Life is too long and too short to live without a woman.

di ScandalousLaRabiosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chissà se lui sa. ***
Capitolo 2: *** L'umana e il nammecciano. ***
Capitolo 3: *** Honey e Piccolo. ***
Capitolo 4: *** La promessa di Piccolo. ***
Capitolo 5: *** Alla cascata. ***
Capitolo 6: *** La casetta nel bosco. ***
Capitolo 7: *** A casa di Honey. ***
Capitolo 8: *** Tutto in una notte stellata. ***
Capitolo 9: *** Attenzione. ***
Capitolo 10: *** Pensieri di una mattina stupenda. ***
Capitolo 11: *** La partenza. ***
Capitolo 12: *** Di nuovo insieme, con tante sorprese... ***
Capitolo 13: *** La verità di Honey. ***
Capitolo 14: *** La decisione di Piccolo. ***



Capitolo 1
*** Chissà se lui sa. ***


Dende osservava immobile come là, sotto di lui, si svolgeva la vita degli uomini, degli esseri che ora erano i suoi adoranti.

Fare il dio, non era proprio una passeggiata, eppure l'osservare la vita della gente lo rendeva infinitamente rilassato.

Ecco lì: la bimba bionda che esce dall'asilo e va incontro alla madre tutta contenta, il vecchio signore che si siede al parco tutte le mattine e inizia a dare da mangiare ai piccioni...

Una grande pace lo avvolgeva.

Decise di cambiare un po', di guardare altra gente.

Poi eccola, la nascita di un sacco di problemi: in mezzo al centro di Satan City, fra tutte quelle persone che andavano, la sua testa riccia risaltava tra tutte quelle giacche e cravatte.

Camminava a passo svelto, evidentemente in ritardo per qualcosa.

Non la osservava spesso, perchè sapeva che a Piccolo non piaceva che lo facesse, anche se ormai erano passati diciotto... no, vent'anni da allora, non lo sopportava ancora.

Però ogni tanto lo faceva. E facendolo aveva scoperto cose interessanti. Una in particolare, più rilevante delle altre. Però a lui non l'aveva detto. Chissà se lui sapeva?

No, era impossibile. Era passato troppo tempo e se avesse saputo sarebbe tornato almeno una volta da lei.

Forse doveva dirglielo. O forse no.

Poi eccolo: il rumore dei suoi passi che si allontanava, lieve e lento.

-Vai da qualche parte, Piccolo?- gli chiese senza voltarsi.

Per un attimo rimase zitto alle sue spalle, poi lo sent' sospirare:- Vado a trovarla.

Dende fu sorpreso e contento di quella notizia. Finalmente si era deciso.

-Il mio consiglio te l'ho dato, Piccolo. Non sei obbligato ad andare.- Dende voleva che lui andasse, così avrebbe scoperto la verità anche da solo, senza che lui gli rivelasse niente.

-No, è giusto che vada.- detto ciò, sentì Junior librarsi in aria e andare giù sulla Terra.

Meno male, aveva capito da solo.

Chissà se Piccolo lo sa? Si chiese sospirando Dende.

 

Piccolo atterrò ai piedi dell'obelisco di Balzar, sull'erba morbida.

Sospirò impercettibilmente: anche quella volta era atterrato lì. Non avrebbe mai pensato che quella volta avrebbe cambiato la sua vita.

Però dubitava che l'avrebbe rincontrata. Erano passati troppi anni. Troppi...

Con che faccia si sarebbe ripresentato a lei? Vent'anni non erano uno scherzo e lui aveva accettato perchè Dende aveva sempre insistito e perchè doveva rivederla, o almeno spiegargli il perchè della sua scomparsa. Ma qual'era la ragione? Non lo sapeva neanche lui.

Lui le era molto affezzionata, allora perchè l'aveva abbandonata così? Tirò un sospiro, assolutamente non degno di lui.

Non poteva tirarsi indietro, Dende lo avrebbe visto.

Chiuse gli occhi e inspirò: il suo odore di miele non aveva ancora abbandonato le sue narici.

Non l'aveva ancora abbandonata. Si, in fondo voleva vederla ancora una volta. Doveva.

Si liberò nell'aria, diretto verso l'ex Città dell'Ovest. Riusciva ancora a distinguere la sua aura, nonostante fosse passato così tanto tempo, riusciva ancora a ricordare tutto di lei.

Compreso il primo incontro. 

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Capitolo 2
*** L'umana e il nammecciano. ***


Quella volta erano passati cinque anni dalla fine del Cell Game.

Piccolo voleva andare ad allenarsi alle cascate, a meditare e a svuotare la mente, ne aveva bisogno.

Scese dall'obelisco in volo, atterrando in mezzo al verde.

Mosse appena due passi, quando sentì un'aura molto debole venire nella sua direzione. Probabilmente si trattava di qualche dinosauro.

Attese che il misterioso essere gli venne incontro, curioso di sapere di chi si trattasse.

Poi eccola che arrivò: era una ragazza umana, magra e abbastanza alta, di all'incirca vent'anni. Aveva i capelli lunghi e ricci, di un viola di una tonalità più scura di quelli di Trunks. Aveva due grandi occhioni di un marrone tendente al rosso scuro, pieni di una strana tristezza.

Normalmente un umano alla sua vista avrebbe iniziato ad urlare, a fare una faccia inorridita oppure almeno a sbiancare. Invece lei non lo fece: lo guardò semplicemente con un misto di sorpresa e curiosità. Probabilmente non se l'aspettava che li ci fosse qualcuno.

La ragazza si avvicinò lentamente:-Scusa, è questo il famoso Obelisco?

Piccolo si guardò alle spalle stolidamente, sapendo già che ci sarebbe stato l'Obelisco di Balzar.

-Si, è questo. Perchè?- la cosa non gli interessava, ma cercò di essere gentile.

-Bè, dalle mie parti si dice che quest'obelisco esaudisca le richieste di chi lo viene a pregare e a fargli un'offerta.- lo disse con un tono di chi sapeva che era una diceria stupida e superstiziosa.

Piccolo si appoggiò con la schiena all'obelisco:- E tu sei qui per fargliene una?

La ragazza annuì.

Il nammecciano non l'aveva notato, ma la ragazza stringeva tra le mani una busta.

Si avvicinò ancora di più all'obelisco.

Piccolo sbuffò, facendo voltare la ragazza verso di lui.

-Non ti conviene, sai? Quest'obelisco fa tutto fuorchè esaudire le richieste.

Usa le Sfere del Drago, se proprio hai un desiderio, pensò sarcastico.

La ragazza tirò un sospiro tremolante, che le fece inumidire gli occhi:-Ormai non mi rimane che tentare.

Piccolo non capì bene cosa gli stesse prendendo, però dentro di lui sentì lo stomaco annodarsi alla vista del volto distrutto della giovane. Forse era la curiosità di sapere cosa fosse successo a quella ragazza di tanto straziante da dover rivolgersi ad un oggetto inanimato.

-Ti è successa una cosa tanto brutta?- gli chiese tentando.

La ragazza si strinse nelle spalle:- E' molto complicato. Non penso capiresti.

Piccolo buttò fuori l'aria dal naso:-Fidati, so cosa sono le faccende complicate, posso capire.

La giovane abbassò gli occhi marroni:-Non credo.

A quel punto, il nammecciano le si avvicinò di più, facendola sussultare:-Insisto.

Gli occhioni scuri e limpidi della ragazza fissarono quasi pensierosa il volto verde di Piccolo, mettendolo quasi a disagio, cosa che non era da lui. Perchè lo fissava con così tanta naturalezza?

-Tu non sei umano, vero?- gli chiese innocente.

Piccolo sorrise divertito:-Sei una intelligente.

-Non è difficile da capire...- disse piano, tormentandosi un polso. Quel gesto a Piccolo non sfuggì.

Le prese saldamente ma delicatamente il polso. A quel contatto la ragazza lanciò un gridolino di dolore. Non poteva averla stretta così forte. Ciò voleva dire solo una cosa.

Con l'altra mano le tirò su la manica.

Come aveva immaginato: lungo tutto il braccio vi erano numerosi tagli e lividi.

La ragazza tirò indietro il braccio d'istinto, guardandolo timorosa.

-Cosa ti è successo?- chiese calmo. Doveva essere per quello che era andata a fare l'offerta all'obelisco.

-N-non è affar che ti riguarda!- disse stringendosi di più il polso e riabbassandosi la manica.

-In casa ti picchiano?- Piccolo non ne sapeva molto di quelle cose, però una volta ne aveva sentito parlare da Gohan.

La giovane abbassò lo sguardo, con gli occhi lievemente umidi, iniziando a singhiozzare.

Piccolo si lasciò guidare da una strana sensazione dentro di lui e le accarezzò una guancia, vedendo che a lei non dispiaceva affatto. 

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Capitolo 3
*** Honey e Piccolo. ***


-E questo è tutto.- disse in un soffio la ragazzina.

Alla fine aveva ceduto e si era seduta di fianco a Piccolo ai piedi dell'obelisco e gli aveva raccontato tutta la sua storia:il fratello maggiore si era suicidato da pochi anni, la madre della ragazza era in prigione per spaccio e perchè aveva ucciso una persona sotto l'effetto della droga, mentre suo padre era un alcolista ed era uscito da poco dal giro della droga. Era uno violento che la picchiava spesso, molte volte senza un motivo. Nessuno sapeva di questa situazione. Se qualcuno ne sarebbe venuto a conoscienza, ovviamente lei avrebbe passato una vita d'inferno sotto i tormenti del padre.

Piccolo aveva ascoltato tutto il racconto in silenzio, osservando la ragazza che ogni tanto si bloccava per i singhiozzi e si asciugava gli occhi con la manica della maglia.

Non poteva credere che esistesse una feccia del genere tra gli umani. Anche se la pace era tornata da un po', il male continuava ad agire nelle vite di tutti i giorni, nelle più piccole forme, ma svariatissime.

Era rimasto impassibile, però dentro gli montava una gran rabbia. Come poteva essere?

La ragazza poggiò la testa all'obelisco, tirando su con il naso.

-Fa uno strano effetto, sai?- le chiese lei con la voce incrinata.

-Che cosa?

-Raccontare a qualcuno i miei problemi. Mi sento quasi più leggera.- disse piano.

Piccolo non seppe che dire: era la prima volta che si trovava in una situazione del genere. Cosa si diceva in quei casi? Optò per il stare zitto. In genere il silenzio valeva più di mille parole.

-E... tu non fai niente?- azzardò a dire infine.

La ragazza singhiozzò:-E cosa posso fare? È pur sempre mio padre.

A quelle parole Piccolo si arrabbiò ancora di più e la fissò furioso:-Quello non è un padre.

La giovane sussultò appena e il suo sguardo si fece più impaurito.

Capendo di avere avuto una reazione fin troppo severa, il nammecciano abbassò lo sguardò è buttò fuori l'aria dalle narici:-Scusa.

-No, hai pienamente ragione. Non sa proprio come sia un padre...- disse con un tono amaro.

E il silenzio tornò a fare da padrone.

Piccolo era incredibilmente a disagio. Bastava davvero la vicinanza con una donna a fargli quell'effetto? No, era impossibile, visto che la donna della scuola guida alla quale Chichi aveva obbligato a partecipare lui e Goku le aveva scatenato una reazione completamente diversa.

La ragazza si alzò una manica per controllare l'orologio, tirando un sospiro di controvoglia.

-Ora è meglio che vada. Si sta facendo tardi...- fece per alzarsi, tirando un profondo respiro per smettere di singhiozzare.

-Vuoi davvero tornare a casa?- le chiese Piccolo senza guardarla, sicuro che guardandola si sarebbe solo arrabbiato di più. Eppure era sul serio preoccupato per quella giovane ragazza piena di lividi sotto i vestiti.

La ragazza sorrise tristemente, guardando per terra:-No che non voglio. Ma non ho altro posto dove andare, né altri famigliari.- gli sorrise per confortarlo, come se fosse lui ad avere bisogno aiuto e non lei, provocandogli nel cuore una strana fitta che non seppe se interpretare come positiva o negativa:-Però mi sto impegnando per entrare in un istituto grazie ad una borsa di studio. Così starò lontana da casa il più possibile.

Allora anche il nammecciano si alzò:-Sicura?

-Certo.- rispose con un sorriso.

Poi le sue guance si arrossarono, dopo qualche minuto di silenzio:-Tu vieni qui spesso?

Piccolo non si aspettava quella domanda. Doveva voleva arrivare?

-Si. Diciamo che ci sono quasi sempre.

La giovane si tormentò una mano, per poi fissarlo negli occhi:-Ti dispiace se torno anche domani?

Rimase spiazzato. Voleva ancora stare con lui?

-Sai, con te sono riuscita ad aprirmi e mi è più facile parlare. Non è che potresti stare ad ascoltare la mia schifosissima vita anche domani?

Involontariamente abbassò lo sguardo, sentendosi trafitto da quegli occhioni scuri.

-Certo. Non c'è problema.

Le sue labbra rosse si incurvarono in un sorriso di gioia:-Grazie mille! Non ti ripagherò mai abbastanza.

Quel suo sorriso felice, comparso per la prima volta da quando era arrivata dall'obelisco, gli fece battere il cuore più velocemente, facendogli provare uno strano formicolio al petto.

Lei fece per andarsene, però, quando si trovò all'inizio del bosco si voltò a guardarlo:-A proposito, non ci siamo presentati. Io sono Honey. Tu come ti chiami.

-Piccolo.

Honey sorrise di più:-A domani Piccolo, buona giornata. E scomparve tra gli alberi.

Honey... pensò Piccolo, ricordando che in una qualche lingua significasse Miele o Tesoro, detto in senso affettivo.

Infatti era proprio quello il profumo di quella ragazza: miele dolce.

Si voltò in direzione dell'obelisco e volò su. Non voleva fare altro che riposarsi e ragionare, dopo quel dolce incontro. 

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Capitolo 4
*** La promessa di Piccolo. ***


Il giorno seguente Piccolo scese a terra alla stessa ora del giorno precedente.

Lei gli aveva chiesto se il giorno seguente sarebbe stato presente e lui le aveva detto, anche se non evidentemente, che ci sarebbe stato. Eppure sentiva che non era solo per quella ragione.

Voleva davvero aiutarla. Dentro di sé sentiva questo strano senso di protezione nei confronti di quella ragazza, nonostante l'avesse conosciuta il giorno precedente. Magari era solo per come fosse strano il modo in cui guardava la sua pelle verde e le sue orecchie a punta. Eppure c'era qualcosa di più profondo per quella Honey. Profondo quanto i suoi occhi.

