“Ho piena fiducia in Severus Piton” di Nykyo (/viewuser.php?uid=7927)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima: La fiducia di Silente - 1. Ammissione di colpa. ***
Capitolo 2: *** Parte seconda: Un terribile errore. - 1. La spia perfetta. ***
Capitolo 3: *** Parte prima: La fiducia di Silente. - 2. Il pensatoio. ***
Capitolo 4: *** Parte seconda: Un terribile errore. - 2. Godric's Hollow. ***
Capitolo 5: *** Parte terza: Silente. - 1. Lui sta tornando. ***
Capitolo 6: *** Parte terza: Silente. - 2. La maschera del condottiero. ***
Capitolo 7: *** Parte quarta: Sacrifici. - 1. Il cuore e la causa. ***
Capitolo 8: *** Parte quarta: Sacrifici. - 2. Uno sbaglio da non replicare. ***
Capitolo 9: *** Parte quinta: Ciò che è giusto. - 1. Una spia che non sa mentire a se stessa. ***
Capitolo 10: *** Parte quinta: La cosa giusta. - 2. Severus ti prego... ***
Capitolo 1 *** Parte prima: La fiducia di Silente - 1. Ammissione di colpa. ***
“Ho
piena fiducia in Severus Piton”
“Avada
Kedavra!”:
parole d’amore per
un
padre
severo.
Haiku
per Severus - Nykyo.
“E’ davvero molto
agitato, Albus” – ripeté Minerva McGranitt, lei stessa un po’ più accalorata del
solito – “Non sembra nemmeno lui. Te lo ricordi com’era schivo e silenzioso? No,
non sembra lui. Gli ho ricordato che è un brutto momento… con tutto quel che sta
accadendo, con tutto quel che ‘Tu sai chi’ ha scatenato ultimamente, ma insiste
per vederti subito e ho creduto che sarebbe svenuto per la tensione, se non
fossi corsa ad avvisarti”.
L’alto mago canuto
sembrava non aver prestato la minima attenzione alle parole dell’amica e
collega. Voltato di spalle continuava ad armeggiare con qualcosa all’interno
dello scaffale che troneggiava dietro alla sua scrivania.
Solo alla fine si
girò, un guizzo negli occhi chiari schermati da lenti a mezzaluna, subito
sopito, e poi annuì – “Fallo salire subito, allora Minerva, e
grazie”.
Ma lo disse con calma
imperturbabile e senza mostrare la minima curiosità.
Poi sedette ad
attendere il giovane mago bruno.
Lo squadrò, quando
entrò con passo nervoso, troppo pallido, perfino per il suo solito, i lunghi
capelli neri che spiovevano a ciocche come serpentelli ritorti sul volto magro e
affilato.
Ancora così giovane
quel viso, eppure le iridi nere già segnate, incise in profondità da esperienze
premature e orribilmente sbagliate. Esperienze che non avrebbero dovuto mai
toccarlo.
Lo osservò con
attenzione, eppure l’altro non se ne accorse, perché lo sguardo del vecchio non
era stato insistente.
“Severus Piton” –
disse, infine – “Non è passato poi molto tempo dall’ultima volta che ci siamo
visti alla consegna dei diplomi… siedi ragazzo, ti ascolto” – e gli indicò una
pesante sedia in cui tanti studenti di Hogwarts si erano accomodati negli
anni.
Il mago bruno scosse
il capo e rimase in piedi, esitante; muto.
“Come preferisci” –
Silente si strinse nelle spalle e si lasciò andare sull’alto schienale del suo
scranno di Preside.
“Devo parlarle… “ –
riuscì finalmente a dire il giovane, poi si morse duramente le labbra, prima di
continuare – “Io ho… ho commesso un imperdonabile errore, ma ora… ora…
“.
Non riuscì a
proseguire, era ovvio che tentava di dominarsi, ma non vi riusciva del tutto.
Il sudore che gli
imperlava la fronte, le mani strette con troppa forza sui bordi del mantello,
fino a far sbiancare le nocche nell’emergere delle ossa sporgenti, un piede che
disegnava nette e lente linee inesistenti sul pavimento di pietra, lo tradivano
inesorabilmente.
Ha ragione
Minerva – pensò il Preside –
E’ un fascio di
nervi.
Immaginava il perché,
ne era tristemente conscio, e nel contempo era lieto di ritrovarselo
davanti.
Ancora una volta,
aveva avuto ragione: perduto e poi
ritrovato. Severus Piton non l’aveva deluso.
E, penso che non mi
deluderà nemmeno in futuro – si disse, ma non
parlò, non aiutò quel giovane uomo tormentato ad iniziare quella che, di certo,
sarebbe stata una confessione.
Non sarebbe stato
giusto. Se il male non fosse sgorgato da solo, profondo e doloroso, da quelle
labbra esili, fino a trovare totale sfogo, sarebbe stato
peggio.
Così, invece, il mago
si sarebbe forse sentito meglio alla fine. Era giusto, come il pagamento di un
pedaggio, e poi lui doveva sapere ogni cosa. Tutto era prezioso alla causa,
anche ciò che Piton magari non avrebbe ritenuto tale; né era bene essere
imprudenti.
Ero certo che saresti
venuto, Severus. Ti aspettavo. Ma devo essere comunque cauto, non è tempo di
rischiare.
Si limitò ad assumere
un’aria più grave e fargli cenno di continuare, agitando in aria una mano
ossuta, in un gesto inconfondibilmente suo.
Piton deglutì, poi
un’esplosione, roca e secca come lo spezzarsi di una lastra di ghiaccio ancora
troppo sottile su cui sia stato caricato un peso eccessivo – “Sono diventato un
Mangiamorte, un servitore dell’Oscuro Signore!”.
La manica che veniva
arrotolata con violenza, lo strapparsi sonoro della stoffa e il Marchio Nero
fissò le sue vuote orbite pulsanti sul vecchio mago
canuto.
“Questo è il simbolo
con cui ci ha marchiati tutti. Il segno che siamo i suoi schiavi” – sibilò il
giovane.
Ma Silente non degnò
di uno sguardo il grande teschio dalla lingua di serpente, pur comprendendo
quanto era costosa quell’esibizione per il disperato ventenne ritto dinnanzi a
lui.
Disperato, sì. Devi
essere davvero giunto al limite, ragazzo per piegare il tuo orgoglio a questo.
Ti conosco, Severus, ti ho osservato più di quanto tu non creda nei tuoi anni di
scuola. Quanto in basso sei caduto per essere qui ora? Eppure, vorresti
risalire, lo sento.
Ma tacque,
ostinatamente, attendendo che Piton incidesse da solo il suo cuore per lasciar
sgorgare tutto il veleno che gli colmava il petto.
Severus chinò il capo,
vinto da quel silenzio. Non era avvezzo ad un simile tipo d’umiltà, tanto in
contrasto col suo usuale orgoglio, ma Voldemort gli aveva insegnato a duro
prezzo quel gesto.
Lo compiva con
disgusto, anche verso se stesso, ogni volta che era al cospetto del Lord. Ora,
però, fu solo spontaneo segno della vergogna, per ciò che era
diventato.
Con stupore si accorse
che gli importava davvero del giudizio di Silente. Non era solo l’unico mago
che, forse, avrebbe ancora potuto tendergli una mano e salvargli l’anima, era
soprattutto – solo adesso Severus se ne rendeva conto, anche se l’aveva sempre
saputo – un uomo profondamente retto e integro, come lui non poteva più
definirsi ormai.
“Mi sono lasciato
accecare dai miei sogni, da ideali assolutamente folli” – mormorò. I suoi occhi
guizzarono per un istante, come nere fiamme, a perdersi in quelli azzurri del
Preside, cercandovi condanna.
“Sono diventato un
assassino… “ – un ulteriore sibilo, quasi strozzato; il braccio sinistro ricadde
inerte, senza che il teschio dalla lingua di serpente cessasse di
irriderlo.
Dannazione, cosa sono
venuto a fare qui? Cosa spero da questo vecchio mago che ha solo motivi per
biasimarmi? Che non mi condanni, che mi dica che posso salvarmi? E come, come,
quando non merito che di pagare il prezzo per aver buttato via la mia anima? Ma
forse… se solo Silente potesse intervenire, fermare almeno quest’ultima
pazzia…
“Lo so, o meglio, lo
temevo, ragazzo” – fu, infine, la risposta pacata del
Preside.
Lo temevo da tempo è
non ho potuto far nulla per impedirlo, Severus. Perdonami, ho tentato, ma ho
anche io le mie colpe, perché non ci ho mai messo abbastanza impegno. Non
potevo. Non lo ritenevo giusto.
Ciascuno deve seguire
la sua strada, quella che sceglie e costruisce, eppure, a differenza di te, io
sentivo che stavi entrando nelle tenebre, ma non eri privo di luce. E’ in questo
il mio sbaglio: se avessi pensato che eri senza speranza, perché non lasciarti
andare? Cosa sarebbe cambiato? Invece, Severus, tu eri forse l’unico che avrei
potuto fermare in tempo, sull’orlo dell’abisso.
Erano aguzzi i sassi
che ti hanno spezzato, incrinandoti il cuore, come mi mostra il tuo sguardo? Sì,
lo erano e io ti ho lasciato cadere sul fondo del
baratro.
Ho anche io le mie
colpe, verrà anche il mio tempo. Intanto ho compreso; non accadrà mai
più.
Se mai dovessi un
giorno osservare un’altra anima in bilico, mi ricorderò di te, ragazzo, e
tenterò, se appena scorgerò la speranza. Tenterò di evitarle di precipitare, a
qualunque costo.
Il giovane mago lo
fissò incredulo, gli occhi nerissimi colmi di confusione che si sommava
all’angoscia.
Silente sapeva? Oh,
quel vecchio conosceva sempre ogni cosa in anticipo. E, ovviamente, non c’era
alcun timore nelle iridi chiare che incontravano apertamente le
sue.
Nemmeno gli aveva
domandato di consegnare la bacchetta. Certo, chi era mai lui, Severus Piton,
sciocco ragazzino appena fatto uomo e già bruciato per sempre, per poter anche
solo lontanamente pensare di incutere paura o preoccupazione in un mago potente
ed esperto come Albus Silente?
Si sentì piccolo; non
solo troppo sciocco, sbagliato e giovane, dinnanzi a quello stregone serio, già
carico d’anni, ma veramente insignificante e minuscolo. Meschino, depravato e
inutile, con tutte le sue paure e con i rimorsi che lo tormentavano soltanto per
colpa della sua stessa incosciente follia.
Gli sembrò vano essere
andato lì, a Hogwarts, a chiedere aiuto.
Aiuto per cosa? Per
salvarsi la vita? Per non marcire per il resto dei suoi giorni ad Azkaban, come
per altro meritava?
No, no, solo perché
finisca. Perché non accada di peggio, per non dover lacerare oltre la mia anima,
se ancora esiste. Io non ce la faccio da solo. Io devo rimediare. Io devo
sfuggire all’oscurità che mi soffoca; devo fermare quel pazzo. Non ne posso più!
Non ce la faccio più, basta, basta, basta!
Le sue pupille
dilatate lo gridavano ossessivamente.
“Mi dispiace, ma non
mi sorprende affatto” – aggiunse Silente, con una certa dolente dolcezza, senza
condanna, solo come un’amara constatazione.
Quelle parole
colpirono il giovane Piton come una frustata.
Dispiacere? Solo
questo? Come ci si rammarica bonariamente con un bambino che ha rotto una
suppellettile, anche se era stato avvertito di non toccarla? Io ho ucciso, ho
spezzato vite. Io sono diventato un mostro!
“Le dispiace?” – la
voce del mago bruno risuonò stridula e irosa, eccessivamente acuta, ancora
troppo immatura, mentre le parole gli sgorgavano di bocca, irrefrenabili –
“Dispiace? Ho…io ho commesso colpe atroci. Ho le mani sporche di sangue, non lo
vede? Io sì, io lo vedo anche adesso. Continuo a vederlo perfino se chiudo gli
occhi” – sollevò le mani al viso; ora tremavano incontrollabili, contro ogni sua
volontà.
“Lo vede anche lei?” –
continuò, fissandosi le dita, ma senza realmente osservare più niente, perduto
nell’abisso della propria coscienza – “Come fa a non urlare di disgusto? Come fa
a posarmi gli occhi addosso senza che la nausea la sconvolga? Io… io non riesco
più nemmeno a guardarmi allo specchio… “.
