Backgrounds

di Depeep
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di nascosto ***
Capitolo 2: *** Anniversario ***
Capitolo 3: *** Come i grandi ***
Capitolo 4: *** Paura di un no ***
Capitolo 5: *** Farfalla agrias ***
Capitolo 6: *** Tetto di nuvole ***
Capitolo 7: *** Senza risposte ***
Capitolo 8: *** Cameratismo ***



Capitolo 1
*** Di nascosto ***


Capitolo 1: Di nascosto (Soul Eater Evans)

Il bambino aprì la porta con fare incerto, guardandosi intorno, come se dietro avesse dovuto nascondersi uno dei tanti fantasmi che continuavano a perseguitarlo. Un cigolio sinistro risuonò nella grande casa vuota, senza ottenere conseguenze, e il bambino sospirò sollevato. Era andato via. Finalmente. Scese le scale a piedi nudi, avvertendo il freddo del marmo sotto di sé.
Giunse nella grande sala al centro della casa, dove troneggiava, con modesta imponenza, un pianoforte a corda nero, che si distingueva in quel luogo sfarzoso ma anonimo, quasi inconcepibile per un bambino come lui. Accarezzò lo strumento, come se fosse un amico da consolare. -Adesso non preoccuparti- mormorava -ci sono io qui.
Posò delicatamente una mano sulla tastiera, indugiando un po', forse per l'emozione, come se fosse stato un pianista alla sua prima esibizione. Suonò una nota insicura, e ritirò la mano come se si fosse scottato. Sospirò, e tentò di nuovo. Non si sarebbe tirato indietro.
 
Un motivetto, triste ma impetuoso, come l'anima del ragazzino. Succedeva sempre così. Lasciava danzare le sue dita sui tasti senza preoccuparsi del resto. La sua musica era una compagna di vita, bistrattata e incompresa come lui, d'altronde. Il pianoforte il suo più caro amico, era ciò che gridava i sentimenti del ragazzino quando lui, per mancato coraggio, non li esprimeva.
Gli piaceva suonare. Gli piacevano quei momenti in cui, da solo, poteva tirare fuori tutti i suoi pensieri, e riflettere sulla sua realtà.
Non c'era quasi nulla di empirico, in fondo, nulla che potesse essere realmente provato; e allora perché intestardirsi su ciò che andava bene e su ciò che, invece, non andava e basta? Lui non andava. Non andava agli altri. Ma questa era la loro realtà. Non la sua. La sua era un mondo inaccessibile ai più, e a lui andava bene così.
 
Lontano, un rumore sordo interruppe i suoi pensieri. Una porta che si apriva.
-Ehi, Soul, sono Wes! Sono tornato.
Qualcosa di pesante cadde a terra, producendo un tonfo.
Il volto del bambino si rabbuiò. Non voleva vedere il fratello, non in quel momento.
-Soul?
Prese a salire piano i gradini che lo separavano dalla sua stanza.
-Soul!
Chiuse lentamente la porta dietro di sé, trattenendo il respiro.
-... Starà ancora dormendo.


Ebbene sì! Ecco la mia prima fanfic, una cosetta da nulla... Sono davvero inesperta, non uccidetemi, vi prego...
So che prima di me ci saranno state un sacco di fiction sui personaggi di SE da piccoli, ma l'idea mi allettava tanto e ho voluto provare. Ho cominciato con il buon Soul, incompreso come la sua musica, ricordando che non aveva un buon rapporto con Wes(ma forse ricordo male io), non so che orrore mi sia venuto, davvero...
Naturalmente sarei lieta di sapere la vostra opinione, sia positiva che negativa, mi farebbe davvero molto piacere.
Detto questo... see ya.

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Capitolo 2
*** Anniversario ***


Capitolo 2: Anniversario (Maka Albarn)