Atterrò ai piedi dell'obelisco, aspettando l'arrivo della ragazza. Quella giornata il sole era alto nel cielo e tutto era tranquillo e pieno di pace. E lei lo sarebbe stata alla vista di quel paesaggio?

Sentì la sua piccola aura avvicinarsi. Stava arrivando.

Eccola di nuovo apparire nello stesso punto dove l'aveva incontrata ieri.

Alla vista di lui sorrise, questa volta meno tristemente:-Ciao, Piccolo.

-Ciao.- tagliò corto lui.

Honey gli si avvicinò sorridente, nonostante il nuovo taglio al sopracciglio e uno zigomo lievemente viola.

Lo sguardo del nammecciano si rabbuiò.

La ragazza capì perfettamente il motivo di tale reazione e si passò una mano su uno zigomo. Eppure a lei non importava: era felice di vederlo e ciò cancellava tutto il resto.

-Tranquillo. Va tutto bene.- gli disse con una voce che lasciava intuire tutta la menzogna in quelle parole.

Piccolo come al solito preferì stare in silenzio, sennò avrebbe espresso tutta la sua rabbia, rischiando solo di spaventarla.

La ragazza mise in mostra un cesto di vimini che portava al braccio.

-Ti va di mangiare qualcosa?

Piccolo si accigliò. Non amava particolarmente il cibo umano e poteva benissimo farne a meno. E poi non capiva perchè quella ragazza si fosse disturbata a portare del cibo.

-E' solo per far qualcosa mentre mi ascolti...- disse piano.

Allora lui capì che Honey si sentiva in colpa per dovergli raccontare tutti i suoi problemi e voleva in parte farsi perdonare.

Sospirò:-Non c'è bisogno che cerchi qualcosa con cui scusarti. Ho deciso di ascoltarti, fine.

Honey abbassò il braccio con il cesto e arrossì lievemente:-Si, però io ho comunque fame...

Con sua stessa sorpresa, Piccolo sorrise appena, trovando strana quella dichiarazione. In pratica il cesto l'aveva portato per lei.

 

Si sedettero ai piedi dell'obelisco. Honey aveva già tirato fuori una mela e aveva preso a mangiarla. Aveva anche provato a porgere qualcosa a Piccolo, il quale si era educatamente rifiutato.

Non riusciva a distogliere lo sguardo dai nuovi segni sulla sua pelle, avendo in quel momento un'immane voglia di vedere il sangue di qualcuno.

-Mi ha picchiata di nuovo.- disse a bruciapelo.

-Perchè?- le chiese cercando di controllarsi il più possibile.

-Ho fatto tardi e non ho neppure fatto la spesa. E dice che i soldi che avevo preso per l'offerta erano i suoi.- sospirò, mentre gli occhi le si velavano di lacrime:-E pensare che in un certo senso mi ha pure risparmiato.

Honey sentì chiaramente le ossa delle mani di Piccolo scricchiolare per quanto le stava stringendo a pugno.

-Sta tranquillo, va ben...- non riuscì a terminare la frase, che il nammecciano scoppiò:-No che non va bene niente! Quello ti picchia e tu stai così a subire?! Non puoi! Reagisci, per l'amor del cielo!

Honey rimase interdetta da tale reazione, rimanendo a fissarlo immobile.

L'adrenalina si smaltì in un attimo, rendendosi conto del tono che aveva usato e della sua reazione.

-Ti chiedo perdono.- per la prima volta il nammecciano si sentì in imbarazzo, come se si vergognasse della sua stessa reazione. Distolse lo sguardo.

Aspettò che la ragazza disse qualcosa. Ma per un po' ci fu solo silenzio.

Poi la sentì tirare su con il naso, e solo allora si voltò: si era di nuovo messa a piangere. Gli occhi arrossati gonfi di lacrime, lo sguardo addolorato, il respiro mozzato dai singhiozzi.

Ecco. Aveva di nuovo premuto l'interruttore sbagliato.

Si sporse nella sua direzione per cercare di farla smettere di piangere, mentre si portava le mani al volto.

-Io non ce la faccio.- disse.

-Ogni volta mi picchia, non posso dirlo a nessuno dei miei amici, non ho un altro genitore a difendermi... come se non bastasse non posso nemmeno permettermi uno schifo di psicologo.- tirò sul con il naso:-Tu non immagini neanche quante volte vorrei fuggire, quante volte ho desiderato farla finita. Però poi mi accorgo che sono troppo codarda anche per compiere un gesto altrettanto codardo, e penso che non voglio finire come un cane...

Continuò a piangere, molto più apertamente che il giorno precedente.

Come poteva un uomo fare tutto questo ad una ragazza e non provare il minimo risentimento? Come faceva a dormire sogni tranquilli?

Piccolo allora si alzò:-Adesso è meglio che vai.

Honey si asciugò rapidamente gli occhi, per poi guardare il ragazzo- bè, non proprio ragazzo- con aria perplessa.

-C-come?- chiese tra un singhiozzo e l'altro.

Piccolo si accucciò a fissarla negli occhi, in una maniera tanto intensa che Honey sentì il cuore batterle più forte:-Ti prometto una cosa, Honey. Io troverò una soluzione. La troverò senza l'aiuto di quegli umani che dovrebbero aiutare la gente e che non si accorgono neanche di ciò che hanno sotto il naso. Ti prometto che troverò quella soluzione al più presto e che allora lui non ti picchierà più. Promesso.

Honey rimase un attimo in silenzio, poi singhiozzò più forte, questa volta con un sorriso sulle labbra. Poggiò la testa sulla sua spalla e pianse ancora.

Il cuore di Piccolo si rilassò a quelle parole appena sussurrate.

-Grazie, Piccolo.

 

Piccolo le aveva detto di tornare a casa per quel giorno, perchè non voleva che quell'uomo la picchiasse ancora per un ritardo dovuto a causa sua. Doveva trovare un posto dove Honey potesse essere al sicuro, dove non si sentisse continuamente minacciata e, soprattutto, dove lui avrebbe potuto vederla quotidianamente.

Per il momento un luogo dove stare che non fosse casa sua gli sembrava la soluzione più ragionevole.

Un posto ce l'aveva in mente, però avrebbe dovuto chiedere il permesso di Gohan, visto che Goku non c'era.

Incredibile: lui, figlio del grande Al Satan, che chiedeva il permesso per qualcosa per una ragazzina umana. Ma che gli stava succedendo? Represse il suo orgoglio, pensando solo ai suoi occhi così belli e profondi e ai suoi capelli riccioluti. Volò verso casa Son, alla massima velocità.

Atterrò lì, davanti alla porta d'ingresso, dove un piccolo Goten di cinque anni stava uscendo.

-Ciao, Piccolo!- lo salutò il bambino contentissimo.

Il nammecciano si costrinse a sorridere:-Ciao, Goten. Tuo fratello è in casa?- chiese.

-Si. È in camera sua a studiare.

-Ok, grazie.- disse entrando.

Chichi era in cucina e stava cucinando qualcosa per il pranzo. Alla sua vista fu lievemente sorpresa, però aveva fatto l'abitudine alla sua presenza, da quando per quei tre anni in cui si erano allenati per fronteggiare i cyborg lo vedeva praticamente tutti i giorni.

-Ciao, Piccolo. Cerchi Gohan?- gli chiese.

Lui annuì:-Tranquilla, Chichi, non voglio portarlo da nessuna parte. So che è nel bel mezzo dei compiti.

Chichi tirò un sospiro di sollievo, già preoccupata che ci fosse una nuova minaccia e che Gohan ci sarebbe dovuto andare in mezzo.

-Meno male. È in camera sua.

Piccolo andò con molta calma verso la stanza del ragazzo.

Bussò due volte e poi entrò. Il ragazzo era seduto davanti alla scrivania e alla sua entrata sembrò molto sorpreso:-Ehi, Piccolo! Quanto tempo!- disse alzandosi a salutarlo.

-Mi fa piacere rivederti, Gohan.- disse sorridendo. Quel ragazzo era come un figlio per lui.

-Ti devo chiedere una cosa.- gli disse tornando serio.

-Certo dimmi.

-La casa dove abitava tuo padre con suo nonno ora è disabitata, giusto?

-Si, esatto.

Abbassò gli occhi, non credendo di star chiedendo un permesso:-Potrei... prenderla in prestito per qualche tempo?

Gli occhi di Gohan si dilatarono dalla sorpresa. Non capiva perchè il suo amico la volesse, ma per lui non era un problema e doveva avere i suoi motivi. Magari cercava un posto dove stare che non fosse il Palazzo del Supremo.

-Si, certo, come vuoi.

-Grazie.- disse dirigendosi verso la porta:-Alla prossima!

 

Atterrò di fronte a quella casetta ormai vecchia. Conosceva la storia di Goku e ogni tanto dal Palazzo del Supremo aveva visto che ci andava. Più per ricordare suo nonno che per altro.

Era in pietra ed era piccola. Un po' di restauro dentro e sarebbe stata perfetta.

In più nei dintorni vi giravano spesso dinosauri e altri animali pericolosi per un uomo, quindi il padre di lei non avrebbe mai potuto andare a cercarla laggiù.

Entrò e la porta di aprì con un cigolio, segno di quanto fosse vecchia e i cardini fossero arrugginiti.

Dentro era pieno di polvere e vi giravano pure diversi insetti, però vi era un letto e uno spazio per accendere il fuoco. Forse era un po' rudimentale, però gli avrebbe procurato lui il cibo e il calore necessario a sopravvivere. Prima di portarci Honey, però, avrebbe dovuto darsi da fare per migliorare le condizioni di quella casa, pulirla e renderla più confortevole per quella ragazzina tanto fragile e graziosa. Bè, tanto fragile non lo era: era molto forte se riusciva a sopportare tutto ciò che la vita le aveva riservato, senza mai cadere nel baratro, sfogandosi solo di fronte a lui.

Di nuovo il petto gli si infiammò di uno strano calore, al quale non riusciva dare un nome.

Scrollò la testa, pensando che doveva darsi da fare.

Doveva portarla al sicuro, via. Doveva fare in modo che non piangesse più.

Doveva fare in modo che fosse felice. 

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Capitolo 5
*** Alla cascata. ***


Da quel giorno lei veniva praticamente sempre a trovarlo.

Il giorno successivo era tornata alla stessa ora, però lui non aveva ancora finito di sistemare la casa, quindi aveva preferito non dirglielo.

La restaurazione gli prendeva molto tempo, il quale si rivelava essere molto lungo, visto che lui era più bravo a distruggere che costruire. E poi era ancora più difficile restaurare senza cambiare niente, visto che non aveva avuto il permesso di Gohan per cambiarla.

Honey avrebbe dovuto aspettare un po' per la casa, in sostanza.

Il giorno dopo, lei gli aveva chiesto se andavano da qualche parte bella nel bosco, per cambiare un pò, e lui aveva acconsentito, in quanto non se la sentiva di dirle di no.

La cascata era il luogo dove di solito preferiva andare a meditare e non distava poi così tanto, quindi ci andarono benissimo a piedi.

Honey sembrò super felice nel vedere tale splendore. Probabilmente, una come lei abituata alla città, non le era mai capitato di vedere la natura in tutta la sua bellezza.

Piccolo si sedette sull'erba, lì davanti ad ascoltare l'acqua che cadeva, intento anche ad osservare ciò che avrebbe fatto Honey.

La ragazza si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni fino alle ginocchia. Poi si sedette di fianco al nammecciano e immerse le gambe pallide. Quelle non sembravano presentare particolari segni di violenza.

-E' così bello qui.- disse la ragazza incantata.-Ci vieni spesso?

-Si, in genere vengo a meditare per la pace del luogo.

Honey lo guardò sorpresa:-Meditare?

Piccolo annuì, senza dire altro.

Honey tornò a fissare un punto indefinito di fronte a sé, muovendo piano le gambe nell'acqua fredda e piacevole allo stesso tempo.

-Cosa sei tu, Piccolo?- gli chiese poi seria, senza voltarsi.

Il nammecciano non si aspettava tale domanda, però lei aveva già notato da subito che lui non era umano, invece di pensare che aveva un colorito strano o che aveva bisogno di un medico. Chissà, forse era quello che l'aveva spinto ad aiutarla.

Lui si sdraiò e si mise a fissare le nuvole. Che male c'era se le avesse parlato un po' di lui?

-Tu credi agli alieni?- le chiese.

Honey divenne rossa in viso:-Se vuoi la verità completa, in un certo senso ci credo da quando ti ho conosciuto.

Quest'affermazione lo fece sorridere, capendo che era piuttosto sveglia.

-Sai, un po' ovunque si pensa che gli alieni siano esseri con le antenne e la pelle verde e...- abbassò gli occhi imbarazzata per ciò che stava per dire:-...quando ti ho visto ho pensato che tu potessi essere uno di quelli.

Con gran sorpresa di Honey, Piccolo ridacchiò impercettibilmente, però abbastanza forte perchè lei potesse sentirlo.

-Bè, si. Io non sono di questo pianeta, però ci sono nato.- continuò.

-Vuoi dire che ce ne sono altri come te?

-Solo uno, ma non siamo parenti.- si rimise a sedere e la guardò negli occhi:-Io sono un nammecciano.

-Nammecciano?

Annuì:-Un popolo pacifico che vive sul pianeta Namecc e che è in un certo senso un'alleata della Terra. Mio padre Al Satan non era propriamente pacifico come loro e quindi cercò un pianeta da conquistare. È morto quando io sono nato.

-Mi dispiace.- disse con gli occhi rabbuiati.

Piccolo ridacchiò:-Lascia stare. Con lui non avevo alcun tipo di legame affettivo, se vogliamo dirla tutta. Io sono nato solo per vendicarlo.

Honey rimase in silenzio, poi Piccolo continuò a parlare.

Stranamente con lei riusciva ad essere sincero, a non dover cedere all'orgloglio o a mettere il broncio. Era forte e sincera e candida.

Le raccontò del perchè non ha distrutto la Terra, di come sia cambiato e del suo pianeta natale. Tralasciò la parte dei saiyan e di Freezer e di tutti gli altri casini che poi sono scoppiati.

La ragazza strappò un filo d'erba e iniziò a rigirarselo fra le dita:-E ti manca mai il tuo pianeta?

Piccolo fece spallucce:-Non particolarmente. La Terra è praticamente la mia casa. E poi io non sono mai stato un tipo così mite come loro.

-E l'altro nammecciano?

-E' il supremo della Terra.- Piccolo si morse la lingua, sicuro di aver parlato troppo. Ma perchè se l'era lasciato scappare?

-Il supremo?- chiese inarcando un sopracciglio.

Sospirò, dandosi dell'emerito idiota:-Si, in un certo senso il Dio, se vuoi chiamarlo così.

