Ti piace respirare?

di UnLuckyStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra ballo, scuola e ragazzi bassi ***
Capitolo 2: *** La classica famiglia: unita e felice ***
Capitolo 3: *** La notte appartiene a tutti, ma soprattutto a noi ***
Capitolo 4: *** Dubbi e parole confuse ***
Capitolo 5: *** Un appuntamento, che è meglio chiamarlo 'uscita' ***
Capitolo 6: *** Piacevoli sorprese ***
Capitolo 7: *** Alberghi improvvisati ***
Capitolo 8: *** Giocando con la sorte, si perde sempre. O forse no. ***
Capitolo 9: *** Un assaggio di vita ***
Capitolo 10: *** Di notte il mondo è giusto perché sta dormendo ***
Capitolo 11: *** Io non sono asociale, la società è anti-me ***
Capitolo 12: *** Farò l'amore con il mare ***
Capitolo 13: *** Possiamo fare quello che vogliamo ***
Capitolo 14: *** Regole di buon vicinato ***
Capitolo 15: *** Sgamati in pieno ***
Capitolo 16: *** Come calamite ***
Capitolo 17: *** Errori, disegni e chiarimenti ***
Capitolo 18: *** Tanti auguri a me ***
Capitolo 19: *** Schiacciata sotto un peso non mio ***
Capitolo 20: *** Tutto si conclude - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Tra ballo, scuola e ragazzi bassi ***




T
ra ballo, scuola e ragazzi bassi


Potrei cominciare questa storia come fanno tante altre, con: "Era una fredda mattina di ottobre...".
E invece no. Al contrario, oggi è una mattina che spacca le pietre, per il sole che c'è. Il cielo è limpido, di un azzurro intenso, sporcato qua e là da qualche rada nuvoletta bianca, che ogni tanto ci fa il favore di ripararci dalla forte luce per qualche attimo. È una mattina particolarmente calda, tenendo conto che siamo solo a metà aprile, e questa cosa mi fotte il cervello, visti i pochi neuroni all’interno del mio cranio che si stanno lentamente surriscaldando. Cammino svelta, con il mio passo vagamente saltellante, percorrendo la strada per andare a scuola.
Quel triste edificio rosso mattone, con il cancello arrugginito e la vernice verde scrostata. Non poteva esistere scuola più brutta qui, a Torino, soprattutto dal punto di vista di una che è all'ultimo anno. Se potessi tornare indietro... non so, avrei scelto il classico, il socio-pedagogico. Di certo non avrei frequentato questa pseudo scuola, che si fa passare per un alberghiero di alto livello.
La verità è che fa schifo. Tutto fa schifo in questo posto. La strada, che non è nient'altro che una lunga serie di case addossate l'una all'altra, quasi a volersi soffocare a vicenda, svolta bruscamente verso sinistra proseguendo per un po', fino a sbucare nella piazza della chiesa. Taglio trasversalmente per attraversarla prima. La mia stupida borsa a tracolla, dentro la quale, con mia grande sorpresa, sono riuscita a far entrare la divisa di cucina e tutti i libri, ad ogni movimento sbatte contro il retro delle mie gambe, facendomi camminare più o meno come una gallina zoppa. La sposto quindi sul davanti, tenendola con la mancina per evitare che mi sia d’intralcio.

La piazza, come al solito a quest’ora del mattino, è praticamente vuota, fatta eccezione per qualche ciclista, un barbone e un gruppo di ragazzi che balla sulle note di quelle canzonette da discoteca che non hanno un vero e proprio significato, ma che vanno di moda solo per il ritmo allegro che stimola la voglia di muoversi.
In questo momento si sta dimenando un ragazzo dalla statura media, la pelle leggermente abbronzata, e un ammasso di capelli neri che si risolve per la maggior parte in un gran ciuffo che gli cade sugli occhi. Da così lontano e con il sole che mi acceca non posso appurare di che colore siano, ma di certo sono scuri. Ha una bocca stretta, con labbra spesse che si assottigliano non appena si incurvano in un sorriso. Non è particolarmente muscoloso, ma i suoi passi, accompagnati da ‘Inside out’ di Britney Spears, trasmettono forza ed energia, a differenza del suo sguardo che principalmente comunica: “Sono figo, so di esserlo, e so che tu lo sai”.
Vedo in lontananza una ragazza. Avrà sì e no sedici anni. Ha dei capelli biondi, sicuramente tinti, occhi paurosamente verdi, ed è vestita come una bambola: pantaloncini a metà coscia rosa confetto, una maglia a mezze maniche grigia con un fiocchetto rosa sul seno destro e delle ballerine bianche. Ma da dove è uscita questa?! Non ha niente a che vedere con me e come sono conciata. Oggi indosso una gonna nera a balze, che supera di poco il ginocchio, una maglia nera con una spallina calata e una fosforescente scritta fucsia che recita: "It's not only rock’n’roll, baby!". Lasciamo perdere i miei occhi, il cui colore castano è coperto da lenti a contatto colorate. Rosse. Sì, ho il coraggio di andare in giro con delle lenti a contatto rosse, trovate a poco prezzo su eBay. Mi rendo improvvisamente conto che sia io che lei ci siamo fermate ad osservarli.
Il ragazzo che ballava poco fa adesso lascia spazio ad un altro, battendogli il cinque e incoraggiandolo a dare del suo meglio. Quest'ultimo è decisamente più muscoloso, ha la pelle più candida e i capelli di un bel castano chiaro. Il viso è leggermente allungato, e all'orecchio destro sfoggia un orecchino nero. Lancio uno sguardo lì intorno per vedere se c'è qualcosa come un cappello rovesciato – o un estathé bucato per raccogliere gli spiccioli – e invece niente. Questo mi suggerisce che sono qui solo per fare gli esibizionisti e far vedere all'intero mondo quanto possono essere bravi a muoversi, come se li stesse attraversando una scarica di corrente elettrica.
Apro la borsa; afferro la custodia mezza rotta degli occhiali da sole e il cellulare, dando una sbirciata all'ora. Sono le otto e dodici, ma se voglio copiare i compiti di alimentazione e ripassare Egar è meglio che vada. Do' un'ultima, veloce occhiata ai ragazzi, appoggio i miei Ray-Ban tarocchi sul naso e ritorno sulla mia strada, uscendo di scena con la musica di 'Titanium' alle spalle. 
L’edificio della scuola, che a me risulta più come un carcere nazista, si presenta oscurato ai miei occhi a causa degli occhiali da sole. Varco il cancello trascinando i piedi sulla ghiaia rada, provocando quello che per me è un rumore piacevole. Percorro il viale fiancheggiato da entrambi i lati da una fila di pini, che emanano un odore talmente forte da costringermi a trattenere il respiro per qualche secondo. Mi guardo intorno cercando il viso di Esmeralda. Purtroppo posso solo osservare il basso livello in cui è caduta questa scuola. Qui e là nel cortile si osservano ragazzini del primo anno, ancora talmente esaltati all’idea di aver superato l’esame di terza media che si stanno fumando allegramente delle Diana, magari senza nemmeno aspirare completamente. E tu fai il figo fumandoti le Diana? Sprecherei volentieri una delle mie Malboro rosse solo per il gusto di vederli strozzarsi con il fumo, ma io non mi confondo con i poppanti.
Mi siedo sul muretto grigio accanto alla porta e mi accendo una sigaretta, osservando disgustata una coppietta che sta giocando ad acchiappa-lingua. Non appena il sapore del fumo mi impregna la bocca sento quel leggero languore allo stomaco sparire, colmando il vuoto della fame con quel sapore sporco, che presto mi metterà K.O. Sto cercando di dimagrire, e la mia dieta consiste nel mangiare giusto quando sento che è lo stomaco che sta cominciando a mangiare me... E non rompete il cazzo dicendomi che è sbagliato e che diventerò anoressica perché mi scartavetrereste solo i coglioni, e perdereste solo tempo.
Giro distrattamente lo sguardo quando vedo Esmeralda venire verso di me, concentrata a rollare una sigaretta. Ha i capelli neri colorati sulle punte da un rosso acceso. La pelle è bianca, smorta, puntellata di lentiggini sulle guance, nettamente in contrasto con gli occhi color caffè, incorniciati da pesanti occhiaie violacee che le danno l’aria di una drogata che non dorme da giorni, e forse è vero.
«Ciao, Fo'» dice senza staccare gli occhi dalla sigaretta e leccandone la carta sottile per chiuderla. 
Odio quando le persone mi chiamano ‘Fo’, ‘Fortu’, o in generale ‘Fortunata’. Il mio nome stona in maniera imbarazzante addosso ad una ragazza che di fortunato non ha assolutamente nulla, ed è per questo che mi faccio chiamare ‘Lucky’. È la stessa cosa, ma in inglese sembra assumere un significato diverso. 
«Ciao» rispondo con la voce bassa, arrochita dalle troppe sigarette, mentre gli stampo un bacio sulla guancia e fisso con disapprovazione l’anello che gli pende dal naso. 
Il punto è che non è uno di quegli orribili piercing fatti sulla narice, quelli che a me ormai risultano da bambine. No, questo è possibilmente peggio. È il classico piercing che si fa ai tori, appeso alla striscia di cartilagine che è tra le due narici. Non ci diciamo niente; lei si limita a tirare fuori dalla tasca un piccolo accendino verde e si accende la sigaretta, ispirando a fondo, fino a non poter più riempire i polmoni. 
«Hai visto quei ragazzi in piazza?» chiedo lanciando il filtro. 
«Sì, sì. Dei gran fighi, no? Sopratutto quello basso» risponde con tono piatto, contrastante con le sue parole di apprezzamento. 
«Troppo montati, secondo il mio modesto parere» commento stringendo gli occhi e cercando in giro le mie compagne. 
Io sono l’unica che abita qui vicino; tutte le altre prendono il pullman. Sarà per questo che la mattina hanno l’aspetto di un mucchio di zombie appena risorti dalla tomba. 
«Alice li conosce, o comunque conosce uno di loro. Magari ce li presenta» continua, senza alcuna espressione nella voce. 
«Sì, magari» la assecondo. 
Sposto la tracolla sulla spalla sinistra, liberando l’altra da quel peso gravante, ed entro un attimo prima che suoni la campanella. 
Il corridoio è bianco, o per meglio dire grigio, quel grigio sporco provocato da tutte le persone che vi si sono appoggiate nel corso degli anni. Non faccio neanche in tempo ad entrare che già avverto l’odore dei cornetti caldi e delle ciambelle provenire da dietro il bancone del bar. 
Il mio primo ostacolo la mattina è quello di avere abbastanza autocontrollo da non comprare nulla. Tiro dritto, battendo pesantemente i piedi sul pavimento ricoperto di mattonelle grigio scuro. Salgo la rampa di scale, la prima di tre, visto che – per la mia gioia – la mia classe è all’ultimo piano, e a noi studenti non è permesso usare l’ascensore. Nel girare, scorgo i visi delle mie amiche, tra cui spicca quello sorridente di Alice. Sin da questa distanza posso vedere i cuoricini stampati nei suoi occhi sognanti. Forse anche lei ha intravisto i suoi amichetti ballare come degli ossessi. Continuo a salire le scale fino ad arrivare al piano più alto. Entro nella seconda aula, con la porta di legno pitturata di bianco sul quale è appeso il cartello: “5°B: Benvenuti all’Inferno”. 
Entro e saluto i miei compagni con un cenno della mano, buttando lo zaino vicino al mio posto e accasciandomi a peso morto sulla sedia di plastica blu. Alla cattedra, a scrivere sul registro, c’è già la prof. di Egar, con i capelli unti e gli occhiali calati fino alla punta del naso. Alza gli occhi dal suo meticoloso lavoro e mi lancia uno sguardo irritato, che io ricambio con un’occhiata di sufficienza, mentre incrocio le braccia al petto. La giornata si presenta pesante.

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Non so come spiegare la meravigliosa sensazione che scaturisce in me all’udire il suono della campanella che decreta la fine delle lezioni. Sebbene sia identica a quella che ne segna l’inizio, quella dell’ultima ora ha un suono più dolce, soave, che nemmeno la più bella sinfonia riesce a suscitare in me le stesse piacevoli emozioni. Afferro la mia borsa viola, pronta già da un quarto d’ora, ed esco dalla classe fiancheggiata da Esme, Alice, Federica e Debora. Purtroppo, nella nostra classe di ben ventitré persone ci sono solo cinque femmine.
Supero la porta d’ingresso, uscendo all’aria aperta, che già odora di tabacco ed erba. Prendo una sigaretta e l’accendo; le altre fanno lo stesso, mentre ci incamminiamo verso la piazza della chiesa. O almeno, io sono diretta lì, le altre devono andare alla fermata. Camminiamo avvolte da una nuvola di fumo; ci scambiamo solo qualche parola. Non siamo ragazze che amano parlare allo sfinimento, specialmente quando non c’è niente da dire. Arriviamo ad un vicolo, troppo stretto per camminare tutte l’una affianco all’altra. Le altre, quindi, si spostano dietro di me; solo Alice rimane al mio fianco. Oggi ha i capelli color miele raccolti in una crocchia bassa, da cui spuntano dei ciuffi lisci. I suoi occhi sono cangianti: non hanno un colore preciso, ma in questo momento sono verde acido. Indossa una maglia bianca, con la semplice scritta: “I love me more”, dei jeans neri a sigaretta e delle Adidas bianche. È incredibilmente bella. Le sue labbra, poco più rosate del resto del viso, sono sempre incurvate in un sorriso perfetto che dà alla sua faccia tonda un aspetto gioviale.

«Lucky, se c’è ancora, ti presento un mio amico» dice, guardandomi sorridente, un attimo prima di spegnere il mozzicone di una delle sue Winston contro la parete gialla di una casa, lasciandovi un segno nero.
«Sì, va bene»
Le persone che si aspettano da me un commento esaudente ad ogni cosa rimarranno molto deluse. Ormai le mie compagne ci hanno fatto l’abitudine, ma le persone esterne, quelle che non conoscono una sega di me, confondono la mia semplice voglia di godermi il silenzio con l’idea che io mi senta superiore. Ma non ho nessuna intenzione di cambiare solo per farmi sembrare più amichevole agli occhi insulsi degli altri. Preferisco avere pochi amici, ma che sono amici veri, piuttosto che averne tanti che aspettano solo un mio momento di debolezza per piantarmi un coltello in mezzo alla schiena. In poco tempo siamo in quello spazio circolare delimitato da panchine, in cui tutti abbiamo avuto occasione di vedere quei ragazzi esibirsi. Sono ancora lì, ma adesso, a far vedere la sua bravura, c’è un ragazzo un po’ basso, dagli occhi intelligenti un po’ a palla e una barbetta incolta. Ha i capelli rasati ai lati, che si risolvono in una piccola cresta centrale. Seppur sia di piccola statura, è capace di fare salti strabilianti sulle note di ‘Fix you’ dei Coldplay. Mentre finisce di ballare per lasciare spazio a qualcun altro, sento i brividi percorrermi ovunque per i suoi movimenti fluidi ma energici allo stesso tempo. 
«Ciao!» esclama Alice, tutta contenta, non appena lui smette di muoversi. 
Nonostante sia sudaticcio, lei gli butta le braccia al collo e lo stringe, cosa che fa anche lui a sua volta. 
«Ciao piccolina» risponde, dandogli un bacio sulla fronte. 
«Ti ricordo che sono più grande di te!» ribatte lei, dandogli un buffetto. 
No, aspettate, riavvolgete il nastro. Alice è più grande di lui? Lei ha diciotto anni, io diciannove e, vista la mia bocciatura dell’anno scorso, ci siamo ritrovate nella stessa classe. Ma questo significa che quel nanetto ha… diciassette, sedici anni? 
«Fo’, lui è Emanuele» annuncia facendomi un cenno. 
«Piacere Ema» dico battendogli il cinque, come lui aspettava che facessi. 
«Fo'? Che nome è?» chiede lui, spostando lo sguardo da me ad Alice. 
«Mi chiamo Fortunata, ma chiamami Lucky, se non vuoi farmi diventare una bestia» rispondo, lanciando occhiate di fuoco verso la mia ‘cara’ amica. 
«Va bene, Lucky. Vieni, un’amica di Alice è anche amica mia. Vuoi conoscere gli altri?»
Non attende nemmeno la mia risposta e mi prende per il braccio, trascinandomi verso gli altri ragazzi. Ma chi cavolo gli dà tutta questa confidenza? 
«Io vado. Ciao!» esclama Alice alle nostre spalle. 
Si solleva un coro di ‘Ciao, Al’ e in un attimo mi ritrovo sola con quelli che per me sono degli sconosciuti. 
Ali, è meglio se non vieni domani a scuola, perché potrei ammazzarti.

 

Il tempo di una sigaretta:
Bene bene... Ciao a tutte!
Finalmente il capitolo infinito è terminato. So di essermi dilungata molto, ma a me piace leggere le storie che hanno capitoli  un po' lunghi. Ho scritto questa storia perchè sono stanca di leggere quelle ff in cui la vita di tutti è dannatamente perfetta (lo dico senza chiamare in causa nessuno, ovviamente ;)), quindi ho deciso di scrivere qualcosa che possa avvicinarsi un po' alla vita reale di una ragazza che non accetta se stessa. Se avete apprezzato questo tentativo di storia, vi prego di recensire. Se avete consigli da darmi sul mio modo di scrivere, datemeli. Sono pronta a tutto. Ringrazio chi leggerà, anche senza recensire.
#BaciBaci, UnLuckyStar.
P.s. A chi interessa, cercatemi su Twitter: @Un_Lucky_Star

 


PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 2
*** La classica famiglia: unita e felice ***




L
a classica famiglia: unita e felice


«Ragazzi, questa è Fortunata, ma chiamatela Lucky, altrimenti ci mangia tutti quanti» dice Emanuele in tono gentile, ma con un po’ di presa in giro, facendo scaturire un’ondata di risatine. Anche se il fatto che mi è stato presentato da nemmeno un minuto e già si senti in diritto di prendermi in giro, mi fa leggermente irritare, ma non dico nulla. Rimango con le braccia a penzoloni, non accenno nemmeno a un sorriso. Tengo lo sguardo ancorato a terra. In questo momento probabilmente risulto fredda e sgradevole, ma la realtà è che mi sento girare la testa. Vedo il pavimento bianco, striato di grigio e marrone, muoversi sotto ai miei piedi. Anzi, no. Sono io che mi sto muovendo su di esso. Sto barcollando leggermente, ma cerco di sembrare naturale, mentre appoggio una mano sulla spalla di Emanuele, per cercare un po’ di stabilità. Sento come una voragine nello stomaco e le labbra che mi formicolano come se stessero perdendo sensibilità. Accenno a un sorriso distratto, anche se ormai ho capito che è inutile fingere, visto che tutti mi guardano in modo strano. Non è la prima volta che ho questi princìpi di svenimento, so come affrontarli. Prendo dalla tasca un pacchetto di fruitella. Ne tiro fuori una caramella e guardo con disgusto quella cosa colorata, gommosa e ricoperta di zucchero. L’idea di doverla mangiare mi fa venire il voltastomaco, ma non ho scelta. L’infilo velocemente in bocca, socchiudendo gli occhi e premendola con la lingua, contro il palato, un attimo prima di inghiottirla. Ormai è fatta, sono costretta a far assorbire al mio corpo quei disgustosi grassi e zuccheri. Questo sapore dolce, crea uno stonato contrasto con l’aroma che mi aveva lasciato la sigaretta fumata poco fa. Alzo improvvisamente lo sguardo, facendo sobbalzare il ragazzo con l’orecchino, forse per il colore innaturale dei miei occhi, dato dalle lenti a contatto. Mi stacco da Emanuele, che fino ad ora si è lasciato usare come appiglio senza replicare di nulla, mi guarda solo con uno sguardo stranito e vagamente allarmato.
«Stai bene?» mi chiede infine.
«Oh sì, sì. A volte ho dei cali di zucchero, ma è tutto sotto controllo» dico mentendo spudoratamente e cercando di essere il più convincente possibile. Il punto è che non sono brava a dire bugie, ma infondo non lo conosco, e non sono esattamente affari suoi quale sia il motivo preciso per cui mi sento male.
«Hai gli occhi rossi e le labbra viola, a me sembra che ci sia poco di cui stare tranquilli» dice il ragazzo con il ciuffo, con un tono non esattamente cordiale.
«Beh, le persone cercano di farsi ricordare, ognuno a modo loro. C’è chi fa l’idiota, e chi si sente male» rispondo in modo tutt’altro che amichevole.
Ci scambiamo una lunga occhiata. Nemmeno lo conosco, ma già non mi piace. Avete presente quando incontrate qualcuno e non vi serve intavolare una discussione per non sopportarlo, così, a pelle? Ecco, la sensazione è quella. Ha un’irritante aria da fighetto, dell’uomo vissuto, di quello che semplicemente non gli serve sentirsi dire di essere bello, per saperlo. Distolgo lo sguardo, su un punto non definito, per terra.

«Dai, dimenticate quello che è successo» dico infine, facendo un gesto con la mano, come per scacciare un cattivo pensiero.
«Okay. Allora… Loro sono Sebastiano…» dice indicando il ragazzo con l’orecchino.
«Alessandro…» riprende, puntando il dito verso quell’essere con il ciuffo.
«E Mattia» conclude riferendosi a un ragazzo dai capelli biondo cenere, rasati. E’ seduto per terra, con le cuffie infilare nelle orecchie, da cui si sentono distintamente le parole di ‘Somebody that I used to know’ di Gotye. Indossa degli occhiali da sole a specchio, quindi non posso sapere di che colore abbia gli occhi.
Sorrido a tutti. E’ un momento piuttosto imbarazzante, quello in cui non hai niente da dire a dei perfetti estranei, ma non ho voglia di tornare a casa, lì mi aspetterebbe solo il silenzio e mio padre con i suoi occhi assenti, che legge il giornale. Preferisco rimanere qui.

«Perché siete qui?» chiedo sedendomi e tenendomi il lembo della gonna con una mano, per evitare qualche inconveniente.
«Perché, non possiamo starci?» ribatte Alessandro.
«Mamma mia, Ale, come sei acido!» interviene Emanuele con tono comunque affettuoso. Ho sempre pensato che le persone basse fossero le migliori, e questo ragazzo ne è la conferma. Ha l’adorabile tic di mordersi il labbro inferiore, ma non di lato, come fanno alcuni ragazzi per risultare più sexy. No, lui se lo morde centralmente, come fanno i bambini. Adesso capisco perché Alice avesse i cuoricini stampati negli occhi. Risulta davvero difficile non trovarlo tenero dal primo momento.
Non c’è un’atmosfera tesa, ma nemmeno piacevole, grazie alla presenza di Alessandro. E’ fastidioso in ogni cosa che fa: è fastidioso quando si sistema i capelli, quando si lecca le labbra, quando mastica la gomma e quando si asciuga il sudore dalla fronte.
Improvvisamente le campane cominciano a suonare. Din don diiin.
Si fermano a tre rintocchi dandomi l’opportunità perfetta per dileguarmi con una scusa banale.

«Sono già le tre… E’ meglio se vado a casa. Grazie per avermi sopportata, magari ci rivedremo insieme alle altre. Ciao!» esclamo, alzandomi in maniera più naturale possibile e sistemandomi la tracolla su una spalla.
Tra tutti i “ciao” di risposta, afferro le parole “ciao Fortunata”, e non ho bisogno di vedere le labbra carnose di Alessandro, per sapere che è stato lui. Odioso. Non mi serve conoscerlo da una vita per odiarlo, infondo, ci siamo scambiati due parole nel giro di dieci minuti e già si è fatto spazio nella mia lista nera. In realtà, non ho una lista nera, ma ho letto in molti libri che le ragazze dicono così quando non sopportano qualcuno. Mentre mi incammino dalla parte opposta della piazza, sento la voce di un altro ragazzo, magari di Sebastiano, che rimprovera Alessandro per il suo comportamento da zitella inacidita. Sorrido compiaciuta, a quanto pare lui è l’unico che ha problemi con me, che fra l’altro non ho fatto nulla per innemicarmelo.  Mi infiltro nella stradina di case, che ormai conosco bene, e penso alla tristezza che trasmettono. Non sono di colori “fuori dall’ordinario”, come un verde chiaro o un rosa pallido. Sono tutte bianche, grigie o gialle, ma sperare in qualche cambiamento da queste parti, è come chiedere la moltiplicazione del pane e dei pesci ad un cane. Nel giro di pochi minuti apro il cancelletto grigio, che delimita il cortile della casa rossa in cui abito. Il giardino non è curato, non vi sono piantati girasoli, né rose, né tulipani. Vi sono solo erbacce, che mio padre ripromette sempre di sradicare, ma so che non lo farà mai, e per quanto mi interessa, in quella zolla di terra potrebbe anche piantarci marijuana per venderla al miglior offerente. Lo stretto percorso di pietra battuta, mi conduce fino alla porta. Prendo le chiavi dalla tasca esterna della borsa, infilandole nella toppa e girandola, facendo scattare la porta dall’interno. Entro e mi tolgo le scarpe, lasciandole lì, sul tappetino marrone.

«Papà, sono tornata.»
Non ricevo alcuna risposta, se non per un grugnito proveniente dalla cucina. Supero il corridoio di entrata e guardo verso la cucina, e come immaginavo, mio padre sta leggendo il giornale, con i suoi occhi acquosi, nascosti dietro ai suoi occhiali dalle lenti spesse. Quando dico “occhi acquosi” non intendo azzurri, e nemmeno grigi. In effetti, non c’entra nulla con il loro colore, ma semplicemente perché da quando mia madre è andata in un centro di recupero per tossicodipendenti, hanno perso la poca personalità che vi era rimasta, lavata via, lasciandovi solo uno sguardo assente e appannato. All’inizio provavo rabbia nei confronti di quella sua snervante apatia, ma adesso non posso far altro che provare pietà e un vago senso di tristezza nei suoi confronti.
«Dove sei stata fino ad ora?» domanda con voce burbera.
«Fuori» rispondo secca. Non ho voglia di dare spiegazioni per il mio ritardo, quindi batto in ritirata, in camera mia. Non è di certo la stanza più grande della casa, ma a me risulta enorme, soprattutto da quando non la occupo più con mio fratello Giacomo. Ha solo un anno più di me, e se n’è andato di casa da nemmeno un mese. Era immischiato in brutti giri, gli serviva cambiare aria.
Ogni tanto mi manda un messaggio, un’e-mail, per ricordarmi che è vivo e che mi pensa spesso. Lui è stato probabilmente la persona che ho amato di più nella vita, in lui era concentrato il mio migliore amico, il mio ragazzo, e per ultimo, mio fratello. Mi ricordo di quando avevo dieci, e tutte le mie amiche avevano un fidanzatino, reale o immaginario che fosse, e io mi sentivo strana, l’unica che non lo aveva. Fu allora che gli chiesi di diventare il mio ragazzo. Ovviamente non avevo idea che non fosse normale chiedere al proprio fratello di diventare il proprio fidanzato, ma non ero aggiornata su come funzionassero quel genere di cose. Rimasi comunque piacevolmente sorpresa quando lui mi strinse in un abbraccio e mi rispose di sì. Credo di aver cominciato ad “amarlo” da allora, e anche se lentamente mi sono resa conto che lui non era davvero il mio ragazzo, e che non avrebbe mai potuto esserlo, continuai a nutrire per lui una sorta di innamoramento. Ma il pezzo forte arriva quando circa un mese fa non è tornato a dormire a casa. Non era una cosa strana, e nemmeno troppo allarmante, fino a che il giorno dopo non mi ha inviato un sms con scritto che se n’era andato, e di stare tranquilli, perché lui stava bene. Ecco, quel messaggio di tre righe è stato capace di farmi crollare tutto addosso. Ho sempre avuto una certa ribellione verso le regole e la disciplina, lui era l’unico che riusciva a farmi desistere dal combinare cazzate. Da allora ho cominciato con le prime canne, le prime sbronze, le prime nottate fuori… E i primi pasti saltati. Ciò che più mi mandava in bestia era l’indifferenza di mio padre. Mi aspettava sveglio fino a notte fonda, sulla vecchia poltrona di pelle beige del salotto, ma non chiedeva alcuna spiegazione appena varcavo la porta di casa alle tre o alle quattro del mattino, di ritorno dal ‘Blackout’. Si limitava a bere un bicchiere d’acqua e ad andare a dormire, trascinando lentamente i piedi sul pavimento e farfugliando qualcosa di indistinto.
Tutti hanno la convinzione che sia l’odio l’opposto dell’amore, io invece credo che sia l’indifferenza, quando non ti frega proprio niente di qualcuno. Pensare a Giacomo mi ricorda di controllare i messaggi. Prendo il cellulare, che ho sepolto tra i libri e la divisa spiegazzata. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. L’attesa di un suo sms è snervante, ma al contempo piacevole. E’ sempre bella l’attesa di qualcosa che sai che ti renderà felice.
Apro il primo cassetto del comodino in legno, che è accanto al mio letto. Ne tiro fuori un cambio di biancheria intima ed esco dalla camera, andando in bagno.
Chiudo la porta a chiave alle mie spalle, per poi spogliarmi. Fisso la mia immagine riflessa nello specchio, con aria sconvolta. Il mio corpo non presenta nessun miglioramento, è rimasto il medesimo, se non in alcuni punti, non sia addirittura ingrassato. E’ una cosa impossibile, sono stata attenta nell’ultima settimana a mangiare poco, mi sono iscritta in palestra, ci vado tre volte a settimana, insomma, mi sono impegnata, ma a quanto pare non basta.
L’ansia mi assale. Apro il rubinetto dell’acqua e me ne butto un po’ in faccia, fregandomene della matita e del mascara. Che colino pure, ormai non ha senso fingere di essere carina. Mi volto e faccio scorrere la porta semitrasparente della doccia ed entro nella cabina, aprendo l’acqua dalla parte rossa. Un getto di acqua calda mi bagna i capelli, talmente bollente da sembrare fredda, al primo impatto, intorpidendomi tutto il corpo, donandomi una sensazione quasi piacevole, fino a che non sento la pelle pizzicarmi. Mi lavo, e ci metto molto tempo, come al solito, facendo scorrere a lungo l’acqua su di me. Mi piace stare lì nella doccia, magari a piangere senza rendermene conto. Non chiedetemi perché piango spesso, perché non lo so nemmeno io. Forse per la mia vita, per la piega che sta prendendo, magari per le persone che la popolano, o perché mi manca Giacomo e mia madre. Sono tutti ottimi motivi per piangere, ma non sono sicura che sia per uno di questi. Esco dalla doccia in una nuvola di vapore che sale al soffitto e appanna lo specchio. Non ce la faccio nemmeno a guardarmi, infilo semplicemente la biancheria, e faccio scattare la porta, aprendola e sgattaiolando in camera mia. Devo fare qualcosa, non posso continuare a ingrassare in maniera improponibile. Con riluttanza e un po’ di paura, apro il cassetto della scrivania davanti al mio letto e ne tiro fuori un pezzetto di carta riciclata azzurra e stropicciata, una biro nera a cui manca il tappo e un metro da sarta. E’ arrivato il momento del mio controllo settimanale. Srotolo il metro e metto in contatto la plastica fredda con il mio petto, che reagisce con un’ondata di brividi. “82 cm” è ciò che scrivo sul retro del foglio. Procedo nello stesso modo anche per addome, fianchi, coscia, polpaccio e avambraccio. Misuro scrupolosamente ogni parte del mio corpo, imprecando a bassa voce contro quei centimetri in più che non dovrebbero esserci. Rimango in piedi accanto al letto, seminuda e con quel foglio stretto tra le mani, mentre leggo quei numeri esorbitanti, con la paura di un confronto e trovare qualche numero aumentato. Per un attimo un’ondata di panico mi assale, e posso sentire la piacevole sensazione dell’adrenalina rilasciata nelle vene. Con uno scatto veloce e deciso, volto il foglio, scorrendo velocemente i numeri con lo sguardo. Petto: 81 cm, addome: 74 cm, fianchi: 82 cm, coscia: 47 cm, polpaccio 30 cm e avambraccio: 23 cm.
Giro ripetutamente il foglio da una parte e dall’altra, in modo da confrontare i numeri segnati una settimana prima, e quelli recenti dall’altro lato.
Alcune parti del mio corpo sono rimaste invariate come il petto, i fianchi e i polpacci, a differenza delle altre che sono sensibilmente diminuite di duo o tre centimetri. Tiro un sospiro di sollievo. Questi pezzetti di carta riciclata, che tengo ben conservati nel cassetto della scrivania, ormai sono l’unica cosa che mi fa tenere i piedi ancorati a terra, impedendomi di dare troppa importanza a quella voce interiore che mi dice che sono ingrassata, e i miei occhi malati che me lo provano.
Sento un’innata felicità partirmi dal petto, facendomi spuntare sulle labbra un sorriso appena accennato, volgo lo sguardo al cielo, quasi in segno di ringraziamento a quel “qualcuno” lassù, che ogni tanto fa il favore di ascoltare anche le mie preghiere. Sono felice, ma non completamente soddisfatta, forse perché non sono dimagrita molto e dappertutto, forse dovevo impegnarmi di più in palestra, forse dovevo mangiare di meno, o forse… No, troppi forse, e troppa ansia. Sembra che il mio cervello non sia più capace di spegnersi, e me lo dimostrano le notti insonni, in cui nel migliore dei casi riesco a dormire per cinque o sei ore filate. E’ stressante, faticoso, quasi doloroso alzarsi e tentare di tenere gli occhi aperti la mattina, più difficile da affrontare di una giornata di scuola. Ma di certo è meglio alzarsi e uscire, piuttosto che rimanere in casa con mio padre che brontola tutto il tempo, fino a che non lo chiama l’impresa di pulizie.
Mi passo una mano tra i capelli ancora bagnati, mi infilo la tuta grigia e blu della “Fila”, che mi sta tre volte, e mi infilo nel letto. Sono solo le 16:30, ma se vado al letto adesso, ho una scusa per non mangiare e ho la probabilità di dormire per più tempo e recuperare le energie che dovrò spendere per godermi questa fottuta vita. Chiudo gli occhi e non posso far altro che aspettare che il mio respiro diventi regolare e che la mia mente smetta di fare calcoli e fissare obbiettivi.



Il tempo di una sigaretta:
Okay ragazzi, non sono molto soddisfatta di questo capitolo perchè... Non so, sento che manca qualcosa... E' una mia impressione o è davvero così? Ditemelo per favore perchè ne esco matta.
Ringrazio tanto Freakyyep e rosegarden per ever recensito! Vi amo ;)
Ringrazio anche chi ha semplicemente letto, sono arrivata a 150 visite :D
Un bacione, 
UnLuckyStar
Twitter: @Un_Lucky_Star


PRESTAVOLTO:
 Alessandro 
 Alice 
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 3
*** La notte appartiene a tutti, ma soprattutto a noi ***




L
a notte appartiene a tutti, ma soprattutto a noi


Mi sveglio di soprassalto, con il respiro accelerato e gli occhi fuori dalle orbite, con in mente le immagini di quell’incubo, che scorrono veloci nella mia mente.
Okay, la verità è che non ho avuto nessun incubo spaventoso, e nemmeno risvegli traumatici, ma volevo provare a simulare uno di quei risvegli da film, dove le persone non sono capaci di svegliarsi spontaneamente o grazie a una sveglia. Alzo la testa, quel poco che basta per farci passare sotto il mio braccio, e ripasso mentalmente il mio programma per oggi. Allora… Mi alzerò, andrò a scuola, mi metterò d’accordo con le mie amiche per vederci in discoteca, tornerò a casa e mi preparerò, per poi uscire e tornare ad un orario non ben definito. Sì, insomma, il solito programma del sabato. Ciò che mi impedisce di uccidere qualcuno durante la settimana, è l’idea di arrivare al sabato e godermelo come meglio credo. Ognuno lo passa come vuole: la ragazzine stanno chiuse in casa a vedere “Amici”, gli adulti guardano un bel film d’amore abbracciati sul divano, i vecchietti vanno a letto alle nove… E poi c’è quella categoria di persone composta dalle diciannovenni che hanno degli amici e una vita sociale, che decidono di consacrare questo determinato giorno al giro delle discoteche e dei pub della zona. Forse dire “giro” è esagerato, visto che qui nei dintorni ci sono solo due discoteche e tre o quattro pub, ma noi ci accontentiamo di qualsiasi posto possa offrirci un po’ di musica e dell’alcool. Non sono la tipica ragazza camionista, che beve birra tutti i giorni, ma il sabato, per noi, è stato concepito per sperimentare cocktail elaborati e drink particolari, di cui il giorno dopo non ricorderemo neanche il sapore. Scosto le coperte e poggio i piedi a terra, mettendomi a sedere e specchiandomi nel vetro della finestra davanti a me. Il mio aspetto è in condizioni pietose: i capelli sono arruffati e pieni di nodi, le occhiaie più viola e più profonde del solito, senza parlare del mio colorito smorto. Sembro quasi la gemella, venuta male, di Esmeralda. Mi manca solo un orrendo anello al naso e una sigaretta rollata con il tabacco della Chesterfield. Mi alzo dal letto barcollando e tenendo una mano appoggiata alla parete. Per terra, sparse un po’ ovunque, ci sono lattine di Red Bull e Coca Cola e fogli disegnati. E’ da un po’ di tempo che mi riprometto di mettere in ordine, ma il tempo scarseggia, e le mie qualità di casalinga lasciano a desiderare. Infondo, mio padre lavora in una ditta di pulizie, potrebbe pulire lui, no? No. Mi chiedo ancora come abbia fatto quella ditta a non fallire, con mio padre come dipendente. Abbasso la maniglia della porta ed esco dalla camera con gli occhi chiusi, e raggiungendo a tastoni la porta del bagno. Nell’entrare sbatto il mignolo del piede contro lo stipite della porta.
«Ahia, ma porca…» esclamo cominciando a saltellare in maniera convulsa e reggendomi il piede infortunato. Se il buongiorno si vede dal mattino, quella di oggi si prospetta una giornata di merda. Sento mio padre dire qualcosa in tono lamentoso, dalla sua camera, ma me ne frega poco, quindi entro nel bagno sbattendo la porta. Premo l’interrotture e la luce di quelle stupide lampadine ad alto voltaggio mi acceca, costringendomi a chiudere gli occhi e a riaprirli lentamente, mentre mi lacrimano. Mentre aspetto che i miei occhi si abituino alla luce, afferro la spazzola e me la passo fra i capelli, o almeno ci provo. Non ho voglia di piastrarli, quindi passo al trucco, coprendomi le occhiaie con il correttore, che riesce a eliminarle solo in parte, lasciandomi comunque un alone violaceo intorno agli occhi. Mi metto un po’ di matita e passo due volte il mascara sulle mie ciglia corte. Torno in camera e per poco non inciampo in una lattina di Red Bull, mentre afferro una maglia a mezze maniche, a strisce diagonali nere e fucsia e un paio di jeans neri stretti, il tutto accompagnato dal mio guanto a mezzo dito in pelle e i miei anfibi neri. Amo vestirmi in stile più o meno punk, non perché io lo sia, ma mi piace quell’accostamento di nero e colori sgargianti. Oggi, invece della tracolla, uso il mio zaino a goccia nero, della eastpak, che riempio velocemente con un libro e qualche quaderno. Guardo fuori dalla finestra mentre mi carico lo zaino in spalla. Non c’è lo stesso sole di ieri, e tira molto più vento, e io odio il vento, serve solo a far cadere dagli alberi oggetti non ancora identificati e a scompigliare i capelli. Ma come dice la rima: “A marzo il tempo è pazzo, e ad aprile ha rotto il cazzo”. No aspetta, forse non era proprio così, ma poco importa. Passando per la cucina afferro il mio giubbotto di pelle nera, stile “Grease” ed esco di casa, dandomi un ultimo sguardo nello specchio che si trova nel corridoio di entrata. Forza Lucky, che dopo queste cinque ore, te la spassi!

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Giungo in piazza con la mano destra premuta contro la nuca, nel vano tentativo di tenere giù i capelli, alzati dal vento fresco. Stringo gli occhi e osservo meglio la piazza: non c’è nessuno dei ragazzi. In un certo senso, speravo di vederli, infondo, sembrano quasi tutti simpatici, ma a quanto pare oggi avevano di meglio da fare. Attraverso velocemente lo spiazzo deserto, facendo cigolare la gomma nera degli anfibi, imboccando la strada per andare a scuola. Tengo gli occhi puntati a terra, talmente concentrata a guardare l’asfalto, da non rendermi conto che qualcuno mi ha appena affiancato. Alzo lo sguardo, ma so già chi è, riconosciuta dalle sue converse verdi consumate.
«Al, perché sei qui?»
Mi sorride, mostrando i denti bianchi e perfettamente dritti. Perché deve avere un sorriso così bello? Dio non è già stato abbastanza buono, dandogli quei capelli dorati e quegli occhi mozzafiato? Purtroppo il mio sorriso è dannatamente rovinato da un incisivo storno, provocato da un pugno ricevuto durante una rissa.
«Non sei contenta della mia presenza? Perché se vuoi me ne vado, eh.»
«Per la tua incolumità è meglio che tu vada via, visto che ho voglia di romperti un braccio. Tu, mi hai abbandonata con quelli là! Per quanto ne sapevo potevano essere degli assassini stupratori, e tu mi hai lasciata sola con loro! Senza contare quel ragazzo, che senza avergli fatto niente ha cominciato subito a rompermi il cazzo!» esclamo velocemente con voce stridula e gesticolando come una povera isterica.
«Ti riferisci ad Alessandro?»
«Sì, mi riferisco a lui, e tu sei una stronza!» dico mettendogli il muso.
«Dovevo prendere il pullman, non posso farci niente» ribatte, passandomi un braccio sulle spalle e avvicinandosi a me, per poi darmi una lunga serie di baci sulla guancia. Sbuffo e gli cingo la vita con un braccio.
«Okay, ti perdono, ma solo perché sei la mia ragazza» dico accennando a un sorriso.
Adesso non fatevi un’idea sbagliata, perché nessuna di noi due è lesbica, anche se una persona che ci osserva dall’esterno potrebbe interpretare i nostri atteggiamenti in modo ambiguo.
«Però non mi hai ancora detto perché non hai preso il pullman, stamattina» riprendo, una volta arrivate davanti al cancello, mentre mi accendo una sigaretta.
«Ah, sì. Ho dormito a casa di un amico.»
«Hai detto amico, o amica?»
«Amico» risponde naturale, scostandosi il ciuffo dagli occhi.
«Cosa?! E me lo dici in questo modo?.»
«Calma Lucky, non abbiamo fatto nulla di ciò che pensi» dice trattenendo una risata.
«Certo, certo. Dicono tutti così. E chi sarebbe il fortunato?»
Si morde il labbro inferiore, sorridendo, come se fosse indecisa su cosa rispondere.
«Ero da Emanuele.»
«Eri da Emanuele…» ripeto io a bassa voce «Sei andata a letto con quello lì?!» strillo infine, incredula.
«Shhh, zitta scema. Ti ripeto che non c’ho fatto nulla. Semplicemente, abbiamo passato il pomeriggio insieme, poi si è fatto tardi e non si fidava a farmi prendere il pullman di sera. E questo significa che devi prestarmi i tuoi libri oggi, visto che non mi sono fatta la cartella.»
Perfetto. Lei se la spassa, e io devo prestargli i libri, il ragionamento fila.
«Sì, va bene, ma adesso passiamo ad argomenti più importanti… Stasera vieni al Blackout, vero?»
Gli faccio la domanda, ma conosco già la risposta, rimango quindi a guardarla, mentre inspiro l’ultima boccata di fumo e lancio il filtro.
«Certo, che domande. E posso…»
«Sì, puoi portarti Emanuele» la anticipo sorridendo, per poi prenderla sottobraccio e andare verso l’entrata di scuola.

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Credo che sia inutile perdere tempo a cercare di descrivervi la mia indecisione, che è infinita. Mi sono già rifatta il trucco con matita nera e mascara, mi sono piastrata i capelli in maniera impeccabile, e adesso sosto davanti all’armadio aperto, con le braccia conserte, affollando la mia mente di possibili combinazioni d’abbigliamento. Sono qui da venti maledetti minuti, e non ho nulla da mettermi. Sbuffo e prendo il mio scassatissimo LG tribe, digitando velocemente il numero di Alice, che ormai conosco a memoria.
Tuuu. Tuuu. Tuuu.
«Pronto?»
«Al, sono io. Senti, non so che mettermi. Che dici, mi metto la mini bianca con la maglia scollata fucsia?»
«Non credo che sia una buona idea, perché io mi vesto in maniera simile.»
«Okay, allora niente. E se metto i pantaloncini neri e la maglia bianca senza maniche della Zuiki?» domando pensierosa.
«Va bene, ma tu sai già quanto ti trovo sexy con il tubino nero» dice con tono malizioso, il classico tono ammiccante che usano i maniaci «Poi ti metti la cintura larga rossa, che abbini con le scarpe in vernice e le lenti a contatto. La borsa te la presto io.»
Smuovo le crucce qua e là, alla ricerca del vestito. E’ un semplice tubino nero, senza strass, perline o altro, in modo da poterlo modificare a proprio gusto e piacimento.
«Sì, va bene, grazie Al. Ci vediamo direttamente lì, okay? Ciao.»
«Ciao.»
Chiudo la chiamata e lancio il cellulare sul letto, con noncuranza. Sono le 21:45, devo sbrigarmi.
Corro in bagno, mi tolgo la tuta e infilo il vestito, cercando di non danneggiare la piega dei capelli. E’ molto corto, facendo notare la mia piccola statura, perché, se mi sono dimenticata di dirvelo, sono molto bassa. Avete presente i nani da giardino? Quelli con il cappello rosso a punta, la barba bianca e la pipa? Ecco, sono i miei cugini di terzo grado. Prendo un ombretto rosso acceso, trovato infondo a una delle mie infinite pochette, e ne applico un po’ vicino all’attaccatura delle ciglia, giusto per farlo intonare con gli accessori. Quando vado a scuola potete tranquillamente scambiarmi per una barbona rockettara, ma quando si tratta di uscire il sabato sera, devo essere perfetta, o per lo meno devo provare ad esserlo. Torno di corsa in camera, apro il porta scarpe e ne tiro fuori i miei tacchi in vernice, che infilo mentre cerco la cintura. Do uno sguardo all’orologio: le 21:56. Mi fascio la pancia con la cintura e mi metto le lenti a contatto, guardandomi nel riflesso della finestra. Do una ravvivata ai capelli e… Fatto, sono pronta, ancora un po’ di tempo e vado. Stasera mi diverto.

