Something Old, by Maple Fay di MrsHousekeeper (/viewuser.php?uid=187804)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Come già ho
scritto nell'introduzione, questa storia è una traduzione
che la cara Maple Fay mi ha gentilissimamente autorizzato a pubblicare
qui... L'originale della storia, naturalmente, è reperibile
su ff.net.
Doverosa premessa: oltre
ad essere una "Downtonian di ferro", sono una decisisisma shipper
dell'unica, più che evidente coppia che Mr.Fellowes ancora
ci fa agognare - Carson e Mrs. Hughes! Ora, questa storia è
un po' sui generis, e la prima volta che l'ho letta sono rimasta
sconvolta - ma è una gran bella storia, e sono sicura che
piacerà molto anche a voi. Fatemi(ci!) sapere cosa ne
pensate ;)
DISCLAIMER: Vorrei tanto
che questi personaggi appartenessero a me, ma Julian Fellowes
è arrivato prima.
Era di fretta –
avrebbe dovuto essere
di ritorno ore prima, probabilmente a casa ormai avevano già
finito
con il tè. Mostrare un tale ritardo proprio il giorno in cui
ci
sarebbe stato così tanto da fare...
Strinse i denti, irritato,
e svoltò
improvvisamente a destra, finendo per scontrarsi con una passante con
tale forza che quasi non caddero a terra entrambi. Allarmato, tese
una mano per afferrare la donna per il gomito e sostenerla, mentre il
cuore gli batteva troppo in fretta per i suoi gusti.
« Perdonatemi,
signora, non
intendevo... » cominciò a scusarsi, ma si
fermò subito, avendo
notato più da vicino, per la prima volta, il viso della
donna. «
Mrs. Hughes!
»
Gli parve di avere visto le sue
labbra tremare alla sua esclamazione,
ma lei si riprese velocemente e gli rivolse un sorriso amichevole e
pieno di calore. « Buon pomeriggio, milord. »
_ . _
. _ . _. _ . _ . _
Dal
momento che già era in ritardo, non ci sarebbe stato nulla
di male
nel chiederle di prendere un tè insieme al negozio
più vicino.
Sentendosi oltremodo in imbarazzo, prese una sedia per lei e
aspettò
finché non si fu accomodata prima di sedersi a propria
volta; lei
non si tolse il cappotto e neppure i guanti, ma dal pallore della sua
pelle poté intuire quanto più debole fosse
rispetto all'ultima
volta in cui l'aveva vista.
Rimasero
entrambi in silenzio, gli occhi che vagavano per la sala da
tè,
mentre aspettavano che le rispettive ordinazioni arrivassero;
soltanto dopo che lei ebbe versato per entrambi una tazza di
tè
(aggiungendo limone, non latte, per lui: esattamente come gli
piaceva) l'atmosfera cambiò, quasi che la bevanda fosse un
riparo
dietro cui potessero entrambi nascondersi.
«
Abbiamo sentito la vostra mancanza a Downton, » le disse,
senza
spostare gli occhi dal suo volto. Lei incontrò il suo
sguardo con
coraggio, apertamente, così come aveva sempre fatto.
« Ho
sentito la vostra mancanza anch'io, » ammise, con il
più piccolo
dei sorrisi. « Tuttavia, oserei dire che voi siate stati
molto più
occupati di me, negli ultimi tempi. Ho sentito che le congratulazioni
sono d'obbligo – sia per lady Mary che per lady Edith, non
è vero?
»
« Sì,
infatti. Mi assicurerò di portare loro le vostre parole,
saranno
entrambe molto liete di avere vostre notizie. »
«
Come sta la nuova lady Strallan, allora? E il più giovane
signor
Crawley? Dovrete essere terribilmente fiero di lui, milord. »
«
Stanno entrambi bene... Stiamo
tutti bene, » replicò, profondamente toccato da
quel suo riguardo,
visto tutto ciò che era successo quando lei aveva lasciato
Downton.
« Sembra che il destino si sia finalmente stancato di gettare
tristezza sulle nostre teste. »
«
Tocchiamo legno, » gli sorrise, e picchiettò sulla
parte inferiore
del loro tavolo. « Ho letto del rilascio di Mr. Bates,
naturalmente... Sono ancora con voi? »
« Sì.
Nonostante Mrs. Bates abbia speso la maggior parte del proprio tempo
a Crawley House, recentemente. Vivono in un cottage più o
meno a
metà strada fra il villaggio e Downton – la
soluzione si sta
dimostrando più che soddisfacente per tutti quanti.
