“Ho piena fiducia in Severus Piton”

di Nykyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima: La fiducia di Silente - 1. Ammissione di colpa. ***
Capitolo 2: *** Parte seconda: Un terribile errore. - 1. La spia perfetta. ***
Capitolo 3: *** Parte prima: La fiducia di Silente. - 2. Il pensatoio. ***
Capitolo 4: *** Parte seconda: Un terribile errore. - 2. Godric's Hollow. ***
Capitolo 5: *** Parte terza: Silente. - 1. Lui sta tornando. ***
Capitolo 6: *** Parte terza: Silente. - 2. La maschera del condottiero. ***
Capitolo 7: *** Parte quarta: Sacrifici. - 1. Il cuore e la causa. ***
Capitolo 8: *** Parte quarta: Sacrifici. - 2. Uno sbaglio da non replicare. ***
Capitolo 9: *** Parte quinta: Ciò che è giusto. - 1. Una spia che non sa mentire a se stessa. ***
Capitolo 10: *** Parte quinta: La cosa giusta. - 2. Severus ti prego... ***



Capitolo 1
*** Parte prima: La fiducia di Silente - 1. Ammissione di colpa. ***


“Ho piena fiducia in Severus Piton”

“Avada Kedavra!”:

parole d’amore per un

padre severo.

Haiku per Severus - Nykyo.

PARTE PRIMA: La fiducia di Silente.

1. Ammissione di colpa.

“E’ davvero molto agitato, Albus” – ripeté Minerva McGranitt, lei stessa un po’ più accalorata del solito – “Non sembra nemmeno lui. Te lo ricordi com’era schivo e silenzioso? No, non sembra lui. Gli ho ricordato che è un brutto momento… con tutto quel che sta accadendo, con tutto quel che ‘Tu sai chi’ ha scatenato ultimamente, ma insiste per vederti subito e ho creduto che sarebbe svenuto per la tensione, se non fossi corsa ad avvisarti”.

L’alto mago canuto sembrava non aver prestato la minima attenzione alle parole dell’amica e collega. Voltato di spalle continuava ad armeggiare con qualcosa all’interno dello scaffale che troneggiava dietro alla sua scrivania.

Solo alla fine si girò, un guizzo negli occhi chiari schermati da lenti a mezzaluna, subito sopito, e poi annuì – “Fallo salire subito, allora Minerva, e grazie”.

Ma lo disse con calma imperturbabile e senza mostrare la minima curiosità.

Poi sedette ad attendere il giovane mago bruno.

Lo squadrò, quando entrò con passo nervoso, troppo pallido, perfino per il suo solito, i lunghi capelli neri che spiovevano a ciocche come serpentelli ritorti sul volto magro e affilato.

Ancora così giovane quel viso, eppure le iridi nere già segnate, incise in profondità da esperienze premature e orribilmente sbagliate. Esperienze che non avrebbero dovuto mai toccarlo.

Lo osservò con attenzione, eppure l’altro non se ne accorse, perché lo sguardo del vecchio non era stato insistente.

“Severus Piton” – disse, infine – “Non è passato poi molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti alla consegna dei diplomi… siedi ragazzo, ti ascolto” – e gli indicò una pesante sedia in cui tanti studenti di Hogwarts si erano accomodati negli anni.

Il mago bruno scosse il capo e rimase in piedi, esitante; muto.

“Come preferisci” – Silente si strinse nelle spalle e si lasciò andare sull’alto schienale del suo scranno di Preside.

“Devo parlarle… “ – riuscì finalmente a dire il giovane, poi si morse duramente le labbra, prima di continuare – “Io ho… ho commesso un imperdonabile errore, ma ora… ora… “.

Non riuscì a proseguire, era ovvio che tentava di dominarsi, ma non vi riusciva del tutto.

Il sudore che gli imperlava la fronte, le mani strette con troppa forza sui bordi del mantello, fino a far sbiancare le nocche nell’emergere delle ossa sporgenti, un piede che disegnava nette e lente linee inesistenti sul pavimento di pietra, lo tradivano inesorabilmente.

Ha ragione Minerva – pensò il Preside – E’ un fascio di nervi.

Immaginava il perché, ne era tristemente conscio, e nel contempo era lieto di ritrovarselo davanti.

Ancora una volta, aveva avuto ragione: perduto e poi ritrovato. Severus Piton non l’aveva deluso.

E, penso che non mi deluderà nemmeno in futuro – si disse, ma non parlò, non aiutò quel giovane uomo tormentato ad iniziare quella che, di certo, sarebbe stata una confessione.

Non sarebbe stato giusto. Se il male non fosse sgorgato da solo, profondo e doloroso, da quelle labbra esili, fino a trovare totale sfogo, sarebbe stato peggio.

Così, invece, il mago si sarebbe forse sentito meglio alla fine. Era giusto, come il pagamento di un pedaggio, e poi lui doveva sapere ogni cosa. Tutto era prezioso alla causa, anche ciò che Piton magari non avrebbe ritenuto tale; né era bene essere imprudenti.

Ero certo che saresti venuto, Severus. Ti aspettavo. Ma devo essere comunque cauto, non è tempo di rischiare.

Si limitò ad assumere un’aria più grave e fargli cenno di continuare, agitando in aria una mano ossuta, in un gesto inconfondibilmente suo.

Piton deglutì, poi un’esplosione, roca e secca come lo spezzarsi di una lastra di ghiaccio ancora troppo sottile su cui sia stato caricato un peso eccessivo – “Sono diventato un Mangiamorte, un servitore dell’Oscuro Signore!”.

La manica che veniva arrotolata con violenza, lo strapparsi sonoro della stoffa e il Marchio Nero fissò le sue vuote orbite pulsanti sul vecchio mago canuto.

“Questo è il simbolo con cui ci ha marchiati tutti. Il segno che siamo i suoi schiavi” – sibilò il giovane.

Ma Silente non degnò di uno sguardo il grande teschio dalla lingua di serpente, pur comprendendo quanto era costosa quell’esibizione per il disperato ventenne ritto dinnanzi a lui.

Disperato, sì. Devi essere davvero giunto al limite, ragazzo per piegare il tuo orgoglio a questo. Ti conosco, Severus, ti ho osservato più di quanto tu non creda nei tuoi anni di scuola. Quanto in basso sei caduto per essere qui ora? Eppure, vorresti risalire, lo sento.

Ma tacque, ostinatamente, attendendo che Piton incidesse da solo il suo cuore per lasciar sgorgare tutto il veleno che gli colmava il petto.

Severus chinò il capo, vinto da quel silenzio. Non era avvezzo ad un simile tipo d’umiltà, tanto in contrasto col suo usuale orgoglio, ma Voldemort gli aveva insegnato a duro prezzo quel gesto.

Lo compiva con disgusto, anche verso se stesso, ogni volta che era al cospetto del Lord. Ora, però, fu solo spontaneo segno della vergogna, per ciò che era diventato.

Con stupore si accorse che gli importava davvero del giudizio di Silente. Non era solo l’unico mago che, forse, avrebbe ancora potuto tendergli una mano e salvargli l’anima, era soprattutto – solo adesso Severus se ne rendeva conto, anche se l’aveva sempre saputo – un uomo profondamente retto e integro, come lui non poteva più definirsi ormai.

“Mi sono lasciato accecare dai miei sogni, da ideali assolutamente folli” – mormorò. I suoi occhi guizzarono per un istante, come nere fiamme, a perdersi in quelli azzurri del Preside, cercandovi condanna.

“Sono diventato un assassino… “ – un ulteriore sibilo, quasi strozzato; il braccio sinistro ricadde inerte, senza che il teschio dalla lingua di serpente cessasse di irriderlo.

Dannazione, cosa sono venuto a fare qui? Cosa spero da questo vecchio mago che ha solo motivi per biasimarmi? Che non mi condanni, che mi dica che posso salvarmi? E come, come, quando non merito che di pagare il prezzo per aver buttato via la mia anima? Ma forse… se solo Silente potesse intervenire, fermare almeno quest’ultima pazzia…

“Lo so, o meglio, lo temevo, ragazzo” – fu, infine, la risposta pacata del Preside.

Lo temevo da tempo è non ho potuto far nulla per impedirlo, Severus. Perdonami, ho tentato, ma ho anche io le mie colpe, perché non ci ho mai messo abbastanza impegno. Non potevo. Non lo ritenevo giusto.

Ciascuno deve seguire la sua strada, quella che sceglie e costruisce, eppure, a differenza di te, io sentivo che stavi entrando nelle tenebre, ma non eri privo di luce. E’ in questo il mio sbaglio: se avessi pensato che eri senza speranza, perché non lasciarti andare? Cosa sarebbe cambiato? Invece, Severus, tu eri forse l’unico che avrei potuto fermare in tempo, sull’orlo dell’abisso.

Erano aguzzi i sassi che ti hanno spezzato, incrinandoti il cuore, come mi mostra il tuo sguardo? Sì, lo erano e io ti ho lasciato cadere sul fondo del baratro.

Ho anche io le mie colpe, verrà anche il mio tempo. Intanto ho compreso; non accadrà mai più.

Se mai dovessi un giorno osservare un’altra anima in bilico, mi ricorderò di te, ragazzo, e tenterò, se appena scorgerò la speranza. Tenterò di evitarle di precipitare, a qualunque costo.

Il giovane mago lo fissò incredulo, gli occhi nerissimi colmi di confusione che si sommava all’angoscia.

Silente sapeva? Oh, quel vecchio conosceva sempre ogni cosa in anticipo. E, ovviamente, non c’era alcun timore nelle iridi chiare che incontravano apertamente le sue.

Nemmeno gli aveva domandato di consegnare la bacchetta. Certo, chi era mai lui, Severus Piton, sciocco ragazzino appena fatto uomo e già bruciato per sempre, per poter anche solo lontanamente pensare di incutere paura o preoccupazione in un mago potente ed esperto come Albus Silente?

Si sentì piccolo; non solo troppo sciocco, sbagliato e giovane, dinnanzi a quello stregone serio, già carico d’anni, ma veramente insignificante e minuscolo. Meschino, depravato e inutile, con tutte le sue paure e con i rimorsi che lo tormentavano soltanto per colpa della sua stessa incosciente follia.

Gli sembrò vano essere andato lì, a Hogwarts, a chiedere aiuto.

Aiuto per cosa? Per salvarsi la vita? Per non marcire per il resto dei suoi giorni ad Azkaban, come per altro meritava?

No, no, solo perché finisca. Perché non accada di peggio, per non dover lacerare oltre la mia anima, se ancora esiste. Io non ce la faccio da solo. Io devo rimediare. Io devo sfuggire all’oscurità che mi soffoca; devo fermare quel pazzo. Non ne posso più! Non ce la faccio più, basta, basta, basta!

Le sue pupille dilatate lo gridavano ossessivamente.

“Mi dispiace, ma non mi sorprende affatto” – aggiunse Silente, con una certa dolente dolcezza, senza condanna, solo come un’amara constatazione.

Quelle parole colpirono il giovane Piton come una frustata.

Dispiacere? Solo questo? Come ci si rammarica bonariamente con un bambino che ha rotto una suppellettile, anche se era stato avvertito di non toccarla? Io ho ucciso, ho spezzato vite. Io sono diventato un mostro!

“Le dispiace?” – la voce del mago bruno risuonò stridula e irosa, eccessivamente acuta, ancora troppo immatura, mentre le parole gli sgorgavano di bocca, irrefrenabili – “Dispiace? Ho…io ho commesso colpe atroci. Ho le mani sporche di sangue, non lo vede? Io sì, io lo vedo anche adesso. Continuo a vederlo perfino se chiudo gli occhi” – sollevò le mani al viso; ora tremavano incontrollabili, contro ogni sua volontà.

“Lo vede anche lei?” – continuò, fissandosi le dita, ma senza realmente osservare più niente, perduto nell’abisso della propria coscienza – “Come fa a non urlare di disgusto? Come fa a posarmi gli occhi addosso senza che la nausea la sconvolga? Io… io non riesco più nemmeno a guardarmi allo specchio… “.

Silente si alzò e sospirò rumorosamente, mentre si sporgeva verso di lui, imponente nel corpo esile che non poteva nascondere l’emanazione di uno spirito forte, potente, e assolutamente superiore.

“Mi dispiace” – ripeté, ostinatamente paterno – “Ma ne ero al corrente, o meglio lo immaginavo e temevo da tempo che sarebbe successo. Eppure, sapevo anche che non eri realmente perduto. Ti aspettavo, certo che prima o poi saresti venuto. Ne ho visti di giovani maghi come te, rovinati dal proprio nome, o dall’ambizione, oppure solo dalla loro crudeltà e pochezza. Ho provato a mostrarvi quali valori contano davvero, ma evidentemente non è bastato a tenervi lontani dall’orrore. Però, sapevo che tu avresti capito. Mi dispiace che sia accaduto solo ora, immagino che sarebbe stato meglio per te e soprattutto per coloro che hanno incrociato la tua strada, se tu non avessi mai commesso un così terribile sbaglio. Ma sei qui, ora. Ti ascolto, ragazzo”.

Il giovane mago bruno si lasciò cadere sulla sedia che poco prima aveva rifiutato, spossato, disarmato.

Prese fiato e aprì la bocca, ma poi la richiuse, serrando il labbro inferiore tra i denti, ferocemente.

Provò, ancora ed ancora, ma le parole non volevano lasciare la sua gola.

Infine riuscì. Chiuse gli occhi e lasciò andare il dolore, il rimorso, la disperazione, la paura; ogni singolo orrore e ricordo, serbando solo una delle sue colpe, quella che più lo affliggeva. Quella che l’aveva convinto, oltre il suo giovanile terrore di Voldemort, a recarsi a Hogwarts.

Non riusciva ancora a parlarne, ma non celò nient’altro al Preside.

Si accusò a lungo. Sillabe pesanti come macigni che graffiavano il suo petto, trafiggendogli il cuore, prima di diventare finalmente suono.

Il vecchio l’ascoltò in silenzio, traendo spesso lunghi sospiri di disapprovazione, inscindibilmente mescolata a comprensione.

L’ascoltò, fino a che le parole non tornarono a morire dietro alle esili pallide labbra del mago più giovane.

Eppure, c’è ancora qualcosa che non mi hai detto, Severus. Qualcosa che non riesci ancora a buttar fuori e ti annoda le viscere. Aspetterò, è proprio quella la cosa che più di tutte desideri confessarmi, lo sento.

Attenderò, e tu me la dirai, non appena sarai pronto.

Infine, si volse e trasse dallo scaffale un pesante bacile piatto di pietra istoriata, deponendolo con delicatezza sulla scrivania, come se fosse estremamente leggero. Era evidente che era abituato a maneggiarlo.

“Bene” – disse col tono più cupo che avesse usato fino ad allora – “Sai cos’è questo, Severus?”.

Ancora accasciato, come svuotato anche del fiato, il mago bruno scosse il capo. Qualunque cosa fosse quello strano catino, come poteva avere a che fare con ciò che era appena riuscito a confidare al Preside e con quel che ancora gli bruciava in gola non detto?

“E’ un Pensatoio, ragazzo” – continuò Silente, impugnando la propria bacchetta – “Dovresti sapere a cosa serve e come funziona. Sei sempre stato uno che ama conoscere ogni cosa”.

Piton annuì – “Non mi crede? Vuole i miei ricordi per verificare se le ho mentito? Li prenda pure, se ha davvero il coraggio di immergersi in un simile inferno, anche se non vedo a cosa possa servirle. Vedrebbe solo i miei gesti, ma senza i miei pensieri cosa le darà la certezza che ho detto la verità e sono realmente pentito?”.

“Me la darai tu” – sentenziò il vecchio, asciutto – “Sarai tu stesso, a fornirmela”.

Il giovane mago rabbrividì, in un lampo atroce di comprensione.

No, no, questo no. Non ho già sufficientemente piegato me stesso? Non avrà mai fine questa tortura? Ricordare è terribile, ma rivivere ogni cosa… no, non voglio, non posso!

“Vuole che io entri con lei nei miei stessi ricordi?” – voleva essere una domanda distaccata, ma fu quasi un grido di dolore – “No, non me lo chieda, mi domandi qualunque altra prova, qualunque altra cosa… “.

Oh, so cosa ti sto imponendo, ragazzo. Se davvero, come credo, il tuo è pentimento sincero, se realmente è così doloroso per te guardare a ciò che sei diventato, sarà una tortura, ma ho i miei motivi ed è giusto.

Se hai ancora luce in te, come io penso e spero, questo sarà il primo prezzo da pagare.

Anche io, a volte, posso solo essere spietato. Ci sono occasioni in cui devo esserlo.

“Sei venuto qui perché desideri il mio aiuto” – gli rispose severo – “Benissimo, ma detto io le condizioni. Non voglio ferirti o umiliarti, ma devo sapere ogni cosa; entrare in te realmente. Vuoi prenderti carico delle tue colpe, non è così? C’è sicuramente voluto coraggio per venire fin qui, ora mostra di averne a sufficienza per affrontare quel che hai fatto fino in fondo”.

Poi fissò la finestrella dai vetri policromi e aggiunse, col tono di chi non ammette repliche – “E’ l’alba, dirò a Minerva McGranitt che non desideriamo essere interrotti. Non importa quanto tempo ci vorrà, sei giovane e resistente. Quanto a me, ho visto cose ben peggiori di quel che possono essere i tuoi ricordi”.

Uscì svelto, per rientrare poco dopo pronto ad esigere il suo tributo.

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Capitolo 2
*** Parte seconda: Un terribile errore. - 1. La spia perfetta. ***


PARTE SECONDA: Un terribile errore.

 

 

1. La spia perfetta.

 

 

Non appena ne fu realmente consapevole, la dolcezza di Silente parve insopportabile al giovane mago.

Si alzò di scatto, allontanando bruscamente le mani del vecchio dalle sue e scagliando via il calice, che andò ad infrangersi poco lontano sull’antico pavimento di pietra, tingendolo di un rosso cupo troppo simile al colore del sangue. Distolse lo sguardo, disgustato.

I pensieri si fecero parole, gridate senza alcun controllo – “Non sia gentile con me. Non voglio la sua gentilezza! Non me la merito. Non merito che disprezzo. Non sono venuto qui per chieder perdono… non è questo. Non sono qui per me stesso… “.

“E per cosa, allora, ragazzo?” – lo interruppe calmo il Preside – “Cosa ti ha portato da me? Non credi che sia venuto il momento di dirmelo?”.

Occhi chiari fissi nei neri abissi di quelli del ventenne tremante dinnanzi a lui. Occhi che non conoscevano ancora la risposta, pur dopo aver scrutato a fondo la sua mente torturata.

Devi dirmelo tu, Severus. E’ qualcosa che ti fa troppo male, l’ho capito. Male al punto che vorresti rivelarmelo, ma, per tutto il tempo, la tua mente ha tentato di negarlo e rimuoverlo. Perciò, ho conosciuto ogni tuo pensiero, ma questo è rimasto intoccabile, come assente. Saresti un ottimo occlumante, sai.

Forza dillo, il coraggio ormai non ti manca.

“La Profezia” – mormorò il mago bruno, con la voce ridotta ad un soffio – “Ho commesso un terribile errore![1]

Poi, una nuova esplosione, in tono ancora parzialmente infantile, non del tutto adulto – “Quella maledetta Profezia che ho inavvertitamente ascoltato alla locanda. Se la ricorda? Quelle dannate parole… e non ho nemmeno sentito la fine… “.

Lo sguardo di Albus Silente lampeggiò dietro alle piccole lenti. Scordò all’istante dispiacere e compassione. Il Preside paternamente preoccupato per l’ex studente scomparve, lasciando il posto solo all’indomabile combattente; al più temibile dei nemici di Lord Voldemort.

“Va avanti” – intimò, imperioso.

Il giovane Piton prese fiato, gli parve che un nodo gli risalisse su dalle viscere per poi bloccargli la gola. Infine passò e riuscì a mormorare – “L’ho riferita all’Oscuro Signore… “.

Un’altra pausa. Ora, erano fin troppe le parole che premevano per poter uscire dalle sue labbra martoriate.

Le lasciò andare, con confusa veemenza – “Non sapevo… non potevo immaginare… Non avevo alcun modo di sapere come Lui poteva interpretarla; il senso che avrebbe potuto darle[2]. Ma parlavano di Lui e io… sono stato un imperdonabile sciocco, un bambino, uno stupido” – si tormentò le mani, prima di continuare – “Volevo… credevo ancora che potessero esservi vera gloria ed onore presso l’Oscuro Signore, per chi lo serviva con solerzia, o forse avevo solo paura di cosa sarebbe accaduto se Lui avesse scoperto da altri che io avevo ascoltato la Profezia, ma gliel’avevo taciuta. Come potevo sapere che Lui… “.

“Non potevi” – constatò Silente, ancora interamente concentrato sulla rivelazione, inaspettatamente importante, che stava per ascoltare – “Ma ora, invece, lo sai. Adesso sai come Voldemort può aver interpretato quella Profezia. Di qualunque cosa si tratti, ragazzo, devi dirmelo. Non aver paura di me, parla liberamente. Dimmi tutto, forza”.

“Non ho paura di lei” – Severus scosse sconsolatamente il capo – “Ma di ciò a cui ho dato inizio. Non volevo. E’ terribile! Lei l’ha visto con i suoi occhi, poco fa: ho bruciato la mia anima, ma questo… è mille volte peggio… non volevo”.

Non ho paura di lei Signore, ma la prego, la prego, lo fermi. Non glielo lasci fare. Lei deve fermarlo, solo lei può riuscirci.

La supplico, deve impedire che accada… non m’importa di me, non hanno senso le mie infantili giustificazioni, ma lo fermi. Non voglio anche questa colpa, non ce la faccio a sopportarlo.

Infine, proruppe disperatamente, tutto d'un fiato – “I Potter, Signore. Lui ha saputo della nascita del loro bambino. Le date coincidono. Potrebbe credere che la Profezia sia riferita al bambino, a Harry Potter; al figlio di Lily…”.

Silente imprecò contro se stesso per aver perduto tanto tempo infliggendo al ragazzo il tormento dei propri ricordi, anche se, in fondo al cuore, era certo di non aver scelto la via sbagliata. Nonostante tutto, le ore trascorse dall’arrivo del giovane mago nel suo studio erano servite a dargli la certezza che poteva fidarsi pienamente di lui e che non si trattava solo di una trappola escogitata da Tom Riddle.

“Cosa esattamente gli hai riferito? Quanto hai sentito della profezia?” – domandò immediatamente.

“Solo l’inizio” – rispose Piton agitato – “Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del settimo mese”[3].

“Solo questo” – ripeté in un roco mormorio – “Ho sempre avuto una certa facilità nel mandare a memoria ciò che ascolto… e ora non riesco più a levarmi questa frase dal cervello. Io… so che lui ha quasi ucciso i Potter per tre volte e il loro bambino è nato il 31 di luglio.‘Sull’estinguersi del settimo mese’… il 31 di luglio… Lui potrebbe credere… forse ha già pensato che si tratti del figlio dei Potter. Sono corso qui da lei subito, appena ho capito che l’Oscuro Signore avrebbe potuto pensare che la profezia si riferiva al piccolo Harry Potter… “.

Gli mancò la voce, mentre continuava a tormentarsi le mani in preda all’ansia.

“Aspettami qui, non ti muovere e se dovesse entrare qualcuno non dire una parola di ciò che mi ha appena riferito e di tutto quel che è successo finora. A nessuno!” – un ordine perentorio, privo di fronzoli e Silente era già fuori della stanza, dopo averla percorsa a grandi falcate.

Il primo di una lunga serie di comandi, anche se il ventenne disperato e spaventato non poteva saperlo, ma era già pronto ad obbedire lealmente.

 

 

Silente tornò quasi due ore dopo e non appena posò gli occhi sul ragazzo scordò nuovamente di essere il più fiero oppositore di Voldemort, per tornare ad essere solo un uomo e un educatore che non poteva che riconoscere i propri errori.

Lo sguardo di Piton era una supplica dolorosissima, una muta invocazione spaventata. Nel nero delle iridi si leggeva il terrore che fosse troppo tardi.

Povero Severus. Avrei davvero dovuto fermarti prima che tu scegliessi la via sbagliata. Affrontarti duramente e rivelarti che avevo compreso a cosa potevano condurti le tue insicurezze, i tanti desideri, la solitudine, le amicizie sbagliate che frequentavi e soprattutto la tua sete di sapere.

A guardarti mi stringe il cuore. Ho avuto qui Voldemort in persona, con tutta la sua melliflua arroganza, a fingersi umile, seduto su quella stessa sedia, ma non ho mai ritenuto che ci fosse speranza per lui.

Invece, per te c’era, ragazzo, per questo avrei dovuto lottare.

Ma forse non sarebbe servito. Che potevo fare, in fondo? Magari non mi avresti dato ascolto.

Ora però, sei qui e anche se dovrò chiederti un sacrificio enorme, ti giuro che troverò il modo per tenerti per sempre lontano dall’abisso. Non ti lascerò cadere di nuovo, Severus.

Se lo facessi ancora, sarebbe imperdonabile.

Lo raggiunse e gli posò lieve una mano sulla spalla. Era ancora poco più che un ragazzino, un bimbo rispetto ad un vegliardo come lui.

Severus sollevò il capo e il Preside non indugiò oltre – “Sta tranquillo. Ho preso le mie precauzioni. Sarà fatto tutto il possibile per proteggere i Potter. Per ora, in ogni caso, non è accaduto loro nulla di male. Lascia che ci pensi io”.

Era talmente calma la voce di Silente, che Severus non potè che credergli e confidare totalmente in lui. Aveva un disperato bisogno di credere e sperare.

Si sentiva sfinito, ma ora era facile parlare, finalmente – “La ringrazio”.

Uno dei grazie più sentiti che il vecchio avesse mai ascoltato.

Poi, con fermezza – “Sono pronto ad andare ad Azkaban. Avverta pure gli Auror perché vengano a prendermi”.

E’ quel che merito. Solo quel che realmente mi spetta e forse è perfino troppo poco. Non ho più timore, nemmeno dei Dissennatori.