<> <> <>

Per la maggior parte delle persone, un blackout è quando salta la corrente, quando c’è un corto circuito, ma per noi, il Blackout è tutt’altra cosa.
Entro nel locale dove un’ottantina di ragazzi ballano l’uno addosso all’altra. Sono appena le 23:00 e una buona parte di ragazzine è già ubriaca fradicia, o più che altro finge di esserlo, per avere la scusa per comportarsi al pari di una prostituta. Il Blackout è un posto semplice, senza troppe pretese. Il colore nero è predominante, dai tavolini lucidi, al bancone alto, al piccolo palco, dove due volte a settimana si svolge il karaoke. I divanetti, quelli preferiti dalle coppiette, sono in pelle bianca, e gli unici veri colori presenti sono dati dalle luci, che si accendono e spengono a intermittenza, a ritmo con la musica. Mi faccio spazio tra la folla per raggiungere un angolo della sala, che è un po’ il punto di ritrovo tra me e Al. E’ proprio accanto al bancone del bar, in modo da non fare viaggi lunghi per poter bere e piuttosto lontano dalle casse, così da riuscire a parlare, insomma, è un punto strategico dove poter passare una piacevole serata, il nostro punto strategico. Ma oggi c’è anche Emanuele, una cosa che devo ricordarmi bene, sperando che non si sia trascinato dietro anche gli altri...
Come se il destino avesse letto il mio ultimo pensiero, vedo Alice, con dei pantaloncini bianchi e una maglia con una spallina sola, rosa accesa. Sta parlando allegramente con il suo nanetto, ma ciò che cattura la mia attenzione sono le tre figure accanto a loro.
Mi blocco per un secondo, ma poi faccio un respiro profondo e sorrido in maniera tirata, mentre vado verso Alice.
«Hey Al» dico dandole un bacio sulla guancia.
«Ciao. Ho invitato anche gli altri» dice facendo un gesto verso i tre, che adesso tengono lo sguardo puntato verso di noi.
«Sì, me ne sono accorta» rispondo cercando di non far notare il mio tono irritato.
Cazzo, poteva anche avvertirmi che ci sarebbero stati, infondo l’ho chiamata, non poteva dirmelo? O gli faceva troppo male la lingua dopo aver slinguazzato tutto il pomeriggio con Emanuele?
Mi sorride e si avvicina al mio orecchio.
«Scusa, ma abbiamo deciso tutto all’ultimo momento.»
Le sorrido flebilmente per farle intendere che è tutto a posto. Si volta e prende dal tavolo una piccola borsetta di pelle rossa e me la porge. Sapeva già come farsi perdonare.
La afferro e ci metto dentro il cellulare e il portafoglio, che fino ad ora ho tenuto in mano, rischiando una rapina.
Mi siedo sul divanetto più vicino, appoggiando il gomito al bracciolo e guardandomi intorno, mentre osservo Mattia con la coda dell’occhio. Ieri non ho avuto occasione di osservarlo per bene, comunque sembra carino. Alice e Emanuele si alzano dal divano accanto al mio e vanno a ballare sulle note di ‘Till the world ends’ di Britney Spears. Giustamente, lei se la spassa con un bel ragazzo, e io sono incastrata a fare la ‘forever alone’ con tre sconosciuti, tra cui uno mi sta sulle palle. Davvero splendido.
Mi alzo con un moto di stizza e vado verso il bar, issandomi su uno degli sgabelli alti ricoperti di pelle nera.
«Vodka e Red Bull, per favore» dico al barman, che si rivolge a me sorridendo.
Nel frattempo vedo Mattia venire anche lui verso il bancone, e sedersi accanto a me.
«Non è il tuo genere di serata?» mi chiede con tono di voce estremamente tranquillo.
«No, anzi, è la mia serata ideale, se la passo con le amiche» dico ammiccando verso Alice che si muove sinuosa contro il petto di Emanuele.
«Ah, capisco. Quindi siamo noi il problema?» dice sorridendo.
«Senti, non farmi sembrare la stronza di turno, semplicemente non mi aspettavo che ci foste anche voi» dico facendogli l’occhiolino, e guardando il bicchiere che il barman ha appena appoggiato davanti a me.
Lo prendo e ne bevo un sorso, gustandomi la sensazione di calore dovuta all’alcool.
Non faccio nemmeno in tempo ad appoggiare il bicchiere al bancone, che lui me lo toglie di mano, portandoselo alla bocca con fare naturale.
Alzo un sopracciglio con estrema disapprovazione. Quello è il mio fottuto drink, che ho pagato con i miei fottuti - pochi - soldi.
«Ah, scusa ma avevo sete» dice porgendomi il bicchiere che ormai è a metà.
«Non fa niente.»
E’ inutile discutere quando la serata non è nemmeno iniziata.
«Scusa, ma quanti anni hai?» gli chiedo, guardandolo negli occhi.
Ha dei begl’occhi, questo glielo concedo. Sono azzurri, di un bellissimo azzurro intenso, con poche striature più scure, dando all’iride un colore uniforme.
«Diciannove, tu?»
«Anche io.»
Lui emette un colpo di tosse, come se si fosse appena strozzato con la propria saliva.
«Cosa? Non sembra affatto.»
«Sì, lo so che sembro una diciassettenne. Ma allora gli altri quanti anni hanno?» chiedo curiosa di sapere quanti anni ha Alessandro.
«Sebastiano e Emanuele, diciassette. Alessandro, diciotto.»
Adesso non prendetemi per una snob, ma se io ne avessi l’opportunità, frequenterei solo persone della mia età, o più grandi. Ma allora lui come si è ritrovato incastrato in questa situazione?
«E perché stai con dei ragazzi più piccoli?»
«E tu perché stai con Alice?» ribatte sorridendo.
«Siamo in classe insieme, è ovvio che sto con lei, è fantastica» rispondo, per poi dedicarmi alla mia vodka.
«Ecco, diciamo che loro sono fantastici e che viviamo insieme.»
«Vivi insieme a loro?!»
Per un attimo mi faccio prendere dall’invidia. Dio solo sa quanto vorrei andarmene di casa, senza avere mio padre in giro che non fa altro che lamentarsi, semplicemente per il gusto di provare a cavarmela da sola.
«Sì, con Ema e Sebastiano. Ale vive dai suoi.»
«Oh perfetto. E… Che ci fai qui? Non ti ho mai visto in giro.»
«Ci siamo trasferiti da poco, forse è per quello che non ci hai mai visti. I miei mi hanno sbattuto fuori di casa, quindi…»
«Cazzo, che hai combinato?»
«Vuoi proprio ficcare il naso nella mia vita, eh?» dice trattenendo una risata.
«Scusa, ma tu mi dai tutti gli elementi per diventare curiosa» rispondo con un’alzata di spalle.
«Non fa nulla, comunque… Avevo delle amicizie che, sì insomma, non facevano cose tanto legali.»
«Ah… Spacciavi…» dico con tono complice, non potendo fare a meno di pensare alla somiglianza che c’è tra lui e Giacomo.
Ha la stessa tranquillità, pacatezza, ma comunque una certa simpatia. Anche lui era coinvolto con persone poco raccomandabili, anche lui se n’era andato di casa…
Il filo dei miei pensieri viene interrotto, nel vedere Sebastiano e Alessandro, che sono rimasti su uno dei divanetti fino ad ora, venire verso di noi.
«Ragazzi, siete qui da un sacco di tempo, di che parlate?» si intromette il più piccolo.
«Siamo qui da appena dieci minuti… Comunque, nulla, parlavamo delle nostre vite» dice Mattia, giocherellando con il mio bicchiere, ormai vuoto.
«Oh che gioia» risponde sarcastico «Possiamo unirci a voi?»
«Sì, certo, venite pure» dico, mentre chiedo al barman qualcos’altro da bere. Rum e pera andrà benissimo per il secondo round.
«Non c’hai sputtanato, vero?» chiede Alessandro.
«No, il minimo indispensabile» gli risponde Mattia, facendomi l’occhiolino.
«Allora Lucky, hai il ragazzo?» mi chiede Sebastiano.
«No» rispondo alzando un sopracciglio.
Non riesco a sopportare me stessa, figuriamoci qualcun altro.
«Strano, sei molto carina.»
Vedo Alessandro ridere sotto i baffi, come se ciò che mi è stato appena detto fosse un’assurdità.
«Anche tu sei carino, ma non sprecare tempo a cercare di abbordarmi» dico ridendo, vedendo il suo sorriso spegnersi per un attimo.
Prendo il bicchiere e lo alzo in segno di brindisi, un attimo prima di berne il contenuto.
La serata sarà molto lunga, soprattutto se Alice passerà tutto il tempo con Emanuele…

<> <> <>

Il bello del Blackout è che ogni tanto si prende una pausa dalle canzoni ‘tunz tunz’, per dare alle coppiette più romantiche, l’occasione di fare un giro in pista.
«Lucky, vieni a ballare, dai. E’ tutta la sera che stai al bar, a bere come una spugna» dice Alice con voce alta, per riuscire a farsi sentire.
«Non è vero» rispondo contrariata.
«Sì, invece. Guarda qui!» esclama indicando i sette bicchieri lasciati sul ripiano.
«Ali, ti ricordo che nemmeno mia madre mi ha mai fatto questi discorsi.»
«Appunto, quindi non rompere e vieni a ballare!»
Mi tira per un braccio, rischiando di farmi cadere, visto il mio precario equilibrio sui tacchi.
La stringo a me e prendiamo a muoverci come una coppia di innamorati, mentre appoggio il mento alla sua spalla, cercando di andare a ritmo con le note di ‘Stupid in love’. Alzo un braccio nell’intento di farla girare su se stessa, quando qualcuno prende il mio posto. Vedo infatti Alessandro che, appiccicato ad Alice, mi guarda come per dire “Ballo meglio io”.
Rimango un attimo immobile, cercando di capire. Mi ha soffiato la ragazza da sotto il naso, senza che io me ne accorgessi, e la cosa che mi lascia più sconvolta è che lei non dice nulla, non si allontana, continua a muovere il suo corpo snello contro quello di lui. Per mesi ho cercato di insegnargli a non tirarsi mai indietro, davanti ad ogni situazione, e lei decide di mettere in pratica i miei consigli nei momenti più sbagliati. Ma io non ho certo intenzione di darmi per vinta, soprattutto, non a uno stupido diciottenne. Con passo traballante vado verso il bancone, appoggiandovi un gomito.
«Mi hanno rubato la donna» dico con tono da finta depressa, rivolgendomi a Sebastiano.
«L’ho notato. Ale vuole sempre rompere i coglioni.»
«Si vede. Dai, balla con me o l’alcool comincerà a farmi effetto» dico sorridendo.
Non mi risponde, si limita ad alzarsi e a prendermi la mano, portandomi sulla pista. Balliamo con le braccia in aria, ogni tanto rivolgo un’occhiata verso Alice, e la vedo ancora lì, intenta a ridere e a ballare con lui.
Sono sempre stata gelosa delle mie amiche, loro sono mie, e per me è sempre fastidioso vederle corteggiate da qualcuno, specialmente se è uno come Alessandro.
Prendo le mani di Sebastiano e le faccio posare sui miei fianchi, facendo scontrare il mio bacino con il suo. Di solito non mi comporto così, ma il sabato sera è il momento in cui puoi comportarti come vuoi, dove per una volta puoi fare la troia, senza pensare a come ti giudicheranno gli altri, perché sai che ciò che accade il sabato rimane lì, in quello spazio temporale. Il giorno dopo, nessuno darà importanza a ciò che hai fatto, fumato o bevuto, quindi è sempre meglio approfittarne. Muovo i fianchi mentre lo guardo negli occhi, e lui mi sorride come un ebete, muovendo le mani lentamente, su e giù per la mia schiena. Rido, salto, giro, mi diverto. Per un lunghissimo minuto non penso a nulla, né a me, né ad Alessandro, penso solo al calore del corpo di lui. Una volta finita la canzone rimango con le braccia allacciate al suo collo, cercando di non perdere l’equilibrio, mentre Mattia viene verso di noi.
«Te la vuoi spassare solo tu con lei, eh? Lasciami un po’ si spazio» dice al più giovane, dandogli una fiancata e prendendone il posto.
Sebastiano scuote la testa, buttandosi nella mischia di persone sudaticce, forse alla ricerca di qualcun’altra con cui ballare. Mattia mi circonda con le sue braccia e mi sussurra ad un orecchio.
«Non dovevi bere così tanto, a momenti non ti reggi in piedi.»
«Sto benissimo. Pensa a ballare, piuttosto» dico appoggiando la testa al suo petto, non con fare romantico, ma nella stessa maniera di qualcuno che sente di dover vomitare anche l’anima.
Domani ci sarà tempo per pensare, per pentirsi di aver fatto qualcosa. Non importa se ho bevuto più del solito, se ho ballato come una prostituta con dei ragazzi che non conosco, e non importa nemmeno il fatto che mi sto addormentando in piedi.
In fondo, ciò che accade di sabato, resta lì.





Il tempo di una sigaretta:
Beeene ragazze! Terzo capitolo, ennesima schifezza.
Ringrazio ancora la mia Freakyyep :) Mi rendi sempre felice!
Come vedete, Lucky passa così il sabato sera, anche se quello di oggi è stato un sabato un po' diverso dagli alti. Un po' come tutte le ragazze sperano, ciò che accade di sabato non conta molto, perchè siamo tutti offuscati dall'alcool. 
Spero che vi sia piaciuto. Noterete che ci sono diversi cambi di scena, e soprattutto che questo capitolo è un po' più lungo del solito (dieci pagine su world!), ma preferivo farlo lungo e dettagliato, che corto e approssimativo.
Spero di trovare nuove recensioni al mio ritorno!
#MuchLove, UnLuckyStar.

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PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 4
*** Dubbi e parole confuse ***




D
ubbi e parole confuse


Avete mai provato l’indescrivibile sensazione di quando vi mettete al volante della vostra auto, che ha ancora quel buon odore di nuovo? Sono contenta per voi, perché quest’emozione non ha mai sfiorato nemmeno l’anticamera del mio cervello, visto che non ho la macchina. Assurdo no? Soldi e tempo persi per prendere la patente, per cosa? Per continuare a prendere l’autobus e a spostarsi a piedi, ovvio. Qualcuno vuole spiegarmi l’utilità di una patente che prende solo polvere nel portafoglio? Okay, calmiamoci. Comunque, ho sprecato tutto questo tempo semplicemente per dirvi che mio padre è talmente malfidato nei miei confronti, da non volermi prestare la sua auto nemmeno per uscire il sabato. Sono costretta, quindi, ad andare e venire a piedi dal Blackout, o a farmi dare un passaggio. Ma visto che io e tutta la bella combriccola che è insieme a me abitiamo piuttosto vicino al locale, abbiamo pensato bene di andarci a piedi. Ciò che non abbiamo previsto era lo stato in cui sarei tornata a casa. Dopo i primi venti metri fuori dal locale, in cui ho rischiato di cadere due volte, Sebastiano e Mattia hanno finalmente capito che ho bisogno di qualcuno che sia sobrio e che mi aiuti a non inciampare nel nulla.
«No ragazzi, non aiutatela. Voglio vedere se cade davvero, alla fine» dice Alessandro alle nostre spalle, mentre i suoi amici vengono in mio soccorso, prendendomi uno per un braccio e uno per la vita, cercando di farmi stare in equilibrio sulle scarpe alte.
Non sono sicura di quanto ho bevuto, ma credo tanto, visti i continui richiami di Mattia, che non faceva altro che dirmi di smetterla.
Fino a che ero lì dentro, ho ballato fino allo sfinimento, presa dall’allegria della festa, ma adesso che sono fuori, i miei piedi cominciano a risentire di questa serata senza fine. Via via che ci allontaniamo dal Blackout sento la musica rimbombante diminuire alle nostre spalle.
«Oh… Non c’è più la musica…» affermo come se fossi la prima ad aver notato questo fatto.
«Eh già, non c’è più» dice Mattia, come se stesse assecondando una bambina di sei anni.
«Hey, sono ubriaca, non stupida.»
«Di questo non ne siamo convinti» dice Alessandro.
Volto lo sguardo, qual poco che basta da guardarlo negli occhi.
«Stai zitto, bamboccio. Se tu hai dubbi sulla mia stupidità, io sulla tua ho solo certezze» dico appoggiando la testa alla spalla di Mattia.
«Cavolo, ma anche quando sei ubriaca continui a parlare?»
«Smetterebbe di parlare solo se andasse in coma etilico, e ti assicuro che dice cose più intelligenti da sbronza, che da sobria.»
Mi volto un po’, il minimo indispensabile per fulminare Alice con un’occhiata.
Brutta traditrice, figlia di Giuda.
«Dai ragazzi, contiamo un po’! Cantaaando penso a teee, la pioooggia viene giùùù, cantaaando e ballaaando che feee…»
«Fortunata, stai zitta! Se continui così pioverà davvero!» esclama Mr. Acidità.
«Primo: non chiamarmi Fortunata. Secondo: non riesci a stare zitto per due minuti?!»
«Se io non riesco a stare zitto sembra che abbiamo lo stesso problema, Fortunata.»
Sbuffo esasperata, puntando gli occhi al cielo e agitando il pugno in aria, mentre farfuglio qualcosa di non ben definito.
«Sei solo un ragazzino. Fastidioso quanto queste scarpe, solo che queste posso togliermele quando voglio» dico fermandomi un attimo e sfilandomene una alla volta, rimanendo a piedi nudi sul marciapiede asfaltato.
«Ma che stai facendo?» mi chiede Sebastiano.
«Libero i miei poveri piedi da una tortura, non si vede?» rispondo prendendo le scarpe in mano.
«Te la sei sottoposta da sola, non lamentarti.»
«Senti, tu» sbotto fermandomi e girandomi verso quell’insulso diciottenne «vedi di ingoiarti la lingua, non ne posso più dei tuoi commenti.»
«Dio mio,» interviene Alice con una mezza risata «non sapete quanto vorrei restare e godermi lo spettacolo, ma ho idea che le nostre strade si dividano.»
Siamo arrivati ad un bivio, uno di quelli che ricordano i film gialli e polizieschi, illuminati da un solo lampione, dove gli spacciatori si incontrano la sera.
«Puoi venire a dormire a casa mia» dico biascicando.
«No, non preoccuparti, vado da lui» risponde indicando Emanuele.
«Da noi» la corregge Sebastiano.
«Tecnicamente dovreste dire da me, visto che legalmente sono io che pago l'affitto» dice Mattia.
«Non perdiamoci in dettagli. Buonanotte ragazzi, ci penso io a questa squilibrata» li saluta Alessandro, prendendo il posto di Sebastiano e Mattia.
«A chi hai dato della squilibrata?!»
«Mamma mia, stai zitta per una buona volta, mi fai venire mal di testa.»
«Oh poverino, non sai quanto mi dispiace, e…» schiocco le dita come se mi fossi appena ricordata di dire qualcosa. «Ah, Alice…» la richiamo mentre si stanno inoltrando nella stradina a destra. La vedo voltarsi e aspettare le mie parole.
«Usate precauzioni, mi raccomando» riprendo infine, appoggiandomi ad Alessandro e cominciando a camminare.
Colpita, affondata.
In un attimo, il viso di Alice è stato capace di cambiare sedici colori, dal rosso acceso al viola melanzana, mentre Mattia e Sebastiano scoppiano a ridere e Emanuele ridacchia imbarazzato.
«Lo so Ema, ho toccato un tasto dolente. So che ci speri.»
Giù, di nuovo tutti a ridere. Per il sollievo della coppietta, mi allontano insieme ad Alessandro, seguendo la strada illuminata dai lampioni.
Non mi ricordavo che alle tre di notte ci fosse questo bel venticello fresco, che mi asciuga il sudore dalla fronte. Sento le piccole pietruzze dell’asfalto attaccarsi alle piante dei miei piedi, che ostinate, sembrano volersi conficcare nella pelle a tutti i costi.
Mi volto verso Alessandro, particolarmente vicino a me per via del suo braccio intorno alla mia vita, per sostenermi meglio. Sta guardando davanti a sé, in un punto non definito all’orizzonte.
«Quando hai finito di farmi la radiografia, dimmelo» dice improvvisamente, per poi spostare lo sguardo su di me e sorridere a mezza bocca.
«Finito» rispondo dopo qualche altro attimo di contemplazione.
«E la diagnosi?»
«La diagnosi è che hai poca materia grigia.»
«Ma tu non ti prendi mai una pausa dagli insulti sarcastici?»
«Mai. E tu non la smetti mai di fare il fighetto?»
«Quasi mai.»
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo nero, dove si scorge qua e là la flebile luce di qualche stella. Deve essere bello essere una stella. Te ne stai lì, ferma, sospesa in aria splendendo, e quegli esserini chiamati “umani” penseranno sempre e solo che sei bella, mentre esprimo inutili desideri in tuo nome.
Sì, la vita di una stella non deve essere niente male.
Tutti questi pensieri filosofici e poco sensati, vengono bruscamente interrotti da un sasso più grande degli altri, quasi mi si voglia conficcare nel tallone.
«Ahia, odio tutti questi sassolini.»
Tempo due secondi che un altro sassolino mi aggredisce.
«Ma porca miseria, che hanno i sassi contro di me, stasera?»
«Basta, adesso mi hai stufato.»
Con un movimento veloce, mi solleva da terra, ma di certo non come fanno i principi con le principesse, figuriamoci. No, lui mi carica in spalla, in stile “sacco di patate”.
Comincio a dimenarmi, sbraitando e tirando pugni contro la sua schiena.
«Mettimi subito giù, razza di imbecille! Oddio, oddio cado. Alessandro, Alessandro fermati, che si cade!»
«Se continui a muoverti come un pesce fuor d’acqua, ci credo che cadiamo! Magari appena finisci di molestarmi ti rimetto giù.»
Qualcosa non quadra. Molestarlo? In un attimo capisco che per colpa di quella cosa chiamata “forza di gravità”, fino ad ora non ho fatto altro che tirare pugni al suo sedere.
Sentendomi improvvisamente imbarazzata, lascio le braccia a penzoloni, sentendo il sangue fluire alle punte delle dita, che mi sembrano subito più pesanti. Nonostante mi sia fermata, lui continua a camminare non accennando a voler smettere.
«Ma non avevi detto che mi mettevi giù?»
«Ah, giusto.»
Si ferma e mi fa appoggiare piano i piedi a terra, mentre mi rimetto le scarpe di malavoglia e riprendo a camminare.
«Posso farti una domanda?» gli chiedo dopo pochi attimi di silenzio.
«Se proprio devi.»
«Perché ti sto sul cazzo?»
«Perché…» si porta una mano alle labbra, cominciando a toccarsi il labbro inferiore con il dito indice e assumendo un’espressione pensierosa «Boh… Diciamo che non mi stai proprio sul cazzo. Mi piace sfotterti, più che altro.»
«E perché?»
«Che ne so. Mi sei sembrata tanto idiota ieri, con quelle lenti a contatto e quel modo di vestire. E io amo sfottere gli idioti, per quanto sono cretini ti ringraziano anche, quando li insulti. Ma poi mi sono reso conto che non sei tanto stupida, visto che hai sempre una risposta pronta. Mi piace sfottere le persone intelligenti, anche più di quelle stupide.»
Non ne sono sicura, ma quello che ha appena detto mi risulta quasi come un complimento, il primo e forse anche l’ultimo che sentirò mai uscire dalla sua bocca.
«Ah, capisco… Io abito qui» dico una volta arrivata davanti al cancelletto di ferro grigio scuro.
Lo apro, provocando un cigolìo sinistro e andando verso la porta con Alessandro al mio fianco.
«Grazie per il passaggio» dico, anche se non sono sicura che “passaggio” sia la parola giusta.
«Di nulla, ma fossi in te preferirei entrare in casa con il mio ben di Dio coperto. Non si sa mai» mi sussurra indicando la parte superiore del tubino, che è leggermente scivolata, facendo vedere la fenditura tra i seni.
Accorro subito a coprire la scarsa eredità che mi ha lasciato mia madre. Una cosa incredibile: dal ramo della famiglia di mia madre quasi tutte le donne hanno un seno che fa provincia, e a me sono toccati proprio i geni recessivi.
«E la prossima volta coordina la biancheria. Dai, non si può vedere un reggiseno rosso con le mutande blu.»
Rimango spiazzata dall’ultima affermazione. Ma cos’è questo? Una specie di maniaco?
«Quando cazzo mi hai visto le mutande?!»
«Quando ti ho presa in spalla… Si è vista ogni cosa.»
Senza nemmeno lasciargli finire la frase comincio a prenderlo a colpi di borsetta.
«Ma che razza di maiale sei?»
«Stai calma, Madonna santa, non ti ho detto io di metterti un vestito così corto!»
Stizzita, comincio ad abbassare un po’ il tubino sulle gambe, che non arriva comunque a coprirmi più di metà coscia.
«Fortuna che non ho messo il tanga, o mi sarebbe saltato addosso» farfuglio mentre sollevo lo sguardo sul suo viso.
Lo sento ridere improvvisamente, facendomi sobbalzare.
«Cosa ti fa pensare che non ti salterei addosso ugualmente?» dice ancora con il sorriso sulle labbra.
No, no, aspettatemi un attimo. L’ho detto ad alta voce? E lui che mi ha risposto? H-ho sentito bene? Ho bevuto una discreta quantità di alcolici, ma non credo che sia abbastanza da farmi confondere la realtà con le mie fantasie.
«Come hai detto , scusa?» domando sbattendo ripetutamente le ciglia.
«Ti ho chiesto cosa ti fa pensare che io ti voglia saltare addosso. A parte il fatto che ti farei male, visto quanto sei magra.»
Sorrido compiaciuta, posando lo sguardo a terra per non far notare il sorriso spontaneo che mi è nato sulle labbra.
«Puoi anche andartene, eh.»
«Mi vuoi proprio fuori dai coglioni, insomma… Buonanotte.»
Mi da una botta sul braccio e si volta, avvicinandosi alla strada.
Rimango un attimo a guardargli il sedere, perché si sa, noi ragazze possiamo negare quanto vogliamo, ma su queste cose arriviamo ad essere peggio dei maschi.
Mi volto e a fatica riesco a infilare le chiavi nella toppa della porta. Entro e appoggio la schiena contro la parete, guardandomi nello specchio davanti a me e tentando di non far annegare la mia mente nel mare di dubbi che mi stanno riempiendo.
Dubbi su ciò che ha detto Alessandro. Ha detto chiaramente che non mi salterebbe mai addosso, come nessuno al mondo, in fondo. Ma non so’… Lucky, Lucky, non darti delle arie, anche se fosse, ti vorrebbe solo per le tue tette.
Giusto. Una volta tanto quella dannata vocina interiore ha ragione.
Vado verso camera mia appoggiandomi alle pareti, e mi butto sul letto, lanciando a terra tacchi e borsa e affondando il viso nel cuscino, fregandomene del fatto che potrebbe sporcarsi con il poco trucco che mi è rimasto sul viso.
Dormire. E’ l’unica cosa a cui riesco a pensare.

<> <> <>

Mi piacerebbe dire che mi sono svegliata spontaneamente, accompagnata dal canto degli uccellini, ma la realtà è che mi ha svegliata quell’idiota del mio vicino con il suo cazzo di trapano. Ma vi sembra normale fare dei buchi nel muro la domenica mattina? Ma vabbè, non importa, credo che sarei ugualmente irritata se mi avesse svegliata un orrido pennuto cinguettante, durante il mio riposo post-sbronza. Apro un occhio alla volta, ancora con il rumore del trapano in sottofondo, come se il mio vicino avesse deciso di fare un buco nella mia mente, già abbastanza lacerata. Mi volto supina, alzandomi sui gomiti e rivolgendo lo sguardo verso la porta aperta. Un alone di luce gialla proviene dalla cucina, segno che mio padre è già sveglio, seduto a bere svogliatamente un caffè. Do’ un’occhiata verso la radiosveglia, che con i suoi luminosi, e fastidiosi, numeri rossi mi segnala l’ora: 11:14.
Una fitta di mal di testa mi coglie alla tempia sinistra, costringendomi a portarvi una mano e a sentire il sangue pulsare veloce sotto ai polpastrelli, dandomi una sensazione di pesantezza.
Devo smetterla di bere. Questa è l’ultima volta che vado al Blackout. Sì, decisamente l’ultima. Vorrei rimanere ancora a letto, ma in questi casi mi fa solo sentire più male. L’unico modo che ho per riprendermi è alzarmi e mangiare qualcosa. Oh sì, una deliziosa ciambella glassata, una di quelle che vendono nel bar infondo alla strada, magari insieme a un cappuccino. No, forse non dovrei mangiare, ma diciamo che questo sarà un premio. Un premio per aver sopportato Alessandro senza ucciderlo. Aggiudicato. Mi alzo e dopo un’altra fitta di mal di testa e un lungo capogiro, mi sfilo il vestito che stanotte non mi sono curata di togliere. Mi infilo i jeans con una fatica sovrumana, e scelgo una maglia tra le tante, bianca, con la scritta: “Senza t-shirt sono ancora meglio”.
Se qualcuno non lo avesse ancora capito, amo le maglie che riportano una qualsiasi frase di senso compiuto. Ciò che uso e indosso deve sempre dire qualcosa di me. Vado alla scarpiera e prendo un paio si Superga rosse, mi giro e… Il telefono. Il telefono mi ricorda di dover chiamare Alice. Lo afferro e compongo il numero.
«Pronto?»
«Dimmi tutto. L’avete fatto? Com’è stato? Scommetto che lui è un romanticone. Ha esperienza? E intanto gli altri dove…»
«Fortunata, stai zitta!»
«Hey, non chiamarmi così, chiaro? E… Sei suscettibile… Deve essere stato deludente… Ma tranquilla, è normale alla prima volta, tutto si migliora con l’esperienza.»
«Sei completamente fuori strada, non abbiamo fatto niente!»
«Ma dai, sei andata a dormire da lui per due notti di fila. Guarda che poi si fa illusioni.»
«Non si fa illusioni su nulla, visto che siamo solo amici. Mi ha persino ceduto il suo letto e lui ha dormito per terra…» dice con il suo tono sognante, e anche se di mezzo non ci ha messo un “che dolce”, so bene che dentro di se lo sta ripetendo dall’inizio della telefonata.
«Mmh… Astuto, il ragazzo. Sta giocando la carta del “sono un tuo amico e ti rispetto per questo”. Sì, mi piace, decisamente.»
«Non sta giocando nessuna carta» risponde esasperata.
«L’importante è esserne convinta… Comunque, dai, poi che avete fatto?»
«Niente di speciale, siamo rimasti a parlare un po’… Ma adesso passiamo ad argomenti più interessanti. Com’è andata con Alessandro?» chiede con un tono di voce malizioso, e probabilmente attorcigliandosi una ciocca di capelli, come fa sempre quando è nervosa o cerca di cambiare discorso.
«Come vuoi che sia andata… La notte più focosa della mia vita! Dovevi esserci, ti avremmo insegnato un paio di cosette» rispondo sarcastica.
«Allora ringrazio Dio perché non c’ero.»
«Sì, giusto. Tu vuoi farti insegnare certe cose solo dal tuo Ema.»
«Falla finita, non ti sopporto quando fai così.»
«Soprattutto quando ho ragione.»
«Se lo dici tu…. Comunque, devo chiederti un favore.»
«Volentieri, se diventerà un pretesto per ricattarti.»
«Smettila di dare noia ad Alessandro. Le vostre litigate sono divertenti, ma se fate così da nemmeno un giorno, temo che presto arriverete alle mani.»
«Alle mani ancora no, ma ieri l’ho preso a borsettate! E poi, scusa, ma è lui che comincia con le sue battutine acide e commenti che nessuno gli chiede, senza alcun motivo, per di più.»
Beh, in realtà un motivo ci sarebbe…
Mi sono reso conto che non sei tanto stupida, visto che hai sempre una risposta pronta. Mi piace sfottere le persone intelligenti, anche più di quelle stupide
«Ieri poi, quando ve ne siete andati… Ha detto delle cose strane…» riprendo mentre mi mordo un labbro.
«Che genere di cose strane?»
Glielo dico? Non ne sono certa, potrei anche essermelo immaginato. Che faccio?
«Ehm, no nulla, non ha detto niente. Comunque, io devo andare, ci si vede domani. Ciao!»
«No, aspetta un att…» troppo tardi, gli riattacco in faccia e so che non mi richiamerà, visto che non ha mai soldi nel telefono.
Sì, ho fatto bene a non dirgli niente, non si sa mai.
Prendo i miei occhiali da sole appoggiati alla scrivania e me li calco sul naso, per non far vedere occhiaie ed occhi arrossati. Vado in soggiorno.
«Pa', io esco. Ti prendo 5€.»
«Okay» brontola dal divano.
Prendo una banconota grigia dal suo vecchio portafoglio in pelle marrone, dentro al quale conserva ancora una foto mia, di mia madre e di mio fratello, in perfette condizioni.
Vado verso la porta ed esco, esponendomi ai raggi solari, che in questo momento possono farsi tranquillamente fottere.

<> <> <>

Il trambusto nel bar mi accoglie a braccia aperte, dove ai tavolini di ferro ci sono già delle persone intente a bere, mangiare e chiacchierare, esattamente come una “famiglia del mulino”. Ma infondo, meglio per loro, se riescono a fingere una tale serenità. Perché io so che stanno fingendo. Quando sono fuori, tutte le persone si costringono ad essere gentili, simpatiche e di buon umore. Ma chi si sveglia davvero così? Chi affronta davvero la giornata con un sorriso? Non mi sono mai soffermata a guardare le persone quando sono in giro, ma prendendo me come esempio, si direbbe che le persone non si svegliano mai di buonumore e che non vivono mai una vita che scorre semplice e liscia come l’olio.
«Buongiorno. Una ciambella glassata e un cappuccino» dico rivolta al barista.
«Arriva subito, signorina.»
Accenno un sorriso e vado verso uno dei tavolini, sedendomi sulla fredda sedia di metallo. Mi tolgo gli occhiali e incrocio le braccia al petto, mentre aspetto la mia ordinazione.
Do’ le spalle alla porta, ma, una volta superatami, vedo la figura slanciata di Alessandro andare verso il barista. Non sembra stia ordinando qualcosa, ma che stia semplicemente parlando. Mi premo contro la sedia, quasi sperando di sembrare parte integrante dell’arredamento e passare inosservata.
Troppo tardi. Si volta e appoggia i gomiti al bancone.
«Buongiorno ubriacona.»
«Stai zitto.»
«Sei proprio di buonumore, oggi.»
«Stai zitto» ripeto atona.
«Non sai dire qualcos’altro?» chiede accomodandosi nella sedia di fronte a me.
«Sì, certo. Chiudi quella cazzo di bocca.»
«Ah, l’ho sempre pensato che le ragazze fossero così tenere la mattina.»
«Visto? Si riceve una conferma ogni giorno» dico per poi rivolgere un sorriso al cameriere appena arrivato con cappuccino e ciambella.
Mescolo un po’ il contenuto della tazza per farlo raffreddare prima, e senza aggiungere né zucchero, né cacao, ne bevo un sorso.
«Non ci metti niente?»
«No, lo bevo amaro» rispondo infastidita.
«Come te.»
«Io sono acida, non amara.»
«Per fortuna che lo sai da sola.»
«Senti, sei venuto qui per rompere le scatole proprio a me?»
«Il mondo non ti gira intorno, Fortunata.»
«Smettila di chiamarmi così, mi da noia.»
«Anche la tua esistenza mi da noia, ma non per questo ti ammazzo.»
«Oh che gentile, ma tu rischi grosso se continui a chiamarmi così.»
«E come dovrei chiamarti?»
«Lucky.»
«Lucky? Come un cane?»
«Sì, esatto, proprio come un cane, qualche problema?»
«No, nessun problema» dice ormai troppo assorto nel leggere un messaggio che gli è appena arrivato.
Tiro un morso alla ciambella, gustandomi la glassa morbida, mentre aspetto che lui riprenda il suo discorso. Devo ammettere che mi piace insultarlo con quel tocco di eleganza dato dal sarcasmo.
«Non sai quanto mi piacerebbe rimanere qui a prenderti per il culo, ma devo andare.»
Si alza velocemente e si affretta a scappare fuori.
«Spero che ti metta sotto un pullman!» gli grido dietro.
«Altrettanto!» risponde lui un attimo prima di uscire.
Do’ un altro morso alla ciambella e rimango nel temporaneo silenzio, sotto le occhiatacce di svariati clienti. Mi frega poco di loro, ciò che mi distrae è un’altra cosa.
Perché è entrato se non ha ordinato nulla?


Il tempo di una sigaretta:
Sì ragazzi, questo capitolo è un Ale/Lucky :)
Mi sono divertita troppo a scrivere i loro insulti, e soprattutto la telefonata delirante post-sbronza xD
Mi diverto con poco, lo so bene, ma che dire... Scrivere è la mia droga (?) *^*
Va bene, vedo di piantarla velocemente con queste note BìMbòMìnKìòSè o.O
Ringrazio tantissimo Mistina, Freakyyep, Opora e Emma Wright per le recensioni. Mi commuovete :')
#PaceAmore&Patatine, UnLuckyStar

Twitter: @Un_Lucky_Star
 

PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 5
*** Un appuntamento, che è meglio chiamarlo 'uscita' ***




Un appuntamento, che è meglio chiamarlo 'uscita'



Il nervosismo ha sempre avuto un ruolo da protagonista nella mia vita, è una cosa che le persone capiscono subito quando mi conoscono. Peccato che io non sopporto quando divento nervosa, perché mi sento improvvisamente incapace di  gestire qualsiasi tipo di situazione.
Sono le 18:47 e devo ancora vestirmi per l’appuntamento con Mattia. Che cosa strana dire “appuntamento”, la fa sembrare una cosa seria, quindi è meglio chiamarlo “uscita”.
Beh, in qualunque  modo vogliamo chiamarlo, rimane il fatto che devo prepararmi.
Mi alzo dal letto e vado verso l’armadio semiaperto.
Non voglio mettermi nulla di elegante, ma nemmeno di sportivo, quindi punto sul casual, prendendo una camicia bianca, quella che il mio ex ragazzo si è dimenticato di riprendere.
Mi sta larga ma forse è proprio questo il bello. Arrotolo le maniche fino al gomito, infilo un paio di jeans neri e delle ballerine semplici, dello stesso colore. Non ho voglia di rifarmi il trucco, può andare bene anche così. Mi metto al collo una collana lunga, che termina con un enorme sonaglio argentato.
Mentre mi siedo di nuovo sul letto penso che… E’ da un’eternità che un ragazzo non mi chiede di uscire. Anzi, questa è la prima volta che mi capita, visto che sono sempre stata io a fare il primo passo. Eppure la favola che l’uomo è il cacciatore e la donna la preda, si sente ancora in giro. Ma stiamo scherzando?! Per definirsi cacciatori, i ragazzi dovrebbero avere un cervello, ma quello se lo sono fritto a furia di battere record a “Fruit Ninja”.
Fortuna che ci siamo noi ragazze a farci avanti, altrimenti la specie umana si sarebbe estinta un bel po’ di tempo fa.
Guardo i numeri che segna la radiosveglia, nel momento esatto in cui li vedo scattare, diventando un “19:00”. Conto mentalmente i secondi, uno stupido gioco che facevo da bambina, quando non riuscivo a dormire. Beh, veramente, quando non riuscivo a dormire mi rigiravo tra le coperte, ma a Giacomo dava fastidio il rumore strisciante delle lenzuola, diceva che gli metteva agitazione, quindi ero costretta a stare ferma, altrimenti un pizzicotto da parte sua non me lo negava nessuno. E io, invece di volgere lo sguardo verso la porta aperta, che tra l’altro mi incuteva un certo terrore, mi voltavo a fissare quei lampeggianti numeri rossi, tentando di contare sessanta secondi esatti. Ma a differenza di molte persone, l’azione di contare non mi provocava nessuna sonnolenza, al contrario, mi rendeva più sveglia che mai.
Ero la piccola dannazione di mio fratello, e sono sempre stata fiera di questo.
Adesso non ci sono più i nostri due letti a una piazza, separati solo da quel piccolo comodino, sul quale gettavamo tutto ciò che ci capitava a tiro. Non c’è più mio fratello disteso sul letto ad ascoltare i Coldplay con quelle sue cuffie da dj. Non c’è più il mio confidente che arricciava il naso quando gli dicevo che mi stavo preparando per uscire con un ragazzo.
Adesso non c’è, eppure questa stanza è ancora piena di lui.
Sul muro ci sono ancora i suoi poster dei Green Day e dei Linkin Park, alla sedia ci sono appese le sue cuffie nere, nel mio mp4 ho ancora la sua cartella dedicata ai Coldplay e nell’armadio conservo sempre la sua maglia bianca di Disneyland e anche quella nera dei Nirvana. Come può un’assenza essere tanto presente?
<> <> <>
Aspetto seduta sul marciapiede davanti casa, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani che mi sorreggono il viso. Come al solito ho finito per prepararmi troppo presto, quindi sono ben quindici minuti che sono intenta e concentrata ad osservare una fila di formiche che si muove vicino a me.
Da piccola odiavo quegli inutili insettini, infatti tentavo sempre di affogarli.
Mi strofino il pollice sulla nocca dell’indice in un gesto involontario, proprio sopra alla minuscola, e quasi invisibile, cicatrice che mi ha lasciato proprio una formica rossa.
Sento il rumore rombante di un motore e lo scricchiolìo dei sassolini dell’asfalto, che mi richiamano a guardare in fondo alla strada, giusto in tempo per vedere una Mini Cabriolet nera con gli specchietti verdi, svoltare e avvicinarsi a casa mia. Mi alzo in piedi, sistemandomi la camicia e appendendomi la borsa nera a tracolla, mentre mi tiro su gli occhiali.
Per stasera ho deciso di non mettermi le lenti a contatto, in modo da mostrare i miei occhi nella loro intera banalità. Ma tenendo conto che senza quelle sono praticamente cieca, ho dovuto ripiegare sui miei occhiali neri, con la spessa montatura in stile Wayfarer, che fanno sembrare il mio viso incredibilmente piccolo e scavato.
La macchina si ferma davanti a me. Vedo Mattia abbassare il finestrino e sporgersi un po’.
«Ciao! Che dici, Sali?»
«No, guarda, ti ho fatto venire fin qui per andare a piedi» rispondo sarcastica per poi rivolgergli una smorfia.
«Allora muoviti» dice ridendo.
Salgo e sento subito odore di Arbre Magique e fumo. Ma non quello delle sigarette normali, questo ha un aroma dolciastro, di vaniglia, da far rivoltare lo stomaco. Vedo sul cruscotto un pacchetto di Black Devil nere. Adesso si spiega tutto.
Mi ricordano le Black Stones che comprai per fare il cosplay di Nana Osaki. Costarono un sacco di soldi e facevano anche schifo.
Prendo il pacchetto tra le mani e guardo Mattia mentre guida.
«Fumi questa roba?» domando alzando un sopracciglio.
«Sì, perché?»
Storco la bocca e le rimetto dove le ho trovate, spostando lo sguardo davanti a me.
«Perché fanno schifo.»
«E tu che ne sai?»
«Io so tutto quello che voglio sapere.»
«Perfetto. Tu fumi?»
«Certo.»
«Che marca?»
«Marlboro» rispondo con uno sguardo quasi orgoglioso. Non se ne trovano molte di ragazze che fumano abitualmente Marlboro.
«Le gold?»
«Macché, le rosse.»
«Beh, sappi che fumare alla tua età fa molto male.»
«Grazie per l’informazione, ma vorrei ricordarti che abbiamo la stessa età.»
«Chi se ne frega, sono comunque più grande di te.»
Gli lancio un’occhiata stranita. Forse per la prima volta in vita mia sono riuscita a trovare qualcuno svitato quanto me.
In pochissimo tempo arriviamo davanti al ristorante.
Scendiamo dalla macchina e andiamo verso la porta in legno scuro, accanto al quale sono appese due lanterne di carta rossa.
Solo adesso rivolgo uno sguardo attento a Mattia, e mi rendo conto che ci siamo vestiti praticamente allo stesso modo. Anche lui ha una camicia bianca e dei jeans chiari, senza contare il fatto che entrambi portiamo ancora l’orecchino comprato oggi.
Stare accanto a lui mi provoca uno strano effetto, contribuito forse dal fatto che è alto tre metri, mentre io sono alta quanto un pacchetto di Vigorsol. Eppure Alessandro è più di lui, ma non mi mette soggezione… Oh Dio mio, almeno mentre esco con Mattia devo rifiutarmi di pensare a quell’idiota.
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«Allora, chi comincia l’interrogatorio?» chiedo dopo che una cameriera mi ha appoggiato davanti un piatto di ravioli al vapore.
«Come?»
«Dai, durante un’uscita c’è sempre il momento che somiglia a un interrogatorio» dico tagliando un raviolo.
«Ah, giusto. Comincia tu.»
«Mh, bene. Hai fratelli o sorelle?»
«No, sono figlio unico.»
«Non sai che ti perdi» dico facendogli un sorrisetto complice.
«Sei la prima persona che me lo dice, sai?»
«Ne ero sicura, ma le persone che hanno fratelli dicono di non volerli semplicemente per seguire uno stereotipo.»
«Ottima osservazione. Come si chiama?»
«Giacomo. Abitava con me e mio padre fino a un mese fa, poi… Si è trasferito. Forse l’hai visto in giro e non lo sai.»
«Sì, può darsi.»
Lo guardo mentre mangia con la forchetta i suoi involtini primavera. Mi sembra una cosa ridicola che non riesca a usare le bacchette.
«Perché non usi le bacchette? Entri meglio nell’atmosfera del ristorante»
«Non riesco a usarle, altrimenti non mi dispiacerebbe provare a mangiare con quei cosi. Tu come hai imparato?»
«Sono una profonda amante del Giappone, quindi ho guardato dei video per imparare a usarle, e adesso le uso ogni volta che è umanamente possibile. Di solito i ragazzi passano questa fase intorno ai quindici, sedici anni… Io la passo adesso. Lo trovo un mondo molto affascinante. Figurati, qualche tempo fa ho scoperto il mio incondizionato amore per gli anime, e mi sono perdutamente innamorata di ‘Nana’»dico fissando lo sguardo davanti a me con aria vagamente sognante, come se stessi guardando uno degli episodi proprio in questo momento.
«Ti sei innamorata di cosa?!»
«Come, non conosci Nana?»
«Dovrei?» chiede mentre mangia l’ultimo boccone di involtino, mentre il mio piatto è ancora quasi completamente pieno.
«Certo che dovresti! Ma scommetto che l’unico anime che hai mai guardato è Dragon Ball.»
«Stai dicendo che Dragon Ball è brutto?»
«Questo lo hai detto tu, non io. Senti, Dragon Ball è l’anime per eccellenza, ma voi maschi vi fermate solo a questo, non andate oltre.»
«Io sono andato oltre. Ho cominciato a vedere Naruto.»
«Questo non lo chiamo andare oltre, è sempre lo stesso genere. Vi fossilizzare e non vi rendete conto che ci sono migliaia di cartoni stupendi e intensi da vedere, che potrebbero addirittura cambiarvi la vita, tipo Nana» rispondo puntandogli contro una bacchetta.
«Okay, ho capito, dovrò vederlo, giusto?» mi chiede, ormai rassegnato. Chissà, forse ha già capito che con me non si discute. La mia parola è legge, punto.
«Recepisci bene i messaggi subliminali» rispondo soddisfatta.
Stare con lui mi fa un effetto piacevole, mi fa star bene. Per queste poche ore non ho pensieri cupi che mi fanno tenere la testa bassa, come se fossero tanto densi da aver preso una forma e un peso che spesso mi gravano addosso, quasi schiacciandomi, quasi senza farmi respirare. Sì, perché i problemi e le preoccupazioni sono stati progettati per questo, per ucciderti lentamente, senza che tu neanche te ne accorga. Anzi, diventa quasi un’abitudine avere un peso sul petto. A volte credi che qualche costola si stia inclinando sotto dei cumuli densi di emozioni. Ma con lui… Con lui questo non accade, non sento nulla che non sia un vago senso di serenità.
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Entriamo in macchina dopo aver fumato un sigaretta. Da alcuni piccoli dettagli, posso notare che gli piace il verde. Ha diversi stick a forma di geko, un porta sigarette vuoto e un accendino verdi, senza contare anche il suo portachiavi a forma di tartaruga.
Abbiamo parlato tanto mentre si mangiava, forse troppo, visto che adesso c’è un piacevole silenzio interrotto solo dal rumore delle gomme sull’asfalto.
«Metti un po’ di musica?» chiedo infine, per non far diventare quel silenzio imbarazzante.
«Va bene» dice premendo un bottone e facendo illuminare il suo stereo. A led verdi.
Parte una canzone che ho già sentito in discoteca. Se non mi sbaglio è ‘Get sexy’, ma non ho idea di chi la canti, ma mi piace, specialmente quella frase… So sexy it hurts. Così sexy da far male.
Ecco, Mattia è così. E’ sexy da provocarti quasi un dolore, perché sai bene che non potrai mai essere, neanche lontanamente, simile a lui.
Lo guardo mentre muove il collo a ritmo della canzone, in maniera quasi impercettibile, e accosta accanto a casa mia.
Scendo e faccio il giro della macchina, andando davanti al suo finestrino, che lui abbassa.
«Sono stata bene- dico semplicemente, appoggiandomi allo sportello e sorridendo come un’idiota.
«Sì, anche io.»
«Ricordati di vedere Nana, eh» gli ricordo ridendo.
«Certo, e tu devi guardare Naruto. Ancora non ci credo che tu non l’abbia mai visto.»
«Già, ma adesso non voglio parlare di Naruto» rispondo quasi sussurrando, come se ciò che ho detto fosse un segreto che solo lui deve sapere.
Mi avvicino con un leggero imbarazzo e sfioro le sue labbra con le mie, un po’ insicura se baciarlo o no, ma ormai è tardi per avere rimorsi.
Gli do un Bacio. Ma un Bacio con la ‘B’ maiuscola. Uno di quelli che non puoi archiviare tra i tanti.
Mi separo da lui e sorrido.
«Ti va di entrare?» gli chiedo facendo un cenno verso la porta di casa, mentre lui già apre lo sportello per scendere.