»
Lei
spostò lo sguardo altrove, mordendosi il labbro: un gesto
che lui
non vedeva da molto tempo, un gesto che avrebbe sempre associato a
lei. « Vi prego, portate i miei saluti ad entrambi
– specialmente
a Mrs. Bates. »
«
Naturalmente. » Seppe già prima che lei alzasse di
nuovo gli occhi
nei suoi quale sarebbe stata la successiva domanda, e la
pregò in
silenzio di non chiederglielo.
Devo farlo,
gli disse con gli occhi, Ho bisogno di dirlo ad
alta voce.
Lui
annuì in maniera a stento percepibile, e si
preparò ad assorbire il
colpo di quel martello che si abbatteva.
E si
abbatté – in otto semplici parole, pronunciate con
enorme
difficoltà.
« E
per quanto riguarda Mr. e Mrs. Carson? »
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Eccoci qui, secondo
capitolo. Grazie a voi che state leggendo...
Noterete, probabilmente,
un discreto altalenare dal "voi" al "tu" e viceversa nel dialogo
finale: è stata, da parte mia, una scelta voluta. Un modo
per esprimere l'impetuosità dei sentimenti di Elsie,
combattuta tra l'impeto - che la fa optare per un concitato "tu" - e il
dignitoso distacco che desidera mettere tra lei e Carson... Non so, a
me sembra una scelta sensata. L'ultima parola, però, sta a
voi. Buona lettura :)
«
Sono
letteralmente andato a sbattere contro Mrs. Hughes, oggi, mentre
rientravo dal club. »
I
bruschi respiri e le esclamazioni sconvolte non bastarono a svegliare
il bambino. « Tu cosa?
» boccheggiò Cora, battendo rapidamente le
palpebre. « È a Londra
ora? Come sta? »
«
È ancora a
servizio? » Edith si accigliò un poco,
accarezzandosi con
gentilezza il ventre.
« E
perché mai non dovrebbe? » Mary roteò
gli occhi e mise il piccolo
Reggie nella culla per poi sedersi sul letto della sorella. «
Lei
non ha
assolutamente alcuna
ragione di vergognarsi, in tutto questo. »
Edith
sollevò un
sopracciglio con una punta di derisione, senza che tuttavia ci fosse
malizia sul suo viso. « Pensavo che tu avessi sempre
preferito
Carson a Mrs. Hughes, Mary, no? »
«
Quello, » disse la moglie di Matthew Crawley a denti stretti,
sollevando il mento provocatoriamente, « era prima.
»
«
Posso solo
ricordarti che se non fosse stato per tua suocera noi non ci saremmo
mai trovati in questa situazione, tanto per cominciare? »
«
Edith, » Cora
rimproverò la sua figlia più giovane e si
accigliò. « Dovremmo
essere grati che la cugina Isobel abbia fatto ciò che ha
fatto. Solo
pensare che la cosa potesse andare avanti senza che nessuno
sapesse... Se lei non ci avesse detto cosa aveva visto... »
«
Esatto! Avresti
voluto che Mrs. Hughes affrontasse quell'umiliazione da sola, senza
poterlo dire a nessuno? »
«
Mi dispiace, »
sospirò Edith, e si appoggiò all'indietro,
premendosi le dita
contro le tempie. « Questo bambino mi fa dire un sacco di
cose prive
di senso. Se è una femmina la chiamerò Violet...
Vedi? Eccoci di
nuovo! Ma lasciamo perdere questo – papà, hai
l'indirizzo di Mrs.
Hughes? Mi piacerebbe molto contattarla. »
Mary
socchiuse gli
occhi. « Che cosa hai in mente? »
«
Be', Anthony
insiste che assumiamo una nuova governante, così pensavo
che... »
«
E tu la faresti
vivere e lavorare così vicino a Downton? Pensi che sarebbe
saggio? »
«
Perché non
chiediamo a lei se sarebbe interessata o no? » intervenne
Cora,
coprendo la mano di Edith con la propria. « Non
può essere felice a
Londra, è un posto che non le è mai piaciuto.
» Si voltò di nuovo
verso il marito con un sorriso incoraggiante. « Allora,
Robert? Cosa
ci dici di quell'indirizzo? »
Lui
annuì ed
estrasse un pezzo di carta dal portafogli, rigirandoselo tra le mani
con un sorriso poco convinto. « Ce l'ho... Però,
Edith, è fuori
discussione che tu faccia tutta quella strada fino a Lambeth, non
nelle tue condizioni! »
«
Allora dovremo
solo far sì che Mrs. Hughes venga a trovarci a Grantham
House, papà,
non è vero? »
Mary
sospirò e si alzò per controllare suo figlio,
scoccando al padre
un'occhiata d'intesa nel passargli davanti. « Assicurati di
dare a
Carson il pomeriggio libero, o sarà
un bagno di sangue. »
.
