Mele e Caramelle di Hypnotic Poison (/viewuser.php?uid=16364)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Together again ***
Capitolo 2: *** The new normal ***
Capitolo 3: *** Three birthdays ***
Capitolo 4: *** Matters of the heart ***
Capitolo 5: *** Another spring ***
Capitolo 6: *** Not always rainbows and butterflies ***
Capitolo 7: *** Oops, I did it again! ***
Capitolo 8: *** I can hear the bells ***
Capitolo 9: *** Things left unsaid ***
Capitolo 10: *** Over the hills and far away ***
Capitolo 11: *** Moonlight sonata ***
Capitolo 12: *** This ain't a song for the broken-hearted ***
Capitolo 13: *** Tonight is gonna be the loneliest ***
Capitolo 14: *** ‘Cause you can be the beauty and I could be the monster ***
Capitolo 15: *** Tiny dancer in my hand ***
Capitolo 16: *** Balancing on breaking branches ***
Capitolo 17: *** See how deep the bullet lies ***
Capitolo 18: *** But I'm the mess that you wanted ***
Capitolo 19: *** Burning in me [da qui in poi storia da modificare] ***
Capitolo 20: *** Always trust your senses ***
Capitolo 21: *** Dies Irae ***
Capitolo 22: *** Plan B ***
Capitolo 23: *** Seize the chance ***
Capitolo 24: *** L'Addestramento - Parte Prima ***
Capitolo 25: *** L'Addestramento - Parte Seconda ***
Capitolo 26: *** Temple of Doom ***
Capitolo 27: *** Blood, sweat and tears ***
Capitolo 28: *** Let the sky fall ***
Capitolo 29: *** One more dawn ***
Capitolo 30: *** Epilogo - Mele e Caramelle ***
Capitolo 1 *** Together again ***
Introduzione
e dovute spiegazioni
Era il 2006 quando ho
iniziato questa storia su dei fogli
di carta a quadretti con solo una penna e dei pennarelli della Stabilo
(quelli
esagonali con le righe, per capirci xD); era il 2013 quando sono
finalmente
riuscita a concluderla.
Poi è arrivato il
2020, il lockdown, io bloccata in
un’altra nazione senza poter tornare a casa, e mi sono detta “Sai che
c’è? È
ora di dare a M&C
la forma che
si merita.” Un reboot ai tempi dei
reboot.
Ho amato visceralmente
questa fanfiction; è stata la
prima, vera che io abbia scritto, con
personaggi inventati da me a cui
ho voluto davvero molto bene. È pure finita tra le Scelte, per motivi
che
ancora non capisco, e quindi era giusto che si meritasse davvero di
esserlo e
che i personaggi avessero la storia che si meritano.
Quindi la sto
riscrivendo! E qui le spiegazioni che
servono:
- Per
chi non l’ha mai letta prima (o per chi l’ha già letta e non ricorda): questa
storia ignora gli eventi di Tokyo Mew Mew à la mode (come la prima versione)
e anche quelli di Re-Turn – un po’ perché altrimenti
avrei dovuto
stravolgere molte cose, un po’ perché avevo già iniziato a riscriverla
quando è
finalmente uscito il volumetto del 2020. Conseguentemente:
- IO
SONO UN’ANIMA ANTICA xD Quindi, a meno che non esplicitamente
menzionato, tutti
i
riferimenti di questa fanfiction vengono dal manga e dall’anime
ORIGINALI. Ovverosia, le uniformi da Mew Mew, i relativi colori, i
relativi
capelli – quelli sono. Chi mi segue su FB lo sa, io rifuggo l’idea che
Ichigo
mantenga i capelli rossi da trasformata come nel Reboot del 2022.
- La
riscrittura ha comportato sì il cambiamento di due coppie (poi vedrete),
ma non ha intaccato l’evolversi della trama generale. Vedrete che la
suddivisione degli eventi tra i vari capitoli è cambiata, alcune scene
sono
state tagliate, altre nuove inserite, ma il fulcro della questione è
rimasto
esattamente lo stesso.
- Stile
e forma sono (speranzosamente) cambiati, anche se troverete scene
scritte nella
stessa identica maniera della versione “originale” (più o meno, perché
in fondo
era pure comodo xD).
- La
storia è stata spostata avanti di un anno rispetto alla prima stesura,
così che
questi poveretti si potessero divertire un secondo di più.
- I
nomi sono diventati quelli giapponesi originali anche perché ormai uso
quelli
da dieci anni e mi piacciono di più.
- E
sì, è un pochetto più zozza :3
Scrivo queste righe
ormai a metà 2022 perché purtroppo
ormai la disponibilità è quella che è e la fantasia pure, ma spero che
questi
due anni di lavoro siano valsi la pena. Io l’ho fatto soprattutto per
me
stessa, per dare valore a una delle mie cose più preziose, ma spero che
anche
voi potrete apprezzarlo.
E quindi, ecco a voi la versione numero 3 e definitiva. Un
bacio grande, e grazie.
Chapter One – Together
again
Ichigo sbuffò, chiuse con rabbia l'anta del suo armadio, e
contemporaneamente lanciò il cellulare sul letto, soffocando
un urletto di
stizza.
Era il suo compleanno, che diamine! E quel
rincitrullito di Hisao aveva deciso di darle buca, così,
all’ultimo momento
disponibile! Gliene avrebbe dette quattro, se mai le fosse tornata la
voglia di
rifrequentarlo.
Se solo non avesse posticipato il suo incontro con Mowe e
Miwa per lui…
Si sedette sul bordo del materasso e riafferrò il
telefono, prendendo a scorrere gli auguri che aveva ricevuto durante la
mattina
e recuperando un po’ del buon umore. C’era
già perfino la solita e-mail di
Masaya, che, nonostante gli anni passati e il fuso orario, non mancava
mai di
essere sempre tra i primi quando si trattava di ricorrenze speciali.
Ichigo sbuffò una seconda volta, sollevando qualche
ciocca della frangetta rossa, e si lasciò cadere supina,
perdendosi un istante
nei ricordi.
Erano sei anni (*) che poteva considerare la
sua vita – quasi – normale; sei
anni in cui aveva finito il liceo, aveva
continuato a lavoricchiare part-time il più possibile, aveva
iniziato
l’università, tutto senza dover nascondere strambe
orecchie e code pelose o
inventarsi contorti avvenimenti per ovviare alle sue assenze. Non aveva
del
tutto perso le sue abitudini feline, d’accordo, ma poteva
sinceramente
considerarsi tranquilla.
Anche se di cose ne erano cambiate parecchie.
In primis, circa un paio di anni prima lei e Masaya
avevano deciso, amichevolmente e di comune accordo, di prendere strade
separate: l’affetto che li aveva uniti non era stato
abbastanza per sormontare
la distanza tra Inghilterra e Giappone, gli impegni di entrambi tra
esami
all’università e corsi extra, ed entrambi avevano
preferito farlo al momento
giusto per mantenere un buon ricordo della loro relazione. Ichigo aveva
sicuramente guadagnato un caro amico, e forse il suo rapporto con
l’ambizioso
moro era addirittura migliorato da quando non sentiva più la
pressione di
preservare la relazione perfetta.
D’altra parte, però, le sembrava che le sue
relazioni a
distanza si fossero, in realtà, quintuplicate. Per quanto
ancora si volessero
bene, si sentissero regolarmente, e si tenessero aggiornate, era
diventato
estremamente complicato riunirsi insieme alle sue ex compagne Mew Mew.
Crescere, infatti, aveva determinato che si
sparpagliassero un po’ per il mondo. La carriera di Zakuro
era decollata ancora
di più, se possibile, e Ichigo aveva ormai una scatola di
scarpe colma delle
cartoline e delle polaroid che la mora le spediva da ogni suo viaggio.
Minto,
non tanto straordinariamente forse, aveva deciso di seguirla; in una
decisione
che aveva – questa volta – stupito tutti, dopo
cinque anni come ballerina solista
aveva all’improvviso deciso di prendere una pausa dalla danza
e seguire la sua
onee-sama come assistente personale. Purin aveva definitivamente messo
un veto
alle insistenze di suo padre perché lei sposasse Yue-Bin, ma
al tempo stesso,
il suo ruolo alla palestra di famiglia era cresciuto, e lei si era
ritrovata a
dover sospendere gli studi per fare la spola tra Cina e Giappone.
L’unica
rimasta in pianta stabile a Tokyo era Retasu, che studiava con successo
biologia marina, ma tra la mole di studio di entrambe e i lavoretti
saltuari
che si trovavano per concedersi qualche capriccio in più,
lei e Ichigo erano
fortunate se riuscivano a incontrarsi una volta ogni paio di settimane.
E infine, a fare avanti e indietro dall’altra parte del
mondo c’erano anche Ryou e Keiichiro, che avevano continuato
a espandere la
loro rete di conoscenze e ricerche, e che negli ultimi anni avevano
davvero
passato la maggior parte del tempo negli Stati Uniti che altrove.
Ichigo esalò nuovamente, scorrendo gli ultimi messaggi
che si era scambiata con le sue più care amiche e notando
con un certo
disappunto che nessuna di loro ancora si era prodigata ad augurarle un
buon
compleanno. Si corrucciò e si torturò il labbro
inferiore con le dita, cosa
diavolo aveva preso tutti quel giorno!?
Si alzò di scatto e afferrò una delle sue
borsette
preferite. L'unico modo in cui avrebbe potuto risollevarsi un po' il
morale era
farsi una passeggiata; era una mattina splendida, e non aveva per nulla
voglia
di starsene in casa a rimuginare sulla sua terribile vita privata. Poi,
se
proprio nessuno si fosse degnato di volerle fare un po’ di
compagnia, si
sarebbe arrangiata da sola e si sarebbe dedicata un’intera
torta. Ecco.
Infilandosi le cuffie nelle orecchie, si incamminò a
passi pesanti fuori dal suo appartamento, rilassandosi solo quando
poté
respirare a pieni polmoni l’aria frizzante di marzo; quasi
sovrappensiero, si
diresse verso il suo parco preferito e poi lungo il familiare sentiero
che aveva
percorso così tante volte da sembrarle ormai naturale. Non
doveva nemmeno
pensare a che direzione seguire, le sue gambe facevano tutto da sole.
Sapevano
benissimo che la meta era quel locale rosa confetto che sorgeva nella
bella
radura soleggiata.
Il Caffè Mew Mew sorgeva ancora in tutta la sua
leziosità, anche se non più splendente come una
volta, con le finestre chiuse,
il cancello sbarrato da un grande catenaccio, e le telecamere di
guardia a
controllare il perimetro ventiquattr’ore su ventiquattro.
Visto i crescenti
impegni dei due proprietari all’estero, la
disponibilità delle ragazze in
diminuzione, e la pochissima fiducia di Keiichiro a lasciare che fosse
qualcun
altro a gestirlo al posto suo (visto pure che sarebbe stato un filino
complicato
spiegare il perché di tutto quello strano armamentario nel
seminterrato),
avevano deciso di chiuderlo a tempo indeterminato, finché
non avessero deciso
se ristabilirsi permanentemente in Giappone.
Era stata una serata dolceamara, quando si erano
incontrati tutti e sette per dare il giro di chiave finale alle
serrature, ma
vederlo lì, immobile come al solito, dava comunque una
sensazione di grande
sicurezza. Come se non proprio tutto, alla fine, fosse cambiato.
Rimaneva per
Ichigo il posto perfetto dove trovare degli attimi di quiete. Si
andò ad
accomodare sulla sua panchina preferita, all'ombra di una quercia, poco
distante dall'entrata del locale. Era sempre un punto fresco, e le
piaceva
sedersi lì per leggere o ascoltare della musica, oppure
chiacchierare con
Retasu quando entrambe sentivano il bisogno di liberarsi
dell’aria viziata
delle aule universitarie.
Ichigo si rilassò, godendosi il venticello che le fece
arrossare le guance e giocherellando ancora con il cellulare, quasi
tentata di
mandare un messaggio passivo aggressivo a Minto solo per stizza che non
si
fosse ancora fatta viva. Stava giusto per ingannare l’attesa
mettendosi a
rispondere agli altri suoi compagni di corso, quando il cellulare prese
a
trillare allegro, e lei aggrottò la fronte: chi mai poteva
chiamarla da un
numero sconosciuto a quell’ora?
« Non siamo un po’ troppo prevedibili con
una borsa a
forma di gatto? »
Ichigo ci mise qualche secondo a connettere, poi scattò
giù dalla panchina con un balzo, guardandosi intorno alla
ricerca di una
familiare testa bionda: « Shirogane! Screanzato che non sei
altro! Ma dove
sei?! »
La risata roca del ragazzo le rimbombò nell'orecchio:
« Ti
vedo dalle telecamere, Momomiya. »
Lei si voltò verso l'entrata del locale, facendo una
linguaccia ad una degli apparecchi di sorveglianza, poi
accennò ad un sorriso e
un gesto con la mano: « Sappi che è una cosa molto
inquietante. E comunque non
mi hai risposto! »
« Sei tu quella che gironzola sempre qui intorno
come
una vera gattina randagia. Io e Kei siamo appena tornati, ho dato una
controllatina ai filmati, » si affrettò
ad aggiungere, avendo sentito come
lei aveva inspirato, pronta a lanciarsi di nuovo contro di lui,
« Ti sei
messa a fare jogging, sono stupito. O dovrei dire impaurito? »
« Non sei divertente, » rimbrottò lei,
continuando a
fissare torva la telecamera, « E comunque, che modi sono
questi, tornare senza
dire niente?! »
« Decisione dell’ultimo minuto,
» spiegò lui, « Se
non ci avessero convalidato dei documenti, non saremmo potuti partire,
quindi… »
« Mmmhm, okay, » la rossa mormorò poco
convinta, poi si
mordicchiò il labbro inferiore, « Senti,
ma… se ci incontrassimo? Non ci
vediamo da secoli, e oggi - »
« Ragazzina, pensi davvero che mi sia dimenticato
che
giorno è oggi? » la prese in giro
bonariamente.
Lei storse il naso: « Non mi hai detto nulla. »
« Sono appena atterrato, gimme a break, » lo
sentì
ridere di nuovo, poi le sembrò che tentennasse, «
Comunque, volentieri.
Diciamo tra un’oretta? Ci possiamo vedere lì, se
vuoi. »
« Sì! » rispose Ichigo, e
sperò di non essere stata
troppo frettolosa, « Perfetto. Ti… ti aspetto qui,
allora. »
Dopo un ultimo saluto e un ciao con la mano,
Ichigo chiuse la telefonata e si inoltrò ancora un
po’ nel parco,
allontanandosi dal sistema di sorveglianza del locale, e prese un
respiro. Non
capiva perché ancora, dopo anni, continuava a sentirsi
lievemente agitata al
pensiero di Shirogane. Erano diventati molto amici col tempo,
nonostante i
continui battibecchi e il suo insopportabile sarcasmo, ma lei sentiva
sempre un
sordo sfarfallio all’altezza del petto nei momenti in cui
erano solo loro due.
Scosse la testa, e si diede della sciocca; non si
vedevano da quasi un anno, era normale essere un po’ nervosi,
era un nervosismo
positivo, quello dato dalla felicità di
finalmente rivedere una persona
cara, nient’altro.
Per sicurezza, in ogni caso, prese fuori dalla borsetta
lo specchietto che aveva con sé e si controllò il
minimo trucco che – grazie ai
kami – aveva deciso di sfoggiare allo
sfumato appuntamento con Hisao,
ripassandosi velocemente il burro cacao.
Trotterellò a caso per il parco, canticchiando sottovoce
per ingannare il tempo e continuando a lanciare occhiate storte al
telefonino
in borsa, finché non lo udì suonare di nuovo.
« Possibile che tu sia in ritardo anche quando sei
già
nel posto concordato? »
Ichigo fece quasi immediatamente dietrofront, ingoiando
un paio di insulti: « Arrivo! »
Avrebbe riconosciuto la chioma anche se non fosse stato
letteralmente l’unico a sostare davanti al cancello del
Caffè, a digitare
ancora al cellulare, e Ichigo non poté evitare di sorridere
mentre lo stomaco
le regalava una capriola vecchia di secoli. Possibile che in poco meno
di
dodici mesi, lui fosse diventato più alto, con le spalle
più larghe? Anche i capelli
erano un filo più lunghi, e lei avrebbe giurato che fossero
anche più biondi
del solito.
Ryou alzò la testa quando udì lo scalpiccio
rapido, e gli
occhi celesti brillarono d’arguzia: « Un anno
più vecchia, ma sei sempre la
solita, ragazzina. »
« Antipatico, » borbottò lei, e senza
aspettare che
aggiungesse oltre, gli circondò il torace con le braccia e
vi appoggiò la
guancia, « Ben tornato. »
L’americano impiegò una frazione di secondo a
reagire,
staccandosi da lei per darle un buffetto sul naso: « Happy
birthday, ginger.
»
« Grazie, » gongolò lei, contenta che
almeno negli anni
avesse imparato a tenere sotto controllo il suo arrossire furiosamente,
« Come
stai? »
Ryou scrollò le spalle: « Come qualcuno che ha
lavorato
fino all’ora prima di intraprendere un viaggio
intercontinentale può stare. »
« Oh, andiamo, non tornavi da una vita, che sarà
mai! »
« Non è che se non torno in Giappone allora sto
fermo, kitty
cat. »
« Lo so, lo so, ci hai mandato chiarissime foto delle tue
orribili conferenze in Sud America, » lo prese in giro lei,
poi lo guardò da
sotto in su, « Rimanete un po’, ora? »
Lui infilò le mani nelle tasche del giubbotto: «
Abbiamo
sviluppato un nuovo progetto con un'azienda associata, ora siamo in
fase di
perfezionamento. Stiamo cercando soci per poterlo lanciare, quindi
direi che ci
vorrà del tempo. »
Ichigo non trattenne il sorriso soddisfatto, poi lo
guardò furba: « Allora cosa facciamo per il mio
compleanno? »
Shirogane rise e scosse la testa, sfiorandole di nuovo la
punta del naso: « Gattina viziata. I’ll
tell you what, » fece un
cenno della testa verso il Caffè, tirando fuori dalla tasca
un mazzo di chiavi,
« Che ne dici se entriamo a fare un giro? »
La prima reazione di Ichigo fu di guardarlo sospettosa, il
locale era chiuso da anni e lei si poteva benissimo immaginare le
decine di
ragnatele e annesse bestioline brulicanti nel buio che ci avrebbe
sicuramente trovato,
cosa che non la rendeva così estasiata. Ryou,
però, aveva già iniziato a
trafficare con il catenaccio che ne bloccava l’ingresso, e le
ammiccò
incoraggiante:
« Come on. »
« Perché ho la sensazione che tu stia per farmi
uno
scherzo? » mormorò titubante lei, sbirciando da
sopra la spalla del biondo
mentre lui procedeva alla serratura principale della porta
d’ingresso.
L’americano le sorrise smagliante, forse fin troppo
contento per i suoi gusti:
« Il giorno del tuo compleanno? Non potrei mai. »
Aprì la porta rosa e la socchiuse, poggiandole appena la
mano sull’incavo della schiena per incitarla ad attraversare
la soglia. Ichigo
tentennò ancora un istante, stringendo la tracolla della
borsetta mentre gli
occhi si abituavano alla semi-oscurità, il cuore che le
batté piacevolmente a
risentire il delicato profumo familiare anche sotto l’odore
di chiuso, a
intravedere i contorni così conosciuti.
Anche se pensava di ricordarsi che avessero coperto tutti
i tavoli e le sedie quando avevano chiuso.
Le luci si accesero all’improvviso, accecandola, e prima
che Ichigo potesse capire esattamente cosa stesse succedendo, le
ragazze e
Keiichiro spuntarono dalla finestrella della cucina, in un grido
collettivo:
« Sorpresa!! »
Ichigo rimase interdetta un istante, poi saltellò sul
posto e con un versetto stridulo, si lanciò a braccia aperte
nell’abbraccio
delle amiche.
« E io che pensavo che vi foste scordate! »
« Ma per chi ci hai preso, » la
rimbrottò Minto,
piacevolmente con un sorriso dall’orecchio
all’altro, « Noi non siamo delle
svampite come te. »
« Abbiamo organizzato per un mese, » Retasu le
strinse la
mano, le guance rosse per la contentezza, « Non sai che
fatica non dirtelo! »
« Ragazze, ma… e il Caffè! »
la rossa fece un passo
indietro per ammirare il locale, mentre Shirogane e Keiichiro aprivano
le varie
imposte, notando come pareva che non fosse passato che un giorno dalla
loro
ultima visita, adocchiando subito il tavolo elegantemente
apparecchiato.
« Ci siamo svegliate all’alba per sistemare e
pulire
tutto! » Purin le urlò in un orecchio mentre
continuava a stritolarle il collo.
« E se fossi stata impegnata? » replicò
lei, fingendosi
offesa.
« Oh, per favore, come se potessi dirci di no, »
esclamò
Minto, portandosi un boccolo dietro l’orecchio, «
Dopo tutta questa faticaccia,
saremmo venuti a prenderti di peso. »
« Sì, immagino il tuo contributo, Minto-chan.
»
Zakuro le fece l’occhiolino: « Il credito
dell’idea è di
Kei-san. È stato lui a suggerire il Caffè.
»
« Mi sembrava confacesse, » il pasticcere
uscì in quel
momento dalla cucina, spingendo un carrellino di metallo stracolmo di
dolcetti,
bevande, e una torta con delle candeline sopra, « Giusto
qualche assaggio. »
Ichigo si tinse piacevolmente di rosso, aggrappandosi di
nuovo a forza a Purin e Minto, ignorando i lamenti di
quest’ultima: « Siete i
migliori! »
« Non strafogarti, stasera siamo tutti a cena fuori
insieme, » l’avvertì la mora, quasi
scrollandosela di dosso, « E in un
ristorante elegante, quindi scordati
quell’orribile borsetta. »
La rossa storse il naso, poi però la riagguantò,
strusciando la guancia contro la sua: « Anche tu mi sei
mancata, Minto-chan. Mi
siete mancati tutti! Ah, che bello questo è il migliore
compleanno del mondo,
non vedo l’ora di aggiornarci su tutto! »
« Sì, ma ora mangiamo! »
Al richiamo di Purin, il gruppetto si spostò
rumorosamente verso il tavolo – troppo rumorosamente per sole
cinque persone,
ponderò Shirogane con un sorrisetto, mentre le osservava da
poggiato contro al
muro della cucina, a braccia conserte.
Come se non le conoscessi, pensò, e
appena la
biondina sventolò con foga il braccio verso di lui, si
arrese con un sospiro e
si unì a loro.
« Yummm… » Ichigo assaporò il
cucchiaio per un’ultima
volta, ripulendo qualsiasi traccia del tortino al cioccolato caldo,
« Sto per
scoppiare. Anche se non era buono quanto i tuoi, Kei-san. »
Mentre il moro le rivolgeva un sorriso caloroso e grato,
Minto le lanciò un’occhiataccia: «
Possibile che tu sia sempre la solita
esagerata? »
« È il mio compleanno, posso fare quello che
voglio. »
« Non credo funzioni così, Ichigo. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, poi sospirò e si
appoggiò
al tavolo: « Quanto rimarrete, ora? Io e Retasu ci sentiamo
abbastanza
abbandonate. »
Purin fu la prima a stendere un sorrisone a trentadue
denti: « Io non ho intenzione di muovermi per un bel
po’. La palestra qui è
finalmente finita, mio papà ha promesso che
tornerà più spesso così da attirare
più apprendisti, e passare anche un po’ di tempo
con i fratellini. »
Retasu coprì la mano con la sua, sorridendole
incoraggiante: « Così riuscirai anche a completare
gli studi! »
La biondina annuì convinta: « Sempre che Ryou
nii-san
mantenga la sua promessa di darmi una mano. »
« Perché mettete sempre in mezzo me ai vostri
bisogni
scolastici? »
« Come se non ti piacesse far vedere quanto sai tutto di
tutto! »
Lui evitò di dare adito a quelle sciocche accuse,
limitandosi a prendere un sorso dal proprio bicchiere con un sospiro
esagerato.
« E tu, Zakuro nee-san? »
La modella piegò appena la testa da un lato: « Se
tutto
va bene, nei prossimi giorni dovrei firmare il contratto finale per
girare una
serie qui. Promettono minimo due stagioni, » aggiunse con un
occhiolino.
Ichigo quasi si alzò dalla sedia estasiata, di nuovo
sporgendosi per agguantare Minto nonostante le poco velate minacce di
quest’ultima circa le figuracce al ristorante: «
Sììì! Questo è il
compleanno
migliore del mondo, sono mesi che non facciamo un pigiama party nel tuo
lettone! »
« Il tuo buon proposito per questo anno in più di
maturità spero sia smetterla di autoinvitarsi a casa della
gente. »
L’intero tavolo rise del loro bisticciare, ma anche lo
sguardo della mora luccicava di una punta di contentezza al pensiero di
rimanere finalmente un po’ a casa.
« Che facciamo, glielo diciamo? »
I cinque sguardi felici si posarono su Keiichiro, voltato
con aria furba verso il suo protetto, che invece buttò la
testa indietro e
sospirò: « Non sono pronto al fracasso. »
« Che sta succedendo? »
« Spero non dobbiate dirci cose… importanti,
» Zakuro
alzò solo un sopracciglio allusiva, e velatamente minatoria.
Keiichiro si affrettò ad agitare le mani, sorridendo
rassicurante: « Come vi abbiamo accennato qualche settimana
fa, la Fondazione
Shirogane ha ottenuto risultati importanti, e siamo riusciti a creare
una rete
di contatti non indifferente. Il successo negli Stati Uniti si
è fatto sentire
fino a qui, e, be’…. Diciamo che ora vogliamo
rafforzare anche il mercato di
casa. »
« E non omettere la parte in cui hai detto che dopo
tutto questo tempo ho voglia di rilassarmi, tanto ormai fai tutto tu, »
lo
scimmiottò il biondo.
« E quindi?! »
Ryou sospirò ancora, giocherellando con una goccia
d’acqua caduta sul tavolo solo per prendere tempo prima di
lanciare un’altra
occhiata al moro: « Io non ho ancora detto di sì.
»
« E quindi, »
Keiichiro quasi lo ignorò, divertito
dall’aspettativa delle ragazze quasi
piegate sopra al tavolo, ma al tempo stesso senza volerle stuzzicare
troppo, «
Se il signorino qui presente acconsente, ci calmeremo un attimo per
consolidare
definitivamente il nostro lavoro sul territorio, rimarremo a Tokyo fino
a data
da destinarsi, e il Caffè verrà riaperto.
»
Un gemito di sorpresa si levò dalle cinque, che si
scambiarono occhiate eccitate, Ichigo che batté di nuovo le
mani: « Oh, vi
prego, ditemi che possiamo tornare anche a lavorarci! Il ristorante di
ramen in
cui sto ora è così tedioso…!
»
« Ah, guarda che me la segno, Momomiya. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, mentre Keiichiro annuiva
bonario: « Ovviamente, sareste le prime candidate, se lo
voleste. »
« A nostro gradimento quindi, questa volta, non per
forza, » Zakuro lanciò un’altra
occhiatina allusiva agli americani, quello più
giovane che borbottò qualcosa sul lasciarlo stare, poi
incrociò le braccia
mentre si rilassava sulla sedia, « Non è una
copertura per poi annunciarci
qualche sorpresina interplanetaria sgradita, vero? »
« No, è soltanto il bisogno di sentirsi
ricompensato di Keiichiro.
»
Questi continuò ad ignorare il suo protetto, riprendendo:
« Il Caffè è ancora in buone
condizioni, siamo sempre passati a controllarlo
tra un ritorno e l’altro, anche per il laboratorio
sotterraneo che è sempre in
funzione… ma ha bisogno di una rinfrescata, quindi pensiamo
che tra un mesetto,
più o meno, potremmo ripartire. »
« Questo plurale… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, » Ichigo lo
rimbeccò,
agitandogli la mano davanti al naso come si scaccia una mosca,
« Ma… vi
trasferirete di nuovo lì? »
Lo chef scosse la testa: « Io ho trovato un
appartamentino non troppo lontano dal parco, così
sarà più semplice gestirlo.
Ryou sta affittando un bilocale vicino a dove abiti tu, Zakuro-san.
»
« Shirogane, per tutti i kami, » Minto
sbuffò e scosse la
testa maligna, « Un bilocale? »
« Sapete quanto mi siete costate e quanto mi costerete
voi coi vostri conti aperti? »
« Non guardare me, al massimo la colpa è di Ichigo
e
Purin. »
« Ehi, io ripagavo lavorando! »
« Certo, certo. »
« Senti…! »
« Ragazze, » Zakuro le ammonì
dolcemente, già vedendo
come Ryou aveva di nuovo agguantato la bottiglia di vino, «
Attente a non
fargli cambiare idea. »
« Non può cambiare idea, è il mio
compleanno. »
Ryou lanciò un’occhiata veloce verso Ichigo, che
lo stava
guardando con quel suo sorriso così pieno di speranza e
allegria in attesa
della conferma finale, e lui dovette schiarirsi la gola mentre versava
il vino
nel bicchiere: « Non aspettatevi salari aggiustati per
l’inflazione. »
Il tavolo eruppe in una serie di gridolini ed applausi
estasiati, con buona pace degli altri commensali della sala, con tanto
di Purin
che si alzò per andare a stritolargli il collo mentre
blaterava senza sosta.
Ryou, da sopra la matassa di capelli biondi, guardò
soltanto esasperato al suo migliore amico, ma non poté
evitare di sorridere
contento.
§§§
La notizia di un prolungato soggiorno a Tokyo, e di un
ritorno alla vita di un tempo, sembrava aver infuso di nuova energia le
ragazze.
Anche con i lavori di rivitalizzazione del Caffè in
corso, il locale era ritornato ad essere il luogo di incontro preferito
delle
ex Mew Mew, che dopo le lezioni o tra una giornata libera e
l’altra tornavano
ad occupare i tavoli per studiare, chiacchierare, e dare una mano a
Keiichiro a
riportarlo allo splendore originale in vista della festa di riapertura
– perché
ovviamente il moro non aveva esitato ad annunciare che ci sarebbe stata
una
festa coi fiocchi.
Ryou, dal canto suo, andava e veniva più spesso di quanto
gli sarebbe piaciuto ammettere, con la scusa di controllare come
stessero
andando i preparativi della sua proprietà
e non certo per la
compagnia, come si premurava di ricordare ogni volta.
Soprattutto quando la suddetta compagnia lo costringeva
gentilmente a sedersi tra tomi di lezioni diverse per supportare gli
sforzi
intellettuali, gli stessi in cui non trovò impegnata una
certa rossa di sua
conoscenza quando, per l’ennesimo pomeriggio,
entrò dalla porta sul retro.
« Non è mai stato il posto per fare pisolini.
»
Ichigo, la testa riversa sui libri di testo, si limitò ad
aprire un occhio e guardarlo da sotto i ciuffi color ciliegia:
« Non è un
pisolino, sto meditando. »
« Mmmh, » lui le si avvicinò a braccia
incrociate, lo
sguardo divertito, « E su cosa staresti meditando, di grazia?
»
La rossa sbuffò e si sollevò quanto bastava per
poggiare
il mento sulle braccia: « Devo scegliere la
facoltà con cui proseguire. E non
so che fare. » (**)
L’americano spostò una sedia per accomodarsi
davanti a
lei, studiandola con un’espressione comprensiva: «
Be’, dovresti focalizzarti
principalmente sulle materie che ti piacciono, o su cosa ti piace
studiare e
che vorresti continuare a fare. »
« La fai facile tu, » bofonchiò lei,
giocherellando con
l’angolo di una pagina, « A te è venuto
molto semplice, col cervellone che ti
ritrovi. Per me è… difficile. »
« Ichigo, non sei certo stupida, » lui
sbuffò,
allungandosi in avanti per darle un colpetto sulla fronte, «
Svogliata, quello
è certo. Pigra, non ne parliamo. Ma ci deve pur essere
qualcosa che ti
appassiona. O altrimenti andiamo per esclusione. »
Lei gemette, affossando di nuovo il viso tra le braccia: «
Tutta colpa di mio papà! »
Ryou fece una smorfia, ricordando i pochi incontri con
Shintaro Momomiya – e gli sbraiti che aveva sentito in
sottofondo a molte telefonate
quando la figlia aveva avvisato che avrebbe fatto più tardi
del previsto: « Mi
sembra normale che voglia che tu possa fare il massimo per la tua
carriera, ginger.
»
Gli occhioni color cioccolata sbucarono curiosi da dietro
il golfino di lana: « Tu come hai fatto a scegliere?
»
Lui sbuffò appena: « Per me è stato un
po’ diverso, ginger.
E poi sai, con mio papà e i suoi studi…
»
Ichigo piegò la testa da un lato, osservandolo, poi prese
uno dei fazzoletti già arrangiati nel dispenser, lo
appallottolò e glielo tirò
contro: « Invece delle orecchie da gatto, non potevi passarmi
un po’ della tua
testaccia?! »
« Ah, » il biondo rise divertito, raccogliendo il
proiettile da terra per rilanciarglielo sul naso, « Vuoi
dirmi che tutte le
nostre chiacchierate in inglese non sono servite a nulla? »
La ragazza mugolò ancora e tornò a nascondere il
viso per
impedirgli di notare che le sue guance si erano arrossate;
perché sì, era vero,
per quanto pure a lei paresse strano: anche lo scorbutico Shirogane
aveva partecipato
a molte delle varie videochiamate di gruppo che si erano susseguite
negli anni,
com’era successo che a volte si fossero sentiti solamente
loro due. Ichigo
ricordava ancora la disperazione prima degli esami di fine liceo e
dell’ammissione all’università, quando
praticamente gli aveva teso un agguato
in aeroporto per fargli mantenere la promessa di aiutarla; ma
c’erano state
altre volte in cui si erano parlati – o visti, le varie
occasioni in cui lui si
era trovato sul suolo giapponese per più di due settimane
alla volta – soltanto
per voglia di farlo.
« Ichigo, » lo avvertì sfiorarle piano
la frangetta, con
una risata bassa, « Non disperarti, qualcosa ci inventeremo.
»
Lei gli rispose con un borbottio incomprensibile, e nello
stesso momento la porta sul retro del Caffè si
aprì, lasciando sbucare Retasu.
« Buon pomeriggio, Shirogane-san. Ichigo-chan…
stai male?
»
La rossa finalmente si raddrizzò, per non far preoccupare
l'amica, e scosse la testa: « Retasu-chan, meno male che sei
arrivata! Non sai
cosa mi ha raccontato Miwa! »
Non appena Retasu e Ichigo furono rapite da un turbinio
di notizie su gente che lui non conosceva né di cui voleva
preoccuparsi, Ryou
comprese che era arrivato il momento di levare le tende.
Il casco della moto sottobraccio, scese al piano
inferiore per dare soltanto una controllatina rapida ai computer
principali,
scorgendo la figura di Keiichiro in piedi nella dispensa a buttare
giù una
lista di ordini da terminare.
« Come sta andando? » gli chiese, poggiando una
spalla
contro la porta.
Il moro ammiccò contento: « Siamo decisamente
giusti con
i tempi. Un paio di settimane e la riapertura sarà
grandiosa. »
« Magari non troppo grandiosa,
» puntualizzò lui
con una smorfia preoccupata, ma annuì e si passò
una mano tra la frangia,
alzando un sopracciglio quando notò che l’amico
continuava a fissarlo con un
sorrisetto, « Che c’è? »
« Niente, » Keiichiro scrollò le spalle
e ritornò a
conteggiare con la punta della matita contro la carta, « Sei
di buon umore,
ultimamente. »
Ryou spostò il peso da un piede all’altro, a
disagio: «
Non ricominciare. »
« È solo una constatazione. »
Il biondo gli scoccò un’occhiataccia, poteva
leggere
benissimo oltre il tono fintamente neutrale.
« Non è… cambiato nulla. »
« Non sei più a fare la spola tra qui e
là, tanto per
cominciare. »
Ryou schioccò la lingua infastidito, si torturò
un’altra
volta i capelli, poi fece un passo in più dentro la stanza,
abbassando la voce:
« Listen, it’s… »
« Non dire complicato. »
« Ma lo è, » insistette lui, «
Per quanto tu e Zakuro
insistiate a fare comunella, lo è. E non
so nemmeno se…! E mi sono anche
un po’ rotto di… »
Keiichiro, lievemente preoccupato, lo osservò scuotere la
testa con fare scocciato; fece per replicare, quando un rumoroso
vociare dal
piano di sopra li distrasse entrambi.
« È arrivata Minto, »
commentò piano il biondo, appena
divertito, « Io mi dileguo, prima che ricomincino. Ci
sentiamo dopo. »
Prima che l’amico pasticcere potesse replicare, lui aveva
già risalito le scale, scomparendo silenzioso.
§§§
Quasi mimetizzata nel suo angolino, Zakuro osservò
soddisfatta la considerevole quantità di gente arrivata a
festeggiare la grande
riapertura del Caffè Mew Mew, quel piacevole pomeriggio di
aprile. Anche il
meteo era stato clemente, e Keiichiro era riuscito ad allestire i vari
assaggi
e le bevande in giardino, brulicante di chiacchiere festose e appagati
mugolii
di chi continuava a ingozzarsi senza remore dei differenti prodotti.
Per l’occasione – e per la gioia delle tasche di
Shirogane – avevano assunto dei camerieri in livrea,
così che le ragazze
potessero godersi anch’esse la festa, e la ragazza
più grande le inquadrò
subito, ronzanti attorno al loro pasticcere di fiducia a conversare
allegre.
Lei, invece, preferiva osservare la folla da lì, un
po’
in disparte, per non rischiare di attirare troppo
l’attenzione e deviarla dal
motivo reale dei festeggiamenti, e al contempo per non dover interagire
più di
quanto desiderasse con i soliti curiosi.
E poi sapeva che c’era qualcuno molto poco festaiolo,
proprio come lei.
Alzò appena lo sguardo alla sua sinistra avvertendo
subito la presenza di Ryou, che le porse un altro calice
dell’aperitivo
fruttato: « Nuovi potenziali clienti, che te ne pare?
»
Lui sospirò, scuotendo la testa mentre già
prendeva un
sorso: « Quello che serve a renderlo felice. Ha bisogno di
svagarsi più di
tutti. »
La modella sapeva che il suo sguardo, puntato nella
direzione di quello cobalto di lei, aveva un focus leggermente diverso,
e
abbozzò a un sorriso: « Stanno tutte bene, non
trovi? »
Ryou la guardò di sbieco: « Tu te ne tiri fuori?
»
Lei prese un sorso, sempre con la sua solita aria
imperscrutabile: « Ha fatto bene a tutte, tornare a casa.
Anche a te. »
« So dove vuoi andare a parare, e non ne ho voglia.
»
« Strano, finiamo sempre a parlarne da sei anni a questa
parte. »
Il biondo si passò una mano sul viso, scuotendo la testa:
« Io non sono pronto a riavervi tutti e cinque tra i piedi,
tutti i giorni, tutto
il giorno. »
« Su, su, » Zakuro allungò un braccio
per dargli un paio
di colpetti sulla schiena, « Non sarà tutto il
giorno. Se vuoi, posso dire a
Minto che non ho più bisogno del suo aiuto, così
può tornare al Caffè full
time. »
L’occhiataccia di veleno che lui le riservò la
costrinse
a nascondere la ridarella dentro al bicchiere.
« Ichigo. »
Lei sobbalzò appena al richiamo di Minto, spostando lo
sguardo dalla coppia di amici dall’altra parte del giardino,
e si voltò verso
la mora che la stava guardando con un sopracciglio alzato:
« Ti ho chiesto se vuoi rimanere a cena. »
« Ah! Certo, volentieri, » osservò il
tavolo davanti a sé
e scelse un éclair al cioccolato,
« Andiamo insieme direttamente dopo la
festa? »
« Se è un modo indiretto per scroccare un
passaggio,
direi di sì, » la mora le prese il piattino di
mano, strappandole un verso di
dispiacere, « Ma smettila di ingozzarti, o non mangerai
nulla! »
« Minto-chan, non siamo fatti tutti d’aria come te!
Ridammelo! »
« Ragazze, non litigate, che ci guardano…
»
Il timido appello di Retasu fu ignorato, mentre Minto
iniziava a sgusciare tra gli ospiti con agilità, reggendo il
piattino in una
mano e ridacchiando perfida, mentre Ichigo l’inseguiva
cercando di recuperare
il bottino.
« Minto! » sibilò ancora con astio,
« Dai, ho fame, ti
pre- »
Il naso di Ichigo si schiantò dritto contro il torace di
Ryou, che l’afferrò per le spalle e, prima che lei
potesse connettere e
valutare azioni successive all’arrossire, la voltò
di forza e la rispinse con
poca grazia da dove era venuta.
« Mi fate già pentire di aver dato retta a
Keiichiro, »
le borbottò, e lei lo guardò in cagnesco da sopra
la spalla:
« Ha iniziato lei! »
« Ichigo, I don’t care,
» la rimbrottò, fermandosi
finalmente davanti al tavolo dei dolci da dove Purin e Retasu avevano
osservato
tutto con divertimento, « Basta che non mi facciate fare
figuracce. »
« Come sei antipatico, » la rossa finalmente
recuperò il
suo tesoro perduto da Minto con una linguaccia, poi afferrò
un macaron
di un pallido colore rosa e glielo passò, « Su,
mangia qualcosa, gli zuccheri
ti faranno bene. »
« Sono stupito che sia rimasto qualcosa, conoscendovi.
»
« La smettete tutti di commentare le mie abitudini
alimentari?! »
Senza degnarli più d’attenzione, Ichigo
afferrò decisa un
mini-bombolone alla crema e lo divorò in un solo morso, lo
zucchero a velo che
le si disegnò intorno alla bocca e un poco del ripiano che
le rimase sul dito.
Lei gongolò soddisfatta e si pulì con
discrezione, non disdegnando di indugiare
un secondo di più con il pollice contro le labbra per godere
dell’ultimo sapore
della crema; si accorse solo all’ultimo, così
presa dai suoi dolcetti, dello
sguardo dell’americano su di sé, e si
accigliò sentendo le guance accalorarsi.
« Che c’è? »
Ryou la fissò un istante di più, poi
voltò la testa e si
rivolse a tutte le ragazze: « Allora, credo sia arrivato il
momento di
consegnarvi tutto il necessario per ricominciare a lavorare qui,
dopodomani. »
« Uuh, sono quasi gelosa, » commentò
Minto sarcastica,
ricevendo un’occhiataccia in cambio.
« Guarda che ci mancherai tantissimo, nee-san, »
replicò
Purin un po’ abbattuta mentre seguivano il biondo verso il
locale, « Non sarà
la stessa cosa, ora che non ci saremo tutte e ci saranno anche altre
ragazze
con noi. »
« Non preoccuparti, Purin, verremo lo stesso a trovarvi
il più possibile, » la rassicurò Zakuro.
« È una minaccia? » borbottò
Shirogane, ricevendo
all’unisono quattro pizzicotti sul braccio e un risolino da
parte di Retasu.
« A proposito delle nuove ragazze, cosa ti sei inventato
per la misteriosa porta del seminterrato chiusa a chiave? »
« Centralina elettrica, caldaia, ripostiglio con vecchie
cose mie e di Keiichiro. Niente che potrebbe sembrare interessante.
»
« A meno che il tuo fan club non sia
molto
intenzionato a mettere mano ai tuoi vestiti. »
Ryou trucidò Minto con lo sguardo: « Io
non ho un
fan club. »
« Ma se metà della clientela del locale chiedeva
sempre del
giovane proprietario, » aggiunse Purin
sghignazzando, « Ora che non abiti
nemmeno più qui, saranno disperate! »
« Spero che le mie deliziose cameriere
riusciranno
a far passare loro il disappunto. E Aizawa, by the way,
tu sei l’ultima
che può parlare. »
Mentre la mora borbottava qualcosa di minaccioso in sottofondo,
Ryou estrasse finalmente uno scatolone dallo spogliatoio, che
all’apertura
emanò un meraviglioso profumo di bucato.
« Nuove di zecca, ovviamente, »
commentò, invitandole con
un gesto della mano, e Purin fu la prima a lanciarsi sulle uniformi,
con lo
stesso aspetto di quelle che avevano indossato da adolescenti.
« Ah, mi sei mancata! » esclamò,
portandosela davanti al
corpo, « Possiamo provarle ora? Possiamo, possiamo, possiamo?
»
Anche Ryou rise e annuì, indicando con un cenno del capo
lo spogliatoio: « Siamo qui per questo, in caso non vi vadano
bene. »
Ichigo, Retasu, e Purin, le uniche tre che sarebbero
ritornate a lavorare part-time al Caffè, si defilarono
eccitate dentro lo
stanzino, e l’americano nel frattempo pescò il
pacchettino che era rimasto sul
fondo dello scatolone.
« Vi abbiamo preparato comunque una copia delle chiavi,
»
spiegò alle due ex Mew Mew rimaste, porgendo a ciascuna un
mazzo con tre chiavi
diverse, « Inclusa quella del laboratorio. Per ogni
evenienza. »
Zakuro si accigliò appena, ma annuì e le mise in
borsa,
mentre Minto sospirò drammatica: « Secondo me,
stai un po’ gufando, Shirogane. »
« Sappi che sarai la prima indiziata quando
comincerò a
vedere multipli ordini di scorte di tè. »
« Fossi in te sarei più preoccupato
dell’abitudine di
Ichigo di ingozzarsi per l’ansia prima degli esami.
»
Quando le vide uscire dallo spogliatoio, in una sorta di
strano déjà-vu, Ryou si rese conto che davvero
non era pronto a riaverle
in giro tutti i giorni, tutto il giorno.
Esalò piano tra i denti, imponendosi un minimo di
autocontrollo, perché erano passati sei anni, ed erano
persone diverse, e non
era possibile che…
« Nii-san, che ne pensi? » Purin gli si
parò davanti
energetica, quasi sbattendogli la crestina sul naso, e lui
sbuffò:
« Perfetta, Purin. Calza a pennello. »
La biondina, soddisfatta, continuò a blaterare allegra
con Retasu, mentre l’attenzione del biondo si
spostò nuovamente su Ichigo, che
stava confabulando davanti allo specchio insieme a Minto su come
acconciare i
capelli, ora portati più lunghi. Non finse nemmeno di
ignorare il rombo del suo
stomaco al rivedere le gambe chiare spuntare da sotto le frappe della
gonna, o alla
sua risata nel tentare di riproporre i suoi due vecchi codini, ma
evitò
testardamente di considerare anche solo la presenza di Zakuro accanto a
sé.
Che era patetico se lo poteva benissimo dire da solo.
« Ho un’idea! »
La più giovane del gruppo si fiondò dentro la
borsa di
Retasu per estrarre la polaroid che si portava sempre dietro, incurante
della
fioca protesta dell’amica circa al macello che vi
provocò, e la mostrò ai
compagni:
« L’occasione richiede una foto! »
« Ha ragione! » Ichigo afferrò Minto per
un braccio e la
trascinò al centro del Caffè, « Purin,
vai a chiamare Keiichiro, magari chiedi
a uno dei camerieri se può aiutarci! »
« Ichigo, sono qua per lavorare… »
borbottò sottovoce
l’americano, mentre la biondina si scapicollava verso il
giardino, e la rossa
lo ignorò mentre posizionava anche le due brune e Retasu
come se fossero dei
bambolotti.
« Oh, su, è solo un favore iper rapido! »
Ryou sbuffò e si lasciò trainare al posto
designato
intanto che Purin e Keiichiro, insieme a un cameriere
dall’aria frastornata ma
gentile, tornavano dentro.
« Pronti, pronti?! »
Lei si lanciò in mezzo a Minto e Retasu, Ichigo che
invece sgusciò tra Zakuro e Ryou mentre Keiichiro prendeva
posto di fianco a
quest’ultimo.
« Un bel sorriso e abbracciamoci! »
« Purin, tu più che altro mi stai spezzando le
costole, »
pigolò sottovoce Retasu, comunque un sorriso a trentadue
denti.
La modella e Ichigo risero sottovoce del mugugnare in
madrelingua di Ryou quando Keiichiro gli avvolse un braccio intorno
alle spalle;
la rossa avvertì leggera la mano del biondo posarsi
sull’incavo della schiena e
sorrise, passando il braccio intorno al suo mentre posava la testa
sulla spalla
di Zakuro.
« Pronti? » il cameriere sorrise e tutti loro si
strinsero appena un po’, ridendo nel flash che
seguì.
Ichigo aveva ovviamente esteso la sua visita a Villa
Aizawa con un pigiama party per due, e giocherellò distratta
con il cellulare
mentre la padrona di casa finiva di struccarsi alla sua toeletta,
riguardando l’immagine
della foto di quel pomeriggio – simbolicamente consegnata a
Keiichiro perché la
incorniciasse in cucina, così come aveva voluto Purin.
Il mezzo sorriso accennato di Ryou era quello che aveva
sempre conosciuto; non era mai stato particolarmente espansivo o
allegro, e lei
poteva contare sulle dita le volte in cui l’aveva davvero
visto sorridere come
si deve o ridere per davvero. Ma – o forse erano solo i dolci
della giornata a
parlare, o il fatto che dopo non essersi visti per quasi un anno
avessero più
tolleranza l’uno dell’altra – le sembrava
che lui fosse cambiato un poco, che
fosse più… non sapeva nemmeno lei come spiegarlo,
visto che l’unico aggettivo
che le veniva in mente era più Ryou.
E lei proprio non riusciva a togliersi dalla testa lo
sguardo che gli aveva visto negli occhi azzurri che l’avevano
osservata.
« Guarda che tutto questo silenzio mi preoccupa, »
la
punzecchiò Minto, lanciandole
un’occhiata dallo specchio.
« Scusa, » la rossa esalò uno sbuffo
divertito e si
stiracchiò, « Sto esaurendo la scorta di zuccheri
e sono un po’ stanca. »
« Con tutti quelli che hai mangiato, sono quasi stupita,
» l’amica la prese in giro alzandosi e ripiegando
con cura la vestaglia sulla
poltroncina di velluto, « Allora così mi posso
risparmiare la visione di uno
dei tuoi amati film mielosi e investigare su perché continui
a fissare il
cellulare così imbambolata? »
Ichigo s’imbronciò e nascose prontamente il
telefono, un
velo di rossore sulle guance: « Non sto facendo proprio
nulla. Tu piuttosto! »
si difese mentre Minto si stendeva accanto a lei, « Non mi
hai più detto cosa è
successo con quel rampollo che voleva affibbiarti tua mamma. »
« Non è successo niente, infatti non ne sai nulla.
»
« Sì ma, l’hai visto, siete usciti,
com’era, vi siete
baciati?! »
La mora le scoccò un’occhiata scettica:
« Come se ti racconterei
mai certe cose. »
« Non è divertente fare gossip con te. »
« Invece… » Minto distese un sorrisetto
inquietantemente
soddisfatto, allungandosi sopra la rossa e ignorando le sue proteste
per
afferrare di nuovo il cellulare, che aveva vibrato un paio di volte,
« Chi è
che ti scrive a quest’ora! »
« Minto! »
La mora la ignorò e aprì tranquillamente il
telefono, il
ghignetto che si allargò deciso: « Mi
raccomando non fare tardi dopodomani,
devi dare il buon esempio, Shirogane! Ah, siamo tornati
all’attacco, eh? »
« Non essere sciocca, » Ichigo assunse il colore
dei
propri capelli e riuscì a riappropriarsi del proprio
telefonino, « E poi che
vorresti dire!? »
Minto la guardò ironica, un sopracciglio talmente
sollevato che pareva stare sul punto di andarsene per i fatti propri:
«
Momomiya, ti prego. »
Lei le fece il verso muta, il naso arricciato,
borbottando mentre si piegava per nascondere l’oggetto della
contesa dentro la
borsa: « Tu fai dei gran viaggi. È solo ancora il
fuso orario, e vuole darmi fastidio
come al solito. »
« Certo, e io sono la regina d’Inghilterra. Dai,
passami
il telecomando, vediamo se troviamo qualcosa d’interessante.
»
Ancora a pancia in sotto a penzoloni dal letto, Ichigo si
distrasse un secondo, mentre veloce come un lampo digitava una risposta.
“Ovvio! Ci sarò :)”
§§§
Ryou, che di solito al mattino soffriva di un potente
caso di pressione bassa e faticava ad aprire le palpebre e muovere un
solo
muscolo per i primi dieci minuti – con buona pace del fatto
che spesso non si
addormentava prima di notte inoltrata – ebbe la sensazione
che quella giornata
sarebbe andata storta quando i suoi occhi si spalancarono ancora prima
del
suono della sveglia e il suo corpo vibrò, già
pronto per incominciare la
routine.
All’inizio, diede la colpa al letto nuovo, al nuovo
appartamento, uno sfasamento in differita rispetto a quando ci si era
davvero
trasferito, oppure a un cambiamento stagionale vista la primavera
inoltrata e i
ciliegi in fiore. Vagabondò borbottando fino alla
macchinetta del caffè, sua
priorità principale sempre e comunque, e solo quando ebbe
una tazza bollente
tra le mani ritornò in camera da letto a prendere il
cellulare.
Quando vide le tre chiamate perse di Keiichiro, sempre
molto più mattiniero di lui, il messaggio che recitava
“ Controlla computer”,
ed – effettivamente – la notifica di molte
notifiche dai computer
principali del laboratorio, seppe che non era decisamente guarito dalla
totale
mollezza mattutina.
Con un grugnito e un’imprecazione, infilò il
cellulare
tra spalla e orecchio mentre pescava il portatile dalla tracolla e lo
accendeva, telefonando nel frattempo al suo fido collaboratore che
rispose in
meno di due squilli.
« Hai - »
« Sto accendendo adesso. Da uno a dieci? »
Paradossalmente, udì il moro ridacchiare: « Guarda.
»
Lui ingollò un altro sorso di caffè rovente con
un sibilo
mentre il sistema del portatile si connetteva a quello del server
primario,
finché una schermata gli riempì il monitor e lui
dovette sbattere le palpebre
per essere sicuro di aver letto bene. Probabilmente, Keiichiro doveva
aver intuito
il suo stupito silenzio, perché sospirò di nuovo,
leggero: « Te l’avevo
detto. »
«… vediamoci tra mezz’ora al
Caffè. »
« Speravo di non dover più usare questa stanza.
»
Ryou si sfregò gli occhi, già provato dal piccolo
bunker
che era il laboratorio nascosto nel seminterrato del locale.
Keiichiro gli sorrise comprensivo: « I nostri scenari
sono sempre stati peggiori però, non trovi? »
Il biondo grugnì, molto poco convinto, digitando ancora
un paio di tasti in maniera svogliata: « Lo sai che non mi
convinci con i tuoi
tentativi di trovare sempre un lato positivo. »
Il moro ridacchiò e si alzò dalla sua postazione:
« Come
vuoi dare la notizia? »
« Vorrei non darla, » Ryou
gemette sottovoce e si
arruffò i capelli, riflettendoci un secondo, « Ma
conoscendole, più la tiriamo
per le lunghe, più vorranno la mia testa su un vassoio.
Facciamole venire qui
tutte e basta, abbiamo un’ora prima dell’apertura,
dovrebbe essere sufficiente.
»
« Chiamo io? »
« Please, I beg you. »
Con una risatina, il pasticcere si avviò al piano di
sopra per iniziare il giro di telefonate.
Forse ormai memori di cosa volesse dire riceve appelli
del genere, soprattutto prima delle dieci del mattino, non ci volle
molto
perché le ragazze si ritrovassero nel locale ancora vuoto,
ognuna con una
gradazione diversa di espressione nella scala tra il preoccupato e
l’arrabbiato.
« Io l’ho sempre detto che c’era qualcosa
sotto, »
borbottò Minto, slacciandosi il cappottino primaverile,
« Avete riaperto da una
settimana e già facciamo le riunioni generali. »
« Magari non è niente di grave, »
tentò di blandirla
Retasu, sistemandosi nervosamente gli occhiali con la punta delle dita.
« Shirogane nii-san non è ancora spuntato,
» ridacchiò
invece Purin, infilandosi nello spogliatoio insieme ad Ichigo,
« È sicuramente
qualcosa di grave. »
Le ragazze
rumoreggiarono ancora qualche istante, mentre Keiichiro serviva
tè e pasticcini
di supporto.
Ryou spuntò dal piano interrato nello stesso momento in
cui Ichigo e Purin uscirono dallo spogliatoio, già pronte
nelle loro divise, e
fu accolto dalla stessa occhiata truce di tutte.
« Allora? » domandò pronta Zakuro, le
braccia conserte e
una sottile ruga tra gli occhi.
Il biondo prese un altro respiro, guardandole di nuovo
tutte in piedi vicino all’entrata della cucina.
« Prima di tutto, vogliamo rassicurarvi che non
c’è
niente di preoccupante, » incominciò Keiichiro,
mettendo le mani avanti e
sorridendo loro con affabilità, « Ma ci sembrava
giusto avvisarvi in ogni caso.
»
« Già non mi piace… »
mormorò Retasu sottovoce, Purin
accanto a lei che annuì convinta.
« D’accordo, le cose stanno così,
» Ryou fece un mezzo passo
avanti ed esalò, « Giusto stamattina –
»
Non fece in tempo a terminare la frase, sotto gli occhi
preoccupati delle ragazze, che il beep beep beep allarmato
del computer
dal seminterrato li raggiunse come un fulmine, insieme a una voce molto
nota.
« Che piacere rivedervi, bamboline. »
Per qualche istante, gelo totale.
Kisshu, spuntato nel bel mezzo del salone, ghignò
malefico e fluttuò con noncuranza fino a raggiungere le
ragazze – o meglio, a
raggiungere una distanza di circa dieci centimetri dal naso di Ichigo.
« Beh! Che c’è,
non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa faiiii,
nyaaaah! » la rossa, diventata della stessa
tonalità della sua uniforme,
scattò all’indietro con prontezza felina,
« Cosa ci fai tu qui! »
Kisshu,
reggendosi la pancia mentre rotolava per l’aria ridendo della
sua reazione,
finse teatralmente di asciugarsi una lacrima: « Sorpresa.
»
Fu il delirio.
Le altre cinque
ex Mew Mew iniziarono chi a prenderlo a male parole, costringendolo ad
alzarsi
in volo fino al soffitto per sfuggire alla loro presa, chi a sfogarsi
su
Shirogane – che pareva star fumando dalle orecchie
– chi a continuare a
domandare cosa stesse succedendo.
« Ma nemmeno un buongiorno?
» commentò di nuovo lui, divertito, mentre
galleggiava sopra le loro teste con
aria beffarda, « Dove sono finite le vostre buone maniere.
»
« Scendi che te
ne diamo un assaggio. »
« Uh, che
proposta, passerotto. »
« RAGAZZE! » la
voce di Keiichiro magicamente riuscì a sovrastare quella
degli altri, e si
portò al centro della stanza, « Vi prego,
cerchiamo di spiegare. »
« Sarebbe il
caso, » mugugnò Ichigo a denti stretti, ignorando
ferocemente il ghignetto
soddisfatto del verde.
Lui planò di
nuovo davanti a lei, afferrandole la mano e schioccandoci un bacino
innocente
sopra: « Dai, ammettilo che ti sono mancato. »
Lei, ormai
diventata viola, pigolò di nuovo strozzata e
tentò invano di ritirare il
braccio, quando la figura elegante di Zakuro sopraggiunse minacciosa di
fianco
a lei e Kisshu si allontanò con uno strano verso di gola.
« Okay, okay,
d’accordo, calmiamoci tutti. »
« Possibile che
tu non sappia fare altro che combinare casino? »
Otto teste si
voltarono verso la porta d’ingresso, su cui era appena
apparso Pai, le braccia
incrociate e l’espressione truce.
Il fratello,
dall’alto del soffitto, ridacchiò invece
soddisfatto: « Lo sai che mi piacciono
le entrate trionfali. »
« È un incubo, vi
prego, ditemi che è un incubo. »
« Mew Mew, » Pai
le salutò con un cenno del capo, ignorando il commento
disperato di Minto, poi
rivolse lo stesso gesto ai due uomini, « Shirogane, Akasaka.
»
Il moro ricambiò,
un po’ titubante, invece il biondo gli lanciò
un’occhiata glaciale: « Non
avevate detto che stavate arrivando? »
Kisshu incrociò
le braccia dietro la testa, sempre a distanza di sicurezza: «
E infatti eccoci
qua! »
Se gli sguardi
avessero potuto uccidere, sarebbe sicuramente stato dilaniato dagli
occhi
azzurri.
« Obviously. »
Il maggiore degli
Ikisatashi scosse piano la testa, nascondendo un giramento di occhi:
« C’è stata
un’interferenza durante l’invio del messaggio, che
quindi è arrivato molto in
ritardo, » spiegò, « Non ci hanno dotato
di un equipaggiamento entusiasmante,
questa volta. »
« Fermi, fermi,
fermi! » Ichigo fece qualche passo avanti, reggendosi la
testa, « Io non ci sto
capendo più nulla. Voi sapevate di… tutto
ciò? »
Keiichiro la
guardò ed annuì, con aria grave: « Ecco
il motivo per cui vi abbiamo chiesto di
trovarci qui, oggi. Il messaggio a noi è arrivato soltanto
stamattina. »
« Ci dispiace, »
commentò il moro, guardando ancora di sottecchi al fratello,
« Non volevamo
creare troppo fastidio. »
« Credo di
sentirmi male. »
Minto si accasciò
su una sedia melodrammaticamente, per poi scoccare
un’occhiataccia a Ryou: « Io
lo sapevo che non poteva andare tutto liscio! »
« Come se
l’avessi scelto io! »
« Ora calmiamoci,
» la voce fredda di Zakuro, incrinata solo da una nota di
evidente fastidio, li
fece tacere prontamente, la morettina che serrò le labbra
già pronte a
replicare, « E voi abbiate la compiacenza di spiegarvi.
»
Kisshu si
mantenne lontano da eventuali aggressioni fisiche, ben memore delle
potenzialità della modella, appollaiandosi al bancone della
cassa mentre le
ragazze occupavano le sedie vicino a quella di Minto e i due scienziati
rimanevano in piedi vicino loro.
« Fatemi premettere
che non siamo tornati con intenzioni bellicose, »
chiarì subito Pai,
guardandole ad una ad una, « Anzi, portiamo i ringraziamenti
del nostro governo
per la cessione della Mew Aqua, che è riuscita a riportare
il nostro pianeta a
uno stadio di totale abitabilità. Tutta la popolazione ne ha
giovato molto, e
ora Duuar (***) è prolifica e il
suo popolo pacifico.»
« Sì, dopo averci
fatto il culo a strisce per mesi, però, »
borbottò sottovoce Kisshu, e il
fratello maggiore perseguì ad ignorarlo.
« Le esalazioni
benefiche della Mew Aqua sono penetrate a fondo nel nucleo di Duaar,
rigenerandolo ed espandendosi per tutta la sua superficie. Il suo
potere si è
dimostrato così straordinario che non è stato
necessario utilizzare tutta la
sostanza, per rigenerare il pianeta. Così, siamo stati
incaricati di farvi un
ringraziamento materiale. »
Così dicendo, Pai
estrasse dalla tasca una fialetta colma di liquido brillante,
strappando un
sussulto agli altri presenti.
« Non pensate sia
tutta, » ghignò l’altro alieno,
incrociando le mani dietro la nuca, « Ne
abbiamo tenuto un po’ da parte in caso la situazione si
rifaccia grigia. »
« E questo ci
porta al fulcro della nostra missione, » Pai annuì
grave, rivolgendosi
maggiormente agli altri due ragazzi del gruppo, « Non abbiamo
certezze se il
risultato ottenuto con la MewAqua sia permanente o meno, quanto i suoi
effetti
possano durare. Siamo venuti qui per prelevare campioni del vostro
terreno, nel
tempo, specialmente in punti in cui sappiamo la Mew Aqua sia penetrata,
per
poterli paragonare ai nostri risultati. Così potremmo capire
se gli effetti
sono permanenti, se hanno picchi di funzionalità, e via
dicendo. »
I due scienziati
si scambiarono un’occhiata veloce, poi Keiichiro
annuì: « Ha senso. Anche se
non ci siamo mai accorti che fosse rimasta della MewAqua, a Tokyo.
»
« Altrimenti noi
ci saremmo illuminate! » intervenne allegra Purin, beccandosi
un’occhiataccia
da parte di Minto e un sottile shhh da Retasu.
« Sono quantità
minime, non tracciabili se non con appositi congegni, »
spiegò Pai, « Non è
tanto la quantità, quanto questa abbia influito e se per
caso ne serva di più.
»
« Avete provato a
ricrearla? »
Il moro annuì,
rivolto a Ryou: « C’è un progetto in
corso su Duuar, ma finora non ha portato
ai risultati sperati. La MewAqua è una sostanza molto
particolare, forse fin
troppo per essere riprodotta in laboratorio. »
« Potrebbe essere
interessante tentare, » Keiichiro si voltò verso
Ryou, il quale però continuò a
scrutare torvo i due nuovi arrivati, con le braccia incrociate.
« Quando parlate
di nel tempo, cosa intendete? »
Kisshu – che si
era affacciato nel mentre dalla finestrella della cucina per
investigare i vari
odorini meravigliosi che ne uscivano – lo guardò
da sopra la spalla con un
ghigno divertito:
« Per tutto il
tempo che il mio caro fratellone genialoide qui riterrà
opportuno per prelevare
i campioni giusti. Non sei contenta, micetta? »
« Nyaaah, io
non voglio saperne niente! »
« Non abbiamo un
periodo stabilito, dipenderà dal risultato degli
esperimenti. »
Il biondo sembrò
soppesare le ultime parole, la ruga sulla sua fronte sempre
più profonda.
« Voi che ne
pensate? »
Le cinque ex Mew
Mew si scambiarono qualche occhiate confusa, non pensando che sarebbero
state
interpellate.
« Commenti
tecnici sui vostri esperimenti non credo siamo in grado di farne,
» borbottò
sottovoce Minto, « Io continuo a non credere alle
coincidenze. »
Purin sussultò un
istante e si infilò sotto al tavolo, strappando ad Ichigo
uno strillo quando le
agguantò il bordo della gonna per sollevarlo e studiare il
suo interno coscia.
« Tutto okay! »
esclamò la biondina un po’ ovattata, mentre la
rossa continuava a cercare di
scacciarla e al tempo stesso di non farsi denudare del tutto davanti a
tutti, «
La voglia di nee-chan non c’è! »
« Purin, non
siete delle cartine tornasole, » commentò
Shirogane, ormai privato di qualsiasi
energia.
Zakuro studiò
ancora un po’ i due alieni, poi si appoggiò un
po’ di più allo schienale della
sua sedia: « Come facciamo ad avere una garanzia di
ciò che state dicendo? »
Pai annuì sicuro,
come se si fosse aspettato una domanda del genere da lei: «
Possiamo mettere
tutte le nostre strumentazioni e ricerche a vostra disposizione.
»
« E poi vi
abbiamo avvisato, » cantilenò Kisshu,
ricominciando a fluttuare per la stanza,
« Potevamo benissimo farci i cavoli nostri, ma abbiamo
preferito non scatenare
di nuovo un casino interplanetario arrivando senza bussare. Malfidati.
»
« Be’,
Kisshu-san, non puoi proprio biasimarci… »
ridacchiò appena Retasu,
sistemandosi nervosamente gli occhiali.
« Già! Eri
proprio un diavoletto, una volta! » rincarò
allegra Purin, riemersa dalle gambe
delle ragazze, « Posso venire anche io a vedere
l’astronave? »
« Una cosa per
volta, » s’intromise Keiichiro, « Prima
di tutto, vi ringraziamo per il
preavviso e per la Mew Aqua. Sono certo che potremmo dare inizio a una
fruttuosa collaborazione, se volete. I nostri sistemi sono aggiornati e
abbiamo
una copertura ben oltre Tokyo. A unire gli sforzi si raggiungono
risultati
migliori. »
Ryou schioccò la
lingua infastidito, spostando il peso da un piede all’altro
per domare il
livore, ma dentro di sé riconobbe almeno il tentativo del
suo tutore di poter
avere un minimo di controllo sopra ciò che i due alieni
avevano in mente.
« Sono sicuro che
avrete affrontato un viaggio molto stancante, e il Caffè
deve aprire tra poco,
quindi possiamo proporre di ricominciare le questioni più
tecniche a domani, a
mente più fresca? »
Pai fece un gesto
di consenso con il capo, all’apparenza sollevato di poter
già congedarsi dalla
compagnia umana: « Inizieremo anche noi a settare i nostri
apparecchi, così da
poter cominciare al più presto. »
« Oh, rilassati
un attimo, » Kisshu osò svolazzare appena
più vicino al tavolo delle ragazze, «
Siamo appena arrivati, abbiamo un sacco di cose da
raccontarci, vero,
micetta? »
Mentre il viso
della rossa s’incendiava e lei spostava la sua sedia come a
cercare protezione
in Retasu, Ryou si schiarì la gola con così tanta
forza che avvertì le corde
vocali lamentarsi:
« Credo sia
meglio stabilire qualche regola, » sentenziò
lugubre, « Vorrei evitarmi di
trovare i servizi segreti tra le scatole perché la gente
corre in giro a
gridare di vedere qualcuno volare. »
Il viola fulminò
il fratello con lo sguardo per l’ennesima volta, ma quello
persistette nel
fischiettare tranquillo, ben conscio dell’effetto che aveva
sui due: « Non
attireremo l’attenzione. »
« Vi conviene
anche cambiarvi, » ridacchiò Purin, accennando ai
vestiti dei due, gli stessi
di cui si ricordavano ma così diversi
dall’abbigliamento umano, e alle orecchie
a punta ben in vista, « Non siamo in periodo di cosplayer.
»
« Abbiamo pensato
pure a quello, » ghignò l’alieno dai
capelli verdi, « Saremo irresistibili,
scimmietta. »
« Questa sembra
un’invasione meglio pianificata dell’ultima volta,
» grugnì Ryou sottovoce,
guadagnandosi un’occhiataccia da Keiichiro, che di nuovo si
fece avanti.
« Diciamo qui domattina,
alla stessa ora? »
« Non sentire
troppo la mia mancanza, micetta! »
E con un ultimo
bacetto lasciato nell’aria, Kisshu sparì
così com’era apparso, seguito poco
dopo da Pai e dal sentore del suo sottile ringhio esasperato.
Per altri due
minuti, solamente il silenzio riempì la stanza del
Caffè, mentre le ragazze
rilassavano appena le spalle.
« Ma quindi ora
devo anche mettermi a lavorare? » borbottò Ichigo
sottovoce, passandosi le mani
tra i capelli, « Mi sta già scoppiando la testa, nyaaah!
»
« Ogni scusa è
buona, Momomiya. » le rimbrottò Ryou, continuando
a squadrare l’uscita con aria
torva, come se temesse di vedere ricomparire i due ospiti inattesi.
« Suuuu,
ammettetelo che un po’ siete contente, » Purin si
stese con quasi tutta la
pancia sul tavolo per attirare l’attenzione delle amiche,
« Ora è davvero come
sei anni fa! Anche se mi chiedo dove sia Taru-Taru…
»
« Ci manca anche
il terzo… » fu il lugubre commento di Shirogane,
che girò sui tacchi scomparire
giù dalle scale, « Vedete di non battere la
fiacca, o davvero ricominceremo ad
attirare l’attenzione se a una settimana
dall’apertura siamo di nuovo in alto
mare. »
Loro si
scambiarono un’occhiata sconsolata con Keiichiro, poi le tre
in divisa da
cameriera si alzarono con lentezza, sperando di poter contrastare la
confusione
concentrandosi sul lavoro.
Zakuro si
concesse un unico sospiro di stizza, alzandosi insieme a loro e
stringendo la
borsa sotto al braccio: « Mi raccomando, occhi aperti adesso.
Dobbiamo molto a
loro, ma alcune cose possono non cambiare. »
Le altre
annuirono, un po’ timorose, e si avviarono per prepararsi
alla giornata.
A fine turno, Ichigo zampettò silenziosa fino al
laboratorio, dove sapeva che Ryou si era rintanato in cerca di
solitudine e
tranquillità vista l’inagibilità della
sua vecchia camera da letto. Come
previsto, la porta del laboratorio era socchiusa, e lei poteva sentire
il
rumore della tastiera che serviva da valvola di sfogo e una fievole
musica di
sottofondo.
« Riprendi anche a farmi gli agguati? » la prese in
giro
stancamente quando la notò sbirciare dalla fessura, incerta
se bussare o meno.
Lei arricciò il naso ed entrò di qualche passo
nella
stanza: « Non ti ho mai fatto agguati. »
Il biondo sbuffò appena divertito e si appoggiò
allo
schienale della sedia per stiracchiarsi, prima di passarsi una mano tra
i
capelli e borbottare qualcosa sottovoce che la rossa non
capì.
« Che ne pensi? »
Le lanciò un’occhiata un po’ rassegnata,
la mano ancora
nella chioma: « Che sinceramente avrei preferito non
rivederli. »
Ichigo fece ancora qualche passo tentennante,
picchiettando con le dita sulla scrivania: « Dai,
alla… fine ci hanno aiutato.
»
« Se sei contenta di rivedere Kisshu, basta dirlo, sai.
»
« Guarda che… ! »Ichigo strinse i pugni
e prese un
respiro profondo per calmarsi prima di esplodergli contro, offesa dalla
sottile
accusa, « Non c’entra proprio niente. Volevo solo
sapere come stavi, e se
volevi parlare. Noi ragazze un po’ ne abbiamo discusso.
»
« Non voglio parlare, Ichigo, » lui
soffiò, ancora
contrariato, poggiando i gomiti sulla scrivania per prendersi la fronte
tra le
mani, il mal di testa che perseguiva a rimbombargli tra le tempie,
« Voglio
solo capire se ci stanno prendendo in giro o meno. »
La rossa cercò di interpretare i dati che vedeva scorrere
sui multipli schermi, rinunciando in un istante e drizzando le spalle,
già
pentitasi del suo tentativo di supporto.
« Okay, » borbottò, e fece per fare
dietrofront, « Ciao,
allora. »
Ryou le afferrò il polso prima che potesse voltarsi,
guardandola da sotto la frangia con un occhio mezzo aperto: «
Sorry, »
mugugnò, senza lasciare la presa.
Ichigo lo guardò storto, ma si avvicinò un
po’ di più: «
Perché le cose difficili le dici sempre in inglese?
»
Lui si lasciò scappare uno sbuffo divertito: « Because
it’s easier. »
Le sue dita scivolarono dal polso al palmo di lei,
accarezzandole piano il dorso della mano con il pollice.
« Poi chi ti dice che sia difficile chiedere scusa?
»
continuò a prenderla in giro.
« Oh, per favore, » la voce della rossa
uscì più fievole
di quanto avrebbe voluto, « Sei una delle persone
più orgogliose che conosca. »
« Senti chi parla, » Ryou rise e si alzò
per picchiettare
piano l’indice della mano libera contro la sua fronte,
« Questa è una testolina
molto dura. »
Ichigo maledisse la sua propensione ad arrossire e si
sforzò di alzare il mento con fare sicuro: «
Be’, allora… vado a casa. Devo
studiare un po’. »
Il biondo annuì e le diede un buffetto sul naso: «
Sta’
attenta. »
« Che fai, ti preoccupi per me? »
Lui rise appena del suo tentativo di essere baldanzosa: «
Non ho voglia di ricominciare a doverti salvare la coda. »
« Ah, ah, simpatico, »
rimbrottò lei, « Il giorno
in cui mi ricresce la coda, ti ci strozzo. »
Il colore sulle sue guance si intensificò
all’occhiatina
divertita e allusiva che le lanciò, e Ryou fece per
replicare, la mano ancora
sulla sua, quando un intenso trillare dei computer li fece sobbalzare
entrambi.
« Damn it, »
l’americano quasi volò sulla
tastiera, esaminando i dati che pulsavano sul monitor, « Ho
cambiato il
settaggio dei valori su quelli indicati da Pai ed effettivamente ci
sono
minuscole tracce di Mew Aqua rimaste. »
Ichigo non tentò nemmeno di sforzare il suo cervello,
incrociando solo le braccia al petto: « Quindi avevano
ragione? »
« Ragione è un
parolone… »
La rossa non riuscì a evitare di ridere alla sua
espressione corrucciata, conscia di quanto lui detestasse ammettere di
non
essere totalmente nel giusto: « Allora li aiuterete?
»
Ryou si accasciò contro lo schienale della sedia,
arruffandosi i capelli: « Sono più tranquillo a
sapere cosa stiano facendo, che
a saperli qua sulla Terra a scorrazzare liberamente in giro. E
chissà che i
risultati non siano utili anche a noi. »
Lei gli diede appena un colpetto col gomito sulla spalla:
« Stai forse ammettendo che anni di diplomazia di Keiichiro
hanno avuto effetto
anche su di te? »
« Pensavo dovessi andare a studiare, Momomiya. »
Ichigo rise di nuovo, avviandosi verso la porta, poi si
mordicchiò il labbro inferiore: « Se
hai… bisogno, chiama pure. »
Il biondo tentennò un secondo prima di voltarsi verso di
lei e annuire, abbozzandole un mezzo sorriso: « You
too, ginger. »
§§§
Ryou si chiese quanto a lungo il suo fegato avrebbe
continuato a resistere.
Era stato deciso che, per sfruttare al massimo le
potenzialità del laboratorio del Caffè, i due
Ikisatashi si installassero nel locale,
adoperando le due camere da letto inutilizzate al piano superiore, che
Keiichiro aveva prontamente diviso dal resto della struttura facendo
installare
una porta. In questa maniera, Ryou poteva crogiolarsi
nell’idea di poter tenere
un minimo sott’occhio ciò che stavano combinando,
anche se ciò significava
dover passare la maggior parte del tempo al Caffè e
trovarseli tutti tra i
piedi.
Già avere sempre intorno Ichigo in veste da cameriera gli
riportava alla mente paturnie adolescenziali che erano difficili da
domare; già
trovava faticosamente sopportabile condividere lo stretto spazio vitale
del
seminterrato con Pai e la sua austerità; ciò che
gli mancava era davvero
l’indisponente, intollerabile, sfacciata presenza di quella
testa di broccolo
di Kisshu.
Si domandò se avesse mai incontrato un essere più
irritante di lui. Lui e i suoi ghignetti, le battutine, il suo oziare
per la
maggior parte del tempo facendo più che onore alla cucina
– a gratis,
ovviamente perché certe abitudini Keiichiro sembrava non
perderle –, le
risatine e i sospiri che salivano dalla clientela femminile del
Caffè ogni
volta che si presentava.
Per non parlare poi del suo costante ronzare intorno ad
Ichigo.
Gli schioccò un’occhiataccia, seduto al tavolo a
ingozzarsi di pasticcini, mentre lui riemergeva dal laboratorio per
andare a
rilassarsi a casa.
« Che muso lungo, biondino, » lo
apostrofò irriverente,
cacciandosi l’ennesimo dolcetto in bocca, «
Già sfiancato dal lavoro con Pai? »
« Se tu ti fossi palesato una sola volta in tutta la
settimana, lo sapresti, » gli sibilò gelido
l’americano, desiderando moltissimo
possedere una frazione dei poteri di Kisshu per fulminarlo
all’istante.
« Preferisco il lavoro sul campo, »
ribatté l’altro, per
niente scalfito dall’evidente astio, lanciando
un’eloquente occhiata alla
clientela.
« For fuck’s sake… »
Ryou fece per dirigersi a passo marziale verso l’uscita,
quando fu fermato dalla voce di Ichigo, che lasciava in quel momento la
cucina.
« Shirogane-kun, aspetta! Mi faresti un favore? »
Gli fece segno di
fermarsi e s’infilò velocemente nello spogliatoio,
uscendone trafelata
trafficando nella sua borsa.
« Mi potresti controllare questi? »
esclamò con il
fiatone, schiaffandogli sotto al naso un plico stropicciato di fogli,
« Sono le
brutte copie di un esame. »
Lui li afferrò, lanciandole un’occhiata scettica:
«
Brutte sicuro, Ichigo. »
« Dai, ero di fretta! Non ho sentito la sveglia e dovevo
correre a lezione, ho fatto il possibile. »
Ryou abbozzò a un sorrisetto, picchiettandogliele sul
naso: « Non cambi mai, eh, ginger?
»
Dal suo angolino, Kisshu lasciò uscire uno sbuffo
più che
compiaciuto: « Su, biondino, ammettilo, »
ghignò malefico, osservando la rossa
da capo a piedi, « Qualche cambiamento
c’è stato. »
Ichigo arrossì fino alla punta dei capelli, afferrandosi
il bordo della gonna e tirandola verso il basso il più
possibile, e Ryou lo
squadrò talmente male che lei addirittura temette per la sua
vita. L’alieno,
dal canto suo, sembrò più divertito che
preoccupato da quello scambio, e
ritornò a concentrarsi sui dolcetti.
La ragazza si schiarì la voce e si spostò di un
passo
davanti all’americano: « Uhm… allora mi
aiuti? »
Lui nemmeno la guardò, ma l’afferrò
saldo un braccio e la
tirò piano verso l’uscita: «
Sì, ma a casa. »
« Ehi, asp… i vestiti! » Ichigo
cercò di svicolare per recuperare
le sue cose, ancora nell’armadietto dello spogliatoio, ma lui
parve non udirla
e si avviò a passo deciso fuori dal retro, quasi
trascinandola fino alla sua
automobile.
« Shirogane-kun, ti vuoi calmare? » gli
strepitò infine
lei, « Spiegami perché ora ce l’hai con
me! »
« Non ce l’ho con te, »
replicò pronto lui, anche se la
vocina nel suo cervello gli ripeteva che non gli sembrava che a lei
fosse tanto
dispiaciuto quell’odioso commentino.
« Allora non tirarmi come se fossi una bambina
disobbediente. »
Ryou mollò il suo polso solo quando furono davanti alle
portiere, entrando in macchina senza una parola di più.
Ichigo sbuffò innervosita, borbottando sottovoce qualcosa
di incomprensibile mentre si accomodava al sedile del passeggero.
Resistette
solo i primi cinque minuti, prima di ricominciare:
« Guarda che non puoi reagire così male tutte le
volte,
ti verrà un colpo alla lunga. Lo sai che Kisshu
è… fatto un po’ così.
»
« Ora lo difendi pure? »
La rossa titubò un istante, afferrandosi una ciocca di
capelli per controllarsi le punte: « Non posso…
arrabbiarmi troppo con lui, lo
sai… »
Ryou soffocò un’imprecazione al modo in cui lei
fece
cadere la frase, cogliendone appieno il senso velato, concentrandosi
sul
traffico per i minuti successivi.
« A confronto io sono solo il tizio che ti ha costretto a
tutto questo casino. »
Percepì Ichigo girarsi verso di lui, appena sorpresa
dall’ammissione, per fissarlo un istante prima di abbozzare a
un sorriso: «
Credevo che la tua battuta in questi casi fosse che la Terra
mi ha scelta.
»
« Tomayto, tomahto. » (****)
Lei sbuffò divertita, rimanendo in silenzio per la durata
restante del tragitto. Quando si fermarono davanti al palazzo dove
abitava la
ragazza, lei lo guardò da sotto in su: « Sali
davvero per aiutarmi a studiare?
»
L’americano maledisse per l’ennesima volta dentro
di sé
il commento di Kisshu, veritiero come non mai, a vederla in uniforme
con
quell’espressione speranzosa, e sospirò:
« Ginger, devo - »
« Ti pre eeeeego! » congiunse le
mani davanti alla
faccia, « Ti offro tutto il caffè che vuoi, lo sai
già che altrimenti mi
distraggo, e ho solo una settimana! »
Ryou alzò gli occhi al cielo, infilandosi nel primo
parcheggio disponibile: « Non sono il tuo babysitter, sai.
»
« Sei il mio tutor designato. »
« Ah! » lui rise sarcastico, mentre scendevano
dalla
macchina ed entravano nello stabile, « Allora ci sono anni di
conti non
saldati? »
« Oh, per favore, come se ti servisse. »
Ichigo lo precedette lungo le scale, canticchiando
sottovoce con allegria mentre rovistava nella borsa alla ricerca delle
chiavi,
e lui scosse la testa, mezzo divertito.
« Adesso espatrio un’altra volta, così
non mi venite più
a rompere le scatole. »
« Non è divertente, » Ichigo gli
lanciò un’occhiata torva
da sopra la spalla, aprendo la porta del suo appartamento, «
E poi credo che
Akasaka-san e Pai riusciranno facilmente a trovarti anche negli Stati
Uniti. »
« Non se mi nascondo in un eremo sugli Appalachi senza
cellulare né tecnologie varie. »
« Shirogane! » lo sgridò con un broncio
arrabbiato,
lanciando con malagrazia la borsetta in un angolo e agitandogli un dito
davanti
al naso, « Smettila! »
Lui sbuffò irriverente, entrando nella casetta e
poggiando con molta più cura il giubbotto
all’appendiabiti: « Guarda che non ti
servo per essere la leader delle Mew Mew, sai. »
Ichigo esalò pesantemente, un brividino che le corse
lungo la schiena: « Non voglio nemmeno pensarci. E, ripeto,
non fai ridere. E
comunque, » aggiunse dopo un po’, incrociando le
braccia al petto, « Sai
benissimo che non è per quello, Ryou. »
Il suo cuore s’infranse di un millesimo di centimetro a
sentirla usare il suo nome, lì in quella stanza che sapeva
solo di lei, e la
guardò soltanto di traverso: « Ti serve una
guardia del corpo contro Kisshu? »
La rossa emise un semi-miagolio di stizza, scuotendo la
testa mentre si avviava verso la camera da letto: « Hai
lasciato l’umorismo
negli Apitachi, o quello che sono. »
« Appalachi, » la corresse
ridendo, « Preparo il
caffè, sono ancora scioccato da ciò che sei
riuscita a combinare l’ultima
volta. »
« Ma se la macchinetta me l’hai regalata tu!
»
La sentì berciare dall’altro lato della casa.
Ryou rise sotto i baffi un’altra volta, concentrandosi
nel riempire il filtro della macchinetta americana –
correttamente un suo
regalo di qualche Natale precedente – e osservando
l’appartamentino, così dannatamente
suo, con le stoviglie spaiate, i magneti di
città mai viste sul
frigorifero, le tazze di cinque rosa diversi, macchie di rosa ovunque e
un
leggero casino che poteva vedere proseguire fino alla porta chiusa
della
camera. Il tavolinetto da caffè pieno di riviste, il
portatile nell’angolo del
divano, mezzo sotto a una coperta (rosa), il davanzale pieno di piante
grasse e
cornici di foto con le ragazze, ad accompagnare anche quelle appese ai
muri con
un una fila di lucine colorate sopra, un tappetino da yoga arrotolato
in un
cantuccio che lui sapeva benissimo avesse comprato insieme a Minto e
usato
forse quattro volte.
« Ecco qua! » Ichigo uscì dalla camera
reggendo un
secondo plico di fogli, quaderni e libri tra le braccia, che
appoggiò
pesantemente sul tavolinetto, « Dovrei avere tutto.
»
Il biondo le si avvicinò reggendo due tazze fumanti e
studiò la tenuta che aveva indossato, un paio di leggings e
una felpa di tre
taglie più grandi con sopra scritto Harvard: «
Vedo che fai buon uso dei
miei regali. »
Lei arrossì vistosamente, accomodandosi sul divano e
tirando le maniche sopra le dita: « Se facessi il contrario
ti lamenteresti. »
« Sono solo contento di averci azzeccato, ginger.
»
Ichigo fece una smorfia, raccogliendo le gambe al petto e
soffiando sul caffè, l’indice che giocherellava
con il bordo di ceramica.
« Però un po’ sei felice di essere
tornato a casa, no? »
domandò sottovoce dopo un po’, fissando
più il liquido scuro che lui.
« Vuoi dire a parte aver sgobbato per riaprire il locale
in venti giorni, dover sentire i battibecchi tra te e Minto ogni giorno
e i
vostri commentini acidi sulle nuove cameriere, e la nuova invasione
aliena? »
La rossa gli rivolse un’espressione esasperata,
allungando piano un piedino per colpirgli la gamba: «
… e dai, dico sul serio!
»
Ryou sbuffò e fece roteare appena il caffè nella
tazza: «
Ovvio che sono contento, Ichigo. Altrimenti non sarei rimasto.
»
« Scherzi sempre che non ci sopporti, »
borbottò lei poco
convinta, con il broncio di una bambina.
« Scherzo, ragazzina, esattamente la
parola
giusta, » le rimbrottò divertito, « E
poi lo devi ammettere, ogni tanto sapete
essere pesanti. »
Ichigo storse il naso, poi lo guardò da sotto in su con
un sorrisetto: « Più pesanti di quanto pensassi?
»
Lo vide sgranare appena gli occhi e poi ridere,
avvicinando il viso al suo e picchiettarle la fronte: « Precisely.
»
La rossa inalò forte, muovendosi con calma per poggiare
la tazza sul tavolinetto, come temendo che un movimento troppo brusco
avrebbe
interrotto quell’istante.
« Mi sei mancato, Ryou, » esalò poi in
un fiato solo,
avvertendo il cuore schizzarle in petto e accenderle il viso sotto allo
sguardo
celeste di lui.
Ryou allungò solo una mano verso la sua guancia,
accarezzandogliela mentre la studiava, facendosi ancora più
vicino così che le
loro fronti potessero toccarsi.
« Ichigo? » mormorò roco dopo un
po’, e la rossa deglutì,
non in grado di connettere una frase completa:
« Mmm? »
Il pollice di lui le sfiorò le labbra e lei udì
il
rimbombo impazzito del suo cuore nelle orecchie: « Non ti
spostare, okay? »
Non fece in tempo a scuotere appena la testa che la bocca
del ragazzo fu sulla sua, strappandole un sospiro quasi di sollievo. Lo
strinse
a sé e si lasciò stringere, lasciandosi andare
sul divano per poterlo avere il
più vicino possibile, e mugolando sottovoce quando le mani
di lui sgusciarono
veloci sulla pelle nuda sotto la felpa. Poi Ryou rallentò,
discendendo con le
labbra sul suo collo, saggiando piano le sue curve da sopra il tessuto,
e con
un respiro affannato sfiorò il naso con il proprio:
« Credevo dovessi aiutarti a non distrarti, » la
prese in
giro sottovoce.
Ichigo rise e intrecciò le dita dietro la sua nuca:
« Non
distrarti tu. »
(*)
Un
anno in più rispetto alla trama originale della fanfic, nda,
solo per dare loro più lasco :)
(**)
Direttamente
dal
sito dell’Università di Tokyo: tutti gli studenti
dei primi due anni
frequentano corsi per acquisire conoscenze di base per la prosecuzione
degli
studi (nel caso di UTokyo, ad esempio, frequentano tutti il College
of Arts
and Sciences, che dota di un’educazione comprensiva
in scienze
umanistiche). Il terzo e quarto anno sono invece dedicati a una
specializzazione in una delle facoltà.
(***)
Vent’anni
senza
mai notare che ‘sti poveretti hanno un pianeta senza nome
– non che sia di
chissà quale importanza, ma in ogni caso, dal Bretone Douar
che
significa (ma va?) Terra.
(****)
Non sono impazzita, giuro XD
L’espressione si basa sulle due diverse pronunce della parola
pomodoro in
inglese, e sta a sottolineare una distinzione o differenza triviale,
irrilevante tra due concetti (perché… si dicono
diversamente, ma sono la stessa
cosa!).
|
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Capitolo 2 *** The new normal ***
Chapter Two –
The new normal
Gli
piaceva svegliarsi con quei rumori stranieri nelle
orecchie, si rese conto dopo qualche giornata. Era sempre stato
abituato a
sentire il rumore incessante del vento gelido, a qualsiasi ora,
intervallato
dagli scoppi delle tempeste cariche di elettricità, e anche
con l’arrivo della
MewAqua su Duuar la fauna originaria non si era ripresa abbastanza per
riempire
i vuoti con allegri suoni.
Poi, ora che aveva il tempo di esplorare la Terra senza
ambizioni di conquista, era incuriosito da tutte le sue strane
sfaccettature,
cose mai viste prima e dagli utilizzi strani, abitudini umane che per
lui a
volte avevano poco senso.
Forse la scientifica curiosità del fratello maggiore alla
fine aveva contagiato pure lui.
Con uno sbadiglio, si trascinò giù dal letto e
strascicò
i piedi fino al bagno, buttandosi in doccia con gli occhi praticamente
ancora
chiusi, settando la temperatura su una tiepidina pioggia che
l’avrebbe
sicuramente svegliato. Sapeva benissimo, ovviamente, che
l’orario non era
quello che Pai avrebbe apprezzato e che probabilmente lui era
già sveglio da
tre ore, anche se non c’erano tracce del suo passaggio, ma
dopo una vita a
svegliarsi con orari da caserma, lui era veramente poco interessato a
seguire
le abitudini militari del fratello.
Si prese il suo tempo sotto l’acqua – un lusso che
a casa
non potevano ancora permettersi – e poi a strofinarsi con uno
dei morbidi ed
eleganti asciugamani che Keiichiro aveva messo a loro disposizione
– ancora,
così diversi dai tessuti sottili e termici che aveva usato
per tutta la vita,
pensati solo per essere funzionali e adatti ad asciugare ed asciugarsi
in poco
tempo. Solo quando si fu asciugato a dovere ed ebbe estratto dalla pila
una
tuta confortevole, sempre un regalo dello spilungone alla vista dei
pochi cambi
che si erano procurati prima della partenza, si decise a scendere per
andare a
scovare Pai.
« Yo. »
Il fratello si girò con glaciale lentezza a quel saluto
estemporaneo, il fastidio ben visibile in volto.
« Sai che ore sono? »
Kisshu ghignò solo per irritarlo un poco di più:
« Non
fare finta di non lavorare meglio senza di me tra i piedi. »
« Ciò
non toglie
che tu debba lavorare. »
« Okay, okay, » il verde si avvicinò a
uno dei computer e
diede una scorsa veloce e svogliata ai dati che vi scorrevano sopra,
« Cosa c’è
in programma per oggi? »
Pai digitò un’altra dozzina di secondi prima di
rispondere: « Stiamo ultimando le analisi sui primi campioni
di MewAqua, ma ce
ne servono altri per una seconda comparazione. Questa volta
più fuori dalla
città, nelle zone meno colpite dalla sostanza. »
« Uh, che voglia di una scampagnata, » Kisshu
nascose la
soddisfazione della piccola vena sulla tempia del fratello causata dal
suo
sarcasmo, « Hai notizie di Taruto? »
« Pensavo di andare oggi alla nave e controllare i
computer, prima di mandare le analisi. »
L’altro stiracchiò le braccia con fare esagerato,
poi
stese una mano e piegò le dita un paio di volte:
«Dammi qua, posso andare io, »
all’occhiata un po’ scettica del fratello,
alzò un sopracciglio con una punta
di irritazione, « Sono capace da solo di inviare
trasmissioni, sai. »
Le spalle di Pai si contrassero per mezzo secondo prima
che lui inspirasse con lentezza e indicasse con un minimo cenno del
capo il
computer alla sua destra: « Trasferisci gli ultimi
caricamenti. »
I successivi dieci minuti passarono in silenzio,
interrotto soltanto dal ticchettio delle tastiere e da un paio di
sbadigli di
Kisshu, che fischiettò allegro quando finalmente tutti i
dati necessari furono
caricati su un dispositivo esterno.
« Allora vado. Qualche messaggio speciale per il nostro
fratellino? »
Pai gli lanciò un’altra occhiata gelida:
« Non perderci
tutta la giornata. »
L’altro ondeggiò la mano come a dire di aver
capito e si
avviò di nuovo su per le scale, molto più vispo
di quando aveva compiuto il
percorso al contrario.
Il Caffè era nel pieno del tran-tran mattutino, come
aveva imparato in quelle prime settimane, e solamente Purin era tra le
cameriere che lui conosceva di quel turno, un puntino giallo che
sfrecciava
veloce tra i tavoli con un sorriso energico. Lui scivolò di
lato, cercando di
non farsi notare – non che gli dispiacessero le attenzioni
delle terrestri, ma
sapeva che più d’uno avrebbe
avuto da ridire – quando notò che a uno dei
tavoli nell’angolo sedeva Minto, un trambusto di fogli,
agende, e vari aggeggi
davanti e l’espressione corrucciata mentre borbottava tra
sé e appuntava cose. Kisshu
non poteva dire di conoscerla, ma aveva occhio per le abitudini altrui
e la
ragazza non aveva mai fatto mistero di avere un caratteraccio troppo
divertente
da punzecchiare. E lui aveva ancora un sacco di tempo prima di dover
fare
rapporto a Pai sulle attività della giornata.
Si incamminò verso di lei, e la vide irrigidirsi, come
sempre quando lui o il fratello entravano nei paraggi, quindi
sbuffò mezzo
divertito, mezzo irritato: « Guarda che non ti mangio.
»
La mora gli scoccò un’occhiataccia, riaggiustando
un
plico di fogli: « Non ispiri subito fiducia, con i tuoi
trascorsi. »
Kisshu non riuscì a non alzare gli occhi al cielo in
maniera esagerata, tenendo sempre le mani in tasca: « Nemmeno
dopo tutta la
trafila del vado a immolarmi e nel mentre tradisco padrone,
patria e
famiglia perché mi sono reso conto che è tutta
un’idea del cazzo? »
Minto lo osservò un istante, l’espressione
impassibile,
poi si riconcentrò sull’agenda che aveva davanti:
« Sei avvezzo ai voltafaccia.
»
« Ahia, tortorella, » lui rise e spostò
la sedia per
prendere posto accanto a lei, « Come arrivi a sera con questa
cattiveria così
presto? »
« Non è presto, » precisò
lei, « È quasi ora di pranzo,
non siamo tutti scansafatiche come te. E il mio nome è
Minto. »
« Per tua informazione, Minto, ero di
sotto nel
tugurio insieme a mio fratello, » ignorò
l’ennesima occhiataccia
all’appellativo del laboratorio e fece un gesto con il mento
al portatile in
mezzo al tavolo, « Piuttosto, non è un
po’ tardi per te? Di solito sei qui
all’alba e poi sparisci. »
Minto si strinse appena nelle spalle: « Zakuro è
in un
servizio chiuso oggi, ci sarebbe stata troppa gente tra cui la sua
manager,
quindi ha avuto più senso che venissi qui per finire un paio
di cose. »
Kisshu annuì come se avesse capito di cosa stesse
parlando, poi dopo qualche istante aggiunse: « Ma tu non
facevi quella cosa,
con… le piume, e quei vestitini… »
La ragazza lo guardò allibita fare gesti strani con le
mani, disegnando silhouette esagerate, poi alzò gli occhi al
cielo: « Ero una
ballerina, sì. Sono una ballerina,
ma… ho smesso da un po’. »
Picchiettò un paio di volte la punta della penna contro
al tavolo, e avvertendo che lui continuava a fissarla come attendendo
una
spiegazione ulteriore, si schiarì appena la gola.
« Non ho smesso di allenarmi, quello lo faccio a casa
tutti i giorni, appena riesco. Ma non mi esibisco più. Era
diventato… forzato. »
Lui la osservò per un paio di secondi, poi annuì
e lanciò
le braccia in alto per stiracchiarsi, in un concerto di scricchiolii:
« Il mio
caro fratellone sicuro ne sa qualcosa di lavori forzati,
» esclamò con
un ghigno mentre faceva scrocchiare anche il collo, « Ma
quegli aggeggi cosa
sono? »
Minto seguì il suo sguardo fino ai due telefoni posati
vicino al computer: « Sono cellulari. Telefoni portatili.
»
« Telefoni? »
«Ehm… apparecchi per comunicare a distanza con le
persone. Non avete cose simili, voi? »
Kisshu si rovistò nelle tasche e tirò fuori una
listella
di metallo a forma di mandorla e grande circa tre volte tanto:
« Questo è
quello che usiamo noi nell’esercito, »
spiegò, tenendolo tra pollice e indice,
« Un connettore. Ma non chiedermi come funziona. »
« Figuriamoci, » lei digitò qualcosa di
veloce al
computer, poi gli lanciò un’occhiatina di
soppiatto ai capelli ancora umidicci,
« E nell’esercito vi fanno andare in giro con una
pettinatura simile? »
« Hanno poco interesse quando sei in congedo, »
replicò
lui divertito.
La mora lo guardò con un sopracciglio alzato: «
Sei in
congedo? »
« Sì. Cioè… circa.
»
« E la vostra missione per gli effetti della Mew Aqua, i
paragoni con il vostro pianeta e quant’altro? »
« … è complicato. »
Il sopracciglio della mora era ormai così inarcato da
perdersi nell’attaccatura dei capelli, e Kisshu
ridacchiò, rilassandosi contro
lo schienale della sedia mentre alzava le mani.
« Ehi, lo sapete che è mio fratello quello
genialoide e
votato al lavoro. »
« Fin troppo. »
« Io sono più di… supporto, diciamo
così. »
Minto gli puntò contro una penna con aria minacciosa:
«
Sappi che non ho bisogno di un costume blu per piantarti una freccia in
fronte.
»
Lui ghignò divertito, con un luccichio negli occhi:
«
Però sarebbe divertente rivedere il costumino. »
La ragazza alzò gli occhi al cielo e chiuse con forza lo
schermo
del computer, raccogliendo le sue cose mentre gli scoccava
un’occhiataccia di
fuoco: « Screanzato! »
« Ma che ho detto! »
Continuando a ridere, Kisshu la osservò marciare fuori
dal locale a passo di marcia, la schiena così dritta che si
domandò come non
facesse a incrinarsi; poi si stiracchiò e
sbadigliò sonoramente, decidendo che
fosse il momento di concludere qualcosa. Si avviò dunque con
molta nonchalance
verso la porta sul retro, dove vide Purin alle prese con due grosse
buste della
spazzatura.
« Buondì, nanerottola, » la
salutò allegramente.
La biondina lo ringraziò con un sorriso quando le prese
una delle buste per aiutarla, lanciandola come se fosse vuota dentro al
bidone,
poi lo osservò da sotto le lunghe ciglia chiare:
« Posso farti una domanda, Kisshu-kun? »
Un’impercettibile tensione corse lungo la schiena
dell’alieno mentre chiudeva il coperchio della pattumiera:
« Spara. »
Purin soppesò le parole spostando il peso da un piede
all’altro: « Ora che tu e Pai siete tornati da un
po’, mi chiedevo… ma
Taru-Taru? »
Il verde si sforzò di controllare il sorrisetto malizioso
che puntualmente minacciava di nascere mentre annuiva appena e infilava
le mani
nelle tasche: « Vedi, è un discorso un
po’ complicato, quello su quanto sia
successo dopo il nostro ritorno su Duuar… ma per fartela
molto, molto breve,
Taruto ha dovuto diciamo consolidare la sua
posizione all’interno
dell’esercito. Il buon vecchio Deep Blue gli aveva fatto
saltare qualche
passaggio, » quando la ragazzina continuò a
osservarlo con gli occhi nocciola
confusi, Kisshu ghignò e aggiunse, « Deve finire
la scuola e, paradossalmente,
l’addestramento militare. Non c’è eroico
status che tenga contro la burocrazia.
Né potevamo chiedere trattamenti di favore durante la
ricostituzione dei nostri
apparati statali, direi. »
« Aaaah, » Purin annuì più
convinta, non indagando
sull’ultima frase, e un sorriso contento le apparve sul viso,
« Pensi che… ? »
« Per le questioni complesse, devi parlare col capo,
»
lui alzò le mani con fare divertito e accennò con
la testa verso il Caffè, « Lo
sai che è molto suscettibile anche lui sulle procedure. Io
mi limito a fare da
portavoce. Però sai che ti dico? »
La biondina approcciò il viso al suo con fare
cospiratorio quando lui gesticolò di avvicinarsi.
« Sto andando a trasmettere dei risultati e speravo di
poter comunicare anche con Taruto, se hai un messaggio da mandargli.
Niente di
indecoroso, ovviamente. »
Il viso di lei si illuminò di contentezza anche sotto la
smorfia poco divertita che fece, e ci pensò su un secondo:
« Digli solo che lo
saluto, » esclamò poi sottovoce, « E che
spero di rivederlo presto. »
Kisshu annuì e si raddrizzò, incrociando le
braccia
dietro la testa: « Ricevuto, madamigella. Ma sarà
il nostro piccolo segreto,
per ora. Meglio non svegliare il fratellone che dorme. »
« Perché ti vuoi sempre cacciare nei guai,
nii-san? »
ridacchiò divertita Purin.
Lui scosse solo le spalle mentre si avviava tranquillo
verso l’interno del bosco: « Deformazione
professionale! »
§§§
Stando attenta a bilanciare ogni bicchiere con
attenzione, Retasu si incamminò cauta fuori dalla cucina,
reggendo il vassoio
con le mani. Negli anni la sua goffaggine non era decisamente
diminuita, e
sapeva lei stessa che non fosse una grande idea avviarsi giù
per le scale portando
succhi di frutta e tramezzini in precario equilibrio, ma Ichigo doveva
aiutare
in sala e Purin non era in servizio quel giorno, e decisamente non era
cauto dare
troppi particolari alle nuove cameriere su ciò che succedeva
nel seminterrato.
Anche se lei avrebbe preferito non doversi intrattenere
troppo con i tre del piano di sotto.
Non che ci fosse qualcosa di male in loro, ovvio. Era
solo che la mettevano un po’ a disagio, ecco. Pur essendo
cresciuta, la sua
timidezza rimaneva la sua principale avversaria, per quanto lei si
sforzasse di
combatterla, e anche se due lo facevano senza rendersene conto, i tre
ragazzi a
cui avrebbe servito il pranzo riuscivano sempre a colpirla nei punti
più
deboli. Kisshu aveva quella linguaccia che sembrava riuscire a
prendersi gioco
di qualsiasi cosa, pur se con gentilezza nei suoi confronti la maggior
parte
delle volte; Shirogane continuava a metterla un poco in soggezione
anche se la
cotta adolescenziale nei suoi confronti si era assopita e parecchio col
tempo;
e infine Pai…
Le circostanze del loro ultimo incontro erano certo
qualcosa che lei avrebbe tanto desiderato dimenticare.
Rendendosi conto che aveva entrambe le mani impegnate e
che non sarebbe certo stata una mossa saggia tentare di spostare anche
solo un
dito per bussare, Retasu allungò quanto più
possibile un gomito e lo batté
goffamente contro la porta del laboratorio, che si aprì dopo
qualche istante.
« Oh, Retasu… grazie, » Ryou si
affrettò a togliere il
vassoio dalle mani e posarlo sul tavolo sgombro più vicino,
cosa non facile
vista la quantità di foglie e attrezzature varie che poteva
intravedere dalla
soglia.
« Akasaka-san ha pensato che vi avrebbe fatto bene una
pausa, » intrecciò le dita sul grembiule a forma
di cuore e accennò a un
inchino con un sorriso, « Spero vi piaccia. »
« Sarà sicuramente ottimo, pesciolotta, sei hai
contribuito anche tu, » Kisshu le lanciò un
sorriso smagliante mentre sbirciava
sotto al fazzoletto che copriva i tramezzini, « Tutti qui?
Sono solo per me,
spero. »
Lei arrossì vistosamente, sgranando gli occhi, e
gesticolò verso il piano di sopra: « Po-posso
andare a pre-prepararne altri se
- »
« Lascialo perdere, ti sta solo prendendo in giro,
» Pai
s’intromise, avvicinandosi al fratello incombente e scostando
del tutto la
carta, « Magari riempendoti la bocca puoi evitare di dire
sciocchezze e
concentrarti. »
« Concentrarsi sul non soffocare, conoscendolo. »
« Perché non andate al diavolo entrambi? Tornate
al
vostro ben più preferibile mutismo. »
La ragazza non poté nascondere il sorrisetto che le
nacque spontaneo a quello scambio di battute, che le parve abbastanza
strambo
per i tre eppure al tempo stesso così familiare, forse un
po’ naturale visto
quanto tempo stessero passando insieme, chiusi lì sotto.
Colse l’occhiolino che le rivolse Ryou come
ringraziamento mentre addentava di gusto un tramezzino, continuando a
scorrere
un plico di fogli, e annuì ancora contenta.
« Allora se… se avete bisogno, basta farmi sapere.
»
Afferrò la maniglia della porta per chiudersela alle spalle,
cogliendo solo con la coda dell’occhio l’accenno di
sorriso che le rivolse Pai,
e si affrettò ad allontanarsi ignorando la corsa furiosa del
suo cuore.
Con un gesto stanco, Ichigo si sistemò un ciuffo della
frangetta che le si era appiccicato alla fronte e sospirò
soddisfatta, il turno
di lavoro stava finalmente volgendo al termine e presto si sarebbe
potuta
rilassare; lei e le ragazze avevano deciso di concedersi una serata al
cinema,
Minto e Purin le avrebbero raggiunte di lì a poco per
andarci insieme, le
rimaneva solo da sistemare in frigorifero i dolci rimasti dalla
giornata e poi
sarebbe potuta andare a cambiarsi con calma, magari avrebbe anche avuto
il
tempo di controllare se Ryou fosse ancora in laboratorio…
« Bu!
»
Ichigo sussultò così forte che i pasticcini sul
vassoio di
carta fecero un salto.
« Kisshu!
»
sibilò senza fiato, portandosi una mano sul cuore,
« Devi piantarla con questa
storia del saltare fuori dal nulla! »
Lui, che le era
comparso alle spalle per mormorarle all’orecchio,
ridacchiò divertito e si
allontanò per fare il giro del tavolo, su cui
poggiò entrambi i gomiti: « Hai
ragione, micetta, perdonami. Allora ci stiamo dando dentro, uh?
»
La ragazza
divenne di un palese color melanzana, fissando il suo ghignetto
soddisfatto
sgomenta: « Eh?! »
Gli occhi dorati
brillarono, e l’alieno indicò col mento il vassoio
che lei stringeva: « Con il
lavoro, intendo. »
« Ah,
» Ichigo si
lasciò scappare un risolino nervoso, giocherellando con i
dolcetti per
riordinarli, « Eh sì, un
po’… »
« Mmmhm, » Kisshu annuì comprensivo,
« In effetti ti vedo
un po’…. Sbattuta. »
Ichigo quasi si strozzò con la sua stessa saliva, le mani
che tremarono ancora a tal punto da rovinare tutto il lavoro appena
fatto: «
Uh… g-già… cioè,
io… »
Lui continuò a ghignare sotto i baffi e si
allungò sul
bancone, sgraffignando un pasticcino: « Forse dovresti
chiedere un po’ di
riposo al biondino. Non ti può logorare così
tanto. »
Lei rimase imbambolata a osservare la sua espressione
maliziosa, finché finalmente non connesse e – per
la terza volta – sbatté il
vassoio sul bancone.
« Kisshu! »
Lui sghignazzò appena, alzando un sopracciglio con fare
innocente: « Cosa? »
« Smettila di… di… tu…!
»
« Micetta, calmati, o ti verrà un colpo,
» Kisshu rise e
si raddrizzò, non prima di aver rubato un altro dolcetto,
« È quasi un peccato
che non ti spuntino più quelle adorabili orecchiette e la
coda. »
Ichigo torturò la cartina del pasticcino, prendendo un
po’ di tempo per formulare la domanda: « Ma tu
hai… »
« Capito che c’è qualcosa di losco tra
te e il biondino?
Micetta, non siamo tutti innocenti come le tue amiche. »
Lei assunse qualche altra tinta di vermiglio, tentando
invano di svicolare: « Io non… eh… losco?!
»
« Micetta, » la canzonò come se fosse
una bambina
sciocca, « Puoi fare fesse le altre, ma non puoi fare fesso me.
»
« Chi dovrebbe far fesso chi? »
Minto entrò in quel momento, senza curarsi di salutare
come al solito, guardandoli un po’ scettica mentre si portava
gli occhiali da
sole sulla testa.
« Ichigo, ti prego di non farci fare tardi, » non
aspettò
nemmeno una risposta, ravvivandosi i capelli con aria annoiata mentre
cercava
il telefonino nella borsetta, « Se c’è
una cosa che odio è dovermi affrettare
per cena perché rischiamo di perdere l’inizio
dello spettacolo. E tu, »
aggiunse con una nota più gelida rivolta a Kisshu,
« Dovresti smetterla di
approfittartene della gentilezza di Akasaka-san. »
L’alieno la ignorò, agguantando un altro
pasticcino –
ormai ne erano rimasti tre sul vassoietto – solo per
dispetto: « Incredibile,
mia dolce gattina, erano anni che speravo di lasciarti senza parole.
»
« Smettila, » sibilò lei, « E
comunque non sono affari
tuoi. »
« Dipende dai punti di vista. »
Ichigo trasalì appena, il rossore sulle guance che si
acquietò un poco, mentre Minto lanciava
un’occhiata in tralice ai due e poi
borbottava: « Per tutti i kami, Kisshu,
sei proprio un impiccione! »
« Impiccione o master osservatore? E poi da che pulpito.
»
Lui rispose con il solito sarcasmo, adorando
l’occhiataccia glaciale che gli fu rivolta, invece Ichigo lo
osservò titubante
da sotto la frangia. Non c’era niente di sbagliato,
ovviamente, ma di comune
accordo con Ryou avevano deciso di non urlare ai quattro venti che si
stessero
frequentando, come l’aveva posta lui. Dopotutto erano appena
passate un paio di
settimane, era così fresca anche per lei, e c’era
ancora quella strana
transizione da amici a qualcosa di più che verteva su
entrambi, non sembrava il
caso a nessuno di due di lanciarsi su annunci vari, considerato anche
quanto il
ragazzo fosse riservato. Possibile che fossero stati così
semplici da leggere?
« Ma come hai fatto a… »
Il ghigno furbo che si dipinse sulla faccia del verde fu
davvero da schiaffi: « Primo, il biondino ha iniziato a
passare di qua con
molta più costanza e sempre di un certo buon umore, e non
è che tu sia una maga
delle espressioni facciali impassibili. Secondo, tu e la tua amica
pennuta - »
« La cosa?! »
« - vi siete appartate un po’ troppo spesso a
confabulare
perché non ci fossero novità. Terzo - »
« Minto-chan, ti si sente dall’ingresso,
» Purin entrò
allegra in cucina insieme a Retasu, rallentando un po’
titubante quando vide le
facce dei tre già nella stanza, « Ciao,
Kisshu-kun, tutto bene? »
« Oh, io sto una favola, voi come state bamboline?
Stavamo giusto facendo due chiacchiere sugli ultimi gossip, »
schioccò
scherzosamente la p della parola, facendo
l’occhiolino alla povera
rossa.
« Richiamami ancora una volta pennuta e
queste
parole saranno l’ultima cosa che dirai prima che ti strappi
la lingua. »
« Non ti scaldare tanto, colombella, »
replicò lui,
impassibile alle gelide minacce di Minto, « Ci stiamo solo
divertendo. Non
tanto quanto si sta divertendo la micetta, ovviamente. »
Ichigo riacquistò tutto il colore perso e sbatté
un piede
a terra in maniera infantile, ignorando lo sguardo confuso di Purin e
Retasu: «
E terzo?! »
« Terzo, » Kisshu distese il sorriso più
innocente del
mondo, « Me l’hai confermato tu diventando
un’adorabile fragolina in tutto e
per tutto. »
« Credo che ci siamo perse un pezzo, »
mormorò
gentilmente Retasu, continuando a scrutare i presenti con aria confusa.
In quel momento, udirono il borbottio di Ryou, Pai e
Keiichiro avvicinarsi dal laboratorio, e quando i tre varcarono la
soglia della
cucina, il ghigno divertito di Kisshu si allargò ancora di
più.
« Eccolo qua, il pezzo mancante. »
Ichigo affondò il viso nelle mani, sentendolo rovente
sotto i palmi, mentre anche Minto non riusciva a nascondere un
sorrisetto
all’espressione confusa che suscitò nelle altre
due ragazze e negli ultimi
arrivati; espressione confusa che non durò troppo a lungo,
perché Purin fu
davvero svelta a connettere gli stralci di conversazione di Kisshu, la
posa di
Ichigo, e la nube nera che stava lentamente scendendo sul viso di Ryou.
« Sììììì!
» esclamò gioiosa, lanciandosi di spinta
sull’amica, « Ah, Reta-chan, mi devi dei soldi, te
l’ho detto che non
arrivavano a giugno! »
« Ma che…?! »
« Li dovete voi a me, io ve l’avevo detto che non
sarebbero
arrivati alla fine di maggio. »
« State tutte per essere chiuse in dispensa. »
La gelida minaccia di Ryou venne ignorata, perché il
vociare delle ragazze sovrastò qualsiasi altro rumore; lui
si limitò a lanciare
un’occhiata assassina a Kisshu (che continuava imperturbato a
sghignazzare
impunemente), promettendosi di trovare la maniera di strozzarlo con uno
dei
cavi dei computer, e fece dietrofront senza nemmeno ricordarsi il
perché avesse
deciso di andare in cucina.