Il tempo di una sigaretta:
Bene, sono sempre più lenta ad aggiornare, perfetto -.-
Mi dispiace, soprattutto per il fatto che questo capitolo è molto corto...
Dio mio, mi odio da sola per le schifezze che scrivo ç.ç
Ma passiamo ai famigerati ringraziamenti: allora, ringrazio Mistina che mi sostiene in tutto ciò che scrivo, Freakyyep e Opora che sono le mie scrittrici, le mie cucciole, le mie tutto... E infine un ringraziamento va a JeyMalfoy_ che ha cominciato a recensire dall'ultimo capitolo, ma che si è subito dimostrata entusiasta di questo folle progetto :)
Grazie a tutte voi che aspettate pazientemente i miei aggiornamenti!
E infine ringrazio anche Emma Wright, che anche se non si è fatta sentire negli ultimi capitoli so che la sentirò di nuovo non appena riemergerà dal cumulo di compiti e interrogazioni :)
Okay, ho scritto anche troppo...
Baci, UnLuckyStar
P.s. Faccio un ringraziamento speciale a Opora, Freakyyep e JeyMalfoy_ che sono state tanto gentili da leggere e recensire anche le mie piccole e orripilanti
one-shot su Lucky e Alessandro :)

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PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 6
*** Piacevoli sorprese ***




Piacevoli sorprese


La lingua italiana è una lingua ricca di parole, proprio per questo viene considerata una delle più difficili da apprendere, ma nonostante questa enorme ed esponenziale quantità di termini e aggettivi non riesco a trovarne uno che descriva a pieno questa settimana. Credo che potrei definirla “infernale”.
Prima cosa: la scoperta di un cinque in diritto e francese.
Seconda cosa: Alessandro e Co.
Il punto è che prima di conoscere la sua esistenza, non ero a conoscenza nemmeno del suo enorme e indecente ego, cosa che mi permetteva di non notarlo e ignorarlo, ma adesso parlarci è una cosa quasi inevitabile, e per certi versi è anche divertente, ma presto la mia testa esploderà se continuerò a cercare o a inventare qualche nuovo insulto apposta per lui. E mentre tra noi scattano fuoco e fiamme, Alice, Emanuele e Sebastiano se la ridono di gusto, e Mattia mi da una mano a tenere testa ad Alessandro, anche se ovviamente non ne ho bisogno.
Okay, magari questa settimana non è stata poi così terribile, ma i prossimi dieci giorni saranno sicuramente da suicidio. Perché? Perché non ho proprio voglia di bocciare un altro anno per colpa di due miseri cinque, quindi mi aspetta almeno una settimana di reclusione da studio, senza l’opportunità di vedere la luce del sole. Ma prima di dire addio alla mia libertà, è meglio andare al mercato. Un semplice, banale e fin troppo comune mercato del lunedì, che uso volentieri come scusa per saltare l’ultima ora di inglese per farmi un giro con le mie compagne.
Siamo già davanti alle prime bancarelle, dove espongono oggetti più che altro etnici, come orecchini di piume e bracciali in cuoio, insomma, tutto ciò che richiama allo stile hippie, quello che preferisce Debora. Ovviamente lei è tutto tranne che hippie, anzi, se si tratta di litigare, lei è la prima a farlo, dopo me. La tipica ragazza che non la noti nemmeno fino a che non la conosci, ma che se si arrabbia quel poco in più, i suoi occhi sembrano diventare rossi, tale e quale ai suoi capelli. Come molte ginger, ha il naso e gli zigomi ricoperti di buffe lentiggini. Una bellezza comune, ma comunque apprezzabile e distinguibile tra la massa.
«Hai finito di guardarmi?!-
Mi riscuoto dalla trance in cui sono caduta, incantata a guardare i suoi occhi verdi, ricchi di striature più scure, che sembrano quasi nere.
«Lo sai che mi incanto a guardarti, quindi… No, non ho finito.»
«Oh, va bene»dice alzando le mani.
«Invece di leccare il culo a Deb, vieni qui»mi chiama Federica.
Solita finezza. Quando Dio distribuiva la grazia e il tatto, lei… Boh, scaricava le merci al porto o parcheggiava il camion.
«Sì, vengo, che c’è?»
«Come che c’è? Non vedi che bei vestiti?»interviene Alice, passando la mano su un vestito azzurro, di quelli leggeri e svolazzanti, adatti per l’estate.
«Carini, ma troppo lunghi»rispondo passandomi una mano tra i capelli, tirandoli indietro.
«Ma arriveranno al ginocchio…»
«Appunto.»
«Vuoi fare sempre la strafiga, eh?»mi dice sorridendo.
Do' un’occhiata ai vestiti, ma non sono affatto il mio genere. Colori troppo chiari, poco sgargianti, niente di nero... Vestiti da ragazzine.
«Okay, mi sono innamorata di questo»dice Alice dopo aver visionato buona parte della merce. Solleva in aria un vestito verde chiaro con delle sfumature gialle e nere, qualcosa che io non avrei mai il coraggio di comprare, figuriamoci a indossarlo.
«E che devo dirti… Provalo.»
Mi guardo intorno mentre lei sale sul furgone per indossare quel ridicolo straccetto.
Mi carico in spalla il mio zaino, e nell’altra il suo, di un assurdo color pesca con sopra faccine e dediche, che rientrano tra le più banali che la storia abbia mai concepito.
«Noi andiamo dagli indiani, vieni con noi?»mi chiede Esmeralda inclinando la testa da un lato.
«No, aspetto Al, poi vi raggiungiamo. Sempre che non abbia deciso di morirci, lì dentro»dico alzando la voce nell’ultima frase, per farmi sentire dalla diretta interessata.
«Ora esco, cazzo!»urla da dentro.
Intanto che Esme si allontana, lascio vagare lo sguardo in giro, sulle persone che popolano questo spazio, e tra i tanti e aberranti visi, scorgo per un attimo quello di Mattia. Cioè, non sono sicura che sia lui, ma lo spero…
Mi volto verso lo sportello semichiuso del furgone, dandovi un colpo secco.
«Quanto ti decidi a uscire?»
«Tra un attimo! Sto dando gli ultimi ritocchi.»
«Ritocchi a cosa? Non c’è nulla che può migliorare quel coso.»
«Lucky, fatti le tua e non rompere.»
Sbuffo, butto a terra le cartelle e appoggio la schiena allo sportello, incrociando le braccia al petto e calciando svogliatamente i sassolini dell’asfalto.
«Lucky!»
Mi sento chiamare da una voce profonda. Alzo lo sguardo e vedo Mattia venire verso di me, con le mani infilate nelle tasche dei jeans larghi.
«Ciao»ricambio il saluto e accosto la mia guancia alla sua.
«Che ci fai qui? Sei sola?»
«Sono venuta a perdere un po’ di tempo con le mie amiche»
«Quelle immaginarie?»
«Ehm… No. Alice è dentro che si cambia e le altre sono andate… Boh, da qualche parte. Tu che fai qui?»
«Sono in giro con i ragazzi… Stanno cercando qualche lavoro in giro…»
«Ah, e ci sono tutti?»chiedo speranzosa di sentire un: “No, Alessandro è rimasto a casa perché ha preso una malattia mortale di cui non si conosce la cura”.
«Sì, sì, ci siamo tutti»dice girandosi un attimo, giusto in tempo per vedere i tre ragazzi venire verso di noi.
«Ciao belve»li saluto una volta che mi sono arrivati davanti. Nulla di personale, io saluto spesso le persone con appellativi come “belve”, “bestie” o “animali”.
«Ciao stronza»risponde Alessandro scostandosi il ciuffo.
Sono già pronta a rispondere, ma Sebastiano ci interrompe.
«Non cominciate, dateci un attimo di tregua!»
«Sì, ma dov’è Alice?»chiede Emanuele.
«Sono qui»dice quest’ultima, aprendo lentamente lo sportello e uscendo dal furgone.
Devo dire che quel vestito le sta da schianto. La fa così… Boh, bellissima. Vedo infatti la mascella di Emanuele cadere verso il basso, come se la molla che la teneva su si fosse rotta.
«Sei una bomba» esordisco sollevandole un lembo della gonna, mostrando le sue gambe nella loro intera bellezza.
«Sta ferma, cazzo.»
«Al, sei figa, lei ti aiuta solo a metterlo in risalto»dice Sebastiano facendogli l’occhiolino.
«Sì, sei bellissima»interviene Mattia.
«E’ sexy, altroché!»esclama Alessandro.
Ovviamente lei è più che grata per questi complimenti, ma viste le occhiate che lancia di sottecchi al più basso del gruppo, si vede che aspetta solo un suo commento.
«Sei molto carina»le dice infine Emanuele, guardandola negli occhi, nello stesso identico modo in cui vorrei che qualcuno si rivolgesse a me, ma io sembro dannatamente incapace di trovarmi un ragazzo decente.
«Grazie.»
Ma per favore. Pensano di passare davvero inosservati facendosi complimenti come bambini delle elementari? Se è possibile, danno ancora più nell’occhio, visti i commenti deliranti di poco fa, da parte degli altri.
«Okay, vatti a cambiare e non metterci diec’anni» dico spingendola nel furgone.
Stare con queste bestie è l’ultima cosa che chiedevo alla vita.
<> <> <>
Le ragazze sembrano aver preso velocemente confidenza con i nostri “cari amici”. Sebastiano ed Esmeralda se ne stanno a chiacchierare amabilmente di piercing e tatuaggi, Alice sta ovviamente con Emanuele, Alessandro è fin troppo appiccicato a Debora, Federica è da qualche parte a farsi una canna, e io… Beh, effettivamente non sono in compagnia di nessuno, ed è l’unica cosa che non mi va affatto bene.
Mi muovo lungo il perimetro della bancarella, sotto gli occhi vigili del proprietario, che mi ricorda vagamente un  terrorista, e vado verso Mattia, che sta osservando alcuni orecchini.
«Trovato qualcosa?» gli chiedo sorridendo.
«Niente di speciale, ma questi mi piacciono» dice mostrandomi due orecchini dai colori giamaicani.
«Belli, ma…» mi avvicino al suo orecchio per non farmi sentire «Questo qui li vende solo in coppia, ho già provato a chiedergliene solo uno.»
«Vabbè, li prendo tutti e due, allora» dice tirando fuori il portafoglio e pagando con una banconota.
«Anzi, facciamo così» riprende porgendomi uno degli anellini giamaicani «Uno lo prendi tu.»
Mi sfilo velocemente la mia “girandola” nera e la sostituisco con l’orecchino, cosa che fa anche lui.
«Adesso siamo decisamente fighi» dico sorridendogli, probabilmente come un’ebete, e andando verso gli altri.
«Uh, vi siete presi gli orecchini uguali, che carini!» esclama Esmeralda, sempre attenta ai dettagli.
Le sorrido e la supero, andandomi a sedere su un muretto rosso di una casa, poco più in là. Io adoro Esmeralda, dopo Alice, è la persona con il cuore più grande che io conosca. Ha un carattere tranquillo, non ama sproloquiare, le basta avere un accendino e una sigaretta per essere felice. L’unica pecca, di un certo spessore, è che è considerata la puttana della classe, anzi, di tutte le quinte. Ed è vero, effettivamente l’ha data a molti ragazzi, ma onestamente non credo che lo faccia solo per il gusto di una scopata. La realtà è che ha un carattere molto debole, è rimasta segnata da quando suo padre l’ha abbandonata con sua madre e sua sorella, a dodici anni. Credo che alla fin fine cerchi nei ragazzi quella figura paterna che gli è mancata in questi anni, e spesso crede di aver trovato davvero un ragazzo che la ami senza interesse, e questo lo so bene perché ogni volta che la mollano me la ritrovo spesso sotto casa che piange, a orari improbabili. Mi dispiace per lei, ma non riesco a capirla a fondo, abbiamo caratteri troppo diversi, l’unica cosa che riesco a fare è prepararle un tè e farla sfogare. E adesso la vedo appiccicata a Sebastiano. Fino ad ora l’unica cosa che mi ha impedito di andare a picchiare i suoi ex, è che non li conoscevo, ma se accadesse qualcosa con Sebastiano, non avrei nessuna scusa per non ucciderlo, anche se mi sembra un tipo a posto.
«Oh Lucky, fai l’asociale?» mi riscuoto dai miei pensieri, attirata da Federica, spuntata non si sa da dove.
«Dici a me che sono asociale? Tu dove sei sparita?»
«C’era un mio amico e ci siamo messi a chiacchierare.»
«Sì, ci credo proprio ora che avete chiacchierato.»
Il mio commento non fa assolutamente riferimento a qualche maliziosità, ma piuttosto all’odore di erba che proviene dai suoi vestiti.
«Non rompere. Perché non vai da quelli là?»
«Uno di loro mi sta sul cazzo, perché non ci vai tu? Se sei fortunata trovi qualcuno che vende fumo a buon prezzo.»
«Non credo proprio» risponde con una smorfia «E poi anche a me uno non mi va tanto a genio.»
«Chi?» chiedo avvicinandomi incuriosita.
«Quello lì con il ciuffo» mi sussurra in un orecchio.
Sorrido tra me e me, cercando di non pensare al fatto che l’odiosità di Alessandro è più che palese anche all’occhio degli altri.
<> <> <>
Schifo. L’unica parola che mi viene in mente è questa. Superiamo le porte automatiche, e guardo con disgusto un’impiegata che strofina velocemente un straccio su un tavolo per “pulirlo”. Il McDonald’s è in assoluto il posto in cui non entrerei nemmeno se mi pagassero, a parte in questo caso. Solo l’odore mi fa rivoltare lo stomaco, mentre dietro di me sento già i ragazzi che parlano di cosa ordinare.
«Tu cosa prendi?»
Vedo Alice sbucarmi alle spalle e appoggiarmi una mano sul fianco.
«Niente, non ho fame.»
«Tu non hai mai fame. Dovresti mangiare qualcosa.»
«E invece no» rispondo un po’ scocciata dall’argomento della conversazione.
Ma saranno cazzi miei? Se mangio o no non influisce nella sua vita. Ma perché la gente non vuole capirlo? Ogni cosa che faccio deve per forza avere una spiegazione e anche ciò che non faccio deve avere una spiegazione. Non ho un briciolo di vita mia, eppure sono adulta e vaccinata, quindi perché devo farmi tanti problemi? Effettivamente, non lo so nemmeno io.
Andiamo alle casse e diamo il via alle infinite ordinazioni, tra “Big Questo” e “McQuest’altro”.
«Io intanto vado al tavolo» dico per poi dileguarmi velocemente, per non dover sentire le repliche di qualche rompicoglioni.
Vado spedita verso un tavolo in legno chiaro, circondato da sedie verdi e marroni. Mi siedo su una di queste, prendendomi la testa fra le mani mentre sento un cupo gorgoglìo provenire dal mio stomaco.
Sento gli occhi pizzicati dalle lacrime calde, che premono per trovare una fessura e uscire fuori. Sospiro e rivolgo lo sguardo verso l’alto, tentando in qualche modo di farle riassorbire. Odio questo mio bisogno di piangere nei momenti meno opportuni, odio il fatto che queste lacrime non hanno alcun senso… Odio tutto.
Mi passo una mano tra i capelli scostandomeli dal viso e vedo i ragazzi tornare con dei vassoi tra le mani e accomodarsi al mio tavolo e a quello vicino.
«Ti ho preso delle patatine» mi dice Alice accomodandosi nella sedia verde accanto alla mia.
Sbuffo mettendomi seduta in maniera decente.
«Che palle Al, ti ho detto che non ho fame!»
Come se non avessi parlato mi piazza davanti una porzione di patatine per bambini.
«Hai qualche problema con il cibo?» domanda Alessandro.
«No, ma sembra che tu abbia qualche problema con il farti i cazzi tuoi» rispondo inacidita.
Vedo già le labbra di tutti incurvarsi in un sorriso, segno della loro preparazione psicologica ad assistere ad un’imminente litigata.
Ora come ora, Alessandro è il mio unico antistress.
<> <> <>
 
Perché cazzo non ci riesco? E’ terribilmente frustrante. Non so da quanto tempo sono china su questo stupido cesso, tentando di vomitare, ma a me sembra fin troppo. Che siano passati due minuti o dieci, con due dita in gola non sono affatto piacevoli. Sono ancora incazzata per il comportamento di Alice, mi ha praticamente costretto a mangiare dodici patatine. Ripeto: dodici patatine. Sono appena tornata a casa e… Beh, credo che  abbiate già capito che sto cercando di evitare un disastro e di vomitare ciò che ho mangiato, ma nonostante i  continui conati, non riesco rigettare nulla. Mi accovaccio esausta sul pavimento, appoggiando la fronte alle ginocchia  sentendo le lacrime scivolarmi giù dal viso. Mi piacerebbe riuscire a rigettare anche le mie paure e le mie paranoie, ma se non sono capace mi buttare fuori ciò che è nel mio stomaco, figuriamoci ciò che è nella mia anima, se ne ho una. Mi asciugo le lacrime con il bordo della manica e mi alzo da terra facendo finta che non siano mai sorte. Vado in camera, infilandomi una maglia a maniche corte e nei pantaloni bianchi della St. Diego.
Mentre raccolgo i capelli con una pinza rosa cerco il mio mp4 con lo sguardo, scorgendolo sepolto tra i fogli lasciati sparsi sulla scrivania, insieme alle penne mordicchiare e distrutte.
Esco fuori all’aria aperta mettendo una traccia a caso dell’mp4. Una corsetta è ciò che mi serve per smaltire le schifezze che ho mangiato. Comincio a correre appena uscita fuori dal cancello, con movimenti ampi e leggeri, respirando lentamente. Senza neanche rendermene conto sento le note di “Cyrcus”, di Britney Spears, spegnarsi nelle mie orecchie, passando a “Ciao” di Alessandra Amoroso, la mia adorata Ale. Ripeto le parole nella mia mente e le sussurro lievemente, mentre stringo gli occhi facendoli ridurre a due fessure, sia per impedire di farmi accecare dal sole, sia per osservare un ragazzo in lontananza che sta venendo nella mia direzione. Cammina tranquillo a passo spedito, concentrato a giocherellare con un portachiavi, e sorridendo non appena solleva lo sguardo su di me. Che cazzo sorridi?
Si avvicina e continua a sorridere, mettendomi a soggezione. Abbasso lo sguardo e faccio per superarlo accelerando leggermente, ma mi afferra per un braccio.
«Che fai? Non saluti nemmeno?» mi chiede facendomi specchiare nei suoi occhi azzurri.
«Oddio Mattia, non ti avevo riconosciuto» dico togliendomi le cuffie dalle orecchie e cominciando ad avvolgerle.
«Che stavi facendo?»
«Correvo, non si vede? Cosa fai tu, piuttosto.»
«Camminavo, non si vede?» risponde cercando di imitare il mio tono di voce.
«Simpatico che sei. Comunque…»
Vorrei dire qualcosa, ma non so cosa di preciso, non lo conosco tanto da riuscire a instaurare una conversazione su due piedi.
«Comunque… Pensavo, se…» riprende cominciando di nuovo a giocare con la piccola tartaruga che usa come portachiavi.
«Se…?»
«Non lontano da qui ha aperto un ristorante cinese che vorrei sperimentare e mi chiedevo se ti va di venire con me.»
Cinese, lo adoro. Ma l’idea di mangiare non è affatto invitante, specialmente dopo l’esperienza di questo pomeriggio. Mi mordo il labbro inferiore, già abbastanza screpolato.
«Veramente dovrei…»
Dovrei studiare, è questa la verità, e sarebbe anche una scusa perfetta, ma…
«Niente, non devo fare niente. Vengo volentieri.»
Fanculo tutto. Fanculo allo studio e anche al cibo, per una sera mangerò come una persona normale, credo.
«Ti vengo a prendere io verso le… 20:00?»
«Va bene, io abito infondo alla terza traversa a destra. La mia casa è rossa, quindi la riconosci subito» dico sorridendogli e chiedendomi come sia riuscito a chiedermi di uscire mentre sono in tuta, con i capelli arruffati e magari con il trucco sbaffato.
«Okay, allora ci vediamo stasera» dice dandomi un bacio leggero sulla guancia, scappando via a passo rapido, e sento nettamente un sospiro di sollievo uscirgli dalle labbra.
Non posso fare a meno di sorridere come un’idiota mentre riprendo a correre.
Per la prima volta da un po’ di tempo aspetto che il tempo passi veloce, non per liberarmi di un’ennesima e inutile giornata.




Il tempo di una sigaretta:
Mi rendo conto che buona parte di voi vorrebbe uccidermi in questo momento, e se volete potete farlo.
Avete svariati motivi per uccidermi, tra questi il fatto che vi ho fatto aspettare una settimana di troppo, o che questo capitolo è piuttosto corto, oppure che fa semplicemente più schifo degli altri, soprattutto per il fatto che ci sono pochissime descrizioni e ancor meno riflessioni.
Mi dispiace di avervi fatto attendere, davvero tanto, perchè personalmente odio aspettare i capitoli.
Ringrazio la mia adorata Freakyyep, Mistina e Opora per aver recensito, e anche se Emma Wright non ha recensito, sono sicura che ha letto lo scorso capitolo, e spero di sentirla almeno in questo qui xD
Vorrei spiegarvi che a Lucky viene spesso da piangere perchè la depressione è uno dei sintomi dell'anoressia, e spesso le persone depresse piangono senza motivo.
Sì, va bene, a momento queste note sono più lunghe del capitolo stesso, quindi chiudo qui.
#PaceAmore&Giofrè, UnLuckyStar
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PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 7
*** Alberghi improvvisati ***




Alberghi improvvisati
 
«Oh Lucky? Ci sei?» mi chiama Alice, dopo il suono della campanella che segna l’intervallo, agitandomi una mano davanti al viso.
«Sì, dimmi.»
«No, dimmi tu! Dai, che avete fatto dopo che siete entrati in casa?» mi chiede facendo un esagerato occhiolino.
«Come sei maliziosa, ragazza mia… Sembri tanto una brava bambina e poi…»
«Oh, non provare a cambiare discorso! Dimmi ogni dettaglio.»
«C’è poco da dettagliare. Siamo entrati e mio padre stava guardando la tv» dico sconsolata. Non immaginavo che una serata così bella sarebbe finita in un modo così mediocre.
«Cavolo. E tuo padre che ti ha detto?»
«Niente, a momenti non si è neanche accorto che c’era Mattia.»
«Vabbé, cose che capitano. Di che avete parlato?»
«Mh… Di tutto, più o meno. Dei nostri passatempi, dei nostri amici… A proposito!» dico scattando in avanti «Ma ci credi che Alessandro è il suo migliore amico? Come fa a sopportare quella piattola?!»
«Guarda che Alessandro non è niente male, ed è anche molto carino» risponde alzando le spalle.
«Non credo che Mattia gli sia amico perché è carino, e poi, tu non avevi occhi solo per Emanuele?»
«Io ho occhi per tutti gli esseri viventi. Se non fosse che sembrerei una troia, starei con tutti e quattro.»
«Ma stai zitta, che non hai neanche il coraggio di andare a letto con il ragazzo che ti piace! Aspetta… Non è che hai paura?»
«Io? Paura? E di cosa? Di andare con Emanuele? Non sono una bambina» risponde facendo una smorfia.
«Vabbè, che c’entra, è normale quando non l’hai mai fatto. Io ero terrorizzata all’idea, credevo sarei rimasta vergine a vita.»
«Sì certo, tu vergine a vita. Questa è bella.»
«Vabbé, chiudiamo questo discorso, prima che tiri per le lunghe. Comunque preparati, Mattia viene a prendermi in macchina, quindi è probabile che si porti dietro il resto della ciurma.»
«Beh, e io che c’entro?» domanda fingendo indifferenza.
«Scema, vuoi stare un po’ con Emanuele oppure no?»
Mi guarda e accenna a un timido sorriso.
Cavolo, ma è così difficile ammettere che gli piace, a voce alta?
<> <> <>
«Dai, muoviti, da quando sei così lenta?» domanda Alice mentre mi spinge oltre la porta di scuola.
«Perché correte?» chiede Federica raggiungendoci.
«Perché Alice vuole vedere Emanuele il prima possibile» rispondo rivolgendole un ghigno.
«Sei la discrezione fatta persona, eh!»
«Lo dici come se fossi stata io a renderlo palese» rispondo con noncuranza.
Mi guardo intorno, scorrendo velocemente con lo sguardo gli studenti che si dirigono verso il cancello. E lo vedo. Lì, con i suoi occhiali da sole, che parla con Sebastiano e Alessandro, mentre Emanuele già ci sorride, appoggiato alla portiera dell’auto.
Appena Alessandro si accorge della nostra imminente presenza viene verso di noi, per poi superarci e andare a salutare Debora.
Razza di cafone.
«Ciao scemo» dico a Mattia.
«Ciao» risponde, per poi darmi un bacio sulle labbra.
Improvvisamente tutti guardano altrove, come se avessimo fatto chissà che cosa. E’ un bacio, cavolo, non è atto osceno in luogo pubblico.
«Avete finito di esplorarvi le cavità orali?» chiede Alessandro, con un tono quasi infastidito, dopo aver dato un ultimo saluto a Debora.
«Ti rode che tu non hai nessuno da baciare, eh?»
Forse è stata un’affermazione un po’ azzardata, in fondo non so se ha la ragazza, ma chi si metterebbe con una persona così acida? Una pazza, ecco chi. Solo un pazza masochista si torturerebbe tanto.
«Stai zitta» risponde fiacco.
Oggi non sembra in vena di grandi litigate.
Proprio mentre guardo la macchina di Mattia mi viene in mente un’idea per cui Alice mi ringrazierà per il resto dell’anno.
«Ragazzi, è una mia impressione o siamo un po’ troppi per entrare in macchina?»
«Wow, sei un’acuta osservatrice» risponde Sebastiano.
Credo che passi troppo tempo con Alessandro, sta cominciando a somigliarlgli.
«Simpatico. Alice, ti dispiace se prendi il pullman?» le chiedo per poi farle un occhiolino poco accennato.
«Certo, nessun problema» risponde confusa.
«Anzi, non mi fido a lasciarti andare da sola. Sei così bella che qualcuno potrebbe avere strane idee vedendoti, non trovi, Ema?» domando rivolgendomi a lui.
«Completamente d’accordo» replica.
«Perfetto, allora falle un po’ di compagnia. Vi fate un giretto e poi tornate a casa, no?»
«Per me va bene» dice lei timidamente.
«Anche per me.»
«Okay, allora andate e divertitevi» concludo spingendoli sul marciapiede.
Alice si volta, giusto in tempo per mimarmi un rapido “grazie”.
«Ho idea che quei due si piacciano» mi dice Mattia, per poi salire in macchina.
«Direi. Sono solo troppo cretini per ammetterlo.»
«O sono semplicemente timidi.»
«Mh, può darsi» rispondo salendo a mia volta e allacciandomi la cintura.
«Dove andiamo?» interviene Sebastiano.
«A casa» risponde Mattia, sottolineando l’ovvietà della risposta.
«Viene anche Lucky?»
«Sì, viene anche Lucky» gli rispondo sorridendo.
«Allora…» comincia Alessandro con la sua voce irritante «Ci hanno detto che sei uscita con Mattia» continua ghignando.
Lancio una sguardo severo verso quest’ultimo, che dopo aver osservato la mia faccia torna a guardare la strada, tentando di non scoppiare  a ridere.
«Sì, così sembra» rispondo riprendendo a guardare davanti a me.
«E ci hanno detto che l’hai fatto addirittura entrare in casa. Che ragazza!» riprende Sebastiano, battendosi il cinque con il cuo compagno di posto.
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo e guardando Mattia con un’espressione esasperata.
«Ma gli hai dato tutti i dettagli?»
«Come se tu non avessi fatto lo stesso con Alice.»
«Che c’entra, tra ragazze è diverso.»
«E invece è la stessa identica cosa» replica parcheggiando la macchina davanti ai giardini comunali.
«Abitate davanti ai giardini? Che figata» strepito uscendo dalla macchina.
«Calmati» mi sussurra Mattia appoggiandomi le mani sulle spalle
«Dai, andiamo sulle altale…»
«Matt, ti va bene se mi faccio la doccia qui?» mi interrompe Alessandro.
«Fai come se fossi a casa tua» risponde lanciandogli le chiavi «Comunque, io entro, ma Sebastiano rimane con te se vuoi, giusto?» chiede rivolgendosi a quest’ultimo.
«Certo.»
«Bene, allora ci si vede dopo» dico posandogli un bacio sulle labbra.
Mi volto rapida verso l’ultimo rimasto.
«Quindi… Andiamo sulle altalene?» chiedo battendo le mani.
«Facciamo a gara a chi arriva prima?»
«Okay… Uno, due, tre… VIA!»
Scatto il più veloce possibile verso quei sedili sospesi in aria, ma tocco la catenella di uno di essi troppo tardi.
«Ah ah! Ti ho battuta!» esclama lui facendo una strana danza della vittoria.
«Non è giusto! Tu balli, sei allenato a fare sforzi, senza tenere conto che hai le gambe più lunghe» dico sedendomi sull’altalena e aggrappandomi alle catene.
«Accetta la sconfitta in silenzio, ormai ho vinto io» dice sorridendo orgoglioso.
«Questa è solo una battaglia, vedremo chi vincerà la guerra!» esclamo stringendo il pugno con aria teatrale.
«Tu sei matta.»
«Sì, ha parlato quello sano.»
«Di certo lo sono più di te.»
«Ma chiudi il becco. Piuttosto, dimmi com’è vivere senza genitori tra i piedi.»
Alza le spalle prima di rispondere.
«Vivere con Mattia è come vivere con i propri genitori e anche Emanuele non scherza.»
«Immagino la tua immensa felicità. Come avete fatto a conoscervi?»
«Io e Emanuele ci conoscevamo da tempo, abbiamo conosciuto Mattia per caso.»
«Non ci credo» dico dondolando sull’altalena.
«Giuro. Ci siamo conosciuti per il semplice fatto che io e Ema cercavamo casa, mentre Mattia cercava dei coincquilini. E’ bastato dire che facciamo danza e il gioco è fatto.»
«Dio santo, che fortuna!»
«E’ una mia impressione o vuoi andartene di casa?»
«Cavolo, cosa te lo a pensare?» rispondo sarcastica.
Sì, cazzo, altroché se voglio andarmene! Fosse per me cambierei casa, vita, nazione, anzi, meglio ancora… Cambierei pianeta. Magari da qualche parte, in un cosmo così grande, c’è qualche civiltà aliena col quale potrei rapportarmi, chissà.
Alzo gli occhi al cielo, coperto di nuvole grigie, che non promettono nulla di buono, specialmente d questo punto di vista.
Senza neanche accorgermene, vedo Alessandro sporgersi da una finestra, quella che presumo sia del bagno.
«Scemi, muovetevi a entrare, ancora inizia a piovere» ci urla scuotendosi i capelli bagnati, forse reduci dalla doccia.
E’ a petto nudo, o per quanto ne so potrebbe esserlo completamente, ma preferisco non pensare a queste cose.
«Sembri una mammina petulante» gli grido di rimando «E vedi di coprirti, che sei una cosa oscena!»
Non risponde, lo vedo solo scuotere la testa e chiudere la finestra.
Mi alzo dall’altalena, facendo cigolare le catene arrugginite e prendendo Sebastiano per un braccio, trascinandolo verso la porta.
«Muoviti, altrimenti la mamma si arrabbia!» dico con una voce da bambina.
Suono il campanello e la porta si apre subito, rivelando Mattia con una tuta grigia. Proprio mentre sto spingendo Sebastiano dentro, vedo infondo alla strada Alice e Emanuele che corrono come dei matti, urlando: «Aspettate! Non chiudete la porta!»
In un attimo sono accanto a me, sudaticci e in vista di un infarto, ma felici come due bambini. Alla fine ci decidiamo a entrare in casa.
Non è molto grande, ma risulta spaziosa. La prima stanza che si vede è il salotto, unito direttamente alla cucina.
L’arredamento è semplice: un divano nero a tre posti, un tappeto blu, un soggiorno color mogano e una tv, mentre la cucina è occupata da un piano di cottura, uno di lavoro, un tavolo da quattro e un frigo.
Dal salotto si accede a due camere: una con due letti a le pareti azzurre, mentre l’altra presenta un letto solo e i muri verde evidenziatore.
«Scommetto che questa camera è la tua, vero Matt?» chiedo indicando quest’ultima stanza.
«Beh, in teoria sì, ma alla fin fine non abbiamo un stanza fissa, dipende dall’umore.»
«Che lunatici» sussurro tra me e me.
«Hey Lucky, ma a che ore passa il pullman? Se lo perdo non torno più a casa» mi chiede Alice ridendo.
«Se vuoi restare a dormire non ci sono problemi. Anche voi, Lucky, Alessandro, potete rimanere, tanto questa casa è diventata un albergo» dice Emanuele.
Alice mi guarda con una faccia a dir poco implorante.
«Vedremo» dico semplicemente, con aria burbera.
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Okay, quel “vedremo” è stato assolutamente inutile, visto che era abbastanza ovvio il fatto che Alice mi avrebbe costretto a rimanere con lei.
«Al, non voglio dormire con questa maglia, tu non ti sei portata un cambio?»
«No, che ne sapevo che saremmo rimaste qui a dormire?»
Sbuffo, tirandomi indietro i capelli.
«Beh, io così non dormo, vado a chiedere una maglia a Mattia» dico dirigendomi verso la porta chiusa della camera, mentre do’ un’occhiata ad Alice che si stende sul divano-letto.
«Siete in condizioni presentabili, là dentro?» chiedo bussando.
In men che non si dica, Mattia apre la porta, a petto nudo e con una maglia in mano.
«Uh, mi vuoi provocare, stasera» dico maliziosa un attimo prima di baciarlo e passargli una mano sul fisico muscoloso. Dio, è una meraviglia.
«Ragazzi, per favore, evitate di procreare davanti a me.»
Volgo lo sguardo sul letto, sul quale è steso ALessandro, intento ad ascoltare musica.
Borbotto qualche insulto e mi allontano da Mattia.
«Allora, che succede?» chiede questo.
«Mi puoi prestare una maglia per dormire?»
«Sì, tieni» dice porgendomi quella che ha in mano «E buonanotte» riprende arruffandomi i capelli, prima di accostare la porta.
Torno da Alice, buttandomi su quel letto improvvisato. Lei è ancora vestita, già avvolta dalle lenzuola e con gli occhi chiusi.
Mi volto di spalle e mi metto la maglia, che mi sta piuttosto larga. Nel girarmi mi trovo Alice che mi fissa con gli occhi sbarrati.
«Dormi con i jeans?» mi chiede.
«No.»
«Mattia ti ha dato anche dei pantaloni?»
«No.» rispondo ancora.
«E allora come dormi?»
«Dormo senza, semplice. Tanto non fa freddo.»
«Lucky, non è questione di caldo o freddo, è questione di rischio-stupro.»
«Ma che stai dicendo?» chiedo ridendo mentre mi stendo accanto a lei.
«E’ un dato di fatto!»
«Credi che sarebbero davvero in grado di violentarmi? Ma per favore! Sono come bambini, non sanno neanche cos’è il sesso» dico sfilandomi i jeans, per poi sistemarmi sotto le lenzuola e circondare Alice con le mie braccia.
«Domani non andiamo a scuola, okay?» le chiedo.
«Per me va benissimo, dovrei essere interrogata a matematica» risponde con la voce già assonnata.
Prendo a fissare il lampione fuori dalla finestra, mentre accarezzo le morbide ciocche bionde di Alice.
«Sai, credo che Emanuele potrebbe essere quello giusto» pigola timidamente con il viso affondato nella mia spalla, un attimo prima di stringersi più a me.
Sarebbe bello se il suo presentimento fosse giusto. Ho sempre desiderato di vedere un film d’amore dal vivo.


Il tempo di una sigaretta:
Uccidetemi, vi prego, mi farete un favore.
Inizio ad odiarmi seriamente per ciò che scrivo e per tutto il tempo che mi serve ._____.
Sappiate che ancora non l'ho fatto correggere a mia sorella, quindi se ci sono errori di battitura e quant'altro vedrò di correggerli ^^
Ringrazio Opora, Acquamarine_, cagedbird, Freakyyep, Amazaynxx, JeyMalfoy_ e _Shiver :)
Bene, io ho finito, ci sentiamo alla prossima ;)
Baci, UnLuckyStar
Twitter: @Un_Lucky_Star



PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 8
*** Giocando con la sorte, si perde sempre. O forse no. ***




Giocando con la sorte, si perde sempre. O forse no.

Mi sono sempre chiesta perché sono così bassa, e dopo anni di domande senza risposte soddisfacenti sono giunta alla conclusione che buona parte del mio attuale stato fisico vada attribuito ai vari risvegli traumatici che ho avuto durante la mia infanzia, che mi hanno sicuramente bloccato la crescita.
Sento movimenti agitati, con relativi cigolii da parte delle molle del divano, provenire dallo spazio alla mia destra. Che cavolo ha Alice, ora?
Lucky, tieni gli occhi chiusi e fai finta di niente, magari ha solo un incubo.
Attraverso le palpebre chiuse vedo la luce gialla provenire dalla finestra, segno che nessuno dei ragazzi si è alzato per chiudere le tapparelle.
Vorrei mettermi su un fianco, ma la mia cara amica mi è praticamente salita su un braccio, impedendomi ogni movimento naturale.
Mentre cerco di girarmi in una posizione comoda, sento letteralmente il fiato di qualcuno sul collo.
Finalmente mi decido ad aprire gli occhi e invece di scorgere accanto a me il dolce visino di Alice, mi ritrovo quella faccia da schiaffi di Alessandro a un dito di distanza. 
A stento trattengo un urlo, mentre faccio correre velocemente lo sguardo alla sua mano, sospesa a mezz'aria sul mio ventre.
«Che cavolo stai facendo?» chiedo cercando di inquadrare la situazione.
«Abbassa la voce, idiota, o svegli Alice.»
«Sì, ma tu dimmi che stai facendo qui, insieme a noi» dico stavolta sussurrando.
«Faccio questo» dice facendo atterrare la mano sulla mia pancia e cominciando a muovere velocemente le dita, come se volesse imitare lo zampettìo di un ragno.
E io rimango lì, ferma, seria, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
«Per caso stai cercando di farmi il solletico?» gli chiedo portandomi una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio.
Si ferma e mi guarda deluso, lasciando la mano inerme su di me.
«Sei un cretino, te l'hanno mai detto? Fai il solletico ad Alice, lei lo soffre.»
«No, poverina.»
«Poverina? Volevi farlo a me!»
«Ma lei non merita di morire d'infarto mentre dorme, tu sì.»
«Grazie, adesso puoi alzarti dal mio braccio?»
«Credi che io stia comodo? Sei spigolosa.»
«Come sarebbe a dire che "sono spigolosa"?»
«Nel senso che sei ossuta e mi stai infilando il gomito nelle costole.»
«Se non ti muovi lo so io dove posso infilarti il gomito» rispondo mentre lui si sposta.
«Perfetto, adesso manca solo che tu te ne vada» riprendo io.
«Non capisco perché dovrei» risponde chiudendo gli occhi e affondando il viso in un angolo del mio cuscino.
«Perché dovresti stare di là, in stanza con il tuo migliore amico, hai presente?!» domando esasperata.
«Ma adesso non ne ho voglia...» dice lamentoso.
«Va bene, vuol dire che andrò io» dico scostando le lenzuola e scendendo dal divano.
«No!» esclama lui, afferrandomi per un braccio e ributtandomi giù.
«Ma che ti prende?»
«Non mi prende niente. Resta tu qui, ritorno io di là con Mattia, tu non hai neanche i pantaloni.»
«E questo cosa c'entra?» chiedo tentando di dimostrare la mia più candida innocenza.
«Non è consigliabile lasciarvi da soli.»
«Hai paura di ciò che potremmo fare?» chiedo mentre lo vedo scendere e fare il giro del divano per andare in camera.
«Ho paura di ciò che potresti fargli tu» risponde varcando la soglia.
«Idiota» sussurro per poi girarmi su un fianco e coprirmi con le lenzuola fino alla testa.
Sono le dieci, ho ancora molto tempo per dormire.
 
***
 
La giornata può definirsi perfetta solo quando al tuo risveglio hai un ragazzo che ti prepara il cappuccino. E se davvero è così, questa è la giornata per eccellenza.
Mattia ci raggiunge sul divano, ancora aperto a fungere da letto, con una tazza di cappuccino in mano.
«Grazie» dico mettendomi a sedere.
Senza aspettare, prendo la tazza e affondo le labbra in quella che è una montagna di schiuma. Dio, questo cappuccino è orgasmico.
Sollevo il viso e passo la tazza ad Alice, che non ci pensa due volte a soffiarmela dalle mani.
«Hai i baffi» mi dice Alessandro, disteso in fondo al letto, indicando la schiuma che mi è rimasta sulla bocca.
«Almeno io posso dire di averli, tu no» rispondo per poi passarmi la lingua sul labbro superiore.
«Sembrate una coppia sposata da quarant'anni. Avete presente? Entrambi inaciditi, ma che infondo si vogliono bene» dice Mattia accanto a me.
Ma come può dire una cosa del genere? Proprio lui, poi, non dovrebbe dire niente riguardo a certe cose.
«Stai scherzando?» chiedo facendo una smorfia.
«E se scherzi non è divertente» continua Alessandro fulminando Mattia con un'occhiata.
«E poi, mi hai appena dato dell'inacidita?» riprendo rivolgendomi a quest'ultimo.
«Nel senso buono, ovviamente.»
«Certo, come no. Al, » la richiamo prendendole la mano «scappiamo insieme, amore mio, saremo solo io e te per il resto della vita» aggiungo con enfasi.
«Mi dispiace, ma effettivamente non sei il massimo della dolcezza» risponde alzando le spalle.
Non è possibile. O loro si sono imbottiti di stereotipi da film romantici o sono io che ho vissuto troppo nella realtà.
«Sebastiano, almeno tu salvami!» esclamo rivolgendogli uno sguardo disperato.
«A me vai benissimo così» risponde facendo l'occhiolino.
«Bene, allora andiamo via da questi amici infami e facciamoci una famiglia!» dico scattando a cavalcioni, raggiungendolo all'angolo del letto dove è seduto a gambe incrociate e raccogliendo le sue mani tra le mie.
«Ma hai spesso questi attacchi di teatralità?» chiede lui.
«Molto più spesso di quanto credi» gli risponde Alice, che io provvedo a fulminare con un'occhiataccia.
«Bene, finalmente abbiamo una coppietta felice!» esclama Emanuele.
Quel ragazzo certe volte mi fa venire il dubbio che possa essere gay. Voglio dire, è così... Boh, diciamo effeminato, anche se a primo impatto non lo sembra affatto. Ha certi modi di fare e di parlare che fanno sembrare lui un tenero orsacchiotto da stritolare di coccole, e che al confronto fanno sembrare me una camionista senza cuore. O forse lo sono davvero, chi lo sa. Potrei aver trascurato una vocazione da scaricatrice di porto.
«Bene, io avrei un'idea da proporvi» comincia Alice posando a terra la tazza di cappuccino ormai vuota.
«Mi spaventi se dici così» gli rispondo io, tornando al mio posto, accanto a lei.
«Tranquilla. Questa è un'idea geniale.»
«Definisci la parola 'geniale'.»
«Lucky, zittati e falla parlare!» esclama Alessandro.
Oddio, mi ha chiamata Lucky o me lo sono immaginato?
«Comunque... Ho notato che stiamo andando tutti molto d'accordo, cioè, quasi tutti, e mi domandavo... Che ne pensate di una piccola vacanza tutti insieme, dopo che io e Lucky finiamo la maturità?» domanda con gli occhi colmi di speranza.
«Prima bisogna vedere se veniamo ammesse alla maturità. Tu cosa hai in mente per questa pseudo vacanza?» le chiedo.
Che poi, sarà tutto tranne che una vacanza per rilassarsi, se ci sono Alessandro&Co in giro.
«Io pensavo al campeggio» dice entusiasta.
«Campeggio? Con le tende, senza elettricità e senza bagno? Tu non sei normale. E poi, dove potremmo andare a fare campeggio?»
«Non lo so di preciso... So che ci sono posti appositi vicino al mare...»
«Vicino al mare? Bene, io ci sto!» esclama Sebastiano seguito da cenni di assenso da parte di tutti gli altri.
Cosa ci trovano di bello nel mare? Sabbia che ti va ovunque, meduse, alghe schifose e conchiglie rotte che ti pungono i piedi. Davvero fantastico. Senza contare le ustioni e la febbre post-insolazione. Sì, insomma, io odio il mare.
«Beh, allora prendiamo una casetta sulla spiaggia, se proprio dobbiamo. Il campeggio non fa per me e la trovo piuttosto scomoda come attività» dico. Una casetta è sempre meglio che una tenda.
«Okay, mettiamo la cosa ai voti. Chi preferisce affittare una casa?» domanda Alice mentre la mia mano scatta verso il soffitto, seguita da Mattia, Alessandro e Emanuele.
«E va bene, allora. Vedremo di trovare qualcosa che costi poco. In fondo una casetta per una settimana, con il prezzo diviso in sei, non dovrebbe costare molto» rimugina lei portandosi una mano alle labbra.
«A questo ci penseremo quando sarà il momento» dico stendendomi sul divano.
Non so nemmeno se ci andrò davvero, meglio aspettare prima di fare progetti concreti.
 
***
 
Sono le sette passate e mio padre mi ha già mandato un messaggio per chiedermi quando torno.
Chiudo di scatto la tastiera del cellulare. Accidenti a me quando gli ho insegnato a scrivere SMS.
«Tutto a posto?» mi domanda Mattia alle mie spalle.
«Sì sì, è mio padre.»
«Ah, devi tornare a casa?»
«Macché, ho tutto il tempo del mondo.»
«Allora potete fermarvi a mangiare, no?»
«Se va bene ad Alice...»
«A me va bene» dice quest'ultima, emergendo dal salotto.
«Okay. Allora, che ci cucinate?» chiedo appoggiando le mani sul tavolo nero.
«Cosa? Voi due siete donne e fate l'alberghiero, dovreste cucinare voi» interviene Alessandro, accanto a me.
«Cosa c'entra il fatto che siamo donne?» chiedo alzando bruscamente il sopracciglio.
«Beh, essendo donne, dovreste cucinare.»
«Chiudi la fogna che hai in mezzo alla faccia, prima che lo faccia io» rispondo dandogli le spalle.
«Stai calma, mamma mia, era per dire. Andremo a prendere la pizza.»
«Io non ho fame» dico mangiucchiandomi un'unghia.
«Fai come ti pare» risponde prima di alzarsi e andare in una delle camere.
Quel ragazzo avrebbe bisogno di un po' di terapia di gruppo. E' troppo lunatico.
 
***
 
«Allora ragazzi, » comincia Sebastiano addentando un pezzo di pizza «dovremmo fare qualcosa di interessante, prima che questa serata diventi noiosa.»
«E tu cosa proponi?» chiedo guardandolo dal pavimento, accanto al divano.
Abbiamo deciso di mangiare in soggiorno, per stare più comodi.
«Facciamo il gioco della bottiglia, dai» esclama Emanuele.
«No, per favore, odio quel gioco! Che poi, nessuno vuole baciare nessuno e questo lo rende assolutamente inutile» replico lamentosa.
«Oh, dai, ci muoviamo sì o no? Tutti sul pavimento» interviene Sebastiano scendendo dal divano, mentre cominciamo a disporci in cerchio.
Prendo la bottiglia di birra che Mattia si è scolato.
«Okay, cominciamo» afferma Sebastiano facendo girare la bottiglia.
Il rumore sibilante del vetro sulle mattonelle dura pochi secondi, fino a che non vedo il tappo puntare verso di me. Cominciamo male.
«Bene, Lucky deve dire cosa ne pensa di...»
La bottiglia gira di nuovo su se stessa, puntando stavolta accanto a me. Mattia.
Quest'ultimo mi guarda incuriosito, aspettando che io prenda parola.
«Penso che sei svampito... E che sei figo.»
Dico la prima cosa che mi viene in mente, e sembra che a lui piaccia ugualmente.
«Mh, okay. Andiamo avanti» dice Sebastiano mentre fa girare ancora la bottiglia.
E il tappo punta ancora verso di me. Altro che "Fortunata", dovevano chiamarmi "Sfigata a vita".
«Allora, Lucky deve... Fare uno spogliarello con...» 
Fa girare la bottiglia, ma io la blocco.
«Aspetta un attimo. Come hai detto? Spogliarello?» chiedo sconvolta.
«Sì, che c'è di male? Ti togli qualcosa, non è che devi fare uno spettacolo erotico, tranquilla» dice alzando le spalle e riprendendo la bottiglia.
Gira, gira, gira. E punta Alessandro.
Mattia scoppia a ridere cominciando a cercare qualche canzone nel cellulare per accompagnare questa follia.
Alessandro si alza e viene verso di me.
«Che bisogna fare?» gli chiedo mentre "I'm sexy and I know it" parte con il suo ritmo sostenuto.
«Non lo so» risponde cominciando a muovere a tempo i fianchi.
E' bello, c'è poco da dire. Non lo apprezzo come persona, ma ho pur sempre un paio di occhi funzionanti. Ha un modo di muoversi che attira gli sguardi e non ha bisogno di spogliarsi per risultare ancora più bello, basta guardarlo mentre balla.
Gli prendo il lembo della maglia e comincio e sollevarla, mostrando la sua pancia solcata dai lievi muscoli.
«Ma non dovremmo spogliarci da soli?» mi chiede posando la sua mano sulla mia, per fermarmi.
«E dove è scritto?» gli chiedo finendo di sfilargli la maglia, mentre Alice lancia un gridolino.
«Okay, basta così» dico muovendomi per tornare al mio posto.
«Eh no, così non vale!» esclama Alessandro, prendendomi per un braccio e riportandomi davanti a lui.
«Giusto, ha ragione» sottolinea Sebastiano.
Che palle, ma chi me l'ha fatto fare di partecipare a questo stupido gioco?
Poso le mani sui miei fianchi e inclino la testa da un lato, guardandolo.
«Faccio da sola, okay?»
«No, adesso mi diverto io» dice portando le mani al bordo della mia maglia, sollevandola piano, ma continuando a guardarmi negli occhi, con quel sorriso strafottente. Alzo le braccia per far sì che possa sfilarla completamente, rivelando il mio reggiseno nero con tanto di fiocchetto rosso.
Partono applausi da parte del pubblico maschile e anche da quello femminile, mentre sento le mani di Alessandro correre al gancetto del reggiseno.
«Ah ah, ti piacerebbe, cocco» dico spingendolo via e prendendo la maglia che gli è rimasta in mano.
«Uffa, sei una guastafeste» sussurra mentre torna al suo posto e si rimette la maglietta.
Il tempo che io ritorni a sedere e la bottiglia riprende a girare, puntando Alice questa volta.
«Alice dovrà dare uno schiaffo a... Emanuele.»
Lei rivolge uno sguardo a Sebastiano, come a chiedere: "Devo proprio schiaffeggiare la sua faccia da cucciolo?".
Le do' una gomitata nelle costole per incoraggiarla a fare ciò che deve fare. Cavolo, se io ho fatto una sottospecie di spogliarello con Alessandro, lei può dare uno schiaffo a Emanuele.
Insicura, tira indietro la mano e gli molla uno schiaffo in piena regola, con tanto di chiocco.
«Oddio, scusa. Non ti ho fatto male, vero?» chiede subito toccandogli la guancia colpita.
«No, tranquilla» dice lui, arruffandole i capelli.
Intanto Sebastiano fa già ruotare di nuovo quella bottiglia maledetta e vista la sua faccia, si direbbe che non si aspettasse che stavolta puntasse lui stesso.
«Che palle... Quindi, io devo baciare...»
Odio quando bisogna baciare. Cazzo, non avete idea di quanti germi ci si scambi con un semplice bacio!
«...Lucky» dice infine.
E io devo baciarlo? Non che mi faccia schifo l'idea, ma non ho voglia.
«Che fai, non vieni?» esordisce lui.
«Sei tu che devi baciare me, quindi sei tu che ti devi muovere» rispondo con una smorfia.
Sospira e gattonando viene verso di me, per poi scoccarmi un bacio all'angolo delle labbra.
Apprezzo il fatto che non mi abbia baciata propriamente sulla bocca, questo gesto mi fa sorridere.
«Uh, che sorriso smagliante. Devo essere geloso?» mi chiede Mattia, fingendo un tono burbero.
«Giusto un po'» rispondo accostando la mia spalla alla sua e accarezzandogli la guancia con la punta del naso.
«Come sono dolci» sospira Alice.
«Sono disgustosi e abbastanza patetici» la corregge Alessandro facendo una faccia schifata.
Per una volta che tento di essere dolce e ci riesco, ecco che arriva lui a smorza l'atmosfera con i suoi commenti che nessuno richiede.
Sebastiano riprende con il gioco.
«Alessandro deve dire cosa pensa di... Lucky.»
Okay, sono nella merda.
«Mh... Penso che sei una rincoglionita di prim'ordine e che sei incredibilmente presuntuosa.»
«E basta? Nessun pregio da aggiungere?»
«Perché, tu hai dei pregi?» risponde fingendo stupore.
«Strano, quando mi hai riaccompagnata dal Blackout, qualche pregio me l'hai trovato.»
«Zitta, cretina.»
«Perché? Cosa ti ha detto?» domanda Emanuele.
Rivolgo uno sguardo ad Alessandro che mi fulmina con un'espressione furiosa, come a dire: "Di' qualcosa e ti stacco la lingua a morsi".
«Niente, ha detto che gli piace litigare con me perché sono intelligente.»
«Wow, questa è la frase più simile a un complimento che uscirà mai dalla sua bocca, nei tuoi confronti» dice Sebastiano.
«Sì, lo so» rispondo passando una mano tra i miei capelli vermigli.
«Continuiamo il gioco» ringhia Alessandro.
Non capisco perché se la prende tanto, infondo l'ha detto lui. Solo perché ero ubriaca, non significa che quelle parole non avessero un significato, o almeno non per me.
Prendo la bottiglia dalle mani di Sebastiano.
«Su, muoviamoci. Alice deve dare un bacio sulla bocca a...»
«Sebastiano» conclude Mattia.
«No, sta decisamente puntando Emanuele, non vedi?» replico fermamente.
«Vabbè, fai come vuoi» risponde rassegnato.
«Infatti. Su piccioncini, datevi un bacio» li esordio io.
«Ma...» 
«Niente 'ma'» dico dandole una spinta verso di lui.
Lui fa un sospiro come a dire "Dai, per questa volta mi sacrifico".
Socchiudono gli occhi e si danno un bacetto, che lì per lì somiglia più a un frontale in autostrada.
Sorrido mentre faccio girare la bottiglia, che punta nuovamente Alice.
«Tu devi baciare...»
«E basta con 'sti baci» si lamenta lei.
«Hey, la bottiglia ce l'ho io, quindi sono io a fare le regole.»
Ciò che non mi sarei mai aspettata è che stavolta il tappo fosse rivolto verso Alessandro.
«No, no. Tu non metterai le tue labbra schifose su quelle dell'amore della mia vita!» esclamo puntando il dito contro quest'ultimo.
«L'ha deciso la bottiglia, non io» risponde avvicinandosi ad Alice.
«Stai fermo dove sei, non provarci nemmeno!» dico cercando di respingerlo a suon di schiaffi sulle braccia.
«Ma ci stai ferma? Cretina.»
«Io sto ferma appena tu te ne torni al tuo posto. Piuttosto la bacio io.»
L'avessi fatto subito, invece di stare lì a becerare, visto che Alessandro ormai ha già posato le sue labbra spesse su quelle della mia migliore amica.
Mi mordo con forza un labbro per evitare di cominciare a bestemmiare. Non so se  sono più schifata da lui o dal fatto che lei non replica di nulla.
Veramente non so se ciò che provo è semplice ribrezzo. E' un miscuglio di emozioni che non riesco a definire.
«Okay, adesso facciamo l'ultimo giro e poi ce ne andiamo» dico ad Alice.
Respiro a fondo e lascio che la sorte faccia il suo corso, tanto peggio di così non può andare.
«Io devo dare uno schiaffo a... Alessandro.»
In realtà la bottiglia punta tra lui e Mattia, ma almeno questo voglio usarlo a mio favore.
Mi avvicino a lui, tiro indietro la mano e gli mollo lo schiaffo più forte che probabilmente ho mai dato in tutta la mia vita.
Accosto il mio viso al suo, sotto gli occhi allibiti degli altri, e gli sussurro: «Così la prossima volta impari a non baciare la mia ragazza.»
«E' meglio se ti allontani, se non vuoi che faccia lo stesso con te» mi bisbiglia di rimando.
Ecco, adesso non capisco se si riferisse al bacio o allo schiaffo appena ricevuto.
Involontariamente i miei occhi si fissano sulle sue labbra e mi viene voglia di avvicinarmi ancora un po', solo per il gusto di mordergliele.
«Andiamo?» chiedo ad Alice, ma continuando a fissare lui.
«Sì, certo» dice alzandosi in piedi «Altrimenti qui scoppia una rissa» aggiunge a bassa voce.
Entrambe prendiamo gli zaini, salutiamo e scendiamo in strada.
«Rimani da me o torni a casa?» le chiedo una volta nei pressi della fermata.
«Mio padre probabilmente sta lavorando al Mirage, quindi credo che vada bene se resto.»
«Okay.»
Proseguiamo percorrendo la strada che porta a casa mia.
Camminiamo in silenzio; lei sembra pensierosa, come se stesse progettando un piano per raggiungere la pace in Medio-Oriente. Io, invece, non ho assolutamente nulla per la testa, un vuoto talmente cosmico da poterci sentire l'eco.
«Al.»
«Mh?»
«Come erano?»
«Cosa?»
«Le sue labbra.»
«A chi ti riferisci?» chiede aggrottando la fronte.
«Ad Alessandro.»
«Vuoi sapere come sono le labbra di Alessandro?» chiede incredula.
«Sì.»
«Ma credevo che stessi con Mattia...»
«Io non sto con Mattia, okay? E anche se fosse, ti ho solo chiesto come sono le sue labbra, non ti ho detto di andarci a letto per dirmi come scopa» sbotto girandomi una ciocca di capelli tra le dita.
Non mi piace risponderle male, ma certe volte mi viene naturale.
«Beh... Sono... morbide.»
«E basta? Non so, non ti è venuta voglia di morderle?»
«No... Non è che sei stata tu ad avere avuto questa tentazione?» mi chiede facendomi specchiare nei suoi occhi.
Odio quando mi capisce troppo a fondo.