_ . _ . _ . _ . _ .
_ . _ . _ . _ . _ . _ .
Forse
avrebbe
dovuto chiedersi la ragione dell'impazienza di sua signoria di averlo
fuori di casa per l'intero pomeriggio – soprattutto dopo aver
sentito per caso le cameriere parlare di un ospite invitato per il
tè
– ma alla fine aveva deciso di rassegnarsi e dedicarsi
così ad
alcune commissioni per le quali non aveva avuto tempo fino ad allora.
Aveva
però portato
tutto a termine piuttosto velocemente, e un quarto d'ora dopo le
cinque già era di ritorno. Non appena si voltò
per raggiungere
l'ingresso della servitù, la porta principale si
aprì e una figura
femminile ne uscì, accomiatandosi da chiunque stesse tenendo
la
porta aperta, quasi certamente Thomas.
La
donna non se ne andò subito, ma si fermò a dire
qualcosa a Thomas,
accarezzandogli una manica con gentilezza. Charles corrugò
le
sopracciglia e si fermò sul gradino più in alto,
profondamente
incuriosito dall'identità della strana ospite –
finché non dedicò
un'occhiata più attenta al suo cappotto verde scuro, e si
rese conto
che non era un'estranea, dopo tutto.
Per il
tempo che le servì per scendere le scale, lui già
l'aspettava in
fondo, guardando in alto, assaporando la vista di lei. Aveva perso
peso, e c'erano nuove linee sul suo viso: tutt'altro che
sorprendente, considerando tutto ciò che stava passando
– tutto
ciò che lui le stava
costringendo a passare.
Era
persa nei suoi
pensieri, la mente che vagava tanto lontano che lui dovette
afferrarla per il polso perché lei lo guardasse.
«
Elsie. »
Lei
tremò e
sottrasse il braccio alla sua presa con forza, le labbra strette in
una linea sottile, ogni colorito scomparso dal suo volto.
« Non
ho niente da dirvi, Mr. Carson,
» tagliò corto, e si mosse per allontanarsi.
Velocemente lui si
spostò fino a trovarsi di fronte a lei, bloccandole il
passaggio, i
due gradini che ancora lei non aveva sceso a mettere i loro visi
quasi allo stesso livello.
«
Ti prego, Elsie.
Devi capire, devi lasciarmi spiegare - »
«
Stammi a sentire, » lo interruppe, i suoi occhi che
scagliavano
saette direttamente contro il cuore dell'uomo. « Io non devo
fare niente, non più.
So cosa stai per dire, e so che probabilmente credi che sia vero
–
ma come potrei farlo io?
» Emise un lungo, greve respiro e scosse la testa, senza
guardarlo
negli occhi. « Dovrei probabilmente augurarti una piacevole
serata,
e chiederti di porgere i miei omaggi alla tua adorabile
moglie, ma non
lo farò. »
Un'unica lacrima scivolò lungo la sua guancia e lei
sollevò la mano
guantata per asciugarla. « A quanto pare non sono una
bugiarda brava
quanto voi. Addio, Mr. Carson. »
Lui
fissò la sua
sagoma che si allontanava finché non fu scomparsa dietro
l'angolo,
quindi, lentamente, tornò a voltarsi, diretto a testa bassa
all'ingresso della servitù.
Come
può questo essere successo a
noi, Elsie?
A/N Se troverete il tempo
di lasciare un commento, be': farete di me una fantranslater felice :P
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Chiedo scusa per il
ritardo nell'aggiornare, ma tra feste e ponti è stata una
settimana dura :)
Grazie a voi che
resistete nella lettura... Potete recensire, non mi
lamenterò!
Vederlo
così, sulle scale di
Grantham House, le aveva fatto male più di quanto avrebbe
mai potuto
immaginare. Sapeva, naturalmente, che lui sarebbe rimasto a Downton
–
e che sua signoria non l'avrebbe lasciato andare, in parte per il
senso di colpa che Charles provava, in parte per la
responsabilità
che doveva affrontare – ma trovarsi davvero ad incontrarlo,
faccia
a faccia, le aveva spezzato il cuore un'altra volta.
Certo, sempre che
prima avesse
iniziato a guarire.
Se il tempo fosse
passato, se le
stagioni fossero cambiate da allora a quel momento, lei non lo
sapeva.