Come posso temere l’oblio? Quanto vorrei poter davvero dimenticare. Non desidero altro.

Silente fece un cenno di diniego col capo.

No, ragazzo, niente Azkaban. Non sarà questo il tuo destino.

Sei un dono e saprò far tesoro di te. L’ho compreso subito.

Non ti piacerà, ne sono consapevole. Ti farà male. Ancora sofferenza per te, ma sei più forte di quel che credi, o non saresti qui, e io ho bisogno di te.

Sei perfetto, Severus Piton. Assolutamente perfetto per me e per la causa, più di qualunque altro collaboratore io abbia mai avuto. Perfetto e fidato. Lo sei, perché vorrai esserlo.

Ad Azkaban saresti solo sterile preda del tuo inferno. Io, invece, ti darò la possibilità di costruire, laddove finora hai solo distrutto e un giorno, forse, sarà importante per te aver avuto l’occasione che sto per offrirti.

Un giorno, forse, qualunque cosa accadrà, farà la differenza, quando tirerai le somme.

“Niente Azkaban. Non ci andrai” – rispose senza staccargli la mano dalla spalla.

Piton sgranò gli occhi, incredulo.

“Non… “ – domandò nuovamente confuso – “Che cosa intende dire?”.

Silente non ritenne di doversi affidare a giri di parole. Meglio essere diretti, perfino concisi.

“Hai dimostrato coraggio e pentimento per le tue colpe” – disse semplicemente – “Vero pentimento. Gettarti in una cella in balia dei Dissennatori sarebbe uno spreco. Invece, rimedierai ai tuoi errori e lotterai perché non vengano più commessi i crimini orrendi che ora ti ripugnano tanto. Farò di te un collaboratore, una spia. Se lo vorrai”.

Le ultime tre parole suonarono decisamente retoriche al giovane, ancora incapace di credere alle proprie orecchie.

Io una spia? Come una spia?

Poi comprese cosa poteva significare e si alzò di scatto, arretrando istintivamente, tanto da rovesciare la pesante sedia intagliata.

“Intende…? “ – gli mancò il fiato.

“Tornerai da Voldemort” – affermò sicuro il vecchio – “Ti fingerai ancora suo leale servitore e raccoglierai informazioni per me e per coloro che come me lo combattono”.

Il mago bruno scosse convulsamente il capo – “No, no. Non posso, non me lo chieda. Non posso! Non mi rimandi tra i miei incubi. Farò qualunque altra cosa lei mi domanderà, ma non voglio tornare da Lui”.

Non dall’Oscuro Signore. Non a guardare i suoi Mangiamorte mentre uccidono ancora, mentre torturano, mentre godono del dolore e del terrore altrui. Non da Lui che potrebbe impormi di uccidere nuovamente. No! Non voglio più essere un assassino. Non posso più uccidere. Mai più!

Silente continuava a guardarlo con sicurezza, come se fosse già certo di poter contare su di lui.

“Ti sto dando una seconda possibilità, ragazzo” – replicò – “Ti sto offrendo una scelta. Non sono tanti coloro che possono vantarsi di aver avuto una simile opportunità nella vita, per rimediare ai propri errori. Ti sto dando, Severus, una via da percorrere per poterti un giorno guardare nuovamente allo specchio senza disgusto o vergogna e poter dire a te stesso: sono caduto, ma ho saputo rialzarmi. E ti sto offrendo piena fiducia; nella tua correttezza e lealtà, nelle tue capacità e nel coraggio che hai dimostrato”.

Fiducia in me? In un assassino. Mi ha visto uccidere. Mi ha visto con i suoi occhi nel pensatoio. Fiducia nelle mie capacità? Lei crede in me?

Nessuno mi ha mai offerto altrettanto. Mi hanno sempre condannato per quel che ero, anche quando non avevo ancora le mani sporche di sangue. Mi hanno giudicato anche solo per la Casa d’appartenenza, per il mio interesse per le Arti Oscure, perché ero cupo, goffo, diverso e impacciato.

Che altro poteva mai diventare Severus il secchione, il moccioso sempre vestito di nero, sempre a leggere libri e rimuginare incantesimi, anche proibiti, se non un Mangiamorte?

Ho finito per crederci anche io.

Ma tornare nel cerchio dei Mangiamorte, no. Non ce la faccio. Non ho vero coraggio, non fino a questo punto, no.

Si sentiva morire al solo pensiero di Voldemort. Non della sua collera, ma della sua sola presenza, dei suoi possibili ordini, di tutto l’orrore che gli ruotava intorno.

Si sentiva minuscolo e impotente; perduto e spaventato. Nauseato; troppo debole.

Gli tremavano di nuovo le gambe. In fondo, aveva sperato, quasi bramato Azkaban. La prigione pareva un luogo di pace rispetto alla cerchia dell’Oscuro Signore. Il bacio del Dissennatore poteva porre fine alla sofferenza.

La tensione spazzò definitivamente via ogni orgoglio.

“NO! Mi mandi ad Azkaban. Mi uccida, mi faccia fare qualunque altra cosa, ma non mi rimandi di nuovo indietro in quell’inferno, la prego” – scongiurò, mentre le lacrime premevano di nuovo contro il bordo dei suoi occhi neri, dilatati dallo sgomento – “Tutto, ma non questo, non di nuovo da Lui. Non so fingere fino a questo punto. Io… e se mi ordinasse di uccidere ancora? Preferirei morire, glielo giuro. Non me lo chieda”.

Silente si lisciò la fluente barba bianca e rispose sereno – “Ti darò una copertura, che convinca anche Voldemort, anzi che lui potrà credere vantaggiosa per sé. Una copertura che ti ponga in una situazione tale per cui perfino Voldemort troverà poco conveniente farti commettere nuovi delitti. Non subito, ma ci lavoreremo e, appena saremo pronti, faremo in modo, io e te, che lui creda di aver avuto la brillante idea di mandarti da me. Imparerai a fingere perfettamente. Per ora Voldemort non ha alcun motivo per non fidarsi di te, e non ne avrà per lungo tempo. Intanto imparerai. Anche se oggi non ti sei opposto alla mia legilimanzia, un giovane riservato come te non dovrebbe aver problemi a diventare un buon occlumante. Un ottimo occlumante; ti istruirò personalmente. E se mai Voldemort dovesse dubitare sarà troppo tardi”.

“E se non riuscissi?” – un grido soffocato, uscito da labbra tremanti – “Non m’importa di essere ucciso, ma se, invece che aiutarla dovessi danneggiarla? Se dovessi deluderla?”.

Silente sorrise – “Non lo farai. Perché ci metterai tutto il tuo impegno. So quanto profondo può essere. Sono certo che ti impegnerai, perché tu per primo vorresti vedere Voldemort sconfitto. Se lui cadesse non ci sarebbero più omicidi, torture, stupri, sparizioni. Se lui cadesse, nessuno darebbe la caccia ai Potter. Diventerai la mia spia e proteggerai personalmente Lily, James e il bambino, perché se davvero Voldemort dovesse decidere di far loro del male tu potresti riferirmi immediatamente che è sulle loro tracce”.

Sono crudele con te, ragazzo. Pretendo di metterti interamente in gioco. Ti chiedo te stesso, corpo e anima. Ti sto domandando la vita intera. Ma devo e tu accetterai, perché c’è ancora in te la luce che ho potuto vedere con tanta chiarezza.

Severus pensò che il Preside aveva ragione. Lui avrebbe per sempre fatto i conti con i propri rimorsi, ma desiderava con tutto se stesso che l’Oscuro Signore cessasse la sua tremenda, folle avanzata e che fosse fermato, prima che potesse compiere qualcosa di orrendo a causa della Profezia che gli aveva sconsideratamente riferito.

Oh, vederlo sconfitto e poter dire a me stesso di essere stato anche solo in minima parte l’artefice di quella disfatta… Saperlo non più in grado di nuocere…

Ma tornare da lui, e replicare ogni notte l’orrore, ancora, ancora, senza fine, ora che aveva creduto che, invece, il legame di sangue con il suo odiato mentore si sarebbe potuto spezzare, era troppo doloroso.

Cadde in ginocchio, tremante come lo era stato nel rivivere i propri strazianti ricordi, infelice come non mai, forse nuovamente febbricitante.

Si prostrò, ripentendo, singhiozzante – “Non me lo chieda. Qualunque altra cosa, la supplico, ma non questo” – e afferrò la veste del vecchio mago per portarla alle labbra, com’era solito fare con l’Oscuro Signore, per far comprendere al Preside quanto era conscio della propria inadeguatezza e pochezza e fino a che punto era disperato.

Ma Severus Piton non baciò mai l’orlo di quella lunga tunica azzurra, perché Albus Silente lo agguantò con foga per il bavero del mantello e lo sollevò, con forza insospettabile in un vecchio tanto esile, rimettendolo in piedi all’istante.

“Mai in ginocchio davanti a me, Severus!” – esclamò con vigore, fissandolo con occhi perfino più eloquenti delle parole – “Mai! Ti ho forse chiesto di umiliarti? Sono forse Voldemort io, che un uomo debba degradarsi ai miei piedi perché io possa camminare a testa alta? Credi che mi reputerei degno di stima se ti lasciassi calpestare la dignità che nelle ultime ore hai dimostrato di possedere? O che ti costringerò, se realmente non lo desideri, ad accettare il ruolo di spia e ritornare in tale veste da Voldemort? Io non voglio schiavi, Severus, io non compro le persone e non ti prometterò folli e falsi doni, né ti ricatterò con lo spauracchio di Azkaban, che non temi e che ti eviterò in ogni caso. Io guardo alla persona, e all’uomo che ho davanti lascerò libera scelta. Sei tu che decidi”.

Il cuore del giovane mago batteva all’impazzata.

Nessuno prima d’ora l’aveva mai trattato così: realmente da pari a pari. Ma Silente non vantava verso di lui altro titolo di superiorità se non l’età e la maggior esperienza.

Essere rispettato, era tutto ciò che sempre aveva desiderato. Rispettato davvero. Invece, era stato spesso umiliato e mai si era sentito realmente stimato.

Né se lo sarebbe aspettato ormai, con le colpe che gli schiacciavano ferocemente le spalle; fermamente convinto di non meritarlo più.

Voldemort per primo l’aveva sempre e solo ingannato e aveva distrutto ogni briciolo della sua dignità. L’aveva reso schiavo, assassino, animale marchiato, facendo sì che lui stesso non potesse più tributarsi rispetto.

Come può trattarmi come se fossi degno di stima? Come fa a fidarsi di me? Proprio di me?

Come fa a sapere che non lo tradirò? Anche se è vero: non lo tradirei mai, morirei oggi stesso piuttosto che ripagare così il dono che mi ha appena fatto. Il regalo di cui mi sento indegno: una fiducia totale e incondizionata.

Darei qualunque cosa per non deludere la fede che depone in me.

Il vecchio, non solo non lo aveva condannato, ma gli tendeva la mano ed era disposto a credere in lui, perfino a difendere il suo onore e la sua dignità, impedendogli un gesto servile.

Anche solo il modo in cui aveva pronunciato il suo nome era un privilegio inaspettato che lo lasciava senza fiato. Non come tutte le altre volte, quel giorno, in tono paterno come con un bambino spaurito, ma come rivolgendosi ad un uomo.

Lui si era sentito realmente adulto per la prima volta.

Ho creduto d’essere diventato uomo, prima d’oggi. Ho creduto d’essere intelligente e sapiente. Ho pensato: sono un cresciuto, sono padrone della mia vita, non più l’adolescente insicuro che può essere oggetto di scherno.

Sbagliavo. Ero ancora un ragazzetto immaturo, incosciente e accecato. Solo quella mano che mi ha sollevato da terra e le sue parole mi hanno fatto veramente sentire un uomo e non un bambino.

Mi hanno fatto sentire libero.

Prima ancora di aprir bocca per rispondere, Severus Piton seppe con certezza che il primo tratto della sua nuova via era segnato e sarebbe stato il Preside ad indicargliela. Ma lui solo l’avrebbe tracciata. Lui l’avrebbe imboccata.

Comprese, senza ombra di dubbio, che per la persona straordinaria che era Albus Silente, non per la sua innegabile potenza, o per l’enorme aura magica, non per le conoscenze innumerevoli o per la saggezza, ma solo per la profonda e sincera umanità di quel vecchio incredibile lui sarebbe andato ovunque, perfino da Voldemort, perfino ad immergersi nel più profondo degli incubi, nel più oscuro abisso, volontariamente.



[1] La frase pronunciata dal mio giovane Piton è volutamente la medesima frase con cui Silente, parlando del fatto che Piton rivelò a Voldemort la profezia, risponde a Harry nel cap. 25 (“La veggente spiata”); pag. 497 de Harry Potter e il Principe Mezzosangue.

[2] Anche in questo caso le parole di Piton coincidono quasi perfettamente con quelle di Silente, ancora da HP6, cap. 25, pag. 498.

[3] Da HP5; pag. 777.

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Capitolo 3
*** Parte prima: La fiducia di Silente. - 2. Il pensatoio. ***


Grazie ragazze per i commenti.

 

Astry e Sella, siete due tesori come sempre e mi fate arrossire.

 

Alexia, le tue recensioni non rasentano il geniale, sono geniali ;) E io ti adoro. Spero che questo capitolo ti piaccia.

 

A tutti buona lettura.

 

Nykyo

 

 

 

2. Il Pensatoio.

 

 

Severus si arrese. Del resto, chi se non se stesso poteva biasimare se la sua memoria era già divenuta, nonostante la giovane età, un desolato luogo di supplizio?

Anticipò il Preside, che gli si era accostato con la bacchetta levata, e sfoderando la propria se la poggiò su una tempia.

Aveva solamente letto nei libri il corretto metodo di estrazione dei ricordi, ma non fu quella la difficoltà che rese lenti i suoi movimenti, mentre un sottile filo di sostanza, né liquida né gassosa, simile a chiaro vapore filaccioso si annodava strettamente al legno scuro.

Poco dopo, il primo dei suoi tanti errori, l’iniziazione, la notte in cui gli era stato imposto il Marchio che avrebbe segnato per sempre la sua carne e la sua anima, bruciandole entrambe, vorticava nel Pensatoio e lui v’immerse le dita esitante, come se stesse per tuffare la mano nell’acqua bollente o in un liquido corrosivo.

 

 

Il primo pensiero di Severus Piton, quando fu di nuovo nella grande stanza circolare del Preside, fu che, a vedersi dall’esterno, ad osservare se stesso, mentre si lasciava marchiare come un animale o uno schiavo, si sentiva ancora più piccolo, sciocco e colpevole.

Come ho potuto credere, anche solo per un minuto che avesse senso seguire un mentore capace di umiliare così i suoi allievi?

Come ho potuto pensare che la conoscenza o il potere valessero il prezzo della mia dignità e del mio orgoglio?

Si sentiva disgustato di sé e privo di speranza. Patetico e inutile.

Meritavo di essere disprezzato dagli altri, se realmente sono stato così meschino da vendere la mia integrità e libertà al miglior offerente. E in cambio di cosa, dannazione? Cos’ho mai ottenuto in cambio? Quale contropartita avrebbe mai potuto valere davvero me stesso e la mia anima. Non sono nemmeno degno di definirmi un bambino immaturo. Sono solo scuse puerili.

Incontrare lo sguardo del vecchio mago lo fece sentire ancora peggio, perché vi lesse i suoi stessi pensieri.

“Hai avuto dignità a sufficienza per domandare aiuto, Severus” – disse Silente, rispondendo con gentile solennità alle sue domande inespresse, poi indicò nuovamente il Pensatoio.

La bacchetta di Piton si mosse con estrema lentezza, estraendo un nuovo filamento grigiastro.

Le labbra gli tremavano, ma non si sottrasse.

 

 

Il suo primo vero, incancellabile, peccato: la prima vita recisa in nome di un padrone che non conosceva pietà, nemmeno per i suoi servi.

Due sole parole, un lampo verde, crudele e vibrante, ad illuminare la notte, il tonfo sordo di un corpo che cadeva inerme, due paia d’occhi sbarrati sull’incubo, e non una ma ben due vite erano state spente, inesorabilmente.

Quella della vittima innocente e quella del carnefice, doppiamente colpevole. Reo di aver ucciso e di possedere una coscienza pronta a rinfacciarglielo atrocemente.

Senza più vita quel povero corpo scompostamente accasciato al suolo e morto dentro il ragazzo incappucciato con la bacchetta ancora puntata davanti a sé; l’espressione dell’orrore congelata e imprigionata dietro l’argento della maschera che gli copriva il volto.

Morto il giovane studente Serpeverde che desiderava essere rispettato, forse ammirato, di sicuro trattato con dignità dai propri coetanei. Perduto, quel magro infaticabile allievo assetato di sapere, di calore, d’amicizia ed amore. Condannato da due misere oscure parole, che non erano conoscenza e potere, come aveva stupidamente creduto, ma solo fuoco che bruciava l’anima e imperdonabile, arrogante delitto.

Ritto accanto a Silente, nel proprio ricordo, Severus sentì risuonare uno stridulo grido disperato, un istante prima che il suo doppio pronunciasse l’Avada Kedavra – “NO, NO, NON FARLO!”.

Ma gli ci volle il tempo di qualche respiro per comprendere che non era stata la vittima ad urlare; che quelle parole erano sfuggite alle sue stesse labbra.

Oh, se solo fosse bastato questo a fermarmi… ora so perché li chiamano Incantesimi senza Perdono. Ed io ho ripetuto quelle orrende parole e quel gesto, ancora e ancora…

Poi anche i pensieri si fecero troppo dolorosi e confusi.

Il Preside lo trascinò via per un braccio, fuori dal Pensatoio, scuotendo il capo con amarezza.

Ma non gli diede che pochi attimi per riprendersi un po’, prima di tornare ad esigere un’altra rata del prezzo che aveva deciso di imporgli.

La punta fremente della bacchetta di Piton si accostò ancora una volta alla tempia.

 

 

Un'altra vittima, un’altra morte ingiusta inferta da un veleno da lui distillato, o dalla sua scura bacchetta, oppure dalla lama affilata del pugnale d’argento: lo stesso che usava per preparare gli ingredienti per le sue pozioni; quel filo tagliente che non avrebbe mai dovuto utilizzare per altro se non per sminuzzare erbe e radici.

Ancora e ancora, inesorabilmente i ricordi si susseguirono nel bacile di pietra e lui vi entrò, sempre più tremante, impotente e nauseato, anche quando non era stato lui il carnefice, limitandosi ad essere spettatore, inchiodato dall’incubo delle efferatezze dei suoi compagni, disposti in un macabro cerchio.

E io non li ho fermati, mai, mai, mai! Non ho avuto il coraggio. Sono un patetico vigliacco che ha temuto per la sua inutile vita, nonostante non valga più niente, perché io stesso l’ho buttata via.

Sono colpevole quanto loro, sono solo un animale, un mostro.

Silente gli stava accanto muto. Le prime volte, come un medico che spietatamente fa sorbire una medicina amarissima al proprio paziente solo per salvarlo, lo costrinse a voltarsi, quando, tormentato dal disgusto e dal rimorso, tentava di girare le spalle al se stesso della memoria.

Poi smise di forzarlo e finse di non vedere le lacrime che avevano preso a rigargli il viso ancora troppo giovane, eppure desolantemente invecchiato dalla sofferenza.

Finse di non vedere il sangue che macchiava le labbra lacerate da un ennesimo morso troppo impietoso e feroce ed il fremito di quel corpo esile e spigoloso.

Lo fece per profonda compassione, comprendendo che l’umiliazione del giovane mago era già troppo profonda per aggiungervi anche la propria aperta pietà.

Ma fu anche sordo alle suppliche che, dopo un po’, Severus, ormai sconvolto dal suo stesso incubo, non riuscì più a trattenere, nonostante l’orgoglio.

“La prego, basta, smettiamo. Che senso ha?” – rochi rantoli soffocati dai singhiozzi – “Basta, è insopportabile, non ce la faccio più, fa troppo male. Vorrei tornare indietro, cambiare il passato… la prego, non un’altra volta… “.

Silente gli poggiava delicatamente una mano su una spalla, ma poi tornava sempre ad indicare il Pensatoio e la punta della bacchetta di Severus tremava ogni volta di più fra le dita sottili, anche se continuava ad obbedire.

Non ne poteva più, ma, in fondo, sentiva anche che era giusto soffrire atrocemente per ogni vita arbitrariamente rubata, per ogni giovinezza accorciata, per ogni strazio inflitto od osservato senza far nulla per impedirlo.

Il prezzo dei suoi gesti lo stava lentamente schiacciando, col trascorrere dei minuti, delle ore, o forse dei secoli, ed il susseguirsi implacabile dei ricordi, eppure una parte di lui voleva solo pagare, fosse anche stato fino allo strazio totale di sé.

Gli pareva impossibile che le gambe lo reggessero ancora in piedi e si sentiva ardere il volto, come se avesse la febbre alta, e probabilmente l’aveva davvero. Forse il suo corpo si stava ribellando a tanto dolore dell’anima.

La mente stessa gli si annebbiò al punto che, ad un tratto, scordò di nuovo di non poter interagire con il suo doppio e, sfuggendo alla salda presa di Silente sul suo braccio, si slanciò in avanti, in quel cerchio solo rammentato, ma così reale, per tentare di afferrare una spalla del nero e snello figuro incappucciato intento a pronunciare un’interminabile maledizione cruciatus. Provò, contro ogni logica, a far cessare il supplizio, ma si ritrovò a stringere solo l’aria, mentre la tortura continuava, tanto per la misera vittima di quella barbarie, quanto per lui che ne era stato il carnefice.

Dimentico di ogni cosa, perfino della deferenza dovuta all’alto mago canuto che lo osservava con occhi velati, gridò, senza potersi trattenere – “E’ tutta colpa mia, colpa mia. Ti prego fallo smettere, so che ho sbagliato, oh, ti prego fallo smettere e io mai, mai più…[1] “.

Il Preside lo raggiunse e lo strattonò. Un attimo dopo erano di nuovo nello studio, ingombro di ritratti e strani strumenti d’argento, che ronzavano sommessi come misteriosi insetti luccicanti.

I Presidi del passato li fissavano attoniti dalle pareti, senza osare fiatare, dinnanzi a quello che era chiaramente un profondo dramma.

“Mi spiace, ragazzo” – gli disse Silente, forzandolo a sedersi – “Né tu né io possiamo farlo smettere. E’ accaduto ormai. Ma non succederà più, lo sappiamo entrambi. Mai più, perché tu non vuoi che un simile crimine si ripeta. Non puoi cancellare ciò che è stato, ma vuoi e puoi cambiare strada e non commettere più colpe così terribili”.

Guardò l’ex allievo, raggomitolato su se stesso, atrocemente provato, la schiena curva scossa da conati e singhiozzi, poi spostò lo sguardo sul Pensatoio e decise: Hai pagato abbastanza, Severus e l’hai fatto con onestà, anche se non ti reputi più un uomo retto.

Non hai tentato alcuna scappatoia, né sottratto nulla al prezzo che ti ho imposto. Potevi conservare solo per te le memorie più dolorose, quelle più degradanti o che più fortemente ti accusano, ma sento che non l’hai fatto, per quanto ciò ti sia costato e anche se ti sarebbe stato facile cedere alla tentazione.

Questa è onestà, che tu ci creda o no, ragazzo.

La luce che speravo è ancora là, devi solo lasciarla uscire ad illuminarti il cammino.

E non sarà un sentiero facile, Severus, mi dispiace. Non posso permettermi eccessiva pietà.

Non posso per il tuo bene e perché sei un dono per me, un inaspettato regalo del fato che sarebbe peccato sprecare per sentimentalismo.

Tornò a fissare il mago bruno che aveva alzato a sua volta gli occhi velati e traboccanti di sofferenza verso di lui, come a rivolgergli un’ulteriore muta preghiera.

Non soffermò la sua attenzione sulle iridi d’onice incrinate dal rimorso, ma volontariamente andò oltre, cercando l’ultima conferma, solo per scrupolo, anche se non reputava di averne realmente bisogno.

S’immerse nelle profondità della mente sconvolta del giovane, e sorrise dolcemente nel trovarla spalancata, senza alcun tentativo o volontà di difesa e nello scorgervi subito il chiarore desiderato. Severus Piton ancora non poteva vederla, quella scintilla che era sentore di un’anima lisa, ma ancora viva e tenacemente desiderosa di riscatto, però al vecchio apparve perfettamente nitida e non ebbe bisogno d’altro.

Ripose rapido il catino istoriato e fece comparire un calice di cristallo, ricolmo di un liquido scuro dal forte aroma d’erbe e alcool, ficcandolo a forza tra le dita contratte dell’altro mago.

“E’ finita, ragazzo. Ora bevi questo, ne hai bisogno e ti aiuterà a calmarti” – lo invitò, paterno.

Severus lo fissava stupito.

“Come può trattarmi con gentilezza?” – sussurrò sfinito e incredulo – “Ha visto cosa sono. Ha visto!... “.

Silente non smise di sorridergli e allungò le mani a circondare le sue, troppo incerte, perché non lasciasse cadere il bicchiere.

Sostenendole, gli fece avvicinare il calice alle labbra e lo costrinse a bere.

“Calmati, ora” – ripeté pacato – “Calmati”.

Hai ancora una confessione in serbo, lo so, e ti ci vorrà altro coraggio, Severus.

 

 

 

 

 

 



[1] Le parole dell’intera frase sono tratte da Harry Potter e il Principe Mezzosangue (capitolo 26; pag. 519). Silente le pronuncia nella caverna, dinnanzi a Harry, mentre beve la pozione posta a difesa dell’Horcrux. Ovviamente, non sappiamo a chi sono realmente riferite; se siano ricordi di Silente stesso, illusione o memorie altrui, però le trovo perfettamente calzanti per il mio giovane Severus travolto dal rimorso, che vorrebbe fermare se stesso e modificare il passato. Consideratela una licenza poetica.

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Capitolo 4
*** Parte seconda: Un terribile errore. - 2. Godric's Hollow. ***


Grazie a tutte per i commenti.

 

Grazie a Kagome: Ma non piangere troppo che se no mi sento in colpa.