-Davvero?

Annuì:-Si. Il suo tempio è sopra l'obelisco. È li che abito ora.

Aspettò che Honey avesse una reazione incredula o comunque qualcosa di simile, invece rimase zitta a fissare l'acqua.

-Wow, Piccolo, non credevo che nel mondo ci fossero così tante cose che non conosciamo.

Piccolo non si sarebbe mai aspettato una reazione simile.

-Non sei sorpresa?

-Bè, un po' si, però sai com'è- si passò una mano sul sopracciglio tagliato:-Le cose brutte non mi sorprendono più, le cose belle mi sembrano un sogno irraggiungibili ed i misteri risolti mi sembra che abbiamo risposte incredibili, ma poi penso che anche ciò che vivo ogni giorno è incredibile e allora ho la certezza che queste scoperte non aiuteranno mai le persone in difficoltà come me.

Honey abbassò gli occhi velati di lacrime, facendo intuire quanto volesse uscirne da quella situazione infernale.

Piccolo strinse il pugno. Doveva darsi una mossa a finire quella maledetta restaurazione.

Mentre era concentrato su quei pensieri, quando lei poggiò la testa riccioluta sulla sua spalla coperta dal mantello bianco.

-Però, sai, quando in questi giorni stavo con te mi sentivo bene. Sentivo che non esisteva niente di ciò che era successo e che sta succedendo con mio padre e la mia famiglia.

Piccolo rimase irrigidito da quel contatto così intimo. Il cuore accelerò il battito e sentì le sue stesse guance accaldarsi. Eppure era una sensazione così bella.

Ma cosa gli stava procurando quella ragazza?

-Non ti ringrazierò mai abbastanza.- gli sussurrò.

Piccolo sospirò, poggiando la testa contro la sua. Non voleva sottrarsi ad una così bella sensazione.

-Ehi.- la richiamò dopo un tempo abbastanza lungo da essersi goduto appieno quel contatto.

-Hai mai visto tutta questa distesa per intero?

Lei non capì appieno quelle parole, però scosse la testa in risposta.

Piccolo si alzò, seguito a ruota da Honey.

-Allora mi sa che oggi la vedrai.

La attirò a se, e prima che Honey potesse dire qualcosa, Piccolo spiccò il volo, facendo scappare alla ragazza un gridolino sorpreso.

Stava volando! Incredibile! Piccolo stava volando!

Honey continuava a passare frenetica lo sguardo dal terreno sottostante al nammecciano, credendo di star sognando.

Dopo quel breve volo, Piccolo atterrò su una cima non eccessivamente elevata, ma che permetteva una visione stupenda della foresta: si vedevano tutti gli alberi enormi, la cascata dove erano poco prima, un lago, l'obelisco in tutta la sua altezza, animali di grossa e media taglia che camminavano accidiosi per le pianure. Era da rimanere senza fiato.

-Piccolo! È incredibile! Ma come hai fatto? Tu hai volato!- iniziò a dire a raffica, non smettendo di passare lo sguardo dal paesaggio a lui.

Piccolo sorrise:-Sono pur sempre un alieno, no?

Honey ridacchiò, lievemente nervosa.

Era ancora attaccata a Piccolo, ma quando se ne rese conto il nammecciano non la lasciò andare, la tenne lì, stretta a sé.

-Com'è possibile che in un mondo così bello ci sia gente così orribile?- gli chiese poggiando la testa al suo petto possente, dove sentì i suoi forti battiti appena accelerati. Forse non era abituato ad essere così vicino ad una persona.

-Non lo so. Però sono certo che un giorno finirà e tu potrai essere felice, senza preoccupazioni.

Honey sorrise, felice che qualcuno si preoccupasse così di lei e di come stesse.

-Grazie mille, Piccolo.

Forse una persona con una vita normale,a posto con la testa, l'avrebbe respinto, visto come un mostro orribile e come qualcosa da repellere e di cui non fidarsi.

Ma lei non era nessuna di queste cose. 

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Capitolo 6
*** La casetta nel bosco. ***


Finalmente aveva finito: la casetta era pronta.

Ci aveva messo una settimana, ma ora era pronta per accogliere Honey.

Aveva rifatto il letto, ripulito la casa da cima a fondo, montato delle finestre con i suoi poteri ed era pure riuscito a mettere il riscaldamento. Per il bagno, purtroppo, non era riuscito a rimediare nulla.

Però doveva andare bene, sperava.

Per quella settimana si erano visti ogni giorno e lei veniva solo il pomeriggio, perchè era finito il weekend e doveva tornare a scuola, aveva detto.

Il padre non l'aveva praticamente più toccata, o almeno così aveva detto lei e non erano visibili nuovi segni sulle zone scoperte. Quindi sotto i vestiti potevano comunque essercene.

In genere stavano all'obelisco, però ogni tanto lei gli chiedeva se andavano alla cascata oppure a fare una passeggiata e non poteva fare altro che accontentarla.

Lei parlava molto, mentre lui per la maggior parte del tempo si limitava ad ascoltare e a fare qualche cenno del capo, come per indicare che stava ascoltando. Però quel copione ai due bastava per essere felici almeno in quel lasso di tempo.

Questa volta però era più felice, perchè avrebbe potuto farle un regalo.

Quando Honey arrivò all'obelisco si salutarono come al solito.

Piccolo si irrigidì subito: lo zigomo era guarito, mentre per il sopracciglio probabilmente sarebbe rimasta una cicatrice, però ora aveva nuovi segni. Il labbro inferiore presentava un taglio che aveva gonfiato le labbra e le aveva rese violacee, e sul collo c'erano ben visibili i segni di cinque dita, quasi avesse provato a strangolarla.

E questa volta lei non provò nemmeno a sorridere per confortarlo. Il suo viso era scosso dal dolore e gli occhi erano gonfi di lacrime.

-Honey...- iniziò lui, non sapendo però come continuare, accecato dalla rabbia.

La ragazza scivolò rapidamente fra le sue braccia, iniziando a singhiozzare, bagnandoli la tunica viola di lacrime.

-Ho creduto davvero di morire questa volta.- mormorò con voce disperata, incrinata dalle lacrime e dal contatto stretto con il suo petto.

Piccolo sentì la furia montargli come non mai da quando l'aveva conosciuta.

Ringhiò in modo così udibile che Honey si fermò un secondo per poi ricominciare a piangere.

Non poteva lasciarsi trasportare dalla rabbia, non in quel momento.

Si era impegnato così tanto solo per lei, solo per non vederla più piangere, solo per darle un luogo sicuro dove poter vivere in pace. Doveva agire, anche se ora lei non stava nel migliore dei modi.

Senza che lei se lo aspettasse, Piccolo la prese in braccio, passandole un braccio intorno alle spalle e uno sotto le ginocchia.

La ragazza rimase un po' interdetta, guardando il nammecciano con sguardo interrogativo, con gli occhi che ancora piangevano e con la voce ancora scossa dai singulti.

Piccolo preferì non parlare, altrimenti avrebbe fatto una strage in tutti i sensi.

Iniziò a camminare con Honey in braccio nella direzione della casa.

Voleva farle una sorpresa.

Lei non proferì domanda, fidandosi di lui.

Quasi subito si calmò e appoggiò la testa contro la spalla del nammecciano, avvolta dal mantello bianco.

Si sentiva di nuovo bene, dimenticandosi quasi del padre che il giorno precedente l'aveva quasi uccisa.

Piccolo la faceva stare così bene.

Chiuse gli occhi, inspirando l'odore di natura che emanava Piccolo e lasciandosi cullare dai suoi passi sul terreno irregolare.

Non prestò molta attenzione al percorso che fecero, accorgendosi soltanto quando andavano più in salita o in discesa o quando erano sotto gli alberi o meno.

Doveva essere davvero forte, visto che la portava senza il minimo sforzo e tenendo sempre la stessa andatura.

Certo, lei era sempre stata magrissima per i suoi disturbi, ma comunque chiunque avrebbe faticato nel portare una persona per un così lungo tragitto.

Dopo una salita piuttosto ripida, che Piccolo percorse senza sforzo, si fermò.

Honey aprì gli occhi e si guardò intorno: era un boschetto.

Sotto l'ombra degli alberi scorse una piccola casetta.

Si rimise in piedi, non capendo bene perchè il nammecciano l'avesse portata lì.

-Bè, si, ecco, vedi... Ho pensato che ti servisse un posto dove stare, un posto lontano dai maltrattamenti di tuo padre.

Appena comprese quelle parole Honey dilatò gli occhi, sorridendo. Non ci poteva credere. Un luogo dove suo padre non l'avrebbe trovata. Sembrava un sogno che diventava finalmente realtà. Quante volte l'aveva sperato. Quante volte avrebbe voluto andarsene prima del college. E soprattutto un luogo trovato da una persona che voleva solo del bene per lei.

Ecco perchè Piccolo l'aveva fatta tornare a casa sempre più presto in quei giorni.

-Piccolo, ma come...?- non riusciva a spiccicare una parola in più. Era troppo felice per quel gesto premuroso da parte sua.

Il ragazzo verde sembrava imbarazzato, in quanto non abituato a quelle situazioni:-Un mio... amico viveva in questa casa, un tempo, e ho chiesto se me la prestava. Ci ho messo un po' di tempo per risistemarla, perchè era praticamente in rovina. Non te ne ho mai parlato perchè volevo farti una specie di sorpresa. L'unico problema è il bagno...

Piccolo non riuscì a finire la frase che Honey gli saltò con le braccia al collo, lasciandosi scappare un gridolino di gioia.

Senza smettere di abbracciarlo, la ragazza fissò Piccolo negli occhi, i quali si erano riempiti di lacrime. Questa volta, però di gioia.

-Grazie mille, Piccolo, non potevi farmi regalo più bello.

Le guance del nammecciano si accaldarono a quelle parole pronunciate con tale calore. Il suo cuore si sciolse nella felicità, vedendo la reazione che tanto sperava.

Poi ecco quella che non aveva mai calcolato in un'intera vita con nessuna persona: Honey si alzò sulle punte e poggiò le sue labbra viola sulle sue.

Non oppose resistenza, troppo concentrato a chiedersi che cosa stesse facendo quella ragazzina.

Dopo poco anche la ragazza si staccò, come se si fosse accorta di ciò che aveva appena fatto.

Abbassò lo sguardo, non disintrecciando comunque le sue braccia intorno al sua collo.

Honey abbassò lo sguardo, rossa come non mai in viso, con la bocca semi aperta, quasi volesse dire qualcosa.

-E-era un modo per ringraziarti...- cercò di giustificare il suo comportamento.

Però Piccolo sentiva che la ragione era un'altra, glielo diceva l'istinto.

Honey si staccò dal nammecciano e si diresse verso la casa.

-L'interno deve essere molto carino, visto l'esterno.- commentò lei, cambiando discorso.

Appena Honey gli diede le spalle, Piccolo si passò due dita sulle labbra, quasi a cercare di memorizzare quel contatto così dolce come il suo profumo.

Se era una cosa che risultava così strana, come mai le era sembrato di toccare il cielo con un dito?

Cercò invano di non pensarci e si avviò pure lui verso la casa, dietro Honey.

Il suo cuore, ora, oltre a pompare il suo sangue viola come i capelli di lei, pompava pure quel ricordo, un piccolo frammento di felicità. 

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Capitolo 7
*** A casa di Honey. ***


 

Ciondolò appena le gambe dal Palazzo del Supremo, mentre osservava da lì Honey.

Non la spiava, controllava solo che non le accadesse nulla di male, come quasi tutte le sere, del resto.

La ragazza si trovava bene in quella casetta, ed era più facile vederla sorridere, adesso.

Vi ci si era trasferita da una settimana ormai e non era più tornata a casa, portandosi dietro una valigia con i suoi vestiti dietro, la prima volta.

Dal giorno in cui la ragazza l'aveva baciato, l'aria si era fatta più tesa e lei parlava meno, ma comunque continuavano a vedersi, perchè la questione non era del tutto risolta.

Honey non cercava più un contatto come quello, anzi, evitava proprio di toccarlo se poteva, forse perchè pure lei era tremendamente imbarazzata.

Ma anche lui era imbarazzato? Il figlio del grande Al Satan imbarazzato?

L'ha fatto solo per ripagarmi per la casa, quindi non devo preoccuparmi... si continuava a ripetere per smettere di pensare al bacio e alla bella sensazione che gli aveva fatto provare. Però tutto era inutile: ogni volta che ci ripensava,e ora anche quando vedeva Honey, il sangue veniva pompato più velocemente e sentiva uno strano solletico sul petto.

Forse un po' imbarazzato lo era.

Sospirò.

Ecco che, alla solita ora della notte, usciva e andava a piedi fino in città, entrava in casa sua dalla finestra e poco a poco portava via un po' della sua roba, come il portatile, piuttosto che un libro, un pigiama, la roba del bagno...

Giustamente doveva vivere con la sua roba.

Entrava ad un'ora dove suo padre sicuramente dormiva, però Piccolo non si sentiva sicuro e preferiva osservarla quando andava, nel caso fosse successo qualcosa, o con suo padre o con un animale feroce sulla strada del ritorno.

E poi, quando arrivava alla casetta e si infilava a letto, lui era più sicuro e andava a riposare senza problemi.

Anche quella sera era sicuro che sarebbe andata così, eppure sentiva che non doveva andare a riposare. Non ancora.

Honey percorse tutta la strada a ritorso per uscire dai boschi.

Per essere un umana era davvero coraggiosa, pensò Piccolo. Sapeva che nessun umano avrebbe percorso un bosco come quello al buio e per un così lungo tratto, eppure lei, così minuta e debole, lo faceva senza problemi. Probabilmente sapeva che c'era ben di peggio che essere attaccati da un animale.

-La stai ancora osservando?- gli chiese una voce alle sue spalle.

Era così preso dai suoi pensieri che non si era nemmeno accorto dell'arrivo di Dende.

Quelle parole così sicure, però, significavano una cosa:-Allora tu sapevi...

Dende annuì e gli si avvicinò:-Scendi sempre alla stessa ora ogni giorno sulla Terra e non torni prima di sera. E poi ultimamente torni così felice...

Piccolo lo bloccò con uno sguardo perplesso:-In che senso “felice”?

-Nell'unico senso possibile: quella ragazza ti fa stare bene.

Dende, per quanto giovane fosse, vedeva molto più in là di lui. Non a caso ora era il supremo!

E aveva ragione: Honey gli faceva provare belle sensazioni mai provate prima. Magari Dende sapeva anche di quali emozioni si trattassero...

-Onestamente trovo sia molto carina.- commentò Dende.