«Proprio non riesci a non fare casino tu, eh? »
Il verde ignorò anche l’irritato commento del
fratello
maggiore, che si servì solamente un bicchiere
d’acqua e seguì Shirogane in
fretta. Per lui, la soddisfazione di vedere l’espressione di
puro fastidio sul
viso del biondino era così appagante da cancellare qualsiasi
seccatura che
poteva scatenarsi dai suoi scherzetti.
Mentre Ichigo veniva inseguita in spogliatoio da una
Retasu e una Purin ghiotte di particolari, Minto rimase in cucina,
tutt’altro
che desiderosa del casino che sapeva si sarebbe scatenato nella
stanzetta.
« Sei proprio uno sciocco. »
Kisshu appoggiò la guancia alla mano e la osservò
divertito mentre lei continuava a studiarsi le unghie.
« Lo dici solo perché ti sarebbe piaciuto avere
l’esclusiva
della rivelazione. »
La mora gli scoccò un’occhiata sarcastica:
« Per favore,
» replicò in tono superiore e annoiato,
« Lo so da quando è cominciata, ma non
ho detto niente solo perché me l’ha chiesto
Ichigo. Ora tocca a loro
sbrigarsela. E tu devi sperare che Shirogane non decida di vendicarsi.
»
« So badare a me stesso, tortorella. »
« Min-to. Sono due sillabe, ce la puoi
fare. »
« Sai che più mi dici una cosa, più mi
viene voglia di
fare esattamente l’opposto? »
Minto lo fissò come se avesse potuto strozzarlo con la
forza del pensiero: « Quanto sei infantile. »
« Se continui con tutti questi complimenti, potrei
iniziare a pensare che tu abbia un debole per me. »
« Certo, » sibilò lei, tagliente come
una lama,
l’espressione contratta come se avesse mangiato un limone
particolarmente
aspro, « Forse nei tuoi sogni. »
« Se capita, tortorella, sarò
certo di avvisarti.
»
Kisshu sgattaiolò via sghignazzando prima che la ragazza
impugnasse uno degli affilati coltelli presenti in cucina per
infilarglielo in
luoghi poco piacevoli, e decise che fosse ora di andarsi a fare un
pisolino,
vista la quiete in cui piombava il Caffè a fine giornata,
quindi imboccò
fischiettando le scale che portavano al piano di sopra.
« Kisshu-kun? »
Il mormorio titubante di Ichigo lo raggiunse al quinto
scalino, e si voltò con tutta la calma di cui era capace.
Lei probabilmente si
era cambiata in tutta fretta per sfuggire all’interrogatorio
delle amiche, e lo
stava guardando da sotto in su con il labbro inferiore tra i denti,
strofinandosi distrattamente le dita in grembo.
« Senti… » vide le sue spalle alzarsi
mentre lei prendeva
un respiro profondo, esitava un passo in avanti per salire sul gradino
e poi cambiava
idea, lanciandogli un’altra occhiata furtiva, « Per
quanto riguarda… uh…
Shirogane, ehm… tu… »
Kisshu avvertì il solito, familiare formicolio al petto,
ma appoggiò una spalla contro al muro mentre incrociava le
braccia e si
dipingeva un sorriso pacato in volto: « Non
c’è nessun problema, micetta, se è
questo che ti cruccia. »
« Da… davvero? »
« Cos’è, ti dispiace? »
Ridacchiò all’espressione che la vide fare,
gonfiando
appena le guance e corrugando le sopracciglia, come se si stesse
concentrando
per non arrossire.
« Senti, » alla fine, Ichigo prese coraggio e
salì quello
scalino, fissandolo negli occhi, « Io e te non abbiamo mai
avuto la possibilità
di parlare, dopo che… e ora che… »
Lui fece per aprire la bocca, ma lei lo zittì con un
gesto deciso della mano che li prese ugualmente alla sprovvista.
« Io voglio… devo
ringraziarti. Per tutto quello
che hai fatto per me, per noi, ma… soprattutto per quello
che hai fatto per me,
» esitò un attimo nel cogliere
l’impercettibile smorfia che si dipinse sul
volto dell’alieno per una frazione di secondo, « Tu
l’hai fatto senza… senza
anticipazione di un ritorno, e te ne sono grata. »
Kisshu sbuffò appena, il ghigno sarcastico che
s’infiacchì leggermente: « Non proprio,
micetta, ma grazie lo stesso. »
Ichigo annuì lentamente, soppesando le parole con cui
continuare: « E sono contenta di avere almeno adesso
l’opportunità di potermi
scusare per non avertelo detto prima. Però, per quanto sia
grata, davvero, io
non… »
L’alieno si mosse prima che lei potesse finire la frase:
«
Sai perché mi piace stuzzicarti? » represse un
sorrisetto mentre galleggiava
appena verso di lei, divertito da come le sue guance si tinsero
immediatamente,
« Perché sei semplice da stuzzicare, e
così facendo infastidisco il biondino.
Vedere come si riempie di bile è impagabile. »
« Non è molto carino, quello che dici. »
« Ma è la verità, » lui si
azzardò a picchiettarle la
punta del naso con l’indice, « Meglio che farlo
perché mi piaci ancora, giusto?
»
La rossa fece una smorfia mentre gradualmente computava
le sue parole, poi abbozzava a un sorriso: « …
immagino di sì. »
Kisshu posò i piedi sul gradino appena sopra al suo:
«
Acqua sotto i ponti. Sono un uomo fatto e finito, ora, ho messo da
parte le
cotte adolescenziali. Non come il biondino. »
« Guarda che forse non dovresti tirare tanto la corda.
»
Lui rise e agitò una mano: « Divertitevi anche per
me.
Basta che non vi mettiate a pomiciare in mezzo alla stanza. »
« Kisshu! »
L’alieno la sorpassò ridendo, avviandosi nella
direzione
opposta a quella che aveva inteso prima.
« Ah, micetta? »
Si girò con nonchalance, e data la differenza di gradino,
lei era praticamente alla sua altezza e lo guardò curiosa,
aspettando che
continuasse.
Prima che potesse muoversi, Kisshu scattò in avanti e le
rubò un velocissimo bacetto, uno sfiorarsi di labbra innocuo
e che al tempo
stesso riuscì a farle assumere la tonalità di una
melanzana mentre lui ghignava
sotto i baffi.
« Solo in memoria dei vecchi tempi. »
Con uno schiocco, di dita, in barba alle precauzioni con
cui tanto gli rompeva le scatole Pai, si teletrasportò
appena fuori dal Caffè,
respirando a pieni polmoni l’aria tiepida della sera
primaverile.
Si incamminò verso il boschetto, le mani in tasca, e solo
quando fu sicuro di essere coperto dagli alberi gettò la
testa all’indietro ed
esalò lentamente, rilassando tutto il corpo.
Non aveva mai avuto senso insistere, dopotutto.
E andava bene così.
Era libero.
§§§
« … e abbiamo estratto campioni dal settore H-23,
sono in
analisi ora. Se riuscissimo a coprire H-24 e G-5 nei prossimi giorni,
potremmo
già iniziare a trarre conclusioni per quell’area.
»
Ryou annuì e continuò a fissare lo schermo su cui
scorrevano i dati raccolti da Pai e Kisshu.
« Positive o negative? »
L’alieno dai capelli viola mosse appena un sopracciglio,
le braccia incrociate: « Anche con minime
quantità, sembra che la Mew Aqua
abbia influito positivamente rispetto a zone dove la sua concentrazione
è
minore o nulla, ma sul lungo termine è difficile da dire.
Soprattutto a
contrasto con un’azione esterna tanto preponderante.
»
Il biondo si controllò per non lanciargli
un’occhiataccia
mentre ricominciava a digitare: « Non siamo i migliori
inquilini del pianeta,
lo sappiamo. »
« Toc toc, » Zakuro apparve
sull’uscio con un sorrisetto,
« Non dovreste lasciarla aperta, questa. »
Due paia di occhi furenti si voltarono verso Kisshu, che
subito alzò le mani in segno di difesa: « La
pesciolina aveva detto che sarebbe
tornata subito con i rifornimenti! »
La modella nascose un mezzo sorrisetto ed entrò nella
stanza, paradossalmente più fresca del resto del
Caffè per le ventole
installate che servivano a contrastare l’effetto dei
computer, e mostrò un
cestino di vimini pieno di frutta: « È arrivata
una scolaresca, Retasu è stata
distratta. »
Mentre Kisshu si avvicinava curioso agli spuntini,
Keiichiro si rivolse un po’ preoccupato alla ragazza:
« Servono rinforzi? »
« Direi di no. Non finché non sentiamo Ichigo,
» appoggiò
la schiena al muro e fece un cenno verso gli schermi, « Come
stiamo andando? »
« Il biondino ancora fa fatica ad ammettere che avevamo
ragione, » ghignò Kisshu, facendo rimbalzare una
pesca sulla mano prima di
azzannarla; il ragazzo in questione gli rivolse un ennesimo sguardo
velenoso,
premendo così forte uno dei pulsanti che la tastiera
scricchiolò in maniera
sinistra.
« Già che sei qui, » Ryou si
voltò verso Zakuro, « Hai
presente quel centro termale in cui le ragazze hanno vinto un
soggiorno, sei
anni fa? »
La mora dovette pensarci su un secondo prima di
rispondere, poi annuì: « Io non ero ancora entrata
a far parte della squadra,
ma mi hanno raccontato che, tra le altre cose, erano in anticipo di un
anno. Perché?
» (*)
« Il luogo cade nella griglia di territorio che vorremmo
controllare, » spiegò Pai a braccia incrociate,
« Da quanto mi ha raccontato
Kisshu, è improbabile che ci sia stato un contatto diretto
con la Mew Aqua, ma
particelle di essa possono esseri propagata durante i momenti in cui
Ichigo ha
utilizzato il Mew Aqua Rod. Inoltre, vogliamo
verificare se sia
possibile che la Mew Aqua possa scorrere tra aree diverse in maniera
significativa, quanto possa essere il suo potere in quantità
ridotte. »
« Ora però quel posto, su cui effettivamente hanno
costruito un centro termale, è diventato un ritrovo trendy
per persone
chic ed eco-friendly, » riprese Shirogane
con molto poco velata ironia,
« Quindi se finora abbiamo fatto scampagnate e mini-carotaggi
in tranquillità,
non ci possiamo certo presentare lì e cominciare a prevelare
campioni del
terreno come se niente fosse. »
« E vi serve qualcuno che vi faccia entrare, »
concluse
Zakuro, annuendo piano.
« Chi meglio della nostra celebrità locale?
» Ryou le
rivolse un sorrisetto irriverente, « Basta che sia qualcosa
di discreto,
preferibilmente senza farlo sapere alle altre, o cominceranno a voler
andare
alle terme pure loro. »
« Me lo ricordo, quel posto, » Kisshu si
pulì il viso con
il dorso della mano e si schiarì la gola mentre ghignava,
« C’era quel tizio identico
al bellimbusto di Ichigo, è stata una gran soddisfazione
usarlo per creare un
chimero. »
« Kisshu. »
« Come se il biondo non volesse ringraziarmi, già
uno era
di troppo, figurarsi due. E poi era un chimero divertente, »
l’alieno continuò
a sghignazzare e tossicchiò ancora, « Poteva fare
– ahem, ma è normale
che ‘sta roba pizzichi? »
Quattro paia di occhi si sollevarono sull’alieno, che si
era messo a osservare la pesca mezza mangiucchiata con aria confusa.
« Oh, » esclamò solo Keiichiro, prima di
lanciare
un’occhiata a Ryou, « Questa era una cosa che non
avevamo considerato. »
Il biondo fece uno sforzo immane per non mettersi a
ridere come un bambino, solo per evitare recriminazioni da parte di
Zakuro, ma
lo spettacolo di vedere Kisshu con le labbra
gonfie, la pelle del viso
che si arrossava, e lui che continuava a fare smorfie per alleviare il
pizzicore alla lingua e al palato gli stava provocando una
soddisfazione non
indifferente.
« Be’?! Che ho?! » gracchiò di
nuovo l’alieno, lanciando
l’oggetto dell’offesa nel cestino per schivare
ulteriori sorpresine.
« Ikisatashi-san, credo che tu sia allergico alle pesche,
» gli spiegò paziente Keiichiro, alzandosi piano
dalla sedia preoccupato che la
situazione potesse peggiorare, « In effetti non siamo stati
molto accorti a
pensare che tutto ciò che noi mangiamo possa andare bene per
voi. E ci sono
molti alimenti che causano reazioni allergiche anche in noi terrestri.
»
« Certo che se lui non si strafogasse, forse sarebbe meno
a rischio, » commentò laconico Pai, «
Devo preoccuparmi? »
« Non mi sembri molto preoccupato, »
bofonchiò il fratello
minore, continuando a strofinarsi il palmo della mano contro la bocca
per
alleviare il prurito.
« Non credo sia una reazione estrema, abbiamo dei farmaci
per questo caso, ma forse sarebbe meglio controllare che non siate
allergici ad
altre cose in maniera più grave. »
Zakuro alzò un sopracciglio verso Keiichiro: «
Vuoi
portarli da un medico? »
« Qualcosa possiamo fare qui, » intervenne Ryou,
passandosi una mano tra i capelli e scambiandosi un cenno
d’intesa con il moro,
che uscì dalla stanza, « Se vediamo che servono
analisi più approfondite,
qualche contatto fidato lo abbiamo… »
« Un po’ di contesto sarebbe gradito, comunque.
»
« Il tuo sistema immunitario pensa che tu sia sotto
attacco, ha rilevato quello che hai mangiato come qualcosa di nocivo,
» il
biondo sollevò appena lo sguardo verso Pai, «
Immagino che le condizioni del
vostro pianeta non abbiano favorito lo sviluppo e la coltivazione di
alimenti
del tutto simili a quelli della Terra. Non avete problematiche simile,
in ogni
caso? »
Il moro scosse la testa: « Molti dei nostri cibi sono
stati modificati geneticamente per far sì che resistessero
alle condizioni
climatiche più avverse, compreso anche la creazione di
frutti e verdure tra
l’innesto di piante diverse. Non potevamo certo permetterci
di limitare
ulteriormente i nostri approvvigionamenti. »
« Quindi voi mangiate cose che possibilmente vi uccidono?
»
« Cerchiamo di non farlo, » rispose Zakuro, quasi
genuinamente divertita dalla sorpresa di Kisshu, « Purtroppo
sulla Terra le
allergie non si limitano a quelle alimentari, quindi abbiamo sviluppato
medicine e test per far in modo di essere preparati.
C’è chi è allergico anche
ai pollini, o ai peli di animale, e devono ciclicamente assumere
medicinali per
non star male. »
« … io ve l’ho detto che siete la specie
debole. »
La modella gli lanciò un’occhiataccia, e poi
riprese: «
Alcune allergie richiedono interventi ancora più tempestivi,
data la loro
gravità. Ma ora che sappiamo che sei allergico alle pesche,
possiamo tenertele
lontane. Come facciamo con Ryou e il kiwi, a cui lui sostiene di essere
allergico. »
Quella volta fu il turno del biondo di guardarla con
fastidio, ma decise di non raccogliere la sfida.
« Ho recuperato questi, » Keiichiro
rispuntò nel
laboratorio dopo qualche istante, « Li tenevamo qui durante i
primi esperimenti
del gene Mew, dovrebbero ancora essere efficaci.
Sono dei test per
controllare a cosa effettivamente potreste dimostrare allergie, ma
sarebbe
meglio anche fare un prelievo di sangue. »
« Col cazzo, » esalò Kisshu, lanciando
uno sguardo di
sdegno agli aghi che, tra gli altri piccoli imballaggi, il moro aveva
posato
sul tavolo, « Non ho intenzione di essere bucherellato,
tantomeno dal biondino.
»
« Fidati, non sto morendo dalla voglia di giocare
all’allegro dottore con te. Fosse per me…
»
Gli occhi di Kisshu si ridussero a due fessure arrossate:
« Non so nemmeno cosa sia il uiui, ma
giuro che se ne trovo uno te lo
ficco in - »
« Kisshu. »
L’occhiataccia di Pai fu abbastanza per farlo tacere,
anche se continuò a dire parolacce in lingua aliena
sottovoce mentre con la
lingua continuava a raschiarsi il palato.
« Non preoccuparti, Kisshu-san, » Keiichiro gli
sorrise
gentilmente e gli allungò un pacchettino, « Direi
che per oggi hai già scoperto
abbastanza. Prendi queste per calmare l’attacco in corso,
credo sia meglio fare
eventuali test domani. Potrebbero darti un po’ di sonnolenza.
»
« Non che di solito sia così sveglio, »
Pai lo gelò prima
che potesse replicare e poi si arrotolò la manica della
maglietta che
indossava, mostrando il braccio al moro, « Che dobbiamo fare?
»
Il pasticcere avvicinò una sedia alla sua, prendendo in
mano uno dei pacchettini: « Direi di iniziare con questo,
sarà una cosa veloce.
Ognuna di queste fialette contiene un allergene diverso, ne metteremo
una
goccia sulla pelle e se reagirà, formando una bollicina,
sapremo a cosa
potresti eventualmente essere allergico. Bastano quindici minuti.
»
L’alieno annuì e poi rivolse
l’attenzione verso Zakuro: «
Quando potrebbe essere possibile andare in quel centro termale?
»
La modella ci rifletté un paio di secondi: « Posso
provare a fare qualche telefonata e vedere se entro domani o dopodomani
possono
farci entrare. Non posso garantire l’intera struttura,
però. »
« Non credo servirà molto spazio, »
commentò Ryou,
scambiandosi un’occhiata con Pai, « I campioni da
raccogliere sono pochi,
l’importante è non attirare troppo
l’attenzione. »
« Vedrò cosa posso fare, » Zakuro si
staccò dal muro e si
avviò verso la porta, seguita dal biondo che si
alzò con uno scrocchio di
giunture, « Sarà difficile non avere Minto,
però, » aggiunse quando furono in
corridoio.
Ryou si strinse nelle spalle, camminandole accanto sulle
scale: « Basta che non si sparga a macchia d’olio.
E forse portare Minto è
utile, una persona in più a tenerli d’occhio.
»
La mora gli lanciò un’occhiata divertita:
« Ancora? »
« Don’t get me started. »
Lei non rispose, scuotendo appena la testa, e si avviò
sul retro con già il cellulare all’orecchio; Ryou,
invece, si attardò vicino
alle scale, incrociando per un secondo lo sguardo di Ichigo, che stava
portando
in cucina un vassoio di stoviglie sporche e che cambiò
traiettoria verso di lui
sorridendogli.
« Come sta andando? »
Il biondo le prese il vassoio dalle mani e la precedette
in cucina: « Abbiamo scoperto che Kisshu è
allergico alle pesche, ma tutto
okay. »
La rossa rimase interdetta da quell’informazione
inaspettata e batté le palpebre un paio di volte:
« D’accordo… pensi che
Akasaka-san rimarrà giù ancora a lungo? Stiamo
per finire la crema pasticcera e
so che per domani aveva un ordine per una torta… »
« Gli dico di salire appena finiti i test, stiamo
controllando che non ci siano altre sorpresine. »
Ichigo rise della maniera in cui lo disse, come se gli
stesse costando tantissimo, e accertatasi che non ci fosse nessuna
delle altre
in giro – non aveva stretto chissà quali amicizie
con le altre cameriere e loro
non erano sembrate particolarmente felici della preferenza del biondo
verso di
lei – gli si strinse addosso per un abbraccio rapido. Ryou
nascose il viso
contro i suoi capelli e ne inspirò l’odore,
staccandosi veloce ma gentile dopo
pochi istanti.
« Vieni a cena da me stasera? » le
domandò sottovoce, e
lei non poté evitare di sentire le farfalle nello stomaco
nonostante non fosse
più una richiesta così atipica.
« Siamo stati a cena insieme anche ieri, » gli
ricordò
divertita, facendo scivolare le dita tra le sue, e il biondo
sbuffò
irriverente:
« Stai dicendo che ti dispiace? »
« No, sto dicendo che devo studiare, »
replicò lei, con
una smorfia.
« Momomiya, non fare la studentessa perfetta con me, sai.
»
Ichigo ridacchiò e gli strappò un bacetto veloce,
prima
di riagguantare un vassoio e ritornare in un turbinio di pizzo in sala:
« Ci
vediamo alle sette. »
Ryou sospirò, leggermente rinfrancato da tutti gli eventi
della mattinata, e si avviò ancora verso il laboratorio, da
dove sentì uscire
di nuovo la voce di Zakuro.
« … tre giorni, ma dobbiamo essere lì
prima delle dieci
perché al pomeriggio avranno un ricevimento. »
« Già fatto? »
« Sorpreso? » un sopracciglio perfettamente
disegnato si
arcuò divertito, e l’americano si
limitò a scuotere la testa in silenzio.
Lo squillare del timer che Keiichiro aveva impostato sul
cellulare li fece voltare tutti verso il moro, che controllò
subito il braccio
di Pai.
« Tutto a posto, direi, » esclamò con un
sorriso, «
Sembra che nessun elemento abbia reagito con il tuo organismo.
»
« E figuriamoci, » borbottò Kisshu, il
cui gonfiore alle
labbra persisteva anche se in maniera un po’ meno evidente,
« Ancora bisogna
trovare qualcosa che scalfisca Mister Ghiacciolo. »
Il fratello maggiore lo ignorò con proverbiale freddezza
e ringraziò a bassa voce Keiichiro, che gli
continuò a sorridere incoraggiante.
« Giusto per scrupolo farei partire l’analisi del
sangue,
ma penso non ci sia niente di cui preoccuparsi. Kisshu-san, ti va bene
se
domani controlliamo anche te? »
« Sì, sì, »
l’alieno saltò giù dal suo sgabello e
agitò
una mano fiaccamente, « Nel frattempo credo che
andrò a farmi un pisolino. »
« Ti faccio portare un po’ di tè tra
poco, » gli disse
dietro il pasticcere, ottenendo in cambio solo un mormorio indefinito.
Zakuro sorrise sotto i baffi, ben interpretando il viso
di Ryou che, benché ai molti perfettamente impassibile,
esibiva una certa
contrattura all’altezza delle labbra che lei sapeva essere
una critica nei
confronti dell’estrema gentilezza del suo ex tutore.
« Allora ci vediamo tra tre giorni, » rivolse a
tutti uno
sguardo di saluto e un cenno d’accordo verso Pai, poi
uscì chiudendosi la porta
del laboratorio alle spalle.
L’alieno si riarrotolò la manica della maglietta e
ruotò
la sedia verso gli schermi pieni di dati: «
Dov’eravamo rimasti? »
Ryou esalò impercettibilmente: « Se quindi
riusciamo a
continuare con G-6…»
« Ma non dovevamo essere lì prima delle dieci?
»
Kisshu soffocò uno sbadiglio e borbottò con voce
ancora
gonfia di sonno, particolarmente insofferente all’essere
stato tirato giù dal
letto da suo fratello ancor prima delle sette. Pai, fermo accanto a lui
a
braccia incrociate, gli rivolse un’occhiata di sbieco:
« Appunto, prima. Dobbiamo arrivare con
abbastanza
anticipo per non doverci affrettare o attirare l’attenzione.
»
« Certo, perché andare in giro con la lupotta non
attira
l’attenzione, » ghignò il verde,
lanciandogli un’occhiatina allusiva, « Anche
se bisogna avere fegato per provarci, sembra che possa azzannarti la
testa da
un momento all’altro. »
« Possibile che tu riesca a pensare solo ad una cosa?
»
« Molto più normale che non pensarci mai,
» gli
ribatté divertito il fratello minore, incrociando le braccia
dietro la nuca, «
Ammettilo che un pensierino del genere l’hai fatto,
altrimenti non saresti un
uomo. »
« Non ammetto un bel niente. »
« Okay, e se invece proponessi una certa pesci – ahia!
» Kisshu fece un balzello all’indietro
quando Pai gli rifilò una scarica
elettrica, massaggiandosi offeso un braccio, « Oh, non ti si
può dire nulla! »
« Siamo qui per un lavoro, » gli
contestò, ritornando a
fissare il vialetto sul retro del Caffè, « Non per
perderci in quisquilie. »
« Come no, » mugugnò l’altro,
« Non sia mai che tu possa deviare.
Sempre ligio, eh. »
Pai strinse gli occhi, soffocando una rispostaccia che
però non fece in tempo a nascere perché in quel
momento una limousine nera si
fermò alla fine del vialetto.
« Ehi, e quella che cavolo è? »
sbraitò Kisshu, « Perché
non andiamo col solito metodo? »
« Perché non pensi che spuntare fuori dal nulla in
un
posto in cui ci stanno aspettando sarebbe un grosso modo per attirare
l’attenzione? »
Il viola non lo aspettò nemmeno mentre rispondeva,
avviandosi a lunghe falcate verso l’automobile. La portiera
di sinistra si aprì
prima che la raggiungesse, e il volto di Minto si affacciò
dall’abitacolo:
« Kisshu, muoviti, non siamo qui ad attendere te. »
« Ma ce l’avete tutti con me stamattina?
» il verde si
affrettò lungo il selciato e poi si piegò in
avanti per osservare l’interno
della macchina con aria dubbiosa, « Questa roba è
quasi più grande della cabina
di pilotaggio della nostra nave. »
Con molta nonchalance, Zakuro premette il pulsante che
fece sollevare il divisorio tra loro e l’autista mentre
Kisshu, infine, si
sistemava sul sedile in fronte a lei e la limousine si rimetteva in
moto.
« Ci vorrà circa un’oretta per
raggiungere il centro, »
spiegò, « Se volete rilassarvi, qui ci sono delle
bevande e qualcosa da
mangiare. »
Premette un pannello sul fianco della vettura, che si
aprì a rivelare un piccolo frigo con delle bottigliette
d’acqua e di succhi di
frutta, e qualche altro spuntino.
Kisshu emise un fischio scanzonato e rivolse alle ragazze
un ghignetto divertito: « Non ditemelo, non è
così di solito con il resto dei
vostri aggeggi, vero? »
Minto alzò gli occhi dall’agenda che aveva aperta
sulle
gambe per guardarlo storto: « Si chiamano automobili, e no,
di solito non sono
così lunghe. Specialmente in Giappone. »
« Ammettilo che il nostro mezzo di trasporto è
più
conveniente. »
« Vi teletrasportate dappertutto? »
domandò Zakuro,
accavallando le gambe mentre si rilassava contro al sedile.
Pai scosse piano la testa, distogliendo lo sguardo dal
traffico fuori dal finestrino: « Quando abitavamo sottoterra,
gli spostamenti
erano molto controllati perché era necessario vivere in
nuclei molto popolosi e
ristretti. Da
quando ci siamo spostati
in superficie e le nostre colonie si stanno espandendo, abbiamo
iniziato a
regolarizzare il teletrasporto a seconda dell’area.
Più centrale la zona, meno
può essere utilizzato perché rischieresti di
finire addosso a qualcuno o a qualcosa,
mentre via via ci si allontana dal centro, più è
possibile. Anche se per le
lunghe distanze utilizziamo mezzi di trasporto più efficaci
e meno dispendiosi
di energie, i civili non sono sempre avvezzi all’utilizzo dei
loro poteri. »
« Ah quindi c’è qualcuno ancora meno
competente di
Kisshu? » domandò pungente Minto, senza alzare gli
occhi dai fogli che aveva
davanti ed esibendo comunque un sorrisetto divertito.
« Si dà il caso, tortorella, che non sono stato
scelto
per la missione sulla Terra per il mio bel faccino, sai, »
replicò offeso lui,
stringendo gli occhi, « E mi pare che io un paio di volte sia
riuscito a fare a
strisce quel bel culet - »
« Basta così, » lo interruppe Zakuro,
non risparmiandosi
un’occhiata di avvertimento, « Gradirei non
ripensare alla vostra prima
avventura qui. »
Pai si concentrò per non spedire un altro paio di
scariche elettriche verso quell’imbecille del fratello, e poi
domandò: « Come
avete fatto a ottenere di poter entrare nel centro termale? »
« Ho telefonata dicendo che la serie televisiva in cui
recito stava pensando a un episodio alle terme, e avevo sentito buone
opinioni
sul loro centro e avrei avuto piacere di visitarlo, per poi proporlo
alla
produzione, » Zakuro abbozzò a una smorfia che
avrebbe dovuto assomigliare a un
sorriso, « Ovviamente non proporrò nulla del
genere, ma in cambio loro
ottengono un paio di foto promozionali e della pubblicità.
»
L’alieno annuì, fingendo di aver compreso tutti i
vari
passaggi spiegati, e si rilassò un po’ di
più contro lo schienale confortevole.
Il resto del viaggio passò in fretta e avvolto per la
maggior parte dal silenzio, intervallato solo dai battibecchi sommessi
tra
Minto e Kisshu su quanto il verde, che stette con il naso pigiato
contro al
finestrino durante tutto il tragitto, fosse infantile e su quanto lei,
in
cambio, fosse una rompiscatole.
Quando finalmente la limousine rallentò davanti
all’entrata del centro termale, adornata con un arco di legno
che richiamava lo
stile antico ma emanava fin troppa opulenza, Zakuro aprì la
borsa che aveva
tenuto ai suoi piedi e vi rovistò dentro.
« Ho annunciato che sarei venuta con due assistenti della
produzione, quindi dovrete leggermente calarvi nella parte, »
ne estrasse una
macchina fotografica, che passò velocemente a Kisshu, e un
esposimetro, che
invece allungò a Pai, e un paio di bloc notes per entrambi,
« Li devo
restituire, quindi cercate di non fare danni. »
Il verde si rigirò la camera in mano, osservandola
curioso: « Ehm… »
« Dai qua, » con uno sbuffo, Minto si sporse in
avanti
sul sedile e gli corresse la presa, iniziando ad indicare i vari
pulsanti, « La
tieni così, questo per accenderla e spegnerla, qui invece
guardi per mirare
l’immagine che vuoi riprendere, qui premi per scattare.
»
« Non c’è bisogno di usare quello
davvero, basta tenerlo
acceso, » spiegò invece Zakuro all’altro
alieno, « Ma ho pensato che possano
darvi una scusa per allontanarvi un po’ di più e
cercare in giro. »
« E mi raccomando, cercare di non attirare troppo l’attenzione.
»
« Sì, sì, abbiamo capito. »
Con un’ultima occhiataccia al tono scocciato di Kisshu,
scesero tutti e quattro dall’automobile; incontro a loro si
affrettarono il
direttore del centro termale e quella che probabilmente era la sua
assistente,
seguiti da un altro paio di ragazze.
« Fujiwara-san, quale onore! » il direttore
l’accolse con
un inchino esagerato, molto più sbrigativo in compenso con i
suoi
accompagnatori, « Siamo estasiati che lei abbia pensato al
nostro centro
termale. »
Il viso di Zakuro si trasformò in un sorriso fantastico:
« Ho ricevuto ottime recensioni. »
Il direttore sorrise raggiante e le fece cenno di
seguirlo lungo l’ingresso: « Qui siamo orgogliosi
di offrire ai nostri ospiti
un percorso eccezionale, tutto basato sull’integrazione con
la natura e la
ricerca del benessere attraverso prodotti naturali e di alta
qualità… »
Kisshu e Pai non riuscirono a evitare di scambiarsi
un’occhiata sarcastica mentre l’uomo continuava a
cianciare, gesticolando a
destra e a sinistra mentre imboccavano il corridoio
d’ingresso del centro; il
gruppetto si era stretto attorno a Zakuro in maniera quasi esilarante,
e loro
due e Minto erano rimasti invece tre passi indietro.
Il verde guardò di nuovo l’attrice ed
avvertì uno strano
brivido lungo la colonna vertebrale a vederla tutta un sorriso e una
moina,
così diversa da come si presentava in realtà.
« E tu eri preoccupata che noi
attirassimo
l’attenzione? » si sporse in avanti per rivolgersi
a Minto, « Non hanno occhi
che per lei, e devo dire che è abbastanza inquietante. Quel
sorriso fa paura. »
La mora storse il naso al fatto che le stava parlando
all’orecchio: « Non chiamare la onee-sama
inquietante. E meglio essere
prudenti, soprattutto con te in giro. »
« Mi dimostri sempre così tanta fiducia,
tortorella, sono
onorato. »
Pai lo guardò di sbieco, già stanco di quel
continuo
battibeccare ma in fondo concorde un po’ con entrambi; suo
fratello non era mai
stato sinonimo di misura o tranquillità, però al
tempo stesso pareva
impossibile che l’attenzione potesse focalizzarsi su altro
che non fosse
Zakuro. Non che non fosse una bella ragazza – e lui di certo
non era cieco, né
stupido – ma sembrava accendersi qualcosa
in lei quando doveva mettere
in mostra la sua faccia pubblica, e per quanto fosse effettivamente
bizzarro in
confronto al suo solito essere, era anche estremamente accattivante.
« E queste sono le nostre piscine, » il direttore
si
fermò sulla soglia della porta di vetro che dava sulla
veranda in legno e sulle
vasche di acqua naturalmente calda, « Abbiamo voluto
preservare la loro
posizione sul limitare del bosco, così da permettere a tutti
i nostri ospiti di
sentirsi davvero tutt’uni con l’ambiente
circostante. Non trova che l’odore sia
magnifico? »
In effetti, Zakuro si concesse di inalare a pieni polmoni
l’odore della foresta, l’aria che le
sembrò davvero più pulita rispetto a
quella della città nonostante non fossero così
distanti, e continuò a sorridere
al direttore.
« Avevo davvero sentito ottime opinioni sulla vostra
struttura, Yamashita-san, ma devo ammettere che le supera tutte,
» piegò appena
la testa in un accenno di inchino, poi si guardò un
po’ intorno, indicando a
Pai e Kisshu, « Le dispiace se i miei colleghi danno
un’occhiata in giro e
scattano qualche foto? Sarebbe davvero utile per convincere la
produzione delle
potenzialità del luogo. »
« Con assoluto piacere! » confermò
l’uomo, « Nel
frattempo, possiamo offrile un assaggio delle tisane che offriamo, come
parte
dei nostri pacchetti benessere? »
Mentre Zakuro veniva di nuovo trascinata via verso una
delle sale al coperto del centro termale, Minto si voltò un
istante verso i due
alieni: « Ci rivediamo tra una mezz’oretta?
Può bastare? »
« Benissimo, » Pai annuì ed estrasse
l’esposimetro dalla
tasca, « L’area che ci interessa maggiormente
è appena sul limitare della
foresta, ma sarebbe opportuno prendere anche qualche campione
d’acqua. »
« Cercheremo di tenerli dentro al centro il più
possibile, ma vorranno sicuro qualche foto anche qui fuori, »
la ragazza lanciò
uno sguardo pregnante a Kisshu, « Quindi magari fai finta di
star facendo
qualcosa davvero. »
Per tutta risposta, il verde alzò la fotocamera e gliela
puntò contro, scattandole una foto: « Ah! Ma tu
guarda! » esclamò poi guardando
il display, contento e fiero del suo operato nonostante fosse quasi del
tutto
sfocato e controluce.
« Ci vediamo tra poco, » con un sospiro esagerato,
Minto
scosse la testa e si riavviò dentro in cerca
dell’amica.
Per i venti minuti successivi, i due Ikisatashi si
mossero accorti per il centro termale e il bosco
tutt’attorno, Kisshu più a
fare il palo e giochicchiare con la macchina fotografica che a
raccogliere
effettivamente i campioni, ma Pai d’altronde preferiva
così.
« È incredibile cosa s’inventano, non
trovi? » domandò il
verde mentre, entrambi chinati sul terreno umidiccio del sottobosco,
riempivano
una fialetta, « Vorrei vederlo davvero, quel tizio in giacca
e cravatta, a
contatto con la natura. »
Il fratello si concesse un divertito sbuffo di accordo: «
Credo che abbiamo raccolto abbastanza. Torniamo indietro, non si sa mai
che
finiscano prima. »
« Figurati, quel tipo sembrava incollato alla lupotta,
»
Kisshu si rialzò stiracchiandosi, poi infilò le
mani in tasca con nonchalance e
guardò il fratello con la coda dell’occhio,
« Abbiamo abbastanza analisi da
mandare indietro? »
Pai gli si incamminò a fianco: « Il programma
prevede la
prossima comunicazione tra una settimana, direi che per allora saremo
riusciti
ad analizzare anche i campioni di oggi e ne avremo una
quantità significativa
da condividere. »
« Mmhm, » l’altro annuì,
calciando via un sassolino, «
Stavo pensando che forse dovremmo spostare, o replicare uno dei
comunicatori
dell’astronave anche nel laboratorio. Per velocizzare un
po’ i messaggi, se
necessario. »
Pai lo guardò di sbieco: « Vorrebbe dire dare
accesso
anche a Shirogane e Akasaka. E riuscire a rendere compatibili i sistemi
di
comunicazione potrebbe essere un lavoraccio. »
Kisshu ricambiò l’occhiata: « Potrebbe
essere utile. »
Il viola non rispose, arrivando di nuovo sulla veranda e
notando che Zakuro e il suo adorante entourage stavano ritornando nel
corridoio
principale, e colse gli ultimi stralci della conversazione mentre li
raggiungevano.
« Le faremo certo sapere al più presto,
» assicurò al
signor Yamashita, « Ma questo luogo è
così incantevole, sarò estremamente
dispiaciuta se mi diranno di no. »
« Per noi sarà sufficiente riaverla come ospite,
Fujiwara-san, » ribatté il direttore in maniera
fintamente modesta, « La sua
presenza è un raggio splendente sulla nostra umile
struttura. »
Kisshu dovette mordersi la lingua per soffocare la
risatina che gli risalì per il naso, e Minto non si esimette
dal dargli una
leggera gomitata nonostante anche le sue labbra fossero arricciate in
una
smorfia.
I convenevoli si esaurirono in breve tempo, con un veloce
scambio di biglietti da visita tra Yamashita e Minto, e il quartetto si
affrettò verso la limousine, parcheggiata nello stesso
posto. Non appena ebbe
dato le spalle all’entrata del centro termale, il viso di
Zakuro ritornò ad
essere la maschera impassibile di sempre, a una velocità che
di nuovo provocò
un piccolo brivido in Kisshu.
« Tutto fatto? » domandò laconica.
« Missione compiuta, » ghignò lui,
infilandosi in auto
subito dopo di lei, « Posso tenerla questa? »
Gli occhi indaco lo guardarono un po’ stupiti
dall’interesse per la macchina fotografica, e guizzarono
divertiti: « Vedremo
che si può fare. »
« Pai, dai, fammi un bel sorriso, spediamo anche queste
al Comando Generale. »
« Scordatelo. »
« Guarda che è una gran figata, basta fare cooosì
- »
Il flash quasi accecò Minto, inquadrata suo malgrado e
che digrignò i denti: « Cosa dicevi
sull’essere competente? »
« Dai, su, tortorella, un errore del percorso educativo!
»
« Mi sa che ne hai avuti molti di errori nella tua
educazione. »
Zakuro poggiò la tempia contro il finestrino oscurato e
nascose un sorrisetto, rilassandosi sul sedile mentre si scambiava
un’occhiata
esasperata con Pai e ascoltava distrattamente il solito bisticcio.
(*)
Episodio
8, Una montagna da
salvare. Scusate, non sono riuscita a trattenermi dal
citarlo, il sosia di
Masaya con Lontry la lontra e il chimero che combatte le Mew Mew a
forza di
puzzette sono sempre troppo trash per non parlarne xD Qui,
tra l’altro, le prove della mia personalissima
battaglia contro di esso xD
|
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Capitolo 3 *** Three birthdays ***
Chapter Three
– Three birthdays
Lentamente, la primavera lasciò il posto
all’estate. Ichigo
l’avrebbe ricordata come una delle estati più
magiche che avrebbe mai passato. Quando
erano tornati gli alieni, non avrebbe certo pensato che si sarebbero
trattenuti
così a lungo (e anzi, nessuno ancora discuteva di una data
di partenza), né che
sarebbe stato così semplice sentirsi come se il loro gruppo
avesse sempre
dovuto includere anche loro.
Ovvio, Ryou e Kisshu si lanciavano ancora coltellate
metaforiche ad ogni occasione, ma per lo più vigeva la pace.
E a proposito del biondino, Ichigo ora capiva la fonte di
tutti quei batticuori adolescenziali. Una volta superato lo scoglio,
neanche
così imponente, del passaggio da “migliori
amici” a “in una relazione”, passare
quasi tutto il tempo disponibile con lui, senza timori né
imbarazzo, le era
sembrata la cosa più semplice del mondo. Anzi, le era
sembrato quasi
incredibile come fosse naturale stargli vicino, cercarlo, lasciare che
le
sussurrasse all’orecchio parole in inglese che lei non capiva
e che al tempo
stesso le accaloravano le guance. Non che Shirogane si sciogliesse in
grandi
proclamazioni o gesti d’affetto in pubblico, quello era
ovvio, ma la sua mano
sgusciava spesso e volentieri in quella della rossa o
sull’incavo della sua
schiena, e le attenzioni che le rivolgeva in privato erano
più che sufficienti.
Certo, capitava come prima – e forse più di prima
– che si scontrassero in una
delle loro epiche litigate, ma di contro fare pace pareva molto
più semplice e
sicuramente più divertente.
Al tempo stesso, Ryou non le aveva certo permesso di
distrarsi dai suoi doveri – cosa che l’aveva fatto
amare ancora di più da
Sakura, e detestare un po’ meno da parte di Shintaro, a cui
era stato
presentato ufficialmente come fidanzato della figlia in una serata
orchestrata
ad arte dalle due rosse – perciò Ichigo era
riuscita a completare tutti gli
esami e aveva deciso di continuare gli ultimi due anni alla
Facoltà di Lettere.
Come premio (e come scusa per uscire dal costante turbinio del loro
gruppo di
amici), un bel pomeriggio di metà luglio Ryou si era
presentato sotto casa sua
e l’aveva molto difficilmente convinta a
prendere armi e bagagli e
trasferirsi nella sua villetta al mare.
Ichigo non avrebbe potuto dire in dettaglio come si
fossero svolte quelle giornate, condite dal calore del sole sulla pelle
asciugata dal sale; quando ci avrebbe ripensato, la sua mente si
sarebbe
focalizzata sulle lunghe passeggiate al tramonto, le cene al lume di
candela al
tavolino appena affacciato alla spiaggia, la totale rilassatezza delle
ore
passate stesi sulla sabbia. E sarebbe arrossita a ripensarci, ovvio,
non solo
per la costante vicinanza al biondo in abbigliamento molto limitato, ma
anche
per la maniera assolutamente estasiata in cui si era sentita, avvolta
da una
bolla di felicità che non aveva mai avuto modo di provare.
Solo quando Minto le aveva mandato un messaggio ironico
condito da una sottile malizia in cui le aveva chiesto se Shirogane la
tenesse
legata al letto ventiquattro ore su ventiquattro, lei si era resa conto
che
effettivamente erano passate quasi tre settimane senza che lei mandasse
alle
amiche qualche segno di vita più complesso di alcune faccine
sorridenti nelle
conversazioni di gruppo. Per farsi perdonare, così, aveva
chiesto un enorme favore
al ragazzo, e aveva interrotto il loro idillio di coppia per ospitare
l’intero
gruppo (meno Zakuro, alle prese con una campagna estiva in una elegante
località di montagna) per il fine settimana coincidente al
compleanno di Purin.
« Ora ho capito perché Ichigo-chan ha interrotto
le
comunicazioni, » esclamò divertita la biondina,
che si lasciava cullare dalle
onde, galleggiando appena sull’acqua bassa della battigia.
« Sì, sono state sicuramente le sabbiature a
prenderle
tutto quel tempo. »
« Giuro che ti faccio cadere in acqua, Minto. »
Le altre tre si scambiarono una risata, divertite
dall’evidente rossore sulle guance della rossa, che quasi
davvero offesa si
concentrò sul suo tè freddo. Avevano recuperato
quante più sedie sdraio
possibili e si erano piazzate direttamente in riva, così da
ristorarsi con le
gambe in acqua mentre prendevano il Sole e continuare a fare
chiacchiere –
d’altronde Retasu, per quanto avesse imparato quantomeno a
galleggiare, ancora
non si sentiva completamente a suo agio in mare, e le amiche avevano
presto
trovato espedienti per ovviare alla situazione. Molto più al
largo, invece,
Ryou e Keiichiro si stavano finalmente concedendo un po’ di
surf insieme, anche
se la velocità con cui il biondo aveva proposto
l’attività avesse fatto
sospettare che volesse solo isolarsi per un paio d’ore visto
l’improvviso
affollamento della sua casa.
« Aaaah, per gli dèi, anche
l’acqua è calda! »
Kisshu si buttò in mare come un bufalo sgraziato,
sollevando un’indecente quantità di schizzi che
non risparmiò le ragazze.
« Sempre il solito esagerato, » commentò
tetro Pai,
seguendolo in ogni caso con celerità molto più
elegante.
« Tutto bene, Kisshu-san? » domandò
divertita Retasu,
vedendolo galleggiare a stella mentre ansimava.
« Come fate a sopportare questo caldo? »
borbottò lui, «
Fa caldo all’ombra, la sabbia brucia, l’acqua
è bollente, come?! »
« Si chiama estate. »
« Per me è giusta, » commentò
confusa Purin, sedendosi
per terra accanto a Retasu, che continuava a ridacchiare dei lamenti
esagerati
del verde.
« Noi non ci siamo abituati, » Pai, solo la testa
visibile
oltre la superficie, iniziò a spiegare lentamente,
« Siamo cresciuti con un
clima decisamente inospitale, e anche le temperature attuali su Duuar
sono
molto miti. Simili alla vostra primavera, credo. Non possiamo parlare
di
quattro stagioni, temo, né sappiamo come
continuerà a reagire il pianeta alla
presenza della Mew Aqua. »
« Quello che speriamo è comunque di non combinare
il
vostro stesso casino con il cambiamento climatico, »
gracchiò Kisshu,
spostandosi la frangia zuppa dagli occhi, « Perché
questo non è normale,
sappiatelo. »
« E poi, da noi non c’è il mare,
» continuò il fratello, suscitando
esclamazioni sgomente da parte delle ragazze, « Il nostro
è un pianeta boscoso,
con fiumi e qualche lago, ma non specchi d’acqua comparabili
al vostro. Ovviamente,
sono accessibili relativamente da poco. »
« Ah, a proposito! » con un guizzo degno di un
cetaceo,
Kisshu si girò sulla pancia e piantò gli occhi su
Minto e Ichigo, « Quei cosini
graziosi che avete indosso chi li ha inventati? Ha tutta la
mia stima. »
« Deficiente! » Ichigo e Minto esclamarono in coro,
l’una
con molto più gelo dell’altra, mentre Purin si
limitava a ridacchiare e Retasu
si stringeva un po’ di più le ginocchia al petto
per coprire l’abbondante
scollatura del suo costume intero.
« Quindi da voi non ci sono le vacanze? »
mormorò dopo un
po’ la biondina, sempre più incuriosita dalla
storia di quel pianeta lontano.
« Non proprio come le immagini tu, scimmietta, »
rispose
Kisshu continuando a galleggiare col naso a pelo d’acqua, e
il tono in cui lo
disse fece intuire che fosse meglio cambiare soggetto.
Ichigo si tirò in piedi e si stiracchiò contenta,
facendo
un cenno con il capo verso l’acqua: « Chi viene a
farsi un bagno prima di
pranzo? »
« Ioooo! »
« Purin, ti prego, gradirei non bagnarmi i capelli.
»
« Andate avanti voi, ho come l’impressione che la
vista
da qui sia – mpphhhh! »
Le ultime parole di Kisshu finirono in un gorgoglio di
bolle, visto che Minto, passandogli accanto, gli aveva spinto la testa
sott’acqua con poca grazia per farlo tacere.
Retasu rise ancora della scenetta mentre il verde
riemergeva con un gran respiro, accusando la mora di tentato omicidio
con lei
che non si degnò nemmeno di considerarlo; solo in quel
momento si rese conto
che Pai non si era accodato al gruppo, ma anzi la stava fissando dalla
stessa
posizione di prima con quella che le parve curiosità negli
occhi scuri.
« Non hai ancora imparato a nuotare? » le
domandò
all’improvviso.
Retasu non seppe se sentirsi a disagio per la domanda
leggermente fuori luogo, per il fatto che lui si ricordasse di quel
ridicolo
particolare data la sua natura secondaria, o per
tutta la situazione in
generale.
« No, io… preferisco rimanere dove si tocca,
» esclamò
con una mezza risatina imbarazzata, giocherellando con un dito nella
sabbia
bagnata, « Fa un po’ ridere, vero? »
Pai si limitò a scrollare le spalle e girarsi un secondo
verso il gruppetto, attirato dalla risata di Purin e dal grido
assassino di
Minto visto gli schizzi che lei e Kisshu stavano provocando
spruzzandosi a
vicenda.
« Ognuno ha le sue peculiarità, »
proclamò enigmatico,
osservando l’acqua che gli sfiorava la vita, «
Ammetto che nemmeno io sono
molto a mio agio qui dentro, ma è l’unica fonte di
ristoro. »
Retasu nascose un sorrisetto contro le ginocchia e ne
osservò il profilo di nascosto, un dito che giocherellava
con la sabbia
bagnata: « Quanto fa freddo sul vostro pianeta? »
« Si gela. Gelava, » si corresse lui quasi subito,
gli
occhi viola che accennarono a perdersi, « Eravamo costretti a
vivere
sottoterra, per ripararci dalle intemperie, ma la situazione non era
migliore.
Mi è successo solo un paio di volte di salire in superficie,
e… diciamo che il
buio dello spazio era più confortevole. »
Lei rimase in silenzio per qualche istante, percependo
chiaramente quanto il discorso non fosse tra i preferiti
dell’alieno.
« Quindi qui è tutto completamente diverso,
» esclamò poi
con una mezza risata, « Eppure sembrate abbastanza a vostro
agio. Non so come
facciate, se fosse toccata a me una cosa del genere… dovermi
reintegrare in un
posto del tutto nuovo, non saprei… »
« Ci siamo dovuti adattare ai cambiamenti, » Pai la
guardò da sopra la spalla con l’ombra di un
sorriso, « E molte volte non è
stata una nostra scelta. »
Retasu annuì e riabbassò di nuovo gli occhi blu,
esalando
un respiro tremolante. Avrebbe tanto voluto chiedergli di
più, ma aveva paura
di risultare invadente o toccare altri punti dolenti. Non riusciva
ancora a
comprendere l’umore dell’alieno, né la
maggior parte delle sue espressioni e
ciò che si nascondeva dietro esse, e non voleva essere presa
per una ficcanaso
insensibile.
« Comunque, non è vero quello che hai detto,
» soppesò
Pai dopo un po’, cogliendola di sorpresa, « Anche
tu sei stata messa
all’improvviso dentro una situazione totalmente nuova e che
alcuni
descriverebbero come folle, eppure sei riuscita ad affrontarla.
»
La ragazza non riuscì ad evitare di fissarlo ad occhi
sgranati, il cuore che le batté forte un paio di volte.
« Anzi, forse l’avete affrontata con molto
più coraggio
di noi. Soprattutto perché non avevate altra scelta.
»
Le rivolse di nuovo un sorriso mezzo affettato; Retasu
dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma fu preceduta dallo strillo
esagerato
di Purin, che era stata afferrata di peso da Kisshu e lanciata in acqua
compiendo un largo arco nell’aria.
« Finiranno per attirare l’attenzione di tutta la
spiaggia, » borbottò cupo Pai, parendo aver perso
quel minimo di buon umore.
« … Kisshu-san sa nuotare, vero? »
domandò preoccupata la
verde, seguendo con lo sguardo Ichigo e Minto mentre rincorrevano
l’alieno, reo
di continuare a sollevare schizzi, e tentavano di spingerlo in
giù.
Il viola scosse solo la testa e uscì dall’acqua:
« Se la
caverà. »
« … tanti auguri, cara Purin, tanti
auguri a teee! »
La biondina si piegò a soffiare sulle candeline con un
sorrisone a trentadue denti, mentre il gruppetto intorno a lei
applaudiva
festante.
« Esprimi un desiderio! » la incalzò
Ichigo, e la vide
stringere forte gli occhi e arricciare il naso prima di spegnere tutte
e
diciotto le lucine in un unico soffio, gli altri che continuavano ad
incitarla.
Retasu si premurò invece di riaccendere le luci del
salotto, intanto che Keiichiro aiutava la festeggiata a tagliare la
torta.
« Ci siamo dimenticati di insegnarvi la canzone, »
fece a
mo’ di scuse poi rivolta verso Kisshu, che aveva osservato la
scena con una
spalla poggiata al muro e l’espressione tra il confuso e il
rapito, « È tipica
di quasi tutta la Terra, direi. La melodia, almeno. »
L’alieno fece un cenno di comprensione: « E quelle?
»
« Per tradizione, il festeggiato celebra con una torta
con sopra tante candeline quanti sono gli anni che compie, e le deve
spegnere
con un soffio. Si dice anche che dovresti esprimere un desiderio,
mentre lo
fai. E poi solitamente ci sono i regali da aprire. »
Kisshu intese l’occhiata di blu intenso come una muta e
curiosa richiesta a sapere come funzionasse dalle loro parti, quindi
abbozzò a
un sorriso: « Anche noi ci scambiamo dei doni per la
ricorrenza della nostra
nascita. Ma niente torta, quando eravamo piccoli il regalo migliore era
un
frutto, che noi chiamiamo kirimoia(*).
Ha bisogno di molta
luce per crescere, e siccome da noi la luce era artificiale, le sue
coltivazioni erano molto limitate, il frutto costoso. Quindi era una
vera
chicca. »
Retasu ricambiò il suo sorriso e gli passò uno
dei piattini
con la torta: « Sai che non sappiamo quando sia il tuo
compleanno, Kisshu-san?
»
Lui ingollò circa mezza fetta prima di rispondere,
chiudendo un occhio mentre pensava: « Mmmh… non
abbiamo esattamente il vostro
calendario, ma grossomodo direi il vostro… aprile? Pai lo sa
sicuro meglio di
me. »
Lo sguardo di Retasu guizzò per un secondo verso il
maggiore degli Ikisatashi, dall’altro lato della stanza, e il
verde nascose un
sorrisetto dietro all’ennesima forchettata di dolce.
« Non è molto bravo a divertirsi, »
commentò con un
ghignetto, « Non lo era nemmeno prima di diventare un
soldato. Mr. Ghiacciolo è
tutto decoro e dovere. »
Retasu spiluccò la sua fettina, sorridendo appena:
« A
volte sembra che non andiate molto d’accordo. »
Kisshu si strinse nelle spalle e passò il lato della
forchetta sul piatto per ripulirlo di ogni traccia di panna:
« Siamo diversi.
Quando sono morti i nostri genitori eravamo ancora piccoli, il modo in
cui
abbiamo reagito ci ha diviso ancora di più, se possibile.
Poi sai, tutte le
nostre avventure… »
La ragazza sgranò gli occhi, terribilmente mortificata,
mentre quasi si strozzava con un pezzo di dolce: «
Kisshu-san, mi dispiace, io
non… »
« Su, su, pesciolina, » lui le diede un paio di
pacche
sulla schiena, sorridendo quasi divertito mentre le passava un
bicchiere
d’aranciata, « Ormai è acqua passata.
»
Lei lo ringraziò con un ultimo colpo di tosse, prendendo
un lungo sorso con aria avvilita. Come le era venuto in mente di dire
una cosa
simile? E come poteva Kisshu rivelare notizie del genere con tutta
quella
nonchalance? Si azzardò a lanciare un’altra
occhiata a Pai da sopra l’orlo del
bicchiere; forse non era poi del tutto strano, allora, che lui avesse
quel
carattere così chiuso, anche se diametralmente opposto a
quello del fratello…
ma certamente non era una cosa che avrebbe di nuovo investigato
così presto.
« Grazie a tutti ancora! » esclamò Purin
a volte alta, e
si appese al collo di Ichigo per un altro abbraccio, «
È stato un fine
settimana fantastico. E Keiichiro nii-san, la cena è stata
squisita! »
« Ho cercato di fare del mio meglio, Purin cara. »
Da sopra la spalla della rossa, la biondina lanciò uno
sguardo divertito a Ryou: « Ti perdono per aver rapito Ichigo
nee-chan. »
L’americano, spaparanzato sul divano, piegò solo
un
sopracciglio, sorseggiando la sua birra: « È stata
più che d’accordo. »
« Sì, sappiamo che fa fatica a dirti di no.
»
« Purin! »
Il viso di Ichigo prese fuoco e cercò di scrollarsela di
dosso, ma la biondina si tenne stretta continuando a ridere:
« Ora propongo di
andare a farci un altro bagno! »
« Purin, siamo stati in acqua tutto il giorno, »
rispose
Retasu con un tono un po’ di scuse.
« E sono le undici e ci siamo già fatti tutti la
doccia,
» aggiunse Minto, un po’ più piccata, ma
Purin scosse la testa come a non voler
sentire ragioni:
« Dai, per favore! È il mio compleanno e decido
io. »
« Ma ha sempre avuto questo caratterino? »
sghignazzò
Kisshu, « Comunque io appoggio la proposta. »
« Figuriamoci. »
« Andate voi, davvero, » Retasu li
incoraggiò con un
sorriso, « Io e Minto-chan mettiamo un po’ in
ordine. E domattina avremo ancora
il tempo di stare un po’ in spiaggia. »
« Promesso, eh! Ma Ryou nii-san non è esonerato.
»
« Alright, alright! »
Con uno sbuffo, Ryou si unì a Purin e Ichigo, seguito da
Kisshu, e Keiichiro, che però indugiò un secondo
sulla soglia.
« Sicure che non vi serva una mano? »
Minto sventolò una mano mentre si alzava dal divano:
«
Vai pure a controllarli, Akasaka-san, o rischi che si affoghino
davvero. »
Rimasti in tre, con un gran sospiro la mora cominciò a
raccogliere gli involucri scartati dei regali, mentre Retasu e Pai
rassettarono
velocemente il tavolo della sala da pranzo, trasportando i coperti in
cucina.
« Sai quando torna Zakuro-san, Minto-chan? »
domandò la
verde poi, aprendo il rubinetto per sciacquare i piatti prima di
riporli in
lavastoviglie.
« La prossima settimana, » replicò
pronta la mora,
raccogliendo le bottiglie sparse, « Non ha ancora deciso se
tornare venerdì o
rimanere un weekend in più, dipende anche se la produzione
ha intenzione o meno
di fare uno shooting. »
In silenzio, Pai si dileguò molto presto al piano di
sopra, mentre le due ragazze finivano di sistemare i piatti e
chiacchieravano
sottovoce.
« Sono felice che Purin-chan sia stata contenta, »
mormorò Retasu, « È stato un
po’ difficile incontrarsi per il suo compleanno
gli anni passati, e spesso suo papà non c’era.
»
« Invidio la sua solarità, »
concordò Minto, « Saranno
dieci anni almeno che non festeggio un compleanno con i miei genitori,
eppure
continua a darmi fastidio. »
La verde le rivolse un sorriso comprensivo, per lei era
così difficile immaginarsi di non avere una famiglia unita,
o dei genitori
affettuosi, e ogni volta si rendeva conto di quanto fosse fortunata. Si
asciugò
le mani in un canovaccio e poi esalò lenta: «
Porto i regali di Purin in camera
e poi credo che andrò a dormire, ti dispiace? »
« Vai, io rimango ancora un po’, fa troppo caldo
per
dormire. »
Retasu raccolse i regali e si avviò lenta su per le scale,
non vedendo l’ora di rilassarsi tra le lenzuola dopo la
giornata comunque
intensa. Quando sbucò sul pianerottolo, l’unica
fonte di luce sul corridoio
buio venne data dalla luce del bagno che filtrò dalla porta
aperta da Pai, che
stava lasciando la stanza in quel momento.
L’alieno alzò a fatica la testa verso di lei,
l’espressione un po’ esausta, e lei fece solo un
sorriso, quasi bloccandosi
dove stava.
« Non ho finito di aiutarvi, » bofonchiò
a mo’ di scuse,
e si passò una mano sul volto con fare stanco, «
Ma… questo caldo, e il Sole… »
Retasu sentì il proprio cuore battere irregolare dalla
tenerezza che le scatenarono quelle parole, e continuò a
sorridere mentre
annuiva comprensiva: « Nessun problema, Pai-san. So che non
dev’essere facile. »
Pai annuì, le sembrò che raddrizzasse un poco la
schiena,
come se mostrarsi così distrutto non fosse fonte di decoro
né appropriato, e
fece qualche passo verso la stanza che avrebbe condiviso con il
fratello.
« Penserai che sia molto noioso, » disse a voce
bassa,
così bassa che lei quasi stentò ad udirlo, una
punta di divertimento nel tono
che le sembrò quasi strana, « Mio fratello ancora
pimpante, e io che sto per
crollare perché la temperatura non fa per me. »
Lei congiunse le mani davanti a sé, la gola via via che
si seccava: possibile che continuasse a trovarsi sola con lui quel
giorno?
« Non sono molto più divertente di te, Pai-san,
»
replicò, cercando di suonare altrettanto ironica,
« Non mi avventuro più in là
della riva, e sto andando a dormire dopo aver sistemato. »
Gli occhi ametista brillarono un poco
nell’oscurità,
forse colse l’ombra di un sorriso: « Allora mi dai
ragione, che sono noioso. »
« N-n-n-no no no! » Retasu si affrettò a
correggersi,
avvertendo le guance andare in fiamme e agitando le mani davanti a
sé, « Mi hai
frainteso, cercavo di dire che… »
Lo sentì ridacchiare piano mentre si avvicinava di
più
alla propria camera: « Scusa, non volevo turbarti. »
Come poteva non turbarla quando cambiava umore in così
poco e addirittura le mostrava quel sorriso? E lei perché
continuava a farsi
tutte queste domande?
Retasu deglutì e cercò di ricomporsi, ricambiando
la
risatina a disagio: « Be’, ora… ora
credo che andrò a riposare. »
Pai la osservò un altro paio di secondi in silenzio prima
di far sì con la testa: « Buonanotte, Retasu.
»
In realtà, lei rimase ferma dov’era
finché non lo vide
chiudersi la porta della stanza alle spalle; poi lasciò
uscire tutta l’aria che
aveva trattenuto in un sottile sospiro, e si fiondò in bagno
a sciacquarsi la
faccia rovente, sperando solo che il buio avesse camuffato la cosa.
Al piano di sotto, Minto pensò che forse rinfrescarsi un
po’ con l’acqua del mare non sarebbe stata una
brutta idea, visto quanto
facesse comunque caldo anche in piena notte. Storse un po’ il
naso però al
pensiero del sale e delle alghe, e del tran-tran successivo che avrebbe
dovuto
affrontare tra doccia e creme idranti, quindi invece afferrò
un bicchiere e lo
riempì fino all’orlo di acqua fredda, bagnandosi
nel frattempo anche un po’ i
polsi. Sospirò rumorosamente una volta che lo ebbe svuotato
in un colpo solo, passandoselo
sulla fronte per trovare un minimo di ristoro dato nella frescura della
superficie. Aldilà della larga vetrata della cucina,
riusciva ancora ad intuire
le sagome degli amici che si spruzzavano allegramente sotto la Luna, e
sentì
chiaramente l’urletto allegro di Purin mentre veniva
sollevata da Ryou e
scaraventata nuovamente in acqua.
Si concesse un altro sorriso intenerito a pensare
all’amica, che nonostante tutto non aveva mai visto abbattuta
o scoraggiata, ma
che anzi sembrava sempre più solare ogni giorno che passava.
« Niente avventure notturne per te, tortorella? »
Kisshu, come al solito, la prese alle spalle, i capelli
che gocciolavano senza pietà sul pavimento di legno del
corridoio. Lei, che era
sobbalzata visibilmente, fece una smorfia infastidita mentre riempiva
il
bicchiere una seconda volta: « Non sono il tipo da bagni di
notte. »
« Cos’è, hai paura dei pesci? Pensavo
fosse la micetta
quella fifona al buio. »
Minto gli lanciò un’occhiata di rimprovero:
« Non ho
paura di un bel niente, semplicemente mi ero già rilassata e
ripulita dalla
spiaggia, e non avevo intenzione di vanificare il tutto. »
L’alieno la guardò divertito: « Rilassata
non mi
sembra il termine ideale, passerotto. »
Lei non provò nemmeno a ribattere, consapevole che
avrebbe solamente visto il ghignetto allargarsi, e affondò
il proprio puntiglio
in un sorso d’acqua.
« E in ogni caso, è molto più
rilassante al buio, »
esclamò poi Kisshu, guardando fuori dalla vetrata,
« Anche se con la scimmietta
non è che si parli molto di relax… »
Si girarono entrambi verso il corridoio buio quando
udirono il rumore della porta d’ingresso e la risatina
allegra e rumorosa di
Ichigo che fingeva di arrabbiarsi per il fatto che Ryou se la fosse
caricata in
spalla e stesse ora marciando verso il piano superiore, due sorrisi
troppo
marcati perché avessero effettivamente litigato o lei fosse
veramente
dispiaciuta della cosa.
Kisshu guardò la mora, rivolgendole un occhiolino:
«
Forse nemmeno tanto con la micetta. »
« Ah, Ichigo, » mormorò Minto con un
sospiro intenerito,
« Bisogna volerle bene così
com’è, esagerata e con la testa per aria.
»
« C’è forse un cuoricino sotto quegli
strati di stoffa
costosa? »
« Più di quanto ci sia un cervello sotto quei
capelli
impossibili. »
Kisshu rise divertito e scrollò la testa giusto per darle
fastidio con le gocce fredde che schizzarono da tutte le parti, lei che
emise
un grugnito esasperato mentre afferrava un canovaccio e glielo tirava
in faccia
come un muto ordine di asciugarsi.
« Comunque, vi bilanciate bene voi due, »
commentò
sovrappensiero l’alieno dopo qualche istante, sfregandosi il
panno in testa.
« Forse vuoi dire che io ho un’ottima influenza su
Ichigo, » esclamò Minto con nemmeno tanta ironia,
alzando un sopracciglio divertita,
poi però si strinse nelle spalle, « È
la mia migliore amica. »
« Più della lupotta? »
« Con la onee-sama è… diverso. Ichigo
è stata una delle
mie prime vere amiche, ed è… beh, è
Ichigo. »
« Già, » Kisshu abbandonò lo
straccio accanto al
lavandino e abbozzò una smorfia, « L’hai
riassunta bene. »
La mora picchiettò appena le unghie contro il bicchiere
che ancora teneva in mano: « Devi darle un po’ di
credito per quando è venuta a
parlarti, dopo che hai spifferato a tutti di lei e Shirogane. Sa essere
espansiva e diretta, ma… fa un po’ fatica sui
discorsi più complicati. Ed era
preoccupata. »
« Non c’era niente di cui preoccuparsi,
gliel’ho anche
detto, » replicò lui, un minimo sorrisetto sulle
labbra, e Minto piegò un poco
la testa di lato mentre agitava il bicchiere nell’aria,
leggermente a disagio:
« Sì, ma comunque… sai…
»
L’alieno rise del suo imbarazzo e le prese il bicchiere
dalle dita per vuotarlo di un colpo: « Non mi sembra che
nemmeno tu sia
campionessa dei discorsi difficili, tortorella. »
« Cerco di non impicciarmi negli affari altrui. »
« Coooome no! »
Minto scosse di nuovo la testa, si riprese il bicchiere e
lo poggiò dentro al secchiaio. In quel momento, Purin corse
dentro casa come
una furia, ridendo ad alta voce, Keiichiro una ventina di passi
indietro, molto
più calmo.
« Buonanotte, Kisshu-san, nee-chan! Domani lo rifacciamo,
eh! E Akasaka nii-san mi ha promesso che mi insegna a surfare!
»
La mora si scambiò un rapido sguardo con il pasticcere,
che aprì solamente un poco le braccia come a dire non
ho avuto altra scelta,
prima di incamminarsi anch’egli al piano di sopra
con un sospiro e un
saluto.
« Spero che Retasu non si fosse già addormentata,
»
commentò lei divertita, « O non
prenderà più sonno. »
« Le si scaricheranno le pile, a un certo punto, »
ghignò
Kisshu di ricambio, « Vedi, tortorella, è così
che bisogna essere,
giovani e attivi! »
« Chi era quello che ha passato la giornata galleggiando
a morto boccheggiando per il caldo? »
« Come se non vi foste fatte un pisolino all’ombra
dopo
pranzo. »
Minto alzò gli occhi al cielo, piegando un angolo della
bocca: « Cosa fai, ci spii anche ora? »
Lui ricambiò l’occhiata divertita con un guizzo
negli
occhi: « Il panorama non era male. E poi così
almeno sono riuscito a sbirciare
quel tuo faccino adorabile senza la solita spocchia sopra. »
La mora inarcò un sopracciglio a mo’ di
avvertimento: «
Rischi che Shirogane tenti davvero di affogarti se ti becca a
occhieggiare
Ichigo, » aggiunse poi.
L’alieno esalò un lungo verso di esasperazione,
finalmente togliendosi il canovaccio da dosso e appallottolandolo prima
di
lanciarlo accanto al lavandino: « Ma mi ascoltate almeno
quando parlo? Poi se
vuole farsi una scazzottata ben venga, non ho bisogno di molte scuse.
»
Quasi in automatico, Minto si avvicinò al lavandino per
prendere lo straccio e piegarlo con cura in un rettangolo ordinato.
« Ti conviene spicciarti ad andare a farti una doccia,
»
esclamò, tendendo un orecchio verso al piano di sopra,
« O credo che il bagno
verrà occupato a lungo. »
« Non mi importa molto, » Kisshu si
osservò le braccia
pallide, ancora coperte da qualche goccia d’acqua,
« Non è una sensazione
spiacevole, quella del sale. »
La mora lo guardò con un’espressione schifata:
« Non è
molto igienico. »
« Lo so che sei delicata, » la prese in giro
sottovoce, «
Ma è anche la prima volta che mi capita di passare una
giornata al mare, o di
vederlo per bene, se è per questo. Magari me lo voglio
godere un po’ di più. »
Le rivolse un’espressione talmente saputa che Minto
riuscì solo a ridere e scuotere la testa: « Fa
comunque un po’ schifo. »
« Mica ci dormi tu con me, tortorella. »
Lei gli puntò l’indice contro come ammonimento,
trattenendo un sorriso, poi sospirò, incamminandosi verso le
scale: « Vado a
dormire, prima che Purin e Retasu occupino tutto il letto. »
Kisshu la studiò un istante, come se stesse cercando di
capire qualcosa, poi la sua espressione si tramutò nel
solito ghignetto: « Se
non ci dovesse essere posto… »
« Vai a quel paese, Kisshu. »
« Buonanotte anche a te, passerotto. »
Minto si limitò a sventolare svogliatamente una mano
dietro di sé, dandogli le spalle mentre saliva le scale
buie, ignorando il
pizzicore che provava alla nuca dato dagli occhi dorati puntati
addosso.
§§§
Zakuro aveva sempre avuto il sospetto che i suoi sensi di
lupo non si fossero mai del tutto placati nel corso degli anni,
perché anche in
quel momento poteva benissimo avvertire che ci fosse qualcuno nel suo
appartamento fin dall’ascensore all’inizio del
corridoio.
Maledetta la sua decisione di dare le chiavi a Shirogane.
Si preparò esalando lenta e rilassando le spalle, non
poteva certo arrabbiarsi, immaginava che le intenzioni fossero
più che
amichevoli e affettuose, al tempo stesso le riusciva difficile non
innervosirsi
al pensiero di non poter godere di un po’ di silenzio e calma.
Non appena infilò le chiavi nella toppa, udì il
mormorio
acquietarsi con una serie di ssssh! minacciosi, e
dovette reprimere un
sorrisetto; contò fino a cinque, e spalancò la
porta di casa.
Il suo loft s’illuminò
d’un colpo mentre tutti e
nove gli altri sbucavano da dietro i muri – chi
più chi meno energicamente –
con palloncini e nastri al grido di Buon compleanno!, investendola
in
più con una pioggia di coriandoli (che, si
appuntò mentalmente mentre non
poteva fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso, avrebbe fatto
ripulire
direttamente al suo connazionale).
« Ti abbiamo fatto la sorpresa! »
sottolineò Purin,
ignorando come al solito gli spazi personali altrui e abbracciandola
con un
saltello.
« Decisamente, » commentò Zakuro con una
risatina, e si
passò una mano tra le ciocche color glicine per togliere la
maggior parte dei
pezzetti colorati, « A cosa devo l’onore?
»
« Abbiamo realizzato che non ti festeggiavamo come si deve
da almeno tre anni, » le spiegò dolcemente Retasu,
mentre si incamminavano
verso il salotto, « Mentre i nostri compleanni più
o meno siamo sempre riusciti
a passarli insieme. Speriamo ti faccia piacere. »
E la modella non poté negare che, nonostante la pochissima
voglia che aveva sempre avuto nei confronti del proprio giorno di
nascita e il
grande scontento che provava all’invasione della sua
solitudine, vedere il
tavolino da caffè del salotto ricoperto di fiori, regali,
qualche vassoio con
degli stuzzichini e una larga torta rotonda, e altri palloncini
sistemati
dietro al divano, le provocò una piacevole ondata
d’affetto nei confronti di
quella che era, a tutti gli effetti, la sua famiglia.
« Sei sorpresa, onee-san? »
« Certo, Purin, » le carezzò affettuosa
la testa bionda,
e poi lanciò uno sguardo divertito verso Ryou e Keiichiro,
« La torta è omaggio
del Caffè? »
« Voi vi approfittate del buon cuore di quest’uomo!
»
« Lasciatelo perdere, è sempre un piacere per me,
ragazze. »
Ricevuti gli abbracci anche da parte di Ichigo e Minto,
che si era premurata di sottolineare quali tra i vari pacchettini
fossero i
suoi regali, sempre con Purin attaccata all’altro braccio,
rivolse uno sguardo
all’intero gruppo che si stava sistemando tra divano,
poltrone e tappeto: «
Grazie mille, davvero. È stato un pensiero carinissimo.
»
« Una donna di poche parole, » ghignò
Kisshu, appollaiato
a braccia incrociate sul bracciolo del divano, guadagnandosi
un’occhiataccia
sia da parte della festeggiata che di Minto.
« Dai, dai, ora soffia! »
Purin la tirò fino al tavolino, quasi costringendola a
sedersi, intanto che Keiichiro accendeva le ventidue candeline bianche.
Almeno
le fu risparmiato il supplizio della canzoncina, si disse tra
sé e sé mentre
seguiva un applauso al suo spegnerle tutte d’un colpo.
« È una New York cheesecake con
dei mirtilli , »
le rivelò il pasticcere con fare complice, ben conscio dei
suoi gusti, «
Porzione per quindici, conoscendo i nostri ospiti. »
Zakuro ricambiò il sorriso, e si alzò sorreggendo
cauta
la torta in mano: « Però la taglio in cucina, voi
mettetevi comodi. »
« Sei sicura, Zakuro-san? »
Lei rispose a Retasu con un cenno del capo: « Mi aiuta
Ryou. »
« Sir, yes, sir. »
Non diede attenzione alla sua ironia, gli porse la torta
e lo precedette in cucina, andando a rimestare tra gli scaffali per
piattini e
forchette.
« Ti avevo detto che non volevo festeggiare. »
Ryou non si scompose per nulla alla gelida nota di
rimprovero sotto al sorrisetto della modella, mentre poggiava la torta
sulla
penisola.
« Avresti preferito che lasciassi tutto nelle mani di
Ichigo e Minto? Ti saresti ritrovata nell’ultimo locale
più in voga del momento
con una torta a tre piani. Invece, voilà, non
ti sei nemmeno dovuta
mettere un paio di calze. »
Zakuro ignorò il commento sul fatto che fosse a piedi
scalzi sul pavimento di marmo della cucina e agitò vagamente
il coltello che
aveva in mano davanti al naso del biondo.
« Guarda che non sono io quella che non sa dire di no a
quelle due. »
« Ouch, » Ryou si mise una mano
sul cuore, non
dovendo poi fingere così tanto di essere stato punto sul
vivo, « Sto per
nascondere il tuo regalo. »
Lei gli lanciò un’ultima occhiataccia divertita e
si
riavviò con i piattini della torta su un elegante vassoio,
porgendo i primi a
Purin e Ichigo che, come al solito, sembravano le più
impazienti di gustarsi il
dolce. La conversazione su un argomento di cui aveva mancato il
principio
continuò anche mentre ognuno si concentrava sul dessert, e
mentre Zakuro si
risiedeva notò con la coda dell’occhio Kisshu che,
con nonchalance, appoggiava
il braccio sullo schienale del divano, appena cinque centimetri sopra
le spalle
di Minto, la quale rimase impegnata a partecipare alla discussione, ma
con la
parte superiore del corpo leggermente inclinata verso
l’alieno. La modella si
sforzò di non sorridere per non attirare
l’attenzione su di sé, e al tempo
stesso si chiese se non ci fosse sotto qualcosa che l’amica
stessa non aveva
ancora notato. Anche se forse un discorsetto o due
d’avvertimento a Kisshu
sarebbero stati d’obbligo.
Cullata dal ronzio delle chiacchiere di sottofondo, e dal
meraviglioso sapore della cheesecake sulle papille gustative, a
malapena si
accorse del tempo che passava, lei che di solito anelava
così tanto poter
rimanere sola con i suoi pensieri. Era quello, si disse, la vera prova
che
avesse accettato quel gruppo in tutto e per tutto come
un’estensione del suo
essere, come la parte mancante della sua vita; il riuscire a
condividere
momenti importanti insieme a quelli semplici, senza avere la voglia di
scappare
al più presto possibile.
Da sotto la frangetta, lanciò uno sguardo in su,
reprimendo un sorriso: a Keiichiro in poltrona che impilava
ordinatamente i
piattini usati; a Ryou, rilassato con Ichigo accanto a sé
che chiacchierava fin
troppo energica con Minto, di fianco a lei nel divano da quattro,
Kisshu
all’altro lato che invece confabulava con Purin, seduta ai
piedi di Retasu
sulla seconda poltrona, il cui bracciolo era occupato da Pai. Si
soffermò un
istante di più sul profilo dell’alieno, di cui
ancora faticava a comprendere
gli stati d’animo.
Forse non erano poi così differenti, si disse. Sempre un
po’ pesci fuori dall’acqua, sempre introspettivi ma
curiosi, imperscrutabili
agli altri. Eppure, come lei al tempo, lui e il fratello si erano uniti
in
maniera organica al gruppo, la loro presenza aveva smesso di stonare
fin da
subito, e ora sembrava davvero che la scena fosse completa.
« Ti sono piaciuti i regali? » Purin
gattonò fino a lei,
seduta oltre al tavolino a gambe incrociate sul tappeto, «
Sta diventando un
po’ difficile pensare cosa regalarti, nee-san. »
Zakuro sbuffò una risata roca alla schiettezza della
biondina, annuì convinta: « Molto, Purin, grazie
mille. Prometto che ne farò
buon uso. »
« Io ce l’ho uguale, » sorrise la
più giovane,
riferendosi al tappetino da yoga che le aveva donato, « Minto
nee-san mi ha
detto che il tuo si è perso durante un viaggio, quindi mi
è sembrata una buona
idea. »
« È perfetto, » concordò la
modella, « Anzi, stavo
pensando, perché non organizziamo qualche tipo di evento a
tema per fare un po’
di pubblicità alla vostra nuova palestra? So che siete
dedicati alle arti
marziali, ma magari… »
Gli occhi scuri brillarono estasiati: « Nee-chan, sarebbe
grandioso! Anzi, soprattutto quando non
c’è papà, così non mugugna
sulle
attività alternative! E scommetto che
anche i miei fratellini si
divertirebbero, Heicha in realtà si sta interessando alla
ginnastica ritmica ma
sarebbe ottimo! »
« Parlerò con la mia manager e Minto, e ti faccio
sapere.
Ora che riaprono le scuole è una buona occasione. »
La biondina le si lanciò addosso per un altro dei suoi
energici abbracci, quasi facendole perdere l’equilibrio.
« Ovviamente invitiamo anche Ichigo-chan e Retasu-chan,
»
esclamò Zakuro a voce un po’ più alta,
un po’ ironica, « A un appuntamento di
yoga nella palestra di Purin. »
« Ichigo millanta di saper fare,
» aggiunse Minto,
roteando teatralmente gli occhi, « Il tappetino che le ho
regalato io sarà
sicuro a far la polvere. »
« Guarda che io sono un sacco attiva
ora! »
« Immagino. »
« Minto! »
Zakuro mascherò un sorrisetto mentre quelle due
riprendevano a battibeccare sotto lo sguardo scocciato di Shirogane,
che dopo
tre minuti di orologio scostò il braccio dal poggiatesta e
fece per alzarsi.
« Sono quasi le dieci, direi che abbiamo abusato
dell’ospitalità di Zakuro. »
« Grazie ancora a tutti per i regali, »
ripeté mentre si
alzavano tutti in piedi e pian piano raccoglievano le loro cose,
sciamando
verso l’uscita, « Chi vuole la torta rimasta?
»
Le mani di Kisshu, Ichigo, e Purin scattarono in su
all’unisono, e lei rise: « La porto domani al
Caffè. »
« Chi prende il treno per tornare? »
« Io ho la macchina, se qualcuno vuole un passaggio.
»
« Teletrasporto offerto da Ikisatashi e co., anche molto
più ecologico. »
« Do
you ever shut up? »
Quando poté finalmente chiudere la porta alle spalle
dell’ultimo uscito, Zakuro non riuscì a trattenere
un sospiro, poggiando la
fronte contro al legno fresco. Voleva loro bene, certo, ma dopo un
po’ la calma
era indispensabile.
E necessaria a percepire il sottile spostamento d’aria
dato dall’uso dei poteri alieni.
« Voi essere umani siete sempre così…
conviviali? »
Si voltò con calma, con l’ombra di un sorriso
sarcastico
sul volto, al sentire la domanda così seria di Pai.
« Non io, personalmente, » ammise con
onestà, incrociando
le braccia al petto, « Ma… non siamo nemmeno un
gruppo di persone normali. »
Lo sorpassò nel corridoio, e lo avvertì seguirla
in
cucina, dove lei si versò un bicchiere d’acqua del
rubinetto.
« Da dove vengo io… i nuclei familiari sono uniti,
ma
siamo anche stati abituati fin da subito a non affezionarci troppo agli
altri.
La vita non era semplice, e le faide tra gruppi non scarseggiavano.
Bisognava
badare a noi stessi e ai più prossimi, il più
delle volte. O ai tuoi compagni
d’armi, in certe situazioni. Ora la situazione è
stabile, certo, la società
solida, ma… le vecchie abitudini sono dure a morire.
»
Zakuro lo osservò facendo roteare il bicchiere tra i
palmi, allungandosi sulla penisola: « Dicono che siamo
animali sociali, però, »
commentò sottovoce, « Gli altri sono la mia
famiglia. Riesco a concedere tutto
questo tempo solo a loro, e non è stato facile per me
all’inizio. »
« E la tua famiglia d’origine? »
Non si scompose alla domanda schietta, era una delle
caratteristiche dell’alieno che aveva colto fin da subito; si
limitò perciò
solo a stringersi nelle spalle: « Abitano su un altro
continente, e non ci
parliamo da quasi dieci anni. »
Pai annuì, la fronte appena corrugata come se stesse
soppesando la sua risposta. Lei aspettò in silenzio, finendo
di bere, immersa a
sua volta nei pensieri.
Poi si mossero l’uno verso l’altra quasi
all’unisono,
così com’era successo quella prima volta, nella
penombra del laboratorio, un
paio di settimane prima, e le volte successive. Non si erano posti
molte
domande, né se le fecero in quel momento, consci che
eventuali risposte non
sarebbero state trovate sulle labbra dell’altro ma
intenzionati solo a
perdervisi, per un istante.
Kisshu era ancora sveglio, steso al buio della sua
camera, quando sentì il soffio del teletrasporto poco fuori
la sua porta
socchiusa. Lanciò distratto un’occhiata
all’orologio digitale, che segnava
l’una e mezza del mattino, e spostò la mano sotto
alla nuca mentre con l’altra
continuava a giocherellare con un piccolo para-para.
Pai dovette passare per forza di fronte alla sua stanza
per andare in bagno, e si accorse di lui.
« Che ci fai ancora sveglio? » gli
sussurrò quasi
arrabbiato.
Il verde ghignò, mantenendo lo sguardo sul soffitto:
«
Troppi zuccheri, non trovi? »
Il pugno del fratello maggiore si tese
impercettibilmente, mentre questi sbuffava e scostava gli occhi.
« Me ne vado a dormire. »
« Pai? »
Kisshu si tirò a sedere e lo scrutò in uno dei
suoi rari
momenti di serietà; il viola attese qualche secondo, poi
scosse la testa e si
avviò verso il bagno.
§§§
« Per fortuna che
siamo arrivati insieme, » Ichigo prese Retasu sottobraccio e
si strinse a lei
mentre percorrevano il vialetto d’ingresso illuminato di
villa Aizawa, quella
sera di ottobre, « Quando Minto fa le cose così in
grande, mi sento sempre a
disagio. »
« Ma ogni anno fa
le cose in grande, nee-chan. »
« E io mi sento
sempre a disagio. »
« Non
preoccuparti, Ichigo-chan, » Zakuro le sorrise teneramente da
sopra la spalla,
camminando qualche passo avanti a lei, « Siamo sempre noi,
alla fine. »
« Ma mi devo
preoccupare? » borbottò Kisshu, piegandosi appena
verso l’orecchio di Purin
mentre lanciava occhiate in giro al giardino, «
Cos’è, tra un po’ spunta
qualcuno a farmi un esame di galateo? »
« No, per quello
basta Minto-chan, » rise la biondina divertita, «
Ogni anno invita sempre un
sacco di persone al suo compleanno e Ichigo-chan si stressa
perché sono sempre
tutti eleganti e posati. Ma è niente in confronto alle feste
private che
la sua famiglia organizza in primavera ed estate. Lì ci sono
davvero un
sacco di snob, mentre gli altri amici della nee-chan alla fine sono
simpatici.
»
« Per te è facile
dirlo, Purin, faresti amicizia anche con un albero, »
commentò Retasu
intenerita, mentre tutti insieme varcavano il portone
d’entrata ed allungavano borse
e cappotti, un po’ a disagio, verso le cameriere.
« La festa della
signorina Aizawa si sta tenendo nel salotto piccolo, » le
informò la più
giovane di loro, sorridendo allegramente a Ichigo che
ricambiò, riconoscendola
da tutte le volte che si era fermata alla villa.
« Wow, il salotto
piccolo, » commentò Ryou con sarcasmo,
scambiandosi un’occhiata divertita con
Zakuro, « Ci siamo trattenuti quest’anno.
»
« Oh, grazie al
cielo, » esalò Ichigo sottovoce, agguantando
questa volta il braccio del
biondo, poi aggrottò le sopracciglia, « Spero che
non ci sia quella tizia
antipatica che andava a scuola con lei e che due anni fa ci ha provato
con te
tutto il tempo. »
Il ragazzo alzò
un sopracciglio, divertito e stupito al tempo stesso del commento, e le
lasciò
un bacetto sulla sommità della testa mentre si
incamminavano: « Easy, tiger.
»
Il salotto
piccolo di villa Aizawa, ovviamente, era grande due volte (e
probabilmente
mezza) il salotto di Ichigo, e al loro ingresso già
brulicava di persone
sorridenti impegnate in chiacchiere sopra un elegante sottofondo
musicale; sul
lato sinistro, vicino alle alte finestre e subito individuato da
Kisshu, Purin,
e Ichigo, c’era un lungo tavolo coperto da una candida
tovaglia e pieno di
vassoi ricolmi di cibo dall’aspetto appetitoso.
« Credo di aver
individuato dove passerò la serata, »
ghignò il verde, facendo ridere di nuovo
la biondina, « Ma non manca il dolce con le
lucine…? »
« Minto-chan che
soffia sulle candeline? Per favore! » Purin alzò
appena gli occhi al cielo,
sghignazzando con ironia, « L’unica volta che siamo
riusciti a convincerla è
stato facendole un agguato al Caffè con un cupcake
e una singola candela.
»
« Minto-chan! »
la rossa si alzò sulle punte e sollevò un braccio
per attirare l’attenzione
della festeggiata, impegnata ad accogliere altri ospiti
dall’altra parte della
stanza.
« Per carità,
Ichigo, non siamo al porto, » la salutò non appena
li raggiunse, facendo subito
storcere la bocca all’amica, « Su, su, non state
lì impalati, c’è un sacco di
cibo e da bere – Kisshu, Purin, mi raccomando, buone
maniere. Onee-sama,
ti vorrei presentare un paio di amici… »
« Ma io che ho
fatto! »
« Aizawa, il tuo
primo brindisi ufficiale ce lo puoi anche concedere. »
Lei alzò un
sopracciglio altezzoso guardando Ryou: « La prossima volta
dì alla tua ragazza
di non arrivare in ritardo. »
« Guarda che
torno a casa e mi porto dietro il regalo! »
« Minto-chan è
ufficialmente maggiorenne, » spiegò gentilmente
Retasu ai due alieni, che
avevano osservato lo scambio di battute un po’ confusi,
« In Giappone si può
iniziare a bere, tra le altre cose, dai vent’anni.
» (**)
« Ma allora,
passerotto, bisogna festeggiare! » esclamò lui con
un guizzo negli occhi
dorati, e la mora si limitò a sospirare teatrale:
« Kisshu, ti
prego, almeno stasera, placati. Onee-sama, vieni? »
Mentre la mora
prendeva la modella sottobraccio e la conduceva tra i vari gruppetti di
persone
con sguardo adorante, Ryou lanciò uno sguardo di divertito
astio nei confronti
del verde, che era rimasto un po’ basito dalla risposta
(molto più abituato a
risposte piccate da parte della ragazza), e prese di nuovo la mano di
Ichigo,
facendo un cenno verso il buffet.
« Vuoi qualcosa?
»
Gli occhi della
ragazza brillarono ingordi, prima che una sottile smorfia le si
disegnasse sul
volto: « Sì, però qualcosa di
leggero… l’ansia mi ha fatto venire un
po’ di mal
di pancia. »
Il biondo la
guardò leggermente preoccupato, sfiorandole una guancia:
« Tutto okay? »
Ichigo sorrise e
annuì, agitando una mano: « Sì, lo sai
che non sono fatta per le grandi feste
eleganti. »
« Me lo ricorderò
quando vorrai di nuovo inaugurare il Caffè. »
In realtà, tutto
il gruppetto si mosse compatto verso le cibarie, tutti molto
più a proprio agio
tra di loro che tra la folla e in ogni caso desiderosi di assaggiare le
leccornie di ispirazione europea proposte. E, proprio come previsto da
Retasu,
Purin e la sua estroversione furono il ponte perfetto per interagire
con gli
altri invitati, riconoscendo soprattutto vecchi amici di Minto che
avevano già
conosciuto a eventi precedenti (e, con sommo dispiacere di Ichigo,
inclusa la
vecchia compagna di scuola che aveva mostrato interesse per Shirogane).
Kisshu, dal canto
suo, per una volta rimase piuttosto in disparte, la coda
dell’occhio fissa
sulla festeggiata che rimbalzava come un’elegante piuma da
ogni parte della
sala, cercando di intrattenere quanti più ospiti possibili
nello stesso momento
e di interagire con tutti, da perfetta padrona di casa. La
osservò sorridere
raggiante, probabilmente scambiarsi battutine per pochi con delle
ragazze
longilinee quanto lei, posare per delle foto con quegli aggeggi che lei
e le
altre si portavano sempre in giro. Quando si riaccostava a loro, poi,
era quasi
come se tornasse a prendere un respiro da tutto quel tran-tran oltre
che a un
sorso di una bevanda o un vol-au-vent.
« Ma dovevi
proprio invitare quella Tanaka-san? » le si
lamentò Ichigo all’orecchio dopo un
po’, « Non riesce proprio a non fare la cascamorta!
»
Minto alzò gli
occhi al cielo, concedendosi un pasticcino: « La conosco da
quando vado
all’asilo, non potevo lasciarla fuori. E non è
così male, sei tu che sei
estremamente gelosa. »
« Ci ha provato letteralmente
con tutti. Vero, Kisshu? »
Lui ghignò e alzò
le mani in segno di difesa: « Non la possiamo certo
biasimare, gattina. »
« Grazie, sei di
aiuto. »
« Ichigo,
piuttosto, Maeda-san ti stava cercando, anche lei pensava di continuare
l’università con Lettere e voleva qualche
informazione. »
« No, ti prego,
tutto ma non lo studio stasera… »
Kisshu osservò
con un sorrisetto la mora trascinare l’amica da
un’altra parte, intimandole
qualche tipo di minaccia all’orecchio visto il sorriso
splendente che la vide
fare; in quel momento, afferrò un paio di bicchieri pieni e
sgattaiolò quatto
lungo il muro, silenzioso come sapeva essere, avvicinandosi alle spalle
di
Minto. Solo quando vide Ichigo ben impegnata nella conversazione lui si
fece
avanti e prese la mora delicatamente per un braccio, tirandola un
po’ meno
gentilmente verso uno dei corridoi su cui si affacciava la stanza.
« Kisshu, che
modi sono! » si lamentò immediatamente lei,
« Ti sembra possibile!? »
« Non mi hai
nemmeno salutato per bene. »
Minto si irrigidì
all’istante, notando come le iridi dorate di Kisshu paressero
brillare anche
nella penombra del corridoio.
« Dovevo
assicurarmi che tutto andasse bene alla festa, » gli
rimbrottò, « Voi siete
solo bravi a finirlo, il cibo. »
L’alieno ghignò e
fece un mezzo passetto avanti: « Tortorella, »
sussurrò a bassa voce, «
Smettila di voler sempre avere il controllo su tutto. »
Lei alzò gli
occhi al cielo e accettò il bicchiere di bollicine che lui
le stava porgendo,
più che altro per avere qualcosa in mano su cui
concentrarsi.
« Sono i tuoi
amici della compagnia? »
Minto annuì, lanciando
un’occhiata sopra la spalla agli invitati che continuavano a
chiacchierare
allegri.
« Non ti ho visto
interagire molto con loro. »
Kisshu esibì un
sorrisetto ironico, accennando verso uno dei ragazzi: « Non
credo che io e
Mister Ciuffo impomatato avremmo molto in comune di cui discutere. Tu,
piuttosto… »
« Io piuttosto
cosa? »
« Sei a tuo agio
con loro. Non come quando sei con le altre, eh, quel tuo ghignetto
supponente
c’è sempre, ma sei contenta. »
Lei lo guardò
stranita, prendendo un sorso lentamente: « Non capisco se
dovrei ringraziarti o
ribattere all’insulto. »
Kisshu sghignazzò
e piegò la testa da un lato: « Perché
hai smesso di ballare, allora? »
Minto esalò
lentamente, osservando il poco contenuto del bicchiere; era un
argomento che
ancora le doleva toccare: « Circa un paio di anni fa, ho
sentito mia madre
commentare, con testuali parole, “meno male che la
nostra Minto si è
affezionata così tanto al suo hobby, non è molto
portata per altro.” »
Lui la osservò
sforzarsi di fare un falsissimo sorriso velenoso, mentre sollevava
appena un
sopracciglio e continuava con astio.
« Un hobby. Prima
ballerina per una vita, molto prima del normale, tournée in
tutto il mondo, ho
ballato anche a New York e all’Opera di Parigi, sai? Ma era
solo un hobby, e
non sono portata per altro, » la mora prese un altro respiro
profondo e poi
alzò la testa, « Così, ho messo da
parte l’hobby e ho dimostrato che sì, potevo
anche far qualcos’altro. »
Kisshu la guardò
in silenzio per qualche istante, poi sbuffò divertito:
« La tua testardaggine potrebbe
essere pericolosa, tortorella. »
Minto lasciò
uscire una risatina dal naso e poi alzò appena un
sopracciglio, avvicinando il
bicchiere alle labbra: « Lo prenderò come un
complimento. »
« Ora dimmi una
cosa, » il verde fece un passo in avanti, con una luce
divertita negli occhi, «
Cos’hai contro il soffiare le candeline? »
Dovette
trattenersi dal ridere al vedere la faccia stupita e confusa della
ragazza.
« Ma che… che
razza di domanda è? E soprattutto chi te l’ha
detto? »
« La scimmietta,
» Minto represse un lamento sconsolato, avrebbe dovuto
riconoscere il colpevole
fin da subito, « Mi è sembrata una cosa molto
curiosa e che lei trova
particolarmente significativa del tuo carattere. »
« È una
grandissima sciocchezza. »
« E per questo
non ti piace farlo. »
Non era una
domanda, ma piuttosto una constatazione rallegrata, e la mora si
strinse solo
nelle spalle: « Non vedo perché sia
così importante. E credo che alcuni
preferiscano mangiare un dolce che non è appena passato
sotto la faccia di
qualcuno. »
« Eppure mi
avevate spiegato che questa famosa torta è il momento
più importante di tutta
la festa, » la prese in giro leggermente, allungando
distratto due dita per
scostarle una ciocca corvina dal volto.
« Forse se hai
dieci anni. O sei Purin, » aggiunse, in tono di amabile
rimprovero, « La festa
in sé è importante. O meglio, le persone con cui
si festeggia. »
« Tortorella, più
andiamo avanti, più mi diventi una tenerona, » la
canzonò appena, giusto per
vederla arricciare il naso, « Cosa ne sarà della
tua reputazione? »
Minto, però, rise
piano e alzò un sopracciglio mentre si spostava leggermente
dalla cornice
dell’uscio e appoggiava la schiena al muro: « Non
dovrai rivelare nulla. »
Kisshu la seguì
di un altro passo, il viso pieno di sincero divertimento: «
Sei sicura di voler
affidare un tale segreto a qualcuno –
com’è che hai detto quella volta? – avvezzo
ai voltafaccia? »
« Se quel
qualcuno ci tiene a non funzionare da puntaspilli…
»
« Niente, ritiro
tutto, » con un sorriso, l’alieno le si mise
accanto e infilò le mani in tasca,
« Rimani una tortorella crudele e vendicativa. »
« Ma nemmeno nel
giorno del mio compleanno puoi evitare quegli sciocchi nomignoli?
»
« Perché dovrei?
» le domandò con la stessa sincerità di
un bambino, « Tutti gli altri ti
chiamano Minto. »
Lei dovette
sforzarsi di ignorare il frullio all’altezza del petto, e
finì il contenuto del
suo bicchiere: « È il mio nome, dopotutto.
»
« E le alucce e
il didietro piumato dove vogliamo metterli? »
La mora gli
lanciò un’occhiata minacciosa: «
Possibilmente in un cassetto del passato. »
« Oh, andiamo,
non saresti qui a spassartela con il sottoscritto altrimenti.
Né avresti le
ragazze. Il tuo essere una tortorella è una grande
componente di ciò che sei
ora. »
Minto lo studiò
per un paio di istanti, poi rise esasperata: « Non
è nemmeno l’animale giusto!
»
Kisshu continuò a
sghignazzare, svuotando anche lui il bicchiere mentre perdeva lo
sguardo lungo
le altre parti buie della casa, e solo dopo qualche minuto di relativo
silenzio
la ragazza aggiunse:
« Comunque chi te
lo dice che me la stia spassando? »
Gli occhi dorati
brillarono birbanti nel buio, voltandosi all’improvviso verso
di lei: « Ti stai
forse annoiando? »
Lei ridacchiò e
scosse la testa: « Mai detto neanche questo. »
Il ghigno di Kisshu si allargò ancora di più:
« Crudele,
vendicativa, e incontentabile. »
La mora alzò gli occhi al cielo, e fu poi attirata dal
volume della musica che si alzava di qualche tacca da dentro la sala.
« Forse è meglio se torniamo dentro…
» mormorò,
allungandosi un po’ per sporgersi dall’uscio e
controllare cosa stesse
succedendo, « Credo che Purin e Nishikawa-san abbiano preso
possesso dello
stereo. »
« E tu lasciale fare, » replicò il
verde, e quando Minto
si voltò di nuovo, si rese conto che i tre passi che li
separavano si erano
nettamente ridotti, « Non abbiamo forse detto che bisogna
godersi la festa? »
« Sì, ma… »
Il suo sussurro poco convinto si affievolì quando lo vide
sorridere contento e furbo, le sue dita che le sfiorarono di nuovo una
guancia
mentre le portava un boccolo nero dietro l’orecchio:
« Devi smetterla di voler
sempre controllare tutto, » le ripeté malizioso,
così vicino alle sue labbra, «
Tortorella. »
Il cervello di Minto computò che effettivamente Kisshu la
stava baciando – e il modo in cui la
stava baciando – solo una grossa manciata
di secondi dopo, e lei si intimò di incolpare i bicchieri di
champagne ingeriti
e non il fatto che tutto il suo corpo avesse reagito
d’istinto, lasciandosi
premere contro al muro e tendendosi sulle punte per rendere tutto
più semplice.
Aprì gli occhi quando, con beneplacito dei suoi polmoni,
l’alieno si staccò da lei, solo per posarle un
bacio leggero nell’incavo del
collo che però la scosse più di quello
precedente. Spontaneamente, fece un
passo di lato e riacquistò quel minimo di spazio necessario
a calibrare le
mosse successive, possibilmente senza incrociare il sorrisetto
soddisfatto di
lui.
« Non mi guardare così, »
sussurrò, riaggiustandosi i
capelli in maniera automatica, ottenendo solo il risultato di farlo
ghignare
ancora di più, « E non azzardarti a dire che non
stai facendo nulla di che, »
aggiunse in fretta e un po’ minacciosa, controllandosi anche
il vestito.
Kisshu rimase zitto per una volta, limitandosi solo a
fissarla allegro e stringersi nelle spalle come un bambino obbediente.
« È meglio se non… torniamo dentro
insieme, » concluse
infine Minto, e prese un lungo respiro, annuendo poi come se stesse
convincendo
anche se stessa, « Be’… vado, allora.
»
« Tortorella? »
Lei esitò un istante sulla porta, deglutendo per
rimettere il cuore a posto, e lui si riavvicinò, rimanendo
nascosto nel
corridoio ma allungando una mano per sfiorarle il contorno delle labbra
con il
pollice.
« Meglio, » la prese in giro sottovoce, mostrandole
il
dito macchiato dall’ombra del rossetto che lei portava; Minto
arrossì soltanto
e si riavviò dentro la sala.
« Dov’è finita Minto? » Ichigo
tentò di allungare il
collo sopra le teste degli invitati per individuare la testa bruna,
imitata da
Retasu accanto a lei, « Dobbiamo farle il brindisi e la foto!
»
« L’ho vista andare prima per di là,
» commentò distratta
Purin, scorrendo l’MP3 connesso allo stereo per continuare il
suo nuovo ruolo
da deejay della festa, « Ma era con te, nee-chan. »
« Credo sia andata in bagno, » Zakuro rispose
laconica,
ignorando con maestria lo sguardo di traverso che le fu rivolto da
Ryou, che
pur controvoglia non aveva certo mancato la concomitante scomparsa di
una certa
testa di broccolo, « Eccola, sta tornando. »
Ichigo si voltò verso la direzione indicata dalla
modella, iniziando ad agitare la mano verso la mora che
spuntò da un corridoio,
strofinandosi le mani, e si diresse verso di loro.
« Eccoti, ma dov’eri? È l’ora
del brindisi e dei regali!
»
« Per tutti i kami, Ichigo! » sbottò,
alzando gli occhi
al cielo, « Come sei pesante, tu e i regali! Ero
andata… in bagno, direi che ne
ho ancora il diritto. »
Si schiarì la gola, sperando solo che tutto
l’autocontrollo che aveva richiamato a sé la
stesse aiutando a mantenere un
colorito accettabile, e poi sorrise verso l’amica:
« Vogliamo fare questo
brindisi? »
Ichigo annuì con energia e cominciò a spingerli
verso il
lato opposto della stanza, di nuovo dal lungo tavolo a buffet che
alcuni
camerieri stavano di nuovo riempendo di bicchieri: «
Nishikawa-san è già andata
a chiamare qualcuno per la foto, ma dobbiamo fare prima quella con solo
noi e –
aspetta, ma non manca anche Kisshu? »
« Si sarà appartato con un’invitata.
»
« Purin! » Retasu la riprese con un sussulto,
ottenendo
solo il risultato di far aumentare lo sghignazzare della biondina.
« Io punto su una delle ballerine. »
« Allora, ci muoviamo?! »
Allo strepito di Minto, Ryou guardò Zakuro con molta
più
insistenza, e gli occhi indaco lo redarguirono con così
tanta potenza che lui
congelò all’istante qualsiasi espressione
facciale, appuntandosi mentalmente
che non avrebbe mai dovuto dimenticarsi quanto fosse infallibile il
sesto senso
della ragazza.
Non appena arrivò al tavolo, la mora afferrò un
bicchiere
d’acqua e lo trangugiò quasi in un unico sorso,
esalando un lungo respiro al
sentire la freschezza ristorarla un pochino.
« Stai bene? » Ichigo la guardò con
affetto e una punta
di preoccupazione, sfiorandole un braccio.
« Sì, ho solo caldo, mi state tutti addosso,
» replicò
lei, ruotando le spalle all’indietro come per scrollare
qualcosa.
La rossa annuì e imitò il suo gesto, facendosi
aria con
la mano: « Forse il salotto piccolo non è stata
una grande idea, io sto
sudando. »
« Elegante. »
« Ehi, solo tu e Zakuro-san avete iper controllo sulle vostre
funzioni fisiologiche! » Ichigo le diede
un’amichevole colpetto con la spalla,
e poi cercò il suo viso un’altra volta,
« Sicura che ti stia divertendo?
Sembri… non lo so, distratta. »
« Mh-mh, » Minto negò col capo mentre
beveva ancora,
sollevandosi con la mano libera i capelli dalla nuca, « Sto
solo pensando alla
logica dei prossimi momenti. »
« Per carità, Minto, è una festa,
lascia che vada!
»
« È quello che le dico anche io, micetta,
» Kisshu spuntò
all’improvviso alle spalle della mora
(vanificando tutti i suoi sforzi per cancellare la
sensazione del corpo
di lui contro al suo, non che l’avrebbe mai ammesso o reso
noto in quel
momento), e si allungò tra di loro per afferrare un
bicchiere, « Volevate fare
questo importantissimo brindisi senza di me? »
« Sei tu che sei sparito, nii-san, »
cinguettò allegra
Purin, affiancandosi a lui per ricevere un po’ di analcolico
dai camerieri, «
Chissà cosa stavi combinando. »
« Stai facendo comunella con mio fratello per avere tutta
questa sfiducia nei miei confronti, nanerottola? Sono integerrimo.
»
« Con quella faccia? Ceeerto! »
« Micetta, tortorella, difendetemi! »
Ichigo ridacchiò solo, distratta da Minto che
borbottò
solo qualcosa sottovoce mentre lasciava cadere la mano e assumeva
quella posa rigida
che preannunciava che di lì a poco avrebbe perso tutto
l’autocontrollo che
stava richiamando a sé in quel momento. Posa che in effetti
assumeva spesso,
quando c’era Kisshu nei paraggi.
Si azzardò solamente a guardarla in maniera curiosa,
piegando appena un sopracciglio, ma la festeggiata si voltò
a naso in su per
chiedere un bicchiere di champagne, ignorandola in una maniera fin
troppo
evidente; la rossa ghignò sotto i baffi e si
limitò ad agitare la mano in
direzione di Retasu e Ryou.
« Siamo pronti! »
Si allinearono tutti vicini, forse un po’ troppo stretti
vista la quantità di gente in quella stanza, e Ichigo
tirò a sé il biondo
giusto per rimarcare il messaggio a tutte le ragazze che aveva
benissimo notato
guardarlo fin troppo convinte, sistemandosi tra lui e Minto.
Con la coda dell’occhio, scorse la mora mugugnare ancora
qualcosa che non capì a Kisshu, al suo fianco, che per tutta
risposta le
rivolse un sorriso scanzonato e con due dita le liberò di
nuovo il collo dai
capelli, spostandoglieli su una spalla.
« Okay, fate un bel sorriso e dite tanti auguri
Aizawa-san! »
Guardò di nuovo l’amica, che si impose invece di
mantenere gli occhi fissi sul fotografo con il sorriso studiato negli
anni, e
represse un sorrisetto, prima di vedere solo il flash.
Mugolò scontenta quando la luce del Sole le
arrivò dritta
nelle palpebre ancora chiuse; passavano gli anni, ma certo i metodi di
sveglia
di Minto rimanevano sempre troppo bruschi per i suoi gusti.
Con la mente ancora ovattata dal sonno, udì parzialmente
l’amica ringraziare sottovoce una cameriera che aveva portato
la colazione e il
tintinnio del servizio sul carrellino. Non nascose nemmeno lo sbuffo
che le
sorse naturalmente dal petto mentre, sentendosi accaldata e ancora
stanca,
lottò contro la gravità che incombeva sulle sue
palpebre.
« Su, pigrona. Sono arrivati i rinforzi. »
« Buongiorno anche a te, » borbottò
Ichigo, la faccia
ancora premuta nel soffice cuscino che tanto avrebbe voluto traslocare
nel suo
letto, « Potevi essere un po’ più
gentile a svegliarmi. »
« Stai letteralmente per fare colazione a letto, non so
cosa tu voglia di più. »
La rossa le rivolse una smorfia divertita e si rotolò
ancora qualche istante, prima di mettersi seduta e stiracchiarsi con
tutta
calma.
« Tè o caffè? »
« Mmm… tè, grazie, » Ichigo
osservò con gli occhi a cuori
l’elegante servizio di porcellana e i vari piattini che
avevano portato, « Ah,
anche io vorrei svegliarmi così tutte le mattine! »
Minto la guardò quasi offesa mentre le riempiva una tazza
e gliela passava: « Non è così tutte le
mattine, io di solito mi vesto e vado
in sala da pranzo, » commentò con una punta di
acidità.
La rossa non rispose alla provocazione, limitandosi solo
ad osservare di soppiatto l’amica, che sicuramente si era
pettinata prima di
svegliarla, perché non credeva che potesse apparire
così composta naturalmente
anche da appena alzata.
« Allora hai intenzione di raccontarmi cosa succede?
»
Le lanciò un’occhiata divertita mentre stringeva
la tazza
di tè fumante tra le mani, soffiandoci appena sopra. Minto
si tese come una
corda di violino, versandosi la propria con fare scocciato:
« Non sta succedendo proprio nulla. »
« Come no! Ieri sera eravate così in
confidenza. »
La mora la trucidò con lo sguardo, con il solo effetto di
far divertire l’amica ancora di più: «
Avrai sicuramente bevuto troppo e
immaginato cose. »
« Per tua informazione, non ho bevuto nulla! »
replicò
veloce l’altra, « Avevo la pancia un po’
sottosopra, quindi ero assolutamente
lucida! »
« Per forza, con tutti i dolci di cui ti strafoghi al
Caffè, il tuo povero fegato… »
« Non cambiare discorso! » Ichigo poggiò
la tazza sul
comodino e si sedette sui talloni per ispezionare meglio il carrellino
portavivande ricolmo, « Quando fai così vuol dire
che c’è qualcosa che non vuoi
ammettere. »
« Non c’è proprio niente da dire,
» Minto si concentrò su
un pezzo di pera, « Sappiamo fin troppo bene di Kisshu.
»
« Ah, quindi parliamo di lui! »
« Sei proprio una stupida. »
La rossa rise e la guardò da sotto la frangetta mentre si
stendeva sul letto: « Secondo me vi piacete fin troppo.
»
« Secondo me devi farti i fatti tuoi. »
« Guarda che più dici così,
più mi dai ragione. »
Minto le lanciò un’altra occhiata di fuoco,
scuotendo
solo la testa con fare esasperato, poi la sua espressione si fece
più
preoccupata: « Perché fai quella faccia?
»
Ichigo, ancora stesa nel letto, premette il volto contro
al copriletto: « Mi fa di nuovo male lo stomaco, »
bofonchiò, « Forse devo
davvero smetterla coi dolci. »
« Momimiya, se mi hai portato dei germi è la volta
buona
che ti bandisco. »
« Non ti ho portato dei germi! » ribatté
la rossa con
fare decisamente offeso, « Ho solo… umphhhh.
»
Con uno scatto degno dei suoi dormienti geni felini,
Ichigo scattò su da letto e corse veloce verso il bagno
riservato dell’amica,
buttandosi praticamente con la testa dentro al water.
Minto la seguì con lentezza e preoccupazione,
affacciandosi al bagno titubante: « Ichigo? »
« Sto bene, » la rossa ondeggiò una mano
come a dirle di
non preoccuparsi prima di tirare lo sciacquone, « Tutto okay,
solo… ugh, ma
che abbiamo mangiato ieri? »
La mora continuò a osservarla un po’ indecisa:
« Lo
stesso che ho mangiato io, e non mi ha dato fastidio. »
« Te l’ho detto, è da qualche giorno che
non sto molto
bene, » Ichigo prese un respiro profondo e si sedette
più comoda a terra,
poggiando la schiena al muro, « Anche alla mattina, sono
sempre stanca e faccio
fatica ad alzarmi. »
« Non è molto diverso da solito. »
« Ah, ah, ah, » l’amica le
lanciò un’occhiataccia e poi
esalò ancora lentamente, strofinandosi lo stomaco,
« Faccio più fatica.
E non è divertente. »
« Potrebbe essere un male stagionale, » Minto si
sedette
sulla vasca da bagno, a un’elegante debita distanza,
« Oppure sei così
innamorata da dimenticarti di mangiare bene, anche se la vedo
difficile. »
« Avresti dovuto finire quello che hai iniziato ieri
sera, forse saresti meno acida, » Ichigo la
fulminò ancora con lo sguardo,
reclinando la testa e chiudendo gli occhi, « Ugh, di
nuovo… »
« Okay, » la mora si alzò di scatto e si
avviò verso l’alto
mobiletto bianco pieno di toiletteria e candidi asciugamani ben
piegati, così da
poter dare le spalle alla rossa, « Vedo se qui ho qualcosa
per farti stare
meglio, okay? Altrimenti chiedo a Oba-san. »
« Mmmhm, » Ichigo non si mosse, ma aprì
solo un occhio, «
Anche qualcosa per il mal di testa sarebbe grandioso. »
Senza nemmeno girarsi, Minto afferrò una scatoletta e
gliela passò di scatto: « Anni di danza ti
temprano ad avere l’antidolorifico a
portata. »
La rossa rise, sedendosi un po’ più dritta per
cercare di
sbirciare il contenuto del mobiletto: « Cos’hai,
un’intera farmacia lì den - »
Un pacchettino nel ripiano più alto attirò la sua
attenzione come una calamita, e Ichigo sentì il sangue
gelarsi nelle vene
mentre lo stomaco si ribaltava come a sottolineare la cosa. Al silenzio
improvviso, la padrona di casa guardò da sopra la spalla per
accertarsi che
andasse tutto bene, e si accigliò nel trovarla a bocca
aperta e più pallida di
prima.
« Ichigo, tutto okay? »
La rossa prima annuì lentamente, poi iniziò a
scuotere la
testa in un no poco deciso: «
Che… giorno è oggi? »
« Cosa stai dicendo, oggi è - » un lampo
di comprensione
saettò sul viso della mora, che si voltò del
tutto e lasciò cadere le braccia
lungo al corpo, « Oh, no. »
Un denso silenzio cadde sulle due finché, minimo tre
minuti dopo, Ichigo sventolò le mani nella direzione di
Minto per chiederle di
aiutarla a tirarsi in piedi:
« Mi devi accompagnare, ti prego, non so nemmeno se mi
reggono le gambe. »
« Non reggono a me, figuriamoci… »
borbottò lei, mentre
la tirava quasi di peso, « Forza, vado a chiamare
l’autista. »
Ryou probabilmente compì un vasto catalogo di infrazioni
del codice della strada mentre, in sella alla moto, guidava verso casa
di
Ichigo con il cuore in gola. Mezz’ora prima, mentre era nel
bel mezzo di una
riunione, aveva ricevuto un messaggio da parte di Minto che
praticamente lo
intimava di presentarsi a casa della rossa al più presto
possibile, cosa che
gli aveva scatenato parecchia ansia.
In primis, perché non capiva il motivo del mittente,
secondo, non riusciva a capacitarsi dell’urgenza del
messaggio. Cosa poteva
essere successo nelle quattordici ore tra quando aveva lasciato Ichigo
da Minto
e ora?