Seduta a gambe incrociate sul comodo divano nel salotto, la ragazzina osservava con una punta di imbarazzo la scena che le si stava presentando davanti.
Un uomo dai fulvi capelli rossi se ne stava davanti a lei tenendo la schiena curva e un mazzo di tulipani bianchi nella mano destra.
Scuoteva la testa, sembrava temporeggiare. La piccola si chiedeva cosa avesse in mente il padre. Di fronte all'uomo, una donna non molto alta e con dei chiarissimi occhi verdi scrutava il mazzo con fare quasi... spazientito.
-Mia cara... Tanti, ma tanti auguri per il nostro anniversario di matrimonio! Ehm…
Le porse il mazzo sventolandoglielo quasi davanti al naso, con un sorriso sincero.
La donna guardava il tutto con un'espressione assente in volto. Scosse il capo e guardò la figlia, che a sua volta la osservava con uno sguardo incuriosito. Solo dopo abbozzò un sorriso tirato. -Grazie, Spirit- disse soltanto, afferrando il mazzo come se fosse stata costretta ad accettarlo. Poi girò i tacchi, tenendo i fiori rivolti verso il basso, lasciandoli strisciare a terra con noncuranza. Sul viso dell'uomo si dipinse un'espressione triste, quasi delusa, che venne però riaccesa quando la donna, davanti la porta, si voltò. -Spirit.
L'uomo si riscosse, speranzoso.
-La cena è nel microonde.
 
-Papà...
-Che c'è, piccola Maka?
-Come mai la mamma non è contenta del regalo?
L'uomo trasalì. Come se non avesse dovuto aspettarsi una simile domanda.
-Non è che non è contenta... è solo che oggi... non è in forma.



Weeh! Rieccomi con un nuovo capitolo della mia ff! Quello che a mio avviso è il meno ispirato, forse perché la vera protagonista non è Maka, ma sua madre, in quanto la vicenda ruota intorno a lei.  So che non è un granché, accidenti se non lo è... Ah, a proposito! Ringrazio tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo, mi ha fatto davvero molto piacere. Beh, che c'è da dire? Sarei sempre lieta di sapere un vostro parere... See ya!

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Capitolo 3
*** Come i grandi ***


Capitolo 3: Come i grandi (Black*Star)

Se ne stava seduto sul muretto, stringendo tra le dita alcuni pezzi di quella bella statuetta di ceramica che aveva accidentalmente rotto. Tentava di nasconderli, ma dentro di sé sapeva che non sarebbe servito a niente. Era lui il bambino, lì. La colpa sarebbe stata automaticamente sua.
-Ehi, delinquente! Ti ho trovato, finalmente!
Il ragazzino si voltò con aria annoiata verso l'uomo dalla pelle ambrata che correva quasi goffamente verso di lui con un'espressione che non prometteva niente di buono.
-Ah, sei tu, Sid.
Il bambino si girò nuovamente, come se non avesse visto nulla, e tornò sui suoi pensieri, alzando lo sguardo verso quel sole che come al solito rideva divertito di ciò che accadeva di sotto.
L'uomo ansimò, sembrò calmarsi. Dopo pochi attimi di esitazione, si sedette agilmente accanto al ragazzo.
-Black*Star...
Il ragazzino fece finta di non sentire, continuando a dondolare le gambe che pendevano nel vuoto.
-Eh... Per caso hai preso una delle statuette di Shinigami-sama che si trovano all'ingresso della scuola? Non la troviamo più, e poi sai che lui ci tiene molto...
Il ragazzo non si voltò. -Se è vero che sono tanto importanti che se le custodisca bene, al posto di esporle così.
L'uomo era interdetto. Si chiedeva come potesse quel bambino che fino a pochi minuti prima era così spensierato assumere un tono tanto sostenuto.
-Black*Star, è successo qualcosa? Sei ancora un bambino, non dovresti essere teso!
Il bambino socchiuse gli occhi. -Sid, sai perché voglio diventare grande?
L'uomo invece spalancò i suoi, di occhi. Aveva toccato un tasto dolente. Doveva ancora imparare a parlare con quel ragazzo che -accidenti- era molto più complessato di quello che sembrava.
-Non lo so... Perché vuoi diventare un dio?
Era palesemente imbarazzato, e, mentre scrutava con sguardo quasi intimorito il suo interlocutore, desiderava aver intravisto sul suo volto quel leggero sorriso che, con tutta probabilità, non c'era davvero.
-Non dire sciocchezze- fece quest'ultimo di rimando, osservando con gli occhi bassi la gente grigia che animava la città -dei si nasce. E io sono nato dio.
L'uomo, conscio dell'indole del ragazzo, soffocò una risatina. Non era il momento adatto.
-Però...
Seguì uno strano silenzio, che tentava di bloccare con forza le parole del ragazzino.
-Però io sono un dio ancora piccolo, mentre voi siete grandi. Per voi è tutto facile. Non avete problemi. E, soprattutto- si girò di scatto verso l'uomo, piantandogli addosso le iridi sottili come fessure -non avete mai colpa di nulla. Quella... è sempre mia.
L'altro fece una smorfia. Aveva capito dove voleva andare a parare il ragazzo. -Perché sarebbe sempre colpa tua?
-Perché non sono... grande.
L'uomo non riuscì a trattenere un sonoro sospiro. A pensarci bene, spesso se accadeva qualcosa la colpa andava al piccolo. Ma, dopotutto, era solo un bambino, non era certo responsabile come poteva esserlo un adulto! Anche se non aveva completamente torto a sentirsi oppresso dalle tante volte in cui i "grandi" gli puntavano il dito contro.
-Beh... Forse hai ragione. Non devi averla presa tu per forza. Sarà stato Spirit. Sai quanto è maldestro, eh! L'avrà rotta, e poi avrà nascosto i pezzi per paura di Shinigami-sama. Oppure...
Tacque. Il bambino lo guardava. Scosse il capo.
-Ehi, senti, che ne dici se andiamo a prenderci un gelato?
Un lieve sorriso affiorò sul volto del ragazzino. -Sid. Un maxi cono al gusto di tutto.
L'uomo si alzò in piedi e gli scompigliò i capelli.
Solo in quel momento il ragazzino si ricordò di ciò che nascondeva tra le mani. Era riuscito a convincere l'adulto sul fatto che la colpa non fosse sempre sua, ma in quel caso, effettivamente, la colpa era sua. E lui era un ragazzo sincero.
-Ehi, Sid.
L'uomo si riscosse. -Sì?
L'altro tese le mani e le aprì, mostrando candidamente i minuscoli pezzi della statuetta che aveva frantumato.
-Ho rotto io la statuetta.