 

Grazie a Francesca (ci si rivede ^___^): Quanto alla disperazione del giovane Severus, rapportata all’astio per James, bè anche nei libri è così. Nel primo libro Silente dice che Piton soffrì molto nel venir salvato proprio da James e non poter far nulla per ricambiare, dato il particolare legame magico che si crea con chi ti salva la vita. Un misto esplosivo di necessità di rendere quanto ricevuto e odio per chi lo maltrattava. Silente dice che infatti Piton cercò di ricambiare salvando Harry, per poi poter tornare a detestare James in pace, senza pesi sullo stomaco. Figuriamoci la situazione oggi che dopo il sesto libro sappiamo che Piton riteneva la morte dei Potter una sua colpa. Inoltre, lo dice ancora una volta Silente: per Piton la morte dei Potter fu il più grande dei rimpianti di tutta una vita. Io ho solo provato a dar voce a quello che poteva sottostare alle parole di Silente a Harry ("Non hai idea del rimorso che provò il professor Piton quando capì come Lord Voldemort aveva interpretato la profezia, Harry. Credo che sia il rimpianto più grande della sua vita e la ragione per cui tornò... "). Poi… vedrai che questo specifico Piton ha i suoi ottimi motivi per disperarsi tanto ^_-

Quanto al concorso, ti ringrazio, ma ritengo che tutte le storie partecipanti, compresa la tua, fossero ottimi concorrenti.

 

Grazie ad Akire (eccone un’altra che ho piacere di ritrovare dopo “Sorvegliato” ^__^): Non potevi farmi complimenti più belli. Specialmente per quanto riguarda la reazione di Silente, che, lo confesso, è una delle cose che più amo di tutto il racconto ed è venuta da sé, spontanea, come se Albus si scrivesse da solo. Sei riuscita, come sempre, a farmi arrossire.

 

Sperando che il nuovo capitolo ed il resto del racconto non vi deludano, a tutti buona lettura.

 

Nykyo

 

 

2. Godric’s Hollow.

 

 

Severus Piton non sentì nemmeno il sonoro schiocco con cui Silente si materializzò nella radura del boschetto che dall’alto guardava Godric’s Hollow.

Non si accorse, nella sua disperata furia, che lo portava a camminare convulsamente avanti e indietro lungo il piccolo spazio erboso, che il Preside era arrivato e lo stava osservando con un misto di dispiacere, preoccupazione ed urgenza negli occhi chiarissimi.

Severus, Severus… che maschera contratta è diventato il tuo viso…

Mi dispiace ragazzo, vorrei poterti dire solo questo: sono profondamente addolorato per te, quanto lo sono per i Potter, so quanto tenevi a che non accadesse loro nulla di male.

Invece, per prima cosa devo sapere. La causa prima di tutto, Severus. Non vale solo per te, è anche la mia priorità.

“Severus, eccomi” – furono le sue prime parole – “Sono corso appena ho potuto. Devi raccontarmi tutto, ogni minimo particolare. E’ importante”.

Il giovane mago si voltò all’istante. Il viso sconvolto quanto un campo di battaglia, i pugni serrati, ciocche corvine scompigliate a coprirgli in parte gli occhi, mentre Silente pensava che era felice di non poter scrutare davvero quei due profondissimi pozzi colmi di dolore.

Appena ha potuto? Troppo tardi. E’ dannatamente troppo tardi, ormai!

Non ho fatto che sperare e sperare che lei arrivasse in tempo per fermarlo, ma è tardi adesso. E’ finita.

Tutta la compostezza ed il rigido controllo che il giovane aveva imparato da che era divenuto una spia, e che in parte gli erano connaturati, erano svaniti, spazzati via da sentimenti diversi, tutti amarissimi. Il Preside poteva intuirne il ribollire nel ghiaietto infuocato delle iridi scure.

“Lei mi aveva assicurato che erano al sicuro!” – gli gridò contro Piton, odiando anche lui, per un momento – “Che non sarebbe accaduto nulla di male ai Potter… che ci avrebbe pensato personalmente. Invece, sono morti, morti, morti!”.

Un’esplosione d’ira e rancore incontrollato che fece fremere la punta della bacchetta, serrata tanto strettamente nella mano destra del mago da sembrarne ormai un mero prolungamento.

Scintille rosse sprizzarono nell’aria, sfrigolando nell’incontrare la barba candida di Silente che aveva fatto un passo avanti ad affrontare il giovane uomo disperato, con un’espressione di seria e dolente comprensione sul viso.

“Hai ragione” – ammise, sospirando – “Eppure, sono umano anche io, Severus, anche io posso sbagliare. Questo è un errore che non ho ancora compreso a fondo, ma che certo non smetterò mai di rimproverarmi”.

Lei non smetterà mai di rimproverarselo… – pensò il mago bruno amaramente – E io? Io cosa dovrei dire? Dannazione, no, non è colpa sua, è mia la responsabilità. E’ prima di tutto colpa mia: io ho rivelato quella maledetta Profezia, io ero lì con lui, quando è successo. Io… non mi sono mai odiato così tanto!

Tuttavia, la consapevolezza di non avercela realmente con il Preside ebbe l’effetto di calmarlo almeno quel tanto che bastava a riprendere un certo controllo di sé.

Il vecchio lo comprese – Bene, ragazzo. Ora parliamo.

“Per favore, Severus, dimmi esattamente cosa è successo” – domandò nuovamente.

Piton chinò il capo ed emise un profondo sospiro, prima di rispondere – “E’ stato tutto così veloce. Così confuso… “.

“Dall’inizio, Severus, per favore” – lo esortò con gentile premura il vecchio.

Le labbra esili si riaprirono, mentre la mente si sforzava di riordinare il caos che l’aveva invasa – “Lui ha voluto portarmi con sé. Diceva che era… dannazione, una sorta di premio perché ero stato io a rivelargli la Profezia. Un premio, si rende conto?” – ancora un piccolo rabbioso cedimento del suo autocontrollo, solo per un istante.

Poi proseguì – “Allora ho usato lo specchio per la prima volta, per avvisarla del pericolo[1]. Ma non potevo crederci. C’era l’Incanto Fidelius sulla casa, me l’aveva detto lei, mi ripetevo che era impossibile entrare. Però, Lui si è fermato a parlare con qualcuno che ci aspettava già qui a Godric’s Hollow”.

Un’ altra pausa, dopo la quale, prevenendo la domanda del Preside, disse in tono furioso e desolato – “Non lo so chi era. Non lo so, non lo so. Darei qualunque cosa per scoprirlo. Doveva essere il Custode Segreto. Chi altro poteva essere? Dopo che se ne è andato, la casa dei Potter è ricomparsa, anche io ero in grado di vederla. Solo il Custode poteva… ma non l’ho visto, l’Oscuro Signore non ha voluto che mi avvicinassi, ho a mala pena scorto un’ombra”.

Se solo sapessi chi era… come vorrei poterlo avere dinnanzi alla punta della mia bacchetta. Lo odio, lo odio, li ha traditi. Mi ha strappato il cuore.

“Lei sa chi era? Lei deve saperlo, me lo dica. Era Black, vero? Devo conoscere quel nome!” – una preghiera feroce e accorata.

Silente scosse il capo - Non è tempo per questo ragazzo, e, se anche lo fosse, non ti lascerò commettere follie. Non ti lascerò mai più cadere.

E, in ogni modo, anche se tu conoscessi il nome che chiedi, non faresti quel che ora ti passa per la mente. Io lo so. Non lo faresti mai. Non lo uccideresti, qualunque cosa tu senta di provare adesso.

Severus comprese l’inutilità della propria domanda e lesse nello sguardo di Silente l’impazienza del combattente.

Maledizione, non m’importa più nulla della causa. Nulla è tutto finito; tutto!

Però riprese il racconto, anche se avrebbe voluto soltanto urlare fino a perdere il fiato e distruggere ogni cosa attorno a sé.

Parlò, perché aveva imparato a caro prezzo l’importanza del dovere e questo gli era entrato nel sangue.

“Siamo entrati. Avevo l’ordine di non intromettermi, di stare a guardare. Voleva fare tutto Lui, personalmente. Per me doveva essere un onore, e un insegnamento sulla sua potenza. Per quello mi ha portato con sé, gliel’ho detto” – un nuovo lungo e doloroso sospiro, e proseguì concitatamente – “James Potter è caduto subito. Ha tentato… io avrei voluto far qualcosa, ma non c’è stato il tempo. Poi abbiamo salito le scale di corsa e lei… Lily… “

Gli si era serrata la gola, dovette deglutire più volte per poter proseguire – “Lei si è intromessa per difendere il bambino. Io non riuscivo quasi a muovermi, mi sembrava solo un incubo lentissimo e insieme troppo veloce. L’Oscuro Signore le ha detto che, se gli consegnava suo figlio e si toglieva di mezzo, non l’avrebbe uccisa, ma poi è stato solo un istante, appena una manciata di secondi. Lei ha gridato che non l’avrebbe mai fatto e l’ho vista cadere, prima ancora che finisse la frase e poi… Lui stava già pronunciando un nuovo maleficio, contro il bambino, e un momento dopo era svanito nel nulla. E il bambino era vivo, invece…”.

Un lampo acuto dietro la mezzaluna delle lenti e Silente domandò – “Com’è sparito, Severus? Come, esattamente? Potrebbe essere di vitale importanza”.

“Svanito” – ripeté Piton, sforzandosi di scacciare la sofferenza del ricordare quei momenti terribili per concentrarsi solo sul momento cruciale – “E’ stato come se… come se si fosse disintegrato davanti ai miei occhi. Non come quando ci si smaterializza. Ma non so spiegarlo meglio di così. Ero troppo confuso e inorridito e poi c’è stato un forte boato e la casa ha tremato. Ho pensato che, forse, a causa della potenza magica che si era sprigionata, quando lui è svanito, la casa sarebbe potuta crollare e ho allungato d’istinto un braccio e stringere la mano del bambino che strillava, per smaterializzarmi con lui. Dopo è crollato tutto. Sono tornato tra le macerie e ho pensato immediatamente ad usare di nuovo lo specchio. Lei mi ha detto di aspettarla qui, così ho lasciato Harry Potter come mi ha chiesto e sono rimasto ad attenderla”.

Silente annui gravemente – “Capisco”.

“No che non capisce” – gridò il giovane mago bruno, lasciandosi nuovamente andare – “Lei non sa nulla. Sono stato un vigliacco, li ho entrambi sulla coscienza e non sono altro che un codardo. A cosa è servito diventare una spia, lottare, sperare? Sono sempre un assassino, non è cambiato nulla. Non cambierà mai nulla. Non è vero che ho una seconda possibilità. Era solo illusione”.

“Questo è ingiusto, Severus” – rispose il vecchio, finalmente libero di pensare anche all’uomo torturato che aveva dinnanzi – “Certo non ce lo perdoneremo mai, ma abbiamo fatto tutto il possibile e il tuo lavoro come spia è stato comunque importate. Hai salvato vite con le tue informazioni; hai fatto sì che efferati Mangiamorte non potessero nuocere a nessuno, dandoci modo di fermarli. Di sicuro, poi, hai dimostrato ampiamente di non essere affatto un vigliacco”.

“Sì che lo sono” – strillò Piton, con la gola in fiamme – “Un maledetto vigliacco. Lo sa cos’ho pensato per tutto il tempo? Lo sa? Continuavo ad implorare l’Oscuro Signore nella mia mente: Non far del male a loro, ti prego, ti prego, è colpa mia, fai male a me invece[2]. Non riuscivo a smettere di pensarlo e non l’ho detto. Avrei dovuto, anche se sarebbe stato inutile. Sarei dovuto morire con loro. Ma non ho pronunciato una sola parola, ho perfino chiuso la mia mente, istintivamente, perché non potesse leggerla… come se la dannatissima causa avesse avuto ancora importanza per me… “.

Silente scosse ostinatamente il capo – “No, Severus. Hai fatto solo il tuo dovere, coraggiosamente, come sempre. Sacrificandoti e mettendo da parte ogni desiderio personale. Non potevi certo immaginare che Voldemort sarebbe sparito e mandare all’aria la tua copertura o farti uccidere non avrebbe reso un buon servigio alla nostra causa. Hai solo fatto quel che era giusto fare. Non sei un codardo”.

Qualunque cosa possa dirsi di te, ragazzo mio, di sicuro non è che sei un vigliacco.

Non dovresti nemmeno pensarlo.

Eppure, sento che questa accusa che muovi a te stesso ti ferirà a lungo e tornerà a tormentarti ancora.

“Lei non vuol capire” – sibilò il mago più giovane – “A lei interessa solo la causa. Ma i Potter erano persone. Non vittime anonime, persone che conoscevo. E’ ancora più orribile del solito. Odiavo James Potter con tutto il cuore, ma una volta mi ha salvato la vita. Lei lo sa che tipo di debito ne consegue, lo sa benissimo. Guardi come l’ho ripagato. Lo detestavo, ma non lo volevo morto!”.

Ho odiato poche persone quanto James Potter, ma non doveva finire così, non doveva.

Non lasciò al Preside il tempo di ribattere – “E Lily… lei era gentile con me, ai tempi della scuola. Lei mi difendeva. Era così umiliante che finivo sempre con l’insultarla pesantemente. Non volevo la sua pietà, però, non vede come ho ripagato anche lei? Possibile che ancora non abbia capito? Lei non sa nulla, nulla… Lily… ”.

Silente lo osservò più attentamente. Era davvero stravolto. Le unghie avevano lacerato i palmi delle mani e i capelli continuavano ad ondeggiargli sempre più scomposti sul visto deturpato dal dolore, ad ogni movimento angosciato.

Sospirò a sua volta – Eri innamorato di lei? E’ questo, ragazzo mio? Sì. Avrei dovuto capirlo, ma io da tempo non sono avvezzo a questo tipo di amore. Forse non l’ho mai provato davvero. Io amo prima di tutto il mondo, Severus e appartengo a lui.

Ma tu amavi una sola donna e hai dovuto assistere impotente, mentre moriva davanti ai tuoi occhi.

Mi dispiace infinitamente, anche se non te lo dirò, perché riuscirei solo a scatenare ulteriormente la tua ira e ferirti più a fondo.

No, non chiamarti codardo. Ci vuol coraggio per compiere il proprio dovere anche a discapito del proprio cuore.

“Hai agito bene” – ripeté deciso – “Hai rispettato le tue consegne. E’ una guerra, Severus. Sarei rimasto molto deluso da te se tu avessi fatto altrimenti. Ma tu non mi deluderai mai, di questo sono certo”.

Che me ne faccio delle sue certezze? Io non ho tanta sicurezza. A me non importa più di nulla, vorrei solo morire, finalmente. Dimenticare quest’incubo senza fine. Ogni singolo sbaglio, e soprattutto quest’ultimo errore atroce. Voglio solo l’oblio.

Eppure, una piccola parte della sua mente e del suo cuore dicevano che, nonostante tutto, non avrebbe mai voluto deludere quel vecchio mago tanto insistente nel lottare per salvare il mondo, ma anche capace di dimostrargli umanità quando meno se lo aspettava e nel modo in cui per lui era più facile accettarla.

Gli ripetevano, che oltre le parole retoricamente vuote, lo sguardo che era fisso nei suoi occhi esprimeva affetto, e, ancora una volta, stima; nonché una forte preoccupazione per lui e vicinanza al suo dolore.

Maledetto vecchio ottimista e pazzo. Non lo vedi che è tutta follia? Il mondo è marcio e io lo sono ancora più di lui, lo sarò per sempre. Lasciami andare, ormai è finita.

Non resta più nulla, nemmeno le lacrime. Perfino quelle mi hanno abbandonato.

Formulò il pensiero ad alta voce, con tono di nuovo controllato, piatto, privo di vita – “Non importa più. E’ tutto finito, non esiste più nemmeno un nemico contro cui combattere. Niente più guerra, niente causa. Ho perduto la mia battaglia. Non sono più di nessuna utilità, né per lei né per chiunque altro. Non ha più bisogno di me. Ora, mi lasci andare”.

Andare dove, ragazzo? A morire? Questo vuoi, lo porti scritto in viso. No. Non credo che sia finita realmente e, se anche fosse, non voglio lasciarti scivolare via un’altra volta tra le mie dita, sotto i miei occhi, per sempre.

Non voglio, a prescindere da tutto il resto. Non te lo lascerò mai fare, ragazzo mio. Non lo permetterò perché sei tu, Severus.

Piton mosse un passo in avanti, con decisione, pronto a lasciarsi ogni futuro dietro le spalle, smaterializzandosi, ma Silente lo fermò.

Lo sorprese stringendolo con tutta la sua forza, serrandogli la vita, imprigionandogli le braccia inerti lungo i fianchi in quello che non era esattamente un vero e proprio abbraccio, ma nemmeno un semplice gesto di costrizione.

“Tu non andrai da nessuna parte, ragazzo!” – un tono nuovamente paternalistico e imperioso, e per la prima volta, dal momento in cui l’aveva sollevato perché non gli si prostrasse ai piedi, la parola ragazzo pronunciata in modo da sottolineare l’infantilità del suo comportamento.

Se ti dicessi che non voglio perderti, Severus, perché ho imparato a volerti bene, non funzionerebbe ora. E non sarebbe del tutto vero, non è solo questo, anche se conta davvero più di ogni altra cosa per me in questo preciso momento.

Ma, ancora una volta ti rimetterò in piedi. Ti ridarò uno scopo, e non dovrò nemmeno mentirti per farlo. Non ti ho mentito mai.

Ti ridarò una ragione per sopravvivere e sono sicuro che verrà il giorno in cui per ogni caduta saprai rialzarti da solo. Allora sarai tu a non aver più bisogno di me.

Spero che verrà anche il giorno in cui vorrai vivere davvero, ma per ora mi basta che tu ci sia.

“Da nessuna parte hai capito?” – ripeté senza lasciare la presa, anche se non ce n’era bisogno, perché il giovane mago si era come pietrificato fra le sue braccia scarne.

“Non è finita e io ho ancora bisogno di te” – affermò sicuro – “La guerra riprenderà un giorno e una spia abile, come tu hai già dimostrato di essere, potrà fare l’assoluta differenza tra chi la vincerà e chi sarà sconfitto”.

“La guerra è finita!” – gridò Severus, sbloccandosi e sottraendosi selvaggiamente alla presa di Silente – “Finita! Lui è scomparso, morto. Non esiste più nessuna causa. Basta! Mi lasci in pace”.

Perché lo fa? Perché continua a trattenermi qui? Non ha bisogno di me, nessuno ha mai avuto bisogno di me. Nessuno vuole accanto un assassino.

Sorprendendolo ancora di più il vecchio stirò le spalle e si massaggiò il collo, tirando indietro la testa, in un umanissimo gesto dettato dalla stanchezza, prima di fissare di nuovo le iridi chiare nelle sue.

Poi disse, lentamente – “Non è morto, Severus. Non credo che lo sia, anche se ancora non ho capito esattamente cosa gli sia successo. Non ha più un corpo, questo è evidente, ma per esser vivi non basta avere membra, così come per uccidere davvero qualcuno a volte non è sufficiente sopprimere il guscio di carne che lo rinchiude. No, un mago potente come Voldemort non muore tanto facilmente. Credi, ad esempio, che sarebbe facile uccidere me? Tornerà e, quando questo accadrà, noi dovremo essere desti e pronti, o realmente sarà la fine”.

Il mago bruno lo fissava attonito. Era quasi impossibile non credergli. Aveva palato con tale sicurezza, come se tutta la sua profondissima esperienza fosse riversata in ogni singola sillaba.

“Fammi vedere il Marchio, Severus, per favore” – continuò, col medesimo tono, ma anche con sottile gentilezza.

Piton gettò nell’erba la bacchetta che non aveva mai cessato di stringere e armeggiò ansioso con la manica fino a scoprirsi l’avambraccio. Il teschio dalla lingua di serpente era ancora lì a prendersi, come sempre, gioco di lui.

Era meno marcato e netto, come leggermente sbiadito, ma non era scomparso.

Non se ne andrà mai, mi rinfaccerà in eterno chi sono.

Silente lo distolse dai suoi rimorsi indicando il Marchio – “Vedi? C’è ancora. Questo non prova con certezza assoluta che Voldemort è solo momentaneamente fuori gioco, però è decisamente strano e sospetto. Sai bene che una magia normalmente svanisce con la morte di chi l’ha praticata. Tanto più un incantesimo è legato alla persona di chi l’ha pronunciato tanto più dovrebbe cessare con la sua morte; solitamente è così. Voldemort ha inventato il Marchio e l’incantesimo di richiamo che vi è legato. Ingegnoso metodo, che senza di te non avrei mai scoperto. Un incantesimo e un simbolo che sono sua creazione dovrebbero seguire la sua stessa sorte. Invece non è successo”.

Severus sentì crescere un nuovo tipo di agitazione, che, momentaneamente, riuscì a sopire la sofferenza, i rimorsi e il desiderio di cessare la propria esistenza – E se avesse ragione il vecchio? Se veramente l’Oscuro Signore non fosse morto? Se tornasse? Ricomincerebbe tutto da capo. Ancora guerra, ancora morte e distruzione, sangue innocente versato e tutto il mio dolore sarebbe veramente inutile, se Lui tornasse e non ci fossero più ostacoli ad impedire la sua folle ascesa.

Non voglio che accada. Sarebbe come se Lily fosse morta invano.

Comprese che, qualora Silente avesse previsto giusto, lui avrebbe voluto per sé la possibilità di affrontare nuovamente il suo padrone di un tempo. L’opportunità di pareggiare i conti, di impedirgli di nuocere ancora.

Il Preside gli sorrise. Già dalla prima sera in cui aveva deciso di fare di Severus Piton la sua spia, non aveva più avuto bisogno di ricorrere alla legilimanzia per leggere tra le fiamme nere dei suoi occhi. Del resto, sarebbe stato inutile, perché col suo insegnamento il giovane mago era davvero diventato un ottimo occlumante, e migliorava col passare del tempo. Non sarebbe potuto entrare nella mente di Severus senza il suo permesso.

No, niente intrusioni tra i tuoi pensieri, ragazzo. Non mi servono, so ugualmente che ce l’ho fatta: non mollerai. Sei troppo tenace per darti per vinto. Tornerai con me a Hogwarts; sano e salvo, nonostante tutto il dolore che provi.

“Va bene” – ammise Severus, in un soffio – “Le credo. Se dovesse tornare voglio esserci”.

“Ci saremo, insieme” – gli sorrise Silente – “E saremo preparati. Molto più di quanto non lo siamo stati finora”.

“E il bambino?” – domandò d’un tratto Severus, ricordandosi del piccolo Potter – “Che ne sarà di lui?”.

Lo sguardo del Preside si fece nuovamente più acuto, mentre rispondeva – “L’ha preso in custodia Hagrid, è al sicuro. Ti prometto che questa volta me ne occuperò davvero col massimo impegno. Devo riflettere a lungo sul piccolo Harry, anche se credo di poter intuire cosa deve essere accaduto, per quanto sia qualcosa di totalmente fuori dell’ordinario. Lo cresceranno i suoi parenti babbani, finchè non avrà l’età per entrare a Hogwarts. Dopo di che, ci penseremo noi, Severus”.

“Noi?” – le labbra del giovane Piton avevano preso una piega amarissima – “Che cosa intende esattamente per noi?”.

Silente si fece serissimo – “Intendo dire che lo proteggeremo. Quando Voldemort tornerà, perché lo farà, Harry sarà nuovamente in pericolo e tu per primo dovrai prenderti cura della sua incolumità”.

Mille pensieri vorticarono nella mente del mago più giovane.

“Non… io non credo di poter far nulla per Harry Potter” – replicò in un roco sussurro – “Non dopo questa notte. Lui… non lo so… a parte tutto, non saprei mai come comportarmi e il bambino è come un rimorso vivente per me… “.

Come dovrei comportarmi con lui? Come? I suoi genitori sono morti perché ho rivelato la Profezia, anche se non sapevo… non potevo sapere.

Lui è il figlio di James. E’ il bambino di Lily. Il figlio di Lily.

Maledizione, mi scoppia la testa al solo pensarci.

Il vecchio non si scompose – “Non importa come ti comporterai con lui, Severus. Questo dipende solo da te, ma quel che conta veramente è la sicurezza di Harry. A me basta che tu pensi a quella e di certo lo farai. Sono sicuro che, qualunque sentimento il bambino ti susciti, tu vorrai badare a lui. Almeno non ti sentirò più dire che non hai ripagato il tuo debito con suo padre. So che vorrai proteggerlo al posto di Lily”.

Osservò le iridi nere di Piton farsi lucide alle ultime parole e annuì.

Ti prenderai cura di lui. Lo farò anche io.

Spero solo che non mi affezionerò al piccolo Harry tanto quanto ho finito per affezionarmi a te, perché, se ho ragione, verranno momenti durissimi per lui e anche con lui non potrò permettermi troppi cedimenti.

Ad ogni modo, tu, Severus, ci sarai.

 

 

 





[1] Non mi è consentito, per motivi di stile e di trama concentrarmi nel racconto sul metodo di comunicazione tra Silente e Piton, ma, dopo averci riflettuto a lungo, fin quasi al mal di testa, mi sono detta che il Patronus, utilizzato solitamente dai membri dell’Ordine, è un mezzo troppo lento per mettere in contatto due persone che abbiano necessità costante di scambiarsi informazioni urgentissime. Silente nel 5° libro dice a Harry che l’Ordine ha mezzi di comunicazione particolarmente rapidi e sicuri, e parla al plurale. Dunque, perché non immaginare che Silente e Piton possiedano una coppia di Specchi Gemelli come quelli di Sirius e James, magari molto piccoli, tanto da non dare nell’occhio? E’ a questo che si riferisce Severus.

[2] La frase in corsivo è tratta, parola per parola da Harry Potter e il Principe Mezzosangue, cap. 26; pag. 519. Come nel caso del capitolo precedente, è Silente a pronunciarla, mentre beve la pozione posta a difesa dell’Horcrux.

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Capitolo 5
*** Parte terza: Silente. - 1. Lui sta tornando. ***


Eccoci alle risposte e ai ringraziamenti, prima di un nuovo capitolo.

