danzava con la sua avversaria. Respingeva gli attacchi della Cacciatrice, ci riusciva davvero. Quei colpi micidiali, quelle tecniche ineguagliabili che tante volte l’avevano ridotta in fin di vita, sembravano non aver più segreti. Riusciva a intuire il movimento delle Tonfa Blade e a tenerle a distanza. Però non poteva attaccare, la difesa della Cacciatrice rasentava la perfezione. Non se ne preoccupò, pervasa com’era dall’estasi del duello.


“JUGGLER!”
Ron Weasley correva attraverso le stanze dell’antica magione.
“FERMATI, MALEDETTO!”
Juggler era un’ombra piroettante che manteneva qualche metro di vantaggio, irridendo i suoi sforzi per raggiungerlo. Il bastone magico tintinnava ad ogni svolta e l’oscurità prendeva vita.
“JUGGLER!”
La spada roteava emanando fiamme. Non vi era nulla di aggraziato o tecnicamente apprezzabile nei terribili fendenti che Ron menava, ma qualsiasi cosa gli bloccasse il passo finiva in pezzi carbonizzati alle sue spalle. Cadaveri vaganti, mutanti, colossali orsetti gommosi o qualsiasi altra creatura la fantasia di Juggler mettesse in campo.
Pozione fortificante ad alto potenziale.
O qualcosa del genere, il nome esatto non riusciva quasi mai a ricordarlo. Hermione, dopo averla inventata, l’aveva scherzosamente definita doping magico, nel gergo degli Auror era presto divenuta l’Onnipotenza Liquida. Un’altra idea risalente agli anni d’oro della Phoenix, più efficace di un’iniezione di steroidi anabolizzanti.
Datela al più comune dei maghi e creerete un semidio.
Aveva detto Hermione, dopo averla sperimentata. La sua preoccupazione, negli anni seguenti, era stata che gli Auror si erano abituati a usarla troppo spesso, quindi ne aveva diminuito la produzione e posto diverse restrizioni sull’utilizzo. Tali misure le erano valse definizioni poco lusinghiere come schiavista, tiranna, despota, dittatrice e via dicendo, da parte dell’intero Dipartimento di Londra. Tutti nomi che la divertivano un sacco.
Irruppe in una stanza circolare, Juggler pareva attenderlo dalla parte opposta. La sala era vuota, neanche un granello di polvere. Non erano visibili altre uscite, possibile che si fosse messo in trappola da solo? Ron scartò subito l’idea.
“Mi hai portato via tutto, bastardo!” Ringhiò.
“Non io, signor Weasley.” Ribatté Juggler in tono grave. “Io sono solo una pedina, come la povera Cacciatrice. Non possiamo evitare di fare ciò che facciamo.”
“Che vuoi dire?”
“Che ci sono ben altri.”
“Sia come sia, tu adesso muori!”
Se non fosse stato sotto l’effetto della pozione fortificante, forse avrebbe ragionato di più su quelle parole. Scattò in avanti falciando orizzontalmente, colpo di decapitazione. La maschera da clown saltò via, mentre il costume da arlecchino cadde afflosciandosi, non contenendo più nulla.
Smaterializzato!
La maschera finì di ruzzolare e rimase in bilico contro una parete, continuando a rivolgergli il suo sorriso ingannevole. Il silenzio, improvviso e mortificante, piombò su Ron. Si era fatto prendere dalla rabbia come quando era ragazzo. Avrebbe dovuto catturare Juggler, invece aveva tentato di ucciderlo, lasciandoselo sfuggire come un pivello qualsiasi.
Che idiota da competizione!
Juggler aveva parlato di altri, la setta dei Tulipani di Cristallo esisteva davvero? Se così era, aveva appena fatto l'idiozia del secolo, lasciandosi sfuggire il testimone chiave. Forse avrebbe addirittura aggiunto particolari sui suoi capi, se l’avesse lasciato parlare. La leggenda vivente Ronald Weasley era proprio il più grosso imbecille che il mondo magico avesse mai conosciuto. Sentì di meritare quel titolo più di ogni altro.
Rovistò con la punta della spada nell’abito rimasto a terra, ma non vi era più nulla. La maschera, staccata dal corpo e con le orbite vuote, era anche più inquietante. La ribaltò un paio di volte, concludendo che non c’era proprio niente da scoprire.
Harry e gli altri non ne sarebbero stati contenti.


La battaglia infuriava sugli spalti come sul campo. Harry, pur aspramente impegnato dai morti viventi, si era reso conto che la Cacciatrice stava riguadagnando la supremazia. Tanya cominciava ad accusare la stanchezza e perdeva terreno. Mentre intorno a lui volevano cadaveri sbrindellati, la mente cercava di capire se c’era un modo per aiutarla.
“Possiamo intervenire?”
Lionel, dimentico delle parole di Ron, diede voce ai suoi pensieri.
“Temo di no.” Rispose. “Niente può avvicinarsi senza finire a fette.”
Lionel puntò la bacchetta alla schiena della Cacciatrice.
“Stupeficium!”
La Cacciatrice si volse di scatto, falciò con la Tonfa scatenando una fiammata d’oro che si protese verso l’insulso disturbatore.
“Protego!” Gridò Harry, ma il fuoco non rallentò nemmeno.
Lionel si sentì perduto, poi ci fu un’esplosione e lo spostamento d’aria lo gettò a terra. Si rese conto di essere ancora vivo.
“Stupeficium?” Tuonò Ron fra il furioso e l’incredulo.
Il comandante era in ginocchio davanti a loro, la lama della spada puntata a terra aveva assorbito la potenza dell’attacco.
“Non pensavi davvero che funzionasse! Lo hai sentito Juggler, la Cacciatrice non ama chi si intromette. Lasciatele in pace, siamo nelle mani di Tanya adesso!”
“Lui dov’è?” Volle sapere Harry.
“Mi è scappato.” Ringhiò Ron.
Harry decise di non indagare.