Quindici
mesi
prima
Era stanca, così stanca. Tre giorni di tè, feste
serali e cocktail,
di ospiti che vagavano per la casa e lasciavano una gran confusione
al loro risveglio. Tre giorni di rapido andare su e giù per
le
scale, zittendo strane cameriere e lacchè che ridevano
troppo forte
nei corridoi, assicurandosi che la porta fra il corridoio degli
uomini e quello delle donne fosse correttamente chiusa ogni notte...
Soltanto
un paio d'ore ancora e il peggio sarebbe finito, si disse, serrando
la mascella nello spostarsi in fretta per il pianterreno cercando
Charles – nessuno l'aveva visto nell'ultima ora o quasi, e
dal
momento che la festa era al culmine il maggiordomo doveva
semplicemente essere presente. Dopotutto, non poteva credere che lui
tenesse lady Edith in minor ossequio di Lady Mary – e aveva
fatto
tutto ciò che aveva potuto per rendere anche la sua
festa di fidanzamento emozionante e meravigliosa..
« Mrs. Hughes? Siete impegnata? »
C'era così bisogno di trovarlo subito. « No, Mrs.
Crawley. Come
posso esservi utile? »
Isobel
Crawley le mostrò la mano, fasciata alla bell'e meglio in
quello che
sembrava un fazzoletto un po' usato. « Sembra che mio figlio
sia un
po' troppo entusiasta, stasera. È riuscito a rompere un
bicchiere di
champagne e mi sono tagliata, piuttosto malamente, temo. C'è
una
cameriera che sta già pulendo, ma mi chiedevo se voi poteste
aiutarmi... »
« Certo, » annuì Elsie, la mente
concentrata su ciò che doveva
fare. « Se volete seguirmi... »
Perché
non era
andata a prendere il necessario da sola? Sarebbe stato molto
più
appropriato lasciare Mrs. Crawley ad aspettare nella biblioteca
piccola finché lei non fosse tornata a medicarle la ferita.
Il
crepacuore
sarebbe stato altrettanto tremendo, ma forse qualcosa avrebbe potuto
salvarsi, fra le macerie della sua vita. Ma era troppo tardi per
pensarci, ora, quando ormai non c'erano che rovine.
Bizzarri
suoni attutiti provenivano dal suo salottino. Questo avrebbe
dovuto fermarla, farla voltare verso Mrs. Crawley per chiederle di
aspettare nella deserta sala della servitù – ma
era esausta, e di
fretta, e voleva solo trovare Charles e che lui l'abbracciasse fino
ad addormentarsi e...
...e lui era lì, proprio nel suo salottino, con una
cameriera, il
cui nome Elsie nemmeno riusciva a ricordare, decisamente svestita e
scompostamente sopra di lui...
...e
Mrs. Crawley reagì prima che Elsie avesse tempo di farlo, e
iniziò
a gridare contro di loro, e allora O'Brien apparve dal nulla e diede
un'occhiata all'interno, e impallidì di colpo non appena
vide
Charles e quella piccola...cosa...
...e di colpo si ritrovò di sopra, seduta su una sedia in
una stanza
che non riusciva a riconoscere attraverso la nube scura che sembrava
circondarle la testa, e Lady Grantham era lì a tenerle la
mano
mentre Mrs. Crawley parlava e parlava e parlava, e il volto di Lord
Grantham era pallido com'era stato quello di Miss O'Brien, i suoi
occhi bruciavano e lui stringeva i denti e usciva a passo pesante
dalla stanza, probabilmente per trovare Charles...
...e poi era arrivata Lady Mary, e si era inginocchiata sul pavimento
accanto a lei senza fare la minima attenzione al suo nuovo vestito, e
si era voltata verso sua madre e aveva detto fermamente, «
Dovrebbe
andarsene. Se papà non lo manderà via, lo
farò io. »
...e allora Elsie aveva sentito la propria stessa voce, quieta e
monocorde e flebile come un'eco: « No, milady. Non dovete
farlo.
Sono io che dovrei andarmene. »
Come
avrebbe
potuto tornare là dopo aver visto tutte quelle cose? Come
avrebbe
potuto sedere su quello stesso divanetto e lavorare alla lista delle
lenzuola, ricordando con tanta nitidezza ogni forma, ogni colore,
ogni suono?
L'avrebbe
fatta
impazzire in una settimana.
« Elsie, ti prego... »
Lei lo oltrepassò, mordendosi il labbro forte abbastanza da
farlo
sanguinare. Lui fece per trattenerla, toccandole il gomito; lei si
liberò della sua stretta e dallo sguardo negli occhi di lui
avrebbe
giurato che si aspettasse che lei stesse per schiaffeggiarlo.