Silente si alzò e
sospirò rumorosamente, mentre si sporgeva verso di lui, imponente nel corpo
esile che non poteva nascondere l’emanazione di uno spirito forte, potente, e
assolutamente superiore.
“Mi dispiace” –
ripeté, ostinatamente paterno – “Ma ne ero al corrente, o meglio lo immaginavo e
temevo da tempo che sarebbe successo. Eppure, sapevo anche che non eri realmente
perduto. Ti aspettavo, certo che prima o poi saresti venuto. Ne ho visti di
giovani maghi come te, rovinati dal proprio nome, o dall’ambizione, oppure solo
dalla loro crudeltà e pochezza. Ho provato a mostrarvi quali valori contano
davvero, ma evidentemente non è bastato a tenervi lontani dall’orrore. Però,
sapevo che tu avresti capito. Mi dispiace che sia accaduto solo ora, immagino
che sarebbe stato meglio per te e soprattutto per coloro che hanno incrociato la
tua strada, se tu non avessi mai commesso un così terribile sbaglio. Ma sei qui,
ora. Ti ascolto, ragazzo”.
Il giovane mago bruno
si lasciò cadere sulla sedia che poco prima aveva rifiutato, spossato,
disarmato.
Prese fiato e aprì la
bocca, ma poi la richiuse, serrando il labbro inferiore tra i denti,
ferocemente.
Provò, ancora ed
ancora, ma le parole non volevano lasciare la sua gola.
Infine riuscì. Chiuse
gli occhi e lasciò andare il dolore, il rimorso, la disperazione, la paura; ogni
singolo orrore e ricordo, serbando solo una delle sue colpe, quella che più lo
affliggeva. Quella che l’aveva convinto, oltre il suo giovanile terrore di
Voldemort, a recarsi a Hogwarts.
Non riusciva ancora a
parlarne, ma non celò nient’altro al Preside.
Si accusò a lungo.
Sillabe pesanti come macigni che graffiavano il suo petto, trafiggendogli il
cuore, prima di diventare finalmente suono.
Il vecchio l’ascoltò
in silenzio, traendo spesso lunghi sospiri di disapprovazione, inscindibilmente
mescolata a comprensione.
L’ascoltò, fino a che
le parole non tornarono a morire dietro alle esili pallide labbra del mago più
giovane.
Eppure, c’è ancora
qualcosa che non mi hai detto, Severus. Qualcosa che non riesci ancora a buttar
fuori e ti annoda le viscere. Aspetterò, è proprio quella la cosa che più di
tutte desideri confessarmi, lo sento.
Attenderò, e tu me la
dirai, non appena sarai pronto.
Infine, si volse e
trasse dallo scaffale un pesante bacile piatto di pietra istoriata, deponendolo
con delicatezza sulla scrivania, come se fosse estremamente leggero. Era
evidente che era abituato a maneggiarlo.
“Bene” – disse col
tono più cupo che avesse usato fino ad allora – “Sai cos’è questo,
Severus?”.
Ancora accasciato,
come svuotato anche del fiato, il mago bruno scosse il capo. Qualunque cosa
fosse quello strano catino, come poteva avere a che fare con ciò che era appena
riuscito a confidare al Preside e con quel che ancora gli bruciava in gola non
detto?
“E’ un Pensatoio,
ragazzo” – continuò Silente, impugnando la propria bacchetta – “Dovresti sapere
a cosa serve e come funziona. Sei sempre stato uno che ama conoscere ogni
cosa”.
Piton annuì – “Non mi
crede? Vuole i miei ricordi per verificare se le ho mentito? Li prenda pure, se
ha davvero il coraggio di immergersi in un simile inferno, anche se non vedo a
cosa possa servirle. Vedrebbe solo i miei gesti, ma senza i miei pensieri cosa
le darà la certezza che ho detto la verità e sono realmente
pentito?”.
“Me la darai tu” –
sentenziò il vecchio, asciutto – “Sarai tu stesso, a
fornirmela”.
Il giovane mago
rabbrividì, in un lampo atroce di comprensione.
No, no, questo no. Non
ho già sufficientemente piegato me stesso? Non avrà mai fine questa tortura?
Ricordare è terribile, ma rivivere ogni cosa… no, non voglio, non
posso!
“Vuole che io entri
con lei nei miei stessi ricordi?” – voleva essere una domanda distaccata, ma fu
quasi un grido di dolore – “No, non me lo chieda, mi domandi qualunque altra
prova, qualunque altra cosa… “.
Oh, so cosa ti sto
imponendo, ragazzo. Se davvero, come credo, il tuo è pentimento sincero, se
realmente è così doloroso per te guardare a ciò che sei diventato, sarà una
tortura, ma ho i miei motivi ed è giusto.
Se hai ancora luce in
te, come io penso e spero, questo sarà il primo prezzo da pagare.
Anche io, a volte,
posso solo essere spietato. Ci sono occasioni in cui devo
esserlo.
“Sei venuto qui perché
desideri il mio aiuto” – gli rispose severo – “Benissimo, ma detto io le
condizioni. Non voglio ferirti o umiliarti, ma devo sapere ogni cosa; entrare in
te realmente. Vuoi prenderti carico delle tue colpe, non è così? C’è sicuramente
voluto coraggio per venire fin qui, ora mostra di averne a sufficienza per
affrontare quel che hai fatto fino in fondo”.
Poi fissò la
finestrella dai vetri policromi e aggiunse, col tono di chi non ammette repliche
– “E’ l’alba, dirò a Minerva McGranitt che non desideriamo essere interrotti.
Non importa quanto tempo ci vorrà, sei giovane e resistente. Quanto a me, ho
visto cose ben peggiori di quel che possono essere i tuoi
ricordi”.
Uscì svelto, per
rientrare poco dopo pronto ad esigere il suo tributo.
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Capitolo 2 *** Parte seconda: Un terribile errore. - 1. La spia perfetta. ***
Non appena ne fu
realmente consapevole, la dolcezza di Silente parve insopportabile al giovane
mago.
Si alzò di scatto,
allontanando bruscamente le mani del vecchio dalle sue e scagliando via il
calice, che andò ad infrangersi poco lontano sull’antico pavimento di pietra,
tingendolo di un rosso cupo troppo simile al colore del sangue. Distolse lo
sguardo, disgustato.
I pensieri si fecero
parole, gridate senza alcun controllo – “Non sia gentile con me. Non voglio la
sua gentilezza! Non me la merito. Non merito che disprezzo. Non sono venuto qui
per chieder perdono… non è questo. Non sono qui per me stesso…
“.
“E per cosa, allora,
ragazzo?” – lo interruppe calmo il Preside – “Cosa ti ha portato da me? Non
credi che sia venuto il momento di dirmelo?”.
Occhi chiari fissi nei
neri abissi di quelli del ventenne tremante dinnanzi a lui. Occhi che non
conoscevano ancora la risposta, pur dopo aver scrutato a fondo la sua mente
torturata.
Devi dirmelo tu,
Severus. E’ qualcosa che ti fa troppo male, l’ho capito. Male al punto che
vorresti rivelarmelo, ma, per tutto il tempo, la tua mente ha tentato di negarlo
e rimuoverlo. Perciò, ho conosciuto ogni tuo pensiero, ma questo è rimasto
intoccabile, come assente. Saresti un ottimo occlumante,
sai.
Forza dillo, il
coraggio ormai non ti manca.
“La Profezia” –
mormorò il mago bruno, con la voce ridotta ad un soffio – “Ho commesso un
terribile errore!”
Poi, una nuova
esplosione, in tono ancora parzialmente infantile, non del tutto adulto –
“Quella maledetta Profezia che ho inavvertitamente ascoltato alla locanda. Se la
ricorda? Quelle dannate parole… e non ho nemmeno sentito la fine…
“.
Lo sguardo di Albus
Silente lampeggiò dietro alle piccole lenti. Scordò all’istante dispiacere e
compassione. Il Preside paternamente preoccupato per l’ex studente scomparve,
lasciando il posto solo all’indomabile combattente; al più temibile dei nemici
di Lord Voldemort.
“Va avanti” – intimò,
imperioso.
Il giovane Piton prese
fiato, gli parve che un nodo gli risalisse su dalle viscere per poi bloccargli
la gola. Infine passò e riuscì a mormorare – “L’ho riferita all’Oscuro Signore…
“.
Un’altra pausa. Ora,
erano fin troppe le parole che premevano per poter uscire dalle sue labbra
martoriate.
Le lasciò andare, con
confusa veemenza – “Non sapevo… non potevo immaginare… Non avevo alcun modo di
sapere come Lui poteva interpretarla; il senso che avrebbe potuto darle.
Ma parlavano di Lui e io… sono stato un imperdonabile sciocco, un bambino, uno
stupido” – si tormentò le mani, prima di continuare – “Volevo… credevo ancora
che potessero esservi vera gloria ed onore presso l’Oscuro Signore, per chi lo
serviva con solerzia, o forse avevo solo paura di cosa sarebbe accaduto se Lui
avesse scoperto da altri che io avevo ascoltato la Profezia, ma gliel’avevo
taciuta. Come potevo sapere che Lui… “.
“Non potevi” –
constatò Silente, ancora interamente concentrato sulla rivelazione,
inaspettatamente importante, che stava per ascoltare – “Ma ora, invece, lo sai.
Adesso sai come Voldemort può aver interpretato quella Profezia. Di qualunque
cosa si tratti, ragazzo, devi dirmelo. Non aver paura di me, parla liberamente.
Dimmi tutto, forza”.
“Non ho paura di lei”
– Severus scosse sconsolatamente il capo – “Ma di ciò a cui ho dato inizio. Non
volevo. E’ terribile! Lei l’ha visto con i suoi occhi, poco fa: ho bruciato la
mia anima, ma questo… è mille volte peggio… non volevo”.
Non ho paura di lei
Signore, ma la prego, la prego, lo fermi. Non glielo lasci fare. Lei deve
fermarlo, solo lei può riuscirci.
La supplico, deve
impedire che accada… non m’importa di me, non hanno senso le mie infantili
giustificazioni, ma lo fermi. Non voglio anche questa colpa, non ce la faccio a
sopportarlo.
Infine, proruppe
disperatamente, tutto d'un fiato – “I Potter, Signore. Lui ha saputo della
nascita del loro bambino. Le date coincidono. Potrebbe credere che la Profezia
sia riferita al bambino, a Harry Potter; al figlio di
Lily…”.
Silente imprecò contro
se stesso per aver perduto tanto tempo infliggendo al ragazzo il tormento dei
propri ricordi, anche se, in fondo al cuore, era certo di non aver scelto la via
sbagliata. Nonostante tutto, le ore trascorse dall’arrivo del giovane mago nel
suo studio erano servite a dargli la certezza che poteva fidarsi pienamente di
lui e che non si trattava solo di una trappola escogitata da Tom
Riddle.
“Cosa esattamente gli
hai riferito? Quanto hai sentito della profezia?” – domandò
immediatamente.
“Solo l’inizio” –
rispose Piton agitato – “Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere
l’Oscuro Signore… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del
settimo mese”.
“Solo questo” – ripeté
in un roco mormorio – “Ho sempre avuto una certa facilità nel mandare a memoria
ciò che ascolto… e ora non riesco più a levarmi questa frase dal cervello. Io…
so che lui ha quasi ucciso i Potter per tre volte e il loro bambino è nato il 31
di luglio.‘Sull’estinguersi del settimo mese’… il 31 di luglio… Lui potrebbe
credere… forse ha già pensato che si tratti del figlio dei Potter. Sono corso
qui da lei subito, appena ho capito che l’Oscuro Signore avrebbe potuto pensare
che la profezia si riferiva al piccolo Harry Potter… “.
Gli mancò la voce,
mentre continuava a tormentarsi le mani in preda
all’ansia.
“Aspettami qui, non ti
muovere e se dovesse entrare qualcuno non dire una parola di ciò che mi ha
appena riferito e di tutto quel che è successo finora. A nessuno!” – un ordine
perentorio, privo di fronzoli e Silente era già fuori della stanza, dopo averla
percorsa a grandi falcate.
Il primo di una lunga
serie di comandi, anche se il ventenne disperato e spaventato non poteva
saperlo, ma era già pronto ad obbedire lealmente.
Silente tornò quasi
due ore dopo e non appena posò gli occhi sul ragazzo scordò nuovamente di essere
il più fiero oppositore di Voldemort, per tornare ad essere solo un uomo e un
educatore che non poteva che riconoscere i propri errori.