Un paio di colpi della Cacciatrice erano andati a bersaglio, ferite superficiali ma facevano un gran male. L’ebbrezza era finita, Tanya sapeva di dover trovare una soluzione in fretta, o sarebbe finita come le altre volte. I ragazzi sugli spalti si stavano liberando dei morti viventi, sembravano quasi divertirsi. Uccisa lei, la Cacciatrice si sarebbe dedicata a loro.
Un colpo tremendo sulla sinistra, vide con orrore la spada corta volarle via di mano. Non si era resa conto di aver speso così tante energie. La Cacciatrice incrociò le Tonfa sulla lama rimasta, con un movimento di torsione la strappò dalla sua presa ormai incerta. Tanya balzò all’indietro per evitare i colpi successivi, cercò di capire se poteva recuperare almeno una spada, ma erano entrambe lontane. Una ginocchiata la colpì al ventre e le parve di essere investita da un treno. Picchiò con la schiena contro la parete e cadde.
Si era fatta prendere e aveva dosato male le energie, un errore da principiante. Immaginò lo sguardo severo di Hermione oltre la maschera.
La Cacciatrice parve sul punto di darle il colpo di grazia, ne aveva piena facoltà ormai, l’aveva sconfitta di nuovo. Invece lasciò cadere a terra le Tonfa Blade, il fuoco magico si spense. Afferrò Tanya per il collo e la sollevò, caricando il destro.
Il pugno fece volare la giovane Auror fin quasi al centro dell’arena, si schiantò a terra con un labbro sanguinante. La Cacciatrice la incalzò appena si rimise in piedi. Destro, sinistro, pareva avere incudini al posto delle mani e la tecnica era sopraffina come con le Tonfa.
Fino a che punto mi vuole umiliare?
Presa a pugni no!

Qualcosa scattò dentro Tanya.
Una serie di rimembranze, come un vecchio film in bianco e nero la cui pellicola scorra con difficoltà. Il volto paziente di Hermione, intenta a spiegarle misteri che a poche streghe potevano essere svelati. Lunghe ore trascorse insieme nell’intimità del giardino di casa, a discutere di sortilegi straordinari. Al ricordo di tanta complicità le venne voglia di piangere.
Hai forse dimenticato chi sei?
La voce di Hermione, da qualche parte.
Hai lottato tanto per cadere così?
La mano destra si illuminò, colmandosi di potere.
Ricorda.
Magia Superiore.
Senza bacchetta!
Golconda!
Sai benissimo come funziona!

Schivò un altro attacco con un movimento di corpo e caricò la risposta, accompagnandola con un urlo belluino. La Cacciatrice fu colpita sulla maschera e fu il suo turno di volare, di schiantarsi e rotolare malamente a terra.
Il silenzio calò sull’arena.
La New Phoenix aveva avuto la meglio, osservava sbigottita le contendenti e il mutamento avvenuto in Tanya. Le mani brillavano simili a stelle, come le lame pochi momenti prima.
La Cacciatrice si rimise in piedi, parve aver perso l’eleganza nei movimenti che fino a quel punto l’aveva contraddistinta. La maschera si spezzò in varie parti e cadde a terra.
La squadra si strinse intorno a Ron e Harry. Tanya incontrò, dopo anni, lo sguardo di Hermione. Parve che il tempo si fosse congelato. La maestra era come la ricordava, solo quegli occhi dorati, pieni di rabbia non erano i suoi. L’aria intorno vibrava di potere. Senza maschera, era la Cacciatrice di Liverpool all’apice della potenza. Sollevò le mani lentamente, le portò sopra la testa, palmi fronteggianti, le braccia si tesero.
Il cuore di Tanya sprofondò, riconoscendo quella posizione.


