Mele e Caramelle

di Hypnotic Poison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Together again ***
Capitolo 2: *** The new normal ***
Capitolo 3: *** Three birthdays ***
Capitolo 4: *** Matters of the heart ***
Capitolo 5: *** Another spring ***
Capitolo 6: *** Not always rainbows and butterflies ***
Capitolo 7: *** Oops, I did it again! ***
Capitolo 8: *** I can hear the bells ***
Capitolo 9: *** Things left unsaid ***
Capitolo 10: *** Over the hills and far away ***
Capitolo 11: *** Moonlight sonata ***
Capitolo 12: *** This ain't a song for the broken-hearted ***
Capitolo 13: *** Tonight is gonna be the loneliest ***
Capitolo 14: *** ‘Cause you can be the beauty and I could be the monster ***
Capitolo 15: *** Tiny dancer in my hand ***
Capitolo 16: *** Balancing on breaking branches ***
Capitolo 17: *** See how deep the bullet lies ***
Capitolo 18: *** But I'm the mess that you wanted ***
Capitolo 19: *** Burning in me [da qui in poi storia da modificare] ***
Capitolo 20: *** Always trust your senses ***
Capitolo 21: *** Dies Irae ***
Capitolo 22: *** Plan B ***
Capitolo 23: *** Seize the chance ***
Capitolo 24: *** L'Addestramento - Parte Prima ***
Capitolo 25: *** L'Addestramento - Parte Seconda ***
Capitolo 26: *** Temple of Doom ***
Capitolo 27: *** Blood, sweat and tears ***
Capitolo 28: *** Let the sky fall ***
Capitolo 29: *** One more dawn ***
Capitolo 30: *** Epilogo - Mele e Caramelle ***



Capitolo 1
*** Together again ***


Introduzione e dovute spiegazioni

 

 
 
 
 
 
Era il 2006 quando ho iniziato questa storia su dei fogli di carta a quadretti con solo una penna e dei pennarelli della Stabilo (quelli esagonali con le righe, per capirci xD); era il 2013 quando sono finalmente riuscita a concluderla.
 
Poi è arrivato il 2020, il lockdown, io bloccata in un’altra nazione senza poter tornare a casa, e mi sono detta “Sai che c’è? È ora di dare a M&C la forma che si merita.” Un reboot ai tempi dei reboot.
 
Ho amato visceralmente questa fanfiction; è stata la prima, vera che io abbia scritto, con personaggi inventati da me a cui ho voluto davvero molto bene. È pure finita tra le Scelte, per motivi che ancora non capisco, e quindi era giusto che si meritasse davvero di esserlo e che i personaggi avessero la storia che si meritano.
 
Quindi la sto riscrivendo! E qui le spiegazioni che servono:  
  •  Per chi non l’ha mai letta prima (o per chi l’ha già letta e non ricorda): questa storia ignora gli eventi di Tokyo Mew Mew à la mode (come la prima versione) e anche quelli di Re-Turn – un po’ perché altrimenti avrei dovuto stravolgere molte cose, un po’ perché avevo già iniziato a riscriverla quando è finalmente uscito il volumetto del 2020. Conseguentemente:
  • IO SONO UN’ANIMA ANTICA xD Quindi, a meno che non esplicitamente menzionato, tutti i riferimenti di questa fanfiction vengono dal manga e dall’anime ORIGINALI. Ovverosia, le uniformi da Mew Mew, i relativi colori, i relativi capelli – quelli sono. Chi mi segue su FB lo sa, io rifuggo l’idea che Ichigo mantenga i capelli rossi da trasformata come nel Reboot del 2022.
  • La riscrittura ha comportato sì il cambiamento di due coppie (poi vedrete), ma non ha intaccato l’evolversi della trama generale. Vedrete che la suddivisione degli eventi tra i vari capitoli è cambiata, alcune scene sono state tagliate, altre nuove inserite, ma il fulcro della questione è rimasto esattamente lo stesso.
  • Stile e forma sono (speranzosamente) cambiati, anche se troverete scene scritte nella stessa identica maniera della versione “originale” (più o meno, perché in fondo era pure comodo xD).
  • La storia è stata spostata avanti di un anno rispetto alla prima stesura, così che questi poveretti si potessero divertire un secondo di più.
  •  I nomi sono diventati quelli giapponesi originali anche perché ormai uso quelli da dieci anni e mi piacciono di più.
  • E sì, è un pochetto più zozza :3 

Scrivo queste righe ormai a metà 2022 perché purtroppo ormai la disponibilità è quella che è e la fantasia pure, ma spero che questi due anni di lavoro siano valsi la pena. Io l’ho fatto soprattutto per me stessa, per dare valore a una delle mie cose più preziose, ma spero che anche voi potrete apprezzarlo.

E quindi, ecco a voi la versione numero 3 e definitiva.  Un bacio grande, e grazie.


















Chapter One – Together again

 

 
 
 
 
 
Ichigo sbuffò, chiuse con rabbia l'anta del suo armadio, e contemporaneamente lanciò il cellulare sul letto, soffocando un urletto di stizza.
Era il suo compleanno, che diamine! E quel rincitrullito di Hisao aveva deciso di darle buca, così, all’ultimo momento disponibile! Gliene avrebbe dette quattro, se mai le fosse tornata la voglia di rifrequentarlo.
Se solo non avesse posticipato il suo incontro con Mowe e Miwa per lui…
Si sedette sul bordo del materasso e riafferrò il telefono, prendendo a scorrere gli auguri che aveva ricevuto durante la mattina e recuperando un po’ del buon umore. C’era già perfino la solita e-mail di Masaya, che, nonostante gli anni passati e il fuso orario, non mancava mai di essere sempre tra i primi quando si trattava di ricorrenze speciali.
Ichigo sbuffò una seconda volta, sollevando qualche ciocca della frangetta rossa, e si lasciò cadere supina, perdendosi un istante nei ricordi.
Erano sei anni (*) che poteva considerare la sua vita – quasi – normale; sei anni in cui aveva finito il liceo, aveva continuato a lavoricchiare part-time il più possibile, aveva iniziato l’università, tutto senza dover nascondere strambe orecchie e code pelose o inventarsi contorti avvenimenti per ovviare alle sue assenze. Non aveva del tutto perso le sue abitudini feline, d’accordo, ma poteva sinceramente considerarsi tranquilla.
Anche se di cose ne erano cambiate parecchie.
In primis, circa un paio di anni prima lei e Masaya avevano deciso, amichevolmente e di comune accordo, di prendere strade separate: l’affetto che li aveva uniti non era stato abbastanza per sormontare la distanza tra Inghilterra e Giappone, gli impegni di entrambi tra esami all’università e corsi extra, ed entrambi avevano preferito farlo al momento giusto per mantenere un buon ricordo della loro relazione. Ichigo aveva sicuramente guadagnato un caro amico, e forse il suo rapporto con l’ambizioso moro era addirittura migliorato da quando non sentiva più la pressione di preservare la relazione perfetta.
D’altra parte, però, le sembrava che le sue relazioni a distanza si fossero, in realtà, quintuplicate. Per quanto ancora si volessero bene, si sentissero regolarmente, e si tenessero aggiornate, era diventato estremamente complicato riunirsi insieme alle sue ex compagne Mew Mew.
Crescere, infatti, aveva determinato che si sparpagliassero un po’ per il mondo. La carriera di Zakuro era decollata ancora di più, se possibile, e Ichigo aveva ormai una scatola di scarpe colma delle cartoline e delle polaroid che la mora le spediva da ogni suo viaggio. Minto, non tanto straordinariamente forse, aveva deciso di seguirla; in una decisione che aveva – questa volta – stupito tutti, dopo cinque anni come ballerina solista aveva all’improvviso deciso di prendere una pausa dalla danza e seguire la sua onee-sama come assistente personale. Purin aveva definitivamente messo un veto alle insistenze di suo padre perché lei sposasse Yue-Bin, ma al tempo stesso, il suo ruolo alla palestra di famiglia era cresciuto, e lei si era ritrovata a dover sospendere gli studi per fare la spola tra Cina e Giappone. L’unica rimasta in pianta stabile a Tokyo era Retasu, che studiava con successo biologia marina, ma tra la mole di studio di entrambe e i lavoretti saltuari che si trovavano per concedersi qualche capriccio in più, lei e Ichigo erano fortunate se riuscivano a incontrarsi una volta ogni paio di settimane.
E infine, a fare avanti e indietro dall’altra parte del mondo c’erano anche Ryou e Keiichiro, che avevano continuato a espandere la loro rete di conoscenze e ricerche, e che negli ultimi anni avevano davvero passato la maggior parte del tempo negli Stati Uniti che altrove.
Ichigo esalò nuovamente, scorrendo gli ultimi messaggi che si era scambiata con le sue più care amiche e notando con un certo disappunto che nessuna di loro ancora si era prodigata ad augurarle un buon compleanno. Si corrucciò e si torturò il labbro inferiore con le dita, cosa diavolo aveva preso tutti quel giorno!?
Si alzò di scatto e afferrò una delle sue borsette preferite. L'unico modo in cui avrebbe potuto risollevarsi un po' il morale era farsi una passeggiata; era una mattina splendida, e non aveva per nulla voglia di starsene in casa a rimuginare sulla sua terribile vita privata. Poi, se proprio nessuno si fosse degnato di volerle fare un po’ di compagnia, si sarebbe arrangiata da sola e si sarebbe dedicata un’intera torta. Ecco.
Infilandosi le cuffie nelle orecchie, si incamminò a passi pesanti fuori dal suo appartamento, rilassandosi solo quando poté respirare a pieni polmoni l’aria frizzante di marzo; quasi sovrappensiero, si diresse verso il suo parco preferito e poi lungo il familiare sentiero che aveva percorso così tante volte da sembrarle ormai naturale. Non doveva nemmeno pensare a che direzione seguire, le sue gambe facevano tutto da sole. Sapevano benissimo che la meta era quel locale rosa confetto che sorgeva nella bella radura soleggiata.
Il Caffè Mew Mew sorgeva ancora in tutta la sua leziosità, anche se non più splendente come una volta, con le finestre chiuse, il cancello sbarrato da un grande catenaccio, e le telecamere di guardia a controllare il perimetro ventiquattr’ore su ventiquattro. Visto i crescenti impegni dei due proprietari all’estero, la disponibilità delle ragazze in diminuzione, e la pochissima fiducia di Keiichiro a lasciare che fosse qualcun altro a gestirlo al posto suo (visto pure che sarebbe stato un filino complicato spiegare il perché di tutto quello strano armamentario nel seminterrato), avevano deciso di chiuderlo a tempo indeterminato, finché non avessero deciso se ristabilirsi permanentemente in Giappone.
Era stata una serata dolceamara, quando si erano incontrati tutti e sette per dare il giro di chiave finale alle serrature, ma vederlo lì, immobile come al solito, dava comunque una sensazione di grande sicurezza. Come se non proprio tutto, alla fine, fosse cambiato. Rimaneva per Ichigo il posto perfetto dove trovare degli attimi di quiete. Si andò ad accomodare sulla sua panchina preferita, all'ombra di una quercia, poco distante dall'entrata del locale. Era sempre un punto fresco, e le piaceva sedersi lì per leggere o ascoltare della musica, oppure chiacchierare con Retasu quando entrambe sentivano il bisogno di liberarsi dell’aria viziata delle aule universitarie.
Ichigo si rilassò, godendosi il venticello che le fece arrossare le guance e giocherellando ancora con il cellulare, quasi tentata di mandare un messaggio passivo aggressivo a Minto solo per stizza che non si fosse ancora fatta viva. Stava giusto per ingannare l’attesa mettendosi a rispondere agli altri suoi compagni di corso, quando il cellulare prese a trillare allegro, e lei aggrottò la fronte: chi mai poteva chiamarla da un numero sconosciuto a quell’ora?
« Non siamo un po’ troppo prevedibili con una borsa a forma di gatto? »
Ichigo ci mise qualche secondo a connettere, poi scattò giù dalla panchina con un balzo, guardandosi intorno alla ricerca di una familiare testa bionda: « Shirogane! Screanzato che non sei altro! Ma dove sei?! »
La risata roca del ragazzo le rimbombò nell'orecchio: « Ti vedo dalle telecamere, Momomiya. »
Lei si voltò verso l'entrata del locale, facendo una linguaccia ad una degli apparecchi di sorveglianza, poi accennò ad un sorriso e un gesto con la mano: « Sappi che è una cosa molto inquietante. E comunque non mi hai risposto! »
« Sei tu quella che gironzola sempre qui intorno come una vera gattina randagia. Io e Kei siamo appena tornati, ho dato una controllatina ai filmati, » si affrettò ad aggiungere, avendo sentito come lei aveva inspirato, pronta a lanciarsi di nuovo contro di lui, « Ti sei messa a fare jogging, sono stupito. O dovrei dire impaurito? »
« Non sei divertente, » rimbrottò lei, continuando a fissare torva la telecamera, « E comunque, che modi sono questi, tornare senza dire niente?! »
« Decisione dell’ultimo minuto, » spiegò lui, « Se non ci avessero convalidato dei documenti, non saremmo potuti partire, quindi… »
« Mmmhm, okay, » la rossa mormorò poco convinta, poi si mordicchiò il labbro inferiore, « Senti, ma… se ci incontrassimo? Non ci vediamo da secoli, e oggi - »
« Ragazzina, pensi davvero che mi sia dimenticato che giorno è oggi? » la prese in giro bonariamente.
Lei storse il naso: « Non mi hai detto nulla. »
« Sono appena atterrato, gimme a break, » lo sentì ridere di nuovo, poi le sembrò che tentennasse, « Comunque, volentieri. Diciamo tra un’oretta? Ci possiamo vedere lì, se vuoi. »
« Sì! » rispose Ichigo, e sperò di non essere stata troppo frettolosa, « Perfetto. Ti… ti aspetto qui, allora. »
Dopo un ultimo saluto e un ciao con la mano, Ichigo chiuse la telefonata e si inoltrò ancora un po’ nel parco, allontanandosi dal sistema di sorveglianza del locale, e prese un respiro. Non capiva perché ancora, dopo anni, continuava a sentirsi lievemente agitata al pensiero di Shirogane. Erano diventati molto amici col tempo, nonostante i continui battibecchi e il suo insopportabile sarcasmo, ma lei sentiva sempre un sordo sfarfallio all’altezza del petto nei momenti in cui erano solo loro due.
Scosse la testa, e si diede della sciocca; non si vedevano da quasi un anno, era normale essere un po’ nervosi, era un nervosismo positivo, quello dato dalla felicità di finalmente rivedere una persona cara, nient’altro.
Per sicurezza, in ogni caso, prese fuori dalla borsetta lo specchietto che aveva con sé e si controllò il minimo trucco che – grazie ai kami – aveva deciso di sfoggiare allo sfumato appuntamento con Hisao, ripassandosi velocemente il burro cacao.
Trotterellò a caso per il parco, canticchiando sottovoce per ingannare il tempo e continuando a lanciare occhiate storte al telefonino in borsa, finché non lo udì suonare di nuovo.
« Possibile che tu sia in ritardo anche quando sei già nel posto concordato? »
Ichigo fece quasi immediatamente dietrofront, ingoiando un paio di insulti: « Arrivo! »
Avrebbe riconosciuto la chioma anche se non fosse stato letteralmente l’unico a sostare davanti al cancello del Caffè, a digitare ancora al cellulare, e Ichigo non poté evitare di sorridere mentre lo stomaco le regalava una capriola vecchia di secoli. Possibile che in poco meno di dodici mesi, lui fosse diventato più alto, con le spalle più larghe? Anche i capelli erano un filo più lunghi, e lei avrebbe giurato che fossero anche più biondi del solito.
Ryou alzò la testa quando udì lo scalpiccio rapido, e gli occhi celesti brillarono d’arguzia: « Un anno più vecchia, ma sei sempre la solita, ragazzina. »
« Antipatico, » borbottò lei, e senza aspettare che aggiungesse oltre, gli circondò il torace con le braccia e vi appoggiò la guancia, « Ben tornato. »
L’americano impiegò una frazione di secondo a reagire, staccandosi da lei per darle un buffetto sul naso: « Happy birthday, ginger. »
« Grazie, » gongolò lei, contenta che almeno negli anni avesse imparato a tenere sotto controllo il suo arrossire furiosamente, « Come stai? »
Ryou scrollò le spalle: « Come qualcuno che ha lavorato fino all’ora prima di intraprendere un viaggio intercontinentale può stare. »
« Oh, andiamo, non tornavi da una vita, che sarà mai! »
« Non è che se non torno in Giappone allora sto fermo, kitty cat. »
« Lo so, lo so, ci hai mandato chiarissime foto delle tue orribili conferenze in Sud America, » lo prese in giro lei, poi lo guardò da sotto in su, « Rimanete un po’, ora? »
Lui infilò le mani nelle tasche del giubbotto: « Abbiamo sviluppato un nuovo progetto con un'azienda associata, ora siamo in fase di perfezionamento. Stiamo cercando soci per poterlo lanciare, quindi direi che ci vorrà del tempo. »
Ichigo non trattenne il sorriso soddisfatto, poi lo guardò furba: « Allora cosa facciamo per il mio compleanno? »
Shirogane rise e scosse la testa, sfiorandole di nuovo la punta del naso: « Gattina viziata. I’ll tell you what, » fece un cenno della testa verso il Caffè, tirando fuori dalla tasca un mazzo di chiavi, « Che ne dici se entriamo a fare un giro? »
La prima reazione di Ichigo fu di guardarlo sospettosa, il locale era chiuso da anni e lei si poteva benissimo immaginare le decine di ragnatele e annesse bestioline brulicanti nel buio che ci avrebbe sicuramente trovato, cosa che non la rendeva così estasiata. Ryou, però, aveva già iniziato a trafficare con il catenaccio che ne bloccava l’ingresso, e le ammiccò incoraggiante:
« Come on. »
« Perché ho la sensazione che tu stia per farmi uno scherzo? » mormorò titubante lei, sbirciando da sopra la spalla del biondo mentre lui procedeva alla serratura principale della porta d’ingresso.
L’americano le sorrise smagliante, forse fin troppo contento per i suoi gusti:
« Il giorno del tuo compleanno? Non potrei mai. »
Aprì la porta rosa e la socchiuse, poggiandole appena la mano sull’incavo della schiena per incitarla ad attraversare la soglia. Ichigo tentennò ancora un istante, stringendo la tracolla della borsetta mentre gli occhi si abituavano alla semi-oscurità, il cuore che le batté piacevolmente a risentire il delicato profumo familiare anche sotto l’odore di chiuso, a intravedere i contorni così conosciuti.
Anche se pensava di ricordarsi che avessero coperto tutti i tavoli e le sedie quando avevano chiuso.
Le luci si accesero all’improvviso, accecandola, e prima che Ichigo potesse capire esattamente cosa stesse succedendo, le ragazze e Keiichiro spuntarono dalla finestrella della cucina, in un grido collettivo:
« Sorpresa!! »
Ichigo rimase interdetta un istante, poi saltellò sul posto e con un versetto stridulo, si lanciò a braccia aperte nell’abbraccio delle amiche.
« E io che pensavo che vi foste scordate! »
« Ma per chi ci hai preso, » la rimbrottò Minto, piacevolmente con un sorriso dall’orecchio all’altro, « Noi non siamo delle svampite come te. »
« Abbiamo organizzato per un mese, » Retasu le strinse la mano, le guance rosse per la contentezza, « Non sai che fatica non dirtelo! »
« Ragazze, ma… e il Caffè! » la rossa fece un passo indietro per ammirare il locale, mentre Shirogane e Keiichiro aprivano le varie imposte, notando come pareva che non fosse passato che un giorno dalla loro ultima visita, adocchiando subito il tavolo elegantemente apparecchiato.
« Ci siamo svegliate all’alba per sistemare e pulire tutto! » Purin le urlò in un orecchio mentre continuava a stritolarle il collo.
« E se fossi stata impegnata? » replicò lei, fingendosi offesa.
« Oh, per favore, come se potessi dirci di no, » esclamò Minto, portandosi un boccolo dietro l’orecchio, « Dopo tutta questa faticaccia, saremmo venuti a prenderti di peso. »
« Sì, immagino il tuo contributo, Minto-chan. »
Zakuro le fece l’occhiolino: « Il credito dell’idea è di Kei-san. È stato lui a suggerire il Caffè. »
« Mi sembrava confacesse, » il pasticcere uscì in quel momento dalla cucina, spingendo un carrellino di metallo stracolmo di dolcetti, bevande, e una torta con delle candeline sopra, « Giusto qualche assaggio. »
Ichigo si tinse piacevolmente di rosso, aggrappandosi di nuovo a forza a Purin e Minto, ignorando i lamenti di quest’ultima: « Siete i migliori! »
« Non strafogarti, stasera siamo tutti a cena fuori insieme, » l’avvertì la mora, quasi scrollandosela di dosso, « E in un ristorante elegante, quindi scordati quell’orribile borsetta. »
La rossa storse il naso, poi però la riagguantò, strusciando la guancia contro la sua: « Anche tu mi sei mancata, Minto-chan. Mi siete mancati tutti! Ah, che bello questo è il migliore compleanno del mondo, non vedo l’ora di aggiornarci su tutto! »
« Sì, ma ora mangiamo! »
Al richiamo di Purin, il gruppetto si spostò rumorosamente verso il tavolo – troppo rumorosamente per sole cinque persone, ponderò Shirogane con un sorrisetto, mentre le osservava da poggiato contro al muro della cucina, a braccia conserte.
Come se non le conoscessi, pensò, e appena la biondina sventolò con foga il braccio verso di lui, si arrese con un sospiro e si unì a loro.
 
 
 
 
« Yummm… » Ichigo assaporò il cucchiaio per un’ultima volta, ripulendo qualsiasi traccia del tortino al cioccolato caldo, « Sto per scoppiare. Anche se non era buono quanto i tuoi, Kei-san. »
Mentre il moro le rivolgeva un sorriso caloroso e grato, Minto le lanciò un’occhiataccia: « Possibile che tu sia sempre la solita esagerata? »
« È il mio compleanno, posso fare quello che voglio. »
« Non credo funzioni così, Ichigo. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, poi sospirò e si appoggiò al tavolo: « Quanto rimarrete, ora? Io e Retasu ci sentiamo abbastanza abbandonate. »
Purin fu la prima a stendere un sorrisone a trentadue denti: « Io non ho intenzione di muovermi per un bel po’. La palestra qui è finalmente finita, mio papà ha promesso che tornerà più spesso così da attirare più apprendisti, e passare anche un po’ di tempo con i fratellini. »
Retasu coprì la mano con la sua, sorridendole incoraggiante: « Così riuscirai anche a completare gli studi! »
La biondina annuì convinta: « Sempre che Ryou nii-san mantenga la sua promessa di darmi una mano. »
« Perché mettete sempre in mezzo me ai vostri bisogni scolastici? »
« Come se non ti piacesse far vedere quanto sai tutto di tutto! »
Lui evitò di dare adito a quelle sciocche accuse, limitandosi a prendere un sorso dal proprio bicchiere con un sospiro esagerato.
« E tu, Zakuro nee-san? »
La modella piegò appena la testa da un lato: « Se tutto va bene, nei prossimi giorni dovrei firmare il contratto finale per girare una serie qui. Promettono minimo due stagioni, » aggiunse con un occhiolino.
Ichigo quasi si alzò dalla sedia estasiata, di nuovo sporgendosi per agguantare Minto nonostante le poco velate minacce di quest’ultima circa le figuracce al ristorante: « Sììì! Questo è il compleanno migliore del mondo, sono mesi che non facciamo un pigiama party nel tuo lettone! »
« Il tuo buon proposito per questo anno in più di maturità spero sia smetterla di autoinvitarsi a casa della gente. »
L’intero tavolo rise del loro bisticciare, ma anche lo sguardo della mora luccicava di una punta di contentezza al pensiero di rimanere finalmente un po’ a casa.
« Che facciamo, glielo diciamo? »
I cinque sguardi felici si posarono su Keiichiro, voltato con aria furba verso il suo protetto, che invece buttò la testa indietro e sospirò: « Non sono pronto al fracasso. »
« Che sta succedendo? »
« Spero non dobbiate dirci cose… importanti, » Zakuro alzò solo un sopracciglio allusiva, e velatamente minatoria.
Keiichiro si affrettò ad agitare le mani, sorridendo rassicurante: « Come vi abbiamo accennato qualche settimana fa, la Fondazione Shirogane ha ottenuto risultati importanti, e siamo riusciti a creare una rete di contatti non indifferente. Il successo negli Stati Uniti si è fatto sentire fino a qui, e, be’…. Diciamo che ora vogliamo rafforzare anche il mercato di casa. »
« E non omettere la parte in cui hai detto che dopo tutto questo tempo ho voglia di rilassarmi, tanto ormai fai tutto tu, » lo scimmiottò il biondo.
« E quindi?! »
Ryou sospirò ancora, giocherellando con una goccia d’acqua caduta sul tavolo solo per prendere tempo prima di lanciare un’altra occhiata al moro: « Io non ho ancora detto di sì. »
«  E quindi, » Keiichiro quasi lo ignorò, divertito dall’aspettativa delle ragazze quasi piegate sopra al tavolo, ma al tempo stesso senza volerle stuzzicare troppo, « Se il signorino qui presente acconsente, ci calmeremo un attimo per consolidare definitivamente il nostro lavoro sul territorio, rimarremo a Tokyo fino a data da destinarsi, e il Caffè verrà riaperto. »
Un gemito di sorpresa si levò dalle cinque, che si scambiarono occhiate eccitate, Ichigo che batté di nuovo le mani: « Oh, vi prego, ditemi che possiamo tornare anche a lavorarci! Il ristorante di ramen in cui sto ora è così tedioso…! »
« Ah, guarda che me la segno, Momomiya. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, mentre Keiichiro annuiva bonario: « Ovviamente, sareste le prime candidate, se lo voleste. »
« A nostro gradimento quindi, questa volta, non per forza, » Zakuro lanciò un’altra occhiatina allusiva agli americani, quello più giovane che borbottò qualcosa sul lasciarlo stare, poi incrociò le braccia mentre si rilassava sulla sedia, « Non è una copertura per poi annunciarci qualche sorpresina interplanetaria sgradita, vero? »
« No, è soltanto il bisogno di sentirsi ricompensato di Keiichiro. »
Questi continuò ad ignorare il suo protetto, riprendendo: « Il Caffè è ancora in buone condizioni, siamo sempre passati a controllarlo tra un ritorno e l’altro, anche per il laboratorio sotterraneo che è sempre in funzione… ma ha bisogno di una rinfrescata, quindi pensiamo che tra un mesetto, più o meno, potremmo ripartire. »
« Questo plurale… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, » Ichigo lo rimbeccò, agitandogli la mano davanti al naso come si scaccia una mosca, « Ma… vi trasferirete di nuovo lì? »
Lo chef scosse la testa: « Io ho trovato un appartamentino non troppo lontano dal parco, così sarà più semplice gestirlo. Ryou sta affittando un bilocale vicino a dove abiti tu, Zakuro-san. »
« Shirogane, per tutti i kami, » Minto sbuffò e scosse la testa maligna, « Un bilocale? »
« Sapete quanto mi siete costate e quanto mi costerete voi coi vostri conti aperti? »
« Non guardare me, al massimo la colpa è di Ichigo e Purin. »
« Ehi, io ripagavo lavorando! »
« Certo, certo. »
« Senti…! »
« Ragazze, » Zakuro le ammonì dolcemente, già vedendo come Ryou aveva di nuovo agguantato la bottiglia di vino, « Attente a non fargli cambiare idea. »
« Non può cambiare idea, è il mio compleanno. »
Ryou lanciò un’occhiata veloce verso Ichigo, che lo stava guardando con quel suo sorriso così pieno di speranza e allegria in attesa della conferma finale, e lui dovette schiarirsi la gola mentre versava il vino nel bicchiere: « Non aspettatevi salari aggiustati per l’inflazione. »
Il tavolo eruppe in una serie di gridolini ed applausi estasiati, con buona pace degli altri commensali della sala, con tanto di Purin che si alzò per andare a stritolargli il collo mentre blaterava senza sosta.
Ryou, da sopra la matassa di capelli biondi, guardò soltanto esasperato al suo migliore amico, ma non poté evitare di sorridere contento.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
La notizia di un prolungato soggiorno a Tokyo, e di un ritorno alla vita di un tempo, sembrava aver infuso di nuova energia le ragazze.
Anche con i lavori di rivitalizzazione del Caffè in corso, il locale era ritornato ad essere il luogo di incontro preferito delle ex Mew Mew, che dopo le lezioni o tra una giornata libera e l’altra tornavano ad occupare i tavoli per studiare, chiacchierare, e dare una mano a Keiichiro a riportarlo allo splendore originale in vista della festa di riapertura – perché ovviamente il moro non aveva esitato ad annunciare che ci sarebbe stata una festa coi fiocchi.
Ryou, dal canto suo, andava e veniva più spesso di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, con la scusa di controllare come stessero andando i preparativi della sua proprietà e non certo per la compagnia, come si premurava di ricordare ogni volta.
Soprattutto quando la suddetta compagnia lo costringeva gentilmente a sedersi tra tomi di lezioni diverse per supportare gli sforzi intellettuali, gli stessi in cui non trovò impegnata una certa rossa di sua conoscenza quando, per l’ennesimo pomeriggio, entrò dalla porta sul retro.
« Non è mai stato il posto per fare pisolini. »
Ichigo, la testa riversa sui libri di testo, si limitò ad aprire un occhio e guardarlo da sotto i ciuffi color ciliegia: « Non è un pisolino, sto meditando. »
« Mmmh, » lui le si avvicinò a braccia incrociate, lo sguardo divertito, « E su cosa staresti meditando, di grazia? »
La rossa sbuffò e si sollevò quanto bastava per poggiare il mento sulle braccia: « Devo scegliere la facoltà con cui proseguire. E non so che fare. » (**)
L’americano spostò una sedia per accomodarsi davanti a lei, studiandola con un’espressione comprensiva: « Be’, dovresti focalizzarti principalmente sulle materie che ti piacciono, o su cosa ti piace studiare e che vorresti continuare a fare. »
« La fai facile tu, » bofonchiò lei, giocherellando con l’angolo di una pagina, « A te è venuto molto semplice, col cervellone che ti ritrovi. Per me è… difficile. »
« Ichigo, non sei certo stupida, » lui sbuffò, allungandosi in avanti per darle un colpetto sulla fronte, « Svogliata, quello è certo. Pigra, non ne parliamo. Ma ci deve pur essere qualcosa che ti appassiona. O altrimenti andiamo per esclusione. »
Lei gemette, affossando di nuovo il viso tra le braccia: « Tutta colpa di mio papà! »
Ryou fece una smorfia, ricordando i pochi incontri con Shintaro Momomiya – e gli sbraiti che aveva sentito in sottofondo a molte telefonate quando la figlia aveva avvisato che avrebbe fatto più tardi del previsto: « Mi sembra normale che voglia che tu possa fare il massimo per la tua carriera, ginger. »
Gli occhioni color cioccolata sbucarono curiosi da dietro il golfino di lana: « Tu come hai fatto a scegliere? »
Lui sbuffò appena: « Per me è stato un po’ diverso, ginger. E poi sai, con mio papà e i suoi studi… »
Ichigo piegò la testa da un lato, osservandolo, poi prese uno dei fazzoletti già arrangiati nel dispenser, lo appallottolò e glielo tirò contro: « Invece delle orecchie da gatto, non potevi passarmi un po’ della tua testaccia?! »
« Ah, » il biondo rise divertito, raccogliendo il proiettile da terra per rilanciarglielo sul naso, « Vuoi dirmi che tutte le nostre chiacchierate in inglese non sono servite a nulla? »
La ragazza mugolò ancora e tornò a nascondere il viso per impedirgli di notare che le sue guance si erano arrossate; perché sì, era vero, per quanto pure a lei paresse strano: anche lo scorbutico Shirogane aveva partecipato a molte delle varie videochiamate di gruppo che si erano susseguite negli anni, com’era successo che a volte si fossero sentiti solamente loro due. Ichigo ricordava ancora la disperazione prima degli esami di fine liceo e dell’ammissione all’università, quando praticamente gli aveva teso un agguato in aeroporto per fargli mantenere la promessa di aiutarla; ma c’erano state altre volte in cui si erano parlati – o visti, le varie occasioni in cui lui si era trovato sul suolo giapponese per più di due settimane alla volta – soltanto per voglia di farlo.
« Ichigo, » lo avvertì sfiorarle piano la frangetta, con una risata bassa, « Non disperarti, qualcosa ci inventeremo. »
Lei gli rispose con un borbottio incomprensibile, e nello stesso momento la porta sul retro del Caffè si aprì, lasciando sbucare Retasu.
« Buon pomeriggio, Shirogane-san. Ichigo-chan… stai male? »
La rossa finalmente si raddrizzò, per non far preoccupare l'amica, e scosse la testa: « Retasu-chan, meno male che sei arrivata! Non sai cosa mi ha raccontato Miwa! »
Non appena Retasu e Ichigo furono rapite da un turbinio di notizie su gente che lui non conosceva né di cui voleva preoccuparsi, Ryou comprese che era arrivato il momento di levare le tende.
Il casco della moto sottobraccio, scese al piano inferiore per dare soltanto una controllatina rapida ai computer principali, scorgendo la figura di Keiichiro in piedi nella dispensa a buttare giù una lista di ordini da terminare.
« Come sta andando? » gli chiese, poggiando una spalla contro la porta.
Il moro ammiccò contento: « Siamo decisamente giusti con i tempi. Un paio di settimane e la riapertura sarà grandiosa. »
« Magari non troppo grandiosa, » puntualizzò lui con una smorfia preoccupata, ma annuì e si passò una mano tra la frangia, alzando un sopracciglio quando notò che l’amico continuava a fissarlo con un sorrisetto, « Che c’è? »
« Niente, » Keiichiro scrollò le spalle e ritornò a conteggiare con la punta della matita contro la carta, « Sei di buon umore, ultimamente. »
Ryou spostò il peso da un piede all’altro, a disagio: « Non ricominciare. »
« È solo una constatazione. »
Il biondo gli scoccò un’occhiataccia, poteva leggere benissimo oltre il tono fintamente neutrale.
« Non è… cambiato nulla. »
« Non sei più a fare la spola tra qui e là, tanto per cominciare. »
Ryou schioccò la lingua infastidito, si torturò un’altra volta i capelli, poi fece un passo in più dentro la stanza, abbassando la voce: « Listen, it’s… »
« Non dire complicato. »
« Ma lo è, » insistette lui, « Per quanto tu e Zakuro insistiate a fare comunella, lo è. E non so nemmeno se…! E mi sono anche un po’ rotto di… »
Keiichiro, lievemente preoccupato, lo osservò scuotere la testa con fare scocciato; fece per replicare, quando un rumoroso vociare dal piano di sopra li distrasse entrambi.
« È arrivata Minto, » commentò piano il biondo, appena divertito, « Io mi dileguo, prima che ricomincino. Ci sentiamo dopo. »
Prima che l’amico pasticcere potesse replicare, lui aveva già risalito le scale, scomparendo silenzioso.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Quasi mimetizzata nel suo angolino, Zakuro osservò soddisfatta la considerevole quantità di gente arrivata a festeggiare la grande riapertura del Caffè Mew Mew, quel piacevole pomeriggio di aprile. Anche il meteo era stato clemente, e Keiichiro era riuscito ad allestire i vari assaggi e le bevande in giardino, brulicante di chiacchiere festose e appagati mugolii di chi continuava a ingozzarsi senza remore dei differenti prodotti.  
Per l’occasione – e per la gioia delle tasche di Shirogane – avevano assunto dei camerieri in livrea, così che le ragazze potessero godersi anch’esse la festa, e la ragazza più grande le inquadrò subito, ronzanti attorno al loro pasticcere di fiducia a conversare allegre.
Lei, invece, preferiva osservare la folla da lì, un po’ in disparte, per non rischiare di attirare troppo l’attenzione e deviarla dal motivo reale dei festeggiamenti, e al contempo per non dover interagire più di quanto desiderasse con i soliti curiosi.
E poi sapeva che c’era qualcuno molto poco festaiolo, proprio come lei.
Alzò appena lo sguardo alla sua sinistra avvertendo subito la presenza di Ryou, che le porse un altro calice dell’aperitivo fruttato: « Nuovi potenziali clienti, che te ne pare? »
Lui sospirò, scuotendo la testa mentre già prendeva un sorso: « Quello che serve a renderlo felice. Ha bisogno di svagarsi più di tutti. »
La modella sapeva che il suo sguardo, puntato nella direzione di quello cobalto di lei, aveva un focus leggermente diverso, e abbozzò a un sorriso: « Stanno tutte bene, non trovi? »
Ryou la guardò di sbieco: « Tu te ne tiri fuori? »
Lei prese un sorso, sempre con la sua solita aria imperscrutabile: « Ha fatto bene a tutte, tornare a casa. Anche a te. »
« So dove vuoi andare a parare, e non ne ho voglia. »
« Strano, finiamo sempre a parlarne da sei anni a questa parte. »
Il biondo si passò una mano sul viso, scuotendo la testa: « Io non sono pronto a riavervi tutti e cinque tra i piedi, tutti i giorni, tutto il giorno. »
« Su, su, » Zakuro allungò un braccio per dargli un paio di colpetti sulla schiena, « Non sarà tutto il giorno. Se vuoi, posso dire a Minto che non ho più bisogno del suo aiuto, così può tornare al Caffè full time. »
L’occhiataccia di veleno che lui le riservò la costrinse a nascondere la ridarella dentro al bicchiere.
 
 
 
 
« Ichigo. »
Lei sobbalzò appena al richiamo di Minto, spostando lo sguardo dalla coppia di amici dall’altra parte del giardino, e si voltò verso la mora che la stava guardando con un sopracciglio alzato:
« Ti ho chiesto se vuoi rimanere a cena. »
« Ah! Certo, volentieri, » osservò il tavolo davanti a sé e scelse un éclair al cioccolato, « Andiamo insieme direttamente dopo la festa? »
« Se è un modo indiretto per scroccare un passaggio, direi di sì, » la mora le prese il piattino di mano, strappandole un verso di dispiacere, « Ma smettila di ingozzarti, o non mangerai nulla! »
« Minto-chan, non siamo fatti tutti d’aria come te! Ridammelo! »
« Ragazze, non litigate, che ci guardano… »
Il timido appello di Retasu fu ignorato, mentre Minto iniziava a sgusciare tra gli ospiti con agilità, reggendo il piattino in una mano e ridacchiando perfida, mentre Ichigo l’inseguiva cercando di recuperare il bottino.
« Minto! » sibilò ancora con astio, « Dai, ho fame, ti pre- »
Il naso di Ichigo si schiantò dritto contro il torace di Ryou, che l’afferrò per le spalle e, prima che lei potesse connettere e valutare azioni successive all’arrossire, la voltò di forza e la rispinse con poca grazia da dove era venuta.
« Mi fate già pentire di aver dato retta a Keiichiro, » le borbottò, e lei lo guardò in cagnesco da sopra la spalla:
« Ha iniziato lei! »
« Ichigo, I don’t care, » la rimbrottò, fermandosi finalmente davanti al tavolo dei dolci da dove Purin e Retasu avevano osservato tutto con divertimento, « Basta che non mi facciate fare figuracce. »
« Come sei antipatico, » la rossa finalmente recuperò il suo tesoro perduto da Minto con una linguaccia, poi afferrò un macaron di un pallido colore rosa e glielo passò, « Su, mangia qualcosa, gli zuccheri ti faranno bene. »
« Sono stupito che sia rimasto qualcosa, conoscendovi. »
« La smettete tutti di commentare le mie abitudini alimentari?! »
Senza degnarli più d’attenzione, Ichigo afferrò decisa un mini-bombolone alla crema e lo divorò in un solo morso, lo zucchero a velo che le si disegnò intorno alla bocca e un poco del ripiano che le rimase sul dito. Lei gongolò soddisfatta e si pulì con discrezione, non disdegnando di indugiare un secondo di più con il pollice contro le labbra per godere dell’ultimo sapore della crema; si accorse solo all’ultimo, così presa dai suoi dolcetti, dello sguardo dell’americano su di sé, e si accigliò sentendo le guance accalorarsi.
« Che c’è? »
Ryou la fissò un istante di più, poi voltò la testa e si rivolse a tutte le ragazze: « Allora, credo sia arrivato il momento di consegnarvi tutto il necessario per ricominciare a lavorare qui, dopodomani. »
« Uuh, sono quasi gelosa, » commentò Minto sarcastica, ricevendo un’occhiataccia in cambio.
« Guarda che ci mancherai tantissimo, nee-san, » replicò Purin un po’ abbattuta mentre seguivano il biondo verso il locale, « Non sarà la stessa cosa, ora che non ci saremo tutte e ci saranno anche altre ragazze con noi. »
« Non preoccuparti, Purin, verremo lo stesso a trovarvi il più possibile, » la rassicurò Zakuro.
« È una minaccia? » borbottò Shirogane, ricevendo all’unisono quattro pizzicotti sul braccio e un risolino da parte di Retasu.
« A proposito delle nuove ragazze, cosa ti sei inventato per la misteriosa porta del seminterrato chiusa a chiave? »
« Centralina elettrica, caldaia, ripostiglio con vecchie cose mie e di Keiichiro. Niente che potrebbe sembrare interessante. »
« A meno che il tuo fan club non sia molto intenzionato a mettere mano ai tuoi vestiti. »
Ryou trucidò Minto con lo sguardo: « Io non ho un fan club. »
« Ma se metà della clientela del locale chiedeva sempre del giovane proprietario, » aggiunse Purin sghignazzando, « Ora che non abiti nemmeno più qui, saranno disperate! »
« Spero che le mie deliziose cameriere riusciranno a far passare loro il disappunto. E Aizawa, by the way, tu sei l’ultima che può parlare. »
Mentre la mora borbottava qualcosa di minaccioso in sottofondo, Ryou estrasse finalmente uno scatolone dallo spogliatoio, che all’apertura emanò un meraviglioso profumo di bucato.
« Nuove di zecca, ovviamente, » commentò, invitandole con un gesto della mano, e Purin fu la prima a lanciarsi sulle uniformi, con lo stesso aspetto di quelle che avevano indossato da adolescenti.
« Ah, mi sei mancata! » esclamò, portandosela davanti al corpo, « Possiamo provarle ora? Possiamo, possiamo, possiamo? »
Anche Ryou rise e annuì, indicando con un cenno del capo lo spogliatoio: « Siamo qui per questo, in caso non vi vadano bene. »
Ichigo, Retasu, e Purin, le uniche tre che sarebbero ritornate a lavorare part-time al Caffè, si defilarono eccitate dentro lo stanzino, e l’americano nel frattempo pescò il pacchettino che era rimasto sul fondo dello scatolone.
« Vi abbiamo preparato comunque una copia delle chiavi, » spiegò alle due ex Mew Mew rimaste, porgendo a ciascuna un mazzo con tre chiavi diverse, « Inclusa quella del laboratorio. Per ogni evenienza. »
Zakuro si accigliò appena, ma annuì e le mise in borsa, mentre Minto sospirò drammatica: « Secondo me, stai un po’ gufando, Shirogane. »
« Sappi che sarai la prima indiziata quando comincerò a vedere multipli ordini di scorte di tè. »
« Fossi in te sarei più preoccupato dell’abitudine di Ichigo di ingozzarsi per l’ansia prima degli esami. »
Quando le vide uscire dallo spogliatoio, in una sorta di strano déjà-vu, Ryou si rese conto che davvero non era pronto a riaverle in giro tutti i giorni, tutto il giorno.
Esalò piano tra i denti, imponendosi un minimo di autocontrollo, perché erano passati sei anni, ed erano persone diverse, e non era possibile che…
« Nii-san, che ne pensi? » Purin gli si parò davanti energetica, quasi sbattendogli la crestina sul naso, e lui sbuffò:
« Perfetta, Purin. Calza a pennello. »
La biondina, soddisfatta, continuò a blaterare allegra con Retasu, mentre l’attenzione del biondo si spostò nuovamente su Ichigo, che stava confabulando davanti allo specchio insieme a Minto su come acconciare i capelli, ora portati più lunghi. Non finse nemmeno di ignorare il rombo del suo stomaco al rivedere le gambe chiare spuntare da sotto le frappe della gonna, o alla sua risata nel tentare di riproporre i suoi due vecchi codini, ma evitò testardamente di considerare anche solo la presenza di Zakuro accanto a sé.
Che era patetico se lo poteva benissimo dire da solo.
« Ho un’idea! »
La più giovane del gruppo si fiondò dentro la borsa di Retasu per estrarre la polaroid che si portava sempre dietro, incurante della fioca protesta dell’amica circa al macello che vi provocò, e la mostrò ai compagni:
« L’occasione richiede una foto! »
« Ha ragione! » Ichigo afferrò Minto per un braccio e la trascinò al centro del Caffè, « Purin, vai a chiamare Keiichiro, magari chiedi a uno dei camerieri se può aiutarci! »
« Ichigo, sono qua per lavorare… » borbottò sottovoce l’americano, mentre la biondina si scapicollava verso il giardino, e la rossa lo ignorò mentre posizionava anche le due brune e Retasu come se fossero dei bambolotti.
« Oh, su, è solo un favore iper rapido! »
Ryou sbuffò e si lasciò trainare al posto designato intanto che Purin e Keiichiro, insieme a un cameriere dall’aria frastornata ma gentile, tornavano dentro.
« Pronti, pronti?! »
Lei si lanciò in mezzo a Minto e Retasu, Ichigo che invece sgusciò tra Zakuro e Ryou mentre Keiichiro prendeva posto di fianco a quest’ultimo.
« Un bel sorriso e abbracciamoci! »
« Purin, tu più che altro mi stai spezzando le costole, » pigolò sottovoce Retasu, comunque un sorriso a trentadue denti.
La modella e Ichigo risero sottovoce del mugugnare in madrelingua di Ryou quando Keiichiro gli avvolse un braccio intorno alle spalle; la rossa avvertì leggera la mano del biondo posarsi sull’incavo della schiena e sorrise, passando il braccio intorno al suo mentre posava la testa sulla spalla di Zakuro.
« Pronti? » il cameriere sorrise e tutti loro si strinsero appena un po’, ridendo nel flash che seguì.
 
 
 
 
Ichigo aveva ovviamente esteso la sua visita a Villa Aizawa con un pigiama party per due, e giocherellò distratta con il cellulare mentre la padrona di casa finiva di struccarsi alla sua toeletta, riguardando l’immagine della foto di quel pomeriggio – simbolicamente consegnata a Keiichiro perché la incorniciasse in cucina, così come aveva voluto Purin.
Il mezzo sorriso accennato di Ryou era quello che aveva sempre conosciuto; non era mai stato particolarmente espansivo o allegro, e lei poteva contare sulle dita le volte in cui l’aveva davvero visto sorridere come si deve o ridere per davvero. Ma – o forse erano solo i dolci della giornata a parlare, o il fatto che dopo non essersi visti per quasi un anno avessero più tolleranza l’uno dell’altra – le sembrava che lui fosse cambiato un poco, che fosse più… non sapeva nemmeno lei come spiegarlo, visto che l’unico aggettivo che le veniva in mente era più Ryou.
E lei proprio non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo che gli aveva visto negli occhi azzurri che l’avevano osservata.
« Guarda che tutto questo silenzio mi preoccupa, » la punzecchiò Minto, lanciandole  un’occhiata dallo specchio.
« Scusa, » la rossa esalò uno sbuffo divertito e si stiracchiò, « Sto esaurendo la scorta di zuccheri e sono un po’ stanca. »
« Con tutti quelli che hai mangiato, sono quasi stupita, » l’amica la prese in giro alzandosi e ripiegando con cura la vestaglia sulla poltroncina di velluto, « Allora così mi posso risparmiare la visione di uno dei tuoi amati film mielosi e investigare su perché continui a fissare il cellulare così imbambolata? »
Ichigo s’imbronciò e nascose prontamente il telefono, un velo di rossore sulle guance: « Non sto facendo proprio nulla. Tu piuttosto! » si difese mentre Minto si stendeva accanto a lei, « Non mi hai più detto cosa è successo con quel rampollo che voleva affibbiarti tua mamma. »
« Non è successo niente, infatti non ne sai nulla. »
« Sì ma, l’hai visto, siete usciti, com’era, vi siete baciati?! »
La mora le scoccò un’occhiata scettica: « Come se ti racconterei mai certe cose. »
« Non è divertente fare gossip con te. »
« Invece… » Minto distese un sorrisetto inquietantemente soddisfatto, allungandosi sopra la rossa e ignorando le sue proteste per afferrare di nuovo il cellulare, che aveva vibrato un paio di volte, « Chi è che ti scrive a quest’ora! »
« Minto! »
La mora la ignorò e aprì tranquillamente il telefono, il ghignetto che si allargò deciso: « Mi raccomando non fare tardi dopodomani, devi dare il buon esempio, Shirogane! Ah, siamo tornati all’attacco, eh? »
« Non essere sciocca, » Ichigo assunse il colore dei propri capelli e riuscì a riappropriarsi del proprio telefonino, « E poi che vorresti dire!? »
Minto la guardò ironica, un sopracciglio talmente sollevato che pareva stare sul punto di andarsene per i fatti propri: « Momomiya, ti prego. »
Lei le fece il verso muta, il naso arricciato, borbottando mentre si piegava per nascondere l’oggetto della contesa dentro la borsa: « Tu fai dei gran viaggi. È solo ancora il fuso orario, e vuole darmi fastidio come al solito. »
« Certo, e io sono la regina d’Inghilterra. Dai, passami il telecomando, vediamo se troviamo qualcosa d’interessante. »
Ancora a pancia in sotto a penzoloni dal letto, Ichigo si distrasse un secondo, mentre veloce come un lampo digitava una risposta.
“Ovvio! Ci sarò :)”
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ryou, che di solito al mattino soffriva di un potente caso di pressione bassa e faticava ad aprire le palpebre e muovere un solo muscolo per i primi dieci minuti – con buona pace del fatto che spesso non si addormentava prima di notte inoltrata – ebbe la sensazione che quella giornata sarebbe andata storta quando i suoi occhi si spalancarono ancora prima del suono della sveglia e il suo corpo vibrò, già pronto per incominciare la routine.
All’inizio, diede la colpa al letto nuovo, al nuovo appartamento, uno sfasamento in differita rispetto a quando ci si era davvero trasferito, oppure a un cambiamento stagionale vista la primavera inoltrata e i ciliegi in fiore. Vagabondò borbottando fino alla macchinetta del caffè, sua priorità principale sempre e comunque, e solo quando ebbe una tazza bollente tra le mani ritornò in camera da letto a prendere il cellulare.
Quando vide le tre chiamate perse di Keiichiro, sempre molto più mattiniero di lui, il messaggio che recitava “Controlla computer”, ed – effettivamente – la notifica di molte notifiche dai computer principali del laboratorio, seppe che non era decisamente guarito dalla totale mollezza mattutina.
Con un grugnito e un’imprecazione, infilò il cellulare tra spalla e orecchio mentre pescava il portatile dalla tracolla e lo accendeva, telefonando nel frattempo al suo fido collaboratore che rispose in meno di due squilli.
« Hai - »
« Sto accendendo adesso. Da uno a dieci? »
Paradossalmente, udì il moro ridacchiare: « Guarda. »
Lui ingollò un altro sorso di caffè rovente con un sibilo mentre il sistema del portatile si connetteva a quello del server primario, finché una schermata gli riempì il monitor e lui dovette sbattere le palpebre per essere sicuro di aver letto bene. Probabilmente, Keiichiro doveva aver intuito il suo stupito silenzio, perché sospirò di nuovo, leggero: « Te l’avevo detto. »
«… vediamoci tra mezz’ora al Caffè. »
 
 
 
 
« Speravo di non dover più usare questa stanza. »
Ryou si sfregò gli occhi, già provato dal piccolo bunker che era il laboratorio nascosto nel seminterrato del locale.
Keiichiro gli sorrise comprensivo: « I nostri scenari sono sempre stati peggiori però, non trovi? »
Il biondo grugnì, molto poco convinto, digitando ancora un paio di tasti in maniera svogliata: « Lo sai che non mi convinci con i tuoi tentativi di trovare sempre un lato positivo. »
Il moro ridacchiò e si alzò dalla sua postazione: « Come vuoi dare la notizia? »
« Vorrei non darla, » Ryou gemette sottovoce e si arruffò i capelli, riflettendoci un secondo, « Ma conoscendole, più la tiriamo per le lunghe, più vorranno la mia testa su un vassoio. Facciamole venire qui tutte e basta, abbiamo un’ora prima dell’apertura, dovrebbe essere sufficiente. »
« Chiamo io? »
« Please, I beg you. »
Con una risatina, il pasticcere si avviò al piano di sopra per iniziare il giro di telefonate.
Forse ormai memori di cosa volesse dire riceve appelli del genere, soprattutto prima delle dieci del mattino, non ci volle molto perché le ragazze si ritrovassero nel locale ancora vuoto, ognuna con una gradazione diversa di espressione nella scala tra il preoccupato e l’arrabbiato.
« Io l’ho sempre detto che c’era qualcosa sotto, » borbottò Minto, slacciandosi il cappottino primaverile, « Avete riaperto da una settimana e già facciamo le riunioni generali. »
« Magari non è niente di grave, » tentò di blandirla Retasu, sistemandosi nervosamente gli occhiali con la punta delle dita.
« Shirogane nii-san non è ancora spuntato, » ridacchiò invece Purin, infilandosi nello spogliatoio insieme ad Ichigo, « È sicuramente qualcosa di grave. »
 Le ragazze rumoreggiarono ancora qualche istante, mentre Keiichiro serviva tè e pasticcini di supporto.
Ryou spuntò dal piano interrato nello stesso momento in cui Ichigo e Purin uscirono dallo spogliatoio, già pronte nelle loro divise, e fu accolto dalla stessa occhiata truce di tutte.
« Allora? » domandò pronta Zakuro, le braccia conserte e una sottile ruga tra gli occhi.
Il biondo prese un altro respiro, guardandole di nuovo tutte in piedi vicino all’entrata della cucina.
« Prima di tutto, vogliamo rassicurarvi che non c’è niente di preoccupante, » incominciò Keiichiro, mettendo le mani avanti e sorridendo loro con affabilità, « Ma ci sembrava giusto avvisarvi in ogni caso. »
« Già non mi piace… » mormorò Retasu sottovoce, Purin accanto a lei che annuì convinta.
« D’accordo, le cose stanno così, » Ryou fece un mezzo passo avanti ed esalò, « Giusto stamattina – »
Non fece in tempo a terminare la frase, sotto gli occhi preoccupati delle ragazze, che il beep beep beep allarmato del computer dal seminterrato li raggiunse come un fulmine, insieme a una voce molto nota.
« Che piacere rivedervi, bamboline. »
Per qualche istante, gelo totale.
Kisshu, spuntato nel bel mezzo del salone, ghignò malefico e fluttuò con noncuranza fino a raggiungere le ragazze – o meglio, a raggiungere una distanza di circa dieci centimetri dal naso di Ichigo.
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa faiiii, nyaaaah! » la rossa, diventata della stessa tonalità della sua uniforme, scattò all’indietro con prontezza felina, « Cosa ci fai tu qui! »
Kisshu, reggendosi la pancia mentre rotolava per l’aria ridendo della sua reazione, finse teatralmente di asciugarsi una lacrima: « Sorpresa. »
Fu il delirio.
Le altre cinque ex Mew Mew iniziarono chi a prenderlo a male parole, costringendolo ad alzarsi in volo fino al soffitto per sfuggire alla loro presa, chi a sfogarsi su Shirogane – che pareva star fumando dalle orecchie – chi a continuare a domandare cosa stesse succedendo.
« Ma nemmeno un buongiorno? » commentò di nuovo lui, divertito, mentre galleggiava sopra le loro teste con aria beffarda, « Dove sono finite le vostre buone maniere. »
« Scendi che te ne diamo un assaggio. »
« Uh, che proposta, passerotto. »
« RAGAZZE! » la voce di Keiichiro magicamente riuscì a sovrastare quella degli altri, e si portò al centro della stanza, « Vi prego, cerchiamo di spiegare. »
« Sarebbe il caso, » mugugnò Ichigo a denti stretti, ignorando ferocemente il ghignetto soddisfatto del verde.
Lui planò di nuovo davanti a lei, afferrandole la mano e schioccandoci un bacino innocente sopra: « Dai, ammettilo che ti sono mancato. »
Lei, ormai diventata viola, pigolò di nuovo strozzata e tentò invano di ritirare il braccio, quando la figura elegante di Zakuro sopraggiunse minacciosa di fianco a lei e Kisshu si allontanò con uno strano verso di gola.
« Okay, okay, d’accordo, calmiamoci tutti. »
« Possibile che tu non sappia fare altro che combinare casino? »
Otto teste si voltarono verso la porta d’ingresso, su cui era appena apparso Pai, le braccia incrociate e l’espressione truce.
Il fratello, dall’alto del soffitto, ridacchiò invece soddisfatto: « Lo sai che mi piacciono le entrate trionfali. »
« È un incubo, vi prego, ditemi che è un incubo. »
« Mew Mew, » Pai le salutò con un cenno del capo, ignorando il commento disperato di Minto, poi rivolse lo stesso gesto ai due uomini, « Shirogane, Akasaka. »
Il moro ricambiò, un po’ titubante, invece il biondo gli lanciò un’occhiata glaciale: « Non avevate detto che stavate arrivando? »
Kisshu incrociò le braccia dietro la testa, sempre a distanza di sicurezza: « E infatti eccoci qua! »
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, sarebbe sicuramente stato dilaniato dagli occhi azzurri.
« Obviously. »
Il maggiore degli Ikisatashi scosse piano la testa, nascondendo un giramento di occhi: « C’è stata un’interferenza durante l’invio del messaggio, che quindi è arrivato molto in ritardo, » spiegò, « Non ci hanno dotato di un equipaggiamento entusiasmante, questa volta. »
« Fermi, fermi, fermi! » Ichigo fece qualche passo avanti, reggendosi la testa, « Io non ci sto capendo più nulla. Voi sapevate di… tutto ciò? »
Keiichiro la guardò ed annuì, con aria grave: « Ecco il motivo per cui vi abbiamo chiesto di trovarci qui, oggi. Il messaggio a noi è arrivato soltanto stamattina. »
« Ci dispiace, » commentò il moro, guardando ancora di sottecchi al fratello, « Non volevamo creare troppo fastidio. »
« Credo di sentirmi male. »
Minto si accasciò su una sedia melodrammaticamente, per poi scoccare un’occhiataccia a Ryou: « Io lo sapevo che non poteva andare tutto liscio! »
« Come se l’avessi scelto io! »
« Ora calmiamoci, » la voce fredda di Zakuro, incrinata solo da una nota di evidente fastidio, li fece tacere prontamente, la morettina che serrò le labbra già pronte a replicare, « E voi abbiate la compiacenza di spiegarvi. »
Kisshu si mantenne lontano da eventuali aggressioni fisiche, ben memore delle potenzialità della modella, appollaiandosi al bancone della cassa mentre le ragazze occupavano le sedie vicino a quella di Minto e i due scienziati rimanevano in piedi vicino loro.
« Fatemi premettere che non siamo tornati con intenzioni bellicose, » chiarì subito Pai, guardandole ad una ad una, « Anzi, portiamo i ringraziamenti del nostro governo per la cessione della Mew Aqua, che è riuscita a riportare il nostro pianeta a uno stadio di totale abitabilità. Tutta la popolazione ne ha giovato molto, e ora Duuar (***) è prolifica e il suo popolo pacifico.»
« Sì, dopo averci fatto il culo a strisce per mesi, però, » borbottò sottovoce Kisshu, e il fratello maggiore perseguì ad ignorarlo.
« Le esalazioni benefiche della Mew Aqua sono penetrate a fondo nel nucleo di Duaar, rigenerandolo ed espandendosi per tutta la sua superficie. Il suo potere si è dimostrato così straordinario che non è stato necessario utilizzare tutta la sostanza, per rigenerare il pianeta. Così, siamo stati incaricati di farvi un ringraziamento materiale. »
Così dicendo, Pai estrasse dalla tasca una fialetta colma di liquido brillante, strappando un sussulto agli altri presenti.
« Non pensate sia tutta, » ghignò l’altro alieno, incrociando le mani dietro la nuca, « Ne abbiamo tenuto un po’ da parte in caso la situazione si rifaccia grigia. »
« E questo ci porta al fulcro della nostra missione, » Pai annuì grave, rivolgendosi maggiormente agli altri due ragazzi del gruppo, « Non abbiamo certezze se il risultato ottenuto con la MewAqua sia permanente o meno, quanto i suoi effetti possano durare. Siamo venuti qui per prelevare campioni del vostro terreno, nel tempo, specialmente in punti in cui sappiamo la Mew Aqua sia penetrata, per poterli paragonare ai nostri risultati. Così potremmo capire se gli effetti sono permanenti, se hanno picchi di funzionalità, e via dicendo. »
I due scienziati si scambiarono un’occhiata veloce, poi Keiichiro annuì: « Ha senso. Anche se non ci siamo mai accorti che fosse rimasta della MewAqua, a Tokyo. »
« Altrimenti noi ci saremmo illuminate! » intervenne allegra Purin, beccandosi un’occhiataccia da parte di Minto e un sottile shhh da Retasu.
« Sono quantità minime, non tracciabili se non con appositi congegni, » spiegò Pai, « Non è tanto la quantità, quanto questa abbia influito e se per caso ne serva di più. »
« Avete provato a ricrearla? »
Il moro annuì, rivolto a Ryou: « C’è un progetto in corso su Duuar, ma finora non ha portato ai risultati sperati. La MewAqua è una sostanza molto particolare, forse fin troppo per essere riprodotta in laboratorio. »
« Potrebbe essere interessante tentare, » Keiichiro si voltò verso Ryou, il quale però continuò a scrutare torvo i due nuovi arrivati, con le braccia incrociate.
« Quando parlate di nel tempo, cosa intendete? »
Kisshu – che si era affacciato nel mentre dalla finestrella della cucina per investigare i vari odorini meravigliosi che ne uscivano – lo guardò da sopra la spalla con un ghigno divertito:
« Per tutto il tempo che il mio caro fratellone genialoide qui riterrà opportuno per prelevare i campioni giusti. Non sei contenta, micetta? »
« Nyaaah, io non voglio saperne niente! »
« Non abbiamo un periodo stabilito, dipenderà dal risultato degli esperimenti. »
Il biondo sembrò soppesare le ultime parole, la ruga sulla sua fronte sempre più profonda.
« Voi che ne pensate? »
Le cinque ex Mew Mew si scambiarono qualche occhiate confusa, non pensando che sarebbero state interpellate.
« Commenti tecnici sui vostri esperimenti non credo siamo in grado di farne, » borbottò sottovoce Minto, « Io continuo a non credere alle coincidenze. »
Purin sussultò un istante e si infilò sotto al tavolo, strappando ad Ichigo uno strillo quando le agguantò il bordo della gonna per sollevarlo e studiare il suo interno coscia.
« Tutto okay! » esclamò la biondina un po’ ovattata, mentre la rossa continuava a cercare di scacciarla e al tempo stesso di non farsi denudare del tutto davanti a tutti, « La voglia di nee-chan non c’è! »
« Purin, non siete delle cartine tornasole, » commentò Shirogane, ormai privato di qualsiasi energia.
Zakuro studiò ancora un po’ i due alieni, poi si appoggiò un po’ di più allo schienale della sua sedia: « Come facciamo ad avere una garanzia di ciò che state dicendo? »
Pai annuì sicuro, come se si fosse aspettato una domanda del genere da lei: « Possiamo mettere tutte le nostre strumentazioni e ricerche a vostra disposizione. »
« E poi vi abbiamo avvisato, » cantilenò Kisshu, ricominciando a fluttuare per la stanza, « Potevamo benissimo farci i cavoli nostri, ma abbiamo preferito non scatenare di nuovo un casino interplanetario arrivando senza bussare. Malfidati. »
« Be’, Kisshu-san, non puoi proprio biasimarci… » ridacchiò appena Retasu, sistemandosi nervosamente gli occhiali.
« Già! Eri proprio un diavoletto, una volta! » rincarò allegra Purin, riemersa dalle gambe delle ragazze, « Posso venire anche io a vedere l’astronave? »
« Una cosa per volta, » s’intromise Keiichiro, « Prima di tutto, vi ringraziamo per il preavviso e per la Mew Aqua. Sono certo che potremmo dare inizio a una fruttuosa collaborazione, se volete. I nostri sistemi sono aggiornati e abbiamo una copertura ben oltre Tokyo. A unire gli sforzi si raggiungono risultati migliori. »
Ryou schioccò la lingua infastidito, spostando il peso da un piede all’altro per domare il livore, ma dentro di sé riconobbe almeno il tentativo del suo tutore di poter avere un minimo di controllo sopra ciò che i due alieni avevano in mente.
« Sono sicuro che avrete affrontato un viaggio molto stancante, e il Caffè deve aprire tra poco, quindi possiamo proporre di ricominciare le questioni più tecniche a domani, a mente più fresca? »
Pai fece un gesto di consenso con il capo, all’apparenza sollevato di poter già congedarsi dalla compagnia umana: « Inizieremo anche noi a settare i nostri apparecchi, così da poter cominciare al più presto. »
« Oh, rilassati un attimo, » Kisshu osò svolazzare appena più vicino al tavolo delle ragazze, « Siamo appena arrivati, abbiamo un sacco di cose da raccontarci, vero, micetta? »
Mentre il viso della rossa s’incendiava e lei spostava la sua sedia come a cercare protezione in Retasu, Ryou si schiarì la gola con così tanta forza che avvertì le corde vocali lamentarsi:
« Credo sia meglio stabilire qualche regola, » sentenziò lugubre, « Vorrei evitarmi di trovare i servizi segreti tra le scatole perché la gente corre in giro a gridare di vedere qualcuno volare. »
Il viola fulminò il fratello con lo sguardo per l’ennesima volta, ma quello persistette nel fischiettare tranquillo, ben conscio dell’effetto che aveva sui due: « Non attireremo l’attenzione. »
« Vi conviene anche cambiarvi, » ridacchiò Purin, accennando ai vestiti dei due, gli stessi di cui si ricordavano ma così diversi dall’abbigliamento umano, e alle orecchie a punta ben in vista, « Non siamo in periodo di cosplayer. »
« Abbiamo pensato pure a quello, » ghignò l’alieno dai capelli verdi, « Saremo irresistibili, scimmietta. »
« Questa sembra un’invasione meglio pianificata dell’ultima volta, » grugnì Ryou sottovoce, guadagnandosi un’occhiataccia da Keiichiro, che di nuovo si fece avanti.
« Diciamo qui domattina, alla stessa ora? »
« Non sentire troppo la mia mancanza, micetta! »
E con un ultimo bacetto lasciato nell’aria, Kisshu sparì così com’era apparso, seguito poco dopo da Pai e dal sentore del suo sottile ringhio esasperato.
Per altri due minuti, solamente il silenzio riempì la stanza del Caffè, mentre le ragazze rilassavano appena le spalle.
« Ma quindi ora devo anche mettermi a lavorare? » borbottò Ichigo sottovoce, passandosi le mani tra i capelli, « Mi sta già scoppiando la testa, nyaaah! »
« Ogni scusa è buona, Momomiya. » le rimbrottò Ryou, continuando a squadrare l’uscita con aria torva, come se temesse di vedere ricomparire i due ospiti inattesi.
« Suuuu, ammettetelo che un po’ siete contente, » Purin si stese con quasi tutta la pancia sul tavolo per attirare l’attenzione delle amiche, « Ora è davvero come sei anni fa! Anche se mi chiedo dove sia Taru-Taru… »
« Ci manca anche il terzo… » fu il lugubre commento di Shirogane, che girò sui tacchi scomparire giù dalle scale, « Vedete di non battere la fiacca, o davvero ricominceremo ad attirare l’attenzione se a una settimana dall’apertura siamo di nuovo in alto mare. »
Loro si scambiarono un’occhiata sconsolata con Keiichiro, poi le tre in divisa da cameriera si alzarono con lentezza, sperando di poter contrastare la confusione concentrandosi sul lavoro.
Zakuro si concesse un unico sospiro di stizza, alzandosi insieme a loro e stringendo la borsa sotto al braccio: « Mi raccomando, occhi aperti adesso. Dobbiamo molto a loro, ma alcune cose possono non cambiare. »
Le altre annuirono, un po’ timorose, e si avviarono per prepararsi alla giornata.
 
 
 
 
A fine turno, Ichigo zampettò silenziosa fino al laboratorio, dove sapeva che Ryou si era rintanato in cerca di solitudine e tranquillità vista l’inagibilità della sua vecchia camera da letto. Come previsto, la porta del laboratorio era socchiusa, e lei poteva sentire il rumore della tastiera che serviva da valvola di sfogo e una fievole musica di sottofondo.
« Riprendi anche a farmi gli agguati? » la prese in giro stancamente quando la notò sbirciare dalla fessura, incerta se bussare o meno.
Lei arricciò il naso ed entrò di qualche passo nella stanza: « Non ti ho mai fatto agguati. »
Il biondo sbuffò appena divertito e si appoggiò allo schienale della sedia per stiracchiarsi, prima di passarsi una mano tra i capelli e borbottare qualcosa sottovoce che la rossa non capì.
« Che ne pensi? »
Le lanciò un’occhiata un po’ rassegnata, la mano ancora nella chioma: « Che sinceramente avrei preferito non rivederli. »
Ichigo fece ancora qualche passo tentennante, picchiettando con le dita sulla scrivania: « Dai, alla… fine ci hanno aiutato. »
« Se sei contenta di rivedere Kisshu, basta dirlo, sai. »
« Guarda che… ! »Ichigo strinse i pugni e prese un respiro profondo per calmarsi prima di esplodergli contro, offesa dalla sottile accusa, « Non c’entra proprio niente. Volevo solo sapere come stavi, e se volevi parlare. Noi ragazze un po’ ne abbiamo discusso. »
« Non voglio parlare, Ichigo, » lui soffiò, ancora contrariato, poggiando i gomiti sulla scrivania per prendersi la fronte tra le mani, il mal di testa che perseguiva a rimbombargli tra le tempie, « Voglio solo capire se ci stanno prendendo in giro o meno. »
La rossa cercò di interpretare i dati che vedeva scorrere sui multipli schermi, rinunciando in un istante e drizzando le spalle, già pentitasi del suo tentativo di supporto.
« Okay, » borbottò, e fece per fare dietrofront, « Ciao, allora. »
Ryou le afferrò il polso prima che potesse voltarsi, guardandola da sotto la frangia con un occhio mezzo aperto: « Sorry, » mugugnò, senza lasciare la presa.
Ichigo lo guardò storto, ma si avvicinò un po’ di più: « Perché le cose difficili le dici sempre in inglese? »
Lui si lasciò scappare uno sbuffo divertito: « Because it’s easier. »
Le sue dita scivolarono dal polso al palmo di lei, accarezzandole piano il dorso della mano con il pollice.
« Poi chi ti dice che sia difficile chiedere scusa? » continuò a prenderla in giro.
« Oh, per favore, » la voce della rossa uscì più fievole di quanto avrebbe voluto, « Sei una delle persone più orgogliose che conosca. »
« Senti chi parla, » Ryou rise e si alzò per picchiettare piano l’indice della mano libera contro la sua fronte, « Questa è una testolina molto dura. »
Ichigo maledisse la sua propensione ad arrossire e si sforzò di alzare il mento con fare sicuro: « Be’, allora… vado a casa. Devo studiare un po’. »
Il biondo annuì e le diede un buffetto sul naso: « Sta’ attenta. »
« Che fai, ti preoccupi per me? »
Lui rise appena del suo tentativo di essere baldanzosa: « Non ho voglia di ricominciare a doverti salvare la coda. »
« Ah, ah, simpatico, » rimbrottò lei, « Il giorno in cui mi ricresce la coda, ti ci strozzo. »
Il colore sulle sue guance si intensificò all’occhiatina divertita e allusiva che le lanciò, e Ryou fece per replicare, la mano ancora sulla sua, quando un intenso trillare dei computer li fece sobbalzare entrambi.
« Damn it, » l’americano quasi volò sulla tastiera, esaminando i dati che pulsavano sul monitor, « Ho cambiato il settaggio dei valori su quelli indicati da Pai ed effettivamente ci sono minuscole tracce di Mew Aqua rimaste. »
Ichigo non tentò nemmeno di sforzare il suo cervello, incrociando solo le braccia al petto: « Quindi avevano ragione? »
« Ragione è un parolone… »
La rossa non riuscì a evitare di ridere alla sua espressione corrucciata, conscia di quanto lui detestasse ammettere di non essere totalmente nel giusto: « Allora li aiuterete? »
Ryou si accasciò contro lo schienale della sedia, arruffandosi i capelli: « Sono più tranquillo a sapere cosa stiano facendo, che a saperli qua sulla Terra a scorrazzare liberamente in giro. E chissà che i risultati non siano utili anche a noi. »
Lei gli diede appena un colpetto col gomito sulla spalla: « Stai forse ammettendo che anni di diplomazia di Keiichiro hanno avuto effetto anche su di te? »
« Pensavo dovessi andare a studiare, Momomiya. »
Ichigo rise di nuovo, avviandosi verso la porta, poi si mordicchiò il labbro inferiore: « Se hai… bisogno, chiama pure. »
Il biondo tentennò un secondo prima di voltarsi verso di lei e annuire, abbozzandole un mezzo sorriso: « You too, ginger. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ryou si chiese quanto a lungo il suo fegato avrebbe continuato a resistere.
Era stato deciso che, per sfruttare al massimo le potenzialità del laboratorio del Caffè, i due Ikisatashi si installassero nel locale, adoperando le due camere da letto inutilizzate al piano superiore, che Keiichiro aveva prontamente diviso dal resto della struttura facendo installare una porta. In questa maniera, Ryou poteva crogiolarsi nell’idea di poter tenere un minimo sott’occhio ciò che stavano combinando, anche se ciò significava dover passare la maggior parte del tempo al Caffè e trovarseli tutti tra i piedi.
Già avere sempre intorno Ichigo in veste da cameriera gli riportava alla mente paturnie adolescenziali che erano difficili da domare; già trovava faticosamente sopportabile condividere lo stretto spazio vitale del seminterrato con Pai e la sua austerità; ciò che gli mancava era davvero l’indisponente, intollerabile, sfacciata presenza di quella testa di broccolo di Kisshu.
Si domandò se avesse mai incontrato un essere più irritante di lui. Lui e i suoi ghignetti, le battutine, il suo oziare per la maggior parte del tempo facendo più che onore alla cucina – a gratis, ovviamente perché certe abitudini Keiichiro sembrava non perderle –, le risatine e i sospiri che salivano dalla clientela femminile del Caffè ogni volta che si presentava.
Per non parlare poi del suo costante ronzare intorno ad Ichigo.
Gli schioccò un’occhiataccia, seduto al tavolo a ingozzarsi di pasticcini, mentre lui riemergeva dal laboratorio per andare a rilassarsi a casa.
« Che muso lungo, biondino, » lo apostrofò irriverente, cacciandosi l’ennesimo dolcetto in bocca, « Già sfiancato dal lavoro con Pai? »
« Se tu ti fossi palesato una sola volta in tutta la settimana, lo sapresti, » gli sibilò gelido l’americano, desiderando moltissimo possedere una frazione dei poteri di Kisshu per fulminarlo all’istante.
« Preferisco il lavoro sul campo, » ribatté l’altro, per niente scalfito dall’evidente astio, lanciando un’eloquente occhiata alla clientela.
« For fuck’s sake… »
Ryou fece per dirigersi a passo marziale verso l’uscita, quando fu fermato dalla voce di Ichigo, che lasciava in quel momento la cucina.
« Shirogane-kun, aspetta! Mi faresti un favore? »  
 Gli fece segno di fermarsi e s’infilò velocemente nello spogliatoio, uscendone trafelata trafficando nella sua borsa.
« Mi potresti controllare questi? » esclamò con il fiatone, schiaffandogli sotto al naso un plico stropicciato di fogli, « Sono le brutte copie di un esame. »
Lui li afferrò, lanciandole un’occhiata scettica: « Brutte sicuro, Ichigo. »
« Dai, ero di fretta! Non ho sentito la sveglia e dovevo correre a lezione, ho fatto il possibile. »
Ryou abbozzò a un sorrisetto, picchiettandogliele sul naso: « Non cambi mai, eh, ginger? »
Dal suo angolino, Kisshu lasciò uscire uno sbuffo più che compiaciuto: « Su, biondino, ammettilo, » ghignò malefico, osservando la rossa da capo a piedi, « Qualche cambiamento c’è stato. »
Ichigo arrossì fino alla punta dei capelli, afferrandosi il bordo della gonna e tirandola verso il basso il più possibile, e Ryou lo squadrò talmente male che lei addirittura temette per la sua vita. L’alieno, dal canto suo, sembrò più divertito che preoccupato da quello scambio, e ritornò a concentrarsi sui dolcetti.
La ragazza si schiarì la voce e si spostò di un passo davanti all’americano: « Uhm… allora mi aiuti? »
Lui nemmeno la guardò, ma l’afferrò saldo un braccio e la tirò piano verso l’uscita: « Sì, ma a casa. »
« Ehi, asp… i vestiti! » Ichigo cercò di svicolare per recuperare le sue cose, ancora nell’armadietto dello spogliatoio, ma lui parve non udirla e si avviò a passo deciso fuori dal retro, quasi trascinandola fino alla sua automobile.
« Shirogane-kun, ti vuoi calmare? » gli strepitò infine lei, « Spiegami perché ora ce l’hai con me! »
« Non ce l’ho con te, » replicò pronto lui, anche se la vocina nel suo cervello gli ripeteva che non gli sembrava che a lei fosse tanto dispiaciuto quell’odioso commentino.
« Allora non tirarmi come se fossi una bambina disobbediente. »
Ryou mollò il suo polso solo quando furono davanti alle portiere, entrando in macchina senza una parola di più.
Ichigo sbuffò innervosita, borbottando sottovoce qualcosa di incomprensibile mentre si accomodava al sedile del passeggero. Resistette solo i primi cinque minuti, prima di ricominciare:
« Guarda che non puoi reagire così male tutte le volte, ti verrà un colpo alla lunga. Lo sai che Kisshu è… fatto un po’ così. »
« Ora lo difendi pure? »
La rossa titubò un istante, afferrandosi una ciocca di capelli per controllarsi le punte: « Non posso… arrabbiarmi troppo con lui, lo sai… »
Ryou soffocò un’imprecazione al modo in cui lei fece cadere la frase, cogliendone appieno il senso velato, concentrandosi sul traffico per i minuti successivi.
« A confronto io sono solo il tizio che ti ha costretto a tutto questo casino. »
Percepì Ichigo girarsi verso di lui, appena sorpresa dall’ammissione, per fissarlo un istante prima di abbozzare a un sorriso: « Credevo che la tua battuta in questi casi fosse che la Terra mi ha scelta. »
« Tomayto, tomahto. » (****)
Lei sbuffò divertita, rimanendo in silenzio per la durata restante del tragitto. Quando si fermarono davanti al palazzo dove abitava la ragazza, lei lo guardò da sotto in su: « Sali davvero per aiutarmi a studiare? »
L’americano maledisse per l’ennesima volta dentro di sé il commento di Kisshu, veritiero come non mai, a vederla in uniforme con quell’espressione speranzosa, e sospirò:
« Ginger, devo - »
« Ti preeeeeego! » congiunse le mani davanti alla faccia, « Ti offro tutto il caffè che vuoi, lo sai già che altrimenti mi distraggo, e ho solo una settimana! »
Ryou alzò gli occhi al cielo, infilandosi nel primo parcheggio disponibile: « Non sono il tuo babysitter, sai. »
« Sei il mio tutor designato. »
« Ah! » lui rise sarcastico, mentre scendevano dalla macchina ed entravano nello stabile, « Allora ci sono anni di conti non saldati? »
« Oh, per favore, come se ti servisse. »
Ichigo lo precedette lungo le scale, canticchiando sottovoce con allegria mentre rovistava nella borsa alla ricerca delle chiavi, e lui scosse la testa, mezzo divertito.
« Adesso espatrio un’altra volta, così non mi venite più a rompere le scatole. »
« Non è divertente, » Ichigo gli lanciò un’occhiata torva da sopra la spalla, aprendo la porta del suo appartamento, « E poi credo che Akasaka-san e Pai riusciranno facilmente a trovarti anche negli Stati Uniti. »
« Non se mi nascondo in un eremo sugli Appalachi senza cellulare né tecnologie varie. »
« Shirogane! » lo sgridò con un broncio arrabbiato, lanciando con malagrazia la borsetta in un angolo e agitandogli un dito davanti al naso, « Smettila! »
Lui sbuffò irriverente, entrando nella casetta e poggiando con molta più cura il giubbotto all’appendiabiti: « Guarda che non ti servo per essere la leader delle Mew Mew, sai. »
Ichigo esalò pesantemente, un brividino che le corse lungo la schiena: « Non voglio nemmeno pensarci. E, ripeto, non fai ridere. E comunque, » aggiunse dopo un po’, incrociando le braccia al petto, « Sai benissimo che non è per quello, Ryou. »
Il suo cuore s’infranse di un millesimo di centimetro a sentirla usare il suo nome, lì in quella stanza che sapeva solo di lei, e la guardò soltanto di traverso: « Ti serve una guardia del corpo contro Kisshu? »
La rossa emise un semi-miagolio di stizza, scuotendo la testa mentre si avviava verso la camera da letto: « Hai lasciato l’umorismo negli Apitachi, o quello che sono. »
« Appalachi, » la corresse ridendo, « Preparo il caffè, sono ancora scioccato da ciò che sei riuscita a combinare l’ultima volta. »
« Ma se la macchinetta me l’hai regalata tu! »
La sentì berciare dall’altro lato della casa.
Ryou rise sotto i baffi un’altra volta, concentrandosi nel riempire il filtro della macchinetta americana – correttamente un suo regalo di qualche Natale precedente – e osservando l’appartamentino, così dannatamente suo, con le stoviglie spaiate, i magneti di città mai viste sul frigorifero, le tazze di cinque rosa diversi, macchie di rosa ovunque e un leggero casino che poteva vedere proseguire fino alla porta chiusa della camera. Il tavolinetto da caffè pieno di riviste, il portatile nell’angolo del divano, mezzo sotto a una coperta (rosa), il davanzale pieno di piante grasse e cornici di foto con le ragazze, ad accompagnare anche quelle appese ai muri con un una fila di lucine colorate sopra, un tappetino da yoga arrotolato in un cantuccio che lui sapeva benissimo avesse comprato insieme a Minto e usato forse quattro volte.
« Ecco qua! » Ichigo uscì dalla camera reggendo un secondo plico di fogli, quaderni e libri tra le braccia, che appoggiò pesantemente sul tavolinetto, « Dovrei avere tutto. »
Il biondo le si avvicinò reggendo due tazze fumanti e studiò la tenuta che aveva indossato, un paio di leggings e una felpa di tre taglie più grandi con sopra scritto Harvard: « Vedo che fai buon uso dei miei regali. »
Lei arrossì vistosamente, accomodandosi sul divano e tirando le maniche sopra le dita: « Se facessi il contrario ti lamenteresti. »
« Sono solo contento di averci azzeccato, ginger. »
Ichigo fece una smorfia, raccogliendo le gambe al petto e soffiando sul caffè, l’indice che giocherellava con il bordo di ceramica.
« Però un po’ sei felice di essere tornato a casa, no? » domandò sottovoce dopo un po’, fissando più il liquido scuro che lui.
« Vuoi dire a parte aver sgobbato per riaprire il locale in venti giorni, dover sentire i battibecchi tra te e Minto ogni giorno e i vostri commentini acidi sulle nuove cameriere, e la nuova invasione aliena? »
La rossa gli rivolse un’espressione esasperata, allungando piano un piedino per colpirgli la gamba: « … e dai, dico sul serio! »
Ryou sbuffò e fece roteare appena il caffè nella tazza: « Ovvio che sono contento, Ichigo. Altrimenti non sarei rimasto. »
« Scherzi sempre che non ci sopporti, » borbottò lei poco convinta, con il broncio di una bambina.
« Scherzo, ragazzina, esattamente la parola giusta, » le rimbrottò divertito, « E poi lo devi ammettere, ogni tanto sapete essere pesanti. »
Ichigo storse il naso, poi lo guardò da sotto in su con un sorrisetto: « Più pesanti di quanto pensassi? »
Lo vide sgranare appena gli occhi e poi ridere, avvicinando il viso al suo e picchiettarle la fronte: « Precisely. »
La rossa inalò forte, muovendosi con calma per poggiare la tazza sul tavolinetto, come temendo che un movimento troppo brusco avrebbe interrotto quell’istante.
« Mi sei mancato, Ryou, » esalò poi in un fiato solo, avvertendo il cuore schizzarle in petto e accenderle il viso sotto allo sguardo celeste di lui.
Ryou allungò solo una mano verso la sua guancia, accarezzandogliela mentre la studiava, facendosi ancora più vicino così che le loro fronti potessero toccarsi.
« Ichigo? » mormorò roco dopo un po’, e la rossa deglutì, non in grado di connettere una frase completa:
« Mmm? »
Il pollice di lui le sfiorò le labbra e lei udì il rimbombo impazzito del suo cuore nelle orecchie: « Non ti spostare, okay? »
Non fece in tempo a scuotere appena la testa che la bocca del ragazzo fu sulla sua, strappandole un sospiro quasi di sollievo. Lo strinse a sé e si lasciò stringere, lasciandosi andare sul divano per poterlo avere il più vicino possibile, e mugolando sottovoce quando le mani di lui sgusciarono veloci sulla pelle nuda sotto la felpa. Poi Ryou rallentò, discendendo con le labbra sul suo collo, saggiando piano le sue curve da sopra il tessuto, e con un respiro affannato sfiorò il naso con il proprio:
« Credevo dovessi aiutarti a non distrarti, » la prese in giro sottovoce.
Ichigo rise e intrecciò le dita dietro la sua nuca: « Non distrarti tu. »

 

 

 
 
 
 
 

 

 

(*) Un anno in più rispetto alla trama originale della fanfic, nda, solo per dare loro più lasco :)

(**) Direttamente dal sito dell’Università di Tokyo: tutti gli studenti dei primi due anni frequentano corsi per acquisire conoscenze di base per la prosecuzione degli studi (nel caso di UTokyo, ad esempio, frequentano tutti il College of Arts and Sciences, che dota di un’educazione comprensiva in scienze umanistiche). Il terzo e quarto anno sono invece dedicati a una specializzazione in una delle facoltà.

(***) Vent’anni senza mai notare che ‘sti poveretti hanno un pianeta senza nome – non che sia di chissà quale importanza, ma in ogni caso, dal Bretone Douar che significa (ma va?) Terra.

(****) Non sono impazzita, giuro XD L’espressione si basa sulle due diverse pronunce della parola pomodoro in inglese, e sta a sottolineare una distinzione o differenza triviale, irrilevante tra due concetti (perché… si dicono diversamente, ma sono la stessa cosa!).

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Capitolo 2
*** The new normal ***


Chapter Two – The new normal

 

 

 

 

 

 

Gli piaceva svegliarsi con quei rumori stranieri nelle orecchie, si rese conto dopo qualche giornata. Era sempre stato abituato a sentire il rumore incessante del vento gelido, a qualsiasi ora, intervallato dagli scoppi delle tempeste cariche di elettricità, e anche con l’arrivo della MewAqua su Duuar la fauna originaria non si era ripresa abbastanza per riempire i vuoti con allegri suoni.
Poi, ora che aveva il tempo di esplorare la Terra senza ambizioni di conquista, era incuriosito da tutte le sue strane sfaccettature, cose mai viste prima e dagli utilizzi strani, abitudini umane che per lui a volte avevano poco senso.
Forse la scientifica curiosità del fratello maggiore alla fine aveva contagiato pure lui.
Con uno sbadiglio, si trascinò giù dal letto e strascicò i piedi fino al bagno, buttandosi in doccia con gli occhi praticamente ancora chiusi, settando la temperatura su una tiepidina pioggia che l’avrebbe sicuramente svegliato. Sapeva benissimo, ovviamente, che l’orario non era quello che Pai avrebbe apprezzato e che probabilmente lui era già sveglio da tre ore, anche se non c’erano tracce del suo passaggio, ma dopo una vita a svegliarsi con orari da caserma, lui era veramente poco interessato a seguire le abitudini militari del fratello.
Si prese il suo tempo sotto l’acqua – un lusso che a casa non potevano ancora permettersi – e poi a strofinarsi con uno dei morbidi ed eleganti asciugamani che Keiichiro aveva messo a loro disposizione – ancora, così diversi dai tessuti sottili e termici che aveva usato per tutta la vita, pensati solo per essere funzionali e adatti ad asciugare ed asciugarsi in poco tempo. Solo quando si fu asciugato a dovere ed ebbe estratto dalla pila una tuta confortevole, sempre un regalo dello spilungone alla vista dei pochi cambi che si erano procurati prima della partenza, si decise a scendere per andare a scovare Pai.
« Yo. »
Il fratello si girò con glaciale lentezza a quel saluto estemporaneo, il fastidio ben visibile in volto.
« Sai che ore sono? »
Kisshu ghignò solo per irritarlo un poco di più: « Non fare finta di non lavorare meglio senza di me tra i piedi. »
«  Ciò non toglie che tu debba lavorare. »
« Okay, okay, » il verde si avvicinò a uno dei computer e diede una scorsa veloce e svogliata ai dati che vi scorrevano sopra, « Cosa c’è in programma per oggi? »
Pai digitò un’altra dozzina di secondi prima di rispondere: « Stiamo ultimando le analisi sui primi campioni di MewAqua, ma ce ne servono altri per una seconda comparazione. Questa volta più fuori dalla città, nelle zone meno colpite dalla sostanza. »
« Uh, che voglia di una scampagnata, » Kisshu nascose la soddisfazione della piccola vena sulla tempia del fratello causata dal suo sarcasmo, « Hai notizie di Taruto? »
« Pensavo di andare oggi alla nave e controllare i computer, prima di mandare le analisi. »
L’altro stiracchiò le braccia con fare esagerato, poi stese una mano e piegò le dita un paio di volte: «Dammi qua, posso andare io, » all’occhiata un po’ scettica del fratello, alzò un sopracciglio con una punta di irritazione, « Sono capace da solo di inviare trasmissioni, sai. »
Le spalle di Pai si contrassero per mezzo secondo prima che lui inspirasse con lentezza e indicasse con un minimo cenno del capo il computer alla sua destra: « Trasferisci gli ultimi caricamenti. »
I successivi dieci minuti passarono in silenzio, interrotto soltanto dal ticchettio delle tastiere e da un paio di sbadigli di Kisshu, che fischiettò allegro quando finalmente tutti i dati necessari furono caricati su un dispositivo esterno.
« Allora vado. Qualche messaggio speciale per il nostro fratellino? »
Pai gli lanciò un’altra occhiata gelida: « Non perderci tutta la giornata. »
L’altro ondeggiò la mano come a dire di aver capito e si avviò di nuovo su per le scale, molto più vispo di quando aveva compiuto il percorso al contrario.
Il Caffè era nel pieno del tran-tran mattutino, come aveva imparato in quelle prime settimane, e solamente Purin era tra le cameriere che lui conosceva di quel turno, un puntino giallo che sfrecciava veloce tra i tavoli con un sorriso energico. Lui scivolò di lato, cercando di non farsi notare – non che gli dispiacessero le attenzioni delle terrestri, ma sapeva che più d’uno avrebbe avuto da ridire – quando notò che a uno dei tavoli nell’angolo sedeva Minto, un trambusto di fogli, agende, e vari aggeggi davanti e l’espressione corrucciata mentre borbottava tra sé e appuntava cose. Kisshu non poteva dire di conoscerla, ma aveva occhio per le abitudini altrui e la ragazza non aveva mai fatto mistero di avere un caratteraccio troppo divertente da punzecchiare. E lui aveva ancora un sacco di tempo prima di dover fare rapporto a Pai sulle attività della giornata.
Si incamminò verso di lei, e la vide irrigidirsi, come sempre quando lui o il fratello entravano nei paraggi, quindi sbuffò mezzo divertito, mezzo irritato: « Guarda che non ti mangio. »
La mora gli scoccò un’occhiataccia, riaggiustando un plico di fogli: « Non ispiri subito fiducia, con i tuoi trascorsi. »
Kisshu non riuscì a non alzare gli occhi al cielo in maniera esagerata, tenendo sempre le mani in tasca: « Nemmeno dopo tutta la trafila del vado a immolarmi e nel mentre tradisco padrone, patria e famiglia perché mi sono reso conto che è tutta un’idea del cazzo? »
Minto lo osservò un istante, l’espressione impassibile, poi si riconcentrò sull’agenda che aveva davanti: « Sei avvezzo ai voltafaccia. »
« Ahia, tortorella, » lui rise e spostò la sedia per prendere posto accanto a lei, « Come arrivi a sera con questa cattiveria così presto? »
« Non è presto, » precisò lei, « È quasi ora di pranzo, non siamo tutti scansafatiche come te. E il mio nome è Minto. »
« Per tua informazione, Minto, ero di sotto nel tugurio insieme a mio fratello, » ignorò l’ennesima occhiataccia all’appellativo del laboratorio e fece un gesto con il mento al portatile in mezzo al tavolo, « Piuttosto, non è un po’ tardi per te? Di solito sei qui all’alba e poi sparisci. »
Minto si strinse appena nelle spalle: « Zakuro è in un servizio chiuso oggi, ci sarebbe stata troppa gente tra cui la sua manager, quindi ha avuto più senso che venissi qui per finire un paio di cose. »
Kisshu annuì come se avesse capito di cosa stesse parlando, poi dopo qualche istante aggiunse: « Ma tu non facevi quella cosa, con… le piume, e quei vestitini… »
La ragazza lo guardò allibita fare gesti strani con le mani, disegnando silhouette esagerate, poi alzò gli occhi al cielo: « Ero una ballerina, sì. Sono una ballerina, ma… ho smesso da un po’. »
Picchiettò un paio di volte la punta della penna contro al tavolo, e avvertendo che lui continuava a fissarla come attendendo una spiegazione ulteriore, si schiarì appena la gola.
« Non ho smesso di allenarmi, quello lo faccio a casa tutti i giorni, appena riesco. Ma non mi esibisco più. Era diventato… forzato. »
Lui la osservò per un paio di secondi, poi annuì e lanciò le braccia in alto per stiracchiarsi, in un concerto di scricchiolii: « Il mio caro fratellone sicuro ne sa qualcosa di lavori forzati, » esclamò con un ghigno mentre faceva scrocchiare anche il collo, « Ma quegli aggeggi cosa sono? »
Minto seguì il suo sguardo fino ai due telefoni posati vicino al computer: « Sono cellulari. Telefoni portatili. »
« Telefoni? »
«Ehm… apparecchi per comunicare a distanza con le persone. Non avete cose simili, voi? »
Kisshu si rovistò nelle tasche e tirò fuori una listella di metallo a forma di mandorla e grande circa tre volte tanto: « Questo è quello che usiamo noi nell’esercito, » spiegò, tenendolo tra pollice e indice, « Un connettore. Ma non chiedermi come funziona. »
« Figuriamoci, » lei digitò qualcosa di veloce al computer, poi gli lanciò un’occhiatina di soppiatto ai capelli ancora umidicci, « E nell’esercito vi fanno andare in giro con una pettinatura simile? »
« Hanno poco interesse quando sei in congedo, » replicò lui divertito.
La mora lo guardò con un sopracciglio alzato: « Sei in congedo? »
« Sì. Cioè… circa. »
« E la vostra missione per gli effetti della Mew Aqua, i paragoni con il vostro pianeta e quant’altro? »
« … è complicato. »
Il sopracciglio della mora era ormai così inarcato da perdersi nell’attaccatura dei capelli, e Kisshu ridacchiò, rilassandosi contro lo schienale della sedia mentre alzava le mani.
« Ehi, lo sapete che è mio fratello quello genialoide e votato al lavoro. »
« Fin troppo. »
« Io sono più di… supporto, diciamo così. »
Minto gli puntò contro una penna con aria minacciosa: « Sappi che non ho bisogno di un costume blu per piantarti una freccia in fronte. »
Lui ghignò divertito, con un luccichio negli occhi: « Però sarebbe divertente rivedere il costumino. »
La ragazza alzò gli occhi al cielo e chiuse con forza lo schermo del computer, raccogliendo le sue cose mentre gli scoccava un’occhiataccia di fuoco: « Screanzato! »
« Ma che ho detto! »
Continuando a ridere, Kisshu la osservò marciare fuori dal locale a passo di marcia, la schiena così dritta che si domandò come non facesse a incrinarsi; poi si stiracchiò e sbadigliò sonoramente, decidendo che fosse il momento di concludere qualcosa. Si avviò dunque con molta nonchalance verso la porta sul retro, dove vide Purin alle prese con due grosse buste della spazzatura.
« Buondì, nanerottola, » la salutò allegramente.
La biondina lo ringraziò con un sorriso quando le prese una delle buste per aiutarla, lanciandola come se fosse vuota dentro al bidone, poi lo osservò da sotto le lunghe ciglia chiare:
« Posso farti una domanda, Kisshu-kun? »
Un’impercettibile tensione corse lungo la schiena dell’alieno mentre chiudeva il coperchio della pattumiera: « Spara. »
Purin soppesò le parole spostando il peso da un piede all’altro: « Ora che tu e Pai siete tornati da un po’, mi chiedevo… ma Taru-Taru? »
Il verde si sforzò di controllare il sorrisetto malizioso che puntualmente minacciava di nascere mentre annuiva appena e infilava le mani nelle tasche: « Vedi, è un discorso un po’ complicato, quello su quanto sia successo dopo il nostro ritorno su Duuar… ma per fartela molto, molto breve, Taruto ha dovuto diciamo consolidare la sua posizione all’interno dell’esercito. Il buon vecchio Deep Blue gli aveva fatto saltare qualche passaggio, » quando la ragazzina continuò a osservarlo con gli occhi nocciola confusi, Kisshu ghignò e aggiunse, « Deve finire la scuola e, paradossalmente, l’addestramento militare. Non c’è eroico status che tenga contro la burocrazia. Né potevamo chiedere trattamenti di favore durante la ricostituzione dei nostri apparati statali, direi. »
« Aaaah, » Purin annuì più convinta, non indagando sull’ultima frase, e un sorriso contento le apparve sul viso, « Pensi che… ? »
« Per le questioni complesse, devi parlare col capo, » lui alzò le mani con fare divertito e accennò con la testa verso il Caffè, « Lo sai che è molto suscettibile anche lui sulle procedure. Io mi limito a fare da portavoce. Però sai che ti dico? »
La biondina approcciò il viso al suo con fare cospiratorio quando lui gesticolò di avvicinarsi.
« Sto andando a trasmettere dei risultati e speravo di poter comunicare anche con Taruto, se hai un messaggio da mandargli. Niente di indecoroso, ovviamente. »
Il viso di lei si illuminò di contentezza anche sotto la smorfia poco divertita che fece, e ci pensò su un secondo: « Digli solo che lo saluto, » esclamò poi sottovoce, « E che spero di rivederlo presto. »
Kisshu annuì e si raddrizzò, incrociando le braccia dietro la testa: « Ricevuto, madamigella. Ma sarà il nostro piccolo segreto, per ora. Meglio non svegliare il fratellone che dorme. »
« Perché ti vuoi sempre cacciare nei guai, nii-san? » ridacchiò divertita Purin.
Lui scosse solo le spalle mentre si avviava tranquillo verso l’interno del bosco: « Deformazione professionale! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Stando attenta a bilanciare ogni bicchiere con attenzione, Retasu si incamminò cauta fuori dalla cucina, reggendo il vassoio con le mani. Negli anni la sua goffaggine non era decisamente diminuita, e sapeva lei stessa che non fosse una grande idea avviarsi giù per le scale portando succhi di frutta e tramezzini in precario equilibrio, ma Ichigo doveva aiutare in sala e Purin non era in servizio quel giorno, e decisamente non era cauto dare troppi particolari alle nuove cameriere su ciò che succedeva nel seminterrato.
Anche se lei avrebbe preferito non doversi intrattenere troppo con i tre del piano di sotto.
Non che ci fosse qualcosa di male in loro, ovvio. Era solo che la mettevano un po’ a disagio, ecco. Pur essendo cresciuta, la sua timidezza rimaneva la sua principale avversaria, per quanto lei si sforzasse di combatterla, e anche se due lo facevano senza rendersene conto, i tre ragazzi a cui avrebbe servito il pranzo riuscivano sempre a colpirla nei punti più deboli. Kisshu aveva quella linguaccia che sembrava riuscire a prendersi gioco di qualsiasi cosa, pur se con gentilezza nei suoi confronti la maggior parte delle volte; Shirogane continuava a metterla un poco in soggezione anche se la cotta adolescenziale nei suoi confronti si era assopita e parecchio col tempo; e infine Pai…
Le circostanze del loro ultimo incontro erano certo qualcosa che lei avrebbe tanto desiderato dimenticare.
Rendendosi conto che aveva entrambe le mani impegnate e che non sarebbe certo stata una mossa saggia tentare di spostare anche solo un dito per bussare, Retasu allungò quanto più possibile un gomito e lo batté goffamente contro la porta del laboratorio, che si aprì dopo qualche istante.
« Oh, Retasu… grazie, » Ryou si affrettò a togliere il vassoio dalle mani e posarlo sul tavolo sgombro più vicino, cosa non facile vista la quantità di foglie e attrezzature varie che poteva intravedere dalla soglia.
« Akasaka-san ha pensato che vi avrebbe fatto bene una pausa, » intrecciò le dita sul grembiule a forma di cuore e accennò a un inchino con un sorriso, « Spero vi piaccia. »
« Sarà sicuramente ottimo, pesciolotta, sei hai contribuito anche tu, » Kisshu le lanciò un sorriso smagliante mentre sbirciava sotto al fazzoletto che copriva i tramezzini, « Tutti qui? Sono solo per me, spero. »
Lei arrossì vistosamente, sgranando gli occhi, e gesticolò verso il piano di sopra: « Po-posso andare a pre-prepararne altri se - »
« Lascialo perdere, ti sta solo prendendo in giro, » Pai s’intromise, avvicinandosi al fratello incombente e scostando del tutto la carta, « Magari riempendoti la bocca puoi evitare di dire sciocchezze e concentrarti. »
« Concentrarsi sul non soffocare, conoscendolo. »
« Perché non andate al diavolo entrambi? Tornate al vostro ben più preferibile mutismo. »
La ragazza non poté nascondere il sorrisetto che le nacque spontaneo a quello scambio di battute, che le parve abbastanza strambo per i tre eppure al tempo stesso così familiare, forse un po’ naturale visto quanto tempo stessero passando insieme, chiusi lì sotto.
Colse l’occhiolino che le rivolse Ryou come ringraziamento mentre addentava di gusto un tramezzino, continuando a scorrere un plico di fogli, e annuì ancora contenta.
« Allora se… se avete bisogno, basta farmi sapere. »
Afferrò la maniglia della porta per chiudersela alle spalle, cogliendo solo con la coda dell’occhio l’accenno di sorriso che le rivolse Pai, e si affrettò ad allontanarsi ignorando la corsa furiosa del suo cuore.
 
 
 
 
Con un gesto stanco, Ichigo si sistemò un ciuffo della frangetta che le si era appiccicato alla fronte e sospirò soddisfatta, il turno di lavoro stava finalmente volgendo al termine e presto si sarebbe potuta rilassare; lei e le ragazze avevano deciso di concedersi una serata al cinema, Minto e Purin le avrebbero raggiunte di lì a poco per andarci insieme, le rimaneva solo da sistemare in frigorifero i dolci rimasti dalla giornata e poi sarebbe potuta andare a cambiarsi con calma, magari avrebbe anche avuto il tempo di controllare se Ryou fosse ancora in laboratorio…
« Bu! »
Ichigo sussultò così forte che i pasticcini sul vassoio di carta fecero un salto.
« Kisshu! » sibilò senza fiato, portandosi una mano sul cuore, « Devi piantarla con questa storia del saltare fuori dal nulla! »
Lui, che le era comparso alle spalle per mormorarle all’orecchio, ridacchiò divertito e si allontanò per fare il giro del tavolo, su cui poggiò entrambi i gomiti: « Hai ragione, micetta, perdonami. Allora ci stiamo dando dentro, uh? »
La ragazza divenne di un palese color melanzana, fissando il suo ghignetto soddisfatto sgomenta: « Eh?! »
Gli occhi dorati brillarono, e l’alieno indicò col mento il vassoio che lei stringeva: « Con il lavoro, intendo. »
« Ah, » Ichigo si lasciò scappare un risolino nervoso, giocherellando con i dolcetti per riordinarli, « Eh sì, un po’… »
« Mmmhm, » Kisshu annuì comprensivo, « In effetti ti vedo un po’…. Sbattuta. »
Ichigo quasi si strozzò con la sua stessa saliva, le mani che tremarono ancora a tal punto da rovinare tutto il lavoro appena fatto: « Uh… g-già… cioè, io… »
Lui continuò a ghignare sotto i baffi e si allungò sul bancone, sgraffignando un pasticcino: « Forse dovresti chiedere un po’ di riposo al biondino. Non ti può logorare così tanto. »
Lei rimase imbambolata a osservare la sua espressione maliziosa, finché finalmente non connesse e – per la terza volta – sbatté il vassoio sul bancone.
« Kisshu! »
Lui sghignazzò appena, alzando un sopracciglio con fare innocente: « Cosa? »
« Smettila di… di… tu…! »
« Micetta, calmati, o ti verrà un colpo, » Kisshu rise e si raddrizzò, non prima di aver rubato un altro dolcetto, « È quasi un peccato che non ti spuntino più quelle adorabili orecchiette e la coda. »
Ichigo torturò la cartina del pasticcino, prendendo un po’ di tempo per formulare la domanda: « Ma tu hai… »
« Capito che c’è qualcosa di losco tra te e il biondino? Micetta, non siamo tutti innocenti come le tue amiche. »
Lei assunse qualche altra tinta di vermiglio, tentando invano di svicolare: « Io non… eh… losco?! »
« Micetta, » la canzonò come se fosse una bambina sciocca, « Puoi fare fesse le altre, ma non puoi fare fesso me. »
« Chi dovrebbe far fesso chi? »
Minto entrò in quel momento, senza curarsi di salutare come al solito, guardandoli un po’ scettica mentre si portava gli occhiali da sole sulla testa.
« Ichigo, ti prego di non farci fare tardi, » non aspettò nemmeno una risposta, ravvivandosi i capelli con aria annoiata mentre cercava il telefonino nella borsetta, « Se c’è una cosa che odio è dovermi affrettare per cena perché rischiamo di perdere l’inizio dello spettacolo. E tu, » aggiunse con una nota più gelida rivolta a Kisshu, « Dovresti smetterla di approfittartene della gentilezza di Akasaka-san. »
L’alieno la ignorò, agguantando un altro pasticcino – ormai ne erano rimasti tre sul vassoietto – solo per dispetto: « Incredibile, mia dolce gattina, erano anni che speravo di lasciarti senza parole. »
« Smettila, » sibilò lei, « E comunque non sono affari tuoi. »
« Dipende dai punti di vista. »
Ichigo trasalì appena, il rossore sulle guance che si acquietò un poco, mentre Minto lanciava un’occhiata in tralice ai due e poi borbottava: « Per tutti i kami, Kisshu, sei proprio un impiccione! »
« Impiccione o master osservatore? E poi da che pulpito. »
Lui rispose con il solito sarcasmo, adorando l’occhiataccia glaciale che gli fu rivolta, invece Ichigo lo osservò titubante da sotto la frangia. Non c’era niente di sbagliato, ovviamente, ma di comune accordo con Ryou avevano deciso di non urlare ai quattro venti che si stessero frequentando, come l’aveva posta lui. Dopotutto erano appena passate un paio di settimane, era così fresca anche per lei, e c’era ancora quella strana transizione da amici a qualcosa di più che verteva su entrambi, non sembrava il caso a nessuno di due di lanciarsi su annunci vari, considerato anche quanto il ragazzo fosse riservato. Possibile che fossero stati così semplici da leggere?
« Ma come hai fatto a… »
Il ghigno furbo che si dipinse sulla faccia del verde fu davvero da schiaffi: « Primo, il biondino ha iniziato a passare di qua con molta più costanza e sempre di un certo buon umore, e non è che tu sia una maga delle espressioni facciali impassibili. Secondo, tu e la tua amica pennuta - »
« La cosa?! »
« - vi siete appartate un po’ troppo spesso a confabulare perché non ci fossero novità. Terzo - »
« Minto-chan, ti si sente dall’ingresso, » Purin entrò allegra in cucina insieme a Retasu, rallentando un po’ titubante quando vide le facce dei tre già nella stanza, « Ciao, Kisshu-kun, tutto bene? »
« Oh, io sto una favola, voi come state bamboline? Stavamo giusto facendo due chiacchiere sugli ultimi gossip, » schioccò scherzosamente la p della parola, facendo l’occhiolino alla povera rossa.
« Richiamami ancora una volta pennuta e queste parole saranno l’ultima cosa che dirai prima che ti strappi la lingua. »
« Non ti scaldare tanto, colombella, » replicò lui, impassibile alle gelide minacce di Minto, « Ci stiamo solo divertendo. Non tanto quanto si sta divertendo la micetta, ovviamente. »
Ichigo riacquistò tutto il colore perso e sbatté un piede a terra in maniera infantile, ignorando lo sguardo confuso di Purin e Retasu: « E terzo?! »
« Terzo, » Kisshu distese il sorriso più innocente del mondo, « Me l’hai confermato tu diventando un’adorabile fragolina in tutto e per tutto. »
« Credo che ci siamo perse un pezzo, » mormorò gentilmente Retasu, continuando a scrutare i presenti con aria confusa.
In quel momento, udirono il borbottio di Ryou, Pai e Keiichiro avvicinarsi dal laboratorio, e quando i tre varcarono la soglia della cucina, il ghigno divertito di Kisshu si allargò ancora di più.
« Eccolo qua, il pezzo mancante. »
Ichigo affondò il viso nelle mani, sentendolo rovente sotto i palmi, mentre anche Minto non riusciva a nascondere un sorrisetto all’espressione confusa che suscitò nelle altre due ragazze e negli ultimi arrivati; espressione confusa che non durò troppo a lungo, perché Purin fu davvero svelta a connettere gli stralci di conversazione di Kisshu, la posa di Ichigo, e la nube nera che stava lentamente scendendo sul viso di Ryou.
« Sììììì! » esclamò gioiosa, lanciandosi di spinta sull’amica, « Ah, Reta-chan, mi devi dei soldi, te l’ho detto che non arrivavano a giugno! »
« Ma che…?! »
« Li dovete voi a me, io ve l’avevo detto che non sarebbero arrivati alla fine di maggio. »
« State tutte per essere chiuse in dispensa. »
La gelida minaccia di Ryou venne ignorata, perché il vociare delle ragazze sovrastò qualsiasi altro rumore; lui si limitò a lanciare un’occhiata assassina a Kisshu (che continuava imperturbato a sghignazzare impunemente), promettendosi di trovare la maniera di strozzarlo con uno dei cavi dei computer, e fece dietrofront senza nemmeno ricordarsi il perché avesse deciso di andare in cucina.
«Proprio non riesci a non fare casino tu, eh? »
Il verde ignorò anche l’irritato commento del fratello maggiore, che si servì solamente un bicchiere d’acqua e seguì Shirogane in fretta. Per lui, la soddisfazione di vedere l’espressione di puro fastidio sul viso del biondino era così appagante da cancellare qualsiasi seccatura che poteva scatenarsi dai suoi scherzetti.
Mentre Ichigo veniva inseguita in spogliatoio da una Retasu e una Purin ghiotte di particolari, Minto rimase in cucina, tutt’altro che desiderosa del casino che sapeva si sarebbe scatenato nella stanzetta.
« Sei proprio uno sciocco. »
Kisshu appoggiò la guancia alla mano e la osservò divertito mentre lei continuava a studiarsi le unghie.
« Lo dici solo perché ti sarebbe piaciuto avere l’esclusiva della rivelazione. »
La mora gli scoccò un’occhiata sarcastica: « Per favore, » replicò in tono superiore e annoiato, « Lo so da quando è cominciata, ma non ho detto niente solo perché me l’ha chiesto Ichigo. Ora tocca a loro sbrigarsela. E tu devi sperare che Shirogane non decida di vendicarsi. »
« So badare a me stesso, tortorella. »
« Min-to. Sono due sillabe, ce la puoi fare. »
« Sai che più mi dici una cosa, più mi viene voglia di fare esattamente l’opposto? »
Minto lo fissò come se avesse potuto strozzarlo con la forza del pensiero: « Quanto sei infantile. »
« Se continui con tutti questi complimenti, potrei iniziare a pensare che tu abbia un debole per me. »
« Certo, » sibilò lei, tagliente come una lama, l’espressione contratta come se avesse mangiato un limone particolarmente aspro, « Forse nei tuoi sogni. »
« Se capita, tortorella, sarò certo di avvisarti. »
Kisshu sgattaiolò via sghignazzando prima che la ragazza impugnasse uno degli affilati coltelli presenti in cucina per infilarglielo in luoghi poco piacevoli, e decise che fosse ora di andarsi a fare un pisolino, vista la quiete in cui piombava il Caffè a fine giornata, quindi imboccò fischiettando le scale che portavano al piano di sopra.
« Kisshu-kun? »
Il mormorio titubante di Ichigo lo raggiunse al quinto scalino, e si voltò con tutta la calma di cui era capace. Lei probabilmente si era cambiata in tutta fretta per sfuggire all’interrogatorio delle amiche, e lo stava guardando da sotto in su con il labbro inferiore tra i denti, strofinandosi distrattamente le dita in grembo.
« Senti… » vide le sue spalle alzarsi mentre lei prendeva un respiro profondo, esitava un passo in avanti per salire sul gradino e poi cambiava idea, lanciandogli un’altra occhiata furtiva, « Per quanto riguarda… uh… Shirogane, ehm… tu… »
Kisshu avvertì il solito, familiare formicolio al petto, ma appoggiò una spalla contro al muro mentre incrociava le braccia e si dipingeva un sorriso pacato in volto: « Non c’è nessun problema, micetta, se è questo che ti cruccia. »
« Da… davvero? »
« Cos’è, ti dispiace? »
Ridacchiò all’espressione che la vide fare, gonfiando appena le guance e corrugando le sopracciglia, come se si stesse concentrando per non arrossire.
« Senti, » alla fine, Ichigo prese coraggio e salì quello scalino, fissandolo negli occhi, « Io e te non abbiamo mai avuto la possibilità di parlare, dopo che… e ora che… »
Lui fece per aprire la bocca, ma lei lo zittì con un gesto deciso della mano che li prese ugualmente alla sprovvista.
« Io voglio… devo ringraziarti. Per tutto quello che hai fatto per me, per noi, ma… soprattutto per quello che hai fatto per me, » esitò un attimo nel cogliere l’impercettibile smorfia che si dipinse sul volto dell’alieno per una frazione di secondo, « Tu l’hai fatto senza… senza anticipazione di un ritorno, e te ne sono grata. »
Kisshu sbuffò appena, il ghigno sarcastico che s’infiacchì leggermente: « Non proprio, micetta, ma grazie lo stesso. »
Ichigo annuì lentamente, soppesando le parole con cui continuare: « E sono contenta di avere almeno adesso l’opportunità di potermi scusare per non avertelo detto prima. Però, per quanto sia grata, davvero, io non… »
L’alieno si mosse prima che lei potesse finire la frase: « Sai perché mi piace stuzzicarti? » represse un sorrisetto mentre galleggiava appena verso di lei, divertito da come le sue guance si tinsero immediatamente, « Perché sei semplice da stuzzicare, e così facendo infastidisco il biondino. Vedere come si riempie di bile è impagabile. »
« Non è molto carino, quello che dici. »
« Ma è la verità, » lui si azzardò a picchiettarle la punta del naso con l’indice, « Meglio che farlo perché mi piaci ancora, giusto? »
La rossa fece una smorfia mentre gradualmente computava le sue parole, poi abbozzava a un sorriso: « … immagino di sì. »
Kisshu posò i piedi sul gradino appena sopra al suo: « Acqua sotto i ponti. Sono un uomo fatto e finito, ora, ho messo da parte le cotte adolescenziali. Non come il biondino. »
« Guarda che forse non dovresti tirare tanto la corda. »
Lui rise e agitò una mano: « Divertitevi anche per me. Basta che non vi mettiate a pomiciare in mezzo alla stanza. »
« Kisshu! »
L’alieno la sorpassò ridendo, avviandosi nella direzione opposta a quella che aveva inteso prima.
« Ah, micetta? »
Si girò con nonchalance, e data la differenza di gradino, lei era praticamente alla sua altezza e lo guardò curiosa, aspettando che continuasse.
Prima che potesse muoversi, Kisshu scattò in avanti e le rubò un velocissimo bacetto, uno sfiorarsi di labbra innocuo e che al tempo stesso riuscì a farle assumere la tonalità di una melanzana mentre lui ghignava sotto i baffi.
« Solo in memoria dei vecchi tempi. »
Con uno schiocco, di dita, in barba alle precauzioni con cui tanto gli rompeva le scatole Pai, si teletrasportò appena fuori dal Caffè, respirando a pieni polmoni l’aria tiepida della sera primaverile.
Si incamminò verso il boschetto, le mani in tasca, e solo quando fu sicuro di essere coperto dagli alberi gettò la testa all’indietro ed esalò lentamente, rilassando tutto il corpo.
Non aveva mai avuto senso insistere, dopotutto.
E andava bene così.
Era libero.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
« … e abbiamo estratto campioni dal settore H-23, sono in analisi ora. Se riuscissimo a coprire H-24 e G-5 nei prossimi giorni, potremmo già iniziare a trarre conclusioni per quell’area. »
Ryou annuì e continuò a fissare lo schermo su cui scorrevano i dati raccolti da Pai e Kisshu.
« Positive o negative? »
L’alieno dai capelli viola mosse appena un sopracciglio, le braccia incrociate: « Anche con minime quantità, sembra che la Mew Aqua abbia influito positivamente rispetto a zone dove la sua concentrazione è minore o nulla, ma sul lungo termine è difficile da dire. Soprattutto a contrasto con un’azione esterna tanto preponderante. »
Il biondo si controllò per non lanciargli un’occhiataccia mentre ricominciava a digitare: « Non siamo i migliori inquilini del pianeta, lo sappiamo. »
« Toc toc, » Zakuro apparve sull’uscio con un sorrisetto, « Non dovreste lasciarla aperta, questa. »
Due paia di occhi furenti si voltarono verso Kisshu, che subito alzò le mani in segno di difesa: « La pesciolina aveva detto che sarebbe tornata subito con i rifornimenti! »
La modella nascose un mezzo sorrisetto ed entrò nella stanza, paradossalmente più fresca del resto del Caffè per le ventole installate che servivano a contrastare l’effetto dei computer, e mostrò un cestino di vimini pieno di frutta: « È arrivata una scolaresca, Retasu è stata distratta. »
Mentre Kisshu si avvicinava curioso agli spuntini, Keiichiro si rivolse un po’ preoccupato alla ragazza: « Servono rinforzi? »
« Direi di no. Non finché non sentiamo Ichigo, » appoggiò la schiena al muro e fece un cenno verso gli schermi, « Come stiamo andando? »
« Il biondino ancora fa fatica ad ammettere che avevamo ragione, » ghignò Kisshu, facendo rimbalzare una pesca sulla mano prima di azzannarla; il ragazzo in questione gli rivolse un ennesimo sguardo velenoso, premendo così forte uno dei pulsanti che la tastiera scricchiolò in maniera sinistra.
« Già che sei qui, » Ryou si voltò verso Zakuro, « Hai presente quel centro termale in cui le ragazze hanno vinto un soggiorno, sei anni fa? »
La mora dovette pensarci su un secondo prima di rispondere, poi annuì: « Io non ero ancora entrata a far parte della squadra, ma mi hanno raccontato che, tra le altre cose, erano in anticipo di un anno. Perché? » (*)
« Il luogo cade nella griglia di territorio che vorremmo controllare, » spiegò Pai a braccia incrociate, « Da quanto mi ha raccontato Kisshu, è improbabile che ci sia stato un contatto diretto con la Mew Aqua, ma particelle di essa possono esseri propagata durante i momenti in cui Ichigo ha utilizzato il Mew Aqua Rod. Inoltre, vogliamo verificare se sia possibile che la Mew Aqua possa scorrere tra aree diverse in maniera significativa, quanto possa essere il suo potere in quantità ridotte. »
« Ora però quel posto, su cui effettivamente hanno costruito un centro termale, è diventato un ritrovo trendy per persone chic ed eco-friendly, » riprese Shirogane con molto poco velata ironia, « Quindi se finora abbiamo fatto scampagnate e mini-carotaggi in tranquillità, non ci possiamo certo presentare lì e cominciare a prevelare campioni del terreno come se niente fosse. »
« E vi serve qualcuno che vi faccia entrare, » concluse Zakuro, annuendo piano.
« Chi meglio della nostra celebrità locale? » Ryou le rivolse un sorrisetto irriverente, « Basta che sia qualcosa di discreto, preferibilmente senza farlo sapere alle altre, o cominceranno a voler andare alle terme pure loro. »
« Me lo ricordo, quel posto, » Kisshu si pulì il viso con il dorso della mano e si schiarì la gola mentre ghignava, « C’era quel tizio identico al bellimbusto di Ichigo, è stata una gran soddisfazione usarlo per creare un chimero. »
« Kisshu. »
« Come se il biondo non volesse ringraziarmi, già uno era di troppo, figurarsi due. E poi era un chimero divertente, » l’alieno continuò a sghignazzare e tossicchiò ancora, « Poteva fare – ahem, ma è normale che ‘sta roba pizzichi? »
Quattro paia di occhi si sollevarono sull’alieno, che si era messo a osservare la pesca mezza mangiucchiata con aria confusa.
« Oh, » esclamò solo Keiichiro, prima di lanciare un’occhiata a Ryou, « Questa era una cosa che non avevamo considerato. »
Il biondo fece uno sforzo immane per non mettersi a ridere come un bambino, solo per evitare recriminazioni da parte di Zakuro, ma lo spettacolo di vedere Kisshu con le labbra gonfie, la pelle del viso che si arrossava, e lui che continuava a fare smorfie per alleviare il pizzicore alla lingua e al palato gli stava provocando una soddisfazione non indifferente.
« Be’?! Che ho?! » gracchiò di nuovo l’alieno, lanciando l’oggetto dell’offesa nel cestino per schivare ulteriori sorpresine.
« Ikisatashi-san, credo che tu sia allergico alle pesche, » gli spiegò paziente Keiichiro, alzandosi piano dalla sedia preoccupato che la situazione potesse peggiorare, « In effetti non siamo stati molto accorti a pensare che tutto ciò che noi mangiamo possa andare bene per voi. E ci sono molti alimenti che causano reazioni allergiche anche in noi terrestri. »
« Certo che se lui non si strafogasse, forse sarebbe meno a rischio, » commentò laconico Pai, « Devo preoccuparmi? »
« Non mi sembri molto preoccupato, » bofonchiò il fratello minore, continuando a strofinarsi il palmo della mano contro la bocca per alleviare il prurito.
« Non credo sia una reazione estrema, abbiamo dei farmaci per questo caso, ma forse sarebbe meglio controllare che non siate allergici ad altre cose in maniera più grave. »
Zakuro alzò un sopracciglio verso Keiichiro: « Vuoi portarli da un medico? »
« Qualcosa possiamo fare qui, » intervenne Ryou, passandosi una mano tra i capelli e scambiandosi un cenno d’intesa con il moro, che uscì dalla stanza, « Se vediamo che servono analisi più approfondite, qualche contatto fidato lo abbiamo… »
« Un po’ di contesto sarebbe gradito, comunque. »
« Il tuo sistema immunitario pensa che tu sia sotto attacco, ha rilevato quello che hai mangiato come qualcosa di nocivo, » il biondo sollevò appena lo sguardo verso Pai, « Immagino che le condizioni del vostro pianeta non abbiano favorito lo sviluppo e la coltivazione di alimenti del tutto simili a quelli della Terra. Non avete problematiche simile, in ogni caso? »
Il moro scosse la testa: « Molti dei nostri cibi sono stati modificati geneticamente per far sì che resistessero alle condizioni climatiche più avverse, compreso anche la creazione di frutti e verdure tra l’innesto di piante diverse. Non potevamo certo permetterci di limitare ulteriormente i nostri approvvigionamenti. »
« Quindi voi mangiate cose che possibilmente vi uccidono? »
« Cerchiamo di non farlo, » rispose Zakuro, quasi genuinamente divertita dalla sorpresa di Kisshu, « Purtroppo sulla Terra le allergie non si limitano a quelle alimentari, quindi abbiamo sviluppato medicine e test per far in modo di essere preparati. C’è chi è allergico anche ai pollini, o ai peli di animale, e devono ciclicamente assumere medicinali per non star male. »
« … io ve l’ho detto che siete la specie debole. »
La modella gli lanciò un’occhiataccia, e poi riprese: « Alcune allergie richiedono interventi ancora più tempestivi, data la loro gravità. Ma ora che sappiamo che sei allergico alle pesche, possiamo tenertele lontane. Come facciamo con Ryou e il kiwi, a cui lui sostiene di essere allergico. »
Quella volta fu il turno del biondo di guardarla con fastidio, ma decise di non raccogliere la sfida.
« Ho recuperato questi, » Keiichiro rispuntò nel laboratorio dopo qualche istante, « Li tenevamo qui durante i primi esperimenti del gene Mew, dovrebbero ancora essere efficaci. Sono dei test per controllare a cosa effettivamente potreste dimostrare allergie, ma sarebbe meglio anche fare un prelievo di sangue. »
« Col cazzo, » esalò Kisshu, lanciando uno sguardo di sdegno agli aghi che, tra gli altri piccoli imballaggi, il moro aveva posato sul tavolo, « Non ho intenzione di essere bucherellato, tantomeno dal biondino. »
« Fidati, non sto morendo dalla voglia di giocare all’allegro dottore con te. Fosse per me… »
Gli occhi di Kisshu si ridussero a due fessure arrossate: « Non so nemmeno cosa sia il uiui, ma giuro che se ne trovo uno te lo ficco in - »
« Kisshu. »
L’occhiataccia di Pai fu abbastanza per farlo tacere, anche se continuò a dire parolacce in lingua aliena sottovoce mentre con la lingua continuava a raschiarsi il palato.
« Non preoccuparti, Kisshu-san, » Keiichiro gli sorrise gentilmente e gli allungò un pacchettino, « Direi che per oggi hai già scoperto abbastanza. Prendi queste per calmare l’attacco in corso, credo sia meglio fare eventuali test domani. Potrebbero darti un po’ di sonnolenza. »
« Non che di solito sia così sveglio, » Pai lo gelò prima che potesse replicare e poi si arrotolò la manica della maglietta che indossava, mostrando il braccio al moro, « Che dobbiamo fare? »
Il pasticcere avvicinò una sedia alla sua, prendendo in mano uno dei pacchettini: « Direi di iniziare con questo, sarà una cosa veloce. Ognuna di queste fialette contiene un allergene diverso, ne metteremo una goccia sulla pelle e se reagirà, formando una bollicina, sapremo a cosa potresti eventualmente essere allergico. Bastano quindici minuti. »
L’alieno annuì e poi rivolse l’attenzione verso Zakuro: « Quando potrebbe essere possibile andare in quel centro termale? »
La modella ci rifletté un paio di secondi: « Posso provare a fare qualche telefonata e vedere se entro domani o dopodomani possono farci entrare. Non posso garantire l’intera struttura, però. »
« Non credo servirà molto spazio, » commentò Ryou, scambiandosi un’occhiata con Pai, « I campioni da raccogliere sono pochi, l’importante è non attirare troppo l’attenzione. »
« Vedrò cosa posso fare, » Zakuro si staccò dal muro e si avviò verso la porta, seguita dal biondo che si alzò con uno scrocchio di giunture, « Sarà difficile non avere Minto, però, » aggiunse quando furono in corridoio.
Ryou si strinse nelle spalle, camminandole accanto sulle scale: « Basta che non si sparga a macchia d’olio. E forse portare Minto è utile, una persona in più a tenerli d’occhio. »
La mora gli lanciò un’occhiata divertita: « Ancora? »
« Don’t get me started. »
Lei non rispose, scuotendo appena la testa, e si avviò sul retro con già il cellulare all’orecchio; Ryou, invece, si attardò vicino alle scale, incrociando per un secondo lo sguardo di Ichigo, che stava portando in cucina un vassoio di stoviglie sporche e che cambiò traiettoria verso di lui sorridendogli.
« Come sta andando? »
Il biondo le prese il vassoio dalle mani e la precedette in cucina: « Abbiamo scoperto che Kisshu è allergico alle pesche, ma tutto okay. »
La rossa rimase interdetta da quell’informazione inaspettata e batté le palpebre un paio di volte: « D’accordo… pensi che Akasaka-san rimarrà giù ancora a lungo? Stiamo per finire la crema pasticcera e so che per domani aveva un ordine per una torta… »
« Gli dico di salire appena finiti i test, stiamo controllando che non ci siano altre sorpresine. »
Ichigo rise della maniera in cui lo disse, come se gli stesse costando tantissimo, e accertatasi che non ci fosse nessuna delle altre in giro – non aveva stretto chissà quali amicizie con le altre cameriere e loro non erano sembrate particolarmente felici della preferenza del biondo verso di lei – gli si strinse addosso per un abbraccio rapido. Ryou nascose il viso contro i suoi capelli e ne inspirò l’odore, staccandosi veloce ma gentile dopo pochi istanti.
« Vieni a cena da me stasera? » le domandò sottovoce, e lei non poté evitare di sentire le farfalle nello stomaco nonostante non fosse più una richiesta così atipica.
« Siamo stati a cena insieme anche ieri, » gli ricordò divertita, facendo scivolare le dita tra le sue, e il biondo sbuffò irriverente:
« Stai dicendo che ti dispiace? »
« No, sto dicendo che devo studiare, » replicò lei, con una smorfia.
« Momomiya, non fare la studentessa perfetta con me, sai. »
Ichigo ridacchiò e gli strappò un bacetto veloce, prima di riagguantare un vassoio e ritornare in un turbinio di pizzo in sala: « Ci vediamo alle sette. »
Ryou sospirò, leggermente rinfrancato da tutti gli eventi della mattinata, e si avviò ancora verso il laboratorio, da dove sentì uscire di nuovo la voce di Zakuro.
« … tre giorni, ma dobbiamo essere lì prima delle dieci perché al pomeriggio avranno un ricevimento. »
« Già fatto? »
« Sorpreso? » un sopracciglio perfettamente disegnato si arcuò divertito, e l’americano si limitò a scuotere la testa in silenzio.
Lo squillare del timer che Keiichiro aveva impostato sul cellulare li fece voltare tutti verso il moro, che controllò subito il braccio di Pai.
« Tutto a posto, direi, » esclamò con un sorriso, « Sembra che nessun elemento abbia reagito con il tuo organismo. »
« E figuriamoci, » borbottò Kisshu, il cui gonfiore alle labbra persisteva anche se in maniera un po’ meno evidente, « Ancora bisogna trovare qualcosa che scalfisca Mister Ghiacciolo. »
Il fratello maggiore lo ignorò con proverbiale freddezza e ringraziò a bassa voce Keiichiro, che gli continuò a sorridere incoraggiante.
« Giusto per scrupolo farei partire l’analisi del sangue, ma penso non ci sia niente di cui preoccuparsi. Kisshu-san, ti va bene se domani controlliamo anche te? »
« Sì, sì, » l’alieno saltò giù dal suo sgabello e agitò una mano fiaccamente, « Nel frattempo credo che andrò a farmi un pisolino. »
« Ti faccio portare un po’ di tè tra poco, » gli disse dietro il pasticcere, ottenendo in cambio solo un mormorio indefinito.
Zakuro sorrise sotto i baffi, ben interpretando il viso di Ryou che, benché ai molti perfettamente impassibile, esibiva una certa contrattura all’altezza delle labbra che lei sapeva essere una critica nei confronti dell’estrema gentilezza del suo ex tutore.
« Allora ci vediamo tra tre giorni, » rivolse a tutti uno sguardo di saluto e un cenno d’accordo verso Pai, poi uscì chiudendosi la porta del laboratorio alle spalle.
L’alieno si riarrotolò la manica della maglietta e ruotò la sedia verso gli schermi pieni di dati: « Dov’eravamo rimasti? »
Ryou esalò impercettibilmente: « Se quindi riusciamo a continuare con G-6…»
 
 
 
 
« Ma non dovevamo essere lì prima delle dieci? »
Kisshu soffocò uno sbadiglio e borbottò con voce ancora gonfia di sonno, particolarmente insofferente all’essere stato tirato giù dal letto da suo fratello ancor prima delle sette. Pai, fermo accanto a lui a braccia incrociate, gli rivolse un’occhiata di sbieco:
« Appunto, prima. Dobbiamo arrivare con abbastanza anticipo per non doverci affrettare o attirare l’attenzione. »
« Certo, perché andare in giro con la lupotta non attira l’attenzione, » ghignò il verde, lanciandogli un’occhiatina allusiva, « Anche se bisogna avere fegato per provarci, sembra che possa azzannarti la testa da un momento all’altro. »
« Possibile che tu riesca a pensare solo ad una cosa? »
« Molto più normale che non pensarci mai, » gli ribatté divertito il fratello minore, incrociando le braccia dietro la nuca, « Ammettilo che un pensierino del genere l’hai fatto, altrimenti non saresti un uomo. »
« Non ammetto un bel niente. »
« Okay, e se invece proponessi una certa pesci – ahia! » Kisshu fece un balzello all’indietro quando Pai gli rifilò una scarica elettrica, massaggiandosi offeso un braccio, « Oh, non ti si può dire nulla! »
« Siamo qui per un lavoro, » gli contestò, ritornando a fissare il vialetto sul retro del Caffè, « Non per perderci in quisquilie. »
« Come no, » mugugnò l’altro, « Non sia mai che tu possa deviare. Sempre ligio, eh. »
Pai strinse gli occhi, soffocando una rispostaccia che però non fece in tempo a nascere perché in quel momento una limousine nera si fermò alla fine del vialetto.
« Ehi, e quella che cavolo è? » sbraitò Kisshu, « Perché non andiamo col solito metodo? »
« Perché non pensi che spuntare fuori dal nulla in un posto in cui ci stanno aspettando sarebbe un grosso modo per attirare l’attenzione? »
Il viola non lo aspettò nemmeno mentre rispondeva, avviandosi a lunghe falcate verso l’automobile. La portiera di sinistra si aprì prima che la raggiungesse, e il volto di Minto si affacciò dall’abitacolo:
« Kisshu, muoviti, non siamo qui ad attendere te. »
« Ma ce l’avete tutti con me stamattina? » il verde si affrettò lungo il selciato e poi si piegò in avanti per osservare l’interno della macchina con aria dubbiosa, « Questa roba è quasi più grande della cabina di pilotaggio della nostra nave. »
Con molta nonchalance, Zakuro premette il pulsante che fece sollevare il divisorio tra loro e l’autista mentre Kisshu, infine, si sistemava sul sedile in fronte a lei e la limousine si rimetteva in moto.
« Ci vorrà circa un’oretta per raggiungere il centro, » spiegò, « Se volete rilassarvi, qui ci sono delle bevande e qualcosa da mangiare. »
Premette un pannello sul fianco della vettura, che si aprì a rivelare un piccolo frigo con delle bottigliette d’acqua e di succhi di frutta, e qualche altro spuntino.
Kisshu emise un fischio scanzonato e rivolse alle ragazze un ghignetto divertito: « Non ditemelo, non è così di solito con il resto dei vostri aggeggi, vero? »
Minto alzò gli occhi dall’agenda che aveva aperta sulle gambe per guardarlo storto: « Si chiamano automobili, e no, di solito non sono così lunghe. Specialmente in Giappone. »
« Ammettilo che il nostro mezzo di trasporto è più conveniente. »
« Vi teletrasportate dappertutto? » domandò Zakuro, accavallando le gambe mentre si rilassava contro al sedile.
Pai scosse piano la testa, distogliendo lo sguardo dal traffico fuori dal finestrino: « Quando abitavamo sottoterra, gli spostamenti erano molto controllati perché era necessario vivere in nuclei molto popolosi e ristretti.  Da quando ci siamo spostati in superficie e le nostre colonie si stanno espandendo, abbiamo iniziato a regolarizzare il teletrasporto a seconda dell’area. Più centrale la zona, meno può essere utilizzato perché rischieresti di finire addosso a qualcuno o a qualcosa, mentre via via ci si allontana dal centro, più è possibile. Anche se per le lunghe distanze utilizziamo mezzi di trasporto più efficaci e meno dispendiosi di energie, i civili non sono sempre avvezzi all’utilizzo dei loro poteri. »
« Ah quindi c’è qualcuno ancora meno competente di Kisshu? » domandò pungente Minto, senza alzare gli occhi dai fogli che aveva davanti ed esibendo comunque un sorrisetto divertito.
« Si dà il caso, tortorella, che non sono stato scelto per la missione sulla Terra per il mio bel faccino, sai, » replicò offeso lui, stringendo gli occhi, « E mi pare che io un paio di volte sia riuscito a fare a strisce quel bel culet - »
« Basta così, » lo interruppe Zakuro, non risparmiandosi un’occhiata di avvertimento, « Gradirei non ripensare alla vostra prima avventura qui. »
Pai si concentrò per non spedire un altro paio di scariche elettriche verso quell’imbecille del fratello, e poi domandò: « Come avete fatto a ottenere di poter entrare nel centro termale? »
« Ho telefonata dicendo che la serie televisiva in cui recito stava pensando a un episodio alle terme, e avevo sentito buone opinioni sul loro centro e avrei avuto piacere di visitarlo, per poi proporlo alla produzione, » Zakuro abbozzò a una smorfia che avrebbe dovuto assomigliare a un sorriso, « Ovviamente non proporrò nulla del genere, ma in cambio loro ottengono un paio di foto promozionali e della pubblicità. »
L’alieno annuì, fingendo di aver compreso tutti i vari passaggi spiegati, e si rilassò un po’ di più contro lo schienale confortevole.
Il resto del viaggio passò in fretta e avvolto per la maggior parte dal silenzio, intervallato solo dai battibecchi sommessi tra Minto e Kisshu su quanto il verde, che stette con il naso pigiato contro al finestrino durante tutto il tragitto, fosse infantile e su quanto lei, in cambio, fosse una rompiscatole.
Quando finalmente la limousine rallentò davanti all’entrata del centro termale, adornata con un arco di legno che richiamava lo stile antico ma emanava fin troppa opulenza, Zakuro aprì la borsa che aveva tenuto ai suoi piedi e vi rovistò dentro.
« Ho annunciato che sarei venuta con due assistenti della produzione, quindi dovrete leggermente calarvi nella parte, » ne estrasse una macchina fotografica, che passò velocemente a Kisshu, e un esposimetro, che invece allungò a Pai, e un paio di bloc notes per entrambi, « Li devo restituire, quindi cercate di non fare danni. »
Il verde si rigirò la camera in mano, osservandola curioso: « Ehm… »
« Dai qua, » con uno sbuffo, Minto si sporse in avanti sul sedile e gli corresse la presa, iniziando ad indicare i vari pulsanti, « La tieni così, questo per accenderla e spegnerla, qui invece guardi per mirare l’immagine che vuoi riprendere, qui premi per scattare. »
« Non c’è bisogno di usare quello davvero, basta tenerlo acceso, » spiegò invece Zakuro all’altro alieno, « Ma ho pensato che possano darvi una scusa per allontanarvi un po’ di più e cercare in giro. »
« E mi raccomando, cercare di non attirare troppo l’attenzione. »
« Sì, sì, abbiamo capito. »
Con un’ultima occhiataccia al tono scocciato di Kisshu, scesero tutti e quattro dall’automobile; incontro a loro si affrettarono il direttore del centro termale e quella che probabilmente era la sua assistente, seguiti da un altro paio di ragazze.
« Fujiwara-san, quale onore! » il direttore l’accolse con un inchino esagerato, molto più sbrigativo in compenso con i suoi accompagnatori, « Siamo estasiati che lei abbia pensato al nostro centro termale. »
Il viso di Zakuro si trasformò in un sorriso fantastico: « Ho ricevuto ottime recensioni. »
Il direttore sorrise raggiante e le fece cenno di seguirlo lungo l’ingresso: « Qui siamo orgogliosi di offrire ai nostri ospiti un percorso eccezionale, tutto basato sull’integrazione con la natura e la ricerca del benessere attraverso prodotti naturali e di alta qualità… »
Kisshu e Pai non riuscirono a evitare di scambiarsi un’occhiata sarcastica mentre l’uomo continuava a cianciare, gesticolando a destra e a sinistra mentre imboccavano il corridoio d’ingresso del centro; il gruppetto si era stretto attorno a Zakuro in maniera quasi esilarante, e loro due e Minto erano rimasti invece tre passi indietro.
Il verde guardò di nuovo l’attrice ed avvertì uno strano brivido lungo la colonna vertebrale a vederla tutta un sorriso e una moina, così diversa da come si presentava in realtà.
« E tu eri preoccupata che noi attirassimo l’attenzione? » si sporse in avanti per rivolgersi a Minto, « Non hanno occhi che per lei, e devo dire che è abbastanza inquietante. Quel sorriso fa paura. »
La mora storse il naso al fatto che le stava parlando all’orecchio: « Non chiamare la onee-sama inquietante. E meglio essere prudenti, soprattutto con te in giro. »
« Mi dimostri sempre così tanta fiducia, tortorella, sono onorato. »
Pai lo guardò di sbieco, già stanco di quel continuo battibeccare ma in fondo concorde un po’ con entrambi; suo fratello non era mai stato sinonimo di misura o tranquillità, però al tempo stesso pareva impossibile che l’attenzione potesse focalizzarsi su altro che non fosse Zakuro. Non che non fosse una bella ragazza – e lui di certo non era cieco, né stupido – ma sembrava accendersi qualcosa in lei quando doveva mettere in mostra la sua faccia pubblica, e per quanto fosse effettivamente bizzarro in confronto al suo solito essere, era anche estremamente accattivante.
« E queste sono le nostre piscine, » il direttore si fermò sulla soglia della porta di vetro che dava sulla veranda in legno e sulle vasche di acqua naturalmente calda, « Abbiamo voluto preservare la loro posizione sul limitare del bosco, così da permettere a tutti i nostri ospiti di sentirsi davvero tutt’uni con l’ambiente circostante. Non trova che l’odore sia magnifico? »
In effetti, Zakuro si concesse di inalare a pieni polmoni l’odore della foresta, l’aria che le sembrò davvero più pulita rispetto a quella della città nonostante non fossero così distanti, e continuò a sorridere al direttore.
« Avevo davvero sentito ottime opinioni sulla vostra struttura, Yamashita-san, ma devo ammettere che le supera tutte, » piegò appena la testa in un accenno di inchino, poi si guardò un po’ intorno, indicando a Pai e Kisshu, « Le dispiace se i miei colleghi danno un’occhiata in giro e scattano qualche foto? Sarebbe davvero utile per convincere la produzione delle potenzialità del luogo. »
« Con assoluto piacere! » confermò l’uomo, « Nel frattempo, possiamo offrile un assaggio delle tisane che offriamo, come parte dei nostri pacchetti benessere? »
Mentre Zakuro veniva di nuovo trascinata via verso una delle sale al coperto del centro termale, Minto si voltò un istante verso i due alieni: « Ci rivediamo tra una mezz’oretta? Può bastare? »
« Benissimo, » Pai annuì ed estrasse l’esposimetro dalla tasca, « L’area che ci interessa maggiormente è appena sul limitare della foresta, ma sarebbe opportuno prendere anche qualche campione d’acqua. »
« Cercheremo di tenerli dentro al centro il più possibile, ma vorranno sicuro qualche foto anche qui fuori, » la ragazza lanciò uno sguardo pregnante a Kisshu, « Quindi magari fai finta di star facendo qualcosa davvero. »
Per tutta risposta, il verde alzò la fotocamera e gliela puntò contro, scattandole una foto: « Ah! Ma tu guarda! » esclamò poi guardando il display, contento e fiero del suo operato nonostante fosse quasi del tutto sfocato e controluce.
« Ci vediamo tra poco, » con un sospiro esagerato, Minto scosse la testa e si riavviò dentro in cerca dell’amica.
Per i venti minuti successivi, i due Ikisatashi si mossero accorti per il centro termale e il bosco tutt’attorno, Kisshu più a fare il palo e giochicchiare con la macchina fotografica che a raccogliere effettivamente i campioni, ma Pai d’altronde preferiva così.
« È incredibile cosa s’inventano, non trovi? » domandò il verde mentre, entrambi chinati sul terreno umidiccio del sottobosco, riempivano una fialetta, « Vorrei vederlo davvero, quel tizio in giacca e cravatta, a contatto con la natura. »
Il fratello si concesse un divertito sbuffo di accordo: « Credo che abbiamo raccolto abbastanza. Torniamo indietro, non si sa mai che finiscano prima. »
« Figurati, quel tipo sembrava incollato alla lupotta, » Kisshu si rialzò stiracchiandosi, poi infilò le mani in tasca con nonchalance e guardò il fratello con la coda dell’occhio, « Abbiamo abbastanza analisi da mandare indietro? »
Pai gli si incamminò a fianco: « Il programma prevede la prossima comunicazione tra una settimana, direi che per allora saremo riusciti ad analizzare anche i campioni di oggi e ne avremo una quantità significativa da condividere. »
« Mmhm, » l’altro annuì, calciando via un sassolino, « Stavo pensando che forse dovremmo spostare, o replicare uno dei comunicatori dell’astronave anche nel laboratorio. Per velocizzare un po’ i messaggi, se necessario. »
Pai lo guardò di sbieco: « Vorrebbe dire dare accesso anche a Shirogane e Akasaka. E riuscire a rendere compatibili i sistemi di comunicazione potrebbe essere un lavoraccio. »
Kisshu ricambiò l’occhiata: « Potrebbe essere utile. »
Il viola non rispose, arrivando di nuovo sulla veranda e notando che Zakuro e il suo adorante entourage stavano ritornando nel corridoio principale, e colse gli ultimi stralci della conversazione mentre li raggiungevano.
« Le faremo certo sapere al più presto, » assicurò al signor Yamashita, « Ma questo luogo è così incantevole, sarò estremamente dispiaciuta se mi diranno di no. »
« Per noi sarà sufficiente riaverla come ospite, Fujiwara-san, » ribatté il direttore in maniera fintamente modesta, « La sua presenza è un raggio splendente sulla nostra umile struttura. »
Kisshu dovette mordersi la lingua per soffocare la risatina che gli risalì per il naso, e Minto non si esimette dal dargli una leggera gomitata nonostante anche le sue labbra fossero arricciate in una smorfia.
I convenevoli si esaurirono in breve tempo, con un veloce scambio di biglietti da visita tra Yamashita e Minto, e il quartetto si affrettò verso la limousine, parcheggiata nello stesso posto. Non appena ebbe dato le spalle all’entrata del centro termale, il viso di Zakuro ritornò ad essere la maschera impassibile di sempre, a una velocità che di nuovo provocò un piccolo brivido in Kisshu.
« Tutto fatto? » domandò laconica.
« Missione compiuta, » ghignò lui, infilandosi in auto subito dopo di lei, « Posso tenerla questa? »
Gli occhi indaco lo guardarono un po’ stupiti dall’interesse per la macchina fotografica, e guizzarono divertiti: « Vedremo che si può fare. »
« Pai, dai, fammi un bel sorriso, spediamo anche queste al Comando Generale. »
« Scordatelo. »
« Guarda che è una gran figata, basta fare cooosì - »
Il flash quasi accecò Minto, inquadrata suo malgrado e che digrignò i denti: « Cosa dicevi sull’essere competente? »
« Dai, su, tortorella, un errore del percorso educativo! »
« Mi sa che ne hai avuti molti di errori nella tua educazione. »
Zakuro poggiò la tempia contro il finestrino oscurato e nascose un sorrisetto, rilassandosi sul sedile mentre si scambiava un’occhiata esasperata con Pai e ascoltava distrattamente il solito bisticcio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Episodio 8, Una montagna da salvare. Scusate, non sono riuscita a trattenermi dal citarlo, il sosia di Masaya con Lontry la lontra e il chimero che combatte le Mew Mew a forza di puzzette sono sempre troppo trash per non parlarne xD Qui, tra l’altro, le prove della mia personalissima battaglia contro di esso xD

 

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Capitolo 3
*** Three birthdays ***


Chapter Three – Three birthdays

 

 

 
 
 
 
 
Lentamente, la primavera lasciò il posto all’estate. Ichigo l’avrebbe ricordata come una delle estati più magiche che avrebbe mai passato. Quando erano tornati gli alieni, non avrebbe certo pensato che si sarebbero trattenuti così a lungo (e anzi, nessuno ancora discuteva di una data di partenza), né che sarebbe stato così semplice sentirsi come se il loro gruppo avesse sempre dovuto includere anche loro.
Ovvio, Ryou e Kisshu si lanciavano ancora coltellate metaforiche ad ogni occasione, ma per lo più vigeva la pace.
E a proposito del biondino, Ichigo ora capiva la fonte di tutti quei batticuori adolescenziali. Una volta superato lo scoglio, neanche così imponente, del passaggio da “migliori amici” a “in una relazione”, passare quasi tutto il tempo disponibile con lui, senza timori né imbarazzo, le era sembrata la cosa più semplice del mondo. Anzi, le era sembrato quasi incredibile come fosse naturale stargli vicino, cercarlo, lasciare che le sussurrasse all’orecchio parole in inglese che lei non capiva e che al tempo stesso le accaloravano le guance. Non che Shirogane si sciogliesse in grandi proclamazioni o gesti d’affetto in pubblico, quello era ovvio, ma la sua mano sgusciava spesso e volentieri in quella della rossa o sull’incavo della sua schiena, e le attenzioni che le rivolgeva in privato erano più che sufficienti. Certo, capitava come prima – e forse più di prima – che si scontrassero in una delle loro epiche litigate, ma di contro fare pace pareva molto più semplice e sicuramente più divertente.
Al tempo stesso, Ryou non le aveva certo permesso di distrarsi dai suoi doveri – cosa che l’aveva fatto amare ancora di più da Sakura, e detestare un po’ meno da parte di Shintaro, a cui era stato presentato ufficialmente come fidanzato della figlia in una serata orchestrata ad arte dalle due rosse – perciò Ichigo era riuscita a completare tutti gli esami e aveva deciso di continuare gli ultimi due anni alla Facoltà di Lettere. Come premio (e come scusa per uscire dal costante turbinio del loro gruppo di amici), un bel pomeriggio di metà luglio Ryou si era presentato sotto casa sua e l’aveva molto difficilmente convinta a prendere armi e bagagli e trasferirsi nella sua villetta al mare.
Ichigo non avrebbe potuto dire in dettaglio come si fossero svolte quelle giornate, condite dal calore del sole sulla pelle asciugata dal sale; quando ci avrebbe ripensato, la sua mente si sarebbe focalizzata sulle lunghe passeggiate al tramonto, le cene al lume di candela al tavolino appena affacciato alla spiaggia, la totale rilassatezza delle ore passate stesi sulla sabbia. E sarebbe arrossita a ripensarci, ovvio, non solo per la costante vicinanza al biondo in abbigliamento molto limitato, ma anche per la maniera assolutamente estasiata in cui si era sentita, avvolta da una bolla di felicità che non aveva mai avuto modo di provare.
Solo quando Minto le aveva mandato un messaggio ironico condito da una sottile malizia in cui le aveva chiesto se Shirogane la tenesse legata al letto ventiquattro ore su ventiquattro, lei si era resa conto che effettivamente erano passate quasi tre settimane senza che lei mandasse alle amiche qualche segno di vita più complesso di alcune faccine sorridenti nelle conversazioni di gruppo. Per farsi perdonare, così, aveva chiesto un enorme favore al ragazzo, e aveva interrotto il loro idillio di coppia per ospitare l’intero gruppo (meno Zakuro, alle prese con una campagna estiva in una elegante località di montagna) per il fine settimana coincidente al compleanno di Purin.
« Ora ho capito perché Ichigo-chan ha interrotto le comunicazioni, » esclamò divertita la biondina, che si lasciava cullare dalle onde, galleggiando appena sull’acqua bassa della battigia.
« Sì, sono state sicuramente le sabbiature a prenderle tutto quel tempo. »
« Giuro che ti faccio cadere in acqua, Minto. »
Le altre tre si scambiarono una risata, divertite dall’evidente rossore sulle guance della rossa, che quasi davvero offesa si concentrò sul suo tè freddo. Avevano recuperato quante più sedie sdraio possibili e si erano piazzate direttamente in riva, così da ristorarsi con le gambe in acqua mentre prendevano il Sole e continuare a fare chiacchiere – d’altronde Retasu, per quanto avesse imparato quantomeno a galleggiare, ancora non si sentiva completamente a suo agio in mare, e le amiche avevano presto trovato espedienti per ovviare alla situazione. Molto più al largo, invece, Ryou e Keiichiro si stavano finalmente concedendo un po’ di surf insieme, anche se la velocità con cui il biondo aveva proposto l’attività avesse fatto sospettare che volesse solo isolarsi per un paio d’ore visto l’improvviso affollamento della sua casa.
« Aaaah, per gli dèi, anche l’acqua è calda! »
Kisshu si buttò in mare come un bufalo sgraziato, sollevando un’indecente quantità di schizzi che non risparmiò le ragazze.
« Sempre il solito esagerato, » commentò tetro Pai, seguendolo in ogni caso con celerità molto più elegante.
« Tutto bene, Kisshu-san? » domandò divertita Retasu, vedendolo galleggiare a stella mentre ansimava.
« Come fate a sopportare questo caldo? » borbottò lui, « Fa caldo all’ombra, la sabbia brucia, l’acqua è bollente, come?! »
« Si chiama estate. »
« Per me è giusta, » commentò confusa Purin, sedendosi per terra accanto a Retasu, che continuava a ridacchiare dei lamenti esagerati del verde.
« Noi non ci siamo abituati, » Pai, solo la testa visibile oltre la superficie, iniziò a spiegare lentamente, « Siamo cresciuti con un clima decisamente inospitale, e anche le temperature attuali su Duuar sono molto miti. Simili alla vostra primavera, credo. Non possiamo parlare di quattro stagioni, temo, né sappiamo come continuerà a reagire il pianeta alla presenza della Mew Aqua. »
« Quello che speriamo è comunque di non combinare il vostro stesso casino con il cambiamento climatico, » gracchiò Kisshu, spostandosi la frangia zuppa dagli occhi, « Perché questo non è normale, sappiatelo. »
« E poi, da noi non c’è il mare, » continuò il fratello, suscitando esclamazioni sgomente da parte delle ragazze, « Il nostro è un pianeta boscoso, con fiumi e qualche lago, ma non specchi d’acqua comparabili al vostro. Ovviamente, sono accessibili relativamente da poco. »
« Ah, a proposito! » con un guizzo degno di un cetaceo, Kisshu si girò sulla pancia e piantò gli occhi su Minto e Ichigo, « Quei cosini graziosi che avete indosso chi li ha inventati? Ha tutta la mia stima. »
« Deficiente! » Ichigo e Minto esclamarono in coro, l’una con molto più gelo dell’altra, mentre Purin si limitava a ridacchiare e Retasu si stringeva un po’ di più le ginocchia al petto per coprire l’abbondante scollatura del suo costume intero.
« Quindi da voi non ci sono le vacanze? » mormorò dopo un po’ la biondina, sempre più incuriosita dalla storia di quel pianeta lontano.
« Non proprio come le immagini tu, scimmietta, » rispose Kisshu continuando a galleggiare col naso a pelo d’acqua, e il tono in cui lo disse fece intuire che fosse meglio cambiare soggetto.
Ichigo si tirò in piedi e si stiracchiò contenta, facendo un cenno con il capo verso l’acqua: « Chi viene a farsi un bagno prima di pranzo? »
« Ioooo! »
« Purin, ti prego, gradirei non bagnarmi i capelli. »
« Andate avanti voi, ho come l’impressione che la vista da qui sia – mpphhhh! »
Le ultime parole di Kisshu finirono in un gorgoglio di bolle, visto che Minto, passandogli accanto, gli aveva spinto la testa sott’acqua con poca grazia per farlo tacere.
Retasu rise ancora della scenetta mentre il verde riemergeva con un gran respiro, accusando la mora di tentato omicidio con lei che non si degnò nemmeno di considerarlo; solo in quel momento si rese conto che Pai non si era accodato al gruppo, ma anzi la stava fissando dalla stessa posizione di prima con quella che le parve curiosità negli occhi scuri.
« Non hai ancora imparato a nuotare? » le domandò all’improvviso.
Retasu non seppe se sentirsi a disagio per la domanda leggermente fuori luogo, per il fatto che lui si ricordasse di quel ridicolo particolare data la sua natura secondaria, o per tutta la situazione in generale.
« No, io… preferisco rimanere dove si tocca, » esclamò con una mezza risatina imbarazzata, giocherellando con un dito nella sabbia bagnata, « Fa un po’ ridere, vero? »
Pai si limitò a scrollare le spalle e girarsi un secondo verso il gruppetto, attirato dalla risata di Purin e dal grido assassino di Minto visto gli schizzi che lei e Kisshu stavano provocando spruzzandosi a vicenda.
« Ognuno ha le sue peculiarità, » proclamò enigmatico, osservando l’acqua che gli sfiorava la vita, « Ammetto che nemmeno io sono molto a mio agio qui dentro, ma è l’unica fonte di ristoro. »
Retasu nascose un sorrisetto contro le ginocchia e ne osservò il profilo di nascosto, un dito che giocherellava con la sabbia bagnata: « Quanto fa freddo sul vostro pianeta? »
« Si gela. Gelava, » si corresse lui quasi subito, gli occhi viola che accennarono a perdersi, « Eravamo costretti a vivere sottoterra, per ripararci dalle intemperie, ma la situazione non era migliore. Mi è successo solo un paio di volte di salire in superficie, e… diciamo che il buio dello spazio era più confortevole. »
Lei rimase in silenzio per qualche istante, percependo chiaramente quanto il discorso non fosse tra i preferiti dell’alieno.
« Quindi qui è tutto completamente diverso, » esclamò poi con una mezza risata, « Eppure sembrate abbastanza a vostro agio. Non so come facciate, se fosse toccata a me una cosa del genere… dovermi reintegrare in un posto del tutto nuovo, non saprei… »
« Ci siamo dovuti adattare ai cambiamenti, » Pai la guardò da sopra la spalla con l’ombra di un sorriso, « E molte volte non è stata una nostra scelta. »
Retasu annuì e riabbassò di nuovo gli occhi blu, esalando un respiro tremolante. Avrebbe tanto voluto chiedergli di più, ma aveva paura di risultare invadente o toccare altri punti dolenti. Non riusciva ancora a comprendere l’umore dell’alieno, né la maggior parte delle sue espressioni e ciò che si nascondeva dietro esse, e non voleva essere presa per una ficcanaso insensibile.
« Comunque, non è vero quello che hai detto, » soppesò Pai dopo un po’, cogliendola di sorpresa, « Anche tu sei stata messa all’improvviso dentro una situazione totalmente nuova e che alcuni descriverebbero come folle, eppure sei riuscita ad affrontarla. »
La ragazza non riuscì ad evitare di fissarlo ad occhi sgranati, il cuore che le batté forte un paio di volte.
« Anzi, forse l’avete affrontata con molto più coraggio di noi. Soprattutto perché non avevate altra scelta. »
Le rivolse di nuovo un sorriso mezzo affettato; Retasu dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma fu preceduta dallo strillo esagerato di Purin, che era stata afferrata di peso da Kisshu e lanciata in acqua compiendo un largo arco nell’aria.
« Finiranno per attirare l’attenzione di tutta la spiaggia, » borbottò cupo Pai, parendo aver perso quel minimo di buon umore.
« … Kisshu-san sa nuotare, vero? » domandò preoccupata la verde, seguendo con lo sguardo Ichigo e Minto mentre rincorrevano l’alieno, reo di continuare a sollevare schizzi, e tentavano di spingerlo in giù.
Il viola scosse solo la testa e uscì dall’acqua: « Se la caverà. »
 
 
 
 
« … tanti auguri, cara Purin, tanti auguri a teee! »
La biondina si piegò a soffiare sulle candeline con un sorrisone a trentadue denti, mentre il gruppetto intorno a lei applaudiva festante.
« Esprimi un desiderio! » la incalzò Ichigo, e la vide stringere forte gli occhi e arricciare il naso prima di spegnere tutte e diciotto le lucine in un unico soffio, gli altri che continuavano ad incitarla.
Retasu si premurò invece di riaccendere le luci del salotto, intanto che Keiichiro aiutava la festeggiata a tagliare la torta.
« Ci siamo dimenticati di insegnarvi la canzone, » fece a mo’ di scuse poi rivolta verso Kisshu, che aveva osservato la scena con una spalla poggiata al muro e l’espressione tra il confuso e il rapito, « È tipica di quasi tutta la Terra, direi. La melodia, almeno. »
L’alieno fece un cenno di comprensione: « E quelle? »
« Per tradizione, il festeggiato celebra con una torta con sopra tante candeline quanti sono gli anni che compie, e le deve spegnere con un soffio. Si dice anche che dovresti esprimere un desiderio, mentre lo fai. E poi solitamente ci sono i regali da aprire. »
Kisshu intese l’occhiata di blu intenso come una muta e curiosa richiesta a sapere come funzionasse dalle loro parti, quindi abbozzò a un sorriso: « Anche noi ci scambiamo dei doni per la ricorrenza della nostra nascita. Ma niente torta, quando eravamo piccoli il regalo migliore era un frutto, che noi chiamiamo kirimoia(*). Ha bisogno di molta luce per crescere, e siccome da noi la luce era artificiale, le sue coltivazioni erano molto limitate, il frutto costoso. Quindi era una vera chicca. »
Retasu ricambiò il suo sorriso e gli passò uno dei piattini con la torta: « Sai che non sappiamo quando sia il tuo compleanno, Kisshu-san? »
Lui ingollò circa mezza fetta prima di rispondere, chiudendo un occhio mentre pensava: « Mmmh… non abbiamo esattamente il vostro calendario, ma grossomodo direi il vostro… aprile? Pai lo sa sicuro meglio di me. »
Lo sguardo di Retasu guizzò per un secondo verso il maggiore degli Ikisatashi, dall’altro lato della stanza, e il verde nascose un sorrisetto dietro all’ennesima forchettata di dolce.
« Non è molto bravo a divertirsi, » commentò con un ghignetto, « Non lo era nemmeno prima di diventare un soldato. Mr. Ghiacciolo è tutto decoro e dovere. »
Retasu spiluccò la sua fettina, sorridendo appena: « A volte sembra che non andiate molto d’accordo. »
Kisshu si strinse nelle spalle e passò il lato della forchetta sul piatto per ripulirlo di ogni traccia di panna: « Siamo diversi. Quando sono morti i nostri genitori eravamo ancora piccoli, il modo in cui abbiamo reagito ci ha diviso ancora di più, se possibile. Poi sai, tutte le nostre avventure… »
La ragazza sgranò gli occhi, terribilmente mortificata, mentre quasi si strozzava con un pezzo di dolce: « Kisshu-san, mi dispiace, io non… »
« Su, su, pesciolina, » lui le diede un paio di pacche sulla schiena, sorridendo quasi divertito mentre le passava un bicchiere d’aranciata, « Ormai è acqua passata. »
Lei lo ringraziò con un ultimo colpo di tosse, prendendo un lungo sorso con aria avvilita. Come le era venuto in mente di dire una cosa simile? E come poteva Kisshu rivelare notizie del genere con tutta quella nonchalance? Si azzardò a lanciare un’altra occhiata a Pai da sopra l’orlo del bicchiere; forse non era poi del tutto strano, allora, che lui avesse quel carattere così chiuso, anche se diametralmente opposto a quello del fratello… ma certamente non era una cosa che avrebbe di nuovo investigato così presto.
« Grazie a tutti ancora! » esclamò Purin a volte alta, e si appese al collo di Ichigo per un altro abbraccio, « È stato un fine settimana fantastico. E Keiichiro nii-san, la cena è stata squisita! »
« Ho cercato di fare del mio meglio, Purin cara. »
Da sopra la spalla della rossa, la biondina lanciò uno sguardo divertito a Ryou: « Ti perdono per aver rapito Ichigo nee-chan. »
L’americano, spaparanzato sul divano, piegò solo un sopracciglio, sorseggiando la sua birra: « È stata più che d’accordo. »
« Sì, sappiamo che fa fatica a dirti di no. »
« Purin! »
Il viso di Ichigo prese fuoco e cercò di scrollarsela di dosso, ma la biondina si tenne stretta continuando a ridere: « Ora propongo di andare a farci un altro bagno! »
« Purin, siamo stati in acqua tutto il giorno, » rispose Retasu con un tono un po’ di scuse.
« E sono le undici e ci siamo già fatti tutti la doccia, » aggiunse Minto, un po’ più piccata, ma Purin scosse la testa come a non voler sentire ragioni:
« Dai, per favore! È il mio compleanno e decido io. »
« Ma ha sempre avuto questo caratterino? » sghignazzò Kisshu, « Comunque io appoggio la proposta. »
« Figuriamoci. »
« Andate voi, davvero, » Retasu li incoraggiò con un sorriso, « Io e Minto-chan mettiamo un po’ in ordine. E domattina avremo ancora il tempo di stare un po’ in spiaggia. »
« Promesso, eh! Ma Ryou nii-san non è esonerato. »
« Alright, alright! »
Con uno sbuffo, Ryou si unì a Purin e Ichigo, seguito da Kisshu, e Keiichiro, che però indugiò un secondo sulla soglia.
« Sicure che non vi serva una mano? »
Minto sventolò una mano mentre si alzava dal divano: « Vai pure a controllarli, Akasaka-san, o rischi che si affoghino davvero. »
Rimasti in tre, con un gran sospiro la mora cominciò a raccogliere gli involucri scartati dei regali, mentre Retasu e Pai rassettarono velocemente il tavolo della sala da pranzo, trasportando i coperti in cucina.
« Sai quando torna Zakuro-san, Minto-chan? » domandò la verde poi, aprendo il rubinetto per sciacquare i piatti prima di riporli in lavastoviglie.
« La prossima settimana, » replicò pronta la mora, raccogliendo le bottiglie sparse, « Non ha ancora deciso se tornare venerdì o rimanere un weekend in più, dipende anche se la produzione ha intenzione o meno di fare uno shooting. »
In silenzio, Pai si dileguò molto presto al piano di sopra, mentre le due ragazze finivano di sistemare i piatti e chiacchieravano sottovoce.
« Sono felice che Purin-chan sia stata contenta, » mormorò Retasu, « È stato un po’ difficile incontrarsi per il suo compleanno gli anni passati, e spesso suo papà non c’era. »
« Invidio la sua solarità, » concordò Minto, « Saranno dieci anni almeno che non festeggio un compleanno con i miei genitori, eppure continua a darmi fastidio. »
La verde le rivolse un sorriso comprensivo, per lei era così difficile immaginarsi di non avere una famiglia unita, o dei genitori affettuosi, e ogni volta si rendeva conto di quanto fosse fortunata. Si asciugò le mani in un canovaccio e poi esalò lenta: « Porto i regali di Purin in camera e poi credo che andrò a dormire, ti dispiace? »
« Vai, io rimango ancora un po’, fa troppo caldo per dormire. »
Retasu raccolse i regali e si avviò lenta su per le scale, non vedendo l’ora di rilassarsi tra le lenzuola dopo la giornata comunque intensa. Quando sbucò sul pianerottolo, l’unica fonte di luce sul corridoio buio venne data dalla luce del bagno che filtrò dalla porta aperta da Pai, che stava lasciando la stanza in quel momento.
L’alieno alzò a fatica la testa verso di lei, l’espressione un po’ esausta, e lei fece solo un sorriso, quasi bloccandosi dove stava.
« Non ho finito di aiutarvi, » bofonchiò a mo’ di scuse, e si passò una mano sul volto con fare stanco, « Ma… questo caldo, e il Sole… »
Retasu sentì il proprio cuore battere irregolare dalla tenerezza che le scatenarono quelle parole, e continuò a sorridere mentre annuiva comprensiva: « Nessun problema, Pai-san. So che non dev’essere facile. »
Pai annuì, le sembrò che raddrizzasse un poco la schiena, come se mostrarsi così distrutto non fosse fonte di decoro né appropriato, e fece qualche passo verso la stanza che avrebbe condiviso con il fratello.
« Penserai che sia molto noioso, » disse a voce bassa, così bassa che lei quasi stentò ad udirlo, una punta di divertimento nel tono che le sembrò quasi strana, « Mio fratello ancora pimpante, e io che sto per crollare perché la temperatura non fa per me. »
Lei congiunse le mani davanti a sé, la gola via via che si seccava: possibile che continuasse a trovarsi sola con lui quel giorno?
« Non sono molto più divertente di te, Pai-san, » replicò, cercando di suonare altrettanto ironica, « Non mi avventuro più in là della riva, e sto andando a dormire dopo aver sistemato. »
Gli occhi ametista brillarono un poco nell’oscurità, forse colse l’ombra di un sorriso: « Allora mi dai ragione, che sono noioso. »
« N-n-n-no no no! » Retasu si affrettò a correggersi, avvertendo le guance andare in fiamme e agitando le mani davanti a sé, « Mi hai frainteso, cercavo di dire che… »
Lo sentì ridacchiare piano mentre si avvicinava di più alla propria camera: « Scusa, non volevo turbarti. »
Come poteva non turbarla quando cambiava umore in così poco e addirittura le mostrava quel sorriso? E lei perché continuava a farsi tutte queste domande?
Retasu deglutì e cercò di ricomporsi, ricambiando la risatina a disagio: « Be’, ora… ora credo che andrò a riposare. »
Pai la osservò un altro paio di secondi in silenzio prima di far sì con la testa: « Buonanotte, Retasu. »
In realtà, lei rimase ferma dov’era finché non lo vide chiudersi la porta della stanza alle spalle; poi lasciò uscire tutta l’aria che aveva trattenuto in un sottile sospiro, e si fiondò in bagno a sciacquarsi la faccia rovente, sperando solo che il buio avesse camuffato la cosa.
Al piano di sotto, Minto pensò che forse rinfrescarsi un po’ con l’acqua del mare non sarebbe stata una brutta idea, visto quanto facesse comunque caldo anche in piena notte. Storse un po’ il naso però al pensiero del sale e delle alghe, e del tran-tran successivo che avrebbe dovuto affrontare tra doccia e creme idranti, quindi invece afferrò un bicchiere e lo riempì fino all’orlo di acqua fredda, bagnandosi nel frattempo anche un po’ i polsi. Sospirò rumorosamente una volta che lo ebbe svuotato in un colpo solo, passandoselo sulla fronte per trovare un minimo di ristoro dato nella frescura della superficie. Aldilà della larga vetrata della cucina, riusciva ancora ad intuire le sagome degli amici che si spruzzavano allegramente sotto la Luna, e sentì chiaramente l’urletto allegro di Purin mentre veniva sollevata da Ryou e scaraventata nuovamente in acqua.
Si concesse un altro sorriso intenerito a pensare all’amica, che nonostante tutto non aveva mai visto abbattuta o scoraggiata, ma che anzi sembrava sempre più solare ogni giorno che passava.
« Niente avventure notturne per te, tortorella? »
Kisshu, come al solito, la prese alle spalle, i capelli che gocciolavano senza pietà sul pavimento di legno del corridoio. Lei, che era sobbalzata visibilmente, fece una smorfia infastidita mentre riempiva il bicchiere una seconda volta: « Non sono il tipo da bagni di notte. »
« Cos’è, hai paura dei pesci? Pensavo fosse la micetta quella fifona al buio. »
Minto gli lanciò un’occhiata di rimprovero: « Non ho paura di un bel niente, semplicemente mi ero già rilassata e ripulita dalla spiaggia, e non avevo intenzione di vanificare il tutto. »
L’alieno la guardò divertito: « Rilassata non mi sembra il termine ideale, passerotto. »
Lei non provò nemmeno a ribattere, consapevole che avrebbe solamente visto il ghignetto allargarsi, e affondò il proprio puntiglio in un sorso d’acqua.
« E in ogni caso, è molto più rilassante al buio, » esclamò poi Kisshu, guardando fuori dalla vetrata, « Anche se con la scimmietta non è che si parli molto di relax… »
Si girarono entrambi verso il corridoio buio quando udirono il rumore della porta d’ingresso e la risatina allegra e rumorosa di Ichigo che fingeva di arrabbiarsi per il fatto che Ryou se la fosse caricata in spalla e stesse ora marciando verso il piano superiore, due sorrisi troppo marcati perché avessero effettivamente litigato o lei fosse veramente dispiaciuta della cosa.
Kisshu guardò la mora, rivolgendole un occhiolino: « Forse nemmeno tanto con la micetta. »
« Ah, Ichigo, » mormorò Minto con un sospiro intenerito, « Bisogna volerle bene così com’è, esagerata e con la testa per aria. »
« C’è forse un cuoricino sotto quegli strati di stoffa costosa? »
« Più di quanto ci sia un cervello sotto quei capelli impossibili. »
Kisshu rise divertito e scrollò la testa giusto per darle fastidio con le gocce fredde che schizzarono da tutte le parti, lei che emise un grugnito esasperato mentre afferrava un canovaccio e glielo tirava in faccia come un muto ordine di asciugarsi.
« Comunque, vi bilanciate bene voi due, » commentò sovrappensiero l’alieno dopo qualche istante, sfregandosi il panno in testa.
« Forse vuoi dire che io ho un’ottima influenza su Ichigo, » esclamò Minto con nemmeno tanta ironia, alzando un sopracciglio divertita, poi però si strinse nelle spalle, « È la mia migliore amica. »
« Più della lupotta? »
« Con la onee-sama è… diverso. Ichigo è stata una delle mie prime vere amiche, ed è… beh, è Ichigo. »
« Già, » Kisshu abbandonò lo straccio accanto al lavandino e abbozzò una smorfia, « L’hai riassunta bene. »
La mora picchiettò appena le unghie contro il bicchiere che ancora teneva in mano: « Devi darle un po’ di credito per quando è venuta a parlarti, dopo che hai spifferato a tutti di lei e Shirogane. Sa essere espansiva e diretta, ma… fa un po’ fatica sui discorsi più complicati. Ed era preoccupata. »
« Non c’era niente di cui preoccuparsi, gliel’ho anche detto, » replicò lui, un minimo sorrisetto sulle labbra, e Minto piegò un poco la testa di lato mentre agitava il bicchiere nell’aria, leggermente a disagio:
« Sì, ma comunque… sai… »
L’alieno rise del suo imbarazzo e le prese il bicchiere dalle dita per vuotarlo di un colpo: « Non mi sembra che nemmeno tu sia campionessa dei discorsi difficili, tortorella. »
« Cerco di non impicciarmi negli affari altrui. »
« Coooome no! »
Minto scosse di nuovo la testa, si riprese il bicchiere e lo poggiò dentro al secchiaio. In quel momento, Purin corse dentro casa come una furia, ridendo ad alta voce, Keiichiro una ventina di passi indietro, molto più calmo.
« Buonanotte, Kisshu-san, nee-chan! Domani lo rifacciamo, eh! E Akasaka nii-san mi ha promesso che mi insegna a surfare! »
La mora si scambiò un rapido sguardo con il pasticcere, che aprì solamente un poco le braccia come a dire non ho avuto altra scelta, prima di incamminarsi anch’egli al piano di sopra con un sospiro e un saluto.
« Spero che Retasu non si fosse già addormentata, » commentò lei divertita, « O non prenderà più sonno. »
« Le si scaricheranno le pile, a un certo punto, » ghignò Kisshu di ricambio, « Vedi, tortorella, è così che bisogna essere, giovani e attivi! »
« Chi era quello che ha passato la giornata galleggiando a morto boccheggiando per il caldo? »
« Come se non vi foste fatte un pisolino all’ombra dopo pranzo. »
Minto alzò gli occhi al cielo, piegando un angolo della bocca: « Cosa fai, ci spii anche ora? »
Lui ricambiò l’occhiata divertita con un guizzo negli occhi: « Il panorama non era male. E poi così almeno sono riuscito a sbirciare quel tuo faccino adorabile senza la solita spocchia sopra. »
La mora inarcò un sopracciglio a mo’ di avvertimento: « Rischi che Shirogane tenti davvero di affogarti se ti becca a occhieggiare Ichigo, » aggiunse poi.
L’alieno esalò un lungo verso di esasperazione, finalmente togliendosi il canovaccio da dosso e appallottolandolo prima di lanciarlo accanto al lavandino: « Ma mi ascoltate almeno quando parlo? Poi se vuole farsi una scazzottata ben venga, non ho bisogno di molte scuse. »
Quasi in automatico, Minto si avvicinò al lavandino per prendere lo straccio e piegarlo con cura in un rettangolo ordinato.
« Ti conviene spicciarti ad andare a farti una doccia, » esclamò, tendendo un orecchio verso al piano di sopra, « O credo che il bagno verrà occupato a lungo. »
« Non mi importa molto, » Kisshu si osservò le braccia pallide, ancora coperte da qualche goccia d’acqua, « Non è una sensazione spiacevole, quella del sale. »
La mora lo guardò con un’espressione schifata: « Non è molto igienico. »
« Lo so che sei delicata, » la prese in giro sottovoce, « Ma è anche la prima volta che mi capita di passare una giornata al mare, o di vederlo per bene, se è per questo. Magari me lo voglio godere un po’ di più. »
Le rivolse un’espressione talmente saputa che Minto riuscì solo a ridere e scuotere la testa: « Fa comunque un po’ schifo. »
« Mica ci dormi tu con me, tortorella. »
Lei gli puntò l’indice contro come ammonimento, trattenendo un sorriso, poi sospirò, incamminandosi verso le scale: « Vado a dormire, prima che Purin e Retasu occupino tutto il letto. »
Kisshu la studiò un istante, come se stesse cercando di capire qualcosa, poi la sua espressione si tramutò nel solito ghignetto: « Se non ci dovesse essere posto… »
« Vai a quel paese, Kisshu. »
« Buonanotte anche a te, passerotto. »
Minto si limitò a sventolare svogliatamente una mano dietro di sé, dandogli le spalle mentre saliva le scale buie, ignorando il pizzicore che provava alla nuca dato dagli occhi dorati puntati addosso.
 
 
 
 
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Zakuro aveva sempre avuto il sospetto che i suoi sensi di lupo non si fossero mai del tutto placati nel corso degli anni, perché anche in quel momento poteva benissimo avvertire che ci fosse qualcuno nel suo appartamento fin dall’ascensore all’inizio del corridoio.
Maledetta la sua decisione di dare le chiavi a Shirogane.
Si preparò esalando lenta e rilassando le spalle, non poteva certo arrabbiarsi, immaginava che le intenzioni fossero più che amichevoli e affettuose, al tempo stesso le riusciva difficile non innervosirsi al pensiero di non poter godere di un po’ di silenzio e calma.
Non appena infilò le chiavi nella toppa, udì il mormorio acquietarsi con una serie di ssssh! minacciosi, e dovette reprimere un sorrisetto; contò fino a cinque, e spalancò la porta di casa.
Il suo loft s’illuminò d’un colpo mentre tutti e nove gli altri sbucavano da dietro i muri – chi più chi meno energicamente – con palloncini e nastri al grido di Buon compleanno!, investendola in più con una pioggia di coriandoli (che, si appuntò mentalmente mentre non poteva fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso, avrebbe fatto ripulire direttamente al suo connazionale).
« Ti abbiamo fatto la sorpresa! » sottolineò Purin, ignorando come al solito gli spazi personali altrui e abbracciandola con un saltello.
« Decisamente, » commentò Zakuro con una risatina, e si passò una mano tra le ciocche color glicine per togliere la maggior parte dei pezzetti colorati, « A cosa devo l’onore? »
« Abbiamo realizzato che non ti festeggiavamo come si deve da almeno tre anni, » le spiegò dolcemente Retasu, mentre si incamminavano verso il salotto, « Mentre i nostri compleanni più o meno siamo sempre riusciti a passarli insieme. Speriamo ti faccia piacere. »
E la modella non poté negare che, nonostante la pochissima voglia che aveva sempre avuto nei confronti del proprio giorno di nascita e il grande scontento che provava all’invasione della sua solitudine, vedere il tavolino da caffè del salotto ricoperto di fiori, regali, qualche vassoio con degli stuzzichini e una larga torta rotonda, e altri palloncini sistemati dietro al divano, le provocò una piacevole ondata d’affetto nei confronti di quella che era, a tutti gli effetti, la sua famiglia.
« Sei sorpresa, onee-san? »
« Certo, Purin, » le carezzò affettuosa la testa bionda, e poi lanciò uno sguardo divertito verso Ryou e Keiichiro, « La torta è omaggio del Caffè? »
« Voi vi approfittate del buon cuore di quest’uomo! »
« Lasciatelo perdere, è sempre un piacere per me, ragazze. »
Ricevuti gli abbracci anche da parte di Ichigo e Minto, che si era premurata di sottolineare quali tra i vari pacchettini fossero i suoi regali, sempre con Purin attaccata all’altro braccio, rivolse uno sguardo all’intero gruppo che si stava sistemando tra divano, poltrone e tappeto: « Grazie mille, davvero. È stato un pensiero carinissimo. »
« Una donna di poche parole, » ghignò Kisshu, appollaiato a braccia incrociate sul bracciolo del divano, guadagnandosi un’occhiataccia sia da parte della festeggiata che di Minto.
« Dai, dai, ora soffia! »
Purin la tirò fino al tavolino, quasi costringendola a sedersi, intanto che Keiichiro accendeva le ventidue candeline bianche. Almeno le fu risparmiato il supplizio della canzoncina, si disse tra sé e sé mentre seguiva un applauso al suo spegnerle tutte d’un colpo.
« È una New York cheesecake con dei mirtilli, » le rivelò il pasticcere con fare complice, ben conscio dei suoi gusti, « Porzione per quindici, conoscendo i nostri ospiti. »
Zakuro ricambiò il sorriso, e si alzò sorreggendo cauta la torta in mano: « Però la taglio in cucina, voi mettetevi comodi. »
« Sei sicura, Zakuro-san? »
Lei rispose a Retasu con un cenno del capo: « Mi aiuta Ryou. »
« Sir, yes, sir. »
Non diede attenzione alla sua ironia, gli porse la torta e lo precedette in cucina, andando a rimestare tra gli scaffali per piattini e forchette.
« Ti avevo detto che non volevo festeggiare. »
Ryou non si scompose per nulla alla gelida nota di rimprovero sotto al sorrisetto della modella, mentre poggiava la torta sulla penisola.
« Avresti preferito che lasciassi tutto nelle mani di Ichigo e Minto? Ti saresti ritrovata nell’ultimo locale più in voga del momento con una torta a tre piani. Invece, voilà, non ti sei nemmeno dovuta mettere un paio di calze. »
Zakuro ignorò il commento sul fatto che fosse a piedi scalzi sul pavimento di marmo della cucina e agitò vagamente il coltello che aveva in mano davanti al naso del biondo.
« Guarda che non sono io quella che non sa dire di no a quelle due. »
« Ouch, » Ryou si mise una mano sul cuore, non dovendo poi fingere così tanto di essere stato punto sul vivo, « Sto per nascondere il tuo regalo. »
Lei gli lanciò un’ultima occhiataccia divertita e si riavviò con i piattini della torta su un elegante vassoio, porgendo i primi a Purin e Ichigo che, come al solito, sembravano le più impazienti di gustarsi il dolce. La conversazione su un argomento di cui aveva mancato il principio continuò anche mentre ognuno si concentrava sul dessert, e mentre Zakuro si risiedeva notò con la coda dell’occhio Kisshu che, con nonchalance, appoggiava il braccio sullo schienale del divano, appena cinque centimetri sopra le spalle di Minto, la quale rimase impegnata a partecipare alla discussione, ma con la parte superiore del corpo leggermente inclinata verso l’alieno. La modella si sforzò di non sorridere per non attirare l’attenzione su di sé, e al tempo stesso si chiese se non ci fosse sotto qualcosa che l’amica stessa non aveva ancora notato. Anche se forse un discorsetto o due d’avvertimento a Kisshu sarebbero stati d’obbligo.
Cullata dal ronzio delle chiacchiere di sottofondo, e dal meraviglioso sapore della cheesecake sulle papille gustative, a malapena si accorse del tempo che passava, lei che di solito anelava così tanto poter rimanere sola con i suoi pensieri. Era quello, si disse, la vera prova che avesse accettato quel gruppo in tutto e per tutto come un’estensione del suo essere, come la parte mancante della sua vita; il riuscire a condividere momenti importanti insieme a quelli semplici, senza avere la voglia di scappare al più presto possibile.
Da sotto la frangetta, lanciò uno sguardo in su, reprimendo un sorriso: a Keiichiro in poltrona che impilava ordinatamente i piattini usati; a Ryou, rilassato con Ichigo accanto a sé che chiacchierava fin troppo energica con Minto, di fianco a lei nel divano da quattro, Kisshu all’altro lato che invece confabulava con Purin, seduta ai piedi di Retasu sulla seconda poltrona, il cui bracciolo era occupato da Pai. Si soffermò un istante di più sul profilo dell’alieno, di cui ancora faticava a comprendere gli stati d’animo.
Forse non erano poi così differenti, si disse. Sempre un po’ pesci fuori dall’acqua, sempre introspettivi ma curiosi, imperscrutabili agli altri. Eppure, come lei al tempo, lui e il fratello si erano uniti in maniera organica al gruppo, la loro presenza aveva smesso di stonare fin da subito, e ora sembrava davvero che la scena fosse completa.
« Ti sono piaciuti i regali? » Purin gattonò fino a lei, seduta oltre al tavolino a gambe incrociate sul tappeto, « Sta diventando un po’ difficile pensare cosa regalarti, nee-san. »
Zakuro sbuffò una risata roca alla schiettezza della biondina, annuì convinta: « Molto, Purin, grazie mille. Prometto che ne farò buon uso. »
« Io ce l’ho uguale, » sorrise la più giovane, riferendosi al tappetino da yoga che le aveva donato, « Minto nee-san mi ha detto che il tuo si è perso durante un viaggio, quindi mi è sembrata una buona idea. »
« È perfetto, » concordò la modella, « Anzi, stavo pensando, perché non organizziamo qualche tipo di evento a tema per fare un po’ di pubblicità alla vostra nuova palestra? So che siete dedicati alle arti marziali, ma magari… »
Gli occhi scuri brillarono estasiati: « Nee-chan, sarebbe grandioso! Anzi, soprattutto quando non c’è papà, così non mugugna sulle attività alternative! E scommetto che anche i miei fratellini si divertirebbero, Heicha in realtà si sta interessando alla ginnastica ritmica ma sarebbe ottimo! »
« Parlerò con la mia manager e Minto, e ti faccio sapere. Ora che riaprono le scuole è una buona occasione. »
La biondina le si lanciò addosso per un altro dei suoi energici abbracci, quasi facendole perdere l’equilibrio.
« Ovviamente invitiamo anche Ichigo-chan e Retasu-chan, » esclamò Zakuro a voce un po’ più alta, un po’ ironica, « A un appuntamento di yoga nella palestra di Purin. »
« Ichigo millanta di saper fare, » aggiunse Minto, roteando teatralmente gli occhi, « Il tappetino che le ho regalato io sarà sicuro a far la polvere. »
« Guarda che io sono un sacco attiva ora! »
« Immagino. »
« Minto! »
Zakuro mascherò un sorrisetto mentre quelle due riprendevano a battibeccare sotto lo sguardo scocciato di Shirogane, che dopo tre minuti di orologio scostò il braccio dal poggiatesta e fece per alzarsi.
« Sono quasi le dieci, direi che abbiamo abusato dell’ospitalità di Zakuro. »
« Grazie ancora a tutti per i regali, » ripeté mentre si alzavano tutti in piedi e pian piano raccoglievano le loro cose, sciamando verso l’uscita, « Chi vuole la torta rimasta? »
Le mani di Kisshu, Ichigo, e Purin scattarono in su all’unisono, e lei rise: « La porto domani al Caffè. »
« Chi prende il treno per tornare? »
« Io ho la macchina, se qualcuno vuole un passaggio. »
« Teletrasporto offerto da Ikisatashi e co., anche molto più ecologico. »
« Do you ever shut up? »
Quando poté finalmente chiudere la porta alle spalle dell’ultimo uscito, Zakuro non riuscì a trattenere un sospiro, poggiando la fronte contro al legno fresco. Voleva loro bene, certo, ma dopo un po’ la calma era indispensabile.
E necessaria a percepire il sottile spostamento d’aria dato dall’uso dei poteri alieni.
« Voi essere umani siete sempre così… conviviali? »
Si voltò con calma, con l’ombra di un sorriso sarcastico sul volto, al sentire la domanda così seria di Pai.
« Non io, personalmente, » ammise con onestà, incrociando le braccia al petto, « Ma… non siamo nemmeno un gruppo di persone normali. »
Lo sorpassò nel corridoio, e lo avvertì seguirla in cucina, dove lei si versò un bicchiere d’acqua del rubinetto.
« Da dove vengo io… i nuclei familiari sono uniti, ma siamo anche stati abituati fin da subito a non affezionarci troppo agli altri. La vita non era semplice, e le faide tra gruppi non scarseggiavano. Bisognava badare a noi stessi e ai più prossimi, il più delle volte. O ai tuoi compagni d’armi, in certe situazioni. Ora la situazione è stabile, certo, la società solida, ma… le vecchie abitudini sono dure a morire. »
Zakuro lo osservò facendo roteare il bicchiere tra i palmi, allungandosi sulla penisola: « Dicono che siamo animali sociali, però, » commentò sottovoce, « Gli altri sono la mia famiglia. Riesco a concedere tutto questo tempo solo a loro, e non è stato facile per me all’inizio. »
« E la tua famiglia d’origine? »
Non si scompose alla domanda schietta, era una delle caratteristiche dell’alieno che aveva colto fin da subito; si limitò perciò solo a stringersi nelle spalle: « Abitano su un altro continente, e non ci parliamo da quasi dieci anni. »
Pai annuì, la fronte appena corrugata come se stesse soppesando la sua risposta. Lei aspettò in silenzio, finendo di bere, immersa a sua volta nei pensieri.
Poi si mossero l’uno verso l’altra quasi all’unisono, così com’era successo quella prima volta, nella penombra del laboratorio, un paio di settimane prima, e le volte successive. Non si erano posti molte domande, né se le fecero in quel momento, consci che eventuali risposte non sarebbero state trovate sulle labbra dell’altro ma intenzionati solo a perdervisi, per un istante.
 
 
 
 
Kisshu era ancora sveglio, steso al buio della sua camera, quando sentì il soffio del teletrasporto poco fuori la sua porta socchiusa. Lanciò distratto un’occhiata all’orologio digitale, che segnava l’una e mezza del mattino, e spostò la mano sotto alla nuca mentre con l’altra continuava a giocherellare con un piccolo para-para.
Pai dovette passare per forza di fronte alla sua stanza per andare in bagno, e si accorse di lui.
« Che ci fai ancora sveglio? » gli sussurrò quasi arrabbiato.
Il verde ghignò, mantenendo lo sguardo sul soffitto: « Troppi zuccheri, non trovi? »
Il pugno del fratello maggiore si tese impercettibilmente, mentre questi sbuffava e scostava gli occhi.
« Me ne vado a dormire. »
« Pai? »
Kisshu si tirò a sedere e lo scrutò in uno dei suoi rari momenti di serietà; il viola attese qualche secondo, poi scosse la testa e si avviò verso il bagno.
 
 
 
 
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« Per fortuna che siamo arrivati insieme, » Ichigo prese Retasu sottobraccio e si strinse a lei mentre percorrevano il vialetto d’ingresso illuminato di villa Aizawa, quella sera di ottobre, « Quando Minto fa le cose così in grande, mi sento sempre a disagio. »
« Ma ogni anno fa le cose in grande, nee-chan. »
« E io mi sento sempre a disagio. »
« Non preoccuparti, Ichigo-chan, » Zakuro le sorrise teneramente da sopra la spalla, camminando qualche passo avanti a lei, « Siamo sempre noi, alla fine. »
« Ma mi devo preoccupare? » borbottò Kisshu, piegandosi appena verso l’orecchio di Purin mentre lanciava occhiate in giro al giardino, « Cos’è, tra un po’ spunta qualcuno a farmi un esame di galateo? »
« No, per quello basta Minto-chan, » rise la biondina divertita, « Ogni anno invita sempre un sacco di persone al suo compleanno e Ichigo-chan si stressa perché sono sempre tutti eleganti e posati. Ma è niente in confronto alle feste private che la sua famiglia organizza in primavera ed estate. Lì ci sono davvero un sacco di snob, mentre gli altri amici della nee-chan alla fine sono simpatici. »
« Per te è facile dirlo, Purin, faresti amicizia anche con un albero, » commentò Retasu intenerita, mentre tutti insieme varcavano il portone d’entrata ed allungavano borse e cappotti, un po’ a disagio, verso le cameriere.
« La festa della signorina Aizawa si sta tenendo nel salotto piccolo, » le informò la più giovane di loro, sorridendo allegramente a Ichigo che ricambiò, riconoscendola da tutte le volte che si era fermata alla villa.
« Wow, il salotto piccolo, » commentò Ryou con sarcasmo, scambiandosi un’occhiata divertita con Zakuro, « Ci siamo trattenuti quest’anno. »
« Oh, grazie al cielo, » esalò Ichigo sottovoce, agguantando questa volta il braccio del biondo, poi aggrottò le sopracciglia, « Spero che non ci sia quella tizia antipatica che andava a scuola con lei e che due anni fa ci ha provato con te tutto il tempo. »
Il ragazzo alzò un sopracciglio, divertito e stupito al tempo stesso del commento, e le lasciò un bacetto sulla sommità della testa mentre si incamminavano: « Easy, tiger. »
Il salotto piccolo di villa Aizawa, ovviamente, era grande due volte (e probabilmente mezza) il salotto di Ichigo, e al loro ingresso già brulicava di persone sorridenti impegnate in chiacchiere sopra un elegante sottofondo musicale; sul lato sinistro, vicino alle alte finestre e subito individuato da Kisshu, Purin, e Ichigo, c’era un lungo tavolo coperto da una candida tovaglia e pieno di vassoi ricolmi di cibo dall’aspetto appetitoso.
« Credo di aver individuato dove passerò la serata, » ghignò il verde, facendo ridere di nuovo la biondina, « Ma non manca il dolce con le lucine…? »
« Minto-chan che soffia sulle candeline? Per favore! » Purin alzò appena gli occhi al cielo, sghignazzando con ironia, « L’unica volta che siamo riusciti a convincerla è stato facendole un agguato al Caffè con un cupcake e una singola candela. »
« Minto-chan! » la rossa si alzò sulle punte e sollevò un braccio per attirare l’attenzione della festeggiata, impegnata ad accogliere altri ospiti dall’altra parte della stanza.
« Per carità, Ichigo, non siamo al porto, » la salutò non appena li raggiunse, facendo subito storcere la bocca all’amica, « Su, su, non state lì impalati, c’è un sacco di cibo e da bere – Kisshu, Purin, mi raccomando, buone maniere. Onee-sama, ti vorrei presentare un paio di amici… »
« Ma io che ho fatto! »
« Aizawa, il tuo primo brindisi ufficiale ce lo puoi anche concedere. »
Lei alzò un sopracciglio altezzoso guardando Ryou: « La prossima volta dì alla tua ragazza di non arrivare in ritardo. »
« Guarda che torno a casa e mi porto dietro il regalo! »
« Minto-chan è ufficialmente maggiorenne, » spiegò gentilmente Retasu ai due alieni, che avevano osservato lo scambio di battute un po’ confusi, « In Giappone si può iniziare a bere, tra le altre cose, dai vent’anni. » (**)
« Ma allora, passerotto, bisogna festeggiare! » esclamò lui con un guizzo negli occhi dorati, e la mora si limitò a sospirare teatrale:
« Kisshu, ti prego, almeno stasera, placati. Onee-sama, vieni? »
Mentre la mora prendeva la modella sottobraccio e la conduceva tra i vari gruppetti di persone con sguardo adorante, Ryou lanciò uno sguardo di divertito astio nei confronti del verde, che era rimasto un po’ basito dalla risposta (molto più abituato a risposte piccate da parte della ragazza), e prese di nuovo la mano di Ichigo, facendo un cenno verso il buffet.
« Vuoi qualcosa? »
Gli occhi della ragazza brillarono ingordi, prima che una sottile smorfia le si disegnasse sul volto: « Sì, però qualcosa di leggero… l’ansia mi ha fatto venire un po’ di mal di pancia. »
Il biondo la guardò leggermente preoccupato, sfiorandole una guancia: « Tutto okay? »
Ichigo sorrise e annuì, agitando una mano: « Sì, lo sai che non sono fatta per le grandi feste eleganti. »
« Me lo ricorderò quando vorrai di nuovo inaugurare il Caffè. »
In realtà, tutto il gruppetto si mosse compatto verso le cibarie, tutti molto più a proprio agio tra di loro che tra la folla e in ogni caso desiderosi di assaggiare le leccornie di ispirazione europea proposte. E, proprio come previsto da Retasu, Purin e la sua estroversione furono il ponte perfetto per interagire con gli altri invitati, riconoscendo soprattutto vecchi amici di Minto che avevano già conosciuto a eventi precedenti (e, con sommo dispiacere di Ichigo, inclusa la vecchia compagna di scuola che aveva mostrato interesse per Shirogane).
Kisshu, dal canto suo, per una volta rimase piuttosto in disparte, la coda dell’occhio fissa sulla festeggiata che rimbalzava come un’elegante piuma da ogni parte della sala, cercando di intrattenere quanti più ospiti possibili nello stesso momento e di interagire con tutti, da perfetta padrona di casa. La osservò sorridere raggiante, probabilmente scambiarsi battutine per pochi con delle ragazze longilinee quanto lei, posare per delle foto con quegli aggeggi che lei e le altre si portavano sempre in giro. Quando si riaccostava a loro, poi, era quasi come se tornasse a prendere un respiro da tutto quel tran-tran oltre che a un sorso di una bevanda o un vol-au-vent.
« Ma dovevi proprio invitare quella Tanaka-san? » le si lamentò Ichigo all’orecchio dopo un po’, « Non riesce proprio a non fare la cascamorta! »
Minto alzò gli occhi al cielo, concedendosi un pasticcino: « La conosco da quando vado all’asilo, non potevo lasciarla fuori. E non è così male, sei tu che sei estremamente gelosa. »
« Ci ha provato letteralmente con tutti. Vero, Kisshu? »
Lui ghignò e alzò le mani in segno di difesa: « Non la possiamo certo biasimare, gattina. »
« Grazie, sei di aiuto. »
« Ichigo, piuttosto, Maeda-san ti stava cercando, anche lei pensava di continuare l’università con Lettere e voleva qualche informazione. »
« No, ti prego, tutto ma non lo studio stasera… »
Kisshu osservò con un sorrisetto la mora trascinare l’amica da un’altra parte, intimandole qualche tipo di minaccia all’orecchio visto il sorriso splendente che la vide fare; in quel momento, afferrò un paio di bicchieri pieni e sgattaiolò quatto lungo il muro, silenzioso come sapeva essere, avvicinandosi alle spalle di Minto. Solo quando vide Ichigo ben impegnata nella conversazione lui si fece avanti e prese la mora delicatamente per un braccio, tirandola un po’ meno gentilmente verso uno dei corridoi su cui si affacciava la stanza.
« Kisshu, che modi sono! » si lamentò immediatamente lei, « Ti sembra possibile!? »
« Non mi hai nemmeno salutato per bene. »
Minto si irrigidì all’istante, notando come le iridi dorate di Kisshu paressero brillare anche nella penombra del corridoio.
« Dovevo assicurarmi che tutto andasse bene alla festa, » gli rimbrottò, « Voi siete solo bravi a finirlo, il cibo. »
L’alieno ghignò e fece un mezzo passetto avanti: « Tortorella, » sussurrò a bassa voce, « Smettila di voler sempre avere il controllo su tutto. »
Lei alzò gli occhi al cielo e accettò il bicchiere di bollicine che lui le stava porgendo, più che altro per avere qualcosa in mano su cui concentrarsi.
« Sono i tuoi amici della compagnia? »
Minto annuì, lanciando un’occhiata sopra la spalla agli invitati che continuavano a chiacchierare allegri.
« Non ti ho visto interagire molto con loro. »
Kisshu esibì un sorrisetto ironico, accennando verso uno dei ragazzi: « Non credo che io e Mister Ciuffo impomatato avremmo molto in comune di cui discutere. Tu, piuttosto… »
« Io piuttosto cosa? »
« Sei a tuo agio con loro. Non come quando sei con le altre, eh, quel tuo ghignetto supponente c’è sempre, ma sei contenta. »
Lei lo guardò stranita, prendendo un sorso lentamente: « Non capisco se dovrei ringraziarti o ribattere all’insulto. »
Kisshu sghignazzò e piegò la testa da un lato: « Perché hai smesso di ballare, allora? »
Minto esalò lentamente, osservando il poco contenuto del bicchiere; era un argomento che ancora le doleva toccare: « Circa un paio di anni fa, ho sentito mia madre commentare, con testuali parole, “meno male che la nostra Minto si è affezionata così tanto al suo hobby, non è molto portata per altro.” »
Lui la osservò sforzarsi di fare un falsissimo sorriso velenoso, mentre sollevava appena un sopracciglio e continuava con astio.
« Un hobby. Prima ballerina per una vita, molto prima del normale, tournée in tutto il mondo, ho ballato anche a New York e all’Opera di Parigi, sai? Ma era solo un hobby, e non sono portata per altro, » la mora prese un altro respiro profondo e poi alzò la testa, « Così, ho messo da parte l’hobby e ho dimostrato che sì, potevo anche far qualcos’altro. »
Kisshu la guardò in silenzio per qualche istante, poi sbuffò divertito: « La tua testardaggine potrebbe essere pericolosa, tortorella. »
Minto lasciò uscire una risatina dal naso e poi alzò appena un sopracciglio, avvicinando il bicchiere alle labbra: « Lo prenderò come un complimento. »
« Ora dimmi una cosa, » il verde fece un passo in avanti, con una luce divertita negli occhi, « Cos’hai contro il soffiare le candeline? »
Dovette trattenersi dal ridere al vedere la faccia stupita e confusa della ragazza.
« Ma che… che razza di domanda è? E soprattutto chi te l’ha detto? »
« La scimmietta, » Minto represse un lamento sconsolato, avrebbe dovuto riconoscere il colpevole fin da subito, « Mi è sembrata una cosa molto curiosa e che lei trova particolarmente significativa del tuo carattere. »
« È una grandissima sciocchezza. »
« E per questo non ti piace farlo. »
Non era una domanda, ma piuttosto una constatazione rallegrata, e la mora si strinse solo nelle spalle: « Non vedo perché sia così importante. E credo che alcuni preferiscano mangiare un dolce che non è appena passato sotto la faccia di qualcuno. »
« Eppure mi avevate spiegato che questa famosa torta è il momento più importante di tutta la festa, » la prese in giro leggermente, allungando distratto due dita per scostarle una ciocca corvina dal volto.
« Forse se hai dieci anni. O sei Purin, » aggiunse, in tono di amabile rimprovero, « La festa in sé è importante. O meglio, le persone con cui si festeggia. »
« Tortorella, più andiamo avanti, più mi diventi una tenerona, » la canzonò appena, giusto per vederla arricciare il naso, « Cosa ne sarà della tua reputazione? »
Minto, però, rise piano e alzò un sopracciglio mentre si spostava leggermente dalla cornice dell’uscio e appoggiava la schiena al muro: « Non dovrai rivelare nulla. »
Kisshu la seguì di un altro passo, il viso pieno di sincero divertimento: « Sei sicura di voler affidare un tale segreto a qualcuno – com’è che hai detto quella volta? – avvezzo ai voltafaccia? »
« Se quel qualcuno ci tiene a non funzionare da puntaspilli… »
« Niente, ritiro tutto, » con un sorriso, l’alieno le si mise accanto e infilò le mani in tasca, « Rimani una tortorella crudele e vendicativa. »
« Ma nemmeno nel giorno del mio compleanno puoi evitare quegli sciocchi nomignoli? »
« Perché dovrei? » le domandò con la stessa sincerità di un bambino, « Tutti gli altri ti chiamano Minto. »
Lei dovette sforzarsi di ignorare il frullio all’altezza del petto, e finì il contenuto del suo bicchiere: « È il mio nome, dopotutto. »
« E le alucce e il didietro piumato dove vogliamo metterli? »
La mora gli lanciò un’occhiata minacciosa: « Possibilmente in un cassetto del passato. »
« Oh, andiamo, non saresti qui a spassartela con il sottoscritto altrimenti. Né avresti le ragazze. Il tuo essere una tortorella è una grande componente di ciò che sei ora. »
Minto lo studiò per un paio di istanti, poi rise esasperata: « Non è nemmeno l’animale giusto! »
Kisshu continuò a sghignazzare, svuotando anche lui il bicchiere mentre perdeva lo sguardo lungo le altre parti buie della casa, e solo dopo qualche minuto di relativo silenzio la ragazza aggiunse:
« Comunque chi te lo dice che me la stia spassando? »
Gli occhi dorati brillarono birbanti nel buio, voltandosi all’improvviso verso di lei: « Ti stai forse annoiando? »
Lei ridacchiò e scosse la testa: « Mai detto neanche questo. »

Il ghigno di Kisshu si allargò ancora di più: « Crudele, vendicativa, e incontentabile. »
La mora alzò gli occhi al cielo, e fu poi attirata dal volume della musica che si alzava di qualche tacca da dentro la sala.
« Forse è meglio se torniamo dentro… » mormorò, allungandosi un po’ per sporgersi dall’uscio e controllare cosa stesse succedendo, « Credo che Purin e Nishikawa-san abbiano preso possesso dello stereo. »
« E tu lasciale fare, » replicò il verde, e quando Minto si voltò di nuovo, si rese conto che i tre passi che li separavano si erano nettamente ridotti, « Non abbiamo forse detto che bisogna godersi la festa? »
« Sì, ma… »
Il suo sussurro poco convinto si affievolì quando lo vide sorridere contento e furbo, le sue dita che le sfiorarono di nuovo una guancia mentre le portava un boccolo nero dietro l’orecchio: « Devi smetterla di voler sempre controllare tutto, » le ripeté malizioso, così vicino alle sue labbra, « Tortorella. »
Il cervello di Minto computò che effettivamente Kisshu la stava baciando – e il modo in cui la stava baciando – solo una grossa manciata di secondi dopo, e lei si intimò di incolpare i bicchieri di champagne ingeriti e non il fatto che tutto il suo corpo avesse reagito d’istinto, lasciandosi premere contro al muro e tendendosi sulle punte per rendere tutto più semplice.
Aprì gli occhi quando, con beneplacito dei suoi polmoni, l’alieno si staccò da lei, solo per posarle un bacio leggero nell’incavo del collo che però la scosse più di quello precedente. Spontaneamente, fece un passo di lato e riacquistò quel minimo di spazio necessario a calibrare le mosse successive, possibilmente senza incrociare il sorrisetto soddisfatto di lui.
« Non mi guardare così, » sussurrò, riaggiustandosi i capelli in maniera automatica, ottenendo solo il risultato di farlo ghignare ancora di più, « E non azzardarti a dire che non stai facendo nulla di che, » aggiunse in fretta e un po’ minacciosa, controllandosi anche il vestito.
Kisshu rimase zitto per una volta, limitandosi solo a fissarla allegro e stringersi nelle spalle come un bambino obbediente.
« È meglio se non… torniamo dentro insieme, » concluse infine Minto, e prese un lungo respiro, annuendo poi come se stesse convincendo anche se stessa, « Be’… vado, allora. »
« Tortorella? »
Lei esitò un istante sulla porta, deglutendo per rimettere il cuore a posto, e lui si riavvicinò, rimanendo nascosto nel corridoio ma allungando una mano per sfiorarle il contorno delle labbra con il pollice.
« Meglio, » la prese in giro sottovoce, mostrandole il dito macchiato dall’ombra del rossetto che lei portava; Minto arrossì soltanto e si riavviò dentro la sala.
 
 
 
 
« Dov’è finita Minto? » Ichigo tentò di allungare il collo sopra le teste degli invitati per individuare la testa bruna, imitata da Retasu accanto a lei, « Dobbiamo farle il brindisi e la foto! »
« L’ho vista andare prima per di là, » commentò distratta Purin, scorrendo l’MP3 connesso allo stereo per continuare il suo nuovo ruolo da deejay della festa, « Ma era con te, nee-chan. »
« Credo sia andata in bagno, » Zakuro rispose laconica, ignorando con maestria lo sguardo di traverso che le fu rivolto da Ryou, che pur controvoglia non aveva certo mancato la concomitante scomparsa di una certa testa di broccolo, « Eccola, sta tornando. »
Ichigo si voltò verso la direzione indicata dalla modella, iniziando ad agitare la mano verso la mora che spuntò da un corridoio, strofinandosi le mani, e si diresse verso di loro.
« Eccoti, ma dov’eri? È l’ora del brindisi e dei regali! »
« Per tutti i kami, Ichigo! » sbottò, alzando gli occhi al cielo, « Come sei pesante, tu e i regali! Ero andata… in bagno, direi che ne ho ancora il diritto. »
Si schiarì la gola, sperando solo che tutto l’autocontrollo che aveva richiamato a sé la stesse aiutando a mantenere un colorito accettabile, e poi sorrise verso l’amica: « Vogliamo fare questo brindisi? »
Ichigo annuì con energia e cominciò a spingerli verso il lato opposto della stanza, di nuovo dal lungo tavolo a buffet che alcuni camerieri stavano di nuovo riempendo di bicchieri: « Nishikawa-san è già andata a chiamare qualcuno per la foto, ma dobbiamo fare prima quella con solo noi e – aspetta, ma non manca anche Kisshu? »
« Si sarà appartato con un’invitata. »
« Purin! » Retasu la riprese con un sussulto, ottenendo solo il risultato di far aumentare lo sghignazzare della biondina.
« Io punto su una delle ballerine. »
« Allora, ci muoviamo?! »
Allo strepito di Minto, Ryou guardò Zakuro con molta più insistenza, e gli occhi indaco lo redarguirono con così tanta potenza che lui congelò all’istante qualsiasi espressione facciale, appuntandosi mentalmente che non avrebbe mai dovuto dimenticarsi quanto fosse infallibile il sesto senso della ragazza.
Non appena arrivò al tavolo, la mora afferrò un bicchiere d’acqua e lo trangugiò quasi in un unico sorso, esalando un lungo respiro al sentire la freschezza ristorarla un pochino.
« Stai bene? » Ichigo la guardò con affetto e una punta di preoccupazione, sfiorandole un braccio.
« Sì, ho solo caldo, mi state tutti addosso, » replicò lei, ruotando le spalle all’indietro come per scrollare qualcosa.
La rossa annuì e imitò il suo gesto, facendosi aria con la mano: « Forse il salotto piccolo non è stata una grande idea, io sto sudando. »
« Elegante. »
« Ehi, solo tu e Zakuro-san avete iper controllo sulle vostre funzioni fisiologiche! » Ichigo le diede un’amichevole colpetto con la spalla, e poi cercò il suo viso un’altra volta, « Sicura che ti stia divertendo? Sembri… non lo so, distratta. »
« Mh-mh, » Minto negò col capo mentre beveva ancora, sollevandosi con la mano libera i capelli dalla nuca, « Sto solo pensando alla logica dei prossimi momenti. »
« Per carità, Minto, è una festa, lascia che vada! »
« È quello che le dico anche io, micetta, » Kisshu spuntò all’improvviso alle spalle della mora  (vanificando tutti i suoi sforzi per cancellare la sensazione del corpo di lui contro al suo, non che l’avrebbe mai ammesso o reso noto in quel momento), e si allungò tra di loro per afferrare un bicchiere, « Volevate fare questo importantissimo brindisi senza di me? »
« Sei tu che sei sparito, nii-san, » cinguettò allegra Purin, affiancandosi a lui per ricevere un po’ di analcolico dai camerieri, « Chissà cosa stavi combinando. »
« Stai facendo comunella con mio fratello per avere tutta questa sfiducia nei miei confronti, nanerottola? Sono integerrimo. »
« Con quella faccia? Ceeerto! »
« Micetta, tortorella, difendetemi! »
Ichigo ridacchiò solo, distratta da Minto che borbottò solo qualcosa sottovoce mentre lasciava cadere la mano e assumeva quella posa rigida che preannunciava che di lì a poco avrebbe perso tutto l’autocontrollo che stava richiamando a sé in quel momento. Posa che in effetti assumeva spesso, quando c’era Kisshu nei paraggi.
Si azzardò solamente a guardarla in maniera curiosa, piegando appena un sopracciglio, ma la festeggiata si voltò a naso in su per chiedere un bicchiere di champagne, ignorandola in una maniera fin troppo evidente; la rossa ghignò sotto i baffi e si limitò ad agitare la mano in direzione di Retasu e Ryou.
« Siamo pronti! »
Si allinearono tutti vicini, forse un po’ troppo stretti vista la quantità di gente in quella stanza, e Ichigo tirò a sé il biondo giusto per rimarcare il messaggio a tutte le ragazze che aveva benissimo notato guardarlo fin troppo convinte, sistemandosi tra lui e Minto.
Con la coda dell’occhio, scorse la mora mugugnare ancora qualcosa che non capì a Kisshu, al suo fianco, che per tutta risposta le rivolse un sorriso scanzonato e con due dita le liberò di nuovo il collo dai capelli, spostandoglieli su una spalla.
« Okay, fate un bel sorriso e dite tanti auguri Aizawa-san! »
Guardò di nuovo l’amica, che si impose invece di mantenere gli occhi fissi sul fotografo con il sorriso studiato negli anni, e represse un sorrisetto, prima di vedere solo il flash.
 
 
 
 
Mugolò scontenta quando la luce del Sole le arrivò dritta nelle palpebre ancora chiuse; passavano gli anni, ma certo i metodi di sveglia di Minto rimanevano sempre troppo bruschi per i suoi gusti.
Con la mente ancora ovattata dal sonno, udì parzialmente l’amica ringraziare sottovoce una cameriera che aveva portato la colazione e il tintinnio del servizio sul carrellino. Non nascose nemmeno lo sbuffo che le sorse naturalmente dal petto mentre, sentendosi accaldata e ancora stanca, lottò contro la gravità che incombeva sulle sue palpebre.
« Su, pigrona. Sono arrivati i rinforzi. »
« Buongiorno anche a te, » borbottò Ichigo, la faccia ancora premuta nel soffice cuscino che tanto avrebbe voluto traslocare nel suo letto, « Potevi essere un po’ più gentile a svegliarmi. »
« Stai letteralmente per fare colazione a letto, non so cosa tu voglia di più. »
La rossa le rivolse una smorfia divertita e si rotolò ancora qualche istante, prima di mettersi seduta e stiracchiarsi con tutta calma.
« Tè o caffè? »
« Mmm… tè, grazie, » Ichigo osservò con gli occhi a cuori l’elegante servizio di porcellana e i vari piattini che avevano portato, « Ah, anche io vorrei svegliarmi così tutte le mattine! »
Minto la guardò quasi offesa mentre le riempiva una tazza e gliela passava: « Non è così tutte le mattine, io di solito mi vesto e vado in sala da pranzo, » commentò con una punta di acidità.
La rossa non rispose alla provocazione, limitandosi solo ad osservare di soppiatto l’amica, che sicuramente si era pettinata prima di svegliarla, perché non credeva che potesse apparire così composta naturalmente anche da appena alzata.
« Allora hai intenzione di raccontarmi cosa succede? »
Le lanciò un’occhiata divertita mentre stringeva la tazza di tè fumante tra le mani, soffiandoci appena sopra. Minto si tese come una corda di violino, versandosi la propria con fare scocciato:
« Non sta succedendo proprio nulla. »
« Come no! Ieri sera eravate così in confidenza. »
La mora la trucidò con lo sguardo, con il solo effetto di far divertire l’amica ancora di più: « Avrai sicuramente bevuto troppo e immaginato cose. »
« Per tua informazione, non ho bevuto nulla! » replicò veloce l’altra, « Avevo la pancia un po’ sottosopra, quindi ero assolutamente lucida! »
« Per forza, con tutti i dolci di cui ti strafoghi al Caffè, il tuo povero fegato… »
« Non cambiare discorso! » Ichigo poggiò la tazza sul comodino e si sedette sui talloni per ispezionare meglio il carrellino portavivande ricolmo, « Quando fai così vuol dire che c’è qualcosa che non vuoi ammettere. »
« Non c’è proprio niente da dire, » Minto si concentrò su un pezzo di pera, « Sappiamo fin troppo bene di Kisshu. »
« Ah, quindi parliamo di lui! »
« Sei proprio una stupida. »
La rossa rise e la guardò da sotto la frangetta mentre si stendeva sul letto: « Secondo me vi piacete fin troppo. »
« Secondo me devi farti i fatti tuoi. »
« Guarda che più dici così, più mi dai ragione. »
Minto le lanciò un’altra occhiata di fuoco, scuotendo solo la testa con fare esasperato, poi la sua espressione si fece più preoccupata: « Perché fai quella faccia? »
Ichigo, ancora stesa nel letto, premette il volto contro al copriletto: « Mi fa di nuovo male lo stomaco, » bofonchiò, « Forse devo davvero smetterla coi dolci. »
« Momimiya, se mi hai portato dei germi è la volta buona che ti bandisco. »
« Non ti ho portato dei germi! » ribatté la rossa con fare decisamente offeso, « Ho solo… umphhhh. »
Con uno scatto degno dei suoi dormienti geni felini, Ichigo scattò su da letto e corse veloce verso il bagno riservato dell’amica, buttandosi praticamente con la testa dentro al water.
Minto la seguì con lentezza e preoccupazione, affacciandosi al bagno titubante: « Ichigo? »
« Sto bene, » la rossa ondeggiò una mano come a dirle di non preoccuparsi prima di tirare lo sciacquone, « Tutto okay, solo… ugh, ma che abbiamo mangiato ieri? »
La mora continuò a osservarla un po’ indecisa: « Lo stesso che ho mangiato io, e non mi ha dato fastidio. »
« Te l’ho detto, è da qualche giorno che non sto molto bene, » Ichigo prese un respiro profondo e si sedette più comoda a terra, poggiando la schiena al muro, « Anche alla mattina, sono sempre stanca e faccio fatica ad alzarmi. »
« Non è molto diverso da solito. »
« Ah, ah, ah, » l’amica le lanciò un’occhiataccia e poi esalò ancora lentamente, strofinandosi lo stomaco, « Faccio più fatica. E non è divertente. »
« Potrebbe essere un male stagionale, » Minto si sedette sulla vasca da bagno, a un’elegante debita distanza, « Oppure sei così innamorata da dimenticarti di mangiare bene, anche se la vedo difficile. »
« Avresti dovuto finire quello che hai iniziato ieri sera, forse saresti meno acida, » Ichigo la fulminò ancora con lo sguardo, reclinando la testa e chiudendo gli occhi, « Ugh, di nuovo… »
« Okay, » la mora si alzò di scatto e si avviò verso l’alto mobiletto bianco pieno di toiletteria e candidi asciugamani ben piegati, così da poter dare le spalle alla rossa, « Vedo se qui ho qualcosa per farti stare meglio, okay? Altrimenti chiedo a Oba-san. »
« Mmmhm, » Ichigo non si mosse, ma aprì solo un occhio, « Anche qualcosa per il mal di testa sarebbe grandioso. »
Senza nemmeno girarsi, Minto afferrò una scatoletta e gliela passò di scatto: « Anni di danza ti temprano ad avere l’antidolorifico a portata. »
La rossa rise, sedendosi un po’ più dritta per cercare di sbirciare il contenuto del mobiletto: « Cos’hai, un’intera farmacia lì den - »
Un pacchettino nel ripiano più alto attirò la sua attenzione come una calamita, e Ichigo sentì il sangue gelarsi nelle vene mentre lo stomaco si ribaltava come a sottolineare la cosa. Al silenzio improvviso, la padrona di casa guardò da sopra la spalla per accertarsi che andasse tutto bene, e si accigliò nel trovarla a bocca aperta e più pallida di prima.
« Ichigo, tutto okay? »
La rossa prima annuì lentamente, poi iniziò a scuotere la testa in un no poco deciso: « Che… giorno è oggi? »
« Cosa stai dicendo, oggi è - » un lampo di comprensione saettò sul viso della mora, che si voltò del tutto e lasciò cadere le braccia lungo al corpo, « Oh, no. »
Un denso silenzio cadde sulle due finché, minimo tre minuti dopo, Ichigo sventolò le mani nella direzione di Minto per chiederle di aiutarla a tirarsi in piedi:
« Mi devi accompagnare, ti prego, non so nemmeno se mi reggono le gambe. »
« Non reggono a me, figuriamoci… » borbottò lei, mentre la tirava quasi di peso, « Forza, vado a chiamare l’autista. »
 
 
 
Ryou probabilmente compì un vasto catalogo di infrazioni del codice della strada mentre, in sella alla moto, guidava verso casa di Ichigo con il cuore in gola. Mezz’ora prima, mentre era nel bel mezzo di una riunione, aveva ricevuto un messaggio da parte di Minto che praticamente lo intimava di presentarsi a casa della rossa al più presto possibile, cosa che gli aveva scatenato parecchia ansia.
In primis, perché non capiva il motivo del mittente, secondo, non riusciva a capacitarsi dell’urgenza del messaggio. Cosa poteva essere successo nelle quattordici ore tra quando aveva lasciato Ichigo da Minto e ora?
Una parte di lui – quella più egoista – pensava che non potesse essere niente di legato alla loro relazione, visto che Minto non ci avrebbe avuto niente a che fare. Dall’altra parte, conosceva quelle due abbastanza per sapere che insieme potessero combinarne parecchie, e non era rassicurante sapere quanto fossero ficcanaso l’una negli affari dell’altra.
Quasi piegandosi sul cemento, sorpassò l’ultima curva e inchiodò sotto il palazzo della ragazza, lanciandosi sul citofono e, di nuovo, con il cuore a battergli contro la gola nel sentire che fu Minto a rispondere ed aprire.
Fece le scale a due a due, e ringraziò soltanto che la porta d’ingresso fosse già aperta per non fargli aspettare ulteriormente.
Anche se avrebbe preferito essere accolto in maniera diversa.
« I-Ichigo? »
Lei, seduta sul divano accanto a Minto con le lacrime che le striavano il viso, lo guardò come un cagnolino abbandonato, un singulto che le scosse le spalle mentre si alzava indecisa e lenta, gli occhi bassi.
« Ecco, io… »
« Ichigo, mi sta venendo un infarto, » borbottò lui, poggiando il casco in terra e facendo qualche passo nella stanza come se fosse un campo minato, « Cos’è successo? Ti sei fatta male? »
 « M-mi dispiace… »
Ichigo fu nuovamente scossa da singhiozzi mentre abbassava la testa, e Ryou, sentendosi morire dentro, le si avvicinò titubante, cercando di prenderle il viso tra le mani.
« Che sta succedendo? » tentò di domandarle ancora, ma lei scosse solo la testa, poggiando la fronte contro al suo petto.
Lui la strinse, e lanciò uno sguardo d’aiuto a Minto, che si alzò dal divano con un sospiro per porgergli qualcosa.
Ryou sentì la terra scomparire da sotto i piedi.
« Holy shit… »
« Esplicativo. »
 L’americano, questa volta, lanciò un’occhiataccia a Minto, poi scostò Ichigo da sé quel che bastava per riuscire a sollevarle il viso e guardarla negli occhi.
« Ichigo, ti prego, calmati. Ne… parliamo, d’accordo? »
Lei prese un respiro profondo, lo sguardo sempre basso, i pugni che si strinsero attorno alla sua maglietta: « I-io n-non so come… siamo sempre stati attenti, e… io sono… »
Riprendendola tra le braccia, un lampo di lucidità passò per il geniale cervello del biondo, che di nuovo imprecò sottovoce: « Potremmo non aver… considerato una cosa. »
Due paia di occhi scuri lo guardarono interrogativi, uno decisamente più umido dell’altro, e lui prese un sospiro, aggiustando la frangetta della rossa mentre cercava parole che avrebbero spiegato l’idea senza ledere la già precaria condizione di lei.
« Ichigo, tu… non hai mai avuto molto controllo suoi tuoi ormoni, diciamo… » abbozzò, sentendola irrigidirsi e quindi stringendo la presa, « E io e te siamo… molto compatibili. Almeno, geneticamente parlando. Quindi è probabile che le cose siano state… facilitate. »
« Oh, kami-sama. »
Ryou guardò di nuovo storto Minto, che si era presa la testa tra le mani, scuotendola sconfortata. Ci volle qualche istante in più perché Ichigo invece, sbattendo le palpebre, riuscisse a comprendere, e quindi scattò all’indietro, schiaffeggiandogli un braccio: « Shirogane! Tu e i tuoi esperimenti dei miei stivali! »
« Hey, it takes two to tango! »
« Vedila così, » la mora si alzò con un sospiro, raccogliendo le sue cose, mentre Ichigo continuava a scrutare torva Shirogane, « Se la situazione fosse leggermente diversa, troveresti tutto mielosamente romantico. »
Si avvicinò all’amica, che era arrossita di colpo, e la strinse in un abbraccio.
« Vi lascio a discutere, ma chiamami se hai bisogno. Okay? »
Ichigo annuì e pigolando sottovoce la ringraziò del supporto quel pomeriggio, Minto che si limitò ad abbozzare un sorriso e salutare con un cenno delle dita, prima di chiudersi la porta alle spalle.
La rossa prese un respiro tremolante, incassando la testa tra le spalle e continuando a fissarsi i piedi.
« Cosa facciamo ora? » esalò in un singulto.
« Per prima cosa, ti calmi, » Ryou le sollevò di nuovo il viso e le passò i pollici sulle guance per asciugarle dalle lacrime, « D’accordo? Poi ci… ragioniamo. »
Ichigo tirò su con il naso e annuì appena, affondando la fronte contro al petto di lui e cingendogli piano la vita: « Noi avevamo appena… »
Il biondo la strinse, poggiando il mento sulla sommità della sua testa: « It’s alright, » le mormorò, « L’importante è che tu stia bene. »
Lei rimase zitta e ferma, a respirare il suo profumo con boccate spezzate, e Ryou avvertì solo le dita sottili stringersi di più attorno alla camicia.
 