Lo sguardo di Piton
era una supplica dolorosissima, una muta invocazione spaventata. Nel nero delle
iridi si leggeva il terrore che fosse troppo tardi.
Povero Severus. Avrei
davvero dovuto fermarti prima che tu scegliessi la via sbagliata. Affrontarti
duramente e rivelarti che avevo compreso a cosa potevano condurti le tue
insicurezze, i tanti desideri, la solitudine, le amicizie sbagliate che
frequentavi e soprattutto la tua sete di sapere.
A guardarti mi stringe
il cuore. Ho avuto qui Voldemort in persona, con tutta la sua melliflua
arroganza, a fingersi umile, seduto su quella stessa sedia, ma non ho mai
ritenuto che ci fosse speranza per lui.
Invece, per te c’era,
ragazzo, per questo avrei dovuto lottare.
Ma forse non sarebbe
servito. Che potevo fare, in fondo? Magari non mi avresti dato
ascolto.
Ora però, sei qui e
anche se dovrò chiederti un sacrificio enorme, ti giuro che troverò il modo per
tenerti per sempre lontano dall’abisso. Non ti lascerò cadere di nuovo,
Severus.
Se lo facessi ancora,
sarebbe imperdonabile.
Lo raggiunse e gli
posò lieve una mano sulla spalla. Era ancora poco più che un ragazzino, un bimbo
rispetto ad un vegliardo come lui.
Severus sollevò il
capo e il Preside non indugiò oltre – “Sta tranquillo. Ho preso le mie
precauzioni. Sarà fatto tutto il possibile per proteggere i Potter. Per ora, in
ogni caso, non è accaduto loro nulla di male. Lascia che ci pensi
io”.
Era talmente calma la
voce di Silente, che Severus non potè che credergli e confidare totalmente in
lui. Aveva un disperato bisogno di credere e sperare.
Si sentiva sfinito, ma
ora era facile parlare, finalmente – “La ringrazio”.
Uno dei grazie più
sentiti che il vecchio avesse mai ascoltato.
Poi, con fermezza –
“Sono pronto ad andare ad Azkaban. Avverta pure gli Auror perché vengano a
prendermi”.
E’ quel che merito.
Solo quel che realmente mi spetta e forse è perfino troppo poco. Non ho più
timore, nemmeno dei Dissennatori.
Come posso temere
l’oblio? Quanto vorrei poter davvero dimenticare. Non desidero
altro.
Silente fece un cenno
di diniego col capo.
No, ragazzo, niente
Azkaban. Non sarà questo il tuo destino.
Sei un dono e saprò
far tesoro di te. L’ho compreso subito.
Non ti piacerà, ne
sono consapevole. Ti farà male. Ancora sofferenza per te, ma sei più forte di
quel che credi, o non saresti qui, e io ho bisogno di
te.
Sei perfetto, Severus
Piton. Assolutamente perfetto per me e per la causa, più di qualunque altro
collaboratore io abbia mai avuto. Perfetto e fidato. Lo sei, perché vorrai
esserlo.
Ad Azkaban saresti
solo sterile preda del tuo inferno. Io, invece, ti darò la possibilità di
costruire, laddove finora hai solo distrutto e un giorno, forse, sarà importante
per te aver avuto l’occasione che sto per offrirti.
Un giorno, forse,
qualunque cosa accadrà, farà la differenza, quando tirerai le
somme.
“Niente Azkaban. Non
ci andrai” – rispose senza staccargli la mano dalla
spalla.
Piton sgranò gli
occhi, incredulo.
“Non… “ – domandò
nuovamente confuso – “Che cosa intende dire?”.
Silente non ritenne di
doversi affidare a giri di parole. Meglio essere diretti, perfino
concisi.
“Hai dimostrato
coraggio e pentimento per le tue colpe” – disse semplicemente – “Vero
pentimento. Gettarti in una cella in balia dei Dissennatori sarebbe uno spreco.
Invece, rimedierai ai tuoi errori e lotterai perché non vengano più commessi i
crimini orrendi che ora ti ripugnano tanto. Farò di te un collaboratore, una
spia. Se lo vorrai”.
Le ultime tre parole
suonarono decisamente retoriche al giovane, ancora incapace di credere alle
proprie orecchie.
Io una spia? Come una
spia?
Poi comprese cosa
poteva significare e si alzò di scatto, arretrando istintivamente, tanto da
rovesciare la pesante sedia intagliata.
“Intende…? “ – gli
mancò il fiato.
“Tornerai da
Voldemort” – affermò sicuro il vecchio – “Ti fingerai ancora suo leale servitore
e raccoglierai informazioni per me e per coloro che come me lo
combattono”.
Il mago bruno scosse
convulsamente il capo – “No, no. Non posso, non me lo chieda. Non posso! Non mi
rimandi tra i miei incubi. Farò qualunque altra cosa lei mi domanderà, ma non
voglio tornare da Lui”.
Non dall’Oscuro
Signore. Non a guardare i suoi Mangiamorte mentre uccidono ancora, mentre
torturano, mentre godono del dolore e del terrore altrui. Non da Lui che
potrebbe impormi di uccidere nuovamente. No! Non voglio più essere un assassino.
Non posso più uccidere. Mai più!
Silente continuava a
guardarlo con sicurezza, come se fosse già certo di poter contare su di
lui.
“Ti sto dando una
seconda possibilità, ragazzo” – replicò – “Ti sto offrendo una scelta. Non sono
tanti coloro che possono vantarsi di aver avuto una simile opportunità nella
vita, per rimediare ai propri errori. Ti sto dando, Severus, una via da
percorrere per poterti un giorno guardare nuovamente allo specchio senza
disgusto o vergogna e poter dire a te stesso: sono caduto, ma ho saputo
rialzarmi. E ti sto offrendo piena fiducia; nella tua correttezza e lealtà,
nelle tue capacità e nel coraggio che hai dimostrato”.
Fiducia in me? In un
assassino. Mi ha visto uccidere. Mi ha visto con i suoi occhi nel pensatoio.
Fiducia nelle mie capacità? Lei crede in me?
Nessuno mi ha mai
offerto altrettanto. Mi hanno sempre condannato per quel che ero, anche quando
non avevo ancora le mani sporche di sangue. Mi hanno giudicato anche solo per la
Casa d’appartenenza, per il mio interesse per le Arti Oscure, perché ero cupo,
goffo, diverso e impacciato.
Che altro poteva mai
diventare Severus il secchione, il moccioso sempre vestito di nero, sempre a
leggere libri e rimuginare incantesimi, anche proibiti, se non un
Mangiamorte?
Ho finito per crederci
anche io.
Ma tornare nel cerchio
dei Mangiamorte, no. Non ce la faccio. Non ho vero coraggio, non fino a questo
punto, no.
Si sentiva morire al
solo pensiero di Voldemort. Non della sua collera, ma della sua sola presenza,
dei suoi possibili ordini, di tutto l’orrore che gli ruotava
intorno.
Si sentiva minuscolo e
impotente; perduto e spaventato. Nauseato; troppo debole.
Gli tremavano di nuovo
le gambe. In fondo, aveva sperato, quasi bramato Azkaban. La prigione pareva un
luogo di pace rispetto alla cerchia dell’Oscuro Signore. Il bacio del
Dissennatore poteva porre fine alla sofferenza.
La tensione spazzò
definitivamente via ogni orgoglio.
“NO! Mi mandi ad
Azkaban. Mi uccida, mi faccia fare qualunque altra cosa, ma non mi rimandi di
nuovo indietro in quell’inferno, la prego” – scongiurò, mentre le lacrime
premevano di nuovo contro il bordo dei suoi occhi neri, dilatati dallo sgomento
– “Tutto, ma non questo, non di nuovo da Lui. Non so fingere fino a questo
punto. Io… e se mi ordinasse di uccidere ancora? Preferirei morire, glielo
giuro. Non me lo chieda”.
Silente si lisciò la
fluente barba bianca e rispose sereno – “Ti darò una copertura, che convinca
anche Voldemort, anzi che lui potrà credere vantaggiosa per sé. Una copertura
che ti ponga in una situazione tale per cui perfino Voldemort troverà poco
conveniente farti commettere nuovi delitti. Non subito, ma ci lavoreremo e,
appena saremo pronti, faremo in modo, io e te, che lui creda di aver avuto la
brillante idea di mandarti da me. Imparerai a fingere perfettamente. Per ora
Voldemort non ha alcun motivo per non fidarsi di te, e non ne avrà per lungo
tempo. Intanto imparerai. Anche se oggi non ti sei opposto alla mia
legilimanzia, un giovane riservato come te non dovrebbe aver problemi a
diventare un buon occlumante. Un ottimo occlumante; ti istruirò personalmente. E
se mai Voldemort dovesse dubitare sarà troppo tardi”.
“E se non riuscissi?”
– un grido soffocato, uscito da labbra tremanti – “Non m’importa di essere
ucciso, ma se, invece che aiutarla dovessi danneggiarla? Se dovessi
deluderla?”.
Silente sorrise – “Non
lo farai. Perché ci metterai tutto il tuo impegno. So quanto profondo può
essere. Sono certo che ti impegnerai, perché tu per primo vorresti vedere
Voldemort sconfitto. Se lui cadesse non ci sarebbero più omicidi, torture,
stupri, sparizioni. Se lui cadesse, nessuno darebbe la caccia ai Potter.
Diventerai la mia spia e proteggerai personalmente Lily, James e il bambino,
perché se davvero Voldemort dovesse decidere di far loro del male tu potresti
riferirmi immediatamente che è sulle loro tracce”.
Sono crudele con te,
ragazzo. Pretendo di metterti interamente in gioco. Ti chiedo te stesso, corpo e
anima. Ti sto domandando la vita intera. Ma devo e tu accetterai, perché c’è
ancora in te la luce che ho potuto vedere con tanta
chiarezza.
Severus pensò che il
Preside aveva ragione. Lui avrebbe per sempre fatto i conti con i propri
rimorsi, ma desiderava con tutto se stesso che l’Oscuro Signore cessasse la sua
tremenda, folle avanzata e che fosse fermato, prima che potesse compiere
qualcosa di orrendo a causa della Profezia che gli aveva sconsideratamente
riferito.
Oh, vederlo sconfitto
e poter dire a me stesso di essere stato anche solo in minima parte l’artefice
di quella disfatta… Saperlo non più in grado di nuocere…
Ma tornare da lui, e
replicare ogni notte l’orrore, ancora, ancora, senza fine, ora che aveva creduto
che, invece, il legame di sangue con il suo odiato mentore si sarebbe potuto
spezzare, era troppo doloroso.
Cadde in ginocchio,
tremante come lo era stato nel rivivere i propri strazianti ricordi, infelice
come non mai, forse nuovamente febbricitante.
Si prostrò,
ripentendo, singhiozzante – “Non me lo chieda. Qualunque altra cosa, la
supplico, ma non questo” – e afferrò la veste del vecchio mago per portarla alle
labbra, com’era solito fare con l’Oscuro Signore, per far comprendere al Preside
quanto era conscio della propria inadeguatezza e pochezza e fino a che punto era
disperato.
Ma Severus Piton non
baciò mai l’orlo di quella lunga tunica azzurra, perché Albus Silente lo
agguantò con foga per il bavero del mantello e lo sollevò, con forza
insospettabile in un vecchio tanto esile, rimettendolo in piedi
all’istante.
“Mai in ginocchio
davanti a me, Severus!” – esclamò con vigore, fissandolo con occhi perfino più
eloquenti delle parole – “Mai! Ti ho forse chiesto di umiliarti? Sono forse
Voldemort io, che un uomo debba degradarsi ai miei piedi perché io possa
camminare a testa alta? Credi che mi reputerei degno di stima se ti lasciassi
calpestare la dignità che nelle ultime ore hai dimostrato di possedere? O che ti
costringerò, se realmente non lo desideri, ad accettare il ruolo di spia e
ritornare in tale veste da Voldemort? Io non voglio schiavi, Severus, io non
compro le persone e non ti prometterò folli e falsi doni, né ti ricatterò con lo
spauracchio di Azkaban, che non temi e che ti eviterò in ogni caso. Io guardo
alla persona, e all’uomo che ho davanti lascerò libera scelta. Sei tu che
decidi”.
Il cuore del giovane
mago batteva all’impazzata.