“No!”
Gli sguardi si spostarono su Ron.
“Questo no!”
Harry gli afferrò una spalla, chiedendo spiegazioni con lo sguardo.
“L’Urlo di Golconda!”
“Il cosa?”
“Dobbiamo andarcene!”
Harry fu quasi certo di sentire una nota di terrore colorare la voce di Ron. Senza dare spiegazioni, il rosso si lanciò giù dagli spalti, atterrando sul campo di battaglia.
“Tanya!”
La raggiunse ma lei aveva occhi solo per Hermione.
“Dobbiamo andarcene!” Ripeté.
“No.” La voce di Tanya sferzò come una frusta. “Voi dovete andarvene! Porta via gli altri, io devo porre fine a tutto questo!”
Si liberò di lui con una brusca scrollata di spalle e avanzò.
“Pensi di poter usare quella tecnica contro di me?” Gridò in faccia all’avversaria. “Credi di non avermi insegnato niente?”
Ron non capì cosa lo sconvolse di più, se le lacrime negli occhi di Tanya, il suo sguardo terribile, o la posizione che assunse dopo aver gridato, speculare a quella di Hermione.
Di colpo fu tutto chiaro e si sentì ancora più idiota. Ecco spiegato cosa c’era di speciale in Tanya Larsson, perché il legame con la Cacciatrice era stato tanto forte. Anche da maestro e padre adottivo, non era stato in grado di accorgersene. Hermione no, lei doveva averlo intuito subito. Esisteva davvero una quinta cultrice di Golconda non registrata, Hermione l’aveva scoperta e cresciuta di persona. La Magia Superiore era il vero legame, ciò che le rendeva avversarie ideali.
“NO! TANYA NON FARLO!”
Ron fu buttato indietro e cadde sulla schiena, intorno alle combattenti si era riformato lo scudo magico. L’aria era rovente e scariche di energia la percorrevano.
Se due incantesimi di quella potenza si scontrano…
“È una follia!”
“Vattene, Ron!” Urlò Tanya senza guardarlo. “Non puoi fare più niente, tocca a me ora!”
Come aveva detto a Lionel, era tutto nelle mani di Tanya, potevano solo fidarsi di lei.
“VIA!” Gridò, rimontando sulle tribune. “VIA!”
“Cosa sta succedendo?” Scandì Harry esasperato, pretendendo spiegazioni.
“L’Urlo di Golconda, non c’è niente di più devastante!”
“Allora dobbiamo fermarle!”
“Non c’è modo! Golconda pensava a tutto! Quella posizione permette di accumulare energia e crea uno scudo impenetrabile, niente può avvicinarsi!”
In effetti l’aria intorno alle combattenti fremeva come fosse stata incandescente.
“Spazzeranno via tutto nel raggio di chilometri. Dobbiamo andarcene! Materializzatevi il più lontano possibile da qui!”
Prima di fuggire, si concesse un istante per contemplare Hermione all’apice della potenza. La verità che gli era sbattuta in faccia con tanta recrudescenza rischiava di travolgerlo.
L’urlo di Golconda.
Hermione aveva insegnato a Tanya l’Urlo di Golconda.
Il sortilegio estremo.
A lui non aveva nemmeno confidato di essere in grado di usarlo. Entrambe gli avevano tenuto nascosto che anche Tanya era una seguace del grande mago.
Tutta una colossale farsa fin dall’inizio.
Troppe implicazioni nel momento sbagliato. Fermò quella nociva catena di pensieri, lasciando che la mente si perdesse nel vortice della smaterializzazione.

 

*

L'Urlo di Golconda si ispira (in parte) alla tecnica detta "Esplosione Galattica" del cavaliere d'oro dei Gemelli, considerato da molti il colpo più pericoloso dell'intera saga dei Cavalieri dello Zodiaco.


 

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Capitolo 12
*** Seguaci del grande mago ***