Anche se lui era un nammecciano, riusciva a vedere la bellezza umana, cosa che lui non si era mai procurato di cercare, visto che il genere umano non gli era mai interessato. Almeno fino a quando non aveva conosciuto Honey e i suoi tristi occhi scuri. Quegli occhi che trovava avessero una bellezza unica, quelle piccole labbra rosse, i denti perfetti,la pelle rosea come quella di un neonato, i lunghi capelli boccolosi e morbidi...

Il cuore riprese a martellargli nel petto, dandogli falsamente fastidio.

-Se lo dici tu.- rispose seccamente. Non amava parlarne con altri. Ciò che c'era, se c'era, tra lui e quella ragazza, restava tra lui e Honey. Non erano affari degli altri!

-Lo sai bene anche tu, Piccolo.- continuò.

-Da quand'è che ti sei fatto così impiccione?- gli chiese quasi divertito.

Il supremo fece spallucce:-E' solo che mi fa strano vederti innamorato. Sono curioso di sapere come ti senti, visto che io non lo sono mai stato.

A quelle parole il nammecciano più grande si fermò con un'espressione stordita in viso.

Dende se ne accorse subito:-Sei innamorato, no?

-Innamorato?- chiese quasi non avesse mai sentito quelle parole, sperando con tutto se stesso di aver capito male.

-Bè, io non lo so come ci si sente, eppure tu mi sembri così... così felice per non esserlo.

Piccolo rimase in silenzio.

Lui? Innamorato? Possibile?

Un incremento dell'aura di Honey lo distrasse da quei pensieri: a casa sua le luci erano accese e l'energia di lei e di suo padre erano parecchio agitate.

No! Suo padre l'aveva scoperta!

La picchiava sempre quando faceva il minimo ritardo o anche solo per delle scemenze. Per essere scomparsa per giorni, probabilmente avrebbe fatto peggio.

-Maledizione!- imprecò prima di spiccare il volo a tutta velocità per soccorrerla.

Dende rimase lì, capendo subito cosa stesse succedendo e non cercò di fermare il suo amico.

Resisti! Resisti! Si diceva nella sua mente, inviando quel pensiero alla ragazza che ora poteva finire male.

Arrivò davanti a quella casetta in pochissimo tempo.

Senza perdere tempo, sapendo di dover intervenire, buttò giù la porta con un calcio, la quale cadde a terra con un tonfo.

Nel salotto tutto si fermò: Honey era con la faccia rivolta verso terra, mentre con una mano si massaggiava una guancia e qualche gocciolina di sangue cadeva sul pavimento.

L'uomo che invece era in piedi aveva la mano ancora a forma di pugno, facendo intendere come l'avesse colpita.

Era alto, aveva un po' di pancia sotto la cannotiera sporca. Capelli e baffi neri e pelle abbronzata. Naso grande, tutto il contrario di quello di Honey, il che lasciava intendere che di faccia avesse preso tutto dalla madre. Le braccia e le gambe forti lasciavano intendere che doveva essere molto forte. Numerosi tatuaggi spuntavano dalle braccia.

Il classico poco di buono umano, insomma.

Honey alzò gli occhi pieni di lacrime a fissarlo, mentre dalla bocca continuava a scenderle il sangue.

-Piccolo....- mormorò, probabilmente sollevata, o solamente sorpresa.

-E tu chi sei?- gli chiese l'uomo, cercando di incuitergli timore.

Ma invece gli montò solo la rabbia. Se quando gliene parlava Honey riusciva a stento a trattenersi, ora non esisteva proprio quel freno, nemmeno Honey stessa o Gohan l'avrebbero potuta fermare.

Prima che qualcuno potesse replicare o dire qualcosa, Piccolo scattò in avanti e assestò un pugno dritto in faccia al padre della ragazza, rompendogli il setto nasale e scaraventandolo dall'altra parte della stanza, rompendo alcuni mobili e lasciando il segno sul muro.

Honey urlò, inidetreggiando a terra, mentre l'uomo si accasciava a terra con un mugolio di dolore, svenuto.

Nella sala calò il silenzio, mentre la rabbia di Piccolo si sbolliva poco a poco.

Fuori, nel frattempo, si sentivano alcune voci e delle luci delle case vicino si stavano accendendo, probabilmente sentendo il rumore dello schianto.

Solo allora si rese conto di avere esagerato con la forza, ma era certo di non averlo ucciso, perchè non era questo ciò che voleva l'unica ragazza alla quale teneva.

Honey si alzò barcollando e gli andò incontro, mentre lui era immobile, non capendo perchè non riuscisse a muoversi.

Solo il lieve tocco della sua mano sul suo braccio lo fece attivare.

-E' meglio che andiamo, adesso.- disse con voce tenuta a stento ferma, ma lo sguardo deciso.

Il labbro era gonfio e sanguinava, come una narice, mentre la guancia era arrossata dal segno delle nocche del padre.

Anche la mano con cui lo stava toccando era sporca del suo stesso sangue, così caldo da farlo stare male, e da farlo quasi rilanciare contro l'uomo, pensando che quelle ferite erano state aperte da lui.

Questa volta riuscì a tenersi, ad annuire rigidamente, perchè per lei aveva già fatto abbastanza.

Prese in braccio Honey come la prima volta in cui l'aveva portata alla casetta nel bosco, pensando che l'avrebbe medicata dopo e spiccò il volo fuori dalla porta, nella notte stellata, unica testimone di ciò che era appena successo. 

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Capitolo 8
*** Tutto in una notte stellata. ***


 

Volavano alti nel cielo notturno, verso i boschi.

Honey teneva la testa appogiata alla sua spalla, macchiandogli il mantello bianco del suo stesso sangue.

Si sentiva in colpa, però era troppo senza forze per farlo, anche se a Piccolo non sembrava dare fastidio.

Il nammecciano rallentò e atterrò davanti alla piccola abitazione.

Entrò sempre con in braccio la ragazza, la posò seduta sul letto e prese uno straccio pulito in una parte della casa. Lo bagnò con l'acqua fredda e si diresse verso la ragazza.

Le tampoò via, con mano delicata, il sangue che si stava raggrumando e quello ancora fresco, mentre il labbro e lo zigomo si gonfiavano a contatto con l'acqua fredda.

Honey strinse gli occhi, per il lieve dolore provocatogli da quel contatto.

Com'era possibile che una persona così grossa e così forte avesse una mano così delicata con lei?

-Non ti facevo così forte.- iniziò lei. Per tutto il tragitto non si erano parlati e lei voleva rompere il ghiaccio, logorata da quel silenzio che la faceva solo pensare su cose non tanto gradevoli.

-Non sono umano. Non dovrebbe sorprenderti più di tanto.- tagliò corto Piccolo.

Honey annuì impercettibilmente, ancora un po' scossa da ciò che era successo.

-Chiameranno la polizia, probabilmente, e chissà quante balle racconterà.- commentò con voce amara.

Piccolo andò a prendere un altro panno:-Come ti ho già detto, la polizia non è in grado di fare niente. Io sono più forte di loro. E poi come prova abbiamo i segni sulla tua pelle, del fatto che ti picchia.

Honey, però, non si sentiva pronta a denunciare quella cosa alla polizia, non ancora.

Certo, questa volta aveva davvero rischiato la vita, però Piccolo l'aveva salvata, e ciò la rincuorava non poco.

-Ma siamo sicuri che sia ancora vivo, dopo il colpo che gli hai dato?- gli chiese seria.

Non le dispiaceva per ciò che Piccolo gli aveva fatto, però destava la violenza in ogni sua forma, visto che lei c'era dentro sin da piccola. Odiava vederla inflitta agli altri perchè sapeva cosa volesse dire provarla sulla sua pelle e non era bello, affatto.

-Stranamente mi sono trattenuto involontariamente, anche se gli avrei volentieri staccato la testa...- disse a denti stretti, facendo rabbrividire Honey per quell'immagine.

-E perchè non lo hai fatto?- chiese inconsciamente, anche se sapeva che era meglio non conoscere la risposta.

Il nammecciano avvicinò di molto il suo viso al suo, facendola arrossire.

-Perchè non mi andava di farti assistere a cose brutte più di quanto tu non abbia già vissuto.

Il groppo le salì di nuovo in gola, questa volta per la felicità: Piccolo si stava di nuovo preoccupando per lei.

Abbassò lo sguardo, un po' imbarazzata.

Piccolo, come se si fosse ricordato di qualcosa, si ritirò di scatto.

-Mi sembra il caso che ora tu vada a dormire. Hai avuto una brutta giornata.

Mentre lei gli ubbidiva e, senza cambiarsi, si metteva sotto le coperte, Piccolo fece per andarsene.

Con un balzo felino la ragazza gli afferrò un braccio saldamente, facendogli fare uno sguardo stupito.

-Scusami, è che non voglio rimanere sola, stasera. Puoi restare con me?

Piccolo, un po' sorpreso, si sentì comunque felice di sentire tal parole.

-Certo, nessun problema.- disse con sforzo.

Prese una sedia e si sedette di fronte al suo lette, mentre lei si poggiava con la schiena contro il muro.

Sembrava non voler andare a dormire.

Lo stava fissando negli occhi, con uno sguardo molto penetrante, come se stesse cercando di leggergli dentro.

Ma anche lui la stava fissando: maglia sempre a maniche lunghe, corpo fragile e piccolo, quei capelli così profumati da ubriacarlo, e poi quegli occhi... oh, quegli occhi grandi e scuri, come gli piacevano.

Era come un cielo notturno senza stelle, ornato solo dalla luce della luna. Era difficile da descrivere, eppure vedeva così la forza che aveva negli occhi.

E' solo che mi fa strano vederti innamorato.

Le parole di Dende gli rimbombarono in testa all'improvviso: era quello essere innamorati?

Sentirsi risucchiati negli occhi di una persona, sentire il suo profumo anche nei propri pensieri, vederla bellissima sempre e comunque, sentire il sangue che viene pompato più velocemente, avere caldo alle guance...

Per lui Honey era tutto questo.

Ma lei... lei era diversa da lui. Era un'umana. Una di quegli esseri che aveva sempre reputato insignificanti.

No, lei non lo era. Non era insignificante: era forte, conosceva la sofferenza, le cose orribili, la felicità provata raramente...

Ma una come lei avrebbe mai davvero provato qualcosa per uno come lui? Per un nammecciano. Per uno come lui, con il passato di un mostro.

-Va tutto bene?

Honey gli si era avvicinata, guardandolo con sguardo un po' preoccupato.

-S-si... tutto bene...- era stato preso così alla sprovvista che iniziò a farfugliare, cosa proprio non degna di lui.

Cercò di pensare a qualcosa che lo distogliesse da quei pensieri troppo complessi e da quella situazione per niente semplice.

-Posso farti una domanda?

Honey si sorprese leggermente:-Certo, dimmi pure.

-Come fai a non avere paura a percorrere il bosco di notte da sola?- era una domanda stupida, ma era la prima che gli era venuta in mente.

Honey esitò un momento, poi sorrise, lievemente rossa in viso:-Perchè... io ho visto esseri peggiori di un qualche dinosauro o animale feroce... e poi... sapevo che tu ci saresti stato a proteggermi, nel caso avessi avuto bisogno. Come stasera, per esempio.

Quelle parole lo fecero sentire bene, a sapere che lei si fidava totalmente di lui, che non ne aveva paura, che le importasse di lui.

Però un sorriso con una piega amara gli si piegò sul volto:-Come fai a fidarti totalmente di un essere come me? Che in passato si è macchiato con il sangue di mille vittime.

Eppure, a queste parole, lo sguardo dolce di Honey non cambiò.

-Sai, prima che iniziassero tutti questi casini, con la droga, il carciere, l'alcool, i suicidi... quando ero ancora una bambina, mia madre mi disse una frase che ancora oggi è la mia preferita: Non importa il passato di una persona, l'importante è il suo presente.

La ragazza si avvicinò ancora di più a Piccolo, che era rimasto incantato a fissarla, e gli poggiò delicatamente una mano sulla guancia verde.

-Tu non sei più quello di un tempo, Piccolo. Tu mi difendi, mi vuoi bene, ti preoccupi per gli altri, mi hai salvato...

Esattamente come pochi giorni prima, però questa volta molto più lentamente, Honey poggiò le sue labbra rosse, un po' secche per le ferite, su quelle di Piccolo.

Un contatto bellissimo, così caldo e magico, come se il resto del mondo non importasse, come se importasse solo Honey.

Se in quel momento avesse dovuto scegliere tra il salvare la Terra o il salvare lei, lui avrebbe scelto la seconda, senza esitazione.

Honey si staccò e lo fisso vicinissimo negli occhi:-Come può importarmi di ciò che hai fatto in passato dopo tutto quello che hai fatto per me?

Il cuore del nammecciano scoppiò di gioia. Quella gioia che Dende aveva notato in lui, solo amplificata.

Non era stato solo per ricambiarlo, ma per qualcosa che alla fine era davvero ricambiato.

Piccolo sorrise, questa volta apertamente, senza alcuna paura di mostrarlo, cosa che ad Honey piacque terribilmente.

Piccolo si alzò senza dire niente, si tolse il mentello e lo posò a terra, per evitare che il legno si rompesse per il suo peso e lo stesso fece con il suo copricapo.

-Che fai?

Il nammecciano non rispose e si voltò verso di lei.

-Non sapevo che avessi...- mormorò lei indicandosi la fronte.

Probabilmente si stava riferendo alle antenne non visibili con il suo copricapo in testa.

-Si, bè, sai, sono un alieno, no?- le chiese quasi divertito, mentre lei sorrideva da quella affermazione.

Eppure il suo sguardo non era cambiato di una virgola.

Piccolo le si sedette davanti, perdendosi per un lungo istante a fissarla negli occhi, a nuotare in quel mare scuro.

-Chiudi gli occhi.- le disse con una dolcezza che non gli aveva mai sentito nella voce.

Honey ubbidì, non capendo fino in fondo cosa volesse fare.

Aspettò per un istante insopportabile, reso così “agitato” per la consapevolezza di non sapere cosa avrebbe fatto.

Poi lo sentì: il respiro pesante di Piccolo le fu vicino al viso, poi le sue labbra entrarono in contatto con le sue.

Era la prima volta che luifaceva un gesto del genere per primo, facendole battere il cuore dieci volte più forte.

Non poteva finire così, non quella volta.

Honey voleva continuare a sentire quel bellissimo contatto.

Dischiuse appena le labbra, intenta ad approfondire il bacio.

Piccolo sembrò capire e lo fece pure lui.

Era ancora più bello così.