 

Francesca: Quella frase di Silente sta a significare che lui è sempre stato votato più al bene comune che al singolo affetto. Io Silente lo immagino così, come un uomo che ha sempre lottato per il bene del mondo intero e per questo almeno in gioventù non ha mai avuto tempo, energie e spazio per dedicarsi ad un amore, o a sentimenti per una sola persona. Ma poi la vita gli ha posto davanti persone – Hagrid, Harry, lo stesso Piton – cui ha finito col legarsi più che ad altre (io ci includerei anche Minerva, ma senza doppi sensi). Spero che ora ti sia più chiaro. Ammetto che era un tema non facile da sviscerare così, senza aver modo di svilupparlo meglio perché non essenziale ai fini della trama, ma non ho resistito all’idea di introdurre, sia pur marginalmente, anche questa sfumatura del Silente che ho in mente.

Quanto alla tua seconda domanda, dopo un lungo salto temporale di anni (non potevo descrivere tutta la vita di Severus, anche se mi sarebbe piaciuto ;D) ed un altro più breve il racconto arriverà fino agli avvenimenti del 6° libro.

Ho scelto solo alcuni momenti, avvenimenti salienti, che potessero rappresentare la “fiducia” che lega Silente e Piton, come da titolo.

Sperò che il resto del racconto non ti deluderà.

 

Kagome: Non è tanto che Piton odi Harry (almeno in questo capitolo), è che non sa come trattarlo, perché si sente in colpa. A volte il senso di colpa ci spinge a comportarci in modo aggressivo, anzi che conciliante, perché ci fa soffrire e ci spiazza.

Per il resto ti ringrazio e spero ti piacerà il nuovo capitolo.

 

Buona lettura.

 

Nykyo

 

 

 

 

PARTE TERZA: Silente.

 

 

1. “Lui sta tornando”.

 

 

Severus Piton varcò la porta dello studio del Preside con il solito passo rapido e sicuro.

Silente alzò la testa da una pergamena fitta d’annotazioni sull’orario scolastico, vergata nella precisa calligrafia di Minerva McGranitt, e salutò cordiale – “Buon giorno, Severus. Più mattiniero che mai oggi. Pensavo che ti avrei trovato di sotto al tavolo della colazione, fra una mezz’ora”.

Il mago bruno rispose al saluto solo con un cenno del capo e si avvicinò, fin quasi a sfiorare il bordo della scrivania con la veste. Poi, in tono assolutamente controllato, affermò convinto – “Non è una buona giornata. Lui sta tornando. Ne sono sicuro”.

Il solito guizzo nei chiari occhi dell’alto mago canuto gli fece comprendere che aveva tutta la sua attenzione. L’attenzione del combattente.

Severus si sbottonò i polsini di casacca e camicia, senza mostrare la minima esitazione, né ansia, e sollevò la stoffa fino a scoprire l’avambraccio sinistro.

Il Marchio Nero, prestando fede al suo nome, spiccava scuro sulla pelle pallida del Professore di Pozioni.

“Si è fatto più nitido” – constatò Silente, anche lui con la massima calma, ma con sguardo sempre più attento.

Piton tese in avanti il braccio perché il vecchio potesse osservare meglio, mentre quello si risistemava gli occhialini sul naso.

Infine, disse asciutto – “Non è mai stato così nitido prima d’ora, dal giorno in cui Lui scomparve. Se continua così si farà ancora più netto, fino a tornare com’era quando fu impresso”.

Ne sono certo, perché negli ultimi quattordici anni non ho fatto che guardarlo, tante di quelle volte da aver perso il conto, pronto a registrare il minimo cambiamento.

Era quasi scomparso, adesso sembra quasi che io sia stato marchiato di recente – una lieve smorfia di disgusto, subito scacciata.

Silente annuì, muovendo le labbra in dentro e poi in fuori, come se stesse rimuginando.

Sta tornando, maledizione! Sta tornando davvero. – ma nulla nel contegno di Piton dimostrava quanto questo pensiero era una sofferenza.

“Se tu nei sei sicuro, Severus, io non ho dubbi che sia così” – rispose, apparentemente tranquillo, il vecchio - “Dunque, alla fine, il momento è venuto. In fondo, ce l'aspettavamo. Sappiamo cosa fare, non siamo del tutto impreparati, ragazzo mio, anche se non conosciamo ancora il metodo che sta usando ed il momento esatto in cui accadrà”.

Le labbra sottili di Severus s’incresparono appena, mentre le fiamme nei suoi occhi si ravvivavano, prima che replicasse con voce roca – “No, non siamo del tutto impreparati. Sappiamo cosa fare, quando si presenterà l’occasione”.

Io so cosa devo fare. Tornare nell’incubo, ecco cosa. Tornare nell’oscurità, per combatterla dall’interno. Lo so da quindici anni, ormai.

Non c’è nulla che desideri meno, ma lo farò.

Appena un sospiro, mentre rifletteva quanto il suo animo fosse scisso tra due ansie opposte, entrambe estremamente pressanti.

Non c’è nulla che desideri di più che compiere questo dovere.

Silente lo osservò di sottecchi come suo solito.

Quanto sei cambiato, ragazzo mio. Sei davvero un uomo, ormai.

Hai fatto dei lati più spigolosi del tuo carattere di ragazzino una scorza, una corazza contro il mondo e hai chiuso fuori dal tuo petto tante di quelle speranze ed emozioni.

Eppure, ti conosco, in realtà non sei mutato del tutto, anche se dopo la notte in cui morirono i Potter qualcosa si è infranto dentro di te. Eri più vivo allora, ma sei sempre tu.

Hai imparato a controllarti a meraviglia, Severus. Tu non sei soltanto uno dei migliori occlumanti del mondo magico, ormai di molto superiore anche a me; tu sei l’unica persona che conosco che è riuscita a fare anche del proprio corpo, dei propri gesti, del tono della voce un perfetto schermo su cui proiettare solo ciò che vuoi mostrare agli altri. Sei più che mai la spia perfetta.

Ma sei sempre te stesso. Io lo so, e tu, nonostante tutto, comprendi che ne sono consapevole.

Lo vedo ancora il giovane ragazzo terrorizzato all’idea di tornare da Voldemort. Non lo scorgo con gli occhi della memoria, ce l’ho proprio davanti.

Lo so che fa ancora paura come allora, che fa ancora male come allora, e forse, perfino di più, dopo tutti questi anni lontano dall’orrore.

Però farai il tuo dovere, come sempre.

Perché, in fondo, Severus, anche quel ventenne spaventato e tremante era già l’uomo che sei diventato.

Anche lui, per quanto sconvolto e incapace di nasconderlo, aveva il coraggio di affrontare i suoi incubi e la volontà di combatterli.

No, non siamo del tutto impreparati, mia spia perfetta, mio fidatissimo amico, ragazzo mio.

Piton spezzò il silenzio, atono – “Volevo che lei lo sapesse subito, ma non credo che per oggi dobbiamo preoccuparcene oltre. Dunque, ci vedremo a colazione, ora ho da sistemare alcune cose per la prima ora di lezione. A dopo”.

E con lo stesso passo sicuro con cui era entrato lasciò la stanza, mentre il Preside, dopo un’ultima occhiata alle sue spalle spigolose, rassicurato, tornava a consultare la pergamena che la McGranitt attendeva controfirmata.

 

 

“Sta tornando... anche quello di Karkaroff... più forte e nitido che mai... [1]“ – anche questa volta, il mago bruno aveva parlato con sicurezza, la voce solo un po’ più roca e bassa del solito, mentre mostrava nuovamente il Marchio Nero al Preside.

“E non è solo questo, non è solo tornato a farsi più scuro e marcato” – proseguì, sempre sullo stesso tono, il mago bruno – “E’ il dolore, come le avevo già detto. A volte solo piccole fitte. Quelle non sono mai mancate; sono uno dei motivi per cui, anche prima della vicenda di Raptor, mi ero convinto che Lui sarebbe tornato. Ma ultimamente, brucia quasi nello stesso modo in cui ardeva quando l’Oscuro Signore ci convocava a sé. Non è esattamente la stessa cosa, ma è molto simile. Troppo. E a volte dura per ore. Non era mai accaduto prima. Sono certo che Lui non è mai stato tanto potente quanto ora, da che svanì”.

Silente si lisciò la lunga barba bianca, alzando gli occhi a cercare quelli di Piton.

Non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere niente altro, anche se, invece, parlarono a lungo, per fare il punto della situazione e di ciò che poteva e doveva essere fatto nell’immediatezza, tenuto conto che bisognava pensare anche al Torneo Tre Maghi e agli ospiti arrivati dalle altre due scuole.

Discussero riguardo ad Igor Karkaroff e alle protezioni della scuola, che era più saggio aumentare, pur senza allarmare gli studenti.

Parlarono anche di Harry Potter. “Credo che a Potter dovrebbe dirlo” – affermò Piton alla fine – “E’ meglio che sia preparato”.

Il Preside scosse energicamente il capo – “No. Non penso che sia una buona idea, Severus. Non ritengo che sia giusto farlo preoccupare prima del tempo. Non gli dirò nulla, a meno che non sia lui stesso a parlarmene. Non mi stupirei troppo se la sua cicatrice lo avvisasse che qualcosa non va… “.

No, ragazzo mio. Per ora lasceremo in pace Harry.

E’ ancora così giovane, è doloroso pensare che debba sempre sopportare simili pesi alla sua età.

Credi che mi piaccia ogni volta dover caricare gravosi fardelli sulle spalle degli altri? No.

L’ho sempre fatto con te, Severus, e spesso avrei voluto davvero evitarlo. Ma tu hai spalle molto larghe. Anche Harry le ha, però è ancora fragile e tanto giovane rispetto a te.

Per ora possiamo prendere su di noi la preoccupazione dell’attesa.

Non credo che Harry sia ancora pronto per sentirsi dire che Voldemort sta tornando realmente.

Forse nemmeno tu sei pronto quanto mostri di essere, o magari, chissà, sei perfino più preparato di me, nonostante tutto…

Le labbra del Professore di Pozioni curvarono in una smorfia che in parte era di disapprovazione, ma poi sollevò le spalle e annuì.

“Forse è davvero meglio non dirgli niente” – concesse a Silente, non senza una punta d’amaro nella voce – “Potter sarebbe capace di cacciarsi volontariamente in guai ancora più grossi se sapesse “.

Meglio lasciare che sia Voldemort a venire a cercarlo, qui dove possiamo difenderlo – si disse per convincersi, ignorando il sorriso che era comparso sul viso del Preside.

Tornarono ancora su un paio di punti in sospeso e poi Piton fece per congedarsi, ma il vecchio lo fermò.

“Severus… “ – per la prima volta in tanti anni c’era un briciolo d’esitazione nella sua voce, anche se riusciva a celarla quasi totalmente – “Quando Voldemort sarà davvero tornato… tu sai… “.

Piton notò quel piccolo tentennamento, anche se non lo diede a vedere.

Sono quasi quindici anni che aspetto. Andrei ovunque tu volessi mandarmi Albus, ma in questo caso, non hai bisogno di chiedere.

So cosa fare, e lo farei comunque, di mia volontà.

Non ho più vent’anni, non mi tremano più le ginocchia, anche se il pensiero di tornare a piegarle dinnanzi all’Oscuro Signore è quasi insopportabile. E’ ancora intollerabile come allora.

Ma ora so cosa voglio da me stesso.

“Lo so!” – rispose secco il mago più giovane – “L’ho sempre saputo. Non c’è necessità di discuterne”.

Il suo mantello frustò l’aria, mentre lasciava lo studio del Preside.

 

 

Anche questa volta Silente fissò per un istante la sua schiena diritta e l’incedere sicuro con cui si allontanava, ma, a differenza che nella precedente occasione, non ne fu per nulla rasserenato.

No, non c’è bisogno di discuterne. Non questa volta.

Non ci saranno suppliche, questa volta; non dovrò essere io a mostrarti che hai coraggio a sufficienza per andare da lui.

Sperò solo di avere la forza bastante per non fermare i tuoi passi, quando ti vedrò tornare nel buio senza esitare.

Sospirò e decise che non sarebbe riuscito a dormire a sufficienza se avesse continuato a rimuginare su quel che, con le parole e con lo sguardo, si erano appena detti.

Aveva bisogno di riposare, con tutto ciò a cui doveva tener dietro in quei giorni frenetici, non poteva permettersi di perdere lucidità a causa della stanchezza.

Posò la punta della bacchetta sulla tempia e ne estrasse il ricordo di quanto era appena accaduto, come un lungo nastro d’argento. Lo fece cadere lentamente nel Pensatoio. Guardando dentro la ciotola di pietra gli parve di rivedere per un attimo, nel vorticare della sostanza che lo riempiva, il giovane Mangiamorte atterrito che svelava ogni sua colpa.

Voltò le spalle e andò a coricarsi: ora che la sua mente era stata privata dell’immagine di quella schiena fiera che dimostrava tanto sprezzo per la morte, gli fu più facile prendere sonno.

 

 

Troppo in fretta… è accaduto tutto troppo in fretta…

Ha già un corpo, ha già ucciso la sua prima nuova vittima. Ha quasi ucciso anche Potter.

Potevamo fallire; siamo stati ad un passo dal fallimento totale!

Nonostante tutti i piani, nonostante l’attesa, Lui ce l’aveva quasi fatta, dannazione.

Un’altra volta, come quella notte a Godric’s Hollow; stava per vincere Lui, malgrado ogni nostro sforzo e sacrificio.

Maledizione! No, no, no, non posso permettergli di vincere questa dannatissima guerra!

Odio, dolore, timore, sollievo, senso d’impotenza, determinazione si mischiavano nella mente e nel cuore di Severus Piton e si rispecchiavano perfettamente nello sguardo chiaro di Albus Silente, anche se entrambi tentavano, con successo, di non mostrarli, almeno agli occhi degli altri.

Piton soprattutto continuò a mostrare solo disprezzo per Black, finchè quello non si fu ritrasformato in un enorme cane nero per poi correr via. Mai avrebbe svelato la minima incrinatura nella sua collaudata maschera in presenza di Harry Potter e del suo padrino.

Non poteva mostrarsi apertamente a Harry, né ci riusciva a causa del passato, e Sirius era pur sempre Sirius.

Black poteva non essere stato il Custode Segreto che aveva tradito i Potter, ma restavano i vecchi rancori a dividerli. Piton aveva già piegato a sufficienza la sua indole stringendogli la mano, solo ed esclusivamente perché era stato il vecchio a domandarglielo. Poteva collaborare lealmente con Black, ma questo non avrebbe mai cancellato la feroce antipatia e la mancanza di stima reciproca.

 

 

Uno studente innocente è morto ed è come se fosse accaduto sotto i nostri occhi. Come se ci fossimo lasciati sfuggire la sua vita tra le dita.

E’ quasi un miracolo che Harry sia ancora vivo e che non sia accaduto di peggio.

Lo stai pensando anche tu, Severus. So che è così.

Mi dispiace, ragazzo, ancora una volta ho dato prova di essere fallibile. No, non sono stato in grado di mantenere fino in fondo le mie promesse. Poteva essere un disastro.

Poteva essere la fine…

Ma siamo ancora in gioco, Severus. La partita vera inizia adesso.

Da ora in poi, non potrò più deluderti così profondamente, perché adesso tocca a te. Sarai tu a fare la differenza.

Sono certo che riuscirai, ho piena fiducia in te e nelle tue capacità, ragazzo mio.

“Severus” - disse Silente rivolto a Piton – “sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado... “.

“Lo sono” - disse Piton.

Era un po' più pallido del solito e i suoi freddi occhi neri erano animati da uno strano scintillio.

“Allora, buona fortuna” - disse Silente, e con una traccia di preoccupazione sul viso guardò Piton scomparire silenziosamente[2].

E così, Severus, ti sto davvero rimandando nei tuoi incubi. Non vorresti, eppure sento che, questa volta, anche se non te l’avessi chiesto, avresti comunque deciso di andare.

L’ho visto nel nero dei tuoi occhi; ormai li conosco bene. So quanto ti costa, ma anche quanto tu desideri affrontare Voldemort, il tuo passato, le tue colpe e tutti gli errori che hanno rischiato di vanificare ogni nostro sforzo.

Davvero buona fortuna, ragazzo mio.

Fa ciò che devi e poi torna da me.

Devi tornare, per la causa e per questo cuore che comincia ad essere troppo vecchio e tenero.

Ho sopportato già abbastanza spavento, delusione e lutto, almeno per oggi.

Sono certo che ti rivedrò presto – ma era una sicurezza assai vacillante.

Scacciò dalla mente i mille pensieri che avevano cominciato ad affollarla, nessuno dei quali era minimamente consono al leader riconosciuto dell’Ordine della Fenice.

Tutti si aspettavano da lui conforto, partecipazione, ma anche freddezza, prontezza di spirito e rassicurazione. Perciò, non poteva proprio permettersi di ascoltare quella voce insistente che lo rimproverava dicendo – Potresti aver sbagliato ancora. L’ultimo errore della giornata; una colpa terribile se lui non tornasse.

L’hai mandato incontro a una morte certa, non tornerà mai più. Tu l’hai rimandato da Voldemort ed è tardi, troppo tardi. Voldemort non tollererà un simile ritardo. Sarebbe dovuto andare subito, appena il Marchio l’ha richiamato a lui.

Non importa quanto sia bravo a chiudere la sua mente e a fingere e mentire, né quanto sia coraggioso e determinato; l’hai mandato a morire, perché Voldemort non gli darà nemmeno il tempo di aprir bocca.

O, magari, lo ucciderà proprio mentre si umilia ancora una volta dinnanzi a lui, e tu l’avrai sulla coscienza, anche per la sua dignità calpestata.

E’ inutile che ti ripeti che sei con lui perché pensi a lui; è da solo la fuori e sei stato tu a sospingerlo nuovamente sull’orlo del baratro.

No, non poteva restare ad ascoltare quella voce interiore. Non era permesso ad un condottiero di tenere ad uno dei suoi uomini più che ad un altro.

Aveva già lasciato che il sentimentalismo lo sviasse fino a far correre pericoli eccessivi a Harry, e uno degli studenti era morto anche a causa di questi suoi tentennamenti. Con Severus non poteva concedersi di lasciare spazio al cuore; non in una simile gravissima emergenza.

Se l’avesse fatto, Piton per primo gliel’avrebbe un domani rimproverato.

Severus ha scelto consapevolmente, come sempre.

Non potevo non domandarglielo, troppe vite sono in gioco, troppi valori vanno preservati.

E’ una guerra, siamo combattenti che compiono il loro dovere, sia lui che io. Siamo come due scommettitori che conoscono perfettamente quanto sia alta la posta in palio.

Chiuse momentaneamente fuori dal proprio petto ogni preoccupazione non inerente al suo duplice ruolo di Preside e capo dell’Ordine e salutò Harry.

I Diggory lo aspettavano e, anche se sarebbe stato impossibile consolarli della terribile perdita subita, lui doveva loro tutta la propria attenzione e sollecitudine.

Severus tornerà…



[1] La frase viene effettivamente pronunciata da Piton in HP4, cap. 30; pag. 509.

[2] Ancora una volta le parole (a cominciare da “Severus”, per finire con “silenziosamente”) sono di J.K.Rowling, da HP4, pag. 606.

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Capitolo 6
*** Parte terza: Silente. - 2. La maschera del condottiero. ***


Grazie a Kagome (scrivere il 7° libro mi pare un po’ troppo ^_-) e anche a Mixky per i complimenti e buona lettura a tutti.

 

Nykyo

 

 

2. La maschera del condottiero.

 

 

Nonostante l’età, aveva ancora un ottimo udito, quindi percepì distintamente il rumore della scala di pietra che conduceva al suo studio, quando iniziò a girare su se stessa per condurre a lui un visitatore.

Severus… – una speranza per sé e per la causa, dopo ore ed ore di attesa, trascorse misurando a grandi falcate il cerchio inesorabilmente ristretto della stanza.

Si affrettò alla scrivania. Meglio non mostrare la propria agitazione. Il Professore di Pozioni, se era davvero lui, non l’avrebbe gradito e non era comunque il caso.

Sedette al suo solito posto, e indossò nuovamente la maschera del condottiero, ma si concesse una fulminea occhiata in direzione della porta che si stava aprendo lentamente, mentre afferrava a casaccio il primo oggetto a portata di mano: un libro.

Avrebbe finto di leggere fino all’ultimo istante, anche per poter osservare Piton con maggior agio, mentre si faceva avanti.

Una snella figura scura si staccò dall’ombra densa del vano della porta ed avanzò diritta verso di lui, solo appena più lentamente e rigidamente del solito.

Il Preside lo fissò di sottecchi, ancora chino sul libro, e ricacciò in gola un sospiro di sollievo, fingendo di non vedere quanto provato appariva il volto scarno della sua perfetta spia e quanto il nero dei suoi occhi sembrava essersi fatto ancor più profondo e cupo.

Una spia davvero eccellente, dato che era ancora viva.

Fanny alzò il capo piumato una frazione di secondo prima del vecchio mago, emettendo un breve trillo squillante e gioioso, prima di volare fuori dalla finestra aperta.

Severus era vivo, anche se di sicuro doveva aver pagato il prezzo per essere accorso in ritardo presso il suo padrone di un tempo.

Un prezzo doloroso, a giudicare dalla smorfia contratta che a tratti affiorava a sconvolgergli i lineamenti, per quanto, con tutta evidenza, il mago bruno tentasse di trattenersi.

Ma è vivo!

“Ben tornato Severus” – era tutto ciò che il Preside poteva concedere a se stesso e al suo uomo, perché prima di ogni altra cosa doveva sapere. Conoscere ogni singolo particolare rilevante dell’incontro di Piton con Voldemort, ogni parola pronunciata da chi da troppo tempo minacciava il mondo magico.

E devo sapere, ragazzo mio, cosa ti ha fatto quel pazzo, capire, anche se magari tu non me lo dirai.

Comprendere fino a che punto è a rischio la tua vita, se continueremo con questo pericoloso doppio gioco.

Il mago più giovane non accennò nemmeno a sedersi.

“Ci sono riuscito. Mi ha creduto. L’ho ingannato!” – annunciò, e l’orgoglio che non trapelava dalla voce gli traboccava involontariamente dalle iridi, ora accese di un nuovo fuoco, dopo anni in cui si era sforzato sempre di spegnervi ogni calore, perché nessuno potesse scorgervi il suo animo.

Silente annuì vigorosamente e si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto.

Anche io sono orgoglioso di te, Severus. Estremamente orgoglioso.

“La prima buona notizia di una giornata orribile” – ammise calorosamente – insieme col fatto che sei ancora tutto intero, ragazzo mio.

Poi tornò ad incarnare la causa.

“Raccontami tutto” – domandò, con ben contenuta urgenza.

Piton avrebbe avuto soprattutto bisogno di riposo, ma, ormai, la situazione era tale che ogni minuto ed ora poteva essere fondamentale. Lui doveva sapere.

Severus fece un cenno d’assenso col capo, e iniziò il proprio resoconto.

Parlò con l’usuale misurata calma, senza omettere nulla, tranne ciò che riteneva riguardasse soltanto lui e l’Oscuro Signore: il tormento che Voldemort gli aveva inflitto, mentre ascoltava le menzogne che Piton aveva da qualche tempo in serbo per lui.

Non era affatto necessario che il vecchio sapesse quel che Severus Piton aveva appena finito di sperimentare con successo: che poteva mentire a Lord Voldemort, con le parole e con la mente, anche mentre era sottoposto, più e più volte, alla maledizione cruciatus.

Non è un dato rilevante per la causa, basta che sia io ad esserne consapevole.

Lui sconterà anche questo, se appena mi sarà possibile presentargli il conto.

Sconterà anche questo, sebbene sia il meno tra tutte le cose orribili di cui è responsabile.

Pagherà, soprattutto per le tante vite innocenti spezzate; per i Potter, per Diggory e dopo io penserò alla mia parte, anche io ho colpe che richiedono un saldo, ma prima sarà il Suo turno.

“Non posso affermare che Lui non abbia alcun dubbio sulla mia effettiva lealtà” – concluse, infine, Severus, realistico – “Ma non ha certezze in senso contrario e non è il tipo che rinunci ad un servo dotato delle qualità che io gli ho mostrato anche in passato, a meno che non vi sia costretto. Mi terrà d’occhio e dovrò metterci attenzione ed impegno, molto più che quindici anni fa, però posso dire di aver raggiunto il mio scopo: sono nuovamente nelle sue grazie, almeno per ora. Credo che potrò ricavarne ottime informazioni. Farò in modo di mettere a frutto la mia ritrovata posizione”.

Reciterò a perfezione per ingannarlo, sono anni che mi alleno a fingere.

Il vecchio lo ascoltò con grande attenzione, poi lo congedò con premura, lasciandosi andare ad un altro sorriso, lievemente amaro - perché quella, comunque, non era una giornata gioiosa - ma colmo d’affetto.

 

 

Malgrado fosse molto stanco, Silente non potè riposare quel giorno.

Prima di tutto sbrigò una serie di faccende inerenti l’Ordine e la scuola, dando anche disposizioni riguardo alle opportune manifestazioni di lutto per la prematura scomparsa di Cedric Diggory, dopo di che si preoccupò di far sì che nessuno desse noia a Harry.

Il ragazzo era già abbastanza provato e sofferente senza che tutta la scuola se ne rimanesse imbambolata a fissarlo o gli ponesse dolorose domande sull’accaduto.

Harry ebbe la precedenza su chiunque altro, perché non aveva che quindi anni, o quasi, e, ancora una volta, la sorte aveva voluto metterlo davanti ad una prova fin troppo gravosa e dolorosa per lui. Cosa di cui il Preside era immensamente addolorato.

Ma Silente non aveva scordato il suo più fidato collaboratore.

Pur non perdendo mai di vista i suoi tanti doveri, pensò a Severus Piton per tutta la giornata, preoccupato per le sue condizioni fisiche.

Il Professore di Pozioni non aveva lamentato alcun disturbo, sofferenza o fastidio, al suo ritorno a Hogwarts, ma il Preside lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, anche se Voldemort l’avesse torturato per ore, l’indole schiva e l’orgoglio avrebbero impedito al mago bruno di parlarne o recarsi in infermeria. Severus avrebbe provveduto a se stesso personalmente, il vecchio ne era certo.