Seguaci del grande mago

“Tutto bene?”
Hermione aveva le guance arrossate ed era visibilmente su di giri per il duello appena sostenuto. Tanya si tolse i capelli dal viso e sputò grumi di sabbia.
“Cos’era quello?” Biascicò.
“Qualcosa di grosso.” Rispose la maestra porgendole la destra.
“Questo lo avevo notato.”
Tanya si lasciò rimettere in piedi, si scrollò altra sabbia di dosso. Hermione le porse da bere e andò a recuperare le sue cose. Lasciarono la caverna in silenzio, emergendo sulla scogliera che la nascondeva a sguardi indiscreti. Il tramonto incendiava l’orizzonte marino.
“Dirai a Ron del livello che hai raggiunto?” Domandò Tanya a bruciapelo.
Hermione tenne gli occhi sul sole morente, prendendosi alcuni secondi per ponderare.
Domanda cruciale.
“No.” Dovette decidere di colpo. “Voglio che la mia famiglia sia al sicuro da questo potere.”
“Non capisco.”
La maestra le rivolse uno sguardo di rara intensità, in cui affetto e determinazione formavano una miscela difficile da interpretare.
“La storia insegna, grandi poteri possono mettere in crisi anche le menti più preparate.”
“A te non può capitare.” Ribatté subito Tanya.
“Non esserne così sicura. Golconda nasconde ancora molti misteri, anche per noi che lo studiamo. Mi ci sono addentrata senza sapere cosa avrei trovato. Quando l’ho capito, era troppo tardi, detenevo già quel potere. La mia passione per lo studio mi ha impedito di lasciar perdere, Golconda ha sempre rappresentato la sfida ideale per me. Allora ho pensato di dover trovare qualcuno con cui condividerlo, qualcuno in grado di contrastarmi nel caso perdessi il controllo.”
“Hermione.” Tanya scosse la testa attonita. “Io non sarò mai al tuo livello!”
“Questo lascialo stabilire a chi ha più esperienza di te.” La maestra sorrise. “Ricordi? Lord Voldemort fu sconfitto perché lui stesso creò un mago suo pari. Avrò meno timore di questo potere, se saprò di condividerlo con qualcuno di cui mi fido.”
“È per questo che mi hai presa con te?”
Un lampo di rabbia attraversò lo sguardo di Hermione.
“Non essere ridicola, sei esattamente la figlia che avrei voluto avere.”
“Pensavo che Golconda servisse a farmi diventare una buona Auror.”
“Tu diventerai una grande Auror senza bisogno di Golconda. Al di fuori della caverna non lo dovremo mai usare, è una cosa che deve rimanere fra noi. Il mondo magico non sarà mai pronto per un potere del genere. È una fortuna che siamo così pochi a possederlo.”
Sul volto di Tanya si disegnò un accenno di delusione. Hermione le passò un braccio intorno alle spalle e la costrinse a osservare il concludersi del tramonto.
“Tutto questo non ti deve rattristare.”
La nostra età dell’oro.
Quante missioni, quante imprese gloriose.
Phoenix.
La squadra più decorata nella storia dell’Inghilterra.
La gratitudine della comunità magica ogni volta che tornavamo.
Io, te e Ron, sempre insieme.
A essere onesti, almeno una volta mancammo all’impegno preso sulla scogliera.
Fu quando affrontammo la banda Denisov a Kiev, in supporto ai colleghi russi.
Per puro caso, ci trovammo libere di agire noi due soltanto.
Demmo quasi libero sfogo a Golconda e lo trovammo esaltante.
Fu allora che capii quanto avevi ragione.
Compresi i tuoi timori e cominciai a condividerli.
Questo potere nelle mani sbagliate sarebbe la fine dei due mondi.
Non si può detenere un potere così grande da soli.
Golconda si era spinto su sentieri che maghi e streghe non dovrebbero conoscere.
Noi lo avevamo seguito.
Fu allora che si creò il legame fra noi.
Fu lo studio di Golconda a collegare le nostre menti.
Come seguaci del grande mago, ci impegnammo a tenerci d’occhio a vicenda.
Ti affidasti totalmente a me, ed io a te.
Quando ti rapirono, smisi di percepire la tua mente come parte della mia.
Mi fece male.
Tantissimo male.
Come se parte del corpo mi fosse strappata di colpo.
Pensai che il legame si fosse spezzato perché eri morta.
Piansi fino a consumarmi.
Non eri morta, ma i Tulipani avevano trovato il modo di bloccare la tua fortissima psiche.
Come Cacciatrice sei riuscita a ripristinare il legame.
Mi chiedo cosa ti sei dovuta inventare per farlo.
Probabilmente c’è il tuo zampino anche nella mia scelta di trasferirmi a Liverpool.
Ho sempre considerato la tua scomparsa come un fallimento personale.
Io che avrei dovuto vegliare su di te.
Ho mancato all’impegno preso.
Ho tradito la tua fiducia.
Ho fallito.
Come amica.
Come allieva.
Come figlia adottiva.
Come studiosa di Golconda.
Ho fallito in maniera completa.
Ma sono qui per rimediare.
Addio, mia dolce maestra.



Harry cadde sulla schiena. Sentì la viscida carezza dell’erba bagnata, pioveva un misto di acqua e neve, la terra era gelida e grondava fango glaciale.
“Harry!”
Ron lo rimise rudemente in piedi.
“Dove siamo?”
“Abbastanza lontano, spero.”
Il rosso si guardava intorno come un gatto in caccia, però aveva riposto la spada.
Erano su una collina nel cuore di una notte di tempesta, intorno non c’era niente se non l’erba battuta dalla pioggia e dal vento. Poco più in basso, intuì Drew e Jack che arrancavano per avvicinarsi, gli altri non si vedevano.
La notte si accese di colpo, come se un altro sole fosse nato all’improvviso nella brughiera. Harry rimase senza fiato, ciò che parve una colonna di fuoco si innalzò per congiungere terra e cielo, ad alcuni chilometri da dove si trovavano.
“Spero che anche gli altri si siano allontanati a sufficienza.” Disse semplicemente Ron, che a stento guardava quello spettacolo stupefacente.
“Questa è la potenza di due cultrici di Golconda?” Rantolò Harry, ma Ron era corso a sincerarsi delle condizioni di Drew e Jack.
Harry ricadde sulle ginocchia, incapace di preoccuparsi della sorte dei compagni, di distogliere lo sguardo da quella pazzesca manifestazione di potere.
Se Ron non ci avesse fatto allontanare…
Hermione.
Tanya.
Cosa siete diventate?

La colonna di fuoco si spezzò alla sommità, cominciò a sfilacciarsi e a perdere vigore. Il tutto era durato meno di un minuto, ma che cosa pazzesca era stata!
Tu e lord Voldemort avete esplorato campi della magia che nemmeno io posso immaginare.
E siamo stati due dilettanti in confronto a Hermione e Tanya.
Golconda…

Harry sentì qualcuno accasciarsi al suo fianco. Distolse lo sguardo l’istante necessario per riconoscere Lionel. Doveva essere caduto male, aveva un taglio sanguinante sulla fronte. Sentì le mani del giovane afferrare la sua. Tornò anche Ron con Drew e Jack, caddero tutti sull’erba stringendosi gli uni agli altri.
Attesero in silenzio che la notte fosse restituita all’oscurità che le era consona.