Honey passò una mano sulla nuca del ragazzo, il quale si lasciò trasportare da ciò che gli diceva l'istinto e, con molta delicatezza, intrufolò la mano nella sua maglia.

La pelle era morbida al contatto. Morbida e calda.

La sentì irrigidirsi quando, seppur con mano leggera, le sfiorava i lividi più grandi.

Piccolo sentì Honey indietreggiare, ma non per concludere quel bacio. Lui decise di seguirla, finchè lei non si fu sdraiata sul letto.

Honey prese a passargli una mano sul petto.

La ragazza si staccò un attimo e si tolse la maglia.

Era bellissima.

Questa volta Piccolo l'aveva notato. E in un essere umano.

Aveva diversi tagli, lividi e vecchie cicatrici, ma in quel momento proprio non ce la fece ad arrabbiarsi.

Si ripersero per un altro interminabile istante a fissarsi negli occhi, come incantati dalla profondità.

-Grazie mille, Piccolo.- le sussurrò in un orecchio.

Quelle semplici e poche parole dissero più di un monologo.

Piccolo sorrise di nuovo, ormai completamente in balia alla felicità di cui parlava Dende.

 

La notte è sempre stata testimoner di moltissime cose, aveva visto tutto il dolore e il rancore di quella sera, ma aveva anche visto la gioia di due persone con un triste passato, che solo unendosi avevano scoperto. 

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Capitolo 9
*** Attenzione. ***


  Ci metterò un pò a mettere il nuovo capitolo, spero di metterci meno del previsto, ma gli esami si avvicinano e spero di fare del mio meglio.
Baci
$candalous.

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Capitolo 10
*** Pensieri di una mattina stupenda. ***


 

Il cinguettare degli uccellini riempì l'aria, e le prime luci dell'alba iniziavano a filtrare dalla finestra.

Gli umani non si alzavano mai a quell'ora, neanche di fronte a suoni così stupefacenti e magici.

Gli umani non avevano un udito così fine, o lo avevano perso con il passare delle ere.

E questo valeva per tutti.

Honey non faceva eccezione: dormiva beata di fianco a lui, rannicchiata contro il suo petto e con un'aria incredibilmente serena sul volto.

Era stata la notte più bella di tutta la sua vita.

Una notte magica, piena di mille emozioni diverse, sepolte che non credeva possibile che venissero a galla.

Eppure lei ci era riuscita. Gli aveva rivelato un nuovo mondo, uno in cui non c'erano battaglie, sangue, rivalità, problemi con il mondo esterno... c'erano solo loro due.

Non poteva chiedere di meglio.

Honey si mosse appena, ancora nel sonno, rannicchiandosi ancora di più contro di lui, mentre il lenzuolo le lasciava scoperte le gambe bianche e affusolate, segnate da qualche livido violastro.

La sera precedente non sembrava neanche essere mai esistita, nonostante i segni, che apparivano più sbiaditi nella felicità di quella mattina.

Era la prima volta che la vedeva così. Era la prima volta che vedeva una donna così.

E se fosse stata sempre lei, ci avrebbe fatto volentieri l'abitudine.

I capelli viola le ricadevano scomposti e un po' arruffati sul volto, rendendola comunque bellissima.

Ora era sua, solo sua.

La strinse a se, felice di sentire l'odore del miele invadergli le narici.

L'abbracciò come se non volesse più lasciarla, quasi a volersi fondere con lei.

Come al solito Dende aveva ragione: era innamorato.

Innamorato della donna più unica di tutto l'Universo.

Come aveva fatto per tutto quel tempo a vivere senza mai scoprire lei e l'amore?

Era così bello...

Forse era per quello che Goku era sempre felice: amava Chichi. E avevano anche dei figli.
Forse anche quella era una grande gioia. Ma per il momento preferiva non sperimentarla.

Però forse non era un amore così profondo: lui aveva preferito restare nell'aldilà, piuttosto che tornare da lei e da Gohan.

Chissà se sarebbe tornato, a sapere della nascita di Goten...

Anche Vegeta era innamorato, o almeno così adesso gli sembrava, ora che lo aveva sperimentato pure lui.

Vegeta era freddo e imperturbabile, orgoglioso e testardo, eppure anche lui era migliorato da quando stava con Bulma, e soprattutto da quando era nato Trunks e aveva potuto vivere fianco a fianco con suo figlio del futuro.

Insomma: sembrava che i figli contribuissero molto...

Non ci volle pensare.

Anche lui non era questo sole di allegria con la gente e con i suoi compagni, ma con Honey era premuroso e gentile. Magari anche il principe dei saiyan era così con la scienziata.

Diede un lieve bacio sulla fronte della ragazza, ormai pieno di tutte le smancerie che conosceva, per i suoi standard.

Eppure Bulma e Chichi erano felici delle loro vite e di come le soddisfavano i loro uomini.

Certo, però non si poteva dire che fosse una passeggiata: Chichi era molto sconvolta per la morte del marito, anche se non lo dava spesso a vedere. Aveva sopportato ogni genere di situazione per Goku, tutte portatrici di grande tensione e stress, per il fatto che il marito e il figlio fossero continuamente in pericolo.

E poi chissà cos'aveva provato a sapere della morte di Goku.

Si irrigidì di colpo a quel pensiero.

Si, anche lui era sempre esposto a tutti quei nemici. E lui, a differenza dei saiyan, era più debole, e rischiava più spesso la vita.

Un giorno anche lui sarebbe morto in battaglia, ne era certo, anche se ora regnava la pace sulla Terra.

E lei? Lei sarebbe stata così persa di lui da restarle a fianco anche in quella situazione?

Ma anche se fosse stato, lui non avrebbe mai sopportato di vederla soffrire di nuovo, specialmente se era lui la causa.

Lui l'avrebbe sempre voluta al suo fianco, pronta a sostenerlo sempre, ma non vedendola distrutta dalle situazioni in cui lui era coinvolto. Distrutta nel vedere la fine della sua vita.

A questo punto la strada si separava in un bivvio: il combattimento o Honey? La guerra o l'amore?

Lui avrebbe dato tutto per lei, ne era certo, ma non avrebbe mai rinunciato completamente alla lotta, all'adrenalina che scatenavano i combattimenti, agli estenuanti allenamenti per superare rivali che ormai sono irraggiungibili, a imparare nuove tecniche solo per compiacere se stesso... No, non avrebbe mai potuto abbandonarlo seriamente.

Lui era nato nella battaglia e sarebbe morto lì. Anche lui, come i saiyan, voleva continuare così, seppur la vita pacifica non gli dispiacesse.

Forse nemmeno per Honey ci avrebbe rinunciato...

La sera prima era certo del contrario, ma adesso sapeva che non era così. Sapeva quanto fosse importante per lui.

La ragazza si mosse di più tra le sue braccia e poi aprì piano gli occhi, che si posarono subito sulla sua figura verde.

Sembrava un po' spaesata nel vederlo lì e nell'accorgersi di essere nuda sotto le lenzuola.

-Buongiorno.- le disse lui sorridendo.

A quel punto ricordò tutto e sorrise timidamente a sua volta, mentre le guance le si arrossarono, un po' imbarazzata:-Ciao.

-Dormito bene?- le chiese stringendola ancora di più.

Lei gli passò un dito sulle labbra e il resto della mano sulla guancia.

-Uhm... dormire è una parola grossa.

Piccolo sorrise a quell'affermazione. Aveva ragione, avevano fatto tutto fuorchè dormire!

E anche se erano un po' assonnati, non importava più di tanto, ora che erano svegli e insieme.

Persero i soliti secondi interminabili a fissarsi negli occhi.

Lui si avvicinò con il viso e la baciò.

Quando fece per staccarsi, lei fu più veloce e gli imprigionò il viso con le mani, continuando a baciarlo, come se fosse l'ultima volta che l'avrebbe potuto fare.

Piccolo non fece niente per togliersi da quella situazione, ma anzi, si posizionò in modo da essere sopra di lei con il busto.

Ora che sapeva tutto di Honey e che aveva diviso con lei emozioni intensissime, non poteva più trattenersi tanto.

Lei lo accettava così, nonostante il suo corpo presentasse caratteristiche diverse da quello umani, come la pelle.

I due smisero di baciarsi e ripresero a fissarsi.

-Sei bellissimo.- gli disse lei piano, poggiando la fronte contro la sua.

Il nammecciano trattenne una risata a quella affermazione, e dalle sue labbra uscì solo uno sbuffo divertito.

-Che c'è?

-No, scusa. È che fa strano che una persona mi definisca così e non muso verde, o persona con una brutta cera...

Honey ridacchiò.

-Tu sei bello in altri modi. Tu hai quella bellezza che nessun terrestre o umano possiede. Hai quelle caratteristiche, fisiche e psichiche, che non ho mai visto in nessuno.

Gli diede un altro bacio a fior di labbra, mentre lui si perdeva in quel dolce contatto che sapeva di miele.

-Penso di non aver mai visto uno come te.

-E' una buona cosa?

Lei sorrise, sfiorandogli una guancia:-Mi pare ovvio.

 Ripresero a baciarsi lentamente, da far battere il cuore rapidamente ad entrambi, da fargli voler star così per sempre.

Da voler scoprire di essersi innamorati l'uno dell'altra di nuovo, come se non lo avessero mai capito.

 

-Dai vieni! L'acqua è fantastica!

Dopo aver passato la mattina a letto, a parlare e a scambiarsi effusioni amorose, i due si erano rivestiti ed erano andati giù alla cascata, intenti a passare anche un bel pomeriggio.

Quel giorno faceva particolarmente caldo e Honey aveva proposto di fare un bagno.

Ora era lì in mezzo alla corrente in biancheria, che lo incitava a seguirla.

-Non mi pare il caso.- cercò di convincerla lui.

Non ne capiva il motivo, ma non aveva voglia di bagnarsi.

La ragazza si mise le mani sui fianchi, lanciandogli uno sguardo di sfida:- Non mi dirai che non sai nuotare, vero?

-Ma certo che so nuotare! Che domande fai?

-Bè, non sembra che tu lo sappia fare, visto il comportamento.

Piccolo rimase fermo a guardarla, con un sospiro.

Honey attraversò la corrente a falcate, fino ad arrivare dal nammecciano.

-Dai, per favore!- gli chiese prendendogli la mano.

Mentre stava per dirle qualcosa, si accorse di due presenze che stavano venendo verso di loro. Due presenze umane.

Si alzò in piedi di scatto, mentre la rabbia gli stava già ribollendo dentro, al pensiero che potesse essere il padre di lei.

-Che c'è?- chiese Honey dietro di lui, uscendo dall'acqua.

-Sta arrivando qualcuno.- disse lui piatto.

A quelle parole la ragazza riprese a vestirsi, più per non far vedere i suoi segni di violenza che per vergogna di farsi vedere in biancheria.

Dagli alberi spuntarono due uomini alti con una divisa. Una divisa da poliziotti.

Honey ci sapeva fare di più con i normali esseri umani, quindi passò davanti a Piccolo, il quale era lievemente sorpreso, e andò da loro.

-Salve, agente. È successo qualcosa?- chiese in modo più formale che le riusciva.

-E' lei Honey?- le chiese il più alto, stringendo tra le mani una foto che non le era permesso vedere da quella visuale.

Piccolo nel frattempo si era avvicinato, nel caso fosse successo qualcosa e lui avrebbe dovuto proteggere Honey.

-Si, sono io.- da quella domanda aveva compreso che la foto doveva raffigurare lei.

L'altro prese la radiolina legata alla cintura e comunicò qualcosa in codice.

-Vi serve qualcosa?- domandò Piccolo con aria fin troppo minacciosa, che fece quasi indietreggiare il poliziotto con in mano la foto.

-Ieri sera dei suoi vicini hanno detto di aver sentito delle urla e dei rumori sospetti. Uno di loro ci ha chiamati, dicendo che era già da tempo che succedeva nella sua casa. Quando siamo arrivati abbiamo trovato suo padre con il viso messo molto male e lei sembrava essere scomparsa. Abbiamo controllato le informazioni riguardante suo padre e lui aveva la fedina penale sporca, un passato di droga e ultimamente sembra saltato fuori che abbia ucciso un uomo.

A quest'ultima informazione la ragazza rabbrividì, non sapendo niente di questo dettaglio. Anche se da suo padre se lo sarebbe aspettato.

-Inoltre ci è stato rivelato che lei usciva spesso di casa e che ogni volta aveva diverse ferite sul corpo, segni di violenza domestica.- disse passando gli occhi sui suoi numerosi segni del viso e del collo.
Honey si passò d'istinto una mano sul collo, per cercare di coprire i segni del tentato strangolamento.

-E, visto che era sparita di recente, c'era la possibilità che l'avesse uccisa e avesse occultato il cadavere. Quindi siamo venuti qui nel bosco per cercare probabili segni di sepoltura. Ma grazie al cielo vi abbiamo trovato qui viva e vegeta.- commentò l'altro.

-E... e ora?- chiese un po' timorosa, prendendo Piccolo per un braccio.

-Suo padre è stato arrestato, signorina, e non potrà farle più del male.

A quella notizia Honey strabuzzò gli occhi, non credendo a quelle parole.

Basta violenze. Basta suo padre. Basta giornate immersa nella paura fin sopra ai capelli.

Tirò un sospiro di sollievo, incrinato da un singhiozzo di pianto di gioia, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Quello era un sogno. Doveva essere assolutamente così.

Anche Piccolo si sentiva più leggero.

Ora Honey era salva e poteva tornare ad avere una vita normale.

Quella consapevolezza gli diede una stretta al petto: lei era rimasta con lui proprio perchè i problemi con il padre si potessero risolvere, ma adesso che tutto era finito bene cosa sarebbe successo tra loro? Cosa ne sarebbe stato di ciò che avevano passato e condiviso insieme?

Le mise una mano sulla spalla, per farla voltare nella sua direzione, mentre lei era troppo sconcertata da tale notizia per reagire da sola.

-E' tutto finito Honey. Ora è tutto a posto.- le disse con il sorriso più sincero e che non lasciasse trasparire i suoi pensieri che gli riuscì.

La ragazza allora scoppiò in un pianto di sollievo, con la voce singhiozzante; nel sentire quelle parole da un'altra persona aveva come capito che era tutto vero e che non stava sognando, rendendola ancora più felice, mentre Piccolo la stringeva a sé, cercando di farla ricomporre, anche se forse ne aveva più bisogno lui, visto il casino che gli era scoppiato nel cuore. 

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Capitolo 11
*** La partenza. ***


 

Dopo tanto tempo era riuscito a meditare senza tanti intoppi, nella pace del Palazzo del Supremo.

Ora che Honey era a posto era meno ansioso di vedere se aveva nuovi segni sul corpo o se fosse felice, perchè sapeva alla perfezione che lo era.