Nessuno prima d’ora
l’aveva mai trattato così: realmente da pari a pari. Ma Silente non vantava
verso di lui altro titolo di superiorità se non l’età e la maggior
esperienza.
Essere rispettato, era
tutto ciò che sempre aveva desiderato. Rispettato davvero. Invece, era stato
spesso umiliato e mai si era sentito realmente stimato.
Né se lo sarebbe
aspettato ormai, con le colpe che gli schiacciavano ferocemente le spalle;
fermamente convinto di non meritarlo più.
Voldemort per primo
l’aveva sempre e solo ingannato e aveva distrutto ogni briciolo della sua
dignità. L’aveva reso schiavo, assassino, animale marchiato, facendo sì che lui
stesso non potesse più tributarsi rispetto.
Come può trattarmi
come se fossi degno di stima? Come fa a fidarsi di me? Proprio di
me?
Come fa a sapere che
non lo tradirò? Anche se è vero: non lo tradirei mai, morirei oggi stesso
piuttosto che ripagare così il dono che mi ha appena fatto. Il regalo di cui mi
sento indegno: una fiducia totale e incondizionata.
Darei qualunque cosa
per non deludere la fede che depone in me.
Il vecchio, non solo
non lo aveva condannato, ma gli tendeva la mano ed era disposto a credere in
lui, perfino a difendere il suo onore e la sua dignità, impedendogli un gesto
servile.
Anche solo il modo in
cui aveva pronunciato il suo nome era un privilegio inaspettato che lo lasciava
senza fiato. Non come tutte le altre volte, quel giorno, in tono paterno come
con un bambino spaurito, ma come rivolgendosi ad un uomo.
Lui si era sentito
realmente adulto per la prima volta.
Ho creduto d’essere
diventato uomo, prima d’oggi. Ho creduto d’essere intelligente e sapiente. Ho
pensato: sono un cresciuto, sono padrone della mia vita, non più l’adolescente
insicuro che può essere oggetto di scherno.
Sbagliavo. Ero ancora
un ragazzetto immaturo, incosciente e accecato. Solo quella mano che mi ha
sollevato da terra e le sue parole mi hanno fatto veramente sentire un uomo e
non un bambino.
Mi hanno fatto sentire
libero.
Prima ancora di aprir
bocca per rispondere, Severus Piton seppe con certezza che il primo tratto della
sua nuova via era segnato e sarebbe stato il Preside ad indicargliela. Ma lui
solo l’avrebbe tracciata. Lui l’avrebbe imboccata.
Comprese, senza ombra
di dubbio, che per la persona straordinaria che era Albus Silente, non per la
sua innegabile potenza, o per l’enorme aura magica, non per le conoscenze
innumerevoli o per la saggezza, ma solo per la profonda e sincera umanità di
quel vecchio incredibile lui sarebbe andato ovunque, perfino da Voldemort,
perfino ad immergersi nel più profondo degli incubi, nel più oscuro abisso,
volontariamente.
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Capitolo 3 *** Parte prima: La fiducia di Silente. - 2. Il pensatoio. ***
Grazie ragazze
per i commenti.
Astry e Sella, siete due tesori come sempre e
mi fate arrossire.
Alexia, le tue recensioni non rasentano
il geniale, sono geniali ;) E io ti adoro. Spero che questo capitolo ti
piaccia.
A tutti buona
lettura.
Nykyo
Severus si arrese. Del
resto, chi se non se stesso poteva biasimare se la sua memoria era già divenuta,
nonostante la giovane età, un desolato luogo di
supplizio?
Anticipò il Preside, che
gli si era accostato con la bacchetta levata, e sfoderando la propria se la
poggiò su una tempia.
Aveva solamente letto nei
libri il corretto metodo di estrazione dei ricordi, ma non fu quella la
difficoltà che rese lenti i suoi movimenti, mentre un sottile filo di sostanza,
né liquida né gassosa, simile a chiaro vapore filaccioso si annodava
strettamente al legno scuro.
Poco dopo, il primo dei
suoi tanti errori, l’iniziazione, la notte in cui gli era stato imposto il
Marchio che avrebbe segnato per sempre la sua carne e la sua anima, bruciandole
entrambe, vorticava nel Pensatoio e lui v’immerse le dita esitante, come se
stesse per tuffare la mano nell’acqua bollente o in un liquido
corrosivo.
Il primo pensiero di
Severus Piton, quando fu di nuovo nella grande stanza circolare del Preside, fu
che, a vedersi dall’esterno, ad osservare se stesso, mentre si lasciava
marchiare come un animale o uno schiavo, si sentiva ancora più piccolo, sciocco
e colpevole.
Come ho potuto credere,
anche solo per un minuto che avesse senso seguire un mentore capace di umiliare
così i suoi allievi?
Come ho potuto pensare
che la conoscenza o il potere valessero il prezzo della mia dignità e del mio
orgoglio?
Si sentiva disgustato di
sé e privo di speranza. Patetico e inutile.
Meritavo di essere
disprezzato dagli altri, se realmente sono stato così meschino da vendere la mia
integrità e libertà al miglior offerente. E in cambio di cosa, dannazione?
Cos’ho mai ottenuto in cambio? Quale contropartita avrebbe mai potuto valere
davvero me stesso e la mia anima. Non sono nemmeno degno di definirmi un bambino
immaturo. Sono solo scuse puerili.
Incontrare lo sguardo del
vecchio mago lo fece sentire ancora peggio, perché vi lesse i suoi stessi
pensieri.
“Hai avuto dignità a
sufficienza per domandare aiuto, Severus” – disse Silente, rispondendo con
gentile solennità alle sue domande inespresse, poi indicò nuovamente il
Pensatoio.
La bacchetta di Piton si
mosse con estrema lentezza, estraendo un nuovo filamento
grigiastro.
Le labbra gli tremavano,
ma non si sottrasse.
Il suo primo vero,
incancellabile, peccato: la prima vita recisa in nome di un padrone che non
conosceva pietà, nemmeno per i suoi servi.
Due sole parole, un lampo
verde, crudele e vibrante, ad illuminare la notte, il tonfo sordo di un corpo
che cadeva inerme, due paia d’occhi sbarrati sull’incubo, e non una ma ben due
vite erano state spente, inesorabilmente.
Quella della vittima
innocente e quella del carnefice, doppiamente colpevole. Reo di aver ucciso e di
possedere una coscienza pronta a rinfacciarglielo
atrocemente.
Senza più vita quel
povero corpo scompostamente accasciato al suolo e morto dentro il ragazzo
incappucciato con la bacchetta ancora puntata davanti a sé; l’espressione
dell’orrore congelata e imprigionata dietro l’argento della maschera che gli
copriva il volto.
Morto il giovane studente
Serpeverde che desiderava essere rispettato, forse ammirato, di sicuro trattato
con dignità dai propri coetanei. Perduto, quel magro infaticabile allievo
assetato di sapere, di calore, d’amicizia ed amore. Condannato da due misere
oscure parole, che non erano conoscenza e potere, come aveva stupidamente
creduto, ma solo fuoco che bruciava l’anima e imperdonabile, arrogante
delitto.
Ritto accanto a Silente,
nel proprio ricordo, Severus sentì risuonare uno stridulo grido disperato, un
istante prima che il suo doppio pronunciasse l’Avada Kedavra – “NO, NO, NON
FARLO!”.
Ma gli ci volle il tempo
di qualche respiro per comprendere che non era stata la vittima ad urlare; che
quelle parole erano sfuggite alle sue stesse
labbra.
Oh, se solo fosse bastato questo a fermarmi…
ora so perché li chiamano Incantesimi senza Perdono. Ed
io ho ripetuto quelle orrende parole e quel gesto, ancora e ancora…
Poi anche i pensieri si
fecero troppo dolorosi e confusi.
Il Preside lo trascinò
via per un braccio, fuori dal Pensatoio, scuotendo il capo con
amarezza.
Ma non gli diede che
pochi attimi per riprendersi un po’, prima di tornare ad esigere un’altra rata
del prezzo che aveva deciso di imporgli.
La punta fremente della
bacchetta di Piton si accostò ancora una volta alla
tempia.
Un'altra vittima,
un’altra morte ingiusta inferta da un veleno da lui distillato, o dalla sua
scura bacchetta, oppure dalla lama affilata del pugnale d’argento: lo stesso che
usava per preparare gli ingredienti per le sue pozioni; quel filo tagliente che
non avrebbe mai dovuto utilizzare per altro se non per sminuzzare erbe e
radici.
Ancora e ancora,
inesorabilmente i ricordi si susseguirono nel bacile di pietra e lui vi entrò,
sempre più tremante, impotente e nauseato, anche quando non era stato lui il
carnefice, limitandosi ad essere spettatore, inchiodato dall’incubo delle
efferatezze dei suoi compagni, disposti in un macabro
cerchio.
E io non li ho fermati,
mai, mai, mai! Non ho avuto il coraggio. Sono un patetico vigliacco che ha
temuto per la sua inutile vita, nonostante non valga più niente, perché io
stesso l’ho buttata via.
Sono colpevole quanto
loro, sono solo un animale, un mostro.
Silente gli stava accanto
muto. Le prime volte, come un medico che spietatamente fa sorbire una medicina
amarissima al proprio paziente solo per salvarlo, lo costrinse a voltarsi,
quando, tormentato dal disgusto e dal rimorso, tentava di girare le spalle al se
stesso della memoria.
Poi smise di forzarlo e
finse di non vedere le lacrime che avevano preso a rigargli il viso ancora
troppo giovane, eppure desolantemente invecchiato dalla
sofferenza.
Finse di non vedere il
sangue che macchiava le labbra lacerate da un ennesimo morso troppo impietoso e
feroce ed il fremito di quel corpo esile e
spigoloso.
Lo fece per profonda
compassione, comprendendo che l’umiliazione del giovane mago era già troppo
profonda per aggiungervi anche la propria aperta
pietà.
Ma fu anche sordo alle
suppliche che, dopo un po’, Severus, ormai sconvolto dal suo stesso incubo, non
riuscì più a trattenere, nonostante l’orgoglio.
“La prego, basta,
smettiamo. Che senso ha?” – rochi rantoli soffocati dai singhiozzi – “Basta, è
insopportabile, non ce la faccio più, fa troppo male. Vorrei tornare indietro,
cambiare il passato… la prego, non un’altra volta…
“.
Silente gli poggiava
delicatamente una mano su una spalla, ma poi tornava sempre ad indicare il
Pensatoio e la punta della bacchetta di Severus tremava ogni volta di più fra le
dita sottili, anche se continuava ad obbedire.
Non ne poteva più, ma, in
fondo, sentiva anche che era giusto soffrire atrocemente per ogni vita
arbitrariamente rubata, per ogni giovinezza accorciata, per ogni strazio
inflitto od osservato senza far nulla per
impedirlo.
Il prezzo dei suoi gesti
lo stava lentamente schiacciando, col trascorrere dei minuti, delle ore, o forse
dei secoli, ed il susseguirsi implacabile dei ricordi, eppure una parte di lui
voleva solo pagare, fosse anche stato fino allo strazio totale di
sé.
Gli pareva impossibile
che le gambe lo reggessero ancora in piedi e si sentiva ardere il volto, come se
avesse la febbre alta, e probabilmente l’aveva davvero. Forse il suo corpo si
stava ribellando a tanto dolore dell’anima.
La mente stessa gli si
annebbiò al punto che, ad un tratto, scordò di nuovo di non poter interagire con
il suo doppio e, sfuggendo alla salda presa di Silente sul suo braccio, si
slanciò in avanti, in quel cerchio solo rammentato, ma così reale, per tentare
di afferrare una spalla del nero e snello figuro incappucciato intento a
pronunciare un’interminabile maledizione cruciatus. Provò, contro ogni logica, a
far cessare il supplizio, ma si ritrovò a stringere solo l’aria, mentre la
tortura continuava, tanto per la misera vittima di quella barbarie, quanto per
lui che ne era stato il carnefice.
Dimentico di ogni cosa,
perfino della deferenza dovuta all’alto mago canuto che lo osservava con occhi
velati, gridò, senza potersi trattenere – “E’ tutta colpa mia, colpa mia. Ti
prego fallo smettere, so che ho sbagliato, oh, ti prego fallo smettere e io mai,
mai più… “.
Il Preside lo raggiunse e
lo strattonò. Un attimo dopo erano di nuovo nello studio, ingombro di ritratti e
strani strumenti d’argento, che ronzavano sommessi come misteriosi insetti
luccicanti.