L’Urlo di Golconda aveva polverizzato l’antica magione. Per fortuna, o forse grazie a Tanya, tutto quel potere si era sfogato verso l’alto e non nelle campagne circostanti. Sul luogo dello scontro la terra era carbonizzata e la pioggia la raffreddava lentamente.
La New Phoenix riuscì a riunirsi con tutti gli effettivi, ove l’erba umida cedeva il posto alla cenere. Harry fece un giro di sguardi, anche i più navigati ne avevano avuto abbastanza.
“Loro sono da qualche parte, cercatele.” Disse Ron, avventurandosi nella devastazione.
Mucchi di detriti continuavano a bruciare, creando ombre irreali. Altra cenere cadeva dal cielo insieme al nevischio, impastandosi sugli abiti, sulla pelle e fra i capelli. La squadra si sgranò in silenzio, non osando chiamare ad alta voce.
Ron non sapeva cosa sperare. L’esito più probabile era che Hermione e Tanya fossero svanite nello scontro fra i loro poteri. La sua amatissima moglie e la loro figlia adottiva, scomparse subito dopo essersi ritrovate. Avrebbe dovuto essere distrutto, eppure sentiva ancora più forte quella surreale indifferenza che lo aveva accompagnato nella casa di Juggler.
“Ron!” Lo chiamò la voce di Harry.
Balzò oltre un cumulo di macerie sentendo un’improvvisa oppressione al torace.
Hermione era stesa a terra, Harry le tastava il collo alla ricerca del battito. Avvolta nella tenuta da battaglia della Cacciatrice, pareva non aver subito danni.
“È viva!” Disse Harry, appena lui sopraggiunse. “E direi addirittura che sta bene!”
Ron si chiese come dovesse farlo sentire quella notizia, non era forse ciò che aspettava da sempre? Ma quella stesa a terra fra loro era davvero Hermione?
Harry stava facendo verifiche con la bacchetta. Ron si rese conto di non riuscire ad avvicinarsi, come se il fango si fosse solidificato imprigionandogli i piedi.
“È ancora sotto controllo?”
“Non riesco a capire. Sembrerebbe di no ma preferisco non sbilanciarmi, ci vuole Lionel e dobbiamo portarla subito a Londra!”
“Tanya!”
La voce di Kendra, da qualche parte.
Alzarono lo sguardo in sincronia. Harry annuì.
“Vai!”
Ron cercò la direzione da cui era giunto il grido, vide altri della squadra convergere sulla zona e vi si precipitò.
Tanya era distesa sul fondo di un piccolo cratere, i capelli biondi creavano un contrasto quasi violento con il nero del terreno.
Un angelo nel fango.
Michael mormorava incantesimi curativi ma il corpo di lei pareva non reagire. Le lacrime di Kendra si confondevano nella pioggia che andava intensificandosi.
“Come sta?” Domandò Ron chinandosi a sua volta.
“È ridotta male.” Rispose Michael, senza smettere di agitare la bacchetta.
Ron riconobbe il tono e sentì salirgli un vago senso di nausea, era quello di un guaritore alle prese con un caso difficile, quasi sicuramente oltre le sue capacità.
“Hermione… è salva?”
Capì che quel rantolo disarticolato era quanto restava della voce di Tanya.
“Sì.” Sentì dire alla propria voce, mentre le lacrime cominciavano a premere per uscire. “Ce l’hai fatta, l’hai salvata.”
Non era sicuro fosse la verità, ma in quel momento non aveva importanza.
“Bene.” Sibilò Tanya.
“Non sforzarti a parlare.” Le ingiunse Michael.
“Grazie, Mike… puoi fare a meno… conosco questa magia…”
Parve che il grosso Medimago non capisse appieno quelle parole o non volesse farlo, continuò a borbottare incantesimi sempre più rauchi. Gli occhi di Tanya tornarono in quelli di Ron.
“Come ti dissi… spero… di avertela restituita.”
Chiuse gli occhi e Ron pensò di sprofondare. Il castello di freddezza e indifferenza che si era costruito in quegli anni, dentro al quale si era barricato, crollò di schianto. Si sentì nudo di fronte alla forza perversa della sorte. La grandezza di quanto era appena successo lo travolse in tutta la sua drammaticità. Avrebbe voluto piangere, urlare, correre sotto la pioggia fino a non avere più fiato. Non era giusto, niente di ciò che era accaduto lo era. Hermione trasformata in una micidiale assassina, Tanya che moriva pur di riportarla indietro.
Con un terribile sforzo di volontà, diede manforte a Michael. I singhiozzi di Kendra facevano da controcanto al mormorio della neve bagnata.


Hurch Miller camminava da un capo all’altro della Zona Protetta, nel vano tentativo di alleggerire la tensione. Alla sua età, non pensava di poter vivere ancora emozioni del genere.
Il rientro della squadra non era passato sotto silenzio come avrebbero voluto, giungendo alle orecchie della stampa. Una mandria di giornalisti imbizzarriti si era precipitata al San Mungo, informata da qualcuno che avrebbe fatto meglio a non finire nelle sue mani. Aveva già rilasciato una breve dichiarazione, cavandosela con risposte tanto evasive quanto inutili. C’era almeno un lato positivo, se fosse potuto uscire dalla Zona Protetta, avrebbe fumato una sigaretta dietro l’altra.
Potter e Weasley erano piombati nel suo ufficio poche ore prima. Parlando uno addosso all’altro e mangiandosi le parole, gli avevano fatto intuire una storia allucinante. Sembravano tornati due ragazzini inesperti, cosa che fondamentalmente non erano mai stati. La New Phoenix si trovava già al San Mungo. Aveva subito disposto le cose per circondarla di un muro di segretezza inattaccabile. Se quanto avevano scoperto fosse divenuto di pubblico dominio, sarebbe stato meglio per tutti darsi all’eremitaggio in Nepal.
Una task force di Auror aveva occupato quasi d’autorità una corsia dell’ospedale, con l’ordine di farla rimanere assolutamente isolata. A gruppi di cinque pattugliavano il perimetro, pronti a sparare a vista su chiunque non fosse un addetto ai lavori riconosciuto. I guaritori chiamati a operare, tutti elementi di fiducia certa, erano stati accuratamente istruiti. Tante manovre avevano mandato i giornalisti in ebollizione, ma non si poteva fare altrimenti. Reporter e scribacchini, a branchi o singolarmente, premevano come avvoltoi ai confini della Zona Protetta.
Hermione.
La compianta Senatrice Weasley.