~

Note: Ok, eccomi di nuovo con un altro obbrobrioso capitolo della mia fic! Quanto è lungo questo, eh! Qui ho disegnato un Black*Star un po' più riflessivo, spero solo di non essere caduta nell'OOC... Ma io ce lo vedo bene nei panni del ragazzino che rivendica le sue ragioni! Inoltre non ho voluto parlare del problema del passato di Black*Star, e del fatto che la gente lo disprezzi per via della sua discendenza; ho preferito scrivere dell'infanzia del ragazzo insieme a quella specie di genitore che è stato Sid per lui. Avrete notato che io non scrivo mai i nomi dei personaggi, lascio che vengano presentati da... altri personaggi. Il perché, non lo so.
Ringrazio chi mi legge e chi mi recensisce, davvero, grazie di cuore! Spero di non annoiarvi, e se avete qualcosa di ridire in particolare su un punto, sarò ben lieta di accettare i vostri consigli!
See ya!

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Capitolo 4
*** Paura di un no ***


Capitolo 4: Paura di un no (Tsubaki Nakatsukasa)


Camminava lentamente, con passo insicuro, stringendo tra le mani qualcosa di gommoso a cui forse un tempo sarebbe stato concesso essere chiamato "palla", ma che adesso era un non ben definito oggetto di colore grigio slavato senza una forma precisa. Se ne stava tesa ad ascoltare ogni singolo rumore, dal lamento del vento che batteva con foga sul recinto al gracchiare delle foglie secche sotto i suoi passi. Poi, a un tratto, si fermò.
 
Un ragazzo robusto stava pacatamente disegnando dei cerchi nell'acqua del laghetto con un bastoncino, dandole le spalle. Sembrava non essersi accorto della sua presenza.
-M-Masamune...
Il ragazzo continuava imperterrito a giocherellare con il bastoncino nell'acqua, come se non avesse sentito.
-Masamune!
Il ragazzo si fermò e alzò leggermente il capo, senza voltarsi. -Che c'è, Tsubaki?
-Ecco, mi chiedevo se...
-Se?
La ragazzina abbassò gli occhi e prese a girare nervosamente un piede sul terreno.
-Ecco... vorresti giocare a palla con me?
Il ragazzo si girò. -E perché me lo chiedi con un tono così... dimesso?
-Perché... ecco, perché...
La bambina, lasciato cadere l'oggetto a terra, iniziò a stropicciarsi la gonna, sempre più irrequieta.
-Perché hai paura che ti dica di no?
La ragazzina smise di rovinarsi il vestito e guardò il ragazzo. -... Sì.
Quest'ultimo si alzò e si avvicinò alla piccola, guardandola severo.
-E anche se fosse?
La bambina restò interdetta. Se lui non avesse voluto giocare, le avrebbe ugualmente detto di no, anche se lei glielo avesse chiesto con un tono deciso. "Devo smetterla di comportarmi così" pensò.
-Niente. Se mi dici di no non fa niente.
Il ragazzo abbozzò un sorriso quasi soddisfatto. Poi raccolse la palla da terra e la lanciò verso la bambina, che, colta di sorpresa, lasciò che la colpisse in faccia.
-Hai dei riflessi troppo lenti, sorellina!