 
Il tempo di una sigaretta:
MUAHAHHAHAHAHAHHA Ecco il capitolo malefico °^°
Ammetto che mi sono divertita un casino a scriverlo, soprattutto la prima e l'ultima parte ^^
Avete notato il fantastico  banner a inizio capitolo? Tutto merito di questa bella personcina --->
Egg__s
Sappiate che tutto ciò che ho scritto riguardo al gioco della bottiglia è tutto casuale. Mi spiego: mi sono organizzata con un'amica, ho fatto i bigliettini con tutti i nomi e con le azioni, il resto è stato tutto merito della sorte.
Oookay, andiamo avanti e facciamo i dovuti ringraziamenti...
Grazie a quel mito di JeyMalfoy_, che capisce fin troppo bene le mie intenzioni riguardo a questa storia xD
Grazie ad Amazaynxx, che è sempre cucciolossissima in tutto ciò che fa *-*
Grazie a _Shiver, che adesso parte in vacanza, e quindi non la sentiremo per un po' di tempo ^^
Grazie alla mia Opora, che anche se recensisce sempre in ritardo, si fa ricompensare con i suoi commenti fangirleggianti (a proposito, tesoro, quando pubblichi il prossimo capitolo delle tua storia? ù.ù) :D
E infine, un grazie va a Freakyyep, che mi sostiene fin dall'inizio :*
Spero tanto, ma tanto tanto, che questo capitolo vi sia piaciuto, perché io c'ho messo il cuore, il fegato, i reni, la milza e la mia sanità mentale per scriverlo.
Baci, UnLuckyStar
P.s. Un ringraziamento extra va a @xdragonfly_ (alias Greta), Beatrice (ma quanto sarai cucciola tu?) e a Simona (anche se è un'ignorante ù.ù). Poi ovviamente un ringraziamento va a Lucky, quella vera, il tesoro che mi ha ispirato tutto questo. Ti amo :)
Twitter: @Un_Lucky_Star

 


PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 9
*** Un assaggio di vita ***




Avviso a tutti i lettori: non ho neanche riletto questo capitolo. L'ho scritto e direttamente pubblicato perché sentivo che vi stavo facendo aspettare troppo xD Quindi se trovate errori di battitura, frasi sconclusionate o enormità grammaticali, vi prego di segnalarmeli. Grazie e buona lettura :)

Un assaggio di vita


Mi giro nel letto, cercando una parte fresca tra le lenzuola.
Che cosa fa una normale diciannovenne la domenica mattina?
“Studia” sussurra una voce sadica nella mia testa.
Studiare è stata la mia attività principale nelle ultime due settimane, credo di meritarmi una pausa. Ma il fatto è che non so come sfruttare questo tempo.
Di solito passo la domenica con i postumi della sbornia o girovagando per casa come una morta.
Giuro, non mi ricordo più cosa facevo prima di cominciare a uscire il sabato sera. Leggevo? Stavo al computer? Guardavo la tv? Magari andavo a messa... No, no, sono sicura che questo non lo facevo. Non entro in una chiesa da... Mi piacerebbe dire ‘da quando ho fatto il battesimo’, ma il punto è che non ho fatto nemmeno quello. Mia madre ha provato tutte le religioni di questo pianeta. E’ stata buddista, shintoista, musulmana, mormone, ortodossa e sono sicura che per un breve periodo sia stata addirittura testimone di Geova. La mia mamma è sempre stata una donna strana e volubile, ha cominciato questo viaggio tra le religioni quando avevo circa dieci anni, ed è per questo che attribuisco a lei gran parte dei miei traumi infantili. Ha continuato a saltare da un credo a l’altro per anni, fino a che non si è convertita alla cocaina.
Avevo capito che aveva qualcosa che non andava, ma non avrei mai immaginato che fosse per quello. Infondo, chi avrebbe potuto pensare alla coca? Di solito sono i genitori a dover preoccuparsi che i figli non facciano uso di droghe, non il contrario.
Stranamente mio padre non si è mai opposto o curato dei cambiamenti radicali di mia madre, infondo lui è ateo, anzi, agnostico, anche se io non ci trovo nessuna differenza. Dio è una cosa che o ci credi o non ci credi, non c’è una via di mezzo, ma nonostante abbia provato a spiegarglielo, ovviamente non ha voluto darmi ragione.
Infine, in questa famiglia di matti ci sono io, che non so a cosa credo. Sono sicura che un giorno qualcuno si stesse annoiando a morte e quindi ha deciso di creare la razza umana. Bel modo di passare il tempo, vero? Diciamo che credo in Dio, ma non nell’istituzione della chiesa che gli è stata affiancata.
La stessa chiesa che avrebbe intenzione di privarci di tutto ciò che è bello nella vita: fumare, bere ogni tanto, fare sesso, imprecare quando è il momento di farlo e magari potersi imprimere un tatuaggio sulla pelle.
Sì, appena supererò la mia fobia degli aghi, mi farò davvero un tatuaggio: un meraviglioso ciliegio, nero e nodoso, come se fosse sul punto di morire, colorato solo da enormi fiori rossi.
Lo farò, giuro. Prima o poi.
I miei progetti improbabili sono interrotti dall’illuminarsi dello schermo del mio cellulare. Allungo il braccio verso il comodino e afferro il telefono, che m’inforna che Alice mi ha lasciato un messaggio vocale nella segreteria telefonica.
Da quando mi lascia messaggi alla casella vocale? Non è una cosa che fanno solo nei telefilm americani?
Digito il numero della segreteria e ascolto la mia voce registrata che dice: “Questa è la segreteria di Lucky. Non posso rispondere perché sono impegnata a uccidere la tua famiglia. Se vuoi dire le tue ultime parole, fallo dopo il famigerato biiip”.
Cosa mi ero fumata prima di registrare? Mi viene da ridere pensando alla faccia che ha fatto Alice ascoltandolo.
«Ma che cavolo di messaggio hai?! Sei inquietante, fattelo dire. Comunque, vediamoci al bar ‘Il Duca’ alle 10:30. Ci saranno anche gli altri, quindi vedi di vestirti come si deve, di non cadere di faccia nel trucco, di non essere né fatta, né ubriaca, e soprattutto non essere troppo bona, chiaro? Ci si vede lì.»
Premo il tasto rosso del cellulare e scuoto la testa. Appena la vedo devo chiedergli da che spacciatore va. Sicuramente vende roba buona.
 
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«Alice? Mi senti? Sì, ecco. Dicevi? Giro a sinis… Okay, ho visto il bar. Arrivo subito» dico chiudendo la chiamata e aspettando che le macchine si fermino per farmi attraversare la strada.
Ero convinta di sapere dove fosse questo bar, e invece ho dovuto chiamare Alice per farmi dire dove è. Ma perché dobbiamo incontrarci in un luogo sconosciuto all’umanità e dimenticato da Dio?!
Dall’esterno è un bar come un altro. Una grande tenda parasole bordeaux, sulla quale è scritto in caratteri eleganti ‘Il Duca’, fa ombra all’ingresso, vicino al quale sono posizionati dei tavoli e delle sedie in ferro nero.
Cammino spedita sulle strisce pedonali e apro la porta parzialmente in vetro, facendo suonare il campanello che pende su di essa. Che figata. Una cosa del genere l’avevo vista solo nei film.
Volto lo sguardo e vedo Alice seduta, anzi, è quasi sdraiata, su una sedia, mentre con una mano gira il contenuto di una tazza e con l’altra regge il cellulare.
«Ciao» dico avvicinandomi e mettendomi a sedere «Siamo solo noi due?»
«Così sembra, ma presto dovrebbero arrivare gli altri.»
«Mh, okay. Che stai bevendo?»
«Tè verde con latte.»
Arriccio il naso con aria schifata.
«Un normale caffè, no?»
«Mah, volevo provarlo, ma in effetti non è granché» dice guardandomi, finalmente. «Ma non ti avevo detto di non essere troppo figa?» risponde fingendo un’aria severa.
«Non mi sono neanche truccata, cosa ci trovi di bello in me? E poi, devo essere sempre pronta, nel caso…»
«Nel caso…?»
«Nel caso trovo il principe azzurro, ovvio. Che ne sai che proprio oggi, mentre sono alla cassa a pagare, le mie mani non s’incontrino con quelle di un bel ragazzo moro, prendendo lo scontrino? Poi si susseguirebbe una serie di sguardi romantici e passionali, e… BAM! Ecco il vero amore!»
«Tu credi seriamente che troverai qui dentro l’amore della tua vita? Solo per il fatto che l’hai conosciuto in un bar ci sono buone probabilità che sia un alcolizzato.»
«Oh, ma da quando sei diventata così cinica?»
«Da quando sto in tua compagnia. Sai com'è, quando vai con lo zoppo…» risponde alzando le spalle.
Incrocio le braccia al petto e alzo lo sguardo per godermi la visione generale del luogo, quando per poco non mi si ferma il cuore.
A prendere gli ordini a un tavolo, vedo Alessandro, perfettamente fasciato da un paio di jeans neri e una maglia bordeaux a mezze maniche. Con un blocchetto e una penna in mano gli sento uscire dalla bocca un “Cosa vi porto?” nel tono più gentile che gli abbia mai sentito usare.
E’ talmente diverso… Sorridente, cortese, per nulla nervoso. Un altro lato di Alessandro. Un lato sconosciuto. Un lato oscuro.
So che sembra un controsenso dire che il suo lato ‘migliore’ è quello oscuro, ma è così! Questa visione di lui gli strappa via a morsi il poco fascino che aveva addosso.
Do’ una gomitata ad Alice facendo un cenno con il capo verso di lui.
«Guarda chi c’è» le dico.
«Sì, l’ho visto. E’ lui che mi ha portato il tè.»
«E non mi hai detto niente?»
«Volevo che ti godessi la sorpresa» risponde ridendo sotto i baffi.
Rivolgo di nuovo uno sguardo verso di lui. Sta servendo a un tavolo a cui sono accomodate due ragazzine di circa quindici anni. Quella più vicina a lui sembra che abbia bisogno di una tazza sotto la bocca per evitare che bagni tutto sbavando, mentre lo guarda. L’altra si limita ad arricciarsi i capelli attorno a un dito e a sbattere le ciglia, come se un moscerino gli fosse entrato dritto in un occhio. Avrei tanto la tentazione di alzarmi, andare da loro e dire: “Placate gli ormoni, carine, tanto non ve lo da”.
Guardo l’orologio: le 10:36. Gli altri non sono ancora arrivati e Alessandro viene da noi dopo aver sorriso alle due oche dell’altro tavolo, per assicurarsi una buona mancia.
Mi da un leggero colpo sulla nuca e appoggia una mano al tavolino.
«Devo portarti qualcosa?»
«Non mi fido di te. Potresti rifilarmi un cappuccino al cianuro» rispondo guardandolo di sbieco.
«Per oggi non ho intenzione di avvelenarti. Non ancora, almeno.»
«Bene, allora mi basta un bicchiere d’acqua.»
«Wow, che ordine complicato.»
«Con il cervello che ti ritrovi non voglio metterti ancora più in difficoltà» rispondo sorridendo ironica.
Il campanello sulla porta richiama la nostra attenzione, facendo entrare in scena il resto della compagnia.
Mattia si avvicina e mi da un bacio, gli altri si limitano a salutare con la mano e a prendere delle sedie dagli altri tavoli vuoti.
«Allora, perché siamo qui? Ah, ciao Ale» dice Sebastiano agitando in aria la mano, in direzione di Alessandro, che mi sta portando il bicchiere d’acqua.
«Ciao» risponde avvicinandosi «Tra poco finisco di lavorare, ma ditemi, perché siete tutti qui?»
«Allora» comincia Alice «Ho cercato su internet qualche casetta sulla spiaggia che costi poco e ne ho trovata una perfetta. L’unico problema è che è disponibile solo per cinque giorni, dal 13 al 17 giugno…»
«Tesoro, ti rendi conto che il 13 è fra tre giorni, vero?»
«Sì, me ne rendo conto, è proprio per questo che vi ho fatto venire qui. Lo so che ve lo chiedo con poco preavviso, ma a voi va bene?»
«Io ed Emanuele siamo nullafacenti, quindi per noi non ci sono problemi» dice Sebastiano.
«Magari Massimo mi da qualche giorno di pausa dall’officina» risponde Mattia alzando le spalle.
«Forse adulando un po’ posso riuscire ad avere qualche feria anticipata» conclude Alessandro.
«Okay, tolto questo problema, mi sorge un dubbio… Sicura che costi poco e che ci sia spazio per tutti? Io non mi fido molto ad affittare una casa su internet» dico storcendo la bocca.
«Tranquilla, lascia fare a me. Sono la più responsabile, non ricordi?»
«Eri credibile fino a che non hai detto l’ultima frase» rispondo sarcastica.
Alessandro torna a lavorare senza dire una parola. Appena avrà finito possiamo andare a farci un giro. Ma io non ho proprio voglia di andarmene da questo bar, almeno qui c’è l’aria condizionata.
 
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Ed infine eccoci qui, sotto il sole delle 11:40. C’è voluto un quarto d’ora per farmi alzare dalla sedia, ma alla fine mi sono stancata anch’io di stare lì e a sentire i lamenti degli altri riguardanti la mia pigrizia.
«Adesso spiegatemi che differenza faceva se restavamo lì dentro. Qui fuori non c’è nulla, a parte il sole, che mi sta facendo squagliare la faccia» esclamo infastidita, mentre mi passo un mano sulla fronte per asciugare il velo di sudore che vi si è condensato.
«La differenza è che qui fuori non è pieno di persone nevrotiche, a parte te» risponde Alessandro con semplicità.
«Ma stai zitto. Possibile che non sentite caldo? Voglio dire… Io sto morendo!»
Lui m’ignora aprendo la bottiglietta d’acqua che si è portato dal bar e cominciando a bere.
Mi volto verso Alice, che adesso guarda sopra la mia testa aggrottando la fronte.
«Che guardi?» gli chiedo girandomi di nuovo verso Alessandro. Non faccio neanche in tempo a voltarmi completamente che lui comincia a buttarmi acqua addosso e sui capelli.
«Ma ti sei rincretinito?!» esclamo togliendogli di mano la bottiglietta.
«Ti lamentavi tanto per il caldo, volevo farti un favore.»
«E questo ti sembra il modo di fare un favore alla gente?»
«Come sei antipatica… Per una volta che agisco a fin di bene…»
Non gli faccio finire la frase che già vado verso la fontanella pubblica e arrugginita che è in mezzo alla piazza per riempire di nuovo la bottiglia. Vuole la guerra? Bene, non ci sono problemi.
Appena è colma fino all’orlo, corro verso di lui tentando di annaffiarlo un po’. Ma, sapete, io ho una mira di merda, quindi ho preso in piena faccia Sebastiano.
«Oddio scusa… Dovresti vedere che faccia hai fatto!» esclamo cominciando a ridere come una cretina.
Quest’ultimo viene verso di me, mi solleva di peso e mi porta dritta verso la fontanella.
«No, Seba, non stai per fare quello che stai per fare, vero?» dico cominciando a dimenarmi.
Lui non mi risponde, si limita ad aprire la cannella e a mettermici di faccia sotto.
«Mattia! Dai, aiutami!» grido tentando di non soffocare sotto il getto dell’acqua.
Intanto che lui viene verso di noi, Alessandro e Emanuele mi prendono le gambe, facendomi inzuppare anche quelle, che fino ad ora erano l’unica parte di me che non si era bagnata.
Con uno slancio riesco finalmente a uscire dal raggio d’azione della cannella, mentre a Emanuele rimane una mia scarpa in mano. E io rimango lì, sdraiata a terra accanto alla fontanella, completamente bagnata e con il fiatone.
«Appena trovo la forza di fare qualcosa, giuro che vi ammazzo» dico con un tono meno minaccioso di quanto avrebbe dovuto essere, mentre punto un dito contro i tre ragazzi che adesso se la stanno ridendo come degli stupidi.
«Oi, tutto bene?» mi chiede Mattia, tentando di non scoppiare a ridere anche lui.
«Come no, e tu sei stato davvero di grande aiuto, eh» rispondo tirandomi a sedere e guardandolo imbronciata.
«Beh, avevi caldo quindi loro…»
«Non c’entra nulla il fatto che avevo caldo, chiaro?»
«Okay, chiaro. Ora ti decidi ad alzarti o hai intenzione di rimanere qui per terra ancora per molto?»
«Credo che mi alzerò» rispondo rimettendomi la scarpa che mi sta porgendo Emanuele e tirandomi su «Ma dov’è Alice?»
«E’ rimasta seduta alle panchine, là in fondo» dice indicando la parte opposta della piazza.
Cammino svelta verso di lei, seduta lì, ancora con il cellulare in mano, proprio come l’ho vista la prima volta stamattina.
«Ma che ti hanno combinato?» chiede, vedendomi arrivare.
«Non mi hai sentito urlare?» domando scuotendo i capelli che mi si sono appiccicati alla faccia.
«No» risponde alzando un sopracciglio.
«Allora vai da Amplifon. I primi trenta giorni sono di prova gratuita, sai?»
«Divertente.»
«Sì, lo so. Comunque io vado a casa ad asciugarmi, non ho intenzione di fare altre figure di merda oggi.»
«Va bene, tanto ci vediamo domani. Vieni, dammi un bacio.»
Poso le labbra sulla sua guancia liscia, mi volto e vado via a capo chino, sperando che per strada nessuno mi riconosca.
 
<> <> <>
 
«Papà?» chiedo chiudendo la porta d’ingresso.
«Mh.»
Okay, è in casa. Adesso vado di là e gli chiedo tranquillamente se mi manda in vacanza prima della maturità e con dei perfetti estranei. Ce la posso fare.
E’ seduto al tavolo della cucina, con il solito giornale e il solito caffè in mano.
«Papà, mi servirebbero un po’ di soldi.»
«Per cosa?» mi squadra da capo a piedi «E perché sei bagnata?»
«Una lunga storia. Comunque, i soldi mi servirebbero per… Una vacanza.»
Posa il giornale sul legno del tavolo e mi guarda dritto negli occhi.
«Una vacanza?» ripete.
«Sì. Io e degli amici…»
«Che amici?»
«Ehm… Alice.»
«E gli altri?»
«Gli altri chi?» chiedo aggrottando la fronte e fingendo confusione.
«Hai detto ‘amici’, questo vuol dire che non c’è solo Alice, no?»
«No. Cioè, sì. Insomma, c’è solo Alice.»
«Non è che c’entra quel ragazzo che stai vedendo ora? Quel Matteo…»
«Si chiama Mattia, papà» dico riservandogli un’occhiataccia.
«Ah, giusto, Mattia.»
«Okay, ora che abbiamo chiarito il nome possiamo andare avanti?»
«Siamo sicuri che non ci siano di mezzo dei ragazzi in questa storia?» domanda, riprendendo il discorso. Mi guarda dritto negli occhi, vuole la verità. Ma da quando gli frega qualcosa della gente con cui esco? Continua a fissarmi e ho quasi la tentazione di abbassare lo sguardo.
No, Lucky, tieni lo sguardo fisso e… Nega, nega, nega.
«N-no. Niente ragazzi. Solo io e Alice.»
Sospira stancamente. Di sicuro ha capito che sto mentendo, ma finge di credermi, riabbassando gli occhi sulla pagina di giornale.
«Ti lascio andare solo se prometti di portarti dietro i libri di scuola e studi anche lì.»
Annuisco subito, senza dire una parola.
«Dové che dovreste andare?»
«Non so, ha organizzato tutto Alice…»
Lui sospira di nuovo e si toglie gli occhiali, stropicciandosi un occhio.
«Quanti soldi ti servono?»
«Credo che 100 o 150 € siano sufficienti per tutto. Mi conosci, non mi piace spendere» dico sorridendo.
«Va bene, allora domani vado a fare un prelievo. Tu fai la brava, mi raccomando» dice accarezzandomi una guancia con la sua mano rugosa.
Non so cosa gli prenda oggi, è da un sacco di tempo che non dice una frase compiuta più lunga di cinque parole…
«Certo che faccio la brava, l’ho sempre fatto» rispondo ridendo e andando a rintanarmi in camera mia.
La prima cosa che faccio è prendere la mia valigia nera dal fondo dell’armadio. Non è grande, non ho mai avuto bisogno di portarmi molta roba in viaggio.
Sono una maniaca dell’organizzazione, ho sempre paura di dimenticare qualcosa di utile a casa, quindi comincio a prepararmi giorni prima della partenza.
In ordine, comincio a disporre sul fondo della valigia i vestiti che sono certa di volermi portare: il tubino nero, tre jeans neri e uno bianco, svariate magliette dai colori e le scritte improbabili, pantaloncini di jeans, un vestito nero a fiori rosa e una minigonna di jeans. Dalla scarpiera tiro fuori un paio di Nike, le Superga e due paia di tacchi neri. Per il resto ci penserò domani, adesso ho una cosa più importante che mi frulla per la testa.
Accendo il PC portatile che è sulla scrivania e accedo a Twitter.
Scorro la timeline per vedere cosa dicono le altre ragazze e poi scrivo un semplice tweet: “Vacanza organizzata su due piedi. Che libri mi porto da leggere? #Paranoie”.
Aspetto qualche minuto, mangiucchiandomi l’angolo di un’unghia che fino a qualche giorno fa era perfettamente smaltata e ascoltando “One more night” dei Maroon 5.
Clicco sulla chiocciola che segna le menzioni e vedo una risposta al mio tweet.
@UnLuckyStar perché scegliere? Portateli tutti LOL
@xdragonfly_ Fosse semplice lo farei, giuro. Sono indecisa tra ‘Piccole donne’ e ‘Memorie di una Geisha >.<
Mi piace parlare con lei, è così semplice, sempre positiva ma soprattutto è carina e coccolosa. E’ difficile descrivere l’affetto che si può provare verso una persona anche se non l’hai mai vista faccia a faccia, di cui non hai mai sentito la voce e al quale non hai mai accarezzato il viso. Ed è strano entrare in confidenza, perché ti rendi conto che hai il coraggio di dire ogni dettaglio della tua vita a una perfetta sconosciuta, mentre alle persone che ti stanno accanto preferisci mentire e nascondere quello che provi e pensi davvero.
@UnLuckyStar puoi portarli entrambi, tanto non sono molto lunghi, né pesanti o ingombranti, no?”.
@xdragonfly_ Giusto, mi faccio sempre troppi problemi xD Grazie piccola, ti voglio bene :*”.
@UnLuckyStar di nulla, ti voglio bene anche io, sacco di cacca <3”.
Ecco, questa è la mia parte preferita di ogni conversazione: quella in cui ci ricordiamo che ci vogliamo bene, senza sentirci stupide, nonostante ci siano chilometri interi che ci separano.



Il tempo di una sigaretta:
Sì,  ho deciso di fare la lecchina nei confronti di @xdragonfly_ xD (faccio pena, lo so ç.ç)
Mi rendo conto che in questo capitolo non succede nulla di importante, è dannatamente di passaggio, ma serviva giusto per farvi sapere che la vacanza è anticipata. I capitoli importanti saranno i prossimi.
Accadranno molto cose: dei rapporti cambieranno, avverrà una svolta per i nostri personaggi, saranno capitoli pieni di equivoci e nottate particolari.
Insomma, i prossimi saranno una ricompensa per aver letto questo xD
Avendo un po' di ispirazione per i prossimi capitoli, cha mi porto dietro da due settimane, spero di aggiornare prima *e fu così che sparì per un mese*. No, vabbè, cercherò di impegnarmi :)
Ho scritto questo capitolo in questi ultimi quattro giorni, il resto è stata una vacanza dalla scrittura, quindi perdonatemi se fa schifo ç.ç
Ma adesso ringraziamo un po'... Grazie a Beatrice, Simona, Lucky, Greta, freakyyep, JeyMalfoy_, Opora, Ellie 97, CaramellaAlCioccolato94, HikariVava e... Le ultime tre arrivate: AlyBraianaDragneel, Koteichan e Niki_love! Grazie a tutte! :)
Bene, io vi saluto, sperando di trovare qualche recensione al mio ritorno!
PaceAmore&Alessandro, UnLuckyStar :D
Twitter: @Un_Lucky_Star




PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

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Capitolo 10
*** Di notte il mondo è giusto perché sta dormendo ***


Di notte il mondo è giusto perché sta dormendo

«Hey, Lucky, hai preso tu… Porca vacca, ma che hai fatto ai capelli?» chiede Alice appena mi vede uscire di casa con la valigia e il beauty case in mano.
«Lasciamo perdere, che è meglio» rispondo aprendo il bagagliaio della sua vecchia Palio grigia e buttandoci dentro la mia roba.
«Ma sei diventata una pel di carota! Hai sbagliato tinta, per caso?»
A quanto pare il mio invito a non parlare dei miei capelli non ha raggiunto il suo cervello.
«No, nulla di tutto questo. Prima di partire volevo rifarmi la tinta, visto che vedevo il preludio alla ricrescita… Ma poi boh, via via che lavavo i capelli nei giorni dopo hanno cominciato a schiarirsi, fino a diventare così. Spero solo di non diventare bionda.»
«Lo spero anche io. Dubito che ti starebbe bene come colore.»
«Ah, grazie mille» dico salendo in macchina e allacciando la cintura.
«Non fare polemiche e partiamo. Quindi…» si mette al volante e guarda l’orologio «Ora sono le 19:10, di conseguenza dovremmo arrivare a destinazione verso le 23:30…»
«Cosa?! Ma dove dobbiamo andare, per impiegarci quattro ore e mezza?»
Avete capito bene, sto andando in vacanza in un luogo che ancora non conosco. Per quanto ne so, potrebbe essere solo un piano di Alice per portarmi in un posto isolato e uccidermi per ripagarmi di tutte le figure di merda che gli ho fatto fare nel corso della nostra amicizia.
«Mettiti l’anima in pace, tanto non ti dico dove andiamo. Deve essere una sorpresa.»
Detto questo accende il motore e si allontana da casa mia.
«Non potevi prendere l’altra macchina? Ho la sensazione che questa tra un rantolo e l’altro ci lascerà a piedi.»
«Lucky, tu credi seriamente che i miei mi avrebbero lasciato prendere la Zafira?»
«Che palle, qui non c’è neanche lo stereo…»
«Senza questo catorcio non staremmo andando in vacanza, quindi non lamentarti.»
«Uff… Ma i ragazzi?» chiedo cambiando argomento.
«Dobbiamo vederci al casello.»
«Loro sanno la destinazione?»
«Certo che no.»
«E sono in macchina per conto loro, vero?»
«Mi sembra ovvio che sia così, visto che questa macchina ha cinque posti, mentre noi siamo in sei» dice svoltando bruscamente verso sinistra e fermandosi sulla rotonda, vicino al casello.
Non c’è ancora traccia della macchina di Mattia, quindi ci tocca aspettare.
«Puoi almeno dirmi come è il posto?» chiedo esasperata per l’attesa di scoprire dove stiamo andando.
«E’ bellissimo. Ti basta?»
«No, per nulla, ho bisogno di dettagli.»
«E’ una normalissima casa sulla spiaggia. Sai com’è: quattro pareti e un tetto.»
«Wow, dopo aver avuto questa informazione mi sento molto meglio» rispondo fingendo sollievo.
Alice volta la testa e rimette in moto il motore, pronta a partire verso la nostra destinazione sconosciuta.
«Perfetto, sono arrivati» dice sfrecciando via, con la macchina dei ragazzi dietro di noi.
«Posso chiederti un cosa?» domando dopo qualche minuto sull’autostrada.
«Sì, dimmi.»
«Questa vacanza sarà finalmente l’occasione giusta per farti avanti con Emanuele?»
«Mi conosci. Non voglio essere io quella che fa il primo passo.»
«E perché non dovresti? Io l’ho sempre fatto.»
«E infatti si vede come è andata a finire» risponde sorpassando una macchina.
Ci rimango un po’ male, non per la frase che alludeva a tutte le mie storie fallite, ma perché è stata lei a pronunciarla.
«Scusa… Volevo dire che...»
«Volevi dire che sono rimasta sola come un cane, l’ho capito.»
«No, intendevo dire che io non riuscirei mai a fare come fai tu. Tu sei carina, piaci sempre ai ragazzi, quindi non c’è nessun problema se ti fai avanti. Anche se ti rifiutassero tu sei il tipo che dice sempre ‘Ma chi se ne frega. Morto un papa, se ne fa un altro’, ma io non sono così, non ce la faccio ad esserlo.»
«Non devi essere necessariamente sfacciata quanto me. Devi solo essere sicura di quello che vuoi e prendertelo. Vuoi Emanuele? Perfetto! Vai da lui e chiedigli di uscire, prima che lo faccia qualcun altra e tu ci rimanga di merda.»
«Non ne avrò mai il coraggio.»
«I miei sono consigli, poi scegli tu se seguirli o no, ma sappi che è sempre meglio provarci e fallire, piuttosto che rimanere in disparte e avere rimorsi.»
«Questa l’hai presa da Facebook, vero?»
«Sì- rispondo ridendo «Ma poi, scusa, a che ti serve andare dietro a lui, se hai me?»
«Hai ragione, quasi mi ero dimenticata che ho già la ragazza.»
«Appunto, quindi vedi di non tradirmi.
«Ci proverò… Sotto quei bei vestiti da santarellina, hai il costume, vero?
«Ovviamente, visto che mi hai tartassato di messaggi per ricordarmi di metterlo. E poi cosa hanno i miei vestiti che non va?
«Nulla.
«Hai detto che sono da santerellina, il che significa che qualcosa non quadra» dico stiracchiando la camicetta bianca a mette maniche.
«Non hanno niente che non va. Se una persona non ti sente parlare, potresti addirittura passare per una ragazza per bene, vestita così.»
«Io sono una ragazza per bene.»
«L’importante è esserne convinti.»
«Infatti» concludo appoggiando la testa al sedile e chiudendo gli occhi.
«Svegliami quando arriviamo.»
«Okay, ma tu non russare e non sbavare.»
«Non prometto nulla.»
 
<> <> <>
 
Apro gli occhi, abbagliata da un lampione. Sospiro e cerco di stiracchiarmi, per quanto me lo possa permettere lo spazio stretto del sedile.
«Bene, stavo per svegliarti io» dice Alice.
«Perché? Siamo arrivate?»
«No, ma ci siamo quasi.»
Sbadiglio sonoramente e guardo l’ora, segnata dall’orologio sul cruscotto: le 23:50.
«Ma non dovevamo essere qui alle 23:30?»
«Sì, ma in autostrada c’era un incidente.»
«Ah va bene… Ma adesso puoi dirmi dove siamo?»
«Mh, hai presente il Gargano?»
«No, odio la geografia» rispondo aggrottando la fronte.
«Il Gargano è lo sperone dell’Italia, dove c’è la Santa Corona Unita, ed è una delle più belle coste che ci siano.»
«In pratica mi hai portato in un covo di mafiosi.»
«No, tranquilla picciotta.»
Inspiro a fondo e già sento l’odore del mare, che probabilmente sarà l’unica cosa che riuscirò ad apprezzare della spiaggia.
In lontananza sento una flebile musica allegra, forse una canzone tradizionale suonata per qualche festa in piazza. Nella mia vita sono stata poche volte in Puglia, ma l’ho sempre vista come una terra viva e ospitale, piena di musiche e mari stupendi. Un luogo vivace e caotico, proprio ciò che serve a me.
«Lucky? Dai, muoviti» mi riscuote Alice, mentre io, senza neanche essermene resa conto, ho richiuso gli occhi.
Esco dall’auto e la prima cosa che vedo è il retro di due casette affiancate. Immagino che siamo entrate nella spiaggia grazie a un accesso secondario. Dopo neanche un minuto arrivano anche i ragazzi, che parcheggiano davanti alla macchina di Alice.
Da quello che posso vedere al buio, entrambe le casette che abbiamo davanti sono bianche, con qualche crepa nel muro. Intanto ci spostiamo sul davanti, dalla parte che da sul mare: le finestre sono chiuse da tapparelle chiare, la porta è in legno e il tutto è delimitato da una staccionata storta e scheggiata. Nell’insieme la visione non è delle migliori; ciò che più mi attira è la spiaggia, appena illuminata da una pallida falce di luna.
«Dai ragazzi, ci pensiamo dopo ai bagagli, ora andiamo a farci il bagno!» grido prendendo per mano Alice e cominciando a correre verso il mare, chiaro perfino a mezzanotte.
In pochi secondi, scarpe, maglie e pantaloni volano via, e cominciamo a entrare in acqua. Questo è il bello di una casa al mare: ingresso alla spiaggia a tutte le ore.
«Ma voi avevate già i costumi?» chiede Sebastiano sfilandosi la maglia.
«Certo, noi siamo organizzate. Perché, voi no?» chiedo senza voltarmi verso di loro, ma continuando ad avanzare lentamente nell’acqua, che piano piano si fa più alta.
«No» risponde Alessandro.
«Beh, che vi frega? Se vi fate il bagno in mutande non cambia nulla.»
Detto, fatto. Finiscono di togliersi i vestiti e vengono in acqua, che già mi arriva ai fianchi.
«Andiamo più a largo, dai» dice Emanuele.
«Se vuoi andarci, vai, io non mi muovo da qui» rispondo contrariata.
«Perché?»
«Non sono una patita del mare… Credo di essere rimasta traumatizzata dagli scherzi che mi faceva mi fratello.»
Alice e Emanuele si avventurano a fare qualche passo più in là, vicini vicini, come due fratelli.
Improvvisamente sento qualcosa che mi sfiora la coscia.
«Oddio, che cazzo è?!» esclamo aggrappandomi a Mattia.
Mi volto e vedo Alessandro che scoppia a ridere.
«Mamma mia, sei proprio una fifona. Se ti spaventi così solo perché qualcuno ti tocca una gamba, non voglio immaginare come reagisci quando vedi una medusa» e riprende a ridere spassionatamente.
«Ah, sei proprio simpatico. Senti, ora facciamo il gioco dei Puffi.»
«Sarebbe a dire?»
«Io ti metto la testa sott’acqua fino a che non diventi blu. Che ne dici?»
«Dico che hai un umorismo macabro»
«E tu sei un idiota!» esclamo colpendo la superficie dell’acqua e riempiendolo di schizzi.
Non l’avessi mai fatto.
Nel giro di due minuti siamo rimasti tutti coinvolti in una guerra a chi si bagna di più. Le braccia cominciano a farmi male per tutti i movimenti strani che sto facendo, e gli occhi mi bruciano a causa dell’acqua salata che vi è entrata.
«Dai, adesso basta ragazzi, ho voglia di fumarmi una sigaretta» dico avviandomi verso la riva.
«Sì, anche io» dice Alice raggiungendomi.
«A questo punto veniamo anche noi. Su!» esclama Sebastiano facendo segno agli altri.
Fuori dall’acqua fa decisamente freddo e una volta raccolti i vestiti insabbiati da terra mi dirigo a passo svelto verso le macchine, sul retro.
Ognuno prende le proprie valigie e ci ritroviamo sulla porta di casa tentando di infilare le chiavi nella toppa.
«Aspetta, che ti faccio luce con il cellulare» dico tirando fuori dalla tasca il mio LG tribe.
«No, ho già fatto» dice facendo scattare la porta e aprendola.
A tentoni riusciamo a trovare la l’interruttore.
«Porca miseria, Lucky, ma che ti sei fatta alla testa? Sembri un lampione» dice Alessandro, non appena si accende la luce.
«Grazie, galante come al solito.»
«Io ho detto che sembri un lampione, non che stai male.»
«No, ma sai com’è, essere paragonati a un lampione non suona sempre come un complimento» rispondo sarcastica.
Mi guardo un po’ intorno. E’ estremamente piccola: la prima cosa che si vede è una minuscola cucina, un divano e una tv. Mi avvicino e apro una porta: è un bagno pidocchioso, con una doccia, una toilette e un lavandino, della serie che se io e Mattia volessimo un po’ di intimità, lì dentro staremmo stretti.
«Lucky, vieni un po’ a vedere» mi chiama Sebastiano.
Vado da lui che sta guardando dentro a una camera da letto. Non credo ai miei occhi. C’è un armadio con un’anta rotta, un comodino e due letti, uno a una piazza e uno a una piazza e mezza.
«L’altra stanza è uguale» riprende, mentre io cammino in quel luogo che puzza di polvere.
«Alice!» grido, facendo sobbalzare Sebastiano, che è rimasto sulla porta.
«Ehm… Sì, dimmi…»
«Ti rendi conto che noi siamo in sei e che ci sono solo quattro letti?»
«Sì, lo so. In teoria doveva esserci spazio per tutti…» risponde guardando a terra.
«Ormai è fatta, ma abbiamo bisogno di una soluzione al problema.»
«Semplice: in ogni camera uniremo i letti e dormiremo a gruppi di tre.»
«Okay, io starò in stanza con te, però.»
«No, no, no. Due ragazzi si dovranno sorbire una ragazza, altrimenti questa faccenda non è equilibrata» dice Sebastiano scuotendo la testa.
«Due maschi e una femmina, chiusi in una camera da letto. Non ti sembra una cosa ambigua?» chiedo alzando un sopracciglio.
«Qui l’unica che pensa a certe cose, sei tu.»
«Okay, allora decidiamo i gruppi» interviene Alice «Tu, Lucky, puoi stare tranquillamente in camera con Mattia…»
«E tu puoi stare in stanza con Emanuele» rispondo lanciandogli un’occhiata d’intesa.
«Eh va bene… Ema, tu chi vorresti in stanza?»
«Mh… Sebastiano. Senza offesa, Ale» dice sorridendo.
«Tranquillo» dice quest’ultimo prendendo la propria valigia e entrando nella prima camera.
E quindi io dovrei dormire con Mattia da un lato e Alessandro dall’altro? Ecco, questo è già un buon motivo per andarmene subito.
 
<> <> <>
 
Questa è davvero una pessima notte per cominciare una vacanza del genere. Che ci crediate o no, Mattia, il mio Mattia, russa. E con questo non intendo dire come il ronzare di un’ape,  ma come un trattore in accensione.
Mi rigiro nel letto, tentando di trovare qualcosa su cui potermi concentrare per escludere il rumore. Inoltre, fa anche un caldo terribile e stare in mezzo a due ragazzi non è il massimo.
«Puoi muoverti quanto ti pare, sentirai ugualmente il tuo uomo che russa» dice Alessandro mettendosi su un fianco, con lo sguardo rivolto verso di me.
«Non è il mio uomo.»
«E allora cos’è?»
«Boh… E’ quello con cui esco.»
«Mh, hai le idee molto chiare.»
«Non ficcare il naso nella mia vita. Parlami, dimmi qualcosa, magari sei così noioso che riesco ad addormentarmi.»
«Che ne sai se sono noioso? Non abbiamo mai fatto un discorso serio da quando ci conosciamo.»
«Bene, allora questa è l’occasione perfetta. Dai, tu sai che io faccio l’alberghiero, ma io non so che scuola frequenti tu» dico mettendomi anche io su un fianco.
«Non lo sai perché io non vado più a scuola.»
E’ buio, ma nelle sue parole posso percepire il suo sorriso gasato, come se il fatto di aver mollato la scuola fosse una cosa di cui andare fieri.
«Davvero? Quando hai lasciato?»
«In terza superiore. Mi hanno bocciato e io non sono più tornato.»
«Figo. E che scuola facevi?»
«L’artistico.»
«Quindi sei bravo a disegnare, giusto?»
«Sì, abbastanza, direi.»
«Allora mi faresti un favore?»
«No.»
«E dai, stronzo. Non è nulla di preoccupante.»
«Okay, sentiamo» dice con tono rassegnato.
«Vorresti fare un disegno per me?»
«Certo. Cioè, dipende dal disegno.»
«Un ciliegio in fiore, non credo che sia molto difficile da disegnare. Ma non voglio che me lo disegni sulla carta.»
«E dove? Su una parete?»
«No, no, anche se non sarebbe male. Devi disegnarlo su di me.»
«In che senso?»
«Nell’unico senso: prendere delle tempere, dei pennelli e dipingere sulla mia pelle. Potresti riuscirci, no?»
«Boh, tu sei la prima che mi fa una richiesta del genere. Potrei sapere dove vuoi questo ciliegio?»
«Qui» dico prendendogli la mano e facendola scorrere da sotto alla spalla fino al fianco «Allora, che ne dici?»
«Dico che prima o poi ti accontento. Ma se vuoi un disegno sul corpo, perché non vai semplicemente da un tatuatore?»
«Ho paura degli aghi…»
«Sei un fifona.»
«Smettila di chiamarmi così, porca miseria, anche tu hai delle paure.»
«Sì, ma sono diverse o comunque ci convivo.»
«Complimenti, vuoi un applauso adesso?»
«Senti, almeno mentre siamo qui cerchiamo di non litigare.»
«Sì, va bene» dico sospirando «Torniamo ai nostri discorsi… Hai qualche hobby, oltre che disegnare? Tipo… Cantare?»
«Mi piace, ma non stonato, quindi c’ho rinunciato da tempo, te?»
«Anche a me piace cantare, ma nessuno mi ha mai sentito cantare sul serio, quindi non so dirti se sono stonata o meno… Ti piace ballare?»
«Mh, non so… Ti piace respirare?»
Che risposta geniale… Cosa c’è di meglio che rispondere a una domanda con un’altra domanda? So che è ripresa da un film o qualcosa del genere, ma trovo comunque che sia un modo perfetto per esprimere la passione, la devozione e l’amore verso qualcosa; un semplice modo per dire che qualcosa per te è vitale, bella e automatica quanto respirare. Che cosa meravigliosa.
«Sì, mi piace respirare. E devo dire che mi piace anche ballare, anche se sembro una gallina a cui hanno infilato un petardo in culo.»
«E’ un altro modo per dire che balli male?»
«In pratica, sì.»
«Scusa, posso prenderti una sigaretta?»
Alzo il sopracciglio, e anche se siamo al buio, sono certa che ha colto la mia espressione.
«Tu fumi?»
«Ogni tanto.»
«Vabbè, allora prendine una anche per me» dico mettendomi a sedere, mentre lui si sporge verso il comodino per prendere il pacchetto.
«Dove tieni l’accendino?»
«Nel pacchetto, con le sigarette.»
«Okay» dice tirando fuori una sigaretta per sé e porgendone una a me.
Dopo aver rischiato di far cadere l’accendino, lo prendo e lo accendo, avvicinandovi la sigaretta, mentre lui fa lo stesso.
«Adesso sei la mia puttana per un giorno intero» dico, mentre sprofondiamo di nuovo nel buio.
«Che hai detto, scusa?» chiede aspirando una boccata di fumo.
«Ho detto che sei la mia puttana.»
«E perché dovrei esserlo?»
«Perché ti ho acceso la sigaretta.»
«E questo fa di me la tua puttana?»
«Esattamente.»
«Hai una personalità strana, sai?»
«La stranezza fa parte del mio fascino» dico aspirando e ributtando fuori il fumo.
«Perché, tu hai fascino?» chiede fingendo stupore.
«Ne ho molto più di quanto tu possa pensare. Mi passi il pacchetto?»
«Perché? Hai già una sigaretta in mano.»
«Ma dovrò pur buttare la cenere da qualche parte, no?»
«Ah giusto, tieni.»
Apro il pacchetto e schicchero in un angolo.
«Allora, dicevamo della danza… Fate tutti lo stesso genere?» chiedo portandomi la sigaretta alla bocca.
«No, più o meno facciamo tutti stili differenti, anche se conoscendoci stiamo cominciando ad omologarci. Io faccio L.A. style, Emanuele fa moderno, Mattia in principio era un ballerino classico ma da quando ha conosciuto Emanuele si sta cimentando nel moderno anche lui, e poi c’è Sebastiano che è più sul genere electro dance.»
«Beh, non mischiate tutti questi generi e continuate a fare ognuno il vostro, è più bello così, no?»
«Di certo io non mi metto davanti a una sbarra a fare i pliès» dice spegnendo il mozzicone sul pacchetto, generando un odore di carta bruciata.
«Su questo ne ero sicura» dico spegnendo a mia volta la sigaretta «Dai, per oggi abbiamo parlato abbastanza, credo che sia ora di provare a dormire» dico stendendomi «Buonanotte cretino.»
«Buonanotte rincoglionita» risponde sdraiandosi.
Mi sembra così strano il fatto che sono riuscita a parlarci senza litigare. Facciamo enormi progressi.
<> <> <>
 
Mi sveglio, richiamata da un rumore proveniente dalla cucina. I ragazzoni che sono con me stanno dormendo come sassi, quindi sgattaiolo fuori dalla camera, tentando di non fare casino.
La cucina è inondata di sole, che proviene dalla finestra che da sulla spiaggia, che inizia già a essere occupata da qualche famiglia.
Alice sta mettendo su un fornello una caffettiera.
«Buongiorno mattiniera» dico avvicinandomi e dandogli un bacio «Dormito bene stanotte?»
«Emanuele parla nel sonno e Sebastiano tira calci» risponde strofinandosi un occhio «A te com’è andata?»
«Mattia russa ma Alessandro, almeno mentre dorme, non dà fastidio» dico andando a sedermi al tavolo traballante.
«Ti è andata bene. Io quando tornerò a casa avrò lividi su tre quarti delle gambe» dice raggiungendomi «Ma vabbè, almeno io vado d’accordo con entrambi, tu con Ale…»
«Guarda che sto gestendo la situazione meglio di quanto possa sembrare! Per esempio stanotte abbiamo parlato come persone civili, senza picchiarci e senza insultarci troppo.»
«Cavolo, fate dei notevoli passi avanti.»
«Sì, me ne rendo conto…»
«Magari ritornando da questa vacanza, diventerete amici.»
«Io non riporrei troppe speranze su questa ipotesi. Ti ricordo che lui è ugualmente un idiota.»
«Ma le persone cambiano…»
«Non credo che accadrà in questo caso.»
«Va bene, se proprio ne sei convita…» dice girandosi verso la porta della sua camera, da cui esce Emanuele.
«Buongiorno» dice lui con la voce ancora assonnata «Perché siete già in piedi?»
«Sono le 9:30, non è poi così presto» risponde Alice, poi si alza e va a controllare la caffettiera.
Intanto io guardo fuori dalla finestra, con il mento appoggiato sulle mani, osservando il mare azzurro. Posso ufficialmente dare il via a queste vacanze estenuanti.