Come dire al mondo magico che la Cacciatrice di Liverpool era stata neutralizzata, ma non si poteva svelare chi fosse e tanto meno mostrarla al pubblico? Cosa raccontare alle centinaia di famigliari delle vittime?
Caso risolto, ma non c’è il colpevole.
Sapeva di barzelletta, di beffa crudele verso chi aveva perso qualcuno.
Tentare di cavarsela dicendo che il corpo della Cacciatrice era andato distrutto durante lo scontro? Non sarebbe bastato, puzzava troppo di scappatoia, senza contare l’inevitabile scatenarsi delle indagini non ufficiali, che finivano sempre per scovare qualcosa. Spiegare che era sempre stata sotto controllo magico? Nemmeno questo sarebbe bastato, e trovare prove inconfutabili per dimostrare cose del genere era sempre difficile.
Piuttosto che mandare Hermione sotto processo, a patto che si risvegliasse, si sarebbe più volentieri consegnato a una squadra di dissennatori.
Sentì una mano ferma ma affettuosa stringergli il braccio, volse lo sguardo a incontrare quello di Natasha Bradford. Il Ministro della Magia era venuto di persona a seguire l’evolversi della situazione, muovendosi in incognito.
Una donna in gamba.
Pur approvando le varie manovre, non era stata soddisfatta di vedere la stampa sul posto. Non le si poteva dare torto. Si era impegnata di persona a dare conforto ai reduci della missione, mettendosi a disposizione di tutti nonostante il suo status. Cercava di essere d’aiuto persino a lui.
I membri della New Phoenix, seppur con ferite non gravi, erano tornati emotivamente a pezzi, ma si erano rifiutati di rimanere nelle loro stanze a riposare. Dopo gli accertamenti del caso, si erano riuniti in attesa di sapere. Un tale affiatamento in così poco tempo, Miller avrebbe dovuto complimentarsi con Potter e Weasley una volta di più.
Kendra piangeva fra le braccia del grosso Michael. Jack camminava avanti e indietro, mormorando fra sé cose probabilmente senza senso. Drew sedeva in silenzio con sguardo perso. Harry e Ron stavano in un angolo lievemente in disparte, discutevano a bassa voce facendosi forza a vicenda. Sofia si muoveva da un membro all’altro, cercando di essere di conforto. Lionel stava appoggiato a uno stipite con l’atteggiamento di un cane da punta, non distoglieva gli occhi dal corridoio da cui sarebbero giunti i guaritori.

*

Esiste un incantesimo più potente dell’Urlo di Golconda, lo Sguardo Accigliato di Chuck Norris.
 

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Capitolo 13
*** EPILOGO - Lacrime nella pioggia ***


EPILOGO
Lacrime nella pioggia

 

Hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle bandiere
legate strette perché sembrassero intere.

Fabrizio De Andrè


3 dicembre 2021
10 AM
Aeonrange, cimitero degli Auror londinesi

 