Erano passati cinque giorni, nei quali la ragazza era stata data in affidamento ad una lontana amica di famiglia, la quale aveva un compagno ma zero figli, che avevano sempre desiderato.

I suoi segni della violenza domestica sembravano sbiadirsi ogni giorno di più, come se respirare quella nuova aria non opprimente le stesse dando benefici.

E il suo viso aveva anche preso più colore, e le occhiaie che aveva di solito erano sparite quasi del tutto.

Per Honey quello era un ottimo nuovo inizio.

Adesso andava a scuola e da lassù lui vedeva che rideva di più con i compagni e che era più felice, meno tesa.

Avevano avuto gli esami finali e alla fine era uscita con ottimi voti, o almeno da quello che aveva capito.

Adesso si vedevano al pomeriggio, dove stavano insieme, parlavano, andavano alla cascata. Insomma, le solite cose, solo senza orari e paura di essere beccati da quel padre non degno di tale nome.

Honey aveva anche voluto presentarlo ai suoi nuovi genitori, come il ragazzo che l'aveva aiutata, omettendo ovviamente tutta la storia del nammecciano, de Supremo e tutto il resto.

Quei due sembravano brave persone, sempre sorridenti e dolci e anche un po' in carne. Un altro tipo di umani che Piccolo non avrebbe mai capito.

Solo Honey capiva, ma solamente perchè ne era innamorato,a suo parere.

Quei due all'inizio erano stati un po' diffidenti, dato l'aspetto del nammecciano, però alla fine l'avevano reputato una brava persona, visto che aveva tolto Honey dalle grinfie di quell'uomo.

Ma, come quei signori erano stati diffidenti con Piccolo, Honey lo era con loro, non ancora abituata a degli adulti normalie amorevoli e ancora spavenata da possibili reazioni o scatti violenti di quelle persone.

Sorrise, tornando a terra e sedendosi sui gradini del Palazzo.

Eppure non riusciva ancora a rimanere calmo o a tenere la mente svuotata: continuava a pensare a Honey, nel bene e nel male.

-Piccolo.- Dende lo richiamò dal bordo della piattaforma, mentre guardava giù.

-Si, cosa c'è?- gli chiese alzandosi.

-C'è Honey qua sotto.

A quelle parole reagì automaticamente e saltò giù, pronto a rivederla.

Atterrò proprio di fronte a lei, la quale gli saltò in braccio e lui la prese al volo.

Honey gli prese il viso tra le mani e lo baciò, con un sorriso ancora stampato sulle labbra.

Quella bocca ora era così liscia e morbida, quasi guarita del tutto.

-Ciao.- gli disse lei appoggiando la sua fronte a quella di lui.

-Ciao, Honey.- le disse lui piano baciandola di nuovo, sempre tenendola in braccio.

Quando anche quel bacio finì lei lo guardò seria.

-Dobbiamo parlare, Piccolo.- gli disse con tono quasi grave.

Si preoccupò un poco a tal parole, ma non lo diede a vedere.

-Okay, cosa mi devi dire?- le chiese rimettendola giù.

Honey si appoggiò con la schiena all'obelisco, guardando Piccolo negli occhi.

Sospirò.

-Tra due giorni parto.- arrivò dritta al punto.

Non ne capiva il motivo, ma a Piccolo non piacquero per niente quelle parole.

-E dove vai?- chiese, cercando di rimanere naturale.

Lei abbassò gli occhi, un po' timorosa.

-Sono stata promossa all'esame. Ti ricordi cosa ti avevo detto, quando ci siamo conosciuti?

Piccolo scosse la testa, pensando che erano molte le cose che si erano detti.

Honey sorrise, un sorriso che divenne subito serio.

-Vado al college, Piccolo.

Il nammecciano rimase in silenzio.

Ora ricordava tutto.

Lei cercava di andare bene a scuola per andare nel college più lontano da casa, vincendo una borsa di studio, visto che non era ricchissima.

E, anche ora che tutto era passato, lei voleva ancora andarci.

-Quant'è distante da qui?

-Un po'...

Honey tenne lo sguardo basso.

-Quanto tempo stara via?- era quella la risposta che Piccolo temeva di più.

Allora lei alzò lo sguardo, già velato di alcune lacrime.

-In teoria poco più di cinque anni. Però...

-Però cosa?- chiese più allarmato di quanto volesse dare a vedere, avvicinandosi a lei di qualche passo.

Lei inspirò a fondo.

-I miei nuovi genitori si trasferiscono lì per starmi vicino, per darmi supporto. Noi vivremo li.

No, non poteva essere.

Lui aveva aspettato per tutta la vita una persona come lei, e ora la stava per perdere così in fretta.

Non voleva lasciarla andare, non voleva che lei non tornasse più.

Non voleva che lo dimenticasse.

Si sentì quasi gli avesse dato uno schiaffo. E non faceva male perchè era abbastanza forte da ferirlo, ma perchè era lei a darglielo.

-Piccolo, mi dispiace, ma è da sempre il mio sogno andare al college, avere una vita normale e studiare come tutti, senza intoppi familiari.- gli disse avvicinandosi e accarezzandogli un braccio.

Già, lei aveva ragione: Honey voleva una vita normale. Una cosa che con lui non avrebbe avuto di certo.

Non sarebbe mai riuscito a scegliere tra lei e la guerra, ma ora era lei che stava scegliendo di abbandonarlo.

Lei stava scegliendo la vita di un qualunque essere umano.

Strinse forte i pugni, finchè non li sentì scricchiolare.

Honey lo notò e si ritrasse.

-Va bene così.- le disse con un grande sforzo, smettendo di stringere il pugno.

-Tu vuoi una vita normale. Vuoi una cosa che con me non avrai di certo.- lo disse con una nota amara nella voce.

Honey gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla.

-Piccolo, tu mi avevi fatto una promessa, una che hai mantenuto. Ora io te ne faccio una che manterrò.- gli disse decisa.

-Un giorno io tornerò. Tornerò e staremo insieme. Non mi importa se tu mi dimenticherai, se adesso mi odierai per questa mia scelta o se tu sarai coinvolto in qualche battaglia. Ti prometto che ci rivedremo.

Lo baciò sulle labbra.

Che bel contatto.

Quella ragazza era in grado di leggergli dentro: sapeva che era un combattente, anche se non glielo aveva mai detto.

Però era davvero sciocca: come poteva credere che l'avrebbe dimenticata? Tutto, ma questo mai.

Anche se era ciò che più lui voleva, che lei tornasse, sentiva che era sbagliato: Honey doveva vivere quella nuova vita, doveva andare avanti, studiare, ridere con nuovi amici, tornare a casa alla sera dalla sua nuova famiglia... doveva anche innamorarsi di una persona normale, anche se ciò lo faceva sanguinare dentro in modo quasi perenne.

Forse lei sarebbe tornata, ma non sapeva se lui l'avrebbe accolta.

Lo faceva per il suo bene.

Un bene che gli costava tanto dolore.

 

I due giorni passarono in fretta e loro due non si videro, perchè lei doveva dare una mano a prepara i bagagli e gli scatoloni.

Alla fine lui fece come lei gli aveva chiesto: andò a salutarla dalla sua auto.

I suoi genitori stavano caricando le valigie e lei lo aspettava.

Magari non sarebbe venuto, perchè troppo arrabbiato da tale notizia.

Quando ormai sembrava perdere la speranza, eccolo lì, appena atterrato di fronte a sé.

-Ciao, Piccolo. Allora sei venuto...- gli disse senza alzare gli occhi.

In risposta Piccolo la attirò a sé, e lei, con un sorriso, gli mise le braccia intorno al collo.

-E' l'ultima volta che ci vediamo, no?

-Per un po' di tempo.- lo corresse lei.

-Honey, sei pronta? Dobbiamo andare!- le urlò la sua nuova madre.

Notò Piccolo e lo salutò con la mano.

-Devo andare.- gli disse.

Il nammecciano le prese la mano. Quanto gli sarebbe mancato quel contatto?

Però aveva preso una decisione, e avrebbe dovuto farci l'abitudine.

Per il bene di Honey. Solo per lei.

La ragazza gli strinse la mano con tutta la forza che aveva, mentre la vedeva stringere gli occhi.

-Vai. Non rinunciare al tuo sogno per me.

-Io non sto rinunciando al mio sogno. E non sto nemmeno rinunciando a te, anche se non puoi venire.

Lei non gli aveva mai chiesto se voleva andare con lei, però, sorprendendolo come sempre, aveva intuito che Piccolo non poteva cambiare vita e doveva restare al Palazzo del Supremo.

La donna la richiamò di nuovo e Honey si alzò sulle punte e baciò Piccolo un'ultima volta.

-Ci si vede, Piccolo.- disse mentre si avviava verso l'auto.

Il nammecciano non rispose, sapendo che non sarebbe successo niente di buono se l'avesse fatto.

Anche se Honey gli dava le spalle, vide comunque una lacrime scintillante scivolarle lungo una guancia e una mano che passava sugli occhi come per fermarle.

Sorpreso, si toccò una guancia che sentiva umida.

Non poteva crederci: lui, il figlio di Al Satan, stava piangendo. Stava piangendo per una donna umana. Esattamente come lei, donna umana, stava piangendo per un nammecciano come lui.

Seppur con espressione impassibile, lo stava facendo.

Solo che lei non poteva vederle cadere.

Ma quello, era il prezzo della sua decisione. 

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Capitolo 12
*** Di nuovo insieme, con tante sorprese... ***


 

Era stato così che si erano lasciati.

L'hanno seguente c'era stata la battaglia contro Majin Bu, ed era stata la battaglia più brutta di tutta la sua vita, sapendo che tra tutte le vittime poteva anche esserci lei.

Grazie al cielo con le Sfere del Drago avevano sistemato tutto, ma in una parte del suo io si era sentito colpevole, perchè non era stato lì per proteggerla e non aveva nemmeno tentato di portarla al Palazzo del Supremo, almeno per averla vicino e sapere che era viva.

Poi qualche anno dopo l'aveva vista: era sotto l'obelisco che lo aspettava.

Lui avrebbe tanto voluto scendere e andare da lei, riabbracciarla, poter di nuovo stare con lei e passare le giornate insieme, ma non poteva. Doveva seguire la sua scelta.

Honey l'aveva aspettato lì per due giorni, poi se ne era andata piangendo.

Era stata una scelta molto sofferta, ma era la più giusta.

Per lei aveva litigato molto con Dende, il quale gli ripeteva che doveva andare a trovarla, chiarire con lei ed essere felici insieme, perchè secondo lui Honey non era tipa da portare rancore.

Ogni tanto a Piccolo cadeva l'occhio sulla vita di lei sulla Terra, ma preferiva distogliere lo sguardo, perchè si sentiva un vigliacco che la spiava di nascosto quando non riusciva nemmeno a parlarci.

E così, tra battaglie, pace e incontri con gli amici, erano passati lentamente vent'anni.

Goku e sua moglie vivevano tra i monti Paoz con un Goten poco più che adolescente; Gohan e Videl si erano sposati e avevano avuto Pan, ora adolescente e cocca del nonno paterno; Vegeta e Bulma vivevano alle Capsule Corporation, mentre i genitori di lei erano morti da qualche anno, con un Trunks di un anno più grande di Goten e Bra, secondogenita, migliore amica di Pan e cocca del padre; Crilin e 18 vivevano alla Kame House con una Marron adolescente che si vedeva spesso con Bra e Pan... insomma: tutti erano felici.

Tutti tranne lui.

Eppure anche lui meritava la felicità, meritava l'amore e tutte quelle emozioni che a lui erano sconosciute e che solo Honey gli aveva esternato.

Però non voleva vederla soffrire, farle fare una vita di sacrifici, lui sempre in battaglia senza alcuna garanzia di ritornare...

Alla fine, però, aveva ceduto: doveva parlarci, darle una risposta esauriente e rispondere ai grandi interrogativi che probabilmente si era fatta su di lui.

Ci aveva messo vent'anni. Meglio tardi che mai, come dice il detto!

E di quella decisione Dende era stato molto contento, visto che Piccolo teneva solo a lei in quel modo.

Era perfettamente conscio che con ogni probabilità Honey si era fatta una vita, ma, per quanto male potesse fare, doveva parlarci.

Seguendo quella flebile aura, ma che emanava il calore di un piccolo Sole, trovò facilmente la sua abitazione.

Era una casa singola, con giardino e tutto.

Le case della Terra si somigliavano un po' tutte.

Chiuse gli occhi e si concentrò. Meno male: era sola in casa.

Andò alla porta e fece per bussare, ma il pugno gli si bloccò a metà.

Com'era possibile? Aveva paura? Dopo tutto ciò che aveva vissuto?

Eppure la mano bloccata lì, attraversata da un lieve fremito, diceva tutto il contrario.

Che idiota: era naturale che avesse paura!

Ma era una paura diversa da quella dei combattimenti: aveva paura della reazione di lei, di vederla soffrire nuovamente, di vedere il suo viso colmo di rancore...

Però non poteva essere di nuovo così codardo ora che era arrivato fin lì.

Con lo sforzo più grande di tutta la sua vita, bussò due volte con le nocche, mentre quel suono risuonava nelle sue orecchie, quasi a scandire i secondi che mancavano alla sua condanna.

Con il suo udito super sviluppato, udì dall'altra parte della porta dei lievi passi che si avvicinavano sempre di più.

Il cuore prese a battergli, la testa a girargli e gli montò al cervello un'insopportabile voglia di scappare, di trovarsi ovunque, fuorchè lì.

Ma che diavolo gli stava succendendo?

Seppur ben celate all'esterno, quelle sensazioni si stavano impadronendo di lui.

La maniglia si abbassò.

La porta si aprì.

I loro occhi, entrambi sorpresi, si incontrarono, raggelando il respiro di entrambi.

Era lei. Era proprio Honey.

Era invecchiata, certo, però era fin troppo chiaro che si trattasse della ragazzina di vent'anni di cui si era innamorato tempo addietro.

Il viso aveva quarant'anni, adesso, anche se portati splendidamente, i capelli ricci e viola ora erano corti, che arrivavano poco sotto la testa; i suoi occhi scuri non avevano perso la loro profondità e le labbra erano rosse come le ricordava.

Non sapeva per quanto tempo rimasero lì a fissarsi sbalorditi, ma fu lei a rompere il silenzio.

-Piccolo...

Il suo nome pronunciato dalle sue labbra lo colpì come un proiettile in pieno cuore.

-C-ciao Honey...- mormorò, sentendosi più vulnerabile che mai.

Il silenzio ricalò tra loro.