 
 
 
Il mattino dopo, Ichigo si svegliò ancora più intontita, se possibile, e senza sapere esattamente quante ore avesse dormito; probabilmente avrebbe anche tirato dritto, se non fosse stato per la mano che le stava accarezzando la testa in quel momento.
Si stiracchiò lenta, sentendo la pelle delle guance continuare a tirare, e sbattendo le palpebre per mettere a fuoco la tazza di tè che fumava sopra al suo comodino.
« Tutto okay? » le domandò Ryou, la mano libera ben stretta attorno alla propria tazza di caffè nero.
La rossa annuì e si stropicciò gli occhi, puntellandosi sulle mani per tirarsi su a metà: « Che ore sono? »
« Quasi le undici. Ben oltre la mia media, » scherzò lui, continuando a giocherellare con i suoi capelli.
Ichigo sbadigliò e prese un sorso di tè, rabbrividendo piano al calore che vi si sprigionò, mentre tutti i pezzetti della serata precedente si ricomponevano nella sua mente.
Il biondo le accarezzò una guancia e si sedette più vicino a lei nel letto, lasciandole un bacio sulla fronte.
« Allora siamo d’accordo? »
Lei lo guardò da sotto in su, passando distratta un dito lungo il bordo della tazza: « Sei sicuro? »
Lui salì del tutto sul letto per posare la fronte contro la sua, fermando il palmo contro al suo viso: « Ichigo, io ti amo. E qualsiasi cosa sarà, io ci sarò. Got it, ginger? »
Dovette trattenersi dal sorridere quando la vide assumere circa dieci sfumature di rosso diverse mentre processava le sue parole, prima di esalare un mugolio indefinito e abbracciarlo per nascondere la faccia rovente contro il suo petto. Ryou ricambiò la stretta, baciandole la testa con una risata mentre lei strusciava la guancia contro di lui come una vera e propria gatta.
Per il momento, sarebbe andata bene anche così.
« Mio padre ti ucciderà, » mormorò lei dopo un po’.
Shirogane si limitò a fare una smorfia: « Ho come il sospetto che Kei sarà in prima fila. »
« E forse Zakuro-san. »
« Ammetto che sono fortunato a non aver ricevuto un pugno subito da Minto. »
Ichigo rise e gli si appiccicò appena di più, e lui giurò di poterla sentire fare le fusa.
 
 
 
§§§
 
 
 
L’annuncio ufficiale al resto della truppa fu dato soltanto un paio di settimane più tardi, dopo qualche altra conversazione profonda tra Ryou e Ichigo, una serie di visite da parte della rossa, la coincidenza di tutti i turni pomeridiani, e un tattico approccio preventivo al povero Keiichiro (che, anche se non l’avrebbe mai ammesso e dopo una solida ramanzina riservata solamente al suo protetto “a cui aveva spiegato certe cose”, era stato estasiato all’idea).
A locale vuoto e chiuso, ovviamente, il grido eccitato da parte di Purin rimbombò ancora più forte, mentre si lanciava sui due con la spinta di un razzo.
« Purin, piano! »
« Retasu, respira, » ridacchiò Minto, osservando come la verde si era portata le mani davanti alla bocca, con gli occhi lucidi e le guance arrossate, « Sai quanto sarà ancora più insopportabile Ichigo da ora in poi? »
« Sempre gentile, » mugugnò la rossa, cercando di staccarsi la biondina dal collo.
« Ma come avete fattoooo-oh-oh-oh! »
« Purin! »
La verde si asciugò una lacrima e afferrò una mano di Ichigo: « Ma… come farete ora? »
« Lasceremo i nostri appartamenti e ci trasferiremo nella vecchia villa dei miei genitori, » spiegò il biondo, « L’ho fatta ristrutturare, ma era troppo grande per me soltanto. Finora. »
« Ah, una villa, ti tratti bene, Momomiya. »
« Uuuh, una convivenza! »
« Mi sembra la cosa minore, » sogghignò Zakuro, scambiandosi un’occhiata d’intesa con l’americano.
« Io continuerò ad andare all’università, finché il piccoletto non diventerà troppo ingombrante, » continuò Ichigo, ignorando i commenti di entrambi mentre si sfiorava la pancia, « E voglio anche continuare a lavorare al Caffè, finché possibile. Già sentivo le battutine delle altre, non voglio che si pensi che mi sono fatta mettere incinta dal capo per avere favoritismi e prendermela comoda. »
Ryou rise contro la chioma rubino, passando un braccio intorno alle spalle della ragazza e stringendola: « Ma tu ti sei fatta mettere incinta dal capo. »
Come previsto, lei tentò di divincolarsi nelle risate generali, finché Keiichiro non fece un passo avanti e parlò con la sua costante gentilezza: « Non preoccuparti, Ichigo-chan, sistemeremo tutto e saremo tutti qui ad aiutarvi. L’importante è che tu ora ti riposi e ti rilassi. »
« E figuriamoci, quando mai ha fatto il contrario. »
« Minto, io adesso…! »
La mora rise della faccia indispettita della rossa e seguì Keiichiro in cucina, per aiutarlo a recuperare qualche bicchiere per fare un brindisi con del succo di frutto fatto in casa.
« Cos’è tutto questo starnazzare? » Kisshu varcò la soglia della seconda porticina da saloon della cucina, indicandosi alle spalle con il pollice, « Vi si sente dal laboratorio, la vena sulla fronte di Pai è parecchio ingombrante. »
« Oh, Ikisatashi-san, ecco… » il pasticcere esitò un istante, senza mai che il suo sorriso scemasse mentre lanciava un’occhiata di sbieco a Minto, che continuò imperterrita ad allineare bicchieri sul vassoio, « Ichigo-chan e Ryou ci hanno appena comunicato che avranno un bambino. »
Il suono di Kisshu che tratteneva appena il respiro rimbombò per un istante tra le pareti della cucina, poi l’alienò scoppiò in una risata sguaiata: « Ah! Davvero geniale il biondino, ci ha dato dentro parecchio per acchiappare definitivamente la micetta! »
« Kisshu, fai veramente schifo. »
« Si chiama scherzare, gufetto, non l’hai ancora capito? » si avvicinò all’isola e, come suo solito, afferrò uno dei dolcetti rimasti della giornata, « Contenti loro, se vogliono iniziare a giocare alla casa così presto posso solo che supportare. Da lontano, non amo i marmocchi. »
Keiichiro e la mora si scambiarono solo un’occhiata rassegnata, poi l’uomo prese uno degli eleganti carrellini in metallo e vi ripose le caraffe di succo e i bicchieri, avviandosi verso la sala principale.
« Pensi tu ai pasticcini, Minto-chan? »
Lei annuì e sfilò veloce uno dei vassoi dalla presa di Kisshu, portandolo su uno dei banconi così che fosse insieme agli altri dolci rimasti e dandogli la schiena mentre lui si lamentava sottovoce.
« Gufetto? » gli mormorò sarcastica dopo qualche istante di silenzio.
Lo sentì stiracchiarsi e ridere sommesso: « La faccia che fai quando sei contrariata è molto ispirante. »
« Credo che tu ne sappia qualcosa, allora. »
Kisshu sbuffò divertito e le si avvicinò a passi lenti, poggiando un fianco al bancone con le braccia incrociate; Minto, suo malgrado, non poté evitare di avvertire un fastidioso formicolio alla bocca dello stomaco, e lo guardò di sottecchi: « Tutto okay? »
« A parte l’incredibile ansia di sapere che il gatto pulcioso diventerà padre alla mia età? Una favola, » Kisshu ridacchiò amaro e scosse la testa, « Anche se era una cosa molto comune sul mio pianeta, fino al ritorno della Mew Aqua, devo dire di essere molto contento di aver sempre schivato il proiettile. »
Lei non riuscì a evitare di lanciargli un’occhiataccia all’allusione: « Depravato. »
« Non ho detto niente! » rise lui, alzando le mani, « Solo perché non ho fatto mistero di amare un po’ le distrazioni. » 
La mora sbuffò mentre finiva di comporre elegantemente vari pasticcini e biscotti su due larghi vassoi: « Immagino tu stia soffrendo parecchio a non trovarne qui sulla Terra. »
Lui si allungò come un gatto sul bancone, poggiandovi i gomiti sopra e riposando il mento sui palmi così da guardarla da sotto in su con un sorrisetto: « Non trovo niente, dici? »
Minto lo trucidò con lo sguardo mentre sentiva le guance scaldarsi: « Smettila. »
« Non sto facendo nulla! »
« Sai benissimo cosa stai facendo, » sibilò lei, « E devi smetterla. »
« Tortorella, se lo pensi davvero, » la voce di Kisshu si abbassò di mezzo tono mentre lui si avvicinava un po’ di più e allungava una mano per sfiorarle il polso con la punta delle dita, « Queste cose dovresti dirmele mentre mi baci, non dopo. »
Lo stomaco di Minto ebbe un sussulto tale da propagarsi lungo la spina dorsale e farle sbattere uno dei vassoi contro al bancone, ma riuscì comunque a rivolgergli uno sguardo omicida nonostante le guance in fiamme: « Sei… assolutamente… impossibile! »
Lui sorrise con così poco decoro, le iridi dorate colme di malizia, che le mani della mora tremarono mentre si sforzava per non afferrare uno dei vassoi liberi e spalmarglielo in faccia, e al tempo stesso reprimeva il brivido che era arrivato a solleticarle la nuca.
« Minto-chan! Dai, ho fame! »
Kisshu continuò a ghignare imperterrito mentre Minto emetteva uno strano verso di totale esasperazione e usciva dalla cucina con i benedetti pasticcini mugugnando sottovoce qualcosa a proposito di plurimi omicidi.
 
 
 
 
Il terrore di essere vittima di un crimine efferato passò anche nella mente di Ryou, che avrebbe voluto che il grande annuncio ai signori Momomiya fosse lineare quanto quello dato agli altri.
« Mi viene da vomitare, » bofonchiò Ichigo, seduta accanto a lui sul treno.
Lui lanciò solo un’occhiata alle nocche bianche che stringevano compulsivamente il pacchettino di bignè preparati per l’occasione da Keiichiro (che sicuramente aveva aggiunto alla crema del liquore in un tentativo di blandire gli animi), e intrecciò le dita alle sue giusto per non presentare ai suoceri un purè di dolci.
« Guarda che devi essere pronta a difendermi, » le scherzò all’orecchio, ma la rossa non parve divertita.
« Tu lo sai di quando sfidò Masaya-kun a kendo, vero? » al ricordo, sentì un brivido correrle su per la schiena, « Non è stato entusiasmante. »
Sakura li accolse con la sua solare cortesia, trascinandoli dentro casa in un turbinio di chiacchiere e abbracci, Ryou che fu praticamente trasportato in sala da pranzo. Shintaro, ovviamente, già seduto a capotavola, fu ben meno espansivo, limitandosi a esclamare a gran voce quanto fosse contento di rivedere la sua dolce bambina e scoccando solo un’occhiata astiosa nei confronti del biondo, come faceva fin dalla prima volta che gli era stato presentato ufficialmente come fidanzato.
« Ho fatto il tuoi preferito, caro, » esclamò invece Sakura all’americano, mettendo in mezzo al tavolo una pentola di brodo fumante per lo shabu-shabu(***) (per cui lui non era esattamente certo di aver espresso una preferenza, ma si guardava sempre bene dal contraddire la dolce signora, più che mai in un’occasione come quella).
Seduto accanto a Ichigo, poteva avvertire benissimo il ginocchio della rossa tremare e sobbalzare dal nervosismo, e avrebbe tanto voluto poterle prendere la mano da sotto al tavolo o accarezzarla per trasmetterle un minimo di tranquillità – la pochissima che anche lui percepiva – ma era ben conscio dell’odio del signor Momomiya per qualsiasi tipo di effusione fuori luogo, quindi si limitò a cercare di incrociare il suo sguardo tra le varie chiacchiere del pranzo.
« Facciamo noi, mamma, » la rossa quasi scattò su come una molla non appena le abbondanti porzioni preparate da Sakura furono terminate in un sospiro di generale soddisfazione, e raccolse velocemente le ciotoline e il pentolone lanciando un’occhiata estremamente allusiva al biondo. Lui la seguì celere fino in cucina, leggermente preoccupato dal pallore del suo viso.
« Non ce la posso fare, » bisbigliò infatti lei, aprendo il rubinetto per nascondere le parole sotto il rumore dell’acqua che rimbalzava sulle stoviglie, « Non ce la faccio, credo che mi stia per venire un infarto. »
« Ehi, tranquilla, » Ryou le prese le mani tremanti e gliele strinse, « Ci sono anche io. Ho estremamente paura della vena sempre più grossa sulla fronte di tuo padre, ma… dobbiamo dirglielo. Giusto? »
Lei rise appena della battuta e prese un respiro tremolante, deglutendo un paio di volte mentre si sfiorava sovrappensiero il ventre: « Non posso farti da scudo. »
« Non fa niente, » lui rise e le lasciò un veloce bacetto sulla sommità della testa, prima di prendere il vassoio ancora incartato di pasticcini.
« Con i saluti di Akasaka-san, » lo presentò poi tornando in cucina e porgendolo a Sakura con l’abbozzo di un inchino.
La donna sorrise contenta, non esitando a sciogliere il fiocco sopra, la stessa espressione della figlia al trovarsi davanti dei dolcetti.
« Oh, ma che meraviglia! Ma non dovevate, sono così tanti! Caro, guarda come sono belli! »
« In realtà, » Ryou si schiarì appena la voce e lanciò un’occhiata a Ichigo, quasi semi-nascosta dietro di lui, « Sono per… festeggiare. »
« Oh? » Sakura commentò incuriosita, ma con lo sguardo concentrato ancora su quale gusto delle creme assaggiare per prima, « E quale sarebbe l’occasione? »
« Mamma… papà… ehm… » la rossa afferrò saldamente la mano dell’americano e prese l’ennesimo respiro, sicura che avrebbe vomitato d’ansia entro trenta secondi, « Ecco, noi… aspettiamo un bambino. »
Il rumore dei respiri che si bloccarono risuonò chiaramente nel salotto, mentre Sakura rimaneva a bocca aperta con ancora un bonbon allo zabaione stretto tra le dita e pronto ad essere azzannato, e Shintaro strabuzzava gli occhi così tanto che sembrarono sul punto di uscirgli dalle orbite.
« Co… come? » domandò la donna, voltandosi lenta verso i due ragazzi, « Un… bambino? »
Ichigo piantò le unghie nel palmo del suo ragazzo, facendolo sussultare appena: « Non è stato… apposta, » pigolò sottovoce, facendo un passo indietro.
« Ma siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità, » aggiunse veloce e sicuro Ryou, ricambiando la stretta e guardando i due, « Soprattutto, signori Momomiya, voglio che siate certi che sono pronto a prendermi cura di Ichigo in qualsiasi maniera lei vorrà. »
Sakura si alzò e si risiedette come un automa, la bocca ancora chiusa in un oh di sorpresa e lo sguardo incredulo che passava da uno all’altra.
« Voi siete… felici? »
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, e Ichigo si avviluppò al braccio del biondo prima di arrossire e annuire con vigore.
« … un nipotino! »
Fu solo a quelle parole che Shintaro sembrò risvegliarsi, il volto che acquistò tonalità di viola mentre iniziava a farfugliare e borbottare come una caffettiera: « Tu… voi… tu… cosa?! »
Ichigo sobbalzò al sentirlo sbattere i palmi sul tavolo e far tintinnare le stoviglie rimaste, e Ryou aveva già fatto un passo avanti e aperto la bocca per ribattere, quando Sakura si alzò e gli si rivolse con molta calma, ponendosi appena davanti a loro.
« Shintaro, caro. I ragazzi ci hanno appena detto una cosa bellissima, » lo apostrofò con la voce più ferma che sua figlia le avesse mai sentito fare, guardando il marito con sguardo acceso, « E noi dobbiamo essere fieri che abbiano deciso di affrontare responsabilmente una cosa così importante. »
Lo osservò per un altro paio di secondi, prima di voltarsi di nuovo estasiata verso Ichigo, prendendole le mani: « Oh, tesoro mio! Sapessi quanto sono felice! Un nipotino! Abbiamo così tante cose di cui discutere! Sapete già la data prevista? »
Li avvolse entrambi in un abbraccio mentre la figlia arrossiva ancora e balbettava per cercare di rispondere alla sequela ininterrotta di domande. Dal canto suo, Ryou sentì il palloncino di preoccupazione nel petto sgonfiarsi leggermente, sapeva quanto fosse importante per Ichigo il supporto di sua madre in un momento simile, anche per dissipare qualsiasi ultimo dubbio si fosse annidato nella sua testolina insicura. E sapeva anche quanto fosse importante avere Sakura come ultra-scudo dalle ire del marito.
Shintaro, infatti, osservò l’intera scena senza emettere fiato, le braccia incrociate e lo sguardo duro davanti a sé, immobile come una statua. Solo dopo almeno cinque minuti, sospirò stancamente e si alzò, ma invece che unirsi al gruppetto chiacchierante si diresse senza un suono verso il piano di sopra. L’americano allora si staccò con gentilezza da Ichigo e lo seguì d’istinto:
« Momomiya-san. »
Shintaro si fermò a metà delle scale, scrutando il giovane con aria torva e attendendo in silenzio.
« La prego di non dubitare delle mie intenzioni e dei miei sentimenti verso sua figlia. »
 
 
 
 
« Gli hai detto veramente così? E lui? »
« Niente, è andato al piano di sopra e c’è rimasto per un po’, poi quando è tornato è rimasto seduto sul divano senza dire una parola. Non sono stato aggredito a colpi di shinai (****), quindi direi che è un buon segno. Ichigo ha parlato con sua mamma più tardi, credo che Sakura stia facendo un grosso lavoro psicologico perché si sono già offerti di aiutarci a trasferirci. »
« Dovrai portarle dei fiori, » rise Keiichiro, dall’altra parte del telefono, e Ryou concordò con uno sbuffo divertito.
« E un conto aperto al Caffè. Like mother, like daughter, » scherzò sottovoce, lanciando appena un’occhiata sopra la spalla per captare un segnale da Ichigo, « E la prossima volta porto pure te, come cuscinetto per smorzare le tensioni. »
« La prossima volta spero tu imparerai la lezione. »
Il biondo alzò gli occhi al cielo per il tono di affettuoso rimprovero, poi sospirò: « Non sento rumori da un quarto d’ora, meglio che vada. »
« Non la stressare, e salutala da parte mia. »
« Come se fossi io quello che stressa! »
Si salutarono velocemente, poi Ryou infilò il cellulare in tasca e si diresse verso la camera da letto, dove aveva lasciato Ichigo a cambiarsi dopo la giornata in previsione di una doccia. Come sospettato, però, la rossa era ancora con i vestiti di quella mattina, stesa nel centro del letto quasi a stella a giocherellare con il cellulare e l’aria assorta.
« Per la casa nuova, un lettone enorme, » la prese in giro con dolcezza, mettendosi a gattoni sopra di lei, « Perché una certa gattina tende a occupare un sacco di spazio. »
Ichigo rise solo, riponendo il cellulare e strusciando solo il naso contro al suo.
« Possiamo iniziare i traslochi quando vuoi, » le mormorò sottovoce, lasciandole un paio di baci lungo il collo, « Con calma, ma prima che diventi pieno inverno. »
Al mugolio poco deciso di lei, Ryou alzò gli occhi per osservarla, la mano ferma sul suo fianco.
« Ragazzina, sento le rotelle dentro la tua testa da qui. »
Ichigo storse il naso al soprannome, poi fece un respiro profondo, torturandosi il bordo della maglietta: « Sei sicuro, sicuro, sicuro? » pigolò a mezza voce, evitando il suo sguardo, « Non dobbiamo fare nulla solo perché… e non fare altre cose per… »
Il biondo sospirò e risalì per lasciarle un bacio sulle labbra: « Se tu sei sicura, io sono sicuro, ginger. Voglio solo prendermi cura di te. Di voi. Già avevi fatto la tana qui da me, non trovi? »»
« È diverso, » mugolò lei, appena colta sul vivo, e lui le prese le mani per posargliele delicatamente accanto al viso con una risata:
« Da quando sei una gattina che si perde in questi dettagli? »
« Magari tu volevi fare le cose fatte bene! » sbottò lei, un paio di lacrimucce traditrici che le si affacciarono negli occhi.
« Ichigo. Ichigo, » ripeté Ryou più fermo, prendendole gentilmente la guancia per costringerla a guardarlo, « Pensi davvero che le vorrei meglio di così? »
Senza aspettare che le rispondesse, le arrotolò il maglione per scoprirle la pancia e lasciarle dei baci lungo l’addome.
« Abbiamo saltato le tappe, è vero, » le mormorò, « Ma vorrei andare a vivere con te a prescindere da che qui dentro ci sia qualcuno. »
La percepì irrigidirsi appena quando le sganciò il bottone dei jeans, e osservandola di sottecchi confermò il rossore sulle gote.
«… davvero? » insistette lei in ogni caso, e lui le lanciò un’occhiata allusiva:
« Ichigo, » ripeté con un sospiro per la terza volta, e il tono che usò le fece assumere un altro paio di sfumature di rosso, « Cosa ti ho detto? ».
« Scusa, » borbottò, abbozzando a un sorrisetto, « Sono gli ormoni. »
Ryou rise e fece il percorso inverso con le labbra, soffermandosi un istante di più appena sopra al suo ombelico: « Guarda che hai una quota su quante volte potrai usare questa scusa. »
Lei scosse la testa con una risata divertita, e scivolò più giù nel letto, specchiandosi negli occhi azzurri: « Dimmelo ancora. »
Lui sbuffò appena, la bocca a un millimetro dalla sua e le mani che già vagavano sulla pelle nuda sotto ai vestiti: « Ti amo. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Dall’inglese cherimoya, ovvero la Annona cherimola, frutto originario del Sud America e dal sapore descritto come un miscuglio tra ananas, mango e fragola: https://it.wikipedia.org/wiki/Annona_cherimola

(**) In realtà (zan zan, colpo di scena! xD), nel 2014 è passata la prima riforma del Codice civile giapponese in 140 anni per cui, dall’Aprile 2022, la maggiore età scenderà ufficialmente dai 20 ai 18 anni. Ma, ahimè per i poveri giapponesi, bere, fumare, e giocare d’azzardo rimarranno legali e legittimi ancora solo dai 20 anni in su. https://www.japantimes.co.jp/news/2018/06/13/national/crime-legal/japan-enacts-law-lower-adulthood-age-18/#.WyIFrVOFOu4

(***) Lo shabu-shabu trae origine dall’hot pot cinese ed è simile, ma meno dolce, al sukiyaki. Prevede la cottura in tavola di carne (solitamente fettine sottilissime di manzo) in una pentola di acqua calda o un brodo (dashi) fatto di alga konbu. Per farvi venire fame: https://it.wikipedia.org/wiki/Shabu_shabu

(****) Spada usata principalmente nella pratica del kendō, sia durante l'allenamento sia nel combattimento.

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Capitolo 4
*** Matters of the heart ***


Chapter Four – Matters of the heart

 

 

 

 

 

 

 

« Ichigo, se non scendi subito da quella sedia, giuro che ti ci lego. »
« Dai, ho quasi finito di decorare! »
Ryou sospirò pesantemente nel vederla tendersi ancora di più sopra la finestra per finire di appendere una ghirlanda e, ignorando totalmente il suo tono contento, marciò verso di lei e l’agguantò con attenzione per i fianchi, costringendola giù:
« Te l’ho già detto, già è pericoloso di suo con la tua destrezza, ora più che mai, » la sgridò con dolcezza, sfiorandole teneramente il ventre appena più rotondo.
« Non lo sai che i gatti atterrano sempre in piedi? » rispose Ichigo con un sorriso furbo, prima di allungarsi sulle punte per baciarlo e approfittarne per sgattaiolare via e afferrare altre decorazioni da uno scatolone.
« Finisci tu allora? » gli domandò con un sorrisone a trentadue denti, pieno di finta innocenza.
L’americano le lanciò un’occhiataccia e afferrò di scatto il fiocco dorato, borbottando sottovoce.
« Ancora non ho capito perché dobbiamo tenere la cena di Natale qui da noi. »
La rossa si accomodò sul divano e cominciò a rovistare dentro un contenitore di lucine: « Perché ancora non abbiamo inaugurato la casa, e perché abbiamo deciso che festeggiamo Capodanno al Caffè. »
« … chi l’avrebbe deciso? »
Lei gli lanciò un’altra occhiata divertita: « Ah, non te l’ha detto Akasaka-san? »
« Voi vi coalizzate contro di me. »
Ichigo rise ancora e gli porse una fila di lucine, che lui prontamente aggiunse sopra la ghirlanda: « Se anche solo ti proponessi di uscire a celebrare, non ne sentirei più la fine. »
Ryou sbuffò un’ultima volta e scese dalla sedia per unirsi a lei sul divano: « Magari preferisco celebrare in maniera romantica come piace a te, solo noi due. E mezzo. »
« Sei geloso? »
Il biondo le lanciò un’occhiataccia, mettendo a terra la scatola e afferrandola per le mani per far sì che gli si avvicinasse: « La prima volta che ti sentirò lamentarti che non stiamo “abbastanza insieme”, » e le mise un dito davanti alle labbra per impedirle di replicare al suo gesto delle virgolette, « Ti ripeterò questa conversazione. »
La rossa gli fece il verso divertita, prima di accoccolarsi su di lui con un mezzo sbadiglio: « Dici che ho il tempo di fare un pisolino? »
« Dipende se è un pisolino normale o un pisolino alla Momomiya. »
Lei gli rivolse una mezza linguaccia, e si arrotolò come un gattino.
 
 
 
 
Qualche ora dopo, l’ampio salone di casa Momomiya-Shirogane pullulava dell’allegria della combriccola, elegantemente vestita e pronta a gettarsi sul cibo che via via si andava accumulando sulla tavolata della sala da pranzo. L’organizzazione di Ichigo e Keiichiro era stata a dir poco meticolosa, con buona pace di Ryou e la sua ricerca di calma. Purin si era presentata carica di una pila di pacchettini infiocchettati che le arrivava fino alla fronte e due vassoi ricolmi di piccoli aperitivi, così come Retasu che aveva contribuito a portare altre due teglie profumate, mentre il moro aveva chiuso Ryou e Zakuro in cucina a metà del pomeriggio per farsi dare una mano a portare avanti la preparazione delle portate principali. Ovviamente invitati anche loro – ormai Ryou non pensava nemmeno più ad osare opporsi – Pai e Kisshu erano stati accuratamente istruiti di pensare alle bevande, e l’americano sperò in fondo al cuore che non tutte quelle bottiglie sarebbero state bevute quella sera.
« Non vedo l’ora, » esclamò Ichigo estasiata, riempendo i bicchieri agli amici, « Ho così fame che mangerei per tre. »
« Non è un po’ la norma ora, nee-chan? »
Retasu soffocò una risatina dietro la mano alla vispa battuta di Purin, ma anche Ichigo non poté trattenere un mezzo sorriso mentre le faceva una linguaccia.
« Come se tu, nanerottola, non avessi l’appetito di un elefante, » Kisshu le tastò affettuosamente la zazzera bionda un paio di volte, « Ancora mi chiedo dove lo metti. »
« Kisshu-san, non essere impertinente. »
« Ehi, pesciolina, tu non sei mai stata derubata di tre yakitori di fila da questa qui! »
« Non è colpa mia se sei lento e non all’erta, nii-san. »
« Ma sentila! Fidati, sarò all’erta stasera. »
« Non preoccupatevi, » Keiichiro offrì ad entrambi uno degli stuzzichini preparati da Purin, « C’è cibo in abbondanza per tutti. »
« C’è posto per uno in più? »
« Minto-chan! » Ichigo le corse incontro e l’avvolse in un abbraccio quando Minto apparve all’improvviso nel salone, le guance arrossate per la differenza di temperatura con l’esterno, « Pensavo avresti cenato con la tua famiglia! »
« Quello era il piano, » sospirò la mora, togliendosi il cappotto, e all’amica non sfuggì la nota di tristezza dietro il sorriso e il tono allegro, « Ma mio fratello è rimasto bloccato a Sapporo a causa del maltempo, e i miei genitori hanno deciso ieri sera di rimanere in Indonesia. A quanto pare è troppo freddo a Tokyo in questo momento per loro. »
« Non preoccuparti, c’è un sacco di roba, guarda! Questi li ho fatti io! »
Purin l’accolse con un sorriso, mostrandole fiera il piattino che le aveva passato Keiichiro.
« Scusate, posso sapere quante persone hanno il codice di accesso a casa mia? »
« Nostra, Shirogane! »
« Come futura madrina del vostro fagottino di gioia, vorrei anche vedere. »
Ryou la osservò con un sopracciglio alzato, offrendole un bicchiere di vino: « Io non ti ho mai detto che sarai tu la madrina. »
« Con dei genitori come voi sono la sua unica speranza. »
« A proposito… »
Zakuro si avvicinò ai due con un sorrisetto, e Ichigo arrossì piacevolmente mentre scuoteva la testa: « Niente da fare! Sarà una sorpresa. »
« Dai, ma perché! » si lamentò rumorosamente Purin, continuando a riempirsi la bocca di stuzzichini, « Noi vogliamo sapere! »
« Sorry, not sorry. A maggio lo scoprirete. »
« Che crudeltà! »
« Ti cambierebbe qualcosa, Purin? »
« Io ho quattro fratellini, Retasu ha un fratello, Minto ha un fratello… ci serve una nipotina! »
« In realtà siamo noi quelli in svantaggio, » rise bonariamente Keiichiro, « Fino a poco tempo fa, eravamo noi due contro voi cinque. »
« Contro è esattamente la parola giusta. »
« È inutile, non attacca, » Ichigo scosse di nuovo la testa con un sorriso furbo, accendendo l’ultima candela decorativa sulla lunga tavola imbandita, « Quattro mesi e lo saprete. »
« Vabbè, parlando di cosa bolle in pentola, » Kisshu allungò il collo per cercare di guardare in cucina, « Qual è il menu della serata? »
« Quest’anno, in occasione anche delle novità, abbiamo deciso di fondere due tradizioni, » spiegò Keiichiro con un sorrisone.
« Hai deciso, come hai deciso che avremmo dovuto sgobbare invece che usufruire delle comodità moderne, » lo interruppe Ryou con un ghignetto, e l’amico si limitò a sventolare la mano.
« E siccome abbiamo due baldi giovani americani tra di noi, omaggeremo la tradizione giapponese del Kentucky Fried Chicken cucinandolo personalmente, insieme ad altri piatti tipici americani. »
« Ovvero, c’è un tacchino da quattro chili in forno da quattro ore. » (*)
 « Che meraviglia! »
« Siamo sicuri che Shirogane non ci avveleni? »
« Preferisco la reazione di Retasu, Aizawa, grazie. »
« Non preoccupatevi, è stato monitorato da vicino, » Zakuro gli si avvicinò con un sorriso e gli mise una mano sulla spalla, vista l’occhiata omicida che aveva lanciato alla mora.
« Su, però, iniziate a friggere o non si mangia più, » Keiichiro spinse leggermente entrambi verso la cucina, continuando a sfoggiare il suo sorriso, « Voi mettetevi comodi, io arrivo con gli antipasti. »
La tavolata si arrangiò velocemente, con il solito volume più alto del normale e Purin che calava l’asso di briscola continuando a riempire i bicchieri di tutti.
« Mi fido a lasciarvi finire questo? » Keiichiro lanciò un’occhiata in particolare a Ryou, che gli rispose abbastanza offeso, « È la portata principale, mi raccomando. »
« Credo di essere capace a fare del pollo fritto, » mugugnò il biondo, agguantando una padella, e il moro ridacchiò sotto i baffi mentre riempiva un paio di vassoi di antipasti anch’essi ispirati alle tradizioni americane.
« Ho piena fiducia in te, ma so che sei più avvezzo al microonde. »
« Allora perché mi hai messo ai fornelli? »
Zakuro si intromise con un sorriso, afferrando lo schiacciapatate e al tempo stesso dando un colpetto sulla spalla al pasticcere: « Vai pure a rilassarti, Akasaka-san, hai fatto molto più di noi oggi. La situazione è sotto controllo. »
« Non bruciarti. »
« Scusate tutti, sono un brillante scienziato che ha compiuto esperimenti ben più complicati di questo, la vostra mancanza di fede mi disturba. »
« Sempre modesto. »
Non appena Keiichiro uscì reggendo i vassoi stracolmi, la mora socchiuse la porta scorrevole di vetro per evitare che gli odori della cucina navigassero fino alla sala di pranzo, e il vociare si fece più otturato, precipitando la stanza nella solita calma che contraddistingueva le interazioni tra lei e Ryou. Ricominciarono a cucinare in silenzio, scambiandosi solo qualche vaga indicazione sulle istruzioni lasciate dall’amico, quasi come se entrambi stessero ricaricando le loro pile prima di ritornare nel gruppo.
« Posso chiederti una cosa? »
Ryou alzò lo sguardo su Zakuro, che si stava asciugando le mani su uno strofinaccio.
« Quando mai ti sei fatta dei problemi. »
Lei nascose un sorrisetto e rivolse l’attenzione alla sala da pranzo: « Pensavo che ci sarebbe stata una certa domanda, soprattutto in questo momento. »
Il biondo bevve un sorso della sua birra e controllò il pollo che friggeva nella padella di ghisa: « Sono così prevedibile? »
La modella non rispose, rimescolando tranquilla il purè di patate, e lui sospirò, rimuginandoci sopra per qualche minuto.
« Non pensare che Keiichiro non abbia già fatto le stesse insinuazioni, soprattutto in luce di Shintaro e le sue reazioni, » borbottò, lo sguardo fisso sulla cena in preparazione per evitare gli occhi pungenti dell’amica, « E sai benissimo che so quello che sarebbe consono fare. »
Zakuro rimase ancora in silenzio, il mezzo sorriso ben visibile sotto i faretti della cappa, consapevole che quel comportamento avrebbe avuto molta più efficacia che spronarlo con altre domande. Ryou esitò ancora qualche minuto, lanciando qualche occhiata sopra la spalla per controllare che il resto della sala fosse ancora impegnato con gli antipasti.
« La verità è che non voglio che faccia una scelta solo basata sulle circostanze attuali, » spiegò spiccio poi, « Né che creda che non sia una richiesta genuina. Già ho dovuto convincerla che andare a convivere non fosse solo causato dalla situazione, questo sarebbe… e quindi, niente. »
La modella annuì, aggiungendo un tocco finale di burro prima di travasare la soffice montagna di patate dentro un’elegante ciotola da portata.
« E comunque a Natale è troppo scontato e sdolcinato. »
Lei rise, alzando un sopracciglio: « Per Ichigo? »
« Hey, » al tono altamente sarcastico, Ryou le puntò contro il forchettone che stava usando per prendere il pollo fritto, « Una cosa per volta. »
Zakuro gli lanciò l’ennesimo sguardo divertito e si piegò a controllare il tacchino nel forno: « Secondo me ci siamo. »
Il biondo diede anch’egli un’occhiata e annuì, prima di porgerle il pugno: « Ottimo lavoro di squadra, Fujiwara. Sembra che alla fine ti abbiamo plagiata. »
« You’re such a loser. »
Insieme, estrassero la teglia rovente e pesante per trasportarla in sala, dove furono accolti da un coro di ovazioni stupite e felici.
« È grandioso! »
« Grazie, Purin, » esclamò Ryou, piazzando con estrema attenzione il tacchino nel bel mezzo del tavolo dove già Keiichiro aveva strategicamente posizionato i sottopentola, « Meno male che ci sei tu a darmi soddisfazione. »
« Volevi anche un giro di applausi? » lo prese in giro Ichigo con un sorriso, « Di solito fa sempre tutto Akasaka-san, e non gli facciamo la metà delle feste. »
« Infatti a lui l’onore di tagliare la bestia, » Zakuro gli passò teatrale il coltello dedicato, « Rimangono in cucina solo il pollo e i contorni. »
« Andiamo noi, le braccia forti! » Purin si alzò con brio e girò attorno al tavolo, agguantando nel frattempo la manica di Kisshu, « Però aspettateci! »
« Purin, questo coso basta a sfamare un esercito. »
« Più o meno il suo appetito. »
« Non so se mi fido di quei due da soli con il cibo… »
Con uno sbuffo, Minto si alzò e seguì i due in cucina: « Ichigo, stai ferma. Vado a controllare io che non finiscano tutto. »
Purin si era già caricata in braccio il vassoio di pollo fritto, una ciotola di piselli e quella delle patate, in un precario equilibrio che fece rabbrividire la mora.
« Dammi questo, » le corse in soccorso e afferrò una ciotola, « Kisshu, prendi i cucchiai per servire. »
Al vedere l’alieno che osservava confuso i vari scaffali, mobiletti e cassetti della cucina, Minto sbuffò e gli passò davanti, aprendo un tiretto e mostrando l’argenteria.
« Quanto spesso sei qui, fammi capire? » la prese in giro dolcemente.
« Ichigo ha avuto molto supporto da parte mia a organizzare la casa, » ribatté lei con un velo di acidità.
Kisshu si sporse in avanti per afferrare l’ultima teglia di contorni, strabordante di fagiolini, e ne approfittò per avvicinarsi un po’ di più: « Sono contento che ci sia anche tu, stasera, » le mormorò, « Soprattutto per il vestito. »
Minto cercò di ignorare il calore derivato dalla voce bassa a pochi centimetri dal suo orecchio, e si voltò verso di lui con un sorriso malizioso: « E tu sei in camicia, allora è vero che a Natale accadono miracoli. »
Lui sbuffò e, rapidamente scorso che nessuno stesse prestando loro troppa attenzione, le fece una carezza veloce sotto al mento: « Tutto bene? »
« Perché non dovrei? » rispose lei, più sprezzante di quanto avrebbe voluto, « Non è certo la prima volta, né sarà l’ultima, in cui mi ritrovo scaricata dalla mia famiglia. Preferisco sinceramente questa cena a una delle solite tiritere noiose e silenziose dei miei. »
Prima che lui potesse replicare, sentitasi già troppo scrutata dal suo sguardo, Minto marciò di nuovo verso il suo posto a tavola.
« Dai, dai! » li incitò Purin, che già brandiva forchetta e coltello, « Sto morendo di fame! »
« Ci siamo, » la blandì divertito Keiichiro, cominciando a distribuire grosse fette di tacchino, « Buon Natale, ragazzi. »
Alla risposta in coro seguì il tintinnio di piatti che venivano passati, posate che iniziavano a lavorare, e mormorii e risatine soddisfatte ai profumi che si levavano fino alle narici.
« Kami-sama, che buono, » Ichigo si lasciò scappare un miagolio appagato, ricoprendo le sue fette di carne con abbondante salsa al mirtillo rosso, « Perché non l’abbiamo mai mangiato prima? »
« Ci hai messo un po’ a cedere ai gusti americani, » rispose prontissima Purin con un ghigno malefico, soffocando la risatina in una coscia di pollo che azzannò con gusto, mentre l’amica quasi si strozzava e arrossiva prepotentemente e Ryou la fulminava con lo sguardo, ignorando biecamente i risolini sotto i baffi attorno al tavolo.
Pai si servì un’altra generosa porzione di verdure – che solo con l’arrivo della Mew Aqua avevano iniziato ad assumere sapori più corposi e diversi su Duuar – e nel mentre tossicchiò appena.
« La festa di oggi… mi è parso di capire che abbia molti significati diversi? »
Un breve silenzio cadde sulla tavolata, che si scambiò occhiatine perplesse e un po’ sconfitte al pensiero di non aver fatto luce su cosa stesse succedendo.
« Ah sì! » si aggiunse Kisshu, la bocca mezza piena di purè, « In effetti, cosa sarebbe questo Natale? »
« Perdonateci, non ve l’abbiamo detto, » si scusò Retasu mortificata, « Forse diamo le cose un po’ per scontato a volte… »
« Quello che conta è lo spirito, pesciolina, » il verde le fece l’occhiolino, continuando a divorare forchettate di cibo, « Se a ogni occasione si mangia così, non è che mi freghi molto del motivo. »
« Figuriamoci. »
Minto gli scoccò un’occhiataccia inorridita, servendosi un altro bicchiere di vino, ma lui perseguì imperterrito a ingozzarsi.
Keiichiro nascose un sorriso dietro al proprio bicchiere e poi si schiarì la gola: « La festività del Natale è una delle più antiche della nostra storia, e via via ha assunto delle declinazioni un po’ diverse. »
Ryou stava per lanciarsi in una complicata spiegazione della storia dei solstizi d’inverno, soli invitti e saturnali, ma un’occhiataccia da parte di Zakuro fu abbastanza per farlo desistere.
« Natale è principalmente una festa religiosa cristiana che celebra la nascita del suo messia, figlio di Dio, » spiegò brevemente la modella, « Tralasciando l’aspetto religioso, a lungo andare la festività si è secolarizzata, diventando una festa legata alla famiglia, alla solidarietà, che ha preso piede anche in luoghi non predominantemente cristiani. »
« E a Babbo Natale, » aggiunse spigliata Purin, ricevendo in cambio un sorrisetto abbozzato da Zakuro, che continuò:
« Sì, allo scambio di doni. Ha svariate tradizioni e simboli ad essa associate, anche molto variegate tra i diversi Paesi. In Giappone è più una festa romantica e secolare, che da passare in famiglia. »
« C’è chi dice che ormai sia l’emblema del capitalismo, » commentò Shirogane, provocando una sequela di gemiti e lamenti annoiati.
« Se volete il mio punto di vista, preferisco di gran lunga le feste senza significati troppo aulici, » borbottò Kisshu, con ironia velata di astio, « Con l’ultima divinità adorata non ci è andata troppo bene. »
Stavolta fu il turno di Retasu di quasi strozzarsi con il sorso d’acqua che aveva appena preso, e Purin, accanto a lei, si affrettò a darle delle pacche sulla schiena.
« Chi vuole altro tacchino? » Keiichiro colse la palla al balzo per cambiare prepotentemente argomento, alzandosi per affettare ancora l’enorme gallinaceo, di cui rimaneva una buona metà intonsa.
Un coro di io e sì grazie! rispose alla domanda, e velocemente il rumore della cena ritornò al solito volume sproporzionato.
 
 
 
 
 « Sto scop-pian-do! »
Purin stravaccò mollemente sul tappeto tra i divani, stendendosi a pancia in su come una stella.
« Credo che tu ti sia mangiata un quarto di tacchino da sola, » la redarguì dolcemente Zakuro, abbandonata anche lei la posa plastica.
« Per forza, nee-san, era spettacolare! » si accarezzò lo stomaco gonfio e, muovendo la testa di un millimetro, guardò Ichigo, « Sono quasi come te, nee-san. »
La rossa, entrambe le mani su quella di Ryou che le stava pigramente disegnando cerchi con il pollice sulla pancia, le rispose con un sorriso stanco: « Se penso a tutti gli avanzi che ci sono, mi sento male. »
« Mi offro volontario, » scherzò pigramente Kisshu alzando una mano, spaparanzato sul divano a giocare distrattamente con le ciocce della nuca di Minto, l’unica seduta relativamente dritta con le gambe raccolte sotto di sé.
« Ehi, anche io, » gli fece eco da sotto Purin, « … tra un po’ però. Aprire i regali ha esaurito definitivamente le mie energie. »
« Credo piuttosto siano i turni extra della digestione, Purin, » commentò Retasu divertita, ma con un filo di voce.
Keiichiro ritornò in salotto reggendo un lungo vassoio colmo di tazze fumanti e una teiera: « Questo dovrebbe aiutare, » spiegò con un sorriso, « Tè caldo allo zenzero. »
La verde lo ringraziò con un mormorio e soffiò piano sulla bevanda bollente, poi fece un cenno verso la polaroid che Kisshu teneva in grembo: « Non pensavo ti interessasse la fotografia, Kisshu-san. »
Lui abbozzò a un sorriso sornione, prendendo la camera con la mano libera per studiarla ancora un po’: « In effetti è una novità, pesciolina, ma sta diventando uno dei miei gingilli preferiti, » tirò con fare dispettoso uno dei boccoli di Minto, autrice del regalo, e sogghignò un po’ più sincero, « La tortorella ci ha visto giusto. »
La ragazza in questione arricciò appena il naso, mantenendo la sua stoica compostezza nonostante il sorriso che minacciava di spuntarle sulle labbra e che nascose dietro il bordo della tazza, prima di trasformarlo in una smorfia indispettita quando lui le rubò una foto a cinque centimetri dal naso: « Sto già rimpiangendo la scelta, sai? »
Ichigo osservò lo scambio ridendo sotto i baffi, ben attenta a non farsi notare dall’amica, scambiandosi solo un’infinitesima occhiata complice con Zakuro mentre il dolce borbottio delle chiacchiere verteva su altri argomenti. All’ennesimo sbadiglio di Purin, poi, si stiracchiò vistosamente ed esclamò squillante: « Se voi pensate a raccogliere un po’ le cose qui, io vado in cucina a preparare i pacchettini degli avanzi. E no, non voglio sentire storie, Retasu-chan, ce n’è abbastanza per tutti ancora. »
« Io lo voglio doppio! »
« Ma se non riesci neppure ad alzarti dal tappeto, nanerottola. »
« Minto-chan, aiutami tu, dai. »
La mora alzò un sopracciglio al tono iper-stucchevole della padrona di casa, ma non fece in tempo a ribattere che l’aveva già afferrata per un polso e tirata su, sotto le proteste di Ryou di non fare troppi sforzi.
« Non mi tirare! » le bofonchiò Minto, fermandosi al tavolo della sala da pranzo per raccogliere gli ultimi bicchieri rimasti abbandonati, « Sono esausta, e tu dovresti stare attenta. »
« Spero tu non sia troppo stanca, » commentò maliziosa la rossa, lanciandole uno sguardo divertito da sopra la spalla mentre la precedeva in cucina.
La mora le rivolse uno sguardo gelido: « E io spero che tu non stia insinuando quello che penso. »
« Oh, su! Se non ne parli con me, con chi altri!? »
« Sono fatti miei, grazie, non c’è bisogno che lo dica proprio a nessuno. »
Ichigo la guardò divertita, aprendo un pensile per estrarne dei contenitori: « A volte non ti capisco, comunque. Lui ti piace, tu gli piaci… siete grandi e vaccinati… »
Minto emise uno sbuffo indispettito mentre apriva di nuovo una bottiglia e ne versava il fondo in un bicchiere pulito, rimpiangendo di aver mai rivelato dettagli a Ichigo circa la sua attuale situazione sentimentale: « Mi spieghi cos’è questa crociata oggi per ficcare il naso dove non ti riguarda? »
« Perché mi preoccupo per te, » ribatté convinta la rossa, intanto che cercava di suddividere in maniera più o meno equa i vari avanzi tra le vaschette, « E soprattutto stasera ti servirebbe compagnia. »
« La compagnia attuale mi sta solo facendo venire mal di testa. »
« Quanto sei testarda però! Non ti sto mica dicendo di sposarti, eh, solo di… lasciarti andare un attimo. »
« In termini di lasciarsi andare, analizziamo la situazione, Ichigo, chi tra noi due è rimasta incinta dopo nemmeno tre mesi di frequentazione? »
« Che c’entra, quello è stato… complicato. Voi uscite insieme da due mesi e mezzo ormai! »
Minto la guardò minacciosa: « Decisamente non stiamo uscendo. »
« Okay, se preferisci che la descriva come vi appartate di nascosto facendo finta di nulla ma ormai lo sanno tutti, nessun problema. »
Ichigo alzò le spalle come se fosse un’ovvietà, e la mora si limitò a sbuffare così forte da sollevarsi la frangetta mentre si concedeva un altro sorso di vino.
« È palese che sei cotta, comunque. Gli occhioni dorati sono il tuo punto debole. »
Minto si voltò verso di lei così velocemente che Ichigo temette le si sarebbe spezzato il collo, ma non riuscì a non ridere della sua espressione.
« Non sei esente dal non dire cretinate solo perché sei incinta. »
« Continua pure a negarlo, ma non ti fa sicuramente bene. Siete sempre insieme - »
« Non è vero, se non sono con te, sto lavorando con la onee-sama. »
« - soprattutto quando ci siamo tutti e tu vuoi far finta di niente, ma vi cercate costantemente. Posso essere tonta, ma non sono cieca. »
« Sei un’impicciona. »
« Sono la tua migliore amica, e mi preoccupo per te, » Ichigo ripeté e le sorrise, prendendole il bicchiere di mano e poggiandolo in lavastoviglie, « Come va, va, non starci a pensare troppo e… divertiti. »
La mora la guardò storto per un altro secondo, terminando di premere i coperchi sopra i rispettivi contenitori, e poi si lasciò scappare uno squittio stupito quando l’amica la stritolò in un abbraccio a sorpresa: « Sono felice se sei felice, Minto-chan. E mica voglio una madrina musona. »
« Tu sei completamente rincretinita dagli ormoni, ecco cosa, » replicò lei, ma senza poter nascondere la risatina che la tradì mentre poggiava un secondo la mano sopra quella della rossa prima di sgusciare via con un paio di contenitori in mano.
« Il mio è il più grande, vero?! » Purin le si parò davanti mentre lottava tra lunga chioma bionda e sciarpone giallo in lana grossa.
« Puoi avere anche la mia parte, » esalò Minto, esausta, e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, sbuffando, « Ma sta nevicando! »
« Oh, non dirlo con quel tono, Minto-chan, è bello, » commentò Retasu con un sospiro, guardando anche lei oltre la vetrata.
« E poi mica torniamo a casa a piedi, » trillò Purin, continuando a infagottarsi nei suoi vari strati, « Vero, Pai nii-san? »
Il viola, sentendosi interpellato inaspettatamente e con così tanta sfacciataggine, per i suoi gusti, si limitò a osservare la biondina per un paio di secondi prima di scrollare le spalle: « Immagino di no. »
La risatina che scappò dalle labbra di Retasu quando Purin lo costrinse a darle il cinque gli fece alzare gli occhi su di lei e a ricambiare, seppur di una frazione, prima che Ichigo gli si parasse di mezzo con ulteriori contenitori di avanzi.
« Ti basta questo, Retasu-chan? »
« Oh, no, Ichigo-chan, ti prego è già troppo! »
« Tu come fai, nee-san? »
Zakuro sorrise a Purin, avvolgendosi anche lei una spessa sciarpa intorno al collo: « Farò una passeggiata, non ti preoccupare. Mi piace il freddo. »
« Bbbr, io tremo solo al pensiero di uscire, » commentò Ichigo rabbrividendo, « Sicura che non vuoi un taxi? »
« Devo decisamente smaltire, » scherzò appena l’altra, poi incrociò lo sguardo curioso dei due alieni, « Ogni Natale vado in chiesa a mezzanotte. Un luogo di culto, » spiegò spiccia.
« Quel posto buio e imponente con i due pezzetti più alti, i vetri colorati… ?» Kisshu gesticolò disarticolato, unendo le dita così da formare una punta.
« Dove ci hai attaccate con i chimeri corvo? Già. » (**)
La gelida occhiata di Zakuro fu abbastanza per far fare un passetto all’indietro al verde, che sfoggiò un sorriso smagliante: « Tutta acqua sotto i ponti, giusto bamboline? »
« Solo perché sei diventato più simpatico, nii-san. E più figo. »
« Ah, capito, tortorella? »
« Ma per favore… »
Retasu osservò lo scambio con un sorriso divertito, poi azzardò ad alzare gli occhi su Pai (invece molto meno allietato dall’esuberanza, se così poteva chiamarla, del fratello).
« Avete tradizioni simili sul vostro pianeta? »
Le sembrò che il suo viso si ombrasse appena: « La religione ha subito un colpo brusco, dopo tutta la questione del… nostro ritorno e la vera natura di Deep Blue, » esclamò dopo qualche secondo, « Ciononostante, alcuni continuano ad affidarsi ad antiche divinità minori, spiriti degli antenati che proteggono la casa. »
« E senza intenzioni di conquista, » sogghignò Kisshu, pieno di sarcasmo.
Pai lo ignorò, schioccando la lingua: « Quando il governo si è ricostituito, hanno rimosso i luoghi di culto dedicati al nostro vecchio signore. Ovvio che questo non ha reso felici tutti, ma è stato un segno chiaro. »
Il fratello sbuffò mentre si infilava nell’armadio e afferrava cappotti e sciarpe: « Stiamo parlando per eufemismi… c’è voluto un po’ per convincerli, eh. Non eravamo esattamente i preferiti del pubblico, a raccontare di come la loro meravigliosa divinità fosse un impietoso pezzo di merda. »
Retasu alzò di nuovo gli occhi su Pai, incerta sul significato di quelle parole e come sempre timorosa che le sue domande aprissero strani vasi di Pandora; infatti, il maggiore degli Ikisatashi stava nuovamente fulminando Kisshu con gli occhi, quasi minacciandolo di chiudere la bocca. Lui probabilmente capì, perché continuo a frugare nell’armadio fingendo noncuranza nonostante la strana atmosfera che era scesa sul corridoio.
« Io vado, » esclamò infine Zakuro, sistemandosi la borsa sulle spalle e avviandosi verso l’uscita, « Grazie ancora per l’ospitalità, Ichigo-chan, e la magnifica cena, Akasaka-san. »
« You’re welcome, you know. »
« Sta’ attenta, onee-sama, e se hai bisogno mando l’auto! »
La modella rivolse un ultimo saluto a tutti, che fu echeggiato dagli altri, concordi che fosse ora di andare.
« Dov’è il mio sacchetto di avanzi? »
« Tranquilla, Purin-chan, non ti lasciamo senza. »
« Ma gliene hai dato davvero di più! »
« Santo cielo, Kisshu, tra un po’ non ti si chiude la camicia. »
« Come se non fossero sempre andati in giro a pancia di fuori. »
« Alright, niente più zuccheri a Purin. »
La biondina rise e, infagottata fino al naso e con in testa il nuovo cappello di lana – regalo di Retasu, che aveva confezionato per tutti un completo di sciarpa e berretto – agguantò il suo prezioso malloppo: « Sono pronta, andiamo! »
Ichigo rise e la strinse in un abbraccio veloce: « Grazie ancora della compagnia. »
Il volume del gruppetto, a discapito delle povere orecchie del padrone di casa, si alzò di qualche decibel all’ennesimo giro di saluti, raccolta di pacchetti pieni di cibo e regali, e avviluppamento in strati caldi di vestiti. Ignorando le sue continue proteste, Ichigo agguantò anche Minto per un ultimo abbraccio, mormorandole qualcosa all’orecchio per cui venne trucidata con lo sguardo, continuando a salutare tutti con allegria.
Non appena la porta si chiuse dietro all’ultimo ospite, si voltò poi con un’espressione furba verso Ryou, già stravaccato sul divano.
« Allora? È stata così terribile la serata? »
« Io sono a pezzi. Non chiedermi di montare nemmeno un mobile o fare assolutamente altro, domani. Solo divano e avanzi. »
La rossa ridacchiò e attraversò la stanza in fretta, sedendosi a cavalcioni su di lui: « Però sai cosa… »
« What? »
Lei rise ancora deliziata e lo baciò, strofinando poi il naso contro al suo: « Pensi che cucinerai qualche altra volta? »
« Hai da lamentarti, ragazzina? Mi sembra che ti porti a cena fuori abbastanza spesso. »
Ichigo lo guardò divertita mentre gli portava le braccia intorno al collo e si sistemava un po’ più vicina: « Sì ma… tu, la camicia, il pollo fritto… era tutto abbastanza interessante. »
« Really? » Ryou rise di ricambio, guardandola in una maniera che la fece arrossire, e, tenutala stretta per la vita, si alzò dal divano con lei in braccio come un koala, « Fammi capire esattamente come. »
 
 
 
 
Pai dovette ammettere che, nonostante la breve durata dei viaggi via teletrasporto, fu sollevato nel lasciare Purin davanti a casa per prima; la ragazzina sembrava avere un’inesauribile riserva di energia che, a sua volta, esauriva le sue.
« Grazie ancora, nii-san! » trillò infatti, fermandosi appena sopra gli scalini innevati per voltarsi e salutarli con la mano, « E buon Natale, nee-san! »
Retasu, dal canto suo, non fu altrettanto entusiasta nel suo saluto, limitandosi a un cenno delle dita poco energico. La consapevolezza dell’essere completamente da sola con l’alieno, e il dovergli stare così vicino pur per motivi tecnici, le piombò addosso gelida come la serata, congelandola. Non che ebbe il tempo di dire qualcosa o far lavorare completamente gli ingranaggi del cervello, perché non appena Purin ebbe infilato le chiavi nella toppa, Pai la riprese di nuovo per il polso, causandole un doppio ribaltamento di stomaco.
Il silenzio del tranquillo quartiere dov’era situata casa dei suoi – dove aveva deciso di rimanere fino alla fine dell’università, per assicurarsi di riuscire a mettere da parte più risparmi possibile – le sembrò ancora più pesante del solito, attutito dalla coltre di neve che continuava a scendere imperterrita.
Fece subito un mezzo passetto di lato per riportarsi a una distanza consona, si schiarì la gola e poi piegò appena la testa nell’accenno di un inchino: « Grazie mille per il passaggio, Pai-san. Non sarebbe stato piacevole tornare a casa con i mezzi, stasera. »
Pai mosse appena il capo, scrutando quasi con rancore il candore intorno a loro: « Durerà a lungo? »
Retasu sbatté le palpebre un paio di volte, la mente un po’ più rallentata dalla combinazione di eventi: « Cosa? »
« Questo tempo. Il… ghiaccio. »
Lei cercò di non dare a vedere quanto fosse trasalita; ovvio che lui non potesse vedere quanto per altri quella situazione potesse essere pure romantica – si autoimpose di cambiare immediatamente la direzione dei suoi pensieri – dopo tutto quello che le aveva raccontato…
« Non tanto, a volte giusto un paio di giorni, » rispose sottovoce, « Il freddo, quello no. »
Lui rispose con un mezzo grugnito poco convinto, e Retasu, il capo ancora chino, però, si morse il labbro.
« Mi sembri un po’ difficile da accontentare, Pai-san, » ridacchiò, forse più baldanzosa per la bella serata appena trascorsa e i bicchieri di vino che si era concessa, « Non ti piace i caldo, ma nemmeno la neve… »
Pai la osservò incuriosito al ricordo delle conversazioni avute mesi prima al mare, poi sbuffò, piegando solo un angolo della bocca: « Preferisco la primavera. »
Retasu annuì e sorrise ancora sotto i baffi, giocherellando con le frange della sua sciarpa. Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante, Pai che osservò di sottecchi la ragazza
« Io non ho… fatto nessun regalo, » borbottò lui di scatto, infilandosi una mano nella tasca in cui aveva cacciato il cappello creato dalla ragazza.
« Non sono obbligatori, anzi, voi nemmeno sapevate… » rispose lei con un sorriso tenero e una stretta nelle spalle, « Questo è il primo Natale che siamo riusciti a passare tutti insieme così, eh… be’, poi ci siete anche voi, quindi mi sembrava carino fare… qualcosa di speciale. Ma se n-non ti piace o non ti serve, non è che devi sentirti costretto a usarlo, n-non mi offendo! » si affrettò ad aggiungere con una risatina nervosa.
« La nostra percezione delle temperature è diversa, » bofonchiò quasi a mo’ di scuse, e Retasu annuì, abbassando poi la testa, dandosi della sciocca per aver pensato che fosse adorabile e che un aggettivo come adorabile potesse essere usato per descrivere il ragazzo.
Eppure, il suo cuore continuava a galoppare impazzito ogni volta che era nei paraggi dell’alieno per più di cinque minuti. Cosa per cui si diede ancor di più della stupida, perché non era cambiato assolutamente nulla nel loro rapporto, se così lo poteva chiamare. Erano più di otto mesi ormai che gli Ikisatashi erano tornati sulla Terra, e non era riuscita a scalfire la personalità di Pai più di tanto, non riusciva mai a capire cosa gli passasse per la testa, o cosa volessero dire quelle volte che si tratteneva un po’ di più a parlare con lei. Anzi, tutte le probabilità puntavano a dimostrare che non volesse dire un accidenti, che era solo lei a farsi delle illusioni, ma non poteva fare a meno di avvertire lo stomaco sfarfallarle.
Era un pensiero che la faceva ridere, ma a volte avrebbe voluto essere come Kisshu; un po’ più sfrontata e coraggiosa per dire le cose esattamente come le pensava (ecco, magari non con tutta la franchezza che ci metteva lui a volte). Oppure, capace di mettere totalmente una pietra sopra dopo tutto quel tempo, se proprio doveva essere onesta.
Al tempo stesso, però, un po’ poteva dire di conoscerli. Ciò che avevano affrontato in passato non era cosa da tutti i giorni, e anche ora il loro quotidiano era molto diverso da quello della gente normale, era ovvio che si creassero legami profondi anche senza bisogno di chissà quale nuovo avvenimento sconvolgente. Era quindi per quello che sentiva quella flebile, sciocca, insignificante speranza che dava adito al suo cuore di accelerare un po’ di più nonostante lei si imponesse di essere razionale e decisa; Pai sembrava non dare mai confidenze a nessuno, passava la maggior parte del tempo con Keiichiro e Shirogane e comunque sembravano sopportarsi a malapena, girava parecchio alla larga quando loro ragazze si radunavano a fine giornata per rilassarsi con qualche chiacchiera frivola, come non vedesse l’ora di allontanarsi per richiudersi in un mutismo selettivo.
Che – e lo sfarfallio alla bocca dello stomaco si fece più prepotente – evidentemente non includeva lei.
Doveva ammettere che al maggiore degli Ikisatashi sembrasse sempre costare moltissimo mettere più di dieci parole di fila, però non si era certo sognata quei momenti in cui le si era mostrato più aperto, più interessato a ciò che lo circondava, o semplicemente più disposto a rimanere. Proprio come in quel momento: non era stata lei a far continuare una conversazione che avrebbe potuto benissimo fermarsi al grazie del passaggio, buonanotte, di niente, ciao.
Forse era semplicemente la felicità che sentiva aleggiare tra i suoi amici ad aver contagiato anche lei, ma… era tornato, era , in tutti i sensi, e lei non ci poteva fare nulla se l’unica reazione che sentiva era il petto in fiamme.
Retasu ebbe un brivido e fece per aprire la bocca, ma Pai aveva dovuto interpretarlo erroneamente.
« Hai freddo, » fu una constatazione più che una domanda, prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, « Meglio che tu vada. »
Sentì sgretolare quella minima sicurezza in più data dalle circostanze della serata e incassò ancora un po’ di più le spalle; non essere mai in grado di guardarlo in faccia a lungo non sarebbe stato certo una soluzione.
« Pai-san… » esalò, gli lanciò un’occhiata attraverso la nuvoletta di vapore che divenne il suo respiro, agli occhi ancor più scuri e quel volto imperscrutabile, « Io volevo… »
Anche nella penombra della strada poco trafficata, non si era allontanata abbastanza per mancare il suo sussulto, ne aveva quasi percepito lo spostamento d’aria.
« … solo ringraziarti ancora per averci accompagnato, » cambiò traiettoria immediatamente, cercando di sfoggiare il suo sorriso più convinto, « Immagino che anche tu sarai stanco e avrai voglia di un po’ di tranquillità. »
Ancora, l’alieno la studiò per dei secondi che le sembrarono troppi per poi annuire: « Di niente. E… buon Natale, direi. »
Maledetto il suo dannato cuore.
Retasu sorrise ancora e si avviò verso casa, cercando di non inciampare mentre tastava quasi alla cieca nella borsa alla ricerca delle chiavi. Guardò da sopra la spalla non appena fu all’ingresso, e il suo stomaco rotolò di nuovo nel vedere che era ancora lì, ad aspettare probabilmente che entrasse. Gli rivolse un cenno con la mano cui lui rispose con il fantasma di un sorriso, ed entrò chiudendo piano la porta.
 
 
 
 
In un quartiere decisamente diverso, il gentile risucchio del teletrasporto rimbalzò quasi inudibile tra le pareti bianche di villa Aizawa, l’unico suono all’interno della casa.
« Ugh, » Minto non riuscì a nascondere la solita smorfia, il disagio molto più pronunciato con lo stomaco che faceva dei turni extra, e lasciò cadere la borsetta a terra, « Perché non possiamo mai entrare dalla porta principale? »
« Perché poi mi mancherebbero le tue lamentele, tortorella, » la prese in giro Kisshu, poggiando una spalla contro lo stipite della porta finestra, « E poi perché altrimenti bisognerebbe giocare a rimpiattino per non attirare l’attenzione. »
« Tanto non c’è nessuno, » rimbrottò cupa lei, infilandosi nella cabina armadio per riporre scarpe e cappotto. La tranquillità regalatale dalla compagnia degli amici era scomparsa non appena il silenzio della casa le aveva riempito di nuovo le orecchie, ombrandole di nuovo lo sguardo.
Allo stesso tempo, le parole che Kisshu aveva detto a fine serata le stavano ronzando nella testa, e piegando con cura ogni oggetto e riponendolo, lo guardò di soppiatto mentre abbandonava le calzature e si avvicinava a mani in tasca.
« Quello che stavi dicendo prima… »
Kisshu rise sottovoce con una punta d’amarezza e la tirò a sé, premendola contro al suo corpo mentre affondava il volto nell’incavo del suo collo: « Niente di cui abbia voglia di parlare ora, tortorella, non quando preferirei farti compagnia… »
Minto sbuffò, un po’ divertita un po’ ancora scocciata, inclinando appena la testa all’indietro: « Qualunque cosa tu abbia in mente, credo sia molto diverso da cosa ho in mente io. »
« Mhm, » replicò lui in un sussurro, fece scorrere la punta delle dita lungo le sue braccia nude avvertendo con soddisfazione la comparsa della pelle d’oca non appena le labbra la sfiorarono, « Stavo ovviamente pensando a rimanere vestiti così e andare di là a guardare quel vostro aggeggio con le immagini. »
Lei emise un ennesimo verso indistinto che doveva somigliare a una risata, cercando di ignorare totalmente i tre diversi pensieri che le pesavano sullo sterno: le infantili – veritiere – insinuazioni di Ichigo, il prepotente calore che le irradiava dal ventre, e il subdolo tarlo di insicurezza che rosicava a tutto spiano.
Spiegare alla sua migliore amica dalla famiglia presente e perfetta e dal fidanzato da manuale perché lei avesse così paura di buttarsi e soprattutto di cadere non era nemmeno contemplabile, ancor più quando faticava ad ammetterlo a sé stessa.
Si lasciò scappare un sospiro più tremolante quando Kisshu prese a baciarle il collo con più insistenza, premendole un palmo appena sotto l’ombelico per stringerla di più a sé.
Eppure, il suo corpo sembrava saperne molto più di lei. Specialmente se il calore che le risaliva dalla pancia, sprigionandosi dai punti in cui la pelle combaciava con quella di lui, sembrava capace di placare il gelo a cui avrebbe dovuto essere abituata e che invece le aveva punzecchiato il petto tutta la giornata.
« Kisshu, » mormorò a occhi chiusi, più secca e allusiva di quanto avrebbe voluto, « Non mi piace essere facilmente scartabile. »
La girò con le mani sui fianchi, rivolgendole uno sguardo a metà tra il divertito e il significativo, una punta di malizia negli occhi dorati: « Ho sempre detto svestire, tortorella, non scartare. »
La mora non fece in tempo a ribattere che Kisshu la baciò, stringendola e smorzando il suo sbuffo contro le labbra. Trovava insopportabile questo suo vizio di terminare in maniera così fisica un discorso appena accennato, così come si disperava dallo stato in cui le conciava i capelli con quella sua abitudine di infilarci le dita, prenderle la nuca per portarla ancora di più contro di sé, eppure in quel momento ne fu quasi grata, grata della differenza di altezza che lo costrinse ad arcuarsi e darle ancora più calore.
Non avrebbe più potuto tirarsi indietro, non quella sera.
Ovviamente, Kisshu non aveva infilato la camicia nei pantaloni come avrebbe voluto l’eleganza – era già tanto che si fosse messo qualcosa di diverso da una t-shirt leggera – ma ciò significò anche che lei riuscì a sgusciarvi sotto le dita con facilità. Qualche secondo, forse troppo pochi da chiedersi esattamente come, e finì sul pavimento del suo armadio; un altro mezzo respiro, e Minto sentì la schiena premere contro al materasso.
« Pensavo non fosse questo ciò che aveva in mente, chérie, » la prese in giro sottovoce Kisshu, lanciandole un’occhiata furbesca mentre si spostava di nuovo lungo il suo collo.
Gli occhi color caffè lo fulminarono, ancora alterati nonostante tutto: « Non sono una distrazione, né un giochino. »
Lui si fermò un istante, esalò e le afferrò con brusca premura entrambi i polsi, bloccandole le braccia sopra la testa mentre sorrideva, un guizzo divertito nelle iridi dorate: « Non so se hai notato, ma io ho una soglia dell’attenzione molto bassa, » le mormorò, facendo vibrare appena la bocca contro la sua, « E se la mia attenzione è ancora tutta qui dopo tutto questo tempo… »
Lei sbuffò in tutta risposta, ancora poco contenta: « Ikisatashi, vedi di non fare il cretino. »
Kisshu ghignò ancora di più, trattenendole i polsi con una mano sola così che l’altra potesse sgusciare sotto il vestito: « Fidati, tortorella, » disse in un sussurro roco, « Ho intenzione di farti tutt’altro. »
 
 
 
 
L’unica fonte di luce filtrava dalla porta del bagno principale lasciata socchiusa, così come l’unico rumore percepito, oltre al lontano sottofondo di automobili, era lo scorrere dell’acqua del rubinetto. Zakuro si sciacquò il viso un paio di volte e bevve un sorso, portandosi le mani a coppa fino alla bocca.
Era tornata a casa dalla funzione a notte inoltrata, grata del silenzio che avvolgeva la città e soprattutto il suo appartamento. Si era concessa un’altra tisana bollente, per riscaldare le membra intirizzite e sciogliere ancora di più il peso sullo stomaco; non si era aspettata, dopotutto, di avere compagnia anche quella notte, e si era quasi già infilata tra le lenzuola quando il soffio del teletrasporto l’aveva distratta.
Pai era nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, steso supino con un braccio dietro la schiena; non rimaneva mai a dormire, ma succedeva che si intrattenesse un po’ più a lungo del dovuto, a volte, senza che dovessero per forza raccontarsi a vicenda cosa gli stesse passando per la testa.
Solo, forse, per far continuare ancora un po’ l’illusione che non provassero tutta quella solitudine.
Ritornò in silenzio in camera e raccolse la camicia da notte di seta dai piedi del letto, infilandosela con un fruscio elegante.
« Non pensavo tu fossi religiosa. »
Zakuro non aveva previsto quelle parole, ma non lo diede a vedere: « Ti dà fastidio? »
« No, » rispose sicuro lui, continuando a fissare il soffitto, « Solo che non sembra entrarci molto con il tuo carattere. »
Il commento la punse più sul vivo di quanto si fosse aspettata; ma d’altronde come poteva stupirsi, quando il dialogo non era sicuramente uno dei loro punti di forza?
Scivolò sotto le coperte, lasciando i soliti centimetri di distanza tra di loro perché nessuno dei due cercava carezze o contatto dopo aver soddisfatto la voglia, e non c’era bisogno di fingere altrimenti.
« Mi dona tranquillità, » rispose solamente, un po’ irritata dalla necessità di doversi giustificare in qualche maniera, « E conforto, sapere che c’è qualcuno a cui rivolgermi sempre. »
Pai non rispose, ma lei sapeva che non la stava minimante giudicando; la sua mente razionale e scientifica stava probabilmente solo cercando di mettere insieme i vari pezzi, e lei era conscia che potesse benissimo comprendere il sentimento, visti i trascorsi.
« Non ti mancano persone fisiche a cui poter fare affidamento, no? » il profilo affilato dell’alieno continuava ad essere rivolto verso l’alto, « Siete tutti molto affiatati, tra di voi. »
« Certo. Ma ci sono cose che preferisco non raccontare neanche alle ragazze. »
Un esempio, si ritrovò a pensare con una punta di ironia.
Pai fece un muto verso di assenso, poi esalò brusco e piegò un ginocchio, il suo primo movimento dopo tutti quei minuti.
« Il vostro essere così gregari è affascinante e al tempo stesso irritante. Da quando siamo qui, vi sarete scambiati regali almeno cinque volte, ed ogni volta lo fate percepire come… incredibilmente importante e significativo. »
Zakuro non dovette seguire il suo sguardo per capire che puntava alla pila di vestiti per terra e al berretto che spuntava da una tasca. Né dovette pensarci molto per capire perché il suo stomaco si contorcesse in quella maniera.
Quando Pai l’aveva baciata la prima volta, quel pomeriggio nel laboratorio del Caffè, non si era fatta troppe domande; non era solita farlo di principio, e ne aveva già affrontate abbastanza per sapere che se voleva qualcosa, doveva prendersela. Pochi erano i favori concessi dalla vita, il resto bisognava guadagnarselo, nella sfera professionale come in quella privata.
Al contempo, non era certo una stupida. Non era nella sua indole costruirsi castelli in aria, anzi, la sua razionalità a volte sfociava in un pessimistico realismo che lasciava poco spazio a sciocchi sogni tinti di rosa o vane speranze. Non era partita con l’intenzione che quello sarebbe continuato a lungo, o si sarebbe evoluto in qualcosa di diverso, né le era sembrato che la controparte avesse intenzioni differenti. Erano adulti entrambi, probabilmente molto più adulti di quanto lo fossero anagraficamente, ed erano capaci di perdersi l’uno nell’altra per qualche ora senza davvero perdere di vista la loro strada.
Ma non era certo cieca, o insensibile. Egoista, forse, a volte sì, per il suo spiccato senso di sopravvivenza. Però prendere in giro – ed essere presa in giro – non figuravano nel suo modo di essere.
« Specialmente alcune di noi, » gli mormorò in risposta.
Il fruscio delle lenzuola tradì la distaccata rigidità dell’alieno, che parlò a bassa voce dopo un lunghissimo attimo.
« Io sono un soldato, » lo disse quasi con costernazione, « Uno scienziato, sì, ma prima di tutto un soldato. Ciò non è cambiato con i nostri trascorsi o con la situazione attuale. Non può cambiare. E in quanto tale, le cose che ho fatto, ciò che io sono… avranno sempre un peso. »
Zakuro non riuscì a evitare di girare il viso verso di lui, che però persisteva a fissare il soffitto scuro.
« Un peso che non può essere condiviso con qualcuno di… fragile o sensibile. »
Lei si voltò completamente su un lato, poggiando il viso ad una mano: « Non è sempre necessario dover scaricare i pesi su qualcun altro. A volte si alleggeriscono da soli, passando il tempo con le persone giuste. »
« Lo dici perché per te è molto simile, » pronunciò Pai quasi tra i denti, « Ma non sono tutti come te. »
« Quindi, » la modella calibrò le parole, continuando a scrutare il suo profilo, « Siccome mi ritieni così… tenace, allora va bene? »
Solo in quel momento l’alieno si voltò per osservarla, i suoi lineamenti ancora più induriti dalla penombra: « Se ferissero… se io ti ferissi, » scandì lento, come se le stesse dicendo una verità assodata e qualcosa di cui andar fiera, « Tu reagiresti senza spezzarti. »
« Mhm, » Zakuro emise uno sbuffò sarcastico, guardandolo da sotto la frangetta, « E pensi che questa tua convinzione sia una scusa valida? »
Pai non rispose. Ritornò a fissare il soffitto con un respiro pesante, e dopo un po’, anche lei si stese nuovamente, volgendo lo sguardo nella stessa direzione.
Nessuno dei due parlò più, e Zakuro si addormentò ben dopo aver udito il fruscio dei vestiti raccolti e il soffio del teletrasporto.
 
 
 
 
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« Ecco fatto, cara, » Sakura piegò con cura la copertina rosso-arancio lavorata ai ferri da Retasu e la poggiò sul bracciolo della poltrona all’angolo, « Quando hai detto che arriverà la cassettiera? »
Ichigo si stiracchiò la schiena, intorpidita dal peso della pancia di sei mesi, e sospirò un po’ afflitta: « Non prima di tre settimane, purtroppo. »
« Hai ancora più di due mesi di tempo, non preoccuparti, » la madre le si avvicinò e le fece una carezza sulla guancia, « E a parte i mobili, la cameretta è già finita, no? »
La rossa si guardò intorno nell’ampia stanzetta dai muri di un caldo color crema di cui la salopette che indossava mostrava macchiette ovunque, vista la sua poca esperienza con pennelli e vernici. Il risultato finale, però, la soddisfaceva tantissimo, il colore era luminoso e morbido al tempo stesso e sapeva che sarebbe stata perfetta per il piccolino che le era rotolato nella pancia per tutto il tempo in cui avevano dipinto i muri, come a dare la sua approvazione (Shirogane aveva ovviamente fatto la maggior parte del lavoro, cacciandola dalla stanza ad un certo punto menzionando i rischi seppur minimi delle vernici, ma erano dettagli). Ichigo l’adorava, e non vedeva l’ora che i mobili scelti la riempissero per darle davvero l’idea di un nido perfetto.
Adorava tutta quella casa, in realtà; era quasi rimasta ammutolita quando Ryou l’aveva accompagnata a vederla per la prima volta, poco prima che vi si trasferissero effettivamente. Lui le aveva raccontato che originariamente era appartenuta alla famiglia di suo padre, e non vi avevano mai passato troppo tempo durante la sua infanzia, preferendo rimanere negli Stati Uniti; anche dopo la morte dei suoi genitori, Keiichiro aveva ritenuto più saggio non tornare ad abitarvi, così la casa era rimasta chiusa parecchio negli ultimi quindici anni. E, anche se così non fosse stato, Ichigo sospettava che Ryou avrebbe comunque compiuto una ristrutturazione nell’eventuale ipotesi di riutilizzarla, da una parte per rimodellarla e dall’altra per camuffare un po’ di più ricordi dolorosi del passato.
Così, la casa era stata quasi completamente vuota quando vi aveva messo piede la prima volta, e lei si era divertita a correre da una stanza all’altra per esplorare come una bambina al lunapark.
Ryou l’aveva seguita molto più lentamente, con un sorriso abbozzato e le mani dentro le tasche del giubbotto; al terzo passaggio nel grande salone del primo piano, si era appoggiato con una spalla al muro e l’aveva guardata divertito: « Allora, che vuoi farci? »
Ed in effetti, le aveva quasi dato carta bianca: Ichigo si era sbizzarrita a scegliere i mobili e come disporli (l’unico veto su colori non troppo sgargianti come il suo caratteristico rosa), a cercare davvero di renderla casa loro, come le ripeteva il biondo ogni giorno quando lei gli proponeva le sue opzioni così che lui potesse contribuire a quella finale; era anche riuscita a strappare un armadio enorme per la loro camera da letto e una vasca per il bagno principale a occhio e croce il doppio di quella a casa dei suoi.
« Whatever makes you happy, ginger, » era il leitmotiv che si era sentita ripetere in quei mesi, e ora aveva davvero una casa da sogno.
Ichigo avvertì il solito disagio all’altezza dello sterno, e fece una smorfia che non passò inosservata a Sakura.
« Tutto okay, tesoro? »
Lei annuì poco convinta ed esalò piano, accarezzandosi lenta la pancia prima di decidersi a parlare: « Mamma… posso chiederti una cosa? »
« Ma certo, bambina mia, tutto quello che vuoi. »
Sakura la seguì un po’ preoccupata in camera da letto, sedendosi con lei sul materasso.
« A volte mi sento un po’… poco, » mormorò dopo qualche istante la rossa, fissando il pavimento mentre cercava le parole, « E ho… paura che Ryou si senta in colpa per quello che è successo e… lui è fantastico, insomma, guarda tutto questo! Mentre io non posso… dargli altrettanto, e… e… e poi mi sento in colpa io. »
Sakura la guardò con affetto e le strinse una mano, usando il suo palmo libero per accarezzarle i capelli: « Non posso parlare a nome di Shirogane-san, né pretendo di conoscere tutti i dettagli del suo passato, ma Ichigo cara… io non credo affatto che lui cerchi da te qualcosa di materiale, né che tu debba sentirti inadeguata, » si piegò appena in avanti per cercare di incontrare gli occhi della figlia, « Tutto quello che devi dimostrare a Shirogane-san è quanto ci tieni a lui. Quanto vi amate, a prescindere da ciò che avete o meno. Non l’ameresti certo di meno se foste rimasti nel tuo appartamento. »
A quelle parole, Ichigo aveva iniziato a colorarsi pian piano in viso in una maniera tale che fu difficile per Sakura non ridere del suo imbarazzo.
« E soprattutto, tesoro, non dimenticarti la cosa più importante. Tu stai dando a Shirogane-san una famiglia, una che sia davvero sua. Sì, forse ci ha preso tutti alla sprovvista e lui vuole essere sicuro che tu sia felice, ma non devi preoccuparti di eguagliarlo in qualche maniera. Devi solo dimostrargli che sei, effettivamente, felice e quanto ci tieni a lui. L’onestà ha molto più valore. Anche se ovviamente io e papà siamo molto contenti che si possa prendere cura di te. »
Ichigo sospirò e si poggiò alla spalla della madre, respirandone il profumo rassicurante.
« Dici che ce la caveremo? »
Sakura le circondò le spalle con un braccio e la strinse: « Credo che sarete bravissimi. »
Ichigo si concesse qualche altro minuto di coccole, poi sospirò pesantemente, controllando l’ora sulla sveglia del comodino.
« Mi devo cambiare, » mugugnò, « Ho promesso che sarei andata al corso di yoga prenatale almeno due volte a settimana, e - »
Profeticamente, udirono la porta d’ingresso aprirsi e poi la voce di Ryou che chiamava: « Ehi, ginger! »
« Sono di sopra con mamma! »
Le due donne si scambiarono un’occhiata divertita, Ichigo si tirò in piedi con un altro sospiro e si avvicinò all’armadio: « Spero che non sarà così puntuale… »
Sakura nascose un sorrisetto, alzandosi e uscendo in corridoio per andare in contro all’americano che stava salendo le scale in quel momento.
« Buongiorno, Momomiya-san, » le rivolse un cenno con la testa e un abbozzo di sorriso, « Immagino che non sia ancora pronta, vero? »
« Shirogane! Non parlare male di me! »
La signora Momomiya rise un po’ più decisa, la somiglianza con la figlia quasi esagerata in quel momento: « Chiamami pure Sakura, caro. Ichigo stava giusto per cambiarsi. »
« Siamo in due ora, ci vuole tempo, » la testa rossa spuntò dall’uscio, lanciando un’occhiata in cagnesco al ragazzo, « E comunque sei in anticipo. »
« Lo sai che se fossi arrivato in orario, saremmo stati ancora più in ritardo, » la prese in giro dolcemente, « E lo sai che ho promesso a Zakuro di andarla a salvare dalla riunione con la stampa. »
Gli occhi della fidanzata brillarono furbi: « Hai trovato qualcuno da presentarle? »
« No, e non ti impicciare e soprattutto non impicciare me, è già abbastanza pericoloso proporle la cosa. Forza, preparati! »
Ichigo rispose solo con una linguaccia e si chiuse la porta alle spalle per infilarsi negli abiti da yoga più comodi che avesse, e Ryou sbuffò e si voltò verso Sakura: « Vuole un passaggio in auto, Momomiya-san? »
« Sakura, » insistette lei con un sorriso, « Ti ringrazio molto, caro, ma al contrario della mia bambina io adoro passeggiare. Abbiamo sistemato la cameretta tutta mattina, mi farà bene sgranchirmi un po’ le gambe. »
Gli occhi azzurri saettarono un secondo verso la porta chiusa: « Non si è… non vi siete affaticate troppo, vero? »
« No, non preoccuparti, » l’espressione morbida della donna si addolcì ancora di più e dovette controllare il suo sorriso, non volendo né farlo pensare che lo stesse prendendo in giro, né metterlo a disagio, « Sai, pensavo… siete cambiati molto da quando venivi a darle ripetizioni, non trovi? »
Ryou si stupì un poco di quella domanda; avrebbe voluto rispondere che sì, certe cose erano cambiate, in una maniera in cui non avrebbe nemmeno mai potuto sperare, mentre altre, ironicamente, erano rimaste sempre le stesse, ma lo scintillio nello sguardo color cioccolato gli fece capire che forse non aveva davvero motivo di spiegare alcunché.
« Già, » si limitò a rispondere con un accenno di sorriso, « Abbastanza. »
Sakura continuò a sorridergli, allungando giusto un braccio per posargli leggera la mano sul gomito in un segno di complicità e affetto.
« Okay, sono pronta, » Ichigo uscì dopo pochi istanti, un borsone da palestra poggiato sulla spalla e il broncio sulle labbra, « Devo proprio? »
L’americano le prese la borsa e le picchiettò furtivamente il naso: « Devo ricordarti che è stata una tua idea? »
« E io devo smetterla di condividerle con te. Poi non è giusto, tu vai a pranzo, io a sudare. »
« Io vado in palestra tutti i pomeriggi. »
Sakura gli si accodò lungo le scale, sorridendo sotto i baffi per i loro battibecchi innocenti, non potendo non avvertire il cuore gonfiarsi d’affetto nel constatare le occhiate che i due, pur fingendo di bisticciare, si lanciavano a vicenda.
Chissà perché mi suona così familiare.
 
 
 
 
« Immagino che questa sia una missione segreta. »
« Non farmi pentire di averti chiesto di accompagnarmi, » Ryou lanciò un’occhiataccia persistente a Zakuro, accanto a lui con un paio di grossi occhiali da sole e un Fedora a tesa larga. Aveva sì detto correttamente a Ichigo che avrebbe passato l’ora di pranzo con Zakuro; era stato un po’ meno ligio nei particolari del dove, del come, e del perché.
La modella gli rivolse solo un mezzo sorriso, facendo un gesto di saluto a un commesso mentre si avvicinavano a una teca espositiva: « Posso almeno avere un’anticipazione di quando prepararmi a essere sorpresa? »
Di nuovo, gli occhi azzurri le si rivolsero irritati: « Hai ancora tempo per esercitare le tue espressioni, don’t worry. »
« Se non ti conoscessi, direi che sei nervoso, » continuò a prenderlo in giro Zakuro, picchiettando un dito contro al vetro.
« Come se non sapessi che mi hai messo la pulce nell’orecchio a Natale apposta. »
« Io ho solo fatto una domanda molto razionale. »
« Tu dovresti fare la talpa per me. »
La modella alzò un sopracciglio: « Quando mai. Non tradirei la fiducia delle ragazze nemmeno per te, se mi facessero confidenze specifiche. »
« Mmmhm, » Ryou la guardò pungente, « Se lo dici tu. »
Zakuro si bloccò con le mani in tasca, studiandolo per qualche secondo: « Cosa staresti insinuando? »
L’americano ponderò bene sulle parole da dire, mascherando il suo ragionamento con la necessità di attirare l’attenzione di un commesso e scambiandosi con lui un paio di cenni di riconoscimento.
« Che un giorno o l’altro mi dovrete spiegare cosa ci trovate tutte in quei due. »
Pur senza guardarla, poté percepire con estrema chiarezza il modo in cui Zakuro si tese d’un tratto, continuando a studiarlo come se in realtà lo stesse sfidando a parlar chiaro.
« Non ne ho parlato con nessuno, tantomeno Ichigo, né lo sa qualcuno. Per quanto credo io, almeno, » si affrettò ad aggiungere, guardandola di sottecchi, « Ma ti conosco più di quanto ti piaccia ammettere. »
Gli occhi indaco divennero due glaciali fessure dietro gli occhiali: « Stai continuando ad evitare di andare al sodo. »
Ryou sbuffò, già quasi rimangiatosi del tutto la decisione di affrontare il discorso; perché non aveva applicato la sua bellissima, sicurissima filosofia del farsi i fatti propri?
« Listen, I don’t give a shit who you sleep with, » le disse a voce più bassa e cambiando idioma per evitare qualsiasi tipo di origliata, « Però non elevarti a paladina della giustizia quando sappiamo entrambi benissimo che qualcun altro ha i tuoi stessi… interessi. »
Se le occhiatacce avessero potuto uccidere, Shirogane sarebbe salpato da un pezzo verso l’oltretomba. Zakuro quasi non si mosse, esalando solo molto lentamente.
« Continuo a non vedere come siano affari tuoi. »
« Non lo sono, è vero. Lo diventano nel momento in cui una di voi due ci rimarrà male, e lo sai benissimo cosa succederà, ci saremo tirati tutti dentro. Né tantomeno voglio che vi facciate del male. »
« Tu hai mai affrontato il discorso con Retasu, quando aveva una cotta per te e tu non ti toglievi Ichigo dalla testa? » visto che l’Americano rimase zitto a contemplare le vetrine, Zakuro incalzò, « Allora non venirmi a fare la predica su come sia giusto comunicare o se sia necessario farlo o meno. »
Contro il suo buonsenso, Ryou ricominciò dopo pochi istanti: « Tu però sei molto più leale di me, Zakuro. E lo sai. »
« Se l’hai inteso come un complimento, faceva abbastanza schifo. »
S’interruppero quando finalmente il commesso chiamato da Shirogane riapparve dal retro con in mano un piccolo vassoio di velluto rosso, che gli piazzò elegantemente sotto al naso.
« Essenziale. »
Shirogane accettò la frecciatina ironica, sollevato solo dal vedere un mezzo sorriso sulle labbra di lei e replicando però con un’occhiataccia.
« … non va bene? »
Zakuro – in fondo, ma non troppo – gongolò un istante della sua insicurezza, visto lo scoppio precedente, ma poi gli concesse un sorriso più convinto: « Credo sarà molto contenta. È Ichigo al punto giusto. »
Ryou annuì e osservò ancora un secondo il vassoio, poi fece un cenno al commesso, che sparì nuovamente sul retro.
La modella si allontanò, vagabondando all’interno del negozio mentre ascoltava distratta l’amico che parlava con quello che sembrava il proprietario; dopo qualche altro minuto di confabulazione, il commesso ritornò con un elegante pacchettino sormontato da un fiocco dorato, che Ryou si affrettò a infilare nella tasca della giacca prima di salutare nuovamente e voltarsi verso di lei per indicarle l’uscita.
Il rumore della città in quella giornata soleggiata li investì prepotentemente, e Zakuro abbassò d’istinto il viso, nonostante il camuffamento.
« È quasi ora che la vada a riprendere, » borbottò il biondo, consultando l’orologio al polso, « Vuoi uno strappo da qualche parte? »
« L’autista mi sta aspettando all’angolo del prossimo isolato, » la mora accennò divertita verso la tasca dell’americano, « San Valentino? »
Ryou le lanciò un’occhiataccia mentre si avviava insieme a lei, esalando: « Potresti smettere di insinuare che io sia così banale e prevedibile? »
« Forse così smettiamo di insinuare a prescindere. »
Lui sbuffò poco convinto, ma colpito nel segno, e si fermò di nuovo: « È così difficile accettare che io mi possa preoccupare per voi? Soprattutto quando le cose diventano più… complicate. »
Zakuro continuò a camminare lenta, in silenzio; non le piaceva quando chiunque si impicciava dei fatti suoi – tantomeno Shirogane, che per quanto potesse dire, lei sapeva essere mosso anche da una certa avversione verso certi soggetti – né che la compatissero in qualche maniera, eppure per certi aspetti era rinfrancate sapere che esisteva qualcuno che non la ritenesse completamente stoica e infrangibile. Seppur impiccione, e a volte così ipocrita, visto il muro che era solito ergere attorno ai suoi, di fatti.
« Sono grande e vaccinata, » rispose alla fine, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quando e se avrò bisogno dei tuoi consigli, sarò la prima a chiedere. Nel frattempo, puoi stare tranquillo. »
Ryou avrebbe tanto voluto rispondere che stare tranquillo era un’espressione che aveva cancellato dal suo vocabolario sin da quando il suo bell’esperimento aveva iniettato DNA di animali in via di estinzione a quelle cinque, ma decise che era giunto il momento di chiudere la bocca, e si incamminò dietro di lei.
 
 
 
 
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Kisshu non avrebbe mai pensato di vedere il Caffè più rosa di quanto già non fosse, ma quando scese le scale quella mattina capì di essersi sbagliato: il locale era letteralmente invaso da più sfumature di rosa e rosso di quante potesse riconoscerne. Sbatté le palpebre un paio di volte, quasi accecato da tutti i cuoricini volanti che vedeva piovere dalle cameriere.
Possibile che quel posto fosse sempre un tale circo?
« Buongiorno, Kisshu nii-san! »
« Scimmietta… » Purin apparve dalla dispensa al piano inferiore con in mano un cesto pieno di fiocchi e nastri rossi, e lui la seguì in cucina un po’ confuso, « Ho la netta sensazione di starmi perdendo qualcosa.  »
La biondina rise e lasciò cadere pesantemente il cesto sul tavolo al centro.
« Oggi è San Valentino. La festa degli innamorati, » aggiunse un po’ sarcastica, notando come la spiegazione non fosse sufficiente, « Ecco perché i cuori e i fiocchi, e ancora più rosa del solito. Per noi è sempre un successone, un sacco di gente viene qui per degli appuntamenti romantici. »
« Avete un giorno per festeggiare l’amore? » domandò l’alieno, incuriosito e leggermente ironico, giocherellando con uno dei fiocchi.
Purin si strinse nelle spalle: « Succede in tutto il mondo. Le coppie si scambiano regali, hanno appuntamenti speciali ed eleganti, fiori e cioccolatini ovunque. In Giappone in realtà la tradizione vuole che siano le ragazze a regalare la cioccolata ai loro fidanzati, ancora meglio se fatta in casa. Domani vedrai quanto andranno giù i prezzi, » commentò poi divertita.
Kisshu scosse solo la testa, occhieggiando interessato Keiichiro che si univa a loro con una notevole quantità di burro in mano.
« Poi dite che quello strano sono io. »
Il pasticcere rise sottovoce mentre riprendeva a dedicarsi alle sue creazioni: « Credo che per una volta tu e Ryou-kun potreste trovarvi d’accordo su un argomento. »
« Basta non ricordarlo a Ichigo nee-san, » Purin ghignò maligna, « Direi che è la sua festività preferita, no Akasaka-san? Non ricordo di averla mai vista lavorare un San Valentino, veniva solo per usare la cucina e darsi alle creazioni di cioccolatini. »
« Credo che per quest’anno si tratterrà, » commentò dolcemente Keiichiro, « Ha solo ordinato una piccola torta per due. »
« Tra un po’ farà fatica a vedere il bancone sicuro. »
Purin e Kisshu si scambiarono una risatina mentre il moro li redarguiva con uno sguardo d’affetto.
« Buongiorno! » Minto spuntò in cucina dalla porta laterale trascinandosi dietro una voluminosa busta traboccante di pacchettini, « Il primo carico è arrivato. »
« Sììì! » Purin quasi vi si lanciò sopra, « Il lavoro della onee-sama è fantastico. »
« Fujiwara-san riceve sempre tantissimi regali dai suoi fan, e San Valentino non fa eccezione, » spiegò Keiichiro, spostando la borsa sul tavolo, « Per non sprecare nulla, Minto-chan ce li porta. Un po’ ce li dividiamo tra di noi, ma se troviamo cioccolata di buona qualità possiamo anche riutilizzarla. »
« L’ufficio della sua manager diventa una specie di giungla, tra tutti i fiori che le mandano, » sospirò la mora, « Ora vado, ho l’auto che mi aspetta, ma ci vediamo dopo per il secondo giro, d’accordo? Ne porto un po’ a voi e un po’ alle bambine. »
Kisshu sorrise sotto i baffi mentre seguiva discreto Minto in corridoio, dopo i saluti di Purin e Keiichiro. Da almeno un annetto, infatti, la mora aveva iniziato a insegnare danza, un paio di giorni a settimana, alle bimbe più piccole della scuola associata al suo vecchio teatro, catturata dalla richiesta del suo vecchio direttore artistico. In quegli ultimi mesi lui si era intrufolato un paio di volte nella scuola per andarla a prendere, in anticipo solo per il gusto di spiarla di nascosto mentre girava tra le bimbette, che più che imparare a ballare iniziavano ad interagire con la musica e i loro corpi, con sempre sul volto uno di quei rari sorrisi sinceri che incominciavano a fargli ronzare piacevolmente il ventre.
« E per me non hai portato niente? » le domandò irriverente mentre l’accompagnava verso l’uscita sul retro, con le braccia incrociate dietro la schiena.
Lei lo guardò di sbieco da sotto in su: « L’enorme busta che c’è in cucina forse non ti basta? E poi ti strafoghi già abbastanza. »
« Sì ma quella è per tutti, » si lamentò ironicamente lui, « Credevo ci dovesse essere qualcosa di speciale! »
Individuò subito la maniera in cui la schiena della mora s’irrigidì come se l’avessero tirata con un filo: « Perché mai? »
« Purin mi ha spiegato come funziona, sai, » Kisshu approfittò dell’aprirle la porta per avvicinare il volto al suo, un po’ birbante nel suo prenderla in giro, « A quanto pare, le ragazze devono portare la cioccolata ai loro ragazzi. »
Minto esitò solo un istante mentre usciva, poi lo guardò da sopra la spalla, un sopracciglio ben arcuato: « … e dunque? »     
Il verde ghignò furbescamente: « Così mi spezzi il cuore, tortorella. Stai dicendo che non sei la mia ragazza? »
Sotto sotto, ammirò la forza d’animo che la mora dimostrò nel non arrossire più del velato rosa che le colorò le guance, visto che il suo udito fine catturò con chiarezza il suo trattenere appena il respiro.
« Sto dicendo che io non faccio certo le cose banali che fanno tutti, » esclamò poi infine, altezzosa e fiera come sempre, « Se volevi qualcuno di così prevedibile, hai proprio sbagliato mira. »
Kisshu rise e la raggiunse prima che lei potesse rifugiarsi in auto, approfittando del fatto che non ci fosse quasi nessuno attorno a loro per lasciarle un bacetto sul naso.
« Ti vengo a prendere a teatro, okay? Ma non cambiarti, lo sai che il costumino da ballo mi piace. »
Minto si sforzò di alzare gli occhi al cielo e ignorare il rombo della pancia al tono di voce più basso: « Irreprensibile. »
Aspettò che fosse entrata in macchina prima di ritornare fischiettando dentro al Caffè. Appena varcato l’uscio, notò la chioma verde di Retasu uscire baldanzosa dallo spogliatoio, poi fermarsi a circa cinque passi da esso, esitare qualche istante, e infine marciare di nuovo indietro a testa bassa, un pacchettino dorato stretto tra le mani.
Kisshu represse un sorrisetto intenerito a vederla; non aveva chiesto dettagli, ovviamente, né aveva tutta questa voglia di saperli, ma era ben conscio che suo fratello fosse stato la solita testa di rapa negli ultimi mesi.
« Farei d’ambasciatore, pesciolina, ma non credo sia il caso. »
Retasu sussultò visibilmente, portandosi una mano al cuore e arrossendo parecchio quando lo riconobbe: « Kisshu-san! No, ecco… io… era solo così… »
Lui la raggiunse in tre falcate e le fece l’occhiolino, picchiettandole appena la fronte con l’indice: « Su, su, non c’è bisogno di avere un infarto. È una festa, no? »
« G-già… » mantenendo lo stesso colorito, la ragazza abbassò la testa e lo osservò da sotto in su, gli occhioni blu ancora più grandi dietro le lenti, « T-tu pensi c-che… »
Se avesse potuto, Kisshu l’avrebbe scossa per le spalle per infonderle un po’ di coraggio. O alternativamente, e forse un’idea migliore, avrebbe dovuto scuotere quell’imbecille di Pai. Si limitò invece a continuare a sorriderle, il più sinceramente possibile: « Cincischiare qui con me non sarà certo di aiuto. Ma ehi, io la tua cioccolata l’accetterei più che volentieri. »
Dapprima Retasu annuì contenta, poi quasi si soffocò nel realizzare che il verde, come suo solito, aveva condito il tutto da un’aria maliziosa che lei proprio non riusciva a digerire. E per fortuna che non c’era Minto nei paraggi.
« Kisshu-san! »
Lui ridacchiò ancora, le diede un altro buffetto sulla testa, e si dileguò fischiettando al piano di sopra, le braccia incrociate dietro la nuca.
Retasu prese un respiro profondo e, con passi estremamente lenti, raggiunse l’inizio delle scale che portavano al laboratorio. Le sembrarono ancora più buie del solito, o forse era semplicemente il battere furibondo del suo cuore che le oscurava la vista. Anche i rumori festosi e più allegri che mai del Caffè erano affievoliti, alle sue orecchie ronzanti. Si diede della stupida; Kisshu aveva ragione, no, non era altro che una sciocca festività comandata e lei aveva soltanto pensato di fare un gesto carino. Così come era successo per tutte le altre feste dal loro ritorno, per farli sentire parte del gruppo… giusto?
Come no.
Prese un’altra boccata d’aria, meditando seriamente di filarsela nuovamente in spogliatoio e mollare quella cioccolata a Purin, che di certo l’avrebbe apprezzata moltissimo. Invece raddrizzò le spalle, strinse la presa sul pacchetto, e quasi volò giù dalle scale, rischiando tra l’altro di inciampare nell’ultimo gradino e finire la corsa lunga distesa col naso per terra.
Si impose di darsi un contegno, pregò di non svenire visto che il suo cuore le bloccava il petto e la corretta inalazione d’aria, e poi bussò piano alla porta del laboratorio.
Visto il tempo che passavano chiusi lì sotto e la quantità di spuntini e bevande consumate – soprattutto da uno di loro – Keiichiro aveva installato un sistema automatico di sblocco della porta controllato da un pulsante, videocamera inclusa, così che nessuno dovesse fisicamente alzarsi o abbandonare per cinque secondi i preziosissimi calcoli che scorrevano davanti allo schermo. Retasu trovò quindi Pai seduto alla scrivania quando, una volta udito il bip e lo schiocco della serratura, aprì uno spiraglio largo abbastanza per farci passare la testa; immediatamente si sentì in preda al panico, lui stava ancora lavorando, cosa poteva interessargli delle sue sciocchezze?
« Ti… ti disturbo, Pai-san? »
L’alieno distolse gli occhi dal monitor per una frazione di secondo: « No, sto solo finendo di controllare dei dati. »
Lei zampettò dentro, titubante e come sempre avvezza ma a disagio dalla brevità e dai modi bruschi del ragazzo. Con la coda dell’occhio, notò sull’attaccapanni il berretto che gli aveva confezionato per Natale, e sebbene sapesse che gli serviva più a nascondere le orecchie che a contrastare il freddo, quando si avventurava fuori dal laboratorio, non poté impedire la capriola del suo stomaco. Non che ci fosse stata chissà quale novità dalla loro conversazione quella sera, si ricordò; anzi, una parte di lei aveva pensato che lui si fosse in qualche maniera ritratto più del solito, e che quella era stata in realtà la loro ultima, vera conversazione intera. Sì, avevano parlato nei mesi successivi, ma erano stati scambi ancor più brevi di parole non molto pregnanti, come se lui fosse stato più cauto nei suoi confronti, quasi più remissivo. Ma lei l’aveva seguito con lo sguardo, e aveva sentito lo sguardo ametista su di sé, e si era ripromessa, come buon proposito dell’anno nuovo, di avere un po’ più di fiducia in sé stessa, e dunque…
Dunque, fece un passo all’interno della stanza, le mani e la cioccolata nascoste dietro la schiena, sbirciando quel monitor che non sapeva decifrare.
« Posso tornare dopo, se non è un buon momento. »
Pai scosse la testa, digitò qualche altra cosa sulla tastiera, e voltò la sedia completamente verso di lei: « Ti servivo per qualcosa? »
Retasu si morse furtivamente un labbro; aveva pensato a cosa dire, ma ovviamente in quel momento il suo cervello era completamente in pappa.
« Sai come… insomma, avrai visto che ci sono un sacco di festività sulla Terra, e tutte con un significato diverso, e ogni volta finisce che voi non sapete mai cosa stia succedendo… »
Si arrischiò a fare qualche altro passo in più nel laboratorio, gli occhi scuri che continuavano a scrutarla, incuriositi e un po’ confusi.
« O-oggi è San Valentino, e… u-una festa che… e ho pensato… ecco, tieni, » divorò le ultime sillabe e per poco non gli lanciò il pacchettino addosso, piegandosi quasi a metà in un inchino imbarazzato.
Di sottecchi vide le lunghe dita dell’alieno stringersi attorno al pacchetto e scartarne un angolo, indeciso.
« Non capisco. »
A Retasu venne da sorridere, nonostante l’infarto in procinto di scoppiarle in petto. Sicuramente il suo proposito di spiegare la situazione non era andato a buon fine.
« Cioccolata. L’ho… l’ho fatta io. In Giappone è uso che in questa giornata le… ragazze la preparino per… » boccheggiò, sentendo le guance diventare ancora più roventi del solito e cercando disperatamente una maniera per esprimere il concetto senza pronunciare parole fin troppo rilevanti, ma fallendo miseramente, « … ecco, insomma. »
Il viso dell’alieno rimase stoico, bruciandole la sommità del capo che lei continuava a tenere rivolto verso il basso.
« N-non so se hai notato il locale, oggi, » esalò lei con un filo di voce e una risatina nervosa, alla fine, solo per spezzare quell’orrido silenzio teso.
Pai proseguì a non dire una parola, continuando a fissare ora lei, ora la cioccolata come se fossero pezzi di un puzzle irrisolvibile. Retasu resistette tre secondi in più prima di scattare dritta come una molla ed esalare di un fiato:
« Non sapevo se ti sarebbe piaciuta così, non ti vedo mangiare spesso neanche i dolci di Akasaka-san, quindi non ti sentire in dovere, era solo un… un pensiero, » raccolse tutto il suo coraggio per mostrare un sorriso convinto (che però le riuscì solo tremolante), e si avviò verso la porta, « Per rendervi partecipi della festa, ecco. Ora devo proprio… »
« Retasu. »
La voce cupa la fermò quando aveva già una mano sulla porta, forzandola a voltarsi quasi controvoglia mentre sentiva già gli occhi pizzicarle. Con sua sorpresa, l’espressione sul volto di Pai era quasi sofferente: « Grazie, » riuscì solo a mugugnare.
La ragazza gli rivolse un altro sorriso, il rossore che le colorò anche il collo, e sgattaiolò via. Quando la udì rifugiarsi al piano di sopra, l’alieno si lasciò andare con uno sbuffo contro lo schienale della poltrona. Scartò un po’ di più la confezione dorata, rivelando una cioccolata dal colore intenso e dalle forme distinte; la sua origine casalinga era chiara, ma al tempo stesso rivelava una cura e un’abilità non indifferenti. Con cautela, la posò sulla scrivania, mentre il senso di fame veniva rimpiazzato da quello che gli sembrava senso di colpa, e non gli piacque per niente.
Dannazione.
« Non credo ne arriverà altra, farai meglio a mangiare quella. »
Kisshu apparve silenziosamente sull’uscio, cogliendolo di sorpresa; per tutta risposta, Pai lo trucidò con lo sguardo, ma il fratello si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sono arrivati dei messaggi sul canale di comunicazione criptato, » rispose in tono piatto, poggiandosi con la spalla allo stipite, « Pensavo di andare a fare un giro a controllare. »
Il maggiore emise un grugnito esasperato; l’ultima cosa che gli ci voleva era la sfacchinata fino all’astronave, per dei messaggi che la maggior parte delle volte erano semplicemente inconcludenti.
« Io te l’avevo detto di spostare uno dei comunicatori qui, ma mi sai che sei stato troppo impegnato. »
Non riuscì a controllarsi, e una scarica elettrica colpì quel ficcanaso lingualunga di Kisshu dritto al braccio, strappandogli una sequela di parolacce irripetibili.
Avrebbe piovuto fuoco prima che lui ammettesse mai che suo fratello avesse ragione.
 
 
 
 
Ryou aspettò il doppio bip che segnalava la chiusura dell’automobile prima di infilarsi le chiavi nella tasca del cappotto e salire le scale di casa, ben attento a non sballottare il mazzo di fiori che teneva in mano.
Nonostante in Giappone San Valentino prevedesse in teoria che solo le ragazze regalassero cioccolata ai loro fidanzati, lui in primis per certe cose sentiva ancora la spinta della sua metà americana, e in secundis conosceva benissimo le debolezze romantiche della sua dolce metà in piena tempesta ormonale.
« Ginger, I’m home! »
« In cucina! »
In effetti, abbandonati cappotto e borsa del pc, lui seguì il profumino che aleggiava alla sua destra, e quando svoltò l’angolo dell’entrata vide il tavolo da pranzo ricolmo di piatti diversi e, al centro, una piccola torta su cui riconobbe immediatamente la mano di Keiichiro.
« Ho ordinato tutto! » si difese subito divertita Ichigo, con indosso un vestito rosso a pois con un fiocco sotto al lato sinistro del seno che le fasciava dolcemente la pancia.
Lui sbuffò e scoprì i fiori che aveva nascosto dietro la schiena: « Non ti ci vedevo molto a cucinare un intero pollo arrosto. »
« Antipatico, » la rossa fece una smorfia e infilò il naso direttamente nel mazzo, ispirando forte, « Non dovevi però! »
« Non significa che tu non volessi. »
Ryou le prese il volto tra le mani e la baciò teneramente, mezzo sorprendendosi quando la avvertì sospirare piano e illanguidirsi contro al suo corpo, tirandosi sulle punte piedi e incrociando le braccia dietro al suo collo – decisamente gli ormoni di Ichigo sarebbero sempre rimasti un mistero per lui, visto che solo quella mattina l’aveva beccata a piangere ascoltando struggenti canzoni d’amore.
« Guarda che si fredda la cena, » le mormorò divertito, sfiorando un’altra volta il naso di lei con il proprio.
« Giusto! » Ichigo tossicchiò e balzò indietro con fin troppa agilità, affrettandosi in salotto per prendere un vaso dove riporre i fiori, « Tu siediti, io arrivo! »
Il biondo rise sotto ai baffi, accomodandosi alla sua solita sedia a un’estremità del tavolo: « Com’è andata la visita? »
« Tutto bene, » rispose lei, ritornando con in mano un pacchettino, « Papà è stato contento di potermi accompagnare. »
« Di non avermi tra i piedi. »
La rossa gli lanciò un’occhiataccia un po’ divertita, poi gli si sedette sulle ginocchia e gli porse il regalo: « Al posto della cioccolata. »
Ryou lo scartò, rivelando una tutina bianca a tema Star Wars con sopra scritto “I’m a Jedi, like my father before me”(***), che gli strappò un risolino: « Ti ho finalmente corrotta? »
« No, » Ichigo scosse la testa mentre gli si stringeva un po’ di più addosso, « Ma tanto so che non avrò scampo. Spero solo mi assomigli almeno un po’. Già il gene dei capelli rossi è recessivo. »
Gli occhi azzurri si sgranarono appena, sorpresi e compiaciuti, poi Ryou le scompigliò la frangetta come quando era ragazzina: « Don’t worry, you’ll always be my favorite ginger. »
La rossa impiegò qualche secondo a recepire la frase, nonostante si stesse ormai sforzando di comprendere sempre più la lingua madre del ragazzo (e lui stesse di contro aumentando la frequenza con cui la utilizzava), poi arrossì contenta e avvicinò il viso quanto più possibile al suo.
« Ti amo, » farfugliò emozionata e a bassa voce, sentendo lo stomaco rotolarle come se davvero avesse avuto quindici anni, « E lo so che è scontato e banale dirlo a San Valentino e che tu detesti le feste comandate, ma io ti amo, e - »
Non fece in tempo a finire la frase che le labbra del ragazzo catturarono le sue, trasformandola in un mugolio indefinito.
« Avevo… altre cose che… » borbottò sottovoce mentre già Ryou si poggiava al tavolo per fare leva e invitarla, un po’ bruscamente, ad alzarsi.
« Me le dici dopo, » la interruppe lui ancora in un sussurro roco, prendendole il viso tra le mani e camminando all’indietro senza smettere di baciarla. Ichigo sbuffò, ma le sue dita avevano già preso ad armeggiare con i bottoni della camicia di lui:
« La cena… si fredda… » ripeté divertita, e poi le scappò uno strilletto quando il biondo passò una mano sotto le sue ginocchia e la prese in braccio all’improvviso, portandola deciso al piano di sopra.
« I don’t really care, do you? »
Ichigo non pensò minimamente a protestare oltre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Non sono impazzita, è vero: siccome il Natale è un concetto molto diverso in Giappone da quello occidentale, è molto comune concedersi il pollo fritto da KFC come cenone :D Il cenone americano invece ricorda molto il Ringraziamento, con il super tacchino farcito, il purè di patate che è più panna che patate (aaaah i ricordi <3), la salsa di mirtilli… etc. etc. :)

(**) Episodio 10, La squadra si completa, ovvero la puntata in cui si rivela che Zakuro è l’ultima Mew Mew.

(***) Cit. Luke Skywalker, da Star Wars Episodio VI – Il ritorno dello Jedi. E sì, le tutine così esistono davvero, chi sono io per non googlare idee xD

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Capitolo 5
*** Another spring ***


Chapter Five – Another spring

 

 

 

 

 
 
 
 
I giorni passarono, la pancia di Ichigo cresceva, e un altro suo compleanno trascorse festeggiato in compagnia – anche se in maniera molto più tranquilla e a casa Shirogane, ora diventato il secondo luogo di ritrovo preferito dopo il Caffè (senza ovviamente che il padrone di casa potesse lamentarsi troppo della cosa), visto anche che le abilità deambulatorie della rossa – di cui già non aveva spiccato in precedenza, geni felini o meno – andavano via via abbassandosi. I risentimenti di Shintaro nei confronti dell’americano, invece, non accennavano a diminuire, identificando in lui il solo responsabile della circuizione della sua adorata figlioletta; i mille interventi pacificatori di Sakura, che era passata dalle blande moine nei confronti del marito a vere e proprie minacce tra cui l’esilio perpetuo sul divano, avevano ottenuto almeno l’esito di un passaggio verso un trattamento del silenzio invece che un continuo borbottio di disapprovazione ad ogni incontro con i futuri genitori.
Parimenti, e in concomitanza con la sempre maggiore evidenza che gli esseri di sesso maschile che bazzicavano più spesso per il locale erano già stati accalappiati, crescevano le animosità delle cameriere del Caffè verso le loro colleghe più veterane e compagnia, in un tumulto di falsi sorrisetti e bisbigli dietro le spalle che avevano il risultato di far ridacchiare Purin sotto i baffi, agitare Retasu, e scatenare gli ormoni già poco controllabili di Ichigo.
In quel momento, difatti, la rossa se ne stava appollaiata sullo sgabello della cassa in abiti quotidiani (l’uniforme aveva smesso da un bel pezzo di andarle bene e tutti avevano concordato non avesse alcun senso aggiustarla) a lanciare occhiatine di fuoco a due delle sue collaboratrici.
« Guardale, le vipere, » sibilò non appena Retasu le si avvicinò con un sorriso e in mano un conto di uno dei tavoli, « È tutto il giorno che sghignazzano nell’angolo, ma che avranno tanto da dirsi? »
La verde seguì la direzione del suo sguardo: « Credo che Kisshu-san sia sceso dopo aver fatto la doccia, ho sentito qualcosa come maglietta appiccicata… »
Ichigo emise qualcosa di simile a un ruggito, ignorando totalmente il disagio dell’amica a dover rivelare quella notizia, gli occhi che le brillarono maligni: « Possibile che Minto-chan non se ne sia accorta? Lei sì che saprebbe metterle a posto… »
Retasu quasi boccheggiò e rise nervosamente, dandole dei piccoli colpetti sulla mano: « Su, Ichigo-chan, non credo bisogni arrivare a tanto… »
« Magari chiedo a Shirogane di licenziarle. Per oltraggio a una collega. »
L’amica sospirò afflitta, ben conscia che in realtà a Ichigo pesasse molto il fatto che le altre la ritenevano in qualche modo privilegiata solo perché, vista l’ingombrante pancia di più di otto mesi e il bisogno tassativo di riposo che continuava a ignorare perché a casa si annoiava, era stata spostata a marcare la cassa per le tre ore al giorno che Ryou le concedeva di passare al Caffè.
« La cosa migliore è lasciarle perdere, » insistette pacata, continuando a picchiettarle il polso, « Altrimenti darai solo loro soddisfazione. E poi non ti fa bene agitarti. »
Ichigo si accarezzò il ventre e sospirò più forte, piegando la testa da un lato: « Reta-chan, a volte vorrei tanto essere come te. Io vorrei solo… uugh! »
La rossa strinse forte i pugni, mimando qualche tipo di risposta fisica nei confronti delle altre cameriere, e la povera Retasu tentò nuovamente di blandirla, terrorizzata che potesse in qualche maniera causarsi da sola un travaglio prematuro lì sul pavimento del Caffè o – peggio – che Ryou la beccasse in piena crisi nervosa quando le ripeteva ogni venti minuti che doveva star calma.
« Ichigo-chan, ci stiamo dando al karate? » Purin uscì dalla cucina con un vassoio strapieno e le rivolse uno sguardo divertito, « Pensavo saresti passata da me, in caso. »
« No, sto solo progettando come liberarmi di Tamiko-san e Kayio-san, » replicò in un borbottio, « Se hai qualche idea, spara pure. »
« Chieko-san però non è male, » la biondina lanciò un’occhiata alla terza cameriera, con un infausto taglio a scodella, impegnata a prendere un ordine dall’altra parte del locale, « Se ne sta quasi sempre in disparte, a volte mi fa tenerezza. »
Ichigo emise un verso di superiorità col naso che alle altre due ricordò molto una certa loro amica: « Per fortuna che qualcuno che si fa i cavoli suoi c’è! »
Mentre le altre due si scambiavano un’occhiatina divertita e Purin andava a consegnare gli ordini, la rossa esalò l’ennesimo sospiro e poi uno sbuffo più accennato quando la creaturina dentro il suo ventre cominciò a scalciarle precisa la milza.
« Uguale a Shirogane, » scherzò verso Retasu, che l’aveva guardata un po’ preoccupata, massaggiandosi piano il punto dolente per cercare di placare il nascituro, « Sempre a sgridarmi! »
La verde rise e allungò piano una mano per sentire anche lei i calcetti, Ichigo che parve dimenticare la questione precedente lanciandosi in risolini complici e mostrandole una sfilza di foto dei vari completini, giocattoli e accessori acquistati, e per qualche istante sembrò tornare il sereno.
Almeno finché la porta d’ingresso non annunciò con un tintinnio l’entrata di Kisshu e Minto, lui come al solito ghignante e lei corrucciata e presa da un’evidente predica. Le due alla cassa si scambiarono solo un’occhiatina divertita – ormai abituate anche alle strane dinamiche di quei due – e poi Retasu rivolse all’amica mora un’occhiata un po’ preoccupata.
« Buongiorno, Minto-chan, Kisshu-san. Tutto bene? »
Arrivata alla cassa, l’ex ballerina mollò con un pesante tonfo la borsa sul bancone di legno.
« Qualcuno qui si è dimenticato di avvisare che fosse il suo compleanno, oggi, » berciò con tono di supponenza, guardando Kisshu in cagnesco, « E adesso ha deciso che vuole una festa! »
« Kisshu-san! » perfino a Retasu scappò una nota di rimprovero, « Alla fine l’hai scoperto? »
« Come volevasi dimostrare, il cervellone di sotto ha fatto i conti. Voi vi gasate sempre così tanto, non volevo perdermi l’occasione, » lui ghignò e poi lanciò un’occhiata alla mora accanto a lui, « Comunque non voglio una festa, l’unica cosa che mi interessa è la torta con le candeline, e visto che abbiamo una pasticceria di riferimento… »
Minto scosse appena la testa, serrando le palpebre per un secondo: « Se ti fossi ricordato prima del tuo pozzo senza fondo di stomaco avremmo potuto organizzare qualcosa di meno infantile e non prendere la prima torta rimasta. »
« Non tutto deve essere fatto in grande, tortorella, » continuò invece lui a prenderla in giro, impassibile, « E non capisco perché tu te la prenda così tanto. »
 « Perché ti sembra che io non sappia quando - » la mora s’interruppe e sbuffò contrariata, girando il viso dall’altra parte, rivolgendosi direttamente a Retasu, « C’è qualcosa che possiamo usare o no? »
La verde, già agitata dal nervosismo di Minto – mentre Ichigo continuava a sogghignare sotto i baffi, trovando il puntiglio della mora molto divertente – si sforzò di fare il sorriso più convincente che potesse: « Sono sicura che Akasaka-san troverà una soluzione. E possiamo fare una merenda tutti insieme sulla terrazza, alla chiusura. »
« Grazie, Retasu-chan, sei molto più utile di altre persone, » Minto rilassò appena le spalle ma lanciò comunque occhiatacce a Kisshu e Ichigo, poi si ravvivò i capelli e riprese la sua borsa, « Ma magari non sbandieratelo ai quattro venti, non vorrei che certa gente si mettesse strane idee in testa. »
« Ah-ah! » Ichigo esclamò trionfante, battendo un pugno sul bancone mentre seguiva lo sguardo altezzoso dell’amica verso il cruccio della sua giornata, « Lo sapevo che te n’eri accorta! »
« Non sono molto discrete, » commentò lei a naso arrogantemente in su, « E sono tentativi un po’ disperati, siamo oneste. »
Retasu sospirò pesantemente, scambiandosi un ultimo sguardo con Kisshu mentre le altre due cominciavano a confabulare minacciose, e tornò ad occuparsi dei clienti anche per non dare adito ad ennesimi scontri con le altre cameriere.
Tuttavia, forse anche lei doveva ammettere che Tamiko e Kayio sembravano cercare molte opportunità per non risultare particolarmente simpatiche. Quando ritornò in cucina con un vassoio ricolmo di stoviglie sporche, la scena che le si palesò davanti fu al tempo stesso ridicola e fastidiosa.
La larga schiena di Pai era infatti rivolta verso di lei mentre l’alieno, giustamente camuffato, si concedeva un sorso di tè freddo e una pausa dal laboratorio – probabilmente anche in cerca del fratello scansafatiche; accanto a lui, impegnata ad arrotolarsi una ciocca di capelli castani sul dito con un sorriso inequivocabile, stava Kayio, l’altro braccio a tenere il vassoio poggiato contro al ventre e il corpo inclinato da una parte nel chiaro tentativo di risultare più avvenente.
Nemmeno si accorse – o più probabilmente la ignorò di proposito – dell’entrata di Retasu, che quanto più silenziosamente possibile nonostante i bicchieri che tintinnarono minacciosi cercò di spostarsi lungo il lato della stanza e raggiungere il lavandino accanto a loro; persistette invece a parlottare e ridere quasi da sola, sbattendo le ciglia e ammiccando quanto più sensualmente possibile.
Ciò che nonostante tutto tingeva di comico la scena per Retasu e le calmava un pochetto il rombare del suo stomaco era il fatto che Pai sembrava nemmeno non dare adito alla presenza di Kayio accanto a lui. Continuava imperterrito a sorseggiare dal suo bicchiere, come se davanti a lui ci fosse stata solamente il muro e non una ragazzina in tenuta da cameriera che stava palesemente flirtando con lui. Quasi quasi, Retasu l’avrebbe encomiata per la sua faccia tosta e il suo coraggio ad esporsi in maniera così aperta quando la risposta era quella.
E lei ne sapeva qualcosa dell’impassibile glacialità dell’alieno.
Senza dire una parola, Pai si voltò verso di lei – dando quindi quasi completamente le spalle a Kayio, che si zittì dopo circa dieci secondi – e le prese il vassoio dalle mani, posandolo per lei vicino al lavandino.
« Grazie mille, Pai-san, ma non c’era bisogno che - »
« Oh, Midorikawa-san, non far fare le cose ai nostri ospiti, » commentò l’altra cameriera con velenosa dolcezza, « Non sono certo qui per questo. »
« Veramente io - »
« Yuu-uuuh, Kayio-san, » la testa di Ichigo spuntò dal passavivande all’improvviso, « Il tavolo cinque e il nove stanno aspettando, e il dodici è da sparecchiare. »
Il viso di Kayio divenne un’educata maschera di stizza: « Arrivo subito, Ichigo-san, grazie dell’avviso. »
Con un’ultima occhiataccia a Retasu e una più languida a Pai, la morettina si dileguò a schiena dritta e mento all’insù.
« Vipera, » sussurrò di nuovo Ichigo prima di voltarsi ancora verso la cassa. Con una risatina e l’animo pieno di gratitudine nei confronti della sua amica, che dalla prima volta in cui l’aveva trovata in difficoltà a causa del suo carattere docile era stata in guardia anche per lei, la verde seguì la larga schiena di Pai verso il corridoio esterno.
« Non so se sia confortante o snervante che voi femmine vi comportiate alla stessa maniera anche in galassie diverse. »
Retasu si aggiustò gli occhiali sul naso, leggermente indispettita: « Voi femmine non è una cosa molto carina da dire, Pai-san. »
« Hai ragione, » lui si fermò quasi bruscamente sul primo gradino che portava al laboratorio, voltandosi verso di lei ora praticamente alla stessa altezza, « Ma non capisco i vostri… bisticci. »
Ogni tanto anche la ragazza stessa si domandava come una mente così geniale poteva essere così ottusa.
« Kayio-san ha evidentemente un debole per te, » commentò con nonchalance, « E ciò la rende… sgradevole nei confronti di altre persone. Ichigo forse a volte esagera, ma cerca di proteggermi perché… »
« Perché tu sei troppo buona, » concluse lui al posto suo.
Retasu sentì le guance arroventarsi e annuì con la lingua impastata: « Io non… non amo litigare con le persone, soprattutto per motivi futili. »
Si arrischiò a incontrare le iridi ametista sopra il bordo degli occhiali, trovandole come sempre a scrutarla come per decodificare ogni centimetro di lei. Se solo avesse avuto il coraggio di dirgli che non era lui il motivo futile, ma che solamente, se lui avesse avuto altri interessi, lei non si sarebbe certo messa in mezzo.
« Mi sembra intelligente, » commentò lui sottovoce, con un abbozzo di sorriso, « Cosa che non si può dire di Kayio, visto che pare non comprendere la necessità di non disturbare la gente. »
« Pai-san! » Retasu non riuscì a evitare la risatina che le sgorgò dalle labbra, prontamente coperte dalle dita, né il rossore che le continuò sul volto a udire anche lo sbuffo basso e divertito di lui.
Prese un altro respiro e lo scrutò ancora: « Kisshu-san ci ha detto che oggi è il suo compleanno, stiamo pensando di organizzare qualcosa dopo lavoro in terrazzo. Di semplice, però. »
Pai sbuffò: « Gli date troppo retta. »
« Trovo carino che si voglia… integrare del tutto, » commentò lei un po’ esitante, « La sua curiosità per certe cose è quasi… dolce. Anche se un po’ infantile. »
« Dolce e Kisshu non possono stare nella stessa frase a meno che tu non ti stia riferendo a quelli commestibili. »
La verde quasi si strozzò con il suo stesso fiato; possibile che quel giorno l’algido alieno fosse così in vena di spirito? Cos’era quella nota positivamente ironica che sentiva nelle sue frasi e che le faceva sfarfallare il petto a ogni risata?
« Ma ti do pienamente ragione sull’infantile, » Pai la osservò un paio di secondi mentre lei continuava a ridacchiare, lo sguardo cobalto rivolto verso il basso, « Tra pochi giorni sarà anche il tuo compleanno, giusto? »
Se possibile, Retasu assunse una sfumatura ancora più violacea mentre annuiva velocemente, intontita dal fatto che lui era in possesso di quella informazione.
« Non… non ci hai mai detto quand’è il tuo, invece. »
« Fine dicembre. Giorno più, giorno meno. »
« Ma… allora non abbiamo festeggiato! »
Lui quasi si rammaricò dell’espressione abbattuta che le passò sul volto: « Non mi piace festeggiare. E mi avevi già fatto un regalo, » si affrettò ad aggiungere.
« Già, » la ragazza si morse il labbro e gli lanciò un’altra occhiata, schiudendo le labbra, « Sai, pensavo che - »
« Nee-chan! » la voce allarmata di Purin la fece sobbalzare e quasi venire un infarto, « Nee-chan, sono arrivate tipo dieci pensionate tutte insieme, ci serve una mano! »
Con una mano sul petto, Retasu si voltò verso la biondina, alla fine del corridoio con un vassoio straripante di piatti e bicchieri vuoti.
« A-arrivo subito. »
« Ichigo-chan sta continuando a battere conti alla cassa, tra poco le verrà una sincope. »
La verde sentì Pai sbuffare dal naso in maniera un po’ ironica mentre lei si accodava già dietro a Purin; girò il viso – rischiando di inciampare brutalmente – e lo guardò da sopra la spalla: « A… dopo? »
Anche nella penombra delle scale che lui aveva iniziato a scendere, scorse l’ombra di un sorriso di conferma.
 
 
 
 
A fine giornata, si ritrovarono effettivamente tutti – meno le sgradite compagnie – sul balconcino del Caffè, in cui Keiichiro aveva allestito un tavolo centrale con sopra vari stuzzichini, più dolci che salati viste le preferenze di Kisshu, e una semplice ma bella torta al triplo cioccolato sormontata da ventitré candeline.
« Visto, non c’era niente di cui lamentarsi, » gongolò il festeggiato a Minto dopo aver esaudito il desiderio di concedersi quell’umana tradizione, « In cinque minuti, tutto fatto. »
La mora alzò gli occhi al cielo, sbuffando in maniera esagerata fin per lei: « Devi solo ringraziare l’estrema gentilezza di Akasaka-san, disorganizzato che non sei altro. »
« Nee-chan, guarda che è vietato arrabbiarsi coi festeggiati. »
« Grazie, scimmietta, tu sì che sai mantenere lo spirito dell’occasione. »
« Oh ma per favore, solo perché siete entrambi appena usciti dall’adolescenza! »
Mentre, giusto per continuare a innervosirla, Kisshu e Purin si prodigavano in strane smorfie e atteggiamenti decisamente infantili, Ichigo ridacchiò e ingollò una generosa forchettata di torta, che fu però seguita da una smorfia e uno sbuffo mentre la creaturina nel suo ventre reagiva fin troppo entusiasticamente all’arrivo di zuccheri extra.
« Tutto okay, Ichigo? »
La rossa alzò appena lo sguardo verso Zakuro, comparsa con discrezione accanto a lei, e annuì massaggiandosi il costato: « Mi sa che non ne posso più mangiare… »
La modella rise appena della sua espressione afflitta mentre abbandonava il piattino sul tavolo e si poggiava le mani dietro la schiena per stiracchiarsi.
« Manca poco, no? »
Ichigo annuì e ricambiò il sorriso, però poi abbassò un po’ la voce, accarezzandosi protettiva il ventre: « Anche se in realtà vorrei rimanesse qui dentro ancora un po’, » mormorò con una punta di preoccupazione, « Finché è qui, sento che posso fare da… bolla di sicurezza. Invece quando sarà fuori ci saranno così tante cose che non potrò controllare, tante cose da decidere… poi pensa se mi esce pelosa e con le orecchie da gatto! »
Zakuro, divertita dall’ultima affermazione, scelse di non farle notare che aveva accidentalmente utilizzato il femminile e le sorrise affettuosamente mentre le sfiorava la pancia: « Vedrai che andrà tutto bene. In caso contrario, ce la prendiamo con Shirogane. »
Anche Ichigo sogghignò, poi la guardò da sotto in su: « Tu come stai, nee-san? »
La mora annuì piano: « Tutto a posto, Ichigo, » commentò pacata, « Solo un po’ stanca, con la primavera cominciano a moltiplicarsi gli impegni in vista della pausa estiva. »
La rossa sembrò accettare la risposta senza troppi dubbi, e ricominciò a parlottare allegramente con lei. Non era necessariamente tutta una bugia, alla fine. Stava lavorando molto di più, quello era vero; che avesse scelto lei stessa di prenotarsi molti più impegni era solo un dettaglio collaterale. Un piccolo effetto indesiderato del suo desiderio di indipendenza.
E di quella lealtà che, in effetti, aveva imparato a dimostrare anche ad altri e non solo a sé stessa.
Alzò lo sguardo velocemente su Retasu, che con un sorriso timido fingeva di ascoltare una Purin completamente su di giri mentre chiaramente il suo corpo era più impegnato a cercare di non andare in iperventilazione vista la vicinanza di un certo alieno dagli occhi ametista, il viso inespressivo ma assolutamente rilassato. Ed era un’espressione che nemmeno lei aveva visto spesso.
« Retasu è innamorata di te, » gli aveva detto chiaro e tondo una sera di fine febbraio, quando lui si era palesato senza annunciarsi da lei. Non aveva mai avuto bisogno di molti giri di parole, li trovava solo uno spreco di tempo, ed erano sempre stati molto chiari su cosa fossero. Dato che aveva percepito qualcosa, un’esitazione, un’incertezza, nel comportamento di Pai da dopo il più che timido tentativo di Retasu di dichiararsi a San Valentino (Ichigo ne era in qualche modo venuta a conoscenza e non aveva fatto segreto con nessuno di quanto disapprovasse il fatto che l’alieno, a parer suo, non avesse ringraziato o fatto abbastanza di ritorno), aveva deciso lei stessa di agire, di mettere le cose in chiaro. Di chiuderla, e non pensarci più, prima che diventasse troppo tardi.
« Lei è innamorata di te, e tu ci tieni a lei, » si era quasi divertita dell’espressione impercettibile che aveva attraversato il viso di marmo, quasi offeso dall’essere anche leggermente leggibile da qualcun altro, « Quindi smettiamola di prenderci in giro. È meglio per tutti. »
Cosa facesse o pensasse lui in quel momento, o perché ci stesse mettendo così tanto a fare qualcosa con la dolce Retasu, non erano più fatti suoi.
Zakuro aveva fatto ciò che necessario. Come ogni volta. Il sorriso contento dell’amica le sarebbe bastato.
« Vedo che come al solito battete la fiacca. »
Ryou spuntò dall’entrata con un sorriso irriverente e un sopracciglio alzato.
« È il compleanno di Kisshu nii-san! »
« Come se non scroccasse abbastanza, » il festeggiato e l’americano si lanciarono la solita occhiataccia sarcastica, il primo troppo impegnato a riempirsi ancora la bocca di cioccolato per essere davvero infastidito.
Il biondo ignorò il tavolo di cibo e si diresse a passo deciso verso Ichigo, che sfoderò la sua miglior espressione innocente.
« Ne ho mangiato un pezzo piccolissimo, giusto un assaggio, Zakuro-san può confermare! »
La modella nascose un sorrisetto dietro il bicchiere di succo di frutta alla stoica faccia dell’amico: « Confermo. »
« Non voglio sentire lamenti, poi, » Ryou picchiettò con l’indice il naso della rossa, poi afferrò una delle sedie arrangiate lì attorno e quasi la costrinse a sedersi.
Ichigo alzò gli occhi al cielo, sedendosi con uno sbuffo, e all’improvviso sembrò recuperare tutta la sua energia: « C’è qualcosa di cui mi devo lamentare, quelle insopportabili e scortesi cameriere che tu hai deciso di assumere! »
« Ginger, please… »
« Sono delle vipere! Anche stamattina non hanno fatto altro che parlottare alle nostre spalle, e quell’odiosa di Kayio stava anche trattando male Reta-chan! Vero?! »
Sentendosi chiamata in causa, Retasu tossicchiò su una tartina e scosse la testa: « Ma… ma no, era solo che… »
« Stava facendo la smorfiosa come al solito, e per farlo stava mettendo in cattiva luce Reta-chan, » insistette Ichigo, una chiara smorfia di disgusto in volto, « Le ho detto di tornare al suo lavoro. »
« Ichigo! »
« Be’! Come cameriera più senior credo di avere dell’autorità! Non è che si può passare il tempo a flirtare! »
« Tu dici, Ichigo? »
La rossa guardò in cagnesco Minto, che a sua volta le stava rivolgendo un sarcastico sopracciglio arcuato: « Stamattina eri d’accordo con me riguardo i commenti su Kisshu. »
« Uh? Che commenti? »
« Scordatelo. »
« Vai in giro un po’ troppo svestito, nii-san. »
« Fa tutto parte del fascino, scimmietta. »
« Ma per favore… »
In previsione del battibecco in arrivo, Ryou smise di ascoltare e poggiò entrambe le mani sulle spalle di Ichigo a mo’ di avviso di non agitarsi troppo, e lei lo guardò da sotto in su: « Potremmo… trovarne di più simpatiche. »
« Direi che non è per niente il momento, Momomiya, ho altre cose a cui pensare. E infatti, io e te dobbiamo andare, anche perché sta per venire un temporale. »
« Dai, non essere negativo, capo! » lo rimbrottò Purin, un dito sollevato tra due vassoi a fare la conta su quale dei cinque dolcetti fare il bis, « È ancora un bellissimo pomeriggio. »
Il tuono che risuonò lontano sembrò solamente accentuare l’espressione di Shirogane.
 
 
 
 
« Sei ancora arrabbiata? »
« Non sono arrabbiata, sono contrariata. »
« Non riesco a capire dove sta la differenza. »
Minto sbuffò e si aggiustò la sciarpa leggera intorno al collo, un sorrisetto supponente: « Così impari. »
Kisshu roteò gli occhi al cielo, insistendo a giocherellare con uno dei suoi boccoli neri: « Non mi hai ancora detto perché te la sei presa. »
« Mi piacciono le cose fatte bene, » rispose lei, abbassando lo sguardo sulla maglietta di lui, « Organizzate, pensate. E non mi piace essere l’ultima a venirle a sapere. »
L’alieno le cinse la vita con le mani e la tirò un po’ di più a sé: « Cosa ti dico sempre riguardo al voler controllare tutto? »
« … non è per quello. »
« Ah no? E allora per cosa? »
La mora storse visibilmente il naso alla sua espressione sarcastica e poi alzò il mento con decisione: « Ho ben altri impegni che dover star dietro ai tuoi ghiribizzi. »
« Tortorella, non fare l’antipatica, » la voce di Kisshu si abbassò di qualche nota, « Ti accompagno a casa, che dici? »
« Per tua informazione, sono a cena con delle mie vecchie compagne del teatro. Se me l’avessi detto prima… ! »
Lui nascose il naso appena sotto al suo orecchio: « D’accordo, allora vengo dopo, okay? »
Con un sorriso intenerito, e una punta di vergogna, Retasu attese appena dietro l’angolo dello spogliatoio, ben attenta a non farsi notare da Minto. Non stava origliando, ovviamente, ma sapeva bene che astio provasse l’amica verso qualunque forma esplicita di pubbliche dimostrazioni di affetto, quindi meglio nascondersi fino al momento giusto. E il fatto che la conversazione si fosse interrotta segnalava che sicuramente l’elegante ex ballerina non era in un momento disponibile al pubblico, anche se la verde pensò tra sé e sé che forse avrebbe fatto meglio a non appartarsi proprio davanti all’entrata del Caffè. Dopotutto, al contrario, Kisshu non era certo uno che si facesse molti problemi.
A Retasu scappò un altro sorriso e si arrischiò ad affacciarsi quando la campanella trillò sopra la porta, segnalando il via libera. A volte non capiva le sue amiche, ma più di tutte a volte non capiva Minto, il suo essere sempre così rigidamente in controllo di sé per poi infilarsi in situazioni come quella. Seppur l’espressione che le aveva intravisto fare sull’uscio fosse stata particolarmente rivelatoria.
« Sono contenta per Minto-chan, anche se non scuce un dettaglio, » aveva commentato divertita Ichigo qualche mese prima con una nota di malizia, in un pomeriggio in cui l’aveva accompagnata a cercare giocattoli per il bebè in arrivo, « È giusto che si lasci andare, una volta ogni tanto. Se lo merita. »
Aspettò che anche Kisshu svanisse da qualche parte, probabilmente al piano di sopra ora che non c’era più nessuno nel locale e poteva evitare di fare le scale, ed uscì dal suo angolino, pronta ad avviarsi verso casa e infilarsi sotto una doccia calda per scacciare quel fastidioso freddo primaverile portato dalla pioggia.
« Non puoi uscire ora. »
Alla verde sfuggì un gridolino stridulo e, per la seconda volta, sobbalzò vistosamente, coprendosi la bocca con i pugni. Possibile che stessero cercando tutti di ucciderla, quel giorno?!
Pai, grondante da capo a piedi appena davanti all’entrata sul retro, la guardò come se non capisse il perché del suo spavento.
« Sta piovendo troppo, ora. Se esci così ti prenderai un malanno. »
Retasu spalancò gli occhioni blu, confusa dalla sua apprensione così caustica – le sembrava quasi la stesse accusando di avere una salute cagionevole – e dal fatto che tra i due quello che pareva sul punto di beccarsi la polmonite fosse lui.
« Cosa stavi… sei fradicio… » riuscì solo a balbettare.
Pai annuì e prese fuori dalla tasca una fialetta piena d’acqua: « Sto raccogliendo campioni delle vostre piogge per determinare il livello di acidità del tempo, controllare la presenza di Mew Aqua, e altre misurazioni interessanti anche per il nostro pianeta. Le differenze di condizioni atmosferiche sono centrali nelle mie ricerche. »
« Ma… il malanno… »
Le sembrò che la sua espressione si addolcisse di una frazione: « Non sono suscettibile a queste temperature, Retasu. »
Il ventre le diede una potente fitta a sentire il proprio nome scivolare così facilmente sulla lingua di lui quando se lo trovava completamente bagnato davanti, con la frangetta scura appicciata al volto diafano e la maglietta nera più stretta che mai.
Si impose di respirare mentre, già lo sapeva, le sue guance si arroventavano.
Non ci pensare, Retasu.
« È giusto che si lasci andare. Se lo merita. »
« Devo… andare a casa. »
Bofonchiò distratta, più per riempire il silenzio che per un’effettiva necessità di allontanarsi. Anzi.
« Se lo merita. »
« Mi accompagni? »
Un tuono rombò nello stesso istante in cui lei ebbe posto la domanda, accompagnando il suo raccogliere tutto il coraggio che aveva in corpo per fissarlo dritto negli occhi. Le iridi ametista si contrassero appena, e Retasu ci rivide per un secondo quello sguardo affranto ma deciso che le aveva rivolto così tanti anni prima, come ultima scelta.
Si sgonfiò come un palloncino, tutto l’ardire di quella situazione che le defluì dal petto come una cascata; strinse i pugni e distolse il viso, sospirando piano per mascherare il groppo in gola.
« Scusami, è evidente che sei impegnato, non preoccuparti posso - »
« Retasu. »
Si morse il labbro fino a farlo impallidire a quel richiamo, incapace di distrarsi dalla punta delle proprie scarpe.
Non avrebbe dovuto fare tanto male. Il suo nome sulle labbra di lui non avrebbe dovuto suonare così angosciato.
« Davvero, non fa niente, » continuò a mormorare, forse anche un po’ più a sé stessa, « Troverò un modo. E dopotutto l’acqua… »
Quasi si strozzò quando percepì la punta calda delle sue dita lunghe accarezzarle uno zigomo come se avesse paura di ricevere la scossa al solo sfiorarla.
« Retasu… » la voce di Pai fu più un soffio roco, così basso da sembrare l’eco del tuono stesso, « Tu sei… così buona, e tenace. »
« Lo dici come se fosse un insulto… » riuscì a borbottare lei, quasi stupendosi, e lo udì sbuffare piano.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
Le dita del ragazzo tornarono sulla sua guancia, più tese questa volta: « Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »
Fece un passo avanti e, ancora, piantò gli occhi nei suoi, più decisa, nonostante la voce tremante e lo sguardo umido. Pai continuò a studiarla in silenzio per quella che le parve un’eternità, il pollice che continuava a toccarla leggero, avanti e indietro, guadagnando pochi millimetri alla volta, e Retasu rimase ferma così, le mani giunte in petto e il viso alzato.
« Io… non credo di meritarti, » le sussurrò infine, e il pollice divenne un intero palmo che le cinse la guancia, le dita che le presero ferme la nuca, « Ma posso provare a cambiarlo. »
La maglietta dell’alieno era gelida di pioggia, così come le punte della frangetta che le sfiorarono il naso; ma sotto di essa, lui era bollente, e fu l’unica cosa che Retasu percepì quando finalmente la tirò a sé per baciarla quasi con fame. Gli si strinse addosso più che poté, come mai aveva immaginato di poter fare, incurante degli occhiali storti sul naso o della propria camicetta che si stava inzuppando, o del fatto che qualcuno sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento.
Pai la stava baciando, erano le sue labbra quelle che premevano con forza contro le sue, le sue mani che la esploravano decise ma prudenti. Suo il respiro che sentiva mischiarsi al proprio, suo il profumo, suo il calore, suo il battito del cuore sotto al suo palmo, ed era tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Fu l’ennesimo rombo di tuono a separarli, perché Retasu sobbalzò un po’ spaventata, un pigolio che le scappò dalle labbra.
« Scu-scusa… » balbettò, senza fiato, una mano che salì automaticamente ad aggiustarsi gli occhiali e l’altra che tentò di coprirle le guance scarlatte mentre pian piano ricomponeva i pezzi.
Pai non poté evitare di trovarla estremamente adorabile, ma decise di non commentare per non peggiorare ulteriormente la situazione, visto cos’era successo non appena aveva deciso di lasciar agire un po’ di più l’istinto. Così la portò di nuovo a sé, abbracciandola piano mentre lei posava la fronte contro al suo petto.
Come se fosse l’incastro perfetto.
« Ora devo proprio andare, » sussurrò Retasu controvoglia, « A casa si staranno chiedendo che fine ho fatto. »
Gli occhioni blu lo scrutarono come a cercare di capire se il momento ora spezzato non si sarebbe mai più ripetuto, e lui avvertì l’ennesima fitta di senso di colpa alla bocca dello stomaco, ma decise solo di sorriderle.
« Ti accompagno. »
Lei si illuminò contenta e annuì, scostandosi ancora di pochi passi, lentamente, mentre ancora cercava di ricostruire per bene gli eventi della giornata che l’avevano condotta fino a lì.
« Sai, pensavo - »
Si bloccò all’improvviso nel suo tragitto verso il soprabito, appoggiato a una delle sedie, e guardò Pai da sopra la spalla con aria interrogativa.
Lui piegò ancora le labbra in una smorfia: « Cosa fai per il tuo compleanno? »
Retasu avvertì distintamente il cuore perdere quattro o cinque battiti di fila; se Pai si metteva pure a fare dello spirito, lei sarebbe definitivamente morta stecchita.
 
 
 
 
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Ichigo aveva affrontato mostri zannuti e grandi tre volte lei, alieni invasori e anche un po’ insistenti, ed ex-fidanzati che condividevano il patrimonio genetico con un’antica divinità dal desiderio di conquista, ma la paura non era comparabile a quella che stava provando in quel momento.
D’accordo, forse la sua tendenza drammatica era particolarmente scatenata, ma in ogni caso, era letteralmente terrorizzata.
« Non sono pronta, non sono pronta, » continuò a ripetere a macchinetta, camminando avanti e indietro davanti al letto con le mani contratte sul pancione, « Non lo posso fare. »
« Sì che puoi farlo, » Ryou esclamò con estrema pazienza mentre dava un’ultima controllata al borsone poggiato sul materasso e ne chiudeva la zip, « You just have to breathe. »
« Guarda che non mi aiuti se – uuuuuuff! »
Si fermò a metà dell’ennesima vasca, storcendo il viso in una smorfia di dolore e piegandosi di più su sé stessa; il biondo la raggiunse e la tenne stretta in silenzio, scostandole poi i capelli dagli occhi per poterla guardare bene.
« Ogni cinque minuti, e per un minuto, » le mormorò, « Dobbiamo andare. »
Lei si limitò ad annuire e ad artigliargli le mani: « Come fai ad essere così calmo? »
« Qualcuno che mantenga il sangue freddo serve, ginger. »
Perché se pure Shirogane avesse ammesso che in realtà anche lui era parecchio agitato, la situazione non sarebbe sicuramente divenuta più gestibile.
« Chiamo i tuoi genitori e gli dico di raggiungerci in clinica, d’accordo? »
Ichigo deglutì rumorosamente ed annuì, seguendolo lenta verso l’uscita: « Però avvisa anche gli altri, o so già che Minto si offende. »
Il tragitto verso la clinica privata fu insolitamente silenzioso; Ichigo, che di solito riempiva sempre l’abitacolo di chiacchiere, era pallida e visibilmente distratta, concentrata a respirare come da manuale e un po’ a fissare solo davanti a sé, la mano contratta su quella di lui che le aveva poggiato sul ginocchio per darle un minimo di conforto. Non cambiò atteggiamento nemmeno durante l’accettazione, né quando la indirizzarono alla camera riservata a loro, molto più elegante di una normale sala parto, con un lettino extra per l’accompagnatore e una larga vasca in un angolo (anzi, si risolse solo a borbottare che Ryou non avrebbe nemmeno dovuto pensare a dormire se a lei non sarebbe stato concesso quel lusso), né tantomeno quando le fu comunicato che c’era ancora un po’ di strada da fare e avrebbe fatto meglio a rilassarsi più che poteva prima del momento cruciale.
Ryou ponderò che probabilmente non l’aveva mai sentita parlare così poco in vita sua, e ciò lo preoccupò più della situazione in sé. Quando l’ostetrica e l’infermiera di turno si chiusero la porta alle spalle per concederle un po’ di riposo, con la promessa di ripassare a regolari intervalli, lui trascinò la poltrona il più possibile vicino al lettino su cui si era raggomitolata e le prese le mani per lasciarle un bacio sulle nocche.
« Ho detto agli altri che siamo arrivati, » le disse sottovoce, carezzandole una guancia, « I tuoi non hanno voluto sentire ragioni, Sakura si è detta disposta a campeggiare in sala d’attesa pur di esserci, quindi arriveranno a breve. Le ragazze ti mandano un bacio e chiedono aggiornamenti regolari, ma ho fatto promettere di non avere invasioni. »
Ichigo emise uno sbuffò che avrebbe dovuto essere una risatina, poi si morse un labbro: « È così tua figlia che è in anticipo. »
« Solo di qualche ora, » la rimbeccò dolcemente lui, « E se ha preso dalla sua mamma, scommetto che si prenderà tutto il tempo necessario. »
Lei rispose solo con un mugolio incerto che però suonava molto come se lo stesse scimmiottando, e tenendo sempre la mano ben stretta tra le sue, iniziò a distrarsi con i vari strumenti che le erano stati appiccicati addosso e qualche chiacchiera poco importante.
L’arrivo dei coniugi Momomiya, poco più tardi, fu il solito ciclone in tempesta. Sakura sembrava più su di giri della figlia, nonostante una recondita promessa di comportarsi da faro nel buio vista l’esperienza, ma il più esagitato di tutti era proprio Shintaro, che sberciò ad alta voce richiamando l’assistenza di un medico non appena non ne vide comparire uno al capezzale della sua “dolce e povera bambina” entro i dieci minuti dalla sua comparsa.
« Non ce n’è bisogno, papà, » aveva tentato di blandirlo Ichigo, « Manca ancora molto e sono passati da poco. »
« Mi sembra una follia che in questa presunta super-clinica si abbandonino le partorienti, e per giunta così giovani e inesperte! »
La rossa aveva prontamente agguantato la mano di Ryou per impedirgli di ribattere: « Proprio perché sono così giovane dovrei avere meno problemi, papà. E poi guarda che bella la camera, posso anche scegliere di usare la vasca se volessi. »
« Come se queste cose new age fossero una rassicurazione! »
A quel punto, Sakura aveva percepito che fosse il caso di concentrarsi sul suo solito ruolo da mediatrice, visto anche il pronto arrivo di un’ostetrica altrettanto battagliera, e Shirogane aveva colto l’occasione per dileguarsi dal capofamiglia.
« Vi lascio soli dieci minuti, okay? » aveva preso la mano di Ichigo per lasciarle un bacio sulle nocche e al tempo stesso lanciarle un’occhiata acuta, « Così siamo meno in camera e puoi stare un po’ con i tuoi. Vado a prendermi un caffè. »
La rossa era stata abbastanza clemente da annuire e mormorare un torna presto a labbra chiuse. Lui si chiuse la porta alle spalle nello stesso istante in cui Shintaro cominciava a borbottare qualcosa riguardo il “ruolo del padre” e prese un lungo respiro; erano lì da meno di due ore e già era rimasto senza energia. S’incamminò verso la macchinetta automatica che aveva adocchiato alla fine del corridoio, passandosi le mani sul viso per rinvigorirsi, e nel frattempo ne approfittò per mandare un messaggio di gruppo di aggiornamento della situazione (cui Purin rispose con una sequela di GIF e faccine, alcune molto inopportune, che però gli strapparono una risata).
La sua pausa di ristoro, però, non poté durare a lungo; aveva appena finito di ingurgitare quella brodaglia amara pure per i suoi gusti quando un certo tono di voce dal capo opposto della corsia lo distrasse. Pensò che forse avrebbe dovuto pagare qualche cosa extra per tutto il disturbo che stava arrecando Shintaro, che stava indietreggiando dall’uscio sberciando contro l’ostetrica che, a sua volta, lo intimava a tranquillizzarsi.
« Mi sembra inaccettabile che io non possa rimanere dentro con la mia bambina! »
« La signorina Momomiya deve riposarsi e soprattutto non agitarsi, » lo rimbeccò l’energetica signora, « E ha espressamente richiesto che nella stanza ci fosse solo il signor Shirogane, e io sono tenuta a rispettare i suoi desideri per rendere l’esperienza più felice possibile. Visto che ora è il momento migliore perché possa riposarsi, le devo chiedere nuovamente di accomodarsi in sala d’aspetto. »
Forse avrebbe dovuto mandare direttamente una bottiglia di champagne e un vaso di fiori a lei.
« Su, caro, la dottoressa ha ragione, » lo calmò Sakura con altrettanto cipiglio, « Non è il caso di innervosire Ichigo, ora. Ma la prego, mi tenga informata su qualsiasi cosa. »
L’ostetrica, il cui cartellino rivelava il cognome di Nakagawa, la rassicurò mentre le indicava la sala d’aspetto riservata, due corridoi più a destra, e nel frattempo Ryou si intrufolò in camera, non senza uno scambio di occhiatacce con il suocero putativo.
« Ti ho portato in un posto troppo new age, bambina, » commentò velenoso, lanciando il suo bicchierino vuoto dentro al cestino.
Ichigo lo guardò implacabile: « Non è il momento. E pure tu mi chiami ragazzina. »
« Non fare certi paragoni, please. »
La rossa rise e affondò ancora di più tra i cuscini mentre espirava lentamente, allungandogli una mano in maniera molto chiara. Ryou fece il giro del lettino e riconquistò la poltrona, stringendole le dita e ricominciando a carezzarle la faccia.
« È il tuo momento, ginger, » la prese in giro affettuosamente, « Anche oggi ti tocca un pisolino. »
« Credo dovremo approfittarne, » ribatté lei con una smorfia, « Potremmo non averne molte altre occasioni. »
Ovviamente, Ryou non riuscì a chiudere un occhio. Ichigo si appisolò pian piano sotto le sue carezze, e lui non ebbe il coraggio né la volontà di spostarsi, il cervello troppo su di giri per poterlo sopire. Si concesse solo di spostare la poltrona, tenendo una mano stretta tra le quelle di lei mentre con quella libera perdeva del tempo al cellulare. Nel frattempo, la dottoressa Nakagawa e un altro paio di infermiere andarono e vennero in silenzio, controllando la situazione, così come una quietissima Sakura, che si premurò di portargli un po’ d’acqua e dei dolcetti ristoratori e fare con lui due chiacchiere sottovoce.
Al risveglio di Ichigo, incredibilmente – non che avrebbe mai ammesso l’uso di questo avverbio né l’attualizzazione del pensiero, ben conscio delle eventuali ripercussioni che avrebbe dovuto subire – Ryou osservò un cambiamento non indifferente nel suo comportamento post-intervento di Shintaro sul suo essere bambina e post-pisolino man mano che il travaglio avanzava. Lei che tanto era portata a lamentarsi per le cose più piccole e che tanto era stata angosciatissima quella mattina sembrava ora avvolta da una caparbietà che poche volte le aveva visto addosso (volte che, se doveva essere sincero, non aveva voglia di ricordare né avrebbe voluto associare alla nascita del suo erede). Gli aveva intimato di rimanere in poltrona a fare le sue cose da genio, in silenzio e senza starle addosso; lei, nel frattempo, se la sarebbe cavata da sola. Si aggirava perciò per la stanza, borbottando ed espirando tra i denti ad ogni forte contrazione, a volte appoggiandosi alla grande palla da yoga, altre contro al muro, richiedendo l'aiuto del biondo solo un paio di volte.
Naturalmente, Ryou stava solo fingendo di essere impegnato, continuava a tenerla d'occhio senza farsi notare, pronto ad intervenire in caso di necessità.
« Shirogane? » esclamò in quel momento la rossa, i palmi contro al muro e piegata in avanti mentre sopraggiungeva un'altra contrazione, « Un pochetto mi stai assolutamente sulle scatole ora. »
Lui non poté evitare di ridacchiare: « Non fa niente, ti perdono. »
« Qui quella che deve perdonare sono io, in caso. »
« Tu sei anche quella che mi ha teso un agguato dopo il bagno notturno al compleanno di Purin. »
« … non era un agguato! »
Ryou rise di nuovo del suo viso in fiamme e richiuse il tablet che si era portato per andare a raggiungerla, accarezzandole piano la schiena.
« Quindi la prossima volta dovrei dirti di no? »
« Sei fiducioso che ci sarà, una prossima volta. »
« Non iniziare con queste frasi fatte prese da tutti quei film idioti che hai visto, ginger, » la rimbeccò poco divertito, « Non ho mai sentito lamentele. »
Ichigo gli rispose solo con una lunga esalazione, ondeggiando piano da una parte e dall’altra.
« Mi devi dire che andrà tutto bene, » esclamò all’improvviso.
« Giuro che andrà tutto bene. »
« E che non la farò cadere appena me la daranno in braccio. »
« Sarai bravissima. E in ogni caso circondata da superfici morbide. »
« E che smetterai di essere sarcastico prima che ti infilzi con la flebo. »
« Quello non posso promettertelo, » rise sottovoce, mentre Ichigo abbandonava il muro per stringersi a lui e lui le baciava la testa, continuando a dondolare insieme a lei, « Non è stato espressamente vietato da tutti i corsi seguiti. »
« Secondo me non hai ascoltato abbastanza, allora. »
Ryou sbuffò, muovendo il naso tra i suoi capelli un po’ sudati e iniziando a mormorarle sciocche filastrocche in inglese con il solo scopo di aiutarla a rilassarsi mentre l’aiutava a ristendersi sul lettino.
Non passò molto prima del ritorno della dottoressa Nakagawa, che si scambiò uno sguardo d’intesa con i due giovani prima di ammiccare: « Ci siamo. »
 
 
 
 
« È una femminaaaaaaaaaa! » Purin fu la prima a scattare in piedi nel salotto di casa Fujiwara (che era stato preso d’assalto senza che la modella potesse opporsi più di tanto solo perché il più vicino alla clinica, e il cui tavolo era ricoperto di cartoni della cena d’asporto), brandendo il cellulare come un’arma e saltellando col rischio di pestare qualcuno, « È una bimba, è una bimba, è una bimba! Andiamo! »
« Purin, calmati, » la redarguì piano Retasu, con gli occhi lucidi e le guance rosse mentre leggeva anche lei il messaggio mandato da Ryou, « È letteralmente appena nata, avranno bisogno di qualche ora. E poi è sera, mica ci possiamo presentare così. »
« Ma io voglio vederla! La prima nipotina! »
« Andrò io in clinica causa timpano perforato. »
Keiichiro rise sommessamente, nonostante l’evidente emozione anche sul suo volto: « Fatemi telefonare a Ryou e vediamo come organizzarci, d’accordo? »
« Teletrasportiamoci! »
« Purin, ti scongiuro. »
Il pasticcere si ritirò in cucina in cerca di più calma per la chiamata, alla quale Ryou rispose con incredibile velocità.
« Congratulazioni, ragazzo mio. »
«  Grazie, » non scappò a nessuno dei due l’emozione nella voce dell’altro, « Ho appena mandato una foto. »
Keiichiro dovette in effetti tapparsi l’orecchio libero visto il boato di mugolii che scoppiò dall’altra stanza: « Sì, ho sentito. Sarà bellissima, ci scommetto. Come sta Ichigo? »
« She was a trooper, » (*) esclamò, « È cotta, ma è con i suoi genitori ora. Siamo riusciti a tenerli fuori finché non l’hanno risistemata un attimo. La bimba è alla nursery per alcuni controlli ma sta benone. »
Il pasticcere attese un secondo in linea, e Shirogane continuò dopo poco a voce più bassa: « I called Joel. Ha detto che ci pensa lui. Tu potresti - ? »
« Non preoccuparti. Tu rilassati e goditi la tua famiglia, noi aspettiamo un vostro segnale. Prometto che terrò le truppe a bada. »
« Good luck with that, » scherzò il biondo, « Voglio che Ichigo si riposi, cerca di contenerli fino a domattina, per favore. »
« Non posso assicurare che non apriranno i cancelli alle otto, però. »
« Meglio di niente. »
Si scambiarono ancora qualche parola di conforto e felicitazioni, Keiichiro che portò il cellulare in vivavoce in salotto così che la baraonda potesse raggiungere Ryou direttamente. Dopo la promessa di mandare ulteriori fotografie, inclusa di Ichigo, e di mandare i saluti alla neomamma, Shirogane terminò la comunicazione e ritornò nella loro camera.
« È la bambina più bella del mondo, » stava tubando Sakura, china sopra il fagottino stretto tra le braccia di Ichigo, « Forse anche più bella di com’eri tu, cara. »
« Grazie, mamma, » replicò la rossa più giovane, ma era troppo stanca e piena di emozioni per darci davvero peso.
La signora Momomiya fece ancora qualche smorfia alla nipotina, poi incrociò gli occhi di Ryou, accuratamente in un angolo, e gli sorrise calorosa: « Ora vi lasciamo un po’ da soli. Andiamo a casa a riposarci e torniamo domani, d’accordo? »
Shintaro aprì la bocca per protestare, ma la moglie lo zittì con un gesto della mano: « I ragazzi hanno bisogno dei loro momenti e sono stanchi. Su, forza, saluta, o domani sarai un nonno rintronato dal sonno. »
«Ciao, mamma, papà, grazie ancora. »
« Signora, Momomiya-san. »
Sakura rispose al saluto di Ryou dandogli un’affettuosa stretta sul braccio e una carezza veloce, uscendo prima del marito in un chiaro monito da seguire. Shintaro arrancò dietro di lei, fermandosi appena per incrociare lo sguardo dell’americano:
« Ottimo lavoro, ragazzo. »
Quando la porta si chiuse, il ragazzo in questione non poté evitare di voltarsi con estremo stupore verso Ichigo, che lo guardava altrettanto divertita: « Me lo devo segnare: due maggio, il primo complimento che ricevo da Shintaro Momomiya. »
« Non farci l’abitudine, » lo prese in giro prima di sbadigliare, poi però si riconcentrò di nuovo sulla bimba avvolta da una morbida copertina rosa, « Però è vero, abbiamo fatto un lavoro perfetto. »
Ryou cercò di non far notare il suo inspirare lentamente e si appoggiò al bordo del letto, scostando piano la coperta per sfiorare una guanciotta arrossata.
« Vedi che non l’hai fatta cadere. »
Ichigo rise e strofinò il naso contro quello in formato mignon: « Non mi sono ancora spostata però. È così piccola… »
« Pesa quattro chili, darling. »
« È piccola lo stesso, » la rossa le rivolse un altro sorriso innamorato, sfiorandole la peluria biondo-rossiccia che le ricopriva la testolina, « Tocca di nuovo a te. Sei pronto? »
Onestamente, avrebbe voluto rispondere di no; per quanto bramasse risentire quel calore tra le braccia, era terrorizzato di fare una mossa falsa, causare un pianto improvviso o qualche dolore. Che ne sapeva lui del legame che c’era tra un neonato e la sua mamma, o di come affrontare quell’incredibile necessità di proteggere con tutto se stesso quella creaturina dai tratti così simili ai suoi?
« Io l’ho detto che sarebbe somigliata a te, » gli sussurrò di nuovo Ichigo, porgendogliela un po’ di più.
Si concentrò come non mai per fare in modo che le sue mani sostenessero tutti i punti giusti, e la piccola quasi scivolò naturalmente nell’incavo delle sue braccia, solo uno sbadiglio sonoro come reazione che lo fece sorridere: « You sure about that? »
Ichigo rise e si appoggiò al suo braccio, ormai più stanca che mai nonostante la voglia di non perdere neanche un secondo.
« Credo che il nome che hai scelto sia perfetto, » mormorò sottovoce.
Il petto gli si gonfiò in maniera esagerata. Com’era possibile contenere tutto quello?
« Era il nome di mia madre. »
Sentì le dita di Ichigo stringersi attorno al suo braccio mentre gli si faceva più vicina e accarezzava il profilo della bimba: « Allora benvenuta, Kimberly Shirogane. »
 
 
 
 
Purin fu quasi praticamente imbavagliata il mattino dopo, quando le altre quattro ex Mew Mew si presentarono nel reparto maternità, visto il suo incredibile entusiasmo alla vista della nuova mascotte onoraria del gruppo. Sotto la rigida direzione della dottoressa Nakagawa, le ragazze furono fatte entrare in coppia per non travolgere troppo la neonata, e Zakuro fu predisposta a contenere l’energia della più giovane di loro.
Nonostante ciò, i suoi mugolii estasiati erano ben udibili anche attraverso la porta chiusa, davanti alla quale Minto e Retasu chiacchieravano amabilmente con il neopapà e Keiichiro.
« È andato tutto bene, quindi oggi pomeriggio torniamo a casa, » sospirò Ryou, « Anche se devo ancora montare la culla, Ichigo è stata presa da non so quale credenza che portasse sfortuna farlo prima che nascesse. »
« Dovete farne altre tre! » scoppiò Purin, aprendo la porta di scatto, « Una nipotina a testa! »
« Ssssh! »
« Intanto basta così, grazie. »
Keiichiro rise del pallore di Ryou mentre le ragazze si davano il cambio e ricominciava lo scambio di gridolini eccitati, poi il biondo si passò una mano tra i capelli e offrì l’altra all’ex tutore.
« A proposito, » esclamò con un sorriso, « Non c’è nessun altro che potrebbe farle da padrino. »
Il pasticcere gliela strinse di ricambio, mascherando a fatica l’emozione: « Ne sarei onorato. »
Purin emise un altro gridolino di gioia e si buttò al collo di entrambi, praticamente dondolandosi con i piedi staccati dal suolo nonostante non ci fossero più così tanti centimetri di differenza.
« Ah, siamo una famiglia bellissima! »
« Cosa le hai dato per colazione? »
Zakuro nascose una risata: « Non guardare me, il pigiama party è stato a casa di Minto. »
Ryou riuscì a staccarla prima che gli spezzasse l’osso del collo, ma Purin gli rimase lo stesso appiccicata al braccio, sommergendolo di parole su come lei adorasse i bambini e fosse sempre disponibile a fare da babysitter, vista l’esperienza con i suoi fratellini. Non sapeva se fosse la mancanza di sonno, la montagna russa che erano stati quei due giorni, o il nuovo ruolo che si trovava a ricoprire, fatto sta che per una volta Shirogane si sentì pieno e felice come non mai.
« Potrei prenderti molto alla lettera sul discorso babysitter, » scherzò con un occhiolino verso la biondina.
Lei gli gongolò accanto: « Poi ci siamo coordinati con i tuoi suoceri, tutti i nostri regali vi aspettano già a casa, inclusa una montagna di cibo congelato made in Reta-chan. Be’, io ho fatto le shizitou(**). E Zakuro nee-san ha organizzato qualcosa di speciale. »
« Una cena al ristorante preferito di Ichigo già assicurata per quando sarete più in forma, » si affrettò ad aggiungere la modella, « Per un momento per voi. »
L’americano non mancò l’occhiata sibillina che gli rivolse, ma era troppo stanco per ricambiare con una altrettanto alterata dalla sua simpatia.
« La smettete di parlare di cibo? Io ho fame! »
La voce di Ichigo risuonò cristallina e divertita quando anche Minto e Retasu uscirono dalla stanza, Purin che ne approfittò per intrufolarsi di nuovo.
« Guarda che adesso bisogna rimettersi in forma, Momomiya. »
« Minto, ti sta per essere revocato il titolo. »
« Resisti ancora qualche ora, principessa, e troverai un sacco di cose ottime a casa. »
Ryou si passò una mano nei capelli e guardò sconsolato il suo migliore amico: « C’è un enorme orso di peluche in salotto, vero? »
« E chi lo sa. »
La dottoressa Nakagawa rispuntò in quel momento, in mano una cartellina e sul viso un sorriso affabile ma deciso.
« Mi dispiace ma è ora di sgombrare il campo. È ora di assicurarsi che tutto vada bene prima di tornare a casa. »
E così dicendo, scoccò uno sguardo eloquente alla biondina ancora piegata sulla culla, che sfoggiò un sorriso smagliante ed uscì dalla stanza con le mani dietro la schiena.
« Allora io vado al Caffè. Mi aiuti tu, Reta-chan? »
« Seriamente siete aperti anche oggi? »
« Chiedi al capo, Minto-chan. »
« Ne ho due da sfamare adesso, sai. »
Keiichiro gli batté un’altra volta la mano sulla spalla e rise: « Ci vediamo domani. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, chiamate. »
« Sì, non importa l’ora, mi raccomando. »
« Ciao piccoletta! »
« Purin, ssssh! »
 
 
 
 
Il buonumore della biondina perseguì anche durante la mattinata, passata a servire i clienti fischiettando e sorridendo più del solito. L’aria frizzante di inizio maggio filtrava dalle finestre portando con sé l’odore dei fiori e rendendo l’atmosfera al Caffè ancora più romantica.
Oppure erano davvero solo gli ormoni di quel periodo.
Purin sorrise sotto i baffi mentre beveva un bicchiere di tè freddo – quello che Akasaka teneva da parte appositamente per loro – e prendeva un respiro in vista della pausa; stava anche iniziando a fare caldo, il che voleva sempre dire un aumento notevole di clienti in cerca del refrigerio dell’aria condizionata, ovvero nugoli di coppiette in amore e teenagers sospiranti.
Un po’ come tutte le sue amiche.
Rise ancora e lanciò uno sguardo a Retasu, concentrata a non sbagliare mentre prendeva l’ordinazione a un tavolo chiaramente impegnato in un’uscita a quattro. Non sapeva molto di ciò che era successo nelle ultime tre settimane, Retasu era notoriamente timida e Ichigo – fortunatamente per l’amica – troppo impegnata tra falsi allarmi e ultimi preparativi per concentrarsi troppo sui gossip, ma lei non aveva certo non captato gli sguardi e i sorrisi tra la dolce ragazza dai capelli verdi e un certo alieno immusonito. Né le battutine di Kisshu a riguardo.
Il ghigno di Purin si allargò: se Minto era riuscita, almeno in parte, a schivare le domande più infime sulla sua attuale situazione sentimentale (e giusto per la soddisfazione di far finta di non ammettere nulla, non certo perché facessero le cose di nascosto), lo stesso trattamento non sarebbe certo stato riservato a Retasu; bastava solo aspettare che Ichigo si riprendesse un secondo per tornare alla carica. Forse sarebbe stata la volta buona che Pai le avrebbe incenerite tutte in un colpo solo.
Ripose la caraffa in frigo e si sistemò il grembiule a forma di cuore; non poté fare a meno di pensare, ancora, al terzo componente mancante degli Ikisatashi. Era ovvio che avesse sentito la mancanza di Taruto, in quegli anni; era stata la prima a fidarsi di quell'alieno dai buffi codini e un pessimo carattere, la prima a capire che c'era del buono dentro di loro. Così com'era ovvio che le mancasse ancora di più ora che i suoi fratelli maggiori erano tornati e si erano integrati così bene nel loro gruppo.
Le sembrava quasi strano che fosse già passato un anno dal loro arrivo, perché per lei era quasi come se ci fossero sempre stati, come se quella fosse la condizione normale della loro vita.
Meno il suo buffo ed irascibile, grande amico.
Con la complicità di Kisshu, Purin era riuscita a mandare qualche messaggio a Taruto; niente di che, ovviamente, solo vaghi saluti anche un po’ in codice per non sfruttare in maniera esagerata comunicazioni che – per quanto ne avesse capito lei – rimanevano ufficiali e militari. E qualche risposta le era arrivata, certo, filtrata dall’ironia del più grande e dalla naturale reticenza di Taruto che lei era sicura non fosse cambiata. Solo che le sarebbe piaciuto sapere un po’ di più di lui, su cosa stesse facendo, se avesse terminato questa fantomatica accademia militare… se si sarebbe mai unito ai fratelli.
Sbuffò piano e si diresse fuori dalla cucina. Non era molto saggio soffermarsi su certi ragionamenti, riuscivano sempre a farla sentire malinconica e non era uno stato d’animo che le piacesse sfoggiare. Ma forse un saluto poteva farlo.
Invece che ritornare in sala, si affrettò su per le scale, allungando il collo per vedere se Kisshu fosse ancora in camera sua. Dalla sequela di parolacce che sentì sibilare fuori dalla porta socchiusa, capì di aver avuto successo.
« Ma come diamine… »
« Toc toc, » rise divertita, « Cosa stai combinando, nii-chan? »
« Questi aggeggi sono demoniaci! » rispose lui, roteando tra le mani lo smartphone che era stato dato sia a lui che a Pai qualche tempo prima per fare in modo che fossero contattabili nella maniera più umana possibile, « I nostri comunicatori erano molto più intuitivi. Cosa diavolo sarebbe un sms? »
Purin rise e gli si avvicinò saltellando, bloccandosi appena prima di prendere il telefono: « C’è qualcosa che non dovrei vedere? »
Kisshu ghignò malizioso: « Ma magari. »
« Sei proprio terribile. »
Gli smanettò davanti, mostrandogli i passaggi principali di quella che per lei, a confronto di ciò che gli aveva visto fare, era la cosa più semplice del mondo.
« Poi premi qui e fatto. E puoi vedere l’intera conversazione qui. »
Il verde studiò ancora il rettangolo che teneva in mano, poi scosse la testa: « Se lo dici tu… allora, che ti serve? »
Purin sorrise innocentemente, dondolandosi sui talloni con le mani dietro la schiena: « Niente. Pensavo. »
Kisshu la guardò poco convinto, il solito ghigno sardonico in faccia: « Dai, sputa. Quando sei così calma mi fai paura. »
La biondina ridacchiò e poi lo guardò da sotto in su: « … l’hai sentito? »
Il verde sbuffò, piegando la testa da una parte: « Non andiamo a controllare le comunicazioni da un paio di settimane. Io continuo a dire a Pai di installare un dispositivo qui, ma sai com’è testardo, e ultimamente… » si scambiarono un’occhiata divertita, poi lui continuò con una stretta di spalle, « Qualcosa dovrebbe esserci, ma non ne sono mai sicuro, lo sai. »
« Mmmh, » Purin sembrò ponderarci su, poi fece un passo avanti, « E… questa vostra scuola militare… quanto dura? »
« Dipende da quello che vuoi farci, scimmietta, » rispose lui, poggiandosi con i palmi sul letto per mettersi più comodo, « Se nella vita vuoi essere come Pai, può durare molto a lungo. Il ciclo obbligatorio di educazione, se così lo vogliamo chiamare, dalla rinascita del nostro pianeta è stato istituito dai cinque ai sedici anni. Ma adesso stanno ancora cercando di far recuperare a chi, come noi, è vissuto sotto Deep Blue. In più, noi tre abbiamo saltato parecchi gradi dell’esercito a causa della nostra scorrazzata sulla Terra, cosa che non è piaciuta a tutti, come ti ho detto. Quindi il buon Taruto deve fare un po’ di gavetta. » (***)
« Sì, ma me lo hai detto l’anno scorso però. »
Kisshu ridacchiò, la osservò con le iridi dorate più ambrate del solito: « So dove vuoi andare a parare, ma non posso dirti nulla. Non perché non voglia, ma perché non ho la minima idea di cosa pensi il Comando Generale. E se posso essere sincero, preferisco evitare domande che pongano l’attenzione sulla nostra permanenza qui. »
Purin annuì, leggermente contrariata, e l’alieno tentò di sfoderare il suo sorriso migliore.
« Prometto che continuo a salutartelo, okay? Posso anche tentare di strappare un video, se riesco a convincere Pai a creare un canale riservato per meno di tre minuti. »
« Tanto adesso è di buon umore. »
Ridacchiarono insieme, poi la ragazza gli fece l’occhiolino: « Magari un giorno mi porti a vedere l’astronave. »
« Dillo che vuoi che mio fratello mi appenda in camera a mo’ di trofeo di caccia. »
« Mh, con quei capelli forse fai più da scendiletto. »
« Fila via, pidocchia! »
Ascoltando la risata divertita di Purin che ritornava al lavoro, Kisshu giocherellò ancora un po’ con il cellulare, diventando pensieroso all’improvviso.
Avrebbero fatto meglio a installare un comunicatore in laboratorio il prima possibile.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Letteralmente trooper = un soldato, un poliziotto, ma viene anche utilizzato per indicare qualcuno che affronta situazioni di avversità in maniera stoica e persistente. Quando si dice a qualcuno “You were a real trooper”, gli si sta facendo un complimento per la caparbia nell’aver affrontato un momento o svolto un’azione.

(**) Alla lettera teste di leone (獅子頭, è un piatto della cucina cinese consistente di polpette di carne di maiale solitamente stufate con cavolo cinese e altre verdure. Il nome deriva dal fatto che la forma delle polpette ricorderebbe quella della testa del leone guardiano cinese.

(***) Capitolo 2

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Capitolo 6
*** Not always rainbows and butterflies ***


Chapter Six – Not always rainbows and butterflies

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembrava che in casa fosse scoppiata una bomba. Non importava quante volte al giorno raccoglieva vestitini, giocattoli, bavaglini, cuffiette, scarpine, ogni volta che si girava ne vedeva almeno altri tre abbandonati in un angolo del divano o su qualche mensola. Già lei non era famosa per il suo ordine, la casa era grande ma le cose al suo interno sembravano essersi moltiplicate esponenzialmente, sapeva anche che tutto ciò sarebbe solo peggiorato con il tempo…
Per fortuna che almeno c’era Ryou.
Ichigo si rilassò un po’ di più sul divano e, con un sorriso intenerito, lo osservò scendere piano le scale, in una mano il monitor della camera della bimba e nell’altra un mucchietto di vestiti da lavare, il che lo costringeva a parlare sottovoce con il cellulare invece incastrato contro la spalla. Lo stomaco le sfarfallò impudente, lei si sentiva ancora a pezzi e completamente sfasata, mentre lui magicamente sfoggiava solo un accenno di barba incolta che contribuiva a donargli esattamente l’effetto opposto.
D’accordo, però lui non è mai stato un campione del sonno.
Quando la notò sveglia, Ryou chiuse la telefonata velocemente con qualche altra parola inglese e le si avvicinò per sfiorarle una guancia con le nocche: « Lo sai che la regola aurea è dormire quando dorme lei. »
La rossa inclinò il viso di più verso la sua mano: « Volevo farmi una doccia ma mi sono stesa un attimo e ora non mi alzo più. »
« Nap. You’re good at that. »
Si allontanò dandole un buffetto sul naso mentre lei storceva il naso per la battutina. Affossandosi ancora di più tra i cuscini, tastò alla cieca finché trovò il cellulare, abbandonato da un paio di giorni sul tavolino.
Per evitare domande superflue – troppi ficcanaso con giudizi non richiesti – aveva evitato di divulgare troppe notizie tra i vari social, ben sapendo che già avrebbero viaggiato tra i compagni di università e che Shirogane stesso non fosse un amante dei fatti propri spiattellati ai quattro venti. Ciononostante, qualche giorno prima aveva ceduto e si era concessa di pubblicare una tenerissima foto dei piedini di Kimberly sopra la copertina regalata da Retasu. Presa dai ritmi frenetici di quelle giornate e dalla mancanza di sonno aveva poi quasi completamente ignorato il telefono se non per rispondere alle continue telefonate dei suoi genitori; infatti, non appena lo sbloccò, fu letteralmente invasa di notifiche, messaggi, e-mail e quant’altro.
Bramando un po’ di meritato oblio tecnologico, si estraniò per vari minuti, scorrendo e picchiettando con i pollici in maniera quasi automatica e rispondendo in modo più o meno sistematico.
Finché non notò una mail, finita in fondo alla pila perché spedita tra le prime, molto a ridosso della pubblicazione della fotografia.
 

 

From: RedDataKnight
 
Ehi Ichigo! Come stai?? :) Ora forse capisco perché non ti ho sentito al tuo compleanno! :D Spero che vada tutto bene – io sarò a casa per un po’ per un progetto di ricerca, mi farebbe piacere farti le congratulazioni dal vivo e aggiornarci un po’! Ovviamente senza fretta :)
 
M.

 

 

« Cavolo! » esclamò in un sussurro, continuando a fissare lo schermo. Rispondere agli auguri, quell’anno, non era stato decisamente tra le sue priorità (settimo e passa mese di gravidanza e concernenti pensieri a parte, dopo la cena a casa tutti insieme Ryou l’aveva portata in un bed and breakfast in montagna per il fine settimana con la molto poco necessaria scusa che da lì a poco i momenti per loro sarebbero diminuiti drasticamente, e anche se ci fosse stato abbastanza campo il telefono era l’ultima cosa a cui aveva prestato attenzione…), come sapeva di avere il diritto di raccontare ciò che voleva a chi voleva, ma non poté fare a meno di sentirsi in colpa.
Quello era Masaya, le era stato accanto in molti momenti importanti della sua vita e ancora lo era, anche se in maniera diversa. Certo, non si sentivano tutti i giorni e neanche tutti i mesi, ma erano sempre rimasti in contatto come due buoni amici potevano fare.
Invece lei si era completamente dimenticata di lui nel momento più significativo di sempre.
« Cavolo, cavolo, cavolo! »
« Tutto okay? »
Sobbalzò quando Ryou ricomparve alle sue spalle, lanciandole un’occhiatina preoccupata.
Ichigo scosse la testa: « Sì, mi sono accorta che… ho dimenticato di rispondere a qualche messaggio. »
Il biondo le picchiettò la testa con le dita: « Niente di grave direi, ginger. »
« No, no, però… » lei si mordicchiò il labbro e lo scrutò mentre le si sedeva accanto, buttava la testa all’indietro con un sospiro, e la guardava con un mezzo occhio aperto, aprendo il palmo per farsi dare il cellulare.
« Ginger, relax. Gli altri aspettano, tu non puoi non dormire. »
« Vuoi dirmi che stai per fare un pisolino insieme a me? »
« If you’re quick. »
Ichigo abbozzò una risata, poi digitò qualcosa di veloce in risposta e tirò Shirogane per un braccio, costringendolo ad accoccolarsi contro di lei per quei preziosi minuti di pausa.
 

 

From: Strawberrycat
 
Aoyama-kun, scusami tanto! Sono incasinatissima in questo periodo, come puoi immaginare :))) Mi farebbe piacere salutarti, ti faccio sapere appena possibile!! :))))

 

 
 
 
§§§
 
 
 
 
« Buona giornata, cara! Torni per cena? »
Retasu si appoggiò al muro dell’entrata per non perdere l’equilibrio mentre si infilava le scarpe: « Uhm… non credo mamma, dopo lezione ho un turno al Caffè ma ti faccio sapere! »
« Certo tesoro, in caso ti lascio qualcosa in caldo. »
Con un ultimo saluto, la ragazza afferrò un giacchetto leggero e si fiondò fuori dalla porta, stringendo la sacca con il computer al petto e avviandosi a passo spedito verso la stazione più vicina. Meglio non affidarsi troppo alle sue abilità da ciclista, quando aveva fretta.
Ebbe fortuna, e un treno si fermò al suo binario dopo pochi istanti; si sedette al primo posto finestrino libero e prese un respiro di sollievo, avrebbe recuperato sul suo ritardo e sarebbe potuta arrivare all’università con calma. Mancava poco all’inizio della sessione di esami estiva, e non era certo il momento di essere notata dai professori per i motivi sbagliati.
Poggiando la spalla al finestrino, si concesse di rilassarsi un po’ di più e ripassare mentalmente il programma della giornata; come al solito, l’idea di passare la serata al Caffè le riempì lo stomaco di aspettativa. Ciò che aveva detto a sua mamma era vero, aveva sul serio un turno di un paio d’ore subito dopo le lezioni, visto che coincideva con il momento più affollato, ma da quando lei e Pai aveva iniziato a frequentarsi, lei aveva anche incominciato ad allungare la sua permanenza nel locale.
Si frequentavano. Solo quel pensiero fece frullare il cuore della verde e tingere le guance, costringendola ad affondare il naso contro la borsa per nascondere un po’ l’imbarazzo. Probabilmente se qualcuno in passato le avesse detto come sarebbe finita, non ci avrebbe creduto. Con tutti i loro trascorsi, con tutto quello che c’era stato, con il solo fatto di come fosse in realtà il maggiore degli Ikisatashi… a volte avrebbe voluto pizzicarsi per credere che fosse tutto reale. Che era davvero lei quella cui rivolgeva gli scarsi sorrisi, quando la incrociava per le stanze del Caffè; davvero la sua mano che accarezzava con discrezione in mezzo agli altri; davvero la sua bocca che cercava nei momenti rubati tra la penombra del seminterrato.
Il suo tentativo di non arrossire fallì miseramente, e Retasu cacciò ancora di più il viso contro la tela colorata. Si sentiva di nuovo una scolaretta in preda a una tempesta di farfalle nello stomaco, estasiata dalle più piccole cose. Perché in effetti la loro relazione – faceva quasi fatica a chiamarla così – si basava sulle piccole cose: Pai l’attendeva sulla porta sul retro alla fine dei suoi turni al Caffè per riaccompagnarla a casa o all’università; lei lo raggiungeva in laboratorio per sederglisi accanto e studiare mentre lui continuava il suo lavoro, e insieme condividevano qualche avanzo regalato da Keiichiro; quando erano entrambi liberi, facevano lunghe passeggiate in cui lui l’ascoltava raccontare ciò che le passava per la testa o le chiedeva spiegazioni su varie cose che aveva osservato sulla Terra. E lei non avrebbe potuto chiedere di meglio, non le importava che Ichigo le facesse notare con una punta di malizia che non avevano mai avuto un vero e proprio primo appuntamento, perché il modo in cui l’alieno la guardava, la cercava, la sfiorava, la baciava, la potevano riempire più di qualsiasi altro luogo comune. Nessuno sapeva quanto calore in realtà l’algido alieno poteva trasmettere, e anche se lei non era d’accordo con ciò che le aveva detto un mese prima, dopo il compleanno di Kisshu, credeva con tutto il cuore alla promessa che le aveva fatto.
Anche se lei…
La frenata del treno e l’annuncio della sua fermata la riscossero dai suoi pensieri, e si dovette quasi lanciare di corsa prima che le porte si chiudessero costringendola a un doppio viaggio. L’aria calda di fine maggio la rinvigorì, e le sue labbra non smisero di incurvarsi in un sorriso.
Magari sarebbe potuta arrivare al Caffè un po’ prima, quel giorno, invece di rimanere a studiare in università. E magari, questa volta, avrebbe potuto davvero trovare un posto carino e romantico dove andare a cena.
 
 
 
 
« Terra chiama Pai, passo. »
Gli occhi ametista si girarono con fastidio verso Kisshu, seduto a gambe incrociate sulla sedia lì accanto.
« Siamo stanchi, stamattina? » continuò a prenderlo in giro il fratello minore, con quella sua brutta abitudine di non riuscire a star fermo e che quindi continuava a far girare la sedia a destra e sinistra, le braccia incrociate dietro la testa, « Ti ho chiamato due volte. »
« Al contrario di te, io riesco a concentrarmi, » replicò Pai, tornando a fissare la colonna di dati che riempivano lo schermo.
« Sì, diciamo così, » il verde ghignò e indicò con il mento il proprio monitor, « Ho comparato i dati mandati dal Comando Generale ai nostri, niente di che. »
« Mhhm, » l’altro continuò a digitare imperterrito, « Invece in questa zona la Mew Aqua è diminuita. Il che avallerebbe la tesi che il terreno la consuma proprio come fonte di energia. »
« Non è esattamente ottimista, come ipotesi, » Kisshu si sporse per vedere meglio, « E solo in quella zona? »
« Non ho ancora comparato i dati rispetto l’anno scorso. E qui non stiamo cercando solo cose ottimiste. »
« Scusami, mi ero dimenticato che negativo è il tuo secondo nome, » il fratello alzò gli occhi al cielo e si alzò dalla sedia con un sonoro scrocchiare di ossa, « Vado a farmi un giro e raggiungo la tortorella, se la trovo. Tu hai piani per oggi? »
Pai ignorò il suo ghignetto strafottente: « No. »
« Oh, andiamo! Per una volta puoi rivolgere più di quattro monosillabi al tuo fratellino adorato. »
« Quando avrò voglia di parlare con Taruto sarò io stesso a farlo. »
« Ah! » Kisshu buttò la testa indietro e rise aspro, « Almeno la pesciolina ti migliora il senso dell’umorismo. Te l’avevo detto. »
Pai piegò solo un sopracciglio: « Mi avresti detto cosa? »
« Che era la scelta migliore, visto quanto sei musone, » gli batté una mano sulla spalla, solo per ritirarla con un sibilo e una parolaccia data l’onda di elettricità che gli fece drizzare i capelli, « Ahia, cazzo, la devi piantare con questa aggressività! »
« Vai a disturbare Aizawa e lascia stare me. »
« Esatto, vado a cercare qualcuno che apprezza la mia compagnia. »
« Buona fortuna. »
Kisshu uscì dal laboratorio salutandolo con un dito medio alzato; quando la porta si bloccò con un sibilo, Pai si rilassò contro lo schienale della sedia.
Quanto detesto quand’ha ragione.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
« Ah, senti che arietta! E che profumo di primavera! Mi sta venendo caldo. Perché mi guardi così? »
Ryou scosse la testa, nascondendo un sorrisetto, mentre continuava a spingere la carrozzina: « You’re funny, ginger. »
« Dai, è la nostra prima uscita ufficiale, sono contenta, » Ichigo gli strinse un po’ di più il braccio, poggiandovi la tempia e quasi zampettando accanto a lui, « Poi guarda come dorme! Quasi la invidio. »
« Se sei stanca, possiamo tornare a casa. »
« No, ancora un po’, » sospirò lei, « E poi dobbiamo ancora passare a prendere un paio di cose per stasera. »
Il biondo sbuffò sottovoce: « Ricordami perché stai già organizzando cene a tre settimane dal parto. »
« Intanto non sto organizzando niente, io metto solo a disposizione il luogo e il cibo lo portano gli altri, » puntualizzò divertita lei, « E poi mi mancano le mie amiche, ho voglia di fare due chiacchiere e non pensare a quanto sono stanca per un paio d’ore. »
« Mmhm, » Ryou le lanciò un’occhiatina divertita, « Stai forse dicendo che non ti basto io? »
Ichigo arricciò il naso e gli diede una leggera spinta: « Quanto sei sciocco, certo che no. Ma ho circa due mesi di gossip arretrati, soprattutto da parte di Reta-chan. »
« Mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere senza. »
« Shirogane! Non fare l’antipatico. »
Lui rise ancora, lasciandole un bacio leggere sulla testa, e continuarono a camminare tra i curati vialetti del parco per un altro quarto d’ora, finché Ichigo non individuò una panchina sotto l’ombra di un grosso albero.
« Ora pausa! » annunciò, portandosi le mani sulle reni per stirare un po’ la schiena, « Ci sediamo cinque minuti? »
« Mi stavo giusto preoccupando di questo tuo eccesso d’agonismo. »
« Come premio per la tua simpatia, ti tocca andarmi a prendere un gelato. »
Ryou mise il freno alla carrozzina, accertandosi che non fosse al sole, e guardò la rossa con un sopracciglio alzato: « Qui non c’è il Caffè. »
« Non dirmi che ti fa paura la concorrenza! »
« Ti ho viziato troppo. »
Ichigo si sedette con un sospiro e in risposta gli mostrò un sorriso sfavillante da bambina, cui lui ribatté con un buffetto sul naso.
« Vaniglia e cioccolato? »
« E panna montata. »
Con un altro buffetto, Shirogane si allontanò verso un chioschetto poco lontano che vendeva bevande, merendine e gelati, mentre la rossa si rilassava sulla panchina e iniziava a giocherellare con il cellulare, tenendo d’occhio Kimberly che continuava a dormire beata.
Persa com’era a recuperare i messaggi scambiati nella chat delle ragazze, non si accorse della figura che le comparve accanto finché questa non la chiamò con voce allegra, facendola sussultare.
« Ichigo? Sei proprio tu? Che coincidenza! »
La rossa sbatté le palpebre un paio di volte, presa completamente alla sprovvista, per mettere a fuoco la silhouette contro luce: « A-Aoyama-kun? Ma… che ci fai tu qui? »
Masaya sorrise con la stessa vitalità di sempre: « Non ti ricordi? Sono tornato a Tokyo per un po’, per un lavoro che sarà il fulcro centrale della mia tesi di master. Passo spesso per questo parco, quando vado in università. »
Ichigo in realtà lo stava ascoltando solo con mezzo orecchio, troppo presa dal senso di colpa di essersi completamente (e nuovamente) dimenticata di rispondere al ragazzo in maniera decente e dalla mortificazione di trovarselo ora lì, davanti, in un parco che aveva cominciato a frequentare solo perché più vicino alla nuova casa.
« Allora, come stai? Congratulazioni, a proposito! Che avventura! »
« Eh già… » lei si morse il labbro, sentendosi a disagio come non mai con il ragazzo, « È stato tutto un po’… come dire… una sorpresa, già. »
Aoyama annuì comprensivo e sbirciò sotto la cupola della carrozzina: « È un sacco carina, complimenti davvero. Come si chiama? »
Ichigo strinse un po’ di più il manico: « Uhm… si chiama Kimberly. »
Non le sfuggì il viso interdetto del ragazzo mentre si raddrizzava e voltava verso di lei, incuriosito dal nome molto poco giapponese; non ebbe il tempo di chiedere, però, perché in quel momento ricomparve Ryou, il gelato in mano e la faccia più impassibile della storia, probabilmente fugando ogni suo dubbio.
« Aoyama. »
« Shirogane, buon pomeriggio, » lo salutò Masaya, decisamente più cordiale, « Credo che le congratulazioni siano di dovere anche a te, quindi. »
« Thank you. Ti intrattieni molto, a Tokyo? »
Ichigo si dovette trattenere dal dargli un pizzicotto mentre le porgeva il gelato, di cui le era completamente passata la voglia, ma Aoyama non apparve per nulla turbato.
« Un anno intero del mio master sarà dedicato a un progetto che sto seguendo qui, così da costruirci la tesi, » esclamò con pacatezza, « Avevo avvisato Ichigo, ma capisco che sia stata un po’ impegnata. »
La rossa condivise la risatina impacciata, muovendo l’indice tra lei e Ryou: « Già, noi due… ecco… »
Masaya non la lasciò finire, annuendo con fare comprensivo e sorridendo di più: « Sono contento per voi e vi auguro il meglio. Hai accanto una persona straordinaria, Shirogane, e sono certo che saprai prendertene cura. E complimenti ancora. »
« Grazie, Aoyama-kun, e davvero scusami se non ti ho risposto ma - »
« Non preoccuparti, Ichigo-chan, non posso nemmeno immaginare che momento sia questo! L’importante è che tu – voi – stiate bene e siate felici. »
Ryou fece un impercettibile passo verso la ragazza: « We are, thank you. »
Masaya annuì ancora e rivolse un ultimo sorriso a Ichigo: « È stato un piacere rivedervi. E l’offerta del caffè è sempre valida. »
« Ciao, Aoyama-kun… »
Ichigo lo salutò fievolmente e lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, un ultimo gesto con la mano, e poi sprofondò ancora di più nella panchina: « Accidenti, che vergogna! Mi sono completamente dimenticata di dirgli… be’, tutto, e trovarmelo davanti così! »
Shirogane rimase impassibile, agguantando di nuovo il manico della carrozzina: « Non vedo cosa ci sia da vergognarsi. »
« Non in quel senso, però… e tu potevi anche essere più gentile! »
« Sono conciso, non sono certo scortese. »
« Certo, come no, » la rossa sbuffò e si tirò in piedi, scrocchiandosi la schiena una seconda volta, « Non abbiamo più quattordici anni, puoi avere una conversazione vera con qualcuno che non ti va a genio. »
« Let’s just go. »
Ichigo evitò di alzare troppo gli occhi al cielo e lo seguì lentamente verso l’uscita dalla parte opposta.
 
 
 
 
« Ogni volta che vengo qui da te, nee-chan, mangio come un maiale. »
Purin si stiracchiò vistosamente, allungando le gambe sul tappeto con un mugolio soddisfatto, e Ichigo sorrise sotto i baffi, poggiando un vassoio con teiera e tazze sul tavolino da caffè.
« Questa volta non è colpa mia, è stata Minto-chan a provvedere. »
« E infatti mangiando come se non ci fosse un domani, non avete gustato quasi nulla. Non vi meritate i miei ristoranti. »
« Abbiamo fatto onore alla tavola invece. »
« Ti dovresti regolare, Momomiya. »
« Tieni, bevi così ti rilassi, » la rossa le allungò una tazza già riempita, « Ora perché i maschietti non vanno a giocare da un’altra parte così noi ragazze possiamo fare un po’ di chiacchiere tranquille? »
« Be’, perché? » domandò Kisshu, quasi sinceramente offeso, « Anche io voglio sentire i gossip. »
« Come sei infantile. »
« Non so se ti convenga, nii-san, credo che Ichigo-chan voglia interrogare anche Minto nee-san. »
« Come no! »
« Scusate, questa doveva essere una serata tra ragazze, » Ichigo mise il broncio e lanciò un’occhiata torva ai due alieni e a Ryou, seduto accanto a lei, « Siete voi che vi siete imbucati. »
« I live here, you know. »
« Non mi sembra un problema per te non fare conversazione. »
Shirogane alzò un sopracciglio alla frecciatina, spostandosi per guardarla meglio: « Ancora con questa storia di oggi? »
Purin guardò in su dalla sua tazza, su cui soffiò prima di dare voce alla domanda condivisa da tutti: « Perché, cos’è successo oggi? »
« Niente. »
Ichigo lanciò un’altra occhiataccia al fidanzato: « Oggi siamo andati al parco qui dietro per far fare a Kimberly una prima passeggiata all’aperto. Non c’eravamo mai andati tanto, l’abbiamo scelto solo per comodità e… abbiamo incontrato Masaya. »
Le altre tre ragazze si lasciarono scappare un sussulto, mentre Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio alla rivelazione; la rossa prese un sorso di tè e scosse la testa:
« Così, me lo sono trovato davanti all’improvviso! Ve l’avevo detto che mi aveva scritto, no? Ma io - »
« Wait, he wrote you?! »
« - gli avevo solo risposto velocemente e mi ero completamente dimenticata di dirgli qualsiasi cosa! Mi ha pure ricordato che non lo avevo ringraziato per gli auguri di compleanno! Così quando mi è spuntato in fronte, non so, avrei voluto che il terreno mi mangiasse… e Ryou praticamente sembrava schifato a rivolgergli la parola, il che non ha aiutato! »
« Mmh, che bell’incontro… » commentò solo lugubre Kisshu, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza e ricevendo una rara d’occhiata d’intesa dall’americano.
« È per questo che Shirogane è tutta sera che ha la faccia di uno che ha mangiato un limone? » criticò Minto, quasi divertita, e lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
« E come sta Aoyama-san? » domandò Purin, allungandosi sul tavolino per afferrare un biscotto, « Credo di non vederlo da quando è partito per Londra la prima volta. »
La rossa fece spallucce: « Bene, direi. Ha detto è qui a Tokyo per un progetto del suo corso di studi, ma non so molto altro. Non abbiamo avuto molto tempo di parlare, ecco. Però… non so, devo dire che l'ho trovato un po'... strano. »
Retasu corrugò la fronte: « In che senso? »
« Non saprei spiegarlo, » l'amica scosse la testa, « Mi ha solo dato questa sensazione, ecco tutto. »
« Un po' di estraneità è comprensibile dopo tanti anni di lontananza, » intervenne pacata Zakuro, « Anche se avete mantenuto un buon rapporto dopo che vi siete lasciati, e sono passati tanti anni, è venuto a sapere all’improvviso che tu hai avuto una figlia niente di meno che con Ryou, che non era esattamente il suo migliore amico. Anzi, con il quale aveva un rapporto, come dire… competitivo. »
« Watch it, » borbottò il biondo con un’occhiataccia verso Purin e Kisshu, che avevano sogghignato platealmente, prima di bere un sorso di tè.
« Immagino di sì, » Ichigo esalò e si alzò dal divano, « Chi vuole altro da bere? »
Quando si fu allontanata verso la cucina, con la teiera in mano, l'attenzione degli altri si spostò su Shirogane, che sbuffò contrariato: « Non capisco perché continuate a guardarmi. »
« E dai, nii-san, » rise Purin, « La tua faccia dice tutto. »
« La mia faccia  non dice niente. E poi, se proprio volete discuterne, e se proprio volete ipotizzare che tra me e Aoyama ci sia mai stata una gara – che non è il caso perché ho avuto altro di meglio da fare al mondo che mettermi a competere con lui – se anche mai ci sia stata competizione, allora dovreste anche concludere che alla fine ho vinto io. »
Minto alzò gli occhi al cielo: « Parli di ego spropositato... »
« Avete iniziato voi. »
« Alla tua età ancora discuti di queste cose? » Ichigo ritornò in sala con un'espressione poco divertita in volto, « E guarda che non sono un premio da vincere. »
« Vallo a dire a tuo padre, » la prese in giro Ryou tetramente.
« Questo sabato siamo a pranzo da loro, non iniziare. »
Il biondo si limitò a scambiarsi un’occhiata silenziosa con Zakuro, che in tutta risposta piegò leggermente la propria tazza verso di lui.
« Comunque normale l’ameba non è mai stato, » dichiarò Kisshu con un ghignetto, « Ma sempre più simpatico dei suoi alter ego. »
« Kisshu! »
« Non fare quella faccia, tortorella, è vero. Fosse spuntato davanti a me non mi sarei limitato a non rivolgergli la parola. Qualunque sfumatura di blu fosse, avrei voluto fargli un po’ il culo io. »
Minto lo guardò in tralice mentre lo sguardo dorato sembrava perdersi nel vuoto, e cercando di non farsi notare poggiò con nonchalance il braccio sulla gamba di lui. Nello stesso momento, Retasu si schiarì la gola e sorrise, allungandosi verso la teiera di nuovo riempita e fumante.
« Chi ha bisogno di un altro giro? »
Non ebbe il tempo di ricevere risposta che il telefono di Ryou cominciò a suonare, facendoli sobbalzare quasi tutti, Ichigo che preoccupata si voltò verso il baby monitor sul tavolino della lampada.
« È Keiichiro, » esclamò il biondo controllando il display, « Ma non so cosa - »
Dal piano di sopra rimbombò debole l’allarme del computer del suo studio, seguito dall’esplosione di notifiche sul suo cellulare.
E gli parve subito un incredibile déjà-vu, soprattutto perché si udì un sibilo, e Taruto apparve all’improvviso nel bel mezzo del salotto.
 
 
 
 
Purin si sentiva come se il mondo intorno a lei fosse improvvisamente tutto ovattato e al rallentatore. Aveva osservato a occhi sgranati Pai e Kisshu alzarsi di scatto e quasi accerchiare il loro fratello minore, raggiunti poco dopo da Ryou, mentre Ichigo scattava al piano di sopra visto il pianto disperato di Kimberly, spaventata dal rumore dei sistemi e dalle grida stupite degli ospiti, ma in realtà i suoi occhi si erano focalizzati solo sul ragazzo dagli occhi color ambra e i capelli marroni ora sciolti sulle spalle.
« Possibile che tutte le volte debbano spuntare all’improvviso come funghi?! »
« Minto-chan, calmati… »
« Oh Retasu, non mi guardare così, ogni volta fanno tutto questo casino…! »
« Scusate! » la voce di Zakuro sovrastò quella delle altre, e tutte le teste, compresa quella della biondina, si voltarono verso di lei, « Adesso basta. Cosa sta succedendo qui? »
Taruto le rivolse un sorriso terribilmente simile a quello del fratello dai capelli verdi: « Ho finalmente finito il mio addestramento. Non potevo certo lasciare che solo i miei fratelli si divertissero, no? »
« Be’ certo, la Terra è il vostro nuovo luogo di villeggiatura. »
Il più giovane degli Ikisatashi guardò Shirogane con un misto di curiosità e fastidio: « Sono solo io, che problema c’è? »
« Anche l’ultima volta eravate solo voi tre e il vostro capo pazzoide. »
« Ryou! »
Pai ignorò il commento e si sfregò la fronte: « Come hai fatto? E perché non sono arrivate comunicazioni ufficiali? »
« È stato il Comando ad approvare la mia richiesta subito, se avessi anche dovuto aspettare le comunicazioni ufficiali non sarei mai arrivato, ci sono non so quali cambiamenti nell’Assemblea e… ehi, e quello cos’è? »
Ichigo continuò a cullare Kimberly e lo guardò storto: « Quello è mia figlia, disgraziato! »
« Ah però, vecchiaccia, l’età è avanzata davvero! »
« Brutto… ! »
Ryou le si avvicinò e le mise una mano sulle spalle per frenare il suo impeto vendicativo, la testa che già stava pulsando in maniera molto pericolosa.
« Volete dirmi che ora in periferia di Tokyo ci sono ben due astronavi aliene nascoste in una dimensione parallela. »
Taruto guardò i suoi fratelli con un moto d’orgoglio: « Ho inserito le coordinate che avevi mandato al Comando al vostro arrivo e sono riuscito ad ingrandire la dimensione. Per trovarvi stasera ho tracciato il segnale del vostro connettore. »
« Oh, he enlarged the dimension, ain’t that great. »
Zakuro cercò di blandire Shirogane con uno sguardo truce, ma cominciava a condividere con lui l’inizio dell’emicrania: « Quindi è per questo che Keiichiro stava chiamando, i nostri sistemi devono aver percepito il tuo arrivo. Ma la ragione di esso non ci è ancora stata data, o anche tu fai parte della missione dei tuoi fratelli, solo a scoppio ritardato? »
Il giovane alieno si strinse nelle spalle: « Puoi metterla così. »
« Io non voglio metterla, » replicò la modella, « Preferirei sapere. »
Non si perse l’occhiata che si scambiarono Pai e Kisshu, così come non se la persero gli altri; fu Minto la prima a parlare, con occhi pieni di istinto omicida:
« Kisshu giuro che ti squarto vivo se non apri quella bocca. »
« Ci sono delle cose che… non sapete. »
Zakuro inarcò impercettibilmente un sopracciglio alla risposta di Pai, incrociando simultaneamente gambe e braccia: « Allora raccontatecele. »
« La tortorella un po’ le sa già. »
« Non mettere in mezzo me, sai! »
Pai fissò la modella per qualche istante, e lei vi riconobbe quello sguardo duro e perso che ogni tanto gli aveva visto fare durante le loro notti insieme.
« Ve ne abbiamo già accennato. Dopo la caduta di Deep Blue, ci sono stati molti cambiamenti all’interno della nostra società che non sono stati graditi a tutti, chi credeva ancora al nostro vecchio signore ha continuato a rimanergli fedele per qualche tempo. Potete immaginare cosa fosse, essere le cause dirette della sua disfatta. »
Kisshu storse la bocca, mormorando qualcosa di incomprensibile ai terrestri e spostando il peso da un piede all’altro, ma il fratello continuò con un sospiro: « Taruto è riuscito a non viversi il peggio perché all’epoca era solo un bambino, nonostante il ruolo che gli era stato affidato. L’hanno reintegrato nei vari passaggi del nostro sistema educazionale, quasi chiudendo un occhio. »
« Noi invece eravamo i fratelloni traditori che l’avevano portato sulla cattiva strada, » intervenne il verde con una risatina aspra, « Ci hanno fatto mangiare della merda per anni, nonostante una folta parte di pubblico ci considerasse quasi come dei salvatori. Che non era nemmeno divertente, dopo un po’. Non potevamo vivere una vita normale senza essere perseguiti in qualche maniera. »
« La nostra missione è stato… un compromesso, » terminò ancora il moro, evitando di guardare Retasu e i suoi occhioni lucidi, « Avremmo condotto ricerche necessarie e importanti per il nostro pianeta, ricerche che possano assicurarne la longevità, ma senza abitarvi. Perché non era possibile. »
« Con la promessa che il moccioso qui ci avrebbe raggiunti, una volta consolidata ufficialmente la sua posizione di tenente, » Kisshu strinse affettuosamente una spalla a Taruto, ormai alto quasi quanto lui.
Zakuro sospirò e si abbandonò contro la spalliera, continuando a studiare i tre fratelli e scambiandosi un’occhiata con le sue amiche. Non poté evitare di soffermarsi su Purin, che incredibilmente non aveva ancora spiccicato una parola e proseguiva a fissare il più giovane dei tre ad occhi sgranati.
« D’accordo, » esalò poi, guardando direttamente Ryou, « Okay? »
Il biondo, le mani sui fianchi, si limitò ad annuire.
« Oh comunque non mi piace questa cosa che ci trattate ancora come minacce. »
« Kisshu, sta’ zitto. »
Il verde scosse le spalle e si riavvicinò a Minto, che si era appollaiata su un bracciolo del divano con un’espressione distratta. Finalmente, Taruto scrutò la stanza finché il suo sguardo non si posò sulla biondina seduta per terra; un sorriso timido gli si disegnò in volto mentre, a disagio, infilava le mani nelle tasche dei pantaloni.
« Ciao, scimmietta. »
Purin sbatté le palpebre un paio di volte, la bocca che si trasformò in una piccola o, e sembrò quasi risvegliarsi da un sogno. Il viso le si illuminò di un sorriso enorme mentre scattava in piedi con agilità straordinaria e gli si lanciava letteralmente addosso con uno strillo ad ultrasuoni: « Taru-Taru! »
Il tonfo della loro rovinosa caduta per terra fu coperto nuovamente dagli strilli di Kimberly, spaventata una seconda volta, e dal gemito sconfortato di Ichigo e Ryou.
 
 
 
 
Dopo aver ristabilito l’ordine, e aver aggiornato velocemente Keiichiro con una telefonata, anche il terzo Ikisatashi fu sistemato al secondo piano del Caffè (nonostante le proteste di Purin, che si era offerta profusamente di ospitare Taruto fino a nuovo ordine, vista l’ampiezza di casa sua e i continui viaggi di suo papà). Il pasticcere li accolse con il solito sorriso cordiale, accompagnandoli nella vecchia camera di Ryou – ora di Kisshu – nella quale aveva arrangiato la brandina d’emergenza con la promessa di aggiungere un letto più comodo al più presto.
« Mi sento improvvisamente adolescente, » ghignò il verde, « Pai ha sempre il diritto di prelazione, eh? »
Il viola lo ignorò: « Molte grazie, Akasaka-san. Continueremo a non essere di disturbo. »
L’altro sorrise e si tirò dietro la porta mentre usciva: « Nessun problema, Ikisatashi-san. Questo piano è assolutamente tutto vostro. Vi chiedo solamente di informare Taruto-san sulla maniera migliore per non attirare l’attenzione visto le nostre nuove collaboratrici. »
Pai annuì e lo salutò con un ultimo cenno; quando la porta fu chiusa, controllò il pomello e attese qualche istante, lasciando che Kisshu vi si appoggiasse contro con una spalla e il solito sorrisetto irriverente: « Be’, benvenuto nella nostra umile dimora. »
Taruto si guardò intorno, poi sghignazzò: « Come avete fatto a convincere Shirogane a farvi stare qui? »
« Era l’opzione che più gli conveniva, così può far finta di non starci tenendo d’occhio. »
Pai sospirò e si sedette sulla brandina appena installata: « Taruto. Lo sai cosa ti devo chiedere. »
D’improvviso, il fratello assunse una posa molto più composta e rigida: « Nessuna novità. La situazione non è cambiata dalla vostra partenza. I registri sono nella mia navetta. »
Gli altri due si scambiarono un’occhiata, poi Pai si sfregò la faccia, percependo tutta la stanchezza della giornata: « Dovrò andare a fare rapporto, immagino. »
« Io istruisco il fanciullo qui, prima che sparisca dietro una certa testa bionda. »
« Che cavolo dici?! »
« Ho notato un certo trasporto, in quel capitombolo. »
« Senti, vai a cagare. »
« Potete darmi tregua per dieci minuti? »
« E dai, » Kisshu rivolse a Pai un sorriso splendente, « Lo sai che ti eravamo mancati. »
Il maggiore scosse la testa, si alzò con uno sbuffo e si avviò lungo il corridoio, le spalle incurvate: « Vedete di non fare casino, vado alla nave. »
« Io te l’avevo detto di installare un comunicatore più vicino. »
« Dannazione, Kisshu! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Non ci fu maniera, ovviamente, di tenere Purin lontana dal Caffè più delle minime sei ore di sonno necessarie a essere funzionante. Al primo raggio di sole, si fiondò giù dal letto, si infilò il primo paio di pantaloni che trovò – un pinocchietto leggero di un azzurro allegro, perfetto vista la giornata – e quasi volò fuori casa, salutando i suoi fratelli con un grido quando era già oltre la porta.
Arrivò al locale a tempo di record e come per magia senza neanche una goccia di sudore, rallentando solo quando vide Keiichiro che rastrellava la ghiaia del vialetto per metterla in ordine.
« Buongiorno, Akasaka-san! »
Lui cercò di non apparire troppo divertito dal suo trillare agitata: « Purin-chan, buongiorno. Siamo mattinieri oggi. »
« Già, » lei sorrise a trentadue denti, saltellando sui talloni, « Posso chiederti un favore? »
« Ma certamente. »
« Lo so che oggi ho il turno, però… non è che potrei… ? »
Keiichiro sorrise affettuoso e annuì, poggiandosi al rastrello e facendole l’occhiolino: « Non mi ricordo l’ultima volta che hai preso un giorno di ferie, direi che è decisamente meritato! »
« Grazie mille! » Purin gli si avvicinò e gli diede un cinque energetico, « Ci vediamo dopo, ciao! »
« Purin-chan, aspetta, non sono ancora - ! »
Ma il suo richiamo non fu ascoltato, perché lei si era già lanciata all’interno e stava salendo i gradini a due a due. Con la chiave di riserva, aprì la porta che separava il secondo piano e – incurante del silenzio, o delle soglie chiuse, o delle luci spente – si tuffò verso la vecchia stanza di Shirogane, chiamando a pieni polmoni: « Buongiorno, Taru-Taru! »
Entrambi i ragazzi nella camera si svegliarono di soprassalto, tra l’essere investiti dalla luce e l’urlo, in un coretto di parolacce.
« Ma che cazz - » Kisshu riuscì solo ad aprire mezzo occhio, la faccia stampata dalle righe del cuscino, « Purin! È l’alba! »
« Ti sembra il caso di entrare così?! » sberciò pure Taruto, tenendosi il lenzuolo fino al mento e una mano sul cuore che batteva furioso.
La biondina sembrò non farci caso e marciò dentro, spalancando pure la finestra: « Forza, in piedi, pigrone! Ci sono un sacco di cose che dobbiamo fare! Uuuh, nii-san, tu dormi nudo? »
Il verde litigò con il lenzuolo per avvolgervisi il più possibile senza abbandonare la posizione prona, mugolando spropositi contro il guanciale mentre la biondina rideva sfacciata e piroettava verso la branda di Taruto.
« Si entra bussando, sai? Non si sveglia la gente come una cannonata! »
« Sono contenta che sei tornato, » esclamò candidamente lei, incrociando le dita dietro la schiena, « I nii-san non ti hanno mandato i miei messaggi? Chiedevo sempre di te! »
Un vago rossore si sparse sul naso dell’alieno: « E dopo un viaggio intergalattico non potevi farmi dormire!? »
« C’è tempo per dormire, ora dobbiamo dirci un sacco di cose! Ho chiesto apposta un giorno di ferie, mi devi raccontare tutto del tuo addestramento, del tuo pianeta, e scommetto che ci sono anche un sacco di cose che non sai! Te l’ha detto Kisshu nii-san che ora esce con Minto nee-san? »
Il suddetto riuscì finalmente a voltarsi a pancia in su, un piede a penzoloni fuori dal materasso e le braccia spalancate, ed esalò sfinito: « Non è che potreste portare la vostra toccante riunione fuori da qui? »
Il fratello minore gli lanciò un’occhiata truce e poi esalò: « D’accordo, Purin, sono sveglio, ma ora esci. Mi devo… uhm… »
La biondina fece una smorfia maliziosa: « Anche tu come Kisshu-san? »
Taruto divenne color melanzana, l’afferrò per un braccio mentre lei se la ghignava della grossa e, il lenzuolo ben stretto attorno al corpo, la spinse bruscamente fuori, sbattendole la porta alle spalle.
Svegliato dal trambusto, Pai passò lì davanti con la faccia scura e una tazza di caffè nero fumante in mano.
« Possibile che non ci sia mai un attimo di pace? »
 
 
 
 
Retasu tentennò un istante prima di varcare l’entrata posteriore del Caffè. Era arrivata un po’ in anticipo rispetto al suo turno, un po’ perché avvisata da Keiichiro sul giorno libero di Purin – che stava spammando senza pietà la loro chat di gruppo con foto della maratona cui stava costringendo Taruto – un po’ perché, viste le rivelazioni della sera precedente, avrebbe voluto sfruttare l’occasione per parlare con Pai.
La cosa, però, la rendeva nervosa: non era mai stata un’amante del confronto, per niente, e non era un confronto quello che voleva ottenere, però si rendeva conto di come le domande che aveva potessero risultare scomode, lo aveva capito dall’espressione dei tre alieni durante il loro racconto. Ciò la metteva in difficoltà; non le piaceva rivangare ferite che evidentemente avevano faticato a chiudersi, dall’altro lato aveva delle curiosità che non riusciva a placare.
Prese un respiro e si avviò dentro, il profumo dolce del Caffè che, come ogni volta, le solleticò le narici. Era appena dopo pranzo, sapeva che Pai avrebbe iniziato da lì a poco il suo secondo round di tazze di caffè, perciò se ne procurò una non appena ebbe lasciato le sue cose in spogliatoio. Stava dirigendosi con estrema cautela verso il laboratorio quando lo vide salire in direzione opposta e rivolgerle un accenno di sorriso, cui lei rispose con timidezza più marcata.
« Ciao, » gli mormorò, « Sono arrivata un po’ prima perché manca Purin. »
Pai annuì e le tolse l’onere di stringere la tazza fumante, ringraziandola sottovoce: « Ha preso in ostaggio mio fratello. »
Retasu sorrise divertita e congiunse le mani in grembo: « Ci sta mandando foto in continuazione, è ancora in ottima forma. »
Anche Pai rise, prendendo un sorso e assaporando un po’ più a lungo l’aroma caldo sulla lingua. Non era stupido, sapeva cosa volesse la ragazza, e non dovette aspettare molto per sentirla cominciare.
« Io… riguardo ieri sera… » tentennò infatti la verde, mentre gli lanciava uno sguardo da sopra il bordo degli occhiali, « Volevo solo… »
L’alieno le indicò le scale con un cenno della testa e la fece precederlo al piano di sopra, indirizzandola con una mano sull’incavo della schiena verso la sua camera da letto. Non erano certo discorsi che lui avrebbe apprezzato condurre, figuriamoci nel bel mezzo di un corridoio.
Lì, l’odore del ragazzo era molto più forte, e ciò le fece sfrigolare la pancia più del solito, ma Retasu s’impose di concentrarsi.
« Perché non me l’hai detto? » domandò d’un fiato dopo qualche istante.
Pai sospirò e poggiò la tazza sulla scrivania lucida, cercando le parole giuste.
« Non sono bei ricordi, Retasu. »
« Lo capisco. Per questo forse sarebbero da… condividere. Non ti fidi di me? »
Lui fece un passo avanti e le prese il viso tra le mani: « Non ha niente a che vedere con te. »
Lei si corrucciò, scrutando le iridi ametista: « Cosa vuoi… ? »
L’alieno esalò piano e la strinse un po’ di più: « Non sono il tipo di persona che… si trova a suo agio a chiedere aiuto, né grava i propri problemi sugli altri. Non voglio scatenare la tua pietà, non voglio farti stare male. È passato, e non ha più nessuna importanza. »
« Pai, io… io voglio sapere chi sei, » mormorò lei.
« Sai già tutto quello che conta. Non voglio guardare indietro, con te. Voglio andare avanti. »
Il cuore di Retasu batté così forte che per un istante quasi le cedettero le ginocchia; si aggrappò alle spalle di lui e lo studiò per qualche altro secondo, annuendo lentamente poi: « Però promettimi che… se ci fosse qualcos’altro, o in un momento in cui ti serve parlarne… che lo farai. »
Lui assentì con la testa, sfiorandole le labbra in un sussurro prima di baciarla: « Te l’ho detto che non ti merito. »
Retasu si lasciò scappare un sospiro quando avvertì la parete contro la schiena e inclinò di più la testa, perdendosi nel loro bacio. Il sapore di Pai si mischiava a quello del caffè, e come sempre iniziarono a ronzarle le orecchie mentre il petto le galoppava spedito e il sangue sembrava fluirle tutto nel ventre. Anche Pai esalò nel poggiare le mani sulla sua vita per premersi un po’ di più contro di lei, percependone le curve contro al corpo, il calore tiepido e il profumo fresco.
Sapeva di estate, pensò senza sapere il perché, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a farne a meno, che presto avrebbe solamente bramato sentirlo maggiormente.
Un altro mormorio risalì dalla gola della ragazza quando Pai spostò un palmo per sfiorarle appena un seno, un mugolio che assomigliava terribilmente al suo nome e che, unito a Retasu che si sporgeva ancora contro di lui, gli azzerò del tutto i pensieri. Si piegò a baciarle il collo, l’altra mano che spiegazzò la stoffa della gonna che lei indossava per impedirsi di muoverla, avventurandosi lungo lo scollo della blusa, lì dove una volta aveva sfoggiato la sua voglia Mew, per poi ripercorrere la pelle rosea dalla parte opposta.
« Pai… » questa volta fu un rantolo vero e proprio nel momento in cui lui la strinse di più, poi le mani della ragazza gli si posarono sulle spalle, « A-aspetta… »
Riportò le mani sulla vita di lei per abbracciarla e le lasciò un ultimo bacio sotto l’orecchio, tracciando con il naso la scia di pelle d’oca che le causò; Retasu tremò appena e prese fiato, sistemandosi gli occhiali sul naso: « De-devo andare. »
Avrebbe voluto dirle di non farlo, invece Pai annuì e posò la fronte contro la sua.
Non puoi correre.
« Ti accompagno quando hai finito, » le disse sottovoce.
La verde fece sì con la testa, tossicchiò mentre si sistemava un po’ i vestiti, e si sporse in su per ottenere un ultimo bacio veloce, con buona pace del viso color peperone e del cuore in gola.
Forse aveva davvero ragione lui, si disse, l’unica cosa importante era continuare a guardare avanti, insieme.
 