I Presidi del passato li
fissavano attoniti dalle pareti, senza osare fiatare, dinnanzi a quello che era
chiaramente un profondo dramma.
“Mi spiace, ragazzo” –
gli disse Silente, forzandolo a sedersi – “Né tu né io possiamo farlo smettere.
E’ accaduto ormai. Ma non succederà più, lo sappiamo entrambi. Mai più, perché
tu non vuoi che un simile crimine si ripeta. Non puoi cancellare ciò che è
stato, ma vuoi e puoi cambiare strada e non commettere più colpe così
terribili”.
Guardò l’ex allievo,
raggomitolato su se stesso, atrocemente provato, la schiena curva scossa da
conati e singhiozzi, poi spostò lo sguardo sul Pensatoio e decise: Hai pagato abbastanza, Severus e l’hai fatto
con onestà, anche se non ti reputi più un uomo retto.
Non hai tentato alcuna
scappatoia, né sottratto nulla al prezzo che ti ho imposto. Potevi conservare
solo per te le memorie più dolorose, quelle più degradanti o che più fortemente
ti accusano, ma sento che non l’hai fatto, per quanto ciò ti sia costato e anche
se ti sarebbe stato facile cedere alla
tentazione.
Questa è onestà, che tu
ci creda o no, ragazzo.
La luce che speravo è
ancora là, devi solo lasciarla uscire ad illuminarti il
cammino.
E non sarà un sentiero
facile, Severus, mi dispiace. Non posso permettermi eccessiva
pietà.
Non posso per il tuo bene
e perché sei un dono per me, un inaspettato regalo del fato che sarebbe peccato
sprecare per sentimentalismo.
Tornò a fissare il mago
bruno che aveva alzato a sua volta gli occhi velati e traboccanti di sofferenza
verso di lui, come a rivolgergli un’ulteriore muta
preghiera.
Non soffermò la sua
attenzione sulle iridi d’onice incrinate dal rimorso, ma volontariamente andò
oltre, cercando l’ultima conferma, solo per scrupolo, anche se non reputava di
averne realmente bisogno.
S’immerse nelle
profondità della mente sconvolta del giovane, e sorrise dolcemente nel trovarla
spalancata, senza alcun tentativo o volontà di difesa e nello scorgervi subito
il chiarore desiderato. Severus Piton ancora non poteva vederla, quella
scintilla che era sentore di un’anima lisa, ma ancora viva e tenacemente
desiderosa di riscatto, però al vecchio apparve perfettamente nitida e non ebbe
bisogno d’altro.
Ripose rapido il catino
istoriato e fece comparire un calice di cristallo, ricolmo di un liquido scuro
dal forte aroma d’erbe e alcool, ficcandolo a forza tra le dita contratte
dell’altro mago.
“E’ finita, ragazzo. Ora
bevi questo, ne hai bisogno e ti aiuterà a calmarti” – lo invitò,
paterno.
Severus lo fissava
stupito.
“Come può trattarmi con
gentilezza?” – sussurrò sfinito e incredulo – “Ha visto cosa sono. Ha visto!...
“.
Silente non smise di
sorridergli e allungò le mani a circondare le sue, troppo incerte, perché non
lasciasse cadere il bicchiere.
Sostenendole, gli fece
avvicinare il calice alle labbra e lo costrinse a
bere.
“Calmati, ora” – ripeté
pacato – “Calmati”.
Hai ancora una
confessione in serbo, lo so, e ti ci vorrà altro coraggio,
Severus.
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Capitolo 4 *** Parte seconda: Un terribile errore. - 2. Godric's Hollow. ***
Grazie a tutte per i
commenti.
Grazie a Kagome: Ma non piangere troppo che se
no mi sento in colpa.
Grazie a Francesca (ci si rivede ^___^): Quanto
alla disperazione del giovane Severus, rapportata all’astio per James, bè anche
nei libri è così. Nel primo libro Silente dice che Piton soffrì molto nel venir
salvato proprio da James e non poter far nulla per ricambiare, dato il
particolare legame magico che si crea con chi ti salva la vita. Un misto
esplosivo di necessità di rendere quanto ricevuto e odio per chi lo maltrattava.
Silente dice che infatti Piton cercò di ricambiare salvando Harry, per poi poter
tornare a detestare James in pace, senza pesi sullo stomaco. Figuriamoci la
situazione oggi che dopo il sesto libro sappiamo che Piton riteneva la morte dei
Potter una sua colpa. Inoltre, lo dice ancora una volta Silente: per Piton la
morte dei Potter fu il più grande dei rimpianti di tutta una vita. Io ho solo
provato a dar voce a quello che poteva sottostare alle parole di Silente a Harry
("Non hai idea del rimorso che provò il
professor Piton quando capì come Lord Voldemort aveva interpretato la profezia,
Harry. Credo che sia il rimpianto più grande della sua vita e la ragione per cui
tornò... "). Poi… vedrai che questo specifico Piton ha i suoi ottimi
motivi per disperarsi tanto ^_-
Quanto al concorso, ti ringrazio, ma
ritengo che tutte le storie partecipanti, compresa la tua, fossero ottimi
concorrenti.
Grazie ad Akire (eccone un’altra che ho piacere
di ritrovare dopo “Sorvegliato” ^__^): Non potevi farmi complimenti più belli.
Specialmente per quanto riguarda la reazione di Silente, che, lo confesso, è una
delle cose che più amo di tutto il racconto ed è venuta da sé, spontanea, come
se Albus si scrivesse da solo. Sei riuscita, come sempre, a farmi
arrossire.
Sperando che il nuovo capitolo ed il
resto del racconto non vi deludano, a tutti buona
lettura.
Nykyo
Severus
Piton non sentì nemmeno il sonoro schiocco con cui Silente si materializzò nella
radura del boschetto che dall’alto guardava Godric’s
Hollow.
Non si
accorse, nella sua disperata furia, che lo portava a camminare convulsamente
avanti e indietro lungo il piccolo spazio erboso, che il Preside era arrivato e
lo stava osservando con un misto di dispiacere, preoccupazione ed urgenza negli
occhi chiarissimi.
Severus,
Severus… che maschera contratta è diventato il tuo
viso…
Mi dispiace
ragazzo, vorrei poterti dire solo questo: sono profondamente addolorato per te,
quanto lo sono per i Potter, so quanto tenevi a che non accadesse loro nulla di
male.
Invece, per
prima cosa devo sapere. La causa prima di tutto, Severus. Non vale solo per te,
è anche la mia priorità.
“Severus,
eccomi” – furono le sue prime parole – “Sono corso appena ho potuto. Devi
raccontarmi tutto, ogni minimo particolare. E’
importante”.
Il giovane
mago si voltò all’istante. Il viso sconvolto quanto un campo di battaglia, i
pugni serrati, ciocche corvine scompigliate a coprirgli in parte gli occhi,
mentre Silente pensava che era felice di non poter scrutare davvero quei due
profondissimi pozzi colmi di dolore.
Appena ha
potuto? Troppo tardi. E’ dannatamente troppo tardi,
ormai!
Non ho fatto
che sperare e sperare che lei arrivasse in tempo per fermarlo, ma è tardi
adesso. E’ finita.
Tutta la
compostezza ed il rigido controllo che il giovane aveva imparato da che era
divenuto una spia, e che in parte gli erano connaturati, erano svaniti, spazzati
via da sentimenti diversi, tutti amarissimi. Il Preside poteva intuirne il
ribollire nel ghiaietto infuocato delle iridi
scure.
“Lei mi
aveva assicurato che erano al sicuro!” – gli gridò contro Piton, odiando anche
lui, per un momento – “Che non sarebbe accaduto nulla di male ai Potter… che ci
avrebbe pensato personalmente. Invece, sono morti, morti,
morti!”.
Un’esplosione d’ira e rancore incontrollato che fece fremere la
punta della bacchetta, serrata tanto strettamente nella mano destra del mago da
sembrarne ormai un mero prolungamento.
Scintille
rosse sprizzarono nell’aria, sfrigolando nell’incontrare la barba candida di
Silente che aveva fatto un passo avanti ad affrontare il giovane uomo disperato,
con un’espressione di seria e dolente comprensione sul
viso.
“Hai
ragione” – ammise, sospirando – “Eppure, sono umano anche io, Severus, anche io
posso sbagliare. Questo è un errore che non ho ancora compreso a fondo, ma che
certo non smetterò mai di rimproverarmi”.
Lei non smetterà mai di
rimproverarselo… – pensò il
mago bruno amaramente – E io? Io cosa
dovrei dire? Dannazione, no, non è colpa sua, è mia la responsabilità. E’ prima
di tutto colpa mia: io ho rivelato quella maledetta Profezia, io ero lì con lui,
quando è successo. Io… non mi sono mai odiato così
tanto!
Tuttavia, la
consapevolezza di non avercela realmente con il Preside ebbe l’effetto di
calmarlo almeno quel tanto che bastava a riprendere un certo controllo di
sé.
Il vecchio
lo comprese – Bene, ragazzo. Ora
parliamo.
“Per favore,
Severus, dimmi esattamente cosa è successo” – domandò
nuovamente.
Piton chinò
il capo ed emise un profondo sospiro, prima di rispondere – “E’ stato tutto così
veloce. Così confuso… “.
“Dall’inizio, Severus, per favore” – lo esortò con gentile premura
il vecchio.
Le labbra
esili si riaprirono, mentre la mente si sforzava di riordinare il caos che
l’aveva invasa – “Lui ha voluto portarmi con sé. Diceva che era… dannazione, una
sorta di premio perché ero stato io a rivelargli la Profezia. Un premio, si
rende conto?” – ancora un piccolo rabbioso cedimento del suo autocontrollo, solo
per un istante.
Poi proseguì –
“Allora ho usato lo specchio per la prima volta, per avvisarla del
pericolo. Ma non potevo crederci. C’era l’Incanto Fidelius
sulla casa, me l’aveva detto lei, mi ripetevo che era impossibile entrare. Però,
Lui si è fermato a parlare con qualcuno che ci aspettava già qui a Godric’s
Hollow”.
Un’ altra
pausa, dopo la quale, prevenendo la domanda del Preside, disse in tono furioso e
desolato – “Non lo so chi era. Non lo so, non lo so. Darei qualunque cosa per
scoprirlo. Doveva essere il Custode Segreto. Chi altro poteva essere? Dopo che
se ne è andato, la casa dei Potter è ricomparsa, anche io ero in grado di
vederla. Solo il Custode poteva… ma non l’ho visto, l’Oscuro Signore non ha
voluto che mi avvicinassi, ho a mala pena scorto
un’ombra”.
Se solo
sapessi chi era… come vorrei poterlo avere dinnanzi alla punta della mia
bacchetta. Lo odio, lo odio, li ha traditi. Mi ha strappato il
cuore.
“Lei sa chi
era? Lei deve saperlo, me lo dica. Era Black, vero? Devo conoscere quel nome!” –
una preghiera feroce e accorata.
Silente
scosse il capo - Non è tempo per questo
ragazzo, e, se anche lo fosse, non ti lascerò commettere follie. Non ti lascerò
mai più cadere.
E, in ogni
modo, anche se tu conoscessi il nome che chiedi, non faresti quel che ora ti
passa per la mente. Io lo so. Non lo faresti mai. Non lo uccideresti, qualunque
cosa tu senta di provare adesso.
Severus
comprese l’inutilità della propria domanda e lesse nello sguardo di Silente
l’impazienza del combattente.
Maledizione,
non m’importa più nulla della causa. Nulla è tutto finito;
tutto!
Però riprese
il racconto, anche se avrebbe voluto soltanto urlare fino a perdere il fiato e
distruggere ogni cosa attorno a sé.
Parlò,
perché aveva imparato a caro prezzo l’importanza del dovere e questo gli era
entrato nel sangue.