Gli aveva concesso l’intero giorno libero, perché potesse riprendere le forze, ma Piton si era comunque presentato al tavolo della cena, mostrandosi severo e cupo come suo solito, ma anche calmo e padrone di sé. Però, non aveva quasi toccato cibo e ogni tanto era parso ancora più rigido del solito, come se stesse compiendo un enorme sforzo per controllarsi.

Da dietro le lenti a mezzaluna Silente aveva sbirciato i suoi movimenti, domandandosi se era solo una sua impressione, oppure realmente le mani del mago più giovane tremavano un poco.

Anche Minerva McGranitt aveva occhieggiato di sottecchi il collega, per poi cercare lo sguardo del Preside, come ad avere conferme.

Ma in quel momento l’alto mago canuto non aveva la possibilità di mostrare la propria preoccupazione. La scuola era ancora sottosopra per la clamorosa notizia – che andava rapidamente spargendosi a macchia d’olio – del ritorno di Voldemort e gli studenti erano anche in subbuglio per la morte del giovane Cedric. Al tavolo di Tassorosso ogni tanto qualcuno scoppiava rumorosamente in singhiozzi e tutti gli studenti, perfino i Serpeverde, bisbigliavano e sembravano guardarsi intorno in cerca di conferme.

Silente era certo che Piton si fosse presentato in Sala Grande proprio per questo: per verificare la situazione e rassicurare almeno gli studenti della sua Casa con la propria presenza.

Naturalmente quei ragazzi erano tutti di famiglie più o meno implicate con Voldemort, in passato e probabilmente tuttora, però anche loro erano disorientati dalla novità che aveva sconvolto tutti, pur se magari per motivi diversi.

 

Piton si era congedato immediatamente dopo la fine del pasto e Silente aveva deciso di andare a dormire, ma non gli era riuscito di prender sonno.

La verità era che continuava a preoccuparsi per la salute del proprio collaboratore. Così decise di andare a dare un’occhiata nei sotterranei.

Trovò ovviamente la porta chiusa e bussò, ma non ottenne risposta.

A volte gli capitava di permettersi di essere indiscreto e sfacciato.

Uno dei vantaggi dell’età e della mia posizione – si disse, mentre, senza la minima esitazione, girava la maniglia ed entrava nella camera da letto di Piton; l’angolino privato del giovane Professore, il suo spazio personale, in cui raramente qualcuno era ammesso.

Il mago bruno era solito sprangare la porta con un incantesimo che teneva fuori tutti gli altri; ma non Silente. Il Preside aveva libero accesso a quelle stanze, anche se, di solito, non entrava mai se non era il loro occupante a dargliene il preventivo permesso.

Comunque, per il vecchio gli incantesimi di protezione erano come inesistenti. Un idea di Piton.

Dal momento che Silente si fidava ciecamente di lui, al pozionista pareva giusto che nulla gli fosse precluso o nascosto.

Tanto per dimostrarmi ulteriormente che la mia fiducia è ben riposta, vero ragazzo mio? E soprattutto per mostrarmi che anche tu ti fidi di me. Immagino sia importante per te farmelo sapere a modo tuo.

Si guardò intorno. La camera era, come al solito, ordinatissima. Severus sembrava immerso nel sonno, giaceva ad occhi chiusi sul letto che non era nemmeno stato disfatto. Il mago ci si era semplicemente sdraiato ancora quasi totalmente vestito. Si era soltanto levato le scarpe e la lunga casacca nera, che era adagiata sulla spalliera della poltrona. Aveva slacciato i tanti laccetti che chiudevano la camicia candida e si era arrotolato in alto la manica sinistra.

Deve aver osservato il Marchio prima di addormentarsi.

Il viso di Silente s’incupì, non gli piaceva che quel simbolo orribile deturpasse il braccio di Piton e non avrebbe saputo dire se era così perché sapeva quanto il suo uomo detestasse quell’emblema dei propri errori, oppure perché lui stesso non riusciva a sopportare l’idea di aver intuito per tempo quale strada Severus avrebbe preso dopo la scuola e non averlo fermato.

Eppure, se tu non portassi quel marchio d’infamia sulla pelle non saresti la mia spia perfetta, ragazzo.

Sospirò profondamente – No, non lo saresti e sarebbe un male per la causa, immagino, però non dovrei preoccuparmi per la tua vita.

Si avvicinò al letto e lo squadrò serio e concentrato. Il mago bruno era pallido, la fronte era imperlata di sudore. Gli parve che tremasse un po’; non solo le mani, come aveva constatato durante la cena, ma tutto il corpo asciutto e spigoloso.

Come pensavo: non stai affatto bene, Severus.

Gli posò delicatamente una mano rugosa sulla fronte, decidendo che non gli importava se l’altro si fosse svegliato. Non era un gesto che Piton avrebbe gradito, dato che non amava il contatto fisico, ma il vecchio voleva controllare di persona se il mago bruno aveva la febbre.

Sì, ce l’hai – constatò, levandogli subito la mano dal viso – Non alta, ma pur sempre febbre. E naturalmente non hai detto nulla e non sei andato in infermeria a domandare aiuto a Poppy.

Notò un paio di ampolline vuote sul comodino.

No, niente infermeria, tu preferisci fare da te, come immaginavo. Non importa, so che i tuoi rimedi non sono meno efficaci di quelli di Poppy, ti rimetterai in sesto.

Però hai finto di stare bene per tutto il tempo che è durata la cena. E’ proprio da te, Severus. Chissà che sforzo c’è voluto per non mostrare altro che quel minimo fremito delle tue mani e tenere a bada tutto il corpo, mostrandoti rigido e compassato come al solito. Eppure hai ingannato tutti gli altri, tranne me e forse Minerva.

Sì, sei proprio la spia perfetta.

I suoi occhi chiari brillarono d’orgoglio per il mago più giovane che era steso sul letto davanti a lui, ma quello sguardo non era un tributo alla spia era un riconoscimento per l’uomo.

“Mi spiace, ragazzo mio, qualunque cosa tu abbia dovuto subire, nella mente, nel cuore e nel corpo, quando ti ho rimandato da Voldemort” – sussurrò dolcemente – “Mi dispiace veramente. Ma sei tornato, sei qui, ancora vivo. E’ un grandissimo sollievo”.

Gli era facile parlare ora che Severus dormiva; dire tutto quel che avrebbe voluto dirgli sin dal principio, ma che aveva dovuto tacere, perché lui era un condottiero e una guerra era in corso, e anche per via del carattere del suo giovane collaboratore.

“Avrei voluto non dovertelo chiedere” – continuò, sempre a voce bassissima – “Ma, anche se non lo avessi fatto, tu saresti comunque voluto andare, non è così? Desidererei solo che fosse più facile. Ho sempre dedicato la mia vita ad un bene superiore, Severus, anche quando Voldemort non era nemmeno nato. C’è sempre stata una causa per me ad assorbirmi totalmente e così non ho mai sentito troppo la mancanza di una famiglia mia, di figli. Del resto, ho sempre guardato ai miei studenti come ad una grande famiglia allargata, ma non ho mai avuto particolari preferenze, fatta eccezione per Hagrid. Poi siete arrivati tu e Harry… un capo, un comandante d’uomini non dovrebbe avere un cuore, ragazzo mio, o rischia di commettere gravi errori. Però, evidentemente, non sono fatto di pietra come i gargloyle di Hogwarts… “.

Fece una pausa, guardandosi nuovamente intorno. La stanza non mancava di rispecchiare la personalità del suo proprietario, ma era così fredda e cupa; perfino il camino rimaneva troppo spesso spento. Era tetra, come se le mancasse qualcosa.

Silente decise che quel che mancava a quello spazio dei sotterranei erano la serenità e l’ottimismo.

Caratteristiche che certo non possono appartenere ad una stanza, che è di per sé inanimata, ma che, tuttavia, sembrano trasmettersi da chi la abita all’ambiente, cosicché chi vi entra può percepirle, come se le respirasse.

Il suo studio era un luogo di quel tipo, come se vi aleggiasse un’atmosfera rassicurante.

Invece, la camera da letto in cui si trovava parlava di incubi notturni, profonda solitudine e dolore.

Alla fine, sono riuscito a tenerti qui, accanto a me, a farti sopravvivere, ma non mi è mai riuscito di ridarti la voglia di vivere. Anzi, io stesso a volte ho dovuto spingerti a sopire il fuoco che covi dentro per modellarti agli occhi del mondo, di modo che tu potessi essere il mio efficace braccio destro; il mio asso nella manica.

Mi dispiace immensamente anche di questo, ma la fiamma non si è mai spenta del tutto e un giorno la guerra finirà. Allora forse ragazzo mio potremo entrambi levarci la maschera. Io potrò mostrarti cosa davvero rappresenti per me e tu potrai lasciar libera la tua luce, così che tutti possano vederla chiaramente come l’ho sempre vista io.

Per ora devo rassegnarmi a guardarti gelare in quest’arido mondo in cui ti sei rifugiato.

“No, decisamente non sono fatto di pietra” – ammise in un soffio, mentre le constatazioni cui era giunto gli opprimevano il petto, come se la stanza stessa gli si stesse richiudendo addosso – “Nemmeno un po’, o non mi sarei affezionato tanto a te e a Harry. Eppure… anche se a volte devo mordermi la lingua per non chiamarti addirittura figliolo, Severus, non posso permettermi di lasciar decidere ai miei sentimenti e quindi nemmeno di esprimerli troppo liberamente. Non sarà l’ultima volta che Voldemort ti farà del male, ci giurerei, ma non ti sottrarrai, né io farò nulla per evitare che accada. Come potrei? Impedendoti di tornare da lui, di fare ciò per cui ti prepari da una vita? Non posso permettermelo. A volte ho perfino pensato che era troppo ingiusto consentirti di far leva sui tuoi rimorsi, e lasciare che i tuoi tormenti ti spingessero ad abbracciare la causa a costo della vita. Ho detto a me stesso che ormai, anche se tu non ritieni che sia così, hai già pagato abbastanza e che l’unica cosa corretta da fare sarebbe mandarti via, lontano, in un luogo nascosto e sicuro, dove lui non riesca a trovarti e nuocerti in nessun modo”.

Si strinse nelle spalle, prima di proseguire con la bocca troppo asciutta – “Non avrebbe senso. Voldemort potrebbe trovarti ugualmente e poi, ragazzo mio, tu sei come me: io e te, se proprio dobbiamo morire, preferiremo farlo combattendo con onore, non come vigliacchi che tentano di sottrarsi al nemico. Non è per noi la fine miserevole dei topi in trappola, ne sono sicuro. Quelli come noi, Severus, raramente muoiono nel proprio letto, ma almeno cadono dignitosamente, adempiendo al dovere, lottando per ciò in cui credono”.

Sorrise, con dolce amarezza – “Ma è tanto più facile pensare alla mia fine, comunque debba presentarsi un domani, che non alla tua o a quella di Harry… siete molto più giovani di me… siete… non importa… finchè potrò vi starò accanto, qualunque cosa succeda. Non voglio pensarci ora. Adesso sei qui, sano e salvo, e domani il dolore, qualunque cosa Voldemort ti abbia fatto, sarà più debole, finchè non passerà e forse ci sarà dato tempo a sufficienza per far sì che io riesca a mostrarti che sei ancora vivo, che hai davvero ancora speranza, che devi smettere di torturarti per il passato. Devi stringere i denti e andare avanti, Severus. Dritto per la tua strada come hai sempre fatto, qualunque cosa dicano di te, qualunque cosa accada. Devi proseguire la lotta. Ma abbi cura di te, ragazzo mio, non buttare via la tua vita per incoscienza. Renderesti un cattivo servigio alla causa se fossi imprudente e io davvero non sono fatto di pietra… non voglio dover piangere per te come hanno dovuto fare i Diggory per il loro Cedric. Bada a te, figliolo e io sarò con te, per tutto il tempo, finchè mi sarà concesso”.

Scordando per un attimo ogni prudenza e l’indole fin troppo riservata del mago bruno, Silente allungò di nuovo una mano e gli sfiorò piano l’avambraccio sinistro, seguendo con i polpastrelli le linee in rilievo del Marchio, in una carezza che era il gesto più paterno che mai si fosse concesso con la sua preziosa spia.

“Lotteremo insieme per farlo sparire” – promise in un sussurro affettuoso, con incrollabile determinazione nelle iridi chiare – “Per farlo svanire davvero questa volta”.

Poi si voltò e lasciò rapido la stanza.

Severus Piton prese fiato, mentre la porta si richiudeva dietro al vecchio.

Ci proverò, Albus. Ce la metterò tutta, te lo prometto. Per la causa e perché, anche se odio doverlo ammettere, nemmeno io sono fatto di pietra.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Parte quarta: Sacrifici. - 1. Il cuore e la causa. ***


Come sempre ringrazio per i commenti, che mi mettono di buon umore.

 

Mixky, Kagome (sì un capitolo al giorno, così non ci sono tempi morti ^_-), Francesca e Ale, grazie di cuore.

 

Ah, Ale, non so chi sia la prima vittima, ma no, non è Regulus, non perché non avessi già pensato a lui prima di “Stelle Gemelle”, ma perché secondo me Regulus è l’ultima vittima, piuttosto che la prima. E’ una delle gocce che hanno fatto traboccare il vaso, che era già quasi colmo.

Su tutto il resto hai pienamente ragione. Silente ha cuore, ma anche una volontà di ferro. Si affeziona, ma darebbe se stesso e anche le persone che più ama al mondo pur di sconfiggere Voldemort. Per quanto possa odiare certi doveri che impone a sé e agli altri, mai deraglierebbe dalla via tracciata dalla causa. E Severus ha già emesso il proprio verdetto da tempo: dannato, senza possibilità d’appello.

Ma non per questo sarà meno doloroso compiere anche l’ultimo passo che Albus vorrà imporgli.

 

 

PARTE QUARTA: Sacrifici.

 

1. Il cuore e la causa.

 

 

“Non ne abbiamo già discusso abbastanza, Severus?” – la voce di Silente era pura emanazione del suo spirito caparbio e il suo sguardo diceva chiaramente che non aveva alcuna voglia di continuare il discorso.

Il mago bruno, però, non era del medesimo avviso.

Oh, certo, vecchio pazzo, dovremo smettere di parlarne come se si trattasse della cosa più normale del mondo.

Per te è semplice questa follia. “Se non troveremo un’altra soluzione, per il bene di Draco, per il tuo e per la causa, farai ciò che ti ho chiesto!”. E per te è finita qui. Ogni volta che tento di riprendere l’argomento, come quella notte nella foresta, mi fai notare che ne abbiamo già discusso abbastanza.

Io dovrei solo obbedire, ci sono abituato, non è così?

Quindi, la causa prima di tutto, come sempre, tanto non sarebbe la prima volta che spezzo una vita. Un omicidio in più, che vuoi che sia quando la mia anima è già macchiata inesorabilmente?

Dannato vecchio, non importa quante altre volte ho commesso il più imperdonabile dei crimini, lo vuoi capire? Posso aver tolto la vita a vittime innocenti in passato, ma non ho mai nemmeno preso in considerazione l’idea orribile che vuoi farmi accettare.

Come puoi domandarmi - arrivare ad ordinarmi perfino - di uccidere te? Stiamo parlando di te, Albus, maledizione!

Non di un avversario, o di uno degli amici di un tempo che ora sono diventati “il Nemico”; è di te che stiamo parlando!

No, non ho intenzione di assecondarti anche in questo. Nessunissima intenzione.

Credi che non abbia la capacità di provare riconoscenza e affetto dietro questa maschera odiosa che porto da anni? Pensi davvero che io non sia capace di provare nausea, disgusto, dolore al solo pensiero di una simile aberrazione?

Sei stato la mia guida, lo ammetto, il mio vero mentore, l’unico che abbia avuto fiducia in me, perfino un padre a tuo modo.

Un padre severo e incredibilmente esigente, ma anche attento e presente forse più di quanto non lo sia mai stato il mio vero padre.

Sei l’unica persona che realmente non mi disprezza, che riconosce le mie capacità senza provare invidia.

I miei colleghi mi tollerano perché ci sei tu. Magari Minerva è portata a provare affetto per me, ma nemmeno lei si sarebbe fidata a prescindere, se non fosse per te.

Tu mi hai insegnato ad aver fiducia in me stesso, credendo in me, e pretendi che io ti uccida? Tu mi hai mostrato chi sono, e hai capito chi voglio essere.

Vuoi che preferisca la mia vita alla tua?

O, magari, pensi che io non abbia orgoglio? Che, a prescindere da tutto il resto, mi abbasserei a lasciarti morire al mio posto solo perché ho stretto quell’assurdo patto con Narcissa?

Io so cavarmela da solo! Non ho bisogno di persone che mi salvino la vita.

L’ultimo che l’ha fatto cosa ha guadagnato? Una tomba. Mi rifiuto di lasciare che succeda di nuovo.

No, non ho intenzione di obbedire questa volta, non a questo comando assurdo e terribile.

Preferisco morire.

“Ha ragione lei” – dichiarò seccamente Severus – “E’ inutile discuterne oltre. Abbiamo cercato una soluzione alternativa, ma, finora, non abbiamo avuto successo; Draco non può essere lasciato in balia di se stesso, della sua immatura incoscienza, di Voldemort e del proprio cognome. E’ necessario impedirgli di nuocere agli altri e di buttar via la sua anima; su questo sono pienamente d’accordo. Ma, dal momento che non abbiamo trovato alternative, salvo che la situazione non muti radicalmente, ho deciso: non le obbedirò questa volta. Troverò il modo di fermare Draco Malfoy, ma non presterò mai fede al Voto Infrangibile. Dunque, è realmente inutile parlarne ancora”.

Non sceglierò la tua vita al posto della mia, Albus, mai.

A tutto c’è un limite.

Posso accentuare il caratteraccio che mi ritrovo per natura, fingendomi anche più odioso di quel che non sia già per indole, per restare sempre sospeso nel grigio dell’ambiguità e lasciare tutti nel dubbio su quali sia il mio reale schieramento.

Non importa, anzi, meglio così; tutti mi stanno alla larga ed è ciò che merito e che voglio, così nessuno può avvicinarsi abbastanza da ferirmi e ricordarmi che ho ancora un dannatissimo cuore.

Posso rischiare, ogni volta che il Marchio Nero brucia, la vita ed il senno.

Sì, il senno, perché a volte mi pare d’impazzire quando urla strazianti si levano dal centro del cerchio serrato dei miei compagni d’un tempo, gelandomi la spina dorsale.

A volte, la notte, non so distinguere più incubo e veglia e tutto è buio, che io abbia o meno le palpebre chiuse.

Ci sono momenti in cui faccio quasi fatica a distinguere tra menzogna e realtà. So chi sono, cosa desidero, da che parte sto, cosa non farei mai e poi mai, ma le mie bugie sembrano così vere. Come quando ho raccontato a Bellatrix che, grazie alle mie informazioni, Emmeline Vance era stata uccisa.

Non è così, maledizione, non è vero, ma a volte mi sveglio di soprassalto e, prima di ritrovare la calma e la logica, mi pare che sia accaduto veramente, di essere stato davvero io a consegnarla a Voldemort perché mi credesse, per la mia copertura di spia.

Allora maledico me stesso e la causa, finchè non riesco nuovamente a respirare e convincermi che non è andata come ho detto a Bellatrix, che non ho anche quella donna sulla coscienza; che non l’ho uccisa e non ucciderò mai più.

Ho sopportato tutto questo, finora, e potrei continuare, fino a ripagare finalmente ogni mio debito.

E’ giusto, non importa se fa male.

Ho causato dolore, posso sopportarne altrettanto.

Ma ucciderti, vecchio pazzo… no.

Anche io ho i miei limiti.

Non sarò un essere umano gradevole, ma sono pur sempre un uomo.

Non una macchina da guerra, o un’arma, pronta ad abbattere anche gli amici, pur di giungere alla meta finale; solo un uomo.

Gli occhi di Silente lampeggiavano di determinazione, non meno incrollabile di quella del suo collaboratore, era pronto a dar battaglia. L’ultima affermazione della sua spia perfetta, del suo Severus, era per lui inaccettabile, quanto per il mago bruno lo era la richiesta che lui stesso continuava a riproporgli.

Scordatelo, ragazzo.

Per cosa credi che abbia lottato in tutti questi anni? Solo per buttare all’aria la miglior possibilità di minare il potere di Voldemort dall’interno, perché ne va della mia vita?

Per cosa credi che ti abbia inflitto la tortura di tornare da lui? Perché pensi che me ne sia stato qui a guardare, aspettando che tu tornassi da troppe missioni, ripetendomi ogni volta che saresti morto per avermi obbedito? Qui a guardare e attendere a braccia conserte, sorridendo a tutti come se nulla fosse, rassicurando tutti, o addirittura fingendo che fosse un giorno come un altro, una notte come tante, volta dopo volta, anzi che venire là fuori a cercarti, perché tu non morissi, perché non dovessi più umiliarti davanti a lui, per evitarti l’orrore di rivivere il passato?

Per quale motivo pensi che mi sia sempre impedito di dirti una frase stupida e semplice come: “Ti voglio bene, ragazzo”?

Oh, certo, niente smancerie con te, Severus, niente pacche sulle spalle, abbracci, parole affettuose; a te non piacciono. Ti imbarazzano, ti danno sui nervi, a volte ti umiliano.

Quelle le ho sempre riservate a Harry. Ma se credi di non averne a tua volta bisogno, solo perché tu non sei più un ragazzino, Severus Piton, ti sbagli di grosso.

Avrebbero dovuto dirtelo più spesso, quando davvero eri solo un bambino e un adolescente. Sono solo tre parole: “Ti voglio bene”… tutto qui.

Ce ne vogliono solo due per distruggere una persona. Solo due parole: “Avada Kedavra”, oppure, può bastare anche un “Ti disprezzo”. Talvolta, anche meno.

Quante volte ti hanno ferito quelle due parole, Severus, sia le une che le altre?

E io non ho mai pronunciato quelle che, invece, avresti avuto bisogno di sentire.

Le ho sempre ricacciate in gola.

Non crederai davvero che sia stato soltanto perché tu non le avresti accettate? Ho centocinquant’anni, ragazzo, sono un po’ troppo cresciuto per non dire quel che penso solo per evitare la reazione altrui.

Ma se ti avessi detto cosa provo, soprattutto dopo tanti anni che ti ho accanto, che ti vedo rischiare la vita, aver fiducia in me, negarti un’esistenza al di fuori della causa, pensi che poi sarei riuscito a trattenermi dal domandarti di lasciar perdere tutto, di non tornare più nell’incubo?

Sarebbe stato inutile fermarti; non mi avresti dato retta e ormai sei in gioco, indietro non si torna.

Sarebbe stato ingiusto nei confronti di tutte le persone che fanno affidamento su di me e, senza nemmeno saperlo, anche su di te; nei confronti di un mondo intero.

Ho dovuto tenere per me il mio cuore, e farlo tacere, ogni volta che mi diceva: “Se rischia è a causa tua. Tu l’hai spinto a camminare sul filo di una lama tagliente che può solo essere percorsa fino in fondo, e mai a ritroso”.

Questa è la verità, Severus. E tu pretendi che ora io ti lasci scegliere la morte?

Pretendi che ti lasci fare ciò che ti impedii, quando morirono i Potter?

Gettando all’aria la causa e ogni sacrificio che mi sono imposto?

Mettendo l’ultimo definitivo bavaglio al mio cuore e alla mia coscienza?

Bada, Severus, se la mia sopravvivenza a discapito della tua fosse la giusta via per vincere questa interminabile, tremenda, guerra, allora, forse non avrei scelta.

E’ orribile anche solo pensarlo, ma sono sempre stato sincero, anche con me stesso, e so che è così, perché non posso gettare via le vite di molti e la libertà di un mondo intero solo per i miei sentimenti. Sarei un egoista e un criminale, non meno di Voldemort.

Ma non ringrazierò mai abbastanza il fato per aver voluto che non fosse così.

Posso mandarti là fuori a rischiare anche ogni notte, sostenendomi con la speranza che tornerai e la fiducia nel fatto che le tue capacità ti proteggano, ma condannarti a morte certa, sacrificarti come una pedina tra tante… potrei farlo e, poi, io stesso morirei dentro.

Invece – sia ringraziato il destino che ha voluto così - non accadrà, perché la tua vita è più importante della mia per la causa, attualmente.

Sai cosa devi fare, sai come portare avanti da solo la lotta, sai degli Horcrux, sei più che mai vicino a Voldemort e lo sarai ancora di più, se io morirò.

Sei più che mai perfetto per combattere la nostra battaglia.

E non sono mai stato tanto felice al pensiero di essere io la pedina. Io, non tu.

Tu sei quello indispensabile, ragazzo mio, non io.

Tu!

Finalmente, la causa e il mio cuore coincidono: per entrambe tu non sei sacrificabile, Severus; devi vivere.

Nemmeno una parola aveva rotto il lungo silenzio, eppure, l’enigmatico sorriso del Preside parlava chiaro, sotto lo sguardo di tenebra del mago più giovane.

Silente sapeva, che, sebbene Piton non fosse solito usare la legilimanzia per frugargli la mente senza permesso, aveva colto i suoi pensieri. Forse non nel dettaglio, ma certamente nell’essenza.

Del resto, lui ed il suo uomo usavano spesso la sola legilimanzia per comunicare, senza interferenze e con riservatezza, in presenza altrui. Era anche un metodo assai più profondo e rapido delle parole.

In alcune occasioni, sia l’uno che l’altro, schermavano la propria mente, se volevano starsene un po’ da soli con i propri pensieri, o, più semplicemente, evitavano di ricorrere a quel tipo di magia, ma bastava ormai uno sguardo perché ciascuno dei due comprendesse quando l’altro gli lasciava via libera.

Questa volta, il vecchio aveva appositamente lasciato trasparire ciò che pensava. Sapeva bene che Severus avrebbe preferito non vedere ciò che intendeva mostrargli e che avrebbe tentato di impedirsi ogni comprensione di quel che gli veniva offerto, per non vacillare nella propria decisione.