Una parte di lui – quella più egoista –
pensava che non
potesse essere niente di legato alla loro relazione, visto che Minto
non ci
avrebbe avuto niente a che fare. Dall’altra parte, conosceva
quelle due
abbastanza per sapere che insieme potessero combinarne parecchie, e non
era
rassicurante sapere quanto fossero ficcanaso l’una negli
affari dell’altra.
Quasi piegandosi sul cemento, sorpassò l’ultima
curva e
inchiodò sotto il palazzo della ragazza, lanciandosi sul
citofono e, di nuovo,
con il cuore a battergli contro la gola nel sentire che fu Minto a
rispondere
ed aprire.
Fece le scale a due a due, e ringraziò soltanto che la
porta d’ingresso fosse già aperta per non fargli
aspettare ulteriormente.
Anche se avrebbe preferito essere accolto in maniera
diversa.
« I-Ichigo? »
Lei, seduta sul divano accanto a Minto con le lacrime che
le striavano il viso, lo guardò come un cagnolino
abbandonato, un singulto che
le scosse le spalle mentre si alzava indecisa e lenta, gli occhi bassi.
« Ecco, io… »
« Ichigo, mi sta venendo un infarto, »
borbottò lui,
poggiando il casco in terra e facendo qualche passo nella stanza come
se fosse
un campo minato, « Cos’è successo? Ti
sei fatta male? »
« M-mi
dispiace… »
Ichigo fu nuovamente scossa da singhiozzi mentre
abbassava la testa, e Ryou, sentendosi morire dentro, le si
avvicinò titubante,
cercando di prenderle il viso tra le mani.
« Che sta succedendo? » tentò di
domandarle ancora, ma
lei scosse solo la testa, poggiando la fronte contro al suo petto.
Lui la strinse, e lanciò uno sguardo d’aiuto a
Minto, che
si alzò dal divano con un sospiro per porgergli qualcosa.
Ryou sentì la terra scomparire da sotto i piedi.
« Holy shit… »
« Esplicativo. »
L’americano,
questa volta, lanciò un’occhiataccia a Minto, poi
scostò Ichigo da sé quel che
bastava per riuscire a sollevarle il viso e guardarla negli occhi.
« Ichigo, ti prego, calmati. Ne… parliamo,
d’accordo? »
Lei prese un respiro profondo, lo sguardo sempre basso, i
pugni che si strinsero attorno alla sua maglietta: « I-io
n-non so come… siamo
sempre stati attenti, e… io sono… »
Riprendendola tra le braccia, un lampo di lucidità
passò
per il geniale cervello del biondo, che di nuovo imprecò
sottovoce: « Potremmo
non aver… considerato una cosa. »
Due paia di occhi scuri lo guardarono interrogativi, uno
decisamente più umido dell’altro, e lui prese un
sospiro, aggiustando la
frangetta della rossa mentre cercava parole che avrebbero spiegato
l’idea senza
ledere la già precaria condizione di lei.
« Ichigo, tu… non hai mai avuto molto controllo
suoi tuoi
ormoni, diciamo… » abbozzò, sentendola
irrigidirsi e quindi stringendo la
presa, « E io e te siamo… molto compatibili.
Almeno, geneticamente parlando.
Quindi è probabile che le cose siano state…
facilitate. »
« Oh, kami-sama. »
Ryou guardò di nuovo storto Minto, che si era presa la
testa tra le mani, scuotendola sconfortata. Ci volle qualche istante in
più
perché Ichigo invece, sbattendo le palpebre, riuscisse a
comprendere, e quindi
scattò all’indietro, schiaffeggiandogli un
braccio: « Shirogane! Tu e i tuoi
esperimenti dei miei stivali! »
« Hey, it takes two to tango! »
« Vedila così, » la mora si
alzò con un sospiro,
raccogliendo le sue cose, mentre Ichigo continuava a scrutare torva
Shirogane,
« Se la situazione fosse leggermente diversa,
troveresti tutto
mielosamente romantico. »
Si avvicinò all’amica, che era arrossita di colpo,
e la
strinse in un abbraccio.
« Vi lascio a discutere, ma chiamami se hai bisogno.
Okay? »
Ichigo annuì e pigolando sottovoce la ringraziò
del
supporto quel pomeriggio, Minto che si limitò ad abbozzare
un sorriso e
salutare con un cenno delle dita, prima di chiudersi la porta alle
spalle.
La rossa prese un respiro tremolante, incassando la testa
tra le spalle e continuando a fissarsi i piedi.
« Cosa facciamo ora? » esalò in un
singulto.
« Per prima cosa, ti calmi, » Ryou le
sollevò di nuovo il
viso e le passò i pollici sulle guance per asciugarle dalle
lacrime, «
D’accordo? Poi ci… ragioniamo. »
Ichigo tirò su con il naso e annuì appena,
affondando la
fronte contro al petto di lui e cingendogli piano la vita: «
Noi avevamo
appena… »
Il biondo la strinse, poggiando il mento sulla sommità
della sua testa: « It’s alright,
» le mormorò, « L’importante
è che tu
stia bene. »
Lei rimase zitta e ferma, a respirare il suo profumo con
boccate spezzate, e Ryou avvertì solo le dita sottili
stringersi di più attorno
alla camicia.
Il mattino dopo, Ichigo si svegliò ancora più
intontita,
se possibile, e senza sapere esattamente quante ore avesse dormito;
probabilmente avrebbe anche tirato dritto, se non fosse stato per la
mano che
le stava accarezzando la testa in quel momento.
Si stiracchiò lenta, sentendo la pelle delle guance
continuare a tirare, e sbattendo le palpebre per mettere a fuoco la
tazza di tè
che fumava sopra al suo comodino.
« Tutto okay? » le domandò Ryou, la mano
libera ben
stretta attorno alla propria tazza di caffè nero.
La rossa annuì e si stropicciò gli occhi,
puntellandosi
sulle mani per tirarsi su a metà: « Che ore sono?
»
« Quasi le undici. Ben oltre la mia media, »
scherzò lui,
continuando a giocherellare con i suoi capelli.
Ichigo sbadigliò e prese un sorso di tè,
rabbrividendo
piano al calore che vi si sprigionò, mentre tutti i pezzetti
della serata
precedente si ricomponevano nella sua mente.
Il biondo le accarezzò una guancia e si sedette
più
vicino a lei nel letto, lasciandole un bacio sulla fronte.
« Allora siamo d’accordo? »
Lei lo guardò da sotto in su, passando distratta un dito
lungo il bordo della tazza: « Sei sicuro? »
Lui salì del tutto sul letto per posare la fronte contro
la sua, fermando il palmo contro al suo viso: « Ichigo, io ti
amo. E qualsiasi
cosa sarà, io ci sarò. Got it, ginger? »
Dovette trattenersi dal sorridere quando la vide assumere
circa dieci sfumature di rosso diverse mentre processava le sue parole,
prima
di esalare un mugolio indefinito e abbracciarlo per nascondere la
faccia rovente
contro il suo petto. Ryou ricambiò la stretta, baciandole la
testa con una
risata mentre lei strusciava la guancia contro di lui come una vera e
propria
gatta.
Per il momento, sarebbe andata bene anche così.
« Mio padre ti ucciderà, »
mormorò lei dopo un po’.
Shirogane si limitò a fare una smorfia: « Ho come
il
sospetto che Kei sarà in prima fila. »
« E forse Zakuro-san. »
« Ammetto che sono fortunato a non aver ricevuto un pugno
subito da Minto. »
Ichigo rise e gli si appiccicò appena di più, e
lui giurò
di poterla sentire fare le fusa.
§§§
L’annuncio ufficiale al resto della truppa fu dato
soltanto un paio di settimane più tardi, dopo qualche altra
conversazione
profonda tra Ryou e Ichigo, una serie di visite da parte della rossa,
la coincidenza
di tutti i turni pomeridiani, e un tattico approccio preventivo al
povero
Keiichiro (che, anche se non l’avrebbe mai ammesso e dopo una
solida ramanzina
riservata solamente al suo protetto “ a cui aveva
spiegato certe cose”,
era stato estasiato all’idea).
A locale vuoto e chiuso, ovviamente, il grido eccitato da
parte di Purin rimbombò ancora più forte, mentre
si lanciava sui due con la
spinta di un razzo.
« Purin, piano! »
« Retasu, respira, » ridacchiò Minto,
osservando come la
verde si era portata le mani davanti alla bocca, con gli occhi lucidi e
le
guance arrossate, « Sai quanto sarà ancora
più insopportabile Ichigo da ora in
poi? »
« Sempre gentile, » mugugnò la rossa,
cercando di
staccarsi la biondina dal collo.
« Ma come avete fattoooo- oh-oh-oh!
»
« Purin! »
La verde si asciugò una lacrima e afferrò una
mano di
Ichigo: « Ma… come farete ora? »
« Lasceremo i nostri appartamenti e ci trasferiremo nella
vecchia villa dei miei genitori, » spiegò il
biondo, « L’ho fatta
ristrutturare, ma era troppo grande per me soltanto. Finora. »
« Ah, una villa, ti tratti bene, Momomiya. »
« Uuuh, una convivenza! »
« Mi sembra la cosa minore, » sogghignò
Zakuro,
scambiandosi un’occhiata d’intesa con
l’americano.
« Io continuerò ad andare
all’università, finché il
piccoletto non diventerà troppo ingombrante, »
continuò Ichigo, ignorando i
commenti di entrambi mentre si sfiorava la pancia, « E voglio
anche continuare
a lavorare al Caffè, finché possibile.
Già sentivo le battutine delle altre,
non voglio che si pensi che mi sono fatta mettere incinta dal capo per
avere
favoritismi e prendermela comoda. »
Ryou rise contro la chioma rubino, passando un braccio
intorno alle spalle della ragazza e stringendola: « Ma tu ti
sei fatta mettere
incinta dal capo. »
Come previsto, lei tentò di divincolarsi nelle risate
generali, finché Keiichiro non fece un passo avanti e
parlò con la sua costante
gentilezza: « Non preoccuparti, Ichigo-chan, sistemeremo
tutto e saremo tutti
qui ad aiutarvi. L’importante è che tu ora ti
riposi e ti rilassi. »
« E figuriamoci, quando mai ha fatto il contrario. »
« Minto, io adesso…! »
La mora rise della faccia indispettita della rossa e
seguì Keiichiro in cucina, per aiutarlo a recuperare qualche
bicchiere per fare
un brindisi con del succo di frutto fatto in casa.
« Cos’è tutto questo starnazzare?
» Kisshu varcò la
soglia della seconda porticina da saloon della cucina, indicandosi alle
spalle
con il pollice, « Vi si sente dal laboratorio, la vena sulla
fronte di Pai è
parecchio ingombrante. »
« Oh, Ikisatashi-san, ecco… » il
pasticcere esitò un
istante, senza mai che il suo sorriso scemasse mentre lanciava
un’occhiata di
sbieco a Minto, che continuò imperterrita ad allineare
bicchieri sul vassoio, «
Ichigo-chan e Ryou ci hanno appena comunicato che avranno un bambino.
»
Il suono di Kisshu che tratteneva appena il respiro
rimbombò per un istante tra le pareti della cucina, poi
l’alienò scoppiò in una
risata sguaiata: « Ah! Davvero geniale il biondino, ci ha
dato dentro parecchio
per acchiappare definitivamente la micetta! »
« Kisshu, fai veramente schifo. »
« Si chiama scherzare, gufetto, non
l’hai ancora
capito? » si avvicinò all’isola e, come
suo solito, afferrò uno dei dolcetti
rimasti della giornata, « Contenti loro, se vogliono iniziare
a giocare alla
casa così presto posso solo che supportare. Da lontano, non
amo i marmocchi. »
Keiichiro e la mora si scambiarono solo un’occhiata
rassegnata, poi l’uomo prese uno degli eleganti carrellini in
metallo e vi
ripose le caraffe di succo e i bicchieri, avviandosi verso la sala
principale.
« Pensi tu ai pasticcini, Minto-chan? »
Lei annuì e sfilò veloce uno dei vassoi dalla
presa di
Kisshu, portandolo su uno dei banconi così che fosse insieme
agli altri dolci
rimasti e dandogli la schiena mentre lui si lamentava sottovoce.
« Gufetto? » gli mormorò sarcastica dopo
qualche istante
di silenzio.
Lo sentì stiracchiarsi e ridere sommesso: « La
faccia che
fai quando sei contrariata è molto ispirante. »
« Credo che tu ne sappia qualcosa, allora. »
Kisshu sbuffò divertito e le si avvicinò a passi
lenti,
poggiando un fianco al bancone con le braccia incrociate; Minto, suo
malgrado,
non poté evitare di avvertire un fastidioso formicolio alla
bocca dello
stomaco, e lo guardò di sottecchi: « Tutto okay?
»
« A parte l’incredibile ansia di sapere che il
gatto
pulcioso diventerà padre alla mia età? Una
favola, » Kisshu ridacchiò amaro e
scosse la testa, « Anche se era una cosa molto comune sul mio
pianeta, fino al
ritorno della Mew Aqua, devo dire di essere molto contento di aver
sempre
schivato il proiettile. »
Lei non riuscì a evitare di lanciargli
un’occhiataccia
all’allusione: « Depravato. »
« Non ho detto niente! » rise lui, alzando le mani,
«
Solo perché non ho fatto mistero di amare un po’
le distrazioni. »
La mora sbuffò mentre finiva di comporre elegantemente
vari pasticcini e biscotti su due larghi vassoi: « Immagino
tu stia soffrendo
parecchio a non trovarne qui sulla Terra. »
Lui si allungò come un gatto sul bancone, poggiandovi i
gomiti sopra e riposando il mento sui palmi così da
guardarla da sotto in su
con un sorrisetto: « Non trovo niente, dici? »
Minto lo trucidò con lo sguardo mentre sentiva le guance
scaldarsi: « Smettila. »
« Non sto facendo nulla! »
« Sai benissimo cosa stai facendo, »
sibilò lei, « E devi
smetterla. »
« Tortorella, se lo pensi davvero, » la voce di
Kisshu si
abbassò di mezzo tono mentre lui si avvicinava un
po’ di più e allungava una
mano per sfiorarle il polso con la punta delle dita, « Queste
cose dovresti
dirmele mentre mi baci, non dopo. »
Lo stomaco di Minto ebbe un sussulto tale da propagarsi
lungo la spina dorsale e farle sbattere uno dei vassoi contro al
bancone, ma
riuscì comunque a rivolgergli uno sguardo omicida nonostante
le guance in
fiamme: « Sei… assolutamente…
impossibile! »
Lui sorrise con così poco decoro, le iridi dorate colme
di malizia, che le mani della mora tremarono mentre si sforzava per non
afferrare uno dei vassoi liberi e spalmarglielo in faccia, e al tempo
stesso reprimeva
il brivido che era arrivato a solleticarle la nuca.
« Minto-chan! Dai, ho fame! »
Kisshu continuò a ghignare imperterrito mentre Minto
emetteva uno strano verso di totale esasperazione e usciva dalla cucina
con i
benedetti pasticcini mugugnando sottovoce qualcosa a proposito di
plurimi
omicidi.
Il terrore di essere vittima di un crimine efferato passò
anche nella mente di Ryou, che avrebbe voluto che il grande annuncio ai
signori
Momomiya fosse lineare quanto quello dato agli altri.
« Mi viene da vomitare, » bofonchiò
Ichigo, seduta
accanto a lui sul treno.
Lui lanciò solo un’occhiata alle nocche bianche
che
stringevano compulsivamente il pacchettino di bignè
preparati per l’occasione
da Keiichiro (che sicuramente aveva aggiunto alla crema del liquore in
un
tentativo di blandire gli animi), e intrecciò le dita alle
sue giusto per non
presentare ai suoceri un purè di dolci.
« Guarda che devi essere pronta a difendermi, » le
scherzò all’orecchio, ma la rossa non parve
divertita.
« Tu lo sai di quando sfidò Masaya-kun a kendo,
vero? »
al ricordo, sentì un brivido correrle su per la schiena,
« Non è stato
entusiasmante. »
Sakura li accolse con la sua solare cortesia,
trascinandoli dentro casa in un turbinio di chiacchiere e abbracci,
Ryou che fu
praticamente trasportato in sala da pranzo. Shintaro, ovviamente,
già seduto a
capotavola, fu ben meno espansivo, limitandosi a esclamare a gran voce
quanto
fosse contento di rivedere la sua dolce bambina e scoccando solo
un’occhiata astiosa
nei confronti del biondo, come faceva fin dalla prima volta che gli era
stato
presentato ufficialmente come fidanzato.
« Ho fatto il tuoi preferito, caro, »
esclamò invece
Sakura all’americano, mettendo in mezzo al tavolo una pentola
di brodo fumante
per lo shabu-shabu(***)
(per cui lui non era
esattamente certo di aver espresso una preferenza, ma si guardava
sempre bene
dal contraddire la dolce signora, più che mai in
un’occasione come quella).
Seduto accanto a Ichigo, poteva avvertire benissimo il
ginocchio della rossa tremare e sobbalzare dal nervosismo, e avrebbe
tanto
voluto poterle prendere la mano da sotto al tavolo o accarezzarla per
trasmetterle un minimo di tranquillità – la
pochissima che anche lui percepiva
– ma era ben conscio dell’odio del signor Momomiya
per qualsiasi tipo di
effusione fuori luogo, quindi si limitò a cercare di
incrociare il suo sguardo
tra le varie chiacchiere del pranzo.
« Facciamo noi, mamma, » la rossa quasi
scattò su come
una molla non appena le abbondanti porzioni preparate da Sakura furono
terminate in un sospiro di generale soddisfazione, e raccolse
velocemente le
ciotoline e il pentolone lanciando un’occhiata estremamente
allusiva al biondo.
Lui la seguì celere fino in cucina, leggermente preoccupato
dal pallore del suo
viso.
« Non ce la posso fare, » bisbigliò
infatti lei, aprendo
il rubinetto per nascondere le parole sotto il rumore
dell’acqua che rimbalzava
sulle stoviglie, « Non ce la faccio, credo che mi stia per
venire un infarto. »
« Ehi, tranquilla, » Ryou le prese le mani tremanti
e
gliele strinse, « Ci sono anche io. Ho estremamente paura
della vena sempre più
grossa sulla fronte di tuo padre, ma… dobbiamo dirglielo.
Giusto? »
Lei rise appena della battuta e prese un respiro
tremolante, deglutendo un paio di volte mentre si sfiorava
sovrappensiero il
ventre: « Non posso farti da scudo. »
« Non fa niente, » lui rise e le lasciò
un veloce bacetto
sulla sommità della testa, prima di prendere il vassoio
ancora incartato di
pasticcini.
« Con i saluti di Akasaka-san, » lo
presentò poi tornando
in cucina e porgendolo a Sakura con l’abbozzo di un inchino.
La donna sorrise contenta, non esitando a sciogliere il
fiocco sopra, la stessa espressione della figlia al trovarsi davanti
dei
dolcetti.
« Oh, ma che meraviglia! Ma non dovevate, sono
così
tanti! Caro, guarda come sono belli! »
« In realtà, » Ryou si
schiarì appena la voce e lanciò
un’occhiata a Ichigo, quasi semi-nascosta dietro di lui,
« Sono per…
festeggiare. »
« Oh? » Sakura commentò incuriosita, ma
con lo sguardo
concentrato ancora su quale gusto delle creme assaggiare per prima,
« E quale
sarebbe l’occasione? »
« Mamma… papà…
ehm… » la rossa afferrò saldamente la
mano
dell’americano e prese l’ennesimo respiro, sicura
che avrebbe vomitato d’ansia
entro trenta secondi, « Ecco, noi… aspettiamo un
bambino. »
Il rumore dei respiri che si bloccarono risuonò
chiaramente nel salotto, mentre Sakura rimaneva a bocca aperta con
ancora un
bonbon allo zabaione stretto tra le dita e pronto ad essere azzannato,
e
Shintaro strabuzzava gli occhi così tanto che sembrarono sul
punto di uscirgli
dalle orbite.
« Co… come? » domandò la
donna, voltandosi lenta verso i
due ragazzi, « Un… bambino? »
Ichigo piantò le unghie nel palmo del suo ragazzo,
facendolo sussultare appena: « Non è
stato… apposta, » pigolò sottovoce,
facendo un passo indietro.
« Ma siamo pronti a prenderci le nostre
responsabilità, »
aggiunse veloce e sicuro Ryou, ricambiando la stretta e guardando i
due, «
Soprattutto, signori Momomiya, voglio che siate certi che sono pronto a
prendermi cura di Ichigo in qualsiasi maniera lei vorrà.
»
Sakura si alzò e si risiedette come un automa, la bocca
ancora chiusa in un oh di sorpresa e lo sguardo
incredulo che passava da
uno all’altra.
« Voi siete… felici? »
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, e Ichigo si
avviluppò al braccio del biondo prima di arrossire e annuire
con vigore.
« … un nipotino! »
Fu solo a quelle parole che Shintaro sembrò risvegliarsi,
il volto che acquistò tonalità di viola mentre
iniziava a farfugliare e
borbottare come una caffettiera: « Tu…
voi… tu… cosa?! »
Ichigo sobbalzò al sentirlo sbattere i palmi sul tavolo e
far tintinnare le stoviglie rimaste, e Ryou aveva già fatto
un passo avanti e
aperto la bocca per ribattere, quando Sakura si alzò e gli
si rivolse con molta
calma, ponendosi appena davanti a loro.
« Shintaro, caro. I ragazzi ci hanno appena detto una
cosa bellissima, » lo apostrofò con la voce
più ferma che sua figlia le avesse
mai sentito fare, guardando il marito con sguardo acceso, « E
noi dobbiamo
essere fieri che abbiano deciso di affrontare responsabilmente una cosa
così
importante. »
Lo osservò per un altro paio di secondi, prima di
voltarsi di nuovo estasiata verso Ichigo, prendendole le mani:
« Oh, tesoro
mio! Sapessi quanto sono felice! Un nipotino! Abbiamo così
tante cose di cui
discutere! Sapete già la data prevista? »
Li avvolse entrambi in un abbraccio mentre la figlia arrossiva
ancora e balbettava per cercare di rispondere alla sequela ininterrotta
di
domande. Dal canto suo, Ryou sentì il palloncino di
preoccupazione nel petto
sgonfiarsi leggermente, sapeva quanto fosse importante per Ichigo il
supporto
di sua madre in un momento simile, anche per dissipare qualsiasi ultimo
dubbio
si fosse annidato nella sua testolina insicura. E sapeva anche quanto
fosse
importante avere Sakura come ultra-scudo dalle ire del marito.
Shintaro, infatti, osservò l’intera scena senza
emettere
fiato, le braccia incrociate e lo sguardo duro davanti a sé,
immobile come una
statua. Solo dopo almeno cinque minuti, sospirò stancamente
e si alzò, ma
invece che unirsi al gruppetto chiacchierante si diresse senza un suono
verso
il piano di sopra. L’americano allora si staccò
con gentilezza da Ichigo e lo
seguì d’istinto:
« Momomiya-san. »
Shintaro si fermò a metà delle scale, scrutando
il
giovane con aria torva e attendendo in silenzio.
« La prego di non dubitare delle mie intenzioni e dei
miei sentimenti verso sua figlia. »
« Gli hai detto veramente così? E lui? »
« Niente, è andato al piano di sopra e
c’è rimasto per un
po’, poi quando è tornato è rimasto
seduto sul divano senza dire una parola. Non
sono stato aggredito a colpi di shinai (****),
quindi direi
che è un buon segno. Ichigo ha parlato con sua mamma
più tardi, credo che
Sakura stia facendo un grosso lavoro psicologico perché si
sono già offerti di
aiutarci a trasferirci. »
« Dovrai portarle dei fiori, »
rise Keiichiro,
dall’altra parte del telefono, e Ryou concordò con
uno sbuffo divertito.
« E un conto aperto al Caffè. Like
mother, like
daughter, » scherzò sottovoce,
lanciando appena un’occhiata sopra la spalla
per captare un segnale da Ichigo, « E la prossima volta porto
pure te, come
cuscinetto per smorzare le tensioni. »
« La prossima volta spero tu imparerai la lezione.
»
Il biondo alzò gli occhi al cielo per il tono di
affettuoso rimprovero, poi sospirò: « Non sento
rumori da un quarto d’ora,
meglio che vada. »
« Non la stressare, e salutala
da parte mia.
»
« Come se fossi io quello che stressa! »
Si salutarono velocemente, poi Ryou infilò il cellulare
in tasca e si diresse verso la camera da letto, dove aveva lasciato
Ichigo a
cambiarsi dopo la giornata in previsione di una doccia. Come
sospettato, però,
la rossa era ancora con i vestiti di quella mattina, stesa nel centro
del letto
quasi a stella a giocherellare con il cellulare e l’aria
assorta.
« Per la casa nuova, un lettone enorme, » la prese
in
giro con dolcezza, mettendosi a gattoni sopra di lei, «
Perché una certa
gattina tende a occupare un sacco di spazio. »
Ichigo rise solo, riponendo il cellulare e strusciando
solo il naso contro al suo.
« Possiamo iniziare i traslochi quando vuoi, » le
mormorò
sottovoce, lasciandole un paio di baci lungo il collo, « Con
calma, ma prima
che diventi pieno inverno. »
Al mugolio poco deciso di lei, Ryou alzò gli occhi per
osservarla, la mano ferma sul suo fianco.
« Ragazzina, sento le rotelle dentro la tua testa da qui.
»
Ichigo storse il naso al soprannome, poi fece un respiro
profondo, torturandosi il bordo della maglietta: « Sei
sicuro, sicuro, sicuro?
» pigolò a mezza voce, evitando il suo
sguardo, « Non dobbiamo fare nulla
solo perché… e non fare altre cose
per… »
Il biondo sospirò e risalì per lasciarle un bacio
sulle
labbra: « Se tu sei sicura, io sono sicuro, ginger.
Voglio solo
prendermi cura di te. Di voi. Già avevi fatto la tana qui da
me, non trovi? »»
« È diverso, » mugolò lei,
appena colta sul vivo, e lui
le prese le mani per posargliele delicatamente accanto al viso con una
risata:
« Da quando sei una gattina che si perde in questi
dettagli? »
« Magari tu volevi fare le cose fatte bene! »
sbottò lei,
un paio di lacrimucce traditrici che le si affacciarono negli occhi.
« Ichigo. Ichigo, » ripeté Ryou
più fermo, prendendole
gentilmente la guancia per costringerla a guardarlo, « Pensi
davvero che le
vorrei meglio di così? »
Senza aspettare che le rispondesse, le arrotolò il
maglione per scoprirle la pancia e lasciarle dei baci lungo
l’addome.
« Abbiamo saltato le tappe, è vero, » le
mormorò, « Ma
vorrei andare a vivere con te a prescindere da che qui dentro ci sia
qualcuno. »
La percepì irrigidirsi appena quando le sganciò
il
bottone dei jeans, e osservandola di sottecchi confermò il
rossore sulle gote.
«… davvero? » insistette lei in ogni
caso, e lui le
lanciò un’occhiata allusiva:
« Ichigo, » ripeté con un sospiro per la
terza volta, e
il tono che usò le fece assumere un altro paio di sfumature
di rosso, « Cosa ti
ho detto? ».
« Scusa, » borbottò, abbozzando a un
sorrisetto, « Sono
gli ormoni. »
Ryou rise e fece il percorso inverso con le labbra,
soffermandosi un istante di più appena sopra al suo
ombelico: « Guarda che hai
una quota su quante volte potrai usare questa scusa. »
Lei scosse la testa con una risata divertita, e scivolò
più giù nel letto, specchiandosi negli occhi
azzurri: « Dimmelo ancora. »
Lui sbuffò appena, la bocca a un millimetro dalla sua e
le mani che già vagavano sulla pelle nuda sotto ai vestiti:
« Ti amo. »
(*) Dall’inglese
cherimoya, ovvero
la Annona cherimola, frutto originario del Sud
America e dal sapore
descritto come un miscuglio tra ananas, mango e fragola:
https://it.wikipedia.org/wiki/Annona_cherimola
(**) In
realtà (zan zan, colpo di
scena! xD), nel 2014 è passata la prima riforma del Codice
civile giapponese in
140 anni per cui, dall’Aprile 2022, la maggiore
età scenderà ufficialmente dai
20 ai 18 anni. Ma, ahimè per i poveri giapponesi, bere,
fumare, e giocare
d’azzardo rimarranno legali e legittimi ancora solo dai 20
anni in su. https://www.japantimes.co.jp/news/2018/06/13/national/crime-legal/japan-enacts-law-lower-adulthood-age-18/#.WyIFrVOFOu4
(***) Lo
shabu-shabu trae origine
dall’hot pot cinese ed è
simile, ma meno dolce, al sukiyaki.
Prevede la cottura in tavola di carne (solitamente fettine sottilissime
di
manzo) in una pentola di acqua calda o un brodo (dashi) fatto
di alga konbu.
Per farvi venire fame: https://it.wikipedia.org/wiki/Shabu_shabu
(****)
Spada usata
principalmente nella pratica del kendō, sia
durante l'allenamento
sia nel combattimento.
|
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Capitolo 4 *** Matters of the heart ***
Chapter
Four – Matters
of the heart
« Ichigo, se non scendi subito
da quella
sedia, giuro che ti ci lego. »
« Dai, ho quasi finito
di decorare! »
Ryou sospirò
pesantemente nel vederla
tendersi ancora di più sopra la finestra per finire di appendere una
ghirlanda
e, ignorando totalmente il suo tono contento, marciò verso di lei e
l’agguantò
con attenzione per i fianchi, costringendola giù:
« Te l’ho già detto,
già è pericoloso di suo
con la tua destrezza, ora più che mai, » la sgridò con dolcezza,
sfiorandole
teneramente il ventre appena più rotondo.
« Non lo sai che i
gatti atterrano sempre
in piedi? » rispose Ichigo con un sorriso furbo, prima di allungarsi
sulle
punte per baciarlo e approfittarne per sgattaiolare via e afferrare
altre decorazioni
da uno scatolone.
« Finisci tu allora? »
gli domandò con un
sorrisone a trentadue denti, pieno di finta innocenza.
L’americano le lanciò
un’occhiataccia e
afferrò di scatto il fiocco dorato, borbottando sottovoce.
« Ancora non ho capito
perché dobbiamo
tenere la cena di Natale qui da noi. »
La rossa si accomodò
sul divano e cominciò
a rovistare dentro un contenitore di lucine: « Perché ancora non
abbiamo
inaugurato la casa, e perché abbiamo deciso che festeggiamo Capodanno
al Caffè.
»
« … chi l’avrebbe
deciso? »
Lei gli lanciò
un’altra occhiata divertita:
« Ah, non te l’ha detto Akasaka-san? »
« Voi vi coalizzate
contro di me. »
Ichigo rise ancora e
gli porse una fila di
lucine, che lui prontamente aggiunse sopra la ghirlanda: « Se anche
solo ti proponessi
di uscire a celebrare, non ne sentirei più la fine. »
Ryou sbuffò un’ultima
volta e scese dalla
sedia per unirsi a lei sul divano: « Magari preferisco celebrare in
maniera romantica
come piace a te, solo noi due. E mezzo. »
« Sei geloso? »
Il biondo le lanciò
un’occhiataccia,
mettendo a terra la scatola e afferrandola per le mani per far sì che
gli si
avvicinasse: « La prima volta che ti sentirò lamentarti che non stiamo “abbastanza
insieme”, » e le mise un dito davanti alle labbra per
impedirle di
replicare al suo gesto delle virgolette, « Ti ripeterò questa
conversazione. »
La rossa gli fece il
verso divertita, prima
di accoccolarsi su di lui con un mezzo sbadiglio: « Dici che ho il
tempo di
fare un pisolino? »
« Dipende se è un
pisolino normale o un
pisolino alla Momomiya. »
Lei gli rivolse una
mezza linguaccia, e si
arrotolò come un gattino.
Qualche ora dopo,
l’ampio salone di casa
Momomiya-Shirogane pullulava dell’allegria della combriccola,
elegantemente
vestita e pronta a gettarsi sul cibo che via via si andava accumulando
sulla
tavolata della sala da pranzo. L’organizzazione di Ichigo e Keiichiro
era stata
a dir poco meticolosa, con buona pace di Ryou e la sua ricerca di
calma. Purin
si era presentata carica di una pila di pacchettini infiocchettati che
le
arrivava fino alla fronte e due vassoi ricolmi di piccoli aperitivi,
così come
Retasu che aveva contribuito a portare altre due teglie profumate,
mentre il
moro aveva chiuso Ryou e Zakuro in cucina a metà del pomeriggio per
farsi dare
una mano a portare avanti la preparazione delle portate principali.
Ovviamente
invitati anche loro – ormai Ryou non pensava nemmeno più ad osare
opporsi – Pai
e Kisshu erano stati accuratamente istruiti di pensare alle bevande, e
l’americano sperò in fondo al cuore che non tutte quelle bottiglie
sarebbero
state bevute quella sera.
« Non vedo l’ora, »
esclamò Ichigo
estasiata, riempendo i bicchieri agli amici, « Ho così fame che
mangerei per
tre. »
« Non è un po’ la
norma ora, nee-chan? »
Retasu soffocò una
risatina dietro la mano
alla vispa battuta di Purin, ma anche Ichigo non poté trattenere un
mezzo
sorriso mentre le faceva una linguaccia.
« Come se tu,
nanerottola, non avessi
l’appetito di un elefante, » Kisshu le tastò affettuosamente la zazzera
bionda
un paio di volte, « Ancora mi chiedo dove lo metti. »
« Kisshu-san, non
essere impertinente. »
« Ehi, pesciolina, tu
non sei mai stata
derubata di tre yakitori di fila da questa qui! »
« Non è colpa mia se
sei lento e non
all’erta, nii-san. »
« Ma sentila! Fidati,
sarò all’erta
stasera. »
« Non preoccupatevi, »
Keiichiro offrì ad
entrambi uno degli stuzzichini preparati da Purin, « C’è cibo in
abbondanza per
tutti. »
« C’è posto per uno in
più? »
« Minto-chan! » Ichigo
le corse incontro e
l’avvolse in un abbraccio quando Minto apparve all’improvviso nel
salone, le
guance arrossate per la differenza di temperatura con l’esterno, «
Pensavo avresti
cenato con la tua famiglia! »
« Quello era il piano,
» sospirò la mora,
togliendosi il cappotto, e all’amica non sfuggì la nota di tristezza
dietro il
sorriso e il tono allegro, « Ma mio fratello è rimasto bloccato a
Sapporo a
causa del maltempo, e i miei genitori hanno deciso ieri sera di
rimanere in
Indonesia. A quanto pare è troppo freddo a Tokyo in questo momento per
loro. »
« Non preoccuparti,
c’è un sacco di roba,
guarda! Questi li ho fatti io! »
Purin l’accolse con un
sorriso, mostrandole
fiera il piattino che le aveva passato Keiichiro.
« Scusate, posso
sapere quante persone
hanno il codice di accesso a casa mia? »
« Nostra, Shirogane!
»
« Come futura madrina
del vostro fagottino
di gioia, vorrei anche vedere. »
Ryou la osservò con un
sopracciglio alzato,
offrendole un bicchiere di vino: « Io non ti ho mai detto che sarai tu
la
madrina. »
« Con dei genitori
come voi sono la sua
unica speranza. »
« A proposito… »
Zakuro si avvicinò ai
due con un
sorrisetto, e Ichigo arrossì piacevolmente mentre scuoteva la testa: «
Niente
da fare! Sarà una sorpresa. »
« Dai, ma perché! » si
lamentò
rumorosamente Purin, continuando a riempirsi la bocca di stuzzichini, «
Noi
vogliamo sapere! »
« Sorry, not
sorry. A maggio lo
scoprirete. »
« Che crudeltà! »
« Ti cambierebbe
qualcosa, Purin? »
« Io ho quattro
fratellini, Retasu ha un
fratello, Minto ha un fratello… ci serve una nipotina! »
« In realtà siamo noi
quelli in svantaggio,
» rise bonariamente Keiichiro, « Fino a poco tempo fa, eravamo noi due
contro
voi cinque. »
« Contro è
esattamente la parola
giusta. »
« È inutile, non
attacca, » Ichigo scosse
di nuovo la testa con un sorriso furbo, accendendo l’ultima candela
decorativa
sulla lunga tavola imbandita, « Quattro mesi e lo saprete. »
« Vabbè, parlando di
cosa bolle in pentola,
» Kisshu allungò il collo per cercare di guardare in cucina, « Qual è
il menu
della serata? »
« Quest’anno, in
occasione anche delle
novità, abbiamo deciso di fondere due tradizioni, » spiegò Keiichiro
con un
sorrisone.
« Hai deciso,
come hai deciso che
avremmo dovuto sgobbare invece che usufruire delle comodità moderne, »
lo
interruppe Ryou con un ghignetto, e l’amico si limitò a sventolare la
mano.
« E siccome abbiamo
due baldi giovani
americani tra di noi, omaggeremo la tradizione giapponese del Kentucky
Fried
Chicken cucinandolo personalmente, insieme ad altri piatti
tipici
americani. »
« Ovvero, c’è un
tacchino da quattro chili
in forno da quattro ore. » (*)
«
Che meraviglia! »
« Siamo sicuri che
Shirogane non ci
avveleni? »
« Preferisco la
reazione di Retasu, Aizawa,
grazie. »
« Non preoccupatevi, è
stato monitorato da
vicino, » Zakuro gli si avvicinò con un sorriso e gli mise una mano
sulla
spalla, vista l’occhiata omicida che aveva lanciato alla mora.
« Su, però, iniziate a
friggere o non si
mangia più, » Keiichiro spinse leggermente entrambi verso la cucina,
continuando a sfoggiare il suo sorriso, « Voi mettetevi comodi, io
arrivo con
gli antipasti. »
La tavolata si
arrangiò velocemente, con il
solito volume più alto del normale e Purin che calava l’asso di
briscola
continuando a riempire i bicchieri di tutti.
« Mi fido a lasciarvi
finire questo? »
Keiichiro lanciò un’occhiata in particolare a Ryou, che gli rispose
abbastanza
offeso, « È la portata principale, mi raccomando. »
« Credo di essere
capace a fare del pollo
fritto, » mugugnò il biondo, agguantando una padella, e il moro
ridacchiò sotto
i baffi mentre riempiva un paio di vassoi di antipasti anch’essi
ispirati alle
tradizioni americane.
« Ho piena fiducia in
te, ma so che sei più
avvezzo al microonde. »
« Allora perché mi hai
messo ai fornelli? »
Zakuro si intromise
con un sorriso,
afferrando lo schiacciapatate e al tempo stesso dando un colpetto sulla
spalla
al pasticcere: « Vai pure a rilassarti, Akasaka-san, hai fatto molto
più di noi
oggi. La situazione è sotto controllo. »
« Non bruciarti. »
« Scusate tutti, sono
un brillante
scienziato che ha compiuto esperimenti ben più complicati di questo, la
vostra
mancanza di fede mi disturba. »
« Sempre modesto. »
Non appena Keiichiro
uscì reggendo i vassoi
stracolmi, la mora socchiuse la porta scorrevole di vetro per evitare
che gli
odori della cucina navigassero fino alla sala di pranzo, e il vociare
si fece
più otturato, precipitando la stanza nella solita calma che
contraddistingueva
le interazioni tra lei e Ryou. Ricominciarono a cucinare in silenzio,
scambiandosi solo qualche vaga indicazione sulle istruzioni lasciate
dall’amico, quasi come se entrambi stessero ricaricando le loro pile
prima di
ritornare nel gruppo.
« Posso chiederti una
cosa? »
Ryou alzò lo sguardo
su Zakuro, che si
stava asciugando le mani su uno strofinaccio.
« Quando mai ti sei
fatta dei problemi. »
Lei nascose un
sorrisetto e rivolse
l’attenzione alla sala da pranzo: « Pensavo che ci sarebbe stata una
certa
domanda, soprattutto in questo momento. »
Il biondo bevve un
sorso della sua birra e
controllò il pollo che friggeva nella padella di ghisa: « Sono così
prevedibile? »
La modella non
rispose, rimescolando
tranquilla il purè di patate, e lui sospirò, rimuginandoci sopra per
qualche
minuto.
« Non pensare che
Keiichiro non abbia già
fatto le stesse insinuazioni, soprattutto in luce di Shintaro e le sue
reazioni, » borbottò, lo sguardo fisso sulla cena in preparazione per
evitare
gli occhi pungenti dell’amica, « E sai benissimo che so quello che sarebbe
consono fare. »
Zakuro rimase ancora
in silenzio, il mezzo
sorriso ben visibile sotto i faretti della cappa, consapevole che quel
comportamento avrebbe avuto molta più efficacia che spronarlo con altre
domande. Ryou esitò ancora qualche minuto, lanciando qualche occhiata
sopra la
spalla per controllare che il resto della sala fosse ancora impegnato
con gli
antipasti.
« La verità è che non
voglio che faccia una
scelta solo basata sulle circostanze attuali, » spiegò spiccio poi, «
Né che
creda che non sia una richiesta genuina. Già ho dovuto convincerla che
andare a
convivere non fosse solo causato dalla situazione, questo sarebbe… e
quindi,
niente. »
La modella annuì,
aggiungendo un tocco finale
di burro prima di travasare la soffice montagna di patate dentro
un’elegante ciotola
da portata.
« E comunque a Natale
è troppo scontato e
sdolcinato. »
Lei rise, alzando un
sopracciglio: « Per
Ichigo? »
« Hey, »
al tono altamente
sarcastico, Ryou le puntò contro il forchettone che stava usando per
prendere
il pollo fritto, « Una cosa per volta. »
Zakuro gli lanciò
l’ennesimo sguardo
divertito e si piegò a controllare il tacchino nel forno: « Secondo me
ci
siamo. »
Il biondo diede
anch’egli un’occhiata e
annuì, prima di porgerle il pugno: « Ottimo lavoro di squadra,
Fujiwara. Sembra
che alla fine ti abbiamo plagiata. »
« You’re
such a loser. »
Insieme, estrassero la
teglia rovente e
pesante per trasportarla in sala, dove furono accolti da un coro di
ovazioni
stupite e felici.
« È grandioso! »
« Grazie, Purin, »
esclamò Ryou, piazzando
con estrema attenzione il tacchino nel bel mezzo del tavolo dove già
Keiichiro
aveva strategicamente posizionato i sottopentola, « Meno male che ci
sei tu a
darmi soddisfazione. »
« Volevi anche un giro
di applausi? » lo
prese in giro Ichigo con un sorriso, « Di solito fa sempre tutto
Akasaka-san, e
non gli facciamo la metà delle feste. »
« Infatti a lui
l’onore di tagliare la
bestia, » Zakuro gli passò teatrale il coltello dedicato, « Rimangono
in cucina
solo il pollo e i contorni. »
« Andiamo noi, le
braccia forti! » Purin si
alzò con brio e girò attorno al tavolo, agguantando nel frattempo la
manica di
Kisshu, « Però aspettateci! »
« Purin, questo coso
basta a sfamare un
esercito. »
« Più o meno il suo
appetito. »
« Non so se mi fido di
quei due da soli con
il cibo… »
Con uno sbuffo, Minto
si alzò e seguì i due
in cucina: « Ichigo, stai ferma. Vado a controllare io che non
finiscano tutto.
»
Purin si era già
caricata in braccio il
vassoio di pollo fritto, una ciotola di piselli e quella delle patate,
in un
precario equilibrio che fece rabbrividire la mora.
« Dammi questo, » le
corse in soccorso e
afferrò una ciotola, « Kisshu, prendi i cucchiai per servire. »
Al vedere l’alieno che
osservava confuso i
vari scaffali, mobiletti e cassetti della cucina, Minto sbuffò e gli
passò
davanti, aprendo un tiretto e mostrando l’argenteria.
« Quanto spesso sei
qui, fammi capire? » la
prese in giro dolcemente.
« Ichigo ha avuto
molto supporto da parte
mia a organizzare la casa, » ribatté lei con un velo di acidità.
Kisshu si sporse in
avanti per afferrare
l’ultima teglia di contorni, strabordante di fagiolini, e ne approfittò
per
avvicinarsi un po’ di più: « Sono contento che ci sia anche tu,
stasera, » le
mormorò, « Soprattutto per il vestito. »
Minto cercò di
ignorare il calore derivato
dalla voce bassa a pochi centimetri dal suo orecchio, e si voltò verso
di lui
con un sorriso malizioso: « E tu sei in camicia, allora è vero che a
Natale
accadono miracoli. »
Lui sbuffò e,
rapidamente scorso che
nessuno stesse prestando loro troppa attenzione, le fece una carezza
veloce
sotto al mento: « Tutto bene? »
« Perché non dovrei? »
rispose lei, più
sprezzante di quanto avrebbe voluto, « Non è certo la prima volta, né
sarà
l’ultima, in cui mi ritrovo scaricata dalla mia famiglia. Preferisco
sinceramente questa cena a una delle solite tiritere noiose e
silenziose dei
miei. »
Prima che lui potesse
replicare, sentitasi
già troppo scrutata dal suo sguardo, Minto marciò di nuovo verso il suo
posto a
tavola.
« Dai, dai! » li
incitò Purin, che già
brandiva forchetta e coltello, « Sto morendo di fame! »
« Ci siamo, » la
blandì divertito
Keiichiro, cominciando a distribuire grosse fette di tacchino, « Buon
Natale,
ragazzi. »
Alla risposta in coro
seguì il tintinnio di
piatti che venivano passati, posate che iniziavano a lavorare, e
mormorii e
risatine soddisfatte ai profumi che si levavano fino alle narici.
« Kami-sama,
che buono, » Ichigo si
lasciò scappare un miagolio appagato, ricoprendo le sue fette di carne
con
abbondante salsa al mirtillo rosso, « Perché non l’abbiamo mai mangiato
prima?
»
« Ci hai messo un po’
a cedere ai gusti
americani, » rispose prontissima Purin con un ghigno malefico,
soffocando la
risatina in una coscia di pollo che azzannò con gusto, mentre l’amica
quasi si
strozzava e arrossiva prepotentemente e Ryou la fulminava con lo
sguardo,
ignorando biecamente i risolini sotto i baffi attorno al tavolo.
Pai si servì un’altra
generosa porzione di
verdure – che solo con l’arrivo della Mew Aqua avevano iniziato ad
assumere
sapori più corposi e diversi su Duuar – e nel mentre tossicchiò appena.
« La festa di oggi… mi
è parso di capire
che abbia molti significati diversi? »
Un breve silenzio
cadde sulla tavolata, che
si scambiò occhiatine perplesse e un po’ sconfitte al pensiero di non
aver
fatto luce su cosa stesse succedendo.
« Ah sì! » si aggiunse
Kisshu, la bocca
mezza piena di purè, « In effetti, cosa sarebbe questo Natale? »
« Perdonateci, non ve
l’abbiamo detto, » si
scusò Retasu mortificata, « Forse diamo le cose un po’ per scontato a
volte… »
« Quello che conta è
lo spirito,
pesciolina, » il verde le fece l’occhiolino, continuando a divorare
forchettate
di cibo, « Se a ogni occasione si mangia così, non è che mi freghi
molto del
motivo. »
« Figuriamoci. »
Minto gli scoccò
un’occhiataccia inorridita,
servendosi un altro bicchiere di vino, ma lui perseguì imperterrito a
ingozzarsi.
Keiichiro nascose un
sorriso dietro al
proprio bicchiere e poi si schiarì la gola: « La festività del Natale è
una
delle più antiche della nostra storia, e via via ha assunto delle
declinazioni
un po’ diverse. »
Ryou stava per
lanciarsi in una complicata
spiegazione della storia dei solstizi d’inverno, soli invitti e
saturnali, ma
un’occhiataccia da parte di Zakuro fu abbastanza per farlo desistere.
« Natale è
principalmente una festa
religiosa cristiana che celebra la nascita del suo messia, figlio di
Dio, »
spiegò brevemente la modella, « Tralasciando l’aspetto religioso, a
lungo
andare la festività si è secolarizzata, diventando una festa legata
alla
famiglia, alla solidarietà, che ha preso piede anche in luoghi non
predominantemente cristiani. »
« E a Babbo Natale, »
aggiunse spigliata
Purin, ricevendo in cambio un sorrisetto abbozzato da Zakuro, che
continuò:
« Sì, allo scambio di
doni. Ha svariate
tradizioni e simboli ad essa associate, anche molto variegate tra i
diversi
Paesi. In Giappone è più una festa romantica e secolare, che da passare
in
famiglia. »
« C’è chi dice che
ormai sia l’emblema del
capitalismo, » commentò Shirogane, provocando una sequela di gemiti e
lamenti
annoiati.
« Se volete il mio
punto di vista,
preferisco di gran lunga le feste senza significati troppo aulici, »
borbottò
Kisshu, con ironia velata di astio, « Con l’ultima divinità adorata non
ci è andata
troppo bene. »
Stavolta fu il turno
di Retasu di quasi
strozzarsi con il sorso d’acqua che aveva appena preso, e Purin,
accanto a lei,
si affrettò a darle delle pacche sulla schiena.
« Chi vuole altro
tacchino? » Keiichiro
colse la palla al balzo per cambiare prepotentemente argomento,
alzandosi per
affettare ancora l’enorme gallinaceo, di cui rimaneva una buona metà
intonsa.
Un coro di io
e sì grazie! rispose
alla domanda, e velocemente il rumore della cena ritornò al solito
volume
sproporzionato.
«
Sto scop-pian-do! »
Purin stravaccò
mollemente sul tappeto tra
i divani, stendendosi a pancia in su come una stella.
« Credo che tu ti sia
mangiata un quarto di
tacchino da sola, » la redarguì dolcemente Zakuro, abbandonata anche
lei la
posa plastica.
« Per forza, nee-san,
era spettacolare!
» si accarezzò lo stomaco gonfio e, muovendo la testa di un millimetro,
guardò
Ichigo, « Sono quasi come te, nee-san. »
La rossa, entrambe le
mani su quella di
Ryou che le stava pigramente disegnando cerchi con il pollice sulla
pancia, le
rispose con un sorriso stanco: « Se penso a tutti gli avanzi che ci
sono, mi
sento male. »
« Mi offro volontario,
» scherzò pigramente
Kisshu alzando una mano, spaparanzato sul divano a giocare
distrattamente con
le ciocce della nuca di Minto, l’unica seduta relativamente dritta con
le gambe
raccolte sotto di sé.
« Ehi, anche io, » gli
fece eco da sotto
Purin, « … tra un po’ però. Aprire i regali ha esaurito definitivamente
le mie
energie. »
« Credo piuttosto
siano i turni extra della
digestione, Purin, » commentò Retasu divertita, ma con un filo di voce.
Keiichiro ritornò in
salotto reggendo un
lungo vassoio colmo di tazze fumanti e una teiera: « Questo dovrebbe
aiutare, »
spiegò con un sorriso, « Tè caldo allo zenzero. »
La verde lo ringraziò
con un mormorio e
soffiò piano sulla bevanda bollente, poi fece un cenno verso la
polaroid che
Kisshu teneva in grembo: « Non pensavo ti interessasse la fotografia,
Kisshu-san. »
Lui abbozzò a un
sorriso sornione,
prendendo la camera con la mano libera per studiarla ancora un po’: «
In
effetti è una novità, pesciolina, ma sta diventando uno dei miei
gingilli
preferiti, » tirò con fare dispettoso uno dei boccoli di Minto, autrice
del
regalo, e sogghignò un po’ più sincero, « La tortorella ci ha visto
giusto. »
La ragazza in
questione arricciò appena il
naso, mantenendo la sua stoica compostezza nonostante il sorriso che
minacciava
di spuntarle sulle labbra e che nascose dietro il bordo della tazza,
prima di
trasformarlo in una smorfia indispettita quando lui le rubò una foto a
cinque centimetri
dal naso: « Sto già rimpiangendo la scelta, sai? »
Ichigo osservò lo
scambio ridendo sotto i
baffi, ben attenta a non farsi notare dall’amica, scambiandosi solo
un’infinitesima occhiata complice con Zakuro mentre il dolce borbottio
delle
chiacchiere verteva su altri argomenti. All’ennesimo sbadiglio di
Purin, poi,
si stiracchiò vistosamente ed esclamò squillante: « Se voi pensate a
raccogliere un po’ le cose qui, io vado in cucina a preparare i
pacchettini
degli avanzi. E no, non voglio sentire storie, Retasu-chan, ce n’è
abbastanza
per tutti ancora. »
« Io lo voglio doppio!
»
« Ma se non riesci
neppure ad alzarti dal
tappeto, nanerottola. »
« Minto-chan, aiutami
tu, dai. »
La mora alzò un
sopracciglio al tono
iper-stucchevole della padrona di casa, ma non fece in tempo a
ribattere che
l’aveva già afferrata per un polso e tirata su, sotto le proteste di
Ryou di
non fare troppi sforzi.
« Non mi tirare! » le
bofonchiò Minto,
fermandosi al tavolo della sala da pranzo per raccogliere gli ultimi
bicchieri
rimasti abbandonati, « Sono esausta, e tu dovresti stare attenta. »
« Spero tu non sia troppo
stanca, »
commentò maliziosa la rossa, lanciandole uno sguardo divertito da sopra
la
spalla mentre la precedeva in cucina.
La mora le rivolse uno
sguardo gelido: « E
io spero che tu non stia insinuando quello che
penso. »
« Oh, su! Se non ne
parli con me, con chi
altri!? »
« Sono fatti miei,
grazie, non c’è bisogno
che lo dica proprio a nessuno. »
Ichigo la guardò
divertita, aprendo un
pensile per estrarne dei contenitori: « A volte non ti capisco,
comunque. Lui
ti piace, tu gli piaci… siete grandi e vaccinati… »
Minto emise uno sbuffo
indispettito mentre
apriva di nuovo una bottiglia e ne versava il fondo in un bicchiere
pulito,
rimpiangendo di aver mai rivelato dettagli a Ichigo circa la sua
attuale
situazione sentimentale: « Mi spieghi cos’è questa crociata oggi per
ficcare il
naso dove non ti riguarda? »
« Perché mi preoccupo
per te, » ribatté
convinta la rossa, intanto che cercava di suddividere in maniera più o
meno
equa i vari avanzi tra le vaschette, « E soprattutto stasera ti
servirebbe
compagnia. »
« La compagnia attuale
mi sta solo facendo
venire mal di testa. »
« Quanto sei testarda
però! Non ti sto mica
dicendo di sposarti, eh, solo di… lasciarti andare un attimo. »
« In termini di lasciarsi
andare, analizziamo
la situazione, Ichigo, chi tra noi due è rimasta incinta dopo nemmeno
tre mesi
di frequentazione? »
« Che c’entra, quello
è stato… complicato.
Voi uscite insieme da due mesi e mezzo ormai! »
Minto la guardò
minacciosa: « Decisamente non
stiamo uscendo. »
« Okay, se preferisci
che la descriva come vi
appartate di nascosto facendo finta di nulla ma ormai lo sanno tutti, nessun
problema. »
Ichigo alzò le spalle
come se fosse
un’ovvietà, e la mora si limitò a sbuffare così forte da sollevarsi la
frangetta mentre si concedeva un altro sorso di vino.
« È palese che sei
cotta, comunque. Gli
occhioni dorati sono il tuo punto debole. »
Minto si voltò verso
di lei così
velocemente che Ichigo temette le si sarebbe spezzato il collo, ma non
riuscì a
non ridere della sua espressione.
« Non sei esente dal
non dire cretinate
solo perché sei incinta. »
« Continua pure a
negarlo, ma non ti fa
sicuramente bene. Siete sempre insieme - »
« Non è vero, se non
sono con te, sto
lavorando con la onee-sama. »
« - soprattutto
quando ci siamo
tutti e tu vuoi far finta di niente, ma vi cercate costantemente. Posso
essere
tonta, ma non sono cieca. »
« Sei un’impicciona. »
« Sono la tua migliore
amica, e mi
preoccupo per te, » Ichigo ripeté e le sorrise, prendendole il
bicchiere di
mano e poggiandolo in lavastoviglie, « Come va, va, non starci a
pensare troppo
e… divertiti. »
La mora la guardò
storto per un altro
secondo, terminando di premere i coperchi sopra i rispettivi
contenitori, e poi
si lasciò scappare uno squittio stupito quando l’amica la stritolò in
un
abbraccio a sorpresa: « Sono felice se sei felice, Minto-chan. E mica
voglio
una madrina musona. »
« Tu sei completamente
rincretinita dagli
ormoni, ecco cosa, » replicò lei, ma senza poter nascondere la risatina
che la
tradì mentre poggiava un secondo la mano sopra quella della rossa prima
di
sgusciare via con un paio di contenitori in mano.
« Il mio è il più
grande, vero?! » Purin le
si parò davanti mentre lottava tra lunga chioma bionda e sciarpone
giallo in
lana grossa.
« Puoi avere anche la
mia parte, » esalò
Minto, esausta, e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, sbuffando, «
Ma sta
nevicando! »
« Oh, non dirlo con
quel tono, Minto-chan,
è bello, » commentò Retasu con un sospiro, guardando anche lei oltre la
vetrata.
« E poi mica torniamo
a casa a piedi, »
trillò Purin, continuando a infagottarsi nei suoi vari strati, « Vero,
Pai
nii-san? »
Il viola, sentendosi
interpellato
inaspettatamente e con così tanta sfacciataggine, per i suoi gusti, si
limitò a
osservare la biondina per un paio di secondi prima di scrollare le
spalle: «
Immagino di no. »
La risatina che scappò
dalle labbra di
Retasu quando Purin lo costrinse a darle il cinque gli fece alzare gli
occhi su
di lei e a ricambiare, seppur di una frazione, prima che Ichigo gli si
parasse
di mezzo con ulteriori contenitori di avanzi.
« Ti basta questo,
Retasu-chan? »
« Oh, no, Ichigo-chan,
ti prego è già
troppo! »
« Tu come fai,
nee-san? »
Zakuro sorrise a
Purin, avvolgendosi anche
lei una spessa sciarpa intorno al collo: « Farò una passeggiata, non ti
preoccupare. Mi piace il freddo. »
« Bbbr,
io tremo solo al pensiero di
uscire, » commentò Ichigo rabbrividendo, « Sicura che non vuoi un taxi?
»
« Devo decisamente
smaltire, » scherzò
appena l’altra, poi incrociò lo sguardo curioso dei due alieni, « Ogni
Natale
vado in chiesa a mezzanotte. Un luogo di culto, » spiegò spiccia.
« Quel posto buio e
imponente con i due
pezzetti più alti, i vetri colorati… ?» Kisshu gesticolò disarticolato,
unendo
le dita così da formare una punta.
« Dove ci hai
attaccate con i chimeri
corvo? Già. » (**)
La gelida occhiata di
Zakuro fu abbastanza
per far fare un passetto all’indietro al verde, che sfoggiò un sorriso
smagliante: « Tutta acqua sotto i ponti, giusto bamboline? »
« Solo perché sei
diventato più simpatico,
nii-san. E più figo. »
« Ah, capito,
tortorella? »
« Ma per favore… »
Retasu osservò lo
scambio con un sorriso
divertito, poi azzardò ad alzare gli occhi su Pai (invece molto meno
allietato
dall’esuberanza, se così poteva chiamarla, del fratello).
« Avete tradizioni
simili sul vostro
pianeta? »
Le sembrò che il suo
viso si ombrasse
appena: « La religione ha subito un colpo brusco, dopo tutta la
questione del…
nostro ritorno e la vera natura di Deep Blue, » esclamò dopo qualche
secondo, «
Ciononostante, alcuni continuano ad affidarsi ad antiche divinità
minori,
spiriti degli antenati che proteggono la casa. »
« E senza intenzioni
di conquista, »
sogghignò Kisshu, pieno di sarcasmo.
Pai lo ignorò,
schioccando la lingua: «
Quando il governo si è ricostituito, hanno rimosso i luoghi di culto
dedicati al
nostro vecchio signore. Ovvio che questo non ha reso felici tutti, ma è
stato
un segno chiaro. »
Il fratello sbuffò
mentre si infilava
nell’armadio e afferrava cappotti e sciarpe: « Stiamo parlando per
eufemismi… c’è
voluto un po’ per convincerli, eh. Non eravamo esattamente i preferiti
del
pubblico, a raccontare di come la loro meravigliosa divinità fosse un
impietoso
pezzo di merda. »
Retasu alzò di nuovo
gli occhi su Pai,
incerta sul significato di quelle parole e come sempre timorosa che le
sue
domande aprissero strani vasi di Pandora; infatti, il maggiore degli
Ikisatashi
stava nuovamente fulminando Kisshu con gli occhi, quasi minacciandolo
di
chiudere la bocca. Lui probabilmente capì, perché continuo a frugare
nell’armadio fingendo noncuranza nonostante la strana atmosfera che era
scesa
sul corridoio.
« Io vado, » esclamò
infine Zakuro, sistemandosi
la borsa sulle spalle e avviandosi verso l’uscita, « Grazie ancora per
l’ospitalità, Ichigo-chan, e la magnifica cena, Akasaka-san. »
« You’re
welcome, you know. »
« Sta’ attenta,
onee-sama, e se hai bisogno
mando l’auto! »
La modella rivolse un
ultimo saluto a
tutti, che fu echeggiato dagli altri, concordi che fosse ora di andare.
« Dov’è il mio
sacchetto di avanzi? »
« Tranquilla,
Purin-chan, non ti lasciamo
senza. »
« Ma gliene hai dato
davvero di più! »
« Santo cielo, Kisshu,
tra un po’ non ti si
chiude la camicia. »
« Come se non fossero
sempre andati in giro
a pancia di fuori. »
« Alright, niente
più zuccheri a
Purin. »
La biondina rise e,
infagottata fino al
naso e con in testa il nuovo cappello di lana – regalo di Retasu, che
aveva
confezionato per tutti un completo di sciarpa e berretto – agguantò il
suo
prezioso malloppo: « Sono pronta, andiamo! »
Ichigo rise e la
strinse in un abbraccio
veloce: « Grazie ancora della compagnia. »
Il volume del
gruppetto, a discapito delle
povere orecchie del padrone di casa, si alzò di qualche decibel
all’ennesimo
giro di saluti, raccolta di pacchetti pieni di cibo e regali, e
avviluppamento
in strati caldi di vestiti. Ignorando le sue continue proteste, Ichigo
agguantò
anche Minto per un ultimo abbraccio, mormorandole qualcosa all’orecchio
per cui
venne trucidata con lo sguardo, continuando a salutare tutti con
allegria.
Non appena la porta si
chiuse dietro
all’ultimo ospite, si voltò poi con un’espressione furba verso Ryou,
già stravaccato
sul divano.
« Allora? È stata così
terribile la serata?
»
« Io sono a pezzi. Non
chiedermi di montare
nemmeno un mobile o fare assolutamente altro, domani. Solo divano e
avanzi. »
La rossa ridacchiò e
attraversò la stanza
in fretta, sedendosi a cavalcioni su di lui: « Però sai cosa… »
« What? »
Lei rise ancora
deliziata e lo baciò,
strofinando poi il naso contro al suo: « Pensi che cucinerai qualche
altra
volta? »
« Hai da lamentarti,
ragazzina? Mi sembra
che ti porti a cena fuori abbastanza spesso. »
Ichigo lo guardò
divertita mentre gli
portava le braccia intorno al collo e si sistemava un po’ più vicina: «
Sì ma…
tu, la camicia, il pollo fritto… era tutto abbastanza interessante. »
« Really?
» Ryou rise di ricambio,
guardandola in una maniera che la fece arrossire, e, tenutala stretta
per la
vita, si alzò dal divano con lei in braccio come un koala, « Fammi
capire
esattamente come. »
Pai dovette ammettere
che, nonostante la
breve durata dei viaggi via teletrasporto, fu sollevato nel lasciare
Purin
davanti a casa per prima; la ragazzina sembrava avere un’inesauribile
riserva
di energia che, a sua volta, esauriva le sue.
« Grazie ancora,
nii-san! » trillò infatti,
fermandosi appena sopra gli scalini innevati per voltarsi e salutarli
con la
mano, « E buon Natale, nee-san! »
Retasu, dal canto suo,
non fu altrettanto entusiasta
nel suo saluto, limitandosi a un cenno delle dita poco energico. La
consapevolezza dell’essere completamente da sola con l’alieno, e il
dovergli
stare così vicino pur per motivi tecnici, le
piombò addosso gelida come
la serata, congelandola. Non che ebbe il tempo di dire qualcosa o far
lavorare
completamente gli ingranaggi del cervello, perché non appena Purin ebbe
infilato le chiavi nella toppa, Pai la riprese di nuovo per il polso,
causandole un doppio ribaltamento di stomaco.
Il silenzio del
tranquillo quartiere
dov’era situata casa dei suoi – dove aveva deciso di rimanere fino alla
fine
dell’università, per assicurarsi di riuscire a mettere da parte più
risparmi
possibile – le sembrò ancora più pesante del solito, attutito dalla
coltre di
neve che continuava a scendere imperterrita.
Fece subito un mezzo
passetto di lato per
riportarsi a una distanza consona, si schiarì la gola e poi piegò
appena la
testa nell’accenno di un inchino: « Grazie mille per il passaggio,
Pai-san. Non
sarebbe stato piacevole tornare a casa con i mezzi, stasera. »
Pai mosse appena il
capo, scrutando quasi
con rancore il candore intorno a loro: « Durerà a lungo? »
Retasu sbatté le
palpebre un paio di volte,
la mente un po’ più rallentata dalla combinazione di eventi: « Cosa? »
« Questo tempo. Il…
ghiaccio. »
Lei cercò di non dare
a vedere quanto fosse
trasalita; ovvio che lui non potesse vedere quanto per altri quella
situazione
potesse essere pure romantica – si autoimpose di cambiare
immediatamente la
direzione dei suoi pensieri – dopo tutto quello che le aveva raccontato…
« Non tanto, a volte
giusto un paio di
giorni, » rispose sottovoce, « Il freddo, quello no. »
Lui rispose con un
mezzo grugnito poco
convinto, e Retasu, il capo ancora chino, però, si morse il labbro.
« Mi sembri un po’
difficile da
accontentare, Pai-san, » ridacchiò, forse più baldanzosa per la bella
serata
appena trascorsa e i bicchieri di vino che si era concessa, « Non ti
piace i
caldo, ma nemmeno la neve… »
Pai la osservò
incuriosito al ricordo delle
conversazioni avute mesi prima al mare, poi sbuffò, piegando solo un
angolo
della bocca: « Preferisco la primavera. »
Retasu annuì e sorrise
ancora sotto i
baffi, giocherellando con le frange della sua sciarpa. Rimasero
entrambi in
silenzio per qualche istante, Pai che osservò di sottecchi la ragazza
« Io non ho… fatto
nessun regalo, »
borbottò lui di scatto, infilandosi una mano nella tasca in cui aveva
cacciato
il cappello creato dalla ragazza.
« Non sono
obbligatori, anzi, voi nemmeno
sapevate… » rispose lei con un sorriso tenero e una stretta nelle
spalle, «
Questo è il primo Natale che siamo riusciti a passare tutti insieme
così, eh…
be’, poi ci siete anche voi, quindi mi sembrava carino fare… qualcosa
di
speciale. Ma se n-non ti piace o non ti serve, non è che devi sentirti
costretto a usarlo, n-non mi offendo! » si affrettò ad aggiungere con
una
risatina nervosa.
« La nostra percezione
delle temperature è
diversa, » bofonchiò quasi a mo’ di scuse, e Retasu annuì, abbassando
poi la
testa, dandosi della sciocca per aver pensato che fosse adorabile e che
un
aggettivo come adorabile potesse essere usato per
descrivere il ragazzo.
Eppure, il suo cuore
continuava a galoppare
impazzito ogni volta che era nei paraggi dell’alieno per più di cinque
minuti.
Cosa per cui si diede ancor di più della stupida, perché non era
cambiato
assolutamente nulla nel loro rapporto, se così lo poteva chiamare.
Erano più di
otto mesi ormai che gli Ikisatashi erano tornati sulla Terra, e non era
riuscita a scalfire la personalità di Pai più di tanto, non riusciva
mai a
capire cosa gli passasse per la testa, o cosa volessero dire quelle
volte che
si tratteneva un po’ di più a parlare con lei. Anzi, tutte le
probabilità
puntavano a dimostrare che non volesse dire un accidenti, che era solo
lei a
farsi delle illusioni, ma non poteva fare a meno di avvertire lo
stomaco
sfarfallarle.
Era un pensiero che la
faceva ridere, ma a
volte avrebbe voluto essere come Kisshu; un po’ più sfrontata e
coraggiosa per
dire le cose esattamente come le pensava (ecco, magari non con
tutta la
franchezza che ci metteva lui a volte). Oppure, capace di mettere
totalmente
una pietra sopra dopo tutto quel tempo, se proprio doveva essere onesta.
Al tempo stesso, però,
un po’ poteva dire
di conoscerli. Ciò che avevano affrontato in passato non era cosa da
tutti i
giorni, e anche ora il loro quotidiano era molto diverso da quello
della gente
normale, era ovvio che si creassero legami profondi anche senza bisogno
di
chissà quale nuovo avvenimento sconvolgente. Era quindi per quello che
sentiva
quella flebile, sciocca, insignificante speranza che dava adito al suo
cuore di
accelerare un po’ di più nonostante lei si imponesse di essere
razionale e
decisa; Pai sembrava non dare mai confidenze a nessuno, passava la
maggior
parte del tempo con Keiichiro e Shirogane e comunque sembravano
sopportarsi a
malapena, girava parecchio alla larga quando loro ragazze si radunavano
a fine
giornata per rilassarsi con qualche chiacchiera frivola, come non
vedesse l’ora
di allontanarsi per richiudersi in un mutismo selettivo.
Che – e lo sfarfallio
alla bocca dello
stomaco si fece più prepotente – evidentemente non includeva lei.
Doveva ammettere che
al maggiore degli
Ikisatashi sembrasse sempre costare moltissimo mettere più di dieci
parole di
fila, però non si era certo sognata quei momenti in cui le si era
mostrato più
aperto, più interessato a ciò che lo circondava, o semplicemente più
disposto a
rimanere. Proprio come in quel momento: non era stata lei a far
continuare una
conversazione che avrebbe potuto benissimo fermarsi al grazie
del passaggio,
buonanotte, di niente, ciao.
Forse era
semplicemente la felicità che
sentiva aleggiare tra i suoi amici ad aver contagiato anche lei, ma…
era
tornato, era lì, in tutti i sensi, e lei non ci
poteva fare nulla se
l’unica reazione che sentiva era il petto in fiamme.
Retasu ebbe un brivido
e fece per aprire la
bocca, ma Pai aveva dovuto interpretarlo erroneamente.
« Hai freddo, » fu una
constatazione più
che una domanda, prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, « Meglio
che tu
vada. »
Sentì sgretolare
quella minima sicurezza in
più data dalle circostanze della serata e incassò ancora un po’ di più
le
spalle; non essere mai in grado di guardarlo in faccia a lungo non
sarebbe
stato certo una soluzione.
« Pai-san… » esalò,
gli lanciò un’occhiata
attraverso la nuvoletta di vapore che divenne il suo respiro, agli
occhi ancor
più scuri e quel volto imperscrutabile, « Io volevo… »
Anche nella penombra
della strada poco
trafficata, non si era allontanata abbastanza per mancare il suo
sussulto, ne
aveva quasi percepito lo spostamento d’aria.
« … solo ringraziarti
ancora per averci
accompagnato, » cambiò traiettoria immediatamente, cercando di
sfoggiare il suo
sorriso più convinto, « Immagino che anche tu sarai stanco e avrai
voglia di un
po’ di tranquillità. »
Ancora, l’alieno la
studiò per dei secondi
che le sembrarono troppi per poi annuire: « Di niente. E… buon Natale,
direi. »
Maledetto il suo
dannato cuore.
Retasu sorrise ancora
e si avviò verso
casa, cercando di non inciampare mentre tastava quasi alla cieca nella
borsa
alla ricerca delle chiavi. Guardò da sopra la spalla non appena fu
all’ingresso, e il suo stomaco rotolò di nuovo nel vedere che era
ancora lì, ad
aspettare probabilmente che entrasse. Gli rivolse un cenno con la mano
cui lui
rispose con il fantasma di un sorriso, ed entrò chiudendo piano la
porta.
In un quartiere
decisamente diverso, il
gentile risucchio del teletrasporto rimbalzò quasi inudibile tra le
pareti
bianche di villa Aizawa, l’unico suono all’interno della casa.
« Ugh, » Minto non
riuscì a nascondere la
solita smorfia, il disagio molto più pronunciato con lo stomaco che
faceva dei
turni extra, e lasciò cadere la borsetta a terra, « Perché non possiamo
mai
entrare dalla porta principale? »
« Perché poi mi
mancherebbero le tue
lamentele, tortorella, » la prese in giro Kisshu, poggiando una spalla
contro
lo stipite della porta finestra, « E poi perché altrimenti bisognerebbe
giocare
a rimpiattino per non attirare l’attenzione. »
« Tanto non c’è
nessuno, » rimbrottò cupa
lei, infilandosi nella cabina armadio per riporre scarpe e cappotto. La
tranquillità regalatale dalla compagnia degli amici era scomparsa non
appena il
silenzio della casa le aveva riempito di nuovo le orecchie, ombrandole
di nuovo
lo sguardo.
Allo stesso tempo, le
parole che Kisshu
aveva detto a fine serata le stavano ronzando nella testa, e piegando
con cura
ogni oggetto e riponendolo, lo guardò di soppiatto mentre abbandonava
le
calzature e si avvicinava a mani in tasca.
« Quello che stavi
dicendo prima… »
Kisshu rise sottovoce
con una punta
d’amarezza e la tirò a sé, premendola contro al suo corpo mentre
affondava il
volto nell’incavo del suo collo: « Niente di cui abbia voglia di
parlare ora,
tortorella, non quando preferirei farti compagnia… »
Minto sbuffò, un po’
divertita un po’
ancora scocciata, inclinando appena la testa all’indietro: « Qualunque
cosa tu
abbia in mente, credo sia molto diverso da cosa ho in mente io. »
« Mhm, » replicò lui
in un sussurro, fece
scorrere la punta delle dita lungo le sue braccia nude avvertendo con
soddisfazione la comparsa della pelle d’oca non appena le labbra la
sfiorarono,
« Stavo ovviamente pensando a rimanere vestiti così e andare di là a
guardare
quel vostro aggeggio con le immagini. »
Lei emise un ennesimo
verso indistinto che
doveva somigliare a una risata, cercando di ignorare totalmente i tre
diversi
pensieri che le pesavano sullo sterno: le infantili – veritiere –
insinuazioni
di Ichigo, il prepotente calore che le irradiava dal ventre, e il
subdolo tarlo
di insicurezza che rosicava a tutto spiano.
Spiegare alla sua
migliore amica dalla
famiglia presente e perfetta e dal fidanzato da manuale perché lei
avesse così
paura di buttarsi e soprattutto di cadere non era nemmeno
contemplabile, ancor
più quando faticava ad ammetterlo a sé stessa.
Si lasciò scappare un
sospiro più
tremolante quando Kisshu prese a baciarle il collo con più insistenza,
premendole
un palmo appena sotto l’ombelico per stringerla di più a sé.
Eppure, il suo corpo
sembrava saperne molto
più di lei. Specialmente se il calore che le risaliva dalla pancia,
sprigionandosi
dai punti in cui la pelle combaciava con quella di lui, sembrava capace
di
placare il gelo a cui avrebbe dovuto essere abituata e che invece le
aveva
punzecchiato il petto tutta la giornata.
« Kisshu, » mormorò a
occhi chiusi, più
secca e allusiva di quanto avrebbe voluto, « Non mi piace essere
facilmente
scartabile. »
La girò con le mani
sui fianchi, rivolgendole
uno sguardo a metà tra il divertito e il significativo, una punta di
malizia
negli occhi dorati: « Ho sempre detto svestire, tortorella,
non scartare.
»
La mora non fece in
tempo a ribattere che
Kisshu la baciò, stringendola e smorzando il suo sbuffo contro le
labbra. Trovava
insopportabile questo suo vizio di terminare in maniera così fisica
un
discorso appena accennato, così come si disperava dallo stato in cui le
conciava i capelli con quella sua abitudine di infilarci le dita,
prenderle la
nuca per portarla ancora di più contro di sé, eppure in quel momento ne
fu
quasi grata, grata della differenza di altezza che lo costrinse ad
arcuarsi e
darle ancora più calore.
Non avrebbe più potuto
tirarsi indietro,
non quella sera.
Ovviamente, Kisshu non
aveva infilato la
camicia nei pantaloni come avrebbe voluto l’eleganza – era già tanto
che si
fosse messo qualcosa di diverso da una t-shirt leggera – ma ciò
significò anche
che lei riuscì a sgusciarvi sotto le dita con facilità. Qualche
secondo, forse
troppo pochi da chiedersi esattamente come, e finì
sul pavimento del suo
armadio; un altro mezzo respiro, e Minto sentì la schiena premere
contro al
materasso.
« Pensavo non fosse
questo ciò che aveva in
mente, chérie, » la prese in giro sottovoce Kisshu,
lanciandole
un’occhiata furbesca mentre si spostava di nuovo lungo il suo collo.
Gli occhi color caffè
lo fulminarono,
ancora alterati nonostante tutto: « Non sono una distrazione, né un
giochino. »
Lui si fermò un
istante, esalò e le afferrò
con brusca premura entrambi i polsi, bloccandole le braccia sopra la
testa
mentre sorrideva, un guizzo divertito nelle iridi dorate: « Non so se
hai
notato, ma io ho una soglia dell’attenzione molto bassa,
» le mormorò,
facendo vibrare appena la bocca contro la sua, « E se la mia attenzione
è
ancora tutta qui dopo tutto questo tempo… »
Lei sbuffò in tutta
risposta, ancora poco
contenta: « Ikisatashi, vedi di non fare il cretino. »
Kisshu ghignò ancora
di più, trattenendole
i polsi con una mano sola così che l’altra potesse sgusciare sotto il
vestito:
« Fidati, tortorella, » disse in un sussurro roco, « Ho intenzione di
farti
tutt’altro. »
L’unica fonte di luce
filtrava dalla porta
del bagno principale lasciata socchiusa, così come l’unico rumore
percepito,
oltre al lontano sottofondo di automobili, era lo scorrere dell’acqua
del
rubinetto. Zakuro si sciacquò il viso un paio di volte e bevve un
sorso,
portandosi le mani a coppa fino alla bocca.
Era tornata a casa
dalla funzione a notte
inoltrata, grata del silenzio che avvolgeva la città e soprattutto il
suo
appartamento. Si era concessa un’altra tisana bollente, per riscaldare
le
membra intirizzite e sciogliere ancora di più il peso sullo stomaco;
non si era
aspettata, dopotutto, di avere compagnia anche quella notte, e si era
quasi già
infilata tra le lenzuola quando il soffio del teletrasporto l’aveva
distratta.
Pai era nella stessa
posizione in cui
l’aveva lasciato, steso supino con un braccio dietro la schiena; non
rimaneva
mai a dormire, ma succedeva che si intrattenesse un po’ più a lungo del
dovuto,
a volte, senza che dovessero per forza raccontarsi a vicenda cosa gli
stesse
passando per la testa.
Solo, forse, per far
continuare ancora un
po’ l’illusione che non provassero tutta quella solitudine.
Ritornò in silenzio in
camera e raccolse la
camicia da notte di seta dai piedi del letto, infilandosela con un
fruscio
elegante.
« Non pensavo tu fossi
religiosa. »
Zakuro non aveva
previsto quelle parole, ma
non lo diede a vedere: « Ti dà fastidio? »
« No, » rispose sicuro
lui, continuando a
fissare il soffitto, « Solo che non sembra entrarci molto con il tuo
carattere.
»
Il commento la punse
più sul vivo di quanto
si fosse aspettata; ma d’altronde come poteva stupirsi, quando il
dialogo non
era sicuramente uno dei loro punti di forza?
Scivolò sotto le
coperte, lasciando i
soliti centimetri di distanza tra di loro perché nessuno dei due
cercava
carezze o contatto dopo aver soddisfatto la voglia, e non c’era bisogno
di
fingere altrimenti.
« Mi dona
tranquillità, » rispose
solamente, un po’ irritata dalla necessità di doversi giustificare in
qualche
maniera, « E conforto, sapere che c’è qualcuno a cui rivolgermi sempre.
»
Pai non rispose, ma
lei sapeva che non la
stava minimante giudicando; la sua mente razionale e scientifica stava
probabilmente solo cercando di mettere insieme i vari pezzi, e lei era
conscia
che potesse benissimo comprendere il sentimento, visti i trascorsi.
« Non ti mancano
persone fisiche a cui
poter fare affidamento, no? » il profilo affilato dell’alieno
continuava ad
essere rivolto verso l’alto, « Siete tutti molto affiatati, tra di voi.
»
« Certo. Ma ci sono
cose che preferisco non
raccontare neanche alle ragazze. »
Un esempio, si ritrovò
a pensare con una
punta di ironia.
Pai fece un muto verso
di assenso, poi
esalò brusco e piegò un ginocchio, il suo primo movimento dopo tutti
quei
minuti.
« Il vostro essere
così gregari è
affascinante e al tempo stesso irritante. Da quando siamo qui, vi
sarete
scambiati regali almeno cinque volte, ed ogni volta lo fate percepire
come…
incredibilmente importante e significativo. »
Zakuro non dovette
seguire il suo sguardo
per capire che puntava alla pila di vestiti per terra e al berretto che
spuntava da una tasca. Né dovette pensarci molto per capire perché il
suo
stomaco si contorcesse in quella maniera.
Quando Pai l’aveva
baciata la prima volta,
quel pomeriggio nel laboratorio del Caffè, non si era fatta troppe
domande; non
era solita farlo di principio, e ne aveva già affrontate abbastanza per
sapere
che se voleva qualcosa, doveva prendersela. Pochi erano i favori
concessi dalla
vita, il resto bisognava guadagnarselo, nella sfera professionale come
in
quella privata.
Al contempo, non era
certo una stupida. Non
era nella sua indole costruirsi castelli in aria, anzi, la sua
razionalità a
volte sfociava in un pessimistico realismo che lasciava poco spazio a
sciocchi
sogni tinti di rosa o vane speranze. Non era partita con l’intenzione
che quello
sarebbe continuato a lungo, o si sarebbe evoluto in qualcosa di
diverso, né le
era sembrato che la controparte avesse intenzioni differenti. Erano
adulti
entrambi, probabilmente molto più adulti di quanto lo fossero
anagraficamente,
ed erano capaci di perdersi l’uno nell’altra per qualche ora senza
davvero
perdere di vista la loro strada.
Ma non era certo
cieca, o insensibile.
Egoista, forse, a volte sì, per il suo spiccato senso di sopravvivenza.
Però
prendere in giro – ed essere presa in giro – non figuravano nel suo
modo di
essere.
« Specialmente alcune
di noi, » gli mormorò
in risposta.
Il fruscio delle
lenzuola tradì la
distaccata rigidità dell’alieno, che parlò a bassa voce dopo un
lunghissimo
attimo.
« Io sono un soldato,
» lo disse quasi con
costernazione, « Uno scienziato, sì, ma prima di tutto un soldato. Ciò
non è
cambiato con i nostri trascorsi o con la situazione attuale. Non può
cambiare.
E in quanto tale, le cose che ho fatto, ciò che io sono… avranno sempre
un
peso. »
Zakuro non riuscì a
evitare di girare il
viso verso di lui, che però persisteva a fissare il soffitto scuro.
« Un peso che non può
essere condiviso con
qualcuno di… fragile o sensibile. »
Lei si voltò
completamente su un lato,
poggiando il viso ad una mano: « Non è sempre necessario dover
scaricare i pesi
su qualcun altro. A volte si alleggeriscono da soli, passando il tempo
con le
persone giuste. »
« Lo dici perché per
te è molto simile, »
pronunciò Pai quasi tra i denti, « Ma non sono tutti come te. »
« Quindi, » la modella
calibrò le parole,
continuando a scrutare il suo profilo, « Siccome mi ritieni così…
tenace,
allora va bene? »
Solo in quel momento
l’alieno si voltò per
osservarla, i suoi lineamenti ancora più induriti dalla penombra: « Se
ferissero… se io ti ferissi, » scandì lento, come se le stesse dicendo
una
verità assodata e qualcosa di cui andar fiera, « Tu reagiresti senza
spezzarti.
»
« Mhm, » Zakuro emise
uno sbuffò
sarcastico, guardandolo da sotto la frangetta, « E pensi che questa tua
convinzione sia una scusa valida? »
Pai non rispose.
Ritornò a fissare il
soffitto con un respiro pesante, e dopo un po’, anche lei si stese
nuovamente,
volgendo lo sguardo nella stessa direzione.
Nessuno dei due parlò
più, e Zakuro si
addormentò ben dopo aver udito il fruscio dei vestiti raccolti e il
soffio del
teletrasporto.
§§§
« Ecco fatto, cara, » Sakura
piegò con cura
la copertina rosso-arancio lavorata ai ferri da Retasu e la poggiò sul
bracciolo della poltrona all’angolo, « Quando hai detto che arriverà la
cassettiera? »
Ichigo si stiracchiò
la schiena,
intorpidita dal peso della pancia di sei mesi, e sospirò un po’
afflitta: « Non
prima di tre settimane, purtroppo. »
« Hai ancora più di
due mesi di tempo, non
preoccuparti, » la madre le si avvicinò e le fece una carezza sulla
guancia, «
E a parte i mobili, la cameretta è già finita, no? »
La rossa si guardò
intorno nell’ampia
stanzetta dai muri di un caldo color crema di cui la salopette che
indossava
mostrava macchiette ovunque, vista la sua poca esperienza con pennelli
e
vernici. Il risultato finale, però, la soddisfaceva tantissimo, il
colore era
luminoso e morbido al tempo stesso e sapeva che sarebbe stata perfetta
per il
piccolino che le era rotolato nella pancia per tutto il tempo in cui
avevano
dipinto i muri, come a dare la sua approvazione (Shirogane aveva
ovviamente fatto
la maggior parte del lavoro, cacciandola dalla stanza ad un certo punto
menzionando i rischi seppur minimi delle vernici, ma erano dettagli).
Ichigo
l’adorava, e non vedeva l’ora che i mobili scelti la riempissero per
darle
davvero l’idea di un nido perfetto.
Adorava tutta quella
casa, in realtà; era
quasi rimasta ammutolita quando Ryou l’aveva accompagnata a vederla per
la
prima volta, poco prima che vi si trasferissero effettivamente. Lui le
aveva
raccontato che originariamente era appartenuta alla famiglia di suo
padre, e
non vi avevano mai passato troppo tempo durante la sua infanzia,
preferendo
rimanere negli Stati Uniti; anche dopo la morte dei suoi genitori,
Keiichiro
aveva ritenuto più saggio non tornare ad abitarvi, così la casa era
rimasta chiusa
parecchio negli ultimi quindici anni. E, anche se così non fosse stato,
Ichigo
sospettava che Ryou avrebbe comunque compiuto una ristrutturazione
nell’eventuale ipotesi di riutilizzarla, da una parte per rimodellarla
e
dall’altra per camuffare un po’ di più ricordi dolorosi del passato.
Così, la casa era
stata quasi completamente
vuota quando vi aveva messo piede la prima volta, e lei si era
divertita a
correre da una stanza all’altra per esplorare come una bambina al
lunapark.
Ryou l’aveva seguita
molto più lentamente,
con un sorriso abbozzato e le mani dentro le tasche del giubbotto; al
terzo
passaggio nel grande salone del primo piano, si era appoggiato con una
spalla
al muro e l’aveva guardata divertito: « Allora, che vuoi farci? »
Ed in effetti, le
aveva quasi dato carta
bianca: Ichigo si era sbizzarrita a scegliere i mobili e come disporli
(l’unico
veto su colori non troppo sgargianti come il suo caratteristico rosa),
a
cercare davvero di renderla casa loro, come le
ripeteva il biondo ogni
giorno quando lei gli proponeva le sue opzioni così che lui potesse
contribuire
a quella finale; era anche riuscita a strappare un armadio enorme per
la loro
camera da letto e una vasca per il bagno principale a occhio e croce il
doppio
di quella a casa dei suoi.
« Whatever
makes you happy, ginger, »
era il leitmotiv che si era sentita ripetere in quei mesi, e ora aveva
davvero
una casa da sogno.
Ichigo avvertì il
solito disagio
all’altezza dello sterno, e fece una smorfia che non passò inosservata
a
Sakura.
« Tutto okay, tesoro? »
Lei annuì poco
convinta ed esalò piano,
accarezzandosi lenta la pancia prima di decidersi a parlare: « Mamma…
posso
chiederti una cosa? »
« Ma certo, bambina
mia, tutto quello che
vuoi. »
Sakura la seguì un po’
preoccupata in
camera da letto, sedendosi con lei sul materasso.
« A volte mi sento un
po’… poco, » mormorò
dopo qualche istante la rossa, fissando il pavimento mentre cercava le
parole,
« E ho… paura che Ryou si senta in colpa per quello che è successo e…
lui è
fantastico, insomma, guarda tutto questo! Mentre io non posso… dargli
altrettanto, e… e… e poi mi sento in colpa io. »
Sakura la guardò con
affetto e le strinse
una mano, usando il suo palmo libero per accarezzarle i capelli: « Non
posso
parlare a nome di Shirogane-san, né pretendo di conoscere tutti i
dettagli del
suo passato, ma Ichigo cara… io non credo affatto che lui cerchi da te
qualcosa
di materiale, né che tu debba sentirti inadeguata, » si piegò appena in
avanti
per cercare di incontrare gli occhi della figlia, « Tutto quello che
devi
dimostrare a Shirogane-san è quanto ci tieni a lui. Quanto vi amate, a
prescindere da ciò che avete o meno. Non l’ameresti certo di meno se
foste
rimasti nel tuo appartamento. »
A quelle parole,
Ichigo aveva iniziato a
colorarsi pian piano in viso in una maniera tale che fu difficile per
Sakura
non ridere del suo imbarazzo.
« E soprattutto,
tesoro, non dimenticarti
la cosa più importante. Tu stai dando a Shirogane-san una famiglia, una
che sia
davvero sua. Sì, forse ci ha preso tutti alla sprovvista e lui vuole
essere
sicuro che tu sia felice, ma non devi preoccuparti di eguagliarlo in
qualche
maniera. Devi solo dimostrargli che sei, effettivamente, felice e
quanto ci
tieni a lui. L’onestà ha molto più valore. Anche se ovviamente io e
papà siamo
molto contenti che si possa prendere cura di te. »
Ichigo sospirò e si
poggiò alla spalla
della madre, respirandone il profumo rassicurante.
« Dici che ce la
caveremo? »
Sakura le circondò le
spalle con un braccio
e la strinse: « Credo che sarete bravissimi. »
Ichigo si concesse
qualche altro minuto di
coccole, poi sospirò pesantemente, controllando l’ora sulla sveglia del
comodino.
« Mi devo cambiare, »
mugugnò, « Ho
promesso che sarei andata al corso di yoga prenatale almeno due volte a
settimana,
e - »
Profeticamente,
udirono la porta d’ingresso
aprirsi e poi la voce di Ryou che chiamava: « Ehi, ginger!
»
« Sono di sopra con
mamma! »
Le due donne si
scambiarono un’occhiata
divertita, Ichigo si tirò in piedi con un altro sospiro e si avvicinò
all’armadio: « Spero che non sarà così puntuale… »
Sakura nascose un
sorrisetto, alzandosi e
uscendo in corridoio per andare in contro all’americano che stava
salendo le
scale in quel momento.
« Buongiorno,
Momomiya-san, » le rivolse un
cenno con la testa e un abbozzo di sorriso, « Immagino che non sia
ancora
pronta, vero? »
« Shirogane! Non
parlare male di me! »
La signora Momomiya
rise un po’ più decisa,
la somiglianza con la figlia quasi esagerata in quel momento: «
Chiamami pure
Sakura, caro. Ichigo stava giusto per cambiarsi. »
« Siamo in due ora, ci
vuole tempo, » la
testa rossa spuntò dall’uscio, lanciando un’occhiata in cagnesco al
ragazzo, «
E comunque sei in anticipo. »
« Lo sai che se fossi
arrivato in orario,
saremmo stati ancora più in ritardo, » la prese in giro dolcemente, « E
lo sai
che ho promesso a Zakuro di andarla a salvare dalla riunione con la
stampa. »
Gli occhi della
fidanzata brillarono furbi:
« Hai trovato qualcuno da presentarle? »
« No, e non ti
impicciare e soprattutto non
impicciare me, è già abbastanza pericoloso proporle
la cosa. Forza,
preparati! »
Ichigo rispose solo
con una linguaccia e si
chiuse la porta alle spalle per infilarsi negli abiti da yoga più
comodi che
avesse, e Ryou sbuffò e si voltò verso Sakura: « Vuole un passaggio in
auto,
Momomiya-san? »
« Sakura, » insistette
lei con un sorriso, «
Ti ringrazio molto, caro, ma al contrario della mia bambina io adoro
passeggiare. Abbiamo sistemato la cameretta tutta mattina, mi farà bene
sgranchirmi un po’ le gambe. »
Gli occhi azzurri
saettarono un secondo
verso la porta chiusa: « Non si è… non vi siete affaticate troppo,
vero? »
« No, non
preoccuparti, » l’espressione
morbida della donna si addolcì ancora di più e dovette controllare il
suo
sorriso, non volendo né farlo pensare che lo stesse prendendo in giro,
né
metterlo a disagio, « Sai, pensavo… siete cambiati molto da quando
venivi a
darle ripetizioni, non trovi? »
Ryou si stupì un poco
di quella domanda;
avrebbe voluto rispondere che sì, certe cose erano cambiate, in una
maniera in
cui non avrebbe nemmeno mai potuto sperare, mentre altre, ironicamente,
erano
rimaste sempre le stesse, ma lo scintillio nello sguardo color
cioccolato gli
fece capire che forse non aveva davvero motivo di spiegare alcunché.
« Già, » si limitò a
rispondere con un
accenno di sorriso, « Abbastanza. »
Sakura continuò a
sorridergli, allungando
giusto un braccio per posargli leggera la mano sul gomito in un segno
di
complicità e affetto.
« Okay, sono pronta, »
Ichigo uscì dopo
pochi istanti, un borsone da palestra poggiato sulla spalla e il
broncio sulle
labbra, « Devo proprio? »
L’americano le prese
la borsa e le
picchiettò furtivamente il naso: « Devo ricordarti che è stata una tua
idea? »
« E io devo smetterla
di condividerle con
te. Poi non è giusto, tu vai a pranzo, io a sudare. »
« Io vado
in palestra tutti i
pomeriggi. »
Sakura gli si accodò
lungo le scale,
sorridendo sotto i baffi per i loro battibecchi innocenti, non potendo
non
avvertire il cuore gonfiarsi d’affetto nel constatare le occhiate che i
due,
pur fingendo di bisticciare, si lanciavano a vicenda.
Chissà
perché mi suona così familiare.
« Immagino che questa
sia una missione
segreta. »
« Non farmi pentire di
averti chiesto di
accompagnarmi, » Ryou lanciò un’occhiataccia persistente a Zakuro,
accanto a
lui con un paio di grossi occhiali da sole e un Fedora a tesa larga.
Aveva sì
detto correttamente a Ichigo che avrebbe passato l’ora di pranzo con
Zakuro;
era stato un po’ meno ligio nei particolari del dove, del come, e del
perché.
La modella gli rivolse
solo un mezzo
sorriso, facendo un gesto di saluto a un commesso mentre si
avvicinavano a una
teca espositiva: « Posso almeno avere un’anticipazione di quando
prepararmi a
essere sorpresa? »
Di nuovo, gli occhi
azzurri le si rivolsero
irritati: « Hai ancora tempo per esercitare le tue espressioni, don’t
worry.
»
« Se non ti
conoscessi, direi che sei
nervoso, » continuò a prenderlo in giro Zakuro, picchiettando un dito
contro al
vetro.
« Come se non sapessi
che mi hai messo la
pulce nell’orecchio a Natale apposta. »
« Io ho solo fatto una
domanda molto
razionale. »
« Tu dovresti fare la
talpa per me. »
La modella alzò un
sopracciglio: « Quando
mai. Non tradirei la fiducia delle ragazze nemmeno per te, se mi
facessero
confidenze specifiche. »
« Mmmhm, » Ryou la
guardò pungente, « Se lo
dici tu. »
Zakuro si bloccò con
le mani in tasca,
studiandolo per qualche secondo: « Cosa staresti insinuando? »
L’americano ponderò
bene sulle parole da
dire, mascherando il suo ragionamento con la necessità di attirare
l’attenzione
di un commesso e scambiandosi con lui un paio di cenni di
riconoscimento.
« Che un giorno o
l’altro mi dovrete
spiegare cosa ci trovate tutte in quei due. »
Pur senza guardarla,
poté percepire con
estrema chiarezza il modo in cui Zakuro si tese d’un tratto,
continuando a
studiarlo come se in realtà lo stesse sfidando a parlar chiaro.
« Non ne ho parlato
con nessuno, tantomeno
Ichigo, né lo sa qualcuno. Per quanto credo io, almeno, » si affrettò
ad
aggiungere, guardandola di sottecchi, « Ma ti conosco più di quanto ti
piaccia
ammettere. »
Gli occhi indaco
divennero due glaciali
fessure dietro gli occhiali: « Stai continuando ad evitare di andare al
sodo. »
Ryou sbuffò, già quasi
rimangiatosi del
tutto la decisione di affrontare il discorso; perché non aveva
applicato la sua
bellissima, sicurissima filosofia del farsi i fatti propri?
« Listen, I
don’t give a shit who you
sleep with, » le disse a voce più bassa e cambiando idioma
per evitare
qualsiasi tipo di origliata, « Però non elevarti a paladina della
giustizia
quando sappiamo entrambi benissimo che qualcun altro
ha i tuoi stessi…
interessi. »
Se le occhiatacce
avessero potuto uccidere,
Shirogane sarebbe salpato da un pezzo verso l’oltretomba. Zakuro quasi
non si
mosse, esalando solo molto lentamente.
« Continuo a non
vedere come siano affari
tuoi. »
« Non lo sono, è vero.
Lo diventano nel
momento in cui una di voi due ci rimarrà male, e lo sai benissimo cosa
succederà, ci saremo tirati tutti dentro. Né tantomeno voglio che vi
facciate
del male. »
« Tu hai mai
affrontato il discorso con
Retasu, quando aveva una cotta per te e tu non ti toglievi Ichigo dalla
testa? »
visto che l’Americano rimase zitto a contemplare le vetrine, Zakuro
incalzò, «
Allora non venirmi a fare la predica su come sia giusto comunicare o se
sia
necessario farlo o meno. »
Contro il suo
buonsenso, Ryou ricominciò
dopo pochi istanti: « Tu però sei molto più leale di me, Zakuro. E lo
sai. »
« Se l’hai inteso come
un complimento,
faceva abbastanza schifo. »
S’interruppero quando
finalmente il
commesso chiamato da Shirogane riapparve dal retro con in mano un
piccolo
vassoio di velluto rosso, che gli piazzò elegantemente sotto al naso.
« Essenziale. »
Shirogane accettò la
frecciatina ironica,
sollevato solo dal vedere un mezzo sorriso sulle labbra di lei e
replicando
però con un’occhiataccia.
« … non va bene? »
Zakuro – in fondo, ma
non troppo – gongolò
un istante della sua insicurezza, visto lo scoppio precedente, ma poi
gli
concesse un sorriso più convinto: « Credo sarà molto contenta. È Ichigo
al
punto giusto. »
Ryou annuì e osservò
ancora un secondo il
vassoio, poi fece un cenno al commesso, che sparì nuovamente sul retro.
La modella si
allontanò, vagabondando
all’interno del negozio mentre ascoltava distratta l’amico che parlava
con
quello che sembrava il proprietario; dopo qualche altro minuto di
confabulazione, il commesso ritornò con un elegante pacchettino
sormontato da
un fiocco dorato, che Ryou si affrettò a infilare nella tasca della
giacca prima
di salutare nuovamente e voltarsi verso di lei per indicarle l’uscita.
Il rumore della città
in quella giornata
soleggiata li investì prepotentemente, e Zakuro abbassò d’istinto il
viso,
nonostante il camuffamento.
« È quasi ora che la
vada a riprendere, »
borbottò il biondo, consultando l’orologio al polso, « Vuoi uno strappo
da
qualche parte? »
« L’autista mi sta
aspettando all’angolo
del prossimo isolato, » la mora accennò divertita verso la tasca
dell’americano, « San Valentino? »
Ryou le lanciò
un’occhiataccia mentre si avviava
insieme a lei, esalando: « Potresti smettere di insinuare che io sia
così
banale e prevedibile? »
« Forse così smettiamo
di insinuare a
prescindere. »
Lui sbuffò poco
convinto, ma colpito nel
segno, e si fermò di nuovo: « È così difficile accettare che io mi
possa
preoccupare per voi? Soprattutto quando le cose diventano più…
complicate. »
Zakuro continuò a
camminare lenta, in
silenzio; non le piaceva quando chiunque si impicciava dei fatti suoi –
tantomeno Shirogane, che per quanto potesse dire, lei sapeva essere
mosso anche
da una certa avversione verso certi soggetti – né che la compatissero
in
qualche maniera, eppure per certi aspetti era rinfrancate sapere che
esisteva qualcuno
che non la ritenesse completamente stoica e infrangibile. Seppur
impiccione, e
a volte così ipocrita, visto il muro che era solito ergere attorno ai
suoi, di
fatti.
« Sono grande e
vaccinata, » rispose alla
fine, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quando e se avrò bisogno
dei
tuoi consigli, sarò la prima a chiedere. Nel frattempo, puoi stare
tranquillo. »
Ryou avrebbe tanto
voluto rispondere che stare
tranquillo era un’espressione che aveva cancellato dal suo
vocabolario sin
da quando il suo bell’esperimento aveva iniettato DNA di animali in via
di
estinzione a quelle cinque, ma decise che era giunto il momento di
chiudere la
bocca, e si incamminò dietro di lei.
§§§
Kisshu non avrebbe mai pensato
di vedere il
Caffè più rosa di quanto già non fosse, ma quando scese le scale quella
mattina
capì di essersi sbagliato: il locale era letteralmente invaso da più
sfumature
di rosa e rosso di quante potesse riconoscerne. Sbatté le palpebre un
paio di
volte, quasi accecato da tutti i cuoricini volanti che vedeva piovere
dalle
cameriere.
Possibile che quel
posto fosse sempre un
tale circo?
« Buongiorno, Kisshu
nii-san! »
« Scimmietta… » Purin
apparve dalla
dispensa al piano inferiore con in mano un cesto pieno di fiocchi e
nastri
rossi, e lui la seguì in cucina un po’ confuso, « Ho la netta
sensazione di
starmi perdendo qualcosa. »
La biondina rise e
lasciò cadere
pesantemente il cesto sul tavolo al centro.
« Oggi è San
Valentino. La festa degli
innamorati, » aggiunse un po’ sarcastica, notando come la spiegazione
non fosse
sufficiente, « Ecco perché i cuori e i fiocchi, e ancora più rosa del
solito.
Per noi è sempre un successone, un sacco di gente viene qui per degli
appuntamenti romantici. »
« Avete un giorno per
festeggiare l’amore? »
domandò l’alieno, incuriosito e leggermente ironico, giocherellando con
uno dei
fiocchi.
Purin si strinse nelle
spalle: « Succede in
tutto il mondo. Le coppie si scambiano regali, hanno appuntamenti
speciali ed
eleganti, fiori e cioccolatini ovunque. In Giappone in realtà la
tradizione
vuole che siano le ragazze a regalare la cioccolata ai loro fidanzati,
ancora
meglio se fatta in casa. Domani vedrai quanto andranno giù i prezzi, »
commentò
poi divertita.
Kisshu scosse solo la
testa, occhieggiando
interessato Keiichiro che si univa a loro con una notevole quantità di
burro in
mano.
« Poi dite che quello
strano sono io. »
Il pasticcere rise
sottovoce mentre
riprendeva a dedicarsi alle sue creazioni: « Credo che per una volta tu
e
Ryou-kun potreste trovarvi d’accordo su un argomento. »
« Basta non ricordarlo
a Ichigo nee-san, »
Purin ghignò maligna, « Direi che è la sua festività preferita, no
Akasaka-san?
Non ricordo di averla mai vista lavorare un San Valentino, veniva solo
per
usare la cucina e darsi alle creazioni di cioccolatini. »
« Credo che per
quest’anno si tratterrà, »
commentò dolcemente Keiichiro, « Ha solo ordinato una piccola torta per
due. »
« Tra un po’ farà
fatica a vedere il
bancone sicuro. »
Purin e Kisshu si
scambiarono una risatina
mentre il moro li redarguiva con uno sguardo d’affetto.
« Buongiorno! » Minto
spuntò in cucina
dalla porta laterale trascinandosi dietro una voluminosa busta
traboccante di
pacchettini, « Il primo carico è arrivato. »
« Sììì! » Purin quasi
vi si lanciò sopra, «
Il lavoro della onee-sama è fantastico. »
« Fujiwara-san riceve
sempre tantissimi
regali dai suoi fan, e San Valentino non fa eccezione, » spiegò
Keiichiro,
spostando la borsa sul tavolo, « Per non sprecare nulla, Minto-chan ce
li
porta. Un po’ ce li dividiamo tra di noi, ma se troviamo cioccolata di
buona
qualità possiamo anche riutilizzarla. »
« L’ufficio della sua
manager diventa una
specie di giungla, tra tutti i fiori che le mandano, » sospirò la mora,
« Ora
vado, ho l’auto che mi aspetta, ma ci vediamo dopo per il secondo giro,
d’accordo? Ne porto un po’ a voi e un po’ alle bambine. »
Kisshu sorrise sotto i
baffi mentre seguiva
discreto Minto in corridoio, dopo i saluti di Purin e Keiichiro. Da
almeno un
annetto, infatti, la mora aveva iniziato a insegnare danza, un paio di
giorni a
settimana, alle bimbe più piccole della scuola associata al suo vecchio
teatro,
catturata dalla richiesta del suo vecchio direttore artistico. In
quegli ultimi
mesi lui si era intrufolato un paio di volte nella scuola per andarla a
prendere, in anticipo solo per il gusto di spiarla di nascosto mentre
girava
tra le bimbette, che più che imparare a ballare iniziavano ad
interagire con la
musica e i loro corpi, con sempre sul volto uno di quei rari sorrisi
sinceri
che incominciavano a fargli ronzare piacevolmente il ventre.
« E per me non hai
portato niente? » le
domandò irriverente mentre l’accompagnava verso l’uscita sul retro, con
le
braccia incrociate dietro la schiena.
Lei lo guardò di
sbieco da sotto in su: «
L’enorme busta che c’è in cucina forse non ti basta? E poi ti strafoghi
già
abbastanza. »
« Sì ma quella è per
tutti, » si lamentò
ironicamente lui, « Credevo ci dovesse essere qualcosa di speciale! »
Individuò subito la
maniera in cui la
schiena della mora s’irrigidì come se l’avessero tirata con un filo: «
Perché
mai? »
« Purin mi ha spiegato
come funziona, sai,
» Kisshu approfittò dell’aprirle la porta per avvicinare il volto al
suo, un
po’ birbante nel suo prenderla in giro, « A quanto pare, le ragazze
devono
portare la cioccolata ai loro ragazzi. »
Minto esitò solo un
istante mentre usciva,
poi lo guardò da sopra la spalla, un sopracciglio ben arcuato: « … e
dunque? »
Il verde ghignò
furbescamente: « Così mi
spezzi il cuore, tortorella. Stai dicendo che non sei la mia ragazza? »
Sotto sotto, ammirò la
forza d’animo che la
mora dimostrò nel non arrossire più del velato rosa che le colorò le
guance,
visto che il suo udito fine catturò con chiarezza il suo trattenere
appena il
respiro.
« Sto dicendo che io
non faccio certo le
cose banali che fanno tutti, » esclamò poi infine, altezzosa e fiera
come
sempre, « Se volevi qualcuno di così prevedibile, hai proprio sbagliato
mira. »
Kisshu rise e la
raggiunse prima che lei
potesse rifugiarsi in auto, approfittando del fatto che non ci fosse
quasi
nessuno attorno a loro per lasciarle un bacetto sul naso.
« Ti vengo a prendere
a teatro, okay? Ma
non cambiarti, lo sai che il costumino da ballo mi piace. »
Minto si sforzò di
alzare gli occhi al
cielo e ignorare il rombo della pancia al tono di voce più basso: «
Irreprensibile. »
Aspettò che fosse
entrata in macchina prima
di ritornare fischiettando dentro al Caffè. Appena varcato l’uscio,
notò la
chioma verde di Retasu uscire baldanzosa dallo spogliatoio, poi
fermarsi a
circa cinque passi da esso, esitare qualche istante, e infine marciare
di nuovo
indietro a testa bassa, un pacchettino dorato stretto tra le mani.
Kisshu represse un
sorrisetto intenerito a
vederla; non aveva chiesto dettagli, ovviamente, né aveva tutta questa
voglia
di saperli, ma era ben conscio che suo fratello fosse stato la solita
testa di
rapa negli ultimi mesi.
« Farei
d’ambasciatore, pesciolina, ma non
credo sia il caso. »
Retasu sussultò
visibilmente, portandosi
una mano al cuore e arrossendo parecchio quando lo riconobbe: «
Kisshu-san! No,
ecco… io… era solo così… »
Lui la raggiunse in
tre falcate e le fece
l’occhiolino, picchiettandole appena la fronte con l’indice: « Su, su,
non c’è bisogno
di avere un infarto. È una festa, no? »
« G-già… » mantenendo
lo stesso colorito,
la ragazza abbassò la testa e lo osservò da sotto in su, gli occhioni
blu
ancora più grandi dietro le lenti, « T-tu pensi c-che… »
Se avesse potuto,
Kisshu l’avrebbe scossa
per le spalle per infonderle un po’ di coraggio. O alternativamente, e
forse
un’idea migliore, avrebbe dovuto scuotere quell’imbecille di Pai. Si
limitò
invece a continuare a sorriderle, il più sinceramente possibile: «
Cincischiare
qui con me non sarà certo di aiuto. Ma ehi, io la tua cioccolata
l’accetterei
più che volentieri. »
Dapprima Retasu annuì
contenta, poi quasi
si soffocò nel realizzare che il verde, come suo solito, aveva condito
il tutto
da un’aria maliziosa che lei proprio non riusciva a digerire. E per
fortuna che
non c’era Minto nei paraggi.
« Kisshu-san! »
Lui ridacchiò ancora,
le diede un altro
buffetto sulla testa, e si dileguò fischiettando al piano di sopra, le
braccia
incrociate dietro la nuca.
Retasu prese un
respiro profondo e, con
passi estremamente lenti, raggiunse l’inizio delle scale che portavano
al
laboratorio. Le sembrarono ancora più buie del solito, o forse era
semplicemente il battere furibondo del suo cuore che le oscurava la
vista.
Anche i rumori festosi e più allegri che mai del Caffè erano
affievoliti, alle
sue orecchie ronzanti. Si diede della stupida; Kisshu aveva ragione,
no, non
era altro che una sciocca festività comandata e lei aveva soltanto
pensato di
fare un gesto carino. Così come era successo per tutte le altre feste
dal loro
ritorno, per farli sentire parte del gruppo… giusto?
Come
no.
Prese un’altra boccata
d’aria, meditando
seriamente di filarsela nuovamente in spogliatoio e mollare quella
cioccolata a
Purin, che di certo l’avrebbe apprezzata moltissimo. Invece raddrizzò
le
spalle, strinse la presa sul pacchetto, e quasi volò giù dalle scale,
rischiando tra l’altro di inciampare nell’ultimo gradino e finire la
corsa
lunga distesa col naso per terra.
Si impose di darsi un
contegno, pregò di
non svenire visto che il suo cuore le bloccava il petto e la corretta
inalazione d’aria, e poi bussò piano alla porta del laboratorio.
Visto il tempo che
passavano chiusi lì
sotto e la quantità di spuntini e bevande consumate – soprattutto da
uno di loro
– Keiichiro aveva installato un sistema automatico di sblocco della
porta
controllato da un pulsante, videocamera inclusa, così che nessuno
dovesse
fisicamente alzarsi o abbandonare per cinque secondi i preziosissimi
calcoli
che scorrevano davanti allo schermo. Retasu trovò quindi Pai seduto
alla
scrivania quando, una volta udito il bip e lo
schiocco della serratura, aprì
uno spiraglio largo abbastanza per farci passare la testa;
immediatamente si
sentì in preda al panico, lui stava ancora lavorando, cosa poteva
interessargli
delle sue sciocchezze?
« Ti… ti disturbo,
Pai-san? »
L’alieno distolse gli
occhi dal monitor per
una frazione di secondo: « No, sto solo finendo di controllare dei
dati. »
Lei zampettò dentro,
titubante e come
sempre avvezza ma a disagio dalla brevità e dai modi bruschi del
ragazzo. Con
la coda dell’occhio, notò sull’attaccapanni il berretto che gli aveva
confezionato per Natale, e sebbene sapesse che gli serviva più a
nascondere le
orecchie che a contrastare il freddo, quando si avventurava fuori dal
laboratorio, non poté impedire la capriola del suo stomaco. Non che ci
fosse
stata chissà quale novità dalla loro conversazione quella sera, si
ricordò;
anzi, una parte di lei aveva pensato che lui si fosse in qualche
maniera
ritratto più del solito, e che quella era stata in realtà la loro
ultima, vera
conversazione intera. Sì, avevano parlato nei mesi successivi, ma erano
stati
scambi ancor più brevi di parole non molto pregnanti, come se lui fosse
stato
più cauto nei suoi confronti, quasi più remissivo. Ma lei l’aveva
seguito con
lo sguardo, e aveva sentito lo sguardo ametista su di sé, e si era
ripromessa,
come buon proposito dell’anno nuovo, di avere un po’ più di fiducia in
sé
stessa, e dunque…
Dunque, fece un passo
all’interno della
stanza, le mani e la cioccolata nascoste dietro la schiena, sbirciando
quel
monitor che non sapeva decifrare.
« Posso tornare dopo,
se non è un buon
momento. »
Pai scosse la testa,
digitò qualche altra
cosa sulla tastiera, e voltò la sedia completamente verso di lei: « Ti
servivo
per qualcosa? »
Retasu si morse
furtivamente un labbro;
aveva pensato a cosa dire, ma ovviamente in quel momento il suo
cervello era
completamente in pappa.
« Sai come… insomma,
avrai visto che ci
sono un sacco di festività sulla Terra, e tutte con un significato
diverso, e
ogni volta finisce che voi non sapete mai cosa stia succedendo… »
Si arrischiò a fare
qualche altro passo in
più nel laboratorio, gli occhi scuri che continuavano a scrutarla,
incuriositi
e un po’ confusi.
« O-oggi è San
Valentino, e… u-una festa
che… e ho pensato… ecco, tieni, » divorò le ultime sillabe e per poco
non gli
lanciò il pacchettino addosso, piegandosi quasi a metà in un inchino
imbarazzato.
Di sottecchi vide le
lunghe dita
dell’alieno stringersi attorno al pacchetto e scartarne un angolo,
indeciso.
« Non capisco. »
A Retasu venne da
sorridere, nonostante
l’infarto in procinto di scoppiarle in petto. Sicuramente il suo
proposito di
spiegare la situazione non era andato a buon fine.
« Cioccolata. L’ho…
l’ho fatta io. In
Giappone è uso che in questa giornata le… ragazze la preparino per… »
boccheggiò, sentendo le guance diventare ancora più roventi del solito
e
cercando disperatamente una maniera per esprimere il concetto senza
pronunciare
parole fin troppo rilevanti, ma fallendo miseramente, « … ecco,
insomma. »
Il viso dell’alieno
rimase stoico,
bruciandole la sommità del capo che lei continuava a tenere rivolto
verso il
basso.
« N-non so se hai
notato il locale, oggi, »
esalò lei con un filo di voce e una risatina nervosa, alla fine, solo
per
spezzare quell’orrido silenzio teso.
Pai proseguì a non
dire una parola,
continuando a fissare ora lei, ora la cioccolata come se fossero pezzi
di un
puzzle irrisolvibile. Retasu resistette tre secondi in più prima di
scattare
dritta come una molla ed esalare di un fiato:
« Non sapevo se ti
sarebbe piaciuta così,
non ti vedo mangiare spesso neanche i dolci di Akasaka-san, quindi non
ti
sentire in dovere, era solo un… un pensiero, » raccolse tutto il suo
coraggio
per mostrare un sorriso convinto (che però le riuscì solo tremolante),
e si
avviò verso la porta, « Per rendervi partecipi della festa, ecco. Ora
devo
proprio… »
« Retasu. »
La voce cupa la fermò
quando aveva già una
mano sulla porta, forzandola a voltarsi quasi controvoglia mentre
sentiva già
gli occhi pizzicarle. Con sua sorpresa, l’espressione sul volto di Pai
era
quasi sofferente: « Grazie, » riuscì solo a mugugnare.