 
 
 
« Dai, ammettilo che ti sei divertito! »
Purin diede una giocosa spallata a Taruto, che incrociò le braccia dietro la nuca e assunse un’espressione di superiorità: « Non è stato malaccio, ma sei una guida un po’ troppo frenetica. »
« Dovevo farti vedere un sacco di cose! E poi tu sei lento! »
« Per tua informazione, sono tra i migliori del mio corso! Sei tu che hai le gambe più corte e quindi devi correre, nanerottola! »
La biondina rise allegra, dandogli un altro colpetto e scoccandogli un’occhiata di nascosto mentre continuava a camminargli accanto, le ombre del tramonto che si facevano più scure. Ancora non si capacitava che Taruto fosse davvero lì, vicino a lei, che potesse toccarlo e vederlo sul serio. Né si spiegava come avessero passato la giornata in totale sintonia, come se non fossero passati davvero sette anni ma solamente sette giorni dall’ultima volta in cui si erano visti.
Eppure, sia lei che Taruto erano cambiati così tanto.
Gli scoccò un’altra occhiata, meravigliandosi del fatto che adesso era più alto di lei di almeno dieci centimetri e decisamente con le spalle più larghe di quanto si ricordava, ma con la stessa faccia da birbante, nonostante i lineamenti cresciuti.
Dal canto suo, anche Taruto faceva fatica a computare che la ragazza a fianco a lui fosse davvero la sua amica d’infanzia. Purin era rimasta snella e scattante anche da adolescente, però la chioma bionda le correva fino a metà schiena, con ancora qualche treccina tra le ciocche, e le curve si erano ammorbidite nei posti giusti, rendendola davvero…
La gola gli si chiuse come se avessero eliminato tutta l’aria dell’universo e distolse velocemente lo sguardo – cosa diavolo andava pensando?! Era stato lontano da Kisshu un anno intero, possibile che già soffrisse la sua influenza?!
Con due falcate doppiò la biondina e, le mani sempre dietro la nuca, camminò all’indietro per rivolgere un sorriso smaliziato: « Scommetti che ora ti porto io in un posto stratosferico? »
« Ah sì? » ribatté lei, incrociando le braccia, « Vediamo se mi batti! »
Taruto le fece una linguaccia, poi si guardò intorno e la prese per un polso per portarla in una stradina laterale, al riparo da occhiate curiose.
« È un po' che non uso il teletrasporto sulla Terra, quindi potrei essere un po' arrugginito, però… » le afferrò anche l’altra mano, chiuse gli occhi, e dopo pochi istanti sentirono una forte brezza sulla pelle, « Ecco, ci siamo. »
Purin dovette sbattere le palpebre un paio di volte per realizzare che davvero stava guardando l’intera città al crepuscolo dalla somma della Tokyo Tower: « È bellissimo! Era un sacco di tempo che non venivo qua. »
Il ragazzo sorrise trionfante: « Allora ho vinto, eh? »
« Giochi sporco, però, io non posso teletrasportarmi e nemmeno saltare più come facevo una volta. »
« Non sai perdere. »
La biondina gli rispose con una smorfia e lo tirò, impavida come sempre, così che potessero sedersi su una delle travi, la mano sempre stretta nella sua.
« D’accordo, è una cosa fantastica, » esalò dopo un po’ mentre lentamente le luci della città cominciavano ad accendersi sotto di loro, « Ma anche il mio giro di oggi non era male. Non ti ho portato a fare il turista. »
« Il che? »
« Lascia perdere. »
Taruto la guardò stranito mentre lei rideva, con i capelli che svolazzavano al vento e colpivano pure lui, portando con loro un soffio del suo profumo. Si ricordò di una cosa all’improvviso, e iniziò a rimestarsi in tasca sotto lo sguardo incuriosito di Purin.
« Che fai? »
« È stata un po' una faticaccia trovarle, » borbottò, tirando fuori il pugno chiuso, « Sai com'è, le cose sul nostro pianeta sono un po' diverse da quelle che avete voi, ma queste dovrebbero essere abbastanza simili. »
Le aprì il palmo sotto al naso, rivelando delle palline tonde avvolte da una carta plastificata di diversi colori.
Il viso di Purin si illuminò: « Sono... caramelle? »
Lui annuì: « La versione di Duuar. Sono morbide, ma non le devi masticare o ti si attaccano ai denti. »
Lei le guardò estasiata, cercando di scegliere la prima da provare: « Che gusti sono? »
« Verde, blu, e rosso. »
« Quelli non sono gusti, sono colori! »
« Scimmietta, non fare la difficile, non ne ho la minima idea, prendine una e basta. »
Purin ridacchiò di nuovo, sentendo un formicolio all’altezza del petto a quel nomignolo, e ne scelse una a caso, scartandola e lanciandosela in bocca: « Gwassie. »
Taruto sorrise, facendo un piccolo cenno con la testa: « Non c'è di che. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Neanche l’arrivo dell’ultimo fratello Ikisatashi – ed eventuali domande che Ryou avrebbe volentieri posto – era riuscito a far desistere Ichigo dall’appuntamento promesso ai propri genitori, il primo pranzo vero e proprio a casa loro dalla nascita della nipotina.
La nascita di quest’ultima da un lato aveva portato una ventata di euforia incredibile nei coniugi Momomiya, con Sakura più disponibile che mai e pronta a intervenire al minimo richiamo (cosa di cui Shirogane era più che grato, visto che nonostante i libri, i corsi, i video, l’ingegno, a volte ancora non aveva la minima idea di cosa fare, in più ogni pasto casalingo già pronto era sempre benvenuto) e Shintaro molto più di buon umore del solito; dall’altro, purtroppo, non aveva giovato quasi per nulla al rapporto tra i due maschi della famiglia.
Nonostante l’impegno di Sakura di domare l’imperiosità del marito e di fare da diplomatica tra le parti, Shintaro non perdeva occasione di lanciare al biondo velenose frecciatine che alla lunga gli stavano facendo perdere la pazienza; quella stessa pazienza che però non poteva permettersi di lasciarsi sfuggire per non scatenare le ire di Ichigo, che tanto lo pregava di provare ad essere tollerante e paziente, perché certo suo padre non sarebbe cambiato tutto d’un tratto.
Ryou, però, non si era mai ritenuto un campione di pazienza, soprattutto se vessato in continuazione senza un motivo oggettivo; quindi, ogni incontro con il suocero putativo lo rendeva di volta in volta di umore peggiore. In aggiunta, al già malumore in previsione dell’americano bisognava aggiungere la frustrazione causata della mancanza di sonno – collaterale alla neonata che invece al momento dormiva beata nel seggiolino – la mole di lavoro accumulatasi nell’ultimo mese – vedasi ragione precedente – e anche l’insofferenza ad avere da quasi una settimana non uno, non due, ma tre alieni nel suo Caffè a fare chissà cosa e al non poter davvero interrogarli come avrebbe voluto.
A quel pensiero scosse la testa e strinse un po’ di più il volante dell’automobile; iniziare il pranzo con quei pensieri non l’avrebbe certo aiutato a raggiungere una specie di nirvana dove i commenti di Shintaro sarebbero giunti solo come un ovattato mugolio.
« Tutto okay? »
Ichigo, accanto a lui, gli toccò appena una gamba, mentre continuava a voltarsi verso il sedile posteriore per accertarsi che Kimberly stesse bene.
« Sono solo stanco. »
La rossa non fu molto discreta ad occhieggiarlo per bene, non molto convinta: « Cerchiamo di rilassarci un po’, d’accordo? Sarà una cosa veloce. »
« Non capisco perché facciamo tutto a casa nostra, e oggi invece dobbiamo cambiare location. »
Lei si trattenne dallo sbuffare: « Perché stiamo sempre a casa ormai, cambiare un po’ d’aria ci farà bene. E poi così possiamo venire via quando vogliamo. »
Così non posso sparire in studio non appena tuo padre incomincia, avrebbe voluto rispondere Shirogane, ma si guardò bene dall’aprire bocca.
Come al solito, furono accolti da grandi feste di Sakura, che aveva dato fondo alle provviste della cucina per un ottimo pranzo – era convinta che almeno ghiotte distrazioni avrebbero potuto attutire un po' le discordie e le intenzioni bellicose della sua dolce metà.
Come al solito, suo marito fu di diverso avviso. Concesse giusto una mezz’ora di tregua a Ryou, godendosi la nipotina, prima di ricominciare con le solite punzecchiature e critiche.
« Sai, ho visto quella tua vecchia compagna di classe dai capelli biondi, tesoro, » iniziò non appena Sakura gli tolse da davanti il piatto ripulito, « Come si chiamava? »
« Si chiama Mowe, papà. »
« Ah, sì, giusto, » l’uomo si pulì velocemente la bocca con un fazzoletto, « Mi ha detto che ora frequenta un’ottima università, studia legge, le piace molto. »
Ichigo si strinse nelle spalle, già presagendo una svolta poco simpatica della conversazione: « Lo so, papà. Le sento ancora spesso per telefono, so sicuramente più di te, anche se non ho il tempo di vederle molto. »
« Immagino, sei sempre così impegnata, » Shintaro fece un lungo sospiro, « Eh, bambina mia, anche tu stavi andando così bene all’università, ti piaceva così tanto e avresti potuto raggiungere ottimi risultati, se non fossi stata sviata… »
Ichigo fu svelta ad appoggiare una mano sul ginocchio di Ryou non appena si accorse che, a quella affermazione, il biondo aveva stretto nel pugno un angolo del tovagliolo.
« Papà, ne abbiamo già parlato, lo sai che non ho intenzione di lasciare l’università, riprenderò più avanti. Sono solo indietro di un semestre, e anche se ci metto di più, non sarà certo un problema. »
« Poi lo sai che la nostra Ichigo non era una campionessa dello studio, » s’intromise Sakura con una risatina dolce, « Se non ci fosse stato Shirogane-san, non avrebbe certo studiato tanto come ha fatto nell’ultimo periodo prima di prendersi la pausa. È stato anche grazie a lui che ha scelto di entrare a Lettere. »
Shintaro scrollò le spalle, come se l’ultima affermazione non avesse avuto troppo peso: « Avresti avuto un tale futuro radioso… »
Ichigo strinse gli occhi: « Non mi sembra di essere in una situazione così disperata, ora. »
« E poi abbiamo una bellissima nipotina! » la moglie intervenne di nuovo velocemente, poggiando davanti al marito il piatto fumante della seconda portata, « Non credi che sia una cosa meravigliosa potersi godere quell’angioletto a pieno, ora che siamo ancora giovani e pieni di vita? »
« Sì, sì, » l’uomo sventolò una mano, « Ma avrei preferito che anche Ichigo potesse approfittare dell’essere giovane e piena di vita senza altre distrazioni, e concentrarsi sulle cose importanti. È ancora una bambina, dopotutto, se solo mi avesse ascoltato un po’ di più… »
« Sono ancora qua, papà. »
« … forse non si sarebbe fatta distrarre così incredibilmente. Senza che poi nessuna responsabilità sia stata assunta. »
« Papà, stiamo bene così. »
« Shintaro, caro, per favore. Credo che Shirogane-san si stia prendendo cura delle nostre ragazze in maniera ottimale, non hai assolutamente nessun motivo per lamentarti. Basta guardare Ichigo per capire quanto sono felici. »
Il patriarca Momomiya in risposta borbottò solamente qualcosa di inintelligibile, e Shirogane si concesse un sorso d’acqua per calmare il ribollire che sentiva crescere in petto. In altre circostanze, non avrebbe certo esitato a ribattere – soprattutto quando da frecciatine si passava a vere e proprie ingiurie – ma la pressione che Ichigo continuava ad esercitare sul suo ginocchio era l’unica cosa che lo teneva fermo, insieme alla riconoscenza nei confronti di Sakura. Probabilmente avrebbe dovuto ereggere una statua a quella donna, o quantomeno regalarle qualcosa di estremamente costoso.
La tregua, aimè, non durò molto.
« Ai miei tempi, certe cose non si facevano, » ricominciò Shintaro all’arrivo del dolce, con la voce più imperiosa che mai, « C’era un ordine, nella vita, ed era molto importante rispettarlo. »
« I tempi sono cambiati, caro. E poi certe cose capitavano anche allora. »
« Era certamente una cosa più rara, e in ogni caso si faceva qualcosa a riguardo, » controbatté lui, « Ad esempio, penso che quel bravo ragazzo di Aoyama, sicuramente si sarebbe assunto le sue responsabilità, anzi, sicuramente lui non l’avrebbe convinta a giocare d’azzardo così tanto con il suo futuro. »
Nella stanza calò il silenzio; le unghie di Ichigo quasi incisero la carne di Ryou, che però sentivo riusciva solo a sentire la rabbia straripare definitivamente.
« Lei si rende conto, signore, che sua figlia è un’adulta anche dal punto di vista legale, e che quindi ogni decisione riguardo il suo futuro è stata presa con cognizione di causa e non di certo perché da me circuita? Ichigo non è decisamente più una bambina, e lei dovrebbe smetterla di trattarla come tale e addossare le colpe ad altri. »
« Bada al tuo tono, ragazzino, potrai anche essere parecchio sveglio, ma non ti permetto di parlarmi in questa maniera a casa mia. »
« Non c’è problema, tolgo il disturbo, » si alzò da tavola e rivolse a Sakura uno sguardo di scuse, « Mi dispiace, Momomiya-san. »
« Ryou, caro… »
« Vedi, ti sembrano questi dei giovani responsabili? »
Entrambe le donne Momomiya lanciarono a Shintaro uno sguardo di fuoco, e la più giovane rincorse Ryou fino alla porta d’ingresso.
« Ryou, aspetta - »
« Cosa aspetto, Ichigo, di venire insultato ancora un po’ da tuo padre? » sbottò lui sottovoce, « Io ci ho provato, ho avuto pazienza, ma addirittura sentirmi dire che ti ho rovinato la vita fregandomene altamente, questo no. »
« Lo so, mi dispiace, ma anche tu sai com’è fatto e - »
« Non vuol dire che mi debba andare bene e che mi debba far scivolare tutto addosso per farlo contento. »
« Non devi far contento lui, ma almeno per me potresti… »
« Cosa? Star lì a guardare mentre ti fai trattare come una bambina senza nemmeno tentare di spendere due parole a mio favore mentre rimpiangiamo Aoyama? »
Ichigo sospirò esasperata: « Ora non tirare in ballo Masaya-kun, non c’entra niente. »
« Bene, difendi lui allora, evidentemente o la pensi come tuo padre, o ti fa comodo che lui in qualche maniera ti ritenga totalmente innocente. »
« Questo non è assolutamente vero, e lo sai. Ryou, per favore, » la rossa gli si avvicinò implorante, prendendogli una mano, « Non voglio litigare con te per colpa di mio padre, possiamo semplicemente andarcene a casa e dimenticarci tutto? »
« Invece stiamo litigando, Ichigo, perché non ho intenzione di nascondere la testa sotto la sabbia per dieci minuti di quieto vivere e continuare ad essere il capro espiatorio di un padre che non vuole accettare la realtà della situazione e che preferisce continuare a vedere la sua bambina in un'aurea di totale purezza. Raccontando pure delle gran balle, perché la storia dell’incontro di kendo con Aoyama la conosciamo tutti. »
La rossa prese un respiro profondo, cercando di calmare entrambi: « Cercherò di parlargli, d’accordo? Di provare a spiegargli che quello che pensa è completamente sbagliato, ma ti chiedo di avere pazienza. Magari quando Kimberly sarà grande capirai perché a volte i genitori si comportano così, ma - »
Ryou le rivolse un’occhiata così sbalordita che le parole le morirono in gola e sentì il cuore precipitarle nello stomaco.
« Cosa diavolo stai dicendo, Ichigo, » sibilò con rabbia, « Avanti, finisci la frase. »
Lei gli afferrò di scatto le mani, soffocata dal senso di colpa: « Ryou, io - »
Il biondo si ritrasse d’impulso, guardandola irato con gli occhi ridotti a due fessure: « Dillo, forza. Dillo che io non so cosa vuol dire avere dei genitori e quindi mi devo far andare bene quelli degli altri. »
« N-no, Ryou, scusam - »
Shirogane scostò malamente la mano che la rossa tentava di poggiargli sul braccio e girò sui tacchi, avviandosi a passo spedito lungo il vialetto d’ingresso: « Meglio se mi lasci stare ora, Ichigo. »
Vergognandosi immensamente, Ichigo non riuscì a fermare il singhiozzo che le rimbombò in gola mentre lo guardava allontanarsi; Sakura, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare tutto dalla porta aperta, le fu accanto in un secondo, avvolgendola tra le braccia calde mentre lei scoppiava a piangere.
« Vieni di là, piccola mia, » le sussurrò, « Ti porto una tazza di tè, d'accordo? »
« No, mamma, » Ichigo cercò di liberarsi dalla stretta mentre sentiva l’auto mettersi in moto, « Devo andare da lui, devo scusarmi e… »
« Lascialo sbollire un attimo, tesoro, » Sakura le accarezzò i capelli, « Dagli il tempo di schiarirsi le idee. »
La riaccompagnò in salotto scoccando un’occhiataccia feroce al marito, che era rimasto in silenzio seduto a tavola a giocherellare con la propria tazza di tè e i rimasugli del dolce. Ichigo si lasciò condurre sul divano, sul quale sprofondò prendendosi la testa tra le mani.
Non sapeva nemmeno lei come aveva solamente potuto pensare a quelle parole, men che meno come avevano davvero lasciato la sua bocca. Il suo viziaccio di non pensare più di un secondo alle sue azioni le si era rivoltato prepotentemente contro, ferendo la persona a cui lei più teneva.
Forse suo padre aveva ragione, forse lei non era ancora in grado di comportarsi in maniera razionale, di prendersi la responsabilità di comportarsi come un’adulta e non come una sciocca.
Lei non era come Ryou, che analizzava le situazioni da ogni possibile angolo per trovare la soluzione più confacente.
Prese un respiro tremulo che uscì in un ennesimo singhiozzo. Erano abituati a battibeccare, certo, era stato il fondamento della loro relazione da quando si erano conosciuti e a volte avevano avuto terrificanti litigate esplosive, ma non si erano mai feriti di proposito. Non in quel modo.
Ignorò la tazza di tè che Sakura le stava porgendo e marciò dritta verso suo padre, che continuava a comportarsi come se nulla fosse.
« Sei contento, ora? »
« Non dare a me le colpe dei tuoi problemi di cuore, signorinella. »
« Continui a provocarlo ogni volta che lo vedi! » sberciò lei, « Continui a farlo sentire come se fosse tutta colpa sua, come se non fosse abbastanza, ma tu non lo conosci! »
Shintaro rimase in silenzio, evitando lo sguardo della figlia e bevendo lentamente; Ichigo rise sprezzante e si asciugò le lacrime con i palmi, cercando con gli occhi la propria borsa.
« Me ne vado a casa, » mormorò, afferrando con cautela il seggiolino di Kimberly senza più rivolgere sguardo al padre.
Sakura le andò incontro, porgendole il resto delle sue cose: « Ti do un passaggio io, cara. »
Con un’ultima occhiataccia di fuoco al marito, che presagiva il discorsetto che sarebbe accaduto al suo ritorno, la signora Momomiya accompagnò Ichigo fino all’auto, tenendola ben stretta per un braccio. La figlia non proferì parola per tutto il tragitto, piangendo in silenzio con lo sguardo perso oltre al vetro del finestrino, e la donna decise che fosse meglio non disturbarla.
L’accompagnò fino alla porta d’ingresso, reggendo il seggiolino mentre Ichigo si fiondava su per le scale chiamando Shirogane a gran voce e spegnendosi ancora di più quando si rese conto che la casa era completamente vuota.
« La sua macchina è qui, però, » pigolò con voce rotta, e Sakura le accarezzò teneramente la schiena.
« Andrà tutto bene tesoro, non preoccuparti. Sarà andato a sbollire un po’. Ora tu cerca di riprenderti e di pensare come parlargli. »
L’altra annuì e l’abbracciò stretta: « Grazie, mamma. »
« Chiamami, se hai bisogno. »
Quando la porta fu chiusa con un tonfo sottile, Ichigo si premurò di spostare Kimberly dal seggiolino alla sua culletta, per un altro po’ di riposo; poi, tirando su con il naso, frugò nella borsa alla ricerca del cellulare e scelse con dita tremanti il numero dai contatti.
« Nee-san? Ciao, scusa ma… » prese un altro respiro e fallì miseramente a ricacciare indietro il pianto, « Ho fatto un casino. »
 
 
 
 
La ruota posteriore della moto sdrucciolò quanto bastava di lato, durante la curva, da fargli intendere che doveva rallentare, se non desiderava schiantarsi contro l’asfalto. Scalò dolcemente, zigzagando tra il traffico intenso di fine giornata, e continuò il suo tragitto.
Aveva perso il conto di quante ore aveva passato in sella, da quando aveva lasciato casa Momomiya, ma il crepuscolo imminente gli diede una buona stima. Era uno dei pochi metodi che aveva per sfogare la propria rabbia e il malumore, e decisamente ne aveva avuto bisogno. Sapeva che forse non era la decisione più matura, prendere e iniziare a vagare per le strade con solo il rumore del vento a premergli contro, ma non poteva certo essere sempre lui quello delle scelte adulte.
All’ennesimo semaforo, controllò dove fosse finito e, per l’ennesima volta, sentì il cellulare vibrargli nella tasca del giubbotto di pelle. Questa volta, decise di richiamare la telefonata.
« Dove sei? » 
La voce di Keiichiro gli rimbombò contro al casco mentre lui accostava lentamente.
« Dalle parti di casa tua. Ci possiamo vedere? »
Gli parve che il moro sospirasse divertito, ma forse era solo il rumore delle altre auto: « Okay, ti aspetto. »
Ryou tamburellò sul manubrio: « Senti… »
« Dai, muoviti, ho già qualcosa da mangiare pronto. »
Sgasò un po’ troppo alla ripartenza e pregò di non trovare una sorpresina al prossimo controllo della buca delle lettere, ma la velocità gli ricaricò le membra stanche per le sue ore di vagabondaggio.
Parcheggiò sotto casa del suo mentore e non dovette attendere molto perché gli aprisse senza nemmeno chiedere chi fosse.
« Che déjà-vu, quella faccia. »
Shirogane lo guardò storto mentre si toglieva le scarpe: « Non sono in vena di scherzare. »
« Immagino. Ho chiamato Zakuro. »
Il biondo buttò la testa e all’indietro e sospirò, dandogli le spalle: « Non mi serve il gruppo di sostegno. »
« L’ha chiamata Ichigo. »
« Ah. »
Precedette il padrone di casa nel piccolo salotto, buttandosi sulla vecchia poltrona di pelle che era arrivata con loro dagli Stati Uniti. Keiichiro lo raggiunse dopo pochi minuti, un vassoio con sopra tre ciotole fumanti di udon, una teiera e tre tazze, tutto coordinato.
« Cos’è successo? »
Ryou si sporse subito per afferrare una scodella e un paio di bacchette: « Hai detto che lo sapete già. »
« Vorrei la tua versione dei fatti. »
Lui rimestò un po’ nel brodo prima di rispondere: « Ho litigato con Ichigo. Più con suo padre, a dire il vero. Ma anche con lei. »
« Dove sarebbe la novità? »
Gli occhi color cielo ardirono guardare male il pasticcere per il sarcasmo non richiesto, ma Ryou si dedicò piuttosto alla cena, rendendosi conto che in effetti stava morendo di fame e che, a causa dell’atmosfera poco piacevole, effettivamente a pranzo non aveva fatto i complimenti alla tavola come al solito.
Il campanello suonò dopo poco, e Keiichiro andò ad aprire mentre il biondo continuava a mangiare in silenzio.
« Di solito si aspettano tutti gli ospiti, » lo salutò Zakuro, con ironia.
« Hai da ridire anche tu sul mio comportamento? »
Modella e pasticcere si scambiarono uno sguardo d’intesa, non aggiunsero nulla e presero posto sul divano, concentrandosi anche loro sulla pietanza calda.
« Ti ha raccontato? »
Zakuro non alzò la testa quando, dopo svariati minuti di silenzio, finalmente Ryou si decise a parlare.
« Non mi ha raccontato tutti i dettagli, e francamente non mi sembrava nelle condizioni migliori per esprimersi. Ma mi sembrava sinceramente dispiaciuta e preoccupata. »
Shirogane sbuffò e si passò qualche volta le mani nella frangia. In fondo era lì proprio perché parlare con Keiichiro – e Zakuro, che però non era tutte le volte dalla sua parte – era sempre stata la soluzione migliore, quindi tanto valeva vuotare il sacco.
Gli amici lo ascoltarono in silenzio, come avevano sempre fatto, senza interromperlo ma focalizzandosi sulla propria cena – sapevano entrambi che Ryou detestava conversazioni troppo formali, soprattutto quando si trattava di cose così personali.
« Abbiamo sempre saputo che Shintaro Momomiya non sarebbe stata una persona semplice, » commentò il moro alla fine del lungo discorso del suo protetto, « È decisamente all’antica, dopotutto, e tu e Ichigo non avete per nulla fatto le cose in maniera tradizionale. Ciò non lo giustifica, ma non possiamo negare il suo punto di vista. »
« Non lo nego, ma… non riesco a capire come lo veda Ichigo. »
Zakuro si allungò in avanti per riempire di nuovo le tazze di tè: « Di questo devi parlare con lei. »
« La fai facile. Vorrei vedere se avesse detto certe cose a te. »
« Siete entrambi impulsivi, » s’intromise velocemente Keiichiro, « In maniera diversa, ma lo siete. E Ichigo-chan è dovuta crescere in fretta, in un modo differente da voi due, questo è vero, ma è così, e lo è ancora. E soprattutto in questo momento di estremi cambiamenti, potrebbe farla sentire più protetta poter giocare alla ragazzina quando è con i suoi genitori. Ciò non vuol dire che metta in discussione te. »
Ryou annuì, ma poi sbuffò dal naso: « Sulla menzione ad Aoyama però non ha fatto una piega. »
« Non eri tu quello che l’altro giorno diceva di aver vinto, su Aoyama? »
« You are not being helpful. »
Il moro rise affettuoso e tirò fuori dal mobile in un angolo un pacchetto di biscotti chiusi da un fiocchetto.
« Mi sento di dire che è un po’ comprensibile, anche se sciocco, provare ancora un po’ di gelosia, visti i precedenti, ma non credo dovresti darci tanto peso. Ichigo-chan ha scelto di costruire una vita con te, e dovrebbe mettere a tacere tutto il resto. E poi, posso permettermi? »
Shirogane lo scrutò dubbioso, e Keiichiro arrischiò solo un’occhiata a Zakuro prima di continuare: « Credo che sia più normale, per te e Ichigo-chan, in questo momento, essere più irritabili, comprendervi di meno. State vivendo qualcosa per cui nessuno è mai preparato davvero, e con tutte le modifiche alla vostra vita, alla vostra routine, anche alla vostra… affettività, è più facile cedere al nervosismo. »
« Aight, thank ya, bye, » Ryou si alzò di scatto, battendosi le mani sulle ginocchia e facendo un cenno verso i due, « Decisamente non sono qui per questo. »
Zakuro sorrise sotto i baffi: « Sei tu che ci hai chiamati. »
« Non per questo! »
La modella fece una smorfia divertita e si alzò, sfiorandogli il braccio: « Lo sai che non intendeva quello che ha detto. »
« Lo so, » il biondo esalò e annuì, « Meglio che vada a casa ora. »
« Sta’ attento, per favore. »
Lui sollevò il casco verso Keiichiro: « Sì, papà. »
« Ah, non ci provare! »
Con un ultimo saluto, si rivestì in fretta e scese le scale insieme a Zakuro. Si era fatto buio ora, e l’aria frizzante di inizio estate gli punse piacevolmente le guance.
« Vuoi un passaggio? »
« Su quella? Nemmeno morta. »
« Ti facevo più spavalda. »
« Ma non stupida. »
Si scambiarono un’occhiata divertita, poi lei si avviò con un picchiettio di tacchi lungo il marciapiedi verso la fermata del treno più vicina. Ryou inspirò a pieni polmoni, all’improvviso colmo di voglia di tornare a casa, quando di nuovo fu distratto dalla vibrazione del cellulare. Lo tirò fuori, corrucciandosi nel vedere un numero che non conosceva: « Pronto? »
« Ryou, caro, sono Sakura, ti disturbo? »
Lui rimase decisamente sorpreso: « Signora Momomiya, certo che no, non mi disturba affatto. È successo qualcosa, Ichigo - ? »
« No, no, va tutto bene, non preoccuparti. Non volevo passare da casa e importunarvi, ma… c’è qualcuno che vorrebbe parlarti. »
Dall’altro lato della linea, sentì il rumore sommesso di due che litigavano sottovoce e – probabilmente – il telefono che veniva passato avanti e indietro un paio di volte, poi udì una voce scura: « Pronto. »
« … Momomiya-san. »
Shintaro si schiarì la gola due volte, chiaramente a disagio: « Mia moglie mi ha detto di chiamarti. Credo che tu abbia chiaro il caratterino delle donne della mia famiglia, » altro rumore di sottofondo che Shirogane interpretò come Sakura che si lamentava, « Non che io non volessi, ovviamente. »
« Certo, signore. »
« Volevo, uhm… scusarmi con te per avere esagerato. Non avrei dovuto paragonarti a quell’Aoyama, tra l’altro. Che si era pure trascinato Ichigo in Inghilterra quando era ancora minorenne, lo sciagurato! Comunque… so che stai facendo del tuo meglio per rendere felice mia figlia, » Shintaro prese fiato, senza che il biondo lo interrompesse, « Non dico di approvare tutte le vostre scelte, ma so che lo stai facendo. »
Ryou rimase interdetto per qualche istante; certamente non si era aspettato delle scuse dal signor Momomiya, sicuramente non così presto, anzi, gli giungevano decisamente inaspettate. Doveva davvero un regalo costoso a Sakura.
L’altro uomo approfittò del suo silenzio per continuare a parlare: « Quando Kimberly crescerà, capirai perché sono così paranoico. »
L’americano sorrise: « Credo di capirlo già da adesso, mi creda. »
« Non pensare di poterla passare liscia con tutto però ora. Ti tengo comunque d’occhio. »
« Non si preoccupi, » Ryou sbuffò divertito e calciò un sassolino dal marciapiedi, « La ringrazio, Momomiya-san. »
« Vedi di prenderti cura di lei sempre, ragazzo. »
« Certo, signore. Ci può contare. »
 
 
 
 
Ichigo scattò su dal divano come un gatto non appena udì il rumore della serratura.
« Ryou! » quasi miagolò quando se lo ritrovò davanti ad appendere il giubbotto al gancio nell’ingresso, « Stavo morendo di paura, sei stato fuori tutto il pomeriggio e io… »
Si zittì, notando la sua faccia ancora scura, e Ryou quasi si sentì in colpa. Il giro in moto, la chiacchierata con Keiichiro e Zakuro, e la telefonata improvvisata con Shintaro gli erano decisamente servite, ma lui non era soggetto a repentini sbalzi d’umore e gli serviva sempre un po’ di tempo per sbollirsi del tutto.
Perciò, sospirò solo e accennò al piano di sopra: « Dorme già? »
La rossa annuì e si morse un labbro: « L’ho appena messa giù, non sapevo a che ora saresti tornato… »
Shirogane si avviò su per le scale e lei lo seguì come un cane bastonato; non lo accompagnò però in camera di Kimberly, ben sapendo che gli piaceva controllarla per un po’ quando dormiva, ma si diresse invece verso la loro stanza da letto e si sedette sul bordo del letto, infilandosi la camicia da notte giusto per non rimanere con le mani in mano.
Si era ripetuta un discorso tutta la giornata, tre misere frasi in croce per spiegargli quanto si sentisse un verme, quanto fosse una persona orribile che non pensava mai a ciò che diceva, ma tutto il coraggio che aveva messo da parte era evaporato quando lui era tornato, nonostante avesse solo voluto rivederlo.
Che ne era stato del suo coraggio da ragazzina?
Ryou entrò dopo pochi minuti, poggiò il baby monitor sulla loro cassettiera e si tolse la maglietta, ripiegandola con cura, tutto sotto gli occhi vigili della rossa che cercava una maniera per incominciare.
« Mi odi, adesso? » pigolò infine.
Ryou, che stava rovistando nel mobile alla ricerca di un paio di pantaloni del pigiama, rilassò le spalle, lanciando la testa all'indietro con fare rassegnato: « Certo che non ti odio, Ichigo. »
« Ho detto una cosa orribile, » gli si avvicinò subito, abbracciandolo da dietro, « Sono un mostro senza cuore che non pensa prima di parlare. »
Lui abbozzò un sorriso, appoggiò le mani sulle sue: « Forse solo un po’. »
Ichigo premette la fronte tra le sue scapole: « Lo sai che non intendevo quello che ho detto, vero? E che non devi prendere mio padre sul serio? »
Ryou sbuffò: « Lo so. Ma tuo padre è molto bravo a farmi perdere la pazienza. Un po’ come te. »
Ichigo arricciò il naso e si sfregò ancora di più contro di lui: « Avrei dovuto difenderti di più. »
Il biondo rise e si voltò verso di lei, prendendole il viso tra le mani: « Ah, ora riconosco la mia paladina della giustizia. »
« Sei ancora arrabbiato? »
« Un po’, ma non ho voglia di parlarne. Passerà. »
La rossa fece un mezzo broncio: « Sicuro? »
« Sicuro. »
La baciò dolcemente, sospirando piano contro le sue labbra quando Ichigo si tese contro di lui e incrociò le braccia dietro al suo collo.
« Facciamo la pace? » gli sussurrò a un millimetro dalla bocca.
Ryou sfiorò il naso contro quello di lei: « Non ho detto di averti perdonato. »
« Daiii, » miagolò lei, e a sottolineare il concetto fece scorrere le punte delle dita lungo il suo petto, « Un pochino di pace. »
« Ginger, we can’t. »
« Le coccole sì, » sospirò la rossa, « Quelle sono caldamente consigliate. »
Riprese a baciarlo e – come del resto molto spesso quando si trattava di Ichigo – Ryou abbandonò l’ultima resistenza rimasta, stringendole più deciso il volto e facendo qualche passo in avanti per avvicinarla al loro letto.
Avvertire quanto gli fosse mancato tenerla così vicina quasi lo infastidì, quasi quanto il dover realizzare che Keiichiro non aveva tutti i torti nel sottolineare che in quel momento qualsiasi cosa veniva ingigantita anche per semplici ragioni fisiche.
Poi se Ichigo si metteva a fare le fusa così…
Scivolò con le mani lungo tutto il corpo di lei, saggiandone le forme più tenere mentre l’aiutava a stendersi sul materasso, baciandola con quanta più calma possibile per godersi il momento al meglio, stringendole piano le curve ammorbidite e perdendosi ad ascoltarla sospirare sottovoce. Le sollevò appena il bordo della camicia da notte per scoprirla un po’ di più e si spostò per poter avere maggior libero accesso ad ogni singolo lembo di pelle nuda che poteva raggiungere. Poi qualcosa di fuori posto attirò la sua attenzione.
Un qualcosa su cui non si era focalizzato del tutto, ma che c’era stato.
Ichigo emise un gemito come per dirgli di non fermarsi, però lui spostò lo sguardo sulla sua coscia destra, e mosse la mano.
« … shit. »
 

 

  

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Capitolo 7
*** Oops, I did it again! ***


Chapter Seven – Oops! I did it again

 
 
 
 
 
 
 
 
« Sei qui un po’ troppo spesso. »
Kisshu, seduto a gambe incrociate nel bel mezzo del letto ad armeggiare con il telecomando, non la guardò nemmeno, ma Minto riconobbe il ghigno nelle sue parole: « E scommetto che ti dispiace moltissimo. »
La mora non rispose, mascherando un sorrisetto e continuando a piegare accuratamente i vestiti della giornata mentre pensava a quelli per il giorno dopo.
No che non le dispiaceva, ma non gli avrebbe certo dato anche quella soddisfazione. Sapeva benissimo che lui sapeva quanto lei avesse preso a desiderare la sua compagnia, ora che si era infilato nella sua quotidianità, battutina irritante dopo battutina irritante, sorriso scanzonato dopo sorriso scanzonato. Realizzare che si era presa una cotta (coi controfiocchi) per Kisshu era stato come un fulmine a ciel sereno – o uno schiaffo a mano aperta in piena faccia – poco prima del suo compleanno. Non ricordava nemmeno l’occasione, solo che erano stati insieme agli altri, lui aveva detto una delle sue solite sciocchezze e lei aveva riso, rimbeccandogli a tono e automaticamente rivolgendogli un’occhiata d’intesa – ed era stata in quell’occhiata, nella maniera in cui aveva sentito lo stomaco annodarsi inequivocabilmente che si era resa conto di essersi cacciata in un guaio. Ci aveva provato, all’inizio, a costringersi a cambiare idea, a ricordarsi come fosse una donna tutta d’un pezzo e che certe cose non erano certo da lei, ma aveva evidentemente fallito, e alla grande.
Rimettendo insieme i pezzi, poi, aveva capito che in effetti lui non era stato troppo discreto nei suoi tentativi di apprezzamento e che il suo incedere lento ma deciso l’aveva effettivamente fatta cedere; e ce n’era voluto di tempo per convincerla che realmente non fosse solamente tutto un trucchetto, una specie di maligna rivincita di qualche tipo, ma che lui era davvero e fin troppo onesto. Una volta sicura di questo, Kisshu aveva avuto il via libera per aprirsi a poco a poco un varco sempre più grande nella corazza della mora e rendersi – non che gliel’avrebbe mai ammesso – sempre più indispensabile.
Si era accorta che, per certi versi, erano anche simili: entrambi testardi, tenaci, proni a perdere la pazienza molto facilmente, e anzi, per l’alieno sembrava quasi un passatempo trovare motivi per irritarla e prenderla in giro.
Forse perché sapeva benissimo come fare pace.
A quel pensiero, Minto storse il naso di nascosto, continuando a sistemare l’armadio; fosse stato solo quello, il loro rapporto, forse in parte si sarebbe sentita più capace di controllarlo, di mettere i paletti necessari, e ci aveva provato, davvero. Invece era cosciente che si cercavano per altri motivi: fin da subito, Kisshu le si era presentato innumerevoli volte a casa, ovviamente senza passare dalle porte ufficiali, per chiederle di risolvere dubbi che aveva sulla società umana o curiosità che aveva visto succedere intorno a lui e che erano così nuove, o per raccontarle qualche storia di Duaar e della loro vita dopo la Terra (anche se non sempre finiva bene, vista la volta in cui aveva smesso di parlargli per un’ora e mezza perché aveva accidentalmente raccontato di una scappatella di troppo). E lei si era ritrovata a cercarlo quando si presentava al Caffè, quasi a controllare che ci fosse ancora, solo per uno scambio idiota di battutine che però la facevano ridere, e a detestare il silenzio di casa propria ancora di più nelle rare volte in cui la sera non udiva il leggero bussare alla sua porta finestra.
Minto sapeva che era un gioco pericoloso, a causa del modo in cui le batteva il cuore e in cui le si scaldava il ventre nel sentirlo vicino, mentre Kisshu sembrava sempre così scanzonato e leggero.
Quindi poteva benissimo farlo soffrire un po’.
« Mi ignori? » la prese in giro, allungandosi sul materasso come un gatto e prendendole il polso, « Non hai nemmeno un po’ di pietà per il fatto che ora devo condividere la camera con il mio fratellino? »
Minto alzò gli occhi al cielo e si lasciò tirare verso il letto: « È passata solo una settimana, e avrai dormito al Caffè due sere. »
« Al Caffè non ho la compagnia della mia palla di pelo preferita, » insistette lui, lanciò uno sguardo a Mikey, appallottolato ai piedi del letto (e che l’aveva preso in simpatia dopo molte insistenze e corruzioni a suon di coccole e dolcetti), poi invece le infilò le mani nei capelli per arruffarglieli tutti, « Parlo di te, ovviamente. »
« Kisshu! Sei un deficiente! »
Lui rise e l’agguantò per la vita, buttandola quasi di peso (come se non l’avesse, realtà) sul letto e prendendole a farle il solletico, il cagnolino che prima abbaiò spaventato e poi iniziò a scodinzolare contento.
« Smettil-ah! Dai, per fav… Kissh… ti prego! »
Lui fermò il suo dimenarsi come un’anguilla prendendole con gentile fermezza i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena con una leggera pressione, e avvicinò il viso alla guancia di lei: « Queste sono le cose che mi piace sentire. »
Minto, schiacciata a pancia in giù, sbuffò sonoramente al sussurro roco e malizioso, e cercò di allungare il collo per guardarlo: « Mi ripeto. »
« Intanto ti ho fatto ridere, » insistette lui, mollandole le braccia per concentrarsi sul sollevare la camicia del pigiama di seta che indossava e iniziando a baciarle la schiena partendo dal basso, « Mi merito un premio per questa prodezza. »
« Non meriti un bel niente, » rise lei un po’ affannata, il viso ancora premuto contro il materasso e il corpo che reagiva in maniera diversa al solletico dei suoi baci, « Già mi stai occupando il letto. »
« Mmmhm, » Kisshu le arrotolò il pigiama fin sotto al seno e poi riscese, mordendole piano la curva alta della coscia, « D’accordo, allora mandami via. »
Lei cercò di sgusciare via con una risata, ma le stava premendo sulle gambe e riuscì solo a torcersi su un fianco: « Sei troppo pesante. »
« Sbagliato, tortorella, io sono estremamente prestante. »
« Tu sei scemo, ecco cosa. »
Kisshu sbuffò contro la sua pelle e ringhiò piano mentre risaliva una seconda volta, accarezzandola a palmi aperti: « Se continui a insultarmi, mi vedrò costretto a - »
Minto attese qualche istante di sentirlo finire la frase, poi si contorse ancora per poterlo guardare: « A cosa? » domandò, corrugando la fronte quando lui non rispose, concentrato a osservarle la schiena, « Kisshu? »
In risposta le arrivò solamente una sequenza di parole in una lingua che non capì, ma che erano decisamente volgari.
 
 
 
 
Purin tastò alla cieca sul ripiano più in alto del pensile in cucina, alla ricerca dei cioccolatini segreti che Keiichiro nascondeva fin troppo bene: « Ma i tuoi fratelli stanno sempre in giro! »
Taruto la scostò con un colpo poco aggraziato di bacino per prendere il suo posto: « Forse perché ora ci sei sempre tu tra i piedi! »
Lei esalò un ah-a! trionfante quando finalmente il ragazzo trovò la scatola desiderata e gliela rubò dalla mano con uno scatto degno di una volpe: « Per te uno in meno perché sei antipatico. »
« Ehi! Così non vale! »
Ridendo sguaiata, Purin scartò di lato e cominciò a correre per il locale vuoto, stringendo la scatola al petto e scappando da Taruto.
« Maledet – fermati, sei scorretta! »
Cercò di afferrarla girando in senso opposto a lei attorno a una colonna, ma la biondina fu più svelta e sgusciò sotto al braccio di lui, arrampicandosi sopra un tavolo e usandolo come trampolino di lancio per raggiungere l’altro lato della stanza.
« Non mi prender-ah! » senza fiato per la corsa e le risate, Purin inchiodò quando l’alieno le si parò davanti di sorpresa, teletrasportatosi per afferrarla; ma Taruto doveva aver mal calcolato le distanze e gli slanci, perché non ci fu nessuna distanza di sicurezza tra i due, e la biondina gli si schiantò addosso con un fragore di fronti.
« Ahioooo, » gemette lui, rotolandosi in terra e reggendosi la testa tra le mani, « Ma cosa sei, un bisonte?! »
Purin boccheggiò un paio di volte, incredibilmente ancora con voglia di ridere mentre si strofinava la frangetta: « Sei proprio scorretto, e guarda cos’hai combinato! »
« La scorretta sei tu che rubi cioccolata! »
Lei ridacchiò, si sdraiò sulla schiena e tastò di nuovo accanto a sé, agguantando la scatola a poca distanza – un po’ schiacciata e con il fiocco stropicciato – e stringendola al petto con fare protettivo: « Ho comunque vinto io. »
« Non era una gara, » bofonchiò Taruto, rimettendosi lentamente in piedi e porgendole una mano per aiutarla a fare lo stesso.
« Che botta, » rise la ragazza, massaggiandosi la fronte, « Credo che domani mi spunterà un bel livido, sarà divertente da spiegare. »
« Non credo si stupiranno più di tanto, visto che hai la grazia di un rinoceronte, » la prese in giro lui, lasciando cadere la mano di lei come se scottasse e al tempo stesso osservandole meglio la fronte, « Accidenti, però sembra già che - »
Purin rimase immobile, un accenno di sorriso che tentò di nascondere il più velocemente possibile, quando l’alieno le si avvicinò e le scostò con due dita la frangetta per esaminare il punto dolente, così vicino che poteva contargli le lentiggini sul naso.
All’improvviso, però, Taruto fece una faccia strana, strinse gli occhi e la guardò con tutta l’attenzione di cui era capace, prima di saltare all’indietro: « Oh cazzo. »
 
 
 
 
L’aria della sera era fresca, condita da un leggero venticello, e Pai non poté evitare di allungare il naso in su e fare una smorfia: non importava quanto tempo rimaneva sulla Terra, l’odore dello smog e dell’inquinamento continuava a infastidirgli le narici e riportare a galla idee che – ne era ben conscio – erano condivise anche dai suoi vecchi rivali. La vita su Duuar non era stata certo idilliaca né mai avrebbe cercato di convincere qualcuno del contrario, ma almeno il vento non aveva mai portato con sé odore di fumo e deperimento naturale.
Si sentì osservato e aprì solo un occhio: Retasu, accanto a lui, in effetti lo stava guardando con curiosità divertita.
« Non so se ci farò mai l’abitudine, » si giustificò lui subito, storcendo il viso questa volta in un’espressione infastidita.
La verde annuì comprensiva e si morse il labbro: « Lo capisco. In città è fastidioso anche per me, a volte. Magari questa estate potremmo… andare da qualche parte un po’ fuori, in montagna o in campagna. Per cambiare un po’ aria. Letteralmente. »
« Sì, » Pai le rivolse un sorriso dall’alto, « Potremmo. »
Retasu annuì contenta e gli si fece un po’ più vicina mentre continuavano a camminare verso casa della ragazza. Era la terza volta che andavano ufficialmente fuori a cena nel giro di una decina di giorni, forse il fatto che era tornato anche Taruto e quindi il Caffè fosse più occupato del solito spingeva anche Pai a voler cercare momenti il più possibile solo per loro due, quindi le era venuto quasi spontaneo proporgli anche solo l’idea di una vacanza da qualche parte, da soli, insieme. Si morse le labbra per cercare di non sorridere in maniera troppo esagerata, mentre lo stomaco le ballava una marcetta al pensiero.
Da soli. Noi due.
Il cuore le sfarfallò un po’ più forte e s’impose di concentrarsi su ciò che le stava raccontando, ma la sua voce le causava l’effetto opposto.
Che cavolo però.
« Tutto okay? » l’alieno la scrutò, preoccupato probabilmente per la smorfia che aveva fatto e la sfumatura delle sue guance, e le strinse un paio di volte la mano.
Retasu si sistemò gli occhiali sul naso e annuì con più forza del necessario: « Sì, scusa, » mugugnò, e non appena svoltarono l’angolo occhieggiò la propria casa, « Stavo solo pensando a una cosa. »
Pessima risposta da dare a qualcuno che di mestiere cercava risposte a domande interplanetarie.
Pai, infatti, continuò a fissarla con sguardo interrogativo, fermandosi a pochi metri dal suo cancello d’ingresso, lì nell’ombra dello spazio tra due lampioni, e Retasu si morse un labbro alla ricerca di una maniera per cavarsela. Il suo cervello doveva davvero darsi una regolata.
« Be’… sono arrivata, » esclamò poi in un respiro, indicando l’abitazione, « Grazie di avermi accompagnata. »
« Retasu, » la riprese lui con uno sbuffo divertito, e le sfiorò una guancia, « Cosa c’è? »
« Niente, » mormorò, fissando il collo di lui, « Pensavo che… noi, uh… io… »
L’alieno corrugò la fronte e l’accarezzò una seconda volta, certamente non capendo l’assurdo filo dei suoi pensieri; fece per aprire la bocca e spingerla a spiegarsi, quando uno squillo che Retasu non aveva mai sentito riempì il silenzio. Pai si scostò da lei, ravanò in tasca qualche istante e ne estrasse un aggeggio che la verde non aveva mai visto, ma su cui lesse con chiarezza le parole SOS Taruto, insieme a un altro mucchio di segni che non riuscì a interpretare.
« Che… che succede? » boccheggiò spaventata, non capendo perché l’alieno la stesse fissando con nervosismo, né perché – senza chiedere e facendole perdere qualche battito – le scostò un poco il cardigan che indossava per scoprirle il petto.
Poi abbassò anche lei lo sguardo.
 
 
 
 
Ichigo mugolò contrariata, aprendo solamente mezza palpebra per contemplare per quale assurdo motivo Ryou si fosse fermato proprio in quel momento, già pregustandosi in realtà una piacevole tortura come pegno per la litigata di quella giornata. Si corrucciò quando invece lo vide completamente distratto.
Con gli occhi sul suo interno coscia.
« Cosa? Shit cosa? »
Ryou esalò soltanto.
« … Shirogane, cosa?! »
Il biondo borbottò qualche altra sequela in inglese che lei decisamente non volle capire, e spostò la mano.
La bolla d’ansia che via via le si era andata formando in gola in quei secondi scoppiò all’improvviso come a sottolinearle un te l’avevo detto mentre i suoi occhi effettivamente mettevano a fuoco i contorni della voglia che svettava sulla sua pelle chiara.
La voglia rosa.
Quella a forma di cuore con due codine di gatto sopra.
La sua voglia da Mew Mew.
« Shirogane. »
Ichigo si poggiò sui gomiti, poi si contorse in avanti per controllare effettivamente che non stesse sognando, si sfregò la pelle con forza, quasi graffiandola, nella vana speranza che fosse un tatuaggio, uno scherzo.
« Oh no. No, no, no, no! » si tirò a sedere di scatto, continuando a stirare la pelle per osservare i contorni del marchio, « Cosa diamine significa?! »
« I have no idea… » bofonchiò lui, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, « I computer non hanno segnalato niente se non Taruto, e… o almeno, Keiichiro non mi ha detto niente… »
« Che vuol dire che non ti ha detto niente?! Siete sempre imbucati in quel diavolo di laboratorio! »
Ryou avrebbe voluto sottolineare che da un mese a quella parte in realtà si era dedicato ben poco al suo nascondiglio nel seminterrato, ma sapeva che non avrebbe sortito alcun effetto. Tentò di allungare una mano verso Ichigo, che invece saltò giù da letto come una furia, le dita infilate nei capelli.
« Questa è follia, » esalò, camminando avanti e indietro, « Ti rendi conto di ciò che potrebbe significare? L’ultima volta che questo è spuntato fuori, noi… e ora che… che… »
Si bloccò all’improvviso, colta da un pensiero, fissando Shirogane a bocca aperta per l'incredulità, per qualche istante. Poi, il suo volto si trasformò in un’espressione spaventata.
Senza aggiungere una parola, corse fuori dalla camera per andare in quella di Kimberly, che stava ancora dormendo tranquilla ed indisturbata. Le si avvicinò, scostandole la copertina rosa per controllarle la gambina paffuta.
L'intero corpo le si congelò alla vista del segno Mew sulla coscia della bambina, e si dovette portare una mano alla bocca per non singhiozzare.
Ryou sentì un brivido ghiacciato corrergli lungo tutta la spina dorsale.
 
 
 
 
« Porca vacca! » Purin corse per l’ennesima volta davanti allo specchio, sollevandosi la frangetta per controllare di non star avendo un’allucinazione, « Lo vedi anche tu, vero? »
Taruto – impegnato a trafficare con uno strano aggeggio cui lei non prestò troppa attenzione – le lanciò uno sguardo di sbieco: « Mi pare evidente, scimmietta. »
« Dobbiamo andare subito dalle altre! » esclamò, voltandosi e afferrandolo per un polso, « Serve una riunione generale, questa cosa è grossa! E poi… ah. »
Si bloccò all’improvviso e tentennò, guardandolo da sopra la spalla: « Le nee-san saranno tutte arrabbiatissime, vero? Tipo… Ichigo-chan e Minto-chan… »
Lui sospirò e si grattò la fronte: « Ho appena avvisato Pai, era con Retasu… non mi sembra l’abbia presa molto male. »
« Ti sei dimenticato di come sono le nee-san, vero? »
« Pensi che la vecchiaccia starà sclerando di brutto? »
« Penso che non vorrei essere il Ryou nii-san, in questo momento. »
 
 
 
 
Fu come una vibrazione, un palpito remoto. Un richiamo antico che si accendeva all’improvviso.
Zakuro si bloccò nel bel mezzo dell’ingresso, le chiavi ancora sospese a mezz’aria sopra lo svuotatasche dove le riponeva sempre.
Si era sicuramente sbagliata, magari era stato solamente un terremoto. Forse quasi l’avrebbe preferito. Eppure, il suo cellulare era settato per gli avvisi automatici, ed era rimasto muto.
Si diresse svelta verso la camera da letto, lo specchio a parete di fianco all’armadio, e si arrotolò la t-shirt che indossava per scoprirsi l’ombelico.
Che sciocca, si disse sfiorandosi la pancia, l’istinto del lupo non si era mai sbagliato.
Quel giorno Shirogane gliene doveva proprio tante.
 
 
 
 
« Ichigo, ti prego, calmati. »
« Calmarmi? Calmarmi?! » sibilò irata la rossa, sforzandosi di non urlare solamente perché teneva Kimberly in braccio, ancora addormentata, « Stasera dal nulla mi è rispuntato il marchio da mutante che è comparso pure a nostra figlia! Che ha un mese, Shirogane! E io dovrei calmarmi!? »
« Non sappiamo ancora cosa significhi. Potrebbe non significare niente. »
« Ah certo, » rise lei sprezzante, « È sempre andata molto bene, in effetti. »
Le si bloccò un singhiozzo in gola e avvicinò la bimba al volto per inspirarne il suo dolce profumo, l’angoscia che però di contro non smise di crescere.
« Tu lo sapevi, vero? »
Quel mormorio fu per Ryou come una pugnalata di senso di colpa al cuore.
« Ichigo, era semplice genetica, » esclamò quasi implorante, « Entrambi abbiamo il gene del gatto Iriomote, attivo, e - »
« Semplice genetica un corno! » sbraitò lei in un sussurro, « Come ti è potuto passare per la testa di non dirmelo!? »
« Mi dispiace, l'ho fatto per non farti preoccupare! » replicò il biondo, tentando nuovamente di avvicinarsi, « Io non... non credevo che avremmo mai dovuto incappare in questa possibilità, e non volevo che tu ti preoccupassi inutilmente. »
« Ah, perché invece adesso sono tranquilla! »
Ryou fece per replicare, quando contemporaneamente lo squillo di entrambi i loro cellulari e un sonoro bussare alla porta d’ingresso riempirono la stanza. Ichigo si affrettò a portare Kimberly nella sua stanzetta per evitare che si svegliasse, l’americano invece si diresse al piano di sotto litigando pure con il telefono su cui svettava l’avviso di chiamata di Zakuro.
Shit, shit, shit.
« Shirogane, questa è la volta buona che io ti uccido sul serio. »
Minto quasi non aspettò che la porta si aprisse, marciando dentro come una furia e pressoché spingendo via il ragazzo, seguita da un Kisshu con un’aria invece appena divertita.
« Si avvisa prima di arrivare… » borbottò lui, declinando la telefonata per un più semplice messaggio, e la mora lo trucidò con lo sguardo:
« Si avvisa prima di iniettare DNA di animali in via d’estinzione che si riaccendono all’improvviso. »
Ryou decise fosse meglio mordersi la lingua, per una volta Kisshu gli rivolse un’occhiata comprensiva mentre si aggregavano in salotto.
« Ho detto a Purin e Retasu di venire qui, » Ichigo rispuntò dal piano superiore, in mano il baby monitor, « Puoi andare a prendere Zakuro e Akasaka-san? »
Kisshu fece un buffo saluto militare, sparendo senza aggiungere una parola.
In meno di tre minuti – rigorosamente passati in silenzio, Shirogane a testa bassa e invece lampi che uscivano dai capelli delle altre due ragazze – il salone di casa Shirogane si riempì come d’abitudine, ma con un’atmosfera molto diversa dal solito.
« Potete spiegarci cosa sta succedendo? » domandò Zakuro, senza molti preamboli, incrociando le braccia al petto.
Ryou e Keiichiro si scambiarono un’occhiata silenziosa, il secondo che accennò con la testa verso i divani in maniera di stemperare un minimo la situazione.
« Non ne siamo esattamente sicuri, » esclamò poi sottovoce quando si furono accomodati tutti, Ichigo esattamente dal lato opposto rispetto al suo fidanzato e attaccata invece a Minto, combattiva tanto quanto lei, « I computer hanno rivelato solamente l’arrivo di Taruto, niente più. »
« Potrebbe essere stato quello? » domandò Purin – come sempre seduta sul tappeto in mezzo a tutti – lanciando un’occhiata all’ultimo arrivato.
Keiichiro si limitò a stringersi nelle spalle: « Non si spiega il ritardo nella comparsa dei vostri marchi, però. Ma è una possibilità. »
Pai annuì sovrappensiero: « Forse il fatto che ora siamo tutti e tre qui ha scatenato la risposta dei vostri geni dei Red Data. Come una volta. »
Zakuro voltò appena il viso verso di lui: « Non è che ne sapete qualcosa, voi tre, appunto? »
Kisshu si appoggiò allo schienale con un sorrisetto sarcastico: « Non è che è sempre colpa nostra quando succede qualcosa qui intorno, dolcezza. »
« Non abbiamo rilevato niente di anomalo con i nostri sistemi, » s’intromise velocemente il fratello maggiore, lanciandogli un’occhiataccia, « Direi che più concretamente, un ripetersi delle condizioni originali che hanno portato alla nascita delle Mew Mew ha innescato un rinforzarsi dei vostri poteri e quindi la comparsa del vostro simbolo. »
« Be', sarà quel che sarà ma vedete risolverlo in fretta, perché Kimberly ha la nostra voglia nel mio stesso identico punto, ed il signorino qui non si è neanche degnato di avvisarmi! » esclamò Ichigo.
Mentre un sussulto di sorpresa correva tra i presenti, Keiichiro si sporse in avanti, tentando di portare soccorso all’amico: « Ichigo cara, non devi preoccuparti. Senza la spilla che attiva i poteri, il DNA di Kimberly è innocuo. La terremo sempre controllata, non è grave. »
« Avrebbe dovuto dirmelo, e lo sai benissimo. Non tenerlo segreto solo tra voi due. E come cavolo avete fatto, quando è nata, le hanno fatto degli esami e nessuno… »
« Abbiamo un contatto all’interno della struttura, » bofonchiò Shirogane, torturandosi ancora la frangia, « Si chiama Joel, lavorava nei nostri laboratori negli Stati Uniti e ha… collaborato anche un po’ durante il progetto Mew. È fidato, e ha preso lui in carico tutti gli esami. »
« Ah be’, se c’è Joel allora… »
« Ichigo, era comunque tutto a posto - »
« Sì ma io te l’ho chiesto, » sibilò lei, guardandolo per la prima volta da quando si erano seduti con occhi pieni di rancore, « Io ti ho chiesto se fosse tutto a posto, tutto normale, e tu mi hai detto sì! E mi hai mentito! »
« Ma è tutto a posto! »
« Come minimo tra tredici anni dovrà trovare dei passeri da baciare per tornare umana! »
« Adesso basta, Ichigo, » Zakuro allungò una mano verso di lei, toccandole gentilmente il polso per tranquillizzarla, « È tardi, non ha senso litigare a quest’ora, ancor più che siamo tutti confusi su ciò che sta succedendo. Dormiamoci sopra e pensiamoci domani. »
« Mi sembra un’ottima idea, » concordò Keiichiro, « Così possiamo cominciare anche a fare un aggiornamento più profondo dei nostri sistemi di monitoraggio, o capire cosa possa essere stato. Pensarci a mente fresca sarà meglio. »
« Io vado a dormire da Minto, » Ichigo si tirò in piedi di scatto, senza guardare in faccia nessuno, « E Kim viene con me. »
« Ichigo, » Ryou si alzò e la raggiunse, quasi rincorrendola su per le scale, « Ichigo, parliamone un secondo. »
« Non c’è niente da dire, » replicò secca lei sottovoce, agguantando nel buio della stanzetta il borsone della bimba con cui di solito uscivano e le prime cose che le capitarono sottomano, « Tutto quello da dire andava detto prima. »
« Se anche l’avessi saputo, cosa sarebbe cambiato? Nessuno di noi aveva previsto che la voglia sarebbe ricomparsa. »
« Tu sei quello che capisce queste cose, tu sei quello che ha deciso queste cose, quindi tu dovevi far in modo che fosse tutto sotto controllo! »
Shirogane abbassò le braccia di scatto, ferito come tutte le volte da quell’accusa, rimanendo in silenzio mentre la rossa prendeva in braccio la bambina, cercando di non svegliarla. Senza guardarlo, Ichigo marciò di nuovo al piano di sotto e la sistemò nella sua carrozzina, voltandosi poi verso Kisshu.
« Andiamo? »
Il verde evitò di sbuffare vistosamente giusto per non peggiorare ancora la situazione, vista la tensione tagliabile con un coltello, e lanciò solo uno sguardo a Minto; lei per tutta risposta si alzò e sibilò una buonanotte pieno di significato.
« A domani, nee-chan, » cercò di mormorare solamente Purin, venendo completamente ignorata da entrambe le amiche.
Il fischio sottile del teletrasporto fu seguito da una sequela sottovoce di parolacce inglesi da parte di Ryou, che finì di scendere le scale lentamente.
« C’è… qualcosa che possiamo fare? » gli domandò titubante Retasu, ancora sconvolta dal rapido declino della situazione.
L’americano scosse solo la testa in risposta: « No, andate a casa a riposare. Tanto non c’è molto da fare. »
Keiichiro si alzò e gli andò incontro con fare fraterno: « Domattina per prima cosa andrò a controllare i nostri computer. Se Ikisatashi-san potesse… »
« Andrò a controllare che non ci siano avvisi anche sui nostri sistemi, » Pai annuì e guardò suo fratello minore, che annuì lentamente, « Ma finora non abbiamo ricevuto segnalazioni di nessun tipo. »
« Grazie mille, Ikisatashi-san. »
Fece un cenno di saluto e si scambiò un’altra occhiata con Taruto, che si alzò e porse una mano a Purin, la quale la afferrò senza aggiungere altro.
Una volta che il salotto si fu svuotato, ad eccezione di Zakuro e Keiichiro, Ryou raggiunse il sofà e vi si lasciò letteralmente cadere sopra con un lamento esasperato.
« What the fucking hell. »
Zakuro stessa affondò un po’ di più nel divano, poggiando la testa contro lo schienale e girando appena il volto per guardarlo: « Perché oggi ti cacci in tutti questi guai? »
L’americano le lanciò un’occhiataccia prima di sfregarsi la faccia: « Grazie del supporto. »
« Questa te la sei cercata. »
Akasaka intervenne prima che Ryou aprisse bocca: « Devi dare a Ichigo-chan solo una notte per calmarsi e processare la questione. Sai che è particolarmente fragile in questo momento. »
« I know, I know, » l’americano continuò a spingersi i pugni contro gli occhi, improvvisamente secchi e doloranti, « Era l’ultima cosa che mi serviva. »
« Magari ti serve per aprirti di più al dialogo. »
« Da che pulpito. »
« Ciò che mi preme è scoprire cosa stia succedendo, » insistette Keiichiro, « Ma mi fido di entrambi i nostri sistemi, e se effettivamente non hanno rilevato anomalie, potrebbe essere semplicemente una reazione alla presenza dei tre Ikisatashi. E se serve che spieghi a Ichigo perché Kimberly non si troverà comunque in pericolo, basta chiamarmi. »
« Dubito che voglia ascoltare qualcuno, » borbottò solo Ryou, più cupo che mai.
« Inutile piangere sul latte versato, » con uno sbuffo, Zakuro si tirò in piedi e distese le rughe invisibili della sua maglietta, soffermandosi qualche secondo in più sull’ombelico come ad accertarsi che fosse davvero coperto, « Ora trova una spiegazione a tutto ciò e una maniera di parlare con Ichigo. »
« Decisamente semplici. »
« Non sarà il sarcasmo a tirarti fuori da questa situazione, Shirogane. »
« Vi prego, non litigate voi due, almeno. »
« Non stiamo litigando, » la modella si concesse un sorrisetto mentre si avviava verso la porta, « Sto solo cercando di riscuoterlo dal suo sconforto, che è inutile, con un metodo del tutto suo. »
Ryou scelse di non rispondere, contenendosi a soffiare tra i denti, e rimase fermo sul divano anche quando sentì l’uscio chiudersi e Keiichiro sospirare. Il moro attese qualche altro istante, poi si batté le mani sulle ginocchia e si alzò anch’egli.
« Chiamami se serve, d’accordo? » ripeté stancamente al suo protetto, cui rivolse anche una stretta alla spalla.
« Ci aggiorniamo domattina. »
La casa divenne incredibilmente silenziosa non appena il pasticcere si fu tirato la porta alle spalle, e Ryou tossì solo per riempire il ronzio nelle orecchie. Aveva tanto bramato un po’ di calma negli ultimi tempi che gli sembrò invece insopportabile, in quel momento.
Si decise finalmente a staccarsi le mani dal viso e si alzò di scatto, recuperando il cellulare e tentando una telefonata che – lo seppe non appena sbloccò lo schermo – non avrebbe avuto risposta. Sibilò una sequenza di maledizioni in lingua madre e riprovò ancora, maledicendo la testardaggine di entrambi; una scarica di emicrania gli attraversò il cervello, già abbastanza provato, e un’incredibile stanchezza assalì le sue membra.
Doveva solo riposare, si costrinse, ordinando alle gambe di dirigersi in camera da letto, far ricaricare il cervello e ritrovare la concentrazione necessaria a risolvere tutto quel casino. A costo di hackerare il cellulare di Ichigo per far in modo che alzasse quella benedetta cornetta.
 
 
 
 
Retasu si strinse al braccio di Pai quando lasciarono casa di Ichigo e Ryou: « Che serata! » sospirò « Sei preoccupato? »
Il moro la guardò dall’alto con curiosità: lei era quella a cui era rispuntato il marchio che attestava il suo incrocio genetico con un animale in via d’estinzione, e lei era quella che chiedeva a lui se era preoccupato?
« No, » rispose soltanto, cercando di essere rassicurante, « Tu? »
La ragazza esalò un lungo respiro tremolante prima di rispondere, sistemandosi gli occhiali un paio di volte: « Non lo so. Forse vorrei… delle risposte, più che altro. O delle certezze. »
Si grattò sovrappensiero il petto, lì dove era rispuntata la voglia, e all’improvviso le sembrò più esposta che mai. Pai probabilmente riconobbe il gesto nervoso, perché chiuse dolcemente le dita sulle sue, costringendola a smettere, poi lei avvertì il risucchio gentile del teletrasporto all’ombelico e in pochi secondi furono di nuovo tra i lampioni, lì dov’erano rimasti solo mezz’ora prima.
« Cercheremo di darvi tutte le risposte al più presto possibile, » le disse l’alieno, continuando a stringerle la mano.
« Lo so, » Retasu tentò di sorridere in maniera convincente, « E in ogni caso… stavolta siamo insieme, giusto? »
Le iridi ametista furono attraversate per un istante da ciò che parve rimpianto: « Giusto, » le confermò l’alieno sottovoce.
La ragazza prese un sospiro e intrecciò le loro dita d’entrambe le mani, guardandolo dritto negli occhi: « Sai che non mi piaceva combattere, non mi piace tutt’ora e non cambierò idea. Ma… se non ci fosse stato questo, non… non ti avrei mai conosciuto. Quindi, in qualche modo, gli sono grata. »
Di nuovo, Pai avvertì il senso di colpa divampargli nel petto: « Avrei preferito conoscerti in circostanze differenti, » mormorò con una punta di ironia che le strappò uno sbuffo divertito, « Avrei voluto… trovarti prima. »
« Lo so, » ripeté lei, costretta a spostare lo sguardo perché incapace di sostenere l’intensità del suo viso, « Ora però abbiamo un sacco di tempo per recuperare. »
L’alieno l’attrasse a sé nello stesso istante in cui lei si sporse verso di lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo. Pai la strinse per la nuca e mischiò i loro respiri con forza, sfruttando il cono d’ombra per far aderire i loro corpi il più possibile. Anche se fosse passato qualcuno, pensò, in quel momento non gli sarebbe importato più di tanto: il calore, la morbidezza, la realtà del corpo di Retasu contro al suo era la sola cosa che gli premeva avvertire. Sapeva, però, nonostante il trasporto, che non sarebbe stato lo stesso per la ragazza e non voleva, d’altronde, spingerla troppo, quasi correre un rischio o in qualche maniera sfruttare una situazione così complessa e improvvisa; a malincuore, dunque, e con estrema lentezza, si staccò da lei, senza riuscire tuttavia a non bearsi dell’espressione persa che le vide fare, o del fiatone, o del rossore decise sulle gote.
Retasu stessa si allungò ancora una volta verso di lui per strappargli un ultimo bacio più lento, con un sospiro deliziosamente rilassato, le dita che si intrecciarono alle sue.
« Devi andare, » le sussurrò poi contro le labbra, che baciò di nuovo, scostando una mano per sfiorarle il collo e avvertendo il suo battito impazzito, « O i tuoi si preoccuperanno. »
Alla ragazza quasi scappò uno sbuffo divertito all’avvertimento, che suonava così strano e anche un po’ infastidito detto da lui, ma annuì e di malavoglia fece un passo indietro.
« Ci vediamo domani, » sussurrò senza fiato, sentendo le gote infiammarsi ancora di più mentre pian piano riprendeva il controllo di se stessa.
Pai fece cenno di sì e rimase nel suo cono d’ombra finché non la vide scomparire dentro casa: « A domani. »
 
 
 
 
« Ce l’ha anche lei, ti rendi conto! » sussurrò Ichigo con rabbia per l’ennesima volta, continuando a cullare piano Kimberly contro la spalla, più per tenerla vicino a sé che per effettiva necessità della bimba, che dormiva beata, « E non me l’ha detto, non mi ha palesato la possibilità, no!, la certezza della questione! »
Minto, seduta a gambe incrociate sul suo letto, si massaggiò la fronte con una mano e sospirò; non era dell’umore di difendere Shirogane – per niente – però era stanca e confusa e desiderosa solamente di infilarsi tra le lenzuola: « Lo so, Ichigo, ma hai sentito che ha detto Akasaka-san… »
« Ah, e mi telefona pure, adesso! » riprese la rossa come se non l’avesse nemmeno ascoltata (cosa del tutto probabile, si rese conto l’altra), lanciando uno sguardo pieno d’astio al telefono che vibrava nel bel mezzo del materasso, « Doveva trovarla prima, la voglia di parlare! »
« Forse dovresti sentire cos’ha da dire. »
Ichigo si bloccò a metà del suo giro della stanza e la guardò storto: « Da che parte stai, scusa? »
« Non è questione di parti, Ichigo, però… Shirogane non è stupido. Distratto da te, molto probabile, l’abbiamo sempre saputo, ma decisamente non un idiota. Su certe cose lo ritengo abbastanza pronto. »
« Sulle mie randomiche trasformazioni feline non era certo preparato! »
« Ichigo, lo sai pure tu che sei sempre stata esageratamente emotiva, non incolpare gli altri per le tue disfunzioni ormonali. »
La rossa emise un suono vagamente simile a un ruggito, scuotendo la testa; compì qualche altro giro per la camera da letto di Minto, poi adagiò con cura la bimba nella carrozzina, sua culla per la notte, e si appoggiò con entrambe le mani sui bordi, gemendo sottovoce disperata: « Guardala, Minto, è… è così piccola, e io non posso pensare ad altro che a proteggerla, però con questo… »
Alla mora si strinse il cuore a vederla tanto angosciata, così si alzò e le si avvicinò per accarezzarle dolcemente la schiena: « Ho piena fiducia nelle parole di Akasaka-san e in quelle degli altri quando dicono che non è niente. E in ogni caso, stavolta il segno Mew non ci ha prese del tutto alla sprovvista, non abbiamo più tredici anni, sappiamo cavarcela. Ora vado a prenderti un pigiama e mi faccio portare del tè, d’accordo? »
Ichigo annuì, tirando su con il naso e continuando ad accarezzare piano i capelli biondo-rossicci di Kimberly. In silenzio, Minto uscì dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle ed esalò, cercando di calmarsi. Era più facile ostentare tranquillità quando doveva rassicurare Ichigo, ma non poteva negare a sé stessa quella sensazione opprimente di ansia che le stava restringendo la gola e le faceva pizzicare quel punto tra le scapole. E aveva pure mentito, realizzò, nel cercare di tranquillizzare l’amica, cosa che non le rendeva la situazione più leggera.
« Ehi, » sobbalzò quando vide Kisshu, in penombra, staccarsi dal muro a braccia incrociate e andare verso di lei, « Tutto okay? »
« Più o meno… » prese un respiro e lo guardò, « Sei ancora qui? »
« Certo, » rispose lui con ovvietà, « Rimango anche, se necessario. »
« Meglio di no, » la mora scosse la testa e accennò alla porta, « Ichigo ha bisogno di non rimanere da sola, stasera, e… già faremo fatica a dormire, se ci metti pure la bimba… »
Kisshu, per una volta, tenne a freno la lingua vista la situazione e le prese il volto tra le mani: « Chiamami domani, d’accordo? Andrò presto con i miei fratelli all’astronave, ma un secondo e sono da te. »
Minto scrutò gli occhi dorati, accigliandosi: « Kisshu, mi devi giurare che non sta succedendo nulla e che voi non ne sapete niente. »
« Proprio non ti fidi, eh? »
« Kisshu. »
L’alieno sospirò e poggiò la fronte contro quella di lei: « Pensi che ti metterei mai in pericolo volontariamente? »
La smorfia sul viso della mora perdurò qualche altro secondo mentre continuava a indagare il suo sguardo, poi lei rilassò un poco le spalle e fece un passo indietro: « Meglio che vada, non vorrei che Ichigo mi distrugga la stanza. »
Kisshu la strinse un momento di più, dandole un bacio e mormorandole la buonanotte; anche quando lei si avviò per il corridoio, stringendosi un poco la vestaglia sulle spalle, rimase ad attendere qualche istante, prima di scomparire con un soffio.
 
 
 
 
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Ryou sbuffò e per l’ennesima volta si rigirò tra le lenzuola, alla ricerca della posizione più comoda per riprendere un briciolo di sonno.
Quella era stata decisamente la settimana più stressante della sua vita: l’incontro con Aoyama che – si vergognava quasi ad ammetterlo a sé stesso – ogni volta riportava a galla irritanti ricordi, il ritorno improvviso di Taruto – come se non ci fossero già abbastanza alieni tra loro – la litigata con i Momomiya, e per finire la ciliegina sulla torta di quella sera.
Qualcuno lassù mi deve proprio detestare.
Lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: l’alba sarebbe arrivata di lì a poco, grazie all’arrivo dell’estate, ma era comunque un orario indegno. Emise un altro sbuffo di irritazione e lanciò il lenzuolo via da sé; non aveva senso continuare a insistere, era perfettamente conscio che non si sarebbe riaddormentato quindi tanto valeva iniziare a cercare di risolvere almeno uno dei problemi.
L’odore del caffè bollente appena fatto gli solleticò piacevolmente le narici e accese alcuni dei suoi neuroni, che intrapresero a mettere insieme i vari pezzi del puzzle, e il ronzio del computer nel suo studio riempì il silenzio, riportandolo a situazioni molto simili di tanti anni prima. Una volta avviati i suoi programmi, si immerse totalmente nel lavoro, ricadendo in un modello ormai collaudato e familiare, anche se si rese conto che stava facendo più fatica del solito e non sapeva se addossare la colpa ai vari pensieri che gli vorticavano in testa o al fatto che la mancanza di sonno era più acuita che mai.
Solo quando la luce del mattino si fece più prepotente decise che fosse arrivato il momento di prendersi una pausa; si stropicciò gli occhi secchi e arrossati e si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, afferrando il cellulare svogliatamente. Quasi se l’aspettava, ma si era dimenticato in effetti dell’innata capacità di Ichigo di tenere il muso: nonostante le avesse mandato innumerevoli messaggi, email, e telefonate nel corso della notte, il suo telefono non mostrava nemmeno uno straccio di notifica.
Con uno sbuffo lo lanciò sul divano di pelle e si sfregò nuovamente la faccia, alzandosi per riempirsi una terza volta la tazza; avrebbe voluto andare al laboratorio e utilizzare i computer più potenti per indagini più approfondita, ma sapeva che prima avrebbe dovuto sistemare la faccenda con la rossa.
Il che voleva dire marciare a villa Aizawa e pretendere di parlare faccia a faccia con lei. Come esattamente passare attraverso il Cerbero che sicuramente Minto sarebbe stata in quel momento, sarebbe stata la fase due del piano.
Ben sapendo che anche in quella situazione Ichigo non si sarebbe tirata giù dal letto prima delle otto, a costo di dormire con Kimberly attaccata al seno, bevve con molta lentezza la sua tazza di caffè, riflettendo su come incastrare i passaggi successivi.
E se giocare sporco almeno un pochino.
 
 
 
 
« Niente? »
« Niente, » Pai si passò una mano tra i capelli e scosse la testa in risposta a Kisshu, tentando invano di sciogliere la tensione delle spalle.
« Io ve l’avevo detto, » commentò a voce bassa Taruto, staccandosi dal tronco su cui si era poggiato, « Anche i registri sono puliti. »
I tre fratelli Ikisatashi si incamminarono nel boschetto appena fuori Tokyo in cui avevano deciso di creare la dimensione parallela in cui nascondere l’astronave, approfittando dell’aria fresca e piena di rugiada di quella mattina per schiarirsi un po’ le idee.
« Che casino, » considerò Kisshu con un sospiro, cacciando la testa all’indietro, « Già è tanto che la tortorella non si sia messa a lanciare vasi. »
« Quella è la tua preoccupazione? »
« Come se tu non stessi per correre dalla pesciolina a controllare che vada tutto bene. »
Pai rispose con un grugnito non meglio definito e si allontanò di qualche passo rispetto ai fratelli, per poi fermarsi di scatto e voltarsi verso di loro con sguardo duro: « Raddoppiamo i turni di comunicazione. »
« Ah, ma sei serio? » si lamentò Kisshu, infilando le mani nelle tasche e alzando gli occhi al cielo, « Anche in questo modo, con il tempo che ci vuole… si fa solo prima a - »
« Dì un’altra volta un comunicatore al Caffè e ti stacco la lingua. »
Il verde si limitò a muovere la testa in una maniera che sembrava significare te l’avevo detto, ma si guardò bene dall’aggiungere altro e riprese la sua marcia.
Per qualche minuto continuarono a camminare senza parlarsi, ascoltando solo i rumori quasi rassicuranti del boschetto, poi Taruto scrutò dal basso la schiena del maggiore: « E se…? »
« No, » Pai nemmeno si voltò, scostando solo un ramo dal suo tragitto, « Continuiamo a monitorare. »
 
 
 
 
Aveva contravvenuto alle sue abitudini solo perché sapeva che con un mezzo di trasporto proprio avrebbe probabilmente, in quel momento e con un po’ troppa caffeina in corpo, violato qualche limite di velocità, che non sarebbe stato una gioiosa ciliegina extra sulla torta. In più, l’aria fresca del mattino e l’esercizio fisico avevano contribuito a schiarirgli le idee, ma si concesse in ogni caso un grosso respiro profondo non appena svoltò l’angolo del lussuoso quartiere dove si trovava casa di Minto.
Si tastò la giacca di jeans e ne estrasse il cellulare, su cui aveva ricevuto solo qualche aggiornamento da Keiichiro e da Pai; Einstein aveva detto che la follia era ripetere alla nausea la stessa azione aspettandosi risultati differenti, quindi finalmente compose un numero diverso.
« Con me le tue tecniche di seduzione non funzionano. »
Ryou strinse le labbra per non sbuffare, incredibilmente divertito: « Buongiorno, Aizawa. Ti ho svegliato? »
« Non sono una pigrona come la tua fidanzata, » rispose Minto, ma la voce arrochita gli fece capire che doveva essere parecchio stanca, « E comunque, è già tanto se abbiamo dormito quattro ore. »
« Come sta? »
Poté quasi udire la mora alzare gli occhi al cielo: « Questo tuo favoritismo nei confronti di Momomiya sta cominciando a diventare esasperante. »
« Minto. »
« Ho cercato di mediare a tuo favore, cosa per cui mi sei ancor più debitore, ma Ichigo neo-mamma è ancora più sensibile di quella normale, » sospirò esausta, « Ci siamo addormentate tardi, e si è rotolata tutta notte. Però non posso dire che non la capisco, Ryou. Questa cosa ci ha fatto paura a tredici anni, non è meno complicata ora, anzi. Credo ti ci vorrà un po’ ad ammorbidirla. »
« D’accordo, » Ryou calciò un sassolino del pavé e poi alzò lo sguardo verso il portone che gli stava di fronte, « Allora se mi apri, vengo a parlarle. »
Un’esclamazione di sorpresa – la versione Aizawa di una parolaccia – gli rimbombò nell’orecchio, prima che la linea fosse interrotta. Non aspettò a lungo per vedere un maggiordomo in livrea affacciarsi da dietro al legno per accoglierlo, e poi Minto, accuratamente pettinata nonostante la nottataccia e con una elegante vestaglia di seta sopra il pigiama, che scendeva lo scalone e gli andava incontro con deciso cipiglio.
« L’ha presa da te questa brutta abitudine di presentarsi senza preavviso? »
Shirogane osò varcare la soglia: « Minto, te lo chiedo come favore. Sai benissimo che ho tutto il diritto di andarle a parlare, e soprattutto di vedere Kimberly. Sai meglio di me quanto sia fastidiosa l’abitudine di Ichigo di prendere e partire. »
La maniera in cui la padrona di casa mosse la bocca gli fece capire che aveva centrato nel segno, ma lei si ostinò comunque ad incrociare le braccia: « Anche quando Ichigo ti perdonerà, perché tanto lo sappiamo come siete voi due, sappi che io non te la farò scontare tanto facilmente. »
« Cosa saremmo noi – anzi, fa niente, non voglio saperlo, » Ryou sbuffò e accennò al piano di sopra, « Posso passare? »
Minto gli lanciò un’ultima occhiataccia, poi sospirò e fece mezzo passo di lato: « È in camera mia. Io vado a fare colazione. »
« Thank you. »
Shirogane si trattenne dal fare i gradini a due a due solo per il via vai di personale che si aggirava per le stanze e perché non gli sarebbe convenuto, in realtà, arrivare sudato. Un po’ a memoria, un po’ a intuito, individuò la stanza di suo interesse, da cui udì provenire la voce sottile di Ichigo che canticchiava una delle ninna-nanne di Kimberly.
Prese un respiro e bussò leggero le nocche contro la porta: « Ginger, sono io. »
La canzoncina s’interruppe di colpo, ma quando lui provò ad abbassare la maniglia, trovò la serratura bloccata.
Forse Minto non aveva fatto poi molti sforzi a mediare per lui.
« Ichigo, apri la porta, » insistette e attese qualche istante percependo solo silenzio dall’altra parte, e le parole di Shintaro gli fluttuarono proverbiali in mente, « Ichigo, smetti di fare la bambina e apri questa porta. Voglio vedere mia figlia e io e te dobbiamo parlare. Per favore, » aggiunse in tono più calmo.
Sentì il rumore della serratura che scattava, ma la porta stessa rimase chiusa, così Ryou attese qualche secondo di più e poi entrò in camera di Minto con tutta la pazienza che poteva avere.
Ichigo era seduta a gambe incrociate nel centro del letto a giocare con Kimberly, che sgambettava allegramente, e non lo guardò né al suo ingresso, né quando le si avvicinò.
« Ora posso essere messa al corrente della situazione? » mormorò solo, la voce distorta dal magone.
Ryou prese un respiro e si passò una mano tra i capelli: « Non puoi davvero pensare che l’abbia fatto apposta, o che non abbia pensato a cosa fosse meglio per te e per lei. »
« Me lo dovevi dire, » ripeté la rossa in un sibilo incollerito, « Ora queste cose le devi condividere con me. »
« Non stavo cercando di tenerlo segreto. »
Lei emise uno sbuffo sarcastico: « Ah no? Mi avresti avvisato quando al primo bacio le sarebbero spuntate orecchie e coda? O quando al suo primo appuntamento sarebbe stata assalita da un topo gigante? »
« Ichigo… » l’americano aggirò il letto e le si inginocchiò di fianco, ma lei rimase con il capo chino a rivolgere sorrisi tristi alla bambina.
« Se non fosse successo questo, forse avrei anche capito… » aggiunse dopo un po’, sfiorandosi la voglia rosa sulla coscia, « Però è successo, e mi fa paura. Soprattutto per lei. E se c’è una cosa di cui mi fidavo, con te, è che avresti sempre avuto tutta questa situazione sotto controllo. »
« Ginger, » Ryou si decise a prendere una mano e tirarla appena verso di sé, « Ho fatto una cazzata a non dirti chiaramente dei geni di Kimberly, d’accordo? E mi dispiace. Ma per una volta che tutto stava andando bene, me ne sono dimenticato, non gli ho dato importanza, perché credevo non avrebbe avuto rilevanza ora. Era tutto come doveva essere, e per una sola volta ho voluto provare a vivere una vita che fosse normale, per quanto incredibilmente inappropriata sia quella parola. »
La ragazza finalmente spostò gli occhioni verso di lui, arrossati e di nuovo pieni di lacrime, e Shirogane sospirò prima di riprendere a parlare: « Però ti giuro che non abbiamo riscontrato niente nei nostri sistemi, né in quelli degli Ikisatashi, e non c’è un segnale che può prevedere la ricomparsa dei vostri poteri. Potrebbe davvero avere solamente a che fare con il fatto che sono tornati tutti e tre, portandosi dietro della Mew Aqua. »
Ichigo storse il naso, lasciando però la mano in quella di lui: « Ci sono un po’ troppi condizionali perché possa essere rassicurante. »
Il biondo si lasciò scappare un mezzo sorriso: « Forse dovremmo già essere abituati a una vita piena di imprevisti, non trovi? »
Lei emise un mugolio indefinito, spostando di nuovo lo sguardo sulla bimba che stava sbadigliando. Una parte di lei le stava sottolineando di sapere che lui aveva ragione: era stato tutto così perfetto e meravigliosamente imprevisto, fino a quel momento, che tutti loro si erano abituati a vivere a quel modo, senza ulteriori preoccupazioni, perché ne erano successe ormai così tante che il resto sembrava paradossale. Dall’altra, non poteva negare di starsi sentendo morire al pensiero che quella creaturina così piccola, così indifesa, che era uscita da lei così poco tempo prima potesse essere esposta anche solo a una frazione di ciò che aveva dovuto vivere lei.
« Ho paura, » sussurrò solo, ricacciando indietro un singulto. Avvertì la mano di Ryou stringersi più forte intorno alla sua, poi il dondolio del materasso e le braccia che l’avvolsero e in cui lei decise di lasciarsi cadere.
« Lo so, ma qualunque cosa succeda, l’affronteremo insieme. Come sempre. »
Ichigo si staccò quanto bastava per guardarlo da sotto in su: « Ora però mi stra-giuri che mi dirai sempre tutto. »
« Yes ma’am, » replicò lui con una punta di ironia, sfiorandole le guance con i pollici, « Però mi devi credere quando ti dico che non pensavo sarebbe successo. Io stavo... pianificando altre cose, e il resto mi è passato di mente. Non significa che non ritenga importante nostra figlia o la nostra relazione, o tutto il resto. Semplicemente l’ho… accantonato. »
La rossa si accigliò e il suo viso fu attraversato da un’espressione confusa e dubbiosa: « In che senso altre cose? »
L’americano, invece, sorrise con fare misterioso. Logico che avesse carpito solo quella parte del discorso: « Other things. »
« Shirogane, non sei nella posizione migliore ora! » sberciò lei, più dubbiosa che mai, spostandosi un pochino di più, « Cosa stai tramando?! »
« Se vieni a casa te lo spiego. »
Ichigo lo osservò ancora qualche istante, stringendo gli occhi: « Sono troppo stanca per questi giochetti. E guarda che sono ancora arrabbiata con te. »
« Prometto che ti passa. »
Lei persistette a scrutarlo una manciata di secondi in più, poi gli si arrampicò addosso come un koala, rilassandosi più che poté nel suo abbraccio.
« Questo pannolino lo cambi tu. »
« Alright, alright. »
 
 
 
 
Sistemata Kimberly, recuperate le poche cose che Ichigo si era portata dietro, e salutata con molta diplomazia una Minto ancora poco convinta della situazione, Ryou afferrò il manico della carrozzina e insieme si incamminarono lentamente verso casa. La rossa rimase in silenzio per la maggior parte del tempo, a braccetto con lui e praticamente seguendolo in maniera automatica, e il biondo le lasciò qualche bacio sulla testa come a rassicurarla di tutto ciò che le aveva detto. Si riscosse solo quando notò, con una certa curiosità, che non si stavano dirigendo direttamente verso casa, ma che l’americano in realtà l’aveva condotta al parco.
« Così allunghiamo, però, » mormorò in maniera lamentosa, soffocando uno sbadiglio.
« Fidati un secondo, » insistette lui, svoltando in uno dei sentierini ben tenuti.
Ichigo iniziò a guardarsi intorno con più interesse, riconoscendo meglio l’area dove la stava conducendo; si morse il labbro inferiore quando, in un punto quasi a caso, Ryou si fermò, mise i freni alla carrozzina, e poi la guardò con un’espressione quasi divertita. Lei attese in silenzio, alzando appena le sopracciglia, e quando lui non proferì parola, fece un mezzo giro su sé stessa per localizzarsi del tutto.
« Qui è dove il topo gigante ha attaccato me e Aoyama-kun, » dichiarò infine, anche se la sua stessa realizzazione non la stava aiutando, « Che ci facciamo qui? »
« Qui è dove ti ho incontrata la prima volta, thank you very much, » la corresse lui, dandole un buffetto sul naso, « E dove ho capito fin da subito che eri un tipetto interessante. »
Ichigo fece una smorfia al ricordo e poi incrociò le braccia al petto con aria di sfida: « Mi hai anche accusato di essere grassa. »
« Assolutamente no. Ho solo detto che eri più pesante di quanto pensassi. »
Controllando che non ci fosse nessuno, che Kimberly fosse al sicuro e ben addormentata, svelto come un gatto Ryou afferrò Ichigo e con un balzo scattò sull’albero, come tanti anni prima, facendoli atterrare in piedi.
« E vale ancora, direi. »
La rossa spalancò la bocca, a metà tra l’essere sorpresa, offesa, ed agitata: « E tu sei il solito sfrontato! »
« Ichigo Momomiya, » la interruppe con una mezza risata, « Avevo già pensato di portarti qui, ma devo dire che ora è quasi… profetico. »
Ci volle qualche secondo perché la ragazza potesse processare le parole: all’inizio, tutto il colore scomparì dal suo viso, per poi ritornare prepotente tutto in una volta, causandole una notevole sfumatura violetta.
« Shirogane… che stai facendo? »
Lui rovistò nella tasca della giacca e ne tirò fuori una scatoletta in velluto nero: « Ce l’ho da febbraio. Lo porto con me da allora. E nonostante tutte le invettive di tuo padre, che mi accusa di non renderti una donna onesta, ho sempre aspettato il momento giusto. Perché vorrei che mi dicessi di sì perché lo vuoi davvero, e non perché ti sembra che la situazione lo richieda. Ecco perché mi sono arrabbiato così tanto con lui, l’altro giorno. Perché sono mesi, per non dire anni, che vorrei chiedertelo. »
Ichigo dovette appoggiarsi al tronco dell’albero per non perdere l’equilibrio, visto che i suoi polmoni si svuotarono di colpo: « Tu… tu stai per… ? »
Ryou piegò appena un sopracciglio: « Se devi reagire male, mi rimangio tutto. »
« No! » lei portò avanti le mani e poi si riappiccicò all’albero, con il cuore che le batteva in gola, « No, basta che non ci sia… pubblico o cose strane. »
« Vuoi dire più strane di noi sull’albero dove ci siamo conosciuti sette anni fa? »
« Che ne so, tu sei americano. »
Il biondo rise e giocherellò con una ciocca rubino prima di accarezzarle una guancia: « Ti ho portato qui perché è dove è iniziato tutto. Quando ti ho incontrata, ho pensato subito che fossi una ragazzina lagnosa, pasticciona, irritante, dall’orribile caratteraccio. E non è cambiato molto. »
« Shirogane! Ti sem – »
« Ma, » continuò lui con un sorriso, « Ho anche sempre pensato che tu fossi solare, combattiva, testarda in quello che vuoi e premurosa con le persone a cui vuoi bene. Ti ho vista sacrificarti senza pensarci un secondo, e ho sempre saputo che avrei fatto lo stesso per te. »
Ichigo dovette impartire un ordine vero e proprio ai suoi polmoni di riempirsi e ricominciare a funzionare, perché sembrava che il suo intero corpo avesse smesso di lavorare, completamente rapito dagli occhi azzurri che la stavano scrutando con un’intensità tale da farle cedere le ginocchia. Ryou approfittò del suo silenzio per avvicinarsi ancora di più e poggiare la fronte contro quella di lei:
« Purtroppo è vero che ho sempre avuto un debole per te, fin dall’inizio. E ora che posso amarti come vorrei, ho intenzione di farlo per sempre, se me lo concederai. Mi hai fatto il regalo più grande che potessi mai meritarmi, e in cambio posso solo darti tutto me stesso. »
La rossa boccheggiò un paio di secondi, spostò lo sguardo sulla maglietta di lui per potere riconquistare un minimo di lucidità: « … purtroppo? » lo prese in giro infine.
« Di tutto quello che ti ho detto, ginger, seriously? »
Lei sbuffò e deglutì qualche altro secondo, giocherellando con il cotone e guardandolo da sotto in su: « Shirogane, tu però giochi sporco. »
Lui rise e le domandò a bassa voce: « Sei ancora arrabbiata con me? »
« … dipende. »
« Ah, » lui inarcò le sopracciglia, divertito, e le mise la scatolina sotto al naso, « Da cosa dipende? »
Ichigo prese un ennesimo respiro e poi alzò il mento in maniera di sfida: « Ti devi mettere in ginocchio, o non vale. »
« Non c’è dubbio, Momomiya, » replicò lui, prendendola un po’ in giro, « Credo che andrà bene anche così. »
Con un piccolo scattò, aprì il coperchio e – per la seconda volta – mozzò il fiato alla ragazza nel mostrarle l’anello: due cerchi di piccoli diamanti, con al centro una tormalina rosa, di una sfumatura che ironicamente le ricordava il suo costume da Mew Mew, su una banda di platino anch’essa ricoperta di diamanti(*). La rossa guardò il gioiello, poi guardò Ryou, poi ancora l’anello, azzardandosi a sfiorarlo con la punta di un dito senza poter emettere suono; infine, le scappò un risolino nervoso ed emozionato e scosse la testa:
« Non stai scherzando? »
Ryou scosse la testa e le prese la mano libera, inspirando profondamente con quanta più circospezione possibile: « Ichigo… » mormorò a voce bassissima, le labbra che sfiorarono quelle di lei, che rispose in un mugolio indefinito come a intimargli di non fermarsi, « Vorresti sposarmi? »
Prima ci fu un silenzio così assordante, nonostante la città attorno a loro, che Shirogane fu sicuro fosse chiaramente udibile il galoppare impossibile del suo cuore; poi Ichigo emise uno strillo più simile a un fischio ad ultrasuoni che a qualcosa di umano e gli si gettò al collo, completamente dimentica del fatto che erano appollaiati su di un ramo e che solo l’agilità ritrovata permise loro di non rovinare disastrosamente a terra.
« … sarebbe un sì? »
« Oh, Shirogane, sta’ zitto. »
Il tintinnio di un campanellino rintoccò nell’aria.
 
 
 
 
Retasu chiuse il libro di scatto, poggiandoci poi la fronte contro con uno sbuffo esasperato: non riusciva a concentrarsi, non importava quanto ci stesse provando. Tra la temperatura che stava salendo, la stanchezza e tutta la faccenda della sera precedente, le sembrava che il suo cervello avesse deciso di non essere più in grado di raccogliere informazioni. Aveva anche deciso di spostarsi dalla sua camera al salotto, approfittando della casa vuota, così che magari l’ambiente più ampio e lontano dal letto l’avrebbe persuasa a darsi da fare, ma non era valso a nulla.
Girò il collo di lato e controllò il cellulare: sapeva che quella mattina presto Pai e i suoi fratelli sarebbero andati a controllare i sistemi nella propria nave, ma non aveva ancora ricevuto nessun tipo di notizia. Il che poteva anche essere una cosa positiva, si disse, trovare qualcosa di importante avrebbe sicuramente fatto scattare un altro allarme generale. E lei dopotutto non aveva mentito, il giorno prima, quando gli aveva detto di non essere preoccupata… ma non negava che un po’ più di chiarezza avrebbe fatto bene a tutti.
Lo stomaco le diede una capriola al pensiero della conclusione di quella sera, e si diede della sciocca: come poteva soffermarsi su una cosa del genere in un momento simile?! Le pareva di essere un’adolescente in piena tempesta ormonale, non ne era decisamente il caso! Avrebbe fatto meglio a concentrarsi sugli studi visti gli esami in arrivo, e smetterla di vagare con la mente.
Il cellulare le vibrò a pochi centimetri dal naso e sobbalzò, ma era solamente Purin che, nella chat di gruppo, chiedeva un vago come va? che sapeva non essere diretto a lei.
Anche dopo un paio di minuti non ci fu risposta, ovviamente, e Retasu quasi si dispiacque per la biondina, che cercava sempre di dimostrare a tutti i lati positivi delle situazioni o quantomeno di stemperare l’atmosfera più cupa.
Sospirò, si rimise dritta e afferrò di nuovo la matita, ricominciando da capo quel paragrafo che proprio non ne voleva sapere di entrarle in testa. Non passò che una manciata di minuti che udì un leggero bussare alla porta di casa, che la fece sobbalzare di nuovo. Ci impiegò un po’ più del solito a reagire, chiedendosi se potesse essere il postino, e decisamente non si aspettò di trovarsi la figura di Pai sull’uscio.
« P-Pai! » boccheggiò, sistemandosi gli occhiali sul naso, « Non… non pensavo fossi tu. »
L’alieno le mostrò un sorriso: « Ti disturbo? »
« No, no, » lei scosse la testa e si fece da parte per farlo passare, « Mi hai solo… presa alla sprovvista. Stavo studiando, non aspettavo nessuno. »
Lo sguardo analitico dell’alieno scrutò brevemente l’ambiente, così tipicamente giapponese per lei, eppure così diverso per lui.
« Come mai… ? » s’azzardò a domandare, incuriosita: era la prima volta che lui si presentava spontaneamente a casa sua, o che ci entrava, se era per quello.
« Volevo vederti. »
Il cuore le sobbalzò per un miscuglio di motivi diversi: « È… è successo qualcosa? »
Pai dovette notare di aver scelto le parole sbagliate, perché si corrucciò preoccupato: « No, non abbiamo rilevato niente di anomalo, ma… pensavo che dopo ieri sera, avresti preferito non… rimanere sola. »
Retasu impose al proprio muscolo cardiaco di comportarsi bene: « Se dici così mi preoccupo, però. »
« Scusa, » rispose lui a bassa voce con un accenno di sorriso, poi indicò con il mento i libri aperti sul tavolo, « Come sta andando? »
« Male, » ammise con uno sbuffo divertito, « Non… riesco a concentrarmi. »
E decisamente non sarebbe riuscita a farlo ora, si disse, con un ragazzo – con Pai – in casa sua. Vuota.
Ovvio, continuò poi: non erano certo a livello di presentarsi ufficialmente ai genitori (il solo pensiero le mozzò il fiato), né Pai era un tipo particolarmente espansivo o desideroso di farsi conoscere. E poi lei gli aveva raccontato della sua famiglia, del padre che lavorava in banca e la mamma che aveva ripreso a lavorare da quando Uri, suo fratello, aveva cominciato il liceo, conosceva i loro orari. Quindi…
Quindi.
Osservò la schiena del ragazzo che si avvicinava al tavolo da pranzo e scrutava i tomi e i suoi appunti, sfiorandoli con un dito; lei riconobbe la curiosità e la fame di conoscenza nel suo sguardo, e dovette nascondere un sorrisino.
« Ti sembreranno sciocchezze, rispetto a ciò su cui lavori tu. »
« Nient’affatto, » rispose lui, guardandola da sopra la spalla, « È affascinante vedere i vostri testi. E di queste cose conosco ben poco. Biologia marina, giusto? »
« Giusto, » confermò Retasu con un sorriso, incrociando le dita dietro la schiena, « E… ovvio, forse. Ora più che mai. »
« Continui a non saper nuotare, » la prese in giro dolcemente lui, facendole partire l’ennesimo attacco di extrasistole.
Lei annuì e gli fece segno di accomodarsi sul divano: « Posso offrirti qualcosa? »
« No, grazie, » le sembrò che si rilassasse un po’ di più tra i cuscini, emettendo un sospiro leggero, « Sono passato da Akasaka-san dopo il nostro controllo per incrociare i dati, è molto difficile rifiutare le sue offerte di caffè. Soprattutto con Kisshu e Taruto che non dicono mai di no. »
La verde ridacchiò e gli si sedette accanto, togliendosi gli occhiali per pulirli contro la maglietta: « Hai detto che non avete rilevato nulla? »
« Esatto. Siamo risaliti nei nostri registri, nella remota possibilità di aver mancato qualcosa, ma le comunicazioni erano chiare. Così come i sistemi di Shirogane, seppur non altrettanto sensibili più settati su notifiche di pericolo, non è stato registrato nulla. Il che solidifica la mia teoria che la comparsa del vostro marchio sia una reazione alla presenza di tutti e tre, ovvero le condizioni di partenza del progetto Mew. »
« Capisco, » Retasu sospirò e lanciò uno sguardo al cellulare, « Le altre non hanno ancora detto nulla, anche Purin ha provato a scrivere ma… credo non siano proprio di buon umore. »
« L’hai detto tu stessa che l’idea di combattere non ti entusiasma, ed è proprio ciò che il vostro marchio vi ricorda. »
« Non mi entusiasma è un eufemismo. »
Pai condivise la risata e le prese la mano: « E le tue amiche sono un po’ più… cocciute di te. »
Lei tentò di lanciargli un’occhiataccia ma sbuffò divertita: « A questo punto credo che tu possa anche dire che sono amiche tue. »
« Mi terrei più sul conoscenti. »
« Una è praticamente tua cognata. »
« Il triste destino di Aizawa è stata però una scelta diretta. »
Retasu rise e si sporse verso di lui, poggiando la fronte al suo petto: « Quindi andrà tutto bene? »
Il braccio di Pai si strinse attorno alle sue spalle: « Non smetteremo di tenere la situazione sotto controllo. »
Lei soffiò contro il tessuto della sua camicia: « Non è propriamente un sì. »
L’alieno le prese una guancia e le sollevò il viso: « Io vengo da un altro pianeta e tu hai in te il gene di un animale in via d’estinzione. Sono sempre molto cauto a ragione per assoluti, viste le probabilità. »
La verde rise di nuovo e si abbandonò in un sospiro quando la bocca di lui catturò la sua. In un lampo, i ricordi della sera precedente le invasero la mente e una pioggia di brividi le corse lungo tutta la spina dorsale, e gli si strinse addosso un po’ di più. Non era mai stata una persona audace, o sfacciata, ma le sensazioni che provava stretta tra le braccia del ragazzo la facevano sentire protetta ed esposta allo stesso tempo, spingendola a cercarlo come mai prima. Gli sfiorò con titubante dolcezza la schiena, scivolando il palmo sotto la maglietta in cerca della sua pelle calda e graffiandolo appena con le unghie quando lui le accarezzò la lunghezza della coscia, scostandole il vestito estivo.
Forse una parte di lei lo sapeva, realizzò mentre piegava la testa all’indietro per regalargli più spazio sul collo, sulle spalle, lì sul petto dove ora svettava la sua voglia, lo aveva sempre saputo che era proprio lui che aveva aspettato.
« Retasu… » sussurrò Pai, così leggero da essere quasi inaudibile, e in quel momento lei decise di lasciarsi andare del tutto.
Non le importava più niente, niente se non sentire il corpo dell’alieno il più possibile contro al suo; si stese sul divano e lasciò che scivolasse sopra di lei, afferrandogli il viso tra le mani per poterlo baciare con quanto più trasporto fosse capace. Lo avvertì titubare quando si attaccò ancora alla sua maglia per liberarsene, ma lo trattenne e lo strinse a sé; era stanca di pensare, stanca di attendere, stanca di troppa timidezza e timore. Il rombo del suo cuore al sentirsi completamente abbandonata a lui le stava dicendo che era giusto, che quello era il momento, e che anche se non gliel’aveva mai detto, lei era perdutamente innamorata di lui e non aveva smesso di esserlo in quegli anni.
Lo baciò ancora quando Pai si sistemò meglio tra le sue gambe, i vestiti già gettati sul pavimento, rendendosi conto solo in quel momento quanto davvero bruciassero le loro pelli a contatto, e quanto bruciasse lei sotto lo sguardo ametista. Lui si fermò ancora, sfiorandole il naso con il suo e raddrizzandole con una risata gli occhiali storti ma che magicamente avevano resistito in equilibrio, e Retasu deglutì: non avrebbe avuto il coraggio di dirgli quello che provava, non ora, ma forse avrebbe potuto farglielo capire.
« Pai, io… non… »
L’alieno l’accarezzò lento, quasi assaporandola con gli occhi, stringendole piano un fianco morbido quasi a tenersi saldo lui stesso: « Sei sicura? »
Lei annuì prima di rendersene conto, avvolgendogli le braccia intorno al collo: « Sì… » mormorò senza fiato, il cuore che le minacciava di scoppiarle in petto e il ventre che avvampava, « Con te, sì. »
Mentre la baciava con forza, stringendole una mano nella sua, Pai avvertì di nuovo quel pizzicore nel torace, quel senso di colpa che ancora non riusciva a demolire. Non se la meritava, e lo sapeva, ma ciò non l’avrebbe mai distolto dal riuscirci.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ovviamente, Ichigo non riuscì a tenere nascosta la notizia a lungo; fu soltanto il realismo di Shirogane, che le ricordò loro avessero comunque un po’ di cose di cui parlare e che fosse meglio non allarmare tutti, quella mattina, riuscirono a farla tergiversare per qualche ora. Passato il momento del pranzo, però, la rossa esplose: con un messaggio particolarmente ambiguo, che scatenò non poca agitazione, intimò a tutti gli altri di presentarsi al più presto a casa sua. Quando, per la seconda volta in poco più di dodici ore, l’intero gruppetto di umani e alieni si ritrovò in salotto, presagendo funeste novelle vista l’urgenza della chiamata, lei invece tuonò in un urlo di sorpresa e sventolò la mano davanti alle amiche.
Purin fu la prima a reagire, rispondendo con uno strillo altrettanto spaccatimpani e praticamente placcando insieme Ichigo e Ryou, mentre Minto sibilò qualcosa che sembrò molto simile a una minaccia nei confronti dell’amica visto il mancato infarto e Zakuro si limitò a scambiarsi un’occhiata esasperata con i tre alieni e il novello fidanzato.
« Congratulazioni, ragazzi, » intercedette poi Keiichiro (in realtà avvertito segretamente da Shirogane in anteprima e che si era premurato di tenere in braccio Kimberly ben sapendo quali sarebbero state le reazioni), « Immagino che anche i tuoi genitori saranno al settimo cielo, Ichigo-chan. »
Lei si lasciò cadere sul divano, continuando a lanciare occhiate estasiate al suo gioiello: « In realtà non glielo abbiamo ancora detto. Vogliamo farlo un po’ per bene, non con una telefonata, o mia mamma si offende. »
« Sicuri che Shirogane abbia la benedizione? » li prese in giro Zakuro, ricevendo in cambio un’occhiataccia dal biondo.
« È tutto molto bello, » constatò Minto funerea, seduta a braccia incrociate sul divano che continuava a muovere la tibia su e giù, « Ma per quanto Ichigo possa essere abbagliata dalla lucentezza del suo nuovo tesoro, non abbiamo ancora risolto il problema principale. »
Purin sghignazzò sotto i baffi e diede di gomito a Retasu: « Secondo me la nee-chan è un po’ gelosa. »
« Non dire sciocchezze! »
Retasu si limitò a ridacchiare sotto i baffi, le guance un po’ più rosee del solito, e la biondina le lanciò un’occhiata incuriosita: « Tutto bene, nee-chan? »
« Sì, sì, » si affrettò a rispondere, ben attenta a non incrociare lo sguardo dell’alieno in fronte a sé, « Sono solo… così contenta per voi! »
Ichigo le sorrise e ricambiò la stretta della sua mano, poi si voltò verso Keiichiro: « Allora ci sono… novità? »
Lui continuò a cullare dolcemente la sua figlioccia: « Io, Ryou, e Ikisatashi-san abbiamo passato la mattina a controllare i nostri sistemi, e confermiamo che non ci sono stati rilevamenti di sorta. Ciò vuol dire che non c’è nessuna minaccia in corso, e che probabilmente davvero il ritorno della vostra voglia è una reazione alla presenza di tutti e tre gli Ikisatashi. Ovviamente, continueremo a monitorare la situazione, abbiamo già allargato il raggio d’azione dei nostri rilevatori, ma voglio che ora stiate tranquille. »
La rossa sembrò pensarci su un poco prima di annuire, scambiandosi un’occhiata d’intesa con le altre ragazze, tutte più o meno convinte.
« Possiamo pensare a festeggiare, quindi, » esclamò Zakuro con affetto, sfiorando l’altra mano di Ichigo, che sorrise un po’ più decisa:
« A questo proposito… c’è una cosa che non vi abbiamo ancora detto. »
« Senti, Momomiya, non sono in vena di altre sorprese. »
Lei ignorò il commento di Minto e si sfiorò sovrappensiero la coscia: « A causa di… questo, vorrei… vorremmo… sposarci presto. Ho sempre voluto un matrimonio a Settembre, perciò… »
La mora la guardò quasi con gli occhi fuori dalle orbite: « Tra tre mesi!? Ma siete impazziti?! »
Ichigo sorrise sorniona: « L’aiuto della mia testimone e amica organizzatissima sarà inestimabile, quindi. »
Per qualche istante, Minto rimase a mezza bocca aperta, mentre le altre ridacchiavano sottovoce, poi scosse la testa e alzò il naso all’insù: « Meglio che inizi ad ascoltarmi quanto ti dico di non abbuffarti, Momomiya, o non ti darò nessunissimo aiuto. »
« Anche io voglio aiutare a organizzare! Quando andiamo a scegliere i vestiti? Zakuro-nee, per te lo scelgo io altrimenti sei troppo figa. »
« Purin! »
« La torta la fa Akasaka nii-san, vero? »
Il suddetto si limitò a scambiarsi un’occhiata divertita con Shirogane e gli altri ragazzi mentre il volume nella stanza si alzava di un paio di decibel. La bimba stretta tra le sue braccia, però, continuò a dormire imperterrita, e intanto che lui guardava la sua famiglia lanciarsi nelle loro solite, esagerate, esplosive dinamiche, pensò che fosse tutto come doveva essere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Per i delfini curiosi (cit.) l’ispirazione è venuta da qui (tenetevi xD): https://www.tiffany.com/jewelry/diamond-jewelry/tiffany-soleste-ring-67905148/

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Capitolo 8
*** I can hear the bells ***


Chapter Eight – I can hear the bells

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Taruto atterrò davanti a casa di Purin e prese un gran respiro, assicurandosi di essere coperto dall’albero. Era il compleanno della biondina, sapeva che aveva dei programmi per la giornata con le ragazze, ma aveva pensato di andarla a trovare prima così… giusto per stare un po’…
Scosse la testa così forte che gli vennero le vertigini e strinse un po’ di più i palmi: calma, doveva mantenere la calma. Lui e Purin erano amici, non c’era niente di male in due amici che si facevano le sorprese nei giorni importanti, non aveva nessuno motivo di essere nervoso, era solamente la sua amica d’infanzia, quella con cui aveva passato ogni giorno dal suo ritorno sulla Terra e a cui aveva pensato quasi ogni giorno prima, quella che…
Emise uno strano verso dal naso simile a un barrito, uscì da dietro il suo nascondiglio e si piantò a gambe larghe davanti alla porta d’ingresso.
Su. Coraggio. È solo… una giornata come le altre. Non è niente di che. È solo Purin.
È solo…
« Buongiorno, Taru-san! » la porta si aprì davanti al suo naso all’improvviso, causandogli un piccolo scompenso cardiaco, e Heicha gli si parò di fronte con un sorriso molto simile a quello della sorella maggiore, « Sei qui presto, la nee-san è in camera sua. »
« Uhm, ah… grazie, » bofonchiò, rendendosi conto in quel momento che non aveva nemmeno pensato a portarle qualcosa, anche se Retasu gli aveva ricordato più volte (cercando di farlo sembrare un caso, ma non era così stupido lui) che le tradizioni terrestri per quanto riguardavano i compleanni non erano così dissimili a quelle di Duuar, « Allora… vado. »
Heicha sorrise sotto i baffi – in una maniera che non gli andò molto a genio – e si fece da parte, urlando a pieni polmoni: « Nee-chaaan! C’è Tarutoooo! »
Il suddetto fece una smorfia e un grandissimo sforzo a non coprirsi platealmente le orecchie (i congegni di suo fratello potevano camuffare le apparenze ma non certo diminuire le loro capacità), e si affrettò al piano di sopra, salutando con un cenno gli altri quattro componenti della famiglia Fon, impegnati in salotto con un videogioco parecchio rumoroso.
Lui dopotutto riusciva a maneggiare le piante, a crearne dal nulla, a potenziarle con i chimeri, come diavolo non aveva pensato a portare qualcosa all’amica? Però forse un fiore, una pianta, sarebbero stati troppo, come dire, rilevatori? Complicati? Sfacciati? Avrebbe davvero dovuto chiedere a Retasu, ma sarebbe stato così imbarazzante, e se per caso lei ne avesse fatto parola con Pai, e se Kisshu avesse sentito…
Una volta nel più tranquillo corridoio della zona notte, Taruto prese un ennesimo respiro. La porta della camera di Purin era socchiusa e lui sentiva provenirne una canzone sconosciuta e il suono di cassetti e ante che venivano aperti e richiusi; il cuore gli schizzò in petto un’altra volta, era forse un momento pessimo?? Era la ragazza impegnata a cambiarsi, e quindi, e quindi…
« Ah, ma eccoti! » la testa di Purin spuntò dallo spiraglio e, se prima gli rivolse un gran sorriso, poi lo guardò incuriosita dalla sua strana espressione, « Tutto bene? Sembra tu abbia mangiato un limone. »
« Sì, sì, era solo che… » Taruto si schiarì la gola e si avvicinò a passi lenti  mentre lei sgusciava di nuovo in camera, aprendo la porta di più per indicargli di entrare, « Che stai facendo? »
« Sto provando il mio vestito da damigella, » gli spiegò, spegnendo la radio e ritornando in fronte al suo specchio in un fruscio di tessuto, « Manca ancora un mese al matrimonio di Ichigo-chan, ma Zakuro-san è riuscita a farceli arrivare in fretta così da sistemarli, se c’è qualcosa che non va. »
Lui sentì il sangue fluire dal cervello a parti completamente diverse del suo corpo. L’abito era ovviamente rosa cipria, lungo fino ai piedi, con corpetto stretto coperto da un velo dello stesso colore a formare le spalline e una gonna increspata, a ricordare quasi i petali di un fiore. Non era certo una cosa da Purin, fu la prima cosa che pensò, prima che le idee fluissero in tutt’altra direzione.
« Allora, che te ne pare? » lei si girò un altro paio di volte davanti allo specchio, rimirando il vestito da tutte le angolature, « Io avrei preferito che fosse corto, ma non ho fatto in tempo a suggerirlo a Minto-chan che mi ha quasi staccato la testa. »
Taruto dovette deglutire tre o quattro volte. Era assolutamente fuori discussione darle il suo sincero parere, dirle come quel tessuto rosato le abbracciasse perfettamente le curve, donandole un’aria così da donna, seppure anche lui concordasse che nascondere le gambe snelle e toniche fosse un gravissimo crimine.
Purin si raccolse i lunghi capelli con una mano per testare l’effetto che avrebbe ottenuto con la crocchia stipulata per tutte, scoprendo il collo e la scollatura a V sulla schiena, e gli lanciò un altro sguardo dallo specchio: « Quindi? È così terribile? »
« No, » l’alieno si riscosse e cacciò le mani in tasca, abbassando lo sguardo e scrollando le spalle con fare noncurante, « Però non è… da te. »
« Che vuoi dire? »
Che questi vestiti pomposi ed eleganti ti stanno da sogno ma che sono troppo noiosi e falsi per te, che sei molto più bella e viva di così.
Avrebbe dovuto dirle.
« Che sei il solito maschiaccio quindi è inutile che ti conci a quella maniera, non inganni nessuno. »
Rispose invece. Perché era un idiota. Un completo cretino. Ma cosa cavolo aveva nel cervello?
Dovette pensarlo anche Purin, perché nonostante il suo rivolgergli una linguaccia ironica, i suoi occhi si spensero un poco: « Be’, parlane con Ichigo-chan, » esclamò, voltandosi ancora verso la sua immagine e aggiustandosi un po’ la gonna, « Questa è la mia divisa per la giornata, non posso farci niente. »
Taruto si morse la lingua, grattandosi il collo in imbarazzo mentre lei gli dava le spalle di nuovo e lasciava cadere i capelli: « Senti, pensavo… non è che oggi ti andrebbe di – m-m-ma ch-che st-stai facendo!? »
La biondina lo guardò come se avesse perso il senno mentre si torceva per aprire la zip posteriore del vestito: « Mi sto cambiando, » rispose con tutta la serenità del mondo, come se fosse una risposta completamente ovvia.
« M-m-ma ci sono io qui! » sberciò di nuovo lui, il viso in fiamme, praticamente saltando sul posto e compiendo un giro di centottanta gradi per scostare lo sguardo.
La sentì sbuffare sarcastica: « Stai tranquillo, sotto ho dei vestiti, sai, » lo prese quasi in giro, « E poi non ero un maschiaccio? »
« Sì, ma… non è… cosa! »
Azzardò solo un’occhiata da sopra la spalla quando la sentì ridacchiare, ed effettivamente sotto al vestito Purin stava indossando dei leggings ciclisti e una fascia elastica che prontamente coprì con una canottiera leggera.
« Sei un po’ strano, Taru-Taru. »
« Qui la strana sei tu, » bofonchiò lui, « Non… non farai mica così con tutti i tuoi amici maschi!? »
La biondina lo guardò stranita, sospirando così forte che le svolazzarono delle ciocche di capelli intorno al viso: « Tu e i tuoi fratelli siete andati in giro con la pancia di fuori per tutto il tempo che vi ho conosciuto. Non lo state facendo ora perché attirerebbe troppo l’attenzione, ma scommetto che al Caffè lo fate eccome. E poi che ti interessa che faccio io con i miei amici? »
« Niente, » borbottò lui, incassando la testa ancora di più nelle spalle e finalmente voltandosi di nuovo, « Però, uhm… »
Purin si limitò a scuotere la testa in una cascata di drittissime ciocche bionde, sospirando qualcosa che alle finissime orecchie del ragazzo sembrò moltissimo un uomini! ma che si decise a ignorare. La studiò di sottecchi mentre lei finiva di prepararsi, zampettando con energia intorno alla sua camera e canticchiando a bocca chiusa, e solo all’ennesima spinta delle sue mani in tasca (vi avrebbe trovato un buco, prima o poi) Taruto si accorse di non essere arrivato del tutto a mani vuote.
« Uhm… comunque, ecco, tieni. »
Senza troppi complimenti, allungò il palmo verso di lei mostrandole con malagrazia un paio di caramelle.
La biondina alzò un sopracciglio, un po’ scettica: « Per cosa sarebbe? »
Taruto fece una smorfia di disagio: « B-bè, è il tuo compleanno, no?! » sberciò, « E non… non so come le fate voi queste cose, quindi non potevo… e oggi sei con le altre, quin- »
Purin lo zittì con un mezzo sorriso e chiudendo le dita intorno alla sua mano, che usò come punto d’appoggio per alzarsi in punta di piedi e schioccargli un bacio sulla guancia.
« Grazie mille, Taru-Taru. »
Lui fu troppo concentrato a non arrossire per rispondere con più di un grugnito, la gota rovente dove si erano posate le sue labbra, e la guardò studiare il pensierino.
« Ehi, ma non sono aliene però! »
« Non ti puoi accontentare, per una volta? »
Lei gli lanciò uno sguardo furbo: « Le vostre sono migliori, sono così strane…! »
Taruto ricambiò il sorriso e annuì, un po’ più rilassato: « Posso… andare a vedere se nella navicella c’è ancora qualcosa, ma non assicuro nulla. »
« Perché non ci andiamo adesso? » saltò subito su lei, estasiata, « Ho sempre voluto vedere la vostra astronave! »
« Fuori discussione, Pai mi mangerebbe vivo. »
« Daiiiiiiii, è il mio compleanno! »
« Non se ne parla, ne va della mia vita. »
« Uffa, » Purin incrociò le braccia e gonfiò le braccia come una bambina indispettita, « Come siete rigidi! »
« Facciamo quello che vuoi, ma per l’astronave devi sentire solo ed esclusivamente Pai. »
Lei lo guardò da sotto in su, facendo un paio di passi in avanti: « Quello che voglio? »
Al percepirla avvicinarsi, quasi istintivamente l’alieno s’irrigidì e si inclinò appena all’indietro: « S-sì. A patto che non sia niente di pazzoide. »
Purin si sporse ancora un po’, così vicina che lui poté distinguere chiaramente l’odore di shampoo, del suo profumo, e quello della sua pelle: « Allora cosa facciamo? »
Taruto poté giurare che il suono di lui che tratteneva il respiro rimbombò potente per la casa, mentre le connessioni nel suo cervello smettevano di funzionare e lui riusciva solo a concentrarsi sulle pagliuzze più chiare negli occhi della ragazza e su quante lentiggini le erano spuntate con l’abbronzatura. Però non riuscì a muoversi, gli si era incollata la lingua al palato, la sua gola si era chiusa e non passava abbastanza aria per computare azioni, decidere, capire, alzare solo un dito per sfiorarle la mano, e quando il suo naso solleticò piacevolmente nel gustare di nuovo l’odore di lei, la sentì sospirare mentre faceva un passo indietro e sorrideva con forse troppa convinzione.
« Ma se andassimo a fare una super colazione? » propose, intrecciando le dita dietro la schiena e cercando con lo sguardo la sua borsetta, « Io e le ragazze andremo in piscina, ho bisogno di energia! E poi con Minto-chan in questo momento si mangia solo frutta e verdura, ho bisogno di sgarrare un po’ di nascosto. »
I polmoni gli urlarono di riattivarsi e lui prese un gran respiro, annuendo poco sicuro, poi le porse la mano: « Dove vuoi. »
Purin la fissò per un secondo di troppo, e sorrise afferrandogliela con forza: « Andiamo, Taru-Taru! »
« … e non mi chiamare così. »
 
 
 
 
Ryou doveva ammettere, in tutta la sua genialità, che non riusciva a comprendere del tutto perché Shintaro Momomiya sembrasse avercela ancora con lui. L’aveva tanto asfissiato sul fatto che lo ritenesse non solo la causa del declino della sua adorata figliola ma anche un poco di buono che poco faceva per ripristinarne la reputazione, e ora che invece quello che gli era parso il suo più grande sogno si stava avverando, ogni volta che si trovavano insieme (e stava accadendo davvero più spesso di quanto Shirogane avrebbe voluto), Shintaro trovava sempre un motivo per brontolargli contro.
Forse il più grande sogno di Shintaro era davvero tenere lontana Ichigo da qualsiasi maschio sempre e per sempre.
E per fortuna che non aveva nemmeno mai palesato la possibilità che i coniugi Momomiya aprissero il borsello di neanche mezzo millimetro per quel matrimonio.
Condividere con loro la (forse) lieta novella era stata, se possibile, una cena quasi più stressante di quando avevano annunciato la gravidanza di Ichigo, forse perché questa volta più pronti alle possibili reazioni avverse dell’uomo. Quando avevano annunciato la loro volontà di sposarsi, e di lì a tre mesi, ovviamente Sakura si era sciolta in gridolini che facevano impallidire quelli della figlia, e pure Shintaro non aveva borbottato contrariamente in maniera esagerata, anzi, gli era pure sembrato di vedere l’ombra di un sorriso sul volto dell’uomo, eppure aveva cambiato registro dopo molto poco.
Ogni notizia condivisa sui preparativi, sulle scelte per la loro cerimonia, dalla location, agli invitati (pochi ma buoni), ai fiori, se menzionata dal biondo veniva accolta con uno sbuffo insofferente e negativo, come se fosse assolutamente l’opzione sbagliata; non che poi a Shirogane interessassero specificamente i particolari, lui aveva sposato da sempre la filosofia del fare contenta la sua dolce metà e lasciare che si sfogasse lei insieme a Minto su queste cose, però era il sottotesto che qualsiasi cosa lui facesse non fosse giusta a diventare pesante, se costante.
Come in quel momento, seduti a un tavolo nell’elegante sala da pranzo dell’hotel che avevano scelto per ospitare la cerimonia e la seguente festa, intenti a testare il menu da loro scelto per eventuali modifiche dell’ultimo minuto, che Shintaro aveva passato a commentare con insopportabile minuzia qualsiasi portata.
Ryou avvicinò il naso al testolino di Kimberly, coperto da una buffa cuffietta blu con i bordi bianchi, e ne inspirò l’odore per rilassarsi un poco e ripromettendosi, quando tra molti, molti, moltissimi anni anche a lui sarebbe toccato aiutarla nei preparativi per il suo matrimonio, che non si sarebbe comportato in quella maniera.
« A tenerla troppo in braccio la vizierai. »
Come volevasi dimostrare.
« Oh, caro, non dire sciocchezze, tu tenevi sempre Ichigo in braccio e non ha mai fatto un capriccio in vita sua. »
Ryou non poté evitare di sogghignare: « Ne è sicura, Momomiya-san? »
« Ah-ah, divertente, » commentò la rossa, affatto divertita, continuando a terminare il piatto che aveva davanti con molto gusto, « Allora che ne pensate? Vi è piaciuto? »
« È tutto molto buono, cara, » Sakura annuì con convinzione, pulendosi le labbra con un tovagliolo, « Chi hai detto che è stata a consigliartelo? »
« Minto-chan, ovviamente, » rispose lei con un sorriso divertito e scambiandosi un’occhiata con Ryou, « Non so nemmeno come abbia fatto ad assicurarci la prenotazione qui per l’intera festa. »
Il biondo prese un sorso d’acqua: oh, lui sì che lo sapeva, come lo sapevano il suo cellulare, il suo orecchio bollente, e il suo conto in banca dopo tre ore di conversazione telefonica con Minto, Zakuro, e relativo team manageriale perché potesse accadere, ma alla sua dolce metà aveva ovviamente raccontato una versione edulcorata.
« Il posto è sicuramente bellissimo, » per una volta anche Shintaro si lanciò in un complimento, stupendo entrambi i giovani, « Ma il cibo non lo so, mi pare troppo… occidentale. »
Ryou si morse la lingua e cambiò subito idea, e pure Ichigo sospirò teatrale: « È fusion franco-giapponese, papà. È elegante e raffinato, e buonissimo. »
« Come sono fusion i nostri ragazzi, non trovi? » Sakura allungò una mano per stringere quella della figlia con affetto, nello stesso istante in cui rivolgeva una smorfia divertita alla nipotina, che rispose con un sorriso e un agitato ondeggiare di braccia.
« C’è qualcosa in particolare che non la convince, Momomiya-san? » propose Shirogane, cercando di mostrarsi come sempre disponibile, « Possiamo farla cambiare, sostituire con qualcosa più nelle sue corde. »
Il futuro suocero, però, si limitò a scuotere la testa con supponenza: « No, me lo farò andare bene, non credo una sostituzione valga la pena. »
Perché volevi solo rompere le scatole, pensò l’americano, ma sorrise di nuovo con cordialità e si scambiò un’altra occhiata d’intesa con Ichigo.
« Ovviamente per il dolce ci penserà Akasaka-san, » esclamò la rossa, un enorme sorrisone agitato in volto, « Ci abbiamo lavorato insieme non so per quanto, avremo sia una torta che un tavolo con vari assaggi di pasticcini e dolcetti perché non sapevo proprio cosa scegliere, sono tutti fantastici! »
« Ha già avvertito che dovrà chiudere il locale almeno due giorni prima, » aggiunse ironico Ryou verso Sakura che rideva sotto i baffi, sistemandosi Kimberly sulle ginocchia, e Ichigo gli rivolse una linguaccia:
« Tutta pubblicità sai, riceverai i tuoi dividendi. »
« Piuttosto, vi siete assicurati di avere ottenuto e consegnato in maniera esatta tutta la documentazione necessaria? »
Ichigo bevve un sorso dal suo bicchiere e annuì vigorosamente alla domanda del padre: « Ci ha pensato Ryou, è molto più bravo di me per le cose burocratiche, ma è tutto a posto, è tutto stato approvato. »
« Non vorrei fare tutte queste fanfare per arrivare lì e non poter celebrare un bel niente. »
Shirogane si sforzò in una maniera incredibile per non alzare gli occhi al cielo e ringraziò di non essere scaramantico, vista la plateale gufata, e fu Sakura a intervenire per l’ennesima volta.
« Su, caro, non essere pessimista, in confronto il nostro matrimonio è stato molto più complicato e numeroso del loro. »
« Ah, una vera cerimonia shintoista! » esclamò il marito, battendo piano il palmo sul tavolo, « Seguita da una magnifica festa con tutti i nostri amici e parenti, tua madre ha avuto ben due cambi d’abito! »
« Lo so, papà, ho visto le foto un sacco di volte, » commentò divertita Ichigo, poggiando la guancia contro al pugno, « Anche noi avremo i nostri amici più cari, e non volevo una cosa pomposa. Ci basta che sia una serata divertente per tutti. »
« Voi giovani e il vostro abbandonare le tradizioni, » insistette l’uomo con tono sconsolato, pur occhieggiando con interesse il sorbetto al mango che portarono per concludere il pasto, « Un giorno capirete cos’avete fatto passare ai vostri poveri genitori. »
« Oh, Shintaro, sei un lamento continuo, mangia e sta’ zitto. »
Shirogane dovette letteralmente mordersi le labbra per non scoppiare a ridere all’espressione che gli vide fare al commento della moglie, cui rispose solo con una specie di grugnito indefinito, consolandosi nell’ultima portata.
Con un sospiro finale, Ichigo si rilassò sulla sedia e prese in braccio Kimberly, che stava iniziando a cedere al sonno: « Io devo raggiungere le altre tra poco abbiamo promesso a Purin un pomeriggio in piscina per il suo compleanno – ricordati di farle gli auguri direttamente – e sta brontolando qualcosa riguardo Taruto che è un cretino. Direi che confermiamo tutto, non credi? »
Ryou annuì e soppresse un sorrisetto: « Penso io a comunicare con l’hotel, così possiamo andare. Vedo che hai impegni pressanti. »
La rossa gli rivolse una smorfia contenta, e tra un’ultima chiacchiera e l’altra – o meglio, tra un brontolio di Shintaro e l’altro – la famigliola allargata si congedò dall’hotel, dirigendosi alla fermata del treno più vicina. Senza farsi notare, Sakura rimase un po’ indietro con Ryou, al cui braccio si appese con nonchalance.
« Lo fa apposta, sai, » gli confidò con una punta di divertimento e tenerezza, fissando la schiena del marito avanti a sé che sembrava quasi scortare Ichigo e il passeggino, « È molto contento che vi sposiate, davvero. Ma credo che assillarti anche ora sia una maniera un po’ stramba per assicurarsi che tu possa resistere e che non scapperai all’ultimo momento. »
L’americano non riuscì a non sbuffare: « Non sono il tipo che scappa. »
« Oh, lo so bene, caro, » la futura suocera gli  strinse affettuosamente il braccio, « Però Ichigo è la nostra unica figlia, e Shintaro è sempre stato protettivo. Non dico che gli do ragione, ma cerco di spiegarti il motivo della sua… acidità. Anche se rispetto all’ultima volta ha imparato la lezione. »
Ryou non rispose, pensando tra sé e sé che non gli sembrava fosse cambiato poi molto dall’ultima discussione avvenuta tra lui e il capofamiglia Momomiya(*), ma non avrebbe avuto molto senso sottolinearlo.
« Basta che sia convinto quanto lei dei miei sentimenti per Ichigo, » aggiunse solamente, dopo un po’.
« Lo è, » Sakura gli rivolse un sorriso affezionato, e per un istante gli sembrò che gettasse un’occhiata fin troppo divertita a lui e alla rossa, « Lo siamo. Assolutamente. »
 
 
 
 
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Il rumore dei sospiri riempiva la camera da letto, illuminata appena dallo spiraglio di finestra lasciata aperta perché entrasse un po’ di brezza in quella calda mattina d’estate.
Il corpo di Kisshu era sudato, ma Minto lo strinse di più a sé, cercando di convincerlo ad affondare più deciso dentro di lei; lui invece, ancora intontito dal sonno e dai sospiri che gli arrivavano all’orecchio, continuò a prenderla con lentezza, tentando di raggiungerla sempre più in fondo mentre le torturava deliziosamente il collo, le clavicole, il petto.
Lei spinse il bacino in alto per accoglierlo, le mani che gli percorsero tutta la schiena senza vergogna, sfiorandolo piano con le unghie e ancora spingendolo, gemendo sottovoce quando le strinse un seno prima di afferrarle la coscia per portargliela contro al petto.
Minto chiuse gli occhi, la deliziosa sensazione di completezza che cominciava a crescerle nel ventre, abbandonandosi completamente a quei momenti in cui c’erano solo loro due e i loro corpi, all’unisono, in sintonia perfetta. Gemette piano il suo nome quando lo avvertì colpire ripetutamente un punto delizioso, ma non accennando ad aumentare il ritmo, e gli artigliò piano la mano.
« Minto, » il sospiro rauco all’orecchio le riscaldò la pancia, « Mi sono innamorato di te. »
Lei sentì il cuore prendere a martellarle impazzito contro il petto, le sfuggì un mugolio di sorpresa mista al piacere di avvertirlo conquistare anche gli ultimi millimetri di lei, sfilarsi e poi prenderla ancora con decisione. Non le lasciò il tempo di rispondere; la baciò feroce, le dita che quasi si fusero con i suoi fianchi, intanto che intensificò le sue spinte, catturandole ogni singhiozzo tra le labbra.
Minto perse le dita tra i suoi capelli, la mano libera che si aggrappò alla sua schiena con quanta forza avesse, e si ritrovò all’improvviso sull’orlo del piacere, a cui si abbandonò completamente: gettò la testa all’indietro, probabilmente gli ferì la cute con le unghie, e lasciò che i singulti le uscissero liberi dalla gola, senza pensare se qualcuno potesse sentirla o meno. Kisshu la strinse più forte, smorzando i sobbalzi contro al suo corpo e al tempo stesso prodigandosi a farle continuare il piacere, a mischiarlo con il suo fino a crollare con un gemito, poggiando la fronte sulle sue clavicole.
Il suo orecchio fine percepì il battito galoppante del suo cuore, la risata sussurrata che aveva imparato a riconoscere, il sospiro liberatorio mentre si rilassava sotto di lui, non accennando a volerlo scostare. Lui rimase immobile, gli occhi chiusi, come se fossero sospesi in quel momento, il sole che piano piano invadeva la stanza.
« Non ti riaddormentare, » gli sussurrò divertita lei dopo un po’, scostandogli i capelli sudati dalla fronte.
Kisshu sbuffò e girò la testa così da poggiare il mento su di lei e poterla guardare: « Fai finta di non avermi sentito? »
La vide arrossire e adottare quel cipiglio un po’ agitato di quando doveva ammettere le cose: « Ti ho sentito. »
« Mmmh, » lui sorrise sornione, mettendosi a gattoni sopra di lei, « E? »
Minto ne approfittò per sgusciare di lato, agguantando la sottile camicia da notte: « …E credo che ci serva una doccia. »
Kisshu chiuse un secondo gli occhi, sbuffando tra il divertito e l’irritato, poi scosse la testa: « A volte sei incredibile. »
Lei lo guardò dal riflesso dello specchio, dove stava controllando di non avere segni troppo visibili e tentava di ridarsi un tono ai capelli: « Solo a volte? » lo prese in giro, con una punta di malizia che non sapeva come le venisse così naturale, ormai.
Lui si lasciò cadere di nuovo su un fianco, poggiando la testa alla mano: « Sempre incredibilmente sexy e bellissima. Ma potresti darmi un po’ più di attenzione. »
« Mi sembra di averti dato molta attenzione in questo momento. »
« Minto. »
Il tono in cui disse il suo nome la convinse a riavvicinarsi al letto e piegarsi su di lui: « Vieni di là con me? »
« Guarda che non funziona questa cosa. »
Lei ridacchiò del modo in cui gli occhi dorati avevano già cambiato espressione, e avvicinò ancora di più le labbra alle sue: « Sicuro sicuro? »
Kisshu rise sarcastico, poi con uno scatto felino gettò le gambe giù dal letto, l’agguantò per la vita e se la caricò in spalla, strappandole un urletto: « D’accordo, se la madamigella vuole la doccia, sarà accontentata. »
« Kisshu… ! Sei completamente nudo…! »
« Mi sembra la base di una doccia anche qui sulla Terra, no? »
Lei gemette disperata e si coprì il volto con le mani, pregando qualsiasi forma di vita superiore che non incontrassero nemmeno un domestico in quelle condizioni e protestando a bassa voce quando la mano libera le si piazzò tranquilla sul sedere.
« Sei un animale, » rimbrottò non appena la rimise coi piedi a terra.
Kisshu le fece il verso, mentre già si infilava in doccia e apriva l’acqua tranquillo: « Ho obbedito ai suoi ordini, madamigella. »
« La vuoi piantare? »
Fece finta di non sentirla, e lei sbuffando si arrese; piegò accurata la camicia da notte – già irrimediabilmente sgualcita – e lo raggiunse nella doccia, sospirando quando l’acqua tiepida le diede sollievo alla pelle.
« Guarda che non tutti abbiamo una temperatura corporea più alta del normale, » lo sbeffeggiò, allungandosi verso la manopola per renderla un po’ più di suo gradimento.
« Quante storie, » Kisshu rise e l’abbracciò all’istante, coprendole la bocca con la sua, « Ci penso io a scaldarti. »
« Abbiamo appena finito, » rise, comunque circondandogli il petto con le braccia.
« Non basti mai, tortorella, » sussurrò lui, spingendola appena all’indietro così che la schiena poggiasse contro la parete della doccia.
Continuò a baciarla languido, la doccia tiepida che smorzava appena il calore del suo corpo, poi le prese deciso i polsi per portarglieli sopra la testa, bloccandola delicato per fissare gli occhioni scuri: « Dicevo sul serio. »
Minto sentì il cuore e il ventre ruggire convinti, le guance arroventarsi di nuovo: « Lo so. »
Lui sorrise convinto, ciuffi scuri che gli si appiccicarono alle tempie aumentando il contrasto con l’oro dei suoi occhi: « In caso avessi dei dubbi. »
Lei scosse la testa, prendendo tempo per combattere l’improvvisa secchezza delle labbra: « Non… non li ho. »
« Okay, » Kisshu le si fece più vicino, lasciandole i polsi per prenderle il viso tra le mani, « Per ora può bastare. »
Lei arricciò il naso piccata alla sua ironia, tirandosi in punta di piedi per stringergli le braccia al collo: « Idiota. »
 
 
 
 
« E con questo, ho finito anche la disposizione dei tavoli, » con molta soddisfazione, Ichigo chiuse il fascicolo che teneva davanti a sé e ci batté le mani sopra come una brava scolaretta, « Ma mi stai ascoltando? »
Minto alzò lo sguardo su di lei con lentezza: « Certo che ti ascolto, » commentò con una punta di acidità, « So fare due cose in una volta, io. »
« Sembri in un altro mondo, » si lamentò invece la rossa, « È tutta mattina che praticamente non parli e non mi tratti male, mi devo preoccupare? »
« Quando mai ti tratterei male! Casomai ti tengo in riga, che è diverso. »
« Se lo dici tu… »
Ichigo si girò a controllare un attimo Kimberly, tranquilla nel suo passeggino, poi la guardò di nuovo di sottecchi: « Non sei fiera di me che ho già finito tutte queste cose e manca ancora un mese? »
« Con tutto il supporto che ti sto dando non potrebbe essere altrimenti. E poi manca solo un mese, stiamo facendo tutto di fretta perché all’improvviso vi è venuta voglia di recuperare il tempo perduto. »
La rossa strinse gli occhi e avvicinò la sedia a quella dell’amica così quasi da sfiorarle il naso col proprio: « Mi dici cos’hai? »
« Non ho niente! »
« Bugiarda, sei strana. Hai litigato con Kisshu? »
« No, e anche se fosse non sarebbero affari tuoi. »
« Non mi dai mai soddisfazione! » Ichigo sbuffò, mise il broncio e si lasciò cadere a braccia incrociate contro lo schienale della sedia, « Non mi racconti più neanche niente di voi due. »
« Ripeto, Momomiya, io sono una persona discreta e riservata. »
« Quando si tratta di te, i fatti miei te li sei sempre fatta volentieri, » si mordicchiò il labbro un paio di volte e la guardò da sotto la frangetta, « Aoyama-kun ha detto che mi farà sapere. »
Minto rimase con la penna sospesa sopra la pagina dell’agenda: « Avevi detto che non sapevi se l’avresti invitato. »
« Come facevo a non invitarlo! » gemette la rossa, agitando le mani, « Lo sai che abbiamo continuato sempre a sentirci, certo, sporadicamente, però… e già mi sono sentita assolutamente in colpa a non avergli detto niente di Kimberly, o di Ryou se è per questo, figurati non invitarlo al mio matrimonio! Il gesto almeno lo dovevo fare! »
La mora la osservò per qualche istante, poi sembrò incupirsi: « Lui… sa della situazione attuale? »
« Uh? Che vuoi dire? I ragazzi e il Caffè? » Ichigo apparve stupita e scosse la testa, « No, te l’ho detto, da quando è… è successo tutto non l’ho più aggiornato, non ci siamo tanto parlati. »
Minto annuì e rimase in silenzio per qualche istante, prima di stringersi nelle spalle: « Mettiti nei suoi panni, Ichigo, per quanto bene ti possa volere magari non sarà molto contento di vederti sposare Shirogane. Tra tutti, poi. »
« Guarda che Masaya-kun non ha questa malizia, » lo difese prontamente la rossa, « È più adulto di Ryou, in questo. »
« Certo, » sbottò l’altra con sarcasmo malcelato, « A proposito, che ha detto lo sposino dell’invito? »
Ichigo chiuse la bocca come un pesce, giocherellando con una cuticola sul pollice, e Minto la guardò spazientita.
« Gliel’hai detto, sì? »
« Gli ho dato la lista, sia la prima che quella finale, » borbottò lei come se fosse la cosa più naturale del mondo, « L’ha letta e ha anche aggiunto delle persone, ma non ha detto nulla, quindi… »
« Ichigo! »
« Dovevo forse evidenziarlo in giallo!? Lo sai come è fatto, ha questo tarlo con Masaya… ! »
Minto sbuffò sonoramente e sventolò una mano per farla smettere: « Non voglio saperne nulla. Anche se non mi sembra la maniera migliore per iniziare il resto della vostra vita insieme. »
Ichigo gonfiò le guance e la guardò stortissimo: « Da quando sei un’esperta di relazioni, tu? »
« Io non sto per sposarmi. »
« No, tu non riesci nemmeno ad ammettere di essere cotta a puntino su una nuvoletta rosa. »
La mora alzò un sopracciglio, scettica, avvertendo una punta di fastidio allo stomaco: « Non cambiare discorso, non stiamo parlando di me, ma di te e dei tuoi ex. »
« Un ex, grazie. E poi non è nemmeno confermato che verrà, quindi non capisco tutta questa agitazione. »
L’amica sospirò sottile, pensando che forse a volte Ichigo dimenticava qualche particolare di tutta quella storia, ma decise che non aveva molto senso in quel momento sprecare fiato a riguardo.
« Piuttosto, non mi hai ancora detto com’è andata a finire con il menù. »
Gli occhi della rossa si accesero di golosità: « Ah, bellissimo! A parte la sala fantastica, ci hanno fatto entrare anche se la stavano allestendo per un altro matrimonio – avresti odiato i fiori! – e poi ci hanno fatto provare tutto, anche il vino, e… »
 
 
 
 
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A ripensarci, le sembrava davvero incredibile di essere riuscita ad organizzare tutto in soli tre mesi, e sapeva davvero di avere un debito di riconoscenza enorme nei confronti delle sue amiche, soprattutto di Minto. Certo, c'erano stati momenti in cui avrebbe voluto torcere il collo alla sua cara amica dai capelli corvini, che aveva preso fin troppo alla lettera il suo ruolo di damigella d’onore e capo pianificazione, stressandola più che mai da quando si conoscevano, ma era stato tutto per il suo bene e la sua felicità, questo Ichigo lo sapeva. Non importava la dieta ferrea e salutare per una silhouette perfetta ed una pelle splendente sotto il cui regime era stata posta, che le aveva reso ogni visita al Caffè una specie di doloroso inferno; non importavano le ore spese chiuse in salotto a coordinare colori delle tovaglie, dei servizi di piatti, dei fiori, degli inviti; non importava nemmeno il fatto che si fosse presentata a casa loro a orari impossibili, portando sottobraccio faldoni per ogni step della cerimonia: l’unica cosa che contava era l'impeccabilità di ogni dettaglio, ed il secondo nome di Minto Aizawa era proprio perfezione.
Al tempo stesso, Ichigo non poteva negare di essersi divertita come una matta: i pomeriggi passati a navigare tutti i fiorai di Tokyo alla ricerca del bouquet perfetto, gli assaggi di dozzine di proposte di torte da parte di Keiichiro (i suoi unici sgarri, e forse ne aveva provate fin troppe apposta), e soprattutto, le ore spese tra fruscianti ed eleganti tessuti preziosi dei vestiti da sposa. Ricordava in tutti i dettagli più chiari la felicità di trovare finalmente l’abito adatto, dopo aver riso fino alle lacrime con Retasu e Purin chiuse in camerino con lei, e Minto che negoziava con i proprietari per assicurarsi che venisse confezionato ed aggiustato a tempo di record in cambio di un po’ di pubblicità in più. E poi l’allestimento della sala del ricevimento, la scrittura delle proprie promesse (si emozionava a pensare cosa avrebbe mai potuto scrivere Shirogane), il weekend alla SPA con le ragazze come addio al celibato, il completino abbinato per Kimberly che avrebbe servito da damigella onoraria, “portando” le fedi… era tutto completamente diverso da come se l’era immaginato da bambina, e al tempo stesso era esattamente perfetto.
Il giorno fatidico  si era avvicinato davvero più velocemente di quanto si fosse aspettata, era a pochissime ore di distanza, e quando ripensava a tutto ciò e a tutto quello che doveva ancora venire, le girava la testa alla follia e il cuore le batteva a mille; un po’ come in quel momento, mentre vagava per la stanza raccogliendo tutte le cose che le sarebbero servite per la notte, che avrebbe passato a casa di Minto con le altre, e fissava Ryou quasi di soppiatto giocare con Kimberly nel centro del letto, l’ultima volta che l’avrebbe visto in qualità di fidanzato.
« A che ora hai detto che viene tua mamma a prenderla? »
« Per le sei, » rispose lei, scrutando il suo portagioie, « E Akasaka-san ha detto che ti raggiunge verso le sette, hai tempo di rilassarti anche tu. »
Ryou la guardò divertito: « Tu hai intenzione di fare pazzie, stasera? »
« No, » Ichigo storse il naso in una smorfia, poi sospirò, « Ho implorato le altre che fosse qualcosa di tranquillo, dopo la maratona cui mi ha costretto Minto questa settimana per finire tutto vorrei solo dormire per giorni. »
Il biondo girò la bimba sulla pancia e, assicuratosi non potesse rotolare da nessuna parte, si allungò per afferrare la ragazza per un braccio e tirarla a sé: « Ti avevo detto di rimanere a dormire qui. »
La rossa gemette sconsolata, inginocchiandosi accanto a lui: « Così poi portava sfortuna! »
« Disse la gattina nera. »
Lei sbuffò alla battuta, non molto convinta, e si lasciò baciare piano, rilassandosi nel suo abbraccio, poi esalò lentamente quando il cellulare appoggiato dentro la borsa iniziò a squillare minaccioso: « Devo andare. Ci vediamo domani. Potrei essere un po’ in ritardo. »
Ryou rise ancora e le schioccò un bacio sul naso: « See you tomorrow, ginger. »
 
 
 
 
La camera della povera Minto era stata messa alla prova più che mai, con sia la chaise longue che la poltrona che lo sgabello della sua toeletta portati in centro, attorno al tappeto ricoperto di cuscini e dai resti della loro “serata di bellezza”. Solo Mickey sembrava estasiato da quel disastro, e continuava a fare avanti e indietro tra il carrello portavivande, tentando di arraffare qualche rimasuglio e venendo prontamente sgridato dalla sua padrona, e il gruppo di ragazze che dispensava decisamente più coccole del solito.
« Dopotutto l’avevamo sempre saputo come sarebbe andata a finire, » trillò supponente Minto, ridacchiando, « Shirogane è stato troppo persistente. »
Ichigo alzò gli occhi al cielo: « Se dici così sembra che mi abbia preso per sfinimento. » 
« Ha giocato d’astuzia, » canticchiò invece Purin, girandosi a testa in giù dalla poltrona, « Sin da quando gli hai fatto l’agguato in camera dopo la doccia, taaaanti, tanti anni fa. Ha messo la merce in mostra e… »
« Purin! »
Le altre ragazze scoppiarono a ridere mentre la festeggiata diventava della stessa sfumatura della propria chioma e scuoteva la testa affranta.
« Dai, lo sappiamo che l’avevi adocchiato, non c’è niente di male ad ammetterlo, il nii-san è oggettivamente un gran figo. »
« Se ti sentisse Taruto… »
« Be’, che mi senta, » replicò la biondina, studiandosi le punte dei piedi che facevano il tiptap nell’aria, « Magari si darebbe una mossa. »
« Uuuh, sento aria di pettegolezzo. »
« Qualcosa non va, Purin-chan? »
Lei scrollò le spalle alla domanda di Retasu: « Lui mi piace, e tanto, e ne sono consapevole, però… non riesco a capire lui. Cosa pensi, cosa voglia, a volte mi sembra che… però poi non fa niente, non dice niente, anzi! E mi fa arrabbiare, ogni tanto, questa cosa. Preferirei che fosse chiaro. »
« Non deve per forza essere il ragazzo a fare la prima mossa. Potresti iniziare il discorso tu, e chiarire un po’ la situazione, anche per non rischiare la vostra amicizia. »
« La fai facile, nee-san, » commentò lei al suggerimento di Zakuro, « Tu lo sai fare, io non so nemmeno da che parte prenderlo. Non mi è mai piaciuto nessuno quanto Taru-Taru… e quindi la maniera in cui mi fa saltare i nervi è direttamente proporzionale! »
« Oh, Purin-chan, » Ichigo si sporse verso di lei e le abbracciò goffamente le spalle, visto che la biondina era ancora a testa in giù, « I maschi sono testardi, lo sai, e dopotutto Taruto è tornato da quanto, tre mesi? dopo anni che non vi vedevate! Magari deve solo… abituarsi alla situazione. »
« Tu dopo cinque mesi dall’aver rincontrato Ryou nii-san eri incinta. »
« Che c’entra! Perché parlate sempre di questo! »
« Ecco, prendiamolo come esempio da non seguire. Con tutto l’affetto nei tuoi confronti, Ichigo-chan. »
Lei mugugnò verso Zakuro mentre le amiche ridacchiavano una seconda volta.
« Però potrebbe essere vero, nee-chan, » insistette Retasu, tentando di consolarla, « Non… non è successo mica niente subito tra, uhm… Pai e me. C’è voluto del tempo, parecchio anche. »
« Ma è Pai, » rispose la più giovane, esagerando un po’ il nome dell’alieno, « Sono fratelli ma non si assomigliano molto, ci sta che ci abbia messo più tempo. Invece… »
Quattro paia di occhi si spostarono su Minto, che persisteva a limarsi le unghie.
« Be’? Perché mi guardate? » sberciò, quasi senza alzare lo sguardo, « Fatevi gli affaracci vostri. »
« Dice tanto di me, ma non è che abbia resistito così tanto ai piacer - »
« Se vuoi arrivare viva al tuo matrimonio domani, meglio che chiudi quella boccaccia. »
Ichigo si abbracciò lo stomaco tanto rideva della faccia dell’amica, sostenuta dalle altre, mentre Zakuro si limitò a un sorriso gioviale.
« Direi che è ora di aprire i regali, non trovate? »
« Regali?? » la festeggiata si asciugò una lacrima e si illuminò, seguendo con lo sguardo la modella che andava a recuperare un sacchetto ripieno di carta velina dalla cabina armadio, « Ragazze, ma non dovevate! »
« Come no! » Retasu si allungò verso di lei e la strinse in un abbraccio, « Sei la prima di noi che si sposa, è il minimo! E poi bisogna celebrare le belle occasioni, soprattutto quando siamo tutti insieme. »
Ichigo afferrò il pacchetto dalle mani di Zakuro e ci sbirciò dentro, curiosa come un gattino; per prima, ne estrasse una scatola color crema avvolta da un fiocco blu, che occhieggiò curiosa: « È quello che penso? »
« Non lo sooo, aprilooo, » cantilenò contenta Purin.
Scartatolo, Ichigo rivelò un completo intimo elegante e decisamente sensuale, con corpetto a balconcino e un reggicalze in pendant, tutto in pizzo color avorio adornato da un fiocchetto che fungeva da chiusura sul retro.
« Voi siete pazze! » rise, arrossendo platealmente.
« È per la prima notte di nozze! »
« Non che vi servano suggerimenti, in effetti. »
« Minto! »
« Perché Kimberly è nata per spontanea scissione cellulare. »
Ichigo le lanciò un’occhiataccia, mordendosi la lingua per risparmiare una battutina, e pescò un altro pacchetto dalla carta.
Il secondo regalo si rivelò essere una bella cornice d’argento con dentro una foto di tutti loro, scattata ad una delle loro tante cene estive nel giardino di villa Aizawa.
« Ah, ragazze! Questa la voglio mettere sulla cassettiera in camera da letto. »
« No, per favore, nee-chan, che poi ci tocca guardare. »
« Purin! Ma la volete smettere!? »
Mentre le altre scoppiavano nuovamente a ridere, divertite dalle sue espressioni sconvolte, Ichigo accarezzò il vetro con un sorriso leggero, poi la ripose con cura nella sua scatola e prese l’ultimo pacchettino rimasto sul fondo del sacchetto.
Non notò l’occhiata complice che si scambiarono le altre ragazze, felici, perché rimase troppo incantata dal luccichio del fermaglio per capelli fatto di tanti fiorellini blu e dall’aspetto davvero costoso.
« Ripeto, voi siete pazze. »
Retasu fece spallucce: « Ti serviva qualcosa per tenere fermo il velo. »
« E ti serve qualcosa di blu, » aggiunse sorridendo Zakuro.
« È bellissimo, » Ichigo passò le dita sulle piccolissime pietre brillanti che lo decoravano, « Non dovevate, davvero. »
« Cosa vuoi che sia, sarà invisibile rispetto a quel lingotto che hai al dito, » la prese in giro Minto.
Ichigo ghignò felice, agitandole le dita della mano sinistra davanti: « Gelooooosa? »
La mora storse il naso: « Assolutamente no, io preferirei qualcosa di molto più semplice e raffinato. »
« E di circa tre chili di peso. »
Stavolta fu lei a non ridere della battuta di Purin, facendo una smorfia poco divertita nella sua direzione e poi alzando gli occhi al cielo in maniera teatrale.
« Non fai ridere. »
« Dovrò pensare a consolare il povero Kisshu nii-san, se mai gli venisse in mente, vista la spesa. »
« Purin! »
Ichigo continuò a ridere insieme alle altre mentre Minto afferrava un cuscino e lo lanciava contro la biondina, che atterrò malamente di schiena sul pavimento continuando a sghignazzare sguaiata; nella confusione generale, poi, la rossa fece un gran respiro profondo e si alzò, afferrando la caraffa per l’acqua ormai vuota e avviandosi piano verso il corridoio.
Era ormai passata da un pezzo l’ora di cena, e quando mise la testa fuori si accorse che la maggior parte delle luci di casa erano spente e non c’era, all’orizzonte, nessun membro del personale di servizio. Un po’ titubante, decise che l’opzione più semplice era utilizzare il rubinetto del bagno per riempire la brocca, così vi si diresse a passi lenti, grata della relativa quiete.
Aveva appena iniziato a far scorrere l’acqua quando sentì il bussare leggero di due nocche contro la porta, e si voltò per trovare Zakuro sulla soglia che la guardava con un sorriso comprensivo.
« Tutto bene? »
Ichigo annuì e sospirò, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, e stese un sorriso un po’ tremolante: « Sì, credo di sì. »
La modella accennò ad annuire, scrutandola con gli occhi indaco: « Un po’ di ansia è normale, direi. »
La rossa lanciò un’occhiata all’anello sulla sua mano, poggiando con estrema cura la caraffa sul lavandino.
« È che… è arrivato più in fretta di quanto pensassi e adesso è… strano. Non che non voglia farlo, è ovvio! » si lasciò scappare un risolino innervosito, « Ma… forse è il pensiero di tutta la festa, tutta la gente. Forse saremmo solo dovuti scappare. »
Zakuro si scambiò con lei la risata e poi accennò alle sue spalle: « Avreste dovuto scontarla troppo, non sarebbe stato saggio. »
« Ryou si sarebbe lamentato meno del costo, » Ichigo sbuffò ironica e si sedette sul bordo della vasca da bagno.
« Lo fa solo per principio, » cercò di consolarla l’altra, « Lo sai che non ci crede davvero, e che la cosa importante è che tu sia contenta. »
La rossa ridacchiò divertita: « Mi sa che mi tocca imparare per bene l’inglese, eh? »
Zakuro rispose con altrettanta allegria, arruffandole la frangetta in una maniera che le ricordò molto quella di Ryou: « Forse solo un po’. Per farlo brontolare meno. »
« O per non essere tagliata fuori dalle conversazioni con Kimberly, » aggiunse lei con ironia, « Dovresti vederli anche adesso, se non la fa addormentare lui, lei si lamenta. »
La modella le si sedette accanto, fissandola con rara ed estrema tenerezza senza dire nulla, ben sapendo che Ichigo preferiva parlare piuttosto che ascoltare.
« Minto mi prende sempre in giro perché dice che Ryou ha un debole per me da quando ci siamo conosciuti, » mormorò con un sorriso dolce in viso, « E lui me l’ha detto quando ha… quando mi ha chiesto. »
Zakuro attese ancora, soffocando un sorrisetto nel vederla arrossire, e lei esalò lentamente, piegando appena la testa:
« Spero solo di… essere abbastanza, ecco. »
L’amica le strinse premurosamente la mano, cercando di incrociare il suo sguardo: « Credo nessuno lo metta in dubbio, Ichigo-chan. »
La rossa le sorrise grata, e rimase in silenzio qualche altro secondo prima di espirare forte: « Nee-san? »
« Mmm? »
« … come si fa a camminare davanti a tutte quelle persone? »
Zakuro rise leggera: « Si guarda dritto davanti a sé. »
« D’accordo, » Ichigo annuì, si alzò e si stiracchiò come un gatto, prima di riprendere in mano la caraffa, « Dai, torniamo di là prima che Minto si metta a strillare. »
« Meglio che andiamo a dormire, non sarebbe certo il caso di svegliarsi con le borse sotto gli occhi. »
Trattenne un risolino nel vedere la smorfia scioccata della protagonista della serata, che non aggiunse altro fino al rientro in camera.
« Ah, finalmente! Mi stavo preoccupando che avessi deciso di fuggire per angoscia dell’ultimo minuto. »
« Per chi mi hai preso? Avevo sete, non sei tu quella che predica sulle potenzialità dell’idratazione? »
« Ichigo, ma hai riempito la brocca in bagno!? »
« Senti non è colpa mia se vivi in hotel e devo citofonare alla cucina per bere! »
« Sarai proprio un’arricchita inelegante – ahia! Io adesso ti - »
« Sììììììììì lotta coi cuscini! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Che lui avesse dei problemi con il sonno era risaputo, ma doveva ammettere che quella notte si sarebbe decisamente classificata tra le meno dormite della storia. E sapeva che avrebbe fatto fatica a convincere sé stesso e gli altri che fosse stato solo a causa di letto e casa vuota dopo molto tempo, invece che di un sottile nervosismo che non accennava a lasciarlo stare neanche in quel momento.
In una camera dell’hotel dove si sarebbe tenuta la loro cerimonia – nemmeno lui sapeva dove si sarebbe preparata Ichigo, tanto era la segretezza per la sorpresa – Ryou si aggiustò il farfallino e si schiarì nervosamente la gola.
Gli pareva leggermente folle avere ansia proprio in quel momento, visto che ormai erano , ma era anche certo che il suo senso di disagio non sarebbe davvero scomparso finché non avesse visto una certa rossa camminare verso di lui al braccio del padre, pronunciare la parolina magica, e firmare a penna il registro che avrebbe sancito realmente l’unione. Forse perché gli sembrava così assurdo, in quell’istante, esserci arrivato davvero, esserci riuscito, da temere di vederselo scomparire da sotto i baffi in un ultimo beffardo scherzo del destino.
Si costrinse nuovamente a respirare e si sistemò sovrappensiero i capelli, raddrizzando la schiena quando qualcuno bussò alla porta; fu solo un avviso, perché Keiichiro entrò prima di sentirlo dare il permesso.
« Come andiamo? » gli domandò raggiante.
Ryou annuì e gli scoccò un’occhiata divertita: « Siamo molto in tiro, vedo. »
Il moro si stirò le pieghe invisibili della giacca, gonfiando il petto: « Non capita tutti i giorni di sposare il proprio migliore amico. »
« Già… » il biondo esalò e tornò a controllarsi il completo scuro, « È arrivata? »
« Ho visto Retasu-san e Zakuro-san, quindi direi di sì. Ma non sono andato a sbirciare. »
« Alright. »
« Non dirmi che sei agitato e hai paura che non si presenti. »
Ryou lo guardò più storto del solito: « Il sarcasmo non aiuta, e lo dico io. »
Keiichiro rise e gli batté una mano sulla spalla: « Respira. Andrà tutto bene. »
« Con i geni riattivati può scappare molto in fretta. »
La risata genuinamente divertita del moro rimbombò nella stanza, causando l’ennesima smorfia irritata dello sposo: « Non andrà da nessuna parte, Ryou. Vivete insieme, avete una bambina meravigliosa, siete una famiglia, questo non è altro che una firma su un pezzo di carta per rendere sicuro qualcosa che è già concreto. »
« I know that. »
« E lo sa anche lei. Tieni, bevi questo. »
Il biondo guardò con scetticismo il bicchiere che gli porgeva: « Scusa? »
« Coraggio liquido. Un rimedio della nonna, se vuoi. »
« Passi troppo tempo con Ikisatashi. »
Ryou scosse la testa e sospirò, ma afferrò comunque il bicchiere e lo bevve in un sorso solo.
 
 
 
 
Al piano inferiore, Ichigo si controllò per l’ennesima volta e soffiò piano tra i denti. Forse ora capiva perché in tutti quei film romantici che si intestardiva a voler guardare anche se finiva sempre a piangere inserivano sempre la scena della sposa davanti al grande specchio a tutta figura, persa nei suoi pensieri.
La verità era che non li poteva fermare, e non poteva fermare quella stretta allo stomaco che l'aveva presa non appena era rimasta sola nella sua stanza; ma la solitudine era ciò che davvero le serviva per prendere fiato.
La vecchia Ichigo, timida, impacciata, e insicura, fece prepotentemente capolino in lei: stava commettendo una sciocchezza, gettandosi a capofitto nell'ennesima avventura per cui sarebbe stata impreparata?
Sorrise. L'unica cosa di cui era certa era che lei e Ryou davvero ne avevano passate tante insieme, ad un livello quasi ironico. Le sembrava che l'universo li avesse sempre messi alla prova per capire se fossero in grado di affrontare ogni gradino, ogni ostacolo. Non poteva certo negare che fino a quel punto se l'erano cavata abbastanza bene, anche se la sua vita non era andata come aveva sempre progettato, anche se era successo tutto così velocemente da farle girare la testa.
Ma forse aveva smesso davvero di fare progetti quando un certo biondino le aveva iniettato il DNA di un animale in via d’estinzione per combattere un nemico e salvare il mondo; e qualsiasi cosa avesse potuto dire sulla sua relazione con Ryou, le sarebbe parso tutto estremamente riduttivo. Avevano fatto molte cose di fretta, su quello non c'era dubbio, ma fin da quando si erano conosciuti, tanti anni prima, c'era sempre stato qualcosa sotto. C'era sempre stato un loro, forse non definito, forse incompreso, ma presente.
E lei lo conosceva. Sapeva che non poteva iniziare la giornata senza almeno una tazza di caffè nero e che era meglio non parlargli troppo prima che l'avesse finita, mentre gli abbracci silenziosi erano perfetti; riconosceva la scintilla nei suoi occhi quando sentiva ridere Kimberly delle pernacchie sul pancino, e il sorriso che le faceva a letto la sera quando lei si infilava sotto il suo braccio come un gatto e si addormentava all'istante, costringendolo a reggere il libro del momento con una mano sola; sapeva che detestava mostrarsi troppo affettuoso in pubblico, soprattutto a quelle eleganti feste delle aziende cui dovevano partecipare, ma non mancava mai di sussurrarle battutine all'orecchio che la facessero ridere.
E lo amava. Di quello era certa. Con tutta sé stessa, con ogni parte di quel maledetto DNA.
E non c’era cronologia, tradizione, progetto che potesse competere con quello, e quella giornata sarebbe davvero diventato il coronamento del loro amore, sarebbe stato tutto esattamente perfetto, tutto diverso ma tutto loro.
O almeno così aveva pensato prima di vedersi allo specchio in preda all’ansia dell’ultimo minuto.
« Sembro… sembro un elefante, » gemette sconsolata non appena Purin ritornò in stanza, e si lisciò invisibili pieghe sullo stomaco, esattamente come Minto le aveva intimato di non fare per evitare di sporcare il tessuto prezioso, guardandosi allo specchio con aria angosciata.
« Non dire sciocchezze, nee-chan, » rise l’altra, mettendosi accanto a lei per sistemarsi gli ultimi tocchi di rossetto.
Ichigo nemmeno la guardò, ma le afferrò il polso di scatto e la tirò a sé: « Purin, mi fido solo di te, sembro un’enorme bomboniera?! »
La biondina sospirò e le strinse entrambe le mani con affetto: « Ichigo-chan, sei stupenda. Non so come farà Ryou nii-san a non metterti subito le mani addosso per cercare di togliertelo. »
« … non mi è utile però così? »
« Vuoi un bicchierino di qualcosa? »
« Non mi sembra il caso, » Zakuro entrò provvidenzialmente nella stanza, reggendo il velo sormontato dal fermaglio blu che le avevano regalato, « Piuttosto un po’ d’acqua, non trovi? »
« Ma l’acqua non l’aiuta a calmare i nervi! »
« Non credo però sia saggio che Ichigo-chan sia troppo rilassata, » rise Retasu, chiudendo la fila.
La ragazza in questione agitò le mani davanti a sé e lanciò l’ennesimo sguardo al suo riflesso: « Basta, mi state confondendo, non so che devo fare. »
« Ora stai ferma, » Zakuro l’ammonì con voce dolce e la spostò un poco così che potesse sistemarle anche l’ultimo dettaglio, « Voglio essere sicura che non caschi. »
Ichigo prese un gran respiro e fissò l’amica con due occhi da cucciolo: « Nee-san, tu che te ne intendi, sembro un centrino? »
« Ma non ti fidavi solo di me?! Per fortuna che faccio da testimone al nii-san, mi sento tradita! »
Retasu sghignazzò al commento esageratamente tragico di Purin, che si aggiustò per bene il corpetto del vestito, ma Zakuro lanciò ad entrambe un’occhiata di avvertimento.
« Sei bellissima, Ichigo, questo vestito è perfetto. »
« Poi tanto è troppo tardi per cambiare idea. »
« Purin, ti prego! »
« Okay, è quasi ora, » anche Minto ritornò nella stanza, con in mano il bouquet della sposa e il proprio, « Tuo papà è qui fuori, chiede se siamo pronte. »
Zakuro finì di acconciare il velo attorno al viso di Ichigo e le fece un occhiolino affettuoso: « Allora io vado di là da Ryou e ti precediamo, d’accordo? »
Ichigo deglutì rumorosamente e annuì con molta poca convinzione: « Ricordami perché ho suggerito che mi abbandonaste per andare a stare dalla sua parte. »
« Perché altrimenti il nii-san avrebbe dovuto chiedere a Kisshu nii-san e Pai nii-san, e sappiamo tutti come sarebbe andata, » Purin rise sotto i baffi e sbirciò fuori dalla porta, « Campo libero! »
La modella si scambiò un’altra occhiata d’incoraggiamento con la sposa: « Ci vediamo tra poco. »
I cinque minuti successivi la sposa li visse come in una bolla in cui il rumore del battito del suo cuore contro le orecchie offuscava tutti gli altri suoni; rivolse un sorriso veloce a Shintaro, elegantissimo e apparentemente altrettanto nervoso appena fuori dalla porta, e poi quasi come un automa seguì Minto e Retasu lungo il corridoio, dentro l’ascensore, attraverso l’anticamera da cui avrebbe fatto la sua comparsa.
« Sono molto in ritardo? » borbottò poi infine con un filo di voce.
L’amica dai capelli verdi scosse la testa con un sorriso rassicurante: « Solo quindici minuti, direi tempismo perfetto. Altrimenti Shirogane-san si preoccuperebbe. »
Riuscì a ridere un poco della battuta, ma fu poi distratta dalla musica e dal brusio che sentì provenire dalla porta chiusa davanti a sé.
Forse avrebbe davvero dovuto accettare l’offerta di Purin di bersi qualcosa.
Ichigo si ancorò al braccio del padre mentre Minto le girava attorno per sistemare gli ultimi dettagli, allargandole lo strascico del vestito e la coda del velo.
« Allora io vado, okay? »
La rossa le lanciò un’occhiata impaurita: « Perché, dove vai?! »
« Devo camminare davanti a te, sciocchina, » la mora le rivolse un sorriso genuino e poi una stretta di mano affettuosa, « Ci vediamo là davanti, respira e sorridi. »
Lei annuì, l’espressione ben poco convinta, ma avvertendo una punta di coraggio in più quando Shintaro la strinse a sé e la guardò negli occhi: « Sei stupenda, tesoro mio. E io sono estremamente fiero di te, di voi. Ma possiamo sempre tornare indietro, se vuoi. »
« Non dire sciocchezze, papà. »
Si accodò con una risata dietro le amiche mentre le porte si aprivano e la musica la raggiungeva più forte. Il cuore le schizzò in gola a vedere tutti gli invitati che si voltarono verso di lei quasi all’unisono, il corridoio centrale che all’improvviso le sembrò infinito da percorrere, e il bustino del vestito le parve troppo stretto per potere respirare e affrontarlo tutto.
« Guarda avanti. »
Il sussurro tra il divertito e il commosso di suo padre le rievocò quello di Zakuro della sera prima, e Ichigo riempì i polmoni a fondo, obbedendo quasi per magia e avvertendo un sorriso nascere spontaneo sulle labbra: là davanti c’era Ryou, bellissimo nel suo completo e – anche se non l’avrebbe mai ammesso – forse anche lui un po’ nervoso, a giudicare da come teneva dritte le spalle e strette le mani in grembo, e sì quella camminata le sembrò interminabile, perché non avrebbe mai fatto abbastanza in fretta a dirgli di sì.
 
 
 
 
Pai si rese conto di non essere mai stato in una stanza con tutti quegli umani in una volta sola, e dubitava che l’affermazione di Retasu su come in realtà quel matrimonio fosse ristretto potesse essere vera: aveva contato almeno altre trenta persone, come poteva essere ristretto?
D’altronde non era nemmeno sicuro di cosa stesse succedendo in quel momento, visto che i nuovi coniugi Shirogane non erano presenti. Su Duuar le cerimonie nuziali erano molto più spicce, uno scambio di voti davanti a un ufficiale o a un ministro del culto, per chi preferiva i riti antichi, con la presenza necessaria solamente di un testimone, e poi un pasto più lauto del solito tra famiglia e amici o compagni d’armi. Niente di così pomposo e complicato, ma dopotutto si stava parlando di Momomiya, che probabilmente si era pure trattenuta.
Non osava immaginare cos’avrebbe potuto vedere combinare Aizawa, nella malaugurata ipotesi che decidesse di impalmare suo fratello.
« Perché ridi? » Retasu lo guardò con curiosità, e lui scosse la testa mentre prendeva un sorso di quel liquido dorato e frizzante.
« Niente, pensavo a come sia diverso dai nostri costumi. Da noi ci si sposa in rosso e oro, sono colori associati alla felicità e all’abbondanza. »
« Oh, » la verde s’impose di non pensare a Pai vestito in quella maniera, sentendo le guance scaldarsi e attribuendo la colpa solo allo champagne, « Già, di solito i matrimoni sono le nostre feste più sfarzose, direi. Quando ero piccola ho fatto da damigella a mia cugina, aveva organizzato anche lei una cerimonia molto occidentale, con tanto di caduta di palloncini al momento del taglio della torta. »
Pai decise di non chiedere troppe spiegazioni su a cosa servisse esattamente tagliare una torta con così tanto fasto, ma si limitò a fare una smorfia: « Spero non succeda anche oggi. »
« Non credo, » commentò lei divertita, « Ichigo-chan in realtà non è molto per i grandi gesti eclatanti. Mi vedo più Purin a navigare tra palloncini. »
L’alieno fece un’altra faccia strana e continuò a guardarsi in giro, studiando gli eleganti invitati.
« Ma adesso cosa sta succedendo? »
Retasu si sforzò di non trovarlo troppo divertente: « Stiamo aspettando che Ichigo-chan e Shirogane-san finiscano di firmare i documenti e fare un po’ di foto, intanto noi facciamo aperitivo. Tra un po’ dovremmo mangiare, ci sarà magari qualche discorso, e poi faremo un po’ di festa, di balli, e infine la torta. »
« Balli? »
« Sì, » la verde questa volta rise con un po’ troppa disinvoltura, « Non dobbiamo se vuoi, ovviamente. Ma di solito va così. »
« Non credo di ricordarmi l’ultima volta in cui ho ballato. »
« L’hai mai fatto? »
Pai le lanciò un’occhiata divertita dalla domanda sarcastica: « Per tua informazione, ho un’ottima coordinazione occhio-mano. »
« Non lo metto in dubbio, » ridacchiò lei, « Mi domando piuttosto il senso del ritmo. »
Le sopracciglia scure formarono due archi ironici contro la pelle pallida: « Non mi sembra tu ti sia lamentata del mio ritmo. »
Ci volle qualche secondo, poi Retasu quasi si strozzò con il suo sorso di champagne, diventando bordeaux mentre l’alieno ridacchiava piano sotto i baffi.
 
 
 
 
Purin praticamente placcò Taruto, incurante del fatto che parecchie paia di occhi divertite si spostarono su di loro al sentirlo sbottare di sorpresa e del rossore che gli colorò le guance.
« Taru-Taru! Non ti avevo mai visto così elegante! »
L’alieno se la staccò di dosso con malagrazia, riaggiustandosi la giacca blu scura: « È stato Akasaka-san ad aiutarci… ma questa roba è maledettamente scomoda, cosa vi viene in mente?! »
Lei sorrise divertita al guardarlo tirare la cravatta della stessa sfumatura come se fosse un cappio: « Be’, comunque sei davvero bello così. »
Taruto, questa volta, divenne cianotico e la guardò con gli occhi strabuzzati: « M-ma che ti salta in testa!? Non… non si dicono queste cose! »
« Ah vuoi dire i com-pli-men-ti? » lo prese in giro lei, puntualizzando ogni sillaba con una ditata sul suo petto, « Come quelli che tu non fai mai a me? »
« Sei fuori, » borbottò ancora lui, scostandole la mano e tossendo per schiarirsi la gola, « Credevo non fossimo autorizzati a bere. »
Purin corrucciò il viso e poi gli fece una linguaccia: « Infatti sono perfettamente sobria, sono solo naturalmente energetica  e felice! È tutto bellissimo! »
L’alieno la osservò piroettare sul posto in un turbinio di organza rosa, e la mente gli riportò in superficie la mattina del suo compleanno, ma si sforzò di rimanere stoico: « Vedi, te l’ho detto che sei un maschiaccio. »
La biondina mise il broncio e incrociò le braccia, pur con ironia per aver captato la nota di presa in giro nella sua frase: « E tu sei un guastafeste. Ti perdono solo perché sei carino. »
E schioccandogli un bacio sulla guancia che lo lasciò più che basito, si dileguò di nuovo verso il tavolo delle tartine.
 
 
 
 
« Oh, kami-sama, » Ichigo fece un respiro profondo e distese del tutto le spalle, ben attenta a non inciampare nella gonna del vestito, « Abbiamo fatto solo metà e sono già esausta. »
« Qualcuno direbbe che è la parte più importante, » la prese in giro dolcemente Ryou.
Lei sorrise e, approfittando che fossero finalmente soli prima della loro entrata trionfale nella sala in cui si sarebbero tenuti cena e ricevimento, s’illanguidì contro di lui e gli avvolse le braccia intorno al collo con un broncetto: « Non la più divertente, però. »
« Mmhm, » il biondo alzò un sopracciglio e fu svelto a stringerle la vita, nonostante il tulle tra di loro, « Hai qualche idea in particolare? »
« Certo, » la rossa sfiorò il naso con il suo e poi svicolò via dispettosa con un ghigno, « Non vedo l’ora di ballare tutta sera e mangiare tutti i miei dolci preferiti! »
« Ah-ah, very funny. »
Shirogane riuscì comunque a rubarle un bacio, forse il primo vero di tutta quella parata, sentendola rilassarsi contro di lui.
« Dobbiamo entrare, » l’avvertì poi con una punta di malavoglia, « Ammetto di dover bere qualcosa e mettere qualcosa sotto i denti. »
« Ah, non pensare che io sia una di quelle spose che non mangia, ho già detto a Minto-chan che non ho intenzione di saltare la cena per girare tra i tavoli a perdermi in moine, io mi siedo e mangio tutto quello che ho scelto. »
« Lo so, ginger, lo so. »
Le schioccò un altro bacio, e Ichigo fece un sorriso e poi una smorfia: « Puoi andare a chiamarmi Minto? Devo fare pipì, e ho bisogno di un supporto. »
Gesticolò rivolta verso l’ampia gonna del suo abito da sposa, e lui rise annuendo: « Non andare da nessuna parte. »
La frazione di secondo in cui lui aprì la porta della sala ricevimenti le fece capire che l’aperitivo doveva stare andando bene, visto il brusio allegro dei suoi ospiti; decisamente più rilassata di prima, anche se ancora non del tutto a suo agio all’idea di dover essere così tanto al centro dell’attenzione, Ichigo si poggiò con la schiena al muro e chiuse un istante gli occhi, godendosi il miscuglio di emozioni che sentiva ribollire all’altezza del petto. Non li aprì nemmeno quando avvertì la porta muoversi ancora, e fu per quella ragione che sobbalzò quando una voce molto diversa da quella della sua migliore amica la chiamò.
« Ciao, Ichigo-chan. »
« Masaya-kun! » la rossa si portò una mano al petto, sorpresa al notare che in realtà lui non proveniva dal loro salone, ma da uno dei corridoi laterali, « Scusa, non mi aspettavo che – ma allora sei venuto! »
Il moro sorrise contento e le si avvicinò di qualche passo: « Non potevo non farti le mie congratulazioni dal vivo, sei raggiante. Ho partecipato alla cerimonia, è stato davvero molto bello. »
« Grazie, » rispose lei radiosa, rammentando di non averlo visto tra i presenti, « Ma dove…? »
« Ero seduto in fondo, in un angolo, » confermò lui, « Non mi avevi detto che erano tornati gli Ikisatashi. »
Per un istante, Ichigo si stupì del commento: « Eh? Ah, già… » rise, un po’ a disagio, torturandosi un pezzo dell’abito, « Credo che ci siano un po’ di cose su cui non ci siamo aggiornati, ma… come vedi, sta succedendo tutto un po’ così, all’improvviso. »
« L’importante è che tu sia felice, » esclamò di nuovo lui, con il suo sorriso dolce, « E mi sembri più felice che mai, Ichigo-chan, quindi non posso che esserne contento anche io. Sei una persona meravigliosa e ti meriti il meglio. »
« Masaya-kun, davvero, mi dispiace se ti ho tagliato fuori, » il tono di voce della rossa fu leggermente implorante, « È che c’è stato tutto un… un casino, non posso definirlo altro, e immaginati, ritrovarti davanti al naso gli alieni che… che hai combattuto quando avevi tredici anni, e che ora escono con le tue amiche…! »
Aoyama rise della maniera in cui lei aveva abbassato la voce per quelle ultime due frasi e le smorfie stranite che le si disegnarono in volto.
« Non c’è niente di cui farti perdonare, davvero, Ichigo-chan. Non saprei nemmeno io come avrei reagito, se fosse successo a me. E non mi devi niente. »
Sul momento non ne sembrò particolarmente convinta, dal modo in cui si morse il labbro e poi accennò alle sue spalle, verso il ricevimento: « Vuoi venire a… salutare? »
Il viso del ragazzo si rabbuiò appena, ma continuò a sorridere gioviale e scosse la testa: « Credo che sia meglio di no, Ichigo. Ci tenevo a partecipare alla cerimonia, ma non ritengo sia il caso per me di… non vorrei mai rovinare l’atmosfera a qualcuno, ecco. »
Ichigo non poté evitare di accigliarsi, non capendo: « Se è per Ryou, non preoccuparti, lui non - »
Ma Masaya insistette a negare: « Non credo che tutti serbino un ricordo particolarmente benevolo di me, Ichigo. O almeno, di una parte di me, » aggiunse con una punta evidente di amarezza, « E non mi sembra giusto rovinare la tua giornata con sottigliezze del genere. Non ne faccio una colpa a nessuno, e so che non è nemmeno colpa mia, ma è più facile così. »
Ci volle qualche istante perché la rossa comprendesse del tutto, infine sorrise e gli tese una mano: « Ti ringrazio, Masaya-kun. Davvero. Anche se vorrei non fosse così. »
« Sono certo che ci sarà il tempo per chiarire e recuperare, » le strinse affettuoso le dita, « In un momento un po’ meno complicato. »
Le fece un occhiolino, e lei sorrise più convinta: « Grazie ancora. Cerchiamo di vederci presto, d’accordo? »
« Affare fatto. »
Il ragazzo le rivolse un cenno di saluto e si allontanò, voltandosi di nuovo verso di lei sulla parte opposta del corridoio per salutarla con una mano cui lei rispose con un gesto meno energico.
« Minto-chan ha detto che è l’unico dovere da damigella d’onore che si rifiuta di fare, quind – Ichigo-chan, tutto bene? »
Lei sussultò di nuovo e si riscosse, voltandosi verso Purin con una smorfia: « Che vuol dire che si rifiuta!? Non può mica scegliere cosa fare e cosa non fare! »
La biondina rise e le sollevò fin troppo la gonna del vestito, nonostante ci fosse l’intera anticamera da attraversare prima di raggiungere la toilette: « Purin in soccorso! »
« Sì ma non mi denudare ora!! »
 
 
 
 
La cena scivolò via allegramente, tra le varie portate apprezzate da tutti, un paio di discorsi, molti brindisi e anche qualche – brevissimo – giro dei tavoli da parte degli sposi, e molto presto la sala divenne una vera e propria pista da ballo.
« Mai avrei pensato di vedere Pai Ikisatashi ballare circondato da umani. »
Minto, accaldata e leggermente provata da tutta quella giornata, rise sotto i baffi e prese un sorso di champagne, lanciando un’occhiata divertita a Zakuro, accanto a sé a bordo pista, che soffiò pacata, scostando lo sguardo dall’alieno e da Retasu, più a muoversi sul posto che a ballare:
« Mai avrei pensato di rivedere Pai Ikisatashi. »
« Touché, » la mora rise e bevve di nuovo, tamponandosi la fronte con il dorso della mano e continuando ad osservare la sala, « È venuto tutto bene, non trovi, anche con questa corsa contro il tempo? »
« È stato un ottimo lavoro, e mi sembrano molto contenti. »
Entrambe si soffermarono su Ichigo e Ryou, in mezzo alla sala circondati dalla folla ma probabilmente coscienti solo l’una dell’altro, dal modo in cui si guardavano e scambiavano battute e risate. Minto si lasciò andare in un lungo sospirò un po’ maligno:
« Sono schifosamente innamorati. »
Zakuro nascose un sorrisetto dietro al proprio calice e le diresse un’occhiata di soppiatto dall’alto: « Perché, tu no? »
La mora arrossì tutto a un tratto e non riuscì a trattenersi dal cercare con lo sguardo Kisshu, impegnato in strane movenze poco aggraziate insieme a Purin, altrettanto scatenata, il ventre che le rimbombò prepotente al ricordo di quella mattina di un mese prima, facendole risalire il calore fino in gola. Non fece in tempo a rispondere che la risata roca dell’amica la precedette:
« Non fare quella faccia, è normale dopo quasi un anno che state insieme. Mi preoccuperei se fosse il contrario. »
Minto persistette a non rispondere, odiando quella vocina nella testa che le iniziò a domandare se forse non si stesse preoccupando proprio Kisshu stesso, visto che lei una certa formula magica non era ancora stata in grado di pronunciarla.
Però a quanto pare lei era un libro aperto per le sue amiche, possibile che non lo fosse anche per lui?
Prese un altro sorso e continuò a evitare lo sguardo indaco, fin troppo pungente per i suoi gusti su certi argomenti, e Zakuro insistette con più calma: « Devo preoccuparmi? »
« No, » esalò finalmente, poggiando il bicchiere ormai vuoto e prendendone un altro dal tavolo alle loro spalle, « Ma è più bravo a parlarne lui. »
La modella annuì e si concentrò sull’alieno, che si stava infilando prepotentemente tra Retasu e Pai per iniziare a ballare un terribile giro di polka con la ragazza, con ogni probabilità solo per disturbare il fratello: « Non essere a proprio agio a mostrarlo non vuol dire non provarlo. »
« Dovresti dirlo a lui… » borbottò quasi in un sussurro l’altra, trangugiando metà del calice in un sorso.
Zakuro gliel’afferrò con eleganza e lo ripose sul tavolo, in una maniera molto da sorella maggiore: « Non esagerare con questi, » la sgridò piano, poi le accennò un sorriso, « E Kisshu non è così ottuso. Ma se per caso servisse aiuto per uno zigomo dolente… »
La mora rise dal naso e alzò gli occhi al cielo: « Comunque io non ti chiedo queste cose. »
« Hai fatto un background check a tutti quelli di cui mi segni gli appuntamenti nell'agenda. »
« Come tua assistente devo assicurarmi che tu non vada incontro a pazzi psicopatici o altri personaggi seriamente disturbati, tanto più che la tua notorietà accresce. »
« Se lo dici tu. »
Lesta come una volpe, Minto si riappropriò del suo bicchiere e terminò il contenuto rimasto, stringendo le labbra un istante: « Io torno a ballare, tu vieni? »
« Vi raggiungo tra poco, ho bisogno di ancora un po’ d’aria. »
Non appena la mora si aggregò a Purin e Retasu, che parevano aver preso d’assalto Ichigo insieme a Moe e Miwa per qualche danza tra ragazze, Zakuro si voltò di mezzo giro e si incamminò verso uno dei tavoli più vicini al centro.
« Avete intenzione di venirmi a parlare o solo di fissare da lontano? »
« E questa, Joel, è Zakuro Fujiwara, » Ryou l’accolse con un sorriso fin troppo splendente, indicandola al suo interlocutore, che le sorrise cortese e le si rivolse direttamente in un inglese evidentemente marcato da un accento texano:
« La conosco. Di fama, ovviamente. È un piacere conoscerla dal vivo. »
La modella prima scoccò un’occhiata al biondo, fin troppo rilassato per i suoi standard, poi accettò la mano che le veniva offerta: « Mi è giunta voce anche della tua fama. »
« Immagino solo cose pessime. »
Shirogane sorrise e gli batté una mano sulla spalla: « Se non ci fosse stato Joel, saremmo stati nei casini con tutti i vari test, esami, risultati con DNA sballati. Peccato abbia questa fissa di non voler imparare il giapponese. »
Zakuro accennò a un sorrisetto, studiando con misurato garbo l’uomo, che sembrava essere sulla trentina e sfoggiava due occhi verdi brillanti d’intelligenza sopra una folta barba scura.
« Non sono segreti facili da mantenere, » commentò, e lui alzò una birra verso il biondo:
« Shirogane è ottimo a regalare bourbon a Natale. »
Lei sorrise e inclinò solo un sopracciglio rivolta a Ryou, che si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sarebbe interessante sapere come ci sei finito, tra le grinfie di Shirogane, che non è molto diplomatico nella sua scelta di cavie. »
« Hey there. »
Joel rise e la guardò con gli occhi vispi: « La storia è lunga, se vuoi sederti a bere qualcosa. »
Ryou ebbe la buona creanza di sparire in quel momento, richiamato a gran voce da Ichigo, e Zakuro non aspettò molto a rispondere: « Alright. »
 
 
 
 
« Se continui a guardarla così le brucerai il vestito. Capisco il sentimento, ma non credo sia l’approccio migliore. »
Taruto sussultò quando Kisshu gli apparve alle spalle, con un ghignetto insopportabile stampato sulle labbra, ben individuando la direzione del suo sguardo.
« Sei un coglione, » gli rispose truce, facendolo solo sogghignare maggiormente:
« Sarà, ma almeno io so andarmi a prendere le cose che mi interessano. »
« Vorresti forse un applauso? »
Il verde sospirò e scosse la testa, scrutando divertito il profilo torvo del fratello minore: « È inutile, io ci ho provato a mostrarti la via, ma tu sei preciso a Pai. Chiedile di ballare, no? » aggiunse poi, più amichevolmente, « Sono sicuro le farebbe piacere. »
Taruto lo trucidò con lo sguardo, poi incassò ancora di più la testa nelle spalle: « … tu che ne sai? »
Kisshu lo guardò come se fosse un cretino: « Ti devo forse fare un disegnino? Ha continuato a chiedermi di te finché non sei tornato. »
Il moro strusciò un piede a terra, il collo ormai scomparso tra le spalle: « … è perché siamo amici. »
« Certo. Amici. E lei si offende quando tu non le dici quanto sta bene con il vestito da damigella. »
« T-tu che ne sai!? » ripeté lui annaspando, e il verde roteò gli occhi in maniera esageratamente teatrale:
« La scimmietta sarà anche un’ottima sorellona, ma ogni tanto ha bisogno anche di un fratello maggiore con cui lamentarsi di quanto sia stupido il cretino che non vedeva l’ora tornasse. »
Taruto sibilò una maledizione tra i denti, ignorando pesantemente lo sfarfallio del suo cuore, Kisshu che si immischiava negli affari suoi era di certo l’ultima cosa che gli servisse.
« Io non sono come te, » sibilò, « È… complicato. »
« Grazie per l’offesa gratuita, » rispose il maggiore con acredine, « Stavo solo cercando di aiutarti, ma se vuoi restare qui a mangiarti il fegato fai pure, io vado a divertirmi insieme agli altri. »
E così dicendo, lo piantò lì, ritornando nella mischia che ballava per agguantare Minto per la vita e tirarsela fin troppo addosso, mentre Taruto digrignava i denti e continuava a fondere con gli occhi la schiena ormai fin troppo conosciuta di una certa biondina.
 
 
 
 
Con estrema felicità di Pai, il taglio della torta si svolse senza particolari fanfare, solo una canzone che interpretò essere estremamente romantica in sottofondo e un tono di festeggiamenti più alto da parte degli invitati. Dovette ammetterlo, pure lui che non amava particolarmente i dolci trovò le proposte di Akasaka come sempre ottime, e si concesse volentieri tre o quattro giri di assaggi, tra la torta a tre piani e i vari pasticcini offerti.
Notò pure che il volume della musica e quello dell’alcol crebbero esponenzialmente per il resto della festa, ma non trovò ragione di lamentarsi nemmeno di quello, visto quanto anche Retasu gli parve decisamente più rilassata e contenta del solito, a dividersi tra il saltare con le sue amiche e lo stringersi a lui più che mai.
Solo quando l’orologio passò di un giro abbondante la mezzanotte la folla cominciò a diradarsi e a sciamare fuori dalla stanza, desiderosa di ritirarsi tra le lenzuola.
Alcuni più di altri.
Per una volta poco interessata di essere in pubblico, Ichigo sfiorò il naso di Ryou con il proprio: « Dove andiamo ora? »
Lui dovette imporsi di non far scorrere le mani troppo sotto la sua vita: « Abbiamo una suite riservata qui, con dentro le valigie già pronte così domattina possiamo partire il più presto possibile. »
Lei miagolò contenta, quasi improvvisando una danza sul posto prima di baciarlo; non sarebbero andati via per molto, solo un fine settimana nella casa al mare perché Kimberly era ancora troppo piccola per lasciarla sola troppo a lungo e avevano preferito rimandare la loro vera luna di miele, ma anche solo quei due giorni, da soli, sarebbero bastati.
Gli invitati rimasti si lanciarono in fischi e versi di apprezzamento e presa in giro, convincendo finalmente la sposa a staccarsi e arrossire tra le risa e i bisbigli di fare piano, per non disturbare il resto dell’hotel.
« Vieni qua, Momomiya, » Minto l’afferrò per un braccio e la tirò verso il bagno, quasi infilandocela dentro con le altre ragazze al seguito, « Non puoi andartene via con il vestito addosso, solo i kami sanno cosa gli farebbe Shirogane, e tu sei un po' troppo ubriaca per togliertelo! »
Purin ridacchiò, chiudendo la porta dietro di loro e quasi crollandoci contro con la schiena: « E tu no? »
« Tsk, una signora del mio rango non si ubriaca, » la mora fece schioccare la lingua, anche se il rossore sulle sue guance tradiva la sua affermazione ed era evidente che le era necessaria una concentrazione maggiore del solito per aprire la fila di bottoni del vestito, non certo facilitata dai continui risolini di Ichigo e Retasu. Fu necessario l’intervento di Zakuro per estrarre definitivamente la rossa dall’abito – quando dovette estendere la gamba per non pestare l’ampia gonna, il braccio di Retasu si trasformò in un appiglio salvavita – e infilarla in un abitino bianco molto più semplice ed efficace per raggiungere l’ultimo piano dell’albergo.
« Questo lo prendo io, » la rassicurò, piegando con cura il vestito da sposa su un braccio, « Tua mamma ha portato via tutto dalla camera di stamattina, tranne quelle che ti possono servire per stasera, che sono già nella vostra stanza. »
« Uuuuh, la suite matrimoniale! Poveri i vostri vicini! »
Anche Ichigo si lasciò andare a una risata maliziosa al commento di Purin, poi fece un respiro profondo e le guardò a una a una, commossa: « Grazie. Grazie a tutte, ragazze. Non ce l'avrei mai fatta senza di voi, mai. »
« No, probabilmente no. »
Con un’ennesima risata, le altre l’avvolsero in un abbraccio spontaneo, caldo e affettuoso, prima che Minto la stringesse per le spalle e la voltasse: « Oh, forza, vattene via prima che mi si rovini il trucco, » scherzò piccata, asciugandosi una piccola lacrima dispettosa.
Ichigo annuì e, dopo averle rubato un altro abbraccio e schioccato un bacio sulla guancia, corse fuori, sollevata che adesso ai suoi piedi ci fossero delle comode ballerine color panna invece dei tacchi, e individuò la familiare chioma bionda già davanti agli ascensori.
Presa dall’euforia – e dai numerosi bicchieri di champagne – non si capacitò nemmeno molto di come fece a passare dal corridoio all’ascensore alla porta della suite, troppo impegnata a perdersi contro le labbra di Shirogane e a infastidirlo in tutti i modi per sentirlo ridere mentre lui litigava con la porta della stanza, che non voleva saperne di aprirsi.
Le sfuggì un gridolino quando finalmente lui fu vittorioso e la schiena di lei perse l’appoggio temporaneo, facendola caracollare indietro e poi scoppiare a ridere ancora.
« Signorinella, mi sembra un po’ ubriaca. »
Ichigo ridacchiò colpevole, tirandolo a sé con forza: « Eh no, io adesso sono una signora, » mormorò maliziosa.
Ryou l’agguantò per la vita, un po’ anche per evitare di vederla collassare sul pavimento: « Mrs. Shirogane, indeed. »
« Oh, non iniziare subito, » la rossa alzò gli occhi al cielo e si allungò languida contro di lui, incrociando le braccia dietro la sua testa, « Rimandiamo le lezioni d’inglese a domani. »
« Why is that? » le sussurrò, approfittandone per afferrarle le cosce e accarezzarle piano, salendo con calma, « Hai forse idee migliori? »
Lei rise roca e lo baciò, lasciandosi sollevare così da poter allacciare le gambe attorno alla vita di lui, il vestito ormai arrotolato fin sopra l’ombelico. Ryou rispose con foga, stringendola forte mentre si avvicinava al letto.
« Sei felice? » riuscì a mormorare nel breve istante in cui si separarono per riprendere fiato, e lei annuì, guardandolo con gli occhi che brillavano, passando le dita tra i capelli alla base della sua nuca per attrarlo più vicino: « Assolutamente sì. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Vedasi il capitolo 6
 
BTW, per chi fosse curioso, l’idea originale del vestito di Ichigo la trovate qui.
 

 

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Capitolo 9
*** Things left unsaid ***


Chapter Nine – Things left unsaid

 
 
 
 
 
 
 
 
 
« Oh, accident – ahi! Ma dov’è la lu – oh, Mickey, tesoro mio, scusa! »
Palesemente divertito, e grato che con il buio Minto non fosse in grado di vedere bene quanto lui, Kisshu la osservò cercare di entrare con quanta più dignità possibile dalla porta sul retro senza scontrarsi con i vari mobili e senza pestare una seconda volta la coda del proprio cagnolino.
« Vedi che è più facile utilizzare il mio metodo. »
« Non posso continuare a spuntare all’improvviso quando le porte sono chiuse a chiave, » rimbrottò lei, innervosita dal suo tono ilare, « Già scommetto che si chiedono cosa ci fai sempre tu in giro per casa. »
« Avranno sicuramente molti dubbi al riguardo. »
La mora sbuffò contrariata, affondando il naso nel pelo profumato di Mickey per non vedere il ghignetto soddisfatto dell’alieno, ma non si lamentò troppo quando l’afferrò per la vita e bruciò la distanza rimanente fino alla sua camera con l’aiuto del teletrasporto.
« Qualche bicchiere di troppo, tortorella? » le domandò sottovoce con una punta di divertimento, sfiorandole la nuca con il naso, e lei barcollò via di due passi, lasciando libero il cagnetto di scorrazzare per il pavimento.
« Dopo tutta questa fatica, mi sono meritata il mio divertimento, » asserì, facendo leva sul baldacchino per slacciarsi i sandali con il tacco e calciarli via, « E comunque sono perfettamente in me. »
« Mmmhm, » commentò lui divertito, osservandola ondeggiare leggermente nel vestito rosa per raggiungere la toeletta, « È una versione di te molto piacevole. »
Minto non rispose, sollevò solo un dito a mo’ di minaccia mentre si toglieva i gioielli e li riponeva con eccezionale cautela – nonostante le sue mani fossero un po’ più lente del solito – poi zampettò indietro e si lasciò cadere seduta sul letto con un sospiro.
« La luce è ancora spenta, » si lamentò poi, come se l’avesse compreso solo in quel momento, e Kisshu, mani in tasca, le si avvicinò ridendo:
« Lo so, ma io ti vedo lo stesso. »
Lei mugolò e fece una smorfia, inclinando appena la testa di lato: « Mmmmph, ottimo, sei più bravo di me. »
L’alieno si corrucciò, confuso, nonostante il sorriso che perdurò sulle labbra: « Tortorella? »
« Guardatemi, sono Kisshu, vedo al buio, riesco a volare, » blaterò lei, a voce forse un po’ troppo alta, « E sono così bravo a esprimere i miei sentimenti! »
Lui sbuffò divertito, osservando il broncio che le si disegnò in faccia nella penombra, e le si inginocchiò davanti: « Quindi sei un’ubriaca riottosa, eh? »
« Non sono ubriaca. »
« Avessi saputo che era questo il trucco… » Kisshu rise e le prese una mano, « Stai ancora rimuginando sulla conversazione di qualche settimana fa? »
« Io non rimugino, » si difese subito lei, indispettita, beccandosi un’occhiata scettica, « Io rifletto sulle cose prima di agire. »
« Tortorella, guarda che se non - »
« Non sono capace, » ammise con rabbia, le guance che si tinsero di rosa, « Non… l’ho mai detto. E se… se poi lo dico, diventa vero, e se diventa vero e non… »
La sua voce si affievolì e lei scostò lo sguardo, prendendo a giocherellare con la cravatta di lui, che tentò di farsi ancora più vicino:
« Se ti ho già detto che mi sono innamorato di te, » le mormorò, causandole uno strano singhiozzo, « Come fa a non essere già vero? »
Minto aprì e chiuse la bocca un paio di volte, la mente troppo offuscata per poter ribattere a suon di logica, e si arrischiò a lanciargli un’occhiata da sotto le ciglia scure.
Certo che era vero, le strillò il suo cuore al vedere lo scintillio delle iridi dorate, e lo sapeva da mesi lei ormai quanto vero fosse, ecco perché la spaventava così tanto confessarlo.
« Comunque non devi dirlo per forza, » Kisshu si alzò e le scoccò un bacio sulla guancia, « Sarebbe solo carino sentirsi dire qualcosa di diverso da sei un cretino. »
La mora sbuffò irritata, però lo trattenne per la cravatta e deglutì piano: « Io non sono innamorata di te, » scandì, percependolo irrigidirsi, « Io ti amo e basta. Da un po’, anche. »
Le sembrò che Kisshu ci mettesse fin troppo a reagire e che l’unico rumore distinguibile nella stanza fosse il battito erratico del suo cuore, poi lo udì ridacchiare mentre premeva le labbra sulla sommità della sua testa: « Lo so. »
Minto rantolò e si scostò d’un tratto per guardarlo malissimo: « Ikisatashi, che vuol dire lo so?! » sberciò in un sussurro.
Si alzò per seguirlo mentre lui prendeva Mickey in braccio e, con più o meno grazia, lo lasciava in corridoio e gli chiudeva la porta sul musetto, ma non riuscì ad aggiungere altro perché lui la zittì con un bacio e la placcò tra il materasso e il proprio corpo.
 
 
 
 
Quando le prime luci del giorno filtrarono attraverso la tenda chiusa male, colpendolo negli occhi, Taruto era già sveglio da un pezzo; o forse era meglio dire che non si era mai addormento del tutto, visto quanto si era girato e rigirato tutta notte, non curandosi nemmeno di tirare su dal pavimento uno dei cuscini, caduto a forza delle sue piroette. Ringraziava solo che Kisshu (come al solito) non fosse rientrato, perché non avrebbe avuto molta voglia di vederlo, ancora memore della loro chiacchieratina di poche ore prima, e che la camera di Pai fosse dall’altro lato del corridoio, così che non potesse sentire praticamente mai cosa succedesse con Retasu.
Affondò la testa contro il guanciale e grugnì ad alta voce, tirandosi anche il lenzuolo fin sopra la testa per ricreare un po’ di oscurità. La causa della sua insonnia era ovviamente quella vocetta irritante – e così simile a quella del secondo di loro tre – che gli ricordava di quanto Purin fosse stata splendida nel vestito da damigella, di quell’innocente bacio sulla guancia che gli aveva causato quindici minuti di fibrillazione atriale, di come alla fine della serata lei l’avesse afferrato per un braccio e portato a ballare in mezzo a loro, al tempo stesso rimpinzandolo di pasticcini. Se ballare era il termine giusto per essere rimasto imbambolato e rigido come un’asse da stiro.
Non era neanche riuscito ad accompagnarla a casa, lasciando che ci pensasse Keiichiro con la sua auto, troppo innervosito dalla situazione.
O dalla sua incapacità di gestirla, se proprio voleva essere sincero.
Ha continuato a chiedermi di te finché non sei tornato.
Perché Kisshu non era capace di badare ai fatti propri? Perché aveva sempre quella necessità di infilare il becco dove non gli competeva? Che ne sapeva lui di cosa volesse dire incontrare la propria migliore amica a undici anni, non vederla per una vita intera ma pensarla costantemente, desiderare raccontarle di ogni cambiamento, ogni successo, ogni problema, per poi tornare all’improvviso e trovarsi davanti…
E poi cos’era quella storia di lui e Purin che si scambiavano confidenze?!
Un coglione ficcanaso, suo fratello non era altro che un deficiente con troppo tempo libero e troppo gusto per le chiacchiere e le donne, non era per niente produttivo continuare a rimuginare sopra le sue parole. Sbuffando come un toro, Taruto buttò giù i piedi dal letto e si avviò in bagno a passi pesanti, così da scongiurare anche di trovarlo occupato da qualcun altro (ossia Retasu, che a quanto pare era parecchio perspicace anch’essa a leggergli la faccia, visti i sottili e fugaci riferimenti che ogni tanto gli rivolgeva); aprì l’acqua gelida e quasi ci buttò sotto il collo, volendo cancellare il sonno e il fastidio che ancora gli opprimevano il cervello.
Si appoggiò poi con le mani al lavandino, lasciando che le gocce fredde gli scorressero dai capelli sulla ceramica: la verità era che suo fratello molto spesso non considerava le conseguenze delle proprie azioni – e aveva parecchi marchi a dimostrarlo – mentre lui ci rifletteva parecchio. Fin troppo. Fino alla nausea.
Soprattutto se una delle conseguenze avrebbe potuto essere mandare al diavolo la sua amicizia con Purin.
Era palese che anche a lui avrebbe fatto piacere danzare davvero con lei, dirle quanto la trovava magnifica in quel vestito così diverso, stringerla e non lasciarla andare mai più, però se dopo…
Anche se mai sarebbero dovuti tornare a Duuar, richiamati all’ordine, se ci fosse stato qualcosa, non avrebbe mai potuto…
E allora cosa facciamo, i codardi perché non sappiamo predire il futuro?
Gli venne voglia di prendere a testate lo specchio, forse allora sì la voce fastidiosa di Kisshu avrebbe smesso di fargli da grillo parlante.
Fece dietrofront, si sbatté la porta alle spalle e recuperò qualcuno dei suoi vestiti normali dalla seggiola della scrivania, quelli all’apparenza meno stropicciati, infilandoseli quasi con rabbia, poi con uno schiocco si teletrasportò davanti alla camera di Purin.
Non gli interessava che fosse appena appena l’alba, che avesse bypassato la porta d’ingresso, che i suoi fratelli – o lei – stessero ancora probabilmente dormendo, chiuse la mano a pugno e bussò deciso contro al legno un paio di volte, prima di cambiare completamente idea.
Il suo udito fine lo aiutò a percepire un movimento aldilà della porta, il frusciare delle coperte e un rumore leggero di passi.
« Taru-Taru? » Purin lo accolse stropicciandosi gli occhi ancora mezzi chiusi, arruffatissimi dall’aver sciolto la crocchia e dall’incontro col cuscino, e poi sbatté le palpebre un paio di volte con più concentrazione, « Ma che… è successo qualcosa? »
Taruto la spinse dentro di malagrazia, chiudendo di nuovo la porta dietro di sé per cercare di limitare d’attirare l’attenzione, e poi prese un respiro profondo, sollevando le spalle.
Magari avrebbe dovuto prepararsi un qualche tipo di discorso.
« Senti! » esclamò d’un fiato, le orecchie che fischiavano, « Tu sei la mia migliore amica. Dico davvero. Mi piace un sacco passare del tempo con te, e… e… »
Il viso di Purin si andava rischiarando sempre più mentre lei continuava a fissarlo senza dire una parola, le braccia incrociate al petto e l’espressione un po’ truce, che faceva a cazzotti con la sua abituale solarità.
« Però io… e se tu poi non… non te l’ho… »
Un neonato balbettava meno di lui. Possibile che quando stava davanti a lei perdesse sempre l’uso della favella?
Senza indugiare oltre, e senza sottoporsi di più a quella vergognosa tortura, l’afferrò per le spalle con un po’ troppa veemenza e la tirò a sé per baciarla d’improvviso, strappandole un sussulto sorpreso. In petto gli scoppiarono dozzine di farfalle: Purin era morbida, più calda del solito, e per qualche assurda ragione lui si ricordava perfettamente del suo sapore, da quel bacio che si erano scambiati da bambini(*).
Si staccò da lei solo per il bisogno fisiologico di appurare la sua reazione, trattenendo in ogni caso il respiro per paura di aver fatto la cretinata più grossa della vita.
Purin rimase ferma, con gli occhi socchiusi e il mento un po’ verso di lui, poi lo guardò storto e si lasciò andare a una specie di risata mista a un sospiro: « Taru-Taru, sei proprio un cretino. »
 
 
 
 
Il sole di inizio settembre non era forte, ma era abbastanza caldo per permettergli di passare una giornata sulla spiaggia, per assorbire quanto più tepore possibile.
Per quanto fosse breve quell’anticipazione di viaggio di nozze, per quanto fossero vicini a casa e spesso al telefono per controllare la loro bimba, era anche estremamente rinfrescante poter stare solo loro due, senza nessuno attorno, senza nessun dovere o pensiero se non quello di godere della presenza dell’altro, in tutte le nuove sfumature che gli si stavano presentando.
Se fosse stato solo per Ryou, sarebbe stato un momento che sarebbe durante all’infinito: la costa silenziosa, il rumore delle onde che scandiva ogni loro momento entrando dalle finestre lasciate aperte, il sapore del sale che si mischiava a quello di Ichigo mentre percorreva il profilo della sua abbronzatura con le labbra.
« Dobbiamo stare attenti, » mormorò la rossa con una risata roca, « Un anno fa ormai abbiamo fatto Kim proprio qui. »
Ryou continuò a prestare la sua totale attenzione al suo decolleté, armeggiando con i fili del suo bikini: « Fine by me, » rispose distratto, facendo scivolare le dita lungo le curve morbide dei suoi fianchi, « Tu dimmelo e facciamo una squadra di calcio. »
Ichigo rise di nuovo e sospirò più forte, inarcandosi di più verso di lui: « Mi pare esagerato… »
Lui rispose con un mormorio indefinito mentre riusciva finalmente a sbarazzarsi del costume e scendeva lentamente verso la ritrovata voglia sulla sua coscia.
« You’re my family, ginger, » sussurrò strappandole un sospiro, le dita sottili che gli spettinarono i capelli, « So let’s make a family. »
Sapeva che Ichigo ci avrebbe messo qualche secondo di più a computare la frase, ma non si sarebbe aspettato di sentirla irrigidirsi all’improvviso e di udire – con un tenace colpo al cuore – il trillo di un campanellino. Né di vederla in lacrime all’alzare gli occhi su di lei.
Fu combattuto tra la preoccupazione, la voglia di ridere, e un inusuale ma familiare e inconfessabile frullo allo stomaco nel vederla nuda sotto di lui con le orecchiette nere che spuntavano tra la chioma infuocata; si mise a gattoni sopra di lei e le asciugò una lacrima col pollice.
« Ichigo, » sbuffò poi solamente, lasciando trapelare un soffio di divertimento.
La rossa miagolò distintamente, arrossendo con prepotenza e schiacciandosi le orecchie feline per farle scomparire mentre la codina continuava a sferzare decisa l’aria: « Scusa… » borbottò, con un mezzo singhiozzo, « Ma la-la cosa che hai detto… e io… io ti amo così tanto. »
Forse il cervello di Ryou non aveva ancora metabolizzato del tutto che in effetti solamente il giorno prima Ichigo era diventata ufficialmente, legalmente, indisputabilmente sua (per quanto il pensiero stesso gli sembrò appena arcaico, ma non se ne sarebbe preoccupato in quel momento) vista la giravolta che gli diede il suo cuore. Quasi pensò che avrebbe dovuto darsi un pizzicotto per accertarsi che fosse la realtà, invece si fece bastare la sensazione dei due anelli sulla mano di lei quando intrecciò le dita con le sue e la baciò con forza, prendendo a sussurrarle il suo amore mentre scivolava dentro di lei.
 
 
 
 
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La sola abat-jour sulla scrivania creava un cono di luce ridotto e ingiallito, in contrasto con lo schermo luminoso e bianco del monitor, e il ronzio delle macchine rendeva l’atmosfera quantomeno soffocante. Non che gli importasse più di tanto, c’era talmente tanto abituato da poter riconoscere esattamente quale brusio appartenesse a quale apparecchio.
Keiichiro si sistemò gli occhiali sul naso e si sporse appena in avanti per poter meglio leggere i dati sullo schermo, premendo un tasto per riaggiornare il sistema. Davanti a lui scorrevano veloci i dati del primo progetto Mew, uguali a come li aveva lasciati sette anni prima: li aveva ricontrollati da capo, e non c’era nessuno cambiamento.
Il che aumentava la sua tensione riguardo al fatto che i file sembravano essersi aperti spontaneamente.
Eppure, non c’era stato nessun tipo di segnale, o di allarme, si era assicurato due volte che così fosse e che non ci fosse stato un glitch nei sistemi. Funzionava tutto come avrebbe dovuto funzionare.
Però c’era ancora qualcosa che non lo convinceva.
« Un altro giro, » si disse sottovoce, avviando l’ennesimo controllo di ogni satellite, antenna, apparecchio, mentre con la mano sinistra tastava il tavolo alla ricerca del suo cellulare, senza mai staccare gli occhi dal monitor.
Magari era solo uno sciocco bug, non aveva senso disturbare Ryou o allarmarlo per niente, men che meno doveva farlo con le ragazze.
Però compose lo stesso il numero.
 
 
 
 
« Buongioooooorno, » con un sorriso felino, Kisshu si allungò sul bancone centrale della cucina e rubò un pasticcino da quelli che Purin stava scegliendo per i clienti, « Mi era mancato il tuo faccino qui intorno. »
La biondina lo guardò con astuzia: « Il Caffè è stato chiuso per il matrimonio, nii-san. »
« Non ti ha mai ostacolato prima da passare tutto il tuo tempo disponibile qui, » continuò lui con noncuranza, adocchiando un’altra preda, « Ci sono forse… novità? »
Purin rise cristallina e mise al sicuro il vassoietto in frigorifero, guardandolo da sopra la spalla: « Nii-san? »
« Dimmi tutto. »
« Non sei molto discreto. »
« Mai detto di esserlo, » esclamò trionfante lui, mostrandole il suo sorriso migliore, « Ma qualcosa mi dice che sto in zona fuochino. »
« Muta come un pesce. »
« E dai, scimmietta! Almeno tu dai soddisfazioni al tuo fratellone. Credo di meritarmi di essere il primo a saperlo. »
« Sapere cosa? »
Con tono funereo, Taruto comparve sulla soglia e lanciò un’occhiata truce a Kisshu, che persistette a ghignare come un mascalzone, ben conscio che al fratello minore dessero fastidio sia la familiarità che lui aveva con Purin, sia ovviamente l’oggetto del discorso.
« Mah, niente, » finse, scrollando le spalle e scambiandosi un altro sguardo divertito con la ragazza, « Mi stavo giusto chiedendo se per caso fosse successo qualcosa, visto che non abbiamo avuto la nanerottola qui tra le scatole per qualche giorno. »
Lo guardò con due iridi talmente schiette che Taruto percepì il proprio fegato prendere fuoco, mentre Purin sgattaiolava via ridendo sotto i baffi.
Il che peggiorò solo la situazione, perché Kisshu scattò in avanti e gli batté una mano sulla schiena così forte da farlo sputacchiare.
« Allora, ci siamo dati una mossa!? Avanti, te lo si legge in faccia, e poi non ti si è visto qui in giro dal mattino dopo il matrimonio! Quindi, quante basi abbiamo coperto? Ehi, mi auguro tu sia stato un gentleman! »
Taruto avrebbe desiderato poterlo accoltellare lì e in quel momento, o almeno di condividere il potere di Pai di lanciare scariche elettriche a piacimento.
« Fatti una barca di cazzi tuoi, » sibilò con il viso in fiamme, guardando con nervosismo verso le due porte per accertarsi che non ci fosse nessuno in avvicinamento, « E poi comunque che razza di domande sono?! »
« Li ho avuti anche io diciannove anni, so esattamente come funziona. Anzi. »
« Ecco, appunto, » il moro fece una smorfia disgustata, « Io non vado in giro a mettere le mani sotto le gonne di ogni donna che passa! »
« Tanto per cominciare non è più qualcosa che puoi usare contro di me, visto che le uniche gonne a cui sono interessato sono quelle molto corte della tortorella, e poi cosa c’è di male? Un po’ di divertimento non ha mai fatto male a nessuno. Specialmente se ci si vuole bene. »
Taruto non seppe più se l’ennesima tonalità di rosso comparsa fin sul suo collo fosse data dall’affermazione o dall’espressione sagace del fratello.
« Non farti strane idee, capito!? » blaterò, vergognosissimo, « Non c’è… non è così, con Purin. »
Il cuore gli sfarfallò così forte in petto che per un istante pensò gli stesse venendo un infarto mentre ripensava a quei due giorni in cui avevano vissuto ancora più appiccati del solito. Molto appiccicati. Soprattutto negli angoli più nascosti di casa di lei, dove i suoi fratellini arrivavano con cinque secondi di ritardo.
Ma nonostante i roboanti ormoni della sua tarda adolescenza, nonostante fosse assolutamente magnifico baciare Purin con trasporto, spostare piano i palmi per scoprire ogni volta un millimetro in più di lei, con cautela, mischiare il respiro al suo quando la stringeva un po’ più forte, davvero non voleva che qualcuno – che lei – pensasse che la componente fisica fosse quella prevalente. Lui voleva solo passare tutto il tempo possibile con lei, a sentirla ridere, a guardare le pagliuzze dorate nei suoi occhi accendersi quando raccontava qualcosa che l’aveva entusiasmata molto, ad arrotolarsi una delle ciocche bionde attorno al dito per portarsela al naso e sentirne l’odore di agrumi. A farla ridere, a rincorrerla, a tenerla per mano, a…
Fischiò sottovoce e guardò Kisshu da sotto in su pur superandolo di qualche millimetro, e strinse gli occhi a vedere che stava ancora sorridendo così spudoratamente che era un miracolo non gli fossero ancora cadute le guance.
« Devo prepararmi a un’altra cerimonia elegante? »
Il cassetto dei coltelli era pericolosamente vicino.
« Sei proprio un idiota. »
« Su questo non posso che essere d’accordo, » Pai spuntò dall’uscita laterale e guardò Kisshu con rabbia, « Possibile che tu non tenga mai il comunicatore accesso? »
Il fratello lo guardò come se fosse matto: « L’ho lasciato al piano di sopra, siamo tutti qui… che succede? »
Senza aggiungere altro, il moro gli fece cenno con la testa di seguirlo.
 
 
 
 
« Dov’è il topolino della mamma? »
Appena varcata la soglia della casa dei suoi genitori, Ichigo abbandonò la propria valigia e si diresse a braccia tese verso Sakura, con in braccio Kimberly, che dopo un primo istante di dubbio si lanciò in un gorgoglio contento e scalciò prepotente verso di lei.
« Ma ciao, » la rossa la sollevò e le baciò una guancia paffuta, inalandole il profumo, « Mi sei mancata tantissimo! Hai fatto la brava con i nonni? »
« È stata un angioletto, » la tranquillizzò Sakura, « Non ha nemmeno fatto i capricci per dormire. »
« Vedi allora che qualcuno ti vizia, » commentò Ichigo con ironia, lanciando un’occhiata a Ryou, dietro di lei, che rimasse impassibile prima di prendere anche lui la bambina in braccio.
« Com’è andato il vostro fine settimana, cari? »
« Benissimo, mamma, ci voleva proprio. Grazie per aver badato a lei. »
« Ma di che, tesoro, è sempre un piacere avere la luce dei miei occhi tutta per me, » Sakura rivolse un altro paio di faccette buffe a Kimberly, impegnata a tirare impunemente i capelli biondi del padre, poi sorrise loro, « Volete un tè? »
« No, grazie, andiamo un po’ a riposarci a casa, » Ichigo si stiracchiò la schiena, poi sorrise eccitata, « Dovrebbero anche essere arrivati tutti i regali! »
« Come se non avessi già abbastanza cose, ginger, » Ryou le rivolse un’occhiata divertita, « Vorrei anche passare al Caffè, prima. »
« Non posso dire di no ai dolci di Akasaka-san, lo sai, » gongolò lei contenta, recuperando le cose della bimba, « Anzi, ne ho proprio voglia. »
« È quasi ora di pranzo, » la riprese con affetto lui, ma Ichigo si limitò a sorridere furba:
« Vuoi dire che è ora della seconda colazione! »
« As you wish, ginger. »
Sakura sorrise sotto i baffi, porgendogli il cappotto della nipotina, e pensando che non fosse certo solo Kimberly quella viziata da Shirogane.
 