~

Note: Ossequi! Rieccomi, leggermente in ritardo, con un nuovo capitolo della mia spregevole fan fiction. Questo qui non mi convince fino in fondo... non so come mai, ma non riesco a farmelo piacere. Sarà che è troppo breve, o troppo semplice... Come potete vedere, Tsubaki non si trova molto a suo agio con suo fratello(a me ha sempre dato quest'impressione), e quando gli parla, assume sempre quell'aria umile che a quanto pare a lui dà un po' di fastidio(ha un non so che di personale, questo capitolo).
Ringrazio sempre chi mi recensisce, grazie di cuore! *si inchina* Continuate a seguirmi e a darmi consigli e/o critiche, sarà sempre tutto ben accetto! See ya!

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Capitolo 5
*** Farfalla agrias ***


Capitolo 5: Farfalla agrias (Death the Kid)


Se ne stava lì in piedi, ad osservare la parete bianca davanti a lui. Socchiuse gli occhi sporgendo in avanti la testa, per guardare meglio. Al centro del muro, si notava solo un minuscolo chiodo storto.
Sospirò. Erano rari i giorni in cui poteva permettersi di tornare a casa, almeno per controllare la situazione. E, ogni volta, c’erano sempre sorprese.
Prese a passeggiare nervosamente per il porticato, chiedendosi dove quel ragazzino pieno di problemi avesse nascosto quel brillante quadro astratto che fino a poco tempo prima figurava nell’atrio. A proposito, lui dov’era?
Girò il capo un paio di volte guardandosi intorno, finché non scorse l’esile figura di un bambino dai capelli neri che se ne stava rannicchiato in giardino a guardare con la solita espressione nostalgica gli arbusti che crescevano in giro.
Sì, era decisamente pieno di problemi, quel ragazzo. C’erano un sacco di cose che gli davano fastidio. Oltre ai quadri astratti, a dargli noia erano anche quelli semplicemente storti, le macchie di vernice sul pavimento, o il disordine che suo padre inevitabilmente finiva per creare, per un motivo o un altro. Lo seccavano persino i suoi capelli! No, “seccare” non è la parola giusta. Diciamo che, in un qualche modo, ne era addirittura spaventato.

-Padre, perché ho tre strisce bianche su un solo lato della testa?
-Sono le tre linee di Sanzu, tutti gli shinigami le possiedono, infatti non scompaiono nemmeno sotto una tinta!
-Oh…- in quel momento la carnagione del bambino stava pericolosamente variando dal rosa pallido al viola scuro –E non si può fare niente?
-Perché dovresti fare qualcosa, Kid? Ti stanno così bene!
A quelle parole il bambino aveva emesso un lamento incomprensibile, aveva iniziato a tremare convulsamente mentre gli occhi ambrati si stavano rapidamente inumidendo. Poco dopo era già inginocchiato a terra con lo sguardo basso e le mani sul pavimento, mentre mormorava flebili insulti verso se stesso.

Lo shinigami rabbrividì al solo ricordare quella scena. Non capiva in base a quale criterio certe cose turbassero tanto suo figlio, e, a quanto pareva, non lo sapeva nemmeno il diretto interessato. Quando quella volta aveva provato a chiedergli perché detestasse tanto il Picasso appeso in salotto, il piccolo aveva risposto con un elusivo: -Perché quell’espressione preoccupata, padre? E’ totalmente antiestetica.
Non sapeva se i vari problemi del ragazzo dipendessero dalla mancanza di una figura materna –e, adesso che ci pensava, anche paterna, viste le poche volte in cui il padre era presente- e, se fosse stato così, sicuramente ciò sarebbe stato motivo di rammarico per lui, l’onnipotente dio della morte che non sarebbe mai riuscito a riempire quel vuoto nel cuore del figlio.