La ragazza gli rivolse
un altro sorriso, il
rossore che le colorò anche il collo, e sgattaiolò via. Quando la udì
rifugiarsi al piano di sopra, l’alieno si lasciò andare con uno sbuffo
contro
lo schienale della poltrona. Scartò un po’ di più la confezione dorata,
rivelando una cioccolata dal colore intenso e dalle forme distinte; la
sua
origine casalinga era chiara, ma al tempo stesso rivelava una cura e
un’abilità
non indifferenti. Con cautela, la posò sulla scrivania, mentre il senso
di fame
veniva rimpiazzato da quello che gli sembrava senso di colpa, e non gli
piacque
per niente.
Dannazione.
« Non credo ne
arriverà altra, farai meglio
a mangiare quella. »
Kisshu apparve
silenziosamente sull’uscio,
cogliendolo di sorpresa; per tutta risposta, Pai lo trucidò con lo
sguardo, ma
il fratello si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sono arrivati dei
messaggi sul canale di
comunicazione criptato, » rispose in tono piatto, poggiandosi con la
spalla
allo stipite, « Pensavo di andare a fare un giro a controllare. »
Il maggiore emise un
grugnito esasperato;
l’ultima cosa che gli ci voleva era la sfacchinata fino all’astronave,
per dei
messaggi che la maggior parte delle volte erano semplicemente
inconcludenti.
« Io te l’avevo detto
di spostare uno dei
comunicatori qui, ma mi sai che sei stato troppo impegnato. »
Non riuscì a
controllarsi, e una scarica
elettrica colpì quel ficcanaso lingualunga di Kisshu dritto al braccio,
strappandogli una sequela di parolacce irripetibili.
Avrebbe piovuto fuoco
prima che lui
ammettesse mai che suo fratello avesse ragione.
Ryou aspettò il doppio
bip che
segnalava la chiusura dell’automobile prima di infilarsi le chiavi
nella tasca
del cappotto e salire le scale di casa, ben attento a non sballottare
il mazzo
di fiori che teneva in mano.
Nonostante in Giappone
San Valentino
prevedesse in teoria che solo le ragazze regalassero cioccolata ai loro
fidanzati, lui in primis per certe cose sentiva
ancora la spinta della
sua metà americana, e in secundis conosceva
benissimo le debolezze
romantiche della sua dolce metà in piena tempesta ormonale.
« Ginger,
I’m
home! »
« In cucina! »
In effetti,
abbandonati cappotto e borsa
del pc, lui seguì il profumino che aleggiava alla sua destra, e quando
svoltò
l’angolo dell’entrata vide il tavolo da pranzo ricolmo di piatti
diversi e, al
centro, una piccola torta su cui riconobbe immediatamente la mano di
Keiichiro.
« Ho ordinato tutto! »
si difese subito
divertita Ichigo, con indosso un vestito rosso a pois con un fiocco
sotto al
lato sinistro del seno che le fasciava dolcemente la pancia.
Lui sbuffò e scoprì i
fiori che aveva
nascosto dietro la schiena: « Non ti ci vedevo molto a cucinare un
intero pollo
arrosto. »
« Antipatico, » la
rossa fece una smorfia e
infilò il naso direttamente nel mazzo, ispirando forte, « Non dovevi
però! »
« Non significa che tu
non volessi. »
Ryou le prese il volto
tra le mani e la
baciò teneramente, mezzo sorprendendosi quando la avvertì sospirare
piano e
illanguidirsi contro al suo corpo, tirandosi sulle punte piedi e
incrociando le
braccia dietro al suo collo – decisamente gli ormoni di Ichigo
sarebbero sempre
rimasti un mistero per lui, visto che solo quella mattina l’aveva
beccata a
piangere ascoltando struggenti canzoni d’amore.
« Guarda che si fredda
la cena, » le
mormorò divertito, sfiorando un’altra volta il naso di lei con il
proprio.
« Giusto! » Ichigo
tossicchiò e balzò
indietro con fin troppa agilità, affrettandosi in salotto per prendere
un vaso
dove riporre i fiori, « Tu siediti, io arrivo! »
Il biondo rise sotto
ai baffi,
accomodandosi alla sua solita sedia a un’estremità del tavolo: « Com’è
andata
la visita? »
« Tutto bene, »
rispose lei, ritornando con
in mano un pacchettino, « Papà è stato contento di potermi
accompagnare. »
« Di non avermi tra i
piedi. »
La rossa gli lanciò
un’occhiataccia un po’
divertita, poi gli si sedette sulle ginocchia e gli porse il regalo: «
Al posto
della cioccolata. »
Ryou lo scartò,
rivelando una tutina bianca
a tema Star Wars con sopra scritto “I’m a Jedi, like my father
before me”(***),
che gli strappò un risolino: « Ti ho finalmente corrotta? »
« No, » Ichigo scosse
la testa mentre gli
si stringeva un po’ di più addosso, « Ma tanto so che non avrò scampo.
Spero
solo mi assomigli almeno un po’. Già il gene dei capelli rossi è
recessivo. »
Gli occhi azzurri si
sgranarono appena,
sorpresi e compiaciuti, poi Ryou le scompigliò la frangetta come quando
era ragazzina:
« Don’t worry, you’ll always be my favorite ginger. »
La rossa impiegò
qualche secondo a recepire
la frase, nonostante si stesse ormai sforzando di comprendere sempre
più la
lingua madre del ragazzo (e lui stesse di contro aumentando la
frequenza con
cui la utilizzava), poi arrossì contenta e avvicinò il viso quanto più
possibile al suo.
« Ti amo, » farfugliò
emozionata e a bassa
voce, sentendo lo stomaco rotolarle come se davvero avesse avuto
quindici anni,
« E lo so che è scontato e banale dirlo a San Valentino e che tu
detesti le
feste comandate, ma io ti amo, e - »
Non fece in tempo a
finire la frase che le
labbra del ragazzo catturarono le sue, trasformandola in un mugolio
indefinito.
« Avevo… altre cose
che… » borbottò
sottovoce mentre già Ryou si poggiava al tavolo per fare leva e
invitarla, un
po’ bruscamente, ad alzarsi.
« Me le dici dopo, »
la interruppe lui
ancora in un sussurro roco, prendendole il viso tra le mani e
camminando all’indietro
senza smettere di baciarla. Ichigo sbuffò, ma le sue dita avevano già
preso ad
armeggiare con i bottoni della camicia di lui:
« La cena… si fredda…
» ripeté divertita, e
poi le scappò uno strilletto quando il biondo passò una mano sotto le
sue ginocchia
e la prese in braccio all’improvviso, portandola deciso al piano di
sopra.
«
I don’t really
care, do you? »
Ichigo
non pensò minimamente a protestare
oltre.
(*)
Non sono impazzita, è vero: siccome il Natale è un concetto molto
diverso in
Giappone da quello occidentale, è molto comune concedersi il pollo
fritto da
KFC come cenone :D Il cenone americano invece ricorda molto il
Ringraziamento,
con il super tacchino farcito, il purè di patate che è più panna che
patate
(aaaah i ricordi <3), la salsa di mirtilli… etc. etc. :)
(**)
Episodio
10, La squadra si completa, ovvero la puntata in
cui si rivela che
Zakuro è l’ultima Mew Mew.
(***)
Cit.
Luke Skywalker, da Star Wars Episodio VI – Il ritorno dello Jedi. E sì,
le
tutine così esistono davvero, chi sono io per non googlare idee xD
|
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Capitolo 5 *** Another spring ***
Chapter Five – Another spring
I giorni passarono, la
pancia di Ichigo
cresceva, e un altro suo compleanno trascorse festeggiato in compagnia
– anche
se in maniera molto più tranquilla e a casa Shirogane, ora diventato il
secondo
luogo di ritrovo preferito dopo il Caffè (senza ovviamente che il
padrone di
casa potesse lamentarsi troppo della cosa), visto anche che le abilità
deambulatorie della rossa – di cui già non aveva spiccato in
precedenza, geni
felini o meno – andavano via via abbassandosi. I risentimenti di
Shintaro nei
confronti dell’americano, invece, non accennavano a diminuire,
identificando in
lui il solo responsabile della circuizione della sua adorata
figlioletta; i
mille interventi pacificatori di Sakura, che era passata dalle blande
moine nei
confronti del marito a vere e proprie minacce tra cui l’esilio perpetuo
sul
divano, avevano ottenuto almeno l’esito di un passaggio verso un
trattamento
del silenzio invece che un continuo borbottio di disapprovazione ad
ogni
incontro con i futuri genitori.
Parimenti, e in
concomitanza con la sempre
maggiore evidenza che gli esseri di sesso maschile che bazzicavano più
spesso
per il locale erano già stati accalappiati, crescevano le animosità
delle
cameriere del Caffè verso le loro colleghe più veterane e compagnia, in
un
tumulto di falsi sorrisetti e bisbigli dietro le spalle che avevano il
risultato di far ridacchiare Purin sotto i baffi, agitare Retasu, e
scatenare
gli ormoni già poco controllabili di Ichigo.
In quel momento,
difatti, la rossa se ne
stava appollaiata sullo sgabello della cassa in abiti quotidiani
(l’uniforme
aveva smesso da un bel pezzo di andarle bene e tutti avevano concordato
non
avesse alcun senso aggiustarla) a lanciare occhiatine di fuoco a due
delle sue
collaboratrici.
« Guardale, le vipere,
» sibilò non appena
Retasu le si avvicinò con un sorriso e in mano un conto di uno dei
tavoli, « È
tutto il giorno che sghignazzano nell’angolo, ma che avranno tanto da
dirsi? »
La verde seguì la
direzione del suo
sguardo: « Credo che Kisshu-san sia sceso dopo aver fatto la doccia, ho
sentito
qualcosa come maglietta appiccicata… »
Ichigo emise qualcosa
di simile a un
ruggito, ignorando totalmente il disagio dell’amica a dover rivelare
quella
notizia, gli occhi che le brillarono maligni: « Possibile che
Minto-chan non se
ne sia accorta? Lei sì che saprebbe metterle a posto… »
Retasu quasi
boccheggiò e rise
nervosamente, dandole dei piccoli colpetti sulla mano: « Su,
Ichigo-chan, non
credo bisogni arrivare a tanto… »
« Magari chiedo a
Shirogane di licenziarle.
Per oltraggio a una collega. »
L’amica sospirò
afflitta, ben conscia che
in realtà a Ichigo pesasse molto il fatto che le altre la ritenevano in
qualche
modo privilegiata solo perché, vista l’ingombrante pancia di più di
otto mesi e
il bisogno tassativo di riposo che continuava a ignorare perché a
casa si
annoiava, era stata spostata a marcare la cassa per le tre
ore al giorno
che Ryou le concedeva di passare al Caffè.
« La cosa migliore è
lasciarle perdere, »
insistette pacata, continuando a picchiettarle il polso, « Altrimenti
darai
solo loro soddisfazione. E poi non ti fa bene agitarti. »
Ichigo si accarezzò il
ventre e sospirò più
forte, piegando la testa da un lato: « Reta-chan, a volte vorrei tanto
essere
come te. Io vorrei solo… uugh! »
La rossa strinse forte
i pugni, mimando
qualche tipo di risposta fisica nei confronti delle altre cameriere, e
la
povera Retasu tentò nuovamente di blandirla, terrorizzata che potesse
in
qualche maniera causarsi da sola un travaglio prematuro lì sul
pavimento del
Caffè o – peggio – che Ryou la beccasse in piena crisi nervosa quando
le
ripeteva ogni venti minuti che doveva star calma.
« Ichigo-chan, ci
stiamo dando al karate? »
Purin uscì dalla cucina con un vassoio strapieno e le rivolse uno
sguardo
divertito, « Pensavo saresti passata da me, in caso. »
« No, sto solo
progettando come liberarmi
di Tamiko-san e Kayio-san, » replicò in un borbottio, « Se hai qualche
idea,
spara pure. »
« Chieko-san però non
è male, » la biondina
lanciò un’occhiata alla terza cameriera, con un infausto taglio a
scodella,
impegnata a prendere un ordine dall’altra parte del locale, « Se ne sta
quasi
sempre in disparte, a volte mi fa tenerezza. »
Ichigo emise un verso
di superiorità col
naso che alle altre due ricordò molto una certa loro amica: « Per
fortuna che
qualcuno che si fa i cavoli suoi c’è! »
Mentre le altre due si
scambiavano
un’occhiatina divertita e Purin andava a consegnare gli ordini, la
rossa esalò
l’ennesimo sospiro e poi uno sbuffo più accennato quando la creaturina
dentro
il suo ventre cominciò a scalciarle precisa la milza.
« Uguale a Shirogane,
» scherzò verso
Retasu, che l’aveva guardata un po’ preoccupata, massaggiandosi piano
il punto
dolente per cercare di placare il nascituro, « Sempre a sgridarmi! »
La verde rise e
allungò piano una mano per
sentire anche lei i calcetti, Ichigo che parve dimenticare la questione
precedente lanciandosi in risolini complici e mostrandole una sfilza di
foto
dei vari completini, giocattoli e accessori acquistati, e per qualche
istante
sembrò tornare il sereno.
Almeno finché la porta
d’ingresso non
annunciò con un tintinnio l’entrata di Kisshu e Minto, lui come al
solito
ghignante e lei corrucciata e presa da un’evidente predica. Le due alla
cassa
si scambiarono solo un’occhiatina divertita – ormai abituate anche alle
strane
dinamiche di quei due – e poi Retasu rivolse all’amica mora un’occhiata
un po’
preoccupata.
« Buongiorno,
Minto-chan, Kisshu-san. Tutto
bene? »
Arrivata alla cassa,
l’ex ballerina mollò
con un pesante tonfo la borsa sul bancone di legno.
« Qualcuno
qui si è dimenticato di
avvisare che fosse il suo compleanno, oggi, » berciò con tono di
supponenza,
guardando Kisshu in cagnesco, « E adesso ha deciso che vuole una festa!
»
« Kisshu-san! »
perfino a Retasu scappò una
nota di rimprovero, « Alla fine l’hai scoperto? »
« Come
volevasi dimostrare, il
cervellone di sotto ha fatto i conti. Voi vi gasate sempre così tanto,
non
volevo perdermi l’occasione, » lui ghignò e poi lanciò un’occhiata alla
mora
accanto a lui, « Comunque non voglio una festa, l’unica cosa che mi
interessa è
la torta con le candeline, e visto che abbiamo una pasticceria di
riferimento…
»
Minto scosse appena la
testa, serrando le
palpebre per un secondo: « Se ti fossi ricordato prima
del tuo pozzo
senza fondo di stomaco avremmo potuto organizzare qualcosa di meno
infantile e
non prendere la prima torta rimasta. »
« Non tutto deve
essere fatto in grande,
tortorella, » continuò invece lui a prenderla in giro, impassibile, « E
non
capisco perché tu te la prenda così tanto. »
«
Perché ti sembra che io non sappia quando - » la mora s’interruppe e
sbuffò
contrariata, girando il viso dall’altra parte, rivolgendosi
direttamente a
Retasu, « C’è qualcosa che possiamo usare o no? »
La verde, già agitata
dal nervosismo di
Minto – mentre Ichigo continuava a sogghignare sotto i baffi, trovando
il
puntiglio della mora molto divertente – si sforzò di fare il sorriso
più
convincente che potesse: « Sono sicura che Akasaka-san troverà una
soluzione. E
possiamo fare una merenda tutti insieme sulla terrazza, alla chiusura. »
« Grazie, Retasu-chan,
sei molto più utile
di altre persone, » Minto rilassò appena le spalle ma lanciò comunque
occhiatacce a Kisshu e Ichigo, poi si ravvivò i capelli e riprese la
sua borsa,
« Ma magari non sbandieratelo ai quattro venti, non vorrei che certa
gente
si mettesse strane idee in testa. »
« Ah-ah! » Ichigo
esclamò trionfante,
battendo un pugno sul bancone mentre seguiva lo sguardo altezzoso
dell’amica verso
il cruccio della sua giornata, « Lo sapevo che te n’eri accorta! »
« Non sono molto
discrete, » commentò lei a
naso arrogantemente in su, « E sono tentativi un po’ disperati, siamo
oneste. »
Retasu sospirò
pesantemente, scambiandosi
un ultimo sguardo con Kisshu mentre le altre due cominciavano a
confabulare
minacciose, e tornò ad occuparsi dei clienti anche per non dare adito
ad
ennesimi scontri con le altre cameriere.
Tuttavia, forse anche
lei doveva ammettere
che Tamiko e Kayio sembravano cercare molte opportunità per non
risultare
particolarmente simpatiche. Quando ritornò in cucina con un vassoio
ricolmo di
stoviglie sporche, la scena che le si palesò davanti fu al tempo stesso
ridicola e fastidiosa.
La larga schiena di
Pai era infatti rivolta
verso di lei mentre l’alieno, giustamente camuffato, si concedeva un
sorso di
tè freddo e una pausa dal laboratorio – probabilmente anche in cerca
del
fratello scansafatiche; accanto a lui, impegnata ad arrotolarsi una
ciocca di
capelli castani sul dito con un sorriso inequivocabile, stava Kayio,
l’altro
braccio a tenere il vassoio poggiato contro al ventre e il corpo
inclinato da
una parte nel chiaro tentativo di risultare più avvenente.
Nemmeno si accorse – o
più probabilmente la
ignorò di proposito – dell’entrata di Retasu, che quanto più
silenziosamente
possibile nonostante i bicchieri che tintinnarono minacciosi cercò di
spostarsi
lungo il lato della stanza e raggiungere il lavandino accanto a loro;
persistette
invece a parlottare e ridere quasi da sola, sbattendo le ciglia e
ammiccando
quanto più sensualmente possibile.
Ciò che nonostante
tutto tingeva di comico
la scena per Retasu e le calmava un pochetto il rombare del suo stomaco
era il
fatto che Pai sembrava nemmeno non dare adito alla presenza di Kayio
accanto a
lui. Continuava imperterrito a sorseggiare dal suo bicchiere, come se
davanti a
lui ci fosse stata solamente il muro e non una ragazzina in tenuta da
cameriera
che stava palesemente flirtando con lui. Quasi quasi, Retasu l’avrebbe
encomiata per la sua faccia tosta e il suo coraggio ad esporsi in
maniera così
aperta quando la risposta era quella.
E lei ne sapeva
qualcosa dell’impassibile
glacialità dell’alieno.
Senza dire una parola,
Pai si voltò verso
di lei – dando quindi quasi completamente le spalle a Kayio, che si
zittì dopo
circa dieci secondi – e le prese il vassoio dalle mani, posandolo per
lei
vicino al lavandino.
« Grazie mille,
Pai-san, ma non c’era
bisogno che - »
« Oh, Midorikawa-san,
non far fare le cose
ai nostri ospiti, » commentò l’altra cameriera con velenosa dolcezza, «
Non
sono certo qui per questo. »
« Veramente io - »
« Yuu-uuuh, Kayio-san,
» la testa di Ichigo
spuntò dal passavivande all’improvviso, « Il tavolo cinque e il nove
stanno
aspettando, e il dodici è da sparecchiare. »
Il viso di Kayio
divenne un’educata
maschera di stizza: « Arrivo subito, Ichigo-san, grazie dell’avviso. »
Con un’ultima
occhiataccia a Retasu e una
più languida a Pai, la morettina si dileguò a schiena dritta e mento
all’insù.
« Vipera, »
sussurrò di nuovo Ichigo
prima di voltarsi ancora verso la cassa. Con una risatina e l’animo
pieno di
gratitudine nei confronti della sua amica, che dalla prima volta in cui
l’aveva
trovata in difficoltà a causa del suo carattere docile era stata in
guardia
anche per lei, la verde seguì la larga schiena di Pai verso il
corridoio
esterno.
« Non so se sia
confortante o snervante che
voi femmine vi comportiate alla stessa maniera anche in galassie
diverse. »
Retasu si aggiustò gli
occhiali sul naso,
leggermente indispettita: « Voi femmine non è una
cosa molto carina da
dire, Pai-san. »
« Hai ragione, » lui
si fermò quasi
bruscamente sul primo gradino che portava al laboratorio, voltandosi
verso di
lei ora praticamente alla stessa altezza, « Ma non capisco i vostri…
bisticci.
»
Ogni tanto anche la
ragazza stessa si
domandava come una mente così geniale poteva essere così ottusa.
« Kayio-san ha
evidentemente un debole per
te, » commentò con nonchalance, « E ciò la rende… sgradevole nei
confronti di
altre persone. Ichigo forse a volte esagera, ma cerca di proteggermi
perché… »
« Perché tu sei troppo
buona, » concluse
lui al posto suo.
Retasu sentì le guance
arroventarsi e annuì
con la lingua impastata: « Io non… non amo litigare con le persone,
soprattutto
per motivi futili. »
Si arrischiò a
incontrare le iridi ametista
sopra il bordo degli occhiali, trovandole come sempre a scrutarla come
per
decodificare ogni centimetro di lei. Se solo avesse avuto il coraggio
di dirgli
che non era lui il motivo futile, ma che
solamente, se lui avesse avuto
altri interessi, lei non si sarebbe certo messa in mezzo.
« Mi sembra
intelligente, » commentò lui
sottovoce, con un abbozzo di sorriso, « Cosa che non si può dire di
Kayio, visto
che pare non comprendere la necessità di non disturbare la gente. »
« Pai-san! » Retasu
non riuscì a evitare la
risatina che le sgorgò dalle labbra, prontamente coperte dalle dita, né
il
rossore che le continuò sul volto a udire anche lo sbuffo basso e
divertito di
lui.
Prese un altro respiro
e lo scrutò ancora:
« Kisshu-san ci ha detto che oggi è il suo compleanno, stiamo pensando
di
organizzare qualcosa dopo lavoro in terrazzo. Di semplice, però. »
Pai sbuffò: « Gli date
troppo retta. »
« Trovo carino che si
voglia… integrare del
tutto, » commentò lei un po’ esitante, « La sua curiosità per certe
cose è
quasi… dolce. Anche se un po’ infantile. »
« Dolce e
Kisshu non possono
stare nella stessa frase a meno che tu non ti stia riferendo a quelli
commestibili. »
La verde quasi si
strozzò con il suo stesso
fiato; possibile che quel giorno l’algido alieno fosse così in vena di
spirito?
Cos’era quella nota positivamente ironica che sentiva nelle sue frasi e
che le
faceva sfarfallare il petto a ogni risata?
« Ma ti do pienamente
ragione
sull’infantile, » Pai la osservò un paio di secondi mentre lei
continuava a
ridacchiare, lo sguardo cobalto rivolto verso il basso, « Tra pochi
giorni sarà
anche il tuo compleanno, giusto? »
Se possibile, Retasu
assunse una sfumatura
ancora più violacea mentre annuiva velocemente, intontita dal fatto che
lui era
in possesso di quella informazione.
« Non… non ci hai mai
detto quand’è il tuo,
invece. »
« Fine dicembre.
Giorno più, giorno meno. »
« Ma… allora non
abbiamo festeggiato! »
Lui quasi si rammaricò
dell’espressione
abbattuta che le passò sul volto: « Non mi piace festeggiare. E mi
avevi già
fatto un regalo, » si affrettò ad aggiungere.
« Già, » la ragazza si
morse il labbro e
gli lanciò un’altra occhiata, schiudendo le labbra, « Sai, pensavo che
- »
« Nee-chan! » la voce
allarmata di Purin la
fece sobbalzare e quasi venire un infarto, « Nee-chan, sono arrivate
tipo dieci
pensionate tutte insieme, ci serve una mano! »
Con una mano sul
petto, Retasu si voltò
verso la biondina, alla fine del corridoio con un vassoio straripante
di piatti
e bicchieri vuoti.
« A-arrivo subito. »
« Ichigo-chan sta
continuando a battere
conti alla cassa, tra poco le verrà una sincope. »
La verde sentì Pai
sbuffare dal naso in
maniera un po’ ironica mentre lei si accodava già dietro a Purin; girò
il viso
– rischiando di inciampare brutalmente – e lo guardò da sopra la
spalla: « A…
dopo? »
Anche nella penombra
delle scale che lui
aveva iniziato a scendere, scorse l’ombra di un sorriso di conferma.
A fine giornata, si
ritrovarono
effettivamente tutti – meno le sgradite compagnie
– sul balconcino del
Caffè, in cui Keiichiro aveva allestito un tavolo centrale con sopra
vari
stuzzichini, più dolci che salati viste le preferenze di Kisshu, e una
semplice
ma bella torta al triplo cioccolato sormontata da ventitré candeline.
« Visto, non c’era
niente di cui
lamentarsi, » gongolò il festeggiato a Minto dopo aver esaudito il
desiderio di
concedersi quell’umana tradizione, « In cinque minuti, tutto fatto. »
La mora alzò gli occhi
al cielo, sbuffando
in maniera esagerata fin per lei: « Devi solo ringraziare l’estrema
gentilezza
di Akasaka-san, disorganizzato che non sei altro. »
« Nee-chan, guarda che
è vietato
arrabbiarsi coi festeggiati. »
« Grazie, scimmietta,
tu sì che sai
mantenere lo spirito dell’occasione. »
« Oh ma per favore,
solo perché siete
entrambi appena usciti dall’adolescenza! »
Mentre, giusto per
continuare a
innervosirla, Kisshu e Purin si prodigavano in strane smorfie e
atteggiamenti
decisamente infantili, Ichigo ridacchiò e ingollò una generosa
forchettata di
torta, che fu però seguita da una smorfia e uno sbuffo mentre la
creaturina nel
suo ventre reagiva fin troppo entusiasticamente all’arrivo di zuccheri
extra.
« Tutto okay, Ichigo? »
La rossa alzò appena
lo sguardo verso
Zakuro, comparsa con discrezione accanto a lei, e annuì massaggiandosi
il
costato: « Mi sa che non ne posso più mangiare… »
La modella rise appena
della sua
espressione afflitta mentre abbandonava il piattino sul tavolo e si
poggiava le
mani dietro la schiena per stiracchiarsi.
« Manca poco, no? »
Ichigo annuì e
ricambiò il sorriso, però
poi abbassò un po’ la voce, accarezzandosi protettiva il ventre: «
Anche se in
realtà vorrei rimanesse qui dentro ancora un po’, » mormorò con una
punta di
preoccupazione, « Finché è qui, sento che posso fare da… bolla di
sicurezza.
Invece quando sarà fuori ci saranno così tante cose che non potrò
controllare,
tante cose da decidere… poi pensa se mi esce pelosa e con le orecchie
da gatto!
»
Zakuro, divertita
dall’ultima affermazione,
scelse di non farle notare che aveva accidentalmente utilizzato il
femminile e
le sorrise affettuosamente mentre le sfiorava la pancia: « Vedrai che
andrà
tutto bene. In caso contrario, ce la prendiamo con Shirogane. »
Anche Ichigo
sogghignò, poi la guardò da
sotto in su: « Tu come stai, nee-san? »
La mora annuì piano: «
Tutto a posto,
Ichigo, » commentò pacata, « Solo un po’ stanca, con la primavera
cominciano a
moltiplicarsi gli impegni in vista della pausa estiva. »
La rossa sembrò
accettare la risposta senza
troppi dubbi, e ricominciò a parlottare allegramente con lei. Non era
necessariamente tutta una bugia, alla fine. Stava lavorando molto di
più,
quello era vero; che avesse scelto lei stessa di prenotarsi molti più
impegni
era solo un dettaglio collaterale. Un piccolo effetto indesiderato del
suo
desiderio di indipendenza.
E di quella lealtà
che, in effetti, aveva
imparato a dimostrare anche ad altri e non solo a sé stessa.
Alzò lo sguardo
velocemente su Retasu, che
con un sorriso timido fingeva di ascoltare una Purin completamente su
di giri
mentre chiaramente il suo corpo era più impegnato a cercare di non
andare in
iperventilazione vista la vicinanza di un certo alieno dagli occhi
ametista, il
viso inespressivo ma assolutamente rilassato. Ed era un’espressione che
nemmeno
lei aveva visto spesso.
« Retasu è innamorata
di te, » gli aveva
detto chiaro e tondo una sera di fine febbraio, quando lui si era
palesato
senza annunciarsi da lei. Non aveva mai avuto bisogno di molti giri di
parole,
li trovava solo uno spreco di tempo, ed erano sempre stati molto chiari
su cosa
fossero. Dato che aveva percepito qualcosa, un’esitazione,
un’incertezza, nel
comportamento di Pai da dopo il più che timido tentativo di Retasu di
dichiararsi a San Valentino (Ichigo ne era in qualche modo venuta a
conoscenza
e non aveva fatto segreto con nessuno di quanto disapprovasse il fatto
che
l’alieno, a parer suo, non avesse ringraziato o fatto abbastanza di
ritorno),
aveva deciso lei stessa di agire, di mettere le cose in chiaro. Di
chiuderla, e
non pensarci più, prima che diventasse troppo tardi.
« Lei è innamorata di
te, e tu ci tieni a
lei, » si era quasi divertita dell’espressione impercettibile che aveva
attraversato il viso di marmo, quasi offeso dall’essere anche
leggermente
leggibile da qualcun altro, « Quindi smettiamola di prenderci in giro.
È meglio
per tutti. »
Cosa facesse o
pensasse lui in quel
momento, o perché ci stesse mettendo così tanto a fare qualcosa con la
dolce
Retasu, non erano più fatti suoi.
Zakuro aveva fatto ciò
che necessario. Come
ogni volta. Il sorriso contento dell’amica le sarebbe bastato.
« Vedo che come al
solito battete la
fiacca. »
Ryou spuntò
dall’entrata con un sorriso
irriverente e un sopracciglio alzato.
« È il compleanno di
Kisshu nii-san! »
« Come se non
scroccasse abbastanza, » il
festeggiato e l’americano si lanciarono la solita occhiataccia
sarcastica, il
primo troppo impegnato a riempirsi ancora la bocca di cioccolato per
essere
davvero infastidito.
Il biondo ignorò il
tavolo di cibo e si
diresse a passo deciso verso Ichigo, che sfoderò la sua miglior
espressione
innocente.
« Ne ho mangiato un
pezzo piccolissimo,
giusto un assaggio, Zakuro-san può confermare! »
La modella nascose un
sorrisetto dietro il
bicchiere di succo di frutta alla stoica faccia dell’amico: « Confermo.
»
« Non voglio sentire
lamenti, poi, » Ryou
picchiettò con l’indice il naso della rossa, poi afferrò una delle
sedie
arrangiate lì attorno e quasi la costrinse a sedersi.
Ichigo alzò gli occhi
al cielo, sedendosi
con uno sbuffo, e all’improvviso sembrò recuperare tutta la sua
energia: « C’è
qualcosa di cui mi devo lamentare, quelle insopportabili e
scortesi
cameriere che tu hai deciso di assumere! »
« Ginger,
please… »
« Sono delle vipere!
Anche stamattina non
hanno fatto altro che parlottare alle nostre spalle, e quell’odiosa di
Kayio
stava anche trattando male Reta-chan! Vero?! »
Sentendosi chiamata in
causa, Retasu
tossicchiò su una tartina e scosse la testa: « Ma… ma no, era solo che…
»
« Stava facendo la
smorfiosa come al
solito, e per farlo stava mettendo in cattiva luce Reta-chan, »
insistette
Ichigo, una chiara smorfia di disgusto in volto, « Le ho detto di
tornare al
suo lavoro. »
« Ichigo! »
« Be’! Come cameriera
più senior credo di
avere dell’autorità! Non è che si può passare il tempo a flirtare! »
« Tu dici, Ichigo? »
La rossa guardò in
cagnesco Minto, che a
sua volta le stava rivolgendo un sarcastico sopracciglio arcuato: «
Stamattina
eri d’accordo con me riguardo i commenti su Kisshu. »
« Uh? Che commenti? »
« Scordatelo. »
« Vai in giro un po’
troppo svestito,
nii-san. »
« Fa tutto parte del
fascino, scimmietta. »
« Ma per favore… »
In previsione del
battibecco in arrivo,
Ryou smise di ascoltare e poggiò entrambe le mani sulle spalle di
Ichigo a mo’
di avviso di non agitarsi troppo, e lei lo guardò da sotto in su: «
Potremmo…
trovarne di più simpatiche. »
« Direi che non è per
niente il momento,
Momomiya, ho altre cose a cui pensare. E infatti, io e te dobbiamo
andare,
anche perché sta per venire un temporale. »
« Dai, non essere
negativo, capo! » lo
rimbrottò Purin, un dito sollevato tra due vassoi a fare la conta su
quale dei
cinque dolcetti fare il bis, « È ancora un bellissimo pomeriggio. »
Il tuono che risuonò
lontano sembrò
solamente accentuare l’espressione di Shirogane.
« Sei ancora
arrabbiata? »
« Non sono arrabbiata,
sono contrariata. »
« Non riesco a capire
dove sta la
differenza. »
Minto sbuffò e si
aggiustò la sciarpa
leggera intorno al collo, un sorrisetto supponente: « Così impari. »
Kisshu roteò gli occhi
al cielo, insistendo
a giocherellare con uno dei suoi boccoli neri: « Non mi hai ancora
detto perché
te la sei presa. »
« Mi piacciono le cose
fatte bene, »
rispose lei, abbassando lo sguardo sulla maglietta di lui, «
Organizzate,
pensate. E non mi piace essere l’ultima a venirle a sapere. »
L’alieno le cinse la
vita con le mani e la
tirò un po’ di più a sé: « Cosa ti dico sempre riguardo al voler
controllare
tutto? »
« … non è per quello. »
« Ah no? E allora per
cosa? »
La mora storse
visibilmente il naso alla
sua espressione sarcastica e poi alzò il mento con decisione: « Ho ben
altri
impegni che dover star dietro ai tuoi ghiribizzi. »
« Tortorella, non fare
l’antipatica, » la
voce di Kisshu si abbassò di qualche nota, « Ti accompagno a casa, che
dici? »
« Per tua
informazione, sono a cena con
delle mie vecchie compagne del teatro. Se me l’avessi detto prima… ! »
Lui nascose il naso
appena sotto al suo
orecchio: « D’accordo, allora vengo dopo, okay? »
Con un sorriso
intenerito, e una punta di
vergogna, Retasu attese appena dietro l’angolo dello spogliatoio, ben
attenta a
non farsi notare da Minto. Non stava origliando, ovviamente, ma sapeva
bene che
astio provasse l’amica verso qualunque forma esplicita di pubbliche
dimostrazioni di affetto, quindi meglio nascondersi fino al momento
giusto. E
il fatto che la conversazione si fosse interrotta segnalava che
sicuramente
l’elegante ex ballerina non era in un momento disponibile al pubblico,
anche se
la verde pensò tra sé e sé che forse avrebbe fatto meglio a non
appartarsi
proprio davanti all’entrata del Caffè. Dopotutto, al contrario, Kisshu
non era
certo uno che si facesse molti problemi.
A Retasu scappò un
altro sorriso e si
arrischiò ad affacciarsi quando la campanella trillò sopra la porta,
segnalando
il via libera. A volte non capiva le sue amiche, ma più di tutte a
volte non
capiva Minto, il suo essere sempre così rigidamente in controllo di sé
per poi
infilarsi in situazioni come quella. Seppur l’espressione che le aveva
intravisto fare sull’uscio fosse stata particolarmente rivelatoria.
« Sono contenta per
Minto-chan, anche se
non scuce un dettaglio, » aveva commentato divertita Ichigo qualche
mese prima
con una nota di malizia, in un pomeriggio in cui l’aveva accompagnata a
cercare
giocattoli per il bebè in arrivo, « È giusto che si lasci andare, una
volta
ogni tanto. Se lo merita. »
Aspettò che anche
Kisshu svanisse da
qualche parte, probabilmente al piano di sopra ora che non c’era più
nessuno
nel locale e poteva evitare di fare le scale, ed uscì dal suo angolino,
pronta
ad avviarsi verso casa e infilarsi sotto una doccia calda per scacciare
quel
fastidioso freddo primaverile portato dalla pioggia.
« Non puoi uscire ora.
»
Alla verde sfuggì un
gridolino stridulo e,
per la seconda volta, sobbalzò vistosamente, coprendosi la bocca con i
pugni.
Possibile che stessero cercando tutti di ucciderla, quel giorno?!
Pai, grondante da capo
a piedi appena
davanti all’entrata sul retro, la guardò come se non capisse il perché
del suo
spavento.
« Sta piovendo troppo,
ora. Se esci così ti
prenderai un malanno. »
Retasu spalancò gli
occhioni blu, confusa
dalla sua apprensione così caustica – le sembrava quasi la stesse
accusando di
avere una salute cagionevole – e dal fatto che tra i due quello che
pareva sul
punto di beccarsi la polmonite fosse lui.
« Cosa stavi… sei
fradicio… » riuscì solo a
balbettare.
Pai annuì e prese
fuori dalla tasca una
fialetta piena d’acqua: « Sto raccogliendo campioni delle vostre piogge
per
determinare il livello di acidità del tempo, controllare la presenza di
Mew
Aqua, e altre misurazioni interessanti anche per il nostro pianeta. Le
differenze di condizioni atmosferiche sono centrali nelle mie ricerche.
»
« Ma… il malanno… »
Le sembrò che la sua
espressione si
addolcisse di una frazione: « Non sono suscettibile a queste
temperature,
Retasu. »
Il ventre le diede una
potente fitta a
sentire il proprio nome scivolare così facilmente sulla lingua di lui
quando se
lo trovava completamente bagnato davanti, con la frangetta scura
appicciata al
volto diafano e la maglietta nera più stretta che mai.
Si impose di respirare
mentre, già lo
sapeva, le sue guance si arroventavano.
Non
ci pensare, Retasu.
«
È giusto che si lasci andare. Se lo
merita. »
« Devo… andare a casa.
»
Bofonchiò distratta,
più per riempire il
silenzio che per un’effettiva necessità di allontanarsi. Anzi.
«
Se lo merita. »
« Mi accompagni? »
Un tuono rombò nello
stesso istante in cui
lei ebbe posto la domanda, accompagnando il suo raccogliere tutto il
coraggio
che aveva in corpo per fissarlo dritto negli occhi. Le iridi ametista
si
contrassero appena, e Retasu ci rivide per un secondo quello sguardo
affranto
ma deciso che le aveva rivolto così tanti anni prima, come ultima
scelta.
Si sgonfiò come un
palloncino, tutto
l’ardire di quella situazione che le defluì dal petto come una cascata;
strinse
i pugni e distolse il viso, sospirando piano per mascherare il groppo
in gola.
« Scusami, è evidente
che sei impegnato,
non preoccuparti posso - »
« Retasu. »
Si morse il labbro
fino a farlo impallidire
a quel richiamo, incapace di distrarsi dalla punta delle proprie scarpe.
Non avrebbe dovuto
fare tanto male. Il suo
nome sulle labbra di lui non avrebbe dovuto suonare così
angosciato.
« Davvero, non fa
niente, » continuò a
mormorare, forse anche un po’ più a sé stessa, « Troverò un modo. E
dopotutto
l’acqua… »
Quasi si strozzò
quando percepì la punta
calda delle sue dita lunghe accarezzarle uno zigomo come se avesse
paura di
ricevere la scossa al solo sfiorarla.
« Retasu… » la voce di
Pai fu più un soffio
roco, così basso da sembrare l’eco del tuono stesso, « Tu sei… così
buona, e
tenace. »
« Lo dici come se
fosse un insulto… »
riuscì a borbottare lei, quasi stupendosi, e lo udì sbuffare piano.
« Ci sono delle cose
che io… ho fatto, che…
»
« Non mi interessa. »
Le dita del ragazzo
tornarono sulla sua
guancia, più tese questa volta: « Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »
Fece un passo avanti
e, ancora, piantò gli
occhi nei suoi, più decisa, nonostante la voce tremante e lo sguardo
umido. Pai
continuò a studiarla in silenzio per quella che le parve un’eternità,
il
pollice che continuava a toccarla leggero, avanti e indietro,
guadagnando pochi
millimetri alla volta, e Retasu rimase ferma così, le mani giunte in
petto e il
viso alzato.
« Io… non credo di
meritarti, » le sussurrò
infine, e il pollice divenne un intero palmo che le cinse la guancia,
le dita
che le presero ferme la nuca, « Ma posso provare a cambiarlo. »
La maglietta
dell’alieno era gelida di
pioggia, così come le punte della frangetta che le sfiorarono il naso;
ma sotto
di essa, lui era bollente, e fu l’unica cosa che Retasu percepì quando
finalmente
la tirò a sé per baciarla quasi con fame. Gli si strinse addosso più
che poté,
come mai aveva immaginato di poter fare, incurante degli occhiali
storti sul
naso o della propria camicetta che si stava inzuppando, o del fatto che
qualcuno sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento.
Pai la stava baciando,
erano le sue labbra
quelle che premevano con forza contro le sue, le sue mani che la
esploravano
decise ma prudenti. Suo il respiro che sentiva mischiarsi al proprio,
suo il
profumo, suo il calore, suo il battito del cuore sotto al suo palmo, ed
era
tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Fu l’ennesimo rombo di
tuono a separarli,
perché Retasu sobbalzò un po’ spaventata, un pigolio che le scappò
dalle
labbra.
« Scu-scusa… »
balbettò, senza fiato, una
mano che salì automaticamente ad aggiustarsi gli occhiali e l’altra che
tentò
di coprirle le guance scarlatte mentre pian piano ricomponeva i pezzi.
Pai non poté evitare
di trovarla
estremamente adorabile, ma decise di non commentare per non peggiorare
ulteriormente
la situazione, visto cos’era successo non appena aveva deciso di
lasciar agire
un po’ di più l’istinto. Così la portò di nuovo a sé, abbracciandola
piano
mentre lei posava la fronte contro al suo petto.
Come se fosse
l’incastro perfetto.
« Ora devo proprio
andare, » sussurrò
Retasu controvoglia, « A casa si staranno chiedendo che fine ho fatto. »
Gli occhioni blu lo
scrutarono come a
cercare di capire se il momento ora spezzato non si sarebbe mai più
ripetuto, e
lui avvertì l’ennesima fitta di senso di colpa alla bocca dello
stomaco, ma
decise solo di sorriderle.
« Ti accompagno. »
Lei si illuminò
contenta e annuì,
scostandosi ancora di pochi passi, lentamente, mentre ancora cercava di
ricostruire per bene gli eventi della giornata che l’avevano condotta
fino a
lì.
« Sai, pensavo - »
Si bloccò
all’improvviso nel suo tragitto
verso il soprabito, appoggiato a una delle sedie, e guardò Pai da sopra
la
spalla con aria interrogativa.
Lui piegò ancora le
labbra in una smorfia: «
Cosa fai per il tuo compleanno? »
Retasu avvertì
distintamente il cuore
perdere quattro o cinque battiti di fila; se Pai si metteva pure a fare
dello
spirito, lei sarebbe definitivamente morta stecchita.
§§§
Ichigo aveva
affrontato mostri zannuti e
grandi tre volte lei, alieni invasori e anche un po’ insistenti, ed
ex-fidanzati che condividevano il patrimonio genetico con un’antica
divinità
dal desiderio di conquista, ma la paura non era comparabile a quella
che stava
provando in quel momento.
D’accordo, forse la
sua tendenza drammatica
era particolarmente scatenata, ma in ogni caso, era letteralmente
terrorizzata.
« Non sono pronta, non
sono pronta, »
continuò a ripetere a macchinetta, camminando avanti e indietro davanti
al
letto con le mani contratte sul pancione, « Non lo posso fare. »
« Sì che puoi farlo, »
Ryou esclamò con
estrema pazienza mentre dava un’ultima controllata al borsone poggiato
sul
materasso e ne chiudeva la zip, « You just have to breathe. »
« Guarda che non mi
aiuti se – uuuuuuff!
»
Si fermò a metà
dell’ennesima vasca,
storcendo il viso in una smorfia di dolore e piegandosi di più su sé
stessa; il
biondo la raggiunse e la tenne stretta in silenzio, scostandole poi i
capelli
dagli occhi per poterla guardare bene.
« Ogni cinque minuti,
e per un minuto, » le
mormorò, « Dobbiamo andare. »
Lei si limitò ad
annuire e ad artigliargli
le mani: « Come fai ad essere così calmo? »
« Qualcuno che
mantenga il sangue freddo
serve, ginger. »
Perché se pure
Shirogane avesse ammesso che
in realtà anche lui era parecchio agitato, la situazione non sarebbe
sicuramente divenuta più gestibile.
« Chiamo i tuoi
genitori e gli dico di
raggiungerci in clinica, d’accordo? »
Ichigo deglutì
rumorosamente ed annuì, seguendolo
lenta verso l’uscita: « Però avvisa anche gli altri, o so già che Minto
si
offende. »
Il tragitto verso la
clinica privata fu
insolitamente silenzioso; Ichigo, che di solito riempiva sempre
l’abitacolo di
chiacchiere, era pallida e visibilmente distratta, concentrata a
respirare come
da manuale e un po’ a fissare solo davanti a sé, la mano contratta su
quella di
lui che le aveva poggiato sul ginocchio per darle un minimo di
conforto. Non
cambiò atteggiamento nemmeno durante l’accettazione, né quando la
indirizzarono
alla camera riservata a loro, molto più elegante di una normale sala
parto, con
un lettino extra per l’accompagnatore e una larga vasca in un angolo
(anzi, si
risolse solo a borbottare che Ryou non avrebbe nemmeno dovuto pensare a
dormire
se a lei non sarebbe stato concesso quel lusso), né tantomeno quando le
fu
comunicato che c’era ancora un po’ di strada da fare e avrebbe fatto
meglio a
rilassarsi più che poteva prima del momento cruciale.
Ryou ponderò che
probabilmente non l’aveva
mai sentita parlare così poco in vita sua, e ciò lo preoccupò più della
situazione in sé. Quando l’ostetrica e l’infermiera di turno si
chiusero la
porta alle spalle per concederle un po’ di riposo, con la promessa di
ripassare
a regolari intervalli, lui trascinò la poltrona il più possibile vicino
al
lettino su cui si era raggomitolata e le prese le mani per lasciarle un
bacio
sulle nocche.
« Ho detto agli altri
che siamo arrivati, »
le disse sottovoce, carezzandole una guancia, « I tuoi non hanno voluto
sentire
ragioni, Sakura si è detta disposta a campeggiare in sala d’attesa pur
di
esserci, quindi arriveranno a breve. Le ragazze ti mandano un bacio e
chiedono
aggiornamenti regolari, ma ho fatto promettere di non avere invasioni. »
Ichigo emise uno
sbuffò che avrebbe dovuto
essere una risatina, poi si morse un labbro: « È così tua figlia che è
in
anticipo. »
« Solo di qualche ora,
» la rimbeccò
dolcemente lui, « E se ha preso dalla sua mamma, scommetto che si
prenderà
tutto il tempo necessario. »
Lei rispose solo con
un mugolio incerto che
però suonava molto come se lo stesse scimmiottando, e tenendo sempre la
mano
ben stretta tra le sue, iniziò a distrarsi con i vari strumenti che le
erano
stati appiccicati addosso e qualche chiacchiera poco importante.
L’arrivo dei coniugi
Momomiya, poco più
tardi, fu il solito ciclone in tempesta. Sakura sembrava più su di giri
della
figlia, nonostante una recondita promessa di comportarsi da faro nel
buio vista
l’esperienza, ma il più esagitato di tutti era proprio Shintaro, che
sberciò ad
alta voce richiamando l’assistenza di un medico non appena non ne vide
comparire uno al capezzale della sua “dolce e povera bambina” entro i
dieci
minuti dalla sua comparsa.
« Non ce n’è bisogno,
papà, » aveva tentato
di blandirlo Ichigo, « Manca ancora molto e sono passati da poco. »
« Mi sembra una follia
che in questa presunta
super-clinica si abbandonino le partorienti, e per giunta
così giovani e
inesperte! »
La rossa aveva
prontamente agguantato la
mano di Ryou per impedirgli di ribattere: « Proprio perché sono così
giovane
dovrei avere meno problemi, papà. E poi guarda che bella la camera,
posso anche
scegliere di usare la vasca se volessi. »
« Come se queste cose new
age
fossero una rassicurazione! »
A quel punto, Sakura
aveva percepito che
fosse il caso di concentrarsi sul suo solito ruolo da mediatrice, visto
anche
il pronto arrivo di un’ostetrica altrettanto battagliera, e Shirogane
aveva
colto l’occasione per dileguarsi dal capofamiglia.
« Vi lascio soli dieci
minuti, okay? »
aveva preso la mano di Ichigo per lasciarle un bacio sulle nocche e al
tempo
stesso lanciarle un’occhiata acuta, « Così siamo meno in camera e puoi
stare un
po’ con i tuoi. Vado a prendermi un caffè. »
La rossa era stata
abbastanza clemente da
annuire e mormorare un torna presto a labbra
chiuse. Lui si chiuse la
porta alle spalle nello stesso istante in cui Shintaro cominciava a
borbottare
qualcosa riguardo il “ruolo del padre” e prese un lungo respiro; erano
lì da
meno di due ore e già era rimasto senza energia. S’incamminò verso la
macchinetta automatica che aveva adocchiato alla fine del corridoio,
passandosi
le mani sul viso per rinvigorirsi, e nel frattempo ne approfittò per
mandare un
messaggio di gruppo di aggiornamento della situazione (cui Purin
rispose con
una sequela di GIF e faccine, alcune molto inopportune, che però gli
strapparono una risata).
La sua pausa di
ristoro, però, non poté
durare a lungo; aveva appena finito di ingurgitare quella brodaglia
amara pure
per i suoi gusti quando un certo tono di voce dal capo opposto della
corsia lo
distrasse. Pensò che forse avrebbe dovuto pagare qualche cosa extra per
tutto
il disturbo che stava arrecando Shintaro, che stava indietreggiando
dall’uscio
sberciando contro l’ostetrica che, a sua volta, lo intimava a
tranquillizzarsi.
« Mi sembra inaccettabile
che io non
possa rimanere dentro con la mia bambina! »
« La signorina
Momomiya deve riposarsi e
soprattutto non agitarsi, » lo rimbeccò l’energetica signora, « E ha
espressamente richiesto che nella stanza ci fosse solo il signor
Shirogane, e
io sono tenuta a rispettare i suoi desideri per rendere l’esperienza
più felice
possibile. Visto che ora è il momento migliore perché possa riposarsi,
le devo
chiedere nuovamente di accomodarsi in sala
d’aspetto. »
Forse avrebbe dovuto
mandare direttamente
una bottiglia di champagne e un vaso di fiori a lei.
« Su, caro, la
dottoressa ha ragione, » lo
calmò Sakura con altrettanto cipiglio, « Non è il caso di innervosire
Ichigo,
ora. Ma la prego, mi tenga informata su qualsiasi cosa. »
L’ostetrica, il cui
cartellino rivelava il
cognome di Nakagawa, la rassicurò mentre le indicava la sala d’aspetto
riservata, due corridoi più a destra, e nel frattempo Ryou si intrufolò
in
camera, non senza uno scambio di occhiatacce con il suocero putativo.
« Ti ho portato in un
posto troppo new
age, bambina, » commentò velenoso, lanciando il suo
bicchierino vuoto
dentro al cestino.
Ichigo lo guardò
implacabile: « Non è il
momento. E pure tu mi chiami ragazzina. »
« Non fare certi
paragoni, please. »
La rossa rise e
affondò ancora di più tra i
cuscini mentre espirava lentamente, allungandogli una mano in maniera
molto
chiara. Ryou fece il giro del lettino e riconquistò la poltrona,
stringendole
le dita e ricominciando a carezzarle la faccia.
« È il tuo momento, ginger,
» la
prese in giro affettuosamente, « Anche oggi ti tocca un pisolino. »
« Credo dovremo
approfittarne, » ribatté
lei con una smorfia, « Potremmo non averne molte altre occasioni. »
Ovviamente, Ryou non
riuscì a chiudere un
occhio. Ichigo si appisolò pian piano sotto le sue carezze, e lui non
ebbe il
coraggio né la volontà di spostarsi, il cervello troppo su di giri per
poterlo
sopire. Si concesse solo di spostare la poltrona, tenendo una mano
stretta tra
le quelle di lei mentre con quella libera perdeva del tempo al
cellulare. Nel
frattempo, la dottoressa Nakagawa e un altro paio di infermiere
andarono e
vennero in silenzio, controllando la situazione, così come una
quietissima
Sakura, che si premurò di portargli un po’ d’acqua e dei dolcetti
ristoratori e
fare con lui due chiacchiere sottovoce.
Al risveglio di
Ichigo, incredibilmente –
non che avrebbe mai ammesso l’uso di questo avverbio né
l’attualizzazione del
pensiero, ben conscio delle eventuali ripercussioni che avrebbe dovuto
subire –
Ryou osservò un cambiamento non indifferente nel suo comportamento
post-intervento
di Shintaro sul suo essere bambina e post-pisolino man mano che il
travaglio
avanzava. Lei che tanto era portata a lamentarsi per le cose più
piccole e che
tanto era stata angosciatissima quella mattina sembrava ora avvolta da
una
caparbietà che poche volte le aveva visto addosso (volte che, se doveva
essere
sincero, non aveva voglia di ricordare né avrebbe voluto associare alla
nascita
del suo erede). Gli aveva intimato di rimanere in poltrona a fare
le sue
cose da genio, in silenzio e senza starle addosso; lei, nel
frattempo, se
la sarebbe cavata da sola. Si aggirava perciò per la stanza,
borbottando ed
espirando tra i denti ad ogni forte contrazione, a volte appoggiandosi
alla
grande palla da yoga, altre contro al muro, richiedendo l'aiuto del
biondo solo
un paio di volte.
Naturalmente, Ryou
stava solo fingendo di
essere impegnato, continuava a tenerla d'occhio senza farsi notare,
pronto ad
intervenire in caso di necessità.
« Shirogane? » esclamò
in quel momento la
rossa, i palmi contro al muro e piegata in avanti mentre sopraggiungeva
un'altra contrazione, « Un pochetto mi stai assolutamente sulle scatole
ora. »
Lui non poté evitare
di ridacchiare: « Non
fa niente, ti perdono. »
« Qui quella che deve
perdonare sono io, in
caso. »
« Tu sei anche quella
che mi ha teso un
agguato dopo il bagno notturno al compleanno di Purin. »
« … non era un agguato!
»
Ryou rise di nuovo del
suo viso in fiamme e
richiuse il tablet che si era portato per andare a raggiungerla,
accarezzandole
piano la schiena.
« Quindi la prossima
volta dovrei dirti di
no? »
« Sei fiducioso che ci
sarà, una prossima
volta. »
« Non iniziare con
queste frasi fatte prese
da tutti quei film idioti che hai visto, ginger, »
la rimbeccò poco
divertito, « Non ho mai sentito lamentele. »
Ichigo gli rispose
solo con una lunga
esalazione, ondeggiando piano da una parte e dall’altra.
« Mi devi dire che
andrà tutto bene, »
esclamò all’improvviso.
« Giuro che andrà
tutto bene. »
« E che non la farò
cadere appena me la
daranno in braccio. »
« Sarai bravissima. E
in ogni caso
circondata da superfici morbide. »
« E che smetterai di
essere sarcastico
prima che ti infilzi con la flebo. »
« Quello non posso
promettertelo, » rise
sottovoce, mentre Ichigo abbandonava il muro per stringersi a lui e lui
le
baciava la testa, continuando a dondolare insieme a lei, « Non è stato
espressamente vietato da tutti i corsi seguiti. »
« Secondo me non hai
ascoltato abbastanza,
allora. »
Ryou sbuffò, muovendo
il naso tra i suoi
capelli un po’ sudati e iniziando a mormorarle sciocche filastrocche in
inglese
con il solo scopo di aiutarla a rilassarsi mentre l’aiutava a
ristendersi sul
lettino.
Non passò molto prima
del ritorno della
dottoressa Nakagawa, che si scambiò uno sguardo d’intesa con i due
giovani
prima di ammiccare: « Ci siamo. »
« È una
femminaaaaaaaaaa! » Purin fu
la prima a scattare in piedi nel salotto di casa Fujiwara (che era
stato preso
d’assalto senza che la modella potesse opporsi più di tanto solo perché
il più
vicino alla clinica, e il cui tavolo era ricoperto di cartoni della
cena
d’asporto), brandendo il cellulare come un’arma e saltellando col
rischio di
pestare qualcuno, « È una bimba, è una bimba, è una bimba!
Andiamo! »
« Purin, calmati, » la
redarguì piano
Retasu, con gli occhi lucidi e le guance rosse mentre leggeva anche lei
il
messaggio mandato da Ryou, « È letteralmente appena nata, avranno
bisogno di
qualche ora. E poi è sera, mica ci possiamo presentare così. »
« Ma io voglio
vederla! La prima nipotina!
»
« Andrò io in clinica
causa timpano
perforato. »
Keiichiro rise
sommessamente, nonostante
l’evidente emozione anche sul suo volto: « Fatemi telefonare a Ryou e
vediamo
come organizzarci, d’accordo? »
« Teletrasportiamoci!
»
« Purin, ti
scongiuro. »
Il pasticcere si
ritirò in cucina in cerca
di più calma per la chiamata, alla quale Ryou rispose con incredibile
velocità.
« Congratulazioni,
ragazzo mio. »
«
Grazie,
» non scappò a nessuno dei due l’emozione nella voce
dell’altro, « Ho
appena mandato una foto. »
Keiichiro dovette in
effetti tapparsi
l’orecchio libero visto il boato di mugolii che scoppiò dall’altra
stanza: «
Sì, ho sentito. Sarà bellissima, ci scommetto. Come sta Ichigo? »
« She was a
trooper, » (*)
esclamò, « È cotta, ma è con i suoi genitori ora. Siamo
riusciti a tenerli
fuori finché non l’hanno risistemata un attimo. La bimba è alla nursery
per
alcuni controlli ma sta benone. »
Il pasticcere attese
un secondo in linea, e
Shirogane continuò dopo poco a voce più bassa: « I called
Joel. Ha detto che
ci pensa lui. Tu potresti - ? »
« Non preoccuparti. Tu
rilassati e goditi
la tua famiglia, noi aspettiamo un vostro segnale. Prometto che terrò
le truppe
a bada. »
« Good luck
with that, » scherzò il
biondo, « Voglio che Ichigo si riposi, cerca di contenerli
fino a domattina,
per favore. »
« Non posso assicurare
che non apriranno i
cancelli alle otto, però. »
« Meglio di
niente. »
Si scambiarono ancora
qualche parola di
conforto e felicitazioni, Keiichiro che portò il cellulare in vivavoce
in
salotto così che la baraonda potesse raggiungere Ryou direttamente.
Dopo la
promessa di mandare ulteriori fotografie, inclusa di Ichigo, e di
mandare i
saluti alla neomamma, Shirogane terminò la comunicazione e ritornò
nella loro
camera.
« È la bambina più
bella del mondo, » stava
tubando Sakura, china sopra il fagottino stretto tra le braccia di
Ichigo, «
Forse anche più bella di com’eri tu, cara. »
« Grazie, mamma, »
replicò la rossa più
giovane, ma era troppo stanca e piena di emozioni per darci davvero
peso.
La signora Momomiya
fece ancora qualche
smorfia alla nipotina, poi incrociò gli occhi di Ryou, accuratamente in
un
angolo, e gli sorrise calorosa: « Ora vi lasciamo un po’ da soli.
Andiamo a
casa a riposarci e torniamo domani, d’accordo? »
Shintaro aprì la bocca
per protestare, ma
la moglie lo zittì con un gesto della mano: « I ragazzi hanno bisogno
dei loro
momenti e sono stanchi. Su, forza, saluta, o domani sarai un nonno
rintronato
dal sonno. »
«Ciao, mamma, papà,
grazie ancora. »
« Signora,
Momomiya-san. »
Sakura rispose al
saluto di Ryou dandogli
un’affettuosa stretta sul braccio e una carezza veloce, uscendo prima
del
marito in un chiaro monito da seguire. Shintaro arrancò dietro di lei,
fermandosi appena per incrociare lo sguardo dell’americano:
« Ottimo lavoro,
ragazzo. »
Quando la porta si
chiuse, il ragazzo in
questione non poté evitare di voltarsi con estremo stupore verso
Ichigo, che lo
guardava altrettanto divertita: « Me lo devo segnare: due maggio, il
primo
complimento che ricevo da Shintaro Momomiya. »
« Non farci
l’abitudine, » lo prese in giro
prima di sbadigliare, poi però si riconcentrò di nuovo sulla bimba
avvolta da
una morbida copertina rosa, « Però è vero, abbiamo fatto un lavoro
perfetto. »
Ryou cercò di non far
notare il suo
inspirare lentamente e si appoggiò al bordo del letto, scostando piano
la
coperta per sfiorare una guanciotta arrossata.
« Vedi che non l’hai
fatta cadere. »
Ichigo rise e strofinò
il naso contro
quello in formato mignon: « Non mi sono ancora spostata però. È così
piccola… »
« Pesa quattro chili, darling.
»
« È piccola lo stesso,
» la rossa le
rivolse un altro sorriso innamorato, sfiorandole la peluria
biondo-rossiccia che
le ricopriva la testolina, « Tocca di nuovo a te. Sei pronto? »
Onestamente, avrebbe
voluto rispondere di
no; per quanto bramasse risentire quel calore tra le braccia, era
terrorizzato
di fare una mossa falsa, causare un pianto improvviso o qualche dolore.
Che ne
sapeva lui del legame che c’era tra un neonato e la sua mamma, o di
come
affrontare quell’incredibile necessità di proteggere con tutto se
stesso quella
creaturina dai tratti così simili ai suoi?
« Io l’ho detto che
sarebbe somigliata a
te, » gli sussurrò di nuovo Ichigo, porgendogliela un po’ di più.
Si concentrò come non
mai per fare in modo
che le sue mani sostenessero tutti i punti giusti, e la piccola quasi
scivolò
naturalmente nell’incavo delle sue braccia, solo uno sbadiglio sonoro
come reazione
che lo fece sorridere: « You sure about that? »
Ichigo rise e si
appoggiò al suo braccio,
ormai più stanca che mai nonostante la voglia di non perdere neanche un
secondo.
« Credo che il nome
che hai scelto sia
perfetto, » mormorò sottovoce.
Il petto gli si gonfiò
in maniera
esagerata. Com’era possibile contenere tutto quello?
« Era il nome di mia
madre. »
Sentì le dita di
Ichigo stringersi attorno
al suo braccio mentre gli si faceva più vicina e accarezzava il profilo
della
bimba: « Allora benvenuta, Kimberly Shirogane. »
Purin fu quasi
praticamente imbavagliata il
mattino dopo, quando le altre quattro ex Mew Mew si presentarono nel
reparto
maternità, visto il suo incredibile entusiasmo alla vista della nuova
mascotte
onoraria del gruppo. Sotto la rigida direzione della dottoressa
Nakagawa, le
ragazze furono fatte entrare in coppia per non travolgere troppo la
neonata, e
Zakuro fu predisposta a contenere l’energia della più giovane di loro.
Nonostante ciò, i suoi
mugolii estasiati
erano ben udibili anche attraverso la porta chiusa, davanti alla quale
Minto e
Retasu chiacchieravano amabilmente con il neopapà e Keiichiro.
« È andato tutto bene,
quindi oggi
pomeriggio torniamo a casa, » sospirò Ryou, « Anche se devo ancora
montare la
culla, Ichigo è stata presa da non so quale credenza che portasse
sfortuna
farlo prima che nascesse. »
« Dovete farne altre
tre! » scoppiò Purin,
aprendo la porta di scatto, « Una nipotina a testa! »
« Ssssh! »
« Intanto basta così,
grazie. »
Keiichiro rise del
pallore di Ryou mentre
le ragazze si davano il cambio e ricominciava lo scambio di gridolini
eccitati,
poi il biondo si passò una mano tra i capelli e offrì l’altra all’ex
tutore.
« A proposito, »
esclamò con un sorriso, «
Non c’è nessun altro che potrebbe farle da padrino. »
Il pasticcere gliela
strinse di ricambio,
mascherando a fatica l’emozione: « Ne sarei onorato. »
Purin emise un altro
gridolino di gioia e
si buttò al collo di entrambi, praticamente dondolandosi con i piedi
staccati
dal suolo nonostante non ci fossero più così tanti centimetri di
differenza.
« Ah, siamo una
famiglia bellissima! »
« Cosa le hai dato per
colazione? »
Zakuro nascose una
risata: « Non guardare
me, il pigiama party è stato a casa di Minto. »
Ryou riuscì a
staccarla prima che gli
spezzasse l’osso del collo, ma Purin gli rimase lo stesso appiccicata
al
braccio, sommergendolo di parole su come lei adorasse i bambini e fosse
sempre
disponibile a fare da babysitter, vista l’esperienza con i suoi
fratellini. Non
sapeva se fosse la mancanza di sonno, la montagna russa che erano stati
quei
due giorni, o il nuovo ruolo che si trovava a ricoprire, fatto sta che
per una
volta Shirogane si sentì pieno e felice come non mai.
« Potrei prenderti
molto alla lettera sul
discorso babysitter, » scherzò con un occhiolino verso la biondina.
Lei gli gongolò
accanto: « Poi ci siamo
coordinati con i tuoi suoceri, tutti i nostri regali vi aspettano già a
casa,
inclusa una montagna di cibo congelato made in Reta-chan.
Be’, io ho
fatto le shizitou(**). E
Zakuro nee-san ha organizzato
qualcosa di speciale. »
« Una cena al
ristorante preferito di
Ichigo già assicurata per quando sarete più in forma, » si affrettò ad
aggiungere la modella, « Per un momento per voi. »
L’americano non mancò
l’occhiata sibillina
che gli rivolse, ma era troppo stanco per ricambiare con una
altrettanto
alterata dalla sua simpatia.
« La smettete di
parlare di cibo? Io ho
fame! »
La voce di Ichigo
risuonò cristallina e
divertita quando anche Minto e Retasu uscirono dalla stanza, Purin che
ne
approfittò per intrufolarsi di nuovo.
« Guarda che adesso
bisogna rimettersi in
forma, Momomiya. »
« Minto, ti sta per
essere revocato il
titolo. »
« Resisti ancora
qualche ora, principessa,
e troverai un sacco di cose ottime a casa. »
Ryou si passò una mano
nei capelli e guardò
sconsolato il suo migliore amico: « C’è un enorme orso di peluche in
salotto,
vero? »
« E chi lo sa. »
La dottoressa Nakagawa
rispuntò in quel
momento, in mano una cartellina e sul viso un sorriso affabile ma
deciso.
« Mi dispiace ma è ora
di sgombrare il
campo. È ora di assicurarsi che tutto vada bene prima di tornare a
casa. »
E così dicendo, scoccò
uno sguardo eloquente
alla biondina ancora piegata sulla culla, che sfoggiò un sorriso
smagliante ed
uscì dalla stanza con le mani dietro la schiena.
« Allora io vado al
Caffè. Mi aiuti tu,
Reta-chan? »
« Seriamente siete
aperti anche oggi? »
« Chiedi al capo,
Minto-chan. »
« Ne ho due da sfamare
adesso, sai. »
Keiichiro gli batté
un’altra volta la mano sulla
spalla e rise: « Ci vediamo domani. Se avete bisogno di qualsiasi cosa,
chiamate. »
« Sì, non importa
l’ora, mi raccomando. »
« Ciao piccoletta! »
« Purin, ssssh!
»
Il buonumore della
biondina perseguì anche
durante la mattinata, passata a servire i clienti fischiettando e
sorridendo
più del solito. L’aria frizzante di inizio maggio filtrava dalle
finestre
portando con sé l’odore dei fiori e rendendo l’atmosfera al Caffè
ancora più
romantica.
Oppure erano davvero
solo gli ormoni di
quel periodo.
Purin sorrise sotto i
baffi mentre beveva
un bicchiere di tè freddo – quello che Akasaka teneva da parte
appositamente
per loro – e prendeva un respiro in vista della pausa; stava anche
iniziando a
fare caldo, il che voleva sempre dire un aumento notevole di clienti in
cerca
del refrigerio dell’aria condizionata, ovvero nugoli di coppiette in
amore e
teenagers sospiranti.
Un po’ come tutte le
sue amiche.
Rise ancora e lanciò
uno sguardo a Retasu,
concentrata a non sbagliare mentre prendeva l’ordinazione a un tavolo
chiaramente impegnato in un’uscita a quattro. Non sapeva molto di ciò
che era
successo nelle ultime tre settimane, Retasu era notoriamente timida e
Ichigo –
fortunatamente per l’amica – troppo impegnata tra falsi allarmi e
ultimi
preparativi per concentrarsi troppo sui gossip, ma
lei non aveva certo
non captato gli sguardi e i sorrisi tra la dolce ragazza dai capelli
verdi e un
certo alieno immusonito. Né le battutine di Kisshu a riguardo.
Il ghigno di Purin si
allargò: se Minto era
riuscita, almeno in parte, a schivare le domande più infime sulla sua
attuale
situazione sentimentale (e giusto per la soddisfazione di far finta di
non
ammettere nulla, non certo perché facessero le cose di nascosto), lo
stesso
trattamento non sarebbe certo stato riservato a Retasu; bastava solo
aspettare
che Ichigo si riprendesse un secondo per tornare alla carica. Forse
sarebbe
stata la volta buona che Pai le avrebbe incenerite tutte in un colpo
solo.
Ripose la caraffa in
frigo e si sistemò il
grembiule a forma di cuore; non poté fare a meno di pensare, ancora, al
terzo
componente mancante degli Ikisatashi. Era ovvio che avesse sentito la
mancanza
di Taruto, in quegli anni; era stata la prima a fidarsi di quell'alieno
dai
buffi codini e un pessimo carattere, la prima a capire che c'era del
buono
dentro di loro. Così com'era ovvio che le mancasse ancora di più ora
che i suoi
fratelli maggiori erano tornati e si erano integrati così bene nel loro
gruppo.
Le sembrava quasi
strano che fosse già
passato un anno dal loro arrivo, perché per lei era quasi come se ci
fossero
sempre stati, come se quella fosse la condizione normale della loro
vita.
Meno il suo buffo ed
irascibile, grande
amico.
Con la complicità di
Kisshu, Purin era
riuscita a mandare qualche messaggio a Taruto; niente di che,
ovviamente, solo
vaghi saluti anche un po’ in codice per non sfruttare in maniera
esagerata
comunicazioni che – per quanto ne avesse capito lei – rimanevano
ufficiali e
militari. E qualche risposta le era arrivata, certo, filtrata
dall’ironia del
più grande e dalla naturale reticenza di Taruto che lei era sicura non
fosse
cambiata. Solo che le sarebbe piaciuto sapere un po’ di più di lui, su
cosa
stesse facendo, se avesse terminato questa fantomatica accademia
militare… se
si sarebbe mai unito ai fratelli.
Sbuffò piano e si
diresse fuori dalla
cucina. Non era molto saggio soffermarsi su certi ragionamenti,
riuscivano
sempre a farla sentire malinconica e non era uno stato d’animo che le
piacesse
sfoggiare. Ma forse un saluto poteva farlo.
Invece che ritornare
in sala, si affrettò
su per le scale, allungando il collo per vedere se Kisshu fosse ancora
in
camera sua. Dalla sequela di parolacce che sentì sibilare fuori dalla
porta
socchiusa, capì di aver avuto successo.
« Ma come diamine… »
« Toc toc, »
rise divertita, « Cosa
stai combinando, nii-chan? »
« Questi aggeggi sono
demoniaci! » rispose
lui, roteando tra le mani lo smartphone che era stato dato sia a lui
che a Pai
qualche tempo prima per fare in modo che fossero contattabili nella
maniera più
umana possibile, « I nostri comunicatori erano molto più intuitivi.
Cosa
diavolo sarebbe un sms? »
Purin rise e gli si
avvicinò saltellando,
bloccandosi appena prima di prendere il telefono: « C’è qualcosa che
non dovrei
vedere? »
Kisshu ghignò
malizioso: « Ma magari. »
« Sei proprio
terribile. »
Gli smanettò davanti,
mostrandogli i
passaggi principali di quella che per lei, a confronto di ciò che gli
aveva
visto fare, era la cosa più semplice del mondo.
« Poi premi qui e
fatto. E puoi vedere
l’intera conversazione qui. »
Il verde studiò ancora
il rettangolo che
teneva in mano, poi scosse la testa: « Se lo dici tu… allora, che ti
serve? »
Purin sorrise
innocentemente, dondolandosi
sui talloni con le mani dietro la schiena: « Niente. Pensavo. »
Kisshu la guardò poco
convinto, il solito
ghigno sardonico in faccia: « Dai, sputa. Quando sei così calma mi fai
paura. »
La biondina ridacchiò
e poi lo guardò da
sotto in su: « … l’hai sentito? »
Il verde sbuffò,
piegando la testa da una
parte: « Non andiamo a controllare le comunicazioni da un paio di
settimane. Io
continuo a dire a Pai di installare un dispositivo qui, ma sai com’è
testardo,
e ultimamente… » si scambiarono un’occhiata divertita, poi lui continuò
con una
stretta di spalle, « Qualcosa dovrebbe esserci, ma non ne sono mai
sicuro, lo
sai. »
« Mmmh, » Purin sembrò
ponderarci su, poi
fece un passo avanti, « E… questa vostra scuola militare… quanto dura? »
« Dipende da quello
che vuoi farci,
scimmietta, » rispose lui, poggiandosi con i palmi sul letto per
mettersi più
comodo, « Se nella vita vuoi essere come Pai, può durare molto a lungo.
Il
ciclo obbligatorio di educazione, se così lo vogliamo chiamare, dalla
rinascita
del nostro pianeta è stato istituito dai cinque ai sedici anni. Ma
adesso
stanno ancora cercando di far recuperare a chi, come noi, è vissuto
sotto Deep
Blue. In più, noi tre abbiamo saltato parecchi gradi dell’esercito a
causa
della nostra scorrazzata sulla Terra, cosa che non è piaciuta a tutti,
come ti
ho detto. Quindi il buon Taruto deve fare un po’ di gavetta. » (***)
« Sì, ma me lo hai
detto l’anno scorso
però. »
Kisshu ridacchiò, la
osservò con le iridi
dorate più ambrate del solito: « So dove vuoi andare a parare, ma non
posso
dirti nulla. Non perché non voglia, ma perché non ho la minima idea di
cosa
pensi il Comando Generale. E se posso essere sincero, preferisco
evitare
domande che pongano l’attenzione sulla nostra permanenza qui. »
Purin annuì,
leggermente contrariata, e
l’alieno tentò di sfoderare il suo sorriso migliore.
« Prometto che
continuo a salutartelo,
okay? Posso anche tentare di strappare un video, se riesco a convincere
Pai a
creare un canale riservato per meno di tre minuti. »
« Tanto adesso è di
buon umore. »
Ridacchiarono insieme,
poi la ragazza gli fece
l’occhiolino: « Magari un giorno mi porti a vedere l’astronave. »
« Dillo che vuoi che
mio fratello mi
appenda in camera a mo’ di trofeo di caccia. »
« Mh, con quei capelli
forse fai più da
scendiletto. »
« Fila via, pidocchia!
»
Ascoltando la risata
divertita di Purin che
ritornava al lavoro, Kisshu giocherellò ancora un po’ con il cellulare,
diventando pensieroso all’improvviso.
Avrebbero fatto meglio
a installare un
comunicatore in laboratorio il prima possibile.
(*)
Letteralmente
trooper = un
soldato, un poliziotto, ma viene anche utilizzato per indicare qualcuno
che
affronta situazioni di avversità in maniera stoica e persistente.
Quando si
dice a qualcuno “You were a real trooper”, gli si
sta facendo un
complimento per la caparbia nell’aver affrontato un momento o svolto
un’azione.
(**)
Alla
lettera teste di leone (獅子頭,
è un piatto della cucina
cinese consistente di polpette di carne di maiale solitamente stufate
con
cavolo cinese e altre verdure. Il nome deriva dal fatto che la forma
delle
polpette ricorderebbe quella della testa del leone guardiano cinese.
(***)
Capitolo 2
|
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Capitolo 6 *** Not always rainbows and butterflies ***
Chapter Six – Not always
rainbows and butterflies
Sembrava che in casa fosse scoppiata una
bomba. Non importava quante volte al giorno raccoglieva vestitini,
giocattoli,
bavaglini, cuffiette, scarpine, ogni volta che si girava ne vedeva
almeno altri
tre abbandonati in un angolo del divano o su qualche mensola. Già lei
non era
famosa per il suo ordine, la casa era grande ma le cose al suo interno
sembravano essersi moltiplicate esponenzialmente, sapeva anche che
tutto ciò
sarebbe solo peggiorato con il tempo…
Per fortuna che almeno c’era Ryou.
Ichigo si rilassò un po’ di più sul divano
e, con un sorriso intenerito, lo osservò scendere piano le scale, in
una mano
il monitor della camera della bimba e nell’altra un mucchietto di
vestiti da
lavare, il che lo costringeva a parlare sottovoce con il cellulare
invece
incastrato contro la spalla. Lo stomaco le sfarfallò impudente, lei si
sentiva ancora
a pezzi e completamente sfasata, mentre lui magicamente sfoggiava solo
un
accenno di barba incolta che contribuiva a donargli esattamente
l’effetto
opposto.
D’accordo, però lui non è mai
stato un
campione del sonno.
Quando la notò sveglia, Ryou chiuse la
telefonata velocemente con qualche altra parola inglese e le si
avvicinò per
sfiorarle una guancia con le nocche: « Lo sai che la regola aurea è
dormire
quando dorme lei. »
La rossa inclinò il viso di più verso la
sua mano: « Volevo farmi una doccia ma mi sono stesa un attimo e ora
non mi
alzo più. »
« Nap. You’re
good at that. »
Si allontanò dandole un buffetto sul naso
mentre lei storceva il naso per la battutina. Affossandosi ancora di
più tra i
cuscini, tastò alla cieca finché trovò il cellulare, abbandonato da un
paio di
giorni sul tavolino.
Per evitare domande superflue – troppi
ficcanaso con giudizi non richiesti – aveva evitato di divulgare troppe
notizie
tra i vari social, ben sapendo che già avrebbero viaggiato tra i
compagni di
università e che Shirogane stesso non fosse un amante dei fatti propri
spiattellati ai quattro venti. Ciononostante, qualche giorno prima
aveva ceduto
e si era concessa di pubblicare una tenerissima foto dei piedini di
Kimberly
sopra la copertina regalata da Retasu. Presa dai ritmi frenetici di
quelle
giornate e dalla mancanza di sonno aveva poi quasi completamente
ignorato il
telefono se non per rispondere alle continue telefonate dei suoi
genitori;
infatti, non appena lo sbloccò, fu letteralmente invasa di notifiche,
messaggi,
e-mail e quant’altro.
Bramando un po’ di meritato oblio
tecnologico, si estraniò per vari minuti, scorrendo e picchiettando con
i
pollici in maniera quasi automatica e rispondendo in modo più o meno
sistematico.
Finché non notò una mail, finita in fondo
alla pila perché spedita tra le prime, molto a ridosso della
pubblicazione
della fotografia.
From:
RedDataKnight
Ehi
Ichigo! Come stai?? :) Ora forse capisco perché non ti ho sentito al
tuo compleanno!
:D Spero che vada tutto bene – io sarò a casa per un po’ per un
progetto di
ricerca, mi farebbe piacere farti le congratulazioni dal vivo e
aggiornarci un
po’! Ovviamente senza fretta :)
M.
« Cavolo! » esclamò in un
sussurro,
continuando a fissare lo schermo. Rispondere agli auguri, quell’anno,
non era
stato decisamente tra le sue priorità (settimo e passa mese di
gravidanza e
concernenti pensieri a parte, dopo la cena a casa tutti insieme Ryou
l’aveva
portata in un bed and breakfast in montagna per il fine settimana con
la molto
poco necessaria scusa che da lì a poco i momenti per loro sarebbero
diminuiti
drasticamente, e anche se ci fosse stato abbastanza campo il telefono
era
l’ultima cosa a cui aveva prestato attenzione…), come sapeva di avere
il
diritto di raccontare ciò che voleva a chi voleva, ma non poté fare a
meno di
sentirsi in colpa.
Quello era Masaya, le
era stato accanto in
molti momenti importanti della sua vita e ancora lo era, anche se in
maniera
diversa. Certo, non si sentivano tutti i giorni e neanche tutti i mesi,
ma
erano sempre rimasti in contatto come due buoni amici potevano fare.
Invece lei si era
completamente dimenticata
di lui nel momento più significativo di sempre.
« Cavolo, cavolo,
cavolo! »
« Tutto okay? »
Sobbalzò quando Ryou
ricomparve alle sue
spalle, lanciandole un’occhiatina preoccupata.
Ichigo scosse la
testa: « Sì, mi sono
accorta che… ho dimenticato di rispondere a qualche messaggio. »
Il biondo le
picchiettò la testa con le
dita: « Niente di grave direi, ginger. »
« No, no, però… » lei
si mordicchiò il
labbro e lo scrutò mentre le si sedeva accanto, buttava la testa
all’indietro
con un sospiro, e la guardava con un mezzo occhio aperto, aprendo il
palmo per
farsi dare il cellulare.
« Ginger,
relax. Gli altri aspettano,
tu non puoi non dormire. »
« Vuoi dirmi che stai
per fare un pisolino
insieme a me? »
« If you’re
quick. »
Ichigo abbozzò una
risata, poi digitò
qualcosa di veloce in risposta e tirò Shirogane per un braccio,
costringendolo
ad accoccolarsi contro di lei per quei preziosi minuti di pausa.
From: Strawberrycat
Aoyama-kun, scusami tanto! Sono incasinatissima in
questo periodo, come puoi immaginare :))) Mi farebbe piacere salutarti,
ti
faccio sapere appena possibile!! :))))
§§§
« Buona giornata,
cara! Torni per cena? »
Retasu si appoggiò al
muro dell’entrata per
non perdere l’equilibrio mentre si infilava le scarpe: « Uhm… non credo
mamma,
dopo lezione ho un turno al Caffè ma ti faccio sapere! »
« Certo tesoro, in
caso ti lascio qualcosa
in caldo. »
Con un ultimo saluto,
la ragazza afferrò un
giacchetto leggero e si fiondò fuori dalla porta, stringendo la sacca
con il
computer al petto e avviandosi a passo spedito verso la stazione più
vicina.
Meglio non affidarsi troppo alle sue abilità da ciclista, quando aveva
fretta.
Ebbe fortuna, e un
treno si fermò al suo
binario dopo pochi istanti; si sedette al primo posto finestrino libero
e prese
un respiro di sollievo, avrebbe recuperato sul suo ritardo e sarebbe
potuta
arrivare all’università con calma. Mancava poco all’inizio della
sessione di
esami estiva, e non era certo il momento di essere notata dai
professori per i
motivi sbagliati.
Poggiando la spalla al
finestrino, si
concesse di rilassarsi un po’ di più e ripassare mentalmente il
programma della
giornata; come al solito, l’idea di passare la serata al Caffè le
riempì lo
stomaco di aspettativa. Ciò che aveva detto a sua mamma era vero, aveva
sul
serio un turno di un paio d’ore subito dopo le lezioni, visto che
coincideva
con il momento più affollato, ma da quando lei e Pai aveva iniziato a
frequentarsi, lei aveva anche incominciato ad allungare la sua
permanenza nel
locale.
Si
frequentavano. Solo quel pensiero fece
frullare il cuore della verde e tingere le
guance, costringendola ad affondare il naso contro la borsa per
nascondere un
po’ l’imbarazzo. Probabilmente se qualcuno in passato le avesse detto
come sarebbe
finita, non ci avrebbe creduto. Con tutti i loro trascorsi, con tutto
quello
che c’era stato, con il solo fatto di come fosse in realtà il maggiore
degli
Ikisatashi… a volte avrebbe voluto pizzicarsi per credere che fosse
tutto
reale. Che era davvero lei quella cui rivolgeva gli scarsi sorrisi,
quando la
incrociava per le stanze del Caffè; davvero la sua mano che accarezzava
con
discrezione in mezzo agli altri; davvero la sua bocca che cercava nei
momenti
rubati tra la penombra del seminterrato.
Il suo tentativo di
non arrossire fallì
miseramente, e Retasu cacciò ancora di più il viso contro la tela
colorata. Si
sentiva di nuovo una scolaretta in preda a una tempesta di farfalle
nello
stomaco, estasiata dalle più piccole cose. Perché in effetti la loro
relazione
– faceva quasi fatica a chiamarla così – si basava sulle piccole cose:
Pai
l’attendeva sulla porta sul retro alla fine dei suoi turni al Caffè per
riaccompagnarla a casa o all’università; lei lo raggiungeva in
laboratorio per
sederglisi accanto e studiare mentre lui continuava il suo lavoro, e
insieme
condividevano qualche avanzo regalato da Keiichiro; quando erano
entrambi
liberi, facevano lunghe passeggiate in cui lui l’ascoltava raccontare
ciò che
le passava per la testa o le chiedeva spiegazioni su varie cose che
aveva
osservato sulla Terra. E lei non avrebbe potuto chiedere di meglio, non
le
importava che Ichigo le facesse notare con una punta di malizia che non
avevano
mai avuto un vero e proprio primo appuntamento, perché il modo in cui
l’alieno
la guardava, la cercava, la sfiorava, la baciava, la potevano riempire
più di
qualsiasi altro luogo comune. Nessuno sapeva quanto calore in realtà
l’algido
alieno poteva trasmettere, e anche se lei non era d’accordo con ciò che
le
aveva detto un mese prima, dopo il compleanno di Kisshu, credeva con
tutto il
cuore alla promessa che le aveva fatto.
Anche se lei…
La frenata del treno e
l’annuncio della sua
fermata la riscossero dai suoi pensieri, e si dovette quasi lanciare di
corsa
prima che le porte si chiudessero costringendola a un doppio viaggio.
L’aria
calda di fine maggio la rinvigorì, e le sue labbra non smisero di
incurvarsi in
un sorriso.
Magari sarebbe potuta
arrivare al Caffè un
po’ prima, quel giorno, invece di rimanere a studiare in università. E
magari,
questa volta, avrebbe potuto davvero trovare un posto carino e
romantico dove
andare a cena.
« Terra chiama Pai,
passo. »
Gli occhi ametista si
girarono con fastidio
verso Kisshu, seduto a gambe incrociate sulla sedia lì accanto.
« Siamo stanchi,
stamattina? » continuò a
prenderlo in giro il fratello minore, con quella sua brutta abitudine
di non
riuscire a star fermo e che quindi continuava a far girare la sedia a
destra e
sinistra, le braccia incrociate dietro la testa, « Ti ho chiamato due
volte. »
« Al contrario di te,
io riesco a
concentrarmi, » replicò Pai, tornando a fissare la colonna di dati che
riempivano
lo schermo.
« Sì, diciamo così, »
il verde ghignò e
indicò con il mento il proprio monitor, « Ho comparato i dati mandati
dal
Comando Generale ai nostri, niente di che. »
« Mhhm, » l’altro
continuò a digitare
imperterrito, « Invece in questa zona la Mew Aqua è diminuita. Il che
avallerebbe la tesi che il terreno la consuma proprio come fonte di
energia. »
« Non è esattamente
ottimista, come
ipotesi, » Kisshu si sporse per vedere meglio, « E solo in quella zona?
»
« Non ho ancora
comparato i dati rispetto
l’anno scorso. E qui non stiamo cercando solo cose ottimiste. »
« Scusami, mi ero
dimenticato che negativo
è il tuo secondo nome, » il fratello alzò gli occhi al cielo
e si alzò
dalla sedia con un sonoro scrocchiare di ossa, « Vado a farmi un giro e
raggiungo la tortorella, se la trovo. Tu hai piani per oggi? »
Pai ignorò il suo
ghignetto strafottente: «
No. »
« Oh, andiamo! Per una
volta puoi rivolgere
più di quattro monosillabi al tuo fratellino adorato. »
« Quando avrò voglia
di parlare con Taruto
sarò io stesso a farlo. »
« Ah! » Kisshu buttò
la testa indietro e
rise aspro, « Almeno la pesciolina ti migliora il senso dell’umorismo.
Te
l’avevo detto. »
Pai piegò solo un
sopracciglio: « Mi
avresti detto cosa? »
« Che era la scelta
migliore, visto quanto
sei musone, » gli batté una mano sulla spalla, solo per ritirarla con
un sibilo
e una parolaccia data l’onda di elettricità che gli fece drizzare i
capelli, « Ahia,
cazzo, la devi piantare con questa aggressività! »
« Vai a disturbare
Aizawa e lascia stare
me. »
« Esatto, vado a
cercare qualcuno che
apprezza la mia compagnia. »
« Buona fortuna. »
Kisshu uscì dal
laboratorio salutandolo con
un dito medio alzato; quando la porta si bloccò con un sibilo, Pai si
rilassò
contro lo schienale della sedia.
Quanto
detesto quand’ha ragione.
§§§
« Ah, senti che
arietta! E che profumo di
primavera! Mi sta venendo caldo. Perché mi guardi così? »
Ryou scosse la testa,
nascondendo un
sorrisetto, mentre continuava a spingere la carrozzina: « You’re
funny,
ginger. »
« Dai, è la nostra
prima uscita ufficiale,
sono contenta, » Ichigo gli strinse un po’ di più il braccio,
poggiandovi la
tempia e quasi zampettando accanto a lui, « Poi guarda come dorme!
Quasi la
invidio. »
« Se sei stanca,
possiamo tornare a casa. »
« No, ancora un po’, »
sospirò lei, « E poi
dobbiamo ancora passare a prendere un paio di cose per stasera. »
Il biondo sbuffò
sottovoce: « Ricordami
perché stai già organizzando cene a tre settimane dal parto. »
« Intanto non sto
organizzando niente, io
metto solo a disposizione il luogo e il cibo lo portano gli altri, »
puntualizzò divertita lei, « E poi mi mancano le mie amiche, ho voglia
di fare
due chiacchiere e non pensare a quanto sono stanca per un paio d’ore. »
« Mmhm, » Ryou le
lanciò un’occhiatina
divertita, « Stai forse dicendo che non ti basto io? »
Ichigo arricciò il
naso e gli diede una
leggera spinta: « Quanto sei sciocco, certo che no. Ma ho circa due
mesi di
gossip arretrati, soprattutto da parte di Reta-chan. »
« Mi chiedo come tu
abbia fatto a
sopravvivere senza. »
« Shirogane! Non fare
l’antipatico. »
Lui rise ancora,
lasciandole un bacio
leggere sulla testa, e continuarono a camminare tra i curati vialetti
del parco
per un altro quarto d’ora, finché Ichigo non individuò una panchina
sotto
l’ombra di un grosso albero.
« Ora pausa! »
annunciò, portandosi le mani
sulle reni per stirare un po’ la schiena, « Ci sediamo cinque minuti? »
« Mi stavo giusto
preoccupando di questo
tuo eccesso d’agonismo. »
« Come premio per la
tua simpatia, ti tocca
andarmi a prendere un gelato. »
Ryou mise il freno
alla carrozzina,
accertandosi che non fosse al sole, e guardò la rossa con un
sopracciglio
alzato: « Qui non c’è il Caffè. »
« Non dirmi che ti fa
paura la concorrenza!
»
« Ti ho viziato
troppo. »
Ichigo si sedette con
un sospiro e in
risposta gli mostrò un sorriso sfavillante da bambina, cui lui ribatté
con un
buffetto sul naso.
« Vaniglia e
cioccolato? »
« E panna montata. »
Con un altro buffetto,
Shirogane si
allontanò verso un chioschetto poco lontano che vendeva bevande,
merendine e
gelati, mentre la rossa si rilassava sulla panchina e iniziava a
giocherellare
con il cellulare, tenendo d’occhio Kimberly che continuava a dormire
beata.
Persa com’era a
recuperare i messaggi
scambiati nella chat delle ragazze, non si accorse della figura che le
comparve
accanto finché questa non la chiamò con voce allegra, facendola
sussultare.
« Ichigo? Sei proprio
tu? Che coincidenza!
»
La rossa sbatté le
palpebre un paio di
volte, presa completamente alla sprovvista, per mettere a fuoco la
silhouette
contro luce: « A-Aoyama-kun? Ma… che ci fai tu qui? »
Masaya sorrise con la
stessa vitalità di
sempre: « Non ti ricordi? Sono tornato a Tokyo per un po’, per un
lavoro che
sarà il fulcro centrale della mia tesi di master. Passo spesso per
questo
parco, quando vado in università. »
Ichigo in realtà lo
stava ascoltando solo
con mezzo orecchio, troppo presa dal senso di colpa di essersi
completamente (e
nuovamente) dimenticata di rispondere al ragazzo in maniera decente e
dalla
mortificazione di trovarselo ora lì, davanti, in un parco che aveva
cominciato
a frequentare solo perché più vicino alla nuova casa.
« Allora, come stai?
Congratulazioni, a
proposito! Che avventura! »
« Eh già… » lei si
morse il labbro,
sentendosi a disagio come non mai con il ragazzo, « È stato tutto un
po’… come
dire… una sorpresa, già. »
Aoyama annuì
comprensivo e sbirciò sotto la
cupola della carrozzina: « È un sacco carina, complimenti davvero. Come
si
chiama? »
Ichigo strinse un po’
di più il manico: «
Uhm… si chiama Kimberly. »
Non le sfuggì il viso
interdetto del
ragazzo mentre si raddrizzava e voltava verso di lei, incuriosito dal
nome
molto poco giapponese; non ebbe il tempo di chiedere, però, perché in
quel
momento ricomparve Ryou, il gelato in mano e la faccia più impassibile
della
storia, probabilmente fugando ogni suo dubbio.
« Aoyama. »
« Shirogane, buon
pomeriggio, » lo salutò
Masaya, decisamente più cordiale, « Credo che le congratulazioni siano
di
dovere anche a te, quindi. »
« Thank you.
Ti intrattieni molto, a
Tokyo? »
Ichigo si dovette
trattenere dal dargli un
pizzicotto mentre le porgeva il gelato, di cui le era completamente
passata la
voglia, ma Aoyama non apparve per nulla turbato.
« Un anno intero del
mio master sarà
dedicato a un progetto che sto seguendo qui, così da costruirci la
tesi, »
esclamò con pacatezza, « Avevo avvisato Ichigo, ma capisco che sia
stata un po’
impegnata. »
La rossa condivise la
risatina impacciata,
muovendo l’indice tra lei e Ryou: « Già, noi due… ecco… »
Masaya non la lasciò
finire, annuendo con
fare comprensivo e sorridendo di più: « Sono contento per voi e vi
auguro il
meglio. Hai accanto una persona straordinaria, Shirogane, e sono certo
che
saprai prendertene cura. E complimenti ancora. »
« Grazie, Aoyama-kun,
e davvero scusami se
non ti ho risposto ma - »
« Non preoccuparti,
Ichigo-chan, non posso
nemmeno immaginare che momento sia questo! L’importante è che tu – voi
– stiate
bene e siate felici. »
Ryou fece un
impercettibile passo verso la
ragazza: « We are, thank you. »
Masaya annuì ancora e
rivolse un ultimo
sorriso a Ichigo: « È stato un piacere rivedervi. E l’offerta del caffè
è
sempre valida. »
« Ciao, Aoyama-kun… »
Ichigo lo salutò
fievolmente e lo seguì con
lo sguardo mentre si allontanava, un ultimo gesto con la mano, e poi
sprofondò
ancora di più nella panchina: « Accidenti, che vergogna! Mi sono
completamente
dimenticata di dirgli… be’, tutto, e trovarmelo
davanti così! »
Shirogane rimase
impassibile, agguantando
di nuovo il manico della carrozzina: « Non vedo cosa ci sia da
vergognarsi. »
« Non in quel
senso, però… e tu
potevi anche essere più gentile! »
« Sono conciso, non
sono certo scortese. »
« Certo, come no, » la
rossa sbuffò e si
tirò in piedi, scrocchiandosi la schiena una seconda volta, « Non
abbiamo più
quattordici anni, puoi avere una conversazione vera
con qualcuno che non
ti va a genio. »
« Let’s just
go. »
Ichigo evitò di alzare
troppo gli occhi al
cielo e lo seguì lentamente verso l’uscita dalla parte opposta.
« Ogni volta che vengo
qui da te, nee-chan,
mangio come un maiale. »
Purin si stiracchiò
vistosamente,
allungando le gambe sul tappeto con un mugolio soddisfatto, e Ichigo
sorrise
sotto i baffi, poggiando un vassoio con teiera e tazze sul tavolino da
caffè.
« Questa volta non è
colpa mia, è stata
Minto-chan a provvedere. »
« E infatti mangiando
come se non ci fosse
un domani, non avete gustato quasi nulla. Non vi meritate i miei
ristoranti. »
« Abbiamo fatto onore
alla tavola invece. »
« Ti dovresti
regolare, Momomiya. »
« Tieni, bevi così ti
rilassi, » la rossa
le allungò una tazza già riempita, « Ora perché i maschietti non vanno
a
giocare da un’altra parte così noi ragazze possiamo fare un po’ di
chiacchiere
tranquille? »
« Be’, perché? »
domandò Kisshu, quasi
sinceramente offeso, « Anche io voglio sentire i gossip. »
« Come sei infantile. »
« Non so se ti
convenga, nii-san, credo che
Ichigo-chan voglia interrogare anche Minto nee-san. »
« Come no! »
« Scusate, questa
doveva essere una serata
tra ragazze, » Ichigo mise il broncio e lanciò un’occhiata torva ai due
alieni
e a Ryou, seduto accanto a lei, « Siete voi che vi siete imbucati. »
« I live
here,
you know. »
« Non mi sembra un
problema per te non fare
conversazione. »
Shirogane alzò un
sopracciglio alla
frecciatina, spostandosi per guardarla meglio: « Ancora con questa
storia di
oggi? »
Purin guardò in su
dalla sua tazza, su cui
soffiò prima di dare voce alla domanda condivisa da tutti: « Perché,
cos’è
successo oggi? »
« Niente. »
Ichigo lanciò un’altra
occhiataccia al
fidanzato: « Oggi siamo andati al parco qui dietro per far fare a
Kimberly una
prima passeggiata all’aperto. Non c’eravamo mai andati tanto, l’abbiamo
scelto
solo per comodità e… abbiamo incontrato Masaya. »
Le altre tre ragazze
si lasciarono scappare
un sussulto, mentre Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio alla
rivelazione; la rossa prese un sorso di tè e scosse la testa:
« Così, me lo sono
trovato davanti
all’improvviso! Ve l’avevo detto che mi aveva scritto, no? Ma io - »
« Wait, he
wrote you?! »
« - gli avevo solo
risposto velocemente e
mi ero completamente dimenticata di dirgli qualsiasi cosa! Mi ha pure
ricordato
che non lo avevo ringraziato per gli auguri di compleanno! Così quando
mi è
spuntato in fronte, non so, avrei voluto che il terreno mi mangiasse… e
Ryou
praticamente sembrava schifato a rivolgergli la parola, il che non ha
aiutato!
»
« Mmh, che
bell’incontro… » commentò solo
lugubre Kisshu, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza e ricevendo
una rara
d’occhiata d’intesa dall’americano.
« È per questo che
Shirogane è tutta sera
che ha la faccia di uno che ha mangiato un limone? » criticò Minto,
quasi
divertita, e lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
« E come sta
Aoyama-san? » domandò Purin,
allungandosi sul tavolino per afferrare un biscotto, « Credo di non
vederlo da
quando è partito per Londra la prima volta. »
La rossa fece
spallucce: « Bene, direi. Ha
detto è qui a Tokyo per un progetto del suo corso di studi, ma non so
molto
altro. Non abbiamo avuto molto tempo di parlare, ecco. Però… non so,
devo dire
che l'ho trovato un po'... strano. »
Retasu corrugò la
fronte: « In che senso? »
« Non saprei
spiegarlo, » l'amica scosse la
testa, « Mi ha solo dato questa sensazione, ecco tutto. »
« Un po' di estraneità
è comprensibile dopo
tanti anni di lontananza, » intervenne pacata Zakuro, « Anche se avete
mantenuto un buon rapporto dopo che vi siete lasciati, e sono passati
tanti
anni, è venuto a sapere all’improvviso che tu hai avuto una figlia
niente di
meno che con Ryou, che non era esattamente il suo migliore amico. Anzi,
con il
quale aveva un rapporto, come dire… competitivo. »
«
Watch it, » borbottò
il biondo con un’occhiataccia verso Purin e Kisshu, che avevano
sogghignato
platealmente, prima di bere un sorso di tè.
« Immagino di sì, »
Ichigo esalò e si alzò
dal divano, « Chi vuole altro da bere? »
Quando si fu
allontanata verso la cucina,
con la teiera in mano, l'attenzione degli altri si spostò su Shirogane,
che
sbuffò contrariato: « Non capisco perché continuate a guardarmi.
»
« E dai, nii-san, »
rise Purin, « La tua faccia
dice tutto. »
« La mia faccia non dice niente. E poi, se
proprio volete
discuterne, e se proprio volete ipotizzare che tra me e Aoyama ci sia
mai stata
una gara – che non è il caso perché
ho avuto altro di meglio da
fare al mondo che mettermi a competere con lui – se anche mai
ci sia stata
competizione, allora dovreste anche concludere che alla fine
ho vinto io. »
Minto alzò gli occhi
al cielo: « Parli di
ego spropositato... »
« Avete iniziato voi. »
« Alla tua età ancora
discuti di queste
cose? » Ichigo ritornò in sala con un'espressione poco divertita in
volto, « E
guarda che non sono un premio da vincere. »
« Vallo a dire a tuo
padre, » la prese in
giro Ryou tetramente.
« Questo sabato siamo
a pranzo da loro, non
iniziare. »
Il biondo si limitò a
scambiarsi
un’occhiata silenziosa con Zakuro, che in tutta risposta piegò
leggermente la
propria tazza verso di lui.
« Comunque normale
l’ameba non è mai stato,
» dichiarò Kisshu con un ghignetto, « Ma sempre più simpatico dei suoi
alter
ego. »
« Kisshu! »
« Non fare quella
faccia, tortorella, è
vero. Fosse spuntato davanti a me non mi sarei limitato a non
rivolgergli la
parola. Qualunque sfumatura di blu fosse, avrei voluto fargli un po’ il
culo
io. »
Minto lo guardò in
tralice mentre lo
sguardo dorato sembrava perdersi nel vuoto, e cercando di non farsi
notare
poggiò con nonchalance il braccio sulla gamba di lui. Nello stesso
momento,
Retasu si schiarì la gola e sorrise, allungandosi verso la teiera di
nuovo
riempita e fumante.
« Chi ha bisogno di un
altro giro? »
Non ebbe il tempo di
ricevere risposta che
il telefono di Ryou cominciò a suonare, facendoli sobbalzare quasi
tutti,
Ichigo che preoccupata si voltò verso il baby monitor sul tavolino
della
lampada.
« È Keiichiro, »
esclamò il biondo
controllando il display, « Ma non so cosa - »
Dal piano di sopra
rimbombò debole
l’allarme del computer del suo studio, seguito dall’esplosione di
notifiche sul
suo cellulare.
E gli parve subito un
incredibile déjà-vu,
soprattutto perché si udì un sibilo, e Taruto apparve all’improvviso
nel bel
mezzo del salotto.
Purin si sentiva come
se il mondo intorno a
lei fosse improvvisamente tutto ovattato e al rallentatore. Aveva
osservato a
occhi sgranati Pai e Kisshu alzarsi di scatto e quasi accerchiare il
loro
fratello minore, raggiunti poco dopo da Ryou, mentre Ichigo scattava al
piano
di sopra visto il pianto disperato di Kimberly, spaventata dal rumore
dei
sistemi e dalle grida stupite degli ospiti, ma in realtà i suoi occhi
si erano
focalizzati solo sul ragazzo dagli occhi color ambra e i capelli
marroni ora
sciolti sulle spalle.
« Possibile che tutte
le volte debbano
spuntare all’improvviso come funghi?! »
« Minto-chan, calmati…
»
« Oh Retasu, non mi
guardare così, ogni
volta fanno tutto questo casino…! »
« Scusate! » la voce
di Zakuro sovrastò
quella delle altre, e tutte le teste, compresa quella della biondina,
si
voltarono verso di lei, « Adesso basta. Cosa sta succedendo qui? »
Taruto le rivolse un
sorriso terribilmente
simile a quello del fratello dai capelli verdi: « Ho finalmente finito
il mio
addestramento. Non potevo certo lasciare che solo i miei fratelli si
divertissero, no? »
« Be’ certo, la Terra
è il vostro nuovo
luogo di villeggiatura. »
Il più giovane degli
Ikisatashi guardò
Shirogane con un misto di curiosità e fastidio: « Sono solo io, che
problema c’è?
»
« Anche l’ultima volta
eravate solo voi tre
e il vostro capo pazzoide. »
« Ryou! »
Pai ignorò il commento
e si sfregò la
fronte: « Come hai fatto? E perché non sono arrivate comunicazioni
ufficiali? »
« È stato il Comando
ad approvare la mia
richiesta subito, se avessi anche dovuto aspettare le comunicazioni
ufficiali
non sarei mai arrivato, ci sono non so quali cambiamenti nell’Assemblea
e… ehi,
e quello cos’è? »
Ichigo continuò a
cullare Kimberly e lo
guardò storto: « Quello è mia figlia, disgraziato!
»
« Ah però,
vecchiaccia, l’età è avanzata
davvero! »
« Brutto… ! »
Ryou le si avvicinò e
le mise una mano
sulle spalle per frenare il suo impeto vendicativo, la testa che già
stava
pulsando in maniera molto pericolosa.
« Volete dirmi che ora
in periferia di
Tokyo ci sono ben due astronavi aliene nascoste in una dimensione
parallela. »
Taruto guardò i suoi
fratelli con un moto
d’orgoglio: « Ho inserito le coordinate che avevi mandato al Comando al
vostro
arrivo e sono riuscito ad ingrandire la dimensione. Per trovarvi
stasera ho
tracciato il segnale del vostro connettore. »
« Oh, he
enlarged the dimension, ain’t that great. »
Zakuro cercò di
blandire Shirogane con uno
sguardo truce, ma cominciava a condividere con lui l’inizio
dell’emicrania: «
Quindi è per questo che Keiichiro stava chiamando, i nostri sistemi
devono aver
percepito il tuo arrivo. Ma la ragione di esso non ci è ancora stata
data, o
anche tu fai parte della missione dei tuoi
fratelli, solo a scoppio
ritardato? »
Il giovane alieno si
strinse nelle spalle:
« Puoi metterla così. »
« Io non voglio metterla,
» replicò
la modella, « Preferirei sapere. »
Non si perse
l’occhiata che si scambiarono
Pai e Kisshu, così come non se la persero gli altri; fu Minto la prima
a
parlare, con occhi pieni di istinto omicida:
« Kisshu giuro che ti
squarto vivo se non
apri quella bocca. »
« Ci sono delle cose
che… non sapete. »
Zakuro inarcò
impercettibilmente un
sopracciglio alla risposta di Pai, incrociando simultaneamente gambe e
braccia:
« Allora raccontatecele. »
« La tortorella un po’
le sa già. »
« Non mettere in mezzo
me, sai! »
Pai fissò la modella
per qualche istante, e
lei vi riconobbe quello sguardo duro e perso che ogni tanto gli aveva
visto
fare durante le loro notti insieme.
« Ve ne abbiamo già
accennato. Dopo la
caduta di Deep Blue, ci sono stati molti cambiamenti all’interno della
nostra
società che non sono stati graditi a tutti, chi credeva ancora al
nostro
vecchio signore ha continuato a rimanergli fedele per qualche tempo.
Potete
immaginare cosa fosse, essere le cause dirette della sua disfatta. »
Kisshu storse la
bocca, mormorando qualcosa
di incomprensibile ai terrestri e spostando il peso da un piede
all’altro, ma
il fratello continuò con un sospiro: « Taruto è riuscito a non viversi
il peggio
perché all’epoca era solo un bambino, nonostante il ruolo che gli era
stato
affidato. L’hanno reintegrato nei vari passaggi del nostro sistema
educazionale, quasi chiudendo un occhio. »
« Noi invece eravamo i
fratelloni traditori
che l’avevano portato sulla cattiva strada, » intervenne il verde con
una
risatina aspra, « Ci hanno fatto mangiare della merda per anni,
nonostante una
folta parte di pubblico ci considerasse quasi come dei salvatori. Che
non era
nemmeno divertente, dopo un po’. Non potevamo vivere una vita normale
senza
essere perseguiti in qualche maniera. »
« La nostra missione è
stato… un
compromesso, » terminò ancora il moro, evitando di guardare Retasu e i
suoi
occhioni lucidi, « Avremmo condotto ricerche necessarie e importanti
per il nostro
pianeta, ricerche che possano assicurarne la longevità, ma senza
abitarvi.
Perché non era possibile. »
« Con
la promessa che il moccioso qui ci
avrebbe raggiunti, una volta consolidata ufficialmente la sua posizione
di tenente,
» Kisshu strinse affettuosamente una spalla a Taruto, ormai alto quasi
quanto
lui.
Zakuro sospirò e si
abbandonò contro la
spalliera, continuando a studiare i tre fratelli e scambiandosi
un’occhiata con
le sue amiche. Non poté evitare di soffermarsi su Purin, che
incredibilmente
non aveva ancora spiccicato una parola e proseguiva a fissare il più
giovane
dei tre ad occhi sgranati.
« D’accordo, » esalò
poi, guardando
direttamente Ryou, « Okay? »
Il biondo, le mani sui
fianchi, si limitò
ad annuire.
« Oh comunque non mi
piace questa cosa che
ci trattate ancora come minacce. »
« Kisshu, sta’ zitto. »
Il verde scosse le
spalle e si riavvicinò a
Minto, che si era appollaiata su un bracciolo del divano con
un’espressione
distratta. Finalmente, Taruto scrutò la stanza finché il suo sguardo
non si
posò sulla biondina seduta per terra; un sorriso timido gli si disegnò
in volto
mentre, a disagio, infilava le mani nelle tasche dei pantaloni.
« Ciao, scimmietta. »
Purin sbatté le
palpebre un paio di volte,
la bocca che si trasformò in una piccola o, e
sembrò quasi risvegliarsi
da un sogno. Il viso le si illuminò di un sorriso enorme mentre
scattava in
piedi con agilità straordinaria e gli si lanciava letteralmente addosso
con uno
strillo ad ultrasuoni: « Taru-Taru! »
Il tonfo della loro
rovinosa caduta per
terra fu coperto nuovamente dagli strilli di Kimberly, spaventata una
seconda
volta, e dal gemito sconfortato di Ichigo e Ryou.
Dopo aver ristabilito
l’ordine, e aver
aggiornato velocemente Keiichiro con una telefonata, anche il terzo
Ikisatashi
fu sistemato al secondo piano del Caffè (nonostante le proteste di
Purin, che
si era offerta profusamente di ospitare Taruto fino a nuovo ordine,
vista
l’ampiezza di casa sua e i continui viaggi di suo papà). Il pasticcere
li
accolse con il solito sorriso cordiale, accompagnandoli nella vecchia
camera di
Ryou – ora di Kisshu – nella quale aveva arrangiato la brandina
d’emergenza con
la promessa di aggiungere un letto più comodo al più presto.
« Mi sento
improvvisamente adolescente, »
ghignò il verde, « Pai ha sempre il diritto di prelazione, eh? »
Il viola lo ignorò: «
Molte grazie,
Akasaka-san. Continueremo a non essere di disturbo. »
L’altro sorrise e si
tirò dietro la porta
mentre usciva: « Nessun problema, Ikisatashi-san. Questo piano è
assolutamente
tutto vostro. Vi chiedo solamente di informare Taruto-san sulla maniera
migliore per non attirare l’attenzione visto le nostre nuove
collaboratrici. »
Pai annuì e lo salutò
con un ultimo cenno;
quando la porta fu chiusa, controllò il pomello e attese qualche
istante,
lasciando che Kisshu vi si appoggiasse contro con una spalla e il
solito
sorrisetto irriverente: « Be’, benvenuto nella nostra umile dimora. »
Taruto si guardò
intorno, poi sghignazzò: «
Come avete fatto a convincere Shirogane a farvi stare qui? »
« Era l’opzione che
più gli conveniva, così
può far finta di non starci tenendo d’occhio. »
Pai sospirò e si
sedette sulla brandina
appena installata: « Taruto. Lo sai cosa ti devo chiedere. »
D’improvviso, il
fratello assunse una posa
molto più composta e rigida: « Nessuna novità. La situazione non è
cambiata
dalla vostra partenza. I registri sono nella mia navetta. »
Gli altri due si
scambiarono un’occhiata,
poi Pai si sfregò la faccia, percependo tutta la stanchezza della
giornata: «
Dovrò andare a fare rapporto, immagino. »
« Io istruisco il
fanciullo qui, prima che
sparisca dietro una certa testa bionda. »
« Che cavolo dici?! »
« Ho notato un certo trasporto,
in
quel capitombolo. »
« Senti, vai a cagare.
»
« Potete darmi tregua
per dieci minuti? »
« E dai, » Kisshu
rivolse a Pai un sorriso
splendente, « Lo sai che ti eravamo mancati. »
Il maggiore scosse la
testa, si alzò con
uno sbuffo e si avviò lungo il corridoio, le spalle incurvate: « Vedete
di non
fare casino, vado alla nave. »
« Io te l’avevo detto
di installare un
comunicatore più vicino. »
« Dannazione, Kisshu! »
§§§
Non ci fu maniera,
ovviamente, di tenere
Purin lontana dal Caffè più delle minime sei ore di sonno necessarie a
essere
funzionante. Al primo raggio di sole, si fiondò giù dal letto, si
infilò il
primo paio di pantaloni che trovò – un pinocchietto leggero di un
azzurro
allegro, perfetto vista la giornata – e quasi volò fuori casa,
salutando i suoi
fratelli con un grido quando era già oltre la porta.
Arrivò al locale a
tempo di record e come
per magia senza neanche una goccia di sudore, rallentando solo quando
vide
Keiichiro che rastrellava la ghiaia del vialetto per metterla in ordine.
« Buongiorno,
Akasaka-san! »
Lui cercò di non
apparire troppo divertito
dal suo trillare agitata: « Purin-chan, buongiorno. Siamo mattinieri
oggi. »
« Già, » lei sorrise a
trentadue denti,
saltellando sui talloni, « Posso chiederti un favore? »
« Ma certamente. »
« Lo so che oggi ho il
turno, però… non è
che potrei… ? »
Keiichiro sorrise
affettuoso e annuì,
poggiandosi al rastrello e facendole l’occhiolino: « Non mi ricordo
l’ultima
volta che hai preso un giorno di ferie, direi che è decisamente
meritato! »
« Grazie mille! »
Purin gli si avvicinò e
gli diede un cinque energetico, « Ci vediamo dopo, ciao! »
« Purin-chan, aspetta,
non sono ancora - !
»
Ma il suo richiamo non
fu ascoltato, perché
lei si era già lanciata all’interno e stava salendo i gradini a due a
due. Con
la chiave di riserva, aprì la porta che separava il secondo piano e –
incurante
del silenzio, o delle soglie chiuse, o delle luci spente – si tuffò
verso la
vecchia stanza di Shirogane, chiamando a pieni polmoni: « Buongiorno,
Taru-Taru! »
Entrambi i ragazzi
nella camera si
svegliarono di soprassalto, tra l’essere investiti dalla luce e l’urlo,
in un
coretto di parolacce.
« Ma che cazz - »
Kisshu riuscì solo ad
aprire mezzo occhio, la faccia stampata dalle righe del cuscino, «
Purin! È
l’alba! »
« Ti sembra il caso di
entrare così?! »
sberciò pure Taruto, tenendosi il lenzuolo fino al mento e una mano sul
cuore
che batteva furioso.
La biondina sembrò non
farci caso e marciò
dentro, spalancando pure la finestra: « Forza, in piedi, pigrone! Ci
sono un
sacco di cose che dobbiamo fare! Uuuh, nii-san, tu dormi nudo? »
Il verde litigò con il
lenzuolo per
avvolgervisi il più possibile senza abbandonare la posizione prona,
mugolando
spropositi contro il guanciale mentre la biondina rideva sfacciata e
piroettava
verso la branda di Taruto.