Voleva farlo. Con tutta se stessa. Lo voleva quasi quanto avrebbe
voluto abbracciarlo e dirgli che tutto sarebbe andato bene, anche se
lei per prima non ci credeva.
« Non ho niente da dirti, Charles Carson. E neppure ho voglia
di
ascoltare nulla che tu possa voler dire a me. »
« Ma devi! Non puoi credere una sola parola di tutto questo!
Io non
riesco nemmeno a ricordare la maggior parte di... Lei... Lei deve
aver messo qualcosa nel mio vino, oppure... »
«
E da quando il maggiordomo beve vino prima che la più
importante
festa dell'anno sia terminata? »
Lui chinò il capo, il petto che si sollevava con sforzo. In
qualsiasi altro momento sarebbe stata preoccupata che il suo cuore
potesse fare di nuovo i capricci, ma adesso non poteva interessarle
di meno.
« Sono stato avventato, Elsie, avventato e stanco e stupido
e...
Cos'altro vorresti che dicessi? »
«
Niente. Non c'è niente che tu possa dire in grado di farmelo
dimenticare. » Deglutì a fatica e si
portò una mano sul volto
tentando di nasconderlo da lui, di negare il dolore e la rabbia.
«
Quella ragazza ha detto a sua signoria che tu le sei stato appresso
fin dal momento in cui ha messo piede in questa casa. Che l'avevi
seguita ovunque per tre giorni, facendo ogni genere di allusioni, e
quando l'hai incrociata ai piani inferiori tu
avresti dato a lei
il vino... »
«
Elsie, tu devi
sapere che è tutta una bugia! » La sua testa si
rialzò di colpo
mentre l'afferrava per le spalle, lo sguardo febbrile ed implorante
che premeva su quello di lei. « E sua signoria le ha creduto?
»
« Devi ammetterlo – di solito è l'uomo a
drogare la bevanda di
una donna, non il contrario, » sussurrò, chiudendo
gli occhi e
pregando di trovare abbastanza forza e compostezza. « E la
ragazza
non ha una sola macchia sulla sua reputazione, mentre... » Si
fermò,
mordendosi il labbro.
«
Mentre io sono stato sul palcoscenico, il che potrebbe avermi portato
a qualunque cosa, è questo che vorresti dire? Mio Dio,
Elsie, è
stato secoli
fa! E sua signoria lo sa da anni ormai! »
« C'è una certa differenza tra sapere che qualcosa
è successo
molto tempo fa ed è stato ormai messo a riposo, e vederlo
tornare
dalla tomba a perseguitarti. »
Charles la lasciò andare e fece qualche passo indietro, il
volto
tirato e cinereo le lasciar pendere le braccia prive di controllo
lungo i fianchi.
« Che cosa devo fare perché tutto questo si
allontani, Elsie?
Dimmelo e lo farò. »
Avrebbe
potuto
chiedergli di lasciare il suo posto e andarsene con lei. Non avrebbe
più avuto una reputazione, ma a lei non sarebbe importato di
lavorare per entrambi, finché ne avesse avuto la forza,
finché ci
fosse stato un posto che l'avrebbe assunta.
Avrebbe
potuto
chiedergli di dimenticarsi della ragazza, di voltare le spalle alla
sua vergogna e alla propria responsabilità e vivere la vita
che
avevano immaginato tanto tempo prima, insieme, sempre insieme, con
niente al mondo in grado di separarli.
Ma
sapeva nel
profondo di sé che il suo senso del dovere e dell'onore non
gli
avrebbe mai permesso di fare nulla del genere.
E
per quanto
desiderasse credere ad ogni parola che lui aveva detto, il suo cuore
era una grande ferita aperta, e non avrebbe smesso di sanguinare.
«
Penso che entrambi sappiamo cosa tu
devi fare. »
« Dimmi che mi credi. »
« Non posso. »
Gli voltò le spalle e se ne andò, oltrepassando
la porta sempre
chiusa del proprio salottino senza degnarla neppure di un'occhiata.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Mi scuso
INFINITAMENTE per l'imperdonabile ritardo. Ho, ahimè,
dimenticato di aggiornare, e me ne sono accorta soltanto adesso. Vi
chiedo scusa. Mille volte, ed una ancora.
«
Questo è tutto, milord? »
« Sì, Carson, grazie. » Scosse la testa,
le dita che
picchiettavano sul bracciolo. « E... Carson? »
« Milord? »
« A che ora sei tornato? »
Una pausa, lunga abbastanza perché Robert immaginasse la
risposta. «
Le cinque e un quarto, milord. »
« Quindi lo sai. »
« Sì, milord. Lo so. » La ferita e il
dolore iniziavano a
filtrare attraverso il muro tanto attentamente costruito di
professionalità ed integrità.