I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti proprio dalla voce sommessa del bambino, che però, in quel momento, trasudava una gioia quasi sconosciuta.
-Padre! Padre, vieni qui!
Lo shinigami si diresse velocemente verso il giardino, dove il ragazzino stava scrutando estasiato una piccola farfalla di un brillante rosso carminio che volava con indifferenza, indicandola con il ditino.
-E’… la creatura più bella che abbia mai visto!
-Oh… una semplice farfalla agrias- fece il padre pensoso ma un po’ stupito dalla reazione del figlio davanti a quella bestiolina –Ehi, Kid, perché sei tanto affascinato da quella farfalla?
Il bambino tamburellò il dito indice sulle labbra, sovrappensiero. –Uhm… Perché è così… così…
-Così come? Colorata? Leggiadra? Piccola?
Il ragazzo scosse lievemente la testa, e, dopo averci pensato ancora un altro po’, sussurrò: -E’ così… simmetrica.

~

Note: Rieccomi qui, sempre in leggero ritardo sulla tabella di marcia, con un nuovo capitolo di Backgrounds. Fans di Kid(so che siete molte, anzi, di più), non trucidatemi! Anche se devo ammettere che questa shot è forse una delle mie preferite. Lunghetta, però... Il protagonista indiscusso è Kid, ma il tutto viene visto da un point of view di suo padre, preoccupato per le varie crisi del figlio, che non sa nemmeno lui cosa lo attira nelle cose simmetriche e cosa invece lo turba in quelle asimmetriche. Beh, lo scopre per la prima volta osservando le ali di una farfalla(ce l'avevo in testa già da un po', questa storia). Spero di non avervi annoiato e... beh, commentate(non è un ordine, ma una supplica che non siete per forza tenuti a soddisfare), e grazie per chi lo ha fatto!
See ya!

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Capitolo 6
*** Tetto di nuvole ***


Capitolo 6: Tetto di nuvole (Elizabeth & Patricia Thompson)

-E’ ora di andare a dormire, spegnete le luci!
La voce profonda di quella robusta donna vestita di nero risuonò per il corridoio. Si udì il suono secco di qualche interruttore che si spegneva, di qualche porta che si chiudeva, i brusii dei bambini che non ne volevano sapere di addormentarsi. I passi leggeri della donna si facevano più forti, segno che si stava avvicinando alla loro stanza. La ragazzina socchiuse gli occhi, tirando lentamente la porta verso l’interno, cercando di non farla cigolare.
-Thompson, cosa fai ancora in piedi?
La ragazzina sospirò. La donna l’aveva scoperta. E adesso si era fermata davanti alla porta della loro stanza, chiusa troppo tardi.
-Stavo giusto andando a dormire- gridò la bambina con le spalle appoggiate alla porta, non prendendo nemmeno in considerazione l'idea di aprirla –Le altre sono già crollate dal sonno. Buonanotte, mistress!
Ricevette solo un acido borbottio come risposta, prima di sentire nuovamente i passi della donna.
La ragazzina espirò profondamente. Ogni volta che c’era lei, il suo respiro si bloccava. Odiava quella donna.
Sbuffò, dirigendosi verso quello scomodo materasso rattoppato che avrebbe dovuto farle da letto. Vi si distese, lasciando che le molle al suo interno facessero rimbalzare il suo corpo. Respirò a fondo. Stranamente non se la sentiva di chiudere gli occhi su una giornata che sarebbe stata uguale alla seguente. Perché la vita all’orfanotrofio di Brooklyn era come una pagina che si ripeteva all’infinito, e lei ne sapeva qualcosa. Posò lo sguardo sui letti delle altre bambine che condividevano con lei quella stanza del dormitorio. Bambine di cui sapeva a malapena il nome, immerse in sonni confusi, disturbati; lo si capiva dai loro volti tirati, quasi afflitti. Solo un letto era vuoto. Sgranò gli occhi, preoccupata. Si tirò su a sedere e prese a cercare con lo sguardo la bambina che mancava all’appello. La trovò qualche istante dopo, seduta su una piccola sedia posta vicino a un ripiano, con la testa appoggiata su di esso, vicino a un foglio di carta su cui figurava il disegno incompleto di una giraffa. La bambina dormiva serenamente, con una mano che dondolava stringendo ancora un pennarello giallo.

-Patty…- sussurrò l’altra, con un lieve sorriso. Era accomunata a quella bambina dal triste destino di essere figlia di un uomo il cui nome non andava rammentato, che aveva venduto la sua vita ai vizi e alla violenza. Era a causa sua se adesso anche loro due erano rinchiuse in quel posto malfamato, in cui erano frequenti punizioni impensabili e falsi abbracci. Anche se non accettavano per niente l’ipocrisia e la cattiveria di quella donna che le aveva strappate alla loro famiglia disastrata in seguito a un incidente, preferivano di certo questa vita a quella in cui il loro depravato genitore aveva libero arbitrio sulla progenie.