« Si entra bussando,
sai? Non si sveglia la
gente come una cannonata! »
« Sono contenta che
sei tornato, » esclamò
candidamente lei, incrociando le dita dietro la schiena, « I nii-san
non ti
hanno mandato i miei messaggi? Chiedevo sempre di te! »
Un vago rossore si
sparse sul naso
dell’alieno: « E dopo un viaggio intergalattico non potevi farmi
dormire!? »
« C’è tempo per
dormire, ora dobbiamo dirci
un sacco di cose! Ho chiesto apposta un giorno di ferie, mi devi
raccontare tutto
del tuo addestramento, del tuo pianeta, e scommetto che ci sono anche
un sacco
di cose che non sai! Te l’ha detto Kisshu nii-san che ora esce con
Minto
nee-san? »
Il suddetto riuscì
finalmente a voltarsi a
pancia in su, un piede a penzoloni fuori dal materasso e le braccia
spalancate,
ed esalò sfinito: « Non è che potreste portare la vostra toccante
riunione
fuori da qui? »
Il fratello minore gli
lanciò un’occhiata
truce e poi esalò: « D’accordo, Purin, sono sveglio, ma ora esci. Mi
devo… uhm…
»
La biondina fece una
smorfia maliziosa: «
Anche tu come Kisshu-san? »
Taruto divenne color
melanzana, l’afferrò
per un braccio mentre lei se la ghignava della grossa e, il lenzuolo
ben
stretto attorno al corpo, la spinse bruscamente fuori, sbattendole la
porta
alle spalle.
Svegliato dal
trambusto, Pai passò lì
davanti con la faccia scura e una tazza di caffè nero fumante in mano.
« Possibile che non ci
sia mai un attimo di
pace? »
Retasu tentennò un
istante prima di varcare
l’entrata posteriore del Caffè. Era arrivata un po’ in anticipo
rispetto al suo
turno, un po’ perché avvisata da Keiichiro sul giorno libero di Purin –
che
stava spammando senza pietà la loro chat di gruppo con foto della
maratona cui
stava costringendo Taruto – un po’ perché, viste le rivelazioni della
sera
precedente, avrebbe voluto sfruttare l’occasione per parlare con Pai.
La cosa, però, la
rendeva nervosa: non era
mai stata un’amante del confronto, per niente, e non era un confronto
quello
che voleva ottenere, però si rendeva conto di come le domande che aveva
potessero risultare scomode, lo aveva capito dall’espressione dei tre
alieni
durante il loro racconto. Ciò la metteva in difficoltà; non le piaceva
rivangare ferite che evidentemente avevano faticato a chiudersi,
dall’altro
lato aveva delle curiosità che non riusciva a placare.
Prese un respiro e si
avviò dentro, il
profumo dolce del Caffè che, come ogni volta, le solleticò le narici.
Era
appena dopo pranzo, sapeva che Pai avrebbe iniziato da lì a poco il suo
secondo
round di tazze di caffè, perciò se ne procurò una non appena ebbe
lasciato le
sue cose in spogliatoio. Stava dirigendosi con estrema cautela verso il
laboratorio quando lo vide salire in direzione opposta e rivolgerle un
accenno
di sorriso, cui lei rispose con timidezza più marcata.
« Ciao, » gli mormorò,
« Sono arrivata un
po’ prima perché manca Purin. »
Pai annuì e le tolse
l’onere di stringere
la tazza fumante, ringraziandola sottovoce: « Ha preso in ostaggio mio
fratello. »
Retasu sorrise
divertita e congiunse le
mani in grembo: « Ci sta mandando foto in continuazione, è ancora in
ottima
forma. »
Anche Pai rise,
prendendo un sorso e
assaporando un po’ più a lungo l’aroma caldo sulla lingua. Non era
stupido,
sapeva cosa volesse la ragazza, e non dovette aspettare molto per
sentirla
cominciare.
« Io… riguardo ieri
sera… » tentennò
infatti la verde, mentre gli lanciava uno sguardo da sopra il bordo
degli
occhiali, « Volevo solo… »
L’alieno le indicò le
scale con un cenno
della testa e la fece precederlo al piano di sopra, indirizzandola con
una mano
sull’incavo della schiena verso la sua camera da letto. Non erano certo
discorsi che lui avrebbe apprezzato condurre, figuriamoci nel bel mezzo
di un
corridoio.
Lì, l’odore del
ragazzo era molto più
forte, e ciò le fece sfrigolare la pancia più del solito, ma Retasu
s’impose di
concentrarsi.
« Perché non me l’hai
detto? » domandò d’un
fiato dopo qualche istante.
Pai sospirò e poggiò
la tazza sulla
scrivania lucida, cercando le parole giuste.
« Non sono bei
ricordi, Retasu. »
« Lo capisco. Per
questo forse sarebbero
da… condividere. Non ti fidi di me? »
Lui fece un passo
avanti e le prese il viso
tra le mani: « Non ha niente a che vedere con te. »
Lei si corrucciò,
scrutando le iridi
ametista: « Cosa vuoi… ? »
L’alieno esalò piano e
la strinse un po’ di
più: « Non sono il tipo di persona che… si trova a suo agio a chiedere
aiuto,
né grava i propri problemi sugli altri. Non voglio scatenare la tua
pietà, non
voglio farti stare male. È passato, e non ha più nessuna importanza. »
« Pai, io… io voglio
sapere chi sei, »
mormorò lei.
« Sai già tutto quello
che conta. Non
voglio guardare indietro, con te. Voglio andare avanti. »
Il cuore di Retasu
batté così forte che per
un istante quasi le cedettero le ginocchia; si aggrappò alle spalle di
lui e lo
studiò per qualche altro secondo, annuendo lentamente poi: « Però
promettimi
che… se ci fosse qualcos’altro, o in un momento in cui ti serve
parlarne… che
lo farai. »
Lui assentì con la
testa, sfiorandole le
labbra in un sussurro prima di baciarla: « Te l’ho detto che non ti
merito. »
Retasu si lasciò
scappare un sospiro quando
avvertì la parete contro la schiena e inclinò di più la testa,
perdendosi nel
loro bacio. Il sapore di Pai si mischiava a quello del caffè, e come
sempre
iniziarono a ronzarle le orecchie mentre il petto le galoppava spedito
e il
sangue sembrava fluirle tutto nel ventre. Anche Pai esalò nel poggiare
le mani
sulla sua vita per premersi un po’ di più contro di lei, percependone
le curve
contro al corpo, il calore tiepido e il profumo fresco.
Sapeva
di estate, pensò senza sapere il perché,
rendendosi conto che non sarebbe riuscito
a farne a meno, che presto avrebbe solamente bramato sentirlo
maggiormente.
Un altro mormorio
risalì dalla gola della
ragazza quando Pai spostò un palmo per sfiorarle appena un seno, un
mugolio che
assomigliava terribilmente al suo nome e che, unito a Retasu che si
sporgeva
ancora contro di lui, gli azzerò del tutto i pensieri. Si piegò a
baciarle il
collo, l’altra mano che spiegazzò la stoffa della gonna che lei
indossava per
impedirsi di muoverla, avventurandosi lungo lo scollo della blusa, lì
dove una
volta aveva sfoggiato la sua voglia Mew, per poi ripercorrere la pelle
rosea
dalla parte opposta.
« Pai… » questa volta
fu un rantolo vero e
proprio nel momento in cui lui la strinse di più, poi le mani della
ragazza gli
si posarono sulle spalle, « A-aspetta… »
Riportò le mani sulla
vita di lei per
abbracciarla e le lasciò un ultimo bacio sotto l’orecchio, tracciando
con il
naso la scia di pelle d’oca che le causò; Retasu tremò appena e prese
fiato,
sistemandosi gli occhiali sul naso: « De-devo andare. »
Avrebbe voluto dirle
di non farlo, invece
Pai annuì e posò la fronte contro la sua.
Non
puoi correre.
« Ti accompagno quando
hai finito, » le
disse sottovoce.
La verde fece sì con
la testa, tossicchiò
mentre si sistemava un po’ i vestiti, e si sporse in su per ottenere un
ultimo
bacio veloce, con buona pace del viso color peperone e del cuore in
gola.
Forse aveva davvero
ragione lui, si disse,
l’unica cosa importante era continuare a guardare avanti, insieme.
« Dai, ammettilo che
ti sei divertito! »
Purin diede una
giocosa spallata a Taruto,
che incrociò le braccia dietro la nuca e assunse un’espressione di
superiorità:
« Non è stato malaccio, ma sei una guida un po’ troppo frenetica. »
« Dovevo farti vedere
un sacco di cose! E
poi tu sei lento! »
« Per tua
informazione, sono tra i migliori
del mio corso! Sei tu che hai le gambe più corte e quindi devi correre,
nanerottola! »
La biondina rise
allegra, dandogli un altro
colpetto e scoccandogli un’occhiata di nascosto mentre continuava a
camminargli
accanto, le ombre del tramonto che si facevano più scure. Ancora non si
capacitava che Taruto fosse davvero lì, vicino a lei, che potesse
toccarlo e
vederlo sul serio. Né si spiegava come avessero passato la giornata in
totale
sintonia, come se non fossero passati davvero sette anni ma solamente
sette
giorni dall’ultima volta in cui si erano visti.
Eppure, sia lei che
Taruto erano cambiati
così tanto.
Gli scoccò un’altra
occhiata,
meravigliandosi del fatto che adesso era più alto di lei di almeno
dieci
centimetri e decisamente con le spalle più larghe di quanto si
ricordava, ma
con la stessa faccia da birbante, nonostante i lineamenti cresciuti.
Dal canto suo, anche
Taruto faceva fatica a
computare che la ragazza a fianco a lui fosse davvero la sua amica
d’infanzia. Purin
era rimasta snella e scattante anche da adolescente, però la chioma
bionda le
correva fino a metà schiena, con ancora qualche treccina tra le
ciocche, e le
curve si erano ammorbidite nei posti giusti, rendendola davvero…
La gola gli si chiuse
come se avessero
eliminato tutta l’aria dell’universo e distolse velocemente lo sguardo
– cosa diavolo
andava pensando?! Era stato lontano da Kisshu un anno intero,
possibile che
già soffrisse la sua influenza?!
Con due falcate doppiò
la biondina e, le mani
sempre dietro la nuca, camminò all’indietro per rivolgere un sorriso
smaliziato: « Scommetti che ora ti porto io in un posto stratosferico? »
« Ah sì? » ribatté
lei, incrociando le
braccia, « Vediamo se mi batti! »
Taruto le fece una
linguaccia, poi si
guardò intorno e la prese per un polso per portarla in una stradina
laterale,
al riparo da occhiate curiose.
« È un po' che non uso
il teletrasporto
sulla Terra, quindi potrei essere un po' arrugginito, però… » le
afferrò anche
l’altra mano, chiuse gli occhi, e dopo pochi istanti sentirono una
forte brezza
sulla pelle, « Ecco, ci siamo. »
Purin dovette sbattere
le palpebre un paio
di volte per realizzare che davvero stava guardando l’intera città al
crepuscolo dalla somma della Tokyo Tower: « È bellissimo! Era un sacco
di tempo
che non venivo qua. »
Il ragazzo sorrise
trionfante: « Allora ho
vinto, eh? »
« Giochi sporco, però,
io non posso
teletrasportarmi e nemmeno saltare più come facevo una volta. »
« Non sai perdere. »
La biondina gli
rispose con una smorfia e
lo tirò, impavida come sempre, così che potessero sedersi su una delle
travi,
la mano sempre stretta nella sua.
« D’accordo, è una
cosa fantastica, » esalò
dopo un po’ mentre lentamente le luci della città cominciavano ad
accendersi
sotto di loro, « Ma anche il mio giro di oggi non era male. Non ti ho
portato a
fare il turista. »
« Il che? »
« Lascia perdere. »
Taruto la guardò
stranito mentre lei
rideva, con i capelli che svolazzavano al vento e colpivano pure lui,
portando
con loro un soffio del suo profumo. Si ricordò di una cosa
all’improvviso, e
iniziò a rimestarsi in tasca sotto lo sguardo incuriosito di Purin.
« Che fai? »
« È stata un po' una
faticaccia trovarle, »
borbottò, tirando fuori il pugno chiuso, « Sai com'è, le cose sul
nostro pianeta
sono un po' diverse da quelle che avete voi, ma queste dovrebbero
essere
abbastanza simili. »
Le aprì il palmo sotto
al naso, rivelando
delle palline tonde avvolte da una carta plastificata di diversi colori.
Il viso di Purin si
illuminò: « Sono... caramelle?
»
Lui annuì: « La
versione di Duuar. Sono
morbide, ma non le devi masticare o ti si attaccano ai denti. »
Lei le guardò
estasiata, cercando di
scegliere la prima da provare: « Che gusti sono? »
« Verde, blu, e rosso.
»
« Quelli non sono gusti,
sono
colori! »
« Scimmietta, non fare
la difficile, non ne
ho la minima idea, prendine una e basta. »
Purin ridacchiò di
nuovo, sentendo un
formicolio all’altezza del petto a quel nomignolo, e ne scelse una a
caso,
scartandola e lanciandosela in bocca: « Gwassie. »
Taruto sorrise,
facendo un piccolo cenno
con la testa: « Non c'è di che. »
§§§
Neanche l’arrivo
dell’ultimo fratello
Ikisatashi – ed eventuali domande che Ryou avrebbe volentieri posto –
era
riuscito a far desistere Ichigo dall’appuntamento promesso ai propri
genitori,
il primo pranzo vero e proprio a casa loro dalla nascita della nipotina.
La nascita di
quest’ultima da un lato aveva
portato una ventata di euforia incredibile nei coniugi Momomiya, con
Sakura più
disponibile che mai e pronta a intervenire al minimo richiamo (cosa di
cui
Shirogane era più che grato, visto che nonostante i libri, i corsi, i
video,
l’ingegno, a volte ancora non aveva la minima idea di cosa fare, in più
ogni
pasto casalingo già pronto era sempre benvenuto) e Shintaro molto più
di buon
umore del solito; dall’altro, purtroppo, non aveva giovato quasi per
nulla al
rapporto tra i due maschi della famiglia.
Nonostante l’impegno
di Sakura di domare
l’imperiosità del marito e di fare da diplomatica tra le parti,
Shintaro non
perdeva occasione di lanciare al biondo velenose frecciatine che alla
lunga gli
stavano facendo perdere la pazienza; quella stessa pazienza che però
non poteva
permettersi di lasciarsi sfuggire per non scatenare le ire di Ichigo,
che tanto
lo pregava di provare ad essere tollerante e paziente, perché certo suo
padre
non sarebbe cambiato tutto d’un tratto.
Ryou, però, non si era
mai ritenuto un
campione di pazienza, soprattutto se vessato in continuazione senza un
motivo
oggettivo; quindi, ogni incontro con il suocero putativo lo rendeva di
volta in
volta di umore peggiore. In aggiunta, al già malumore in previsione
dell’americano bisognava aggiungere la frustrazione causata della
mancanza di
sonno – collaterale alla neonata che invece al momento dormiva beata
nel
seggiolino – la mole di lavoro accumulatasi nell’ultimo mese – vedasi
ragione
precedente – e anche l’insofferenza ad avere da quasi una settimana non
uno,
non due, ma tre alieni nel suo Caffè
a fare chissà cosa e al non
poter davvero interrogarli come avrebbe voluto.
A quel pensiero scosse
la testa e strinse
un po’ di più il volante dell’automobile; iniziare il pranzo con quei
pensieri
non l’avrebbe certo aiutato a raggiungere una specie di nirvana dove i
commenti
di Shintaro sarebbero giunti solo come un ovattato mugolio.
« Tutto okay? »
Ichigo, accanto a lui,
gli toccò appena una
gamba, mentre continuava a voltarsi verso il sedile posteriore per
accertarsi
che Kimberly stesse bene.
« Sono solo stanco. »
La rossa non fu molto
discreta ad
occhieggiarlo per bene, non molto convinta: « Cerchiamo di rilassarci
un po’,
d’accordo? Sarà una cosa veloce. »
« Non capisco perché
facciamo tutto a casa
nostra, e oggi invece dobbiamo cambiare location. »
Lei si trattenne dallo
sbuffare: « Perché
stiamo sempre a casa ormai, cambiare un po’ d’aria ci farà bene. E poi
così
possiamo venire via quando vogliamo. »
Così
non posso sparire in studio non
appena tuo padre incomincia, avrebbe voluto rispondere
Shirogane, ma si guardò bene dall’aprire bocca.
Come al solito, furono
accolti da grandi
feste di Sakura, che aveva dato fondo alle provviste della cucina per
un ottimo
pranzo – era convinta che almeno ghiotte distrazioni avrebbero potuto
attutire
un po' le discordie e le intenzioni bellicose della sua dolce metà.
Come al solito, suo
marito fu di diverso
avviso. Concesse giusto una mezz’ora di tregua a Ryou, godendosi la
nipotina,
prima di ricominciare con le solite punzecchiature e critiche.
« Sai, ho visto quella
tua vecchia compagna
di classe dai capelli biondi, tesoro, » iniziò non appena Sakura gli
tolse da
davanti il piatto ripulito, « Come si chiamava? »
« Si chiama Mowe,
papà. »
« Ah, sì, giusto, »
l’uomo si pulì
velocemente la bocca con un fazzoletto, « Mi ha detto che ora frequenta
un’ottima università, studia legge, le piace molto. »
Ichigo si strinse
nelle spalle, già
presagendo una svolta poco simpatica della conversazione: « Lo so,
papà. Le
sento ancora spesso per telefono, so sicuramente più di te, anche se
non ho il
tempo di vederle molto. »
« Immagino, sei sempre
così impegnata, »
Shintaro fece un lungo sospiro, « Eh, bambina mia, anche tu stavi
andando così
bene all’università, ti piaceva così tanto e avresti potuto raggiungere
ottimi
risultati, se non fossi stata sviata…
»
Ichigo fu svelta ad
appoggiare una mano sul
ginocchio di Ryou non appena si accorse che, a quella affermazione, il
biondo
aveva stretto nel pugno un angolo del tovagliolo.
« Papà, ne abbiamo già
parlato, lo sai che
non ho intenzione di lasciare l’università, riprenderò più avanti. Sono
solo
indietro di un semestre, e anche se ci metto di più, non sarà certo un
problema. »
« Poi lo sai che la
nostra Ichigo non era
una campionessa dello studio, » s’intromise Sakura con una risatina
dolce, « Se
non ci fosse stato Shirogane-san, non avrebbe certo studiato tanto come
ha fatto
nell’ultimo periodo prima di prendersi la pausa. È stato anche grazie a
lui che
ha scelto di entrare a Lettere. »
Shintaro scrollò le
spalle, come se
l’ultima affermazione non avesse avuto troppo peso: « Avresti avuto un
tale
futuro radioso… »
Ichigo strinse gli
occhi: « Non mi sembra
di essere in una situazione così disperata, ora. »
« E poi abbiamo una
bellissima nipotina! »
la moglie intervenne di nuovo velocemente, poggiando davanti al marito
il
piatto fumante della seconda portata, « Non credi che sia una cosa
meravigliosa
potersi godere quell’angioletto a pieno, ora che siamo ancora giovani e
pieni
di vita? »
« Sì, sì, » l’uomo
sventolò una mano, « Ma
avrei preferito che anche Ichigo potesse approfittare dell’essere
giovane e
piena di vita senza altre distrazioni, e concentrarsi sulle cose
importanti. È
ancora una bambina, dopotutto, se solo mi avesse ascoltato un po’ di
più… »
« Sono ancora qua,
papà. »
« … forse non si
sarebbe fatta distrarre così
incredibilmente. Senza
che poi nessuna responsabilità sia stata assunta. »
« Papà, stiamo bene
così. »
« Shintaro, caro, per
favore. Credo che
Shirogane-san si stia prendendo cura delle nostre ragazze in maniera
ottimale,
non hai assolutamente nessun motivo per lamentarti. Basta guardare
Ichigo per
capire quanto sono felici. »
Il patriarca Momomiya
in risposta borbottò
solamente qualcosa di inintelligibile, e Shirogane si concesse un sorso
d’acqua
per calmare il ribollire che sentiva crescere in petto. In altre
circostanze,
non avrebbe certo esitato a ribattere – soprattutto quando da
frecciatine si
passava a vere e proprie ingiurie – ma la pressione che Ichigo
continuava ad
esercitare sul suo ginocchio era l’unica cosa che lo teneva fermo,
insieme alla
riconoscenza nei confronti di Sakura. Probabilmente avrebbe dovuto
ereggere una
statua a quella donna, o quantomeno regalarle qualcosa di estremamente
costoso.
La tregua, aimè, non
durò molto.
« Ai miei tempi, certe
cose non si
facevano, » ricominciò Shintaro all’arrivo del dolce, con la voce più
imperiosa
che mai, « C’era un ordine, nella vita, ed era molto importante
rispettarlo. »
« I tempi sono
cambiati, caro. E poi certe
cose capitavano anche allora. »
« Era certamente una
cosa più rara, e in
ogni caso si faceva qualcosa a riguardo, » controbatté lui, « Ad
esempio, penso
che quel bravo ragazzo di Aoyama, sicuramente si sarebbe assunto le sue
responsabilità, anzi, sicuramente lui non l’avrebbe convinta a giocare
d’azzardo così tanto con il suo futuro. »
Nella stanza calò il
silenzio; le unghie di
Ichigo quasi incisero la carne di Ryou, che però sentivo riusciva solo
a
sentire la rabbia straripare definitivamente.
« Lei si rende conto, signore,
che
sua figlia è un’adulta anche dal punto di vista legale, e che quindi
ogni
decisione riguardo il suo futuro è stata presa con cognizione di causa
e non di
certo perché da me circuita? Ichigo non è decisamente più una bambina,
e lei
dovrebbe smetterla di trattarla come tale e addossare le colpe ad
altri. »
« Bada al tuo tono,
ragazzino, potrai anche
essere parecchio sveglio, ma non ti permetto di parlarmi in questa
maniera a
casa mia. »
« Non c’è problema,
tolgo il disturbo, » si
alzò da tavola e rivolse a Sakura uno sguardo di scuse, « Mi dispiace,
Momomiya-san. »
« Ryou, caro… »
« Vedi, ti sembrano
questi dei giovani
responsabili? »
Entrambe le donne
Momomiya lanciarono a
Shintaro uno sguardo di fuoco, e la più giovane rincorse Ryou fino alla
porta
d’ingresso.
« Ryou, aspetta - »
« Cosa aspetto,
Ichigo, di venire insultato
ancora un po’ da tuo padre? » sbottò lui sottovoce, « Io ci ho provato,
ho
avuto pazienza, ma addirittura sentirmi dire che ti
ho rovinato la vita
fregandomene altamente, questo no. »
« Lo so, mi dispiace,
ma anche tu sai com’è
fatto e - »
« Non vuol dire che mi
debba andare bene e
che mi debba far scivolare tutto addosso per farlo contento. »
« Non devi far
contento lui, ma almeno per
me potresti… »
« Cosa? Star lì a
guardare mentre ti fai
trattare come una bambina senza nemmeno tentare di spendere due parole
a mio
favore mentre rimpiangiamo Aoyama? »
Ichigo sospirò
esasperata: « Ora non tirare
in ballo Masaya-kun, non c’entra niente. »
« Bene, difendi lui
allora, evidentemente o
la pensi come tuo padre, o ti fa comodo che lui in qualche maniera ti
ritenga
totalmente innocente. »
« Questo non è
assolutamente vero, e lo
sai. Ryou, per favore, » la rossa gli si avvicinò implorante,
prendendogli una
mano, « Non voglio litigare con te per colpa di mio padre, possiamo
semplicemente andarcene a casa e dimenticarci tutto? »
« Invece stiamo
litigando, Ichigo, perché
non ho intenzione di nascondere la testa sotto la sabbia per dieci
minuti di
quieto vivere e continuare ad essere il capro espiatorio di un padre
che non
vuole accettare la realtà della situazione e che preferisce continuare
a vedere
la sua bambina in un'aurea di totale purezza.
Raccontando pure delle
gran balle, perché la storia dell’incontro di kendo con Aoyama la
conosciamo
tutti. »
La rossa prese un
respiro profondo,
cercando di calmare entrambi: « Cercherò di parlargli, d’accordo? Di
provare a
spiegargli che quello che pensa è completamente sbagliato, ma ti chiedo
di
avere pazienza. Magari quando Kimberly sarà grande capirai perché a
volte i
genitori si comportano così, ma - »
Ryou le rivolse
un’occhiata così sbalordita
che le parole le morirono in gola e sentì il cuore precipitarle nello
stomaco.
« Cosa diavolo stai
dicendo, Ichigo, »
sibilò con rabbia, « Avanti, finisci la frase. »
Lei gli afferrò di
scatto le mani,
soffocata dal senso di colpa: « Ryou, io - »
Il biondo si ritrasse
d’impulso,
guardandola irato con gli occhi ridotti a due fessure: « Dillo, forza.
Dillo
che io non so cosa vuol dire avere dei genitori e quindi mi devo far
andare
bene quelli degli altri. »
« N-no, Ryou, scusam -
»
Shirogane scostò
malamente la mano che la
rossa tentava di poggiargli sul braccio e girò sui tacchi, avviandosi a
passo
spedito lungo il vialetto d’ingresso: « Meglio se mi lasci stare ora,
Ichigo. »
Vergognandosi
immensamente, Ichigo non
riuscì a fermare il singhiozzo che le rimbombò in gola mentre lo
guardava
allontanarsi; Sakura, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare
tutto dalla
porta aperta, le fu accanto in un secondo, avvolgendola tra le braccia
calde
mentre lei scoppiava a piangere.
« Vieni di là, piccola
mia, » le sussurrò,
« Ti porto una tazza di tè, d'accordo? »
« No, mamma, » Ichigo
cercò di liberarsi
dalla stretta mentre sentiva l’auto mettersi in moto, « Devo andare da
lui,
devo scusarmi e… »
« Lascialo sbollire un
attimo, tesoro, » Sakura
le accarezzò i capelli, « Dagli il tempo di schiarirsi le idee. »
La riaccompagnò in
salotto scoccando
un’occhiataccia feroce al marito, che era rimasto in silenzio seduto a
tavola a
giocherellare con la propria tazza di tè e i rimasugli del dolce.
Ichigo si
lasciò condurre sul divano, sul quale sprofondò prendendosi la testa
tra le
mani.
Non sapeva nemmeno lei
come aveva solamente
potuto pensare a quelle parole, men che meno come avevano davvero
lasciato la
sua bocca. Il suo viziaccio di non pensare più di un secondo alle sue
azioni le
si era rivoltato prepotentemente contro, ferendo la persona a cui lei
più
teneva.
Forse suo padre aveva
ragione, forse lei
non era ancora in grado di comportarsi in maniera razionale, di
prendersi la
responsabilità di comportarsi come un’adulta e non come una sciocca.
Lei non era come Ryou,
che analizzava le
situazioni da ogni possibile angolo per trovare la soluzione più
confacente.
Prese un respiro
tremulo che uscì in un
ennesimo singhiozzo. Erano abituati a battibeccare, certo, era stato il
fondamento della loro relazione da quando si erano conosciuti e a volte
avevano
avuto terrificanti litigate esplosive, ma non si erano mai feriti di
proposito.
Non in quel modo.
Ignorò la tazza di tè
che Sakura le stava
porgendo e marciò dritta verso suo padre, che continuava a comportarsi
come se
nulla fosse.
« Sei contento, ora? »
« Non dare a me le
colpe dei tuoi problemi
di cuore, signorinella. »
« Continui a
provocarlo ogni volta che lo
vedi! » sberciò lei, « Continui a farlo sentire come se fosse tutta
colpa sua,
come se non fosse abbastanza, ma tu non lo conosci! »
Shintaro rimase in
silenzio, evitando lo
sguardo della figlia e bevendo lentamente; Ichigo rise sprezzante e si
asciugò
le lacrime con i palmi, cercando con gli occhi la propria borsa.
« Me ne vado a casa, »
mormorò, afferrando
con cautela il seggiolino di Kimberly senza più rivolgere sguardo al
padre.
Sakura le andò
incontro, porgendole il
resto delle sue cose: « Ti do un passaggio io, cara. »
Con un’ultima
occhiataccia di fuoco al
marito, che presagiva il discorsetto che sarebbe accaduto al suo
ritorno, la
signora Momomiya accompagnò Ichigo fino all’auto, tenendola ben stretta
per un
braccio. La figlia non proferì parola per tutto il tragitto, piangendo
in
silenzio con lo sguardo perso oltre al vetro del finestrino, e la donna
decise
che fosse meglio non disturbarla.
L’accompagnò fino alla
porta d’ingresso,
reggendo il seggiolino mentre Ichigo si fiondava su per le scale
chiamando
Shirogane a gran voce e spegnendosi ancora di più quando si rese conto
che la
casa era completamente vuota.
« La sua macchina è
qui, però, » pigolò con
voce rotta, e Sakura le accarezzò teneramente la schiena.
« Andrà tutto bene
tesoro, non
preoccuparti. Sarà andato a sbollire un po’. Ora tu cerca di
riprenderti e di
pensare come parlargli. »
L’altra annuì e
l’abbracciò stretta: «
Grazie, mamma. »
« Chiamami, se hai
bisogno. »
Quando la porta fu
chiusa con un tonfo
sottile, Ichigo si premurò di spostare Kimberly dal seggiolino alla sua
culletta, per un altro po’ di riposo; poi, tirando su con il naso,
frugò nella
borsa alla ricerca del cellulare e scelse con dita tremanti il numero
dai
contatti.
« Nee-san? Ciao, scusa
ma… » prese un altro
respiro e fallì miseramente a ricacciare indietro il pianto, « Ho fatto
un
casino. »
La ruota posteriore
della moto sdrucciolò
quanto bastava di lato, durante la curva, da fargli intendere che
doveva
rallentare, se non desiderava schiantarsi contro l’asfalto. Scalò
dolcemente,
zigzagando tra il traffico intenso di fine giornata, e continuò il suo
tragitto.
Aveva perso il conto
di quante ore aveva
passato in sella, da quando aveva lasciato casa Momomiya, ma il
crepuscolo
imminente gli diede una buona stima. Era uno dei pochi metodi che aveva
per
sfogare la propria rabbia e il malumore, e decisamente ne aveva avuto
bisogno.
Sapeva che forse non era la decisione più matura, prendere e iniziare a
vagare
per le strade con solo il rumore del vento a premergli contro, ma non
poteva
certo essere sempre lui quello delle scelte adulte.
All’ennesimo semaforo,
controllò dove fosse
finito e, per l’ennesima volta, sentì il cellulare vibrargli nella
tasca del
giubbotto di pelle. Questa volta, decise di richiamare la telefonata.
«
Dove sei? »
La voce di Keiichiro
gli rimbombò contro al
casco mentre lui accostava lentamente.
« Dalle parti di casa
tua. Ci possiamo
vedere? »
Gli parve che il moro
sospirasse divertito,
ma forse era solo il rumore delle altre auto: « Okay, ti
aspetto. »
Ryou tamburellò sul
manubrio: « Senti… »
«
Dai, muoviti, ho già qualcosa da
mangiare pronto. »
Sgasò un po’ troppo
alla ripartenza e pregò
di non trovare una sorpresina al prossimo controllo della buca delle
lettere,
ma la velocità gli ricaricò le membra stanche per le sue ore di
vagabondaggio.
Parcheggiò sotto casa
del suo mentore e non
dovette attendere molto perché gli aprisse senza nemmeno chiedere chi
fosse.
« Che déjà-vu, quella
faccia. »
Shirogane lo guardò
storto mentre si
toglieva le scarpe: « Non sono in vena di scherzare. »
« Immagino. Ho
chiamato Zakuro. »
Il biondo buttò la
testa e all’indietro e
sospirò, dandogli le spalle: « Non mi serve il gruppo di sostegno. »
« L’ha chiamata
Ichigo. »
« Ah. »
Precedette il padrone
di casa nel piccolo
salotto, buttandosi sulla vecchia poltrona di pelle che era arrivata
con loro
dagli Stati Uniti. Keiichiro lo raggiunse dopo pochi minuti, un vassoio
con
sopra tre ciotole fumanti di udon, una teiera e tre tazze, tutto
coordinato.
« Cos’è successo? »
Ryou si sporse subito
per afferrare una
scodella e un paio di bacchette: « Hai detto che lo sapete già. »
« Vorrei la tua
versione dei fatti. »
Lui rimestò un po’ nel
brodo prima di
rispondere: « Ho litigato con Ichigo. Più con suo padre, a dire il
vero. Ma
anche con lei. »
« Dove sarebbe la
novità? »
Gli occhi color cielo
ardirono guardare
male il pasticcere per il sarcasmo non richiesto, ma Ryou si dedicò
piuttosto
alla cena, rendendosi conto che in effetti stava morendo di fame e che,
a causa
dell’atmosfera poco piacevole, effettivamente a pranzo non aveva fatto
i
complimenti alla tavola come al solito.
Il campanello suonò
dopo poco, e Keiichiro
andò ad aprire mentre il biondo continuava a mangiare in silenzio.
« Di solito si
aspettano tutti gli ospiti,
» lo salutò Zakuro, con ironia.
« Hai da ridire anche
tu sul mio
comportamento? »
Modella e pasticcere
si scambiarono uno
sguardo d’intesa, non aggiunsero nulla e presero posto sul divano,
concentrandosi anche loro sulla pietanza calda.
« Ti ha raccontato? »
Zakuro non alzò la
testa quando, dopo
svariati minuti di silenzio, finalmente Ryou si decise a parlare.
« Non mi ha raccontato
tutti i dettagli, e
francamente non mi sembrava nelle condizioni migliori per esprimersi.
Ma mi
sembrava sinceramente dispiaciuta e preoccupata. »
Shirogane sbuffò e si
passò qualche volta
le mani nella frangia. In fondo era lì proprio perché parlare con
Keiichiro – e
Zakuro, che però non era tutte le volte dalla sua parte – era sempre
stata la
soluzione migliore, quindi tanto valeva vuotare il sacco.
Gli amici lo
ascoltarono in silenzio, come
avevano sempre fatto, senza interromperlo ma focalizzandosi sulla
propria cena
– sapevano entrambi che Ryou detestava conversazioni troppo formali,
soprattutto quando si trattava di cose così personali.
« Abbiamo sempre
saputo che Shintaro
Momomiya non sarebbe stata una persona semplice, » commentò il moro
alla fine
del lungo discorso del suo protetto, « È decisamente
all’antica, dopotutto, e tu e Ichigo non avete per nulla fatto le cose
in
maniera tradizionale. Ciò non lo giustifica, ma non possiamo negare il
suo
punto di vista. »
« Non lo nego, ma… non
riesco a capire come
lo veda Ichigo. »
Zakuro si allungò in
avanti per riempire di
nuovo le tazze di tè: « Di questo devi parlare con lei. »
« La fai facile.
Vorrei vedere se avesse
detto certe cose a te. »
« Siete entrambi
impulsivi, » s’intromise
velocemente Keiichiro, « In maniera diversa, ma lo siete. E Ichigo-chan
è
dovuta crescere in fretta, in un modo differente da voi due, questo è
vero, ma
è così, e lo è ancora. E soprattutto in questo momento di estremi
cambiamenti,
potrebbe farla sentire più protetta poter giocare alla ragazzina quando
è con i
suoi genitori. Ciò non vuol dire che metta in discussione te. »
Ryou annuì, ma poi
sbuffò dal naso: « Sulla
menzione ad Aoyama però non ha fatto una piega. »
« Non eri tu quello
che l’altro giorno
diceva di aver vinto, su Aoyama? »
« You are
not
being helpful. »
Il moro rise
affettuoso e tirò fuori dal
mobile in un angolo un pacchetto di biscotti chiusi da un fiocchetto.
« Mi sento di dire che
è un po’ comprensibile,
anche se sciocco, provare ancora un po’ di gelosia, visti i precedenti,
ma non
credo dovresti darci tanto peso. Ichigo-chan ha scelto di costruire una
vita
con te, e dovrebbe mettere a tacere tutto il resto. E poi, posso
permettermi? »
Shirogane lo scrutò
dubbioso, e Keiichiro
arrischiò solo un’occhiata a Zakuro prima di continuare: « Credo che
sia più
normale, per te e Ichigo-chan, in questo momento, essere più
irritabili,
comprendervi di meno. State vivendo qualcosa per cui nessuno è mai
preparato davvero,
e con tutte le modifiche alla vostra vita, alla vostra routine, anche
alla
vostra… affettività, è più facile cedere al nervosismo. »
« Aight,
thank ya, bye, » Ryou si
alzò di scatto, battendosi le mani sulle ginocchia e facendo un cenno
verso i
due, « Decisamente non sono qui per questo. »
Zakuro sorrise sotto i
baffi: « Sei tu che
ci hai chiamati. »
« Non per questo! »
La modella fece una
smorfia divertita e si
alzò, sfiorandogli il braccio: « Lo sai che non intendeva quello che ha
detto.
»
« Lo so, » il biondo
esalò e annuì, «
Meglio che vada a casa ora. »
« Sta’ attento, per
favore. »
Lui sollevò il casco
verso Keiichiro: « Sì,
papà. »
« Ah, non ci provare! »
Con un ultimo saluto,
si rivestì in fretta
e scese le scale insieme a Zakuro. Si era fatto buio ora, e l’aria
frizzante di
inizio estate gli punse piacevolmente le guance.
« Vuoi un passaggio? »
« Su quella? Nemmeno
morta. »
« Ti facevo più
spavalda. »
« Ma non stupida. »
Si scambiarono
un’occhiata divertita, poi
lei si avviò con un picchiettio di tacchi lungo il marciapiedi verso la
fermata
del treno più vicina. Ryou inspirò a pieni polmoni, all’improvviso
colmo di
voglia di tornare a casa, quando di nuovo fu distratto dalla vibrazione
del
cellulare. Lo tirò fuori, corrucciandosi nel vedere un numero che non
conosceva: « Pronto? »
« Ryou,
caro, sono Sakura, ti disturbo?
»
Lui rimase decisamente
sorpreso: « Signora
Momomiya, certo che no, non mi disturba affatto. È successo qualcosa,
Ichigo -
? »
« No, no, va
tutto bene, non
preoccuparti. Non volevo passare da casa e importunarvi, ma… c’è
qualcuno che
vorrebbe parlarti. »
Dall’altro lato della
linea, sentì il
rumore sommesso di due che litigavano sottovoce e – probabilmente – il
telefono
che veniva passato avanti e indietro un paio di volte, poi udì una voce
scura:
« Pronto. »
« … Momomiya-san. »
Shintaro si schiarì la
gola due volte,
chiaramente a disagio: « Mia moglie mi ha detto di chiamarti.
Credo che tu
abbia chiaro il caratterino delle donne della mia famiglia, »
altro rumore
di sottofondo che Shirogane interpretò come Sakura che si lamentava, « Non
che io non volessi, ovviamente. »
« Certo, signore. »
«
Volevo, uhm… scusarmi con te per avere
esagerato. Non avrei dovuto paragonarti a quell’Aoyama, tra l’altro.
Che si era
pure trascinato Ichigo in Inghilterra quando era ancora minorenne, lo
sciagurato! Comunque… so che stai facendo del tuo meglio per rendere
felice mia
figlia, » Shintaro
prese fiato, senza che il biondo lo
interrompesse, « Non dico di approvare tutte le vostre
scelte, ma so che lo
stai facendo. »
Ryou rimase interdetto
per qualche istante;
certamente non si era aspettato delle scuse dal signor Momomiya,
sicuramente
non così presto, anzi, gli giungevano decisamente inaspettate. Doveva
davvero
un regalo costoso a Sakura.
L’altro uomo
approfittò del suo silenzio
per continuare a parlare: « Quando Kimberly crescerà, capirai
perché sono
così paranoico. »
L’americano sorrise: «
Credo di capirlo già
da adesso, mi creda. »
«
Non pensare di poterla passare liscia
con tutto però ora. Ti tengo comunque d’occhio. »
« Non si preoccupi, »
Ryou sbuffò divertito
e calciò un sassolino dal marciapiedi, « La ringrazio, Momomiya-san. »
«
Vedi di prenderti cura di lei sempre,
ragazzo. »
« Certo, signore. Ci
può contare. »
Ichigo scattò su dal
divano come un gatto
non appena udì il rumore della serratura.
« Ryou! » quasi
miagolò quando se lo
ritrovò davanti ad appendere il giubbotto al gancio nell’ingresso, «
Stavo
morendo di paura, sei stato fuori tutto il pomeriggio e io… »
Si zittì, notando la
sua faccia ancora
scura, e Ryou quasi si sentì in colpa. Il giro in moto, la
chiacchierata con
Keiichiro e Zakuro, e la telefonata improvvisata con Shintaro gli erano
decisamente servite, ma lui non era soggetto a
repentini sbalzi d’umore
e gli serviva sempre un po’ di tempo per sbollirsi del tutto.
Perciò, sospirò solo e
accennò al piano di
sopra: « Dorme già? »
La rossa annuì e si
morse un labbro: « L’ho
appena messa giù, non sapevo a che ora saresti tornato… »
Shirogane si avviò su
per le scale e lei lo
seguì come un cane bastonato; non lo accompagnò però in camera di
Kimberly, ben
sapendo che gli piaceva controllarla per un po’ quando dormiva, ma si
diresse
invece verso la loro stanza da letto e si sedette sul bordo del letto,
infilandosi la camicia da notte giusto per non rimanere con le mani in
mano.
Si era ripetuta un
discorso tutta la
giornata, tre misere frasi in croce per spiegargli quanto si sentisse
un verme,
quanto fosse una persona orribile che non pensava mai a ciò che diceva,
ma
tutto il coraggio che aveva messo da parte era evaporato quando lui era
tornato, nonostante avesse solo voluto rivederlo.
Che ne era stato del
suo coraggio da
ragazzina?
Ryou entrò dopo pochi
minuti, poggiò il
baby monitor sulla loro cassettiera e si tolse la maglietta,
ripiegandola con
cura, tutto sotto gli occhi vigili della rossa che cercava una maniera
per
incominciare.
« Mi odi, adesso? »
pigolò infine.
Ryou, che stava
rovistando nel mobile alla
ricerca di un paio di pantaloni del pigiama, rilassò le spalle,
lanciando la
testa all'indietro con fare rassegnato: « Certo che non ti odio,
Ichigo. »
« Ho detto una cosa
orribile, » gli si
avvicinò subito, abbracciandolo da dietro, « Sono un mostro senza cuore
che non
pensa prima di parlare. »
Lui abbozzò un
sorriso, appoggiò le mani
sulle sue: « Forse solo un po’. »
Ichigo premette la
fronte tra le sue
scapole: « Lo sai che non intendevo quello che ho detto, vero? E che
non devi
prendere mio padre sul serio? »
Ryou sbuffò: « Lo so.
Ma tuo padre è molto
bravo a farmi perdere la pazienza. Un po’ come te. »
Ichigo arricciò il
naso e si sfregò ancora
di più contro di lui: « Avrei dovuto difenderti di più. »
Il biondo rise e si
voltò verso di lei,
prendendole il viso tra le mani: « Ah, ora riconosco la mia paladina
della
giustizia. »
« Sei ancora
arrabbiato? »
« Un po’, ma non ho
voglia di parlarne.
Passerà. »
La rossa fece un mezzo
broncio: « Sicuro? »
« Sicuro. »
La baciò dolcemente,
sospirando piano
contro le sue labbra quando Ichigo si tese contro di lui e incrociò le
braccia
dietro al suo collo.
« Facciamo la pace? »
gli sussurrò a un
millimetro dalla bocca.
Ryou sfiorò il naso
contro quello di lei: «
Non ho detto di averti perdonato. »
« Daiii,
» miagolò lei, e a
sottolineare il concetto fece scorrere le punte delle dita lungo il suo
petto,
« Un pochino di pace. »
«
Ginger, we can’t. »
« Le coccole sì, »
sospirò la rossa, «
Quelle sono caldamente consigliate. »
Riprese a baciarlo e –
come del resto molto
spesso quando si trattava di Ichigo – Ryou abbandonò l’ultima
resistenza
rimasta, stringendole più deciso il volto e facendo qualche passo in
avanti per
avvicinarla al loro letto.
Avvertire quanto gli
fosse mancato tenerla
così vicina quasi lo infastidì, quasi quanto il dover realizzare che
Keiichiro
non aveva tutti i torti nel sottolineare che in quel momento qualsiasi
cosa
veniva ingigantita anche per semplici ragioni fisiche.
Poi se Ichigo si
metteva a fare le fusa
così…
Scivolò con le mani
lungo tutto il corpo di
lei, saggiandone le forme più tenere mentre l’aiutava a stendersi sul
materasso, baciandola con quanta più calma possibile per godersi il
momento al
meglio, stringendole piano le curve ammorbidite e perdendosi ad
ascoltarla sospirare
sottovoce. Le sollevò appena il bordo della camicia da notte per
scoprirla un
po’ di più e si spostò per poter avere maggior libero accesso ad ogni
singolo
lembo di pelle nuda che poteva raggiungere. Poi qualcosa di fuori posto
attirò
la sua attenzione.
Un qualcosa
su cui non si era
focalizzato del tutto, ma che c’era stato.
Ichigo emise un gemito
come per dirgli di non
fermarsi, però lui spostò lo sguardo sulla sua coscia destra, e mosse
la mano.
« … shit. »
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Capitolo 7 *** Oops, I did it again! ***
Chapter
Seven – Oops! I did it again
« Sei qui un po’ troppo
spesso. »
Kisshu, seduto a gambe
incrociate nel bel mezzo del letto
ad armeggiare con il telecomando, non la guardò nemmeno, ma Minto
riconobbe il
ghigno nelle sue parole: « E scommetto che ti dispiace moltissimo. »
La mora non rispose,
mascherando un sorrisetto e
continuando a piegare accuratamente i vestiti della giornata mentre
pensava a
quelli per il giorno dopo.
No che non le
dispiaceva, ma non gli avrebbe certo dato
anche quella soddisfazione. Sapeva benissimo che lui sapeva quanto lei
avesse
preso a desiderare la sua compagnia, ora che si era infilato nella sua
quotidianità, battutina irritante dopo battutina irritante, sorriso
scanzonato
dopo sorriso scanzonato. Realizzare che si era presa una cotta (coi
controfiocchi) per Kisshu era stato come un fulmine a ciel sereno – o
uno
schiaffo a mano aperta in piena faccia – poco prima del suo compleanno.
Non
ricordava nemmeno l’occasione, solo che erano stati insieme agli altri,
lui
aveva detto una delle sue solite sciocchezze e lei aveva riso,
rimbeccandogli a
tono e automaticamente rivolgendogli un’occhiata d’intesa – ed era
stata in
quell’occhiata, nella maniera in cui aveva sentito lo stomaco annodarsi
inequivocabilmente che si era resa conto di essersi cacciata in un
guaio. Ci
aveva provato, all’inizio, a costringersi a cambiare idea, a ricordarsi
come
fosse una donna tutta d’un pezzo e che certe cose non erano certo da
lei, ma
aveva evidentemente fallito, e alla grande.
Rimettendo insieme i
pezzi, poi, aveva capito che in
effetti lui non era stato troppo discreto nei suoi tentativi di
apprezzamento e
che il suo incedere lento ma deciso l’aveva effettivamente fatta
cedere; e ce
n’era voluto di tempo per convincerla che realmente non fosse solamente
tutto
un trucchetto, una specie di maligna rivincita di qualche tipo, ma che
lui era
davvero e fin troppo onesto. Una volta sicura di questo, Kisshu aveva
avuto il
via libera per aprirsi a poco a poco un varco sempre più grande nella
corazza
della mora e rendersi – non che gliel’avrebbe mai ammesso – sempre più
indispensabile.
Si era accorta che,
per certi versi, erano anche simili:
entrambi testardi, tenaci, proni a perdere la pazienza molto
facilmente, e
anzi, per l’alieno sembrava quasi un passatempo trovare motivi per
irritarla e
prenderla in giro.
Forse perché sapeva
benissimo come fare pace.
A quel pensiero, Minto
storse il naso di nascosto,
continuando a sistemare l’armadio; fosse stato solo quello, il loro
rapporto, forse in parte si sarebbe sentita più capace di controllarlo,
di
mettere i paletti necessari, e ci aveva provato, davvero. Invece era
cosciente
che si cercavano per altri motivi: fin da subito, Kisshu le si era
presentato
innumerevoli volte a casa, ovviamente senza passare dalle porte
ufficiali, per
chiederle di risolvere dubbi che aveva sulla società umana o curiosità
che
aveva visto succedere intorno a lui e che erano così nuove, o per
raccontarle
qualche storia di Duaar e della loro vita dopo la Terra (anche se non
sempre
finiva bene, vista la volta in cui aveva smesso di parlargli per un’ora
e mezza
perché aveva accidentalmente raccontato di una scappatella di troppo).
E lei si
era ritrovata a cercarlo quando si presentava al Caffè, quasi a
controllare che
ci fosse ancora, solo per uno scambio idiota di battutine che però la
facevano
ridere, e a detestare il silenzio di casa propria ancora di più nelle
rare
volte in cui la sera non udiva il leggero bussare alla sua porta
finestra.
Minto sapeva che era
un gioco pericoloso, a causa del
modo in cui le batteva il cuore e in cui le si scaldava il ventre nel
sentirlo
vicino, mentre Kisshu sembrava sempre così scanzonato e leggero.
Quindi poteva
benissimo farlo soffrire un po’.
« Mi ignori? » la
prese in giro, allungandosi sul
materasso come un gatto e prendendole il polso, « Non hai nemmeno un
po’ di
pietà per il fatto che ora devo condividere la camera con il mio
fratellino? »
Minto alzò gli occhi
al cielo e si lasciò tirare verso il
letto: « È passata solo una settimana, e avrai dormito al Caffè due
sere. »
« Al Caffè non ho la
compagnia della mia palla di pelo
preferita, » insistette lui, lanciò uno sguardo a Mikey, appallottolato
ai
piedi del letto (e che l’aveva preso in simpatia dopo molte insistenze
e
corruzioni a suon di coccole e dolcetti), poi invece le infilò le mani
nei
capelli per arruffarglieli tutti, « Parlo di te, ovviamente. »
« Kisshu! Sei un
deficiente! »
Lui rise e l’agguantò
per la vita, buttandola quasi di
peso (come se non l’avesse, realtà) sul letto e prendendole a farle il
solletico, il cagnolino che prima abbaiò spaventato e poi iniziò a
scodinzolare
contento.
« Smettil-ah! Dai, per fav… Kissh… ti prego! »
Lui fermò il suo
dimenarsi come un’anguilla prendendole
con gentile fermezza i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena con
una
leggera pressione, e avvicinò il viso alla guancia di lei: « Queste
sono le
cose che mi piace sentire. »
Minto, schiacciata a
pancia in giù, sbuffò sonoramente al
sussurro roco e malizioso, e cercò di allungare il collo per guardarlo:
« Mi
ripeto. »
« Intanto ti ho fatto
ridere, » insistette lui,
mollandole le braccia per concentrarsi sul sollevare la camicia del
pigiama di
seta che indossava e iniziando a baciarle la schiena partendo dal
basso, « Mi
merito un premio per questa prodezza. »
« Non meriti un bel
niente, » rise lei un po’ affannata,
il viso ancora premuto contro il materasso e il corpo che reagiva in
maniera
diversa al solletico dei suoi baci, « Già mi stai occupando il letto. »
« Mmmhm, » Kisshu le
arrotolò il pigiama fin sotto al
seno e poi riscese, mordendole piano la curva alta della coscia, «
D’accordo,
allora mandami via. »
Lei cercò di sgusciare
via con una risata, ma le stava
premendo sulle gambe e riuscì solo a torcersi su un fianco: « Sei
troppo
pesante. »
« Sbagliato,
tortorella, io sono estremamente prestante.
»
« Tu sei scemo, ecco
cosa. »
Kisshu sbuffò contro
la sua pelle e ringhiò piano mentre
risaliva una seconda volta, accarezzandola a palmi aperti: « Se
continui a
insultarmi, mi vedrò costretto a - »
Minto attese qualche
istante di sentirlo finire la frase,
poi si contorse ancora per poterlo guardare: « A cosa? » domandò,
corrugando la
fronte quando lui non rispose, concentrato a osservarle la schiena, «
Kisshu? »
In risposta le arrivò
solamente una sequenza di parole in
una lingua che non capì, ma che erano decisamente volgari.
Purin tastò alla cieca
sul ripiano più in alto del
pensile in cucina, alla ricerca dei cioccolatini segreti che Keiichiro
nascondeva
fin troppo bene: « Ma i tuoi fratelli stanno sempre in giro! »
Taruto la scostò con
un colpo poco aggraziato di bacino
per prendere il suo posto: « Forse perché ora ci sei sempre tu tra i
piedi! »
Lei esalò un ah-a! trionfante quando finalmente
il
ragazzo trovò la scatola desiderata e gliela rubò dalla mano con uno
scatto
degno di una volpe: « Per te uno in meno perché sei antipatico. »
« Ehi! Così non vale! »
Ridendo sguaiata,
Purin scartò di lato e cominciò a
correre per il locale vuoto, stringendo la scatola al petto e scappando
da
Taruto.
« Maledet – fermati,
sei scorretta! »
Cercò di afferrarla
girando in senso opposto a lei
attorno a una colonna, ma la biondina fu più svelta e sgusciò sotto al
braccio
di lui, arrampicandosi sopra un tavolo e usandolo come trampolino di
lancio per
raggiungere l’altro lato della stanza.
« Non mi prender-ah! » senza fiato per la corsa e
le risate, Purin inchiodò quando l’alieno le si parò davanti di
sorpresa,
teletrasportatosi per afferrarla; ma Taruto doveva aver mal calcolato
le
distanze e gli slanci, perché non ci fu nessuna distanza di sicurezza
tra i
due, e la biondina gli si schiantò addosso con un fragore di fronti.
« Ahioooo, » gemette lui, rotolandosi in
terra e
reggendosi la testa tra le mani, « Ma cosa sei, un bisonte?! »
Purin boccheggiò un
paio di volte, incredibilmente ancora
con voglia di ridere mentre si strofinava la frangetta: « Sei proprio
scorretto, e guarda cos’hai combinato! »
« La scorretta sei tu
che rubi cioccolata! »
Lei ridacchiò, si
sdraiò sulla schiena e tastò di nuovo
accanto a sé, agguantando la scatola a poca distanza – un po’
schiacciata e con
il fiocco stropicciato – e stringendola al petto con fare protettivo: «
Ho
comunque vinto io. »
« Non era una gara, »
bofonchiò Taruto, rimettendosi
lentamente in piedi e porgendole una mano per aiutarla a fare lo stesso.
« Che botta, » rise la
ragazza, massaggiandosi la fronte,
« Credo che domani mi spunterà un bel livido, sarà divertente da
spiegare. »
« Non credo si
stupiranno più di tanto, visto che hai la
grazia di un rinoceronte, » la prese in giro lui, lasciando cadere la
mano di
lei come se scottasse e al tempo stesso osservandole meglio la fronte,
«
Accidenti, però sembra già che - »
Purin rimase immobile,
un accenno di sorriso che tentò di
nascondere il più velocemente possibile, quando l’alieno le si avvicinò
e le
scostò con due dita la frangetta per esaminare il punto dolente, così
vicino
che poteva contargli le lentiggini sul naso.
All’improvviso, però,
Taruto fece una faccia strana,
strinse gli occhi e la guardò con tutta l’attenzione di cui era capace,
prima
di saltare all’indietro: « Oh cazzo. »
L’aria della sera era
fresca, condita da un leggero
venticello, e Pai non poté evitare di allungare il naso in su e fare
una
smorfia: non importava quanto tempo rimaneva sulla Terra, l’odore dello
smog e
dell’inquinamento continuava a infastidirgli le narici e riportare a
galla idee
che – ne era ben conscio – erano condivise anche dai suoi vecchi
rivali. La
vita su Duuar non era stata certo idilliaca né mai avrebbe cercato di
convincere qualcuno del contrario, ma almeno il vento non aveva mai
portato con
sé odore di fumo e deperimento naturale.
Si sentì osservato e
aprì solo un occhio: Retasu, accanto
a lui, in effetti lo stava guardando con curiosità divertita.
« Non so se ci farò
mai l’abitudine, » si giustificò lui
subito, storcendo il viso questa volta in un’espressione infastidita.
La verde annuì
comprensiva e si morse il labbro: « Lo
capisco. In città è fastidioso anche per me, a volte. Magari questa
estate
potremmo… andare da qualche parte un po’ fuori, in montagna o in
campagna. Per
cambiare un po’ aria. Letteralmente. »
« Sì, » Pai le rivolse
un sorriso dall’alto, « Potremmo.
»
Retasu annuì contenta
e gli si fece un po’ più vicina
mentre continuavano a camminare verso casa della ragazza. Era la terza
volta
che andavano ufficialmente fuori a cena nel giro di una
decina di giorni,
forse il fatto che era tornato anche Taruto e quindi il Caffè fosse più
occupato del solito spingeva anche Pai a voler cercare momenti il più
possibile
solo per loro due, quindi le era venuto quasi spontaneo proporgli anche
solo
l’idea di una vacanza da qualche parte, da soli, insieme. Si morse le
labbra
per cercare di non sorridere in maniera troppo esagerata, mentre lo
stomaco le
ballava una marcetta al pensiero.
Da soli. Noi due.
Il cuore le sfarfallò
un po’ più forte e s’impose di
concentrarsi su ciò che le stava raccontando, ma la sua voce le causava
l’effetto opposto.
Che cavolo però.
« Tutto okay? »
l’alieno la scrutò, preoccupato
probabilmente per la smorfia che aveva fatto e la sfumatura delle sue
guance, e
le strinse un paio di volte la mano.
Retasu si sistemò gli
occhiali sul naso e annuì con più
forza del necessario: « Sì, scusa, » mugugnò, e non appena svoltarono
l’angolo
occhieggiò la propria casa, « Stavo solo pensando a una cosa. »
Pessima risposta da
dare a qualcuno che di mestiere
cercava risposte a domande interplanetarie.
Pai, infatti, continuò
a fissarla con sguardo interrogativo,
fermandosi a pochi metri dal suo cancello d’ingresso, lì nell’ombra
dello
spazio tra due lampioni, e Retasu si morse un labbro alla ricerca di
una
maniera per cavarsela. Il suo cervello doveva davvero darsi una
regolata.
« Be’… sono arrivata,
» esclamò poi in un respiro,
indicando l’abitazione, « Grazie di avermi accompagnata. »
« Retasu, » la riprese
lui con uno sbuffo divertito, e le
sfiorò una guancia, « Cosa c’è? »
« Niente, » mormorò,
fissando il collo di lui, « Pensavo
che… noi, uh… io… »
L’alieno corrugò la
fronte e l’accarezzò una seconda
volta, certamente non capendo l’assurdo filo dei suoi pensieri; fece
per aprire
la bocca e spingerla a spiegarsi, quando uno squillo che Retasu non
aveva mai
sentito riempì il silenzio. Pai si scostò da lei, ravanò in tasca
qualche
istante e ne estrasse un aggeggio che la verde non aveva mai visto, ma
su cui
lesse con chiarezza le parole SOS Taruto, insieme a un altro mucchio di
segni che non riuscì a interpretare.
« Che… che succede? »
boccheggiò spaventata, non capendo
perché l’alieno la stesse fissando con nervosismo, né perché – senza
chiedere e
facendole perdere qualche battito – le scostò un poco il cardigan che
indossava
per scoprirle il petto.
Poi abbassò anche lei
lo sguardo.
Ichigo mugolò
contrariata, aprendo solamente mezza
palpebra per contemplare per quale assurdo motivo Ryou si fosse fermato
proprio
in quel momento, già pregustandosi in realtà una piacevole tortura come
pegno
per la litigata di quella giornata. Si corrucciò quando invece lo vide
completamente distratto.
Con gli occhi sul suo
interno coscia.
« Cosa? Shit cosa? »
Ryou esalò soltanto.
« … Shirogane, cosa?! »
Il biondo borbottò
qualche altra sequela in inglese che
lei decisamente non volle capire, e spostò la mano.
La bolla d’ansia che
via via le si era andata formando in
gola in quei secondi scoppiò all’improvviso come a sottolinearle un te
l’avevo detto
mentre i suoi occhi effettivamente mettevano a fuoco i
contorni della voglia che svettava sulla sua pelle chiara.
La voglia rosa.
Quella a forma di
cuore con due codine di gatto sopra.
La sua voglia da Mew Mew.
« Shirogane. »
Ichigo si poggiò sui
gomiti, poi si contorse in avanti
per controllare effettivamente che non stesse sognando, si sfregò la
pelle con
forza, quasi graffiandola, nella vana speranza che fosse un tatuaggio,
uno
scherzo.
« Oh no. No, no, no,
no! » si tirò a sedere di scatto,
continuando a stirare la pelle per osservare i contorni del marchio, «
Cosa diamine
significa?! »
« I have no idea… » bofonchiò lui, passandosi
nervosamente una mano tra i capelli, « I computer non hanno segnalato
niente se
non Taruto, e… o almeno, Keiichiro non mi ha detto niente… »
« Che vuol dire che
non ti ha detto niente?! Siete sempre
imbucati in quel diavolo di laboratorio! »
Ryou avrebbe voluto
sottolineare che da un mese a quella
parte in realtà si era dedicato ben poco al suo nascondiglio nel
seminterrato,
ma sapeva che non avrebbe sortito alcun effetto. Tentò di allungare una
mano
verso Ichigo, che invece saltò giù da letto come una furia, le dita
infilate
nei capelli.
« Questa è follia, »
esalò, camminando avanti e indietro,
« Ti rendi conto di ciò che potrebbe significare? L’ultima volta che questo è
spuntato fuori, noi… e ora che… che… »
Si bloccò
all’improvviso, colta da un pensiero, fissando
Shirogane a bocca aperta per l'incredulità, per qualche istante. Poi,
il suo
volto si trasformò in un’espressione spaventata.
Senza aggiungere una
parola, corse fuori dalla camera per
andare in quella di Kimberly, che stava ancora dormendo tranquilla ed
indisturbata. Le si avvicinò, scostandole la copertina rosa per
controllarle la
gambina paffuta.
L'intero corpo le si
congelò alla vista del segno Mew
sulla coscia della bambina, e si dovette portare una mano alla bocca
per non
singhiozzare.
Ryou sentì un brivido
ghiacciato corrergli lungo tutta la
spina dorsale.
« Porca vacca! » Purin
corse per l’ennesima volta davanti
allo specchio, sollevandosi la frangetta per controllare di non star
avendo
un’allucinazione, « Lo vedi anche tu, vero? »
Taruto – impegnato a
trafficare con uno strano aggeggio
cui lei non prestò troppa attenzione – le lanciò uno sguardo di sbieco:
« Mi
pare evidente, scimmietta. »
« Dobbiamo andare
subito dalle altre! » esclamò,
voltandosi e afferrandolo per un polso, « Serve una riunione generale,
questa
cosa è grossa! E poi… ah. »
Si bloccò
all’improvviso e tentennò, guardandolo da sopra
la spalla: « Le nee-san saranno tutte arrabbiatissime, vero? Tipo…
Ichigo-chan
e Minto-chan… »
Lui sospirò e si
grattò la fronte: « Ho appena avvisato
Pai, era con Retasu… non mi sembra l’abbia presa molto male. »
« Ti sei dimenticato
di come sono le nee-san, vero? »
« Pensi che la
vecchiaccia starà sclerando di brutto? »
« Penso che non vorrei
essere il Ryou nii-san, in questo
momento. »
Fu come una
vibrazione, un palpito remoto. Un richiamo
antico che si accendeva all’improvviso.
Zakuro si bloccò nel
bel mezzo dell’ingresso, le chiavi
ancora sospese a mezz’aria sopra lo svuotatasche dove le riponeva
sempre.
Si era sicuramente
sbagliata, magari era stato solamente
un terremoto. Forse quasi l’avrebbe preferito. Eppure, il suo cellulare
era
settato per gli avvisi automatici, ed era rimasto muto.
Si diresse svelta
verso la camera da letto, lo specchio a
parete di fianco all’armadio, e si arrotolò la t-shirt che indossava
per
scoprirsi l’ombelico.
Che sciocca, si disse
sfiorandosi la pancia, l’istinto
del lupo non si era mai sbagliato.
Quel giorno Shirogane
gliene doveva proprio tante.
« Ichigo, ti prego,
calmati. »
« Calmarmi? Calmarmi?! » sibilò irata la rossa,
sforzandosi di non urlare solamente perché teneva Kimberly in braccio,
ancora
addormentata, « Stasera dal nulla mi è rispuntato il marchio da
mutante
che è comparso pure a nostra figlia! Che ha un mese, Shirogane! E io
dovrei calmarmi!?
»
« Non sappiamo ancora
cosa significhi. Potrebbe non
significare niente. »
« Ah certo, » rise lei
sprezzante, « È sempre andata
molto bene, in effetti. »
Le si bloccò un
singhiozzo in gola e avvicinò la bimba al
volto per inspirarne il suo dolce profumo, l’angoscia che però di
contro non
smise di crescere.
« Tu lo sapevi, vero?
»
Quel mormorio fu per
Ryou come una pugnalata di senso di
colpa al cuore.
« Ichigo, era semplice
genetica, » esclamò quasi
implorante, « Entrambi abbiamo il gene del gatto Iriomote, attivo, e - »
« Semplice genetica un
corno! » sbraitò lei in un
sussurro, « Come ti è potuto passare per la testa di non dirmelo!? »
« Mi dispiace, l'ho
fatto per non farti preoccupare! » replicò
il biondo, tentando nuovamente di avvicinarsi, « Io non... non credevo
che
avremmo mai dovuto incappare in questa possibilità, e non volevo che tu
ti
preoccupassi inutilmente. »
« Ah, perché invece
adesso sono tranquilla! »
Ryou fece per
replicare, quando contemporaneamente lo
squillo di entrambi i loro cellulari e un sonoro bussare alla porta
d’ingresso riempirono
la stanza. Ichigo si affrettò a portare Kimberly nella sua stanzetta
per
evitare che si svegliasse, l’americano invece si diresse al piano di
sotto
litigando pure con il telefono su cui svettava l’avviso di chiamata di
Zakuro.
Shit, shit, shit.
« Shirogane, questa è
la volta buona che io ti uccido sul
serio. »
Minto quasi non
aspettò che la porta si aprisse,
marciando dentro come una furia e pressoché spingendo via il ragazzo,
seguita
da un Kisshu con un’aria invece appena divertita.
« Si avvisa prima di
arrivare… » borbottò lui, declinando
la telefonata per un più semplice messaggio, e la mora lo trucidò con
lo
sguardo:
« Si avvisa prima di
iniettare DNA di animali in via
d’estinzione che si riaccendono all’improvviso. »
Ryou decise fosse
meglio mordersi la lingua, per una
volta Kisshu gli rivolse un’occhiata comprensiva mentre si aggregavano
in
salotto.
« Ho detto a Purin e
Retasu di venire qui, » Ichigo
rispuntò dal piano superiore, in mano il baby monitor, « Puoi andare a
prendere
Zakuro e Akasaka-san? »
Kisshu fece un buffo
saluto militare, sparendo senza
aggiungere una parola.
In meno di tre minuti
– rigorosamente passati in
silenzio, Shirogane a testa bassa e invece lampi che uscivano dai
capelli delle
altre due ragazze – il salone di casa Shirogane si riempì come
d’abitudine, ma
con un’atmosfera molto diversa dal solito.
« Potete spiegarci
cosa sta succedendo? » domandò Zakuro,
senza molti preamboli, incrociando le braccia al petto.
Ryou e Keiichiro si
scambiarono un’occhiata silenziosa,
il secondo che accennò con la testa verso i divani in maniera di
stemperare un
minimo la situazione.
« Non ne siamo
esattamente sicuri, » esclamò poi sottovoce
quando si furono accomodati tutti, Ichigo esattamente dal lato opposto
rispetto
al suo fidanzato e attaccata invece a Minto, combattiva tanto quanto
lei, « I
computer hanno rivelato solamente l’arrivo di Taruto, niente più. »
« Potrebbe essere
stato quello? » domandò Purin – come
sempre seduta sul tappeto in mezzo a tutti – lanciando un’occhiata
all’ultimo
arrivato.
Keiichiro si limitò a
stringersi nelle spalle: « Non si
spiega il ritardo nella comparsa dei vostri marchi, però. Ma è una
possibilità.
»
Pai annuì
sovrappensiero: « Forse il fatto che ora siamo
tutti e tre qui ha scatenato la risposta dei vostri geni dei Red Data.
Come una
volta. »
Zakuro voltò appena il
viso verso di lui: « Non è che ne
sapete qualcosa, voi tre, appunto? »
Kisshu si appoggiò
allo schienale con un sorrisetto
sarcastico: « Non è che è sempre colpa nostra quando succede qualcosa
qui
intorno, dolcezza. »
« Non abbiamo rilevato
niente di anomalo con i nostri
sistemi, » s’intromise velocemente il fratello maggiore, lanciandogli
un’occhiataccia,
« Direi che più concretamente, un ripetersi delle condizioni originali
che
hanno portato alla nascita delle Mew Mew ha innescato un rinforzarsi
dei vostri
poteri e quindi la comparsa del vostro simbolo. »
« Be', sarà quel che
sarà ma vedete risolverlo in fretta,
perché Kimberly ha la nostra voglia nel mio stesso identico punto, ed
il
signorino qui non si è neanche degnato di avvisarmi! » esclamò Ichigo.
Mentre un sussulto di
sorpresa correva tra i presenti,
Keiichiro si sporse in avanti, tentando di portare soccorso all’amico:
« Ichigo
cara, non devi preoccuparti. Senza la spilla che attiva i poteri, il
DNA di
Kimberly è innocuo. La terremo sempre controllata, non è grave. »
« Avrebbe dovuto
dirmelo, e lo sai benissimo. Non tenerlo
segreto solo tra voi due. E come cavolo avete fatto, quando è nata, le
hanno
fatto degli esami e nessuno… »
« Abbiamo un contatto
all’interno della struttura, »
bofonchiò Shirogane, torturandosi ancora la frangia, « Si chiama Joel,
lavorava
nei nostri laboratori negli Stati Uniti e ha… collaborato anche un po’
durante
il progetto Mew. È fidato, e ha preso lui in carico tutti gli esami. »
« Ah be’, se c’è Joel
allora… »
« Ichigo, era comunque
tutto a posto - »
« Sì ma io te l’ho chiesto, » sibilò lei,
guardandolo per la prima volta da quando si erano seduti con occhi
pieni di
rancore, « Io ti ho
chiesto se
fosse tutto a posto, tutto normale,
e tu mi hai detto sì! E mi hai mentito! »
« Ma è tutto a posto! »
« Come minimo tra
tredici anni dovrà trovare dei passeri
da baciare per tornare umana! »
« Adesso basta,
Ichigo, » Zakuro allungò una mano verso
di lei, toccandole gentilmente il polso per tranquillizzarla, « È
tardi, non ha
senso litigare a quest’ora, ancor più che siamo tutti confusi su ciò
che sta
succedendo. Dormiamoci sopra e pensiamoci domani. »
« Mi sembra un’ottima
idea, » concordò Keiichiro, « Così
possiamo cominciare anche a fare un aggiornamento più profondo dei
nostri
sistemi di monitoraggio, o capire cosa possa essere stato. Pensarci a
mente
fresca sarà meglio. »
« Io vado a dormire da
Minto, » Ichigo si tirò in piedi
di scatto, senza guardare in faccia nessuno, « E Kim viene con me. »
« Ichigo, » Ryou si
alzò e la raggiunse, quasi
rincorrendola su per le scale, « Ichigo, parliamone un secondo. »
« Non c’è niente da
dire, » replicò secca lei sottovoce,
agguantando nel buio della stanzetta il borsone della bimba con cui di
solito
uscivano e le prime cose che le capitarono sottomano, « Tutto quello da
dire
andava detto prima. »
« Se anche l’avessi
saputo, cosa sarebbe cambiato? Nessuno
di noi aveva previsto che la voglia sarebbe ricomparsa. »
« Tu sei quello che capisce queste
cose, tu sei
quello che ha deciso
queste cose,
quindi tu dovevi far in modo
che fosse tutto sotto controllo! »
Shirogane abbassò le
braccia di scatto, ferito come tutte
le volte da quell’accusa, rimanendo in silenzio mentre la rossa
prendeva in
braccio la bambina, cercando di non svegliarla. Senza guardarlo, Ichigo
marciò
di nuovo al piano di sotto e la sistemò nella sua carrozzina,
voltandosi poi
verso Kisshu.
« Andiamo? »
Il verde evitò di
sbuffare vistosamente giusto per non
peggiorare ancora la situazione, vista la tensione tagliabile con un
coltello,
e lanciò solo uno sguardo a Minto; lei per tutta risposta si alzò e
sibilò una buonanotte
pieno di
significato.
« A domani, nee-chan,
» cercò di mormorare solamente
Purin, venendo completamente ignorata da entrambe le amiche.
Il fischio sottile del
teletrasporto fu seguito da una
sequela sottovoce di parolacce inglesi da parte di Ryou, che finì di
scendere
le scale lentamente.
« C’è… qualcosa che
possiamo fare? » gli domandò
titubante Retasu, ancora sconvolta dal rapido declino della situazione.
L’americano scosse
solo la testa in risposta: « No,
andate a casa a riposare. Tanto non c’è molto da fare. »
Keiichiro si alzò e
gli andò incontro con fare fraterno:
« Domattina per prima cosa andrò a controllare i nostri computer. Se
Ikisatashi-san potesse… »
« Andrò a controllare
che non ci siano avvisi anche sui
nostri sistemi, » Pai annuì e guardò suo fratello minore, che annuì
lentamente,
« Ma finora non abbiamo ricevuto segnalazioni di nessun tipo. »
« Grazie mille,
Ikisatashi-san. »
Fece un cenno di
saluto e si scambiò un’altra occhiata
con Taruto, che si alzò e porse una mano a Purin, la quale la afferrò
senza
aggiungere altro.
Una volta che il
salotto si fu svuotato, ad eccezione di
Zakuro e Keiichiro, Ryou raggiunse il sofà e vi si lasciò letteralmente
cadere
sopra con un lamento esasperato.
« What the fucking hell. »
Zakuro stessa affondò
un po’ di più nel divano, poggiando
la testa contro lo schienale e girando appena il volto per guardarlo: «
Perché
oggi ti cacci in tutti questi guai? »
L’americano le lanciò
un’occhiataccia prima di sfregarsi
la faccia: « Grazie del supporto. »
« Questa te la sei
cercata. »
Akasaka intervenne
prima che Ryou aprisse bocca: « Devi
dare a Ichigo-chan solo una notte per calmarsi e processare la
questione. Sai
che è particolarmente fragile in questo momento. »
« I know, I know, » l’americano continuò a
spingersi i pugni contro gli occhi, improvvisamente secchi e doloranti,
« Era
l’ultima cosa che mi serviva. »
« Magari ti serve per
aprirti di più al dialogo. »
« Da che pulpito. »
« Ciò che mi preme è
scoprire cosa stia succedendo, »
insistette Keiichiro, « Ma mi fido di entrambi i nostri sistemi, e se
effettivamente non hanno rilevato anomalie, potrebbe essere
semplicemente una
reazione alla presenza dei tre Ikisatashi. E se serve che spieghi a
Ichigo
perché Kimberly non si troverà comunque in pericolo, basta chiamarmi. »
« Dubito che voglia
ascoltare qualcuno, » borbottò solo
Ryou, più cupo che mai.
« Inutile piangere sul
latte versato, » con uno sbuffo,
Zakuro si tirò in piedi e distese le rughe invisibili della sua
maglietta,
soffermandosi qualche secondo in più sull’ombelico come ad accertarsi
che fosse
davvero coperto, « Ora trova una spiegazione a tutto ciò e una maniera
di
parlare con Ichigo. »
« Decisamente
semplici. »
« Non sarà il sarcasmo
a tirarti fuori da questa
situazione, Shirogane. »
« Vi prego, non
litigate voi due, almeno. »
« Non stiamo
litigando, » la modella si concesse un
sorrisetto mentre si avviava verso la porta, « Sto solo cercando di
riscuoterlo
dal suo sconforto, che è inutile, con un metodo del tutto suo. »
Ryou scelse di non
rispondere, contenendosi a soffiare
tra i denti, e rimase fermo sul divano anche quando sentì l’uscio
chiudersi e
Keiichiro sospirare. Il moro attese qualche altro istante, poi si batté
le mani
sulle ginocchia e si alzò anch’egli.
« Chiamami se serve,
d’accordo? » ripeté stancamente al
suo protetto, cui rivolse anche una stretta alla spalla.
« Ci aggiorniamo
domattina. »
La casa divenne
incredibilmente silenziosa non appena il
pasticcere si fu tirato la porta alle spalle, e Ryou tossì solo per
riempire il
ronzio nelle orecchie. Aveva tanto bramato un po’ di calma negli ultimi
tempi
che gli sembrò invece insopportabile, in quel momento.
Si decise finalmente a
staccarsi le mani dal viso e si
alzò di scatto, recuperando il cellulare e tentando una telefonata che
– lo
seppe non appena sbloccò lo schermo – non avrebbe avuto risposta.
Sibilò una
sequenza di maledizioni in lingua madre e riprovò ancora, maledicendo
la
testardaggine di entrambi; una scarica di emicrania gli attraversò il
cervello,
già abbastanza provato, e un’incredibile stanchezza assalì le sue
membra.
Doveva solo riposare,
si costrinse, ordinando alle gambe
di dirigersi in camera da letto, far ricaricare il cervello e ritrovare
la
concentrazione necessaria a risolvere tutto quel casino. A costo di
hackerare
il cellulare di Ichigo per far in modo che alzasse quella benedetta
cornetta.
Retasu si strinse al
braccio di Pai quando lasciarono
casa di Ichigo e Ryou: « Che serata! » sospirò « Sei preoccupato? »
Il moro la guardò
dall’alto con curiosità: lei era
quella a cui era rispuntato il marchio che attestava il suo incrocio
genetico
con un animale in via d’estinzione, e lei era quella che chiedeva a lui
se era preoccupato?
« No, » rispose
soltanto, cercando di essere
rassicurante, « Tu? »
La ragazza esalò un
lungo respiro tremolante prima di
rispondere, sistemandosi gli occhiali un paio di volte: « Non lo so.
Forse
vorrei… delle risposte, più che altro. O delle certezze. »
Si grattò
sovrappensiero il petto, lì dove era rispuntata
la voglia, e all’improvviso le sembrò più esposta che mai. Pai
probabilmente
riconobbe il gesto nervoso, perché chiuse dolcemente le dita sulle sue,
costringendola a smettere, poi lei avvertì il risucchio gentile del
teletrasporto all’ombelico e in pochi secondi furono di nuovo tra i
lampioni,
lì dov’erano rimasti solo mezz’ora prima.
« Cercheremo di darvi
tutte le risposte al più presto
possibile, » le disse l’alieno, continuando a stringerle la mano.
« Lo so, » Retasu
tentò di sorridere in maniera
convincente, « E in ogni caso… stavolta siamo insieme, giusto? »
Le iridi ametista
furono attraversate per un istante da
ciò che parve rimpianto: « Giusto, » le confermò l’alieno sottovoce.
La ragazza prese un
sospiro e intrecciò le loro dita
d’entrambe le mani, guardandolo dritto negli occhi: « Sai che non mi
piaceva
combattere, non mi piace tutt’ora e non cambierò idea. Ma… se non ci
fosse
stato questo, non… non ti avrei mai
conosciuto. Quindi, in qualche modo,
gli sono grata. »
Di nuovo, Pai avvertì
il senso di colpa divampargli nel
petto: « Avrei preferito conoscerti in circostanze differenti, »
mormorò con
una punta di ironia che le strappò uno sbuffo divertito, « Avrei
voluto… trovarti
prima. »
« Lo so, » ripeté lei,
costretta a spostare lo sguardo
perché incapace di sostenere l’intensità del suo viso, « Ora però
abbiamo un
sacco di tempo per recuperare. »
L’alieno l’attrasse a
sé nello stesso istante in cui lei
si sporse verso di lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo. Pai
la
strinse per la nuca e mischiò i loro respiri con forza, sfruttando il
cono
d’ombra per far aderire i loro corpi il più possibile. Anche se fosse
passato
qualcuno, pensò, in quel momento non gli sarebbe importato più di
tanto: il
calore, la morbidezza, la realtà del corpo di Retasu contro al suo era
la sola
cosa che gli premeva avvertire. Sapeva, però, nonostante il trasporto,
che non
sarebbe stato lo stesso per la ragazza e non voleva, d’altronde,
spingerla
troppo, quasi correre un rischio o in qualche maniera sfruttare una
situazione
così complessa e improvvisa; a malincuore, dunque, e con estrema
lentezza, si
staccò da lei, senza riuscire tuttavia a non bearsi dell’espressione
persa che
le vide fare, o del fiatone, o del rossore decise sulle gote.
Retasu stessa si
allungò ancora una volta verso di lui
per strappargli un ultimo bacio più lento, con un sospiro
deliziosamente rilassato,
le dita che si intrecciarono alle sue.
« Devi andare, » le
sussurrò poi contro le labbra, che
baciò di nuovo, scostando una mano per sfiorarle il collo e avvertendo
il suo
battito impazzito, « O i tuoi si preoccuperanno. »
Alla ragazza quasi
scappò uno sbuffo divertito
all’avvertimento, che suonava così strano e anche un po’ infastidito
detto da
lui, ma annuì e di malavoglia fece un passo indietro.
« Ci vediamo domani, »
sussurrò senza fiato, sentendo le
gote infiammarsi ancora di più mentre pian piano riprendeva il
controllo di se
stessa.
Pai fece cenno di sì e
rimase nel suo cono d’ombra finché
non la vide scomparire dentro casa: « A domani. »
« Ce l’ha anche lei,
ti rendi conto! » sussurrò Ichigo
con rabbia per l’ennesima volta, continuando a cullare piano Kimberly
contro la
spalla, più per tenerla vicino a sé che per effettiva necessità della
bimba,
che dormiva beata, « E non
me l’ha detto,
non mi ha palesato la
possibilità, no!, la certezza della questione! »
Minto, seduta a gambe
incrociate sul suo letto, si
massaggiò la fronte con una mano e sospirò; non era dell’umore di
difendere
Shirogane – per niente – però era stanca e confusa e desiderosa
solamente di
infilarsi tra le lenzuola: « Lo so, Ichigo, ma hai sentito che ha detto
Akasaka-san… »
« Ah, e mi telefona
pure, adesso! » riprese la rossa come
se non l’avesse nemmeno ascoltata (cosa del tutto probabile, si rese
conto
l’altra), lanciando uno sguardo pieno d’astio al telefono che vibrava
nel bel
mezzo del materasso, « Doveva trovarla prima, la voglia di parlare! »
« Forse dovresti
sentire cos’ha da dire. »
Ichigo si bloccò a
metà del suo giro della stanza e la
guardò storto: « Da che parte stai, scusa? »
« Non è questione di
parti, Ichigo, però… Shirogane non è
stupido. Distratto da te, molto probabile, l’abbiamo sempre saputo, ma
decisamente non un idiota. Su certe cose lo ritengo abbastanza pronto. »
« Sulle mie randomiche
trasformazioni feline non era
certo preparato! »
« Ichigo, lo sai pure
tu che sei sempre stata
esageratamente emotiva, non incolpare gli altri per le tue disfunzioni
ormonali. »
La rossa emise un
suono vagamente simile a un ruggito,
scuotendo la testa; compì qualche altro giro per la camera da letto di
Minto,
poi adagiò con cura la bimba nella carrozzina, sua culla per la notte,
e si
appoggiò con entrambe le mani sui bordi, gemendo sottovoce disperata: «
Guardala, Minto, è… è così piccola, e io non posso pensare ad altro che
a
proteggerla, però con questo… »
Alla mora si strinse
il cuore a vederla tanto angosciata,
così si alzò e le si avvicinò per accarezzarle dolcemente la schiena: «
Ho
piena fiducia nelle parole di Akasaka-san e in quelle degli altri
quando dicono
che non è niente. E in ogni caso, stavolta il segno Mew non ci ha prese
del
tutto alla
sprovvista, non abbiamo più tredici anni, sappiamo cavarcela.
Ora vado a prenderti un pigiama e mi faccio portare del tè, d’accordo? »
Ichigo annuì, tirando
su con il naso e continuando ad
accarezzare piano i capelli biondo-rossicci di Kimberly. In silenzio,
Minto
uscì dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle ed esalò, cercando di
calmarsi. Era più facile ostentare tranquillità quando doveva
rassicurare
Ichigo, ma non poteva negare a sé stessa quella sensazione opprimente
di ansia
che le stava restringendo la gola e le faceva pizzicare quel punto tra
le scapole. E aveva pure mentito, realizzò, nel cercare di
tranquillizzare
l’amica, cosa che non le rendeva la situazione più leggera.
« Ehi, » sobbalzò
quando vide Kisshu, in penombra,
staccarsi dal muro a braccia incrociate e andare verso di lei, « Tutto
okay? »
« Più o meno… » prese
un respiro e lo guardò, « Sei
ancora qui? »
« Certo, » rispose lui
con ovvietà, « Rimango anche, se
necessario. »
« Meglio di no, » la
mora scosse la testa e accennò alla
porta, « Ichigo ha bisogno di non rimanere da sola, stasera, e… già
faremo
fatica a dormire, se ci metti pure la bimba… »
Kisshu, per una volta,
tenne a freno la lingua vista la
situazione e le prese il volto tra le mani: « Chiamami domani,
d’accordo? Andrò
presto con i miei fratelli all’astronave, ma un secondo e sono da te. »
Minto scrutò gli occhi
dorati, accigliandosi: « Kisshu,
mi devi giurare che non sta succedendo nulla
e che voi non ne sapete
niente. »
« Proprio non ti fidi,
eh? »
« Kisshu. »
L’alieno sospirò e
poggiò la fronte contro quella di lei:
« Pensi che ti metterei mai in pericolo volontariamente? »
La smorfia sul viso
della mora perdurò qualche altro
secondo mentre continuava a indagare il suo sguardo, poi lei rilassò un
poco le
spalle e fece un passo indietro: « Meglio che vada, non vorrei che
Ichigo mi
distrugga la stanza. »
Kisshu la strinse un
momento di più, dandole un bacio e
mormorandole la buonanotte; anche quando lei si avviò per il corridoio,
stringendosi un poco la vestaglia sulle spalle, rimase ad attendere
qualche
istante, prima di scomparire con un soffio.
§§§
Ryou sbuffò e per l’ennesima
volta si rigirò tra le
lenzuola, alla ricerca della posizione più comoda per riprendere un
briciolo di
sonno.
Quella era stata
decisamente la settimana più stressante
della sua vita: l’incontro con Aoyama che – si vergognava quasi ad
ammetterlo a
sé stesso – ogni volta riportava a galla irritanti ricordi, il ritorno
improvviso di Taruto – come se non ci fossero già abbastanza alieni tra
loro –
la litigata con i Momomiya, e per finire la ciliegina sulla torta di
quella
sera.
Qualcuno lassù mi deve
proprio detestare.
Lanciò un’occhiata
alla sveglia sul comodino: l’alba
sarebbe arrivata di lì a poco, grazie all’arrivo dell’estate, ma era
comunque
un orario indegno. Emise un altro sbuffo di irritazione e lanciò il
lenzuolo
via da sé; non aveva senso continuare a insistere, era perfettamente
conscio
che non si sarebbe riaddormentato quindi tanto valeva iniziare a
cercare di
risolvere almeno uno dei problemi.
L’odore del caffè
bollente appena fatto gli solleticò
piacevolmente le narici e accese alcuni dei suoi neuroni, che
intrapresero a
mettere insieme i vari pezzi del puzzle, e il ronzio del computer nel
suo
studio riempì il silenzio, riportandolo a situazioni molto simili di
tanti anni
prima. Una volta avviati i suoi programmi, si immerse totalmente nel
lavoro,
ricadendo in un modello ormai collaudato e familiare, anche se si rese
conto
che stava facendo più fatica del solito e non sapeva se addossare la
colpa ai
vari pensieri che gli vorticavano in testa o al fatto che la mancanza
di sonno
era più acuita che mai.
Solo quando la luce
del mattino si fece più prepotente
decise che fosse arrivato il momento di prendersi una pausa; si
stropicciò gli
occhi secchi e arrossati e si lasciò cadere contro lo schienale della
sedia,
afferrando il cellulare svogliatamente. Quasi se l’aspettava, ma si era
dimenticato in effetti dell’innata capacità di Ichigo di tenere il
muso:
nonostante le avesse mandato innumerevoli messaggi, email, e telefonate
nel
corso della notte, il suo telefono non mostrava nemmeno uno straccio di
notifica.
Con uno sbuffo lo
lanciò sul divano di pelle e si sfregò
nuovamente la faccia, alzandosi per riempirsi una terza volta la tazza;
avrebbe
voluto andare al laboratorio e utilizzare i computer più potenti per
indagini
più approfondita, ma sapeva che prima avrebbe dovuto sistemare la
faccenda con
la rossa.
Il che voleva dire
marciare a villa Aizawa e pretendere
di parlare faccia a faccia con lei. Come esattamente passare attraverso
il Cerbero che sicuramente Minto sarebbe stata in quel momento, sarebbe
stata
la fase due del piano.
Ben sapendo che anche
in quella situazione Ichigo non si
sarebbe tirata giù dal letto prima delle otto, a costo di dormire con
Kimberly
attaccata al seno, bevve con molta lentezza la sua tazza di caffè,
riflettendo su
come incastrare i passaggi successivi.
E se giocare sporco
almeno un pochino.
« Niente? »
« Niente, » Pai si
passò una mano tra i capelli e scosse
la testa in risposta a Kisshu, tentando invano di sciogliere la
tensione delle
spalle.
« Io ve l’avevo detto,
» commentò a voce bassa Taruto,
staccandosi dal tronco su cui si era poggiato, « Anche i registri sono
puliti.
»
I tre fratelli
Ikisatashi si incamminarono nel boschetto
appena fuori Tokyo in cui avevano deciso di creare la dimensione
parallela in
cui nascondere l’astronave, approfittando dell’aria fresca e piena di
rugiada
di quella mattina per schiarirsi un po’ le idee.
« Che casino, »
considerò Kisshu con un sospiro,
cacciando la testa all’indietro, « Già è tanto che la tortorella non si
sia
messa a lanciare vasi. »
« Quella è la tua preoccupazione? »
« Come se tu non
stessi per correre dalla pesciolina a
controllare che vada tutto bene. »
Pai rispose con un
grugnito non meglio definito e si
allontanò di qualche passo rispetto ai fratelli, per poi fermarsi di
scatto e
voltarsi verso di loro con sguardo duro: « Raddoppiamo i turni di
comunicazione. »
« Ah, ma sei serio? »
si lamentò Kisshu, infilando le
mani nelle tasche e alzando gli occhi al cielo, « Anche in questo modo,
con il
tempo che ci vuole… si fa solo prima a - »
« Dì un’altra volta un
comunicatore
al Caffè e
ti
stacco la lingua. »
Il verde si limitò a
muovere la testa in una maniera che
sembrava significare te
l’avevo detto, ma
si guardò bene dall’aggiungere
altro e riprese la sua marcia.
Per qualche minuto
continuarono a camminare senza
parlarsi, ascoltando solo i rumori quasi rassicuranti del boschetto,
poi Taruto
scrutò dal basso la schiena del maggiore: « E se…? »
« No, » Pai nemmeno si
voltò, scostando solo un ramo dal
suo tragitto, « Continuiamo a monitorare. »
Aveva contravvenuto
alle sue abitudini solo perché sapeva
che con un mezzo di trasporto proprio avrebbe probabilmente, in quel
momento e
con un po’ troppa caffeina in corpo, violato qualche limite di
velocità, che non
sarebbe stato una gioiosa ciliegina extra sulla torta. In più, l’aria
fresca
del mattino e l’esercizio fisico avevano contribuito a schiarirgli le
idee, ma si
concesse in ogni caso un grosso respiro profondo non appena svoltò
l’angolo del
lussuoso quartiere dove si trovava casa di Minto.
Si tastò la giacca di
jeans e ne estrasse il cellulare,
su cui aveva ricevuto solo qualche aggiornamento da Keiichiro e da Pai;
Einstein aveva detto che la follia era ripetere alla nausea la stessa
azione
aspettandosi risultati differenti, quindi finalmente compose un numero
diverso.
« Con me le tue tecniche di
seduzione non funzionano.
»
Ryou strinse le labbra
per non sbuffare, incredibilmente
divertito: « Buongiorno, Aizawa. Ti ho svegliato? »
« Non sono una pigrona
come la tua fidanzata, » rispose
Minto, ma la voce arrochita gli fece capire che doveva essere parecchio
stanca,
« E
comunque, è già tanto se abbiamo dormito quattro ore. »
« Come sta? »
Poté quasi udire la
mora alzare gli occhi al cielo: « Questo
tuo favoritismo nei confronti di Momomiya sta cominciando a diventare
esasperante. »
« Minto. »
« Ho cercato di mediare a
tuo favore, cosa per cui mi
sei ancor più debitore, ma Ichigo neo-mamma è ancora più sensibile di
quella
normale, » sospirò
esausta, « Ci
siamo addormentate tardi, e si è
rotolata tutta notte. Però non posso dire che non la capisco, Ryou.
Questa cosa
ci ha fatto paura a tredici anni, non è meno complicata ora, anzi.
Credo ti ci
vorrà un po’ ad ammorbidirla. »
« D’accordo, » Ryou
calciò un sassolino del pavé e poi
alzò lo sguardo verso il portone che gli stava di fronte, « Allora se
mi apri,
vengo a parlarle. »
Un’esclamazione di
sorpresa – la versione Aizawa di una
parolaccia – gli rimbombò nell’orecchio, prima che la linea fosse
interrotta.
Non aspettò a lungo per vedere un maggiordomo in livrea affacciarsi da
dietro
al legno per accoglierlo, e poi Minto, accuratamente pettinata
nonostante la
nottataccia e con una elegante vestaglia di seta sopra il pigiama, che
scendeva
lo scalone e gli andava incontro con deciso cipiglio.
« L’ha presa da te
questa brutta abitudine di presentarsi
senza preavviso? »
Shirogane osò varcare
la soglia: « Minto, te lo chiedo
come favore. Sai benissimo che ho tutto il diritto di andarle a
parlare, e
soprattutto di vedere Kimberly. Sai meglio di me quanto sia fastidiosa
l’abitudine di Ichigo di prendere e partire. »
La maniera in cui la
padrona di casa mosse la bocca gli
fece capire che aveva centrato nel segno, ma lei si ostinò comunque ad
incrociare le braccia: « Anche quando Ichigo ti perdonerà, perché tanto
lo
sappiamo come siete voi due, sappi che io non te la farò scontare tanto
facilmente. »
« Cosa saremmo noi –
anzi, fa niente, non voglio saperlo,
» Ryou sbuffò e accennò al piano di sopra, « Posso passare? »
Minto gli lanciò
un’ultima occhiataccia, poi sospirò e
fece mezzo passo di lato: « È in camera mia. Io vado a fare colazione. »
« Thank you. »
Shirogane si trattenne
dal fare i gradini a due a due solo
per il via vai di personale che si aggirava per le stanze e perché non
gli
sarebbe convenuto, in realtà, arrivare sudato. Un po’ a memoria, un po’
a
intuito, individuò la stanza di suo interesse, da cui udì provenire la
voce
sottile di Ichigo che canticchiava una delle ninna-nanne di Kimberly.
Prese un respiro e
bussò leggero le nocche contro la
porta: «
Ginger, sono
io. »
La canzoncina
s’interruppe di colpo, ma quando lui provò
ad abbassare la maniglia, trovò la serratura bloccata.
Forse Minto non aveva
fatto poi molti sforzi a mediare
per lui.
« Ichigo, apri la
porta, » insistette e attese qualche
istante percependo solo silenzio dall’altra parte, e le parole di
Shintaro gli
fluttuarono proverbiali in mente, « Ichigo, smetti di fare la bambina e
apri
questa porta. Voglio vedere mia figlia e io e te dobbiamo parlare. Per
favore, »
aggiunse in tono più calmo.
Sentì il rumore della
serratura che scattava, ma la porta
stessa rimase chiusa, così Ryou attese qualche secondo di più e poi
entrò in
camera di Minto con tutta la pazienza che poteva avere.
Ichigo era seduta a
gambe incrociate nel centro del letto
a giocare con Kimberly, che sgambettava allegramente, e non lo guardò
né al suo
ingresso, né quando le si avvicinò.
« Ora posso essere
messa al corrente della situazione? »
mormorò solo, la voce distorta dal magone.
Ryou prese un respiro
e si passò una mano tra i capelli:
« Non puoi davvero pensare che l’abbia fatto apposta, o che non abbia
pensato a
cosa fosse meglio per te e per lei. »
« Me lo dovevi dire, »
ripeté la rossa in un sibilo
incollerito, « Ora queste cose le devi condividere con me. »
« Non stavo cercando
di tenerlo segreto. »
Lei emise uno sbuffo
sarcastico: « Ah no? Mi avresti
avvisato quando al primo bacio le sarebbero spuntate orecchie e coda? O
quando
al suo primo appuntamento sarebbe stata assalita da un topo gigante? »
« Ichigo… »
l’americano aggirò il letto e le si
inginocchiò di fianco, ma lei rimase con il capo chino a rivolgere
sorrisi
tristi alla bambina.
« Se non fosse
successo questo, forse avrei anche
capito… » aggiunse dopo un po’, sfiorandosi la voglia rosa sulla
coscia, « Però
è successo, e mi fa paura. Soprattutto per lei. E se c’è una cosa di
cui mi
fidavo, con te, è che avresti sempre avuto tutta questa situazione
sotto controllo.
»
« Ginger, » Ryou si decise a prendere una
mano e
tirarla appena verso di sé, « Ho fatto una cazzata a non dirti
chiaramente dei
geni di Kimberly, d’accordo? E mi dispiace. Ma per una volta che tutto
stava andando bene, me ne sono dimenticato, non gli ho dato importanza,
perché
credevo non avrebbe avuto rilevanza ora. Era tutto come doveva essere,
e per
una sola volta ho voluto provare a
vivere una vita che fosse normale,
per quanto incredibilmente inappropriata sia quella parola. »
La ragazza finalmente
spostò gli occhioni verso di lui,
arrossati e di nuovo pieni di lacrime, e Shirogane sospirò prima di
riprendere
a parlare: « Però ti giuro che non abbiamo riscontrato niente nei
nostri
sistemi, né in quelli degli Ikisatashi, e non c’è un segnale che può
prevedere
la ricomparsa dei vostri poteri. Potrebbe davvero avere solamente a che
fare
con il fatto che sono tornati tutti e tre, portandosi dietro della Mew
Aqua. »
Ichigo storse il naso,
lasciando però la mano in quella
di lui: « Ci sono un po’ troppi condizionali perché possa essere
rassicurante.
»
Il biondo si lasciò
scappare un mezzo sorriso: « Forse
dovremmo già essere abituati a una vita piena di imprevisti, non trovi?
»
Lei emise un mugolio
indefinito, spostando di nuovo lo
sguardo sulla bimba che stava sbadigliando. Una parte di lei le stava
sottolineando
di sapere che lui aveva ragione: era stato tutto così perfetto e
meravigliosamente imprevisto, fino a quel momento, che tutti loro si
erano
abituati a vivere a quel modo, senza ulteriori preoccupazioni, perché
ne erano
successe ormai così tante che il resto sembrava paradossale.
Dall’altra, non
poteva negare di starsi sentendo morire al pensiero che quella
creaturina così
piccola, così indifesa, che era uscita da lei così poco tempo prima
potesse
essere esposta anche solo a una frazione di ciò che aveva dovuto vivere
lei.
« Ho paura, » sussurrò
solo, ricacciando indietro un
singulto. Avvertì la mano di Ryou stringersi più forte intorno alla
sua, poi il
dondolio del materasso e le braccia che l’avvolsero e in cui lei decise
di
lasciarsi cadere.
« Lo so, ma qualunque
cosa succeda, l’affronteremo
insieme. Come sempre. »
Ichigo si staccò
quanto bastava per guardarlo da sotto in
su: « Ora però mi stra-giuri che mi dirai sempre tutto. »
« Yes ma’am, » replicò lui con una punta di
ironia, sfiorandole le guance con i pollici, « Però mi devi credere
quando ti
dico che non pensavo sarebbe successo. Io stavo... pianificando altre
cose, e il resto mi è passato di mente. Non significa che non ritenga
importante
nostra figlia o la nostra relazione, o tutto il resto. Semplicemente
l’ho…
accantonato. »
La rossa si accigliò e
il suo viso fu attraversato da
un’espressione confusa e dubbiosa: « In che senso altre cose? »
L’americano, invece,
sorrise con fare misterioso. Logico
che avesse carpito solo quella parte del discorso: « Other things. »
« Shirogane, non sei
nella posizione migliore ora! »
sberciò lei, più dubbiosa che mai, spostandosi un pochino di più, «
Cosa stai
tramando?! »
« Se vieni a casa te
lo spiego. »
Ichigo lo osservò
ancora qualche istante, stringendo gli
occhi: « Sono troppo stanca per questi giochetti. E guarda che sono
ancora
arrabbiata con te. »
« Prometto che ti
passa. »
Lei persistette a
scrutarlo una manciata di secondi in
più, poi gli si arrampicò addosso come un koala, rilassandosi più che
poté nel
suo abbraccio.
« Questo pannolino lo
cambi tu. »
« Alright, alright. »
Sistemata Kimberly,
recuperate le poche cose che Ichigo
si era portata dietro, e salutata con molta diplomazia una Minto ancora
poco
convinta della situazione, Ryou afferrò il manico della carrozzina e
insieme si
incamminarono lentamente verso casa. La rossa rimase in silenzio per la
maggior
parte del tempo, a braccetto con lui e praticamente seguendolo in
maniera
automatica, e il biondo le lasciò qualche bacio sulla testa come a
rassicurarla
di tutto ciò che le aveva detto. Si riscosse solo quando notò, con una
certa
curiosità, che non si stavano dirigendo direttamente verso casa, ma che
l’americano in realtà l’aveva condotta al parco.
« Così allunghiamo,
però, » mormorò in maniera lamentosa,
soffocando uno sbadiglio.
« Fidati un secondo, »
insistette lui, svoltando in uno
dei sentierini ben tenuti.
Ichigo iniziò a
guardarsi intorno con più interesse, riconoscendo
meglio l’area dove la stava conducendo; si morse il labbro inferiore
quando, in
un punto quasi a caso, Ryou si fermò, mise i freni alla carrozzina, e
poi la
guardò con un’espressione quasi divertita. Lei attese in silenzio,
alzando
appena le sopracciglia, e quando lui non proferì parola, fece un mezzo
giro su
sé stessa per localizzarsi del tutto.
« Qui è dove il topo
gigante ha attaccato me e
Aoyama-kun, » dichiarò infine, anche se la sua stessa realizzazione non
la
stava aiutando, « Che ci facciamo qui? »
« Qui è dove ti ho
incontrata la prima volta, thank
you very much, »
la corresse lui, dandole un buffetto sul naso, « E dove ho
capito fin da subito che eri un tipetto interessante. »
Ichigo fece una
smorfia al ricordo e poi incrociò le
braccia al petto con aria di sfida: « Mi hai anche accusato di essere
grassa. »
« Assolutamente no. Ho
solo detto che eri più pesante di
quanto pensassi. »
Controllando che non
ci fosse nessuno, che Kimberly fosse
al sicuro e ben addormentata, svelto come un gatto Ryou afferrò Ichigo
e con un
balzo scattò sull’albero, come tanti anni prima, facendoli atterrare in
piedi.
« E vale ancora,
direi. »
La rossa spalancò la
bocca, a metà tra l’essere sorpresa,
offesa, ed agitata: « E tu sei il solito sfrontato! »
« Ichigo Momomiya, »
la interruppe con una mezza risata,
« Avevo già pensato di portarti qui, ma devo dire che ora è quasi…
profetico. »
Ci volle qualche
secondo perché la ragazza potesse
processare le parole: all’inizio, tutto il colore scomparì dal suo
viso, per poi
ritornare prepotente tutto in una volta, causandole una notevole
sfumatura
violetta.
« Shirogane… che stai
facendo? »
Lui rovistò nella
tasca della giacca e ne tirò fuori una
scatoletta in velluto nero: « Ce l’ho da febbraio. Lo porto con me da
allora. E
nonostante tutte le invettive di tuo padre, che mi accusa di non
renderti una
donna onesta, ho sempre aspettato il momento giusto. Perché vorrei che
mi
dicessi di sì perché lo vuoi davvero, e non perché ti sembra che la
situazione
lo richieda. Ecco perché mi sono arrabbiato così tanto con lui, l’altro
giorno.
Perché sono mesi, per non dire anni, che vorrei chiedertelo. »
Ichigo dovette
appoggiarsi al tronco dell’albero per non
perdere l’equilibrio, visto che i suoi polmoni si svuotarono di colpo:
« Tu… tu
stai per… ? »
Ryou piegò appena un
sopracciglio: « Se devi reagire
male, mi rimangio tutto. »
« No! » lei portò
avanti le mani e poi si riappiccicò
all’albero, con il cuore che le batteva in gola, « No, basta che non ci
sia…
pubblico o cose strane. »
« Vuoi dire più strane
di noi sull’albero dove ci siamo
conosciuti sette anni fa? »
« Che ne so, tu sei
americano. »
Il biondo rise e
giocherellò con una ciocca rubino prima
di accarezzarle una guancia: « Ti ho portato qui perché è dove è
iniziato
tutto. Quando ti ho incontrata, ho pensato subito che fossi una
ragazzina
lagnosa, pasticciona, irritante, dall’orribile caratteraccio. E non è
cambiato
molto. »
« Shirogane! Ti sem – »
« Ma, » continuò lui
con un sorriso, « Ho anche sempre
pensato che tu fossi solare, combattiva, testarda in quello che vuoi e
premurosa con le persone a cui vuoi bene. Ti ho vista sacrificarti
senza
pensarci un secondo, e ho sempre saputo che avrei fatto lo stesso per
te. »
Ichigo dovette
impartire un ordine vero e proprio ai suoi
polmoni di riempirsi e ricominciare a funzionare, perché sembrava che
il suo
intero corpo avesse smesso di lavorare, completamente rapito dagli
occhi
azzurri che la stavano scrutando con un’intensità tale da farle cedere
le
ginocchia. Ryou approfittò del suo silenzio per avvicinarsi ancora di
più e
poggiare la fronte contro quella di lei:
« Purtroppo è vero che
ho sempre avuto un debole per te,
fin dall’inizio. E ora che posso amarti come vorrei, ho intenzione di
farlo per
sempre, se me lo concederai. Mi hai fatto il regalo più grande che
potessi mai
meritarmi, e in cambio posso solo darti tutto me stesso. »
La rossa boccheggiò un
paio di secondi, spostò lo sguardo
sulla maglietta di lui per potere riconquistare un minimo di lucidità:
« … purtroppo?
» lo prese
in giro infine.
« Di tutto quello che
ti ho detto, ginger,
seriously?
»
Lei sbuffò e deglutì
qualche altro secondo,
giocherellando con il cotone e guardandolo da sotto in su: « Shirogane,
tu però
giochi sporco. »
Lui rise e le domandò
a bassa voce: « Sei ancora
arrabbiata con me? »
« … dipende. »
« Ah, » lui inarcò le
sopracciglia, divertito, e le mise
la scatolina sotto al naso, « Da cosa dipende? »
Ichigo prese un
ennesimo respiro e poi alzò il mento in
maniera di sfida: « Ti devi mettere in ginocchio, o non vale. »
« Non c’è dubbio,
Momomiya, » replicò lui, prendendola un
po’ in giro, « Credo che andrà bene anche così. »
Con un piccolo scattò,
aprì il coperchio e – per la
seconda volta – mozzò il fiato alla ragazza nel mostrarle l’anello: due
cerchi
di piccoli diamanti, con al centro una tormalina rosa, di una sfumatura
che
ironicamente le ricordava il suo costume da Mew Mew, su una banda di
platino
anch’essa ricoperta di diamanti(*). La rossa guardò il gioiello,
poi
guardò Ryou, poi ancora l’anello, azzardandosi a sfiorarlo con la punta
di un
dito senza poter emettere suono; infine, le scappò un risolino nervoso
ed
emozionato e scosse la testa:
« Non stai scherzando?
»
Ryou scosse la testa e
le prese la mano libera,
inspirando profondamente con quanta più circospezione possibile: «
Ichigo… »
mormorò a voce bassissima, le labbra che sfiorarono quelle di lei, che
rispose
in un mugolio indefinito come a intimargli di non fermarsi, « Vorresti
sposarmi? »
Prima ci fu un
silenzio così assordante, nonostante la
città attorno a loro, che Shirogane fu sicuro fosse chiaramente udibile
il
galoppare impossibile del suo cuore; poi Ichigo emise uno strillo più
simile a
un fischio ad ultrasuoni che a qualcosa di umano e gli si gettò al
collo,
completamente dimentica del fatto che erano appollaiati su di un ramo e
che
solo l’agilità ritrovata permise loro di non rovinare disastrosamente a
terra.
« … sarebbe un sì? »
« Oh, Shirogane, sta’
zitto. »
Il tintinnio di un
campanellino rintoccò nell’aria.
Retasu chiuse il libro
di scatto, poggiandoci poi la
fronte contro con uno sbuffo esasperato: non riusciva a concentrarsi,
non
importava quanto ci stesse provando. Tra la temperatura che stava
salendo, la
stanchezza e tutta la faccenda della sera precedente, le sembrava che
il suo
cervello avesse deciso di non essere più in grado di raccogliere
informazioni.
Aveva anche deciso di spostarsi dalla sua camera al salotto,
approfittando
della casa vuota, così che magari l’ambiente più ampio e lontano dal
letto
l’avrebbe persuasa a darsi da fare, ma non era valso a nulla.
Girò il collo di lato
e controllò il cellulare: sapeva
che quella mattina presto Pai e i suoi fratelli sarebbero andati a
controllare
i sistemi nella propria nave, ma non aveva ancora ricevuto nessun tipo
di
notizia. Il che poteva anche essere una cosa positiva, si disse,
trovare
qualcosa di importante avrebbe sicuramente fatto scattare un altro
allarme
generale. E lei dopotutto non aveva mentito, il giorno prima, quando
gli aveva
detto di non essere preoccupata… ma non negava che un po’ più di
chiarezza
avrebbe fatto bene a tutti.
Lo stomaco le diede
una capriola al pensiero della
conclusione di quella sera, e si diede della sciocca: come poteva
soffermarsi
su una cosa del genere in un momento simile?! Le pareva di essere
un’adolescente in piena tempesta ormonale, non ne era decisamente il
caso!
Avrebbe fatto meglio a concentrarsi sugli studi visti gli esami in
arrivo, e
smetterla di vagare con la mente.
Il cellulare le vibrò
a pochi centimetri dal naso e
sobbalzò, ma era solamente Purin che, nella chat di gruppo, chiedeva un
vago come
va? che
sapeva non essere diretto a lei.
Anche dopo un paio di
minuti non ci fu risposta,
ovviamente, e Retasu quasi si dispiacque per la biondina, che cercava
sempre di
dimostrare a tutti i lati positivi delle situazioni o quantomeno di
stemperare
l’atmosfera più cupa.
Sospirò, si rimise
dritta e afferrò di nuovo la matita,
ricominciando da capo quel paragrafo che proprio non ne voleva sapere
di
entrarle in testa. Non passò che una manciata di minuti che udì un
leggero
bussare alla porta di casa, che la fece sobbalzare di nuovo. Ci impiegò
un po’
più del solito a reagire, chiedendosi se potesse essere il postino, e
decisamente non si aspettò di trovarsi la figura di Pai sull’uscio.
« P-Pai! » boccheggiò,
sistemandosi gli occhiali sul
naso, « Non… non pensavo fossi tu. »
L’alieno le mostrò un
sorriso: « Ti disturbo? »
« No, no, » lei scosse
la testa e si fece da parte per
farlo passare, « Mi hai solo… presa alla sprovvista. Stavo studiando,
non
aspettavo nessuno. »
Lo sguardo analitico
dell’alieno scrutò brevemente
l’ambiente, così tipicamente giapponese per lei, eppure così diverso
per lui.
« Come mai… ? »
s’azzardò a domandare, incuriosita: era
la prima volta che lui si presentava spontaneamente a casa sua, o che
ci
entrava, se era per quello.
« Volevo vederti. »
Il cuore le sobbalzò
per un miscuglio di motivi diversi:
« È… è successo qualcosa? »
Pai dovette notare di
aver scelto le parole sbagliate,
perché si corrucciò preoccupato: « No, non abbiamo rilevato niente di
anomalo,
ma… pensavo che dopo ieri sera, avresti preferito non… rimanere sola. »
Retasu impose al
proprio muscolo cardiaco di comportarsi
bene: « Se dici così mi preoccupo, però. »
« Scusa, » rispose lui
a bassa voce con un accenno di
sorriso, poi indicò con il mento i libri aperti sul tavolo, « Come sta
andando?
»
« Male, » ammise con
uno sbuffo divertito, « Non… riesco
a concentrarmi. »
E decisamente non
sarebbe riuscita a farlo ora, si disse,
con un ragazzo – con Pai
– in casa
sua. Vuota.
Ovvio, continuò poi:
non erano certo a livello di
presentarsi ufficialmente ai genitori (il solo pensiero le mozzò il
fiato), né
Pai era un tipo particolarmente espansivo o desideroso di farsi
conoscere. E
poi lei gli aveva raccontato della sua famiglia, del padre che lavorava
in
banca e la mamma che aveva ripreso a lavorare da quando Uri, suo
fratello,
aveva cominciato il liceo, conosceva i loro orari. Quindi…
Quindi.
Osservò la schiena del
ragazzo che si avvicinava al
tavolo da pranzo e scrutava i tomi e i suoi appunti, sfiorandoli con un
dito;
lei riconobbe la curiosità e la fame di conoscenza nel suo sguardo, e
dovette
nascondere un sorrisino.
« Ti sembreranno
sciocchezze, rispetto a ciò su cui
lavori tu. »
« Nient’affatto, »
rispose lui, guardandola da sopra la
spalla, « È affascinante vedere i vostri testi. E di queste cose
conosco ben
poco. Biologia marina, giusto? »
« Giusto, » confermò
Retasu con un sorriso, incrociando
le dita dietro la schiena, « E… ovvio, forse. Ora più che mai. »
« Continui a non saper
nuotare, » la prese in giro
dolcemente lui, facendole partire l’ennesimo attacco di extrasistole.
Lei annuì e gli fece
segno di accomodarsi sul divano: «
Posso offrirti qualcosa? »
« No, grazie, » le
sembrò che si rilassasse un po’ di più
tra i cuscini, emettendo un sospiro leggero, « Sono passato da
Akasaka-san dopo
il nostro controllo per incrociare i dati, è molto difficile rifiutare
le sue
offerte di caffè. Soprattutto con Kisshu e Taruto che non dicono mai di
no. »
La verde ridacchiò e
gli si sedette accanto, togliendosi
gli occhiali per pulirli contro la maglietta: « Hai detto che non avete
rilevato nulla? »
« Esatto. Siamo
risaliti nei nostri registri, nella
remota possibilità di aver mancato qualcosa, ma le comunicazioni erano
chiare.
Così come i sistemi di Shirogane, seppur non altrettanto sensibili più
settati
su notifiche di pericolo, non è stato registrato nulla. Il che
solidifica la
mia teoria che la comparsa del vostro marchio sia una reazione alla
presenza di
tutti e tre, ovvero le condizioni di partenza del progetto Mew. »
« Capisco, » Retasu
sospirò e lanciò uno sguardo al
cellulare, « Le altre non hanno ancora detto nulla, anche Purin ha
provato a
scrivere ma… credo non siano proprio di buon umore. »
« L’hai detto tu
stessa che l’idea di combattere non ti
entusiasma, ed è proprio ciò che il vostro marchio vi ricorda. »
« Non mi entusiasma è
un eufemismo. »
Pai condivise la
risata e le prese la mano: « E le tue
amiche sono un po’ più… cocciute di te. »
Lei tentò di
lanciargli un’occhiataccia ma sbuffò
divertita: « A questo punto credo che tu possa anche dire che sono
amiche tue.
»
« Mi terrei più sul conoscenti. »
« Una è praticamente
tua cognata. »
« Il triste destino di
Aizawa è stata però una scelta diretta.