“Siamo
entrati. Avevo l’ordine di non intromettermi, di stare a guardare. Voleva fare
tutto Lui, personalmente. Per me doveva essere un onore, e un insegnamento sulla
sua potenza. Per quello mi ha portato con sé, gliel’ho detto” – un nuovo lungo e
doloroso sospiro, e proseguì concitatamente – “James Potter è caduto subito. Ha
tentato… io avrei voluto far qualcosa, ma non c’è stato il tempo. Poi abbiamo
salito le scale di corsa e lei… Lily… “
Gli si era
serrata la gola, dovette deglutire più volte per poter proseguire – “Lei si è
intromessa per difendere il bambino. Io non riuscivo quasi a muovermi, mi
sembrava solo un incubo lentissimo e insieme troppo veloce. L’Oscuro Signore le
ha detto che, se gli consegnava suo figlio e si toglieva di mezzo, non l’avrebbe
uccisa, ma poi è stato solo un istante, appena una manciata di secondi. Lei ha
gridato che non l’avrebbe mai fatto e l’ho vista cadere, prima ancora che
finisse la frase e poi… Lui stava già pronunciando un nuovo maleficio, contro il
bambino, e un momento dopo era svanito nel nulla. E il bambino era vivo,
invece…”.
Un lampo
acuto dietro la mezzaluna delle lenti e Silente domandò – “Com’è sparito,
Severus? Come, esattamente? Potrebbe essere di vitale
importanza”.
“Svanito” –
ripeté Piton, sforzandosi di scacciare la sofferenza del ricordare quei momenti
terribili per concentrarsi solo sul momento cruciale – “E’ stato come se… come
se si fosse disintegrato davanti ai miei occhi. Non come quando ci si
smaterializza. Ma non so spiegarlo meglio di così. Ero troppo confuso e
inorridito e poi c’è stato un forte boato e la casa ha tremato. Ho pensato che,
forse, a causa della potenza magica che si era sprigionata, quando lui è
svanito, la casa sarebbe potuta crollare e ho allungato d’istinto un braccio e
stringere la mano del bambino che strillava, per smaterializzarmi con lui. Dopo
è crollato tutto. Sono tornato tra le macerie e ho pensato immediatamente ad
usare di nuovo lo specchio. Lei mi ha detto di aspettarla qui, così ho lasciato
Harry Potter come mi ha chiesto e sono rimasto ad
attenderla”.
Silente
annui gravemente – “Capisco”.
“No che non
capisce” – gridò il giovane mago bruno, lasciandosi nuovamente andare – “Lei non
sa nulla. Sono stato un vigliacco, li ho entrambi sulla coscienza e non sono
altro che un codardo. A cosa è servito diventare una spia, lottare, sperare?
Sono sempre un assassino, non è cambiato nulla. Non cambierà mai nulla. Non è
vero che ho una seconda possibilità. Era solo
illusione”.
“Questo è
ingiusto, Severus” – rispose il vecchio, finalmente libero di pensare anche
all’uomo torturato che aveva dinnanzi – “Certo non ce lo perdoneremo mai, ma
abbiamo fatto tutto il possibile e il tuo lavoro come spia è stato comunque
importate. Hai salvato vite con le tue informazioni; hai fatto sì che efferati
Mangiamorte non potessero nuocere a nessuno, dandoci modo di fermarli. Di
sicuro, poi, hai dimostrato ampiamente di non essere affatto un
vigliacco”.
“Sì che lo
sono” – strillò Piton, con la gola in fiamme – “Un maledetto vigliacco. Lo sa
cos’ho pensato per tutto il tempo? Lo sa? Continuavo ad implorare l’Oscuro
Signore nella mia mente: Non far del male
a loro, ti prego, ti prego, è colpa mia, fai male a me invece.
Non riuscivo a smettere di pensarlo e non l’ho detto. Avrei dovuto, anche se
sarebbe stato inutile. Sarei dovuto morire con loro. Ma non ho pronunciato una
sola parola, ho perfino chiuso la mia mente, istintivamente, perché non potesse
leggerla… come se la dannatissima causa avesse avuto ancora importanza per me…
“.
Silente
scosse ostinatamente il capo – “No, Severus. Hai fatto solo il tuo dovere,
coraggiosamente, come sempre. Sacrificandoti e mettendo da parte ogni desiderio
personale. Non potevi certo immaginare che Voldemort sarebbe sparito e mandare
all’aria la tua copertura o farti uccidere non avrebbe reso un buon servigio
alla nostra causa. Hai solo fatto quel che era giusto fare. Non sei un
codardo”.
Qualunque
cosa possa dirsi di te, ragazzo mio, di sicuro non è che sei un
vigliacco.
Non dovresti
nemmeno pensarlo.
Eppure,
sento che questa accusa che muovi a te stesso ti ferirà a lungo e tornerà a
tormentarti ancora.
“Lei non
vuol capire” – sibilò il mago più giovane – “A lei interessa solo la causa. Ma i
Potter erano persone. Non vittime anonime, persone che conoscevo. E’ ancora più
orribile del solito. Odiavo James Potter con tutto il cuore, ma una volta mi ha
salvato la vita. Lei lo sa che tipo di debito ne consegue, lo sa benissimo.
Guardi come l’ho ripagato. Lo detestavo, ma non lo volevo
morto!”.
Ho odiato
poche persone quanto James Potter, ma non doveva finire così, non
doveva.
Non lasciò
al Preside il tempo di ribattere – “E Lily… lei era gentile con me, ai tempi
della scuola. Lei mi difendeva. Era così umiliante che finivo sempre con
l’insultarla pesantemente. Non volevo la sua pietà, però, non vede come ho
ripagato anche lei? Possibile che ancora non abbia capito? Lei non sa nulla,
nulla… Lily… ”.
Silente lo
osservò più attentamente. Era davvero stravolto. Le unghie avevano lacerato i
palmi delle mani e i capelli continuavano ad ondeggiargli sempre più scomposti
sul visto deturpato dal dolore, ad ogni movimento
angosciato.
Sospirò a
sua volta – Eri innamorato di lei? E’
questo, ragazzo mio? Sì. Avrei dovuto capirlo, ma io da tempo non sono avvezzo a
questo tipo di amore. Forse non l’ho mai provato davvero. Io amo prima di tutto
il mondo, Severus e appartengo a lui.
Ma tu amavi
una sola donna e hai dovuto assistere impotente, mentre moriva davanti ai tuoi
occhi.
Mi dispiace
infinitamente, anche se non te lo dirò, perché riuscirei solo a scatenare
ulteriormente la tua ira e ferirti più a
fondo.
No, non
chiamarti codardo. Ci vuol coraggio per compiere il proprio dovere anche a
discapito del proprio cuore.
“Hai agito
bene” – ripeté deciso – “Hai rispettato le tue consegne. E’ una guerra, Severus.
Sarei rimasto molto deluso da te se tu avessi fatto altrimenti. Ma tu non mi
deluderai mai, di questo sono certo”.
Che me ne
faccio delle sue certezze? Io non ho tanta sicurezza. A me non importa più di
nulla, vorrei solo morire, finalmente. Dimenticare quest’incubo senza fine. Ogni
singolo sbaglio, e soprattutto quest’ultimo errore atroce. Voglio solo
l’oblio.
Eppure, una
piccola parte della sua mente e del suo cuore dicevano che, nonostante tutto,
non avrebbe mai voluto deludere quel vecchio mago tanto insistente nel lottare
per salvare il mondo, ma anche capace di dimostrargli umanità quando meno se lo
aspettava e nel modo in cui per lui era più facile
accettarla.
Gli
ripetevano, che oltre le parole retoricamente vuote, lo sguardo che era fisso
nei suoi occhi esprimeva affetto, e, ancora una volta, stima; nonché una forte
preoccupazione per lui e vicinanza al suo
dolore.
Maledetto
vecchio ottimista e pazzo. Non lo vedi che è tutta follia? Il mondo è marcio e
io lo sono ancora più di lui, lo sarò per sempre. Lasciami andare, ormai è
finita.
Non resta
più nulla, nemmeno le lacrime. Perfino quelle mi hanno
abbandonato.
Formulò il
pensiero ad alta voce, con tono
di nuovo controllato, piatto, privo di vita – “Non importa più. E’ tutto finito,
non esiste più nemmeno un nemico contro cui combattere. Niente più guerra,
niente causa. Ho perduto la mia battaglia. Non sono più di nessuna utilità, né
per lei né per chiunque altro. Non ha più bisogno di me. Ora, mi lasci
andare”.
Andare dove,
ragazzo? A morire? Questo vuoi, lo porti scritto in viso. No. Non credo che sia
finita realmente e, se anche fosse, non voglio lasciarti scivolare via un’altra
volta tra le mie dita, sotto i miei occhi, per
sempre.
Non voglio,
a prescindere da tutto il resto. Non te lo lascerò mai fare, ragazzo mio. Non lo
permetterò perché sei tu, Severus.
Piton mosse
un passo in avanti, con decisione, pronto a lasciarsi ogni futuro dietro le
spalle, smaterializzandosi, ma Silente lo
fermò.
Lo sorprese
stringendolo con tutta la sua forza, serrandogli la vita, imprigionandogli le
braccia inerti lungo i fianchi in quello che non era esattamente un vero e
proprio abbraccio, ma nemmeno un semplice gesto di
costrizione.
“Tu non
andrai da nessuna parte, ragazzo!” – un tono nuovamente paternalistico e
imperioso, e per la prima volta, dal momento in cui l’aveva sollevato perché non
gli si prostrasse ai piedi, la parola ragazzo pronunciata in modo da
sottolineare l’infantilità del suo
comportamento.
Se ti
dicessi che non voglio perderti, Severus, perché ho imparato a volerti bene, non
funzionerebbe ora. E non sarebbe del tutto vero, non è solo questo, anche se
conta davvero più di ogni altra cosa per me in questo preciso
momento.
Ma, ancora
una volta ti rimetterò in piedi. Ti ridarò uno scopo, e non dovrò nemmeno
mentirti per farlo. Non ti ho mentito
mai.
Ti ridarò
una ragione per sopravvivere e sono sicuro che verrà il giorno in cui per ogni
caduta saprai rialzarti da solo. Allora sarai tu a non aver più bisogno di
me.
Spero che
verrà anche il giorno in cui vorrai vivere davvero, ma per ora mi basta che tu
ci sia.
“Da nessuna
parte hai capito?” – ripeté senza lasciare la presa, anche se non ce n’era
bisogno, perché il giovane mago si era come pietrificato fra le sue braccia
scarne.
“Non è
finita e io ho ancora bisogno di te” – affermò sicuro – “La guerra riprenderà un
giorno e una spia abile, come tu hai già dimostrato di essere, potrà fare
l’assoluta differenza tra chi la vincerà e chi sarà
sconfitto”.
“La guerra è
finita!” – gridò Severus, sbloccandosi e sottraendosi selvaggiamente alla presa
di Silente – “Finita! Lui è scomparso, morto. Non esiste più nessuna causa.
Basta! Mi lasci in pace”.
Perché lo
fa? Perché continua a trattenermi qui? Non ha bisogno di me, nessuno ha mai
avuto bisogno di me. Nessuno vuole accanto un
assassino.
Sorprendendolo ancora di più il vecchio stirò le spalle e si
massaggiò il collo, tirando indietro la testa, in un umanissimo gesto dettato
dalla stanchezza, prima di fissare di nuovo le iridi chiare nelle sue.
Poi disse,
lentamente – “Non è morto, Severus. Non credo che lo sia, anche se ancora non ho
capito esattamente cosa gli sia successo. Non ha più un corpo, questo è
evidente, ma per esser vivi non basta avere membra, così come per uccidere
davvero qualcuno a volte non è sufficiente sopprimere il guscio di carne che lo
rinchiude. No, un mago potente come Voldemort non muore tanto facilmente. Credi,
ad esempio, che sarebbe facile uccidere me? Tornerà e, quando questo accadrà,
noi dovremo essere desti e pronti, o realmente sarà la
fine”.
Il mago
bruno lo fissava attonito. Era quasi impossibile non credergli. Aveva palato con
tale sicurezza, come se tutta la sua profondissima esperienza fosse riversata in
ogni singola sillaba.
“Fammi
vedere il Marchio, Severus, per favore” – continuò, col medesimo tono, ma anche
con sottile gentilezza.
Piton gettò
nell’erba la bacchetta che non aveva mai cessato di stringere e armeggiò ansioso
con la manica fino a scoprirsi l’avambraccio. Il teschio dalla lingua di
serpente era ancora lì a prendersi, come sempre, gioco di lui.
Era meno
marcato e netto, come leggermente sbiadito, ma non era
scomparso.
Non se ne
andrà mai, mi rinfaccerà in eterno chi
sono.