 
 
 
« Non capisco cosa sto guardando. »
Pai non fece mistero del suo roteare gli occhi: « I dati del primo progetto Mew, » rispose scocciato, aumentando la confusione di Kisshu, che gesticolò verso lo schermo.
« Okay, perfetto, e quindi? Non c’è niente di nuovo. »
« Su questo hai ragione, Ikisatashi-san, » intervenne Keiichiro, girando la sedia verso di lui, « Il fatto strano è che i dati hanno ricominciato a scorrere stamattina, da soli. Senza nessun cambiamento, è vero, ma mi chiedevo se magari dalla vostra parte fosse arrivato qualcosa. »
Il verde si strinse nelle spalle e con il mento indicò il comunicatore accanto a uno dei vari computer: « Quello è collegato direttamente ai nostri apparecchi, finalmente mio fratello si è deciso ad ascoltarmi. Se è rimasto muto, allora siamo a posto. »
Il moro osservò la scatolina nera e annuì lentamente, come riflettendo, poi sorrise: « Credo abbiate ragione. Non voglio creare allarmismi per niente, quindi non informerò Ryou per ora, ma se qualcosa dovesse cambiare, vi prego di aggiornarmi. »
« Certamente, Akasaka-san. Anche io sarei più a mio agio a scoprire l’origine di questa… anomalia. »
« Magari solo un refresh di sistema? »
« Potrebbe essere, » Keiichiro sospirò, con un sorriso un po’ stanco, « Potrebbe. Lancerò un’altra scansione, ma credo che i risultati non varieranno troppo. »
Con un ultimo cenno del capo, i due alieni lasciarono il laboratorio a passi lenti, e Kisshu seguì Pai lungo la seconda rampa di scale, ben conoscendo il cervello iperattivo del fratello maggiore.
Il viola, infatti, si fermò a metà corridoio, quando fu sicuro di essere abbastanza lontano da orecchie sgradevoli: « C’è uno schermo inserito, vero? »
Kisshu lo guardò sbigottito: « Cosa? Ovviamente no, Pai! Andiamo, altrimenti che senso avrebbe? Il punto del comunicatore qui al Caffè è avere comunicazioni immediate! »
L’altro fissò un punto nel vuoto, come se stesse riflettendo, poi si passò una mano sul viso: « D’accordo, il che vuol dire che davvero non c’è niente. »
« Niente di rilevabile, almeno. »
« Impossibile, siamo settati per rilevare le minime cose, » grugnì il maggiore, « Ho ricontrollato tutto apposta dopo il ritorno di Taruto, per espandere maggiormente la finestra di preavviso. »
« Vedi che sei d’accordo con me che il comunicatore ci serve pulito e istantaneo. »
Pai lo guardò male e fece per aprire la bocca, quando un frastuono dal piano di sotto li fece sobbalzare entrambi e quasi volare giù per le scale; ma entrambi non lesinarono un sospiro di sollievo nel vedere la scena che gli si presentò davanti.
Retasu, infatti, era per terra, circondata da cocci di piatti fortunatamente vuoti, che si massaggiava una coscia dolorante, Purin inginocchiata davanti a lei con un viso contrito.
« Ma che è successo? »
Pai s’affrettò a raggiungere la ragazza e l’aiutò ad alzarsi in piedi, mentre lei cercava di sistemarsi la crestina che si era affossata da un lato, il viso rosso per l’imbarazzo.
« Purin ha tirato fuori la palla… » gemette, lasciando che l’alieno le controllasse velocemente i palmi alla ricerca di eventuali tagli o escoriazioni, e la biondina fece un sorriso colpevole, iniziando a raccogliere i pezzi.
« Mi è venuto da starnutire e ho perso il controllo, nee-chan, mi dispiace! »
« Non fa niente, Purin, tranquilla, non mi sono fatta nulla. Ah, Keiichiro-san, i piatti… ! »
Il moro, rispuntato dal seminterrato, le rivolse il suo splendido sorriso: « Ne abbiamo scorte a sufficienza, Retasu-san, nessun problema. Magari Tamiko-san può darci una mano? » aggiunse dopo poco, scoccando un’occhiata cordiale ma acuta alla cameriera che non nascondeva il suo sghignazzare allegra alla scenetta e che arrossì di colpo lo stesso all’essere colta in fallo.
« Siamo un po’ distratti, scimmietta? » commentò sarcastico Kisshu, lanciando un’occhiata a Taruto, in ginocchio vicino alla biondina.
« Sei simpatico quanto un calcio in culo. »
Lei storse il naso e poi se lo grattò con convinzione: « Forse mi sta venendo il raffreddore. »
« Ahimè, mio fratello sarà assolutamente vittima dello stesso malessere. »
« Senti, vai a farti - ! »
 
 
 
 
« Etciù! » Minto starnutì elegantemente nella piega del gomito poi riprese la sua camminata verso la manager di Zakuro, porgendole un plico di fogli, « Una copia dell’agenda per le prossime due settimane e una copia delle dichiarazioni alla stampa per il lancio della seconda stagione. »
La manager, una nervosa donna sulla quarantina di nome Yuzuki Tanizaki, la ringraziò con un cenno del capo: « Tutto a posto? »
La mora annuì e fece un’altra smorfia, il naso che continuò a prudere dispettoso: « Dev’essere questa lacca per capelli che continuano ad usare, » si lamentò, lanciando un’occhiata all’affollato set della pubblicità per la serie tv, « Ha un odore terribile. »
« Speriamo, non è certo il momento giusto per ammalarsi, con tutti i contratti nuovi che stanno per partire! »
Minto si limitò ad annuire, sforzandosi di non far trasparire quanto trovasse insopportabile – e poco professionale – il suo essere costantemente negativa e ansiosa. Si congedò con un ultimo sorriso e si avvicinò un po’ di più al fulcro dell’azione, avvertendo il calore delle luci che le scaldava la nuca scoperta. Zakuro era circondata dai suoi colleghi della serie, tutti impegnati a mostrarsi più in confidenza e felici di quanto non fossero per favore delle macchine fotografiche, ma lei poteva capire come la mora si stesse stancando delle pose esageratamente energiche.
Adocchiata la sedia della modella, attaccate alla quale c’erano entrambe le loro borse, vi si diresse spedita per controllare l’orario e il cellulare; il direttore dello shooting aveva promesso di terminare prima di pranzo, e se c’era una cosa cui Yuzuki era brava, era quella di far mantenere la parola ai vari personaggi che gravitavano nel mondo dello spettacolo.
Si sfiorò di nuovo il naso sovrappensiero mentre scorreva le varie email che aveva ricevuto durante la mattina, tra cui una di Kisshu di pochi minuti prima con allegata una fotografia di vari piatti rotti sul pavimento del Caffè e un commento sciocco sull’effetto deconcentrante degli Ikisatashi su loro ragazze. Minto sbuffò, ma non fece in tempo a replicare a tono che il cellulare iniziò a vibrarle tra le dita, una telefonata di Ichigo in arrivo.
« Minto-chan, buongiorno! Ti disturbo? Stiamo tornando, riuscite a passare al Caffè per pranzo? »
La mora si appartò velocemente in un angolo, sia per non disturbare sia per allontanarsi dalla musica ad alto volume, e sbuffò sarcastica: « Sei già stanca di stare da sola con Shirogane? »
« Guarda che sei in vivavoce, » le rispose la voce del ragazzo, mentre la risata della rossa echeggiava in sottofondo e poi Ichigo continuava:
« No, volevo sapere se per caso hai già preso la carta per i ringraziamenti… e poi sto morendo dalla voglia di mangiare una éclair di Akasaka-san. »
« Avete già fatto il secondo che hai le voglie, Ichigo? »
« La vuoi smettere? »
Minto rise e guardò di nuovo l’orologio: « Ho trovato tre tipi diversi che potrebbero piacerti, ce le ho con me. Ne abbiamo per un’altra mezz’ora e poi non ci sono altri appuntamenti fino a domani. »
« Noi saremo al Caffè tra un quarto d’ora, ci vediamo lì! »
E buttò giù senza attendere risposta.
Il sopracciglio di Minto tremò visibilmente: neanche la maternità o il matrimonio aveva insegnato a quella sciagurata di Ichigo un po’ di buone maniere, quasi le veniva voglia di non andarci, al Caffè, per ripicca! Scosse la testa e tornò lentamente indietro, pensando che però in realtà uno di quei sandwich alle verdure ipocalorici di Keiichiro e un pasticcino alla crema suonavano proprio bene.
 
 
 
 
« Se non la smette con le sue dannate battutine, lo butto nel cespuglio di rose e faccio diventare i fiori cannibali. »
Purin rise e infilò un pezzo di pane extralarge in bocca a Taruto giusto per non farlo lamentare: « È il suo modo di mostrare approvazione. »
Il ragazzo cercò di parlare, rischiò di strozzarsi, e masticò furioso prima di borbottare: « Me ne frego della sua approvazione! »
« Invece è carino. »
« Non dire che mio fratello è carino. »
« Sei geloso? » la biondina lo guardò con malizia, riempendo il vassoio con cura, e Taruto rispose in cagnesco:
« … gli monti solo la testa. »
Purin rise e gli fece cenno di dirigersi verso il tavolo occupato dai loro amici mentre sollevava con cautela il cabarè: « Su, vatti a sedere o non rimarrà nulla per te. »
Lui brontolò, ma poi si avviò davanti a lei e si concesse di pensare quanto fosse ancora un po’ strano per lui vedere i suoi fratelli seduti al tavolo con le umane che avevano combattuto, e fin troppo a loro agio con loro.
« Eeeecco qui, » la biondina posò il vassoio al centro del tavolo e cominciò a distribuire i vari ordini, « Kayio-san sta per portare il resto. »
« Sempre che non ci sputi dentro. »
« Ichigo! »
« Che c’è?! » lei guardò Shirogane come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo, « Da quando è ufficiale che non può mettere le sue zampacce su Pai, fa fatica a rivolgerci la parola. »
« O forse è perché le sue colleghe sono al tavolo a mangiare mentre lei lavora? » commentò divertita Zakuro, mescolando la propria macedonia di frutta.
« Io sono in pausa pranzo, » Purin si limitò a scrollare le spalle e ad addentare un panino grosso quanto la sua faccia, « A lei tocca tra mezz’ora, questi sono i turni. »
« Non preoccuparti, pesciolina, in caso ti difendiamo noi, » esclamò Kisshu, notando il viso impensierito della verde ai commenti precedenti, « Anche se siete brave a fare a botte. »
« Ti prego. »
Retasu ridacchiò, ma lanciò comunque un’occhiata poco convinta alla collega quando apparve con un altro vassoio e un sorriso esageratamente cordiale in volto.
« Secondo me neanche Ichigo-chan le va a genio, ora, » interpretò con una punta di malizia Minto, notando l’occhiataccia che Kayio rivolse loro quando si allontanò, « Soprattutto ora che è ufficialmente la moglie del capo. »
Shirogane guardò con intensa nonchalance la rossa: « Questo non le dà certo autorità sulle altre. »
« Come scusa? »
« Oh, Ichigo, seriously!? Soprattutto per lo stesso motivo! »
« Allora non è divertente, » commentò lei con l’accenno di un broncio, « E poi comunque sono loro che hanno iniziato ad essere antipatiche dal primo giorno, noi ci abbiamo provato! »
« Ma se Minto nee-san quasi non rivolge loro un saluto. »
« Questo è falso, io sono sempre cortese con tutti, se poi testano la mia pazienza… »
« La tua gelosia, intendi? »
« Purin! »
Altre risate si levarono dal tavolo, e Keiichiro, dalla finestrella della cucina, lanciò loro uno sguardo intenerito, continuando ad impastare della pasta choux per il giorno dopo. Se solo non avesse avuto quella strana sensazione…
« Allora avete deciso dove andare in viaggio di nozze? » domandò con gentile curiosità Retasu, prima di addentare una manciata di riso.
« Il problema è più quando, » mugolò Ichigo, un po’ sconsolata, « Ci piacerebbe andare sulla costa ovest degli Stati Uniti e alle Hawaii, ma è un viaggio lungo e la stagione migliore è passata. E poi Kimberly è ancora troppo piccola sia per lasciarla da sola così tanto che per farle fare un viaggio del genere, magari ci conviene aspettare che abbia almeno un anno. »
« Io sono sempre disponibile a fare da babysitter, » si propose Purin, che stava passando la metà di quel pranzo a fare faccette buffe alla bambina accanto a lei nel passeggino.
« Grazie, Purin-chan, ma adesso voglio un po’ - »  la rossa, che si stava sporgendo verso la bimba, si bloccò all’improvviso a mezz’aria, mentre anche le altre ragazze s’irrigidirono istantaneamente. D’un tratto, i cellulari dei vari clienti iniziarono a vibrare e squillare, il brusio che accrebbe in proporzione in maniera quasi minacciosa.
Retasu rabbrividì e scosse la testa come per svegliarsi da un brutto sogno: « Che… che succede? »
Ryou fu il primo a estrarre il telefono, aggrottando la fronte quando cominciò a leggere le notizie che scorrevano sullo schermo e quasi rovesciando la sedia alzandosi, seguito a ruota da Zakuro e dai tre alieni.
« Accendi la televisione, » ordinò a Keiichiro, che annuì e trafficò a mani tese con il telecomando dell’apparecchio che teneva in cucina.
Sembrò che l’immagine ci mettesse più tempo del solito a comparire, poi una reporter che si stava sforzando di farsi sentire sopra il rumore di sirene e il clamore della folla si palesò davanti ai loro occhi:
« Siamo in diretta da Shinjuku, dove un’esplosione ha provocato ingenti danni agli edifici e un numero di feriti ancora da chiarire. La dinamica dell’incidente è ancora poco chiara, ma sembra sia partito tutto da uno scontro tra la polizia e un apparente gruppetto di giovani cosplayer. Siamo ancora in attesa di una dichiarazione ufficiale, ma come potete vedere alle mie spalle, l’area è stata cordonata e – un attimo, sembra che il nostro telegiornale sia riuscito a recuperare delle immagini amatoriali. »
L’inquadratura in diretta della telecamera, che aveva fin a quel momento mostrato la folla che cercava di allontanarsi più in fretta possibile da un angolo ancora fumante di una palazzina che ospitava un ristorante in cui si era aperto un buco che raggiungeva il primo piano, fu occupata dalla registrazione tremolante di un cellulare probabilmente appartenente a un passante dapprima incuriosito. Nonostante l’oscillamento e la distanza, e un audio terribile sovrastato dai rumori del traffico, furono ben visibili le quattro persone all’apparenza impegnate a una tranquilla passeggiata per uno dei quartieri più affollati della città, il naso in su e gli occhi sgranati dalla meraviglia, con addosso abiti dalle fogge strane e diverse tra loro e, soprattutto, con chiare armi in spalla o alla cintola.
Quattro tizi dalle orecchie decisamente troppo a punta per essere umane.
La sensazione che le stava incendiando la pelle divenne ancora più opprimente, e Zakuro impiegò una frazione di secondo a capire che le quattro persone inquadrate non potevano essere cosplayer. Contemporaneamente, Ryou e Kisshu sibilarono delle imprecazioni nelle loro lingue madri, continuando a osservare come un paio di poliziotti si avvicinavano minacciosi ai quattro, probabilmente intimando loro di consegnare le armi, ottenendo in risposta solo occhiate confuse e un vago gesticolare.
Poi i poliziotti si fecero più insistenti, più decisi, fu chiaro sui loro volti come trovassero quel momento solamente una farsa che in qualche maniera denigrava la loro divisa; uno di loro, quello che sembrava più anziano, si avvicinò a larghe falcate al gruppo, il viso teso dal fastidio, insistendo in particolare contro quello più grosso dei quattro, con dei capelli grigio-azzurri e un aggeggio terribilmente simile a un piccolo bazooka in spalla.
Zakuro avvertì le viscere congelarsi nel vedere come il tale sembrava divertito dall’ostinazione del poliziotto, così tanto che le parve di scorgere un ghigno irriverente dipingersi sul suo viso, cosa che dovette far infuriare ancora di più il poliziotto, il quale si decise ad estrarre la pistola d’ordinanza e puntarla con decisione verso di lui.
Gli ultimi quindici secondi di immagini fecero correre un ennesimo sussulto di sorpresa misto a orrore per tutto il Caffè. Si videro i tre confabulare con l’amico sotto tiro, che continuava a non mostrare altro che spregio per l’intera situazione, il poliziotto che incominciava a gridare più deciso e i suoi colleghi che gli si mettevano accanto, anch’essi con le pistole puntate; poi, all’improvviso, il tizio dai capelli blu afferrò la propria arma, la puntò alla sua destra, e una forte deflagrazione colpì il muro della palazzina, scavandone un buco largo almeno due metri.
Il video si interruppe in quel momento con un ultimo confuso fotogramma dei piedi del suo riluttante regista, e anche se la giornalista riprese a parlare a voce alta, sul Caffè scese un silenzio di tomba.
« What the fuck was that. »
Zakuro condivise lo stesso pensiero di Shirogane, impallidito sotto la pelle abbronzata, e si sentì afferrare il braccio e voltò appena lo sguardo verso Purin:
« Dobbiamo andare a vedere! » esclamò con slancio.
« Non lo so, » commentò lei con gelido sarcasmo, guardando di sbieco i tre Ikisatashi, « Dobbiamo? »
« Fuori discussione, » Ryou le bloccò immediatamente e abbassò la voce, anche se un chiacchiericcio impanicato ricominciava a crescere all’interno del locale, puntando il dito contro le immagini del telegiornale che continuavano a scorrere sullo schermo, « Non sappiamo cosa sia successo, e ci stanno andando i militari, là. Voi ne rimanete fuori. »
« Ma nii-san, hai visto anche tu che - »
« Proprio perché ho visto, Purin, che non andrete da nessuna parte finché non avremo le dovute spiegazioni. »
« I dati del progetto… »
Si voltarono tutti verso Keiichiro, che aveva parlato quasi sovrappensiero e che, trovandosi gli occhi addosso, si affrettò ad aggiungere: « Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. »
« E quando pensavi di dirmelo!? »
Shirogane dovette prendere un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli, intimandosi di mantenere un briciolo di lucidità. Proposito che volò fuori dalla finestra non appena una decisa vibrazione cominciò a provenire dalle tasche di Pai, che ne estrasse un comunicatore sul quale brillava acceso un puntino rosso.
Gli parve quasi di sentire gli allarmi di sistema da lassù.
« Adesso voi scendete in laboratorio, » sibilò irato, lanciando poi un’occhiata alle ragazze, « E voi continuate la giornata come se nulla fosse. »
Keiichiro annuì mentre dava uno sguardo alla clientela confusa e spaventata, lasciando ai tre fratelli il tempo di scambiarsi uno sguardo: « Non possiamo chiudere il Caffè, dobbiamo evitare di creare ancora più caos o preoccupazione, o dare nell’occhio. »
« Voglio un analisi di ogni fotogramma di quel video, e un aggiornamento totale di ogni singolo sistema. »
Shirogane non li guardò nemmeno più, girò sui tacchi e ritornò al tavolo dove ancora sedevano Ichigo, Minto, e Retasu, che avevano seguito le stesse immagini dal telefono della mora.
« Sta succedendo qualcosa, vero? » domandò quasi con disperazione la rossa, abbracciandosi le spalle, « È come… è come se lo sentissi, e anche voi lo potete percepire, non è così? »
« Io vado giù in laboratorio, » mormorò, « Ci sono delle cose da controllare, ma non… »
« Oh, Shirogane, per favore, non prenderci in giro, » gli rimbrottò Minto, ma lui la interruppe:
« Tu porta a casa Ichigo. Per favore, » aggiunse poi, in tono più calmo che convinse la mora ad annuire solamente, « Qualsiasi cosa succeda, ci vediamo lì. »
Si sporse verso la moglie e le lasciò un veloce bacio sulla sommità della testa, a cui lei quasi non reagì, prima di lanciare un’altra occhiata d’astio verso gli alieni – che ancora non avevano proferito parola – e accennare con il mento verso il seminterrato.
Mentre Keiichiro cercava di ristabilire un po’ la calma nel locale, Ichigo emise uno strano singhiozzo e rabbrividì di nuovo da capo a piedi, così forte che Minto si spaventò e la strinse: « Ti prendo un tè, d’accordo? Poi andiamo a casa. »
Si scambiò uno sguardo d’intesa con Retasu, che scattò sull’attenti e si fiondò in cucina, seguita da Purin che si attenne alle disposizioni del moro di prendersi cura dei clienti. Uno sforzo immane, visto come i loro corpi continuavano a risuonare come campanelli d’allarme, ad allertarle esattamente di cosa stesse succedendo.
Il loro DNA animale che reagiva, che gridava, che spingeva l’istinto a metterle in allerta.
Qualcosa, non sapevano cosa, stava succedendo di nuovo.
 
 
 
 
Era pomeriggio inoltrato quando finalmente anche Purin e Retasu raggiunsero casa Shirogane insieme a Keiichiro, dopo aver chiuso il Caffè con un po’ di anticipo. Minto non avrebbe saputo dire come avevano passato le ore da quando lei e Zakuro avevano accompagnato Ichigo a casa, se non che le erano sembrate contemporaneamente lunghissime e un lampo, avvolte in una bolla di silenzio interrotta solo dai gorgoglii allegri di Kimberly, ignara di tutto e totale fulcro dell’attenzione della rossa.
« Ho portato un po’ di avanzi, » esclamò con quanta più pacatezza possibile il moro, mostrando un paio di scatole dall’odore invitante, « È importante mantenere le energie, lo sapete. »
« Grazie, Akasaka-san, » Minto gli sorrise, nonostante lo stomaco stretto in una morsa di ferro, « Magari tra un po’. »
« Non ci posso credere che stia succedendo di nuovo! » sbottò Ichigo all’improvviso, « Non ne avevamo appena discusso, della necessità di essere pronti su tutto? Di sapere cosa stesse per accadere? »
Il moro si sedette con un sospiro sul divano: « Non abbiamo ancora nessuna risposta, Ichigo-chan. E per quanto migliorati, per quanto aggiornati, i nostri sistemi possono essere fallibili. Anche combinati con quelli di Pai e i suoi fratelli. »
« Voi non capite! » lei si alzò e si passò le mani tra i capelli, « Voi non potete capire, io non pos - »
S’interruppe quando il soffio sottile del teletrasporto rimbombò nella stanza, annunciando l’arrivo improvviso dei tre Ikisatashi e Ryou. Forse un po’ troppo improvviso, perché Kimberly, nel suo ovetto, si spaventò e iniziò a piangere impaurita, facendo sussultare anche gli altri; scattarono in piedi, Ichigo e Ryou che si diressero direttamente dalla figlia, ma l’unico che trovò la voce per parlare fu Akasaka: « Quindi? »
L’ombra che passò sul volto di Kisshu e Pai fu troppo evidente per essere ignorata. Con un affanno, Minto si lasciò cadere di nuovo sul divano, diventando cerea e quasi spegnendosi, mentre Retasu si portò una mano tremante sulla bocca.
« Ci sono delle cose che… non vi abbiamo detto. »
« No shit, Sherlock. »
« E dei motivi per cui non l’abbiamo fatto. »
Ryou e Kisshu si scambiarono un’occhiata d’odio, il biondo che digrignò i denti per non far scorrere fuori tutto ciò che stava davvero pensando.
Fu questione di un attimo. Zakuro scattò in avanti e, pur non riuscendo a spostarlo di un millimetro, agguantò Pai per la collottola, facendo balzare anche Kisshu il quale, però, all’occhiata furiosamente gelida di lei, si limitò a tentare di fermarla con un braccio:
« Ehi, ehi, ehi, manteniamo la calma, okay? »
« Ora voi parlate, » sibilò lei, bruciando le iridi indaco contro quelle ametista, « E vi conviene dire tutta la verità. »
Keiichiro si frappose tra di loro, tirandola gentilmente indietro per un braccio e invitandola con uno sguardo a sedersi sul divano, insieme alle altre.
« Ikisatashi-san, vi prego di non risparmiarci neanche un dettaglio, questa volta, » aggiunse poi con tono pacato.
Taruto si staccò dai suoi fratelli, appollaiandosi sul bracciolo del divano vicino a Purin, mentre Ryou si lasciava cadere con un pesante sospiro su una delle poltrone.
Solo Ichigo e gli Ikasatashi rimasero in piedi, lei come incapace di star ferma che continuava a cullare dolcemente Kimberly, le labbra premute contro la sua tempia, loro come due imputati davanti al giudice.
Fu Pai a incominciare a parlare, dopo essersi umettato le labbra con la lingua, gli occhi fissi in quelli di Retasu: « Come sapete, la nostra civiltà ebbe inizio sulla Terra moltissimi anni prima di quella umana. Con i cambiamenti climatici che il pianeta stava attraversando, però, i nostri progenitori si videro costretti a fuggire in cerca di un luogo più ospitale. »
« Non serve il riassunto delle puntate precedenti, » affermò Zakuro velenosa, incrociando le braccia al petto, e l’alieno proseguì stoico:
« Furono tre le navicelle che partirono dalla Terra alla ricerca di un altro pianeta da chiamare casa, o almeno così raccontano le nostre storiografie. Non avevano però coordinate precise, nonostante gli studi per individuare un sistema che potesse sostenere la vita. Si narra, quindi, che le navicelle si separarono a causa di errori tecnici e condizioni di viaggio avverse. Fu così che fu scoperto Duuar, il cui stato è andato peggiorando con il tempo, come sapete.
« Si era creduto che le altre due navicelle fossero state perdute per sempre, che fosse diventato ormai solo una leggenda, che non ci fosse nessun altro della nostra stirpe là fuori. Ma ci sbagliavamo. »
Il viola fece una pausa per schiarirsi la gola, e Kisshu ne approfittò per inserirsi con un po’ troppa veemenza: « Cinque anni fa, più o meno, sono infatti iniziate ad arrivare strane comunicazioni, come segnali di riconnessione che non avevamo mai ricevuto prima. E, sorpresona, abbiamo scoperto che in effetti le navicelle erano arrivate da qualche parte, su un pianeta poeticamente rinominato Gaia(**). Le comunicazioni non erano mai state possibili prima di allora a causa della distanza che ci separa dal loro sistema, ma l’avanzamento delle rispettive tecnologie ha permesso di poter scambiare qualche messaggio. »
« Gaia perché è un pianeta decisamente simile alla Terra, » spiegò Pai, « Con condizioni climatiche ottimali, che hanno permesso ai nostri… bè, ai nostri cugini di fiorire e ricostruirsi una vita. »
« Pensa che culo, a noi è toccato il pezzo di ghiaccio e a loro il paradiso. »
« E tutto ciò cosa c’entra con noi? » domandò Minto sottovoce, lanciando uno sguardo carico di rabbia a Kisshu per il commento, e il maggiore degli Ikisatashi fece un altro respiro:
« L’ottimo ecosistema di Gaia ha favorito lo sviluppo della loro civiltà. Eppure, per quanto sia simile alla Terra, Gaia non ne condivide le dimensioni. Per i pochi messaggi che siamo riusciti a captare, abbiamo dedotto che sia ormai sovrappopolato all’eccesso, nonostante siano ancora in grado di mantenerlo florido e non abbiano dilapidato le sue risorse. »
Gli umani decisero di non commentare quell’ultima affermazione e rimasero in silenzio ad aspettare, non ancora soddisfatti della spiegazione, così fu Kisshu di nuovo a concludere, grattandosi la testa:
« Dovete capire che è davvero in culo all’universo, quel posto, così i messaggi che riceviamo non sono mai completi, e soprattutto mai istantanei. Non siamo neanche mai riusciti a calcolare quanta differita ci potesse essere. Ma – e qui c’è la parte, come dire… difficile… » si azzardò a lanciare uno sguardo a Minto e poi lo ripuntò su una più pacata Purin, « Per quanto abbiamo capito… visto che sono un po’ troppi, avrebbero voluto provare a riconquistare il loro pianeta d’origine. »
« Oh, isn’t that a classic. »
Ci fu ancora un attimo di silenzio dopo la battuta gelida di Ryou, poi Zakuro esalò piano: « Ed è per questo che siete tornati. »
I tre Ikisatashi si scambiarono un’occhiata, poi Pai annuì: « Non eravamo sicuri di niente. I messaggi con Gaia avevano successo quasi solamente in entrata, e come ha detto Kisshu, le comunicazioni non erano chiare. Ma, nell’eventualità che succedesse… »
« Quindi ci avete riempito di cazzate fin dal momento in cui siete arrivati, » insistette la modella, immobile e calma nella sua posa nonostante il fuoco che le invadeva le iridi.
« Be’, diciamo che abbiamo omesso un pezzetto della verità, » rispose Kisshu, « Siamo anche qui davvero per misurare e comparare gli effetti di Mew Aqua. »
« Grazie tante. »
« Non potevamo esserne sicuri, » continuò Pai, « E non aveva senso creare il panico, in caso i nostri tentativi di dissuadere i Geoti avessero avuto un buon fine. »
« Non mi sembra proprio, » commentò velenosa Minto, alzandosi e facendo qualche passo per il salotto, « E adesso cosa diamine dovremmo fare!? »
« Potremmo… provare a parlarci, » tentò invano Taruto, cercando di incrociare lo sguardo degli altri, ma ricevette in risposta solo uno sbuffo stizzito di Shirogane.
« Parlarci? » esclamò sarcastico, « Quel tizio grosso come un armadio ha aperto un buco in un palazzo, for fuck’s sake, non mi sembrava molto intenzionato a parlare! »
« Da un punto di vista prettamente teorico, potrebbe esserne capace pure Taruto con uno dei suoi trucchi di radici… » provò a stemperare Kisshu, guadagnandosi in cambio solo occhiatacce da parte di tutti.
Retasu prese un respiro così profondo che echeggiò per la stanza: « È per questo… è per questo che sono tornati i nostri marchi, non è vero? » domandò con un filo di voce, cercando lo sguardo delle amiche, « I nostri DNA… lo sapevano. E oggi noi lo sapevamo, e lo sappiamo ancora. Lo possiamo sentire. Siamo qui per proteggere la Terra, dopotutto. »
Perfino Minto si concesse l’accenno di una parolaccia, riprendendo a camminare in tondo per la stanza con le braccia strette intorno al busto.
« Mi sa che non abbiamo molta scelta, » concordò Purin con l’abbozzo di una risatina incerta, « Siamo le Mew Mew. »
A quelle parole, un singhiozzo si levò da Ichigo, ancora in disparte rispetto a loro.
« Ryou, » il gemito gli spezzò il cuore in due e lui faticò a voltarsi verso di lei, a incrociare la sua espressione distrutta mentre stringeva Kimberly ancora di più contro al suo petto, « Ryou, no, io non… »
In due falcate le fu accanto, praticamente a sorreggerla mentre gli si abbandonava contro, e fu grato a Retasu che riuscì a lanciarsi tra di loro e prendere la bambina per far sì che lui potesse abbracciarla quanto più stretto possibile.
« Io non posso, » gemette, tentando di respirare tra un singhiozzo e l’altro mentre lui le accarezzava i capelli e le sussurrava all’orecchio per cercare di calmarla, « Come faccio, io ho… noi abbiamo… »
Tutto il senso di colpa che aveva sempre provato verso le ragazze, verso di lei, nonostante si fosse ripetuto migliaia di volte quanto il progetto Mew fosse stato necessario, come la Terra stessa avesse scelto proprio loro, gli si moltiplicò in petto più forte che mai, provocandogli un bolo di acidità in gola. Non avrebbe potuto dire niente, per una volta nella vita non aveva una risposta sufficiente da darle, per rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene, che nulla sarebbe successo alla loro famiglia, ma i ricordi di ciò che era accaduto anni prima erano troppo indelebili per mentirle in quella maniera.
Fu Purin invece ad avvicinarsi, a prenderle una mano con un sorriso sottile: « Nee-san… siamo tutti dalla stessa parte, questa volta, » le mormorò, « E siamo più forti. Siamo più consce, non siamo delle bambine. Non devi avere paura. »
« Dai, vecchiaccia, » le diede corda Taruto, « Abbiamo anche l’effetto sorpresa. Loro non sanno niente delle Mew Mew, né che noi siamo qui, se è per questo. Ci dà un margine non indifferente. »
« Rimanderei le discussioni tattiche a domani, » s’intromise Keiichiro, con un tono di voce stanco come non l’avevano mai sentito, « Credo che serva a tutti del tempo per… digerire le informazioni. Ma concordo con Taruto-san che per oggi possiamo stare tranquilli, credo che i nostri nuovi ospiti abbiano già attirato abbastanza l’attenzione. »
« Domani inizieremo a pensare a tutto, » concordò Ryou, continuando a cullare piano Ichigo, un po’ più calma contro al suo petto, « Dio, dovrò licenziare le cameriere per riaprire davvero la vecchia base. »
« Almeno Ichigo-chan sarà contenta, » sbuffò Purin, beccandosi un’occhiata di sbieco da sotto il braccio dell’americano.
« Vi chiedo solo di non rimanere da sole, se possibile, » aggiunse Keiichiro, guardandole tutte con pacatezza, « Mi fareste stare più tranquillo. E cellulari sempre accesi, almeno finché non recuperiamo i vostri ciondoli. »
Le ragazze annuirono piano, le facce ancora scavate e pallide, i corpi tesi mentre raccoglievano le loro cose per avviarsi verso casa.
« Vi aspettiamo domattina al Caffè, allora. »
« Che cosa grandiosa, » sibilò Minto, quasi litigando con la propria borsa che non voleva saperne di chiudersi, « Non vedevo l’ora di dover affrontare battaglie intergalattiche a sorpresa. »
Kisshu azzardò un solo passo verso di lei, gli occhi dorati quasi spenti: « Tortorella… »
Lei tremò da capo a piedi per trattenersi dal tirargli un ceffone: « Non ti azzardare a seguirmi, » sibilò, la voce che le si spezzò infida, « Non ti azzardare a parlarmi, non ti azzardare a guardarmi, e soprattutto non ti azzardare a dirmi che ti dispiace. »
Gli diede le spalle e prese l’uscita senza aggiungere altro, sbattendo la porta così forte che le cornici alle pareti sussultarono minacciose.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Vedasi l’ultimo numero del manga, dove Purin gli “passa una caramella con la bocca” – palesemente un bacio xD Mia Ikumi non mi freghi!
 
(**) Gaia dal greco antico (omerico) Γαῖα, o anche Γῆ, Ghḕ, Gea, è per la mitologia greca la dea primordiale, personificazione della Terra, madre ancestrale di tutta la vita.
 

 

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Capitolo 10
*** Over the hills and far away ***


Chapter Ten – Over the hills and far away

 

 
 
 
 
 
 
 
 
« Possiamo constatare quanto sia stato un completo fallimento. »
« Su, fratellino, non essere sempre così negativo, » una risata strafottente rimbombò per lo stanzone, « Io direi che è stato… esplosivo. »
Un paio di occhi blu come il mare si assottigliarono irritati: « Lo scopo era di osservare l’obiettivo senza farsi notare, stimare la situazione per poter determinare la procedura ottimale e andarsene in fretta. Sbaglio o non è andata proprio così? »
Una terza voce, più allegra ma meno irriverente, s’interpose al dibattito: « Guarda il lato positivo, abbiamo appurato fin dal principio che gli abitanti del posto non sono molto… pacifici. »
« E che le nostre stime sul loro progresso erano decisamente sbagliate, » concluse un quarto, dal tono grave e quasi annoiato, « Sono un popolo molto più retrogrado di quanto ci potessimo auspicare, il che può dimostrarsi un’arma a doppio taglio per la riuscita del nostro progetto. »
« Visto, fratellino, » ghignò di nuovo il secondo, « Se avessimo perlustrato in segreto non avremmo ottenuto tutti questi risultati. »
Un sospiro, poi un sottile ringhio: « Non perdere di vista il fulcro della questione, Kert. Per quanto possa risultarti complicato, a capo della missione ci sono io, e gli ordini vanno rispettati. »
Abbandonò il salone a larghe falcate, cercando di ignorare la risata tonante che lo seguì lungo i corridoi bui, e si diresse verso quella che aveva conclamato come la sua stanza. Il Sole stava spegnendosi lentamente dietro l’orizzonte, così diverso da quello cui erano abituati i suoi occhi, e si soffermò un istante a scrutare da dietro il vetro appannato della finestra.
Parte di lui non riusciva a credere che l’aria che stava respirando era la stessa che i suoi antenati avevano condiviso milioni di anni prima, che era davvero la Terra quella sui cui si stavano posando i suoi piedi; gli erano bastati però pochi respiri per cogliere tutte le differenze con Gaia, il loro pianeta quasi perfetto, così pulito e confortevole.
Com’era possibile che quella nuova razza avesse sfruttato in maniera così becera la loro preziosa casa?
Un fruscio di tessuti attirò la sua attenzione prima che un paio di braccia esili si chiudessero intorno al suo torace: « Adesso sei contento che sia venuta anch’io? »
« Tutt’altro, » sbuffò, poggiando le mani sopra quelle più pallide, « Temo che sarà molto più complicato di quanto programmato. Avrei preferito tu rimanessi al sicuro. »
« Non preoccuparti, » la stretta si fece più intensa, mentre il calore che gli si propagò dalle scapole gli fece capire che aveva poggiato il viso contro di lui, « Prometto che non mi stancherò troppo. E poi vorrà dire che sono davvero necessaria e che è un bene che ci sia anch’io, no? »
Si voltò e prese il volto tondo tra le dita, specchiandosi negli occhi scuri: « Cerca di non farmi preoccupare. »
« È quasi tecnicamente impossibile. »
Rise e avvicinò la bocca alla sua: « Sai cosa voglio dire. »
Le braccia gli si chiusero dietro la nuca e una risatina vibrò contro le sue labbra: « Dimmi che mi ami e basta. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ichigo si afflosciò ancora di più nella vasca da bagno, il naso a sfiorare la superficie schiumosa dell’acqua. Non aveva smesso di tremare da quando gli altri se n’erano andati, più o meno rumorosamente, e aveva subito accolto il suggerimento di Ryou di rilassarsi e riscaldarsi in uno dei suoi luoghi preferiti dell’intera casa.
Soffiò piano per allontanare un cumulo di bolle che la stavano pizzicando e strinse le mani tra le cosce; non aveva ancora fatto del tutto pace con la voglia che le era rispuntata sulla pelle, e meno che mai se la sentiva di vederla quella sera.
Le girava talmente tanto la testa che le pareva i pensieri stessero cercando di uscirne, tanto erano sovraffollati. Solo tre giorni prima aveva indossato l’abito bianco, la sua più grande preoccupazione era stata non svenire dall’ansia lungo la camminata fino all’altare, e ora si ritrovava a dover nuovamente comprendere di dover lottare contro nemici provenienti da un pianeta lontanissimo.
Con una bimba di quattro mesi, stavolta.
Sibilò ancora e s’immerse completamente, desiderosa solo dell’ottundimento causato dall’acqua. Le sembrò provvidenziale, in quel momento, quella decisione, quell’istinto di non aspettare a celebrare la sua unione con Ryou. Come se una parte di sé l’avesse sempre saputo, perché era così, era ovvio, era stata semplicemente lei a decidere che la ricomparsa della voglia non volesse dire nulla.
Però non sapeva dove avrebbe trovato il coraggio di affrontare tutto.
Rimase sott’acqua finché non sentì i polmoni sul punto di esplodere, poi si risciacquò velocemente e si avviluppò nell’accappatoio che aveva preventivamente agganciato al termosifone.
L’intera casa era più silenziosa del solito quando uscì sul corridoio, e poté udire con chiarezza il ticchettio della tastiera che proveniva dallo studio. Vi si diresse a piedi nudi e rimase in silenzio a sbirciare dallo spiraglio lasciato aperto; più che mai la vista le parve familiare, Shirogane con le luci al minimo e la schiena curva sui larghi schermi dei computer, le sopracciglia leggermente aggrottate in un’espressione di pura concentrazione mentre il suo cervello lavorava frenetico per trovare le risposte necessarie, o forse per sentirsi meno in colpa.
La sua capacità di concentrarsi totalmente nel lavoro, estraniandosi dalla realtà circostante, era al contempo invidiabile e insopportabile.
Ichigo batté le nocche sulla porta e gli si avvicinò, abbracciandolo da dietro per quanto le permettesse la sedia.
« Hey there, ginger, » l’accolse lui con un sospiro stanco, « Come ti senti? »
Lei strusciò la guancia contro quella di lui, strappandogli uno sbuffo alle ciocche bagnate che lo colpirono: « Meglio, » mentì sottovoce, « Mi sta tornando fame. »
« Ordiniamo quello che vuoi, » la prese gentilmente per un braccio e la tirò per farle aggirare la poltrona e sedere sulle sue gambe, « Personalmente vorrei un paio di birre. »
La rossa rise e gli si rilassò contro, inspirando il profumo del suo dopobarba. Ryou aveva ancora la traccia di abbronzatura e le sembrò strano notarlo, come se non fossero tornati solo quella mattina dal loro weekend insieme; era così stanca che le sembrò lontano una vita, un ricordo già sbiadito e inafferrabile.
Lui fece scivolare la mano lungo il suo ginocchio, sotto le pieghe dell’accappatoio: « Ti devi vestire, o ti verrà di nuovo freddo. »
Ichigo però rimase lì, appollaiata su di lui come un piccolo koala, il viso sempre nascosto contro al suo collo.
« Non so come fare, » ammise in un sussurro dopo qualche secondo, avvertendolo irrigidirsi un po’ di più ed espirare lentamente, « So che devo farlo, è come una voce che non posso ignorare, ma… non so come, questa volta. »
Le labbra di Shirogane si posarono più decise contro la sua tempia: « Per quanto mi disturbi ammettere che ci serva il loro aiuto, Purin ha ragione nel dire che questa volta gli Ikisatashi sono dalla nostra parte. Lo sai anche tu quanto sono forti, e non c’è nulla che ci faccia presuppore non siano migliorati, con il tempo. »
« A confronto nostro, » mugolò contrariata la rossa, odiandosi direttamente per quel pensiero, « Lasciamo perdere il dover combattere, non mi ricordo neanche l’ultima volta che sono andata in palestra. »
Ryou sbuffò e la scostò appena così da poterla guardare negli occhi, togliendole l’asciugamano arrotolato in cima alla testa per passare le dita tra la sua chioma: « Non succedeva spesso nemmeno prima, ginger. »
Lei si limitò a fare una smorfia, sfiorandogli distratta la voglia chiara sul collo.
« Non avevi paura, quando l’hai fatto? »
« Certo. Ma non avrei mai potuto iniettare qualcosa a delle sconosciute senza averlo provato prima io. »
« Avrei qualcosa da ridire anche su questo, » Ichigo si lasciò scappare una mezza risata, poi chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro la sua, ammettendo in un pigolio, « Ho paura. Una paura folle. È come se avessi due istinti, dentro di me, quello del gatto Iriomote e quello di madre e… non riescano a mettersi d’accordo. »
« Per quello che vale, lo sai che non sarai mai sola, vero? »
« Lo so, » la rossa gli prese il viso tra le mani e si avvicinò un po’ di più, « Ma ciò vuol dire che mi preoccupo anche per te. »
Lui sfiorò il naso di lei col proprio: « Non mi sono mai messo nei guai. »
« Mmmh, » lei gli lanciò un’occhiata poco divertita, « Allora era un’altra testa bionda, durante… l’ultima volta. »
« Don’t think about that, » Ryou fece scorrere la mano più in alto lungo la sua coscia, così da stringerla, « Non pensare a cos’è successo. Pensa solo a concentrarti su questo momento, e a superarlo. Insieme. »
Ichigo sbuffò, poi piegò un sopracciglio in un’espressione divertita: « Pensavo di aver sposato un musone fatalista e pessimista. »
« Se preferisci quella versione, ragazzina, basta chiedere. »
Lei ridacchiò e intrecciò le braccia dietro al suo collo, baciandolo e facendo aderire i loro corpi il più possibile, cercando in lui il calore necessario a scioglierle il freddo dal petto. Sapeva che la tempesta nel suo cuore non sarebbe passata molto facilmente, ma almeno per quella notte avrebbe smesso di pensarci.
 
 
 
 
« Tu lo sapevi? »
Seduta sul suo letto con le gambe a penzoloni dal bordo e la mano stretta nella sua, Purin guardò Taruto da sotto la frangetta bionda, disegnando distrattamente sul braccio del ragazzo con la punta di un dito.
« Non tutto, » ammise lui a bassa voce, « Io dovevo ancora mettermi in pari con gli studi, e con l’Esercito… i miei fratelli mi avevano raccontato qualcosa, ma ovviamente certe informazioni erano più confidenziali. Sono rimasto indietro anche per… controllare che non arrivassero nuovi messaggi e per avere un contatto diretto con il Comando Generale. »
« Non sapete proprio niente di chi sia arrivato? »
« No, » Taruto sospirò pesantemente e lanciò la testa all’indietro, incassandola nelle spalle, « Pai è inavvicinabile, credo abbia cercato di smontare l’intero sistema di radar e comunicazione per capire perché non ci siamo accorti di niente. Da quanto ho capito, lui e Shirogane hanno anche hackerato non so cosa per ottenere i video di quei tizi e studiarli meglio. »
Purin si concesse una risatina a quella rivelazione: « Io e Retasu nee-san non abbiamo avuto il coraggio di scendere in laboratorio, infatti. »
« Avete fatto bene, ho seriamente temuto che il biondino potesse accoltellarci. »
« Povera nee-san, » lei si corrucciò, sfiorandosi distratta la voglia sulla fronte, « Non l’ho mai vista così disperata. Io mi preoccupo per i miei fratellini, però lei… non vorrei proprio essere nei suoi panni, ma la dobbiamo aiutare. Non abbiamo altra scelta. »
Taruto la scrutò in silenzio, cogliendo negli occhi marroni quella scintilla di positiva determinazione che l’aveva sempre caratterizzata e che lui aveva sempre ammirato, in lei.
« Come fai a sapere sempre qual è la cosa giusta da fare? » le chiese di scatto, senza rifletterci troppo sopra, e Purin si strinse nelle spalle:
« Non ho detto che dobbiamo combatterli per forza, su questo sono d’accordo con Retasu nee-san. E te l’ho anche già detto(*), preferirei non dovessimo scontrarci in nessuna stupidissima guerra… ma è anche nostro compito doverli affrontare, proteggere la Terra come meglio possiamo. E cercare di convincerli che questo metodo non è quello giusto. »
Gli rivolse un sorriso, poi balzò giù dal letto e si stiracchiò poco elegantemente: « Mannaggia, sono davvero esausta. E non ho per niente voglia della chiacchierata di domattina al Caffè. Già sento gli strilli di Minto. »
« Kisshu non era ancora tornato quando sono passato al Caffè, » commentò lui lugubre, « Mi devo preoccupare? »
« Credo che la nee-san sia abbastanza crudele da evitare di proposito di colpire punti vitali per prorogare la sua vendetta, » Purin rise un po’ ironica, prima di fare una smorfia, « Non credo andrà molto bene, al nii-san… »
Taruto non poté evitare di pensare che un po’ gli stesse bene, al fratello, visto che predicava sempre molto bene riguardo l’onestà e gli affaracci altrui quando poi lui stesso s’infilava in casini molto più grossi, ma decise di non dire nulla. Si alzò anche lui e osservò Purin di sottecchi, tossicchiando leggero.
« Sei… sicura che non vuoi che rimanga, per… hai sentito cos’ha detto Akasaka-san, sarebbe meglio non stare da soli e… »
La biondina abbozzò un sorrisetto appena più malizioso del solito e strusciò il naso contro al suo, causandogli un evidente rossore sulle guance: « Apprezzo l’offerta, ma va bene così. Dubito che gli alieni sarebbero interessati ad attaccare questa zona, visto che non c’è molto intorno, e poi… sarebbe un po’ prematuro, non trovi? »
Ci mancò poco perché le orecchie di Taruto cominciassero ad emettere fumo: « N-n-non il quel senso! » sberciò in tachicardia, « M-m-ma s-so-solo pe-per… »
Purin rise e si tirò in punta di piedi per schioccargli un bacio: « Non preoccuparti. E poi prima vorrei spiegarlo bene ai miei fratelli, così smettono di impicciarsi. »
Lui si limitò ad annuire, la gola completamente chiusa, analizzando che effettivamente l’ultima cosa che potesse essergli utile in quell’istante erano quattro maschi adolescenti in atteggiamenti protettivi verso la loro sorella maggiore.
Le diede un ultimo bacio, ben conscio che lei potesse percepire il calore del suo viso, e si teletrasportò al Caffè, invaso da un silenzio estremo che sottolineava come non ci fosse nessuno, nemmeno Pai. Sospirando, Taruto si avviò verso la cucina: con un po’ di fortuna, Akasaka non aveva portato tutti gli avanzi a casa di Ichigo.
 
 
 
 
Quando effettivamente riapparve, qualche ora dopo, suo fratello già tra le lenzuola, Kisshu si chiuse la porta della camera da letto alle spalle con un pesante tonfo e ringhiò minaccioso: « Non dire niente, Taruto. Non una parola. »
Si spogliò e si infilò a letto con rabbia, un braccio a coprire gli occhi, ignorando il borbottio offeso del minore che si limitò ad avvolgersi nel lenzuolo e dargli le spalle.
Non sapeva nemmeno lui come se lo sarebbe aspettato, in fondo, di dover alla fine vuotare il sacco con i terrestri sul piccolo, banale, insignificante dettaglio mancante del loro ritorno sulla Terra. Sì, aveva previsto che le ragazze – soprattutto alcune – si sarebbero arrabbiate, ma a volte sottostimava la potenza della rabbia che potevano provare.
Soprattutto quella più di suo interesse.
Minto si era letteralmente arroccata a casa di Zakuro non appena avevano lasciato Ryou e Ichigo; aveva tentato di seguirla, di bloccarla, di parlarle, ma la mora aveva rifiutato qualsiasi suo tentativo di avvicinamento, ignorandolo fino all’automobile della modella, su cui era salita senza fiatare, e quasi usando l’amica come scudo. Lui aveva pensato di precederla a destinazione, ma, vedendo l’occhiataccia che Zakuro stessa gli aveva rivolto una volta accomodatasi accanto alla mora, aveva deciso che non era decisamente il momento adatto per testare ulteriormente la sua pazienza.
Aveva così passato le ore successive a vagabondare per la città per sbollire la propria, di rabbia – detestava con passione essere ignorato, per di più sapendo che sarebbe arrivata una litigata epocale, e non poteva cancellare quel sottile senso di colpa e di stupidità a non aver ammesso certe cose prima, perché poteva essere stupido ma non così tanto – alla ricerca di un luogo con un minimo di solitudine.
Non aveva avuto molto successo, visto la maniera in cui gli si stavano ancora attorcigliando le budella.
C’erano troppe cose che erano andate storte perché potesse prendere sonno. Chi diavolo erano i tizi che avevano deciso di replicare la loro avventura di sette anni prima? E com’era possibile che nemmeno i loro sistemi si fossero attivati, che chiunque fosse, fosse riuscito ad arrivare senza che se ne accorgessero?
Una vecchia ma mai dimenticata sensazione d’ansia gli risalì dal petto, lì dove la cicatrice gli tirava la pelle. Qualunque cosa fosse, non sarebbe potuto andare peggio di com’era andata.
O almeno fu quello che si augurò.
 
 
 
 
Retasu soffiò piano sulla tazza di tè nero, alla ricerca della dose giusta di ricarica per svegliarsi. Non ricordava l’ultima volta che aveva dormito così male – o così poco – e nonostante si fosse sciacquata la faccia tre volte con acqua gelida, non riusciva a scacciare la pesantezza dalle sue palpebre.
Sospirò e si mosse in silenzio attorno alla cucina, era davvero presto e non voleva svegliare i suoi genitori o suo fratello prima del previsto, anche perché sarebbe stato abbastanza complicato dover spiegare cosa stesse succedendo e perché lei avesse quella ruga di preoccupazione stampata in fronte. Si riempì una ciotola con un po’ di yogurt e mezza banana e, reggendo tutto con estrema cautela, si rintanò di nuovo in camera sua, dove non avrebbe dovuto indossare una maschera di tranquillità.
Ci aveva provato, la sera prima, a consolare Ichigo il più possibile, a smorzare l’impeto combattivo di Minto, ma non appena era rimasta sola si era sentita soggiogata dal panico al pensiero che stesse per ricominciare tutto.
Aveva odiato combattere la prima volta, aveva odiato ciò che era successo alla fine, il costo che avevano dovuto pagare per rendersi conto di quanto quella guerra fosse futile. Certo, da un punto di vista potevano dire di aver ottenuto il lieto fine, ma lei non era mai stata d’accordo con il percorso per arrivarci fin dal principio.
Non avrebbe mai più voluto rivedere quello sguardo in un paio di occhi ametista; sapere che avrebbero combattuto dalla stessa parte, adesso, la rendeva ancora più nervosa, perché se per caso fosse successo qualcosa…
Scosse la testa e si costrinse a non lasciare che la propria mente si avventurasse per quei pensieri, che erano solamente controproducenti. Si strafogò della sua colazione per i cinque minuti successivi, guardando distratta fuori dalla finestra la luce che si faceva lentamente più intensa.
Cercando di ignorare che, forse ironicamente, era anche la prima volta che discuteva con Pai e non era molto certa su come comportarsi. C’era da dibattere anche se discutere fosse il verbo giusto, dato che dopo la serata a casa Shirogane si era limitata a rifiutare la sua offerta di un passaggio a casa e a dirgli che aveva bisogno di un po’ di tempo da sola (aveva mentito, non aveva voluto rimanere per conto suo ma non era completamente a suo agio con la bugia che i tre alieni avevano mantenuto per tutto quel tempo).
Sospirò e lanciò un’occhiata al proprio cellulare, rimasto silenzioso per la maggior parte della serata, ognuna delle ritrovate Mew Mew probabilmente persa nei propri pensieri. C’era un messaggio da parte dell’alieno, quello che meglio si era applicato, ovvio, ad utilizzare la tecnologia umana, semplice come erano sempre stati i precedenti.
Se necessario chiama.
Con il punto alla fine della frase come al solito, che ad altri avrebbe potuto apparire minaccioso e che invece lei interpretava come un’ovvietà, perché era così che si chiudeva un periodo in maniera corretta.
Perché effettivamente l’unica arrabbiata era lei.
Sapeva che aveva ragione ad essere indispettita, ovviamente, ciò che gli Ikisatashi avevano confessato solo la sera prima era stato davvero troppo grosso, ma non era nella sua indole tenere il muso o non essere del tutto a posto con una persona. Ed esserlo con Pai le provocava ancora più disagio.
All’improvviso si lasciò scappare uno sbuffo divertito: si stava preoccupando non per la minaccia interplanetaria che nuovamente incombeva su di loro, ma perché non sapeva come comportarsi con il proprio ragazzo dopo un dissapore, che razza di priorità le stavano sorgendo?
Terminò in fretta la propria colazione e si rifugiò in bagno proprio mentre sentiva trillare la sveglia dei suoi genitori. Avrebbe dovuto stare attenta, da lì in poi, a non lasciare scoperta la sua voglia – perché a lei doveva capitar proprio un punto così sconveniente?! – e fu silenziosamente grata che almeno con l’arrivo dell’autunno ciò avrebbe potuto essere un poco più semplice. Si lavò, pettinò, e vestì in fretta, rispondendo a monosillabi più o meno vivaci alle domande di routine di sua mamma e adducendo come scusa della sua visibile stanchezza solamente il carico di lavoro dell’università. Sapeva benissimo di essere pessima a mentire, ma almeno i suoi genitori le avevano sempre concesso la cortesia di non impuntarsi troppo ad impicciarsi, se vedevano che non era dell’umore giusto.
Solo quando nuovamente la casa fu silenziosa, ogni altro componente della famiglia Midorikawa andato per la propria giornata, Retasu si concesse un sospiro pesante e agguantò il telefono. Era in ogni caso davvero presto, non si sarebbero dovuti trovare al Caffè per minimo un altro paio d’ore, e lei era ben conscia di non essere come Ichigo o Minto: non era capace di tenere il muso, non sarebbe riuscita a concentrarsi se prima non avesse risolto i suoi dubbi.
Riuscì appena a sbloccarlo, però, che il cellulare si mise a ronzarle in mano. Non rispose, ma scese le scale lentamente per andare ad aprire la porta.
Ringraziò che il suo vicinato non fosse particolarmente impiccione, perché l’aria del mattino era parecchio fresca, eppure Pai stava sulla soglia con solo una t-shirt leggera e l’aria da cane bastonato.
« Di solito a quest’ora… » iniziò titubante, e la verde annuì, facendosi da parte per concedergli di entrare.
L’alieno si portò al centro esatto della stanza, l’addestramento militare ben visibile nella posa rigida della spina dorsale, e nuovamente si voltò verso di lei come un imputato davanti al giudice.
« So che vi dobbiamo delle scuse. Ma ciò che più mi preme è chiedere scusa a te. »
La verde sospirò e si strinse il cardigan di cotone attorno al torso: « Pensavo avessimo deciso che… se fosse stato necessario, ci saremmo detti le cose. »
« Non sapevamo se sarebbe successo davvero. »
Si sorprese di se stessa quando gli rispose con uno sbuffo seccato: « Non è continuando a ripeterlo che s’aggiusterà tutto, Pai. »
L’alieno annuì e fece un passo avanti per prenderle le mani: « Lo so. Però ritieni sarebbe stato utile informarvi di una possibilità che, per quanto ne sapevamo, poteva rivelarsi assai remota? Pensi che sareste riuscite a vivere in totale incertezza? Non avremmo saputo in ogni caso se e quando sarebbero arrivati, nessuno dei nostri sistemi è riuscito a intercettarli prima del loro sbarco sulla Terra. »
Retasu si corrucciò, non apprezzando il momento di razionalità che avvertì provenire da quel discorso: « Non è comunque… ci saremmo preparate, avremmo potuto… che ne so, allenarci, riprendere coscienza dei nostri poteri, non… »
« I vostri poteri si sono riattivati solo con il ritorno di Taruto, ricordi? » Pai cercò di incrociare il suo sguardo, abbassando di un tono la voce, « Tre mesi fa. Vi abbiamo dato un anno e mezzo di tranquillità, invece. »
Lei si morse il labbro e scostò le mani, agitandole davanti al volto: « D’accordo, ma… non è comunque un buon motivo per mentirmi per tutto questo tempo! »
Il ragazzo si avvicinò di nuovo e questa volta le accarezzò le guance con i pollici: « Lo so, Retasu. Non c’è nulla che possa cancellare questo fatto, ma vorrei provaste a capire il perché. »
La verde sospirò di nuovo, detestando il fatto che le iridi ametista le sembravano più sincere che mai: « Di chi è stata l’idea? » borbottò.
Pai si meravigliò, ancora una volta, dei dettagli che lei non mancava mai: « Mia. Me ne assumo tutta la responsabilità, come comandante di questa missione. Kisshu, e Taruto soprattutto, avrebbero voluto rivelare almeno in parte delle cose, ma non gliel’ho permesso. »
Lei avvertì un moto di disagio al rigore militare cui lui stesso si sottoponeva e al fatto che il suo discorso le pareva ogni secondo più sensato. Una parte di loro aveva sempre saputo che il loro ruolo di Mew Mew non avrebbe mai potuto essere un evento unico, ma era anche cosciente che non sarebbe riuscita a vivere una vita normale con il minimo sentore di una minaccia incombente. Forse non si sarebbe nemmeno mai lasciata andare come aveva fatto, non le sarebbe parso genuino ma solo forzato dall’angoscia di perdere del tempo, dal vecchio ricordo di un e se? che non avrebbe voluto ripetere.
« Perdonami, Retasu, » insistette lui sottovoce, poggiando la fronte contro la sua, « Il nostro intento non era malevolo. »
In risposta, Retasu si tirò in punta di piedi e gli strinse le braccia al collo, cercando consolazione nel suo abbraccio.
« Non mentirmi più, » gli sussurrò con una punta di convinzione aggiuntiva, e avvertì le mani dell’alieno stringerla più forte.
 
 
 
 
I colori delle pareti del locale sembravano spenti, con l’atmosfera che vi regnava. Quasi tutte le imposte erano serrate, e un cartello con su scritto Chiuso per riparazioni campeggiava davanti al vialetto d’ingresso.
« Ho detto alle altre ragazze che era scoppiata una tubatura in bagno, » spiegò Keiichiro quando Pai e Retasu fecero il loro ingresso, « E che quindi saremo rimasti chiusi per qualche giorno. »
Purin, Taruto, Ichigo e Ryou erano già seduti ad un tavolo nel centro della stanza, l’unico senza sedie rovesciate sopra; una delle poche lampade accese illuminava l’area e si rifletteva tenue sulle tazze di tè che fumavano lente. Bastò un’occhiata alla rossa, che ogni tre secondi controllava Kimberly nel passeggino, perché Retasu capisse che probabilmente aveva dormito meno di tutte.
« Kisshu nii-san è ancora al piano di sopra, » spiegò Purin sottovoce, sforzandosi di fare un sorriso di benvenuto, « Minto nee-san e Zakuro nee-san stanno arrivando. »
« Preparate i tappi per le orecchie, » commentò lugubre Taruto, ricevendo da sotto il tavolo un calcio nello stinco da parte della biondina.
Keiichiro si prodigò a rifornirli di altro tè, caffè, e dolci da colazione nell’attesa, passata in un silenzio interrotto solo dai rumori di cucchiaini e forchette. Dopo cinque minuti, il rumore di tacchi sul selciato annunciò l’arrivo delle ultime due Mew Mew mancanti, e dovette essere percepito da Kisshu stesso, che scese le scale nello stesso momento a passi pesanti.
Fu come se una nuvola ancora più grigia fosse scesa sul Caffè: né Zakuro né Minto dissero una parola, la seconda ignorando totalmente l’alieno dai capelli verdi anche quando questo prese posto a tre sedie da lei fissandola con tanta determinazione da pensare che avrebbe preso fuoco.
« Bene, » Keiichiro si schiarì la gola, « Preferirei che le circostanze fossero differenti, ma abbiamo un po’ di cose di cui parlare. »
« Dillo ai nostri amici, » sibilò Zakuro, lanciando un’occhiata rovente a Pai, che rimase immobile e rigido sulla sua sedia.
Shirogane tossì e si arruffò i capelli, sporgendosi un po’ in avanti: « Abbiamo ottenuto i filmati mostrati al telegiornale e raccolto altri video presi da altre angolazioni. Per il poco che sappiamo, confermiamo che i nostri nuovi ospiti non provengono da qui. E che l’arma di uno di loro pare funzionare ad aria compressa. Mi sembra chiaro che… » prese un gran respiro e guardò Ichigo con la coda dell’occhio, « La squadra Mew Mew deve tornare in azione. »
« Yeee… » Purin si lasciò andare in una flebile esclamazione di allegria che però si spense subito al mancato coinvolgimento delle amiche, così Pai prese la parola:
« Credo sia ormai evidente a tutti che il nostro ritorno qui è anche stato dettato dalla volontà di aiutarvi, ma vorrei reiterare il fatto che siamo completamente dalla vostra parte e che, se necessario, combatteremo insieme a voi. »
« Ma che gentili, » sussurrò velenosa Minto, spezzettando un biscotto in una polverina, « Se necessario, mi parevano decisamente intenzionati. »
Il viola espirò più deciso e continuò: « Non sappiamo molto della tecnologia e dei poteri dei Geoti, ma riteniamo sia possibile supporre che non debbano essere molto diversi dai nostri. Il fatto che usino armi, però, ci fa credere possano non condividere – almeno non tutti – le capacità che noi abbiamo di manipolare la terra, o l’elettricità. Vista la facilità con cui sono scomparsi, parrebbero utilizzare anche loro il teletrasporto. »
« Quindi cosa ne pensate? Sono più o meno forti di voi? » Ichigo parlò solo in quel momento, con voce roca e stanca.
I tre Ikisatashi si scambiarono un’occhiata veloce, e fu sempre il maggiore a rispondere: « Purtroppo non posso rispondere finché non li avremo incontrati dal vivo. »
« Grandioso, » Minto fece schioccare la lingua, « Quindi, fatemi ricapitolare. Il vero motivo per cui siete venuti qui è perché volevate difenderci dall’ennesima invasione dei vostri quasi-compatrioti. E dunque, a rigor di logica, dopo la felice riuscita del vostro piano confidenziale, ve ne ritornerete da dove siete venuti, non avendo davvero più niente da fare. Sempre che non ci sia qualche altro segretuccio in giro. »
All’affermazione acidamente sarcastica della mora, che si poggiò contro lo schienale della sedia a braccia incrociate, sul Caffè scese il gelo. Zakuro e Ichigo si scambiarono un’occhiata di nascosto, notando con chiarezza come Retasu impallidisse e Purin si corrucciasse.
« Non è una cosa che abbiamo mai detto, » scandì lentamente Pai, e la mora fu l’unica che lo schernì irritata:
« Mi sembra appunto quello il problema. »
Si alzò con un potente stridio della sedia contro al pavimento e afferrò cappotto e borsa senza aggiungere altro, voltando i tacchi e marciando verso la porta sul retro; Kisshu reagì con tre secondi di ritardo, scattando dalla sedia rischiando di rovesciarla e quasi correndole dietro.
« Tortorella, aspetta. »
Lei non si degnò nemmeno di dargli un minimo d’attenzione, anche se l’eco dei suoi passi si fece più pesante.
« Hai finito di ignorarmi!? »
Per tutta risposta, la mora aprì la porta con più forza del solito e se la lanciò alle spalle probabilmente in un tentativo di sbattergliela sul naso.
« Minto. Non ho mai inseguito una femmina in vita mia e non ho intenzione di iniziare adesso. »
L’occhiata di spregio e scetticismo che gli lanciò da sopra la spalla lo costrinse ad alzare gli occhi al cielo e sospirare, prima di decidere che fosse giunta l’ora di usare metodi un po’ più approssimativi. Le si teletrasportò davanti, bloccandola, e, prima che lei potesse formulare l’insulto che le si stava formando sulle labbra, l’afferrò per le spalle e spostò entrambi nella camera da letto che condivideva con il fratello.
« Ora mi ascolti. »
« Che razza di modi sono questi?! »
« Quelli a cui mi costringi facendo la testarda cocciuta! »
« Non ti azzardare, » gli sibilò stringendo gli occhi, « Ho tutto il diritto di non volerti ascoltare visto che tanto mi hai sempre riempita di frottole! »
« Questa è una stronzata e lo sai benissimo, » replicò gelido lui, « Solo perché ho dovuto omettere una cosa, non vuol dire che… »
« Oh, no, no, » Minto gli si avvicinò, puntandogli il dito contro, « La sera in cui sono spuntati i marchi, te lo ricordi cosa ti ho chiesto? Ti ho chiesto di giurare che non ne sapevi niente, e tu mi hai raccontato una palla! »
Il verde si limitò a fare una smorfia: « In realtà non ho mentito. Non ho detto di non saperne niente, ho detto che non ti avrei mai messa in pericolo volontariamente. Il che è la verità. »
Ci furono un paio di secondi di silenzio prima che la mora scoppiasse in una risata isterica e si allontanasse, le mani che prudevano dalla voglia di prenderlo a ceffoni: « Mi stai prendendo in giro!? »
« Tortorella, andiamo, se mi lasciassi spiegare… »
« Non c’è niente da spiegare! » strillò lei, sbattendo un piede a terra, per una volta incurante degli amici al piano inferiore, « Non mi hai omesso che… che ti fa schifo la danza o che hai avuto sette fidanzate prima di tornare qui, ma una cosa ben più importante, Kisshu! E non riesci nemmeno a prenderla sul serio ora! »
Tra sé e sé l’alieno pensò che entrambe le proposte gli sarebbero parse altrettanto gravi, visto il caratterino della mora, ma si costrinse a non dire una parola.
« Tu mi dici che… che sei… e poi mi tieni segreto questo! »
« Stai dicendo che non ti fidi, è questo che vuoi dire? »
« Congratulazioni, non pensavo fosse un pensiero così complesso. »
Kisshu inspirò a fondo per riuscire a calmarsi: « Tortorella, per quanto stia sul cazzo pure a me, a volte nella vita devi rispettare degli ordini. E non è stata una mia idea quella di non dirvi niente. »
Minto si corrucciò, una vampa di curiosità negli occhi, e si strinse le braccia al petto: « Che vuoi dire? »
« Era un ordine di Pai, che è ancora un mio stracazzo di superiore, ma l’ordine veniva da ancora più in alto. Cosa pensi, che dopo tutto il casino che abbiamo combinato sia stato così facile convincerli a rimandarci qui? » il verde sbuffò e si passò una mano tra i capelli, « Il Comando Generale ci ha lasciato andare solo dopo molte e ripetute assicurazioni che non avremmo richiesto nessun tipo di aiuto. Ci siamo solo noi a pararvi il culo. È una missione così segreta che neanche esiste. »
Lei computò la frase per qualche istante, poi abbassò la voce: « E credi che questa cosa mi faccia sentire meglio? »
« Che abbiamo rischiato che l’intero governo del nostro pianeta ci mandasse a quel paese per venirvi ad aiutare? Magari un pochetto. »
Ci volle qualche secondo, poi Minto sbuffò sarcastica con una punta di veleno: « Non sei certo tornato per me. »
Kisshu ringhiò sottovoce: « Questo cosa cazzo c’entra ora? »
La mora non rispose, facendo solo spallucce mentre gli occhi le si inumidivano e lei scostava lo sguardo. L’alieno si premette una mano sulla faccia, espirando lentamente. Era perfettamente cosciente di essere testardo, ma quando Minto ci si metteva era come un fiume in piena.
« D’accordo, tortorella, è vero. Ma non vedo come abbia importanza dopo quasi un anno, » approfittò del suo rimanere muta per avvicinarsi e posarle le mani sulla vita, « Soprattutto dopo tutto quello che ti ho detto e che ti ho raccontato della vita su Duuar. »
Lei persistette a tenere il viso aggrottato in una smorfia di rabbia: « Hai dimenticato la cosa più importante. »
« Non credo, » Kisshu scosse la testa e la strinse un po’ più forte quando la percepì cercare di allontanarsi, « La cosa più importante è che ho intenzione di proteggerti, a qualunque costo. »
Minto s’irrigidì sotto i suoi palmi e fece uno strano verso dal naso: « Non ci provare, Ikisatashi, » borbottò contrariata, ma non oppose troppa resistenza quando lui la spinse contro di sé e le poggiò il mento sulla testa.
 
 
 
 
Al piano di sotto, gli altri stavano facendo del loro meglio per ignorare i tonfi e le voci attutite del litigio.
« Secondo me non ne usciamo in fretta. »
Purin si allungò per riempirsi di nuovo il piattino, lanciando uno sguardo verso al soffitto, e Ryou si massaggiò le tempie con forza.
« It just gets better and better… »
Zakuro gli allungò una tazza di caffè nero, poi guardò lei stessa all’insù non appena le voci si attutirono.
« Vado a chiamarli, » decise poco dopo, alzandosi e incamminandosi convinta verso le scale; non dovette fare molti passi, però, perché nello stesso istante Kisshu e Minto riapparvero nella stanza, lei sempre con un cipiglio deciso ma meno pronunciato di prima.
« Se avete finito il vostro teatrino, avremmo altre cose di cui discutere… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, ce ne sarebbe anche per te. »
Non appena si furono tutti riaccomodati, il biondo sospirò e fece un cenno verso Keiichiro, che sollevò una cassetta di metallo da cui penzolava un lucchetto aperto.
« Ikisatashi-san ha ragione nel dire che dovremo cercare di evitare un combattimento. Ma in ogni caso, lo dovete fare nel modo più sicuro, » aprì la scatola, rivelando i cinque fermagli da Mew Mew, « Questi appartengono a voi. »
« Non mi era mancato, » sbuffò ironica Ichigo, allungandosi per afferrarne uno e al tempo stesso passandoci un dito sopra con una punta di malinconia.
Keiichiro le sorrise, poi si frugò in tasca: « C’è anche qualcos’altro, Ichigo-chan… »
Un lampo rosato, uno squittio fortissimo, e poi qualcosa di morbido e peloso che le si schiantò contro la guancia: « Ichigo, Ichigo, pii! »
« Masha! » la rossa agguantò il robottino e continuò a frizionarselo contro il viso, « Tu sì che mi sei mancato davvero! »
« Mancato, mancato, pii! »
Volteggiandole un paio di volte sopra la testa, Masha prese poi a frullare da ciascuna delle ragazze, ricevendo coccole in debito da parecchio tempo.
« Gli abbiamo aggiornato il software e potenziato l’hardware, » commentò intenerito Keiichiro, guardando Purin strusciarsi il robot contro al naso, « Ora dovrebbe essere in grado di trasmettere immagini molto più chiare e in presa diretta, oltre che a registrarle in una memoria espansa. Non sappiamo se i Geoti siano in grado di creare chimeri, ma può ancora catturarli, se necessario. »
Taruto guardò confuso il pupazzetto rosa, che lo ignorò per andare ad appollaiarsi sulla spalla di Ichigo: « Una volta impazziva quando eravamo nei paraggi. »
« Ovviamente l’abbiamo resettato per evitare che allerti della vostra presenza, Taruto-san, » spiegò con un sorriso il moro, « O sarebbe stato controproducente. »
« Amici, pii! »
« Mi sta già più simpatico, l’aggeggio. »
Ichigo lanciò un’occhiataccia a Kisshu quando si sporse per tirargli un po’ la codina, poi sospirò e si scambiò uno sguardo con le amiche: « Che ne dite… facciamo una prova? »
« Sìììì! » Purin scattò su dalla sedia con energia, brandendo in mano il suo ciondolo, « La squadra torna in azione! »
« Teoricamente quella sarebbe la mia battuta. »
« Allora forza, capo! »
Ryou sospirò e guardò velocemente Ichigo, che cercò di sorridergli incoraggiante prima di alzarsi e raggiungere la biondina in mezzo alla sala. Retasu si unì con un timido sorriso, e infine Zakuro quasi trascinò Minto con sé.
L’americano le guardò un altro istante, ricordandosi la prima volta che si erano trovate tutte e cinque dentro al locale, e fece schioccare la lingua con fare ironico: « Squadra Mew Mew… bentornate. »
Fu quasi un richiamo istintivo che fece loro stringere i loro pendagli ed esclamare Metamorfosi! all'unisono; cinque lampi di colori diversi riempirono la stanza, e in pochi secondi le cinque custodi della Terra si ripresentarono agli occhi dei loro vecchi nemici.
« Ehilà, » fischiò Kisshu con malizia e un sorrisetto divertito in volto, « Non me lo ricordavo così divertente questo spettacolino. »
Retasu divenne bordeaux mentre tentava invano di tirare su il bordo superiore del suo costume, decisamente più sfacciato con le forme più adulte, mentre Minto gli lanciò uno sguardo d’astio per il commento inappropriato e Zakuro fece sfrigolare la sua frusta. L’unica che sembrò contenta dell’apprezzamento fu Purin, che continuava a girare sul posto per controllarsi la codina pelosa: 
« Accidenti, mi ero scordata quanto fosse figa! Guarda, Taru-Taru! Non è meravigliosa? »
« Lo prenderò come un complimento, » commentò Ryou al suo posto, notando che il più giovane degli Ikisatashi aveva assunto una strana espressione vacua e, al tempo stesso, non potendo ignorare il sonoro crampo allo stomaco nel rivedere Ichigo interamente in rosa e con gli attributi felini.
« Potevi ingegnarli a essere un po’ più coprenti, però… » borbottò la rossa stessa, il cui costume le pareva un po’ troppo striminzito attorno al seno.
« Io non mi lamento. »
« Tu vuoi morire, Kisshu. »
« Non avete proprio senso dell’umorismo, voi ragazze. »
« Ho due orecchie da lupo che mi spuntano dalla testa perché nuovamente devo combattere un’invasione aliena, » lo gelò Zakuro con un’occhiataccia elettrica, « Non ci trovo molto da ridere. »
Il verde si mosse sulla sedia, a disagio con il malumore della mewlupo: « Siate positive, non è andata così male la prima volta, vi siete trovate pure dei fidanzati. »
« Tu sei ancora in prova, » cinguettò gelida Minto, ricontrollandosi per la terza volte le piume della coda mentre Pai folgorava il fratello con lo sguardo e con una scossa al minimo voltaggio necessario per fargli rizzare i peli sul braccio.
« Ma por… certo che siete crudeli! »
« Kisshu nii-san ha ragione però, » gongolò Purin, avvicinandosi a Taruto – che ancora non aveva fiatato – con un sorriso divertito e facendogli una piroetta davanti, « Allora che ne pensi?! »
« Che sei uno schianto, scimmietta, ecco perché si sta strozzando con la sua stessa saliva, » s’intromise indomito Kisshu per l’ennesima volta, facendo voltare il fratello minore con così tanta furia verso di sé che lo scricchiolio delle vertebre del suo collo fu molto chiaro.
« D’accordo, ci possiamo riconcentrare? » esclamò Shirogane, « Ci sono ancora un paio di dettagli da discutere. »
« Primo fra tutti, un piccolo problema tecnico con il quartier generale, » s’accodò Keiichiro, « Il Caffè era utile a fornirvi una copertura quando eravate più giovani, anche verso le vostre famiglie e i vostri amici, ma ora che siete adulte la situazione è un po’ cambiata, la vostra disponibilità diversa. E la presenza di altre cameriere rende la questione un po’ più… complessa. »
« Facile, liberiamocene, » sentenziò Ichigo, che stava giocherellando con Kimberly per abituarla al fatto che ora sua madre aveva due orecchie da gatto in testa e occhi e capelli di colori diversi, ottenendo un sonoro schiarirsi di gola da parte di Ryou.
« Vorreste forse che tornassimo e prendessimo il loro posto? » domandò gelida Zakuro, e il moro scosse la testa:
« Concordo con Ichigo-chan che sarebbe più adeguato… sollevare Tamiko-san, Kayio-san e Chieko-san dalle loro responsabilità, così da non dover trovare giustificazioni sempre più complesse in caso di necessità improvvise. Pensavamo di lasciare il Caffè chiuso per il prossimo mese o giù di lì, così da poter difendere un poco il dover lasciarle andare, per poi rimpiazzarle con… il personale giusto. »
Voltò appena il viso, con il solito sorriso elegante, verso i tre Ikisatashi. Ci volle qualche secondo, poi Kisshu, nuovamente, parlò per conto degli altri due: « Che cavolo stai dicendo? »
Shirogane replicò con un sorriso maligno: « Chiamalo guadagnarsi l’affitto visto che stai a scrocco da una vita. » (**)
« Senti - ! »
« Credo che sia la strategia giusta, Akasaka-san, » s’intromise Pai, pur non del tutto convinto, « Dopotutto sarebbe solo una copertura. »
« Sì ma il lavoro è reale, » ghignò Purin, sedendosi pesantemente su Taruto e abbracciandogli il collo, « Ah, saremo doppi colleghi, che meraviglia! »
« Non ci si apparta in orario di lavoro, sappilo. »
« Shirogane, ma ti sembra…?! »
Keiichiro rise gentilmente insieme agli altri della faccia sconvolta del giovane alieno, e annuì: « In questa maniera ci sarà più facile gestire qualsiasi emergenza. Ovviamente vi ringraziamo della disponibilità. »
« Sembra più un ricatto. »
« Kisshu, smettila di lamentarti sempre. »
« Faremo arrivare le vostre divise a breve, » aggiunse Ryou con una punta di divertita malignità, « E un mese mi sembra più che sufficiente per imparare il mestiere. »
« Vi insegnerò tutto io! » trillò Purin, scattando in piedi ed afferrando Taruto per un braccio, « Anzi, iniziamo subito, forza! Per prima cosa, il ripiano dei dolci segreti! »
« The what? »
« Purin, c’è ancora da - »
« Sono parecchio interessato, » Kisshu si alzò e la seguì verso la cucina, non mancando prima di lanciare uno sguardo furbo a Minto, « Tortorella, sei sicura che non vuoi tornare pure tu? Non mi dispiacerebbe rivederti con quell’uniforme tutta pizzi. »
« Cammina. »
« Aspettate, prima voglio fare una cosa! »
« Purin, ti prego, scendi dal corrimano. »
 
 
 
 
Nel corridoio filtravano sottili raggi di luce opaca che coloravano il pulviscolo nell’aria di un sottile alone dorato, intensificando la sensazione che quel luogo fosse sospeso in un passato indefinito. A passi lenti, tentando di fare il minimo rumore possibile sopra alle risate che provenivano dal salone, si affrettò verso la stanza principale, avvolta invece da quanta più oscurità possibile. La figurina esile sembrava scomparire tra le coperte, e lui attese qualche secondo sulla soglia per accertarsi che non si fosse riaddormentata.
« Kert mi sembra di buon umore. »
Sorrise dell’ironia e si sedette a bordo del letto, scostando appena il lenzuolo per sfiorare la fronte sudata: « Come stai? »
« Vorrei staccarmi la testa dal collo, » gemette, « Oh, Rui, è tutto così… amplificato qui. »
« Riposati oggi, » la rassicurò, impedendole di protestare, « Non voglio che ti stanchi, non servirebbe a nulla. »
« Lo so, » si voltò e affondò di più il viso contro al cuscino, mugolando piano, « Però mi sento inutile. E un peso. »
« Né l’uno né l’altro. »
« Tuo fratello la pensa diversamente. »
« Come se badassi alle sue opinioni, » rise sottovoce e le baciò la fronte, « Ciò che conta è che tu stia bene. Al resto penseremo poi. »
Il sospiro stanco doveva suonare come una risposta affermativa, ma tradì solamente apprensione.
« Promettimi che starai attento. »
« Quando mai non lo sono stato? »
« Allora promettimi che terrai tuo fratello a bada. »
« Quello è impossibile, » avvertì rumori più decisi dalla fine del corridoio e fece per alzarsi, « Torno più tardi, se ti serve qualcosa avvertimi. »
Gli tenne stretto il polso per baciarlo meglio un altro paio di secondi, provocandogli uno sfarfallio deciso nel petto. Le rimboccò le coperte fin sotto al mento quando si riaccoccolò tra i guanciali, e camminò con altrettanta leggerezza di nuovo verso il salotto, adocchiando i suoi tre compagni accasciati più o meno ordinatamente sui divani di pregiata fattura ma dall’aspetto trasandato.
« Come sta la nostra principessina? »
La nota di acido sarcasmo gli fece scoccare un’occhiataccia che sapeva non avrebbe sortito molto effetto: « Non cominciare, Kert. »
« Mi stavo solo preoccupando, » non c’era neanche un briciolo di sincerità in quella affermazione, detta con un sorrisetto maligno, così decise che fosse meglio ignorarlo del tutto.
« Zaur, qual è lo stato delle planimetrie? »
« Complete al 95 percento. Le fonti energetiche di questo pianeta sono abbastanza obsolete, ci vuole tempo perché i nostri macchinari si ricarichino. »
« Tempo stimato di completamento? »
« Trentacinque minuti. Minuto più, minuto meno. »
 
 
 
 
In silenzio, Retasu, di nuovo in abiti civili, accompagnò Pai lungo le scale del laboratorio, cercando di non sorridere troppo vistosamente. Non poteva non condividere il pensiero di Purin all’idea di lavorare ancor più fianco a fianco con l’alieno, di poter passare ancora più tempo insieme, anche se era cosciente, vista la ruga sulla fronte di lui, che lui non era esattamente della stessa opinione.
« Non è così male, sai, » gli disse divertita, « Se ci riesco io… »
« Tu sei molto più abituata ad avere a che fare con gli umani di me, » replicò secco l’alieno, con un evidente tensione nelle spalle, « E ad essere gentile. »
Retasu non riuscì a contenere la risatina e gli mise una mano sul braccio: « Nemmeno Zakuro-san era particolarmente orientata ai clienti, ma è sopravvissuta. Andrà bene, vedrai. Magari puoi stare alla cassa e lasciare che Kisshu e Taruto si occupino degli ordini. »
« Così che mio fratello possa flirtare con tutte le clienti donne? »
« Solo se Minto-chan non c’è. E poi se fa migliorare il business… »
Pai la guardò, molto poco divertito dal suo spirito, e poi sospirò, soffermandosi davanti alla porta del laboratorio: « Dite ad Akasaka che non ho intenzione di indossare cose ridicole. »
« La mia uniforme non è ridicola! È solo… »
« Corta ed eccessivamente decorata? »
La ragazza non poté obiettare quell’affermazione, ma notò con una certa soddisfazione l’accento sul corta: « Sono sicura che Akasaka-san abbia trovato qualcosa di appropriato anche per voi. »
L’alieno sospirò pesantemente, però allungò una mano per posarla nell’incavo della schiena di lei per tirarla contro di sé: « Tieni Purin e la sua palla lontano da me. »
Retasu ridacchiò e si rilassò contro al suo petto, godendosi quel momento di tenerezza spontanea finché non sobbalzò a causa di un frastuono dal piano di sopra, seguito poi dalla risata sguaiata di Purin e dal pianto disperato di Kimberly. Se possibile, la nube di malumore s’intensificò ancora di più attorno all’alieno, che grugnì esasperato, bramando la porta rinforzata del laboratorio che rendeva la stanza molto più silenziosa.
« Guardate che il tubo rotto è solo una copertura, non dovete sfasciarmi il locale per davvero. »
La voce di Ryou rimbombò dall’inizio delle scale, fin dove accompagnò Ichigo, che cullava la bimba nel tentativo di calmarla.
« Deve mangiare, » illustrò come se fosse palese a Pai mentre scendeva i gradini, lanciandogli al contempo un’occhiataccia.
Retasu si allontanò dall’alieno, le cui dita avevano avuto uno scatto attorno alla sua vita: « In… laboratorio? »
La rossa fece una smorfia disgustata e lo oltrepassò come se niente fosse: « Io in camera di Kisshu non ci vado, non credo la tua sia un’opzione valida. »
L’amica trattenne un’altra risatina, afferrandogli una mano per trascinarlo verso il percorso inverso a quello compiuto pochi minuti prima.
« Vado in stanza, » borbottò Pai, « Ho bisogno di cinque minuti di solitudine. »
Retasu annuì comprensiva e divertita: « Ti porto un tè, d’accordo? » bisbigliò, occhieggiando Minto, di nuovo seduta al tavolo, la cui profonda ruga sulla fronte era visibile fin da lì, « Credo che anche Minto-chan ne abbia bisogno. »
 
 
 
 
« Non potremmo muovere un po’ di più il culo? » un paio di occhi dorati saettò annoiato verso l’altro lato della stanza, « Mi stanno andando in cancrena le gambe. »
« Sei stato tutta mattina in panciolle sul divano, potevi allenarti insieme a noi. »
« Da che parte stai, Pharart!? »
« Da nessuna, Kert. »
« I macchinari non hanno ancora terminato. »
« Non sarebbe la prima volta che andiamo all’avventura! Cosa sarà mai un misero due percento rimanente… quanto siete noiosi. »
« Ricognizione, per ora. Con cautela. Questo è il piano, » gli occhi color del mare incrociarono i fratelli nell’ennesimo tentativo di tenerli a bada, « Abbiamo già avuto abbastanza sorprese durante il primo tentativo, preferirei correre meno rischi possibili. »
« Sono dei primitivi, cosa pensi possa succedere? »
« Vuoi rischiare di essere liberato dai tuoi incarichi fin da subito? »
« Non ti scaldare, fratellino, » lo sbuffo era tutt’altro che sincero, « Stavo solo suggerendo di sbrigarci. »  
L’altro aggrottò appena la fronte per mantenere la calma: « Il registro è stato aggiornato e i dati pronti a essere trasmessi. Zaur, aspettiamo solo la tua conferma per cominciare. Kert, lascio a te la scelta del luogo. »
Un viso dai tratti fin troppo simili ai suoi si colorò con un sorriso beffardo: « Andiamo a fare quattro salti. »
 
 
 
 
Minto sbuffò sonoramente, sfogliando le pagine della larga agenda e verificando le informazioni contro quelle registrate nel cellulare di lavoro di Zakuro. Non che avesse molta voglia di lavorare, in quel momento, ma lo preferiva allo stare con le mani in mano ad aspettare che succedesse qualcosa. Né aveva particolarmente voglia di mischiarsi agli altri, che, come al solito, rumoreggiavano troppo per i suoi gusti; ne capiva il motivo e il senso, ma riteneva che mettere Taruto e Purin a lavorare insieme ufficialmente fosse una pessima idea.
Almeno non sarebbe toccato a lei dover avere a che fare con adolescenti in piene tempeste ormonali.
Alzò gli occhi solo per lanciare un’occhiata alla testa scura che spuntava dalle porte a saloon della cucina, fin troppo contento per la situazione in cui vertevano: le dava estremamente fastidio che a lui sembrasse possibile dimenticare le discussioni – e che discussioni – in cinque nanosecondi e passare alla cosa successiva come se avessero parlato del meteo, star lì a ridersela con Purin e strafogarsi di pasticcini come se non fosse successo nulla.
Sbuffò un’altra volta, fu distratta dal ronzio del cellulare personale di Zakuro, su cui a volte la manager dirottava email o SMS di lavoro per essere sicura che fossero ricevuti. Lo prese quasi in maniera automatica, e la ruga tra le sue sopracciglia si fece più profonda quando lesse chi era il mittente. Cercò però di rimanere abbastanza impassibile quando si avviò verso l’amica, impegnata con Shirogane in una conversazione di cui poteva intuire i toni scontenti, in fondo al corridoio.
« Ti è arrivato un messaggio, » si limitò a esclamare, porgendole il telefono.
Zakuro stessa non tradì nessuna emozione, come al solito, ringraziandola sottovoce mentre leggeva il contenuto del testo e lanciava solo uno sguardo fugace al biondo, che fu abbastanza per far girare la mora sui tacchi per cedere al dirigersi in cucina. Non aveva nemmeno voglia di stare a discutere di ciò che quei due avevano sempre tramato nell’ombra, troppo di malumore per soffermarsi anche sul rapporto che la modella aveva con Shirogane e che – lei lo sapeva – per certi versi era molto più saldo di quello che aveva con lei.
« Minto-chan, la vuoi una tortina alla crema? » l’accolse Purin con la solita allegria (c’era voluto molto a convincerla a sciogliere la trasformazione e farla smettere di appendersi per la coda a ogni improvvisato sostegno), « Sto illustrando il menù a Taru-Taru e al nii-san così sanno cosa aspettarsi. »
« Mi sembravano entrambi molto pronti sulla scelta di portate, » replicò lei piatta, declinando i trigliceridi extra per un bicchiere d’acqua.
« Era necessario un ripassino, » Kisshu si allungò per afferrare una mini crostata di frutta, ma Minto fu più veloce di lui e glielo tolse dalle mani, senza trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia:
« C’è della pesca qui, » lo ammonì come si fa con un bambino, « Gradirei non doverti portare in ospedale, in questo momento. »
Il verde ghignò e la seguì fuori dalla cucina, agguantandola nuovamente per la vita per stringersela contro: « Vedi che mi vuoi ancora bene. »
La mora sentì un deciso pizzicore sulle guance e si guardò attorno, divincolandosi contemporaneamente, per controllare di non essere troppo in bella vista: « Smettila, » sussurrò irritata, « Non è il momento. »
Kisshu allentò la presa ma tenne comunque le dita incrociate dietro la schiena di lei: « Non è neanche il momento di tenermi il broncio. »
Minto fece schioccare la lingua, facendo due passi all’indietro così che fossero ancora più nascosti dal muro: « Non credere di poter essere perdonato tanto facilmente. »
« Per carità, » lui rise, « Però almeno smetti di essere arrabbiata. »
« Lo decido io quando, » sibilò lei, « E comunque non avete ancora risposto alla mia prima domanda. »
Ci volle qualche secondo perché Kisshu capisse a cosa si stesse riferendo, e quando lo fece non riuscì a non sospirare: « Tortorella, lo sai benissimo che non mi aspettavo che questo sarebbe successo, » sottolineò il questo portandola un po’ più vicina nonostante la smorfia che la vide fare, « Forse non posso dire lo stesso dei miei fratelli, ma non è importante. D’accordo, il catalizzatore del nostro ritorno sulla Terra è stata la previsione di un attacco dei Geoti, ma ci stavamo già pensando, e lo sai. Quindi perché mai vorremmo tornare indietro? Ora più che mai? »
Lei si strinse nelle spalle, ben poco decisa nel suo essere stoica: « È casa vostra… »
« Fidati, non è una casa a cui penso con affetto. Non dopo quello che ci hanno fatto passare. »
Minto fece per rispondere, ma fu interrotta dal pianto disperato di Kimberly che s’intensificava ad ogni passo pesante di Ichigo sui gradini.
« Non riesco a farla addormentare, » esclamò stanca, rivolta a Ryou che le stava andando incontro, « E non dire che è perché sente che sono nervosa. »
Il biondo non fiatò, prese la bimba in braccio e iniziò a cullarla piano, sussurrandole all’orecchio per calmarla mentre la rossa cercava ristoro in cucina. Masha le svolazzò subito contro la guancia, facendola ridere, seguito da Zakuro che le mise una mano sulla spalla con tenerezza:
« Tutto okay? »
« Sì, » Ichigo terminò in un sorso un bicchiere pieno d’acqua e sospirò pesantemente, « È solo tutto… troppo in questo momento. »
« Sono d’accordo, » commentò piatta la modella, prima di rivolgerle l’accenno di un sorriso, « L’unica cosa da fare è mantenere la calma. »
« Lo so, nee-san, però… » esalò piano e tentò di scherzare, « Andrà meglio quando Kimberly dormirà un po’ di più. »
Zakuro annuì comprensiva, porgendole l’ultimo dei pasticcini rimasti. Ichigo fece appena in tempo ad ingollarlo che un trillo sommesso s’alzò dal piano inferiore, prima che anche Masha iniziasse a pigolare allarmato:
« Attenzione, attenzione, pii! »
Ichigo sbiancò visibilmente, e anche Purin lasciò cadere il cucchiaio con un rumore sordo nel lavello, mentre Taruto si corrucciò: « Che razza di allarme sarebbe attenzione? »
Ryou marciò in quel momento nella stanza, seguito dagli altri due alieni, Minto e Retasu: « Masha deve ancora calibrare completamente la traccia dei nostri nuovi ospiti. La cosa perfetta sarebbe riuscire ottenere una loro traccia genetica. »
« Meraviglioso. »
« Quindi come… facciamo a sapere esattamente di che si tratta? »
Fu Keiichiro a rispondere a Purin, affrettandosi per le scale del laboratorio con in mano un tablet su cui scorrevano furiosamente colonne di dati: « Sono loro. Il sistema è riuscito a verificare la loro presenza a Shinjuku Gyo-en. »
« È un attacco? »
« Non saprei, » il moro scosse la testa e guardò Ichigo, quasi dispiaciuto, « Però… »
« Però dobbiamo andare, » lei si scambiò uno sguardo con le amiche, « Pronte? »
« Per quanto si possa. »
Le ragazze si trasformarono nuovamente, riempendo la cucina di luce colorata, e Ryou lanciò loro uno sguardo d’ammonimento, soffermandosi un istante di più su Ichigo: « Mi raccomando. Teniamoci in contatto costante attraverso Masha. »
Lei tentò di sorridergli in maniera incoraggiante, seguendo gli altri verso il salone: « Ci vediamo dopo. »
Lo strappo del teletrasporto, e in un battito di ciglia avvertirono l’aria fresca di inizio autunno sulla pelle nuda.
« Così è molto più comodo che dover correre ogni volta! » esclamò MewPurin, cercando di stemperare un po’ la tensione che sentiva provenire dalle sue compagne.
« Non sappiamo dove siano, » replicò Pai secco e a voce bassa, le spalle tese, « Quindi attenzione. L’effetto sorpresa è dalla nostra parte. »
MewIchigo si girò a fissarlo per un istante, socchiudendo gli occhi: « Dobbiamo fare un discorsetto su chi sia il capo, qui. »
Lo sorpassò senza aspettare risposta e aprì la strada lungo il sentiero del parco, nonostante l’angoscia che sentiva ribollirle in petto.
« Ichigo, mi senti? » la voce di Keiichiro le arrivò più nitida che mai dal robottino che svolazzava frenetico accanto a lei, « Sono a circa duecento metri alla vostra sinistra. »
« D’accordo, » quasi d’istinto, fece apparire la sua campanella, stringendola saldamente tra le dita e meravigliandosi un poco di quanto le apparisse familiare.
I suoi geni del gatto Iriomote fremevano in sottofondo, un basso ronzio che le riempiva le vene e le tendeva ogni nervo, spingendola, chiamandola, e rassicurandola al tempo stesso. Le sembrava di poter percepire ogni singolo dettaglio attorno a sé, il rumore dei respiri delle sue compagne, i loro DNA che risuonavano con il suo; la calma di quel parco le sembrava una nota stonata, la metteva ancora di più sull’attenti.
« Non sembra che stiano attaccando, » mormorò MewZakuro, a due passi da lei, i tacchi degli stivali che graffiavano il selciato.
« L’ultima volta non hanno attaccato finché non sono stati provocati, » concordò speranzosa MewRetasu, « Forse non… hanno intenti davvero bellicosi. »
I tre Ikisatashi, a guardare le spalle delle ragazze, si scambiarono un’occhiata dubbiosa, ma Pai intimò ai due fratelli di non proferire parola.
Svoltarono lungo il sentiero, e i sensi di tutte e cinque le Mew Mew iniziarono a formicolare contemporaneamente: i quattro personaggi che avevano visto nel video erano lì, davanti a loro, in carne e ossa.
Le loro fattezze ricordavano decisamente più quelle degli Ikisatashi che degli umani, con la pelle pallida, le orecchie a punta, e i canini più affilati. Ma le armi che portavano in spalla risultavano molto più minacciose di quelle mostrate dai loro vecchi nemici.
Due di loro, notò MewIchigo, si assomigliavano moltissimo, avrebbe giurato che fossero fratelli, anche se fino da dove sostava poteva notare il netto contrasto tra un paio di iridi blu come l’oceano e un altro di un vibrante oro. Gli altri due, invece, non avrebbero potuto essere più dissimili, uno dai chiarissimi capelli biondo scuro che scendevano fino a coprirgli gli occhi verdi, e l’altro con occhi e capigliatura così scuri da sembrare più neri del nero stesso.
« Cosa stanno facendo? » domandò sottovoce MewPurin, e MewIchigo scosse la testa: armi a parte non sembravano minacciosi, stavano confabulando, quello biondo si era piegato per toccare il terreno, forse Retasu non aveva tutti i torti, e…
Senza pensare oltre, prese un respiro profondo e fece qualche passo in avanti, esclamando ad alta voce: « E-ehi voi! Non so che intenzioni avete, ma la Terra non è vostra da prendere! »
« Ehi voi, gattina, ma fai sul serio!? »
Lei ignorò il mormorio irritato di Kisshu e si concentrò sul risultare il più sicura possibile mentre squadrava con intensità i quattro. Essi si girarono con estrema lentezza verso di loro, osservandole con sguardi carichi di curiosità, finché quello biondo – MewMinto notò che aveva arco e frecce legati dietro la schiena – si tirò in piedi e alzò un sopracciglio:
« E voi chi sareste? »
Fu in realtà un rantolo a metà tra l’eccitato e il preoccupato a rispondergli, proveniente da un gruppo di ragazzine che stavano attraversando il parco: « Ma quelle… sono le Mew Mew! »
« Sono tornate! »
« Ma quindi…?! »
MewIchigo poté percepire distintamente il sibilo della parolaccia scandita da Ryou attraverso gli altoparlanti di Masha quando il vociare delle studentesse si propagò confuso anche agli altri presenti nel parco che fino a quel momento non si erano accorti di nulla, e quando tutti i cellulari cominciarono a venire rivolti verso di loro.
« Le che? »
I quattro alieni si scambiarono delle occhiate perplesse, prima che quello dagli occhi dorati – con una zazzera di capelli grigio-azzurri rasati solo da un lato e la corporatura più robusta di tutti – si lanciasse in una risata roca e sguaiata: « Che razza di posto è questo? Prima quei buffi tizi con i copricapi blu, adesso delle… femmine svestite che cercano di fare la voce grossa? »
« Noi siamo le protettrici della Terra, » insistette MewIchigo, i peli della coda che le si rizzarono d’istinto, « E siamo qui per rimandarvi indietro! »
« Rui, mi hanno già annoiato. »
L’alieno dagli occhi blu, che evidentemente rispondeva a quel nome, posò una mano sul braccio dell’altro come a dirgli di fermarsi, mentre scrutava con sorpresa gli altri tre alieni dietro allo strambo gruppetto:
« Mi chiedo piuttosto cosa ci facciano dei Duuariani qui. »
Pai si fece avanti, il ventaglio al fianco ma ben stretto tra le dita: « Duuar è alleato della Terra, ora. L’umanità si è moltiplicata su questo pianeta, appartiene a loro. »
« Idiozie, » sputò l’alieno più grosso, « Il Pianeta Azzurro è della nostra gente di diritto. »
Rui fece un passo avanti, continuando a scrutare i suoi simili: « Abbiamo ricevuto solo sprazzi di comunicazioni da voi. Ci era parso di capire che avevate intentato voi stessi la riconquista della nostra patria primigenia. »
« La storia è un po’ lunga, » ghignò Kisshu, avanzando anche lui, così da porsi leggermente davanti a MewMinto e MewPurin, « Se avete voglia di fare due chiacchiere pacifiche… »
« Non siamo qui per negoziare, » ringhiò riottoso quello grosso, « Soprattutto non con degli evidenti traditori del proprio popolo. »
« Non abbiamo tradito un bel niente, » s’intromise di slancio Taruto, « Duuar e la Terra sono sorelle, e il nostro pianeta - »
« Mi state annoiando, » lo gelò l’altro alieno, voltandosi svogliato verso Rui, « Duaar non c’entra niente, se fosse vero il loro interesse di difendere la Terra avrebbero mandato più di questi tre. »
Rui si scambiò un’occhiata veloce con gli altri due componenti del gruppo, quello dagli occhi neri che annuì impercettibilmente.
« Io sono il colonnello Ikisatashi Pai, » parlò direttamente a Rui, che aveva dedotto essere a comando dalla maniera in cui sembravano sempre rivolgersi a lui, « E sono a capo di questa spedizione - »
« Spedizione! » sbuffò scocciato l’alieno dagli occhi dorati, con un evidente ghigno derisorio, « Siete solo tre possibili disertori. »
« Voi siete solo quattro, » commentò Kisshu con altrettanto astio, i sai che brillarono tra le dita, « Scommettiamo che vi facciamo il culo anche così? »
« Non sai con chi hai a che fare. »
« Vuoi vedere? »
Nuovamente, Rui gesticolò al suo compagno di stare fermo: « Per quale motivo Duuar avrebbe dovuto allearsi con la Terra? Il nostro intero popolo ha sempre voluto ritornare a casa. Ciò che dite non ha senso. »
« Certo che non ce l’ha, » rincarò l’altro, sempre più sferzante, studiando il gruppetto di umane e Duuariani con crescente curiosità, « Te lo dico io cos’è successo, delle belle paia di gambe e dei bei faccini hanno convinto a disertare. Non sarebbe certo la prima volta. Dico bene? »
Il viso di Pai non tradì nessuna emozione, anche se non poté evitare di spostarsi pochi millimetri di più davanti a MewRetasu: « La nostra prima spedizione sulla Terra ci ha portati alla scoperta di una sostanza che ha radicalmente cambiato la situazione su Duuar, causando la rinascita del pianeta stesso. »
Stavolta fu l’alieno biondo a farsi avanti, con gli occhi verdi spalancati di curiosità: « Che stai dicendo? »
« Oh, ma li state ascoltando davvero? » sbuffò quello grosso, « Non siamo qui per farci raccontare favolette! Siamo qui per un motivo ben preciso! »
Gli eventi si susseguirono molto in fretta: una delle ragazzine che ancora stava registrando la scena fu la prima a gridare quando vide l’alieno imbracciare la lunga arma argentata; nello stesso istante, Pai gridò loro di allontanarsi e ingigantì il suo ventaglio così da parare la grossa bolla d’aria che venne sparata verso il loro gruppo. Contemporaneamente, Kisshu e Taruto agguantarono le Mew Mew e balzarono all’indietro per allontanarsi il più possibile, ma nonostante la protezione di Pai l’onda d’urto li investì lo stesso, sbattendoli con violenza contro i tronchi.
« State bene!? »
« Ufff… micetta, pensavo avessi partorito da un bel po’. »
MewIchigo si rialzò con il viso in fiamme e delle foglie tra i capelli, lanciando a Kisshu un’occhiata omicida mentre rispondeva a Shirogane attraverso Masha: « Sì… direi che siamo interi. »
« Che fine hanno fatto? » domandò MewPurin, stordita, guardandosi attorno, e grattandosi un orecchio, che fischiava per il rimbombo di quell’attacco. Il colpo d’aria non era stato abbastanza potente da divellere gli alberi, ma era riuscito comunque a sradicare qualche siepe e a dispergere ovunque pezzi di selciato.
« Sono spariti non appena quel tizio ha sparato, » commentò truce Shirogane, « Masha ha registrato tutto, possiamo esaminare le immagini non appena tornate qui. »
Kisshu tirò in piedi MewMinto e guardò di sfuggita gli umani lì attorno, che MewRetasu aveva raggiunto per assicurarsi che stessero bene, visto che i sassolini del percorso, spinti a tutta velocità, avevano agito da schegge impazzite.
« Ci conviene filare, » commentò, « Mi sa che abbiamo attirato un po’ troppo l’attenzione. »
« Forse se non avessi provocato quello scimmione…! » si lamentò la mora, scrutandosi il braccio che si era graffiato contro la corteccia ruvida.
« Kisshu ha ragione, » tagliò corto MewZakuro, tendendo le orecchie verso il rumore di sirene all’orizzonte, « Meglio andarsene. »
« Questa me la segno. »
« Kisshu, per favore, taci. »
 
 
 
 
« Kert! Quante volte te lo devo dire, non sparare senza un mio ordine! »
L’alieno dagli occhi dorati sbuffò sonoramente e si gettò con poca grazia sul divano consunto: « Quelle pulci fastidiose mi avevano scocciato… avevamo già cianciato abbastanza! »
« Non mi interessa, tu devi aspettare le mie direttive! »
« Non se le tue direttive prendono troppo tempo. »
Quasi volando a raggiungerlo, Rui lo afferrò per il colletto della maglietta, strattonandolo verso l’alto: « Kert… solo perché sei mio fratello… » ansimò d’ira, « Vedi di non oltrepassare il limite. »
Prima che la situazione degenerasse, visto il sorrisetto ironico sul viso dell’alieno di nome Kert, il biondo prese per le spalle Rui, convincendolo a mollare la presa: « Lascialo perdere, non vedi che è tutto agitato perché finalmente l’hanno mandato in una missione importante? E poi lo sai che ancora lo turba dover sottostare agli ordini del suo fratellino. »
« Grazie mille, Pharart, » gracchiò Kert roco.
Rui prese un respiro profondo e squadrò tutti e tre i compagni: « Non stiamo combattendo i nostri fratelli, e l’ultima cosa che può esserci utile è avere Duuar contro di noi. Dobbiamo agire con cautela. »
Il compagno dagli occhi neri annuì e commentò atono: « E dobbiamo ottenere delle informazioni su queste… Mew Mew. »
« Almeno sono un bel panorama. »  
Il comandante ignorò il commento del fratello e si passò una mano tra la frangia azzurra: « È necessario informare il Consiglio di questi sviluppi inaspettati. Fino a una loro risposta, non voglio sentire un fiato. »
Lanciò un’ultima occhiata d’avviso a Kert, e si avviò lungo il corridoio buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Ad esempio, episodio 51, quando Taruto è già… beh, glissiamo xD
 
(**) Grazie Re-Turn! che mi ha dato ispirazione

 

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Capitolo 11
*** Moonlight sonata ***


Chapter Eleven – Moonlight sonata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ryou sospirò e spense il televisore, passandosi la mano libera tra i capelli: « È ufficiale, siete dappertutto. »
« Uuuh, siamo famose! »
« Meglio di no, Purin, » esalò stanca Zakuro, « È già abbastanza complicato così. »
Keiichiro spinse un carrello portavivande fino al tavolo che avevano occupato quella mattina, iniziando a distribuire tè e dolcetti di ristoro.
« Ci siamo già fatte battere dopo i primi dieci minuti, » borbottò Ichigo, di nuovo nei suoi vestiti, controllandosi il graffio sulla coscia, « Non è molto entusiasmante. »
« Ci ha preso alla sprovvista, vecchiaccia, » cercò di consolarla uno scanzonato Taruto, « La prossima volta non ci faremo prendere in giro. »
« Pensavo l’effetto sorpresa fossimo proprio noi… » brontolò Minto, riempendosi una tazza di tè e continuando a controllarsi i capelli per essere sicura di aver tolto ogni traccia di vegetazione e polvere.
« Comunque se ci pensate, siamo fortunate che ogni volta arrivino sempre dei gran gnocchi, » commentò allegra Purin, ricevendo immediatamente un’occhiata rovente da parte di Taruto e quelle più scettiche e scioccate delle amiche, « Che ho detto?! »
« Please… » Ryou si fece cadere su una sedia e si rivolse a Pai, « Ora che li avete incontrati direttamente, possiamo saperne qualcosa di più? »
Il viola sembrò rifletterci un istante, stringendo appena gli occhi: « A capo della squadra sembra esserci il tizio dai capelli azzurri di nome Rui, ma la sua autorità sembra essere messa in discussione dal Geota che ci ha attaccati direttamente… »
« Il buzzurro che sembra un gorilla? » domandò Minto, sorseggiando lentamente, e l’alieno annuì:
« È una testa calda, il che potrebbe anche giocare a nostro favore. Non siamo riusciti a capire i nomi degli altri tre, però. »
« E sui loro poteri? »
Di nuovo, Pai esitò un po’: « Confermo che il… secondo in comando utilizza un qualcosa di simile al vostro bazooka, che emette potenti getti d’aria. Rui portava una spada corta alla cintola, mentre un altro - »
« Quello biondo molto carino, devi stare attento alla concorrenza, capo. »
« - aveva arco e frecce, » concluse il maggiore degli Ikisatashi con un sospiro acido verso Purin, « Non sono stato in grado di percepire nessun tipo di abilità speciale, in loro. »
« Ma? »
« Ma sono forti, » s’intromise Kisshu, poggiandosi allo schienale della sedia, « Non che significhi nulla, sia chiaro. »
Minto lo guardò storto e poi tremò, ripensando a come il suo istinto avesse ruggito a trovarseli davanti: « A me mettono i brividi, » borbottò, « Soprattutto il gorilla. Non mi sembra molto disposto al dialogo. »
« Perché, invece, quello tutto scuro che non ha mai detto una parola? » Ichigo scosse la testa in un turbinio di ciocche carminio, « Lui sì che era inquietante. Sembrava stesse cercando di farmi i raggi X con gli occhi. »
« Dai, secondo me ci stiamo preoccupando troppo, non mi sembrano molto peggio di questi tre qui e il loro capo, » commentò Purin, sporgendosi sul tavolo per afferrare un pasticcino e al tempo stesso accennando agli Ikisatashi, « Anche Pai nii-san era particolarmente inquietante la prima volta che l’abbiamo visto. »
Retasu si concentrò per non strozzarsi con il sorso di tè caldo nel vedere la faccia spiazzata del menzionato, e le espressioni altrettanto confuse degli altri due, e Shirogane sospirò forte, passandosi entrambe le mani tra i capelli:
« Non per turbare l’ottimismo di Purin, ma cerchiamo di non prenderli troppo sotto gamba né di farci prendere troppo dal panico, d’accordo? »
« Dobbiamo essere ottimisti, capo! Ci basta riscaldarci, re-ingranare la marcia, rassodare un po’ i muscoli, e poi vedrete come gli facciamo il culo! »
Minto fece una smorfia al linguaggio della più giovane di loro, posando la tazza ormai vuota sul piattino: « L’unica che deve rassodare qualcosa qui è Ichigo. »
« Scusami!? E poi, ti sembra il momento!? »
« Vi prego. »
Si zittirono entrambe al sospiro esausto di Zakuro, che aveva già iniziato a massaggiarsi le tempie, e Pai ne approfittò per aggiungere: « Purin non ha tutti i torti. Potrebbe essere saggio assicurarci che anche voi riprendiate confidenza con i vostri poteri e con il combattimento. »
Ichigo gemette sottovoce, lanciando un’occhiata disperata ai dolcetti di cui si era già servita un paio di volte, e Ryou le poggiò una mano sul ginocchio con fare attento.
« Per oggi direi che è già abbastanza, » intervenne Keiichiro pacato, « Sono stati due giorni impegnativi in ogni caso, anche senza considerare questo primo incontro. Suggerirei di andare a riposarvi, di assimilare bene la situazione. Noi intanto scendiamo in laboratorio per cercare di studiarli un po’ di più, e per studiare una strategia a mente più fredda. Che ne dite? »
Un vago mormorio d’assenso poco convinto si levò dal tavolo, interrotto solo dal rumore delle ceramiche svuotate che venivano poggiate.
« D’accordo, » con un sospiro, Retasu controllò l’orologio che portava al polso, « Se mi sbrigo, riesco a fare in tempo per la lezione pomeridiana… »
« Vengo con te, » si accodò Zakuro, alzandosi con grazia e abbozzando un mezzo sorriso verso Minto, « Ho qualche telefonata di lavoro da fare e un paio di copioni da recuperare, niente che non possa fare da casa. »
« Onee-sama, sei sicura di voler andare da sola? »
« Me la cavo, Minto, non preoccuparti. E poi mi serve una passeggiata. »
« Mi raccomando, teniamoci in contatto con cellulari e medaglioni, » le ammonì Ichigo, « Alla prima sensazione che ci sia qualcosa che non va, avvertiamoci. »
« Basta che non sia perché ti sono spuntate le orecchie per l’ennesima volta, Momomiya. »
Captando chiaramente il continuo malumore di Minto, per una volta la rossa non controbatté ma si limitò a lanciarle uno sguardo di sbieco mentre si alzavano tutti lentamente dal tavolo, le ragazze scambiandosi un’ultima occhiata d’accordo.
« Forza, voi tre, andiamo di sotto. »
« Senti, biondo, non è che perché adesso fingiamo di lavorare qua che tu puoi darci ordini. »
« Wanna bet, kelp head? »
 
 
 
 
La stanza rimaneva in penombra anche quando direttamente raggiunta dalla luce del sole, e Kert si domandò se non fosse il potere di Zaur a giocare qualche tranello, oltre alle spesse doppie tende di velluto rosso.
Lanciò un’occhiata al compagno d’armi, seduto per terra a gambe incrociate al centro del salone, intento in una delle sue sessioni di meditazione che, diceva, lo aiutavano a tenere in ordine sia la mente che l’energia che gli scorreva nelle vene.
Kert riteneva che fosse più utile ed efficace scaricarli a suon di attività fisica, anche di generi assai differenti, ma non c’era mai stato verso di convincere l’amico ad ascoltarlo. Né Zaur era mai stato capace di convincere lui a tentare di seguire i suoi metodi, fin troppo pacati per i gusti del maggiore dei fratelli Tha, una testa molto più calda di quanto a lui stesso piacesse ammettere.
Forse sarebbe stata la missione sulla Terra proprio la volta buona, si ritrovò a pensare mentre si sfregava un avambraccio, visto quanto gli sembrava che la sua stessa forza reagisse in maniera diversa a quel pianeta. O forse era solo tutta quella finta calma e quell’attesa infinita a renderlo più irrequieto del solito.
« Il Consiglio è stato avvisato degli ultimi sviluppi. »
Sbucato dalla porta principale alle loro spalle, Rui si lasciò cadere accanto a Kert con un sospiro pesante, il volto tirato e più pallido del normale; come sempre, le comunicazioni con il gruppo di undici saggi lo svuotavano di tutte le energie.
« Dovremo raccogliere più informazioni su queste Mew Mew e fare rapporto. Nel frattempo, continueranno i tentativi di comunicare con Duuar per capire cosa ci facciano tre di loro sulla Terra e se ci sono le basi per un… tradimento. »
Pharart, stravaccato sul divano perpendicolare al loro, alzò un sopracciglio: « In base a cosa pensano di stabilirlo? »
« Non lo so, » Rui si sfregò stancamente il viso, « Non è mia abitudine porre domande ai Consiglieri. »
« Già il fatto che si rotolino tra le lenzuola con quelle umane potrebbe essere un motivo valido per dichiararli disertori della patria. »
L’alieno dai capelli biondi spostò lo sguardo incuriosito, questa volta, sul maggiore dei due fratelli: « E tu che ne sai? »
Kert rise rasposo: « Ma non li hai visti? Quanto vuoi scommetterci che è la sola ragione per cui stanno qui? Bisogna solo capire chi con chi. »
Rui alzò gli occhi al cielo, ma non aggiunse altro, troppo esausto per assecondare quei vaneggiamenti.
« Hanno detto una cosa… » riprese Pharart dopo un po’, gli occhi verdi che si concentrarono nel vuoto nel tentativo di ricordare, « Qualcosa su una sostanza in grado di far rinascere un pianeta? »
Kert brontolò indispettito: « Ah, potrebbero dire qualsiasi cosa per distrarci o abbindolarci. La Terra puzza ed è sporchissima, non credo abbiano trovato proprio nulla. »
Zaur aprì svogliatamente un occhio e rilassò appena le spalle: « Abbiamo altri ordini? »
« Il Consiglio vuole deliberare su quale sia l’approccio migliore dato l’imprevisto, » rispose Rui, « Per questo vogliono saperne di più su quelle umane. Dobbiamo attendere una loro decisione prima di riprendere gli attacchi. »
« Seriamente? » Kert gemette esasperato e alzò gli occhi al cielo, « Il Consiglio ti ha dato il ruolo di Comandante, potrebbe anche lasciarti fare il tuo lavoro. »
« Si tratta solo di un paio di giorni, » tentò di placarlo il fratello, « Il tempo di fargli digerire le informazioni e aspettare la loro risposta. Non vuol dire che non faremo niente, nel frattempo, anzi. Voglio più turni di ricognizione, voglio scoprire quanto più possibile su di loro. Soprattutto i punti deboli. Così quando colpiremo… »
L’altro stese un ghignetto divertito: « Ci sarà da divertirsi. »
Pharart annuì, studiando con finta attenzione una crepa che correva lungo il soffitto: « Avremo bisogno dei sistemi di monitoraggio fissi. Kert e io possiamo andarli a prendere. »
« Non sarà facile individuarle, ma nemmeno impossibile, » confermò Zaur, « La presenza dei Duuariani giocherà a nostro favore, è un DNA molto più riconoscibile di quello umano. Soprattutto se Kert ha ragione. »
« Io ho ragione, vuoi scommettere? Cinquanta sheqli. (*) Anzi, cento. »
Gli occhi neri lo ignorarono del tutto: « Non appena arriverà l’ordine, saremo pronti. Dopotutto, abbiamo anche un altro asso nella manica. »
Rui si voltò molto lentamente verso Zaur, cui pure Kert rivolse un sopracciglio poco convinto.
« Non puoi stare dicendo sul serio. »
« Per una volta sono d’accordo con il mio fratellino, » ghignò l’alieno dagli occhi dorati, allungando un pollice verso il corridoio buio dietro di sé, « Soprattutto giudicando dai rumori che provengono dal bagno. »
Il fratello gli lanciò un’occhiata gelida, ma lui stesso – per motivi però diametralmente opposti a quelli di Kert – non poteva ignorare le pessime condizioni in cui verteva Espera da quando erano atterrati sul Pianeta Blu; si concentrò allora solo su Zaur, che fece spallucce.
« È qui, Rui. Tanto vale provarci, e verificare se sia davvero possibile. Prima che arrivi l’ordine diretto dal Consiglio. Lo vedranno sicuramente come un gesto tattico, per non dire degno di fiducia. »
Lui esalò piano tra i denti, gli anni di addestramento militare che si scontravano con le proprie idee e le proprie sensazioni.
« Non senza il suo consenso, » ringhiò infine, « E non finché non sarà in grado di reggersi in piedi. »
Kert alzò di nuovo gli occhi al cielo: « Allora staremo qui per un po’, » bofonchiò poco soddisfatto.
Rui non rispose, ma gli lanciò solo uno sguardo d’avvertimento e si alzò senza aggiungere altro.
 
 
 
 
Tra i banchi più in fondo possibile, Retasu cercò di rendersi ancora più invisibile mentre sbirciava con la coda dell’occhio ai suoi compagni di lezione. Praticamente tutti, chi tra cellulare e chi tra computer, stavano commentando con energia le immagini registrate quella mattina dal gruppetto di ragazze al parco di Shinjuku Gyo-en, che attestavano non solo inequivocabilmente l’arrivo di altri nemici dallo spazio, ma anche il ritorno delle Mew Mew.
Con un gesto quasi meccanico si accertò che la sua camicetta fosse ben chiusa attorno alla gola – un bottone in più del normale – e per un istante desiderò avere almeno un cappello per nascondere i suoi capelli così appariscenti. O almeno che pure i suoi acquisissero il colore della sua forma Mew solo durante la trasformazione, come succedeva a Ichigo e Minto (**). Qualsiasi cosa, pur di permettere che la vera identità della mewfocena non fosse mai, mai e poi mai ricollegata a lei.
Non sarebbe mai stata capace di gestirlo. I suoi genitori avrebbero avuto un infarto. E poi come spiegare che il suo ragazzo proveniva inoltra da un altro pianeta?! No, no, assolutamente no. Non aveva nemmeno detto esplicitamente di averlo, il fidanzato, presentarlo pure come extraterrestre sarebbe stato il colmo!
Le scappò un gemito sottile e si afflosciò ancora di più sulla sedia, infilando il naso tra i suoi appunti. Calma, doveva mantenere la calma; agitarsi non le avrebbe certo fatto bene e apparire sospetta o colpevole era la strategia sbagliata. Dopotutto l’aveva già affrontato ed era andato tutto bene, e dalla sua parte aveva ora il fatto di essere più adulta, più indipendente, non avrebbe dovuto inventarsi tutte le frottole che aveva intrattenuto durante le scuole medie per giustificare ogni assenza, ogni repentino cambio di piani, ogni volta che crollava a letto prima di cena perché fisicamente e mentalmente esausta.
Il ricordo, però, le generò uno scomodo senso di colpa: non sarebbe stato in ogni modo semplice dover mentire per forza alla sua famiglia, quasi come se fosse l’unica opzione disponibile. La faceva stare male, e nemmeno i discorsi sul bene superiore che Keiichiro aveva fatto loro in passato e che sapeva fossero dietro l’angolo riuscivano a cancellare del tutto quella sensazione di star facendo ai suoi genitori una grave mancanza. Ma d’altronde, cosa avrebbe potuto raccontargli? La verità era fuori questione, non avrebbe fatto altro che farli preoccupare all’inverosimile! Erano stati i primi testimoni della sua innata goffaggine e l’avevano incerottata decine di volte per i suoi piccoli incidenti domestici, pensare che si andasse a cacciare in maniera volontaria in veri e propri scontri con nemici sarebbe stata la loro fine!
Calmati, calmati, si ripeté per l’ennesima volta mentre la professoressa entrava in classe e richiamava gli studenti all’ordine, Una cosa alla volta.
Magari poteva incominciare presentando ufficialmente Pai ai suoi per arginare un po’ il problema di dover sempre scegliere un’amica diversa con cui dire di essere o dare risposte così vaghe da risultare palesi. Magari presentandolo esclusivamente come un normale, ordinario, perfino noioso umano con un lavoro assolutamente regolare e una storia di vita insignificante.
Sospirò così forte che la sua frangetta le svolazzò davanti agli occhi al frullo del suo cuore al pensiero di sottoporre l’idea all’alieno, e fu grata della voce monocorde della professoressa che le diede qualcosa di diverso su cui concentrarsi.
 
 
 
 
« Andiamo a casa? »
Ryou si domandò quando, esattamente, l’immagine di una Ichigo imbronciata sull’uscio del laboratorio fosse diventata una di quelle a lui più familiari.
« Mi sta anche venendo sonno. »
Lui rise, digitò un altro paio di volte sulla tastiera e poi si reclinò contro lo schienale della poltrona, voltandola verso di lei: « Però devo continuare a lavorare. »
« Il portatile è fatto apposta per lavorare di fianco a me mentre faccio un pisolino, » ribatté, allungando una mano verso di lui come a dirgli di spicciarsi, « Non hai scuse. »
« Non dire poi che faccio troppo rumore. »
Tiratosi in piedi con un sospiro, Ryou le prese il polso per tirarla a sé e l’abbracciò, nascondendo il viso contro al suo collo: « Non mi mancava vederti combattere. »
« Non è che abbiamo combattuto, » mugugnò lei, sfregando il volto contro di lui, « Ma condivido il sentimento. Però ho voglia di pareggiare, ora. »
Il biondo sbuffò poco divertito però non si spostò: « You’re so sexy with your costume on though. »
« Shirogane! »
« Non posso fare i complimenti a mia moglie? »
Ichigo avvertì le viscere contrarsi di un intenso calore a quelle parole, che risalì fino al petto e poi le infiammò le guance: « Se ti spicci e andiamo a casa magari ne possiamo parlare… »
Ryou rise sottovoce e per un istante la strinse più forte, poi le lasciò un bacio sulla fronte: « Dammi cinque minuti, copio questi dati per Pai e ti raggiungo. Tu raccogli le tue cose. »
La rossa annuì e gli strizzò le dita tra le sue per un secondo, prima di fare dietrofront e risalire le scale con passo pesante. Gli altri si erano già dileguati, Kisshu e Pai verso la loro astronave a fare chissà cosa – aveva da tempo perso la curiosità di andare a sbirciare come fosse davvero – e non voleva invece pensare dove si fossero rinchiusi Taruto e Pai. Poteva solo sentire Keiichiro canticchiare sottovoce in cucina mentre, senza dubbio, si dedicava a uno delle sue deliziose creazioni non per vera necessità, vista la temporanea chiusura del Caffè, ma più per scaricare la tensione di quella giornata che già le sembrava infinita.
Stava faticosamente raggiungendo l’ultimo gradino, quasi tirandosi attaccata al corrimano, quando il cellulare iniziò a vibrarle nella tasca posteriore dei jeans. Lì per lì, il cuore le schizzò in gola mentre si immaginava una delle ragazze di nuovo in pericolo – nonostante il silenzio di tutti i loro sistemi – invece si accigliò quando lesse il nome sul display e il nervosismo la colse per una ragione differente.
Sbrigandosi a salire del tutto le scale e lanciando un’occhiata furtiva a Keiichiro, e al passeggino parcheggiato accanto a lui, s’intrufolò di soppiatto nel bagno dello spogliatoio, rispondendo sottovoce: « Pronto, Aoyama-kun? »
« Ichigo, meno male che hai risposto, » la voce del ragazzo la raggiunse piena di sollievo, « Ho visto il telegiornale, e… sta succedendo di nuovo? »
Lei si morse il labbro mentre si sedeva sulla tazza e si sfregava il viso: « Ecco… sì, diciamo di sì. »
« State tutti bene? »
Non seppe perché continuò a sentirsi così in colpa mentre annuiva, pur conscia che lui non l’avrebbe vista: « Sì, per ora sì. Ci hanno colti alla sprovvista, ma… ce la caveremo. Come sempre. »
Masaya abbozzò a una risata di sostegno, poi sospirò forte: « Io non ho più i miei poteri. Altrimenti avrei… »
Ichigo strinse gli occhi per un istante, cercando di togliersi dalla mente l’immagine del ragazzo che si sovrapponeva a qualcuno a lui così simile, eppure totalmente opposto, e si mischiava ancora a quella di lunghi capelli dorati e un pastrano blu: « Grazie, Aoyama-kun. Gli Ikisatashi sono… davvero dalla nostra parte questa volta. Andrà tutto bene. »
« Mi raccomando, Ichigo. Se posso fare qualsiasi cosa - »
« Stai al sicuro, Aoyama-kun. È la cosa più importante. »
« Anche voi, mi raccomando. E buona fortuna. »
Rimase seduta sul water per un minuto buono non appena la telefonata terminò, a torturarsi una ciocca di capelli senza un reale motivo. Se anche Masaya era sembrato così preoccupato, nonostante tutto ciò che avevano passato – che lui e lei avevano passato – forse cercare di sentirsi ottimisti non era la scelta giusta…
« Ichigo, ci sei? »
Scattò come una molla quando la voce di Ryou la raggiunse, trafficando per infilare di nuovo il cellulare in tasca.
« Eccomi! » tossicchiò e quasi si lanciò fuori, cercando di mantenere l’espressione più neutrale possibile quando incontrò il viso del biondo fuori dalla soglia, « Possiamo and – ah, no, devo fare… »
Shirogane alzò un sopracciglio confuso: « Sei appena uscita dal bagno. »
« Sì ma stavo… lascia perdere, torno subito! »
Lui rimase perplesso quando la porta gli si richiuse in faccia, poi sospirò e scosse la testa verso Kimberly, tranquilla e allegra nel suo passeggino: « Just so you know, your mom’s weird. »
 
 
 
 
Seduta al centro della stanzetta d’allenamento allestita all’ultimo piano di casa, Minto rovesciò il contenuto del borsone da danza, sparpagliandone i vari pezzi sul legno, per riordinare in vista della lezione alle bambine che – cascasse il mondo – avrebbe tenuto il pomeriggio seguente. Iniziò a piegare accuratamente i vari body, leggings, e top, dividendoli tra quelli che avrebbe indossato nei giorni successivi, quelli da lavare per far sì che non si rovinassero, quelli che ormai non la convincevano più e che avrebbero potuto essere aggiunti al cassetto dedicato del suo armadio.
Era un’azione che la rilassava, poter sistemare in quella maniera, annusare nuovamente il profumo familiare della lycra e del cotone, ristabilirsi nel suo elemento. Pur non usandole mai con le bimbe, si portava ancora dietro il sacchetto a rete con dentro tutte le ultime punte che aveva utilizzato, e si prese del tempo per esaminare anch’esse e decidere se – davvero – un paio fosse ormai troppo usurato per conservarlo.
Sfiorò con estrema tenerezza il paio decisamente consumato che sapeva appartenere al suo ultimo spettacolo ufficiale; era solita infatti distruggere le scarpette selezionate per una performance durante questa e partire subito con un paio semi-nuovo per lo show successivo, ma di alcune proprio non riusciva a disfarsene, per quanto inutilizzabili fossero la componente emotiva era fin troppo importante pure per lei. Conservava il primo vero paio di mezze punte, ormai sbiadite e logore, dentro una scatola chiusa da un fiocco e riposta al sicuro sul ripiano più alto della cabina armadio, figurarsi se non avrebbe tenuto ogni singolo paio di punte che rappresentavano qualcosa di significativo.
Il sussurro del teletrasporto le arrivò alle orecchie e lei lanciò solo uno sguardo verso la grande parete di specchi per assicurarsi che i suoi sensi non l’avessero tradita.
« Sarebbe meglio non comparire all’improvviso, ora. »
Kisshu sbuffò e la circumnavigò, scrutandola con un ghigno divertito: « Ti stai nascondendo? »
« Tanto mi trovi sempre. »
Quasi incredibilmente, gli rivolse un sorrisetto sincero mentre lui si lasciava cadere con uno sbuffo sul pavimento, a gambe divaricate: le afferrò poi il polpaccio destro, la tirò a sé – sordo alle sue proteste sul fatto che le sue cosce nude sfregarono il pavimento – e approfittò della sua elasticità per posarle la caviglia della stessa gamba sulla spalla per averla il più vicino possibile.
Minto lo guardò sollevando semplicemente un sopracciglio, e lui intrecciò le dita sull’incavo della sua schiena:
« Preferivi stare da sola? »
« Da quando in qua è un’opzione che ti interessa davvero? »
« E da quando in qua rispondi a una domanda con un’altra domanda? »
La mora sbuffò senza poter fermare un sorriso alla sua espressione irriverente, aggiustandosi un po’ di più contro di lui.
« No, in ogni caso, » mormorò, « Non è decisamente il momento. Anzi, sono preoccupata per la onee-sama. »
Kisshu giocherellò con uno dei boccoli che ormai le arrivavano al seno: « Mi preoccuperei di più per chi si possa mai mettersi in testa di trovarsi faccia a faccia con lei. »
« Sciocco, » lo ammonì subito, « Non è il caso di scherzare su queste cose. Non siamo… preparate. Non lo eravamo nemmeno la prima volta, però… »
Lui aumentò un poco la presa: « Dici per oggi, tortorella? Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a mostrargli chi è che comanda. »
Minto sbuffò e lo guardò un po’ storto: « Appunto. »
« Meglio, non sanno ancora cosa gli aspetta, » vedendo che i suoi tentativi di umorismo – come al solito – non parevano convincere la mewbird, l’alieno poggiò la fronte contro la sua, « Dico sul serio. Essere sottovalutati può rilevarsi estremamente efficace. Anche noi all’inizio non vi avevamo dato un centesimo, con quelle gonnelle troppo corte e troppo colorate, eppure guarda com’è andata a finire. »
La mora gli rivolse un’occhiata un po’ scioccata e indispettita che sottintendeva chiaramente un non me lo ricordare, per favore, poi abbassò la testa e borbottò: « Continua a non piacermi per niente. »
« Io qualche cazzotto a quelli là lo do volentieri. Però preferirei non ci andassi di mezzo tu. »
Lei non rispose, esalando solo tra i denti, e dopo un po’ Kisshu le tirò un po’ più dispettoso una ciocca di capelli, cercando di incrociare il suo sguardo: « Sei ancora arrabbiata con me? »
« Sì, » Minto rispose un po’ troppo velocemente e con un po’ troppa poca convinzione, ma lui fu abbastanza furbo da nascondere il ghignetto divertito, « E vedi bene di non fare il deficiente con tutte le clienti del Caffè. »
Lui le picchiettò la fronte con l’indice: « Lieto che sia questa la tua preoccupazione principale al momento, tortorella. »
La mora sbuffò ancora e tolse la gamba dalla sua spalla per passargliele sotto le braccia e raggomitolarsi un po’ di più contro di lui, incastrando la testa sotto alla sua gola così da non guardarlo in faccia: « Resti a cena? »
Kisshu ghignò e continuò ad accarezzarle i capelli: « Solo se me lo chiedi a voce più alta, che non ti fa male. »
« Cretino. »
 
 
 
 
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Pai esalò per l’ennesima volta e si massaggiò le tempie con i polpastrelli, premendo quanto più forte possibile. Non importava quanti radar avesse installato, con quanti parametri differenti, connettendo anche i pendagli delle ragazze e ogni singolo sistema disponibile tra lui e Shirogane: gli alieni proveniente da Gaia sembravano introvabili.
E il fatto di non essere sicuro al cento per cento che le loro posizioni fossero altrettanto nascoste ai loro nemici non faceva altro che peggiorare la situazione.
Non riusciva a capire come la tecnologia geota fosse così tanto più avanzata della loro, che già superava quella di Shirogane, che a sua volta era molto più precisa di quella umana per quanto riguardasse la vita extraterrestre. Già non essere riusciti a captare il loro arrivo era una macchia indelebile sulla sua coscienza, ma nemmeno riuscire a trovarli ora che si trovavano fisicamente a Tokyo…
Aveva anche tentato di controllare l’intera atmosfera terrestre, ovviamente, e quanto più possibile nello spazio attorno ad essa. In più, i sistemi di Duuar erano in grado di percepire dimensioni parallele come quelle che creavano lui e i suoi fratelli, e, anche se erano passati millenni da quando il loro popolo si era diviso, non riteneva che i poteri dei loro antichi cugini fossero così dissimili dai loro.
Imprecò di nuovo tra i denti e si costrinse a pensare al minimo dettaglio che avesse potuto scordarsi. Ci doveva essere qualcosa nell’etere, una vibrazione, un’anomalia che portasse almeno un indizio di forme di vita differenti. E lui doveva trovarlo.
« Sento puzza di bruciato e direi che è il tuo cervello. »
Pai utilizzò tutto l’autocontrollo addestrato negli anni per non friggere Kisshu lì sul posto ma limitarsi a grugnirgli contro in una maniera che faceva ben intendere che il sarcasmo era ben poco apprezzato. Il fratello di mezzo, ovviamente, sembrò non prenderlo abbastanza sul serio.
« Confermo che i registri della nave non hanno rilevato nulla per l’ennesima volta, solo quando i nostri nuovi amici si sono palesati al parco, » esclamò, gettando con inesistente grazia un dischetto rotondo davanti a Pai, « Ma hanno annotato qualche dato biometrico che potrebbe essere interessante. »
Il maggiore chiuse le dita attorno allo spazio di memoria esterno: « Non riesco a capire come sia possibile. Dovrebbe essere la migliore tecnologia che abbiamo. »
Kisshu si strinse nelle spalle: « Noi siamo molto più avanzati degli umani. Potrebbe essere successa la stessa cosa con i geoti. »
« Grazie, » sibilò il maggiore a denti stretti, « Un approfondimento davvero pioneristico. »
Il fratello gli rivolse un’occhiata irritata: « Sbatterci la testa contro non è utile. Sarebbe meglio ti concentrassi su come batterli. »
« Localizzarli è altrettanto importante, » insistette Pai, « Non sappiamo nemmeno se loro siano in grado di trovare noi, e vista la situazione non sarei così tranquillo. »
« Taruto ha innalzato una barriera attorno tutto al Caffè(***). Possono pure trovarci, ma i danni che possono provocare sono limitati. »
« E ogni abitazione? »
Kisshu sospirò, grattandosi la testa e chiudendo gli occhi per un istante: « Senti, se questo è il meglio che possiamo fare, per ora accontentiamoci, giusto? Le ragazze non sono delle sprovvedute, e a parte per Ichigo e Zakuro, direi che c’è sempre uno di noi con loro. E ci vogliono letteralmente cinque secondi per avvertirci e raggiungerle, in caso. »
Pai emise solo un grugnito che parve fungere da scettica accettazione delle parole dell’altro, sempre poco incline a dargli ragione.
« Non è la situazione ottimale. »
« Quando mai lo è stata? »
Il ghignetto sarcastico del verde non alleviò certo il suo malumore, però si sfregò la faccia e rifletté qualche secondo prima di ordinare spiccio: « Le Mew Mew possono comunicare tra di loro attraverso i loro pendagli, ma è meglio dotare ognuna anche di un nostro connettore così che possano raggiungerci più facilmente. Non mi fido di quegli aggeggi umani, il loro campo non è così stabile. »
« Sissignore, » la risposta di Kisshu fu un po’ troppo divertita, « Dovremmo averne abbastanza sulla nave. Altrimenti dovrai sfruttare ancora un po’ quel tuo potente cranio. »
Pai lo trucidò con lo sguardo, e Kisshu scivolò via con un sorriso prima che potesse infilzare uno o due ghiaccioli in punti poco piacevoli.
 
 
 
 
« Trovate. »
La voce bassa di Zaur non tradì molta emozione in quel pomeriggio per loro assurdamente afoso, ma riuscì invece a scatenare l’interesse dei compagni, che si alzarono per raggiungerlo nell’angolo più fresco del salone, dove sostava davanti a un largo monitor che pareva galleggiare nel nulla.
« Dopo solo tre giorni, magnifico, » commentò sarcastico Kert, sbirciando da sopra la spalla del compagno, « Sarà una missione molto breve. »
L’alieno dagli occhi neri picchiettò leggero sul monitor e l’immagine di una strana costruzione di colore rosa comparve in tre dimensioni davanti a loro.
« Cosa…. Sarebbe? »
La domanda di Pharart rimase sospesa per qualche secondo mentre Zaur corrugava la fronte e zoomava di più sul locale.
« Sei sicuro che siano le coordinate giuste? »
« La loro traccia biometrica porta esattamente qui, » rispose laconico, « Sono sicuro. »
Il biondo alzò una mano come a scusarsi, e in silenzio osservarono l’immagine in diretta che roteava di trecentosessanta gradi.
« Riesci a farci vedere l’interno? »
Zaur scosse la testa alla domanda di Rui: « Non del tutto, ma posso fare… così. »
Il Caffè rimase visibile nella sua interezza, ma tre ombre scure apparvero sovraimpresse su quello che sembrava il piano inferiore; anche con i contorni leggermente sbiaditi, i geoti riconobbero le sagome dei loro antichi compatrioti.
« Questo è il punto in cui convergono maggiormente le singole tracce e per la maggiore quantità. I livelli dei Duuariani sono molto più alti di quelli delle umane, » Zaur picchiettò con l’indice su una stringa di dati in alto a sinistra, « Il loro quartier generale. »
Rui studiò la scena, imprimendosi bene in mente la struttura di quella costruzione così bizzarra.
« Questo posto sta diventando sempre più strano. »
« Ehi, guarda lì. »
Pharart attirò la loro attenzione nell’angolo in basso a destra del video, in cui era comparsa l’umana dai lunghi capelli biondi. Kert fece una smorfia al contempo stupita e confusa: « È… diversa da come l’abbiamo vista noi. »
Con un paio di rapidi ticchettii, Zaur fece spuntare un’immagine presa dal loro ultimo scontro con le Mew Mew, accostandola al video in diretta.
« Non devono essere semplici umane, » Rui scosse la testa, stringendo gli occhi, « Non so se i Duuariani abbiano qualcosa a che vedere con tutto ciò, ma voglio una sorveglianza costante su questo posto. Studiate i loro movimenti, scoprite dove vanno, cosa fanno, in quali altri luoghi si incontrano. E perché diamine hanno delle orecchie animali che gli spuntano dalla testa. »
« Un aspetto che donerebbe a Kert. Soprattutto la coda. »
« Ah-ah-ah. »
« Non ti si può dar torto, Pharart, » una voce divertita, ma fioca, li raggiunse dalla soglia alle loro spalle.
Kert si rabbuiò all’istante, soffocando un ringhio, mentre Rui sorrise e si avviò verso la nuova arrivata, porgendole la mano: « Pensavo fossi a letto. »
« Sì, ma mi stavo annoiando e ho sentito che avete fatto scoperte interessanti, così vi ho raggiunti. »
« Come stai? »
Lei sorrise grata a Pharart: « Meglio, grazie. Io e Zaur stiamo testando delle calibrazioni che possano aiutare. Mi dispiace causarvi così tanti inconvenienti. »
« Figurati, principessina, » la prese in giro Kert con malcelato astio, « La tua presenza qui non è che fonte di gioia. »
Rui lo incenerì con lo sguardo, ma la risata cristallina dell’aliena dal viso tondo e stanco, incorniciato da una folta frangetta nera, gli fece capire che, come al solito, lei non avrebbe dato troppo peso alla battutina gratuita: « Ti ringrazio delle parole gentili, Kert. Ma potresti anche chiamarmi con il mio nome. »
« Cerco solo di renderti onore, Espera(****). »
Espera sorrise divertita, sfiorando con leggerezza il dorso della mano di Rui come a tranquillizzarlo, poi stese il collo fino a sbirciare il monitor sospeso nell’aria.
« Le avete identificate? »
« Il loro principale ritrovo, sì, » ricapitolò Rui, poggiandole una mano sull’incavo della schiena, « Ma ci sono ancora abbastanza incognite su di loro. »
La ragazza corrugò la fronte nell’osservare la figurina dai capelli color miele che entrava e usciva da una porta: « Sembra… così giovane. »
« Meglio così, » commentò roco Kert con soddisfazione, « Sarà più facile metterle fuori gioco e completare questa missione al più presto. Scommetto che la nostra inaspettata ospite non veda l’ora di tornare a casa. »
Questa volta, gli occhi blu scuro di Espera lo guardarono con una punta di fastidio: « Non attribuirmi parole che non ho mai detto. »
« Vuoi forse rispondere che, però, non sia vero? »
Lei lo scrutò per un’altra manciata di secondi, prima di sorridere: « È merito tuo se abbiamo trovato questa elegante casa abbandonata da utilizzare come nostro alloggio, Kert. Non posso certo lamentarmi, non ci manca nulla. »
Lo sguardo dorato brillò di fastidio prima che l’alieno grugnisse scontroso, e Zaur ne approfittò per domandare: « Come vuoi procedere? »
« Almeno ventiquattro ore di sorveglianza prima di un eventuale attacco. Così da avere dati sufficienti da condividere anche con il Consiglio. »
Kert si schiarì la gola, e un sorrisetto maligno si ridipinse sulle sue labbra: « E dell’altro pezzo del piano cosa ne pensiamo? »
Espera, se possibile, impallidì ancora di più mentre Rui, con un guizzo della mascella, sibilò tra i denti: « Non è da discutere qui. »
« Mi dispiace, fratellino, ma non sono d’accordo, » insistette lui, « Siamo qui apposta, stiamo discutendo la strategia. E tra cinque giorni… »
« Kert. »
« Lo sai che ho ragione. »
Il fratello, come al solito, lo squadrò con astio e impazienza, poi mosse il mento verso il monitor di Zaur mentre poggiava di nuovo la mano sulla schiena di Espera: « Monitorate e datemi tutte le informazioni più importanti. Zaur, affido a te il compito di scrivere un rapporto per il Consiglio. Lo invieremo domani. »
Non attese risposta mentre guidava elegantemente la ragazza fuori dal salone e lungo il corridoio buio fino alla camera da letto che condividevano. Non era certo il posto più formale in cui parlare di attività ufficiali legate alla loro missione, ma non sarebbe mai riuscito a trattarla del tutto come un membro effettivo di quella squadra.
Non come tutti gli altri, almeno.
« Sapevamo che sarebbe successo, » mormorò lei a mezza voce, cercando di suonare spensierata.
Rui si fermò nel centro della stanza e le prese il volto tra le mani: « Sì, ma non voglio forzarti. E l’ordine del Consiglio non è ancora arrivato. »
Espera gli strinse le dita e abbozzò un sorriso: « Scommetto che sappiamo entrambi a volte sia meglio non doverli aspettare. »
« La mia bellissima figlia della Notte, » lui poggiò la fronte contro la sua, « Dovremo vedere se questo nomignolo significa davvero qualcosa. »
« Bellissima? »
Il ragazzo sbuffò: « Di quello non devi dubitare. »
Lei ridacchiò e poi si morse il labbro: « Allora… tra cinque giorni? »
Le dita di Rui si strinsero appena contro al suo viso: « Non devi farlo obbligatoriamente. Sarebbe solo la prima Luna piena sulla Terra, e non abbiamo ancora combattuto come si deve contro le umane. Non succederebbe nulla se per questa volta… »
Espera fece schioccare la lingua e scosse la frangia: « Vorrebbe dire aspettare un altro mese per provarci. Non ha molto senso, rischieremmo di perdere un’occasione e di irritare il Consiglio. Mi hanno messo sull’astronave apposta, no? Se la profezia è vera... »
« Ripeto, avrei preferito che non fosse una sorpresa, » Rui insistette a tenerla ferma, « Solo se te la senti. Se non stai bene, se per caso… tu rimani qui. »
« Starò bene, » lo rassicurò convinta, il sorriso un po’ più sicuro, « Lo prometto. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
« Where are you? »
Zakuro, in piedi davanti alla larga porta finestra della camera da letto, si guardò sopra la spalla con l’accenno di un sorriso: « I’m right here. »
« No, you’re not. »
Lei fece una smorfia e ritornò a guardare fuori verso le molteplici luci notturne della città: « Non mi piace non sapere le cose, » mormorò piatta, stringendosi le braccia nude, « Non mi piace non capire. »
Il silenzio che le rispose, rotto solo da un fruscio leggero di lenzuola, la fece continuare sottovoce, sempre in inglese: « Non conosciamo ancora bene i nostri nemici, che non si fanno vedere né sentire da quasi una settimana. Non riesco a decidermi se sia una cosa positiva o negativa; forse ci stanno studiando e sanno dove colpirci, a differenza nostra; forse anche loro ci stanno mettendo così tanto perché presi alla sprovvista. Ma l’attesa mi innervosisce. »
« Thought I’d relaxed ya. »
Si voltò finalmente del tutto verso Joel, nascondendo un sorriso sotto il guizzo di un sopracciglio, ma non aggiunse altro; chiuse le tende, desiderosa di quanto più buio possibile, e si infilò di nuovo nel letto, poggiando la schiena contro la spalliera.
« Davvero non hai mai fatto domande a Shirogane quando ti ha coinvolto nel progetto? »
« Perché avrei dovuto? Paga bene. »
Zakuro sbuffò, e sotto lo sguardo zaffiro il texano si voltò su un fianco, issandosi su un gomito: « Sono un medico specializzato in genetica. Era l’occasione della vita. »
La modella batté le palpebre, rispondendo con un secondo di ritardo: « Un esperimento per cui non avresti mai potuto raccogliere gloria, però. »
« Non ho studiato medicina per la gloria, » rimbeccò lui, « Il DNA di animali in via d’estinzione vi regala superpoteri che aumentano la prestanza e la resistenza del vostro fisico. Ti sei mai chiesta come potrebbe essere possibile applicare una versione edulcorata di questa scoperta per combattere malattie neurodegenerative? O patologie per cui ancora non abbiamo trovato una cura? »
L’istinto del lupo della ragazza quasi le fece digrignare i denti: « Non siamo cavie da laboratorio. »
« Non ho detto questo, » Joel allungò un braccio per sfiorarle una gamba, « Non sto studiando voi. E neanche il vostro DNA direttamente. Però le ricerche di Shirogane in generale possono essere utili a più scopi. »
Zakuro scostò il viso solo per non fargli notare che stesso considerando che lui potesse aver ragione. Nessuna di loro si era effettivamente mai chiesta con esattezza in cosa consistessero gli studi condotti dai vari laboratori di Ryou e Keiichiro in giro per il mondo o dalle varie collaborazioni con altre aziende internazionali. Né avevano mai dubitato che le intenzioni dei due scienziati fossero altro che ottime. Al tempo stesso, non le piaceva che le fosse ricordato sempre, con estrema facilità, quanto la sua vita avesse preso una svolta non pianificata e così assurda; come fossero state trasformate in mutanti in nome del bene superiore.
« Il colpevole è sempre Shirogane, » scherzò sottovoce Joel, intuendo il suo malumore, « Io non c’entro niente con chi ha scelto, sono arrivato dopo. »
Zakuro non si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo: « Lui dice sempre che è stata la Terra a sceglierci. »
« Non l’avrei mai preso per uno così romantico. »
« Ass licker, you mean. »
L’americano rise e si girò meglio su un fianco: « Posso portarti, lo sai. A vedere cosa faccio. Il laboratorio a Sunnyvale(*****) è particolarmente delizioso, in primavera. »
Lei inclinò appena il capo, sollevando un sopracciglio: « Chi mi assicura non sia una trappola per rubare i segreti del mio DNA? »
La risata roca rimbombò nella stanza buia in risposta al suo sarcasmo: « I got you where I want right here. »
 
 
 
 
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Ichigo esalò e chiuse gli occhi, poggiando la testa contro lo schienale della sedia a dondolo mentre continuava a dare colpetti leggeri sulla schiena di Kimberly. Sperava solo che la bimba decidesse di dormire un po’ più a lungo del solito, almeno per quella sera. Le sarebbe bastata solo una sera.
Era così stanca che le pareva di sentire il rumore delle ossa che cigolavano sotto il peso di tutto quello che stava succedendo. Sfiorò con le labbra la testa della figlia e ne inspirò il profumo che riusciva sempre a calmarla.
La casa era silenziosa, Ryou era di nuovo rintanato nel laboratorio del Caffè a distruggersi il cervello cercando di scoprire quanto più possibile sui loro nemici. Ichigo sospirò piano e continuò a dondolarsi; lui non l’avrebbe mai ammesso, ma lei sospettava che in qualche maniera l’americano si sentisse in colpa per quanto accaduto mesi prima, per non essersi reso conto della riattivazione dei loro poteri o della nuova minaccia incombente – nonostante nemmeno i raffinatissimi strumenti degli Ikisatashi avessero dato molti frutti – e stesse quindi cercando una sorta di espiazione lavorando a ritmo più serrato che mai. Con lui, ovviamente, i tre alieni loro alleati; quella sorta di stasi in cui erano caduti da una settimana a quella parte aveva reso tutti attenti al più minuscolo dettaglio, alla ricerca di una qualsiasi risposta.
Era conscia che, almeno per Ryou e per Pai, fosse una risposta naturale per mantenere la calma e avere l’impressione, per quanto falsata, che la situazione fosse sotto controllo; ma per lei era come avere il cuore in un costante frullatore, e la modalità protettiva in cui erano scattati i ragazzi le era tutt’altro che di conforto.
Non che poi fosse effettivamente sicura di cosa volesse.
Sospirò di nuovo e si accomodò meglio contro la poltrona, canticchiando una ninna nanna a mezza voce mentre controllava che Kimberly si stesse effettivamente addormentando, scivolando in un sonnellino a sua volta quasi senza rendersene conto.
 
 
 
 
« Cazzo! »
« Purin! »
« Scusa, capo, » la biondina lo guardò con aria afflitta e si succhiò il pollice ferito, « Mi sono distratta. »
Ryou sospirò e le si inginocchiò accanto per aiutarla a raccogliere la moltitudine di forchette sparse per terra.
« Ti sei fatta male? »
« No, solo nell’onore. »
Lui esalò una risata: « Che ci fai ancora qui? »
Purin sistemò con molta cura le posate e fece spallucce: « Taru-Taru è giù con te e Kisshu nii-san. Non avevo voglia di stare a casa da sola, ho i nervi a fior di pelle con questa attesa. »
L’americano non poteva certo biasimarla, visto che stava cominciando ad avvertire una certa vibrazione nelle vene ed era comunque salito in cucina per l’ennesima tazza di caffè.
« E i tuoi fratelli? »
Lei fece una smorfia divertita: « Fuori con gli amici. Quando mio papà non c’è hanno la tendenza a svanire. »
« Per fortuna che non hanno una sorella che si preoccupa troppo. »
« E cosa gli potrei dire? Ciao, io a undici anni già combattevo i mostri, mi raccomando tornate entro mezzanotte? »
Ryou rise di nuovo e le arruffò i capelli mentre la superava per avvicinarsi alla macchina del caffè all’americana.
« Avete fame, di sotto? »
« C’è Kisshu, di sotto. »
Purin rise e infilò la testa nel frigo: « Con questa storia della finta ristrutturazione stiamo cominciando ad avere poche provviste. »
« La dispensa è piena! »
« Sì, ma Keiichiro nii-san non ci lascia più gli avanzi della giornata. »
« I don’t even know where you put all the stuff you eat… »
 
 
 
 
Si risvegliò di scatto quando il suo istinto le vibrò nelle orecchie, avvertendola che c’era troppa calma, troppa pace.
Si era fatta sera inoltrata, Kimberly era sempre stretta al suo petto e dormiva beata; Ichigo si alzò con cautela dalla sedia a dondolo e cercò il cellulare nella penombra, tastando con la mano libera. Erano solo le nove, eppure le sembrava molto più tardi. Si sorprese quando si rese conto di non essersi nemmeno svegliata per la fame, visto che a pranzo si era concessa solo uno spuntino veloce perché la bimba era stata di cattivo umore. Forse era davvero solo la stanchezza, però aveva uno strano nodo allo stomaco e quella sensazione di calma…
Non adagiò la figlia nella culletta ma la tenne con sé mentre marciava verso la propria camera da letto; corrugò la fronte quando l’interruttore della luce in corridoio scattò e la lampada al soffitto tremolò un paio di istanti prima di spegnersi del tutto. Ichigo soffiò tra i denti e riprovò un paio di volte, ma doveva essere saltata la lampadina, e lei non era nemmeno certa di dove fossero quelle di ricambio.
Fece partire la torcia del cellulare giusto per vederci bene, con Kimberly in braccio, ed entrò in camera da letto digitando un messaggio per Ryou; le scappò un altro mezzo sospiro di fastidio quando vide che pareva non esserci segnale e il messaggio rimaneva bloccato in uscita.
Poi alzò lo sguardo sulla finestra e il cuore le precipitò nello stomaco quando vide le luci dell’intera città spegnersi contemporaneamente davanti ai suoi occhi.
 
 
 
 
Il frigorifero morì con un sonoro sospiro mentre tutto il Caffè piombava nel buio.
« Non sono stata io! » si difese subito Purin, chiudendo lo sportello per preservare il freddo quanto più possibile, « Che succede?! »
Ryou sussurrò un’imprecazione in inglese e non le rispose, prendendo invece il cellulare in mano e controllandolo: la sua intuizione era stata tristemente sbagliata, e il dispositivo gli stava chiaramente comunicando la totale assenza di linea.
Il rumore sordo del generatore di emergenza – che riempì il locale di una fredda luce bluastra, e lui ringraziò mentalmente Keiichiro di aver insistito così tanto, tutti quegli anni prima – coincise con il trambusto degli Ikisatashi che salivano di corsa dal laboratorio.
« Non c’è corrente in tutta Tokyo, » il tono di Kisshu era teso, « E i segnali - »
« Devo andare da Ichigo, » Ryou lo interruppe e si voltò verso Purin, « Dove sono le altre? »
« Retasu-chan è con Pai nii-san, Minto nee-san è sul set con Zakuro nee-san… »
« Chiamale attraverso il vostro pendaglio e dì loro di trovarsi pronte, » la biondina annuì e lui guardò Taruto, « Potresti…? »
L’alieno annuì vigorosamente: « Andiamo a prendere Ichigo-chan e torniamo subito, » aggiunse, più diretto alla mewscimmia che già brandiva la spilla da Mew Mew che agli altri.
« Localizzate la loro posizione non appena i radar rivelano qualcosa e trovatevi lì, io chiamo Keiichiro e vi seguiamo dal computer! »
 
 
 
 
Pharart fischiò tra i denti mentre osservava il panorama buio dell’enorme città sotto di loro, il vento della sera che gli scompigliava i capelli biondi davanti agli occhi: « Peeerò. Ci sei andato giù pesante. »
Kert ghignò soddisfatto: « La principessina vuole la Luna, chi sono io per non accontentarla? »
« Se gli umani sono messi in difficoltà da un blackout, non vedo come possano essere un problema, » commentò con voce annoiata Zaur, a fianco a loro, « Mi stupisco non siano dotati di dispositivi di soccorso. »
« Qualcosa là c’è, » rispose il secondo in comando, muovendo il mento verso le poche luci che si riaccendevano qua e là, « Ma niente che ci possa mettere in difficoltà. Sempre che questo piano funzioni. »
« Funzionerà, » Rui apparve accanto a loro, i capelli raccolti da una fascetta di pelle, « Attenderemo il momento esatto in cui sarà alta in cielo, e funzionerà. »
Il fratello minore si limitò a scuotere le spalle mentre il ghigno si faceva più largo: « Nel frattempo, divertiamoci. »
 
 
 
 
Ichigo soffocò un urlo solo per non svegliare Kimberly quando percepì lo spostamento d’aria e il sibilo sottile di quello che solo in seguito realizzò essere il teletrasporto, mentre quasi saltava sul posto voltandosi indietro e puntava la torcia contro il rumore.
« Sono io, sono io, » Ryou le andò incontro e le strinse il viso tra le mani, « Siamo venuti a prenderti, dobbiamo… »
Lei deglutì a vuoto tre volte di seguito per calmare il battito sforzato del cuore mentre rimetteva insieme i pezzi nella mente, capendo che fosse arrivato il momento di entrare in azione; tentennò in ogni caso a passargli la bimba ancora addormentata, gemendo piano quando il calore del corpicino lasciò il suo.
« Torniamo al Caffè, » l’affrettò Taruto, niente altro che un vago contorno sfumato nel buio del corridoio, « Purin ci starà aspettando là, e da lì ci uniremo agli altri. »
Ichigo annuì e si frugò nelle tasche alla ricerca del suo ciondolo Mew, seguendo con lo sguardo il biondo che infilava con cura Kimberly nel passeggino e agguantava la borsa d’emergenza che avevano iniziato a tenere sempre pronta per qualsiasi evenienza.
Un altro sguardo incoraggiante da parte di Taruto, che lei poté scorgere solo perché gli occhi dell’alieno parevano brillare anche al buio, e con un luccichio rosato MewIchigo fece la sua comparsa. Non si scambiarono molte altre parole mentre l’Ikisatashi le stringeva la mano e afferrava il polso di Ryou per portarli velocemente al locale, dove Purin li stava attendendo anche lei già trasformata.
« Fuori non si vede un accidenti, » esclamò la biondina, le orecchiette da scimmia che fremevano nervose, « Le altre sono pronte, Kisshu ha raggiunto Minto nee-san e Zakuro nee-san. »
MewIchigo, il viso ancora più pallido sotto la luce fredda del sistema secondario, inspirò profondamente e poi le rivolse un cenno del capo: « Andiamo. »
 
 
 
 
« Non capisco perché fosse necessario fare tutto ‘sto casino. »
Quasi in contemporanea, MewZakuro e Pai lanciarono un’occhiataccia a Kisshu per intimargli di stare zitto, mentre tutti si concentravano per captare qualsiasi segnale che potesse indicare con più precisione dove fossero i loro nemici.
Dopo i primi quindici minuti di estrema confusione per quel blackout totale e improvviso, su Tokyo era scesa una calma innaturale: i clacson della gente che tentava di tornare a casa si erano interrotti, così come gli strepiti di chi chiedeva cosa stesse succedendo e chi si preoccupava a voce alta.
« Chissà quanta gente è bloccata sui treni… » mormorò sottovoce MewRetasu, le dita un po’ sudate per l’ansia attorno alle sue nacchere.
« Akasaka-san sta cercando di comprendere da dove sia partito, » rispose piano MewZakuro, sia per tranquillizzarla che per evitarle troppe distrazioni, « Ora pensiamo ai nostri nuovi ospiti. »
Una folata leggera di vento portò sotto al suo naso un odore che stava imparando a temere:
« Parlate di noi, bellezze? »
La mewlupo girò sul posto, la frusta che sfrigolò tra le dita. Tre dei loro avversari stavano sospesi a pochi metri da loro, quello dagli occhi dorati con un irritante sorrisetto stampato in volto e l’arma già imbracciata.
« Non ci siete tutte, » continuò irriverente, « Vi abbiamo già fatto perdere la speranza e vi siete date per vinte? »
« Tu dai un po’ troppa aria alla bocca, » latrò Kisshu, roteando i sai con maestria, « Scendi e parliamone, di chi deve darsi per vinto. »
« Oppure sali tu e ritorni sulla buona strada. Anche se capisco l’attrattiva di questa. »
Un ringhio speculare risalì dalla gola di MewZakuro e Kisshu, quest’ultimo che si mosse in avanti per coprire MewMinto, mentre Pai faceva d’istinto un passo di lato per riparare MewRetasu.
Kert rise di gusto e lanciò uno sguardo ai suoi due compagni, quello biondo e quello bruno: « Quanti erano gli sheqli? »
L’alieno dagli occhi così neri che l’iride pareva indistinguibile dalla pupilla si limitò ad alzare un sopracciglio: « Smettiamola di perdere tempo. »
« Non potrei essere più d’accordo. »
Veloce come un fulmine, Kert puntò la propria arma contro le Mew Mew e i loro alleati, scatenando nuovamente un’enorme bolla d’aria che schizzò rapida nella loro direzione.
« VIA! »
MewZakuro, MewRetasu, MewMinto e i due Ikisatashi scartarono all’indietro, questa volta più pronti rispetto all’incontro precedente, ma la velocità di quella sfera trasparente era incredibile e anche a distanza ne avvertirono l’implacabile onda d’urto che li fece caracollare per terra.
« Ribbon Pudding Ring Inferno! »
L’enorme budino gelatinoso di MewPurin apparve all’improvviso dalla loro sinistra, schiantandosi contro il colpo d’aria di Kert: si frantumò in mille pezzi, spargendo piccoli blob appiccicosi ovunque, ma riuscì a smorzare l’efficacia dell’attacco.
« Che cazzo è quello adesso, » sibilò l’alieno tra i denti, scambiandosi un’occhiata confusa con i compagni.
« Ragazze! State bene?! »
Le ultime due Mew Mew raggiunsero di corsa le loro compagne, aiutandole ad alzarsi in piedi. Kisshu soffiò qualche parolaccia sottovoce e si rialzò borbottando:
« Grazie della preoccupazione, micetta. »
MewIchigo non lo degnò di uno sguardo, fronteggiando invece i geoti con la campanella ben stretta in mano.
Sentire il potere scorrerle nelle vene era una sensazione familiare ma al tempo stesso spaventosa, complessa; corrugò la fronte e deglutì, non era il momento di perdersi ma di dimostrare perché era stata scelta come paladina e come leader.
« Ribbon Strawberry Sur - »
Non riuscì a terminare il suo attacco che fu come se l’oscurità attorno a loro si fosse fatta più densa, avviluppandole quasi le spire di un serpente e mozzandole il respiro. Poi, il sibilo di tre frecce che giunsero contemporaneamente all’ennesimo getto d’aria.
Si conficcarono con uno scintillio nel terreno alle sue spalle, vicino alle sagome delle sue compagne ma abbastanza distante da non costituire una minaccia.
« Non mi ha presa! » esclamò MewPurin con un sospiro di sorpresa, « Ragazze, vo – ah! »
Una risatina soddisfatta echeggiò nell’aria mentre dalla punta della freccia spuntava una grossa radice verdognola e bitorzoluta che scattò velocissima contro la mewscimmia e le si avviluppò alla gamba, scagliandola a terra con forza.
« MewPurin! » MewMinto fu abbastanza svelta da librarsi in aria e riuscire a evitare un’altra radice all’apparenza senziente diretta dritto verso la sua vita, e incoccò il suo arco per colpire, invece, quelle che avevano afferrato MewRetasu e MewZakuro. Prima che potesse scoccare, però, una corrente d’aria la prese in pieno, facendola capitombolare via e perdere la freccia. Riuscì a raddrizzarsi poco dopo, la testa che girava, solo per trovarsi Kert a pochi centimetri da lei.
« Che esserini curiosi, » ringhiò con crudele interesse, sganciando la fibbia di pelle che teneva ferma una piccola accetta alla cintola, « Che razza di poteri avete? »
MewMinto deglutì, le dita che si contrassero meccanicamente attorno alla propria arma, ma non fece in tempo a sollevarla che la schiena di Kisshu le si parò a un paio di millimetri dal naso. Gli occhi dorati dell’alieno loro nemico, che notò non essere così dissimili da quelli che conosceva così bene, si tinsero di rabbia:
« Non rendere il tuo tradimento ancora più profondo, duuariano. Dovremmo stare dalla stessa parte. »
Kisshu schioccò la lingua, sarcastico, e con un movimento di polso fece ruotare un sai: « Sto bene dove sto. »
Una scarica elettrica precedette il suo lanciarsi contro Kert, che però riuscì a deflettere il colpo all’ultimo secondo; il geota ringhiò, le nocche che impallidirono attorno al manico dell’accetta.
« Allora vediamo se vi insegnano qualcos’altro oltre alla galanteria. »
La mewbird considerò più efficace spostarsi e ritornare in soccorso dalle amiche quando i due cozzarono uno contro l’altro, con una forza tale che lo stridio delle relative armi echeggiò nell’aria ancora pesante.
Taruto stava ancora tentando di prendere il controllo di quelle strane radici, Pai che forniva loro una protezione grazie ai colpi del suo ventaglio, ma le piante parevano non rispondere per nulla ai suoi poteri.
« Lascia perdere, » ringhiò MewZakuro, riuscendo finalmente a liberare un braccio per afferrare la sua frusta, « MewRetasu, non ti muovere. »
La verde rispose con un mugolio poco convinto, ma smise di combattere contro l’escrescenza attorno ai suoi fianchi: l’attacco della mewlupo la liberò con precisione pochi istanti dopo, la radice che si spezzò a metà con uno sfrigolio inquietante.
« MewIchigo, datti una mossa! » strillò MewMinto da sopra la spalla, colpendo con una freccia la radice ancora intorno alla gamba di MewPurin e che lei stava prendendo a randellate con il tamburello, inveendole contro con molta poca grazia. La mewrosa, che insieme a Taruto aveva provato ad artigliare le piante, sembrò riscuotersi nonostante la pressione che ancora sentiva sul petto e quella strana oppressione che le pesava sulle membra.
Senza dirle nulla, MewRetasu le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso comprensivo e di incoraggiamento, cui la mewgatto rispose con un cenno, prima di squadrare le spalle e rivolgersi nuovamente ai nemici.
 
 
 
 
Rui lanciò uno sguardo veloce allo scontro sotto di loro, osservando confuso quelle figurine colorate che stavano incredibilmente tenendo testa ai suoi compagni. Schioccò la lingua e si voltò verso Espera, il volto più pallido del solito.
« Aspetta fino a che la Luna non sarà del tutto alta, d’accordo? »
Lei annuì e gli strinse le dita con un palmo sudato, gli occhi blu velati d’argento e tremolanti: « Capito. »
Lui non riuscì a trattenere un sospiro preoccupato mentre le accarezzava una guancia, scostandole i capelli dal viso: « Preferirei tu non fossi qui. Non lo dovessi fare. »
« Lo so, » replicò sottovoce, « Ma va bene così. »
Rui la osservò un altro paio di secondi, poi sciolse le loro mani lentamente.
« Stai quanto più lontano possibile. »
La baciò velocemente sulla fronte, avviandosi verso il basso prima di cambiare idea riguardo il lasciarla sola.
« Grazie per averci raggiunti, » lo accolse Zaur, più nelle retrovie rispetto agli altri due compagni, la voce piatta che non conteneva la minima goccia di rimprovero, « Come sta? »
Rui esalò tra i denti: « Vediamo di fare in fretta. »
Si lanciò in avanti, pronto a colpire il fianco scoperto di quella strana umana dai capelli rosa, quando un fiotto d’acqua gelida lo colpì di sorpresa, facendolo barcollare pericolosamente verso il suolo. Gli ci volle un istante per riprendersi dallo sconcerto e dal profondo fastidio di essere stato colpito proprio da qualcosa che…
La risata roca di suo fratello lo distrasse, spingendolo a cercarne la figura a mezz’aria:
« Due contro uno? Seriamente? »
Kert stava infatti scontrandosi con il duuariano dai capelli verdi, che brandiva due sottili tridenti, e l’umana vestita di viola e armata di una scintillante frusta; entrambe le armi sfioravano da troppo vicino suo fratello maggiore per i gusti di Rui, ed era chiaro anche a lui che quel suo modo di fare noncurante e sprezzante stava solamente incrementando l’astio dei loro nemici nei suoi confronti.
Mentre era impegnato a parare, infatti, un colpo da parte del loro antico compatriota, il lungo lazo viola dell’umana si attorcigliò attorno al suo ventre; Rui s’irrigidì e poté percepire da dov’era lo sforzo di MewZakuro, che tentò di tirare Kert verso terra. Nuovamente, la risata sdegnosa del maggiore dei Tha riempì l’aria.
« Bel tentativo, carina, » mormorò, avvolgendosi il nerbo attorno al polso libero dall’accetta, « Ma non abbastanza. »
Tirò a sua volta, e MewZakuro, per quanto puntò i talloni nel terreno, non riuscì a contrastare la forza dell’alieno e finì invece a pancia a terra, la frusta che si srotolò mollemente.
« MewZakuro! »
Il grido preoccupato di una sua compagna, seguito da un fiotto di luce rosa che lo costrinse a chiudere gli occhi per un secondo, lo fece mettere in moto. Rui si scostò la frangia bagnata dagli occhi e inspirò profondamente, socchiudendo le palpebre per un istante mentre riconquistava un paio di metri dal suolo. Il corto pugnale che portava alla cintola prese a brillare di blu, sempre più intensamente: quando l’estrasse dal fodero, si rivelò una lunga spada, che pareva splendere della luce della Luna.
Appena arrivata sotto di lui, MewIchigo avvertì i peli sulla coda rizzarsi di apprensione: « Oh, accidenti, » sibilò, « Non mi piace, non mi piace. »
Inspirò forte e strinse la sua campanella, cercando di raccogliere quanta più energia mentre la puntava verso l’alieno dai capelli color ghiaccio: « Ribbon Strawberry Surprise! »
Il colpo di luce viaggiò verso Rui, deciso e luminoso – solo per essere scagliato lontano, con un rimbalzo, dalla larga lama. Lasciando il padrone della spada completamente illeso.
MewIchigo avvertì il respiro fermarsi in gola: « Accidenti, accidenti, accidenti! »
Si allontanò con un balzo agile non appena lo vide avvicinarsi, persistendo in ogni caso a lanciargli contro attacchi nella speranza, quantomeno, di stancarlo; lei stessa poteva avvertire già la fatica crescere senza sosta, gli anni di riposo che premevano sui suoi muscoli già affaticati, i cambiamenti da cui il suo corpo non si era ancora ripreso del tutto.
« MewPurin! » esclamò a voce roca, notando che la mewscimmia era la più vicina, attirando la sua attenzione.
La biondina si voltò rapida verso di lei, lanciando un paio di attacchi svelti contro l’alieno; il budino gigante riuscì a rallentare la discesa di Rui, la cui spada fu avvolta dalla sostanza viscida. Gli scapparono un paio di maledizioni sibilate mentre tentava di ripulire la lama, e fu Zaur a corrergli in soccorso, il corto bastone di legno rossastro che distrusse gli ultimi residui di materia.
« È quasi ora, » gli sussurrò il compagno dagli occhi neri, « Dirò agli altri di tenersi pronti. »
Rui annuì, e le iridi blu divennero due fessure quando l’ennesimo colpo di MewRetasu si diresse rapido verso di loro. Di nuovo, la spada brillò appena mentre lui prendeva un respiro e stendeva la mano davanti a sé: il tempo di un sospiro, poi Rui chiuse il pugno digrignando i denti e il getto d’acqua fu lanciato dalla parte opposta, a sfiorare Kert e Kisshu che ancora si sfidavano in cielo.
« Cazzo. »
MewIchigo non avrebbe potuto essere più d’accordo con l’esclamazione di Taruto.
Il giovane alieno si lanciò ancora a testa bassa contro Pharart, rispondendo alle frecce con un ammasso di piante a sua volta che saettavano nell’aria come sottili serpenti, spezzando i dardi e parando le ragazze al tempo stesso, evitando quanto più possibile che germogliassero altre seccature. Al tempo stesso, ne indirizzò altre verso Rui e Zaur, mentre MewRetasu e MewIchigo persistevano ad attaccare.
La lama baluginante, però, e il sottile bastone continuavano a parare i colpi, i loro padroni che schivavano con eleganza ed efficienza i poteri delle Mew Mew.
Troppa efficienza, per il loro gusti, nonostante l’evidente differenza numerica.
MewZakuro si prese un attimo di respiro, notando con la coda dell’occhio Masha che svolazzava verso di lei; la voce preoccupata di Shirogane la raggiunse l’istante successivo.
« State bene?! »
« Sì, » le uscì più un ringhio che una risposta sincera, mentre continuava a tenere sott’occhio Pai, Kisshu e Kert che persistevano a scontarsi a una velocità tale che – doveva ammetterlo, pur con l’orgoglio ferito – lei e le altre non avrebbero sostenuto - « Ma non è… facile. »
Scattò all’indietro, evitando una doccia di punte di freccia spezzate da Taruto che, pur avendo perso il loro potere, l’avrebbero tagliuzzata fin troppo.
« Siete troppo divisi, » persistette l’americano, « Forse dovreste - »
Masha squittì e scartò velocemente di lato, un Ribbon Lettuce Rush che fu nuovamente respinto e usato come protezione contro di loro e che la mewlupo schivò per un soffio, avvertendo le goccioline bagnarle la coda. Digrignò i denti e corse verso le altre MewIchigo e MewRetasu, le sole a trovarsi contro due geoti in una volta, la fierezza che ruggiva nel realizzare che le Mew Mew sembravano più impegnate a proteggersi che ad attaccare.
« Non stiamo andando da nessuna parte! » esclamò alle amiche, lanciando un Ribbon Zakuro Pure verso Zaur che almeno ottenne di farlo allontanare di qualche metro.
Se questo è solo il primo scontro…
Non riuscì a terminare il pensiero che, per una seconda volta, il buio intorno a loro sembrò tendersi, allargarsi e stringersi allo stesso tempo, premendo sui loro corpi come un’enorme massa invisibile, farsi più intenso anche contro la luce della Luna, ora ben visibile in cielo. MewZakuro avvertì chiaramente MewIchigo, alla sua sinistra, trattenere il respiro e poi emettere un rantolo mentre inciampava e faticava a mantenere la direzione della sua campanella; al tempo stesso anche MewPurin, alla sua destra, brontolò una sequela di parolacce mentre sfregava contro il terreno per evitare un colpo di Pharart, come se avesse perso la sua innata agilità.
Il suo sesto senso di lupo percepì qualcosa di nuovo, portato dal vento che si alzò in quell’istante e che la costrinse ad alzare il viso.
Dove una nuova figurina si stagliava esattamente davanti alla Luna.
« Chi diavolo è? »
Il sussurro incattivito di Taruto risuonò nello spazio, mentre l’intero scontro pareva sospendersi per un istante per osservare ciò che stava succedendo.
Tutti gli istinti animali delle ragazze vibrarono allarmati all’unisono quando il vento crebbe di intensità, e la figura aliena sopra di loro apriva le mani in un turbinio di lunghi capelli e prendeva a brillare della stessa luce del satellite.
 
 
 
 
Per Rui fu come se una marea calda gli stesse riempendo il petto, scorrendo fino ad ogni estremità dei suoi arti, tuonando mentre pretendeva di essere liberata.
Gli scappò una esclamazione di sorpresa, per una volta vide anche sul volto di Zaur un’espressione più impressionata; si studiò il dorso della mano, che sembrava anch’essa avvolta da una luminescenza bluastra.
Al successivo battito del suo cuore, più potente che mai, strinse l’altro palmo intorno all’elsa e inclinò appena la lama, mentre il vento portava più vicino il suo sussurro.
Ora.
Un lampo esplosivo si propagò per l’aria, fatto del bagliore proprio della Luna, come se Espera ne fosse diventato il faro; colpì esattamente la sua spada, ma non la fece rimbalzare via né sembrò intaccarla: la lama parve assorbire tutta quella potenza, il vago scintillio che crebbe in nitidezza e intensità.
Ne divenne un canale vero e proprio.
Rui la osservò ancora un paio di secondi, saggiando la vibrazione contro al braccio, avvertendo quasi l’arma più leggera, più viva.
Non ci aveva creduto veramente – non ci aveva voluto credere – neanche all’ultimo secondo, neanche quando aveva acconsentito di portarla sul campo di battaglia. Ora aveva la prova inequivocabile davanti agli occhi.
Il piccolo cenno col capo di Zaur gli bastò per convincersi.
 
 
 
 
MewIchigo impiegò una manciata di secondi a capire cosa stesse succedendo.
Perché un raggio di luce stava venendo assorbito dalla spada dell’alieno chiamato Rui dopo essere stato generato da quell’altra tizia mai vista prima.
Perché le pareva che si fossero fermati tutti e che l’intera attenzione fosse catalizzata proprio lì.
E perché adesso quel fascio di luce si stava dirigendo dritto verso di loro.
Il suo istinto felino reagì prima che lei potesse e lei saltò all’indietro, evitando per un soffio che metà della sua coda venisse bruciata. Non ebbe il tempo di respirare, però, in quanto l’alieno fendette l’aria una seconda volta, scendendo veloce verso di loro, e un altro scoppio di energia cadde vicino a lei, provocando una profonda crepa nel terreno.
« Ragazze! » MewIchigo alzò la campanella e tentò di rispondere ai colpi o quantomeno bloccarli, continuando a schivare attacchi con sempre più affanno, MewRetasu accanto a lei che la seguiva serrata.
« Fuu Shi Sen! »
Pai comparve all’improvviso accanto a loro non appena l’energia parve avvicinarsi troppo alla mewverde; lo spostamento d’aria causato dai suoi poteri, però, non fu abbastanza per fermare l’energia di Rui, ma questa fu in parte assorbita dal ventaglio del moro, diventato così largo che MewIchigo non riuscì a non chiedersi come riuscisse a reggerlo in mano.
« Cosa facciamo?? » domandò angosciata, quasi rannicchiata dietro l’alieno, « I nostri poteri non sembrano avere abbastanza effetto! »
Pai digrignò i denti mentre un ennesimo colpo si schiantava contro di loro, costringendoli a fare qualche passo indietro.
« Dobbiamo disarmarlo, » mormorò, « Forse Taruto - »
S’interruppe quando Rui sbriciolò la terra sotto i loro piedi, facendo perdere loro l’equilibrio. MewZakuro e MewMinto si pararono loro davanti, entrambe intente a tempestare il geota di colpi che però continuavano a rimbalzare senza effetto contro la larga spada che lui brandiva come se non avesse peso.
La risata roca di Kert riecheggiò chiara anche sopra il rumore di quello scontro: « Però, fratellino. Allora forse non è inutile come pensavo. »
L’unica risposta di Rui fu un ringhio più simile a quello di un animale mentre guadagnava anche gli ultimi metri e posava i piedi a terra, la spada ancora avvolta dalla luce bianca.
« Ribbon Pudding Ring Inferno! »
Il colpo di MewPurin riuscì ad ottenere ben poco, venendo spiattellato in tutte le direzioni; Taruto le fu subito davanti, a coprirla mentre riusciva a far spuntare un paio di radici che si strinsero attorno alle caviglie di Rui, quanto bastava perché lo rallentassero, facendolo incespicare.
« Ribbon Zakuro Pure! »
La mewlupo fu svelta a lanciargli contro la propria frusta, ma la spada fu più veloce a evitare anche quell’attacco.
Rui alzò di nuovo il braccio, pronto a scagliare l’ennesimo fendente che avrebbe prodotto quella marea di energia, quando lo scintillio di quel potere sulla lama si bloccò di colpo; d’istinto, lui si voltò giusto in tempo per vedere Espera ondeggiare a mezz’aria prima di iniziare a cadere senza sosta.
Reprimendo un urlo, ormai noncurante dei nemici né dei compagni, Rui si teletrasportò il più vicino possibile a lei, volando per gli ultimi centimetri e riuscendo ad afferrarla in tempo prima che si schiantasse a terra. Il cuore gli si fermò in petto nel trovarla ancora più pallida del solito, un rivolo di sangue scuro che le scorreva dal naso.
« Espera, » sussurrò, scuotendola piano e passandole il pollice sotto la narice anche per assicurarsi che respirasse ancora, « Espera, svegliati. »
L’aliena emise solo un mugolio confuso, la testa che si abbandonò contro al suo petto quando la prese in braccio, e Rui combatté il moto di rabbia che sentì risalirgli per la gola.
« Ritiriamoci, » sussurrò ai compagni che li avevano raggiunti a mo’ di protezione.
Kert sbuffò, l’accetta ancora ben salda in mano: « Guarda che – »
Il fratello lo raggelò con un’occhiataccia che non ammetteva repliche: « Ho detto ritiriamoci. »
Si teletrasportò via prima che qualcun altro potesse aggiungere qualcosa, Zaur e Pharart che lo seguirono poco dopo; il maggiore rimase qualche altro istante di più, lanciandosi solo uno sguardo strafottente sopra la spalla.
« Ritenetevi fortunati, questa volta. »
Kisshu gli lanciò dietro uno dei suoi sai, così velocemente che fu quasi sicuro di sfiorargli uno zigomo una frazione di secondo prima che scomparisse nel nulla.
Con un sospiro generale, seppure confuse da tutta la situazione, le Mew Mew si lasciarono cadere a terra, MewPurin che si stese a pancia all’aria come una stella esalando ad alta voce.
« Non ci ho capito un accidente. Ma mi serve una doccia gelida. »
« Ci serve una tattica migliore, » commentò freddo Kisshu, facendo roteare piano il braccio sinistro con una smorfia di fastidio, mentre andava a recuperare l’altra metà della sua arma, « Almeno sono riuscito a tirargli un paio di fulmini. »
MewRetasu annuì sconsolata, portandosi una mano al petto mentre cercava di regolarizzare il respiro: « Posso dire che è un po’ un casino? »
« Non utilizzerei termini così cortesi, pesciolina. »
MewMinto gli lanciò un’occhiataccia mentre accettava la mano che lui le porgeva per tirarsi in piedi, Masha che svolazzò più convinto tra di loro.
« Avete fatto un ottimo lavoro. Stanno ripristinando la corrente in città, » la voce di Keiichiro le raggiunse quasi come un calmante, e si voltarono tutti ad osservare le luci che pian piano si riaccendevano tra i vari quartieri, « Su, l’importante ora è tornare a casa. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Da siclo/sciclo (shekel in inglese, shèquel in ebraico), antica unità di peso che divenne poi una valuta in Mesopotamia e in Medio Oriente (e da cui poi anche il nome della attuale moneta israeliana).
https://en.wikipedia.org/wiki/Shekel

 
(**) Correggetemi se sbaglio perché io non solo anziana, ma ci sono sempre versioni contrastanti. Nell’anime originale arrivato in Italia nel 2004, NONOSTANTE GLI OTTOCENTO ERRORI A PUNTATA PER QUANTO RIGUARDA I COLORI, quando Ichigo si trasforma ha i capelli (e gli occhi) rosa, mentre Minto ha capelli (e occhi) blu, ovvero il colore del loro costume/potere/etc. Questo direi che non succede nel manga originale (tranne sulle copertine dei volumetti), né in Re-Turn né nel reboot del 2022, dove l’unica cosa che cambia alle ragazze da trasformate sono gli occhi (Retasu li ha infatti verdi in forma Mew).
 
(***) Liberamente ispirato dall’episodio 18 dell’anime, in cui Taruto non solo “costruisce” una casa, ma rassicura anche Kisshu che essa è introvabile dalle Mew Mew grazie appunto a una barriera protettiva
 
(****) Mentre i nomi degli altri alieni non vogliono dire una cippa di minchia – o almeno, non che io mi ricordi xD – Espera deriva dritto dal greco antico e significa sera (oppure occidente). Con la lettera maiuscola si identifica anche proprio Espera (o Espere), una delle Esperidi = le ninfe “figlie della notte” che custodivano l’omonimo giardino dei pomi d’oro. Scusate, ho fatto il classico (cit.)!
 
(*****) Sembra il nome di un quartiere di The Sims ma non è. Sunnyvale si trova nella Silicon Valley in California e, fun fact, è considerata la culla dell’industria dei videogiochi – visti i miei headcanon, dove altro poteva avere affari il nostro biondo preferito?

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Capitolo 12
*** This ain't a song for the broken-hearted ***


Chapter Twelve – This ain’t a song for the broken-hearted

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ichigo aprì gli occhi di colpo, scattando subito seduta ed esalando un gemito a labbra strette l’istante successivo, non appena il suo corpo prese coscienza di essere effettivamente sveglio e tuonò di tutti i dolori causati dal giorno precedente. Lei cercò di non badarci mentre, soffiando tra i denti, si alzava afferrando la vestaglia e si avviava verso il piano inferiore, il seno indolenzito che reclamava di essere alleviato.
Era sicuramente più tardi di quanto fosse ormai abituata ad alzarsi, e dalla luce che trapelava dalle finestre poteva dedurre che fosse molto più tardi: un misto di nervosismo e gratitudine le gorgogliarono in petto, seguito subito dopo dal familiare impeto a tenere a bada le proprie emozioni.
Non avrebbe saputo dire se fosse stato più difficili a tredici anni, nel pieno sbocciare delle tempeste ormonali dell’adolescenza, o in quel momento a ventuno, a quasi cinque mesi dall’inizio della maternità e una manciata di settimane dal suo matrimonio.
Quel mal di testa che sentiva crescere non era sicuramente solo dovuto alla tensione muscolare.
Scese le scale a piedi nudi e sentì il cuore continuare a sfarfallarle in petto per dieci motivi differenti nel vedere Shirogane seduto al tavolo, il portatile aperto davanti a sé ma Kimberly in braccio, a cui stava parlottando sottovoce in inglese.
« Buongiorno, » Ichigo realizzò che si dovette sforzare per non far traballare il suo sorriso, « A che ora si è svegliata? »
« Alle cinque, » Ryou lanciò un’occhiata assonnata e pungente alla bimba appollaiata sulla sua gamba, « Non ha voluto saperne di riaddormentarsi fino alle sette. »
La rossa sospirò e poggiò i palmi sullo schienale della sedia in fronte a lui, ben sapendo che non sarebbe riuscita ad alzarsi se si fosse seduta: « Avresti dovuto darmi il cambio. »
L’americano la guardò scettico: « Avevi bisogno di recuperare. »
Ichigo cercò di ripagarlo con un’occhiata storta, ma un ennesimo concertino di fitte ovunque le fece cambiare idea; con un sibilo marciò verso la macchinetta del caffè, versandosene più del solito.
« È stato un disastro, » mormorò, passandosi più volte la mano sul viso per indursi a svegliarsi del tutto, « D’accordo, siamo più adulte e più consapevoli, ma al tempo stesso è molto più faticoso. Per me poi… »
Ryou lasciò con cura Kimberly nell’ovetto e la raggiunse veloce, abbracciandola da dietro.
« Oggi pensa a riposarti, » le mormorò, sfiorandole il collo con il naso, « Poi… potrei avere un’idea. »
Ichigo corrugò la fronte, assaporando la bevanda per lei sempre un po’ troppo amara, e gli lanciò uno sguardo poco convinto: « Le ultime tue idee hanno causato importanti scompensi ormonali nella sottoscritta, prima con le orecchie e la coda da gatto, poi con nostra figlia. »
« So funny, » Ryou la punzecchiò con un dito nel fianco, costringendola a voltarsi e poi rubandole un sorso di caffè, provocando un lamento scocciato, « Ma ammetto che non sarai una fan. »
« Shirogane, ti prego, » esalò lei, piagnucolosa, « Niente indovinelli. »
Lui le lasciò un bacio sul naso: « Lo faccio per il tuo bene. Altrimenti so che la tua testolina continuerebbe a pensarci tutto il giorno. »
« Perché, credi che così non lo farò?! »
« Non se ti distraggo con la promessa di un’intera giornata sul divano e del gelato. »
« Per chi mi hai preso? » rimbrottò, riacciuffando la tazza di caffè ma senza riuscire a nascondere il sorrisetto che le stava nascendo spontaneo, cui Ryou rispose con uno altrettanto supponente mentre le dava un buffetto sul naso: « For a lazy kitty cat. »
 
 
 
 
« Se ogni volta va così, non finiremo mai. »
Pharart lanciò un’occhiata d’avvertimento a Kert, mezzo stravaccato sul divano accanto a lui.
« È vero e lo sai benissimo anche tu, » continuò l’alieno dagli occhi dorati, accennando con il mento alla camera in fondo al corridoio, « Il prossimo plenilunio è tra un mese, non possiamo continuare ad aspettare che riesca a tenersi in piedi per più di cinque minuti. »
« Le capacità di Espera sono acutizzate sulla Terra, » commentò piatto Zaur, in piedi davanti ai monitor, « Non sappiamo con esattezza il motivo, forse la presenza stessa della Luna o il legame ancestrale con il nostro pianeta d’origine la rendono più sensibile. Inoltre, lo sforzo di ieri sera ha gravato molto sul suo fisico già provato. »
Kert fece schioccare la lingua: « È stata un’idea del cazzo farla venire. Se non è capace di fare ciò per cui è stata intrufolata sulla nave, che senso ha? Non fa altro che distrarre Rui e metterci i bastoni tra le ruote. »
Pharart gli diede di gomito con insistenza: « Non è che tu sei tutto incolume, sai, » occhieggiò con veemenza il taglio che il compagno ostentava sulla guancia, merito di quel dannato colpo di fortuna di Kisshu poco prima che se ne andassero, « Signor eroe del campo di battaglia. »
L’altro gli ringhiò contro: « Almeno io potevo continuare altre sei ore. »
Il biondo fece un verso di incredulità: « Allora proviamo a vedere cosa succede se tu diventi una specie di sifone d’energia. »
« Oh, ma da che parte stai? »
« Non si tratta di parti, » Zaur li guardò appena da sopra la spalla, « Ma di mantenere coesione in una situazione già difficile. »
Kert strinse la mascella in uno scatto di fastidio: « Vedi che provi solo il mio punto. Non sarebbe necessario tutto questo se le cose fossero un pelino differenti. »
« Non sarebbe necessario se tu non fossi una vecchia scarpa acida. »
« Vuoi indietro tutti i cazzotti che non ti sei preso in Accademia, Pharart? »
« E rischiare di rovinare ancora di più il tuo bel faccino? Non potrei mai. »
« Mi chiedo perché non stiate mai zitti. »
Dall’altra parte dell’andito, dove fortunatamente il brusio del parlottare era abbastanza smorzato anche per uditi più fini, Rui scostò gentilmente i capelli di Espera dal suo viso, sussurrandole parole di conforto e accarezzandole la schiena mentre il corpicino magro veniva tormentato dai conati.
« Non c’è bisogno che rimani, » sospirò lei, prendendo un respiro tremolante dopo l’ennesimo sforzo del suo stomaco, « Me la cavo da sola. »
« Non dire sciocchezze, » la rimproverò sottovoce lui, « Non si sta soli quando si sta male. »
« Non sto male, » ribatté, mettendosi seduta e passandosi il dorso della mano sotto la frangetta sudata
Rui si limitò ad alzare un sopracciglio, guardando con decisione il pallore accentuato del suo viso.
Lei sbuffò e poggiò la nuca contro al muro: « Mi odiano, di là. »
« Sei così stanca che anche i tuoi poteri sbagliano, » la consolò, continuando a passare le dita tra i lunghi capelli neri, « Non è assolutamente vero. »
« Tranne che per Kert. »
Rui sospirò stancamente, spostandosi così da esserle seduto a fianco: « Perché ti concentri solo su di lui? Lo devi lasciar perdere. Lo sai che non cambierà mai. »
« Lo so, ma… è tuo fratello, » gemette Espera, aprendo i palmi in grembo, « Vorrei poterci andare d’accordo, anche per il tuo bene. E sta diventando esasperante, dopo tutto questo tempo. »
« Ehi, non fare tanto la martire, io lo sopporto da ventun anni. »
L’aliena rise, posando la testa contro la sua spalla, e lui ne approfittò per lasciarle un bacio sulla sommità della testa.
Gli avvenimenti della sera precedente erano sospesi tra di loro, come in un tacito accordo di non varcare ancora il confine di quel discorso, di quella verità rivelata. Non c’era stata nemmeno occasione di tentare di parlarne, però; Espera, svenuta durante la battaglia, non si era ripresa per tutto il resto della notte ma era caduta in un sonno profondo e agitato che l’aveva avvolta in un sottile strato di sudore. Al risveglio, era stata appena in grado di alzarsi dal letto per correre in bagno e rivoltarvi i contenuti dello stomaco; nessuno di loro aveva avuto il coraggio di chiederle davvero cosa fosse successo, come si fosse sentita.
Di affrontare il fatto che una profezia vecchia di millenni fosse molto più che una semplice storiella.
Rui inspirò il profumo dei suoi capelli e continuò ad accarezzarle la schiena con fare tenero mentre l’aliena tentava di regolare il respiro.
Dopo. Ci avrebbe pensato dopo.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Tra i vari poteri esibiti dall’alieno, Purin era specialmente contenta che Taruto fosse capace di generare barriere d’energia protettiva che, se calibrate in una certa maniera, erano in grado di attutire i suoni, visto quanto inevitabilmente lei e l’alieno finivano per schiantarsi contro ogni angolo della sua camera quando…
Sì, beh, forse aveva passato troppo tempo con Kisshu, ma non le sovveniva termine migliore di quando pomiciavano.
Sospirò sottile mentre la premeva contro la scrivania e lei s’inarcava contro di lui, facendo sgusciare al contempo una mano sotto la maglietta per sfiorargli la pelle calda del torace.
Dopotutto, benché ai suoi fratellini Taruto stesse evidentemente simpatico, erano anche quattro adolescenti particolarmente gelosi e protettivi verso la loro sorella maggiore, e coglierla in flagrante in quella maniera non avrebbe giovato a nessuno.
Il ragazzo le morse piano un labbro mentre accartocciava il tessuto della sua maglietta all’altezza delle sue costole, lì nella curva che sembrava fatta apposta per la sua mano, soffiando piano per mantenere un minimo di autocontrollo. Un’impresa titanica, quando la biondina praticamente gli sollevava tutta la maglietta per stringersi a lui e accarezzarlo con calore.
Neanche tre settimane, si ripeté testardo, mentre la mano sinistra non si fermava dallo scendere lungo la coscia di Purin, stringerla nel percorso al contrario, tu sei pazzo, è troppo presto, non si può, non la posso forzare…
Lei mugolò in maniera così convinta, quando passò a baciarle il collo e in tutta risposta fece scivolare la punta delle dita poco oltre il bordo dei suoi pantaloni, che ogni singola cellula del suo corpo gli diede del deficiente.
Il letto all’occidentale della biondina gemette dolorosamente quando ci cascarono sopra, Purin che incastrò le gambe tra quelle di lui per averlo il più vicino possibile e lui che cedette e le scostò la maglietta per sfiorarle un seno, facendola inarcare contro di sé.
Forse si meritava un premio anche solo per quelle misere settimane.
« Taru-Taru… » il sospiro della ragazza gli arrivò roco all’orecchio mentre continuava ad esplorarle la mascella, il collo, le clavicole con la bocca, « Ma tu… »
« Sì, » rispose di botto lui, per poi fermarsi all’improvviso e alzare la testa di scatto, corrugando la fronte, « Cioè, no! Non ho mai… ma vor… però se tu… »
Un altro pensiero gli attraversò la mente e gli colorò il volto di scarlatto, mentre la ruga tra le sopracciglia si aggravava: « … e… tu? »
Purin arricciò le labbra, divertita dal suo evidente imbarazzo pur accorgendosi del calore che le arrossì naso e guance, e spostò gli occhi sulle labbra di lui: « No… » sussurrò, « Per - »
Lo squillo insistente del cellulare della biondina l’interruppe, facendoli sobbalzare entrambi dalla sorpresa. Taruto represse un ringhio ed ebbe la tentazione di pregarla di ignorarlo, già contrariato dalla mancanza del corpo morbido contro al suo mentre lei si divincolava per afferrare il telefono.
« Nii-san? No, stavo… dimmi tutto, » Purin scivolò all’indietro un po’ di più per mettersi seduta, risistemandosi la maglietta e incastrando il cellulare tra orecchio e spalla, « … okay? »
L’alieno inspirò profondamente e si mise in ginocchio in fronte a lei, stringendo i pugni sulle gambe mentre tentava di riprendere il controllo di sé. Osservò incuriosito le cinque espressioni diverse che le attraversarono il bel viso, ancora piacevolmente arrossato, mentre la biondina annuiva vigorosamente e si torturava il labbro inferiore con un dito.
Lo stesso labbro su cui lui si stava concentrando così deliziosamente finché quel rompiscatole di Shirogane – maledetto – non li aveva interrotti.
Sperò solo che l’americano avesse una dannatissima, buonissima ragione.
« Ma certo! » trillò Purin, quasi saltando, « È un’ottima idea! Vi aspetto anche subito! »
Taruto non riuscì a evitare di sgranare gli occhi, stupefatto, in una domanda silenziosa, ma lei non sembrò neanche notarlo.
« D’accordo! Okay, a dopo! »
Non fece in tempo a concludere la telefonata che praticamente si lanciò giù dal letto, saltellando eccitata sul posto e scatenando nell’alieno un moto di affetto che, almeno, spense un poco il fastidio che provava per quell’interruzione.
« Mbeh?! »
Lei continuò a saltellare, canticchiando contenta: « Finalmente mi sta a sentire! » esclamò, rilanciandosi sul letto in uno svolazzo di capelli biondi, « Non ammetterà mai che avevo ragione, ma io lo sapevo che a forza di suggerirglielo e tartassarlo mi avrebbe ascoltato! »
« Ma che stai… ? »
Purin gli rivolse un sorrisone a trentadue denti: « Ti ricordi quando dicevo a Ryou nii-san che dobbiamo riprenderci un po’ la mano? »
«Ssssì… e quindi? »
« E quindi preparati a venire atterrato, Taru-Taru. »
 
 
 
 
Retasu dovette cedere al suo senso di colpa e ammettere che non ricordava l’ultima volta che aveva messo piede nel dojo della famiglia Fon.
O in una palestra, per quel che valeva.
Così come doveva cedere ai fatti che trapelavano dalla telefonata di Ryou, con cui le aveva radunate tutte nello spazio d’allenamento della biondina per un caloroso suggerimento, già paventato dopo il primo confronto con i Geoti ma soprattutto a fronte dello scontro di due giorni prima: riprendere coscienza dei loro poteri ora che erano più adulte e con anni di tranquillità alle spalle, e sfruttare al massimo la presenza degli Ikisatashi non solo come compagni d’armi, ma anche come veri e propri personal trainer più avvezzi di loro nell’arma bianca.
E per quanto poteva dirne Retasu, sicuramente anche molto (molto) più allenati di lei.
« Benvenuti, benvenuti! » Purin accolse il gruppetto con estrema energia, quasi scardinando la porta scorrevole che dava sulla stanza principale, « Non vedo l’ora di iniziare! Avete sentito il nii-san, da oggi in poi si suda! »
« Seriamente? » Minto sbuffò e incrociò le braccia al petto, mentre saliva i gradini d’ingresso, « L’unica che ha bisogno di rimettersi in forma qui è Ichigo. »
La rossa le lanciò un’occhiata truce, ma era visibilmente troppo stanca per poter replicare a tono e si limitò a rivolgerle anche una linguaccia, cui la mora rispose scuotendo la testa esasperata.
« Non si tratta solo di allenarsi, » spiegò monotono Pai, « È chiaro che il combattimento corpo a corpo non è il vostro forte. Visto che, invece, i nostri nemici sembrano farvi affidamento, e viste le limitazioni dei vostri poteri, è importante che anche voi ci riprendiate la mano. »
Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio: « Chiedi a tuo fratello se non è il nostro forte. »
Kisshu la guardò storto, tenendosi comunque a distanza di sicurezza: « Sempre un piacere. Vuoi riprovarci? »
« Non parlare così alla onee-sama. »
« Ha iniziato lei. »
Purin sghignazzò e saltellò eccitata sul posto: « Così finalmente potrò insegnarvi qualcosa anche io! Ho sempre voluto iniziarvi alle arti marziali. »
Ryou si scambiò un’occhiata leggermente preoccupata con Pai, poi commentò: « Direi che magari prima sia meglio rafforzare le basi, Purin. Addominali, braccia, cardio… »
Minto sbuffò altezzosa, mentre sia Ichigo che Retasu si scambiarono un’occhiata sconsolata.
« Era più divertente quando ci veniva naturale… »
« Io te l’ho sempre detto che il metabolismo cambia. »
« Aizawa, perché non ti metti tu a dirigere le operazioni allora, visto che sei così brava? »
« Non iniziate a litigare… »
« Ma… quindi incominciamo oggi? Cioè – adesso? »
Pai rivolse un’occhiata piena di comprensione, con una punta di perdono, verso Retasu e i suoi abbattutissimi occhioni blu: « Meglio cominciare prima e andarci gradualmente, con costanza. »
« Forza, corsetta di riscaldamento! Dieci giri intorno al dojo! Ora sono la sensei di tutti! »
Purin afferrò Retasu e Zakuro da sotto il braccio e cominciò a trascinarle senza pietà verso l’uscita, vociando al contempo sopra la spalla:
« Voi tre, non pensate di prendervela comoda! Sarete anche super fisicati ma qui si lavora! »
Pai guardò nuovamente Ryou, questa volta con gelida sopportazione nelle iridi viola, e il biondo pilotò strategicamente il passeggino di Kimberly in fronte a sé, estraendo il portatile da una delle borse lì appese.
« Sappi che questa è motivazione di divorzio, » brontolò Ichigo, lanciandogli un’occhiata seccatissima.
« I already go to the gym, ginger. »
« Bla, bla, bla, non era nella buona e nella cattiva sorte? »
« Ti avevo avvertita che non saresti stata una fan della mia idea, ma ciò non toglie che sia una buona idea. »
« Ichigo, dai. »
Lei sbuffò di nuovo sonoramente e si fece trascinare via da Purin, tornata indietro a recuperare le ultime due Mew Mew mancanti. Taruto non poté non soffermarsi con lo sguardo sulla testa bionda che continuava a saltellare, sprizzando energia e allegria da ogni poro anche contro l’evidente riottosità delle amiche, mentre anche i tre Ikisatashi si avviavano verso l’esterno del dojo.
Né riuscì ad evitare di trattenersi qualche istante in più sulle forme toniche che spuntavano dai pantaloncini al ginocchio e dalla canottiera che copriva a malapena la fascia intorno al seno, come se non fosse ormai la fine di settembre, come se il calore che lui stesso aveva saggiato poco prima l’avvolgesse sempre e…
« Che è quella faccia? »
Digrignò i denti quando Kisshu gli passeggiò accanto con un sorrisetto divertito.
« Niente. »
La risposta praticamente sputata a bocca serrata non fece che allargare il ghigno del fratello maggiore.
« Mmmm, non dirmelo. Qualcuno è stato interrotto in un momento un po’ troppo… intenso. »
Taruto ringraziò anni di addestramento che gli impedirono di conficcare un pugnale dritto nel bulbo oculare di quel deficiente. Purtroppo per lui, però, non avrebbe mai imparato a controllare le proprie reazioni fisiologiche, irritandosi ancora di più quando si rese conto che stava dando a Kisshu tutta la certezza a cui era interessato solamente con il rossore che gli risalì fino alla punta delle orecchie:
« Ti devi fare i cazzi tuoi. »
« Dai, ma io sono qui per aiutarti, » replicò il verde, dandogli una spallata, « Sapessi quanto mi ha fatto penare la tortorella, sono pienamente comprensivo. »
Taruto lanciò una veloce occhiata preoccupatissima verso la mewbird, ben conscio del suo volatile caratterino e della poca pazienza verso certe uscite del fidanzato.
« Ma sei deficiente?! » mormorò « E poi  non voglio saperle certe cose! »
« Cooooome no, » continuò a prenderlo in giro Kisshu, muovendo le sopracciglia con fare ammiccante, « Sono consigli da esperto! Non vorrai mica rischiare di fare una figuraccia. »
Il fratello minore strinse le dita in un pugno: « Ho la scusa giusta per menarti, non farmelo fare. »
Il verde rise divertito e sprezzante al contempo, incrociando le braccia dietro la testa mentre faceva qualche passo all’indietro: « Ah, pivello, voglio vederti provarci. »
 
 
 
 
« Devo chiamare l’avvocato e preparare le pratiche di divorzio? »
Ichigo non alzò gli occhi quando Ryou la prese dolcemente in giro dall’uscio, ma continuò a cullarsi sulla sedia a dondolo e ad accarezzare la peluria biondo-rossiccia di Kimberly, ben attaccata al suo seno.
« Hai un avvocato? »
L’americano sorrise e le si avvicinò lentamente: « Tecnicamente, ne ho uno per gli affari privati e qualcuno per gli affari delle aziende. »
« Sbruffone. »
Ryou emise un sospiro divertito, le si inginocchiò accanto e lasciò prima un bacio sulla testolina della figlia, poi sulla fronte a lei.
« Non voglio che ti strapazzi, » le mormorò tra i capelli, « Voglio solo che tu sia pronta. »
« Lo so, » Ichigo cercò la sua mano e gliela strinse, portandosela contro la guancia, « Però potevi trovare un’allenatrice meno energetica di Purin. »
« Credo che Pai abbia già in mente qualcosa, non so se tu sia disposta a preferirlo. »
La rossa emise solo uno strano vagito che lo fece ridere ancora di più mentre si accomodava sul bracciolo della poltrona e continuava a tenere il naso tra le ciocche rubino che sapevano di shampoo alla lavanda.
« Quando sarà finita, » sussurrò Ichigo dopo un po’, dando un buffetto leggero sul naso della bambina che già cominciava a socchiudere le palpebre, « Ci meritiamo una vacanza. Solo noi tre. »
« Ti porto dove vuoi. Basta che convinca tu Shintaro che non sono io la cattiva influenza che ti tiene lontana dall’università. »
La moglie gli passò Kimberly e lo guardò con sdegno: « Insomma, Shirogane, dillo che mi detesti! »
Ryou rise e si alzò per cominciare a passeggiare per la stanza, picchiettando con cautela la schiena della bimba: « I would never. »
« Tu hai una vendetta contro di me. Per il mio conto aperto al Caffè. »
« Ginger, ma se hai la linea diretta con il mio conto in banca. E le mie carte di credito. E ti pago comunque uno stipendio. »
Ichigo aggrottò così tanto la fronte, mentre incrociava le braccia, che la piega tra le sopracciglia sembrò diventare due volte più profonda: « Smettila. Mi fai sentire una cacciatrice di dote. »
Il biondo adagiò la figlia nel lettino, poi si affrettò per tornare da lei, avvolgendole le braccia intorno alla vita: « Tecnicamente, in quanto mezza felino… »
« Shirogane! »
Lui rise a labbra strette e le baciò di nuovo la fronte, prendendola per mano e conducendola fuori dalla stanza della bimba. Ichigo lo seguì con calma, strusciando il viso contro al suo braccio.
« Sono così stanca, » mormorò, e seppe che lui comprendeva appieno che non si stava riferendo solo a quel momento o al suo fisico, « Ed è tutto appena cominciato. »
« Lo so, » Ryou si fermò in mezzo al corridoio in penombra e le prese il viso tra le mani, « Dicevo sul serio, prima. Non esagerare, o rischi di farti male. »
Lei non riuscì a nascondere una smorfia all’ultima affermazione: « Vacanza con spa. E babysitter. Due settimane, come minimo, » deviò, tentando di suonare rilassata.
L’americano rise sottovoce di nuovo, sfiorando il naso contro al suo: « What about our proper honeymoon? »
Ichigo percepì il familiare tramestio al ventre, tra il tema e la lingua: « Per quella il minimo è un mese. Da soli. »
« Vedi che stai diventando svelta a capirmi, » Ryou scese a sfiorare il naso contro il suo collo, inalando il suo profumo, « Insistere funziona, con te. »
« Ti stai riferendo all’inglese o al nostro matrimonio? »
Lui si raddrizzò per l’istante che bastava a guardarla con un’occhiata prima di stupore, poi di divertita offesa che la fece ridere di cuore.
« Donna crudele, » ritornò poi a mormorarle contro la spalla, abbracciandola più stretta per la vita, « Mi riferisco a tutto, comunque. »
Ichigo sospirò e ricambiò la stretta: « Vorrei che la smettessi di sentirti in colpa, » sussurrò contro il suo petto, « Lo so che non è perfetto e ho più paura di te, ma non è colpa tua. Tu hai fatto solo quello che dovevi fare, non mi devi niente. E poi vorrei essere un po’ egoista ed essere la sola a preoccuparmi mentre tu mi dici di non fare la sciocca ragazzina e mi parli del bene superiore. »
Ryou sbuffò piano e si scostò per afferrarle di nuovo il viso: « L’unica maniera che ho di proteggerti, Ichigo, è assicurarmi che tu sia pronta. »
La rossa gli accarezzò una guancia e si tirò sulle punte dei piedi per guardarlo negli occhi: « E io devo assicurarmi che voi due siate protetti. »
Lo baciò prima che lui potesse aggiungere altro; indossava indosso solo una comoda camicia da notte con dei bottoni sul davanti che le arrivava a malapena a metà coscia, e i palmi caldi di Ryou non ci impiegarono troppo a intrufolarvisi sotto per poi scostarla del tutto. La strinse e la spinse in alto, e Ichigo quasi fece le fusa contro la sua bocca mentre incrociava le gambe intorno alla sua vita e si lasciava trasportare verso la loro stanza.
« Ti amo da impazzire, » mormorò lui non appena la stese sul letto, stringendola con più possessività del solito e strappandole un gemito roco, « Da sempre. »
Ichigo fu svelta a liberarlo dei propri vestiti, continuando a baciarlo come se non riuscisse a farne a meno.
« Per sempre, » sussurrò piano, prima di spingerlo dentro di sé come a sottolinearlo.
 