Il tempo di una sigaretta:
NON HO RILETTO UN CAZZO.

Okay, dopo questo brillante inizio... No, aspettate... Ho già pubblicato? o.O
Perché ho fatto così presto? D:
Ah sì, perché oggi è il compleanno di JeyMalfoy_, quindi questo è il mo regalo per lei... Auguri!
A parte questo... Nulla... So che fa abbastanza schifo, sento che manca qualcosa, ma vabbè, ci tenevo a pubblicarlo oggi, che tra l'altro è anche il giorno in cui iniziano i Giochi Olimpici!
FORZA ITALIA!
Bene, ringrazio Koteichan,
Freakyyep, Opora, AlyBraianaDragneel, CaramellaAlCioccolato94, JeyMalfoy_, HikariVava e le mie ultime 'seguaci' (come le chiama Opora, lol): Seren_aliasRobin_ e missindipendent!
Siete tutte fantastiche e grazie a voi ho superato l'obbiettivo delle 50 recensioni, sperando di arrivare presto alle 100 *-*
Io vado, belle donne!
Che Luckyssandro sia con voi!
P.s. Bannerino a inizio capitolo, cambiato! Che ne dite? Fa un po' schifo, ma è il massimo che riesco a fare xD
Twitter: @Un_Lucky_Star



PRESTAVOLTO:
Alessandro
Alice
Emanuele
Lucky/Fortuna con i capelli scoloriti (?)
Mattia
Sebastiano

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Capitolo 11
*** Io non sono asociale, la società è anti-me ***


Io non sono asociale, la società è anti-me


-Dai alzati. Su, Lucky, muoviti. Alzati. Lucky. Lucky? Dai scendi. Oi, sei sveglia?-
Questa è la cantilena che Mattia sta recintando nel mio orecchio da almeno cinque minuti.
-Matt, lasciami in pace, dai- rispondo lamentosa immergendo la faccia nel cuscino.
-Ma è l’ora perfetta per andare a fare il bagno!-
-E quale sarebbe quest’ora perfetta?-
-Le nove-
-Io invece credo che questa sia l’ora adatta per dormire un altro po’, visto che non ho chiuso occhio stanotte-
-E perché?- chiede stendendosi accanto a me.
-Perché russavi-
-Puoi anche dormire in spiaggia-
-No, non posso- rispondo mettendomi a sedere.
-Ma perché?- chiede esasperato.
-Perché sulla spiaggia c’è il sole e la mia pelle è bianco-latticino. Se poi mi scotto, sarò la tua dannazione, puoi giurarci-
-Non ti scotti se ti metti sotto all’ombrellone-
-Ma devo proprio venirci?-
-Sì, gli altri sono già scesi, è rimasto solo Emanuele qui-
-E perché non è giù con gli altri?- domando aggrottando la fronte.
-Sta cercando il cellulare-
-Okay, allora facciamo così: tu adesso vai dagli altri, io mi preparo e poi vi raggiungo-
-Non mi fido-
-Non hai fiducia in me?-
-No, non ho fiducia nella pigrizia che si è impossessata di te-
-Guarda, sono già in piedi- dico alzandomi dal materasso.
-Brava. Allora ti aspetto lì- dice dandomi un bacio a fior di labbra.
Intanto che lui esce io vado alla ricerca del mio costume nero a pois bianchi. E’ un due pezzi semplice e senza fronzoli, che indosso e copro con una maglia bianca enorme. Metto un paio d’infradito arancioni ed esco dalla stanza.
In cucina trovo Emanuele già in costume e con il cellulare in mano.
-Buongiorno- dico tirando indietro i capelli fosforescenti che mi si sono scomposti sul viso.
-A te. Pronta per andare in spiaggia?-
-E certo, non si vede?- rispondo sarcastica indicandomi la faccia.
-Beh, sembri entusiasta, non c’è che dire-
-Sono contenta che si capisca-
Primo giorno: iniziato.
***
Arriviamo alla spiaggia libera, ma prima di entrare fermo Emanuele, trattenendolo per un braccio.
-Hey, senti, dobbiamo chiarire una cosa-
-Cosa?
-Quando ti decidi a provarci concretamente con Alice? Se continuate così diventerete vecchi e il vostro strano corteggiamento perderà il poco senso che ha conservato-
-Ehm, Lucky, senza offesa, ma non credo che siano affari tuoi-
-Ema, - dico sospirando –lei è la mia migliore amica, e tu vivi con il ragazzo con cui esco, quindi sono anche affari miei. Se vuoi, posso darti una mano-
-E in che modo?-
-Non so, facendovi rimanere accidentalmente soli in casa. Lei non si farà mai avanti prima di te, tienilo a mente… E nel caso io riesca a farvi rimanere soli, beh… Approfittatene-
-Approfittarne, eh?- ripete lui tentando di rimanere serio e non scoppiare a ridere.
-Sì, insomma, dateci dentro!-
-Come, scusa?- chiede quasi scivolando, mentre passa accanto alle docce.
-Hai capito benissimo e hai capito anche a cosa mi riferivo-
-Grazie per l’offerta ma credo che ce la farò da solo-
-Ne dubito, se vai avanti così, ma vabbè, lascio tutto nelle tue mani- rispondo cominciando a camminare sulla sabbia che mi si attacca fastidiosamente ai piedi.
Vedo subito Alice, Sebastiano, Alessandro e Mattia stesi su degli asciugamani, intenti a prendere il sole.
Sembrano tante bistecche pronte a suicidarsi su una griglia in nome dell’abbronzatura perfetta.
Perché le persone vogliono per forza la pelle più scura? E’ così bello essere pallidi.
-Vi siete già messi a prendere il sole? Ma dai, fate pena- dico facendo il mio ingresso accanto a loro.
-Ma non rompere. Solo perché tu non sei capace di abbronzarti non significa che noi non dobbiamo provarci- mi risponde Alessandro.
-Io sono orgogliosa della mia carnagione cadaverica- ribatto sollevando il naso per aria.
-Dai, è un’ora che stiamo cercando di prendere il sole. Andiamo a fare un bagno- dice Sebastiano alzandosi in piedi e scrollandosi la sabbia dal costume.
-Un’ora? Siete qui da un’ora?- chiedo sgranando gli occhi.
-Sì. Dai, vieni o no?-
-No, decisamente no-
-Perché?-
-Perché adesso l’acqua è sicuramente calda, quindi ci saranno alghe, meduse e animali selvaggi-
-Lucky, guarda bene- dice indicandomi il mare chiaro –Vedi alghe?-
Scruto a fondo l’acqua che si staglia pigramente sulla riva.
-No-
-Vedi meduse o mostri?-
-No, okay?-
-Allora vieni, dai-
-Ma poi mi scotto, stando in acqua- rispondo stringendo l’orlo della maglia che di certo non ho intenzione di togliermi.
-Mettiti la crema solare-
-La crema si toglie quando si fa il bagno, ignorante-
-Ti stai arrampicando sugli specchi. Su, muoviti-
-Okay, okay- rispondo andando a passi lenti verso quella distesa d’acqua.
-Lucky, mi sa che ti sei dimenticata qualcosa- mi chiama Mattia.
-Cosa?-
-Non ti sei tolta la maglia-
-E infatti non me la tolgo- rispondo immergendo i piedi nell’acqua, che è più fredda di quanto credessi.
-Fai il bagno così?-
-Sì, esatto, almeno non rischio un’ustione di terzo grado- rispondo facendo qualche passo avanti –Al, vieni con me?-
-No, no. Mattia mi da una mano a ripassare- dice sventolando in aria il libro di alimentazione.
-Ma tu hai davvero intenzione di studiare mentre siamo qui?-
-Certo, non voglio accontentarmi di un settanta come voto finale-
-Per me il settanta sarebbe una grazia, più che un modo per accontentarsi- borbotto tra me e me.
Alice è sempre stata una secchiona, la classica ragazza che la mattina dice “Non ho studiato niente, prenderò quattro” e alla fine della giornata se ne torna a casa con un otto e un sette e mezzo. E’ intelligente quanto basta per riuscire ad avere sufficienze piene senza studiare, ma a lei non piace accontentarsi del minimo indispensabile.
Cammino con l’acqua fino alle ginocchia che ammortizza ogni mio movimento. Qui l’acqua diventa subito profonda a pochi passi dalla riva. Meglio così, nel caso dovessi affogare sarei qui vicino.
Alessandro arriva e mi prende per un polso trascinandomi dove l’acqua si fa più alta.
-Hey, stai a cuccia. Dove hai intenzione di portarmi?- domando facendogli mollare la presa.
-Ti porto dove l’acqua è più alta, in modo che non sembrerai una bambina, sola soletta qui a riva-
-Ma io non so nuotare- rispondo chiudendo un occhio per via del sole che mi acceca.
-Non c’è bisogno che tu sappia nuotare, basta che ti tieni a galla-
-Non so fare neanche quello-
-Ma allora che sei venuta a fare?-
-Guarda che io nemmeno ci volevo venire. Fosse per me, adesso starei dormendo, visto che stanotte Mattia russava e tu mi sei stato appiccicato facendomi morire dal caldo-
-Ma scusa, almeno prova a venire un po’ più in là. Ti porto io, tu devi solo tenere la testa fuori dall’acqua-
-Non fare tanto il gentile. Lo so che è tutto un piano diabolico per affogarmi e offrirmi in pasto agli squali- rispondo alzando un sopracciglio e incrociando le braccia.
-Non ci sono squali qui-
-E invece sì, gli squali sono ovunque. Magari uno sta progettando di mangiarci in questo momento, mentre discutiamo di minchiate-
-Tu dici?-
-Ne sono sicura-
-Allora vieni con me. Io sto davanti, almeno se qualche squalo si avvicina, mangia prima me, mentre tu hai il tempo di scappare, okay?- chiede alzando gli occhi al cielo.
-A queste condizioni… Sì, va bene-
Mi prende le mani e comincia a trascinarmi vicino agli scogli, camminando all’indietro, come un gambero.
-Hey, ma non ci stiamo allontanando un po’ troppo?- chiedo allarmata, nel vedere che stiamo superando gli scogli.
-No, no. Qui l’acqua è ancora più bella- dice sorridendo, lasciandomi una mano e immergendo la testa sott’acqua, per poi risalire e scrollarsi i capelli bagnati –Dai, prova a stare a galla da sola- dice lasciandomi anche l’altra mano.
-No, no, no- dico con l’acqua che mi sfiora il mento e cominciando a muovermi convulsamente –No, Ale per favore, non fare lo stronzo!- esclamo toccando finalmente il fondale con i piedi.
-Okay, okay, tranquilla, non stai mica morendo. E onestamente ho in serbo morti molto più dolorose e lente per te- dice sorridendo e afferrandomi la vita per sorreggermi.
-Tipo?-
-Tipo… Ti farei bere un litro di succo di carote-
-Succo di carote? E cosa mi farebbe?- chiedo alzando un sopracciglio.
-Beh, se bevi un litro di succo di carote, ti esplode il fegato-
-Quindi tu vorresti farmi esplodere il fegato?-
-Tra le tante altre cose-
-Che gioia. Senti, ritorniamo a riva-
-No, dai, ora t’insegno a stare perlomeno a galla- dice distanziandosi da me, ma tenendomi ugualmente le mani –Muovi un po’ le gambe, se stai rigida ci credo che affoghi. Okay, ora ti lascio una mano. Bene, ora anche l’altra…
Appena molla la presa mi sento cadere a picco, e lui mi riprende prontamente per le spalle.
-Vedi? Non ce la faccio, vado a fondo-
-Ma se entri in mare con la convinzione che andrai a fondo, è ovvio che sarà così-
-Ecco, questo significa che in un modo o nell’altro affogherò, quindi usciamo- ribatto facendo cenno verso Alice che studia prendendo il sole, Mattia che la supervisiona, Emanuele che è poco più in là a mangiare un grappolo d’uva e Sebastiano che sta uscendo per raggiungerlo.
Mentre li guardo da lontano e palesemente sfocati per via dei miei occhiali assenti, sento qualcosa che mi cammina sul dorso del piede. Abbasso lo sguardo e l’acqua limpida mi permette di scorgere un piccolo granchio, di un colore quasi identico alla sabbia.
Piede, più granchio, uguale sbraitamento isterico e urla incontrollate.
Comincio, infatti, a scuotere energicamente la gamba, in maniera del tutto incontrollata, in un movimento dettato dal disgusto. Io odio e nutro ribrezzo per tutto ciò che vive nel mare e i granchi mi piacciono solo quando sono morti stecchiti in una padella.
Da dietro, mi aggrappo alle spalle di Alessandro e gli circondo la vita con le gambe, tentando di trarmi il più possibile fuori dall’acqua.
-Ale, presto andiamocene. Su, c’era un granchio sul mio piede. Dai, muoviti, metti il turbo, che quel coso mi mangia, dai!- inizio a dirgli in tono piuttosto alto, visto che gli altri bagnanti iniziano a guardarci storto.
Se continuiamo così, non arriverò viva in fondo alla giornata. Mi sembra ancora di avere quelle zampette schifose che camminano sul mio piede.
In tempo zero mi ritrovo a saltellare come una cretina sulla sabbia asciutta, per tentare di scaricare la tensione che mi è rimasta in corpo. E’ un tic che ho spesso, ma mi sono resa conto che saltare mi mette allegria, e questo semplice gesto da bambina riesce a farmi calmare.
-Oh, ma che è successo?- mi chiede Alice scoppiando a ridere.
-Un granchio ha tentato di mangiarla- dice Alessandro, precedendomi nella risposta.
-Non prenderla in giro, guarda che lei ha paura davvero- continua Alice, venendo verso di me.
-Sì, l’abbiamo notato- dice Mattia.
-Ah, ma state zitti, siete degli insensibili- dice venendo a tirarmi una guanciotta –Nessuno ti capisce come la tua ragazza, vero?- mi chiede scuotendomi i capelli.
-Verissimo- rispondo asciugandomi il viso con le mani.
-Dai, togliti questa maglia bagnata, prendi un po’ di sole- dice tentando di sollevarmi questa t-shirt enorme e appesantita dall’acqua.
-No, ferma- dico prendendole un polso –Sto bene così, io quasi quasi vado in casa. Le avventure marine mi stressano- dico lanciando un’occhiataccia ad Alessandro.
-Ma sei sicura? Te ne stai sempre per conto tuo-
-Io non sto per conto mio, voglio solo dormire in santa pace. Ah, senti un po’: al chiosco hanno messo dei manifesti che parlavano di una festa in qualche piazza qui vicino. Se non ci perdiamo per la via, magari riusciamo ad andarci-
-Sì, li avevo visti anch’io… Non sarebbe male farci un salto-
-Perfetto. Allora io vado- dico tirandole leggermente il lobo dell’orecchio –E voi trattatela bene, mentre io non ci sono- dico rivolta ai ragazzi.
Salgo in casa in fretta e furia e mi butto sul letto della mia stanza. Anzi, della nostra stanza. Mi tolgo la maglia che fino ad ora mi è rimasta appiccicata al corpo e la butto per terra esasperata. Non ho l’umore adatto per stare insieme a qualcuno. Anzi, diciamo che non ho il carattere per stare in mezzo alla gente. Potrei essere considerata il classico tipo a cui piace stare da sola, l’asociale della situazione. Che poi non sono io a essere asociale, ma sembra che sia la società a essere anti-me.
Sì, lo ammetto, questa è una cazzata che ho letto tra un tweet e l’altro, ma lentamente mi sono resa conto di quanto possa essere vero. In fondo la società in cui viviamo ci ha insegnato che non saremo mai abbastanza, a prescindere se siamo alti, bassi, belli, brutti, magri o grassi. Non riusciremo mai a seguire alla perfezione i prototipi che la tv e la società ci propina. Se riuscissimo a essere davvero perfetti, probabilmente il mondo sarebbe dannatamente noioso e noi abitanti della terra saremmo un mucchio di Mary Sue e Gary Stu. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Io odio le persone perfette, sono così… Perfette! Ma in senso negativo. Tutte loro sono capaci di farti sentire una nullità semplicemente perché all’apparenza sono carine, dolci e cordiali, ma sotto quell’aspetto da santarellina sono convinta che si nasconde la più orrenda e schifosa delle persone. Io li considero così dal primo all’ultimo, tutti quanti. Beh, tutti quanti tranne Alice. 
Anche lei fa parte dello stereotipo della ragazza perfetta, ma lei lo è in modo vero e adorabile. Anche quando combina qualche cazzata o dice qualcosa di stupido, lo fa in modo assolutamente incosciente e tenero che ti fa venire voglia di scompigliarle i capelli e di emettere strani gridolini, come quando si vede un bambino piccolo e paffuto.
Certe volte mi viene più naturale pensare a lei come ‘la mia figlioletta’ piuttosto che ‘la mia ragazza’.
Guardo il computer portatile che ho appoggiato sul comodino che mi tenta sussurrando: “Lo so che vuoi controllare le menzioni su Twitter, è inutile che ti trattieni”.
Lo prendo in mano e lo accendo.
Fanculo il pisolino.
***
Sento una mano che mi tocca la schiena nuda, scuotendomi leggermente.
Apro un occhio alla volta e noto che la stanza è completamente al buio, per via delle tapparelle abbassate.
Mi ritrovo Sebastiano a un palmo di distanza dal naso. 
-Dio santo, mi hai fatto prendere un colpo- dico dopo aver sussultato per lo spavento.
-Faccio così paura?
-Sì, abbastanza- dico voltandomi a pancia in su e stiracchiandomi –Potresti evitare di fissarmi come un maniaco? Perché così sì che fai paura- dico prendendo la maglia che qualcuno ha avuto l’accortezza di mettere ai piedi del letto.
-Ehm, sì, scusa. Allora… Sono le 17:00, vieni a mangiare prima che andiamo a quella festa-
-Non ho fame- rispondo sbadigliando.
-Devi mangiare qualcosa, non ti lascio uscire a stomaco vuoto- dice tirandomi per le braccia e mettendomi a sedere –Devo anche prenderti in braccio per portarti di là?- mi chiede ironico.
-Sarebbe utile-
-Dai, muoviti- risponde uscendo dalla porta aperta della camera.
A fatica, mi alzo dal letto con la velocità di un bradipo morto e vado in cucina.
Sono tutti lì che mangiano panini e frutta, parlando di questa festa a cui dovremo andare.
-Non dovrebbe essere molto lontana. Qualche anno fa sono venuta in un villaggio turistico qui vicino con la mia famiglia, e mi ricordo un po’ com’è la zona- dice Alice per poi dare un morso a una pesca –Buongiorno, finalmente ti sei alzata- riprende rivolta verso di me.
-Così sembra- rispondo andandomi a sedere per terra, ai piedi del divano.
-Su, mangia qualcosa, così poi ci prepariamo e si esce-
Prendo a malavoglia un grappolo d’uva e porto un acino alla bocca.
-Ma come dobbiamo vestirci?- chiedo improvvisamente, pensando al fatto che non so che genere di festa sia.
-Come vuoi, ma ti consiglio nulla di elegante, troppo svolazzante o scomodo. Sicuramente suoneranno musica tradizionale, il che significa che balleremo saltellando come Heidi-
-Perfetto-
Pensierosa, mastico lentamente un altro acino e penso a cosa potrei indossare.
Magari mi metto il pantaloncino di jeans e la camicia scozzese rossa e blu, alla boscaiola.
Sì, dai, sembrerò quasi sexy.
***
-Al, passami il mascara-
-Tieni. Tu mi presti il tuo vestito nero a fiori?-
-Sì, sì, è in valigia, vallo a prendere-
-Okay, grazie- dice correndo in camera.
Passo il mascara sulle ciglia e metto il lucidalabbra, mentre mi ravvivo un po’ i capelli, che a causa dell’eccessiva passata di piastra mi si sono appiattiti alla testa.
-Dai, avete fatto? Siete belle così, non perdete tempo- dice Sebastiano dalla cucina.
-E’ inutile che gli fai complimenti, tanto non te la danno- dice Alessandro ridendo.
Per una volta ha detto qualcosa di sensato.
-Comunque io sono pronta- dico uscendo dal bagno.
-Ali, hai trovato il vestito?-
-Sì, l’ho appena messo!-esclama uscendo dalla stanza, mentre si tira su la parte alta –E’ un po’ stretto, ma almeno riesco a respirare- dice cercando le sue zeppe nere.
-Su, dai, non lamentarti- dico aprendo la porta di casa.
Magari se ci mettiamo d’impegno, riusciamo addirittura a divertirci.
***
-Sarebbe questa la festa?- domando alzando un sopracciglio una volta arrivati in una piazza, al centro del quale è stato montato un palco rialzato su cui un gruppo di uomini piuttosto maturi, suonano un motivetto allegro. Per il resto della piazza ci sono vecchietti che ballano rischiando a ogni passo di rompersi un femore, e raramente si avvista qualche gruppetto di ragazzi.
-Beh, come te la aspettavi? E’ come una festa dell’unità dalle nostre parti, piena di vecchi, ma ci si diverte ugualmente- risponde Alice.
-Se siamo venuti qua per stare in disparte, a questo punto balliamo- dice Mattia prendendomi sottobraccio e portandomi in mezzo alla folla.
Tentiamo di imitare al massimo un gruppo di signore che sembrano conoscere bene i passi.
Un passo avanti, due indietro, un mezzo giro su se stessi, un passo a destra, due a sinistra, due salti e di nuovo tutto daccapo. Non è poi così difficile.
Da questa fiumana di gente emerge Sebastiano che mi prende anche lui sottobraccio, cominciando a ballare a sua volta.
-Dove è Alessandro?- chiedo all’ultimo arrivato.
-E’ con Alice ed Emanuele, perché?-
-Digli di venire qua, almeno lasciamo quei due un po’ da soli-
-Okay, va bene- dice lasciandomi il braccio e sparendo di nuovo tra la folla.
Circondo il collo di Mattia con le mie braccia.
-Io qui mi sono già scocciata, andiamo a fumarci una sigaretta?-
-Sì, va bene- dice prendendomi per mano e andando in un angolo un po’ più isolato, occupato solo da un paio di ragazze che chiacchierano.
Prendo una sigaretta e l’accendino dalla tasca dei pantaloni.
-Ci dividiamo questa, okay?-
-Non vado pazzo per le Marlboro-
-Tu hai semplicemente gusti strani, ti piacciono le Black Devil!-
-Perché, cos’hanno che non va?-
-Il fatto che fanno schifo- dico accendendo la sigaretta e avvicinandogliela alle labbra.
Aspira una boccata di fumo e mi bacia.
Non m’interessa il fatto che adesso le sue labbra sanno di posacenere, in fondo posso dire altrettanto delle mie. Ma è meglio il sapore del fumo vero, che quell’orrendo aroma di vaniglia.
***
Appena varco la soglia di casa mi tolgo le scarpe lasciandole sul pavimento e vado a buttarmi sul letto, accompagnata subito da Mattia.
-Dovremmo cambiarci- dice lui.
-Allora esci- dico mettendomi a sedere.
-Perché? Non posso vederti mentre ti cambi?
-Esattamente-
-Non ti facevo così vergognosa-
-Non sono vergognosa, è che mi mette a disagio che tu mi veda in certe condizioni-
Mi dà un bacio sulle labbra e scende dal letto.
-Tanto sei bella sempre- riprende uscendo dalla stanza.
Mi tolgo velocemente la camicia e i pantaloncini, infilandomi un’enorme maglia verde, che in principio apparteneva a Giacomo.
Ne annuso a fondo la stoffa, sperando di ritrovarci il suo odore, che ormai è sparito da un pezzo, sostituito dal mio.
Certe sciocchezze riescono a metterti una tristezza incredibile addosso.
Dalla porta sbuca la testa di Alessandro.
-Possiamo entrare?-
-Sì, sì, venite- rispondo salendo sul letto e accucciandomi come una bambina.
Entrano e buttano sul comodino i vestiti che già si sono tolti.
-Buonanotte- dico premendo l’interrotture vicino al letto.
***
Mi sembra di rivivere la prima notte che ho passato qui: Mattia che russa appassionatamente, io che mi rigiro nel letto e Alessandro che sbuffa a ogni mio movimento.
-Ti dispiacerebbe stare ferma?- dice infine esasperato.
-Sì, mi dispiacerebbe-
-Più ti muovi e più fai calore, moriremo tutti dal caldo-
-Proprio tu vieni a parlarmi di caldo? Ieri notte a momenti mi salivi in collo. Eri caldo peggio di una fornace, credevo di andare in autocombustione da un momento all’altro-
-Fino a due anni fa dormivo nello stesso letto con mia sorella, e non si è mai lamentata-
-Hai una sorella?-
-Ne ho tre, veramente-
-Poverine, chissà che stress avere un fratello come te-
-Io sono il fratello che tutte vorrebbero avere. Presto sempre i soldi a tutte e tre, senza tenere conto che porto in giro le più piccole e le copro con i miei quando fanno tardi la sera-
-Ah, ma quindi tu non sei il più grande-
-No, prima di me c’è mia sorella Maria, ma è andata via di casa già da un po’-
-E andate d’accordo?-
-Sì, abbastanza. Quella verso cui nutro più spesso istinti omicidi è la più piccola-
-Quanti anni ha?-
-Quindici-
-Uh, allora ti capisco alla perfezione-
-Anche tu hai una sorella di quindici  anni?-
-No, ho solo mio fratello, che ha venti anni, ma ormai si è trasferito e non lo sento molto spesso-
-Ti manca?-
-Onestamente?-
-Sì, certo-
-Da morire. Mi manca da morire-
-Siete molto affezionati, allora-
-Sì, lui quando era piccolo voleva una sorellina… E quindi eccomi qui-
-Io volevo un fratello, ma sono venute fuori tutte femmine- dice ridendo.
-Ben ti sta, accontentati di quello che hai, perché poi le tue sorelle cresceranno, se ne andranno e tu rimarrai solo come un allocco, proprio come me-
-Dai, tu mica sei sola. Hai i tuoi genitori, c’è Alice che è come una sorella e poi ci sono io che ti rompo i coglioni-
-Sì, e questo mi è di grande aiuto- rispondo sarcastica.
-Hey, io ho fame-
-Allora vai a mangiare-
-Mi fa tristezza l’idea di mangiare da solo. Su, fammi almeno compagnia- dice tirandomi per un braccio.
Grugnisco e mi alzo dal letto, trascinandomi verso la cucina e chiudendo la porta della camera. Lui accende la luce e comincia ad aprire gli sportelli della dispensa.
-Che cerchi?-
-La nutella-
-E’ nell’ultimo sportello a destra-
-Ah, grazie-
Mi siedo al tavolo mentre lui si prepara pane e nutella.
-Ma come cazzo fai a mangiare a quest’ora, Dio santo-
-Io mi chiedo come fai tu a non mangiare mai-
-Ma che dici, io mangio-
-Come no, in tutta la giornata ti ho vista mangiare un morso di pesca e tre chicchi d’uva, non mi sembra un pasto-
-Beh, tu non stai tutto il giorno a guardare me quindi non sai se ho mangiato altro-
-Dai, non dire cazzate, tu non mangi mai, punto-
-Se ne sei convinto-
Viene verso il tavolo, appoggia la sua fatta di pane ricoperta da due dita di nutella e va al frigo, tirandone fuori un’albicocca.
Si mette a sedere e mi piazza davanti quel piccolo frutto arancione.
-Mangia- dice addentando il pane.
-Non ho fame-
-Lo dici continuamente. Io mangio anche quando non ho fame- prende l’albicocca e me l’avvicina alle labbra –Dai un morso, su-
Lo guardo con aria di sfida e affondo i denti nella polpa.
-Soddisfatto?- gli chiedo masticando.
-Abbastanza, ma lo sarò appieno quando la finirai- dice rimettendomela davanti –Comunque, intanto dimmi qualcosa… Ho visto che ti sei portata il portatile-
-Hai un occhio di falco- rispondo sarcastica.
-E di solito cosa fai al computer?-
-Dipende. Sto su Facebook, su Twitter o su Pottermore-
-Twitter? Anch’io l’avevo, ma non mi ricordo più la password-
-Come la maggior parte delle persone che vi s’iscrivono- rispondo sorridendo tra me e me.
-E’ scomodissimo… Solo centoquaranta caratteri a messaggio, che senso ha?-
-Almeno su Twitter non ci sono tutte le cazzate di Facebook, e fai davvero amicizia con le persone-
-Io ci sono stato per una settimana, poi l’ho abbandonato… Però ho Pottermore-
-Davvero? Come ti chiami?-
-FiammaDrago7131, Grifondoro, tu?-
-CharmeHeart14544, Serpeverde-
-Serpeverde? Non potevo aspettarmi altro da te-
-Io invece ti vedevo più nei Corvonero o nei Tassorosso… Anzi, forse nei Tassorosso ci staresti meglio-
-Tra gli sfigati? No, grazie, sto bene dove sto-
-Senti un po’, se potessi usare un filtro d’amore su chi lo useresti?-
-Probabilmente su Orlando Bloom o su Adam Levine-
-Chi?- chiede aggrottando la fronte.
-Il cantante dei Maroon 5! Tu su chi lo useresti?-
-Sicuramente su Megan Fox-
-Come sei scontato-
-E contro di scaglieresti un Avada Kedavra?-
-Per ora su nessuno-
-Neanche su me?- chiede sorpreso.
-No, per te terrei in serbo la maledizione Cruciatus, ucciderti con un indolore ‘Avada Kedavra’ sarebbe quasi un favore-
-Io su te userei un Sectumsempra-
-Mh, beh, non male… Che bacchetta hai?-
-Nucleo di drago e legno d’olmo, se non mi sbaglio, tu?-
-Nucleo di fenice ma non ricordo che tipo di legno-
-Fenice? Lo stesso nucleo della bacchetta di Harry Potter!-
-Già, lo so, è quello più raro, mentre praticamente tutti hanno quello di unicorno-
-E’ vero. Almeno il nucleo di drago è incline alla magia oscura-
-Strano, con un nucleo del genere mi aspettavo che ti incastrassero nei Serpeverde. Cioè, non che un Grifondoro non possa avere la bacchetta con il nucleo di drago ma…-
-Ci speravo nell’entrare tra i Serpeverde, ma a quanto pare sono più adatto ai Grifondoro-
-Mah, io non ti ci vedo per niente-
-Hey, ma tu a furia di parlare ti sei dimenticata di mangiare- mi ricorda indicando l’albicocca che ho ancora in mano.
La porto alla bocca e l’addentro mentre lui sorride soddisfatto.
La porta della nostra camera si apre e ne esce Mattia.
-Ma che state facendo?- chiede socchiudendo gli occhi per via della luce forte.
-Spuntino di mezzanotte- dico io quasi strozzandomi con il boccone d’albicocca.
-Ma non è mezzanotte-
-Allora facciamo lo spuntino dell’una e mezza- dice Alessandro ridendo e alzandosi dalla sedia.
-Dai, venite a letto-
-Sì, sì, arriviamo- dico andando a buttare il resto dell’albicocca che in teoria avrei dovuto finire.
Alessandro mi prende per le spalle e mi spinge verso la camera.
-Muoviamoci, che poi comincia a rompere-.


Il tempo di una sigaretta:
Vi chiedo perdono a mani giunte per le minchiate che ho scritto, mi scuso davvero ç______ç

Questo è ufficialmente il capitolo più lungo che io abbia mai scritto, ma nonostante questo sono assolutamente insoddisfatta :/
Perdonatemi per i discorsi da potterhead nel finale, ma avevo in mente quel dialogo da un bel po' di tempo, e quando ci sono arrivata mi sono lasciata andare xD
Poi, il ritaglio in cui parla della festa in piazza in realtà era una scusa per un momento tra Lucky e Alessandro, ma poi mi sono detta "Cazzo, ma Lucky sta con Mattia, non con lui!" e quindi c'ho messo un momentino tra loro due per non dover cancellare tutta la scena della festa xD
Ora però ho un dilemma che solo voi care lettrici potrete aiutarmi a risolvere.
Qui di seguito lascio la lista dei nomi dei personaggi, perché vorrei trovargli un cognome (questo non significa che li userò per forza, ma sempre meglio essere organizzati) I nomi che hanno accando il punto interrogativo sono quelli che necessitano di un cognome. Potete darmi il vostro, quello della vostra migliore amica, tutto ciò che volete, vi lascio carta bianca!
Ecco la lista:
Alessandro ?
Alice Sangiorgio
Anzu Obana (futura new entry, nome dedicato ad AnzuViolence)
Emanuele ?
Irene (futura new entry, nome dedicato a Opora, prestavolto dedicato a Freakyyep) ?
Lucky/Fortunata ?
Mattia Pinna
Sebastiano ?
Potete lasciarmi la vostra richiesta in una recensione, grazie :)
Adesso ringrazio JeyMalfoy, Aly_Kinney_Rodriguez, CaramellaAlCioccolato94, missindipendent, Koteichan, Amazyanxx, Freakyyep, HikariVava e fedefe25. Mi avete fatta sciogliere con le vostre recensioni :D
Vi saluto, vi mando tanto ciao e...
Che Luckyssandro vi accompagni fino al prossimo aggiornamento (Amen, lol)
By, UnLuckyStar
Twitter: @Un_Lucky_Star

 


PRESTAVOLTO:
Alessandro
Alice
Emanuele
Lucky/Fortunata
Mattia
cashSebastiano

 

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Capitolo 12
*** Farò l'amore con il mare ***


Farò l'amore con il mare


Sento un dito che mi punzecchia le costole, coperte appena dalle lenzuola gialle.
-Hey Lucky?-
La voce di Sebastiano quasi mi solletica le orecchie,  ma in maniera fastidiosa.
Continuo a tenere gli occhi chiusi, fingendo di dormire e di non aver sentito nulla, mentre lui continua a infilarmi un dito nella cassa toracica.
-E’ ora di alzarsi, su-
Seguito a ignorarlo, tentando di stare ferma e non sottrarmi ai suoi colpetti.
Sento dei passi e la porta della stanza che si apre cigolando leggermente.
-Come va? Riuscito a svegliarla?-
Alessandro si avvicina, probabilmente fermandosi accanto a Sebastiano.
-No, sembra morta-
-Aspetta, ci penso io-
Mi afferra per le spalle e mi scuote energicamente come se fossi una bambola di pezza, mentre urla –Alzati, cazzo, non puoi stare a letto tutto il giorno!-
La sua voce dura mi trapana le orecchie. Mi lamento tentando di puntargli le mani in faccia e farlo smettere.
-Voi ragazzi non sapete più come svegliare decentemente una ragazza- dico appena lui molla la presa.
-O voi ragazze non siete più capaci di svegliarvi spontaneamente-
-Okay, grazie per l’ennesimo trauma, adesso potete anche uscire-
-Almeno oggi andiamo in spiaggia tutti insieme- dice Sebastiano.
-Ma quella della spiaggia è proprio una fissazione, oh-
-Sarà, ma mi sembra che tu sia fin troppo affezionata al letto-
-Forse perché più conosco le persone, più apprezzo i materassi. E poi oggi rimango qui anche per forza-
-Perché?- chiede Alessandro sedendosi sul letto, facendolo cigolare.
-Ieri Alice ha studiato, quindi oggi devo farlo anche io-
-Ma non eri tu quella che non prendeva neanche in considerazione l’idea di aprire un libro?-
-Sì, ma io sono messa peggio di lei, quindi devo rileggere qualcosa-
-Puoi farlo mentre noi facciamo il bagno-
-Non riesco a concentrarmi stando in casa da sola, ti sembra che sarei capace di studiare qualcosa stando in mezzo alla sabbia, all’acqua e insieme a voi che fate i cretini? Hai l’intelligenza pari a quella di una capra svizzera-
-Allora noi andiamo- dice Alessandro spingendomi la faccia della federa fresca del cuscino.
-Sparisci- dico cacciandolo –Spero che morirai affogato e assediato dalle meduse- riprendo quando entrambi raggiungono la porta.
-Gentile come al solito-
Con estrema fatica mi metto a sedere e apro la valigia dentro al quale ho buttato qualche libro. Prendo quello di italiano e quello di diritto, lanciandoli con poco riguardo sul materasso e cominciando a sfogliarli in maniera imprecisa, leggendo distrattamente qualche paragrafo e ripercorrendo con la memoria le scritte stupide, le conversazioni e i disegnini degni di un’artista incompreso, che avevo buttato sulla carta nelle lezioni più noiose.
Rileggo i commenti che io e Alice abbiamo fatto riguardo al nuovo piercing di Esmeralda, le nostre sconvolgenti opinioni sul fatto che la prof di religione è rimasta incinta, e che di conseguenza ha fatto sesso. Scruto e accarezzo con le dita una caricatura di Federica con una bottiglia di birra in mano. Nella mia mente prendo a canticchiare le frasi incisive delle canzoni che mi hanno tormentato nel corso dell’anno scolastico e che ho ritenuto degne di essere riportate sulla prima pagina del libro. Osservo la mia imprecisione nel sottolineare frasi che ritenevo inutili, e che tutt’ora trovo superflue. Sorrido leggendo le frasi che mi ha lasciato Alice in fondo alle pagine, dove mi definiva l’ossigeno dei suoi polmoni. Infine, sfioro con le dita i bordi di un angolo di pagina che ho strappato via per scriverci su ‘Alice vuole farsi Emanuele, ma non lo ammette’ e attaccarglielo sul banco.
Incredibile quanti ricordi e quanta nostalgia causi quella sottospecie di carcere che sono stata costretta a frequentare negli ultimi sei anni. Sembra strano pensarci, ora che è tutto finito, ma probabilmente mi mancherà la mia scuola. Mi mancherà il ragazzo che serviva al bancone del bar e che spesso mi offriva un pezzo di pizza. Mi mancheranno le imprecazioni a bassa voce rivolte ai prof. Mi mancherà l’ufficio del preside, dove dovevo andare quasi tutti i giorni per il permesso di entrata in ritardo. Mi mancherà l’ansia dell’ultima campanella, copiare i compiti su quel muretto grigio che sembrava crollare da un momento all’altro. Mi mancherà guardare con malizia il professore nuovo e giovane che insegna scienze della terra alle prime.
Proverò nostalgia nei confronti della bidella che mi ha sempre retto il gioco quando uscivo sulle scale antincendio per fumare in santa pace.
Chissà, magari mi mancherà anche qualche prof e i miei compagni idioti.
Non credevo che mi sarebbe mai capitato, ma ora che sono consapevole di non poter più rivivere quelle emozioni, vorrei tornare ancora una volta tra quei banchi di scuola, giusto per rivivere l’ansia di una possibile interrogazione.

***

Mordo in maniera quasi feroce l’estremità della matita che sto usando per sottolineare frasi e specificare concetti.
Sento che il mio cervello sta cominciando a friggere all’interno del mio cranio.
Ormai sono qui da nemmeno tre quarti d’ora e già sento il bisogno di prendermi una pausa.
Aggrotto la fronte e cerco di ricordarmi la vita di Eugenio Montale… Ma in fondo a che mi serve? Sono andata all’alberghiero per assicurarmi un lavoro nel settore cucina o affini, non per sapere vita, morte e miracoli di una scrittore. Se mi fosse interessata certa roba sarei andata al classico, no?
Avvicino il libro al viso e mi massaggio una tempia mentre tento di concentrarmi.
Dai, devi fare almeno uno sforzo per studiare. Non vuoi uscire dalla maturità con un sessanta regalato, giusto? Ecco, allora tieni gli occhi sul libro.
Intanto che mi istigo a rimanere lucida e a non cadere addormentata su quelle pagine fin troppo colorate dagli evidenziatori, ecco che sento bussare alla porta.
Cioè, la porta è aperta, vedo semplicemente Mattia che batte una nocca sullo stipite per attirare la mia attenzione.
-Hey, siete già tornati?- chiedo riprendendo a mordere la matita.
-No, sono solo salito per controllare un po’ la situazione-
-La situazione è morta, come il mio caro Eugenio- dico indicando la foto in bianco e nero che occupa un quarto della pagina.
Si avvicina e piega un ginocchio sul materasso, sporgendosi in avanti con le braccia e osservando la foto.
-Facciamo così- dice mettendosi a sedere sulla propria gamba –Io adesso ti aiuto a studiare- continua prendendomi il libro dalle mani e posandomi un bacio sulle labbra, che da leggero e quasi innocente diventa sempre più intenso.
Con una mano si stringe piano la mascella, mentre con l’altra spinge via i libri.
-Studiare? Adesso si chiama così?- chiedo ridendo e separandomi un po’ da lui.
-Sei qui da quasi un ora, vuoi una pausa o preferisci studiare per i tuoi importantissimi esami?- mi chiede sorridendo retorico.
Però devo ammettere che… Insomma, l’idea non mi entusiasma. Non è a causa di Mattia, ma non mi piace l’idea che mi veda senza vestiti, che mi tocchi, che possa vedere quanto sono fisicamente sbagliata, che possa finalmente capire che sgorbio sono. No, non mi piace come idea, ma allo stesso tempo mi attrae, tanto.
Lasciarmi andare dopo tanto tempo dall’ultima delusione amorosa, farmi viziare, coccolare un po’, farmi sentire speciale, bella, accettabile per una volta mi sembra una proposta difficile da reclinare.
Ma poi c’è sempre quella vocina che mi sussurra ‘Perché dovresti sentirti speciale? Non lo sei. Lo sai che è così, e per quanto tu possa stare con Mattia, questo non cambierà nulla. Rimarrai sempre l’anonima di turno.’
Abbasso lo sguardo con un’espressione quasi turbata.
-Che succede?- mi chiede facendomi specchiare nei suoi occhi limpidi.
-Non credo che sia il caso. Se qualcuno dei ragazzi torna…-
-Stanno sguazzando nell’acqua, dubito che ne usciranno presto-
Sospiro, forse troppo pesantemente.
-Hey, non ti voglio mica costringere- dice sfiorandomi il naso con il suo.
-Non mi sento costretta, è che mi sento… a disagio-
-Per cosa?- chiede aggrottando la fronte.
-Per quello che potresti pensare di me, di quello che c’è sotto a questo vestiti- dico tirando il tessuto della mia maglia.
-Ah, voi ragazze e le vostre paranoie- dice quasi ridendo –Lucky,- mi da un bacio sulla labbra –sei bellissima,- un altro bacio –e…- un altro ancora –scommetto che senza vestiti lo sei ancora di più-
-Sei un lecchino, te l’hanno mai detto?-
-Sì, un paio di volte-
Scuoto la testa e lo bacio, sfiorando la sua nuca e i suoi capelli rasati.
Mi viene in mente la prima volta che ci siamo parlati, in discoteca.
L’avrei ucciso volentieri per aver bevuto parte della mia vodka, e adesso eccoci qui.
Sposta il viso e mi mordicchia il lobo dell’orecchio, facendomi sentire il suono del suo respiro.
A differenza di molte ragazze, io non trovo per nulla erotico il fatto che qualcuno mi morda le orecchie. Probabilmente è l’unico posto dove soffro il solletico. Bizzarro, no?
In un gesto veloce e involontario, avvicino la spalla all’orecchio, quasi incastrando il viso di Mattia nell’incavo nel mio collo.
Comincio a ridere come  un’idiota, stendendomi a peso morto sul letto.
-E così ti faccio ridere, eh?-
-No, non sei tu…- dico coprendomi la bocca con la mano e tentando di riacquistare un minimo di dignità –È che mi fai solletico-
Ridendo anche lui, si avventa sulle mie labbra, passandosi tra le dita le ciocche dei miei capelli.
Sento una mano insinuarsi sotto la mia maglia e descrivere cerchi intorno al mio ombelico, mentre le sua labbra scendono sulla pelle del collo teso, baciandola e mordendola.
La mano che un attimo fa era sotto la mia maglia, adesso è intenta a sbottonarmi il pantaloncino di jeans che ho addosso. Lo scalcio via, buttandolo ai piedi del letto.
Sfiora le mie cosce con un tocco leggero, quasi bramante.
Gli tolgo la maglia di cotone che ha addosso, lasciandolo solo con il suo costume nero.
Come due bambini, ci rigiriamo nel letto, ancora abbracciati, e finalmente finisco sopra di lui.
Sposto le labbra sul mento, scivolando giù per il collo, fino ad arrivare alla linea delle spalle.
Potete dirmi tutto quello che vi pare, ma secondo me le spalle sono la cosa più bella in un ragazzo. Dopo il sedere, ovviamente.
Bacio tutto ciò che posso baciare, tocco tutto ciò che mi è permesso di saggiare. Con le dita seguo le linee naturali dei suoi muscoli appena accennati e l’arie si riempie dello schiocco dei baci umidi.
Mi sfiora le labbra e scende accarezzandomi fino al collo della maglia che mi sfila via, facendogli raggiungere gli shorts in fondo al letto.
Mi piace tutto questo. Non è come con i miei scorsi ragazzi, Nessuna parola dolce, nessun ‘ti amo’ forzato. Solo io, lui e un letto.
Nessuna parola che ci interrompe. Bello.
Mi tocca gentilmente il seno, non si ferma neppure a guardarmi.
Meglio.
Solleva una coppa del reggiseno e prende delicatamente fra indice e pollice il capezzolo, cominciando a giocherellarci come se fosse la perlina di una collana o di un braccialetto.
Un suono gutturale, stile ‘donna delle caverne’, mi esce dalle labbra, che lui si affretta a soffocare con un bacio, ma improvvisamente lo sento interrompersi.
-Porca trota- esclama con gli occhi sbarrati e puntati dietro di me.
-Che c’è?- chiedo voltandomi.
E là, fermo sulla soglia e a dir poco imbarazzato, c’è Alessandro.
Mi appresto ad abbassare il reggiseno e a scostarmi da sopra a Mattia.
-Hey, Ale, che ci fai qui?- domando passandomi nervosamente una mano tra i capelli ed evitando rigorosamente il suo sguardo.
-Avevo… dimenticato gli occhiali da sole…- risponde indicando i suoi occhiali sul comodino –Ma ora me ne vado, tranquilli- riprende stavolta con tono più duro e spostandosi dalla soglia per andarsene.
Mattia si rimette la maglia e scende dal letto.
-Vado a parlargli- dice precipitandosi fuori.
Bella merda.

***

-Ma che hai?- mi chiede Alice dopo l’ennesima volta che gli dico ‘Scusa, non ho seguito il discorso, ripeti tutto’.
-E’ che ho un po’ di pensieri per la testa. Ma dimmi tutto, ti ascolto- dico scuotendo la testa e cercando di cacciare via la sensazione di imbarazzo che mi ritrovo addosso ogni volta che ripenso alla figura di merda che abbiamo fatto io e Mattia.
-No, ormai ci rinuncio a dirti che Emanuele mi ha baciata-
-Ti ha baciata?!- esclamo pensando al discorsetto che gli ho fatto ieri.
Sono una specie di cupido. Ne ho preso il posta da quando quest’ultimo ha deciso di farci un favore e di darsi all’ippica, deponendo l’arco e le frecce nelle mie mani. Ora credo che sia andato a fare il giardiniere, o il macellaio. Chissà, magari si confonde tra la gente comune facendo il cassiere alla Coop.
-Sì, quando Alessandro è venuto a prendere gli occhiali da sole, io ed Ema siamo andati a farci una passeggiata, e lui mi ha baciata- risponde sorridendo come un’ebete.
-Intendi baciata baciata?- chiedo alzando le sopracciglia.
-Se vuoi sapere se ci ha messo di mezzo la lingua, sì-
-Alleluia! Stavate mettendo la muffa- dico cercandomi doppie punte.
-Simpatica. Ma ora mi dici quali sono questi importanti pensieri che ti distraggono dai miei racconti entusiasmanti?-
-Figure di merda. Solo figure di merda-
-Che significa?- mi chiede aggrottando la fronte.
-Significa che ho fatto una figura di merda!-
-E quando l’avresti fatta?-
-Stamattina-
-Con chi?-
-Alessandro-
-Perché? Ti sei fatta trovare nuda in soggiorno?- chiede ironica.
-Magari fosse solo quello-
-Ciò vuol dire che ti sei fatta trovare davvero nuda?-
-No. Cioè, non proprio. Insomma, ero in camera con Mattia e ci stavamo baciando e, sai, eravamo in procinto di…- dico lasciando la frase in sospeso e ammiccando.
-Dio mio, Lucky, ma sei senza pudore!-
-Guarda, non ricordarmelo, l’avevo già capito da sola-
-E vi siete fatti beccare in flagrante?-
-No, non esattamente… Se fosse arrivato anche solo un minuto più tardi, allora sì, ci avrebbe beccati in pieno-
-Solo tu sei capace di cacciarti in certe situazioni-
-Non è colpa mia se ho degli ormoni. A proposito di questa faccenda, se vuoi posso fare in modo di lasciare casa libera a te ed Emanuele per un po’, così almeno voi riuscirete a fare i selvaggi in santa pace-
-Grazie, ma preferisco che sia tutto più spontaneo-
-Cara mia, il sesso non è spontaneo, anzi, il più delle volte è programmato. E ti assicuro che sarebbe molto meno traumatico se tu sapessi precisamente quando lo farai per la prima volta-
-Beh, allora se è davvero così, voglio essere io a decidere, non tu-
-Okay, come vuoi-
-Ma alla fine come supererai questa faccenda della figura di merda?-
-Non lo so. Alessandro mi sembra ancora troppo imbarazzato per parlare sia a me che a Mattia. Insomma, se n’è stato ad ascoltare musica per tutto il giorno! In ogni caso, spero di risolvere tutto prima di ritornare a casa, e al limite non vedrò mai più Alessandro e io e Mattia potremo fare tutto il sesso selvaggio che ci pare, senza essere interrotti-
-Come sei fine-
-Sì, è uno dei miei maggiori pregi- rispondo sistemandomi i capelli.
Ammetto che tra le due opzioni, preferirei risolvere subito.