Silente lo
distolse dai suoi rimorsi indicando il Marchio – “Vedi? C’è ancora. Questo non
prova con certezza assoluta che Voldemort è solo momentaneamente fuori gioco,
però è decisamente strano e sospetto. Sai bene che una magia normalmente
svanisce con la morte di chi l’ha praticata. Tanto più un incantesimo è legato
alla persona di chi l’ha pronunciato tanto più dovrebbe cessare con la sua
morte; solitamente è così. Voldemort ha inventato il Marchio e l’incantesimo di
richiamo che vi è legato. Ingegnoso metodo, che senza di te non avrei mai
scoperto. Un incantesimo e un simbolo che sono sua creazione dovrebbero seguire
la sua stessa sorte. Invece non è successo”.
Severus
sentì crescere un nuovo tipo di agitazione, che, momentaneamente, riuscì a
sopire la sofferenza, i rimorsi e il desiderio di cessare la propria esistenza –
E se avesse ragione il vecchio? Se
veramente l’Oscuro Signore non fosse morto? Se tornasse? Ricomincerebbe tutto da
capo. Ancora guerra, ancora morte e distruzione, sangue innocente versato e
tutto il mio dolore sarebbe veramente inutile, se Lui tornasse e non ci fossero
più ostacoli ad impedire la sua folle
ascesa.
Non voglio
che accada. Sarebbe come se Lily fosse morta invano.
Comprese
che, qualora Silente avesse previsto giusto, lui avrebbe voluto per sé la
possibilità di affrontare nuovamente il suo padrone di un tempo. L’opportunità
di pareggiare i conti, di impedirgli di nuocere
ancora.
Il Preside
gli sorrise. Già dalla prima sera in cui aveva deciso di fare di Severus Piton
la sua spia, non aveva più avuto bisogno di ricorrere alla legilimanzia per
leggere tra le fiamme nere dei suoi occhi. Del resto, sarebbe stato inutile,
perché col suo insegnamento il giovane mago era davvero diventato un ottimo
occlumante, e migliorava col passare del tempo. Non sarebbe potuto entrare nella
mente di Severus senza il suo permesso.
No, niente
intrusioni tra i tuoi pensieri, ragazzo. Non mi servono, so ugualmente che ce
l’ho fatta: non mollerai. Sei troppo tenace per darti per vinto. Tornerai con me
a Hogwarts; sano e salvo, nonostante tutto il dolore che
provi.
“Va bene” –
ammise Severus, in un soffio – “Le credo. Se dovesse tornare voglio
esserci”.
“Ci saremo,
insieme” – gli sorrise Silente – “E saremo preparati. Molto più di quanto non lo
siamo stati finora”.
“E il
bambino?” – domandò d’un tratto Severus, ricordandosi del piccolo Potter – “Che
ne sarà di lui?”.
Lo sguardo
del Preside si fece nuovamente più acuto, mentre rispondeva – “L’ha preso in
custodia Hagrid, è al sicuro. Ti prometto che questa volta me ne occuperò
davvero col massimo impegno. Devo riflettere a lungo sul piccolo Harry, anche se
credo di poter intuire cosa deve essere accaduto, per quanto sia qualcosa di
totalmente fuori dell’ordinario. Lo cresceranno i suoi parenti babbani, finchè
non avrà l’età per entrare a Hogwarts. Dopo di che, ci penseremo noi,
Severus”.
“Noi?” – le
labbra del giovane Piton avevano preso una piega amarissima – “Che cosa intende
esattamente per noi?”.
Silente si
fece serissimo – “Intendo dire che lo proteggeremo. Quando Voldemort tornerà,
perché lo farà, Harry sarà nuovamente in pericolo e tu per primo dovrai
prenderti cura della sua incolumità”.
Mille
pensieri vorticarono nella mente del mago più
giovane.
“Non… io non
credo di poter far nulla per Harry Potter” – replicò in un roco sussurro – “Non
dopo questa notte. Lui… non lo so… a parte tutto, non saprei mai come
comportarmi e il bambino è come un rimorso vivente per me…
“.
Come dovrei
comportarmi con lui? Come? I suoi genitori sono morti perché ho rivelato la
Profezia, anche se non sapevo… non potevo
sapere.
Lui è il
figlio di James. E’ il bambino di Lily. Il figlio di
Lily.
Maledizione,
mi scoppia la testa al solo pensarci.
Il vecchio
non si scompose – “Non importa come ti comporterai con lui, Severus. Questo
dipende solo da te, ma quel che conta veramente è la sicurezza di Harry. A me
basta che tu pensi a quella e di certo lo farai. Sono sicuro che, qualunque
sentimento il bambino ti susciti, tu vorrai badare a lui. Almeno non ti sentirò
più dire che non hai ripagato il tuo debito con suo padre. So che vorrai
proteggerlo al posto di Lily”.
Osservò le
iridi nere di Piton farsi lucide alle ultime parole e
annuì.
Ti prenderai
cura di lui. Lo farò anche io.
Spero solo
che non mi affezionerò al piccolo Harry tanto quanto ho finito per affezionarmi
a te, perché, se ho ragione, verranno momenti durissimi per lui e anche con lui
non potrò permettermi troppi cedimenti.
Ad ogni
modo, tu, Severus, ci sarai.
|
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Capitolo 5 *** Parte terza: Silente. - 1. Lui sta tornando. ***
Eccoci alle risposte e ai
ringraziamenti, prima di un nuovo capitolo.
Francesca:
Quella frase di Silente sta a significare che lui è sempre stato votato più al
bene comune che al singolo affetto. Io Silente lo immagino così, come un uomo
che ha sempre lottato per il bene del mondo intero e per questo almeno in
gioventù non ha mai avuto tempo, energie e spazio per dedicarsi ad un amore, o a
sentimenti per una sola persona. Ma poi la vita gli ha posto davanti persone –
Hagrid, Harry, lo stesso Piton – cui ha finito col legarsi più che ad altre (io
ci includerei anche Minerva, ma senza doppi sensi). Spero che ora ti sia più
chiaro. Ammetto che era un tema non facile da sviscerare così, senza aver modo
di svilupparlo meglio perché non essenziale ai fini della trama, ma non ho
resistito all’idea di introdurre, sia pur marginalmente, anche questa sfumatura
del Silente che ho in mente.
Quanto alla tua seconda domanda, dopo
un lungo salto temporale di anni (non potevo descrivere tutta la vita di
Severus, anche se mi sarebbe piaciuto ;D) ed un altro più breve il racconto
arriverà fino agli avvenimenti del 6° libro.
Ho scelto solo alcuni momenti,
avvenimenti salienti, che potessero rappresentare la “fiducia” che lega Silente
e Piton, come da titolo.
Sperò che il resto del racconto non
ti deluderà.
Kagome: Non è
tanto che Piton odi Harry (almeno in questo capitolo), è che non sa come
trattarlo, perché si sente in colpa. A volte il senso di colpa ci spinge a
comportarci in modo aggressivo, anzi che conciliante, perché ci fa soffrire e ci
spiazza.
Per il resto ti ringrazio e spero ti
piacerà il nuovo capitolo.
Buona
lettura.
Nykyo
Severus Piton varcò la
porta dello studio del Preside con il solito passo rapido e
sicuro.
Silente alzò la testa da
una pergamena fitta d’annotazioni sull’orario scolastico, vergata nella precisa
calligrafia di Minerva McGranitt, e salutò cordiale – “Buon giorno, Severus. Più
mattiniero che mai oggi. Pensavo che ti avrei trovato di sotto al tavolo della
colazione, fra una mezz’ora”.
Il mago bruno rispose al
saluto solo con un cenno del capo e si avvicinò, fin quasi a sfiorare il bordo
della scrivania con la veste. Poi, in tono assolutamente controllato, affermò
convinto – “Non è una buona giornata. Lui sta tornando. Ne sono
sicuro”.
Il solito guizzo nei
chiari occhi dell’alto mago canuto gli fece comprendere che aveva tutta la sua
attenzione. L’attenzione del combattente.
Severus si sbottonò i
polsini di casacca e camicia, senza mostrare la minima esitazione, né ansia, e
sollevò la stoffa fino a scoprire l’avambraccio
sinistro.
Il Marchio Nero,
prestando fede al suo nome, spiccava scuro sulla pelle pallida del Professore di
Pozioni.
“Si è fatto più nitido” –
constatò Silente, anche lui con la massima calma, ma con sguardo sempre più
attento.
Piton tese in avanti il
braccio perché il vecchio potesse osservare meglio, mentre quello si risistemava
gli occhialini sul naso.
Infine, disse asciutto –
“Non è mai stato così nitido prima d’ora, dal giorno in cui Lui scomparve. Se
continua così si farà ancora più netto, fino a tornare com’era quando fu
impresso”.
Ne sono certo, perché
negli ultimi quattordici anni non ho fatto che guardarlo, tante di quelle volte
da aver perso il conto, pronto a registrare il minimo
cambiamento.
Era quasi scomparso, adesso sembra quasi che
io sia stato marchiato di recente – una lieve smorfia di disgusto, subito
scacciata.
Silente annuì, muovendo
le labbra in dentro e poi in fuori, come se stesse
rimuginando.
Sta tornando, maledizione! Sta tornando
davvero. – ma nulla nel
contegno di Piton dimostrava quanto questo pensiero era una
sofferenza.
“Se tu nei sei sicuro,
Severus, io non ho dubbi che sia così” – rispose, apparentemente tranquillo, il
vecchio - “Dunque, alla fine, il momento è venuto. In fondo, ce l'aspettavamo.
Sappiamo cosa fare, non siamo del tutto impreparati, ragazzo mio, anche se non
conosciamo ancora il metodo che sta usando ed il momento esatto in cui
accadrà”.
Le labbra sottili di
Severus s’incresparono appena, mentre le fiamme nei suoi occhi si ravvivavano,
prima che replicasse con voce roca – “No, non siamo del tutto impreparati.
Sappiamo cosa fare, quando si presenterà
l’occasione”.
Io so cosa devo fare.
Tornare nell’incubo, ecco cosa. Tornare nell’oscurità, per combatterla
dall’interno. Lo so da quindici anni, ormai.
Non c’è nulla che
desideri meno, ma lo farò.
Appena un sospiro, mentre
rifletteva quanto il suo animo fosse scisso tra due ansie opposte, entrambe
estremamente pressanti.
Non c’è nulla che
desideri di più che compiere questo dovere.
Silente lo osservò di
sottecchi come suo solito.
Quanto sei cambiato,
ragazzo mio. Sei davvero un uomo, ormai.
Hai fatto dei lati più
spigolosi del tuo carattere di ragazzino una scorza, una corazza contro il mondo
e hai chiuso fuori dal tuo petto tante di quelle speranze ed
emozioni.
Eppure, ti conosco, in
realtà non sei mutato del tutto, anche se dopo la notte in cui morirono i Potter
qualcosa si è infranto dentro di te. Eri più vivo allora, ma sei sempre tu.
Hai imparato a
controllarti a meraviglia, Severus. Tu non sei soltanto uno dei migliori
occlumanti del mondo magico, ormai di molto superiore anche a me; tu sei l’unica
persona che conosco che è riuscita a fare anche del proprio corpo, dei propri
gesti, del tono della voce un perfetto schermo su cui proiettare solo ciò che
vuoi mostrare agli altri. Sei più che mai la spia
perfetta.
Ma sei sempre te stesso.
Io lo so, e tu, nonostante tutto, comprendi che ne sono
consapevole.
Lo vedo ancora il giovane
ragazzo terrorizzato all’idea di tornare da Voldemort. Non lo scorgo con gli
occhi della memoria, ce l’ho proprio davanti.
Lo so che fa ancora paura
come allora, che fa ancora male come allora, e forse, perfino di più, dopo tutti
questi anni lontano dall’orrore.
Però farai il tuo dovere,
come sempre.
Perché, in fondo,
Severus, anche quel ventenne spaventato e tremante era già l’uomo che sei
diventato.
Anche lui, per quanto
sconvolto e incapace di nasconderlo, aveva il coraggio di affrontare i suoi
incubi e la volontà di combatterli.
No, non siamo del tutto
impreparati, mia spia perfetta, mio fidatissimo amico, ragazzo
mio.
Piton spezzò il silenzio,
atono – “Volevo che lei lo sapesse subito, ma non credo che per oggi dobbiamo
preoccuparcene oltre. Dunque, ci vedremo a colazione, ora ho da sistemare alcune
cose per la prima ora di lezione. A dopo”.
E con lo stesso passo
sicuro con cui era entrato lasciò la stanza, mentre il Preside, dopo un’ultima
occhiata alle sue spalle spigolose, rassicurato, tornava a consultare la
pergamena che la McGranitt attendeva controfirmata.