 
 
 
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Detestava aspettare. Detestava non avere nulla da fare, perdere tempo, attendere il momento giusto.
I momenti giusti non capitavano per caso, venivano creati.
Bisognava agire, giocarsela, sfidare la sorte con dedizione e costanza. Puntare sempre al massimo.
Era così che aveva sempre vissuto.
Passò nuovamente il panno sopra la sua arma, giusto per non rimanere con le mani in mano e sentirsi ancora più inutile di quanto già non facesse.
L’aveva sempre saputo, lui, che quella avrebbe solo portato guai, e ora gli stava pure rovinando ciò che avrebbe dovuto essere un grande momento di gloria. Per lui. Per tutti. Un’occasione irripetibile, il più grande onore che avrebbe mai potuto essergli concesso.
E invece suo fratello, il suo migliore amico, colui con il quale avrebbe dovuto condividere tutto ciò e che aveva accettato come suo comandante, non faceva che correre dietro le gonne di quella sciocca, superflua, patetica femmina.
Sapeva che era crudele, ma una parte di sé avrebbe preferito che quell’unione, così tanto decantata e voluta e destinata, fosse stata solamente uno schema politico, neanche così estraneo alla complessa società della sua Terra; forse suo fratello si sarebbe rincretinito meno. Forse non sarebbe stato altrettanto felice, ma sarebbe stato più al sicuro.
Invece no – l’ardore che Rui aveva sempre provato nei confronti di Espera era sempre stato limpido, genuino e inossidabile.
Così schifosamente da manuale.
Anche se Kert si domandava cosa sarebbe successo una volta che tutte le carte fossero state messe in tavola.
Forse tutta la cortina di quell’amore esagerato si sarebbe aperta abbastanza per rischiarare un po’ le menti.
Gli era impossibile capire come taluni si facessero abbindolare così tanto da quel sentimento folle, che lui quasi aveva imparato a disprezzare. Non che ne avesse ricevuto mai quantità di particolare significanza, anche e soprattutto da chi avrebbe dovuto essere a ciò preposto, ma era sopravvissuto benissimo anche senza, lui; senza la testa riempita di chiacchiere e frivolezze, senza tutto quel calore dei racconti.
Lui, il primogenito, tanto atteso, colui che avrebbe guidato la strada verso il continuo miglioramento della loro famiglia e che sarebbe servito da esempio per tutti gli altri eredi come i loro antenati per loro – poi messo da parte all’arrivo del fratellino, così… speciale.
Non aveva mai incolpato Rui, no di certo: il fratello, alla fine, era stato l’unico ad amarlo sul serio, a seguirlo con fedeltà, a cercarlo in ogni momento significativo, fin da quando gli aveva stretto l’indice paffuto al loro primo incontro. Si erano giurati lealtà eterna, loro due; si erano promessi che mai niente si sarebbe frapposto tra di loro, men che meno le sciocche insinuazioni della madre o i rimproveri sbilanciati del padre.
I ricordi della loro infanzia erano quelli che conservava con maggiore riverenza, perché quelli di quando, nonostante tutto, si era sentito davvero felice.
Quando ancora non era stato messo faccia a faccia con i grandi schemi a cui avrebbe dovuto attenersi.
La loro vita era stata pianificata ancor prima che uscissero dal grembo materno. Avrebbero dovuto tenere alto l’onore della millenaria casata dei Tha e servire Gaia e tutti i suoi abitanti, affinché continuasse a essere il luogo perfetto dove vivere.
La loro famiglia si era sempre fatto emblema di ciò, contribuendo allo sviluppo economico e sociale del pianeta, instaurando legami importanti con l’intricata rete di poteri, e promuovendo le arti, la cultura, le tecnologie.
Con il solo, piccolo particolare che la maggior parte degli eredi maschi si era sempre dedicata all’arte della guerra.
La conquista di Gaia era in realtà stata molto pacifica; chi credeva a certe cose – lui no di certo – aveva sempre invocato la grazia divina per aver infine guidato il loro popolo su un pianeta così prospero, inabitato solamente da specie “animali” con cui gli esuli terrestri avevano subito stabilito un rapporto di mutua coabitazione. Dopo l’esperienza del Pianeta Blu, d’altronde, i progenitori di Gaia avevano posto l’attenzione fin da subito sulla lotta ai cambiamenti climatici e l’assoluta protezione dell’ecosistema del pianeta.
Anche lo sviluppo del piccolo pianeta stesso era avvenuto con pochi conflitti, durante l’espansione sulla sua superfice, con qualche punto di tensione durante il consolidamento dei centri abitativi più importanti e le decisioni finali su forma di governo, autorità centrali, e così via. La creazione di un esercito era stata quasi naturale, un contingente ben addestrato per servire più come forza di protezione locale che per fratture intestine.
Ma una volta assestatisi su Gaia, i governanti avevano rivolto l’occhio di nuovo verso le stelle: il sistema cui apparteneva la loro nuova casa era di dimensioni relativamente piccole, e dopo poche migliaia di anni la già avanzata tecnologia geota aveva mostrato qualche pianetino capace di sopportare delle forme vitali. Le forze armate erano diventate quindi anche utili anche all’esplorazione spaziale e all’espansione dell’influenza di Gaia, necessaria soprattutto con la rapida crescita della popolazione.
La famiglia Tha, in particolare, fin dall’origine si era consacrata con fedeltà a contribuire membri all’esercito; lui e Rui, ovviamente, non avrebbero potuto fare altrimenti – non era mai neanche stato oggetto di discussione che, una volta assicurato il loro ingresso all’Accademia, il grande e principale sistema scolastico che comprendeva l’insegnamento di tutte le discipline necessarie al corretto funzionamento della società, divise per percorsi specifici a seconda delle età e dei livelli di studio, avrebbero intrapreso con onore la strada per diventare ufficiali.
Kert aveva cinque anni quando l’entrata all’Accademia aveva sancito la sua prima separazione dalla famiglia; era infatti costume che gli studenti lasciassero le loro case per trasferirsi tra i vari palazzi che componevano la Scuola, anche per abituarli all’indipendenza. Non era certo obbligatorio, ma caldamente raccomandato tra le famiglie più in vista, e i Tha, come al solito, non avrebbero sicuramente sfigurato. Kert l’avrebbe sempre ricordato come un momento di grande riscatto, essere finalmente lontano dalle grinfie di sua madre, ma anche di grande solitudine, per la lontananza dal fratellino e da tutto ciò che gli era noto.
Per non parlare poi di quanto quel primo anno gli fosse in realtà sembrato un inferno.
Le sveglie ancora prima dell’alba, a volte più per gli scherzi dei compagni più grandi che per necessità; le corse infinite tra le colline umide di rugiada attorno alla capitale seguite da docce poco più che tiepide; i pasti non sempre caldi se non si spaccava il secondo; le miriadi di lezioni, i professori esigenti, la totale disciplina richiesta in ogni momento.
Ma Kert si era impegnato, come mai aveva fatto prima. Per dimostrare il suo valore, per ottenere una migliore considerazione dai suoi genitori, per esibire quanto anche lui, seppur non protagonista di nessuna vecchia filastrocca, meritasse di essere apprezzato. Riconosciuto. Sostenuto.
Aveva imparato a sconfiggere il sonno, ad assicurarsi la cena calda, a brillare durante i corsi senza tralasciare il divertimento, a costruire e solidificare veri rapporti di affiatamento.
Aveva conosciuto Zaur durante il suo secondo anno; l’alieno dagli occhi neri aveva due anni in più di lui, e come da tradizione gli alunni più grandi erano incoraggiati a sostenere ed aiutare i più piccoli, anche per incentivare il senso di appartenenza. Non che Zaur fosse particolarmente loquace o espansivo; non amava raccontare né di sé né della sua famiglia, forse anche per le innumerevoli voci che giravano sulla vera natura e forza dei suoi poteri. Ma a Kert non importava, né gli era particolarmente di interesse che Zaur fosse così capace: a lui bastava avere trovato un amico fidato, qualcuno su cui era sicuro di poter contare.
L’anno seguente, anche Rui era entrato puntuale in Accademia. Il fratello maggiore aveva dovuto ammettere sentimenti contrastanti: da una parte, era stato felice di poter di nuovo trascorrere larghi lassi di tempo con il fratellino, aldilà dei permessi e delle festività concesse, e di poter di nuovo condividere con lui le tappe fondamentali. Dall’altra parte, il sottile risentimento che provava nei confronti dei genitori per l’evidente disequilibrio nei rapporti con i figli lo portava a temere che, di nuovo, la loro attenzione si sarebbe concentrata maggiormente su Rui, nonostante tutto il suo impegno e i suoi risultati negli ultimi due anni.
Si era imposto di non preoccuparsene: era futile incaponirsi e concentrarsi troppo su quello che pensavano i suoi; lui sapeva quanto valeva, e aveva tutto il potenziale per dimostrarglielo. Ci avrebbero rimesso loro, non lui. E aveva trovato persone che lo ammiravano, davvero, per ciò che era. Sarebbe bastato quello.
Il loro quartetto inossidabile si era formato lì: lui, Zaur, Rui e Pharart, il biondissimo alunno dello stesso anno di Rui, l’unico che proveniva da una delle città minori, tra le campagne verdi del pianeta.
Divennero inseparabili, divennero l’anima dei loro rispettivi anni, ma divennero anche gli studenti migliori dell’Accademia.  
Divennero anche un quartetto particolarmente apprezzato dal resto del corpo studentesco.
Quando, tra i quindici e i vent’anni, si ritrovarono tutti e quattro finalmente all’ultimo rango di Accademia, i momenti di libertà erano aumentati parimenti ai carichi dei loro doveri, e ogni attimo di respiro era passato a fare combriccola, vagando per la capitale e respirandone i profumi diversi – e soprattutto beandosi delle occhiate languide che ricevevano spesso e volentieri.
La separazione più rigida tra maschi e femmine all’Accademia, nonché la moltitudine di differenti percorsi che dividevano gli studenti, facevano sì che i momenti di svago diventassero con facilità feste e ritrovi in cui la socializzazione prendeva una piega piuttosto fisica. Pharart, coi suoi capelli biondi, gli occhi verdissimi e il carattere aperto ed esuberante, diventava facilmente il centro dell’attenzione; Zaur, nonostante fosse il più schivo di tutti e il meno loquace, mostrava due magnetici occhi neri che sembravano calamite per ragazze. Altre ancora si perdevano dietro la coppia di fratelli, sognando alternativamente gli occhi blu di Rui e quelli dorati di Kert, incorniciati entrambi da una massa di caratteristici capelli grigi-azzurri.
Ma se Kert accoglieva volentieri le richieste di quelle ragazze, chi sognava Rui doveva accontentarsi solo dei propri vagheggi.
Il minore dei Tha, infatti, non aveva mai avuto occhi che per Espera, la più giovane delle Seles, sei sorelle appartenenti a un altrettanto influente e antica famiglia che si era intrecciata alla loro per eoni. L’incontro tra i rispettivi pargoli era stato naturale, ovviamente.
Lo scoppio di quell’amore folle, per Kert, casualmente propizio.
Espera non gli era mai andata a genio, né capiva come il fratello avesse perso così tanto la testa per lei. Certo, era una delizia per gli occhi, la più bella delle sei, lo ammetteva pure lui, con gli occhi blu del colore della notte e lunghissimi capelli neri che le sfioravano la vita e splendevano di riflessi bluastri. 
Ma Espera era anche potente – la sola della generazione odierna dei Seles a governare un set di abilità molto particolari che andavano aldilà dei poteri dei geoti. E, apparentemente, anche il soggetto di una fantomatica profezia che la connetteva alla notte e alla Luna, l’antico satellite terrestre.
E visto che Rui aveva una affinità non indifferente con l’acqua, non era certo stato un caso che il loro affiatamento fosse stato così sostenuto da entrambe le famiglie. Ciò era bastato perché Kert iniziasse ad ideare congetture, soprattutto con le tante volte in cui aveva sentito i genitori parlare orgogliosamente della questione, amareggiati invece che il figlio maggiore fosse nato sotto la protezione dell’Aria, che non fosse stato lui il prescelto.
All’inizio, aveva cercato di convincersi che si stava sbagliando, che non c’era assolutamente niente sotto, che la sua era solamente sciocca gelosia perché, man mano che crescevano, Rui cominciava a voler passare sempre più tempo con la ragazza e meno con gli amici. Si era tenuto le sue idee per sé, per amore del fratello, così sinceramente innamorato; gli anni erano passati, veloci, impegnativi, duri.
Era al suo penultimo anno del livello finale dell’Accademia, al cui compimento sarebbe stato decretato un ufficiale dell’Esercito, quando i mormorii avevano preso a correre veloci tra i corridoi della scuola e i vicoli della città: i contatti con i loro antichi compatrioti erano stati ristabiliti, su un lontanissimo pianeta chiamato Duuar che aveva tentato una riconquista della Terra, e ora il Consiglio Supremo avrebbe voluto fare lo stesso.
Sfruttare al massimo la tecnologia di Gaia per ritornare a casa e alleviare lo sforzo che il pianeta compiva per sostener l’intera popolazione geota.
Il maggiore dei Tha aveva creduto e sperato fin da subito in quei pettegolezzi. Sapeva che la sua famiglia avrebbe fatto di tutto per parteciparvi, sapeva che lui avrebbe dovuto parteciparvi e ne sarebbe stato estremamente fiero. Sarebbe stata la sua grande occasione di rivalsa. Sarebbe stato il suo grande scopo.
Ma non era successo nulla. Le voci erano scemate così com’erano comparse; un anno era passato, Kert aveva terminato il suo percorso di studi, ed era tornato nel grande palazzo di famiglia.
E la routine era ricominciata, trascinandolo nel malumore e nella noia, giorno dopo giorno. I panni da perfetto rampollo di famiglia gli andavano stretti, così come riusciva a mal sopportare gli impegni obbligatori a cui lo trascinavano perché era così che andava.
Fulgido esempio tutte, le settimanali cene con l’intera famiglia Seles, a turni nelle rispettive residenze. Per “celebrare i ragazzi,” come ricordava ogni diamine di volta sua madre, con quel suo sottile sorrisetto soddisfatto che Kert tanto detestava. Il che non faceva altro che accrescere la sua confusione sul perché avrebbe dovuto parteciparvi pure lui, visto che i rapporti tra lui ed Espera si mantenevano in bilico su una gelidissima cortesia, almeno da parte sua.
Non che non avesse mai realizzato l’ovvio, certo, che i suoi genitori si auspicassero che anche lui mostrasse una preferenza per una delle altre cinque ragazze. Gli andavano più a genio della più giovane, sicuro: la saggezza di Egle lo stupiva; le chiacchiere di Erizia lo divertivano, e così le baruffe tra Aretusa ed Eriteide, come infine le battute di Erica. E aveva ponderato anche di rintanarsi in qualche angolino buio con un paio di loro, ma non era mai scattato niente di particolarmente interessante, e lui stesso non era intrigato dall’instaurare complesse e codificate relazioni.
E soprattutto non avrebbe mai, mai, mai dato tutta quella soddisfazione a sua madre.
Erano passati così altri quattro anni, durante i quali lui si era dedicato ad affinare i suoi poteri e le sue abilità mentre aspettava che anche Rui e Pharart completassero il loro percorso all’Accademia.
Ricordava ancora con ogni minimo particolare la mattinata calda e afosa in cui aveva finalmente accettato che forse qualcuno, tra le stelle, ce l’aveva davvero con lui.
Una lettera, sigillata con uno stemma dorato che tutti conoscevano molto bene, aveva interrotto le poche chiacchiere della colazione, la prima in famiglia dopo tanto tempo, a poche settimane dalla cerimonia di commiato ufficiale di Rui. Era stato loro padre a leggerla per primo, come di consueto; il silenzio sbalordito che era seguito aveva catturato la loro attenzione.
« È incredibile, » aveva mormorato Lorann Tha, prima di scoccare un’occhiata stupefatta ai figli e alla moglie, schiarirsi la gola, e leggere ad alta voce, « “Riconosciuti i meriti accademici e le capacità innate, nonché le costanti opere dell’illustrissima casata dei Tha a favore del miglioramento del nostro pianeta, il Consiglio Supremo di Gaia investe Rui Tha della carica di Comandante della spedizione per la riconquista  del pianeta Terra, nostra antica patria. A fronte, inoltre, della loro distinzione all’interno dell’Accademia, designiamo alla missione anche Kert Tha, Zaur Naktya, e Pharart Kyurai, che a lui faranno riferimento. Dettagli aggiuntivi sulla missione e suoi relativi preparativi verranno affrontati in una dedicata sessione riservata del Consiglio, programmata a giorni due dalla consegna di questa missiva. Confidiamo che il contenuto della nostra rimanga confidenziale fino al momento opportuno. Con l’autorità di cui siamo investiti e sotto la protezione degli Dei” … e ci sono le firme dei dodici Consiglieri. »
Kert ricordava ancora come la colazione che aveva gustato fino a quel momento fosse diventata cenere nella sua bocca. Aveva continuato a fissare oltre la spalla di suo padre mentre i suoni si facevano più attutiti, mentre sua madre scattava in piedi e correva ad afferrare la lettera per verificare con i propri occhi che il marito non stesse allucinando. Aveva ignorato pervicacemente le iridi di Rui, che avevano tentato di incrociare il suo sguardo con incredula impazienza.
Non erano state solo chiacchiere, allora, tutti quegli anni prima, il Consiglio aveva davvero organizzato qualcosa. E ora suo fratello era stato chiamato a guidare la missione. Suo fratello minore. Fresco fresco di Accademia.
Di nuovo scelto al posto suo.
La propria nomina gli pareva un contentino banale.
« Ma è meraviglioso, » la voce di sua madre gli era arrivata più stridula che mai alle orecchie, « Entrambi i nostri figli designati dal Consiglio stesso a… e tu, Rui, così giovane! »
Con la coda dell’occhio, Kert avrebbe giurato che suo fratello avesse avuto anche il coraggio di arrossire: « Non capisco… »
« Non c’è niente da capire, figliolo, ti abbiamo sempre detto che le tue capacità vanno oltre ciò che immagini. »
Kert aveva fatto di tutto per tenere la bocca chiusa, rifiutandosi di guardare Rui finché il fratello aveva desistito e si era alzato di fretta, borbottando qualcosa sul parlare con Espera. Era stato abbastanza per far alzare pure lui da tavola e farlo marciare fuori alla ricerca della sbronza più veloce.
Pharart l’aveva intercettato qualche ora dopo, seduto a bordo del fiume che tagliava esattamente a metà la capitale. Era già stato messo al corrente della situazione, ed era così capace di contagiare gli altri con il suo entusiasmo che era riuscito a far riscuotere un po’ il maggiore dei Tha. Chi era comandante importava poco, gli aveva ricordato, non quando l’incarico loro assegnato era di tale portata e soprattutto perché sarebbero stati loro quattro a portarlo a termine, insieme, come da quattordici anni a quella parte.
E lui ci aveva creduto. Ancora una volta, si era impegnato con tutto sé stesso nei quasi diciotto mesi che c’erano voluti per prepararsi.
La vigilia della partenza gli aveva però donato un altro tassello di quel complicato puzzle.
Non si era neanche lamentato troppo quando gli era stato comunicato che la celebrazione d’arrivederci si sarebbe tenuta a casa dei Seles, ormai assuefatto a quelle circostanze e soprattutto finalmente esaltato dalla prospettiva che da lì a poche ore avrebbe viaggiato tra le stelle per raggiungere il Pianeta Blu, ponendo una distanza incredibile tra sé e tutti quei vincoli. Una volta stufo di ascoltare i giri di parole degli invitati, che li celebravano con argomenti futili, e soprattutto pur di togliersi da davanti la faccia piagnucolante di Espera, che pareva incapace di staccarsi da Rui, aveva preso a gironzolare per il palazzo, sorseggiando dal suo bicchiere e stiracchiandosi le membra.
La luce che filtrava dalla porta socchiusa della biblioteca era stato un invito troppo grosso per non avvicinarsi ed origliare.
Riusciva a padroneggiare il suo elemento con abbastanza maestria da evitare che la sua presenza fosse notata da chi sostava nella stanza; aveva però trattenuto il respiro lo stesso quando aveva spiato dalla fessura – un po’ per precauzione, un po’ per quanto aveva sentito.
Il padre di Espera sedeva su una delle eleganti poltrone rosse, di tre quarti rispetto all’entrata; davanti a lui, l’anziano Secondo Consigliere, per una volta senza le vesti che identificavano i membri del loro governo.
« Mi rendo conto che ciò che le chiediamo non è semplice, » stava sussurrando l’anziano, « Ma è un’occasione unica che gioverebbe in maniera inimmaginabile al bene del nostro popolo. »
« Lo comprendo, ma… mia figlia non è preparata. E dubito che Rui Tha accetterebbe di portarla con sé in questa impresa, che, dovrà darmene conto, non è sicuramente priva di rischi. »
Il Consigliere aveva accennato appena: « Sarebbe custodita da quattro dei migliori soldati che il nostro esercito ha mai prodotto. E siamo certi che i nostri innamorati si rallegrerebbero di non venire separati, di potersi sostenere a vicenda. »
« Ma come…? »
« Se Espera si trovasse sull’astronave, alla partenza, dubito che si potrebbero prendere accorgimenti differenti… »
Kert aveva smesso di voler ascoltare, in quel momento. Il danno di potersela ritrovare di nuovo davanti, di averla sempre in mezzo ai piedi…. E la beffa che davvero ci fosse molto più sotto di quanto sapessero. Di quanto Rui stesso sapesse.
Ma sarebbe mai stato in grado lui, di spezzare così il cuore del fratello?
Lo sbuffo di Zaur, che si sedette accanto a lui, lo distrasse dai propri ricordi.
« Ti va di darmi il cambio al monitoraggio? Mi sta venendo mal di testa. »
Kert poggiò con estrema cura la sua arma sul pavimento, ormai così lucida che poteva specchiarvisi dentro.
« La tua cara meditazione non funziona più? »
L’occhiata profondamente gelida lo divertì: « Se tu stessi mantenendo lo stesso livello di protezioni e scudi che ho in ballo da settimane, saresti già con la faccia per terra. »
« Sei tu che ti vanti di essere il più potente di Gaia. »
« Tu il più rompiballe. »
« Concordo! »
« Sta’ zitto, Pharart, e vieni a darmi una mano. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Minto concentrò tutta sé stessa per non affannare troppo rumorosamente mentre si scioglieva i capelli dalla coda di cavallo mezza distrutta e li legava nuovamente in un più fresco chignon. Forse le sue visite in palestra erano diminuite troppo e le sue lezioni di danza non erano più abbastanza, o almeno non per tenere il ritmo di Purin, a quanto pareva ancora fresca e pimpante dopo un’ennesima sessione di allenamento. Tra la biondina e gli Ikisatashi – che a dirla tutta impartivano ordini più che unirsi agli esercizi – non sapeva chi spingesse di più per “rimetterle in forma”.
Se non altro lei era ancora in piedi insieme a Zakuro, mentre Ichigo e Retasu erano afflosciate alla parete almeno da cinque minuti.
« Già finito? » le prese in giro Kisshu, solo un velo di sudore sulla fronte, « E io che pensavo fosse solo il riscaldamento. »
La mora gli scoccò un’occhiata truce: « Se non la pianti, continuo l’allenamento contro la tua testa. »
Lui rise e le si avvicinò per avvolgerle un braccio attorno alle spalle e stringerla a sé, mormorandole scuse poco sincere contro i capelli che le fecero solo alzare gli occhi al cielo.
Nel frattempo, Pai si avvicinò alle scorte d’acqua, guardando la fidanzata con palese preoccupazione: « Capisco che abbiamo iniziato solo da cinque giorni, ma - »
« Niente ma, » lo interruppe Ichigo, alzando un dito per ammonirlo, « Ho partorito da quattro mesi e mezzo, io. È già tanto che non stia vomitando per tutta la stanza. »
« Ichigo, kami-sama, che schifo. »
Purin ridacchiò e si sedette a gambe incrociate davanti a tutti loro: « Dite che i nostri ospiti non si sono fatti risentire per quello che è successo l’ultima volta? Per la tizia che ha… fatto boom e poi fiuuuu? »
Zakuro trattenne una risatina alla strana descrizione e si diresse a sua volta a dissetarsi: « Può darsi. Anche se non riesco a comprendere la loro strategia. Sono in cinque, anche mancandone una sola… »
« Ci deve essere qualcosa che non sappiamo, » concordò Pai, portando un bicchiere anche a una paonazza Retasu, « Il modo in cui quel Rui ci aveva praticamente sotto tiro ed è poi andato da lei… »
Il commento rimase sospeso nell’aria, e Minto non poté non notare come Kisshu parve portarsela un po’ più vicina.
« Spiegherebbe effettivamente che il comandante ha un buon controllo sulla sua squadra, nonostante il caratteraccio di quell’altro. E se lui è influenzato da così vicino dalla presenza della ragazza, forse dovremmo cercare di scoprire un po’ di più su di lei. »
« Comunque, meglio così, » esclamò di nuovo Purin, scrocchiandosi il collo, « C’era fin troppa energia quando c’era lei. Se le si sono scaricate le pile e gli altri non attaccano finché non sta meglio, ci torna comodo. »
« Non siete ancora riusciti a localizzarli? » pigolò finalmente Retasu, prendendo piccoli sorsi d’acqua, la voce solo un fiato stanco.
Pai scosse la testa, le iridi che assunsero un tono più scuro: « Niente. Neanche una traccia. Spero solo che il vostro robottino diventi sempre più puntuale a notificarci della loro presenza. »
« Si chiama Masha. »
« Sicuri sicuri che non sono in una dimensione come le vostre? »
« Te l’ho già detto, scimmietta, quelle dovremmo riuscire a percepirle. »
« Possiamo averne un ragionevole dubbio. »
« Tortorella, ora non essere spiacevole. »
« Scusami? »
« Oooookay, Chi vuole provare un po’ di arti marziali?! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Espera raccolse l’acqua gelida nei palmi delle mani e se la portò al viso, sospirando soddisfatta quando il freddo sembrò rischiararle la pelle e la mente.
Le c’era voluto più del solito, ma le era tornato un po’ di colore sulle guance e ora finalmente riusciva a passare più di un’ora in piedi senza doversi aggrappare a Rui o al muro.
Patetica. Era assolutamente patetica. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, a mettere a rischio la carriera di Rui. A sentirsi come un esperimento vivente.
Un sospiro tremolante le scappò dalle labbra e si sciacquò la faccia una seconda volta. Le mancava casa così tanto che a volte pareva le si sarebbero spezzate le ossa sotto il peso di quella situazione, sotto le frustrazioni di quel pianeta, sotto tutto quello che riusciva a percepire.
« Ehi, » Rui picchiettò le nocche contro lo stipite della porta e le rivolse un sorriso gentile, « Va tutto bene? »
Espera ricambiò con quanta più convinzione possibile: « Dovevo alzarmi, » lo rassicurò, « Ormai il letto ha un buco della mia forma. »
Lui rise e le offrì la mano, per poi tirarla dolcemente verso sé non appena la afferrò: « Te la senti di venire di là con gli altri? Stiamo discutendo un po’ il da farsi. »
Lei deglutì ma annuì da sotto la frangetta, intrecciando le dita con le sue.
« Certo, basta che non la considerino un’intrusione. »
« Sei a tutti gli effetti parte di questa missione anche tu, » la rasserenò lui, avviandosi per il corridoio e poi guardandola da sopra la spalla, « Per quanto tu sappia che la cosa non mi va a genio. »
« Smettila, » gli sussurrò di rimando, sfiorandogli il braccio con la mano libera, « Continuare a rimuginarci sopra non ti fa bene. Ormai sono qui. »
« La prossima volta gradirei non trovarti come un pacco regalo nel bel mezzo della navicella. »
La prossima volta un corno, avrebbe voluto rispondere lei, ma preferì mordersi la lingua e concentrarsi su un sorriso meno tremolante mentre entravano nel salone.
Kert, Pharart e Zaur erano in piedi davanti ai sistemi di monitoraggio, e se due di loro la salutarono con più o meno calore, un altro quasi non degnò di riconoscere la sua presenza.
« Come sta andando? » domandò, in un tentativo di apparire convinta e spensierata.
Il biondo le offrì un sorriso sincero: « Stiamo cercando di capire che poteri abbiano queste strane umane. Alcuni parrebbero simili ai nostri, altri… »
« Altri non hanno un cazzo di senso, » concluse Kert, le braccia muscolose incrociate al petto, « E poi perché le… ? »
Espera non trattenne una risatina quando lo vide imitare coda e orecchie, ma si fece più seria a riguardare i video che scorrevano sul monitor: « Anche loro sono giovani. Forse anche più di noi. »
« Ti cambia qualcosa? »
Rui guardò storto il fratello per lo scatto verso la ragazza, avvicinandosi inconsciamente di un passo: « Se continuare a monitorarle per ottenere più informazioni possibili su di loro non è abbastanza, dobbiamo cambiare strategia. Ma nonostante la disparità numerica – »
« L’ultima volta li abbiamo rimessi a posto, » ghignò Kert, prima di guardare nuovamente con acredine l’aliena mora, « Prima dell’interruzione, giusto. »
Espera non riuscì a non alzare gli occhi al cielo nonostante la punta di senso di colpa che le si allargò nel petto, accentuata dall’ennesimo ringhio di avvertimento che il compagno rivolse a Kert.
« Idee proattive, per piacere. »
Kert fece schioccare la lingua, già irritato dalla stasi di quei giorni e dalla presenza di quel visetto smunto, e lanciò un’altra occhiata verso lo schermo su cui continuavano a ripetersi fotogrammi del loro precedente scontro.
Forse un’idea ce l’avrei.
« Qualcosa che magari abbia più effetto di quanto ottenuto ora. »
Alla voce che uscì dall’ombra, e che li fece voltare tutti con prudenza, Kert non smorzò il gemito di sconforto mentre Rui aggrottava le sopracciglia e scrutava il buio con più attenzione.
« … Sunao? »
« In persona, Rui. Ma di certo non qui per servirvi. »
Dall’angolo opposto della stanza, apparve un’aliena alta e snella, con dei lunghi capelli violetti sormontati da un doppio chignon; portava con sé un bastone bianco alle cui estremità luccicavano due sfere che parevano dense di una nebbia lattea.
« Naktya, Kyurai, Espera. È un piacere vedervi. »
Mentre Pharart lanciava uno sguardo confuso ai compagni, stupito e un po’ intimorito dalle iridi color agata, il viso di Espera si aprì in un luminoso sorriso e lei fece per fare un passo avanti, ma poi parve ricordarsi della situazione e si fermò accanto a Rui: « Che ci fai qui? »
« Vengo in veste ufficiale di Messaggera del Consiglio, » rispose Sunao, avvicinandosi ulteriormente, « È passata quasi una settimana dal vostro primo, reale attacco contro la Terra. Diciamo che c’è… interesse a capire come pensate di agire. Dopotutto, immagino gradireste tutti fare in modo che la vostra missione si concluda il più presto possibile. »
L’altra ragazza si rabbuiò e si morse il labbro inferiore, ma il dorso della mano di Rui sfiorò la sua con delicatezza: « Il Consiglio avrà sicuramente ricevuto i nostri rapporti. »
Il sorriso della nuova arrivata parve poco rassicurante: « Con me si fa più in fretta. »
Kert impiegò tutti i suoi muscoli per rimpicciolire la smorfia che gli nacque spontanea – se stava suggerendo che pure lei si sarebbe unita alla spedizione…
Lo sguardo violetto brillò di divertimento e si spostò su di lui: « Rimango per il tempo necessario, Kert. »
Lui sussultò ma le rivolse un ghignetto di riconoscimento, tentando al tempo stesso di ignorare le occhiate sbigottite che Pharart continuava a rivolgergli nel tentativo di catturare la sua attenzione.
« D’accordo, allora, » Rui fece un altro passo avanti e le dedicò un sorriso aperto, « Da parte mia sono sempre grato del tuo aiuto. Zaur, per favore, ripristina il video dall’inizio. Ci sono state delle complicanze, come ben saprai. »
L’aliena si avvicinò ai loro schermi, soffermandosi qualche secondo di più a sorridere a Espera – più allegra di quanto non fosse mai stata – prima di concentrarsi sulle immagini; le si formò una ruga tra gli occhi e la nebbia nel suo bastone parve pulsare un paio di volte, poi si voltò verso la ragazza.
« Quindi… è vero? »
Espera annuì e si torturò di nuovo il labbro, stringendosi nelle spalle: « Parrebbe di sì. »
« È anche il motivo per cui stiamo aspettando, » aggiunse Rui, sfiorando la schiena della sua compagna, « I poteri di Espera sono molto più acutizzati qui sulla Terra, e la sua guarigione ha preso più tempo del previsto. »
« Non sia mai lasciare la donzella in difficoltà a casa, » commentò sottovoce Kert – quasi al buio in un angolo, come a rendersi meno visibile possibile – guadagnandosi l’ennesimo sguardo truce.
Sunao non lo ascoltò ma annuì verso la mora: « Sono notizie rilevanti. »
Lei sembrò impallidire un po’ di più: « Lo so. Lo sappiamo. »
Le dita affusolate della Messaggera si strinsero attorno al bastone, che questa volta brillò più deciso: « Sono sicura che il Consiglio ascolterà la vostra strategia, in luce di tutto. »
Espera sorrise, poi uno sbadiglio improvviso la costrinse a scuotere la testa, e Rui le si affrettò accanto: « Meglio che torni a letto. »
Mentre lei annuiva e salutava ancora la nuova arrivata, avviandosi con il compagno verso la loro stanza, Kert fece nuovamente un verso di disappunto: « Il Consiglio dovrebbe occuparsi della politica su Gaia e lasciare a noi i piani militari. Viste anche le loro sorpresine. »
Sunao si voltò lentamente verso di lui, che si pentì di aver dato aria alla bocca come suo solito, però rise maliziosa: « Sorpresina? Non ci vediamo da quasi un anno e questo è il trattamento che mi riservi? »
Lui bloccò uno sbuffò, poi le regalò un sorriso smagliante: « Dolcezza. »
Lei piegò un sopracciglio, poco convinta: « Possibile che debba inseguirti anche all’altro capo dell’universo? »
« Sei davvero qui, o…? »
Sunao rise e compì gli ultimi due passi verso di lui, che s’irrigidì d’istinto; fece per posargli una mano sul petto e poi lo attraversò completamente, causandogli un brivido di fastidio.
Un ologramma.
Kert non riuscì a trattenere il sospiro di sollievo che gli scivolò tra i denti mentre Sunao spuntava alle sue spalle: neanche sforzando i suoi occhi allenati era possibile rivelare l’illusione, tanto la tecnologia – e, lo sapeva, le doti particolari dell’aliena – erano potenti.
Almeno avrebbe affrontato un problema alla volta.
« Dai, almeno dimmi che ti dispiace. »
« Tu sogni, Sunamora. »
Lei lanciò i capelli sopra la spalla mentre incrociava le braccia e un sorrisetto furbo le si disegnava sulle labbra: « Sapessi cosa, Tha. »
Lui gemette esasperato, alzando gli occhi al cielo: « Non sono dell’umore. »
Sunao sventolò una mano come a dirgli di non lamentarsi: « Allora vai a fare un giro e lascia giocare i bambini grandi. »
Si scambiò uno sguardo con Zaur e si sistemò di nuovo alla posizione di monitoraggio, a studiare i vari filmati; Kert avrebbe voluto replicare, irritato più del solito, ma ritenne più saggio approfittarne e sgattaiolare via, verso la penombra sicura della stanza che si era assegnato.
Maledizione, maledizione, qualcuno mi deve volere davvero male.
Neanche mezzo minuto, e la voce di Pharart lo raggiunse a metà del corridoio.
« Cos’è che sapete tutti e io no? »
Lui si fermò e lanciò la testa all’indietro, svuotando del tutto i polmoni: « Ti prego, non ti ci mettere anche tu. »
« Spunta una gnocca da paura che a quanto pare conoscete tutti e che in più parla a nome del Consiglio e non mi ci devo mettere? » il biondo insistette e lo prese per una spalla, costringendolo a voltarsi, « E poi cos’era tutta quella… cosa tra voi due? »
Kert digrignò i denti a vederlo mimare la maniera in cui Sunao gli si era avvicinato, poi schioccò le labbra: « Si chiama Sunao Sunamora, e siccome potrebbe spedirti indietro a Gaia con un calcio, lavora per le dirette dipendenze del Consiglio. La Messaggera è solo un titolo arzigogolato per darle un’aria più ufficiale rispetto alle cose che combina ogni tanto. »
L’amico alzò un sopracciglio: « Cosa combina? »
« Chiedilo a lei, se hai coraggio. Però ti avviso, ai Supremi è utile pure perché la sua capacità maggiore è la telepatia. »
Pharart fischiò e si lanciò un’occhiata sopra la spalla: « Sapesse cosa sto pensando io ora… »
« Fidati, non ti conviene. »
« E quindi? » insistette, « Com’è che tu sai tutte queste cose? »
Gli occhi dorati si strinsero: « … Ci conosciamo da quando eravamo piccoli. »
« Ti prego, dimmi che sei stato baciato dalla sorte. Letteralmente. »
Kert avrebbe voluto strozzarlo, ma si limitò a bisbigliare a labbra strette: « Come vedi, io e lei abbiamo idee differenti. »
Ci volle mezzo secondo, poi Pharart sbatté le palpebre e assunse un’espressione scioccata: « Lei?! » la sua voce si alzò di qualche ottava mentre puntava un dito dietro la schiena, « Lei ha un conclamato interesse per te e tu non ne vuoi sapere? »
Kert ringhiò a bassa voce: « Sei tu che non sai l’intera storia. »
« Non credo mi interesserebbe visto il soggetto! »
« E che soggetto, » l’amico sbuffò e gli lanciò un’occhiata obliqua, « Ti ricordi quando hai deciso di chiuderla con la figlia del tuo vicino? Ecco, però moltiplicala per quella che è la Messaggera del Consiglio. E non credo sia una grande attrattiva per il resto del pubblico femminile, pensare che a lei possano scattare cinque minuti di gelosia una volta conclusasi la faccenda. »
Pharart continuò a fissarlo come se avesse perso qualche rotella, poi scrollò le spalle e stese una gamba per fare un passo: « Perfetto, allora sicuramente non ti dispiace se ci provo io. »
Il braccio di Kert gli si parò davanti di scatto, il pugno che si chiuse attorno alla stoffa della sua maglietta mentre gli occhi dorato lo folgoravano; il biondo rise e posò il palmo sul polso dell’altro mente alzava un sopracciglio: « Vedi che non sei credibile. »
« Erreskorakas. (*)»
L’amico si liberò con un guizzo della mano e continuò come se niente fosse: « Comunque, voglio sapere tutto di lei. Dove e come l’hai conosciuta, perché non l’ho mai vista, cosa hai combinato, e soprattutto perché e come le possa piacere un buzzurro come te. »
« In quale mondo sono affari tuoi? »
Pharart gli rivolse un sorrisetto così ammiccante che sapeva stesse rischiando un cazzotto in piena bocca: « In questo. »
Kert lo raggelò con lo sguardo e digrignò i denti, imprecando di nuovo mentre il biondo sghignazzava soddisfatto. Rui li raggiunse in quel momento, chiudendosi piano la porta di Espera alle spalle e concedendo al fratello la grazia di nascondere anche lui il ghigno divertito di chi aveva sentito tutto.
« La famiglia Sunamora abitava poco distante da noi, » spiegò, afferrando con affetto la spalla di Kert, « E lei, come Espera, è rimasta a soggiornare a casa per gli anni dell’Accademia. Ecco perché forse non l’hai vista. Il resto è un mistero anche per me. »
« Che maschio ingrato. Io mi vergognerei. »
« Tu sei a cinque secondi dal ritrovarti con la trachea spezzata a metà. »
Rui ridacchiò e li spinse di nuovo entrambi verso il salone principale: « Possibile che abbiate ancora quindici anni? »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
La pioggia batteva incessantemente su Tokyo da due giorni, e anche Zakuro, che aveva sempre trovato una nota amaramente confortante nei cieli grigi, sospirò stanca della situazione. Il trucco da telecamera che aveva indosso, poi, sembrava ancora più pesante sulla pelle con la cappa di umidità perenne che spingeva su di loro, e lei bramava dalla voglia di poterselo togliere sotto una doccia bollente.
Il fatto di essere poi su un set di una finta spiaggia caraibica non aiutava certo la situazione.
« Scena trentacinque, tra due minuti! »
Tentò di non sbuffare troppo sonoramente; aveva terminato le sue parti per quella giornata, ma a volte il regista si incaponiva a farli rimanere lì in caso di eventuali cambi di idee, o suoi sbalzi d’umore. Amava il suo lavoro, ma amava pure essere libera di poter fare ciò che voleva quando le era dato.
« Vuoi qualcosa da bere, onee-sama? »
Rivolse un accenno di sorriso a Minto, impeccabile nonostante la lunga giornata e una tazza di cartone ben stretta tra le mani: « No, grazie, tra poco dovremmo andarcene. »
La mora non sembrò molto convinta e controllò di nuovo l’agenda nel suo telefono di lavoro: « Mezz’ora in più, per ora. Questa volta Tanizaki-san mi sente. »
« Non ne vale la pena, » commentò piatta Zakuro, « Si agiterebbe solo di più. »
Minto alzò gli occhi al cielo: « La puntualità è una grande dote che sta andando persa, » mugugnò, poi si frugò nella tasca della giacca per placare il ronzio che se ne levò e il suo sguardo si fece ancora più frustrato, « E comunque Pai la deve piantare con questa mania del check ogni tre ore! »
La modella osservò i due connettori, prontamente affibbiati dagli alieni alle Mew Mew per “ovviare le mancanze tecnologiche terrestri”, che la mora teneva in mano e su cui premette un po’ a caso.
« Come se non fossimo già abbastanza in ansia! E poi cos’è, non si fida? »
Zakuro nascose un sorrisetto: « Lo sai che gli piace avere tutto sotto controllo. »
Di nuovo, Minto si lanciò andare in una plateale dimostrazione di stizza: « Il fiato sul collo non aiuta! »
L’altra fece per replicare, ma un trillo dal suo telefono personale distrasse l’amica per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta le fece arricciare il naso.
« Tieni, » mormorò, passandole il cellulare, e Zakuro non ebbe bisogno di guardare il display per capire da chi provenisse il messaggio.
Forse avrebbe dovuto dirle qualcosa, prima che Minto scoppiasse. D’altro canto, mettersi subito a parlare di etichette, divulgare informazioni, ancora prima di averne parlato per bene…
« Dimmelo se devo farti modifiche all’agenda, » continuò la mora con finta nonchalance, guardando dritto davanti a sé, « In teoria il tuo unico momento libero sarebbe stasera perché hai una cena con i produttori domani, le riprese in notturna dopodomani e un’intervista a pomeriggio tardi, e Ichigo voleva fare qualcosa nel weekend, ma ovviamente lei è la meno importante. »
« Non c’è bisogno, » si limitò a replicare, digitando una risposta veloce, « Stasera andrà bene. »
« Mmmm, » Minto le lanciò un’occhiata di soppiatto, mentre controllava l’ora sul display, « Sono già le sette. »
Zakuro intuì bene il doppio significato di quel commento all’apparenza innocuo, ma fece finta di nulla: « Sono sicura che tra poco finiremo. Immagino che anche Kisshu ti stia aspettando. »
La mora sembrò irrigidirsi, punta sul vivo: « Mah, sarà al Caffè. Non abbiamo piani. »
L’amica strinse le labbra per non sorridere, scegliendo di non sottolineare che non avessero piani giusto perché passavano comunque tutto il tempo libero insieme senza doversi dire nulla, ma sapeva benissimo che Minto era su di giri dall’arrivo dei loro nuovi nemici e non aveva senso stuzzicarla ulteriormente.
Il rombo di un tuono lontano echeggiò anche negli studi, causando un tremolio nelle luci potenti e qualche mormorio tra la troupe presente; le due ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata, memori della settimana precedente, ma sia i connettori che telefoni e pendagli rimasero muti.
« Che tempaccio, » sospirò Minto, « Sono esausta. Vorrei solo infilarmi in una vasca da bagno. »
Zakuro si stiracchiò il collo e guardò fuori dalle finestre, dove un lampo rimbalzò di nuovo tra gli edifici.
« Gli altri dove sono? »
La mora si strinse nelle spalle: « Credo davvero al Caffè. Non penso Retasu e Ichigo si siano sottoposte volontariamente alla tortura degli allenamenti senza di noi, oggi, poi a Reta-chan piace studiare là, soprattutto se c’è Pai. Di Purin non ne parliamo. »
« Lo sai che le era mancato, forse sta cercando di recuperare il tempo perso. »
Minto lasciò passare un altro tuono e digitò un altro paio di volte sul telefono: « Quindi ti segno come irraggiungibile stasera. »
Zakuro dovette trattenersi dallo sbuffare: « Tranne per le emergenze, o voi, ovviamente. »
« Domattina la tua prima chiamata per le riprese è alle nove e mezza. »
« Nessun problema. »
Anche con la coda dell’occhio, poteva vedere l’amica fremere indispettita, il naso arricciato in quella smorfia così sua.
« E comunque non capisco cosa ci tro- »
L’ennesimo boato fece sussultare le luci e sembrò scuotere i muri, provocando un silenzio impensierito negli astanti; questa volta, però, fu seguito da un distinto squillare di cellulari.
Minto impallidì mentre Zakuro sibilò una parolaccia tra i denti, alzandosi veloce dalla propria sedia e strappandosi la carta velina infilata nel colletto. Il pendaglio Mew che aveva in tasca iniziò a gracchiare, quasi inudibile sotto il vociare allertato dei colleghi e della troupe.
« Ragazze, tocca a voi! » la voce di Keiichiro le parve provata, « Dovete venire al Ca- »
La comunicazione s’interruppe, un rumore inquietante che invece si sollevò dai piccoli microfoni. D’istinto, Zakuro afferrò la mano di Minto e la trascinò verso l’uscita, dove si stava già assiepando tutta la folla che aveva lavorato con loro quella giornata. Virò allora verso un corridoio secondario, dove avrebbero potuto trasformarsi senza essere viste da nessuno e andarsene di lì più rapidamente.
Udì la mora trafficare di nuovo in tasca, poi la voce di Kisshu che uscì dal connettore, un po’ più chiara rispetto che con i loro congegni:
« Dove siete? »
« Stiamo arrivando, » rispose concitata lei, prendendo un respiro di sollievo quando sgusciarono via dalla massa di persone che aveva premuto loro contro, « Abbiamo tardato a lavoro, ma Akasaka-san - »
« Vi vengo a prendere. »
« No, » s’intromise rapida la mewlupo, ripensando a come si era interrotta la comunicazione con il pasticcere, « Tu servi al Caffè, arriviamo subito. »
Qualcosa doveva essere successo, perché per una volta Kisshu non protestò troppo.
Lei e Minto si scambiarono solo un’altra occhiata, prima di accertarsi che fossero davvero sole e avvolgersi di luci colorate.
« Di là, » la mewbird strinse il suo arco e indicò con un cenno del capo un’uscita d’emergenza, avviandosi a passo spedito.
La pioggia sembrava essere aumentata d’intensità e colorava tutto di una deprimente sfumatura di grigio che parve incrementare il gelo delle gocce contro la pelle nuda e il senso d’inquietudine alla bocca dello stomaco, ma non lasciarono che le deconcentrasse troppo. Zakuro esitò solo un secondo per rispondere a quel messaggio prima di mettersi a correre con tutta la forza che aveva.
Credo che dovremo rimandare la cena.
 
 
 
 
Retasu era effettivamente seduta a uno dei tavoli in angolo del salone del Caffè, una ennesima tazza di tè bollente che le fumava accanto per aiutarla a riscaldarsi vista l’umidità esterna e concentrarsi sui voluminosi tomi aperti davanti a sé. La finta chiusura del locale era per lei un’ottima occasione per studiare senza interruzioni, senza troppo rumore, e soprattutto per rifugiarsi in un posto accogliente e vicino agli altri, e sapeva già che le sarebbe dispiaciuto terribilmente quando avrebbero dovuto ricominciare ad aprire le porte al pubblico.
Il fatto che così facendo potesse passare molto più tempo attivamente con Pai (e senza dispettose colleghe tra i piedi) era la ciliegina sulla torta.
« Dovresti dire al tuo fidanzato che il divano nel laboratorio è fatto per essere utilizzato, » si lamentò Ichigo, seduta davanti a lei, per l’ennesima volta, massaggiandosi la schiena e stiracchiandosi impunemente, « Dopo un po’ le sedie diventano scomode. »
La verde sorrise e scosse la testa: « Non si studia sul divano, Ichigo-chan. »
Lei brontolò, la mente che divagò all’ultima volta che effettivamente lei e Shirogane avevano tentato di studiare sul suo divano, e poggiò il mento sui polsi, guardandola con due occhioni da cucciolo: « Ti manca molto? Mi annoio. »
« Hai già finito il tuo libro? »
« Non è una lettura così entusiasmante, » mugugnò, studiando il tomo sullo svezzamento, « L’alternativa è fare l’inventario con Purin e Keiichiro, o il laboratorio. Dove sono chiaramente una persona non gradita. »
Retasu ridacchiò e chiuse il proprio libro, lanciando uno sguardo all’orologio: « Okay, direi che oggi può bastare. Ma solo perché siete voi. »
Guardò con affetto Kimberly, tranquilla nella sua culletta che ogni tanto lanciava un versetto di contentezza, una delle tante copertine che le aveva regalato a tenerla al calduccio.
« Tra un po’ te ne servirà una nuova e più invernale, » commentò, sfiorando il cotone grosso con le dita e al tempo stesso lasciando una carezza alla piccola.
« Non dirmelo, ho già messo via un sacco di suoi vestiti, » esalò la rossa, « Di questo passo le cambierò armadio sette volte prima che compia un anno. E a proposito di armadi, ci dobbiamo inventare qualcosa per Minto-chan, tra poco è il suo compleanno. »
La verde annuì: « Dici che anche stavolta organizzerà la solita festa? »
Ichigo la guardò, ben intuendo: « Lo sai come è fatta, come minimo dice che non vuole che niente cambi la sua routine. Oppure ci dice che ci stiamo concentrando sulle cose sbagliate. Basta che lo dica in fretta così so cosa mettermi. »
Retasu rise sotto i baffi, e prese un altro sorso del suo tè.
Poi accadde tutto troppo velocemente perché lei riuscisse a seguire gli eventi. La tazza le scivolò tra le dita quando i sistemi di allarme risuonarono all’improvviso, mozzandole il fiato e facendole perdere qualche battito al cuore, mentre essa si frantumava in diversi pezzi e schizzava liquido bollente ovunque.
L’intero mondo sussultò e oscillò attorno a loro con un inquietante cigolio di cemento e un terribile boato sordo.
Non seppe chi gridò prima, se lei, Ichigo, la bambina, o i ragazzi che spuntarono atterriti dal piano di sotto: seppe solo che istintivamente si lanciò sotto il tavolo, mugolando piano al contatto con la sua bevanda mentre si copriva la testa con le mani, per proteggersi, per non sentire quel suono.
« Retasu! »
Pai la raggiunse e l’aiutò a tirarsi in piedi, scrutandola alla ricerca della più piccola ferita; lei registrò a malapena la presenza degli altri, di Ryou che correva da Ichigo e Kimberly, di Kisshu e Taruto che imprecavano sottovoce con una pallidissima Purin vicino a loro.
« Che… che sta succedendo? »
« I nostri nuovi amici sono qui, » rispose sibilando Kisshu, i sai che luccicarono inquietanti sotto i led del locale, « E a quanto pare hanno scoperto la base. Sfortunatamente per loro, Taruto è più in gamba di quanto faccia intendere. »
« Ha tenuto, » l’alieno dagli occhi ametista le parve incredibilmente confortato mentre ripeteva, « Ha tenuto. »
Taruto, le armi già impugnate, gli scoccò solo un’occhiata critica, nonostante la gemella espressione di sollievo: « Grazie della fiducia. »
Un lampo di luce gialla, e MewPurin rivolse alle amiche un sorriso che tentò di essere confortante: « Andiamo. »
Ichigo annuì, e guardò indietro solo una volta a marito e figlia: « Non ci farò mai l’abitudine. »
 
 
 
 
« Oh, ma andiamo, » Kert abbassò la sua arma e fece schioccare la lingua contrariato, « Così è ingiusto. »
Quello strano, vezzoso locale infatti era ancora in piedi, completamente intonso, come se il getto d’aria compressa che gli aveva scaricato addosso non l’avesse nemmeno scalfito. Perché effettivamente non l’aveva intaccato, l’unica traccia della sua esistenza erano i cespugli sradicati e l’erba divelta lì attorno, che mandava ora un intenso profumo di terriccio bagnato.
Quegli umani erano una sorpresa continua.
Si scostò i capelli fradici dal volto e lanciò un’occhiata a suo fratello: « Non puoi fare niente? »
« Vuoi seriamente sprecare tempo a lamentarti di un temporale? » lo rimproverò Zaur, la frangia ancora più appiccicata del solito sugli occhi.
« Vorrei vederci quando combatto. »
« Potresti sempre tagliarti quella chioma fluente. »
« Senti chi parla. »
Rui scoccò un’occhiataccia a lui e Pharart: « È ora di smetterla con le stupidaggini. »
Kert sganciò l’accetta che teneva alla cintola e sorrise maligno nel vedere i loro cugini e le umane – tre di loro, almeno – correre fuori dalla loro tana.
« Concordo. »
Scattò verso il basso, i suoi tre compagni che lo seguirono con traiettorie leggermente diverse, la lama salda anche tra le dita bagnate. Kisshu lo intercettò praticamente a metà strada, uno stridio metallico che rimbombò sotto il rumore della pioggia all’incrociare delle loro armi.
« Non ti è bastata l’ultima volta? »
Il ghigno di Kert si allargò un po’ di più mentre gli occhi dorati fiammeggiavano di stizza: « Sarà un piacere ripagarti, Duuariano. »
 
 
 
 
« Ne manca una! »
MewIchigo scartò di lato ed evitò una freccia di Pharart per un pelo, ricambiando con un Ribbon Strawberry Surprise che almeno riuscì ad accecarlo per un paio di istanti. MewPurin, accanto a lei, seguì il suo attacco con un paio di budini che permisero loro di prendere fiato per un secondo.
« Meglio così, » borbottò la biondina, passandosi una mano sulla fronte, « Non ci tengo a rivedere il trucchetto luminoso. »
La mewgatto annuì, osservando Rui combattere contro Taruto con la spada, stavolta, di dimensioni ridotte.
Un altro tuono rombò per il giardino, seguito dallo schiocco della frusta di MewZakuro, che comparve insieme a MewMinto alle loro spalle.
« Tutto bene? » quando le altre due annuirono, la mewlupo domandò preoccupata, « Che è successo? »
« Hanno attaccato il Caffè, credo con il bazooka di quello là, » MewPurin accennò col mento a Kert, ancora a mezz’aria in un duello personale con Kisshu, « Ma la barriera che Taruto ha eretto ha attutito il colpo, non ci siamo fatti niente. »
« Io ho perso tre anni di vita, ma sì. »
MewZakuro schioccò la lingua e aggrottò le sopracciglia: « Quindi ci hanno trovati. »
« Non ricordarlo a Pai nii-san, per favore, è già abbastanza su di giri così com’è. »
MewMinto sembrò non apprezzare troppo il sarcasmo, lo sguardo impensierito che seguiva la zazzera di capelli verdi praticamente neri sotto l’acqua.
Si lanciò in avanti, affiancandosi a MewRetasu che insieme a Pai cercava di tenere Zaur il più lontano possibile da loro.
« Ancora non ho capito quali sono i suoi poteri, » esalò a denti stretti, e gli occhi ametista incrociarono i suoi per un istante veloce:
« Nemmeno io. »
Fu abbastanza per farla rabbrividire.
 
 
 
 
Non l’avrebbe mai ammesso, neanche a sé stesso, ma quello stupido traditore Duuariano gli stava davvero dando sui nervi.
E, di nuovo, sarebbe morto prima di ammetterlo ad alta voce, ma sarebbe stato cento volte più comodo se quell’arpia di Sunao fosse stata più che una immagine ad alta definizione confinata entro gli apparecchi della loro base. Anche se la tensione che il suo arrivo gli aveva provocato poteva essere meglio canalizzata contro i suoi nemici.
Scagliò un altro colpo verso di lui, richiamando a sé quel vento insolito; la sua arma preferita gli premeva contro la schiena, ma sarebbe stato impossibile imbracciarla e colpire quando il suo oppositore lo pressava così tanto.
Ed era svelto, il bastardo; meno corpulento di lui ma altrettanto forte e, di contro, forse più agile, con quel sorrisetto soddisfatto che avrebbe voluto cancellare con un cazzotto ben assestato.
Poteva quasi avvertire i propri guanti chiodati bruciare di voglia.
Kisshu – così l’aveva sentito chiamare da quella tizia alata che sembrava essere sempre nel suo raggio d’attenzione, più o meno – gli spedì contro un fiotto d’elettricità che lui fu svelto a far rimbalzare via contro uno sbuffo d’aria reso più solido. Anche se gli sembrava che i suoi poteri non gli appartenessero bene, su quel pianeta. Come se gli elementi faticassero a riconoscerlo tanto quanto lui faticava a riconoscere loro.
Ricambiò con un affondo di accetta che fu parato dai tridenti con uno stridio insopportabile, e i due avversari si spinsero lontani a vicenda in un ringhio di comune disdegno.
Kert strinse il pugno, lanciandosi i capelli oltre la spalla e ritornando alla carica.
Forse devo cambiare strategia.
 
 
 
 
Non vedeva – colpo – un – colpo – accidente – colpo.
MewRetasu prese un respiro all’ultimo attacco che lanciò e che s’infranse contro lo scudo invisibile, o qualsiasi cosa fosse, attorno all’alieno dagli occhi neri, rabbrividendo appena sotto le gocce gelide che continuavano a tormentarli.
Ogni volta l’ironia del suo rapporto con l’acqua le veniva rimembrato.
Si gettò di lato seguendo Pai e il suo ventaglio quando Zaur scese pericolosamente verso di loro: l’alieno combatteva con un bastone e sembrava perennemente avvolto da un alone scuro, come fatto di ombre, ma il suo fare era svogliato, pigro, quasi si stesse annoiando ad essere lì, e soprattutto manteneva sempre una certa distanza che, più che rassicurarla, la innervosiva.
Scagliò l’ennesimo Ribbon Lettuce Rush e caracollò via non appena il bastone di Zaur lo parò, quasi facendolo scoppiare di ritorno verso di lei.
All’improvviso, una liana di Pharart saettò verso di lei, che per evitarla inciampò all’indietro, reprimendo un urletto di sorpresa; la frusta di MewZakuro s’interpose tra loro, bruciando la radice a metà e facendola uggiolare di dolore.
« Tutto okay? »
« Sì, » rispose senza fiato all’amica, « Sto be - »
Il fiato le si mozzò di nuovo in gola, ma questa volta come se ci fosse una mano, no, una roccia a premerle sul petto; strizzò gli occhi e poi li spalancò, boccheggiando per capire cosa stesse succedendo, perché non riuscisse più a respirare.
Non si era accorta, nel suo sfuggire, che aveva ridotto lo spazio a separarla da Zaur, e ora l’alieno le fluttuava poco distante, gli occhi neri che sembravano ossidiane senza fine.
Fine.
Non ci sarebbe stato altro, per loro, se non la fine di tutto, che le avrebbe attanagliate come quella morsa che ora le impediva di pensare lucidamente, che le bloccava l’ossigeno.
Non c’erano altre emozioni se non la più totale apatia.
Fine.
Nero.
Buio.
Cosa sta succedendo.
Io non –
Retasu lanciò un rantolo e si portò a gattoni, tenendosi una mano sulla gola: sentì Zakuro chiamarla, ma poi anche l’amica emise un gemito strozzato e sembrò bloccarsi sul colpo, al bordo del suo campo visivo. L’alieno atterrò con delicatezza sull’erba bagnata; un guizzo di viola alle sue spalle, ma Zaur lanciò una mano dietro di sé e anche Pai cadde in ginocchio, come colpito da un pugno invisibile.
Niente. Niente. Non c’era più niente.
« Ragazze! »
Avrebbe voluto dire a MewPurin di rimanere indietro, lontana, ma dalla gola le uscì solo un roco soffio che si affievolì come la sua speranza.
 
 
 
 
L’urlo spaventato gli fece scorgere il subbuglio poco sotto di loro, notò con squisito piacere che Zaur stava usando uno dei suoi trucchetti preferiti su quelle umane. Tre di loro si erano avvicinate, ed erano ora immobili, insieme allo sporco traditore in carica.
Gli stava bene. E forse era proprio l’opportunità che cercava per sbloccare quella situazione, per capire perché alla fine il loro potere ammontava solo a quello.
Non aveva tempo di parlarne con Rui, ma era sempre stato un fervente sostenitore del “meglio chiedere scusa che chiedere permesso.”
Spinse con tutta la forza dei suoi muscoli contro Kisshu e lo forzò lontano, per poi allontanarsi a sua volta; vide negli occhi dorati, così insopportabilmente simili ai propri, una scintilla di soddisfazione al pensiero che forse si stava ritirando.
Sciocco.
Portò la mano dietro la schiena mentre continuava a volare, il Duuariano che prese a inseguirlo, e liberò la propria arma dai lacci che l’assicuravano; si lasciò poi cadere in verticale per un paio di metri, per avvicinarsi il più possibile al suo obiettivo, e dal nulla fischiò, un fischio che era stato affinato con anni e anni di pratica, di amicizia, di fratellanza. Un fischio a cui i suoi compagni reagirono quasi d’istinto, anche senza sapere perché, allontanandosi velocemente da qualsiasi cosa stessero facendo.
Poi Kert prese la mira e sparò.
 
 
 
 
MewMinto stava facendo a mantenersi dritta con quel cavolo di vento che sembrava essere aumentato, e la pioggia battente le infastidiva le ali come non mai, pur non bagnandole ma rendendo il volo più complesso. E non si soffermò sul fatto di essere assolutamente fuori esercizio, per quanto riguardava il volo.
Scoccò un’altra freccia e mirò dritto a Rui, ma lui, anche con la spada in formato ridotto, riusciva a parare ogni loro attacco. Strinse i denti e volò più rasoterra, cercando di trovare un punto in cui fosse scoperto o che almeno, combinandosi con MewIchigo e Taruto, le avrebbe permesso di colpirlo.
Doveva anche smetterla di pensare a Kisshu e di lanciare occhiate preoccupate a quel deficiente ogni cinque minuti, ma non le rendeva certo il compito meno facile quando se ne andava in solitaria a fare il supereroe.
Strinse i denti e lanciò un’altra freccia, che sibilò nell’aria e mancò il bersaglio di pochi centimetri, perché Rui era stato sveltissimo a teletrasportarsi dall’altra parte, dietro Taruto e la mewrosa.
MewMinto lanciò uno sguardo alla sua sinistra, captando la voce preoccupata di MewPurin nello stesso istante in cui lo fece il giovane Ikisatashi, e il cuore le diede un tremolio mentre la mente cercava di processare le immagini.
Poi udì quel fischio, così acuto e brillante, seguito dallo sbotto di Rui che non comprese ma che le sembrò comunque una maledizione; poi udì l’ennesimo tuono, che un tuono non era.
La bomba d’aria scoppiò verso di loro veloce come un fulmine e aprì una spaccatura nel terreno, sollevando chili di terriccio, polvere, erba, inondando completamente il loro campo visivo già messo a dura prova. MewMinto fu scaraventata lontano dalla forza del colpo, ma non riuscì nemmeno a capire dove fosse finita, chi ci fosse vicino a lei, perché non poteva vedere niente se non pioggia e polvere. Tossì, si sfregò il viso con i guanti, il cuore che le batteva in gola e che le diceva che doveva essere veloce, veloce, veloce.
Chiamò MewIchigo, chiamò le altre, e sentì la rossa risponderle da un punto imprecisato alla sua destra.
Non fece in tempo a compiere un passo che una mano le si chiuse attorno al braccio e la strattonò, il guizzo del teletrasporto che le rivoltò lo stomaco ancora prima di riconoscere due occhi dorati e un ghigno incattivito che mormorò: « Tu ora vieni con me. »
 
 
 
 
Avevano avvertito il boato fin dal laboratorio, ma ancora una volta la barriera di Taruto aveva fatto sì che non ci fosse alcun danno strutturale al Caffè; gli sarebbe per sempre rimasta, però, l’orribile sensazione degli strati e degli strati di cemento sopra di loro che echeggiavano minacciose promesse di crollargli addosso all’occasione giusta.
Ryou lanciò ancora un’altra occhiata allo schermo, il cuore in gola nel vedere la nuvola di polvere e terriccio che oscurava le telecamere. I pendagli delle ragazze, però, pulsavano ancora, così come i loro comunicatori e quelli degli Ikisatashi, settati anche per leggere i parametri vitali.
Sette puntini che battevano e che gli fecero esalare il respiro che aveva trattenuto, scambiandosi uno sguardo con Keiichiro, pallido quanto lui.
Aspetta… come sette?!
Ricontrollò ancora, digitando frenetico sulla tastiera e zoomando sul segnale dei pendagli.
Quattro.
Solo quattro.
Il cuore gli precipitò nello stomaco.
Non aggiunse una parola mentre scattava via dalla sedia e si lanciava in una corsa forsennata, prendendo i gradini a due a due e mormorando maledizioni e preghiere nello stesso momento – non aveva osato controllare, non ci aveva nemmeno pensato, solo i suoi occhi avrebbero potuto…
Spalancò la porta del Caffè, il vento gelido che scrosciò la pioggia contro di lui e fin dentro al locale, ma non gli importò mentre scrutava il prato tra l’acquazzone e i rimasugli di quell’attacco fin troppo potente, il cuore che gli batteva così forte in gola da bloccargli qualsiasi suono potesse giungere alle proprie orecchie.
Vide una macchia di rosa che gli fece rotolare lo stomaco.
Una macchia di rosa che barcollò e cadde in ginocchio tra l’erba, chiamando il nome a pieni polmoni.
Prima che Kisshu lanciasse un urlo ferino, evocando un para-para per la prima volta in anni e scagliandolo con tutta la forza che possedeva contro il parco lì davanti, bruciando gli alberi al suo passaggio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Dopo un po’ di ricerche sul greco antico perché – ahimè – il mio vecchio dizionario è molto lontano, una maniera alternativa di mandare qualcuno a quel paese :3 È una crasi tra Ερρε (che già di suo parrebbe significare vaffanculo) e Ες κορακας, ovvero letteralmente ai corvi (vai a far mangiare il tuo cadavere da un animale spazzino, ecco) e quindi per esteso vai al diavolo. Secondo il canon, gli alieni sono partiti dalla Terra milioni di anni fa, molto prima che si sviluppasse l’Antica Grecia, quindi avrebbero mai potuto parlare greco? No. Mi interessa qualcosa? No :3
 

 

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Capitolo 13
*** Tonight is gonna be the loneliest ***


Chapter Thirteen – Tonight is gonna be the loneliest

 

 

 

 
 
 
 
 
 
Aveva capito fin da subito che avrebbe replicato quel momento nella sua testa fino all’ultimo dei suoi gironi. Per capire dove aveva sbagliato. Per capire se avrebbe potuto fare qualcosa. Per flagellarsi di non esserne stato capace.
Il rumore della pioggia che attutiva gli stridii dei punti in cui le sue lame collidevano con quelle del nemico.
Il richiamo intimorito di MewPurin che sembrava aver distratto pure Kert, e lui gli si era lanciato all’inseguimento quando si era allontanato più del previsto, perché non si era mai tirato indietro da un duello, non avrebbe mai mollato così facilmente.
Il fischio, fuori luogo, irriverente, quella gelida soddisfazione negli occhi, seguito da quel colpo che avrebbe dovuto aspettarsi – come aveva potuto cadere nella trappola? – ma che li aveva disorientati tutti, travolgendoli, disorientandoli, il fragore così sordo contro al terreno, l’aria che si era fatta ancora più densa e irrespirabile.
Il filo di terrore a perdere il controllo per istanti che mai erano stati così preziosi.
Minto che chiamava Ichigo. Minto che chiamava lui.
Minto che…
Ci aveva impiegato la frazione di un istante a rendersene conto.
Il para para gli spuntò in mano prima che potesse comprenderlo.
Nemmeno un briciolo della rabbia che provava fu sprigionato nell’urlo belluino che gli raschiò la gola.
Ignorò il singhiozzo che percepì univoco salire dalle gole delle altre, voltandosi lentamente verso il Caffè con il respiro mozzato dalla bile che continuava a ribollirgli nell’esofago.
L’avrebbe ucciso.
Se anche solo l’avesse…
Non sarebbe rimasto neanche un pezzetto di lui.
Vide Shirogane, anche lui già bagnato come un pulcino, avvicinarsi tentennante a Ichigo, ancora trasformata ma in ginocchio per terra, il viso nascosto tra le mani, scuoteva la testa e sembrava trattenere i singulti.
Non c’era tempo da perdere, doveva…
Senza neanche pensarci, senza che il suo cervello dovesse anche solo decidere, scese velocemente a mezz’aria e intercettò l’americano a metà strada, afferrandolo per il bavero della camicia e sollevandolo per sbatterlo con un ringhio contro al muro del locale, così veloce che non fu nemmeno sicuro che l’umano avesse notato il movimento.
« Adesso tu usi quel tuo cazzo di bel cervellino per ritrovarla, » latrò, dimentico di ogni buona maniera, di ogni incerto rapporto, ignaro anche del senso di colpa e della preoccupazione visibile negli occhi azzurri confusi e sgomenti.
Ryou gli afferrò i polsi e cercò di scrollarselo di dosso, l’orgoglio ferito anche dal respiro che gli aveva strappato, ma fu Taruto il primo a raggiungere Kisshu e scollargli le dita dal colletto.
« Ehi, ehi, manteniamo la calma, » esclamò a voce rotta, il viso attraversato da un’ombra, « Non è certo colpa di Shirogane. »
« È colpa mia, » continuò a singhiozzare Ichigo, alzandosi su gambe incerte, « L’ho sentita chiamarmi, ma… non si vedeva niente e – »
Zakuro le fu accanto per aiutarla a raddrizzarsi: « Non è colpa di nessuno, se non dei Geoti, » cercò di tranquillizzarla, nonostante il gelo nelle sue parole, « Ora concentriamoci sul riportarla a casa. »
Si scambiò uno sguardo con Ryou, che aveva rimesso insieme i pezzi di ciò che era successo. Lui annuì piano e si allontanò da Kisshu, neanche così poco sottilmente, mentre si riaggiustava la camicia:
« Torniamo dentro, proviamo a rintracciare il segnale del suo ciondolo. »
Pai, il ventaglio ritornato a dimensioni normali che pendeva mollemente al suo fianco, ritenne più saggio non rammentare che non avevano avuto un briciolo di fortuna a intercettare attività dei loro nemici, vista l’espressione omicida del fratello, ancora nella presa di Taruto; fece quindi un cenno con il mento: « Dovrebbe avere avuto con sé anche il nostro comunicatore. Se ha passato qualsiasi barriera protettiva hanno instaurato – »
« Cos’è, vuoi sfruttare la situazione, ora? Usarla come spia? »
Le mani di Taruto si contrassero attorno alle spalle di Kisshu mentre le iridi ametista guizzavano più scure: « Sai benissimo che non intendevo quello. Il segnale dei nostri congegni è solo più stabile, tutto qua. »
« Non preoccuparti, nii-san, mi meraviglierei se la nee-san non gli avesse già fatto saltare per aria mezza base, » Purin tentò di rivolgergli un sorriso convinto da sotto la frangetta inzuppata, « Se ci asciughiamo anche noi un secondo poi… »
« Voi fate come cazzo vi pare, » Kisshu riuscì finalmente a togliersi il fratello minore di dosso e strinse la presa sui sai, « Io vado a cercarla. »
« Kisshu-san, aspetta, non sap – »
Il richiamo di Retasu cadde addosso a orecchie sorde, perché neanche una frazione di secondo e il fruscio del teletrasporto vibrò sotto il rumore della pioggia.
 
 
 
 
« Lasciami! Tu… pezzo di – »
 Un’esclamazione in una lingua che non comprese, poi MewMinto avvertì tutta l’aria scapparle dai polmoni quando la gravità pesò su di lei e la fece atterrare di schianto su un pavimento gelido, la sua schiena – le sue povere ali – che contemporaneamente si spiaccicò contro un muro.
Boccheggiò e tentò, nella penombra, di mettere a fuoco la figura che la sovrastava, decisamente più massiccia da così vicino, e che si piegò su di lei abbastanza velocemente per toglierle l’arco prima che lei potesse anche solo iniziare a comprendere del tutto cosa stesse succedendo.
« Per essere così mingherlina, hai la mano pesante, » borbottò la figura con forse una punta di soddisfazione, mentre si massaggiava il costato, « Questo giocattolino adesso lo prendo io. Vediamo se ti passa un po’ la voglia di essere riottosa. »
MewMinto riuscì a riprendere il controllo dei propri polmoni e tentò di tirarsi in ginocchio, l’adrenalina che le pompava il cuore a mille, ma era fradicia, stanca, completamente disorientata, e non poté far altro che guardare la porta – la porta?! – chiudersi alle spalle del suo rapitore.
Perché quella era la situazione, in quel momento.
Le ci volle qualche altro secondo in cui si impose di prendere dei respiri profondi per non cedere alla crescente trappola del panico.
Non perdere la testa, non perdere la testa, non ne ricavi nulla.
Le scappò comunque un gemito tra i denti quando finalmente riuscì a tirarsi in piedi, sostenendosi contro al muro; tra la battaglia appena conclusasi e la botta contro al muro, poteva già sentire tanti piccoli dolorini fare capolino in vari punti del corpo. Torse appena il collo per controllarsi le ali, tastando con prudenza, ma con sollievo le vide solo un po’ ammaccate, nonostante i graffi che percepiva sotto le dita guantate.
Prese l’ennesimo respiro, raddrizzò la schiena, e si scostò i capelli grondanti dal viso, osservando meglio l’ambiente circostante. Era già scesa la sera e il temporale, che continuava a tuonare lì fuori, contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più cupa, ma era decisamente rinchiusa in una camera da letto vistosamente elegante ma dall’aspetto trasandato, come se non ci avesse vissuto nessuno per anni. Solo un baldacchino coperto da lenzuola ingrigite era presente, nessun altro pezzo di mobilio a parte le spesse tende di velluto che coprivano le tre alte finestre. Minto vi si avvicinò subito, alla ricerca di qualsiasi altro indizio su dove potesse essere finita, ma quando le scostò non vide altro che una densa nebbia buia, che si muoveva indolentemente in pigri vortici.
Era forse quella maledetta barriera che rendeva impossibile localizzare i loro nemici?
Sentì il cuore risalirle in gola, che si fece all’improvviso più stretta. Si allontanò dalle finestre e andò a tentoni verso la porta mentre l’oscurità si faceva più pesante.
« Voi! Lasciatemi andare! » gridò con quanto fiato le era rimasto, battendo i pugni contro al legno spesso, « Cosa volete da me?! Codardi! Fatemi uscire! »
Strillò e batté finché non le dolsero polmoni e mani, ma non udì nemmeno il sibilo dell’aria oltre l’uscio.
S’impose di deglutire un altro singhiozzo che le gorgogliò in petto e ritornò in un angolo, accasciandosi di nuovo contro al muro quando le cedettero, infine, le gambe.
L’aria nella stanza non era fredda, ma lei era così inzuppata che i tremolii non ci misero molto ad
aggredirla.
Non perdere la testa. Pensa.
Ma solo un nome le risuonò in testa mentre raccoglieva le ginocchia al petto e vi nascondeva il viso, incapace di lottare oltre contro le lacrime.
Kisshu…
 
 
 
 
Rui sbucò nel corridoio principale in una furia di passi pesanti e un turbinio di gocce bagnate che lasciarono una scia gelida attorno a sé.
« Dov’è, » ringhiò, quasi scagliando via la propria arma.
Espera gli corse incontro, osservando preoccupata la compostezza abbandonata per un’espressione furibonda, i capelli fradici che scappavano dal nastro di pelle: « Cos’è successo?! »
Lui non le rispose e continuò a marciare per il corridoio; Pharart e Zaur apparvero pochi istanti dopo di lui, ed Espera rivolse loro con gli occhi la stessa domanda. Il biondo, però, si limitò a fare un cenno di diniego con la testa, così la ragazza si accodò a loro.
Nello stesso istante, Kert sbucò da uno dei corridoio laterali con tutta la calma del mondo. Espera non fece in tempo a corrucciarsi, stupita – eppur non troppo – dal fatto che non fossero tornati insieme, quando Rui quasi gli si lanciò contro con un ruggito, e fu probabilmente solo perché Zaur lo trattenne per una spalla che non afferrò il fratello per il collo.
« Qual è il tuo diavolo di problema!? »
Kert gli rivolse un sorriso irriverente e sventolò l’arco blu che teneva in mano, che sembrava aver perso la brillantezza che lo circondava: « Si dice prego, fratellino. »
« Prego un cazzo, » insistette, « Hai fatto tutto di testa tua, come al solito! Cosa ti salta in mente?! »
« Questa l’ho già sentita, » quasi passando attraverso il muro, Sunao spuntò con una piccolissima agitazione nell’aria, « Sarebbe questa la vostra maniera di fare rapporto dopo un attacco? »
« Chiedilo a lui com’è andata, » ribollì Rui, mente il fratello alzava gli occhi al cielo, « Chiedigli perché per l’ennesima volta ha fatto come gli pareva e ora abbiamo un ostaggio. »
Sunao sbatté le palpebre, l’unico segnale della sua sorpresa: « Hai portato qui un’umana? »
« Non è un’umana qualunque, non so se l’avete inteso. Così finalmente saremo in grado di capirci un po’ di più su quelle tizie, non capite? »
Zaur piegò appena il capo, come non potendogli dargli torto, ma Rui persistette a guardarlo con scetticismo:
« E cosa avresti intenzione di fare? »
« Intanto, lasciare cuocere l’uccellino un po’ nel suo brodo. Vedi se questo può essere interessante, » lanciò l’arco a Pharart, che lo prese un po’ dubbioso, « Poi, domani, con calma, potremmo valutare quanto la solitudine le abbia fatto venire voglia di cantare. Abbiamo anche un’ospite che potrebbe darci una mano. »
Sunao alzò appena un sopracciglio: « Per quanto apprezzi la tua stima, Tha, sono fisicamente a una distanza troppo grande per poter usare i miei poteri su di lei. Dovrete farlo alla vecchia maniera. »
Kert si strinse nelle spalle: « Poco male, c’è sempre Zaur. Non dite che non era un’occasione troppo ghiotta per non essere sprecata, io mi ero rotto il cazzo di osservare quelle tizie da uno schermo senza capirci niente. Dobbiamo ottenere tutti i vantaggi possibili, no? »
Rui si scrollò finalmente Zaur di dosso: « Delle tue ideone dovresti prima parlarne con me. »
Lui non sembrò turbato dal sibilo del fratello: « Ho sfruttato il momento migliore. E comunque – »
Il rumore dei battiti contro la porta e delle grida della loro prigioniera rimbombarono per il corridoio, interrompendolo. Espera oscillò pericolosamente per qualche istante, il viso che le divenne verdognolo, e mormorò qualcosa di incomprensibile.
« Dovevi proprio portarla qua? » Rui ringhiò a bassa voce, lanciandole un’occhiata preoccupata.
Kert rispose alzando gli occhi al cielo: « Oh, perdono, aspetta che vado a costruirmi un altro campo base lontano dalla principessina bisognosa. »
« Non ti azzardare, » il fratello fece un altro passo avanti e gli puntò contro l’indice, gli occhi blu che fiammeggiavano di rabbia, « Sei a tanto così da passare il segno. »
L’altro non nascose il ghigno di stizzoso divertimento: « Se vuoi lascio a te l’onore del primo giro. »
Il minore fece schioccare la lingua, e gli diede le spalle per confortare invece Espera, che aveva iniziato a respirare in pesanti boccate che parevano vuote.
« Non la possiamo lasciare là… così, » mormorò a bassa voce, scuotendo la testa, « Ha… freddo, e paura, e… »
« Non siamo in un lussuoso luogo di ristoro. Siamo in guerra. »
Espera lo guardò con stizza: « Sì, ma - »
Rui la interruppe prendendole il viso tra le mani e annuendo: « Non verrà trattata in maniera degradante. »
Kert alzò di nuovo gli occhi al cielo, contenendo uno sbuffo: « È nella stanza più in fondo al corridoio. Ma ci posso entrare solo io. »
Questa volta fu Pharart a sgranare gli occhi verso l’amico, più spazientito che curioso: « Seriamente? Era a questo che ti serviva il dispositivo di isolamento? »
Kert rispose con una scrollata di spalle, poi accennò verso Espera: « Abbiamo testato che anche questo non serve a nulla con lei. »
Rui emise un altro mezzo ringhio, e Sunao si fece avanti prima che la situazione degenerasse ancora, lanciandosi i capelli dietro la spalla: « Sia come sia, sappiate che non ho voglia di riportare al Consiglio che non c’è equilibrio all’interno della missione. Quindi vedetela di risolverla in fretta. »
« Chiedigli se non è stata un’idea geniale. »
Gli occhi violetti incontrarono spazientiti quelli dorati: « Non tirare troppo la corta, Tha. »
« Buona fortuna a farti ascoltare, Sunao, » Rui spinse gentilmente Espera verso il salotto e fece per seguirla, non prima di sibilare con alterazione verso il fratello, « Spera solo che questa tua idea geniale non ce li faccia piombare tutti in casa. Magari abbiamo avuto solo fortuna, fino ad ora. »
Kert rimase di sale, l’espressione impassibile e le braccia incrociate mentre lo osservava andarsene insieme agli altri.
« Rui, » lo chiamò appena prima che girasse l’angolo, e lui lo guardò appena da sopra la spalla, « Era la stanza più lontana che ci fosse. »
Gli occhi blu lo scrutarono per un secondo, prima di voltarsi senza aggiungere altro.
 
 
 
 
Keiichiro passò l’ultima tazza di tè bollente a Zakuro, la quale lo ringraziò con un impercettibile cenno del capo. Lui e Shirogane li avevano praticamente costretti a dedicarsi una doccia rovente, nonostante le proteste delle ragazze contro il perdere del tempo prezioso, ma visto il tremolio ancora persistente nelle dita, sapeva che avevano avuto ragione. Un’intera squadra ancor più sottotono non sarebbe servita decisamente a nulla.
« Potresti… raccontarmi di nuovo cos’è successo? »
Le Mew Mew, i capelli arruffati dagli asciugamani, si strinsero ancora un po’ di più tra loro, e Ichigo deglutì sonoramente mentre chiudeva gli occhi.
« Lei era… vicino a me, » pigolò con un brivido, « Stavamo affrontando Rui insieme a Taruto, a un certo punto abbiamo sentito Purin gridare… e… non ho nemmeno capito cosa stesse succedendo perché poi c’è stato quel botto, e non si vedeva più niente… lei mi ha chiamata, ho cercato di raggiungerla, però… »
« Avrei dovuto estendere la barriera più in là, » soffiò a denti stretti il più giovane degli Ikisatashi, « Forse non avrebbe… »
« Non potevi fare nulla contro l’effetto sorpresa, » tentò di rincuorarlo Zakuro, « Né potevamo aspettarci che quell’alieno avesse simili poteri. »
Retasu tremò visibilmente al ricordo: « È stato come se… come se non ci fosse più ossigeno. Come se non ci fosse più nulla. Neanche un’emozione. »
Ichigo girò di scatto il viso verso di lei mentre sgranava gli occhi: « L’aveva già fatta, la… la cosa dell’aria, durante il nostro primo scontro. Come se ci fosse qualcosa che mi strangolava, anche se in realtà non era niente di reale. Ma le sensazioni… »
« È successo quando mi è arrivato davvero vicino, » continuò la verde con un filo di voce, « Forse c’è un limite a ciò che riesce a fare. »
« È un’informazione preziosa, » constatò gelido Pai, l’orgoglio ferito alla consapevolezza che c’era cascato pure lui, « Sappiamo che dobbiamo stargli lontano. Possiamo studiare strategie più dettagliate. »
Ichigo soffiò tra i denti: « In questo momento dobbiamo pensare ad altro. Non so se vi rendete conto che – »
« We know, Ichigo, » tagliò corto Shirogane, facendola corrugare appena la fronte, « Ma ogni dettaglio in più può essere fondamentale. »
Lei si limitò ad osservare la schiena del marito, già impegnato a digitare forsennatamente sulla tastiera.
« Cosa possiamo fare noi? » domandò afflitta Purin, per una volta assolutamente senza energia.
« Per ora, riposatevi, » rispose comprensivo Keiichiro, rabboccando le tazze di tè, « È tardi, siete tutte fisicamente e mentalmente distrutte. Mangeremo qualcosa, nel frattempo noi continueremo a lavorare. La troveremo in fretta, vedrete. »
La biondina annuì, decisamente poco convinta, e non disse nulla mentre tirava su con il naso.
L’occhiata che Pai si scambiò con il fratello minore sottolineò come anche lui non fosse del tutto sicuro delle affermazioni del suo collaboratore.
Ichigo si sciolse dall’abbraccio delle amiche e sospirò sottovoce: « Vado a dar da mangiare a Kimberly e la cambio per la notte. »
Il passeggino della bimba, che gorgogliava tranquilla, era parcheggiato quanto più vicino all’ingresso del laboratorio, così che fosse disturbata il meno possibile. La rossa sorrise spontaneamente a vederla, nonostante lo strattone al cuore, e si strinse la figlia al petto con più forza del solito, prendendosi un istante più lungo per annusare il suo profumo dolce.
« Ehi, » avvertì Ryou raggiungerla ancora prima che posasse la mano sull’incavo della sua schiena, « Scusami, non volevo scattare prima. Ma… »
« Lo so, » Ichigo sospirò e si poggiò a lui, continuando a cullare Kimberly, « Non posso crederci che stia succedendo davvero. »
Il marito le accarezzò una guancia: « Vuoi che sentiamo se i tuoi possono venire a prenderla? »
« No, » rispose quasi senza fargli terminare la domanda, scuotendo la testa con decisione, « Ho bisogno più che mai di sapere che c’è, che è qui con me. »
« D’accordo, » le lasciò un bacio tra i capelli e poi accennò ai computer, « Se hai bisogno con lei, chiamami. »
La rossa scosse di nuovo il capo: « Noi ce la caviamo. Tu vai a cercare Minto. »
Lui annuì e si risiedette accanto a Pai, mentre Ichigo si allontanava lentamente verso il piano superiore.
L’ora successiva passò in un semi-totale silenzio, interrotto solamente dal ticchettio delle tastiere, dal ronzare dei computer e dai fugaci sospiri delle ragazze, che praticamente non si scambiarono una parola. Come se interrompere la concentrazione dei tre scienziati non potesse che aggravare una situazione già degna dei loro incubi.
Solo quando lo stomaco di Purin brontolò rumorosamente, Keiichiro si concesse un sorriso un attimo più rallegrato: « Non preoccuparti, sta arrivando la cena. »
Il cellulare di Zakuro vibrò in quell’istante, ma lei stessa era così frastornata che le ci volle qualche secondo per comprendere il contenuto del messaggio.
O per focalizzare appieno sul fatto che, dopo una rapida bussata, Joel comparve sull’uscio del laboratorio, con indosso un impermeabile grondante.
« Hiya, » strascicò, sollevando una larga borsa di carta che emanava un profumino promettente, « I brought supplies. »
Zakuro s’impose di ignorare l’occhiata indagatoria che si scambiarono le altre ragazze, e lasciò che fosse Keiichiro stesso ad andare incontro al texano per ringraziarlo. Confabularono per qualche istante, poi il moro sparì dietro l’angolo per andare in dispensa a recuperare tovagliolini e piatti extra.
« Ciboooo! » cercò di canticchiare Purin, ma le uscì piuttosto un mormorio poco convinto cui Retasu e Taruto tentarono di rispondere con sorrisi abbozzati.
Joel distribuì a lei per prima l’hamburger avvolto in una carta oleosa, sprigionando ancora più aroma di prima, e in effetti il colorito della mewscimmia sembrò riprendersi un poco non appena ebbe dato il primo morso, azzannandolo con più convincimento poi.
La busta fu svuotata velocemente, e infine l’americano si fermò davanti alla modella con un sorriso genuino: « Told you we’d make dinner anyways, » scherzò, passandole l’ultimo panino, « I’m sorry, though. »
Zakuro lo afferrò lenta, continuando a ignorare gli sguardi curiosi delle amiche che facevano finta di nulla, e annuì. Non aveva voglia di mangiare né tantomeno di spiegare, ma sapeva che sprecare forze necessarie non sarebbe valso assolutamente a nulla.
« Shirogane mi ha chiesto di darvi un’occhiata, » continuò lui in inglese, accennando allo zaino che portava in spalla, « In caso vi siate fatte male. »
Lei piegò appena un sopracciglio verso il biondo, la pelle giallastra sotto il riflesso del computer: « Cortese, da parte sua, » mormorò solo.
A Joel non sfuggì la vena di sarcasmo, ma le rivolse solo un sorriso più convinto: « Traduci tu? »
 
 
 
 
Saettò ancora una volta quanto più possibile per non essere visto tra i palazzi, al tempo stesso cercando di percepire ogni singolo dettaglio.
Sapeva che era inutile (chi mai avrebbe scelto il centro della città come covo?), ma non poteva starsene fermo. Avrebbe cercato ogni singolo centimetro quadrato di Tokyo e dintorni pur di trovarla il prima possibile.
Dove sei?
Tese ancora i sensi, come se avesse potuto avvertire il suo profumo o udirla chiamare il suo nome – non avrebbe mai dimenticato come l’aveva chiamato in quell’istante – sotto il rumore incessante della pioggia e del traffico sotto di lui. Il connettore nella sua tasca, invece, rimaneva silenzioso tranne per gli sporadici richiami di Pai, che gli intimava di non fare il deficiente e di ritornare al Caffè.
Come se suo fratello non avrebbe smosso mari e monti per Retasu.
(Forse tuo fratello non avrebbe mai lasciato che ciò accadesse a Retasu).
Digrignò i denti e scartò a destra, in direzione di un parco buio e desolato, vista l’ora e il tempaccio. Si stava imponendo di non pensare alla possibilità che davvero i loro nemici avessero la capacità di creare dimensioni alternative, come avevano fatto loro tutti quegli anni prima; non riuscire a trovarli sulla Terra era un conto, non riuscire a trovarli nel caso in cui potevano nascondersi tra le pieghe dell’universo…
Dove sei?
Solo quando fluttuò pericolosamente verso il basso si rese conto del gelo che provava fin nelle ossa e della stanchezza che gli faceva vedere doppio.
Solo mezz’ora, si disse, per riscaldarsi e bere un caffè, poi avrebbe ricominciato. Non era quello il momento di mollare.
Prima di poter ripensarci, si teletrasportò nel salone principale del Caffè; il calore del locale fu un balsamo per le sue membra stanche, ma il sottile chiacchiericcio che proveniva dal seminterrato, unito all’odore di cibo, gli fecero ribaltare lo stomaco.
Non prese neanche le scale, ma di nuovo si fece comparire vicino all’entrata del laboratorio.
« Bene, bene, » gli uscì con più cattiveria di quanto aveva inteso, ma provò una sensazione di crudele soddisfazione quando li vide sobbalzare tutti con aria colpevole, « Vedo che qua ce la spassiamo. »
Zakuro lo guardò con gelida ragione: « Dobbiamo mangiare in ogni caso, Kisshu. Nessuno di noi si sta divertendo. »
« Nessuno di voi sta facendo un cazzo, » reiterò lui con veleno, noncurante delle espressioni afflitte delle Mew Mew, « Mi sembrate tutti abbastanza al calduccio. »
« Non è vero e lo sai benissimo, » ribatté Taruto, spostandosi leggermente davanti a Purin, « Ma mettersi a marciare alla cieca sotto un temporale – »
« Cos’è, non ne vale la pena? »
« Adesso piantala, » Ichigo strillò, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, « Non stai male solo tu, sai? E fare lo stronzo non aiuta certo la situazione. »
« Dubito che tu possa capire. »
La rossa si alzò di scatto dal divano, Ryou insieme a lei, mentre Kisshu ringhiava cupo.
« Cosa staresti insinuando!? »
« Non è il momento di fare il cavaliere, biondino, rimettiti a - »
« Basta. »
Zakuro comparve tra di loro veloce come un lampo, una mano testa in fronte al petto dell’alieno e l’altra più rassicurante sulla spalla di Ichigo.
« Darsi addosso in questa maniera non riporterà Minto a casa, » lo ammonì severa, guardando anche la rossa di sbieco, « Sono la prima a volerla ritrovare, ma dobbiamo mantenere la lucidità e agire razionalmente. »
« Stiamo davvero facendo tutto il possibile, Kisshu-san, » Keiichiro s’intromise pacatamente, annuendo, « Tutti i nostri sistemi sono accesi e sincronizzati, e stanno scannerizzando ogni angolo della città. »
Kisshu fece per ribattere di nuovo, ma un’ennesima occhiataccia della mewlupo lo fece desistere; lei poi afferrò un asciugamano dal bracciolo del divano e glielo porse, forse con un po’ troppa decisione:
« Asciugati e mangia qualcosa. Non appena avremo recuperato le forze, usciremo a cercarla anche noi. »
Lui lo afferrò senza aggiungere niente e si diresse all’altro divano, lanciando solo uno sguardo che sperò essere sufficientemente di scuse a Ichigo, notando solo in quel momento i suoi occhi gonfi di pianto che lo guardarono con stizza residua mentre anche lei ritornava al suo posto.
Shirogane non gli risparmiò un’occhiataccia cauta, ma si risedette alla scrivania senza una parola, le spalle che si incurvarono più del solito. Kisshu lo ignorò, come ignorò la vocina che gli suggerì che a un certo punto forse avrebbe dovuto scusarsi per averlo appeso al muro, ma non era decisamente dell’umore per essere educato.
Si sfregò i capelli sovrappensiero, trovando odioso, in quel momento, pure quanto fosse soffice e profumato l’asciugamano. Una parte di lui – seppur piccola – gli sottolineava come non fosse razionale, ma il suo essere gli stava ricordando crudele come non si meritasse niente di tutto ciò; non si sarebbe dovuto fermare, non avrebbe dovuto crogiolarsi al calduccio né riscaldarsi con una morbida salvietta.
Perché a Minto non stava venendo concesso lo stesso trattamento, ne era certo.
E lui, per la seconda volta, non era riuscito a salvare in tempo la persona che amava.
Registrò appena Retasu che gli comparve davanti con una tazza di caffè fumante e un involucro unto e ancora tiepido, quasi mettendoglieli in mano con l’abbozzo di uno dei suoi sorrisi dolci. Kisshu mangiò più per automazione che per vera fame, il cibo come cenere sul palato, ma il calore del caffè servì almeno a non farlo precipitare nel baratro più buio.
Dove sei?
 
 
 
 
« Ragazze, mi sentite? C’è nessuno? Shirogane? Kisshu? Pronto? »
Con un sospiro stanco, Minto ripose il suo pendaglio, niente più che un inutile fermaglio ora, e rabbrividì di nuovo, accovacciandosi un po’ di più su sé stessa. Era ancora nella sua forma Mew, e nonostante la facesse sentire più in controllo di sé, le sue ali erano ancora umide e il suo costume pareva non avere intenzione di asciugarsi; per non parlare dei suoi capelli, una massa gelida e tesa che le pesava sul capo insieme alla stanchezza e all’angoscia.
Aveva continuato a cercare di mettersi in contatto con gli altri a intervalli regolari, parlando sottovoce e al tempo stesso il più vicino possibile al microfono, utilizzando sia il suo ciondolo Mew che il connettore degli Ikisatashi, ma ogni suo tentativo era stato vano e ormai ne aveva perso il conto. L’oscurità nella stanza si era fatta più intensa, interrotta soltanto dagli occasionali lampi del temporale che ancora rombava e che spingeva un fastidioso rivolo di aria fredda attraverso chissà quale fessura. Eppure, lei non percepiva nessun altro rumore, nemmeno il minimo accenno di uno scricchiolio, il rimbombo di un passo, il soffio di un passaggio. Era praticamente certa che fosse colpa di quella strana nebbia che aleggiava fuori dalla finestra e che assorbiva i suoni, oltre che a renderle impossibile capire dove fosse, quanto tempo fosse passato, cosa stesse succedendo.
Solo i tuoni, e niente altro, in un silenzio ovattato e opprimente.
Neanche quando una coperta e una ciotola di un qualcosa che non sapeva definire erano apparse come per magia nella stanza si era levato un cigolio.
Alla coperta aveva ceduto, la pelle troppo increspata dalla pelle d’oca e dai brividi per pensare lucidamente. Stava invece continuando a fissare la scodella con sdegno, nonostante vi si levasse un profumino delizioso che però non riusciva a riconoscere. Non poteva assolutamente fidarsi: chissà quale intruglio vi era stato mischiato, non poteva rischiare di essere avvelenata, o stordita, o peggio ancora…
Scosse la testa e ignorò puntualmente il crampo del suo stomaco, che reagiva involontario all’odore invitante di strane spezie e alla promessa di un po’ di calore in più. Si strinse solo la coperta addosso e poggiò di nuovo la testa sulle ginocchia, ricominciando a contare i propri respiri.
 
 
 
 
« Quasi encomiabile, la sua testardaggine, non trovi? »
Sunao gli comparve a fianco senza il minimo preavviso, e Kert fece schioccare la lingua, irritato: « Pensavo fossi troppo lontana. »
« Non ho bisogno dei miei poteri per capire cosa ti passa per la testa. »
Kert le rivolse un’occhiata scocciata: « Ficcanaso. »
Lei rise cristallina, poi si controllò un’unghia: « Cinque umani e tre Duuariani, che immagino avranno moltissime storie da raccontare. Eppure, è quella con il vestito più corto. »
« Per favore, » sbottò lui, quasi con disgusto, « Non mi abbasso a certe cose. »
« Mmmh, » replicò lei, lanciando di nuovo uno sguardo al monitor dal quale l’alieno stava controllando la loro ospite, « Sempre così sicuro di sé. »
Lui sbuffò e si voltò finalmente a guardarla: « Cosa vuoi, Sunamora? »
Gli occhi violetti della ragazza lo fissarono con una punta di autorità: « Capisco il tuo bisogno di rivalsa e – »
« Io non ho bisogno di un bel niente. »
« - e la tua dedizione a questa missione, » lo guardò con gelido fastidio all’interruzione, « E per quanto possa apprezzare, nonostante i metodi bruschi, le tue soluzioni alternative per portare a termine il lavoro, non si può compromettere la solidità della squadra. Non se vuoi che la missione riesca. Non quando già l’armonia vacilla. »
Fu lui stavolta a guardarla storto: « Solo perché sei amica di Seles… »
« Io sono anche amica di Espera, ma sai meglio di me che sto parlando in tutt’altre veci. »
« Quindi non posso pensare che sia stata un’idea del cazzo farla venire qui? E che a parte qualche trucchetto speciale, sia tutto molto più difficile? »
Sunao alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto: « Puoi pensarlo quanto vuoi, basta che tieni quella tua boccaccia chiusa e rispetti gli ordini. Le tue opinioni personali non hanno tanta importanza quanto l’incarico che ti è stato dato. »
Kert digrignò appena i denti: « È mio fratello. »
Lei alzò solo un sopracciglio: « Motivo in più per tacere e obbedire. »
« Sei la prima che non ascolta i propri consigli. »
« Io so scegliermi le battaglie, Tha. »
« Ne sei certa? »
Sunao lo guardò di nuovo con impazienza, poi sembrò distrarsi per un secondo prima che una piccola piega le si disegnasse tra le sopracciglia: « Non posso entrare in quella stanza. »
« Certo che no, » rispose lui con malcelata soddisfazione, « Dispositivi di isolamento, ricordi? »
Riconobbe il moto di stizza sul bel viso dell’aliena solo perché la conosceva bene: « A che gioco stai giocando? »
Kert si strinse solo nelle spalle e le rivolse un sorrisetto: « Io? Nessuno. »
Gli occhi violetti gli si rivolsero con stizza, poi Sunao scosse la testa e svanì di scatto.
 
 
 
 
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Il telefono le vibrò così vicino al naso che Ichigo si svegliò di scatto con il cuore precipitato nello stomaco che le batteva freneticamente, mozzandole il respiro. Le ci vollero dieci secondi buoni per capire che effettivamente il ronzio proveniva dal suo cellulare, e altrettanti per schiarirsi abbastanza la gola da essere in grado di rispondere.
« Pronto? »
« Ciao, tesoro! Ho chiamato a casa ma non c’era nessuno, dove siete così presto? »
« Mamma… » la rossa concentrò tutte le sue forze per non far trasparire la minima emozione mentre si tirava in piedi a fatica e sgattaiolava fuori dalla stanza dove le altre ancora dormivano, « Ma che ore sono? »
« Quasi le otto, cara! Ma va tutto bene? »
« Sì, sì… Ryou aveva un impegno presto e… ci siamo unite. »
« Con questo tempaccio, tesoro? Mi raccomando, state attenti! Volevo sapere se avessi bisogno di qualcosa oggi. »
« No, no, va tutto bene, grazie. Magari ci sentiamo stasera. »
Per un altro paio di minuti, Sakura la riempì di parole che Ichigo non ascoltò del tutto, gli occhi chiusi e la nuca poggiata al muro, rispondendo a monosillabi il più allegri possibili.
Dover mentire a sua madre non le era decisamente mancato.
Quando finalmente riguadagnò il silenzio, non si spostò per il tempo di qualche respiro profondo, cercando di placare di nuovo quell’insormontabile angoscia che le aveva riacciuffato il petto non appena aveva aperto gli occhi e che l’aveva tormentata con orribili incubi per quelle poche ore di sonno che era riuscita a concedersi.
Il temporale aveva imperversato per tutta la notte, scuotendo con bassi rombi le mura del Caffè e illuminando quasi a giorno il salone. Pur con il senso di colpa che le aveva lacerate, le Mew Mew e i tre Ikisatashi avevano concordato che fosse più saggio continuare a setacciare la città attraverso i computer e aspettare che il maltempo si placasse quanto bastava perché fosse possibile e non deleterio uscire. Kisshu aveva smesso di proferire parola oltre a un cupo ringhio, ma era sembrato sinceramente sollevato e stupito quando le ragazze si erano rifiutate di essere accompagnate a casa con il teletrasporto, dichiarando quasi in coro che avrebbero bivaccato al locale per tutto il tempo necessario. Forse era un tentativo di non sentirsi come se stessero abbandonando del tutto la loro amica, o più necessità che mai di rimanere unite in quel momento, ma nessuno aveva provato a insistere oltre, e la sala principale era stata trasformata in uno spartano giaciglio di sottili futon d’emergenza e sacchi a pelo. Ichigo non sapeva nemmeno come o da quanto Keiichiro tenesse pronto tutto quell’equipaggiamento, ma immaginava che, con gli anni, l’ingegnoso scienziato si fosse preparato a mille e più evenienze.
Bramando un litro di caffè per svegliarsi – insieme alle abitudini buone, vivere con Shirogane la stava contagiando pur di quelle più brutte – ritornò con passo felpato in sala, zampettando tra i corpi ancora addormentati delle amiche fino al passeggino di Kimberly. La bimba era già sveglia, ma complice anche il biberon di qualche ora prima, si stava intrattenendo da sola, giocherellando estasiata con uno dei pupazzetti agganciati alla copertura.
Ichigo le sorrise e la prese in braccio, mormorandole piano parole di conforto mentre faceva una pausa tattica in cucina e poi scendeva in laboratorio.
Ryou era l’unico presente e praticamente ancora dove l’aveva lasciato, in piedi davanti alla scrivania, la schiena curva sulla tastiera e la e la faccia più scura che gli avesse mai visto. Notò chiaramente come si tese quando percepì la sua presenza, probabilmente aspettandosi l’ennesima domanda o l’ennesimo sbotto di preoccupazione, scoccandole solo un’occhiata che – nonostante il chiarissimo senso di colpa che gli offuscava lo sguardo azzurro – le fece capire che non era assolutamente dell’umore adatto per nessuna delle opzioni. Ichigo esalò piano e gli si avvicinò, passandogli la tazza colma e bollente: « Hai dormito un po’? »
« Not really, » rispose lui, quasi aggrappandosi al caffè e soffiandoci sopra un paio di volte prima di divorarne metà tazza in due sorsi, « But it’s fine. How are you? »
Lo conosceva abbastanza a fondo per sapere che il suo rivolgersi a lei in inglese era sintomo di quanto in realtà fosse stanco e provato, la lingua materna che gli veniva più semplice in certi frangenti. Ichigo si strinse nelle spalle, rubandogli la tazza per un secondo e riaggiustandosi Kimberly sul fianco: « Ancora niente? »
« Nope. »
Decise di non insistere e annuì piano, nonostante il triplo battito angustiato che le fece marcire in gola il retrogusto del caffè. Ryou le prese la bimba dalle braccia senza aggiungere altro e se la coccolò contro al petto, sussurrando cose che la rossa non capì ma che le fecero comunque stringere il cuore. Anche forte del fatto che erano da soli, compì l’ultimo passo che la separava da lui e lo abbracciò stretto, poggiando la guancia contro il suo fianco:
« Ti amo, » gli sussurrò, « Non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. »
Avvertì il corpo di lui rilassarsi quasi all’improvviso, mentre sospirava e l’avvolgeva con un braccio: « Non dirlo neanche per scherzo, per favore. »
« Tu sarai perennemente relegato dietro la barriera del Caffè. »
Ryou sbuffò, le labbra perse tra i suoi capelli, intanto che l’abbracciava più stretta; si scostò poi di quanto bastava per sollevarle il viso e accarezzarle una guancia:
« Quando ho visto solo quattro segnali dei pendagli… » deglutì e scosse la testa, le iridi azzurre che furono attraversate da un fremito, ma non riuscì ad aggiungere altro e Ichigo nascose di nuovo la faccia contro il suo petto, riprendendo a stritolarlo:
« Andrà tutto bene. Minto-chan è forte e… e andrà tutto bene. »
Se lo sarebbe ripetuta fino alla nausea, pur di convincersi.
Si staccarono solo quando Kimberly mandò un versetto più deciso a determinare che fosse ora di colazione, in contemporanea ai vaghi rumori del piano di sopra che si stava svegliando. Dopo pochi istanti perfino Taruto, i capelli completamente sparati in dieci diversioni diverse, fece sbucare la testa dallo spiraglio della porta con un sorriso mesto: « Akasaka-san ha preparato cibo per tutti. »
« You go ahead, » Shirogane rivolse alla moglie un sorriso che tentò di essere convincente, « A lei ci penso io. »
« Ryou, devi –  »
« Davvero. Quando ha finito vi raggiungo. »
Lei non apparve molto sicura, ma seguì lo stesso il giovane alieno su per le scale.
Keiichiro si era prodigato anche a ventilare il locale, e nonostante il temporale avesse infino ceduto alle prime luci dell’alba l’aria era ancora satura di pioggia e del suo odore, fredda, umida e mesta come l’attitudine generale. Il cielo persisteva a essere di un tetro e plumbeo grigio tale da attenuare quasi i colori sgargianti del Caffè, e solo il sottile profumo di zucchero e caffè portava con sé una punta di speranza.
Il pasticcere le sorrise mentre distribuiva piatti e posate alle ragazze assonnate attorno a un tavolo, ciascuna con l’espressione più mogia dell’altra. Purin continuava a sfregarsi gli occhi arrossati, come se non riuscisse a stare sveglia, e praticamente non disse una parola neanche quando Ichigo le diede il buongiorno sottovoce o quando Taruto le si avvicinò con cura porgendole del succo di frutta.
Notando, tra l’altro, chi fosse ancora presente al tavolo, la rossa puntò dritto verso Zakuro, in piedi davanti al carrello su cui svettavano le propose di Keiichiro, sicuramente in cerca di qualcosa che non compromettesse troppo la sua figura perfetta.
« Buongiorno, nee-san, » Ichigo scrutò i vari dolcetti, fingendo noncuranza, « Come stai? »
« A posto, Ichigo, grazie. Tu? »
« Un po’ rintontita. E non ho molta fame, ma… abbiamo novità? »
La mora scosse la testa: « Non se Ryou ti ha detto qualcosa in più. »
Ichigo sospirò mentre sceglieva una crostatina alla frutta: « Speriamo che succeda qualcosa, mi sento come se non riuscissi a respirare. »
Zakuro le accarezzò con fare premuroso una spalla: « Non perdiamo la testa anche noi. »
Mosse appena il capo in direzione di Kisshu, niente più che un’ombra scura all’esatto angolo opposto rispetto a loro, e Ichigo concordò prima di scegliere un altro paio di pasticcini.
« Ma quindi, » aggiunse poi poco dopo, senza guardare l’amica, « Sarebbe lui il famoso Joel che ha controllato il DNA di mia figlia? »
Zakuro incolpò i nervi a fior di pelle per il sorrisetto che le scappò: « C’era anche al tuo matrimonio. »
« Mmh, non pensavo di doverci fare caso. »
« Un medico fidato tra i ranghi fa sempre bene, non credi? »
La rossa le rivolse un’occhiata divertita e furba: « Sono curiosa di chiedere l’opinione di Minto-chan. »
La modella annuì e impiegò qualche secondo di troppo a rispondere, prima di prenderle la mano e stringergliela: « Ovviamente. »
Ichigo ricambiò il sorriso, fece un respiro profondo e s’azzardò ad avvicinarsi a Kisshu. L’alieno teneva il capo abbassato, i capelli verdi una massa quasi informe davanti al viso, e lo sguardo fisso sulla tazza ormai tiepida davanti a sé. Non si mosse né diede segno di aver notato la mewgatto quando lo raggiunse o quando gli si sedette accanto, ma lei decise di non scomporsi più di tanto.
« Ehi, » lo salutò piano e fece scivolare il piattino accanto alla sua mano, « Dovresti mangiare qualcosa. »
Kisshu esalò forse la prima parola in dodici ore, la voce roca e sdegnosa: « Non è alto nella mia lista di priorità. »
« Invece dovrebbe, » sbottò la rossa, spingendogli il piatto ancora più vicino, « Non costringermi a imboccarti, sai?! Pensi che se fosse qua, Minto non ti starebbe dicendo che sei un cretino e che flagellarti è inutile? Dobbiamo rimetterci in sesto e andare a cercarla, quindi mangia. »
L’alieno la osservò per un paio di secondi da sotto la frangia scura, poi sbuffò sarcastico e ingollò un solo biscotto: « Energie durature non vengono certo dai dolci. »
« Meglio di niente, » incrociò le braccia al petto e lo scrutò un altro paio di secondi, mordendosi piano il labbro, « Non è stata col- »
« La prima cosa che ha fatto dopo essermi sfuggito, dopo aver combattuto solo contro di me, è stata andare a prendere lei. Vuoi ripensarci? »
Il tono gelido le fece venire la pelle d’oca, ma deglutì e insistette: « Non è… ci hanno preso alla sprovvista, e… non sei stato tu. D’accordo? »
« Gattina, forse dovresti cercare di essere un pelo più convincente con te stessa prima. »
« E forse tu dovresti essere un po’ meno egocentrico e non pensare che la responsabilità sia tutta tua! » ribatté lei, abbassando la voce per continuare quando notò le occhiate stranite degli altri, « Come quando tu… »
Gli occhi di Kisshu erano spalancati dallo stupore: « Mi prendi in giro? » sibilò con astio, un tremolio che gli attraversò entrambe le braccia.
Ichigo scosse la testa e poi gli afferrò d’istinto le mani: « Non è mai stata colpa tua, capito? Neanche l’ultima volta, quando io… neanche lì. Ieri men che meno. Smettila di pensarlo, smettila di torturarti. Dobbiamo concentrarci a lavorare insieme, a trovarla, ma per farlo dobbiamo essere ottimisti e - »
Non terminò la frase, perché dal piano di sotto risuonò fioco l’eco dei sistemi di allarme e Kisshu scattò in piedi, raggiungendo il laboratorio prima ancora che gli altri potessero registrare la cosa e seguirlo.
Pai era già lì, in piedi accanto a Shirogane, le dita che correvano veloci sulla tastiera e una profonda ruga tra le sopracciglia.
« Quindi!? » sberciò il fratello minore, senza fiato, « L’hai… ? »
« No, » perfino l’americano sussultò al gelo con cui aveva risposta, « No, questo è solo… sono i sistemi per il monitoraggio della Mew Aqua. È come se… ne fosse appena svanita una quantità maggiore del solito. »
Kisshu sputò una sequela di imprecazioni di cui nessuno volle sapere il significato: « Cosa cazzo vuoi che me ne freghi della Mew Aqua, perché state sprecando quei rilevatori in questo momento!? »
« Non hanno la stessa funzione, non sarebbero utili, » replicò stoico Pai, « Datti una calmata. »
Un altro paio di insulti, il verde che compì qualche passo nella stanza passandosi una mano tra i capelli: « E se la barriera di Taruto interferisse con le ricerche? »
« Aizawa ha con sé il nostro connettore, la sua tecnologia è logicamente compatibile. »
« Idem il suo pendaglio, li abbiamo modificati apposta, così come Masha non vi avverte più come pericoli, » aggiunse Ryou, il cui tono di voce almeno traspariva dispiacere.
« Allora usciamo, » Purin s’intrufolò tra Retasu e Zakuro sulla soglia, stringendo i pugni lungo i fianchi, « È già abbastanza tardi e il temporale è finito, dividiamoci e cerchiamo Minto nee-san di persona. A costo di andare a prendere il suo cane e fargli annusare tutta Tokyo. »
Né Pai né Shirogane apparvero entusiasti all’idea di allontanarsi dalle loro compagne, ma ebbero il buonsenso di non dar voce ai loro pensieri.
« Contatto radio ogni quindici minuti. Venti massimo. »
Ichigo alzò gli occhi al cielo all’ordine del maggiore dei tre fratelli: « Vale la stessa cosa per voi. Appena si accende una lucina, fatecelo sapere. »
« Kisshu nii-san, io vengo con te. »
« Faccio prima a volare, scimmietta. »
« Niente storie, in caso mi porti in spalla, andiamo. Tutti fuori tra un quarto d’ora. »
 Ryou lanciò uno sguardo a Ichigo, divertito dall’improvvisa presa di comando di Purin, e la rossa ricambiò piegando un angolo della bocca.
« Be careful, ginger. »
Lei lasciò un bacetto sulla sommità della testa di Kimberly e annuì, intimandogli lo stesso con gli occhioni color cioccolato prima di correre indietro.
 
 
 
 
 
Possibile che fosse ancora notte? Quanto tempo era passato? O era anche quello tutto un trucco?
Minto stirò piano le gambe ed esalò sofferente: aveva ceduto a un sonno tormentato per qualche ora, rimanendo seduta con la nuca poggiata al muro e condannando così le sue membra a una dolorosa scomodità che le aveva irrigidite moltissimo.
Continuava a sentirsi l’umidità fin nelle ossa, nonostante la coperta che le aveva concesso un po’ di tregua durante la notte; almeno la ciotola di cibo aveva smesso di tentarla con il suo profumino e ora giaceva intoccata e triste lì dov’era comparsa.
Solo quello e la consapevolezza di essersi addormentata le davano certezza che il tempo era passato, ma non sapere quanto le provocava ancora più angoscia di quanto già non provasse. Dietro le tende, aldilà degli spessi vetri, continuava a vedere solo quella maledetta nebbia di origine indefinita, e la stanza sembrava aver perso poche tonalità di buio.
Non può essere ancora notte, non può durare così a lungo.
Anche il rombo del suo stomaco le dava sicurezza che fossero trascorse ore, ma una parte di sé si chiedeva davvero se volesse esserne felice. Per quanto avrebbe resistito? Senza mangiare, senza bere, senza cedere fisicamente e psicologicamente. E inoltre… se i suoi amici non l’avevano trovata subito, quanta speranza c’era che con il trascorrere dei secondi, dei minuti, potessero compiere passi avanti?
E se fossero passati giorni? Se ne sarebbero forse accorti, a casa? Se per caso Seiji fosse tornato di sorpresa prima del previsto, avrebbe trovato strana la cosa? A qualche domestico sarebbe venuto un dubbio non vedendola tornare, non avendo lei dato indicazioni?
E se le sue amiche avessero coperto la sua scomparsa così bene?
Un singhiozzo le risalì lungo la gola e strinse le dita guantate tra loro, un po’ per darsi coraggio un po’ per riscaldarle: proprio per questa incertezza doveva almeno cercare di mantenere i nervi saldi, far durate la sua psiche il più possibile.
Non l’avrebbero mai abbandonata, di questo era più che sicura. Non doveva pensare ad altro. Non doveva neanche far entrare il pensiero che se non avessero fatto in tempo…
« Non te l’ha mai detto nessuno che immolarsi per la causa è una scelta futile? »
Solo il terrore che le stringeva la gola le impedì di strillare a pieni polmoni.
Sobbalzò visibilmente e si rannicchiò ancora di più contro il suo angolo quando gli occhi blu misero finalmente a fuoco la figura che era comparsa senza un suono sull’uscio della porta.
« E non te l’ha mai detto nessuno che non si spreca il cibo? »
Kert le si stagliava in fronte e aveva appena accennato con divertito fastidio alla ciotola ancora piena ai suoi piedi. La stava scrutando con curiosità quasi clinica, con un paio di occhi dalle iridi dorate che parevano catturare la poca luce presente nella stanza.
L’alieno sospirò e scosse la testa, facendo qualche passo avanti: « Non è da tutti gli ostaggi ricevere un trattamento simile, sai? Vitto, riparo, addirittura un letto e una coperta. Non che sia stata tutta una mia idea, ovviamente, ma è frustrante vederli ignorati. E, appunto, scegliere di non mangiare per dimostrare qualcosa di solito si dimostra controproducente. »
« Cosa vuoi? » la voce le uscì flebile e roca, e molto più tremante di quanto avrebbe voluto, « Cosa vuoi da me? Perché sono qui? Perché darmi questo se poi… »
Le parole le morirono in gola mentre un altro singhiozzo faceva capolino e lacrime traditrici le bagnavano le guance.
« Piangere non farà altro che disidratarti di più. Il che non ti conviene, se hai intenzione di continuare. »
Minto digrignò i denti e lo guardò con odio: « Cosa vuoi da me?! » ripeté stridula. 
Kert le si avvicinò ancora, e lei si ritrasse d’istinto il più possibile contro al muro, all’improvviso conscia di quanta pelle il suo costume le lasciasse scoperta. Si fermò poi a pochi passi da lei e le si accucciò davanti, continuando a scrutarla con vivo interesse:
« Intanto partirei con il tuo nome, uccellino. Poi gradirei che, da brava ospite, tu faccia ciò che ti dico. »
« Crepa. »
Lui rise a bassa voce, un rombo profondo nel petto: « Dubito che quello sia il tuo nome, con quel faccino carino. »
La mora si premette ancora di più contro la parete, ma lui rimase fermo. Era così imponente anche praticamente al suo livello, ma c’era qualcosa nel suo aspetto che le sembrava stridere con la sua attitudine generale. Portava lunghi i capelli color ghiaccio, con un solo lato rasato, e se in battaglia l’aveva visto coperto da parabraccia e gambali di metallo e guanti chiodati, ora indossava una morbida maglia a maniche lunghe dal cui scollo poteva scorgere con facilità dei complessi tatuaggi che gli decoravano dalla spalla sinistra in giù.
« Allora, uccellino? Puoi dirmi chi siete tu e le tue amiche? »
« Scordatelo, » sibilò Minto con livore, « Puoi riprenderti il tuo cibo, puoi anche riprenderti questa, ma io non ti dirò assolutamente nulla, lurido codardo! »
Kert gettò la testa all’indietro e rise di gusto mentre la coperta atterrava ai suoi piedi: « D’accordo, uccellino. Vuoi dimostrare di avere fegato, è molto nobile da parte tua. »
Afferrò il panno e si alzò con estrema lentezza, continuando a scrutarla proprio come fa un gatto con la preda anche mentre si avviava verso la porta: « Vediamo se sarai dello stesso avviso anche tra un paio d’ore. »
Chiuse la porta dietro di sé, e dopo tre secondi udì con estrema chiarezza il fracasso della ciotola che vi si spiattellava contro.
Queste umane sono più complesse di quanto avrei pensato, ponderò tra sé e sé, tirandosi la coperta sopra una spalla; era incuriosito dalla caparbietà di quella che non gli pareva più che una ragazzina, e una parte di sé provava fastidio per la questione. Avrebbe preferito poter toglierle tutte di mezzo senza stare a chiedersi quale fosse la storia dietro.
« Nessun risultato? »
Zaur lo accolse nel salone con la solita mancanza di emozioni, la domanda sincera pur avendo osservato tutto dal monitor.
« Sembra più convinta di quanto pensassi. »
L’alieno dai capelli neri sollevò solo un sopracciglio nel vedere il sorrisetto dell’amico: « Hai qualcosa in mente? »
Kert continuò a ghignare: « Hai voglia di giocare un po’? »
 
 
 
 
L’aveva sentita perché si era messa ad aprire i cassetti della cucina e a frugare tra le posate con una foga che non si addiceva per niente allo stato di donna dell’alta società che tanto sventagliava ai quattro venti. Lui aveva sfogato la risata prima di scendere di sotto: sapeva benissimo che il suo orgoglio le impediva di dirlo chiaramente, ma tutti quei rumori non erano certo casuali ed erano funzionali soprattutto ad attirare l’attenzione.
Lui aveva fatto tutto apposta, dopotutto.
« Hai già deciso di far cambiare a Shirogane l’arredamento della cucina, visto quanto lo stai distruggendo? »
Minto non si era neanche girata quando lui l’aveva schernita dall’uscio della porta, una spalla poggiata con nonchalance al muro e le mani in tasca.
« Ikisatashi. »
« Oh, addirittura, » Kisshu sogghignò e azzardò un paio di passi avanti, « Pensavo avessimo superato la fase del cognome. »
« Pensavi male, » la mora chiuse il cassetto con un movimento di bacino – che non passò inosservato – e si spostò dall’altra parte della cucina per avvicinarsi al bollitore, già borbottante e pronto a riempire la teiera.
Lui osservò la rigidità della sua schiena con un sorriso soddisfatto e proseguì a tallonarla a passi lenti: « È andato bene il proseguimento della festa? »
Percepì con chiarezza il moto di stizza che attraversò la ragazza mentre trasferiva una dose abbondante di tè nell’infusore, il sopracciglio destro che s’inarcò di getto: « Non vedo come possa interessarti. »
« Hai ragione. Dopotutto credo di aver partecipato al momento più… eccitante di tutti. »
Il cucchiaino che Minto aveva stretto tra le dita fino a quel momento divenne un proiettile letale che lui riuscì a schivare solo grazie alle capacità extraterrestri, ridendo con fin troppo gusto all’espressione sconvolta e irata di lei.
« Non so come funzioni il tuo cervello o quali siano i costumi della tua gente, ma io non mi faccio certo abbindolare da uno che mi bacia dal nulla e poi sparisce per i due giorni successivi! »
Kisshu mise da parte l’offesa per quella sottolineatura della sua gente e rise a bassa voce: « Abbindolare? »
« E che per di più trova piacere in certe… bassezze degne del più volgare cafone! »
« Perché non ti è piaciuto essere baciata, » lui raccolse la posata da terra e gliela porse, avvicinandosi di nuovo, « Non mi è sembrato di divertirmi solo io. »
Fu con estrema soddisfazione che vide il suo nasino adorabile tingersi di rosso mentre lei riportava l’attenzione sulla propria bevanda: « Bene, spero che ti sia divertito abbastanza perché sicuramente non ricapiterà. »
« Mmmhm, » Kisshu le si accostò abbastanza da sfiorarle la spalla con il petto, « In effetti neanche tu mi hai cercato per ben due giorni. Forse sono oltremodo offeso di essere stato usato come svago durante la tua prima ubriacatura ufficiale. »
Minto quasi si strozzò con il sorso che aveva preso e tossicchiò un paio di secondi prima di guardarlo con sconvolto sdegno: « Che… che cosa stai… tu vaneggi! »
« Tra i costumi della mia gente, come dici tu, » proseguì, attorcigliandosi un boccolo nero attorno al dito, « C’è anche l’usanza, tra le ragazze, di… esprimere quello che vogliono. Non aspettare sempre che sia lui a fare il primo passo. O il secondo. »
La mora sbuffò e storse il naso: « Buon per loro, perché non vai – »
Kisshu le sfiorò di nuovo il labbro con il pollice e lei si zittì, assecondando il movimento di lui che le fece inclinare la testa.
« Io cerco te, tu cerchi me, tortorella. È così che dovrebbe funzionare. »
« Tu sei… assolutamente insopportabile. »
« Idem. »
Le sorrise un’ultima volta e poi ghermì le sue labbra prima che potesse replicare, beandosi di poter avvertirla schiuderle subito e riuscire a gustarla meglio, con più calma. Erano settimane che gli frullava quell’idea in testa, quella voglia di scoprire di più cosa ci fosse sotto tutti quegli strati protettivi da algida principessina che si era costruita attorno.
Quella voglia semplicemente di sentirla.
Io cerco te, tu cerchi me.
È così che dovrebbe funzionare.
« Nii-san, non è che potresti rallentare? Mi stai facendo venire il mal di mare. »
Kisshu batté le palpebre un paio di volte; il peso di MewPurin sulla schiena lo riportò alla realtà, mentre continuava a volare nel cielo di Tokyo alla ricerca di un qualsiasi segnale che non sapeva più cosa fosse.
La mewscimmia aveva cercato di tenere il suo passo per il primo paio d’ore, correndo poco sotto di lui e saltando di palazzo in palazzo con l’agilità e l’energia che la contraddistinguevano, ma tra gli eventi della sera precedente e la nottataccia, la stanchezza l’aveva assalita più in fretta del solito.
Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto a farsi convincere a prenderla a cavalluccio e già poteva immaginarsi la bizza di Taruto, spedito a dar manforte alle altre, ma la biondina non ne aveva voluto sapere né di abbandonarlo per tornare al Caffè né di fare una pausa abbastanza lunga per recuperare.
Non che la loro ricerca fosse così fruttuosa: avevano ormai battuto quasi l’intera zona del porto e non avevano trovato assolutamente nulla. Pure il congegno che in teoria avrebbe dovuto identificare una barriera protettiva o una dimensione parallela era rimasto sempre muto, così come il pendaglio di Purin o quel “sesto senso animale” che lei millantava si sarebbe attivato per l’amica in pericolo.
Anche solo credere che Minto non fosse in pericolo gli sembrava un’idiozia grande quanto un palazzo.
« Tra un po’ dovremmo tornare alla base, » esclamò ancora MewPurin, guardando il misero sole dietro le nuvole grigie, « È passata l’ora di pranzo da un pezzo, dobbiamo rifocillarci o non avremo la forza di continuare. »
Possibile che persistessero a parlargli di cibo?
« Se vuoi ti riporto indietro, ma io non mi fermo. »
Le braccia sottili della ragazza si strinsero attorno al suo collo: « Nii-san… guarda che Ichigo nee-san aveva ragione, stamattina. »
« Felice che la gattina abbia il vostro supporto. »
« Non fare l’antipatico, siamo tutti preoccupati per Minto nee-san. Questi nuovi nemici sono… nemici. »
« Non eri tu quella che diceva che bastava rimettersi in forma? »
« E continuo a sostenerlo, però forse un po’ più in forma di quanto immaginassi. »
Gli scappò uno sbuffo divertito e rallentò ancora un po’: « Avverti qualcosa? »
« No, » MewPurin scosse la testa e continuò a guardarsi intorno, « Sarebbe carino brillare come con la Mew Aqua. Secondo te quel segnale di oggi ha qualcosa a che fare con questo? »
« Non lo so, ma non credo. Quando li abbiamo incontrati la prima volta sembravano non saperne niente. A meno che non abbiano trovato qualche maniera per studiarla, ma senza averla mai incontrata prima… »
MewPurin sospirò così forte che gli si mossero i capelli della nuca, e poi gli si accoccolò più contro, un po’ per cercare un po’ per dare conforto: « Che casino allucinante, nii-san. »
Lui avrebbe usato parole decisamente meno eleganti.
 
 
 
 
« Sai che non ci sono cani su Duuar? »
L’affermazione, così improvvisa e bizzarra, le fece sollevare di scatto gli occhi dalla pila di riviste che stava organizzando per gettarle via. Kisshu era spaparanzato sul divanetto della sua stanza e giocherellava con Mickey, un po’ troppo bruscamente per come lei preferiva, ma il cagnolino sembrava starsi divertendo un mondo.
« I cambiamenti climatici del nostro pianeta non sono stati molto clementi con gli animali, se non con quelli che riuscivano a vivere sottoterra come ha dovuto fare il nostro popolo o altri molto più resistenti. Quindi piccoli esserini abbastanza disgustosi, o bestie molto pelose con poca voglia di essere addomesticati. »
Minto fece una smorfia poco convinta e si avvicinò al divanetto, Mickey che le abbaiò felice un paio di volte scodinzolando con veemenza e pretendendo coccole anche da lei. Durante quel mese che avevano passato progressivamente sempre più insieme, Kisshu aveva iniziato a raccontarle del suo pianeta d’origine più spesso, e lei era affascinata da quelle storie, dalle differenze tra i loro popoli ma anche dalle più strambe similitudini.
« Uno dei riti di passaggio all’età adulta era – o meglio è, anche se tecnicamente sarebbe illegale adesso – riuscire a catturare un létide a mani nude. Una specie di lanosa lucertola con un enorme dentone davanti e acuminati artigli velenosi. La cicatrice sul polpaccio è un regalino di quello che ho preso io. »
Minto gli scoccò un’occhiataccia e poi gli scostò le gambe così che lei si potesse sedere: « Possibile che ogni cosa che mi racconti finisca con te che ti fai del male o con te tra le braccia di qualcuna? »
« Queste sono illazioni false e malefiche. »
« Ah, e qual era la storia del bernoccolo causa chetichella via da una finestra? »
« Ovviamente il bernoccolo mi ha fatto dimenticare tutto. »
Lei rise poco divertita mentre anche lui si metteva seduto e le rivolgeva un’espressione totalmente innocente prima di tirarla a sé per la nuca, affondando la mano nei suoi boccoli scuri; Minto lo assecondò, schiudendo le labbra per sospirare contro di lui. Fu quasi naturale far sgusciare la mano sotto la sua maglietta quando gli si portò più vicina, tracciando leggera i contorni dei suoi muscoli che aveva imparato a distinguere in quelle settimane.
Quando però avvertì la pelle più spessa sotto i polpastrelli, Minto s’irrigidì d’improvviso e si scostò lenta, quanto le permetteva il pugno di lui ancora tra i suoi capelli.
Kisshu cercò di incrociare il suo sguardo e le prese delicatamente il polso con la mano libera: « Che c’è? » le domandò sottovoce.
La mora continuò a fissare il profilo delle sue dita sotto la maglietta: « Di questa non ne abbiamo mai… parlato. »
Kisshu le sfiorò il dorso della mano con il pollice: « Di cosa? »
« Di… lei. »
« Vuoi dire la cotta per la tua amica che mi è passata ben prima che si innamorasse e si facesse mettere incinta da un altro? »
Minto gli scoccò un’occhiata feroce, poi sospirò: « Non la chiamerei proprio cotta. »
Lui le scostò tutti i capelli dalla spalla così che potesse avere totale libero accesso al suo collo: « Dettagli semantici, » mormorò appena sotto al suo orecchio, « E per me ne abbiamo anche parlato abbastanza. »
Lei alzò gli occhi al cielo, imponendosi di ignorare il piacevole brivido dato dalle labbra di lui contro la sua pelle; non riteneva certo quel paio di chiacchiere vaghe (due su tutte quella sera dell’agosto precedente al mare o appena dopo la notizia del pargolo in arrivo) come un aver affrontato l’argomento Ichigo.
« Kisshu, dai. »
« Non c’è nessun dai, tortorella, » insistette lui, scendendo deciso verso la sua clavicola, « Lo sai benissimo che non ci sarà mai nessun’altra che può competere con lei. »
Minto avvertì il proprio corpo raggelarsi subito mentre il cuore prendeva a battere come impazzito.
« Scu-scusami? »
« Ma ovvio, per lei sono morto. Non amerò mai nessuna donna come amo Ichigo, » la mano di Kisshu lasciò la sua per posarsi sulla sua coscia, « Ma visto che nel frattempo lei si è fatta una vita, devo trovarmi delle distrazioni appetibili. »
Lei tentò di scrollarselo di dosso, i polmoni che parevano non voler accogliere più aria: « Tu… tu… io non sono una… ! »
« Oh, andiamo, dici sul serio? Non puoi certo pensare che possa provare le stesse cose per te! Finché è divertente va bene, ma poi… »
Minto lo spinse di nuovo via, tentando invano di incanalare ossigeno. Le girava la testa, il suo intero corpo tremava.
Cosa?
Non respiro.
Non respiro.
Non…
Aprì gli occhi di scatto e si tirò a sedere, il cuore che galoppava contro la gola e le mozzava il fiato. Crollò sulle ginocchia l’istante successivo, i palmi delle mani che stridettero alla pressione con cui sbatterono sul pavimento, lo stomaco che si sforzò per rigettare assolutamente il vuoto.
No, non era così che andava quel ricordo. Non era stato un ricordo, era…
Tossì e boccheggiò di nuovo, grata che non avesse mangiato nulla ma al tempo stesso dilaniata da quel bruciore, da quelle schegge nel cuore, dai brividi che parevano non lasciarla andare.
Un incubo, si ripeté mille volte, era stato solo un incubo. Non era reale. Non era andata così.
Ma faceva male lo stesso.
Si raggomitolò sul pavimento gelido e prese di nuovo in mano il pendaglio, singhiozzandoci contro: « Kisshu? Ragazze? »
Non la raggiunse nemmeno la staticità.
 
 
 
 
« Ricordami di non farti mai incazzare troppo. »
Zaur rivolse uno sguardo indefinito a Kert, una scintilla di fierezza negli occhi neri come l’ebano. L’amico gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò verso il divano.
Se l’uccellino aveva tutta quella voglia di sfidarlo, si sarebbe preso il suo tempo.

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** ‘Cause you can be the beauty and I could be the monster ***


Chapter Fourteen – ‘Cause you can be the beauty and I could be the monster

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Per l’ennesima volta, Pharart si rigirò quel curioso aggeggio tra le mani. Sembrava legno, o forse qualche materiale sintetico creato dagli umani che lui non riusciva a identificare? Non era neanche più grande di un suo palmo, eppure l’aveva visto con certezza lanciare dardi precisi e potenti.
Con cautela, se lo portò vicino al viso, osservando il cuore in cima e quelle alucce blu; chi mai decorava la propria arma in quella maniera? Che efficacia aveva? C’era qualcosa di speciale o era solo scena?
Tentò poi di tirare le due code in fondo, ma l’arco azzurro rimase assolutamente fermo. Afferrò una delle sue frecce, così più rozze a confronto con l’ornato arnese, ma non ci fu verso di incastrarla, tantomeno di scoccarla.
L’unica spiegazione possibile è che quell’arma dipendesse esclusivamente dai poteri della ragazza ora chiusa nell’altra ala di quella enorme e vuota casa. Sperava solo che, con tutto quel trambusto che aveva combinato, Kert riuscisse effettivamente a capire cosa fossero i loro poteri.
« Fatto progressi? »
Rui gli porse una bottiglia di vetro colma d’acqua – accuratamente filtrata e analizzata dai loro sistemi, non poteva ancora credere che gli umani riuscissero a bere quella robaccia senza soccombere – e Pharart scosse la testa.
« Se lo uso io, è assolutamente inutile, » borbottò scontento, agitando l’arco di MewMinto come se fosse un giocattolo rotto, « Deve essere legato a lei esclusivamente. »
« Mmmhm, » il suo comandante annuì pensoso e si gettò sul divano con uno sbuffo, « In battaglia sembrava più grande. »
« Vero? È come se non si attivasse in mano altrui. Il che non mi è molto utile. »
Rui si passò stancamente una mano sul viso: « Questa idea mi sembra sempre più folle. »
Pharart lo guardò di sottecchi: « Espera? »
Gli arrivò in risposta solamente un’occhiataccia e un grugnito che gli ricordarono come, nonostante tutto, lui e Kert fossero decisamente fratelli.
 
 
 
 
La doccia era così bollente che probabilmente si sarebbe ustionato, infierendo ancora di più sulle cicatrici che gli costellavano la pelle, ma non gli importava: era l’unica maniera di attutire l’angoscia sorda che provava e che gli ottundeva la mente. Avevano passato tutta la giornata a setacciare Tokyo quartiere per quartiere, senza ottenere nessun tipo di risultato.
Minto sembrava sparita dalla faccia della Terra.
Digrignò i denti e diede un pugno alle piastrelle della parete, desiderando solo affogare sotto l’acqua.
Non sopportava più nessuno.
Non sopportava più i volti tesi, le espressioni preoccupate, gli occhi che lo scrutavano con apprensione e compassione.
Non sopportava averli sempre intorno, con i loro bisbigli, mugolii, le loro lacrime ormai secche.
Lei era sua, e lui l’aveva delusa. Non l’aveva protetta a dovere come le aveva promesso, e di nuovo…
S’impose di pensare che non sarebbe andata in quella maniera, non una seconda volta. Non avrebbe resistito, non doveva nemmeno palesare quell’eventualità.
La pelle sopra al cuore tirò con rinnovata decisione e lui la sfregò così forte da procurarsi un’escoriazione.
Non avrebbe permesso nemmeno a sé stesso di arrendersi o darsi per vinto.
Chiuse il getto d’acqua e uscì in una nuvola di vapore, non curandosi di asciugarsi i capelli e re-indossando i vestiti di quel giorno. Il chiacchiericcio del piano di sotto lo raggiunse subito e lui ringhiò sottovoce, virando per la camera da letto solo per trovarsi Taruto che gli sbarrava l’ingresso.
Kisshu, le mani nella tasca della felpa e il cappuccio tirato su, scrutò il fratello minore con astio, senza dire una parola finché non fu il più giovane a sospirare e cedere:
« Non ci possiamo anche preoccupare per te, sai? »
« Non ve l’ha chiesto nessuno. »
« Non è così che funziona. »
« Cos’è, ti sei trovato la ragazza e adesso sei un esperto delle relazioni sociali? » il verde schioccò la lingua con sarcasmo e lo oltrepassò senza risparmiargli una spallata, « Vi state concentrando sulle cose sbagliate. »
« Kisshu, » Taruto ruotò sul posto e lo guardò con sincera ansia, « Non credere che non sappia com’è andata l’ultima volta. »
Lui si raggelò sul posto, ma non si voltò: « Cosa mi stai dicendo? Che devo prepararmi al peggio? Che è tutto inutile? »
« Assolutamente no. Ma i tuoi colpi di testa non hanno mai - »
« Senti, vaffanculo, » Kisshu si girò di scatto per ringhiare rabbioso, « Se avessero portato via Purin, sarei in giro con te a cercarla, non a farti la predica. »
Taruto fece un passo avanti, quel che bastava per far valere quei pochi millimetri di cui lo superava: « E sono disposto a stare di nuovo fuori tutta la notte, se è quello che vuoi, ma ti sto dicendo di non perdere la calma. »
Kisshu fece schioccare la lingua: « Sei solo un moccioso del cazzo, » sibilò con cattiveria, « E non ne sai un cazzo, nessuno di voi sa un cazzo di cosa voglia dire. »
« So cosa vuol dire perdere un fratello. »
Il più giovane non seppe se fu più shock al commento o improvvisa realizzazione a sbiancare il viso del verde: in ogni caso, Taruto decise di non rimanere ad aspettarlo – o di risparmiarlo almeno un po’ – e fece dietrofront per tornare al piano di sotto.
Le altre ragazze avevano volti più stravolti della sera precedente, l’ansia e la stanchezza per quella giornata di futili ricerche che gravavano come dieci anni in più nei loro sguardi, ma persistevano nel creare un muro compatto e deciso contro Keiichiro e i suoi tentativi di convincerle a riposarsi tra mura più confortevoli.
« E se succedesse qualcosa proprio adesso? » stava contestando a gran voce Purin, arrotolandosi la punta della lunga coda bionda attorno al polso, « Proprio quando non ci siamo? Perderemmo del tempo, e… »
« Lo perdereste comunque, se non foste in condizionali ottimali, » la interruppe Pai, « Tra i vostri poteri e il nostro teletrasporto, riusciamo in ogni caso a radunarci in pochissimo tempo. E per essere efficaci, bisogna essersi riposati. Questo vale anche per te. »
Taruto guardò appena sopra la spalla, alla figura di Kisshu, poggiato svogliatamente contro la scala, che quindi si era deciso a unirsi a loro; il cappuccio ancora tirato sopra la testa, non diede nessun cenno di aver dato ascolto al maggiore dei tre.
« Come… come pensate di… ? »
« L’opzione migliore, a questo punto, » alla domanda abbozzata di Retasu, Shirogane sospirò, ignorando di proposito lo sguardo di Kisshu, « È aspettare che si facciano vivi loro. Non vuol dire che smetteremo di cercarla, » aggiunse veloce, udendo il pigolio smorzato di Purin, « Ma presumo che vogliano un… risultato dalle loro azioni. »
Fu Zakuro, questa volta, a digrignare i denti: « Se vuoi essere ottimista. »
Ichigo sussultò visibilmente al non detto di quella frase, ma l’americano scosse solo la testa: « Non ha senso continuare a disperdere energie preziose vagabondando per tutta Tokyo. I nostri sistemi non funzionano come vorremmo ma sono il metodo più efficace che abbiamo, voi dovete conservare le forze. »
« Ed essere pronte a tutto. »
Il sussurro ironico di Kisshu raggelò la stanza, e la mewlupo non si esimé dal lanciargli un’occhiataccia di castigo.
« Andate a casa nostra, » le invitò Shirogane con uno sguardo invitante verso la moglie, « C’è spazio per tutte, e sarete tutte insieme. Così da raggiungerci più in fretta. »
« Nel frattempo, io e Taruto studieremo una maniera per estendere le sue barriere anche alle vostre abitazioni, senza che lui debba essere necessariamente presente. Sappiamo che i nostri nemici possono trovarci, però sappiamo anche che è una protezione certa. Così da essere più sicuri. »
Retasu tremolò palesemente al pensiero ma tentò di annuire con convinzione: « In ogni caso, domattina torniamo. Riposatevi anche voi. »
« Vuoi venire con noi, nii-san? »
Purin sembrava al tempo stesso invecchiata e ringiovanita di cinque anni, e si rivolse a Kisshu con un filo di voce.
« Forse sarebbe il caso, » suggerì con forza Pai prima che lui potesse rispondere, « Per non lasciarle da sole. »
Una smorfia di pura rabbia trasformò il viso del verde, probabilmente in uno sforzo per non prendere a male parole il fratello a quel commento, e lui si limitò a ridacchiare in maniera derisoria prima di ritornare al piano di sopra senza aggiungere altro.
Il viola sospirò udibilmente e si scambiò solo uno sguardo con Taruto prima, e con Retasu poi.
« Lasciarlo stare forse è meglio… » sussurrò la Mew verde, seguendolo con gli occhioni blu pieni di preoccupazione, « Non è un’idea che mi piace, ma verrà lui quando ne avrà bisogno. »
Il più giovane degli Ikisatashi avrebbe avuto molto da ridire a quell’affermazione, ma decise che fosse un vaso di pandora da non aprire in quel momento. Gettò la testa all’indietro e sospirò, prima di allungare un palmo verso le ragazze: « Volete un passaggio? »
Zakuro si avvicinò dopo aver lanciato uno sguardo d’ammonimento ai ragazzi: « Cercate di non peggiorare la situazione. E gradiremmo aggiornamenti puntuali. »
Pai la guardò di sbieco, sentendosi francamente scimmiottato, ma decise di tenere chiusa la bocca e si limitò ad annuire, guardandole tutte prima che svanissero in un soffio.
 
 
 
 
Il rombo del suo stomaco la ferì molto più che le membra intirizzite, riempendola di vergogna: il suo corpo non stava collaborando. Nonostante tutti i mantra che si stava ripetendo di non cedere, di non dare ai suoi nemici nessuna soddisfazione, poteva fare ben poco contro le più basilari necessità, come quella di mettere qualcosa sotto i denti dopo più di ventiquattro ore.
O almeno pensava fossero passate più di ventiquattro ore. Aveva completamente perso l’orientamento, la sua stanza sempre avvolta dalla penombra pesante, e tutta la sua concentrazione era dedicata a non addormentarsi.
Perché non voleva rivedere ciò che aveva visto prima. Non voleva provare di nuovo quella orribile sensazione di ghiaccio sulle membra, di una nebbia ancora più densa che le stringeva la trachea e le bruciava lo stomaco.
Non voleva che di nuovo un suo ricordo si trasformasse nella realizzazione di uno dei suoi incubi peggiori.
Rabbrividì del freddo per l’ennesima volta e scosse la testa: era conscia della sua famosa caparbietà, ma poteva fare ben poco contro la stanchezza, la fame, la sete, il martellare incessante alle tempie dato forse da ciò che stavano combinando con la sua testa e da tutti i fattori della situazione.
Perché lo sapeva che in una qualche maniera loro dovevano centrarci.
Respirò e si impose di ignorare l’angoscia che ancora le fece rimpicciolire il cuore: perché le ragazze non erano ancora arrivate? Perché il suo trasmettitore continuava a rimanere muto, senza nemmeno un pigolio di Masha?
Era certa che stessero facendo tutto il possibile, eppure ogni minuto che passava la rendeva più e più nervosa.
Se nemmeno gli strumenti degli Ikisatashi riuscivano a superare chissà quale congegno geota…
Se nemmeno Kisshu…
Affondò la fronte contro le ginocchia e sibilò tra i denti.
La prima cosa che avrebbe fatto, quando (mise un pesante accento sulla parola) sarebbe uscita da lì, sarebbe stato stringerlo a sé per inalarne l’odore che ormai significava casa.
La seconda cosa che avrebbe fatto sarebbe stata prenderlo a cazzotti per averle nascosto tutta la storia dei loro nemici e indirettamente ritardare qualsiasi preparazione che le Mew Mew avrebbero potuto affrontare.
Perché se gliel’avesse detto, se l’avesse almeno accennato, forse lei non si sarebbe ritrovata in quella situazione. Forse sarebbe stata più preparata, più in forma, più a suo agio con i poteri ritrovati e la mobilità delle sue piume.
Forse almeno sarebbe riuscita ad assestare un calcio come si doveva là dove non batteva il sole a quel maledetto del suo rapitore.
Capiva, certo, che c’era una catena di comando e strani funzionamenti militari di mondi letteralmente alieni – ma non condivideva assolutamente il ragionamento.
Se davvero non aveva mai voluto metterla in pericolo volontariamente, come le aveva detto…
Fletté le dita intirizzite dentro ai guanti: non aveva senso ora prendersela con Kisshu, non avrebbe certo cambiato le sue sorti. Sperò solo che non stesse perdendo la speranza, che non stesse facendo qualche stupidaggine troppo azzardata e rischiosa come suo solito. Sperò che la onee-sama – ah, la onee-sama, doveva star morendo di preoccupazione, e con lei Ichigo e la sua esagerazione… – lo stesse tenendo sotto controllo.
Non riusciva a percepire nemmeno un rumore, si domandò se i geoti fossero almeno in quella specie di casa, pregò che non avessero attaccato le ragazze mentre lei era lì, i due fronti ancora più squilibrati del solito…
Il suo corpo tremò un’altra volta e lei si rannicchiò il più possibile su se stessa, tentando di respirare a pieni polmoni. Si era ripetuta così spesso di non perdere la testa che temeva l’avrebbe persa lo stesso per quello sforzo.
Un soffio più gelido le sibilò vicino all’orecchio e lei strinse di più le palpebre.
Non perdere la testa.
Tranquilla.
Tranquilla.
Respira.
Non è…
 
 
 
 
« Minto cara, non c’è bisogno di infervorarsi. Lo sai che non è particolarmente elegante mostrare tutte queste emozioni. Perdere la testa è per le isteriche. Non vuoi certo passare per isterica. »
La complessa acconciatura di sua madre spuntava appena dal collo di pelliccia che si stava aggiustando con attenzione allo specchio dell’ingresso.
Minto sbatté le palpebre per ricacciare indietro le lacrime di stizza: « È la prima de Lo Schiaccianoci. Mi avevate promesso che – »
« Oh, tesoro, ma ormai l’abbiamo visto così tante volte, » rovistò nella borsetta alla ricerca della perfetta sfumatura di rosso con cui dipingersi le labbra, « Non è la fine del mondo se lo saltiamo, quest’anno. »
La mora si conficcò le unghie nei palmi, cercando di non rendere evidente il respiro che prese: « Non avete visto nemmeno uno spettacolo, quest’anno. »
Sua madre roteò gli occhi in maniera evidente: « Su, cara, non fare la bambina. Io e tuo padre siamo impegnati, anche la nostra vita sociale fa parte dei doveri per continuare il successo del nostro marchio. Devi capire che tra un invito del sindaco per l’opera e un tuo spettacolino, c’è una scelta ottimale che dobbiamo prendere; non possiamo certo passare tutta la nostra vita a teatro. E stasera, la cena per la Fondazione Hanagyara è fondamentale. Lo facciamo anche per te, sai. E forse ad un certo punto sarebbe il caso che tu iniziassi a unirti a noi. Suo fratello fa la sua parte per questa famiglia. »
« Mio fratello ci lavora. Il mio lavoro è – »
« Quale lavoro? » la risatina sarcastica la ferì più di tutte le parole, mentre la vena sulla fronte della signora Aizawa si faceva più prominente, « Questo non è un lavoro, mia cara. Questo è poco più di un hobby portato all’estremo. »
« Sono appena tornata da sei mesi come ospite all’Opéra di Parigi, » replicò lei, « Cosa dovrei fare, diventare una statuina da portare al braccio? In attesa del partito migliore a cui essere passata? »
« Nessuno ti sta dicendo che devi smettere, » gli occhi ,dello stesso colore dei suoi ma al contempo così diversi, si posarono di nuovo sul riflesso nello specchio, « Ma semplicemente di mettere le cose in prospettiva. Puoi continuare a ballare nel tempo libero, e intanto portare il tuo contributo. Non puoi pensare certo di fare la ballerina per sempre, non sei più una bambina. È tempo di crescere. »
Minto esalò piano tra i denti. Non capivano, nessuno di loro capiva. Non riuscivano nemmeno a riconoscere un brivido del suo talento, della sua dedizione, del suo amore.
« Anche tuo fratello è d’accordo con noi. Non credi si senta un po’ in svantaggio, lui, così sempre dedito al nostro nome e successo? »
Il cuore le si scheggiò con un rumore immancabile.
Non era possibile, non Seiji, lui… lui non si perdeva neanche uno spettacolo, quando era a Tokyo, lui si ricordava sempre di mandarle un messaggio di buona fortuna, dei fiori in camerino, lui…
« Sicuramente avrebbe piacere di ricevere il tuo supporto in determinate occasioni, visto quanto supporto dona a te. »
Minto scosse la testa, ma aveva la bocca troppo secca per poter replicare qualcosa di utile. Notò la figura del padre scendere dallo scalone principale e avvicinarsi alla moglie quasi senza prestare attenzione a lei, troppo impegnato a litigare con il costoso cinturino dell’orologio.
« Non vorrai certo attardarti, cara. »
« Assolutamente no, stavo solo facendo quattro chiacchiere con Minto. Diglielo anche tu, caro, che non è più il momento di fare capricci. »
« Non abbiamo nemmeno il tempo di pensarci, ad eventuali capricci. Seiji è già arrivato? »
Minto non poté evitare il sussulto: suo fratello… non le aveva detto che sarebbe tornato a casa, le aveva scritto dicendole che era rimasto bloccato in Indonesia per lavoro, che per quello non avrebbe partecipato…
« Sì, caro, è già alla Fondazione. A quanto pare la signorina Okamura è molto amichevole nei suoi confronti. »
La risata profonda di suo padre la infastidì più del solito: « Ora capisco l’ardore di tornare a Tokyo ogni settimana. »
Un’ennesima scheggia nel suo cuore: lei non lo vedeva da quasi tre mesi, se invece era stato in città tutto quel tempo…
« Minto, tu cos’hai intenzione di fare stasera? »
Glielo chiese con quel tono indagatorio che preannunciava che qualsiasi risposta non sarebbe stata soddisfacente; lei, che si stava sentendo più come un soprammobile che altro, prese un respiro profondo e dischiuse le labbra secche per parlare, ma sua madre fu più veloce e si lagnò decisa:
« Minto si è offesa perché stasera ha l’ennesimo suo spettacolino e non andremo a vederla, » si riaggiustò un invisibile capello e ridacchiò, « Quanti problemi che ha la nostra principessina, non credi? »
« Io te l’avevo detto di non accontentarla troppo, » il padre s’infilò il cappotto e nemmeno la guardò, parlando di lei come se non fosse lì, « E poi seriamente, quel calpestare pesante in giro per il palco mi fa venire l’emicrania. Meno lo vedo, meglio sto. »
Almeno su una cosa era d’accordo con i suoi genitori.
Rimase ferma immobile, mentre loro continuavano con le loro chiacchiere insipide e fredde, senza degnarla più di attenzione. Il vento gelido di dicembre spazzò della neve dentro l’uscio quando i camerieri aprirono l’importante portone d’ingresso per farli uscire, la limousine già calda e confortevole alla fine delle scale.
Minto portò con sé il gelo per il resto della serata.
 
 
 
 
Tokyo non era mai davvero buia.
Forse era la cosa che più lo infastidiva di tutta quella città: la mancanza di un angolo remoto di quiete dove ritirarsi, da solo con i suoi pensieri, per alzare il naso al cielo e contemplare l’infinito. Cercare casa tra le stelle e ricordarsi perché avesse fatto la scelta giusta. Disconnettere occhi e cervello dai milioni di stimoli e riempire i polmoni di aria.
Forse avrebbe dovuto rintanarsi sul monte Fuji.
Appollaiato sul balcone di casa Shirogane, Kisshu lasciò che il vento freddo di fine settembre gli scompigliasse i capelli ancora umidi. Aveva seguito le ragazze solo perché non poteva sopportare di rimanere al Caffè con i suoi fratelli e i loro tentativi – tutti a modo loro – di sostenerlo; le paladine della giustizia, almeno, avevano la decenza di lasciarlo stare, la maggior parte del tempo.
Sbatté le palpebre secche contro quelle miriadi di lucine che sembravano volergli perforare la cornea e continuò a giocherellare con il contenuto delle sue tasche. Quando ne aveva caricata una scorta, in astronave, non aveva davvero creduto che gli sarebbero servite, ma aveva ceduto a quella vocetta malefica nel retro della sua mente.
Non che avesse mai creduto che sarebbe arrivato fino a quel punto, eppure…
Udì il sibilo della porta finestra che scorreva liscia e poi dei passi leggeri che lo raggiungevano in silenzio.
« Anche tu come tuo fratello millanti di non sentire freddo? »
Zakuro gli si rivolse con un briciolo di ironia che lui si stupì accettare di buon grado, così come gradì la tazza di brodo bollente che gli porse.
« Non ho mai detto che non lo sento, solo che ho una tolleranza diversa. »
« Mmhm, » la mewlupo gli si affiancò ma continuò a guardare dritta davanti a sé, i capelli raccolti in uno chignon disordinato l’unica cosa che tradiva l’assurdità di quelle giornate, « Certe cose invece le tolleriamo alla stessa maniera, benché con reazioni diverse. »
Kisshu scrutò per un istante il profilo del suo viso, l’ombra più scura intorno agli occhi: « Stai per farmi una ramanzina anche tu? »
« Non è nella mia natura, » replicò lei stringendosi nelle spalle, disegnando con un dito il contorno della propria tazza, « Ma Minto si arrabbierebbe se sapesse che ti ho lasciato perdere. »
Lui fece schioccare la lingua in uno sbuffo divertito, prima di prendere un sorso e lasciare che il liquido bollente gli rinvigorisse le vene.
« Sono fortunati se non ha già rivoltato mezzo posto. Ovunque siano. »
Zakuro piegò appena le labbra: « Forse qualche anno fa mi sarei presa per folle, e forse è troppo facile attribuire tutto il merito al DNA del lupo grigio, ma credo anche che… sentirei, se le fosse successo qualcosa. »
Le dita ancora nascoste nella tasca si contrassero da sole attorno al contenuto, unite alla mandibola di lui.
« Vorrei solo sapere che sta bene. Sentirlo detto da lei. E farle sapere che non l’abbiamo abbandonata. »
« Sa benissimo che non l’abbandoneremmo mai. »
« Più il tempo passa, meno ne sono convinto anch’io. »
Le iridi indaco della ragazza lo trapassarono di rabbia: « È quando dici cose del genere, Kisshu, che mi viene da dubitare davvero da che parte tu stia. »
Lui fu attraversato da un brivido di collera e rimorso: « Dalla parte che mi permette di non dover più perdere la donna che amo. Questa volta non… »
Zakuro tacque qualche istante, ritornando a fissare la notte che scendeva.
« Nessuno di noi ha intenzione di lasciar perdere. E collaborare è l’unica maniera che abbiamo di salvarla. Siete tornati qui per questo d’altro canto, no? »
Kisshu le lanciò un’occhiata di sbieco mentre tracannava l’ultima goccia di brodo: « Vuoi riaprire anche quel discorso, ora? »
« No, voglio sapere con cosa continui a cincischiare in tasca. »
A lui venne spontaneamente da ridere: « Tu e mio fratello avete parlato molto di più di quanto pensassi. »
« Cambiare discorso con me non funziona. »
« Neanche con Minto, » l’alieno si arruffò il ciuffo di capelli e finalmente estrasse la mano dalla felpa, rivolgendole il palmo, « Probabilmente Pai ha esagerato la descrizione degli eventi. La sua ortodossia estrema lo rende poco indulgente. »
Zakuro studiò le palline quasi gelatinose contenute in una scatolina trasparente, all’apparenza nulla di più che normali caramelle.
« Non ho intenzione di prenderle, » continuò a voce bassa, « Ma… averle con me mi calma. E mi ricorda che non ne ho bisogno. »
La modella le studiò ancora qualche secondo, prima che i suoi occhi bruciassero quelli dorati: « Ce ne sono sei. Non costringermi a doverle ricontare. »
Kisshu abbozzò un ghigno acido e rimise la scatola in tasca: « Signorsì, signora. »
Zakuro annuì, poi si lasciò andare a un lungo sospiro e si voltò per tornare dentro, la temperatura ormai poco gradevole, concedendogli un sorriso: « Torna dentro tra un po’. Col raffreddore saresti ancora più insopportabile del solito. »
 
 
 
 
Espera prese il millesimo respiro profondo e si tamponò la fronte sudata con il dorso della mano. Il vapore della pentola le stava appiccicando la frangetta alla pelle e lei passava dal caldo al freddo, ma doveva terminare quel siero antinausea il prima possibile. La sua scorta personale si era ridotta drasticamente in poco tempo, e se non fosse riuscita a tenere a bada il suo stomaco non avrebbe nemmeno avuto successo a ricreare tutte le altre miscele di cui avevano bisogno.
Non conoscendo l’ambiente terrestre o le sue caratteristiche microbiologiche, si stava preparando a qualsiasi malanno che potesse coglierli, innervosita dal fatto che doveva lavorare alla cieca e sperando di poter essere efficace; in più, solo le stelle sapevano di quanti litri di preparato per la cefalea necessitasse Zaur, rendeva le sue esigenze quasi inesistenti.
E con il loro ospite inatteso e tutti gli sforzi extra che stavano compiendo…
Si rigirò una ciocca tra le dita più per calmare quel temporaneo tremolio alla mano sinistra che per altro, e con la destra rigirò di nuovo la mistura.
Da quanto era arrivata sulla Terra il senso di pesantezza alla testa sembrava aumentare ogni giorno di più. Probabilmente le si erano anche incurvate le spalle, a causa di tutto quanto le gravava addosso.
E poi se non fosse nemmeno riuscita a raggiungere l’obiettivo per cui era arrivata fino a lì…
Corrugò appena la fronte e diede un altro giro, osservando il colore e la consistenza dentro la pentola per controllare quanto mancasse. Vi si sarebbe lanciata dentro, se avesse potuto.
Se su Gaia la sua empatia era un raro potere che le provocava piccoli fastidi, facilmente controllabile grazie a trucchi, abitudine e tecnologie avanzate, sulla Terra le pareva una tortura. Più forte, più intenso, totalmente fuori dalle sue mani. Riusciva a malapena a sopravvivere a una giornata come si confaceva, a tenersi in piedi mentre si lavava, a non schiantare la faccia nel piatto ad ogni pasto.
Pharart se la sarebbe presa a morte se si fosse davvero addormentata davanti alla sua cucina.
Un formicolio le prese la spalla sinistra e lei la mosse un paio di volte; stava capitando sempre più spesso, e la disturbava più perché era l’ennesimo inghippo che per un vero e proprio fastidio fisico.
Almeno era meglio della lotta che stava compiendosi nelle sue viscere.
Continuando a fissare il colore ambrato scuro del preparato, allungò una mano verso il piattino accanto a sé e sbocconcellò del pane: non aveva fame, ma la loro ospite sì, e i suoi sensi si stavano affaticando troppo e distinguevano a malapena chi provasse cosa.
Se fosse sopravvissuta a questa avventura, avrebbe migliorato il suo gancio sinistro solo per dedicarlo a Kert alla prima occasione utile.
Un brulichio alla gola le fece capire che avevano ricominciato, quel giochetto che lei non poteva non detestare, temere, guardare con estremo disappunto; si mosse sullo sgabello, poggiandovi sopra anche il tallone per riposare il mento sul ginocchio, e si concentrò sulle sue preparazioni. Un rivolo di sudore freddo le corse lungo la nuca e lei esalò, scostandosi i capelli dal viso e dalla schiena. Il suo cuore batté forte contro le tempie e lei s’impose di ignorarlo.
Famefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgia…
Un bagliore dorato le attraversò il campo visivo e lei scosse la testa, canticchiando tra sé e sé una ninna nanna di quando era bambina per distrarsi, mentre il respiro le si faceva più pesante e tutto il suo corpo in contrasto si scaldava. La presa sul mestolo di metallo si fece più incerta e il tremolio delle dita più forte, tossicchiò e canticchiò più decisa.
Avrebbe dovuto dire a Zaur di piantarla, che non ne valeva la pena, ma sapeva che Rui si sarebbe innervosito ancora di più, che Kert avrebbe sicuramente condiviso un commento imbecille e da lì sarebbe nata l’ennesima litigata e poi…
Non terminò quell’ultimo pensiero, perché il respiro le si mozzò in gola e l’ultima cosa che vide fu un lampo nero prima di crollare a terra.
 
 
 
 
« Guarda che non me lo sono dimenticata. »
« E quando mai. Ma dovresti essere un po’ più specifica. »
«… quello a cui hai accennato ieri sera. » (*)
Kisshu ridacchiò e le diede un buffetto monello sulla punta del naso: « Vuoi dire che non ti ho fatto dimenticare tutto il resto con il mio… ardore? »
Minto arrossì e al tempo stesso mise su un cipiglio decisamente arrabbiato: « Kisshu. Se vuoi fare questa cosa serve… comunicazione. »
« Da. Che. Pulpito. Tortorella. »
Lui rise ancora e intrecciò le loro dita, portandosela più vicina mentre continuavano a camminare per le strade ancora coperte dalla neve, ben conscio che anche solo quel gesto le arruffasse le piume e trovandola ancora più adorabile proprio per quello.
« Mi stai facendo rimpiangere di averti detto di sì. »
« Bugiarda, » la prese in giro, « E ti ho anche offerto la colazione, non vedo cosa tu possa volere di più. »
Lei alzò gli occhi al cielo e si affrettò verso il cancello sul retro di Villa Aizawa, già desiderosa del calore del caminetto del suo salottino preferito.
« Io ti ho raccontato dei miei genitori. »
Kisshu emise un suono simile a un muggito esasperato mentre cacciava la testa all’indietro e quasi si faceva trascinare in cortile: « Non molli proprio la pezza, eh? »
« Non saresti qui ora, se fossi il tipo che molla la pezza. »
L’occhiatina divertita ed evocativa che gli rivolse da sopra la spalla fu abbastanza per riaccendergli un certo pizzicore al basso ventre, ma decise solo di seguirla dentro casa senza tirare troppo la corda.
Mancando la quasi totalità della famiglia Aizawa, Minto aveva concesso a gran parte dei domestici una giornata di riposo, così la villa era ancora più silenziosa e deserta del solito; non che a lui dispiacesse, anzi, era grato per tutte le occasioni di non dover sgattaiolare come un ladro attraverso i corridoi evitando l’attenzione di chiunque. Sapeva ovviamente che per la ragazza non era lo stesso, ma sapeva anche che parte di lei era felice di poter davvero essere sé stessa, senza nessuna intrusione esterna.
Sapeva anche che era molto difficile da dissuadere e che non si sarebbe concentrata su altro fino all’ottenimento del risultato sperato, quindi, Kisshu prese solo un respiro profondo quando varcò la soglia della sua camera da letto, il giubbotto che lo precedette con un volo preciso fino al divano.
« Dunque… dopo la sconfitta di Deep Blue, voi cos’avete fatto? »
Minto si strinse nelle spalle, mentre si toglieva con calma la sciarpa e al contempo recuperava il giaccone di lui per riporlo nell’armadio: « Abbiamo cercato di riprendere in mano la nostra vita, immagino. Ricominciare. »
Kisshu annuì e alzò solo un sopracciglio: « Ma nel più completo anonimato. Tutti conoscevano le Mew Mew, ma nessuno sapeva davvero chi fossero. »
La mora attese, facendo sbucare la testa per incalzarlo con lo sguardo a continuare, e l’alieno poggiò una spalla contro la porta mentre si passava una mano tra i capelli, fissando il tappeto morbido.
« Duuar era perfettamente conscia di chi fossimo, da dove venissimo, dove abitassimo, cosa fossimo venuti a fare e come invece siamo tornati. »
Il tono gelido della sua voce non nascose la punta di dolore con cui parlò.
« E, più di tutti, su cosa avessimo davvero fatto. »
Minto tentennò, tentata ad avvicinarglisi, ma Kisshu stava scrutando il pavimento con uno sguardo talmente vuoto e lontano che i suoi piedi non si mossero.
« Non importava quante volte raccontassimo come si fossero svolti i fatti. Che ci fossero registrazioni, prove, che le nostre versioni non cambiassero mai di una virgola. Che avessi una cicatrice larga quanto un palmo a dimostrare tutto. Chi non ha voluto crederci non è mai stato piacevole nei nostri confronti. »
Finalmente alzò gli occhi per sbuffare ironico e staccarsi dal muro, favorendo invece di accasciarsi sul divanetto con uno sbuffo.
« Appena tornati siamo stati affidati al Comando Generale. Per “nostra protezione”, cercarono di vendercelo all’inizio. Non che fosse del tutto sbagliato, i sostenitori di Deep Blue più accesi ci avrebbero linciati volentieri. »
Minto non poté evitare di trasalire, grata che in quel momento il ragazzo le stesse dando le spalle, solo la sua nuca visibile mentre si affossava di più nel divano e si strofinava a disagio la clavicola sinistra.
« Peccato che anche gli alti ranghi del Comando Generale fossero pieni di sostenitori. Certo, nessuno di loro in grado di vendicarsi fisicamente, sarebbe stato troppo evidente, ma ciò non significa che non ci sia stato procurato altro. »
Fece schioccare la lingua e poi scosse la testa, parlando con un astio vecchio di anni: « Non hanno nemmeno lasciato in pace la tomba dei nostri genitori. Taruto ha pianto quando l’ha vista imbrattata di epiteti poco carini nei nostri confronti. Pai ha dovuto trattenermi dall’andare a dire altrettanto ai colpevoli – o chi più facilmente individuabile, ecco – facendo presa sull’evitare di rendere la situazione peggiore. Non che a me importasse poi troppo, mi sembrava di aver già perso il perdibile. »
Di nuovo, la mora percepì un terribile gelo risalirle dallo stomaco, ma si sforzò di deglutirlo e si avvicinò al sofà, poggiandosi sul bracciolo opposto a quello di lui, sempre senza dire una parola. La voglia di chiamare una delle poche cameriere rimaste per farsi portare del tè le era svanita come neve al Sole.
« Ci hanno accusato di molte cose e sì, forse era vero che avevamo tradito il nostro Signore. A essere effettivi, era andata direttamente così. Non so neanche cos’avrebbero fatto se avessero scoperto che il catalizzatore di tutto era stata… eravate state voi, » Kisshu si scosse di nuovo i capelli e continuò a fissare il vuoto, « Ma ciò che più faceva male era sentirci dire che l’avevamo fatto per notorietà.
« Non era la fama, quella che cercavamo. Non era l’essere l’eroe della patria, inseguito ovunque da bisbigli e commentini. Io non ero morto per quello, i miei fratelli non erano morti per quello. Noi avevamo fatto tutto per un sogno, alla fine. Il sogno di un mondo migliore. Avevamo solo capito troppo tardi quale strada percorrere. »
Rise amaramente sarcastico e finalmente lanciò un’occhiata alla ragazza, compiendo un ultimo movimento di spalle.
« Per farla breve, c’è voluto un po’ per ripulire la nostra reputazione. Abbiamo avuto la fortuna di trovare gente competente nel Comando Generale, che forse tutta questa ammirazione per Deep Blue non l’aveva mai avuta e che ha visto subito la potenza della MewAqua. Ci hanno promossi di grado, ci hanno regalato una bella casetta un po’ defilata, e poi alla fine ci hanno accordato di tornare qua. Il resto lo sai. »
La mora annuì lentamente: « Per misurare gli effetti della MewAqua(**). »
Kisshu giocherellò con l’orlo della coperta piegata con cura sul bracciolo: « E forse anche per scappare un po’. Una soluzione più drastica rispetto ad altri metodi alla fine controproducenti. »
Minto si accigliò ma esitò a domandare, incerta su cos’altro avrebbe potuto rivelare quella conversazione così surreale; non poteva evitare di darsi della stupida, come non aveva mai potuto pensare a quali conseguenze avevano dovuto affrontare i tre alieni?
« Nel senso che… ? »
« Nel senso che posso anche dirtelo, tortorella, ma ogni volta poi finiamo a bisticciare. »
Lui rise senza la traccia di divertimento e Minto raddrizzò un po’ di più la schiena, il cuore che le palpitò bruciante contro al petto.
« È… ancora così? »
Kisshu le rivolse un’occhiata stanca e le afferrò lentamente il polso: « Minto. Come se non ne avessimo parlato almeno ventisette volte. »
Lei si strinse nelle spalle e si lasciò guidare sul cuscino: « Tutte queste altre cose non le sapevo. Magari ora ha… più senso. »
« Non sei brava a dire le bugie. »
« Non sto dicendo una bugia. Sto provando a capire. »
« D’accordo, » lui ghignò e si fece più vicino, « No, comunque. E te l’ho detto anche ieri sera. »
Minto avvertì un piacevole sfarfallio al ricordo della sera precedente che s’impose di ignorare, anche perché la fece sentire in colpa per le sue sciocche priorità.
« Anche per noi non è stato del tutto facile, comunque. Non a livelli comparabili a voi, ovvio, è vero quello che dici sul nostro anonimato. Ma abbiamo avuto molto a cui pensare, ecco. »
« Mmhm, » Kisshu si sfregò gli occhi in maniera stanca, « Il problema è proprio smettere di pensare, una volta che hai iniziato. »
« Metodi controproducenti? »
Lui sbuffò e scostò lo sguardo, rivolgendolo di nuovo alla coperta: « Quando Duuar era ancora un pezzo di ghiaccio che galleggiava nello spazio, per rafforzare di più le truppe che andavano in avanscoperta alla ricerca di uno straccio di speranza, si era inventati questi… integratori. Alcuni erano fatti per tirarti su, altri per mascherare le vere sensazioni che percepivi, altri ancora per rilassarti. A volte potevano essere incoraggiati un po’ troppo. »
La mora si lasciò sfuggire una smorfia indefinita di cui si pentì amaramente: « Kisshu… »
« Non giudicarmi, tortorella. Quello con lo squarcio nel petto, letterale e metaforico, ero io. E in ogni modo, li prendevo soprattutto per dormire, o per dimenticarmi un paio d’ore di dove fossi o di cosa stesse succedendo. Pai, poi, mi ha già rotto oltremodo il cazzo a riguardo. »
Di nuovo le scappò un’occhiataccia, questa volta per il linguaggio, però scelse di non commentare oltre, avvertendo il disagio del ragazzo. Lui le stava ancora stringendo il braccio e fece scorrere il pollice lungo la pelle candida del polso, dove percepiva il battito del suo cuore.
« Per fortuna che ora ci sei tu. »
Minto s’impose di ignorare il calore alle guance in favore di un più composto alzare gli occhi al cielo: « In senso buono, spero. »
La presa di lui si fece un po’ più forte: « Dipende dai punti di vista. »
 
 
 
 
« Espera! Espera! »
Tra le braccia di Rui, il capo riverso all’indietro, la ragazza emise solo un roco rantolo dalla gola. Era pallida come un cencio, la fronte imperlata di sudore ma la pelle gelida nonostante il calore della stanza.
Il suo compagno masticò tra i denti una maledizione e le scostò i capelli dal viso: avrebbe voluto tirarla su dal pavimento freddo, ma temeva il doverla spostare, con il tonfo che aveva fatto cadendo dallo sgabello e il fatto che era praticamente priva di conoscenza.
« Amarya(***), svegliati, per favore, » la scosse piano, cercando di destarla, ma lei continuò a rimanere molle, una sola profonda ruga tra le sopracciglia e gli occhi che si muovevano freneticamente dietro le palpebre chiuse.
« Che succede?! »
Pharart comparve preoccupato sulla porta, inginocchiandosi subito di fianco al comandante con un’esclamazione di sorpresa.
« Si è fatta male!? »
« Non lo so, » Rui scosse la testa, « Ma credo che qualsiasi cosa mio fratello stia combinando, stia avendo più effetto su Espera che su quella terrestre. »
Il biondo si allungò verso il tavolo e ne afferrò un panno, con cui le tamponò le tempie madide.
« Sicuro che fosse questo ciò che si auspicava il Consiglio? »
Rui lo guardò storto: « Non sono neanche certo che – »
Non fece in tempo a finire la frase che Espera rantolò una seconda volta, il suo corpo iniziò a essere scosso da un tremito inarrestabile che quasi la fece sgusciare via dalla presa del compagno, e poi, con un ultimo ansito, vomitò il magro contenuto del suo stomaco.
 
 
 
 
« Kisshu, smettila. Non è divertente. »
Minto si alzò dal divano e vi girò attorno, improvvisamente scossa da un brivido freddo.
Lui rise e si aggiustò più comodo: « Ho solo detto la verità. »
Lei si artigliò gli avambracci: « Ieri sera hai detto una cosa diversa. »
Kisshu agitò la mano in aria, come a sottolineare la vaghezza di quella affermazione: « Tortorella, non dirmi che non hai mai infiocchettato un po’ le cose per ottenere quello che volevi. »
« Certo che no! »
« Sempre ineccepibile, eh? » l’alieno si alzò e la raggiunse nel tempo di un battito di ciglia, ghignando lascivo, « Ecco perché è piacevole farti arrabbiare. »
« No che non lo è, » ribatté lei, fece un passo indietro e cozzò piano la schiena contro al muro, « E se davvero la pensi così, allora… »
« Allora cosa? » Kisshu lo mormorò in tono cantilenante  e chiuse la distanza tra loro, facendo scorrere le dita lungo i fianchi di lei, « Dai, tortorella, ci stavamo divertendo, dopotutto. Non fare la guastafeste. »
« Te l’ho già detto, non sono qui per un divertimento momentaneo. »
L’alieno ridacchiò e si premette di più contro di lei, il naso che le sfiorò l’orecchio mentre la presa sulle sue anche si faceva più decisa: « Non dirmi che volevi la grande storia d’amore, principessina, » continuò a prenderla in giro con cattiveria a bassa voce, « Non potrebbe mai funzionare tra di noi, e lo sai benissimo. »
« Smettila, » Minto cercò senza successo di scrollarselo di dosso, due lacrime traditrici che le pungevano gli occhi, « Non è vero, e perché avresti aspettato… ? »
Kisshu le bloccò i polsi che tentavano di spingerlo via e glieli fermò sopra la testa, bloccandole il bacino con il proprio e rivolgendole un altro ghigno malizioso: « Ormai portarti a letto era una sfida con me stesso. Non potevo certo lasciare il lavoro fatto a metà, non credi? »
« Sei uno stron – »
« Sì, sì, sono uno stronzo, lo so. Lo dite sempre tutte, » lui ridacchiò e le tracciò la linea del collo con la punta del naso prima di mormorarle all’orecchio, « Ma non avete mai il coraggio di dirvi che alla fine è piaciuto anche a voi. Perché ti è piaciuto da morire, non è vero, tortorella? »
« Kisshu, smettila! » ripeté lei, odiando la nota implorante nella voce rotta, « Non è vero, quello che stai dicendo non è – »
« Come può non essere la verità? Te l’ho già detto, passerotto: a me serve solo dimenticare, non mi importa di altro. Ed è molto più piacevole con te che con un paio di sballi. Poi cosa pensi, » lui rise ancora e le strinse entrambi i polsi con una mano sola così che l’altra fosse libera di tornare ad accarezzarle lasciva il fianco,  « Che ci sia stata solo tu, in tutti questi mesi? »
 
 
 
 
Kert si affrettò lungo il corridoio, imprecando tra sé e sé: quella maledetta rompipalle di Espera trovava sempre la maniera di mettergli i bastoni tra le ruote. I trucchetti di Zaur stavano sicuramente avendo un effetto sulla sua gradita ospite, e in ogni caso la testardaggine che la portava a rifiutare cibo e acqua l’avrebbe sicuramente piegata – se lo sentiva che avrebbe potuto ottenere qualcosa da lei, un briciolo di informazioni per chiudere la questione il più in fretta possibile, ma no! La nobildonna stava male e per questo bisognava interrompere assolutamente tutto.
Arrivò davanti alla porta della stanza e tentennò: poteva udire la terrestre gemere e mormorare qualcosa che lui non capiva, con tono decisamente desolante. In quel momento, un brivido gli percorse la spina dorsale, e sperò di non dover mai affrontare direttamente i poteri di Zaur mentre quasi quasi si sentiva in colpa per Espera.
Quasi.
Entrò, e la vista temprò il timore e la deferenza nei confronti delle capacità dell’amico: la terrestre, il viso giallastro e contorto in una smorfia di panico e dolore, pur da seduta si stava premendo contro al muro, le alucce blu schiacciate in una piega certo dolente, i piedi che scivolavano contro il pavimento e le mani che cercavano di allontanare qualcosa di invisibile, qualcosa che stava accadendo solamente nella sua mente.
« Smettila, smettila, smettila! » la sentì strillare, mentre si dimenava come un’ossessa e continuava a prendere a schiaffi l’aria. Aveva gli occhi aperti, ma era chiaro che non stesse in realtà vedendo nulla di ciò che la circondava, le iridi come appannate da un velo lattiginoso.
Kert si avvicinò lento, studiandola: « Non ti stai certo divertendo, eh, uccellino? »
Quasi sicuramente non l’aveva udito, ma l’umana emise un altro rantolo e poi si puntellò con forza con i palmi al pavimento, sbattendo così forte contro al muro che lui fu sicuro di sentirlo scricchiolare.
 
 
 
 
Stava per vomitare, ne era convinta. Le cose che Kisshu le stava dicendo non erano… come poteva rivelargliele così, con quel tono di così chiara cattiveria? Come poteva starle spezzando il cuore in quella maniera? Oppure… oppure era stata solo una sua illusione, era cascata nella trappola come una stupida qualunque, e…
« Cos’è, pensavi che non avessi dei bisogni? Che potessi aspettare te e la tua indecisione? La tua superiorità? » Kisshu questa volta non rise, un lampo maligno nelle iridi dorate, « Portarti a letto è stato piacevole anche per toglierti di dosso quella smorfia da altezzosa che hai sempre. Non sei tanto migliore di qualsiasi altro essere, eh tortorella? Sentirti pregare, per una volta, è stato così soddisfacente. »
« Smettila, smettila, smettila! » strillò così forte che le dolse la gola e di nuovo tentò di spingerlo via con tutte le sue forze, per mettere spazio tra di loro, ma era intrappolata tra il suo corpo e il muro. Kisshu finalmente le lasciò andare i polsi, come se gli schiaffi che prese a dargli al torace non fossero altro che carezze, le stesse che si erano scambiati la notte precedente, e di nuovo le strinse i fianchi.
« Non ti stai certo divertendo, eh, uccellino? » le mormorò sarcastico, « Peccato, perché invece io volevo divertirmi. »
Poi una sua mano le si strinse attorno alla gola e fece pressione quanto bastava per mozzarle il fiato.
 
 
 
 
D’istinto, Kert si avvicinò a lei, soffocando un’imprecazione – averla completamente fuorigioco non rientrava nei suoi piani, non da subito perlomeno – e l’afferrò per le spalle, controllandole la nuca con le dita. La sentì gemere ancora, ma non trovò tracce di sangue sui polpastrelli, anche se l’occhiata che lanciò alle ali gli fece pensare che non sarebbe stato lo stesso se le avesse toccato le scapole.
Non ebbe tempo di pensarci, però, perché l’umana ebbe l’ennesimo spasmo e quasi gli sgusciò via: lui le prese il volto con una mano e tentò di raddrizzarla.
« Ora di svegliarsi, uccellino, » le disse, scuotendola piano, « Prima di mettermi ancora di più nei guai. »
 
 
 
 
Un battito più forte e un suono sordo in un angolo remoto della mente.
Le bruciava la gola, le bruciava lo stomaco, le bruciavano gli occhi, le bruciava il cervello. Si sentiva come se pareti invisibili si stessero stringendo inesorabili attorno a lei, impedendo ai polmoni di espandersi e incanalare ossigeno.
Si fece tutto buio, tranne per quel paio di occhi dorati che continuava a brillare nell’oscurità.
Non poteva essere vero, non era vero, non era…
« Kisshu… ? »
 
 
 
 
Una mano sopra al volto, la sensazione che il suo corpo riacquistasse tutto il suo peso in un colpo solo, d’improvviso, la gravità che la schiacciò verso il basso anche se non c’era direzione in cui cadere. I polmoni che si ampliavano al massimo e dolevano, premendo contro la cassa toracica. La testa indolenzita, le ali ingombranti e doloranti, la schiena e le gambe più pesanti che mai.
Due iridi dorate che le fecero sussultare il cuore, non seppe se di sollievo o di sgomento.
« Kisshu… ? »
Un sogghigno nell’ombra mentre la presa sulle sue guance si stringeva un po’: « Spiacente, uccellino. »
Minto non ebbe il tempo di comprendere, perché il suo stomaco prese il sopravvento su di lei, colpendola con un’ondata di nausea che non riuscì a placare. Si lanciò di lato con le poche forze rimaste e si abbandonò alla bile, ormai l’unico contenuto disponibile, che le incendiò ancora di più le viscere.
Non capì molto di ciò che c’era attorno a sé, non tentò di decifrare il mormorio infastidito che udì né il rumore di passi per la stanza. Il pulsare dentro la sua testa era insopportabile, così come lo erano i frammenti di conversazione che le invadevano la mente e che in quell’istante non riusciva a distinguere dalla verità.
Le era sembrato così reale, così come quegli occhi le erano parsi tanto…
Percepì un ennesimo fruscio, poi l’odore delizioso che aveva avvertito il giorno prima la colpì sadicamente al ventre.
« A costo di fartelo ingoiare controvoglia, » Kert le parò davanti al naso una coppa d’acqua, « Non è divertente con un  nemico che non è in forze. »
« Cosa mi avete… » quasi non riuscì a scandire le parole, le costò una fatica immane anche solo concentrarsi a far uscire le sillabe in ordine corretto.
Quasi quanto le costò dover ammettere a sé stessa che non sarebbe riuscita a ignorare il cibo, questa volta.
L’alieno fece schioccare la lingua in maniera sarcastica come a dirle di zittirsi, spingendole il bicchiere di metallo contro le labbra aride: « Prima accetta l’ospitalità. Le chiacchiere le facciamo dopo. »
Controllò che effettivamente bevesse – e lei si detestò per l’essere sollevata di non dover reggere da sola il calice, il tremolio delle sue membra fin troppo evidente e continuo – però si alzò non appena Minto l’ebbe svuotato in piccoli e titubanti sorsi.
Le lanciò solo un’occhiata pungente, indicando con il mento alla ciotola ricolma della stessa, strana zuppa speziata che lei aveva rifiutato, e poi uscì dalla stanza a passo lento.
Minto prese dei respiri profondi, la fronte ancora appoggiata al pavimento e il corpo che doleva in decine di punti diversi. Attese qualche istante che fosse davvero di nuovo sola prima di stendere una mano verso la scodella e mettersi faticosamente seduta. Riuscì ad ingoiare solo un paio di cucchiaiate, che le sembrarono comunque ambrosia, prima che un’incommensurabile fatica le gravasse sulle spalle: non si diede nemmeno la pena di combatterla.
Finalmente, si addormentò in un sonno senza sogni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Vedasi il capitolo 4, Matters of the heart
 
(**) Questa è la spiegazione fornita nel capitolo 1, ambientato a marzo/aprile. Il flashback che sta rivivendo Minto ha luogo a dicembre dello stesso anno, prima che le Mew Mew vengano effettivamente a sapere del “vero” motivo che ha spinto gli alieni a tornare (cosa che viene spiegata nel capitolo 9, Things left unsaid, ambientato a settembre dell’anno successivo).
 
(***) Da ya amar,ياقمر
, che in arabo significa “mia luna”, un termine affettuoso anche usato per indicare che troviamo qualcuno molto bello, proprio come la Luna. Poi non dite che uso solo il greco antico! xD

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Capitolo 15
*** Tiny dancer in my hand ***


Chapter Fifteen – Tiny dancer in my hand

 

 
 
 
 
 
 
 
 
« Vedi, in fondo sei un tenerone. »
Kert, steso a pancia in su con le braccia incrociate dietro la testa, aprì solo un occhio: la sagoma nitida, anche se forse adesso un po’ trasparente, di Sunao era in piedi davanti a lui, poggiata in qualche maniera al muro, a braccia conserte e un’espressione di sfida in volto.
« Di nuovo acqua, cibo, premura verso il suo stato… vuoi forse dare un’impressione diversa di te? »
Lui fece schioccare la lingua: « Hai già fatto abbastanza la spia per il Consiglio e ora ti annoi? »
Le iridi violette luccicarono di fastidio: « Tu stai diventando noioso. »
L’alieno richiuse le palpebre e si accomodò di più sul letto: « Credevo avresti apprezzato gli sforzi che faccio per la tua amica. »
« Mi pareva di più una correzione alle conseguenze delle tue azioni. Dopotutto, non c’è bisogno che m’intrufoli nella tua testa per sapere che non l’hai fatto per Espera. »
« Vedi di star ben lontana dalla mia testa. »
« Con piacere, » lei alzò un sopracciglio e mormorò soddisfatta, « Mi basterebbero altri pezzi di te. »
Kert emise un grugnito sconsolato e si voltò su un fianco, rivolgendole così la schiena mentre Sunao ridacchiava divertita.
« Se hai finito di assillarmi intergalatticamente, vorrei andarmene a dormire. »
« Hai intenzione di fare qualcosa con quell’umana o no? » il tono di Sunao si fece più ufficiale, « O pensi di divertirti ancora a giocherellarci senza ottenere nulla? »
Lui controllò lo sbuffo che gli uscì dal naso: « Ci penso domani. Sono sicuro che non avrà così tanta resistenza, ora. Non credo che si lascerà andare a grandi monologhi, ma forse qualche informazione in più riusciremo a strappargliela. »
« Vedi di fare in fretta. Indebolire la tua squadra solo per - »
Kert voltò la testa quanto bastava per lanciarle un’occhiata infastidita: « È solo un elemento a essere indebolito, elemento che non è parte della mia squadra e che è indebolito dall’alba dei tempi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo prima di guardarlo con freddezza: « Un giorno o l’altro la tua testardaggine ti condurrà in un pantano da cui farai fatica a uscire. Ti sei sempre fatto vanto del tuo essere dedito alla disciplina, e – »
« È veramente qui solo per essere minimamente utile a Rui una volta al mese per cinque minuti? » l’interruppe con una punta di veleno che non andò ignorata, « Perché il trattamento esclusivo nei suoi confronti mi ha già ampiamente rotto il cazzo da anni, in più l’insistenza tua e del Consiglio sta cominciando a puzzarmi. »
L’aliena non si mosse: « Rinvigorente, da parte tua, pensare che io ne sappia più di così. »
« Tsk, » Kert si riappoggiò al cuscino e serrò le palpebre, « Buonanotte, Sunamora. »
L’ologramma sparì senza il minimo rumore.
 
 
 
 
« Smettila di guardarmi così, te l’ho già detto: non ce l’ho con te. »
Espera rivolse a Zaur un sorriso esortativo insieme alla boccetta di vetro con dentro il preparato analgesico; l’alieno dagli occhi scuri, però, la guardò con convinzione inesistente.
« Il bernoccolo che hai in testa dissentirebbe. »
Lei si sfiorò con le dita il risultato della sua caduta di qualche ora prima, che ancora pulsava infastidente, poi si strinse nelle spalle: « Rischi del mestiere, non trovi? E in ogni modo, non è colpa tua. Non ero io lo… scopo? »
La smorfia sofferente sul viso del ragazzo non sembrò acquietarsi: « Avrei dovuto pensarci. Ma ritenevo che le ultime calibrazioni sarebbero state sufficienti a… »
« Probabilmente è stato così, altrimenti sarei finita faccia a terra molto prima, » Espera gli diede due colpetti amichevoli sulle spalle e sbadigliò sonoramente, « Almeno così Kert si è dato una calmata. »
Zaur non poté evitare di sospirare, mentre svuotava la fialetta quasi in un sorso per placare anche il proprio mal di testa: « Ogni tanto mi chiedo come farebbe lui, se dovesse sopportare questo sforzo. »
« Kert con il mal di testa? Te ne prego, che le stelle ce ne scampino, sarebbe la fine di tutti noi, » l’aliena rise e lo salutò con una mano, augurandogli poi buonanotte sottovoce mentre si incamminava lungo il corridoio buio.
Quell’enorme casa sembrava ancora più estesa durante la notte, anche per la mancanza di luce in tutte quelle stanze che loro non avevano adibito a loro campo base, e le provocava sempre una strana sensazione.
O forse era solo l’interminabile formicolio che le tormentava la base della nuca e l’attaccatura delle spalle. Ne avvertì il fastidio anche sul viso, e soffocò una parolaccia tra i denti quando, sfiorandosi il naso con le dita, le trovò tinte di rosso.
« Tutto bene? » Rui l’accolse con voce preoccupata quando entrò nella loro camera, raddrizzandosi sul letto come già pronto a saltarvi giù in soccorso.
Espera annuì e afferrò una delle magliette del compagno, tamponandosi le narici mentre si lasciava cadere sul materasso con un sospiro.
« È stata una giornata infinita. »
Un’ombra scura passò sul viso del ragazzo: « Devo uccidere mio fratello. »
« Non c’è bisogno di essere così drastici, » Espera rise roca e chiuse gli occhi, poggiandosi alla testiera del letto non appena l’epistassi le diede pace, « Magari solo… un calcio nel sedere, o due giorni in punizione senza cibo. Sunao come compagna di banco. »
« È insopportabile. »
« Mi sembra una conversazione già avvenuta. »
Rui sospirò, le passò un braccio attorno alle spalle, portandosela stretta a sé, e le lasciò un bacio sulla tempia: « Detesto dover scegliere tra voi due. »
« Infatti, non devi, » Espera si voltò quanto bastava per guardarlo negli occhi, « Siamo io e lui che dobbiamo trovare la maniera di convincere pacificamente. Beh, più lui che io, ma… »
« Tu subisci già abbastanza. »
Lei fece spallucce e gli si accoccolò di nuovo accanto: « Sono la più piccola di sei. Non è la mia prima volta. »
Lui alzò un sopracciglio in maniera dubbiosa, carezzandole un braccio: « Stento a credere che Egle o Erizia siano così dispettose. »
Espera fece una risatina sarcastica e chiuse gli occhi, ed entrambi rimasero in silenzio per qualche istante.
« Domani dovrò mandare un rapporto al Consiglio, » sospirò poi Rui stancamente, sfiorandosi una tempia, « Sarà divertente fare giri di parole complessi per alleggerire la situazione. »
« Vedi il lato positivo, quando c’è di mezzo Kert, Sunao tende a chiudere un occhio. O tutti e due. »
« Deve aver battuto la testa molto forte, da piccola. »
Espera scoppiò a ridere di cuore, stringendoglisi addosso ancora di più e dimenticandosi della tensione di quella giornata, almeno per qualche ora.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Minto si svegliò di soprassalto, percependo nei primi istanti solamente il tuono del suo cuore che batteva all’impazzata. Le ci volle qualche secondo per convincere i suoi polmoni a inalare a fondo per calmarsi, per scostare quel bruciore che pareva non volerla abbandonare.
Di nuovo, la penombra scura della stanza non le diede modo di valutare quanto tempo fosse passato, ma sapeva che aveva dormito profondamente, poteva sentire un accenno di ristoro nelle ossa, così come provava un minimo di sollievo anche allo stomaco.
Si detestò per dover ammettere che le aveva fatto bene cedere a quel minimo pasto, e fu quasi sollevata nel constatare che ci fossero degli avanzi da considerare colazione, insieme a una nuova coppa piena d’acqua. Anzi, forse erano pure maggiori di quanto fosse riuscita a ingoiare la notte – il giorno? – precedente.
Scosse la testa a quel ricordo, cacciandolo nell’angolino più remoto del cervello che potesse trovare (non aveva senso peggiorare la sua situazione, rimuginare su certe cose, avrebbe solo complicato ulteriormente tutto), e afferrò di nuovo la ciotola: nonostante si fosse raffreddata e un po’ rappresa, le sembrò di nuovo una delle cose migliori che avesse mai mangiato, e dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per non lasciarsi scappare un sospiro di soddisfazione.
Fu solo alla terza cucchiaiata che si rese conto che le sue mani non erano più coperte dai guanti azzurri. Sbatté le palpebre un paio di volte, all’inizio bloccandosi confusa, poi poggiò la scodella per terra e si controllò di scatto, sussultando un po’ sollevata e un po’ sorpresa: non era certa del come, forse più del perché, ma mentre dormiva aveva sciolto la sua trasformazione da Mew Mew, e ora il suo bel vestitino nero era coperto da un desolante strato di polvere, i suoi capelli una matassa arruffata e annodata.
Si domandò in che stato fossero le sue ali, in che stato fosse generalmente lei, se il suo corpo decideva automaticamente di ritornare in forma umana – come se non avesse più le energie necessarie per sostenere i suoi poteri, per poter combattere.
Forse nuovamente l’eterna battaglia tra la sua mente cocciuta e le sue membra le stava regalando nuovi stimoli, con un tempismo ineguagliabile.
Almeno gli strati di stoffa in più le regalavano quantomeno una finta sensazione di sicurezza.
Raccolse le gambe al petto e si riconcentrò sul suo magro pasto, ora più decisa a non lasciarsi andare – d’accordo non cedere ai trucchetti dei suoi nemici, ma se aveva anche la minima possibilità di uscire da lì, avrebbe dovuto concedere al suo organismo l’energia necessaria per reagire.
Con un orecchio sempre teso verso l’esterno, terminò di mangiare, masticando il più a lungo possibile per indursi a credere di star ingerendo quantità più sostanziose. Continuava a non avvertire nulla intorno a sé se non un fastidioso ronzio che poteva benissimo essere la sua testa, completamente scombussolata.
Il peso del suo ciondolo Mew, ora in tasca, le gravava più del dovuto: un’inutile ancora di salvezza, spento e opaco esattamente come si sentiva lei. Le sarebbe bastato sentire anche solo della staticità all’altro capo della linea, solo per assicurarsi di avere almeno un filo verso gli altri, invece che essere completamente sola in quel buio.
Sola con la sua angoscia, il suo cervello riempito di immagini impossibili, e una manica di nemici fuori dalla porta.
« Vedi, sono questi trucchetti che mi interessano particolarmente. »
Suo malgrado, Minto non riuscì a evitare di sobbalzare vistosamente, lasciandosi scappare dalle mani la ciotola, che sferragliò sul pavimento in un rumore assordante dopo tutto quel silenzio. Kert rimase immobile sull’uscio, a osservarla con sguardo incuriosito mentre lei si ritirava d’istinto contro un angolo.
« Dove sono finite le tue alucce, uccellino? » le domandò « Come fate a passare da quello a… questo? »
Per qualche motivo stupido, la mora si sentì offesa da quell’affermazione, ma si limitò a digrignare i denti e stringere i pugni per convincere il suo maledetto corpo a smettere di tremare.
« In cambio della colazione, » le fece l’occhiolino e sollevò nella sua direzione un piatto, questa volta fumante e dall’odore molto più dolce, e un altro bicchiere di acqua, « Come ringraziamento della mia generosità. »
Minto sbuffò sarcastica dal naso e rimbeccò prima di poterci pensare: « Generosità questa? Non voglio niente da te! »
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio e guardare con poca convinzione la ciotola a terra, ripulita a modo: « Mi verrebbe da dissentire. »
La mora si concentrò sul non arrossire, colta in fallo, e continuò a fissarlo con tutto l’odio di cui era capace. Kert sospirò e si avvicinò di qualche passo, poggiando sul pavimento i due contenitori.
« Allora, ti è passata un po’ la voglia di essere scortese? Sto ancora aspettando di sentire il tuo nome. »
Di nuovo, Minto esclamò le prime parole che le passarono per la testa: « Non vedo come ti possa interessare, visto quello che mi state facendo! »
« Oh, uccellino, potrebbe andarti molto peggio, non credi? » lui inclinò la testa da un lato e sogghignò ferino, « Poi mi sembra scortese sapere il nome del tuo ragazzo e non del tuo. »
Questa volta, Minto avvertì le guance andarle in fiamme mentre, di nuovo, una strana ansia acida le corrodeva lo stomaco a quella menzione.
« Cosa mi avete fatto!? » strillò, schiacciandosi ancora contro al muro, « Come avete... »
Kert agitò una mano in aria e poi sbuffò: « Sei proprio noiosa, uccellino. Non sono qui per rispondere alle tue domande. »
Ritornò verso l’uscio, e la mora – contro il suo buon senso – reagì all’improvvisa angoscia di rimanere di nuovo da sola in quel buio opprimente, di poter ricominciare ad avere gli occhi e la mente invasi da quei ricordi manipolati: « Aspet – »
Le scappò un grido mozzato, mentre allungava una mano verso di lui, ma le si bloccò in gola nello stesso istante in cui la porta si richiuse senza un tonfo.
 
 
 
 
Pai scrisse un’altra riga di codice, premette invio, e lasciò che il sistema partisse prima di concedersi gli ultimi sorsi di caffè ormai freddo. Esaurite tutte le altre alternative, tutte le altre idee, Akasaka aveva suggerito di fare un reboot del programma che aveva individuato, tutti quegli anni prima, i cinque DNA compatibili con quello degli animali Red Code tra tutta la popolazione. Forse quello avrebbe aggirato le tecnologie dei loro nemici, avrebbe ritrovato nuovamente il codice genetico di Minto in mezzo agli altri, e avrebbe donato loro la sua posizione.
Sempre che…
Tracannò il fondo e aggrottò appena le sopracciglia. Se suo fratello avesse saputo che solo intratteneva quei pensieri, avrebbe probabilmente smesso di rivolgergli la parola fino alla fine dei suoi giorni. Non che l’avrebbe biasimato, lui stesso non era sicuro di ciò che avrebbe potuto fare se al posto di Aizawa ci fosse stata Retasu.
Controllò un’ultima volta lo schermo – il programma non era stato aggiornato da un po’, anche con il DNA della mewbird in memoria ci avrebbe impiegato del tempo a completare il tracciamento. Era da poco passata l’alba, lui si era concesso qualche ora di sonno non appena anche Shirogane aveva ceduto ed era tornato a casa per ristorarsi. Riuscire ad ampliare le capacità di Taruto senza che lui fosse effettivamente presente si era rivelato più complesso del previsto, e non era stato d’aiuto il pensiero costante della Mew Mew mancante.
Lui non aveva legato particolarmente con Aizawa – non aveva legato particolarmente con nessuno di loro, tranne una – ma non era così insensibile da risultare indifferente all’angoscia provata da Retasu e dai suoi fratelli.
Mentre si avviava al piano di sopra per una doccia ristorativa, controllò il cellulare: la Mew verde gli aveva mandato messaggi fino a notte fonda, probabilmente incapace di addormentarsi come ogni volta che era irrequieta, e c’era già una comunicazione ad attenderlo.
 
From: Ocean_dreaming_mermaid
 
Tutto bene?? Novità?? Stiamo per fare colazione, tra un po’ torniamo.
Hai dormito?
 
 
Pai si sfregò il viso, avrebbe tanto voluto darle notizie differenti e al tempo stesso sgridarla per l’ostinazione a non accordarsi dell’effettivo riposo, quando poi non gli risparmiava le ramanzine. Lui poteva permetterselo, era abituato, ma lei…
Si trattenne anche dal risponderle che non c’era bisogno si affrettassero, perché sapeva sarebbe stato letto in tutte le maniere possibili e ovviamente non come l’avrebbe inteso lui – non che non ci fosse un enorme fondo di verità a voler mantenere l’ambiente circostante più tranquillo possibile – e abbozzò la risposta più diplomatica che il suo cervello in sovraccarico potesse computare.
Attese qualche istante prima di compilare un altro messaggio a un numero differente, dandosi dell’imbecille per il senso di colpa completamente ingiustificato e ricordandosi che non c’era motivo di dare altri dispiaceri alla sua ragazza, mettendola a conoscenza solo di dettagli che avrebbero moltiplicato la sua angoscia e basta.
 
 
 
 
Il mento appoggiato al palmo della mano sinistra, l’altra che stringeva pigramente la tazza di caffè, Zakuro spostò solo le iridi indaco quando il cellulare vibrò una volta sola sul tavolo della sala da pranzo. Solo anni di gelido raziocinio tennero a bada la delusione nel suo petto quando vide che l’oggetto del messaggio non portava nessuna novità.
 
From: IkisatashiPai31415
 
Mio fratello?
 
 
Lo sguardo virò quindi verso Kisshu, appollaiato sul bracciolo del divano che continuava a fissare fuori dalle finestre con occhi assenti. Non avrebbe nemmeno saputo dire se si era mosso durante la notte. Stava giocherellando con qualcosa che teneva in mano, e lei rilassò appena la fronte nel constatare che fosse solo il cellulare di Minto, recuperato probabilmente dalla borsetta che lei aveva lasciato al Caffè prima dell’ultimo attacco.
Attorno a lui, le altre tre ragazze si stavano lentamente riprendendo dal poco e turbato sonno, facendo colazione e scambiandosi poche parole: avevano capito che era meglio lasciarlo stare, avvicinarlo con cautela come si faceva con un animale ferito, stuzzicarlo il meno possibile. Un atteggiamento che lei comprendeva bene.
 
From: Loner_Wolf
 
È qui. È già un passo avanti.
 
 
Non era una risposta particolarmente confortante, lo sapeva, ma d’altronde era la verità.
Sospirò, cacciò il cellulare nella tasca del cardigan che le scendeva dalla spalla, riempì una seconda tazza e la portò all’alieno, mettendogliela sotto il naso.
« Mangia, » un consiglio che suonò più come un ordine, « Sai come funziona. »
Kisshu prese la tazza, ma invece che bere le mostrò il telefono della mew bird: « Per caso sai il codice? » domandò sottovoce, « Le è arrivato un messaggio di Seiji. Non vorrebbe lasciarlo preoccupare. »
Zakuro annui e fece un gesto con le dita per indicargli di passarglielo: « Ci penso io. È capace di non parlarmi per due settimane se scopre che ti ho detto qual è. »
Lui rise con uno sbuffo: « Almeno mentimi e dimmi che è il nostro anniversario o qualcosa del genere. »
La mew lupo rispose con un sorriso e fece dietrofront sui tacchi: « Chiediglielo dopo. »
« Come andiamo? » Purin sbucò dalla cucina con due preoccupanti borse viola sotto gli occhi e il cappuccio della felpa tirato sopra la testa, in una mise che ricordava molto Kisshu, « Io tra poco sarei operativa… »
« Non c’è fretta, scimmietta, » bofonchiò l’alieno dagli occhi dorati, concedendosi due lunghi sorsi ristoratori, « Il cervellone dorme ancora, e non è arrivato suono dal quartier generale. »
« Ryou è tornato a notte fonda, » rimbeccò Ichigo sottovoce dall’altra parte della sala da pranzo, « Non siamo dei robot. »
« Pai ha detto che è riuscito a far partire un altro sistema di controllo, » s’intromise Retasu a bassa voce, nel tentativo di suonare incoraggiante, « Però sembra che ci vorrà un po’, perché è vecchio e… »
Zakuro vide la smorfia maligna e sarcastica di Kisshu che si preparava a ribattere e scattò più veloce di lui, lanciandogli un’occhiata di monito.
« Diamo a Ryou un’altra oretta, o ci sarà inutile se non riesce a ragionare. Anche Pai e Taruto dovranno riprendersi un istante, e nel frattempo il programma farà dei progressi. Consiglio a tutti di fare un altro pisolino – Purin, tu ti reggi a malapena in piedi. Non sono neanche le otto, per le dieci torniamo al Caffè e facciamo il punto della situazione. »
Kisshu fece schioccare la lingua: « Signorsì, signor Generale, » borbottò, ma non osò insistere mentre tracannava di botto l’intera tazza.
 
 
 
 
Stese le gambe e poggiò con cautela la nuca contro al muro, imponendosi di smetterla di torturarsi la pellicina del dito medio.
Non riuscire a capire quanto tempo stesse passando la stava facendo uscire di senno: aveva provato a contare i secondi, ma perdeva il segno, la mente che vagava a rivivere ricordi o a porsi un miliardo di domande, oppure veniva distratta da una fitta di dolore in qualche punto random del corpo.
Sospirò e si tolse un paio di pelucchi dal vestito giusto per avere qualcosa da fare. Aveva di nuovo vagabondato per l’intera stanza alla ricerca di uno spiraglio di luce o di un indizio su dove potesse trovarsi, ma sembrava assolutamente anonima nel suo essere decadente e polverosa.
Non avrebbe nemmeno saputo dire che emozioni stava provando in quel momento: si sentiva svuotata, disperata, ma anche con ottomila pensieri differenti che la mandavano in tachicardia.
Quasi per abitudine, accarezzò di nuovo il suo ciondolo Mew e decise di tirarlo fuori dalla tasca. Non avrebbe ceduto alla tentazione di riprovare a mettersi in contatto con gli altri, le avrebbe generato solo più angoscia sentire solo silenzio cupo, però lo strinse in ogni caso, alla ricerca di quella sicurezza che il suo DNA modificato le dava.
Ironicamente, avrebbe detto, visto quanto poco aveva apprezzato la cosa.
Le sembrò che i suoi geni animali le sussurrassero qualcosa, o forse stava semplicemente diventando pazza dopo quella reclusione; ma non aveva niente da perdere, ormai, quindi si portò il ciondolo alle labbra e lasciò che la sua forma Mew si liberasse.
All’iniziò provò un sollievo indefinibile: arrendersi al divorare la “colazione” era stata una scelta saggia, doveva aver recuperato abbastanza energie, finalmente, anche se continuò a non avere il coraggio di estendere le ali più di un paio di millimetri, avvertendo un dolore più sordo proprio sulla schiena, e la sensazione di freddo sulla pelle nuda fu meno che piacevole.
Poi il sollievo si tramutò in sgomento in pochi attimi, quando si rese conto che nella mano sinistra stava stringendo nuovamente il suo arco.
Minto lo osservò a occhi sgranati per qualche secondo, sbattendo le palpebre: temette che fosse l’ennesima allucinazione, l’ennesimo segno di follia, ma la sensazione dell’arma tra le dita era inconfondibile.
In effetti non aveva mai pensato al funzionamento dei suoi poteri – a dirla tutta non era neanche sicura che avrebbe davvero capito come accidenti funzionavano – né si era mai ritrovata in una situazione simile: ogni trasformazione, da ambo lati, era stata volontaria, costumi, armi, ali e coda una parte di sé. Non ricordava di aver mai perso l’arco prima, semplicemente esso spariva insieme a tutto il resto, quindi aveva senso che… tornasse a ogni sua trasformazione, no?
Scosse la testa, meglio essere grata di quella stranezza invece che stare a rimuginare sui perché e i percome.
Devo assolutamente dirlo alle altre, pensò, prima che una sensazione di doloroso bruciore le risalisse la gola al pensiero delle ragazze.
Smettila! insistette con sé stessa, chiudendo la mano libera a pugno, Essere melodrammatica non ti servirà! Ora hai un vantaggio inaspettato, fai un bel respiro e pensa a come usarlo a tuo favore.
Le costò una fatica inaspettata tirarsi in piedi, dopo tutte quelle ore indefinite seduta o raggomitolata su di sé, ma si tenne al muro e continuò a prendere respiri profondi per stabilizzarsi.
Poi puntò l’arma contro la porta e attese in silenzio.
 
 
 
 
Sunamora era una rompipalle.
Le femmine erano delle rompipalle.
A cominciare da sua madre, passando per Seles e le sue turbe, e per finire anche con quella mocciosa umana testarda e cocciuta che gli stava solo creando dei mal di fegato.
Non avrebbe sopportato ancora molto il muso lungo e il trattamento del silenzio di suo fratello, che l’avevano accolto nella cucina in penombra quando si era messo alla ricerca di qualcosa per svegliarsi. Gli avevano solo fatto venire voglia di scolarsi due casse di ollit(*) già di prima mattina.
Così come gli aveva fatto bramare l’alcolismo il sorrisetto di Espera, che gli aveva fin da subito allungato un piatto caldo: lui non voleva il suo aiuto né la sua gentilezza, l’unica cortesia che avrebbe gradito sarebbe stato che sparisse e si levasse dalle scatole. Entro i successivi due giorni, se possibile.
Kert ringhiò sottovoce e compì gli ultimi passi che lo separavano dalla stanza in cui c’era l’uccellino. Forse, infine, un po’ con le buone ma soprattutto con le cattive, sarebbe stato in grado di cavarle più di insulti di bocca e ottenere informazioni importanti in più sulle sue compagne e su quei tre sfigati Duuariani.
Zaur era sempre pronto a liberare un po’ dei suoi poteri, dopotutto.
Si fermò prima di aprire e ascoltò con attenzione: nessun rumore, nessun strepitare o battere contro la porta – forse davvero sarebbe stata la volta buona.
Cambiò idea dopo un secondo, quando un dardo luminoso gli passò a mezzo millimetro dalla faccia non appena aprì la porta.
Soffocò una maledizione tra i denti e reagì d’istinto, prima che un’altra freccia riuscisse davvero a colpire nel segno. Minto era in piedi, ancora vicino al muro, e lui le volò davanti nel tempo di un battito di ciglia, causandole un urletto soffocato quando riuscì ad afferrarla e sbatterla con forza contro la parete, bloccandola contro di sé.
« Sarebbero questi… i ringraziamenti? »
Kert le premette l’avambraccio contro lo sterno, non abbastanza da soffocarla ma a sufficienza per renderle il suo affanno più deciso. Con l’altra mano le strappò di nuovo l’arco e lo lanciò lontano, premendosi poi un po’ di più contro di lei così da assicurarsi che stesse ferma; Minto, le punte dei piedi che sfioravano il pavimento, poté avvertire l’intero muro di muscoli che la stava sovrastando e smorzò un gemito di terrore quando lui le afferrò l’avambraccio e glielo spinse contro al muro con forza per bloccarla totalmente.
« Ammetto che apprezzo il tuo fegato, » esclamò lui, « Ma non apprezzo essere preso per fesso. »
Le torse il braccio per portarglielo dietro la schiena, scatenandole un singhiozzo strozzato di dolore, poi la voltò completamente, come se non avesse peso, intrappolandole entrambe gli arti e scostandole malamente le ali per afferrarla e stringerla di nuovo contro di sé, anche le piume della coda che dolsero schiacciate.
« Lasciami! » strillò lei, tentando di divincolarsi, di assestargli delle tallonate negli stinchi, nelle cosce, in qualsiasi punto potesse raggiungere, ma lui era il doppio di lei e aveva una forza tale che c’era ben poco lei potesse fare.
La sollevò di nuovo come se fosse una piuma, mormorando probabilmente imprecazioni che lei non capiva, e la trasportò dall’altra parte della stanza. La scaraventò sul letto polveroso, continuando a tenerle bloccate le braccia, e Minto smise di dimenarsi solo per il completo terrore che le raggelò le membra. Boccheggiò contro al materasso, cercando di respirare mentre sentiva gli occhi pungerle, tentando di estraniarsi con la mente mentre lo udiva armeggiare alle sue spalle – maledetto il suo costume così corto, maledetta la sua stanchezza, se solo fosse riuscita a tirargli un calcio…
Un nastro sorprendentemente morbido le fu stretto con un po’ troppa veemenza attorno ai polsi e alle caviglie, poi finalmente Kert sospirò e si allontanò da lei:
« Così forse la finirai di regalarmi sorpresine. »
Le ci volle qualche secondo per comprendere la situazione, mentre faticosamente si contorceva per guardarlo con rabbia e sgomento: « Tu… tu non… »
Gli occhi dorati vibrarono di un’emozione che lei non riuscì a capire: « Sei carina, tesoro, ma non ho bisogno di abbassarmi a certe cose. A meno che non venga chiesto. »
Minto si fece scivolare giù dal letto il più lentamente possibile, atterrando sul didietro con poca grazia e lanciandogli un’occhiata schifata a quell’ultimo commento.
« Preferirei cavarmi la lingua. »
Lui ridacchiò soddisfatto e si piegò sulle ginocchia così da essere più o meno alla sua altezza: « Attenzione a quello che desideri, uccellino. »
« Cosa vuoi da me? » sberciò per l’ennesima volta, cercando di ignorare le lacrime che le punsero gli angoli degli occhi.
« Non mi hai ancora detto come ti chiami, » replicò tranquillo lui, « Direi che quello me lo devi, visto come mi hai accolto qui dentro. »
« Non ti devo un bel niente! Io – »
« Vuoi ricominciare? » la interruppe Kert, « Basta solo chiedere, ho di meglio da fare che stare qui a discutere con te. »
La mora avvertì un brivido di terrore e si conficcò le unghie nei palmi, caricando di veleno la sua risposta: « Minto. »
Il viso del geota si aprì in un sorriso solare: « Benissimo, Minto. Il piacere è mio. Ho pensato che potremmo fare un giochino, » si sedette sul pavimento a gambe incrociate e poi stese i palmi dietro di sé, l’intrico di tatuaggi che fece capolino dallo scollo della maglia, « Ho pensato che potresti raccontarmi un po’ di cose. Non avrai mica voglia di rimanere di nuovo qui da sola con i tuoi pensieri, giusto? »
Ancora, il cuore prese a batterle furioso mentre le si bloccava il respiro e dei tremolii gelidi le risalivano il busto, però lei scosse la testa e si costrinse a parlare: « Non ti dirò un accidenti. »
Kert rise, inclinò il capo da un lato, i lunghi capelli color ghiaccio che seguirono il movimento: « Ripeto, non saresti altrettanto divertente se non avessi questo fegato. Facciamo così, tu mi dici una cosa e io ti dico una cosa. Uno scambio equivalente. Mi sembra giusto, non trovi? »
Minto si azzardò a scrutarlo per più di qualche secondo, detestando quegli occhi dorati, detestando la sua massa imponente, detestando quell’espressione di completa tranquillità che tanto le ricordava qualcuno.
« Scommetto che anche ai tuoi amici farebbe piacere sapere una cosetta o due. »
« Non ti azzardare! » esplose lei di scatto, le ali e la coda che frullarono indispettite, « Tu non sai niente di noi! »
« Proprio il fulcro della questione. »
« Perché, esattamente che piani avresti per me? » domandò lei, con un singhiozzo che non riuscì a coprire, « Vuoi forse farmi credere che… che… »
Le iridi chiare s’incupirono per un istante: « Vuoi farmi passare per molto meno onorevole di quanto non sia, Minto? » il nome le risuonò come fiele detto dalla sua voce, « Come io non so niente di te, tu non sai niente di me. »
« Onorevole prendere un ostaggio, torturarlo e legarlo! »
« Ho bisogno di informazioni, » proseguì lui, « Eri la via più veloce per ottenerle. Se fossi stata meno testarda, forse in questo momento ti troveresti in una situazione diversa. Ma ripeto, così è stato molto più interessante. »
Lei sbuffò sarcastica e cercò di nuovo di divincolarsi, di allentare la stretta su polsi e caviglie, e lanciò uno sguardo disperato al suo povero arco, sbeccato e abbandonato dall’altro lato della stanza.
« Non ci pensare nemmeno, » l’ammonì lui, indovinando, « Potrei non essere così clemente, la prossima volta. A questo proposito, come diamine funzionate tu e le tue compagne? Mi sembra di capire che non siete semplici umane. Quella tua amica bionda spara un… blob gigantesco. »
« Noi siamo le Mew Mew. »
Kert la osservò per un altro paio di secondi a sopracciglia alzate: « Ne so quanto prima, dolcezza. »
« Fattelo bastare. »
Di nuovo, un paio di istanti di silenzio, poi l’alieno scoppiò in una fragorosa risata: « Forse ora capisco perché quel Duuariano – Kisshu, hai detto che si chiama? – è così fissato con te. »
Minto perse un respiro alla menzione del nome, e Kert sembrò non mancare la sua espressione.
« Oh, non dirmi che ti aspettavi che sarebbe riuscito a trovarti, » sogghignò maligno, « Non ti facevo una donzella che aspetta l’arrivo salvifico del suo bell’innamorato. »
« Tu non lo conosci, » ribatté lei, sputando fuori lentamente e con odio ogni parola. Ottenne solo di farlo sorridere ancora di più:
« No, però mi sono divertito parecchio a osservarlo in questi giorni. Scommetto che vorresti sapere tantissimo cosa stesse facendo. »
Le immagini che le avevano avvelenato il cervello e il cuore le si accalcarono di nuovo davanti agli occhi, mentre lo stomaco le si riempiva di bile e la nausea le risaliva la trachea.
« Vaffanculo, » sussurrò con voce rotta, guardandolo con tutto l’odio di cui era capace.
« Chissà se potessi barattarti per una vostra resa incondizionata, di sicuro ci renderebbe il lavoro più semplice. Anche se non ce lo vedo, quello spilungone, a prostrarsi a certe cose. Lui se la fa con quella dai capelli verdi, non è vero? » Kert le parlò con calma assoluta, del tutto divertito dalle sue esternazioni, « A proposito, non mi è molto chiaro cosa ci facciano quei tre qua. È questo il metodo di riconquista Duuariano? »
Minto spalancò impercettibilmente gli occhi, confusa: come faceva Gaia a non sapere di Deep Blue, della Mew Aqua, di come era andata a finire la missione degli Ikisatashi sulla Terra? Erano davvero così scarsi i contatti tra i due pianeti? Non che riuscisse a capire, in quel momento, come queste informazioni potessero essere rilevanti, ma non avrebbe certo rivelato nulla.
« Duuar e la Terra non sono più nemiche, » mormorò « Se aveste ascoltato, la prima volta che ci – »
Kert sventolò una mano in aria: « Ah, sì, quella storia della pozione magica? Dubito che possa interessarci. Il nostro pianeta è in perfetto stato climatico, al contrario del vostro, solamente ci serve più spazio. Anzi, credo che saremmo comunque più in grado noi di rimediare ai danni che avete combinato di qualche mistica brodaglia. »
« Allora perché venire qui, se la Terra è in condizione così disastrose per voi? »
Il sorriso dell’alieno si allargò: « Oh, vedi che alla fine il mio giochino ha senso? » si rilassò un po’ di più sui palmi, « Te l’ho detto, Minto. Gaia ha bisogno di estendere i propri confini. La nostra popolazione cresce, e non possiamo rischiare di mettere a repentaglio l’equilibrio naturale e climatico del pianeta. Non dopo quello che la nostra gente ha passato. »
« Ci siamo noi qui adesso! Da millenni, da ben dopo che il vostro popolo aveva abbandonato la Terra. Come già detto al tempo ai vostri compatrioti, non potete venire qui a rivendicare un bel niente. »
« E infatti gli è piaciuto così tanto che sono rimasti. »
Kert ghignò soddisfatto al sottile rossore che le colorò le guance, e Minto alzò il naso, come a recuperare qualche millimetro di inferiorità:
« Sapevano che sareste arrivati, » sibilò, « Sono qua anche per impedirvi di commettere i loro errori! »
« Direi che sta funzionando, » la prese in giro ancora, « Grazie comunque per aver confermato che le nostre comunicazioni verso Duuar hanno avuto buon fine, ci sentivamo ignorati. Anche se mi stupisco che non abbiano inviato contingenti più efficaci, se così interessati al vostro destino. Oppure, tutta questa storiella dell’idillio tra i vostri pianeti non è poi così veritiera. »
La mora si morse la lingua e tentò di mettersi seduta più composta: « Vi stiamo tenendo testa in ogni modo. »
« Tu sicuramente, uccellino, te ne devo dare atto, » anche Kert si raddrizzò e il suo sguardo si fece più serio, « Quindi ci siete solo voi ad avere le alucce, immagino. Zaur ha borbottato qualcosa sul vostro DNA, ma francamente ero annoiato dopo sette secondi. »
Lei si domandò quale di loro fosse Zaur, ma questa volta scelse di rimanere zitta. L’alieno non ne sembrò molto turbato.
« Per quale diamine di motivo, poi, dovreste avere fattezze animali? »
Ancora, Minto si morse le labbra e lo guardò solo con rancore.
« Uccellino – »
« Minto. »
« Minto, » lui si corresse e rise divertito, piegandosi poi più in avanti e abbassando la voce, « Stai tornando a essere noiosa e antipatica. »
« Perfetto, » ribatté velenosa lei, anche se le piume delle ali vibrarono in allerta e uno strano rimescolio le prese lo stomaco.
Kert emise solo uno sbuffo divertito, scrutandola per pochi istanti con le iridi cariche d’interesse.
Poi fu come se tutta l’aria venisse risucchiata dalla stanza.
 
 
 
 
Purin non aveva mai trovato il Caffè così deprimente come quella mattina.
Un ennesimo acquazzone aveva deciso di abbattersi sulla città, ingrigita e fredda, e lei stava incominciando a diventare claustrofobica con tutto il nervosismo extra che aveva in corpo.
Puntò dritto contro Taruto non appena varcò la soglia del locale, ignorando più che mai il suo imbarazzo di fronte a manifestazioni pubbliche di affetto. Il ragazzo stesso, invece, fu più grato del solito all’abbraccio in cui lei lo avviluppò, stringendola a sua volta con un braccio e carezzandole il cappuccio che portava sopra la testa con fare premuroso.
Kisshu, invece, concesse ai suoi fratelli – entrambi molto vicini alla cucina e alle sue scorte alimentari – soltanto un cenno del capo e scomparve di nuovo al piano di sopra senza dire una parola.
« Non so cosa fare col nii-san, » bofonchiò Purin dopo un po’, quando fu sicura di essere il più possibile fuori dalla portata di orecchio, il volto ancora premuto contro il petto di Taruto, « Praticamente non ha detto una parola da ieri sera. »
« Non sono certo che vorremmo sentire ciò che ha da dire, » commentò laconico Pai, bevendo un altro sorso di caffè nonostante fosse già alla terza tazza in meno di due ore e guadagnandosi un’occhiataccia da parte della bionda, « Sarebbero solo sequele di parolacce e commenti poco utili. »
« Lo puoi biasimare? » rispose secco Shirogane, passandogli accanto per sfruttare anche lui la miscela fumante appena fatta.
L’alieno non criticò oltre, e annuì verso Keiichiro, anche lui con l’ombra della barba che gli scuriva il viso: « Il programma ha finito di aggiornarsi. Il codice sembra solido, ma la scansione procede lenta. »
Ichigo si lasciò andare a un sospiro angosciato: « Questo è un incubo. »
« Quante possibilità ci sono che funzioni meglio di tutti gli altri sistemi che avete già provato? »
Ryou non guardò Zakuro dopo quella domanda, concentrandosi solo sulla macchina del caffè: « Non credo che una comparazione sia efficace, a livello di meglio o - »
« Okay, quindi non cambierà niente, capito. »
Al commento acido della mewlupo, Purin finalmente si staccò da Taruto e si strofinò la manica della felpa extralarge, che non apparteneva certo a lei, contro al viso.
« Vado dal nii-san, » borbottò poi, svicolando via prima che le amiche o gli Ikisatashi tentassero di farla desistere.
Per lei non era concepibile alienarsi nel momento del bisogno: più degli altri sapeva quanto fosse necessario il sostegno degli amici, della famiglia, quando le cose si facevano difficili, e se quel testone di Kisshu non lo voleva ammettere, sarebbe andata lei a insistere, perché lei aveva bisogno anche del suo appoggio in quel momento.
Aveva bisogno lei stessa di vedere che lui non aveva perso tutte le speranze.
Lo trovò all’incontrario sul suo letto, la testa penzoloni giù dal bordo e un plico di polaroid in mano.
« Non mi serve una baby-sitter, » l’accolse piatto quando la sentì arrivare.
Purin gli scostò le gambe con malagrazia e gli si sedette accanto: « Io invece voglio compagnia. »
« Non hai un fidanzato per questo? »
« Non essere stronzo, » gli pungolò un fianco con un dito, e perfino Kisshu fu sorpreso dalla scelta di linguaggio, « Ecco, è proprio il mio messaggio principale. »
Nuovamente, lui si stupì della risatina sincera che gli risalì dalla gola: « Certo che sei proprio una rompipalle. »
« Appannaggio della sorellina minore. »
Lui fece schioccare ironico la lingua e le lanciò un’occhiata divertita: « Mi devi dire qualcosa che non so? »
« Non fare il finto tonto, sarebbe uguale anche se non ci fosse Taruto di mezzo. Passerebbe per la onee-san. »
Il viso di Kisshu s’indurì a quel commento, e lui si soffermò di nuovo sulle foto che reggeva – una panoramica di quasi un anno di relazione con Minto, da quando lei gli aveva regalato la macchina fotografica a poche settimane prima.
Si tolse dalla testa il pensiero che potevano essere tutto ciò che gli sarebbe rimasto di lei.
Purin sembrò capirlo, perché evitò pervicacemente di guardarle e gli diede un colpo col ginocchio: « Andiamo a vedere cos’ha Akasaka-san in cucina? Secondo me Ryou nii-san ha messo un bando ai dolci, perché la colazione stamattina non – »
Un insistente allarme, diverso da tutti quelli che avevano sentito nel tempo, li fece sobbalzare entrambi, seguito poi da segnali a cui erano molto più abituati. Kisshu volò giù ancor prima che la bionda potesse sbattere le ciglia, ma si affrettò a seguirlo con il cuore che batteva a mille, facendo i gradini a tre a tre fino al seminterrato.
Pai era già curvo sul computer, le dita che saettavano sulla tastiera: « Sono scattati tutti contemporaneamente, » spiegò spiccio, « Compreso quello sulla Mew Aqua. Ma non capisco cosa – »
« Qui, » Ryou gli indicò un punto sul monitor principale, poi si sbrigò a zoomare e sgranare l’immagine, « Il programma per individuare DNA compatibili ha rintracciato il profilo genetico di Minto, per una frazione di secondo… »
Kisshu quasi lo spinse di lato: « Dove?! »
« Non ha senso, » sussurrò Zakuro, scrutando lo schermo, « Perché è sparito di nuovo? »
« Shirogane, dove!? »
Il biondo silenziò gli allarmi e batté un altro paio di tasti: « Due chilometri a sud di qui. »
 
 
 
 
Minto si rannicchiò ancora di più su sé stessa mentre annaspava, i polmoni che non riuscivano a riempirsi, la gola che pareva farsi via via più stretta, gli occhi che di nuovo si riempirono di lacrime.
Forse era così che si sentiva un pesce fuor d’acqua.
« Ho un’amica davvero brava a scoprire quello che serve, » mormorò Kert e le si avvicinò, sfiorandole con un dito le delicate piume della coda, « Sei fortunata che non sia qui con noi. Ma anche io non sono proprio inutile. »
Osservò i colori iridescenti del piumaggio e attese qualche altro istante prima di parlare, degli istanti che a Minto parvero infiniti.
« Non mi faccio vanto di chissà quali capacità, ma qualche asso nella manica ce l’ho. In stanze molto ridotte, ad esempio, posso cancellare ogni traccia di ossigeno presente nell’aria. Tranne, ovviamente, per me stesso. »
Lei sussultò solo quando avvertì le sue dita percorrerle un fianco e poggiarsi sul suo collo, come a controllarle il battito: avrebbe voluto scrollarselo di dosso, ma non aveva nemmeno le energie per mugolare.
« Si rivela utile, quando qualcuno è particolarmente testardo, » continuò lui, e spostò le dita lungo la mascella di lei, « Dici che hai voglia di chiacchierare un po’ di più? »
Minto rantolò, ormai con una palla di fuoco dentro al petto al posto dei polmoni, la testa che cominciava a girarle e ogni singolo muscolo che faceva male. Anche se avesse voluto, solo per insultarlo, non avrebbe potuto nemmeno muovere la lingua, e…
Le labbra di Kert si posarono sulle sue prima che lei potesse accorgersi che si fosse mosso, le sue dita che le spinsero il mento in alto. Provò una sensazione di gelido terrore e fece per ritrarsi, quando il dolce soffio di aria respirabile le riempì di nuovo le vie aeree, schiarendole per un secondo le idee.
L’alieno si ritrasse molto più lentamente di come si era avvicinato, e la guardò sempre con quell’insopportabile sorriso soddisfatto; Minto serrò le labbra, cercando di trattenere ogni più preziosa molecola di ossigeno, cercando di togliersi l’orribile gusto di quel bacio di dosso.
« Possiamo ancora andare avanti così. Oppure possiamo – » Kert s’interruppe e inclinò appena il capo da una parte, come se stesse ascoltando qualcosa che lei non poteva sentire.
La mora, la cui riserva d’aria stava di nuovo decrescendo pericolosamente, notò solo un guizzo scocciato nella sua mascella prima che l’alieno le sorridesse di nuovo e le stuzzicasse, questa volta, le ali.
« D’accordo, divertimento finito, » tirò un po’ di più, strappandole l’ennesimo gemito di dolore, e sfilò una delle piume, rigirandosela incuriosito, « Come ricordino delle nostre chiacchierate. »
L’aria le ritornò violentemente nei polmoni e la vista le si appannò del tutto per quante lacrime le fluirono negli occhi; Minto prese quanti più respiri possibili, tossendo e boccheggiando contro la nausea e il pulsare nel suo cervello.
« Sei un essere spregevole! » esclamò con voce rotta, e lo fece solo continuare a sorridere.
« Scommetto che pensavi la stessa cosa anche dei Duuariani, quando sono arrivati qui per la prima volta, » la prese in giro sottovoce, sfiorandole il naso con la piuma prima di portarsela alle labbra, « Magari cambierai idea anche su di noi. »
Lei non fece in tempo a reagire, attraversata solo da un brivido di disgusto e terrore, che lo vide di nuovo fare una smorfia scocciata, il viso che si rivolse al muro a loro opposto, verso l’entrata della stanza. Con uno sbuffo contrariato, si alzò in piedi, infilandosi la sua piuma in tasca, e le lanciò un’occhiata un po’ contorta:
« Peccato doverti condividere, ora. »
Con un gesto annoiato, Kert finalmente aprì la porta.
L’alieno dagli occhi blu, quello che doveva essere a capo della combriccola, entrò come una furia e si diresse subito addosso al suo rapitore, senza degnarla di uno sguardo: « Ma sei impazzito?! » urlò in un sussurro, dandogli uno spintone, « Espera stava diventando blu! »
Kert rispose con un ghigno divertito: « Le ha sempre donato, come colore. »
Minto, ancora boccheggiante e molto confusa, si distrasse da quella discussione, osservando solo l’uscio spalancato, il corridoio buio oltre ad esso che sembrava però molto più luminoso della stanza dove aveva passato chissà quante ore. Se solo fosse stata libera, se fosse riuscita a slegarsi almeno le caviglie…
Tentò di librarsi in volo, ma le ali le fremettero dolenti e si sollevò forse di un paio di millimetri prima di ripiombare con un gemito sul pavimento duro. Ogni energia che aveva riconquistato durante il sonno era come svanita, tutte le sue cellule si rifiutavano di collaborare e la testa le girava più che mai. Alzò lo sguardo e si contorse il più possibile per guardare quel corridoio – una casa, quella era una vera e propria casa! – e i suoi occhi registrarono le figure dei due alieni che già aveva incontrato, più una terza che non era quella comparsa durante la battaglia notturna, ma un’altra, diversa, e che la stava osservando con…
Emise un gridolino quando si sentì di nuovo sollevare in alto per i polsi legati, Kert che la sostenne appena i suoi piedi si posarono sul pavimento perché le gambe non riuscivano a sorreggerla. Avvertì Rui dire qualcos’altro, un borbottio confuso da parte dei suoi compagni, e poi percepì un dolore sordo alla nuca e tutto divenne nero.
 
 
 
 
Kisshu nemmeno notò il muro di pioggia che gli si abbatté addosso quando apparve nel punto indicatogli da Shirogane. Quasi non aveva lasciato che l’americano finisse di parlare: si era fatto riportare le coordinate nel suo comunicatore ed era saettato fuori senza neanche aspettare che le Mew Mew reagissero.
I sai già impugnati, si guardò intorno, cercando oltre l’acquazzone per un segno di vita. Un altro parco, uno che lui non conosceva, completamente svuotato visto il tempaccio.
Dove sei?
« Ma che ti salta in testa! » la voce stridula di MewIchigo, le orecchiette nere già inzuppate, gli arrivò come un trapano all’orecchio, « La devi smettere con queste azioni alla James Bond, siamo una squadra! »
L’alieno non la degnò di uno sguardo, e la rossa digrignò i denti, la codina nera che sferzò l’aria con irrequietezza: « Non li vedo. Ryou, sei sicuro del luogo? »
Masha le fluttuò accanto per trasmettere la voce del marito: « Certo che lo sono, » il suono giunse più metallico del solito, « Il segnale dei geoti continua a provenire da lì! »
MewRetasu si mordicchiò il labbro: « Minto-chan non c’è. Non c’è nessuno. »
« State cercando qualcosa? »
Sette teste scattarono all’insù alla voce sarcastica di Kert, una macchia grigiastra contro il cielo plumbeo. Sembrava molto più soddisfatto dei suoi compagni, a triangolo poco dietro di lui, le armi già imbracciate. MewIchigo avvertì una stretta allo stomaco nel constatare che, comunque, di Minto non c’era traccia. Strinse la sua campanella e fece un passo avanti, maledicendo la pioggia che le impediva di vedere bene: « Razza di bastardi! » strillò, il pelo della coda irto, « Ridateci la nostra amica! E spero per voi che non le sia successo niente! »
Un tuono rombò sotto la risata sprezzante dell’alieno: « Non preoccuparti, umana, ci siamo molto divertiti. »
MewIchigo poté giurare di sentire Kisshu ringhiare veramente, mentre anche lui avanzava, Taruto che praticamente lo tallonava; un ringhio che si fece ancora più cupo quando, dopo un cenno d’intesa tra Kert e l’alieno coi capelli neri, quest’ultimo mosse appena il capo: la Mewbird comparve come dal nulla, imbavagliata e legata, chiaramente priva di sensi, dentro una specie di bolla d’aria sospesa nel vuoto poco lontano dai geoti.
« Avete voglia di venire a prendervela? » continuò a provocarli lui, sganciando l’accetta alla cintola e facendola roteare un paio di volte, « Perché mi costerà molto separarmi dalla sua amabile compagnia. »
« Pensiamo bene a cosa fare, » MewZakuro sussurrò veloce, « Non possiamo rischiare di metterla in pericolo. »
MewIchigo annuì, cercando di studiare la situazione mentre un altro lampo illuminava cupamente il parco. Un brilluccichio catturò la sua attenzione, facendola scrutare alla sua sinistra con la coda dell’occhio. Il campanellino in cima alla sua coda trillò innervosito non appena lei registrò esattamente quel dettaglio.
« Kisshu, cosa diavolo pensi di fare?! »
Lui fletté appena le dita su cui galleggiava pigramente un para-para: « Ammazzarlo, » rispose solo, con tutta la naturalezza del mondo.
 MewZakuro gli andò incontro e lo prese per un braccio, costringendolo a voltarsi per guardarla: « Sei impazzito? » sussurrò, lanciando un’occhiata all’enorme chimero, « Quel… coso potrebbe perdere completamente il controllo e rischiare di colpire Minto! »
Le iridi dorate la guardarono con un’espressione di stupore mista a livore: « Avrà solo un obiettivo ben preciso. »
Se la scrollò di dosso, e, di nuovo, partì prima che qualcun altro potesse anche solo aprire la bocca, lanciandosi a testa bassa tra gli alberi alla ricerca di un ospite compatibile per il para-para.
« Brutto stupido, » fu il solo commento di Pai, che però estrasse il suo ventaglio e si gettò anch’egli dietro al fratello.
Sotto il costante scrosciare della pioggia, i due gruppi si lanciarono l’uno contro l’altro, in un’esplosione di colpi e colori. MewRetasu ebbe l’impressione che i suoi attacchi fossero superflui in confronto ai litri di acqua che stavano cadendo e che rendevano il terreno erboso un pericoloso pantano sdruccioloso, ma serrò i ranghi vicina alle sue amiche e impugnò le nacchere più forte del solito.
MewZakuro, accanto a lei, si rese conto invece di essere poco concentrata, parte dell’attenzione a Minto, inerme dentro quella sfera opaca, e parte invece a Kisshu e alle sue idee poco pensate. Sferzò nell’aria con la frusta, spezzando a metà strada qualche freccia di Pharart che aveva puntato a MewPurin e Taruto, e di nuovo lanciò un’occhiata verso il boschetto ben tenuto, dove si era intrufolato il verde senza ancora farvi ritorno.
« Dove si è cacciato?! » esclamò a voce alta per superare il rumore del temporale e i sibili dei loro colpi, schivando allo stesso tempo uno degli attacchi di Rui, il quale, pur senza quello strano supporto dell’altra aliena e della Luna, aveva lo stesso una precisione micidiale.
Pai ricomparve pochi secondi dopo, annunciato da una scarica di ghiaccio puntata verso Zaur, colpevole di starsi avvicinando troppo a MewRetasu, le spalle contratte in un sintomo della sua frustrazione; la mewlupo cercò di incrociare il suo sguardo, per chiedergli qualche delucidazione, ma con la coda dell’occhio vide finalmente Kisshu sfrecciare rasoterra fuori dalla boscaglia, puntando dritto contro Kert con aria omicida.
MewZakuro non avrebbe ammesso che aveva trattenuto il fiato per un secondo.
Prima, il rombo di un tuono, poi l’urlo di un gigantesco chimero che spuntò dalle fronde: un drago, dalla cui bocca violacea, dello stesso colore del corpo, uscivano delle strane fiamme verdastre, mentre due ali dorate spiccavano da sopra una lunga criniera rossa che gli percorreva l’intera schiena.
Pharart non riuscì a mascherare una maledizione: « Che diavolo è?! » esclamò confuso, puntando subito tre frecce in una volta in direzione dell’animale.
Anche Rui imprecò tra i denti, volando a zig-zag per evitare le fiammate: « Possibile che abbiano sempre qualche trucchetto!? »
« Vai così, nii-san!! » urlò invece estasiata MewPurin, schivando una delle radici di Pharart e intrappolandola in uno dei suoi budini così che Taruto potesse tranciarla.
MewIchigo, molto meno entusiasta della situazione, si fermò a riprendere il fiato e a scostarsi la frangia inzuppata dagli occhi, studiando la bestia che ora si muoveva sinuosa tra i nemici, quasi seguendo gli stessi movimenti che Kisshu compiva contro Kert, serrandolo in duello. Aveva udito il rumore di una frenata, e si guardò appena sopra la spalla per confermare che Ryou era riuscito a raggiungerle – lei non ne era stata particolarmente convinta, ma non era riuscita a fargli cambiare idea, a conquistare il senso di colpa che lui continuava a provare nei loro confronti.
Lo vide mimare qualcosa che sicuramente era un’imprecazione in lingua madre, e si prese solo un altro attimo per indicargli la sfera in cui si trovava Minto: lui sbiancò visibilmente anche da duecento metri più indietro, poi però annuì e le fece un cenno di incoraggiamento, cui lei rispose con un sorriso tremolante.
Conosceva Kisshu, molto bene sotto certi punti di vista, e pregò solo tra sé e sé che non perdesse la testa, mandando al diavolo tutta quella situazione.
 