***

Buio. Notte fonda. 1:30. Insonnia.
L’aria è tesa.
Mattia dorme beatamente e Alessandro mi dà le spalle con le cuffie infilate nelle orecchie, anche se non sembra che stia ascoltando musica.
Faccio un respiro profondo e mi decido a parlare. La situazione sta diventando ridicola.
-Hai intenzione di ignorarci ancora per molto?- dico sospirando.
Non mi risponde, rimane perfettamente immobile, come se non avessi mai aperto bocca.
-Insomma, non vuoi parlarmi, eh?-
Continua con il suo stupido silenzio. Basta.
Prendo i fili delle cuffie e gliele tiro via dalle orecchie.
-Che vuoi?- mi chiede scocciato.
Gli afferro il collo della maglia e lo tiro a sedere.
-Ma che fai?-
Lo trascino fuori fino ad arrivare alla porta del bagno, nel quale ci rintaniamo.
Accendo la luce e lo guardo torva.
-Ora mi spieghi un po’ di cose- dico irritata.
-Cosa dovrei spiegarti?-
-Mh, non so, del tipo… Che cazzo ti prende? Ho capito che stamattina è stato tutto imbarazzante, ma non puoi prendertela con noi!-
-Ah no? E con chi dovrei prendermela?-
-Con nessuno! Sono cose che capitano, e ritieni ti fortunato. Se arrivavi due minuti dopo allora sì che avevi qualche motivo per non parlarci-
-Per favore, non voglio manco pensarci- dice disgustato.
-Come sei pudico-
-Non sono pudico, è che… Mi fa schifo l’idea di voi due-
-Grazie mille, ora che hai espresso la tua opinione sul nostro rapporto puoi anche andare a cagare-
-Non volevo dire che…-
-Sì, ho capito. In qualche modo non ti va bene che io e Mattia abbiamo la possibilità di fare sesso-
-Non è che non mi fa bene, è che…-
-Sei geloso?-
-No! Sono…-
-Infastidito?-
-Anche, ma se tu mi lasciassi finire la frasi magari riusciresti a capire-
-Okay, parla-
-Dico semplicemente che… Tra due giorni saremo di nuovo tutti a casa. Non siete capaci di aspettare nemmeno due giorni? Insomma, un minimo di contegno. Su quel letto ci dormo anche io, cazzo!-
-Sarebbe questo il problema?-
-Più o meno sì-
-Allora abbiamo risolto?-
-- dice spingendomi due dita sulla fronte, fino a farmi toccare il muro con la nuca.
Gli do’ uno spintone sul petto, facendogli battere la schiena sul muro opposto.
Lui ne dà uno a me. Io a lui. E prendiamo a spintonarci contro le pareti strette del bagno, ridendo come due cretini. E’ un antistress.
Se qualcuno sentisse questi tonfi penserebbe che stiamo facendo qualcosa di osceno e violento.
-Okay, basta così, o finiremo per romperci la spina dorsale- dico dandogli un’ultima spinta.
E lui ovviamente me ne da un'altra di rimando, ignorando le mie parole.
-Ho detto basta, stammi lontano!- dico tenendolo fermo contro il muro.
-E che succede se mi avvicino?-
-Succede che ti prendo a calci in culo e non riuscirai più a sederti per un bel pezzo-
-Sì, ci credo-
-Non sottovalutarmi, guarda che a otto anni ho fatto un corso di kick boxing!-
-Si vede che sto tremando?-
-Sì, sei decisamente scosso e spaventato-
-Sono felice che si noti-
Cerco di rimanere seria, ma ha un’espressione talmente buffa che è difficile non scoppiare a ridere. Una faccia idiota.
Semplicemente una faccia da Alessandro.
Senza preavviso mi preme una mano alla base del collo, facendomi finire con la testa contro il muro.
Per un attimo mi manca il fiato.
-Hai intenzione di uccidermi?- chiedo come se avesse davvero il coraggio di farlo.
-No, volevo vedere dove andava a finire la tua spavalderia e le tue lezioni di kick boking-
Fa un passo avanti, dimezzando la distanza tra di noi.
-Stai lontano, cocco bello-
-Altrimenti?-
-Altrimenti ti mordo. Non so cosa, ma stai certo che ti mordo-
Si avvicina ancora.
-Sicura?-
-Mi stai mettendo alla prova, per caso?-
--
Senza pensarci un attimo scatto in avanti e gli mordo con forza la guancia.
-Oh, cazzo, staccati!- dice scuotendo il viso, dal quale non ho intenzione di staccare la presa.
Mi allontano e sorrido soddisfatta nel vedere le impronte rosse dei denti.
-Sei una cannibale!-
-No, ho tanto fame, e tu sei il primo pezzo di manzo che mi sono trovata davanti- rispondo ironica.
-Pezzo di manzo? Devo prenderlo come un complimento?-
-Senti Ale, è innegabile il fatto che sei un figo della Madonna, e non sono certo la prima che te lo dice, quindi non fare il tonto-
-Okay. Ora posso dartelo io un morso?-
-Fammi pensare, mh… No-
-Tu l’hai dato a me!-
-Ma io sono una ragazza, quindi mi è concesso, visto che sono piccola e indifesa-
-Piccola sì, ma indifesa non direi proprio-
-Ah, e come diresti?-
-Direi… Aggressiva. Selvaggia. Stronza. Eccessivamente sarcastica. Acida…-
-Acida?-
-- e detto questo si avvicina ancora e mi affonda con forza gli incisivi nel labbro inferiore, sfiorandolo un attimo con la punta della lingua.
-Mh, sì, sei acida- dice risollevando il viso e atteggiando la bocca come se stesse assaggiando un piatto di pasta.
-Ma vaffanculo!- dico dandogli un piccolo colpo con la fronte contro la sua.
Ed ecco che si apre la porta dietro al quale si nasconde Emanuele.
Sposto immediatamente il viso da quello di Alessandro che quasi batte una craniata al muro.
-Non è come sembra- dico fermamente.
-Zitta scema, o lo svegli- mi dice Alessandro che si è prontamente ricomposto.
-Svegliarlo?- chiedo aggrottando la fronte, mentre lui mi trascina fuori dal bagno.
-Emanuele è sonnambulo-
-Ma ha gli occhi aperti-
-I sonnambuli hanno gli occhi aperti. Che credevi, che fossero simili a zombie, con la bava alla bocca e le braccia tese davanti a loro?-
-Beh, è più o meno l’idea che mi ero fatta, sì-
Scuote la testa con fare rassegnato, va al frigo e prende un’albicocca. Si avvicina e a momenti me l’incastra in bocca.
-Mangia, magari ti addolcisci-
-Vai a dormire, stronzo-
-No, io rimango qui finché non l’hai mangiata-
-Mastico lentamente- dico sprezzante.
-Vuol dire che aspetterò. Ho tutto il tempo del mondo- dice sedendosi sul tavolo.
Sto cominciando a odiarlo seriamente.



Il tempo di una sigaretta:
Tanti auguri a me, tanti auguri a me *spara coriandoli e spegne tristemente le candeline*
Sì, tecnicamente il mio compleanno era ieri, ma visto che è l'una di notte io lo considero ancora il mio compleanno, okay? Okay.
Fissato questo punto, andiamo avanti.
Dopo questo capitolo vi sarete certo resi conto che non ho messo i dialoghi in grassetto,  e vi spiego subito perché: avevo resivionato il capitolo da cima a fondo e avevo messo i dialoghi in grassetto, fino a che la connessiane non ha deciso di saltare nel momento meno opportuno, facendomi perdere tutto il mio lavoro. 
Olè.
Se questo capitolo ha fatto schifo, preparatevi, perché il prossimo sarà quello decisivo quello che cambierà tutto.
Ma ora ringrazio Koteichan, CaramellaAlCioccolato, missindipendent, Niki_love e JeyMalfoy_ per le recensioni, senza dimenticarmi di Beatrice, Lucky, Simona, Valentina, Antonella e Greta che mi seguono anche se non hanno EFP.
Ovviamente non mi sono scordata delle vacanziere Opora, Freakyyep e Hikarivava, che saluto tanto, ma anche le persone che si sono semplicemente dimenticate (ogni riferimento a Aly_Kinney_Rodriguez è puramente casuale ù.ù)
Bene, io ho finito, lasciatemi un parere, anche se sono sicura che dopo quella scena Lucky/Mattia saranno tutti insulti çç
Che Luckyssandro vi perseguiti nei vostri sogni erotici.
Sciao beli! (Ammetti che lo hai letto con la voce di un extracomunitario o di Micheal Righini *trolol*)

Sondaggio: perché le persone mettono le storie tra le seguite ma non recensiscono? 
Se volete, lasciatemi una risposta qua sotto, e non là sopra! (Okay, sto guardando troppo Daniele Doesn't Matter >_>)

 

PRESTAVOLTO:
Alessandro
Alice
Emanuele
Lucky/Fortunata
Mattia
cashSebastiano

 

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Capitolo 13
*** Possiamo fare quello che vogliamo ***


Possiamo fare quello che vogliamo


Lo bacio lentamente, sfiorando con le dita le ciocche di capelli che gli cadono sul viso.
C’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di assolutamente perverso in tutto questo. Qualcosa di sbagliato.

Mi allontano e lo fisso con fare incerto.
“Non mentire a te stessa, non fermarti”.
Mamma mia, che suggerimenti ambigui mi offre la mia mente.
-Non dovremmo farlo- dico infine, lasciando che le braccia mi ricadano lungo il corpo.
-Perché? Non stiamo facendo nulla di male- risponde lui riavvicinando il viso al mio.
-Alessandro, dico sul serio- dico scostandomi infastidita –Se arrivasse Mattia?-
-L’hai detto tu che non state insieme-
-Infatti è così- dico titubante.
-Beh, allora possiamo fare quello che vogliamo- risponde malizioso, facendomi sedere di peso sul tavolo della cucina e riprendendo a baciarmi.
 
Mi risveglio di soprassalto, con uno spasmo delle braccia, come per assicurarmi che non ci sia nessun Alessandro selvaggio che mi bacia. Roteando gli occhi in giro, per poi socchiuderli a causa del sole, analizzo la situazione. Sono in spiaggia, con Sebastiano che dorme beatamente, appoggiando la faccia contro la mia pancia.
Mi passo una mano sulla fronte coperta da un velo di sudore.
Era solo un sogno. Uno stupido sogno che mi lasciato addosso un’ansia incredibile, l’ansia dell’essere scoperti.
Se i sogni sono davvero il subconscio che ci parla… Spero che questo abbia un significato molto diverso da ciò che può sembrare.
Sebastiano continua a dormire, non si è accorto di nulla, e onestamente non ho voglia di svegliarlo.
Mi guardo un po’ attorno e vedo Alice, in compagnia di Emanuele, che quasi scivola su uno scoglio. Il più lentamente possibile, cerco di defilarmi senza svegliare il dormiente che ha deciso di usarmi come cuscino.
-Guarda che sono sveglio- dice lui, facendomi sobbalzare.
-E allora perché non ti sei spostato da solo?-
-Perché credevo che tu fossi pigra quanto me e che saresti rimasta qui-
-Tranquillo, nessuno ti batte in fatto di pigrizia- dico alzandomi.
-Che palle, però… Eri comoda-
-Invece di fare l’idiota, dove sono andati gli altri?-
-Alessandro e Mattia sono andati a comprare qualcosa da mangiare, ma sono certo al novantacinque percento che ritorneranno solo con la birra. Emanuele e Alice sono lì a fare i piccioncini-
-E quando tornano?-
-Ti sembra che io predica il futuro?-
Sospiro quasi irritata.
-Stai diventando troppo simile ad Alessandro- dico infine.
-No, non è vero-
-Ti assicuro che è così. Dovresti cominciare a prendere le distanze da lui: è un brutto esempio per te- dico imitando un tono sapiente e saggio.
-Guarda che tu sei l’unica che lo vede come una specie di anticristo. Alessandro è un bravo amico e un altrettanto bravo rompicoglioni. Poi dipende tutto da come decide di comportarsi: se fa il rompicoglioni ci sarà un motivo-
-Sì, mi rendo conto che c’è un motivo, ma se potesse dirmi quale è sarebbe tutto molto più semplice-
-Ma se te lo dicesse non ci sarebbe lo stesso divertimento nel litigare-
-Chi ti dice che ci divertiamo a litigare?- chiedo alzando un sopracciglio.
-Il semplice fatto che a momenti vi picchiate anche per motivi futili, sta a significare che un minimo di divertimento c’è, altrimenti vi evitereste e basta, come fanno tutte le persone normali quando sono in presenta di qualcuno che non sopportano-
-Beh, vorrà dire che io e lui siamo un caso a parte- dico rassegnata, osservando da lontano Alice e Emanuele stagliati contro la flebile luce del sole del tardo pomeriggio.

***

-Potevate comprare qualcos’altro oltre ai cracker, eh- si lamenta Sebastiano, sgranocchiando uno di questi.
-Se prendevamo altro non potevamo comprare la birra- gli risponde Mattia, stappando una bottiglia.
Scuoto la testa e sorrido. Sempre il solito: meglio bere che mangiare.
Ritorno a leggere ‘Piccola Donne’, la scena in cui Jo a momenti picchia Amy perché le ha bruciato il manoscritto, una delle mie preferite. Tra tutte le protagonista preferisco Meg, ma anche Jo mi va a genio. Quelle che davvero non ho mai sopportato, sia nel libro che nel film, sono Beth e Amy. Una, timida all’inverosimile e l’altra viziata peggio di me. Averle in casa deve essere un vero e proprio incubo.
Mi passo un braccio dietro la nuca e sospiro pesantemente per via della posizione scomoda dovuta al divano corto e bitorzoluto.
-Alla fine Beth muore e Jo non si mette con Teddy- dice Alessandro seduto sul tavolo, buttando giù un sorso di birra.
-Idiota, ho già letto il libro e conosco il film a memoria, mi sembra inutile precisare che già lo sapevo- rispondo, con tono più aspro del solito.
-Peccato, speravo di averti rovinato la sorpresa-
-Personalmente Beth mi fa schifo, quindi può crepare in tutti i modi che vuole. Mi dispiace per Jo, poverina, la vedevo così bene con Teddy… Insomma, quelle sono anime gemelle!-
-No, Teddy è troppo viziato e infantile, mentre lei è forte e con una gran voglia d’indipendenza. Lì per lì possono sembrare una grande accoppiata, ma ti assicuro che se si fossero sposati sarebbero andati d’accordo quanto noi due-
-Noi siamo noi, e loro sono loro, due cose completamente opposte- dico in tono piatto, ritornando a leggere –No, aspetta- esclamo distogliendo lo sguardo dal libro e tornando a guardare Alessandro –Tu hai letto ‘Piccole Donne’?-
-Sì, perché non avrei dovuto?-
-Perché di solito i ragazzi non leggono i classici. Anzi, diciamo che non leggono in generale-
-L’ha letto mia sorella e mi ha tormentato mesi interi parlandomi di Jo e di quanto Winona Ryder l’abbia interpretata benissimo, quindi alla fine l’ho letto anche io-
-Tua sorella ha gusti fantastici in fatto di libri-
-Sì, lo sa da sé-
-A proposito di libri!- esclama Alice, sbucando fuori dalla sua camera e con gli occhi sbarrati in preda al panico –Hai visto il mio libro di francese? Ce l’hai tu?-
-No, non l’ho toccato- rispondo aggrottando la fronte –Ma non te l’eri portato in spiaggia oggi?-
-Ma nella borsa non c’è!-
-Stai calma Al, sarà caduto mentre tornavi qui e non te ne sei accorta-
-Che palle- dice sospirando –Venite con me a cercarlo, dai-
-Io mi astengo- ribatte subito Alessandro.
-Io sto leggendo- dico facendo un cenno verso il libro che ho in mano.
Lei appoggia una mano sul fianco e inclina la testa da un lato, guardando gli ultimi tre rimasti, che si alzano rassegnati, pronti a seguirla e armati di cellulare per fare luce.
-Vedete di non uccidervi nel frattempo- dice Alice, un attimo prima di chiudere la porta.
Dopo questa ennesima interruzione, provo a riprendere a leggere, quando ecco che Alessandro scende dal tavolo e prende a camminare avanti e indietro, di fronte al divano su cui sono stravaccata.
Nervosamente, tento di continuare a rimanere concentrata, ma vedere una figura in continuo movimento accanto a me mi distrae da morire.
-Alessandro- dico chiudendo di scatto il libro.
-Che c’è?-
-La smetti di muoverti così? Sembri un’anima in pena, che hai?-
-Niente-
-E’ per il fatto che domani torneremo a casa?-
-In parte-
-Beh? Tanto nervosismo solo perché si ritorna alla realtà?-
-Sono solo preoccupato- dice sospirando e venendosi a sedere accanto a me.
-E c’è un motivo per la tua preoccupazione?-
-No. Cioè, spero di no-
-Inizi a farmi confondere se parli così- dico sorridendo –Mi spieghi che succede?-
Si raddrizza,  incrocia le gambe sporgendosi verso di me e prendendo a parlare.
-Circa due settimane fa ho affittato un appartamento…-
-Appartamento? Vai a vivere da solo?-
-Sì. Veramente ho già trasferito tutta la mia roba-
-E dov’è che sei andato ad abitare?-
-Hai presente la strada per andare al Mirage? Prosegui fino alla rotonda, prendi la seconda uscita e svolti nella traversa dopo il bar ‘Moka’-
-Ah, allora non sei molto lontano-
-No, no, non mi piace l’idea di allontanarmi molto-
-Ma allora quale è il problema?-
-Il problema è che ho la sensazione che questa sistemazione durerà poco-
-Perché?-
-Perché l’affitto è un po’ alto. Certo, posso pagarlo da solo, ma poi dovrei mangiare pane e acqua per il resto della mia vita-
-Insomma, hai bisogno di una mano-
-Esatto. Devo trovare un coinquilino. Credo che metterò degli annunci da qualche parte-
In un attimo provo invidia. La stessa invidia che mi ha scossa quando Sebastiano mi ha detto che vive con Emanuele e Mattia. La stessa identica emozione, se non per il fatto che in questo caso provo anche un barlume di speranza.
-No- dico sgranando gli occhi.
-‘No’ cosa?-
-Non farlo-
-Che cosa non devo fare?-
-Non mettere nessun annuncio, tonto!-
-Perché non dovrei? Guarda che ho davvero bisogno di un coinquilino-
-Ma non hai bisogno di cercarlo-
-Ti assicuro di sì-
-E invece no-
-Ma tu che ne sai?-
-Lo so perché tu hai già un coinquilino!-
-E chi è?- chiede alzando scettico un sopracciglio.
Prendo un respiro profondo, chiudo gli occhi e mi decido a rispondere.
-Io-
Per un attimo la sua faccia rimane impassibile, seguita subito dopo da un sorriso dubbioso.
-Stai scherzando-
-Sono più seria di un’ulcera fulminante, te l’assicuro-
-No, tu scherzi- ribadisce aggrottando le sopracciglia.
-Alessandro, so se sto scherzando o meno-
-Ma lo sai che questo significherebbe che noi due dovremmo vivere nella stessa casa, vero?-
-Certo che lo so- rispondo socchiudendo gli occhi.
-Appunto! Noi non possiamo vivere insieme! Neanche con tutta la buona volontà di questo pianeta ce la faremmo-
-E invece ce la potremmo fare, se solo ci provassimo. In fondo staremo sempre fuori casa, dovremmo solo dormire nello stesso appartamento, non mi sempre impossibile-
-Ma non è solo questo, vivere insieme è tutt’altro. E poi, tu avresti un lavoro per contribuire alle spese?-
Mi mordo il labbro. Che scema che sono, non ho pensato al fatto che lavoro saltuariamente.
-Non ho un lavoro fisso, ma c’è un ristorante che ogni tanto mi chiama per lavorare in sala-
-Ecco, vedi? Non possiamo, punto-
Essere stroncata così mi fa lasciare la bocca semiaperta. Tra una settimana farò l’esame di maturità, avrò il diploma, magari riuscirò a trovare un lavoro. Questa è un’occasione che non posso permettermi di perdere.
-Facciamo così: dammi la possibilità di cercare lavoro, e quando lo troverò… Mi lascerai vivere con te-
-Ma se vuoi andartene da casa tua, perché non ne cerchi semplicemente una per conto tuo?-
-Perché non è facile, e non voglio finire come te. Se dividiamo l’appartamento sarà un vantaggio anche per te: non ti troverai un estraneo in casa-
-Giusto, avrò semplicemente una rincoglionita che non sopporto-
-Sempre meglio di tornare a casa tua o di essere sfrattato perché non paghi l’affitto, no?-
Sospira stancamente e si tira indietro in ciuffo nero.
-Okay-
-Okay?- ripeto io.
-Possiamo provare a vivere insieme per un po’-
Prima ancora che termini la frase gli passo un braccio intorno alle spalle e lo stringo.
-Oddio grazie! Troverò un lavoro, giuro!- dico saltellando come una malata mentale.
-Sì, okay, ma ora staccati- dice sorridendo e scollando le spalle.
Apro nuovamente il libro dalle pagine ingiallite, che finora ho tenuto in grembo.
Per la prima volta in vita mia  sento che il mio nome mi descrive. Sono fortunata.
-Ma che dirai a Mattia?- mi chiede dopo qualche minuto.
-Niente-
-Non gli dirai che verrai da me?-
-No, non ce n'è motivo-
-Io invece credo che ci sia-
-Credo proprio di no!-
-E se poi lo scoprisse? Non credi che poi si incazzerebbe? Onestamente non mi interessa molto di cosa potrebbe succedere tra voi due, tanto il vostro rapporto mi sembra in equilibrio precario, ma non vorrei che poi se la prendesse anche con me-
-Hai paura di Mattia?- dico ridendo.
-No, semplicemente non voglio che nessuna colpa ricada su di me-
-Tranquillo. Non diremo a nessuno che vivremo insieme, così non correremo il rischio di far arrabbiare nessuno, okay?-
-Okay, ma trovo ugualmente che dovresti dirglielo-
-Ale, io e lui non stiamo insieme, non devo necessariamente informarlo di ogni mia decisione-
-Lo so-
Sento una strana sensazione, una specie di dejavu. Il sogno di questo pomeriggio mi ritorna in mente.
-Beh, allora possiamo fare quello che vogliamo-
Detto questo, sento la voce di Alice da dietro la porta che dice di aprire.
-Trovato il libro?- chiedo allegra, come se la conversazione di due minuti fa fosse stata spazzata via.
-Sì, qualcuno l’ha trovato e l’ha appoggiato sul tavolo sotto al gazebo-
-Bene, allora vai a studiare, visto che fai schifo in francese-
-Grazie per avermelo ricordato- dice facendo la linguaccia e sparendo in camera.
Prendo il libro dal divano e vado verso la porta della mia camera.
-Io vado a dormire, domani si ritorna a casa…- dico lanciando di sottecchi uno sguardo verso Alessandro, rimasto a sedere sul divano.
Entro nella stanza e chiudo la porta alle mie spalle.
Sospiro e lancio il libro sul letto, ripensando alla conversazione di pochi minuti fa, e solo adesso mi rendo conto della cazzata che ho fatto.
Accidenti a me e alla mia voglia d’indipendenza.



Il tempodi una sigaretta:
Ciao, uccidetemi.
Dopo quasi tre settimane e con un obbrorio del genere, corto peggio di me, avete tutto il diritto di venire a uccidermi.
Il punto è che sono scema. 
Ho aspettato con ansia il momento in cui avrei potuto scrivere questo capitolo, 
ed ora eccomi con un ritardo enorme e senza aver detto/scritto nulla di decente .____.
Poi... Buon inizio di scuola a tutti!
Io ho cominciato mercoledì, e venerdì ho fatto la mia prima lezione di danza (ho ancora i muscoli delle chiappe che mi fanno male <3) 
A voi come è andata?
A me bene, se non fosse per il fatto che mi è venuta la febbre çç
Ma ora passiamo ai ringraziementi! ^^
Grazie a tutti, anche a quelli che non recensiscono, ma in particolare a Niki_Love, CaramellaAlCioccolato94, missindipendent, Koteichan, Amazaynxx, JeyMalfoy_ e un grazie speciale alle ultime due arrivate nel nostro gruppo di psicopatiche: JaneJ e Daisy Pearl ^^
Io vado, scusate ancora per l'enorme ritardo, e specialmente per il capitolo corto e orribbbile ._.
Baci, UnLuckyStar
P.s. Credo che vi siate resi conto del fatto che non ho modificato quasi nulla con l'html e non ho nemmeno riletto, ma vado di fretta e non volevo farvi aspettare ulteriormente.

 

PRESTAVOLTO:
Alessandro
Alice
Emanuele
Lucky/Fortunata
Mattia
cashSebastiano

 

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Capitolo 14
*** Regole di buon vicinato ***


 

Regole di buon vicinato


-Alice, la maturità ormai è andata, tanto vale andare a vedere i risultati, no?- dico strattonandola verso il cancello della scuola –E poi tu sei una secchiona, non può esserti andata così male-
-E se invece è andata uno schifo?-
-Sono io quella che dovrebbe avere queste preoccupazioni, quindi taci, per favore-
Cammino veloce verso l’albo della scuola cui sono affissi i risultati. Voglio andarmene il prima possibile da qui, dopo devo vedere Alessandro, e Alice comincia a farmi leggermente irritare.
Guardo a lungo i fogli appesi e finalmente trovo quello che riguarda la mia classe. Mi faccio coraggio e cerco il mio nome.
“Pace Fortunata: 72”
Percorro nuovamente lo spazio che divide il risultato dal mio nome assurdo. 72. E’ andata… Benissimo.
“Sangiorgio Alice: 83”
Come al solito ha preso più di me, ormai non è più una sorpresa.
-Ali, vieni qua, scema. Hai preso 83-
-83? Sicura? Oddio, oddio, lo sapevo che andava bene, me lo sentivo!- dice cominciando a fremere e a saltellare.
-Te lo sentivi? Ma se non volevi nemmeno venire a vedere quanto hai preso, per la paura che avevi-
-Era solo un po’ d’ansia, ma in realtà avevo un buon presentimento-
-Un po’ d’ansia, certo. Senti, muoviamoci ad andarcene- le dico mentre nel frattempo alzo una mano in segno di saluto verso un ragazzo dell’altra sezione, venuto anche lui a vedere le valutazioni.
-Perché tanta fretta? Speravo di stare un po’ da te, dove devi andare?-
-In nessun luogo particolare- dico mentendo spudoratamente e tentando di essere sicura di me –Viene a prendermi un amico e facciamo un giro- continuo cominciando a camminare verso il cancello.
-Chi è quest’ amico? Mattia?-
-Se fosse stato lui avrei detto il suo nome-
-Beh, allora dimmi chi è-
-Non lo conosci- rispondo evasiva.
-Ho capito, non vuoi dirmelo- dice lei fermandosi accanto alle sbarre ricurve di quel vecchio cancello verde, contro il quale mi sono appoggiata nel corso degli anni mentre fumavo, a volte macchiandomi di ruggine.
-Sì, esatto, non voglio dirtelo, quindi chiudiamo l’argomento-
Dopo la mia risposta secca segue qualche secondo di silenzio imbarazzato, tra l’indecisione se parlare nuovamente o stare semplicemente zitte.
-Allora io vado, ci sentiamo su Facebook, okay?-
-Okay, ma forse non stasera, sono impegnata-
-Con il tuo amico?- chiede riprendendo il discorso di prima.
-Sì, con il mio amico-
-Okay, allora ciao- dice dandomi una pacca e voltando le spalle per andarsene.
Odio doverle risponderle così, lo odio davvero, ma il tempo mi ha insegnato che è l’unica maniera per non farle fare domande. Tanto non se l’è presa, lei non si arrabbia mai.

***

-Lucky, ti ho detto di tenere quella cazzo di sigaretta fuori dalla mia macchina, e se te l’ho detto ci sarà un motivo, non credi?- dice Alessandro cambiando marcia.
Con uno sbuffo porto la mano fuori dal finestrino aperto.
-Ma scusa, tanto questo coso è un catorcio, se ci fumo dentro non fa molta differenza-
-Fa la differenza che io non voglio che puzzi come te-
Gli do’ un colpo sulla nuca.
-Io non puzzo, idiota, perché a differenza tua mi piace lavarmi-
-Anche io mi lavo, se è per questo-
-Beh, però è dimostrato che i ragazzi si lavano meno delle ragazze. Siete una specie di maiali-
-Grazie tante per questa prospettiva-
-Di nulla. Sei passato a casa mia a prendere gli ultimi libri?-
-Sì, sono qui dietro- dice indicando con il pollice il sedile posteriore.
-Perfetto allora… Mio padre era in casa?-
--
-E come sta?-
-Mah, non so… Leggeva il giornale-
-Ah, allora è tutto a posto-
-Okay, siamo arrivati- dice fermandosi davanti alla palazzina dai muri dipinti di un giallo sbiadito.
Scendo dalla macchina e prendo il cartone contenente i libri, mentre Alessandro va verso il portone che apre con le sue chiavi, poiché le mie non sono ancora pronte.
Entro nell’atrio delle scale, dove in un angolo è sistemata una rigogliosa pianta… Finta. Beh, ovviamente non poteva crescere con la poca luce che regna qui, e lasciare l’entrata così spoglia non piaceva come idea.
Salgo i gradini di triste e freddo marmo grigio, attenta a non inciampare con davanti l’ingombrante scatola. Arrivo al secondo piano e mi fermo davanti al suo pianerottolo.
Il nostro pianerottolo.
Nell’attesa che Alessandro mi raggiunga, fisso lo sguardo sulla targhetta che è sopra al campanello. Bonucci Alessandro. Presto ci sarà anche il mio nome.
Lui arriva e apre anche la porta di casa, che io varco immediatamente andando veloce verso la porta della mia stanza, che ho avuto il tempo di sistemare nel corso dell’ultima settimana.
Le pareti sono bianche, per ora, ma presto voglio personalizzarle, dargli colore, fargli prendere un po’ di vita. Vado verso il letto, che ho collocato sotto la finestra. Mi abbasso e comincio a trasferire i libri lì sotto, in compagnia degli altri che avevo già portato. Li sistemo con cura e precisione, in piccole pile da tre o quattro libri, con la costola riportante il nome rivolta verso di me.
Mi assicuro che ci siano più o meno tutti, spostandoli uno ad uno. Ne accarezzo le copertine strappate, ruvide e consunte, odorandone quel profumo che sa di mondi preziosi e paralleli.
-Ma che stai facendo?- mi chiede Alessandro, materializzato improvvisamente sulla porta.
Allontano il naso da una pagina ingiallita e chiudo di scatto il libro, irritata. Non mi piace che la gente mi osservi mentre annuso i miei libri.
-Vorrei ricordarti che ho appena concluso il trasloco, quindi questa è ufficialmente camera mia, e tu dovresti starne fuori-
-Infatti non capisco perché hai già fatto tutto il trasloco. Avevi detto che venivi qua in prova-
-E’ così, ma per farlo ho bisogno delle mie cose, e poi probabilmente mi prenderanno come cameriera fissa in un ristorante, di conseguenza mi stabilirò definitivamente qui, quindi in questo modo mi sono battuta sul tempo e non dovrò perderne altro successivamente- dico soddisfatta delle mie doti premonitrici.
-Non fa una piega- dice spostandosi dallo stipite e andando probabilmente nella sua camera.
Metto sotto al letto l’ultimo libro, mi alzo in piedi sospirando, sentendo finalmente un po’ di famigliarità con quel luogo, ora che i miei piccoli amici fatti di carta si sono uniti all’ambiente.
Vado verso la porta e osservo la casa da lì. Davanti a me, il salotto si estende nella sua modesta lunghezza, dietro al quale è sistemata la cucina. Alla mia destra c’è la porta d’ingresso, a sinistra il bagno e dalla parte opposta della stanza posso scorgere Alessandro disteso sul letto che legge qualcosa, nella sua camera.
Mi sembra quasi assurdo ritrovarmi nella stessa casa con lui. Anzi, togliamo quel ‘quasi’: è assurdo. Eppure mi sento a mio agio, lo sono sempre stata, sin dal primo momento che ho messo piede qui dentro. Lo sentivo che questo sarebbe stato il luogo più adatto da chiamare casa, anche se Alessandro era l’ultima persona al mondo che pensavo di dover appellare come ‘coinquilino’.
Mi faccio avanti a grandi falcate, superando lo stretto divano, e ritrovandomi dritta in camera sua.
-Che fai?- chiedo una volta arrivata davanti al suo letto.
-I fatti miei- dice senza staccare gli occhi dalla rivista che ha in mano.
Mi sporgo in avanti per osservare meglio la copertina, raffigurante una donna di colore a seno nudo e con i capelli ricciuti che le ricadono sulle spalle.
-Oh, ma per favore, non fai in tempo a entrare in casa che già sfogli giornaletti porno?- domando quasi ridendo.
-Questo- ribatte pignolo –non è affatto un giornaletto porno. E’ una raccolta di nudi artistici ed erotici, tutta roba di classe-
-Vuoi far passare la tua perversione per ‘roba di classe’?-
-Sto cercando qualche foto da riprodurre, per disegnare, sai com’è…-
-Beh, non è più bello disegnare qualcosa del genere dal vivo?-
-Ti stai offrendo volontaria, per caso?- chiede sorridendo malizioso e voltando pagina.
-No, intendevo dire che sicuramente è più… Suggestivo, ecco-
-Sì, in effetti sarebbe un ottimo preludio per una scop…- si interrompe, frenato dal mio sguardo irritato e dal suono del campanello –scoperta artistica- conclude infine.
-Certo. Continua a cercare ‘scoperte’ sulla carta, che è meglio- dico voltandomi per andare ad aprire la porta.
Davanti a me trovo due ragazze. Una delle due ha i tratti del viso prettamente asiatici, lunghe ciglia finte e i capelli castani raccolti in una traccia che gli cade morbida su una spalla. E’ bassa quanto me e indossa una maglia extralarge bianca, con sotto un paio di pantacollant scuri che aderiscono perfettamente a quelle gambe corte e snelle.
E’ bella, non c’è che dire.
L’altra ragazza invece sembra un po’ più bizzarra. E’ alta, forse una decina di centimetri in più di me, e la cosa che osservo immediatamente sono i suoi occhi. Azzurri. Ma dire che sono azzurri è riduttivo. Sono… Simili al cielo, così intensi e ridenti. Ha delle labbra carnose, coperte da un velo di rossetto rosso acceso, che adesso sta provvedendo a mordicchiare insieme al labbro inferiore. Ha i capelli rossi, tutti opera di una tinta, legati in una crocchia alla sommità del capo, lasciando scoperta la parte inferiore, atrocemente rasata e tinta di biondo. Sembra che gli abbiano tirato dei secchi di vernice in testa.
Con la mano destra regge un gattino grigio scuro che gli si è attaccato con le unghie alla maglia, mentre con l’altra si affretta a salutarmi.
-Ciao- dice sorridente e tentando di osservare l’appartamento alle mie spalle senza sembrare indiscreta –io sono Irene, e lei è Anzu, viviamo qui davanti- dice indicando con il pollice la porta verde che è alle loro spalle.
Come a voler chiamare l’attenzione, il gattino che tiene in mano lancia un acuto miagolio.
-Ah, e lei è Cenere- riprende afferrandole la zampina e facendole fare ‘ciao ciao’.
-Lo so che sembra strana, ma è innocua, tranquilla- mi dice con tono di confidenza quella che dovrebbe chiamarsi Anzu.
Le sorrido amichevole. Sembrano entrambe piuttosto simpatiche, ma la domanda che più mi preme è perché sono venute qua.
-Ehm, scusatemi- inizio sperando che non fraintendano le mie parole -ma… Perché siete qui?-
-Ah, è vero, scusaci… Siamo venute… Boh, non lo so perché, ma non abbiamo mai la pazienza di conoscere a poco a poco gli altri condominali, e quindi abbiamo fatto un salto… Credo che rientri nelle regole del buon vicinato- dice Anzu, mentre Irene annuisce convinta.
-Oh, bene, allora… Entrate… Non ho nulla da offrirvi perché sono appena arrivata- dico mentre loro due entrano e si guardano intorno.
Lancio un’occhiata verso la camera di Alessandro. La porta è socchiusa.
-Accomodatevi pure- dico facendo un gesto vago verso il divano.
-Mi sbaglio, o non ci hai detto il tuo nome?- mi chiede Irene.
-Ah, sì… Mi chiamo Fortunata, ma se mi chiamate Lucky mi fate un favore-
-Lucky… Mi piace. Scusa la domanda indiscreta, ma vivi con qualcuno? Io e Anzu abbiamo visto un figo che trasportava della roba su e giù per le scale nell’ultima settimana, era della ditta traslochi?- chiede facendomi l’occhiolino.
Questa è assatanata.
Prima che possa rispondergli che ‘il figo’ è l’idiota con cui vivo, Alessandro sbuca fuori dalla sua camera con solo i jeans addosso, e va tranquillo verso il frigorifero accanto alla cucina, dopo aver lanciato uno sguardo verso di noi.
Entrambe le ragazze sedute davanti a me fanno cadere la mascella verso il basso, dandosi a vicenda delle gomitate d’intesa.
-Parlavate di me?- chiede lui dopo aver appurato che in frigo non c’è nulla oltre all’acqua.
-No, affatto- dico svelta –e ci faresti il favore di metterti una maglia?- riprendo irritata dopo aver dato un rapido sguardo al suo fisico asciutto.
Sorridendo fa il giro del divano e si avvicina al mio orecchio.
-Sei gelosa per caso?-
-Della tua idiozia? No-
-Ah, tu sei gelosa della mia bellezza- dice con aria importante.
-No, non sono gelosa nemmeno della tua faccia di culo-
A queste parole le ospiti che stanno assistendo a questa scena imbarazzante, sgranano gli occhi, come se non potessero credere che ho detto una tale idiozia.
-Come sei acida- risponde lui tirandomi una ciocca di capelli –ciao ragazze, buona fortuna, è pericolosa- dice sparendo nuovamente nella sua camera.
Rimango ancora un attimo a fissare la porta che ritorna a chiudersi. Cazzo, io cerco di fare la padrona di casa e lui arriva a farmi sembrare un’isterica.
-Scusateci, noi siamo fatti così- dico imbarazzata.
-Oh, non fa nulla. Ma allora… State insieme?- chiede Irene.
-No, no, e non staremo mai insieme. Dividiamo l’appartamento per convenienza, io frequento un suo amico-
-E lui invece è libero?- domanda interessata.
-Ehm, sì- rispondo aggrottando la fronte.
-Scusa, sembra che ti abbia scambiata per un centro informazioni, fa sempre così. Comunque la vostra casa non è niente male- interviene Anzu.
-Grazie! Beh, io vorrei personalizzarla un po’ di più. Sai, pareti colorate, disegni e foto incollate ovunque, oggetti ricercati sparsi in giro per le stanze… Gli darebbe quell’aria da negozio di cianfrusaglie, che io adoro-
-Se vuoi una mano per creare lo stesso casino che c’è in quei negozi, noi siamo a disposizione- dice rivendo.
-Ah, credo che ce la faremo da soli. Scusa se ribadisco l’ovvietà, ma non sei italiana, giusto?-
-No, sono giapponese- dice sorridendo e portando una ciocca del lungo ciuffo dietro l’orecchio.
-G-giapponese?- chiedo incredula –Credo che io e te andremo molto d’accordo-
-Anche tu sei una di quelle ossessionate dal Giappone? Qui in Italia ce ne sono parecchie. Peccato che non ricordo quasi nulla di quando vivevo lì-
-Quando sei arrivata qua in Italia?-
-7 gennaio 1998- interviene Irene, sorridendo all’amica.
Cavolo, si conoscono davvero bene.
Quest’ultima accarezza pigramente il gatto che ha appoggiato sul petto, facendogli facce buffe e tenere, mentre il piccolo animale socchiude gli occhi e allunga la schiena per godersi ogni carezza.
-Io credo che sia ora di andare, ti abbiamo annoiata fin troppo- dice Anzu alzandosi in piedi e accostando una guancia alla mia, mentre Irene si affretta a fare lo stesso.
Una volta uscite, cado a peso morto sul divano, sprofondando nel silenzio della mia nuova dimora.




Il tempo di una sigaretta:
E finalmente sono tornata èwé
Scusate, di nuovo, il mio ritardo
Per quanto riguarda gli errori di battitura e quant'altro, mi sono affidata alle correzioni di Word, ma mi rendo conto che non posso andare avanti così, e che ho decisamente bisogno di una beta reader. Non voglio aprire una discussione sul forum di EFP e trovarne una a caso, perché trovo che con la propria beta bisogna avere un certo rapporto di confidenza, quindi... Qualcuna di voi sarebbe disposta a fare questo sacrificio per me? çç
Non sono esigente, mi basta che abbia una conoscenza base della lingua italiana e che sia assolutamente schietta.
Ma ora passiamo al capitolo.
Non ci sono le foto dei prestavolto e il banner per il semplice motivo che EFP ce l'ha con me e non vuole farmi caricare le immagini, ma presto arriveranno anche quelle delle new entry!
Ringrazio tanto le mie carissime JeyMalfoy_, missindipendent, Koteichan, Daisy Pearl e GDsuburbian per aver recensito ** E ringrazio anche tutte le altre che non si sono fatte sentire, specialmente CaramellaAlCioccolato94, la civettina che doveva riflettere e che poi è sparita °-°
Mah sì, dai, non ti sento da una vita, mi manchi çç *Momento fluff mode: on*
Dicevamo... Tutto qui ^^
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di trovare qualche commento al mio ritorno!
Ora mi preparo per andare al compleanno di mia cugina °-°
Baci, UnLuckyStar
Chiunque sia interessato, questo è un gruppo dedicato... Beh, teoricamente a me, ma praticamente io l'ho solo creato °-°
Se ne volete far parte... Basta iscriversi ^^

 

PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
 Anzu
 Emanuele
 Irene
 Lucky/Fortunata
 Mattia
cash Sebastiano

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Capitolo 15
*** Sgamati in pieno ***


Sgamati in pieno


Fisso il numero tredici sul calendario. Cavolo, siamo già a metà luglio.
L’anno scorso, all’idea di essere già a metà estate mi sarebbe preso il panico, ma adesso realizzo e concretizzo il fatto che non devo più andare a scuola.
Lancio lo sguardo fuori dalla finestra e osservo distrattamente i palazzi e le case, come se fossi alla ricerca di qualcosa di nuovo sul quale ancorare la mente, giusto il tempo di distrarmi e riuscire a ricadere nel sonno.
Non ci riesco, ormai sono sveglia.
Mi alzo dal letto ed esco fuori dalla stanza a passo di bradipo morto.
-Buongiorno- dico ad Alessandro, probabilmente anche lui svegliato da poco.
-A te. Quando ci decidiamo a fare la spesa? Sono finiti latte e cereali, abbiamo solo i biscotti- dice tirandone fuori un pacchetto avviato.
Non rispondo, vado semplicemente verso il frigo per assicurarmi che non stia esagerando.
No, non esagera. Negli scompartimenti di plastica non c’è quasi nulla.
-E’ tutta colpa tua, non fai altro che mangiare. Se avessi un minimo di autocontrollo non saremmo in queste condizioni-
-Per te non fa differenza se c’è cibo o no, tanto non mangi mai-
-Se lo dici tu- rispondo indifferente –Aspetta, qui abbiamo del vino, potresti inzupparci i biscotti-
-Bianco o rosso?-
-Rosso-
-No, allora non posso, se era bianco andava bene-
-Dici? Secondo me dovresti provare, magari ti piace-
-A parte gli scherzi,- dice addentando un frollino alla panna –dobbiamo comprare qualcosa, o moriremo di fame-
-La lista della spesa è attaccata al frigo- dico indicando un foglietto scarabocchiato e tenuto fermo sulla superficie del frigo grazie a una calamita delle Wacko’s.
-Allora andiamo a farla-
-Vacci tu, io devo vedere Alice e forse faccio un salto da Mattia-
-Ancora non gli hai detto che viviamo insieme?-
-No, ovviamente-
-Dovresti dirglielo-
-Alessandro, ne abbiamo già parlato e mi hai già detto cosa pensi della questione, ora basta. La vita è mia e le scelte sono mie- dico facendo il giro del tavolo senza un preciso motivo.
-Magari le scelte sono tue, ma le conseguenze possono ricadere anche su di me, quindi pensaci bene, prima di fare cazzate-
-Basta, io vado a preparami- dico andando in camera mia.
-E’ inutile che cerchi di evitare l’argomento- continua lui seguendomi.
-Ed è anche inutile che tu lo riproponga. Non voglio parlarne, punto. Quando sarà il momento, forse, glielo dirò. Ma fino ad allora vedi di stare fuori dai miei affari privati- dico voltandogli le spalle, togliendomi la canotta che uso per dormire e cercando una maglia decente da mettermi.
Ormai ho rinunciato a coprirmi o a evitare di spogliarmi davanti a lui, è tutto inutile: me lo ritrovo che precipita in bagno per farsi la barba precisamente quando io sto facendo un bagno o che entra in camera senza bussare, domandando di matite e lapis perduti, proprio mentre io sono impegnata ad allacciarmi il reggiseno.
Volendo potrei anche chiudere la porta a chiave, ma non ci sono abituata, e una delle mie fobie è quella di rimanere chiusa da qualche parte. Mi prende il panico, comincio a urlare, saltare, strepitare come un’ossessa.
No, non chiuderò mai la porta a chiave.
Apro l’armadio e ne tiro fuori due camicette colorate a mezza manica. Mi piazzo davanti allo specchio, che è appeso nella parte interna dell’anta, e comincio a confrontarle, sotto il vigile e attento sguardo di Alessandro.
-Dovresti mettere quella rossa- dice lui dopo qualche attimo.
-Perché proprio quella rossa e non quella gialla?-
-Beh, perché il rosso è il tuo colore preferito, e ad ogni modo…- dice sospirando –Ti da una bella forma al seno-
-Grazie- dico lanciandogli uno sguardo sprezzante –Ma poi, tu che ne sai che il rosso è il mio colore preferito?-
-Si capisce-
-Da cosa?-
-Beh, le lenti a contatto rosse, per esempio: quando ti sei resa conto di averle finite a momenti ti mettevi a piangere. E poi ci sono i tuoi capelli, anche se adesso sono arancio carota… E un sacco di altri piccoli dettagli, come lo smalto scrostato, le cinture, le borse e le varie scarpe- conclude gesticolando e indicando svariati oggetti di volta in volta che li nomina.
-Sei un acuto osservatore- dico mettendomi la camicetta e cominciando ad abbottonarla.
-Sono pur sempre un artista- dice sorridendo, fiero delle sua capacità.
-Ora non cominciare a gasarti. Sei bravo a disegnare, tutto qui. Ah, a proposito, quando ti decidi a dipingermi le pareti della camera?-
-Boh, quando ho tempo-
-E’ da quando sono arrivata qui che lo dici-
-Fo, se non te ne sei resa conto, non sono un imbianchino-
-Non chiamarmi Fo- dico irritata, lanciandogli uno sguardo poco amichevole e afferrando la borsa a tracolla che tengo poggiata sulla sedia, nell’angolo buio della camera.
-Allora vai via, che è meglio-
-Okay. Quando vai a lavoro?-
-Alle 9:00-
-Sono le 8:30, fossi in te mi sbrigherei a prepararmi-
-Sì, va bene, ma ora sparisci- dice facendomi una smorfia e buttandomi praticamente fuori dalla porta. Indosso ancora i pantaloncini bianchi con cui sono andata a dormire, ma a parte le sgualciture, vanno bene così.
Comincio a scendere frettolosamente le scale.
Perfetto, se lui va a lavoro, questa è l’occasione giusta per far vedere la casa ad Alice. E, specialmente, è l’occasione per dirgli che mi sono trasferita.
Prendo il cellulare e le scrivo un messaggio.
Al, muovi il culo e vieni al bar accanto alla rotonda. Ti aspetto seduta sul marciapiede. E non far finta di non aver sentito il messaggio, tanto lo so che in estate hai la suoneria!

***

Vedo Alice scendere dalla macchina e venire verso di me con passo cadente e strascicato. Non è truccata, i capelli sono lasciati sciolti in maniera disordinata e ha lo sguardo assente. Sicuramente l’ho svegliata.
-Hey- dico dandogli un bacio sulla guancia –Sembri morta e risorta-
-Sì, giusto un po’- dice socchiudendo gli occhi e stropicciandoseli con aria stanca, come se avesse mal di testa.
-Hai fatto le ore piccole?-
-Non proprio. Ero da Emanuele-
-Ah, allora capisco benissimo la stanchezza… Un’intera notte di sesso sfrenato è… Spossante-
-Scema- dice acquistando un piccolo sorriso.
-Wow, per la prima volta non mi insulti pesantemente per le mie frecciatine sessuali… Non è che ci sei andata a letto senza dirmi nulla?-
-No, macché, figurati- dice abbassando lo sguardo con aria quasi candida –Però ammetto che stiamo prendendo più confidenza in quel campo. Insomma, non è che ci vado a letto domani, ma chi lo sa… Prima o poi-
-Sai, sei dolce quando parli in questo modo di lui, ma…-
-Ma cosa?- chiede alzando il sopracciglio, pronta a ribattere nel caso che qualche mia affermazione non gli vada a genio.
-Voglio dire che nessuno di voi mi sembra adatto a fare sesso. Oddio, ‘adatto’ non è la parola esatta… Mh... Insomma, mi date l’idea di due persone che saranno molto impacciate, ecco-
-E invece, magari saremo due pantere a letto e la sua aria dolce e ingenua è solo una maschera per attirare le ragazzine come me-
-Beh, allora ti auguro che sia una macchina da sesso-
Lei sorride, come se vederlo sotto quel punto di vista la forzasse a un pudore imbarazzato.
-Tra tutti loro- dice dopo un po’ –l’idea de ‘la macchina del sesso’ me la da Sebastiano-
-Quello è vero- dico ridendo –Mi è bastato vederlo ballare in discoteca e anche il fatto che abbia cercato di abbordarmi la dice lunga-
-E poi,- continua avvicinandosi –anche Alessandro non deve essere male-
-Mh, dici?- domando indifferente.
-Tu osservalo bene mentre balla. Uno che muove così bene il bacino, di certo non lo usa male quando è su un letto-
-Alice!- esclamo ridendo, ma con un tono sconvolto –Fai tanto l’innocente santarellina, ma alla fin fine hai uno spirito d’osservazione perverso-
-Solo perché non sono mai andata con nessuno, non significa che non sono capace di adocchiare…-
-No, okay, questo discorso sta prendendo una piega davvero brutta- dico alzando la mano in segno di stop.
-Sì, giusto, meglio finirla. Allora… Perché volevi vedermi?-
-Boh, così… Era da un po’ che non ti vedevo e volevo sapere le novità-
-Io le novità te le ho già dette. Tu, piuttosto?-
Mah, niente di che, sono solo andata a vivere con Alessandro e mi sono comprata un paio di orecchini nuovi, vuoi vederli?
-Niente, le solite cose… Cioè, non proprio le solite…- farfuglio nervosa.
-Lucky, dimmi che succede-
-Diciamo che sono andata a vivere da sola-
-Come? Quando?!-
-Mh, circa tre settimane fa- rispondo pensandoci un po’ su.
-E me lo dici solo adesso?-
-Eh sì, perché non ero sicura che sarebbe durata a lungo, come sistemazione-
-Ma come fai a pagare un affitto tutto da sola?-           
-Ma infatti vivo con una ragazza- dico di getto –Irene-
-Bene, allora fammi vedere la casa, almeno avrai la mia benedizione- dice dandomi colpetti sulla coscia.
-Sicura? C’è il caos del cosmo in quell’appartamento-
-Non me ne frega niente- dice scuotendo la testa –Dai, su, prendo la macchina?- domanda alzandosi dal marciapiede.
-No, tranquilla, possiamo andare a piedi, tanto è qui vicino- dico indicandole la strada da percorrere.
Infilo le mani in tasca e già cerco di immaginare la reazione di Al nel vedere casa mia.
Sembra ci sia esplosa una bomba, ma non è poi così male.