»
Retasu rise e si
sporse verso di lui, poggiando la fronte
al suo petto: « Quindi andrà tutto bene? »
Il braccio di Pai si
strinse attorno alle sue spalle: «
Non smetteremo di tenere la situazione sotto controllo. »
Lei soffiò contro il
tessuto della sua camicia: « Non è
propriamente un sì. »
L’alieno le prese una
guancia e le sollevò il viso: « Io
vengo da un altro pianeta e tu hai in te il gene di un animale in via
d’estinzione. Sono sempre molto cauto a ragione per assoluti, viste le
probabilità.
»
La verde rise di nuovo
e si abbandonò in un sospiro
quando la bocca di lui catturò la sua. In un lampo, i ricordi della
sera
precedente le invasero la mente e una pioggia di brividi le corse lungo
tutta
la spina dorsale, e gli si strinse addosso un po’ di più. Non era mai
stata una
persona audace, o sfacciata, ma le sensazioni che provava stretta tra
le
braccia del ragazzo la facevano sentire protetta ed esposta allo stesso
tempo,
spingendola a cercarlo come mai prima. Gli sfiorò con titubante
dolcezza la
schiena, scivolando il palmo sotto la maglietta in cerca della sua
pelle calda
e graffiandolo appena con le unghie quando lui le accarezzò la
lunghezza della
coscia, scostandole il vestito estivo.
Forse una parte di lei
lo sapeva, realizzò mentre piegava
la testa all’indietro per regalargli più spazio sul collo, sulle
spalle, lì sul
petto dove ora svettava la sua voglia, lo aveva sempre saputo che era
proprio
lui che aveva aspettato.
« Retasu… » sussurrò
Pai, così leggero da essere quasi
inaudibile, e in quel momento lei decise di lasciarsi andare del tutto.
Non le importava più
niente, niente se non sentire il
corpo dell’alieno il più possibile contro al suo; si stese sul divano e
lasciò
che scivolasse sopra di lei, afferrandogli il viso tra le mani per
poterlo
baciare con quanto più trasporto fosse capace. Lo avvertì titubare
quando si
attaccò ancora alla sua maglia per liberarsene, ma lo trattenne e lo
strinse a
sé; era stanca di pensare, stanca di attendere, stanca di troppa
timidezza e
timore. Il rombo del suo cuore al sentirsi completamente abbandonata a
lui le
stava dicendo che era giusto, che quello era il momento, e che anche se
non
gliel’aveva mai detto, lei era perdutamente innamorata di lui e non
aveva
smesso di esserlo in quegli anni.
Lo baciò ancora quando
Pai si sistemò meglio tra le sue
gambe, i vestiti già gettati sul pavimento, rendendosi conto solo in
quel
momento quanto davvero bruciassero le loro pelli a contatto, e quanto
bruciasse
lei sotto lo sguardo ametista. Lui si fermò ancora, sfiorandole il naso
con il
suo e raddrizzandole con una risata gli occhiali storti ma che
magicamente
avevano resistito in equilibrio, e Retasu deglutì: non avrebbe avuto il
coraggio di dirgli quello che provava, non ora, ma forse avrebbe potuto
farglielo
capire.
« Pai, io… non… »
L’alieno l’accarezzò
lento, quasi assaporandola con gli
occhi, stringendole piano un fianco morbido quasi a tenersi saldo lui
stesso: «
Sei sicura? »
Lei annuì prima di
rendersene conto, avvolgendogli le
braccia intorno al collo: « Sì… » mormorò senza fiato, il cuore che le
minacciava di scoppiarle in petto e il ventre che avvampava, « Con te,
sì. »
Mentre la baciava con
forza, stringendole una mano nella
sua, Pai avvertì di nuovo quel pizzicore nel torace, quel senso di
colpa che
ancora non riusciva a demolire. Non se la meritava, e lo sapeva, ma ciò
non
l’avrebbe mai distolto dal riuscirci.
§§§
Ovviamente, Ichigo non
riuscì a tenere nascosta la
notizia a lungo; fu soltanto il realismo di Shirogane, che le ricordò
loro
avessero comunque un po’ di cose di cui parlare e che fosse meglio non
allarmare tutti, quella mattina, riuscirono a farla tergiversare per
qualche
ora. Passato il momento del pranzo, però, la rossa esplose: con un
messaggio
particolarmente ambiguo, che scatenò non poca agitazione, intimò a
tutti gli
altri di presentarsi al più presto a casa sua. Quando, per la seconda
volta in
poco più di dodici ore, l’intero gruppetto di umani e alieni si ritrovò
in
salotto, presagendo funeste novelle vista l’urgenza della chiamata, lei
invece
tuonò in un urlo di sorpresa e sventolò la mano davanti alle amiche.
Purin fu la prima a
reagire, rispondendo con uno strillo
altrettanto spaccatimpani e praticamente placcando insieme Ichigo e
Ryou,
mentre Minto sibilò qualcosa che sembrò molto simile a una minaccia nei
confronti dell’amica visto il mancato infarto e Zakuro si limitò a
scambiarsi
un’occhiata esasperata con i tre alieni e il novello fidanzato.
« Congratulazioni,
ragazzi, » intercedette poi Keiichiro
(in realtà avvertito segretamente da Shirogane in anteprima e che si
era
premurato di tenere in braccio Kimberly ben sapendo quali sarebbero
state le
reazioni), « Immagino che anche i tuoi genitori saranno al settimo
cielo,
Ichigo-chan. »
Lei si lasciò cadere
sul divano, continuando a lanciare
occhiate estasiate al suo gioiello: « In realtà non glielo abbiamo
ancora
detto. Vogliamo farlo un po’ per bene, non con una telefonata, o mia
mamma si
offende. »
« Sicuri che Shirogane
abbia la benedizione? » li prese
in giro Zakuro, ricevendo in cambio un’occhiataccia dal biondo.
« È tutto molto bello,
» constatò Minto funerea, seduta a
braccia incrociate sul divano che continuava a muovere la tibia su e
giù, « Ma
per quanto Ichigo possa essere abbagliata dalla lucentezza del suo
nuovo
tesoro, non abbiamo ancora risolto il problema principale. »
Purin sghignazzò sotto
i baffi e diede di gomito a
Retasu: « Secondo me la nee-chan è un po’ gelosa. »
« Non dire
sciocchezze! »
Retasu si limitò a
ridacchiare sotto i baffi, le guance
un po’ più rosee del solito, e la biondina le lanciò un’occhiata
incuriosita: «
Tutto bene, nee-chan? »
« Sì, sì, » si
affrettò a rispondere, ben attenta a non
incrociare lo sguardo dell’alieno in fronte a sé, « Sono solo… così
contenta
per voi! »
Ichigo le sorrise e
ricambiò la stretta della sua mano,
poi si voltò verso Keiichiro: « Allora ci sono… novità? »
Lui continuò a cullare
dolcemente la sua figlioccia: «
Io, Ryou, e Ikisatashi-san abbiamo passato la mattina a controllare i
nostri
sistemi, e confermiamo che non ci sono stati rilevamenti di sorta. Ciò
vuol
dire che non c’è nessuna minaccia in corso, e che probabilmente davvero
il
ritorno della vostra voglia è una reazione alla presenza di tutti e tre
gli
Ikisatashi. Ovviamente, continueremo a monitorare la situazione,
abbiamo già
allargato il raggio d’azione dei nostri rilevatori, ma voglio che ora
stiate
tranquille. »
La rossa sembrò
pensarci su un poco prima di annuire,
scambiandosi un’occhiata d’intesa con le altre ragazze, tutte più o
meno
convinte.
« Possiamo pensare a
festeggiare, quindi, » esclamò
Zakuro con affetto, sfiorando l’altra mano di Ichigo, che sorrise un
po’ più
decisa:
« A questo proposito…
c’è una cosa che non vi abbiamo
ancora detto. »
« Senti, Momomiya, non
sono in vena di altre sorprese. »
Lei ignorò il commento
di Minto e si sfiorò
sovrappensiero la coscia: « A causa di… questo, vorrei… vorremmo…
sposarci presto. Ho sempre voluto un matrimonio a Settembre, perciò… »
La mora la guardò
quasi con gli occhi fuori dalle orbite:
« Tra tre mesi!? Ma siete impazziti?! »
Ichigo sorrise
sorniona: « L’aiuto della mia testimone e
amica organizzatissima sarà inestimabile, quindi. »
Per qualche istante,
Minto rimase a mezza bocca aperta,
mentre le altre ridacchiavano sottovoce, poi scosse la testa e alzò il
naso
all’insù: « Meglio che inizi ad ascoltarmi quanto ti dico di non
abbuffarti,
Momomiya, o non ti darò nessunissimo aiuto. »
« Anche io voglio
aiutare a organizzare! Quando andiamo a
scegliere i vestiti? Zakuro-nee, per te lo scelgo io altrimenti sei
troppo
figa. »
« Purin! »
« La torta la fa
Akasaka nii-san, vero? »
Il suddetto si limitò
a scambiarsi un’occhiata divertita
con Shirogane e gli altri ragazzi mentre il volume nella stanza si
alzava di un
paio di decibel. La bimba stretta tra le sue braccia, però, continuò a
dormire
imperterrita, e intanto che lui guardava la sua famiglia lanciarsi
nelle loro
solite, esagerate, esplosive dinamiche, pensò che fosse tutto come
doveva essere.
(*)
Per i delfini curiosi (cit.)
l’ispirazione è venuta da qui (tenetevi xD): https://www.tiffany.com/jewelry/diamond-jewelry/tiffany-soleste-ring-67905148/
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Capitolo 8 *** I can hear the bells ***
Chapter Eight – I can hear the
bells
Taruto atterrò davanti
a casa di Purin e
prese un gran respiro, assicurandosi di essere coperto dall’albero. Era
il
compleanno della biondina, sapeva che aveva dei programmi per la
giornata con
le ragazze, ma aveva pensato di andarla a trovare prima così… giusto
per stare
un po’…
Scosse la testa così
forte che gli vennero
le vertigini e strinse un po’ di più i palmi: calma, doveva mantenere
la calma.
Lui e Purin erano amici, non c’era niente di male in due amici che si
facevano
le sorprese nei giorni importanti, non aveva nessuno motivo di essere
nervoso,
era solamente la sua amica d’infanzia, quella con cui aveva passato
ogni giorno
dal suo ritorno sulla Terra e a cui aveva pensato quasi ogni giorno
prima,
quella che…
Emise uno strano verso
dal naso simile a un
barrito, uscì da dietro il suo nascondiglio e si piantò a gambe larghe
davanti
alla porta d’ingresso.
Su.
Coraggio. È solo… una giornata come
le altre. Non è niente di che. È solo Purin.
È
solo…
« Buongiorno,
Taru-san! » la porta si aprì
davanti al suo naso all’improvviso, causandogli un piccolo scompenso
cardiaco,
e Heicha gli si parò di fronte con un sorriso molto simile a quello
della
sorella maggiore, « Sei qui presto, la nee-san è in camera sua. »
« Uhm, ah… grazie, »
bofonchiò, rendendosi
conto in quel momento che non aveva nemmeno pensato a portarle
qualcosa, anche
se Retasu gli aveva ricordato più volte (cercando di farlo sembrare un
caso, ma
non era così stupido lui) che le tradizioni terrestri per quanto
riguardavano i
compleanni non erano così dissimili a quelle di Duuar, « Allora… vado. »
Heicha sorrise sotto i
baffi – in una
maniera che non gli andò molto a genio – e si fece da parte, urlando a
pieni
polmoni: « Nee-chaaan! C’è Tarutoooo! »
Il suddetto fece una
smorfia e un
grandissimo sforzo a non coprirsi platealmente le orecchie (i congegni
di suo fratello
potevano camuffare le apparenze ma non certo diminuire le loro
capacità), e si
affrettò al piano di sopra, salutando con un cenno gli altri quattro
componenti
della famiglia Fon, impegnati in salotto con un videogioco parecchio
rumoroso.
Lui dopotutto riusciva
a maneggiare le
piante, a crearne dal nulla, a potenziarle con i chimeri, come diavolo
non
aveva pensato a portare qualcosa all’amica? Però forse un fiore, una
pianta,
sarebbero stati troppo, come dire, rilevatori? Complicati? Sfacciati?
Avrebbe
davvero dovuto chiedere a Retasu, ma sarebbe stato così imbarazzante, e
se per
caso lei ne avesse fatto parola con Pai, e se Kisshu avesse sentito…
Una volta nel più
tranquillo corridoio
della zona notte, Taruto prese un ennesimo respiro. La porta della
camera di
Purin era socchiusa e lui sentiva provenirne una canzone sconosciuta e
il suono
di cassetti e ante che venivano aperti e richiusi; il cuore gli schizzò
in
petto un’altra volta, era forse un momento pessimo?? Era la ragazza
impegnata a
cambiarsi, e quindi, e quindi…
« Ah,
ma eccoti! » la testa di Purin spuntò
dallo spiraglio e, se prima gli rivolse un gran sorriso, poi lo guardò
incuriosita dalla sua strana espressione, « Tutto bene? Sembra tu abbia
mangiato un limone. »
« Sì, sì, era solo
che… » Taruto si schiarì
la gola e si avvicinò a passi lenti
mentre lei sgusciava di nuovo in camera, aprendo la porta
di più per
indicargli di entrare, « Che stai facendo? »
« Sto provando il mio
vestito da damigella,
» gli spiegò, spegnendo la radio e ritornando in fronte al suo specchio
in un
fruscio di tessuto, « Manca ancora un mese al matrimonio di
Ichigo-chan, ma
Zakuro-san è riuscita a farceli arrivare in fretta così da sistemarli,
se c’è
qualcosa che non va. »
Lui sentì il sangue
fluire dal cervello a
parti completamente diverse del suo corpo. L’abito era ovviamente rosa
cipria,
lungo fino ai piedi, con corpetto stretto coperto da un velo dello
stesso
colore a formare le spalline e una gonna increspata, a ricordare quasi
i petali
di un fiore. Non era certo una cosa da Purin, fu la prima cosa che
pensò, prima
che le idee fluissero in tutt’altra direzione.
« Allora, che te ne
pare? » lei si girò un
altro paio di volte davanti allo specchio, rimirando il vestito da
tutte le
angolature, « Io avrei preferito che fosse corto, ma non ho fatto in
tempo a
suggerirlo a Minto-chan che mi ha quasi staccato la testa. »
Taruto dovette
deglutire tre o quattro
volte. Era assolutamente fuori discussione darle il
suo sincero parere,
dirle come quel tessuto rosato le abbracciasse perfettamente le curve,
donandole un’aria così da donna, seppure anche lui concordasse che
nascondere
le gambe snelle e toniche fosse un gravissimo crimine.
Purin si raccolse i
lunghi capelli con una mano
per testare l’effetto che avrebbe ottenuto con la crocchia stipulata
per tutte,
scoprendo il collo e la scollatura a V sulla schiena, e gli lanciò un
altro
sguardo dallo specchio: « Quindi? È così terribile? »
« No, » l’alieno si
riscosse e cacciò le mani
in tasca, abbassando lo sguardo e scrollando le spalle con fare
noncurante, «
Però non è… da te. »
« Che vuoi dire? »
Che
questi vestiti pomposi ed eleganti
ti stanno da sogno ma che sono troppo noiosi e falsi per te, che sei
molto più
bella e viva di così.
Avrebbe dovuto dirle.
« Che sei il solito
maschiaccio quindi è
inutile che ti conci a quella maniera, non inganni nessuno. »
Rispose invece. Perché
era un idiota. Un
completo cretino. Ma cosa cavolo aveva nel cervello?
Dovette pensarlo anche
Purin, perché
nonostante il suo rivolgergli una linguaccia ironica, i suoi occhi si
spensero
un poco: « Be’, parlane con Ichigo-chan, » esclamò, voltandosi ancora
verso la
sua immagine e aggiustandosi un po’ la gonna, « Questa è la mia divisa
per la
giornata, non posso farci niente. »
Taruto si morse la
lingua, grattandosi il
collo in imbarazzo mentre lei gli dava le spalle di nuovo e lasciava
cadere i
capelli: « Senti, pensavo… non è che oggi ti andrebbe di – m-m-ma
ch-che
st-stai facendo!? »
La biondina lo guardò
come se avesse perso
il senno mentre si torceva per aprire la zip posteriore del vestito: «
Mi sto
cambiando, » rispose con tutta la serenità del mondo, come se fosse una
risposta completamente ovvia.
« M-m-ma ci sono io
qui! » sberciò di nuovo
lui, il viso in fiamme, praticamente saltando sul posto e compiendo un
giro di
centottanta gradi per scostare lo sguardo.
La sentì sbuffare
sarcastica: « Stai
tranquillo, sotto ho dei vestiti, sai, » lo prese quasi in giro, « E
poi non
ero un maschiaccio? »
« Sì, ma… non è… cosa!
»
Azzardò solo
un’occhiata da sopra la spalla
quando la sentì ridacchiare, ed effettivamente sotto al vestito Purin
stava
indossando dei leggings ciclisti e una fascia elastica che prontamente
coprì
con una canottiera leggera.
« Sei un po’ strano,
Taru-Taru. »
« Qui la strana sei
tu, » bofonchiò lui, «
Non… non farai mica così con tutti i tuoi amici maschi!? »
La biondina lo guardò
stranita, sospirando
così forte che le svolazzarono delle ciocche di capelli intorno al
viso: « Tu e
i tuoi fratelli siete andati in giro con la pancia di fuori per tutto
il tempo
che vi ho conosciuto. Non lo state facendo ora perché attirerebbe
troppo
l’attenzione, ma scommetto che al Caffè lo fate eccome. E poi che ti
interessa
che faccio io con i miei amici? »
« Niente, » borbottò
lui, incassando la
testa ancora di più nelle spalle e finalmente voltandosi di nuovo, «
Però, uhm…
»
Purin si limitò a
scuotere la testa in una
cascata di drittissime ciocche bionde, sospirando qualcosa che alle
finissime
orecchie del ragazzo sembrò moltissimo un uomini!
ma che si decise a
ignorare. La studiò di sottecchi mentre lei finiva di prepararsi,
zampettando
con energia intorno alla sua camera e canticchiando a bocca chiusa, e
solo
all’ennesima spinta delle sue mani in tasca (vi avrebbe trovato un
buco, prima
o poi) Taruto si accorse di non essere arrivato del tutto a mani vuote.
« Uhm… comunque, ecco,
tieni. »
Senza troppi
complimenti, allungò il palmo
verso di lei mostrandole con malagrazia un paio di caramelle.
La biondina alzò un
sopracciglio, un po’
scettica: « Per cosa sarebbe? »
Taruto fece una
smorfia di disagio: « B-bè,
è il tuo compleanno, no?! » sberciò, « E non… non so come le fate voi
queste
cose, quindi non potevo… e oggi sei con le altre, quin- »
Purin lo zittì con un
mezzo sorriso e
chiudendo le dita intorno alla sua mano, che usò come punto d’appoggio
per
alzarsi in punta di piedi e schioccargli un bacio sulla guancia.
« Grazie mille,
Taru-Taru. »
Lui fu troppo
concentrato a non arrossire
per rispondere con più di un grugnito, la gota rovente dove si erano
posate le
sue labbra, e la guardò studiare il pensierino.
« Ehi, ma non sono
aliene però! »
« Non ti puoi
accontentare, per una volta?
»
Lei gli lanciò uno
sguardo furbo: « Le
vostre sono migliori, sono così strane…! »
Taruto ricambiò il
sorriso e annuì, un po’
più rilassato: « Posso… andare a vedere se nella navicella c’è ancora
qualcosa,
ma non assicuro nulla. »
« Perché non ci
andiamo adesso? » saltò
subito su lei, estasiata, « Ho sempre voluto vedere la vostra
astronave! »
« Fuori discussione,
Pai mi mangerebbe
vivo. »
« Daiiiiiiii,
è il mio compleanno! »
« Non se ne parla, ne
va della mia vita. »
« Uffa, » Purin
incrociò le braccia e
gonfiò le braccia come una bambina indispettita, « Come siete rigidi! »
« Facciamo quello che
vuoi, ma per
l’astronave devi sentire solo ed esclusivamente Pai. »
Lei lo guardò da sotto
in su, facendo un
paio di passi in avanti: « Quello che voglio? »
Al percepirla
avvicinarsi, quasi istintivamente
l’alieno s’irrigidì e si inclinò appena all’indietro: « S-sì. A patto
che non
sia niente di pazzoide. »
Purin si sporse ancora
un po’, così vicina
che lui poté distinguere chiaramente l’odore di shampoo, del suo
profumo, e
quello della sua pelle: « Allora cosa facciamo? »
Taruto poté giurare
che il suono di lui che
tratteneva il respiro rimbombò potente per la casa, mentre le
connessioni nel
suo cervello smettevano di funzionare e lui riusciva solo a
concentrarsi sulle
pagliuzze più chiare negli occhi della ragazza e su quante lentiggini
le erano
spuntate con l’abbronzatura. Però non riuscì a muoversi, gli si era
incollata
la lingua al palato, la sua gola si era chiusa e non passava abbastanza
aria per
computare azioni, decidere, capire, alzare solo un dito per sfiorarle
la mano,
e quando il suo naso solleticò piacevolmente nel gustare di nuovo
l’odore di
lei, la sentì sospirare mentre faceva un passo indietro e sorrideva con
forse
troppa convinzione.
« Ma se andassimo a
fare una super
colazione? » propose, intrecciando le dita dietro la schiena e cercando
con lo
sguardo la sua borsetta, « Io e le ragazze andremo in piscina, ho
bisogno di
energia! E poi con Minto-chan in questo momento si mangia solo frutta e
verdura, ho bisogno di sgarrare un po’ di nascosto. »
I polmoni gli urlarono
di riattivarsi e lui
prese un gran respiro, annuendo poco sicuro, poi le porse la mano: «
Dove vuoi.
»
Purin la fissò per un
secondo di troppo, e
sorrise afferrandogliela con forza: « Andiamo, Taru-Taru! »
« … e non mi chiamare
così. »
Ryou doveva ammettere,
in tutta la sua
genialità, che non riusciva a comprendere del tutto perché Shintaro
Momomiya
sembrasse avercela ancora con lui. L’aveva tanto asfissiato sul fatto
che lo
ritenesse non solo la causa del declino della sua adorata figliola ma
anche un
poco di buono che poco faceva per ripristinarne la reputazione, e ora
che
invece quello che gli era parso il suo più grande sogno si stava
avverando,
ogni volta che si trovavano insieme (e stava accadendo davvero più
spesso di
quanto Shirogane avrebbe voluto), Shintaro trovava sempre un motivo per
brontolargli contro.
Forse il più grande
sogno di Shintaro era
davvero tenere lontana Ichigo da qualsiasi maschio sempre e per sempre.
E per fortuna che non
aveva nemmeno mai
palesato la possibilità che i coniugi Momomiya aprissero il borsello di
neanche
mezzo millimetro per quel matrimonio.
Condividere con loro
la (forse) lieta
novella era stata, se possibile, una cena quasi più stressante di
quando
avevano annunciato la gravidanza di Ichigo, forse perché questa volta
più
pronti alle possibili reazioni avverse dell’uomo. Quando avevano
annunciato la
loro volontà di sposarsi, e di lì a tre mesi, ovviamente Sakura si era
sciolta
in gridolini che facevano impallidire quelli della figlia, e pure
Shintaro non
aveva borbottato contrariamente in maniera esagerata, anzi, gli era
pure
sembrato di vedere l’ombra di un sorriso sul volto dell’uomo, eppure
aveva
cambiato registro dopo molto poco.
Ogni notizia condivisa
sui preparativi,
sulle scelte per la loro cerimonia, dalla location, agli invitati
(pochi ma
buoni), ai fiori, se menzionata dal biondo veniva accolta con uno
sbuffo
insofferente e negativo, come se fosse assolutamente l’opzione
sbagliata; non
che poi a Shirogane interessassero specificamente i particolari, lui
aveva
sposato da sempre la filosofia del fare contenta la sua dolce metà e
lasciare
che si sfogasse lei insieme a Minto su queste cose, però era il
sottotesto che
qualsiasi cosa lui facesse non fosse giusta a diventare pesante, se
costante.
Come in quel momento,
seduti a un tavolo
nell’elegante sala da pranzo dell’hotel che avevano scelto per ospitare
la
cerimonia e la seguente festa, intenti a testare il menu da loro scelto
per
eventuali modifiche dell’ultimo minuto, che Shintaro aveva passato a
commentare
con insopportabile minuzia qualsiasi portata.
Ryou avvicinò il naso
al testolino di
Kimberly, coperto da una buffa cuffietta blu con i bordi bianchi, e ne
inspirò
l’odore per rilassarsi un poco e ripromettendosi, quando tra molti,
molti, moltissimi
anni anche a lui sarebbe toccato aiutarla nei preparativi per il suo
matrimonio, che non si sarebbe comportato in quella maniera.
« A tenerla troppo in
braccio la vizierai.
»
Come volevasi
dimostrare.
« Oh, caro, non dire
sciocchezze, tu tenevi
sempre Ichigo in braccio e non ha mai fatto un capriccio in vita sua. »
Ryou non poté evitare
di sogghignare: « Ne
è sicura, Momomiya-san? »
« Ah-ah, divertente, »
commentò la rossa,
affatto divertita, continuando a terminare il piatto che aveva davanti
con
molto gusto, « Allora che ne pensate? Vi è piaciuto? »
« È tutto molto buono,
cara, » Sakura annuì
con convinzione, pulendosi le labbra con un tovagliolo, « Chi hai detto
che è
stata a consigliartelo? »
« Minto-chan,
ovviamente, » rispose lei con
un sorriso divertito e scambiandosi un’occhiata con Ryou, « Non so
nemmeno come
abbia fatto ad assicurarci la prenotazione qui per l’intera festa. »
Il biondo prese un
sorso d’acqua: oh, lui
sì che lo sapeva, come lo sapevano il suo cellulare, il suo orecchio
bollente,
e il suo conto in banca dopo tre ore di conversazione telefonica con
Minto,
Zakuro, e relativo team manageriale perché potesse accadere, ma alla
sua dolce
metà aveva ovviamente raccontato una versione edulcorata.
« Il posto è
sicuramente bellissimo, » per
una volta anche Shintaro si lanciò in un complimento, stupendo entrambi
i
giovani, « Ma il cibo non lo so, mi pare troppo… occidentale. »
Ryou si morse la
lingua e cambiò subito
idea, e pure Ichigo sospirò teatrale: « È fusion franco-giapponese,
papà. È elegante e raffinato, e buonissimo. »
« Come sono fusion
i nostri ragazzi,
non trovi? » Sakura allungò una mano per stringere quella della figlia
con
affetto, nello stesso istante in cui rivolgeva una smorfia divertita
alla
nipotina, che rispose con un sorriso e un agitato ondeggiare di braccia.
« C’è qualcosa in
particolare che non la
convince, Momomiya-san? » propose Shirogane, cercando di mostrarsi come
sempre
disponibile, « Possiamo farla cambiare, sostituire con qualcosa più
nelle sue
corde. »
Il futuro suocero,
però, si limitò a
scuotere la testa con supponenza: « No, me lo farò andare bene, non
credo una
sostituzione valga la pena. »
Perché
volevi solo rompere le scatole, pensò l’americano, ma sorrise
di nuovo con cordialità e si scambiò
un’altra occhiata d’intesa con Ichigo.
« Ovviamente per il
dolce ci penserà
Akasaka-san, » esclamò la rossa, un enorme sorrisone agitato in volto,
« Ci abbiamo
lavorato insieme non so per quanto, avremo sia una torta che un tavolo
con vari
assaggi di pasticcini e dolcetti perché non sapevo proprio cosa
scegliere, sono
tutti fantastici! »
« Ha già avvertito che
dovrà chiudere il
locale almeno due giorni prima, » aggiunse ironico Ryou verso Sakura
che rideva
sotto i baffi, sistemandosi Kimberly sulle ginocchia, e Ichigo gli
rivolse una
linguaccia:
« Tutta pubblicità
sai, riceverai i tuoi
dividendi. »
« Piuttosto, vi siete
assicurati di avere
ottenuto e consegnato in maniera esatta tutta la documentazione
necessaria? »
Ichigo bevve un sorso
dal suo bicchiere e
annuì vigorosamente alla domanda del padre: « Ci ha pensato Ryou, è
molto più
bravo di me per le cose burocratiche, ma è tutto a posto, è tutto stato
approvato.
»
« Non vorrei fare
tutte queste fanfare per
arrivare lì e non poter celebrare un bel niente. »
Shirogane si sforzò in
una maniera
incredibile per non alzare gli occhi al cielo e ringraziò di non essere
scaramantico, vista la plateale gufata, e fu Sakura a intervenire per
l’ennesima volta.
« Su, caro, non essere
pessimista, in
confronto il nostro matrimonio è stato molto più complicato e numeroso
del
loro. »
« Ah, una vera
cerimonia shintoista! »
esclamò il marito, battendo piano il palmo sul tavolo, « Seguita da una
magnifica festa con tutti i nostri amici e parenti, tua madre ha avuto
ben due
cambi d’abito! »
« Lo so, papà, ho
visto le foto un sacco di
volte, » commentò divertita Ichigo, poggiando la guancia contro al
pugno, «
Anche noi avremo i nostri amici più cari, e non volevo una cosa
pomposa. Ci
basta che sia una serata divertente per tutti. »
« Voi giovani e il
vostro abbandonare le
tradizioni, » insistette l’uomo con tono sconsolato, pur occhieggiando
con
interesse il sorbetto al mango che portarono per concludere il pasto, «
Un
giorno capirete cos’avete fatto passare ai vostri poveri genitori. »
« Oh, Shintaro, sei un
lamento continuo,
mangia e sta’ zitto. »
Shirogane dovette
letteralmente mordersi le
labbra per non scoppiare a ridere all’espressione che gli vide fare al
commento
della moglie, cui rispose solo con una specie di grugnito indefinito,
consolandosi nell’ultima portata.
Con un sospiro finale,
Ichigo si rilassò
sulla sedia e prese in braccio Kimberly, che stava iniziando a cedere
al sonno:
« Io devo raggiungere le altre tra poco abbiamo promesso a Purin un
pomeriggio in
piscina per il suo compleanno – ricordati di farle gli auguri
direttamente – e sta
brontolando qualcosa riguardo Taruto che è un cretino. Direi che
confermiamo
tutto, non credi? »
Ryou annuì e soppresse
un sorrisetto: «
Penso io a comunicare con l’hotel, così possiamo andare. Vedo che hai
impegni
pressanti. »
La rossa gli rivolse
una smorfia contenta,
e tra un’ultima chiacchiera e l’altra – o meglio, tra un brontolio di
Shintaro
e l’altro – la famigliola allargata si congedò dall’hotel, dirigendosi
alla
fermata del treno più vicina. Senza farsi notare, Sakura rimase un po’
indietro
con Ryou, al cui braccio si appese con nonchalance.
« Lo fa apposta, sai,
» gli confidò con una
punta di divertimento e tenerezza, fissando la schiena del marito
avanti a sé
che sembrava quasi scortare Ichigo e il passeggino, « È molto contento
che vi
sposiate, davvero. Ma credo che assillarti anche ora sia una maniera un
po’
stramba per assicurarsi che tu possa resistere e che non scapperai
all’ultimo
momento. »
L’americano non riuscì
a non sbuffare: «
Non sono il tipo che scappa. »
« Oh, lo so bene,
caro, » la futura suocera
gli strinse
affettuosamente il braccio,
« Però Ichigo è la nostra unica figlia, e Shintaro è sempre stato
protettivo.
Non dico che gli do ragione, ma cerco di spiegarti il motivo della sua…
acidità. Anche se rispetto all’ultima volta ha imparato la lezione. »
Ryou non rispose,
pensando tra sé e sé che
non gli sembrava fosse cambiato poi molto dall’ultima discussione
avvenuta tra
lui e il capofamiglia Momomiya(*), ma non
avrebbe avuto molto senso
sottolinearlo.
« Basta che sia
convinto quanto lei dei
miei sentimenti per Ichigo, » aggiunse solamente, dopo un po’.
« Lo è, » Sakura gli
rivolse un sorriso
affezionato, e per un istante gli sembrò che gettasse un’occhiata fin
troppo
divertita a lui e alla rossa, « Lo siamo. Assolutamente. »
§§§
Il rumore dei sospiri
riempiva la camera da
letto, illuminata appena dallo spiraglio di finestra lasciata aperta
perché
entrasse un po’ di brezza in quella calda mattina d’estate.
Il corpo di Kisshu era
sudato, ma Minto lo
strinse di più a sé, cercando di convincerlo ad affondare più deciso
dentro di
lei; lui invece, ancora intontito dal sonno e dai sospiri che gli
arrivavano
all’orecchio, continuò a prenderla con lentezza, tentando di
raggiungerla
sempre più in fondo mentre le torturava deliziosamente il collo, le
clavicole,
il petto.
Lei spinse il bacino
in alto per
accoglierlo, le mani che gli percorsero tutta la schiena senza
vergogna,
sfiorandolo piano con le unghie e ancora spingendolo, gemendo sottovoce
quando
le strinse un seno prima di afferrarle la coscia per portargliela
contro al
petto.
Minto chiuse gli
occhi, la deliziosa sensazione
di completezza che cominciava a crescerle nel ventre, abbandonandosi
completamente a quei momenti in cui c’erano solo loro due e i loro
corpi,
all’unisono, in sintonia perfetta. Gemette piano il suo nome quando lo
avvertì
colpire ripetutamente un punto delizioso, ma non accennando ad
aumentare il
ritmo, e gli artigliò piano la mano.
« Minto, » il sospiro
rauco all’orecchio le
riscaldò la pancia, « Mi sono innamorato di te. »
Lei sentì il cuore
prendere a martellarle
impazzito contro il petto, le sfuggì un mugolio di sorpresa mista al
piacere di
avvertirlo conquistare anche gli ultimi millimetri di lei, sfilarsi e
poi
prenderla ancora con decisione. Non le lasciò il tempo di rispondere;
la baciò
feroce, le dita che quasi si fusero con i suoi fianchi, intanto che
intensificò
le sue spinte, catturandole ogni singhiozzo tra le labbra.
Minto perse le dita
tra i suoi capelli, la
mano libera che si aggrappò alla sua schiena con quanta forza avesse, e
si
ritrovò all’improvviso sull’orlo del piacere, a cui si abbandonò
completamente:
gettò la testa all’indietro, probabilmente gli ferì la cute con le
unghie, e
lasciò che i singulti le uscissero liberi dalla gola, senza pensare se
qualcuno
potesse sentirla o meno. Kisshu la strinse più forte, smorzando i
sobbalzi
contro al suo corpo e al tempo stesso prodigandosi a farle continuare
il
piacere, a mischiarlo con il suo fino a crollare con un gemito,
poggiando la
fronte sulle sue clavicole.
Il suo orecchio fine
percepì il battito
galoppante del suo cuore, la risata sussurrata che aveva imparato a
riconoscere, il sospiro liberatorio mentre si rilassava sotto di lui,
non
accennando a volerlo scostare. Lui rimase immobile, gli occhi chiusi,
come se
fossero sospesi in quel momento, il sole che piano piano invadeva la
stanza.
« Non ti
riaddormentare, » gli sussurrò
divertita lei dopo un po’, scostandogli i capelli sudati dalla fronte.
Kisshu sbuffò e girò
la testa così da
poggiare il mento su di lei e poterla guardare: « Fai finta di non
avermi
sentito? »
La vide arrossire e
adottare quel cipiglio
un po’ agitato di quando doveva ammettere le cose: « Ti ho sentito. »
« Mmmh, » lui sorrise
sornione, mettendosi
a gattoni sopra di lei, « E? »
Minto ne approfittò
per sgusciare di lato,
agguantando la sottile camicia da notte: « …E credo che ci serva una
doccia. »
Kisshu chiuse un
secondo gli occhi,
sbuffando tra il divertito e l’irritato, poi scosse la testa: « A volte
sei
incredibile. »
Lei lo guardò dal
riflesso dello specchio,
dove stava controllando di non avere segni troppo visibili e tentava di
ridarsi
un tono ai capelli: « Solo a volte? » lo prese in giro, con una punta
di
malizia che non sapeva come le venisse così naturale, ormai.
Lui si lasciò cadere
di nuovo su un fianco,
poggiando la testa alla mano: « Sempre incredibilmente sexy e
bellissima. Ma
potresti darmi un po’ più di attenzione. »
« Mi sembra di averti
dato molta attenzione
in questo momento. »
« Minto. »
Il tono in cui disse
il suo nome la
convinse a riavvicinarsi al letto e piegarsi su di lui: « Vieni di là
con me? »
« Guarda che non
funziona questa cosa. »
Lei ridacchiò del modo
in cui gli occhi
dorati avevano già cambiato espressione, e avvicinò ancora di più le
labbra
alle sue: « Sicuro sicuro? »
Kisshu rise
sarcastico, poi con uno scatto
felino gettò le gambe giù dal letto, l’agguantò per la vita e se la
caricò in
spalla, strappandole un urletto: « D’accordo, se la madamigella vuole
la
doccia, sarà accontentata. »
« Kisshu… ! Sei completamente
nudo…!
»
« Mi sembra la base di
una doccia anche qui
sulla Terra, no? »
Lei gemette disperata
e si coprì il volto
con le mani, pregando qualsiasi forma di vita superiore che non
incontrassero
nemmeno un domestico in quelle condizioni e protestando a bassa voce
quando la
mano libera le si piazzò tranquilla sul sedere.
« Sei un animale, »
rimbrottò non appena la
rimise coi piedi a terra.
Kisshu le fece il
verso, mentre già si
infilava in doccia e apriva l’acqua tranquillo: « Ho obbedito ai suoi
ordini,
madamigella. »
« La vuoi piantare? »
Fece finta di non
sentirla, e lei sbuffando
si arrese; piegò accurata la camicia da notte – già irrimediabilmente
sgualcita
– e lo raggiunse nella doccia, sospirando quando l’acqua tiepida le
diede
sollievo alla pelle.
« Guarda che non tutti
abbiamo una
temperatura corporea più alta del normale, » lo sbeffeggiò,
allungandosi verso
la manopola per renderla un po’ più di suo gradimento.
« Quante storie, »
Kisshu rise e
l’abbracciò all’istante, coprendole la bocca con la sua, « Ci penso io
a
scaldarti. »
« Abbiamo appena
finito, » rise,
comunque circondandogli il petto con le braccia.
« Non basti mai,
tortorella, » sussurrò
lui, spingendola appena all’indietro così che la schiena poggiasse
contro la parete
della doccia.
Continuò a baciarla
languido, la doccia
tiepida che smorzava appena il calore del suo corpo, poi le prese
deciso i
polsi per portarglieli sopra la testa, bloccandola delicato per fissare
gli
occhioni scuri: « Dicevo sul serio. »
Minto sentì il cuore e
il ventre ruggire
convinti, le guance arroventarsi di nuovo: « Lo so. »
Lui sorrise convinto,
ciuffi scuri che gli
si appiccicarono alle tempie aumentando il contrasto con l’oro dei suoi
occhi:
« In caso avessi dei dubbi. »
Lei scosse la testa,
prendendo tempo per
combattere l’improvvisa secchezza delle labbra: « Non… non li ho. »
« Okay, » Kisshu le si
fece più vicino,
lasciandole i polsi per prenderle il viso tra le mani, « Per
ora può
bastare. »
Lei arricciò il naso
piccata alla sua ironia,
tirandosi in punta di piedi per stringergli le braccia al collo: «
Idiota. »
« E con questo, ho
finito anche la
disposizione dei tavoli, » con molta soddisfazione, Ichigo chiuse il
fascicolo
che teneva davanti a sé e ci batté le mani sopra come una brava
scolaretta, «
Ma mi stai ascoltando? »
Minto alzò lo sguardo
su di lei con lentezza:
« Certo che ti ascolto, » commentò con una punta di acidità, « So fare
due cose
in una volta, io. »
« Sembri in un altro
mondo, » si lamentò
invece la rossa, « È tutta mattina che praticamente non parli e non mi
tratti
male, mi devo preoccupare? »
« Quando mai ti
tratterei male! Casomai ti
tengo in riga, che è diverso. »
« Se lo dici tu… »
Ichigo si girò a
controllare un attimo
Kimberly, tranquilla nel suo passeggino, poi la guardò di nuovo di
sottecchi: «
Non sei fiera di me che ho già finito tutte queste cose e manca ancora
un mese?
»
« Con tutto il
supporto che ti sto dando
non potrebbe essere altrimenti. E poi manca solo un
mese, stiamo facendo
tutto di fretta perché all’improvviso vi è venuta voglia di recuperare
il tempo
perduto. »
La rossa strinse gli
occhi e avvicinò la
sedia a quella dell’amica così quasi da sfiorarle il naso col proprio:
« Mi
dici cos’hai? »
« Non ho niente! »
« Bugiarda, sei
strana. Hai litigato con
Kisshu? »
« No, e anche se fosse
non sarebbero affari
tuoi. »
« Non mi dai mai
soddisfazione! » Ichigo
sbuffò, mise il broncio e si lasciò cadere a braccia incrociate contro
lo
schienale della sedia, « Non mi racconti più neanche niente di voi due.
»
« Ripeto, Momomiya, io
sono una persona
discreta e riservata. »
« Quando si tratta di
te, i fatti miei te
li sei sempre fatta volentieri, » si mordicchiò il labbro un paio di
volte e la
guardò da sotto la frangetta, « Aoyama-kun ha detto che mi farà sapere.
»
Minto rimase con la
penna sospesa sopra la
pagina dell’agenda: « Avevi detto che non sapevi se l’avresti invitato.
»
« Come facevo a non
invitarlo! » gemette la
rossa, agitando le mani, « Lo sai che abbiamo continuato sempre a
sentirci,
certo, sporadicamente, però… e già mi sono sentita assolutamente in
colpa a non
avergli detto niente di Kimberly, o di Ryou se è per questo, figurati
non
invitarlo al mio matrimonio! Il gesto almeno lo dovevo fare! »
La mora la osservò per
qualche istante, poi
sembrò incupirsi: « Lui… sa della situazione attuale? »
« Uh? Che vuoi dire? I
ragazzi e il Caffè?
» Ichigo apparve stupita e scosse la testa, « No, te l’ho detto, da
quando è… è
successo tutto non l’ho più aggiornato, non ci siamo tanto parlati. »
Minto annuì e rimase
in silenzio per
qualche istante, prima di stringersi nelle spalle: « Mettiti nei suoi
panni,
Ichigo, per quanto bene ti possa volere magari non sarà molto contento
di
vederti sposare Shirogane. Tra tutti, poi. »
« Guarda che
Masaya-kun non ha questa
malizia, » lo difese prontamente la rossa, « È più adulto di Ryou, in
questo. »
« Certo, » sbottò
l’altra con sarcasmo
malcelato, « A proposito, che ha detto lo sposino dell’invito? »
Ichigo chiuse la bocca
come un pesce,
giocherellando con una cuticola sul pollice, e Minto la guardò
spazientita.
« Gliel’hai detto, sì?
»
« Gli ho dato la
lista, sia la prima che
quella finale, » borbottò lei come se fosse la cosa più naturale del
mondo, «
L’ha letta e ha anche aggiunto delle persone, ma non ha detto nulla,
quindi… »
« Ichigo! »
« Dovevo forse
evidenziarlo in giallo!? Lo
sai come è fatto, ha questo tarlo con Masaya… ! »
Minto sbuffò
sonoramente e sventolò una
mano per farla smettere: « Non voglio saperne nulla. Anche se non mi
sembra la
maniera migliore per iniziare il resto della vostra vita insieme. »
Ichigo gonfiò le
guance e la guardò stortissimo:
« Da quando sei un’esperta di relazioni, tu? »
« Io non sto per
sposarmi. »
« No, tu non riesci
nemmeno ad ammettere di
essere cotta a puntino su una nuvoletta rosa. »
La mora alzò un
sopracciglio, scettica,
avvertendo una punta di fastidio allo stomaco: « Non cambiare discorso,
non
stiamo parlando di me, ma di te e dei tuoi ex. »
« Un ex,
grazie. E poi non è nemmeno
confermato che verrà, quindi non capisco tutta questa agitazione. »
L’amica sospirò
sottile, pensando che forse
a volte Ichigo dimenticava qualche particolare di tutta quella storia,
ma
decise che non aveva molto senso in quel momento sprecare fiato a
riguardo.
« Piuttosto, non mi
hai ancora detto com’è
andata a finire con il menù. »
Gli occhi della rossa
si accesero di
golosità: « Ah, bellissimo! A parte la sala fantastica, ci hanno fatto
entrare
anche se la stavano allestendo per un altro matrimonio – avresti odiato
i
fiori! – e poi ci hanno fatto provare tutto, anche il vino, e… »
§§§
A ripensarci, le
sembrava davvero
incredibile di essere riuscita ad organizzare tutto in soli tre mesi, e
sapeva
davvero di avere un debito di riconoscenza enorme nei confronti delle
sue
amiche, soprattutto di Minto. Certo, c'erano stati momenti in cui
avrebbe
voluto torcere il collo alla sua cara amica dai capelli corvini, che
aveva preso
fin troppo alla lettera il suo ruolo di damigella d’onore e capo
pianificazione, stressandola più che mai da quando si conoscevano, ma
era stato
tutto per il suo bene e la sua felicità, questo Ichigo lo sapeva. Non
importava
la dieta ferrea e salutare per una silhouette perfetta ed una pelle
splendente
sotto il cui regime era stata posta, che le aveva reso ogni visita al
Caffè una
specie di doloroso inferno; non importavano le ore spese chiuse in
salotto a
coordinare colori delle tovaglie, dei servizi di piatti, dei fiori,
degli
inviti; non importava nemmeno il fatto che si fosse presentata a casa
loro a
orari impossibili, portando sottobraccio faldoni per ogni step della
cerimonia:
l’unica cosa che contava era l'impeccabilità di ogni dettaglio, ed il
secondo
nome di Minto Aizawa era proprio perfezione.
Al tempo stesso,
Ichigo non poteva negare
di essersi divertita come una matta: i pomeriggi passati a navigare
tutti i
fiorai di Tokyo alla ricerca del bouquet perfetto, gli assaggi di
dozzine di
proposte di torte da parte di Keiichiro (i suoi unici sgarri, e forse
ne aveva
provate fin troppe apposta), e soprattutto, le ore spese tra fruscianti
ed
eleganti tessuti preziosi dei vestiti da sposa. Ricordava in tutti i
dettagli
più chiari la felicità di trovare finalmente l’abito adatto, dopo aver
riso
fino alle lacrime con Retasu e Purin chiuse in camerino con lei, e
Minto che
negoziava con i proprietari per assicurarsi che venisse confezionato ed
aggiustato a tempo di record in cambio di un po’ di pubblicità in più.
E poi
l’allestimento della sala del ricevimento, la scrittura delle proprie
promesse
(si emozionava a pensare cosa avrebbe mai potuto scrivere Shirogane),
il
weekend alla SPA con le ragazze come addio al celibato, il completino
abbinato
per Kimberly che avrebbe servito da damigella onoraria, “portando” le
fedi… era
tutto completamente diverso da come se l’era immaginato da bambina, e
al tempo
stesso era esattamente perfetto.
Il giorno fatidico si era avvicinato davvero
più velocemente di
quanto si fosse aspettata, era a pochissime ore di distanza, e quando
ripensava
a tutto ciò e a tutto quello che doveva ancora venire, le girava la
testa alla
follia e il cuore le batteva a mille; un po’ come in quel momento,
mentre
vagava per la stanza raccogliendo tutte le cose che le sarebbero
servite per la
notte, che avrebbe passato a casa di Minto con le altre, e fissava Ryou
quasi
di soppiatto giocare con Kimberly nel centro del letto, l’ultima volta
che
l’avrebbe visto in qualità di fidanzato.
« A che ora hai detto
che viene tua mamma a
prenderla? »
« Per le sei, »
rispose lei, scrutando il
suo portagioie, « E Akasaka-san ha detto che ti raggiunge verso le
sette, hai
tempo di rilassarti anche tu. »
Ryou la guardò
divertito: « Tu hai
intenzione di fare pazzie, stasera? »
« No, » Ichigo storse
il naso in una
smorfia, poi sospirò, « Ho implorato le altre che fosse qualcosa di
tranquillo,
dopo la maratona cui mi ha costretto Minto questa settimana per finire
tutto
vorrei solo dormire per giorni. »
Il biondo girò la
bimba sulla pancia e,
assicuratosi non potesse rotolare da nessuna parte, si allungò per
afferrare la
ragazza per un braccio e tirarla a sé: « Ti avevo detto di rimanere a
dormire
qui. »
La rossa gemette
sconsolata,
inginocchiandosi accanto a lui: « Così poi portava sfortuna! »
« Disse la gattina
nera. »
Lei sbuffò alla
battuta, non molto
convinta, e si lasciò baciare piano, rilassandosi nel suo abbraccio,
poi esalò
lentamente quando il cellulare appoggiato dentro la borsa iniziò a
squillare
minaccioso: « Devo andare. Ci vediamo domani. Potrei essere un po’ in
ritardo.
»
Ryou rise ancora e le
schioccò un bacio sul
naso: « See you tomorrow, ginger. »
La camera della povera
Minto era stata
messa alla prova più che mai, con sia la chaise longue che la poltrona
che lo
sgabello della sua toeletta portati in centro, attorno al tappeto
ricoperto di
cuscini e dai resti della loro “serata di bellezza”. Solo Mickey
sembrava
estasiato da quel disastro, e continuava a fare avanti e indietro tra
il
carrello portavivande, tentando di arraffare qualche rimasuglio e
venendo
prontamente sgridato dalla sua padrona, e il gruppo di ragazze che
dispensava
decisamente più coccole del solito.
« Dopotutto l’avevamo
sempre saputo come
sarebbe andata a finire, » trillò supponente Minto, ridacchiando, «
Shirogane è
stato troppo persistente. »
Ichigo alzò gli occhi
al cielo: « Se dici
così sembra che mi abbia preso per sfinimento. »
« Ha giocato
d’astuzia, » canticchiò invece
Purin, girandosi a testa in giù dalla poltrona, « Sin da quando gli hai
fatto
l’agguato in camera dopo la doccia, taaaanti, tanti
anni fa. Ha messo la
merce in mostra e… »
« Purin! »
Le altre ragazze
scoppiarono a ridere
mentre la festeggiata diventava della stessa sfumatura della propria
chioma e
scuoteva la testa affranta.
« Dai, lo sappiamo che
l’avevi adocchiato,
non c’è niente di male ad ammetterlo, il nii-san è oggettivamente un
gran figo.
»
« Se ti sentisse
Taruto… »
« Be’, che mi senta, »
replicò la biondina,
studiandosi le punte dei piedi che facevano il tiptap nell’aria, «
Magari si
darebbe una mossa. »
« Uuuh, sento aria di
pettegolezzo. »
« Qualcosa non va,
Purin-chan? »
Lei scrollò le spalle
alla domanda di
Retasu: « Lui mi piace, e tanto, e ne sono consapevole, però… non
riesco a
capire lui. Cosa pensi, cosa voglia, a volte mi sembra che… però poi
non fa
niente, non dice niente, anzi! E mi fa arrabbiare, ogni tanto, questa
cosa.
Preferirei che fosse chiaro. »
« Non deve per forza
essere il ragazzo a
fare la prima mossa. Potresti iniziare il discorso tu, e chiarire un
po’ la
situazione, anche per non rischiare la vostra amicizia. »
« La fai facile,
nee-san, » commentò lei al
suggerimento di Zakuro, « Tu lo sai fare, io non so nemmeno da che
parte
prenderlo. Non mi è mai piaciuto nessuno quanto Taru-Taru… e quindi la
maniera
in cui mi fa saltare i nervi è direttamente proporzionale! »
« Oh, Purin-chan, »
Ichigo si sporse verso
di lei e le abbracciò goffamente le spalle, visto che la biondina era
ancora a
testa in giù, « I maschi sono testardi, lo sai, e dopotutto Taruto è
tornato da
quanto, tre mesi? dopo anni che non vi vedevate! Magari deve solo…
abituarsi
alla situazione. »
« Tu dopo cinque mesi
dall’aver rincontrato
Ryou nii-san eri incinta. »
« Che c’entra! Perché
parlate sempre di
questo! »
« Ecco, prendiamolo
come esempio da non seguire.
Con tutto l’affetto nei tuoi confronti, Ichigo-chan. »
Lei mugugnò verso
Zakuro mentre le amiche
ridacchiavano una seconda volta.
« Però potrebbe essere
vero, nee-chan, »
insistette Retasu, tentando di consolarla, « Non… non è successo mica
niente
subito tra, uhm… Pai e me. C’è voluto del tempo, parecchio anche. »
« Ma è Pai, »
rispose la più
giovane, esagerando un po’ il nome dell’alieno, « Sono fratelli ma non
si
assomigliano molto, ci sta che ci abbia messo più tempo. Invece… »
Quattro paia di occhi
si spostarono su
Minto, che persisteva a limarsi le unghie.
« Be’? Perché mi
guardate? » sberciò, quasi
senza alzare lo sguardo, « Fatevi gli affaracci vostri. »
« Dice tanto di me, ma
non è che abbia
resistito così tanto ai piacer - »
« Se vuoi arrivare
viva al tuo matrimonio
domani, meglio che chiudi quella boccaccia. »
Ichigo si abbracciò lo
stomaco tanto rideva
della faccia dell’amica, sostenuta dalle altre, mentre Zakuro si limitò
a un
sorriso gioviale.
« Direi che è ora di
aprire i regali, non
trovate? »
« Regali?? » la
festeggiata si asciugò una
lacrima e si illuminò, seguendo con lo sguardo la modella che andava a
recuperare un sacchetto ripieno di carta velina dalla cabina armadio, «
Ragazze, ma non dovevate! »
« Come no! » Retasu si
allungò verso di lei
e la strinse in un abbraccio, « Sei la prima di noi che si sposa, è il
minimo! E
poi bisogna celebrare le belle occasioni, soprattutto quando siamo
tutti
insieme. »
Ichigo afferrò il
pacchetto dalle mani di
Zakuro e ci sbirciò dentro, curiosa come un gattino; per prima, ne
estrasse una
scatola color crema avvolta da un fiocco blu, che occhieggiò curiosa: «
È quello
che penso? »
« Non lo sooo,
aprilooo, » cantilenò
contenta Purin.
Scartatolo, Ichigo
rivelò un completo
intimo elegante e decisamente sensuale, con
corpetto a balconcino e un
reggicalze in pendant, tutto in pizzo color avorio adornato da un
fiocchetto
che fungeva da chiusura sul retro.
« Voi siete pazze! »
rise, arrossendo
platealmente.
« È per la prima notte
di nozze! »
« Non che vi servano
suggerimenti, in
effetti. »
«
Minto!
»
« Perché Kimberly è
nata per spontanea
scissione cellulare. »
Ichigo le lanciò
un’occhiataccia,
mordendosi la lingua per risparmiare una battutina, e pescò un altro
pacchetto
dalla carta.
Il secondo regalo si
rivelò essere una
bella cornice d’argento con dentro una foto di tutti loro, scattata ad
una
delle loro tante cene estive nel giardino di villa Aizawa.
« Ah, ragazze! Questa
la voglio mettere sulla
cassettiera in camera da letto. »
« No, per favore,
nee-chan, che poi ci
tocca guardare. »
« Purin! Ma
la volete smettere!? »
Mentre le altre
scoppiavano nuovamente a
ridere, divertite dalle sue espressioni sconvolte, Ichigo accarezzò il
vetro
con un sorriso leggero, poi la ripose con cura nella sua scatola e
prese
l’ultimo pacchettino rimasto sul fondo del sacchetto.
Non notò l’occhiata
complice che si
scambiarono le altre ragazze, felici, perché rimase troppo incantata
dal
luccichio del fermaglio per capelli fatto di tanti fiorellini blu e
dall’aspetto
davvero costoso.
« Ripeto, voi siete
pazze. »
Retasu fece spallucce:
« Ti serviva qualcosa
per tenere fermo il velo. »
« E ti serve qualcosa
di blu, » aggiunse
sorridendo Zakuro.
« È bellissimo,
» Ichigo passò le
dita
sulle piccolissime pietre brillanti che lo decoravano, « Non dovevate,
davvero.
»
« Cosa vuoi che sia,
sarà invisibile
rispetto a quel lingotto che hai al dito, » la prese in giro Minto.
Ichigo ghignò felice,
agitandole le dita
della mano sinistra davanti: « Gelooooosa? »
La mora storse il
naso: « Assolutamente no,
io preferirei qualcosa di molto più semplice e raffinato. »
« E di circa tre chili
di peso. »
Stavolta fu lei a non
ridere della battuta
di Purin, facendo una smorfia poco divertita nella sua direzione e poi
alzando
gli occhi al cielo in maniera teatrale.
« Non fai ridere. »
« Dovrò pensare a
consolare il povero
Kisshu nii-san, se mai gli venisse in mente, vista la spesa. »
« Purin! »
Ichigo continuò a
ridere insieme alle altre
mentre Minto afferrava un cuscino e lo lanciava contro la biondina, che
atterrò
malamente di schiena sul pavimento continuando a sghignazzare sguaiata;
nella
confusione generale, poi, la rossa fece un gran respiro profondo e si
alzò,
afferrando la caraffa per l’acqua ormai vuota e avviandosi piano verso
il
corridoio.
Era ormai passata da
un pezzo l’ora di cena,
e quando mise la testa fuori si accorse che la maggior parte delle luci
di casa
erano spente e non c’era, all’orizzonte, nessun membro del personale di
servizio. Un po’ titubante, decise che l’opzione più semplice era
utilizzare il
rubinetto del bagno per riempire la brocca, così vi si diresse a passi
lenti, grata
della relativa quiete.
Aveva appena iniziato
a far scorrere
l’acqua quando sentì il bussare leggero di due nocche contro la porta,
e si
voltò per trovare Zakuro sulla soglia che la guardava con un sorriso
comprensivo.
« Tutto bene? »
Ichigo annuì e
sospirò, come se avesse
trattenuto il fiato fino a quel momento, e stese un sorriso un po’
tremolante:
« Sì, credo di sì. »
La modella accennò ad
annuire, scrutandola
con gli occhi indaco: « Un po’ di ansia è normale, direi. »
La rossa lanciò
un’occhiata all’anello
sulla sua mano, poggiando con estrema cura la caraffa sul lavandino.
« È che… è arrivato
più in fretta di quanto
pensassi e adesso è… strano. Non che non voglia farlo, è ovvio! » si
lasciò scappare
un risolino innervosito, « Ma… forse è il pensiero di tutta la festa,
tutta la
gente. Forse saremmo solo dovuti scappare. »
Zakuro si scambiò con
lei la risata e poi
accennò alle sue spalle: « Avreste dovuto scontarla troppo, non sarebbe
stato
saggio. »
« Ryou si sarebbe
lamentato meno del costo,
» Ichigo sbuffò ironica e si sedette sul bordo della vasca da bagno.
« Lo fa solo per
principio, » cercò di
consolarla l’altra, « Lo sai che non ci crede davvero, e che la cosa
importante
è che tu sia contenta. »
La rossa ridacchiò
divertita: « Mi sa che
mi tocca imparare per bene l’inglese, eh? »
Zakuro rispose con
altrettanta allegria,
arruffandole la frangetta in una maniera che le ricordò molto quella di
Ryou: «
Forse solo un po’. Per farlo brontolare meno. »
« O per non essere
tagliata fuori dalle
conversazioni con Kimberly, » aggiunse lei con ironia, « Dovresti
vederli anche
adesso, se non la fa addormentare lui, lei si lamenta. »
La modella le si
sedette accanto,
fissandola con rara ed estrema tenerezza senza dire nulla, ben sapendo
che
Ichigo preferiva parlare piuttosto che ascoltare.
« Minto mi prende
sempre in giro perché
dice che Ryou ha un debole per me da quando ci siamo conosciuti, »
mormorò con
un sorriso dolce in viso, « E lui me l’ha detto quando ha… quando mi ha
chiesto. »
Zakuro attese ancora,
soffocando un
sorrisetto nel vederla arrossire, e lei esalò lentamente, piegando
appena la
testa:
« Spero solo di…
essere abbastanza, ecco. »
L’amica le strinse
premurosamente la mano,
cercando di incrociare il suo sguardo: « Credo nessuno lo metta in
dubbio,
Ichigo-chan. »
La rossa le sorrise
grata, e rimase in
silenzio qualche altro secondo prima di espirare forte: « Nee-san? »
« Mmm? »
« … come si fa a
camminare davanti a tutte
quelle persone? »
Zakuro rise leggera: «
Si guarda dritto
davanti a sé. »
« D’accordo, » Ichigo
annuì, si alzò e si
stiracchiò come un gatto, prima di riprendere in mano la caraffa, «
Dai,
torniamo di là prima che Minto si metta a strillare. »
« Meglio che andiamo a
dormire, non sarebbe
certo il caso di svegliarsi con le borse sotto gli occhi. »
Trattenne un risolino
nel vedere la smorfia
scioccata della protagonista della serata, che non aggiunse altro fino
al
rientro in camera.
« Ah, finalmente! Mi
stavo preoccupando che
avessi deciso di fuggire per angoscia dell’ultimo minuto. »
« Per chi mi hai
preso? Avevo sete, non sei
tu quella che predica sulle potenzialità dell’idratazione? »
« Ichigo, ma hai
riempito la brocca in
bagno!? »
« Senti non è colpa
mia se vivi in hotel e
devo citofonare alla cucina per bere! »
« Sarai proprio
un’arricchita inelegante – ahia!
Io adesso ti - »
«
Sììììììììì lotta coi cuscini! »
§§§
Che lui avesse dei
problemi con il sonno era
risaputo, ma doveva ammettere che quella notte si sarebbe decisamente
classificata tra le meno dormite della storia. E sapeva che avrebbe
fatto
fatica a convincere sé stesso e gli altri che fosse stato solo a causa
di letto
e casa vuota dopo molto tempo, invece che di un sottile nervosismo che
non
accennava a lasciarlo stare neanche in quel momento.
In una camera
dell’hotel dove si sarebbe
tenuta la loro cerimonia – nemmeno lui sapeva dove si sarebbe preparata
Ichigo,
tanto era la segretezza per la sorpresa – Ryou si aggiustò il
farfallino e si
schiarì nervosamente la gola.
Gli pareva leggermente
folle avere ansia
proprio in quel momento, visto che ormai erano lì,
ma era anche certo
che il suo senso di disagio non sarebbe davvero scomparso finché non
avesse
visto una certa rossa camminare verso di lui al braccio del padre,
pronunciare
la parolina magica, e firmare a penna il registro che avrebbe sancito
realmente
l’unione. Forse perché gli sembrava così assurdo, in quell’istante,
esserci
arrivato davvero, esserci riuscito, da temere di vederselo scomparire
da sotto
i baffi in un ultimo beffardo scherzo del destino.
Si costrinse
nuovamente a respirare e si
sistemò sovrappensiero i capelli, raddrizzando la schiena quando
qualcuno bussò
alla porta; fu solo un avviso, perché Keiichiro entrò prima di sentirlo
dare il
permesso.
« Come andiamo? » gli
domandò raggiante.
Ryou annuì e gli
scoccò un’occhiata
divertita: « Siamo molto in tiro, vedo. »
Il moro si stirò le
pieghe invisibili della
giacca, gonfiando il petto: « Non capita tutti i giorni di sposare il
proprio
migliore amico. »
« Già… » il biondo
esalò e tornò a
controllarsi il completo scuro, « È arrivata? »
« Ho visto Retasu-san
e Zakuro-san, quindi
direi di sì. Ma non sono andato a sbirciare. »
«
Alright. »
« Non dirmi che sei
agitato e hai paura che
non si presenti. »
Ryou lo guardò più
storto del solito: « Il
sarcasmo non aiuta, e lo dico io. »
Keiichiro rise e gli
batté una mano sulla
spalla: « Respira. Andrà tutto bene. »
« Con i geni
riattivati può scappare molto
in fretta. »
La risata genuinamente
divertita del moro
rimbombò nella stanza, causando l’ennesima smorfia irritata dello
sposo: « Non
andrà da nessuna parte, Ryou. Vivete insieme, avete una bambina
meravigliosa,
siete una famiglia, questo non è altro che una firma su un pezzo di
carta per
rendere sicuro qualcosa che è già concreto. »
« I know
that. »
« E lo sa anche lei.
Tieni, bevi questo. »
Il biondo guardò con
scetticismo il bicchiere
che gli porgeva: « Scusa? »
« Coraggio liquido. Un
rimedio della nonna,
se vuoi. »
« Passi troppo tempo
con Ikisatashi. »
Ryou scosse la testa e
sospirò, ma afferrò
comunque il bicchiere e lo bevve in un sorso solo.
Al piano inferiore,
Ichigo si controllò per
l’ennesima volta e soffiò piano tra i denti. Forse ora capiva perché in
tutti
quei film romantici che si intestardiva a voler guardare anche se
finiva sempre
a piangere inserivano sempre la scena della sposa davanti al grande
specchio a
tutta figura, persa nei suoi pensieri.
La verità era che non
li poteva fermare, e
non poteva fermare quella stretta allo stomaco che l'aveva presa non
appena era
rimasta sola nella sua stanza; ma la solitudine era ciò che davvero le
serviva
per prendere fiato.
La vecchia Ichigo,
timida, impacciata, e insicura,
fece prepotentemente capolino in lei: stava commettendo una
sciocchezza,
gettandosi a capofitto nell'ennesima avventura per cui sarebbe stata
impreparata?
Sorrise. L'unica cosa
di cui era certa era
che lei e Ryou davvero ne avevano passate tante insieme, ad un livello
quasi
ironico. Le sembrava che l'universo li avesse sempre messi alla prova
per
capire se fossero in grado di affrontare ogni gradino, ogni ostacolo.
Non
poteva certo negare che fino a quel punto se l'erano cavata abbastanza
bene,
anche se la sua vita non era andata come aveva sempre progettato, anche
se era
successo tutto così velocemente da farle girare la testa.
Ma forse aveva smesso
davvero di fare
progetti quando un certo biondino le aveva iniettato il DNA di un
animale in
via d’estinzione per combattere un nemico e salvare il mondo; e
qualsiasi cosa
avesse potuto dire sulla sua relazione con Ryou, le sarebbe parso tutto
estremamente riduttivo. Avevano fatto molte cose di fretta, su quello
non c'era
dubbio, ma fin da quando si erano conosciuti, tanti anni prima, c'era
sempre
stato qualcosa sotto. C'era sempre stato un loro,
forse non definito,
forse incompreso, ma presente.
E lei lo conosceva.
Sapeva che non poteva
iniziare la giornata senza almeno una tazza di caffè nero e che era
meglio non
parlargli troppo prima che l'avesse finita, mentre gli abbracci
silenziosi
erano perfetti; riconosceva la scintilla nei suoi occhi quando sentiva
ridere
Kimberly delle pernacchie sul pancino, e il sorriso che le faceva a
letto la
sera quando lei si infilava sotto il suo braccio come un gatto e si
addormentava all'istante, costringendolo a reggere il libro del momento
con una
mano sola; sapeva che detestava mostrarsi troppo affettuoso in
pubblico,
soprattutto a quelle eleganti feste delle aziende cui dovevano
partecipare, ma
non mancava mai di sussurrarle battutine all'orecchio che la facessero
ridere.
E lo amava. Di quello
era certa. Con tutta
sé stessa, con ogni parte di quel maledetto DNA.
E non c’era
cronologia, tradizione,
progetto che potesse competere con quello, e quella giornata sarebbe
davvero
diventato il coronamento del loro amore, sarebbe stato tutto
esattamente
perfetto, tutto diverso ma tutto loro.
O almeno così aveva
pensato prima di
vedersi allo specchio in preda all’ansia dell’ultimo minuto.
« Sembro… sembro un
elefante, » gemette
sconsolata non appena Purin ritornò in stanza, e si lisciò invisibili
pieghe
sullo stomaco, esattamente come Minto le aveva intimato di non fare per
evitare
di sporcare il tessuto prezioso, guardandosi allo specchio con aria
angosciata.
« Non dire
sciocchezze, nee-chan, » rise
l’altra, mettendosi accanto a lei per sistemarsi gli ultimi tocchi di
rossetto.
Ichigo nemmeno la
guardò, ma le afferrò il
polso di scatto e la tirò a sé: « Purin, mi fido solo di te, sembro
un’enorme
bomboniera?! »
La biondina sospirò e
le strinse entrambe
le mani con affetto: « Ichigo-chan, sei stupenda. Non so come farà Ryou
nii-san
a non metterti subito le mani addosso per cercare di togliertelo. »
« … non mi è utile
però così? »
« Vuoi un bicchierino
di qualcosa? »
« Non mi sembra il
caso, » Zakuro entrò
provvidenzialmente nella stanza, reggendo il velo sormontato dal
fermaglio blu
che le avevano regalato, « Piuttosto un po’ d’acqua, non trovi? »
« Ma l’acqua non
l’aiuta a calmare i nervi!
»
« Non credo però sia
saggio che Ichigo-chan
sia troppo rilassata, » rise Retasu, chiudendo la
fila.
La ragazza in
questione agitò le mani
davanti a sé e lanciò l’ennesimo sguardo al suo riflesso: « Basta, mi
state
confondendo, non so che devo fare. »
« Ora stai ferma, »
Zakuro l’ammonì con
voce dolce e la spostò un poco così che potesse sistemarle anche
l’ultimo
dettaglio, « Voglio essere sicura che non caschi. »
Ichigo prese un gran
respiro e fissò
l’amica con due occhi da cucciolo: « Nee-san, tu che te ne intendi,
sembro un
centrino? »
« Ma non ti fidavi
solo di me?! Per fortuna
che faccio da testimone al nii-san, mi sento tradita! »
Retasu sghignazzò al
commento
esageratamente tragico di Purin, che si aggiustò per bene il corpetto
del
vestito, ma Zakuro lanciò ad entrambe un’occhiata di avvertimento.
« Sei bellissima,
Ichigo, questo vestito è
perfetto. »
« Poi tanto è troppo
tardi per cambiare
idea. »
« Purin, ti prego! »
« Okay, è quasi ora, »
anche Minto ritornò
nella stanza, con in mano il bouquet della sposa e il proprio, « Tuo
papà è qui
fuori, chiede se siamo pronte. »
Zakuro finì di
acconciare il velo attorno
al viso di Ichigo e le fece un occhiolino affettuoso: « Allora io vado
di là da
Ryou e ti precediamo, d’accordo? »
Ichigo deglutì
rumorosamente e annuì con
molta poca convinzione: « Ricordami perché ho suggerito che mi
abbandonaste per
andare a stare dalla sua parte. »
« Perché altrimenti il
nii-san avrebbe
dovuto chiedere a Kisshu nii-san e Pai nii-san, e sappiamo tutti come
sarebbe
andata, » Purin rise sotto i baffi e sbirciò fuori dalla porta, « Campo
libero!
»
La modella si scambiò
un’altra occhiata
d’incoraggiamento con la sposa: « Ci vediamo tra poco. »
I cinque minuti
successivi la sposa li
visse come in una bolla in cui il rumore del battito del suo cuore
contro le
orecchie offuscava tutti gli altri suoni; rivolse un sorriso veloce a
Shintaro,
elegantissimo e apparentemente altrettanto nervoso appena fuori dalla
porta, e
poi quasi come un automa seguì Minto e Retasu lungo il corridoio,
dentro
l’ascensore, attraverso l’anticamera da cui avrebbe fatto la sua
comparsa.
« Sono molto in
ritardo? » borbottò poi
infine con un filo di voce.
L’amica dai capelli
verdi scosse la testa
con un sorriso rassicurante: « Solo quindici minuti, direi tempismo
perfetto.
Altrimenti Shirogane-san si preoccuperebbe. »
Riuscì a ridere un
poco della battuta, ma
fu poi distratta dalla musica e dal brusio che sentì provenire dalla
porta
chiusa davanti a sé.
Forse avrebbe davvero
dovuto accettare
l’offerta di Purin di bersi qualcosa.
Ichigo si ancorò al
braccio del padre
mentre Minto le girava attorno per sistemare gli ultimi dettagli,
allargandole
lo strascico del vestito e la coda del velo.
« Allora io vado,
okay? »
La rossa le lanciò
un’occhiata impaurita: «
Perché, dove vai?! »
« Devo camminare
davanti a te, sciocchina,
» la mora le rivolse un sorriso genuino e poi una stretta di mano
affettuosa, «
Ci vediamo là davanti, respira e sorridi. »
Lei annuì,
l’espressione ben poco convinta,
ma avvertendo una punta di coraggio in più quando Shintaro la strinse a
sé e la
guardò negli occhi: « Sei stupenda, tesoro mio. E io sono estremamente
fiero di
te, di voi. Ma possiamo sempre tornare indietro, se vuoi. »
« Non dire
sciocchezze, papà. »
Si accodò con una
risata dietro le amiche
mentre le porte si aprivano e la musica la raggiungeva più forte. Il
cuore le
schizzò in gola a vedere tutti gli invitati che si voltarono verso di
lei quasi
all’unisono, il corridoio centrale che all’improvviso le sembrò
infinito da
percorrere, e il bustino del vestito le parve troppo stretto per potere
respirare e affrontarlo tutto.
« Guarda avanti. »
Il sussurro tra il
divertito e il commosso
di suo padre le rievocò quello di Zakuro della sera prima, e Ichigo
riempì i
polmoni a fondo, obbedendo quasi per magia e avvertendo un sorriso
nascere
spontaneo sulle labbra: là davanti c’era Ryou, bellissimo nel suo
completo e –
anche se non l’avrebbe mai ammesso – forse anche lui un po’ nervoso, a
giudicare da come teneva dritte le spalle e strette le mani in grembo,
e sì quella
camminata le sembrò interminabile, perché non avrebbe mai fatto
abbastanza in
fretta a dirgli di sì.
Pai si rese conto di
non essere mai stato
in una stanza con tutti quegli umani in una volta sola, e dubitava che
l’affermazione di Retasu su come in realtà quel matrimonio fosse
ristretto
potesse essere vera: aveva contato almeno altre trenta persone, come
poteva
essere ristretto?
D’altronde non era
nemmeno sicuro di cosa
stesse succedendo in quel momento, visto che i nuovi coniugi Shirogane
non erano
presenti. Su Duuar le cerimonie nuziali erano molto più spicce, uno
scambio di
voti davanti a un ufficiale o a un ministro del culto, per chi
preferiva i riti
antichi, con la presenza necessaria solamente di un testimone, e poi un
pasto
più lauto del solito tra famiglia e amici o compagni d’armi. Niente di
così
pomposo e complicato, ma dopotutto si stava parlando di Momomiya, che
probabilmente si era pure trattenuta.
Non osava immaginare
cos’avrebbe potuto
vedere combinare Aizawa, nella malaugurata ipotesi che decidesse di
impalmare
suo fratello.
« Perché ridi? »
Retasu lo guardò con
curiosità, e lui scosse la testa mentre prendeva un sorso di quel
liquido
dorato e frizzante.
« Niente, pensavo a
come sia diverso dai
nostri costumi. Da noi ci si sposa in rosso e oro, sono colori
associati alla
felicità e all’abbondanza. »
« Oh, » la verde
s’impose di non pensare a
Pai vestito in quella maniera, sentendo le guance scaldarsi e
attribuendo la
colpa solo allo champagne, « Già, di solito i matrimoni sono le nostre
feste
più sfarzose, direi. Quando ero piccola ho fatto da damigella a mia
cugina,
aveva organizzato anche lei una cerimonia molto occidentale, con tanto
di
caduta di palloncini al momento del taglio della torta. »
Pai decise di non
chiedere troppe spiegazioni
su a cosa servisse esattamente tagliare una torta con così tanto fasto,
ma si
limitò a fare una smorfia: « Spero non succeda anche oggi. »
« Non credo, »
commentò lei divertita, «
Ichigo-chan in realtà non è molto per i grandi gesti eclatanti. Mi vedo
più
Purin a navigare tra palloncini. »
L’alieno fece un’altra
faccia strana e
continuò a guardarsi in giro, studiando gli eleganti invitati.
« Ma adesso cosa sta
succedendo? »
Retasu si sforzò di
non trovarlo troppo
divertente: « Stiamo aspettando che Ichigo-chan e Shirogane-san
finiscano di
firmare i documenti e fare un po’ di foto, intanto noi facciamo
aperitivo. Tra
un po’ dovremmo mangiare, ci sarà magari qualche discorso, e poi faremo
un po’
di festa, di balli, e infine la torta. »
« Balli? »
« Sì, » la verde
questa volta rise con un
po’ troppa disinvoltura, « Non dobbiamo se vuoi, ovviamente. Ma di
solito va
così. »
« Non credo di
ricordarmi l’ultima volta in
cui ho ballato. »
« L’hai mai fatto? »
Pai le lanciò
un’occhiata divertita dalla
domanda sarcastica: « Per tua informazione, ho un’ottima coordinazione
occhio-mano. »
« Non lo metto in
dubbio, » ridacchiò lei,
« Mi domando piuttosto il senso del ritmo. »
Le sopracciglia scure
formarono due archi
ironici contro la pelle pallida: « Non mi sembra tu ti sia lamentata
del mio
ritmo. »
Ci volle qualche
secondo, poi Retasu quasi
si strozzò con il suo sorso di champagne, diventando bordeaux mentre
l’alieno
ridacchiava piano sotto i baffi.
Purin praticamente
placcò Taruto, incurante
del fatto che parecchie paia di occhi divertite si spostarono su di
loro al
sentirlo sbottare di sorpresa e del rossore che gli colorò le guance.
« Taru-Taru! Non ti
avevo mai visto così
elegante! »
L’alieno se la staccò
di dosso con
malagrazia, riaggiustandosi la giacca blu scura: « È stato Akasaka-san
ad
aiutarci… ma questa roba è maledettamente scomoda, cosa vi viene in
mente?! »
Lei sorrise divertita
al guardarlo tirare
la cravatta della stessa sfumatura come se fosse un cappio: « Be’,
comunque sei
davvero bello così. »
Taruto, questa volta,
divenne cianotico e
la guardò con gli occhi strabuzzati: « M-ma che ti salta in testa!?
Non… non si
dicono queste cose! »
« Ah vuoi dire i com-pli-men-ti?
» lo
prese in giro lei, puntualizzando ogni sillaba con una ditata sul suo
petto, «
Come quelli che tu non fai mai a me? »
« Sei fuori, »
borbottò ancora lui,
scostandole la mano e tossendo per schiarirsi la gola, « Credevo non
fossimo
autorizzati a bere. »
Purin corrucciò il
viso e poi gli fece una
linguaccia: « Infatti sono perfettamente sobria, sono solo naturalmente
energetica e
felice! È tutto bellissimo!
»
L’alieno la osservò
piroettare sul posto in
un turbinio di organza rosa, e la mente gli riportò in superficie la
mattina
del suo compleanno, ma si sforzò di rimanere stoico: « Vedi, te l’ho
detto che
sei un maschiaccio. »
La biondina mise il
broncio e incrociò le
braccia, pur con ironia per aver captato la nota di presa in giro nella
sua
frase: « E tu sei un guastafeste. Ti perdono solo perché sei carino. »
E schioccandogli un
bacio sulla guancia che
lo lasciò più che basito, si dileguò di nuovo verso il tavolo delle
tartine.
« Oh, kami-sama,
» Ichigo fece un
respiro profondo e distese del tutto le spalle, ben attenta a non
inciampare
nella gonna del vestito, « Abbiamo fatto solo metà e sono già esausta. »
« Qualcuno direbbe che
è la parte più
importante, » la prese in giro dolcemente Ryou.
Lei sorrise e,
approfittando che fossero
finalmente soli prima della loro entrata trionfale nella sala in cui si
sarebbero tenuti cena e ricevimento, s’illanguidì contro di lui e gli
avvolse
le braccia intorno al collo con un broncetto: « Non la più divertente,
però. »
« Mmhm, » il biondo
alzò un sopracciglio e
fu svelto a stringerle la vita, nonostante il tulle tra di loro, « Hai
qualche
idea in particolare? »
« Certo, » la rossa
sfiorò il naso con il
suo e poi svicolò via dispettosa con un ghigno, « Non vedo l’ora di
ballare
tutta sera e mangiare tutti i miei dolci preferiti! »
« Ah-ah,
very funny. »
Shirogane riuscì
comunque a rubarle un
bacio, forse il primo vero di tutta quella parata, sentendola
rilassarsi contro
di lui.
« Dobbiamo entrare, »
l’avvertì poi con una
punta di malavoglia, « Ammetto di dover bere qualcosa e mettere
qualcosa sotto
i denti. »
« Ah, non pensare che
io sia una di quelle
spose che non mangia, ho già detto a Minto-chan che non ho intenzione
di
saltare la cena per girare tra i tavoli a perdermi in moine, io mi
siedo e
mangio tutto quello che ho scelto. »
« Lo so, ginger,
lo so. »
Le schioccò un altro
bacio, e Ichigo fece
un sorriso e poi una smorfia: « Puoi andare a chiamarmi Minto? Devo
fare pipì,
e ho bisogno di un supporto. »
Gesticolò rivolta
verso l’ampia gonna del
suo abito da sposa, e lui rise annuendo: « Non andare da nessuna parte.
»
La frazione di secondo
in cui lui aprì la
porta della sala ricevimenti le fece capire che l’aperitivo doveva
stare
andando bene, visto il brusio allegro dei suoi ospiti; decisamente più
rilassata di prima, anche se ancora non del tutto a suo agio all’idea
di dover
essere così tanto al centro dell’attenzione, Ichigo si poggiò con la
schiena al
muro e chiuse un istante gli occhi, godendosi il miscuglio di emozioni
che
sentiva ribollire all’altezza del petto. Non li aprì nemmeno quando
avvertì la
porta muoversi ancora, e fu per quella ragione che sobbalzò quando una
voce molto
diversa da quella della sua migliore amica la chiamò.
« Ciao, Ichigo-chan. »
« Masaya-kun! » la
rossa si portò una mano
al petto, sorpresa al notare che in realtà lui non proveniva dal loro
salone,
ma da uno dei corridoi laterali, « Scusa, non mi aspettavo che – ma
allora sei
venuto! »
Il moro sorrise
contento e le si avvicinò
di qualche passo: « Non potevo non farti le mie congratulazioni dal
vivo, sei
raggiante. Ho partecipato alla cerimonia, è stato davvero molto bello. »
« Grazie, » rispose
lei radiosa,
rammentando di non averlo visto tra i presenti, « Ma dove…? »
« Ero seduto in fondo,
in un angolo, »
confermò lui, « Non mi avevi detto che erano tornati gli Ikisatashi. »
Per un istante, Ichigo
si stupì del
commento: « Eh? Ah, già… » rise, un po’ a disagio, torturandosi un
pezzo
dell’abito, « Credo che ci siano un po’ di cose su cui non ci siamo
aggiornati,
ma… come vedi, sta succedendo tutto un po’ così, all’improvviso. »
« L’importante è che
tu sia felice, »
esclamò di nuovo lui, con il suo sorriso dolce, « E mi sembri più
felice che
mai, Ichigo-chan, quindi non posso che esserne contento anche io. Sei
una
persona meravigliosa e ti meriti il meglio. »
« Masaya-kun, davvero,
mi dispiace se ti ho
tagliato fuori, » il tono di voce della rossa fu leggermente
implorante, « È
che c’è stato tutto un… un casino, non posso definirlo altro, e
immaginati,
ritrovarti davanti al naso gli alieni che… che hai combattuto quando
avevi
tredici anni, e che ora escono con le tue amiche…! »
Aoyama rise della
maniera in cui lei aveva
abbassato la voce per quelle ultime due frasi e le smorfie stranite che
le si
disegnarono in volto.
« Non c’è niente di
cui farti perdonare,
davvero, Ichigo-chan. Non saprei nemmeno io come avrei reagito, se
fosse
successo a me. E non mi devi niente. »
Sul momento non ne
sembrò particolarmente
convinta, dal modo in cui si morse il labbro e poi accennò alle sue
spalle,
verso il ricevimento: « Vuoi venire a… salutare? »
Il viso del ragazzo si
rabbuiò appena, ma
continuò a sorridere gioviale e scosse la testa: « Credo che sia meglio
di no,
Ichigo. Ci tenevo a partecipare alla cerimonia, ma non ritengo sia il
caso per
me di… non vorrei mai rovinare l’atmosfera a qualcuno, ecco. »
Ichigo non poté
evitare di accigliarsi, non
capendo: « Se è per Ryou, non preoccuparti, lui non - »
Ma Masaya insistette a
negare: « Non credo
che tutti serbino un ricordo particolarmente benevolo di me, Ichigo. O
almeno,
di una parte di me, » aggiunse con una punta evidente di amarezza, « E
non mi
sembra giusto rovinare la tua giornata con sottigliezze del genere. Non
ne
faccio una colpa a nessuno, e so che non è nemmeno colpa mia, ma è più
facile
così. »
Ci volle qualche
istante perché la rossa
comprendesse del tutto, infine sorrise e gli tese una mano: « Ti
ringrazio,
Masaya-kun. Davvero. Anche se vorrei non fosse così. »
« Sono certo che ci
sarà il tempo per
chiarire e recuperare, » le strinse affettuoso le dita, « In un momento
un po’
meno complicato. »
Le fece un occhiolino,
e lei sorrise più
convinta: « Grazie ancora. Cerchiamo di vederci presto, d’accordo? »
« Affare fatto. »
Il ragazzo le rivolse
un cenno di saluto e
si allontanò, voltandosi di nuovo verso di lei sulla parte opposta del
corridoio per salutarla con una mano cui lei rispose con un gesto meno
energico.
« Minto-chan ha detto
che è l’unico dovere
da damigella d’onore che si rifiuta di fare, quind – Ichigo-chan, tutto
bene? »
Lei sussultò di nuovo
e si riscosse,
voltandosi verso Purin con una smorfia: « Che vuol dire che si
rifiuta!? Non
può mica scegliere cosa fare e cosa non fare! »
La biondina rise e le
sollevò fin troppo la
gonna del vestito, nonostante ci fosse l’intera anticamera da
attraversare
prima di raggiungere la toilette: « Purin in soccorso! »
« Sì ma non mi
denudare ora!! »
La cena scivolò via
allegramente, tra le
varie portate apprezzate da tutti, un paio di discorsi, molti brindisi
e anche
qualche – brevissimo – giro dei tavoli da parte degli sposi, e molto
presto la
sala divenne una vera e propria pista da ballo.
« Mai avrei pensato di
vedere Pai
Ikisatashi ballare circondato da umani. »
Minto, accaldata e
leggermente provata da
tutta quella giornata, rise sotto i baffi e prese un sorso di
champagne,
lanciando un’occhiata divertita a Zakuro, accanto a sé a bordo pista,
che soffiò
pacata, scostando lo sguardo dall’alieno e da Retasu, più a muoversi
sul posto
che a ballare:
« Mai avrei pensato di
rivedere Pai
Ikisatashi. »
«
Touché, » la mora rise e bevve di nuovo,
tamponandosi la fronte con il dorso della mano e continuando ad
osservare la
sala, « È venuto tutto bene, non trovi, anche con questa corsa contro
il tempo?
»
« È stato un ottimo
lavoro, e mi sembrano
molto contenti. »
Entrambe si
soffermarono su Ichigo e Ryou,
in mezzo alla sala circondati dalla folla ma probabilmente coscienti
solo l’una
dell’altro, dal modo in cui si guardavano e scambiavano battute e
risate. Minto
si lasciò andare in un lungo sospirò un po’ maligno:
« Sono schifosamente
innamorati. »
Zakuro nascose un
sorrisetto dietro al
proprio calice e le diresse un’occhiata di soppiatto dall’alto: «
Perché, tu
no? »
La mora arrossì tutto
a un tratto e non
riuscì a trattenersi dal cercare con lo sguardo Kisshu, impegnato in
strane
movenze poco aggraziate insieme a Purin, altrettanto scatenata, il
ventre che
le rimbombò prepotente al ricordo di quella mattina di un mese prima,
facendole
risalire il calore fino in gola. Non fece in tempo a rispondere che la
risata
roca dell’amica la precedette:
« Non fare quella
faccia, è normale dopo
quasi un anno che state insieme. Mi preoccuperei se fosse il contrario.
»
Minto persistette a
non rispondere, odiando
quella vocina nella testa che le iniziò a domandare se forse non si
stesse
preoccupando proprio Kisshu stesso, visto che lei una certa formula
magica non
era ancora stata in grado di pronunciarla.
Però a quanto pare lei
era un libro aperto
per le sue amiche, possibile che non lo fosse anche per lui?
Prese un altro sorso e
continuò a evitare
lo sguardo indaco, fin troppo pungente per i suoi gusti su certi
argomenti, e
Zakuro insistette con più calma: « Devo preoccuparmi? »
« No, » esalò
finalmente, poggiando il
bicchiere ormai vuoto e prendendone un altro dal tavolo alle loro
spalle, « Ma
è più bravo a parlarne lui. »
La modella annuì e si
concentrò
sull’alieno, che si stava infilando prepotentemente tra Retasu e Pai
per
iniziare a ballare un terribile giro di polka con la ragazza, con ogni
probabilità solo per disturbare il fratello: « Non essere a proprio
agio a
mostrarlo non vuol dire non provarlo. »
« Dovresti dirlo a
lui… » borbottò quasi in
un sussurro l’altra, trangugiando metà del calice in un sorso.
Zakuro gliel’afferrò
con eleganza e lo
ripose sul tavolo, in una maniera molto da sorella maggiore: « Non
esagerare
con questi, » la sgridò piano, poi le accennò un sorriso, « E Kisshu
non è così
ottuso. Ma se per caso servisse aiuto per uno zigomo dolente… »
La mora rise dal naso
e alzò gli occhi al
cielo: « Comunque io non ti chiedo queste cose. »
« Hai fatto un background
check a
tutti quelli di cui mi segni gli appuntamenti nell'agenda. »
« Come tua assistente
devo assicurarmi che
tu non vada incontro a pazzi psicopatici o altri personaggi seriamente
disturbati, tanto più che la tua notorietà accresce. »
« Se lo dici tu. »
Lesta come una volpe,
Minto si riappropriò
del suo bicchiere e terminò il contenuto rimasto, stringendo le labbra
un
istante: « Io torno a ballare, tu vieni? »
« Vi raggiungo tra
poco, ho bisogno di
ancora un po’ d’aria. »
Non appena la mora si
aggregò a Purin e
Retasu, che parevano aver preso d’assalto Ichigo insieme a Moe e Miwa
per
qualche danza tra ragazze, Zakuro si voltò di mezzo giro e si incamminò
verso
uno dei tavoli più vicini al centro.
« Avete intenzione di
venirmi a parlare o
solo di fissare da lontano? »
« E questa, Joel, è
Zakuro Fujiwara, » Ryou
l’accolse con un sorriso fin troppo splendente, indicandola al suo
interlocutore, che le sorrise cortese e le si rivolse direttamente in
un
inglese evidentemente marcato da un accento texano:
« La conosco. Di fama,
ovviamente. È un
piacere conoscerla dal vivo. »
La modella prima
scoccò un’occhiata al
biondo, fin troppo rilassato per i suoi standard, poi accettò la mano
che le
veniva offerta: « Mi è giunta voce anche della tua fama. »
« Immagino solo cose
pessime. »
Shirogane sorrise e
gli batté una mano
sulla spalla: « Se non ci fosse stato Joel, saremmo stati nei casini
con tutti
i vari test, esami, risultati con DNA sballati. Peccato abbia questa
fissa di
non voler imparare il giapponese. »
Zakuro accennò a un
sorrisetto, studiando
con misurato garbo l’uomo, che sembrava essere sulla trentina e
sfoggiava due
occhi verdi brillanti d’intelligenza sopra una folta barba scura.
« Non sono segreti
facili da mantenere, »
commentò, e lui alzò una birra verso il biondo:
« Shirogane è ottimo a
regalare bourbon a
Natale. »
Lei sorrise e inclinò
solo un sopracciglio
rivolta a Ryou, che si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sarebbe interessante
sapere come ci sei
finito, tra le grinfie di Shirogane, che non è molto diplomatico nella
sua
scelta di cavie. »
« Hey there.
»
Joel rise e la guardò
con gli occhi vispi:
« La storia è lunga, se vuoi sederti a bere qualcosa. »
Ryou ebbe la buona
creanza di sparire in
quel momento, richiamato a gran voce da Ichigo, e Zakuro non aspettò
molto a
rispondere: « Alright. »
« Se continui a
guardarla così le brucerai
il vestito. Capisco il sentimento, ma non credo sia l’approccio
migliore. »
Taruto sussultò quando
Kisshu gli apparve
alle spalle, con un ghignetto insopportabile stampato sulle labbra, ben
individuando la direzione del suo sguardo.
« Sei un coglione, »
gli rispose truce,
facendolo solo sogghignare maggiormente:
« Sarà, ma almeno io
so andarmi a prendere
le cose che mi interessano. »
« Vorresti forse un
applauso? »
Il verde sospirò e
scosse la testa,
scrutando divertito il profilo torvo del fratello minore: « È inutile,
io ci ho
provato a mostrarti la via, ma tu sei preciso a Pai. Chiedile di
ballare, no? »
aggiunse poi, più amichevolmente, « Sono sicuro le farebbe piacere. »
Taruto lo trucidò con
lo sguardo, poi
incassò ancora di più la testa nelle spalle: « … tu che ne sai? »
Kisshu lo guardò come
se fosse un cretino:
« Ti devo forse fare un disegnino? Ha continuato a chiedermi di te
finché non
sei tornato. »
Il moro strusciò un
piede a terra, il collo
ormai scomparso tra le spalle: « … è perché siamo amici. »
« Certo. Amici. E lei
si offende quando tu
non le dici quanto sta bene con il vestito da damigella. »
« T-tu che ne sai!?
» ripeté lui annaspando, e il verde roteò gli occhi in maniera
esageratamente teatrale:
« La scimmietta sarà
anche un’ottima
sorellona, ma ogni tanto ha bisogno anche di un fratello maggiore con
cui
lamentarsi di quanto sia stupido il cretino che non vedeva l’ora
tornasse. »
Taruto sibilò una
maledizione tra i denti,
ignorando pesantemente lo sfarfallio del suo cuore, Kisshu che si
immischiava
negli affari suoi era di certo l’ultima cosa che gli servisse.
« Io non sono come te,
» sibilò, « È…
complicato. »
« Grazie per l’offesa
gratuita, » rispose
il maggiore con acredine, « Stavo solo cercando di aiutarti, ma se vuoi
restare
qui a mangiarti il fegato fai pure, io vado a divertirmi insieme agli
altri. »
E così dicendo, lo
piantò lì, ritornando
nella mischia che ballava per agguantare Minto per la vita e tirarsela
fin
troppo addosso, mentre Taruto digrignava i denti e continuava a fondere
con gli
occhi la schiena ormai fin troppo conosciuta di una certa biondina.
Con estrema felicità
di Pai, il taglio
della torta si svolse senza particolari fanfare, solo una canzone che
interpretò essere estremamente romantica in sottofondo e un tono di
festeggiamenti più alto da parte degli invitati. Dovette ammetterlo,
pure lui
che non amava particolarmente i dolci trovò le proposte di Akasaka come
sempre
ottime, e si concesse volentieri tre o quattro giri di assaggi, tra la
torta a
tre piani e i vari pasticcini offerti.
Notò pure che il
volume della musica e
quello dell’alcol crebbero esponenzialmente per il resto della festa,
ma non
trovò ragione di lamentarsi nemmeno di quello, visto quanto anche
Retasu gli
parve decisamente più rilassata e contenta del solito, a dividersi tra
il
saltare con le sue amiche e lo stringersi a lui più che mai.
Solo quando l’orologio
passò di un giro
abbondante la mezzanotte la folla cominciò a diradarsi e a sciamare
fuori dalla
stanza, desiderosa di ritirarsi tra le lenzuola.
Alcuni più di altri.
Per una volta poco
interessata di essere in
pubblico, Ichigo sfiorò il naso di Ryou con il proprio: « Dove andiamo
ora? »
Lui dovette imporsi di
non far scorrere le
mani troppo sotto la sua vita: « Abbiamo una suite riservata qui, con
dentro le
valigie già pronte così domattina possiamo partire il più presto
possibile. »
Lei miagolò contenta,
quasi improvvisando
una danza sul posto prima di baciarlo; non sarebbero andati via per
molto, solo
un fine settimana nella casa al mare perché Kimberly era ancora troppo
piccola
per lasciarla sola troppo a lungo e avevano preferito rimandare la loro
vera
luna di miele, ma anche solo quei due giorni, da soli, sarebbero
bastati.
Gli invitati rimasti
si lanciarono in
fischi e versi di apprezzamento e presa in giro, convincendo finalmente
la
sposa a staccarsi e arrossire tra le risa e i bisbigli di fare piano,
per non
disturbare il resto dell’hotel.
« Vieni qua, Momomiya,
» Minto l’afferrò
per un braccio e la tirò verso il bagno, quasi infilandocela dentro con
le
altre ragazze al seguito, « Non puoi andartene via con il vestito
addosso, solo
i kami sanno cosa gli farebbe Shirogane, e tu sei
un po' troppo ubriaca
per togliertelo! »
Purin ridacchiò,
chiudendo la porta dietro
di loro e quasi crollandoci contro con la schiena: « E tu no? »
« Tsk, una signora del
mio rango non si
ubriaca, » la mora fece schioccare la lingua, anche se il rossore sulle
sue
guance tradiva la sua affermazione ed era evidente che le era
necessaria una
concentrazione maggiore del solito per aprire la fila di bottoni del
vestito,
non certo facilitata dai continui risolini di Ichigo e Retasu. Fu
necessario
l’intervento di Zakuro per estrarre definitivamente la rossa dall’abito
–
quando dovette estendere la gamba per non pestare l’ampia gonna, il
braccio di
Retasu si trasformò in un appiglio salvavita – e infilarla in un
abitino bianco
molto più semplice ed efficace per raggiungere l’ultimo piano
dell’albergo.
« Questo lo prendo io,
» la rassicurò,
piegando con cura il vestito da sposa su un braccio, « Tua mamma ha
portato via
tutto dalla camera di stamattina, tranne quelle che ti possono servire
per
stasera, che sono già nella vostra stanza. »
« Uuuuh, la
suite matrimoniale! Poveri
i vostri vicini! »
Anche Ichigo si lasciò
andare a una risata
maliziosa al commento di Purin, poi fece un respiro profondo e le
guardò a una
a una, commossa: « Grazie. Grazie a tutte, ragazze. Non ce l'avrei mai
fatta
senza di voi, mai. »
« No, probabilmente
no. »
Con un’ennesima
risata, le altre
l’avvolsero in un abbraccio spontaneo, caldo e affettuoso, prima che
Minto la
stringesse per le spalle e la voltasse: « Oh, forza, vattene via prima
che mi si
rovini il trucco, » scherzò piccata, asciugandosi una piccola lacrima
dispettosa.
Ichigo annuì e, dopo
averle rubato un altro
abbraccio e schioccato un bacio sulla guancia, corse fuori, sollevata
che
adesso ai suoi piedi ci fossero delle comode ballerine color panna
invece dei
tacchi, e individuò la familiare chioma bionda già davanti agli
ascensori.
Presa dall’euforia – e
dai numerosi
bicchieri di champagne – non si capacitò nemmeno molto di come fece a
passare
dal corridoio all’ascensore alla porta della suite, troppo impegnata a
perdersi
contro le labbra di Shirogane e a infastidirlo in tutti i modi per
sentirlo
ridere mentre lui litigava con la porta della stanza, che non voleva
saperne di
aprirsi.
Le sfuggì un gridolino
quando finalmente
lui fu vittorioso e la schiena di lei perse l’appoggio temporaneo,
facendola
caracollare indietro e poi scoppiare a ridere ancora.
« Signorinella, mi
sembra un po’ ubriaca. »
Ichigo ridacchiò
colpevole, tirandolo a sé
con forza: « Eh no, io adesso sono una signora, »
mormorò maliziosa.
Ryou l’agguantò per la
vita, un po’ anche
per evitare di vederla collassare sul pavimento: « Mrs.
Shirogane, indeed. »
« Oh, non iniziare
subito, » la rossa alzò
gli occhi al cielo e si allungò languida contro di lui, incrociando le
braccia
dietro la sua testa, « Rimandiamo le lezioni d’inglese a domani. »
« Why is
that? » le sussurrò,
approfittandone per afferrarle le cosce e accarezzarle piano, salendo
con
calma, « Hai forse idee migliori? »
Lei rise roca e lo
baciò, lasciandosi
sollevare così da poter allacciare le gambe attorno alla vita di lui,
il
vestito ormai arrotolato fin sopra l’ombelico. Ryou rispose con foga,
stringendola forte mentre si avvicinava al letto.
« Sei felice? » riuscì
a mormorare nel
breve istante in cui si separarono per riprendere fiato, e lei annuì,
guardandolo con gli occhi che brillavano, passando le dita tra i
capelli alla
base della sua nuca per attrarlo più vicino: « Assolutamente sì. »
(*) Vedasi il capitolo 6
BTW,
per chi fosse curioso, l’idea originale del vestito di Ichigo la
trovate qui.
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Capitolo 9 *** Things left unsaid ***
Chapter
Nine – Things left unsaid
« Oh, accident – ahi! Ma
dov’è la lu
– oh, Mickey, tesoro mio, scusa! »
Palesemente divertito, e grato che con il
buio Minto non fosse in grado di vedere bene quanto lui, Kisshu la
osservò
cercare di entrare con quanta più dignità possibile dalla porta sul
retro senza
scontrarsi con i vari mobili e senza pestare una seconda volta la coda
del
proprio cagnolino.
« Vedi che è più facile utilizzare il mio
metodo. »
« Non posso continuare a spuntare
all’improvviso
quando le porte sono chiuse a chiave, » rimbrottò lei, innervosita dal
suo tono
ilare, « Già scommetto che si chiedono cosa ci fai sempre tu in giro
per casa.
»
« Avranno sicuramente molti dubbi al
riguardo. »
La mora sbuffò contrariata, affondando il
naso nel pelo profumato di Mickey per non vedere il ghignetto
soddisfatto
dell’alieno, ma non si lamentò troppo quando l’afferrò per la vita e
bruciò la
distanza rimanente fino alla sua camera con l’aiuto del teletrasporto.
« Qualche bicchiere di troppo, tortorella?
» le domandò sottovoce con una punta di divertimento, sfiorandole la
nuca con
il naso, e lei barcollò via di due passi, lasciando libero il cagnetto
di
scorrazzare per il pavimento.
« Dopo tutta questa fatica, mi sono
meritata il mio divertimento, » asserì, facendo leva sul baldacchino
per
slacciarsi i sandali con il tacco e calciarli via, « E comunque sono
perfettamente
in me. »
« Mmmhm, » commentò lui divertito,
osservandola ondeggiare leggermente nel vestito rosa per raggiungere la
toeletta,
« È una versione di te molto piacevole. »
Minto non rispose, sollevò solo un dito a
mo’ di minaccia mentre si toglieva i gioielli e li riponeva con
eccezionale
cautela – nonostante le sue mani fossero un po’ più lente del solito –
poi
zampettò indietro e si lasciò cadere seduta sul letto con un sospiro.
« La luce è ancora spenta, » si lamentò
poi, come se l’avesse compreso solo in quel momento, e Kisshu, mani in
tasca,
le si avvicinò ridendo:
« Lo so, ma io ti vedo lo stesso. »
Lei mugolò e fece una smorfia, inclinando
appena la testa di lato: « Mmmmph, ottimo, sei più
bravo di me. »
L’alieno si corrucciò, confuso, nonostante
il sorriso che perdurò sulle labbra: « Tortorella? »
« Guardatemi, sono Kisshu, vedo al buio,
riesco
a volare, » blaterò lei, a voce forse un po’ troppo alta, « E sono così
bravo a
esprimere i miei sentimenti! »
Lui sbuffò divertito, osservando il
broncio
che le si disegnò in faccia nella penombra, e le si inginocchiò
davanti: «
Quindi sei un’ubriaca riottosa, eh? »
« Non sono ubriaca. »
« Avessi saputo che era questo il trucco…
»
Kisshu rise e le prese una mano, « Stai ancora rimuginando sulla
conversazione
di qualche settimana fa? »
« Io non rimugino, » si
difese
subito lei, indispettita, beccandosi un’occhiata scettica, « Io rifletto
sulle cose prima di agire. »
« Tortorella, guarda che se non - »
« Non sono capace, » ammise con rabbia, le
guance che si tinsero di rosa, « Non… l’ho mai detto. E se… se poi lo
dico,
diventa vero, e se diventa vero e non… »
La sua voce si affievolì e lei scostò lo
sguardo,
prendendo a giocherellare con la cravatta di lui, che tentò di farsi
ancora più
vicino:
« Se ti ho già detto che mi sono
innamorato
di te, » le mormorò, causandole uno strano singhiozzo, « Come fa a non
essere
già vero? »
Minto aprì e chiuse la bocca un paio di
volte, la mente troppo offuscata per poter ribattere a suon di logica,
e si
arrischiò a lanciargli un’occhiata da sotto le ciglia scure.
Certo che era vero, le strillò il suo
cuore
al vedere lo scintillio delle iridi dorate, e lo sapeva da mesi lei
ormai
quanto vero fosse, ecco perché la spaventava così tanto confessarlo.
« Comunque non devi dirlo per forza, »
Kisshu si alzò e le scoccò un bacio sulla guancia, « Sarebbe solo
carino
sentirsi dire qualcosa di diverso da sei un cretino.
»
La mora sbuffò irritata, però lo trattenne
per la cravatta e deglutì piano: « Io non sono innamorata di te, »
scandì,
percependolo irrigidirsi, « Io ti amo e basta. Da un po’, anche. »
Le sembrò che Kisshu ci mettesse fin
troppo
a reagire e che l’unico rumore distinguibile nella stanza fosse il
battito
erratico del suo cuore, poi lo udì ridacchiare mentre premeva le labbra
sulla
sommità della sua testa: « Lo so. »
Minto rantolò e si scostò d’un tratto per
guardarlo malissimo: « Ikisatashi, che vuol dire lo so?! »
sberciò in un
sussurro.
Si alzò per seguirlo mentre lui prendeva
Mickey in braccio e, con più o meno grazia, lo lasciava in corridoio e
gli
chiudeva la porta sul musetto, ma non riuscì ad aggiungere altro perché
lui la
zittì con un bacio e la placcò tra il materasso e il proprio corpo.
Quando le prime luci del giorno filtrarono
attraverso la tenda chiusa male, colpendolo negli occhi, Taruto era già
sveglio
da un pezzo; o forse era meglio dire che non si era mai addormento del
tutto,
visto quanto si era girato e rigirato tutta notte, non curandosi
nemmeno di
tirare su dal pavimento uno dei cuscini, caduto a forza delle sue
piroette. Ringraziava
solo che Kisshu (come al solito) non fosse rientrato, perché non
avrebbe avuto
molta voglia di vederlo, ancora memore della loro chiacchieratina di
poche ore
prima, e che la camera di Pai fosse dall’altro lato del corridoio, così
che non
potesse sentire praticamente mai cosa succedesse con Retasu.
Affondò la testa contro il guanciale e
grugnì ad alta voce, tirandosi anche il lenzuolo fin sopra la testa per
ricreare un po’ di oscurità. La causa della sua insonnia era ovviamente
quella
vocetta irritante – e così simile a quella del secondo di loro tre –
che gli
ricordava di quanto Purin fosse stata splendida nel vestito da
damigella, di
quell’innocente bacio sulla guancia che gli aveva causato quindici
minuti di
fibrillazione atriale, di come alla fine della serata lei l’avesse
afferrato
per un braccio e portato a ballare in mezzo a loro, al tempo stesso
rimpinzandolo di pasticcini. Se ballare era il termine giusto per essere
rimasto imbambolato e rigido come un’asse da stiro.
Non era neanche riuscito ad accompagnarla
a
casa, lasciando che ci pensasse Keiichiro con la sua auto, troppo
innervosito
dalla situazione.
O dalla sua incapacità di gestirla, se
proprio voleva essere sincero.
Ha continuato a chiedermi di te
finché
non sei tornato.
Perché Kisshu non era capace di badare ai
fatti propri? Perché aveva sempre quella necessità di infilare il becco
dove
non gli competeva? Che ne sapeva lui di cosa volesse dire incontrare la
propria
migliore amica a undici anni, non vederla per una vita intera ma
pensarla
costantemente, desiderare raccontarle di ogni cambiamento, ogni
successo, ogni
problema, per poi tornare all’improvviso e trovarsi davanti…
E poi cos’era quella storia di lui e Purin
che si scambiavano confidenze?!
Un coglione ficcanaso, suo fratello non
era
altro che un deficiente con troppo tempo libero e troppo gusto per le
chiacchiere e le donne, non era per niente produttivo continuare a
rimuginare
sopra le sue parole. Sbuffando come un toro, Taruto buttò giù i piedi
dal letto
e si avviò in bagno a passi pesanti, così da scongiurare anche di
trovarlo
occupato da qualcun altro (ossia Retasu, che a quanto pare era
parecchio
perspicace anch’essa a leggergli la faccia, visti i sottili e fugaci
riferimenti che ogni tanto gli rivolgeva); aprì l’acqua gelida e quasi
ci buttò
sotto il collo, volendo cancellare il sonno e il fastidio che ancora
gli
opprimevano il cervello.
Si appoggiò poi con le mani al lavandino,
lasciando che le gocce fredde gli scorressero dai capelli sulla
ceramica: la
verità era che suo fratello molto spesso non considerava le conseguenze
delle
proprie azioni – e aveva parecchi marchi a dimostrarlo – mentre lui ci
rifletteva parecchio. Fin troppo. Fino alla nausea.
Soprattutto se una delle conseguenze
avrebbe potuto essere mandare al diavolo la sua amicizia con Purin.
Era palese che anche a lui avrebbe fatto
piacere danzare davvero con lei, dirle quanto la trovava magnifica in
quel
vestito così diverso, stringerla e non lasciarla andare mai più, però
se dopo…
Anche se mai sarebbero dovuti tornare a
Duuar, richiamati all’ordine, se ci fosse stato qualcosa, non avrebbe
mai
potuto…
E allora cosa facciamo, i codardi
perché
non sappiamo predire il futuro?
Gli venne voglia di prendere a testate lo
specchio, forse allora sì la voce fastidiosa di Kisshu avrebbe smesso
di fargli
da grillo parlante.
Fece dietrofront, si sbatté la porta alle
spalle e recuperò qualcuno dei suoi vestiti normali dalla seggiola
della
scrivania, quelli all’apparenza meno stropicciati, infilandoseli quasi
con
rabbia, poi con uno schiocco si teletrasportò davanti alla camera di
Purin.
Non gli interessava che fosse appena
appena
l’alba, che avesse bypassato la porta d’ingresso, che i suoi fratelli –
o lei –
stessero ancora probabilmente dormendo, chiuse la mano a pugno e bussò
deciso
contro al legno un paio di volte, prima di cambiare completamente idea.
Il suo udito fine lo aiutò a percepire un
movimento aldilà della porta, il frusciare delle coperte e un rumore
leggero di
passi.
« Taru-Taru? » Purin lo accolse
stropicciandosi gli occhi ancora mezzi chiusi, arruffatissimi dall’aver
sciolto
la crocchia e dall’incontro col cuscino, e poi sbatté le palpebre un
paio di
volte con più concentrazione, « Ma che… è successo qualcosa? »
Taruto la spinse dentro di malagrazia,
chiudendo di nuovo la porta dietro di sé per cercare di limitare
d’attirare
l’attenzione, e poi prese un respiro profondo, sollevando le spalle.
Magari avrebbe dovuto prepararsi un
qualche
tipo di discorso.
« Senti! » esclamò d’un fiato, le orecchie
che fischiavano, « Tu sei la mia migliore amica. Dico davvero. Mi piace
un
sacco passare del tempo con te, e… e… »
Il viso di Purin si andava rischiarando
sempre più mentre lei continuava a fissarlo senza dire una parola, le
braccia
incrociate al petto e l’espressione un po’ truce, che faceva a cazzotti
con la
sua abituale solarità.
« Però io… e se tu poi non… non te l’ho… »
Un neonato balbettava meno di lui.
Possibile che quando stava davanti a lei perdesse sempre l’uso della
favella?
Senza indugiare oltre, e senza sottoporsi
di più a quella vergognosa tortura, l’afferrò per le spalle con un po’
troppa
veemenza e la tirò a sé per baciarla d’improvviso, strappandole un
sussulto
sorpreso. In petto gli scoppiarono dozzine di farfalle: Purin era
morbida, più
calda del solito, e per qualche assurda ragione lui si ricordava
perfettamente
del suo sapore, da quel bacio che si erano scambiati da bambini(*).
Si staccò da lei solo per il bisogno
fisiologico di appurare la sua reazione, trattenendo in ogni caso il
respiro
per paura di aver fatto la cretinata più grossa della vita.
Purin rimase ferma, con gli occhi
socchiusi
e il mento un po’ verso di lui, poi lo guardò storto e si lasciò andare
a una
specie di risata mista a un sospiro: « Taru-Taru, sei proprio un
cretino. »
Il sole di inizio settembre non era forte,
ma era abbastanza caldo per permettergli di passare una giornata sulla
spiaggia,
per assorbire quanto più tepore possibile.
Per quanto fosse breve quell’anticipazione
di viaggio di nozze, per quanto fossero vicini a casa e spesso al
telefono per
controllare la loro bimba, era anche estremamente rinfrescante poter
stare solo
loro due, senza nessuno attorno, senza nessun dovere o pensiero se non
quello
di godere della presenza dell’altro, in tutte le nuove sfumature che
gli si
stavano presentando.
Se fosse stato solo per Ryou, sarebbe
stato
un momento che sarebbe durante all’infinito: la costa silenziosa, il
rumore
delle onde che scandiva ogni loro momento entrando dalle finestre
lasciate
aperte, il sapore del sale che si mischiava a quello di Ichigo mentre
percorreva il profilo della sua abbronzatura con le labbra.
« Dobbiamo stare attenti, » mormorò la
rossa con una risata roca, « Un anno fa ormai abbiamo fatto Kim proprio
qui. »
Ryou continuò a prestare la sua totale
attenzione al suo decolleté, armeggiando con i fili del suo bikini: «
Fine
by me, » rispose distratto, facendo scivolare le dita lungo
le curve
morbide dei suoi fianchi, « Tu dimmelo e facciamo una squadra di
calcio. »
Ichigo rise di nuovo e sospirò più forte,
inarcandosi di più verso di lui: « Mi pare esagerato… »
Lui rispose con un mormorio indefinito
mentre riusciva finalmente a sbarazzarsi del costume e scendeva
lentamente
verso la ritrovata voglia sulla sua coscia.
« You’re my family, ginger, » sussurrò strappandole un sospiro, le dita sottili
che gli spettinarono
i capelli, « So let’s make a family. »
Sapeva che Ichigo ci avrebbe messo qualche
secondo di più a computare la frase, ma non si sarebbe aspettato di
sentirla
irrigidirsi all’improvviso e di udire – con un tenace colpo al cuore –
il
trillo di un campanellino. Né di vederla in lacrime all’alzare gli
occhi su di
lei.
Fu combattuto tra la preoccupazione, la
voglia di ridere, e un inusuale ma familiare e inconfessabile frullo
allo
stomaco nel vederla nuda sotto di lui con le orecchiette nere che
spuntavano
tra la chioma infuocata; si mise a gattoni sopra di lei e le asciugò
una
lacrima col pollice.
« Ichigo, » sbuffò poi solamente,
lasciando
trapelare un soffio di divertimento.
La rossa miagolò distintamente, arrossendo
con prepotenza e schiacciandosi le orecchie feline per farle scomparire
mentre
la codina continuava a sferzare decisa l’aria: « Scusa… » borbottò, con
un
mezzo singhiozzo, « Ma la-la cosa che hai detto… e io… io ti amo così
tanto. »
Forse il cervello di Ryou non aveva ancora
metabolizzato del tutto che in effetti solamente il giorno prima Ichigo
era
diventata ufficialmente, legalmente, indisputabilmente sua
(per quanto
il pensiero stesso gli sembrò appena arcaico, ma non se ne sarebbe
preoccupato
in quel momento) vista la giravolta che gli diede il suo cuore. Quasi
pensò che
avrebbe dovuto darsi un pizzicotto per accertarsi che fosse la realtà,
invece
si fece bastare la sensazione dei due anelli sulla mano di lei quando
intrecciò
le dita con le sue e la baciò con forza, prendendo a sussurrarle il suo
amore
mentre scivolava dentro di lei.