“Sta tornando... anche
quello di Karkaroff... più forte e nitido che mai... “ – anche questa volta, il mago bruno aveva parlato con sicurezza,
la voce solo un po’ più roca e bassa del solito, mentre mostrava nuovamente il
Marchio Nero al Preside.
“E non è solo questo, non
è solo tornato a farsi più scuro e marcato” – proseguì, sempre sullo stesso
tono, il mago bruno – “E’ il dolore, come le avevo già detto. A volte solo
piccole fitte. Quelle non sono mai mancate; sono uno dei motivi per cui, anche
prima della vicenda di Raptor, mi ero convinto che Lui sarebbe tornato. Ma
ultimamente, brucia quasi nello stesso modo in cui ardeva quando l’Oscuro
Signore ci convocava a sé. Non è esattamente la stessa cosa, ma è molto simile.
Troppo. E a volte dura per ore. Non era mai accaduto prima. Sono certo che Lui
non è mai stato tanto potente quanto ora, da che
svanì”.
Silente si lisciò la
lunga barba bianca, alzando gli occhi a cercare quelli di
Piton.
Non ci sarebbe stato
bisogno di aggiungere niente altro, anche se, invece, parlarono a lungo, per
fare il punto della situazione e di ciò che poteva e doveva essere fatto
nell’immediatezza, tenuto conto che bisognava pensare anche al Torneo Tre Maghi
e agli ospiti arrivati dalle altre due scuole.
Discussero riguardo ad
Igor Karkaroff e alle protezioni della scuola, che era più saggio aumentare, pur
senza allarmare gli studenti.
Parlarono anche di Harry
Potter. “Credo che a Potter dovrebbe dirlo” – affermò Piton alla fine – “E’
meglio che sia preparato”.
Il Preside scosse
energicamente il capo – “No. Non penso che sia una buona idea, Severus. Non
ritengo che sia giusto farlo preoccupare prima del tempo. Non gli dirò nulla, a
meno che non sia lui stesso a parlarmene. Non mi stupirei troppo se la sua
cicatrice lo avvisasse che qualcosa non va… “.
No, ragazzo mio. Per ora
lasceremo in pace Harry.
E’ ancora così giovane, è
doloroso pensare che debba sempre sopportare simili pesi alla sua
età.
Credi che mi piaccia ogni
volta dover caricare gravosi fardelli sulle spalle degli altri?
No.
L’ho sempre fatto con te,
Severus, e spesso avrei voluto davvero evitarlo. Ma tu hai spalle molto larghe.
Anche Harry le ha, però è ancora fragile e tanto giovane rispetto a
te.
Per ora possiamo prendere
su di noi la preoccupazione dell’attesa.
Non credo che Harry sia
ancora pronto per sentirsi dire che Voldemort sta tornando
realmente.
Forse nemmeno tu sei
pronto quanto mostri di essere, o magari, chissà, sei perfino più preparato di
me, nonostante tutto…
Le labbra del Professore
di Pozioni curvarono in una smorfia che in parte era di disapprovazione, ma poi
sollevò le spalle e annuì.
“Forse è davvero meglio
non dirgli niente” – concesse a Silente, non senza una punta d’amaro nella voce
– “Potter sarebbe capace di cacciarsi volontariamente in guai ancora più grossi
se sapesse “.
Meglio lasciare che sia Voldemort a venire a
cercarlo, qui dove possiamo difenderlo – si disse per convincersi, ignorando il
sorriso che era comparso sul viso del Preside.
Tornarono ancora su un
paio di punti in sospeso e poi Piton fece per congedarsi, ma il vecchio lo
fermò.
“Severus… “ – per la
prima volta in tanti anni c’era un briciolo d’esitazione nella sua voce, anche
se riusciva a celarla quasi totalmente – “Quando Voldemort sarà davvero tornato…
tu sai… “.
Piton notò quel piccolo
tentennamento, anche se non lo diede a vedere.
Sono quasi quindici anni
che aspetto. Andrei ovunque tu volessi mandarmi Albus, ma in questo caso, non
hai bisogno di chiedere.
So cosa fare, e lo farei
comunque, di mia volontà.
Non ho più vent’anni, non
mi tremano più le ginocchia, anche se il pensiero di tornare a piegarle dinnanzi
all’Oscuro Signore è quasi insopportabile. E’ ancora intollerabile come
allora.
Ma ora so cosa voglio da
me stesso.
“Lo so!” – rispose secco
il mago più giovane – “L’ho sempre saputo. Non c’è necessità di
discuterne”.
Il suo mantello frustò
l’aria, mentre lasciava lo studio del Preside.
Anche questa volta
Silente fissò per un istante la sua schiena diritta e l’incedere sicuro con cui
si allontanava, ma, a differenza che nella precedente occasione, non ne fu per
nulla rasserenato.
No, non c’è bisogno di
discuterne. Non questa volta.
Non ci saranno suppliche,
questa volta; non dovrò essere io a mostrarti che hai coraggio a sufficienza per
andare da lui.
Sperò solo di avere la
forza bastante per non fermare i tuoi passi, quando ti vedrò tornare nel buio
senza esitare.
Sospirò e decise che non
sarebbe riuscito a dormire a sufficienza se avesse continuato a rimuginare su
quel che, con le parole e con lo sguardo, si erano appena detti.
Aveva bisogno di
riposare, con tutto ciò a cui doveva tener dietro in quei giorni frenetici, non
poteva permettersi di perdere lucidità a causa della
stanchezza.
Posò la punta della
bacchetta sulla tempia e ne estrasse il ricordo di quanto era appena accaduto,
come un lungo nastro d’argento. Lo fece cadere lentamente nel Pensatoio.
Guardando dentro la ciotola di pietra gli parve di rivedere per un attimo, nel
vorticare della sostanza che lo riempiva, il giovane Mangiamorte atterrito che
svelava ogni sua colpa.
Voltò le spalle e andò a
coricarsi: ora che la sua mente era stata privata dell’immagine di quella
schiena fiera che dimostrava tanto sprezzo per la morte, gli fu più facile
prendere sonno.
Troppo in fretta… è
accaduto tutto troppo in fretta…
Ha già un corpo, ha già
ucciso la sua prima nuova vittima. Ha quasi ucciso anche
Potter.
Potevamo fallire; siamo
stati ad un passo dal fallimento totale!
Nonostante tutti i piani,
nonostante l’attesa, Lui ce l’aveva quasi fatta,
dannazione.
Un’altra volta, come
quella notte a Godric’s Hollow; stava per vincere Lui, malgrado ogni nostro
sforzo e sacrificio.
Maledizione! No, no, no,
non posso permettergli di vincere questa dannatissima
guerra!
Odio, dolore, timore,
sollievo, senso d’impotenza, determinazione si mischiavano nella mente e nel
cuore di Severus Piton e si rispecchiavano perfettamente nello sguardo chiaro di
Albus Silente, anche se entrambi tentavano, con successo, di non mostrarli,
almeno agli occhi degli altri.
Piton soprattutto
continuò a mostrare solo disprezzo per Black, finchè quello non si fu
ritrasformato in un enorme cane nero per poi correr via. Mai avrebbe svelato la
minima incrinatura nella sua collaudata maschera in presenza di Harry Potter e
del suo padrino.
Non poteva mostrarsi
apertamente a Harry, né ci riusciva a causa del passato, e Sirius era pur sempre
Sirius.
Black poteva non essere
stato il Custode Segreto che aveva tradito i Potter, ma restavano i vecchi
rancori a dividerli. Piton aveva già piegato a sufficienza la sua indole
stringendogli la mano, solo ed esclusivamente perché era stato il vecchio a
domandarglielo. Poteva collaborare lealmente con Black, ma questo non avrebbe
mai cancellato la feroce antipatia e la mancanza di stima
reciproca.
Uno studente innocente è
morto ed è come se fosse accaduto sotto i nostri occhi. Come se ci fossimo
lasciati sfuggire la sua vita tra le dita.
E’ quasi un miracolo che
Harry sia ancora vivo e che non sia accaduto di
peggio.
Lo stai pensando anche
tu, Severus. So che è così.
Mi dispiace, ragazzo,
ancora una volta ho dato prova di essere fallibile. No, non sono stato in grado
di mantenere fino in fondo le mie promesse. Poteva essere un
disastro.
Poteva essere la
fine…
Ma siamo ancora in gioco,
Severus. La partita vera inizia adesso.
Da ora in poi, non potrò
più deluderti così profondamente, perché adesso tocca a te. Sarai tu a fare la
differenza.
Sono certo che riuscirai,
ho piena fiducia in te e nelle tue capacità, ragazzo
mio.
“Severus” - disse Silente
rivolto a Piton – “sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei
in grado... “.
“Lo sono” - disse
Piton.
Era un po' più pallido
del solito e i suoi freddi occhi neri erano animati da uno strano
scintillio.
“Allora, buona fortuna” -
disse Silente, e con una traccia di preoccupazione sul viso guardò Piton
scomparire silenziosamente.
E così, Severus, ti sto
davvero rimandando nei tuoi incubi. Non vorresti, eppure sento che, questa
volta, anche se non te l’avessi chiesto, avresti comunque deciso di
andare.
L’ho visto nel nero dei
tuoi occhi; ormai li conosco bene. So quanto ti costa, ma anche quanto tu
desideri affrontare Voldemort, il tuo passato, le tue colpe e tutti gli errori
che hanno rischiato di vanificare ogni nostro
sforzo.
Davvero buona fortuna,
ragazzo mio.
Fa ciò che devi e poi
torna da me.
Devi tornare, per la
causa e per questo cuore che comincia ad essere troppo vecchio e
tenero.
Ho sopportato già
abbastanza spavento, delusione e lutto, almeno per
oggi.
Sono certo che ti rivedrò
presto – ma era una
sicurezza assai vacillante.
Scacciò dalla mente i
mille pensieri che avevano cominciato ad affollarla, nessuno dei quali era
minimamente consono al leader riconosciuto dell’Ordine della
Fenice.
Tutti si aspettavano da
lui conforto, partecipazione, ma anche freddezza, prontezza di spirito e
rassicurazione. Perciò, non poteva proprio permettersi di ascoltare quella voce
insistente che lo rimproverava dicendo – Potresti aver sbagliato ancora. L’ultimo
errore della giornata; una colpa terribile se lui non tornasse.
L’hai mandato incontro a
una morte certa, non tornerà mai più. Tu l’hai rimandato da Voldemort ed è
tardi, troppo tardi. Voldemort non tollererà un simile ritardo. Sarebbe dovuto
andare subito, appena il Marchio l’ha richiamato a
lui.
Non importa quanto sia
bravo a chiudere la sua mente e a fingere e mentire, né quanto sia coraggioso e
determinato; l’hai mandato a morire, perché Voldemort non gli darà nemmeno il
tempo di aprir bocca.
O, magari, lo ucciderà
proprio mentre si umilia ancora una volta dinnanzi a lui, e tu l’avrai sulla
coscienza, anche per la sua dignità calpestata.
E’ inutile che ti ripeti
che sei con lui perché pensi a lui; è da solo la fuori e sei stato tu a
sospingerlo nuovamente sull’orlo del baratro.
No, non poteva restare ad
ascoltare quella voce interiore. Non era permesso ad un condottiero di tenere ad
uno dei suoi uomini più che ad un altro.
Aveva già lasciato che il
sentimentalismo lo sviasse fino a far correre pericoli eccessivi a Harry, e uno
degli studenti era morto anche a causa di questi suoi tentennamenti. Con Severus
non poteva concedersi di lasciare spazio al cuore; non in una simile gravissima
emergenza.
Se l’avesse fatto, Piton
per primo gliel’avrebbe un domani rimproverato.
Severus ha scelto
consapevolmente, come sempre.
Non potevo non
domandarglielo, troppe vite sono in gioco, troppi valori vanno
preservati.
E’ una guerra, siamo
combattenti che compiono il loro dovere, sia lui che io. Siamo come due
scommettitori che conoscono perfettamente quanto sia alta la posta in
palio.
Chiuse momentaneamente
fuori dal proprio petto ogni preoccupazione non inerente al suo duplice ruolo di
Preside e capo dell’Ordine e salutò Harry.
I Diggory lo aspettavano
e, anche se sarebbe stato impossibile consolarli della terribile perdita subita,
lui doveva loro tutta la propria attenzione e
sollecitudine.
Severus
tornerà…
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