A porgere l’estremo saluto a Tanya Larsson c’erano tutti. Il Dipartimento di Londra al gran completo, con il capitano Miller in testa. Ciò che restava degli Auror di Liverpool, persino alcuni famigliari di Leo Larkin che l’avevano conosciuta. Natasha Bradford con numerose personalità del Ministero. La New Phoenix schierata in prima fila, i membri della vecchia Phoenix confusi nella folla. Appresa la notizia, erano rientrati tutti. La sola considerazione comune, nel riabbracciare i vecchi compagni, era stata che avrebbero preferito ritrovarsi in circostanze più liete. Lo smarrimento non lasciava spazio ad altro.
Una macchia rossa indicava tre generazioni di Weasley. Ron aveva accettato saluti, parole di conforto, lacrime, baci e abbracci, ma si era barricato dietro un mutismo quasi scontroso.
C’erano anche i genitori naturali di Tanya e un paio di fratelli con relative famiglie. Anche loro si erano avvicinati a Potter e Weasley per scambiare qualche parola. Ron aveva detto a Harry di sbrigarsela da solo, non voleva aver a che fare con quelle persone e preferiva evitare di buttare giù i denti a qualcuno. La famiglia era sempre stata un argomento affrontato malvolentieri da Tanya. Definiva i suoi genitori dei negrieri, i suoi fratelli una manica di smidollati senza sogni, prodotti in serie per essere impiegati nell’impresa di famiglia. Lei aveva voluto essere diversa, scegliere per proprio conto la sua strada, per questo era diventata la reietta del gruppo. Ron non avrebbe potuto stringere la mano a quella gente senza che gli venisse il vomito.
Tanya era stata composta in alta uniforme, un tappeto luccicante di medaglie le copriva la metà sinistra del torace. Ron avrebbe voluto seppellirla con le spade gemelle di Armin Stark, ma erano risultate disperse, probabilmente distrutte. Si chinò per baciarle la fronte. Che quel branco di imbecilli vedesse, sentisse chi era la figlia su cui aveva sputato.
La New Phoenix era una schiera compatta a pochi passi dal feretro, ognuno teneva le braccia sulle spalle dei compagni vicini. Soltanto Lionel era più avanti di un paio di passi, piangeva in silenzio. Ron si unì a loro.
Per prima parlò Natasha Bradford. Fu un lungo e solenne discorso su quanto fosse importante il lavoro svolto dagli Auror, sul loro indomabile coraggio e spirito di sacrificio. Si dilungò in una dettagliata descrizione della brillante carriera di Tanya, concluse pronunciando un ringraziamento ufficiale a nome di tutta la comunità magica. A Ron parve un mucchio di altisonanti stronzate e vuoti paroloni, ma non poté negare che ci fosse coinvolgimento nella voce del Ministro. Ebbe anche l’impressione che la donna si fosse asciugata un paio di lacrime indiscrete.
Il capitano Miller aveva scelto alcuni episodi emblematici, per descrivere che persona era stata Tanya. Probabilmente, le lacrime impellenti lo fermarono prima di quanto si fosse aspettato. Per molti membri del Dipartimento dovette essere sconvolgente vederlo in quello stato. Troncò il discorso nel modo più elegante che riuscì a trovare, prima di sciogliersi del tutto.
Sarebbe toccato a Ron, ma fu Ginny a prendere posto sul pulpito, non era nel programma. Appariva d’acciaio come sempre, la sola che non avesse ancora pianto una lacrima. La voce non le si incrinò nemmeno una volta. Parlò di come fosse stato essere amica di Tanya, di quanto avesse significato. Disse che era stata una sorella maggiore per tutti i suoi figli.
Ron avrebbe preferito che Ginny evitasse, ebbe l’impressione che una ruota dentata in movimento gli fosse stata montata al posto del cuore.
Cessato l’applauso, calò di nuovo un silenzio surreale, rimasero solo singhiozzi più o meno sommessi. Salendo a sua volta sul pulpito, Ron pensò che l’atmosfera fosse in grado di schiacciarlo, e lo era davvero. Non aveva preparato un discorso ma sapeva di doverlo fare.
“In momenti come questo…” Esordì con voce incerta. “È sempre facile scadere nelle frasi di circostanza. L’Auror Tanya Larsson delle frasi di circostanza non ha mai avuto bisogno, quindi anche io cercherò di farne a meno.”
Si passò una mano sulla fronte, mai avrebbe immaginato che una cosa semplice come parlare potesse essere tanto complicata. Pensò a Hermione e desiderò averla accanto.
“Potrei parlarvi per ore di che persona era Tanya.” Parve ripensarci e scosse la testa. “Chi ha avuto la fortuna di conoscerla lo sa, non occorre che ne parli io. Tanya aveva la strana capacità di essere il dettaglio in più, quello necessario a far funzionare le cose, in ogni situazione. Sembrava sapere sempre quali fossero il suo posto e il suo scopo. E per tutta la vita il suo scopo è stato aiutare. Soltanto con una cosa non è riuscita a fare i conti, la sua generosità.”
Era già assurdo essere arrivato a quel punto senza che la voce divenisse incomprensibile per l’angoscia. Tenne lo sguardo sul corpo nel feretro, parve non sapere se e come continuare.
“Adesso… concedetemi un momento soltanto con lei.”
Se la voce non fosse stata amplificata magicamente, nessuno avrebbe compreso.
“Tanya.” Represse un singhiozzo. “Noi adesso cosa facciamo?”