« E le hai parlato? »
«
Credo che parlare verso
di lei sarebbe un modo migliore di descrivere il nostro scontro,
milord. »
Un sorriso acre, asimmetrico. « So bene cosa intendi.
»
_ . _ . _ . _ . _ . _
«
Carson è
ancora con noi, Mrs. Hughes, » le aveva risposto
prudentemente,
sostenendo il suo sguardo, questa volta pregando in silenzio che lei
non lo interrompesse. « E per quanto riguarda Mrs. Carson-
»
«
Milord. Vi
prego, non fatemi rimpiangere le mie buone maniere. »
_
. _ . _ . _ .
_ ._
« Milord, mi stavo chiedendo se potessi... »
« Sì, Carson, certo che puoi. » Si
alzò a fronteggiare il suo
maggiordomo con un sopracciglio corrugato, due paia di occhi che si
scontravano in quel duello muto. « Ma sarà la tua
ultima occasione.
»
« Ne sono consapevole, milord. »
« Dovresti proprio. »
_ . _ . _ . _ . _ . _
La casa era vecchia, diroccata e grigia, e il pensiero di essere
stato lui a portare lei a quel punto gli strinse dolorosamente il
cuore.
Dovette aspettare molto a lungo prima che la porta si aprisse sotto
il suo insistente bussare, e quando lo fece, e lui vide
l'ostilità
scritta sul suo viso, quasi si tirò indietro. Quasi.
« Perché sei venuto? » La sua voce
sembrava stanca, spossata,
flebile e rotta – come un pezzo di carta accartocciato e
gettato
nel caminetto per essere divorato dalle fiamme. « Non
è rimasto
nient'altro da dire. »
« Forse per te. Ma non mi hai mai concesso la cortesia di
darti la
mia versione dei fatti. »
Lei scosse la testa e distolse lo sguardo, come se stesse cercando di
dimenticare che lui era lì, reale e concreto, carne e
sangue, a
chiedere una risposta da lei, a chiedere il permesso di parlare.
« Non avrebbe cambiato niente. »
« Non sono d'accordo. »
Lei sospirò e roteò gli occhi, massaggiandosi la
tempia sinistra
con la punta delle dita. « E se io chiudessi questa porta
proprio
adesso? »
« Rimarrei qui finché tu non decidessi di aprirla
di nuovo e di
accettare di ascoltarmi. »
Lei scosse la testa, ma si spostò di lato e lo
lasciò entrare. «
Cosa mai potresti volermi dire, dopo tutto quello che è
successo? »
_ . _ . _ . _ . _ . _
«
Ne siete
sicuro? » ansimò Lord Grantham, e si
alzò, gettando via il
giornale, mentre Cora rimaneva seduta rigidamente e rabbrividiva.
Richard Clarkson annuì seccamente e prese il bicchiere di
Scotch che
gli era stato offerto, agitando il suo contenuto gentilmente prima di
mandarlo giù un un solo sorso.
«
Assolutamente, milord. »
_
. _ . _ . _ .
_ . _
Lei guardava oltre la finestra, le braccia strette attorno al corpo,
abbracciandosi strettamente mentre aspettava le sue parole tranquille
e guardava gli alberi bagnati dalla pioggia. Non disse una parola
durante tutto quel tempo.
« Mi credi? » le chiese a voce bassa alla fine,
chinandosi in
avanti per seppellire il viso fra le mani.
« Ti credo. »
Sollevò di scatto la testa, un guizzo di speranza che
tornava alla
vita nelle profondità dei suoi occhi. « Allora...?
»
« Non chiedermi quel che non posso fare, Charles Carson.
»
Le
sue spalle si accasciarono un poco, ma la sua espressione era di
tranquilla rassegnazione, di comprensione. « Sono comunque
felice
che tu mi abbia lasciato spiegare. »
Lei si voltò a guardarlo e per la prima volta da quando lui
aveva
iniziato a parlare la traccia di una sola lacrima segnava la pelle
chiara della sua guancia. « Sono felice che tu mi abbia
convinta ad
ascoltarti. »
Lui si alzò e fece per tentare un passo verso di lei
– ma si fermò
a metà del movimento, gli occhi di lei che lampeggiavano di
paura e
rabbia.
« Riusciremo mai a parlare di nuovo come facevamo prima?
»
« Niente sarà mai più come prima.
»
Lui raccolse il cappello e lo rigirò fra le mani, incapace
di
guardarla a lungo. « Accetterai la proposta di Lady Strallan?