Le iridi del cupo mago bruno, però, non erano meno eloquenti di quelle chiare di Silente. Troppo lucide rispetto al solito per non smascherare il fatto che aveva colto il messaggio del suo mentore.

E’ inutile fingere che non sia così, ragazzo. Come è del tutto vano credere che, a mia volta, io non abbia capito esattamente cosa ti rifiuti di dirmi a parole; quel che provi.

Ti conosco fin troppo bene, Severus.

Quasi a proseguire a voce alta il proprio ragionamento, il Preside disse, con inflessibilità stemperata in dolcezza – “So benissimo perché non vuoi obbedirmi e quanto è gravoso il compito che ti impongo. So, perfettamente, Severus, quanto costoso sarà per te fare ciò che desidero. Vorrei evitare che tu ti faccia carico anche di questo peso, ma lo farai”.

Dannato vecchio, perché, perché deve essere sempre così superiore, pur non mettendosi mai sul gradino più alto in modo tale da umiliarmi?

Perché deve sempre avere un senso quel che pensa o che dice?

Come fa a parlare così della sua morte, come se fosse soltanto un altro incarico tra tanti?

Gli parve di essere tornato ventenne, con tutti i timori, le angosce e la disperazione della loro prima discussione, quando rispose con eccessiva veemenza – “Non ha senso. Lei è più importante di me. Lei è il comandante, io sono solo un subalterno. Una guerra non si vince senza generali. Lei è più importante di me! “.

“Molte guerre sono state vinte, proprio quando tutto sembrava ormai irrimediabilmente compromesso, solo perché il condottiero ha sopravanzato i suoi uomini, offrendosi per dare l’esempio” – replicò calmo Silente, con un guizzo quasi ironico dietro le piccole lenti – “Ma non è questo il punto e lo sappiamo entrambi. O meglio, Severus, non è solo questo il punto. Comunque sia, non vedo altre alternative… “.

“Io sono l’alternativa” – esclamò roco Piton, tentando di riprendere il controllo almeno del tono della voce – “Io ho un’alternativa. Lei o me e, che le piaccia o no, scelgo lei e non commetterò questa follia che vuole impormi. E’ mia la vita, decido io se vivere o morire. Lei stesso ha sempre detto che ero io a scegliere”.

Il sorriso del Preside si fece insieme più caldo e più amaro – “E’ vero, a suo modo. Ma è vero solo in parte. La tua vita, Severus, non ti appartiene più. Hai già deciso, e l’hai fatto diciassette anni fa. Da allora, la tua vita appartiene alla causa – a volte ho odiato che fosse così, ma oggi ne sono immensamente felice – e tu non puoi più disporne liberamente quanto prima. Farlo sarebbe da incoscienti, egoisti e codardi. Sarebbe solo una fuga davanti alle responsabilità, e non è da te”.

Si fece ancor più gentile prima di proseguire – “Non vuol dire che tu non abbia scelta. Ce l’hai, ma non è tra vivere o morire, bensì tra fare la cosa giusta o quella sbagliata, per tutti, me e Draco Malfoy compresi. Solo questa scelta, fra ciò che è bene fare, anche se è ripugnante e doloroso e quel che è facile e privo di sofferenze. Ma tu non hai mai scelto la via breve, hai sempre accettato anche le spine della vita. Non c’è bisogno che ti ricordi il perché. Sei fatto così e, alla fine, anche questa volta la tua sarà la decisione giusta, quando acconsentirai alla mia richiesta”.

“Draco Malfoy… come se salvargli l’anima servisse a qualcosa, se lei muore. Lui sarà comunque segnato. Tutti lo saremo, io più che mai… “ – sibilò, pur sapendo benissimo di non essere  del tutto sincero; di star solo cercando un appiglio per poter dar torto al vecchio.

Avrebbe dato qualunque cosa per impedire a Draco di commettere i suoi stessi imperdonabili errori. Qualunque cosa, tranne la vita del suo mentore.

 

 

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Capitolo 8
*** Parte quarta: Sacrifici. - 2. Uno sbaglio da non replicare. ***


Grazie Kagome per la costanza ^_^ Quanto alla tua domanda su Silente temo che la spiegazione sia banalmente una sola: se Albus avesse agito personalmente J.K.R. si sarebbe bruciata la trama. Non avrebbe potuto scrivere così tanti libri e non sarebbe più stata la saga di Harry Potter, ma quella di Silente ;)

 

 

 

 

 

2. Uno sbaglio da non replicare.

 

 

“Draco ha bisogno di te, Severus, più che mai” – rispose laconico Silente – “Di te, non di me”.

Poi, prima che Piton trovasse le parole giuste con cui obiettare, aggiunse – “Potremmo anche tentare di nasconderlo in un luogo inaccessibile a Voldemort, ma tu ed io sappiamo fin troppo bene che nemmeno questo lo terrebbe davvero al sicuro. Anche se usassimo l’Incanto Fidelius e il Custode fosse la persona più fidata; anche se non si ripetesse ciò che accadde con i Potter. Draco potrebbe non volerne sapere di rimanere nascosto, potrebbe comunque imboccare la strada sbagliata e perdersi. No, non voglio rischiare e nemmeno tu lo desideri; troppe volte ti ho visto scrutarlo preoccupato, già in passato, oppure ti ho ascoltato mentre mi dicevi, col timore nella voce, che il cognome di quel ragazzo è un’eredità eccessivamente pesante… “.

Il mago bruno gli tolse la parola, anche se intimamente doveva dargli ragione – “Va bene, ammetto che Draco deve essere fermato e protetto e che io più di chiunque altro desidero preservarlo dai miei stessi errori di gioventù, ma questo non implica che debba accettare l’improponibile comando che lei pretende di farmi adempiere”.

“Severus, Severus… “ – lo ammonì il Preside – “Non fingere di non capire. Non sei mai stato uno sciocco. Sai cosa intendevo dire: Draco ha bisogno di una guida e non posso essere io. Non ho, né mai ho avuto, l’autorità e la confidenza per esserlo. Posso dominare, almeno fino ad un certo punto, la sua volontà di ragazzo, giovane com’è, ma non posso mostrargli ciò che è giusto, perché a me non darebbe ascolto. Ma a te sì, Severus. E’ sempre stato il tuo pupillo, ti ha sempre rispettato e preso ad esempio. Ora ce l’ha con te, ma non sarebbe difficile per te riconquistare la sua stima e fiducia e vegliare su di lui, perché non bruci la sua anima e il suo futuro. Inoltre, nel caso non ci sia modo per tenerlo lontano da Voldemort, tu, a differenza di me, saresti in condizioni di proteggerlo anche dinnanzi a lui. Ne saresti capace. Io no, anche se sopravvivessi”.

Il pozionista si spazientì, anche se esteriormente aveva ritrovato tutta la propria glaciale calma.

Maledizione Albus, non mi importa nulla del fatto che hai dannatamente ragione. Non voglio ucciderti, nemmeno per Draco. Ho sempre temuto per lui e detestato che il mio ruolo di spia mi imponesse di essere per quel ragazzo un pessimo esempio, dato che mi ha sempre creduto e tuttora mi crede un fedele Mangiamorte.

Ho sempre rivisto in lui il ragazzino folle che sono stato, che avrebbe potuto fermarsi in tempo e, invece, si è gettato da sé nel più profondo dei baratri. Questo mi ha sempre fatto orrore. Vederlo cadere, sarebbe peggio che fallire, sarebbe come replicare il passato.

Darei me stesso per saperlo salvo e al sicuro dal commettere la più assurda, dolorosa sciocchezza che si possa compiere in un’esistenza intera, ma è la mia di vita che potrei sacrificare, non la tua, testardissimo mulo.

“Lei dovrebbe pensare solo alla causa, non a Malfoy ed io non sono ancora affatto convinto che il suo sacrificio non sia controproducente. Potrebbe essere un disastro per l’Ordine” – rimproverò aspramente a Silente, tentando di non pensare a tutti i ragionamenti sensati che il vecchio gli aveva fatto più volte per dimostrargli il contrario e a quel che gli aveva letto nella mente poco prima.

Il Preside rise, ma il suo sguardo in un attimo si fece tagliente, come se cominciasse ad essere profondamente seccato – “Non mi offenderò con te, Severus, solo perché mi rendo conto che non pensi realmente quel che hai appena detto. Altrimenti, riterrei decisamente oltraggioso che proprio tu metta in dubbio la mia dedizione alla causa. Ne abbiamo già discusso fin troppo. Non vanificherei mai la lotta e i sacrifici che abbiamo compiuto finora e mi addolora anche solo sentirti dire il contrario. Inoltre, se esiste un modo per impedirlo, senza danneggiare la causa e senza ledere te e Draco, io per primo non ci tengo particolarmente a morire, anche se non nutro alcun timore per la morte. Non ti ho certo vietato di cercare fino all’ultimo una soluzione, ma non è bene che ci facciamo illusioni. Le illusioni fanno male, Severus, non c’è necessità che sia io a spiegartelo, vero?”.

Piton strinse i pugni e serrò la bocca fino a far sbiancare le labbra, ridotte ad una linea sottile sul volto contratto.

Hai deciso di farmi impazzire, Albus? Di torturarmi rinfacciandomi ciò che mi opprime da sempre?

Lo so quant’è tagliente una speranza infranta. So benissimo che ci sono poche probabilità di trovare un’altra via, per salvare sia me che te e mettere al sicuro Draco.

Tu questa volta non ne hai accennato, ma sono consapevole anche del fatto che, per quanto io ce l’abbia messa davvero tutta, la maledizione che ha colpito la tua mano, finora, ha solo rallentato il suo corso letale, però non è neutralizzata completamente.

Non sono riuscito a bloccarla o annullarla, ma devi darmi tempo.

Posso farcela, devo riuscirci, e poi, al diavolo la causa e gli Horcrux e il fatto che, stando accanto all’Oscuro Signore potrei scoprire più facilmente di te quali sono e dove sono nascosti. Al diavolo tutto, Albus, se riesco a fermare quel maleficio non avrai più appigli per convincermi che solo tu sei sacrificabile.

Non riusciva nemmeno a pensare a tutti gli altri motivi, pur validissimi, per cui avrebbe dovuto obbedirgli. Non voleva pensarci, proprio perché erano più che ragionevoli, e lo inchiodavano a responsabilità che travalicavano i suoi sentimenti per il vecchio mago. Responsabilità di chi ha scelto di porsi in una posizione tale da poter fare la differenza tra una guerra persa ed una vittoria definitiva.

Per questo tentava disperatamente di trovare una soluzione ai due problemi che apparivano più insormontabili, trascurando il resto, nella speranza che se avesse eliminato quei due scogli – Draco e la maledizione lasciata dall’Horcrux – poi avrebbe potuto fingere che qualunque altra motivazione di Silente non avesse importanza.

Dammi ancora tempo, Albus. Ho bisogno di tempo per studiare una cura definitiva.

Posso trovarla, deve esistere da qualche parte, in un libro, in una pergamena… Non può non esserci scampo.

Ho bisogno di altro tempo.

“Non abbiamo più tempo, Severus, mi spiace” – replicò il Preside, senza minimamente peritarsi di nascondere che aveva letto i pensieri dell’altro con estrema chiarezza, anche senza legilimanzia, semplicemente perché lo conosceva a fondo – “Draco finirà col combinare qualcosa di più sostanzioso e diretto di quanto non abbia fatto finora con la collana e il veleno e dobbiamo essere pronti, in qualunque momento accada. Quando agirà, non avremo più altre opportunità e temo che lo farà presto. Deve tentare prima che la scuola finisca, per non bruciarsi ogni possibilità di manovra. Il nostro tempo è quasi scaduto, che ci piaccia o meno”.

“Questo è vero, ma… “ – cercò di opporsi ancora il mago bruno, con la voce arrochita dall’angoscia. Aveva preso a tormentare la stoffa nera della veste, però non se ne rendeva conto, così come non si accorgeva, una volta tanto, che, nonostante si imponesse l’usuale autocontrollo, l’invisibile maschera di sprezzante e crudele gelo che indossava sempre era caduta, lasciando che il suo volto diventasse assai più eloquente di qualunque parola.

Silente osservò i pallidi aguzzi lineamenti della sua spia e scosse il capo.

Mi spiace, ragazzo mio, davvero è come se avessi i giorni contati e, a maggior ragione, non li sprecherò cercando inutili scappatoie.

Tu tenterai ancora, lo so e mi rende felice che sia così, che tu tenga tanto a me, ma io ho altro a cui pensare adesso.

Harry è quasi pronto; finalmente lui stesso vuole esserlo e io non sprecherò nemmeno una delle giornate che mi restano per cercare di trovare un rimedio alla maledizione di quell’anello.

Non sono nemmeno certo di volerlo trovare, sai.

Se riuscissimo a bloccare il male che mi consuma dall’interno, tu pretenderesti di vedermi vivere, a costo della tua esistenza ed io questo non lo desidero.

Una volta tanto, dal momento che non nuoce alla causa, voglio prendere io il fardello più pesante, anzi che imporlo ad altri.

Non voglio sopravviverti, Severus. Non vorrei mai, alla fine di questa estenuante guerra, sopravvivere a te o a Harry.

Siete troppo giovani ancora e importanti non solo per la causa, perché un vecchio come me possa accettare di seppellirvi.

Fece un ampio gesto, utilizzando appositamente la mano annerita e ferita, come a significare che considerava chiuso questo specifico argomento.

“Farai come ti dico” – sentenziò poi pacato, con un sorriso gentile ad illuminargli anche lo sguardo – “Perché è giusto e non hai mai mancato, dal momento in cui hai abbandonato Voldemort, di scegliere per il meglio. E poi porterai a termine ciò che abbiamo progettato nei dettagli e intanto ti prenderai cura di Draco. Ci tengo particolarmente a che quel ragazzo non commetta errori irreparabili. Ci tengo non meno di quanto fai tu”.

“Perché?” – domandò Piton secco. Non gli piaceva tutto quell’improvviso interesse di Silente per Draco Malfoy. Non perché non tenesse al ragazzo, ma perché, se solo non ci fosse stata la salvezza dell’anima del giovane di mezzo, non gli sarebbe importato più di nulla, né degli ordini, né del Voto Infrangibile.

Draco lo angosciava più della maledizione legata all’anello di Orvoloson Gaunt. A quella sperava ancora, contro ogni evidenza, di trovare riparo, ma Draco era tutt’altra cosa.

Non si poteva limitare a desiderare che sopravvivesse, voleva che non gettasse via libertà, dignità, anima e coscienza per macchiarsi le mani di sangue innocente.

Non era per questo, però, che aveva stipulato il Voto Infrangibile con Narcissa. Mai avrebbe commesso una simile leggerezza.

Il Voto era una gabbia che gli si era stretta attorno imprevista, mentre tentava solo di carpire informazioni che intuiva essere molto importanti e si sforzava di neutralizzare i pericolosi sospetti di Bellatrix Lestrange sulla sua fedeltà a voldemort.

L’aveva accettato solo perché Narcissa aveva parlato di difendere Draco, nel proporlo.

E lui avrebbe comunque vigilato sul ragazzo, anche senza il Voto, ma Bellatrix non gli aveva lasciato scampo e Minus origliava, come il sudicio ratto che era, dietro alla porta pronto a correre da Voldemort, per riferire il minimo cedimento sospetto.

Poi, Narcissa aveva posto l’ultimo vincolo e lui si era sentito morire.

Ma aveva giurato, perché non farlo avrebbe significato mancare al suo ruolo di spia. Quel ruolo che era il suo unico scopo nella vita da ben diciassette anni, che lo sosteneva permettendogli di andare avanti, che era tanto importante per la causa, per la sua personale lotta contro l’Oscuro Signore, per Silente.

Tirarsi indietro a quel punto significava molto più che porre sul proprio capo una condanna a morte che qualunque servo di Voldemort avrebbe potuto eseguire.

Farlo sarebbe stato gettare al vento quasi vent’anni della propria vita e di quella del suo mentore, perché per ben diciassette anni Silente aveva lavorato con lui per fare di Severus Piton la spia perfetta, dandogli totale e completa fiducia, affidandogli la responsabilità del successo della parte più importante della lotta, il ruolo di chi poteva minare il male dall’interno. Avrebbe significato buttar via ogni sforzo compiuto per rimediare alle proprie colpe atroci che ogni notte tornavano per tormentarlo dagli incubi e tradire la fiducia del Preside.

Non poteva tirarsi indietro, ma, dal momento in cui il vecchio gli aveva comunicato che non gli avrebbe consentito di non adempiere al Voto, che non l’avrebbe lasciato morire, che voleva essere ucciso da lui, nel caso più estremo, il mago bruno aveva continuato a maledirsi per aver pronunciato quel giuramento.

Aveva solo compiuto diligentemente e responsabilmente il suo dovere di spia, ma non si sentiva pronto a pagare il tipo di conseguenza che Silente pretendeva di imporgli. Non gli importava di infrangere il Voto, ma uccidere ancora, togliere la vita proprio al Preside, era il peggiore dei suoi incubi che diveniva realtà.

Ora poi, rendersi conto che, quasi sicuramente, non esisteva davvero alcuna soluzione alternativa, e che, comunque, non avevano più il tempo sufficiente a trovarla, lo faceva impazzire.

Dovevo leggere prima nella mente di Narcissa, lasciar perdere l’imbarazzo ed il rispetto per le sue lacrime e frugare la sua mente fino a trovare subito quel che cercavo… ma non faceva che piangere, e anche quando non teneva gli occhi chiusi, impedendomi di usare la legilimanzia, quelle lacrime facevano male. Era doloroso vederle scorrere.

Narcissa è una madre; piangeva proprio come mia madre.

Faceva male e io non sono mai stato in grado di affrontare sentimenti così diretti senza imbarazzo. No non lo sono mai stato.

Se solo avessi saputo ignorare quelle lacrime.

Ma non era riuscito a farlo, perché, a volte, perfino in lui il lato più umano prendeva il sopravvento su tutto. Era una spia, ma non una macchina.

Indossava una maschera, ma possedeva un cuore.

Perfettamente inutile recriminare ormai.

Il Voto era fatto e Draco era comunque un problema anche a prescindere da quel giuramento.

Draco aveva ancora un’anima immacolata, a differenza di lui. Era vano e ingiusto prendersela con il ragazzo, così come era inutile la sua ultima domanda a Silente.

E, se avesse saputo cosa il Preside stava per rispondergli, forse non l’avrebbe mai formulata.

 

Il vecchio non aveva risposto subito, come se stesse decidendo se rivelare interamente ciò che lo spingeva a preoccuparsi così tanto per Draco Malfoy.

Infine, si disse che ormai, dopo tutto quel che aveva detto e mostrato di sé al suo uomo, a Severus, era inutile tacergli quell’ultima verità.

No, non vedo perché non dovresti saperlo. Ci sono cose che voglio siano chiare tra noi, finchè ho la possibilità di dirtele ed è giusto che tu comprenda fino in fondo.

“Perché c’è un errore che reputo molto grave, anche nel mio passato, Severus” – rispose, finalmente, con un sospiro.

“Non un errore che molti possano rimproverarmi, magari” – continuò, fissando dritto nel nero intenso degli occhi di Piton – “Ma io personalmente non smetterò mai di rammaricarmene. E riguarda proprio te, Severus. Te e quel che avrei potuto e dovuto fare, quand’eri ancora un ragazzo per evitare che tu diventassi un Mangiamorte”.

“Non c’è proprio nulla che lei dovesse fare. Ho sempre compiuto da solo le mie scelte. Lei non ha a che fare con quel che sono stato” – ringhiò il mago bruno in un impeto d’orgoglio e irritazione.

“Certamente” – replicò convinto Silente – “ Hai ampiamente dimostrato che è così, proprio quando hai deciso di tornare sui tuoi passi: tu sai decidere di te stesso. Ho sempre pensato che ognuno deve appunto compiere da solo le proprie scelte, ma anche io sono un essere umano e tutti gli uomini hanno una coscienza. La mia mi ripete da tempo che avrei dovuto far qualcosa perché tu non imboccassi mai quella strada tanto sbagliata e dolorosa. Magari non sarebbe servito a niente perché non ero io la persona che poteva trattenerti dal cedere al fascino della magia oscura e a Voldemort, però avrei dovuto tentare, come uomo e come educatore”.

“E perché mai?” – domandò Piton che cominciava a innervosirsi sul serio – “Cosa crede che sarebbe cambiato? Io ho sbagliato, ma ho sempre e solo seguito me stesso”.

Cosa vuoi dire, Albus? Sei sempre stato tu ad affermare che solo io decido della mia vita.

Se non l’avessi voluto non sarei mai diventato nemmeno la tua spia, qualunque cosa tu potessi dirmi.

Le mie colpe sono solo mie, tu non hai nulla da rimproverarti.

La verità era che gli pareva di essere sminuito dalle parole del Preside e, contemporaneamente, avrebbe voluto evitare che il vecchio terminasse il discorso nel modo che ormai temeva.

“Andiamo, Severus” – lo rabbonì il vecchio mago canuto – “Non sto certo dicendo che avrei dovuto tentare di fermarti in chissà quale complicato e melodrammatico modo, con qualche compassionevole stratagemma. O che avrei mai potuto farti fare qualcosa che non volevi fare. Ma avrei potuto parlarti con tutta franchezza, in molte occasioni, prima che tu lasciassi la scuola e ora, indipendentemente dal fatto che sarebbe servito o meno, rimpiango di non averci provato”.

Non stava mentendo, il rimorso brillava davvero dietro alle lenti a mezzaluna.

Il mago più giovane fece un cenno secco con la mano e rispose gelido – “Un rimpianto inutile. Non le avrei mai dato retta!”.

Silente taceva e Piton decise di approfittarne per tentare di troncare definitivamente il discorso, ormai certo che non gli sarebbe piaciuta la conclusione cui il Preside voleva arrivare.

Era sicuro che non voleva sentirla, perché poi sarebbe stato difficile far finta di niente e scordare la confessione del vecchio.

La logica e i ragionamenti di Silente, specialmente quando riguardavano strettamente la causa, erano qualcosa cui poteva sempre ribattere e opporsi. Molte volte non si erano trovati d’accordo e lui aveva sempre avuto voce in capitolo, per dire la sua e magari convincere il suo mentore a cambiare strategia.

Proprio come Silente gli aveva detto al principio, quando Severus aveva accettato la proposta di diventare la sua spia, era sua l’ultima parola e la scelta, non era il vecchio ad imporgli come agire.

Silente faceva valere la propria saggezza ed esperienza, ma era Piton a valutare se quel che gli veniva richiesto era accettabile.

Però, se contro i lucidi ragionamenti del Preside possedeva l’arma della sua altrettanto acuta e ferrea logica, l’umanità del mago più anziano aveva ancora il potere di lasciarlo inerme, spiazzandolo, perché era totale, e profonda e Silente non la utilizzava mai in modo tale da umiliarlo o giocare con lui.

Poteva a volte valersene nella consapevolezza dell’effetto che suscitava in Piton, ma era sempre sincero nel mostrare il proprio lato più fragile e vero.

Quando Silente smetteva i panni del condottiero privo di paure ed esitazioni, per mostrare soltanto l’uomo, Severus Piton, per quanto potesse riuscire a non dimostrarlo, ne era sempre toccato nel più profondo dell’anima.

Ma ora si tratta della tua vita e della tua morte, Albus.

Non intendo lasciarmi commuovere.

Perciò, assunse un’aria fredda, annoiata, e lievemente ironica e soggiunse – “Comunque sia, anche se avessi deciso di ascoltarla allora, non vedo perché avrei dovuto ricevere un trattamento di favore. Non c’è bisogno che le ricordi che molti dei suoi ex allievi sono diventati e sono tuttora Mangiamorte. Non mi dirà che si sente in colpa per non aver tentato di fermare anche tutti loro? Non confonda il fatto che ora lavoro per lei e sono la sua spia con doveri che non ha mai avuto in passato nei miei confronti”.

Le sue parole erano state volutamente odiose e gelide e sperò che Silente non avrebbe avuto nulla di veramente sensato da replicare.

Mi spiace, Albus, ma non è il caso di lasciarti fare il sentimentale con me in questa situazione.

Non me la sento. Preferisco tenerti a distanza ancor più di quanto io non faccia di solito, piuttosto che rischiare di farmi intenerire da te.

Non voglio che tu possa convincermi o blandirmi.

Ho sempre avuto più riguardo per te che con chiunque altro, ma eccoti il Severus Piton che tutti conoscono, se serve a farti star zitto.

Il vecchio però sorrise indulgente, con uno sguardo decisamente eloquente. Per un istante parve perfino sul punto di ridere.

Oh, su ragazzo mio, forza, fammi vedere quanto è dura la tua scorza. Vediamo, quanto riesci a mostrarti acido e indisponente.

Ma se credi che questo basti a farmi tacere ora, allora, mi spiace, ma dovrò disilluderti.

Puoi essere odioso, gelido e sarcastico quanto ti pare con il mondo, Severus, puoi armarti di quel bel caratterino che ti ritrovi e tenere tutti a bada tanto bene.

E’ quasi il tuo motto, ci scommetto: “Mi detestate tutti? Bene, eccovi delle buone ragioni per farlo”.

E questo che pensi, no?

Ma io ti conosco, ragazzo e con me non attacca. Io so quando sei davvero irritato e ho avuto diciassette anni per imparare a riconoscere la tua vera espressione di superiorità, quando ritieni di essere nel giusto. So quando una cosa ti suona insensata e quando disprezzi qualcosa o qualcuno.

La verità è che hai già capito cosa intendo dirti e non ti va di sentirlo, perché sai che ho ragione.

Pazienza, Severus, mi ascolterai ugualmente.

“Non un trattamento di favore” – replicò sicuro e non meno irridente del mago più giovane – “Perché per gli altri non c’era nulla che potessi fare. Dunque mi spiace per loro, nonché per me stesso, perché preferirei di gran lunga che Voldemort avesse meno adepti. Ci faciliterebbe immensamente le cose e il mio orgoglio sarebbe ben lieto se meno ex allievi mi avessero lasciato per lui. Ma non ho mai avuto possibilità con loro e io non indulgo al rimorso a tal punto da rinfacciare a me stesso di non aver tentato un’impresa impossibile come quella, ad esempio, di tenere Bellatrix Lestrange lontana dal padrone su cui si compiace di riversare il suo innato fanatismo”.