***

-Uh, mi piacciono queste scale!- esclama fermandosi sul pianerottolo.
-L’hai detto quarantatre volte mentre le salivi. L’ho capito che ti piacciono- dico mentre con disinvoltura poso la mano sulla targhetta recante il nome di Alessandro, accanto alla porta.
Prendo le chiavi e apro la porta.
-Ecco qui, questa è la c…-
Le parole mi muoiono in gola e sgrano gli occhi in preda al panico più totale.
Alessandro. Alessandro è qui. Qui, nel senso che è in boxer sul divano, intento a disegnare.
-Che succede?- chiede Alice facendosi avanti e osservando la situazione –Ehm… E’ lei Irene? Perché mi ricorda incredibilmente Alessandro- continua sussurrandomi all’orecchio.
-Forse ti ricorda lui perché è lui- dico per poi avvicinarmi al divano e rifilando un colpo sulla nuca di quest’ultimo.
-Deficiente, non dovevi andare a lavoro?-
-No, Renzo ha preso il mio turno. Ciao Al-
-E non ti è venuta in mente la vaga idea di informarmi?-
-Se tu mi avessi detto ‘Oggi voglio portare Alice a casa’, stai certa che non mi sarei fatto trovare qui-
-Ma se tu non mi avessi sbattuta fuori di casa, avrei certamente avuto il tempo di dirtelo!-
-Aspettate, ora dovete spiegarmi un paio di cose- dice Alice smanettando.
-Non si capisce? Io e lui… Dividiamo l’appartamento. Per convenienze, ovviamente. Insomma, voglio dire… Niente sesso, ecco. Vero?-
-Sì, sì, vero- dice lui prontamente – anche se non mi dispiacerebbe una botta ogni tanto-
-Ale, per favore, mi racconterai un altro giorno le tue fantasie, ma ora pensiamo a questo casino. Tu non dirai niente a nessuno, vero?- dico rivolgendomi ad Alice, che ci guarda sempre più sconvolta.
-Con ‘nessuno’ intendi Mattia? Mi dispiace Lucky, ma qualcuno dovrebbe dirglielo, e anche se non dovrei essere io a farlo, se mi vedessi costretta…-
-No, costretta un accidente. Tu devi tenere la bocca chiusa e basta. Non sono affari tuoi se glielo dico o no-
-Ma non è giusto nei suoi confronti!-
-Cosa? Cosa non è giusto? Non mi pare che io lo stia tradendo, sto solo cercando di costruirmi una dannata indipendenza-
-Ma non capisci? Proprio perché non stai facendo nulla di male vale la pena dirglielo. Non hai nulla da nascondere, in fondo, e lui saprà capire se gli spieghi tutto con calma-
-Oh, ma per favore!- esclamo aspra –Alice, non siamo più nel Paese delle Meraviglie, ed è ora che inizi a rendertene conto. L’onestà serve solo a metterti apparentemente l’anima in pace, ma dall’altra parte serve anche a farti prendere a calci in culo molto forte- rispondo alzando la voce.
-Ragazze, basta. Al, per quanto riguarda il fatto di dirlo a Mattia, io non potrei essere più d’accordo, quindi… Lucky, se non glielo dici tu, vorrà dire che lo farò io-
Ecco, se non era abbastanza chiaro, sto sguazzando nella merda.
La mia migliore amica e il mio coinquilino mi stanno dando contro. Ho la nausea, mi gira la testa, le labbra mi formicolano.
-Okay, glielo dirò io. Domani- rispondo un attimo prima di perdere i sensi.

***

Apro lentamente gli occhi. La luce proveniente dalla finestra accanto al mio letto, quasi mi acceca.
In un istantaneo flashback ricordo tutto: l’incontro con Alice, lei che viene a casa mia, Alessandro sul divano, la litigata, la minaccia di dire tutto a Mattia.Risvegliandomi nel letto, per un attimo solo, ho sperato che fosse tutto un enorme incubo, ma ora sposto gli occhi su Alessandro che ai piedi dei letto, e finalmente vestito, mi fissa con la fronte aggrottata.
-Stai bene?-
-Certo- dico mettendomi a sedere, ma avvertendo un dolore al fianco destro. Abbasso gli occhi e osservo il livido bluastro che si va già formando.
-Ho sbattuto la testa?- chiedo dopo qualche attimo.
-No, magari- dice sorridendo, ma tornando serio dopo un mio sguardo ammonitore -Comunque… Hai detto che domani dirai a Mattia…-
-Sì, sì, me lo ricordo. Ma dovremo organizzare un incontro di gruppo-
-Non è meglio che glielo dici in privato, solo voi due? Almeno con un paio di moine e una notte insieme, perdonerà sia me che te-
-No, è meglio se stiamo tutti insieme, e preferibilmente in un luogo pubblico, almeno se tenta di uccidermi ci sono i testimoni- dico in maniera concitata.
-Mattia non ucciderà nessuno, anche se mi sembra piuttosto propenso alle torture-
-Grazie, questo mi è di gran conforto-
-Dai, scherzo, non farà nulla. Ora bevi- dice dandomi un bicchiere d’acqua.
Butto giù senza pensarci, ma la mia lingua incontra inaspettatamente un sapore dolciastro.
-Ma che cazzo è?!- esclamo disgustata.
-Acqua e zucchero- risponde lui –Ho cercato di fartene bere un po’ anche mentre eri svenuta, ma credo che ti avrei affogata. Tanto ti sei ripresa subito-
-Hey, aspetta, dov’è Alice?-
-L’hanno chiamata a lavoro ed è andata via-
-Alice ha un lavoro?- chiedo aggrottando la fronte.
-Lucky, non pensare a lei, ora pensa a te. Mi stai facendo preoccupare-
-Non  ce n’è motivo. Ho avuto un piccolo mancamento, non è nulla di grave. Capita quando fa caldo-
-Tu non sei svenuta perché avevi caldo, ma perché è da ieri pomeriggio che non mangi nulla-
-Che fai, mi controlli?-
-Sì, da quando ne ho l’opportunità. Mangi due volte al giorno, certe volte una sola. Non è normale-
-Stai cercando di dirmi qualcosa, per caso? Senti, quando si è stressati non si ha mai mai molta fame e io non posso farci proprio nulla-
-Sarà, ma ora io vado a prendere qualcosa da mangiare e rimango qui finché non hai finito-
-Sono stanca, ora non ne ho voglia- rispondo socchiudendo gli occhi.
-Vorrà dire che t’imbocco io e poi potrai dormire quanto vuoi. Tanto mi piace occuparmi dei bambini- dice toccandomi la punta del naso.
Gli lancio uno sguardo di sbieco.
-Allora muoviti a prendere quel che devi prendere e torna qui. E dopo, intanto che ci sei, qui sotto al letto c’è ‘Il codice Da Vinci’, potresti leggermelo per un po’-
-Sei infantile, sai?-
-Mi tratti come se fossi tale, quindi tanto vale esserlo davvero. E per quanto riguarda ‘Il codice Da Vinci’, non stavo scherzando-
Sbuffa e si alza dal letto per andare in cucina.
Non voglio dire niente a Mattia. Mi piacciono come stanno le cose, esattamente in questa maniera, non voglio incasinare tutto.
Ma in fondo non corriamo rischi, Mattia non ci ucciderà. No?



Il tempo di una sigaretta:
Oddio, sono imperdonabile, davvero imperdonabile.
Cioè, uccidetemi, venite qui e apritemi in quattro, datemi in pasto alle lumache e poi date fuoco ai resti (?)
Ora mi ammazzo da sola çç
Non sopporto quando faccio ritardo, non lo sopporto davvero D:
Sì, insomma, scusatemi ^^"
Vogliamo passare ai ringraziementi?
Ma sì, dai.
Grazie tantissimo a Padfoot_Daydreamer, missindipendent, CaramellaAlCioccolato94, Daisy Pearl, Koteichan e Freakyyep (finalmente sei tornata *^* jfkjsdbcdkjvbkj)
Per chi non lo sapesse, 'sgamati' sugnifica 'scoperti in flagrante', piiù o meno xD
Sapete, ci tengo particolarmente a questo capitolo perché... Nella mia mente, all'inizio di questo progetto, il numero massimo di capitoli doveva essere quindici, e adesso che ci sono arrivata... Mi fa una effetto strano °-°
E... E' un capitolo schifosamente di passaggio, ma sappiate che il sedicesimo l'ho praticamente già scritto, mi manca solo la parte finale dove c'è... Parecchio Luckyssandro °-°
Ma proprio una quantità industriale e nauseante ed eccitante di Luckyssandro o.o
*La smette di dare mezzi spoiler*
Insomma, la tempestività nel prossimo aggiornamento dipende tutto da voi ;)
Ora vado, che ho un pezzo di cioccolata che mi aspetta (?)
Bye peipy!
UnLuckyStar

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Capitolo 16
*** Come calamite ***




Come calamite


Sapete, certe volte mi chiedo perché tutti nominano i cari e buoni vecchi detti popolari come ‘Chi si fa i cazzi suoi campa cent’anni, ma alla fin fine non li mettono mai in pratica.
Boh, queste perle di saggezza colata sono dissolte nel nulla, e se qualcuno si decidesse a razzolare come predica, probabilmente non mi troverei in questa situazione.
Accidenti.
-Su Ale, sei stato più che a sufficienza davanti allo specchio, sei bello così-
-Io me ne andrei pure, ma sono i miei capelli che non sono d’accordo con me-, dice passandosi per l’ennesima volta una mano tra la massa corvina che oggi ha deciso di rivolgere all’insù.
-Perché non li hai fatti come il solito? Non c’era bisogno di alzarti il ciuffo-
-Beh, non posso stare sempre con la faccia coperta, e ho una fronte troppo bella perché nasconda con i capelli-
-Sì, i tuoi brufoli sono bellissimi- dico ridendo –Vuoi un po’ di fondotinta?-
-Stronza. Sono bellissimo così- risponde risentito.
-Non ho mai detto il contrario, anzi sono la prima a dirtelo. Su, muoviamoci, non facciamoci aspettare-
-Veramente, quella che si fa aspettare dovrebbe essere tu-
-Appunto, dovrei, ma intanto chi è che sta davanti allo specchio da un quarto d’ora?-
-Okay, ho capito. Andiamo- dice spegnendo le luci del bagno.
-Le chiavi di casa e della macchina le ho prese io. Credo di avere anche il tuo cellulare- dico rovistando nella borsa –Ah ah! Eccolo qui- dico tirandolo fuori.
-Saresti una mogliettina efficiente- dice lui prendendo il cellulare e le chiavi della macchina.
Tua madre.
-Ti piacerebbe avere una moglie come me, eh? Ammettilo- dico aprendo la porta.
-Oh, sì, tantissimo- risponde ironico e uscendo fuori.

***

-Pronta?-
-Pronta? Certo, prontissima. In fondo, perché non dovrei esserlo? Sto solo per guardare la morte in faccia, non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi- rispondo drammatica.
-Nessuno ti ha obbligato, hai fatto tutto da sola-
-Non è vero! E’ come se tu e Alice mi aveste costretta-
-Beh, sì, per certi versi potrebbe essere vista in questo modo-
-Senza contare che un attimo dopo sono svenuta, quindi dovresti considerare la mia risposta come nulla-
-Già, dovrei… Ma non lo faccio, quindi rassegnati-
-Okay, sono pronta, muoviamoci- sussurro a me stessa suonando il campanello di casa di Mattia.
-Ma come ti sei vestita?- mi chiede Alessandro nel frattempo.
-Perché? Cos’ho di strano?- domando contrariata.
-Sembra che debba andare a ballare in un night- risponde con un sorriso di scherno e tornando a fissare la porta di fronte a sé.
-Non è vero, sono solo un po’ provocante-
-Io direi anche troppo-
-Tu sei un caso a parte, sei sempre arrap…-
La porta si apre, non facendomi finire la frase e terminando il battibecco al posto nostro.
-Sera- dice Sebastiano –Wow Lucky, dove devi andare vestita così?- domanda soffermando lo sguardo sulla scollatura della camicetta verde lime e sulla scarsa lunghezza della gonna di jeans.
-Oh, che palle, cambiate domanda- dico facendomi avanti nell’appartamento, mentre Sebastiano lancia uno sguardo interrogativo ad Alessandro.
-Lucky!- mi saluta Mattia, venendomi incontro e baciandomi –Ale!- esclama ancora, salutando il mio amato coinquilino con una pacca sulla spalla –Siete arrivati insieme?-
Già cominciamo male.
-Sì, mi ha portato lui- rispondo io, prima che possa farlo Alessandro.
-Se non potevi venire da sola bastava che me lo dice e venivo a prenderti io-
-Ma tanto lui passa davanti a casa mia, quindi non l’ho disturbato-
-E siete ancora vivi? Non vi siete né picchiati né insultati durante il tragitto?-
-Insultati, sì, ma per quanto riguarda il picchiarsi… Gli avrei fatto fare un incidente, e visto che in macchina c’ero anche io, sarebbe stato controproducente-
-Oh, ragazzi, ma che è ‘sto mortorio? Su con la musica- esclama di punto in bianco Sebastiano, con la solita aria da festaiolo strafigo.
-E i vicini non si lamentano?-
-No, gli facciamo solo ascoltare un po’ di buona musica- dice Alice, sbucando fuori dalla cucina con tre bottiglie di birra aperta per mano –Ah, siete arrivati- dice mettendo cinque bottiglie sul tavolino in vetro del salotto e tenendone una per sé.
-Sì, due minuti fa. Ti assoldato come cameriera qui?-
-Magari! Mi hanno presa in prova come pizzaiola in un nuovo ristorante, ma il proprietario è una specie di maniaco che ci prova con tutto ciò che respira- dice sospirando.
-A me è andata meglio. Sono in un ristorante albergo, un po’ in sala e un po’ al bar-
-Che cazzo, non è giusto che a te va sempre tutto bene! Il tuo nome ti descrive troppo, per i miei gusti-
-Ma stai zitta, che il mio nome fa schifo-
-Io trovo che sia bello, invece- dice Mattia posandomi un bacio sull’orecchio.
Sorrido e mi guardo intorno, rendendomi conto che manca qualcuno all’appello.
-Ma Emanuele dov’è?-
-Sta lavorando-
-Capisco… Alice deve essere molto triste per questo- dico ridendo.
Tutti si voltano verso di lei, che cerca di nascondere il rossore delle guance bevendo un sorso di birra.
-Già, deve essere proprio distrutta. Dovresti vederli quando si chiudono in camera e io non posso entrare per non interromperli- dice Sebastiano.
-Suvvia, come siete maliziosi, state sempre a pensare male! Emanuele ed io parliamo e basta quando siamo in camera- dice tentando di mantenere un tono di voce sicuro.
-Certo, come due giorni fa, quando sono entrato per prendere le chiavi e vi ho trovati uno sopra all’altra-
-Ecco, in quel caso hai frainteso tutto, perché lui mi stava facendo il solletico, e tu sai bene quanto lo soffro. Stavamo giocando un po’-
-Sì, infatti, sono proprio i vostri ‘giochi’ che mi spaventano- risponde prendendo una birra.
-Ah, lasciamo perdere- risponde lei scuotendo la testa.
-Su, dai, lo sai che scherziamo a prendervi in giro- dice lui arruffandole affettuosamente i capelli.
-Okay, ma ora lascia stare la mia testa- dice scostandogli la mano, infastidita.
-Non avevate detto di mettere un po’ di musica?- chiede Alessandro, posando sul tavolino la sua birra ormai finita e prendendone un’altra.
-Se la vuoi, mettila. Lì ci sono i cd- gli risponde Mattia indicandogli il piccolo stereo su cui è appoggiato un raccoglitore di dischi.
-Hai un senso dell’ospitalità unico nel tuo genere- risponde lui.
-Ale, vedi di non bere troppo- dico indicando la sua seconda birra –che poi dobbiamo tornare a casa, e preferirei che tu fossi sobrio-
-Stai tranquilla- risponde con tono piatto prendendo a rovistare i cd. Nell’aria, con mio pieno disappunto, partono le note di ‘Ai se eu te pego’.
-No, ti prego, togli ‘sta roba immonda!- esclamo io.
-Non ti piace?-
-Potrebbe mai piacermi?- ribatto ironica.
-Ah, giusto, tu sei il tipo da Tiziano Ferro-
-Cosa hai contro di lui?- domando aggrottando la fronte.
-Nulla, non ho detto niente di male-
-Sì, ma l’hai detto come se ci fosse qualcosa di sbagliato ad ascoltarlo-
-Mah, a me sembra che alcune canzoni non abbiano punto senso- interviene Sebastiano.
-Seba, per favore, fai pace con la buona musica, okay? Ci manca solo che tu dica che i Maroon 5 fanno schifo e saresti da prendere a sprangate nelle gengive-
-I Maroon 5 sono quelli dove il cantante canta in falsetto, giusto?-
-Adam Levine non canta in falsetto, quella è semplicemente la sua dannata voce sexy- rispondo infastidita dagli aggettivi attribuiti ai miei cantanti preferiti.
-Uh, calmati gattina. Comunque, no, i Maroon 5 non mi piacciono, e per quanto riguarda Tiziano Ferro… Non posso farci nulla, non mi fa impazzire, e l’idea che le sue canzoni siano rivolte ad un uomo…- lascia a metà la frase muovendosi come se lo stesse attraversando un brivido.
-Sei di vedute troppo strette. Onestamente non m’interessa se le sue canzoni sono rivolte a maschi, femmine o ermafroditi. Mi piace ciò che, non a chi sono dedicate-
-Sebastiano, è inutile discutere con lei di Tiziano Ferro o dei Maroon 5, tanto in un modo o nell’altro l’avrà sempre vinta. Dovresti vederla quando si chiude in camera mette a palla ‘Sere nere’ o ‘Payphone’ con il cellulare…- dice Alessandro.
Gli lancio uno sguardo che parla da sé, che dice ‘chiudi il becco, cerebroleso’, ma ormai è tardi.
-Ma tu che ne sai di quello che fa lei in camera?- chiede Sebastiano ridendo.
Gli occhi saettano in quelli di Alessandro. Paura. Panico. Terrore.
Maledetti cantanti di talento, perché abbiamo cominciato a parlare di voi?
-Dai, qui stiamo parlando e basta. Dobbiamo divertirci, no?- dica Alessandro –Matt, vieni qui un attimo- continua facendo un cenno a Mattia e annuendo verso di me: gli parlerà lui. Probabilmente ha capito che, almeno stasera, non sarei mai riuscita a dirglielo.
Qui tutto riprende come prima, Alice alza il volume della musica, Sebastiano riprende a bere e a parlare a macchinetta e io rimango con la bottiglia di birra stretta tra le dita che la scaldano ogni secondo di più, intenta a fissare con sguardo assente la porta dietro al quale si sono rintanati e dal quale proviene un sorpreso “Non ho sentito bene, ripeti?”.
La porta si spalanca facendomi sobbalzare.
-Cos’è questa storia?- mi domanda Mattia in maniera forzatamente pacata.
-Che storia?- interviene Sebastiano.
-Tu stai zitto- gli risponde lui, bruscamente –Allora?- riprende guardandomi.
-Mattia, non prenderla male, non è tragico- dico io con la bocca nascosta in maniera incerta dalla mano.
-Lucky, Ale, per favore, andate via. Non voglio arrabbiarmi, non voglio esagerare, ma se rimanete qua mi riuscirà difficile-
-E allora fallo, cazzo- esclamo irritata –Dai, grida, sclera, prendici a calci, ma reagisci e non stare lì impalato a fare l’indifferente, a tentare di fare il duro- concludo avvicinandomi e guardandolo negli occhi.
-Fo, non ti conviene farmi incazzare. Esci di qui, vai via, non ti voglio in casa mia, è chiaro? Non so perché vuoi farmi sembrare a tutti i costi il ragazzo geloso della situazione, ma so che devi andartene insieme al ragazzo con cui vivi- sibila facendo saettare per un attimo gli occhi su Alessandro.
Per un attimo l’aria si ferma, diventa densa, pesante, impossibile da respirare, tanto da riuscire a squarciarla.
-No, tu così lo fai sembrare ciò che non è-
-Lo faccio sembrare come a me sembra che sia. Esci. Forse ne riparliamo… Un altro giorno- dice aprendo la porta d’ingresso.
-Non è come pensi- dico sospirando e varcando la soglia, seguita da Alessandro che ha seguito la scena, attonito quanto gli altri due spettatori.
Appena la porta si chiude sento un ringhio rabbioso, seguito da qualche imprecazione che non riesco a capire. So già che Alice proverà a calmarlo, e sicuramente ci riuscirà.
-Ale?-
Non risponde, si lascia semplicemente avvolgere dall’aria fresca e umida della sera estiva. Va verso la macchina, entra dentro e sbatte la portiera. E’ irritato.
-Dammi le chiavi- dice.
-Forse è meglio se guido io, tu hai pure bevuto-
-L’hai fatto anche tu, quindi dammi quelle cazzo di chiavi- sbotta lui.
-Okay, tieni- dico tirandole fuori dalla borsetta che avevo lasciato in macchina.
Sospira pesantemente e mette in moto.
Mi appiattisco sul sedile e cerco di sparire, fissando le luci della città che sfrecciano colorate davanti ai miei occhi, giocando a creare scie abbaglianti.
E mentre la freccia rossa del contachilometri punta a numeri sempre più alti, spero  che insieme al vento provocato dalla velocità, volino via anche i pensieri.

***

-Hai lasciato le luci accese in camera tua?- mi chiede Alessandro entrando in casa.
-Sì, certo. E’ uno dei metodi principali per non far entrare i ladri in casa. Almeno vedono la luce e pensano che c’è qualcuno, e ovviamente non possono rapinarti-
Lui mi lascia praticamente a parlare da sola in salotto mentre entra in camera mia.
-Ehm, vieni qui un secondo- mi chiama dalla soglia.
-Che succede?-
Falene. Falene ovunque. Cosini schifosi con le zampette e le antenne che si muovono. In camera mia.
-Oddio, che schifo!- esclamo inorridita da quella visione e facendo un passo indietro –E’ vero! Avevo lasciato la finestra aperta… Porca puttana! Io lì non ci entro, che sia chiaro-
-E allora dove dormi?-
-Mh… Saprò organizzarmi, ma ora tu vammi a prendere il cuscino- dico indicando l’interno della camera.
Con riluttanza va verso il letto e dopo aver scostato qualche insetto dal cuscino lo prende, per poi venire da me e porgermelo.
-Cosa dovrei farci con quello? Serve a te- dico spingendo il cuscino verso il suo petto.
-E a cosa dovrebbe sentirmi? Sentiamo-
-A stare più comodo sul divano!- grido correndo il più veloce possibile in camera sua e tentando di chiudere in tempo la porta, ma lui mi raggiunge e la blocca mettendo un piede davanti allo stipite. In due secondi me lo ritrovo davanti che tenta di spingermi fuori dalla stanza.
-No, ti prego, Ale! Io non posso dormire in quella stanza!-
-Hai fatto tutto da sola, adesso ne paghi le conseguenze. Io di certo non mi metto a dormire sul divano solo perché tu sei decerebrata-
-Certo che la tua galanteria è andata a farsi fottere, eh-
-La galanteria non ha mai fatto parte del mio essere. Dormi tu sul divano. Dai, che a me comincia a girare la testa- dice strofinandosi gli occhi.
-Il divano è troppo scomodo, è impossibile anche solo pensare di dormirci. Per quanto riguarda i tuoi giramenti di capo, secondo me è perché hai bevuto senza mangiare-
-Sì, può darsi. Quindi fammi dormire. Ciao- dice credendo di chiudere qui il discorso.
-Oh, ma allora sei stupido: io stanotte dormo qui. Adesso il concetto è più chiaro?-
-Dobbiamo dividere il letto, quindi?-
-Beh, a meno che non vuoi dormire per terra…-
-Okay, entra-
Mi lancio sul letto, incontrando il materasso più duro rispetto al mio, a cui sono abituata.
-Dormi vestita?-
-Mh… Ora vado a cambiarmi, lascia solo che mi riprenda da questa serata di merda-
-Non è andata esattamente come credevi?-
-No… Onestamente mi aspettavo che si arrabbiasse molto di più, ma dall’altra parte quel suo essere calmo mi dava sui nervi-
-Sì, e hai tenuto a farlo notare- dice stendendosi a pancia sotto, accanto a me.
Passano gli attimi di silenzio, forse più di qualche attimo, magari anche dei lunghi minuti in cui siamo caduti entrambi nel dormiveglia, stremati dal semplice far niente.
-Hey?- bisbiglio a lui, che sembra stia dormendo –Ale? Ci sei?- continuo punzecchiandolo tra le costole.
Lui fa dei piccoli salti, cercando di sottrarsi al mio tocco costante.
-Falla finita- dice stanco.
-Ma io mi diverto-
-Io no-
-Soffri il solletico?-
-Tu che dici?- chiede ironico cercando ancor di scostarsi da me.
-Dico di sì- rispondo cominciando a muovere in maniera frenetica le mie mani sui suoi fianchi.
-No, no, smettila!- esclama contorcendosi.
-Uh, il grande e grosso Alessandro grida come una donnetta quando gli fanno il solletico! Questa devo segnarmela- dico canzonandolo.
Troppo intenta a prenderlo in giro, non mi rendo neppure conto che mi ha bloccato le braccia lungo il corpo e che mi è salito sul bacino per farmi tenere ferme le gambe.
-Adesso non ridi più, eh?- dice  esercitando ancora più pressione sulle braccia, facendomi male.
-Oddio, così mi spezzi qualcosa-
-Era quello il mio intento-
-Hai intenzione di starmi addosso per tutta la notte?- domando spazientita nel vedere che non ha la minima intenzione di spostarsi.
-Anche se fosse? Ti darebbe noia?- chiede abbassandosi sul mio viso, il suo petto sfiora il mio.
-No- dico guardandolo negli occhi, quasi a sfidarlo.
Come se gli avessi dato il via libera, si abbassa ancora di più su di me, posando con gentilezza il suo corpo sul mio. Con uno scatto deciso del collo, volto la faccia, giusto un attimo prima che le sue labbra possano incontrare le mie. Ma questo non lo ferma. Bacia ciò che trova, soffermandosi sullo zigomo e la tempia, deliziandosi a percorrere la linea delicata della mandibola, fino ad arrivare alle labbra. E lì, per un attimo, le sfiora semplicemente, facendomi percepire la curva del suo sorriso di trionfo, quasi divertito dal fatto che non sto reagendo in nessuno modo.
-Te lo chiedo ancora: ti darebbe noia?- sussurra chiudendo gli occhi.
Stupido. Si diverte a provocarmi, vuole vedermi cedere. O forse si aspetta che lo fermi.
Premo le mie labbra contro le sue, più per un fatto di orgoglio personale, che per altro, facendo spazio alla lingua, che languida cerca la sua.
No, forse ‘cercare’ non è il termine esatto… Come nemmeno ‘incontrare’, o peggio ancora, ‘annodare’. Accidenti, è difficile descrivere questo bacio, non so che parole usare… E’ come se le nostre lingue contenessero delle cariche opposte che le fanno attrarre… Ecco, ‘attrarre’ è il verbo giusto!
Sì, le nostre lingue sono come calamite.
Sento una sua mano che cerca i bottoni della camicia.
-No, fermo- esclamo scostandomelo di dosso. Quel gesto ha funzionato come campanello d’allarme, come limite da non superare.
-Che c’è?-
-Come ‘che c’è?’? Ma ti sembra il caso? Stasera ho rotto con il mio pseudo ragazzo, che è il tuo migliore amico, e tu l’unica cosa a cui pensi è scoparmi?-
-Senti, non ti ho detto io di venire qui, sei stata tu che ti sei fiondata nel mio letto-
-Ma non per fare sesso!-
-Questo lo so bene, ma…-
-Senti, forse avevi ragione, è meglio se vado a dormire sul divano- dico prendendo il cuscino e uscendo fuori dalla camera.
Mi piazzo sul divano, davvero troppo duro per stare comoda, e fisso il soffitto bianco.
Aspetto. Aspetto di scivolare via dal mondo.


Il tempo di una sigaretta:
Sì, lo so.
Lo so che il capitolo fa schifo, che ci sono errori di battitura, grammaticali, ortigrafici e lessicali.
Lo so.
Quindi... Ciao °-°
Sì, il bacio tanto atteso è arrivato, ma che dire... Non è romantico come alcune persone si sarebbero aspettare.
Beh, il romanticismo lo uso q.b. (quanto basta °°)
Sono le 23:09, io passerebbi (?) ai ringraziamenti.
Grazie a Niki_Love che è tenerosa e si fa sempre viva su Twitter **
Grazie a Freakyyep che è tornata a farmi felice con le sue recensioni, e che mi renderà ancora più contenta quando aggiornerà la sua storia figherrima **
Grazie a quella pupazzosa di Koteichan che mi lascia sempre recensioni da manicomio **
Grazie a missindipendent che è golosa come me *offre pezzetto di cioccolata* **
Grazie a Padfoot_Daydreamer che mi tormenta con i suoi discorsi su frushtuk (?) (Sì, okay, non so come si scrive D:) **
Grazie a Daisy Pearl che è sempre entusiasta dei miei capitoli-cacca **
E poi, ovviamente, grazie a tutti, anche a quelli che non recensiscono ma che seguono solamente, in particolar modo, un grazie speciale a Nikoleta, la nuova arrivata nelle schippatrici Luckyssandro! *Anche se ha un debole per Sebastiano* Freakyyep, hai una compare xD
Poi, e lo dico esplicitamente in pubblico, pretendo che dopo questo capitolo CaramellaAlCioccolato94 si faccia sentire, perché voglio il suo parere e perché devo parlargli di cose importanti D: ksjbajdfbskjdfbakf
Okay, insomma, io vado.
Buonanotte <3

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Capitolo 17
*** Errori, disegni e chiarimenti ***




E
rrori, disegni e chiarimenti


L’odore forte del caffè mi punge il naso e il rumore delle tazzine poggiate sul tavolo mi disturba, facendomi aprire gli occhi di controvoglia.
Con una lentezza inaudita mi metto a sedere e osservo la scena oltre la spalliera del divano. Alessandro versa il caffè nelle tazzine e mette la caffettiera nel lavandino, mentre si passa stancamente una mano sulla fronte.
«Ehm, ehm…» dico per attirare la sua attenzione.
Alza lo sguardo e si lascia sfuggire un sospiro.

«Mi ero dimenticato che eri lì… Ah, qui c’è il caffè.»
«Sì, me ne sono accorta» dico annuendo.
Come affrontare l’argomento? Lui non sembra intenzionato neppure a menzionare il bacio di ieri, ma io non sono come lui, non voglio gettare tutto nel dimenticatoio; devo chiarire.

«Sei stanco?» gli chiedo, prendendo l’argomento alla larga.
«Un po’.»
«Perché?»
«Non ho dormito, semplice.»
«Ah… Neanche io ho dormito molto.»
«Coincidenze» continua freddo.
«Già… Ieri è stata una serata davvero faticosa, troppe emozioni tutte insieme, credo.»
«Sì, può darsi che sia per quello.»
«Senti, a proposito di ieri…»
«Lucky, per favore, non farti film mentali. Eravamo tutti nervosi ieri, ci siamo baciati per scaricare lo stress» sbotta, intuendo dove volevo andare a parare.
«Io quando sono stressata faccio altro…»
«Che intendi con ‘altro’?»
«Credo che tu sia abbastanza sveglio per capire da solo a cosa mi riferisco»
«Sì, credo di aver capito, ed è quello a cui volevo arrivare ieri, se non te ne eri accorta»
«Oh ma grazie, trattami tranquillamente come se fossi un oggetto»
«Non intendevo dire questo… E poi l’hai detto anche tu che è ciò che fai quando sei stressata» dice bevendo il caffè in un sorso.
Faccio per rispondere, ma mi blocca con un gesto della mano.
«Senti, » comincia di fretta «non ne voglio più parlare, tanto come minimo ci metteremo a litigare come al solito. E’ stata una cosa strana, un imprevisto, un errore di dimensioni bibliche, okay?»
«Sì, okay, ti sei inteso alla perfezione. Abbiamo finito?» dico esasperata, sollevando le braccia in maniera isterica.
«» risponde secco e voltandomi le spalle per andare in camera sua.
«Imbecille» sussurro scuotendo la testa.
Il campanello suona e apro la porta senza pensarci…

«Venute a prendere il caffè?» chiedo aspettando di trovarmi davanti Irene e Anzu, ma sbagliandomi di grosso.
«No, credo di no.»
«Mattia…» non riesco ad andare oltre con la frase, per il semplice motivo che non so cosa dirgli, e specialmente, non so che ci fa «Come facevi a sapere dove abito?»
«Me l’ha detto Alice… Sebastiano mi aspetta giù.»
«Sì, ma perché sei qui?»
«Perché dobbiamo parlare.»
«Non mi sembra che ci sia molto da dire. Capisco il perché ti sei arrabbiato, l’avrei fatto anch’ io, quindi non c’è bisogno che continuiamo a mettere il dito nella piaga.»
«Lucky, parliamoci chiaro: la nostra non era una storia seria, probabilmente non poteva neppure essere considerata una storia, quindi dubito che uno di noi soffrirà tanto se ne parliamo per due minuti. Cioè, non interpretare male le mie parole, io a te ci tengo, sei una ragazza simpatica, e sai che ti voglio bene, ma per quanto ci possiamo provare, non siamo fatti per stare insieme.»
Ascolto in silenzio il suo discorso, probabilmente studiato, e sospiro di sollievo senza dare troppo nell'occhio.
«Dio santo, sono contenta che la pensiamo entrambi allo stesso modo» dico portandomi la mano al petto.
«Tu iniziavi già a preoccuparti?»
«Beh… Sì. Ieri sembravi una iena, e quando ho aperto la porta, sembravi in vena di omicidi.»
«Lì per lì me l’ero presa, ma alla fine ho visto la situazione nel suo insieme, e non ne valeva la pena. E poi questa casa è carina… Penso che tu abbia fatto bene a venire a vivere con Alessandro. Sempre meglio che stare con un estraneo, che può essere un maniaco sessuale o un serial killer.»
«Sì, lo credo anche io.» dico sorridendo «Quindi sei venuto fin qui solo per questo?»
«Ammetto che mi aspettavo una tua reazione tipo ‘No, ti prego, parliamone, possiamo mettere tutto a posto’.» dice tentando di imitare la mia voce con poco successo.
«Sai bene che non sono affatto questo genere di ragazza.»
«Sì, lo so… Allora, amici come prima?»
«Siamo mai stati amici?» chiedo ironica.
«In effetti, ora che mi ci fai pensare, non ne abbiamo avuto il tempo. Io c'ho subito provato… Quindi, diciamo che d’ora in poi proveremo a essere amici.»
«E se non ci riusciamo?»
«Tranquilla, ce la faremo, io ho una pazienza di ferro.»
«Cosa intendi dire?» domando accigliandomi di colpo.
«Che sei difficile da sopportare.»
«Ah, certo, ha parlato quello che…» cerco un episodio che faccia in modo di classificarlo come ‘insopportabile’, ma non ne trovo neppure uno.
«Visto? Quella che non si regge sei tu.»
Sentiamo un colpo di clacson e dalla porta mi sposto alla finestra per vedere chi è, e scorgo Sebastiano appoggiato al cofano della macchina che giocherella impaziente con il cellulare.
«Credo che sia ora che tu scenda.»
«Ma figurati, fino a due minuti fa ci stava provando con una ragazza.»
«Chi?»
«Boh, una mai vista in vita mia, ma era piuttosto strana, con i capelli rossi e rasati.»
«Ah, è una ragazza che abita nel pianerottolo qui davanti.»
«Sempre circondata da gente assurda, eh?»
«Sempre, e tu fai parte di questa categoria di persone. Ma ora vai, prima che Sebastiano salga e abbia un pretesto in più per importunare quella povera ragazza.»
«Okay, allora ciao» dice avvicinando le sue labbra alle mie, ma scostandosi un attimo prima, per darmi un bacio sulla guancia.
«Scusa. Ci abitueremo» dice infine uscendo.
Fisso la porta per un istante sentendo che anche lui è ancora lì davanti, fermo. Forse sta guardando lo stesso punto in cui sto guardando io con aria assente.

«Dio, stavo per vomitare- esclama Alessandro in maniera cinica, comparendo sulla soglia della sua camera.
«Ti fai i cazzi tuoi? Solo perché tu non hai nessuno, non significa che tu abbia il diritto di giudicare le situazioni sentimentali altrui, okay?»
«E calmati, non ti scaldare. Ma che ti prende? Non ti conosco da molto, ma sappi che non sei più tu. Questa ‘relazione’ ti ha fatto male, ti ha cambiata, non mi piace come sei diventata. Ti arrabbi perché ti dico che mi date la nausea, quando fino a tre mesi fa anche tu eri disgustata da questo genere di coppiette senza capo né coda, e invece ora sei qui, che fai la finta perbenista, a cercare di non fare del male a nessuno. Tu non sei così, lo sai. Una volta ti piaceva, provavi gusto nel ferire le persone, adesso sembra che ci provi gusto solo con me.»
«Non è vero, io non mi sono mai divertita a fare del male alla gente.»
«Non fare l’ipocrita, Lucky, non lo fare.»
«Ma scusami, ora vuoi incolparmi solo perché cerco di essere una persona migliore?»
«Non ti sto incolpando di nulla, ti sto solo chiedendo di smettere di fingere. Ti chiedo di essere te stessa e di provare ad amarti, prima di amare gli altri. Ti chiedo troppo?»
Le sue parole mi piovono addosso e si abbattono taglienti su di me. La cruda realtà che mi presenta davanti mi ferisce, sfregiandomi, impedendomi di rispondere in maniera soddisfacente, se non con un flebile rantolo e un’alzata di spalle.
«Sai che ho ragione» dice infine, assestando il colpo di grazia, come quello che si dà agli animali in fin di vita. Perché è vero. E’ tutto vero.
«Vaffanculo» sussurro impercettibile, più a me stessa che a lui, benedicendo chi mi sta facendo vibrare il cellulare in tasca, per via di un nuovo messaggio.
“Fortunata, puoi venire questo pomeriggio verso le sei? Rispondimi appena puoi.”
Colgo al volo l’occasione per uscire di casa, anche se siamo ancora a mezza mattinata.

«Esco, devo andare a lavoro.»
«Non ti prepari?» chiede lui piano.
«No, tranquillo, ho già i vestiti di ricambio negli spogliatoi dell’hotel.»
«Allora va bene.»
Apro la porta dopo aver preso la borsa nella mia camera e mi volto un attimo.
«Non voglio più parlare di questa storia, sia chiaro, ma per quanto riguarda ciò che è successo ieri, pretendo che stasera tu mi rivolga un minimo d’attenzione senza fare il coglione o lo scorbutico.»
«Non dovevi andartene?» domanda indifferente.
Senza nemmeno rispondergli, chiudo la porta con un tonfo secco e scendo velocemente le scale, come per allontanarmi il prima possibile da lui e da quel luogo.
Salgo sulla preistorica Panda bianca di Alessandro e metto in moto, mentre rifletto sulle ultime frasi scambiate, e con paura quasi febbricitante un pensiero mi coglie alla sprovvista.
E se avesse ragione?

<> <> <>

Rincaso lentamente dopo le mie sei noiosissime ore di lavoro in albergo. L’orologio appeso alla parete segna mezzanotte e un quarto, e la luce del televisore acceso illumina la figura di Alessandro stesa sul divano che tenta di tenere gli occhi aperti facendo zapping tra i canali.
«Finalmente sei tornata» dice cambiando l’ennesimo canale.
«Mi aspettavi?»
«Sì, certo.»
«Perché?» chiedo aggrottando al fronte, ma comunque grata per quel gesto di premura.
«Oggi hai detto che avresti voluto parlare.»
Giusto, quasi me ne ero scordata io stessa.
Sospirando vado verso il divano, buttando fiaccamente la borsa a terra, a poca distanza da me, e facendo attenzione a non pestare il blocco da disegno che si trova ai miei piedi.
Lo sollevo a mezz’aria e orientandolo verso la luce della tv, cerco di capire che genere di capolavoro abbia concepito. Dopo qualche secondo di contemplazione, fisso stupefatta la riproduzione accurata di un ciliegio dal tronco robusto, nodoso e nero, costellato qua e là da grandi fiori lasciati in bianco, ma che nella mia menta hanno già assunto un colore rosa acceso.

«E’ per te» dice lui, che nel frattempo si è messo a sedere.
«Che significa?»
«Che è il ciliegio che volevi tu, quello che volevi ti dipingessi addosso.»
«Cavolo, te ne se ricordato…» sussurro incredula continuando ad osservare quel semplice disegno che racchiudeva tutto di me.
«Ma non volevi discutere di qualcosa?» chiede alzandosi in piedi e togliendomi delicatamente dalle mani il blocco, per poi chiuderlo e riporlo sul divano.
«Senti, facciamo così: » dico come se mi fosse appena venuta un’idea geniale «prima che ce ne dimentichiamo, prova a disegnarmi quel ciliegio, e nel frattempo parliamo.»
Arrendevole, e parzialmente vinto dalla stanchezza, annuisce sospirando. Con passo strascicato si dirige verso la sua camera.
«Devo usare le tempere?»
«Credo di sì. Non sono io l’esperta, ma credo che sia l’unica cosa che possa aderire al corpo.»
«Ma poi non ti respirerà la pelle» dice emergendo con tra le mani una scatola contenente svariati tubetti e pennelli.
«E allora? E’ solo un disegno, si toglierà, visto che io mi lavo a differenza tua.»
«Ancora con questa storia che i ragazzi non si lavano?»
«Perché, abbiamo già affrontato l’argomento?»
«Un paio di volte.» risponde socchiudendo gli occhi «Vogliamo sbrigarci? Sai, vorrei dormire.»
«Okay, okay, senza fretta. Che devo fare, dove devo mettermi e come devo mettermi?»
«Lo vuoi sul lato del busto, giusto?»
Annuisco.
«Destra o sinistra?»
«Destra.»
«Bene, allora vieni qui. Dovrai stare in piedi, però.»
«Okay, non importa. Devo togliermi la maglia?»
«Sarebbe preferibile» risponde con tono ovvio.
Quasi imbarazzata, mi sfilo la maglia, rimanendo unicamente con il reggiseno bianco.
Per mia fortuna, non si sofferma a guardarmi il seno, come molti ragazzi avrebbero fatto, ma osserva bene la zona in cui dovrà andare a lavorare. Dopo essersi alzato per andare ad accendere la luce –piccolo particolare che avevamo dimenticato– comincia subito a spremerei tubetti e a stendere i colori su di me, dando occhiate veloci al disegno fatto questo pomeriggio.
Anche se con l’aiuto dei pennelli, dipinge principalmente con le dita, avvicinando il viso al mio corpo, tanto da riuscire a sentire il suo respiro caldo sulla pelle.

«A proposito di ieri, » dice di punto in bianco, distraendomi dall’ammirare il suo viso incredibilmente concentrato «non volevo dire ciò che ho detto.»
«Non ti seguo» rispondo aggrottando la fronte.
«Non è stato un errore. O almeno non per me.»
«Beh, neppure per me, sei stato tu a dirlo… Quali erano le tue parole esatte? ‘Errore di dimensioni bibliche’? Non mi sembrano parole dette a caso.»
«Stamattina erano assolutamente a caso.»
«Alessandro, » lo chiamo sollevandogli il mento «cosa stai cercando di dirmi?»
«Non lo so nemmeno io» dice sbuffando e cominciando a tracciare le linee grossolane che andranno a formare i fiori.
Preme piano sul costato, allineando con precisione le sue dita negli spazi vuoti tra una costola e l’altra.

«Sei dimagrita tanto, sai?» sussurra piano, cominciando a stendere il rosa.
«Non è vero.»
«Sì, invece. Che hai mangiato oggi a lavoro?» domanda con fare inquisitorio.
«Mi hanno dato un piatto di pasta come al solito.»
In realtà il mio pasto era composto da una fetta tostata di pane integrale e due spremute d’arancia, presi al bar dell’hotel.
«Non ti credo.»
«E allora non credermi» sospiro rassegnata.
«Lucky, io non voglio farti da mammina apprensiva, per quello ti basta e avanza la tua, ma sto dicendo che…»
«Io non ho una madre» dico interrompendolo.
Le sue mani si bloccano un momento, a causa della gaffe.

«Scusa, non lo sapevo.»
«Hey, aspetta, non è come credi. Non è morta. E’ in una comunità per tossicodipendenti.»
«Cazzo… Da quanto tempo?»
Cerco di ricordare, e mi rendo conto che è davvero da tanto tempo che non penso a mia madre, che non mi chiedo come sta. In questo modo sembra che io sia una figlia orribile, ma la verità è che mi sono concentrata su me stessa. Non volevo rimanerci male e soffrire per ogni cosa, quindi ho preferito avvolgermi in un guscio fatto di egoismo, dove l’unico centro dei miei pensieri sono io stessa e il mio personale benessere.
«Credo sei o sette mesi.»
«Ti manca?»
«Non molto.»
Lui non sembra sorpreso da questa risposta, probabilmente se l’aspettava e ora starà pensando “Ci credo, sei una tale stronza”. Rimaniamo in silenzio mentre lui sfuma di rosso la parte esterna dei petali rosati. Una volta dopo essersene occupato, inizia a far salire, intricati, i rami dell’albero, finendo per toccare con le dita il bordo del reggiseno.
«Scusa, potresti toglierlo?» mi chiede riferendosi all’ostacolo che gli impedisce di continuare.
«Stai scherzando.»
«Sono serio come un’ischemia miocardica.»
«Una cosa?»
«In termini comuni sarebbe un infarto.»
«Ah, e dillo prima allora.»
«Insomma, lo posso togliere?»
«Se proprio devi» dico girandomi di spalle e sollevandomi i capelli per fargli sganciare il ferretto.
Lo sfilo dalle braccia e lo faccio cadere sul tavolino. Stavolta il suo sguardo si sofferma sui seni, ma senza alcuna aria di malizia, e con la stessa professionalità usata sino ad ora, continua il suo lavoro anche in su quella zona.
Nonostante non dimostri un minimo di desiderio, né nello sguardo, né nei gesti, non posso fare a meno di fremere sotto il suo tocco un po’ insicuro, quasi volesse chiedermi un tacito permesso.
Dopo pochi minuti di goffo lavoro, allontana il suo viso da me e osserva critico il tuo capolavoro.

«Perfetto. Vai e dimmi se ti piace, io intanto mi lavo le mani» dice sollevandole in aria, con le dita sporche di tempera.
Corro in camera ad accendere la luce, e mi specchio nell’anta interna dell’armadio. Il mio fianco mingherlino è solcato da una vera e propria ora d’arte, s’eppur abbia un senso di tremolio, provocato dalla superficie ondulata sulla zona del costato.
Lo raggiungo nella sua stanza e mi soffermo sulla porta, non mi interessa di essere mezza nuda.

«Grazie mille, è… E’ bellissimo. Non so davvero come ringraziarti.»
«Tranquilla, tanto domani si cancellerà tutto, dopo che avrai fatto la doccia.»
«Lo so, è l’unica cosa che mi dispiace.»
«Ora, però, mettiti qualcosa addosso.»
«E se volessi rimanere così?» chiedo provocatoria, poggiandomi una mano sul fianco.
«Vorrebbe dire che stanotte mi ritroveresti in camera tua» dice avvicinandosi.
«Uh, non voglio sapere il perché.»
«Credo che tu lo sappia già abbastanza bene» sibila piano.
Il mio sguardo si ancora al suo, e ci avviciniamo sempre più. Stavolta ci abbandoniamo a un bacio vero, uno di quelli fatti come Dio comanda. Un bacio che domattina non definiremo un errore.
Un bacio che non mi aspettavo ci saremmo mai scambiati.
Mi spinge contro la parete, appoggiando la fronte alla mia.

«Lucky, se vuoi fermarmi fallo adesso, perché dopo non lo farò.»
Questa frase mi blocca.
Perché me l’hai chiesto?

«Non ce la faccio Ale, scusa» dico abbandonando la stanza con lo sguardo basso, recuperando reggiseno e maglia dal soggiorno.
Coperta dalla vergogna e dal disgusto verso me stessa, mi ritiro in camera mia, sperando che l’ennesima notte di tormenti passi in fretta.