§§§
La sola abat-jour sulla scrivania creava
un
cono di luce ridotto e ingiallito, in contrasto con lo schermo luminoso
e
bianco del monitor, e il ronzio delle macchine rendeva l’atmosfera
quantomeno
soffocante. Non che gli importasse più di tanto, c’era talmente tanto
abituato
da poter riconoscere esattamente quale brusio appartenesse a quale
apparecchio.
Keiichiro si sistemò gli occhiali sul naso
e si sporse appena in avanti per poter meglio leggere i dati sullo
schermo,
premendo un tasto per riaggiornare il sistema. Davanti a lui scorrevano
veloci
i dati del primo progetto Mew, uguali a come li aveva lasciati sette
anni prima:
li aveva ricontrollati da capo, e non c’era nessuno cambiamento.
Il che aumentava la sua tensione riguardo
al fatto che i file sembravano essersi aperti spontaneamente.
Eppure, non c’era stato nessun tipo di
segnale, o di allarme, si era assicurato due volte che così fosse e che
non ci
fosse stato un glitch nei sistemi. Funzionava tutto come avrebbe dovuto
funzionare.
Però c’era ancora qualcosa che non lo
convinceva.
« Un altro giro, » si disse sottovoce,
avviando l’ennesimo controllo di ogni satellite, antenna, apparecchio,
mentre
con la mano sinistra tastava il tavolo alla ricerca del suo cellulare,
senza
mai staccare gli occhi dal monitor.
Magari era solo uno sciocco bug, non aveva
senso disturbare Ryou o allarmarlo per niente, men che meno doveva
farlo con le
ragazze.
Però compose lo stesso il numero.
« Buongioooooorno, »
con un sorriso
felino, Kisshu si allungò sul bancone centrale della cucina e rubò un
pasticcino da quelli che Purin stava scegliendo per i clienti, « Mi era
mancato
il tuo faccino qui intorno. »
La biondina lo guardò con astuzia: « Il
Caffè è stato chiuso per il matrimonio, nii-san. »
« Non ti ha mai ostacolato prima da
passare
tutto il tuo tempo disponibile qui, » continuò lui con noncuranza,
adocchiando
un’altra preda, « Ci sono forse… novità? »
Purin rise cristallina e mise al sicuro il
vassoietto in frigorifero, guardandolo da sopra la spalla: « Nii-san? »
« Dimmi tutto. »
« Non sei molto discreto. »
« Mai detto di esserlo, » esclamò
trionfante lui, mostrandole il suo sorriso migliore, « Ma qualcosa mi
dice che
sto in zona fuochino. »
« Muta come un pesce. »
« E dai, scimmietta! Almeno tu dai
soddisfazioni al tuo fratellone. Credo di meritarmi di essere il primo
a
saperlo. »
« Sapere cosa? »
Con tono funereo, Taruto comparve sulla
soglia e lanciò un’occhiata truce a Kisshu, che persistette a ghignare
come un
mascalzone, ben conscio che al fratello minore dessero fastidio sia la
familiarità che lui aveva con Purin, sia ovviamente l’oggetto del
discorso.
« Mah, niente, » finse, scrollando le
spalle e scambiandosi un altro sguardo divertito con la ragazza, « Mi
stavo
giusto chiedendo se per caso fosse successo qualcosa, visto che non
abbiamo
avuto la nanerottola qui tra le scatole per qualche giorno. »
Lo guardò con due iridi talmente schiette
che Taruto percepì il proprio fegato prendere fuoco, mentre Purin
sgattaiolava
via ridendo sotto i baffi.
Il che peggiorò solo la situazione, perché
Kisshu scattò in avanti e gli batté una mano sulla schiena così forte
da farlo
sputacchiare.
« Allora, ci siamo dati una mossa!?
Avanti,
te lo si legge in faccia, e poi non ti si è visto qui in giro dal
mattino dopo
il matrimonio! Quindi, quante basi abbiamo coperto? Ehi, mi auguro tu
sia stato
un gentleman! »
Taruto avrebbe desiderato poterlo
accoltellare
lì e in quel momento, o almeno di condividere il potere di Pai di
lanciare
scariche elettriche a piacimento.
« Fatti una barca di cazzi tuoi, » sibilò
con il viso in fiamme, guardando con nervosismo verso le due porte per
accertarsi che non ci fosse nessuno in avvicinamento, « E poi comunque
che
razza di domande sono?! »
« Li ho avuti anche io diciannove anni, so
esattamente
come funziona. Anzi. »
« Ecco, appunto, » il moro fece una
smorfia
disgustata, « Io non vado in giro a mettere le mani sotto le gonne di
ogni donna
che passa! »
« Tanto per cominciare non è più qualcosa
che puoi usare contro di me, visto che le uniche gonne a cui sono
interessato
sono quelle molto corte della tortorella, e poi cosa c’è di male? Un
po’ di
divertimento non ha mai fatto male a nessuno. Specialmente se ci si
vuole bene.
»
Taruto non seppe più se l’ennesima
tonalità
di rosso comparsa fin sul suo collo fosse data dall’affermazione o
dall’espressione sagace del fratello.
« Non farti strane idee, capito!? »
blaterò, vergognosissimo, « Non c’è… non è così, con
Purin. »
Il cuore gli sfarfallò così forte in petto
che per un istante pensò gli stesse venendo un infarto mentre ripensava
a quei
due giorni in cui avevano vissuto ancora più appiccati del solito.
Molto
appiccicati. Soprattutto negli angoli più nascosti di casa di lei, dove
i suoi
fratellini arrivavano con cinque secondi di ritardo.
Ma nonostante i roboanti ormoni della sua
tarda
adolescenza, nonostante fosse assolutamente magnifico baciare Purin con
trasporto, spostare piano i palmi per scoprire ogni volta un millimetro
in più
di lei, con cautela, mischiare il respiro al suo quando la stringeva un
po’ più
forte, davvero non voleva che qualcuno – che lei – pensasse
che la
componente fisica fosse quella prevalente. Lui voleva solo passare
tutto il
tempo possibile con lei, a sentirla ridere, a guardare le pagliuzze
dorate nei
suoi occhi accendersi quando raccontava qualcosa che l’aveva
entusiasmata
molto, ad arrotolarsi una delle ciocche bionde attorno al dito per
portarsela
al naso e sentirne l’odore di agrumi. A farla ridere, a rincorrerla, a
tenerla
per mano, a…
Fischiò sottovoce e guardò Kisshu da sotto
in su pur superandolo di qualche millimetro, e strinse gli occhi a
vedere che
stava ancora sorridendo così spudoratamente che era un miracolo non gli
fossero
ancora cadute le guance.
« Devo prepararmi a un’altra cerimonia
elegante? »
Il cassetto dei coltelli era
pericolosamente vicino.
« Sei proprio un idiota. »
« Su questo non posso che essere
d’accordo,
» Pai spuntò dall’uscita laterale e guardò Kisshu con rabbia, «
Possibile che
tu non tenga mai il comunicatore accesso? »
Il fratello lo guardò come se fosse matto:
« L’ho lasciato al piano di sopra, siamo tutti qui… che succede? »
Senza aggiungere altro, il moro gli fece
cenno con la testa di seguirlo.
« Dov’è il topolino della mamma? »
Appena varcata la soglia della casa dei
suoi genitori, Ichigo abbandonò la propria valigia e si diresse a
braccia tese
verso Sakura, con in braccio Kimberly, che dopo un primo istante di
dubbio si lanciò
in un gorgoglio contento e scalciò prepotente verso di lei.
« Ma ciao, » la rossa la sollevò e le
baciò
una guancia paffuta, inalandole il profumo, « Mi sei mancata
tantissimo! Hai
fatto la brava con i nonni? »
« È stata un angioletto, » la
tranquillizzò
Sakura, « Non ha nemmeno fatto i capricci per dormire. »
« Vedi allora che qualcuno ti vizia, »
commentò Ichigo con ironia, lanciando un’occhiata a Ryou, dietro di
lei, che rimasse
impassibile prima di prendere anche lui la bambina in braccio.
« Com’è andato il vostro fine settimana,
cari? »
« Benissimo, mamma, ci voleva proprio.
Grazie per aver badato a lei. »
« Ma di che, tesoro, è sempre un piacere
avere la luce dei miei occhi tutta per me, » Sakura rivolse un altro
paio di
faccette buffe a Kimberly, impegnata a tirare impunemente i capelli
biondi del
padre, poi sorrise loro, « Volete un tè? »
« No, grazie, andiamo un po’ a riposarci a
casa, » Ichigo si stiracchiò la schiena, poi sorrise eccitata, «
Dovrebbero
anche essere arrivati tutti i regali! »
« Come se non avessi già abbastanza cose, ginger,
» Ryou le rivolse un’occhiata divertita, « Vorrei anche
passare al Caffè,
prima. »
« Non posso dire di no ai dolci di
Akasaka-san, lo sai, » gongolò lei contenta, recuperando le cose della
bimba, «
Anzi, ne ho proprio voglia. »
« È quasi ora di pranzo, » la riprese con
affetto lui, ma Ichigo si limitò a sorridere furba:
« Vuoi dire che è ora della seconda
colazione! »
« As you wish, ginger. »
Sakura sorrise sotto i baffi, porgendogli
il cappotto della nipotina, e pensando che non fosse certo solo
Kimberly quella
viziata da Shirogane.
« Non capisco cosa sto guardando. »
Pai non fece mistero del suo roteare gli
occhi: « I dati del primo progetto Mew, » rispose scocciato, aumentando
la
confusione di Kisshu, che gesticolò verso lo schermo.
« Okay, perfetto, e quindi? Non c’è niente
di nuovo. »
« Su questo hai ragione, Ikisatashi-san, »
intervenne Keiichiro, girando la sedia verso di lui, « Il fatto strano
è che i
dati hanno ricominciato a scorrere stamattina, da soli. Senza nessun
cambiamento, è vero, ma mi chiedevo se magari dalla vostra parte fosse
arrivato
qualcosa. »
Il verde si strinse nelle spalle e con il
mento indicò il comunicatore accanto a uno dei vari computer: « Quello
è
collegato direttamente ai nostri apparecchi, finalmente mio fratello si
è
deciso ad ascoltarmi. Se è rimasto muto, allora siamo a posto. »
Il moro osservò la scatolina nera e annuì
lentamente, come riflettendo, poi sorrise: « Credo abbiate ragione. Non
voglio
creare allarmismi per niente, quindi non informerò Ryou per ora, ma se
qualcosa
dovesse cambiare, vi prego di aggiornarmi. »
« Certamente, Akasaka-san. Anche io sarei
più a mio agio a scoprire l’origine di questa… anomalia. »
« Magari solo un refresh
di sistema?
»
« Potrebbe essere, » Keiichiro sospirò,
con
un sorriso un po’ stanco, « Potrebbe. Lancerò un’altra scansione, ma
credo che
i risultati non varieranno troppo. »
Con un ultimo cenno del capo, i due alieni
lasciarono il laboratorio a passi lenti, e Kisshu seguì Pai lungo la
seconda
rampa di scale, ben conoscendo il cervello iperattivo del fratello
maggiore.
Il viola, infatti, si fermò a metà
corridoio, quando fu sicuro di essere abbastanza lontano da orecchie
sgradevoli: « C’è uno schermo inserito, vero? »
Kisshu lo guardò sbigottito: « Cosa?
Ovviamente no, Pai! Andiamo, altrimenti che senso avrebbe? Il punto del
comunicatore qui al Caffè è avere comunicazioni immediate! »
L’altro fissò un punto nel vuoto, come se
stesse riflettendo, poi si passò una mano sul viso: « D’accordo, il che
vuol
dire che davvero non c’è niente. »
« Niente di rilevabile, almeno. »
« Impossibile, siamo settati per rilevare
le minime cose, » grugnì il maggiore, « Ho ricontrollato tutto apposta
dopo il
ritorno di Taruto, per espandere maggiormente la finestra di preavviso.
»
« Vedi che sei d’accordo con me che il
comunicatore ci serve pulito e istantaneo. »
Pai lo guardò male e fece per aprire la
bocca, quando un frastuono dal piano di sotto li fece sobbalzare
entrambi e quasi
volare giù per le scale; ma entrambi non lesinarono un sospiro di
sollievo nel
vedere la scena che gli si presentò davanti.
Retasu, infatti, era per terra, circondata
da cocci di piatti fortunatamente vuoti, che si massaggiava una coscia
dolorante, Purin inginocchiata davanti a lei con un viso contrito.
« Ma che è successo? »
Pai s’affrettò a raggiungere la ragazza e
l’aiutò ad alzarsi in piedi, mentre lei cercava di sistemarsi la
crestina che
si era affossata da un lato, il viso rosso per l’imbarazzo.
« Purin ha tirato fuori la palla… »
gemette, lasciando che l’alieno le controllasse velocemente i palmi
alla
ricerca di eventuali tagli o escoriazioni, e la biondina fece un
sorriso
colpevole, iniziando a raccogliere i pezzi.
« Mi è venuto da starnutire e ho perso il
controllo, nee-chan, mi dispiace! »
« Non fa niente, Purin, tranquilla, non mi
sono fatta nulla. Ah, Keiichiro-san, i piatti… ! »
Il moro, rispuntato dal seminterrato, le
rivolse il suo splendido sorriso: « Ne abbiamo scorte a sufficienza,
Retasu-san,
nessun problema. Magari Tamiko-san può darci una mano? » aggiunse dopo
poco,
scoccando un’occhiata cordiale ma acuta alla cameriera che non
nascondeva il
suo sghignazzare allegra alla scenetta e che arrossì di colpo lo stesso
all’essere colta in fallo.
« Siamo un po’ distratti, scimmietta? »
commentò sarcastico Kisshu, lanciando un’occhiata a Taruto, in
ginocchio vicino
alla biondina.
« Sei simpatico quanto un calcio in culo. »
Lei storse il naso e poi se lo grattò con
convinzione: « Forse mi sta venendo il raffreddore. »
« Ahimè, mio fratello sarà assolutamente
vittima dello stesso malessere. »
« Senti, vai a farti - ! »
« Etciù! » Minto
starnutì
elegantemente nella piega del gomito poi riprese la sua camminata verso
la
manager di Zakuro, porgendole un plico di fogli, « Una copia
dell’agenda per le
prossime due settimane e una copia delle dichiarazioni alla stampa per
il
lancio della seconda stagione. »
La manager, una nervosa donna sulla
quarantina di nome Yuzuki Tanizaki, la ringraziò con un cenno del capo:
« Tutto
a posto? »
La mora annuì e fece un’altra smorfia, il
naso che continuò a prudere dispettoso: « Dev’essere questa lacca per
capelli
che continuano ad usare, » si lamentò, lanciando un’occhiata
all’affollato set
della pubblicità per la serie tv, « Ha un odore terribile. »
« Speriamo, non è certo il momento giusto
per ammalarsi, con tutti i contratti nuovi che stanno per partire! »
Minto si limitò ad annuire, sforzandosi di
non far trasparire quanto trovasse insopportabile – e poco
professionale – il
suo essere costantemente negativa e ansiosa. Si congedò con un ultimo
sorriso e
si avvicinò un po’ di più al fulcro dell’azione, avvertendo il calore
delle
luci che le scaldava la nuca scoperta. Zakuro era circondata dai suoi
colleghi
della serie, tutti impegnati a mostrarsi più in confidenza e felici di
quanto
non fossero per favore delle macchine fotografiche, ma lei poteva
capire come la
mora si stesse stancando delle pose esageratamente energiche.
Adocchiata la sedia della modella,
attaccate alla quale c’erano entrambe le loro borse, vi si diresse
spedita per
controllare l’orario e il cellulare; il direttore dello shooting aveva
promesso
di terminare prima di pranzo, e se c’era una cosa cui Yuzuki era brava,
era
quella di far mantenere la parola ai vari personaggi che gravitavano
nel mondo
dello spettacolo.
Si sfiorò di nuovo il naso sovrappensiero
mentre scorreva le varie email che aveva ricevuto durante la mattina,
tra cui
una di Kisshu di pochi minuti prima con allegata una fotografia di vari
piatti
rotti sul pavimento del Caffè e un commento sciocco sull’effetto
deconcentrante
degli Ikisatashi su loro ragazze. Minto sbuffò, ma non fece in tempo a
replicare a tono che il cellulare iniziò a vibrarle tra le dita, una
telefonata
di Ichigo in arrivo.
« Minto-chan, buongiorno! Ti
disturbo?
Stiamo tornando, riuscite a passare al Caffè per pranzo? »
La mora si appartò velocemente in un
angolo, sia per non disturbare sia per allontanarsi dalla musica ad
alto
volume, e sbuffò sarcastica: « Sei già stanca di stare da sola con
Shirogane? »
« Guarda che sei in vivavoce, » le
rispose la voce del ragazzo, mentre la risata della rossa echeggiava in
sottofondo e poi Ichigo continuava:
« No, volevo sapere se per caso
hai già
preso la carta per i ringraziamenti… e poi sto morendo dalla voglia di
mangiare
una éclair di Akasaka-san. »
« Avete già fatto il secondo che hai le
voglie, Ichigo? »
« La vuoi smettere? »
Minto rise e guardò di nuovo l’orologio: «
Ho trovato tre tipi diversi che potrebbero piacerti, ce le ho con me.
Ne
abbiamo per un’altra mezz’ora e poi non ci sono altri appuntamenti fino
a
domani. »
« Noi saremo al Caffè tra un
quarto
d’ora, ci vediamo lì! »
E buttò giù senza attendere risposta.
Il sopracciglio di Minto tremò
visibilmente: neanche la maternità o il matrimonio aveva insegnato a
quella
sciagurata di Ichigo un po’ di buone maniere, quasi le veniva voglia di
non
andarci, al Caffè, per ripicca! Scosse la testa e tornò lentamente
indietro,
pensando che però in realtà uno di quei sandwich alle verdure
ipocalorici di
Keiichiro e un pasticcino alla crema suonavano proprio bene.
« Se non la smette con le sue dannate
battutine, lo butto nel cespuglio di rose e faccio diventare i fiori
cannibali.
»
Purin rise e infilò un pezzo di pane
extralarge in bocca a Taruto giusto per non farlo lamentare: « È il suo
modo di
mostrare approvazione. »
Il ragazzo cercò di parlare, rischiò di
strozzarsi, e masticò furioso prima di borbottare: « Me ne frego della
sua
approvazione! »
« Invece è carino. »
« Non dire che mio fratello è carino. »
« Sei geloso? » la biondina lo guardò con
malizia, riempendo il vassoio con cura, e Taruto rispose in cagnesco:
« … gli monti solo la testa. »
Purin rise e gli fece cenno di dirigersi
verso il tavolo occupato dai loro amici mentre sollevava con cautela il
cabarè:
« Su, vatti a sedere o non rimarrà nulla per te. »
Lui brontolò, ma poi si avviò davanti a
lei
e si concesse di pensare quanto fosse ancora un po’ strano per lui
vedere i
suoi fratelli seduti al tavolo con le umane che avevano combattuto, e
fin
troppo a loro agio con loro.
« Eeeecco qui, » la
biondina posò il
vassoio al centro del tavolo e cominciò a distribuire i vari ordini, «
Kayio-san sta per portare il resto. »
« Sempre che non ci sputi dentro. »
« Ichigo! »
« Che c’è?! » lei guardò Shirogane come se
avesse detto la cosa più ovvia del mondo, « Da quando è ufficiale che
non può
mettere le sue zampacce su Pai, fa fatica a rivolgerci la parola. »
« O forse è perché le sue colleghe sono al
tavolo a mangiare mentre lei lavora? » commentò divertita Zakuro,
mescolando la
propria macedonia di frutta.
« Io sono in pausa pranzo, » Purin si
limitò a scrollare le spalle e ad addentare un panino grosso quanto la
sua
faccia, « A lei tocca tra mezz’ora, questi sono i turni. »
« Non preoccuparti, pesciolina, in caso ti
difendiamo noi, » esclamò Kisshu, notando il viso impensierito della
verde ai
commenti precedenti, « Anche se siete brave a fare a botte. »
« Ti prego. »
Retasu ridacchiò, ma lanciò comunque
un’occhiata poco convinta alla collega quando apparve con un altro
vassoio e un
sorriso esageratamente cordiale in volto.
« Secondo me neanche Ichigo-chan le va a
genio, ora, » interpretò con una punta di malizia Minto, notando
l’occhiataccia
che Kayio rivolse loro quando si allontanò, « Soprattutto ora che è
ufficialmente la moglie del capo. »
Shirogane guardò con intensa nonchalance
la
rossa: « Questo non le dà certo autorità sulle altre. »
« Come scusa? »
« Oh, Ichigo, seriously!? Soprattutto
per lo stesso motivo! »
« Allora non è divertente, » commentò lei
con l’accenno di un broncio, « E poi comunque sono loro che hanno
iniziato ad
essere antipatiche dal primo giorno, noi ci abbiamo provato! »
« Ma se Minto nee-san quasi non rivolge
loro un saluto. »
« Questo è falso, io sono sempre cortese
con tutti, se poi testano la mia pazienza… »
« La tua gelosia, intendi? »
« Purin! »
Altre risate si levarono dal tavolo, e
Keiichiro, dalla finestrella della cucina, lanciò loro uno sguardo
intenerito,
continuando ad impastare della pasta choux per il giorno dopo. Se solo
non
avesse avuto quella strana sensazione…
« Allora avete deciso dove andare in
viaggio di nozze? » domandò con gentile curiosità Retasu, prima di
addentare
una manciata di riso.
« Il problema è più quando,
» mugolò
Ichigo, un po’ sconsolata, « Ci piacerebbe andare sulla costa ovest
degli Stati
Uniti e alle Hawaii, ma è un viaggio lungo e la stagione migliore è
passata. E
poi Kimberly è ancora troppo piccola sia per lasciarla da sola così
tanto che
per farle fare un viaggio del genere, magari ci conviene aspettare che
abbia
almeno un anno. »
« Io sono sempre disponibile a fare da
babysitter, » si propose Purin, che stava passando la metà di quel
pranzo a
fare faccette buffe alla bambina accanto a lei nel passeggino.
« Grazie, Purin-chan, ma adesso voglio un
po’ - » la rossa,
che si stava sporgendo
verso la bimba, si bloccò all’improvviso a mezz’aria, mentre anche le
altre
ragazze s’irrigidirono istantaneamente. D’un tratto, i cellulari dei
vari
clienti iniziarono a vibrare e squillare, il brusio che accrebbe in
proporzione
in maniera quasi minacciosa.
Retasu rabbrividì e scosse la testa come
per svegliarsi da un brutto sogno: « Che… che succede? »
Ryou fu il primo a estrarre il telefono,
aggrottando la fronte quando cominciò a leggere le notizie che
scorrevano sullo
schermo e quasi rovesciando la sedia alzandosi, seguito a ruota da
Zakuro e dai
tre alieni.
« Accendi la televisione, » ordinò a
Keiichiro, che annuì e trafficò a mani tese con il telecomando
dell’apparecchio
che teneva in cucina.
Sembrò che l’immagine ci mettesse più
tempo
del solito a comparire, poi una reporter che si stava sforzando di
farsi
sentire sopra il rumore di sirene e il clamore della folla si palesò
davanti ai
loro occhi:
« Siamo in diretta da Shinjuku,
dove
un’esplosione ha provocato ingenti danni agli edifici e un numero di
feriti
ancora da chiarire. La dinamica dell’incidente è ancora poco chiara, ma
sembra
sia partito tutto da uno scontro tra la polizia e un apparente
gruppetto di
giovani cosplayer. Siamo ancora in attesa di una dichiarazione
ufficiale, ma
come potete vedere alle mie spalle, l’area è stata cordonata e – un
attimo,
sembra che il nostro telegiornale sia riuscito a recuperare delle
immagini
amatoriali. »
L’inquadratura in diretta della
telecamera,
che aveva fin a quel momento mostrato la folla che cercava di
allontanarsi più
in fretta possibile da un angolo ancora fumante di una palazzina che
ospitava
un ristorante in cui si era aperto un buco che raggiungeva il primo
piano, fu
occupata dalla registrazione tremolante di un cellulare probabilmente
appartenente a un passante dapprima incuriosito. Nonostante
l’oscillamento e la
distanza, e un audio terribile sovrastato dai rumori del traffico,
furono ben
visibili le quattro persone all’apparenza impegnate a una tranquilla
passeggiata per uno dei quartieri più affollati della città, il naso in
su e
gli occhi sgranati dalla meraviglia, con addosso abiti dalle fogge
strane e
diverse tra loro e, soprattutto, con chiare armi in spalla o alla
cintola.
Quattro tizi dalle orecchie decisamente
troppo a punta per essere umane.
La sensazione che le stava incendiando la
pelle divenne ancora più opprimente, e Zakuro impiegò una frazione di
secondo a
capire che le quattro persone inquadrate non potevano essere cosplayer.
Contemporaneamente, Ryou e Kisshu sibilarono delle imprecazioni nelle
loro
lingue madri, continuando a osservare come un paio di poliziotti si
avvicinavano minacciosi ai quattro, probabilmente intimando loro di
consegnare
le armi, ottenendo in risposta solo occhiate confuse e un vago
gesticolare.
Poi i poliziotti si fecero più insistenti,
più decisi, fu chiaro sui loro volti come trovassero quel momento
solamente una
farsa che in qualche maniera denigrava la loro divisa; uno di loro,
quello che
sembrava più anziano, si avvicinò a larghe falcate al gruppo, il viso
teso dal
fastidio, insistendo in particolare contro quello più grosso dei
quattro, con
dei capelli grigio-azzurri e un aggeggio terribilmente simile a un
piccolo
bazooka in spalla.
Zakuro avvertì le viscere congelarsi nel
vedere come il tale sembrava divertito dall’ostinazione del poliziotto,
così
tanto che le parve di scorgere un ghigno irriverente dipingersi sul suo
viso,
cosa che dovette far infuriare ancora di più il poliziotto, il quale si
decise
ad estrarre la pistola d’ordinanza e puntarla con decisione verso di
lui.
Gli ultimi quindici secondi di immagini
fecero correre un ennesimo sussulto di sorpresa misto a orrore per
tutto il
Caffè. Si videro i tre confabulare con l’amico sotto tiro, che
continuava a non
mostrare altro che spregio per l’intera situazione, il poliziotto che
incominciava a gridare più deciso e i suoi colleghi che gli si
mettevano
accanto, anch’essi con le pistole puntate; poi, all’improvviso, il
tizio dai
capelli blu afferrò la propria arma, la puntò alla sua destra, e una
forte
deflagrazione colpì il muro della palazzina, scavandone un buco largo
almeno
due metri.
Il video si interruppe in quel momento con
un ultimo confuso fotogramma dei piedi del suo riluttante regista, e
anche se
la giornalista riprese a parlare a voce alta, sul Caffè scese un
silenzio di
tomba.
« What the fuck
was that. »
Zakuro condivise lo stesso pensiero di
Shirogane, impallidito sotto la pelle abbronzata, e si sentì afferrare
il
braccio e voltò appena lo sguardo verso Purin:
« Dobbiamo andare a vedere! » esclamò con
slancio.
« Non lo so, » commentò lei con gelido
sarcasmo, guardando di sbieco i tre Ikisatashi, « Dobbiamo? »
« Fuori discussione, » Ryou le bloccò
immediatamente e abbassò la voce, anche se un chiacchiericcio
impanicato
ricominciava a crescere all’interno del locale, puntando il dito contro
le
immagini del telegiornale che continuavano a scorrere sullo schermo, «
Non
sappiamo cosa sia successo, e ci stanno andando i militari, là. Voi ne
rimanete
fuori. »
« Ma nii-san, hai visto anche tu che - »
« Proprio perché ho visto, Purin, che non
andrete da nessuna parte finché non avremo le dovute spiegazioni. »
« I dati del progetto… »
Si voltarono tutti verso Keiichiro, che
aveva parlato quasi sovrappensiero e che, trovandosi gli occhi addosso,
si
affrettò ad aggiungere: « Stamattina… non è scattato nessun allarme,
niente di
niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del
progetto Mew.
»
« E quando pensavi di dirmelo!? »
Shirogane dovette prendere un respiro
profondo e si passò una mano tra i capelli, intimandosi di mantenere un
briciolo di lucidità. Proposito che volò fuori dalla finestra non
appena una
decisa vibrazione cominciò a provenire dalle tasche di Pai, che ne
estrasse un
comunicatore sul quale brillava acceso un puntino rosso.
Gli parve quasi di sentire gli allarmi di
sistema da lassù.
« Adesso voi scendete in laboratorio, »
sibilò irato, lanciando poi un’occhiata alle ragazze, « E voi
continuate la
giornata come se nulla fosse. »
Keiichiro annuì mentre dava uno sguardo
alla clientela confusa e spaventata, lasciando ai tre fratelli il tempo
di
scambiarsi uno sguardo: « Non possiamo chiudere il Caffè, dobbiamo
evitare di
creare ancora più caos o preoccupazione, o dare nell’occhio. »
« Voglio un analisi di ogni fotogramma di
quel video, e un aggiornamento totale di ogni singolo sistema. »
Shirogane non li guardò nemmeno più, girò
sui tacchi e ritornò al tavolo dove ancora sedevano Ichigo, Minto, e
Retasu,
che avevano seguito le stesse immagini dal telefono della mora.
« Sta succedendo qualcosa, vero? » domandò
quasi con disperazione la rossa, abbracciandosi le spalle, « È come… è
come se
lo sentissi, e anche voi lo potete percepire, non è così? »
« Io vado giù in laboratorio, » mormorò, «
Ci sono delle cose da controllare, ma non… »
« Oh, Shirogane, per favore, non prenderci
in giro, » gli rimbrottò Minto, ma lui la interruppe:
« Tu porta a casa Ichigo. Per favore, »
aggiunse poi, in tono più calmo che convinse la mora ad annuire
solamente, «
Qualsiasi cosa succeda, ci vediamo lì. »
Si sporse verso la moglie e le lasciò un
veloce bacio sulla sommità della testa, a cui lei quasi non reagì,
prima di
lanciare un’altra occhiata d’astio verso gli alieni – che ancora non
avevano
proferito parola – e accennare con il mento verso il seminterrato.
Mentre Keiichiro cercava di ristabilire un
po’ la calma nel locale, Ichigo emise uno strano singhiozzo e
rabbrividì di
nuovo da capo a piedi, così forte che Minto si spaventò e la strinse: «
Ti
prendo un tè, d’accordo? Poi andiamo a casa. »
Si scambiò uno sguardo d’intesa con
Retasu,
che scattò sull’attenti e si fiondò in cucina, seguita da Purin che si
attenne
alle disposizioni del moro di prendersi cura dei clienti. Uno sforzo
immane,
visto come i loro corpi continuavano a risuonare come campanelli
d’allarme, ad
allertarle esattamente di cosa stesse succedendo.
Il loro DNA animale che reagiva, che
gridava, che spingeva l’istinto a metterle in allerta.
Qualcosa, non sapevano cosa, stava
succedendo di nuovo.
Era pomeriggio inoltrato quando finalmente
anche Purin e Retasu raggiunsero casa Shirogane insieme a Keiichiro,
dopo aver
chiuso il Caffè con un po’ di anticipo. Minto non avrebbe saputo dire
come
avevano passato le ore da quando lei e Zakuro avevano accompagnato
Ichigo a
casa, se non che le erano sembrate contemporaneamente lunghissime e un
lampo,
avvolte in una bolla di silenzio interrotta solo dai gorgoglii allegri
di
Kimberly, ignara di tutto e totale fulcro dell’attenzione della rossa.
« Ho portato un po’ di avanzi, » esclamò
con quanta più pacatezza possibile il moro, mostrando un paio di
scatole
dall’odore invitante, « È importante mantenere le energie, lo sapete. »
« Grazie, Akasaka-san, » Minto gli
sorrise,
nonostante lo stomaco stretto in una morsa di ferro, « Magari tra un
po’. »
« Non ci posso credere che stia succedendo
di nuovo! » sbottò Ichigo all’improvviso, « Non ne avevamo appena
discusso,
della necessità di essere pronti su tutto? Di sapere cosa stesse per
accadere?
»
Il moro si sedette con un sospiro sul
divano: « Non abbiamo ancora nessuna risposta, Ichigo-chan. E per
quanto
migliorati, per quanto aggiornati, i nostri sistemi possono essere
fallibili.
Anche combinati con quelli di Pai e i suoi fratelli. »
« Voi non capite! » lei si alzò e si passò
le mani tra i capelli, « Voi non potete capire, io non pos - »
S’interruppe quando il soffio sottile del
teletrasporto rimbombò nella stanza, annunciando l’arrivo improvviso
dei tre
Ikisatashi e Ryou. Forse un po’ troppo improvviso, perché Kimberly, nel
suo
ovetto, si spaventò e iniziò a piangere impaurita, facendo sussultare
anche gli
altri; scattarono in piedi, Ichigo e Ryou che si diressero direttamente
dalla
figlia, ma l’unico che trovò la voce per parlare fu Akasaka: « Quindi? »
L’ombra che passò sul volto di Kisshu e
Pai
fu troppo evidente per essere ignorata. Con un affanno, Minto si lasciò
cadere
di nuovo sul divano, diventando cerea e quasi spegnendosi, mentre
Retasu si
portò una mano tremante sulla bocca.
« Ci sono delle cose che… non vi abbiamo
detto. »
« No shit, Sherlock. »
« E dei motivi per cui non l’abbiamo
fatto.
»
Ryou e Kisshu si scambiarono un’occhiata
d’odio, il biondo che digrignò i denti per non far scorrere fuori tutto
ciò che
stava davvero pensando.
Fu questione di un attimo. Zakuro scattò
in
avanti e, pur non riuscendo a spostarlo di un millimetro, agguantò Pai
per la
collottola, facendo balzare anche Kisshu il quale, però, all’occhiata
furiosamente gelida di lei, si limitò a tentare di fermarla con un
braccio:
« Ehi, ehi, ehi, manteniamo la calma,
okay?
»
« Ora voi parlate, » sibilò lei, bruciando
le iridi indaco contro quelle ametista, « E vi conviene dire tutta la
verità. »
Keiichiro si frappose tra di loro,
tirandola gentilmente indietro per un braccio e invitandola con uno
sguardo a
sedersi sul divano, insieme alle altre.
« Ikisatashi-san, vi prego di non
risparmiarci neanche un dettaglio, questa volta, » aggiunse poi con
tono
pacato.
Taruto si staccò dai suoi fratelli,
appollaiandosi sul bracciolo del divano vicino a Purin, mentre Ryou si
lasciava
cadere con un pesante sospiro su una delle poltrone.
Solo Ichigo e gli Ikasatashi rimasero in
piedi, lei come incapace di star ferma che continuava a cullare
dolcemente
Kimberly, le labbra premute contro la sua tempia, loro come due
imputati
davanti al giudice.
Fu Pai a incominciare a parlare, dopo
essersi umettato le labbra con la lingua, gli occhi fissi in quelli di
Retasu: «
Come sapete, la nostra civiltà ebbe inizio sulla Terra moltissimi anni
prima di
quella umana. Con i cambiamenti climatici che il pianeta stava
attraversando,
però, i nostri progenitori si videro costretti a fuggire in cerca di un
luogo
più ospitale. »
« Non serve il riassunto delle puntate
precedenti, » affermò Zakuro velenosa, incrociando le braccia al petto,
e
l’alieno proseguì stoico:
« Furono tre le navicelle che partirono
dalla Terra alla ricerca di un altro pianeta da chiamare casa, o almeno
così
raccontano le nostre storiografie. Non avevano però coordinate precise,
nonostante gli studi per individuare un sistema che potesse sostenere
la vita.
Si narra, quindi, che le navicelle si separarono a causa di errori
tecnici e
condizioni di viaggio avverse. Fu così che fu scoperto Duuar, il cui
stato è
andato peggiorando con il tempo, come sapete.
« Si era creduto che le altre due
navicelle
fossero state perdute per sempre, che fosse diventato ormai solo una
leggenda,
che non ci fosse nessun altro della nostra stirpe là fuori. Ma ci
sbagliavamo.
»
Il viola fece una pausa per schiarirsi la
gola, e Kisshu ne approfittò per inserirsi con un po’ troppa veemenza:
« Cinque
anni fa, più o meno, sono infatti iniziate ad arrivare strane
comunicazioni,
come segnali di riconnessione che non avevamo mai ricevuto prima. E, sorpresona,
abbiamo scoperto che in effetti le navicelle erano arrivate
da qualche
parte, su un pianeta poeticamente rinominato Gaia(**).
Le
comunicazioni non erano mai state possibili prima di allora a causa
della
distanza che ci separa dal loro sistema, ma l’avanzamento delle
rispettive
tecnologie ha permesso di poter scambiare qualche messaggio. »
« Gaia perché è un pianeta decisamente
simile alla Terra, » spiegò Pai, « Con condizioni climatiche ottimali,
che
hanno permesso ai nostri… bè, ai nostri cugini di
fiorire e ricostruirsi
una vita. »
« Pensa che culo, a noi è toccato il pezzo
di ghiaccio e a loro il paradiso. »
« E tutto ciò cosa c’entra con noi? »
domandò Minto sottovoce, lanciando uno sguardo carico di rabbia a
Kisshu per il
commento, e il maggiore degli Ikisatashi fece un altro respiro:
« L’ottimo ecosistema di Gaia ha favorito
lo sviluppo della loro civiltà. Eppure, per quanto sia simile alla
Terra, Gaia
non ne condivide le dimensioni. Per i pochi messaggi che siamo riusciti
a
captare, abbiamo dedotto che sia ormai sovrappopolato all’eccesso,
nonostante
siano ancora in grado di mantenerlo florido e non abbiano dilapidato le
sue
risorse. »
Gli umani decisero di non commentare
quell’ultima affermazione e rimasero in silenzio ad aspettare, non
ancora
soddisfatti della spiegazione, così fu Kisshu di nuovo a concludere,
grattandosi la testa:
« Dovete capire che è davvero in culo
all’universo, quel posto, così i messaggi che riceviamo non sono mai
completi,
e soprattutto mai istantanei. Non siamo neanche mai riusciti a
calcolare quanta
differita ci potesse essere. Ma – e qui c’è la parte, come dire…
difficile… »
si azzardò a lanciare uno sguardo a Minto e poi lo ripuntò su una più
pacata
Purin, « Per quanto abbiamo capito… visto che sono un po’ troppi,
avrebbero
voluto provare a riconquistare il loro pianeta d’origine. »
« Oh, isn’t that
a classic. »
Ci fu ancora un attimo di silenzio dopo la
battuta gelida di Ryou, poi Zakuro esalò piano: « Ed è per questo che
siete
tornati. »
I tre Ikisatashi si scambiarono
un’occhiata, poi Pai annuì: « Non eravamo sicuri di niente. I messaggi
con Gaia
avevano successo quasi solamente in entrata, e come ha detto Kisshu, le
comunicazioni non erano chiare. Ma, nell’eventualità che succedesse… »
« Quindi ci avete riempito di cazzate fin
dal momento in cui siete arrivati, » insistette la modella, immobile e
calma
nella sua posa nonostante il fuoco che le invadeva le iridi.
« Be’, diciamo che abbiamo omesso
un
pezzetto della verità, » rispose Kisshu, « Siamo anche qui davvero per
misurare
e comparare gli effetti di Mew Aqua. »
« Grazie tante. »
« Non potevamo esserne sicuri, » continuò
Pai, « E non aveva senso creare il panico, in caso i nostri tentativi
di
dissuadere i Geoti avessero avuto un buon fine. »
« Non mi sembra proprio, » commentò
velenosa Minto, alzandosi e facendo qualche passo per il salotto, « E
adesso
cosa diamine dovremmo fare!? »
« Potremmo… provare a parlarci, » tentò
invano Taruto, cercando di incrociare lo sguardo degli altri, ma
ricevette in
risposta solo uno sbuffo stizzito di Shirogane.
« Parlarci? » esclamò sarcastico, « Quel
tizio grosso come un armadio ha aperto un buco in un palazzo, for
fuck’s
sake, non mi sembrava molto intenzionato a parlare!
»
« Da un punto di vista prettamente
teorico,
potrebbe esserne capace pure Taruto con uno dei suoi trucchi di radici…
» provò
a stemperare Kisshu, guadagnandosi in cambio solo occhiatacce da parte
di
tutti.
Retasu prese un respiro così profondo che
echeggiò per la stanza: « È per questo… è per questo che sono tornati i
nostri
marchi, non è vero? » domandò con un filo di voce, cercando lo sguardo
delle
amiche, « I nostri DNA… lo sapevano. E oggi noi lo
sapevamo, e lo
sappiamo ancora. Lo possiamo sentire. Siamo qui per proteggere la
Terra,
dopotutto. »
Perfino Minto si concesse l’accenno di una
parolaccia, riprendendo a camminare in tondo per la stanza con le
braccia
strette intorno al busto.
« Mi sa che non abbiamo molta scelta, »
concordò Purin con l’abbozzo di una risatina incerta, « Siamo le Mew
Mew. »
A quelle parole, un singhiozzo si levò da
Ichigo, ancora in disparte rispetto a loro.
« Ryou, » il gemito gli spezzò il cuore in
due e lui faticò a voltarsi verso di lei, a incrociare la sua
espressione
distrutta mentre stringeva Kimberly ancora di più contro al suo petto,
« Ryou,
no, io non… »
In due falcate le fu accanto, praticamente
a sorreggerla mentre gli si abbandonava contro, e fu grato a Retasu che
riuscì
a lanciarsi tra di loro e prendere la bambina per far sì che lui
potesse abbracciarla
quanto più stretto possibile.
« Io non posso, » gemette, tentando di
respirare tra un singhiozzo e l’altro mentre lui le accarezzava i
capelli e le
sussurrava all’orecchio per cercare di calmarla, « Come faccio, io ho…
noi
abbiamo… »
Tutto il senso di colpa che aveva sempre
provato verso le ragazze, verso di lei, nonostante
si fosse ripetuto
migliaia di volte quanto il progetto Mew fosse stato necessario, come
la Terra
stessa avesse scelto proprio loro, gli si moltiplicò in petto più forte
che mai,
provocandogli un bolo di acidità in gola. Non avrebbe potuto dire
niente, per
una volta nella vita non aveva una risposta sufficiente da darle, per
rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene, che nulla
sarebbe
successo alla loro famiglia, ma i ricordi di ciò che era accaduto anni
prima
erano troppo indelebili per mentirle in quella maniera.
Fu Purin invece ad avvicinarsi, a
prenderle
una mano con un sorriso sottile: « Nee-san… siamo tutti dalla stessa
parte,
questa volta, » le mormorò, « E siamo più forti. Siamo più consce, non
siamo
delle bambine. Non devi avere paura. »
« Dai, vecchiaccia, » le diede corda
Taruto,
« Abbiamo anche l’effetto sorpresa. Loro non sanno niente delle Mew
Mew, né che
noi siamo qui, se è per questo. Ci dà un margine non indifferente. »
« Rimanderei le discussioni tattiche a
domani, » s’intromise Keiichiro, con un tono di voce stanco come non
l’avevano
mai sentito, « Credo che serva a tutti del tempo per… digerire le
informazioni.
Ma concordo con Taruto-san che per oggi possiamo stare tranquilli,
credo che i
nostri nuovi ospiti abbiano già attirato abbastanza l’attenzione. »
« Domani inizieremo a pensare a tutto, »
concordò Ryou, continuando a cullare piano Ichigo, un po’ più calma
contro al
suo petto, « Dio, dovrò licenziare le cameriere per riaprire davvero la
vecchia
base. »
« Almeno Ichigo-chan sarà contenta, »
sbuffò Purin, beccandosi un’occhiata di sbieco da sotto il braccio
dell’americano.
« Vi chiedo solo di non rimanere da sole,
se possibile, » aggiunse Keiichiro, guardandole tutte con pacatezza, «
Mi
fareste stare più tranquillo. E cellulari sempre accesi, almeno finché
non
recuperiamo i vostri ciondoli. »
Le ragazze annuirono piano, le facce
ancora
scavate e pallide, i corpi tesi mentre raccoglievano le loro cose per
avviarsi
verso casa.
« Vi aspettiamo domattina al Caffè,
allora.
»
« Che cosa grandiosa, » sibilò Minto,
quasi
litigando con la propria borsa che non voleva saperne di chiudersi, «
Non
vedevo l’ora di dover affrontare battaglie intergalattiche a sorpresa. »
Kisshu azzardò un solo passo verso di lei,
gli occhi dorati quasi spenti: « Tortorella… »
Lei tremò da capo a piedi per trattenersi
dal tirargli un ceffone: « Non ti azzardare a seguirmi, » sibilò, la
voce che
le si spezzò infida, « Non ti azzardare a parlarmi, non ti azzardare a
guardarmi, e soprattutto non ti azzardare a dirmi che ti dispiace. »
Gli diede le spalle e prese l’uscita senza
aggiungere altro, sbattendo la porta così forte che le cornici alle
pareti
sussultarono minacciose.
(*)
Vedasi
l’ultimo numero del manga, dove Purin gli “passa una caramella con la
bocca” –
palesemente un bacio xD Mia Ikumi non mi freghi!
(**)
Gaia dal greco antico (omerico) Γαῖα,
o anche Γῆ, Ghḕ, Gea,
è per la mitologia greca la dea primordiale, personificazione
della Terra,
madre ancestrale di tutta la vita.
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Capitolo 10 *** Over the hills and far away ***
Chapter Ten – Over the hills and far away
« Possiamo constatare quanto sia stato un completo
fallimento. »
« Su, fratellino, non essere sempre così negativo, » una
risata strafottente rimbombò per lo stanzone, « Io direi che è stato…
esplosivo.
»
Un paio di occhi blu come il mare si assottigliarono
irritati: « Lo scopo era di osservare l’obiettivo senza farsi notare,
stimare
la situazione per poter determinare la procedura ottimale e andarsene
in
fretta. Sbaglio o non è andata proprio così? »
Una terza voce, più allegra ma meno irriverente,
s’interpose al dibattito: « Guarda il lato positivo, abbiamo appurato
fin dal
principio che gli abitanti del posto non sono molto… pacifici. »
« E che le nostre stime sul loro progresso erano decisamente
sbagliate, » concluse un quarto, dal tono grave e quasi annoiato, «
Sono un
popolo molto più retrogrado di quanto ci potessimo auspicare, il che
può
dimostrarsi un’arma a doppio taglio per la riuscita del nostro
progetto. »
« Visto, fratellino, » ghignò di nuovo il secondo, « Se
avessimo perlustrato in segreto non avremmo ottenuto tutti questi
risultati. »
Un sospiro, poi un sottile ringhio: « Non perdere di
vista il fulcro della questione, Kert. Per quanto possa risultarti
complicato,
a capo della missione ci sono io, e gli ordini vanno rispettati. »
Abbandonò il salone a larghe falcate, cercando di
ignorare la risata tonante che lo seguì lungo i corridoi bui, e si
diresse verso
quella che aveva conclamato come la sua stanza. Il Sole stava
spegnendosi lentamente
dietro l’orizzonte, così diverso da quello cui erano abituati i suoi
occhi, e
si soffermò un istante a scrutare da dietro il vetro appannato della
finestra.
Parte di lui non riusciva a credere che l’aria che stava
respirando era la stessa che i suoi antenati avevano condiviso milioni
di anni
prima, che era davvero la Terra quella sui cui si stavano posando i
suoi piedi;
gli erano bastati però pochi respiri per cogliere tutte le differenze
con Gaia,
il loro pianeta quasi perfetto, così pulito e confortevole.
Com’era possibile che quella nuova razza avesse sfruttato
in maniera così becera la loro preziosa casa?
Un fruscio di tessuti attirò la sua attenzione prima che
un paio di braccia esili si chiudessero intorno al suo torace: « Adesso
sei
contento che sia venuta anch’io? »
« Tutt’altro, » sbuffò, poggiando le mani sopra quelle
più pallide, « Temo che sarà molto più complicato di quanto
programmato. Avrei
preferito tu rimanessi al sicuro. »
« Non preoccuparti, » la stretta si fece più intensa,
mentre il calore che gli si propagò dalle scapole gli fece capire che
aveva
poggiato il viso contro di lui, « Prometto che non mi stancherò troppo.
E poi
vorrà dire che sono davvero necessaria e che è un bene che ci sia
anch’io, no?
»
Si voltò e prese il volto tondo tra le dita,
specchiandosi negli occhi scuri: « Cerca di non farmi preoccupare. »
« È quasi tecnicamente impossibile. »
Rise e avvicinò la bocca alla sua: « Sai cosa voglio
dire. »
Le braccia gli si chiusero dietro la nuca e una risatina
vibrò contro le sue labbra: « Dimmi che mi ami e basta. »
§§§
Ichigo si afflosciò ancora di più nella vasca da bagno,
il naso a sfiorare la superficie schiumosa dell’acqua. Non aveva smesso
di
tremare da quando gli altri se n’erano andati, più o meno
rumorosamente, e
aveva subito accolto il suggerimento di Ryou di rilassarsi e
riscaldarsi in uno
dei suoi luoghi preferiti dell’intera casa.
Soffiò piano per allontanare un cumulo di bolle che la
stavano pizzicando e strinse le mani tra le cosce; non aveva ancora
fatto del
tutto pace con la voglia che le era rispuntata sulla pelle, e meno che
mai se
la sentiva di vederla quella sera.
Le girava talmente tanto la testa che le pareva i
pensieri stessero cercando di uscirne, tanto erano sovraffollati. Solo
tre
giorni prima aveva indossato l’abito bianco, la sua più grande
preoccupazione
era stata non svenire dall’ansia lungo la camminata fino all’altare, e
ora si
ritrovava a dover nuovamente comprendere di dover lottare contro nemici
provenienti da un pianeta lontanissimo.
Con una bimba di quattro mesi, stavolta.
Sibilò ancora e s’immerse completamente, desiderosa solo
dell’ottundimento causato dall’acqua. Le sembrò provvidenziale, in quel
momento, quella decisione, quell’ istinto di non
aspettare a celebrare la
sua unione con Ryou. Come se una parte di sé l’avesse sempre saputo,
perché era
così, era ovvio, era stata semplicemente lei a decidere che la
ricomparsa della
voglia non volesse dire nulla.
Però non sapeva dove avrebbe trovato il coraggio di
affrontare tutto.
Rimase sott’acqua finché non sentì i polmoni sul punto di
esplodere, poi si risciacquò velocemente e si avviluppò
nell’accappatoio che
aveva preventivamente agganciato al termosifone.
L’intera casa era più silenziosa del solito quando uscì
sul corridoio, e poté udire con chiarezza il ticchettio della tastiera
che
proveniva dallo studio. Vi si diresse a piedi nudi e rimase in silenzio
a
sbirciare dallo spiraglio lasciato aperto; più che mai la vista le
parve
familiare, Shirogane con le luci al minimo e la schiena curva sui
larghi
schermi dei computer, le sopracciglia leggermente aggrottate in
un’espressione
di pura concentrazione mentre il suo cervello lavorava frenetico per
trovare le
risposte necessarie, o forse per sentirsi meno in colpa.
La sua capacità di concentrarsi totalmente nel lavoro,
estraniandosi dalla realtà circostante, era al contempo invidiabile e
insopportabile.
Ichigo batté le nocche sulla porta e gli si avvicinò,
abbracciandolo da dietro per quanto le permettesse la sedia.
« Hey there, ginger, » l’accolse lui con un
sospiro stanco, « Come ti senti? »
Lei strusciò la guancia contro quella di lui,
strappandogli uno sbuffo alle ciocche bagnate che lo colpirono: «
Meglio, »
mentì sottovoce, « Mi sta tornando fame. »
« Ordiniamo quello che vuoi, » la prese gentilmente per
un braccio e la tirò per farle aggirare la poltrona e sedere sulle sue
gambe, «
Personalmente vorrei un paio di birre. »
La rossa rise e gli si rilassò contro, inspirando il
profumo del suo dopobarba. Ryou aveva ancora la traccia di abbronzatura
e le
sembrò strano notarlo, come se non fossero tornati solo quella mattina
dal loro
weekend insieme; era così stanca che le sembrò lontano una vita, un
ricordo già
sbiadito e inafferrabile.
Lui fece scivolare la mano lungo il suo ginocchio, sotto
le pieghe dell’accappatoio: « Ti devi vestire, o ti verrà di nuovo
freddo. »
Ichigo però rimase lì, appollaiata su di lui come un
piccolo koala, il viso sempre nascosto contro al suo collo.
« Non so come fare, » ammise in un sussurro dopo qualche
secondo, avvertendolo irrigidirsi un po’ di più ed espirare lentamente,
« So
che devo farlo, è come una voce che non posso ignorare, ma… non so
come, questa
volta. »
Le labbra di Shirogane si posarono più decise contro la
sua tempia: « Per quanto mi disturbi ammettere che ci serva il loro
aiuto,
Purin ha ragione nel dire che questa volta gli Ikisatashi sono dalla
nostra
parte. Lo sai anche tu quanto sono forti, e non c’è nulla che ci faccia
presuppore non siano migliorati, con il tempo. »
« A confronto nostro, » mugolò contrariata la rossa,
odiandosi direttamente per quel pensiero, « Lasciamo perdere il dover
combattere, non mi ricordo neanche l’ultima volta che sono andata in
palestra.
»
Ryou sbuffò e la scostò appena così da poterla guardare
negli occhi, togliendole l’asciugamano arrotolato in cima alla testa
per
passare le dita tra la sua chioma: « Non succedeva spesso nemmeno
prima, ginger.
»
Lei si limitò a fare una smorfia, sfiorandogli distratta
la voglia chiara sul collo.
« Non avevi paura, quando l’hai fatto? »
« Certo. Ma non avrei mai potuto iniettare qualcosa a
delle sconosciute senza averlo provato prima io. »
« Avrei qualcosa da ridire anche su questo, » Ichigo si
lasciò scappare una mezza risata, poi chiuse gli occhi e poggiò la
fronte
contro la sua, ammettendo in un pigolio, « Ho paura. Una paura folle. È
come se
avessi due istinti, dentro di me, quello del gatto Iriomote e quello di
madre
e… non riescano a mettersi d’accordo. »
« Per quello che vale, lo sai che non sarai mai sola,
vero? »
« Lo so, » la rossa gli prese il viso tra le mani e si
avvicinò un po’ di più, « Ma ciò vuol dire che mi preoccupo anche per
te. »
Lui sfiorò il naso di lei col proprio: « Non mi sono mai
messo nei guai. »
« Mmmh, » lei gli lanciò un’occhiata poco divertita, «
Allora era un’altra testa bionda, durante… l’ultima volta. »
« Don’t think about that, » Ryou fece scorrere la
mano più in alto lungo la sua coscia, così da stringerla, « Non pensare
a cos’è
successo. Pensa solo a concentrarti su questo momento, e a superarlo.
Insieme.
»
Ichigo sbuffò, poi piegò un sopracciglio in
un’espressione divertita: « Pensavo di aver sposato un musone fatalista
e
pessimista. »
« Se preferisci quella versione, ragazzina, basta
chiedere. »
Lei ridacchiò e intrecciò le braccia dietro al suo collo,
baciandolo e facendo aderire i loro corpi il più possibile, cercando in
lui il
calore necessario a scioglierle il freddo dal petto. Sapeva che la
tempesta nel
suo cuore non sarebbe passata molto facilmente, ma almeno per quella
notte
avrebbe smesso di pensarci.
« Tu lo sapevi? »
Seduta sul suo letto con le gambe a penzoloni dal bordo e
la mano stretta nella sua, Purin guardò Taruto da sotto la frangetta
bionda,
disegnando distrattamente sul braccio del ragazzo con la punta di un
dito.
« Non tutto, » ammise lui a bassa voce, « Io dovevo
ancora mettermi in pari con gli studi, e con l’Esercito… i miei
fratelli mi
avevano raccontato qualcosa, ma ovviamente certe informazioni erano più
confidenziali. Sono rimasto indietro anche per… controllare che non
arrivassero
nuovi messaggi e per avere un contatto diretto con il Comando Generale.
»
« Non sapete proprio niente di chi sia arrivato? »
« No, » Taruto sospirò pesantemente e lanciò la testa
all’indietro, incassandola nelle spalle, « Pai è inavvicinabile, credo
abbia
cercato di smontare l’intero sistema di radar e comunicazione per
capire perché
non ci siamo accorti di niente. Da quanto ho capito, lui e Shirogane
hanno
anche hackerato non so cosa per ottenere i video di quei tizi e
studiarli
meglio. »
Purin si concesse una risatina a quella rivelazione: « Io
e Retasu nee-san non abbiamo avuto il coraggio di scendere in
laboratorio,
infatti. »
« Avete fatto bene, ho seriamente temuto che il biondino
potesse accoltellarci. »
« Povera nee-san, » lei si corrucciò, sfiorandosi
distratta la voglia sulla fronte, « Non l’ho mai vista così disperata.
Io mi
preoccupo per i miei fratellini, però lei… non vorrei proprio essere
nei suoi
panni, ma la dobbiamo aiutare. Non abbiamo altra scelta. »
Taruto la scrutò in silenzio, cogliendo negli occhi
marroni quella scintilla di positiva determinazione che l’aveva sempre
caratterizzata e che lui aveva sempre ammirato, in lei.
« Come fai a sapere sempre qual è la cosa giusta da fare?
» le chiese di scatto, senza rifletterci troppo sopra, e Purin si
strinse nelle
spalle:
« Non ho detto che dobbiamo combatterli per forza, su
questo sono d’accordo con Retasu nee-san. E te l’ho anche già detto (*),
preferirei non dovessimo scontrarci in nessuna stupidissima guerra… ma
è anche
nostro compito doverli affrontare, proteggere la Terra come meglio
possiamo. E
cercare di convincerli che questo metodo non è quello giusto. »
Gli rivolse un sorriso, poi balzò giù dal letto e si
stiracchiò poco elegantemente: « Mannaggia, sono davvero esausta. E non
ho per
niente voglia della chiacchierata di domattina al Caffè. Già sento gli
strilli
di Minto. »
« Kisshu non era ancora tornato quando sono passato al
Caffè, » commentò lui lugubre, « Mi devo preoccupare? »
« Credo che la nee-san sia abbastanza crudele da evitare
di proposito di colpire punti vitali per prorogare la sua vendetta, »
Purin
rise un po’ ironica, prima di fare una smorfia, « Non credo andrà molto
bene,
al nii-san… »
Taruto non poté evitare di pensare che un po’ gli stesse
bene, al fratello, visto che predicava sempre molto bene riguardo
l’onestà e
gli affaracci altrui quando poi lui stesso s’infilava in casini molto
più
grossi, ma decise di non dire nulla. Si alzò anche lui e osservò Purin
di
sottecchi, tossicchiando leggero.
« Sei… sicura che non vuoi che rimanga, per… hai sentito
cos’ha detto Akasaka-san, sarebbe meglio non stare da soli e… »
La biondina abbozzò un sorrisetto appena più malizioso
del solito e strusciò il naso contro al suo, causandogli un evidente
rossore
sulle guance: « Apprezzo l’offerta, ma va bene così. Dubito che gli
alieni
sarebbero interessati ad attaccare questa zona, visto che non c’è molto
intorno, e poi… sarebbe un po’ prematuro, non trovi? »
Ci mancò poco perché le orecchie di Taruto cominciassero
ad emettere fumo: « N-n-non il quel senso! » sberciò
in tachicardia, «
M-m-ma s-so-solo pe-per… »
Purin rise e si tirò in punta di piedi per schioccargli
un bacio: « Non preoccuparti. E poi prima vorrei spiegarlo bene ai miei
fratelli, così smettono di impicciarsi. »
Lui si limitò ad annuire, la gola completamente chiusa,
analizzando che effettivamente l’ultima cosa che potesse essergli utile
in
quell’istante erano quattro maschi adolescenti in atteggiamenti
protettivi
verso la loro sorella maggiore.
Le diede un ultimo bacio, ben conscio che lei potesse
percepire il calore del suo viso, e si teletrasportò al Caffè, invaso
da un
silenzio estremo che sottolineava come non ci fosse nessuno, nemmeno
Pai.
Sospirando, Taruto si avviò verso la cucina: con un po’ di fortuna,
Akasaka non
aveva portato tutti gli avanzi a casa di Ichigo.
Quando effettivamente riapparve, qualche ora dopo, suo
fratello già tra le lenzuola, Kisshu si chiuse la porta della camera da
letto
alle spalle con un pesante tonfo e ringhiò minaccioso: « Non dire
niente,
Taruto. Non una parola. »
Si spogliò e si infilò a letto con rabbia, un braccio a
coprire gli occhi, ignorando il borbottio offeso del minore che si
limitò ad
avvolgersi nel lenzuolo e dargli le spalle.
Non sapeva nemmeno lui come se lo sarebbe aspettato, in
fondo, di dover alla fine vuotare il sacco con i terrestri sul piccolo,
banale,
insignificante dettaglio mancante del loro ritorno sulla Terra. Sì,
aveva
previsto che le ragazze – soprattutto alcune – si sarebbero arrabbiate,
ma a
volte sottostimava la potenza della rabbia che potevano provare.
Soprattutto quella più di suo interesse.
Minto si era letteralmente arroccata a casa di Zakuro non
appena avevano lasciato Ryou e Ichigo; aveva tentato di seguirla, di
bloccarla,
di parlarle, ma la mora aveva rifiutato qualsiasi suo tentativo di
avvicinamento, ignorandolo fino all’automobile della modella, su cui
era salita
senza fiatare, e quasi usando l’amica come scudo. Lui aveva pensato di
precederla a destinazione, ma, vedendo l’occhiataccia che Zakuro stessa
gli
aveva rivolto una volta accomodatasi accanto alla mora, aveva deciso
che non
era decisamente il momento adatto per testare ulteriormente la sua
pazienza.
Aveva così passato le ore successive a vagabondare per la
città per sbollire la propria, di rabbia – detestava con passione
essere
ignorato, per di più sapendo che sarebbe arrivata una litigata epocale,
e non
poteva cancellare quel sottile senso di colpa e di stupidità a non aver
ammesso
certe cose prima, perché poteva essere stupido ma non così tanto – alla
ricerca
di un luogo con un minimo di solitudine.
Non aveva avuto molto successo, visto la maniera in cui
gli si stavano ancora attorcigliando le budella.
C’erano troppe cose che erano andate storte perché
potesse prendere sonno. Chi diavolo erano i tizi che avevano deciso di
replicare la loro avventura di sette anni prima? E com’era possibile
che
nemmeno i loro sistemi si fossero attivati, che chiunque fosse, fosse
riuscito
ad arrivare senza che se ne accorgessero?
Una vecchia ma mai dimenticata sensazione d’ansia gli
risalì dal petto, lì dove la cicatrice gli tirava la pelle. Qualunque
cosa
fosse, non sarebbe potuto andare peggio di com’era andata.
O almeno fu quello che si augurò.
Retasu soffiò piano sulla tazza di tè nero, alla ricerca
della dose giusta di ricarica per svegliarsi. Non ricordava l’ultima
volta che
aveva dormito così male – o così poco – e nonostante si fosse
sciacquata la
faccia tre volte con acqua gelida, non riusciva a scacciare la
pesantezza dalle
sue palpebre.
Sospirò e si mosse in silenzio attorno alla cucina, era davvero
presto e non voleva svegliare i suoi genitori o suo fratello prima del
previsto, anche perché sarebbe stato abbastanza complicato dover
spiegare cosa
stesse succedendo e perché lei avesse quella ruga di preoccupazione
stampata in
fronte. Si riempì una ciotola con un po’ di yogurt e mezza banana e,
reggendo
tutto con estrema cautela, si rintanò di nuovo in camera sua, dove non
avrebbe
dovuto indossare una maschera di tranquillità.
Ci aveva provato, la sera prima, a consolare Ichigo il
più possibile, a smorzare l’impeto combattivo di Minto, ma non appena
era
rimasta sola si era sentita soggiogata dal panico al pensiero che
stesse per
ricominciare tutto.
Aveva odiato combattere la prima volta, aveva odiato ciò
che era successo alla fine, il costo che avevano dovuto pagare per
rendersi
conto di quanto quella guerra fosse futile. Certo, da un punto di vista
potevano dire di aver ottenuto il lieto fine, ma lei non era mai stata
d’accordo con il percorso per arrivarci fin dal principio.
Non avrebbe mai più voluto rivedere quello sguardo in un
paio di occhi ametista; sapere che avrebbero combattuto dalla stessa
parte,
adesso, la rendeva ancora più nervosa, perché se per caso fosse
successo
qualcosa…
Scosse la testa e si costrinse a non lasciare che la
propria mente si avventurasse per quei pensieri, che erano solamente
controproducenti. Si strafogò della sua colazione per i cinque minuti
successivi, guardando distratta fuori dalla finestra la luce che si
faceva
lentamente più intensa.
Cercando di ignorare che, forse ironicamente, era anche
la prima volta che discuteva con Pai e non era molto certa su come
comportarsi.
C’era da dibattere anche se discutere fosse il
verbo giusto, dato che
dopo la serata a casa Shirogane si era limitata a rifiutare la sua
offerta di
un passaggio a casa e a dirgli che aveva bisogno di un po’ di tempo da
sola (aveva
mentito, non aveva voluto rimanere per conto suo ma non era
completamente a suo
agio con la bugia che i tre alieni avevano mantenuto per tutto quel
tempo).
Sospirò e lanciò un’occhiata al proprio cellulare,
rimasto silenzioso per la maggior parte della serata, ognuna delle
ritrovate
Mew Mew probabilmente persa nei propri pensieri. C’era un messaggio da
parte
dell’alieno, quello che meglio si era applicato, ovvio, ad utilizzare
la
tecnologia umana, semplice come erano sempre stati i precedenti.
Se necessario chiama.
Con il punto alla fine della frase come al solito, che ad
altri avrebbe potuto apparire minaccioso e che invece lei interpretava
come
un’ovvietà, perché era così che si chiudeva un periodo in maniera
corretta.
Perché effettivamente l’unica arrabbiata era lei.
Sapeva che aveva ragione ad essere indispettita,
ovviamente, ciò che gli Ikisatashi avevano confessato solo la sera
prima era
stato davvero troppo grosso, ma non era nella sua indole tenere il muso
o non
essere del tutto a posto con una persona. Ed esserlo con Pai le
provocava
ancora più disagio.
All’improvviso si lasciò scappare uno sbuffo divertito:
si stava preoccupando non per la minaccia interplanetaria che
nuovamente
incombeva su di loro, ma perché non sapeva come comportarsi con il
proprio
ragazzo dopo un dissapore, che razza di priorità le stavano sorgendo?
Terminò in fretta la propria colazione e si rifugiò in
bagno proprio mentre sentiva trillare la sveglia dei suoi genitori.
Avrebbe
dovuto stare attenta, da lì in poi, a non lasciare scoperta la sua
voglia –
perché a lei doveva capitar proprio un punto così sconveniente?! – e fu
silenziosamente grata che almeno con l’arrivo dell’autunno ciò avrebbe
potuto
essere un poco più semplice. Si lavò, pettinò, e vestì in fretta,
rispondendo a
monosillabi più o meno vivaci alle domande di routine di sua mamma e
adducendo
come scusa della sua visibile stanchezza solamente il carico di lavoro
dell’università. Sapeva benissimo di essere pessima a mentire, ma
almeno i suoi
genitori le avevano sempre concesso la cortesia di non impuntarsi
troppo ad
impicciarsi, se vedevano che non era dell’umore giusto.
Solo quando nuovamente la casa fu silenziosa, ogni altro
componente della famiglia Midorikawa andato per la propria giornata,
Retasu si
concesse un sospiro pesante e agguantò il telefono. Era in ogni caso
davvero
presto, non si sarebbero dovuti trovare al Caffè per minimo un altro
paio
d’ore, e lei era ben conscia di non essere come Ichigo o Minto: non era
capace
di tenere il muso, non sarebbe riuscita a concentrarsi se prima non
avesse
risolto i suoi dubbi.
Riuscì appena a sbloccarlo, però, che il cellulare si
mise a ronzarle in mano. Non rispose, ma scese le scale lentamente per
andare
ad aprire la porta.
Ringraziò che il suo vicinato non fosse particolarmente
impiccione, perché l’aria del mattino era parecchio fresca, eppure Pai
stava
sulla soglia con solo una t-shirt leggera e l’aria da cane bastonato.
« Di solito a quest’ora… » iniziò titubante, e la verde
annuì, facendosi da parte per concedergli di entrare.
L’alieno si portò al centro esatto della stanza,
l’addestramento militare ben visibile nella posa rigida della spina
dorsale, e
nuovamente si voltò verso di lei come un imputato davanti al giudice.
« So che vi dobbiamo delle scuse. Ma ciò che più mi preme
è chiedere scusa a te. »
La verde sospirò e si strinse il cardigan di cotone
attorno al torso: « Pensavo avessimo deciso che… se fosse stato
necessario, ci
saremmo detti le cose. »
« Non sapevamo se sarebbe successo davvero. »
Si sorprese di se stessa quando gli rispose con uno
sbuffo seccato: « Non è continuando a ripeterlo che s’aggiusterà tutto,
Pai. »
L’alieno annuì e fece un passo avanti per prenderle le
mani: « Lo so. Però ritieni sarebbe stato utile informarvi di una
possibilità
che, per quanto ne sapevamo, poteva rivelarsi assai remota? Pensi che
sareste
riuscite a vivere in totale incertezza? Non avremmo saputo in ogni caso
se e
quando sarebbero arrivati, nessuno dei nostri sistemi è riuscito a
intercettarli prima del loro sbarco sulla Terra. »
Retasu si corrucciò, non apprezzando il momento di
razionalità che avvertì provenire da quel discorso: « Non è comunque…
ci
saremmo preparate, avremmo potuto… che ne so, allenarci, riprendere
coscienza
dei nostri poteri, non… »
« I vostri poteri si sono riattivati solo con il ritorno
di Taruto, ricordi? » Pai cercò di incrociare il suo sguardo,
abbassando di un
tono la voce, « Tre mesi fa. Vi abbiamo dato un anno e mezzo di
tranquillità,
invece. »
Lei si morse il labbro e scostò le mani, agitandole
davanti al volto: « D’accordo, ma… non è comunque un buon motivo per
mentirmi
per tutto questo tempo! »
Il ragazzo si avvicinò di nuovo e questa volta le
accarezzò le guance con i pollici: « Lo so, Retasu. Non c’è nulla che
possa
cancellare questo fatto, ma vorrei provaste a capire il perché. »
La verde sospirò di nuovo, detestando il fatto che le
iridi ametista le sembravano più sincere che mai: « Di chi è stata
l’idea? »
borbottò.
Pai si meravigliò, ancora una volta, dei dettagli che lei
non mancava mai: « Mia. Me ne assumo tutta la responsabilità, come
comandante
di questa missione. Kisshu, e Taruto soprattutto, avrebbero voluto
rivelare
almeno in parte delle cose, ma non gliel’ho permesso. »
Lei avvertì un moto di disagio al rigore militare cui lui
stesso si sottoponeva e al fatto che il suo discorso le pareva ogni
secondo più
sensato. Una parte di loro aveva sempre saputo che il loro ruolo di Mew
Mew non
avrebbe mai potuto essere un evento unico, ma era anche cosciente che
non
sarebbe riuscita a vivere una vita normale con il minimo sentore di una
minaccia incombente. Forse non si sarebbe nemmeno mai lasciata andare
come
aveva fatto, non le sarebbe parso genuino ma solo forzato dall’angoscia
di
perdere del tempo, dal vecchio ricordo di un e se? che
non avrebbe
voluto ripetere.
« Perdonami, Retasu, » insistette lui sottovoce,
poggiando la fronte contro la sua, « Il nostro intento non era
malevolo. »
In risposta, Retasu si tirò in punta di piedi e gli
strinse le braccia al collo, cercando consolazione nel suo abbraccio.
« Non mentirmi più, » gli sussurrò con una punta di
convinzione aggiuntiva, e avvertì le mani dell’alieno stringerla più
forte.
I colori delle pareti del locale sembravano spenti, con
l’atmosfera che vi regnava. Quasi tutte le imposte erano serrate, e un
cartello
con su scritto Chiuso per riparazioni campeggiava
davanti al vialetto
d’ingresso.
« Ho detto alle altre ragazze che era scoppiata una
tubatura in bagno, » spiegò Keiichiro quando Pai e Retasu fecero il
loro
ingresso, « E che quindi saremo rimasti chiusi per qualche giorno. »
Purin, Taruto, Ichigo e Ryou erano già seduti ad un
tavolo nel centro della stanza, l’unico senza sedie rovesciate sopra;
una delle
poche lampade accese illuminava l’area e si rifletteva tenue sulle
tazze di tè
che fumavano lente. Bastò un’occhiata alla rossa, che ogni tre secondi
controllava Kimberly nel passeggino, perché Retasu capisse che
probabilmente
aveva dormito meno di tutte.
« Kisshu nii-san è ancora al piano di sopra, » spiegò
Purin sottovoce, sforzandosi di fare un sorriso di benvenuto, « Minto
nee-san e
Zakuro nee-san stanno arrivando. »
« Preparate i tappi per le orecchie, » commentò lugubre
Taruto, ricevendo da sotto il tavolo un calcio nello stinco da parte
della
biondina.
Keiichiro si prodigò a rifornirli di altro tè, caffè, e
dolci da colazione nell’attesa, passata in un silenzio interrotto solo
dai
rumori di cucchiaini e forchette. Dopo cinque minuti, il rumore di
tacchi sul
selciato annunciò l’arrivo delle ultime due Mew Mew mancanti, e dovette
essere
percepito da Kisshu stesso, che scese le scale nello stesso momento a
passi
pesanti.
Fu come se una nuvola ancora più grigia fosse scesa sul
Caffè: né Zakuro né Minto dissero una parola, la seconda ignorando
totalmente
l’alieno dai capelli verdi anche quando questo prese posto a tre sedie
da lei
fissandola con tanta determinazione da pensare che avrebbe preso fuoco.
« Bene, » Keiichiro si schiarì la gola, « Preferirei che
le circostanze fossero differenti, ma abbiamo un po’ di cose di cui
parlare. »
« Dillo ai nostri amici, » sibilò Zakuro, lanciando
un’occhiata rovente a Pai, che rimase immobile e rigido sulla sua sedia.
Shirogane tossì e si arruffò i capelli, sporgendosi un
po’ in avanti: « Abbiamo ottenuto i filmati mostrati al telegiornale e
raccolto
altri video presi da altre angolazioni. Per il poco che sappiamo,
confermiamo
che i nostri nuovi ospiti non provengono da qui. E che l’arma di uno di
loro pare
funzionare ad aria compressa. Mi sembra chiaro che… » prese un gran
respiro e
guardò Ichigo con la coda dell’occhio, « La squadra Mew Mew deve
tornare in
azione. »
« Yeee… » Purin si lasciò andare in una flebile
esclamazione di allegria che però si spense subito al mancato
coinvolgimento
delle amiche, così Pai prese la parola:
« Credo sia ormai evidente a tutti che il nostro ritorno
qui è anche stato dettato dalla volontà di aiutarvi, ma vorrei
reiterare il
fatto che siamo completamente dalla vostra parte e che, se necessario,
combatteremo insieme a voi. »
« Ma che gentili, » sussurrò velenosa Minto, spezzettando
un biscotto in una polverina, « Se necessario, mi
parevano decisamente
intenzionati. »
Il viola espirò più deciso e continuò: « Non sappiamo molto
della tecnologia e dei poteri dei Geoti, ma riteniamo sia possibile
supporre
che non debbano essere molto diversi dai nostri. Il fatto che usino
armi, però,
ci fa credere possano non condividere – almeno non tutti – le capacità
che noi
abbiamo di manipolare la terra, o l’elettricità. Vista la facilità con
cui sono
scomparsi, parrebbero utilizzare anche loro il teletrasporto. »
« Quindi cosa ne pensate? Sono più o meno forti di voi? »
Ichigo parlò solo in quel momento, con voce roca e stanca.
I tre Ikisatashi si scambiarono un’occhiata veloce, e fu
sempre il maggiore a rispondere: « Purtroppo non posso rispondere
finché non li
avremo incontrati dal vivo. »
« Grandioso, » Minto fece schioccare la lingua, « Quindi,
fatemi ricapitolare. Il vero motivo per cui siete venuti qui è perché
volevate
difenderci dall’ennesima invasione dei vostri quasi-compatrioti. E
dunque, a
rigor di logica, dopo la felice riuscita del vostro piano
confidenziale, ve ne
ritornerete da dove siete venuti, non avendo davvero più niente da
fare. Sempre
che non ci sia qualche altro segretuccio in giro. »
All’affermazione acidamente sarcastica della mora, che si
poggiò contro lo schienale della sedia a braccia incrociate, sul Caffè
scese il
gelo. Zakuro e Ichigo si scambiarono un’occhiata di nascosto, notando
con
chiarezza come Retasu impallidisse e Purin si corrucciasse.
« Non è una cosa che abbiamo mai detto, » scandì
lentamente Pai, e la mora fu l’unica che lo schernì irritata:
« Mi sembra appunto quello il problema. »
Si alzò con un potente stridio della sedia contro al
pavimento e afferrò cappotto e borsa senza aggiungere altro, voltando i
tacchi
e marciando verso la porta sul retro; Kisshu reagì con tre secondi di
ritardo,
scattando dalla sedia rischiando di rovesciarla e quasi correndole
dietro.
« Tortorella, aspetta. »
Lei non si degnò nemmeno di dargli un minimo
d’attenzione, anche se l’eco dei suoi passi si fece più pesante.
« Hai finito di ignorarmi!? »
Per tutta risposta, la mora aprì la porta con più forza
del solito e se la lanciò alle spalle probabilmente in un tentativo di
sbattergliela sul naso.
« Minto. Non ho mai inseguito una femmina in vita mia e
non ho intenzione di iniziare adesso. »
L’occhiata di spregio e scetticismo che gli lanciò da
sopra la spalla lo costrinse ad alzare gli occhi al cielo e sospirare,
prima di
decidere che fosse giunta l’ora di usare metodi un po’ più
approssimativi. Le
si teletrasportò davanti, bloccandola, e, prima che lei potesse
formulare
l’insulto che le si stava formando sulle labbra, l’afferrò per le
spalle e
spostò entrambi nella camera da letto che condivideva con il fratello.
« Ora mi ascolti. »
« Che razza di modi sono questi?! »
« Quelli a cui mi costringi facendo la testarda cocciuta!
»
« Non ti azzardare, » gli sibilò stringendo gli occhi, «
Ho tutto il diritto di non volerti ascoltare visto che tanto mi hai
sempre
riempita di frottole! »
« Questa è una stronzata e lo sai benissimo, »
replicò gelido lui, « Solo perché ho dovuto omettere una cosa, non vuol
dire
che… »
« Oh, no, no, » Minto gli si avvicinò, puntandogli il
dito contro, « La sera in cui sono spuntati i marchi, te lo ricordi
cosa ti ho
chiesto? Ti ho chiesto di giurare che non ne sapevi
niente, e tu mi hai
raccontato una palla! »
Il verde si limitò a fare una smorfia: « In realtà non ho
mentito. Non ho detto di non saperne niente, ho detto che non ti avrei
mai
messa in pericolo volontariamente. Il che è la verità. »
Ci furono un paio di secondi di silenzio prima che la
mora scoppiasse in una risata isterica e si allontanasse, le mani che
prudevano
dalla voglia di prenderlo a ceffoni: « Mi stai prendendo in giro!? »
« Tortorella, andiamo, se mi lasciassi spiegare… »
« Non c’è niente da spiegare! » strillò lei, sbattendo un
piede a terra, per una volta incurante degli amici al piano inferiore,
« Non mi
hai omesso che… che ti fa schifo la danza o che
hai avuto sette
fidanzate prima di tornare qui, ma una cosa ben più importante, Kisshu!
E non
riesci nemmeno a prenderla sul serio ora! »
Tra sé e sé l’alieno pensò che entrambe le proposte gli
sarebbero parse altrettanto gravi, visto il caratterino della mora, ma
si
costrinse a non dire una parola.
« Tu mi dici che… che sei… e poi mi tieni segreto questo!
»
« Stai dicendo che non ti fidi, è questo che vuoi dire? »
« Congratulazioni, non pensavo fosse un pensiero così
complesso. »
Kisshu inspirò a fondo per riuscire a calmarsi: «
Tortorella, per quanto stia sul cazzo pure a me, a volte nella vita
devi
rispettare degli ordini. E non è stata una mia idea quella di non dirvi
niente.
»
Minto si corrucciò, una vampa di curiosità negli occhi, e
si strinse le braccia al petto: « Che vuoi dire? »
« Era un ordine di Pai, che è ancora un mio stracazzo di
superiore, ma l’ordine veniva da ancora più in alto. Cosa pensi, che
dopo tutto
il casino che abbiamo combinato sia stato così facile convincerli a
rimandarci
qui? » il verde sbuffò e si passò una mano tra i capelli, « Il Comando
Generale
ci ha lasciato andare solo dopo molte e ripetute assicurazioni che non
avremmo
richiesto nessun tipo di aiuto. Ci siamo solo noi a pararvi il culo. È
una
missione così segreta che neanche esiste. »
Lei computò la frase per qualche istante, poi abbassò la
voce: « E credi che questa cosa mi faccia sentire meglio? »
« Che abbiamo rischiato che l’intero governo del nostro
pianeta ci mandasse a quel paese per venirvi ad aiutare? Magari un
pochetto. »
Ci volle qualche secondo, poi Minto sbuffò sarcastica con
una punta di veleno: « Non sei certo tornato per me. »
Kisshu ringhiò sottovoce: « Questo cosa cazzo c’entra
ora? »
La mora non rispose, facendo solo spallucce mentre gli
occhi le si inumidivano e lei scostava lo sguardo. L’alieno si premette
una
mano sulla faccia, espirando lentamente. Era perfettamente cosciente di
essere
testardo, ma quando Minto ci si metteva era come un fiume in piena.
« D’accordo, tortorella, è vero. Ma non vedo come abbia
importanza dopo quasi un anno, » approfittò del suo rimanere muta per
avvicinarsi e posarle le mani sulla vita, « Soprattutto dopo tutto
quello che
ti ho detto e che ti ho raccontato della vita su Duuar. »
Lei persistette a tenere il viso aggrottato in una
smorfia di rabbia: « Hai dimenticato la cosa più importante. »
« Non credo, » Kisshu scosse la testa e la strinse un po’
più forte quando la percepì cercare di allontanarsi, « La cosa più
importante è
che ho intenzione di proteggerti, a qualunque costo. »
Minto s’irrigidì sotto i suoi palmi e fece uno strano
verso dal naso: « Non ci provare, Ikisatashi, » borbottò contrariata,
ma non
oppose troppa resistenza quando lui la spinse contro di sé e le poggiò
il mento
sulla testa.
Al piano di sotto, gli altri stavano facendo del loro
meglio per ignorare i tonfi e le voci attutite del litigio.
« Secondo me non ne usciamo in fretta. »
Purin si allungò per riempirsi di nuovo il piattino,
lanciando uno sguardo verso al soffitto, e Ryou si massaggiò le tempie
con
forza.
« It
just gets better and better… »
Zakuro gli allungò una tazza di caffè nero, poi guardò
lei stessa all’insù non appena le voci si attutirono.
« Vado a chiamarli, » decise poco dopo, alzandosi e
incamminandosi convinta verso le scale; non dovette fare molti passi,
però,
perché nello stesso istante Kisshu e Minto riapparvero nella stanza,
lei sempre
con un cipiglio deciso ma meno pronunciato di prima.
« Se avete finito il vostro teatrino, avremmo altre cose
di cui discutere… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, ce ne sarebbe anche per te.
»
Non appena si furono tutti riaccomodati, il biondo
sospirò e fece un cenno verso Keiichiro, che sollevò una cassetta di
metallo da
cui penzolava un lucchetto aperto.
« Ikisatashi-san ha ragione nel dire che dovremo cercare
di evitare un combattimento. Ma in ogni caso, lo dovete fare nel modo
più
sicuro, » aprì la scatola, rivelando i cinque fermagli da Mew Mew, «
Questi
appartengono a voi. »
« Non mi era mancato, » sbuffò ironica Ichigo,
allungandosi per afferrarne uno e al tempo stesso passandoci un dito
sopra con
una punta di malinconia.
Keiichiro le sorrise, poi si frugò in tasca: « C’è anche
qualcos’altro, Ichigo-chan… »
Un lampo rosato, uno squittio fortissimo, e poi qualcosa
di morbido e peloso che le si schiantò contro la guancia: « Ichigo,
Ichigo, pii! »
« Masha! » la rossa agguantò il robottino e continuò a
frizionarselo contro il viso, « Tu sì che mi sei mancato davvero! »
« Mancato, mancato,
pii! »
Volteggiandole un paio di volte sopra la testa, Masha
prese poi a frullare da ciascuna delle ragazze, ricevendo coccole in
debito da
parecchio tempo.
« Gli abbiamo aggiornato il software e potenziato
l’hardware, » commentò intenerito Keiichiro, guardando Purin
strusciarsi il
robot contro al naso, « Ora dovrebbe essere in grado di trasmettere
immagini
molto più chiare e in presa diretta, oltre che a registrarle in una
memoria
espansa. Non sappiamo se i Geoti siano in grado di creare chimeri, ma
può
ancora catturarli, se necessario. »
Taruto guardò confuso il pupazzetto rosa, che lo ignorò
per andare ad appollaiarsi sulla spalla di Ichigo: « Una volta
impazziva quando
eravamo nei paraggi. »
« Ovviamente l’abbiamo resettato per evitare che allerti
della vostra presenza, Taruto-san, » spiegò con un sorriso il moro, « O
sarebbe
stato controproducente. »
« Amici, pii! »
« Mi sta già più simpatico, l’aggeggio. »
Ichigo lanciò un’occhiataccia a Kisshu quando si sporse
per tirargli un po’ la codina, poi sospirò e si scambiò uno sguardo con
le
amiche: « Che ne dite… facciamo una prova? »
« Sìììì! » Purin scattò su dalla sedia con energia,
brandendo in mano il suo ciondolo, « La squadra torna in azione! »
« Teoricamente quella sarebbe la mia battuta. »
« Allora forza, capo! »
Ryou sospirò e guardò velocemente Ichigo, che cercò di
sorridergli incoraggiante prima di alzarsi e raggiungere la biondina in
mezzo
alla sala. Retasu si unì con un timido sorriso, e infine Zakuro quasi
trascinò
Minto con sé.
L’americano le guardò un altro istante, ricordandosi la
prima volta che si erano trovate tutte e cinque dentro al locale, e
fece
schioccare la lingua con fare ironico: « Squadra Mew Mew… bentornate. »
Fu quasi un richiamo istintivo che fece loro stringere i
loro pendagli ed esclamare Metamorfosi! all'unisono;
cinque lampi di
colori diversi riempirono la stanza, e in pochi secondi le cinque
custodi della
Terra si ripresentarono agli occhi dei loro vecchi nemici.
« Ehilà, » fischiò Kisshu con malizia e un sorrisetto
divertito in volto, « Non me lo ricordavo così divertente questo
spettacolino.
»
Retasu divenne bordeaux mentre tentava invano di tirare
su il bordo superiore del suo costume, decisamente più sfacciato con le
forme
più adulte, mentre Minto gli lanciò uno sguardo d’astio per il commento
inappropriato e Zakuro fece sfrigolare la sua frusta. L’unica che
sembrò
contenta dell’apprezzamento fu Purin, che continuava a girare sul posto
per
controllarsi la codina pelosa:
« Accidenti, mi ero scordata quanto fosse figa! Guarda,
Taru-Taru! Non è meravigliosa? »
« Lo prenderò come un complimento, » commentò Ryou al suo
posto, notando che il più giovane degli Ikisatashi aveva assunto una
strana
espressione vacua e, al tempo stesso, non potendo ignorare il sonoro
crampo
allo stomaco nel rivedere Ichigo interamente in rosa e con gli
attributi felini.
« Potevi ingegnarli a essere un po’ più coprenti, però… »
borbottò la rossa stessa, il cui costume le pareva un po’ troppo
striminzito
attorno al seno.
« Io non mi lamento. »
« Tu vuoi morire, Kisshu. »
« Non avete proprio senso dell’umorismo, voi ragazze. »
« Ho due orecchie da lupo che mi spuntano dalla testa
perché nuovamente devo combattere un’invasione
aliena, » lo gelò Zakuro
con un’occhiataccia elettrica, « Non ci trovo molto da ridere. »
Il verde si mosse sulla sedia, a disagio con il malumore
della mewlupo: « Siate positive, non è andata così male la prima volta,
vi
siete trovate pure dei fidanzati. »
« Tu sei ancora in prova, » cinguettò gelida Minto,
ricontrollandosi per la terza volte le piume della coda mentre Pai
folgorava il
fratello con lo sguardo e con una scossa al minimo voltaggio necessario
per
fargli rizzare i peli sul braccio.
« Ma por… certo che siete crudeli! »
« Kisshu nii-san ha ragione però, » gongolò Purin,
avvicinandosi a Taruto – che ancora non aveva fiatato – con un sorriso
divertito e facendogli una piroetta davanti, « Allora che ne pensi?! »
« Che sei uno schianto, scimmietta, ecco perché si sta
strozzando con la sua stessa saliva, » s’intromise indomito Kisshu per
l’ennesima volta, facendo voltare il fratello minore con così tanta
furia verso
di sé che lo scricchiolio delle vertebre del suo collo fu molto chiaro.
« D’accordo, ci possiamo riconcentrare? » esclamò
Shirogane, « Ci sono ancora un paio di dettagli da discutere. »
« Primo fra tutti, un piccolo problema tecnico con il
quartier generale, » s’accodò Keiichiro, « Il Caffè era utile a
fornirvi una
copertura quando eravate più giovani, anche verso le vostre famiglie e
i vostri
amici, ma ora che siete adulte la situazione è un po’ cambiata, la
vostra
disponibilità diversa. E la presenza di altre cameriere rende la
questione un
po’ più… complessa. »
« Facile, liberiamocene, » sentenziò Ichigo, che stava
giocherellando con Kimberly per abituarla al fatto che ora sua madre
aveva due
orecchie da gatto in testa e occhi e capelli di colori diversi,
ottenendo un
sonoro schiarirsi di gola da parte di Ryou.
« Vorreste forse che tornassimo e prendessimo il loro
posto? » domandò gelida Zakuro, e il moro scosse la testa:
« Concordo con Ichigo-chan che sarebbe più adeguato…
sollevare Tamiko-san, Kayio-san e Chieko-san dalle loro responsabilità,
così da
non dover trovare giustificazioni sempre più complesse in caso di
necessità
improvvise. Pensavamo di lasciare il Caffè chiuso per il prossimo mese
o giù di
lì, così da poter difendere un poco il dover lasciarle andare, per poi
rimpiazzarle con… il personale giusto. »
Voltò appena il viso, con il solito sorriso elegante,
verso i tre Ikisatashi. Ci volle qualche secondo, poi Kisshu,
nuovamente, parlò
per conto degli altri due: « Che cavolo stai dicendo? »
Shirogane replicò con un sorriso maligno: « Chiamalo guadagnarsi
l’affitto visto che stai a scrocco da una vita. » (**)
« Senti - ! »
« Credo che sia la strategia giusta, Akasaka-san, »
s’intromise Pai, pur non del tutto convinto, « Dopotutto sarebbe solo
una
copertura. »
« Sì ma il lavoro è reale, » ghignò Purin, sedendosi
pesantemente su Taruto e abbracciandogli il collo, « Ah, saremo doppi
colleghi,
che meraviglia! »
« Non ci si apparta in orario di lavoro, sappilo. »
« Shirogane, ma ti sembra…?! »
Keiichiro rise gentilmente insieme agli altri della
faccia sconvolta del giovane alieno, e annuì: « In questa maniera ci
sarà più
facile gestire qualsiasi emergenza. Ovviamente vi ringraziamo della
disponibilità. »
« Sembra più un ricatto. »
« Kisshu, smettila di lamentarti sempre. »
« Faremo arrivare le vostre divise a breve, » aggiunse
Ryou con una punta di divertita malignità, « E un mese mi sembra più
che
sufficiente per imparare il mestiere. »
« Vi insegnerò tutto io! » trillò Purin, scattando in
piedi ed afferrando Taruto per un braccio, « Anzi, iniziamo subito,
forza! Per
prima cosa, il ripiano dei dolci segreti! »
« The what? »
« Purin, c’è ancora da - »
« Sono parecchio interessato, » Kisshu si alzò e la seguì
verso la cucina, non mancando prima di lanciare uno sguardo furbo a
Minto, «
Tortorella, sei sicura che non vuoi tornare pure tu? Non mi
dispiacerebbe
rivederti con quell’uniforme tutta pizzi. »
« Cammina. »
« Aspettate, prima voglio fare una cosa! »
« Purin, ti prego, scendi dal corrimano. »
Nel corridoio filtravano sottili raggi di luce opaca che
coloravano il pulviscolo nell’aria di un sottile alone dorato,
intensificando la
sensazione che quel luogo fosse sospeso in un passato indefinito. A
passi
lenti, tentando di fare il minimo rumore possibile sopra alle risate
che
provenivano dal salone, si affrettò verso la stanza principale, avvolta
invece da
quanta più oscurità possibile. La figurina esile sembrava scomparire
tra le
coperte, e lui attese qualche secondo sulla soglia per accertarsi che
non si
fosse riaddormentata.
« Kert mi sembra di buon umore. »
Sorrise dell’ironia e si sedette a bordo del letto,
scostando appena il lenzuolo per sfiorare la fronte sudata: « Come
stai? »
« Vorrei staccarmi la testa dal collo, » gemette, « Oh,
Rui, è tutto così… amplificato qui. »
« Riposati oggi, » la rassicurò, impedendole di
protestare, « Non voglio che ti stanchi, non servirebbe a nulla. »
« Lo so, » si voltò e affondò di più il viso contro al
cuscino, mugolando piano, « Però mi sento inutile. E un peso. »
« Né l’uno né l’altro. »
« Tuo fratello la pensa diversamente. »
« Come se badassi alle sue opinioni, » rise sottovoce e
le baciò la fronte, « Ciò che conta è che tu stia bene. Al resto
penseremo poi.
»
Il sospiro stanco doveva suonare come una risposta
affermativa, ma tradì solamente apprensione.
« Promettimi che starai attento. »
« Quando mai non lo sono stato? »
« Allora promettimi che terrai tuo fratello a bada. »
« Quello è impossibile, » avvertì rumori più decisi dalla
fine del corridoio e fece per alzarsi, « Torno più tardi, se ti serve
qualcosa
avvertimi. »
Gli tenne stretto il polso per baciarlo meglio un altro
paio di secondi, provocandogli uno sfarfallio deciso nel petto. Le
rimboccò le
coperte fin sotto al mento quando si riaccoccolò tra i guanciali, e
camminò con
altrettanta leggerezza di nuovo verso il salotto, adocchiando i suoi
tre
compagni accasciati più o meno ordinatamente sui divani di pregiata
fattura ma
dall’aspetto trasandato.
« Come sta la nostra principessina? »
La nota di acido sarcasmo gli fece scoccare
un’occhiataccia che sapeva non avrebbe sortito molto effetto: « Non
cominciare,
Kert. »
« Mi stavo solo preoccupando, » non c’era neanche un
briciolo di sincerità in quella affermazione, detta con un sorrisetto
maligno,
così decise che fosse meglio ignorarlo del tutto.
« Zaur, qual è lo stato delle planimetrie? »
« Complete al 95 percento. Le fonti energetiche di questo
pianeta sono abbastanza obsolete, ci vuole tempo perché i nostri
macchinari si
ricarichino. »
« Tempo stimato di completamento? »
« Trentacinque minuti. Minuto più, minuto meno. »
In silenzio, Retasu, di nuovo in abiti civili, accompagnò
Pai lungo le scale del laboratorio, cercando di non sorridere troppo
vistosamente. Non poteva non condividere il pensiero di Purin all’idea
di
lavorare ancor più fianco a fianco con l’alieno, di poter passare
ancora più
tempo insieme, anche se era cosciente, vista la ruga sulla fronte di
lui, che
lui non era esattamente della stessa opinione.
« Non è così male, sai, » gli disse divertita, « Se ci
riesco io… »
« Tu sei molto più abituata ad avere a che fare con gli
umani di me, » replicò secco l’alieno, con un evidente tensione nelle
spalle, «
E ad essere gentile. »
Retasu non riuscì a contenere la risatina e gli mise una
mano sul braccio: « Nemmeno Zakuro-san era particolarmente orientata ai
clienti, ma è sopravvissuta. Andrà bene, vedrai. Magari puoi stare alla
cassa e
lasciare che Kisshu e Taruto si occupino degli ordini. »
« Così che mio fratello possa flirtare con tutte le
clienti donne? »
« Solo se Minto-chan non c’è. E poi se fa migliorare il
business… »
Pai la guardò, molto poco divertito dal suo spirito, e
poi sospirò, soffermandosi davanti alla porta del laboratorio: « Dite
ad
Akasaka che non ho intenzione di indossare cose ridicole. »
« La mia uniforme non è ridicola! È solo… »
« Corta ed eccessivamente decorata? »
La ragazza non poté obiettare quell’affermazione, ma notò
con una certa soddisfazione l’accento sul corta: «
Sono sicura che
Akasaka-san abbia trovato qualcosa di appropriato anche per voi. »
L’alieno sospirò pesantemente, però allungò una mano per
posarla nell’incavo della schiena di lei per tirarla contro di sé: «
Tieni
Purin e la sua palla lontano da me. »
Retasu ridacchiò e si rilassò contro al suo petto,
godendosi quel momento di tenerezza spontanea finché non sobbalzò a
causa di un
frastuono dal piano di sopra, seguito poi dalla risata sguaiata di
Purin e dal
pianto disperato di Kimberly. Se possibile, la nube di malumore
s’intensificò
ancora di più attorno all’alieno, che grugnì esasperato, bramando la
porta
rinforzata del laboratorio che rendeva la stanza molto più silenziosa.
« Guardate che il tubo rotto è solo una copertura, non
dovete sfasciarmi il locale per davvero. »
La voce di Ryou rimbombò dall’inizio delle scale, fin
dove accompagnò Ichigo, che cullava la bimba nel tentativo di calmarla.
« Deve mangiare, » illustrò come se fosse palese a Pai
mentre scendeva i gradini, lanciandogli al contempo un’occhiataccia.
Retasu si allontanò dall’alieno, le cui dita avevano
avuto uno scatto attorno alla sua vita: « In… laboratorio? »
La rossa fece una smorfia disgustata e lo oltrepassò come
se niente fosse: « Io in camera di Kisshu non ci vado, non credo la tua
sia
un’opzione valida. »
L’amica trattenne un’altra risatina, afferrandogli una
mano per trascinarlo verso il percorso inverso a quello compiuto pochi
minuti
prima.
« Vado in stanza, » borbottò Pai, « Ho bisogno di cinque
minuti di solitudine. »
Retasu annuì comprensiva e divertita: « Ti porto un tè,
d’accordo? » bisbigliò, occhieggiando Minto, di nuovo seduta al tavolo,
la cui
profonda ruga sulla fronte era visibile fin da lì, « Credo che anche
Minto-chan
ne abbia bisogno. »
« Non potremmo muovere un po’ di più il culo? » un paio
di occhi dorati saettò annoiato verso l’altro lato della stanza, « Mi
stanno
andando in cancrena le gambe. »
« Sei stato tutta mattina in panciolle sul divano, potevi
allenarti insieme a noi. »
« Da che parte stai, Pharart!? »
« Da nessuna, Kert. »
« I macchinari non hanno ancora terminato. »
« Non sarebbe la prima volta che andiamo all’avventura!
Cosa sarà mai un misero due percento rimanente… quanto siete noiosi. »
« Ricognizione, per ora. Con cautela. Questo è il piano,
» gli occhi color del mare incrociarono i fratelli nell’ennesimo
tentativo di
tenerli a bada, « Abbiamo già avuto abbastanza sorprese durante il
primo
tentativo, preferirei correre meno rischi possibili. »
« Sono dei primitivi, cosa pensi possa succedere? »
« Vuoi rischiare di essere liberato dai tuoi incarichi
fin da subito? »
« Non ti scaldare, fratellino, » lo sbuffo era tutt’altro
che sincero, « Stavo solo suggerendo di sbrigarci. »
L’altro aggrottò appena la fronte per mantenere la calma:
« Il registro è stato aggiornato e i dati pronti a essere trasmessi.
Zaur,
aspettiamo solo la tua conferma per cominciare. Kert, lascio a te la
scelta del
luogo. »
Un viso dai tratti fin troppo simili ai suoi si colorò
con un sorriso beffardo: « Andiamo a fare quattro salti. »
Minto sbuffò sonoramente, sfogliando le pagine della larga
agenda e verificando le informazioni contro quelle registrate nel
cellulare di
lavoro di Zakuro. Non che avesse molta voglia di lavorare, in quel
momento, ma
lo preferiva allo stare con le mani in mano ad aspettare che succedesse
qualcosa. Né aveva particolarmente voglia di mischiarsi agli altri,
che, come
al solito, rumoreggiavano troppo per i suoi gusti; ne capiva il motivo
e il
senso, ma riteneva che mettere Taruto e Purin a lavorare insieme
ufficialmente
fosse una pessima idea.
Almeno non sarebbe toccato a lei dover avere a che fare
con adolescenti in piene tempeste ormonali.
Alzò gli occhi solo per lanciare un’occhiata alla testa
scura che spuntava dalle porte a saloon della cucina, fin troppo
contento per
la situazione in cui vertevano: le dava estremamente fastidio che a lui
sembrasse possibile dimenticare le discussioni – e che
discussioni – in
cinque nanosecondi e passare alla cosa successiva come se avessero
parlato del
meteo, star lì a ridersela con Purin e strafogarsi di pasticcini come
se non
fosse successo nulla.
Sbuffò un’altra volta, fu distratta dal ronzio del
cellulare personale di Zakuro, su cui a volte la manager dirottava
email o SMS
di lavoro per essere sicura che fossero ricevuti. Lo prese quasi in
maniera
automatica, e la ruga tra le sue sopracciglia si fece più profonda
quando lesse
chi era il mittente. Cercò però di rimanere abbastanza impassibile
quando si
avviò verso l’amica, impegnata con Shirogane in una conversazione di
cui poteva
intuire i toni scontenti, in fondo al corridoio.
« Ti è arrivato un messaggio, » si limitò a esclamare,
porgendole il telefono.
Zakuro stessa non tradì nessuna emozione, come al solito,
ringraziandola sottovoce mentre leggeva il contenuto del testo e
lanciava solo
uno sguardo fugace al biondo, che fu abbastanza per far girare la mora
sui
tacchi per cedere al dirigersi in cucina. Non aveva nemmeno voglia di
stare a
discutere di ciò che quei due avevano sempre tramato nell’ombra, troppo
di
malumore per soffermarsi anche sul rapporto che la modella aveva con
Shirogane
e che – lei lo sapeva – per certi versi era molto più saldo di quello
che aveva
con lei.
« Minto-chan, la vuoi una tortina alla crema? » l’accolse
Purin con la solita allegria (c’era voluto molto a convincerla a
sciogliere la
trasformazione e farla smettere di appendersi per la coda a ogni
improvvisato
sostegno), « Sto illustrando il menù a Taru-Taru e al nii-san così
sanno cosa
aspettarsi. »
« Mi sembravano entrambi molto pronti sulla scelta di
portate, » replicò lei piatta, declinando i trigliceridi extra per un
bicchiere
d’acqua.
« Era necessario un ripassino, » Kisshu si allungò per
afferrare una mini crostata di frutta, ma Minto fu più veloce di lui e
glielo
tolse dalle mani, senza trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia:
« C’è della pesca qui, » lo ammonì come si fa con un
bambino, « Gradirei non doverti portare in ospedale, in questo momento.
»
Il verde ghignò e la seguì fuori dalla cucina,
agguantandola nuovamente per la vita per stringersela contro: « Vedi
che mi
vuoi ancora bene. »
La mora sentì un deciso pizzicore sulle guance e si
guardò attorno, divincolandosi contemporaneamente, per controllare di
non
essere troppo in bella vista: « Smettila, » sussurrò irritata, « Non è
il
momento. »
Kisshu allentò la presa ma tenne comunque le dita
incrociate dietro la schiena di lei: « Non è neanche il momento di
tenermi il
broncio. »
Minto fece schioccare la lingua, facendo due passi
all’indietro così che fossero ancora più nascosti dal muro: « Non
credere di
poter essere perdonato tanto facilmente. »
« Per carità, » lui rise, « Però almeno smetti di essere
arrabbiata. »
« Lo decido io quando, » sibilò lei, « E comunque non avete
ancora risposto alla mia prima domanda. »
Ci volle qualche secondo perché Kisshu capisse a cosa si
stesse riferendo, e quando lo fece non riuscì a non sospirare: «
Tortorella, lo
sai benissimo che non mi aspettavo che questo sarebbe successo, »
sottolineò il
questo portandola un po’ più vicina nonostante la
smorfia che la vide
fare, « Forse non posso dire lo stesso dei miei fratelli, ma non è
importante.
D’accordo, il catalizzatore del nostro ritorno sulla Terra è stata la
previsione di un attacco dei Geoti, ma ci stavamo già pensando, e lo
sai.
Quindi perché mai vorremmo tornare indietro? Ora più che mai? »
Lei si strinse nelle spalle, ben poco decisa nel suo
essere stoica: « È casa vostra… »
« Fidati, non è una casa a cui penso con affetto. Non
dopo quello che ci hanno fatto passare. »
Minto fece per rispondere, ma fu interrotta dal pianto
disperato di Kimberly che s’intensificava ad ogni passo pesante di
Ichigo sui
gradini.
« Non riesco a farla addormentare, » esclamò stanca,
rivolta a Ryou che le stava andando incontro, « E non dire che è perché
sente
che sono nervosa. »
Il biondo non fiatò, prese la bimba in braccio e iniziò a
cullarla piano, sussurrandole all’orecchio per calmarla mentre la rossa
cercava
ristoro in cucina. Masha le svolazzò subito contro la guancia,
facendola ridere,
seguito da Zakuro che le mise una mano sulla spalla con tenerezza:
« Tutto okay? »
« Sì, » Ichigo terminò in un sorso un bicchiere pieno
d’acqua e sospirò pesantemente, « È solo tutto… troppo in questo
momento. »
« Sono d’accordo, » commentò piatta la modella, prima di
rivolgerle l’accenno di un sorriso, « L’unica cosa da fare è mantenere
la
calma. »
« Lo so, nee-san, però… » esalò piano e tentò di
scherzare, « Andrà meglio quando Kimberly dormirà un po’ di più. »
Zakuro annuì comprensiva, porgendole l’ultimo dei
pasticcini rimasti. Ichigo fece appena in tempo ad ingollarlo che un
trillo
sommesso s’alzò dal piano inferiore, prima che anche Masha iniziasse a
pigolare
allarmato:
« Attenzione,
attenzione, pii! »
Ichigo sbiancò visibilmente, e anche Purin lasciò cadere
il cucchiaio con un rumore sordo nel lavello, mentre Taruto si
corrucciò: « Che
razza di allarme sarebbe attenzione? »
Ryou marciò in quel momento nella stanza, seguito dagli
altri due alieni, Minto e Retasu: « Masha deve ancora calibrare
completamente
la traccia dei nostri nuovi ospiti. La cosa perfetta sarebbe riuscire
ottenere
una loro traccia genetica. »
« Meraviglioso. »
« Quindi come… facciamo a sapere esattamente di che si
tratta? »
Fu Keiichiro a rispondere a Purin, affrettandosi per le
scale del laboratorio con in mano un tablet su cui scorrevano
furiosamente
colonne di dati: « Sono loro. Il sistema è riuscito a verificare la
loro
presenza a Shinjuku Gyo-en. »
« È un attacco? »
« Non saprei, » il moro scosse la testa e guardò Ichigo,
quasi dispiaciuto, « Però… »
« Però dobbiamo andare, » lei si scambiò uno sguardo con
le amiche, « Pronte? »
« Per quanto si possa. »
Le ragazze si trasformarono nuovamente, riempendo la
cucina di luce colorata, e Ryou lanciò loro uno sguardo d’ammonimento,
soffermandosi un istante di più su Ichigo: « Mi raccomando. Teniamoci
in
contatto costante attraverso Masha. »
Lei tentò di sorridergli in maniera incoraggiante,
seguendo gli altri verso il salone: « Ci vediamo dopo. »
Lo strappo del teletrasporto, e in un battito di ciglia
avvertirono l’aria fresca di inizio autunno sulla pelle nuda.
« Così è molto più comodo che dover correre ogni volta! »
esclamò MewPurin, cercando di stemperare un po’ la tensione che sentiva
provenire
dalle sue compagne.
« Non sappiamo dove siano, » replicò Pai secco e a voce
bassa, le spalle tese, « Quindi attenzione. L’effetto sorpresa è dalla
nostra
parte. »
MewIchigo si girò a fissarlo per un istante, socchiudendo
gli occhi: « Dobbiamo fare un discorsetto su chi sia il capo, qui. »
Lo sorpassò senza aspettare risposta e aprì la strada
lungo il sentiero del parco, nonostante l’angoscia che sentiva
ribollirle in
petto.
« Ichigo, mi senti? » la voce di Keiichiro le
arrivò più nitida che mai dal robottino che svolazzava frenetico
accanto a lei,
« Sono a circa duecento metri alla vostra sinistra. »
« D’accordo, » quasi d’istinto, fece apparire la sua
campanella, stringendola saldamente tra le dita e meravigliandosi un
poco di
quanto le apparisse familiare.
I suoi geni del gatto Iriomote fremevano in sottofondo,
un basso ronzio che le riempiva le vene e le tendeva ogni nervo,
spingendola,
chiamandola, e rassicurandola al tempo stesso. Le sembrava di poter
percepire
ogni singolo dettaglio attorno a sé, il rumore dei respiri delle sue
compagne,
i loro DNA che risuonavano con il suo; la calma di quel parco le
sembrava una
nota stonata, la metteva ancora di più sull’attenti.
« Non sembra che stiano attaccando, » mormorò MewZakuro,
a due passi da lei, i tacchi degli stivali che graffiavano il selciato.
« L’ultima volta non hanno attaccato finché non sono
stati provocati, » concordò speranzosa MewRetasu, « Forse non… hanno
intenti
davvero bellicosi. »
I tre Ikisatashi, a guardare le spalle delle ragazze, si
scambiarono un’occhiata dubbiosa, ma Pai intimò ai due fratelli di non
proferire parola.
Svoltarono lungo il sentiero, e i sensi di tutte e cinque
le Mew Mew iniziarono a formicolare contemporaneamente: i quattro
personaggi
che avevano visto nel video erano lì, davanti a loro, in carne e ossa.
Le loro fattezze ricordavano decisamente più quelle degli
Ikisatashi che degli umani, con la pelle pallida, le orecchie a punta,
e i
canini più affilati. Ma le armi che portavano in spalla risultavano
molto più
minacciose di quelle mostrate dai loro vecchi nemici.
Due di loro, notò MewIchigo, si assomigliavano
moltissimo, avrebbe giurato che fossero fratelli, anche se fino da dove
sostava
poteva notare il netto contrasto tra un paio di iridi blu come l’oceano
e un
altro di un vibrante oro. Gli altri due, invece, non avrebbero potuto
essere
più dissimili, uno dai chiarissimi capelli biondo scuro che scendevano
fino a
coprirgli gli occhi verdi, e l’altro con occhi e capigliatura così
scuri da
sembrare più neri del nero stesso.
« Cosa stanno facendo? » domandò sottovoce MewPurin, e
MewIchigo scosse la testa: armi a parte non sembravano minacciosi,
stavano
confabulando, quello biondo si era piegato per toccare il terreno,
forse Retasu
non aveva tutti i torti, e…
Senza pensare oltre, prese un respiro profondo e fece
qualche passo in avanti, esclamando ad alta voce: « E-ehi voi! Non so
che
intenzioni avete, ma la Terra non è vostra da prendere! »
« Ehi voi, gattina, ma fai sul
serio!? »
Lei ignorò il mormorio irritato di Kisshu e si concentrò
sul risultare il più sicura possibile mentre squadrava con intensità i
quattro.
Essi si girarono con estrema lentezza verso di loro, osservandole con
sguardi
carichi di curiosità, finché quello biondo – MewMinto notò che aveva
arco e
frecce legati dietro la schiena – si tirò in piedi e alzò un
sopracciglio:
« E voi chi sareste? »
Fu in realtà un rantolo a metà tra l’eccitato e il
preoccupato a rispondergli, proveniente da un gruppo di ragazzine che
stavano
attraversando il parco: « Ma quelle… sono le Mew Mew! »
« Sono tornate! »
« Ma quindi…?! »
MewIchigo poté percepire distintamente il sibilo della
parolaccia scandita da Ryou attraverso gli altoparlanti di Masha quando
il
vociare delle studentesse si propagò confuso anche agli altri presenti
nel
parco che fino a quel momento non si erano accorti di nulla, e quando
tutti i
cellulari cominciarono a venire rivolti verso di loro.
« Le che? »
I quattro alieni si scambiarono delle occhiate perplesse,
prima che quello dagli occhi dorati – con una zazzera di capelli
grigio-azzurri
rasati solo da un lato e la corporatura più robusta di tutti – si
lanciasse in
una risata roca e sguaiata: « Che razza di posto è questo? Prima quei
buffi
tizi con i copricapi blu, adesso delle… femmine svestite che cercano di
fare la
voce grossa? »
« Noi siamo le protettrici della Terra, » insistette
MewIchigo, i peli della coda che le si rizzarono d’istinto, « E siamo
qui per
rimandarvi indietro! »
« Rui, mi hanno già annoiato. »
L’alieno dagli occhi blu, che evidentemente rispondeva a
quel nome, posò una mano sul braccio dell’altro come a dirgli di
fermarsi,
mentre scrutava con sorpresa gli altri tre alieni dietro allo strambo
gruppetto:
« Mi chiedo piuttosto cosa ci facciano dei Duuariani qui.
»
Pai si fece avanti, il ventaglio al fianco ma ben stretto
tra le dita: « Duuar è alleato della Terra, ora. L’umanità si è
moltiplicata su
questo pianeta, appartiene a loro. »
« Idiozie, » sputò l’alieno più grosso, « Il Pianeta
Azzurro è della nostra gente di diritto. »
Rui fece un passo avanti, continuando a scrutare i suoi
simili: « Abbiamo ricevuto solo sprazzi di comunicazioni da voi. Ci era
parso
di capire che avevate intentato voi stessi la riconquista della nostra
patria
primigenia. »
« La storia è un po’ lunga, » ghignò Kisshu, avanzando
anche lui, così da porsi leggermente davanti a MewMinto e MewPurin, «
Se avete
voglia di fare due chiacchiere pacifiche… »
« Non siamo qui per negoziare, » ringhiò riottoso quello
grosso, « Soprattutto non con degli evidenti traditori del proprio
popolo. »
« Non abbiamo tradito un bel niente, » s’intromise di
slancio Taruto, « Duuar e la Terra sono sorelle, e il nostro pianeta - »
« Mi state annoiando, » lo gelò l’altro alieno,
voltandosi svogliato verso Rui, « Duaar non c’entra niente, se fosse
vero il
loro interesse di difendere la Terra avrebbero mandato più di questi
tre. »
Rui si scambiò un’occhiata veloce con gli altri due
componenti del gruppo, quello dagli occhi neri che annuì
impercettibilmente.
« Io sono il colonnello Ikisatashi Pai, » parlò direttamente
a Rui, che aveva dedotto essere a comando dalla maniera in cui
sembravano
sempre rivolgersi a lui, « E sono a capo di questa spedizione - »
« Spedizione! » sbuffò scocciato l’alieno dagli occhi
dorati, con un evidente ghigno derisorio, « Siete solo tre possibili
disertori.
»
« Voi siete solo quattro, » commentò Kisshu con
altrettanto astio, i sai che brillarono tra le dita, « Scommettiamo che
vi
facciamo il culo anche così? »
« Non sai con chi hai a che fare. »
« Vuoi vedere? »
Nuovamente, Rui gesticolò al suo compagno di stare fermo:
« Per quale motivo Duuar avrebbe dovuto allearsi con la Terra? Il
nostro intero
popolo ha sempre voluto ritornare a casa. Ciò che dite non ha senso. »
« Certo che non ce l’ha, » rincarò l’altro, sempre più
sferzante, studiando il gruppetto di umane e Duuariani con crescente
curiosità,
« Te lo dico io cos’è successo, delle belle paia di gambe e dei bei
faccini
hanno convinto a disertare. Non sarebbe certo la prima volta. Dico
bene? »
Il viso di Pai non tradì nessuna emozione, anche se non
poté evitare di spostarsi pochi millimetri di più davanti a MewRetasu:
« La
nostra prima spedizione sulla Terra ci ha portati alla scoperta di una
sostanza
che ha radicalmente cambiato la situazione su Duuar, causando la
rinascita del
pianeta stesso. »
Stavolta fu l’alieno biondo a farsi avanti, con gli occhi
verdi spalancati di curiosità: « Che stai dicendo? »
« Oh, ma li state ascoltando davvero? » sbuffò quello
grosso, « Non siamo qui per farci raccontare favolette! Siamo qui per
un motivo
ben preciso! »
Gli eventi si susseguirono molto in fretta: una delle
ragazzine che ancora stava registrando la scena fu la prima a gridare
quando
vide l’alieno imbracciare la lunga arma argentata; nello stesso
istante, Pai gridò
loro di allontanarsi e ingigantì il suo ventaglio così da parare la
grossa
bolla d’aria che venne sparata verso il loro gruppo.