Poi atteggiò provocatoriamente il volto alla stessa smorfia di Piton e, imitando volutamente anche le sue parole, aggiunse – “Non c’è bisogno, Severus, che ti ricordi che, mente tutti coloro cui hai alluso sono ancora leali Mangiamorte, tu non lo sei più da quasi vent’anni, proprio perché non sopportavi di esserlo e servire Voldemort ti faceva orrore”.

I lineamenti del mago bruno si contrassero, mentre accusava il colpo, ma non gli fu dato il tempo di replicare.

“La tua natura era diversa, Severus” – proseguì, imperterrito, Silente – “C’è sempre stato qualcosa di profondamente positivo in te, pur se lo nascondevi bene e a prescindere dal tuo carattere. Sempre, anche quando eri solo un ragazzo, e se così non fosse oggi non saresti quello che sei. C’era speranza per te e, così come hai saputo venir fuori dall’incubo in cui ti eri volontariamente cacciato, avresti anche potuto non diventare mai un servo di Voldemort, se solo determinati nodi fossero stati sciolti in tempo. Io avevo scorto questa speranza, ma non ho fatto nulla per evitarti i tuoi errori e questo mi spiace immensamente. Gli altri non sono mai tornati indietro, ma tu sì, e mi rammarico che tu abbia intrapreso quel sentiero sbagliato quando esisteva la possibilità di fermare i tuoi passi. Ormai è tardi, ma quanta sofferenza ti sarebbe stata risparmiata? Quante cose sarebbero andate diversamente? Ti rendi conto, Severus, di quanto più vivo saresti ora? Draco è come te, Severus, per lui c’è speranza e io lo vedo, lo so. E’ come eri tu, e per lui c’è ancora tempo, posso ancora stendere la mano e frenare la sua caduta prima che si ferisca come è accaduto a te. Posso e lo farò a qualunque costo, perché quando ebbi la certezza che tu davvero non eri fatto per le tenebre ho giurato a me stesso che non avrei mai più replicato l’errore commesso con te. Probabilmente non mi resta molto tempo, ma ti assicuro che me ne andrò in pace con me stesso, sapendo quel ragazzo al sicuro, e tu mi aiuterai, perché sai che ho ragione”.

Mi aiuterai a fermarlo in tempo, di modo che non conosca i tuoi stessi incubi e possa vivere pienamente, anzi che limitarsi a sopravvivere come fai tu.

Inoltre, avrai bisogno di Draco. Voglio che tu viva, e se per ottenere questo dovrò essere ucciso da te non mi importa, ma sono consapevole di quanto male ti arrecherò e del rimorso che ti infliggerai.

Però, non posso permettere che tu ti lasci andare e so che non lo farai se dovrai occuparti del giovane Malfoy.

Supererai anche questa prova. Se non per te stesso, lo farai per Draco.

“Capisco” – dichiarò Piton, secco, fingendo di non aver compreso il senso più recondito delle parole del Preside – “Ma questo è un problema che riguarda solo la sua coscienza, non me. Io non le ho mai chiesto nulla al riguardo e, se ha dei rimpianti, ciò non cambia il mio modo di vedere la cosa. La sua richiesta, per me, resta inaccettabile”.

Dopo di che, senza dargli alcuna possibilità di replicare oltre, gli voltò le spalle e lasciò lo studio a passo di carica.

Silente sospirò – Va bene, ragazzo mio, prenditi il tempo necessario per pensarci e per accettare la cosa. So quant’è difficile, ma non ho dubbi, farai la scelta giusta, come al solito, per quanto dolorosa possa essere per te. Io e te sappiamo compiere grandi sacrifici, ne abbiamo già fatti così tanti…

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Capitolo 9
*** Parte quinta: Ciò che è giusto. - 1. Una spia che non sa mentire a se stessa. ***


PARTE QUINTA: Ciò che è giusto.

 

1. Una spia che non sa mentire a se stessa.

 

 

Anche se aveva voltato le spalle al Preside con fare spavaldo e determinato, chiudendo bruscamente il discorso, Severus Piton non era affatto sereno.

Raggiunti i suoi alloggi nel sotterraneo si era lasciato cadere sui rigidi cuscini della sua alta poltrona, scuro in viso come un tempestoso temporale invernale.

Era agitato più di quanto non fosse solito tollerare da se stesso e si detestava per aver lasciato che Silente gli parlasse con tanta sincerità.

Quando il vecchio manteneva determinate distanze era tutto più semplice; lui poteva fingere che quel divario tra loro esistesse davvero. Poteva mentire, raccontando a se stesso che, sì, stimava immensamente il canuto stregone, sia come uomo che come combattente, ma niente altro che questo.

Ogni volta che Silente si comportava come quel giorno, però, al giovane mago bruno era impossibile nascondere che provava anche e soprattutto affetto e riconoscenza per il Preside.

Normalmente questo non gli causava altro che forte imbarazzo.

Non era avvezzo a quel tipo di sentimenti tanto filiali, così diversi da quelli che aveva provato in passato per i suoi pochi amici e che ancora provava, nonostante tutto per Lucius Malfoy e per la sua famiglia.

Non che gli paresse strano o in qualche modo sgradevole provarli, ma lo facevano sentire scoperto e vulnerabile, nonché inadeguato e debole.

Era felice che Silente fosse affezionato a lui ed era certo che così fosse, anche se, per vari motivi, non ultima una muta convenzione tra loro, il vecchio non lo dimostrava quasi mai con parole dirette o con i normali gesti con cui solitamente si dichiara agli altri il proprio bene.

Se si fermava a riflettere, si rendeva conto che gli sarebbe parso insopportabile stare accanto a Silente se questi davvero avesse visto in lui solo un Professore e un’abile spia; solo uno strumento privo di dignità.

L’affetto del Preside, sebbene spesso, a causa dei propri rimorsi, pensasse di non meritarlo affatto, lo riempiva d’orgoglio e lo faceva sentire più vivo.

Perché sei ancora qualcuno quando c’è chi si preoccupa per te, soffre con te, spera in te.

Altrimenti, non sei che un nome su un registro e quando l’inchiostro sbiadisce del tutto, nemmeno tu esisti più.

Sì, Severus era felice che Silente tenesse a lui.

Ma non sapeva rapportarsi facilmente a questo tipo di sentimenti tanto profondi. Ne aveva paura e, imbarazzato, finiva sempre col diventare ancora più arcigno, ogni volta che doveva affrontarli.

Le poche volte che Silente – e in qualche occasione, a dire il vero, gli era accaduto anche con Minerva McGranitt – si permetteva un comportamento particolarmente aperto e affettuoso, gli alunni di Hogwarts finivano, senza sapere il perché, col maledire un Professor Piton più che mai acido e intrattabile.

Ma questa volta era diverso. Silente aveva parlato troppo e mostrato, volontariamente, troppo di sé e non si trattava di un’occasione qualsiasi.

C’era in gioco la vita del vecchio.

Questa volta Piton non provava solamente imbarazzo, né poteva fingere che il problema fosse il proprio carattere schivo.

Il problema è l’assurdità che pretendi di farmi digerire, Albus.

E’ la cosa orribile e impensabile che vuoi farmi fare.

Il problema è che detesto anche solo l’idea di poter compiere ciò che mi chiedi, che ne sono nauseato e sconvolto e mi fa orrore, ma, dannazione, me lo chiedi in un modo che mi distrugge.

Il tuo affetto può essere un arma, Albus, anche se tu non lo capisci. Un arma che può ferirmi e da cui non so come difendermi.

Merlino! Quanto vorrei che tu fossi davvero solo un vecchio pazzo. Poter dire a me stesso: Ad Albus ha dato di volta il cervello, sarà l’età, sarà la sua salute incerta, è impazzito.

Ma non amo negare l’evidenza; tu non sei pazzo, non hai perso un briciolo della tua dannatissima invidiabile lucidità.

Come vorrei non tenere così tanto a te, che tu fossi soltanto il Preside e il comandante d’uomini per me, non Albus Silente.

Se solo tu non fossi importante per me, ma solo un mezzo per raggiungere i miei fini: sconfiggere una volta per tutte il mio passato.

Ma sapeva fin troppo bene che non era così. Contro ogni evidenza, per quanto questo rischiasse di fargli saltare i nervi, già fin troppo tesi, doveva riconoscere che non era così.

Merlino, quanto ti odio a volte per quel tuo aver sempre ragione, per la causa, perché mi conosci così intimamente, perché non riesco a non volerti bene!

No, non ci riusciva, così come non riusciva a soffocare con l’usuale gelo il turbamento dovuto all’ultima discussione col vecchio.

Tutto quel che avrebbe voluto, che bramava con tutto se stesso, gli pareva terribilmente irraggiungibile.

Avrebbe desiderato che non esistesse alcun Voto. Non per timore di perdere la propria vita; ormai era arrivato a considerare la morte una liberazione. Chiudere gli occhi per sempre non poteva che significare finalmente l’oblio. Niente più rimorsi, niente più dolore, non più il ricordo di capelli rossi scomposti dal vento scozzese e occhi verdi che avevano saputo guardarlo con compassione e simpatia, ma mai con l’amore che avrebbe voluto leggervi. Mai più quella sensazione straziante di avere nelle narici l’odore del sangue o un aroma sottile, che sapeva di primavera e di fiori, ma che, solo sulla pelle di qualcuno che non sarebbe tornato mai più, aveva saputo inebriarlo fino a stregarlo.

No, non temeva la morte, ma se non ci fosse stato alcun Voto Infrangibile, Silente non avrebbe potuto domandargli quell’enormità. Lui avrebbe potuto lottare, a costo di giocarsi la sua copertura di spia; battersi accanto al Preside per fermare Draco e salvare la vita che gli veniva chiesto di spegnere.

Avrebbe voluto trovare una formula, un’indicazione, su come spezzare definitivamente la maledizione che anneriva e bruciava la mano di Silente, spandendosi sempre di più nelle vene del vecchio.

Ma non c’era ancora riuscito, anche se la sua scrivania, solitamente così ordinata, era divenuta una selva di libri e pergamene. Alte pile di un sapere che per la prima volta gli pareva tremendamente inutile, perché non vi aveva trovato la risposta che cercava con ansia.

Avrebbe voluto che non ci fosse in gioco anche l’anima di Draco, a ricordargli di continuo il secco ragazzo bruno che lui stesso era stato, inginocchiato a lasciarsi marchiare a vita, come un’animale da macello.

Avrebbe preferito non leggere mai nella mente di Silente, ciò che aveva scorto, con una certa nitidezza e che gli era impossibile negare. Tutti quei sentimenti lasciati liberi di fluire fino a lui, senza più maschere. Quel cuore che Silente aveva deciso, una volta tanto, di portare sul bavero, come avrebbe desiderato disconoscerlo, non vederlo, ignorarlo.

Altrettanto avrebbe voluto fare con ciò che il vecchio gli aveva confessato sul proprio rimpianto.

Com’è possibile, Albus, che tu provi tanto rincrescimento per non aver tentato di fermarmi in tempo? Non ero nessuno per te allora, nessuno. Solo uno studente tra tanti.

Possibile che tu mi avessi già compreso così a fondo, solo osservandomi?

Ma sentiva che il Preside era stato sincero; realmente la sua coscienza lo tormentava per il fatto di essere rimasto solo a guardare.

Del resto, negli ultimi tempi era chiaro che Silente non ne poteva più del suo solito modo di agire: attendere, aspettare fino all’ultimo momento possibile, prima di muoversi e far scattare qualunque meccanismo strategico avesse architettato.

Albus era diventato impaziente e insofferente al fatto di rimanere indietro e lasciare che i suoi collaboratori portassero a termine i suoi piani.

Vuoi combattere in prima linea, Albus, non è così? Uscire da dietro le quinte.

Sì, non hai fatto altro ultimamente: sei andato di persona al Ministero e a cercare quel dannatissimo anello.

Perché? Per Potter? O perché non sopporti più il tuo ruolo esclusivamente da saggio stratega?

Ti sei stufato di essere la mano che muove le pedine sulla scacchiera? Vuoi diventare tu stesso un pezzo che avanza, casella dopo casella, per dar scacco al re?

Ora, con la scusa della maledizione che non sono ancora riuscito a fermare, vorresti metterti ancora più in gioco, totalmente.

Ma non è al nemico che stai offrendo la vita, vecchio, e a me, e io non voglio e non posso accettarla.

Eppure le ultime parole di Silente continuavano a tormentarlo: “Draco è come te, Severus… posso ancora stendere la mano e frenare la sua caduta prima che si ferisca come è accaduto a te… non mi resta molto tempo, ma ti assicuro che me ne andrò in pace con me stesso, sapendo quel ragazzo al sicuro… “.

Draco è come te. Come te…

Sì, Draco era come lui, in bilico, sull’orlo di un precipizio senza fondo e Severus per primo non voleva che cadesse.

Quel giorno lontano in cui era corso da Silente a domandare aiuto non aveva potuto fermare il se stesso dei ricordi. Aveva stretto solo un pugno di niente, dentro il pensatoio, mentre gli pareva di impazzire a causa del rimorso e dell’impotenza.

Aveva pregato, lo ricordava ancora distintamente, perché Silente facesse smettere quel ventenne immaturo e sbagliato, perché lo facesse smettere di essere ciò che era; ciò di cui provava orrore e disgusto.

Anche per questo, ormai lo sapeva, era andato dal vecchio, tanti anni prima, perché qualcuno lo aiutasse a cessare di essere ciò che non voleva più essere.

E tu, Albus, hai esaudito quel mio desiderio. Mi hai teso la mano e mi hai mostrato chi ero realmente e cosa avrei potuto fare di me stesso.

Ma nemmeno tu, quando eravamo immersi nel pensatoio, hai potuto fermare la follia dell’odioso assassino che ero stato, perché il passato non si cancella, solo il futuro può essere ancora mutato.

Nemmeno tu, Albus, hai potuto far cessare quello strazio, ma hai ragione: io e te non possiamo tornare indietro e levare la bacchetta di mano al Severus Piton che era, prima che si macchi indelebilmente l’anima, però possiamo fermare Draco.

Possiamo farlo smettere, prima ancora che cominci realmente il suo incubo. Non siamo impotenti rispetto al ragazzo.

Questo non poteva assolutamente ignorarlo.

E Silente aveva ragione anche nel dire che lui non viveva più. Non una vera vita da tanto, troppo tempo.

Certo, c’era chi credeva che a lui bastasse il piccolo mondo in cui si era rinchiuso: insegnare, senza negare nulla del proprio carattere tagliente agli studenti, essere il più temuto professore di Hogwarts. C’era chi credeva che questa fosse la sua massima soddisfazione e gli bastasse, che potesse essere definita vita.

Rise, amaramente, senza alcuna gioia. Una risata che tagliava più di una lama, facendolo sanguinare dentro.

Ma sì, perché non dovrebbero pensarlo? Perché non dovrebbero credere che mi basti un trastullo simile, che io sia tanto meschino e piccolo da chiamare questa esistenza vita?

Che possono saperne tutti gli altri del fatto che ho freddo e nemmeno al più incandescente dei bracieri riesco a scaldarmi?

Perché mai Severus col suo animo contorto e la sua indole corrosiva dovrebbe desiderare di più; volere ciò che tutti vogliono: calore, amore, una famiglia? Che senso avrebbe? Nessuno, io sono sempre stato diverso perché non dovrei esserlo anche in questo? Non è così?

Che possono saperne gli altri del fatto che ormai mi sento vivo davvero solo quando la mia vita è in gioco; sotto gli infuocati occhi di rettile dell’Oscuro Signore, mentre la sua mente violenta la mia e tutto corre veloce su una corda sottilissima e affilata.

Solo allora, specialmente mentre riesco a ingannarlo, mentre la mia anima ruggisce di rabbia per il modo disgustoso in cui si permette di insozzare anche i miei pensieri, come se non avessero alcun valore, mi sento vivo sul serio. Mentre spero, a volte, che Lui comprenda i miei veri intenti e mi legga il disprezzo nel cuore, perché tutto sia finito, allora io esisto davvero.

Ed è una sensazione che odio! E’ orribile che il sangue che mi pulsa nelle vene acquisti un senso solo quando Lui mi piega e mi umilia, quando godo del fatto di potergli resistere, o mentre spero che il mio cuore cessi di battere.

Non è questa la vita che vorrei, ma quella che tutti gli altri possiedono, che non manca di dolori, noia, banalità infinita, ma che è vera, sensata, pulita.

Una vita che, nonostante tutto, a volte bramo così tanto che mi detesto, perché non ha più senso sperare. Nessun senso, perché non la merito, non è fatta per me.

Non posso confondermi tra le persone comuni, non voglio, perché sono diverso, lo sono sempre stato, e ho finito col diventarlo ancora di più, quando ho fatto di me stesso un assassino.

Non sono come tutti gli altri, faccio parte di una ristretta cerchia, cui farei qualunque cosa per non appartenere.

Oh, il giovane mago figlio di un umile mediocre babbano ha fatto strada, quando ha lasciato la scuola, è entrato a far parte di una meravigliosa sceltissima elite. E il prezzo? Mi è stata domandata in cambio solo la dignità e l’anima, ma ho ricevuto una splendida maschera, che non vuol saperne di abbandonarmi e incubi in abbondanza con cui forgiare il mio allegro carattere.

Una risata ancora più vuota e sterile gli fece fremere le labbra sottili.

No, non posso vivere davvero, non con i rimorsi che mi bruciano il petto; non la vita di un uomo qualunque e nemmeno quella di chi come me ha soffiato sull’esistenza altrui spegnendola, come si fa con la fiamma di una candela.

No grazie, ho pagato comunque il prezzo, che l’Oscuro Signore non si preoccupi, salderà il conto ma non domanderò a Lui la mia anima indietro. Dovrà ridarmi solo la mia dignità e che si tenga pure il suo mondo di aristocratiche terribili glorie.

Sono in bilico tra due vite, che altro potrei fare se non limitarmi a sopravvivere, Albus?

Ma era vero, inesorabilmente vero, quel che aveva detto Silente: Draco aveva ancora un avvenire, speranze appena dischiuse dinnanzi a sé. Draco non avrebbe mai dovuto trovarsi in quella situazione orribile, a scegliere tra l’esistenza piena ma folle che Voldemort elargiva ai suoi e un gelo interiore, senza fine.

Il ragazzo poteva ancora decidere di abbracciare una vera vita.

Si strofinò le tempie con le dita, vigorosamente, come a tentare di schiarirsi le idee, ma le parole del Preside erano penetrate troppo a fondo e non gli davano tregua.

Come un sasso gettato in acque immobili, si diffondevano in cerchi sempre più ampi, inarrestabili.

Me ne andrò in pace con me stesso…

Un altro cerchio ancora ad increspare il liquido nucleo dei suoi sentimenti, impedendo al ghiaccio che lui avrebbe voluto riportarvi di riformarsi.

Oh, Albus. In pace, io non lo sono mai stato. Mai.

L’ironia dipinta sul suo viso si fissò dolorosamente agli angoli della bocca, segnandogli il viso con rughe troppo profonde per la sua età.

Mai. Anche prima di avere rimorsi così feroci da dilaniarmi l’anima.

A volte sono stato sereno, magari comunque fiero di me, ma mai realmente in pace. Ho sempre avuto troppi tarli a rodermi dal di dentro.

Non so cosa voglia dire essere in pace con se stessi, ma so bene cosa significa non esserlo.

So che gelo portano con se i rimorsi e le colpe che ti schiacciano il petto; il rimpianto per ciò che poteva essere fatto e per ciò che non avresti mai dovuto fare.

Lo so con certezza lancinante, perché lo sperimento ogni giorno, da una vita.

Soltanto, ho sempre creduto che tu, Albus, ne fossi immune, che non conoscessi quella sensazione di amaro che ti pervade la bocca e il cuore, quando ti volti indietro a guardare e quel che vedi è un altro te stesso con il volto di un giudice, accusatore.

Non avrei mai pensato che io e te condividessimo addirittura il medesimo rimorso.

Non hai idea di quante volte, nel buio della notte e nella mia oscurità personale ho rivisto quel ragazzo appena diplomato, pallido e cupo, con i capelli neri sempre sugli occhi, che mi guardava col rancore del rimprovero nei lineamenti. I miei stessi lineamenti, a rinfacciarmi che ho sbagliato, che non dovevo compiere scelte folli e tremende, che comunque avrei dovuto trovare la forza di tirarmi indietro molto prima.

Il mago bruno dovette lasciar andare un prolungato sospiro che ruppe l’immobilità in cui si era cristallizzato il suo corpo mentre rifletteva, facendo affiorare più vita del solito dai suoi composti, affilati, lineamenti.

Lo vedi anche tu? Fa visita anche a te, quella giovinezza gettata via? E’ questo che cercavi di dirmi? Che anche contro di te, il ragazzo che ero punta il dito accusandoti per quel che nessuno gli ha impedito di diventare?

Sbagli, vecchio. E’ un errore, dannazione, non è tua la colpa è mia, solo mia e di nessun altro.

Ma fa male che tu non lo capisca, che voglia rimediare al punto di donare te stesso per me e Draco.

Fa male pensare che non te ne andresti in pace, se fosse Draco ad ucciderti o se, comunque, non ci fosse via d’uscita per lui.

Sarebbe il peggiore dei fallimenti per te, lo so, l’ho capito, essere ucciso proprio da Draco.

Ma credevo che bastasse fermare la sua mano quando tenterà ancora di levarla contro di te.

Invece non ti basta, è questo che volevi farmi capire.

Non è sufficiente.

Lentamente riaprì gli occhi e sollevò in alto la manica a scoprire per l’ennesima volta l’avambraccio. Seguì rudemente i tratti del Marchio che gli deturpava la pelle, premendo con i polpastrelli con forza, fin quasi a graffiare l’epidermide tesa.

Una volta, Albus, pur non sapendo che ti ascoltavo, hai promesso che avremo lottato insieme per far sparire dal mio braccio il Marchio Nero. So che non intendevi parlare soltanto del simbolo, di questo teschio ghignante.

Parlavi di me, delle mie macchie, e della mia libertà. Hai promesso di lottare perché io non fossi mai più uno schiavo, perché gli incubi lasciassero finalmente le mie notti.

E io te ne sono stato grato e ti ho sentito accanto più che mai.

Ora ti sei messo in testa che vuoi fare lo stesso con Draco, anzi di più, che vuoi che lui non arrivi nemmeno al punto dolorosissimo di rendersi conto che non ha più speranze, futuro, e dignità; ma solo incubi e un padrone che, nonostante tutto, può sempre arrogarsi il diritto di umiliarlo come un servitore.

No, non sono più lo schiavo dell’Oscuro Signore, ma non sono nemmeno libero da lui, anche se lo combatto.

Essere trattato da lui come un servo non è meno umiliante solo perché la mia obbedienza è pura finzione, non è meno degradante portare il suo Marchio ignobile. Serve solo a farmi detestare di più le mie colpe e colui davanti al quale devo ancora costringermi a piegare il capo e le ginocchia.

Voldemort. Non ho mai smesso di chiamarlo Oscuro Signore, perché non desidero negare a me stesso la realtà: ero suo, e porto ancora il segno del suo possesso, questo simbolo che detesto con tutto me stesso.

Sì, Oscuro Signore, così lo chiamerò sempre, finchè non potrò davvero rivendicare apertamente la mia libertà e dignità dinnanzi ai suoi occhi di fuoco.

Allora, quando questo accadrà, solo allora, non avrò più motivo di dargli altro nome che il suo, quello che ha scelto per sé, per portare il terrore e possedere ogni potere.

Allora non avrò né timore né ritegno nel chiamarlo Voldemort, o forse addirittura Tom, come l’uomo che vuol negare di essere.

Sì, Tom, Tom Riddle, perché ho sempre pensato che sarebbe venuto il momento in cui avrei potuto affrontarlo da pari a pari, solo un uomo dinnanzi ad un altro uomo.

Ma forse non accadrà mai, posso rinunciarci, se il prezzo da pagare è la tua vita Albus.

Eppure vorrei davvero che Draco non diventasse l’ennesimo degradato servo di un simile padrone.

Non vorrei che tu avessi simili rimpianti, Albus, perché so quanto possono ferire.

Stese le lunghe gambe e socchiuse gli occhi, respirando piano, tentando di scacciare dalla mente il ricordo di quella notte in cui il Preside aveva parlato troppo, credendolo addormentato.

Inutile; la figura snella di Silente, china su di lui, senza alcuna finzione o schermo a sussurrargli parole paterne solitamente trattenute, non voleva abbandonarlo.

“Quelli come noi, Severus, raramente muoiono nel proprio letto, ma almeno cadono dignitosamente, adempiendo al dovere, lottando per ciò in cui credono” – la voce del vecchio gli rimbombava nelle tempie, mentre il sangue pulsava e pulsava, inesorabilmente dolorosamente.

“Tu sei come me” – aveva detto il Preside – “Io e te, se proprio dobbiamo morire, preferiremo farlo combattendo con onore, non come vigliacchi che tentano di sottrarsi al nemico”.

No non come vigliacchi, Albus, è vero, e tu mostri coraggio nel voler rinunciare alla tua vita.

Ma io? Hai idea di quanto coraggio mi ci vorrebbe per fare ciò che mi chiedi?

“Dannazione, sì che ce l’hai!” – ruggì alla stanza vuota, incapace di trattenere quelle parole solo nella mente.

Si alzò, voltandosi di scatto, e spazzò la scrivania col taglio della mano, facendo crollare le pile di libri e rovesciando il calamaio colmo di inchiostro scurissimo.

Il liquidò si sparse sul piano di legno, imbevendo alcune pergamene e schizzando sulle rilegature dei libri, macchiandone le costole istoriate.

Era furioso, con se stesso, col vecchio e con il mondo intero. Talmente colmo di rabbia da sentirne il metallico sapore sulla lingua, mentre si mordeva a sangue il labbro inferiore.