 
 
 
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie così forte da ottundere tutto il resto.
Quello stronzo, figlio di puttana.
Aveva completamente smesso di pensare quando aveva visto Minto ridotta in quello stato, una figurina indifesa sospesa a mezz’aria, così vicina a lui e al tempo stesso quasi inavvicinabile.
L’unico suo obiettivo ora era metterla in salvo.
Togliendo di mezzo tutti quelli che avrebbero potuto ostacolarlo.
Kisshu strinse i sai e affondò un’altra volta, sprigionando una carica elettrica rivolta dritta al cuore del suo avversario. Non gli importava nemmeno, in realtà, dove i suoi attacchi incessanti colpissero, l’importante era colpire.
Se solo le hai storto un capello più di così…
Kert riuscì a deviare il colpo con una leggerezza che non si sposava con la sua mole e poi gli rise in faccia di gusto, tentando di ricambiare con il filo dell’accetta mentre provava a comandare l’aria attorno a sé perché lo assistesse.
« C’è forse qualcosa che non va? » denigrò, lanciandosi i capelli fradici dietro le spalla, « Pensavo saresti stato contento di rivedermi. »
« Muori, » rispose solo Kisshu a denti stretti, schizzando di nuovo a testa bassa contro di lui e poi virando all’ultimo, così che il mostro che aveva creato potesse passargli dietro e avere campo libero.
Kert soffocò una maledizione, schivò le vampate verdognole e si voltò all’ultimo per parare la lama dell’avversario, che gli era arrivato alle spalle. Non si era aspettato questa ennesima trovata dei duuariani, che lo stava facendo sudare nonostante il freddo della maglia fradicia contro la pelle. Bloccò l’ennesimo colpo coi parabraccia e sferrò un pugno a Kisshu, riuscendo solo però a sfiorargli la gota con le punte delle borchie sui guanti.
Di nuovo, si lasciò cadere all’indietro quanto bastava per allontanarsi dall’avversario e sganciare il suo amato bazooka, creando una bolla d’aria che colpì in pieno il drago: non fu abbastanza, però, per sconfiggerlo, solo per allontanarlo momentaneamente con un boato di rabbia.
Kisshu quasi non parve accorgersene: gli fu di nuovo addosso, con un’espressione di serafica furia, i dardi elettrici che si avventavano su Kert ogni secondo.
Il geota fece schioccare la lingua e ne schivò quanti più possibili, parando gli altri con l’accetta e tentando di manovrare la sua arma con una mano sola.
« D’accordo. Vogliamo fare sul serio? »
 
 
 
 
Un pigolio incessante la riscosse dal profondo torpore in cui era caduta, e da cui le pareva di non riuscire a risalire. Quando Minto finalmente aprì gli occhi, le ci volle qualche istante per comandare le sue palpebre, così come a mettere a fuoco le immagini e ricomporre i pezzi degli ultimi avvenimenti. Il cuore le schizzò nuovamente in gola quando si rese conto di stare galleggiando in aria mentre, parecchi metri sotto di lei, finalmente rivide le sue amiche.
Anche se avrebbe preferito ritrovarle in condizioni diverse.
Sicuramente non aveva previsto il dragone sputafuoco, chiara opera di qualcuno che conosceva bene. Scannerizzò velocemente la scena alla ricerca di Kisshu, e quando lo trovò, impegnato in un serrato testa a testa con Kert, il cuore prese a batterle come una furia: ma non osò fiatare, per paura di poterlo distrare, non osò nemmeno muoversi per il terrore sia di deconcentrare chiunque di loro o di forare la sua precaria protezione. Inoltre, polsi e caviglie erano ancora legati, e la benda, per quanto morbida, aveva iniziato a sfregarle la pelle in maniera fastidiosa; quindi, ogni movimento le procurava solo infinita irritazione. Ciliegina sulla torta, bendata com’era sarebbe riuscita solo a emettere mugolii incoerenti che non avrebbero aiutato la situazione.
Forse si era trovata in una posizione migliore nel covo dei geoti.
Un puntino rosa attirò la sua attenzione, e sgranò gli occhi con sollievo quando Masha – l’origine di quel pigolio così fastidioso ma così benvenuto – le fluttuò davanti, sbattendo inconsolabile contro la barriera d’aria.
« Minto! Tutto… bene? »
Lei si contorse quanto poteva, attenta a tutto, per cercare Shirogane, la cui voce risuonò preoccupatissima attraverso il robottino. Quando finalmente lo trovò, poco più indietro rispetto alla battaglia a scendere dalla macchina, si limitò ad annuire e mormorare incoraggiante.
Lo vide passarsi una mano tra i capelli biondi mentre probabilmente il suo cervello lavorava a mille miglia all’ora: « Adesso cerchiamo una maniera di tirarti giù da lì. »
Sobbalzarono entrambi all’ennesimo tuono, seguito dal ruggito della bestia: Minto si incurvò dalla parte opposta per osservarla venire colpita da un getto d’aria di Kert in un turbinio di fiammate e scagliata lontano, schiantandosi contro degli alberi e sollevando una nuvola di terriccio e sabbia che per qualche secondo peggiorò la visibilità ancora di più.
Un altro barrito, e il chimero ritornò alla carica, le ali che sferzarono l’aria vicinissimo alla sua cella. La Mewbird, il cuore che le schizzò in gola, sentì chiaramente lo spostamento della sfera, il tremolio delle sue pareti a quel contatto sfiorato, così come udì la parolaccia di Shirogane sopra al pigolio terrorizzato di Masha.
« Minto-chan! Stai bene!? » la voce affaticata e inquieta di MewIchigo le parve lontanissima, e lei non riuscì ad individuare l’amica in quel macello, mentre le gocce di pioggia sembravano farsi più intense, abbattendosi come proiettili contro la superficie leggera della bolla.
« Bisogna tirarla fuori da lì! »
« Grazie, Shirogane! » sberciò la mewrosa, in un battibecco che a Minto sembrò la cosa più familiare del mondo, « Hai anche idee oltre a – »
La comunicazione s’interruppe quando il chimero di Kisshu, le fauci spalancate, piombò davanti alle Mew Mew, le grosse unghie nere che s’infilarono nel terreno e lo fecero tremare, spaccandolo e facendo vacillare le ragazze. La coda sferzò e quasi colpì MewRetasu, che scattò all’indietro all’ultimo e poi si coprì le orecchie con le mani quando la bestia lanciò un urlo belluino e sprigionò una fiammata divampante in direzione dei geoti.
Minto osservò a occhi sgranati la scena, Kisshu dritto nella linea di tiro di quelle vampate ora smeraldo: l’alieno non sembrò farvi caso, concentrato com’era solo su Kert. Vide l’alieno dai capelli azzurri evitare per un soffio la carbonizzazione con una carambola al contrario, l’ennesima bolla d’aria lanciata stavolta a mo’ di protezione, e il verde dietro di lui, i sai inghiottiti dalla luce dorata delle scariche elettriche.
« Io lo sapevo che l’idea di Kisshu era un’idea del cazzo. »
Non avrebbe potuto essere più d’accordo con la sua onee-sama.
 
 
 
 
Rui avvertì il calore quasi prima di accorgersi delle fiamme dirette verso di loro. Schivò il colpo rosato dell’umana con le orecchie da gatto e lanciò un’allerta ai suoi compagni, la gola che gli si strinse nel vedere suo fratello così vicino al pericolo. Non ebbe il tempo di riflettere, si concentrò solo sul volare quanto più lontano possibile e attirare a sé abbastanza acqua da rimandarla indietro verso quel mostro, spegnendo appena la potenza dell’attacco. Dall’altro lato, Kert fece lo stesso con un getto d’aria, e lui riprese a respirare un po’ più facilmente.
Se solo fosse riuscito ad andare ad aiutarlo… non che gliel’avrebbe permesso, ma non gli piaceva per niente come fosse palese che la questione fosse diventata personale tra lui e quel duuariano.
Si tolse una ciocca fradicia dagli occhi e lanciò un altro getto d’acqua verso la bestia, notando però come avesse intralciato anche le sue nemiche.
Forse poteva voltare la situazione a loro vantaggio.
« Pharart! » chiamò a gran voce, « Vai! »
 
 
 
 
« Minto-chan è sveglia! » MewIchigo saltellò tra le sue compagne e tirò in piedi MewRetasu, ancora rintontita da quell’ultima trovata del chimero davanti a loro, « Dobbiamo portarla giù! »
MewZakuro tenne gli occhi fissi sulla coda dell’animale che scudisciava irritata mentre esso sembrava riprendere il fiato dopo tutto il caos provocato: « Se Taruto o Pai potessero –  »
Il richiamo di Rui giunse fino a loro. Tre frecce, e poi tre altre ancora, sibilarono poco distanti, conficcandosi tutt’attorno al chimero: il tempo di sbattere le ciglia e la terra tremò di nuovo, le Mew Mew che caddero come birilli, mentre radici grosse quanto tronchi spuntarono di scatto dal terreno per aggrapparsi al drago e bloccarlo.
Il lucertolone lanciò un urlo devastante di dolore, e prese a dimenarsi come un ossesso per potersi liberare. Le quattro tentarono di rimettersi in piedi, ma le scosse provocate dal bestione erano incessanti e la sua coda, rimasta libera, era una frusta impazzita.
« Taruto, fa’ qualcosa! »
« Non mi rispondono! » il più giovane degli Ikisatashi urlò di rimando al grido di Purin, volandole accanto per aiutarla a rialzarsi e al tempo stesso cercando di stabilire un contatto con quelle radici.
« Sbarazzatevene! » tuonò Pai, creando una potente corrente per parare le ragazze dai colpi dei nemici, « Togliete di mezzo questo coso impazzito! »
« È stata un’idea di tuo fratello! »
« Vi sembra il momento di pensare a una cosa del genere!? »
MewIchigo strinse i denti, e fece per prendere la sua campanella e rivolgerla alla povera bestia quando Rui piombò su di lei come un lampo, portandosi dietro ancora più pioggia.
Lei barcollò all’indietro, pericolosamente vicino agli artigli del drago, e fu solo grazie agli innati riflessi felini che riuscì a incastrare la sua arma nella punta della spada di lui, fermandola e respingendola per un soffio.
Un getto d’acqua da MewRetasu, alle spalle di Rui, le venne in soccorso, ma la mewverde fu poi incalzata da Zaur, e le venne quasi naturale allontanarsi il più possibile, combatterlo da lontano, memore dell’ultima volta in cui se l’era ritrovato vicino.
Il terreno tremò ancora all’ennesimo ruggito del chimero, e MewIchigo traballò e provò a girargli intorno, continuando ostinatamente a lanciare lampi di luce rosata verso l’alieno; lo stivale, però, incontrò un pezzo di roccia divelta e lei sentì il pavimento mancarle da sotto i piedi mentre scivolava e cadeva a terra.
« Non ci provare! » MewPurin le fu accanto come per magia, e uno dei suoi anelli si schiantò con forza contro la guancia dell’alieno, stoppandolo quanto bastava per poi immobilizzarlo dentro uno dei suoi budini.
« Grazie, » esalò MewIchigo, accettando la mano che le porse per tirarsi su e prendendo un respiro profondo per calmare i battiti impazziti del suo cuore.
La bionda le fece l’occhiolino e impugnò di nuovo le proprie armi: « Non c’è di che, leader. Andiamo! »
 
 
 
 
Anche a distanza di metri, e con Kisshu che non gli lasciava spazio per respirare, Kert si accorse dell’imprecazione del fratello: lo vide con la coda dell’occhio venire colpito dalla piccoletta in giallo e poi inghiottito da quel blob di cui lui non si poteva ancora capacitare.
Strinse i denti e, per una volta, fu lui a lanciarsi contro il duuariano in un eccesso di rabbia, riuscendo finalmente ad assestargli un cazzotto nel plesso solare che lo fece volare lontano e gli bloccò il respiro per qualche istante.
Questa storia del loro duello stava cominciando a stressarlo, era finito il divertimento, e avrebbe preferito tornare a combattere a fianco di Rui, per essere certo che il fratellino stesse bene.
E dover continuare a sostenere quella sfera d’aria in cui dentro c’era l’uccellino…
Kisshu tornò a testa bassa e armi puntate contro di lui, evitò per un soffiò la corrente d’aria che il bazooka gli sparò contro, e fu in grado di sfiorarlo con il filo della lama, aprendogli uno squarcio nella maglia.
Kert fu svelto ad allontanarsi e imprecò, controllando con le dita di non essere ferito, e poi guardò con disprezzo il suo avversario: « Ora mi hai un po’ rotto le palle. »
Il verde fece schioccare la lingua e roteò i sai: « Il sentimento è ricambiato. »
Il geota ghignò, alzò la mano destra, e lo guardò con estremo divertimento, prima di schioccare le dita.
 
 
 
 
Non sapeva se da quel momento in poi avrebbe sofferto di vertigini, ma sicuramente le sarebbe piaciuto rimanere un po’ più vicino al suolo, per un po’. Soprattutto con la nausea che era ritornata a farle visita, ora che era costretta a osservare i suoi amici battersi senza che lei potesse fare nulla.
Il chimero era ancora legato dalle radici di Pharart, e le ragazze stavano dando il loro meglio, premute com’erano dai geoti. Non avrebbe osato dirlo, ma le sembrava pure che Pai fosse in difficoltà.
La pioggia, inoltre, continuava a cadere copiosamente e le gocce colavano lungo le pareti, creando uno strano effetto che non faceva che aumentare il suo voltastomaco. Masha era ancora accanto a lei, a trasmetterle la voce di Shirogane che cercava di essere rassicurante, ma Minto provava tutto tranne che conforto.
Se fosse successo qualcosa alle sue amiche per colpa sua… perché non era stata capace di tirarsi fuori da quella situazione…
Le risalì un singhiozzo dalla gola e tentò di nuovo di liberarsi con attenzione, ma non era nemmeno in grado di dispiegare le ali senza provare un dolore lancinante lungo tutto la schiena.
E non poteva distrarle, non poteva permettere che…
La bile le gelò lo stomaco quando, più in là, vide di nuovo Kisshu e Kert scontrarsi da troppo vicini, questa volta colpirsi sul serio, le parve addirittura di vedere il rossore spargersi sullo zigomo del verde. Tentò ancora di spalancare le alucce, ma le si riempirono solo gli occhi di lacrime alla fitta che le fece tremare la spina dorsale.
Osservò Kert fermarsi, dire qualcosa, alzare la mano.
Le si bloccarono i battiti quando vide con chiarezza assoluta, quasi al rallentatore, la superficie della sua sfera vibrare di nuovo.
E iniziò a cadere.
 
 
 
 
Shirogane era certo che quella scena gli avrebbe fagocitato i sogni per il resto della vita.
Aveva provato a tenere compagnia a Minto per tutto quel tempo, utile a ben poco altro in quel frangente; l’aveva sentita lamentarsi piano, sussultare insieme a lui quando le ragazze si erano trovate in un momento complesso, provare a liberarsi senza successo.
Non avevano avuto un momento di pausa per poter pensare a un piano, per poter permettere a uno dei tre alieni di avvicinarsi e tentare di fare breccia in quella sfera, per lui poco più che un tremolio controluce di cui non distingueva i contorni sotto al temporale, per liberarla e portarla a casa.
E poi aveva sentito il suo urlo disperato anche da dietro alla benda che le copriva la bocca.
Agì senza pensare, mentre il mondo rallentava: si mise a correre nella sua direzione, gli occhi fissi su di lei che combatteva per spiegare le ali, e gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
« PURIN! »
Con la coda dell’occhio, vide la biondina voltarsi, cercarlo, poi sgranare gli occhi in una smorfia di puro terrore.
 
 
 
 
Non riuscire a volare nel momento di maggiore bisogno l’annientò più della sensazione di caduta libera; le distrusse anche quell’ultimo tassello di autocontrollo che aveva. Ci provò, con tutte le sue forze, a distendere le ali, ma riuscì solo a frenare di poco la sua caduta, il vento che piagò le sue povere piume già martoriate e stanche.
Si accorse che stava gridando solo dal dolore nella gola, e chiuse gli occhi, per contrastare il capogiro provocato dalla vista del suolo che si avvicinava inesorabile, per non pensare a niente, per lasciarsi solo andare.
Il suo urlo si smorzò tutto in un colpo solo quando si scontrò contro qualcosa di freddo, gelatinoso, ma soprattutto morbido.
Minto aprì gli occhi di scatto: le ci volle qualche istante per decifrare il perché all’improvviso vide tutto giallo. Si rese appena conto di essere avviluppata da Pudding Ring Inferno, o meglio, un grappolo di essi, che avevano fermato il suo volo, quando il braccio di Shirogane spuntò dall’esterno e l’afferrò, tirandola a sé con tutte le sue forze.
La pioggia era così forte che praticamente sciacquò via i rimasugli del budino non appena Minto si lasciò cadere a terra con un singhiozzo strozzato, inalando quanta più aria possibile. Ryou le girò attorno e armeggiò veloce con le bende che ancora la legavano per liberarla, poi l’abbracciò di slancio, come mai aveva fatto prima, e lei sentì tutta l’adrenalina crollare di botto mentre si lasciava andare tra le braccia del ragazzo.
« It’s okay, it’s okay, I’ve got you, » le mormorò all’orecchio, « I’ve got you now. »
« Oh, kami-sama, Minto nee-san! » MewPurin esalò un sospiro di sollievo incredibile attraverso Masha, « Ragazzi, l’abbiamo presa! Sei tutta intera? »
« A posto, » replicò spiccio Shirogane, staccandosi da lei quanto bastava per lanciarle un’occhiata da capo a piedi, gli occhi chiari che furono attraversati da un’ombra, « La porto al sicuro, voi vedete di chiudere la partita. »
Minto tentò di deglutire un paio di volte, la gola completamente secca, e guardò oltre la spalla del ragazzo, cercando quello sguardo dorato.
Lo sguardo dorato che la scrutò solo per un istante, prima di rilanciarsi a testa bassa nella mischia.
« Andiamo, » Ryou la sollevò di peso e la portò in macchina, adagiandola con cura nel sedile posteriore, « Let’s go home. »
 
 
 
 
Quell’urlo era stata la goccia finale che aveva fatto traboccare il vaso.
L’avrebbe ammazzato con le sue stesse mani, l’avrebbe squarciato in una maniera tale che di lui non sarebbe rimasto nulla se non l’impronta della sua cenere.
Era stato come se il mondo si fosse fermato, in quell’istante. La battaglia stessa aveva subito un’interruzione, i volti di ciascuno trasfigurati dall’orrore.
Tutti tranne uno.
Kisshu aveva distolto lo sguardo, anche se non l’avrebbe nemmeno ammesso a sé stesso. Mentre Minto cadeva, lui aveva guardato il ghigno soddisfatto di Kert. Anche se forse c’era stata una punta di dispiacere in quell’espressione, e lui quello non gliel’avrebbe mai permesso o perdonato.
Non aveva avuto il coraggio di guardarla. Non aveva avuto il coraggio di crederci, perché aveva saputo che – ancora una volta – non sarebbe mai arrivato in tempo.
Che sarebbe stata di nuovo tutta colpa sua.
Si era sentito come davanti a Deep Blue, il cuore gli si era squarciato una seconda volta, aveva sentito le carni riaprirsi e dolere mentre tutto smetteva di avere un senso.
Poi quel grido di Shirogane, la figurina di MewPurin che esitava per un istante, l’attacco salvifico che aveva avviluppato Minto come un abbraccio.
Tutto era ripreso di scatto: il rumore della pioggia, il battito del suo cuore, il ruggito del chimero che finalmente riusciva a liberarsi da quelle radici.
Kert ridacchiò e gli fece l’occhiolino: « Tutto è bene quel che finisce bene, non trovi? »
Kisshu gli fu addosso in un istante.
 
 
 
 
MewIchigo riprese a respirare non appena la voce di Ryou – molto poco convinta, ma non ci si soffermò molto – le rassicurò che Minto, perlomeno, era con lui e sulla via del ritorno. Le cedettero le ginocchia per un istante e lei vacillò, ma inspirò dal naso e si fece forza, re-impugnando la propria arma e scagliando un colpo contro Zaur.
Il dragone scelse proprio quell’istante per librarsi di nuovo in aria e zigzagò tra i tre geoti impegnati a fronteggiarli, mentre anche l’urlo di Kisshu riempì l’aria. MewIchigo trattenne il respiro quando lo vide lanciarsi contro Kert, riuscire ad afferrarlo per il bavero della maglietta, e poi schiantare entrambi contro il bosco, lasciando una scia di alberi spezzati dietro di loro.
I tre nemici si bloccarono all’unisono: Rui mandò una chiara maledizione e si tuffò dietro al fratello, seguito subito dai suoi compagni, così come dalle Mew Mew e i due duuariani.
Il polverone si diradò, spinto dal vento del temporale, per mostrare i due in un solco del terreno, che si disincastravano da un groviglio di rami, le vesti tagliate e visi feriti, entrambi con un’espressione di pura rabbia sul viso, le armi già sguainate.
Pharart agì senza pensare, scoccando una freccia che sfiorò Kisshu solo perché Pai riuscì a intercettarla con un Fuu Hyou Sen, mentre nello stesso momento Rui si teletrasportò di fianco a Kert e lo acchiappò per un braccio. Sparirono entrambi, la bestemmia del secondo che rimbombò nell’etere, e i loro due compagni li seguirono poco dopo.
Cadde un silenzio tombale anche sotto la tempesta, interrotto solo dall’ansimare di Kisshu, che si tirò in piedi appoggiandosi a un tronco e vacillò pericolosamente, e dal guaire pietoso del chimero, rimasto senza un obiettivo. Pai si avvicinò al fratello e lo prese per una spalla, ma lui se lo scrollò di dosso e si asciugò un rivoletto di sangue che gli scese dal labbro spaccato.
« Dov’è? »
MewZakuro gli fu davanti con ferocia: « Sei una testa di cazzo, » gli sputò velenosa, « Niente, niente di quello che hai fatto oggi è stato strategico o quantomeno intelligente! Abbiamo solo avuto fortuna, te ne rendi conto?! »
Kisshu la guardò senza dire nulla, boccheggiando pesantemente, gli occhi dorati percorsi da un’emozione indescrivibile e le nocche che sbiancarono attorno all’elsa dei sai.
« Okay, basta così, » Pai s’infilò tra di loro a mani alzate, « Liberiamoci del chimero e andiamo a casa. »
Nessun altro osò fiatare.
 
 
 
 
Non si rese molto conto del tragitto in auto, né di essere di nuovo sollevata di peso e portata via, finché il calore del Caffè non la investì con prepotenza. Keiichiro andò loro incontro con un’espressione di totale sollievo, e prese Minto dalle braccia di Ryou, avvolgendola con premura in una coperta di lana morbida e che profumava di sapone di Marsiglia. La trasportò fino al laboratorio, bisbigliando cose con il suo protetto che lei non si prese la briga di ascoltare, perché le sembrava di essere di nuovo in una bolla, poi la adagiò con cura su uno sgabello della cucina, tirandole la coperta fin sopra la testa.
Minto tentò di ringraziarlo, come tentò di farlo quando il pasticcere le offrì, senza aggiungere nulla, una tazza di tè bollente, ma la sua gola sembrava completamente riarsa e riuscì solo a esprimersi con un sorriso tentennante mentre si stringeva il panno ancora di più addosso. Non era decisamente elegante, ma non se ne curò minimamente.
Udì i ragazzi parlottare appena fuori la porta, probabilmente per controllare la situazione delle Mew Mew e dare loro un resoconto, e soffiò piano sul liquido bollente che irradiava calore dalle dita a tutto il corpo, facendola rabbrividire più forte di quanto non stesse già facendo. Le ci volle un attimo per distinguere la voce aggiuntiva a quella di Ryou, che ritornò nella stanza e le rivolse uno dei suoi rari sorrisi genuini, rimanendo a una rispettabile distanza da lei ma inginocchiandosi per essere più alla sua altezza: « Hai bisogno di qualcosa? »
Di nuovo, Minto cercò di parlare e si schiarì la gola: « No, » gracchiò, deglutendo un altro paio di volte per tentare di lubrificare le corde vocali, « No, sto… okay. »
Lui annuì, decisamente poco convinto e non potendo non lanciare un’occhiata ai visibili segni sul suo corpo: « Possiamo solo… controllare? »
La mora guardò di nuovo di sbieco la soglia, e difatti vi ci spuntò Joel con in mano una valigetta e un sorriso incoraggiante: « Hey there. Do you mind if I take a quick look at ya? »
Minto si agitò sullo sgabello e prese un altro sorso, le ali che fremettero di dolore: « Non… non c’è bisogno, davvero. »
Ryou continuò a sorriderle mentre si tirava in piedi: « Sai che sono meticoloso. »
La mora sbuffò, poi aggrottò la fronte e sospirò, prima di annuire: « Shirogane, ce ne bastava uno che abbaiava ordini in inglese. »
Il biondo le prese la tazza e si avvicinò al muro per lasciare spazio a Joel: « L’unica che abbaia ordini qui sei tu. »
Il texano le offrì la mano a mo’ di saluto, prima di aprire la valigetta per estrarne una lucina con cui le controllò gli occhi; poi le tastò delicatamente la testa, le controllò le ferite più visibili, medicandole con un unguento fresco, sempre bofonchiando in inglese stretto con il suo connazionale.
« I ain’t a vet, though. And the head – »
« Thank you. Maybe tomorrow. »
Joel annuì e le rivolse un altro sorriso, mentre Shirogane si riavvicinava e le porgeva di nuovo la tazza.
« Non c’è niente di grave, » la rassicurò, « I geni dei Red Data sono efficaci, di solito, a rimettervi in sesto. Però ci terrei mi dicessi se ti venisse mal di testa, e sarei più sicuro se potessimo farti qualche esame in più. »
« Va bene così, » gracchiò lei, « Sto bene. Non è successo nulla. Davvero. »
Il biondo la scrutò qualche istante, poi fece di sì col capo: « Puoi sciogliere la trasformazione, ora. Starai più al caldo. »
E sei al sicuro, sapeva che era ciò che intendeva e che non aveva bisogno di dirle.
Lei annuì e stirò le dita quasi bruciate intorno alla tazza, prendendo un respiro lento. Non era mai stata trasformata tanto a lungo, e non le venne naturale sciogliere la trasformazione dopo che ne era stata costretta fuori a causa della poca energia. Si era sentita impotente, e la sensazione di accresciuta sicurezza che la sua forma Mew le dava era stata l’unica cosa a cui appigliarsi. Si ricordò anche che avrebbe dovuto condividere il particolare della sua arma, ma di nuovo una stanchezza incredibile l’assalì e lei, con un ultimo brivido si lasciò andare.
Un deciso trambusto dal piano di sopra le fece capire che le ragazze erano tornate; non fece in tempo a contare fino a dieci che Purin fu la prima a lanciarsi nella stanza, stritolandola tra le braccia senza dire niente, seguita da Ichigo che invece non riuscì a frenare un singhiozzo mentre l’agguantava da dietro.
« Minto-chan, sono così sollevata…! » mugolò Retasu, infilandosi a forza tra le altre due per abbracciarla a sua volta, e la mora tentò di sorridere mentre sbirciava oltre le teste delle tre verso Zakuro, che allungò solo un braccio per prenderle la mano e guardarla con tutto il sollievo del mondo.
« Sto bene, ragazze, davvero, » mormorò lei con un fil di voce, non tentando però di sottrarsi da quell’affetto.
« Sono morta di paura, » esclamò Ichigo, la codina nera che sferzava l’aria con un crescente tintinnio della campanella, « Quando ti hanno… e oggi che… ah! Non ho mai lanciato così forte il mio attacco. »
« E io non sono mai stata più contenta di poter creare budini. »
Una risatina sincera rimbombò tra le pareti spoglie, e le Mew Mew lasciarono lentamente andare la mora, soprattutto quando udirono degli altri passi veloci scendere le scale.
I tre Ikisatashi apparvero sulla soglia del laboratorio con Taruto in testa, che le rivolse un sorriso sinceramente rincuorato e sembrò tentennare se avvicinarsi o meno, solo per essere spinto da parte, con poco garbo, dal fratello maggiore. Kisshu, le armi ancora in mano e la frangia che gli gocciolava sugli occhi, si bloccò dopo pochi passi e il suo viso quasi trasfigurò a vederla seduta sullo sgabello, le spalle che contemporaneamente si rilassarono del tutto. Minto sentì il cuore perdere un paio di battiti mentre precipitava nello stomaco e la gola le si strinse un po’ di più, non sapeva se per l’angoscia che ancora provava, per quanto le fosse mancato, o per la strana espressione che gli leggeva in viso, di sollievo misto a senso di colpa.
« Stai bene? »
Minto annuì, alzandosi lentamente, e all’improvviso vide solo nero; lui l’aveva stretta a sé d’istinto, una mano persa tra i suoi capelli sciolti, così veloce che non si era nemmeno resa conto del movimento. Inspirando a fondo l’odore del ragazzo, non notò neanche lo strappo del teletrasporto al suo ombelico, né che l’ambiente circostante fosse diventato quello familiare della sua camera da letto, né che avesse iniziato a piangere senza accorgersene.
Rimase solo lì, ferma a stropicciargli con forza la maglietta sulla schiena e a cercare di placare i sobbalzi delle sue spalle, volendo soltanto sentire il calore e il profumo di Kisshu. Non seppe nemmeno quanto rimasero in quella posizione, lui fermo come una roccia a stringerla a sé; Minto poteva ancora avvertire l’elsa di uno dei sai premere contro l’incavo della sua schiena, come se il ragazzo non volesse nemmeno fare il minimo movimento per paura che si spezzasse qualcosa. Solo quando, alla fine, il peso di quelle giornate calò su di lei facendola rabbrividire da capo a piedi, lui la allontanò appena, scrutandola con attenzione.
« Ho bisogno di una doccia, » pigolò solo lei con la voce ancora roca, « Ho freddo e voglio… »
La sua voce si affievolì e fece solo un gesto per spiegarsi, senza che ce ne fosse bisogno. Gli occhi di Kisshu, scuri nel buio della camera, continuavano a guardarla come se avessero potuto trapassare i vestiti e accertarsi davvero che stesse bene, e lei, ben conscia dei lividi e dei graffi, non aveva ancora voglia di affrontare quel discorso.
Fece fatica a staccarsi da lui ed essere davvero investita dalla temperatura della stanza, nonostante la coperta ancora sulle spalle, e avvertì anche lui tentennare a lasciare andare i suoi capelli.
« Vuoi che…? »
Lei scosse la testa, forse con un po’ troppa decisione, guardando il suo collo più che i suoi occhi, e Kisshu annuì, facendo solo un passo indietro, la mandibola contratta in una rabbia che ancora non riusciva a dissipare.
Minto strascicò i piedi fino al suo bagno privato e vi si barricò dentro con un giro di chiave, desiderosa solo di chiudersi fuori dal mondo e sentire le quattro mura che più conosceva a sua protezione; Kisshu sarebbe potuto entrare ugualmente e una chiave non l’aveva di certo mai fermato, ma sapeva che non l’avrebbe fatto.
Almeno non la prima mezz’ora.
Riempì la vasca da bagno, lei che preferiva sempre le docce, e vi spremette pressoché mezza bottiglia di sapone; l’acqua era quasi troppo bollente, ma vi si immerse di fretta, cercando il ristoro nei profumi e nel silenzio. I suoi sensi, così provati dall’essere stati all’erta per giorni, si rilassarono di colpo e lei scivolò giù, il naso a pelo d’acqua e il corpo completamente sommerso. Non seppe se si addormentò o se semplicemente il suo cervello entrò in una specie di stasi, ma rimase così finché non si accorse di quanto si fosse intiepidita e di quanto fossero grinzose le sue dita.
Ben attenta a non incrociare il suo riflesso nello specchio per non vedere davvero le condizioni in cui verteva, agguantò l’accappatoio più morbido che riuscì a trovare nella pila dentro l’armadietto e vi si avviluppò dentro, legandosi i capelli bagnati in una crocchia scomposta di cui non le importò più di tanto. Il suo corpo le mandò segnali della fame, ma lei voleva solo buttarsi a letto e dormire il più a lungo possibile.
Quando rientrò nella camera, Kisshu aveva riposto i sai e acceso la luce, ma sembrava essersi mosso di poco; era poggiato con una spalla a una delle colonne del baldacchino, il viso rivolto verso la porta ma l’espressione persa in chissà quali pensieri. Alzò appena la testa quando la udì avvicinarsi, i piedi scalzi per lei inudibili sul tappeto soffice, e la scrutò da sotto la frangia scura.
« Dovresti mangiare, » le disse a bassa voce, « Qualcosa almeno. »
Minto scosse di nuovo la testa, stringendosi le falde dell’accappatoio mentre si avviava verso il letto: « Credo di essermi addormentata, ma ho ancora sonno, non ho voglia di fare altro. »
Si chiese come lui potesse rimanere così immobile, seguendola solo con lo sguardo e prendendo un respiro: « Tortorella, dovremmo - »
« No, » lei lo interruppe ferma con un movimento della mano, scostando le coperte e infilandocisi dentro direttamente così, « Non ora. Per favore. »
In un movimento che sembrò costargli molta fatica, finalmente Kisshu annuì e si spostò, volando alla porta finestra per assicurarsi fosse chiusa a chiave e tirare le tende, compiendo la stessa azione con la porta della camera. Minto si accoccolò tra i cuscini rabbrividendo, la coperta tirata fin sotto al naso, e lo osservò in silenzio, sentendosi quasi a disagio per la rabbia che avvertiva emessa da ogni poro della pelle del verde, una versione di lui che non vedeva da anni. Infine, compiuto il giro di ricognizione della stanza, Kisshu si passò una mano nella frangia, sospirò pesantemente, e le si sedette accanto, carezzandole la guancia con il dorso: « Credevo sarei impazzito, » le rivelò in un sussurro che le strinse lo stomaco, mentre il cuore vi si precipitava all’improvviso, ancora poco avvezzo ai suoi scatti di sincerità, « Non lascerò mai più che ti succeda qualcosa. »
Lo disse in una maniera così gelida e al tempo stesso così rovente, decisa, solenne, che Minto poté solo rabbrividire intanto che allungava una mano per passarla dietro al suo collo e tirarlo contro di sé, solo per sentire il sapore della bocca contro la sua invece che quello salato delle lacrime.
Kisshu si stese accanto a lei e la strinse forte, respirando a fondo l’odore dei suoi capelli, di nuovo fermo come se la sua immobilità le potesse segnalare che sarebbe sempre rimasto lì, anche quando finalmente la mora si addormentò con un ultimo singhiozzo.
 
 
 
 
« Mannaggia, che giornata! » Purin rilassò d’un colpo le spalle e buttò la testa all’indietro non appena varcò la soglia della propria camera, Taruto subito dietro di lei, « Mi sembra di aver perso tre anni di vita solo oggi! »
L’alieno tentò di sorriderle, anch’egli con tutta la stanchezza del mondo che gli gravava sulle membra.
« Sono contento che Minto-san sia… tornata. »
Lo sguardo caramello della biondina si scurì per un istante, mentre cercava di sorridere: « Già… ma ora voglio prendere a cazzotti più che mai quegli schifosi! »
Taruto ridacchiò e le si avvicinò con le mani in tasca, poggiando la fronte contro la sua: « Non pensare di allontanarti troppo. »
Lei sbuffò supponente e gli avvinghiò le braccia al collo: « So badare a me stessa. Sono loro che non devono avvicinarsi troppo a me, o vedrai come li riduco! »
Il ragazzo rise di nuovo a labbra strette, sfiorandole la curva bassa della schiena mentre la stringeva un po’ di più: « Mio fratello sarà da tenere a bada più che mai, ora. »
« Non l’avevo mai visto così… » ammise Purin, mordicchiandosi una guancia, « Cioè, sì, ma… be’, lo sai. »
Lui l’accarezzò di nuovo quando la sentì rabbrividire e sfregò ancora le loro frangette: « Non posso biasimarlo. »
« Anche tu devi promettermi che starai attento, però, » dichiarò la mewscimmia, tirandosi sulle punte per farsi più vicina, « È tutto più complicato del previsto, e… e mi preoccupo per te. »
Taruto poté percepire le proprie orecchie farsi più calde mentre deglutiva piano, fissandola negli occhi: « Anche io mi preoccupo per te. »
Uscì più un sospiro mozzato che una vera e propria affermazione, ma non gli importò più di tanto perché Purin prese a baciarlo mezzo secondo dopo. Lui la strinse a sé così forte che la sentì perdere un fiato, ma al contempo la biondina ricambiò, le mani che si spostarono a perdersi nei suoi capelli mentre camminava all’indietro.
L’alieno registrò appena la caduta sul letto di lei, che cigolò pericolosamente, perché tutti i suoi neuroni erano focalizzati soltanto sul respiro di Purin mischiato al suo, al calore delle sue curve premute morbidamente contro di lui, al sapore della sua bocca e della sua pelle sulle labbra.
Né annotò con troppa convinzione il fatto che le dita veloci della ragazza gli stavano già allontanando la maglietta e scorrevano impudenti lungo tutta la sua schiena e il suo torace, le unghie che sfiorarono decise oltre il bordo dei suoi pantaloni. L’unica cosa di cui era conscio era il galoppare incessante del cuore nelle orecchie che echeggiava quello di lei, furioso sotto al suo palmo quando s’azzardò ad accarezzarla lì dove batteva strappandole un ennesimo sospiro impaziente.
Galoppare che s’interruppe di scatto con un incendio nel petto non appena il corpo nudo di Purin s’allineò al suo.
Non erano mai stati così vicini, senza niente tra loro due, e Taruto dovette soffiare tra i denti per guadagnare un minimo di lucidità e valutare le opzioni successive.
« Purin… » mugugnò con voce roca, nascondendo il viso contro la spalla della ragazza e al tempo stesso approfittandone per continuare a saggiare il suo sapore.
Le unghie di Purin si piantarono un po’ più sotto al suo bacino: « Non ti azzardare a fermarti, Taruto. »
Gli scappò uno sbuffo divertito a sentire, per una volta, il suo nome e non uno strano e imbarazzante appellativo, soprattutto con quel tono appena scocciato; le lasciò un paio di baci sotto l’orecchio e le accarezzò il fianco, muovendosi di millimetro in millimetro con tutta la cautela del mondo.
« Volevo solo essere sicu - »
« Sì, » lei lo interruppe ancora e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla mentre alzava appena i fianchi verso di lui, « Assolutamente sì. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Dal termine finlandese olut che significa birra.

 

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Capitolo 16
*** Balancing on breaking branches ***


Chapter Sixteen – Balancing on breaking branches

 

 

 

 

 
 
 
 
 
Minto si svegliò di colpo con una scarica di adrenalina che le fece accelerare il cuore. Impiegò un paio di minuti a rendersi conto di dove fosse e cosa stesse succedendo, a riabituarsi tutt’a un tratto alla luce accecante del Sole. Fece un respiro profondo e sbatté le palpebre per mettere a fuoco i contorni del suo letto, della sua stanza, delle tende appena scostate che facevano filtrare la giornata.
Era a casa.
Rimase ferma, a stella prona nel centro del letto, ancora qualche istante per assicurarsi che fosse reale, muovendo solo una gamba e strusciandola contro il lenzuolo morbido e profumato. Quando si tirò a sedere, con lentezza, sentì le membra pesare il doppio del solito, i capelli ancora attorcigliati nello chignon che protestavano sordi, e controllò l’orario sull’orologio: poter constatare che ora fosse, nonostante per lei fosse quasi moralmente impensabile dormire fino alle undici, nonostante non potesse neanche quantificare il tempo passato, le provocò un senso di pace ineguagliabile.
Solo quando Mickey entrò di corsa nella stanza, abbaiando e reclamando le attenzioni della sua padrona, Minto si rese conto di essere sola.
« Ciao, piccolo mio. »
Lo prese in braccio e affondò il naso nella sua pelliccia morbida, inspirando il profumo che riusciva sempre a calmarla, mentre il cagnolino si tendeva per leccarle le guance.
« Continuo a essere geloso, sai. »
Alzò gli occhi sull’uscio, da dove Kisshu la stava guardando con un mezzo sorriso sollevato. Minto cercò di ricambiare, ma le sue labbra tremolarono troppo vistosamente e decise che fosse più sicuro rimanere con il volto affossato nel pelo.
Il ragazzo le si avvicinò piano, tirandosi dietro un carrellino portavivande sul quale fumava una teiera.
« Ora mangi, » quasi le ordinò, allungandole un tovagliolo come se non ammettesse repliche, « Le tue amiche mi hanno chiamato tre volte a testa per assicurarsi che ti stessi sfamando, anche perché ieri sera… »
Lei glissò sulla frase lasciata a metà e accettò il croissant fatto in casa che le porse poi, spostando gentilmente Mickey così che potesse posarsi il tovagliolo in grembo. Il cagnolino si sedette ubbidiente accanto a lei, una zampina appoggiata alla sua coscia mentre nel frattempo si godeva le carezze che gli concesse Kisshu.
Fecero colazione in silenzio; Minto si sentì subito ristorata da quella tazza di tè che le parve quasi un miraggio e dal cibo di conforto e che sapeva di casa sulle papille gustative. Si impose di andare con calma, per non sforzare lo stomaco, ma al tempo stesso avrebbe voluto finire al più presto per arrotolarsi ancora tra le lenzuola e poi uscire a sentire il calore del Sole sulla pelle.
« Grazie, » esclamò dopo aver ripulito la terza brioche, schiarendosi la gola quando la sentì gracchiare, « Avevo fame. »
Kisshu sorrise e la osservò impilare con attenzione la tazza e il piattino sul carrellino, non potendo non notare il leggero tremolio della sua mano. Senza pensare, le prese piano il polso e la tirò verso di sé, sentendola tendersi appena.
« Sto bene, » lo riassicurò subito, cercando un sorriso, « Devo solo… riassestarmi. »
« Mi devi dire se ti ha fatto qualcosa. »
Minto sentì il cuore precipitarle nello stomaco e scostò la testa, sibilando infastidita: « Kisshu… »
Il polso sottile ancora tra le mani, lui fece scorrere le dita sui lividi e i graffi causati dall’essere stata legata, scoccando al contempo un’occhiataccia arrabbiata a quelli che comparivano sulle caviglie e quello appena visibile dalla spalla abbassata dell’accappatoio, che sapeva essere solo il primo di tanti.
« Te li ha fatti lui questi, no? »
Glielo chiese sottovoce, quasi con calma, e lei in un primo momento si sottrasse di scatto, prima di sospirare: « Diciamo che è stato il muro contro cui mi ha scaraventata a farli… » rispose in un mugugno.
Kisshu le rivolse uno sguardo così pungente che lei non riuscì a opporsi quando si spostò un po’ per scostarle l’accappatoio e scoprirle la schiena. Lo udì mormorare qualcosa che non capì, ma che presunse essere un qualche tipo di imprecazione, alle varie escoriazioni ed ecchimosi sulla pelle chiara, però glieli tracciò con la punta delle dita, con una gentilezza che non era sua, poi le rivolse un tentennante ghigno: « Cosa fai, tortorella, cerchi di metterti a pari con me? »
Minto storse il naso, non riuscendo ad evitare di scoccare un’occhiata veloce al bordo della cicatrice che spuntava dal colletto della sua maglia, e alle altre sul fianco che sapeva nascoste.
« Non sono… la stessa cosa. »
Il verde rispose con un muto verso e le accarezzò ancora un po’ la schiena, indugiando sul segno Mew tra le scapole.
« Ti ha fatto… qualcos’altro? »
« No, » rispose tentando di suonare convinta, alzando lo sguardo verso di lui ma riabbassandolo subito dopo, « Non ti devi preoccupare. »
Kisshu grugnì sarcastico dal naso: « Guardati, » ringhiò, scrutando con astio la chiara impronta delle dita sul suo avambraccio, « Non mi basterà neanche sgozzarlo per fargliela pagare. »
La gelida e concreta violenza con cui lo disse la fece rabbrividire ancora, mentre si alzava dal letto per cercare nell’armadio un pigiama vero e proprio, che la coprisse anche un po’ di più. Nonostante le ore dormite e l’abbondante colazione, avvertì le gambe tremolare incerte e una sensazione di enorme pesantezza che le gravò addosso, rendendole i movimenti più lenti del solito; la consapevolezza dello sguardo concentrato di Kisshu su di sé, attento a ogni suo più piccolo dettaglio, non le fu nemmeno di aiuto.
Rovistò fino in fondo e recuperò un pigiama di cotone meno elegante del solito ma più morbido e confortevole, e fu quasi automatico nascondersi un po’ dietro l’ingresso per cambiarsi.
« Che vuoi fare oggi? »
Seppe che la domanda era stata posta più per riempire quel silenzio così strano che per una reale risposta, ed ebbe la totale certezza che il ragazzo si sarebbe opposto a qualsiasi proposta lei avesse tentato che includesse un suo allontanamento dalla proprietà.
Si sciolse i capelli e li scosse per cercare di dare loro un ordine, gemendo sottovoce quando vide i boccoli arruffati e impazziti dall’aver passato una ennesima notte bagnati e legati.
« Niente, » borbottò cincischiandoci mentre tornava in stanza, tentando di sciogliere qualche nodo, « Non so neanche quando sia oggi. Solo niente. »
Mickey le saettò tra le caviglie e lei si piegò per prenderlo in braccio e strofinare di nuovo il viso contro di lui, mormorando sciocchezze sottovoce. Kisshu si alzò e la raggiunse, ignorando invece il cagnolino per prenderle il volto tra le mani: « Sul serio, » insistette, con una punta di nero nelle iridi ambrate, « Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare, o se – »
Minto dovette sforzarsi per non spostare il viso, scosse comunque la testa: « Va tutto bene. Davvero. »
Non le parve per nulla convinto – la bugia era suonata debole pure a lei – così tentò di sorridergli e gli sfiorò una guancia con un palmo, tracciandogli le evidenti ombre sotto gli occhi e i tagli sul viso, più attenta sul livido già scuro provocatogli dal pugno di Kert.
« Non hai dormito, » constatò, e lui emise uno sbuffo sarcastico mentre la lasciava andare:
« Più di quanto avrei dovuto, tortorella. »
Lei sistemò meglio Mickey in braccio e si avviò di nuovo verso il letto, ignorando il capitombolo freddo del suo stomaco: « Si pranza comunque in salottino, non credere. »
L’alieno la seguì, una piega appena divertita sulle labbra: « Quando mai. »
 
 
 
 
La spalla gli cigolò sonoramente per la millesima volta, e Kert fece una smorfia, bloccandosi a metà movimento con la mano a mezz’aria sopra al tavolo. Pharart, sedutogli in fronte, sbuffò dal naso e gli passò la caraffa che lui aveva tentato di afferrare: « Stavolta le hai prese proprio per bene. »
« Non esserne così soddisfatto, » mugugnò di contro l’altro, sibilando infastidito a come gli tirò un taglio particolarmente fastidioso sullo zigomo sinistro, « Posso comunque farti il culo. »
« Facciamo che per un po’ nessuno fa niente? » Espera, con molto più colore sulle guance, gli passò accanto e gli porse uno straccetto con dentro del ghiaccio, « Tieni, ti aiuterà. »
Lui la ringraziò con un grugnito sommesso e la guardò con la coda dell’occhio: « Mio fratello è ancora a fare rapporto al Consiglio? »
La ragazza annuì e si legò i lunghi capelli neri in una treccia veloce prima di affacciarsi di nuovo su una pentola che bolliva: « Hanno richiesto un aggiornamento stamattina presto. »
« Può dare buone notizie: terrestri e duuariani non possono tracciare i nostri segnali né superare i nostri sistemi di protezione, neanche con una dei loro dentro la nostra base; Duuar non ha sicuramente intenzione di soccorrere la Terra, non avendo inviato più che tre allocchi idealisti – se davvero li ha inviati – e ci sono solo quelle cinque a rompere le scatole, nessun altro. »
Pharart, dopo il riassunto, lo studiò scettico: « Mi pare che bastino, a rompere le scatole. Hai visto cosa sono stati in grado di creare? Quel robo non si decideva a morire! »
« Ci ha solo colti di sorpresa, tutto qui, » Kert scrollò le spalle e, con l’ennesima smorfia, si appoggiò allo schienale della sedia, « Ora sappiamo che hanno un debole per gli animali da guardia. »
« Vorrei capire come hanno fatto, » il biondo prese un sorso della densa e speziata bevanda scura che era la versione geota del caffè, « Non è esattamente un dettaglio minimo. »
« Voi li sopravvalutate, » brontolò l’altro, continuando a girare la spalla con delle smorfie di fastidio, e Pharart gli lanciò un’altra occhiata dubbiosa:
« Secondo me sei tu che li sottovaluti. »
Espera, da dietro Kert, si scambiò con lui uno sguardo divertito, poi rovistò tra le boccette della scaffalatura e ne estrasse una tonda scatolina di metallo.
« Puoi usare questi per i lividi, » lo allungò all’alieno dei capelli grigi con un sorriso amichevole, « E anche sulla spalla, se ti fa molto male. Ma mettine poco, è parecchio forte. »
Kert grugnì in segno di ringraziamento, non degnando la ragazza di più che uno sguardo mentre si alzava con fatica.
« Dovreste vivere più sereni, » bofonchiò, zoppicando fuori dalla stanza.
Pharart alzò un sopracciglio e guardò la sua schiena che si allontanava come se gli fosse cresciuta una testa extra: « Che botta in testa hai preso?! »
Lui non rispose all’ironia e si trascinò di nuovo verso la sua camera da letto, gettandosi sul materasso con uno sbuffo pesante.
Quel maledetto duuariano. Ad ogni battaglia riusciva sempre a lasciargli almeno un ricordino della sua fastidiosissima presenza, e lui poteva solo sperare di ricambiare con abbastanza irritazione.
Anche se vedere il suo viso stravolto quando aveva dissolto la bolla d’aria che aveva contenuto l’uccellino…
Si frugò in tasca e tirò fuori la piuma che aveva strappato dalle ali di Minto. Se la rigirò davanti al viso, sfiorandone la superficie morbida e studiandone i colori iridescenti, se la portò anche davanti al naso per testarne il profumo.
« Stai diventando sentimentale? »
Kert sussultò visibilmente a quella voce improvvisa, poi lanciò uno sguardo rabbioso a Sunao, comparsa per l’ennesima volta inaspettatamente.
« La devi piantare! » le ringhiò contro, « Farai venire un infarto a qualcuno. »
L’aliena sorrise gelida: « Troppo preso dai tuoi bei ricordi? »
Lui alzò gli occhi al cielo e ripose l’ala in tasca: « Credo che tu abbia di meglio da fare che venire qua a controllarmi. »
« Non finché Rui non ha terminato il suo messaggio al Consiglio. Mi annoiavo. »
« E quindi hai deciso di venire a rompermi le scatole. »
« Non pensavo certo di trovarti impegnato a fare contemplazioni. »
Kert esalò piano, irritato, e cercò una posizione più comoda, la dannata spalla che continuava a dolere.
« Non contemplavo nulla, sto solo cercando di capire come funzionino le nostre amichette. »
« Immagino tu abbia molto interesse a studiarle. »
« Sunamora, evita i giri di parole, per cortesia. »
L’aliena lo guardò solo con gli occhi violetti stretti in due fessure: « E tu cerca di evitare di distrarti dal compito che devi svolgere. »
 
 
 
 
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La luce fredda del frigorifero illuminava a malapena l’immensa cucina, ma a lui non importava più di tanto, anzi, era grato per l’assoluta solitudine.
Rovistò ancora un po’ nel frigorifero, solo metà dell’attenzione rivolta ai vari ordinati contenitori e pacchetti del considerevole elettrodomestico, l’altra posta sul telefono che reggeva in mano e in cui continuava a scrivere e cancellare messaggi.
Identificato un recipiente con dentro qualcosa che pareva non dover richiedere nemmeno di essere riscaldato, Kisshu chiuse l’anta del frigo con una spallata e trascinò i piedi fino all’isola nel mezzo, mentre la stanza piombava nel buio salvo che per il brillio del suo schermo.
Non era mai stato molto articolato con le parole – benché più dei suoi fratelli – o almeno, non con quelle che gli avrebbero cavato dieci groppi diversi dalla gola. Quelle con le quali avrebbe dovuto ammettere cose poco carine nei suoi confronti, assolutissimamente vere, ma… non vedeva tutta questa necessità di dover abbassare il capo, quando avrebbe voluto vedergli, gli altri, nella sua situazione.
Stuzzicò con un cucchiaio un po’ dei rimasugli, e si sfregò una mano sugli occhi.
Avere Minto a casa era stato come riprendere a respirare, come togliersi l’intero Monte Fuji dal petto. Poterla stringere, sentire la sua voce, provare il suo calore, voleva non separarsi da lei nemmeno per un istante per il terrore di vedersela svanire da sotto al naso per la seconda volta.
Il problema era proprio oltrepassare l’ostacolo Minto.
Era assolutamente conscio che le sue pretese dovevano trovare un freno: era tutto appena successo, erano passate poco meno che ventiquattro ore dalla fine di tutto, e dal suo canto, per quante ne avesse passate lui stesso, non aveva certo subito le stesse cose, perciò non poteva comprendere appieno il suo stato d’animo.
Dall’altro lato, avrebbe voluto sapere con più certezza quello che era successo, anche per capire come aiutarla. Perché i suoi deboli sto bene non lo convincevano per nulla.
Avevano passato la giornata a casa, praticamente a fare la spola tra la camera da letto della ragazza e il salottino che lei preferiva, con la televisione accesa in sottofondo e il caminetto che scoppiettava, anche se era un ultimo giorno di settembre ancora tiepido. Minto era rimasta avviluppata tra vestaglia e coperta, a coccolare Mickey, giocherellare con il suo cellulare, fare commenti di poco conto su qualche aggiornamento che scovava, ma soprattutto a dormire, un sonno pesante e agitato. Anche adesso, si era addormentata poco dopo l’ora di cena, dopo aver appena sbocconcellato della frutta, il cagnolino sempre stretto a sé e una ruga tra gli occhi che non sembrava volerla abbandonare.
Kisshu le era rimasto accanto tutto il tempo, benché consapevole del palmo e più di distanza che lei era sembrata poco incline a valicare. Sì, non si era particolarmente opposta al suo accarezzarle i capelli o una gamba o la schiena con tutta l’attenzione del mondo, o cercare di tenerle la mano, ma non gli era sfuggito come facesse fatica anche solo a incrociare il suo sguardo.
Forse però doveva ammettere che le occhiate velenose che non poteva non lanciare alle sue ferite potevano non essere d’aiuto.
Esalò un’altra volta, si arruffò i capelli e abbandonò la misera cena, anche lui ormai senza appetito.
Ringraziare Shirogane era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento, ma sapeva benissimo che non poteva esimersi, non dopo che aveva praticamente salvato la pelle alla mora.
Con un ultimo sbuffo, incarnando suo fratello maggiore il più possibile, digitò il messaggio più caustico e diretto a cui potesse pensare e lo inviò prima di rimangiarselo.
Il secondo ringraziamento, invece, doveva farlo per forza con una telefonata.
Non ci vollero molti squilli perché Purin rispondesse, la voce finalmente tornata squillante ed energica: « Kisshu nii-san! Tutto okay?! C’è qualcosa che non va?! »
Gli nacque un sorriso spontaneo sia per la preoccupazione che per i rumori di sottofondo, così in contrasto con la silenziosa solitudine di villa Aizawa.
« Tutto a posto. Hai un secondo? »
« Certo! Che succede? »
Kisshu si scompigliò i capelli un’altra volta, prendendo tempo, prima di esalare: « Per oggi. Volevo… ah – se tu non avessi… »
« Nii-san, ma scherzi?! È per questo che siamo una squadra! »
Lui sbuffò e ritentò: « Sì, ma comunque – »
« No, guarda, non voglio neanche sentirlo. Davvero. Basta che in futuro fai un po’ meno lo stronzo. »
Questa volta Kisshu rise davvero, e nel frattempo ripose il contenitore di nuovo in frigo.
« Questa è l’influenza di mio fratello, vero? »
« Ti saluta! »
« Certo, certo. Fate i bravi, mi raccomando. »
Purin terminò la telefonata con una risatina innocente, e l’alieno ripose il cellulare in tasca senza più badarci, lasciando la cucina e arrancando con stanchezza attraverso la casa buia.
Mickey, ben accoccolato sotto il braccio di Minto, aprì solo un occhietto quando lo sentì entrare in camera. Solitamente, Kisshu non tollerava che il cagnolino dormisse con loro nel letto, per quanto potesse andarci d’accordo, ma quella era un’eccezione comprensibile.
Anche se ciò voleva dire avere una bestia pelosa e alquanto possessiva tra lui e la mora.
Con un sospiro, s’infilò anche lui a letto, concesse al cane una carezza con un dito sulla sommità del testolino, e tentò di farsi il più vicino possibile a Minto senza schiacciarlo, passando un braccio attorno alla vita della ragazza da sopra le coperte in cui lei si era arrotolata come un bozzolo. Lei esalò solo un sospiro e non si mosse, nemmeno quando lui le sfiorò la fronte con le labbra.
 
 
 
 
Taruto alzò gli occhi dai piatti che stava sciacquando quando Purin ritornò in cucina e gli sorrise.
« Niente di grave, credo che Kisshu nii-san stesse solo cercando di fare un po’ ammenda. »
Il più giovane degli Ikisatashi vece un verso indefinito dal naso: « Vorrei anche vedere. »
« Dai, non essere cattivo, » la biondina abbassò la voce e si guardò velocemente alle spalle, dove i suoi fratelli e sorelle stavano svicolando velocemente e rumorosamente fuori dalla stanza, litigando per l’ordine di utilizzo del bagno, « Non era una situazione semplice. »
« Mmmhm, » il duuariano si asciugò le mani su uno straccio e poi l’attirò a sé per la vita, « Stai bene? »
« Taruto, me l’hai chiesto sette volte. »
Lui si accigliò alla sua risata candida, le punte delle orecchie che si colorarono di rosa: « Scusa se voglio essere carino! »
« Tu sei molto carino, » sussurrò lei suadente, avvolgendogli le braccia intorno al collo e alzandosi in punta di piedi, « Ma non c’è bisogno di essere apprensivi. Sto benissimo. »
Il rossore si allargò su tutto il viso del ragazzo, che poggiò la fronte contro quella di lei: « Volevo accertarmene. »
« E tu come stai? »
Taruto deglutì rumorosamente, sbirciando velocemente verso l’entrata per accertarsi che effettivamente il resto della famiglia Fong fosse uscita, visto quanto Purin si stava ora strusciando contro di lui: « Alla grande. »
« Ottimo, » la biondina gli soffiò a pochi millimetri dalle labbra, sorridendo accattivante, « Stasera hai voglia di rimanere? »
La mano dell’alieno sulla vita si trasformò in un pugno che le strinse la maglietta mentre lui quasi si sforzava di scherzare: « Lo sai che sei una gran sfacciata, scimmietta? »
Purin sorrise ancora di più, prima di baciarlo: « È per questo che ti piaccio un casino. »
Taruto non poté far altro che trovarsi assolutamente d’accordo.
 
 
 
 
 
« Preparati a un altro disastro naturale, la testa di broccolo mi ha appena mandato un messaggio per ringraziarmi. »
Ichigo, ben poco incline al sarcasmo in quel momento, ingollò un altro paio di biscotti mentre lanciava un’occhiata poco divertita a Shirogane, in piedi davanti a lei in camera da letto.
« I nomignoli non ti aiutano certo a creare un clima sereno con lui. »
« Chi ha detto che voglio creare un clima sereno? »
Lei alzò gli occhi al cielo e continuò a guardarlo storto mentre lui si preparava a seguirla a letto: « Ancora con questa storia? Non possono continuare a starti antipatici anche a distanza di anni. »
« Wanna bet? »
« D’accordo, d’accordo, » Ichigo sbuffò e trangugiò un altro biscotto, seguito da un sorso di tè, « Almeno fallo per Minto-chan, Reta-chan e Purin-chan. »
« Dubito che a loro interessi della mia opinione. Perfino Za – » s’interruppe e scosse la testa, ignorando l’occhiata confusa della moglie, che per mille ragioni differenti era meglio rimanesse all’oscuro di tutto, « Se stanno bene a loro, perfetto. Io non devo certo giocarci a pallone. »
« Tu non giochi a pallone. »
« Technicalities. »
Ichigo sospirò ancora: « Minto-chan è molto più tranquilla da quando sta con Kisshu. »
« Stiamo ancora aspettando gli effetti benefici su di lui. »
« Non è vero, e lo sai. »
« Ha distrutto più alberi lui questa settimana che un uragano. »
« Vuoi dirmi che tu non avresti fatto lo stesso? »
« I pride myself with being quite rational, Momomiya. »
« Non incominciare! »
Ryou grugnì qualcos’altro di indefinibile e si stese accanto a lei, riponendo il cellulare senza aver completato la sua risposta.
« I’m just glad it’s over. »
« Io pure, » rispose la rossa, con più rapidità del solito, « Speriamo di avere un po’ di tranquillità, per ora. Non mi erano mancati i chimeri, lo ammetto. O Kisshu che sclerava. »
« A me non era mancato niente di tutto ciò, Kisshu in primis. »
« Ryouuu… »
« Potresti non mangiare nel letto? »
« Shirogane, sono esausta, e tu sei estremamente assillante stasera! »
« Poi non lamentarti se ci sono le briciole! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
C’era ancora poca luce in cielo quando Kisshu ritornò in camera da letto, cercando di fare il meno rumore possibile. Aveva smesso di dormire da ore, ma Minto ancora riposava e lui non voleva disturbarla, ormai abbandonato all’idea che il sonno le fosse necessario per riprendersi.
Lui, invece, continuava a provare una soffocante sensazione d’impotenza che non era in grado di scrollarsi di dosso e che continuava a tormentarlo, rendendogli impossibile trovare davvero pace anche nei sogni.
Terminò di vestirsi e controllò ancora una volta l’orologio. Pai gli aveva chiesto di raggiungerlo per aiutarlo con alcuni dei sistemi della loro astronave, per collegarli meglio al programma di scannerizzazione dei DNA e tentare di incrementarli entrambi; non aveva particolarmente voglia di smettere di tenere la mewbird sott’occhio, ma non riusciva più a stare in casa con quella strana atmosfera, e aveva soltanto una determinata quota di volte in cui avrebbe potuto dire di no a suo fratello. E se far connettere i sistemi avrebbe potuto evitare altre disgrazie simili…
Girò attorno al letto e si sedette sul bordo dal lato di Minto, scostandole delicatamente i capelli dal viso.
« Vado per un po’ al Caffè, tortorella, » le sussurrò pianissimo, accarezzandole lo zigomo con una nocca, « Torno presto, okay? »
Minto rispose solo con un mugugno indistinto, arrotolandosi ancora di più tra le coperte, così tanto che Mickey, ancora accanto a lei, ci finì sotto. Kisshu attese ancora qualche istante, poi sospirò piano e si teletrasportò direttamente dal letto senza aggiungere altro.
La mora, mezza sveglia in realtà dopo averlo sentito aggirarsi per la stanza, rimase con gli occhi chiusi ancora per un po’, a godersi la comodità del suo letto, il ronfare del cagnolino accanto a lei che la scaldava, il profumo familiare di tutto ciò che conosceva.
Però non riusciva a separarsi dalla sensazione di continuare a essere dentro quella bolla in cui era stata rinchiusa, anche se ora tutto sembrava più ovattato, più smorzato.
Non le piaceva continuare a sentirsi in trappola, non le piaceva sentirsi la vittima che doveva essere trattata coi guanti perché aveva subito qualcosa di traumatico.
Lei voleva che tutto tornasse a posto, che la vita riprendesse come sempre. Perché non poteva dare a nessuno la minima soddisfazione di pensare di averla vinta.
Si sentì d’improvviso claustrofobica a ripensare come avesse passato le sue prime ventiquattro ore in ritrovata libertà di nuovo come una reclusa, in casa a piangersi addosso, anche se solo metaforicamente. Senza aver il coraggio di sostenere lo sguardo di Kisshu, mal sopportando addirittura le sue premure e il suo affetto – sapeva che era pieno di buone intenzioni, ma di nuovo, lei non voleva essere solo una donzella in difficoltà da accudire.
La vita doveva andare avanti e lei doveva affrontarla.
Riprenderla in mano, riconquistare la sua autonomia e la sua libertà.
Come aveva sempre fatto.
Ricacciò indietro le lacrime che le pizzicarono gli occhi, diede un ultimo bacino alla testolina pelosa di Mickey, e cacciò giù le gambe dal letto, dirigendosi spedita verso il bagno.
Avrebbe cominciato con il concedersi una passeggiata ristorativa, per godersi ogni singolo istante fuori da quattro mura che iniziavano a stringersi un po’ troppo attorno a lei.
Era così presto che i domestici avevano appena iniziato i preparativi per la giornata, ma non le importò più di tanto: chiese solo una tazza di tè e si barricò di nuovo in camera, concedendosi tutto il tempo del mondo per dedicarsi a sé stessa. Armata di phon e spazzola tonda, diede un tono d’ordine ai capelli, coccolandoli dopo tutti i maltrattamenti che avevano subito negli ultimi giorni, aggiungendo anche un cerchietto di velluto blu come accessorio; poi si truccò con cura, stendendo un velo di lucidalabbra rosso e un blush un po’ più colorato del solito per contrastare il pallore inconsueto delle sue guance e quelle ombre sotto gli occhi che sembravano non voler desistere.
Mickey le rimase accanto per tutto il tempo, steso sui suoi piedi davanti alla sedia della sua toeletta, a uggiolare di tanto in tanto quando lei gli parlava, però Minto decise di non portarlo con sé. Aveva bisogno solo di uscire, di camminare veloce senza pensare a nulla.
Una volta soddisfatta del risultato, si concesse di infilare il primo paio di jeans che trovò nell’armadio e un paio di tennis comode, e uscì di casa prendendo con sé una borsetta con solo cellulare e portafoglio, ricordandosi d’inviare un messaggio d’avviso solo all’ultimo istante e mantenendolo il più conciso possibile.
L’aria pungente di ottobre le rinvigorì piacevolmente il viso, e Minto inspirò a pieni polmoni, cacciando le mani dentro le tasche del cappotto. Si sentì contenta di aver indossato un maglione un po’ troppo spesso per il periodo, perché, nonostante il pizzicore sulle guance non la disturbasse, continuava a sentire ancora freddo, e sapeva che non era solamente colpa del meteo. Si avviò a passo deciso, continuando a prendere grosse boccate d’aria e a cercare continuamente di camminare al Sole così che potesse avvertirne il calore fino alle ossa.
La città si stava svegliando, e il rumore del traffico cominciava a riempire le strade. Le sembrava che fosse passata un’eternità da quando si era accordata un momento solo per sé stessa, una camminata senza meta, senza scopo, senza dover correre da una parte all’altra inseguendo responsabilità. Era sempre così concentrata su ciò che doveva fare, su cosa fosse meglio fare, e ora le pareva di aver smarrito sé stessa. Le sembrava di non sapere più da che parte doversi voltare per riprendere le redini della situazione.
Tokyo le sembrò all’improvviso enorme, troppo vasta, troppo caotica.
Il batticuore della mattina precedente le riverberò in gola e sentì le mani farsi improvvisamente sudaticce, la gola stringersi. D’istinto, si guardò intorno, controllò il cielo sopra di sé, ma per strada c’erano solo affaccendati lavoratori, studenti in ritardo che correvano, madri che camminavano tranquille spingendo passeggini.
Il ritratto della normalità, provò a tranquillizzarla il suo senso Mew.
E al tempo stesso lei era ben consapevole di quanto poco normale ci fosse in quella situazione. Di come tutto sarebbe potuto cambiare in pochi secondi, a causa di invasori interplanetari per cui a lei era stato iniettato il DNA di un animale in via d’estinzione.
E magari non era nemmeno una situazione vera, era solamente un altro di quegli strani incubi a cui l’avevano assoggettata durante il rapimento, solo molto più potente, molto più reale, e presto avrebbe aperto gli occhi e…
La mano le volò quasi automaticamente alla borsetta a tracolla e al cellulare custodito dentro, la tentazione di telefonare a Kisshu e chiedergli che la raggiungesse, o che la riportasse a casa, ma poi si bloccò di colpo: no, non poteva cedere.
Le sembrò di esserselo ripetuta più volte in quei giorni che in tutta la sua vita, ma era vero: non poteva dare a Kert e alla sua compagnia la soddisfazione di averla davvero distrutta, da averla resa incapace di fare una camminata da sola.
E non avrebbe neanche potuto sopportare per un istante di più la luce preoccupata e devastata negli occhi d’ambra del verde.
Di nuovo quasi senza pensarci, concentrandosi solo sul calmare quell’orribile sensazione di soffocamento che le stava opprimendo il petto – lì dove il geota aveva spinto un po’ di più con l’avambraccio – impartì alle sue gambe di muoversi e di condurla nel primo posto sicuro che le venne in mente.
Lo stupore nel tono di Ichigo a trovarla sotto casa di prima mattina e perdipiù senza preavviso fu percepibile anche attraverso il citofono, a cui rispose dopo una manciata di secondi non indifferente che fece preoccupare la mora di aver scelto il momento sbagliato.
« Minto-chan! Vieni dentro! » sulla soglia, la rossa l’accolse con l’usuale calore, anche se Minto non poté non cogliere la sorpresa e la preoccupazione sul suo viso, e l’abbracciò stretta pur con un braccio solo, l’altro impegnato a reggere una gorgheggiante Kimberly, « Tutto a posto? »
« Sì, stavo… passeggiando e sono arrivata qua. »
Per una volta, non si sottrasse troppo in fretta dal contatto con l’amica, che continuò a sorriderle fingendo sicurezza.
« Cosa ti posso offrire? »
La mora appese il cappotto e ricambiò il sorriso della bimba, che la guardava piena di curiosità agitando un braccio paffuto verso di lei: « Un caffè sarebbe perfetto. »
Ichigo annuì e le osservò il volto per un istante di troppo, vista anche la scelta diversa dal solito, poi le passò la bimba in braccio: « Tieni, è il tuo turno di fare un po’ di allenamento delle braccia. »
Kimberly fece qualche verso felice per quel passaggio, rivolgendo un altro dei suoi sorrisi sdentati alla mora, per cui aveva già dimostrato una certa affezione, e Minto in tutta risposta la strinse, accogliendone il calore e l’odore dolce, che inspirò piano.
« Come stai? »
La rossa la guardò da sopra la spalla mentre trafficava con la macchinetta del caffè, tentando di suonare normale e tranquilla.
« Tutto okay, » rispose, cullando piano Kimberly, « È bello essere a casa. »
Quasi come se avvertisse il suo malessere, il bebè si rilassò di più contro il suo petto, alzando una manina e posandogliela, seppur con una certa malagrazia, contro la guancia. Ichigo invece non replicò, tornando verso di lei con due tazze fumanti e indicandole il divano con un cenno del capo.
« Hai dormito un po’? »
La mora cercò di sbuffare sarcastica come al suo solito, ma le uscì solo un soffio poco convinto mentre stringeva la bambina un po’ più forte per fermare il tremolio insolito delle mani: « Momomiya, non sei brava a bluffare. »
« Non sto bluffando, » si difese l’altra, « Sono molto preoccupata per te. E il fatto che ti sei palesata qui all’improvviso, pallida come uno straccio, da sola, non mi aiuta. Ma sto tentando di non asfissiarti. »
Minto trovò quasi divertente che la facciata solida dell’amica fosse crollata in meno di cinque minuti, ed esalò piano: « Ho solo camminato troppo in fretta, » borbottò, « Non… volevo stare in casa. Ma poi non volevo neanche stare fuori. »
Ichigo la scrutò e poggiò la propria tazza sul tavolino lì davanti; fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma il rumore di passi che scendevano le scale la fece fermare. Qualche istante dopo, Shirogane apparve in salotto, un asciugamano attorno al collo e i capelli ancora umidi ad indicare che era appena uscito dalla doccia.
« Ehi, Minto, » l’americano la salutò con l’abbozzo di un sorriso, « Tutto bene? »
« Certo. Sono solo venuta ad assicurarne tua moglie dal vivo, visto che altrimenti non mi crede. »
Fu completamente conscia che lui non si bevve la bugia per un secondo, ma fu abbastanza elegante per annuire e dirigersi verso di loro.
« La porto di là, così potete stare tranquille. »
Minto, sotto sotto, non gradì l’allontanamento del corpicino caldo e profumato dal suo, ma fece un cenno di assenso con il capo e gli allungò la bambina, che trillò estasiata all’arrivo del papà.
Ryou rivolse un paio di smorfie a Kimberly, se la sistemò contro il fianco e poi guardò la mora con aria un po’ contrita: « Lo so che è presto, e non sto dicendo di farlo subito, ma qualsiasi informazioni sugli alieni sarebbe utile… »
Ichigo si voltò con una tale furia verso di lui che quasi udirono lo scricchiolio delle vertebre cervicali, e lo trucidò con lo sguardo: « Shirogane! »
« Hai ragione, » insistette invece Minto, annuendo piano, « Facciamo domani, d’accordo? Da me. »
« Dico davvero, » perseverò lui, « Se ti serve più tempo non deve essere – »
« La devo affrontare in ogni caso, giusto? » commentò la mora con una punta di ferita ironia, « Tanto vale chiuderla in fretta. Non che ci sarà molto di eclatante, visto che ho passato tre giorni chiusa in una stanza buia. »
Gli occhi azzurri la scrutarono con un’intensità e una preoccupazione mai vista prima, ma Shirogane tacque ed ebbe la prontezza d’animo di non scambiarsi un’occhiata con la moglie, che al commento di Minto si era lasciata scappare un respiro agitato.
« D’accordo. Facci sapere tu quando. Sono di sopra, se vi serve qualcosa. »
Scese di nuovo il silenzio, la tensione di Ichigo assolutamente palpabile mentre si aggiustava e scattava senza sosta sul divano, incerta su cosa dire o fare. Minto afferrò la propria tazza dal tavolino e prese un paio di sorsi, grata per il calore che le attraversò il petto.
« Lo so a cosa stai pensando, » iniziò sottovoce, le dita che corsero lungo il bordo della tazza, « Ma non è successo nulla del genere, né nulla di tragico. »
Il sospiro di sollievo di Ichigo quasi rimbombò per il salotto, ma la rossa non disse nulla e lei continuò, prendendo un respiro profondo.
« Solo un bacio, » aggiunse in fretta, come per liberarsene, lanciando solo uno sguardo al volto atterrito dell’amica, « Da parte sua, ovvio. Che non era nemmeno un bacio, perché alla fine… vabbè, poi ve lo spiego. Ma per il resto, poteva andare peggio, ecco. Almeno mi ha portato da mangiare, e addirittura una coperta. »
« Oh, Minto-chan, » il tono le fu quasi insopportabile, « Non so come tu – »
« Non sto cercando pietà, Ichigo, » la interruppe di scatto, « Né voglio trasformare questa cosa in qualcosa di più grande. Voglio solo… andare avanti. E, come diceva Shirogane, almeno tirarci fuori qualcosa di positivo e fruttuoso. »
Ichigo si morse un labbro, gli occhioni color cioccolata umidi: « … l’hai detto a Kisshu? »
Minto fece uno strano, isterico verso di gola: « Stai scherzando? Assolutamente no. »
« Ma forse dovresti – »
« È già abbastanza sul piede di guerra così com’è. E non ho intenzione di fomentare oltre le sue tendenze all’avventatezza, alla vendetta, e al fare il nobile cavaliere. »
Ichigo non osò aggiungere altro, limitandosi ad annuire con convinzione nulla, così Minto si riassestò sul divano e continuò: « Ho solo bisogno di stare tranquilla, di avere pace intorno a me. Fare finta che non sia successo nulla, eliminarli al più presto dalla mia vita. Basta. »
« Okay, » la rossa, ancora una volta, non parve assolutamente convinta dell’affermazione, ma sedò la preoccupazione e la voglia di investigare oltre, le si fece più vicina e raccolse le gambe sotto di sé, « Puoi stare qui anche tutto il giorno, se vuoi. Possiamo guardare un po’ di televisione spazzatura, farci delle maschere. E poi un sacco di nuovi ristoranti hanno aggiunto l’opzione di delivery. »
« Momomiya, ci sarà mai un momento in cui non pensi a mangiare? »
« Io apprezzo le cose belle della vita, » replicò l’amica, e conquistò un altro paio di centimetri, quanto bastava per far passare il braccio sotto al suo e stringerla con quella tenerezza che le aveva sempre dimostrato nonostante i battibecchi e il noto disgusto della mora per le dimostrazioni pubbliche di affetto, « Ah, poi non sai cosa mi ha raccontato Mowe! Hai presente quella sua compagna di università che giocava a pallavolo al mio liceo?! »
 
 
 
 
Una alla volta, le altre tre ragazze si unirono a quella giornata di totale relax e calma. Minto non si chiese se le avesse invitate direttamente Ichigo in un momento in cui lei era distratta, ma in fondo non le importava più di tanto; l’unica cosa di cui fu grata fu che, in ogni caso, parve tutto esattamente normale e non votato a farla sentire come se la stessero compatendo o trattando come una bambola di ceramica.
La prima a palesarsi fu Zakuro, portando con sé una busta piena di maschere per viso che – raccontò con un abbozzo di sorriso – le erano state regalate dopo uno shooting promozionale e che non sarebbe mai riuscita a utilizzare tutte da sola. Ovviamente, Minto non mancò di puntualizzare quanto rumore esagerato fece Ichigo nell’aprire il tesoro, e la rossa si lanciò in una tiritera fin troppo irritata su quanto fosse difficile trovare un momento di relax con una bimba così piccola e l’ennesima invasione aliena.
Fu poi la volta di Purin, che entrò baldanzosa in salotto con una quantità di gelato sufficiente per dieci che provvide a distribuire a grosse cucchiaiate senza ascoltare le proteste di nessuna delle tre, infilandosi a viva forza tra di loro e prendendo controllo del telecomando per sintonizzare la televisione su un melodramma di dubbio gusto. Retasu invece apparve appena dopo pranzo, insieme ad altri manicaretti preparati direttamente da lei, con molta probabilità all’ultimo momento visto l’occasione, e che finirono divorati in men che non si dica come pasto vero e proprio tra un gelato e l’altro.
Minto si godette ogni istante, per una volta non scrollandosi Ichigo di dosso e, come sempre ringraziando qualsiasi entità potesse ascoltarla di aver trovato delle amiche del genere che, seppur in maniera per lei alquanto folle, riuscivano a riempire vuoti che l’avevano accompagnata fin da quando era bambina.
Fu appena finito l’ennesimo, sconclusionato episodio della serie televisiva che Purin, giocherellando con il cucchiaio, arricciò le labbra in un ghigno divertito: « Vi devo dire una cosa. »
Le quattro teste scattarono curiose verso di lei, che però continuò a fissare la ciotola con fare dispettoso.
« Be’, non tenerci sulle spine! » si lamentò Ichigo, sporgendosi per guardarla in viso, « Cos’hai combinato?! »
La biondina tentennò ancora un poco, sciogliendo il cumulo finale di gelato in una pappetta, poi allargò ancora di più il sorriso e rivolse alle amiche un’occhiata furba, inarcando appena le sopracciglia e scrollando le spalle in maniera allusiva.
Ci vollero un paio di secondi, poi l’urlo collettivo che riecheggiò per casa fece spuntare Shirogane fuori dal suo studio, per controllare che non fosse successo nulla di male, prima di farlo ritornare nel suo antro scuotendo la testa.
« Visto, Reta-chan, è così che si fa, si avvisano le amiche subito, non dopo settimane! »
Retasu divenne bordeaux dietro le lenti: « N-non mettermi in mezzo! »
« Tutto, voglio sapere tutto! »
« Be’ magari non proprio tutto, Ichigo-chan. »
La rossa si era già lanciata a stritolare la biondina tra le braccia: « Ah, come siete cresciuti! »
« Abbiamo due anni in meno di te, nee-san. »
« Che c’entra, vi siete conosciuti che eravate dei bambini e ora guardatevi! Cosa vi fanno gli Ikisatashi! »
« Ichigo, per favore, non essere volgare. »
« Poi, comunque se c’è qualcuno che mi deve raccontare tutto, quelle siete voi! Mi servono indicazioni! Idee! Suggerimenti! Tipo, come si fa esattamente quella cosa con la bo – »
« No! »
Il grido terrorizzato di Retasu, seguito da Ichigo che placcava Purin e le tappava la bocca, scatenò una risata di cuore in Minto, che scosse la testa mentre si copriva le orecchie con le mani, lo stomaco che le doleva dall’allegria; fu solo un istante, ma le sembrò che i pezzetti della confusione che provava dentro di sé si riallineassero, lasciandola un po’ più leggera.
Un po’ più finalmente libera.
 
 
 
 
Kisshu rilassò le spalle nell’istante in cui sentì il portone principale aprirsi e chiudersi, condito dai saluti di benvenuto dei domestici di villa Aizawa. Era quasi ora di cena, la luce si era affievolita da un pezzo e lui aveva dovuto attaccarsi a tutto il suo autocontrollo – e ai messaggi di aggiornamenti inviatigli da Purin nel corso della giornata – per non marciare fuori a recuperare Minto, o almeno accertarsi coi suoi occhi che fosse tutto a posto.
Non era decisamente da lei uscire e poi sparire per tutto il giorno, mandandogli solo due vaghi messaggio in cui gli annunciava che era uscita e che sarebbe rimasta fuori.
Esalò piano tra i denti e si allontanò dalla finestra su cui si era appollaiato, cercando di procurarsi un’espressione più tranquilla possibile, anche se dentro di sé sentiva macinare la stizza e la preoccupazione di non aver avuto la ragazza sotto gli occhi quanto avrebbe voluto. Si poggiò di nuovo al baldacchino con una spalla e l’aspettò, udendola parlottare sottovoce con cordiale eleganza poi rivolgersi a qualcuno che lui intuì essere Mickey dal tono più dolce e acuto.
Difatti Minto comparve sull’ingresso della sua camera da letto pochi istanti dopo, il cagnolino in braccio e di nuovo il naso nascosto nella sua pelliccia morbida. Kisshu le rivolse un sorriso di saluto, ma gli sembrò che lei tentennasse un secondo prima di entrare e ricambiare con stanchezza:
« Pensavo saresti stato al Caffè. »
Lui non riuscì a non aggrottare le sopracciglia: « Non volevo lasciarti sola. »
Minto lasciò andare Mickey e gli rivolse un sorriso: « Non credo cenerò, stasera. Purin ci ha portato credo sei chili di gelato, e Retasu i suoi ultimi esperimenti in cucina. Stanno per scoppiarmi i pantaloni. »
« Eravate tutte dalla micetta? »
Non che gli servisse davvero la conferma.
« Mmhm, » la mora si tolse il maglione mentre si addentrava nell’armadio, pronta a riporre tutto in maniera ordinata, « C’erano novità su cui aggiornarci. »
Kisshu si limitò ad arcuare un sopracciglio: « … sarebbero? »
Lei rispuntò con indosso il pigiama della mattina e un sorriso furbo: « Dovresti chiedere a tuo fratello. »
Lui ci impiegò qualche istante, poi sbuffò divertito e la seguì verso il letto: « Quando si dà una svegliata poi non ci mette molto. »
Minto sorrise e si legò i capelli in una coda bassa protettiva mentre si poggiava ai cuscini e batteva piano la mano sul materasso per chiamarvi Mickey. Si sentì all’improvviso esausta, nonostante i familiari profumi di casa che allentarono un poco la tensione che sentiva. L’alieno le si sedette accanto, con una cautela che le diede fastidio, perché la fece sentire di nuovo come la bambola di porcellana da mettere in bella mostra, ciò che si era impegnata tutta una vita a scrollarsi di dosso.
Sospirò piano e al tempo stesso cercò l’odore noto del ragazzo, la sua presenza confortante, così poggiò la tempia contro la sua spalla.
« Abbiamo costretto Shirogane alla reclusione tutto il giorno. »
Kisshu rise e posò lui stesso la guancia sulla sommità della testa di lei: « Scommetto che gli avete fatto solo un favore. »
« Gli ho promesso che domani… domani ne parliamo. »
Lui s’irrigidì, intrecciò le loro dita: « Non devi promettergli un accidente, se non te la senti. »
« Me la sento, » ribatté un po’ troppo velocemente Minto, ma lui non commentò, « E potrebbe essere utile. »
Mickey si allungò esattamente in mezzo a loro, spaparanzandosi sulle loro gambe, e la mora abbozzò un sorriso mentre iniziava a coccolarlo.
« Quindi hai qualcosa da raccontare. »
« Sì. No. Non in quel senso, » la mora sbuffò a denti stretti, raddrizzandosi all’improvviso, « Tipo, c’è una cosa che ho scoperto sulle nostre armi che potrebbe essere pratica, okay? Tutto qua. E comunque sia, non ho voglia di parlarne adesso. Oggi sono riuscita a rilassarmi, e… »
Kisshu si concentrò sul cagnolino solo per tenere a bada la rabbia che gli sobbolliva dentro: « Ho notato. Mi hai solo scritto che – »
« Non ci ho pensato, d’accordo? » Minto sbottò con più veemenza di quanto avrebbe voluto e lo interruppe di scatto, « Era esattamente il punto della giornata. Non volevo pensare a nulla di che. »
Lui si morse la lingua giusto perché gli sembrava inutile ed egoista rischiare di litigare, ma buttò fuori l’aria: « Ho capito. Lo so. Mi dispiace, ma mi hai fatto preoccupare. »
« Non devi, » reiterò lei, e si ri-afflosciò giù, « Non c’è niente di cui preoccuparsi. Sto bene e va tutto bene. Dovete solo concedermi il tempo di riprendermi. »
L’alieno avrebbe solo voluto aggiungere che nascondere le cose sotto al tappeto non era sicuramente la strategia giusta, non dopo accadimenti del genere, che lui lo sapeva bene, ma preferì il silenzio, conscio che il muro della ragazza non sarebbe stato abbattuto tanto facilmente e di certo non con cieca insistenza.
Se stare con le altre era la maniera che preferiva per lasciarsi quel momento alle spalle, lui avrebbe solo dovuto accettare la cosa, accettare i suoi ritmi.
Minto si distese di più tra i cuscini e si voltò così da poggiare il viso e una mano contro al suo petto; Kisshu sentì un minimo di inquietudine abbandonarlo e le baciò la testa, mormorando contro i capelli neri: « Se vuoi dormire, posso andare. »
« No, » le dita sottili gli strinsero di getto la maglietta e lei scosse la testa, accoccolandoglisi meglio addosso. Non aveva pensato prima di parlare, e nonostante il senso di colpa che ancora le pungeva la gola, in quel momento aveva bisogno di sentirlo lì con lei, « Rimani. Per favore. »
« Quanto vuoi, tortorella, » rispose lui in un sussurro, accarezzandole i capelli e baciandola ancora, « Non devi neanche chiederlo. »
Mickey s’intrufolò di nuovo tra loro, incastrandosi sotto al braccio della ragazza e guaendo, estremamente soddisfatto dell’aver conquistato il letto per la seconda notte di fila. Kisshu avrebbe quasi giurato che gli avesse rivolto uno sguardo di sfida, però cedette allo sguardo implorante e gli concesse qualche carezza.
« Cos’è che ti ha raccontato esattamente la peste bionda? »
« Non chiedermi di ripeterlo. » 
 
 
 
§§§
 
 
 

L
’invito ufficiale per il ritrovo a villa Aizawa, con ordine del giorno un riassunto sul poco che Minto era riuscita a carpire degli alieni di Gaia, fu lanciato a mattina inoltrata il giorno dopo, con appuntamento per l’ora del tè, cosicché tutti potessero organizzarsi al meglio; e affinché la padrona di casa potesse mettere in ordine le idee e costruirsi il discorso più appropriato possibile, ripetendosi quali dettagli omettere e su quali, invece, soffermarsi di più. Il tutto senza risultare troppo ovvia, anche se lo sguardo da cane da caccia di Kisshu le trapanò la schiena tutto il tempo.
Non le sfuggì nemmeno l’ironia del fatto che, da ventun anni a quella parte, il pomeriggio precedente al suo compleanno era stato destinato ad ogni preparativo per la festa del dì successivo, e invece in quel momento stava solo istruendo lo chef su quali tramezzini servire nello studio di suo padre per un colloquio sulla sua prigionia.
Scosse la testa e fletté ancora le dita, allontanando il pensiero quanto più possibile. Doveva smetterla di soffermarsi su ciò che le era stato tolto e pensare solo a come sfruttare appieno quella situazione.
Con una puntualità insolita, l’intero gruppo si presentò alla villa all’orario concordato palesando una vaga allegria per alleggerire la situazione, avviandosi per i corridoi parlottando a bassa voce mentre seguivano il maggiordomo.
Lo studio del signor Aizawa non era una stanza che frequentavano spesso, e Minto l’aveva scelta anche per quel motivo, oltre all’austerità che emanava. In più, era abbastanza spaziosa per accoglierli tutti con comodità, grazie anche al lungo tavolo di noce che svettava al centro e che suo padre utilizzava nei rari momenti in cui ospitava riunioni di lavoro formali a casa.
Lei si aprì nel solito sorriso di circostanza quando gli amici li raggiunsero, indicando con studiato decoro il carrellino portavivande ben fornito. Kisshu, invece, li accolse tutti appoggiato a braccia incrociate contro la scrivania, il viso scuro e l’aria di chi, nuovamente, fosse pronto a prendere a calci il primo malcapitato che avesse aperto bocca.
« Minto-san, non c’era bisogno che ti disturbassi così tanto, » disse Keiichiro, accettando di buon grado una tazza di tè.
La mora fece spallucce e si diresse al tavolo, reggendo la sua tazza preferita: « Sciocchezze, siete miei ospiti. E non deve essere un’occasione di disagio, giusto? Accomodatevi pure. »
Si sedette in uno dei posti centrali senza attendere risposta, né senza badare alle occhiate che, fu certa, gli altri si scambiarono. Kisshu, che ancora non aveva detto una parola, si staccò dalla scrivania in un movimento fluido e si accomodò dritto alla sua sinistra, tirando pure la sedia un po’ più vicina alla sua. Ichigo, al contempo, si sedette subito alla sua destra, mettendole davanti anche un piattino con dei tramezzini che però fecero solo rivoltare lo stomaco alla mewbird.
Con molto poco rumore, di nuovo così insolito per loro, le altre tre Mew Mew, i due americani e i due Ikisatashi riempirono un lato del tavolo, occupandolo con un paio di laptop e dei registratori: perfino Masha sbucò dalla borsa di Ichigo, frullando fino alla padrona di casa e accoccolandosi tra le sue braccia senza chiedere permesso.
« Partirei dall’inizio, » cominciò Keiichiro, schiarendosi la voce e digitando veloce sulla tastiera, « Dalla battaglia, se non vi dispiace. »
« Eviterei di rivedere le immagini, » commentò caustica Zakuro, seduta direttamente in fronte a Minto come per essere pronta a studiarne ogni reazione, ma Pai la guardò con freddezza:
« Capire come hanno fatto potrebbe rivelarsi – »
« Facciamo senza, » lo interruppe Kisshu velenoso, poi fece un cenno verso Ichigo e Purin, « Io mi stavo scontrando direttamente con Kert. Voi? »
La mewscimmia fece a pezzetti un angolino del tramezzino con le dita: « Ichigo-nee san e io stavamo dietro a quello biondo. Poi ho visto Retasu nee-san e Zakuro nee-san cadere in ginocchio, e… »
Retasu si mosse a disagio sulla sedia prima di parlare: « È stata colpa di quello con i capelli neri, » bofonchiò, quasi rabbrividendo al ricordo, « All’inizio ci stava lontano, e sembrava quasi annoiato dall’intera situazione. Quando si è avvicinato, però… »
« Ci ha tolto il fiato, » continuò Zakuro quando la Mew verde tentennò, « Letteralmente. Aveva come delle ombre, attorno a sé, ed è stato come se diventassero… più concrete e reali. Come se davvero stesse diventando tutto nero. E non ci fosse più nulla. »
« Probabilmente è lo stesso potere che hanno usato su di me, » Minto prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, anche per fermare le lacrime che percepì pizzicare, « La stanza in cui mi trovavo è sempre stata al buio, avvolta da una specie di nebbia fatta quindi di ombre. E quella sensazione che descrivete, è stato per me anche come se stessero prendendo i miei ricordi e… trasformandoli in un incubo. »
Scese un silenzio assordante mentre le parole delle ragazze venivano assorbite. Ichigo le coprì le mani con una delle sue e le rivolse quell’occhiata affettuosa e carica di preoccupazione che aveva affinato con la maternità; di solito, Minto l’avrebbe sgridata per quel suo eccesso di melodrammaticità, scostandola con poco garbo, ma mentre riprendeva a raccontare, sforzandosi di far suonare la voce in maniera più sicura possibile, fu grata che il palmo caldo dell’amica attutisse un po’ il tremolio delle sue.
« Non ho molto da dire, » gracchiò e si schiarì ancora la voce, evitando pervicacemente lo sguardo degli altri, ma soprattutto quello di Kisshu, una statua di sale accanto a lei, « Come vi ho già raccontato, ho  passato tre giorni in quella stanza. Era davvero una stanza da letto, in una casa, quasi simile alla mia. Al di fuori c’era un corridoio, ma è stato tutto quello che sono riuscita a vedere. C’era questa oscurità tutt’intorno che bloccava qualsiasi cosa – luce, rumore, tutto. »
Pai fu il primo a parlare, dopo qualche istante di silenzio: « Potrebbe essere stata la causa per la quale i nostri sistemi non riescono tutt’ora a identificare la loro posizione. Ma significherebbe un potere non indifferente. »
« Anche il mio ciondolo Mew era completamente fuori uso. Ho provato diverse volte a chiamarvi, ma… be’, lo sappiamo. »
Ichigo emise un verso strozzato al suo sarcasmo, e la stretta sulle sue mani aumentò per un istante.
Minto continuò come se non si fosse mai fermata: « Volevano informazioni su di noi, ovviamente. Sapere come funzionassero i nostri poteri, credo che in parte abbiano anche carpito qualcosa del nostro DNA modificato. Non sembravano sapere nulla della storia di Deep Blue, o del ruolo di Duaar e della Mew Aqua. Almeno, era solo Kert che interagiva con me, anche se mi è parso di capire che non fosse lui quello in grado di fare quel… trucchetto con la mente. Che hanno usato per cercare di convincermi a parlare. »
Udì la sedia accanto a lei scricchiolare e Kisshu sibilare piano al sottotesto di quell’ultima affermazione, ma la mora giocherellò solo con il cucchiaino della sua tazza di tè. Nello stesso istante, Keiichiro si sporse un po’ in avanti per cercare di incontrare il suo sguardo:
« Minto-san, non devi scendere nei dettagli se è troppo difficile, mi raccomando. »
« Non so come facessero… non erano situazioni inventate dal nulla, erano situazioni che sono certa di aver vissuto, solo rigirate, rimescolate, in una maniera tale da… da renderlo una tortura, è inutile fare tanti giri di parole. Un ricordo con i miei genitori era pressoché uguale, tranne per… la cattiveria nelle loro parole, o i dettagli su Seiji, le sue presenze in città. Altri erano su… » s’interruppe e scosse la testa, questa volta cercando di non guardare Ichigo, « Insomma, come se sapessero esattamente cosa cambiare, come renderlo un’arma. »
Questa volta, lo stridio della sedia che venne allontanata di scatto la fece sussultare, però continuò a fissare dritta davanti a sé le venature del tavolo, anche quando Kisshu cominciò a camminare avanti e indietro come una tigre in gabbia.
« A proposito di arma, » Minto si schiarì la gola e prese un sorso per ristorarsi, « Una cosa può tornarci davvero utile: a un certo punto mi sono addormentata, e quando mi sono svegliata, mi sono ritrovata in forma umana, perché ero esausta. Ovviamente quando mi hanno catturata, mi hanno portato via l’arco, non devo stare neanche a raccontarvelo. Ma il punto principale è che, una volta ripresami un attimo, sono riuscita a ritrasformarmi. E avevo di nuovo il mio arco. Come se non fosse mai successo nulla. »
Un mormorio di stupore si levò dalle altre Mew Mew, mentre gli americani si scambiarono un’occhiata incuriosita.
« Be’, che figata, in effetti! » esclamò Purin con una punta di contentezza in più del dovuto, « Non ci abbiamo mai pensato… anche se non mi ricordo di aver mai perso i miei tamburelli. »
« Però è complicato, trasformarsi e ritrasformarsi durante una battaglia comporterebbe dei rischi non indifferenti. »
Minto scrollò le spalle al commento di Zakuro: « Credo sia stata l’unica scoperta degna di nota. Oltre al fatto che sì, la motivazione per l’invasione Geota parrebbe il fatto che il loro pianeta sta diventando sovrappopolato e non vogliono rischiare di mettere in pericolo il loro ecosistema, a quanto pare fantastico. »
« Dimmi che almeno sei riuscita a piantargli una freccia tra le gambe. »
La battuta di Taruto le strappò un sorriso: « Ci ho provato. Ne è valsa la pena. »
Kisshu, ancora a marciare irrequieto alle sue spalle, ringhiò quando la vide sfiorarsi sovrappensiero lo sterno, dove svettava il livido provocatole da Kert quando lei aveva cercato di colpirlo, ma lei persistette ad andare avanti.
« Questo è tutto, direi. Come già detto, io ho parlato solo con Kert. Giusto poco prima di liberarmi, è spuntato quell’altro, il capo della banda. Ha detto qualcosa su una certa Espera, sul fatto che nemmeno lei riuscisse a respirare quando… ah sì, » aggiunse alla fine, stanca, « Kert sa fare un’altra cosa. In ambienti molto ristretti, può manipolare l’aria intorno a sé così da renderla irrespirabile, qualcosa del genere. Un altro giochetto che a fatto per tentare di rendermi più disposta a raccontargli cose. »
« Lo ammazzo. »
Sia Pai che Zakuro lanciarono uno sguardo d’avvertimento a Kisshu; il maggiore degli Ikisatashi poi si concentrò di nuovo su Minto: « Ogni altro dettaglio che pensi sia utile? »
« C’era un’altra… » la mora aggrottò la fronte mentre provava a ricordare gli ultimi istanti dentro quella casa, « Quando Rui è entrato, ha lasciato la porta aperta, loro erano tutti in corridoio, e c’era una figura in più che non mi pare aver riconosciuto. »
« Oh, perfetto, » Ichigo si lasciò andare a un gemito esagerato, « Ce ne mancava anche un’altra. »
« Quindi? » Kisshu si fermò di scatto e incrociò le braccia, « Cosa abbiamo intenzione di fare? Stare qui di nuovo ad aspettare che ci prendano ancora alla sprovvista? »
Keiichiro si scambiò un’occhiata d’intesa con Pai prima di rivolgersi all’alieno dai capelli verdi: « Credo sia giusto dare tempo a tutti di riprendersi. Anche durante l’ultimo scontro siete riusciti a – »
« Appunto. Approfittiamone e colpiamo. »
« Colpiamo dove, esattamente? » sbottò Pai, stanco, « Per tua informazione, ne sappiamo quanto prima. I nostri sistemi non sono ancora in grado di localizzarli. »
« Allora miglioriamoli. »
« Lo dici come se tu sapessi come, » s’intromise Ryou, anch’egli parecchio provato e innervosito dal comportamento ostile di Kisshu, « Ma a parte fare ancora più casino del solito, non mi pare tu sia riuscito a inventarti geniali soluzioni. »
« Non sono io il genio della situazione, giusto? » replicò con veleno l’altro, guardandolo rabbioso e continuando a parlare a denti stretti.
Ichigo si alzò e sventolò le mani: « Non litigate, » esclamò con forza, lanciando uno sguardo specialmente intenso al marito, « È già stato un pomeriggio non semplice. Ci serve coesione. »
« Ci serve un piano. »
« E penseremo al piano! » sbuffò sfinita, alzando gli occhi al cielo, « Non c’è altro, vero, Minto-chan? »
La mora pensò che fosse la maniera di Ichigo di dirle che le dava ragione rispetto alla discussione del giorno prima, che decisamente Kisshu non era nello stato mentale per venire a sapere altre cose, quindi si limitò ad annuire.
« Se mi venisse in mente qualcos’altro... »
Keiichiro le rivolse un altro sorriso incoraggiante: « Mi raccomando, Minto-san, non rimuginarci troppo. L’importante è che tu sia tornata a casa sana e salva. »
Kisshu ringhiò un’altra volta e fece per commentare probabilmente il suo disaccordo riguardo al “sana”, ma Zakuro s’intromise con un sorriso: « E dobbiamo festeggiare. »
« Oh, onee-sama, non lo so… » Minto si sfregò di nuovo i lividi che spuntavano dalle maniche della camicia, « Non sono molto in vena… »
« Dai, dai, nee-san, una cena tra di noi, » Purin si alzò e, di nuovo in barba a tutti i principi fondamentali della mora, circumnavigò il tavolo per andarla ad abbracciare, « Anche qui da te, senza sbatta. »
« Non capisco come si coniughino esattamente qui da me e senza sbatta. »
« Un pigiama party è super comodo. »
Minto guardò di nuovo Zakuro e il suo sorriso incoraggiante, e dopo qualche secondo annuì più convinta: « Vi va bene per le sette e mezza domani sera? »
 « Sììì, » Purin la stritolò un altro paio di istanti, praticamente facendole perdere due o tre decibel nell’orecchio destro, poi saltellò energica dalle altre, « Riunione regali! »
« D’accordo, la proseguiamo fuori, » anche Keiichiro si alzò e si scambiò uno sguardo d’intesa con la padrona di casa, « Riposati, Minto-san. E grazie per il tuo prezioso aiuto. So che non deve essere stato facile. »
Con un ultimo sorriso, e un giro concitato di saluti e promesse per il giorno dopo, li condusse quindi tutti verso l’uscita. La casa piombò nel solito silenzio assordante, e Minto percepì un brivido freddo di immensa stanchezza serpeggiarle giù per la schiena.
Avvertire anche Kisshu e la sua irrequietezza incombere per la sala non era certo d’aiuto.
Con un sospirò si alzò e si sfregò la fronte, ringraziando con un sorriso la cameriera che subito venne in soccorso a raccogliere tazze e piattini dal tavolo.
« Mi sembra tutto una stronzata. »
Minto dovette trattenersi dall’esalare a voce alta e intimò a Kisshu di tacere con un’occhiata glaciale, se non altro per le orecchie che era meglio non coinvolgere.
« Compiere azioni azzardate non è mai stata la scelta migliore, » si limitò a replicare a denti stretti, avviandosi a passo spedito verso la propria camera.
« Neanche aspettare che ci caschino le risposte in grembo! » replicò il ragazzo, seguendola, « O lasciarli buoni e comodi e – »
« Kisshu, per favore! » la mora si bloccò appena oltre l’entrata della stanza e alzò le mani in un gesto di stanchezza, « Hai sentito anche tu gli altri, i nostri sistemi sono bloccati e non abbiamo la maniera di rintracciarli, quindi per ora dobbiamo accettare la situazione così com’è. Non facevamo niente di molto diverso quando si trattava di voi. »
Un lampo sdegnoso attraversò le iridi dell’alieno, che sembrò fisicamente mordersi la lingua e prendere un secondo prima di parlare, mentre lei gli dava le spalle per l’ennesima volta in quella giornata e si avvicinava alla sua toeletta.
« Minto, » il sussurro le arrivò forte e risoluto, con una vena d’ira non indifferente e che la fece sussultare, « Quando dico che ti amo, voglio dire che farei qualsiasi cosa per te. »
La comprensione di ogni singolo significato di quella frase le causò nuovamente un tremore lungo la spina dorsale mentre immagini chiarissime le scorrevano davanti agli occhi. Non seppe neanche lei cosa le prese, pensò solo che l’ultima volta che avevano fatto l’amore le sembrasse lontanissima, e che c’erano cose che avrebbe solo voluto cancellare e in quel momento non aveva altra maniera di farlo.
Si voltò e gli prese il viso tra le mani, baciandolo senza dargli possibilità di replica; né sembrò che Kisshu stesse aspettando qualcosa di diverso, vista la foga con cui la ricambiò, stringendola così forte da spezzarle il fiato e cercando di accarezzare ogni singolo millimetro di lei che poteva raggiungere. Si spogliarono a vicenda con veemenza ancor prima di arrivare al letto, lei alla ricerca come sempre del calore del corpo di lui per infrangere un gelo che era dentro al suo petto e non c’entrava nulla con l’autunno.
Quando però Kisshu la stese sotto di sé e Minto socchiuse le palpebre per guardarlo mentre le scivolava dentro, il cuore le precipitò in gola e lei sussultò a incrociare i suoi occhi.
Occhi dorati.
Gli stessi che aveva visto in quella stanza, eppure così dissimili.
Gli stessi che l’avevano guardata mentre le vomitavano addosso veleno, gli stessi che l’avevano illusa di esserne uscita, gli stessi che l’avevano osservata con divertimento mentre l’aria l’abbandonava e i polmoni bruciavano, mentre…
Te l’ho già detto, passerotto: a me serve solo dimenticare, non mi importa di altro.
Portarti a letto è stato piacevole anche per toglierti di dosso quella smorfia da altezzosa che hai sempre. Sentirti pregare, per una volta, è stato così soddisfacente...
Gemette per tutte le ragioni sbagliate e cercò di camuffarlo strusciandosi contro di lui, ma Kisshu conosceva ogni millimetro del suo corpo alla perfezione e s’immobilizzò subito, preoccupato di averle sfiorato con un po’ troppa decisione uno dei lividi.
« Ti ho fatto male? »
Minto scosse la testa e poi, d’istinto, non riuscendo a sopportare quel velo di dubbio negli occhi dell’alieno, si voltò prona, artigliandoli al tempo stesso la mano.
Non bramava che il suo odore, il suo calore, il modo in cui la faceva sentire, ma al contempo non riusciva a guardarlo, a sopportare il suo sguardo preoccupato, a sostituire i ricordi che di nuovo le affollavano la mente con la sensazione vera e concreta di averlo lì.
Lo avvertì titubare, per una volta, riguardo alla sua scelta, nonostante non avesse mai formulato richieste particolarmente sdolcinate durante quei momenti, e la mora sollevò appena i fianchi, aumentando la stretta sulla sua mano.
« Kisshu, ti prego, » emise in un sospiro, « Stringimi e fai l’amore con me. »
« No, » con tono quasi dolorante, Kisshu si staccò da lei e si sedette sulle ginocchia, tentando di voltarla con cautela, « Non finché non mi dici cosa c’è. »
Minto dovette reprimere un mugolio: « Niente, » esalò, provando a suonare convincente mentre gli rivolgeva l’accenno di un sorriso da sopra la spalla, « Pensavo che – »
L’alieno le lanciò un’occhiataccia e fu meno gentile nel girarla, questa volta, così da guardarla in faccia: « Ne hai parlato prima, e d’accordo. Ma non ne hai parlato con me. »
La mora sentì il gelo farsi di nuovo spazio nello stomaco e afferrò il lenzuolo per coprirsi prima di mettersi seduta: « Ho detto tutto quello che dovevo dire, » esclamò lenta, per non fare tremare la voce, « Volevo solo… stare con te. Non pensarci, non renderla più grande di quanto non sia. È passato. »
« Così passato che non riesci nemmeno a guardarmi in faccia, » sputò lui, rimangiandosi le parole subito dopo quando l’avvertì ritrarsi un po’ di più e abbassare lo sguardo, colpevole.
Kisshu sospirò e si scostò i capelli dagli occhi, afferrandole poi la mano, « Tortorella, ascolta, » se la premette sul petto, lì dove la pelle si faceva spessa e deturpata, « Non è la stessa cosa, okay, ma io… so cosa vuol dire affrontare momenti davvero difficili. Non dico che tu debba continuare a parlarne, ma tenersi tutto dentro non… »
Minto quasi sillabò la frase successiva: « Abbiamo appena passato, che ne so, un’ora a parlarne. »
« Non prendermi per imbecille, » replicò lui di nuovo con un po’ troppo gelo, « Hai menzionato mezza situazione, e visto quanto cerchi di evitare il discorso, mi sembra lampante che ci sia qualcos’altro sotto. Qualcosa che proprio non vuoi dirmi. »
La ragazza ritrasse di scatto la mano ed emise uno strano verso dal naso mentre si alzava dal letto, portandosi dietro il lenzuolo: « Mi stai accusando di non avere il coraggio di dire le cose come stanno? Ho raccontato tutto, tutto il necessario, non so cosa tu voglia di più o… o cosa ti aspetti, perché – »
« Dovrei sapere come aiutarti. Insomma, Minto, guarda come sei ridot– »
« Lo sto continuando a ripetere, come aiutarmi! » strillò lei, quasi battendo il piede a terra, « Però non mi sembra che il messaggio sia recepito! »
Kisshu sospirò e alzò le mani in segno di arresa: « Voglio solo che tu stia bene, d’accordo? Perché non è così, ed è giusto che non lo sia. Nessuno si aspetta che tu stia bene ora, Minto, sono passati solo due cazzo di giorni. Però devi – »

« Non devo un bel niente, » replicò lei a voce stridula, « Sta a me decidere cosa fare o non fare. Capito? »
L’alieno si raggelò, poi la osservò un altro paio di istanti prima di annuire con estrema lentezza.
« Come vuoi. Se hai bisogno, sai dove trovarmi. »

Minto si sentì improvvisamente svuotata e sola quando lo vide alzarsi dal letto per rivestirsi; si strinse un po’ di più il lenzuolo attorno a sé e sospirò: « Kisshu, non… »
Lui sventolò una mano come a dirle di non preoccuparsi intanto che si rimetteva i pantaloni, poi le si avvicinò e le lasciò un bacio sulla fronte e una carezza del pollice sulla guancia.
« Vado a cercarti un regalo, » le mormorò, « Ci vediamo stasera, se ti va. »
La mora si limitò ad annuire, un groppo in gola di senso di colpa grande quanto una mela che le bloccava le parole, e Kisshu svanì con un soffio senza dirle altro.
 
 
 
 
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Non gli pareva che nessuno di loro fosse in realtà nel gran mood di festeggiare, ma Ryou aveva da tempo smesso di chiedersi quali fossero i meccanismi che condizionavano gli animi delle ragazze e le loro conseguenti interazioni.
Sicuramente il gelido riserbo di Kisshu, quella sera, così diverso dal suo carattere dirompente ed estroverso, non gridava allegria per quella festa improvvisata. E se lui si fosse messo a pensare alla mail che pareva far pesare il cellulare in tasca un paio di chili in più…
Come sempre quando si trattava di Minto, anche nei momenti in cui era palese non fosse molto in forma, la cena era stata elegante, ottima e abbondante, come se ci fossero state molto più che ventiquattr’ore di preparazione alle spalle; e nemmeno quello lo aveva stupito, dopotutto, ben abituato ai mirabolanti standard della famiglia Aizawa.
Anche Keiichiro era riuscito a rifinire una splendida torta a due piani alla crema chantilly, e Ryou si domandò se – in barba a tutta la scaramanzia – l’avesse iniziata a preparare con largo anticipo, sicuro che l’occasione si sarebbe presentata.
Retasu tagliò una fetta di dimensioni non indifferenti e la passò alla festeggiata, che con enorme soddisfazione del pasticcere, se la gustò decisa, nonostante fosse già il bis.
« Quindi adesso la onee-san può bere negli Stati Uniti, » commentò Purin, divorando lei stessa una seconda fetta più grossa della prima, « Potresti organizzare un bel viaggio quando sarà anche il mio turno, onii-san. »
Ryou alzò solo un sopracciglio, un fastidioso ronzio all’orecchio al soggetto: « Stai già mettendo le mani avanti, noto. »
« Metti che tu e Ichigo onee-san vogliate mettere in cantiere un altro bebè, bisogna organizzarsi per tempo! »
« Purin, ti prego, » gemette la rossa, guardandola sconvolta, « Per ora basta Kimberly, che non dorme da due notti. »
« Il tuo peggiore incubo, Momomiya. »
Lanciò uno sguardo infastidito a Minto e poi le rivolse una linguaccia: « Non dico niente solo perché è il tuo compleanno e voglio essere carina. »
« Era anche il mio compleanno quando l’hai scoperto, un anno fa, sicuri che non ci sia un’altra sorpresina? »
« E smettila! »
Una risatina si levò dal gruppo, puntellata dal rumore delle forchettine contro la ceramica, e Ryou controllò di nascosto un’altra volta l’app di e-mail sul cellulare. Per la East Coast era ancora mattina presto, ma se qualcuno si fosse svegliato particolarmente volenteroso…
Forse avrebbe dovuto smetterla di manifestare così intensamente – o gufare – perché il telefono prese a vibrargli intensamente in mano, un numero parecchio familiare che riempì lo schermo.
Si scambiò solo un’occhiata d’intesa con Keiichiro, ignorando invece quella interrogativa e leggermente irritata di Ichigo, e si alzò per uscire in corridoio, così da poter parlare liberamente. La moglie non era ancora in grado di capire del tutto quando lui entrava in modalità completamente madrelingua, ma preferiva essere prudente, soprattutto conoscendo il caratterino della rossa.
La ragazza in questione, infatti, non si esimette dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffare, parlando piano verso Zakuro: « Possibile che non sappia smettere di lavorare? »
La modella le versò un altro po’ di champagne: « Non sarebbe il Ryou che conosci, in quel caso. »
« Ma almeno a una cena di compleanno! »
« Dai, nee-san, almeno non è la tua. »
Lei arricciò il naso verso Purin: « Grazie del supporto. »
« Dite che il nii-san la finisce quella fetta? »
L’intera torta venne spazzolata intanto che Shirogane terminava la sua telefonata, a cui dopo un po’ si aggiunse Keiichiro, strappando un altro po’ di sonori mugugni da parte della compagnia. Col dolce terminato, e gli altri due in separata sede, Pai ne approfittò per controllare l’orologio e guardare Retasu.
« Mi sembra di capire che la festa stia terminando. »
Kisshu, spaparanzato in maniera poco elegante su una delle poltrone, lo osservò con un sopracciglio alzato: « Non sia mai che ti diverti troppo, tu. »
« Preferisco non arrecare troppo disturbo, io. »
Il fratello fece schioccare la lingua in maniera ironica, e Zakuro s’intromise con lo studiato sorriso di circostanza: « Magari è meglio far riposare Minto. »
La mora esalò piano, palesemente non entusiasta all’idea di rimanere da sola ma al tempo stesso chiaramente esausta: « Grazie per essere venuti. I regali sono bellissimi. »
Purin, accoccolata accanto a lei, la strinse: « Invecchi bene, onee-san. »
« Ma dai! »
I due americani tornarono in stanza, uno di loro con una faccia che a Zakuro non preannunciava niente di buono, così la modella si prodigò a raggruppare tutti per farli uscire il più celermente possibile.
« Facciamo un pigiama party presto, promesso, » Minto salutò le amiche sulla soglia, di nuovo non estraendosi troppo presto dai loro abbracci.
« Guarda che me lo segno. »
« Momomiya, come se tu avessi bisogno degli inviti. »
Ichigo le fece l’ennesima linguaccia prima di avviarsi lungo il vialetto illuminato di luce soffusa, incominciando a bofonchiare con Shirogane. Minto la osservò per un istante con un sorrisetto intenerito, poi si voltò verso Kisshu, che si era poggiato alla porta socchiusa.
« Anche quest’anno, niente candeline. »
Lei sbuffò divertita e alzò gli occhi al cielo mentre scuoteva la testa: « Questa è proprio una fissazione. »
« È divertente, » la prese in giro lui, togliendo una mano dalla tasca del giubbotto di jeans per attorcigliarsi un boccolo nero attorno al dito, « E te l’ho detto che il tuo compleanno ti intenerisce. Guarda quanti abbracci hai dato. »
« Sei geloso? »
« Sempre, » Kisshu rispose a tono all’ironia e poi spostò il palmo sul suo viso, accarezzandole lento la gota, « Un anno fa ti ho baciato per la prima volta. »
Minto avvertì il ventre frullarle alla voce roca con cui mormorò, al ricordo di quel bacio inaspettato: « Lo so. C’ero anch’io. »
L’alieno sbuffò divertito e poi roteò gli occhi: « Concedimeli cinque secondi di romanticismo, tortorella, almeno nelle occasioni speciali. »
« Un compleanno non è così speciale. »
« Pensavo di più a una cosa come l’anniversario. »
« Ma oggi non è il nostro anniversario. »
« E figuriamoci, » Kisshu la canzonò ancora e si avvicinò di un passo, « Sentiamo, allora quando si confà che sia? »
Minto arricciò il naso ma decise di stare al gioco; aprì la bocca per rispondere convinta che quella mattina di fine dicembre le sembrava molto più appropriata, quando un crampo le prese lo stomaco a tutte le versioni del ricordo che le ripassarono in mente, insieme alle mezze verità, a quelle che ancora non le andavano giù, al pensiero di tutto il tempo perduto per questioni diverse e per motivi differenti. Kisshu dovette accorgersi di qualcosa, perché la mano sulla sua guancia si contrasse per un istante e anche il suo viso si fece più duro.
Lei scosse la testa e inspirò piano, abbozzando un sorriso tremolante: « Ci penserò, » glissò, pur sapendo che era la risposta sbagliata e pregando che gli bastasse lo stesso, che potesse leggere oltre quelle due parole.
L’alieno la studiò per un paio di secondi, immobile, e lasciò cadere la mano con uno sbuffo: « Zero romanticismo, tortorella. »
La mora sorrise ancora e inalò l’aria fredda che filtrava dalla porta ancora aperta per reprimere le emozioni contrastanti che le si affollavano dentro e poter decidere come procedere.
« Sono effettivamente esausta, » mormorò poi, fissandogli più il colletto del giacchetto che il viso, ma gli afferrò comunque le dita, « Perché non rimani a dormire? »
Le sembrò che un peso non indifferente si levasse dalle spalle del ragazzo, quindi passando a lei ancor più senso di colpa, ma Kisshu si limitò a chiudere l’uscio prima di intrecciare le dita con le sue.
« Niente cane, però. »
« Mickey. »
« Il cane. »
« Dorme con me da più tempo di te, sai. »
« Appunto, è ora che si levi dalle palle. »
« Kisshu! »
 
 
 
 
Ichigo non era mai stata sottile, ma pure Ryou, dopo un po’, diventava un libro aperto, soprattutto se di malumore, quindi non si stupì più di tanto quando la moglie lo prese di petto non appena si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
Kimberly dormiva dai nonni, perciò la rossa ebbe tutta la libertà di mettersi le mani sui fianchi e parlare con il tono di voce agguerrito della sua adolescenza: « Si può sapere che avevi di tanto importante da dire al telefono mentre eravamo a cena? »
Shirogane s’impose di contare fino a dieci, ben sapendo che sarebbe passato dalla parte del torto non appena avesse aperto bocca.
« Il fuso orario, Ichigo, » esclamò pacato, « A volte non ho molte possibilità di scelta su quando essere contattato. »
La rossa ci rimuginò un po’ sopra, poi spinse comunque avanti il mento: « Quindi? C’è qualcosa che non va? Di solito ti mandano solo messaggi. »
L’americano sciorinò nella sua mente tutte le possibilità che aveva di recapitare le novità. Forse la stava facendo solo più grossa di quella che era, Ichigo si era sempre dimostrata molto comprensiva, ed era una cosa fuori dal comune, non certo una ricorrenza già accaduta. Forse si stava solo fasciando la testa prima di essersela rotta.
Sospirò e si appoggiò a un mobile dell’ingresso, scompigliandosi i capelli prima di spiegare: «  Ti ricordi che quando siamo tornati, ti ho raccontato che stavamo cercando dei soci per supportare il nuovo progetto? »(*)
Ichigo si sforzò di fare mente locale: « Sì, ma era più di un anno e mezzo fa… »
Lui annuì: « Ci abbiamo messo un po’ a trovarne qualcuno di abbastanza convinto e al tempo stesso solido, e che sembrasse affidabile. Solo che ora dobbiamo passare a una nuova fase più attiva del progetto, e i nostri nuovi soci vorrebbero incontrarci di persona, invece che solo su videoconferenze. »
Di nuovo, la rossa assimilò il discorso con calma, iniziando a perdere la pazienza per i giri di parole che sembravano voler evitare il punto: « … e quindi? »
« Quindi, avrei un volo prenotato per dopodomani. »
Scese il silenzio totale mentre Ichigo continuava a scrutarlo come se gli fosse cresciuta una seconda testa, e lui proseguì, nel tentativo di risollevare l’atmosfera.
« Si tratta solo di un paio di settimane, massimo tre. Giusto per incontrare tutti, firmare i documenti necessari, mettere in piedi i prossimi processi e assicurarci che tutto funzioni anche da remoto. »
Ichigo incrociò le braccia al petto e sembrò annuire: « Perciò… tutto così, all’improvviso. Non molto amichevoli, questi soci, sapendo che sei dall’altra parte del mondo. »
Ryou poté già avvertire i timpani dolergli: « Non proprio. Ne avevamo parlato, ma non era stato confermato nulla, ancora, e… »
Un fuoco che conosceva bene si accese nelle iridi della ragazza: « Lo sapevi… e hai deciso di parlarmene quando era già tutto pronto? »
« Te l’ho detto appena ne ho avuto conferma, » ribatté  lui, « Era inutile starsi a preoccupare se – »
« Oh, andiamo, Shirogane,  di nuovo! » strillò la rossa, battendo un piede a terra, « E ti sembra meglio dirmi il giorno prima che devi andare oltreoceano a tredici ore di fuso, per tre settimane?! Mentre siamo di nuovo affrontando una battaglia intergalattica con degli alieni che hanno appena rapito e torturato la mia migliore amica!? Con in più una neonata da badare a casa?! Io cosa mi dovrei inventare esattamente adesso?! »
La parte più razionale di lui avrebbe voluto rispondere che aveva ben poco da fare rispetto alla nuova minaccia aliena, anche perché non era certo una scusa che avrebbe potuto sbandierare ai colleghi, ma sapeva che qualsiasi cosa avrebbe solo peggiorato la situazione.
« I know, I know, you’re right, » tentò di risolvere, avvicinandosi a lei, « Ma sarà per pochissimo, non c’è bisogno di preoccuparsi. Andrò solo io, quindi Keiichiro può – »
« Akasaka-san non è mio marito né il padre di mia figlia, » rimbeccò subito lei, gli occhi lucidi, « E te l’avevo già detto. Io sono tua moglie, Shirogane, e mi devi dire le cose! In anticipo! »
« Ichigo, non mi sembra così grave, è solo un viaggio di lavo – »
« Masaya aveva detto la stessa cosa, » Ichigo parlò con voce tremula e lo guardò con rabbia, « Che era solo uno scambio. Che sarebbe durato poco. E non eravamo sposati, né stavamo combattendo, né avevamo una bambina da accudire. E sia ben chiaro, Shirogane, io non ho intenzione, per nulla, di intraprendere un’altra relazione a distanza, per quanto poco tempo sia. »
Shirogane la guardò spiazzato; avrebbe voluto ribattere che stava esagerando, che le cose non erano per niente comparabili, che non si era neanche mai posto il dubbio di una relazione a distanza e che piuttosto avrebbe mollato le redini dei suoi affari. Non riuscì a dire nulla di tutto ciò, perché Ichigo fece dietrofront e marciò su per le scale, chiudendo la porta della camera da letto con un tonfo assordante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Capitolo uno, Together again

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Capitolo 17
*** See how deep the bullet lies ***


Chapter Seventeen – See how deep the bullet lies

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« Continuo a non essere convinto di questa cosa. »
Per l’ennesima volta, Kisshu si tormentò il farfallino dell’uniforme, studiandosi allo specchio con un’espressione assai inappagata.
« Be’ vedi di fartelo andare bene, » gli sbottò contro Ichigo, passandogli alle spalle con una scatola di camicie di scorta, « Anche perché qua funziona così, non abbiamo bisogno del tuo convincimento per fare qualcosa. »
L’alieno le lanciò un’occhiata stizzosa: « Ohi, micetta, stiamo calmini eh. Siamo un po’ su di giri causa mancanza del biondo? »
« Oh, sta’ zitto. »
Lui si scambiò uno sguardo con Purin, che scosse la testa in maniera d’avviso mentre ricominciava a riempire i porta-salviette.
« Hai parlato con Shirogane nii-san, nee-san? »
Ichigo alzò gli occhi al cielo mentre smollava un’altra scatola su un tavolo con un tonfo e l’apriva con rabbia: « Certo che ci ho parlato, è mio marito. »
« Buono a sapersi, vista l’attitudine. »
« Kisshu, ho delle forbici in mano e non ho paura di usarle. »
L’alieno rivolse un’altra occhiata alla mewscimmia, che gli intimò di tacere con un’occhiataccia nonostante il sorrisetto divertito.
« Come sta? »
« Non vedo perché preoccuparsi per lui, » continuò a sbottare la rossa, « Non è lui quello che è rimasto a casa con una neonata, dei nemici di un altro mondo, gli ormoni a mille e pure un Caffè da riaprire. »
« Dai, nee-chan, scommetto che gli mancate un sacco e si sta preoccupando. E torna tra qualche giorno, no? »
« Lo spero ben per lui, visto che il “paio di settimane” effettivamente sono tre. »
« Non che lo possiamo biasimare per la settimana extra, con tutta la comprensione che circola qua. »
« Kisshu! » le due ragazze lo esclamarono all’unisono pur con due toni differenti, e Ichigo lo guardò come se potesse strozzarlo con la forza del pensiero.
« È inutile che fai lo spiritoso, sai! E pensa piuttosto alla tua, di relazione, dato che certo non sei il genio delle coppie. »
L’alieno si gelò di colpo e il suo viso si rabbuiò a quella frecciatina totalmente ingiustificata, mentre la rossa marciava borbottando di nuovo verso il magazzino per recuperare tutto il necessario alla pronta re-inaugurazione del Caffè. Purin, invece, gli andò accanto e gli diede qualche affettuoso colpetto sulla schiena:
« Lascia perdere, lo sai che con la nee-chan è impossibile discutere quando è così. Però tu devi imparare a non ribattere, eh. »
« Si influenzano a vicenda, mi pare, » rimbrottò lui, strappandosi definitivamente il papillon dal collo, « E si deve fare i cazzi suoi. »
La biondina lo guardò divertita e gli fece un’ultima carezza alla schiena: « Ecco, applica il tuo stesso consiglio. »
« Di solito stai dalla mia parte. »
« Ma infatti lo dico per te. To’, porta questi di là, sono avanzati, » gli mise in mano le salviettine che non avevano trovato posto nei portatovaglioli e gli indicò la cucina, « E benvenuto ufficialmente nello staff del Caffè. »
« Guarda, non stavo nella pelle. »
Lei rise e scosse la testa, avviandosi lungo il corridoio per recuperare gli utensili da pulizia. Come ideato da Keiichiro, per far sì che il tattico cambiamento di personale si svolgesse nella maniera più facile possibile, il Caffè era stato chiuso all’incirca un mese per “importanti lavori di riparazione al sistema idraulico”; le cameriere non appartenenti alle Mew Mew erano state raccomandate ad altri locali della città, attraverso la fitta rete di contatti di Akasaka, così da “non arrecare loro disagio visti i lunghi tempi di attesa”, e il loro posto sarebbe stato occupato dai tre Ikisatashi, in modo da poter essere liberi di scattare alla minima necessità.
Sia Kisshu che Pai avevano, nelle ultime due settimane quando la veridicità di quella proposta si era fatta sempre più concreta, opposto estrema resistenza: l’uno perché preso dal suo desiderio di vendetta che smorzava mangiandoli, i dolci, e ben poco predisposto a dover sciogliersi in salamelecchi; l’altro perché non vedeva la necessità di essere distratto da ben più fondamentali compiti, quali il miglioramento dei loro sistemi di rilevamento e protezione.
Solo Taruto aveva accolto la novità con un atteggiamento più propositivo, seppur lui stesso non molto convinto di dover avere a che fare, per la maggior parte, con ragazzine esagitate e coppiette melense: il fratello dagli occhi dorati, però, continuava a rimbrottargli che lo facesse solamente per mancanza di cose migliori a cui pensare e per la costante presenza, invece, di un paio di toniche gambe che spuntavano da una corta gonnellina gialla. Come poche volte nella vita, d’altro canto, il minore dei tre alieni si risparmiava di fargli notare come tutto quel suo pessimo umore degli ultimi tempi fosse provocato dal problema opposto.
Minto e Zakuro, infatti, erano di nuovo delle rare apparizioni al locale: la prima soprattutto aveva ripreso la propria vita come se nulla fosse, anzi, forse caricandosi di impegni più del solito – cosa di cui l’alieno dai capelli verdi non riusciva a non soffrire, sentendosi come se non riuscisse a passare del reale tempo con lei.
E poi c’era anche quell’altro piccolo particolare che…
« Si può sapere cos’è questo macello? » Pai salì le scale del laboratorio e si guardò intorno infastidito, « Qui c’è chi sta cercando di lavorare. »
Kisshu lo trucidò con lo sguardo: « Ti sembro uno che si sta divertendo? »
« Mi sembri uno che trae diletto dall’infastidire Momomiya, così che poi lei infastidisca tutti, » replicò il maggiore con criticismo.
L’altro fece schioccare la lingua e accennò alla scatola di camicie: « Guarda che ce n’è anche per te, sai. Non credere di riuscire a scampartela. »
L’espressione di Pai non mutò: « Ho cose più importanti a cui pensare. Ad esempio, ai nostri nuovi sistemi di protezione. Dove sono gli altri? »
Kisshu si strinse nelle spalle, riappoggiando le salviettine su uno dei tavoli prima di cacciarsi il farfallino in tasca e iniziare a sbottonarsi l’uniforme: « Qua ci sono solo la scimmietta e la gattina, e Akasaka in cucina a darci dentro per domani. Retasu sarà a lezione, no? »
« E Taruto? »
« A fare rapporto. Non che io capisca a cosa serva, visto che nessuno ha intenzione di darci una mano. »
Pai gli diede un’altra scorsa poco convinta, poi estrasse un piccolo apparecchio dalla tasca: « Vallo a chiamare. Dovrei essere riuscito a trovare una soluzione per le sue barriere. »
« Oh, ma vallo a chiamare tu. Non è che perché adesso devo fingere di fare il cameriere che potete darmi tutti ordini! »
La vena sulla fronte del maggiore pulsò pericolosamente: « Preferisci andare tu a chiamare tutte le Mew Mew? »
Kisshu fece una strana smorfia, lanciò uno sguardo verso la cucina, e poi con un ultimo borbottio scontento si teletrasportò via, lasciando che Pai scuotesse la testa sconsolato.
Circa mezz’ora dopo, tra i magnifici effluvi che si alzavano dai forni in funzione, l’intero gruppo si ritrovò in cucina, chi fisicamente e con ancora i musi lunghi – come Ichigo e Kisshu – e chi invece connesso attraverso cellulari e laptop – come Minto e Retasu.
« La onee-sama è nel bel mezzo di una scena, l’aggiorno io dopo, » esclamò la mora, infatti, parlando sottovoce e continuando a guardare alla sua sinistra, verso l’entrata del set, « Però cerchiamo di sbrigarci, non posso disturbare. »
« Sì, anch’io ho solo una pausa veloce! »
Pai sembrò prendere più sul serio il commento della sua ragazza che quello dell’amica; perciò, annuì e posò l’oggetto sul tavolo, un piccolo disco non più grande di un portachiavi con sopra una piccola cupoletta tonda.
Prima di parlare però, rivolse lo sguardo a Ichigo: « Shirogane? »
Lei, a braccia incrociate, si limitò a scrollare le spalle: « Fuso orario. Lo saprà poi. Quindi? »
L’alieno rimase impassibile e parlò, invece, a suo fratello minore: « Dovrei essere riuscito a trovare il sistema di stabilizzare le tue barriere, con questo. »
« Strafigo, nii-san! » commentò subito Purin, avvicinandosi per curiosare con il disco grigio scuro, « E come funziona? »
« È come se fosse un piccolo ripetitore. Riesce a captare gli impulsi emessi dalle barriere di Taruto e sostenerli, finché non gli viene inviato un ordine di spegnimento. Devo controllarne il raggio e la durata, e ne serviranno almeno due per ogni luogo che vogliamo proteggere, ma potrebbe essere un buon punto di partenza. »
Keiichiro annuì e, dopo un muto cenno d’assenso da parte del suo ideatore, si allungò per prendere in mano il ripetitore: « E ovviamente non impedisce movimenti e non è da noi tracciabile? »
« Esatto. A meno che io non vi dia i dettagli. Per quanto riguarda i Geoti… a questo punto non voglio perdere troppo le speranze. »
« Quanto ti ci vuole a ricrearne a sufficienza? »
« Vorrei testare questo, prima di tutto, » rispose a Kisshu, « E perfezionare il modello, se ce n’è bisogno. Poi non dovrebbe essere troppo complesso. »
« Il nii-san ha trovato la maniera di sottrarsi al lavoro sporco. »
Ichigo non trovò la battuta di Purin minimamente divertente: « Essere a corto di personale non è una meraviglia. »
« Da che pulpito, Momomiya. Come se la prima propositrice del licenziamento delle altre non fossi stata tu, per motivi completamente personali. »
« Perché non vieni qui invece di fare tanto la simpatica, » sbottò contro Minto, « Non che il tuo contributo si noterebbe poi così tanto! »
« Troveremo sicuramente una soluzione, Ichigo-chan, » cercò di tranquillizzarla Keiichiro con un sorriso prima che il battibecco degenerasse troppo, « E grazie per questo, Pai-san. Sono convinto che dormiremo tutti sonni più tranquilli così. »
« Iniziamo dalla barriera qui? » domandò Taruto, poi si grattò la nuca, « Potrebbe essere utile, sta cominciando a non essere facile da sostenere. »
« Okay, quindi abbiamo finito? » la voce di Minto gracchiò, « Devo rientrare, e se non c’è niente da parte nostra… »
« Dovremmo parlare di ricominciare i nostri allenamenti, » riprese Pai, scatenando un’ondata di mugolii scontenti, « Bisogna essere costanti, altrimenti – »
« Appena mio marito torna e può stare lui con la bambina, ci pensiamo, » sibilò Ichigo, « Nel frattempo ho già abbastanza cose a cui pensare. »
« Sono due settimane che i Geoti non attaccano, non possiamo – »
« Intanto riapriamo sto benedetto Caffè, poi vediamo. »
« Momomiya – »
« Ikisatashi. »
Il sopracciglio dell’alieno tremolò alla presa in giro, e Taruto fu abbastanza svelto da infilarsi tra i due.
« Okay, andiamo a provare questo coso per le barriere. Non vi serve una mano per domani, vero? »
« No, » Ichigo sorrise fintamente zuccherosa e piegò appena la testa verso Kisshu, « Abbiamo tutto il volenteroso aiuto che ci serve. »
« Per domani gatto al forno sul menù. »
Il nome di Kisshu rimbombò in un ammonimento in cinque voci diverse per la cucina, mentre Pai scuoteva la testa e faceva dietrofront il più velocemente possibile.
 
 
 
 
Il borbottio della pentola ancora sul fuoco faceva da piacevole sottofondo alla cena, accompagnato dal tintinnio delle posate contro i piatti, come in una qualsiasi occasione casalinga; la conversazione, invece, sembrava non riuscire a divergere dalle congetture sui nemici e sulle maniere differenti in cui affrontarle.
La spalla aveva finalmente cessato di cigolargli, e Kert aveva particolarmente voglia di ributtarsi nella mischia e ripagare Kisshu con la sua stessa moneta: gli veniva davvero difficile tenere a bada l’orgoglio, ferito tanto quanto le sue articolazioni.
Si stava distraendo, però, tra una cucchiaiata e l’altra – Pharart aveva probabilmente impegnato l’attesa a sperimentare tra i fornelli, perché numi, era buono quell’intruglio – a studiare Espera, quella sera ancora più silenziosa del solito. Il viso tondo della ragazza gli pareva ancora più pallido, e il mignolo della mano sinistra, poggiata sul tavolo, ogni tanto fremeva, come colpito da un tic. Se n’era sicuramente accorto suo fratello, perché da destrimane qual era, stava invece impugnando la posata con la sinistra, così che il palmo libero potesse posarsi sulla schiena della ragazza e lì accarezzarla.
Kert s’impose di mantenere un’espressione neutra solo per non istigare la solita discussione con i suoi compagni di brigata, apparentemente non disturbati da queste continue interruzioni al loro incarico. Capiva che Espera andasse loro più a genio di quanto potesse dire lui, ma invece non concepiva come non fossero frustrati dai tempi d’attesa che andavano dilatandosi e dai vari aggiustamenti che dovevano apporre vista la di lei presenza.
Cosa diavolo c’era che lui effettivamente non capiva di lei?
Quel pensiero gliene veicolò direttamente un altro, che lo tormentava da prima che la missione addirittura cominciasse, da quella conversazione che aveva origliato a casa Seles.
Ora che l’aveva lì davanti agli occhi, ora che si erano accertati di cosa potesse combinare…
No, non ne era convinto. Non lo era mai stato, e tutta quella situazione non faceva che solidificare i suoi quesiti.
Era tutto troppo importante perché ci si potesse permettere anche il minimo errore.
« Ti ho tolto le parole di bocca, eh? » Pharart, seduto accanto a lui, gli diede una gomitata tra le costole che un po’ lo fece sbuffare, « Te l’ho detto che mi sono superato, stasera! »
« Preparalo in abbondanza, abbiamo trovato una maniera di spegnerlo. »
« Ah-ah-ah, » Kert fece una smorfia al fratello minore dopo quella battuta, « Non ti conviene che il tuo secondo in comando sia spento. »
« Dai, fratellone, fallo un sorriso una volta tanto. »
« Sì, sei così carino quando sorridi! »
« Pharart, dillo che vuoi un cazzotto in bocca. »
Tutti scoppiarono a ridere, Seles compresa, e Kert si rilassò un po’ di più sulla sedia, nonostante quel fastidioso pensiero che continuò a pizzicargli un angolo del cervello.
 
 
 
 
Quando finalmente Taruto riuscì a buttarsi sul letto, a fine serata, non si risparmiò un lungo sospiro. Abituarsi ai nuovi ritmi del Caffè non era facile, e Pai l’aveva letteralmente spremuto con tutte le prove per testare la stabilità del suo nuovo congegno. Quasi non aveva la forza di muovere nemmeno il dito mignolo per afferrare il cellulare e mandare un messaggino a Purin.
La porta della camera si aprì prima che potesse effettivamente raccogliere le ultime energie, e alzò appena il mento per osservare Kisshu che rientrava.
« E tu che ci fai qui? » lo canzonò subito il fratello maggiore, « Pensavo che la scimmietta avesse il monopolio delle tue notti. »
« Potrei farti la stessa domanda, » rimbeccò l’altro.
Kisshu si strinse nelle spalle: « La tortorella era impegnata, e io sono esausto. Se oggi è stato solo un preannuncio di cosa ci toccherà domani… »
Taruto lo seguì con lo sguardo e poggiò la testa contro al palmo per guardarlo meglio: « Tutto okay? »
« Potrei farti la stessa domanda, » lo prese in giro il più grande, con un ghignetto sarcastico, « Non hai avuto molte occasioni di aggiornarmi. » 
Un vago rossore si sparse per le guance del minore: « Perché non sono fattacci tuoi. »
« A parte che tenere una cosa come questa nascosta, in questo gruppo, è quasi impossibile, quindi ringrazia che non l’abbiamo saputo in diretta, ma poi scusami, vorrei sapere se tutti i miei trucchi, lezioni di vita e consigli sono stati adeguatamente applicati. »
« Ma va’ a quel paese. »
« D’accordo, allora chiedo alla scimmietta, poi però non ti lamentare se – oh! »
Il cuscino di Taruto lo centrò in pieno, ma entrambi si misero a ridere sommessi, e Kisshu si sedette sul letto esalando e scompigliandosi i capelli.
« Come sta Minto? »
Evitò lo sguardo del fratello, nonostante il tono casuale della domanda, e cincischiò con la coperta: « Sta, direi. »
« Diresti? »
« Hai mai provato a cavarle più di cinque parole di bocca, quando non vuole parlare di qualcosa? » rispose sarcastico e amaro, « E più insisti, più si chiude a riccio, quindi. »
Taruto passò a fissare il soffitto: « Anche tu eri ben testardo, dopo il nostro ritorno a Duuar. »
« Grazie, sei d’aiuto. »
« O anche mentre Minto… non c’era, se è per questo, » insistette « Ora che ci penso, la quantità di gente con un pessimo carattere in questo gruppo è spaventosamente alta. »
« Perché tu invece sei liscio come l’olio. »
« Sono sicuramente più paziente di te. E più simpatico di Pai. »
Kisshu sorrise a trentadue denti e guardò la parete dietro ai loro letti: « La pesciolina un giorno verrà fatta santa. »
Taruto si assestò ancora nel letto sogghignando, e passarono pochi istanti di silenzio prima che domandasse: « Quando… quanto ci hai messo a capire che ti eri innamorato di Minto? »
« Pfff, » anche l’altro si stese, in una posa molto simile alla sua, « Tu non hai niente da capire. Si vede lontano un miglio che sei cotto della scimmietta e da un pezzo. Che tu non abbia le palle per dirglielo nonostante tutto, è un altro discorso. »
« Oh, e rispondi però, visto che rompi così tanto le palle sulle lezioni di vita! »
Kisshu si strofinò sovrappensiero il petto, studiando una ragnatela nell’angolo del soffitto: « Con Ichigo è stato immediato, e… dilaniante, come una bomba che scoppiava. Con Minto è stato tutto diverso – se solo provi a dirle una parola di questo ti ammazzo, sei avvisato, » s’interruppe lanciandogli un’occhiataccia e riprese solo quando Taruto gli fece il saluto militare, « È stato come… be’, lo capirai più di me, come piantare un seme senza sapere che pianta fosse e veder crescere un baobab. »
« Romantico. »
« Sei tu che fai domande da ragazza! » Kisshu rise quando il fratello gli fece il dito medio, poi continuò a bassa voce, « E comunque, Purin non è Minto. Io ho aspettato a dirglielo perché avevo paura che scappasse, che si sentisse in dovere di lasciarsi andare prima di quando volesse. La scimmietta decisamente non è così – anzi, probabilmente tra poco ti verrà pure a chiedere. »
Un sottile sorriso si dipinse sulle labbra di Taruto: « Lo so. »
Il maggiore ghignò divertito, ripiegando entrambe le braccia dietro alla testa. All’improvviso, quel senso di inquietudine che l’aveva accompagnato negli ultimi quindici giorni si ripresentò ineffabile, e lui si tirò a sedere, colto dalla necessità di assicurarsi – ancora – che la mewbird stesse bene.
« Dove vai? » gli domandò Taruto, preso alla sprovvista.
« Dalla tortorella, » rispose lui, riacciuffando la felpa che aveva abbandonato ai piedi del letto, « Vedo se è tornata. Tanto non devo essere qui fino a dopo pranzo, domani, no? »
Suo fratello fece una smorfia come per protestare, visto ciò che gli aveva detto prima, ma poi si limitò ad annuire e augurargli sottovoce la buonanotte, e Kisshu si teletrasportò con un cenno della mano.
Quando arrivò sul familiare balcone di villa Aizawa, vide le luci della camera accese attraverso le tende accuratamente tirate. Minto doveva quindi essere rientrata, ma non gli arrivò nessuna risposta dopo che ebbe bussato leggero al vetro un paio di volte.
Che si sia già addormentata? si domandò confuso, cercando di sbirciare dentro la stanza. In quel caso, non avrebbe voluto svegliarla, tantomeno di soprassalto, ma non gli sarebbe certo bastato basarsi solo sull’aspetto dell’abitazione dall’esterno.
Quanto più silenzioso possibile, comparve all’interno della camera, fluttuando a pochi centimetri da terra così da non provocare nemmeno il più sottile tonfo. Minto stava effettivamente dormendo, abbozzolata tra le coperte; neanche a dirsi, Mickey sbucò dall’incavo delle sue braccia quando si accorse della presenza dell’alieno, ma si concesse solo di scodinzolare un po' con la linguetta di fuori.
Kisshu ponderò sul da farsi: si era accertato che stesse bene, d’accordo, ed era incredibilmente egoista svegliarla, ben conscio che ultimamente i suoi sonni non erano molto tranquilli – doveva anche essersi addormentata all’improvviso, viste tutte le luci accese. Al tempo stesso, ultimamente gli pareva che riuscissero a ritagliarsi un istante solo loro due unicamente di sera, e anche quando non distratta dalla quotidianità che – giustamente – bramava così tanto adesso, Minto era sempre un po’… sfuggevole.
Volò fino al suo lato del letto, il cagnolino che lo fissò con entusiasmo, riaccucciandosi giù quasi a dirgli di non preoccuparsi, e lui le accarezzò piano il viso, scostandole una ciocca sfuggita alla crocchia morbida con cui dormiva sempre.
« Dormi bene, tortorella, » sussurrò, posandole un bacio sulla testa.
La ragazza nemmeno si mosse, continuando a riposare placida; Kisshu la osservò ancora un altro istante, ascoltando il ritmo profondo e regolare del suo respiro, poi spinse l’interruttore della luce e volò via non appena la stanza piombò nel buio.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Espera si massaggiò le tempie con i polpastrelli, socchiudendo gli occhi e deglutendo piano nel tentativo di placare lo stomaco. Quell’emicrania la stava devastando, e il persistente fischio che percepiva nelle orecchie era la ciliegina sulla torta.
Cercò però di non darlo a vedere: i suoi quattro compagni stavano borbottando tra di loro davanti a lei, in piedi a rivedere ancora i filmati dell’ultimo scontro con le umane per tentare di capire la dinamica di quello strano animale che le aveva accompagnate, e l’ultima cosa che lei desiderava era distrarre di nuovo Rui con il suo malessere. Lui si preoccupava sempre troppo per lei, e soprattutto smetteva di prestare attenzione al suo incarico; non avrebbe sopportato, quel giorno, di vedere ancora l’angoscia nei suoi occhi blu.
« Dovremmo catturarne un esemplare e studiarlo, » stava dicendo in quel momento Zaur, allargando con le dita l’immagine di quell’essere luminoso in mano a uno dei Duuariani, « Devono aver effettuato qualche specie di innesto. »
« Dobbiamo essere sicuri che sia sicuro da maneggiare, » replicò Rui, « Non conoscendone le proprietà, potrebbe essere come portarci una bomba in casa. »
« Ed è un essere vivente, potrebbe essere tossico, o - »
Espera smise di ascoltare, o meglio, smise di provare a sovrastare il sibilo che le stava spaccando la testa a metà. Doveva resistere ancora per poco, avrebbe trovato la scusa perfetta appena dopo pranzo, nessuno si sarebbe incuriosito troppo se fosse andata a stendersi per riposarsi.
Il solo pensiero di cibo le provocò una tale capriola in ventre che temette avrebbe rigettato direttamente lì nel salone, davanti a tutti.
« D’accordo, andiamo adesso, così che – Espera? »
Lei si raddrizzò di scatto alla domanda di Rui, e stese un sorriso il più sincero possibile: « Scusami, mi sono distratta. »
Il compagno la osservò per qualche secondo e le si avvicinò: « Andiamo ad allenarci un po’. Ti dispiace rimanere sola? »
« Assolutamente no. Non vedevo l’ora di avere un po’ di calma. »
E non era certo una bugia.
Gli occhi blu la scrutarono ancora un po’, prima che Kert gli mettesse un braccio attorno alle spalle e lo spingesse verso il corridoio, rumoreggiando su cose cui lei non prestò attenzione.
Attese solo di sentire affievolirsi le loro voci, poi si alzò dal divano e si affrettò verso il bagno; le girava talmente tanto la testa che a metà del corridoio perse l’equilibrio e si scontrò contro il muro. Sibilò un lamento al tonfo sordo della spalla, e al tempo stesso si sfiorò il naso, avvertendo un fastidioso pizzicore: la traccia rossa che si vide sulle dita le strappò un’altra invettiva.
Strinse i denti e quasi si diede la spinta, sfiorando la parete con la mano sinistra per sostenersi finché non raggiunse il bagno. Lì, aprì subito il rubinetto sull’acqua più fredda possibile e ne raccolse un’abbondante quantità tra i palmi prima di affondarci il viso, incurante della frangetta che si infradiciò all’istante. Si sentiva il volto in fiamme come se avesse un febbrone esagerato, ma contemporaneamente stava sudando, senza neanche un brivido.
Tranne quel formicolio tra le spalle che all’improvviso le attraversò il braccio e le fece tremare le mani.
Un altro rivolo di sangue le scese dal naso, denso e costante, tingendo l’acqua di un rosso intenso, ed Espera dovette costringersi a rimanere calma mentre percepiva il cuore scenderle nello stomaco e il respiro farsi più affannoso. Si sciacquò di nuovo la faccia, rimanendo più a lungo dentro al liquido fresco, cercando di rilassare ogni muscolo, gli occhi chiusi anche per contrastare i continui capogiri.
« Spiegami ancora come dovresti esserci d’aiuto, in queste condizioni. »
Strinse i denti per non fare scappare il gemito che le crebbe in gola all’udire la voce dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Perché non era con gli altri!?
« Quasi mi dispiace per te, » continuò Kert, poggiandosi allo stipite della porta a braccia incrociate, « Non sei un bello spettacolo. »
« Kert, per favore, » gemette Espera, ancora piegata sul lavandino, lanciandogli solo un’occhiata stanca, « Perché devi proprio infierire? Non ti basta questo? »
« È esattamente questo il problema, » uno strano luccichio gli attraversò le iridi dorate mentre si staccava appena dal legno, facendo solo un passo verso di lei ma senza attraversare la soglia, « Non riesco davvero a capire perché il Consiglio abbia insistito così tanto per farti partecipare a questa missione, addirittura facendoti salire sulla navicella di nascosto, se questo è tutto ciò che riesci a contribuire. D’accordo, il trucchetto con la Luna è stato interessante, ma non siamo certo stati capaci di rifarlo, vero? »
Il ronzio nelle orecchie dell’aliena si fece più intenso mentre lei scuoteva la testa e si tamponava il naso con il dorso della mano: « Sai benissimo che non è stata una mia scelta, » ansimò, « Non capisco cosa – »
« Dal mio punto di vista, con te qui le cose sono solo peggiorate, » proseguì lui, quasi ignorandola e facendo un altro passo avanti, « Non ti reggi in piedi, e questo deconcentra Rui. Siamo tutti più impegnati a trovare maniere di non farti soffrire, invece che concentrati sul vero senso di questa missione. Quindi, di nuovo, perché? »
« Io non lo so, il perché! » stridette lei con voce rotta, bagnandosi di nuovo le mani così da passarsi le dita fradice tra i capelli, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, « Senti, per favore, capisco che io e te non andiamo d’accordo, e avrei anch’io preferito rimanere a Gaia, ma non… non è colpa mia. »
« Andiamo, piccola Seles, » Kert abbassò la voce e il suo tono si fece più canzonatorio, « Vuoi farmi davvero credere che non ci sia nient’altro sotto? »
« Cos… altro!? Cosa stai dicen – »
« Davvero pensi che non sia evidente quanto sia tutto assolutamente orchestrato a tavolino? Tu, piccolo gioiello speciale di una famiglia importante, con addirittura una vecchia filastrocca profetica alle spalle, che casualmente diventi il centro del mondo di mio fratello. I vostri poteri così compatibili, per solo disegno del fato? »
Espera percepì di nuovo quel formicolio, alla base della nuca, e la stanza girò un’altra volta mentre lei si allontanava di un paio di passi, il cuore che batteva forte: « Kert, smettila. Non ti permetto di dire che – che non… »
« Di dire cosa, che non vi amate? » lo disse con tale sdegno e presa in giro che le strappò un singhiozzo, « Prova quello che vuoi, ma non tentare di convincermi che tu, e tutta la combriccola dietro di te, non ci stiate prendendo in giro. E ora mi sono stancato di non farmi domande. »
« Quali domande!? » boccheggiò ancora lei, e sbatté la schiena contro al muro, « Quello che dici non ha senso, non c’è niente dietro quello che io provo per Rui! Solo perché tu non pensi che io sia – »
« Lo ami così tanto che non ti sei neanche posta un dubbio quando ti hanno caricato sulla navicella? »
« Serviva qualcuno che potesse curarvi, » replicò lei, scuotendo la testa, « Serviva… se vi foste feriti, o se vi fosse servito qualche decotto, e Rui non avrebbe ascoltato nessuna motivazione per… E non essere cieco, quella storia della Luna l’abbiamo sempre conosciuta tutti. »
« Una volta al mese non mi pare giustificazione sufficiente, Seles, » il ghignetto di lui non lasciava trasparire nessun divertimento, ed Espera si premette di più contro la parete quando lui, in due falcate, attraversò l’intero bagno e le si piantò davanti, « Non per come gioca il Consiglio. Non per questa missione. »
« Non so cosa tu voglia, » sussurrò lei, ricacciando indietro il groppo in gola e piantando i polpastrelli contro il muro, perché aveva incominciato a vedere doppio e il cuore le era accelerato come un pazzo, « Mi hanno detto di partire, che sarei stata utile, e che sì, non avrei dovuto separarmi dal mio compagno per mesi, mentre lui partiva per riconquistare la Terra. È così difficile per te da capire? »
« Smettila di prenderci in giro, » sibilò Kert di rimando, « Smettila di prenderlo in giro. Questa non è una favola, i vostri poteri non combaciano per caso, tu non lo ami per caso, e non sei qui per caso. »
« Basta! » Espera scosse la testa e abbassò il capo, lacrime traditrici che le scivolarono dagli occhi, « Sei completamente impazzito, non è – »
L’alieno non si curò della sottile corrente che s’alzò per un secondo nella stanza, troppo concentrato sulla rabbia che gli era sbocciata in petto.
« È un po’ che ti tengo d’occhio, Espera, e c’è qualcosa che non va. Te ne sei accorta anche tu, vero? La tua testolina non è così piena di sogni. Quindi dimmi. la. verità. »
Sillabò con rabbia quell’ultima frase tra i denti stretti, avvicinandosi così tanto a lei che la sua fronte gli sfiorò il petto.
Espera scosse ancora la testa, respirando ad ansiti, sperando solo che si allontanasse in fretta e al tempo stesso non potendo ignorare quel pezzo di lei che gli dava ragione, quel fremito lungo il corpo che non la lasciava libera, anche se lui si stava sbagliando, doveva sbagliarsi, non…
« NO! »
Fu questione di un attimo: Espera lo spinse via, un tremore più violento lungo la spina dorsale, e, nello stesso istante, un’enorme energia scaturì da lei, facendo cozzare Kert contro all’uscio così intensamente che il legno scricchiolò. Lui, però, quasi non ci badò, più concentrato a osservare le iridi improvvisamente del tutto nere della ragazza, indistinguibili dalle pupille, gli artigli che avevano preso il posto delle dita, il ghigno ferino sul suo bel viso tondo.
Durò giusto il tempo di un battito di ciglia, così rapido che per un istante nemmeno lui ci avrebbe creduto se non fosse stato per la fitta di dolore che si ripresentò alla schiena dopo qualche giorno di pausa.
« Ah, eccoti qua, piccola Seles, » Kert ghignò come un bambino, massaggiandosi la spalla, « Lo sapevo che non potevi essere questa rompipalle per niente. »
Espera, ansimando pesantemente, ondeggiò sul posto, si guardò le mani che ritornarono del loro aspetto originale, ancora tremolanti, e scosse la testa: « Io non… non capisco cosa… cosa mi sia suc – »
Alzò il volto e gli lanciò uno sguardo così sperduto che, per un istante, l’alieno provò pietà per lei: « Sarà divertente scoprirlo, non trovi? »
Lei non gli rispose, continuando a scrutarsi i palmi con occhi sgranati, e il suo intero corpo cominciò a tremare prima che le gambe le cedessero e lei crollasse in ginocchio a terra, il volto cereo.
Kert sospirò e le si avvicinò di nuovo, accucciandosi davanti a lei e prendendole il mento tra le dita senza che lei opponesse resistenza: « Facciamo così, per ora sarà il nostro piccolo segreto, » mormorò, specchiandosi nelle iridi scure, « Ma non pensare che mi andrà bene a lungo, che mio fratello sia all’oscuro di certi frammenti di te. »
Espera tentò di fare di no con il capo, all’improvviso priva di qualsiasi energia: « Pensa quello che vuoi, compiaciti di aver avuto ragione, ma quello che c’è tra me e Rui è vero. »
« Dolcezza, » Kert ghignò di nuovo, prima di allontanarsi, « Credo che a questo punto sia l’ultimo dei tuoi problemi. »
 
 
 
 
A cavalcioni sopra di lui, Retasu si aggrappò di più al suo collo e vi nascose il viso contro per smorzare i sospiri, e Pai non poté fare a meno di accigliarsi mentre l’udito fine coglieva i rumori appena fuori dalla stanza, l’andirivieni caotico per il corridoio e i sussurri attutiti dal salone principale ogni volta che la porta veniva aperta. Non erano certo sufficienti a deconcentrarlo dalla meravigliosa sensazione della ragazza tra le sue braccia, dal calore dei loro corpi che si univano, ma sapeva che non era necessariamente lo stesso per lei, che parevano dover fare sempre tutto in segreto, di corsa, mentre lui voleva sentirla, amarla completamente senza nessuna preoccupazione d’impiccio. La strinse a sé, afferrandole con maggiore forza i fianchi morbidi e leggermente sudati, e un pensiero gli si disegnò in mente quando l’avvertì scivolare ancora su di lui.
« Voglio vivere con te, » le sussurrò roco all’orecchio.
Gli sembrò di avvertire il cuore della verde accelerare contro al suo petto, ma era troppo distratta in quel momento per poter rispondere con più che l’ennesimo mugolio di piacere e un fremito che le corse lungo la spina dorsale.
« Dicevi sul serio? » gli chiese sottovoce una decina di minuti dopo, accoccolata placidamente contro di lui, le gambe intrecciate alle sue.
« Certo, » le spinse dolcemente gli occhiali sopra al naso, che lei s’intestardiva a rimettere praticamente subito ma che finivano per storcersi inesorabili quando poggiava la guancia contro al suo petto, « Gli ultimi avvenimenti mi hanno fatto capire che vorrei passare quanto più tempo possibile con te. In santa pace. »
Retasu arrossì subito al velato significato di quell’ultima parte, aggiunta a voce più bassa, e gli rivolse un sorriso tremolante mentre le farfalle nello stomaco si moltiplicavano a dismisura.
« Però magari… ecco, senza fretta, » mormorò, le guance in fiamme, « Prima dovrei… presentarti ai miei genitori. Ah – ehm… magari dovrei anche prima dire loro che… che sì, insomma, che ho un ragaz… un fidan… ? »
L’alieno rise piano, intenerito dal suo balbettio emozionato, ma la guardò con tutta la serietà possibile: « Retasu, non c’è assolutamente fretta. Abbiamo tutto il tempo del mondo. E concordo, ci vuole un ordine alle cose. »
Lei avvertì il cuore galoppare ancora più forte a tutti quei non detti, a tutte quelle certezze che in segreto bramava.
« Sarei onorato di conoscere la tua famiglia. »
Retasu non poté far altro che sporgersi in avanti e baciarlo, il respiro mozzato dalle sensazioni che la stavano assalendo, e Pai la strinse di rimando con una risata soddisfatta, accarezzandole la schiena nuda.
« Devo andare, » mormorò lei però dopo qualche istante, assolutamente controvoglia, « Riapriamo tra poco, e – »
L’alieno si corrucciò: « Non devo davvero mettermi quei vestiti e scendere con voi, vero? »
Retasu non poté fermare la risatina che la prese: « Credo proprio che sia l’idea originale. »
Ogni traccia dell’appagamento di poco prima svanì dal viso del ragazzo, che si stese sulla schiena e premette una mano sugli occhi: « Voi umani mi volete morto. »
La ragazza ridacchiò e si districò dal loro abbraccio, rivestendosi in fretta e sgattaiolando verso il bagno dopo aver controllato che il corridoio fosse libero.
Kisshu che cominciò a chiamarli a gran voce, con tono pure scocciato, dal piano di sotto fu la goccia che fece decisamente traboccare il vaso.
« Oh, alla buon’ora, eh! » li accolse infatti al piano principale qualche minuto dopo, « Scusate, vi abbiamo disturbato? »
Pai gli fece una smorfia, per nulla divertito dal sarcasmo: « Kisshu, strozzati. »
« Non molto difficile, con questo coso, » scoccò un’occhiataccia al maggiore e intanto si torturò il farfallino, « Su, forza, che il supplizio sta incominciando. »
« Benvenuti, bentornati al Caffè Mew Mew! » in quell’istante, Purin aprì la porta d’ingresso e iniziò a vociare a pieni polmoni, con un’energia che fece venire mal di testa istantaneamente ai tre alieni, « Prego, da questa parte, vi portiamo subito al tavolo migliore. Ah, ehm, Pai nii-san… magari tu vai alla cassa, che dici? »
« Non ci dovevo stare io alla cassa!? »
« Ichigo-chan, dai, tu sei più… esperta a trattare con i clienti! »
« Retasu, tu sei amica mia. »
Non ci fu molto spazio per le dispute, perché il Caffè fu sommerso da clienti impazienti di gustarsi le creazioni di Keiichiro dopo un mese di privazione, e il nuovo meccanismo di gestione interna si dovette arrendere a mettersi in moto all’istante, stirandosi sorrisi di circostanza sulle guance.
Ichigo soprattutto dovette sforzarsi di calarsi totalmente nella parte di cameriera perfetta: non le era mancato per niente il lavoro ai tavoli, dopo la pausa della gravidanza e della maternità, invece – ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce – sentiva la mancanza delle ex colleghe allontanate, sì a lei spiacevolissime ma comunque più rodate a quel tipo di lavoro che i suoi nuovi compagni di sventura.
« Ma che musi lunghi, » Minto varcò la soglia e lanciò un sorrisetto sarcastico verso la rossa, che pur da lontano la sentì e la guardò storto.
«Ah, nee-san, ci sei anche tu! »
« Pensavo sarebbe stato uno spettacolino divertente, » rispose ironica a Purin, sollevandosi gli occhiali da sole sul capo, poi si accigliò appena, scrutando Kisshu che interagiva con un tavolo di ragazze un po’ troppo palesemente contente delle sue attenzioni, « Cosa starebbe combinando? »
« Uhm… servizio clienti ottimale? »
« Mmmhm, » lei continuò a fissarlo male, e probabilmente l’alieno se ne accorse, perché scrisse l’ultimo appunto sul palmare e poi virò subito da lei con un sorriso contento.
« Tortorella, sei venuta a salvarmi da questo incubo? »
« Non mi pare che sia una situazione così disastrosa, visto l’impegno che ci metti. »
« Simpatica, tortorella. Se mi impegnassi davvero, ci sarebbe un chilometro di coda, qua fuori. »
Lei rizzò la schiena e lo sorpassò, schioccando la lingua: « Vedi di non fare l’imbecille e portami un tè, Akasaka-san sa quello che mi piace. »
« Fai sul serio!? »
Purin rise di soppiatto e gli diede un colpetto con la spalla un po’ per rinfrancarlo, un po’ per farlo ritornare al lavoro, ignorando volutamente i borbottii dell’alieno.
Anche Ichigo si tenne alla larga da Minto, più per puro astio nei confronti di vecchie dinamiche che per qualche problema con l’amica – che in realtà avrebbe voluto interrogare al più presto possibile, perché stava iniziando a divagare un po’ troppo anche con lei – ma riuscì quasi a intravederla, con il flusso di gente che continuava imperterrita a sciamare dentro e fuori al locale.
Conosco qualcuno che ne sarà molto contento.
Il pensiero le fece risalire ancora quella fastidiosa rabbia che l’aveva accompagnata negli ultimi quindici giorni e di cui non riusciva proprio a disfarsi, nonostante le frecciatine e i battibecchi costanti con Shirogane al telefono, che non facevano altro che esacerbarsi quando lui la implorava di smetterla di tenergli il muso.
Perché lei non gli teneva il muso, lei aveva ragione, e anche se lui aveva ammesso che lei aveva ragione, a lei non bastava, era arrabbiata, e…
Non finì di concentrarsi sul fatto che la sua coscienza ormai suonava in tutto e per tutto come Ryou, che una silhouette particolarmente conosciuta si stagliò sull’ingresso giusto in quel momento, causandole una strana piroetta allo stomaco.
Oh, che déjà-vu.
« A-Aoyama-kun?! » Ichigo tentò di suonare convinta e accogliente, ma non riuscì a nascondere la sorpresa, « Che ci fai – ah, benvenuto! Anzi, bentornato! »
Masaya le sorrise tranquillo, scostandosi un po’ dall’uscio: « Ciao, Ichigo. Ho saputo che il Caffè avrebbe riaperto e allora ho pensato che sarebbe stato bello rivederlo dopo tutto questo tempo. »
« Hai fatto bene, » lei annuì e poi gesticolò verso la sala, « Come vedi, non sei stato l’unico ad avere questa idea. Non è passata neanche un’ora e siamo già incasinati… il che è un bene, direi. »
Il moro ridacchiò e lanciò un’occhiata veloce alla sua divisa: « Tu come stai? Devo dire che non sembri cambiata neanche di una virgola. »
Lei ricambiò la risatina a disagio e si passò automaticamente i palmi contro i fianchi: « Eh-eh-eh, magari… comunque tutto bene, un po’ stanca, sai… tra la bimba, il lavoro, e… beh, tu sai cosa. »
Masaya si avvicinò cospiratorio su di lei quando abbassò la voce per aggiungere quell’ultimo accenno, e il suo bel viso fu attraversato da un’espressione preoccupata che gli fece stringere le labbra.
« Mi dispiace non essere più di aiuto, » ripeté costernato, « Davvero, se c’è qualcosa che vi possa servire, anche solo… »
La rossa scosse la testa e gli sorrise: « Nessun problema, Aoyama-kun. Ce la caviamo, come sempre. Al massimo siamo un po’ ammaccati. E i ragazzi sono un prezioso aiuto. »
Lui sembrò accorgersi in quel momento della presenza dei tre Ikisatashi tra lo staff e ne rimase stupito per un istante, prima di sorridere e rivolgersi di nuovo alla rossa, scostando lo sguardo da Kisshu: « Sono felice che abbiano trovato la giusta strada e che vi stiano supportando. Dalle poche immagini che passano i notiziari, la situazione appare… complicata. »
Ichigo si torturò il grembiule, desiderosa di cambiare discorso: « È diversa, ma al tempo stesso è… siamo abituate, sai? »
« Sì, capisco, » Masaya le sorrise più caloroso, grattandosi poi la nuca, « Non sono cose che si dimenticano facilmente. »
« No, decisamente no… » ridacchiò, un po’ in un imbarazzo inspiegabile visto il rapporto così negli anni consolidato con il ragazzo, ma lui continuò molto tranquillo.
« I nuovi… ospiti, » abbassò la voce ancora e si scostarono maggiormente verso il muro, « Provengono dallo stesso, uhm, luogo di… ? »
Di primo acchito, Ichigo si stupì un poco della domanda, poi realizzò che tutto il loro primo scontro con i Duuariani aveva avuto lo stesso impatto su Masaya che su di loro, ed era stato una parte importante della sua vita (avrebbe mai potuto dimenticare, lei, di avere avuto ben due entità diverse nascoste dentro di sé?).
« Ecco, è una storia un po’ complessa, in effetti… no, ma sì, cioè… è tutto un gomitolo di progenitori e navicelle perdute, e… »
Aoyama annuì concentrato: « Ammetto di avere avuto motivi egoisti per chiederlo, volevo assicurarmi che non si ripetessero schemi complessi come l’ultima volta. »
Ichigo capì l’antifona: « Sono qui per motivi simili, ma nessuna, ehm, entità cosmica?? da risvegliare. »
« Quindi non sono qui per la Mew Aqua? »
La rossa batté appena le palpebre, poco avvezza al fatto che qualcuno esterno alla sua cerchia più stretta, seppur si trattasse di Masaya, fosse così schietto riguardo gli accadimenti passati: « Non… non che noi sappiamo, ecco. »
« Sì, non è questo il momento adatto per parlare di queste cose, » Aoyama tentò di scherzare, « E perdonami se lo sto facendo, ma non ero sicuro di avere altra occasione. Giuro, sono anche qui per riassaporare le delizie di Akasaka-san. »
Ichigo gli sorrise e poi scosse la testa: « Hai ragione, sono scortesissima, a farti rimanere qua in mezzo al corridoio… scusami, vieni pure… »
 
 
 
 
« Mademoiselle, ecco a lei, » Kisshu posò il tè di Minto sul tavolo con un po’ troppa decisione e una punta di stizza nella voce. La mora non si scompose e lasciò uscire un sospiro contento quando inalò il profumo del vapore dalla teiera.
« Mmm, ora sì che ci siamo, » esalò soddisfatta, « Ah, in effetti mi era mancato molto. »
L’alieno la osservò con stupito divertimento: « Ottengo meno reazioni io. »
« Oh, Kisshu, su, non fare l’esagerato ora, è che – che c’è? »
Non si perse la maniera in cui il ragazzo s’irrigidì di colpo, o il sottile sibilo che gli scappò dai denti stretti, così seguì la traiettoria del suo sguardo.
« Ma guarda, guarda, » commentò sottile, osservando Ichigo e Masaya che parlottavano, « Una scena familiare, Momomiya che viene distratta da Aoyama-kun. Era un sacco che non lo vedevo… fa un po’ strano, in effetti, che sia qui. »
« Mhhm, » Kisshu non si mosse, la schiena dritta come un palo, « Un delizioso tuffo nel passato. »
Lei lo guardò da sotto in su, corrugando la fronte al gelo della sua voce: « Kisshu? »
L’alieno, però, la ignorò, spostando solo le iridi dorate per incrociare quelle di Taruto, dall’altro lato del salone, che aveva notato anch’egli il nuovo ospite.
L’ultima volta che aveva incontrato Aoyama era stato… e sì, il nome di lui era capitato parecchio nei discorsi del loro gruppo, ma rivederlo lì, dal vivo, tranquillo e sorridente come se nulla fosse era un’esperienza del tutto diversa. Gli pareva anche che il moro li stesse volutamente ignorando, assorbito dalla sua conversazione con la mewneko, che gli stava indicando il bancone dove si ritiravano gli ordini take-away – non che lui avesse particolarmente voglia di parlargli, men che meno di essere civile nei suoi confronti, ma l’audacia di fingere che non esistessero, dopo tutto quello che…
« Kisshu? »
Si accorse a malapena delle dita di Minto che si strinsero leggere intorno alle sue per scrollargli appena il braccio, troppo concentrato su quella strana sensazione che gli vibrò in petto e che sapeva anche i suoi fratelli – Pai comparsogli all’estremo del campo visivo – stavano provando, viste le espressioni ceree sui loro volti.
Non era la stessa cosa, lo sapeva, non era lo stesso, eppure… non sapeva nemmeno dove finissero i suoi sentimenti per Masaya e dove iniziassero quelli per i suoi alter ego, e dovette stringere la mascella per evitare che piccole saette gli corressero sui palmi, perché non era quello il momento, decisamente, ma il pulsare del suo cuore non pareva smettere di rimbombargli nelle orecchie, e –
« The fuck. »
Fu l’esclamazione a distanza ravvicinata di Shirogane, spuntato all’improvviso dall’entrata posteriore, che lo riscosse dalla sua trance, forse anche per lo stupore di essere d’accordo con lui, per una volta.
Minto continuava a fissarlo, confusa e quasi sul punto di alzarsi, e Kisshu scosse la testa, ricambiando la sua stretta prima di lanciare un sorrisetto ironico all’americano: « Un arrivo provvidenziale, biondo. »
« Davvero, » fu l’unica cosa che commentò l’altro, poggiando il borsone che reggeva in un angolo del corridoio.
Minto, invece, alzò gli occhi al cielo e lasciò la mano di Kisshu, riconcentrandosi sul suo tè: « Voi due siete proprio senza speranza. »
« Non so di cosa tu stia parlando, » disse laconico l’ultimo arrivato, e si dileguò tra i corridoi secondari prima che lei potesse prenderlo in giro oltre.
La mora sbuffò divertita, poi guardò di nuovo l’alieno: « Tutto okay? »
Lui abbozzò un sorriso che non raggiunse i suoi occhi e poi le fece l’occhiolino: « Mi merito la mancia per l’ottimo servizio, non trovi? »
« Scommetto che c’è qualcuna sicuramente disposta ad accontentarti qua in mezzo. »
« Tortorella, la gelosia non ti si addice, » si azzardò a lasciarle un bacino veloce sulla testa, non dandole occasione di lamentarsi allontanandosi in fretta ed evitando a larghe falcate l’angolo in cui aspettava Aoyama.
Ryou, invece, arrivò in cucina seguendo le code rosse di una certa divisa, e si appoggiò allo stipite silenzioso come un gatto.
« Vedo che la riapertura sta andando a gonfie vele. Un sacco di clienti, oggi. »
Keiichiro concesse al suo protetto un festoso saluto, genuinamente sorpreso dal suo arrivo – e inconsapevole della scena avvenuta qualche minuto prima – mentre Ichigo, impegnata a impacchettare dei bignè su un vassoio da portar via, sobbalzò visibilmente.
« Be’! E tu che ci fai qui! »
« Fino a prova contraria, Momomiya, sono il co-proprietario di questo locale. »
Lei non riuscì a non fare una smorfia seccata: « Sai benissimo cosa intendo! Mi avevi detto che saresti stato via un’altra settimana! »
Akasaka ebbe l’accortezza di scivolare via discreto, borbottando qualcosa sulle scorte da prendere in dispensa, mentre Ryou si staccava dal muro e si avvicinava alla rossa: « Non posso fare più sorprese a mia moglie, oltretutto in una giornata così di spicco? »
Ichigo si concentrò per tenere a bada il calore che le pizzicò le guance e incrociò le braccia al petto: « Ne hai già fatte abbastanza di sorprese a tua moglie, non trovi? »
« Sei davvero ancora arrabbiata con me da due settimane? »
« Il programma era di esserlo per tre. »
« E hai già trovato un rimpiazzo, visto che me ne sono andato? »
Le guance della ragazza s’incendiarono e lei non riuscì a evitare di guardarlo scandalizzata, schiaffeggiandogli anche un braccio: « Shirogane, a volte sei proprio stupido! »
« Sei tu quella assorbita dal tuo ex fidanzato e che ce l’ha ancora con me. »
« Appunto, ex, » Ichigo gli sventolò davanti la mano con anello di fidanzamento e fede, « E abbiamo già discusso ampiamente del perché io abbia ragione ad avercela con te, quindi non venire a fare il geloso ora per motivi assurdi. Se fossi arrivato tra dieci minuti non te ne saresti neanche accorto, Masaya-kun sa benissimo come non causare disagio. »
Ryou occhieggiò il pacchetto che lei aveva chiuso con un nastrino: « Sono per lui quelli? Glieli porto io. »
« Shirogane, no! »
Ichigo cercò di sgusciargli sotto al braccio per fermarlo, ma lui aveva già afferrato l’involucro tenendolo troppo in alto perché lei ci arrivasse e stava già marciando verso il moro.
« Hey there, Aoyama. »
Masaya staccò lo sguardo dal cellulare e gli sorrise, tendendogli la mano con fare garbato: « Shirogane, che piacere rivederti. Vedo che gli affari vanno benone, congratulazioni. »
« Non ci possiamo lamentare, » Ryou non ricambiò la stretta, preferendo mettergli in mano direttamente il suo ordine, « Grazie del supporto. »
« Ah, è il minimo. Come dicevo a Ichigo, mi dispiace non poter fare di più, ma come ti avrà sicuramente detto, io non ho più… nessuna capacità, ecco. »
Il biondo lanciò un’occhiata di sbieco alla rossa, spuntatagli alle spalle quasi di corsa e che stava tentando di fingere che fosse tutto a posto, le mani intrecciate dietro la schiena.
« No worries, » rispose schietto, facendogli un gesto col mento, « La situazione è sotto controllo. »
« Sì, Ichigo mi raccontava. Gli Ikisatashi sono una risorsa preziosa, giusto? »
Shirogane non poté non sentirsi colto sul vivo, seppure dubitando che Aoyama gli stesse lanciando una frecciatina connessa al fatto che lui, effettivamente, per le circostanze attuali poteva fare ben poco di concreto.
« Sono una spinta in più a un meccanismo ben oliato. »
Ichigo gli diede un pizzicotto di soppiatto al tono infastidito e monocorde, ma Masaya perseguì a sorridergli e poi alzò il pacchettino a mo’ di saluto.
« Be’, ora devo andare. Mi ha fatto piacere passare e vedere che le cose stanno andando per il meglio, è stato bello riviverlo per un attimo. Magari ci vediamo un’altra volta, che ne dite? »
« Sì, Aoyama-kun, sentiamoci, » la rossa intervenne prima che Ryou potesse aprire bocca, il gelo nel suo sguardo fin troppo eloquente, e rispose al sorriso del ragazzo con altrettanta simpatia, « E fa attenzione in giro, mi raccomando! »
« Vale lo stesso per te, Ichigo. Salutami tanto le altre, e ringraziale ancora. Arrivederci, Shirogane! »
L’americano non disse nulla, scrutandolo con astio finché non lo vide scomparire oltre il portone d’ingresso, poi guardò la moglie dall’alto verso il basso: « It does seem you two talk an awful lot. »(*)
Ichigo lo scrutò malissimo prima di scuotere le mani in aria: « Sei insopportabile! Vai a casa da tua figlia che è meglio, o tra un po’ non ti riconoscerà più. »
Lui la riagguantò per un polso prima che si allontanasse troppo: « Ichigo, would you stop punishing me already? »
« No, guarda che non funziona, » la rossa alzò gli occhi al cielo e fece, però, magra resistenza al suo voltarla, « Soprattutto se fai l’antipatico con gli altri! »
« Perdonami se dopo quasi tre settimane che non ti vedo, non ho voglia di condividerti con Masaya Aoyama, a cui piace rivivere il passato, » rimbeccò lui, afferrandola piano per la vita.
« Non mi stai condividendo con lui, » sbuffò esasperata lei, poi gesticolò verso la sala gremita, « Piuttosto con tutti i clienti che sono di là in balia di Kisshu e Taruto. »
« They can wait, » Ryou abbassò la voce e poggiò la fronte sulla sua, « Mi siete mancate. »
« Devi farti perdonare, » lei persistette a fare la sostenuta, nonostante il sorrisetto che minacciò di spuntarle sul viso, « Ho intenzione di rimanere arrabbiata per tutta la settimana rimanente, dico sul serio. »
« Lo so, lo so. Prometto che – »
« Oh, sposini! Guardate che qua i tavoli non si puliscono da soli! » Taruto spuntò da dietro una colonna, il viso coperto da un sottile strato di sudore e il farfallino già storto, e li guardò truce, « Tu dovresti star dirigendo i lavori, in quanto cameriera più anziana! »
« Chi hai chiamato anziana?! »
Ryou rise piano quando Ichigo sgusciò via per andare a rincorrere il giovane alieno, poi si sgranchì la schiena affaticata dal lungo volo, l’organismo che non riusciva a percepire su quale fuso orario fosse. Forse avrebbe dovuto davvero ascoltare la moglie e andarsene a casa, per un sonnellino e le dozzine di coccole arretrate a Kimberly; stava quasi per ritornare sui suoi passi e riprendersi le valigie, quando Pai attirò il suo sguardo dalla cassa.
Shirogane si concesse di pensare a quanto fosse una stramba visione, l’alieno con l’uniforme e lo sguardo torvo a contare i resti e augurare una buona giornata ai clienti in uscita, così incredibilmente glaciale come quando annunciava loro i deludenti risultati delle loro ricerche.
Anche se gli sembrava più svelto di Ichigo a valutare le monete.
Si salutarono con un cenno del capo, e l’americano poggiò il gomito contro al banco: « Tutto sotto controllo? »
« Stabile, » rispose spiccio il Duuariano, « Abbiamo quasi finito di mettere di perfezionare gli stabilizzatori per le barriere di Taruto. »
Shirogane annuì: « Sarei interessato a saperne di più in dettaglio. Non è il forte di Ichigo spiegare queste cose. »
Pai non batté ciglio: « Ho lasciato una relazione approssimativa sulla scrivania. Ci sarebbe da lanciare anche un aggiornamento dei nostri sistemi, ho ricevuto una notifica pochi minuti fa. »
Il biondo annuì, vedendo la sua possibilità di un riposino allontanarsi sempre di più.
« Scendo adesso. Raggiungimi quando hai finito. »
Gli rispose solo un vago mugolio che gli parve assomigliare molto a Se mai finirò.
 
 
 
 
Si sentiva coperta da un sottile strato di sudore congelato, ma aveva così tanto freddo, in quel momento, che l’idea di un bagno non le sfiorò nemmeno l’anticamera del cervello. Se quella mattina si era sentita incandescente, ora, invece, stava facendo fatica a non sbattere i denti.
Rannicchiata nel letto, con ogni possibile strumento per riscaldare l’ambiente in funzione, Espera si avviluppò ancora di più tra le coperte pesanti, tentando di placare il tremolio che le irrigidiva ogni muscolo.
Forse era meglio così, però: le rendeva difficile pensare, rimuginare su quanto successo poche ore prima, sulla smorfia soddisfatta e insopportabile che si era disegnata sul viso di Kert e che non era scomparsa per il resto della giornata.
Non sapeva nemmeno lei come aveva fatto a non rivelare nulla a Rui, e sperò che suo fratello maggiore mantenesse la misera promessa di non farlo lui stesso. Prima doveva essere lei a capire cosa le fosse successo e quale fosse il suo significato. Contemporaneamente, non voleva nemmeno paventare a sé stessa la possibilità che ci fosse un granello di verità in quello che Kert aveva suggerito.
Non dubitava di sé stessa, certo che no, e nemmeno di Rui. Ma poteva essere realmente certa che non ci fosse stato nulla di combinato, alle loro spalle? Che se i loro sentimenti non fossero stati genuini, le loro famiglie non avrebbero comunque trovato la maniera di farli avvicinare?
Serrò gli occhi strettissimi, si morse il labbro inferiore. Non aveva mai provato così tanta paura, intrappolata nell’ignoto di quel suo strano potere, ancora più spaventoso della sua connessione con la Luna, a cui non aveva nemmeno ancora fatto l’abitudine.
Come avevano potuto mandarla allo sbaraglio, senza mai prepararla a qualcosa del genere? Avevano davvero giocato tutto sulle possibilità che antichi sospetti si rivelassero reali? E come poteva lei ora affrontarlo, senza avere la minima idea di cosa stesse affrontando? Non avrebbe potuto neppure contattare il Consiglio e chiedere spiegazioni, perché non sapeva come comunicare con loro senza avvertire Rui o gli altri. Forse se fosse riuscita a prendere Sunao da parte a un certo punto…
« Stai dormendo? » non aveva neanche sentito il suo compagno entrare, e il suo sussurro inquieto le spezzò il cuore. Rui non aspettò che rispondesse e le si sedette accanto, il materasso che oscillò sotto il suo peso, accarezzandole la testa, « Devo ammettere che mi stai facendo preoccupare molto. »
« S-s-s-scu-u-sami, » balbettò lei, senza il coraggio di guardarlo.
« Non dirlo neanche per scherzo, » le sfiorò la fronte sudata come ad assicurarsi della sua temperatura, « Posso chiedere a Zaur di aiutarti a dormire? »
Espera avvertì un tremore nel petto all’idea che l’amico utilizzasse i suoi poteri su di lei, ma riconobbe l’utilità di quel suggerimento, e annuì soltanto.
Rui sospirò e si concesse qualche altro secondo da solo con lei, ignaro della tempesta che le imperversava dentro e che non sapeva nemmeno da che parte cominciare a spiegargli.
 
 
 
 
Ichigo girò la pagina del libro che teneva appoggiato alle ginocchia, senza aver davvero letto le righe precedenti. Era stanchissima, ma non riusciva ancora a prendere sonno.
Ryou, invece, era crollato poco dopo cena, dopo aver praticamente monopolizzato le attenzioni di Kimberly, e ora stava ronfando piano accanto a lei, un braccio avvinghiato attorno alla sua vita e il viso sepolto tra i cuscini.
Cercando di non svegliarlo, gli accarezzò leggera i capelli biondi, intanto che cercava di riconcentrarsi almeno sulla sua lettura. Era ancora irritata con lui, pienamente cosciente che la permalosità di entrambi era sempre stato un problema, ma il palloncino di ansia che aveva portato in petto per tutti quei giorni si era sgonfiato non appena le era ricomparso davanti agli occhi.
La causa della sua insonnia corrente, invece, era uno strano pizzicore al cervello procuratole dall’incontro con Masaya. Forse non ci era più abituata, o forse davvero le frecciatine gelose di Ryou la stavano influenzando, ma più ci pensava più si sentiva confusa, e parte di lei si sentiva in colpa per quelle sensazioni e per non sentirsi capace di avere con lui una conversazione tranquilla e completamente onesta.
O forse era solo la sua maniera di proteggerlo da quell’ennesimo casino intergalattico, per non fargli rivivere l’incubo che avevano condiviso. Non c’era bisogno che lui sapesse esattamente chi fossero i loro nemici, era già abbastanza che si preoccupasse e fosse costernato di non essere più d’aiuto (anche se il suo senso di colpa non si attutiva quando realizzava che parte di lei fosse parecchio contenta che Masaya non avesse più i suoi poteri, visti i precedenti), la cosa migliore per lui era girarle più alla larga possibile.
Poi, se doveva essere sincera, aveva la quasi piena certezza che Pai non avrebbe esitato a farla fuori se avesse scoperto che condivideva particolari sui loro nuovi nemici con qualcuno di “esterno” …
« Why are you not sleeping. »
Ryou lo bofonchiò in una maniera così stretta e pastosa che Ichigo ci mise qualche secondo di più a capirlo.
« Scusami, non ti volevo svegliare, » sussurrò, poggiando il libro sul comodino e spegnendo la luce, « Stavo solo pensando a delle cose. »
Lui aprì un unico occhio azzurro: « Che cose? »
La rossa sorrise al tono preoccupato anche sotto la coltre del sonno e gli si stese accanto: « Niente di che. Forse sono troppo su di giri dopo tutto il lavoro di oggi. »
La stretta dell’americano si fece un po’ più decisa e lui incastrò meglio il naso nell’incavo del collo di lei.
« È la tua maniera di chiedere un part-time? »
« No, » Ichigo rise e riprese a passargli le dita tra i capelli, « Dormi, ora. Mi servi in forma. »
Ryou le borbottò qualcos’altro in inglese che lei non si prese la briga di comprendere, e gli si allineò contro, ascoltando il rumore del suo respiro per placare il ronzio della sua mente.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
 
 
 
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« Siamo riusciti a perfezionare lo stabilizzatore, » la voce di Pai risuonò fiduciosa all’interno del laboratorio, « La barriera attorno al Caffè è solida, e stiamo procedendo all’installazione dei congegni in tutte le vostre case. Qualsiasi altra miglioria successiva sarà compiuta da remoto. »
« E io finalmente potrò liberarmi del mal di testa, » scherzò Taruto, un po’ orgoglioso per il merito condiviso in quella creazione.
« Ovviamente, ripeto che non possiamo essere sicuri che i Geoti non lo captino, ma abbiamo ridotto al minimo gli impulsi che emette e speriamo che ciò sia sufficiente. »
« O che almeno non gli interessi abbastanza da catturare la loro attenzione. »
Pai annuì al commento di Zakuro, poggiata a braccia conserte contro al muro.
« Almeno è un sollievo, » esalò Retasu, ancora con la divisa da cameriera addosso, il Caffè chiuso da poco più di una mezz’oretta, « Sapere che così noi o i nostri cari possiamo avere una protezione in più, soprattutto quando non ci siamo noi. »
« Forse ricomincerò a dormire tutta la notte, » la battuta di Ichigo risuonò molto debole, e Ryou, accanto a lei, le accarezzò piano la schiena.
« Ciò non significa che dovrete abbassare la guardia. È soltanto una precauzione aggiuntiva, ma che non vi distragga. »
« Figurati se ci distraiamo, Shirogane, » replicò acida Minto, « È un pensiero che proprio non ci abbandona, sai com’è. »
Pai fu di nuovo il primo a spezzare il silenzio gelido che era sceso nella stanza: « Per questo, a discapito di suonare come un disco rotto, bisogna rimettersi in carreggiata con i nostri allenamenti. E forse discutere di strategie durante i combattimenti, visti i casini dell’ultima volta. »
Kisshu si strinse nelle spalle all’occhiataccia velenosa: « Il chimero è stato utile all’effetto sorpresa. »
« Come no, » il fratello maggiore fece schioccare la lingua, « Comunque, ora, capisco se il nostro numero si ridurrà per un po’, però – »
« Perché? » Minto sbottò ad alta voce, lanciandogli uno sguardo di ghiaccio, « Se stai parlando di me, sappi che non ho nessuna intenzione di stare a guardare. Non ho bisogno di un trattamento di favore. »
Zakuro le posò una mano sulla spalla, scrutandola con preoccupazione: « Non è un trattamento di favore. Vogliamo solo darti il tempo di recuperare. »
« Ho recuperato. »
« Sei sicura? »
La mora annuì, le unghie che si conficcarono negli avambracci: « Non voglio… darla vinta a nessuno. »
« Minto-chan, non è questione di – »
« Stai scherzando? »
Perfino Retasu tremò sotto il gelo della domanda di Kisshu e che gli aveva attraversato gli occhi.
« Tu non ti avvicinerai di un centimetro a loro. »
« Decido io cosa fare, » gli replicò la ragazza con livore, « Non ho intenzione di nascondermi, è mio dovere aiutare le altre. »
« Non ti metterò in pericolo una seconda volta, » ribatté irremovibile lui, avvicinandosi, « È assolutamente fuori discussione che tu ti ributti nella mischia così pre– »
« Fuori discussione?! » lo strillo stridulo e incredulo di Minto rimbombò nella sala, inondata di un silenzio di piombo, e lei notò appena come la stretta di Zakuro sulla sua spalla fosse aumentata, « Tu non hai nessun diritto di… ! »
« Col cazzo, » sibilò Kisshu, colmo d’ira, « Pensi davvero che ti lasci andare là fuori dopo quello che è successo? »
« Non dipende da te! » sibilò lei, stringendo i pugni lungo i fianchi solo per fermare le lacrime che sentiva affacciarsi sulle ciglia. Con la coda dell’occhio, vide Ichigo titubare e accennare a un passo avanti:
« Minto-chan, forse… »
« No! » la interruppe bruscamente, poi si rivolse di nuovo a Kisshu, « Tu non puoi dirmi cosa devo o non devo fare, ora più che mai è mio compito combatterli. Non darò loro certo la soddisfazione di pensare che siano riusciti a… a… »
L’alieno espirò rumorosamente per calmarsi, rilassando le spalle, e la raggiunse per prenderle il volto tra le dita: « Tortorella, non posso combattere se devo pensare a – »
« Non te l’ho certo chiesto, » Minto soffiò livorosa e scattò all’indietro, scostandogli con malagrazia le mani, « Non mi serve un babysitter. »
« Min–  »
« Lasciami stare, » Kisshu aveva provato di nuovo a riavvicinarsi allungando un braccio, ma la mora lo allontanò ancora di getto, scrollando le spalle per evitarlo e scuotendo la testa mentre iniziava a respirare pesantemente, « Mi devi lasciare stare, io devo – »
« Minto! »
« Minto-chan! »
Sia Ichigo che Zakuro si lanciarono in avanti quando la videro inciampare e perdere all’improvviso tutto il colore dal volto; fu però Keiichiro a raggiungerla per primo, e l’afferrò gentilmente per le spalle così da aiutarla a sedersi.
« Minto-san, va tutto bene, » esclamò con sicurezza, inginocchiandosi davanti a lei e cercando di incontrare gli occhi della mora che però erano vacui e persi sul pavimento, « Respira con me, dal naso. »
Un suono strozzato uscì dalla gola della ragazza, che continuava ad ansare con una mano sul petto. Keiichiro le prese le mani e le parlò sottovoce qualche altro istante, poi guardò gli altri da sopra la spalla: « Credo sia un attacco di panico, è meglio se uscite. Rimango io con lei. Davvero, Kisshu-san, » insistette con gentilezza quando lo vide esitare un passo avanti.
Lui si lasciò condurre fuori solo dalla presa di Taruto sulla spalla e da quella di Purin, che gli si avvinghiò al braccio mentre guardava l’amica con preoccupazione.
« Vogliamo continuare a insistere che vada tutto bene? » ringhiò quando furono tutti in corridoio.
« Non è il momento, Kisshu, » lo riprese Zakuro.
« Non lo è mai, » mugugnò rabbioso lui a mezza voce, e la biondina attaccata a lui lo scosse un istante come a dirgli di tacere, « Ditemi che ho torto a dirle che sarebbe meglio si prendesse un momento. »
« Glielo devi consigliare, non imporre, Kisshu. »
Lui alzò gli occhi al cielo al rimbrotto di Ichigo: « Da che pulpito. »
Purin si mordicchiò un labbro e sbirciò la porta chiusa: « La nee-san potrebbe dirci qualcosa… sembrava così tranquilla l’ultima volta a casa tua, Ichigo nee-san… »
« È più complicato di così, Purin, » la voce di Zakuro era gentile, ma solcata da un accenno di preoccupazione, « A volte le emozioni ti sorprendono tutte all’improvviso. »
« Sì, però se non ne parla… »
« Sfondi una porta aperta, » con maggiore cura del solito, Kisshu si scrollò la ragazzina di dosso e, nonostante il flebile richiamo di Retasu, non attese molto prima di rientrare nella stanza.
Minto era ancora seduta per terra, le braccia strette intorno a sé e il viso nascosto contro le ginocchia. Keiichiro le stava accanto, accarezzandole piano la schiena pur tenendosi a una distanza consona per lasciarla respirare, e gli rivolse un’occhiata di comprensione cui Kisshu rispose con un cenno che sperò indicasse la sua riconoscenza.
Il pasticcere abbozzò un mezzo sorriso e mormorò qualche altra parola di conforto alla mora prima di alzarsi, quasi cedendogli il posto mentre l’alieno le si accovacciava in fronte.
« Non ti azzardare a dirmi te l’avevo detto o altro di simile. »
Gli scappò un sibilo divertito al commento pungente, e le sfiorò piano i capelli: « Non sia mai che io abbia ragione, eh, tortorella? »
Gli occhi color caffè, lucidi e arrossati, si alzarono abbastanza per trucidarlo con poca allegria verso il suo sarcasmo non richiesto, e lui sospirò pesantemente.
« Ascoltami per una volta in vita tua, » mormorò, « Non c’’è niente di male ad ammettere di avere bisogno di una tregua. Fidati. »
« Voi non capite, » s’intestardì lei, un brivido che le attraversò di nuovo mani e gola, « Per me sarebbe come ammettere che… che mi hanno sconfitta davvero. »
« Minto, a costo di essere crudele, » le divaricò con cautela le ginocchia così da esserle ancora più vicino, posando la fronte contro la sua, « Se reagisci così al solo pensiero di affrontarli, come immagini che reagirai ad averli davanti sul serio, e ritieni che possa essere strategicamente saggio? »
La mora sgranò appena gli occhi e non riuscì nemmeno a guardarlo in faccia mentre le guance le si coloravano di stizza.
« Lo dici solo perché non vuoi che possa succedere qualcos’altro. »
Kisshu combatté la voglia di alzare le iridi al soffitto: « Anche. Ma so pure di cosa sto parlando. »
« Non ti preoccupare, nee-san! » la testa di Purin sbucò dalla fessura della porta, « Noi ce la caviamo e ti aspettiamo più carica che mai! »
Lei fece schioccare la lingua, già estremamente scocciata dalla sua sciocca e incontrollata esplosione emotiva, e accettò l’aiuto di Kisshu a tirarsi in piedi.
« Anche Ryou nii-san sta praticamente sempre nelle retrovie, gli vogliamo bene lo stesso. »
« Thank you, so kind of you. »
« Non credo che paragonarmi a Shirogane sia un complimento efficace. »
Il biondo le rivolse un’espressione stoica, ammorbidita però dall’ombra di un sorriso.
Minto fece di nuovo per aprire la bocca e tentare di replicare ancora, quando il segnale di allarme iniziò a risuonare acuto in laboratorio.
Un gemito collettivo si sollevò dalle Mew Mew, che si irrigidirono all’unisono.
« E ti pareva, » borbottò Ichigo, « Una puntualità paurosa. »
Kisshu aveva già estratto i sai, e si voltò serio verso la mora: « Tu rimani qui. »
Lei represse l’istinto di ribattere con forza, il senso di colpa in gola che si mischiò al batticuore erratico che le riempì il petto, ed ebbe solo l’energia di annuire mentre altre quattro luci colorate riempivano lo spazio.
 
 
 
 
Il vento gelido soffiava tra i piloni di acciaio, creando uno stridio inquietante che quasi faceva dolere le loro orecchie delicate, ma Pharart si stava concentrando di più su quanto incredibile fosse quella costruzione altissima, che cozzava così tanto con la maniera in cui Gaia era stata edificata e che, per lui, non era altro che una deturpazione della natura.
« Hanno davvero bisogno di stare così in alto? » domandò a Zaur, accanto a lui, « Bloccano qualsiasi vista, qualsiasi luce per coloro che non li raggiungono. »
« Forse è a causa della sovrappopolazione, » commentò placido l’altro, neanche una smorfia sul viso pallido, « È tutto così… grigio. »
« Non siamo qui a discutere di architettura, » abbaiò Kert, i capelli sciolti che sferzavano nel vento, « Dove sono le nostre amichette? »
« Vedi di non fare troppe cazzate. »
« Siete un po’ ripetitivi. »
Zaur fece ruotare pigramente il proprio bastone: « E tu una testa calda. »
« Io avrei in mente un’altra descrizione. »
Si rivolsero tutti e quattro verso il basso, dove finalmente erano spuntati i loro avversari, la tizia dalle orecchie nere e con la buffa gonna rosa in testa.
Il ghigno di Kert si fece più maligno: « Parrebbe che manchi la mia dolce ospite. Non aveva voglia di rivederci? »
L’unico indizio che Kisshu non avesse gradito la frecciatina fu il luccichio dei sai che spuntarono tra le sue dita.
Fu MewIchigo invece a lanciarsi per prima, un lampo di luce rosa magenta che investì i Geoti mentre lei saltava in alto, per avvicinarsi di più a loro, che contemporaneamente si gettarono contro terrestri e Duuariani.
Non si soffermò molto a pensare al luogo scelto per lo scontro: il cantiere di un nuovo centro commerciale di lusso, con annesso enorme parcheggio riservato, ancora semplicemente un vuoto scheletro di cemento e acciaio, tra cui le folate di vento s’inserivano gemendo. Parando i fendenti di Pharart e al contempo lanciando saette colorate, MewIchigo risalì la rampa per raggiungere il piano più alto disponibile e ridurre così la distanza dai nemici, segretamente invidiando gli Ikisatashi e la loro capacità di volare.
« Ribbon Strawberry Surprise! »
La luce travolse i quattro Geoti, ma non abbastanza per rallentare la loro controffensiva. La mewgatto udì chiaramente il clangore delle armi di Kisshu contro l’accetta di Kert, e delle bolas di Taruto contro la corta spada di Rui.
« State lontane da Zaur quanto possibile, mi raccomando. »
Il richiamo di MewZakuro le arrivò forte e chiaro mentre anche le altre la raggiungevano, e si scambiarono tutte un cenno d’intesa, il respiro che si fece più affannoso al solo pensiero di ciò che Minto aveva raccontato loro.
« Ribbon Lettuce Rush! »
Il getto d’acqua di MewRetasu accompagnò una scarica di proiettili di ghiaccio di Pai, il vento che pareva giocare a loro favore: Pharart riuscì a schivare di poco l’attacco, un pezzo della sua maglietta che venne tranciato via di netto.
« Erreskorakas, » mormorò tra i denti, incoccando un’altra freccia, i cui poteri erano nullificati vista la mancanza di un suolo fertile da colpire, « Non potevamo scegliere un luogo più semplice per me?! »
Kert parò un fendente di Kisshu, che lo stava tallonando incessantemente, e si scambiò un’occhiata velocissima col compagno.
« Nessuno ha niente in contrario a liberarsi di questo obbrobrio, vero? »
Non aspettò neanche la risposta dei suoi compatrioti: un colpo di taglio d’accetta si premurò di mantenere una distanza adeguata dal suo avversario, e al contempo, con la mano sinistra riuscì a reindirizzare una folata di vento così da deviare un getto di luce di MewIchigo e spingere Kisshu ancora più lontano, abbastanza per poter liberare il suo bazooka.
« Teneteli impegnati! » gridò agli altri Geoti, e poi mirò dritto a uno dei piloni che sorreggevano l’ultimo piano del cantiere, lì dove le Mew Mew erano impegnate a combatterli.
 
 
 
 
Dalla sala di controllo del laboratorio, Shirogane dovette trattenere una bestemmia tra i denti nell’osservare le immagini che scorrevano nello schermo a tutta parete, il cuore che gli scivolò in gola – o meglio, le immagini che non riusciva a vedere, a causa del polverone che aveva invaso l’intera ripresa di Masha; mantenne la calma solo per Minto, accanto a lui, che piantò le mani sul tavolo e singhiozzò un Ragazze! che riverberò solo tra le mura fredde.
Il biondo digitò qualcosa sulla tastiera, stringendo i denti e lanciando uno sguardo al piccolo schermo alla sua sinistra, dove le quattro lucine colorate lampeggiavano speranzose: « Stanno bene, » sibilò, quasi ad autoconvincersi, « Sia i ciondoli che i connettori degli Ikisatashi lo confermano, sono solo… »
La mewbird sbatté ancora i palmi sulla scrivania e gemette piano, incitando dentro di sé l’inquadratura a schiarirsi mentre il senso di colpa e l’ansia le impedivano di respirare. Si frugò in tasca e ne estrasse il proprio ciondolo, provando un angosciante senso di déjà-vu mentre ci esclamava dentro per richiamare le proprie amiche e riceveva solo staticità in risposta.
Shirogane digitò ancora qualcosa e attivò il vivavoce, spedendo Masha il più vicino possibile al luogo dell’impatto, e mormorando un’altra ingiuria quando finalmente riuscì a intravedere qualcosa.
 
 
 
 
Mentre il cemento si sgretolava sotto i loro piedi in tante zolle diverse, MewZakuro si era ritrovata a scivolare verso il basso prima ancora di rendersi conto di cosa stesse succedendo, i tacchi degli stivali che avevano tentato di frenare invano la caduta. L’urlo acuto di MewPurin le aveva perforato i timpani mentre la biondina slittava accanto a lei e cercava di afferrarla, il bordo del parcheggio in costruzione che si era avvicinato pericolosamente veloce.
La mewlupo era riuscita solo a sguainare la propria frusta e lanciarla contro uno dei piloni ancora in piedi, mentre stendeva il braccio destro per agguantare l’amica pregando che il suo istinto la stesse guidando correttamente. Il bagliore violetto si era arrotolato attorno al pilastro nello stesso momento in cui lei aveva percepito il vuoto nello stomaco, la mancanza di terra sotto il sedere e il peso di MewPurin che le tirava ancora di più verso il basso, e non era riuscita a contenere il gemito di sollievo quando la frusta aveva retto, che si era mischiato all’esalazione pesante che le era scappata allo schiantarsi, per il contraccolpo, contro uno dei piloni della costruzione.
« Nee-san! » MewPurin annaspò in quel momento, stringendole la mano con forza, « Siamo appese come dei salami! »
MewZakuro digrignò solo i denti, le spalle che le cigolarono dolorosamente allo sforzo di reggere sia lei che la mewscimmia, e cercò invano con gli occhi un appoggio per arrampicarsi di nuovo al sicuro.
« Onee-sama! » la voce di Minto le giunse dal robottino rosa che fluttuò innervosito accanto a lei, « State… come possiamo…?! »
« Le altre… » MewZakuro riuscì solo a mormorare mentre una goccia di sudore le scendeva da sotto la frangetta, « O… gli Ikisatashi… »
« Taruto!! »
MewPurin cercò di rimanere il più ferma possibile mentre scrutava verso l’alto alla ricerca dell’alieno, ma i detriti che si erano sollevati nello scoppio le facevano prudere gli occhi e le rendevano difficile riuscire a inquadrare più di una vaga silhouette in cielo. Guardò quindi verso il basso, cercando di calcolare quale sarebbe stata la distanza di una eventuale caduta per togliersi da quella situazione, ma pure lei avvertì un brivido di vertigini nel constatare quanto fosse distante il suolo.
« Nee-san… ce la fai se io mi spingo e… provo a infilarmi al piano di sotto? »
In tutta risposta, la mewlupo sentì la presa sulla frusta che scivolò di qualche prezioso millimetro.
 
 
 
 
Le orecchie smisero di fischiarle dopo quelli che sembrarono minuti interminabili, e MewRetasu sentì una miriade di sassolini correrle giù per le braccia non appena le sciolse dalla presa protettiva sopra la testa. Quando il terreno le era scomparso da sotto i piedi, lei era caduta dritta al piano inferiore, infilandosi in un’intercapedine momentanea che un po’ l’aveva protetta dal crollo.
Cercò con lo sguardo le amiche, ma non vide nessuno attorno a sé, così prioritizzò uscire da lì. Tossendo a causa della polvere, e con un fianco ammaccato che sentiva pulsare, si arrampicò con cautela tra i pezzi di cemento e acciaio che ora spuntavano minacciosi l’uno sull’altro, facendo sbucare con cautela prima la testa per controllare che il campo fosse libero.
Non si aspettò certo di vedere i piedi di MewPurin penzolarle davanti.
« Ragazze! » si tirò fuori dal buco di scatto e corse fino al bordo della piattaforma, « Ma come… forse posso provare a – » 
Le caviglie della biondina erano a qualche centimetro a penzoloni da lei, e la mewfocena tentò di afferrarle, per portare almeno una di loro coi piedi per terra; ma il pilone all’angolo, ancora in piedi, era troppo lontano, e lei non aveva nessun tipo di appoggio cui sostenersi per allungarsi il più possibile.
Il cemento cigolò terribilmente un’altra volta e l’intera costruzione tremò, e MewRetasu ebbe la netta sensazione di vedere la più giovane delle Mew Mew scivolare un po’ di più. Si sporse di nuovo, intanto che la voce stremata di MewZakuro la raggiungeva.
« MewPurin, fallo. »
« Nee-san, sei sicura che…? »
MewZakuro quasi le scosse la coda da lupo in faccia per dirle di sbrigarsi; così, la mewscimmia prese il respiro e poi lo trattenne, mentre scalciava per aria e tentava di darsi la spinta per saltare di nuovo dentro al cantiere.
« Retasu nee-san, prendimi eh. »
« Ci-ci provo! »
La mewlupo trattenne una parolaccia mentre lo sforzo sulla sua spalla si faceva estremo, ma cercò di aiutare l’amica, accompagnandone i movimenti quanto riusciva: probabilmente fu per i geni potenziati di entrambe, ma dopo un paio di sgraziati tentativi e sgambate nel vuoto, MewPurin riuscì ad inarcarsi quanto bastava per volare goffamente tra le braccia di MewRetasu, che l’agguantò stretta a sé mentre entrambe capitombolavano per terra.
MewZakuro esalò, di colpo molto più leggera, e sgranchì il braccio dolorante, la spalla in fiamme, prima di portarlo anch’esso attorno all’elsa della frusta così da sentirsi più sicura.
« Okay, nee-san, come facciamo a recuperare te ora? »
MewPurin non riuscì a finire la domanda che un altro colpo d’aria colpì la parte opposta del cantiere, e un altro boato dolorante riempì l’aria.
 
 
 
 
Il primo istinto di Pai, non appena aveva capito cosa stesse succedendo, sarebbe stato quello di correre a proteggere Retasu; ma – e la parte più addestrata di lui gliene avrebbe dato atto – i loro nemici erano stati particolarmente furbi a gettarsi serrati contro di loro per impedirgli di soccorrere le umane, senza lasciargli la minima possibilità. Zaur gli si era lanciato contro velocissimo, e Pai aveva ondeggiato sotto la forza del bastone premuto contro il suo fidato ventaglio. Con la coda dell’occhio, aveva visto Pharart frapporsi tra Kert e Kisshu così che il primo potesse scaricare tutto il suo potere, mentre Rui continuava a tallonare Taruto a colpi di spada, che il più giovane scansava con abilità ma con difficoltà crescente, anche a causa dell’angoscia per la sorte delle ragazze.
La nube di polvere che si era sollevata in conseguenza dell’attacco di Kert aveva impedito loro sia di prendere un respiro profondo sia di potersi accertare dell’entità dei danni per vari minuti, minuti che il maggiore degli Ikisatashi aveva passato con il cuore che gli aveva battuto contro le tempie fino quasi a renderlo sordo. Il loro sviluppato udito gli aveva almeno concesso di poter udire il richiamo di MewPurin, ma l’occhiata veloce che era riuscito a concedersi non aveva placato la bile che gli bruciò la gola, e sperò che anche suo fratello più giovane mantenesse la calma.
« Ci tenete davvero tanto a quelle ragazzine, eh? »  con una risata sarcastica, Kert volò sotto Pharart, il bazooka sempre retto con la mano sinistra come se pesasse la metà di ciò che sembrava, e assestò un colpo d’accetta ben piazzato a Kisshu, che riuscì a pararlo con uno dei sai solo all’ultimo secondo, « Siete un po’ troppo prevedibili ormai. »
Pai fece schioccare la lingua e con un Fuu Shi Sen scatenò una corrente d’aria abbastanza decisa per mettere in difficoltà Zaur per il tempo necessario ad andare a dare supporto al verde, decisamente troppo infastidito dalle continue provocazioni del loro avversario.
Una scarica di aculei di ghiaccio si frappose tra i due Geoti, costringendoli a separarsi, ma una freccia di Pharart gli soffiò di rimando a un millimetro dall’orecchio, impedendogli di caricare un’altra raffica come avrebbe voluto.
Non riuscì a evitare, cedendo pure lui alle istigazioni di Kert, di controllare ancora una volta il cantiere dove c’erano le Mew Mew, di scrutare per la frazione di un secondo un paio di code verde brillante – almeno MewRetasu pareva in piedi, intenta a provare di acciuffare la mewscimmia, ma…
Zaur gli fu addosso una seconda volta, le spire del suo potere che si avvilupparono intorno al suo collo mozzandogli il fiato e impedendogli di schivare il colpo di bastone che lo colpì in pieno petto. Pai volò all’indietro per qualche istante, più cadendo alla cieca mentre cercava di recuperare la lucidità. Avvertì Kisshu masticare un’imprecazione tra i denti mentre incrociava i sai e formava una bolla di elettricità che spedì a velocità avanzata contro i nemici per placcarli e fare guadagnare al fratello preziosi attimi.
« Fuu Rai Sen! »
Pur con voce un po’ roca, Pai contribuì all’energia lanciata da Kisshu, creando un muro di fulmini che costrinse i tre Geoti a dover virare all’ultimo secondo. Il fratello minore quasi non attese che si dissolvesse prima di lanciarvisi attraverso e caricare di nuovo Kert, il quale però scansò verso sinistra e si allontanò veloce dall’altro lato del cantiere, troppo veloce perché il Duuariano riuscisse a raggiungerlo in tempo prima che, con un ghignetto divertito, mirasse una seconda volta contro lo scheletro della costruzione.
 