La ragazza sospirò, alzandosi dal letto. Non riusciva proprio a prendere sonno. Si diresse verso l’unica finestra della stanza, una specie di grande foro che presentava a chi vi si avvicinava più di una possibilità di graffiarsi. Volse lo sguardo al cielo, cercando la luna. Ma non la vide, perché a nasconderla c’erano le nuvole. Perché lì c’erano sempre le nuvole. Ormai la ragazza lo sapeva, e non stava lì a farsi domande. I luoghi tristi hanno sempre un tetto di nuvole.

Voleva andarsene. Ogni ora che scoccava, ogni giorno che finiva, lei desiderava sempre di più andarsene da quel posto così deprimente, così soffocante. Voleva scappare con sua sorella, voleva percorrere le strade di New York con il vento in faccia, voleva fare quello che le pareva. E, ogni volta, se lo riprometteva. Si sarebbero liberate da quell’inferno.
-Liz, sei sveglia…
La ragazza si voltò verso la sorella. –Patty, ti prometto che ce ne andremo da qui!
L’altra distese le labbra in un largo sorriso infantile. –Me lo dici sempre…
-Perché così sarà!
-Fuori da qui ci sono le giraffe…- mormorò la bambina, lasciando cadere a terra il pennarello che teneva in mano, prima di riaddormentarsi.
La sorella rise, intenerita. –Buonanotte, Patty.

~

Note: Ossequi! Eccomi, stavolta in tempo, con il sesto e (forse)penultimo capitolo della mia raccolta. Questo mi piace particolarmente, le sorelle Thompson mi fanno tanta simpatia ma anche tanta tenerezza, se penso al loro passato... Qui non ho molto da spiegare, tranne che ho deciso di infilare Liz e Patty in un orfanotrofio. Beh, che dire, ce le vedo! Inoltre non mi va di raccontare che il padre si ubriacava e le picchiava, dopotutto non ho mai detto che Backgrounds è una fanfiction triste! Sì, tra poco forse finiamo. Ho pensato di metterci anche l'adolescenza di Spirit e Stein e l'infanzia di Kirikou, Ox e Kim, ma non so se scartare queste idee. Voi che mi dite? Potrei sempre prenderle in considerazione... Intanto, il prossimo capitolo sarà quello dedicato a Chrona e Ragnarok(nel quale quest'ultimo si dimostrerà più sensibile del solito, a modo suo), non so quando riuscirò a pubblicarlo... Intanto pensiamo a questo! Spero che recensiate, un piccolo commentino costa pochi minuti ma rende tanto tanto felice l'autore! Naturalmente ringrazio chi ha recensito o semplicemente letto, grazie di cuore!
See ya!
(Note chilometriche, stavolta...)

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Capitolo 7
*** Senza risposte ***


Capitolo 7: Senza risposte (Crona Makenshi)

Sembrava stesse cercando qualcosa. Qualcosa di chiaro e sicuro, come una breve speranza… Un mare nel deserto.
Ma non lo trovava, non c’era da nessuna parte. Il suo sguardo cadde su un bastoncino. L’unica cosa che si trovava lì, e lui sapeva bene a cosa servisse. Disegnò sulla sabbia un grande cerchio. Vi si sedette all’interno, cacciando la testa tra le braccia, incrociate sulle ginocchia. Sospirò. –Nessuno deve entrare qui- si diceva-questo è l’unico posto sicuro per me, non posso uscire, non posso uscire.

Non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasto seduto lì, all’interno del cerchio. Non sapeva nemmeno perché si trovava in quel deserto. Non sapeva neanche cosa stesse provando in quel momento. Rimase immobile per un tempo indefinito, senza fiatare né battere ciglia. Finché arrivò.