-Questo è, a grandi linee, il lavoro di Alessandro-
-P.s. Immaginatevi qualcosa di più grossolano èé-


Il tempo di una sigaretta:
E' 01:08, i Maya non ci hanno ucciso e io sono troppo contenta per rovinarmi la nottata (?) modificando tutto con l'html, quindi lo farò domani (sai che novità)
Quindi, che ne pensate? I ragassuoli stanno facendo passi avanti **
Grazie a Koteichan, Daisy Pearl, missindipendent, CaramellaAlCioccolato94, Padfoot_Daydreamer e l'impaziente PeaceAndLove24 :3
Sappiate che vi amo tutti e vi ringrazio moltissimo, anche solo per aver letto :)
So di aver fatto enorme ritardo (un mese °°) ma l'ispirazione mi è presa solo di recente, e sto pubblicando in fretta e furia, solo per far felice la mia Beatrice (ti amo tanto amoruccio <3)
Su dai, tutte le minchiate le aggiungerò domani, tanto probabilmente stanotte non lo leggerà nessuno.
Adios amigos (?)
UnLuckyStar

 

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Capitolo 18
*** Tanti auguri a me ***


Tanti auguri a me


Avete presente la piacevole e ansiosa sensazione che si prova quando sentiamo che sta per accadere qualcosa di meraviglioso?
Quella morsa allo stomaco e la continua sensazione di avere l’adrenalina nelle vene; lo spaventarsi facilmente e il desiderio che il tempo corra veloce.
Non so perché, ma oggi è una di quelle giornate.
Mi sento fuori dal mondo, non esco dalla mia camera da un’eternità, attanagliata dalla mia asocialità che non mi lascia mai scampo.
In attesa che qualcosa di bello accada, mi accendo una sigaretta, quello schifo di Chesterfield che sono stata costretta a comprare perché avevano finito le Marlboro. Faccio un paio di tiri, ma mi sembra di fumare l’aria per quanto è leggera. Stacco di netto il filtro e dopo aver fatto un tiro mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo.
La mia stanza sembra un campo di profughi, in penombra e con il pavimento ricoperto di oggetti e vestiti che quasi non riconosco come miei.
Dai Lucky, è arrivato il momento di uscire da qui.
Mi alzo con lentezza dal letto ed esco, continuando a fumare.
Posso subito sentire una canzone in sottofondo, di cui non riesco ad afferrare bene la melodia, provenire dalla stanza di Alessandro. Mi avvicino alla porta appannata, e attraverso lo spiraglio posso vederlo muoversi e scandire il tempo con il suo stesso corpo.
Non voglio interromperlo, ma lui sembra già avermi visto, attirato forse dal colore dei miei capelli in controluce che mi fanno sembrare un semaforo o una luce al neon.
Stoppa la musica e resta un attimo a prendere fiato. Lancia uno sguardo verso la porta, quindi mi faccio avanti, e senza esitare mi prende in braccio, girando su se stesso, dandomi uno, due, tre baci sulle labbra.
«Uh, a cosa devo questo entusiasmo?» chiedo ridendo e agitando i piedi in aria.

«Sai che giorno è oggi?»
«Il sedici, se non mi sbaglio.»
«Oh, ti sbagli di grosso. Oggi è il ventiquattro agosto.»
«Il mio compleanno?» chiedo stupita, aggrottando la fronte.
Eppure ero sicura che fosse il sedici. Dio, perdo colpi.

«Sì, è il tuo compleanno, e ti ho già preparato una sorpresa.»
«Dov’è?» chiedo entusiasta mentre poggio i piedi a terra.
«Deve ancora arrivare, la vedrai stasera.»
«Deve arrivare? Che è?»
«Se te lo dico non è una sorpresa, quindi smettila di fare domande, tanto non ti dico niente.»
«Sei un pezzo di stronzo.»
«Grazie. Dai, togliti di mezzo, vai in giro con Irene e Anzu, che io devo organizzare ancora un paio di cose. Su, sciò» dice scacciandomi con le mani.
Gli lascio tra le dita l’ultima metà della mia sigaretta e corro in camera; mi metto un paio di jeans e una maglia azzurra. Strofino le dita sotto gli occhi per togliere gli aloni neri lasciati dalla matita ed esco fuori.
Busso alla porta di fronte. Sento una risata sommessa, uno scalpiccio di piedi e la porta che finalmente si apre.
Irene afferra con prepotenza la canotta di Sebastiano e a momenti lo butta per le scale.

«Ci vediamo… Quando capita» dice per poi voltarsi verso di me, come se non fosse successo nulla «Lucky, che ci fai qui?»
«No, aspetta, cosa ci fa lui qui!» gli sussurro mentre lui scende le scale.
«Beh, puoi immaginartelo» risponde facendomi entrare in casa.
«State insieme?»
«Ma no, figurati!»
«Ah, ho capito, scopate e basta» dico prendendo in braccio un gattino che mi si struscia contro la gamba.
«Non dirlo così, mi fai sentire una troia» ribatte fermandosi al centro del salotto minuscolo.
«Non sto dicendo che lo sei»
«Lo so, altrimenti non ti avrei fatta entrare in casa. Comunque, perché sei venuta a deliziarmi con la tua dolcissima compagnia?» chiede con una vena ironica.
«Alessandro mi ha cacciata fuori di casa perché oggi è il mio compleanno.»
«Che carino. Quindi, visto che non hai una casa a tua disposizione, vieni a invadere la mia?» domanda scartando un cioccolatino alla nocciola e cacciandoselo in bocca.
«La tua e di Anzu» preciso io.
«Ma lei adesso non c’è, quindi la considero solo mia.»
«A parte questi dettagli, il problema rimane.»
«Quale sarebbe il problema?» chiede aggrottando la fronte.
«Che non ho nulla da fare» rispondo buttandomi sul divano.
«Io ho un’idea.»
«Spara.»
«Del sano shopping. Lui sta organizzando qualcosa, giusto? Quindi ti serve per forza qualche abito nuovo da mettere stasera.»
Sbuffo e sorrido per la sua semplicità nell’impegnare il tempo.
«Okay, vado a prende i soldi e usciamo.»

 <> <> <>

Non so come ho fatto a farmi trascinare qui dentro. Fisso gli sgargianti colori dei completi intimi appesi agli espositori, mentre Irene lecca con insistenza un chupa-chups all’arancia e tastando le imbottiture dei reggiseno.
«Ti prego, usciamo di qui» dico tirandola per un braccio.
«Perché? Stiamo facendo shopping.»
«Sì, ma tu avevi parlato di comprare dei vestiti.»
«Ma la biancheria è una cosa fondamentale per stasera!» esclama per poi darmi le spalle e continuare la sua esplorazione.
«Fondamentale?» domando seguendola.
Stizzita, si toglie di bocca il lecca-lecca.

«Alessandro vuole farti una sorpresa, no? Dopo che ti avrà fatto questa sorpresa si presume che tu sarai felice, e questo gli spianerà la strada per fare del sano sesso di buon compleanno.»
«Tu sei fuori, lui non ha in mente niente di tutto ciò» rispondo risoluta.
«Ma a chi vuoi darla a bere? Si vede da un chilometro che vorrebbe sbatterti su ogni superficie piana che potrebbe trovare. Sei fortunata» ribatte maliziosa.
Non avevo mai pensato che effettivamente Alessandro potesse avere in mente questo tipo di piano, ma può darsi che Irene abbia ragione, mio malgrado.

«Bene, mi hai convinta. Da dove cominciamo?» chiedo lasciando sciolte le braccia.
«Beh… Dalla taglia? Quanto porti di reggiseno?»
«Una prima» rispondo abbassando il tono di voce. Il mio seno si è spaventosamente rimpicciolito nell’ultimo periodo.
«Allora, secondo me dovresti metterti un reggiseno con la coppa non imbottita… Sai, fa un brutto effetto quando sembrano enormi e alla fine sono minuscole, almeno non ingannerai le aspettative di Alessandro.»
«Wow, sei attenta ai dettagli» mormoro cercando qualche reggiseno che mi piaccia.
«Certo, sono importanti in queste occasioni. Prendi qualcosa con il pizzo: è classico e sexy, magari nero.»
«No, niente pizzo.»
«Beh, gioca con l’effetto semitrasparente di qualche altro tessuto.»
«Non ci tengo. Non è meglio un normale completo coprente?»
«Mh, si potrebbe anche fare…» dice storcendo la bocca.
«Ecco, guarda questo: è nero, sexy e il reggiseno non è imbottito» dico mostrandole un completo nero i cui slip ricordano dei boxer, con la scritta ‘DONNA’ sull’orlo grigio superiore e dei bottoncini sul davanti.
«Vallo a provare, va'» dice con tono di approvazione.
Mi chiudo nel camerino e mi fisso allo specchio.
No, non ce la posso fare.

<> <> <>

Dopo due ore e mezza, pausa pranzo esclusa, finalmente torno a casa con il bottino di due paia di scarpe, tre maglie, due jeans, un coordinato intimo e un rifornimento completo di ombretti alla Kiko.
Apro la porta di casa e la prima cosa che vedo è Alessandro, in piedi in mezzo al soggiorno e parla al telefono con un ghigno in stile Grinch.

«Ora devo chiudere. Ci vediamo» dice appena di vede.
«Stai ancora organizzando?»
«Non proprio… A te dispiacerebbe se festeggiassimo il tuo compleanno in ritardo?»
«Perché? I ragazzi non possono venire?»
«Beh, siamo nel mezzo della settimana e devono andare a lavoro. L’unico che può venire è Sebastiano, ma a questo punto è meglio rimandare tutto.»
«Sì, sì, sono d’accordo, ma quindi… Niente più sorpresa per me?»
«Tranquilla, quella ci sarà ugualmente» dice mettendosi a sedere sul divano e invitandomi a fare lo stesso.
Chissà, forse per puro caso, la sua mano finisce sulla mia. Nessuno dei due ha il coraggio di scostarsi. Alzo lo sguardo sul suo viso, così vicino al mio, così bello, così suo. E i suoi occhi, poi, ne vogliamo parlare? Quegli specchi scuri in cui mi posso riflettere, e mi viene da pensare come sono io ai suoi occhi… Mi vede con la stessa perfezione con cui io vedo lui?
Il silenzio aleggia intorno a noi, insieme alle parole che non abbiamo bisogno di dire.
E in un attimo capisco. Capisco il bene che gli voglio. Capisco che lui è il desiderio che ho sempre espresso alle undici e undici e alle ventidue e ventidue, e che non ho mai dubitato che potesse avverarsi. Capisco, capisco tutto, e questo mi sconvolge.
Perché quando ti rendi conto di amare qualcuno, non è dolce come fanno vedere nei film. Non si manifesta con le farfalle nello stomaco, no. Realizzare di aver amato per tutto il tempo una persona che credevi di sopportare a malapena, beh, è una mazza ferrata che ti arriva dritta in faccia senza preavviso.
Ed è così, con un uragano di confusione nello stomaco, che lo bacio, e lo faccio davvero come se fosse la prima volta. Senza attendere ancora, la mia lingua già si preme contro la sua e non riesco a pensare al prossimo passo da fare. Boh, nella mia testa c’è il vuoto cosmico, non riesco a concretizzare un pensiero, una frase, un qualcosa; nulla.
Sento la mano di Alessandro che dal collo scende a carezzarmi il braccio, il fianco, per poi afferrarmi il ginocchio e trascinarmi a cavalcioni su di lui.
Una mano tra i capelli e una che indugia sotto la maglia. E gli occhi. Gli occhi che mi guardano e bruciano ogni molecola di ossigeno che provo a respirare.
Dio sa quanto vorrei dirgli “Basta, smettila di guardarmi, ché mi fai sentire speciale e non ci sono abituata”.
Eppure sto zitta, perché so che non sta fissando il mio viso, non sta valutando il mio corpo scarno, non sta neppure giudicando i miei comuni occhi marroni. Il suo sguardo sta scavando molto più a fondo e lo posso sentire mentre, in silenzio, seziona i miei pensieri e mi dice “Non mi interessa del tuo corpo, voglio te”.
Con uno strattone mi toglie di dosso la maglia e si ritrova a lottare con i ferretti del reggiseno che non si decidono a sganciarsi. E io quasi rido pensando a tutte le aspettative che mi sono fatta per questo momento. A come stamattina, in quel camerino, mi sono sentita inadatta, brutta, disgustosa; e ora? Ora sto bene. Ora mi desidera. Ora mi vuole. E io voglio amarlo, senza ‘se’, senza ‘ma’ e senza ‘forse’. Voglio amarlo davvero, e stavolta nessuno mi potrà fermare, nemmeno me stessa.

<> <> <>

Arrivata ormai alla sera, mi chiedo se la strana sensazione di aspettativa che ho provato stamattina fosse indirizzata a questo. A me e a lui insieme, su un divano, incapaci di dormire dopo aver fatto l’amore; forse perché non si può dormire mentre un piccolo sogno nascosto si realizza.
Guardo il soffitto con attenzione, come se ci fosse qualche particolare da cogliere, mentre stringo le braccia al corpo che ho rivestito di fretta. Nonostante sia coperta, mai mi sono sentita tanto nuda, ora che Alessandro mi fissa, appoggiato al bracciolo opposto del divano.

«La smetti di guardarmi?» chiedo non potendo trattenere un sorriso.
«Mi piace guardarti, quindi perché non dovrei farlo?»
«Perché rischi di farti male agli occhi» rispondo sarcastica, mentre anche lui si lascia sfuggire un sospiro di felicità. Ecco come siamo: dannatamente felici.
Ma così è troppo facile. Mi sembra davvero troppo facile che la felicità sia così a portata di mano. Che ce l’abbia sempre avuta davanti agli occhi ma che non abbia mai avuto il coraggio di afferrarla a piene mani; mi sono sempre limitata a sfiorarla appena con lo sguardo, sfiduciosa in essa e nel fatto che sarebbe durata a lungo.
Incredibile come le persone si accontentino di inseguire l’effimera speranza della felicità, piuttosto che la certezza della gioia stessa.

«Allora, andiamo a prendere il tuo regalo?» mi domanda guardando distrattamente l’orologio, per poi buttare un occhio fuori dalla finestra, per vedere il cielo imbrunirsi.
A momenti non fa in tempo a dirlo che già sono fuori dalla porta.
Voglio essere ancora più felice.

<> <> <>

«E’ questo il regalo?» domando dondolando pigramente sull’altalena dei giardini comunali, che cigola in maniera sinistra nel buio più totale «Un giro ai giardini è il tuo regalo?» continuo impaziente.
«Certo che no, devi solo aspettare, cazzo, sai cosa significa?» chiede spazientito.
«Uff…» sospiro aggrottando la fronte «E poi perché proprio qui, al buio? Non lo sai che quando fa notte qui ci vengono i drogati a bucarsi? Non ci tengo ad assistere alla scena, a meno che la sua fantastica sorpresa non consista in un quartino di eroina» dico chiacchierando a vanvera.
«Facciamo che ora tu rimani qui per due minuti, io torno subito. Dopodiché mi amerai» dice voltandosi.
«Per quello è troppo tardi» sussurro tra me e me.
Osservo il parco in penombra, illuminato appena da un lampione in lontananza. In questo modo ha un aspetto tetro, molto diverso da come è di giorno, ti dà l’idea che qualsiasi malvivente potrebbe nascondersi nell’ombra alle tue spalle.
Presa un po’ da una sensazione di panico comincio a canticchiare un motivetto per sdrammatizzare la tensione.
Sento dei passi felpati nell’erba tagliata da poco. Mi alzo in piedi, e se non fosse che sono già pallida di mio sono sicura che sono sbiancata.
Contro la luce del lampione distinguo due sagome venire nella mia direzione. Uno dei due è Alessandro, lo riconosco subito, e quasi mi calmo. La domanda è chi è l’altro ragazzo.
Non ne distinguo il viso, eppure è famigliare ad ogni passo che fa avanti.

«Ciao» dice nascondendo un sorriso nell’ombra.
La sua voce, Dio mio.
Sgrano gli occhi. Ho la bocca secca.
Trattengo il respiro.
 



Il tempo di una sigaretta:
Oh oh oh... Che succede?
Esatto, ho pubblicato!
Dopo due mesi (in parte colpa di mia madre che mi ha messa in punizione) sono tornata all'azione!
Inutile girarci intorno: RECENSITE!
Come potete vedere, la nostra Lucky ha concretizzato i suoi sentimenti per Alessandro.
La scena di sesso, mi dispiace, non è dettagliata per il semplice fatto che mi sentivo troppo a disagio a scriverla, ma ho cercato di compensare dal punto di vista sentimentale.
E quindi ringrazio Koteichan, missindipendent, hobrienxx, PeaceAndLove24, Niki_Love e l'ultima arrivata... Kikkus1994!
Grazie a tutte per le recensioni!
La storia è ormai agli sgoccioli, non so neppure se arriverò a 25 capitoli :')
E con questo vi saluto e spero di risentire anche le donzelle che non si fanno vive da un po' **
Baciii UnLuckyStar

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Capitolo 19
*** Schiacciata sotto un peso non mio ***


Schiacciata sotto un peso non mio


«Giacomo.»
La parola mi esce dalle labbra come un sussurro, in uno sbuffo d'aria, liberando il respiro che ho trattenuto fino ad ora.
Un sorriso si apre sul suo volto mentre si stringe nelle spalle.
Sì. Sì, cazzo, è proprio lui. E' proprio il mio Giacomo.
«G-Giacomo!» esclamo, stavolta con più fermezza, muovendomi a grandi passi verso di lui. Eccomi qui, faccia a faccia con colui che ha fatto popolare di apprensione i miei incubi. Ho pensato il peggio e sperato il meglio per lui e per ciò che stava passando, indecisa se fosse vivo, morto, con una siringa in vena, se stesse bene, se si fosse scordato che io lo stavo ancora aspettando.
Ho passato notti insonni a causa sua, in un bagno di lacrime e sudore, stremata e tremante nel letto.
Cercavo le sue braccia che mi stringessero rassicuranti dopo ogni litigata con papà, ma ogni volta che mi tendevo per cercare la sua figura distesa nel letto, con le cuffie nelle orecchie anche quando dormiva, non trovavo nulla. Ed è stato in quei momenti più che in altri che mi sono sentita sola.
Neppure gli incoraggiamenti di Alice e delle mie compagne servivano a niente: era crollato il mio muro portante, non avevo nessuno che mi sorreggesse e mi tenesse in piedi.
Ed è in questo modo, dopo essermi letteralmente strappata i nervi a morsi per l'apprensione, che me lo trovo davanti.
Senza pensarci due volte, tiro indietro la mano e gli schiaffo il palmo aperto dritto sulla guancia, facendogli girare la testa da un lato e sparire il sorriso.
«Sei un pezzo di merda!» grido mentre due grosse lacrime  sfuggono al mio controllo e mi rigano il volto.
Lui si limita a portarsi una mano alla guancia colpita e a guardarmi confuso.
«No, cazzo, non guardarmi con quella faccia. Non mi guardare come se tu non avessi fatto nulla e io fossi una pazza a reagire così!»
«Pensavo che saresti stata contenta» dice piano.
«Pensi che non lo sia? Credi che mi riesca facile rimanere qui ferma a parlare e piangere e disperarmi, invece di abbracciarti e dirti che mi sei mancato? Ma come potrei farlo? Te ne sei andato. L'hai fatto di nascosto, senza salutare, senza darmi il tempo di prepararmi. Non te n'è fregato niente di quanto la tua assenza mi avrebbe distrutto, ti sei limitato a prendere le tua cose e sparire dalla circolazione.»
«C'era papà con te.»
«Papà, certo. Tu sei sempre stato il suo cocco, credi davvero che senza di te avrebbe cominciato a considerarmi? Io...» non finisco la frase perché la voce mi si incrina, fino a rompersi. Con un gesto stizzito asciugo le lacrime e riprendo a parlare, anche se la mia voce ancora trema «Io non capisco il tuo modo di ragionare. Credevo che io e te fossimo uguali, ma è più che evidente che mi sbagliavo. Io non ti avrei mai fatto una cosa del genere; fino a pochi mesi fa non riuscivo neppure a concepire la mia esistenza senza di te. E tu adesso arrivi qui, liscio come l'olio, con una faccia da schiaffi e un 'Ciao', credendo di cancellare ogni cosa?»
Apre la bocca, come a voler replicare, ma la richiude velocemente passandosi le mani tra i capelli. Probabilmente non si aspettava tutto questo al suo arrivo.
«Basta, vieni qui» dice stringendomi tra le braccia, ed io, per un attimo mi ci abbandono come avrei fatto tempo fa, ma mi divincolo quasi immediatamente.
«No, non toccarmi» dico asciugandomi nuovamente le lacrime e andando a stringermi contro Alessandro, che fino ad ora ha assistito alla scena in silenzio «Andiamocene a casa, Ale, per favore» sussurro premendo la fronte alla sua spalla.
«Sicura?» mi domanda prendendomi il viso tra le mani.
Annuisco, incapace di trovare la voce senza singhiozzare.
«Okay, allora andiamo» dice avvolgendo il suo braccio intorno alle mie spalle e guidandomi fuori dai giardini, verso la macchina seminascosta nel buio.
Una volta entrati in macchina e aver chiuso le portiere, scoppio in un pianto isterico. Cerco di contenere i singhiozzi coprendomi il viso con entrambe le mani. Mentre guida, sento la mano di Alessandro posarsi sul mio ginocchio, come a dire "Sono qui. Se vuoi, io sono qui per te". Stringo e intreccio la mie dita bagnate di lacrime alle sue.
«Gli vuoi ancora bene, vero?»
Annuisco forte prima di rispondere.
«Molto più di quanto chiunque possa pensare.»

<> <> <>

«Chiamalo, digli di venire, ti prego» imploro Alessandro appena tornati a casa.
«Ma l'hai appena trattato come un animale, non verrà!» replica lui tra lo shockato e il divertito.
«Verrà, credimi... Sa che adesso lo voglio qui, probabilmente ci ha seguiti e sta aspettando giù di sotto che io chieda di lui. Ti prego, ti prego, fallo venire qui» continuo strattonandolo per la maglia con tono supplichevole.
«Okay, okay... Ora gli mando un messaggio» dice tirando fuori il cellulare e cominciando a digitare parole.
Intanto io mi butto sul divano. In fondo non ha tutti i torti: con che coraggio gli dico di venire dopo che gli ho urlato in faccia cose orribili? Non posso nemmeno dirgli 'Scusa, non lo pensavo davvero', perché lui lo sa, la benissimo che era esattamente ciò che pensavo.
Sospiro in modo forse troppo sonoro.
«Hey» dice Alessandro avvicinandosi e appoggiandomi una mano sulla gamba «andrà tutto bene, lui capirà, no? Ti vuole bene, farà finta di nulla» dice con il tono più confortante e calmo e dolce che riesce a tirar fuori. Gli sono grata perché ancora riesce a darmi retta, nonostante le mie assurde azioni.
«Certo, certo, lo so» dico annuendo «Adesso vai a letto, sei stanco e io ho bisogno di restare un attimo da sola prima che arrivi.»
Lui rimane di fronte a me, con le ginocchia semi-piegate e l'indecisione sul volto.
«Ma prima dammi un bacio» riprendo facendolo avvicinare.
Posa le sue labbra sulle mie, si gira e va a letto, chiudendo la porta della sua camera.
Rimango rannicchiata nell'oscurità del salotto, dondolandomi appena sul mio posto, lo sguardo perso a fissare il nulla. Non faccio in tempo a formulare un pensiero ché sento suonare il campanello. Sobbalzo appena, poi vado ad aprire la porta.
Lui è lì, in piedi nella sua statura non particolarmente imponente. Mi ci lancio letteralmente addosso.
«Mi dispiace davvero tantissimo, non dovevo trattarti così. Insomma, sei venuto qui da Dio sa dove e io ho trattato da schifo» dico allacciando le braccia al suo collo, le lacrime agli occhi per il senso di colpa.
«Tranquilla, scricciolo, va tutto bene. Sapevo che non l'avresti presa benissimo all'inizio. E come vedi ti sbagliavi: ti conosco meglio di quanto pensi.»
Mi arrendo di fronte a queste parole. Non ho bisogno di pregarlo e di chiedere scusa altre cento volte, lui ha già capito tutto.
Entra in casa e si accomoda sul divano, invitandomi a fare lo stesso.
«Sei cambiata tantissimo, in questi pochi mesi» dice con un tono... strano, tra il nostalgico e il colpevole.
«In che senso?-
«Prima di tutto i capelli. Hai sbagliato tinta, per caso?»
«Qualcosa del genere» rispondo trattenendo una risata.
«E poi sei diventata tutta pelle e ossa. Sei sicura di star mangiando?» domanda apprensivo.
«Ma certo!» squittisco con il solito tono che uso quando mento «Cioè, sono stressata nell'ultimo periodo, ho solo perso un po' l'appetito» mi correggo per rendere questa balla un po' più veritiera.
«Certo, lo capisco» dice non troppo convinto «e poi c'è qualcos'altro... Non so, hai uno sguardo diverso. E' più... spento.»
«Ah, grazie mille» ribatto sarcastica e parzialmente offesa da questa affermazione.
«Ma non sempre, » riprende subito «quando guardi Alessandro non hai questo sguardo. Potrei sbagliarmi, ma credo che tu abbia una cotta, e una di quelle belle» dice ammiccando.
Gli do una botta sul braccio e rido imbarazzata.
«Non è assolutamente vero» rispondo in maniera non troppo convincente.
«E allora perché stai sorridendo?» chiede con il tono di chi la sa lunga.
«Ma perché sei tu che mi fai sorridere, scemo! E... E credi che se ne sia accorto?» domando riassumendo un po' di serietà.
«Forty, vieni qui, ché ti confesso una cosa» dice facendomi segno di avvicinarmi «Lui è pazzo di te» mi sussurra all'orecchio.
«Te l'ha detto lui?»
«Non proprio, ma tra ragazzi queste cose si capiscono. E sappi che avete tutta la mia approvazione e benedizione.»
«Sono felice che tu dice questo, dato il fatto che questo pomeriggio... Insomma, l'abbiamo fatto» dico con un sorriso a trentadue denti.
«Che cosa?! Ma vi conoscete da troppo poco tempo! Insomma, siete praticamente degli estranei! E lui? E' stato lui ha cominciare? Giuro che se è così gli spezzo le braccia.»
Ah, questa capacità di blaterare e formulare ipotesi contemporaneamente ce l'abbiamo entrambi.
«L'iniziativa è stata di tutti e due. L'abbiamo fatto perché volevamo farlo, ed era già da un po' di tempo che avevamo una certa tensione sessuale da risolvere... Finalmente l'abbiamo risolta, quindi credo che d'ora in poi la nostra convivenza andrà molto meglio. Davvero, non c'è da preoccuparsi.»
«Beh, a me non la conta per niente giusta quel ragazzo, non mi è mai piaciuto, sin da quando mi ha chiamato al telefono» dice bofonchiando.
«Ma se ci ha appena dato la tua benedizione!» ribatto ridendo della sua adorabile incoerenza.
«Avevate la mia benedizione prima che scoprissi che lui ti ha palpeggiata, magari proprio su questo divano» dice indignato.
Roteo gli occhi, ed evito di precisargli che effettivamente ha azzeccato il posto.
«Su, non essere esagerato. Dai, vieni in camera mia, mi devi raccontare un po' di cose» dico facendogli strada fino alla mia porta.
Così passiamo ora, forse giorni, a parlare. E lui mi racconta di dove è stato, dove ha dormito, che cosa ha fatto per mantenersi e di come è uscito dal giro dello spaccio pesante. Adesso è tornato ai vecchi tempi, vende solo erba, e in piccole quantità. Ha decisamente messo la testa a posto.
Lo guardo e vorrei saltargli addosso, a baciarlo e abbracciarlo fino a domani. Fino a quando il sole non farà capolino dalla finestra e ci bacerà i volti, e noi sorrideremo... E saremo talmente belli nella luce del mattino, che il sole non vorrà tramontare pur di continuare a guardarci.

<> <> <>

E' l'inizio di un nuovo giorno. L'aria è fresca, il cielo è limpido, e l'odore di crepês aleggia in giro per la casa.
Delle voci sommesse provengono da dietro alla porta accostata di camera mia. Mi avvicino e faccio per aprirla, quando afferro delle parole.
«Sono davvero preoccupato» sta dicendo Alessandro.
«Ora che l'ho vista... Beh, lo sono anche io. Credi davvero che avermi qui potrà aiutarla?»
«Penso di sì. Per quanto mi ha detto Alice, ha smesso di mangiare poco dopo che te ne sei andato. Ovviamente non devi sentirti in colpa per questo, probabilmente la tua partenza è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»
«Può darsi...» dice Giacomo, pensieroso «In effetti non è mai stata molto sicura di sé. Ma non posso fare a meno di pensare che se fossi rimasto, lei... Lei non avrebbe mai avuto nessun disturbo, e...»
«Te l'ho già detto, amico, non è colpa tua. Forse è un problema che in parte ha sempre avuto... Nessuno ha colpa, nemmeno lei» dice Alessandro con fermezza.
«Forse hai ragione... Sai, magari ti perdonerò per essere andato a letto con mia sorella» dice dandogli un piccolo pugno sul braccio.
«Io le voglio bene, davvero tanto, tanto bene. Forse la amo, ed è una cosa incredibile da dire, visto che all'inizio ci odiavamo, non ci sopportavamo per nulla. Ed è per questo che non mi approfitterei mai di lei.»
«Me l'hai appena dimostrato.»
Dal tono di voce riesco a capire che sta sorridendo.
Lentamente, ritorno a stendermi sul letto dalle lenzuola sgualcite, riflettendo su ciò che ho appena sentito.
Quindi loro credono che io sia malata. E Giacomo teme che sia colpa sua. Pensano davvero che io sia anoressica, ma non sanno che io tengo tutto sotto controllo. Forse non si fidano? E poi... Alessandro ha detto che mi vuole bene, che forse mi ama.
Non so se essere felice o scoppiare a piangere.
Prendo il cellulare e compongo il numero di Alice. Ho bisogno di parlare con qualcuno mentre sento gli occhi inumidirsi. Mi sento sopraffatta dagli eventi, ciò che sta accadendo è così grande che mi schiaccia e non mi permette di respirare.
«Al?» chiedo con un sussurro spezzato.
«Hey? Lucky? Che succede?» chiede allarmata.
«Ehm... Niente, avevo bisogno di parlare con qualcuno, e tu sei l'unica con cui posso farlo» dico cercando di non far tremare la voce e cominciando a mordermi l'unghia del pollice.
«Ma come, Alessandro sicuramente è a nemmeno quattro metri da te, e sai che alla fin fine sarebbe contento di esserti utile» dice con ottimismo.
«No, adesso ho bisogno di te. Dimmi qualcosa.»
«Beh, giacché me lo chiedi... Ieri ho fatto il grande passo- dice con un tono tra il felice e l'imbarazzato.
«Hai perso la verginità?» chiedo ironica.
«Sì.»
La risposta è talmente secca e decisa che quasi mi si ferma il cuore e strabuzzo gli occhi.
«Come, scusa?»
«Sì, sì! E' successo, finalmente l'ho fatto!»
«Ed è andata bene?»
«Boh, penso di sì. Insomma, non è stato affatto come lo immaginavo, ed ero così nervosa e imbarazzata, mamma mia...» dice terminando in un gridolino «Non lo so, non ho termini di paragone, ma spero che vada meglio... Le prossime volte, sai...»
«Ma sentivi che non stava andando bene a causa tua o a causa sua?»
«Credo fosse colpa mia» confessa titubante.
«Allora stai tranquilla, andrà molto meglio con un po' di pratica» dico asciugandomi le lacrime che si sono impigliate alle mie ciglia «Anche io ieri mi sono data da fare» butto lì con nonchalance.
«Scommetto anche di poter indovinare con chi» dice lei «Alessandro? O mi sbaglio?» chiede ridendo.
«No, non ti sbagli. Ed è stato bello. Molto bello. Davvero tanto bello.»
«E allora perché mi hai chiamata tutta sconvolta? Di certo non è per questo.»
«Infatti. E' che Giacomo è di nuovo in città, forse è tornato per restare. Per restare per sempre.»
«E non dovresti essere felice per questo?» chiede confusa.
«No, veramente...»
Sto per confessargli ogni parola della conversazione che ho appena origliato, quando mi viene in mente un piccolo particolare.
"Per quanto mi ha detto Alice, ha smesso di mangiare poco dopo che te ne sei andato."
Lei la pensa come loro.
Stringo gli occhi, i pugni, i denti, in un disperato tentativo di non far uscire le emozioni da qualche scappatoia.
«Niente, ora devo andare. Magari ci si vede uno di questi giorni, okay? Tu devi raccontarmi nei dettagli della tua ultima esperienza con Emanuele» dico ostentando un tono malizioso.
«Certo, va benissimo. Allora ci sentiamo presto.»
«Okay, ciao.»
Premo il pulsante rosso, chiuda la chiamata, gli occhi, la bocca e la voglia di vivere. Ieri ero talmente felice, perché non posso esserlo ancora?
Torno ad avvicinarmi di soppiatto alla porta. Stanno ancora parlando di me, di come ci sono ottime strutture e medici pronti a 'guarirmi'. Ma non capiscono che in me non c'è niente da curare? Sto diventando perfetta, e le persone mi amano e mi apprezzano per questo; perché loro non riescono a capirlo?
Apro la porta, facendo attenzione perché cigoli e gli faccia capire che sono presente nella stanza.
«Bellissima, guarda cosa ti ho preparato?» mi accoglie Giacomo, mostrandomi un piatto con due crêpes alla nutella e una banana tagliata a rondelle. E' la mia colazione preferita, e lui lo sa bene.
«Cosa fai, mi prendi per il culo?» domando aggressiva, facendo sparire il sorriso del suo volto «Prima stai qui a confabulare con lui e dici che sono anoressica e che devo farmi curare, e poi mi proponi una bomba calorica? Che fai, cerchi di testarmi?»
«Hai sentito tutto?»
«Sì, cazzo, ho sentito ogni fottuta parola. E tu?» dico rivolta verso Alessandro «Prima dici che mi vuoi bene, che forse mi ami, e poi mi pugnali alle spalle? Mi vuoi far rinchiudere in qualche clinica? Vuoi farmi marcire dentro a qualche ospedale, è davvero questo che vuoi farmi?»
Il mio tono ha assunto una sfumatura supplichevole.
«Forty, dai, non hai...» interviene Giacomo.
«Non provarci! Non chiamarmi 'Forty'! Non siamo più due bambini, io non sono più la tua sorellina indifesa; ho una mia vita, lasciami in pace. Non avrei mai dovuto farti venire qui in casa, dovevo immaginarmelo che non eri venuto qui solo per il mio compleanno» farfuglio, cominciando ad agitarmi sul serio.
«No, infatti, non sono venuto per il tuo compleanno, io sono qui per te, e se c'è un motivo per cui sto in questo buco di cucina a farmi urlare addosso è perché non voglio che tu finisca come me e che butti la tua 'vita' nel cesso!» esclama stravolto.
Sento il respiro accelerare, i colori mi sembrano grigiastri e sbiaditi. Sto sudando, sento la fronte imperlata, ho bisogno di piangere; mi sento schiacciare. Mi sembra di avere la testa completamente fredda, le labbra e le dita dei piedi mi formicolano.
Mi lascio travolgere dal panico appena la vista inizia ad oscurarsi.
Quando precipito nel buio sento le ginocchia che mi cedono. Il viso di Alessandro è l'ultima cosa che vedo.


Il tempo di una sigaretta:
Sì, sono passati sei mesi.
Sei mesi in cui non sono rimasta inattiva come sembra, perché in realtà mi sono data un sacco da fare, cominciando a scrivere altre tre storie (sì, tre storie contemporaneamente) e che presto pubblicherò qui su EFP ^^
Per questo vi annuncio già in anticipo che il prossimo capitolo sarà l'ultimo e che poi ci sarà un epilogo.
So che probabilmente non se lo cagherà nessuno, ma anche se non recensite fatemi capire che l'avete letto, in qualsiasi modo (?)
Insomma, a parte il ritardo, spero vi sia piaciuto, il prossimo dovrebbe arrivare tra una settimana :)
Tantissimi baci, fatevi sentire!
UnLuckyStar!
P.s. Ringrazio ovviamente missindipendent e Koteichan per non avermi abbandonata e QueenHTT e Ellie99 per essere appena arrivate tra noi c:

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Capitolo 20
*** Tutto si conclude - Epilogo ***


Tutto si conclude


Apro gli occhi con lentezza, quasi con cautela. La stanza è inondata di luce, è candida. Le pareti sono bianche, il letto è bianco, il mio camice è bianco, e anche io sono bianca.
Tubicini di plastica sgorgano dal mio corpo come estuari da un fiume. Provo a muovermi, a scostarmi il lenzuolo immacolato di dosso, ma sento una specie di fastidioso pizzicotto sul dorso del polso. Abbasso lo sguardo, e non vedo altro che un ago a cannula infilato sotto la pelle.
Un ago. Nel mio braccio. Non posso sopportarlo.
Distolgo gli occhi prima che mi assalga la nausea e fisso la sacca di liquido giallognolo che mi sta iniettando in vena Dio sa cosa.
Sento il cuore battere forte contro la cassa toracica, come farebbe un uccellino contro le sbarre della propria prigione. Vuole uscire.
Una macchina accanto a me inizia ad emettere dei prigri ‘bip’ e tutto a un tratto mi rendo conto che, a un metro da me, Alice è seduta su una poltrona. Ha l’aria assonnata, chissà da quanto è qui.
«Ciao Lucky»
«Ciao»
La mia voce è roca, arida, non sembra quella di una ventenne.
«Cos’è successo? Dov’è Giacomo? Alessandro? Cosa c’è in questa flebo?»
I ‘bip’ della macchina diventano più veloci e irregolari.
«Devi calmarti adesso. I medici hanno detto che il tuo cuore si è indebolito molto. Tu… Tu hai avuto un collasso» dice con la voce tremante «I ragazzi hanno detto che respiravi pianissimo, sembrava fossi morta- continua scoppiando a piangere.
«Hey… Hey, Alice, vieni qui, vicino a me- le dico facendola sedere sul letto e prendendole le mani tra le mie «Guardami. Io sono viva. Sono qui, okay? E non ho nessuna intenzione di andarmene. Non senza di te, chiaro?»
Annuisce tra i singhiozzi e io cerco di fargli un debole sorriso consolatorio.
«Sono passati a trovarti tutti quanti, ma non eri sveglia. Giacomo e Alessandro sono andati a casa tua a dormire un po’. Volevano rimanere ancora ma gli ho detto di andare. Ho fatto bene, vero?»
«Hai fatto benissimo, tranquilla. Ma… Da quanto tempo sono qui?»
«Due giorni. Ti hanno tenuta sotto sedativi per bambini. Hanno detto che se usavano quelli per adulti sarebbero stati troppo pesanti da smaltire per il tuo corpo, e avrebbero potuto provocarti un’overdose, quindi hanno preferito non rischiare. Eri molto debole, quindi ti hanno fatta riposare un po’»
«E cos’è questa roba?» chiedo indicando l’ago nel mio braccio.
«Zuccheri. Questa è la quarta sacca, se non ricordo male. Hai fatto prendere un bello spavento ai dottori» dice sforzandosi di ridacchiare mentre mi accarezza con amore i capelli.
«E’ la mia specialità» dico sarcastica.
Non tocchiamo gli argomenti ‘malattia’, ‘anoressia’ o ‘cure mediche’, ma sappiamo che prima o poi dovremo arrivarci.
«Cosa hanno intenzione di fare per… guarirmi?» domando di punto in bianco, con titubanza.
Lei si morde il labbro inferiore prima di rispondere.
«Ecco, volevano essere i medici a parlartene, ma credo che  se te lo dico io la prenderai un po’ meglio. Pensano che forse… Potrebbe farti bene stare un po’ lontana da tutti noi. Dicono che potrebbe aiutarti a seguire meglio la terapia»
«Terapia? Seguirò una terapia?»
«In realtà l’hai già cominciata con quelle flebo» dice indicando la sacca di liquido.
«Io non sono malata, lo sai?» chiedo in un sussurro, con le lacrime che mi pizzicano gli occhi.
Certo che lo so, tesoro» dice continuando ad accarezzarmi.
«E mi credi? Insomma, non pensi che io sia una pazza isterica, vero?»
«No che non lo penso! Credo solo che tutto questo è per aiutarti, per farti superare questa brutta fase»
Abbasso il viso e una lacrima mi percorre il naso.
«Credi che dovrei lasciarglielo fare?» la voce ridotta a un sibilo quasi inesistente.
«Sì, credo di sì. E tu ti fidi del mio giudizio?»
«Io mi fido solo del tuo giudizio» rispondo sorridendo.
«Bene. Esco un attimo a chiamare l’infermiere, gli dico che ti sei svegliata» dice alzandosi e uscendo dalla porta bianca.
Adesso voglio solo morire

<> <> <>

«Puoi stare serena, i tuoi amici potranno venirti a trovare una volta al mese, e…»
«Non mi dica cosa posso fare, voglio sapere i divieti» interrompo il medico in maniera non troppo garbata.
Lui stringe le labbra con aria di disapprovazione prima di rispondermi.
«Non ci saranno alcol, sigarette, cellulari e televisione. Ti sarà permesso tenere un computer, ma non potrai ricercare alcun contenuto che riguardi la magrezza, come foto di modelle e simili. Dovrai rispettare le regole al massimo delle tue possibilità, cercando di non sgarrare suoi programmi che ti verranno posti. In questo modo il tuo tempo di permanenza sarà molto più breve e sopportabile»
Guardo Giacomo e mio padre alla mia destra. Nei loro occhi c’è aspettativa, speranza che io accetti. Loro hanno fatto tanto per me, hanno cercano centri vicini e con meno restrizioni possibili. L’unico modo che ho per ripagarli è sceglierne uno.
«Va bene… Andrò lì» rispondo senza pensare.

<> <> <>

«Sei pronta per domani?» mi chiede Alessandro, steso sul letto d’ospedale insieme a me.
«Devo esserlo per forza» rispondo in maniera quasi scontrosa.
La mia piccola valigia nera mi fissa da accanto alla porta. Mi ricorda che domani lascerò questa stanza d’ospedale che mi ospita da due settimane, per partire alla volta di una clinica.
Ci rimarrò per almeno tre mesi per essere ‘rieducata’. Tutta questa storia mi sembra una grossa cazzata.
Scorriamo i canali della piccola tv che ho in camera, senza vederli realmente. Vorrei uscire in modo indipendente dal letto, farmi una passeggiata da sola con lui. E’ passato tutto questo tempo, non sono uscita mai, se non per andare in bagno. Vorrei poter passare questi ultimi momenti con lui in maniera più speciale, ma non ce lo permettono.
Prima seguivo una dieta via endovena, ma adesso devo mangiare davvero e mi fanno seguire da qualcuno anche quando vado al cesso, per assicurarsi che non vomiti tutto.
Ormai mi sono semplicemente rassegnata.
Mi pesano ogni mattina, adesso. E ogni mattina piango, guardando i numeri della bilancia digitale aumentare senza che io possa fare nulla per impedirlo. Ma poi, alla sera,quando sono qui con lui, dimentico tutte le mie pene, i miei dolori, i miei sacrifici. In fondo sto facendo tutto questo solo per non deludere lui.
Metto su Real Time, c’è ‘Il boss delle torte’. Hanno appena preparato un ammasso calorico per due vecchietti, per festeggiare i loro settantacinque anni di matrimonio.
Qual è il segreto per rimanere insieme così a lungo?
Segreto? Non c’è un segreto, ci vuole solo un po’ di pazienza
«Ecco, vedi? L’amore non esiste» dico indicando lo schermo con il telecomando.
«Che intendi dire?» domanda guardandomi storto.
«Intendo dire quello che ho appena detto. L’amore non esiste, esiste la pazienza, il non-mollarsi, il sopportarsi per il resto della vita… Nient’altro»
«Ne se sicura?»
«Beh… Sì, abbastanza»
«Allora ti andrebbe di sopportarmi per un po’?»
«Non capisco cosa vuoi dire»
Lui raccoglie le mie mani tra le sue e le stringe forte contro il suo petto.
«Mi chiedevo se vorrai avere pazienza con me per il resto della tua vita» dice con gli occhi che brillano.
Appena mi rendo conto di cosa sta accadendo davvero balzo sul posto.
«No, no, no… Tu non puoi farmi questo. Siamo noi, siamo io e te, non puoi chiedermi di sposarti!- esclamo sconvolta.
«Infatti non ti sto chiedendo di sposarmi» replica ridendo.
«E allora cosa stai facendo?!»
«Faccio esattamente quello che ho fatto» ribatte tentando di imitare il mio tono di voce «Non voglio sposarti, non ora, per lo meno. Ti sto solo chiedendo… Di mantenere una promessa»
Prende un gran respiro.
«Lucky, io voglio solo che tu mi prometta che ogni mattina mi sveglierò accanto a te, che potremo litigare tutto il giorno e impiegare il resto del tempo a fare pace. Che mi permetterai di prepararti la cena ogni sera e che dirai che è buonissima anche se ti fa schifo. Voglio che tu mi prometta che rimarrai con me, sempre. Tutto qui, niente meno e niente più» dice stringendosi nelle spalle.
«Ti sembrasse poco! Queste sono cose serie, non si fanno promesse simili così a caso» dico con un tono di voce leggermente isterico.
«E’ per questo che voglio che accetti senza pensarci ancora su, senza farti paranoie. A me non importa nulla di sposarti. Un giorno potremmo farlo, come potremmo continuare a convivere e basta… Potremmo avere figli o rimanere solo io e te. Magari litigheremo e ci odieremo per un po’, ma torneremo sempre insieme. Voglio te, voglio che tu sia mia, non mi importa di una firma su un contratto o di un marmocchio che gira urlando per casa. Voglio pensare solo a te fino alla fine dei miei giorni contati. Per te è troppo? Perché io trovo che sia il minimo»
Rimango in silenzio ad ascoltare le sue parole. Lui sta aspettando una risposta, ma io non so che dire, dalla mia bocca non esce nessun suono. Non voglio deluderlo, tutto ciò che vorrei fare è renderlo felice, ma non sono sicura di esserne capace. Faccio dei respiri profondi per non farmi prendere dal panico, nel frattempo rifletto.
Lui mi ha salvata. Mi ha salvata il giorno in cui l’ho incontrato, quando l’odiavo; mi ha salvata di ritorno dal Blackout, in quelle notti al mare, quando mi ha accolta in casa sua. Mi ha salvata sin dall’inizio, senza che se ne rendesse conto. Stringo forte le labbra prima di rispondere.
«Prometto»
 

Epilogo


Alessandro, come vedi ho mantenuto la promessa. Quella promessa fatta con la voce piena di paura, fatta su un letto d’ospedale che puzzava di disinfettante.
Sono ancora qui. Sono passati sei mesi, questa è ufficialmente la relazione più lunga della mia vita.
Sono cambiate molte cose, durante la mia assenza.
So che Mattia ti manca molto… Onestamente, da quando è partito per Roma, manca anche a me, ma aveva bisogno di ricominciare con Anzu. Sono contenta che abbiano cominciato a frequentarsi. Forse vivranno la meraviglia che stiamo vivendo noi. Irene è sempre la solita, anche senza Anzu in giro per casa. Beh, in fonde c’è Sebastiano a prendere il suo posto. Lei credeva di essere rimasta incinta, sai? A quanto pare si è sbagliata, ma ho notato che negli ultimi tempi è un po’ ingrassata. Forse stavolta è vero, chi lo sa?
E poi… Beh, lo sai che Alice ed Emanuele non si frequentano più. Chi l’avrebbe mai detto? Tra tutti noi, loro sembravano gli unici ad avere la certezza che sarebbero finiti insieme. La vita non smette mai insegnarci qualcosa, a quanto pare. Ma adesso Al ha iniziato a sentirsi con Giacomo, e sembra essere contenta così. Sì, è finita con mio fratello, non te l’avevo detto?
Beh, ora lo sai.
Mio padre si è trasferito in comunità insieme a mia madre. Mi hanno spedito per posta una loro foto. Sono di nuovo felici, dopo tanti casini e rotture di coglioni.
E alla fine di tutto questo ci siamo noi, come il gran finale di un bel libro un po’ scontato. Noi, che ci siamo sorpresi a cambiare più di tutti gli altri.
Prima di cominciare a scrivere tutto queste, pensavo di dirti semplicemente grazie, ma poi mi sono resa conto che non sarebbe bastato, non sarebbe bastato affatto per ripagarti di tutto ciò che hai fatto per me.
Ma hey, non sono scappata, sono ancora qui, in piedi. Ogni volta che credevo di non farcela più mi limitavo ad asciugare le lacrime di nascosto e a continuare a mantenere la promessa.
In questi giorni pensavo agli assurdi, grandi, meravigliosi eventi che ci hanno portato a essere ciò che siamo e a fare ciò che stiamo facendo.
Te la ricordi quella notte, nella casetta sulla spiaggia, quando ci siamo messi a parlare pur di non sentire Mattia russare? E’ lì che abbiamo cominciato a conoscerci. E non posso fare a meno di sorridere tra me e me, perché se qualcuno mi chiedessi ‘Lui ti piace?’, io non potrei fare a meno che rispondere con una frase che tu stesso hai detto a me. Una frase che usasti una di quelle notti, te la ricordi?
Ti piace respirare?
 

Il tempo di una sigaretta:
Come potete vedere, questa meravigliosa avventura durata un anno e mezzo si  è finalmente conclusa 
e mi mancherà moltissimo.
Non credevo che sarei mai arrivata a concludere una long, ma ce l'ho fatta, grazie a tutti voi che mi avete accompagnata in questa impresa.
Grazie a rosegarden, Freakyyep, dracoscupcake, Opora, Emma Wright, JeyMalfoy_, hobrienxx, cagedbird, Acquamarine_, ___Luthien, Ellie_725, CaramellaAlCioccolato94, Koteichan, Hikarivava, 1Daremylife_, Seren_ alias Robin_, missindipendent, fedefe25, Mary P_Stark, ZahiraJ, Daisy Pearl, Daawn, Padfoot_Daydreamer, Saracca_, Kikkus1994, QueenHTT e Ellie 99 per aver recensito!
Spero di non aver dimenticato nessuno LOL
Ringrazio anche le 27 persone che l'hanno seguita, le 7 che l'hanno ricordata e le 14 che l'hanno preferita.
Che ne dite, me la lasciate una recensione di addio?
Spero che vi sia piaciuta fino alla fine.
UnLuckyStar!
P.s. Tra non molto dovrei cominciare a pubblicare una nuova originale che potrebbe piacervi (se vi è piaciuta questa qui AHAHAHAHHAHAHA) se siete interessate a sapere quando comincerò a pubblicarla, o volete tenervi aggiornate, vi invito a iscrivervi al mio gruppo Facebook :)
Vi voglio bene!

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