Essersi lasciato andare accese ancora di più le fiamme dell’ansia che premeva per farsi furia e trovare finalmente sfogo.

Raccolse la boccetta dell’inchiostro e la scagliò con forza contro il muro segnato dal tempo, dinnanzi a sé.

Nemmeno il secco schiocco del vetro che esplodeva in minutissime schegge servì a placarlo.

Aveva bisogno di tirar fuori tutto ciò che gli strozzava la gola, e si era già trattenuto abbastanza davanti a Silente.

Non gli bastava più lasciar correre i pensieri, il dolore che aveva preso a tormentargli il petto doveva farsi voce, o l’avrebbe sommerso.

Pensò intensamente all’incantesimo di insonorizzazione; le spalle che si alzavano e abbassavano troppo bruscamente, mentre il respiro si faceva più corto.

Poi esplose, con foga selvaggia, come sempre gli accadeva le poche volte che il suo ferreo autocontrollo lo abbandonava.

“Come puoi chiedermi di uccidere ancora; di uccidere te, Albus?” – gridò, come se avesse davvero il canuto stregone davanti agli occhi, ora ridotti a due fessure di tenebra – “Dannato vecchio, tu lo sai cosa vuol dire per me. Come puoi chiedermi proprio questo? Dici che soffri ogni volta che mi sai fuori nell’oscurità, dici che ti rimorde la coscienza per aver lasciato che buttassi via l’anima e ora vuoi condannarmi a tornare realmente nell’incubo? A immergermi nelle tenebre senza più te e Hogwarts a cui tornare, a cui pensare per resistere ogni volta che sto per crollare? Oh, certo, tu hai mille ottime ragioni: la causa, Draco, il tuo dannato affetto per me e la maledizione dell’Horcrux. Ottima scusa la maledizione, Albus, davvero ottima… e immagino che dovrebbe essere più facile e indolore ucciderti dato che probabilmente hai comunque i giorni contati. Che dovrebbe essere nulla più che un attimo, senza rimorsi, tanto si tratta di spegnere una vita già segnata e io comunque sono e resto un assassino. Nulla che io non abbia già fatto in passato. Semplice, normale… avrei perfino il tuo consenso; nulla di cui io debba soffrire o rimproverarmi. Bella scappatoia, Albus. Comoda, comodissima scusa per un eroico sacrificio paterno che non ti ho mai chiesto. E’ egoista la tua pretesa, è un affetto che mi fa male, non lo voglio!”.

Si voltò svelto verso la finestra a feritoia che si apriva nel muro alle sue spalle, mentre le parole gli morivano nuovamente in gola. Aveva bisogno d’aria; non poteva credere che stesse accadendo realmente. Non a lui.

Com’era possibile che proprio lui si trovasse a lottare ancora con il sentimento, dopo una vita spesa a sopprimere ogni emozione, ad annegare nel sarcasmo ogni scintilla di sciocca emotività?

Come, quando aveva deciso da una vita di divenire solo ferrea logica e beffarda ironia, assecondando il lato peggiore del suo carattere anche per scordare ciò che avrebbe potuto essere e non era mai stato?

Ti odio, Albus!

Merlino! Quanto ti detesto per quel che mi stai facendo, per quel che vuoi farmi.

Ti odio perché hai ragione, su troppe cose, come sempre; perché mi vuoi bene al punto di voler morire per me. Perché mi vuoi bene davvero.

Perché non puoi disprezzarmi e basta, Albus? Disprezzami, come tutti gli altri.

Perché non puoi solo usarmi? Perché vuoi donarmi ciò che non chiedo e non merito?

Ti odio perché non vuoi lasciarmi andare e pretendi di condannarmi a vivere.

Ti odio perché finisco sempre col perdonarti, perché non riesco a detestarti davvero, perché mi fa male l’idea di uccidere, ma se è la tua vita fa ancora più male.

Ti odio perché mi è difficile negarti qualunque cosa, quando me la domandi col cuore.

Ti odio perché mi chiedi di mostrarti ancora una volta la mia lealtà in questo modo atroce, perché mi stai domandando di dirti che ti voglio bene con il lampo verde di un incantesimo terribile, lacerandomi l’anima.

E ti odio perché hai ragione anche su questo: sì, tengo a te, ci tengo maledettamente! Ci tengo come se tu fossi mio padre. Più che alla causa o al mio desiderio di rivalsa. Più che alla mia vita.

Ti detesto, perché mi hai perdonato per quel che sono, perché mi hai assolto dalle colpe da cui io non so assolvermi e questo non riesco a scordarlo. Non posso dimenticare che tu credi in me e che non ti importa delle macchie che mi sporcano l’anima.

Lasciami andare, Albus, per favore, lasciami andare.

Quanto mi detesto per il fatto che non posso odiarti davvero.

Ti prego, Albus, lasciami andare.

Chinò il capo e lo tenne premuto contro la pietra per lunghi, interminabili, minuti.

Non si sentiva meglio, e la rabbia continuava a roderlo dal di dentro, ma finalmente fu di nuovo in grado di riprendere la propria flemma esteriore.

Tutto purché non venissero anche le lacrime. Non avrebbe sopportato di piangere. Sarebbe equivalso ad arrendersi, a confessare a se stesso che il vecchio aveva vinto.

Il respiro era tornato a farsi regolare, mentre spingeva con forza i palmi delle mani aperte contro la ruvida pietra del muro, ai lati della minuscola finestra.

Un ennesimo sorriso sghembo e contratto gli si era disegnato sul viso, mentre una lama di luce brillava nell’onice delle sue iridi lucide.

Che perfetta spia sei Severus Piton – si disse con sferzante sarcasmo – Davvero impeccabile. Non un muscolo fuori posto davanti all’Oscuro Signore, nulla che possa essere catturato e definito, nulla che possa dirsi certezza, nulla che trapeli oltre una maschera ben più profonda di quella d’argento che indossi nei tuoi viaggi nell’incubo. Sei come fumo, impalpabile e sfuggente, puoi ricomporti in mille forme.

Che spia perfetta, che non sa mentire al suo cuore e non è capace di fingere con se stessa.

Era inutile dibattersi nell’angoscioso tentativo di negare la verità, più ci provava e più quella gli si stringeva addosso soffocandolo, come una rete che avesse il potere di levargli il fiato e la ragione.

Era vano lottare per negare che lui non odiava affatto Albus Silente, ma che se avesse dovuto uccidere proprio il vecchio non avrebbe mai smesso di maledire se stesso.

 

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Capitolo 10
*** Parte quinta: La cosa giusta. - 2. Severus ti prego... ***


Caspita ragazze, quanti commenti ^_^

 

Allora andiamo con ordine.

 

Mixky: grazie di cuore e non scusarti di nulla.

 

Stella: grazie ancora.

 

Truelena: Sono arrossita per le tue recensioni che mi hanno fatto immensamente piacere. Sono felice che tu abbia colto tante sfumature o scoperto nuovi punti di vista sulle vicende dei libri. Quanto ai sospetti di Severus su Sirius, beh, tieni conto che Piton ha particolari motivi di sfiducia verso Sirius. Il Sirius che ha conosciuto Piton è uno capace, già a quindici anni, di uccidere (con lui ci prova, col famoso “scherzetto”) ed è anche capace di passare sopra agli amici (se Piton non fosse stato salvato da James quella volta Remus si sarebbe ritrovato a diventare un assassino).

Per il tag non importa, succede.

 

Akire: Tu mi vizi! Che goduria tutte le tue recensioni! Non so se Severus amasse davvero Lily, ma ho la mia visione di un loro ipotetico “amore” e quanto a Harry non si può proprio dire che, pur avendo difficoltà a relazionarsi con lui, Severus non sia sempre stato lì a salvarlo da ogni catastrofe. Sono anche felice di aver saputo portare la tua attenzione su Silente, sui suoi pensieri, sul suo modo di agire. Silente non è facile da gestire, sembra così semplice ed invece è un personaggio complessissimo. Chiederà a Piton un sacrificio immenso, ma sa quel che fa ed ha le sue ragioni, del cuore oltre che per la causa. Del resto, appunto, spesso la cosa giusta non è né facile né indolore da fare. A volte bisogna stringere sul serio i denti, anche in frangenti assai meno drammatici di quelli del racconto. Quanto a quel che Severus si permette di pensare, anche se mai lo direbbe, grazie davvero, non sai come mi fanno contenta le tue considerazioni. Chissà forse i suoi discorsi su Narcissa colpiscono al cuore per l’accenno a sua madre. Io penso che c’entri anche Lucius però. Severus è una spia di Silente, ma ha sempre fatto in modo di tenere Lucius al riparo e ora, grazie al fatto che proprio lui ha mandato l’Ordine al Ministero, il suo amico è in prigione e Draco rischia la vita. Credo che anche questo faccia la sua parte. Per il resto temo che davvero Severus non abbia futuro, non voglia averlo, specialmente dopo il 6° libro. Chissà che farà J.K.R.. Speriamo bene ;)

 

Francesca e Kagome (non ho ricevuto la mail, per favore rinviala, ora sono curiosa da matti) grazie anche a voi, ho visto solo ora che, non so come, pubblicando sono svaniti nel nulla i ringraziamenti per voi due. Scusatemi.

 

E siccome con questo capitolo si conclude il racconto voglio ringraziare tutti coloro che l’hanno letto, sia qui sia sul Sotterraneo e tutti quelli che l’hanno votato.

 

Grazie ancora a tutti e, come sempre, buona lettura.

Nykyo

 

 

2. “Severus, ti prego… “.[1]

 

 

Correva.

Severus Piton correva come non gli accadeva più da una vita e i muscoli delle gambe gli rinfacciavano quella mancanza d’abitudine, gemendo provati sotto il morso feroce della fatica cui li stava sottoponendo.

Correva e gli sembrava di avere di nuovo undici anni, quando era appena arrivato a scuola e Hogwarts era ancora un immenso dedalo di corridoi in cui era fin troppo facile perdere l’orientamento. Bastava distrarsi, mentre una scala cambiava di posto, e un corridoio buio si sostituiva ad un altro, allontanandoti dalla tua meta.

Correva senza badare a nulla, se non a quel che poteva essergli di ostacolo o di inciampo, e gli pareva che, invece, mentre lui accelerava, tutto all’intorno rallentasse, fin quasi a fermarsi, come se il tempo volesse intrappolarlo e bloccarlo per sempre; pietrificarlo come una delle tante statue che ingombravano i corridoi.

Correva maledicendo se stesso per non essere riuscito a farsi dire da Draco come e quando intendeva agire; detestando con ferocia l’Oscuro Signore che non lo aveva messo al corrente dei propri piani.

Ombra più scura tra le ombre che si stagliavano sulle antiche pietre di Hogwarts e sui polverosi arazzi, il mago bruno correva, pregando di avere ancora tempo. Di avere ancora una scelta.

Man mano che si avvicinava all’imbocco della Torre di Astronomia il sonoro caos della battaglia in corso si faceva più nitido, rimbombandogli nelle orecchie.

Sfrecciò accanto ai combattenti senza fermarsi, mentre una rabbia sorda gli invadeva la mente ed il petto.

Loro possono combattere, lottare a testa alta, a viso aperto, mostrando al mondo intero chi sono.

Lui no, non gli era consentito. Lui poteva solo sperare che non fosse troppo tardi.

Non era concesso alla spia perfetta di issare il cuore sul bavero e farne il proprio stendardo.

Per un istante fu realmente tentato di restare e dare man forte all’Ordine e a quello sparuto gruppo di ragazzini che mostravano un immenso coraggio. Restare e morire battendosi, confidando che Draco non avrebbe comunque commesso i suoi stessi errori.

Lanciarsi nella battaglia e attendere che il maleficio di un Mangiamorte o l’infrangersi del Voto gli spegnessero per sempre l’angoscia nel petto.

Non poteva. Albus era lì, sicuramente in cima alla Torre, non poteva che essere lì dove era apparso il Marchio, forse ancora vivo e lui doveva assolutamente raggiungerlo.

Per questo passò oltre, senza rallentare, impedendosi anche di controllare se qualcuno dei suoi era caduto, osservando soltanto, con la coda dell’occhio che Draco Malfoy non fosse tra loro.

Imboccò svelto la barriera stregata creata da uno dei Mangiamorte, senza nemmeno accorgersi della sua esistenza, finchè non sentì l’aria fremere intorno al corpo, mentre l’attraversava.

Il Marchio – pensò.

Il maledetto, dannatissimo Marchio che si portava addosso da una vita; doveva essere quello la chiave d’accesso alle scale.

Per una volta ringraziò con tutto se stesso di possederlo. Arrivare tanto vicino a Silente e Draco e non poterli raggiungere sarebbe stato terribile, inaccettabile.

Ma l’idea dei servitori dell’Oscuro Signore che insozzavano con i loro passi di morte i consunti pavimenti di Hogwarts lo riempiva di nausea e disgusto.

Il pensiero del Marchio Nero alto nel cielo della scuola, verde contro il nero della notte, a risplendere con le sue sinistre orbite vuote era orribile e blasfemo.

Un sacrilegio che non avrebbe mai voluto trovarsi sotto gli occhi.

Hogwarts, l’intoccabile. Hogwarts: imprendibile bastione in cui un intero mondo confidava, in cui lui aveva sempre confidato. Hogwarts e Silente.

Raptor aveva condotto l’Oscuro Signore stesso all’interno di quelle mura millenarie; Barty Crouch Jr. le aveva contaminate per un anno intero. Ma ora era diverso, era peggio.

Quel simbolo svettante nel buio era un grido di trionfo di Voldemort e gli feriva le orecchie, lacerandogli le viscere.

Cosa hai fatto, Draco? Come hai potuto infliggere al luogo che ti ha fatto da seconda casa per anni un simile oltraggio?

Non doveva pensarci, o sarebbe impazzito.

Varcò l’entrata della Torre talmente in fretta da darsi eccessivo slancio, quindi colpì violentemente la curva parete di pietra con la spalla ed un gomito. Il dolore, però, lo raggiunse solo tre gradini più avanti. Era troppo teso per riuscire a sentirlo davvero.

Imprecò mentalmente, mentre rischiava di inciampare quasi ad ogni passo e s’impose di calmarsi.

Cosa vuoi fare? Precipitarti lì in questo stato? Arrivare lassù sconvolto, senza un briciolo di padronanza di te? Cosa otterresti?

Maledizione, calmati! Non fare il bambino!

Eppure, non era mai stato tanto difficile domare la propria mente ed il cuore.

La verità era che aveva paura ed era furioso, soprattutto con se stesso. Erano anni che non assaporava più la paura, anni che non temeva più niente.

Ora, aveva un immenso terrore di non arrivare in tempo o di non riuscire comunque a fare qualcosa.

Fare cosa? Cosa devo fare? Dimmelo, Albus, forza. Cosa?

I suoi desideri combattevano una battaglia non meno feroce e cruciale di quella che si svolgeva sotto di lui. Lottavano contro la razionalità, contro le mille ragioni del vecchio, contro la causa e, soprattutto, contro la richiesta paterna di un uomo che credeva in lui e teneva a lui al punto da affidargli la propria morte.

E le scale non smettevano più di arrampicarsi verso l’alto in una buia sinuosa spirale senza fine, mentre il tempo correva inesorabile.

Rifletti. Pensa con lucidità.

Con lucidità, Merlino!

Se rifletti riuscirai a calmarti. Devi essere freddo quando arriverai lassù.

Per prima cosa era ancora vivo, segno che il Voto estortogli dalle lacrime di Narcissa e dal suo ruolo di spia non era ancora spezzato.

Un’ovvia deduzione che non lo rassicurava affatto e non lo portava a nulla.

Era vivo, ma cosa implicava il fatto che il suo cuore batteva ancora, pompando troppo svelto il sangue in circolo per tutto il corpo?

Che anche Silente era ancora sano e salvo e che quindi c’era ancora tempo?

Oppure solo che sbagliavi su Draco. Che ti sei illuso che il ragazzo fosse migliore di te e, invece, contro ogni previsione, ha portato a termine la sua missione e Albus è morto.

Morto per mano di uno dei suoi allievi, per mano di colui che voleva a ogni costo salvare, magari sotto gli occhi irridenti dei servi di Voldemort.

Una scossa gelida gli trafisse la spina dorsale.

No, questo no. No, no, non così.

Avrebbe preferito bruciare anche l’ultimo brandello liso della propria anima piuttosto che leggere negli occhi ancora sbarrati del Preside l’orrore e il dolore di essersene andato fallendo, con il cuore gonfio di rimpianti.

I gradini scorrevano più veloci sotto i suoi piedi, mentre accelerava ancora e, finalmente, fu in cima, dinnanzi alla porticina della Torre, incorniciata da uno spigoloso arco a sesto acuto, scolpito nella pietra secoli e secoli addietro.

Avrebbe voluto spalancarla con forza, senza preoccuparsi di contenere la sua furia, anche se quella fosse finita fuori dai cardini a causa dell’eccessiva foga.

Invece, si fermò e rimase immobile per un lungo istante; i pugni ed i denti serrati, lottando contro i muscoli del proprio viso e contro il tremore del corpo.

Si fermò, e incanalò la rabbia solo contro se stesso, violentandosi per costringersi a calare ancora una volta la maschera sul volto affilato.

Una maschera fatta di niente, eppure poteva sentirla perfettamente premere sugli zigomi e sulle labbra e instillare sotto la pelle il velenoso dolore del gelo, modellando il suo viso.

Una maschera inesistente, a differenza di quella di lucido argento che indossava al cospetto dell’Oscuro Signore, ma ancor più impenetrabile e tragica.

Il fatto di essere riuscito a indossarla lo ferì e lo calmò insieme.

Ora poteva aprire la piccola porta dai battenti borchiati di ferro e andare incontro al destino, qualunque cosa lo attendesse oltre il vetusto strato di legno tarlato.

Sfoderò la bacchetta e spinse l’anta, mettendoci comunque molta più energia di quanto non avrebbe voluto.

L’uscio si spalancò e, anche se ancora non poteva saperlo, e ringraziò il cielo nel vedere Silente ancora vivo, il suo tempo finì in quell’istante.

Ora poteva solo scegliere e morire, qualunque cosa avesse deciso di fare.

Lasciare che la sua vita si spegnesse a causa del Voto o uccidere il proprio cuore.

Comprese più che mai che non gli restava nient’altro da fare, mentre lasciava correre rapido lo sguardo sul quadro agghiacciante che aveva dinnanzi, illuminato dal verde odioso bagliore del Marchio.

Un primo tuffo al cuore, quando vide in che condizioni era ridotto il vecchio.

Non era solo la maledizione dell’anello di Gaunt, doveva essere accaduto di peggio. Un altro Horcrux? Sapeva che Silente sarebbe stato via quella notte. Albus aveva trovato l’Horcrux e, nel distruggerlo, era andato incontro a qualcosa che l’aveva ulteriormente indebolito?

Cosa hai fatto, Albus? Cosa ancora, per rendere la tua vita sempre più incerta e inchiodarmi ai tuoi desideri?

Poi sollievo, nello scorgere il tremore di Draco, nel leggergli vergogna ed esitazione sul viso imberbe.

Draco era sempre in bilico, ma non era ancora caduto.

Poi, di nuovo un battito mancato, nella sua cassa toracica, e altri a seguire con disperato impeto, mentre si rendeva conto di quale masnada di sadici animali Draco aveva avuto l’indegno ardire di portare dentro la scuola.

Assassini senza scrupoli e bestie feroci, come Fenrir Greyback che gioiva e godeva del sapore acre del sangue. Liberi, in un castello pieno di ragazzini indifesi che non avevano mai avuto nemmeno la più pallida idea di cosa fosse realmente l’orrore.

Non devono restare qui, non posso lasciarli liberi di uccidere e devastare ogni cosa. Deve esserci un modo per allontanarli da Hogwarts.

Infine, l’ultima scheggia di consapevolezza a dilaniargli il petto, dove il cuore, perfettamente celato, era ormai impazzito: due scope abbandonate sul pavimento a tratti sconnesso della Torre.

Due, non una.

Potter.

Lì, vicino a lui, in mezzo a quel cenacolo di morte, il figlio di Lily si era cacciato nell’ennesimo enorme pericolo.

Silente doveva avergli impedito di commettere una delle sue solite ardimentose sciocchezze, ma Potter era lì, da qualche parte, magari nascosto sotto il Mantello dell’invisibilità che era stato di suo padre e che il Preside si ostinava, nonostante avessero più volte discusso al riguardo, a fargli tenere.

Non bastavano tre vite in gioco su questa dannata terrazza, Albus? Non finirà mai?

Pensieri angosciosi che erano durati solo lo spazio di pochi battiti di ciglia, susseguendosi rapidi come saette, mentre le iridi dure e nerissime del mago bruno percorrevano veloci ogni volto e ogni angolo della terrazza.

Aprì la mente, anche se sapeva che non ce n’era bisogno, perché era nudo, come sempre, sotto gli occhi del vecchio. La aprì con selvaggia disperazione, conscio che nessun altro, oltre a Silente, era in grado di leggerla.

Albus, no.

No, non chiedermelo ancora una volta, non posso, non ce la faccio.

“Abbiamo un problema, Piton” – la voce di Amycus segnò lo scadere delle sue speranze, riconducendolo ad una scelta straziante e impossibile – “Il ragazzo non sembra in grado… ”[2] .

No, Draco non era in grado, non voleva esserlo e in una situazione diversa lui ne avrebbe esultato, colmo d’orgoglio per il proprio pupillo. Ora, però, l’esitazione del giovane Malfoy, la salvezza di quell’anima cui teneva tanto, condannavano lui, se il vecchio avesse ancora preteso di vederlo sopravvivere al Voto.

Draco non è in grado, Albus, ma io? Perché doveri esserlo io? Ti prego, no, Albus, no.

Un pensiero gettato dentro gli occhi azzurri del preside in un istante, vanamente.

“Severus” – il suo nome pronunciato con dolcezza, con un tono accorato e quasi di supplica, gli gelò il sangue nelle vene.

No, Albus, no, basta! Lasciami andare. Lascia che sia io a morire, abbi pietà.

Una risposta muta la sua, poi si fece avanti e spinse Draco dietro di sè, rudemente, mentre la maschera sul suo volto rischiava di incrinarsi mostrando la rabbia e il dolore che lo dilaniavano. L’odio e il disgusto che provava per se stesso, all’idea di obbedire al vecchio, di accordargli ciò che Silente gli chiedeva da tempo.

Questo posso concedertelo, Albus: la salvezza di Draco, solo questo. Il resto no, è orribile, fa troppo male.

Mi odio al solo pensiero di poterlo fare, è disgustoso e mostruoso, inaccettabile.

“Severus… ti prego… ” [3] – parole mai udite prima sulle labbra del vecchio, perché Albus non era il tipo da supplicare. Troppo orgoglioso solitamente per farlo.

Eppure, l’aveva detto davvero – “Severus… ti prego… ” – e poi aveva spalancato la mente a Piton, senza pietà – Non deludermi, ragazzo mio, fa ciò che è giusto. Vivi, ti prego, per la causa e per me. Vivi per me!

Il mago bruno alzò la bacchetta e la puntò contro Silente, mentre il cuore gli si serrava in una morsa feroce, uccidendolo eppure lasciandolo dolorosamente in vita.

Come vorrei poterti odiare, Albus, come vorrei poterti infliggere il dolore della delusione.

Invece, non possedeva nemmeno più lacrime, solo odio e ribrezzo per l’assassino che non avrebbe mai cessato di essere e un affetto troppo grande per chi aveva sempre confidato in lui.

“Avada Kedavra!” – disse, mentre quei sentimenti affioravano sui suoi duri lineamenti, e il lampo verde dell’Incantesimo senza Perdono rischiarò l’oscurità che presto l’avrebbe risucchiato.

Il maleficio colpì Silente in pieno petto, spezzando l’ultima supplica della sua mente – Perdonami, figliolo, perdonami.

Un’invocazione perduta nella notte. Inutile, perché Severus Piton aveva già assolto il suo mentore, anche se non avrebbe mai smesso di condannare se stesso.

Rimase come pietrificato dal suo stesso gesto, desiderando solo di poter gridare il suo lutto e il raccapriccio e il dolore per quel che aveva appena dovuto compiere per dovere, lealtà e amore.

Sapeva di non poter lasciare che le sue labbra si schiudessero, perché ormai non gli era più dato di abbassare le maschera, doveva fingere, dinnanzi agli odiati emissari dell’Oscuro Signore; mentire anche col proprio viso, intrappolato nel suo ruolo di spia, finchè non fosse giunta la resa dei conti.

Non poteva che recitare, o il sacrificio di Silente sarebbe stato vano e lui non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Così, l’urlo di orrore non uscì mai dalla bocca di Piton; silenzioso e immobile, fu costretto a guardare Silente scagliato in aria: per un istante parve restare sospeso sotto il teschio lucente, e poi cadde lentamente all’indietro, oltre le merlature, come un’enorme bambola di pezza, e scomparve.

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

N.B.: L’intera frase, da “l’urlo di orrore” a “e scomparve” è presa da HP6; pag. 539, ma io, nel voler descrivere un altro punto di vista differente rispetto a quello solito di Harry Potter, mi sono permessa di cambiare il nome Harry in Piton (cosa che ho appositamente evidenziato usando il corsivo).

 

 

 

 



[1] Nell’intero capitolo mi sono permessa di giocare con le esatte parole di J.K.Rowling, per descrivere ciò che lei non ci ha detto su Piton nel sesto libro: i suoi pensieri e la sua angoscia profonda. Se alcune frasi sono prese interamente e letteralmente da Harry Potter e il Principe Mezzosangue, in altri casi il lettore potrà provare la vaga sensazione di aver già letto questo o quel termine nel libro della Rowling (ad esempio, si vedano l’odio e il disgusto cui accenna Piton nei propri pensieri). Il lettore si tranquillizzi, la cosa non è casuale.

[2] Le parole tra virgolette (pronunciate da Amycus) sono tratte alla lettera da HP6; pag. 539.

[3] Sempre da HP6; pag. 539, come anche il modo dolce in cui Silente chiama “Severus” poche righe più su.

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