 
 
 
MewRetasu l’aveva stretta a sé d’istinto quando i pezzi di cemento e acciaio aveva iniziato a cadere attorno a loro, e MewPurin non era riuscita a non urlare quando aveva percepito lo stomaco fare cinque capriole all’improvviso vuoto d’aria.
Almeno era riuscita a spedire un paio di Pudding Ring Inferno sopra le loro teste così da bloccare quante più pietre volanti possibili.
Non sapeva più nemmeno dove si trovassero o cosa restasse di quel povero centro commerciale, ormai un lato quasi del tutto sventrato: ringraziò solo di sentirsi tutte le ossa al posto giusto, nonostante le escoriazioni che ora le decoravano le ginocchia.
« Tutto okay, nee-san? »
La mewfocena si tastò un paio di volte la testa e la schiena, poi annuì poco convinta: « Mi… mi sembra di sì. MewZakuro? »
La mewscimmia si tirò in piedi con cautela, non fidandosi delle crepe che decoravano quel pezzo di cemento caduto insieme a loro e i cumuli di macerie lì attorno, e diede una scorsa all’ambiente circostante.
« Là! »
Qualche metro più in basso, alla fine di una slavina di detriti, intravide l’amica, stesa a terra con la frusta mollemente abbandonata sotto di sé.
MewPurin si stese sul pavimento e portò le mani a coppa davanti alla bocca per chiamarla con preoccupazione: « Nee-san! Mi senti!? MewZakuro nee-san!! »
Le parve di vederla muoversi appena, la coda folta che fremette; Masha le frullò davanti e poi piombò laggiù, strofinandosi contro al viso della mewlupo e sicuramente trasmettendole la voce di Ryou e Minto all’orecchio. Fortunatamente, questa volta il movimento della modella fu più evidente, e MewPurin esalò un sospiro di sollievo mentre faceva il segno dell’okay a MewRetasu.
« Dobbiamo andare ad aiutarli, » esclamò poi, cercando con lo sguardo gli Ikisatashi, « E dobbiamo andarcene da qua, non so quanto reggerà questo coso! »
Masha si ricongiunse a loro con un pigolio agitato, e il tono di Shirogane fece gelare a tutte e due il sangue nelle vene quando si accorsero, effettivamente, che c’era qualcos’altro che non andava.
« Dov’è Ichigo? »
 
 
 
 
Pharart fece una capriola all’indietro, schivò l’ennesima saetta bruciante di Kisshu, poi utilizzò la punta del suo arco per assestargli di rimando un colpo sul gomito, facendogli perdere l’equilibrio per qualche istante.
Doveva cambiare strategia, il combattimento corpo a corpo non era il suo forte, men che meno in una situazione così serrata come quella che si era venuta a creare, e soprattutto con Kert che sembrava una pallottola frenetica che cercava di mettere a segno quante più mazzate possibili.
Il suo secondo attacco contro quell’ingombrante e oscena costruzione umana non aveva sortito del tutto gli effetti desiderati, e il suo compagno sembrava deciso a frustrare quanto più possibile i Duuariani invece che concentrarsi sulle umane: quindi forse Pharart avrebbe potuto approfittarne.
Devo solo riuscire a trovare una minuscola via d’ingresso.
Lanciò una freccia contro Pai, centrandolo in pieno nel suo ventaglio sproporzionato e riuscendo così a evitare che generasse abbastanza potere, poi lasciò che se ne occupasse Zaur e si fiondò in verticale verso il basso, non badando alle loro nemiche né agli schiamazzi della battaglia sopra di loro, concentrato solo invece a trovare un centimetro di verde da poter sfruttare.
Quasi gli scappò un fischio di vittoria quando si accorse di quella piccola aiuola, giusto all’angolo più a nord del grigio edificio: gli umani vi avevano accalcato quelli che immaginava fossero gli strumenti e i materiali necessari a completare il loro lavoro, ma a lui non importava. Gli sarebbe bastato anche molto meno.
Afferrò quattro frecce contemporaneamente dalla sua faretra e le incoccò senza aspettare, incastrandole perfettamente nel terreno. Non attese neanche di controllare che andasse tutto per il meglio, fece dietrofront e ritornò in alto, tra i suoi compagni, muovendo appena un polso.
Pochi istanti dopo, otto radici dal diametro quasi pari a quello di uno dei piloni di sostegno sibilarono fuori dal terreno, seguendolo senza che lui facesse niente per poi serpeggiare tra il cantiere abbattendo muri e colonne.
MewRetasu e MewPurin quasi non si accorsero dell’arrivo di tre di queste: le piante senzienti le agguantarono e si avvilupparono a loro in una morsa implacabile, sbattendole contro a una delle pareti rimaste e silenziando le loro grida di sorpresa e dolore. Anche MewZakuro fu afferrata dalla terza di esse e lanciata vicino alle amiche, e dovette stringere i denti quando le radici le ribaltarono a testa in giù, lasciandole minacciosamente a penzolare nel vuoto.
« AH, così si fa! » esclamò soddisfatto Kert, osservando l’operato dell’amico, « Ce ne hai messo per sgranchirti, eh, vecchio mio? »
Una saetta di ghiaccio ed elettricità di Pai gli fece sfrigolare un lembo della maglietta, ma quel colpo quasi messo in segno non gli fece perdere la spavalderia.
« Vediamo di giocare sul serio, da bravi. »
 
 
 
 
Shirogane avrebbe annotato sul calendario quel giorno come la prima volta che aveva udito Minto Aizawa lasciarsi scappare un’esclamazione ben poco elegante alle scene che stavano scorrendo sui monitor; ma d’altro canto non poteva certo biasimarla, visto quanto lui stesso stava sforzandosi di non sciogliere la lingua in una bestemmia dopo l’altra, il cuore che gli stava battendo in petto come un forsennato.
Dovette quasi costringere Masha ad allontanarsi dalle Mew Mew, appese ancora come salami e nelle mani solamente della volontà dei Geoti, per reindirizzarlo verso il punto in cui, sulla mappa alla sua sinistra, lampeggiava piano l’icona di MewIchigo, che ancora non era spuntata dopo il primo sparo contro il cantiere.
« Dov’è quella cretina!?! » sibilò piano Minto, la voce carica d’angoscia e le nocche bianche contro al tavolo, « Perché Taruto non… »
Ma il più giovane degli Ikisatashi stava venendo attaccato con sempre maggiore velocità da Rui, e fin sullo schermo erano visibili le gocce di sudore che gli correvano lungo le tempie e il pallore che gli annebbiava le guance.
Ryou digitò ancora qualcosa, e il piccolo robottino s’incuneò lungo un piccolo e scuro tunnel tra i detriti, poco distante da dove il centro commerciale aveva iniziato a collassare a causa della prima corrente d’aria ricevuta. Le immagini si fecero buie e poco chiare mentre Masha svolazzava qua e là chiamando la sua padroncina a gran voce: poi, finalmente, dopo che il segnale si distorse così tanto che solo qualche confuso pixel fu visibile, la trasmissione inquadrò un ammasso di stoffa rosa ricoperto di polvere e sassolini.
« Ichigo, » lui esalò dapprima un sospiro di sollievo vedendo le orecchiette nere guizzare alla sua voce, che tentò di mantenere più salda possibile, poi dovette schiarirsi la gola nel notare il rivoletto di sangue sotto i capelli rosa acceso, « Ichigo, mi senti? »
« Ichigo! » Minto scosse il tavolo come se avesse potuto scuotere l’amica, poi afferrò di nuovo il suo ciondolo e ripeté stridula la chiamata, nella speranza che le arrivasse più forte e chiara, « Ichigo, rispondi!  Tirati su! »
Ci volle qualche secondo, Masha che continuò a pigolare e svolazzare in quello spazio ristretto causando ancora più interferenze, poi la mewgatto emise un gemito confuso e sbatté le palpebre un paio di volte.
« Che… che succede? »
« Ichigo, Ichigo, pii! Stai bene, stai bene! »
Lei picchiettò un dito guantato sulla testolina del robot solo per farlo stare calmo: « Sì, penso di… ma dove sono finita!? »
Shirogane ruotò appena la visuale sui loro monitor: « Ti è franato metà dell’ultimo piano addosso. Sei tutta intera? »
MewIchigo, ancora rannicchiata per terra, tentò di muoversi, e fece una smorfia dolorante quando si sfiorò la testa: « Ehm… ho come la brutta sensazione di essere intrappolata qui. »
Minto sbatté di nuovo i palmi sulla scrivania: « Devi andare ad aiutare gli altri! » strepitò « Sono in difficoltà, Pharart le ha… »
Ryou le sfiorò appena una mano per cercare di tranquillizzarla: « Sei sicura di non riuscirti a muovere? »
« Sono letteralmente in un buco, Shirogane! » strepitò di rimando lei, l’espressione all’improvviso piena di panico, « Riesco a malapena a stendere le gambe, come diavolo faccio a - ?! »
L’americano fece un respiro profondo, poi ordinò piatto: « Trasformati in gatto. »
Sia la moglie che la mewbird lo guardarono come se fosse diventato matto.
« Shirogane, se si trasforma poi non riuscirà a… »
« E se non si trasforma, rimarrà lì sotto e rischia di non uscirci, » rimbeccò lui, guardando solo la mora, « Quindi, Ichigo, trasformati. »
Il trillo del campanellino sulla sua coda riecheggiò nel laboratorio mentre MewIchigo tentennava: « Non  so se... »
« Ichigo, do it now. »
« Oh, al diavolo! »
 
 
 
 
Taruto parò l’ennesimo colpo della spada di Rui e volò ancora più vicino ai suoi fratelli: serrare i ranghi in quel momento gli sembrava l’unica opzione disponibile, combattere quanto più uniti possibile e sperare che le Mew Mew riuscissero a togliersi dall’impiccio il più in fretta possibile.
Un moto di rabbia, angoscia e vergogna gli attraversò il petto a quel pensiero: lui e Pharart parevano condividere un potere simile, eppure lui non riusciva a controllare le piante del Geota, che in quel momento stavano tenendo in scacco le ragazze – dovette concentrarsi per non lanciare l’ennesima occhiata a Purin, una macchiolina gialla in quel serpente verde e lucido che pareva stringersi ad ogni tentativo della biondina di liberarsi – né era riuscito ancora a trovare lo spazio per creare a sua volta delle piante in grado di contrastarlo. Rui lo teneva con precisione sotto tiro, non lasciandogli più del tempo di un respiro, e Taruto stava iniziando ad avvertire la stanchezza prendere il sopravvento sui suoi muscoli.
Per un istante, invidiò Kisshu: era sicuramente il più concentrato tra loro tre, conscio che Minto era al sicuro al Caffè Mew Mew, e rispetto all’ultima volta i suoi colpi apparivano più precisi, più freddi, anche se Taruto riusciva a riconoscere la luce indispettita nei suoi occhi ogni volta che Kert apriva bocca per tormentarli.
Lanciò le sue bolas, seguite poi dal suo pugnale, esultando piano quando riuscì almeno a far sì che le prime si attorcigliassero alla punta dell’arma di Rui, frenandolo quanto bastava perché Taruto tentasse di richiamare a sé qualche ramo spinoso che almeno rallentasse le cinque radici libere di Pharart, che saettavano tra di loro cercando di afferrare pure i Duuariani.
Riuscì a malapena ad aprire una mano, però, perché Rui fu svelto a liberarsi delle bolas e ricacciarsi contro di lui, quasi bloccandolo tra di sé e una delle grosse e agguerrite piante.
« Avete rotto i coglioni, » udì suo fratello di mezzo sibilare, mentre piantava ripetutamente i sai in una delle radici, che gli sprizzò linfa verde acido in faccia, « Taruto, un chimero - »
« No! » ruggì Pai, e lanciò l’ennesima scarica di ghiaccio contro le piante e contro i Geoti, « Niente che non riusciamo a controllare! »
« Ah perché questa ti sembra una situazione controllata! »
Kisshu ebbe appena il tempo di scrollarsi la frangia umida di sudore dagli occhi prima che Zaur gli fosse addosso con il suo bastone, e fece una carambola di lato, al tempo stesso fendendo l’aria con i sai e usando una delle radici selvagge come base di appoggio per rilanciarsi contro il nemico.
Pai non gli rispose, troppo impegnato a sparare colpi uno dopo l’altro contro Kert, che ribatteva con tante piccole scariche di aria compressa che vanificavano tutti i loro sforzi.
Maledizione…
 
 
 
 
Le orecchie le vibravano insopportabilmente, tutto il sangue al cervello a forza di rimanere a testa in giù. Per l’ennesima volta, MewZakuro tentò di liberarsi, ormai satura di non avere un appoggio saldo per i piedi, ma le spire di quel serpente vegetale sembravano non avere intenzione di lasciarla andare, e ad ogni suo sforzo esse aumentavano il loro ondeggiare, sbatacchiandola di qua e di là e provocandole il mal di mare, oltre che a spezzarle il fiato.
Non le sembrava che le sue amiche fossero in condizioni migliori, anche se MewPurin pareva essere stata in grado di liberare almeno un braccio e ora prendeva a randellate la radice che la intrappolava con uno dei suoi tamburelli.
« Lasciami… andare… brutta… stronza! »
Puntualizzò ogni parola con un colpo, ma l’ultima parolaccia le uscì strozzata, perché la punta della radice le saettò di più lungo la gola e gliela strinse leggermente, mozzandole ancora il respiro.
« MewPurin! » la chiamò preoccupata MewRetasu, che stava provando a rimanere il più ferma possibile mentre litigava con le nacchere strette tra le mani, le braccia troppo bloccate lungo il corpo perché riuscisse a metterle in funzione.
All’improvviso, un bagliore di luce rosata attirò la loro attenzione: MewRetasu quasi trattenne il respiro, ma fu solamente Ichigo in versione gattina nera che fece la sua comparsa dopo tanti anni.
« Ma che diamine… » bofonchiò annaspando MewPurin, « Nee-san, non sei molto utile così?! »
La micetta soffiò incarognita, e senza attendere oltre si lanciò verso le amiche, piantando i piccoli artigli contro la radice che intrappolava la mewscimmia e arrampicandosi fino in cima, prendendo a morderne la punta così che mollasse la presa.
MewPurin non riuscì a trattenere un gridolino impaurito quando la spira incominciò a dimenarsi come un’ossessa per scacciarsi la bestiolina di dosso: Ichigo però resistette, azzannando con tutta la forza che aveva in corpo la parte più sottile dell’essere vegetale e graffiando in quanti più punti possibili, con la caparbietà di una tigre.
L’ennesimo scossone, Ichigo che miagolò e soffiò agguerrita, la spira che lasciò andare il collo di MewPurin ma che di contro si lanciò contro la gattina, riuscendo finalmente a scrollarsela di dosso con un’ultima avvitatura su sé. La mewscimmia gridò, un po’ per il movimento improvviso che la avvicinò al suolo a una velocità spaventosa, un po’ per l’angoscia per l’amica, il corpicino nero che venne eiettato lontano dove non c’erano appigli.
« Ichigo! »
In quello stesso istante, tre fiotti di luce azzurra apparvero quasi dal nulla, e MewMinto dietro di loro, le ali ancora un po’ ammaccate ma spiegate e l’arco ben teso davanti a sé: mentre le sue frecce filavano verso le radici che intrappolavano le ragazze, lei piombò verso il basso e afferrò la micia all’ultimo, stringendosela protettiva al petto prima di atterrare con cautela.
« Stai bene, brutta scema!? » esclamò, controllando il folto pelo nero e ignorando i miagolii irritati, « Cosa pensavi di fare!!? »
MewMinto neanche le diede retta, se la mise sotto al braccio e si riconcentrò sulle altre: i suoi primi Ribbon Mint Echo avevano solo indebolito le radici, così non attese oltre e ne rispedì altri, tutti di fila, senza nemmeno pensare, finché non vide una forte luce azzurra e finalmente le piante ritirarsi quasi uggiolando nel terreno, mentre il budino di Purin creava per la seconda volta una piattaforma di appoggio più morbida del cemento.
« Sei grande, nee-chan! » l’accolse festosa la biondina, « Ora andiamo a fargli il culo a strisce! »
 
 
 
 
Non l’avrebbe mai ammesso, ma Pai fu positivamente stupito – e, sotto sotto grato – dell’apparizione improvvisa di MewMinto e dell’occasione che il trambusto da lei causato gli presentò.
Non ascoltò il ringhio del fratello di mezzo, né quello irritato dei loro nemici: si erano distratti tutti a causa del vociare, delle luci colorate, del rumore delle radici che si ritiravano e delle loro sorelle che parevano correre loro in aiuto.
Non avrebbero avuto un’altra occasione simile.
Pharart gli era più vicino, avevano combattuto faccia a faccia fino a un istante prima, il biondo che usava le sue frecce come arma bianca e lui che si riparava e attaccava a colpi di ventaglio. Veloce come un fulmine, Pai chiuse la distanza tra di loro, afferrò la freccia che Pharart ancora teneva in mano riuscendo a strappargliela per la sorpresa, e gliela conficcò dritto nel ventre.
L’ossigeno parve sparire dall’aria mentre quasi la scena si fermava: Pharart si irrigidì un istante, gli occhi verdi che si spostarono sul rametto ruvido che gli spuntava dalla pancia, prima che iniziasse a cadere all’indietro.
Un ruggito, e sia Kert che Rui gli furono subito dietro, il primo che riuscì a teletrasportarglisi alle spalle e lo afferrò appena prima che si schiantasse al suolo. Non tentò di estrarre la freccia, lanciò solo uno sguardo al fratello, che gli atterrò accanto l’istante successivo, e svanì nel nulla, seguito poco dopo da Rui.
Pai guardò solo Zaur, poco lontano da lui con il bastone ancora alzato e che gli rivolse lo sguardo più nero che il Duuariano avesse mai visto, prima di scomparire anch’egli.
« Cos’è successo!? » domandò stravolta MewPurin non appena gli Ikisatashi le raggiunsero in terra, ma il maggiore di loro si rese conto in quel momento di non avere nemmeno più la forza di risponderle.
Abbandonò mollemente il braccio lungo al fianco, il suo fidato ventaglio che ritornò delle sue dimensioni normali, e riuscì a sostenere lo sguardo preoccupato e sconcertato di MewRetasu soltanto per una frazione di secondo.
Kisshu, allora, emise un lungo e sgraziato barrito mentre gettava la testa all’indietro e incrociava i sai dietro la schiena, poi indicò Ichigo, tra le braccia di Minto, con un dito che fece girare in cerchio: « Ebbene? »
Un miagolio irritato, che interpretarono come un lasciate perdere e andiamocene, per favore, fu l’unica risposta che ottenne.
Masha frullò tra di loro, così che Shirogane potesse di nuovo interpellarli: « Venite al Caffè, non mi sembrate una favola. »
« Hai anche il coraggio di pontificare, biondo, dalla tua comoda seduta? »
« Magari quel cazzotto che hai preso in faccia te la renderà più sopportabile. »
« La tua è chiaramente gelosia, » l’alieno oltrepassò il robottino e avvolse le spalle di MewMinto con un braccio, senza dirle niente ma stringendola con un po’ troppa decisione perché fosse del tutto contento, prima di precedere gli altri al loro quartier generale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) « Pare proprio che voi due parliate davvero tanto. »

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Capitolo 18
*** But I'm the mess that you wanted ***


Chapter Eighteen – But I’m the mess that you wanted

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Una sequela di parolacce si levò dalle labbra di Rui non appena varcarono la soglia del salone, Pharart, a capo riverso sul petto stretto tra lui e Kert. S’impose di ignorare il calore crescente che sentiva espandersi contro il suo fianco da quello dell’amico, e circumnavigò le sedie con quanta più cautela possibile, mirando verso il tavolo al centro della stanza.
« Cos’è successo?! »
Espera li raggiunse preoccupata, sgranando gli occhioni blu non appena capì cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, non perse un secondo a reagire: nonostante il pallore sul viso, si rimboccò le maniche e cacciò giù dal tavolo le poche cose lì sopra, facendo spazio perché Kert e Rui potessero deporvi con cura il biondo.
« Nella dispensa, la sacca rossa, » istruì Zaur e Rui, che annuirono convinti, « E dell’acqua calda, subito, per favore. »
Pharart esalò un sibilo di dolore quando le dita sottili dell’aliena tastarono attorno alla ferita, da cui ancora spuntava la freccia.
« Scusa, » la ragazza gli rivolse un sorriso incoraggiante e dispiaciuto, « Non sarà piacevole toglierla, ti avverto. »
« E quando mai, » boccheggiò lui, fissando il soffitto per non guardare il sangue che persisteva a colargli lungo l’ombelico o gli strumenti che lei estrasse dalla bisaccia che Zaur le passò velocemente.
Rui tornò in quel momento e poggiò una bacinella accanto alla compagna, che vi tuffò le mani e poi si scambiò uno sguardo con l’alieno dagli occhi neri.
« Non posso che consigliarlo. »
« D’accordo, » Pharart ansimò un’altra volta e strinse i denti mentre il dolore s’irradiava fin dietro la schiena, « Basta che facciate presto. »
Espera annuì, poggiando con leggerezza i polpastrelli attorno alla freccia: « Pronti? Uno, due, e… »
 
 
 
 
« Mi sembra pulita e non molto profonda, Ichigo-chan, niente di cui preoccuparsi. Però continua a metterci il ghiaccio, d’accordo? E sta’ all’erta, se dovesse venirti mal di testa. »
« Grazie, Akasaka-san, » la rossa gli rivolse un sorriso stanco, sfiorandosi di nuovo sovrappensiero il taglio che aveva appena sopra l’orecchio sinistro e che lui aveva appena terminato di medicare.
« Figurati, con quella testa dura non c’erano sicuramente pericoli. »
Ichigo fece una smorfia dispettosa a Minto: « Simpatica come sempre. »
« Non ho ancora sentito grazie, sai, piccola palla di pelo volante. »
« Non ho proprio niente da ringraziarti se il trattamento è questo! »
« Ragazze, per favore, » Zakuro esalò, appena divertita ma esausta, il braccio contuso poggiato temporaneamente su un foulard per riposare l’articolazione e una varietà di tagli sul corpo che non sapeva come avrebbe spiegato alla troupe della serie tv, « È ora di andare a casa. »
« Concordo, » Purin si stiracchiò con un sonoro scrocchiare, poi sbadigliò, « Domani tutto come al solito? »
« Solo se ce la fate. »
La biondina quasi saltellò sul posto in risposta a Keiichiro: « Io e Taru-Taru direi di sì. »
« Tu vai a batterie nucleari, altroché. »
Rivolse una linguaccia a Kisshu – ancora a massaggiarsi una scapola dove si stava affacciando un vistoso livido causato da una delle radici di Pharart – poi salutò di nuovo sottovoce le amiche e, agguantato Taruto sotto il braccio, si allontanò spedita dal laboratorio.
Le altre la seguirono mormorando saluti più o meno energici, sciamando fuori in gruppo senza le forze per commentare oltre il disastro conclamato che quella battaglia si era dimostrata.
Non appena furono lontani da sguardi indiscreti, ma comunque riparati tra i sentieri del parco, Shirogane passò un braccio attorno alle spalle di Ichigo e la strinse a sé, posando il naso tra i suoi capelli: « Direi che ora sei pari e patta con tutto quello che facevi a tredici anni. »
« Mmph, che meraviglia, » rispose sarcastica lei, poggiandogli una mano sul petto per farsi più vicina, «  In realtà mancherebbe solo che tu avessi più di un alter ego. Come quando pensavamo che il Cavaliere Blu fossi tu. »
« L’avrei preferito, » commentò lui lugubre, poi abbassò la voce, « Dopo mi racconti a cos’hai pensato. »
Ichigo arrossì e alzò gli occhi al cielo: « Che sciocco. »
 
 
 
 
« Ahio, tortorella, fai piano! Quella roba pizzica! »
Minto sbuffò e tamponò ancora una volta con il disinfettante il taglio che Kisshu aveva sullo zigomo destro.
« Non essere esagerato, » gli concesse una carezza, poi afferrò una pomata lenitiva e si accomodò sul divanetto alle sue spalle per trattare invece il grosso ematoma che gli stava fiorendo sulla spalla, « E poi forse così ti ricorderai che devi stare più attento. »
Lui, seduto sul pavimento, esalò tra i denti quando le dita lo sfiorarono con la crema fredda: « Le liane non erano nel piano, e non sono il mio stile di bondage. »
La mora, automaticamente, gli diede uno scappellotto sulla spalla opposta che gli strappò un gemito più per lamentela che per vero fastidio; calò poi il silenzio per un paio di minuti, lei che continuò placidamente a massaggiargli la scapola contusa.
« Sei arrabbiato? » domandò sottovoce dopo un po’.
Kisshu si tese appena sotto le sue mani, però sospirò e scosse la testa: « No, » mormorò e si voltò quanto bastava per scrutarla con la coda dell’occhio, « Ma ogni tanto sottovaluto la tua cocciutaggine. »
« Ho dovuto farlo, altrimenti… »
« Lo so, » l’alieno si girò del tutto, « Non significa che non valga quanto ti ho detto oggi. »
Minto annuì e socchiuse le palpebre quando la bocca del ragazzo si posò sulla sua; le scappò un sospiro non appena dischiuse le labbra, e gli accarezzò un’altra volta il viso prima di allontanarsi lentamente.
« Come sta Pai? » domandò poi a bassa voce, concentrandosi sul tubetto di crema da richiudere.
Kisshu fece ruotare la spalla: « Non è la prima volta, e tra tutti è sicuramente quello più avvezzo alla mentalità da siamo in guerra, ma… non so, forse dovrei andare a parlarci. Anche la pesciolina non mi è sembrata del tutto convinta. »
Minto fece un vago verso di naso, a sottolineare come fosse un dato di fatto non essere “del tutto convinte”, poi stirò un sorriso stanco: « Credo faresti bene ad andare e non lasciare a Taruto tutto il compito di controllare come stia. Io, intanto, mi faccio una doccia e mi preparo. »
L’alieno la scrutò un secondo di troppo prima di assentire: « D’accordo. Non ci metto tanto, ma se ti addormenti faccio piano. »
Lei annuì e sorrise ancora, passandogli la maglietta che lui aveva abbandonato sul pavimento e dandogli un altro bacio di saluto. Attese di vederlo scomparire, e poi qualche altro secondo in più, scrutando che non fosse per caso ancora fuori dalla finestra, prima di buttare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni e alzarsi di scatto, un brivido violento che quasi le fece scivolare la crema dalle dita.
Aveva agito senza pensarci troppo, poche ore prima, spinta solo dall’istinto di andare ad aiutare le sue compagne, dal richiamo del loro senso Mew – ma una volta afferrata Ichigo, una volta che aveva posato i piedi a terra e aveva rivolto lo sguardo verso la battaglia soprastante… rivederli là, tutti assieme, rivedere lui… poteva ancora sentire la morsa gelida in cui le si era stretta la gola, il battito frenetico del cuore che non le aveva lasciato la possibilità di respirare, si era sentita di nuovo rinchiusa in una stanza senza via di uscita, le spire buie di un potere sconosciuto che non le avevano lasciato scampo, e lei…
Minto fece appena in tempo ad arrivare in bagno e inginocchiarsi davanti alla tazza del water prima che il contenuto del suo stomaco vi ci rovesciasse dentro, mentre lacrime altrettanto amare e pungenti le bruciarono gli occhi.
 
 
 
 
Per l’ennesima volta, Retasu rotolò nel letto alla ricerca di una posizione che le facesse prendere sonno. Provava dolore e indolenzimento in ogni punto del corpo – e per fortuna che anche in casa era abituata a indossare un cardigan, vista la stagione, perché sarebbe stato complesso spiegare ai suoi genitori la miriade di piccole ferite che la costellavano – e aveva le palpebre pesanti, ma il suo cervello proprio non voleva saperne di spegnersi per concederle un po’ di ristoro.
Eppure, l’aveva sempre saputo com’erano e come sarebbero andate le cose.
Non rendeva viverle da così vicino meno complesse.
Le immagini della battaglia di poche ora prima continuavano a lampeggiarle contro gli occhi chiusi.
L’espressione determinata di Pai che non aveva mai vacillato, men che meno quando…
Quando ha fatto ciò per cui è stato addestrato.
Strinse il lenzuolo nel pugno e strofinò la faccia contro il cuscino. Stava davvero cercando di convincersene, era un argomento che avevano anche trattato in passato, ma per lei era davvero diverso, viverle nella pratica.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
« Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »(*)
Era vero, lo sapeva, era stata onesta quando gli aveva detto quelle parole: e ora lo aveva conosciuto più a fondo, era a conoscenza di ogni suo dettaglio, e…
Ne sei proprio certa?
La vocetta insistente nella sua testa non voleva lasciarla stare, causandole ancora più senso di colpa. Quando ne avevano parlato, lei aveva ritenuto che fosse tutto nel passato, che non si sarebbero mai più ritrovati in una situazione simile. Che certe parti di Pai non sarebbero più tornate a galla.
Era consapevole che non ci fosse nessun colpevole per esse, che le circostanze della vita di lui, così diverse dalle proprie, lo avessero costretto a trovare ogni espediente per sopravvivere; com’era consapevole che lui avesse intentato ogni soluzione possibile per cambiare, per redimersi, soprattutto ai suoi occhi.
Però, Pai aveva anche saputo più cose di lei, di tutti loro, aveva trattenuto informazioni vitali, aveva lasciato che di nuovo il suo rigore militare prendesse il sopravvento, e forse, forse quando aveva messo la maggior parte delle carte in tavola con lei, aveva anche posato le basi per un avvertimento, un’anticipata ammissione di colpevolezza.
Forse lei stava ingigantendo solo la questione, le sue amiche non le parevano mai sconvolte tanto quanto lei; forse doveva solo abituarsi ancora alla nuova realtà delle cose.
Forse le serviva solo dormirci sopra.
Si raggomitolò un po’ di più, stringendo il cuscino tra le braccia, il ricordo della conversazione di un paio di giorni prima che le bruciò la gola.
 
 
 
 
Zakuro soffiò sulla tisana bollente, reggendo la tazza con una mano sola mentre si aggiustava al meglio sulla poltrona del salotto. Ormai provava dolore ovunque, entrambe le spalle non la smettevano di ruggire, e lei stava solo contando i minuti fino a quando gli antidolorifici avrebbero iniziato a fare effetto.
« Here ya go. »
Joel la raggiunse e le porse il cellulare, che le aveva recuperato dalla borsa appoggiata in ingresso; lei aveva avuto la mezza idea di mandare qualche messaggio per accertarsi di Minto e Retasu, soprattutto, ma si sentiva così esausta in quel momento che anche digitare le parole giuste le parve un’impresa impossibile.
« Grazie, » sospirò fiaccamente, ficcando il telefono nello spazio tra le sue gambe e il bracciolo, « Sicuro che la dose fosse giusta? »
Il texano la guardò alzando solo un sopracciglio: « Ya sure you don’t wanna go to the hospital? »
Zakuro prese un sorso e scosse la testa, dovendosi concentrare più del solito per scivolare sull’inglese: « Il mio fidato medico ha detto che non ho nulla di rotto. »
« Ho detto che lo escluderei… »
« Ho solo bisogno di rilassarmi. Dirò che ho avuto un incidente in bici, o qualcosa del genere. »
« Basta che non mi dipingi come il ragazzo violento. Che è comunque molto più credibile di un’invasione aliena. »
La modella lo guardò di sottecchi mentre lui si lasciava cadere sul divano in fronte a lei: « Ne parli come se fosse cosa da tutti i giorni. »
Joel si strinse nelle spalle, la profonda cadenza del sud che le solleticò piacevolmente l’udito: « Shirogane non ha risparmiato dettagli quando mi ha chiesto se volessi partecipare ufficiosamente al progetto, in particolare quando mi sono trasferito a Tokyo e potevamo parlarne di persona. Era necessario che sapessi a cosa stessi andando incontro affinché potessi collaborare in maniera funzionale. E non sono il tipo che si fa dissuadere da una coda o un paio d’orecchie. Su una come te soprattutto. »
Zakuro mosse appena le sopracciglia mentre nascondeva il viso dietro la tazza: « È la tua maniera di rivelarmi qualcosa? »
« Dipende da che vuoi farci poi, » ricambiò il sorriso divertito che gli rivolse, e si rilassò ancora di più sul sofà, « Ma sarà per un’altra volta, quando non sarai imbottita di farmaci. »
« Che ancora non stanno funzionando. »
Joel le fece solo un cenno con la testa: « Come facevate… prima? »
Lei prese un sorso più lungo della tisana calda, accogliendone l’effetto rilassante: « Keiichiro, per la maggior parte, per le cose più banali. Ma tranne per la battaglia finale… non è mai stato troppo terribile. Non così, almeno. »
« Ora sei tu che ne parli come se niente fosse. »
Zakuro si strinse nelle spalle, notando come in effetti il dolore pareva essersi attenuato: « Ho – abbiamo – dovuto abituarci, o saremmo impazzite. Normalizzare il fatto che mi spuntano le orecchie e la coda da lupo, renderlo davvero una parte di me, era l’unica maniera per andare avanti. Forse addirittura per un certo periodo mi è mancato. Ma guai a te se lo dici a Shirogane. »
L’uomo rise sottovoce e fece il gesto di chiudersi la bocca con una zip e gettare via la chiave, invogliandola con un cenno del capo a continuare.
« Paradossalmente è meno normale stare qui a parlarne con te. »
« Devo prenderlo come un complimento? »
Lei poggiò la testa contro lo schienale della poltrona e lo studiò per un istante: « Non c’è mai stato nessuno di esterno con cui poterne discutere. Qualcuno la cui maggior parte della vita non ruota attorno a questo, almeno. È rinfrancante, anche non doverlo spiegare. »
Joel la guardò con una punta di soddisfazione che lei non mancò e che le solleticò piacevolmente la spina dorsale.
« Come siamo sincere, oggi. »
« Sono chiaramente i medicinali. »
Lui rise sarcastico, alzandosi e avvicinando il viso al suo: « E tu dicevi che non funzionavano. »
 
 
 
 
L’avrebbe persa.
L’avrebbe persa di nuovo.
L’avrebbe persa per sempre.
Non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
Aveva visto lo shock, la realizzazione, la paura nei suoi occhi, non appena era riuscito a riabbracciarla, e ora temeva che la sua paura più grande potesse compiersi.
Che lei vedesse cos’era davvero, che capisse quanto non la meritasse.
Non si rimangiava ciò che aveva fatto, no, sapeva che era stata l’azione giusta da compiere anche e soprattutto per proteggere lei, ma se solo fosse riuscito a spiegarsi…
Il beep beep beep insistente del computer principale gli provocò un fastidioso ronzio alle orecchie, e Pai sforzò gli occhi ormai secchi e iniettati di sangue per controllare le informazioni sul monitor.
Una ruga gli si segnò profondamente sulla fronte: perché diamine adesso il monitoraggio della Mew Aqua segnalava di nuovo una quantità ingente sparita nel…
« Yo. »
Pai sobbalzò visibilmente sulla sedia quando Kisshu comparve all’improvviso nel laboratorio, senza premurarsi di accendere il resto delle luci nella stanza. Lui soffiò tra i denti e si sfregò le palpebre, levandosi gli occhiali.
« Credevo Aizawa ti avesse fatto passare la mania di certe pessime maniere. Che ci fai qua? »
Il minore ignorò la frecciatina e afferrò una delle sedie libere, girandola così da posare i gomiti sul poggiatesta: « Passavo a controllare. »
Pai continuò a massaggiarsi il volto: « Immagino tu intenda il tuo lavoro, ma ho già passato in rassegna tutti i sistemi e non c’è niente da - »
« Io avrei fatto la stessa cosa, » Kisshu lo interruppe tranquillamente, non perturbato da come il fratello stesse fingendo noncuranza, « Anzi. Sto ancora aspettando di averne la possibilità. »
Il maggiore rallentò il proprio movimento nervoso, ma persistette a non guardarlo in faccia.
« La fai facile, tu, » mormorò esausto e roco dopo qualche secondo, « Aizawa è più pragmatica su certe cose. Basta vedere cos’ha combinato oggi. »
« La pesciolina non è certo un’ingenua, sa benissimo in che razza di situazione ci troviamo. Devi solo darle il tempo di elaborare. »
« Kisshu, non mi servono le paternali. »
« Non è una paternale, ma… » il verde sbuffò e scosse la testa prima di lasciare la sedia e alzare le mani, « D’accordo, come vuoi tu, era solo per venire a vedere come stavi, Mister Pezzo di Ghiaccio. Non siamo su Duuar, non devi farti andare bene tutto a muso duro, sai. »
« Proprio perché non siamo su Duuar, non è – ah, lascia perdere, » Pai fece schioccare la lingua e si riconcentrò sul monitor, « Non puoi capire. »
« Come no, » commentò solo Kisshu da sopra la spalla, avviandosi verso la porta senza voltarsi, « Forse invece la tua vita sarebbe un pochetto più semplice, se ti mettessi in quella testaccia che tutti capiamo molto di più di quanto pensi. »
Gli rispose solo il ticchettare furibondo della tastiera.
 
 
 
 
Kert, Rui e Zaur, tutti e tre le facce pallide e stanche, saltarono in piedi non appena Espera risbucò dal bagno, dove si era ripulita da ogni traccia appartenente a Pharart.
« Allora?! » sberciò Kert, i pugni stretti e un nodo nello stomaco che gli rendeva roca la voce.
« Se la caverà, » esclamò lei decisa, per poi fissare Rui con un misto tra decisione e angoscia, « Ma deve rimanere a riposo assoluto per almeno dieci giorni, due settimane sarebbe ancora meglio. Ho fatto il meglio che potevo, ma i nostri strumenti qui sono quello che sono. »
« Assolutamente, » lui annuì convinto, « Non ho intenzione di mettere ancor più in pericolo un mio compagno. »
Mentre Kert si risiedeva sul divano con uno sbuffo, Zaur guardò il suo comandante: « Non sarà presa bene. »
« Non m’interessa. »
« Se possono aspettare per lei, possono aspettare anche più a lungo per un membro ufficiale di questa squadra. »
Rui ignorò Kert e si morse l’interno della guancia: « Penseremo a qualcos’altro. Ora andiamo a riposare anche noi, o non combineremo davvero nulla. »
Espera gli si avvicinò, avvolgendolo in un abbraccio che forse lei necessitava ancora di più, imponendosi di ignorare lo sguardo glaciale che Kert le aveva rivolto.
 
 
 
 
Nonostante la tendenza all’ottimismo e all’energia, Purin fu contenta che, il giorno dopo, Akasaka avesse deciso di aprire il Caffè solo per il turno pomeridiano. La botta della battaglia era stata più intensa di quanto avesse anticipato, e lei e Taruto si erano ritrovati a dormire fin quasi all’ora di pranzo; anche ora che stavano percorrendo il vialetto assieme, diretti alla struttura rosa e bianca, non si sentivano affatto riposati quanto avrebbero dovuto, ed ogni tanto la mewscimmia testava la capacità di espansione di polmoni e cassa toracica, giusto per controllare che le radici che l’avevano stretta non avessero causato troppi danni.
« Ehi, Reta-chan! » la sagoma della mew verde sbucò dal lato opposto, e Purin le sorrise contenta, « Come stai? Niente di rotto? »
L’amica accennò a un sorriso poco convinto: « Sembrerebbe di no. Voi tutto bene? »
Taruto la studiò preoccupato, gli occhioni blu contriti e le pesanti occhiaie sotto di essi fin troppo notevoli: « Ce la caviamo. »
« Devo evitare i miei fratellini per un po’, » sospirò la biondina, « O penseranno che Taru-Taru sia un poco di buono, con il macello che ho sul collo. »
Si scostò un po’ la sciarpa che indossava, rivelando l’alone blu lasciatole dalla radice che le aveva stretto la gola poco prima che Ichigo riuscisse a intervenire, e Retasu la guardò sconsolata:
« Mi raccomando, Purin-chan, se ti serve qualcosa… anche se pure io ormai non so cosa inventarmi con i miei. Fortuna che le maniche lunghe non sono fuori luogo, ormai. »
« Ma scusate, perché non abbiamo mai pensato a una base segreta extra, » inquisì a voce alta Purin mentre s’incamminavano tutti verso l’ingresso, « Dove possiamo trasferirci tutti così da minimizzare questo tipo di interazioni. Tipo casa di Minto nee-san. »
« Fidati, tu non vuoi convivere con Kisshu. »
« Secondo me sarebbe divertente! Poi così saremmo sempre insieme. »
« Ripeto, non vuoi passare tutto il tempo con i miei fratelli. »
« Sei solo geloso, Taru-Taru. »
Retasu ridacchiò delle loro chiacchiere, ma esitò a dirigersi insieme a loro verso gli spogliatoi; il Caffè pareva deserto, ma sapeva benissimo dove avrebbe trovato Pai, e non avrebbe potuto concentrarsi per nulla se non fosse almeno riuscita a salutarlo prima che iniziasse il caos del servizio.
« Ah, Purin, ti raggiungo dopo, voi intanto andate. »
 « D’accordo, ti lascio la merenda da parte allora! »
La verde annuì, girò sui tacchi mentre prendeva un respiro e fissò le scale del seminterrato, gli ultimi gradini avvolti nella penombra che le sembrarono significativi del suo stato d’animo.
Su, forza e coraggio, non è mica la prima volta che ci parli, anzi…
Strinse la ringhiera e s’incamminò lenta, ripetendosi mentalmente le cose che avrebbe voluto – o dovuto – dire, come un mantra di rassicurazione, concentrandosi sul respiro e sui suoi passi così da non capitombolare giù, attirando più attenzione di quanto avrebbe voluto.
Quando arrivò al seminterrato, notò che la porta del laboratorio era socchiusa, e le voci di Pai, Kisshu, e Akasaka filtravano sottovoce.
« Non è la prima volta che il sistema fa così, » stava esclamando Kisshu con tono scocciato, « Anche quando la tortorella… quindi magari è solamente un errore. »
« Non può essere un errore, te l’ho già detto, » sbottò stanco il maggiore degli Ikisatashi, « I nostri sistemi, almeno su questo, non fanno errori. »
« Ma se non riescono nemmeno a localizzare i nostri amici! »
Keiichiro si intromise tra i due, e Retasu poté immaginarsi la ruga tra gli occhi: « Questo invece hai detto che non si era mai verificato? »
« Non che mi sia accorto prima, né ne ho trovato traccia sui registri. »
Retasu stessa corrugò la fronte e cercò di avvicinarsi di soppiatto per capire di cosa stessero parlando, i loro mormorii che si fecero più sordi, ma ebbe fatto tre passi che la porta del laboratorio si aprì del tutto, rivelando il pasticcere.
« Ah, Retasu-san, buon pomeriggio! Scusatemi, non mi sono accorto che si era già fatta ora di apertura. Purin-san è di sopra? »
Lei non poté evitare di arrossire, sentendosi colta in fallo anche se non aveva fatto niente di sbagliato, e annuì nervosa: « Sì, con Taruto-san. Io ero, uhm… »
« Pesciolina, qual buon vento, » Kisshu, lui stesso con un viso piuttosto segnato, uscì stancamente dallo stanzone e scrocchiò il collo, « Non ditemi che è già ora di iniziare la tortura. »
Retasu rise e sbirciò oltre la sua spalla: « Come sei drammatico, Kisshu-san. »
L’alieno la guardò per un istante e le sorrise: « Tutto a posto? »
Lei si sentì fin troppo scrutata dalle iridi dorate e riuscì solo a muovere il capo in un gesto confuso. Lui le diede un buffetto sulla testa e, prima di allontanarsi al piano superiore, fece in tempo a bisbigliarle qualcosa all’orecchio che la fece sorridere prima che Pai comparisse corrucciato sulla soglia.
« Che ha detto? »
Retasu non seppe se il suo cuore iniziò a battere agitato per la sua presenza o per il suo tono scontroso: « Niente, solo una sciocchezza. »
Pai fece schioccare la lingua con fastidio, poi sospirò e si fece da parte, lo sguardo che si addolcì posandosi sulla ragazza.
« Come stai? »
Lei scrollò le spalle: « Ammaccata, » esalò, « E stanca; non ho dormito granché. Qui tutto bene? »
Le dita di Pai fecero per sfiorarle una gota, ma poi ricaddero pesantemente lungo il fianco dell’alieno: « Come mai non sei riuscita a dormire? »
« Forse ero… troppo stanca. E non è stata una giornata facile. »
« Retasu, » la voce scura si fece ancor più brusca mentre Pai tentennava se avvicinarsi di più a lei o al contrario farsi indietro, « Dimmi la verità. »
Lei inspirò di scatto, tentando di ignorare il pulsare del suo petto e il nervosismo crescente: « È la verità, » mormorò sottovoce, intrecciando forte le mani solo per tenerle ferme, « Io non… non sono come le ragazze, non mi è mai piaciuto combattere, e… e ieri è stato difficile, per me. »
Questa volta, il passo indietro di Pai fu ben chiaro, e la colpì come uno schiaffo, intanto che il viso del ragazzo si faceva ancora più cereo: « Non posso biasimarti, né chiederti di restare, se ciò che è successo è troppo per te. »
La Mew Mew scosse la testa: « N-non lo è, ma… cioè, sì, d’accordo, lo è, però… » fece un respiro profondo e alzò lo sguardo, rivolgendogli gli occhioni blu colmi di lacrime, « Sei sempre tu. »
L’alieno la fissò, quasi studiando ogni centimetro del suo viso alla ricerca del più piccolo tentennamento.
« Non pensare che sia fiero di me stesso, » mormorò a voce così bassa che Retasu faticò a comprenderlo, « Ma sono disposto a qualsiasi cosa pur di proteggerti. E comprendo, se ciò ti provoca disgusto. »
La verde lo guardò scioccata, avanzando verso di lui e prendendogli il volto tra le mani: « Cos – no, Pai, non potrei mai esserlo. Ho solo bisogno di… di capire. Di accettare la realtà dei fatti. »
I palmi di Pai si posarono sui suoi, stringendole le dita come se in realtà volesse allontanarla: « Non posso vivere al pensiero che tu abbia paura di me, Retasu. »
Lei rimase stoica, facendo ancora mezzo passo in avanti: « Non ho paura di te. Ho paura della situazione, ho paura di perderti. Ma di te mai. »
Pai parve rilassarsi di una frazione, ma non cambiò espressione, accarezzandole solo il dorso della mano con un pollice: « Sei troppo buona. »
« Smettila di dirlo come se fosse un insulto. »
Finalmente le rivolse l’ombra di un sorriso, inclinandosi di più verso di lei: « Tutto il contrario. »
Anche Retasu incurvò le labbra all’insù, seppur con un tremolio: « Possiamo… parlarne un po’? »
« Certo, » Pai annuì e le lasciò andare le mani, aprendo appena le braccia ed espirando del tutto quando lei vi si raggomitolò dentro, il profumo dei suoi capelli che lo invase come una rassicurazione, « Di tutto quello che vuoi, per quanto vuoi. »
 
 
 
 
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Il fracasso del cemento che si frantumava addosso alle sue amiche l’assordò anche attraverso gli altoparlanti del laboratorio. Provò ancora l’inutilità del proprio comunicatore, dei richiami senza risposta, quel senso opprimente di pressione al petto che non la lasciava proprio stare.
Poi Ichigo cominciava a cadere e lei volava così veloce da sentire dolore in ogni singola piuma, o forse era lei che stava cadendo di nuovo, senza rallentare, solo il boato della battaglia come sottofondo, e quella voce che…
Minto si tirò su di scatto e prese un respiro, piantando bene i palmi contro al materasso per assicurarsi che no, nonostante l’odiosa sensazione nello stomaco, non stava cadendo, era al sicuro nel suo letto, nella sua stanza, illuminata e –
Perché era così illuminata?
Nonostante l’ottundimento per il sonno interrotto in maniera così brusca, saltò giù dal letto come una furia non appena ebbe lanciato un’occhiata alla sveglia e un’altra al suo cellulare per accertarsi realmente di che ore fossero. Aveva dormito ben oltre all’orario prefissato, e ora era in indiscutibile ed insopportabile ritardo per il suo appuntamento con Zakuro.
Stringendo un paio di maledizioni tra i denti – perché diamine Kisshu non l’aveva svegliata!? Perché se n’era andato senza avvertirla?! – si preparò il più velocemente possibile, senza neanche perdere tempo ad avvisare la onee-sama con un messaggio, quasi abbaiando che le fosse preparata l’automobile, ignorando completamente l’elegante colazione che, come ogni mattina, l’aspettava nel salottino preferito.
Odiava, odiava con tutta sé stessa essere in ritardo, soprattutto per delle stupidaggini come il poco e cattivo sonno, o per le mancanze altrui; e poi il lavoro era l’unica cosa in quel momento che le dava costanza, che le teneva lontano distrazioni poco piacevoli, pensare di non dare il massimo e gravare su Zakuro non era per niente accettabile.
Si dovette trattenere dall’ordinare all’autista di andare quanto più veloce possibile, intanto che finiva di darsi gli ultimi ritocchi sul sedile posteriore e continuando a lanciare pensieri maligni a destra e a manca, dal traffico inesorabile di Tokyo a Shirogane e i suoi esperimenti genetici. Quando finalmente la limousine si fermò davanti all’elegante complesso di appartamenti in cui viveva la modella, Minto si lanciò fuori con un ultimo commento distratto sul non aspettarla né tornare a prenderla, il naso infilato nella grossa borsa nera alla ricerca del mazzo di chiavi giusto.
Salutato il portiere in maniera spicciola e sfogato metà della sua frustrazione sul pulsante dell’ascensore, arrivò quasi senza fiato all’ultimo piano, davanti all’entrata del loft di Zakuro. Suonò il campanello, ma come di consueto infilò le chiavi nella toppa prima di ricevere risposta.
« Buongiorno onee-sama, scusa il ritardo! » esclamò ad alta voce, « Ma non ho sentito la svegli – ah. »
La voce le si affievolì mentre gli occhi si posavano sul paio di scarpe chiaramente maschili riposte all’ingresso, e lei percepì in quel momento il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e che evidentemente non era in utilizzo dalla mewwolf, la quale le comparve davanti in quell’istante con in mano una tazza di caffè.
« Buongiorno, Minto, non preoccuparti, » le sorrise, facendo finta di non notare la sua espressione stizzita, « Non ti ricordi? Le riprese sono sospese fino alla settimana prossima. »
La mora si lasciò scappare uno sbuffo irritato mentre l’informazione faceva effettivamente capolino dai meandri del suo cervello.
« Ah, certo, giusto… » borbottò, scuotendo la testa, poi si concentrò per essere più pimpante, « Allora possiamo approfittarne per rivedere l’agenda degli impegni futuri? So che Tanizaki-san voleva renderti partecipe di un paio di campagne, ma ho paura che possano coincidere con – »
Zakuro la fermò con una mano leggera sulla spalla: « Minto, in realtà credo che dovremmo rallentare e goderci questi giorni di pausa, senza andare in overbooking. Soprattutto con quello che sta succedendo ultimamente, farebbe bene anche a te, non trovi? »
Il viso di Minto si accigliò di scatto e lei boccheggiò un paio di secondi prima di esclamare: « Cosa vorresti intendere? »
« Niente. Non c’è fretta di riempire i tempi morti, siamo già abbastanza stressate, e parlo di tutte noi. E sia come tua assistita che come tua amica, prenderti un respiro sarebbe – »
 « Non mettere in mezzo me se t’importa solo di passare del tempo con lui. »
Zakuro rimase stoica allo sbotto improvviso, stringendole solo un po’ di più la spalla: « Sto cercando di aiu – »
« Che poi vorrei capire cosa ti stia passando per la testa, con quello là, » continuò imperterrita la mora, lanciando un’occhiataccia di fuoco oltre il corridoio d’ingresso dove ancora sostavano, « Ha quanto, trentun anni? E ancora deve andare a importunare le ventenni?! »
« Minto. »
« E poi, non sappiamo niente di lui! Metti… metti che lo stia facendo solo per il suo lavoro, di cui abbiamo pochissimi dettagli! Metti che… che sia tutta una trappola, che ti voglia studiare, o – »
« Minto, ora basta. »
Il tono della modella la fece trasalire e zittire d’improvviso, la bocca che si strinse in una linea severa.
« Ti sono sempre molto riconoscente del fatto che ti preoccupi per me, anche quando la tua apprensione è mal posta, » sibilò gelida Zakuro, « Ma prima di dirci qualcosa di cui poi ci pentiremo, ritengo sia meglio tu vada. »
Le iridi color caffè tremolarono lucide, ma Minto alzò il naso e si limitò ad annuire, le nocche strette attorno al manico della borsa che impallidirono.
« D’accordo, » esclamò indispettita, « Se hai bisogno sai dove trovarmi, non ti disturbo oltre. »
Girò sui tacchi e non si voltò indietro, sforzandosi di controllare il tremolio del proprio mento almeno fino a quando si chiusero le porte dell’ascensore.
 
 
 
 
Espera bussò dolcemente all’ingresso della camera che ospitava Pharart e attese qualche istante; non udendo nessuna risposta, si bilanciò meglio la bacinella d’acqua contro il fianco ed aprì la porta, facendo sbucare solo il viso dalla fessura.
« Sono ancora vivo. »
Sorrise al fievole commento roco del ragazzo ed entrò più decisa, raggiungendo il letto: « Ciao, come stai? »
« Come qualcuno a cui hanno perforato le budella. »
La ragazza sorrise ancora e gli sfiorò la fronte con il palmo, assicurandosi che la temperatura non fosse salita nuovamente: « È ora di cambiarti di nuovo la fasciatura. Ma prometto che diventerà sempre meno fastidioso. »
Pharart grugnì lamentoso, fissando il soffitto con concentrazione: « Dimmi che almeno tra un po’ potrò uscire da qui. Sto cominciando a essere inghiottito dal materasso. »
L’aliena rise e iniziò a lavorare con attenzione: « È passata una settimana, direi che è stato il periodo più delicato. La ferita si sta rimarginando bene, ma voglio essere cauta. Tu come ti senti? »
« Posso mentirti e dire che voglio lanciarmi giù dal letto? »
« Assolutamente no. »
Si scambiarono una risata, ed Espera tastò con accortezza la cicatrice arrossata che ora gli decorava l’addome. Pharart sibilò tra i denti e l’aliena corrugò la fronte, concentrandosi per trasmettergli quanta più calma e tranquillità possibile.
« Come fai? » domandò dopo un po’ il biondo, mentre lei intingeva una spugna nella bacinella e prendeva a lavarlo delicatamente.
Espera ci pensò su un attimo, stringendosi nelle spalle: « Non so come spiegarlo, io vi sento e basta. A volte è come se potessi percepire anche il colore di un’emozione, quando è molto forte. È anche per questo che ho voluto dedicarmi alle cure, per riuscire a spargere quanta più positività possibile; anche perché non è sempre semplice riuscire a influenzare l’umore altrui. »
« Ma non stai male? »
« Un po’, » replicò lei, iniziando a srotolare la garza pulita, « Su Gaia è più facile. »
« Come darti torto. »
Si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Espera lavorò qualche altro istante in silenzio e infine gli sorrise: « Ecco fatto. Mi raccomando, sai come funziona: se inizi a sentirti male, o senti che la ferita è calda, fai un fischio. Vado a prenderti il pranzo, intanto. »
« Manda qualcuno di quei pigroni a farmi compagnia, magari. Kert mi deve ancora una rivincita a shatranj(**). »
Lei annuì e lo salutò con un cenno, rassicurata di vederlo in condizioni via via migliori. Si sbarazzò dell’acqua intiepidita in bagno, si risciacquò viso e mani, e infine si diresse verso il salone principale, dove i rimanenti tre della compagnia passavano la maggior parte del tempo.
« Qualcuno ha pensato a mettere qualcosa sotto i denti? »
Kert, in piedi vicino al monitor principale, la guardò storto: « Abbiamo pensieri ben più gravi. »
« Me lo ricorderò, sai, quando sentirò lamentarti, » lo riprese lei in uno scatto d’ironia che gli fece guizzare il sopracciglio pallido, però poi intercettò lo sguardo preoccupato di Rui, che le sorrise mesto:
« Il Consiglio è un po’ stanco dei nostri aggiornamenti speranzosi ma vacui. Stanno richiedendo di rivedere le strategie. »
Zaur fece schioccare la lingua, scocciato, e il maggiore dei Tha lo echeggiò.
« Possibile che non gli importi nulla? »
« Ci sono interessi ben più grossi, Kert, e lo sai anche tu. »
Lui sibilò qualcosa sottovoce, poi si rivolse di nuovo a Espera con cattiveria: « Tu, principessina, pensi di renderti utile in un lasso di tempo sensato? »
La ragazza cercò di rimanere impassibile a quell’affermazione, ben sapendo quale fosse il non detto a cui Kert stava riferendosi e perciò inveendogli contro silenziosamente dentro di sé; poté anche percepire un brivido strano che le corse lungo la schiena e che le fece tremolare la mano, unito alla voglia di tirargli un altro cazzotto, poi però un’idea le arrivò in quel momento e lei raddrizzò la schiena: forse, se fosse riuscita a parlarle, a spiegarle la situazione sfruttando quest’ultima necessità…
« Io forse un’idea ce l’avrei. »
 
 
 
 
La visita non la prese del tutto alla sprovvista, ma le fece comunque uno strano effetto trovarsi Kisshu davanti alla portafinestra del balcone.
« Cos’hai contro la porta d’ingresso? » l’accolse Zakuro a voce bassa, e lui si scrollò nelle spalle:
« Questo è più veloce, e poi ci sono ottomila telecamere in questo palazzo, devo evitare che a mio fratello venga l’ennesima sincope. »
Lei non commentò, come decise di non commentare il fatto che era in giro in maglietta alle dieci di una sera di fine ottobre, ma gli fece strada fino ai divani. Si accomodò su uno dei braccioli, ma Kisshu rimase in piedi circa al centro della stanza, il viso scuro e le mani poggiate sui fianchi:
« Vogliamo continuare a far finta che vada tutto bene? E che sia solo questione di tempo? Finché litiga con me ancora okay, ma con te? Mi sembra un segnale ben chiaro. »
Zakuro si picchiettò un ginocchio con un dito, arricciando appena le labbra: « Raramente Minto ha avuto mezze misure riguardo le proprie opinioni, ma questa volta ha esagerato. »
« I dettagli non mi interessano, sono fatti vostri, però non venirmi a dire che non sei preoccupata del suo comportamento, » Kisshu si passò le dita tra i capelli, il ciuffo della frangia che rimase spettinato all’insù, « D’accordo, la tortorella è parecchio drammatica, ma – »
« Cos’è successo dopo che è andata via da qua? »
Lui sbuffò e scosse la testa: « Sono passato da lei per cena e praticamente mi ha sbranato, accusandomi di non averla svegliata apposta perché la stiamo trattando tutti come se sia malata, che tu stessa non la ritieni capace di gestire la situazione e l’hai voluta allontanare – ti risparmio i commenti sul tuo moroso. Quando le ho fatto notare che non avevi tutti i torti e che questa settimana di respiro fa bene a tutti, ha ricominciato a dire che nessuno di noi la sta a sentire e che, fondamentalmente, siamo tutti degli egoisti iperprotettivi. Non so se non se ne renda conto, o se faccia finta di niente, » aggiunse poi con un ultimo sbuffo. Zakuro rimase in attesa, così lui continuò il suo sfogo, incominciando a librare a mezz’aria a gambe incrociate:
« Dorme tantissimo, ma non dorme bene. Mi sveglio in continuazione perché la sento che si agita, che borbotta, ho perso il conto di quante volte si è svegliata di colpo in piena notte – e devo far finta di non accorgermene, di continuare a dormire, perché se solo provo a consolarla s’incazza come una biscia e mi dà del pesante. E se non ci sono io, dorme con tutte le luci accese; non passa neanche per il corridoio se la luce è spenta. Poi l’hai visto pure tu come ha reagito la settimana scorsa, e non mi pare che la situazione stia migliorando. »
Kisshu prese un respiro, poi fece schioccare la lingua in maniera dolorosamente sarcastica, fissando gli intricati decori del tappeto persiano: « E queste sono le cose che noto quando sto con lei, che è molto meno spesso di quanto vorrei. Perché non credo di dovertelo dire che il più delle volte sembra faccia pure fatica a guardarmi negli occhi, o a rivolgermi la parola. Per non dire altro. Sono qui a quest’ora, dopotutto. »
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri. Zakuro continuò a tamburellare sulle proprie gambe, cercando di articolare i pensieri; Minto non gliene aveva mai parlato, ma non le era necessario perché sapesse che ci fosse stato di più di quello che aveva rivelato sui loro nemici, o che almeno, l’impatto del suo rapimento sulla sua psiche fosse maggiore di quanto le piacesse dare a vedere. Ma costringere Minto in una direzione diversa da quella che si era prefissata non era mai stato un’impresa semplice, perdipiù se veniva messa in discussione la sua capacità di resistenza, o la sua autonomia.
« Non so cosa fare, » esalò ancora Kisshu, la voce stanca, « Se inizia a isolarsi anche da voi… »
« Dalle un po’ di tempo per sbollire, » disse infine la modella, « E dallo anche a me. Le voglio bene, e capisco la situazione, ma ciò non le dà adito di dire le cose che ha detto, o almeno nella maniera in cui lo ha fatto. Ma non la lasceremo sola, se è ciò che ti preoccupa, neanche se o quando ce lo chiederà. Però, e soprattutto, non dovremmo starle addosso, nessuno di noi, e tu in primis. »
« Facile a dirsi, » replicò lui, « Non sei tu quella che viene evitata come se avessi la peste. »
« Appunto, insistere ti tornerà solo indietro come un boomerang. Quando si sentirà pronta, vedrai che sarai lei a cercarti; nel frattempo, possiamo spingerla piano verso la direzione giusta. Ti ha ascoltato, durante l’ultima battaglia, ed è rimasta in disparte. »
« Sì, per la prima mezz’ora. »
« Meglio che niente. »
Lui fece uno sbuffo e annuì lento, facendo penzolare una gamba nell’aria: « E se alla fine non vuole cercarmi più? »
Zakuro esitò una frazione di secondo, ma cercò di sorridere incoraggiante: « Chi è che è parecchio drammatico, ora? »
Kisshu fece una smorfia poco divertita, poi si raddrizzò e si scrocchiò il collo: « Torno al Caffè. È stata una giornata infernale, e Pai vuole un aggiornamento costante dei sistemi. Almeno lui e la pesciolina hanno fatto pace. »
La modella si alzò e lo seguì di nuovo alla finestra: « C’è qualcosa da monitorare di più? »
« No, no, » la schiena rivolta a lei, Kisshu agitò solo una mano come a dirle di non preoccuparsi, « È solo mio fratello che è paranoico. Tutti in tema, eh? »
Lei rispose solo con un arriccio delle labbra, non del tutto convinta, e un ultimo cenno di saluto, prima di guardarlo teletrasportarsi via.
 
 
 
 
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Che si detestassero a vicenda era un dato di fatto. Che Seles fosse una vipera vendicativa era una novità.
Non sapeva neanche se avere più rispetto per lei, dopo quella trovata: chiaramente era stato un gran colpaccio, un’idea geniale, anche perché quelle due si conoscevano così bene, Seles non poteva non averle parlato di tutto, compreso quello che interessava a lui.
Però lui aveva sperato fino alla fine che il Consiglio non approvasse il suggerimento, e anche una volta che era arrivato il via libera, per l’intera settimana successiva lui aveva auspicato che non succedesse davvero. Era diventato talmente nervoso che pure Pharart – seppur convalescente, lo stronzo, aveva abbastanza fiato per prenderlo in giro senza sosta, e Zaur con lui – a un certo punto lo aveva trovato insopportabile, chiedendogli di lasciarlo stare per un paio di ore. Espera figuriamoci, non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a rendersi a lui così invisibile per quella decina di giorni, ben conscia del danno che aveva provocato.
E invece no. Stava per succedere davvero, e il segnale d’arrivo aveva appena raggiunto i loro server.
Dopo innumerevoli rotture di scatole attraverso un ologramma perfetto, Sunao comparve davanti a loro in carne ed ossa, il nuovo membro della missione di Gaia sulla Terra, a dare supporto addizionale ora che uno di loro era ferito e, quindi, la loro efficienza si era ridotta ulteriormente.
Rui sorrise smagliante, inclinando appena la testa verso la nuova arrivata: « Sunamora, benvenuta. È un piacere e un onore averti tra noi. »
Espera non attese un istante e si lanciò al collo dell’amica con un gridolino contento, quasi spezzandole il fiato mentre rispondeva: « È un piacere anche per me. Credo che ci divertiremo. »
Kert alzò gli occhi al cielo a quel commento, e si limitò a un saluto spiccio non appena lei fu libera dalla presa della mora: « Sunamora. »
« Tha. »
Sunao gli sorrise, divertita dal suo evidente fastidio; una frazione di secondo dopo, Pharart – che non si sarebbe per niente perso l’occasione – s’intromise tra di loro, porgendole la mano con un’espressione smagliante:
« Kyurai Pharart. Piacere di fare finalmente la tua conoscenza di persona. »
L’aliena rise e gli strinse la mano: « Ah, il nostro eroe ferito in battaglia. Ho sentito molto parlare di te. »
« Solo cose irreprensibili, spero. »
Kert fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo: « Dovresti essere a letto. »
« L’hai sentita, sono un eroe. Un eroe non si abbandona al proprio dolore. »
« Tu sei un imbecille. »
Espera scivolò leggera tra di loro per prendere Pharart per le spalle prima che il tic nervoso della mascella di Kert diventasse ancora più evidente.
« Ha ragione, sai, » esclamò, « Torna a riposarti. »
Il biondo finse una smorfia scioccata: « Devo essere sul punto di morte, se tu e Kert siete d’accordo. »
« Finiscila. »
Sunao rise ancora e gli fece l’occhiolino: « Avremo modo di chiacchierare, ne sono certa. »
« Aspetterò con impazienza, » Pharart replicò con altrettanta malizia e accennò a un inchino, nonostante il volto che perse velocemente colore.
Espera lo spinse un po’ più decisa verso l’uscita, quasi trascinandolo via, mentre Kert sbuffava sonoramente e l’aliena dai capelli violetti continuava a ridere.
« Dargli corda non l’aiuta, se non si regge in piedi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo: « Invece è un buon segno se mantiene il suo spirito. »
« Quello sempre, » lui seguì la sagoma dell’amico con gli occhi, poi esalò e si passò nervosamente una mano tra i ciuffi grigi, « Credo sia anche una maniera di accantonare il pensiero che in pratica l’abbiamo riacciuffato per un pelo. »
La ragazza lo studiò incuriosita: « Non ti vedevo così abbattuto da un bel po’. »
« Non avevamo mai rischiato così. »
« Scommetto che una maniera di tirarti su la trovo. »
Kert le rispose solo con un ringhio poco divertito al doppio senso, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla, ma le fece comunque un cenno mentre s’incamminava lungo il corridoio. La precedette all’interno della propria camera e si lasciò cadere sul divano, facendolo cigolare lamentosamente. Sunao lo seguì svelta e gli porse una bottiglia di vetro prima di sedersi accanto a lui, poggiando il gomito sulla spalliera e raccogliendo le gambe contro di sé:
« Pacco speciale. »
Lui emise un verso di soddisfazione: « Come l’hai motivata la cassa di ollit? »
« Un regalo per il morale dei nostri eroi. »
Kert sbuffò, scostandosi i capelli dal viso con un cenno del capo: « Sunamora, stai cercando di corrompermi. »
Lei ridacchiò e fece cozzare gentilmente le rispettive bottiglie: « Mai negato il contrario. »
L’alieno prese un sorso, poi sospirò pesantemente e si passò una mano su viso: « Il Consiglio deve ritenere che siamo in un bel casino, per mandare te. »
« Rui ha comunicato la prognosi suggerita da Espera, non l’hanno ritenuta ottimale. »
« Tsk, » lui fece schioccare la lingua, « E figuriamoci. »
Si afflosciò di più sul divano, massaggiandosi la radice del naso e buttando la testa all’indietro contro la spalliera mentre Sunao rideva sottovoce:
« Comunque grazie del complimento. »
« Sottintendevo che tu sei una grandissima rompipalle. »
« Prometto che cercherò di essere clemente con te durante gli allenamenti. »
Kert emise uno stridulo verso di naso condito di incredulità prima di lanciarle un’occhiataccia, poi però sbuffò: « Non ti sto dando ragione, né tantomeno al Consiglio, ma a volte mi chiedo se davvero non abbiamo sottovalutato tutto questo. Sicuramente non avevamo tutte le informazioni necessarie, e quei Duuariani… »
Sunao si spostò appena sul divano, le dita della mano sinistra che gli sfiorarono la spalla: « Non dirmi che sei davvero preoccupato. »
« I pianetini attorno a Gaia al massimo avevano una fauna ipertrofica che non era in grado di infilzarti con la tua stessa arma. »
« Come se non avessi avuto da discutere anche con loro, » lo prese in giro, « Ma sei carino quando ti preoccupi per il tuo amico. Che non mi avevi mai presentato, tra parentesi. »
Kert la guardò di nuovo male: « Da quando te li devo presentare io? »
L’aliena rise e bevve: « Sarebbero di fondamentale aiuto quando diventi insopportabile. »
Lui grugnì, poi giocherellò un po’ con la bottiglia e sospirò: « Raccontami un po’ di casa. Quali sono le chiacchiere ad Astù? (***)»
« A parte la costante narrazione delle vostre gesta, vuoi dire? Credo che tra un po’ il Consiglio interverrà per fare tacere Euribe. »
Kert sbuffò al nome di sua madre: « Le manco e non vede l’ora di rivedermi, vero? Mentre il suo bambino e la sua perfetta compagna sono l’ultimo dei suoi pensieri, completamente dimenticati. »
« È fiera anche di te. Tu però un po’ la osteggi, » Sunao allungò la mano e gli sfiorò coi polpastrelli la metà di capelli che lui portava rasati, « Ad esempio, quando ammetterai che quest’acconciatura è solo per farla infuriare? »
« Tsk, » lui schioccò la lingua e poi la guardò con soddisfazione, accennando all’insieme di tatuaggi che gli decorava l’intera spalla sinistra, « Mai come questi. »
« Appunto, » lei ricambiò il sorriso divertito, bevve un sorso ed esclamò, « Ah, a proposito, Jalant e Utha si sposano. »
Kert sbarrò gli occhi alla notizia sull’amico, responsabile dei decori sulla sua pelle: « Che stai dicendo?! Ma se Utha non ha accettato un appuntamento per anni…! »
« Ha accettato poco dopo che siete partiti. »
«… e in due mesi hanno deciso di sposarsi? »
Sunao fece spallucce: « A volte la perseveranza paga. »
Kert sbuffò, mormorando qualcosa sull’essere folli, e le lanciò l’ennesimo sguardo piccato al limitatamente velato riferimento della sua frase; voltandosi però verso di lei, la traiettoria del suo sguardo dorato cadde inevitabilmente sulle sue labbra: sempre stese nella solita smorfia soddisfatta, lui non si domandò nemmeno se lei l’avesse notato. Era impossibile che Sunao non notasse qualcosa.
Non si spostò, ma preferì fissarle la punta del naso, anche mentre le dita della ragazza continuarono a giocherellare con i suoi capelli cortissimi. L’avrebbe negato perfino sotto tortura, ma la presenza di Sunao lo stava facendo sentire più vicino a Gaia, cullandolo in un oblio di normalità che in quel momento gli mancò d’impatto.
« E tu che mi dici? »
Lei lo guardò da sotto le ciglia scure e fece camminare indice e medio come delle gambe lungo la spalla di lui: « Il Consiglio mi tiene impegnata. Soprattutto ora che l’attenzione è concentrata su di voi. »
« Malumori? »
« Come al solito. Qualche dissapore riguardo le nuove regole sull’espansione delle zone abitative nella regione di Harav. Niente di che. La vita è un po’ noiosa ora, soprattutto a sentir parlare di te costantemente. Senza poterne approfittare. »
Kert la scrutò di sbieco: « Ma se sei sempre stata qui a rompere le scatole. »
« Oh, su, non è la stessa cosa e lo sai. Il divertimento arriva adesso. »
« Guarda che lo so cosa stai cercando di fare. »
« Non mi sembra di aver mai detto il contrario. »
Lui sbuffò e scosse la testa mentre svuotava mezza bottiglia in un sorso.
« Come se non avessi avuto fior fiore di appuntamenti, Sunamora. »
Sunao continuò a sorridere sorniona e gli si fece più vicina: « L'unico che mi ha mai dato filo da torcere, » mormorò, inclinando il viso verso di lui mentre spostava appena le gambe così che lo spacco laterale del suo vestito scoprisse ancora più pelle nuda, « Sei tu. Vuoi continuare pure sulla Terra? »
« Sei appena arrivata in missione speciale da parte del Consiglio. »
« Esatto, non vedo il motivo per sprecare tempo. »
Kert sospirò e ne studiò il volto per un istante, così vicino al suo che sarebbe bastato un respiro per sfiorarlo. Era sempre stata la donna più bella che avesse mai conosciuto, ma era… complicata. Lui era complicato. La loro amicizia era complicata, sempre in bilico su un limite che lui si era sempre imposto di non attraversare. Non aveva tempo per certe cose, non aveva nemmeno il tempo anche solo di rifletterci.
E lei era perfettamente capace di staccargli la testa a morsi, se avesse voluto.
« Dovresti essere mia amica. »
« Lo sono, » ribatté Sunao divertita, « Ricordami, da chi sei andato a lamentarti appena ricevuta la straordinaria notizia dell’onore concesso al fratellino? »
Il sorrisetto sbruffone dell’aliena non fece che aumentare il suo disagio, pungendolo sul vivo. Dopo il suo vagabondare per ore, dopo che Pharart aveva cercato di rallegrarlo, sulla sponda del fiume, era stato lui stesso a cercare Sunao, un consistente numero di bottiglie con sé, e a procedere a sciorinare su di lei tutta la sua infinita frustrazione fino a notte inoltrata. Probabilmente non aveva neanche mai più parlato così tanto dopo quel frangente.
« Non ti reggerei, altrimenti, quando ti ubriachi diventi insopportabilmente logorroico. »
Kert le fece una smorfia poco divertita, e Sunao riprese il lento accarezzargli dei capelli.
« È inutile che me lo rinfacci ora, perché lo so che non ti è dispiaciuto. »
Gli occhi di lei brillarono un istante: « Non credo dispiaccia neanche a te. »
Il tono di voce così basso e carico di sfida gli provocò un deciso crampo allo stomaco che lui s’intestardì a ignorare finendo l’ollit in un fiato: « È un’idea di merda, Sunamora. Sotto molteplici punti di vista. »
« Hai mai pensato che stai facendo tutto da solo? »
Lui controllò il proprio riflesso nelle iridi lillà, contraendo ogni singolo muscolo per non sfiorarla, la mano di lei leggera che continuava a stuzzicarlo come tante volte prima, e come mai prima di allora.
Non era mai stato un bugiardo, e non avrebbe iniziato a esserlo in quel momento, convincendosi che non ci avesse pensato molte più volte di quanto gli piaceva ammettere, e che il problema era proprio quello, e cacciarvisi…
« Siamo sulla Terra, » sussurrò Sunao, sfruttando il suo non ribattere, e si alzò per portarsi davanti a lui e farsi spazio tra le sue ginocchia aprendo con lentezza i bottoni laterali del vestito che indossava, « Le regole di Gaia non si applicano qui. Perché non approfittarne? »
Gli scappò uno strano ansito strozzato: « … abbiamo un incarico da – »
Gli occhi violetti brillarono di divertimento mentre anche l’ultima asola veniva liberata: « Tha, non essere troppo sicuro di te stesso. »
Kert rimase stravaccato sul divano, le iridi che si tinsero di un tono più scuro nell’osservare la pelle color latte che spuntava ammiccante, e contrasse le dita attorno alla bottiglia: « Tu vuoi rendermi la vita un inferno. »
Sunao rise di nuovo a mezza bocca mentre il suo abito cadeva del tutto sul pavimento con un sottile fruscio di seta e lei gli si inginocchiava in fronte, sfiorandogli le cosce.
« Quindi dimmi di no come fai di solito. »
Il suo pollice si mosse a tracciare il contorno delle labbra della ragazza quasi autonomamente, il respiro caldo che gli solleticò deliziosamente la pelle.
Al diavolo. Stava già tutto andando a puttane, poteva cacciarsi anche in questa.
« Non mordere, » esalò, e il guizzo scaltro nelle iridi viola gli diede tutt’altro che conferma.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Capitolo cinque, Another spring

(**) Dal nome persiano per il gioco antico degli scacchi, dal sanscrito chaturanga che si riferisce appunto al gioco dallo stesso nome, antenato degli scacchi moderni. https://en.wikipedia.org/wiki/Shatranj
 
(***) Dal greco antico (sì, lo so, aridaje) ἄστυ, che indicava la parte bassa della polis (in contrapposizione all’acropoli) vero fulcro della città nel quale si svolgeva la vita quotidiana. https://it.wikipedia.org/wiki/Asty
 
 
 

 

 

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Capitolo 19
*** Burning in me [da qui in poi storia da modificare] ***


Burning in me

 

Sunao camminava tranquilla per il prato fiorito davanti al Palazzo del Consiglio Supremo.

Non ci andava per la bellezza del paesaggio; ci andava soltanto perché lì non c’era mai nessuno che la potesse disturbare.

Si sedette per terra: l’erba e gli steli erano così alti che coprivano tutta la sua snella figura.

Prese un piccolo fiore tra le dite. Rosso; rosso come il sangue che tante volte quelle mani avevano toccato ed assaporato.

Lo buttò lontano. Quello era un tempo di pace sul suo pianeta, ed era suo dovere rispettarlo.

Anche se in fondo si annoiava a morte.

All’improvviso, sentì un rumore di passi: si alzò in piedi e vide un messo correrle incontro.

“Sunamora!” gridò ansimante “I Consiglieri vogliono vederti, subito.”

Lei annuì, e con passo veloce entrò nel Palazzo, dirigendosi verso la Sala del Consiglio.

Aprì la grande porta di legno d’ebano, duro e massiccio, e si posizionò nel centro.

“Allora…” esclamò “Avete bisogno di me?”

Lei era l’unica che si permetteva di trattarli a quel modo. Era l’unica che poteva farlo. Perché, senza di lei, si sarebbero ritrovati in grossi guai.

Il Terzo Consigliere si voltò verso di lei: “Sunao, devi tornare sulla Terra. Pharart è stato ferito, ed abbiamo bisogno di tutte le forze possibili. Rui Tha non vuole attaccare finché non si sarà rimesso, e per quanto teniamo alla sua guarigione, i tempi si stanno allungando troppo. Questa missione sta durando più a lungo del previsto…”

“Pertanto…” continuò l’Undicesimo “Abbiamo deciso a voto concordante che anche tu rimarrai sul nostro vecchio pianeta, per dare una mano…”
“Ma non dovrai soltanto combattere!” preciso il Quinto “Cerca anche di convincere Kert Tha che non è lui a comandare, e che il suo pieno aiuto è molto importante per noi. Ma soprattutto, digli che non dovrà mai rivelare ciò che ha scoperto. Pena… la vita.”

La bella aliena sgranò appena gli occhi: una minaccia?

“Ora puoi andare. Partirai al nostro comando.” Concluse quindi l’Ottavo.

Lei accennò ad un inchino, e si ritirò senza dire più niente.

 

 

If I let you go

Boy I will be a fool

(What kind of girl wants to be a fool?)

 

 

Kert, Zaur e Pharart (che ancora portava una fasciatura attorno allo stomaco ma che poteva ora sedersi tranquillamente) erano immersi a giocare ad amhi, un gioco molto simile agli scacchi umani, ma il cui numero massimo di giocatori era sei.

“Beh, allora? Battete la fiacca?”

I tre alieni alzarono contemporaneamente le teste al suono di quella voce.

Pharart sorrise: “Ciao, Sunao. Qual buon vento?”

Lei rispose al sorriso: “Sono venuta per parlare con voi. Dov’è Rui?”

“Da qualche parte, con Espera…” rispose allusivo Kert.

“Bene. Allora parlerò con voi.” Si piazzò proprio davanti a loro “I Supremi hanno deciso che questa missione la sta tirando troppo per le lunghe, e hanno mandato me per aiutarvi, soprattutto ora che Pharart è stato ferito e non è più al massimo delle sue capacità.”

Kert alzò lo sguardo: “Cosa?!?”

Sunao sorrise maliziosa: “Proprio così. È un ordine, Kert.” aggiunse poi.

L’alieno dagli occhi dorati sbuffò e si riconcentrò sul gioco.

La ragazza, invece, si sedette sul divano poco distante da loro. Inevitabilmente, lo spacco laterale del suo vestito si alzò e, sempre inevitabilmente, lo sguardo di Kert e Pharart andò a finire sulle sue lunghe gambe.

“Ahh, ho perso. Mi ritiro!” esclamò l’alieno dagli occhi verdi, e si sedette vicino a Sunamora, allungando un braccio sullo schienale del divano dietro di lei “Che dici, hai voglia di chiacchierare con un povero, giovane, baldanzoso ferito?”

Lei scoppiò a ridere, ma fu Kert a borbottare il nome dell’amico in tono ammonitorio.

Lui sospirò: “Va bene, ho capito. Possibile che debba sempre cuccartele tutte tu?” esclamò, facendo ridere ancora di più la Messaggera.

“Ho vinto.” Zaur pronunciò le sue prime parole dopo due ore di silenzio, compiendo la mossa vincente.

Sunao approfittò del termine del gioco per dire: “Kert… dovrei parlarti…”
Pharart alzò gli occhi al cielo in un’espressione che significava Mi immagino quanto parleranno…, mentre l’amico si alzava e con un gesto del capo segnalava alla ragazza di seguirlo.

Si fermarono poco dopo, davanti ad una porta chiusa, lontana dal salotto.

“Cosa dovevi dirmi?” domandò il maggiore dei Tha, incrociando le braccia.

Un sorriso malizioso si dipinse sul volto della bella aliena mentre gli si avvicinava e infilava le mani sotto la sua maglietta, posandole sul petto muscoloso: “Niente che non possa essere rimandato…”

 

***

 

“Ti distrarrai dalla missione, se continuiamo così!” scherzò Kert, ansimante.

Sunao si girò sulla pancia, iniziando a percorrergli il petto con un dito: “Sei tu la mia missione…”

Un’ombra passò negli occhi ambrati dell’alieno: “Cosa vuoi dire?”

Anche la ragazza si fece seria: “I Consiglieri mi hanno incaricata di dirti di che non sei tu a comandare, ma che soprattutto devi dare tutto te stesso per la missione. Sei un elemento importante.”

Lui sorrise: “Grazie, lo sapevo già.”

“E poi…” Sunamora esitò un attimo “Poi hanno detto che non dovrai mai e poi mai rivelare ciò che hai scoperto. Se lo farai… ti uccideranno.”

Kert si lasciò andare contro il cuscino, le braccia incrociate dietro la testa: “Sembra una bella prospettiva. Un po’ lo pensavo…”

“Non dire cretinate, Kert!” esclamò la Messaggera “Non pensare sempre a fare l’eroe, questa è una cosa seria! Io ho tentato di aiutarti, ma…”

Veloce come un fulmine, Kert le prese la gola con una mano: “Hai cercato di aiutarmi? Beh, non farlo mai più. So badare a me stesso, non mi serve l’aiuto di nessuno.”

Sunao non si mosse nemmeno, ma una scintilla di rabbia brillò nei suoi occhi violetti: “Posso ucciderti in due mosse, Tha. Quindi ringrazia se ti ho dato il mio aiuto.”

L’alieno sciolse piano la stretta, e quando il suo collo bianco fu libero, Sunamora rimase immobile come una statua di pietra, come se non avesse sentito il dolore della stretta.

E poi, all’improvviso, le loro bocche ripresero possesso le une delle altre, avide, mentre venivano travolti da una nuova ondata di passione…

 

***

 

Kert si voltò sulla schiena, a braccia aperte: “Basta! Non ce la faccio più!” esclamò, respirando faticosamente “Beh, Sunamora, penso di averti ridato indietro tutti gli anni che volevi…”

La ragazza sorrise, senza fiato anche lei: “Non pensare di liberarti così facilmente di me. Usufruirò molto spesso del fatto che sei a mia totale disposizione…” rispose, avvolgendosi nel lenzuolo.

Il giovane sorrise. Che volontà del cavolo che aveva. E quanto era stato stupido! Se avesse saputo che Sunao era così, forse non sarebbe scappato per così tanto.

La Messaggera si mise su un fianco, appoggiando il viso ad una mano: “Kert… cosa provi per me?”

L’alieno la guardò con un sorriso: “Assolutamente niente, Sunamora. Solo attrazione fisica, e basta. L’amore, o una cosa del genere, sarà riservato a qualcun’altra…”
Sorrise anche lei: “Perfetto. Ricambio totalmente. Vuol dire che sarò la tua amante per tutta la vita…”

Non sentendo la sua risposta, alzò il viso e lo guardò: si era addormentato.

Sunao sospirò.

Algida, crudele e bugiarda: ecco com’era lei.

Sensibile, debole e sentimentale: tre caratteristiche che odiava, ma che stava facendo sue.

Lentamente, per paura di svegliarlo, si spostò, strisciando vicino a lui.

Appoggiò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi.

Per un effimero secondo, poteva permettersi di essere ciò che non era.

 

Quando si svegliò, Kert era seduto sul davanzale della finestra, già vestito.

“Ben svegliata. Hai dormito come minimo due ore. Meno male che dovresti aiutarci a svolgere la missione: sei una parte molto sveglia…” esclamò ironico.

Sunao si mise seduta: “Non è colpa mia se qualcuno mi ha fatto stancare troppo…” replicò.

L’alieno sorrise e si alzò, andando verso la porta.

“Te ne vai di già, Kert? Non ti facevo così poco resistente…” ironizzò lei “Oppure hai ancora paura di me?”

“Non dire cretinate. Io vado a fare il mio dovere, al contrario di qualcuno…” rispose gelido il maggiore dei Tha.

La Messaggera si distese a pancia in giù sul letto, lasciando che il lenzuolo scoprisse più schiena del dovuto: “Ma io sto facendo il mio dovere… non trovi?”

Si scambiarono una lunga occhiata; poi Kert sbuffò e abbassò la maniglia della porta.

Ma prima di uscire, guardò la ragazza gelidamente ed esclamò, minaccioso: “Non ci provare, Sunamora. Non provare nemmeno ad innamorarti di me!”

 

***

 

“Ciaaaaaaooo, siamo tornatiii!” Strawberry entrò sorridente nel Caffè, stringendo Kim in un braccio e salutando con l'altro “Vi sono mancata?”

“Oh, grazie a Dio se tornata!” Mina lasciò cadere l'uniforme sopra un tavolo, accasciandosi su una sedia “Finalmente posso smettere di lavorare e posso bere il mio tè in pace.”

La rossa si rabbuiò: “Naturalmente....”

“A me invece sei mancata, Strawberry!” Paddy corse ad abbracciarla “Ma dov'è Pam?”

“E' andata a casa a cambiarsi, ha un'intervista nel pomeriggio,” rispose Pie.

“Ah!” Mina si alzò in piedi “Allora devo andare!”

“No, ha detto che per oggi può fare da sola.” l'alieno dagli occhi viola la fermò, e lei si risiedette con aria afflitta.

Quiche svolazzò da lei per consolarla: “Andiamo, chérie, almeno così hai un giorno in più per rilassarti. Ed ora che è tornata Strawberry, non hai niente di cui preoccuparti!”

Ryan rise mentre i soliti tre cominciavano a bisticciare, e si avvicinò a Kyle: “Tutto bene?”

Il moro annuì: “Voglio farti vedere una cosa, però.”

Scesero assieme nel seminterrato, dove i computer ormai lavoravano 24 ore al giorno.

“Non abbiamo ritenuto che fosse qualcosa di importante, ma volevo comunque una tua opinione prima di intraprendere qualsiasi iniziativa.” spiegò Kyle.

Ryan si sedette davanti allo schermo, osservando quel cerchio verde pulsante davanti a lui: “E' un nuovo campo di forza?”

“Questo è quello che pensava anche Quiche. Ma sembra diverso da quello degli alieni.”

Il biondo premette alcuni tasti: “Il programma avrebbe segnalato se fosse stato qualcosa di nuovo, però.” avvicinò il viso allo schermo “Perché mi sembri familiare?”

“Shirogaaaaaaaaneeeee,” la voce di Strawberry riecheggiò dal piano superiore “Puoi venire qui un aaaaaaaattimoooooo?”

Ryan scosse la testa, sconsolato, facendo ridere Kyle: “Su, andiamo a vedere cosa vuole la nostra principessa.”

Il sorriso sornione della Mew Rosa non convinceva per niente il ricco americano: “Dimmi, Momomiya.”

“Beh, io e le ragazze stavamo pensando,” gli si avvicinò, le mani dietro la schiena, gli occhioni da cucciolo adorante che brillavano “Visto che il Caffè è ancora chiuso per un po', perché non ci offri un bel pic-nic nel parco? Siamo stati lontani per così tanto, ed è una giornata così bella, sarebbe un peccato sprecarla chiusi qui dentro.”

Lui sospirò, guardando le sette facce trepidanti: “Te lo ricordi cos'è successo l'ultima volta che abbiamo fatto un pic-nic, vero?”

“Sìsì ma dai andiamo sto morendo di fame, ed è divertente!”

“Va bene, va bene!” le mise le mani sulle spalle per farla smettere di saltellare “Facciamo questo pic-nic, ma dopo si lavora! Ho un'attività da mandare avanti, o voi cinque mi manderete sul lastrico.”

 

***

 

“Zaur, vieni un po' qua.”

L'alieno dai poteri del Nulla si avvicinò a Rui, in piedi davanti ad un monitor.

“Abbiamo per caso lasciato qualche cosa in questa zona?” indicò con un dito un punto dello schermo dove s'intravedeva un globo di luce pulsante “Oppure è qualche congegno delle Mew Mew?”

Zaur osservò l'immagine: “Non mi sembra appartenga a noi, non mi risulta che siamo mai andati in quella zona. Ne sai qualcosa, Kert?”

Il maggiore dei fratelli Tha, beatamente steso sul divano, alzò le sopracciglia: “Ehi, io sono sempre stato qui.”

Sunao si unì ai due alieni: “C'è qualche problema?”

Rui indicò nuovamente quella strana sfera verdognola che pulsava: “E' comparsa da qualche settimana. Non è mai stata rilevata nessun tipo di attività in quella zona, e c'è qualcosa di strano in questa... cosa. Va e viene, non è mai stabile. L'ho vista la prima volta circa due settimane fa, poi è sparita fino ad oggi. Hai mai visto qualcosa del genere?”

Sunao strinse gli occhi per osservare meglio: “Non sembra terrestre, ma non viene nemmeno da Gaia. E' una zona particolare della città?”

Zaur allargò l'immagine così da avere una visione più chiara: “No, soltanto case e qualche negozio. E' una zona residenziale, non mi sembra un punto fondamentale.”

“Beh, sicuramente non è un campo protettivo,” Sunao incrociò le braccia al petto, raddrizzando la schiena “Volete andare a dare un'occhiata?”

“Non ti dispiace?”

L'aliena scrollò le spalle alla domanda di Rui: “Sono qui per questo, in fondo.”

“Vengo anch'io!” Kert si tirò su di scatto dal divano, e nel vedere il sorrisetto soddisfatto di Sunao, le puntò contro un dito “Non farti strane idee, Sunamora. Voglio soltanto uscire da qui.”

“Cercate di non farvi notare,” li implorò il minore dei fratelli Tha.

“Ricevuto, fratellino,” Kert prese Sunao per un polso ed insieme si teletrasportarono nel luogo indicato sullo schermo.

Iniziarono a camminare lentamente lungo le strade deserte del quartiere, cercando di non attirare l'attenzione evitando di esporsi in pieno sole.

“Senti... riguardo ad Espera...”

“Tu lo sapevi?” Kert interruppe la Messaggera, voltandosi verso di lei.

Lei alzò un sopracciglio: “Io ed Espera... ci conosciamo da molto tempo. E con i miei compiti, be', diciamo che non resto tagliata fuori dalle cose importanti.”

Kert annuì: “Chi altro ne è al corrente?”

“Solo le persone interessate, e no, Rui per adesso non è tra queste. O almeno, non su tutto l'argomento.” Sunao si fermò “Non devi dirglielo.”

L'alieno le si avvicinò: “E' mio fratello, Sunamora. Ha il diritto di sapere. Non può continuare a vivere all'oscuro di tutta questa messinscena.”

“Pensi davvero che lo sia?” la bella aliena rise “Oh, Tha, non hai capito proprio niente. Quello che c'è tra Espera e Rui è tutto vero. Chiamalo destino, chiamali gli Dei, io non lo so. So solo che sarà il Consiglio a decidere il momento più adatto per comunicarlo a Rui, sempre che non l'abbia già fatto Espera stessa. Ma loro due, hanno fatto tutto da soli.”

Kert riprese a camminare: “Ti fidi troppo del Consiglio.”

“Solo perché faccio quello che mi chiedono non significa che io mi fidi.”

Il maggiore dei Tha non rispose, si limitò solamente a guardarsi intorno: “Qui non c'è assolutamente niente. Quel tuo bastone speciale riesce a metterci in contatto con Rui?”

Sunao evocò la sua arma, mormorando qualche parola che fece brillare una delle due sfere alle estremità; di lì a poco, il viso di Rui comparve nella sfera: “Ehm.. Sunao?

“La zona è pulita, Rui,” rispose lei “Non c'è nulla di interessante.”
Me l'aspettavo, quel campo di forza è sparito poco dopo che ve ne siete andati.”

“Allora possiamo tornare alla base.” Kert alzò le braccia per stiracchiarsi i muscoli “Sarebbe noioso vivere in un posto del genere, non c'è mai nulla da fare.”

“Oh, io posso pensare a qualcosa...” Sunao lo guardò maliziosa, e si teletrasportò con una risata mentre l'alieno sospirava e scuoteva la testa.

 

***

 

C'è troppo sole.

Corrugò la fronte.

Che pensiero strano. E' un po' che faccio questi pensieri strani. Non è da me.

Si guardò intorno. Come era arrivato al parco? Non ricordava di aver camminato così tanto.

Ma qual'è l'ultima cosa che ti ricordi?

Strinse gli occhi. Si ricordava di aver letto il giornale, quella mattina. O forse era la mattina precedente?

Non lo sapeva.

Le senti quelle voci?

Sì, le sentiva. Erano distanti, portate dalla soffice brezza primaverile fino alle sue orecchie. Voci allegre di ragazze e ragazzi. Bambini con i loro genitori, o forse le loro tate. Coppie di anziani che passeggiavano lentamente all'ombra dei ciliegi.

C'è troppo rumore.

No, non era vero. Era tutto così delizioso, così rilassante.

Preferisco il buio.

Sì, la luce era forte. Ma era bella, no?

Avrebbe dovuto essere mio.

Guardò davanti a sé, ad un gruppo di ragazzi che giocavano tra di loro.

Tu non sei mai stato capace di scherzare così.

No, lui era fermo, e costruito. Lui aveva degli impegni, dei progetti da portare avanti, non poteva arrestarsi di fronte a niente.

Allora cos'era quel senso di vuoto alla bocca dello stomaco? Quel bruciore di invidia nei confronti delle gente?

No... non della gente...

Scosse la testa, e sorrise.

Lo riconosci questo posto?

C'era venuto tante volte, come tutti. Come dimenticare, qui era stato felice.

Qui ti hanno distrutto.

Si massaggiò le tempie. Era da qualche mese che provava forti fitte alla testa, quasi delle emicranie di poca durata. Forse era meglio farsi vedere da un dottore.

Il cuore diede un battito più forte.

Aveva caldo, eppure il vento cominciava a rafforzarsi.

Devo tornare.

 

***

 

Strawberry si affacciò dalla porta della cucina: “Ehm... Ryan?”

Il biondo fece girare lo sgabello della cassa, voltandosi verso di lei, che riprese: “Potresti venire un attimo?”

La seguì nella stanza, e Strawberry gli indicò sconsolata un libro di cucina aperto sul tavolo davanti a lei: “Kyle mi ha chiesto di aiutarlo a fare questi dolci, ma il libro che mi ha dato è in inglese e io non ci capisco niente, lui adesso è a fare delle commissioni e le altre sono in pausa pranzo, e logicamente Mina non vuole aiutarmi.”

Ryan rise dell'esasperazione della rossa, e le si avvicinò: “Vediamo un po'... Banana cream pie.

“La torta alla banana.” annuì la ragazza, un'espressione concentrata sul viso. “E Kyle mi ha detto di fare anche la base della torta, perché lui le ha finite. E questi sono gli ingredienti.”

Ryan seguì il suo dito: “Bene, allora è semplice.”

“Lo so che è semplice, sarebbe molto più semplice se fosse in giapponese!”

Il biondo le arruffò i capelli: “E' una ricetta originale americana, ginger, non lamentarti troppo.”

Strawberry gonfiò le guance e lui rise di nuovo: “Allora. Su, prendi il sale, la farina e lo zucchero e mischiali nel miscelatore.”

Lei fece come le era stato detto, e il ragazzo le si avvicinò: “Adesso aggiungi il burro, e miscela di nuovo.”

“Butter.” mormorò la Mew rosa, profondamente concentrata.

“Mmmhmm.” Ryan le mise le mani sui fianchi, poggiando la guancia contro quella morbida della ragazza. “Now add some water.”

“Questo lo so.” borbottò Strawberry, e il biondo le diede un bacio sulla tempia, sorridendo, per poi prendere la pasta dal miscelatore.

This is called dough,” le mormorò all'orecchio, appoggiando l'impasto sul tavolo e prendendole le mani “And now you have to work it like this.”

Guidò le sue mani nell'impasto, lavorandolo in due dischi, scendendo lentamente a baciare il collo di Strawberry, sorridendo quando sentì il corpo della ragazza rilassarsi contro il suo mentre le sue guance si tingevano di rosso e le si affannava il respiro.

“AHEM.” sussultarono entrambi al richiamo di Quiche, comparso sulla porta con un ghigno divertito “Non vorrei interrompere la vostra scena alla Ghost, ma c'è qualcosa che dovresti vedere, Einstein.”

I due si staccarono, seppur controvoglia, Strawberry dirigendosi verso il lavandino per prendere un bicchiere d'acqua e nascondere il rossore del suo viso, Ryan invece impassibile come suo solito.

“Cosa c'è?” domandò pulendosi le mani sopra uno straccio, e seguì Quiche in uno dei tavoli più in un angolo, dove lo stavano aspettando gli altri.

“Quel segnale si è riacceso cinque minuti fa, sta cambiando posizione.” spiegò Pie, voltando il computer verso il biondo.

Ryan digitò velocemente sulla tastiera: “E' qui vicino!”

“Vado a controllare!” Paddy corse fuori dal locale, fermandosi all'entrata del vialetto d'ingresso del Caffè e guardandosi intorno.

Il parco sembrava normale, affollato come al solito da ragazzi, famiglie ed anziani.

“Stiamo cercando un chimero?” domandò a Lory, appena arrivata al suo fianco.

La Mew verde scosse la testa: “Non lo so... Ryan ha detto che era proprio qui...”

Kyle comparve in quel momento, reggendo due buste di carta: “Che succede, ragazze?”

“Era comparso di nuovo quello strano segnale di cui ci avete parlato, ma qui non c'è niente.” rispose demoralizzata Paddy.

Il moro si guardò attorno: “Forza, torniamo dentro. Forse, analizzando i dati al computer riusciremo a capire di che cosa si tratta.”

 

***

 

Rimase nascosto nell'ombra dell'albero.

Perché faceva così caldo? Stava sudando, eppure indossava una maglietta a maniche corte, mentre tutti attorno a lui portavano almeno una felpa.

Si asciugò la fronte, osservando le goccioline sul dorso della sua mano.

Pochi secondi dopo, evaporarono.

Il calore viene da dentro di me.

Il cellulare iniziò a squillargli in tasca.

Fai finta che sia tutto normale.

Si chinò e raccolse la sua valigetta.

Presto. 

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Capitolo 20
*** Always trust your senses ***


Grazie a tutti coloro che hanno commentato :) Spero che anche questo capitolo vi piaccia, è stato ispirato dai Led Zeppelin e da Mozart quindi spero che sia decente. xD
A presto e grazie anche a chi leggerà,
Hypnotic Poison



Always trust your senses

A te non piace, vero?”
Espera alzò lo sguardo dalla tazza di tè fumante che teneva tra le mani: “Hai davvero bisogno di chiedermelo?”
Sunao sorrise: “Lo sai che preferisco usare i miei poteri solo con gli estranei.”
Ah, piacerebbe anche a me,” sospirò l'aliena dai capelli corvini “Purtroppo l'empatia non sceglie. La telepatia è di gran lunga migliore.”
Ciò assodato, devo usarla o preferisci rispondermi da sola?”
Espera fece un respiro profondo: “Sono venuta qui solo per stare con Rui... be', e anche per quell'altra cosa...” aggiunse, guardando di sottecchi l'amica “Come potrebbe piacermi tutto ciò? So che il mio potere è importante e che così lo è questa missione, ma per me non ha nessun senso.”
Sunao mescolò il liquido ambrato: “Il Consiglio non ha bisogno di avere un senso.”
Purtroppo.” le due aliene si guardarono, consapevoli di quanto rischiosi quei discorsi sarebbero stati per qualunque altro alieno. Ma anche per loro, in fondo, se non fossero state attente.
Spero solo che torneremo a casa al più presto. Mi sembra di stare qui da secoli.” Espera si alzò, rovesciando il resto del contenuto nel lavandino sporco della vecchia villa.
L'altra sorrise: “Non sei fatta per le missioni, Espera.”
Per questo l'avevo implorata di stare a Gaia, ma lei naturalmente non mi ha ascoltato.” Rui entrò scherzando nella cucina, schioccando un bacio dolce sulle labbra della sua compagna “Vi disturbo?”
No, stavamo soltanto facendo discorsi da donne.” le due aliene si guardarono, complici, e Sunao si rivolse a Rui: “Come sta andando il monitoraggio?”
Come al solito. Quello strano campo di forza continua ad andare e venire. Zaur sta cercando di tracciarne un ritmo, ma sembra che sia del tutto casuale.”
E le umane?”
Appena Pharart si sarà ripreso, penseremo ad un piano. Credo che anche loro si stiano preoccupando di quell'energia.”
Sunao si alzò: “Hai detto che hanno dei rilevatori di presenza aliena?”
L'alieno annuì: “Sì, una ricognizione sul posto non avrebbe senso, farebbe soltanto saltare tutto. Anche perché è un bene che loro non sappiano che tu sei qui, Sunao. L'effetto sorpresa è a nostro vantaggio.”
Non aspettiamo troppo, Rui,” la Messaggera si diresse verso l'uscita “L'attesa mi innervosisce.”

***

Guarda lo zio Kyle, Kim!” la testolina bionda si girò verso l'americano, che prontamente scattò una foto. “Non riesco a credere che abbia quasi un anno.”
Nemmeno io,” Strawberry sorrise dolcemente, “Grazie per le foto, Kyle. Non so come faremmo senza di te.”
Forse se non avessi dimenticato la macchina fotografica a New York, potremmo fargliene anche noi!” la rimbeccò Ryan.
La rossa gli fece una linguaccia, aggiustando la figlia contro il suo fianco: “Hai un papà davvero insopportabile.”
Dada!” trillò la bimba, allungando le braccine paffute in direzione del biondo, che subito la prese in braccio.
Come to daddy, you little bug!” la sollevò sopra la sua testa, facendola ridere di gusto sotto lo sguardo intenerito di Strawberry “E comunque, non potresti vivere senza di me.”
Oh, non ti vantare troppo.” la rossa agitò una mano, divertita, imitando Mina e le sue manie da nobildonna.
Kyle rise a quella scenetta: “Bene ragazze, tra venti minuti apriamo, quindi preparatevi.”
Ci pensi tu ad avvertire i due piccioncini?” gli domandò Ryan, facendo un cenno del capo verso Paddy e Tart, impegnati a darsi focosi baci in un angolo del Caffè.
Il moro sospirò: “E dire che avevo appena pulito...” mugugnò, rintanandosi in cucina.
Strawberry piegò la testa da un lato, osservandoli: “Tu non mi baci mai così, in pubblico.”
Così non è appropriato, in pubblico,” borbottò il biondo, con aria truce “Cosa staresti insinuando?”
Lei rise, alzandosi sulla punta dei piedi e dandogli un leggero bacio a fior di labbra: “Niente, niente.”
Non sapevo che il Caffè si stesse trasformando in una maison de plaisance”, Mina entrò in quel momento, ridacchiando “Devo andare a mettermi un costume da can-can?”
Fai poco la spiritosa,” l'ammonì Ryan “O mando te a dividere quei due.”
Certo, come no, capo,” replicò lei sarcastica, e il biondo sospirò sconsolato, andandosi a rintanare in cucina.
Oggi Lory non c'è?” domandò al suo amico pasticciere, impegnato a sistemare i vassoi con gli ultimi dolci così che fossero pronti non appena avrebbero aperto.
No, è all'università. Anche Pam mancherà, ha delle interviste per il suo nuovo film.” rispose.
Ryan si voltò verso Kim, sospirando di nuovo: “Non vogliamo sapere cosa combineranno oggi Mina e Strawberry, vero piccola?”
Nel frattempo, le due Mew Mew si stavano infilando le divise nello spogliatoio.
Scusa Mina, ma dov'è Quiche?” domandò la rossa, sistemandosi la crestina in testa. “Solitamente non si stacca mai da te.
Oh, ehm...” la Mew blu si schiarì la voce “E' rimasto a casa, aveva delle cose da fare con Pie, credo...”
Strawberry aggrottò le sopracciglia, guardando il riflesso della schiena dell'amica nello specchio: “Va tutto bene?”
Sì sì, perché?” rispose l'altra un po' troppo velocemente.
Mina, se c'è qualcosa che non va, a me lo puoi dire.” la Mew rosa si sedette sulla panca di legno, così da poterla osservare.
Oh, e va bene.” Mina si lasciò cadere di fianco a Strawberry, facendo un respiro profondo. “Però promettimi che non ne parlerai con nessuno.”
La rossa fece il segno di chiudersi le labbra e poi buttare via la chiave, così lei riprese, appoggiando la testa contro al muro e chiudendo gli occhi: “Da quando c'è stata tutta la storia di Kert, Quiche ha cominciato a fare discorsi strani...”
Strani in che senso?”
Strani nel senso di molto seri, Strawberry. Molto a lungo termine.” Mina la guardò, alzando le sopracciglia in modo eloquente.
Gli occhioni della rossa si spalancarono dopo qualche istante: “Ooooh. Vuoi dire che... lui vorrebbe...?”
Sì, sì, esatto,” la mora agitò una mano, quasi scacciando il pensiero “Ma sono cose che a me non passano neanche per la testa! Ho soltanto vent'anni, per carità!”
Beh, non vedo cosa ci sia di male...” borbottò la Mew rosa, abbassando lo sguardo sulle mani che teneva in grembo.
Non fraintendermi, Strawberry, io penso che sia una cosa bellissima che tu e Ryan siate sposati, ma la situazione è diversa! Voi avete una figlia ed è da così tanto tempo che voi vi piacete, e sì, Quiche abiterà anche a casa mia e stiamo insieme da un po', ma è un'altra cosa!”
L'amica piegò la testa di lato, incuriosita: “Io e Ryan ci siamo messi assieme poco prima di te e Quiche.”
Mina alzò un sopracciglio, nel suo solito gesto di superiorità: “Sei davvero così scema da non esserti mai accorta che Ryan ti ha messa su un piedistallo d'argento da quando ha iniziato il Progetto?”
Le guance della rossa avvamparono e si gonfiarono come quelle di un criceto: “Ma cosa c'entra!” sberciò “Prima noi non... non... oh insomma!”
La Mew blu rise: “Comunque, è totalmente diverso. Io so che lo amo, ma non sono pronta a...quello.” espirò pesantemente “Specialmente ora che ho ripreso a ballare.”
Davvero?” Strawberry raddrizzò all'improvviso la schiena, felicemente sorpresa.
Sì. Quando voi siete partiti per New York, ho intensificato i miei allenamenti visto che non dovevo più gestire gli affari di Pam, per un po', e mi sono accorta di quanto mi mancasse davvero. Così, qualche giorno fa ho detto a Pam che se non le fosse dispiaciuto, avrei smesso del tutto di lavorare con lei, così da poter riprendere. Adesso sono in contatto con alcuni dei miei vecchi insegnanti, per vedere se riusciamo a mettere su una produzione.”
Strawberry lanciò le braccia al collo dell'amica, prendendola un po' di sorpresa: “Sono molto felice per te. E vedrai che le cose con Quiche si sistemeranno, basta che gli parli chiaramente.”
Ragazze!” Paddy entrò saltellando nello spogliatoio, già con la divisa addosso “Siete pronte? Kyle vorrebbe aprire!”
Arriviamo!”
Si alzarono entrambe in piedi, controllando gli ultimi particolari allo specchio prima di dirigersi fuori.
Quando Mina passò di fianco alla Mew Gialla, tirò fuori un foulard bianco di seta dalla tasca, ghignando: “Io mi metterei questo. Non vorrai sbandierare i tuoi succhiotti a tutti i clienti.”
Paddy arrossì violentemente: “Grazie...”
Shirogane, volevo avvertirti che siccome sto ricominciando la mia carriera da grande ballerina classica, sarò costretta a lavorare di meno,” annunciò a gran voce la Mew blu quando entrò nel salone.
E ti pareva...” borbottò Strawberry “Tanto il lavoro sporco tocca sempre a me.”
Come ti pare, Mina, però adesso iniziate, su. Vi pago per qualcosa.” rispose Ryan, già decisamente irritato nonostante fosse soltanto l'inizio di una giornata che, lo sentiva, si sarebbe profilata molto, molto lunga.

***

Mi annoio.”
Sunao, in piedi davanti al monitor con cui controllavano la situazione delle Mew Mew, lanciò un'occhiata a Kert, steso a pancia in su sul divano: “Potresti fare qualcosa.”
Ma non c'è niente da fare!” si lamentò lui con il tono di un bambino capriccioso, alzando le braccia “Ho già lucidato Maciste, ho controllato che fosse carico, ho controllato quanta energia residua hanno le nostre cariche, mi sono accertato che l'astronave fosse nascosta e a posto, e ho passato un'ora attaccato a quel coso a sbirciare quelle tre umane che corrono avanti e indietro portando cibo!”
Potresti giocare ad ahmi con Pharart.”
Lui dorme, perché le medicine che gli dà Seles lo stancano! Zaur è in meditazione, e mio fratello è di là con quella!” sbuffò esasperato e lanciò un altro gemito, voltandosi sulla pancia e nascondendo il volto nel cuscino del divano.
Sunao alzò un sopracciglio: “Potresti comportarti da adulto?”
No. Mi annoio. Sono venuto qui per combattere, non per stare seduto su un divano lercio.”
L'aliena rise e gli scostò le gambe, così da potersi sedere di fianco a lui: “Si vede che è la tua prima missione importante.”
Non mi stai aiutando, Sunamora.”
Lei gli scostò i capelli dal volto: “Allora battiti con me. Vediamo se riesco a sconfiggerti come quando avevamo sette anni.”
Gli occhi dorati di Kert brillarono: “D'accordo.”

Mezz'ora dopo, stava capitombolando per l'ennesima volta contro il pavimento di uno dei tanti corridoi della villa.
Atterrato di nuovo.” sorrise raggiante Sunao, bloccandogli i polsi sopra la testa “Ammettilo, Kert, non mi puoi battere.”
Non vale...” borbottò lui.
Lei ridacchiò, alzandosi e spolverandosi il vestito violetto: “Vuoi riprovare?”
No grazie,” si massaggiò la schiena “Vorrei essere tutto intero per quando attaccheremo le umane.”
Mi avete svegliato,” Pharart uscì dalla sua stanza, i capelli sparati per aria e gli occhi ancora chiusi “Non potevate fare le vostre cose da un'altra parte?”
E' pomeriggio inoltrato, amico, era anche ora che ti svegliassi.” lo riprese Kert.
Espera dice che ho bisogno di riposo.” l'alieno dagli occhi verdi incrociò le braccia al petto.
L'altro alzò gli occhi al cielo: “Ritorna a dormire prima che ti faccia del male di nuovo.”
Pharart brontolò qualcosa, ritornando nel buio della sua stanza salutandoli con un gesto della mano, e Kert fece scrocchiare le ossa del collo: “Detesto stare qui senza far niente. Sicura che non possiamo andare a distruggere qualcosa?”
Sunao rise: “Per quanto mi piacerebbe, non sono io a capo di questa missione, quindi no, devi rispettare gli ordini di Rui.”
L'alieno le si avvicinò, le braccia incrociate: “Sbaglio o tu non devi mai seguire gli ordini di nessuno?”
Gli occhi violi brillarono divertiti: “Io no, ma tu sì.”
Ugh!” la prese per un polso, marciando verso la sua stanza mentre lei rideva “L'avete sempre vinta voi!”

***

Sono esausta!” Strawberry si lasciò cadere su una sedia, lanciando lo straccio sul tavolo.
Avete fatto un ottimo lavoro, ragazze.” Kyle sorrise dolcemente, riponendo i soldi della cassa.
Vuoi dire che ho fatto un ottimo lavoro,” esclamò la rossa, voltandosi verso Mina che chiacchierava contenta in francese al cellulare “Visto che qualcuno ha passato metà del tempo a rilassarsi!”
Io ti ho aiutato, onee-chan,” Paddy era seduta a gambe incrociate sul bancone, e Strawberry le lanciò un'occhiataccia: “Sparivi ogni ora e mezza per venti minuti alla volta. E no, non voglio sapere perché. Farò finta di non aver notato Tart che si aggirava furtivo per il locale, e spera solo che Ryan non lo venga a sapere.”
Perché, soltanto voi potete fare le cosacce al piano di sopra?” Mina intervenne al “momento esatto”, colorando il viso della Mew rosa della tinta dei suoi capelli, un sorriso malefico sulle labbra.
Kyle quasi si lanciò fisicamente in avanti per fermare la discussione che altrimenti sarebbe iniziata: “A proposito, dov'è Ryan? E' sparito da un po', e non è giù in laboratorio.”
La rossa si alzò dalla sedia: “Penso di averlo visto andare in giardino con Kim, prima.”
Si avvicinò alla porta, sbirciando prima fuori dalla finestra a forma di cuore.
Effettivamente, Ryan era seduto su una panchina appena fuori dal locale, un occhio attento a Kimberly che giocava tranquilla sull'erba, l'altro al portatile sulle sue ginocchia.
Non sapeva se fossero i geni del gatto Iriomoto, oppure semplicemente il suo istinto, ma non era tranquillo, anzi. Era tutto il giorno che provava una sensazione di inquietudine, come se fossero costantemente osservati.
E non era la stessa sensazione che aveva provato anni prima, o quella che lo accompagnava da quando i nuovi nemici erano apparsi; sapeva che gli alieni non potevano avvicinarsi più di un certo raggio, altrimenti i sensori li avrebbero rilevati.
No, era una sensazione nuova, che non aveva mai provato prima ma che al tempo stesso sembrava familiare, e gli faceva drizzare i capelli sulla nuca, come se tutti i suoi sensi gli stessero gridando di stare all'erta.
Ryan?”
Il richiamo di Strawberry lo prese alla sprovvista, facendolo sobbalzare; era così assorto nei suoi pensieri che non si era reso conto che lei si era seduto accanto a lui, ed ora lo osservava con un'espressione preoccupata.
Hey,” chiuse il computer, ravvivandosi il ciuffo biondo con una mano “Avete finito al locale?”
La moglie si morse un labbro: “Sì, ma... stai bene? È tutto il giorno che sei strano.”
Lui scrollò le spalle, rimanendo sul vago: “Solo un po' di pensieri per la testa. Prendo Kim e andiamo a casa, d'accordo?”
La rossa annuì, poco convinta della sua risposta, e lo seguì fino all'auto, giocherellando con la figlia.
Anche il tragitto fino a casa fu silenzioso. Strawberry intuiva che mille pensieri stavano vagando nella mente dell'americano, e sapeva anche che sarebbe stato del tutto inutile cercare di tirarglielo fuori se lui non avesse voluto parlarne.
Io vado nel mio studio,” le disse dopo poco che entrarono in casa “Dico a Nina che prepari la cena, va bene?”
Non... non rimani un po' con me? Non ci siamo visti tutto il giorno.” mormorò la Mew rosa, mettendo Kimberly nel suo box e guardandolo con gli occhioni da cucciolo ferito.
Ma Ryan sospirò: “Ho dei dati importanti da analizzare e degli appunti da sistemare per la conferenza all'università di domani, sweetheart. Prometto che li finirò prima di cena.”
D'accordo...” borbottò lei, e il marito le diede un dolce bacio sulla fronte prima di sparire lungo il corridoio.
Strawberry sospirò sconsolata e si accasciò sul divano, sbuffando. Kimberly era tranquilla con i suoi giochi, e lei non voleva certo disturbarla quando poteva concedersi un po' di riposo -quella bimba aveva tutto il caratterino del padre-, perciò prese il cellulare di tasca e decise di chiamare Mina, per controllare come stessero andando le cose dopo la chiacchierata che avevano fatto quella mattina.
Ma il telefono squillò a vuoto per parecchi secondi, così la rossa riattaccò, se possibile ancora più depressa di prima.
Kim gorgogliò qualcosa, allungando alla mamma un cubo di gomma colorato con un sorriso.
Nessuno bada a noi, piccolina.” borbottò la rossa “Cosa possiamo fare per passare il tempo?”

***

Quando Ryan risbucò, dal suo studio, con gli occhi arrossati e la testa dolente, gli bastò seguire l'odore di arrosto per capire dove avrebbe potuto essere la sua famiglia.
Si fermò sulla soglia della cucina, osservando con un sorriso Strawberry che ascoltava attentamente la dolce Nina nel tentativo di carpire i segreti della sua fantastica cucina, mentre la piccola Kim mangiava con gusto -e con le mani- delle carote tagliate a rondelle.
Ha capito, signorina Strawberry?” domandò l'anziana governante.
Lascia stare, Nina, potresti insegnarglielo mille volte e comunque non supererebbe l'originale.” lui entrò in quel momento, passando un braccio attorno alle spalle della moglie, che gli sorrise splendente.
Nina scosse la testa con affetto a quel ragazzo che aveva visto crescere: “Dovrebbe essere più comprensivo, signorino Ryan, non è affatto semplice accontentare i suoi gusti difficili.”
Se possibile, il sorriso di Strawberry si allargò ancora di più mentre dava una gomitata leggera al biondo: “Vedi, te l'ho sempre detto.”
Comunque, l'arrosto sarà pronto tra due minuti. Con il vostro permesso, me ne andrei a casa. Mi raccomando, signorina Strawberry, si ricordi quello che le ho detto.”
Buonanotte, Nina, e grazie. Ci vediamo domani.” la salutò Ryan, una nota d'affetto nella voce che riservava soltanto all'anziana donna, con lui ormai da così tanti anni che ormai era entrata a far parte della famiglia. Ma forse non sarebbe mai riuscito a convincerla a dargli del tu.
Si sedette vicino a Kimberly mentre Strawberry sistemava le ultime cose a tavola.
La rossa lo osservò per tutta la durata della cena e il resto della serata.
Sì, ad occhio poco allenato tutto sarebbe apparso normale nel comportamento di Ryan, ma lei, che dopo anni ed anni aveva decisamente imparato a conoscerlo, poteva vedere benissimo dietro la sua solita maschera di apparenza che c'era qualcosa che lo turbava.
Perciò, con il solito tatto che la caratterizzava, non esitò a placcarlo poco dopo che ebbe fatto addormentare la bambina.
Allora, dimmi subito cosa c'è che non va.” gli domandò diretta, parandosi davanti a lui a gambe larghe e mani sui fianchi, come un sergente istruttore davanti ad una fila di giovani reclute.
Ryan alzò un sopracciglio: “Scusami?”
Avanti, su su, non fare il finto tonto con me, so benissimo che non sei soltanto preoccupato per la conferenza di domani, tu adori stare al centro dell'attenzione quando si tratta di dimostrare che sei un genio.”
Il ragazzo sorrise, poi guardò la giovane davanti a lui, gli occhioni color del cioccolato pieni di impazienza ma anche di apprensione. Che senso avrebbe avuto tenerle nascosto qualcosa? Strawberry riusciva sempre a raggiungere quello che voleva, persino con lui.
She got under his skin, come dicevano dalle sue parti, e lui sapeva che era indelebile.
D'accordo,” sospirò “Se proprio lo vuoi sapere, ho passato gli ultimi giorni a cercare di capire cosa sia quella strana energia che compare ogni tanto, e il fatto di non riuscirci mi agita.”
Perché tu vuoi sempre sapere e capire tutto.” annuì la rossa.
Ryan le lanciò un'occhiata storta: “Be', mi preoccupa non sapere a cosa potreste andare incontro, se mi permetti. Eppure mi sembra di averlo già visto, ma non riesco mai a raccogliere dati a sufficienza per poter fare una comparazione ottimale con quello che abbiamo nel database.”
Sono sicura che ci riuscirete,” Strawberry gli regalò uno dei suoi soliti sorrisi splendenti “Tu, Kyle e Pie siete dei geni con queste cose.”
Questo lo so, non c'è bisogno di ricordarmelo.”
La Mew rosa gli fece una linguaccia e fece per dirigersi verso il bagno, quando si sentì tirare dolcemente per il polso, ritrovandosi stretta tra le calde braccia del biondo.
Sta attenta, d'accordo?” le mormorò all'orecchio.
Lei alzò lo sguardo: “Sempre.”
Ryan le scostò teneramente la frangetta dagli occhi, dandole poi un buffetto sulla fronte: “Brava la mia gattina...”
Strawberry sorrise e si alzò sulla punta dei piedi, per catturargli le labbra in un dolce bacio.

***

Il mattino dopo, qualche quartiere più in là, Mina avrebbe voluto davvero tanto che fosse un'altra la notizia alla quale aveva dovuto svegliarsi.
Non che i suoi genitori fossero a meno di dieci minuti di macchina da lì.
Come se pregare Quiche di andarsene in fretta non provocasse altro stress ad una situazione già di per sé complicata.
Ma perché non glielo vuoi dire!?” sbraitò l'alieno all'ennesima richiesta della mora, la quale fece un respiro profondo.
“Quiche, il modo più appropriato per dirlo ai miei genitori non è facendoti trovare in camera mia alle nove del mattino. Non è una cosa da persone per bene, non del
loro tipo. Cosa credi che penserebbero se sapessero che tu vivi qui?!? Te lo chiedo come favore personale, ti scongiuro.”
Quiche fece una smorfia contrariata: “Non mi piace.”
Neanche a me, ma è l'unica cosa da fare, adesso. Ci manca solo che mi metta a litigare con i miei più di quanto non faccia già.”
Gli diede un veloce bacio e poi lo spinse fuori dalla stanza, chiudendo la porta.
L'alieno sospirò e decise di teletrasportarsi a casa di Pam, dove era sicuro che avrebbe trovato suo fratello maggiore.
Così apparve per precauzione davanti alla porta del loft dell'attrice, e suonò il campanello -non voleva sapere quali sarebbero stati i rischi dell'interrompere quei due in un momento intimo.
Quiche? Cosa ci fai qui?” Pam apparve sorpresa quando gli aprì.
Ehm... scusa, non volevo disturbare, lo so che è presto, ma sono arrivati i genitori di Mina e lei mi ha mandato via. Sono venuto qui per Pie.”
La modella si fece da parte per farlo passare: “Va tutto bene?”
Quiche svolazzò fino al divano, le orecchie da alieno abbassate come quelle di un cucciolo abbandonato: “Sì e no, diciamo.”
Quiche, non ho voglia di stare ad ascoltare i tuoi problemi sentimentali.” Pie entrò in quel momento nel salotto, incrociando le braccia al petto dopo aver riposto il portatile in una valigetta.
Be', grazie, fratello, non preoccuparti così tanto per me,” replicò sarcastico l'altro, facendo una smorfia “Potrei arrossire.”
Per favore, non litigate,” li interruppe Pam, aggiustandosi i capelli nello specchio “Noi stavamo per andare al Caffè, Quiche, vieni con noi?”
L'alieno dagli occhi dorati guardò la coppia. Era strano osservare Pie in abiti umani, che tutti e tre ormai si erano abituati ad usare per mischiarsi alla folla, soprattutto visti gli ultimi attacchi alieni, ma il fratello maggiore era completamente disinvolto in essi.
Alla fine, proprio l'alieno da cui meno ce lo si sarebbe aspettato era stato quello che meglio si era integrato nei ritmi della vita umana.
Ancora un po' e Quiche era certo che si sarebbe pure messo a guidare un'auto al posto del teletrasporto.
Allora?” lo incitò ancora Pie, così Quiche saltò in piedi: “Va bene, vengo anche io.”
Scesero silenziosamente fino al garage, ognuno immerso nei propri pensieri, cosa che stupì davvero il secondo degli Ikisatashi: “Ma... perché siamo qui?”
Pam lo guardò curiosa: “Prendiamo la macchina, no?”
E Quiche non poté trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.

***

Ryan parcheggiò velocemente vicino al Caffè, così da poter far scendere Strawberry e Kimberly.
Mi raccomando, dì a Kyle che mi mandi un messaggio se succede qualcosa, non posso rispondere alle chiamate.” le ricordò per l'ennesima volta.
Sìììììììììììììììì.”
E quando dico qualcosa, intendo qualsiasi cosa.”
Sììììììììììì, lo sooooooooo.”
Cerca di non litigare troppo con Mina oggi, ho un locale da mandare avanti.”
Va beeeeeeeeeene!”
Ah, e tenete lontano da Lory il nuovo servizio di piatti, vorrei che quello resistesse più di una settimana.”
D'accordo capo, come vuoi tu capo, ai suoi ordini capo.
"Non chiamarmi capo e smettila di farmi il verso, ragazzina.”
Strawberry ridacchiò e si sporse dentro il finestrino del biondo, dandogli un lungo bacio appassionato con tanto di schiocco finale: “Ci vediamo dopo, non farti adulare troppo dalle studentesse alla conferenza.”
"Tsk,” Ryan indossò gli occhiali, scuotendo la testa, e ripartì velocemente, lasciando il finestrino abbassato così che il vento giocasse con i suoi capelli.
Avrebbe preferito rimanere al Caffè quel giorno, ma quella conferenza era un impegno improrogabile, era stata pianificata da settimane, e non poteva sottrarre i suoi collaboratori ad altre giornate di lavoro.
Non aveva nessuna voglia di parteciparvi, ma non avrebbe avuto senso annullarla. Meglio affrontarla subito e toglierla dalle scatole, poi avrebbe avuto tutto il tempo di dedicarsi al progetto μ e a tutti i nuovi dati che stava raccogliendo.
Era sicuro di essere vicino a scoprire qualcosa, se lo sentiva. Ma ciò non toglieva che i suoi sensi fossero tesi al massimo, e non gli piaceva, per nulla.
"Buongiorno, Shirogane!” lo salutò uno dei suoi colleghi e partner quando scese dalla macchina. “Ci aspettano in aula magna.”
"Perfetto.” annuì e si lisciò la giacca e la cravatta, controllando un'ultima volta il cellulare.
Temeva che per l'ennesima volta i suoi sensi avrebbero avuto ragione.
E solo a fine giornata avrebbe capito di non aver avuto torto.

***

"Allora, siamo pronti?!” Kert, ghignando, si sistemò in spalla il suo Maciste, il micidiale cannone che sparava aria compressa “E' da troppo tempo che siamo fermi, spero di non essermi arrugginito.”
Rui lo ammonì con lo sguardo: “Vediamo di non fare scemenze, d'accordo? Soprattutto tu, Pharart.”
"Ai tuoi ordini, fratellino.” l'alieno dagli occhi dorati si teletrasportò fino a sopra al parco centrale di Tokyo, non troppo lontano dallo stesso Caffè. “Qui mi sembra che vada bene, no?” domandò a Sunao, apparsa accanto a lui.
La bella aliena ignorò la sua domanda, ponendone un'altra con voce annoiata: “Quanto ci metteranno le umane ad arrivare? Voglio osservarle per bene prima di decidere il da farsi.”
"Stanno arrivando,” la rassicurò Zaur, “State pronti.”
Sunao si alzò nell'aria, più e in alto ed indietro rispetto ai quattro alieni schierati, mettendosi davanti al Sole così che fosse difficile per le Mew Mew poterla guardare, mentre lei aveva un'ottima visuale.
Era proprio curiosa di poter vedere dal vivo cosa fossero in grado di fare. Forse no, non avrebbe combattuto, non ancora. Non voleva far finire il divertimento troppo presto.
"Non dovresti essere qui.” mormorò quando un gentile spostamento d'aria l'avviso che Espera era comparsa al suo fianco.
Lei fece spallucce: “Non riesco a stare a casa da sola. E poi... c'è qualcosa che non va, non senti?”
Sunao piegò la testa di lato: “E' la prima volta che mi trovo in una situazione simile. Non riesco ancora a definire come dovrebbero essere le cose. Per questo voglio osservare quelle cinque umane.”
Espera stava per ribattere qualcosa, quando la voce di MewPurin si spanse per il parco: “Ancora non vi siete arresi, brutti alieni?”
"No, e non lo faremo mai!” replicò Kert, caricando la sua potente arma.
Iniziarono a combattere, ma entrambe le parti sembravano più caute del solito.
"Sbaglio o c'è qualcuno in più?” borbottò Quiche a Pie, indicando con un cenno del capo quelle due figure scure contro-sole.
"Ci mancava solo questa!” sbuffò MewBerry, sfrecciando accanto a loro per evitare un colpo di Pharart “Ribbon Strawberry check!”
"Smettila di fare chiacchiere e vieni a lottare, cuginetto!” Kert stuzzicò Quiche, che emise un ringhio profondo, scagliandosi contro di lui.
-Questo è tutto quello che sanno fare?- pensò sorpresa Sunao, osservando l'agguerrita battaglia dall'altro -Non sono molto forti, ma allora perché non vengono sconfitte?-
Una freccia bluastra di MewMina saettò veloce tra le due aliene, che si scansarono appena per evitarla.
"Ragazzina impertinente.” ringhiò la Messaggera “Attaccare chi non la sta attaccando.”
Evocò il suo bastone, pronta ad entrare in azione, quando all'improvviso udirono un potente tuono provenire da non molto lontano, ed una nuvola di polvere si alzò così in alto da oscurare persino loro, mentre una forte corrente spingeva tutti verso sinistra.
"Ma cosa...?” tossì MewLory, cercando di rimettersi in piedi.
"Che cosa è stato? Un colpo alieno?” domandò MewPam, aiutando MewPaddy.
"No, anche loro sono stati colpiti!” replicò MewBerry “Voi vedete qualcosa?”

Poco più in là, anche Ryan dovette arrestare l'auto quando la polvere lo raggiunse.
La conferenza era stata sospesa poco dopo l'attacco alieno, e lui era corso via.
In quel momento, il portatile che aveva sistemato sul cruscotto si accese, ed un allarme iniziò a lampeggiare.
Sgranò gli occhi: “Non è possibile!”

Sunao tossì, scrollandosi la sabbia dal viso, ed all'improvviso un brivido le percorse la schiena.
Stava avvertendo qualcosa che non pensava avrebbe mai incontrato.
"Ma questo è...”

Le cinque Mew Mew si rimisero lentamente in piedi; la polvere cominciava a diradarsi lentamente, e MewBerry strinse gli occhi, provando a capire cosa potesse essere successo.
Il respiro le si mozzò in gola: “No! Non può essere!”


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Capitolo 21
*** Dies Irae ***


Dies Irae


Il suo corpo bruciava.

Com'era finito lì?

Si portò una mano alla fronte, per cercare di fermare la testa che girava e girava senza sosta.

Le vene pulsavano al ritmo del suo cuore.

Doveva liberarsi di tutta quell'energia. Ma come?

-Oh, lo sai,- rispose una voce dentro di sé -Lo sai eccome...-

Scosse la testa, strinse i denti: “No...” mugolò, il corpo che faticava a rispondere ai suoi comandi.

Udì una risata.

-E invece sì.-

 

***

 

Kert si districò dai rami dell'albero su cui era finito, passandosi un braccio sulla faccia per poter togliere la sabbia: “Ma che diavolo è stato?” ringhiò.

Si guardò intorno, cercando i suoi compagni, anch'essi sparpagliati tra la vegetazione, tranne una.

Alzò lo sguardo, non stupito dal fatto che Sunao fosse stata l'unica a non essere troppo colpita da quella strana esplosione, ma curioso dalla strana postura rigida dell'aliena.

Era come se fosse spaventata. E sapeva benissimo che lei non lo era mai.

Zaur?” chiamò l'amico “Cosa c'è?”

L'alieno dai poteri del nulla si scrollò le foglie dai capelli: “Non lo so. Non sono state le umane.”

Si voltarono verso le Mew Mew, in tempo per vederle alzarsi faticosamente in piedi.

E' scoppiata una bomba?” domandò MewPaddy, massaggiandosi il fondoschiena.

State bene?” MewLory si guardò attorno “Non si vede più nulla!”

MewBerry si passò una mano sugli occhi, cercando di pulirli dalla polvere e dalla sabbia. Aveva un bruttissimo presentimento, lo sentiva alla bocca dello stomaco, era come se tutti i suoi sensi stessero urlando allo stesso momento.

Ragazze...” mormorò, facendo un tentennante passo in avanti “Lo sentite anche voi?”

La nuvola di polvere cominciò a diradarsi. La Mew rosa deglutì rumorosamente, avvicinandosi lentamente al punto da cui era partita l'esplosione, il cuore che le batteva forte dentro al petto, rimbombandole nelle orecchie.

-Io conosco questa sensazione,- pensò, -Questa è la stessa sensazione di quando...-
Scosse la testa, rifiutandosi di continuare. Avvertì lontano MewPam che la chiamava, ma non le badò. La nuvola si stava diradando e lei poteva scorgere una figura...

Le si mozzò il fiato in gola, mentre le ginocchia le cedevano: “No! Non può essere!”

Davanti a lei, un ghigno malefico stampato in volto, si stagliava Mark.

Mewberry!” le altre quattro Mew Mew le corsero accanto, cercando di farla rialzare, ma sembrava che il suo corpo non volesse collaborare.

M-Mark?” balbettò.

Il ragazzo davanti a lei piegò la testa da un lato, con aria interrogativa: “Intendi dire il corpo che abito?” si lasciò scappare una risata inquietante “Oh, ma non può sentirti ora, micetta, è totalmente in mio controllo.”

Pie si parò davanti alle ragazze: “State ferme.” sussurrò.

Ikisatashi!” esclamò Mark “Così hai deciso di tradire il tuo padrone una seconda volta?”

L'alieno fece apparire i suoi ventagli, senza staccare gli occhi dal ragazzo in fronte a sé. Non lo superava in fatto di forma fisica, ma poteva avvertire la grande forza che emanava; sapeva anche che quell'energia si sarebbe moltiplicata enormemente se solo Mark avesse preso la forma dell'essere che sprigionava quel potere.

Avrebbe dovuto capirlo prima, pensò, avrebbe dovuto riconoscere quel maledetto campo energetico che li tormentava da settimane: non era altro che lui.

Aoyama scrocchiò il collo: “Bene. È stato un piacere rivedervi; sarà un piacere ancora più grande distruggervi!”

Alzò un braccio, compiendo un largo gesto con la mano che scatenò un'altra onda di energia.

Le Mew Mew chiusero gli occhi, pronte ad essere investite, quando all'improvviso Sunao si parò davanti a loro, il suo bastone che fermava l'attacco, le due sfere su entrambe le sommità che brillavano come impazzite.

Andatevene, e in fretta!” si voltò verso le cinque, ringhiando a denti stretti per lo sforzo.

Tart prese per mano MewPaddy, mentre Pie prendeva in braccio MewBerry, ed il gruppo cominciò a correre via.

Sunao si voltò di nuovo verso Aoyama, spostando con uno sbuffo il suo colpo verso il parco vicino.

Tu non sei umana,” osservò il moro “Da dove vieni?”

Da un posto che non ti vuole.” veloce come un gatto, la Messaggera lo colpì sotto al mento con un capo del bastone, lanciandolo lontano.

Prima che potesse contrattaccarla, si spostò velocemente verso i suoi compagni, che avevano osservato la scena incerti e senza capire del tutto cosa stesse succedendo. “Dobbiamo andarcene, ora.

Cosa sta succedendo, Sunao?” le domandò Rui.

Ti spiegherò tutto non appena saremo alla base, ma ora muoviamoci.”

 

Nello stesso momento, le cinque Mew Mew e i tre fratelli Ikisatashi correvano, correvano forte come non mai, sospinti da un opprimente senso del terrore, verso il Caffè.

Kyle li stava aspettando sulla soglia, tenendo la porta aperta finché non furono entrati tutti, per poi chiuderla a doppia mandata.

Il salone rimase al buio se non per la luce che proveniva dalla cucina: tutte le finestre erano state chiuse.

Rimanete trasformate...” mormorò Ryan, mentre prendeva MewBerry dalle braccia di Pie e la stringeva tra le sue.

Stettero tutti in silenzio, i nervi tesi, ad aspettare per quelle che sembrarono ore, mille pensieri che si affollavano nella mente, le orecchie pronte a cogliere qualsiasi rumore o cambiamento.

Forse non verrà?” domandò infine, con una vocina piccola piccola, MewLory.

MewPam si avvicinò ad una finestra, scostando appena una persiana: “Qui fuori non c'è nulla.”

Anche i rilevatori non danno alcun segnale,” Kyle controllò il portatile poggiato sul bancone “Direi che possiamo stare tranquilli.”

Tranquilli?!” gridò Mina, afflosciandosi sul pavimento dopo essersi ritrasformata “Ma dico io, vi rendete conto di chi ci siamo trovati davanti?!”

Mina...” la riprese Lory, mettendosi un dito davanti alle labbra e facendo un cenno verso Strawberry che, con lo sguardo perso nel vuoto, si era andate a sedere in un tavolo in un angolo, Ryan poco dietro di lei.

Hey,” le si inginocchiò davanti così da essere alla sua altezza “Come stai?”

La rossa ebbe un sussulto, come se si fosse appena risvegliata: “Bene,” si schiarì la gola “Dov'è Kim?”

Quando gli alieni hanno attaccato, Kyle ha chiamato i tuoi, sono venuti a prenderla.” le rispose, studiando con attenzione il suo viso.

Va bene.” Strawberry si voltò, appoggiando la guancia alla mano, e lasciando un'altra volta che i suoi pensieri prendessero il sopravvento, così con un sospiro Ryan si alzò.

Allora? Cosa facciamo adesso?” gli domandò Quiche, incrociando le braccia al petto.

Quello che avremmo dovuto fare anni fa!” rispose Mina a voce alta “Lo sapete che lo state pensando tutti, lo leggo sulle vostre facce. Nessuno si aspettava una cosa del genere, nessuno soprattutto avrebbe mai pensato ad una forza del genere!”

No, aspettate!” Strawberry si alzò in piedi “Noi non... non possiamo... è Mark!”

Non è Mark, Strawberry, lui è...” Paddy fece un respiro profondo prima di pronunciare quel nome “E' Profondo Blu.”

Non ne siamo ancora sicuri!” la rossa strinse i pugni, mentre le sue guance si tingevano di rosso “Magari è ancora come qualche anno fa! Ryan, diglielo tu!”

Il biondo sospirò. Perché dovevano mettere in mezzo lui adesso? “Ascolta, Straw...”

Lei lo guardò come un cucciolo abbandonato in un canile guarda i possibili padroni, gli occhioni già bagnati di lacrime che lui non riusciva del tutto a comprendere, o che forse non voleva affatto comprendere.

Strawberry ha ragione,” intervenne in fretta Pam per salvare l'amico da quella situazione “Non siamo ancora sicuri del tutto di quanta parte di Mark sia rimasta in Profondo Blu, e quanta invece abbia preso il sopravvento. Non possiamo permetterci di prendere decisioni affrettate.”

Sì ma non possiamo nemmeno affrontare due nemici diversi nello stesso momento!” replicò Paddy.

Non avete visto come si sono comportati gli alieni?” domandò la Mew gatto, portandosi al centro della sala “Quella tizia sconosciuta ci ha salvato, deve pur significare qualcosa!”

Si chiama Sunao, credo.” intervenne Mina, ben poco convinta “L'ho sentito quando... beh, lo sapete.”

Vi chiedo solo di aspettare,” mormorò Strawberry “Non possiamo sporcarci le mani di una vita innocente.”

Ryan, Kyle e Pie si scambiarono un'occhiata, un discorso silenzioso che solo loro tre potevano capire. Infine, l'americano sospirò: “Va bene, ma vi pregherei di fare ancora più attenzione. Non sappiamo quando, come né se Aoyama alias Profondo Blu attaccherà ancora, e nemmeno quale possa essere il gioco degli alieni. Tenete le spille sempre con voi e comunicate i vostri spostamenti, così potrete essere facilmente raggiungibili in caso di necessità. E sarebbe meglio non girare da sole.”

Mina si voltò verso Lory e Paddy: “Volete venire a stare da me? Tanto la casa è grande, e saremo più sicure.” E inoltre lei non aveva nessuna voglia di stare da sola con Quiche, visti gli ultimi avvenimenti.

Le altre due ragazze annuirono. “Sì, d'accordo. Sarà come fare un pigiama party!” la Mew gialla sorrise allegra.

Salutarono gli altri e si avviarono verso villa Aizawa. Pie si rivolse a Ryan: “Ti dispiace se rimango un po' qui? Credo sia opportuno aggiornare i dati nei computer, a questo punto.”

Lui si passò una mano tra i capelli, un gesto che tutti sapevano era simbolo del suo nervosismo: “Certo, assolutamente, anzi, rimango anche io. Pam, potresti...?”

La Mew Viola annuì: “Ti accompagno a casa io, Strawberry.”

La rossa guardò il marito: “Io in realtà vorrei fare una passeggiata, per schiarirmi un po' le idee.”

Ryan le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani: “Sweetheart, per favore. Mi sentirei molto più tranquillo a saperti a casa, invece che a spasso da sola, almeno finché rimango qui.”

D'accordo...”

Le diede un bacio dolce in fronte, e l'osservò allontanarsi insieme all'amica, poi raggiunse Kyle e Pie al laboratorio.

 

***

 

Gli alieni di Gaia rientrarono rumorosamente nella villa abbandonata, quasi gettando al suolo armi e armature.

Allora? Cos'è questa storia?! Chi è quella sottospecie di carciofo che lancia onde energetiche?” sbraitò Kert “Pensavo fossero quelle cinque e i tre cugini che avremmo dovuto combattere!”

Infatti questo non era previsto nei piani,” sibilò Sunao, lanciandogli un'occhiataccia infastidita dal suo comportamento. “Questo non era previsto da nessuna parte.”

D'accordo, Sunao, cosa sta succedendo?” Rui si sedette su un divano sfondato, passando un braccio attorno alle spalle di Espera.

La Messaggera incrociò le braccia, strofinandosele per far passare quell'orrenda sensazone che le aveva fatto venire la pelle d'oca: “Avete mai sentito parlare di Profondo Blu?”

Zaur corrugò le sopracciglia: “E' una leggenda, una delle tante storie che ci raccontavano da piccoli se non ci comportavamo bene...”

E invece no,” Sunao si voltò verso le grandi vetrate del salone “Purtroppo, Profondo Blu è una storia vera, ma così antica da essere stata tramutata in leggenda, anche per non spaventare il popolo.”

Cosa stai dicendo, Sunao, com'è possibile che non se ne sapesse nulla!” intervenne spaventata l'altra aliena “Le cinque Mew Mew sembravano conoscerlo, non può essere antico!”

Lei prese un respiro profondo: “E' una di quelle cose di cui vieni a conoscenza solo quando hai determinati intrecci con il Consiglio, Espera. Non mi stupisco che anche la tua famiglia possa esserne stata tenuta all'oscuro.”

Si rivolse di nuovo ai suoi compagni, incominciando a narrare: “Per quello che so, Profondo Blu faceva parte della spedizione che ci ha condotti su Gaia, quando il nostro popolo lasciò la Terra. Era di famiglia nobile, la più nobile di tutti, ma era l'unico rimasto. Aveva brama di potere, non gli stava bene l'idea di doverlo condividere con altri in un Consiglio. Pensava che solo lui avesse il diritto di governare il pianeta. La prima grande battaglia di Gaia è stata opera sua.”

Un mormorio sconcertato si diffuse tra gli alieni: conoscevano tutti, a grandi linee, quella battaglia, l'avevano studiata, ma non sapevano nulla della vera causa.

E così, dopo averla perduta, è stato esiliato. Ma non è stato facile sconfiggerlo... aveva un potere enorme, così grande da poter spazzare via più soldati in un colpo solo. Ci sono state grandi perdite. Tutti gli addestramenti specifici che fate all'Accademia, che all'apparenza possono sembrarvi così strani, sono stati concepiti in modo che se qualcosa del genere si dovesse ripresentare, l'esercito sia pronto.”

Quindi... come ci è finito sulla Terra? Perché è ricomparso proprio ora?” domandò Pharart.

L'esilio era stato deciso per lo stesso pianeta dei vostri cugini. Il resto lo sapete.” rispose Sunao “A quanto pare, quelle Mew Mew non hanno fatto del loro meglio a sconfiggerlo, visto che una parte di Profondo Blu è rimasta intrappolata nel corpo di quell'umano. Deve essersi risvegliata quando siete arrivati voi, e lentamente ne ha preso possesso.”

Cosa facciamo adesso?” domandò l'alieno dagli occhi verdi.

La Messaggera si strinse nelle spalle: “Devo parlare con il Consiglio, prima di fare qualsiasi cosa bisogna aspettare un loro ordine.”

Che seccatura,” bofonchiò Kert, intrecciando le braccia dietro la testa e appoggiandosi allo schienale del divano “Ma quanto è potente questo qui?”

Troppo.” Espera intervenne d'un tratto, il tono spaventato “Ha un'aurea incredibile, c'è troppa energia per una mente umana, non riesco a capire come possa sopportarlo!”

Dici che non c'è solo Profondo Blu lì dentro?” domandò Zaur, e la mora scosse la testa.

No, ho chiaramente sentito anche una parte umana, seppur piccola. Il padrone di quel corpo è quasi totalmente soggetto a Profondo Blu, ma è ancora cosciente, anche se... sembra quasi che non si dispiaccia troppo di quel potere, non so come spiegarlo.”

Sunao afferrò il suo bastone: “Parlerò con il Consiglio, voi intanto cercate di tenere la situazione sotto controllo. Bisogna capire dove si nasconde, i suoi spostamenti, tutto. Più ne sappiamo, meglio è.”

Si allontanò in un angolo del grande salone, nell'ombra. Il suo viso era illuminato soltanto dal pallido luccichio biancastro della sfera attraverso la quale parlava con i Supremi di Gaia.

Kert poteva vedere le sue labbra muoversi, velocissime, eppure non ne usciva suono.

I loro occhi si incrociarono per una frazione di secondo, e si stupì di leggere dentro quelli violetti di Sunao un'emozione che non credeva lei avrebbe mai potuto provare.

E a saperla così preoccupata, si preoccupò anche lui.

 

***

 

La doccia era gelata, eppure non riusciva a placare il calore del suo corpo.

Piccole nuvolette di vapore lo circondavano, causate dalla brusca differenza tra la sua pelle e il getto d'acqua.

Sentiva un ronzio nelle orecchie, fastidiosissimo; gli appannava i pensieri, e la vista.

Perché l'hai fatto?” sussurrò, appoggiando la fronte contro le piastrelle del muro, cercando conforto nella loro inutile freschezza.

-Non ho fatto niente che tu non volessi,- gli rispose.

Strinse i denti: “Non è questa la cosa giusta...”

-Invece sì,- la voce dentro la sua testa sorrise soddisfatta -Io uso solo la tua ira, niente di più... è tutto merito tuo... sei tu che vuoi tutto ciò...-

Vide la sua mano stringersi a pugno senza che ne fosse pienamente cosciente.

Sì, era vero.

Erano anni che covava rabbia dentro di sé, che la teneva nascosta, in crescita, annichilita sotto falsi sorrisi. Ma era sempre rimasta lì.

Ed era giunto il momento di farla uscire.

 

 

 

 

Buon pomeriggio a tutti :) Capitolo un po' cortino, ma cruciale ;) E' stato scritto di getto tra stamattina e ieri pomeriggio, naturalmente a lezione perché la sottoscritta si annoia molto. XD

Scusate un po' l'attesa ma maggio si avvicina e gli esami incalzano, quindi il tempo a mia disposizione diminuisce notevolmente, nonostante io procrastini come una pazza. Tra l'altro, mentre gli ultimi capitoli di questa fic erano già stati scritti, più o meno, tempo addietro, da questo in poi è tutto materiale originale, e visto che sotto tortura della mia cara Izayoi007 ho dovuto leggermente modificare la trama, ci sto mettendo un po' di più. XD Cosa non faccio per accontentarti, onee-san! :P

E poi non sono mai stata famosa per gli aggiornamenti veloci, e sto sperimentando anche in un altro fandom ;)

Grazie naturalmente a chi legge e commenta, siete un prezioso stimolo per questa pigrona di autrice. Ah, e dovreste anche ringraziare la mia professoressa di Scrittura Creativa all'uni, che mi ha dato la carica dopo aver letto una descrizione ad hoc di Sunao e avermi detto che era perfetta. Ora capite perché lei è il mio personaggio preferito ;)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere ;)

A presto,

Hypnotic Poison 

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Capitolo 22
*** Plan B ***



Plan B



Quando Ryan rincasò, era ormai quasi mattina.

Lui, Kyle e Pie avevano passato l'intera notte a discutere, a catalogare dati, a confrontarli e a cercare di trovare una soluzione plausibile.

Dire che stava da schifo era poco.

S'infilò in doccia dopo aver acceso la macchinetta del caffè, cercando di non addormentarsi sotto il getto tiepido ed invitante. Voleva tornare al locale al più presto possibile, era determinato a risolvere in fretta quella faccenda, a costo di non dormire per giorni.

Non sei tornato a casa.” Strawberry entrò in cucina, strofinandosi gli occhi con un pugno, mentre lui era appoggiato al bancone, ignaro di quanto in realtà quel caffè fosse caldo.

Siamo rimasti tutta la notte a lavorare,” le spiegò, trangugiando uno dei biscottoi che Nina aveva lasciato per loro in un barattolo “Mi aspettano al Caffè tra poco.”

Ma hai bisogno di dormire.” replicò la rossa, ancora con gli occhi pieni di sonno.

Dormire, Strawberry?!” sibilò l'americano, appoggiando la tazza sul ripiano con una mano tremante “Come pensi che il pensiero di dormire possa anche solo sfiorarmi in questo momento?”

La ragazza trasalì, presa alla sprovvista da quello scatto improvviso: “Scusa... io dicevo per te...”

Lasciamo perdere, d'accordo? Non è certo la prima volta che passo la notte in bianco.”

Mi spieghi perché ce l'hai con me stamattina?” ribatté la Mew rosa.

Non ce l'ho con te, Strawberry, ma potresti cercare di capire il tipo di situazione!”

Niente che non abbiamo affrontato prima!”

Oh, certo!” Ryan alzò ad un tratto la voce “Sei alieni pazzoidi che cercano di uccidervi da qualche mese, e il tuo ex fidanzato che si risveglia all'improvviso con manie omicide, mi sembra una situazione perfettamente normale! Perdonami, forse sono io un po' troppo conservatore!”

Strawberry abbassò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore: “Se non fosse Mark, non te la prenderesti così tanto...” pigolò.

Il biondo sentì il sangue ribollirgli nelle vene, e strinse i pugni: “Credi davvero che sia solo per questo? For God's sake, do you think I'm that shallow and stupid?”

Afferrò la tazza e la gettò nel lavandino, dove atterrò rumorosamente, facendo sussultare la ragazza.

Io passo la notte al computer a cercare di capire cosa fare, e lei pensa che io sia geloso.” mormorò, piegato sopra al lavabo, dandole le spalle. Gli scappò una risata incredula. “Oh, riesci sempre davvero a stupirmi, Momomiya.”

La Mew gatto rimase zitta, indecisa su cosa dire. Ryan non aveva mai alzato tanto la voce con lei, si rendeva conto che forse aveva davvero esagerato.

Proprio non riesci a capire perché?” i due occhi color ghiaccio la andarono a fissare, e lei dovette spostare lo sguardo per la loro intensità.

Se lo ritrovò a pochi centimetri in un attimo, senza nemmeno accorgersi che si era mosso.

Non abbiamo mai incontrato una potenza tale. Il potere di Profondo Blu anni fa era una porzione di quello che è adesso. È come se nel corso degli anni la sua forza si fosse accresciuta. Noi non ce ne siamo mai accorti, non abbiamo potuto fare niente, e adesso siamo in pericolo. E il pensiero...” le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarlo “E il pensiero che lui possa farti del male mi terrorizza e disgusta allo stesso tempo. Perché è come se una parte di me mi stesse urlando di stare ancora più attento, perché lui mi odia, e non si farebbe nessuno scrupolo a ferirti per ferire me.”
Strawberry sentì una lacrima scorrerle lungo la guancia: “Ma lui... lui è Mark, non ha mai fatto del male a nessuno...”

Profondo Blu sì,” ribatté lui “E non sappiamo ancora quanto vi sia dell'uno, e quanto dell'altro. E poi, prima non eri mia, Strawberry.”

La strinse forte a sé, inspirando il dolce profumo dei suoi capelli, cercando di avvolgere la sua esile figura con il suo corpo, spinto dall'istinto protettivo. Se soltanto Mark, o Profondo Blu, o chi per lui, avesse osato torcerle un solo capello, l'avrebbe ucciso con le sue stesse mani.


***


Quella stessa notte, anche Espera non riusciva a dormire.

Sunao e Rui erano tornati in tutta fretta a Gaia, per parlare in prima persona al Consiglio e ricevere ulteriori istruzioni, e non sapevano di preciso quando sarebbero tornati.

Era la prima notte che passava da sola sulla Terra, e ciò le procurava una strana sensazione. Era abituata a stare senza Rui, ma decisamente non era abituata a farlo in un pianeta straniero, sul quale tutte le emozioni che provava erano amplificate.

La luce del mattino filtrava già fioca dalla finestra, perciò decise di alzarsi. Non sarebbe riuscita a riprendere sonno in ogni caso.

Vagabondò silenziosa fino alla cucina, sorprendendosi di trovarci Kert. Non l'aveva mai preso per un tipo mattutino.

Ehi,” lo salutò a bassa voce “Come mai già sveglio?”

L'alieno dagli occhi dorati scrollò le spalle: “Mi piace allenarmi alla mattina presto, quando è più fresco. Poi torno a dormire.”

Espera annuì, leggermente in imbarazzo. Il loro non era il migliore dei rapporti, e non avevano mai avuto troppe occasioni di trovarsi da soli.

Si preparò un tè leggero, sedendosi poi davanti al ragazzo. Quel silenzio la metteva a disagio, ma poteva percepire che, almeno per una volta, Kert non le era ostile. O almeno, non in quel momento.

Ehm... Kert?” lui alzò lo sguardo “Mi stavo chiedendo... se, sai, quella cosa che è successa quella volta... potrebbe essere utile contro Profondo Blu?”

Il maggiore dei fratelli Tha la studiò per un istante, poi si strinse nelle spalle: “Francamente, non lo so. Immagino che sia proprio per questo che il Consiglio ha voluto che tu venissi qui, ma credo proprio che Rui non accetterebbe mai di mandarti in battaglia senza un adeguato addestramento.”

Già...” Espera fissò la tazza “Non gli ho mai nemmeno spiegato per bene in cosa consista.”

Kert sbuffò: “Non mi sorprende. Scommetto che il Consiglio ti ha vietato di parlarne, quindi non capisco perché tu lo stia facendo con me.”

Lei gli lanciò un'occhiataccia: “Tu volevi vederlo, e tu ne hai parlato con Sunao.”

Lui rise, alzandosi: “Ma voi femmine non vi tenete mai nulla per voi, eh?”

La ragazza sorrise: “Kert? Io tuo fratello, lo amo davvero.”

Lo so, lo so,” ribatté lui, allontanandosi per il corridoio con un gesto della mano.


***


Scusate il ritardo!” Lory entrò in tutta fretta al Caffè, seguita poco dopo da Paddy “Ma abbiamo dovuto usare la macchina.”

Perché non vi ha portate Quiche con il teletrasporto?” domandò curiosa Strawberry, finendo di apparecchiare gli ultimi tavoli.

Be', ehm...” la Mew Verde si morse il labbro inferiore “Le cose non stanno andando molto bene tra lui e Mina, hanno litigato tutta sera...”

Proprio in quel momento la ballerina entrò furibonda nel locale, sbattendo la porta di ingresso e dirigendosi senza dire una parola nello spogliatoio.

Ecco, appunto...” mormorò Paddy, avvicinandosi alla rossa per bisbigliarle nelle orecchie “E' stato così tutto ieri. Non è stato poi un gran pigiama party.”

La porta sbatté di nuovo, stavolta a causa di Quiche, che gridò: “Guarda che non abbiamo finito!”

Hey, hey, basta così.” Pam gli si parò davanti, alzando una mano “Smettetela di urlare.”

Urlare è l'unico modo per essere certi che la principessina mi stia ad ascoltare!” ribatté lui in direzione dello spogliatoio.

Tart prese per un braccio suo fratello: “Dai, fratellone, andiamo a farci un giro.”

Mentre Quiche borbottava qualcosa di indefinibile, ma decisamente poco educato, Tart si rivolse alla sua ragazza e le fece un sospiro sconsolato, e Paddy sorrise: “Povero il mio Tart, con i due fratelli che si ritrova.”

Perdonami, Paddy, ma cosa staresti insinuando?” il glaciale Pie era appena apparso lì di fianco a lei, un'espressione poco convinta in volto.

Strawberry ridacchiò, dirigendosi in cucina e abbandonando l'amica “in difficoltà” - mancava poco all'apertura, e non aveva voglia di sentire le solite lamentele di Ryan sul fatto che lo avrebbero mandato sul lastrico con la loro poca voglia di lavorare.

Il suddetto americano era nella stanza, appoggiato ad un ripiano intento a bersi l'ennesima tazza di caffè nero per cercare di stare sveglio, con risultati decisamente scarsi.

Hey there,” esclamò sorpreso quando la Mew Rosa lo abbracciò di slancio “A cosa devo tutto questo affetto?”

Volevo solo dirti che sono molto contenta che io e te siamo sposati e non litighiamo.” rispose lei con un gran sorrisone infantile.

Ryan rise, arruffandole la frangetta: “Senti, io adesso vado in camera mia a farmi un pisolino...” abbassò la voce e inclinò il viso pericolosamente vicino a quello della ragazza “Perché non vieni con me e mi fai un bel massaggio rilassante, a cui potrei ricambiare con qualcos'altro di molto, molto piacevole?”

Strawberry divenne bordeaux mentre inevitabilmente le spuntavano le orecchie e la coda feline: “Shirogane!” strillò, lanciando un'occhiata imbarazzata al povero Kyle che fingeva di non sentire nulla mentre affogava il proprio dolore nella preparazione dei dolci del giorno.

Il biondo scoppiò a ridere, rubando un veloce bacio alla povera Mew rosa: “Oh, I love it when you scream my name, baby.

Kyle non poté far altro che infornare una torta, un velo di rossore sulle guance, mentre Strawberry rincorreva Ryan cercando di colpirlo con una pentola.


***


Zaur chiuse il collegamento con il Caffè Mew Mew; non era minimamente interessato ai problemi sentimentali di quelle cinque umane. Anche se, doveva ammetterlo, lo incuriosiva il loro comportamento quasi noncurante della situazione in cui si trovavano.

Come facevano ad essere così spensierate con non una, ma ben due minacce che incombevano su di loro? O forse la loro era solo ingenuità?

Si strinse nelle spalle. In quel momento era ben più preoccupato per quello che Rui e Sunao avrebbero raccontato al loro ritorno da Gaia, che sperava avvenisse al più presto possibile. Sapeva bene che il Consiglio non si faceva mai attendere molto, ma quella era decisamente una situazione particolare. Sperò dentro di lui che non si cogliessero decisioni affrettate. Non aveva nessuna voglia di finire in pasto ad un alieno dal super-ego.

Un rumore qualche stanza più in là lo avviso che, finalmente, la Messaggera e il comandante della spedizione erano tornati sulla Terra.

Espera corse nel salone, saltando in braccio a Rui: “Mi sei mancato!” esclamò, mentre lui la teneva sollevata per il busto.

Kert entrò lentamente nella stanza, scuotendo la testa a quella scena così sdolcinata, lanciando solo un'occhiata a Sunao. Non aveva un'aria così allegra.

Allora? Qual è il piano?” domandò, buttandosi come sempre nel suo posto preferito sul divano, di fianco a Pharart.

Rui prese un respiro profondo: “La decisione del Consiglio non è stata unanime, anzi... diciamo che è stata decisamente combattuta... ma alla fine ha valso il voto del Primo Consigliere.”

Ebbene? Cosa sarebbe?” lo spronò Pharart.

L'alieno dagli occhi blu guardò velocemente Sunao, che si strinse nelle spalle, e continuò: “Il Consiglio vuole che combattiamo assieme alle Mew Mew per eliminare, del tutto, Profondo Blu. Lo ritengono una minaccia molto più importante che la conquista della Terra.”

Stai scherzando?!” esclamarono in coro Kert e Pharart.

Quando mai il Consiglio Supremo ha scherzato?” li riprese Sunao, con aria evidentemente scocciata.

Zaur si alzò in piedi: “Credono davvero che potremo allearci con coloro che fino adesso abbiamo cercato di sconfiggere?”

Rui si strinse nelle spalle: “Questi sono gli ordini. Abbiamo tempo per elaborare un piano più preciso, ma vorrei riuscire a sfruttare la prossima Luna piena.”

E' una grandissima stronzata, ecco cos'è.” ringhiò Kert “Erano tutti ubriachi quando hanno escogitato questo mirabolante piano? Non possiamo neanche avvicinarci a quelle cinque senza scatenare una battaglia!”

Dovremo rifletterci e ragionarci su,” replicò il fratello “Sono certo che tutti noi vogliamo la distruzione di Profondo Blu, riusciremo a trovare un terreno comune.”

Meglio allearci con le umane che scatenare una guerra coinvolgendo l'intero esercito di Gaia.” Pharart si strinse nelle spalle “In fondo loro sono quasi riuscite a sconfiggerlo una volta, avranno pure qualche trucchetto conveniente.”

E come pensate di approcciarle? Io non ci tengo a essere fritto da Quiche, considerando che sarà opportuno presentarsi disarmati se l'intento è una pacifica discussione di alleanza.” Kert calcò con fastidio su quelle ultime parole, facendo una smorfia di disgusto.

Espera si alzò in piedi, raggiungendo Rui: “Andrò io!” esclamò “Loro non mi conoscono ancora così bene e, siate sinceri, ho un carattere davvero migliore del vostro. E posso comprendere il loro.”

Tu là da sola non ci vai.” sentenziò il suo compagno “Non hai un briciolo di addestramento.”

Lei roteò gli occhi: “Che tipo di addestramento potrebbe mai servirmi per andare a parlare con delle persone?”

Potremmo accompagnarla e stare dietro di lei, assicurandoci che vada tutto bene,” suggerì Pharart “Tenendoci ad una distanza adeguata a non far pensare loro che stiamo per attaccarli o che sia una sorta di trappola.”

Rui si voltò verso Zaur: “Che ne dici?”

L'alieno dagli occhi neri scrollò le spalle: “Tentar non nuoce.”

Espera sorrise soddisfatta, stringendosi ad un braccio di Rui mentre lui, Zaur e Pharart confabulavano tra loro, cominciando ad elaborare un piano per poter contattare le cinque umane.

Kert si voltò verso Sunao, che era rimasta stranamente zitta durante quella discussione, in tempo per vederla uscire sul grande balcone del salone. Si tolse i sandali che portava e si sedette sull'ampio bordo, allungando le gambe davanti a sé e chiudendo gli occhi per assaporare la calda luce del Sole sulla pelle, la stanchezza che velocemente prendeva il sopravvento su di lei.

L'alieno la raggiunse, sedendosi di fronte a lei e stendendo le gambe vicino alle sue: “Forza, Sunamora, cosa c'è che non va?”

Sunao si strinse nelle spalle, fissando il giardino: “Non mi piace per nulla l'idea del Consiglio. Ma naturalmente, non c'è stato verso di fargliela cambiare.”

Lui le prese delicatamente una caviglia, massaggiandole il piede: “Andiamo, sono sicuro che c'è anche qualcos'altro.”

L'aliena lo fissò: “Lo sai cosa farà il Consiglio se falliamo?”

Kert abbassò lo sguardo, ignorando la domanda e passando il pollice sopra la cicatrice che le correva lungo la caviglia, l'unica che si potesse vedere sul corpo della Messaggera: “Questa te l'ho fatta io.”

Gli piaceva quel suo segno: gli ricordava che anche lei, in fondo, non era intoccabile come faceva credere, e gli dava un senso di soddisfazione sapere che era stato proprio lui.

E' vecchissima. Avevamo cinque anni, è stata la prima e unica volta in cui mi hai battuta.” Sunao sorrise “Mi ero ripromessa che non te l'avrei più fatto fare. Direi che ci sono riuscita, no?”

L'alieno le fece il solletico sotto la pianta: “Mi ricordo ancora di te che sbraitavi davanti all'Accademia Prima perché volevi entrare. Tuo padre doveva portarti via con la forza.” si morse la lingua troppo tardi, dandosi dello stupido. A lei non piaceva parlare del padre, e lui l'aveva sempre saputo. “Scusa, non volevo...” borbottò.

Un sorriso stanco si dipinse sulle labbra della bella aliena, che ritornò a godersi il Sole: “Non fa niente. Non posso fare finta che non sia successo nulla, è logico che ogni tanto sia necessario parlare di lui.”

Kert prese a massaggiarle lentamente il polpaccio, sapendo che entrambi beneficiavano da quel contatto: “Alla fine sei riuscita a diventare forte come voleva lui. Dovresti esserne contenta.”

Diciamo di sì...”

Poco più in là, con aria furbesca e soddisfatta, Espera osservava la scena, così eccitata da infilzare le unghie nel braccio del povero Rui, che davvero non comprendeva il perché di tutta quella allegria.

Guardali!” cinguettò lei “Sono testardi come dei muli, ma sono perfetti assieme.”

Rui sbuffò: “Ma che stai dicendo? Mio fratello non è fatto per le storie serie. Si è innamorato solo di Maciste.”

Espera gli diede un pizzicotto: “Sì, ma lei è Sunao! Si conoscono da quando sono piccoli e hanno sempre avuto qualcosa di speciale. Solo che tuo fratello ha un debole per le aliene frivole che gli cascano ai piedi. Sunao invece un po' lo spaventa, perché... be', Sunao fa un po' paura a tutti. Ma lo intriga anche, perché nonostante sappiano entrambi che lei ha sempre cercato di conquistarlo, non ha mai fatto come tutte quelle stupidotte che lui si è portato a letto. Fidati, io lo so.”

E quindi cosa vorresti fare?”

Niente, lo capiranno da soli. Spero.”

Rui rise: “E se non lo volessero capire? Conosci Kert, lui non è fatto per l'amore, potrebbe farsi picchiare prima di ammettere che prova dei sentimenti.”

Ma tanto non mi può ingannare,” l'aliena gli lanciò un'occhiata “Capisco sempre quando mi state mentendo.”

Il compagno arrossì: “Ehi, io non ti dico mai bugie.”

Lei ridacchiò: “Ecco, appunto.”

Giusto in quel momento Sunao si voltò a fissarla per un istante, un sopracciglio alzato ed un'espressione che diceva Ti sei forse dimenticata che posso ascoltare i tuoi pensieri e sono esperta nell'arte marziale? che fece zittire subito l'amica.

Cosa c'è?” le domandò Kert, ancora impegnato nell'accudire, in un riflesso quasi meccanico, quel paio di gambe che lo facevano impazzire.

Sunao lo guardò, facendo un sorrisetto compiaciuto: “Niente, pensavo che ho solo voglia di dormire.”

Lui le scoccò il suo solito sorriso sbruffone: “Con me?”

Lei scoppiò a ridere, dandogli un colpo leggero con la gamba che lui stringeva: “Vattene, Tha, ho già esaurito la mia pazienza con te.”

L'alieno si alzò, sempre ghignando, rubandole un bacio prima di rientrare nella villa.

Sunao chiuse gli occhi, assorbendo più calore possibile. “Non ti mordo, Espera, tranquilla.” esclamò dopo poco, avvertendo la presenza dell'amica.

Ciao,” cinguettò lei, comparendole davanti “Posso rubarti un minuto?”

La Messaggera annuì, così Espera si sedette vicino a lei: “Vorrei che tu mi allenassi.”

Solo un occhio violetto si aprì: “Come?”

Hai capito bene! Voglio essere di aiuto anche io, qui, e l'unico modo per farlo è ricevendo un adeguato allenamento. E quale migliore maestra di te potrei trovare?”

Sunao osservò pensierosa l'altra aliena per qualche secondo: “Tu non l'hai mai fatto, vero?”

Cosa?”

Non ti sei mai trasformata di tua spontanea volontà.”

Oh.” Espera si rabbuiò “No. In realtà mi è successo solo un paio di volte, e sempre quando mi ero arrabbiata molto. Ma non sono mai riuscita a controllarlo.”

E' rischioso, devo essere sincera.” Sunao si sedette, raccogliendo i capelli in una crocchia “Qui non c'è un luogo adatto, non hai mai provato a controllarlo, e non so quanto potere tu possa avere. Se è come lo immagino, è pericoloso lasciarti affidare solo all'istinto.”

L'altra si morse un labbro: “Come possiamo fare? I Supremi hanno voluto proprio questo, in fondo.”

Lei si strinse nelle spalle: “Non lo so. Non ho mai conosciuto nessuno con un potere simile al tuo. Possiamo chiedere a Zaur, forse lui ne sa qualcosa in più.”

Espera annuì: “Va bene. Penso che sia meglio chiederglielo dopo che avremmo parlato con le Mew Mew, è più importante adesso. Ma ora ti lascio riposare, avremo un pomeriggio impegnativo.”

Sunao rispose al sorriso dell'amica, alzandosi e stiracchiandosi i muscoli prima di avviarsi dentro la villa. Era da un molto tempo che non si sentiva così stanca. Ma d'altronde, era anche da molto tempo che non doveva affrontare cose così grosse.

Le sfuggì uno sbadiglio, fece per aprire la porta della camera di Kert, in cui si era trasferita in pianta stabile, quando una mano l'afferrò per un polso, portandola in un angolo buio.

Per il cielo, Tha, che diavolo ti prende?” sbuffò, intrappolata tra il muro e il corpo dell'alieno.

A te non va per niente giù il piano del Consiglio, vero?” gli occhi dorati si piantarono nei suoi, luminosi nel buio del corridoio.

E con questo?” sussurrò lei.

Kert ghignò: “E se io e te non giocassimo secondo le regole?”


***


Mina, se continui a sbattere così i vassoi sul tavolo, finirai per spaventare i clienti.”

La Mew Blu lanciò un'occhiataccia a Paddy, che si zittì subito.

Sai quanto me ne importa dei clienti.” sibilò, aprendo il cassettino della cassa e prendendo con violenza i soldi di resto.

Strawberry la osservò con un sopracciglio inarcato, simile a quello che l'amica sfoggiava la maggior parte dei giorni: “Se permetti, a me importa. Non sei tu quella che deve sopportare Ryan quando si lamenta che lo faremo chiudere.”

Mina chiuse il cassettino con forza, facendolo tintinnare così forte che la rossa pensò si rompesse: “Come se si dovesse preoccupare di soldi, lui. Forse si lamenta perché deve sopportare le tue lamentele tutto il giorno!”

La Mew Rosa sentì la rabbia montarle in corpo, le guance che si tingevano di rosso: “Senti, non è colpa mia se stai litigando con Quiche, quindi cerca di essere un po' più civile!”

Non lo voglio neanche sentire nominare!” sbraitò l'altra, attirando sguardi curiosi dai clienti mentre impilava tazzine sporche in equilibrio precario “Lasciami in pace!”

Hey, hey, ragazze!” Tart sbucò in quel momento dal laboratorio “Vi si sente fino da giù, Ryan mi ha chiesto di dirvi di smetterla. E se posso aggiungere, vi state comportando da bambine.”

Ha parlato l'adulto.” arrivò la risposta acida di Mina.

Guarda che è mio fratello quello con cui ce l'hai, non io.”

Ho detto che non voglio sentirlo nominare!”

Ah, certo, ignorami pure, questo risolverà tutto!” la voce di Quiche rimbombò dal piano inferiore.

Pam e Lory si scambiarono un'occhiata preoccupata, la prima scuotendo la testa sconsolata. “Ma proprio adesso dovevano litigare? Dovremmo essere uniti al massimo.”

Non è colpa mia, sai!” Quiche salì le scale a grandi passi, pestando i piedi ad ogni gradino “Ha cominciato lei.”

Pam inarcò un sopracciglio: “Davvero maturo, Quiche.”

Non potreste lasciarcene fuori?” lo implorò la Mew Verde “O almeno cercare di evitarlo al locale?”

Se magari lui evitasse di stare sempre tra i piedi al Caffè Mew Mew, allora forse non litigheremmo anche qui!” ringhiò Mina, prendendosela questa volta con dei poveri piattini innocenti.

E dove vorreste che io andassi, vostra grazia?” replicò sarcastico l'alieno, accennando ad un inchino.

Mina gli lanciò uno sguardo di fuoco: “Ah, lo so io dove dovresti andare!”

Ragazzi!” Ryan gridò sovrastandoli tutti “Smettetela subito. Bisogna chiudere il locale, sono arrivati gli alieni.”




Bonsoir :) Stavolta aggiornamento abbastanza veloce e diciamo non troppo corto :)

Lo so che si concentra molto sugli alieni, ma mi serviva per spiegare un pochetto di cose e per far vedere il loro lato della vicenda. E poi mi stanno simpatici quindi abbiate pazienza con me ^^

Ah, per chi non si ricordasse qual è il “vero” potere di Espera, la risposta è nel capitolo 16 :)

Colgo l'occasione per ringraziare chi legge e commenta, e chi ha inserito questa storia tra i preferiti/ricordati/seguiti. Se avete voglia di perdere cinque minuti del vostro tempo per lasciare anche un commento, mi fareste molto felice, tanto lo so che ci siete ;)

Si passa in fase esami seria, quindi spero di riuscire ad aggiornare al più presto. Incredibilmente stanno venendo fuori più capitoli di quelli che pensavo, quindi vedremo ^^
A presto, la vostra

Hypnotic Poison

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Capitolo 23
*** Seize the chance ***


Seize the chance





A te non va per niente giù il piano del Consiglio, vero?” gli occhi dorati si piantarono nei suoi, luminosi nel buio del corridoio.

E con questo?” sussurrò lei.

Kert ghignò: “E se io e te non giocassimo secondo le regole?”


Sunao batté le palpebre un paio di volte, cercando velocemente nella mente di lui qualcosa che desse senso a quelle parole: “Ti sei bevuto il cervello?”

Eddai, Sunamora, ascolta.” Kert iniziò a bisbigliare, lanciando un'occhiata verso l'entrata del corridoio “Di là stanno progettando di andare a parlarci oggi pomeriggio. Sappiamo benissimo che questa è un'enorme cretinata. Allearci con chi dobbiamo distruggere? Non mi sembra una grande strategia. Invece possiamo prendere due piccioni con una fava.”

Tu vuoi farti ammazzare, ecco cosa vuoi!” sibilò lei “Sei impazzito, per caso? Hai già mezzo Consiglio contro di te, hai idea di cosa potrebbero fare se soltanto intuissero che stai di nuovo infrangendo un loro ordine?”

Sarebbe solo perché non capirebbero che il loro è un ordine demente! Cosa pensi che faranno le umane dopo che avremmo, forse, sconfitto Profondo Blu? Pensi che ci ringrazieranno?!”

Sunao sospirò, passandosi una mano sulla fronte: “Ascoltami bene. Posso capire i tuoi seri problemi con l'autorità, ma quello che stai proponendo è una missione suicida. Lo so che non è il migliore dei piani, non sta bene nemmeno a me. Ma io ci tengo alla pelle. Per il Cielo, non dovresti venire nemmeno a raccontarmele certe cose!”

L'alieno sbuffò: “Già, come se tu potessi mai andare a fare la spia su di me al Consiglio.”

Lei lo fulminò con lo sguardo: “Non tirare troppo la corda, Kert.”

Lui alzò le mani in segno di difesa, staccandosi da lei, la quale riprese: “E comunque, nessuno ci ha ancora detto cosa fare dopo che Profondo Blu sarà sconfitto...”

Kert alzò di scatto lo sguardo, ghignando divertito al medesimo sorrisetto dell'aliena: “Ora sì che ti riconosco, Sunamora.”

Sunao gli fece l'occhiolino e si voltò verso la stanza da letto: “Ora vado a riposare, sarà un pomeriggio estremamente faticoso. Il Cielo sa quant'è noioso patteggiare.”

Ma non puoi trovarti una stanza per te?”

Perché? È molto più divertente stare nella tua...”


***


Ryan sorseggiò quella che era la quarta, quinta forse? tazza di caffè della giornata, continuando a scrivere velocemente sulla tastiera del computer.

Poteva sentire gli schiamazzi provenienti dal piano di sopra, ma non poteva importargliene di meno. Aveva imparato ben presto a lasciar perdere le solite litigate tra le ragazze, non erano affar suo, men che meno quando si trattava di affari di cuore. Sarebbe intervenuto solo e soltanto nel caso in cui il tutto fosse diventato eccessivo (come quella volta che Mina si era messa a rincorrere Paddy brandendo un tagliere di marmo – da dove la tirava fuori tutta quella forza era ancora un mistero per lui). Per il resto, Pam poteva gestire benissimo la situazione.

Lanciò uno sguardo obliquo a Pie mentre anche Quiche si metteva a sbraitare, quando il beep beep proveniente dal computer lo distrasse: si erano accesi i radar che segnalavano la presenza degli alieni.

Goddammit..” sussurrò, abbandonando la tazza ormai vuota sul tavolino e correndo fuori dalla stanza, Pie dietro di lui. Possibile che non ci fosse mai un attimo di pausa?

Ragazzi!” gridò quando raggiunse il salone“Smettetela subito. Bisogna chiudere il locale, sono arrivati gli alieni.”

Mina roteò gli occhi: “Oh, per l'amor del cielo!”

Kyle uscì dalla cucina, pulendosi le mani sul grembiule: “Il locale è pieno, Ryan, non vorrei creare inutilmente panico.”

Secondo me non vogliono combattere,” Paddy era affacciata alla finestra, a guardare il giardino sul retro “Sono mezzi nascosti dagli alberi e c'è una tizia dai capelli neri che sembra stia aspettando sul vialetto.”

Okay, okay...” Ryan si passò una mano sugli occhi, pensando velocemente “Allora ci andrò a parlare.”

Strawberry saltò in avanti, afferrandolo per il bordo della camicia: “Tu non vai da nessuna parte da solo!” esclamò “Non hai poteri per difenderti!”

Andremo io e Pie con lui,” Pam suggerì “D'accordo? Così voi potete lentamente svuotare il locale senza causare panico.”

Uscirono dalla porta sul retro, percorrendo il corto vialetto in silenzio e sulla difensiva.

Qualunque atteggiamento pacifico avrebbero mai potuto dimostrare gli alieni, non era decisamente abbastanza per poter abbassare la guardia. Soprattutto quando solo quell'aliena, dall'aspetto così mite, emanava una tale energia da far vibrare i sensi sia di Pie che della Mew Viola.

Il trio si fermò a qualche metro da Espera, che sorrise nervosamente: “Ehm... ciao. Io mi chiamo Espera. Sono qui per potervi chiedere di parlare, a nome di tutti.” gli altri rimasero zitti, così lei continuò “Lo so che potrebbe sembrarvi strano, ma visti gli ultimi avvenimenti, abbiamo deciso che il corso delle azioni avrebbe dovuto essere interrotto, e così...”
“Perdonami, ma potresti arrivare al sodo?” la interruppe Pam, fredda ma cortese.

L'aliena annuì: “Noi... vorremmo chiedere di partecipare insieme a noi, come alleati, alla lotta contro Profondo Blu.”

I tre alzarono contemporaneamente le sopracciglia, alquanto sorpresi.

Come scusa?” domandò Ryan “Voi vorresti allearvi?

Espera annuì ancora: “Se siete disposti ad avere un incontro tutti assieme, potremmo discuterne meglio, ma il punto è questo.”

Pam e Ryan si scambiarono un'occhiata: “Do you think she's serious or is this some kind of trap?” sibilò la mora.

L'americano si strinse nelle spalle. Se ci pensava a fondo, combattere con gli alieni per sconfiggere Profondo Blu era la scelta migliore che in quel momento avevano a disposizione.

Noi dovremmo parlarne con gli altri,” rispose ad Espera “Avremo bisogno di un po' di tempo.”

Lei si voltò per un istante verso i suoi compagni: “Potremmo tornare più tardi, quando il vostro locale sarà vuoto, se vi va.”

Per poter spiarlo?” ringhiò Pie, le braccia incrociate al petto, ben poco incline a trattare con quei cugini. Pam gli mise una mano sul braccio per calmarlo, mentre Espera scrollava le spalle: “No, non abbiamo bisogno di quello, già fatto.”

Ryan alzò di nuovo il sopracciglio per la schiettezza dell'aliena, lanciando un'occhiata agli altri nascosti tra gli alberi.

Va bene, sentite, tornate qui tra tre ore.” replicò.

Espera gli sorrise, soddisfatta, e si teletrasportò velocemente, mentre i tre ritornavano al Caffè.

Non so cosa ti stia passando per la testa,” borbottò Pie rivoltò a Ryan, che scosse le spalle.

Non lo so nemmeno io...” rispose “E non sono molto curioso di sapere cosa ne penseranno gli altri.”


Secondo me sei caduto dal seggiolone quando eri piccolo e hai battuto la testa estremamente forte.” esclamò Mina, dieci minuti dopo quando, a locale ormai quasi vuoto, ebbero terminato di raccontare di quel breve incontro.

Hanno chiesto soltanto di parlare, io non ho detto ancora di sì,” ribatté il biondo “Mi fido di loro poco quanto voi.”

Ed è meglio farlo qui al Caffè piuttosto che in un luogo che non conosciamo,” intervenne pacatamente Kyle “Giochiamo letteralmente in casa.”

La Mew blu scrollò le spalle, afferrando un vassoio pieno di dolci: “Fate come volete, ma a me non va giù.”

Strawberry fece per dirle qualcosa mentre si dirigeva verso un tavolo occupato da una famigliola, ma Pam le mise una mano sulla spalla, fermandola: “Lascia stare. In questo momento per lei è più difficile che per noi.”

La Mew rosa annuì: “Lo so, vorrei cercare di aiutarla...”

Mina non lo ammetterebbe mai, lo sai. Lascia che stia un po' da sola con i suoi pensieri, si farà avanti lei quando ne avrà bisogno.”

Strawberry guardò l'amica, che quel giorno lavorava come mai aveva fatto prima, e poi sospirò: “Forza, rimettiamoci al lavoro. Abbiamo tre ore per svuotare questo posto.”


***


Hanno anche delle pretese, capisci! Siamo noi quelli che vanno ad umiliarsi per chiedere aiuto, e loro ci fanno pure aspettare.” Kert borbottò poco contento, steso a pancia in su sul suo letto, le braccia incrociate dietro la testa.

Sunao, in piedi davanti al grande specchio incrinato mentre si rivestiva, gli lanciò un'occhiataccia: “Stai continuando a pensare a quelle cinque anche dopo che ti ho fatto impazzire?”

Lui ghignò: “Oh, non darti così tante arie, Sunamora.”

L'aliena sbuffò, appuntandosi mentalmente di fargliela pagare, dopo, e si ravvivò i capelli: “Forza, alzati. È ora di andare.”

Kert cantilenò come un bambino lagnoso: “Ma devo proprio?”

Gli servì soltanto la smorfia glaciale della Messaggera come risposta.

Cerchiamo di essere pazienti, d'accordo?” domandò Rui all'intero gruppo quando si riunirono tutti nel salone, pronti per ritornare al Caffè.

Sissignore,” ribatté Pharart con una punta di ironia “Pazienti come Kert quando ha fame.”

Tirato in causa, l'alieno dagli occhi dorati gli ringhiò contro, divertendo l'amico e togliendo qualsiasi speranza dal povero Comandante, che si limitò a prendere per mano Espera e teletrasportarsi davanti al locale rosato.

Era ormai tardo pomeriggio, e la luce del Sole stava scemando, lasciando posto al chiarore dei lampioni. Meglio, per non essere notati dagli umani.

I sei si incamminarono lungo il vialetto sul retro, i sensi tesi a captare ogni possibile minaccia, soprattutto in quanto disarmati.

Spero solo che lo siano anche le umane, e i vostri cugini,” mugugnò Zaur, interpretando il pensiero di tutti.

La porta sul retro si aprì di scatto, rivelando Pie e Ryan, entrambi visibilmente tesi e dai volti duri.

Immagino che questo incontro sia spiacevole per tutti,” cominciò l'alieno viola “Ma nonostante ciò, a quanto pare è necessario, quindi cerchiamo di non sprecarlo e di farla corta, così da risparmiarci ulteriori dolori.”

Si fecero da parte, e gli alieni di Gaia marciarono dentro, in silenzio.

Le Mew Mew li stavano aspettando in piedi davanti ad un grande tavolo posto apposta al centro della sala, vestite nei loro abiti quotidiani, Tart, Kyle e Quiche in mezzo a loro.

Mina fece un brusco respiro profondo, un brivido che le corse lungo la schiena nel vederli, e, in silenzio, Paddy le prese la mano e gliela strinse forte in un gesto di conforto.

Siamo qui in pace,” iniziò Espera “Comprendo benissimo gli stati d'animo di tutti, ma posso assicurarvi che le nostre intenzioni sono onorevoli.”

Fidatevi, quando vi dice che comprende,” Kert afferrò sgraziatamente una sedia, buttandocisi sopra e guadagnandosi l'ennesima occhiataccia da Sunao “Lei ha il dono dell'empatia.”

Le Mew Mew si scambiarono uno sguardo, poi Strawberry si schiarì la gola: “Quindi... se ho capito bene, voi volete combattere insieme a noi per sconfiggere Profondo Blu?”

Rui annuì, facendo un passo avanti: “E' arrivato l'ordine di eliminarlo del tutto, e sappiamo che anche voi avete un interesse in questo.”

La Mew rosa si morse il labbro inferiore. Le parole eliminarlo del tutto non le suonavano molto bene.

Kyle indicò il tavolo con un gesto del braccio: “Venite, qui staremo più comodi e potremmo discutere in pace.”

Mai aveva avuto così torto.

Non ci volle molto perché l'incontro si trasformasse in una vera e propria discussione, alimentata principalmente dai costanti battibecchi tra Quiche e Kert, e da Strawberry, che continuava a voler difendere l'innocenza del corpo umano di Profondo Blu.

Pam si massaggiò le tempie, frustata: “Riusciamo almeno a concordare su come sconfiggerlo?!”

Non avete l'addestramento adatto,” spiegò Sunao, decisamente alterata “Bisogna riuscire a combinare i nostri sforzi, ma tutti avete bisogno di imparare alcune cose.”

Non abbiamo tempo di allenarci!” esclamò Lory “Profondo Blu potrebbe attarci da un momento all'altro!”
“Be' allora non vi resta altro che farvi sconfiggere ogni volta,” abbaiò la Messaggera con rabbia “Io vi ho già salvato la pelle una volta, ma non basto da sola.”

Di quali allenamenti stai parlando?” domandò curioso Tart.

Velocità, tecniche speciali di combattimento, misure ad hoc...” spiegò lei “Alcune di queste sono insegnate all'Accademia di Gaia, ma non troppo nel dettaglio, devono essere rafforzate. Altre sono... trucchi del mestiere.”

Pam le lanciò un'occhiata interrogativa; anche quell'aliena emanava un potere che la metteva a disagio, nonostante l'aria così tranquilla e controllata. Pur non ammettendolo, le incuteva timore proprio per questo.

E tu saresti l'unica a conoscerle? Come facciamo a sapere che invece non sia un trucco per gettarci direttamente nelle fauci di Profondo Blu?” ringhiò Quiche, che stava facendo un grandissimo sforzo di volontà nel trattenersi dall'infilzare il cugino lì all'istante.

Sunao sbuffò, sprezzante: “Se quello fosse il mio piano, non starei qui a perdere tempo con voi. Vi lascerei soltanto combattere contro di lui e il problema sarebbe risolto.”

Scommetto che ti piacerebbe.”

Kert ghignò: “A me molto, cuginastro.”

Pie mise una mano sulla spalla del fratello prima che questi si alzasse per attaccare: “Credevo che sarebbe stato un incontro pacifico.” sibilò.

Facciamo una pausa, d'accordo?!” Kyle si alzò in piedi, alzando le mani “Se a tutti voi va bene, vi offrirei del tè per distarci qualche istante. Farà bene a tutti.”

Il generale mormorio di assenso permise a tutti di alzarsi in piedi e sparpagliarsi per il salone del locale.

Visibilmente frustrato, Ryan si avviò verso il bagno riservato al personale, seguito a ruota da Strawberry, che si era rigirata talmente tanto una ciocca di capelli tra le dita da averle dato la forma di un ricciolo.

Si chiuse la porta alle spalle, osservando in silenzio mentre il biondo si sciacquava il viso e si passava una mano tra i capelli, ormai talmente arruffati da non avere più un senso. Fece l'unica cosa che le venne spontanea e che sapeva sarebbe servita a entrambi: senza aggiungere una parola, andò a cingere la vita del ragazzo con le braccia, appoggiando la guancia al suo petto e facendo un respiro profondo, ascoltando il ritmo del suo cuore.

Ryan sospirò, stringendola forte a sé: “Rimpiango i momenti in cui erano solo tre gli alieni con cui trattare.”

La rossa sorrise: “Non hai mai avuto pazienza.”
“Ne ho avuta eccome, invece,” replicò lui “Soprattutto per quanto riguarda te e quel merluzzo. Avrei potuto spaccargli la faccia un miliardo di volte e,
Dio, quanto vorrei averlo fatto, in questo momento.”

Strawberry gli diede un pizzicotto, poggiando il mento sul suo petto così da poterlo guardare negli occhi: “Cosa dobbiamo fare?”

Non lo so,” sospirò “In realtà un'idea ce l'avrei, ma non so quanto possa piacere.”

Peggio di così... a cosa stavi pensando?”

Intanto, pensavo che sarebbe meglio far partire i tuoi con Kim per una vacanza da qualche parte... Tokyo è pericolosa in questo momento, starei più tranquillo a saperli lontani da qua...” iniziò ad accarezzarle la guancia con il pollice mentre lei annuiva “E poi, pensavo che anche noi potremmo spostarci, e iniziare questi famosi allenamenti al mare... così saremo anche noi lontani dalla città e avremo spazio per muoverci senza che nessuno si meravigli.”

Vorresti far entrare gli alieni in casa tua?”
“Sempre meglio quella al mare che qui a Tokyo.”

La Mew Rosa ci pensò su per un istante, poi si strinse nelle spalle: “Se tu credi che sia una buona idea...”

Credo che sia la migliore che abbiamo, per il momento.”


Poco più in là, nello spogliatoio delle ragazze, Quiche bussò leggermente contro lo stipite di legno chiaro, facendo sobbalzare Mina, che velocemente stava finendo di riempiendo la sua borsa.

Non ho intenzione di rimanere qui più del necessario,” spiegò quando lo vide “Così risparmio tempo.”

L'alieno annuì, facendo un piccolo passo verso di lei: “Come... come stai?”

Benissimo.” rispose a denti stretti la Mew Blu, troppo velocemente perché la risposta fosse sincera “Sono solo incredibilmente stanca ed irritata da tutti questi disastri che si accumulano uno sull'altro. Ho ben altre cose a cui pensare.”

Mina, senti...”

No.” lei si voltò di scatto, alzando una mano “Non iniziare con il Mina, senti. Non ho voglia di ascoltarlo, non qui, non adesso.”

E allora quando?” sbottò lui “Sono giorni che va avanti questa storia!”

Non lo so! Forse domani, forse dopodomani, forse quando il casino con gli alieni sarà finito!” afferrò la borsa e marciò fuori dalla stanza, scontrandosi in pieno con la povera Lory, che era andata a cercarli per informarli che il dibattito era ripreso.

Ryan ha proposto di allenarsi al mare da lui,” bisbigliò mentre si avvicinavano al tavolo.

Shirogane ha fatto cosa?!” Mina alzò gli occhi al cielo “Ha sbattuto davvero, davvero forte.”

Allora, siamo tutti d'accordo?” domandò Kyle “Sunao gentilmente ci insegnerà quello che serve per poter sconfiggere Profondo Blu, e Ryan metterà a disposizione la casa al mare, così da poter essere lontani da occhi indiscreti.”

Quanto tempo ci vorrà?” Pie si rivolse a Sunao, che si strinse nelle spalle.

Questo dipende da voi. Date le circostanze, mi piacerebbe risolvere in massimo una settimana quello che normalmente si impara in mesi.”

Prospettiva interessante...” mugugnò sarcastico Tart.

Bene, allora se abbiamo finito, io me ne andrei a casa.” Mina iniziò a marciare verso l'uscita, facendo il giro largo per evitare di passare vicino a Kert.

Paddy si alzò subito dopo: “Mina aspetta, vengo con te!” esclamò, poi schioccò un bacio sulla guancia a Tart e corse dietro l'amica.

Rui guardò i suoi compagni, rivolgendosi poi a Ryan: “Allora noi togliamo il disturbo. Vi va bene partire domani pomeriggio, al tramonto? Preferiamo non farci vedere dagli umani.”

Il biondo annuì e così, con qualche cenno di saluto, gli alieni di Gaia si teletrasportarono via.

Gli otto rimasti tirarono un lungo sospiro di sollievo, accasciandosi sulle sedie. Erano state le due ore probabilmente più lunghe della loro vita.

Che ne pensate?” domandò il maggiore degli Ikisatashi, sfregandosi la fronte per allontanare il fastidioso mal di testa che lo aveva aggredito.

Espera e Sunao mi fanno venire i brividi,” rispose il fratello più piccolo, con una smorfia di paura “Avete percepito anche voi, vero, il potere che hanno?”

Le tre Mew Mew annuirono, preoccupate in volto.

Però, è una buona cosa se adesso sono dalla nostra parte, no?” chiese Lory.

Non abbassate la guardia,” fu la risposta di Ryan “Non possiamo essere del tutto certi delle loro intenzioni. Per quanto mi riguarda, sono più letali di quanto non eravate voi.”

Non mettermi alla prova.” borbottò Quiche, malamente allungato su due sedie, lo sguardo fisso sul tridente che si stava rigirando tra le dita.

Andiamocene a casa, tutti,” Kyle si infilò la giacca e prese per mano Lory “Siamo tutti stanchi e abbiamo bisogno di riposo. Non sarà facile sopravvivere a questa settimana.”

In pochi minuti, Ryan e Strawberry rimasero soli nel locale. La rossa si alzò, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente: “Prendo le mie cose e poi andiamo?”

Lui annuì: “Faccio un paio di telefonate, ti aspetto qui fuori.”

Strawberry corse veloce dentro e fuori dallo spogliatoio – non le piaceva per niente essere l'ultima nel locale buio, anche se accadeva decisamente molto spesso, e soprattutto non le piaceva in un momento come quello. Perciò accelerò più del solito il passo, chiudendo svelta la porta sul retro del Caffè con un doppio giro di chiave e raggiungendo il marito proprio nel momento in cui terminava una telefonata.

Sono riuscito a trovare tre posti per una crociera,” la informò prendendola per mano “Pensi che ai tuoi piacerà?”

Certo che gli piacerà! E poi, come hai detto tu, è meglio che stiano lontani, per un po'.”

Salirono in auto, il chiacchierare di cose futili che copriva l'apprensione che entrambi provavano, dimostrata da quel continuo strofinare di pollici l'una sul dorso della mano dell'altro.

Era come se parlare ad alta voce delle preoccupazioni e delle paure le avrebbe soltanto rese più vere ed incombenti; invece, entrambi necessitavano di un angolo di pausa in cui fingere, per una volta, che tutto fosse normale.

L'aria familiare di casa li fece rilassare, aiutata dalla voce allegra di Sakura che giocava con la piccola Kimberly.

Ciao mamma,” salutò Strawberry, piegandosi sulle ginocchia per prendere in braccio la figlia, che si era lanciata in gridolini estasiati non appena l'aveva vista entrare nella sua cameretta.

Ciao ragazzi,” la signora Momomiya si alzò dalla poltroncina, andando immediatamente a salutare il suo bel genero “Com'è andata la giornata?”

Uhm... bene,” mentì il biondo, grattandosi il collo “Senta, Sakura, potrebbe farmi un favore?”
“Ma certo caro, tutto quello che vuoi,” tubò lei, raccogliendo le sue cose.

Ryan si schiarì la gola: “Ecco, vede... io e Strawberry avremmo vinto dei biglietti per una crociera, ma non abbiamo tempo di andarci tra una cosa e l'altra... perciò mi chiedevo se a lei e a Takashi avrebbe fatto piacere andarci con Kim, in modo che non vadano sprecati.”

Oh ma che cosa carina!” Sakura applaudì come faceva la figlia “Sono certa che a Takashi piacerà tantissimo l'idea, era da così tanto tempo che volevamo andarcene in vacanza!”

L'unica cosa è che dovreste partire dopodomani, mamma.” le spiegò la rossa, e la madre si strinse nelle spalle.

Nessun problema, lo sai che sono una maga delle valigie.”

I due ragazzi risero: “Troverà i biglietti nella cassetta delle lettere domani, ho predisposto che l'agenzia facesse così.” terminò l'americano.

Grazie mille, ancora. Allora, ci vediamo domani?”

Strawberry annuì, schioccando un bacio sulla guancia della donna: “A domani mamma, saluta papà.”

Quando la signora Momomiya fu uscita, Ryan inserì immediatamente l'allarme per le porte principali. Sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a fermare un potere alieno, ma in qualche modo gli serviva come placebo.

La stanchezza accumulata in quella giornata si riversò su di lui in un colpo solo, e si rese conto di voler soltanto dormire per ore, perché si prospettavano giorni ancora più difficili. E di certo possedere geni di gatto non l'aiutava.

Appoggiò la fronte sulla spalla di Strawberry, seduta sul bracciolo della poltrona a controllare la piccola che giocava beata: “Ti prego, dormiamo.”

Lei ridacchiò: “Ci pensi tu a metterla a letto?”

Annuì, prendendo in braccio la figlia e lanciandola in aria, facendola strillare di felicità.

Strawberry sorrise, mentre sentiva il cuore gonfiarsi. Solo lei conosceva quel lato del carattere dell'algido americano; solo lei sapeva quale dolcezza poteva riservare in privato a quella sua piccola copia sputata. Sapeva che tra lui e Kimberly c'era un legame speciale, racchiuso tra quei sorrisi che la bimba riservava solo a lui ed egli ricambiava allo stesso modo, e l'illuminarsi di entrambi quando l'altro entrava nella stanza.

Non ne era gelosa, affatto; si sentiva fiera di aver creato qualcosa che li potesse rendere così felici, qualsiasi cosa potesse succedere. Era contenta di sapere che avrebbero per sempre avuto l'un l'altra.

Osservò curiosa Ryan che trascinava il lettino verso la loro camera, canticchiando filastrocche in inglese a lei sconosciute ma dalla melodia familiare, tante erano state le volte che l'aveva sentito, quando lo ascoltava in silenzio per paura di poter interrompere quel momento.

Sapeva benissimo perché, quella sera, lui la volesse far dormire con loro, e approvava appieno... anche se quello stesso pensiero le procurava una dolorosa fitta al cuore.

Entrò in camera proprio mentre il ragazzo rimboccava le coperte alla piccola, e le si avvicinò per sfiorarle i capelli dorati.

L'idea di non poterla avere vicino le stringeva lo stomaco, ma sapeva che sarebbe stato solo per il suo bene.

Ryan l'abbracciò da dietro, appoggiando la guancia contro la sua mentre entrambi rimanevano incantanti a guardare quel loro piccolo miracolo.

Andrà tutto bene, vedrai.” le sussurrò lui all'orecchio.

E lei pregò davvero di poterci sperare con tutto il cuore.




Sì, io domani ho un esame e sì, non sono per nulla pronta eppure sì, sono qui a ultimare e pubblicare questo capitolo perché la parte sciagurata, procrastinante e masochista di me riesce sempre a prendere il sopravvento. Siete quindi liberi di sgridarmi, se volete. XD

Spero che almeno siate felici dell'aggiornamento, anche se io non sono pienamente soddisfatta del capitolo... voi che dite?

Abbiate pietà, è solo l'inizio della sessione. Andrà sempre peggio.

Grazie a chi legge, commenta (doppio grazie a voi!) e come al solito segue questa fic. Ora torno ad avere la crisi di panico pre-esame e vedere se riesco a farmi entrare qualcosa in testa. Se avete bisogno di chiarimenti o che so altro, o semplicemente volete farmi felice, sapete dov'è il pulsante Aggiungi un commento ;)

A presto,

Hypnotic Poison

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Capitolo 24
*** L'Addestramento - Parte Prima ***


L'addestramento - Parte prima


L'addestramento - Parte prima


Kert si svegliò all'alba controvoglia quella mattina, complice un raggio di Sole che birichino lo colpiva in pieno viso. Con un grugnito irritato, si alzò dal letto per andare a chiudere quella maledetta tenda e guadagnarsi delle ore in più di sonno, consapevole del fatto che gli sarebbe servito nei giorni successivi. Poteva benissimo saltare i suoi allenamenti, tanto Sunamora li avrebbe schiavizzati tutti.

Si voltò verso l'aliena addormentata tra le sue lenzuola, la luce che lanciava riflessi sulla pelle candida della schiena. Non era decisamente abituato ad avere qualcuno permanentemente nel letto, eppure non gli dispiaceva la compagnia di Sunao.

Alzò le sopracciglia. Cosa si era appena detto?

Un movimento aldilà del vetro catturò la sua attenzione; strinse gli occhi, cercando di vedere meglio. Aveva la spiacevole sensazione di essere osservato. Eppure, il vecchio giardino davanti a lui era completamente vuoto, a parte per alcuni uccellini mattinieri.

Scuotendo la testa, chiuse con un colpo le pesanti tende di velluto rosso e si infilò di nuovo nel baldacchino. Tutta quella situazione, tra umane e Profondo Blu, lo stava rendendo paranoico.

Era forse un bene, allora, spostarsi temporaneamente nella villa di quel biondo sfacciato, lontano da Tokyo. Lui, dopotutto, aveva sempre voglia di prendersi una vacanza.

Inoltre, avrebbe avuto tutte le opportunità per dare sui nervi al suo caro cuginetto. Un sorriso maligno gli si disegnò sulle labbra mentre cercava una posizione più comoda. Oh sì, Quiche aveva davvero poca pazienza, ed era estremamente divertente vederla scemare in pochi istanti. Forse si sarebbe messo nei guai con Rui, ma poco importava. Aveva bisogno di qualche distrazione, o sarebbe impazzito.

-Non che Sunao non sia una distrazione piacevole,- gli ricordò una vocina nella sua testa.

Si voltò sul fianco, osservando il profilo della Messaggera.

Quando dormiva, e dormiva parecchio, sembrava così dolce ed innocente. Tutta diversa da com'era in realtà. O almeno, da com'era diventata da quando suo padre era morto e lei era stata cresciuta dallo zio.

Si ricordava ancora di quando erano piccoli. Di quando, per sua madre, era ancora accettabile che lui e Rui giocassero liberamente tutto il giorno, con chiunque volessero.

Le scostò una ciocca di capelli che le cadeva sulla guancia, sistemandola dietro l'orecchio, soffermandosi solo un secondo a sfiorarle la pelle.

Poi sbuffò. Ma cosa diavolo andava a pensare?! Non aveva tempo per certe cose. Relazioni e intrecci vari non lo interessavano, specialmente non durante una missione del genere.

Lui era lì solo per fare il suo dovere e mostrare quanto davvero valesse. Prima avrebbero ucciso Profondo Blu, prima avrebbero risolto il problema Mew Mew, prima tutta quella storia sarebbe finita, e lui sarebbe stato libero di tornarsene a casa e vivere in pace.

Fino a quel momento, però, avrebbe tenuto i suoi pensieri per sé. Ci teneva, davvero, a non essere squarciato vivo da quell'arpia di Sunao. Per adesso, si disse, l'unico modo in cui le avrebbe consentito di usare le unghie sarebbe stato per lasciare piacevoli graffi sulla sua schiena.

Ghignò di nuovo, trovando finalmente la posizione giusta per dormire.


Fu Pharart a svegliarlo, qualche ora dopo, aprendo violentemente le tende: “Buongiorno, amico. Muovi il sedere, è ora di fare i preparativi.”

Kert grugnì: “Ma se partiamo stasera!”

Lo so, ma tuo fratello vuole controllare alcune cose prima di andarcene, così siamo sicuri che vada tutto bene.”

Il maggiore dei Tha maledisse mentalmente suo fratello minore e la sua puntigliosità.

L'altro lato del letto era vuoto; Sunao, come al solito con il suo fare felino, era scomparsa chissà dove, e sarebbe tornata solo quando avrebbe voluto. Probabilmente a controllo concluso.

Per quello fu sorpreso di trovarla già nel salone quando vi giunse, intenta a parlottare fitta fitta con Espera, entrambe raggomitolate sul divano. C'era sicuramente qualcosa che quelle due stavano architettando, ed era certo che non lo sarebbe venuto a sapere se non al momento stesso dell'attuazione.

Kert, hai controllato che Maciste sia a posto?” gli domandò Rui, scorrendo velocemente su uno degli schermi.

Mmmhmm,” fu la risposta “E' fermo da settimane, ha bisogno di essere usato.”

Credo che per il momento sia meglio lasciarlo all'astronave, non credo ne avremmo bisogno durante gli addestramenti.”

Scusami?” il fratello si piegò in avanti per avvicinarsi “Tu vorresti andare disarmato dalle umane?”

Rui gli scoccò un'occhiataccia: “Non saremo completamente disarmati, ma ricordati che saremo là per allenarci. Insieme.

Seeee, seee,” Kert agitò una mano nell'aria “Vado a controllare l'astronave. Cercate di farvi trovare pronti.”

Uscì senza aggiungere altro, facendo scrocchiare le ossa del collo, scendendo la grande scalinata di marmo che portava al parco della villa.

Di nuovo, provò la fastidiosa sensazione di essere osservato.

Chiunque tu sia, sappi che qui non c'è niente da vedere.” borbottò, sentendosi ridicolo di star parlando praticamente da solo e a voce alta.

Sospirò. Quella storia doveva finire, e alla svelta.


***


Sì, mamma ma mi raccomando, non la viziate troppo e non datele troppo da mangiare! E chiamatemi per qualsiasi cosa! Va bene, ciao, ci sentiamo domani!” Strawberry poggiò il cellulare sul bancone con un sospiro, accasciandosi contro al muro.

Kyle le fece un sorriso comprensivo, allungandole una fetta di dolce: “Coraggio, principessa, questo ti farà sentire meglio.”

Grazie,” la rossa ricambiò, accettando con piacere quella ciambella al cioccolato “Non so nemmeno perché continui ad insistere con i miei, tanto me la riporteranno in versione mostriciattolo viziato, come sempre.”

Questo è perché ha preso da sua madre!” esclamò Ryan, sbucando dal seminterrato con degli scatoloni, nei quali erano stati accuratamente sistemati i computer e le apparecchiature di cui avrebbero avuto bisogno nei giorni successivi.

Non è vero!” replicò lei “Assomiglia di più a te! Sai, Kyle, che stamattina, quando l'abbiamo lasciata dai miei, mi ha salutato con un Bye bye?! Undici mesi e già fa come suo padre!”

Il pasticcere rise: “Direi che è una buona cosa, no? Sembra una bambina intelligente.”

Certo che lo è, è figlia mia.” Ryan si allungò sul bancone con un sorriso sornione “E comunque, complimenti, amico. Ho sentito la buona notizia!”

Strawberry si fermò con il cucchiaino ancora tra le labbra: “Che buona notizia?”

Kyle arrossì leggermente: “Ehm... be', ho chiesto a Lory se le sarebbe piaciuto passare un po' più di tempo a casa mia, e così le ho liberato un po' di spazio nell'armadio, solo per lei.”

Oh, che cosa carina!” la rossa ritornò al suo dolce con un sorriso “Immagino che ne saranno felici anche Paddy e Tart, ora avranno casa di Lory molto più libera...”

Il moro fece una smorfia: “Già... ci sono state già troppe situazioni imbarazzanti...”

Un forte battibeccare proveniente dal giardino avvisò i tre dell'arrivo di Mina. Ryan roteò gli occhi: “Ma non finirà mai questa storia?”

Buon pomeriggio!”Kyle salutò allegramente il resto della combriccola che stava entrando nel Caffè, visibilmente scocciati come il biondo.

Vorreste spiegarmi perché siamo dovuti venire qui tre ore prima della partenza?” sberciò la Mew blu, lasciando cadere con un tonfo la sua -enorme- valigia.

Perché non possiamo partire tutti assieme,” rispose glaciale Ryan “Ci sono degli strumenti da portare al mare che non possono essere trasportati con gli alieni, sono troppo delicati, e sono molti. Perciò, io, Strawberry, Kyle e Lory partiremo subito con le auto. Voi aspetterete gli alieni, e andrete con loro. E no, Mina, non mi farai cambiare idea.”

Certo, figuriamoci se si possa mai separare la coppietta d'oro...” borbottò lei, marciando verso la cucina per andarsi a prendere una tazza di tè.

L'americano la ignorò, incominciando a organizzare gli spostamenti della giornata, mentre Pam la seguì oltre le porte bianche da saloon.

La Mew blu le dava le spalle, trafficando lentamente con la fine porcellana di Kyle. “Mi dispiace dover essere sempre la stronza,” esclamò avvertendo la presenza dell'amica “Però certe cose sono davvero insopportabili.”

Non devi scusarti con me,” Pam le si affiancò appoggiandosi al bancone, le braccia incrociate al petto “So a cos'è dovuto il tuo comportamento, non ti posso biasimare. La colpa, però, non è né di Ryan né di Strawberry.”

Questo lo so,” sibilò la mora “Potrebbero comunque tenere conto di quello che è successo invece che fare finta di niente.”

Siamo tutti preoccupati per te, Mina,” esclamò Pam “Quiche in primis. Se non ne parliamo è soltanto perché sappiamo che tu non vuoi. Siamo tutti pronti ad aiutarti.”

Potrebbero allora evitare di lasciarmi qui da sola circondata da alieni.” bisbigliò, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Come poche volte aveva fatto, Pam l'abbracciò: “Tu non sei sola, d'accordo? Ci siamo noi, e non permetteremo che ti facciano del male.”

Tu ti fidi di loro?”

La Mew viola pensò qualche istante prima di rispondere: “Non mi fido di tutti loro. Espera mi sembra sincera, e credo che Rui tenga molto a conto la sua opinione.”

Mina annuì, tirando su con il naso, poi si staccò dall'amica: “Meglio tornare di là, prima che a Shirogane venga un infarto perché non gli stiamo dando retta.”

L'altra sorrise: “Kyle ha detto che tiene della valeriana nell'armadietto dei medicinali. Magari ti farebbe bene.”

Forse dopo. Per adesso, mi godo il mio tè.”

Uscirono insieme nel salone, giusto in tempo per sentire Kyle esclamare: “Allora, ci vediamo più tardi. Se ci sono dei problemi, chiamate.”

Non ci sarà nessun problema, capo,” Paddy salutò facendo un buffo saluto militare “Ci penserò io a tenere tutti a bada.”

Ryan sorrise: “Come no. Cercate di non sfasciarmi il locale, per favore.”

Si avvicinò a Mina, dandole un amichevole buffetto sul naso: “A bada, tigre. O comincerò a nasconderti il tè.”

Lei rispose con una linguaccia, spingendolo via: “Andatevene, o farete tardi.”

Con qualche saluto in più, rimasero in sei all'interno del locale.

Tart si guardò intorno: “Cosa facciamo adesso? Gli altri non arriveranno prima di due ore.”

Potremmo fare un gioco!” esclamò Paddy con un salto.

Ti prego, no.” la fermò tetro Quiche, lanciando occhiatine sbieche a Mina, che continuava imperterrita ad ignorarlo bevendo il tè.

Uffaaaa, come siete scontrosi! Adesso vi insegno una cosa!” la biondina marciò verso la cucina, ritornando in sala poco dopo brandendo un coltello ed una mela verde. “La vita è così, vedete," esclamò affettando il frutto "A volte è aspra come questa mela verde, ma poi basta aggiungerci un po' di zucchero, un po' di bei momenti, e diventa dolce come una caramella."

Ne prese uno spicchio e lo infilò in bocca: “Perciò smettetela di essere sempre negativi, ed imparate a vedere il lato positivo delle cose!”

Pam sorrise, divertita ed anche un po' intenerita da quella dimostrazione di maturità che pochi, in fondo, si aspettavano dalla ragazza; si dimenticavano, a volte, di quanto in effetti fosse cresciuta. “Sono sicura che ci sia rimasto qualcosa in dispensa. Per una volta potremmo seguire l'esempio di Mina e rilassarci tutti con del tè.”

Grazie, Pam, almeno qualcuno qui mi apprezza.” sospirò teatrale la mora “Vado a prepararvelo, nessuno lo sa fare bene quanto me.”


***


Kert si voltò per l'ennesima volta con aria scocciata, osservando il parco dietro di sé che lentamente si oscurava con l'avvicinarsi dell'imbrunire.

La vuoi piantare?!” gli sibilò Pharart dandogli una gomitata “Mi stai facendo diventare paranoico! Non c'è niente!”

Scusa! Ma è tutto il giorno che ho la sensazione di essere osservato!”

Magari è il tuo cervello che si sta risvegliando dal letargo e vuole considerazione.”

Kert gli restituì la gomitata, gettandosi un'ultima occhiata alle spalle, il Caffè Mew Mew a ormai pochi metri da loro.

Piantatela, o vi rispedisco alla base.” sibilò Rui, aggiustandosi la cinta a cui pendeva la sua spada.

Il resto del vialetto fu percorso in silenzio, la porta sul retro si aprì prima che potessero bussarvici. Pie, come al solito, li accolse con un'espressione non esattamente contenta.

Siete pronti?” domandò bruscamente non appena furono tutti dentro al locale.

Il Comandante della spedizione si guardò attorno: “Noi sì, e voi?”

Il resto della nostra squadra è già nella villa di Ryan,” spiegò Mina, stringendosi le braccia al petto “Hanno portato tutti gli strumenti necessari che non potevano essere spostati con il teletrasporto.”

Vorremmo di nuovo ringraziarvi per la vostra disponibilità,” intervenne Espera, notando l'aria tesa che continuava ad aleggiare nella sala.

Ringraziateci dopo che Profondo Blu sarà sconfitto...” borbottò Paddy, tendendo la mano a Tart “Allora, vogliamo muoverci? Prima arriviamo da Ryan, prima potremo finalmente calciare quell'antipatico di Aoyama nel sedere.”

Pam sorrise e prese la mano della biondina, offrendo l'altra a Pie: “Guidi tu?” gli domandò ironica.

Lui, già normalmente poco avvezzo a scherzare, alzò gli occhi al cielo e si limitò ad afferrare il fratello minore per un polso, intimandogli inoltre con un'occhiataccia di smetterla di stringere i suoi tridenti in modo minaccioso.

Vieni, Mina?” domanò poi Quiche, facendo sobbalzare la ragazza che continuava a starsene rigida e ferma ad un angolo della sala.

Ehm...” lei fece un passo in avanti e prese invece l'altra mano libera di Tart “Sono a posto, grazie.”

Kert, dal canto suo, osservò incuriosito quello che era appena successo, un sopracciglio incurvato e la lingua pronta a scattare con un commentino sarcastico, ma la forte presa di Zaur sul suo avambraccio fu il chiaro segnale che doveva starsene zitto. Perché tutti volevano sempre togliergli qualsiasi fonte di divertimento?

Il cerchio per il teletrasporto si chiuse in fretta, con la Mew Blu che tendeva una titubante mano ad Espera, la sola che sembrava sinceramente allegra e felice per tutta quella situazione.

Pie li sorvolò tutti con lo sguardo un'ultima volta, poi chiuse gli occhi ed una forte luce si propagò per il Caffè.



Qualche decimo di secondo più tardi, il calore del locale fu sostituito da una leggera brezza fresca che profumava di sale, e i loro piedi affondarono dolcemente nella sabbia, ormai raffreddata dal tramonto.

Sììììììììì che bello!” strillò Paddy, sganciandosi dagli altri e correndo lungo la spiaggetta privata di Shirogane.

Gli alieni di Gaia si guardarono intorno, un po' stupiti. Le spiagge nel loro pianeta erano decisamente differenti, con la sabbia rosa oppure i ciottoli bianchi, e senza decine di villette alle loro spalle.

Venite, immagino che ci staranno aspettando.” Pam li esortò a raggiungere la grande casa a due piani, circondata da un bel porticato.

Spero che Kyle abbia cucinato qualcosa per cena, sto morendo di fame!” borbottò Tart, le mani incrociate dietro la testa.

Non siamo qui in vacanza, Tart.” lo rimbeccò glaciale il fratello più grande.

Lo so, ma dobbiamo mangiare comunque, non credi? Ci servono forze per gli allenamenti! Non essere sempre così scorbutico, fratellone, ricordati cosa ha detto Paddy!”

Ragazzi!” Strawberry comparve sulla porta con un sorriso, sventolando un braccio a mo' di saluto “Finalmente siete arrivati! Giusto in tempo per la cena.”

Tart fece una linguaccia a Pie, una smorfia birichina sul viso: “Visto, cosa ti avevo detto!”

Ryan si unì alla rossa, facendo un cenno del capo agli stranieri: “Benvenuti a casa mia. Scusate il disordine, ma abbiamo cercato di sistemarci come potevamo.”

Rui rispose con un sorriso, e i due gruppi si riunirono all'interno, seguendo il padrone di casa lungo il corridoio d'ingresso.

Abbiamo pensato che potevamo usare il salotto per gli allenamenti,” spiegò il biondo “E' la stanza più grande della casa.”

Tutti i mobili erano stati spostati contro al muro esterno, così da lasciare vuoto più spazio possibile; il grande tappeto era stato arrotolato ed appoggiato ad una parete; tutti i soprammobili erano stati riposti con cura nello sgabuzzino, e Lory stava terminando di svuotare l'enorme libreria.

Che ne dici, Sunao?”

L'aliena si guardò intorno, prendendo la parola per la prima volta: “Non sarà una sala come quelle dove siete abituati voi, ma può andare.”

Paddy alzò la mano come una scolaretta: “Senti capo, come facciamo a dormire tutti qui?”

Ryan sorvolò sull'appellativo: “Come sapete, ci sono cinque stanze in questa casa, e noi siamo in sedici. Voi cinque ragazze potete dormire in una delle stanze matrimoniali al piano di sopra, ci sono due letti grandi. È la mia camera, quindi state attente o provvederò personalmente ad uccidervi. Voi tre Ikisatashi potete prendere la stanza qui al piano terra. Per voi,” si voltò verso gli alieni di Gaia “Ci sono altre due stanze al piano di sopra. Io e Kyle prenderemo l'ultima rimasta.”

Allenamenti dediti alla castità, vedo,” sghignazzò Kert all'orecchio di Pharart “Mi sembra d'essere tornato ai tempi dell'Accademia.”

L'alieno dagli occhi verdi lo guardò eloquente: “Come se tu e Sunao non sgattaiolerete di nascosto nel bel mezzo della notte. Rui ed Espera allo stesso modo,” sospirò sconsolato “Per il Cielo, penso che dormirò sul divano.”

Kyle uscì dalla cucina con il solito sorriso gentile: “Se per voi va tutto bene, la cena è servita. Così potemmo andare a dormire presto ed iniziare subito domattina.”

Con un mormorio di assenso, quello strano gruppetto di sedici si spostò verso la gigantesca cucina immacolata, costruita apposta per poter permettere al moro pasticciere di soddisfare la sua vena creativa. Fosse stato per Ryan, sarebbe bastato un fornello, un frigo e un microonde.

Forse come nessuno avrebbe potuto prevedere, la cena si svolse con insolita tranquillità, tra qualche risata un po' imbarazzata e reciproci racconti sulla vita nei rispettivi pianeti, grazie anche all'intervento di Espera, che stava allenando i suoi poteri empatici così da far calare un'aurea di calma su tutti.

Sembra che vada bene, no?” bisbigliò Lory a Kyle, mentre sciacquavano i piatti prima di riporli in lavastoviglie, lanciando un'occhiata agli altri seduti intorno al tavolo a godersi un'ultima tazza di tè.

Il ragazzo si strinse nelle spalle: “C'è della valeriana in quel tè, e ho cercato di preparare i cibi più rilassanti che conoscessi. Spero che continuerà ad essere così, almeno per questi prossimi giorni.”

Secondo me dobbiamo solo imparare a conoscerli,” si sistemò gli occhiali sul naso e sorrise “In fondo non siamo poi così diversi, abbiamo accettato gli altri, non vedo perché con loro dovrebbe essere diverso.”

Sei sempre così ottimista,” Kyle rise, allungandosi per darle un tenero bacio sulla testa “Ecco perché ti amo.”

La Mew Verde arrossì di botto, sorridendo imbarazzata.

Dio, ci mancavate solo voi ad essere tremendamente sdolcinati, dopo Shirogane e Strawberry,” la voce di Mina li prese alle spalle “Cosa ho fatto di male?”

Lasciali stare!” la sgridò Paddy, comparsa anche lei vicino al lavandino per riporre la tazza “Sei tu l'acidona!”

Tu sta' zitta, i tuoi comportamenti in pubblico con Tart sono alquanto deplorevoli!”

Ah, parla quella che si andava a rinchiudere nel bagno del Caffè per ore!”

Per forza, la camera è costantemente occupata da Ryan e Strawberry!”

RAGAZZE!” il biondo in questione, un vago rossore sulle guance, scattò in piedi “Adesso basta. Non mi sembra il momento di discutere di certe cose! A letto, forza. Domani sarà una giornata impegnativa.”

Paddy ridacchiò: “Sì capo.”

Espera si voltò verso la Mew rosa, che stava scuotendo la testa con aria affranta: “Non capisco. È sempre così?”

Strawberry annuì: “E non hai ancora visto tutto.”

Si alzò e raggiunse il marito nella veranda, dov'era intento a concedersi l'unica sigaretta della giornata.

Credo di aver avuto una pessima idea.” borbottò, non dovendosi voltare per sapere chi stava affianco a lui.

La rossa si infilò sotto il suo braccio, stringendo e sfregando la guancia contro il suo petto come una vera gatta: “Secondo me no. Lo sai che dopo un po' che siamo tutti insieme cominciamo a dare in escandescenze.”

Lui rise: “Don't I know it.”

Le arruffò la frangetta con una mano, dandole poi il solito buffetto sul naso: “Mi mancherai stanotte.”

Infatti non capisco perché non posso dormire con te,” sbuffò lei facendo il broncio da bambina “Mina mi farà gli scherzi con i fantasmi e non dormirò niente.”

Dopo chi la sentiva se soltanto io e te potevamo condividere la camera?”

La rossa guardò oltre la sua spalla: “Tanto lei e Quiche adesso non vanno neanche d'accordo...” commentò, osservando come i due stavano ai lati opposti della sala, palesemente ignorandosi a vicenda.

Il biondo sbuffò: “Anche quello sarebbe un problema da risolvere, prima che si scannino... e prima che Quiche scanni anche Kert.”

Unì dolcemente le loro labbra, prima di spingerla verso l'interno: “Vai, ora, o domattina sarà impossibile tirarti giù dal letto!”

Strawberry gli fece una linguaccia, poi corse su per le scale a raggiungere le amiche.



Al piano di sopra, la squadra di Gaia era tutta riunita in una delle stanze a loro riservate.

E così... siamo qua.” iniziò tentennante Pharart. “Che ne pensate?”

A me stanno simpatici!” Espera si sedette con un rimbalzo sul lettone “E lo sapete che di me potete fidarvi. Certo, ancora non si fidano pienamente, soprattutto Pie e Quiche, però d'altronde nemmeno voi siete così aperti nei loro confronti.”

Ehi, per gente che fino a qualche settimana fa cercava d'ammazzarsi a vicenda, direi che stiamo facendo dei progressi!” commentò il biondino.

Concentriamoci solo sulla missione corrente adesso, d'accordo?” Rui li guardò ad uno ad uno, soffermandosi in particolare sul fratello. “Kert, io, te, Pharart e Zaur dormiremo nell'altra stanza.”

Niente scherzi, eh?” esclamò Pharart cercando di essere minaccioso, spostando il dito indice tra Sunao e Kert, e Rui ed Espera.

Quest'ultima rise, chiudendo la porta dietro i ragazzi: “Buonanotte!”

Quando calò il silenzio, si voltò verso l'amica: “Dai, dimmelo perché sei rimasta così in silenzio tutt'oggi.”

Sunao la guardò, un sopracciglio alzato: “Non abbasso la guardia, io. Non celebro le alleanze campate per aria. Non provo molta simpatia per la gente, in generale.”

L'altra ridacchiò: “Soprattutto non provi simpatia per le occhiatine di Kert alla ragazza con le ali.”

La Messaggera s'infilò casualmente nel letto: “Sei così sicura che non ti ucciderò nel sonno?”

L'amica rise: “No, mi vuoi troppo bene e sai che sono la tua coscienza!”



***



Buongiorno buongiorno buongiorno!” Paddy si lanciò sul grande lettone in cui ancora dormivano Mina e Strawberry, svegliandole di soprassalto “Alzatevi, dormiglione! Mancate solo voi!”

Gesù, Paddy,” grugnì Mina, nascondendo la faccia sotto al cuscino “Non potresti essere un po' più gentile?”

La Mew Gialla strappò loro le coperte di dosso: “Non quando ormai è tardi! Su, forza, vi ho portato la colazione qua! Mangiate in fretta e poi scendete, sono tutti pronti! Se finiamo presto poi possiamo andare in spiaggia!”

Ma dove la trova tutta quella energia?” borbottò Strawberry, osservando la più giovane correre lungo il corridoio.



Circa dieci minuti più tardi, scesero nel salone, per trovarsi il resto della loro squadra seduto sul pavimento.

Ci hai messo tutta quella fretta per niente!” sberciò Mina “Non sono neanche riuscita a bere il mio tè con calma!”

E' meglio non avere lo stomaco troppo pieno, uccellino,” Kert e Zaur si unirono a loro “Sunao non va molto per il sottile.”

Lo prenderò come un complimento, Tha.” l'aliena scese le scale in quel momento, terminando di sistemare i capelli in una lunga treccia. Aveva dismesso il suo solito vestito violetto di taglio cinese, preferendo una corta tuta dello stesso colore aderente, simile a quella che veniva distribuita ai cadetti dell'Accademia.

Lo stacco di gamba che le lasciava scoperta attirò l'attenzione di tutti i maschi presenti.

Ahem,” esclamò Ryan, ignorando l'occhiataccia che gli stava mandando Strawberry “Bene, allora... cominciate.”

Sunao si posizionò al centro della stanza, gli altri a cerchio attorno a lei: “Sappiate che in questa settimana, imparerete davvero poco di quanto avremmo bisogno in realtà. Ma quello che cercherò di insegnarvi riuscirà almeno in parte a colmare la lacuna che abbiamo nei confronti di Profondo Blu. Per il resto, bisognerà affidarsi alla fortuna. Cercheremo di agire soprattutto sulla vostra velocità, sulle tecniche di combattimento corpo a corpo che potranno essere utili. Profondo Blu combatte da lontano, non se lo aspetterà. Inoltre, magari vi insegnerò qualche trucchetto segreto.”

Si scrocchiò collo e dita con un sorriso minaccioso, poi si rivolse a Kert: “Tha, vieni qui. Vi dimostrerò cosa dovrete essere in grado di fare.”

Ma perchè io?!” si lamentò lui, alquanto preoccupato per la sua salute.

Sunao roteò gli occhi con fare scocciato: “Perché sei l'unico qui in mezzo che può tenermi un minimo di testa. E poi perché non mi faccio scrupoli a combattere con te,” aggiunse sogghignando.

Lui si avvicinò a testa bassa: “Appunto...”

Si posizionarono l'uno di fronte all'altra, Kert in una posizione di difesa. Sunao annuì, e in mezzo secondo, l'alieno cadde a terra con un gemito, la bella Messaggera ancora in piedi e un sorriso soddisfatto sulle labbra.

Le cinque Mew Mew sbatterono le palpebre, sconcertate.

Come... come hai fatto?” boccheggiò Strawberry “Praticamente non ti sei mossa!”

Questo è quello che dovete imparare,” replicò l'aliena, porgendo una mano a Kert per aiutarlo a rialzarsi “Non mi aspetto che otterrete lo stesso risultato, io provengo da anni di intenso addestramento... ma almeno non sarete goffe e lente come adesso.”

Goffe e lente, ha detto?” borbottò Paddy a Lory “Noi non siamo goffe e lente!”

Forza, Kert, riprovaci.”

Per la seconda volta, il povero Tha si ritrovò con il sedere a terra e la schiena dolorante.

Sunao si sistemò una ciocca sfuggita alla treccia, nemmeno una traccia di affanno sul suo viso candido: “Ora, sistematevi a coppie. Così possiamo iniziare ad insegnarvi qualcosa.”

Io vengo con te!” esclamò Pam, ansiosa di poter comprendere le tecniche di Gaia.

L'altra annuì: “Sì, non combattete con qualcuno di cui già conoscete le capacità, perchè non sarà così con il nemico.”

Rui si avvicinò a Strawberry con un sorriso, alla quale la rossa (che per l'occasione aveva riesumato i suoi vecchi codini) rispose titubante. Pharart raggiunse Mina dopo aver lanciato uno sguardo eloquente a Kert, che per tutta risposta decise di divertirsi un po' sfidando Quiche. Zaur si rivolse a Pie, Lory e Paddy invece contro Tart.

Da quel momento, il salotto di casa Shirogane si trasformò in una vera e propria arena di combattimento. Il biondo controllava la scena con aria preoccupata, soprattutto nell'angolo di Quiche e Kert, che sembravano prendere la cosa un po' troppo sul serio.

Espera sostava di fianco a lui e Kyle, interessata a tutto quello che stava succedendo. Al contrario di Sunao, non aveva mai preso parte ad un addestramento prima, in quanto non era possibile per le ragazze entrare nell'Accademia, neanche per una visita, se non per le cerimonie di diploma.

Una strana sensazione che percepiva nell'aria, a pochi centimetri da lei, però, la incuriosiva. Non le ci volle molto per capire che proveniva dal ragazzo accanto a lei, ed era molto simile a quella che provava in vicinanza delle Mew Mew.

Tu non sei come gli altri umani,” gli disse.

Cosa?” Ryan si voltò verso di lei per un istante, per poi ritornare al trambusto generale quando un urletto di Strawberry, che era scivolata per un attacco di Rui, attirò la sua attenzione “Ah, già. Anche io ho i geni del gatto Iriomoto.” le spiegò, mostrandole brevemente il segno ormai sbiadito sul suo collo, nascosto dal colletto della camicia “L'avevo testato su di me prima di iniettarlo nelle ragazze.”

Quindi sei stato tu a farle diventare Mew Mew?”

Ryan annuì: “Sì. Tutto grazie alla genetica, e ad un po' di creatività.”

Che ti avevo detto, uccellino, meglio non aver mangiato tanto, vero?” scherzò Kert, ansimando per lo sforzo, quando lui e Mina si trovarono a sedere vicini, in un piccolo momento di pausa che si potevano concedere, perché Sunao stava osservando singoli combattimenti.

Ehm... già...” borbottò la mora.

Senti, ma quindi ci sono dei problemi in Paradiso?” all'aria interrogativa della ragazza che seguì, l'alieno continuò “Tra te e Quiche, dico. Di solito siete sempre attaccati per le costole.”

La Mew Blu abbassò gli occhi, incerta su cosa dire, tremendamente a disagio ed ormai sull'orlo di una crisi di nervi, quando Sunao richiamò con un colpo secco Kert, portandolo nuovamente al centro della sala così che lui potesse combattere con il fratello.

Facendo un respiro profondo, Mina si alzò e raggiunse l'aliena, ritta davanti a lei con le braccia incrociate al petto. Prima che potesse dire qualcosa, fu interrotta: “Non l'ho fatto per te.”

Sgranò gli occhi, stupita che Sunao avesse indovinato cosa stava per dire, e di nuovo l'aliena parlò: “Sono una telepate,” le spiegò, guardandola con la coda dell'occhio “Riesco a sentire i tuoi pensieri.”

Ah,” Mina si morse un labbro, ancora più a disagio “Be', comunque grazie lo stesso.”

Ripeto, non l'ho fatto per te, ma perché non mi servono distrazioni. Kert deve imparare a concentrarsi. E tu, a quanto pare, sei una distrazione.”

Scusa, non lo faccio apposta. Anzi, non ho la minima voglia di essere una sua distrazione.”

Sunao rimase zitta, e la Mew blu decise di allontanarsi, un brivido di inquietudine che le correva lungo la schiena. Non le piaceva per niente l'aver scoperto qual era l'ennesimo pregio dell'aliena.

Scosse la testa, e si avvicinò a Pharart, che le sorrise: “Tranquilla. Sunao non morde, di solito. È molto più brava ad abbaiare.”