»
« Non lo so. Può darsi. Ho davvero bisogno di
pensarci. »
« Certo, » annuì in tono grave,
voltandosi verso la porta. «
Vorrei soltanto poterti vedere, di tanto in tanto, anche per poco.
Addio, Elsie. »
« Charles. » Si fermò, senza voltarsi,
teso per la trepidazione. «
Ti ho sempre amato. »
Il nodo che aveva in gola diventò troppo difficile e pesante
da
ingoiare, così parlò con difficoltà,
la voce roca, a stento
udibile. « E io, te. »
|
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Si vedono molto più spesso da quando lei ha iniziato a
lavorare per
gli Strallan. Mai a Downton, non per il primo anno, almeno: lui
arriva con un messaggio da parte di Lord o Lady Grantham, che avrebbe
potuto benissimo essere consegnato con la posta o persino discusso al
telefono, e si ferma per il tè. Lo bevono nella sala della
servitù,
però, mai nel suo salottino. Siedono uno di fronte all'altra
e
bevono in silenzio, gli sguardi incatenati, tutti gli altri domestici
a mantenere un'educata distanza tra loro e quella coppia silenziosa.
C'è
una storia dietro tutto questo,
si alza un giorno una voce, quando c'è il pomeriggio di
libertà e
le cameriere diventano un po' più audaci nelle loro
conversazioni
sussurrate. Una
storia
d'amore.
L'idea
è accolta con qualche brivido e sopracciglia sollevate. Ma
lui non è sposato? Non ha una figlia?
Ah,
sì – ma
DOV'È sua moglie?
E
perché la
bambina non gli somiglia?
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _
Arriva
in visita a Downton per la prima volta più di un anno e
mezzo dopo
Londra, molti mesi dopo il suo “ritorno”. (Non
è mai tornata, non davvero, non nel modo in cui era prima.)
Gira
il pomo della porta sul retro senza pensare, entra, respira l'odore
di questo posto. Lo ha sognato quasi ogni notte da
allora;
forse per questo
ora cerca di tenere i propri sentimenti sotto controllo.
La sala della servitù e quasi vuota, fatta eccezione per
Anna, che
ora indossa un abito scuro e un anello di chiavi legate in vita e sta
dando da mangiare ad una bimbetta con un cucchiaio. La piccola alza
verso Elsie occhi che non somigliano a nessuno che conosca, e la
guarda male.
Ci sono lacrime e sorrisi incerti quando Anna corre verso di lei
–
un comportamento più che indecoroso per una governante, ma
Elsie non
ha proprio il coraggio di criticarla per questo – e le prende
la
mano, invitandola a sedersi nella sua vecchia sedia. Lei rifiuta con
gentilezza, gli occhi fissi sulla bambina. « E
così questa è... »
Anna annuisce e pulisce il viso della bambina con uno strofinaccio
pulito. « Elizabeth Carson. Sì. »
Elizabeth
Carson.
Ricorda fin troppo bene quando ha sentito per la prima volta quel
nome.
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _
«
Ha il mio
cognome. Era il minimo che potessi fare. »
«
Anche se
sai...sapevi...? »
«
Avresti
voluto che l'abbandonassi? Che le voltassi le spalle, soprattutto
dopo che sua madre se ne era andata? »
Conosceva
la
risposta, così lei non sprecò tempo a dirla a
voce alta. « E come
l'hai chiamata? »
«
Elizabeth. »
Era
stato come
uno schiaffo in pieno volto, caldo e bruciante e che le aveva fatto
desiderare di piangere, di poter gridare la propria rabbia fino al
cielo per tutta l'ingiustizia del mondo.
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _
Quando finalmente lui scende al piano inferiore ed entra nella stanza
della servitù, la bambina è seduta accanto a lei
e la guarda
incantata scrivere alcune note nel libro di Anna, spiegare a bassa
voce le cose che nessuno ha avuto il tempo (o le conoscenze
necessarie) di dire alla ragazza. Lui si ferma sulla porta e osserva
la scena mentre il suo cuore si spezza per quanto è
sbagliata, per
la facilità con cui potrebbe essere convertita nell'immagine
di
felicità che aveva immaginato per sé molti anni
prima.
Lei percepisce la sua presenza e lo guarda, esteriormente serena
mentre torrenti di emozioni restano imprigionati nelle
profondità
dei suoi occhi. « Mr. Carson. »
La bambina si illumina e stende le braccia verso di lui sorridendo.
«
Papà! »
Ed
eccolo di
nuovo: il bisogno quasi incontrollabile di gridare.
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _
« Sei buono con lei, » gli dice mentre camminano
lentamente lungo
il sentiero che conduce al villaggio dopo che lui si è
offerto di
riaccompagnarla alla stazione.