La sua ombra. La sua maledetta ombra che sbucava fuori ogni volta che lui si trovava in quel luogo. Si allungò davanti agli occhi del bambino, ostentando un sorriso trasparente.
-Ciao, Crona- disse, con una voce cristallina.
-Nessuno deve raggiungermi in questo posto. Nemmeno tu…- replicò l’altro, incerto.
-Voglio solo parlare con te…
Il piccolo alzò lo sguardo. –Io no.
Il sorriso sull’ombra si spense. –Perché non vuoi?
Il bambino roteò la testa, senza rispondere.
-Crona, perché ti rifiuti di guardarti dentro?
Il bambino parve pensoso. Il suo piccolo volto bianco si contrasse, sembrava stesse per piangere.
-Perché ho paura di cosa ci potrei trovare. E… non so come comportarmi con la paura.
-La paura è solo un’emozione- fece l’altra con voce neutra –come me.
Il bambino rituffò la testa tra le braccia. –Medusa dice che non dovrei provare emozioni.
L’ombra si rattristò. –Quindi per te non dovrei esistere?
Il bambino mugugnò.
-Crona, Crona! Perché non vuoi parlarmi?
L’altro sfregò il naso sulle braccia, senza proferire parola.
-Crona, hai paura di tua madre?
Continuò a scuotere il capo con aria assente, gli occhi tremanti.
-Perché hai paura di tua madre?
Portò le manine alle orecchie, rifiutandosi di sentire.
-Crona, perché ti tappi le orecchie? Devi dare ascolto alle tue emozioni!
-Gli strumenti non provano emozioni- bisbigliò l’altro con gli occhi umidi.
Anche all’ombra uscì una lacrimuccia. –Ah, dunque è questo quello che pensi di me?
-Basta, vattene via!- urlò il piccolo tra le lacrime, premendo ancora le mani sulle orecchie –Smettila di farmi queste domande! Smettila, per favore, smettila!
L’ombra tremò, piangendo. –Crona- sussurrò –così non troverai mai il mare in questa spiaggia…

~
 

Note: Men and gentleladies(?), prima di tutto, scusatemi. Vi avevo detto che ci sarebbe stato un bel Ragnarok tenerone, qui. Mi rincresce, ma quando all'ultimo ho riletto la shot ho storto il naso. La sua presenza faceva perdere valore all'introspettività della storia, prima menava Crona, poi si metteva a fare metafore sulla vita... Naah. Così sono passata al piano B. Mi ha molto colpito la scena in cui Crona parla con la sua ombra nella "spiaggia senza mare", poco prima di fare amicizia con Maka. Ho pensato che quella di ritrovarsi in suddetta spiaggia fosse un'azione ricorrente del piccolo Crona, per cui l'ho... riprodotta. Spero non sia troppo simile all'originale, eh... In genere scrivo più che altro i pensieri dei personaggi, mentre questo capitolo è occupato in gran parte da un dialogo lungo lungo. Ma in fondo, qui Crona parla con se stesso, quindi ci sta, credo. Naturalmente Crona cerca il mare nel deserto perché questo mare è metaforicamente qualcos'altro... Cosa? A voi l'onere di rispondere, mi piace essere vaga nelle storie! Questo è il penultimo capitolo. Dopo aver sentito diverse opinioni, ho deciso che ne pubblicherò solo un altro, sull'infanzia di Stein e Spirit alla Shibusen. Spero non vi crucci. Grazie sempre a chi mi legge e recensisce. Note obbrobriosamente lunghe. Fa' niente... See ya!

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Capitolo 8
*** Cameratismo ***


Capitolo 8: Cameratismo (Franken Stein & Spirit Albarn)

Procedeva quasi ansioso, borbottando nervoso ogni qualvolta il suo compagno mormorasse impercettibili commenti verso qualsiasi cosa potesse destare la sua attenzione. E cioè, praticamente tutto.
-Mmh…- si era fermato, almeno per la ventiseiesima volta –una splendida iris oratoria! Strano che si trovi da queste parti, qui nel Nevada se ne vedono pochissime… Potrei dissezionarla e osservare gli organi interni di questa splendida creatura di cui ancora non conosco quasi nulla!
Aveva pronunciato le ultime parole con un tono a dir poco soddisfatto e, alle orecchie del compagno che ormai lo precedeva di molti, molti passi, terribilmente fastidioso.
-Adesso basta, Franken- urlò questo, voltandosi verso l’altro ragazzo che, nel frattempo, stava chiacchierando amabilmente con una specie di mantide religiosa, tenendosi stretti almeno dieci barattoli trasparenti che occludevano mezza fauna del boschetto in cui si trovavano –se continui a fermarti e a fare i tuoi discorsi da psicopatico agli insetti, non arriveremo mai a scuola!
L’interessato alzò lo sguardo verso il compagno, aggiustandosi gli spessi occhiali che velavano i suoi piccoli occhi indagatori. –Ti chiedo scusa, Spirit- disse, visibilmente seccato –se anch’io, un normale adolescente, ho delle innocue passioni.
L’altro, un ragazzo dai lunghi capelli rossi, alzò un sopracciglio. –Franken, hai proprio un bel coraggio a definirti normale.
-Almeno non sono svergognato come te- sorrise quello, facendo scivolare la mantide nell’ennesimo barattolo e guardando di sottecchi il suo interlocutore.
Questi arrossì leggermente, per poi voltarsi di scatto e riprendere a camminare. –Sarebbe meglio arrivare in orario, per una volta.
-Non ce ne sarebbe motivo- borbottò l’altro ragazzo, senza avanzare di un passo –Shinigami-sama mi adora.
-Può anche darsi, ma io ci tengo a fare bella figura.
-Le ragazze amano gli uomini dalla vita sregolata, che non seguono gli orari- continuò quello, portandosi una mano quasi diafana alla montatura e nascondendo un sorriso divertito.