-Wow, quanto tempo...- commentò lei, tesa quanto lui.

La donna aprì di più la porta.

-Entra, prego, non stare lì sulla porta.- lo invitò lei con grande sorpresa del nammecciano.

Però sapeva che quell'invito era solo dovuto alla cortesia.

Ma ciò non gli importò ed entrò.

 

Honey stava preparando un tè e aveva messo a bollire l'acqua sui fornelli.

A Piccolo proprio non andava ne di mangiare ne di bere qualcosa in quel momento, però forse il fatto di farle preparare qualcosa avrebbe allargato i minuti che lo distanziavano dal discorso che avrebbe dovuto farle, dal loro chiarimento.

Invece di accettare il suo invito a sedersi a tavola, iniziò a camminare per il salotto e la cucina, osservando la casa in cui ora abitava e le sue particolarità.

Era abbastanza grande ed anche accogliente.

Tutti colori erano abbinati accuratamente, e lo stesso per l'arredamento e la scelta delle cornici delle foto.

Sui mobili ve ne erano di diverse.

Ne osservò alcune: ritraevano lei al college, con degli amici... e poi quelle più dolorose, ma alle quali si era già preparato: ve ne erano alcune con un uomo alto e biondo, con il quale si abbracciavano e ridevano e si guardavano in un modo molto simile a quello con cui si si erano guardati lui e lei. Erano ritratti in diversi posti e in diversi attimi.

E poi un'altra dolorosa alla quale non si era preparato affatto, perchè sapeva che per lui non sarebbe mai stato possibile e non l'aveva calcolato per un altro uomo: in alcune c'era Honey che teneva una bimba in braccio, che la coccolava, la allattava... e questa bambina veniva ritratta in diverse età e diversi attimi, da sola o con Honey e quell'uomo.

Prese la foto dove Honey era con l'uomo e con la bambina su una spiaggia e ridevano, abbracciandosi come una famiglia. Era davvero più felice senza lui tra i piedi e questra consapevolezza faceva male.

-Questa... è tua figlia?- non riuscì a evitarsi di chiederlo.

Honey uscì dalla cucina e andò verso di lui.

-Oh, Gyoko? Si, è la mia bimba.- disse abbassando gli occhi.

-E' una peste anche adesso che è grande. Di certo non ha preso da me.- continuò ironica, anche se a Piccolo non sfuggì quell'esitazione nella voce un po' sospetta.

Il nammecciano notò solo allora com'era vestita Honey: portava dei pantaloni bianchi leggeri e larghi, come quelli da yoga, e una maglia nera senza maniche a collo alto.

Le braccia il sottile materiale dei pantaloni mostravano come fosse migliorata in quegli anni, di come non avesse più segni di violenza e di come non si preoccupasse più di coprirsi.

Le uniche cose che erano rimaste del suo triste passato erano alcune piccole cicatrici presenti sulle parti scoperte, tra cui anche quella al sopracciglio che ricordava perfettamente.

La donna ritornò in cucina a finire ciò che aveva iniziato, continuando a parlare di qualcosa di poca importanza, come faceva i primi tempi in cui si erano conosciuti ed era tesa.

-Piccolo, il tè è pronto.- lo chiamò.

Il nammecciano andò in cucina, dove Honey aveva messo le tazze, i cucchiaini e lo zucchero e dove stava intingendo le bustine nelle due tazze fumanti di acqua calda.

Piccolo si sedette di fronte e iniziò a sorseggiare il tè senza alcuna attenzione al sapore, troppo concentrato su di lei.

-Allora, come mai sei tornato proprio adesso?- gli chiese lei di punto in bianco, mentre girava lo zucchero.

Nemmeno per lei era stato difficile immaginare il motivo per cui lui si era fatto vivo proprio in quel momento: voleva parlare.

-Ti dovevo parlare, Honey.

-E perchè proprio adesso? Perchè non quando sono andata sotto l'obelisco ad aspettarti anni fa?- chiese con una nota triste e scocciata nella voce.

Piccolo sospirò:-E' proprio di questo che ti volevo parlare.

-Ti ascolto.

Honey non provava rancore, glielo leggeva in quegli occhi che aveva imparato a conoscere, però era arrabbiata ed esigeva una spiegazione. E ne aveva tutte le ragioni.

Si era preparato quel discorso per tanto tempo, ora doveva solo esporlo.

Prese un bel respiro profondo ed iniziò.

-Honey, tu non meritavi la vita che avresti avuto con me. Tu meritavi qualcosa di meglio, come una vita normale. Meritavi un compagno normale, dei figli, una casa come tante... meritavi una vita dove non avresti dovuto più soffrire, dove non saresti stata più triste. Meritavi una vita che con me non avresti voluto.- si fermò, incerto su cosa dovesse aggiungere e se avesse dovuto aggiungere qualcosa.

Negli occhi della donna aveva visto un lieve sussulto, anche se non ci si era soffermato troppo.

Honey sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

-Stai dicendo di averlo fatto per me?- chiese infine.

Piccolo annuì, rigido.

La donna scosse la testa:-E' qui che sbagli Piccolo: tu l'hai fatto solo per te. Per il mio bene? Non è affatto vero, è solo una scusante. Io la mia decisione l'avevo già presa: sarei andata al college per quegli anni che sarebbero serviti, e poi sare tornata. E sai perchè?

Piccolo scosse la testa, tormentato da tutte quelle emozioni che gli passavano dentro.

Honey si alzò e si andò a sedere nella sedia vicino alla sua, a fissarlo negli occhi, come faceva in passato.

-Sarei tornata perchè volevo passare il resto della mia vita con te.

Il nammecciano rimase spiazzato:-Ma... ma ti saresti solo fatta del male...

Honey ridacchiò, una risata senza nulla di divertente.

-E secondo te me ne sarebbe importato qualcosa? Dopo tutto ciò che ho passato? Se tu mi amavi davvero, allora avresti dovuto capire che la mia felicità era ciò che contava. E la mia felicità era stare con te, Piccolo. Tu l'hai fatto solo per paura.

In bocca Piccolo sentì il sapore amaro dela verità. Come faceva quella ragazza, ora donna, ad avere sempre ragione?

E anche Dende aveva sempre ragione: gliel'aveva ripetuto per vent'anni che lo stava facendo solo per paura di passare il resto della vita con una donna. Lui non l'aveva mai ammesso, ma era così.

-Honey io...

I loro discorsi vennero interrotti dall'apertura della porta d'ingresso.

-Sono a casa!- era una voce di ragazza.

In cucina fece la sua comparsa una ragazza giovane, di all'incirca vent'anni, se non meno. Era alta e slanciata, il fisico che tutte le terrestri cercavano di ottenere ammazzandosi di diete e palestra. Aveva la pelle diafana, capelli viola come quelli di Honey, solo che i suoi erano lisci e lunghi, stretti in una coda che pendeva da un lato della testa. Naso all'insù, occhi nerissimi, più di Honey, viso ovale, labbra rosee. Portava una cannotiera bianca, con sopra una camicia a quadri rossa, jeans corti che non arrivavano neanche a metà coscia e scarpe con tacco vertiginoso. Borsetta costosissima a tracolla. Era truccata accuratamente, anche gli accessori erano scelti con cura, il che la rendeva bellissima.

Piccolo non ebbe bisogno di fare domande: quella non poteva essere altro che la figlia di Honey. 

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Capitolo 13
*** La verità di Honey. ***


 

-Gyoko! Sei tornata prima oggi!- esordì Honey sorpresa, dirigendosi verso la figlia.

-Si, ho finito prima. Domani mattina registrazione per lo spot del profumo e nel pomeriggio servizio fotografico per la nuova collezione estiva.

Gyoko si girò verso Piccolo e lo squadrò per una buona porzione di tempo, finendo con l'aggrottare la fronte non tanto convinta del suo aspetto, come ogni terrestre sano di mente.

-E vedo che sei in compagnia...

-Oh, si! Gyoko, lui è Piccolo, un mio vecchio amico.

Il nammecciano si alzò e andò a stringere la mano della ragazza.

-Piacere, Piccolo.

Gyoko gli strinse la mano con uno sguardo un po' schifato.

-Gyoko.

Honey le assestò una gomitata nelle costole e le lanciò uno sguardo di rimprovero.

A quella scena, che aveva allentato la tensione presente prima dell'arrivo della ragazza, Piccolo trattenne un sorriso.

Gyoko si che aveva reagito normalmente alla vista del nammecciano.

-Mi sorprende che tu abbia ancora un amico, mà.- disse la ragazza sinceramente sorpresa, anche se Piccolo non capiva a pieno quell'affermazione, ma non gli piaceva.

Honey non rispose, rimanendo rigida.

La ragazza tornò a fissare Piccolo:-Anche se non potevi avere come amico altro che l'ennesimo tipo strambo.

-Gyoko!- la riprese la madre.

La ragazza fece spallucce:-Vabbè, vi lascio soli.

Fece un gesto con la mano come saluto, mentre se ne andava:-Mi dileguo che è meglio.

I due rimasero da soli in cucina.

Honey sospirò:-Scusala, Gyoko ha la lingua lunga. Non sa proprio stare zitta.

-Non hai amici?- le chiese, rimasto colpito dalle parole della ragazza.

La donna si irrigidì per l'ennesima volta, quasi ci fosse qualcosa sotto quella storia.

Qualcosa che lui non doveva sapere.

-Bè.... si. Ma è una storia lunga e noiosa...

Si girò verso la parete, come per evitare l'argomento.

-Ah, è quasi ora di cena. Devo ancora preparare.

-Non è un problema, se vuoi...

Piccolo venne interrotto.

-Perchè non resti a cena con noi? Sai, non ci vediamo da tanto...- esitò:-E magari continuiamo a parlare della tua spiegazione. E, se ci tieni... ti... ti racconto la noiosa storia della mia cosiddetta solitudine...- disse passando una ciocca ribelle dietro l'orecchio, non tanto certa delle sue parole.

-Ah.. si, okay.

-Anche perchè è da tanto che te ne devo parlare...- aggiunse talmente piano che nemmeno il nammecciano la sentì.

Non gli importava tanto di mangiare, ma il fatto di poter allungare il tempo di permanenza con lei lo solleva un poco, quanto bastava per farlo stare meglio.

 

Piccolo diede una mano ad apparecchiare, mentre Honey si occupava di cucinare.

Non si parlarono granchè in quel lasso di tempo, perchè volevano parlare dopo, anche se Piccolo fremeva dal sapere cosa doveva raccontargli Honey.

Gyoko non si fece vedere in quel breve periodo.

Comunque sia Honey aveva proprio ragione: non somigliava per niente a lei. Forse un po' nell'aspetto, ma neanche.

Gyoko era più tagliente nei tratti e anche il taglio degli occhi era più duro e la pelle era più chiara.

Faceva quasi ridere la differenza che c'era tra madre e figlia.

Evidentemente ha preso tutto dal padre... pensò Piccolo riluttante.

-Gyoko! È pronto!- urlò Honey dal piano di sotto quando tutto fu pronto.

La ragazza arrivò vestita solo con una t-shirt nera, slip viola e calzini bianchi, con tanto di grandi cuffie al collo. Probabilmente stava ascoltando la musica in camera sua.

Piccolo si sentì un po' a disagio nel vederla mezza scoperta e cercò di distogliere lo sguardò altrove.

-Si ferma pure lui?- chiese Gyoko rivolta alla madre, riferendosi a Piccolo.

-Si, è da tanto che non ci vediamo e dobbiamo raccontarci un po' di cose.

Honey quella sera aveva preparato spaghetti al sugo di carne e petto di pollo con contorno di insalata, mentre per frutta c'era della macedonia.

Era sempre l'eccellente cuoca che ricordava, anche se il cibo umano non lo amava particolarmente e lo ingurgitava quasi a forza.

Durante la cena madre e figlia parlarono del più e del meno, di lavoro e di cosa era successo a conoscenti o persone del genere.

Piccolo non ascoltava molto, non riuscendo a smettere di chiedersi perchè Honey fosse ancora sola, nonostante fosse uscita da quel cunicolo buio che era la sua vita. Eppure lui ricordava di averla vista sempre in compagnia di ragazzi e ragazze, quelle volte che aveva sbirciato dal Palazzo del Supremo.

E poi anche Gyoko aveva qualcosa di particolare, di diverso, esattamente come la madre, solo che era differente da ciò che aveva Honey. Ma non riusciva proprio a capire di che cosa si trattasse...

Ma in fondo non era un dettaglio tanto rilevante, dato che non gli importava granchè di lei.

 

Finita la cena Piccolo diede una mano a sparecchiare.

Gyoko ritornò subito in camera, dicendo che non voleva essere in mezzo, visto che era chiaro come il sole che Piccolo e Honey dovevano parlare di cose loro.

La madre della ragazza, quando quest'ultima se ne fu andata, si sdraiò sul divano color crema, sorreggendo la testa con un braccio.

Piccolo decise di accomodarsi sulla poltrona di fronte, togliendosi prima il mantello e il copricapo, perchè scomodi per stare lì.

-Non mi sono mai abituata alle antenne...- commentò Honey con un sorrisino divertito.

Piccolo non riuscì a non sorridere:-Non ci vediamo da tanto, magari l'hai pure dimenticato...

Entrambi risero, dimenticandosi per un attimo di tutto il loro casino.

Era strano come la tensione si fosse allentata e tutto sembrasse normale.

Che ci fosse qualcosa sotto?

-Cosa intendeva allora tua... tua figlia, riguardo al fatto che sono il tuo unico amico?- usare la parola “figlia” faceva molto male, anche troppo.

Honey prese un bel respiro profondo. Era arrivata l'ora della verità.

Se per Piccolo era difficile ammettere che aveva avuto paura di innamorarsi ed avere una storia seria, lei aveva paura di rivelargli tutta quella cosa.

Ora era il momento.

-E' una cosa per la quale io non soffro poi così tanto, dato che ho affrontato situazioni peggiori completamente da sola, ma fa soffrire Gyoko. Ecco perchè ogni tanto ha quel caratteraccio.

-E per quale motivo siete solo voi due?

-E'... è per ciò che sa fare lei.

Piccolo le lanciò uno sguardo interrogativo, non capendo di cosa stesse parlando.