« Ci provo. Non le farei alcun bene se la lasciassi
abbandonata a se
stessa. »
Lei deglutisce, stringe con forza le mani. « C'è
qualche novità
da...? » Lascia la domanda sospesa; entrambi sanno che
sarebbe
troppo, per lei, finirla.
« Non negli ultimi quattro mesi. L'avevano vista a Brighton
prima di
allora, con lo stesso uomo; dove siano andati da lì in poi,
non ho
modo di dirlo. »
«
Pensi che tornerà mai? Per Lizbeth? Per... » (Non
dice “per te”; nessuno di loro crede che potrebbe
accadere,
comunque.)
« Non penso, no. »
Camminano insieme, perfettamente sincronizzati proprio come sono
sempre stati. Il sole è limpido e freddo sopra di loro, o
forse
soltanto limpido, e il freddo che sentono proviene da loro.
Ma questo è vero soltanto all'esterno. Perché lui
sa quanto rovente
può essere il cuore di lei, e lei sa che lui non smetterebbe
mai di
amarla, anche se non fossero mai più liberi di parlarne.
Le
cose potrebbero ancora funzionare per loro, forse: ma dovrebbe essere
a costo della sofferenza di altre persone, e loro non lo vogliono,
non l'hanno mai voluto, non tra l'onore di lei e il senso di
responsabilità che ha lui. Potrebbero probabilmente serbare
rancore:
contro il mondo, o l'uno contro l'altro; lei più di lui (perché
lui non glielo aveva chiesto quando ne aveva avuto il tempo,
perché
avevano deciso di aspettare, di tenere tutto in silenzio,
inesistente, di non darsi un terreno su cui trovarsi, e protestare
quando ne avessero avuto bisogno):
ma questo non sarebbe saggio, e li renderebbe ancora più
pieni di
amarezza di quanto già non siano.
Così, non si soffermano sul passato.
Non discuteranno neppure il futuro. Segretamente, entrambi sperano
che potranno “ritirarsi insieme”, dopo tutto: non
accadrà
presto, se mai dovesse accadere, ma la strada non è ancora
del tutto
chiusa. Ci sono ancora così tante cose da considerare,
però: la
bambina che aveva il suo nome, ma non il suo sangue; la donna, da
qualche parte nel mondo, che con ogni probabilità aveva
gettato via
ormai da tempo l'anello che avrebbe dovuto essere dato ad Elsie molti
anni fa; gli sguardi che la gente avrebbe rivolto loro se avessero
oltrepassato la linea tra le congetture e la certezza.
C'è una grande differenza tra essere una donna innamorata ed
essere
un'amante, pensa, mentre conta i passi e respira profondamente nella
speranza di catturare un'ombra della sua acqua di colonia nel vento.
Essere una donna innamorata è questione di ciò
che provi, non di
quello che fai.
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _
« Quando ti vedrò di nuovo? » le chiede
mentre sono fermi al
binario, una distanza corretta, propria, tra i loro corpi.
L'attenzione di lei si concentra su una piccola piega nell'angolo del
suo colletto e prova il desiderio di sistemarla con le proprie dita,
di appoggiarsi contro di lui e lasciarsi andare.
Dimenticare
per un attimo il mondo. Dimenticare tutto ciò che
è accaduto.
Tornare a come erano – vecchi e vecchio stile, comodamente
bloccati
in un solo istante, un giorno, una settimana, un mese, un anno, una
vita insieme, quando ciò che provavano era la cosa
più importante
al mondo.
« Non sarà mai abbastanza presto, » gli
risponde, e abbassa per un
attimo le palpebre, guardando verso il treno che avanza lungo i
binari, soffiando fumo ed avvolgendoli in una nuvola di vapore per un
secondo o due. E ricorda qualcosa, parole pronunciate molto tempo
prima – sembra un'altra vita, un altro tempo, un altro luogo
– e
gli sorride, tendendogli la mano. « Non ditemi che sentirete
la mia
mancanza. »
« Sì invece, Mrs. Hughes. Moltissimo. »
Lascia che lui le tenga la mano un po' più di quanto sarebbe
strettamente necessario, e gli stringe le dita prima di lasciarlo
andare.
Potrebbe essere tutto ciò che potranno mai condividere.
Sarebbe
stato abbastanza, una volta.
Ma non sarà mai più abbastanza.
Non permette a se stessa di sperare.
Ma sa che lo aspetterà per sempre, e che allo stesso modo
lui
aspetterà lei.
Tutte le ferite diventano cicatrici, alla fine.
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