L’altro si fermò, gonfiando le guance. Detestava quel ragazzo. Sempre sicuro di sé, sempre con quell’odioso sorrisetto sulla faccia, mentre con un bisturi improvvisato faceva spezzatini di qualsiasi essere vivente gli capitasse tra le grinfie. Ma a scuola era il più acclamato, per via delle sue abilità fuori dal comune e della sua inaudita potenza. Inoltre, e questo non gli andava proprio giù, era anche molto popolare tra le ragazze. Intollerabile. Perché doveva essere lui, con la sua avvenenza e i suoi modi suadenti, ad affascinare le alunne. Ma, in fondo, non poteva che essere debitore a quel ragazzo sparuto e occhialuto che l’aveva scelto come arma. Dopotutto, era grazie a lui se adesso era così forte, ed era riuscito a fare colpo anche su di lei.
-Kami…- sussurrò dolcemente, accarezzandosi il volto.
-Chi è Kami? Una tua nuova fiamma?- chiese l’altro mentre batteva con forza i palmi su un robusto albero con l’intenzione di far cadere giù un maestoso scarabeo Golia.
-Mettila così- rispose il ragazzo dai capelli rossi, senza voltarsi.
-Uh, capisco, amico- fece il quattrocchi tirando un calcio all’albero, per poi agitare con la mano il povero scarabeo che era finalmente cascato giù.

Sì, perché a lui piaceva in maniera particolare “collezionare” animali, con il solo scopo di vivisezionarli con qualsiasi cosa tagliente gli finisse sotto il naso. Se lo diceva spesso, che da grande avrebbe fatto il chirurgo. Oppure sarebbe rimasto lì, in quella scuola, ad insegnare ai ragazzini come dissezionare animali a rischio di estinzione. E gongolava tra sé, ogni volta che pensava al suo futuro, conscio della sua invidiabile esperienza. Perché, in fondo, era o non era il più forte shokunin della scuola? Questo titolo gli avrebbe fatto onore anche negli anni a venire, ne era certo. Ma doveva congratularsi in parte con il suo compagno, quel ragazzo dai capelli porpora e dai modi grezzi. Lo rispettava, in un certo senso. Anche se a volte gli faceva ribrezzo, quando sbavava dietro a delle adolescenti prosperose ma senza cervello.

-Ehi, Franken- disse quest’ultimo, con voce pacata –il nostro è semplice cameratismo. Noi non siamo amici.
L’altro sorrise sprezzante, chiudendo in un altro barattolo lo scarabeo. –E meno male, Spirit- replicò –se fossi una donna ti schiferei.

~

Note: Adoro Stein e Spirit. E l'ho immaginata così la loro adolescenza, fatta di battutine pungenti e orgogli smisurati. Spero di non avervi fatto storcere il naso. Prima di divenire la buki di Kami, Spirit era l'arma di Stein, o almeno così avevo letto sulla Wiki ufficiale. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se è un po' diverso dagli altri.
Sì, ho finito Backgrounds. Mi spiace un po', mi sono davvero affezionata a questa fan fiction, forse perché è la prima... Com'è, "la prima fanfiction non si scorda mai"? Comunque sia, ora mi sento in dovere di fare i dovuti ringraziamenti. Ringrazio chi mi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate(non credevo potesse succedere) e chi mi ha semplicemente letto. Non credevo che questa storia potesse avere fortuna. Mi sbagliavo... Vi ringrazio, davvero, grazie di tutto cuore. Spero che continuiate a seguirmi, in caso di altri "lampi di genio"(se così si possono definire...). Ora vi lascio, vado a letto.
See ya!

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