Mentre il feretro spariva lentamente alla vista, era cominciata la pioggia. Pareva che anche il cielo fosse commosso per la fine di Tanya Larsson.
La gente sfollò con calma tetra. Rimase solo Lionel, immobile nel punto da cui aveva seguito l’intera funzione. Altre lacrime silenziose a confondersi nella pioggia.
Ron vagò senza meta nella quiete del cimitero. Era un bel posto, le tombe sistemate in ordine sparso, quasi casuale, sotto la volta di maestosi secolari. Era distante da qualsiasi città e c’era sempre un gran silenzio. Sapeva che molti maghi erano soliti passeggiare nel parco che lo circondava, in cerca di ispirazione.
Verso l’ora di pranzo, entrò in una piccola taverna nelle vicinanze, senza sapere come vi fosse giunto. Non si erano messi d’accordo ma vi trovò la New Phoenix al completo, mancava solo Lionel. Si sedette accanto a Harry e Ginny, mangiarono qualcosa in silenzio, limitandosi a scambiare uno sguardo di tanto in tanto.
Ognuno lasciò il locale per proprio conto, in orari diversi dagli altri. Di nuovo senza mettersi d’accordo, tornarono tutti alla tomba di Tanya. Lionel non si era mosso, ormai doveva essere zuppo fino alle ossa. Sofia gli si avvicinò ma non osò né sfiorarlo né rivolgergli la parola. Harry e Ginny si sedettero su alcune pietre al riparo di un secolare, Ron rimase più in disparte. Kendra e Michael erano divenuti inseparabili compagni di dolore, Drew e Jack parevano invecchiati di un’eternità.
I minuti si dilatarono.
“Il capitano Weasley ha ragione.” Scandì Michael, sforzandosi di rompere il silenzio nella maniera più delicata possibile. “Noi adesso cosa facciamo?”
Dovette dare voce alla domanda che si agitava negli animi di tutti, i volti, se possibile, si incupirono ulteriormente. Per altri minuti che parvero eterni, nessuno si azzardò a rispondere.
“Io dico che dobbiamo restare insieme.”
Sofia capì di aver dato voce al pensiero di molti, quando si vide rivolgere più di uno sguardo di approvazione.
“Come prima missione, non abbiamo fatto una bella figura.”
In quella immobilità surreale, Lionel pareva essersi mutato in statua, occorse un attimo in più per capire che era lui a parlare.
“Juggler ci ha rivoltati come ha voluto, dobbiamo avere la possibilità di rifarci.”
In diversi annuirono.
“Signori.” Harry aveva lasciato la posizione sotto l’albero e si era avvicinato. “Questa non era una missione qualsiasi. Ho avuto modo di apprezzare il comportamento di ognuno. E sono dell’idea che il progetto New Phoenix debba proseguire, se voi siete disposti.”
Parlando si accorse che il gruppo si era ricompattato intorno alla lapide. Capì, dagli sguardi, che le sue parole erano quelle che avevano sperato di sentire.
“Noi siamo la New Phoenix.” Disse Ron, entrando nel cerchio. “Tanya ci sputerebbe in faccia, se decidessimo di scioglierci.”

27 dicembre 2021
5 PM
San Mungo, Zona Protetta Permanente


Ron e Harry percorsero il corridoio quasi a passo di carica. La guaritrice Daniels, cinquantenne dall’aspetto sgradevole ma con fama di professionista ineccepibile, venne loro incontro con l’espressione enigmatica a cui li aveva abituati.
“Capitano Weasley.” Disse senza preamboli. “Ho una notizia ottima e una pessima. Quella ottima è che ci siamo riusciti, vostra moglie si è svegliata e ha chiesto di voi. Quella pessima è che non ha coscienza di questi anni, è convinta di essere stata male un giorno o due e che questo weekend dobbiate andare in gita a Dover.”

* * *

Liberamente ispirato al capolavoro di Joanne Kathleen Rowling,
alla quale appartengono molti termini e ambientazioni
i personaggi sono di mia creazione,
esclusi Harry e Ginny Potter, Ron e Hermione Weasley.
Ravenna 7 gennaio 2012

Next: note e considerazioni finali dell'autore.

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Capitolo 14
*** Nota dell'autore ***


Nota dell’autore

Ringrazio Manuela, che è stata la prima a leggere la storia e ne ha seguito lo sviluppo dall’inizio alla fine, dandomi consigli e discutendone diffusamente (crisi di sonno permettendo).

Grazie anche a Samantha per i suoi commenti al fulmicotone.
E a Diego che non ha letto la storia ma ha avuto la pazienza di ascoltarmi mentre gli raccontavo l’idea iniziale.

È ovvio che questa storia può o deve avere almeno un seguito, la voglia e le idee ci sono (per quanto confuse), spero di trovare anche il tempo e la giusta ispirazione. Fra il lavoro e il trasloco che si profila all’orizzonte, sarà dura ma farò del mio meglio.
Non disperate, un giorno la Cacciatrice tornerà a colpire.

*

Hermione: Cosa? Ancora? E che altro mi deve capitare? Ormai mi hanno fatto di tutto, tranne che mangiarmi, anzi, forse ad assaggiarmi ci hanno pure provato!
Fantasma di Tanya: Io cosa dovrei dire?
Hermione: Non può capitare un imprevisto piacevole una volta tanto? Che ne so, magari trovo un super robot Gundam parcheggiato sotto casa con le chiavi nel quadro.
Gulminar: Sarebbe un po’ troppo inverosimile, non credi?
Hermione: Perché? Quello che è successo finora è verosimile?
Gulminar: Al pubblico è piaciuto.
Hermione: Pensavo che dopo aver visto Juggler cantare e ballare The lion sleeps tonight con addosso solo la maschera, non potesse capitarmi di peggio.
Gulminar, Ron, Harry: O_O
Fantasma di Tanya: Quella volta che abbiamo visto Edward Cullen luccicare è stato peggio.
Juggler: Non mi veniva male però.
Hermione: Tu stai zitto o ti mischio le ossa.
Harry: Dai Hermione, a me la storia è piaciuta.
Fantasma di Tanya: A me un po’ meno.
Hermione (mettendosi le mani sui fianchi davanti a Harry): Vuoi una dose di Golconda? E tu (rivolta a Ron) non dovresti difendermi almeno un po’?
Ron si mette in un angolino a suonare la Fender.
Hermione: (imprecazione censurata) Ma chi è che ha dato l’ok per questa storia?
Chuck Norris: Io.


Hermione: Questa storia merita il Pulitzer. Che stavi dicendo sul prossimo episodio?

 

*

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