Se lo dici tu...” borbottò lei “Ricominciamo?”



L'addestramento si prolungò fino a tardo pomeriggio, quando tutti stramazzarono al suolo esausti. Tutti, tranne Sunao, ovviamente, che mostrava soltanto qualche segno di affaticamento.

Lasciatemi morire qui,” boccheggiò Paddy “Non voglio più sconfiggere Profondo Blu se questo è quello che devo soffrire.”

Kyle sorrise, asciugandosi le mani in uno straccio: “Su, non dire così, siete state bravissime. Avete giusto il tempo per fare una doccia, poi la cena sarà pronta.”

Sì, non siete state male quanto pensavo,” la frase di Sunao fu presa quasi come un complimento “Domani andrà meglio, ora che avete afferrato le basi.”

Non ci arrivo a domani se continui a trattarmi in questo modo!” esclamò Kert, steso a pancia all'aria con visibili graffi e lividi sul corpo.

Oh, andiamo, ne hai passate di peggio,” lo rimbeccò lei, allontanandosi lungo le scale con un movimento d'anca che lo fece scattare subito in piedi.

Ryan si avvicinò a Strawberry, riversa sul divano: “C'è un bagno con le bolle che ti aspetta,” le sussurrò scostandole i capelli dal viso.

In risposta gli arrivò un gemito affranto che lo fece sorridere.

Va bene, ho capito.” la prese in braccio e sparì pure lui lungo le scale.

Io eviterei il piano di sopra per un po', se fossi in voi,” esclamò Pharart, conquistandosi risate e cenni di approvazione da parte del resto del gruppo.

Espera, in un angolo, sorrise soddisfatta. Sì, stava decisamente andando per il meglio.

Ed era fiduciosa che le cose non avrebbero potuto che migliorare.




Perdonate la poca originalità del titolo, ma sapete che sono sempre la parte più noiosa e difficile da trovare xD Come vedete, questo capitolo è solo una prima parte. Ho deciso oggi mentre scrivevo di dividerlo in due, perchè sennò sarebbe diventato davvero lungo, ed io non ho il tempo in questo momento di poterlo scrivere tutto. Quindi godetevi questo per primo ^^ Anche perchè è già passato un po' dall'ultima volta che ho aggiornato, quindi non volevo lasciarvi troppo sulle spine. D'altronde, io sono una maestra nel non scrivere per due settimane, e poi fare un intero capitolo in una giornata xD

Grazie come sempre a chi legge, commenta, segue e preferisce :) A presto, in bocca al lupo a chi ha gli esami e buone vacanze a chi invece ha finito! A presto, vostra

Hypnotic Poison


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Capitolo 25
*** L'Addestramento - Parte Seconda ***


L'addestramento – Parte II




Ho un'idea!” Espera si lasciò cadere vicino a Sunao sulla morbida e calda sabbia.

Era il secondo giorno di allenamento, e grazie anche all'intervento delle dolci limonate di Kyle, si erano tutti concessi una pausa dopo pranzo.

Così si erano sparpagliati sulla spiaggetta privata, chi a prendere il Sole, chi a sguazzare un po' in acqua, chi a fare un sonnellino e chi, come Ryan e Pie, che comunque non si staccava dai computer di controllo.

Sentiamo, quale sarebbe la tua idea?” domandò la Messaggera, chiudendo gli occhi per assaporare al meglio il calore della luce sulla pelle.

L'aliena dai capelli neri affondò le mani nella sabbia, spargendone un po' sulle gambe lasciate libere dal vestito che Lory le aveva prestato (il suo lungo abito nero non era certo adatto all'ambiente): “Hai presente Ryan?”

Tu che ne pensi?”

Va be', comunque! Stavo pensando, magari lui può riuscire ad aiutarci con il mio addestramento.”

E come?” Sunao si voltò verso l'amica “Non è un soldato né un alieno.”

Sì, ma è stato lui a creare le Mew Mew! Magari riesce anche a creare qualcosa che possa aiutarmi a controllare il mio potere finché non sarò in grado di farlo da sola!”

Sunao sembrò rifletterci un attimo: “Potremmo provare. Forse prima, però, dovresti parlarne con Rui. Non credo sarà così felice che tu voglia giocare alla cavia.”

L'altra si morse un labbro: “E se poi mi dice di no?”

L'aliena rise sbuffando, sarcastica: “Non sono io quella che organizza la sua vita a seconda di quello che mi dice un maschio.”

Ehi, non fare l'antipatica,” Espera le diede una gomitata “Non siamo tutte indipendenti come te.”

Ho imparato ad esserlo, mia cara.”

Certo, e quindi tutta questa situazione non è fatta per attirare l'attenzione di Kert, che sta facendo finta di dormire per approfittarne.” ribatté lei, riferendosi al succinto costume nero a fascia che la Messaggera indossava, comprato da Paddy (che, all'insaputa di tutti, si era dedicata ad uno shopping frenetico per le ragazze così da avere scuse in più per godersi la spiaggia).

Sunao sorrise, stendendo le lunghe gambe: “Be', che c'è? Sto solo immedesimandomi nella perfetta turista umana. Siamo sotto copertura, o sbaglio?”

Espera si alzò, scuotendo la testa e spazzolandosi la sabbia dal vestito: “Vado a parlare con Rui, così tu puoi continuare a immedesimarti.”

Poco più in là, un altro alieno stava osservando di nascosto la sua ragazza prendere il Sole, con uno sguardo a metà tra il truce e il malinconico sul volto, sospirando sconsolato ogni due per tre.

Senti, fratellone, perché non vai semplicemente a parlarci?” esclamò spazientito Tart.

Lei non vuole parlare con me...” borbottò Quiche.

Il fratello minore gli si sedette accanto: “Se non le parli non lo saprai mai.”

Ma sono giorni che mi evita!”

Ammettilo che però tu sei un po' opprimente.”

Gli occhi dorati si trasformarono in due fessure piene d'odio: “Non ti ci mettere anche tu.”

Sto solamente dicendo,” Tart si ristese sulla sabbia calda, coprendosi gli occhi con un giornale “Che se magari le dessi un po' di spazio, se viveste la vostra relazione con calma e senza troppi condizionamenti o piani decisamente importanti, magari stareste meglio.”

Cos'è, Paddy ti ha trasformato in un guru dei rapporti sociali?”

Per tutta risposta, il fratello gli diede un colpo con il piede, così che Quiche si spostasse in avanti e fosse costretto ad alzarsi.

Con un sospiro, si fece coraggio e si avvicinò lentamente a Mina, che stava risistemando la sua sdraio così da potersi accomodare all'ombra.

Ehm... ciao,” iniziò l'alieno, strofinandosi nervosamente il collo “Ti serve una mano?”

La Mew blu lo guardò per un secondo: “Ah... ho fatto, grazie.”

Possiamo... possiamo parlare un attimo? Non di quello,” si affrettò a precisare, muovendo le mani davanti a sé “Solo... così.”

La ragazza fece un respiro profondo, poi si stese sulla sdraio e gli fece segno di sedersi vicino.

Quiche si mise sul bordo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, a lei perpendicolare così da poterla guardare negli occhi. “Mi manchi.” esclamò.

Siamo insieme tutti i giorni.” replicò lei, mordendosi subito dopo la lingua per una risposta così banale.

L'alieno, difatti, non esitò a lanciarle un'occhiatina storta: “Mi manca stare con te. Lo so che non possiamo aggiustare tutto subito, però ti prometto che non ti assillerò più con certe cose e avrai tutto lo spazio che vuoi, e non lascerò più gli asciugamani per terra dopo la doccia o i vestiti sparsi per casa...”

Mina rise: “Guarda che non ti ho ancora detto di sì.”

Oh.” le orecchie a punta si abbassarono come quelle di un cagnolino afflitto, e la Mew Blu sospirò, prendendogli la mano.

Ho solo vent'anni, Quiche. Ho ancora così tante cose da fare, che voglio fare, e tra me e te è successo tutto così in fretta... dobbiamo andarci piano, d'accordo?”

D'accordo...” lui la guardò da sotto la frangetta verde “Posso stare ancora un po' qui con te?”

Mina annuì, alzandosi: “Mettiti tu qui, così staremo più comodi.”

Quiche sorrise e prese il suo posto, stringendola poi tra le braccia quando lei si accoccolò contro il suo petto, intrecciando le loro dita. Aveva Tart da ringraziare, quello era certo.

Sembra che abbiano fatto pace,” esclamò Pharart sottovoce, avendo notato che Kert non si era fatto sfuggire la scenetta.

Questo è tutto da vedere,” replicò l'altro.

L'alieno dagli occhi verdi sospirò: “Mi devi spiegare la tua fissazione. Tu hai Sunao, per il Cielo, Kert! Guarda Sunao! È... è una dea!”

Sì, la dea della morte.” borbottò Kert, scrocchiandosi il collo mentre si sedeva.

L'amico alzò le sopracciglia: “Motivo in più per non farla arrabbiare.”

In quel momento, l'aliena in questione si alzò, raggiungendoli: “Pausa finita, è ora di riprendere.”

Eddai, tesoro, ancora cinque minuti.” la pregò Kert con un ghigno.

Pharart temette che lo sguardo di Sunao potesse uccidere veramente.

Chiamami tesoro un'altra volta, Kert, e ti spezzo un braccio. Forza, ora. Sei il primo a combattere.”


***


Un rimedio per fare in modo di riuscire a controllare la tua forza?”

Ryan e Kyle si scambiarono un'occhiata titubante a quella strana richiesta che Espera e Sunao presentarono loro nel tardo pomeriggio, chiusi nello studio del biondo, trasformato in un mini-laboratorio.

Ragazze, dovremmo sapere tutta la storia prima di procedere,” esclamò il moro “Interagire sui DNA e sui vostri poteri non è semplice, e può essere pericoloso.”

Ed io lo so bene. Posso trasformarmi in gatto quando voglio, ma solo per un tempo molto limitato, o rischio di non tornare più umano. E non ho poteri come quelli delle Mew Mew.” spiegò Ryan “Abbiamo bisogno di più informazioni possibili.”

Espera è una degli ultimi alieni in grado di sfruttare al massimo le sue capacità,” iniziò a spiegare Sunao “La sua quantità di potere è tale che lei, diciamo... si trasforma, un po' come le vostre Mew Mew.”

Potresti farci vedere come, adesso?” le domandò gentilmente Kyle.

L'aliena dagli occhi blu si concentrò qualche secondo: “Ehm... no. È proprio questo il problema. Ci sono riuscita pochissime volte, e solo quando ero molto arrabbiata.”

Ryan sospirò a voce alta, passandosi una mano tra i capelli: “D'accoooordo.” esalò “Vediamo cosa possiamo fare. Io inizierei con alcuni esami, che ne dici?”

L'amico annuì: “Dovrei farti delle analisi del sangue, se per te va bene.”

Espera li guardò con gli occhioni sgranati: “Cosa vuol dire?”

Kyle rise, la prese per mano e l'accompagnò su una sedia: “Adesso ti spiego tutto.”

Ci metteremo un po','” Ryan si voltò verso Sunao “Puoi andare, se vuoi. Prometto che la tratteremo bene.”

La Messaggera annuì, e senza aggiungere altro, uscì dalla stanza, dirigendosi nella fresca cucina.

Tutto bene?” domandò Rui, seduto al bancone con Zaur, intenti a giocare ad ahmi.

Lei fece un cenno d'assenso, unendosi a loro.


Erano ancora impegnati nella partita un'ora dopo, quando Strawberry ritornò dalla spiaggia.

Ehm... scusate, avete visto Ryan?” domandò ai tre alieni, quasi impaurita dal doverli disturbare.

E' con Espera nel suo studio.” rispose laconica Sunao.

Ah.” la rossa si morse il labbro, a disagio, guardandosi intorno. La casa era quieta, tutti stavano approfittando di quelle poche, piacevoli, agognate ore di pausa.

Tart e Paddy si stavano scambiando paroline dolci sul divano, quindi l'idea di sistemarsi in salotto era fuori discussione. Mina e Quiche stavano “recuperando il tempo perduto” dopo aver fatto pace, chiusi nella camera dei tre fratelli Ikisatashi, a cui lei non si sarebbe avvicinata neanche sotto tortura. Pam e Pie si erano concessi una passeggiata lungo la spiaggia, mentre Lory era in camera a studiare. Di Kert e Pharart non le importava più di tanto, quindi era rimasta letteralmente senza compagnia.

Poi cosa ci faceva Ryan nello studio con Espera?

Lanciò un'occhiata veloce a Rui: sembrava abbastanza tranquillo, quindi lei non aveva niente di cui preoccuparsi.

-Ma certo che non hai niente di cui preoccuparti, Strawberry!- si disse -Smettila di fare la sciocca!-

Eppure non era ancora del tutto soddisfatta.

Girò sui tacchi e si diresse verso la stanza in fondo alla casa, bussando con fermezza.

Oh, sei tu,” Ryan aprì la porta giusto dello spiraglio necessario per infilarci il viso “C'è qualche problema?”

Strawberry lo guardò, confusa: “No, volevo solo... non so cosa fare, sono tutti impegnati... che state facendo?”

Il biondo uscì, chiudendosi subito la porta dietro le spalle: “Delle ricerche un po' complicate,” si passò una mano sul viso, un filo di barba che faceva capolino sulle guance “Anzi, mi faresti un grande favore se potessi andarmi a chiamare Sunao.”

E perché?”

Te l'ho detto, stiamo facendo delle ricerche e mi serve il suo aiuto.”

La rossa incrociò le braccia al petto: “Cosa potrebbe sapere Sunao che tu non sai?”

Ryan sospirò, affranto, mettendo le mani sopra le spalle di lei: “Strawberry, ti prego, non ti impuntare come una bambina.”

Non mi sto impuntando!” replicò lei con uno sbuffo “Non mi piace che mi tieni nascoste le cose!”

Non si parla delle ricerche prima che siano concluse, conosci la mia regola,” le diede un buffetto sul naso “Smettila di fare la gattina gelosa.”

Punta sul vivo, gli fece una linguaccia, poi gli schioccò un bacio sulle labbra, prolungandolo qualche secondo in più del dovuto: “Ci vediamo dopo!” gli sussurrò.

Non fece nemmeno in tempo a mettere piede in cucina, che i rumori di un familiare battibecco si avvicinarono dal corridoio.

Pensavo aveste fatto pace,” esclamò sorpresa quando Mina le passò di fianco, furente.

AH, ci vuole molto più di un pomeriggio a curare la stupidità!” replicò quest'ultima, sbattendo con violenza l'anta del frigorifero dopo aver afferrato una bottiglia d'acqua.

Strawberry scosse la testa, voltandosi verso l'aliena dai capelli violetti: “Ehm, Sunao? Ryan chiede se lo puoi raggiungere.

Solo un secondo.” la Messaggera rimase concentrata sulla scacchiera davanti a lei, muovendo uno dei pezzi “Ho vinto!” esclamò con un sorrisone.

Rui si appoggiò allo schienale della sedia: “Non ha senso giocare con te, sai sempre che mossa stiamo per fare!”

Tutto talento, ragazzi.” si alzò, volteggiando vicino alla rossa, che stava osservando incuriosita quello strano gioco.

Zaur risistemò i pezzi: “Ti possiamo insegnare, se vuoi. Non è difficile.”

Davvero?” Strawberry arrossì di botto, poi annuì “D'accordo, grazie!”

Allora, qual è il problema?” domandò l'aliena quando entrò nello studio, illuminato da una grande finestra che copriva l'intera parete esterna.

Nessun problema, abbiamo solo bisogno di vedere dal vivo quello che succede ad Espera per capire come agire.” le spiegò Kyle.

Sunao guardò l'amica: “Te la senti?”

Assolutamente!” confermò Espera “E' stata una mia idea, dopo tutto.”

L'altra annuì, poi ispezionò la stanza: “Non possiamo stare qui, è troppo piccolo. Non c'è un posto vuoto?”

La cantina,” le rispose Ryan “E' grande, non ci sono cose fragili.”

Andiamo allora!” Kyle in testa, si avviarono silenziosamente al piano interrato, più fresco rispetto al resto della casa; era un grande stanzone, praticamente vuoto, in cui erano riposti vecchi mobili e cose che nessuno usava più.

Bene, e adesso che si fa?” domandò il biondo, incrociando le braccia al petto.

Le due aliene si scambiarono un'occhiata, poi la mora scosse le spalle: “E' inutile, non riesco ad arrabbiarmi con te.”

Non ti devi arrabbiare,” le spiegò Sunao “Cerca di concentrare la tua energia e farla uscire fuori.”

Rimasero tutti in silenzio per qualche istante. Non successe nulla.

Vedi, te l'ho detto, sono una frana!” piagnucolò Espera.

Come facciamo adesso?” domandò Kyle.

La Messaggera ghignò: “Oh, molto semplice. C'è soltanto una persona in grado di far saltare i nervi a Espera in cinque minuti.”


Non sono la tua cavia, Sunamora.” borbottò Kert quando Sunao lo trascinò in cantina.

Oh, andiamo. Sappiamo benissimo che ti piace un sacco litigare, soprattutto con Espera.”

Questo è vero.”

Al ghigno dell'alieno, Espera gli lanciò un'occhiataccia: “Dovresti imparare ad essere un po' più gentile.”

Lui sbuffò: “Perché mai dovrei essere gentile con te? Mi innervosisci da morire.”

Il sentimento è reciproco.”

Sei solo una ragazzina viziata,” Kert si avvicinò all'aliena, e Sunao fece allontanare leggermente i due umani, spingendoli contro al muro “Ottieni tutto quello che desideri solo con un battito di ciglia.”

E tu sei esattamente il tipo di alieno che stravede per quelle che gli sbattono le ciglia.” ringhiò lei, mentre un impercettibile soffio di vento riempiva la stanza.

Bada a come parli, Seles.”

Altrimenti cosa fai, vai a raccontarlo a Rui?”

Kert fece per estrarre uno dei suoi pugnali, e all'improvviso, una forte corrente di energia si scatenò dal corpo dell'aliena; come già era successo una volta, occhi e unghie si allungarono in un aspetto felino, e con un ringhio scattò in avanti, pronta ad affondare i canini nell'alieno davanti a lei.

Sunao fu più veloce e la prese alle spalle, bloccandola e dandole un colpo secco dietro al collo, facendola cadere a terra priva di sensi.

Kert si raddrizzò, spostandosi la frangetta all'indietro: “Direi che è andata bene, no?”

I poveri Ryan e Kyle erano appiccicati contro al muro, completamente terrificati.

La Messaggera represse un sorrisetto: “Be', avete visto la potenza dell'antica Gaia. Vi è bastato?”

Oh, sì, decisamente.” balbettò Kyle. “Abbiamo tanto su cui lavorare.”


***


Mi volete spiegare perché sono due giorni che i vostri due uomini sono chiusi nello studio e riemergono solo all'ora di cena?”

Mina si parò davanti a Lory e Strawberry la mattina del quarto giorno di addestramenti, tutti schierati sulla spiaggia in quanto Sunao aveva in mente qualcosa di speciale.

La rossa fece spallucce: “Solite cose da scienziati che non ci diranno finché non avranno finito.”

La Mew bird si controllò le unghie: “Se a te va bene che facciano le cose alle tue spalle.”

Perché non pensi un po' ai fattacci tuoi!?” replicò la Mew rosa “Faresti un favore a tutti se risolvessi i tuoi problemi, saresti meno acida!”

Ragazze, ragazze, state buone, vi prego!” le scongiurò Lory, parandosi tra le due “Non è il momento di litigare!”

Allora, voi tre, vi volete dare una mossa?!” le chiamò Tart, che era entrato in acqua fino alla vita.

Strawberry aggrottò la fronte: “Eh? Perché state facendo il bagno?”

Combattere in acqua è più difficile a causa della resistenza,” le rispose Sunao, facendo loro segno di entrare “Una volta superato questo, combatterete anche sulla sabbia.”

Che strazio,” sussurrò la Mew rosa all'orecchio di Lory “Non ce la faccio più!”

Dai, è divertente, si sta così bene!” esclamò Paddy, sollevando qualche spruzzo che le fece guadagnare occhiate assassine da parte di Mina.

Paura dell'acqua, uccellino?” le domandò Kert, con il solito ghigno beffardo stampato sul suo bel visino.

La Mew blu lo guardò con aria annoiata: “Per tua informazione, io sono una bravissima nuotatrice. Trovo inaccettabile il fatto che io mi debba bagnare i capelli appena lavati perché la tua amica ha deciso di torturarci.”

L'alieno scoppiò in una risata sguaiata: “Però, che caratterino, quasi quasi sei peggio di Sunamora.”

Gira al largo, Kert!” Quiche si intromise tra i due, gli artigli pronti ad essere usati, provocando uno sbuffo da parte della ragazza.

So benissimo prendermi cura di me stessa, Ikisatashi!” sbottò, le mani sui fianchi.

Pam e Pie si scambiarono uno sguardo. Sarebbe stata una lunga giornata.


Forse fu la frescura dell'acqua, o il tormento dell'allenamento by Sunao, ma gli animi rimasero più o meno allegri, o almeno non erano tutti pronti a saltare l'uno alla gola dell'altro. La stanchezza che crollava su di loro a causa dell'intenso regime di cui li subissava la Messaggera del Consiglio occupava le loro menti; dopo qualche ora, potevano pensare solo al cibo e a una lunga e sonora dormita.

Kyle riteneva che ciò fosse un bene, rifletté quella sera mentre sistemava i piatti che fino a qualche minuto prima erano stati colmi di prelibatezze,ingurgitate in un batter d'occhio; conosceva le sue ragazze, e sapeva che sotto la facciata di tranquillità che sempre mostravano, erano davvero preoccupate per tutta quella situazione.

Non riuscire a pensarci per qualche ora, ma pur lavorando per riuscire a risolverla, non poteva che aiutarle a migliorare e a rilassarsi, per quanto possibile.

Era davvero fiero di ognuna di loro; continuavano a sorprenderlo giorno dopo giorno, ed anche se in fondo erano sempre le stesse, gli pareva un po' difficile scorgere in loro le bambine che aveva conosciuto tanti anni prima al Caffè.

Mi raccomando, a letto presto!” esclamò scherzoso quando vide Ryan e Strawberry, mano nella mano, avviarsi verso la spiaggia per una passeggiata.

Certo, nonno!” lo riprese il biondo con una risata.

Mi manca Kim.” esclamò la rossa quando furono abbastanza lontani dalla casa per sentire soltanto il rumore delle onde “Mi sento una madre orribile perché mi sto perdendo il suo primo compleanno.”

Ryan l'avvolse con un braccio, posandole un bacio sulla testa: “Manca anche a me. Ma è più sicura in crociera con i nonni, che sicuramente le staranno facendo una bellissima festa di compleanno. Poi, quando tornerà, festeggeremo tutti assieme.”

Posso comprarle un pony?”

No.”

E se lo volessi io?”

No.”

La rossa scoppiò a ridere, incrociando le braccia dietro al suo collo e portandolo vicino al suo viso: “Vedi, te l'ho detto che sei cattivo con me.”

Si scambiarono un tenero bacio, rassicurati dal fatto che nessuno potesse vederli, poi ripresero a camminare, i piedi a bagno e le dita intrecciate.

Tu... ne vorresti un altro?” domandò all'improvviso la Mew rosa. “Di bambini, intendo.”

Il ragazzo prese qualche istante prima di rispondere: “Be', sì, credo di sì – tra qualche tempo, però. Quando Kim sarà più grande e non ci saranno ex fidanzati pazzi tra le ruote.”

Però...” Strawberry si fermò di nuovo, afferrandogli la camicia “Intanto possiamo, uhm, provarci senza provarci comunque, non credi?” gli sbottonò il primo bottone, guardandolo da sotto in su con aria maliziosa “Tanto Kyle prima di altre due orette non ci va a dormire, e la stanza è tutta libera...”


Mentre la coppia Shirogane rientrava in casa un po' troppo di corsa per poter camuffare le loro intenzioni al resto della compagnia, nella stanza delle due ragazze aliene Kert si stava godendo uno dei rari momenti di gentilezza da parte di Sunao.

Oh, sì, proprio lì!” mugolò, quando le mani esperte dell'aliena premettero sopra un muscolo particolarmente dolente “Per il Cielo, era dai tempi dell'Accademia che non ero così rigido. È tutta colpa tua, sappilo.”

L'aliena rise, massaggiandogli delicatamente il collo: “E' un'offerta per farti fare più... attività fisica?”

Dipende, i tuoi allenamenti sono da panico,” borbottò “Almeno così so che posso darne quattro a Quiche ancora più facilmente, sta diventando insopportabile.”

Sunao si irrigidì impercettibilmente: “Come reagiresti se qualcuno stesse cercando di fregare la ragazza a te?”

Non è la sua ragazza. Non adesso, almeno.”

Sunao fece schioccare la lingua, trattenendosi al massimo per non spezzargli il collo in quello stesso istante.

Perché ti sei fermata?” domandò ingenuamente Kert, voltandosi a guardarla con gli occhi spalancati come un innocente bambino.

Lascia perdere.” ringhiò lei, scendendo dal letto e avvicinandosi allo specchio.

Lui la raggiunse e la prese per i fianchi, appoggiandola sopra la cassettiera così da averla vicinissima: “Sei gelosa.” osservò con una punta di stupore, e di soddisfazione.

Non ti azzardare a giocare con me, Tha.” ringhiò lei.

L'alieno rise: “Sei gelosa. Ah, Sunamora. Eppure ce ne sono state tante.”

Sunao rimase zitta, fermando quelle parole prepotenti che tanto volevano uscire, ma che non potevano. Ma prima non c'ero io.

Si divincolò, cercando di sfuggire alla sua presa, ma per una volta era lui ad essere più forte, le dita che, quasi piacevolmente, affondavano nella sua carne, tenendola stretta. Si sentiva una stupida, un'idiota, perché tutto il muro che si era costruita attorno si stava incrinando, per di più a causa di un'inutile umana. Anzi, nemmeno quello, perché Mina, in fondo, non aveva niente a che fare con tutto ciò.

Te l'avevo detto,” sussurrò Kert, avvicinandosi “Ti avevo avvertita.”

Gli occhi violetti fiammeggiavano di rabbia, mentre rispondeva con odio: “Sei l'ultima persona al mondo alla quale darei retta.”

Lui sorrise, appoggiando il viso nell'incavo del suo collo, sfregando appena il naso contro la pelle candida: “E' per questo che mi piaci, Sunamora.” le bisbigliò all'orecchio.

Sunao chiuse gli occhi, disprezzando il brivido che le corse lungo la schiena, il battito più forte del suo cuore a quelle parole. Era una farsa, e lei lo sapeva. Se l'era ripetuto fino alla nausea per potersi salvare. Ma adesso, stava fallendo.

Non essere gelosa,” continuò lui, baciandole il collo “Sei la più brava di tutti a non lasciarti andare alle emozioni... coloro che ami sono le tue debolezze, e il nemico non aspetta altro che colpirle... non c'è posto per i sentimenti in guerra...”

Con uno scatto, Sunao lo allontanò da sé, balzando giù dal mobile.

Puoi fare quello che vuoi,” si avviò in direzione della porta “Sta' solo attento a non farti infilzare da Quiche, non ci tengo ad essere ancora di più in svantaggio con Profondo Blu.”

Si dileguò alla svelta, raggiungendo la spiaggia a grandi falcate.

Si sedette sulla sabbia fresca, stringendo le ginocchia al petto. Non sapeva se odiava più lui o se stessa in quel momento.

Tu ed Espera avete la brutta abitudine di ritenere che io non mi accorga quando siete alle mie spalle.” esclamò, avvertendo Rui dietro di lei.

Lui rise, sedendosi accanto a lei: “Posso?”

Sei venuto a farmi la predica?”

Come se non lo sapessi.”

Lei sorrise, alzando lo sguardo verso il cielo stellato: “Tu credi che sia una stupida, vero?”

No, credo che lo sia mio fratello.” Rui le mise una mano sulla spalla “Ascolta, Sunao. Mio fratello è davvero un idiota. E io vorrei farti due discorsi. Uno da amico, e uno da comandante.”

L'aliena rimase in silenzio, così lui continuò: “Quello da amico è per dirti che Kert può essere un testone, e non è abituato alle cose serie. A nessuna cosa che vada presa sul serio. Quindi devi essere paziente, con lui.”

Paziente?” sibilò lei “Vuoi davvero che ti venga a raccontare tutto quello che è successo negli ultimi, che so, quindici anni?”

Lo so. Ma è fatto così, e lo sai meglio di me. Il discorso da comandante, invece,” fece un respiro profondo “E' che non ci possiamo permettere delle discordie tra di noi. Soprattutto non tra te e Kert. Tecnicamente parlando, siete i più forti che ho.”

Sunao sorrise sarcastica: “E' una fortuna allora che io non faccia parte né dell'Esercito né della tua missione, quindi tecnicamente non mi potresti dare ordini.”

Rui scosse la testa, ridendo: “Vedi, siete uguali, sempre a sminuire la mia autorità.”

Risero entrambi, poi il minore dei fratelli Tha si alzò e le tese la mano, aiutandola ad alzarsi.


***


Sei proprio sicuro che devi andare? Tra due giorni torniamo a casa!”

Ryan guardò Strawberry oltre al bordo della valigietta in cui stava riponendo il computer: “Te l'ho già spiegato, Straw, devo analizzare questi campioni al più presto e i macchinari che mi servono sono a Tokyo. In più devo incontrare dei nuovi fornitori per il Caffè, e il Consiglio d'Amministrazione di una delle aziende ha bisogno di un parere. Quindi sì, devo andare.”

Uffa.” la rossa incrociò le braccia al petto e fece il broncio.

Lui rise, scompigliandole i capelli: “Mi accompagni alla macchina?”

Chiamami stasera!” gli intimò poco dopo, sporgendosi dentro all'abitacolo dell'auto.

As usual, sweetheart.” replicò l'americano, prima di darle un bacio.


Strawberry ripensò alla conversazione di quella mattina, l'alba per lei, e fissò di nuovo il grande orologio tondo appeso in cucina, poi il suo cellulare. Erano ormai le dieci e mezza della sera, e Ryan non aveva ancora chiamato.

Magari è ancora in riunione,” provò a consolarla Kyle “Hai provato tu a sentirlo?”

Lei annuì: “E' sempre staccato, però.”

Il moro le mise davanti una coppetta di macedonia con un po' di gelato alla crema: “Sono sicuro che non c'è niente di cui preoccuparsi, lo sai com'è fatto. Ha sempre tantissime cose per la testa.”

-Sì, ma non si dimentica mai di chiamarmi...- pensò la Mew rosa.

Affondò il cucchiaino nella pallina gelida, e guardò fuori dalla grande finestra.

Non sapeva se il freddo che provava nello stomaco era colpa del gelato o di un bruttissimo presentimento.




TAN TAN TAAAAAAAAAAAN :D ahahah Ecco a voi la vostra tanto amata vena sadica della suddetta autrice, che vi ringrazia davvero tanto per il supporto che le dimostrate.

Aggiornamento velocissimo, capitolo come al solito scritto quasi tutt'oggi, che vi lascerà con il fiato sospeso perchè non ho idea di quando potrò scrivere il prossimo. Invoco il vostro perdono!

Scappo perché sono di super fretta e sono, of course, in ritardo! A prestissimo, la vostra

Hypnotic Poison

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Capitolo 26
*** Temple of Doom ***


Temple of Doom




Strawberry chiamò per l'ennesima volta il cellulare di Ryan; per l'ennesima volta, le fu risposto che il numero era irraggiungibile.

Ricacciò il groppo che le si stava formando in gola, voltandosi verso Kyle: “E' sempre staccato. È via da 24 ore, Kyle, non dirmi che non sei preoccupato perché non ci credo.”

Il moro prese un sorso del suo caffè; praticamente lui e la rossa non avevano dormito tutta notte: “Prova a chiamare a casa.”

Va sempre in segreteria!” esclamò lei “Nina non arriverà prima delle nove e mezza, e io non resisto fino alle nove e mezza. Qualcosa non va, e lo sai anche tu.”

L'uomo si passò una mano sugli occhi. Non era da Ryan sparire così; ormai aveva trovato mille scuse per ciò che stava accadendo, ed ogni teoria era stata smentita in poche battute.

Okay,” sospirò “Allora forse è meglio tornare a Tokyo. Io vado a svegliare Pie, io e lui riporteremo un po' di attrezzature a casa. Tu preparati con gli altri e anticipaci al Caffè, ci incontriamo lì.”

La rossa annuì e corse su per le scale, facendo i gradini a due a due; entrò come un fulmine nella camera che condivideva con le altre Mew Mew, spalancando le tende di colpo.

Ragazze, svegliatevi, dobbiamo andare!” esclamò, scuotendo Mina per una spalla.

Ci stanno attaccando?” mugugnò confusa Paddy, sfregandosi un occhio con un pugno.

No, ma Ryan è sparito, sono ventiquattr'ore che non lo sentiamo,” rispose lei “Mina, alzati!”

La ballerina nascose la testa sotto il cuscino: “Chiama la polizia, no?”

Strawberry si bloccò. In effetti non ci aveva pensato. Kyle, d'altro canto, non l'aveva proposto, e lui sapeva sempre cosa fare.

La polizia ci metterebbe molto più tempo di quello che serve a noi,” Pam si alzò svelta, avvicinandosi alla sua valigia e prendendone fuori un paio di jeans “Forza, in piedi.”
Al richiamo del suo idolo, Mina si tolse le coperte con uno sbuffo, ma non aggiunse un'altra parola. Strawberry incrociò lo sguardo della Mew viola, mimando un
grazie con le labbra a cui l'altra rispose con un sorriso.

Si sentì toccare la spalla, e voltandosi si trovò Lory che le sorrideva e le allungava un vestito: “Non puoi certo tornare a casa in pigiama, Strawberry.”

La rossa annuì; aveva la gola così secca e stretta da non riuscire a parlare. Si stava muovendo come un automa, recuperando le sue cose in fretta ed infilandole senza cura nella valigia. Lei sapeva che qualcosa non andava.

Furono pronte in meno tempo di quanto ci avessero mai messo, e scesero al primo piano con urgenza, sorprese di trovare anche gli alieni di Gaia già pronti.

Kyle ci ha spiegato tutto,” chiarificò Espera “Abbiamo dei monitor, nella base, che ci possono dire dove potrebbe essere andato Ryan.”

Kert alzò gli occhi al cielo, piegandosi appena per sussurrare all'orecchio di Pharart: “E certo, raccontiamo pure tutti i nostri trucchi.”

Grazie, ma anche noi siamo ben adeguati,” Kyle sorrise “Ci dirigeremo al Caffè, per adesso.”

Noi torniamo alla nostra base, allora,” Rui annuì. Sapeva che non era momento d'essere d'impiccio “Se avete bisogno, sapete come contattarci.”

Si teletrasportarono in silenzio, subito l'americano riprese la parola: “Quiche, Tart, andate con le ragazze al Caffè. Io e Pie vi raggiungeremo con la macchina e gli strumenti.”

Possiamo prima passare da casa mia?” Strawberry dovette schiarirsi la gola due volte per far uscire almeno un filo di voce “Voglio controllare se c'è qualcosa fuori posto.”

Quiche le tese la mano con un sorriso: “Andiamo.”

Nel tempo di un battito di ciglia, si ritrovarono nell'ingresso di Villa Shirogane.

Strawberry salì a rotta di collo le scale in direzione della loro camera da letto, sperando con tutto il cuore che Ryan fosse lì, addormentato ed ancora esausto per tutta la fatica a cui si sottoponeva, con il cellulare senza batteria.

L'avrebbe sgridato, probabilmente gli avrebbe anche tirato due o tre ceffoni, e perché no, magari anche un pugno sul petto, e poi l'avrebbe abbracciato e gli avrebbe dato dell'idiota e dell'insensibile, ma l'avrebbe tenuto così stretto che nessuno dei sarebbe riuscito a respirare.

Bastava solo che lui fosse dietro quella porta.

Stese le dita, aggrappandosi alla maniglia e abbassandola con una tale furia che quasi si staccò, capitombolando all'interno della stanza. La luce del mattino brillava forte dalle grandi finestre... e tutto era in perfetto ordine, come se nessuno ci fosse mai entrato.

Si dovette sostenere contro lo stipite, mentre le ginocchia le tremavano impazzite e gli occhi bruciavano salati.

L'unico elemento di conforto era la valigia di Ryan, accuratamente riposta in un angolo ai piedi del letto e svuotata.

Si lasciò cadere sul materasso, osservandosi le punte dei piedi. -E' passato da casa,- pensò -Ma quando?-

Strawberry?”

Si voltò verso Paddy, che l'aspettava sull'uscio, senza proferire parola.

Abbiamo controllato dappertutto,” le spiegò la Mew gialla “E' tutto in ordine, non c'è segno di scasso o niente di che.”

La rossa annuì: “E' venuto qui, però. C'è la sua valigia.”

Vuoi andare al Caffè ora?”

Sì, andiamo.” Strawberry si alzò svogliatamente, accettando la mano dell'amica.

Ancora una volta, grazie a Quiche e Tart raggiunsero velocemente il locale, atterrando dolcemente sulla fresca erba del giardino.

Pam storse il naso, i sensi del lupo all'erta. Sembrava tutto tranquillo, molto tranquillo.

Allora perché la porta d'ingresso sembrava socchiusa?

Il gemito strozzato che provenne dalla gola di Strawberry le confermò che anche lei aveva colto il medesimo particolare.

Si lanciarono tutti dietro la rossa in corsa, la quale spalancò la grande porta di legno facendola cigolare pesantemente. Ciò che li accolse fece trattenere il fiato a tutti.

Il Caffè era stato completamente ribaltato; sedie e tavoli giacevano alla rinfusa per terra, le gambe all'aria; in cucina, le padelle erano cadute tutte per terra, ed il tavolo di metallo su cui Kyle lavorava era addossato contro il forno. Una colonna nella sala principale era annerita.

Quiche le si avvicinò, toccandola con prudenza. Riconosceva il risultato, ma non aveva la forza di dirne la ragione ad alta voce.

Cos'è successo?” mormorò Lory, guardandosi attorno spaventata.

Non sono stati dei ladri, i soldi sono ancora tutti nella cassa.” esclamò Pam. Poi si piegò, raccogliendo qualcosa da sotto il bancone. “E' il cellulare di Ryan, è spento.”

La testa di Strawberry girò così forte che quasi le mancarono i sensi e fu costretta ad appoggiarsi a Mina.

La Mew Blu la fece sedere lentamente per terra, spingendole la testa tra le gambe e accarezzandole la schiena: “Respira, Straw. Non perdiamo la testa, cerchiamo di ragionare.”

E' stato lui!” la voce della rossa venne fuori a singhiozzi mentre calde lacrime sgorgavano prepotenti “E' stato lui, ne sono sicura!”

V-vuoi dire Profondo Blu?” domandò la Mew Verde.

Sì.” si voltarono tutti verso Quiche, ancora intento a studiare la colonna “Questa è una bruciatura data da un suo attacco.”

Quiche, maledizione, un po' di tatto!” sibilò Mina, mentre i singulti di Strawberry aumentavano di numero e volume.

Pam raggiunse le due, inginocchiandosi così da essere al loro stesso livello: “Strawberry, ascoltami.” prese le mani della rossa e la costrinse dolcemente a darle attenzione “So che è difficile, ma devi calmarti. Solo tu puoi dirci dove potrebbero essere. Solo se manteniamo la calma potremmo andarci a riprendere Ryan. D'accordo?”

Lei annuì, boccheggiando per respirare mentre i singhiozzi continuavano a bloccarle i polmoni. La Mew lupo sorrise, scompigliandole la frangetta nello stesso identico modo dell'americano, poi si rialzò, piantando le mani sui fianchi. “Abbiamo bisogno di un piano, e ne abbiamo bisogno in fretta. Non sappiamo né dove sia Ryan, né da quanto tempo è prigioniero di Profondo Blu. Il tempo è nostro nemico.”

Dovremmo chiamare Rui e gli altri,” l'esclamazione di Mina colse un po' tutti di sorpresa, ma lei fece finta di nulla “Siamo già a corto di Pie, e sappiamo benissimo che non riusciremmo a sconfiggerlo da soli. E poi siamo alleati, o sbaglio?”

Mina ha ragione!” confermò Paddy con enfasi “Anche con Pie saremmo in svantaggio.”

Io chiamo Kyle, intanto,” aggiunse Lory “Lo informo della situazione e gli dico di sbrigarsi.”

Fratellone, sei sicuro che sia opera di Profondo Blu?” domandò incerto Tart.

Quiche batté la mano sulla colonna: “Ho visto abbastanza attacchi come questo per poterne essere certo. Vieni a vedere tu stesso.”

Pam fece un respiro profondo, lanciando un'occhiata intorno a sé prima di chiamare: “Rui!”

Ci volle qualche istante perché l'alieno dai capelli blu apparisse davanti a loro, una smorfia preoccupata in viso.

Cos'è successo qui?” domandò dopo essersi guardato intorno.

Crediamo che Profondo Blu abbia rapito Ryan,” gli spiegò la Mew viola “Se dobbiamo attaccarlo, non possiamo farlo da sole.”

Lui si passò una mano tra i capelli: “Nessun indizio su dove potrebbero essere?”

Non abbiamo ancora iniziato le ricerche. Come puoi vedere, non siamo in ottime condizioni.”

Si soffermarono brevemente su Strawberry, ancora seduta sul pavimento con Mina al suo fianco che continuava a parlarle e accarezzarle la schiena.

Farò venire Espera qui, sarà d'aiuto,” Rui parlò a voce bassa “Dirò a Zaur di controllare sui nostri apparecchi se riesce a trovare qualcosa. Datemi dieci minuti.”

Poco dopo che se ne fu andato, la sua compagna apparve al posto suo, le guance che impallidirono vistosamente non appena mise piede nel Caffè.

Sorrise a Mina: “Ci penso io, non preoccuparti.” sussurrò, prendendo una mano di Strawberry.

La Mew Blu annuì, stringendosi il petto con le braccia. Faceva caldo, eppure il Caffè era terribilmente freddo.

Non ci voleva,” mormorò così che solo Pam la sentisse “Quel bastardo sa benissimo quali sono le nostre debolezze.”

Non capisco come facesse a sapere che Ryan sarebbe tornato al Caffè,” replicò la Mew Viola “Mi sembra impossibile che sia accaduto tutto per caso.”

Mina sgranò gli occhi: “Vuoi dire che Profondo Blu ci stava spiando?”

L'amica si strinse nelle spalle: “Avrebbe potuto attaccarci quando eravamo tutti insieme a casa di Ryan, sarebbe stata l'occasione perfetta. Invece ha aspettato il momento esatto in cui soltanto uno di noi era da solo e lontano per colpire, sapendo benissimo che effetto avrebbe provocato.”

Lory uscì di corsa dalla cucina, il cellulare ancora all'orecchio: “Pie e Kyle non saranno qui prima di un'ora, sono bloccati nel traffico.”

Pam si scostò la frangetta dagli occhi. Non era certa che avessero un'ora di tempo.

Il lieve rumore del teletrasporto le avvisò che Rui era tornato, accompagnato da Pharart e Zaur.

I nostri rilevatori non mostrano niente,” spiegò quest'ultimo, con un po' più di flemma del solito “Non c'è nessun campo di energia, da nessuna parte della città.”

Questo vuol dire che Profondo Blu non è qui?” chiese Quiche, avvicinandosi a loro.

O che si sta nascondendo per farci pensare che non sia qui.” continuò Pam.

E se fosse a casa sua? Di Mark, voglio dire.” tentò Paddy.

Rui scosse la testa: “Kert e Sunao sono là a controllare, se avessero trovato qualcosa ci avrebbero già avvertito.”

Pharart fece un passo avanti: “Sentite, se ho capito bene, la vostra leader ha avuto una storia con questo tizio umano, giusto?” disse a bassa voce “Lei forse potrebbe dirci dov'è.”

Lory annuì: “Sì, Strawberry è la nostra unica speranza.”

Prima che potessero aggiungere altro, gli ultimi due componenti della squadra di Gaia fecero la loro comparsa in mezzo a loro.

Settore pulito,” esclamò Kert “Sembra che quella casa sia stata chiusa per giorni, non potete immaginare la puzza che c'era.”

Ascolta, Strawberry,” Pam ritornò di nuovo ad inginocchiarsi davanti all'amica, che appariva molto più calma con Espera accanto a lei “Ora devi pensare a dove potrebbero essere. Tu conoscevi Mark, sapevi come ragionava. I nostri computer non riescono a localizzarlo.”

D'accordo,” con una nuova scintilla di tenacia negli occhi, la rossa si alzò, spolverandosi il vestito, e cominciò a passeggiare per il Caffè.

Avete detto che casa di Mark era vuota, giusto?” quando gli altri annuirono, lei riprese, contando sulle dita “E qui al Caffè ovviamente no. Se Profondo Blu sta davvero tenendo Ryan prigioniero, ha bisogno di un posto nascosto, dove la gente non li può vedere.”

Stai parlando di mezza Tokyo!” sbuffò Tart, beccandosi un'occhiataccia da Paddy.

Ma la Mew gatto scosse la testa: “No, non può essere un luogo scelto a caso. Questo non è stato fatto per caso, Mark è sempre stata una persona molto razionale. Ci dev'essere un significato.”

Mina si accigliò: “Non vorrai dire che dopo tutti questi anni, Profondo Blu si sta prendendo una rivincita personale per gelosia?”

Per quale altro motivo avrebbe rapito il capo?” le rispose Paddy, che per smorzare la tensione stava in equilibrio su una sedia su un piolo solo. “Avrebbe guadagnato molto di più a rapire una di noi.”

Strawberry bloccò all'improvviso il suo passo, alzando la testa: “Il vecchio tempo sul fiume!” esclamò.

Lory aggrottò la fronte: “Vuoi dire quello qui nel parco?”

Sì! È un paio di anni che è stato chiuso in attesa della ristrutturazione, vero?”

Mina annuì: “Sì, non sono ancora riusciti a trovare i fondi necessari però.”

La rossa strinse i pugni: “E' il posto perfetto. È completamente chiuso da una staccionata così alta che non si riesce a vederne oltre, non ci passa mai nessuno perché è in un luogo un po' isolato del parco, nessuno saprebbe che lì si sta nascondendo qualcuno!”

Come fai a essere sicura che siano lì?” le chiese scettico Quiche.

La rossa si morse il labbro inferiore: “E' l'unico luogo adatto che possa avere un significato per Mark. È l'ultimo posto dove ci siamo visti prima di lasciarci.”

Fermi, fermi.” Sunao si fece avanti, alquanto incredula di tutto ciò che aveva sentito “E' di Profondo Blu che stiamo parlando, non di qualche semplice umano sociopatico. Siete sicure che non sia un po' una forzatura?”

Dentro Profondo Blu c'è comunque Mark,” Lory si aggiustò nervosamente gli occhiali “E' l'unica teoria che abbiamo.”

L'aliena sospirò: “Cerchiamo di stare in guardia. Non siamo ancora abbastanza forti per combatterlo. Da che parte dobbiamo andare?”

Strawberry sorrise, prendendo il medaglione Mew Mew dalla tasca: “Trasformiamoci, ragazze!”

Il locale si riempì di luci colorate, svelando poco dopo le cinque combattenti.

Andiamo a prendere a calci Profondo Blu!” esclamò con un grido eccitato MewPaddy.

Si misero tutti a correre lungo il sentiero del parco, ancora poco affollato, con MewBerry in testa, che cercava di ricordare la strada più breve per arrivare al vecchio tempio.

Sperava davvero che la sua supposizione fosse esatta; altrimenti, non avrebbe assolutamente saputo dove sbattere la testa.

Un'alta recinzione di legno si stagliò di fronte a loro, oltre la quale si potevano soltanto scorgere le fronde degli alberi più alti.

Brrr. Inquietante.” commentò Tart “Ora capisco perché non viene mai nessuno da queste parti.”

Forza, scavalchiamo.”

MewBerry, MewPam e MewPaddy spiccarono un salto, mentre MewMina e gli alieni volarono graziosamente al di sopra della staccionata, portando MewLory con loro, ed atterrarono in mezzo ad una fitta vegetazione.

Pharart, ci pensi tu?” domandò Kert, tagliando con un pugnale alcuni dei rami più sottili; camminare lì era praticamente impossibile.

L'alieno biondo annuì, e con un gesto della mano iniziò a far ritirare lentamente le piante, piegando i rami stando attento a non spezzarli.

Fai piano,” sussurrò Sunao mentre si inoltravano a piccoli passi nel bosco “Non dobbiamo attirare l'attenzione.”

Seguirono il vecchio sentiero ormai in disuso, le orecchie tese verso il rumore dell'acqua scorrevole che sentivano davanti a loro. La Messaggera arricciò il naso, il bastone già pronto nella sua mano: non avvertiva assolutamente nulla che le desse la conferma di una presenza, aliena o umana, in quel luogo.

Ecco, ci siamo,” bisbigliò MewBerry, indicando la vecchia costruzione in legno che si ergeva a pochi metri da loro, sopra un isolotto artificiale ricoperto di erba e muschio “Devono essere lì dentro.”

Le Mew Mew evocarono le loro armi e il gruppo riprese il cammino, cercando di fare il meno rumore possibile.

Attraversarono il fiume saltellando sui grandi massi che spuntavano dall'acqua, e si ammassarono contro la porta di ingresso del tempio, sbarrata da due assi incrociate.

Non è stata aperta,” sibilò MewMina “Forse c'è un'entrata sul retro?”

La rossa scosse la testa: “Non che io sappia.”

Strinse gli occhi, cercando di scorgere qualcosa all'interno della costruzione, ma era troppo buio persino per i suoi occhi felini.

C'è un'altra porta là in fondo,” evidentemente, Sunao aveva occhi migliori dei suoi “C'è un filo di luce che filtra da sotto. Questa è solo una specie di anticamera.”

Buttiamo giù questa porta, allora!” esclamò Kert, già pronto ad utilizzare Maciste, ma Rui lo fermò: “Faremmo troppo rumore e verremmo scoperti!”

MewPaddy e Tart si allontanarono verso il lato del tempio, constatando che anche le finestre erano state sbarrate. Gli occhi dell'alieno si illuminarono all'improvviso: “E se fosse entrato da sopra?!”

Si alzò in volo quanto bastasse per osservare il tetto, notando con piacere che in effetti c'era uno squarcio abbastanza largo per farci passare un uomo adulto.

Ragazzi! Ehi!” attirò l'attenzione degli altri sbracciandosi così da non urlare, poi indicò frenetico il buco “Da qua!”

Svolazzò di sotto per poter prendere MewPaddy in braccio; Quiche sollevò MewBerry, Pharart una MewLory ormai cianotica dall'imbarazzo, e Rui aiutò MewPam.

Entriamo?” mormorò Espera, occhieggiando con timore il varco. La luce vi filtrava, illuminando soltanto un piccolo spazio del tempio, permettendo loro di vedere il pavimento di legno di bambù. Sunao si mosse per prima, abituata a situazioni come quella eppure a disagio, seguita da vicino da Kert.

Si calarono nel buco, atterrando tra nuvole di polvere che pizzicarono gola e naso, ma tutti cercarono di non tossire per non rompere il silenzio, quasi sacro, che padroneggiava.

Non ricordavo che fosse così grande,” la voce di MewBerry era poco meno di un sussurro “Guardate, c'è un corridoio là a sinistra!”

Rui sfoderò la sua spada, portandosi davanti ad Espera: “Andiamo.”

Percorsero il corridoio, la schiena attaccata contro il muro e i sensi pronti a cogliere qualsiasi movimento.

All'improvviso, la terra sotto i loro piedi cominciò a tremare con violenza, ed il pavimento si aprì; con un urlo, crollarono tutti al piano inferiore, il luogo vietato ai turisti del tempio, tra schegge ed assi di legno. Una risata macabra rimbombò nel buio.

Ma guarda, guarda, siete caduti dritti nella mia trappola. Siete così prevedibili che non è divertente giocare con voi.”

I tredici si alzarono in piedi, cercando di capire da dove provenisse.

Fatti vedere, Profondo Blu!” gridò Kert “Sei un po' troppo grande per giocare a nascondino!”

Una fortissima luce si sprigionò di scatto, così potente che si coprirono tutti il volto con le mani; quando si placò abbastanza per permettere loro di vedere, MewBerry dovette reprimere un grido.

Profondo Blu era davanti a loro, in fondo ad un'immensa sala, i lunghi capelli neri che fluttuavano nell'aria insieme a lui; dietro, avvolto in quella che sembrava una bolla d'energia, c'era Ryan, privo di sensi.

Cosa c'è, MewBerry, sei preoccupata?” le domandò l'alieno con tono canzonatorio “Oh, non ti agitare, io e il tuo caro maritino ci siamo divertiti un po'.”

La Mew gatto ricacciò indietro le lacrime, ringhiando: “Maledetto, lascialo andare!”

Profondo Blu rise di nuovo: “Non hai detto per favore!”

Espera si aggrappò al braccio di Rui: “Guardagli gli occhi! Ne ha uno azzurro e uno marrone, vuol dire che l'anima del ragazzo è ancora dentro di lui!”
“E' una buona cosa, no? È così che siamo riusciti a sconfiggerlo la prima volta, lo spirito di Mark ci ha aiutati!” domandò MewPaddy, vicina a loro.

Ma l'aliena mora scosse la testa: “No. Avevate ragione. Mark è spinto da una furia cieca alimentata dalla gelosia. Sento che lui vuole esattamente tutto questo. Ecco perché Profondo Blu è così forte questa volta: non sono due anime che si stanno combattendo, ma stanno collaborando!”

Ragazzo umano o no, io mi sono stancato.” Kert caricò Maciste, dopo un cenno d'assenso di Rui, e lo puntò dritto al cuore dell'alieno di fronte a loro.

Sparò, sicuro di aver fatto centro; ma il colpo rimbalzò contro una barriera invisibile, costringendoli a lanciarsi a terra e scontrandosi contro una parete in un'ennesima esplosione di legno e calce.

E' protetto da un campo di energia!” gridò MewLory.

Però, siete perspicaci!” ribatté il loro nemico “E' così triste dovervi eliminare subito!”

Stendendo pigramente due dita, lanciò contro di loro una scarica di energia.

Pudding Ring Inferno!” l'attacco di MewPurin assorbì all'ultimo istante quello di Profondo Blu, facendo sorridere contenta la ragazza. Tutti le ore passate a perfezionare la tecnica erano servite, allora!

Dobbiamo cercare di avvicinarci,” Sunao si rivolse a Rui e Zaur “Non ha senso lanciargli attacchi da lontano che lui può parare.”

Il Comandante si voltò verso MewPam: “Riuscite a distrarlo mentre noi proviamo ad avvicinarlo e combatterlo corpo a corpo?”

La Mew viola annuì, correndo ad informare le altre del piano.

MewMina incoccò una freccia: “Ribbon Minto Echo!”

Il colpo si infranse nuovamente contro la barriera, ma le Mew Mew cominciarono un ritmo serrato d'attacchi.

Pharart tentò di spingere alcune radici fino a Profondo Blu, ma anche queste furono bloccate, scatenando una malvagia ilarità nell'alieno dagli occhi bicolori: “Siete talmente dolci, cercate di sconfiggermi, ma non ci riuscirete mai!”

Senza neanche guardare, un altro gesto della mano catapultò gli alieni di Gaia all'indietro, rendendo vano il loro tentativo di avvicinarsi.

MewBerry si piegò sulle ginocchia per cercare di riprendere fiato, senza mai staccare gli occhi da Ryan, che ancora non dava segno di ripresa. Si asciugò il sudore dalla fronte, e cercò MewLory.

Devi provare a lanciare un attacco leggero verso Ryan, per svegliarlo in qualche modo,” le disse “Magari lui non è avvolto da uno scudo.”

La Mew verde si morse il labbro: “Ne sei sicura?”

Lei annuì con un sorriso: “Un po' d'acqua non gli farà male!”

In effetti, lo scossone che il Ribbon Lettuce Rush provocò alla “bolla” di Ryan riuscì a svegliarlo. Il ragazzo si mise in ginocchio, tenendosi la testa. Quando sentì MewBerry chiamare il suo nome, si voltò di scatto, un'espressione di terrore sul viso.

Strawberry!” gridò, battendo contro la parete azzurrina della sua trappola “Ragazze!”
“To', il principino si è svegliato,” commentò Profondo Blu “Ora potrò torturarlo ancora un po', proprio qui davanti a voi, che ne dite?”
“NO!” MewBerry corse in avanti, parandosi davanti all'alieno “Perché gli stai facendo questo?!”

Perché tu avresti dovuto essere mia!” l'urlo dell'alieno fece tremare l'intero tempio, mentre dal suo corpo scaturiva un'energia così potente che spostò tutti indietro di qualche centimetro, investendoli come una raffica di vento. Quando la Mew rosa ritornò a guardarlo, vide che entrambi gli occhi erano tornati marroni. “E invece mi hai lasciato così, dopo tre anni, senza un briciolo di spiegazione decente, perchè non mi amavi, per poi farti mettere incinta da... da lui!” boccheggiò ancora Mark con disgusto.

Allora prenditela con me!” gridò la rossa “Ma lascia stare Ryan! Lascia stare le mie amiche!”
“Strawberry non fare idiozie!” implorò di rimando il biondo.

Ma Mark scosse la testa, ridacchiando: “E dov'è sarebbe altrimenti il divertimento?”

Il suo colpo fu così veloce che MewBerry riuscì a evitarlo solo di striscio, capitombolando a terra e sfregandosi il ginocchio, facendolo sanguinare.

Le altre quattro Mew Mew corsero attorno a lei, pronte a proteggerla, mentre gli alieni si preparavano di nuovo a colpire.

Eppure ti facevo meglio di così, Profondo Blu,” commentò all'improvviso Sunao, un filo di sarcasmo nella voce “Tutto questo per una donna?”

L'alieno si voltò verso di lei, assottigliando gli occhi di nuovo di due colori diversi: “Sì, io so chi sei.” sibilò “Tu hai lo stesso sangue di quelli che mi hanno cacciato da Gaia, non è vero? Avverto la loro puzza.”

La Messaggera rimase interdetta, e le labbra del moro si stirarono in un ghigno che scoprì i canini: “Io so tante cose di te, Sunamora. Cose che scommetto vorresti sapere anche tu. Cose su tuo padre.”

All'improvviso, un fortissimo dolore la colse alla testa, costringendola a cadere in ginocchio. Varie immagini cominciarono a scorrerle davanti agli occhi.

Immagini di pioggia, di figure incappucciate, di un paio di braccia che la tenevano stretta.

Strinse le palpebre, ringhiando: “Non cedo ai tuoi trucchi,” sibilò, scuotendo il capo per cercare di fermare quel dolore.

La risata dell'alieno le giunse da lontano, mentre vedeva a malapena Kert che si parava davanti a lei. Avvertì Espera cadere di fianco a lei, avvolgerle un braccio attorno alle spalle e dirle parole che non riusciva a comprendere, perché il fischio che le rimbombava nelle orecchie copriva tutto.

Kert mirò al soffitto, che crollò sopra Profondo Blu, distraendolo per un istante.

MewBerry e MewMina ne approfittarono per lanciare i loro colpi, mentre MewPam lanciava la sua frusta verso Ryan, arrotolandogliela alla caviglia e strattonandolo verso di sé.

Profondo Blu ringhiò, evitando per un soffio la freccia della Mewbird, che gli tagliò la guancia.

Pharart, Zaur e Quiche tornarono all'attacco, avvicinandosi il più possibile all'alieno e tentando di colpirlo, ma ancora una volta furono scansati all'indietro.

MALEDETTI!” gridò lui, notando Ryan che veniva trascinato al sicuro da Tart e MewPaddy e MewBerry che correva verso di lui. Un ringhio gutturale salì dalla sua gola mentre racchiudeva le dita intorno ad una sfera di energia, pronto a colpire la Mew rosa.

MewBerry, attenta!” gridò MewMina, mirando al polso dell'alieno per tentare di fermarlo.

Poi, qualcosa di incredibile accadde.

Mentre Profondo Blu si preparava a lanciare la sfera, i suoi occhi cambiarono nuovamente colore, il viso si trasformò in quello di Mark, che gridò: “NO!”

In quel frammento di secondo, MewPam e Pharart ne approfittarono per lanciare un attacco combinato: la frusta della Mew Mew si avvolse attorno al braccio dell'alieno, trascinandolo al suolo, mentre la freccia del biondo si conficcava nella sua spalla.

Sfracellandosi sul pavimento, riacquistò le sembianze di Profondo Blu: “Non finisce qui!” gridò, prima di smaterializzarsi.

Se n'è andato!” esalò MewLory, accasciandosi per terra e riacquistando la forma umana.

Mewberry si lanciò al collo di Ryan, appoggiato al muro del tempio.

Ouch!” gemette quando il dolce peso della ragazza si riversò su di lui “Fai piano, temo di avere qualche costola incrinata e il polso slogato.”

Sei un cretino!” gli gridò lei all'orecchio, il viso nascosto nel suo collo, appena bagnato di lacrime “Mi hai fatto morire di paura!”

Non pensare che mi sia divertito ad essere massacrato dal tuo pazzoide di un ex!” rimbeccò lui di rimando, stringendola più forte “Te l'ho sempre detto che non mi era mai piaciuto.”

Quiche ripose i suoi tridenti, passando un braccio attorno alle spalle di Mina: “Usciamo da qui, che ne dite?”

Tutti mormorarono d'assenso; Sunao, però, era ancora a terra, raggomitolata su se stessa, il viso appoggiato sulle braccia e il corpo scosso da brividi.

Profondo Blu ha usato i suoi poteri contro di lei,” spiegò Espera, pallida in viso per tutte quelle emozioni che la investivano allo stesso momento “E' entrato nella sua testa e le ha provocato dolore.”

Sunao sibilò qualcosa, che i terrestri non capirono ma che fece sorridere Kert: “Sono parolacce che non vi ripeterò,” rispose alla muta domanda dei loro compagni. Si piegò e la prese in braccio, ignorando il suo mugolio di dissenso. “Andiamocene, forza.”

Risalirono così com'erano entrati, trasportando i due feriti con cura.

Ce la fai a camminare?” domandò Strawberry preoccupata, sostenendo Ryan che si appoggiava alle sue spalle.

Lui annuì: “Sì, ma mi sa che devo vedere un dottore.”

Quiche lo addocchiò: “Cerca di non svenire almeno finché non siamo fuori di qua, biondino.”

Ragazze! Ragazze! Siete lì?!” la voce di Kyle li raggiunse dall'altra parte della staccionata.

Kyle, siamo qua!” strillò Paddy di rimando “Abbiamo salvato Ryan!”

State lontani!” con ben poca grazia, Pie aprì un buco nella recinzione, così che fosse più facile il passaggio, balzando poi in avanti per stringere Pam tra le braccia, in una manifestazione d'affetto che nessuno si sarebbe aspettato.

Kyle si affrettò a controllare il suo migliore amico, dandogli una pacca sulla spalla: “Mi farai venire un infarto un giorno o l'altro.”

Ryan sorrise un po' a fatica, mettendo ancora più peso su Strawberry, le cui ginocchia stavano per cedere. Tart intervenne, sostenendolo dall'altra parte: “Forza, è meglio portarti all'ospedale.”

Una clinica,” sussurrò il biondo “Una di quelle di cui sono finanziatore, faranno meno domande.”

Pam e Pie si voltarono verso gli alieni, la ragazza con un abbozzo di sorriso: “Grazie per il vostro aiuto. Non ce l'avremmo fatta senza di voi.”

Rui ricambiò con un sorriso: “Lo stesso vale per voi. Direi che una valutazione sia necessaria domani, che dite?”

Pie annuì: “Domani sera, al Caffè. Ora è tempo che si riposino tutti.”

Si salutarono con un cenno, e gli alieni di Gaia si teletrasportarono nella loro base.

Cielo, che mattinata!” esalò Pharart, lasciandosi cadere sul divano “Voglio chiedere un aumento di paga al Consiglio, non ci avevano mai preparato a qualcosa del genere.”

Espera rise, avvicinandosi a Sunao, seduta su un altro divano. “Scotti.” le disse, toccandole la fronte.

Hai qualche tuo intruglio miracoloso, Seles?” le domandò Kert.

La mora si morse il labbro: “Forse posso provare qualcosa.”

Qualunque cosa,” borbottò Sunao, stringendosi la testa tra le mani “Sta per scoppiare.”

Fatti un bagno freddo per abbassare un po' la temperatura, io torno subito.”

Circa venti minuti dopo, la Messaggera era arrotolata tra le coperte, una tazza di qualcosa di verde e fumante tra le mani.

Ha uno strano odore, ma è buono.” mormorò, prendendone un sorso.

L'amica sorrise: “Non so quanto possa funzionare; di solito lo preparo come rimedio alle influenze, e invece tu...”

Io ho avuto un bastardo che si è intrufolato nella mia mente e ha provocato così tanto stress da farmi salire la febbre alle stelle.” terminò la viola con ironia “Non mi era mai capitato prima. Ora capisco perché il Consiglio l'ha allontanato.”

Senti...” Espera esitò “Riguardo quello che ha detto...”

Sunao si irrigidì, mentre l'ennesimo brivido la faceva tremare così forte da versarsi un po' di liquido sulle dita. “Sono stanca, Espera,” rispose secca “Ti dispiace?”

L'altra sorrise: “D'accordo. Chiamaci, se hai bisogno.”

La Messaggera si stese nel letto, raggomitolandosi per tentare di fermare quell'assurdo tremore.

Si sentiva una sciocca, ed estremamente vulnerabile. Profondo Blu l'aveva colpita proprio nel suo punto più forte. Come faceva a sapere chi era? Come aveva fatto a trovare quei ricordi nella sua mente?

Incapace di dormire, si arrovellò il cervello per quelle che le parvero ore, mentre la testa continuava a dolerle; il fischio che aveva sentito nel tempio era scomparso, ma l'aveva lasciata rintontita.

Si era ormai fatto il tramonto quando la porta si aprì. Sapendo benissimo chi fosse, rimase zitta e ferma. Non aveva voglia di intavolare una conversazione.

Con sua grande sorpresa, però, Kert stesso si infilò sotto le coperte, passando un braccio attorno alla sua vita e spingendola contro il suo corpo, avvolgendola con il suo calore.


***


La casa era avvolta dal buio, le finestre chiuse e le tende tirate.

Il minimo spiraglio di luce gli dava fastidio.

-Sei stato un'idiota!- gridò, mentre la figura al centro della stanza cadeva a terra -E' per colpa tua se sono scappate!-

No,” singhiozzò il ragazzo “Io volevo solo...”

-Il tuo stupido amore per quella ragazzina, ecco cosa ti ha sempre ostacolato! Ma adesso sono stanco!-

Mark scosse la testa: “No, per favore, no...”

-Può esserci solo uno di noi.-

Aoyama urlò così forte che pensò che i polmoni stessero per scoppiargli, mentre una forte luce azzurrina avvolgeva il suo corpo.

Poi, tutto finì.

Quando si rialzò in piedi, si diresse allo specchio.

Nel riflesso c'era soltanto un paio di occhi azzurri.








Buonaseeeeeeeeeeera :D Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; è stato un po' difficile immaginarmi la dinamica della battaglia – era da un po' che non ne scrivevo, e c'era davvero tanta gente da far combattere O.O

Come vedete, è andato tutto più o meno bene... prometto che qualsiasi interrogativo verrà risolto, ma come al solito ci sono sempre i commenti ;)

Ah! Vi avviso che, se ho fatto i conti giusti, Mele TERMINERA' al TRENTESIMO capitolo :) Un po' è ora, anche se mi sentirò malissimo xD

Bene, ditemi che ne pensate :) A presto e buon weekend, vostra

Hypnotic Poison


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Capitolo 27
*** Blood, sweat and tears ***


Blood, sweat and tears



C'era una pioggia torrenziale, grandi gocce che rimbalzavano contro il terreno.

C'erano figure incappucciate, sfocate contro la parete grigia che continuava a scendere dal cielo. Si avvicinavano, lente e inesorabili, le passavano accanto senza riconoscerla.

C'erano braccia che la tenevano e la tiravano indietro, i piedi nudi che affondavano nel fango mentre si divincolava, gridando.

C'erano due occhi neri come il carbone che la guardavano con rabbia.


Sunao si tirò su di scatto, boccheggiando per respirare. Un rivolo di sudore freddo le corse lungo la tempia, mischiandosi ad una traccia salata che non le aveva chiesto il permesso di scendere.

Rabbrividiva ancora nel caldo di quella notte di fine primavera, il venticello che pungente le entrava nelle ossa stanche, la testa che ancora le doleva.

Strinse gli occhi. Dov'era finito Kert e perché la finestra era aperta?

Afferrò la vestaglia di seta bianca, avvolgendosela sulle spalle per cercare di fermare i brividi, si affacciò alla finestra. La luce della Luna illuminava il grande parco lasciato alla forza della natura, e gli alberi erano troppo fitti perché lei potesse distinguere la figura dell'alieno.

Con uno sbuffò, si teletrasportò in basso, avviandosi a piedi nudi tra le piante, in silenzio. Non riusciva a trovare i suoi pensieri, e questo la preoccupò. Se Kert era così tanto concentrato da riuscire a non pensare a nulla, ci doveva essere qualcosa di storto.

Si bloccò all'improvviso, la netta sensazione di essere osservata. Eppure non c'era nessuno lì vicino a lei.

Un movimento alla sua destra catturò la sua attenzione: su un albero a pochi metri da lei stava strisciando un serpente di notevoli dimensioni.

Sunao fece un passo indietro; non era certo un'esperta di fauna terrestre, ma quel rettile era decisamente troppo grosso per poter aver vissuto da solo in un vecchio giardino. Ed era solo una sua suggestione, o il serpente stava... pensando?

Io ve l'avevo detto che qualcuno ci osservava.” la voce di Kert la fece sobbalzare. L'alieno era comparso di fianco a lei, stringendo uno dei pugnali che ogni tanto utilizzava. “Questo bastardello era appostato sul listone della mia finestra. Non ho fatto in tempo a prenderlo, che è scappato giù.”

Profondo Blu ci stava spiando con un serpente?” domandò incredula lei.

Kert annuì: “Una specie di chimero, o comunque si chiamino quei cosi.”

Ecco come faceva a sapere dove fosse Shirogane, allora.”

Sicuramente non si è ancora ripreso dalla battaglia, immagino gli servissero solo informazioni.” si avvicinò al serpente, e velocemente lo pugnalò nella testa. “Problema risolto.”

Sunao fece una smorfia nel vedere il corpo dell'animale contorcersi per qualche istante: “Hai intenzione di lasciarlo lì?”

Lo porteremo più tardi a far vedere agli altri,” Kert si voltò ad osservare l'aliena “Tu, piuttosto, cosa ci fai qui? Non vedi che stai congelando?”

Se ti preoccupa tanto la mia salute, la prossima volta magari chiudi la finestra!” ribatté lei, incrociando le braccia sul petto. Stava decisamente tremando più del previsto.

L'alieno le poggiò le labbra sulla fronte: “Scotti ancora,” mormorò.

Passandole un braccio attorno alla vita, li teletrasportò in camera, dove si premurò di chiudere la finestra, tirando le pesanti tende di velluto rosso.

Sunao si avvolse nelle coperte, sorpresa quando, di nuovo, Kert la strinse a sé, intrecciando le loro gambe e appoggiando il viso contro la sua spalla.

Non me lo vuoi dire cosa ti ha fatto vedere Profondo Blu?” sussurrò dopo qualche minuto, percorrendole il braccio, avanti e indietro, con le dita.

Lei chiuse gli occhi: “Non mi ha fatto vedere niente che non sapessi già... ha solo ripescato nei miei ricordi cose che pensavo di aver dimenticato...”

Riguardo tuo padre?”

Tra le altre cose.” rimase ferma mentre il palmo dell'alieno continuava a scorrere appena sulla sua pelle, riscaldandola. Non si era nemmeno accorta di aver smesso di tremare.

Kert l'accarezzò in silenzio finché udì il suo respiro farsi più regolare e profondo, stringendole infine la mano mentre si sistemava accanto a lei e chiudeva gli occhi.

Dall'altra parte della casa Espera, che si era alzata per bere un bicchiere d'acqua, sorrise, mentre anche il suo cuore batteva più forte.


***


Dai, Ryan, per favore.”

No.”

Ma è buona!”

Allora mangiala tu!”

Io non sono ricoverata in ospedale!”

Stanno per dimettermi comunque!”

Shirogane!”

Momomiya.”

Ah insomma!” Strawberry appoggiò con rabbia il piattino di plastica contenente le mele cotte sul comodino “Sei insopportabile!”

Ryan fece un sorriso tronfio: “Lo so.”

Il medico di turno bussò alla porta con un sorriso: “E' bello vedere che ha tanta energia dopo un incidente in moto, signor Shirogane.”

Già. Posso andare a casa?”

L'uomo controllò la cartella appesa ai piedi del letto: “Vediamo. Slogatura al polso sinistro, contusione alla spalla... però i valori sono a posto. Sì, le farò portare i documenti, ma deve riposare quella costola incrinata, quindi niente sforzi per un paio di settimane e a letto il più possibile. È stato fortunato.”

Quando il dottore uscì, Ryan si voltò con un sorriso sornione verso la rossa: “Sentito? Devo stare a letto il più a lungo possibile.”

Ah, non farti strane idee,” replicò lei “Ti devi riposare.”

Ci sono tante cose che riesco a fare da steso.”

Strawberry stava prendendo fiato a sufficienza per rispondergli per le rime, l'intero volto arrossato, quando una voce conosciuta li raggiunse dal corridoio.

Ryan, caro, come stai?” Sakura entrò di getto nella stanza, probabilmente svegliando l'intero reparto, prendendo il bel visino del genero tra le mani “Oh, guarda qui che brutti graffi, ma per fortuna sono solo quelli!”

Takashi la seguiva, molto più stoico, reggendo Kimberly in un braccio.

Gli occhi di Strawberry si illuminarono quando videro la bimba, che ricambiò con altrettanto vigore, esclamando “Mama!” e tendendo le braccine paffute verso di lei.

Ma ciao, amore mio,” miagolò la rossa, schioccandole un bacio sulla guancia dopo averla abbracciata “Ti sei comportata bene con i nonni?”

Oh, sì, è stata un vero angelo, una bambina perfetta!” tubò il nonno decisamente in visibilio.

Tesoro, non sei contento che Ryan stia bene?” domandò con un sorriso Sakura, la mano sinistra che ancora accarezzava la guancia del giovane, notevolmente a disagio per tutte quelle attenzioni.

Il marito raddrizzò la schiena, schiarendosi la gola: “Ahem, naturale. Certo, bisognerebbe correre un po' meno in moto.”

Ryan si trattenne a stento dall'alzare gli occhi al cielo, non volendo scatenare le ire della sua dolce mogliettina, concentrandosi invece sulla sua mini-fotocopia, la quale lo osservava con aria preoccupata.

Che c'è?” Strawberry la fece rimbalzare sul suo braccio “Ti fanno paura tutte le macchine attaccate a papà? Ma papà se le merita, perché ha fatto preoccupare tanto la mamma.”

Oh, sciocchezze, Strawberry, Ryan non voleva sicuramente avere un incidente,” intervenne Sakura, sistemando il lenzuolo del ragazzo. “Dovresti essere più paziente.”

Il biondo la guardò divertito, alzando le sopracciglia in modo eloquente, e la rossa sospirò: “Grazie di averci tenuto Kim, mamma.”

La madre capì l'antifona, facendole una carezza: “Grazie a voi per il bel regalo. Mi raccomando, vi aspettiamo a cena una di queste sere!”

Può contarci, Sakura, lo sa che lei è la mia cuoca preferita!”

La signora sorrise ed arrossì al complimento di Ryan, accentuando ancora di più la somiglianza con la figlia, poi sventolò la mano in segno di saluto: “Riguardati caro, mi raccomando!”

Takashi spese cinque minuti a salutare figlia e nipote, ignorando più o meno palesemente il genero, finché non fu l'infermiera di turno, arrivata a portare i documenti delle dimissioni, a chiedergli gentilmente di andarsene.

Guardiamo il lato positivo, almeno ti sei fatto male sono nella parte di sinistra e puoi ancora scrivere,” commentò pacata Strawberry mentre Ryan firmava le carte, occhieggiando l'infermiera che sembrava un po' troppo interessata al biondo.

Lui ignorò il commento, sapendo che qualsiasi risposta gli stesse passando per la mente avrebbe inevitabilmente iniziato una lite, e preferì concentrarsi sul levarsi di dosso l'orrendo camicie da ospedale in favore dei vestiti che la rossa gli aveva preparato.

Qual è il programma di oggi?” le chiese mentre lo aiutava ad indossare una camicia.

Be', tu vai a casa,” rispose lei “Io invece devo andare al Caffè, è stato già difficile convincere Mina a lasciarmi prendere un giorno libero.”

Allora vengo anche io.”

Non ci pensare nemmeno,” Strawberry puntò il dito contro il suo petto “Tu ti devi riposare, quindi appena arriviamo a casa fili a letto, senza storie.”

Sì mamma,” la prese in giro, abbassandosi per rubarle un meritato bacio.

Prese Kimberly in braccio, sistemandosela sul lato buono, mentre la rossa si occupava dello zaino con i vecchi vestiti, e finalmente uscirono dalla clinica, spicciandosi verso i taxi per evitare la pioggerellina che era appena iniziata a scendere.

Una volta giunti a villa Shirogane, Nina si precipitò ad accoglierli.

Oh, signorino Ryan!” esclamò con un certo cipiglio, l'accento spagnolo più marcato che mai “Le sembra il caso di farmi prendere certi spaventi?!?”

Il ragazzo rise, concedendole un abbraccio affettuoso: “Lo siento, Nina.

E' da quando è nato che gli dico di non correre,” replicò lei, rivolta a Strawberry “Ma non c'è una volta che mi abbia ascoltata!”

La rossa fece sì: “Non imparerà mai. Secondo te ce la farà a rimanere a riposo per qualche giorno?”

La governante alzò le mani al cielo: “Non stava a letto nemmeno con la febbre a quaranta, dovevo sempre minacciarlo di toglierli il computer e di chiudere a chiave la biblioteca.”

Funzionava?”

Certo che no.” Ryan le fissò con un sorrisetto irritante che fece sospirare entrambe, poi l'anziana donna gli diede un buffetto materno sulla guancia.

Vado a prepararle qualcosa, signorino. Deve rimettersi in sesto dopo l'orrido cibo da ospedale.”

Grazie mille, tata.”

I due giovani si ritirarono nella loro camera, il biondo stendendosi immediatamente sul letto visto lo sguardo della moglie, che sorrise soddisfatta: “Allora, io vado al Caffè,” proclamò “Ormai sono le quattro, tra poco è ora di chiusura.”

Verranno gli alieni?” domandò lui, accarezzando la testolina bionda di Kimberly, seduta accanto a lui.

Strawberry annuì: “Sì, faremo il punto della situazione. Kyle ha detto che ti chiameremo in videoconferenza così non ti perderai nulla.”

Sounds good,” Ryan le prese una mano “Stai attenta, mi raccomando.”

La rossa sorrise: “Tu riposati e non preoccuparti. Ci vediamo dopo.”

Bye-bye,” la salutò Kim con un faccino triste, a cui lei rispose con un bacio prima di uscire.

Decise che, nonostante la pioggia, si sarebbe concessa una passeggiata; le sarebbe servito a rinfrescarsi le idee e a rilassarsi. Gli ultimi due giorni erano stati a dir poco avventurosi, ed era certa che le fosse spuntato qualche capello bianco.

Si morse il labbro mentre si avviava lungo la strada per il parco. Profondo Blu aveva fatto tutto quello, spinto anche dall'assurda gelosia di Mark? Lo stesso Mark che l'aveva salvata una seconda volta, impedendo che il suo alter-ego la colpisse? Le sembrava tutto molto folle.

D'accordo, lei e Mark non si erano lasciati in termini pacifici – anzi, per il ragazzo era stato decisamente un fulmine a ciel sereno. Ma erano passati più di due anni, ormai, come poteva covare ancora tutto quel risentimento verso di lei?

Il trillo del cellulare la riscosse dai suoi pensieri: “Pronto?” rispose, cercando di suonare il più allegro possibile “Oh, ciao Kyle! Sì, siamo già tornati a casa, io sto per arrivare. Va bene, a tra poco.”

Allungò il passo, e dopo un quarto d'ora entrò sorridente al Caffè, ancora colmo di clienti.

Ciao capa!” la salutò Paddy, le mani occupate da un vassoio ciascuna e un terzo in testa.

Ehm.. ciao, Paddy, vuoi una mano?”

No, tranquilla, qui abbiamo quasi finito. Kyle ti aspetta in cucina!”

Il moro pasticciere indossava la sua divisa bianca, impegnato a riporre in frigorifero gli avanzi di quella giornata: “Salve, principessa,” la salutò allegramente “Come sta il nostro scorbutico malato?”

Resiste al riposo,” la rossa si sedette su uno degli sgabelli, agguantando un pasticcino “Ma sopravviverà.”

Kyle rise, togliendosi il grembiule: “Abbiamo chiuso un po' prima così da poter incontrarci con la squadra di Rui senza finire eccessivamente tardi.”

Posso farti una domanda?” la Mew rosa guardò fissa il ragazzo, notando il piccolo irrigidimento nella sua postura “Mi sono sempre fidata di te, Kyle, quindi vorrei che per favore mi dicessi quanto sei davvero preoccupato.”

Lui accennò ad un sorriso: “Se te lo dicessi, poi Ryan mi ucciderebbe.”

Ma Ryan non c'è.”

Ah, Strawberry,” Kyle si lasciò scappare un'altra risata, appoggiandole una mano sulla spalla “Ti dirò solo che io ho piena fiducia in voi e nelle vostre capacità.”

Va bene, va bene,” la rossa sospirò, sventolando una mano “Ho capito l'antifona.”

Sai anche cosa significhi la parola antifona, Momomiya?” Mina entrò in quel momento in cucina, un sorrisetto cattivo sulle labbra.

Ciao anche a te, Mina, è sempre un piacere rivederti.” ribatté Strawberry, facendole una linguaccia.

La Mew Blu si versò un bicchiere d'acqua: “Stiamo chiudendo di là. A che ora dovrebbero arrivare gli altri?”

Kyle controllò l'orologio tondo appeso sopra l'entrata: “Tra una decina di minuti.”

Se Lory non rompe l'ennesimo servizio di piatti, direi che saremo pronte per quel momento.”

La tua dolcezza ti precede, chérie,” Quiche si unì a loro, passando un braccio attorno alle spalle della ballerina e lasciandole un bacio sulla guancia, che stupì sia Kyle che Strawberry, visto che quei due avevano litigato fino al giorno prima.

I due si scambiarono un'occhiata divertita, e Kyle batté le mani: “Forza, andiamo a cambiarci, così saremo pronti ad accogliere i nostri ospiti.”

Dieci minuti dopo, le cinque Mew Mew, Kyle e i tre fratelli Ikisatashi erano seduti attorno ad un tavolo al centro della sala, uno dei computer pronto a chiamare Ryan.

Puntuali come sempre, gli alieni di Gaia fecero la loro comparsa all'ora stabilita.

Cos'hai in quello scatolone?” chiese Paddy a Kert.

Oh, vedrete,” ghignò di rimando l'alieno, appoggiandolo il pacco sul tavolo.

Sunao come sta?” volle informarsi Lory.

Si è ripresa, ma è meglio che stia a riposo,” le rispose Espera “Anche se è stato difficile convincerla a rimanersene alla base.”

Stessa cosa per questo testone,” commentò Strawberry, indicando il viso di Ryan sul monitor, non particolarmente divertito.

-Appurate le nostre condizioni fisiche, vorrei sapere com'è la situazione,- si limitò a dire.

Be', ieri notte abbiamo fatto una scoperta interessante,” iniziò Kert “Avete presente che continuavo a ripetervi che mi sembrava di essere osservati? E che ci chiedevamo tutti come Profondo Blu facesse a sapere dove fosse il biondino?”

Gli altri annuirono, e lui fece un sorrisetto: “Mistero svelato.”

Aprì lo scatolone, rivelando l'enorme serpente ritrovato la notte prima, che era ancora miracolosamente vivo, grazie alla sua natura di chimero.

Strawberry e Mina gridarono, correndo a nascondersi dietro il bancone; Lory si accasciò contro Kyle; Pam si ritrasse lentamente contro il muro, rigida come un bastone; Paddy osservò l'animale con curiosità.

E' un enorme pitone,” concluse Ryan, osservando l'animale dall'altro grazie a Quiche che reggeva il portatile “E' un chimero?”

Di sicuro non è una biscia normale, visto che gli ho piantato un pugnale nel cervello ed è ancora qui che ci sibila contro.” esclamò Kert, stuzzicando la bestia con un dito.

Portatelo via!” strillò Mina da dietro la cassa “Mi fanno schifo!

Pharart sospirò: “Povero animaletto, torturato a questo modo. Vorrei sapere dove Profondo Blu l'ha rimediato.”

Non mi interessa!” la voce della Mew Blu superò nuovamente quella degli altri, per una volta supportata da Strawberry “Quelli come lui mangiano quelli come me!”

Paddy e Tart sghignazzarono assieme: “Ne avresti paura anche se non avessi i geni del lorichetto.”

Se permettete, vorrei analizzarlo,” propose Kyle, adagiata Lory su una sedia “Senza fargli male, naturalmente,” aggiunse, dopo aver notato la smorfia preoccupata di Pharart.

Peggio di così non so come possa stare...” borbottò Quiche.

Sentite, visto che siamo qui, posso farvi una domanda?” Ryan prese nuovamente la parola. “Sapete tutti perché Profondo Blu ha qualche problema con me e con Strawberry, però mi sfugge ciò che è successo con Sunao. Sembrava più che un semplice attacco di difesa.

In effetti,” anche Pharart si aggiunse, voltandosi verso Espera “Cos'è che ha detto riguardo il suo sangue?”

L'aliena si morse il labbro inferiore, facendo un gran respiro: “Ehm... ma se ve lo dico, dovete promettere che non ne farete parola con Sunao.”

Gli altri annuirono, così lei continuò: “Naturalmente io non conosco tutta la storia, ma solo quei pezzetti che mi ha raccontato lei o che ho appreso da, ehm, altre fonti. Come vi abbiamo già raccontato, Profondo Blu è stato esiliato dal nostro pianeta per mano di quegli stessi che poi avrebbero formato il Consiglio. La carica di Consigliere viene tramandata nelle famiglie, e Sunao...” Espera fece un altro respiro profondo “Sunao è la nipote del Primo Consigliere, che a sua volta discende da uno degli Originari.”

Aspetta, aspetta, cosa?!” Kert si girò di scatto verso di lei, gli occhi spalancati “Vuoi dire che... che suo padre...”

L'aliena annuì, guardando poi i loro compagni terrestri dall'aria confusa: “Sunao ha perso suo padre quando era molto piccola. Lui era un Generale dell'esercito di Gaia, come suo fratello, lo zio di Sunao che l'ha allevata ed addestrata. Durante una delle guerre del nostro pianete, suo padre ha perso la vita in circostanze poco chiare... e si vocifera che sia stato lo stesso Consiglio ha darne l'ordine, perché il Generale Sunamora era un uomo buono... troppo buono. Kert, non ti azzardare a parlarle,” terminò velocemente “Ucciderebbe sia me che te, ed è già abbastanza vulnerabile in questo momento, senza sapere che ormai siamo tutti al corrente di questa storia.”

Quindi Profondo Blu vede in lei uno dei suoi primi nemici.” osservò Rui “Però non può davvero conoscere il padre di Sunao.”

Infatti la sua è stata tutta una farsa,” gli rispose il fratello “Ha detto che è solamente riuscito a riportare a galla determinati ricordi, ma niente che lei non sapesse già.”

Profondo Blu sa giocare con le nostre debolezze,” intervenne Pie, dopo essere rimasto in silenzio, come suo solito, la maggior parte del tempo “Evidentemente, quei ricordi sono una debolezza per Sunao, ed ora che lo sa, non esiterà ad utilizzarle.”



In quegli stessi istanti, nella vecchia villa Mitsuma che faceva da base agli alieni, Sunao era seduta nel centro di una delle stanze più remote, al buio, illuminata solo dalla fioca luce del suo bastone.

Il Consiglio aveva richiesto di parlarle, ed anche lei aveva bisogno di porre loro qualche domanda.

Chiuse gli occhi, concentrandosi sul peso del suo corpo; ancora scossa com'era, sarebbe stato particolarmente difficile teletrasportarsi a Gaia. Con un grande sforzo, sia fisico che mentale, sì ritrovò davanti alle grandi porte della Sala del Consiglio.

Fece un respiro profondo prima di entrare, aspettando che la testa smettesse di girarle e che le gambe si stabilizzassero, poi spinse il portone ed entrò.

Come si aspettava, nella Sala erano accese solo alcune candele, che contribuivano all'atmosfera imponente e un po' spettrale. Riusciva a fatica a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo ogni volta che vi metteva piede.

Buongiorno, Messaggera.” la voce del Quinto Consigliere la raggiunse da un'entrata laterale, dalla quale lentamente stavano sfilando i Dodici.

Lei accennò ad un inchino, senza mai staccare gli occhi dalle figure incappucciate che prendevano posto nei loro seggi.

La situazione è peggiore di quella che avevate previsto,” incominciò poi quando si furono tutti seduti, senza aspettare che le dessero la parola.

Niente che Gaia non possa affrontare.” replicò il Terzo Consigliere.

Sunao sbuffò con il naso, sarcastica: “L'ultima volta che il nostro pianeta si è trovato a combattere Profondo Blu, è stato spazzato via metà del nostro esercito. Potete davvero pretendere lo stesso da noi e da cinque ragazzine umane?”

Il Terzo si alzò in piedi: “Le nostre tecniche sono migliorate nei millenni che sono passati.”

Oh, andiamo!” Sunao si avvicinò agli spalti “Avete visto benissimo cos'è in grado di fare, avete visto quant'è aumentata la sua potenza! Non venitemi a raccontare sciocche favole, ma datemi un metodo per sconfiggerlo. Per quale altro motivo mi avreste chiamata qui, altrimenti?”
“La giovane Seles è riuscita ad utilizzare il suo potere?” il Secondo Consigliere parlò pacatamente.

Ci sta lavorando,” rispose la Messaggera tra i denti. “E' un po' difficile quando nessuno ha mai predisposto per lei l'addestramento adatto. La sua abilità sarà utile, ma non sufficiente comunque per poter battere Profondo Blu.”

Sulla Sala scese il silenzio, rotto soltanto dai respiri profondi dell'aliena. Stava facendo più fatica del previsto, ed era certa che il Consiglio non si sarebbe lasciato sfuggire il sottile strato di sudore sul suo viso.

Il nemico è riuscito a debilitare anche te.” inaspettatamente, fu il Primo Consigliere a pronunciare quella frase. Era il più saggio ed il più anziano, e non prendeva parola se non in particolari circostanze di grave necessità.

Lei sentì il sangue che le ribolliva di rabbia, e dovette mordersi la lingua prima di sibilare: “Per questo motivo vi sto dicendo di dirmi quale arma avete in mente. Non mi servono i miei poteri per capirlo.”

Il Primo Consigliere rise, i canini appuntiti che brillarono nel buio: “Audace, sfrontata e impeccabile come sempre, Sunamora.”

Mi avete scelta per questo.”

Con un gesto della mano, il Primo si fece portare un piccolo scrigno dall'Undicesimo: “Questa sarà un'arma finale,” esclamò, aprendo il cofanetto e rivelandone un pugnale racchiuso da un involucro di cuoio “E' stato tramandato per secoli nel nostro Consiglio, in caso si ripresentasse un'occasione del genere. Abbiamo sempre temuto che l'esilio non sarebbe stato abbastanza per Profondo Blu. Ma perché funzioni, servirà un sacrificio.”

Perché non l'avete usato subito?” domandò incredula la Messaggera, avvicinandosi per poterlo prendere.

E' stato creato dopo la sua sconfitta.” le rispose il Quarto Consigliere.

Sunao lo tolse dal suo involucro. La lama era spessa, a forma di saetta e finemente cesellata con delle scritte nell'antica lingua di Gaia, che lei non riusciva a leggere.
“Che sacrificio?” sussurrò.

Devi maneggiarlo con estrema cura. Potrà essere toccato solo dal sangue di ciò che Profondo Blu odia di più.”

Cosa vuol dire?” alzò la testa di scatto, ma il Consiglio si stava già ritirando, ignorandola.

Insistere non le sarebbe servito ad altro.

Quando fu lasciata sola, un ringhio le salì alla gola: come diavolo avrebbe dovuto usare quel pugnale? Da dove avrebbe dovuto prendere il sangue?

La porta alle sue spalle si aprì da sola, segnalandole che era ora di andarsene.

Si sistemò il pugnale nella cintura che portava, incamminandosi fuori dal Palazzo.

Le era mancata l'aria di casa, e la respirò a pieni polmoni. Avrebbe tanto voluto trattenersi e tornare a dormire nel suo letto, ma sapeva che la sua missione era solamente cominciata.

Con un ennesimo sforzo, si teletrasportò nella villa sulla Terra; ma non appena i suoi piedi toccarono il pavimento polveroso, le ginocchia le cedettero e lei capitombolò a terra.

Una parolaccia nella sua lingua madre le sfuggì dalle labbra mentre la testa iniziava di nuovo a pulsarle ferocemente, rifiutandosi di mandare i segnali giusti ai suoi arti così che si potesse alzare.

Dove diavolo eri finita?!” si accorse solo in quel momento di essere caduta nel bel mezzo del corridoio principale, che Kert percorse a grandi falcate.

Ugh... ero a Gaia...” borbottò, lasciandosi tirare in piedi.

Kert l'appoggiò al muro: “I Consiglieri?”

Mmhmm,” Sunao chiuse gli occhi, stringendo le labbra, per cercare di fermare la nausea che si era impossessata del suo corpo “Ho... una cosa... per Profondo Blu...”

Va bene, ne parliamo dopo,” l'alieno la prese in braccio visto che lei continuava ad accasciarglisi contro.

No, ascoltami!” riprovò lei, ma Kert le lanciò un'occhiataccia: “Ti ho già detto che ti avrei legata al letto e avrei dovuto farlo, dato che sei andata a scorrazzare per l'universo. Quindi adesso ti riposi, parleremo con gli altri più tardi.”

Stasera,” borbottò Sunao, raggomitolandosi nel letto “Con le umane.”

L'alieno annuì, poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e si diresse verso il salone principale dove erano sistemati i loro monitor di controllo.

Dopo averne acceso uno, collegato direttamente con il Caffé, chiamò: “Ehi, Rui?”

Il viso del fratello comparve poco dopo; lui e gli altri erano rimasti al locale per poter osservare il risultato dei test di Kyle sul pitone: “L'hai trovata, fratellone?

Sì,” Kert si spostò i capelli dal viso “Era stata chiamata dal Consiglio, ha detto che ha qualcosa da dirci, ma era esausta.”

Falla dormire per qualche ora!” Espera si intromise nella conversazione, totalmente incurante della smorfia annoiata del 'cognato' “Noi saremo qui ancora un po', potete raggiungerci quando si sveglia.”

Affermativo, passo e chiudo.”

Interruppe la comunicazione e ritornò nella sua camera. Si accorse solo allora del pugnale legato alla vita della ragazza.

Curioso, si avvicinò lentamente, allungando una mano per afferrarlo.

Non lo toccare.” si fermò, lanciando un'occhiata a Sunao che, naturalmente, riusciva a sgamarlo anche con gli occhi chiusi.

Lui ghignò: “Perché, hai paura che mi faccia male?”

L'aliena si girò sulla schiena, fissandolo con i suoi occhi violetti: “Me l'ha dato il Consiglio, per combattere Profondo Blu. È di quello che volevo parlarvi.”

Raggiungeremo gli altri più tardi, quando starai meglio. Ordini di Seles.”

Sunao si slegò la cintura, appoggiando cautamente l'arma sul comodino tarlato, e si voltò verso il maggiore dei Tha, ricambiando i suoi soliti sorrisetti ironici: “Non mi vieni a fare compagnia ora?”

Lui sbuffò, evitando il suo sguardo: “Dormi, Sunamora.”


***


Io continuo a dire che non è una buona idea.” Strawberry lanciò un'occhiataccia a Ryan, che camminava lentamente accanto a lei mentre, per la seconda volta quel giorno, tornava al Caffè.

Lui si strinse nelle spalle: “Sto bene, mi sento bene, non ho voglia di stare a casa da solo. Ricordati che i geni del gatto aiutano anche me.”

Il medico ha detto che devi riposare!” lo sgridò lei, aprendo con violenza la porta rosa e spingendo il passeggino di Kim dentro il locale.

Ho riposato abbastanza.”

Mamma e papà sono tornati,” Tart li punzecchiò non appena entrarono, penzolando a testa in giù dal soffitto.

Ce l'avete fatta!” sospirò Mina “Sempre in ritardo, Momomiya.”

Scusatemi, ma la piccola peste non aveva voglia di comportarsi bene e mangiare,” rispose la rossa, prendendo in braccio la figlia, molto contenta di essere al centro dell'attenzione.

Ryan si sedette, mascherando un po' il dolore al fianco: “Qual è l'argomento di questo incontro?”

Sunao, anche lei seduta, estrasse il pugnale: “Il Consiglio Supremo di Gaia mi ha dato questo. È l'arma finale per sconfiggere Profondo Blu, ma per funzionare deve essere bagnato del sangue di ciò che lui più odia.”

Perfetto,” mugugnò Quiche “Ci mancavano solo gli indovinelli.”

Non dovrebbe essere difficile,” intervenne Pam “Pensiamoci un attimo.”

Profondo Blu odia tutti,” piagnucolò Tart “Non possiamo prendere il sangue di 7 milardi di persone!”

Potremmo andare a campione. Profondo Blu odia gli umani, ci basterà il sangue di un umano,” Ryan guardò Kyle, che annuì e si recò in laboratorio.

Odia anche voi Mew Mew, e noi tre,” Quiche indicò se stesso e i suoi fratelli “E odia sicuramente anche te, biondino.”

Rui corrugò la fronte: “Siete sicuri di quello che state dicendo? Sbagliare potrebbe esserci fatale.”

E' l'unica soluzione che abbiamo.” Kyle ritornò dal piano di sotto, stringendo una ciotolina in mano, dentro alla quale c'erano degli aghi sterilizzati.

Servirà anche il mio sangue,” Sunao si alzò con una smorfia, tolse il pugnale dal fodero e lo appoggiò nella ciotola.

Ricapitoliamo”, Kyle iniziò a distribuire gli aghi “Uno a me, per gli umani; uno a voi ragazze, uno a Ryan, uno a Sunao, e uno a quale di voi Ikisatashi?”

Pie si fece avanti, e tutti si disposero a cerchio attorno al pugnale.

Pronti? Uno, due, tre...”

Gli otto prescelti si forarono un dito con l'ago, abbastanza perché ne uscisse una goccia di sangue, facendola scivolare lungo la lama.

Aspettarono tutti con il fiato sospeso, per secondi interminabili; infine, una luce rossastra si propagò dal pugnale, e le gocce furono assorbite.

Dite che ha funzionato?” Pharart fu il primo a parlare, a bassa voce.

Sunao afferrò l'arma e la ripose nel suo fodero: “Non ci resta che scoprirlo.”




Ho un esame tra tre giorni, sono in preda all'ansia e al panico puro, ma ho voluto aggiornare Mele prima delle vacanze, perché poi non avrò Internet per un mesetto :(

Il capitolo è venuto lunghissimo senza che io me ne accorgessi xD Spero vi sia piaciuto e abbia aiutato a chiarire un paio di cose :)

Scappo a studiare, a presto!


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Capitolo 28
*** Let the sky fall ***


Let the sky fall


The pain of war cannot exceed the woe of aftermath,
The drums will shake the castle wall, the ring wraiths ride in black, ride on

Sing as you raise your bow, shoot straighter than before
No comfort has the fire at night that lights the face so cold

(Led Zeppelin – The Battle of Evermore)



Il cielo sopra Tokyo era grigio, freddo, metallico; non il tipico tempo che si sarebbe aspettato a metà giugno.

I rumori della città sembravano ovattati, il traffico più lento del solito.

Strawberry sospirò, guardando fuori dalla grande finestra del salotto. Giusto un paio di gocce e l'atmosfera sarebbe stata perfettamente deprimente.

Mama mama”, Kimberly si attaccò alla sua gamba, richiedendo attenzione.

La rossa sorrise, inginocchiandosi così da essere all'altezza della bimba seduta: “Dimmi, piccola mia.”

Lei le afferrò dolcemente le ciocche rubino, ridendo: “Dada?”

Vuoi andare a cercare papà?” allo sguardo giocoso della piccola, Strawberry la prese in braccio, dandole un bacio sulla fronte.

Stare con sua figlia la faceva sentire meglio, ma non poteva ignorare quella sensazione di stretta allo stomaco che provava da qualche giorno. Le aveva pure fatto passare l'appetito, e saltare le meravigliose colazioni di Nina era un segno grave.

Si avviò verso lo studio di Ryan, Kimberly che le blaterava nell'orecchio giocherellando con i suoi capelli, distraendola a malapena dai mille pensieri che le provocavano un mal di testa perenne.

La stanza era silenziosa, mancava il familiare ticchettio delle dita sui tasti. Il ragazzo si era alzato presto quella mattina, ancora prima del solito, quindi Strawberry non si stupì quando lo vide steso sul divano nero, addormentato con dei fogli sulla pancia.

Gli si sedette accanto, lasciando che Kim si sporgesse piano per toccare il viso del papà, come le piaceva fare tutte le mattine, gorgogliando sottovoce.

Ryan si stiracchiò, passandosi una mano sugli occhi: “Che ore sono?” mugolò.

Sono quasi le nove e mezza,” rispose la rossa “Faremo tardi al Caffè se non partiamo subito.”

Sai che novità,” diede un buffetto sul naso alla figlia, che si lamentava delle poche attenzioni ricevute “Goodmorning bumblebee.”

Kimberly tentò di ripetere il buffo soprannome nella sua lingua da bebè, sganciandosi definitivamente dalle braccia della madre per essere issata sopra la testa del biondo in una cascata di risatine e urletti contenti.

Guarda che ha appena mangiato,” lo ammonì divertita la Mew Gatto “Dove te le metto queste?”

Ryan lanciò un'occhiata alle carte che lei stava raccogliendo: “Nel primo cassetto a sinistra della scrivania, per favore.”

Strawberry si accigliò mentre si dirigeva verso il mobile: “Quello dei documenti importanti?”

Proprio quello,” fu la laconica risposta dell'americano, che la convinse a dare un'occhiata veloce ai documenti per scoprire di cosa si trattassero. Ma, prevedibilmente, erano scritti in inglese, e a meno che non includessero teneri nomignoli o ricette di dolci, lei non sarebbe riuscita a ricavarci niente.

Richiuse il cassetto con un tonfo leggero, e fu sorpresa di trovarsi il ragazzo a pochi centimetri. “Sono i documenti dell'assicurazione,” le spiegò, sistemandosi la bimba sulle spalle “Sai, in caso... succeda qualcosa.”

Il nodo allo stomaco che la opprimeva da giorni si strinse ancora di più, ma allo stesso tempo si sentì sollevata dal fatto che Ryan, come al solito, riusciva a provvedere per tutto. Annuì, poi si strinse a lui, cercando di evitare la ferita al fianco che ancora doleva.

Mama 'ffè?” Kimberly s'intromise con la sua vocina roca, facendoli ridere entrambi.

Sì tesoro, adesso andiamo al Caffè dallo zio Kyle!” le rispose la rossa “A te piace tanto il locale, vero? Sei proprio una golosona, come la tua mamma.”

Sì sì,” trillò la biondina.

A proposito,” Ryan lanciò un'occhiata veloce al tavolo della cucina quando vi passarono davanti per raggiungere l'uscita “Perché non hai mangiato nulla a colazione?”

Non mi andava,” Strawberry arricciò il naso, infilando le scarpette ai piedini grassocci di Kimberly prima di metterla nel passeggino “Con tutto quello che sta succedendo mi è un po' calata la fame...”

Il ragazzo le arruffò i capelli, dandole un bacio sulla fronte: “Scommetto che Kyle ha preparato qualcosa di speciale solo per voi.”

Fu giusto il moro americano ad accoglierli con un sorriso sulla soglia del Caffè, insieme ai primi clienti della giornata. Gli affari dovevano andare avanti, nonostante tutto, ed erano una dolce distrazione.

Vado subito a cambiarmi!” Strawberry si diresse nello spogliatoio, dove le altre ragazze stavano terminando di infilarsi le loro divise.

Pam non c'è oggi?” domandò riponendo la borsa nell'armadietto.

No, ha un servizio fotografico, ci raggiungerà verso sera,” rispose Mina, sistemandosi il grembiule.

Strawberry, cos'hai? Mi sembri un po' pallida.” Lory le si avvicinò preoccupata, ma la rossa fece un gesto vago con la mano: “Niente di che. Deve essere lo stress, ho lo stomaco chiuso da qualche giorno.”

Ti capisco, stamattina mi sono svegliata con dei crampi fortissimi,” sospirò la Mew Blu “L'ultima cosa di cui avevo bisogno!”

Paddy sghignazzò, rientrando in sala: “Dovresti esserne contenta, almeno sai che non c'è un piccolo Quiche nella tua pancia.”

Oh per cortesia, non dire queste cose neanche per scherzo! Per carità!”

Strawberry e Lory risero sottovoce mentre anche la mora usciva dalla stanzetta. Voltandosi verso il suo armadietto, la rossa si accigliò nel notare un pacchettino in un angolo.

Fece per tirare fuori il cellulare, quando la voce della Mew Verde la distrasse. -Oh, fa niente, ci penserò dopo!- si disse, seguendo l'amica.

Fu abbastanza sorpresa quando, in uno dei tavoli all'angolo, vide gli alieni di Gaia, che cercavano di camuffarsi tra la folla grazie a degli abiti umani.

Come mai sono già qui?” domandò a Kyle, afferrando uno dei vassoio tondi posti sul bancone.

Stiamo registrando elevate attività energetiche in giro per l'intera città,” le spiegò lui “Ci è sembrato più opportuno incontrarci subito, così da essere pronti in caso di necessità.”

Non sarà pericoloso lasciare Pam da sola?”

Ci sono Pie e Quiche con lei, non preoccuparti. Potremo raggiungerla in un baleno.”

La rossa annuì e si dipinse un sorriso stanco sul volto, raggiungendo i loro alleati e sentendosi un tantino a disagio quando Espera le diede una lunga e profonda occhiata.

Ehm... posso portarvi qualcosa in particolare?”

Io vorrei quella cosa gialla e fresca che ci ha sempre preparato il tuo amico pasticcere!” esclamò con gusto Pharart, facendo ridere la Mew Mew mentre segnava una limonata sul taccuino.

Sì, portane tanta per tutti, e poi tanto cibo!” rincalzò Kert, spaparanzato comodamente sul divanetto.

Guarda che non siamo qui per divertirci e fare un banchetto,” gli sibilò Sunao, con aria annoiata.

L'alieno scrollò le spalle: “Siamo qui, tanto vale mangiare.”

Strawberry rise di nuovo: “Torno tra poco,” si avviò in cucina, passando con un sorriso l'ordine a Kyle, ed osservò intenerita Kimberly che, ancorata saldamente alle dita dello zio Tart, muoveva i primi tentennanti passi, sotto l'occhio vigile e attento di Ryan.

Non mi hai detto dei campi di energia,” mormorò a quest'ultimo riempendo una brocca di limonata.

E ora lo sai comunque,” ribatté incrociando le braccia al petto.

Lei gli fece una linguaccia: “Guarda che la leader sono io, dovrei saperle certe cose.”

D'accordo, ma il capo rimango comunque io.”

Uffa, Shirogane.” prese i piattini che le porgeva Kyle e ritornò cauta verso il tavolo degli alieni.

Non è successo nulla in questi due giorni?” le domandò Sunao, giocherellando con un coltello.

Strawberry scosse la testa: “Ho saputo solo ora di questa energia che pervade la città.”

Mi fa rizzare i capelli,” commentò Pharart prendendo un lungo sorso di limonata “E' inquietante.”

Sta solo aspettando il momento giusto per attaccare,” sussurrò la Messaggera “Non sarà lontano.”


***


Il ticchettio delle gocce di pioggia andava a ritmo con quello del grande orologio a parete che le stava davanti, contò Pam mentre sedeva nel suo camerino per una pausa.

Al resto della popolazione poteva sembrare un normale temporale estivo, ma la pelle d'oca che l'assillava da quella mattina le diceva tutto il contrario.

I suoi sensi di lupo non l'avevano mai tradita.

So che stai pensando la stessa cosa,” guardò Pie, seduto nell'angolo che nervosamente controllava dei dati sul suo portatile ogni quarto d'ora.

Che Profondo Blu attaccherà oggi?”

La modella annuì, l'alieno lasciò andare un lungo respiro: “Il temporale potrebbe essere dalla nostra parte, Rui controlla l'acqua.”

La Mew viola si lasciò scappare uno sbuffo ironico: “Non se tutta questa energia viene prodotta da Profondo Blu stesso.”

Abbiamo anche il pugnale.”

Pam si alzò di scatto: “Certo, una speciale arma dataci da un Consiglio di Saggi che fino a qualche settimana fa avrebbe fatto banchetto delle nostre carni, un'arma tenuta nascosta per millenni che non sappiamo nemmeno se funzionerà. Come facciamo ad essere sicuri che non serva ad eliminare anche noi?”

Pam, calmati.” Pie le appoggiò le mani sulle spalle “Sai meglio di me che agitarti non porta a nulla. Dobbiamo fidarci delle opzioni che abbiamo.”

Ehi, ragazzi!” Quiche entrò in camerino, riassumendo il suo aspetto alieno appena chiusa la porta “Ho parlato con Tart, ha detto che tutto procede bene e non c'è nessuna novità.”

Il fratello maggiore annuì: “Anche il rilevatore di questa zona non segnala altra attività se non quella che già conoscevamo.”

Tra quanto pensi che sarai pronta?”

Pam si strinse nelle spalle: “Ne avrò per un'altra oretta come minimo.”

D'accordo,” l'alieno dagli occhi dorati li guardò nervosamente “Allora... posso andare o avete ancora bisogno di me?”

Pie alzò gli occhi al cielo: “Non riesci proprio a tenertelo nei pantaloni, eh?”

Ehi!” il fratello arrossì vistosamente “Guarda che non stavo pensando a quello!”

Sì sì, come no. Vattene prima che cambi idea!”

Quiche gli alzò contro il dito medio prima di teletrasportarsi nel retro del Caffè, lanciando un'occhiata circospetta al cielo sopra di lui che continuava a farsi più scuro.

Ciao, chérie,” salutò il più allegramente possibile Mina quando la vide entrare nel magazzino per prendere dei fazzoletti. Lei sussultò, portandosi la mano sul cuore.

Quiche! Mi hai spaventata a morte!” boccheggiò “Ti sembra questo il modo di entrare?! La porta è fatta apposta!”

Lui rise, prendendole il viso tra le mani: “Scusa, volevo evitare i clienti,” le diede un bacio dolce sulle labbra “Come sta andando qui?”

Il locale è pieno ma il servizio è un po' lento, siamo tutte esauste e non vogliamo stancarci ulteriormente... sai, in caso.”

L'alieno annuì comprensivo, intrecciando le dita con le sue si diressero assieme verso la sala principale.

Ehilà, cuginastro!” lo accolse Kert con un ghigno “Perché non vieni qui a farti battere anche ad ahmi?”

Rui gli diede un calcio da sotto il tavolo: “Per favore, fratellone.”

No, va bene,” l'Ikisatashi si sedette di fianco a Zaur “Fatevi sotto.”

Mina scosse la testa, avviandosi in cucina per consegnare un ordine; all'improvviso, un tuono fortissimo rimbombò per l'intero locale, che piombò nel buio tra le grida della gente.

Le Mew Mew scattarono sull'attenti, ma la luce tornò dopo pochi istanti.

E' stato Profondo Blu?” domandò Ryan, prendendo Kimberly in braccio e cullandola per calmare il suo pianto spaventato.

Kyle lanciò un'occhiata al monitor del portatile: “No, è l'alta concentrazione di energia che aiuta il temporale. Si deve scaricare da qualche parte. Non è stato un suo attacco.”

Il biondo passò la bambina a Strawberry, marciando verso il tavolo degli alieni. Sunao era tesa come una corda di violino; se avesse avuto una coda, l'avrebbe sferzata nervosamente in aria.

E' stato il temporale,” sussurrò, cercando di non farsi sentire dai clienti attorno a loro “Ma continua a non piacermi, non può essere una coincidenza.”

Zaur annuì, mentre un altro tuono più calmo rombava in sottofondo: “E' come se ci stesse avvertendo.”

Tenetevi pronti.”

Mentre Ryan ritornava in cucina, Espera lanciò un'occhiata preoccupata verso l'amica, che come tutti i felini, non era un'amante dei temporali, e che si era alzata di scatto dopo il ragazzo per correre in bagno.

Ci penso io,” Kert la raggiunse con il suo solito passo calmo, entrando senza bussare.

Credevo che questo fosse per le signore,” lo prese in giro lei, sciacquandosi il viso.

L'alieno la osservò: “Cosa c'è?”

Niente,” la Messaggera si strinse nelle spalle “Tutta questa energia mi rende nervosa.”

Si morse il labbro, mentre una delle immagini delle notti precedenti si riaffacciava prepotente nella sua mente. Figure incappucciate nella pioggia.

Senti,” scosse la testa, riaggiustandosi i capelli “Potrebbe essere l'occasione giusta per sfruttare i poteri di Espera, se lei riesce ad utilizzare l'energia nell'aria come catalizzatore per la sua.”

Prima che Kert potesse risponderle, un altro tuono scosse le pareti del Caffè, portandosi di nuovo via la luce e scatenando la paura dei clienti.

Ma che diavolo...” borbottò l'alieno, guardando le lampadine sul soffitto che tremolavano.

Sunao uscì dal bagno, colpita da uno dei pensieri che aveva captato, raggiungendo la cucina.

Lì, la televisione si stava accendendo con il ritorno della corrente, e le immagini del notiziario scorrevano sullo schermo: un'elegante giornalista, sotto un ombrello colorato, presentava l'evento della giornata.

«Nemmeno la pioggia può fermare l'appuntamento più importante della stagione» sorrise, voltandosi un attimo per indicare l'imponente costruzione alle sue spalle «Come ogni anno in questo momento al Tokyo Dome si sta svolgendo la Partita di Mezza Estate, che come sapete è la partita di baseball più aspettata dopo la finale del campionato, e che sarà seguita da una festa con tutte le personalità più importanti della nostra città. Si aspetta un'affluenza superiore a quella degli anni precedenti.»

Le Mew Mew si guardarono l'un l'altra, mentre memorie delle precedenti battaglie si impadronivano di loro.

Avanti, cosa?! Spiegatemi!” esclamò Sunao a voce alta, catturando i loro pensieri.

Lory deglutì: “Abbiamo già combattuto al Dome, tanti anni fa,” mormorò “A Profondo Blu è sempre piaciuto affrontarci in luoghi pieni di gente...”

Che stupidi!” Ryan batté un pugno sul tavolo di metallo “Avremmo dovuto pensarci prima, oggi è il momento perfetto! Il Dome sarà affollatissimo, come ho potuto dimenticarmene!”

Bel colpo, Einstein,” borbottò Quiche, a cui Mina diede una gomitata di rimprovero: “Dobbiamo andare là!”

Sarà difficile convincere a sospendere la festa,” constatò Kyle “Ci vogliono mesi di preparazione e non credo ci ascolteranno volentieri.”

I tuoni continuavano a crescere in sottofondo, i riflessi dei lampi giocavano con le ombre del locale.

Allora andiamoci e prepariamoci a far evacuare le persone quando Profondo Blu attaccherà,” propose Strawberry “E' rischioso, ma se non ci vogliono ascoltare...”

La luce si spense per la terza volta, accrescendo il nervosismo anche nelle Mew Mew.

Mina deglutì: “Io vado a chiamare Pam, sono sicura che anche dov'è lei sta mancando la corrente.”

Ryan annuì: “Dille di prepararsi e venire qui, tra poco entriamo in azione.”

La rossa gli lanciò un'occhiataccia: “Noi entriamo in azione. Tu rimani qui.”

Il ragazzo scosse la testa: “Io sono l'unico che può farvi entrare alla festa senza destare sospetti. Non possiamo creare panico.”

Ryan, no.” la moglie pestò il piede a terra “Non sei ancora guarito del tutto, devi rimanere qui con Kim, è pericoloso là!”

Kim rimarrà qui con Kyle,” ribatté lui “Proprio perché è pericoloso non ti lascio andare da sola. Sono arrivato troppo tardi già una volta.”

Con gli occhi che le bruciavano di lacrime, Strawberry lo abbracciò di slancio, nascondendo il volto contro la sua camicia.

Andrà tutto bene, vedrai,” le sussurrò, accarezzandole i capelli e lasciandole un bacio sulla testa.

Tart entrò nella cucina, seguito dagli alieni: “I clienti se ne stanno andando,” osservò “Sono tutti spaventati dai black-out.”

Meglio così,” esclamò Kyle “Ah, Pam, Pie, avete fatto presto!”

La Mew Lupo annuì: “Non mi piace, non mi piace per niente.”

L'importante è non perdere la calma,” Rui li guardò uno per uno “Dobbiamo rimanere concentrati per non dare occasione al nemico di colpirci, approfittando delle nostre debolezze.”

La fai facile, tu,” borbottò Paddy, incrociando le braccia “Noi non siamo state addestrate come dei militari.”

No, ma sapete già com'è affrontare Profondo Blu. E siete molto più forti dell'ultima volta.” cercò di consolarla l'amico pasticcere.

Strawberry aggrottò le sopracciglia, gli occhi rivolti al pavimento: “Speriamo, l'ultima volta non è andata molto bene...” borbottò, sentendo la presa di Ryan farsi più forte attorno alle sue spalle.

Espera si fece avanti, prendendole la mano e infondendole un goccio di tranquillità; si sorrisero titubanti a vicenda, ancora incerte riguardo a quale tipo di relazioni si stessero instaurando tra di loro.

Eccone un altro...” mormorò Lory, notando il lampo di luce che si infranse contro il loro vetro.

Contarono in silenzio i pochi secondi che precedettero il tuono, comprendendo quanto fosse vicino quel temporale, poi Kyle batté le mani: “Forza, ragazze, andate a prepararvi. Entrerete non trasformate così la gente non si allarmerà.”

Quando le ragazze furono entrate nello spogliatoio, Ryan si voltò verso il suo migliore amico, guardandolo dritto negli occhi: “Tu sai qual è il cassetto.”

Il moro rispose allo sguardo: “Non dirlo neanche per scherzo.”

E' solo una precauzione,” il biondo si inginocchiò, sorridendo a Kimberly seduta nel suo girello con il ciuccio saldo tra i dentini, ancora spaventata da tutti quei tuoni “You're gonna behave with uncle Kyle, aren't you?

La bimba si accigliò, allungando una manina per toccargli la guancia: “Dada where?

Lui la prese in braccio: “Papà e mamma devono andare a fare una cosa, ma tornano presto, d'accordo?”

Kim scosse la testa, appoggiandosi contro la sua spalla: “No.”

Ryan rise: “Oh, ma così lo zio Kyle ci rimane male, vedi?”

L'americano fece una buffa smorfia triste, e la biondina si sporse verso di lui, che la sollevò sopra la sua testa: “Facciamo tanti dolci e non ne diamo neanche uno a quei cattivoni, va bene?”

Tutti risero quando lei rispose di sì, poi il biondo le passò una mano tra i capelli: “Love you bumblebee.

Noi siamo pronte,” le Mew Mew si affacciarono sulla porta.

Sunao si avvicinò a loro, afferrando il pugnale dalla giarrettiera sulla coscia: “Questo è tuo.”

Strawberry lo prese titubante: “Perché lo dai a me?”
“Tu sei colei che l'ha sconfitto una volta, è di nuovo compito tuo. È soprattutto la vostra battaglia; il colpo finale spetta a te.”

La rossa annuì, osservando l'arma per qualche istante prima di riporlo in borsa. “Andiamo.”

Si presero per mano, e si teletrasportarono poco lontano dall'entrata del Tokyo Dome, già attorniata da auto della polizia, giornalisti e fotografi.

Come facciamo ad entrare?” domandò Paddy, allungando il collo per vedere la fila di persone che già percorrevano il tappeto rosso.

Ryan si sistemò il colletto della camicia: “Venite con me.”

Non siamo abbastanza eleganti!” sibilò Mina “Non posso farmi vedere conciata così!”

Kert rise sottovoce: “Hai delle strane priorità, uccellino.”

Mentre gli altri si riparavano dai goccioloni di pioggia sotto l'entrata di un bar, Ryan confabulò con una ragazza all'entrata che in mano teneva una cartellina, mostrandole il più smagliante dei sorrisi.

Ecco a voi Shirogane all'attacco,” ridacchiò Paddy “Dite che è così che conclude tutti i suoi affari?”

Io tacerei, Paddy, prima che Strawberry ti strangoli,” ghignò il maggiore dei fratelli Tha, occhieggiando l'espressione nera della rossa.

Su, è per una buona causa!” cercò di calmarla Lory, battendole una mano sulla spalla.

Con un altro sorriso verso la ragazza sconosciuta, Ryan si voltò verso il gruppo e fece loro segno con la mano di avvicinarsi.

Buon divertimento, signor Shirogane!” cinguettò la sconosciuta, e Strawberry fu trascinata dentro il Dome prima che potesse saltarle alla giugulare.

Che cosa le hai detto?” domandò con finta voce innocente.

Ryan aveva un'aria divertita: “Oh, niente, che mi avrebbe fatto davvero piacere poter partecipare insieme ai miei amici stranieri, e che lei sarei stato molto grato.”

Vedrai quanto sarai grato stasera...” borbottò la moglie.

Si fecero strada tra i corridoi affollati, evitando quelli principali e preferendo quelli utilizzati dagli organizzatori che ancora stavano allestendo i preparativi per la serata, mentre in sottofondo si sentivano i rumori della partita in corso.

Quanto manca alla fine?” chiese Quiche.

Ryan controllò il suo orologio: “Mezz'ora, più o meno.”

Quando la partita finirà, la gente lascerà gli spalti e il Dome si riempirà,” esclamò Pie “Sarà quello il momento perfetto per colpire.”

Le luci al neon sopra di loro tremolarono per qualche istante.

L'energia è aumentata...” mormorò Zaur “Credo si stia avvicinando.”

Sunao si guardò intorno: “Combattere qui dentro è un pessima idea. Lo spazio è troppo chiuso.”

Se lo portiamo fuori rischiamo di colpire altre persone,” replicò Paddy “Qui invece forse potremmo contenerlo.”

Ricordiamoci l'addestramento che abbiamo fatto,” li avvisò Rui “Forza, continuiamo a camminare.”

Mentre il gruppo si addentrava nello stadio, Kert prese per un braccio Sunao, costringendola a fermarsi.

Non fare cose stupide.” le impartì, fissandola nelle iridi violette.

Lei cercò di liberarsi dalla sua presa: “Non farle tu.”

Guarda che dico sul serio,” l'attirò a sé, catturandole le labbra in un bacio che la meravigliò.

E questo?” domandò divertita quando si separarono.

Lui rise, stringendosi nelle spalle: “Così.”

Ehi, voi due!” la voce di Pharart li raggiunse dal fondo del corridoio “Ci penserete dopo a festeggiare, ora muovetevi!”

In poco tempo raggiunsero la sala centrale dello stadio, poco lontano da dove si teneva la partita. Alcuni addetti stavano finendo di sistemare gli ultimi ritocchi, e già alcune persone iniziavano a riempire lo spazio.

Adesso cosa facciamo?” domandò Tart.

Aspettiamo.” rispose laconico Zaur.

Ma all'improvviso, le porte alle loro spalle si aprirono, e l'orda degli spettatori si riversò nella stanza; alcuni cantavano, perché la loro squadra aveva vinto la partita, altri invece si lamentavano ad alta voce. Molti di loro erano già abbastanza inebriati dall'alcool. Erano talmente tanti che il gruppo si trovò all'improvviso separato.

Ragazze!” chiamò Strawberry, mentre veniva spinta dalla massa verso destra, senza riuscire a districarsi tra i corpi sudati che continuavano ad entrare.

Si alzò sulle punte dei piedi mentre veniva sballottata di qua e di là, cercando di avvistare qualcuno dei suoi compagni.

-Questo non va bene,- pensò, mentre l'ennesimo tuono rimbombava sul soffitto -Non va per niente bene.-

Afferrò il cellulare della tasca, componendo il numero di Ryan mentre con gli occhi continuava a perlustrare. Non avrebbe dovuto essere così difficile individuare una testa bionda!

Ma, ovviamente, all'interno del Dome non c'era campo.

Maledizione!” esclamò, un brivido che le corse lungo la schiena all'ennesimo rumore inquietante del temporale. Sentì un reflusso acido risalirle per la gola, e si sforzò di mandarlo giù. Non era decisamente ora per gli attacchi di panico.

Decise di spingere tra la folla per cercare di raggiungere le sue amiche, mordendosi un labbro mentre il suo stomaco continuava a fare le capriole.

Finalmente trovò un angolo vuoto, in cui si fermò per prendere aria. “Ragazze!” provò ancora “Ryan! Quiche!”

L'alieno le comparve al fianco, la mano stretta in quella di Mina: “Per fortuna abbiamo trovato almeno te!”

Dove sono gli altri?”

La mora scosse la testa: “Li abbiamo persi nella folla, non si riesce a vedere nulla, c'è troppa gente!”

Ho un brutto presentimento,” ringhiò Quiche “Lui è qui, ne sono sicuro.”

Mina prese la sua spilla dalla tasca: “Ci trasformiamo?”

Strawberry aprì la bocca per risponderle, quando l'intera sala piombò nel buio più totale.

In un primo momento, ci fu solo un silenzio sgomento. Poi, pian piano, le voci della gente cominciarono a crescere a mano a mano che saliva anche la loro paura.

La Mew blu si sentì afferrare il braccio; se c'era qualcuno che odiava il buio, quella era la sua amica dai geni di gatto.

Sta arrivando,” mormorò “Forza, metamorfosi!”

Due lampi di luce, rosa e azzurro, brillarono nel buio, attirando l'attenzione delle altre tre Mew Mew, che non esitarono a seguire il loro esempio, ma anche della gente raccolta nella sala.

Ma sono le Mew Mew!”

Perché sono qui?!”

Cosa sta succedendo?”

MewBerry agitò nervosamente la coda, facendo trillare il suo campanellino: “Oops.”

Dì qualcosa!” la incitò MewMina con una spinta in avanti.

Cosa dovrei dire?!”

In quel momento, Quiche catturò qualcosa che si muoveva nell'aria. Con uno scatto, balzò sulle ragazze, spingendole a terra: “GIU!” gridò, mentre sentiva qualcosa che bruciava un lembo del suo vestito, ed una scarica elettrica si infrangeva contro il muro.

Le luci si riaccesero di scatto, e la risata malefica che avevano imparato a conoscere riempì l'aria: “Ogni volta cadete dritti dritti nella mia trappola, cosa potrei chiedere di più?”

MewBerry alzò lo sguardo verso il soffitto, da dove Profondo Blu troneggiava, i lunghi capelli neri al vento, gli occhi di ghiaccio puntati verso di loro.

Sarà un piacere eliminare anche questa feccia umana insieme a voi, mie care Mew Mew.”

Fu come se l'intera sala si risvegliasse da uno stato di trance; le persone cominciarono ad urlare e correre verso l'uscita, mentre le Mew Mew e gli alieni cercano di spingerli a muoversi più velocemente.

Profondo Blu rise di nuovo: “Oh, credete davvero che possa essere così facile?” con un movimento della mano, chiuse tutti i pesanti portoni, bloccando la folla all'interno della sala.

Fatevi da parte!” saltando davanti alla folla, Kert caricò il suo Maciste, mandando un getto d'aria così potente da divellere le porte e creare spazio sufficiente per far uscire le persone.

Con un ringhio, Profondo Blu volò fino a lui, utilizzando la sua energia per alzarlo da terra e sbatterlo contro al muro, senza doverlo toccare: “Non mi sfidare, stupido alieno.”

Kert rise, boccheggiando per la morsa che gli bloccava le vie d'aria: “E' così divertente giocare con te, sei così suscettibile.

Una scintilla di rabbia negli occhi, Profondo Blu evocò una spada, che le Mew Mew riconobbero come quella che aveva usato il Cavaliere Blu. La alzò, pronto per colpire Kert, quando una delle frecce di Pharart comparve dal nulla, seguita da una grossa liana che si andò ad attorcigliare contro il braccio del nemico, costringendolo a mollare la presa.

Kert cadde a terra tossendo, e Sunao gli fu accanto in pochi istanti: “Non ti avevo detto di non fare cose stupide?!” gli gridò contro mentre lo aiutava a rialzarsi.

Lui le fece il solito ghigno: “Dolcezza, è solo l'inizio.”

La Messaggera alzò gli occhi al cielo, concentrandosi sul potente alieno, che aveva alzato una mano verso il soffitto. Una scarica di energia scaturì dalle sue dita, colpendo una parete del Dome, la quale iniziò velocemente a sgretolarsi e a cadere sulle persone che ancora cercavano di scappare.

Pudding Ring Inferno!” l'attacco di MewPaddy servì a bloccare alcuni massi, e lei si apprestò a correre verso le persone che avevo salvato “Uscite, presto!” li incitò.

Asciugandosi la fronte con una mano guantata, si guardò intorno: le sue compagne avevano iniziato a lanciare attacchi consecutivi contro Profondo Blu, ma egli aveva nuovamente innalzato la sua barriera protettiva, e rispondeva colpo su colpo.

Solo Espera e Ryan rimanevano in disparte, aiutando la folla ad evacuare attraverso le macerie, e parlando concitatamente.

Non sento più l'aura di quel ragazzo!” stava infatti dicendo l'aliena “Ora c'è soltanto l'anima originale di Profondo Blu! Ecco perché ha entrambi gli occhi azzurri.”

Ma questo vuol dire che è più debole, giusto?”

Lei annuì: “Non di tanto, ma potremmo usarlo a nostro vantaggio. Se prima c'erano due anime che collaboravano, adesso è una sola a combattere.”

Ryan si girò verso la Mew Gialla, aiutando un'anziana signora a scavalcare: “MewPaddy, devi dirlo alle altre!”

La ragazzina rispose con un buffo saluto militare: “Sì capo!”

Saltellando rapida, raggiunse MewLory e MewMina: “Ragazze, il cattivone lassù ha definitivamente eliminato Aoyama. Ora stiamo combattendo soltanto contro di lui, ed è un po' meno forte.”

Non si direbbe,” esclamò la Mew blu a denti stretti, mentre per l'ennesima volta saltavano di lato per evitare i pezzi di parete che cadevano ad ogni colpo andato a vuoto.

Ma anche dal canto suo, Profondo Blu si sentiva in difficoltà. Gli attacchi delle Mew Mew e degli alieni erano precisi e veloci, non gli lasciavano un attimo di pausa. Non poteva non notare la differenza nella sua forza da quando si era tolto di mezzo quell'inutile umano.

Forse allora non era stato tanto inutile, si ritrovò a pensare. Ma gli faceva ribrezzo soltanto ammettere che dipendeva da un umano, da un essere tanto inferiore a lui.

Il tempo speso rinchiuso nel suo inconscio non l'aveva certo aiutato; la sua energia era sì cresciuta, ma lui era fuori allenamento. E le Mew Mew sembravano più decise che mai.

Schivando l'attacco di Pie, si concentrò per una frazione di secondo, e tutte le luci si spensero; il cielo era così nero che non riusciva a penetrare l'oscurità del Dome.

Oh, andiamo!” rise Quiche “Moscacieca, seriamente?”

MewPam strinse gli occhi, cercando di scorgere qualcosa nel buio, le orecchie da lupo tesissime.

Dopo un attimo interminabile, una saetta di Profondo Blu colpì il soffitto; la Mew Viola fu svelta a spingere via MewLory e MewBerry, e tutte e tre rotolarono lontano tra i resti appuntiti.

L'alieno, recuperata la sua spada, volò dritto verso Rui, che fece appena in tempo a sguainare la sua arma, facendola stridere contro quella dell'alieno dagli occhi di ghiaccio.

Ti vedo un po' in difficoltà, Comandante,” rise questo, il volto a pochi centimetri da quello del ragazzo “Gaia non è cambiata tanto in questi secoli, allora.”

Noi non giochiamo sporco,” esalò l'altro, raccogliendo abbastanza forze per spingerlo via.

Profondo Blu rise, allargando le braccia: “Davvero? E tredici contro uno come lo chiami?”

Ripartì alla carica, iniziando un duello di spade contro il minore dei fratelli Tha, che non dava spazio agli altri per attaccare, per paura di poter colpire involontariamente il loro alleato.

Espera si morse un labbro, impaurita, e lanciò uno sguardo verso il cielo; la luna piena era ancora lontana, e non ci sarebbe stato modo di usare il suo potere comunque, vista la coltre di nuvole nere che copriva la volta celeste.

Espera!” Sunao l'afferrò per un braccio, un rivolo di sangue che le correva lungo la guancia causato da un taglio sulla tempia “Devi riuscire ad usare la tua energia.”

Co...come faccio?” le chiese sperduta lei, guardandola con i grandi occhioni blu spalancati.

Inventati qualcosa, Seles, arrabbiati!” le abbaiò contro Kert, che non distoglieva lo sguardo dal fratello.

Lei fece un respiro profondo, la voce che le tremava: “Se mi mettete sotto pressione non ci riesco!”

Ah, inutile!” l'alieno dagli occhi dorati si avvicinò al gruppo delle Mew Mew “Gioca sporco, uccellino.” sussurrò a MewMina “Usa una di quelle tue frecce e colpiscilo alle spalle!”

La ragazza lorichetto lo guardò incredula: “Sei pazzo?! Non vedi come si muovono velocemente? Rischierei di colpire Rui!”

Tu fallo e basta!”

Incrociando internamente le dita, MewMina incoccò una freccia: “Ribbon Mint Echo!” mormorò.

Tutti trattennero il fiato mentre seguivano la traiettoria dell'attacco; la freccia arrivò a pochi centimetri da Profondo Blu, il quale mosse il braccio libero velocemente, spostandola verso l'alto e rimandando il colpo indietro, costringendo i suoi avversari a cozzare l'uno contro l'altro per non essere colpiti; il dardo si infranse nel muro alle loro spalle, lanciando detriti attorno a loro.

Ahia,” borbottò Tart, ripulendo il rivolo di sangue che gli scendeva dalla spalla “Ormai non ho più idee su come fare per batterlo...”

MewBerry si tirò in piedi: “Forza, ragazzi, non molliamo!”

Si lanciarono di nuovo all'attacco, scatenando una risata da parte del loro nemico.

Ancora non l'avete capito che non siete abbastanza forti?” sogghignò, brandendo la spada contro quella di Rui con una mano, e usando l'altra per lanciare onde d'energia “Siete patetici.

Il successivo colpo fece tremare l'intero Dome, intrappolando le decine di persone che ancora cercavano di uscire.

La tua è tutta una finta, Profondo Blu!” ringhiò Quiche, creando un piccolo chimero a protezione degli umani “Sappiamo benissimo che sei in difficoltà!”

Ah sì?” una scintilla di sfida brillò negli occhi di ghiaccio “Allora guarda qui, Ikisatashi.”

Spingendo lontano Rui con l'aiuto della spada, l'alieno formò nel suo palmo una sfera rossa di energia, che pulsava come una piccola stella. Senza esitazione, la diresse velocemente contro le Mew Mew, che impaurite la osservarono crescere nel suo viaggio.

Ribbon Lettuce Rush!” il colpo di MewLory servì appena per frenare quella scarica infuocata, ma non riuscì ad evitare che fossero comunque colpite e che si schiantassero contro la parete.

Ragazze!” gridò Tart, roteando le sue bolas “Ragazze, forza!”

Ryan si voltò verso Espera, afferrandola per le spalle: “Espera, concentrati!” le urlò per sovrastare i rumori della lotta e del cemento che crollava “Ci abbiamo lavorato, devi riuscirci!”

L'aliena annuì, chiudendo gli occhi, cercando quell'energia all'interno del suo corpo. Sapeva che era lì, la sentiva fremere da qualche parte nel suo inconscio, ma non sapeva come tirarla fuori.

-Concentrati, concentrati,- si ripeté -Devi andarli ad aiutare, concentrati!-

Una scossa che spezzò il pavimento sotto i suoi piedi la distrasse, dovendo mantenere l'equilibrio.

Guardò disperata verso il campo di battaglia, dove Sunao stava bloccando la millesima onda energetica di Profondo Blu mentre Zaur e Pie combinavano i loro poteri per aumentare la portata dei loro attacchi. Le Mew Mew erano esauste, si stavano rialzando a fatica aiutate da Quiche e Pharart.

Cercò Rui con gli occhi, lo vide saltare dalle spalle del fratello con la spada pronta ad infilzarsi nel collo di Profondo Blu, che però si accorse appena in tempo dell'alieno e lo colpì ferocemente, spedendolo a schiantarsi al suolo.

Un ringhio ferino si levò dalla sua gola, qualcosa ruggì piano nel profondo del suo cuore.

Sunao avvertì il cambiamento d'aria, permettendosi una frazione di secondo per guardare con la coda dell'occhio l'amica, che respirava pesantemente.

Scivolando tra i sassi, raggiunse MewBerry, mettendole una mano sulla spalla: “Sta' pronta,” le disse.

La Mew gatto annuì, asciugandosi il sudore sulla fronte, incurante dei tagli e dei graffi che aveva su tutto il corpo, e strinse forte il pugnale che aveva portato alla cintola tutto quel tempo.

Espera si concentrò, lasciando che l'istinto le percorresse l'intero corpo, ma mantenendo il controllo di se stessa, proprio come aveva imparato a fare.

In un istante, con un ruggito acquistò la sua forma più feroce, accompagnata da una forte corrente d'energia che li investì tutti.

Profondo Blu si accigliò, sgomento. Quella trasformazione non rientrava decisamente nei suoi piani; mai avrebbe pensato che un alieno di Gaia avrebbe potuto raggiungere un tale livello di forza.

Paura, Profondo Blu?” gli ghignò Kert, ricaricando il suo bazooka.

Sunao e MewBerry si scambiarono un'occhiata quando Espera si lanciò contro l'alieno come una tigre, i lunghi capelli neri che svolazzavano intorno a lei. Sembrava che i colpi non la scalfissero nemmeno; e cosa più importante, sembrava che lei fosse la sola a riuscire a superare la barriera protettiva del nemico.

Ragazze, andiamo!” al grido di MewPam, le Mew Mew ricominciarono con i loro attacchi, rinvigorite anche da quel filo di speranza. “Non fermatevi, continuate a colpirlo, lasciate che Espera gli si avvicini!”

Dai, Seles, attaccalo!” la incitò Kert, volando il più possibile vicino ai due alieni.

Da quel momento, si svolse tutto molto velocemente.

Espera saltò verso Profondo Blu, graffiandogli il viso con i suoi artigli; in quell'istante di incertezza e stupore, perse il controllo del suo schermo, permettendo così a Kert di prenderlo alle spalle, intrecciando le braccia attorno alla sua schiena e bloccandolo.

MewBerry, adesso!” strillò MewPam.

Aiutata da Sunao, che la spinse in alto, la Mew gatto si avvicinò a Profondo Blu, che si stava divincolando come un pazzo nella morsa di Kert.

Cosa pensi di fare, eh, ragazzina?!” le gridò, il volto paonazzo e la bocca che schiumava di rabbia “Pensi che i tuoi stupidi poteri possano sconfiggere me, il grande Profondo Blu?!?”

Lei estrasse il pugnale dal fodero, facendo un respiro: “Mi dispiace,” sussurrò, mentre per un istante il volto di Mark si sovrapponeva, nella sua mente, a quella del nemico “Mi dispiace davvero.”

Chiudendo gli occhi, raccolse tutte le sue forze e conficcò il pugnale dritto nel cuore di Profondo Blu, che lanciò un grido. Si udì chiaramente, nel silenzio che seguì, il rumore di tanti respiri trattenuti insieme mentre si attendeva un segno, una prova che quell'arma avrebbe funzionato.

L'alieno rise: “Hai sbagliato mira, ragazzina.”

Poi, una luce gialla si levò dal pugnale.

Profondo Blu sgranò gli occhi: “Ma... cosa..? NO!”

La luce aumentò d'intensità e di ampiezza, per poi esplodere in modo accecante tra le urla disumane dell'alieno, che si disintegrò con lei in tanti piccoli pezzettini che svanirono nel nulla, come bruciati dalla forza di quell'antica magia.

L'onda investì tutti in pieno, accecandoli, catapultando i due più vicini dall'altra parte del Tokyo Dome, che stava tremando in modo incontrollabile.

Il cielo rombò mentre lampi e tuoni riempivano l'etere, ben visibili dal soffitto perforato dall'energia del pugnale.

Poi, improvviso com'era iniziato, tutto finì. Seguì un silenzio assordante.

Mina aprì gli occhi lentamente; sentiva dolore in tutte le parti del corpo, e notò che si era ritrasformata, probabilmente per esaustione. Con un gemito, notò che il suo polso aveva una piega strana.

Una parolaccia a lei sconosciuta catturò la sua attenzione, e vide Kert steso a terra, una copiosa quantità di sangue che gli usciva dalla gamba.

Maledizione,” sussurrò l'alieno, impallidendo vistosamente “L'arteria...”

Sunao gli si inginocchiò accanto: “Kert Tha, ti avevo detto di non fare stronzate! Non ti azzardare a morire, sai?” esclamò.

Lui rise: “Non stavo progettando di farlo.”

La Messaggera strappò un lembo del suo vestito, legandolo appena sopra la ferita, per tentare di bloccare l’emorragia.

Mi stai facendo male,” mormorò il ragazzo, mentre il colore continuava ad andarsene dal suo viso sempre più velocemente.

Ma stai zitto…” replicò l'altra.

Sentì Rui avvicinarsi, ma lo bloccò con un ampio gesto del braccio: “Stai fermo. A lui ci penso io!” esclamò.

Notando che la situazione si era aggravata, aveva deciso di portarlo a Gaia.

Evocò quindi il suo bastone, concentrandosi il più possibile mentre piccole gocce di sangue le cadevano dal naso per lo sforzo. Mormorò qualche parola e in una luce bianca scomparvero entrambi.

Voi state bene?” domandò il minore dei fratelli Tha, mentre aiutava Espera, di nuovo in forma normale, ad alzarsi.

Ryan corse verso di loro, il cellulare in mano: “Stanno arrivando delle ambulanze, ci sono altre persone ferite!”

Si guardò intorno concitato, cercando Strawberry; l'aveva persa di vista nell'esplosione.

Poi la vide, ancora trasformata in Mew Mew, in piedi in un angolo, che fissava il vuoto.

Strawberry!” la chiamò a gran voce, raggiungendola.

Lei si girò verso di lui, una mano appoggiata sullo stomaco. Abbassò lo sguardo avvertendo una strana sensazione appiccicosa, scostò il palmo: era completamente insanguinato, ed una grossa macchia scura si stava allargando sul suo costume rosa.

Dite all'ambulanza di fare presto!” la voce di Ryan le giunse ovattata e lontana, percepì appena le sue braccia che la circondavano mentre lei si accasciava a terra, il mondo che si faceva buio.

Straw, baby, stay with me, okay? Stay with me!”






Ebbene sì, sono colpevole di avervi scritto 13 pagine di capitolo (il doppio del normale), ma mi è un po' sfuggita la mano xD E naturalmente vi lascio in suspense :D Sarà finita davvero?

Saranno tutti vivi e vegeti? Oppure la sottoscritta ha preso l'autostrada definitiva del sadismo verso i proprio personaggi?

Mah, chissà! Lo saprete solo al prossimo capitolo ;) Spero che questo vi abbia soddisfatto, io personalmente ho un po' sofferto nel scriverlo ma mi sono anche divertita ^_^ Chissà se avete colto tutte le “Easter eggs” che ho sparso qua e là... (Izayoi007 tu non fai testo perché te hai avuto spoiler! xD)

Meno due capitoli, people!

A presto e grazie a tutti!

Hypnotic Poison

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Capitolo 29
*** One more dawn ***


One more dawn




Erano anni che a Tokyo non si verificava un incidente del genere.

Le ambulanze andavano e venivano senza sosta, gli ospedali erano pieni di feriti e la stampa era come impazzita. Tutti volevano sapere cosa fosse successo; tutti, ancora una volta, erano impazienti di scoprire come le Mew Mew avevano nuovamente salvato la città.

Fortunatamente, quando i soccorsi erano iniziati ad arrivare al Tokyo Dome, le ragazze erano già ritornare normali, e non erano state riconosciute da nessuno; erano passate semplicemente per delle vittime di quell'attacco.

Ma tutto questo, per Ryan, era soltanto un dettaglio all'interno dei problemi molto più grandi che stava affrontando in quel momento.

Era seduto da ore su una delle scomode sedie di metallo ed eco-pelle della sala d'attesta della stessa clinica in cui anche lui era stato ricoverato; era riuscito a far mandare lì le ragazze, dove era sicuro che ci sarebbero stati meno problemi. La clinica, comunque, era piena di altre persone, mandate lì direttamente dal General Hospital, che non riusciva a contenerle tutte.

Esalò pesantemente, la fronte appoggiata contro i pugni chiusi, i gomiti sulle ginocchia.

Erano quattro ore che Strawberry era nascosta in chissà quale sala operatoria; quattro ore che a lui stavano sembrando quaranta; quattro ore in cui nessuno si era degnato di dirgli niente.

Avvertì la sedia accanto alla sua strisciare contro il pavimento bianco quando qualcuno la spostò, poi una tazza di caffè apparve nel suo campo visivo.

Ti farà bene,” gli disse sottovoce Kyle.

Grazie,” la sua voce gracchiava, e si schiarì la gola prima di prendere un sorso. Il calore della bevanda si sparse velocemente nel suo stomaco, facendolo rabbrividire.

L'amico lo osservò, i capelli spettinati, gli occhi arrossati, la bocca tesa in una linea dura, e gli mise una mano sulla spalla, stringendo forte: “Ancora nessuna novità?”

Ryan scosse la testa: “No, non mi hanno detto niente.”

Nessuna nuova, buona nuova.”

Le ragazze come stanno?” domandò prima di prendere un altro sorso.

Un po' ammaccate, ma si riprenderanno. Stanno dormendo tutte ora.”

In altre tre sorsate, il caffè, nero e bollente come solo poteva dargli conforto, era tutto finito. Accartocciò la tazza di carta, facendone una pallina e lanciandola con precisione nel cestino dall'altro lato del corridoio.

Bel tiro,” un signore sulla quarantina, qualche sedia più in là, gli fece un sorriso titubante, a cui il biondo rispose con un cenno “Anche lei è qui per l'incidente al Dome?”

L'americano annuì: “Sì. Mia moglie è rimasta... coinvolta.”

Anche la mia,” il signore si grattò il collo “Ha il bacino fratturato, ma poteva andarle peggio. Ho sentito che al General la situazione è caotica.” lo scrutò per qualche istante “Lei è Shirogane, vero?”

Ryan sorrise: “Già.”

E' facilmente riconoscibile,” rise l'uomo “Non se ne vedono tanti come lei in giro. E la sua foto è appesa tra gli altri finanziatori della clinica.”

Kyle nascose un sorriso dietro ad un finto sbadiglio; sapeva che al suo amico non piacevano tutte quelle attenzioni, soprattutto quando era così preoccupato, e l'accorciarsi delle sue frasi ne era un segno.

La porta che conduceva al corridoio delle sale operatorie si aprì, e ne uscì un medico che si rivolse a quel signore, togliendo un altro giorno di vita al biondo.

Il moro gli batté una mano sul ginocchio: “Non mancherà tanto, vedrai.”

Lui si passò una mano sul volto; non era neanche sicuro di ciò per cui la stavano operando, né della gravità della situazione. Sapeva solo che aveva perso molto sangue, e che il taglio nella sua divisa, e conseguentemente nella sua pelle, era lungo quanto il suo avambraccio.

Dov'è Kim?” chiese dopo qualche altro minuto di silenzio.

Al Caffè con Pie e Tart. L'ho lasciata che stava dormendo.”

Ryan non riuscì a fermare la risatina che gli scappò dalle labbra: “Credo che, dopo di te, Pie sia il miglior babysitter che abbia mai avuto. Kim lo adora.”

Esatto, è in buone mani,” Kyle si unì alla risata “Gli darò il cambio non appena Pam si sveglierà.”

L'orologio alla parete segnò le sei in punto; il Sole era riapparso lentamente dopo il temporale, e lanciava raggi titubanti contro le spesse finestre.

Dimmi, Kyle, è finita questa volta?”

Il moro sospirò: “Zaur dice di sì. I rilevatori non trovano più niente;l'energia è scomparsa del tutto, le uniche presenze aliene sono quelle già conosciute. I simboli delle ragazze sono rimasti, ma sono sbiaditi. Credo che sia perché gli alieni rimangono qui.”

Le porte scorrevoli si aprirono una seconda volta, un medico percorse il corridoio con passo svelto e sicuro dritto verso Ryan, che scattò in piedi.

Signor Shirogane?” lui annuì “L'operazione è andata a buon fine. Siamo riusciti a fermare l'emorragia interna, ma la signorina Momomiya ha perso molto sangue, quindi dovrà stare in assoluto riposo. Vorremo tenerla qui in osservazione per qualche giorno per evitare complicazioni.”

Grazie, dottore,” gli strinse forte la mano “Posso vederla?”
Il medico annuì: “E' nella stanza 420, si risveglierà tra poco non appena sarà finito l'effetto dell'anestesia.”

Fece per aggiungere qualcosa, ma Ryan era già scattato verso la stanza, dimentico del resto. La stanchezza che gli appesantiva le gambe non fermò la sua corsetta, e si arrestò solo quando fu davanti alla porta bianca.

Dovette fare un respiro profondo prima di abbassare la maniglia ed entrare in silenzio.

Strawberry era stesa tra le lenzuola candide, i capelli scarmigliati sul cuscino e poco colore sulle guance; ma era lì, e la sua pelle era calda e morbida.

Le prese la mano, sedendosi sulla poltroncina accanto al letto, sorridendo quando la vide arricciare il naso come faceva tutte le mattine prima di svegliarsi.

Ehi,” la salutò, scostandole la frangia dagli occhi “Come ti senti?”

La rossa aggrottò le sopracciglia, gli occhi semi-chiusi: “Mmmhm... dove sono?”

Sei in ospedale, sei appena uscita dalla sala operatoria.”

Ah, giusto,” si strofinò gli occhi usando la mano del biondo, poi si bloccò all'improvviso “Ryan?”

Sì?”

Deglutì un paio di volte: “C'è un ago nella mia mano sinistra, vero?”

Il ragazzo scoppiò a ridere, dandole un bacio sulla punta del naso: “E' la flebo, ragazzina, e no, non te la possiamo togliere. Hai perso un sacco di sangue e hai bisogno di riposo.”

Ma a me fanno paura gli aghi,” piagnucolò, evitando accuratamente di guardare la sua mano.

Ryan le accarezzò una guancia: “Lo so, ma è un male necessario.”

Se lo dici tu,” si accoccolò meglio contro i cuscini, intrecciando le loro dita “Mi dispiace averti fatto preoccupare.”

Lui le diede un buffetto sulla fronte: “Un giorno di questi mi farai venire un infarto.”

Ti ho ripagato per l'ultima volta che ci sei finito tu qui,” lo afferrò per la camicia e lo attirò dolcemente a sé, per scambiarsi un lungo bacio.

Ti amo,” le sussurrò sulle labbra quando si separarono, godendo del rossore che le riempì le guance.

Anche io ti amo,” gongolò lei felice, scattando per rubargli un altro bacio veloce, ben sapendo che presto non avrebbero potuto godere di molti attimi da soli.

Infatti, dopo pochi minuti passati a fare le fusa come i gatti che erano, furono interrotti da un veloce bussare alla porta.

Siete decenti?” Mina infilò la testa nella stanza con un ghigno ironico, facendo alzare ad entrambi gli occhi al cielo.

Vorrei che osservaste la mia eleganza in questo orrendo camice da ospedale,” scherzò la mora, andando ad abbracciare l'amica “Per fortuna che me ne posso andare!”

Strawberry occhieggiò il braccio ingessato: “Cosa ti sei fatta?”

Polso rotto,” sospirò la Mew bird “Ma non crediate che questo mi fermerà dal ballare, nossignori.”

Le altre come stanno?”

Pam ha qualche costola incrinata, niente di grave fortunatamente. Lory ha una gamba rotta, mentre Paddy ha un enorme bernoccolo in testa e vogliono tenerla un po' qui per escludere una commozione cerebrale, ma per il resto sta bene. Eravamo tutte preoccupate per te, così hanno mandato me, visto che sono l'unica che si può alzare.”

Eri preoccupata per me? Mi sento onorata!”

Quiche si unì a loro, un cerotto sulla guancia e dei documenti in mano, ma sorridente: “Ehilà, micetta. Sono felice di vederti tutta intera e pronta a ribattere.”

La rossa gli fece un gesto di saluto con la mano, e l'alieno, camuffato da umano, si rivolse alla sua ragazza: “Sono i documenti per uscire, se li vuoi firmare.”

Che meraviglia!” Mina si chinò per stringere in un altro abbraccio la Mew gatto “Torniamo domani a trovarti, d'accordo?”

Strawberry annuì, le parole che vennero soffocate in uno sbadiglio; rimasti soli, Ryan le baciò le nocche della mano che ancora stringeva: “Posso lasciarti sola cinque minuti per andare in bagno? Ho anche abbandonato Kyle senza dirgli nulla.”

Lei ridacchiò: “Certo, prometto che non scappo.”

Con un altro bacio sulla fronte, il biondo uscì velocemente dalla stanza, mentre lei sbadigliava per una seconda volta.

Un soffuso bussare le fece alzare lo sguardo verso la porta, dove sostava Espera, in abiti umani, con un'espressione timida sul volto.

Ehi,” Strawberry le rivolse un sorriso stanco “Entra pure.”

L'aliena si avvicinò al lettino, osservando un po' a disagio quella stanza per lei così strana, e appoggiò cauta la mano sopra quella della rossa: “Sono contenta che tu stia bene.”

Il contatto con Espera le diede sollievo immediato, ed ancora una volta la Mew rosa si stupì della forza dei suoi poteri: “Voi come state?”

Non c'è male. Kert si rimetterà presto, Sunao è stata veloce a riportarlo a Gaia. Dovrà stare fermo per qualche tempo, sarà quella la cosa più difficile.”

Risero entrambe, un po' anche a smorzare quella tensione strana tra di loro. Non erano certo amiche, ma come altro potevano definirsi dopo tutto quello che avevano affrontato assieme?

Tu lo sapevi, vero?” domandò Strawberry dopo qualche istante di silenzio. “Mi ricordo il modo in cui mi hai guardata al Caffè.”

Espera annuì: “Mi dispiace, davvero.”

Non dirglielo, d'accordo?” le strinse la mano con forza “Per favore, non dirlo a Ryan. Non voglio che lo sappia, si prenderebbe tutto il peso sulle spalle pensando che sia colpa sua, perché è stato lui a farci diventare Mew Mew.”

D'accordo.” l'aliena sospirò, alzandosi dalla sedia di plastica “Ora devo andare, devo controllare i miei feriti.” ridacchiarono di nuovo “Ripartiremo appena ci saremo ripresi tutti, ma prima vorremmo... non so, festeggiare con voi, credo.”

La rossa sorrise: “Sono certa che a Kyle non dispiacerà tenere chiuso il Caffè per un pomeriggio.”

Espera la salutò con un gesto della mano, e Strawberry si adagiò contro i soffici cuscini, sospirando. Quando l'aliena se ne era andata, l'esaustione l'aveva colta di sorpresa. Non le piaceva neppure stare da sola in quella stanza asettica, con quel fastidioso beep dei monitor attorno a sé e quell'orrendo ago piantato sulla sua mano. Solo guardarlo le faceva salire la nausea.

Si passò una mano sul ventre piatto, lisciando le pieghe delle lenzuola. Troppo piatto, e che così sarebbe rimasto.

Era vero, allora. Non ne era stata certa, non aveva voluto esserne certa. Eppure, in cuor suo, l'aveva saputo; e, al tempo stesso, anche quella eventualità era stata messa in conto, nel momento stesso in cui aveva messo piede al Tokyo Dome.

-E' tutto finito,- pensò, cercando di respingere l'odioso groppo in gola -Finalmente è tutto finito. Possiamo ricominciare.-

Chiuse gli occhi, lasciando scorrere un'unica lacrima, e si addormentò.


***


Espera lasciò l'ospedale, lanciando un'occhiata furtiva intorno a sé prima di teletrasportarsi.

L'aria fresca della vecchia villa Mitsuma l'avvolse dandole conforto, e senza indugio si diresse verso la camera che condivideva con Rui.

Il compagno non si mosse quando lei scivolò nel letto accanto a lui, troppo stanco quasi per sorriderle: “Stanno tutte bene?” borbottò.

Direi di sì,” Espera si accovacciò contro il suo petto, rilassando le membra provate dagli sforzi di quella giornata “Sunao ha già riportato qui Kert?”

Mmmhmm. Credo che vogliano stare il più lontano possibile dal Consiglio.”

E' comprensibile,” l'aliena chiuse gli occhi, espirando la sua stanchezza “Avremo un po' di spiegazioni da dare.”

Possono attendere,” Rui passò un braccio attorno alla vita di lei, e riprese a dormire.

Nel salotto in penombra, Zaur e Sunao parlavano a bassa voce, quest'ultima intenta a fasciarsi le ferite che aveva riportato.

Avresti fatto meglio a fartele medicare a Gaia,” osservò l'alieno moro.

Ho sempre fatto da me,” ribatté lei, avvolgendosi una garza bianca attorno alla caviglia “E come vedi, non mi sono mai rimaste cicatrici. Meno mi vedono ferita, meno sanno cosa si combina per volere del Consiglio. E meno conoscono i miei punti deboli.”

Zaur abbozzò ad un raro sorriso, lasciando cadere la testa all'indietro contro la poltrona: “Stai diventando troppo sospettosa.”

Sospetto è il mio secondo nome,” ironizzò la Messaggera, prima di essere interrotta da uno sbadiglio.

L'alieno dai poteri del Nulla la osservò con un solo occhio aperto: “Sei esausta, Sunao. Stiamo dormendo tutti, vai anche tu.”

Sunao si alzò, stiracchiandosi i muscoli e scrocchiando il collo: “Buonanotte, Zaur.”

Lui rispose con un cenno del capo, sistemandosi meglio sulla poltrona, e lei si avviò sbadigliando verso la sua stanza.

Facendo il meno rumore possibile, affondò le mani nella brocca di acqua fresca, spruzzandosela sul viso dove ancora c'erano tracce di sangue ormai secco.

Dopo aver portato Kert a Gaia e averlo lasciato in mani fidate perché si prendessero cura di lui, era stata convocata in fretta e furia davanti al Consiglio per un rapporto dell'ultimo minuto, senza avere neanche un secondo per respirare.

Si guardò allo specchio, controllando i graffi sottili sul collo e sul viso, passandosi le dita tra i capelli violetti per snodarli. Era decisamente esausta, forse anche più degli altri.

Togliendosi il vestito, strappato e sporco di sangue che non era suo, osservò il riflesso dell'alieno che dormiva alle sue spalle, la gamba destra fasciata e issata sopra un cuscino, il braccio sinistro abbandonato sopra gli occhi, e fu felice di constatare che le guance avevano ripreso colore.

Non si mosse nemmeno quando lei gli si sdraiò accanto, girata verso la porta così da essergli di schiena. Avrebbero fatto i conti con le conseguenze delle loro azioni in un altro momento.


***


Quando Strawberry si risvegliò, era già mattina. Si stropicciò gli occhi, guardandosi intorno.

L'orologio alla parete segnava le otto, un'ora per lei normalmente abominevole, ma d'altronde aveva dormito per quasi tredici ore; la giacca di Ryan era accartocciata sopra una poltroncina, segno che anche il ragazzo aveva passato la notte lì. Avvertì una punta di tristezza a non trovarlo accanto a lei, visto che si era addormentata prima che lui tornasse.

La porta si aprì, ed una dottoressa dal viso simpatico incorniciato da lunghi capelli castani le sorrise: “Signorina Momomiya? Sono la dottoressa Shiori, potrei parlarle un attimo?”

Strawberry annuì, puntellandosi sui gomiti così da sedersi, e l'altra donna scorse la cartellina attaccata alla fine del letto: “Io sono una ginecologa, signorina. Mi dispiace riferirle che, a causa delle ferite ricevute, lei ha subito un aborto spontaneo.”

La rossa sorrise tristemente, mentre le parole le rimbombavano nelle orecchie: “Io non sapevo nemmeno di essere incinta. Mi era venuto il dubbio la mattina stessa dell'incidente, quando avevo visto il pacchetto di assorbenti, ma non ho più avuto il tempo di controllare...”

Quindi nemmeno suo marito ne era al corrente?”

Lei scosse la testa: “No, e preferirei che rimanesse così. Sarebbe un duro colpo per lui.”

Mi dispiace, davvero,” la dottoressa Shiori le offrì un sorriso caloroso, posando una mano sulla sua spalla “Ma la voglio anche tranquillizzare, tutto è a posto. Non ci saranno problemi per future gravidanze, dovrà solo riguardarsi un po' più del solito. In ogni caso la terremo sotto controllo durante la sua degenza qui.”

Grazie,” Strawberry sorrise di rimando, un po' più sollevata, nonostante avesse già voglia di scappare da quel posto e rifugiarsi nelle sicure mura di casa sua.

Una matassa di spettinati capelli biondi fece capolino dalla porta, sovrastando l'espressione confusa di Ryan: “Buongiorno. Va tutto bene?”

La dottoressa gli tese la mano: “Buongiorno, signor Shirogane, io mi chiamo Rumiko Shiori. Sono venuta soltanto a scambiare quattro chiacchiere con la signorina Momomiya e a rassicurarla sulla sua salute.”

L'americano la occhieggiò: “Non ci sono problemi, vero?”

Assolutamente no,” Shiori si scambiò un'occhiata d'intesa con la Mew rosa “Ora vogliate scusarmi, ma devo continuare il giro di visite.”

Quando la dottoressa fu uscita, Ryan si voltò verso la ragazza: “Sei sicura di star bene?”

Lei annuì, prendendogli la mano: “Sono solo controlli di routine per qualcuno a cui hanno squarciato la pancia.”

Non dire così, sciocca ragazzina,” ribatté il biondo con una smorfia preoccupata, dandole un buffetto sul naso “Soprattutto non adesso che stanno arrivando i tuoi genitori.”

Oh no,” Strawberry mugolò, sbattendosi le mani sulla faccia “Adesso mio padre mi ucciderà. Gli sarà venuto un infarto quando gli avrai telefonato! Ora che ci penso...” aprì le dita quanto bastava per poterlo guardare “Tu come fai ad essere ancora vivo?”

Un brivido invisibile percorse la schiena del ragazzo: “Fortunatamente ha risposto tua madre al telefono. Farei meglio ad andarmene di qui, che dici?”

Assolutamente no!” la rossa lo agguantò per una manica “Rimani qui ed affronta il tuo destino insieme a me!”

Il consueto rumore di sottofondo li avvertì che l'uragano coppia Momomiya stava per colpirli a tutta forza.

La mia bambina!” Sakura si lanciò sulla figlia, stringendola in un abbraccio mozzafiato, singhiozzando disperata.

Mamma... mamma, sto bene,” boccheggiò la più giovane, lasciandole delle pacchettine rassicuranti sulla schiena.

Oh, piccola mia, mi hai fatto morire di paura! Sapevo che eri maldestra e ti sei sempre fatta male, ma non sei mai finita in ospedale per una cosa del genere! Com'è successo, cos'hai fatto?!”

Mentre Strawberry raccontava una scusa più o meno plausibile riguardo le sue ferite e l'attacco al Dome, Ryan uscì lentamente dalla stanza, per lasciare spazio ai genitori della ragazza e permettere loro di passare un po' di tempo assieme indisturbati.

Prese il cellulare di tasca, mandando un messaggio a Kyle per sincerarsi delle condizioni di Kimberly, e controllò alcuni notiziari online, accertandosi che, come sempre, l'identità delle Mew Mew fosse protetta. Tutte le prime pagine, ovviamente, riportavano la notizia della battaglia e di come strane forze si fossero alleate per sconfiggere il nemico, ma nessuna di esse si avvicinava in modo pericoloso alla realtà.

Ragazzo. Ti devo parlare.”

Alzò lo sguardo, trovandosi Takashi a poca distanza, un'espressione scura in viso. Ryan non aveva paura di molte cose, ma doveva ammettere che, anche per il rispetto che provava per lui, il signor Momomiya era capace di incutergli parecchio timore.

Vorrei sapere com'è successo,” continuò l'uomo al silenzio del ragazzo.

Gliel'ho detto al telefono. Eravamo al Dome per partecipare alla festa, quando tutto è iniziato a cadere...”

Stronzate!” Takashi gli si avvicinò ulteriormente, il viso furente, inchiodandolo contro al muro “Ho visto i notiziari, ho visto le condizioni degli altri feriti. Ci sono tanti punti che non quadrano. So per certo che voi non dovevate nemmeno essere alla partita, perché io ci portavo sempre Strawberry da piccola, e mi aveva telefonato qualche giorno prima per raccontarmi quanto fosse dispiaciuta di non poterci andare.”

Le ho fatto una sorpresa,” ribatté Ryan a denti stretti; non riusciva a capire da che parte stesse andando a parare il signor Momomiya, ma le accuse che sembrava gli stesse mandando non gli piacevano per nulla.

La sua è una ferita da taglio,” Takashi lo ignorò, gli occhi color pece che bruciavano di rabbia “E tu, tu sei tutto intero.”

L'americano sentì il sangue ribollirgli nelle vene: “Non crederà forse che io abbia aggredito Strawberry ed abbia usato l'attentato al Dome come copertura, vero?”

L'uomo scosse la testa: “Se avessi pensato che tu sia quel tipo di uomo, ti avrei tenuto lontano da mia figlia e mia nipote molto tempo fa. Voglio solo la verità.”

Ognuno sostenne lo sguardo dell'altro, ognuno cercando qualche tipo di conferma. La mente di Ryan viaggiava veloce, rovistando per un appiglio che potesse soddisfare il suocero; sapeva bene, però, che in quel momento non ne sarebbe stato in grado.

Anche quando lei era più piccola, ogni tanto notavo qualcosa di strano, ma non riuscivo mai a capire... poi è finito tutto all'improvviso, e adesso è ricominciato...” la voce del padre di Strawberry si affievolì “Ho sempre avuto un sospetto, ma mi sembrava impossibile, neanche lontanamente immaginabile che la mia bambina...”

Signor Momomiya, io non so di cosa lei stia...” tentò il biondo, ma l'uomo più anziano sventolò una mano per fermarlo.

Avanti, ragazzo, dimmelo. Strawberry è... è una di... loro?”

Gli occhi ghiacciati si spalancarono, il loro proprietario rimase senza fiato. Com'era possibile che Takashi Momomiya avesse scoperto il segreto?

Egli rise senza divertimento, passandosi una mano tra i capelli: “Sembro pazzo, lo so. Ma è l'unica spiegazione che mi viene in mente per spiegare il comportamento di mia figlia. Sakura crede che io non l'abbia mai capita, invece sono sempre stato bravo a comprenderla, solo che non ho mai voluto dire niente. Credevo che certe cose dovessero essere risolte semplicemente tra madre e figlia. E poi, quella in rosa le è maledettamente somigliante.”

Ryan rimase in silenzio, chiedendosi se l'uomo stesse ancora parlando con lui o piuttosto da solo.

Non voglio neanche sapere cos'è successo, come è successo, se sia sempre stato così. Mi pare logico che anche tu abbia a che fare con tutto ciò.”

Takashi, signore. La devo pregare di non rivelare niente di tutto ciò a nessuno, nemmeno a sua moglie,” il biondo si staccò dal muro, osservando preoccupato il suo interlocutore “La segretezza sta alla base della sicurezza di sua figlia, e di tutte le altre.”

Takashi annuì: “Vorrei solo sapere se... se è mai stata più in pericolo di così?”

Le posso assicurare che ho sempre fatto di tutto perché fossero sempre al sicuro,” il ragazzo tentò di sviare il più possibile la domanda, ben sapendo che in realtà l'uomo davanti a sé non ne voleva la risposta.

D'accordo,” Takashi si allontanò da lui, le spalle basse ed incurvate. Sembrava che dieci anni in più fossero improvvisamente calati su di lui.

Ryan lasciò andare un lungo respiro, riaggiustandosi la maglietta, seguendolo a breve distanza nella stanza di Strawberry.

Lei gli lanciò un'occhiata curiosa, rispondendo alle domande della madre, e lui le rispose con un sorriso che tentava essere rassicurante.

Poteva fidarsi di Takashi? Sì, era sicuro che quell'uomo avrebbe fatto di tutto per la figlia, come d'altronde lui avrebbe fatto per la sua; quindi il loro segreto era in buone mani. Takashi aveva senz'altro realizzato i rischi che porre quella domanda comportava, ed anche quelli che sarebbero sorti se per caso si fosse lasciato sfuggire anche un solo dettaglio della faccenda.

Si sedette nella poltroncina che aveva occupato tutta notte, che gli fece dolere il fianco, osservando come la rossa interagiva allegramente con i suoi genitori. Improvvisamente, gli mancò Kimberly, la persona più vicina e simile a lui che potesse avere, l'unico collegamento materiale al concetto di famiglia a cui lui potesse avvicinarsi.

Ryan, caro?” alzò lo sguardo su Sakura, che gli si era avvicinata con il solito sorriso premuroso “Tu sei sicuro di stare bene? Ti sei fatto controllare dai medici?”

Sì, grazie, non si preoccupi,” rispose, un po' più duro di quanto avrebbe voluto “Ho solo passato l'intera notte su questa sedia, e sono un po' stanco.”

Perché non ti fai accompagnare a casa da mamma e papà?” s'intromise Strawberry “Casa mia è più vicina a qui che la tua, puoi farti una doccia e mangiare qualcosa di decente. Sono sicura che papà ha dei vecchi vestiti che ti staranno bene.”

Non poté non trasalire alla scelta di parole della rossa; a volte si dimenticava di quanto in realtà lei fosse giovane ed ancora, in certi versi, dipendente dalla sua famiglia.

Si alzò di scatto dalla sedia, schiarendosi la gola: “No, grazie, ma non voglio creare disturbo. Se volete rimanere un po' qui da soli con Strawberry, io passo da casa mia, poi da Kyle per prendere Kimberly. Dovrei essere di ritorno tra non più di due ore.”

Lei si accigliò, vedendolo salutare tutti con solo un gesto della mano ed un sorriso forzato, ed uscire prima che lei potesse aggiungere più che un Ciao. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?


***


Anche dall'altra parte della città, nel covo degli alieni, la giornata era incominciata presto, con la sensazione che la vita potesse ricominciare a scorrere in modo normale.

Rui era steso sul divano, la schiena scoperta, Espera seduta vicino a lui che armeggiava con batuffoli di cotone e una bottiglietta sigillata.

Quale malefico intruglio stai usando che brucia da morire?” esclamò l’alieno.

La compagna sorrise: “Qui sopra c’è scritto ‘Acqua ossigenata ’. E non lamentarti tanto,

visto che so che non fa così male… Kyle ha detto che fa molto bene per i tagli ed è un ottimo disinfettante, quindi ho deciso di provarlo invece di usare i nostri unguenti.”

Sì ma almeno quelli non sono così terribili!”

Non ti lamentare, fratellino, c'è qualcuno che sta peggio!” Kert entrò zoppicando nella stanza, sostenuto da Pharart, la gamba destra ancora fasciata e piegata.

Espera roteò gli occhi: “Dovresti stare a riposo assoluto, la ferita non si è ancora rimarginata!”

Seles, sai meglio di me che non sono capace,” si appoggiò al bracciolo del divano “Ho già riposato abbastanza, avevo bisogno di uscire dal letto.”

Lei non commentò, limitandosi a constatare la punta di nervosismo e fastidio di una certa aliena seduta sul davanzale, e ritornò a prendersi cura delle ferite di Rui.

Dovresti ringraziarla, ti ha salvato la vita,” sussurrò Pharart all'orecchio dell'amico mentre lo accompagnava verso il balcone.

Chi ti ha detto che sono qui per parlare con lei?” replicò il maggiore dei Tha.

L'alieno biondo gli lanciò un'occhiataccia: “Se ho fatto tutta questa fatica a portare in giro il tuo culone da novanta chili per niente, ci penso io a ucciderti con le mie mani.”

Lui ghignò e si staccò da lui, saltellando su una gamba sola per gli ultimi metri fino al davanzale, sul quale si lasciò cadere pesantemente.

Dovresti davvero smetterla di alzarti ed andartene, la mattina.” scherzò irriverente.

Sunao lo guardò di sbieco: “Pensavo fosse quello che volevi da tutte quelle che entrano nel tuo letto,” replicò acidamente.

Kert reclinò il capo, godendosi il Sole sulla pelle fresca: “Ti avevo detto di non farlo, Sunamora.”

-E invece l'ho fatto lo stesso,- voleva borbottare, ben sapendo a cosa si riferisse (*), ma si morse la lingua. Sia per non dargli la soddisfazione di vederla fare una ripicca come una bambina, sia perché dirlo a voce alta non avrebbe fatto altro che renderlo ancora più reale e lei più vulnerabile.

Credevo saresti stato più gentile con chi ti ha salvato la pelle,” decise invece di rispondere.

Mi sembra di averti ringraziato abbastanza già a Gaia.”

Lei sbuffò. Ne aveva già avuto abbastanza di quella conversazione. Il suo lavoro era stato fatto, non vedeva l'ora di tornarsene a casa e rimanerci per sempre. Ancora una volta, avrebbe cancellato il suo viso dai suoi ricordi... o almeno ci avrebbe provato.

Cosa facciamo adesso? Riguardo le Mew Mew?” Kert interruppe il filo dei suoi pensieri.

Sunao scrollò le spalle: “Il Consiglio vuole che torniamo tutti a casa. Diranno che fin dall'inizio la missione era finalizzata ad eliminare Profondo Blu, così il popolo sarà contento.”

Otto mesi sulla Terra buttati al vento, quindi.”

Non per il Consiglio. Ci faranno una figura migliore se la spacceranno per una missione di pace.”

Kert sbuffò, innervosito. “Immagino che dovremo seguire le regole.”

La Messaggera si alzò: “Ci sarà una grande festa al vostro ritorno, dovresti esserne contento.”

Lui la osservò, curioso: “Tu te ne vai?”

Sunao sciolse i lunghi capelli: “Non ho più nulla da fare qui, e non appartengo alla squadra della missione. Non sarà per me, la festa. Sai benissimo che molte delle cose che faccio devono rimanere segrete.”

Lasci a noi tutta la gloria?”

L'aliena sorrise, sprezzante: “Se fosse la gloria ciò di cui vado in cerca, non sarei la Messaggera del Consiglio.”

Allora cosa cerchi?”

Lei scosse la testa, incamminandosi verso l'interno della villa: “Ciao, Tha.”

Kert incrociò le braccia dietro la testa: “La Sunao che conoscevo io una volta non sarebbe mai scappata. Lei adorava le sfide, ed amava dimostrare di essere la più forte di tutti.”

Sunao si bloccò. La stava forse prendendo in giro? Non aveva mai voluto curiosare troppo nella sua mente, ma in quel momento era poco lontana dal farlo.

Se c'era una cosa che non poteva sopportare, era che Kert Tha giocasse ancora più sfrontatamente con i suoi sentimenti.

-Già, sentimenti,- pensò con una punta di disgusto. -Ed io che lo lascio anche fare.-

Si sentì afferrare per un polso, ritrovandosi quella faccia da schiaffi ed il suo ghigno irriverente a poca distanza dalla sua.

Torniamocene a dormire,” le sussurrò con un luccichio malizioso negli occhi “Ho ancora due o tre trucchetti da insegnarti...”

Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di liberare il braccio. Fino a qualche mese prima, sarebbe stato tutto ciò che avrebbe voluto; invece era caduta nella trappola che lei stessa aveva creato, nonostante molte volte si fosse giurata che sarebbe stata attenta perché aveva già patito troppo, e lui era così insopportabilmente sicuro di sé per lasciarlo vincere a quel modo, dopo tutto quello che lei aveva costruito per proteggersi e vincere.

La stretta di Kert si rafforzò sulla sua pelle interrompendo ancora i suoi pensieri, la tirò lentamente a sé appoggiando la fronte contro la sua e catturandole le labbra in un bacio simile a quello che le aveva dato al Dome: forte, deciso, e per certi versi, disgraziatamente dolce.

E ci metterò tanto, tanto, tanto tempo ad insegnarteli...” mormorò l'alieno quando si staccarono, guardandola dritta negli occhi.

Avrebbe tanto voluto mandarlo al diavolo tante volte quanti furono i battiti accelerati del suo cuore... invece si limitò a rispondere al suo ghigno con un sorriso malizioso, voltandogli le spalle, e a mandare al diavolo Espera che si stava mentalmente beando di aver avuto ragione per l'ennesima volta.


***


Ryan percorse lentamente il corridoio della clinica, esattamente due ore dopo esserne uscito, come aveva previsto.

Era passato da casa e si era concesso un pisolino di mezz'ora, una doccia fresca e una tazza di caffè bollente. Poi era passato da casa di Kyle, mettendolo al corrente di ciò che Takashi Momomiya aveva scoperto. Come lui, l'amico aveva mostrato grande stupore.

Ma sono certo che il segreto rimarrà comunque al sicuro,” gli aveva detto, allungandogli la borsa con le cose di Kimberly mentre il biondo se la issava su un fianco “Sai benissimo cosa un padre potrebbe fare per la propria figlia.

Condividere lo stesso pensiero di Kyle l'aveva sempre rincuorato; per lui era come un fratello maggiore, una guida che gli indicava la direzione giusta in qualunque situazione.

Le tendine erano ancora tirate nella stanza di Strawberry, ma non ne usciva suono, quindi dedusse che i suoi suoceri se ne fossero andati. L'aprì con calma, in caso si fosse addormentata, perciò si sorprese di trovarla sveglia e vigile.

Ehi, eccoti qua!” esclamò sorpresa “Volevo chiamarti, ma poi mi sono resa conto di non avere idea di dove sia il mio cellulare.”

L'americano appoggiò giubbotto e casco della moto sulla poltroncina, dirigendosi poi verso la sedia più vicina al letto: “I tuoi effetti personali sono tutti qui, nelle cassette di sicurezza. Vuoi che vada a riprenderli più tardi?”

Sì, grazie,” la rossa lo osservò sedersi “E Kim?”

Sono passato a prenderla a casa di Kyle e l'ho portata da Mina e Quiche, perché sono gli unici che possono tenercela per un po'. Non poteva venire qui, non vogliamo che vi contagiate a vicenda.”

Giusto. Però non vedo l'ora di vederla.” gli prese la mano “Va tutto bene?”

Sì, è solo che... no, niente, lascia perdere.”

Dai, dimmelo.”

Ryan appoggiò il mento sulla mano: “E' che a volte, con tutte le cose che abbiamo passato, mi dimentico di quanto tu sia ancora... piccola.”

La rossa si acciglio: “Piccola?”

Lui rise, tracciando linee invisibili sul palmo di lei con un dito: “Prima hai chiamato casa quella in cui abitavi con i tuoi genitori, nonostante ti fossi già trasferita nel tuo monolocale, e siano ormai quasi due che abiti con me. Tendi a farlo molte volte. Non hai nemmeno ancora cambiato il tuo cognome con il mio. So che può sembrare sciocco, e non sei nemmeno tenuta a farlo, ma ogni tanto mi sembra come se non riuscissi ancora a considerare noi come una famiglia.”

Il singulto che provenne dalla gola della ragazza gli fece alzare lo sguardo di scatto, andando ad incrociare gli occhioni marroni pieni di lacrime.

Ti ho ferito,” singhiozzò Strawberry “Mi dispiace, ma lo sai che quando io sto male mi trasformo nella bambina piagnona e mi manca la mamma, e...”

Oh, baby,” Ryan non riuscì a trattenere un sorriso mentre si sedeva sul bordo del letto e la stringeva dolcemente tra le braccia “Non devi piangere per una sciocchezza simile. Lo so che sei una frignona.”

Lei rise tra le lacrime, strofinando la guancia contro la sua maglietta: “Antipatico... e comunque noi siamo una famiglia. Però il mio cognome mi piace di più del tuo.”

In effetti mi riporta a tempi divertenti chiamarti Momomiya.”

Mi sfruttavi sempre.”

You loved it.

Un leggero bussare alla finestra li distrasse; il biondo si alzò e scostò la tendina, rivelando Quiche dall'aria stanca con in braccio Kim, ciuccio in bocca e le guance striate da lacrime asciutte.

Cos'è successo?” domandò l'americano, uscendo velocemente nel corridoio e prendendo in braccio la bimba.

Si è svegliata da un riposino e voleva disperatamente la mamma,” gli spiegò l'alieno “Così mi sono teletrasportato qui prima che anche Mina si mettesse a piangere dallo sconforto.”

Mama!” esclamò la piccola, appoggiando la manina contro il vetro e chiudendo e aprendo le ditina paffute come la rossa stava facendo dalla sua stanza.

Mommy's sick, bumblebee,” le disse il padre “Devi stare un po' con la zia Mina, poi papà stasera viene a prenderti.”

Mama what?” domandò lei, gli occhioni marroni pieni nuovamente di lacrime.

La mamma è inciampata e si è fatta la bua,” le spiegò pazientemente Ryan, per una volta usando un termine da bambini anche con la sua precoce bimba.

Questa si girò nuovamente verso la finestra, sorridendo quando Strawberry le lanciò un paio di baci.

Ci stai un po' con lo zio Quiche e la zia Mina? Ci sono un sacco di stanze da esplorare e un sacco di vestiti! Stasera torniamo a casa, d'accordo?”

Kimberly guardò il suo papà: “Ice-cream?”

Il biondo rise, dandole un bacio in fronte: “Sì, mangiamo anche il gelato, ma non diciamolo alla mamma!”

Lei annuì, convinta ma ancora un po' titubante, e allungò le braccia verso lo zio, che sorrise.

Ci sai fare con le donne, eh biondino?”

Con lei soprattutto,” si salutarono con un sorriso, e Ryan ritornò dentro la stanza mentre Quiche si teletrasportava nuovamente verso casa.

Strawberry sbadigliò per l'ennesima volta, appoggiandosi meglio sui cuscini: “Non vedo l'ora di andarmene a casa. Odio l'ospedale.”

Lo so, ma non uscirai di qui finché non lo dice il medico, non un giorno prima.”

Sì, capo.”


***


Una settimana dopo, l'estate arrivò in grande stile, risollevando gli animi mentre Tokyo si riprendeva pian piano dall'attacco e ognuno tornava alla solita, tranquilla ed amata routine.

Il Caffè Mew Mew era ormai chiuso per ferie, e lo sarebbe stato fino alla fine d'agosto, per permettere al suo staff di godersi di un po' di meritato riposo dopo mesi a dir poco avventurosi.

In quel momento, però, una piccola “festa d'addio” stava volgendo al termine – gli alieni di Gaia erano pronti per ritornare sul loro pianeta.

Be', non c'è molto da dire,” esclamò Kyle, in mano un fresco bicchiere di limonata “Come in passato, siamo riusciti ad abbattere le diversità tra di noi ed unirci per una causa comune, e questo è motivo sicuramente di festa.”

Basta che voi cugini non vi mettiate di nuovo in testa di distruggerci,” scherzò Quiche con un ghigno, lanciando un'occhiata poco carina al cugino dagli occhi dorati.

Rui scosse la testa, sorridendo: “Abbiamo parlato con il nostro Consiglio. La Terra sarà lasciata in pace e considerata un alleato prezioso.”

In altre parole, se mai un giorno avrete bisogno, fate un fischio,” Pharart rivolse a tutti un occhiolino.

Strawberry, seduta su una sedia perché ancora convalescente ed uscita giusto quella mattina dalla clinica, annuì: “Lo stesso vale anche per voi.”

Espera fece un passo avanti, le gote colorite per quell'atmosfera di contentezza così estranea tra di loro: “E' arrivato il momento di andare. Vi ringraziamo anche per l'ospitalità che ci avete offerto.”

Ryan le sorrise, tendendole la mano: “Il piacere è stato nostro.”

Si strinsero tutti la mano a vicenda, con Paddy che come al solito strafece lanciandosi ad abbracciare ognuno degli alieni, perfino Sunao.

Mettevi in contatto con noi, ogni tanto!” esclamò contenta la più giovane del gruppo “Le tecnologie di Pie sono sicuramente in grado di raggiungervi!”

Il Comandante annuì con un sorriso: “Lo faremo di certo.”

Si avviarono tutti verso il parco, nel luogo dove l'astronave aliena era stata nascosta al loro arrivo grazie a degli speciali schermi, e si salutarono per un'ultima volta.

E così, anche questa è fatta,” commentò Kert, osservando il gruppo che diventava sempre più piccolo mentre lentamente la navicella prendeva quota.

Sunao rise: “Sei diventato triste?”

No, però forse un po' mi mancherà la Terra e tutti i suoi divertimenti strani. Chissà, magari ogni tanto potrei prendere una capsula e scendere a fare un giro.”

Zaur e Pharart si scambiarono un'occhiata preoccupata prima di ridere, e la Messaggera scosse la testa, in fondo anche lei divertita, allacciandosi una cintura attorno alla vita per prepararsi al salto di velocità che presto avrebbero fatto.

Ricambiò il sorriso di Espera, ed entrambe chiusero gli occhi, contente. Era finalmente ora di tornare a casa.


Sulla Terra, le Mew Mew rimasero a naso in su finché quel puntino lontano sparì all'improvviso.

Bene, se ne sono andati!” Paddy si stiracchiò, lanciando le braccia al cielo in un turbinio di capelli biondi “Siamo ufficialmente libere... ed in vacanza!”

Mi sembra che sia passato un secolo dalla prima volta che gli abbiamo incontrati,” commentò Mina, incamminandosi sul sentiero che portava al Caffè “Ve lo ricordate?”

E come dimenticarlo!” le rispose la Mew Gialla “Erano talmente belli!”

Tutte risero, lanciando occhiatine nervose ai ragazzi davanti a loro.

Cosa farete adesso?” domandò Lory, saltellando cauta sulle stampelle “Io e Kyle pensiamo di andare qualche giorno negli Stati Uniti una volta che sarò guarita.”

Io devo tenere quest'orrendo gesso ancora una settimana, poi incomincerò fisioterapia e contemporaneamente i miei allenamenti, e poi voglio andare qualche giorno in Francia a rilassarmi,” esclamò contenta la Mew Blu.

Io inizierò le riprese di un film tra poco, ma non dovrebbe essere una cosa lunga,” rispose pacata Pam.

Invece io e Tart andremo in Cina a trovare mio papà!” Paddy saltellava da un piede all'altro poco davanti a loro “E grazie al teletrasporto non dovremo pagare niente.”

E tu, Strawberry?”

La rossa sorrise alla sua amica dai capelli verdi: “Credo che io e Ryan andremo un po' al mare con Kimberly a non fare assolutamente nulla.”

Oh, lo so io cosa farete...!” sogghignò la Mew blu, causando un'improvvisa comparsa di orecchie e coda da gattina nere.

Paddy si bloccò all'improvviso, con sguardo triste: “Ma... allora non ci vedremo mai, questa estate.”

Non dire così,” Pam le mise una mano sulla spalla, sorridendole serena “L'hai appena detto, con il teletrasporto sarà facilissimo raggiungerci quando vorremo.”

E poi abbiamo già passato abbastanza tempo assieme, non ti pare? Tutto questo stress mi sta facendo venire le rughe!”

Quello che Mina vuole dire,” Strawberry guardò di sbieco la ballerina “E' che ci meritiamo tutte un po' di vacanze e di relax, per riprenderci e staccare un po'. Ma non per questo ci perderemo di vista, in fondo ci siamo ritrovate dopo cinque anni! Sono stati anni intensi, non credete?”

Ci fu un mormorio di assenso generale, mentre ognuna si perdeva nei propri pensieri riguardo a tutto ciò che avevano passato da quel giorno in cui, per caso, o molto più probabilmente per destino, si erano ritrovati tutti davanti al Caffè ormai abbandonato, quasi due anni prima.

E poi, Paddy,” la rossa riprese, con un sorriso “Il tuo diciottesimo compleanno è il sette agosto, quindi dovremo assolutamente ritrovarci al mare e festeggiare!”

Sìììììììììììììì!” la biondina spiccò un salto “Hai sentito, capo?”

Ryan si girò, ormai avvezzo a quel nomignolo che comunque continuava a negare: “Cosa state combinando voi cinque?”

Niente, si fanno solo programmi per l'estate,” Strawberry lo raggiunse, agganciandosi al suo braccio libero, l'altro impegnato a reggere Kim.

Non ditemelo, avete intenzione di sfasciarmi di nuovo la casa al mare, vero?” sospirò lui.

Eddai, Mister Biondo, non potresti vivere senza di noi,” lo prese in giro Mina.

Non chiamarmi così!”

Kyle sorrise, aprendo la porta del Caffè: “Su, forza! Ci sono i dolci da finire, poi possiamo chiudere ed andare ufficialmente in vacanza!”

Alla parola dolci, tutto il gruppetto si mosse più velocemente, ridendo e scherzando con una leggerezza di spirito che non avevano provato per un lungo tempo.

Il moro li osservò ad uno ad uno, con affetto, notando quanto fossero in fondo cambiati in quei mesi passati assieme.

Tutto era iniziato lì, al Caffè, molti anni prima; era ripreso nel medesimo posto ed ora era lì che si chiudeva, lasciando spazio a qualcosa di nuovo, intrecciato con quel filo rosso del destino che li univa tutti e che non si sarebbe mai spezzato.

Con un ultimo sorriso, chiuse la porta.









(*) Cfr. Cap. 19 Burning in me





Chi è che finisce un capitolo alle undici di sabato sera? Ioooooo :D Chi è che non ha Internet per pubblicarlo subito? Sempre iooooooooo xD Adesso le vacanze sono finite (sad face) e quindi eccomi qui ^^

Mi sono fatta prendere come al solito la mano, ma è il penultimo capitolo (argh) e dovevo tirare un po' le fila di tutto :)

Spero di non essermi dimenticata niente, e spero che la conclusione della storia vi stia piacendo. Come avete visto, sono stata abbastanza clemente ;) Se vi dicessi come sarebbe dovuta finire all'inizio, nella prima “bozza”, probabilmente mi lincereste XD Ah, nota informativa per chi come me è fissato con date ed età: qui dico che Paddy ha 18 anni perché ho fatto due conti veloci: la fic è stata iniziata nel 2006 perché era il periodo in cui si trasmetteva l'anime, quindi il “passato”. Più cinque anni (il salto che fa la fic) si fa il 2011, più due anni di avventure fa il 2013, cioè ora ;) Senza volerlo, lo giuro!

Spero di riuscire a terminare e pubblicare l'ultimo capitolo prima del 25 agosto, quando teoricamente dovrei partire... ma non posso assicurarvi nulla perché si sta rivelando difficile xD

Bene, ringrazio davvero chi è arrivato fin qui – ho avuto un sacco di letture in più del solito per il capitolo precedente, quindi grazie moltissimo perché sono stata piacevolmente sorpresa! Magari lasciatemelo un commentino, dai, giusto perché stiamo arrivando alla fine ;)

Un bacione a tutti e a presto con l'ultimo capitolo!!!

Hypnotic Poison

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Capitolo 30
*** Epilogo - Mele e Caramelle ***


Epilogo – Mele e Caramelle



Il rumore di piedi scalzi rimbombava sommesso nel corridoio.

Kimberly Shirogane, cinque anni e mezzo, mezzo metro di capelli biondi ed un orso di peluche grande quanto lei, accostò silenziosamente l'orecchio alla porta della stanza dei suoi genitori.

Non udendo alcun rumore, s'arrischiò ad aprire, e zampettò in punta di piedi fino al lato del padre, aspettando zitta. Contò fino a centottanta; quando nessuno si mosse, bisbigliò: “Papà! Papà, mi avevi promesso che con il nuovo anno sarebbe arrivato il fratellino!”

Ryan sospirò, girandosi di schiena e passandosi una mano sugli occhi: “What's that, bumblebee?”

Il fratellino!”

Il biondo guardò la sveglia sul comodino, che segnava le otto del mattino del due gennaio 2018. “Mancano ancora due mesi, sweetheart. Lo sai che ce ne vogliono nove.”

Kimberly fece una buffa faccia contrariata, simile a quella della madre. Nonostante fosse molto precoce per la sua età, sebbene non come lo era stato il padre, spesso era ingenua ed infantile come ci si sarebbe aspettato. “Mi hai ingannata!”

Ryan rise, girandosi per sollevarla da sotto le ascelle e portarla nel lettone: “Guarda che la mamma si arrabbia se la svegli.”

Sono già sveglia,” mugugnò Strawberry da sotto le coperte.

Hi mommy!” Kimberly gattonò nell'altro lato del lato per infilarsi sotto il braccio della rossa e darle un bacio sulla guancia.

Perché mi dovete sempre svegliare?” piagnucolò, facendo il solletico alla bimba “Siete crudeli!”

Tanto dobbiamo andare al Caffè, oggi torna la zia Pam con Roa!” la biondina si lanciò nel mezzo del letto, in tempo per essere catturata dal padre.

Forza, vai a fare colazione, Nina ti sta aspettando!”

All right,” la bimba trotterellò giù, trascinando l'orsetto lungo il pavimento.

Quando la porta si chiuse, Ryan si voltò per andare ad accarezzare quella bella pancia tonda di sette mesi che puntualmente lo costringeva giù dal letto tutte le notti per soddisfare strane richieste culinarie. “Dormito bene?”

Mmmhm,” Strawberry si mise sgraziatamente sulla schiena, scalciandosi la coperta di dosso “Ho avuto caldo.”

Il biondo rise: “Solo tu puoi avere caldo a gennaio, sweetheart. Forza, muoviamoci o faremo tardi.”

Io ho sempre fatto tardi,” si lamentò lei “E' la mia caratteristica. Quindi torno a dormire e tu vai senza di me.”

Ryan la tirò delicatamente per un braccio finché non fu in posizione seduta: “Andiamo, altrimenti Mina se la prenderà con me. Le avevi promesso che saresti stata puntuale per la rimpatriata del nuovo anno.”

D'accooooordo,” sbadigliò sonoramente, “Questa pancia è così faticosa, con Kim non era così!”

Sei stata tu a volerci provare così presto, darling,” il biondo la spinse verso il bagno, aprendole la doccia ed allungandole il suo sapone preferito, spalmandosi contemporaneamente un velo di schiuma da barba sulle guance “Non è colpa mia se con i miei geni da superuomo ci siamo riusciti subito.”

Ahah,” si fece cullare dall'acqua calda, il sorriso un po' affievolito, osservando le goccioline rimbalzare sul pancione, mentre il ricordo di quella mattina in ospedale le si affacciava alla mente.

Ogni tanto ci pensava: come sarebbe stato, cosa sarebbe potuto succedere, se sarebbe stata comunque incinta in quel momento. Non le piaceva soffermarcisi troppo, però. Era passato il tempo in cui poteva permettersi di fantasticare a lungo, e certi ricordi pungolavano troppo il cuore per essere portati a galla molto spesso.

Straw?” la voce del marito la fece trasalire “Sei lì dentro da venti minuti in silenzio, va tutto bene?”

Si schiarì la gola, afferrando l'accappatoio e facendogli una linguaccia: “Te l'ho detto che sono stanca. Vado a vestirmi, tu controlla che Kim sia pronta.”

Ryan le lasciò un bacio sulla sommità della testa, mentre la rossa si avviò verso il suo armadio, che occupava l'intera parete sinistra della loro camera da letto.

Dopo quasi sette anni insieme, Ryan si era dovuto arrendere e glielo aveva fatto costruire proprio come piaceva a lei, limitandosi ad un più sobrio armadio a due ante ed una cassettiera dal lato opposto, che non potevano che sfigurare. D'altronde, dopo tutto quel tempo passato con Mina, era il male minore a cui Strawberry lo poteva assoggettare.

Venti minuti dopo, la famiglia Shirogane passeggiava in direzione del rosato locale, Kimberly ben stretta tra i due genitori ed imbacuccata per benino, che parlava senza sosta proprio come la madre.

L'americano un po' temeva quello che sarebbe potuto succedere con quelle due e tra quelle due negli anni avvenire, perciò era molto contento che il bimbo in arrivo sarebbe stato un maschietto; forse avrebbe finalmente avuto qualcuno dalla sua parte.

L'aria calda del Caffè provocò un piacevole pizzicore sulle loro guance raffreddate dall'aria di gennaio.

Ciao zio Kyle, ciao zia Mina!” cinguettò allegra Kimberly.

Ciao mostriciattolo!” Mina si chinò e l'abbracciò, schioccandole un bacio sulla guancia “Sei pronta per ricominciare le tue lezioni di danza?”

La biondina annuì, sventolando una mano in direzione di Paddy e Tart che erano appena usciti dalla cucina. “Dov'è zia Pam?”

Il loro aereo dovrebbe atterrare tra poco, non preoccuparti.” le rispose Kyle, porgendo loro un vassoio di cioccolata calda “Venite, sistemiamoci al bancone.”

Appesi i cappotti nei rispettivi ganci, il gruppetto si sistemò attorno alla cassa; il locale era ancora quasi vuoto, perciò non avrebbero dato fastidio.

Allora, ammettetelo che è stato noioso festeggiare Capodanno senza di noi!” esclamò Paddy, il labbro superiore macchiato da uno sbaffo di cioccolata.

Io ero a Parigi,” rispose sorniona la ballerina “Non posso certo lamentarmi.”

Dai, tu che non ti lamenti? Non mi dire!” la prese in giro la rossa, sedendosi goffamente su uno sgabello.

L'amica le fece una smorfia, per poi rivolgersi a Kyle: “Anche il Capodanno tuo e di Lory si dice sia stato interessante...” tutti ridacchiarono nel vedere l'imbarazzo sul viso del bel pasticciere “A proposito, dov'è la nostra futura sposina?”

Doveva consegnare un ultimo documento per la tesi, sarà qui a momenti.”

Quiche, invece?”

Mina cambiò subito espressione alla domanda del più giovane degli Ikisatashi: “Perché dovrei saperlo, non sono mica la sua ragazza.”

Oh, andiamo!” sbuffò Strawberry “Ancora con questa storia degli amici?!”

Amici intimi,” ridacchiò Paddy, guadagnandosi un'occhiataccia.

Ryan scosse la testa: “Bumblebee, did you bring your coloring book with you?”

La bimba annuì, mostrandogli l'album con le figure da colorare: “Posso andare a sedermi a quel tavolo mentre aspetto Roa?”

Ecco, prendi anche due biscotti!” Kyle glieli porse e lei si accomodò tranquilla, dondolando le gambe paffute dal bordo della sedia.

Mina guardò con la coda dell'occhio una delle giovani cameriere, che indossava una divisa bianca. Nessuna di loro lavorava più al Caffè da tempo, ormai, ma ne avevano acquistata ognuna una quota, pur lasciando la maggior parte della proprietà e le redini del tutto a Ryan e Kyle. Si ritrovavano comunque tutte lì, e le azioni di monitoraggio non si erano mai interrotte del tutto. L'unica differenza era che il laboratorio era costantemente chiuso a chiave, la quale era in possesso solo di Ryan, e che le loro storiche divise erano state ritirate, in quanto le cinque ne erano troppo gelose per lasciarle ad altre ragazze, che perciò indossavano semplici vestiti bianchi.

Come se la stanno cavando?” mormorò la mora.

Strawberry alzò le sopracciglia: “Lavorano sicuramente di più di quanto non facessi tu.”

Se non fossi incinta ti prenderei a schiaffi, Momomiya.”

In realtà, sarebbe Shirogane.”

Zitto tu, l'hai sempre favoreggiata solo perché le morivi dietro.”

Kyle rise sotto i baffi, preparando un vassoio per una delle cameriere. Era incredibile per lui come niente fosse cambiato, in quegli anni. Poteva aspettarsi sempre una delle solite baruffe da adolescenti.

Mi sono persa qualcosa?” Lory entrò in quel momento, riavviandosi i capelli tagliati a caschetto dopo essersi tolta il berretto di lana.

Vedere l'anello!!!” fu la risposta collettiva che le sopraggiunse dalle amiche, così sporse la mano sinistra per mostrare quel semplice anello con un bel diamante che Kyle le aveva regalato alla mezzanotte del nuovo anno.

Sì, non male,” giudicò Mina “E la data?”

Prima mi devo laureare,” rispose la Mew verde “Poi vorrei trovare lavoro in uno studio, quindi non prima di un paio d'anni, direi.”

Uffa,” borbottò Strawberry “Io volevo tanto festeggiare un bel matrimonio.”

Possiamo sempre convincere Pam e Pie a fare una cerimonia,” tentò la più giovane “Il matrimonio super veloce in comune sarà anche stato romantico, ma io voglio una festa.”

Sai che mio fratello non è un appassionato di queste cose,” le ricordò Tart.

Se Mina è riuscita a convincere Quiche a mettersi una cravatta, non vedo perché non potremmo convincere Pie.”

La mora alzò gli occhi al cielo: “Mi spiegate perché dovete sempre tirare in ballo me?”

Paddy sospirò, appoggiandosi con entrambe le braccia sul bancone: “Avanti, racconta, cos'è successo stavolta?”

Niente.”

Mina!

Uffa! Abbiamo... bisticciato, va bene?”

Particolari.”

No!”

Aizawa!”

La mora sbuffò vistosamente, portandosi i capelli dietro la spalla.“Stavamo... colorando, l'altro giorno,” lanciò un'occhiata veloce a Kimberly, che sedeva tranquillamente ad un tavolo con matite e un libro di figure da riempire “Era un po' che non ci vedevamo, così... vabbè, insomma... nel... momento clou, be'...”

Non sono sicuro di volerlo sentire...” gemette Ryan, pigiando le mani sulle orecchie e voltandosi verso il muro.

Lei lo fulminò con lo sguardo: “Sappi che la colpa è tua, Mister Biondo!”

Insomma, Mina, cos'è successo?” insistette Paddy.

Be'... mi sono spuntate le ali, lui si è messo a ridere e a prendermi in giro, così l'ho buttato fuori.”

Ma dai, Mina!” Strawberry rise “Non è mica qualcosa di così grave.”

Ryan sollevò un sopracciglio: “Eppure con me ti ostini ad arrabbiarti se succede.”

Visto quanto voi due colorate, non mi stupisco.” sghignazzò la Mew gialla.

Kimberly alzò la testa in quel momento, li osservò tutti con aria annoiata e un po' saccente: “Guardate che lo so che si chiama fare l'amore. Come pensate che papà abbia messo incinta la mamma?”

La ballerina sbatté un paio di volte le palpebre, rompendo per prima il silenzio generale: “Non potevate aspettare un po' di più per spiegarle certe cose?”

Ci abbiamo provato!” bisbigliò Ryan “Strawberry ha deciso di raccontarle una storia con un seme di cocomero, e un'ora dopo è venuta da me con in mano l'enciclopedia della scienza aperta sulle pagine della riproduzione!”

La rossa scosse la testa: “Non so nemmeno perché ci ostiniamo a mandarla in prima elementare, a settembre.”

In ogni caso, io ho finito di raccontarvi della mia vita privata.”

Lory mise una mano su quella dell'amica: “Vedrai che le cose si sistemeranno, tra te e Quiche.”

Mina fece per replicare, ma la porta principale si aprì, scatenando un urletto di gioia da parte di Kimberly: “Roa!”

La bionda corse verso la bimba più piccola, identica alla sua bella mamma ma con i colori del papà, ed altrettanto quieta, Roa Fujiwara-Ikisatashi era arrivata come una sorpresa due anni dopo la fine della battaglia contro Profondo Blu.

Salutò con un sorriso timido quei volti familiari, accettando la mano che Kim le tendeva.

Mamma, possiamo andare a giocare in cucina?” chiese quest'ultima alla rossa.

Strawberry sorrise: “Sì, ma dovete obbedire allo zio Kyle se viene di là, e non disturbate le ragazze.”

Osservando intenerita le due bambine sgattaiolare in cucina semplicemente passando sotto la porta da saloon, Pam andò ad abbracciare i suoi amici, soffermandosi per posare una mano sul ventre della rossa: “Che bella pancia che hai.”

E' una peste,” replicò lei con un sorriso dolce “Tutte le volte che veniamo al Caffè incomincia a fare le capriole perché sente il profumo dei dolci.”

Ho avuto finalmente notizie da Gaia,” annunciò Pie dopo qualche istante di chiacchierare vaghe sui vari festeggiamenti.

Com'è la situazione là?” Lory soffiò sulla sua tazza di cioccolata “L'ultima volta che ci siamo sentiti è stato quasi due anni fa quando Espera ci ha raccontato che era nata Selene.”

Pie annuì: “Penso vada tutto bene, anche se mi hanno raccontato che ci sono un po' di tensioni. Credo che la loro situazione politica non sia più stabile come una volta. Ma i nostri cugini stanno bene.”

Purtroppo!” Quiche comparve di soppiatto in mezzo a loro, ghigno sghembo sul viso come al solito, afferrando al volo un pasticcino.

Mina alzò gli occhi al cielo: “Ancora con questa storia? Sono passati cinque anni!”

Davvero, Quiche, sarebbe ora che anche tu crescessi, ormai sei un vecchiaccio di ventisette.”

Okay, okay, non vi coalizzate subito, sono appena tornato!” alzò le braccia in segno di difesa, stringendo gli occhi in direzione di Paddy “E tu cos'è che continui a scribacchiare?”

La bionda sorrise, premendo sul foglio per mettere un punto fermo e chiudendo il quadernetto con un piccolo tonfo: “E' il mio diario! L'ho iniziato con il nuovo anno, ho intenzione di scrivere di tutto e tutti, vecchie avventure comprese! Così un giorno lo leggerò ai miei nipoti!”

Tart la guardò con un'espressione spaventata: “Ehi, adesso non correre troppo.”

Kyle rise, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo: “Passerà più in fretta di quanto tu non creda.”

Sì, però per adesso non ci voglio pensare.”

Strawberry sorrise, accarezzandosi distrattamente la pancia, reprimendo uno sbadiglio che le era causato dal dolce tepore del Caffè e dal chiacchiericcio dei clienti. Ripensò a quella mattina, rendendosi conto che, in fondo, aveva tutto quello che aveva sempre voluto.

Guardate, ragazze, nevica!”

Le due si voltarono verso la finestra, appannata da candidi fiocchi che scendevano lenti.

Ryan e Strawberry si guardarono, contando all'unisono fino a tre.

Mamma, papà!” Kimberly apparve al momento previsto, eccitatissima “Andiamo fuori a giocare, per favore!”

Prima infilatevi i cappotti,” le ammonì Pie.

La rossa strinse forte la mano dell'americano, seguendo la figlia per il vialetto sul retro. Guardò i suoi amici, ormai una vera famiglia, finalmente spensierati e felici.

Sì, si disse. Aveva tutto quello che si poteva desiderare; se l'erano guadagnato, e non l'avrebbe cambiato per niente al mondo.



***



Paddy sorrise, riponendo quel vecchio diario un po' impolverato sopra la pila dei suoi fratelli. Erano ognuno così grosso e strapazzati che aveva paura si sarebbero rotti se non fosse stata cauta.

Prese il più nuovo di tutti, quello che ancora doveva finire di riempire; sfogliò velocemente le pagine: sì, le sarebbero dovute bastare per raccontare le ultime cose.

Afferrò la sua speciale penna stilografica, riservata a quelle occasioni, inforcò gli occhiali ed incominciò.



22 agosto 2092


Ci sarebbero tante cose ancora da scrivere su di noi, ma non basterebbero migliaia di pagine per potervi raccontare quello che davvero è voluto significare far parte di quella famiglia.

Ormai credo che l'abbiate capito, no? Noi eravamo una famiglia, lo siamo stati dal primo momento in cui abbiamo messo piede al Caffè. Forse ci abbiamo messo un po' di tempo a capirlo, ma è stato così.

Ora, però, è giusto che io dedichi un po' di tempo ad ognuno di loro, singolarmente, per salutarli come si deve... e per dirgli arrivederci un'altra volta.


Strawberry e Ryan... che dire, loro ce l'hanno fatta. La coppia più improbabile di tutte, eppure quella per cui tutti noi abbiamo sempre tifato. Se esiste qualcosa come le anime gemelle, loro due ne sono stati un esempio. Hanno creato la famiglia perfetta, e tutti noi li abbiamo sempre presi a modello... senza dirglielo, ovviamente, Ryan ci avrebbe scannati.

Dopo Kimberly, brava bella e soprattutto intelligente (e con la stessa linguaccia lunga della mamma), hanno avuto il piccolo Luke - la fotocopia sputata di Strawberry, ma con la stessa timidezza del padre, ed una cotta spropositata per Pam. Tutte le volte che da piccolo veniva al Caffè, si nascondeva dietro alle gambe del padre ed osservava la modella da lontano. A qualche San Valentino ha trovato perfino il coraggio di mandarle dei disegni. Naturalmente la cosa si è poi attutita nel tempo, ma non gli è mai passata davvero. Lo abbiamo sempre un po' preso in giro, povero caro, ma era bravo a stare al gioco.

Tre anni dopo lui è arrivata Katherine, denominata Kitty Cat per le sue indomite qualità feline. Occhi azzurri e capelli rossi, solo i Kami sanno quanti capelli deve aver perso Ryan dietro quel tornado di figlia ed i suoi innumerevoli spasimanti. Almeno in quello lui e Takashi Momomiya si sono alleati.

Come ci si aspettava, sono tutti e tre super intelligenti. Kimberly parla cinque lingue ed ha preso le redini delle aziende del padre; Luke è diventato primario di neurochirurgia all'ospedale di New York; Kathrine è diventata scienziata in chimica biomolecolare (con qualche titolo dal nome importante che non riuscirò mai a ricordare) ed ha lavorato in famiglia, seguendo le ricerche del padre e del nonno. Tutti e tre si sono sempre ovviamente divisi tra gli Stati Uniti ed il Giappone, soprattutto dopo la morte dei loro genitori.

Ryan e Strawberry se ne sono andati praticamente insieme. Il primo di noi ad arrendersi, se volete, è stato proprio il nostro caro americano. Alla fine, l'avere un DNA “contaminato” ha avuto la meglio su di lui.

Si è spento nove anni fa, nel letto della sua villa al mare, pacificamente, alla comunque nobile età di 92 anni; Strawberry era ovviamente al suo fianco. So che si sono sorrisi fino alla fine, e che lei non ha pianto. È uscita dalla camera, chiudendosi la porta dietro, ed ha semplicemente annunciato che in ogni caso non sarebbero stati separati per tanto tempo, perché non ci erano mai riusciti.

Tre mesi dopo, anche lei è andata via. Posso giurarvi che era bellissima. È stato in quel momento che ho davvero capito quanto potessero amarsi quei due.

È inutile dire che mi mancano; mi manca la risata giovane e spensierata che Strawberry ha conservato fino all'ultimo, e la sua voglia di non arrendersi mai. Ogni tanto la ritrovo nei suoi figli, e mi scalda il cuore. Non ne avrò mai abbastanza di guardarla ridere nelle foto.


Mina e Quiche sono sempre stati speciali. Non ho mai conosciuto due persone più cocciute ed orgogliose di loro. Per anni, dopo la battaglia finale contro Profondo Blu, si erano intestarditi che volevano essere “solo amici”... per poi puntualmente finire nello stesso letto, e bisticciare. Una cosa certa di loro due erano le litigate, si sentivano per tutto l'isolato.

Ma erano palesemente pazzi l'una per l'altro, altrimenti non ci sarebbe stato tutto questo tira e molla.

Ad un certo punto, mentre Mina era a Parigi per i suoi vari spettacoli di ballo, aveva iniziato una relazione stabile con un coreografo francese. Non so quali minacce abbiano dovuto attuare Pie e Ryan per evitare che Quiche andasse là e lo prendesse a calci. Per un attimo abbiamo pensato tutti che fosse davvero finita, tra di loro.

Poi sono arrivate le vacanze estive, Strawberry ci ha assoldati per passarle tutti insieme al mare, e nove mesi dopo nasceva Gabrielle, fiera e combattiva. Allora quei due hanno deciso di mettere la testa a posto.

Ho speso pagine e pagine per raccontarvi del loro matrimonio – in grande stile, elegante, costoso. Perfetto per Mina. Credo che tutti fossimo pronti a sgozzarla, al tempo. Ah, e come ha sempre sottolineato, ci ha tenuto a mantenere il suo cognome, diventando perciò la signora Aizawa-Ikisatashi, perchè lei non era una semplice popolana che metteva da parte il suo nobile nome.

Quattro anni più tardi è arrivato Vincent, che si è dovuto sorbire anni di angherie da parte della sorella maggiore (tutta sua madre). Ma in fondo si sono sempre voluti un sacco di bene. Gabrielle, neanche a dirlo, è diventata ballerina, mentre Vincent avvocato.

Se ne sono andati entrambi a 95 anni, ma Quiche sei anni fa, Mina quattro; lui nella loro casa a Tokyo, lei in quella di Parigi in cui si era trasferita dopo essere rimasta sola. Diceva che l'aria francese si addiceva meglio alla sua pelle; in realtà c'erano semplicemente troppi ricordi qui in Giappone. Ma è sempre tornata spesso, ogni volta che c'era bisogno di lei, perché era conscia di essere per noi indispensabile.


Su Lory e Kyle si potrebbe scrivere un libro sulla coppia perfetta. In tanti anni di matrimonio li ho sempre visti innamorati come il primo giorno.

Una volta presa la laurea in psicologia ed aver trovato un buon posto di lavoro in uno studio che l'apprezzava per le sue enormi doti, si sono sposati in una semplice e riservata cerimonia che ha fatto commuovere pure Mina (la quale ha sempre però dato la colpa agli ormoni della gravidanza).

Un anno dopo nasceva Sophia, occhioni azzurri e capelli mori, ed uno spiccato senso per l'arte; era la controparte tranquilla di Katherine, essendo nata un mesetto prima. Sono cresciute quasi come sorelle, essendo Sophia figlia unica. Si è laureata in Storia dell'Arte e Tutela dei Beni culturali, e dopo aver viaggiato un po' per il mondo, è tornata per gestire il Caffè quando Kyle è diventato troppo anziano per fare tutto da solo.

Il nostro amico pasticciere ha seguito il suo migliore amico dopo un anno; la morte di Ryan lo aveva particolarmente colpito, probabilmente pensava che se ne sarebbe andato via prima lui. Credo però che Ryan non volesse rimanere da solo un'altra volta. Così, a 99 anni, ci è stato portato via l'amico più gentile che avessimo.

Lory ci ha lasciati invece due anni fa – aveva sempre detto che avrebbe voluto fare la nonna il più a lungo possibile, e così è stato. È stata adorata dai nipoti e dai pronipoti di tutti noi, era la loro nonna anche senza nessuna relazione di parentela. Come il Caffè, così anche casa sua profumava sempre di dolci e ne era sempre piena, anche quando Kyle non c'era più. È stato un modo, credo, per sentirselo comunque vicino. E a Nonna Lory non potevi mai rifiutare una tazza di tè.


Pie ha dovuto imparare a vivere sotto i riflettori per potersi godere la vita con Pam, e devo ammettere che ci è riuscito piuttosto bene – anche se non siamo mai stati in grado di convincerli a festeggiare in pompa magna il loro matrimonio.

Hanno avuto due figlie così simili da passare sempre per gemelle. Roa, la sorpresina dopo la battaglia finale, il bianco al nero di Kimberly, è diventata la pasticciera ufficiale del Caffè insieme a Kyle, e dopo di lui. Forse non era proprio ciò che suo padre aveva in mente, ma si è dovuto adattare.

A otto anni di distanza è invece arrivata Maya, identica a Pie in tutto e per tutto, solamente un po' più loquace. Nessuno ha capito molto bene come, ma ha seguito più o meno lo stesso percorso di Katherine (con cui passava la maggior parte del suo tempo essendo un anno più piccola) ed è entrata anche lei nella compagnia Shirogane. Potrei anche dirvi chi si è sposata, ma immagino che la risposta sia ovvia.

Nessuna di loro ha, fortunatamente, voluto seguire le orme della loro mamma; la fama che ha seguito Pam fino all'ultimo era abbastanza per tutti e quattro. Lei se n'è andata tre anni fa, Pie l'anno scorso. Ha resistito soprattutto per “le bambine”, come si è ostinato a chiamarle tutta la vita, scatenando le loro ire. Era diventato ancora più taciturno dopo la morte di Pam, anche perché le ragazze le assomigliavano troppo per poter fare finta di niente. Ma anche lui si è dato un gran da fare con i nipoti, è sempre stato uno dei nostri baby-sitter preferiti. Tutti i bambini hanno sempre nutrito un enorme rispetto nei suoi confronti, come noi d'altronde. Erano entrambi capaci di infonderti calma con poche parole, e di rimetterti al tuo posto senza essere scortesi. Erano davvero i nostri due lupi: ti facevano compagnia senza chiedere niente in cambio, senza fare troppo rumore.


E poi, ci siamo io e il mio Tart. Io sono diventata maestra elementare, e abbiamo avuto cinque splendidi figli: Rin, che è una pediatra; i gemelli Benji e Tommy, l'uno dentista e l'altro giornalista; Lola, professoressa di Storia all'università, e Ricky, il più giovane di tutti e il più indomabile, che dopo tante indecisioni ed anni passati a fare spettacoli circensi proprio come me, ha deciso di aprire un ristorante.

Potrei stare qui a raccontarvi di quanto sia fiera di ognuno di loro, e di tutti i nipotini che mi hanno dato, ma sarebbero parole incapaci di racchiudere davvero il sentimento.

So che ho vissuto, grazie a loro, la vita migliore che potessi chiedere. Mi sarebbe piaciuto passare anche questo ultimo anno insieme al mio Tart, ma purtroppo non si può avere tutto – e noi abbiamo avuto davvero tanto.


Credo si sia notato che tutti i nostri primogeniti sono stati femmine. Non sappiamo se sia stato un segno del destino, se sia stato un caso o chissà cosa. Inoltre, tutti i nostri figli hanno ricevuto la voglia Mew, nei nostri stessi posti, anche se man mano si affievoliva. Kyle aveva detto che sarebbe passato con il tempo e con le generazioni, che non sarebbero più state rafforzate da sangue alieno o modificato.

Non ci ha mai dato fastidio, però. Sì, eravamo sempre in allerta perché non potevamo essere sicuri di ciò che sarebbe successo; ma in un certo senso era un ennesimo simbolo della nostra unione.

È per questo che non abbiamo mai chiuso il Caffè, e spero tanto che non chiuderà. È lui l'emblema materiale di ciò che siamo stati e di tutto quello che ha significato per noi. Perciò è stato passato, quota per quota, pezzetto per pezzetto, in eredità ai nostri figli e ai nostri nipoti, e così deve continuare. È scritto in ogni testamento, in ogni singolo pezzo di carta che abbia qualche valore, e lo ripeto anche qua.


Come ho già detto, ci sarebbero tante cose da raccontare. Vorrei potervi dire di più sulle nostre famiglie, sulle nostre avventure quotidiane, su quegli strani amici che provenivano da un altro pianeta e che non abbiamo mai dimenticato.

Ma non è più tempo per le storie, ora.

Ora è tempo che anche io mi ricongiunga a chi mi aspetta, perché così dev'essere. Forse, un giorno, qualcuno racconterà queste storie al posto mio.

Quando questo diario sarà trovato, conoscerete la verità sulle Mew Mew. Per questo ho voluto scrivere di tutto e di tutti, per fare in modo che non fosse perduta,e che i nostri discendenti sapessero davvero chi siamo state.

Saprete che la nostra vita non è stata veramente come la dipingeva la televisione, ma è stata una vita fatta di sacrifici e di fatiche. A cui però, fortunatamente, si sono susseguiti momenti di tenerezza e dolcezza. Come quando, con il mio Tart, ci divertivamo a mangiare mele così aspre da aver subito bisogno di mangiare caramelle.

Questo ho sempre voluto insegnare, ai miei amici, ai miei figli, e a voi. Nei momenti bui, basta guardarsi intorno e trovare qualcuno che è disposto a camminare insieme a te.

Perché noi abbiamo imparato sulla nostra pelle che non bisogna arrendersi mai.

Spero che questi diari saranno tramandati alle nostre famiglie; sono qui per questo. Ma vi prego, non divulgate il nostro segreto. È soltanto per voi.

Con affetto, a tutti





Paddy chiuse il diario e lo ripose in cima agli altri. Poi prese la corrispondente pila, infilandola con cura in una delle tante scatole numerate che aveva, lasciandole un po' in bella vista. Erano lì per un motivo.

Si avviò poi verso camera sua, guardandosi attorno.

Lì dentro, l’aria era satura di ricordi, dolci o cattivi che fossero, impressi eternamente nelle foto un po’ sbiadite, ma dai colori ancora vividi. Guardò i visi sorridenti dei suoi figli, dei suoi nipoti… e delle sue amiche, con le loro famiglie.

Andò ad aprire il comodino, prendendone fuori una foto di loro cinque trasformate e i rispettivi compagni; passò il dito sopra la cornice un leggermente consunta dagli anni, e l'appoggiò sul mobiletto.

Le mancavano davvero tanto, tutti. La casa era silenziosa da ormai troppo tempo.

Le scappò da ridere quando alcuni ricordi le tornarono in mente, si asciugò la lacrima che le stava solcando il viso rugoso. Sì, doveva sorridere, perché lei era Paddy ed aveva sempre sorriso. E poi, li avrebbe rivisti tra poco.

Così, si stese sul letto, avvolgendosi tra le lenzuola dal profumo familiare, lasciando che le memorie scorressero libere davanti ai suoi occhi, avvertendo quel vago aroma di zucchero, cioccolato, mele, e il caffè nero di Shirogane, il profumo di Mina e lo shampoo alla fragola, e mentre la mano di Tart, piccola e giovane, si schiudeva per rivelarle una caramella, lei si si abbandonò tra le braccia di Morfeo, per l’ultima volta.



Fine

Mele e caramelle






Okay, ragazzi, è l'una e quaranta del mattino, sono qui che piango e io L'HO FINITA. Non ci posso credere, è finita. Mi sento assolutamente persa: è stata la mia prima long fic, mi ha accompagnata per sette lunghi anni ed ora... puff, basta, done. XD

Prima di ringraziarvi, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto. Sembra un po' strano, diviso in due parti così, ma l'ho fatto apposta. La prima parte è per presentarvi i personaggi in un dopo abbastanza ravvicinato, la seconda è per la conclusione. La fine l'avevo scritta anni ed anni fa quindi ho voluto mantenere l'idea del diario di Paddy. :)

voglio ringraziare tutti quelli che hanno letto, recensito, preferito, seguito e ricordato; un grazie speciale a chi c'era nel 2007 ed è tornato, un super grazie ad Izayoi007 perché senza di lei non l'avrei più ripresa :)

Ho due comunicazioncine veloci veloci. La prima è che riprenderò al più presto in mano i primi capitoli per dargli una sistemata – non so ancora quando, ma comunque metterò l'avviso nella descrizione, quindi se volete buttateci un occhio :)

La seconda è che, se siete in qualche modo confusi da tutti i personaggi che vi ho buttato nel piatto in questo ultimo capitolo, fatemelo sapere e farò in modo di vedere se riesco a mandarvi lo schemetto che mi sono fatta io, il quale purtroppo non è riproducibile al computer perché se ne fossi capace l'avrei fatto così e non sul buon vecchio foglio di carta.

Bene, direi che è tutto. Posso andare a letto a piangere lacrime di tristezza e felicità – se mai aveste bisogno di me, contattatemi :)

Ho una one-shot in lavorazione (manca giusto la fine!) quindi spero di non farmi attendere troppo, ma ho una vacanza che chiama ;)

A presto,


Hypnotic Poison

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