-Sin da quando era piccola, Gyoko sa fare cose strane, cose che normalmente un umano non saprebbe fare. Lei non ama che io lo dica, però devi saperlo. Alle volte succedeva a scuola o all'asilo, in particolare quando lei si arrabbiava o provava forti emozioni con bambini o maestre, e quindi i genitori non volevano che i loro figli giocassero o stessero in compagnia di una bambina così strana, quando loro tornavano a casa con lividi o graffi. Da allora per noi sono iniziati brutti tempi. Lei soffriva terribilmente la solitudine, e non sai quante volte faceva dispetti o feriva qualcuno per vendetta. Come potevo darle torto, anche se la sgridavo? E ha passato così tutti gli anni della scuola. Ora fa la modella e ha anche un buon successo. Nel frattempo frequenta l'università. Ora, per tutta questa fama e soldi, tutti la guardano con occhi diversi e cercano di farsela amica. Però lei non ci è mai cascata: non da confidenza a nessuno e guarda tutti con disprezzo. Sa che la trattano così solo per la sua fama. Nemmeno del suo staff si fida. Penso che l'unica amica che abbia sia io, come lei per me. Automaticamente il disprezzo nei suoi confronti si è ripercosso su di me, e così ho perso le mie vecchie amicizie, quelle allacciate al college. In fondo è meglio così: erano tutte false alla fine. Amicizie pronte a voltarti le spalle alla minima stranezza. Soprattutto se quella stranezza è tua figlia, il più grande amore della tua vita.- si bloccò, stringendo gli occhi per non piangere e rimandare indietro il groppo in gola.

Piccolo strinse i pugni: era da tanto che non si arrabbiava per la stupidità degli umani. Guardare così Honey e sua figlia solo per una stranezza.

-E di tutto questo tuo marito non dice niente?- chiese evidenziando quel nome, quasi a combattere il dolore che gli provocava.

Honey si accigliò:-Mio marito?- chiese stolidamente.

Si voltò a fissare le foto sui mobili, che Piccolo stava guardando con tanto odio da volerle quasi incenerire.

-Oh! Oh, Jory... Lui... lui se ne è andato di casa un anno fa...- mormorò in un soffio ad occhi bassi.

Era una cosa orribile, un padre che abbandona la propria famiglia, ma Piccolo si sentì un po' sollevato per quella notizia: Honey non stava con un altro.

-Vi ha abbandonate? E perchè? Per questa diffidenza da parte della gente?- chiese Piccolo accusatorio. Anche se era lui a parlare...

La donna scosse la testa piano.

-No. No, anzi: lui ci ha sempre dato una mano e ha sempre fatto di tutto perchè la gente non ci discriminasse. È sempre stato presente...

-Per quale motivo allora se ne è andato?- chiese insistendo, alzando la voce, non potendo credere che anche lui avesse abbandonato Honey.

-Per la verità.

-Eh?

-Ho conosciuto Jory al college. C'è stato subito feeling tra noi e me ne sono innamorata paraticamente subito, anche se molte volte litigavamo o non eravamo daccordo su qualcosa. Non abbiamo mai avuto segreti noi due. Un rapporto basato sulla fiducia. In poco tempo abbiamo avuto Gyoko e da lì sono iniziati i problemi. Ma lui non ci ha mai dato il nostro stesso peso: lui ci portava avanti, ci dava una mano ad uscirne sorridenti e a rialzarci. Niente poteva fermarlo. Niente apparte la verità. La verità sulle stranezze di Gyoko e su quei test che ho fatto più volte, convinta che ci fosse un errore, ma che alla fine il suo risultato era sempre lo stesso. Quando ha saputo la verità, si è arrabbiato, si è sentito uno stupido, e si è sentito tradito, così ha fatto le valigie e ci ha abbandonate. Per la prima volta gli avevo mentito.

-Quale verità sulle stranezze di Gyoko?- si sentiva risucchiato da quel discorso che non gli apparteneva affatto.

Honey sorrise, per niente contenta, con gli occhi bassi e velati di lacrime.

-Una volta Piccolo, una splendida volta, ma è bastata.

Piccolo non capiva affatto quelle parole, ma non gli piacevano, sentendo lo stomaco annodarsi.

Le parole della donna gli crearono un vuoto d'aria nel corpo e congelarono il tempo, quasi a voler assaporare il suo sgomento.

-Gyoko è tua figlia, Piccolo. 

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Capitolo 14
*** La decisione di Piccolo. ***


 

Per un attimo il tempo parve fermarsi.

Non sentiva niente. Tutto intorno a lui parve ovattato, a rallentatore.

Erano bastate quelle cinque parole così assurde alle sue orecchie, così impossibili, per stordirlo a tal punto.

Gyoko è tua figlia, Piccolo.

Era sbagliato. Era tutto sbagliato.

I nammecciani non erano nati per avere vita di coppia, non erano nati per portare avanti la specie, o almeno non in quel modo.

Eppure i nammecciani non erano nati neanche per essere un popolo combattivo, cosa che lui era.

Era un'eccezione della sua razza, perchè lui amava combattere. Ma lo era anche nella riproduzione?

Honey era sempre davanti a lui, su quel divano, e lo fissava implorante, in attesa di una sua reazione.

Piccolo si alzò di scatto, rovesciando quasi la poltrona su cui era seduto.

-E' assurdo! È impossibile!- urlò, più per convincere se stesso, che per reale convinzione del fatto.

-Noi nammecciani, per portare avanti la specie, vomitiamo uova con dentro il nostro figlio. E la mia razza è composta solo dal sesso maschile!

Honey si alzò in tutta calma.

-Evidentemente non è l'unico modo per avere figli che avete. Perchè sono più che sicura che Gyoko sia tua figlia. Quelle cose strane non le sa fare per caso, le sa fare perchè nelle vene ha anche il tuo sangue.- si avvicinò di più a Piccolo:- E' per questo che anni fa sono venuta sotto l'obelisco come promesso: per me potevi anche non volermi più, ma volevo chiederti almeno di prenderti le tue responsabilità da padre e di passare del tempo con lei.

Piccolo ricordava di averla sentita dire qualcosa quella volta, sottovoce, ma non era riuscito a comprendere. Si sentiva così idiota, ma nonostante ciò cercava di negare con tutte le sue forze.

Di nuovo per quella paura.

-Honey, quei test umani non sono precisi. Sicuramente Gyoko è figlia dell'uomo che fino ad un anno fa era tuo marito.

-E io ti dico di no.- insistette.- Ma l'hai vista? Quei tratti duri, gli occhi, il naso... lei è uguale a te. Mi ha ricordato te per vent'anni.- gli si avvicinò ancora di più:-Per vent'anni ho visto i tuoi occhi sul suo volto. Per questo forse, non ti ho mai dimenticato.- l'ultima frase l'aveva detta in un sussurro, abbassando la testa, la voce incrinata appena dalle lacrime che minacciavano di arrivare.

Piccolo continuava a scuotere piano la testa, quasi servisse a smentire tutta quella verità.

-Per tutti questi anni non ne ho mai saputo niente...- continuò a testa bassa, quasi a giustificarsi.

-Ma ora lo sai!- Honey si passò una mano tra i capelli, sbuffando frustrata:-Quanto ancora vuoi tenere gli occhi chiusi alla verità, Piccolo? A tutta la verità. Come puoi continuare a negare dopo tutte queste certezze? Credi forse che così risolverai qualcosa? Credi che “aggirando il problema” sarà come se esso non esistesse? La vita non è così! È finito il tempo per pensare solo a se stessi. È cominciato quello per prendersi cura degli altri, a iniziare da tua figlia!

Quel discorso Honey l'aveva fatto praticamente urlando, mostrando tutta la frustrazione che aveva accumulato in quegli anni.

Piccolo non l'aveva mai vista così arrabbiata.

Si massaggiò le tempie, sospirando:-Scusa, non era con questo tono che volevo farti questo discorso...

-Honey...- iniziò Piccolo.

Dalle scale arrivò il rumore dei passi di Gyoko.

La ragazza arrivò a metà scala e si fermò. Aveva in dosso una camicia da notte nera che arrivava poco sotto le mutandine.

Sul suo volto vi era uno sguardo perplesso.

-Gyoko...- mormorò la madre.

-Ti ho sentita urlare, mà. È successo qualcosa?- lanciò uno sguardo accusatorio a Piccolo:- Tu le hai fatto qualcosa?

-No, no, tranquilla. Questioni... questioni tra adulti...- tentò Honey.

-Mi sembra il caso che ora io vada.- annunciò di punto in bianco il nammecciano, non potendone più di quell'aria che si era andata a creare.

Raccolse mantello e copricapo e si avviò verso la porta d'ingresso.

-Piccolo!- lo chiamò Honey, sentendo i suoi lievi passi raggiungerlo.

Il nammecciano decise di ascoltarla per un'ultima volta, sapendo che poi gli sarebbe scoppiata la testa.

-Adesso capisco che hai bisogno di tempo per pensarci, ma ti prego, non sparire di nuovo per così tanti anni.

Piccolo prese un respiro profondo, sapendo quanto lei avesse ragione.

Annuì con forza, facendo un grandissimo sforzo. Ma questa volta l'avrebbe fatto. Non sarebbe scappato. Certo, ci avrebbe messo un po' per “riprendersi”, ma sarebbe tornato.

O almeno, ci avrebbe provato.

-Lo prometto.- disse prima di aprire la porta e volare nella notte stellata.

Curioso come il destino ce l'avesse con lui: vent'anni prima lui aveva volato in quel cielo stellato con in braccio Honey, portandola alla salvezza. E adesso, invece, volava da solo, sconfitto proprio da lei stessa.

La donna si chiuse la porta alle spalle, appoggiandocisi e passandosi una mano fra i capelli.

Avrebbe tanto voluto scappare, urlare, fare qualsiasi cosa, ma non essere lì. Si limitò a sbuffare, e già lo considerò un gesto molto liberatorio.

Gyoko intanto aveva sceso le scale e l'aveva raggiunta, con uno sguardo preoccupato che non si addiceva molto alla sua personalità.

-Mamma, va tutto bene?

Honey sospirò, per riprendere la calma. Era il momento anche per lei.

Sarebbe stata odiata due volte da due persone diverse in un giorno, ma a questo punto non importava più.

-Siediti, Gyoko. Ti devo parlare di una cosa molto importante.

 

In pochissimi minuti era arrivato alla residenza del Supremo, dove Popo stava rinfrescando un'ultima volta le piante prima di andare a dormire.

-Bentornato, Piccolo.- lo salutò il servitore del supremo con la sua solita voce neutra.

Ma il nammecciano non gli stava dando grande ascolto.

Fissava per terra, mentre tutti gli eventi di quella sera continuavano a passargli per la mente e tutte le parole di Honey continuavano a rimbombargli nelle orecchie come fossero campane.

Sentì i passi di Dende che lentamente si avvicinavano a lui, fino a vedere le sue scarpe nel suo campo visivo.

Alzò lo sguardo: il giovane nammecciano era davanti a lui, con le mani infilate nelle ampie maniche della tunica per proteggerle dall'aria notturna che stava diventando sempre più fredda.

Non disse niente, continuando a fissare lo sguardo serio del Supremo.

Finchè quest'ultimo non parlò.

-Dalla tua espressione cupa, direi che Honey te ne ha parlato...

Quelle parole lo risvegliarono dal trance, facendogli fare un piccolo sussulto.

-Dende. Tu lo sapevi...?

Il giovane annuì lentamente, sempre serio.

-L'ho osservata diverse volte, in questi anni, e non mi è stato difficile vedere che era già incinta prima che si fidanzasse con quello che ora è il suo ex marito. È soprattutto per questo che volevo che tu andassi da lei: dovevi prenderti le tue responsabilità di padre, no?

-Perchè non me lo hai mai detto?- gli chiese ormai incurante di risultare sconvolto.

-Volevo che lo scoprissi da solo. E poi te e lei avevate tante cose di cui parlare. Non volevo intromettermi in una faccenda che riguardava te. Ho solo cercato di aiutarti, di spingerti a fare la cosa giusta.

Piccolo rimase in silenzio, non sapendo più che dire. Sapeva che Dende aveva ragione, ma adesso ce l'aveva anche con lui.

In quel momento ce l'aveva con il mondo, voleva solo sfogarsi.

Per Honey. Per Gyoko. Per Dende. Per tutto.

-Cos'hai intenzione di fare adesso, Piccolo?- gli chiese Dende guardandolo negli occhi.

Piccolo scosse piano la testa.

-Io... io non lo so.- rispose piano.- Sono successe troppe cose in un solo giorno. Honey, sua figlia...

-Nonchè tua figlia.- gli ricordò Dende.

-Piccolo, tu sei sempre stato saggio e sempre in grado di distinguere il bene dal male. Non lasciarti condizionare questa volta dal fatto che è una cosa più che singolare per te, per il fatto che sei padre e non l'hai mai saputo e che tutto ciò è successo in parte non per tuo volere.

Gli mise una mano sulla spalla.

-Prenditi le tue responsabilità, Piccolo. Prenditi un po' di tempo per pensarci, ma non lasciare di nuovo Honey da sola. Sostienila e recupera quel rapporto con Gyoko.

Recuperare. Come poteva recuperare un rapporto che non c'era mai stato?

-Perchè?- non riuscì a fermare quella domanda così stolta e senza senso, aspettandosi un'altra domanda da Dende.

Ma non fu così.

-Tu la ami ancora.- affermò il Supremo con un lieve sorriso triste.

Quelle parole lo congelarono. Era una certezza che non aveva mai voluto riportare a galla, eppure Dende aveva ragione: Honey rappresentava ancora qualcosa per lui. Era ancora quella povera e fragile ragazzina incontrata anni prima che gli aveva mostrato il mondo umano con occhi differenti.

Già, l'aveva abbandonata una volta per una sua debolezza, per il suo egoismo.

Voleva ancora lasciarla da sola, a portare avanti con fatica la sua vita e quella di sua figlia?

No, certo che no.

Lui voleva rivederla guardarlo negli occhi con quello sguardo che ricambiava i suoi sentimenti, voleva vederla sorridere, avere quelle reazione assolutamente normali al fatto che lui non fosse umano, vederla baciarlo fin troppo audaciamente, per poi vergognarsi come una ladra...

Doveva riprendersi la sua donna. A qualunque costo.

Piccolo annuì all'affermazione di Dende, sempre con la stessa flemma, ma adesso aveva una nuova luce nello sguardo, sicuro di ciò che avrebbe dovuto fare.

Il Supremo gli diede una pacca sulla spalla, sorridendo.

-Ora vai a riposarti. Penserai domani a cosa fare. Hai bisogno di fare ordine nella tua testa, no?

-Si, ho bisogno di pensare a cosa fare.- affermò dirigendosi dentro il Palazzo.

Avrebbe mantenuto la promessa fatta ad Honey: avrebbe fatto qualcosa per Gyoko.

E avrebbe fatto anche qualcosa per Honey. L'avrebbe resa di nuovo felice. L'avrebbe ricondotta a sé.

Sto promettendo la promessa di anni fa, Honey: sto tornando da te. 

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