Contemporaneamente, Kisshu
e Taruto agguantarono le Mew Mew e balzarono all’indietro per
allontanarsi il
più possibile, ma nonostante la protezione di Pai l’onda d’urto li
investì lo
stesso, sbattendoli con violenza contro i tronchi.
« State bene!? »
« Ufff… micetta, pensavo avessi partorito da un bel po’.
»
MewIchigo si rialzò con il viso in fiamme e delle foglie
tra i capelli, lanciando a Kisshu un’occhiata omicida mentre rispondeva
a
Shirogane attraverso Masha: « Sì… direi che siamo interi. »
« Che fine hanno fatto? » domandò MewPurin, stordita,
guardandosi attorno, e grattandosi un orecchio, che fischiava per il
rimbombo
di quell’attacco. Il colpo d’aria non era stato abbastanza potente da
divellere
gli alberi, ma era riuscito comunque a sradicare qualche siepe e a
dispergere
ovunque pezzi di selciato.
« Sono spariti non appena quel tizio ha sparato, » commentò
truce Shirogane, « Masha ha registrato tutto, possiamo
esaminare le immagini
non appena tornate qui. »
Kisshu tirò in piedi MewMinto e guardò di sfuggita gli
umani lì attorno, che MewRetasu aveva raggiunto per assicurarsi che
stessero
bene, visto che i sassolini del percorso, spinti a tutta velocità,
avevano
agito da schegge impazzite.
« Ci conviene filare, » commentò, « Mi sa che abbiamo
attirato un po’ troppo l’attenzione. »
« Forse se non avessi provocato quello scimmione…! » si
lamentò la mora, scrutandosi il braccio che si era graffiato contro la
corteccia ruvida.
« Kisshu ha ragione, » tagliò corto MewZakuro, tendendo
le orecchie verso il rumore di sirene all’orizzonte, « Meglio
andarsene. »
« Questa me la segno. »
« Kisshu, per favore, taci. »
« Kert! Quante volte te lo devo dire, non sparare
senza un mio ordine! »
L’alieno dagli occhi dorati sbuffò sonoramente e si gettò
con poca grazia sul divano consunto: « Quelle pulci fastidiose mi
avevano
scocciato… avevamo già cianciato abbastanza! »
« Non mi interessa, tu devi aspettare le mie direttive! »
« Non se le tue direttive prendono troppo tempo. »
Quasi volando a raggiungerlo, Rui lo afferrò per il
colletto della maglietta, strattonandolo verso l’alto: « Kert… solo
perché sei
mio fratello… » ansimò d’ira, « Vedi di non oltrepassare il limite. »
Prima che la situazione degenerasse, visto il sorrisetto
ironico sul viso dell’alieno di nome Kert, il biondo prese per le
spalle Rui,
convincendolo a mollare la presa: « Lascialo perdere, non vedi che è
tutto
agitato perché finalmente l’hanno mandato in una missione importante? E
poi lo
sai che ancora lo turba dover sottostare agli ordini del suo
fratellino. »
« Grazie mille, Pharart, » gracchiò Kert roco.
Rui prese un respiro profondo e squadrò tutti e tre i
compagni: « Non stiamo combattendo i nostri fratelli, e l’ultima cosa
che può
esserci utile è avere Duuar contro di noi. Dobbiamo agire con cautela. »
Il compagno dagli occhi neri annuì e commentò atono: « E
dobbiamo ottenere delle informazioni su queste… Mew Mew. »
« Almeno sono un bel panorama. »
Il comandante ignorò il commento del fratello e si passò
una mano tra la frangia azzurra: « È necessario informare il Consiglio
di
questi sviluppi inaspettati. Fino a una loro risposta, non voglio
sentire un
fiato. »
Lanciò un’ultima occhiata d’avviso a Kert, e si avviò
lungo il corridoio buio.
(*) Ad
esempio, episodio 51, quando
Taruto è già… beh, glissiamo xD
(**) Grazie
Re-Turn! che mi ha
dato ispirazione
|
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Capitolo 11 *** Moonlight sonata ***
Chapter
Eleven – Moonlight sonata
Ryou
sospirò e spense il televisore, passandosi la mano
libera tra i capelli: « È ufficiale, siete dappertutto. »
« Uuuh, siamo famose! »
« Meglio di no, Purin, » esalò stanca Zakuro, « È già
abbastanza complicato così. »
Keiichiro spinse un carrello portavivande fino al tavolo
che avevano occupato quella mattina, iniziando a distribuire tè e
dolcetti di
ristoro.
« Ci siamo già fatte battere dopo i primi dieci minuti, »
borbottò Ichigo, di nuovo nei suoi vestiti, controllandosi il graffio
sulla
coscia, « Non è molto entusiasmante. »
« Ci ha preso alla sprovvista, vecchiaccia, » cercò di
consolarla uno scanzonato Taruto, « La prossima volta non ci faremo
prendere in
giro. »
« Pensavo l’effetto sorpresa fossimo proprio noi… »
brontolò Minto, riempendosi una tazza di tè e continuando a
controllarsi i
capelli per essere sicura di aver tolto ogni traccia di vegetazione e
polvere.
« Comunque se ci pensate, siamo fortunate che ogni volta
arrivino sempre dei gran gnocchi, » commentò allegra Purin, ricevendo
immediatamente un’occhiata rovente da parte di Taruto e quelle più
scettiche e
scioccate delle amiche, « Che ho detto?! »
« Please… » Ryou si fece cadere su una sedia e si
rivolse a Pai, « Ora che li avete incontrati direttamente, possiamo
saperne
qualcosa di più? »
Il viola sembrò rifletterci un istante, stringendo appena
gli occhi: « A capo della squadra sembra esserci il tizio dai capelli
azzurri
di nome Rui, ma la sua autorità sembra essere messa in discussione dal
Geota
che ci ha attaccati direttamente… »
« Il buzzurro che sembra un gorilla? » domandò Minto,
sorseggiando lentamente, e l’alieno annuì:
« È una testa calda, il che potrebbe anche giocare a
nostro favore. Non siamo riusciti a capire i nomi degli altri tre,
però. »
« E sui loro poteri? »
Di nuovo, Pai esitò un po’: « Confermo che il… secondo in
comando utilizza un qualcosa di simile al vostro bazooka, che emette
potenti
getti d’aria. Rui portava una spada corta alla cintola, mentre un altro
- »
« Quello biondo molto carino, devi stare attento alla
concorrenza, capo. »
« - aveva arco e frecce, » concluse il maggiore degli
Ikisatashi con un sospiro acido verso Purin, « Non sono stato in grado
di
percepire nessun tipo di abilità speciale, in loro. »
« Ma? »
« Ma sono forti, » s’intromise Kisshu, poggiandosi allo
schienale della sedia, « Non che significhi nulla, sia chiaro. »
Minto lo guardò storto e poi tremò, ripensando a come il
suo istinto avesse ruggito a trovarseli davanti: « A me mettono i
brividi, »
borbottò, « Soprattutto il gorilla. Non mi sembra molto disposto al
dialogo. »
« Perché, invece, quello tutto scuro che non ha mai detto
una parola? » Ichigo scosse la testa in un turbinio di ciocche
carminio, « Lui
sì che era inquietante. Sembrava stesse cercando di farmi i raggi X con
gli
occhi. »
« Dai, secondo me ci stiamo preoccupando troppo, non mi
sembrano molto peggio di questi tre qui e il loro capo, » commentò
Purin,
sporgendosi sul tavolo per afferrare un pasticcino e al tempo stesso
accennando
agli Ikisatashi, « Anche Pai nii-san era particolarmente inquietante la
prima
volta che l’abbiamo visto. »
Retasu si concentrò per non strozzarsi con il sorso di tè
caldo nel vedere la faccia spiazzata del menzionato, e le espressioni
altrettanto confuse degli altri due, e Shirogane sospirò forte,
passandosi
entrambe le mani tra i capelli:
« Non per turbare l’ottimismo di Purin, ma cerchiamo di
non prenderli troppo sotto gamba né di farci prendere troppo dal
panico,
d’accordo? »
« Dobbiamo essere ottimisti, capo! Ci basta riscaldarci, re-ingranare
la marcia, rassodare un po’ i muscoli, e poi vedrete come gli facciamo
il culo!
»
Minto fece una smorfia al linguaggio della più giovane di
loro, posando la tazza ormai vuota sul piattino: « L’unica che deve
rassodare
qualcosa qui è Ichigo. »
« Scusami!? E poi, ti sembra il momento!? »
« Vi prego. »
Si zittirono entrambe al sospiro esausto di Zakuro, che
aveva già iniziato a massaggiarsi le tempie, e Pai ne approfittò per
aggiungere: « Purin non ha tutti i torti. Potrebbe essere saggio
assicurarci
che anche voi riprendiate confidenza con i vostri poteri e con il
combattimento. »
Ichigo gemette sottovoce, lanciando un’occhiata disperata
ai dolcetti di cui si era già servita un paio di volte, e Ryou le
poggiò una
mano sul ginocchio con fare attento.
« Per oggi direi che è già abbastanza, » intervenne
Keiichiro pacato, « Sono stati due giorni impegnativi in ogni caso,
anche senza
considerare questo primo incontro. Suggerirei di andare a riposarvi, di
assimilare bene la situazione. Noi intanto scendiamo in laboratorio per
cercare
di studiarli un po’ di più, e per studiare una strategia a mente più
fredda.
Che ne dite? »
Un vago mormorio d’assenso poco convinto si levò dal
tavolo, interrotto solo dal rumore delle ceramiche svuotate che
venivano
poggiate.
« D’accordo, » con un sospiro, Retasu controllò
l’orologio che portava al polso, « Se mi sbrigo, riesco a fare in tempo
per la
lezione pomeridiana… »
« Vengo con te, » si accodò Zakuro, alzandosi con grazia
e abbozzando un mezzo sorriso verso Minto, « Ho qualche telefonata di
lavoro da
fare e un paio di copioni da recuperare, niente che non possa fare da
casa. »
« Onee-sama, sei sicura di voler andare da sola? »
« Me la cavo, Minto, non preoccuparti. E poi mi serve una
passeggiata. »
« Mi raccomando, teniamoci in contatto con cellulari e
medaglioni, » le ammonì Ichigo, « Alla prima sensazione che ci sia
qualcosa che
non va, avvertiamoci. »
« Basta che non sia perché ti sono spuntate le orecchie
per l’ennesima volta, Momomiya. »
Captando chiaramente il continuo malumore di Minto, per
una volta la rossa non controbatté ma si limitò a lanciarle uno sguardo
di
sbieco mentre si alzavano tutti lentamente dal tavolo, le ragazze
scambiandosi
un’ultima occhiata d’accordo.
« Forza, voi tre, andiamo di sotto. »
« Senti, biondo, non è che perché adesso fingiamo di
lavorare qua che tu puoi darci ordini. »
« Wanna bet, kelp head? »
La stanza rimaneva in penombra anche quando direttamente
raggiunta dalla luce del sole, e Kert si domandò se non fosse il potere
di Zaur
a giocare qualche tranello, oltre alle spesse doppie tende di velluto
rosso.
Lanciò un’occhiata al compagno d’armi, seduto per terra a
gambe incrociate al centro del salone, intento in una delle sue
sessioni di
meditazione che, diceva, lo aiutavano a tenere in ordine sia la mente
che
l’energia che gli scorreva nelle vene.
Kert riteneva che fosse più utile ed efficace scaricarli
a suon di attività fisica, anche di generi assai differenti, ma non
c’era mai
stato verso di convincere l’amico ad ascoltarlo. Né Zaur era mai stato
capace
di convincere lui a tentare di seguire i suoi metodi, fin troppo pacati
per i
gusti del maggiore dei fratelli Tha, una testa molto più calda di
quanto a lui
stesso piacesse ammettere.
Forse sarebbe stata la missione sulla Terra proprio la
volta buona, si ritrovò a pensare mentre si sfregava un avambraccio,
visto
quanto gli sembrava che la sua stessa forza reagisse in maniera diversa
a quel
pianeta. O forse era solo tutta quella finta calma e quell’attesa
infinita a
renderlo più irrequieto del solito.
« Il Consiglio è stato avvisato degli ultimi sviluppi. »
Sbucato dalla porta principale alle loro spalle, Rui si
lasciò cadere accanto a Kert con un sospiro pesante, il volto tirato e
più
pallido del normale; come sempre, le comunicazioni con il gruppo di
undici saggi
lo svuotavano di tutte le energie.
« Dovremo raccogliere più informazioni su queste Mew Mew
e fare rapporto. Nel frattempo, continueranno i tentativi di comunicare
con
Duuar per capire cosa ci facciano tre di loro sulla Terra e se ci sono
le basi
per un… tradimento. »
Pharart, stravaccato sul divano perpendicolare al loro, alzò
un sopracciglio: « In base a cosa pensano di stabilirlo? »
« Non lo so, » Rui si sfregò stancamente il viso, « Non è
mia abitudine porre domande ai Consiglieri. »
« Già il fatto che si rotolino tra le lenzuola con quelle
umane potrebbe essere un motivo valido per dichiararli disertori della
patria.
»
L’alieno dai capelli biondi spostò lo sguardo
incuriosito, questa volta, sul maggiore dei due fratelli: « E tu che ne
sai? »
Kert rise rasposo: « Ma non li hai visti? Quanto vuoi
scommetterci che è la sola ragione per cui stanno qui? Bisogna solo
capire chi
con chi. »
Rui alzò gli occhi al cielo, ma non aggiunse altro,
troppo esausto per assecondare quei vaneggiamenti.
« Hanno detto una cosa… » riprese Pharart dopo un po’,
gli occhi verdi che si concentrarono nel vuoto nel tentativo di
ricordare, «
Qualcosa su una sostanza in grado di far rinascere un pianeta? »
Kert brontolò indispettito: « Ah, potrebbero dire
qualsiasi cosa per distrarci o abbindolarci. La Terra puzza ed è
sporchissima,
non credo abbiano trovato proprio nulla. »
Zaur aprì svogliatamente un occhio e rilassò appena le
spalle: « Abbiamo altri ordini? »
« Il Consiglio vuole deliberare su quale sia l’approccio
migliore dato l’imprevisto, » rispose Rui, « Per questo vogliono
saperne di più
su quelle umane. Dobbiamo attendere una loro decisione prima di
riprendere gli
attacchi. »
« Seriamente? » Kert gemette esasperato e alzò gli occhi
al cielo, « Il Consiglio ti ha dato il ruolo di Comandante, potrebbe
anche
lasciarti fare il tuo lavoro. »
« Si tratta solo di un paio di giorni, » tentò di
placarlo il fratello, « Il tempo di fargli digerire le informazioni e
aspettare
la loro risposta. Non vuol dire che non faremo niente, nel frattempo,
anzi.
Voglio più turni di ricognizione, voglio scoprire quanto più possibile
su di
loro. Soprattutto i punti deboli. Così quando colpiremo… »
L’altro stese un ghignetto divertito: « Ci sarà da
divertirsi. »
Pharart annuì, studiando con finta attenzione una crepa
che correva lungo il soffitto: « Avremo bisogno dei sistemi di
monitoraggio
fissi. Kert e io possiamo andarli a prendere. »
« Non sarà facile individuarle, ma nemmeno impossibile, »
confermò Zaur, « La presenza dei Duuariani giocherà a nostro favore, è
un DNA
molto più riconoscibile di quello umano. Soprattutto se Kert ha
ragione. »
« Io ho ragione, vuoi scommettere? Cinquanta sheqli.
(*) Anzi, cento. »
Gli occhi neri lo ignorarono del tutto: « Non appena
arriverà l’ordine, saremo pronti. Dopotutto, abbiamo anche un altro
asso nella
manica. »
Rui si voltò molto lentamente verso Zaur, cui pure Kert
rivolse un sopracciglio poco convinto.
« Non puoi stare dicendo sul serio. »
« Per una volta sono d’accordo con il mio fratellino, »
ghignò l’alieno dagli occhi dorati, allungando un pollice verso il
corridoio
buio dietro di sé, « Soprattutto giudicando dai rumori che provengono
dal
bagno. »
Il fratello gli lanciò un’occhiata gelida, ma lui stesso –
per motivi però diametralmente opposti a quelli di Kert – non poteva
ignorare
le pessime condizioni in cui verteva Espera da quando erano atterrati
sul
Pianeta Blu; si concentrò allora solo su Zaur, che fece spallucce.
« È qui, Rui. Tanto vale provarci, e verificare se sia
davvero possibile. Prima che arrivi l’ordine diretto dal Consiglio. Lo
vedranno
sicuramente come un gesto tattico, per non dire degno di fiducia. »
Lui esalò piano tra i denti, gli anni di addestramento
militare che si scontravano con le proprie idee e le proprie sensazioni.
« Non senza il suo consenso, » ringhiò infine, « E non
finché non sarà in grado di reggersi in piedi. »
Kert alzò di nuovo gli occhi al cielo: « Allora staremo
qui per un po’, » bofonchiò poco soddisfatto.
Rui non rispose, ma gli lanciò solo uno sguardo
d’avvertimento e si alzò senza aggiungere altro.
Tra i banchi più in fondo possibile, Retasu cercò di rendersi
ancora più invisibile mentre sbirciava con la coda dell’occhio ai suoi
compagni
di lezione. Praticamente tutti, chi tra cellulare e chi tra computer,
stavano
commentando con energia le immagini registrate quella mattina dal
gruppetto di
ragazze al parco di Shinjuku Gyo-en, che attestavano non solo
inequivocabilmente l’arrivo di altri nemici dallo spazio, ma anche il
ritorno
delle Mew Mew.
Con un gesto quasi meccanico si accertò che la sua
camicetta fosse ben chiusa attorno alla gola – un bottone in più del
normale –
e per un istante desiderò avere almeno un cappello per nascondere i
suoi
capelli così appariscenti. O almeno che pure i suoi acquisissero il
colore
della sua forma Mew solo durante la trasformazione, come succedeva a
Ichigo e
Minto (**). Qualsiasi cosa, pur di permettere
che la vera identità
della mewfocena non fosse mai, mai e poi mai ricollegata a lei.
Non sarebbe mai stata capace di gestirlo. I suoi genitori
avrebbero avuto un infarto. E poi come spiegare che il suo ragazzo
proveniva
inoltra da un altro pianeta?! No, no, assolutamente no. Non aveva
nemmeno detto
esplicitamente di averlo, il fidanzato, presentarlo pure come
extraterrestre
sarebbe stato il colmo!
Le scappò un gemito sottile e si afflosciò ancora di più
sulla sedia, infilando il naso tra i suoi appunti. Calma, doveva
mantenere la
calma; agitarsi non le avrebbe certo fatto bene e apparire sospetta o
colpevole
era la strategia sbagliata. Dopotutto l’aveva già affrontato ed era
andato
tutto bene, e dalla sua parte aveva ora il fatto di essere più adulta,
più
indipendente, non avrebbe dovuto inventarsi tutte le frottole che aveva
intrattenuto durante le scuole medie per giustificare ogni assenza,
ogni
repentino cambio di piani, ogni volta che crollava a letto prima di
cena perché
fisicamente e mentalmente esausta.
Il ricordo, però, le generò uno scomodo senso di colpa:
non sarebbe stato in ogni modo semplice dover mentire per forza alla
sua
famiglia, quasi come se fosse l’unica opzione disponibile. La faceva
stare
male, e nemmeno i discorsi sul bene superiore che Keiichiro aveva fatto
loro in
passato e che sapeva fossero dietro l’angolo riuscivano a cancellare
del tutto
quella sensazione di star facendo ai suoi genitori una grave mancanza.
Ma
d’altronde, cosa avrebbe potuto raccontargli? La verità era fuori
questione,
non avrebbe fatto altro che farli preoccupare all’inverosimile! Erano
stati i
primi testimoni della sua innata goffaggine e l’avevano incerottata
decine di
volte per i suoi piccoli incidenti domestici, pensare che si andasse a
cacciare
in maniera volontaria in veri e propri scontri con nemici sarebbe stata
la loro
fine!
Calmati, calmati, si ripeté per l’ennesima volta
mentre la professoressa entrava in classe e richiamava gli studenti
all’ordine,
Una cosa alla volta.
Magari poteva incominciare presentando ufficialmente Pai
ai suoi per arginare un po’ il problema di dover sempre scegliere
un’amica
diversa con cui dire di essere o dare risposte così vaghe da risultare
palesi.
Magari presentandolo esclusivamente come un normale, ordinario, perfino
noioso
umano con un lavoro assolutamente regolare e una storia di vita
insignificante.
Sospirò così forte che la sua frangetta le svolazzò
davanti agli occhi al frullo del suo cuore al pensiero di sottoporre
l’idea
all’alieno, e fu grata della voce monocorde della professoressa che le
diede
qualcosa di diverso su cui concentrarsi.
« Andiamo a casa? »
Ryou si domandò quando, esattamente, l’immagine di una
Ichigo imbronciata sull’uscio del laboratorio fosse diventata una di
quelle a
lui più familiari.
« Mi sta anche venendo sonno. »
Lui rise, digitò un altro paio di volte sulla tastiera e
poi si reclinò contro lo schienale della poltrona, voltandola verso di
lei: «
Però devo continuare a lavorare. »
« Il portatile è fatto apposta per lavorare di fianco a
me mentre faccio un pisolino, » ribatté, allungando una mano verso di
lui come
a dirgli di spicciarsi, « Non hai scuse. »
« Non dire poi che faccio troppo rumore. »
Tiratosi in piedi con un sospiro, Ryou le prese il polso
per tirarla a sé e l’abbracciò, nascondendo il viso contro al suo
collo: « Non
mi mancava vederti combattere. »
« Non è che abbiamo combattuto, » mugugnò lei, sfregando
il volto contro di lui, « Ma condivido il sentimento. Però ho voglia di
pareggiare, ora. »
Il biondo sbuffò poco divertito però non si spostò: « You’re
so sexy with your costume on though. »
« Shirogane! »
« Non posso fare i complimenti a mia moglie? »
Ichigo avvertì le viscere contrarsi di un intenso calore
a quelle parole, che risalì fino al petto e poi le infiammò le guance:
« Se ti
spicci e andiamo a casa magari ne possiamo parlare… »
Ryou rise sottovoce e per un istante la strinse più
forte, poi le lasciò un bacio sulla fronte: « Dammi cinque minuti,
copio questi
dati per Pai e ti raggiungo. Tu raccogli le tue cose. »
La rossa annuì e gli strizzò le dita tra le sue per un
secondo, prima di fare dietrofront e risalire le scale con passo
pesante. Gli
altri si erano già dileguati, Kisshu e Pai verso la loro astronave a
fare
chissà cosa – aveva da tempo perso la curiosità di andare a sbirciare
come
fosse davvero – e non voleva invece pensare dove si fossero rinchiusi
Taruto e
Pai. Poteva solo sentire Keiichiro canticchiare sottovoce in cucina
mentre,
senza dubbio, si dedicava a uno delle sue deliziose creazioni non per
vera
necessità, vista la temporanea chiusura del Caffè, ma più per scaricare
la
tensione di quella giornata che già le sembrava infinita.
Stava faticosamente raggiungendo l’ultimo gradino, quasi
tirandosi attaccata al corrimano, quando il cellulare iniziò a vibrarle
nella
tasca posteriore dei jeans. Lì per lì, il cuore le schizzò in gola
mentre si
immaginava una delle ragazze di nuovo in pericolo – nonostante il
silenzio di
tutti i loro sistemi – invece si accigliò quando lesse il nome sul
display e il
nervosismo la colse per una ragione differente.
Sbrigandosi a salire del tutto le scale e lanciando
un’occhiata furtiva a Keiichiro, e al passeggino parcheggiato accanto a
lui,
s’intrufolò di soppiatto nel bagno dello spogliatoio, rispondendo
sottovoce: «
Pronto, Aoyama-kun? »
« Ichigo, meno male che hai risposto, » la voce
del ragazzo la raggiunse piena di sollievo, « Ho visto il
telegiornale, e…
sta succedendo di nuovo? »
Lei si morse il labbro mentre si sedeva sulla tazza e si
sfregava il viso: « Ecco… sì, diciamo di sì. »
« State tutti bene? »
Non seppe perché continuò a sentirsi così in colpa mentre
annuiva, pur conscia che lui non l’avrebbe vista: « Sì, per ora sì. Ci
hanno
colti alla sprovvista, ma… ce la caveremo. Come sempre. »
Masaya abbozzò a una risata di sostegno, poi sospirò
forte: « Io non ho più i miei poteri. Altrimenti avrei… »
Ichigo strinse gli occhi per un istante, cercando di
togliersi dalla mente l’immagine del ragazzo che si sovrapponeva a
qualcuno a
lui così simile, eppure totalmente opposto, e si mischiava ancora a
quella di
lunghi capelli dorati e un pastrano blu: « Grazie, Aoyama-kun. Gli
Ikisatashi
sono… davvero dalla nostra parte questa volta. Andrà tutto bene. »
« Mi raccomando, Ichigo. Se posso fare qualsiasi cosa
- »
« Stai al sicuro, Aoyama-kun. È la cosa più importante. »
« Anche voi, mi raccomando. E buona fortuna. »
Rimase seduta sul water per un minuto buono non appena la
telefonata terminò, a torturarsi una ciocca di capelli senza un reale
motivo.
Se anche Masaya era sembrato così preoccupato, nonostante tutto ciò che
avevano
passato – che lui e lei avevano passato – forse
cercare di sentirsi
ottimisti non era la scelta giusta…
« Ichigo, ci sei? »
Scattò come una molla quando la voce di Ryou la
raggiunse, trafficando per infilare di nuovo il cellulare in tasca.
« Eccomi! » tossicchiò e quasi si lanciò fuori, cercando
di mantenere l’espressione più neutrale possibile quando incontrò il
viso del
biondo fuori dalla soglia, « Possiamo and – ah, no, devo fare… »
Shirogane alzò un sopracciglio confuso: « Sei appena
uscita dal bagno. »
« Sì ma stavo… lascia perdere, torno subito! »
Lui rimase perplesso quando la porta gli si richiuse in
faccia, poi sospirò e scosse la testa verso Kimberly, tranquilla e
allegra nel
suo passeggino: « Just so you know, your mom’s weird. »
Seduta al centro della stanzetta d’allenamento allestita
all’ultimo piano di casa, Minto rovesciò il contenuto del borsone da
danza,
sparpagliandone i vari pezzi sul legno, per riordinare in vista della
lezione
alle bambine che – cascasse il mondo – avrebbe tenuto il pomeriggio
seguente.
Iniziò a piegare accuratamente i vari body, leggings, e top,
dividendoli tra
quelli che avrebbe indossato nei giorni successivi, quelli da lavare
per far sì
che non si rovinassero, quelli che ormai non la convincevano più e che
avrebbero potuto essere aggiunti al cassetto dedicato del suo armadio.
Era un’azione che la rilassava, poter sistemare in quella
maniera, annusare nuovamente il profumo familiare della lycra e del
cotone, ristabilirsi
nel suo elemento. Pur non usandole mai con le bimbe, si portava ancora
dietro
il sacchetto a rete con dentro tutte le ultime punte che aveva
utilizzato, e si
prese del tempo per esaminare anch’esse e decidere se – davvero – un
paio fosse
ormai troppo usurato per conservarlo.
Sfiorò con estrema tenerezza il paio decisamente
consumato che sapeva appartenere al suo ultimo spettacolo ufficiale;
era solita
infatti distruggere le scarpette selezionate per una performance
durante questa
e partire subito con un paio semi-nuovo per lo show successivo, ma di
alcune
proprio non riusciva a disfarsene, per quanto inutilizzabili fossero la
componente emotiva era fin troppo importante pure per lei. Conservava
il primo
vero paio di mezze punte, ormai sbiadite e logore, dentro una scatola
chiusa da
un fiocco e riposta al sicuro sul ripiano più alto della cabina
armadio,
figurarsi se non avrebbe tenuto ogni singolo paio di punte che
rappresentavano
qualcosa di significativo.
Il sussurro del teletrasporto le arrivò alle orecchie e
lei lanciò solo uno sguardo verso la grande parete di specchi per
assicurarsi
che i suoi sensi non l’avessero tradita.
« Sarebbe meglio non comparire all’improvviso, ora. »
Kisshu sbuffò e la circumnavigò, scrutandola con un
ghigno divertito: « Ti stai nascondendo? »
« Tanto mi trovi sempre. »
Quasi incredibilmente, gli rivolse un sorrisetto sincero
mentre lui si lasciava cadere con uno sbuffo sul pavimento, a gambe
divaricate:
le afferrò poi il polpaccio destro, la tirò a sé – sordo alle sue
proteste sul
fatto che le sue cosce nude sfregarono il pavimento – e approfittò
della sua
elasticità per posarle la caviglia della stessa gamba sulla spalla per
averla
il più vicino possibile.
Minto lo guardò sollevando semplicemente un sopracciglio,
e lui intrecciò le dita sull’incavo della sua schiena:
« Preferivi stare da sola? »
« Da quando in qua è un’opzione che ti interessa davvero?
»
« E da quando in qua rispondi a una domanda con un’altra
domanda? »
La mora sbuffò senza poter fermare un sorriso alla sua
espressione irriverente, aggiustandosi un po’ di più contro di lui.
« No, in ogni caso, » mormorò, « Non è decisamente il
momento. Anzi, sono preoccupata per la onee-sama. »
Kisshu giocherellò con uno dei boccoli che ormai le
arrivavano al seno: « Mi preoccuperei di più per chi si possa mai
mettersi in
testa di trovarsi faccia a faccia con lei. »
« Sciocco, » lo ammonì subito, « Non è il caso di
scherzare su queste cose. Non siamo… preparate. Non lo eravamo nemmeno
la prima
volta, però… »
Lui aumentò un poco la presa: « Dici per oggi, tortorella?
Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a mostrargli chi è che comanda. »
Minto sbuffò e lo guardò un po’ storto: « Appunto. »
« Meglio, non sanno ancora cosa gli aspetta, » vedendo
che i suoi tentativi di umorismo – come al solito – non parevano
convincere la
mewbird, l’alieno poggiò la fronte contro la sua, « Dico sul serio.
Essere
sottovalutati può rilevarsi estremamente efficace. Anche noi all’inizio
non vi
avevamo dato un centesimo, con quelle gonnelle troppo corte e troppo
colorate,
eppure guarda com’è andata a finire. »
La mora gli rivolse un’occhiata un po’ scioccata e
indispettita che sottintendeva chiaramente un non me lo
ricordare, per
favore, poi abbassò la testa e borbottò: « Continua a non
piacermi per
niente. »
« Io qualche cazzotto a quelli là lo do volentieri. Però
preferirei non ci andassi di mezzo tu. »
Lei non rispose, esalando solo tra i denti, e dopo un po’
Kisshu le tirò un po’ più dispettoso una ciocca di capelli, cercando di
incrociare il suo sguardo: « Sei ancora arrabbiata con me? »
« Sì, » Minto rispose un po’ troppo velocemente e con un
po’ troppa poca convinzione, ma lui fu abbastanza furbo da nascondere
il
ghignetto divertito, « E vedi bene di non fare il deficiente con tutte
le
clienti del Caffè. »
Lui le picchiettò la fronte con l’indice: « Lieto che sia
questa la tua preoccupazione principale al momento, tortorella. »
La mora sbuffò ancora e tolse la gamba dalla sua spalla
per passargliele sotto le braccia e raggomitolarsi un po’ di più contro
di lui,
incastrando la testa sotto alla sua gola così da non guardarlo in
faccia: «
Resti a cena? »
Kisshu ghignò e continuò ad accarezzarle i capelli: «
Solo se me lo chiedi a voce più alta, che non ti fa male. »
« Cretino. »
§§§
Pai esalò per l’ennesima volta e si massaggiò le tempie
con i polpastrelli, premendo quanto più forte possibile. Non importava
quanti
radar avesse installato, con quanti parametri differenti, connettendo
anche i
pendagli delle ragazze e ogni singolo sistema disponibile tra lui e
Shirogane:
gli alieni proveniente da Gaia sembravano introvabili.
E il fatto di non essere sicuro al cento per cento che le
loro posizioni fossero altrettanto nascoste ai loro nemici non faceva
altro che
peggiorare la situazione.
Non riusciva a capire come la tecnologia geota fosse così
tanto più avanzata della loro, che già superava quella di Shirogane,
che a
sua volta era molto più precisa di quella umana per quanto
riguardasse la
vita extraterrestre. Già non essere riusciti a captare il loro arrivo
era una
macchia indelebile sulla sua coscienza, ma nemmeno riuscire a trovarli
ora che
si trovavano fisicamente a Tokyo…
Aveva anche tentato di controllare l’intera atmosfera
terrestre, ovviamente, e quanto più possibile nello spazio attorno ad
essa. In
più, i sistemi di Duuar erano in grado di percepire dimensioni
parallele come
quelle che creavano lui e i suoi fratelli, e, anche se erano passati
millenni
da quando il loro popolo si era diviso, non riteneva che i poteri dei
loro
antichi cugini fossero così dissimili dai loro.
Imprecò di nuovo tra i denti e si costrinse a pensare al
minimo dettaglio che avesse potuto scordarsi. Ci doveva essere qualcosa
nell’etere, una vibrazione, un’anomalia che portasse almeno un indizio
di forme
di vita differenti. E lui doveva trovarlo.
« Sento puzza di bruciato e direi che è il tuo cervello.
»
Pai utilizzò tutto l’autocontrollo addestrato negli anni
per non friggere Kisshu lì sul posto ma limitarsi a grugnirgli contro
in una
maniera che faceva ben intendere che il sarcasmo era ben poco
apprezzato. Il
fratello di mezzo, ovviamente, sembrò non prenderlo abbastanza sul
serio.
« Confermo che i registri della nave non hanno rilevato
nulla per l’ennesima volta, solo quando i nostri nuovi amici si sono
palesati
al parco, » esclamò, gettando con inesistente grazia un dischetto
rotondo
davanti a Pai, « Ma hanno annotato qualche dato biometrico che potrebbe
essere
interessante. »
Il maggiore chiuse le dita attorno allo spazio di memoria
esterno: « Non riesco a capire come sia possibile. Dovrebbe essere la
migliore
tecnologia che abbiamo. »
Kisshu si strinse nelle spalle: « Noi siamo molto più
avanzati degli umani. Potrebbe essere successa la stessa cosa con i
geoti. »
« Grazie, » sibilò il maggiore a denti stretti, « Un
approfondimento davvero pioneristico. »
Il fratello gli rivolse un’occhiata irritata: « Sbatterci
la testa contro non è utile. Sarebbe meglio ti concentrassi su come
batterli. »
« Localizzarli è altrettanto importante, » insistette
Pai, « Non sappiamo nemmeno se loro siano in grado di trovare noi, e
vista la
situazione non sarei così tranquillo. »
« Taruto ha innalzato una barriera attorno tutto al Caffè (***).
Possono pure trovarci, ma i danni che possono provocare sono limitati. »
« E ogni abitazione? »
Kisshu sospirò, grattandosi la testa e chiudendo gli
occhi per un istante: « Senti, se questo è il meglio che possiamo fare,
per ora
accontentiamoci, giusto? Le ragazze non sono delle sprovvedute, e a
parte per
Ichigo e Zakuro, direi che c’è sempre uno di noi
con loro. E ci vogliono
letteralmente cinque secondi per avvertirci e raggiungerle, in caso. »
Pai emise solo un grugnito che parve fungere da scettica
accettazione delle parole dell’altro, sempre poco incline a dargli
ragione.
« Non è la situazione ottimale. »
« Quando mai lo è stata? »
Il ghignetto sarcastico del verde non alleviò certo il
suo malumore, però si sfregò la faccia e rifletté qualche secondo prima
di
ordinare spiccio: « Le Mew Mew possono comunicare tra di loro
attraverso i loro
pendagli, ma è meglio dotare ognuna anche di un nostro connettore così
che
possano raggiungerci più facilmente. Non mi fido di quegli aggeggi
umani, il
loro campo non è così stabile. »
« Sissignore, » la risposta di Kisshu fu un po’ troppo
divertita, « Dovremmo averne abbastanza sulla nave. Altrimenti dovrai
sfruttare
ancora un po’ quel tuo potente cranio. »
Pai lo trucidò con lo sguardo, e Kisshu scivolò via con
un sorriso prima che potesse infilzare uno o due ghiaccioli in punti
poco
piacevoli.
« Trovate. »
La voce bassa di Zaur non tradì molta emozione in quel
pomeriggio per loro assurdamente afoso, ma riuscì invece a scatenare
l’interesse dei compagni, che si alzarono per raggiungerlo nell’angolo
più
fresco del salone, dove sostava davanti a un largo monitor che pareva
galleggiare nel nulla.
« Dopo solo tre giorni, magnifico, » commentò sarcastico
Kert, sbirciando da sopra la spalla del compagno, « Sarà una missione
molto
breve. »
L’alieno dagli occhi neri picchiettò leggero sul monitor
e l’immagine di una strana costruzione di colore rosa comparve in tre
dimensioni davanti a loro.
« Cosa…. Sarebbe? »
La domanda di Pharart rimase sospesa per qualche secondo
mentre Zaur corrugava la fronte e zoomava di più sul locale.
« Sei sicuro che siano le coordinate giuste? »
« La loro traccia biometrica porta esattamente qui, »
rispose laconico, « Sono sicuro. »
Il biondo alzò una mano come a scusarsi, e in silenzio
osservarono l’immagine in diretta che roteava di trecentosessanta
gradi.
« Riesci a farci vedere l’interno? »
Zaur scosse la testa alla domanda di Rui: « Non del
tutto, ma posso fare… così. »
Il Caffè rimase visibile nella sua interezza, ma tre
ombre scure apparvero sovraimpresse su quello che sembrava il piano
inferiore;
anche con i contorni leggermente sbiaditi, i geoti riconobbero le
sagome dei
loro antichi compatrioti.
« Questo è il punto in cui convergono maggiormente le
singole tracce e per la maggiore quantità. I livelli dei Duuariani sono
molto
più alti di quelli delle umane, » Zaur picchiettò con l’indice su una
stringa
di dati in alto a sinistra, « Il loro quartier generale. »
Rui studiò la scena, imprimendosi bene in mente la
struttura di quella costruzione così bizzarra.
« Questo posto sta diventando sempre più strano. »
« Ehi, guarda lì. »
Pharart attirò la loro attenzione nell’angolo in basso a
destra del video, in cui era comparsa l’umana dai lunghi capelli
biondi. Kert
fece una smorfia al contempo stupita e confusa: « È… diversa da come
l’abbiamo
vista noi. »
Con un paio di rapidi ticchettii, Zaur fece spuntare
un’immagine presa dal loro ultimo scontro con le Mew Mew, accostandola
al video
in diretta.
« Non devono essere semplici umane, » Rui scosse la
testa, stringendo gli occhi, « Non so se i Duuariani abbiano qualcosa a
che
vedere con tutto ciò, ma voglio una sorveglianza costante su questo
posto. Studiate
i loro movimenti, scoprite dove vanno, cosa fanno, in quali altri
luoghi si
incontrano. E perché diamine hanno delle orecchie animali che gli
spuntano
dalla testa. »
« Un aspetto che donerebbe a Kert. Soprattutto la coda. »
« Ah-ah-ah. »
« Non ti si può dar torto, Pharart, » una voce divertita,
ma fioca, li raggiunse dalla soglia alle loro spalle.
Kert si rabbuiò all’istante, soffocando un ringhio,
mentre Rui sorrise e si avviò verso la nuova arrivata, porgendole la
mano: «
Pensavo fossi a letto. »
« Sì, ma mi stavo annoiando e ho sentito che avete fatto
scoperte interessanti, così vi ho raggiunti. »
« Come stai? »
Lei sorrise grata a Pharart: « Meglio, grazie. Io e Zaur
stiamo testando delle calibrazioni che possano aiutare. Mi dispiace
causarvi
così tanti inconvenienti. »
« Figurati, principessina, » la prese in giro Kert
con malcelato astio, « La tua presenza qui non è che fonte di gioia. »
Rui lo incenerì con lo sguardo, ma la risata cristallina
dell’aliena dal viso tondo e stanco, incorniciato da una folta
frangetta nera,
gli fece capire che, come al solito, lei non avrebbe dato troppo peso
alla battutina
gratuita: « Ti ringrazio delle parole gentili, Kert. Ma potresti anche
chiamarmi con il mio nome. »
« Cerco solo di renderti onore, Espera(****).
»
Espera sorrise divertita, sfiorando con leggerezza il
dorso della mano di Rui come a tranquillizzarlo, poi stese il collo
fino a
sbirciare il monitor sospeso nell’aria.
« Le avete identificate? »
« Il loro principale ritrovo, sì, » ricapitolò Rui,
poggiandole una mano sull’incavo della schiena, « Ma ci sono ancora
abbastanza
incognite su di loro. »
La ragazza corrugò la fronte nell’osservare la figurina
dai capelli color miele che entrava e usciva da una porta: « Sembra…
così
giovane. »
« Meglio così, » commentò roco Kert con soddisfazione, «
Sarà più facile metterle fuori gioco e completare questa missione al
più
presto. Scommetto che la nostra inaspettata ospite non veda l’ora di
tornare a
casa. »
Questa volta, gli occhi blu scuro di Espera lo guardarono
con una punta di fastidio: « Non attribuirmi parole che non ho mai
detto. »
« Vuoi forse rispondere che, però, non sia vero? »
Lei lo scrutò per un’altra manciata di secondi, prima di
sorridere: « È merito tuo se abbiamo trovato questa elegante casa
abbandonata da
utilizzare come nostro alloggio, Kert. Non posso certo lamentarmi, non
ci manca
nulla. »
Lo sguardo dorato brillò di fastidio prima che l’alieno
grugnisse scontroso, e Zaur ne approfittò per domandare: « Come vuoi
procedere?
»
« Almeno ventiquattro ore di sorveglianza prima di un
eventuale attacco. Così da avere dati sufficienti da condividere anche
con il
Consiglio. »
Kert si schiarì la gola, e un sorrisetto maligno si
ridipinse sulle sue labbra: « E dell’altro pezzo
del piano cosa ne
pensiamo? »
Espera, se possibile, impallidì ancora di più mentre Rui,
con un guizzo della mascella, sibilò tra i denti: « Non è da discutere
qui. »
« Mi dispiace, fratellino, ma non sono d’accordo, »
insistette lui, « Siamo qui apposta, stiamo discutendo la strategia. E
tra
cinque giorni… »
« Kert. »
« Lo sai che ho ragione. »
Il fratello, come al solito, lo squadrò con astio e
impazienza, poi mosse il mento verso il monitor di Zaur mentre poggiava
di
nuovo la mano sulla schiena di Espera: « Monitorate e datemi tutte le
informazioni più importanti. Zaur, affido a te il compito di scrivere
un
rapporto per il Consiglio. Lo invieremo domani. »
Non attese risposta mentre guidava elegantemente la
ragazza fuori dal salone e lungo il corridoio buio fino alla camera da
letto che
condividevano. Non era certo il posto più formale in cui parlare di
attività
ufficiali legate alla loro missione, ma non sarebbe mai riuscito a
trattarla
del tutto come un membro effettivo di quella squadra.
Non come tutti gli altri, almeno.
« Sapevamo che sarebbe successo, » mormorò lei a mezza
voce, cercando di suonare spensierata.
Rui si fermò nel centro della stanza e le prese il volto
tra le mani: « Sì, ma non voglio forzarti. E l’ordine del Consiglio non
è
ancora arrivato. »
Espera gli strinse le dita e abbozzò un sorriso: «
Scommetto che sappiamo entrambi a volte sia meglio non doverli
aspettare. »
« La mia bellissima figlia della Notte, » lui poggiò la
fronte contro la sua, « Dovremo vedere se questo nomignolo significa
davvero
qualcosa. »
« Bellissima? »
Il ragazzo sbuffò: « Di quello non devi dubitare. »
Lei ridacchiò e poi si morse il labbro: « Allora… tra
cinque giorni? »
Le dita di Rui si strinsero appena contro al suo viso: «
Non devi farlo obbligatoriamente. Sarebbe solo la prima Luna piena
sulla Terra,
e non abbiamo ancora combattuto come si deve contro le umane. Non
succederebbe
nulla se per questa volta… »
Espera fece schioccare la lingua e scosse la frangia: «
Vorrebbe dire aspettare un altro mese per provarci. Non ha molto senso,
rischieremmo di perdere un’occasione e di irritare il Consiglio. Mi
hanno messo
sull’astronave apposta, no? Se la profezia è vera... »
« Ripeto, avrei preferito che non fosse una sorpresa, »
Rui insistette a tenerla ferma, « Solo se te la senti. Se non stai
bene, se per
caso… tu rimani qui. »
« Starò bene, » lo rassicurò convinta, il sorriso un po’
più sicuro, « Lo prometto. »
§§§
« Where are you? »
Zakuro, in piedi davanti alla larga porta finestra della
camera da letto, si guardò sopra la spalla con l’accenno di un sorriso:
« I’m
right here. »
« No, you’re not. »
Lei fece una smorfia e ritornò a guardare fuori verso le
molteplici luci notturne della città: « Non mi piace non sapere le
cose, »
mormorò piatta, stringendosi le braccia nude, « Non mi piace non
capire. »
Il silenzio che le rispose, rotto solo da un fruscio
leggero di lenzuola, la fece continuare sottovoce, sempre in inglese: «
Non
conosciamo ancora bene i nostri nemici, che non si fanno vedere né
sentire da
quasi una settimana. Non riesco a decidermi se sia una cosa positiva o
negativa; forse ci stanno studiando e sanno dove colpirci, a differenza
nostra;
forse anche loro ci stanno mettendo così tanto perché presi alla
sprovvista. Ma
l’attesa mi innervosisce. »
« Thought I’d relaxed ya. »
Si voltò finalmente del tutto verso Joel, nascondendo un
sorriso sotto il guizzo di un sopracciglio, ma non aggiunse altro;
chiuse le
tende, desiderosa di quanto più buio possibile, e si infilò di nuovo
nel letto,
poggiando la schiena contro la spalliera.
« Davvero non hai mai fatto domande a Shirogane quando ti
ha coinvolto nel progetto? »
« Perché avrei dovuto? Paga bene. »
Zakuro sbuffò, e sotto lo sguardo zaffiro il texano si
voltò su un fianco, issandosi su un gomito: « Sono un medico
specializzato in
genetica. Era l’occasione della vita. »
La modella batté le palpebre, rispondendo con un secondo
di ritardo: « Un esperimento per cui non avresti mai potuto raccogliere
gloria,
però. »
« Non ho studiato medicina per la gloria, » rimbeccò lui,
« Il DNA di animali in via d’estinzione vi regala superpoteri che
aumentano la prestanza
e la resistenza del vostro fisico. Ti sei mai chiesta come potrebbe
essere
possibile applicare una versione edulcorata di questa scoperta per
combattere
malattie neurodegenerative? O patologie per cui ancora non abbiamo
trovato una
cura? »
L’istinto del lupo della ragazza quasi le fece digrignare
i denti: « Non siamo cavie da laboratorio. »
« Non ho detto
questo, » Joel allungò un braccio per sfiorarle una gamba, « Non sto
studiando voi.
E neanche il vostro DNA direttamente. Però le ricerche di
Shirogane in
generale possono essere utili a più scopi. »
Zakuro scostò il viso solo per non fargli notare che
stesso considerando che lui potesse aver ragione. Nessuna di loro si
era
effettivamente mai chiesta con esattezza in cosa consistessero gli
studi
condotti dai vari laboratori di Ryou e Keiichiro in giro per il mondo o
dalle
varie collaborazioni con altre aziende internazionali. Né avevano mai
dubitato
che le intenzioni dei due scienziati fossero altro che ottime. Al tempo
stesso,
non le piaceva che le fosse ricordato sempre, con estrema facilità,
quanto la
sua vita avesse preso una svolta non pianificata e così assurda; come
fossero
state trasformate in mutanti in nome del bene superiore.
« Il colpevole è sempre Shirogane, » scherzò sottovoce
Joel, intuendo il suo malumore, « Io non c’entro niente con chi ha
scelto, sono
arrivato dopo. »
Zakuro non si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo: «
Lui dice sempre che è stata la Terra a sceglierci. »
« Non l’avrei mai preso per uno così romantico. »
« Ass licker, you mean. »
L’americano rise e si girò meglio su un fianco: « Posso
portarti, lo sai. A vedere cosa faccio. Il laboratorio a Sunnyvale (*****)
è
particolarmente delizioso, in primavera. »
Lei inclinò appena il capo, sollevando un sopracciglio: «
Chi mi assicura non sia una trappola per rubare i segreti del mio DNA? »
La risata roca rimbombò nella stanza buia in risposta al
suo sarcasmo: « I got you where I want right here. »
§§§
Ichigo esalò e chiuse gli occhi, poggiando la testa
contro lo schienale della sedia a dondolo mentre continuava a dare
colpetti
leggeri sulla schiena di Kimberly. Sperava solo che la bimba decidesse
di
dormire un po’ più a lungo del solito, almeno per quella sera. Le
sarebbe
bastata solo una sera.
Era così stanca che le pareva di sentire il rumore delle
ossa che cigolavano sotto il peso di tutto quello che stava succedendo.
Sfiorò
con le labbra la testa della figlia e ne inspirò il profumo che
riusciva sempre
a calmarla.
La casa era silenziosa, Ryou era di nuovo rintanato nel
laboratorio del Caffè a distruggersi il cervello cercando di scoprire
quanto
più possibile sui loro nemici. Ichigo sospirò piano e continuò a
dondolarsi;
lui non l’avrebbe mai ammesso, ma lei sospettava che in qualche maniera
l’americano si sentisse in colpa per quanto accaduto mesi prima, per
non
essersi reso conto della riattivazione dei loro poteri o della nuova
minaccia
incombente – nonostante nemmeno i raffinatissimi strumenti degli
Ikisatashi
avessero dato molti frutti – e stesse quindi cercando una sorta di
espiazione
lavorando a ritmo più serrato che mai. Con lui, ovviamente, i tre
alieni loro
alleati; quella sorta di stasi in cui erano caduti da una settimana a
quella
parte aveva reso tutti attenti al più minuscolo dettaglio, alla ricerca
di una
qualsiasi risposta.
Era conscia che, almeno per Ryou e per Pai, fosse una
risposta naturale per mantenere la calma e avere l’impressione, per
quanto
falsata, che la situazione fosse sotto controllo; ma per lei era come
avere il
cuore in un costante frullatore, e la modalità protettiva in cui erano
scattati
i ragazzi le era tutt’altro che di conforto.
Non che poi fosse effettivamente sicura di cosa volesse.
Sospirò di nuovo e si accomodò meglio contro la poltrona,
canticchiando una ninna nanna a mezza voce mentre controllava che
Kimberly si
stesse effettivamente addormentando, scivolando in un sonnellino a sua
volta
quasi senza rendersene conto.
« Cazzo! »
« Purin! »
« Scusa, capo, » la biondina lo guardò con aria afflitta
e si succhiò il pollice ferito, « Mi sono distratta. »
Ryou sospirò e le si inginocchiò accanto per aiutarla a
raccogliere la moltitudine di forchette sparse per terra.
« Ti sei fatta male? »
« No, solo nell’onore. »
Lui esalò una risata: « Che ci fai ancora qui? »
Purin sistemò con molta cura le posate e fece spallucce:
« Taru-Taru è giù con te e Kisshu nii-san. Non avevo voglia di stare a
casa da
sola, ho i nervi a fior di pelle con questa attesa. »
L’americano non poteva certo biasimarla, visto che stava
cominciando ad avvertire una certa vibrazione nelle vene ed era
comunque salito
in cucina per l’ennesima tazza di caffè.
« E i tuoi fratelli? »
Lei fece una smorfia divertita: « Fuori con gli amici.
Quando mio papà non c’è hanno la tendenza a svanire. »
« Per fortuna che non hanno una sorella che si preoccupa
troppo. »
« E cosa gli potrei dire? Ciao, io a undici anni già
combattevo i mostri, mi raccomando tornate entro mezzanotte? »
Ryou rise di nuovo e le arruffò i capelli mentre la
superava per avvicinarsi alla macchina del caffè all’americana.
« Avete fame, di sotto? »
« C’è Kisshu, di sotto. »
Purin rise e infilò la testa nel frigo: « Con questa
storia della finta ristrutturazione stiamo cominciando ad avere poche
provviste. »
« La dispensa è piena! »
« Sì, ma Keiichiro nii-san non ci lascia più gli avanzi della
giornata. »
« I
don’t even know where you put all the stuff you eat… »
Si risvegliò di scatto quando il suo istinto le vibrò
nelle orecchie, avvertendola che c’era troppa calma, troppa pace.
Si era fatta sera inoltrata, Kimberly era sempre stretta
al suo petto e dormiva beata; Ichigo si alzò con cautela dalla sedia a
dondolo
e cercò il cellulare nella penombra, tastando con la mano libera. Erano
solo le
nove, eppure le sembrava molto più tardi. Si sorprese quando si rese
conto di
non essersi nemmeno svegliata per la fame, visto che a pranzo si era
concessa
solo uno spuntino veloce perché la bimba era stata di cattivo umore.
Forse era
davvero solo la stanchezza, però aveva uno strano nodo allo stomaco e
quella
sensazione di calma…
Non adagiò la figlia nella culletta ma la tenne con sé
mentre marciava verso la propria camera da letto; corrugò la fronte
quando
l’interruttore della luce in corridoio scattò e la lampada al soffitto
tremolò
un paio di istanti prima di spegnersi del tutto. Ichigo soffiò tra i
denti e
riprovò un paio di volte, ma doveva essere saltata la lampadina, e lei
non era
nemmeno certa di dove fossero quelle di ricambio.
Fece partire la torcia del cellulare giusto per vederci
bene, con Kimberly in braccio, ed entrò in camera da letto digitando un
messaggio per Ryou; le scappò un altro mezzo sospiro di fastidio quando
vide
che pareva non esserci segnale e il messaggio rimaneva bloccato in
uscita.
Poi alzò lo sguardo sulla finestra e il cuore le
precipitò nello stomaco quando vide le luci dell’intera città spegnersi
contemporaneamente davanti ai suoi occhi.
Il frigorifero morì con un sonoro sospiro mentre tutto il
Caffè piombava nel buio.
« Non sono stata io! » si difese subito Purin, chiudendo
lo sportello per preservare il freddo quanto più possibile, « Che
succede?! »
Ryou sussurrò un’imprecazione in inglese e non le
rispose, prendendo invece il cellulare in mano e controllandolo: la sua
intuizione era stata tristemente sbagliata, e il dispositivo gli stava
chiaramente comunicando la totale assenza di linea.
Il rumore sordo del generatore di emergenza – che riempì
il locale di una fredda luce bluastra, e lui ringraziò mentalmente
Keiichiro di
aver insistito così tanto, tutti quegli anni prima – coincise con il
trambusto
degli Ikisatashi che salivano di corsa dal laboratorio.
« Non c’è corrente in tutta Tokyo, » il tono di Kisshu
era teso, « E i segnali - »
« Devo andare da Ichigo, » Ryou lo interruppe e si voltò
verso Purin, « Dove sono le altre? »
« Retasu-chan è con Pai nii-san, Minto nee-san è sul set
con Zakuro nee-san… »
« Chiamale attraverso il vostro pendaglio e dì loro di
trovarsi pronte, » la biondina annuì e lui guardò Taruto, « Potresti…? »
L’alieno annuì vigorosamente: « Andiamo a prendere
Ichigo-chan e torniamo subito, » aggiunse, più diretto alla mewscimmia
che già
brandiva la spilla da Mew Mew che agli altri.
« Localizzate la loro posizione non appena i radar
rivelano qualcosa e trovatevi lì, io chiamo Keiichiro e vi seguiamo dal
computer! »
Pharart fischiò tra i denti mentre osservava il panorama
buio dell’enorme città sotto di loro, il vento della sera che gli
scompigliava
i capelli biondi davanti agli occhi: « Peeerò. Ci
sei andato giù
pesante. »
Kert ghignò soddisfatto: « La principessina vuole la
Luna, chi sono io per non accontentarla? »
« Se gli umani sono messi in difficoltà da un blackout,
non vedo come possano essere un problema, » commentò con voce annoiata
Zaur, a
fianco a loro, « Mi stupisco non siano dotati di dispositivi di
soccorso. »
« Qualcosa là c’è, » rispose il secondo in comando,
muovendo il mento verso le poche luci che si riaccendevano qua e là, «
Ma
niente che ci possa mettere in difficoltà. Sempre che questo piano
funzioni. »
« Funzionerà, » Rui apparve accanto a loro, i capelli
raccolti da una fascetta di pelle, « Attenderemo il momento esatto in
cui sarà
alta in cielo, e funzionerà. »
Il fratello minore si limitò a scuotere le spalle mentre
il ghigno si faceva più largo: « Nel frattempo, divertiamoci. »
Ichigo soffocò un urlo solo per non svegliare Kimberly
quando percepì lo spostamento d’aria e il sibilo sottile di quello che
solo in
seguito realizzò essere il teletrasporto, mentre quasi saltava sul
posto
voltandosi indietro e puntava la torcia contro il rumore.
« Sono io, sono io, » Ryou le andò incontro e le strinse
il viso tra le mani, « Siamo venuti a prenderti, dobbiamo… »
Lei deglutì a vuoto tre volte di seguito per calmare il
battito sforzato del cuore mentre rimetteva insieme i pezzi nella
mente,
capendo che fosse arrivato il momento di entrare in azione; tentennò in
ogni
caso a passargli la bimba ancora addormentata, gemendo piano quando il
calore
del corpicino lasciò il suo.
« Torniamo al Caffè, » l’affrettò Taruto, niente altro
che un vago contorno sfumato nel buio del corridoio, « Purin ci starà
aspettando là, e da lì ci uniremo agli altri. »
Ichigo annuì e si frugò nelle tasche alla ricerca del suo
ciondolo Mew, seguendo con lo sguardo il biondo che infilava con cura
Kimberly
nel passeggino e agguantava la borsa d’emergenza che avevano iniziato a
tenere
sempre pronta per qualsiasi evenienza.
Un altro sguardo incoraggiante da parte di Taruto, che
lei poté scorgere solo perché gli occhi dell’alieno parevano brillare
anche al
buio, e con un luccichio rosato MewIchigo fece la sua comparsa. Non si
scambiarono molte altre parole mentre l’Ikisatashi le stringeva la mano
e
afferrava il polso di Ryou per portarli velocemente al locale, dove
Purin li
stava attendendo anche lei già trasformata.
« Fuori non si vede un accidenti, » esclamò la biondina,
le orecchiette da scimmia che fremevano nervose, « Le altre sono
pronte, Kisshu
ha raggiunto Minto nee-san e Zakuro nee-san. »
MewIchigo, il viso ancora più pallido sotto la luce
fredda del sistema secondario, inspirò profondamente e poi le rivolse
un cenno
del capo: « Andiamo. »
« Non capisco perché fosse necessario fare tutto ‘sto
casino. »
Quasi in contemporanea, MewZakuro e Pai lanciarono
un’occhiataccia a Kisshu per intimargli di stare zitto, mentre tutti si
concentravano per captare qualsiasi segnale che potesse indicare con
più
precisione dove fossero i loro nemici.
Dopo i primi quindici minuti di estrema confusione per
quel blackout totale e improvviso, su Tokyo era scesa una calma
innaturale: i
clacson della gente che tentava di tornare a casa si erano interrotti,
così
come gli strepiti di chi chiedeva cosa stesse succedendo e chi si
preoccupava a
voce alta.
« Chissà quanta gente è bloccata sui treni… » mormorò
sottovoce MewRetasu, le dita un po’ sudate per l’ansia attorno alle sue
nacchere.
« Akasaka-san sta cercando di comprendere da dove sia
partito, » rispose piano MewZakuro, sia per tranquillizzarla che per
evitarle
troppe distrazioni, « Ora pensiamo ai nostri nuovi ospiti. »
Una folata leggera di vento portò sotto al suo naso un
odore che stava imparando a temere:
« Parlate di noi, bellezze? »
La mewlupo girò sul posto, la frusta che sfrigolò tra le
dita. Tre dei loro avversari stavano sospesi a pochi metri da loro,
quello
dagli occhi dorati con un irritante sorrisetto stampato in volto e
l’arma già
imbracciata.
« Non ci siete tutte, » continuò irriverente, « Vi
abbiamo già fatto perdere la speranza e vi siete date per vinte? »
« Tu dai un po’ troppa aria alla bocca, » latrò Kisshu,
roteando i sai con maestria, « Scendi e parliamone, di chi deve darsi
per vinto.
»
« Oppure sali tu e ritorni sulla buona strada. Anche se
capisco l’attrattiva di questa. »
Un ringhio speculare risalì dalla gola di MewZakuro e
Kisshu, quest’ultimo che si mosse in avanti per coprire MewMinto,
mentre Pai
faceva d’istinto un passo di lato per riparare MewRetasu.
Kert rise di gusto e lanciò uno sguardo ai suoi due
compagni, quello biondo e quello bruno: « Quanti erano gli sheqli?
»
L’alieno dagli occhi così neri che l’iride pareva
indistinguibile dalla pupilla si limitò ad alzare un sopracciglio: «
Smettiamola di perdere tempo. »
« Non potrei essere più d’accordo. »
Veloce come un fulmine, Kert puntò la propria arma contro
le Mew Mew e i loro alleati, scatenando nuovamente un’enorme bolla
d’aria che schizzò
rapida nella loro direzione.
« VIA! »
MewZakuro, MewRetasu, MewMinto e i due Ikisatashi scartarono
all’indietro, questa volta più pronti rispetto all’incontro precedente,
ma la
velocità di quella sfera trasparente era incredibile e anche a distanza
ne
avvertirono l’implacabile onda d’urto che li fece caracollare per terra.
« Ribbon Pudding Ring Inferno! »
L’enorme budino gelatinoso di MewPurin apparve
all’improvviso dalla loro sinistra, schiantandosi contro il colpo
d’aria di
Kert: si frantumò in mille pezzi, spargendo piccoli blob appiccicosi
ovunque,
ma riuscì a smorzare l’efficacia dell’attacco.
« Che cazzo è quello adesso, » sibilò l’alieno tra i
denti, scambiandosi un’occhiata confusa con i compagni.
« Ragazze! State bene?! »
Le ultime due Mew Mew raggiunsero di corsa le loro
compagne, aiutandole ad alzarsi in piedi. Kisshu soffiò qualche
parolaccia
sottovoce e si rialzò borbottando:
« Grazie della preoccupazione, micetta. »
MewIchigo non lo degnò di uno sguardo, fronteggiando
invece i geoti con la campanella ben stretta in mano.
Sentire il potere scorrerle nelle vene era una sensazione
familiare ma al tempo stesso spaventosa, complessa; corrugò la fronte e
deglutì, non era il momento di perdersi ma di dimostrare perché era
stata
scelta come paladina e come leader.
« Ribbon Strawberry Sur - »
Non riuscì a terminare il suo attacco che fu come se
l’oscurità attorno a loro si fosse fatta più densa, avviluppandole
quasi le
spire di un serpente e mozzandole il respiro. Poi, il sibilo di tre
frecce che
giunsero contemporaneamente all’ennesimo getto d’aria.
Si conficcarono con uno scintillio nel terreno alle sue
spalle, vicino alle sagome delle sue compagne ma abbastanza distante da
non
costituire una minaccia.
« Non mi ha presa! » esclamò MewPurin con un sospiro di
sorpresa, « Ragazze, vo – ah! »
Una risatina soddisfatta echeggiò nell’aria mentre dalla
punta della freccia spuntava una grossa radice verdognola e bitorzoluta
che
scattò velocissima contro la mewscimmia e le si avviluppò alla gamba,
scagliandola a terra con forza.
« MewPurin! » MewMinto fu abbastanza svelta da librarsi
in aria e riuscire a evitare un’altra radice all’apparenza senziente
diretta
dritto verso la sua vita, e incoccò il suo arco per colpire, invece,
quelle che
avevano afferrato MewRetasu e MewZakuro. Prima che potesse scoccare,
però, una
corrente d’aria la prese in pieno, facendola capitombolare via e
perdere la
freccia. Riuscì a raddrizzarsi poco dopo, la testa che girava, solo per
trovarsi Kert a pochi centimetri da lei.
« Che esserini curiosi, » ringhiò con crudele interesse,
sganciando la fibbia di pelle che teneva ferma una piccola accetta alla
cintola, « Che razza di poteri avete? »
MewMinto deglutì, le dita che si contrassero
meccanicamente attorno alla propria arma, ma non fece in tempo a
sollevarla che
la schiena di Kisshu le si parò a un paio di millimetri dal naso. Gli
occhi
dorati dell’alieno loro nemico, che notò non essere così dissimili da
quelli
che conosceva così bene, si tinsero di rabbia:
« Non rendere il tuo tradimento ancora più profondo, duuariano.
Dovremmo stare dalla stessa parte. »
Kisshu schioccò la lingua, sarcastico, e con un movimento
di polso fece ruotare un sai: « Sto bene dove sto. »
Una scarica elettrica precedette il suo lanciarsi contro
Kert, che però riuscì a deflettere il colpo all’ultimo secondo; il
geota
ringhiò, le nocche che impallidirono attorno al manico dell’accetta.
« Allora vediamo se vi insegnano qualcos’altro oltre alla
galanteria. »
La mewbird considerò più efficace spostarsi e ritornare
in soccorso dalle amiche quando i due cozzarono uno contro l’altro, con
una
forza tale che lo stridio delle relative armi echeggiò nell’aria ancora
pesante.
Taruto stava ancora tentando di prendere il controllo di
quelle strane radici, Pai che forniva loro una protezione grazie ai
colpi del
suo ventaglio, ma le piante parevano non rispondere per nulla ai suoi
poteri.
« Lascia perdere, » ringhiò MewZakuro, riuscendo
finalmente a liberare un braccio per afferrare la sua frusta, «
MewRetasu, non
ti muovere. »
La verde rispose con un mugolio poco convinto, ma smise
di combattere contro l’escrescenza attorno ai suoi fianchi: l’attacco
della
mewlupo la liberò con precisione pochi istanti dopo, la radice che si
spezzò a
metà con uno sfrigolio inquietante.
« MewIchigo, datti una mossa! » strillò MewMinto da sopra
la spalla, colpendo con una freccia la radice ancora intorno alla gamba
di
MewPurin e che lei stava prendendo a randellate con il tamburello,
inveendole
contro con molta poca grazia. La mewrosa, che insieme a Taruto aveva
provato ad
artigliare le piante, sembrò riscuotersi nonostante la pressione che
ancora
sentiva sul petto e quella strana oppressione che le pesava sulle
membra.
Senza dirle nulla, MewRetasu le si avvicinò e le posò una
mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso comprensivo e di
incoraggiamento,
cui la mewgatto rispose con un cenno, prima di squadrare le spalle e
rivolgersi
nuovamente ai nemici.
Rui lanciò uno sguardo veloce allo scontro sotto di loro,
osservando confuso quelle figurine colorate che stavano incredibilmente
tenendo
testa ai suoi compagni. Schioccò la lingua e si voltò verso Espera, il
volto
più pallido del solito.
« Aspetta fino a che la Luna non sarà del tutto alta,
d’accordo? »
Lei annuì e gli strinse le dita con un palmo sudato, gli
occhi blu velati d’argento e tremolanti: « Capito. »
Lui non riuscì a trattenere un sospiro preoccupato mentre
le accarezzava una guancia, scostandole i capelli dal viso: «
Preferirei tu non
fossi qui. Non lo dovessi fare. »
« Lo so, » replicò sottovoce, « Ma va bene così. »
Rui la osservò un altro paio di secondi, poi sciolse le
loro mani lentamente.
« Stai quanto più lontano possibile. »
La baciò velocemente sulla fronte, avviandosi verso il
basso prima di cambiare idea riguardo il lasciarla sola.
« Grazie per averci raggiunti, » lo accolse Zaur, più
nelle retrovie rispetto agli altri due compagni, la voce piatta che non
conteneva la minima goccia di rimprovero, « Come sta? »
Rui esalò tra i denti: « Vediamo di fare in fretta. »
Si lanciò in avanti, pronto a colpire il fianco scoperto
di quella strana umana dai capelli rosa, quando un fiotto d’acqua
gelida lo
colpì di sorpresa, facendolo barcollare pericolosamente verso il suolo.
Gli ci
volle un istante per riprendersi dallo sconcerto e dal profondo
fastidio di
essere stato colpito proprio da qualcosa che…
La risata roca di suo fratello lo distrasse, spingendolo
a cercarne la figura a mezz’aria:
« Due contro uno? Seriamente? »
Kert stava infatti scontrandosi con il duuariano dai
capelli verdi, che brandiva due sottili tridenti, e l’umana vestita di
viola e
armata di una scintillante frusta; entrambe le armi sfioravano da
troppo vicino
suo fratello maggiore per i gusti di Rui, ed era chiaro anche a lui che
quel
suo modo di fare noncurante e sprezzante stava solamente incrementando
l’astio
dei loro nemici nei suoi confronti.
Mentre era impegnato a parare, infatti, un colpo da parte
del loro antico compatriota, il lungo lazo viola dell’umana si
attorcigliò
attorno al suo ventre; Rui s’irrigidì e poté percepire da dov’era lo
sforzo di
MewZakuro, che tentò di tirare Kert verso terra. Nuovamente, la risata
sdegnosa
del maggiore dei Tha riempì l’aria.
« Bel tentativo, carina, » mormorò, avvolgendosi il nerbo
attorno al polso libero dall’accetta, « Ma non abbastanza. »
Tirò a sua volta, e MewZakuro, per quanto puntò i talloni
nel terreno, non riuscì a contrastare la forza dell’alieno e finì
invece a
pancia a terra, la frusta che si srotolò mollemente.
« MewZakuro! »
Il grido preoccupato di una sua compagna, seguito da un
fiotto di luce rosa che lo costrinse a chiudere gli occhi per un
secondo, lo
fece mettere in moto. Rui si scostò la frangia bagnata dagli occhi e
inspirò
profondamente, socchiudendo le palpebre per un istante mentre
riconquistava un
paio di metri dal suolo. Il corto pugnale che portava alla cintola
prese a
brillare di blu, sempre più intensamente: quando l’estrasse dal fodero,
si
rivelò una lunga spada, che pareva splendere della luce della Luna.
Appena arrivata sotto di lui, MewIchigo avvertì i peli
sulla coda rizzarsi di apprensione: « Oh, accidenti, » sibilò, « Non mi
piace,
non mi piace. »
Inspirò forte e strinse la sua campanella, cercando di
raccogliere quanta più energia mentre la puntava verso l’alieno dai
capelli
color ghiaccio: « Ribbon Strawberry Surprise! »
Il colpo di luce viaggiò verso Rui, deciso e luminoso –
solo per essere scagliato lontano, con un rimbalzo, dalla larga lama.
Lasciando
il padrone della spada completamente illeso.
MewIchigo avvertì il respiro fermarsi in gola: «
Accidenti, accidenti, accidenti! »
Si allontanò con un balzo agile non appena lo vide
avvicinarsi, persistendo in ogni caso a lanciargli contro attacchi
nella
speranza, quantomeno, di stancarlo; lei stessa poteva avvertire già la
fatica
crescere senza sosta, gli anni di riposo che premevano sui suoi muscoli
già
affaticati, i cambiamenti da cui il suo corpo non si era ancora ripreso
del
tutto.
« MewPurin! » esclamò a voce roca, notando che la
mewscimmia era la più vicina, attirando la sua attenzione.
La biondina si voltò rapida verso di lei, lanciando un
paio di attacchi svelti contro l’alieno; il budino gigante riuscì a
rallentare
la discesa di Rui, la cui spada fu avvolta dalla sostanza viscida. Gli
scapparono un paio di maledizioni sibilate mentre tentava di ripulire
la lama,
e fu Zaur a corrergli in soccorso, il corto bastone di legno rossastro
che
distrusse gli ultimi residui di materia.
« È quasi ora, » gli sussurrò il compagno dagli occhi
neri, « Dirò agli altri di tenersi pronti. »
Rui annuì, e le iridi blu divennero due fessure quando
l’ennesimo colpo di MewRetasu si diresse rapido verso di loro. Di
nuovo, la
spada brillò appena mentre lui prendeva un respiro e stendeva la mano
davanti a
sé: il tempo di un sospiro, poi Rui chiuse il pugno digrignando i denti
e il
getto d’acqua fu lanciato dalla parte opposta, a sfiorare Kert e Kisshu
che
ancora si sfidavano in cielo.
« Cazzo. »
MewIchigo non avrebbe potuto essere più d’accordo con
l’esclamazione di Taruto.
Il giovane alieno si lanciò ancora a testa bassa contro
Pharart, rispondendo alle frecce con un ammasso di piante a sua volta
che
saettavano nell’aria come sottili serpenti, spezzando i dardi e parando
le
ragazze al tempo stesso, evitando quanto più possibile che
germogliassero altre
seccature. Al tempo stesso, ne indirizzò altre verso Rui e Zaur, mentre
MewRetasu e MewIchigo persistevano ad attaccare.
La lama baluginante, però, e il sottile bastone
continuavano a parare i colpi, i loro padroni che schivavano con
eleganza ed
efficienza i poteri delle Mew Mew.
Troppa efficienza, per il loro gusti, nonostante
l’evidente differenza numerica.
MewZakuro si prese un attimo di respiro, notando con la
coda dell’occhio Masha che svolazzava verso di lei; la voce preoccupata
di
Shirogane la raggiunse l’istante successivo.
« State bene?! »
« Sì, » le uscì più un ringhio che una risposta sincera,
mentre continuava a tenere sott’occhio Pai, Kisshu e Kert che
persistevano a
scontarsi a una velocità tale che – doveva ammetterlo, pur con
l’orgoglio
ferito – lei e le altre non avrebbero sostenuto - « Ma non è… facile. »
Scattò all’indietro, evitando una doccia di punte di
freccia spezzate da Taruto che, pur avendo perso il loro potere,
l’avrebbero
tagliuzzata fin troppo.
« Siete troppo divisi, » persistette l’americano,
« Forse dovreste - »
Masha squittì e scartò velocemente di lato, un Ribbon
Lettuce Rush che fu nuovamente respinto e usato come
protezione contro di
loro e che la mewlupo schivò per un soffio, avvertendo le goccioline
bagnarle
la coda. Digrignò i denti e corse verso le altre MewIchigo e MewRetasu,
le sole
a trovarsi contro due geoti in una volta, la fierezza che ruggiva nel
realizzare che le Mew Mew sembravano più impegnate a proteggersi che ad
attaccare.
« Non stiamo andando da nessuna parte! » esclamò alle
amiche, lanciando un Ribbon Zakuro Pure verso Zaur
che almeno ottenne di
farlo allontanare di qualche metro.
Se questo è solo il primo scontro…
Non riuscì a terminare il pensiero che, per una seconda
volta, il buio intorno a loro sembrò tendersi, allargarsi e stringersi
allo
stesso tempo, premendo sui loro corpi come un’enorme massa invisibile,
farsi
più intenso anche contro la luce della Luna, ora ben visibile in cielo.
MewZakuro avvertì chiaramente MewIchigo, alla sua sinistra, trattenere
il respiro
e poi emettere un rantolo mentre inciampava e faticava a mantenere la
direzione
della sua campanella; al tempo stesso anche MewPurin, alla sua destra,
brontolò
una sequela di parolacce mentre sfregava contro il terreno per evitare
un colpo
di Pharart, come se avesse perso la sua innata agilità.
Il suo sesto senso di lupo percepì qualcosa di nuovo,
portato dal vento che si alzò in quell’istante e che la costrinse ad
alzare il
viso.
Dove una nuova figurina si stagliava esattamente davanti
alla Luna.
« Chi diavolo è? »
Il sussurro incattivito di Taruto risuonò nello spazio,
mentre l’intero scontro pareva sospendersi per un istante per osservare
ciò che
stava succedendo.
Tutti gli istinti animali delle ragazze vibrarono
allarmati all’unisono quando il vento crebbe di intensità, e la figura
aliena
sopra di loro apriva le mani in un turbinio di lunghi capelli e
prendeva a
brillare della stessa luce del satellite.
Per Rui fu come se una marea calda gli stesse riempendo
il petto, scorrendo fino ad ogni estremità dei suoi arti, tuonando
mentre
pretendeva di essere liberata.
Gli scappò una esclamazione di sorpresa, per una volta
vide anche sul volto di Zaur un’espressione più impressionata; si
studiò il
dorso della mano, che sembrava anch’essa avvolta da una luminescenza
bluastra.
Al successivo battito del suo cuore, più potente che mai,
strinse l’altro palmo intorno all’elsa e inclinò appena la lama, mentre
il
vento portava più vicino il suo sussurro.
Ora.
Un lampo esplosivo si propagò per l’aria, fatto del
bagliore proprio della Luna, come se Espera ne fosse diventato il faro;
colpì
esattamente la sua spada, ma non la fece rimbalzare via né sembrò
intaccarla:
la lama parve assorbire tutta quella potenza, il vago scintillio che
crebbe in
nitidezza e intensità.
Ne divenne un canale vero e proprio.
Rui la osservò ancora un paio di secondi, saggiando la
vibrazione contro al braccio, avvertendo quasi l’arma più leggera, più
viva.
Non ci aveva creduto veramente – non ci aveva voluto
credere – neanche all’ultimo secondo, neanche quando aveva acconsentito
di
portarla sul campo di battaglia. Ora aveva la prova inequivocabile
davanti agli
occhi.
Il piccolo cenno col capo di Zaur gli bastò per
convincersi.
MewIchigo impiegò una manciata di secondi a capire cosa
stesse succedendo.
Perché un raggio di luce stava venendo assorbito dalla
spada dell’alieno chiamato Rui dopo essere stato generato da
quell’altra tizia
mai vista prima.
Perché le pareva che si fossero fermati tutti e che
l’intera attenzione fosse catalizzata proprio lì.
E perché adesso quel fascio di luce si stava dirigendo
dritto verso di loro.
Il suo istinto felino reagì prima che lei potesse e lei
saltò all’indietro, evitando per un soffio che metà della sua coda
venisse
bruciata. Non ebbe il tempo di respirare, però, in quanto l’alieno
fendette
l’aria una seconda volta, scendendo veloce verso di loro, e un altro
scoppio di
energia cadde vicino a lei, provocando una profonda crepa nel terreno.
« Ragazze! » MewIchigo alzò la campanella e tentò di
rispondere ai colpi o quantomeno bloccarli, continuando a schivare
attacchi con
sempre più affanno, MewRetasu accanto a lei che la seguiva serrata.
« Fuu Shi Sen! »
Pai comparve all’improvviso accanto a loro non appena
l’energia parve avvicinarsi troppo alla mewverde; lo spostamento d’aria
causato
dai suoi poteri, però, non fu abbastanza per fermare l’energia di Rui,
ma
questa fu in parte assorbita dal ventaglio del moro, diventato così
largo che
MewIchigo non riuscì a non chiedersi come riuscisse a reggerlo in mano.
« Cosa facciamo?? » domandò angosciata, quasi
rannicchiata dietro l’alieno, « I nostri poteri non sembrano avere
abbastanza
effetto! »
Pai digrignò i denti mentre un ennesimo colpo si
schiantava contro di loro, costringendoli a fare qualche passo indietro.
« Dobbiamo disarmarlo, » mormorò, « Forse Taruto - »
S’interruppe quando Rui sbriciolò la terra sotto i loro
piedi, facendo perdere loro l’equilibrio. MewZakuro e MewMinto si
pararono loro
davanti, entrambe intente a tempestare il geota di colpi che però
continuavano
a rimbalzare senza effetto contro la larga spada che lui brandiva come
se non
avesse peso.
La risata roca di Kert riecheggiò chiara anche sopra il
rumore di quello scontro: « Però, fratellino. Allora forse non è
inutile come
pensavo. »
L’unica risposta di Rui fu un ringhio più simile a quello
di un animale mentre guadagnava anche gli ultimi metri e posava i piedi
a
terra, la spada ancora avvolta dalla luce bianca.
« Ribbon Pudding Ring Inferno! »
Il colpo di MewPurin riuscì ad ottenere ben poco, venendo
spiattellato in tutte le direzioni; Taruto le fu subito davanti, a
coprirla
mentre riusciva a far spuntare un paio di radici che si strinsero
attorno alle
caviglie di Rui, quanto bastava perché lo rallentassero, facendolo
incespicare.
« Ribbon Zakuro Pure! »
La mewlupo fu svelta a lanciargli contro la propria
frusta, ma la spada fu più veloce a evitare anche quell’attacco.
Rui alzò di nuovo il braccio, pronto a scagliare
l’ennesimo fendente che avrebbe prodotto quella marea di energia,
quando lo
scintillio di quel potere sulla lama si bloccò di colpo; d’istinto, lui
si
voltò giusto in tempo per vedere Espera ondeggiare a mezz’aria prima di
iniziare a cadere senza sosta.
Reprimendo un urlo, ormai noncurante dei nemici né dei
compagni, Rui si teletrasportò il più vicino possibile a lei, volando
per gli
ultimi centimetri e riuscendo ad afferrarla in tempo prima che si
schiantasse a
terra. Il cuore gli si fermò in petto nel trovarla ancora più pallida
del solito,
un rivolo di sangue scuro che le scorreva dal naso.
« Espera, » sussurrò, scuotendola piano e passandole il
pollice sotto la narice anche per assicurarsi che respirasse ancora, «
Espera,
svegliati. »
L’aliena emise solo un mugolio confuso, la testa che si
abbandonò contro al suo petto quando la prese in braccio, e Rui
combatté il
moto di rabbia che sentì risalirgli per la gola.
« Ritiriamoci, » sussurrò ai compagni che li avevano
raggiunti a mo’ di protezione.
Kert sbuffò, l’accetta ancora ben salda in mano: « Guarda
che – »
Il fratello lo raggelò con un’occhiataccia che non
ammetteva repliche: « Ho detto ritiriamoci. »
Si teletrasportò via prima che qualcun altro potesse
aggiungere qualcosa, Zaur e Pharart che lo seguirono poco dopo; il
maggiore
rimase qualche altro istante di più, lanciandosi solo uno sguardo
strafottente
sopra la spalla.
« Ritenetevi fortunati, questa volta. »
Kisshu gli lanciò dietro uno dei suoi sai, così
velocemente che fu quasi sicuro di sfiorargli uno zigomo una frazione
di secondo
prima che scomparisse nel nulla.
Con un sospiro generale, seppure confuse da tutta la
situazione, le Mew Mew si lasciarono cadere a terra, MewPurin che si
stese a
pancia all’aria come una stella esalando ad alta voce.
« Non ci ho capito un accidente. Ma mi serve una doccia
gelida. »
« Ci serve una tattica migliore, » commentò freddo
Kisshu, facendo roteare piano il braccio sinistro con una smorfia di
fastidio, mentre
andava a recuperare l’altra metà della sua arma, « Almeno sono riuscito
a
tirargli un paio di fulmini. »
MewRetasu annuì sconsolata, portandosi una mano al petto
mentre cercava di regolarizzare il respiro: « Posso dire che è un po’
un casino?
»
« Non utilizzerei termini così cortesi, pesciolina. »
MewMinto gli lanciò un’occhiataccia mentre accettava la
mano che lui le porgeva per tirarsi in piedi, Masha che svolazzò più
convinto
tra di loro.
« Avete fatto un ottimo lavoro. Stanno ripristinando
la corrente in città, » la voce di Keiichiro le raggiunse
quasi come un
calmante, e si voltarono tutti ad osservare le luci che pian piano si
riaccendevano tra i vari quartieri, « Su, l’importante ora è
tornare a casa.
»
(*)
Da siclo/sciclo
(shekel in
inglese, shèquel in ebraico), antica unità di peso
che divenne poi una
valuta in Mesopotamia e in Medio Oriente (e da cui poi anche il nome
della
attuale moneta israeliana).
https://en.wikipedia.org/wiki/Shekel
(**) Correggetemi
se sbaglio perché io non solo anziana, ma ci sono sempre
versioni contrastanti. Nell’anime originale arrivato in Italia nel
2004, NONOSTANTE
GLI OTTOCENTO ERRORI A PUNTATA PER QUANTO RIGUARDA I COLORI, quando
Ichigo
si trasforma ha i capelli (e gli occhi) rosa, mentre Minto ha capelli
(e occhi)
blu, ovvero il colore del loro costume/potere/etc. Questo direi
che non
succede nel manga originale (tranne sulle copertine dei volumetti), né
in Re-Turn
né nel reboot del 2022, dove l’unica cosa che cambia alle
ragazze da
trasformate sono gli occhi (Retasu li ha infatti verdi in forma Mew).
(***) Liberamente
ispirato dall’episodio 18 dell’anime, in cui
Taruto non solo “costruisce” una casa, ma rassicura anche Kisshu che
essa è
introvabile dalle Mew Mew grazie appunto a una barriera protettiva
(****)
Mentre
i nomi
degli altri alieni non vogliono dire una cippa di minchia – o almeno,
non che io
mi ricordi xD – Espera deriva dritto dal greco
antico e significa sera
(oppure occidente). Con la lettera maiuscola si
identifica anche proprio
Espera (o
Espere), una delle Esperidi =
le ninfe “figlie
della notte” che custodivano l’omonimo giardino dei pomi d’oro.
Scusate, ho
fatto il classico (cit.)!
(*****) Sembra
il nome di un quartiere di
The Sims ma non è. Sunnyvale si trova nella Silicon Valley in
California e, fun
fact, è considerata la culla dell’industria dei videogiochi
– visti i miei headcanon,
dove altro poteva avere affari il nostro biondo preferito?
|
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Capitolo 12 *** This ain't a song for the broken-hearted ***
Chapter Twelve – This ain’t a
song for the broken-hearted
Ichigo aprì gli occhi
di colpo, scattando
subito seduta ed esalando un gemito a labbra strette l’istante
successivo, non
appena il suo corpo prese coscienza di essere effettivamente sveglio e
tuonò di
tutti i dolori causati dal giorno precedente. Lei cercò di non badarci
mentre,
soffiando tra i denti, si alzava afferrando la vestaglia e si avviava
verso il
piano inferiore, il seno indolenzito che reclamava di essere alleviato.
Era sicuramente più
tardi di quanto fosse
ormai abituata ad alzarsi, e dalla luce che trapelava dalle finestre
poteva
dedurre che fosse molto più tardi: un misto di
nervosismo e gratitudine
le gorgogliarono in petto, seguito subito dopo dal familiare impeto a
tenere a
bada le proprie emozioni.
Non avrebbe saputo
dire se fosse stato più
difficili a tredici anni, nel pieno sbocciare delle tempeste ormonali
dell’adolescenza, o in quel momento a ventuno, a quasi cinque mesi
dall’inizio
della maternità e una manciata di settimane dal suo matrimonio.
Quel mal di testa che
sentiva crescere non
era sicuramente solo dovuto alla tensione muscolare.
Scese le scale a piedi
nudi e sentì il
cuore continuare a sfarfallarle in petto per dieci motivi differenti
nel vedere
Shirogane seduto al tavolo, il portatile aperto davanti a sé ma
Kimberly in
braccio, a cui stava parlottando sottovoce in inglese.
« Buongiorno, » Ichigo
realizzò che si
dovette sforzare per non far traballare il suo sorriso, « A che ora si
è
svegliata? »
« Alle cinque, » Ryou
lanciò un’occhiata
assonnata e pungente alla bimba appollaiata sulla sua gamba, « Non ha
voluto
saperne di riaddormentarsi fino alle sette. »
La rossa sospirò e
poggiò i palmi sullo
schienale della sedia in fronte a lui, ben sapendo che non sarebbe
riuscita ad
alzarsi se si fosse seduta: « Avresti dovuto darmi il cambio. »
L’americano la guardò
scettico: « Avevi
bisogno di recuperare. »
Ichigo cercò di
ripagarlo con un’occhiata
storta, ma un ennesimo concertino di fitte ovunque le fece cambiare
idea; con
un sibilo marciò verso la macchinetta del caffè, versandosene più del
solito.
« È stato un disastro,
» mormorò,
passandosi più volte la mano sul viso per indursi a svegliarsi del
tutto, «
D’accordo, siamo più adulte e più consapevoli, ma al tempo stesso è
molto più
faticoso. Per me poi… »
Ryou lasciò con cura
Kimberly nell’ovetto e
la raggiunse veloce, abbracciandola da dietro.
« Oggi pensa a
riposarti, » le mormorò,
sfiorandole il collo con il naso, « Poi… potrei avere un’idea. »
Ichigo corrugò la
fronte, assaporando la
bevanda per lei sempre un po’ troppo amara, e gli lanciò uno sguardo
poco
convinto: « Le ultime tue idee hanno causato importanti scompensi
ormonali
nella sottoscritta, prima con le orecchie e la coda da gatto, poi con
nostra
figlia. »
«
So funny, » Ryou
la punzecchiò con un dito nel fianco, costringendola a voltarsi e poi
rubandole
un sorso di caffè, provocando un lamento scocciato, « Ma ammetto che
non sarai
una fan. »
« Shirogane, ti prego,
» esalò lei,
piagnucolosa, « Niente indovinelli. »
Lui le lasciò un bacio
sul naso: « Lo
faccio per il tuo bene. Altrimenti so che la tua testolina
continuerebbe a
pensarci tutto il giorno. »
« Perché, credi che
così non lo farò?! »
« Non se ti distraggo
con la promessa di
un’intera giornata sul divano e del gelato. »
« Per chi mi hai
preso? » rimbrottò,
riacciuffando la tazza di caffè ma senza riuscire a nascondere il
sorrisetto
che le stava nascendo spontaneo, cui Ryou rispose con uno altrettanto
supponente mentre le dava un buffetto sul naso: « For a lazy
kitty cat. »
« Se ogni volta va
così, non finiremo mai.
»
Pharart lanciò
un’occhiata d’avvertimento a
Kert, mezzo stravaccato sul divano accanto a lui.
« È vero e lo sai
benissimo anche tu, »
continuò l’alieno dagli occhi dorati, accennando con il mento alla
camera in
fondo al corridoio, « Il prossimo plenilunio è tra un mese, non
possiamo
continuare ad aspettare che riesca a tenersi in piedi per più di cinque
minuti.
»
« Le capacità di
Espera sono acutizzate
sulla Terra, » commentò piatto Zaur, in piedi davanti ai monitor, « Non
sappiamo con esattezza il motivo, forse la presenza stessa della Luna o
il
legame ancestrale con il nostro pianeta d’origine la rendono più
sensibile. Inoltre,
lo sforzo di ieri sera ha gravato molto sul suo fisico già provato. »
Kert fece schioccare
la lingua: « È stata
un’idea del cazzo farla venire. Se non è capace di fare ciò per cui è
stata
intrufolata sulla nave, che senso ha? Non fa altro che distrarre Rui e
metterci
i bastoni tra le ruote. »
Pharart gli diede di
gomito con insistenza:
« Non è che tu sei tutto incolume, sai, » occhieggiò con veemenza il
taglio che
il compagno ostentava sulla guancia, merito di quel dannato colpo di
fortuna di
Kisshu poco prima che se ne andassero, « Signor eroe del campo di
battaglia. »
L’altro gli ringhiò
contro: « Almeno io
potevo continuare altre sei ore. »
Il biondo fece un
verso di incredulità: «
Allora proviamo a vedere cosa succede se tu diventi una specie di
sifone
d’energia. »
« Oh, ma da che parte
stai? »
« Non si tratta di
parti, » Zaur li guardò
appena da sopra la spalla, « Ma di mantenere coesione in una situazione
già
difficile. »
Kert strinse la
mascella in uno scatto di
fastidio: « Vedi che provi solo il mio punto. Non sarebbe necessario
tutto
questo se le cose fossero un pelino differenti. »
« Non sarebbe
necessario se tu non fossi
una vecchia scarpa acida. »
« Vuoi indietro tutti
i cazzotti che non ti
sei preso in Accademia, Pharart? »
« E rischiare di
rovinare ancora di più il
tuo bel faccino? Non potrei mai. »
« Mi chiedo perché non
stiate mai zitti. »
Dall’altra parte
dell’andito, dove
fortunatamente il brusio del parlottare era abbastanza smorzato anche
per uditi
più fini, Rui scostò gentilmente i capelli di Espera dal suo viso,
sussurrandole parole di conforto e accarezzandole la schiena mentre il
corpicino magro veniva tormentato dai conati.
« Non c’è bisogno che
rimani, » sospirò
lei, prendendo un respiro tremolante dopo l’ennesimo sforzo del suo
stomaco, «
Me la cavo da sola. »
« Non dire
sciocchezze, » la rimproverò
sottovoce lui, « Non si sta soli quando si sta male. »
« Non sto male, »
ribatté, mettendosi
seduta e passandosi il dorso della mano sotto la frangetta sudata
Rui si limitò ad
alzare un sopracciglio,
guardando con decisione il pallore accentuato del suo viso.
Lei sbuffò e poggiò la
nuca contro al muro:
« Mi odiano, di là. »
« Sei così stanca che
anche i tuoi poteri
sbagliano, » la consolò, continuando a passare le dita tra i lunghi
capelli
neri, « Non è assolutamente vero. »
« Tranne che per Kert.
»
Rui sospirò
stancamente, spostandosi così
da esserle seduto a fianco: « Perché ti concentri solo su di lui? Lo
devi
lasciar perdere. Lo sai che non cambierà mai. »
« Lo so, ma… è tuo
fratello, » gemette
Espera, aprendo i palmi in grembo, « Vorrei poterci andare d’accordo,
anche per
il tuo bene. E sta diventando esasperante, dopo
tutto questo tempo. »
« Ehi, non fare tanto
la martire, io lo
sopporto da ventun anni. »
L’aliena rise, posando
la testa contro la
sua spalla, e lui ne approfittò per lasciarle un bacio sulla sommità
della
testa.
Gli avvenimenti della
sera precedente erano
sospesi tra di loro, come in un tacito accordo di non varcare ancora il
confine
di quel discorso, di quella verità rivelata. Non c’era stata nemmeno
occasione
di tentare di parlarne, però; Espera, svenuta durante la battaglia, non
si era
ripresa per tutto il resto della notte ma era caduta in un sonno
profondo e
agitato che l’aveva avvolta in un sottile strato di sudore. Al
risveglio, era
stata appena in grado di alzarsi dal letto per correre in bagno e
rivoltarvi i
contenuti dello stomaco; nessuno di loro aveva avuto il coraggio di
chiederle
davvero cosa fosse successo, come si fosse sentita.
Di affrontare il fatto
che una profezia
vecchia di millenni fosse molto più che una semplice storiella.
Rui inspirò il profumo
dei suoi capelli e
continuò ad accarezzarle la schiena con fare tenero mentre l’aliena
tentava di
regolare il respiro.
Dopo. Ci avrebbe
pensato dopo.
§§§
Tra i vari poteri
esibiti dall’alieno,
Purin era specialmente contenta che Taruto fosse capace di generare
barriere
d’energia protettiva che, se calibrate in una
certa maniera, erano
in grado di attutire i suoni, visto quanto inevitabilmente lei e
l’alieno
finivano per schiantarsi contro ogni angolo della sua camera quando…
Sì, beh, forse aveva
passato troppo tempo
con Kisshu, ma non le sovveniva termine migliore di quando
pomiciavano.
Sospirò sottile mentre
la premeva contro la
scrivania e lei s’inarcava contro di lui, facendo sgusciare al contempo
una
mano sotto la maglietta per sfiorargli la pelle calda del torace.
Dopotutto, benché ai
suoi fratellini Taruto
stesse evidentemente simpatico, erano anche quattro adolescenti
particolarmente
gelosi e protettivi verso la loro sorella maggiore, e coglierla in
flagrante in
quella maniera non avrebbe giovato a nessuno.
Il ragazzo le morse
piano un labbro mentre
accartocciava il tessuto della sua maglietta all’altezza delle sue
costole, lì
nella curva che sembrava fatta apposta per la sua mano, soffiando piano
per
mantenere un minimo di autocontrollo. Un’impresa titanica, quando la
biondina
praticamente gli sollevava tutta la maglietta per stringersi a lui e
accarezzarlo con calore.
Neanche
tre settimane, si ripeté testardo, mentre la
mano sinistra non si fermava dallo
scendere lungo la coscia di Purin, stringerla nel percorso al
contrario, tu
sei pazzo, è troppo presto, non si può, non la posso forzare…
Lei mugolò in maniera
così convinta, quando
passò a baciarle il collo e in tutta risposta fece scivolare la punta
delle
dita poco oltre il bordo dei suoi pantaloni, che ogni singola cellula
del suo
corpo gli diede del deficiente.
Il letto
all’occidentale della biondina
gemette dolorosamente quando ci cascarono sopra, Purin che incastrò le
gambe
tra quelle di lui per averlo il più vicino possibile e lui che cedette
e le
scostò la maglietta per sfiorarle un seno, facendola inarcare contro di
sé.
Forse si meritava un
premio anche solo per
quelle misere settimane.
« Taru-Taru… » il
sospiro della ragazza gli
arrivò roco all’orecchio mentre continuava ad esplorarle la mascella,
il collo,
le clavicole con la bocca, « Ma tu… »
« Sì, » rispose di
botto lui, per poi
fermarsi all’improvviso e alzare la testa di scatto, corrugando la
fronte, «
Cioè, no! Non ho mai… ma vor… però se tu… »
Un altro pensiero gli
attraversò la mente e
gli colorò il volto di scarlatto, mentre la ruga tra le sopracciglia si
aggravava: « … e… tu? »
Purin arricciò le
labbra, divertita dal suo
evidente imbarazzo pur accorgendosi del calore che le arrossì naso e
guance, e
spostò gli occhi sulle labbra di lui: « No… » sussurrò, « Per - »
Lo squillo insistente
del cellulare della
biondina l’interruppe, facendoli sobbalzare entrambi dalla sorpresa.
Taruto
represse un ringhio ed ebbe la tentazione di pregarla di ignorarlo, già
contrariato dalla mancanza del corpo morbido contro al suo mentre lei
si
divincolava per afferrare il telefono.
« Nii-san? No, stavo…
dimmi tutto, » Purin
scivolò all’indietro un po’ di più per mettersi seduta, risistemandosi
la
maglietta e incastrando il cellulare tra orecchio e spalla, « … okay? »
L’alieno inspirò
profondamente e si mise in
ginocchio in fronte a lei, stringendo i pugni sulle gambe mentre
tentava di
riprendere il controllo di sé. Osservò incuriosito le cinque
espressioni
diverse che le attraversarono il bel viso, ancora piacevolmente
arrossato,
mentre la biondina annuiva vigorosamente e si torturava il labbro
inferiore con
un dito.
Lo
stesso labbro su cui lui si stava
concentrando così deliziosamente finché quel rompiscatole di Shirogane
–
maledetto – non li aveva interrotti.
Sperò solo che
l’americano avesse una
dannatissima, buonissima ragione.
« Ma certo! » trillò
Purin, quasi saltando,
« È un’ottima idea! Vi aspetto anche subito! »
Taruto non riuscì a
evitare di sgranare gli
occhi, stupefatto, in una domanda silenziosa, ma lei non sembrò neanche
notarlo.
« D’accordo! Okay, a
dopo! »
Non fece in tempo a
concludere la
telefonata che praticamente si lanciò giù dal letto, saltellando
eccitata sul
posto e scatenando nell’alieno un moto di affetto che, almeno, spense
un poco
il fastidio che provava per quell’interruzione.
« Mbeh?! »
Lei continuò a
saltellare, canticchiando
contenta: « Finalmente mi sta a sentire! »
esclamò, rilanciandosi sul
letto in uno svolazzo di capelli biondi, « Non ammetterà mai che avevo
ragione,
ma io lo sapevo che a forza di suggerirglielo e
tartassarlo mi avrebbe
ascoltato! »
« Ma che stai… ? »
Purin gli rivolse un
sorrisone a trentadue
denti: « Ti ricordi quando dicevo a Ryou nii-san che dobbiamo
riprenderci un
po’ la mano? »
«Ssssì…
e quindi? »
« E quindi preparati a
venire atterrato,
Taru-Taru. »
Retasu dovette cedere
al suo senso di colpa
e ammettere che non ricordava l’ultima volta che aveva messo piede nel
dojo
della famiglia Fon.
O in una palestra, per
quel che valeva.
Così come doveva
cedere ai fatti che
trapelavano dalla telefonata di Ryou, con cui le aveva radunate tutte
nello
spazio d’allenamento della biondina per un caloroso suggerimento, già
paventato
dopo il primo confronto con i Geoti ma soprattutto a fronte dello
scontro di
due giorni prima: riprendere coscienza dei loro poteri ora che erano
più adulte
e con anni di tranquillità alle spalle, e sfruttare al massimo la
presenza
degli Ikisatashi non solo come compagni d’armi, ma anche come veri e
propri personal
trainer più avvezzi di loro nell’arma bianca.
E per quanto poteva
dirne Retasu,
sicuramente anche molto (molto) più allenati di lei.
« Benvenuti,
benvenuti! » Purin accolse il
gruppetto con estrema energia, quasi scardinando la porta scorrevole
che dava
sulla stanza principale, « Non vedo l’ora di iniziare! Avete sentito il
nii-san, da oggi in poi si suda! »
« Seriamente? » Minto
sbuffò e incrociò le
braccia al petto, mentre saliva i gradini d’ingresso, « L’unica che ha
bisogno
di rimettersi in forma qui è Ichigo. »
La rossa le lanciò
un’occhiata truce, ma
era visibilmente troppo stanca per poter replicare a tono e si limitò a
rivolgerle anche una linguaccia, cui la mora rispose scuotendo la testa
esasperata.
« Non si tratta solo
di allenarsi, » spiegò
monotono Pai, « È chiaro che il combattimento corpo a corpo non è il
vostro
forte. Visto che, invece, i nostri nemici sembrano farvi affidamento, e
viste
le limitazioni dei vostri poteri, è importante che anche voi ci
riprendiate la
mano. »
Zakuro si limitò ad
alzare un sopracciglio:
« Chiedi a tuo fratello se non è il nostro forte. »
Kisshu la guardò
storto, tenendosi comunque
a distanza di sicurezza: « Sempre un piacere. Vuoi riprovarci? »
« Non parlare così
alla onee-sama. »
« Ha iniziato lei. »
Purin sghignazzò e
saltellò eccitata sul
posto: « Così finalmente potrò insegnarvi qualcosa anche io! Ho sempre
voluto
iniziarvi alle arti marziali. »
Ryou si scambiò
un’occhiata leggermente
preoccupata con Pai, poi commentò: « Direi che magari prima sia meglio
rafforzare le basi, Purin. Addominali, braccia, cardio… »
Minto sbuffò
altezzosa, mentre sia Ichigo
che Retasu si scambiarono un’occhiata sconsolata.
« Era più divertente
quando ci veniva
naturale… »
« Io te l’ho sempre
detto che il
metabolismo cambia. »
« Aizawa, perché non
ti metti tu a dirigere
le operazioni allora, visto che sei così brava? »
« Non iniziate a
litigare… »
« Ma… quindi
incominciamo oggi? Cioè –
adesso? »
Pai rivolse
un’occhiata piena di
comprensione, con una punta di perdono, verso Retasu e i suoi
abbattutissimi
occhioni blu: « Meglio cominciare prima e andarci gradualmente, con
costanza. »
« Forza, corsetta di
riscaldamento! Dieci
giri intorno al dojo! Ora sono la sensei di tutti!
»
Purin afferrò Retasu e
Zakuro da sotto il
braccio e cominciò a trascinarle senza pietà verso l’uscita, vociando
al
contempo sopra la spalla:
« Voi tre, non pensate
di prendervela
comoda! Sarete anche super fisicati ma qui si lavora! »
Pai guardò nuovamente
Ryou, questa volta
con gelida sopportazione nelle iridi viola, e il biondo pilotò
strategicamente
il passeggino di Kimberly in fronte a sé, estraendo il portatile da una
delle
borse lì appese.
« Sappi che questa è
motivazione di
divorzio, » brontolò Ichigo, lanciandogli un’occhiata seccatissima.
« I already
go
to the gym, ginger. »
« Bla, bla, bla, non
era nella buona e
nella cattiva sorte? »
« Ti avevo avvertita
che non saresti stata
una fan della mia idea, ma ciò non toglie che sia una buona idea. »
« Ichigo, dai.
»
Lei sbuffò di nuovo
sonoramente e si fece
trascinare via da Purin, tornata indietro a recuperare le ultime due
Mew Mew
mancanti. Taruto non poté non soffermarsi con lo sguardo sulla testa
bionda che
continuava a saltellare, sprizzando energia e allegria da ogni poro
anche
contro l’evidente riottosità delle amiche, mentre anche i tre
Ikisatashi si
avviavano verso l’esterno del dojo.
Né riuscì ad evitare
di trattenersi qualche
istante in più sulle forme toniche che spuntavano dai pantaloncini al
ginocchio
e dalla canottiera che copriva a malapena la fascia intorno al seno,
come se
non fosse ormai la fine di settembre, come se il calore che lui stesso
aveva
saggiato poco prima l’avvolgesse sempre e…
« Che è quella faccia?
»
Digrignò i denti
quando Kisshu gli
passeggiò accanto con un sorrisetto divertito.
« Niente. »
La risposta
praticamente sputata a bocca
serrata non fece che allargare il ghigno del fratello maggiore.
« Mmmm, non dirmelo.
Qualcuno è stato
interrotto in un momento un po’ troppo… intenso. »
Taruto ringraziò anni
di addestramento che
gli impedirono di conficcare un pugnale dritto nel bulbo oculare di
quel
deficiente. Purtroppo per lui, però, non avrebbe mai imparato a
controllare le
proprie reazioni fisiologiche, irritandosi ancora di più quando si rese
conto
che stava dando a Kisshu tutta la certezza a cui era interessato
solamente con
il rossore che gli risalì fino alla punta delle orecchie:
« Ti devi fare i cazzi
tuoi. »
« Dai, ma io sono qui
per aiutarti, »
replicò il verde, dandogli una spallata, « Sapessi quanto mi ha fatto
penare la
tortorella, sono pienamente comprensivo. »
Taruto lanciò una
veloce occhiata
preoccupatissima verso la mewbird, ben conscio del suo volatile
caratterino e
della poca pazienza verso certe uscite del fidanzato.
« Ma sei deficiente?!
» mormorò « E
poi non voglio
saperle certe cose! »
« Cooooome
no, » continuò a
prenderlo in giro Kisshu, muovendo le sopracciglia con fare ammiccante,
« Sono
consigli da esperto! Non vorrai mica rischiare di fare una figuraccia. »
Il fratello minore
strinse le dita in un
pugno: « Ho la scusa giusta per menarti, non farmelo fare. »
Il verde rise
divertito e sprezzante al
contempo, incrociando le braccia dietro la testa mentre faceva qualche
passo
all’indietro: « Ah, pivello, voglio vederti provarci. »
« Devo chiamare
l’avvocato e preparare le
pratiche di divorzio? »
Ichigo non alzò gli
occhi quando Ryou la
prese dolcemente in giro dall’uscio, ma continuò a cullarsi sulla sedia
a
dondolo e ad accarezzare la peluria biondo-rossiccia di Kimberly, ben
attaccata
al suo seno.
« Hai un avvocato? »
L’americano sorrise e
le si avvicinò
lentamente: « Tecnicamente, ne ho uno per gli affari privati e qualcuno
per gli
affari delle aziende. »
« Sbruffone. »
Ryou emise un sospiro
divertito, le si
inginocchiò accanto e lasciò prima un bacio sulla testolina della
figlia, poi
sulla fronte a lei.
« Non voglio che ti
strapazzi, » le mormorò
tra i capelli, « Voglio solo che tu sia pronta. »
« Lo so, » Ichigo
cercò la sua mano e
gliela strinse, portandosela contro la guancia, « Però potevi trovare
un’allenatrice meno energetica di Purin. »
« Credo che Pai abbia
già in mente
qualcosa, non so se tu sia disposta a preferirlo. »
La rossa emise solo
uno strano vagito che
lo fece ridere ancora di più mentre si accomodava sul bracciolo della
poltrona
e continuava a tenere il naso tra le ciocche rubino che sapevano di
shampoo alla
lavanda.
« Quando sarà finita,
» sussurrò Ichigo
dopo un po’, dando un buffetto leggero sul naso della bambina che già
cominciava a socchiudere le palpebre, « Ci meritiamo una vacanza. Solo
noi tre.
»
« Ti porto dove vuoi.
Basta che convinca tu
Shintaro che non sono io la cattiva influenza che ti tiene lontana
dall’università. »
La moglie gli passò
Kimberly e lo guardò
con sdegno: « Insomma, Shirogane, dillo che mi detesti! »
Ryou rise e si alzò
per cominciare a
passeggiare per la stanza, picchiettando con cautela la schiena della
bimba: « I
would never. »
« Tu hai una vendetta
contro di me. Per il
mio conto aperto al Caffè. »
« Ginger, ma
se hai la linea diretta
con il mio conto in banca. E le mie carte di credito. E ti pago
comunque uno
stipendio. »
Ichigo aggrottò così
tanto la fronte,
mentre incrociava le braccia, che la piega tra le sopracciglia sembrò
diventare
due volte più profonda: « Smettila. Mi fai sentire una cacciatrice di
dote. »
Il biondo adagiò la
figlia nel lettino, poi
si affrettò per tornare da lei, avvolgendole le braccia intorno alla
vita: «
Tecnicamente, in quanto mezza felino… »
« Shirogane! »
Lui rise a labbra
strette e le baciò di
nuovo la fronte, prendendola per mano e conducendola fuori dalla stanza
della
bimba. Ichigo lo seguì con calma, strusciando il viso contro al suo
braccio.
« Sono così stanca, »
mormorò, e seppe che
lui comprendeva appieno che non si stava riferendo solo a quel momento
o al suo
fisico, « Ed è tutto appena cominciato. »
« Lo so, » Ryou si
fermò in mezzo al
corridoio in penombra e le prese il viso tra le mani, « Dicevo sul
serio,
prima. Non esagerare, o rischi di farti male. »
Lei non riuscì a
nascondere una smorfia
all’ultima affermazione: « Vacanza con spa. E babysitter. Due
settimane, come
minimo, » deviò, tentando di suonare rilassata.
L’americano rise
sottovoce di nuovo,
sfiorando il naso contro al suo: « What about our proper
honeymoon? »
Ichigo percepì il
familiare tramestio al
ventre, tra il tema e la lingua: « Per quella il minimo è un mese. Da
soli. »
« Vedi che stai
diventando svelta a
capirmi, » Ryou scese a sfiorare il naso contro il suo collo, inalando
il suo
profumo, « Insistere funziona, con te. »
« Ti stai riferendo
all’inglese o al nostro
matrimonio? »
Lui si raddrizzò per
l’istante che bastava
a guardarla con un’occhiata prima di stupore, poi di divertita offesa
che la
fece ridere di cuore.
« Donna crudele, »
ritornò poi a mormorarle
contro la spalla, abbracciandola più stretta per la vita, « Mi
riferisco a
tutto, comunque. »
Ichigo sospirò e
ricambiò la stretta: «
Vorrei che la smettessi di sentirti in colpa, » sussurrò contro il suo
petto, «
Lo so che non è perfetto e ho più paura di te, ma non è colpa tua. Tu
hai fatto
solo quello che dovevi fare, non mi devi niente. E poi vorrei essere un
po’
egoista ed essere la sola a preoccuparmi mentre tu mi dici di non fare
la
sciocca ragazzina e mi parli del bene superiore. »
Ryou sbuffò piano e si
scostò per
afferrarle di nuovo il viso: « L’unica maniera che ho di proteggerti,
Ichigo, è
assicurarmi che tu sia pronta. »
La rossa gli accarezzò
una guancia e si
tirò sulle punte dei piedi per guardarlo negli occhi: « E io devo
assicurarmi
che voi due siate protetti. »
Lo baciò prima che lui
potesse aggiungere
altro; indossava indosso solo una comoda camicia da notte con dei
bottoni sul
davanti che le arrivava a malapena a metà coscia, e i palmi caldi di
Ryou non
ci impiegarono troppo a intrufolarvisi sotto per poi scostarla del
tutto. La
strinse e la spinse in alto, e Ichigo quasi fece le fusa contro la sua
bocca
mentre incrociava le gambe intorno alla sua vita e si lasciava
trasportare
verso la loro stanza.
« Ti amo da impazzire,
» mormorò lui non
appena la stese sul letto, stringendola con più possessività del solito
e
strappandole un gemito roco, « Da sempre. »
Ichigo fu svelta a
liberarlo dei propri
vestiti, continuando a baciarlo come se non riuscisse a farne a meno.
« Per sempre, »
sussurrò piano, prima di
spingerlo dentro di sé come a sottolinearlo.
§§§
Detestava aspettare.
Detestava non avere
nulla da fare, perdere tempo, attendere il momento giusto.
I momenti giusti non
capitavano per caso,
venivano creati.
Bisognava agire,
giocarsela, sfidare la
sorte con dedizione e costanza. Puntare sempre al massimo.
Era così che aveva
sempre vissuto.
Passò nuovamente il
panno sopra la sua
arma, giusto per non rimanere con le mani in mano e sentirsi ancora più
inutile
di quanto già non facesse.
L’aveva sempre saputo,
lui, che quella
avrebbe solo portato guai, e ora gli stava pure rovinando ciò che
avrebbe
dovuto essere un grande momento di gloria. Per lui. Per tutti.
Un’occasione
irripetibile, il più grande onore che avrebbe mai potuto essergli
concesso.
E invece suo fratello,
il suo migliore
amico, colui con il quale avrebbe dovuto condividere tutto ciò e che
aveva
accettato come suo comandante, non faceva che correre dietro le gonne
di quella
sciocca, superflua, patetica femmina.
Sapeva che era
crudele, ma una parte di sé avrebbe
preferito che quell’unione, così tanto decantata e voluta e destinata,
fosse
stata solamente uno schema politico, neanche così estraneo alla
complessa
società della sua Terra; forse suo fratello si sarebbe rincretinito
meno. Forse
non sarebbe stato altrettanto felice, ma sarebbe stato più al sicuro.
Invece no – l’ardore
che Rui aveva sempre
provato nei confronti di Espera era sempre stato limpido, genuino e
inossidabile.
Così schifosamente da
manuale.
Anche se Kert si
domandava cosa sarebbe
successo una volta che tutte le carte fossero state messe in tavola.
Forse tutta la cortina
di quell’amore
esagerato si sarebbe aperta abbastanza per rischiarare un po’ le menti.
Gli era impossibile
capire come taluni si
facessero abbindolare così tanto da quel sentimento folle, che lui
quasi aveva
imparato a disprezzare. Non che ne avesse ricevuto mai quantità di
particolare
significanza, anche e soprattutto da chi avrebbe dovuto essere a ciò
preposto,
ma era sopravvissuto benissimo anche senza, lui; senza la testa
riempita di
chiacchiere e frivolezze, senza tutto quel calore dei racconti.
Lui, il primogenito,
tanto atteso, colui
che avrebbe guidato la strada verso il continuo miglioramento della
loro famiglia
e che sarebbe servito da esempio per tutti gli altri eredi come i loro
antenati
per loro – poi messo da parte all’arrivo del fratellino, così… speciale.
Non aveva mai
incolpato Rui, no di certo:
il fratello, alla fine, era stato l’unico ad amarlo sul serio, a
seguirlo con
fedeltà, a cercarlo in ogni momento significativo, fin da quando gli
aveva
stretto l’indice paffuto al loro primo incontro. Si erano giurati
lealtà
eterna, loro due; si erano promessi che mai niente si sarebbe frapposto
tra di
loro, men che meno le sciocche insinuazioni della madre o i rimproveri
sbilanciati del padre.
I ricordi della loro
infanzia erano quelli
che conservava con maggiore riverenza, perché quelli di quando,
nonostante
tutto, si era sentito davvero felice.
Quando ancora non era
stato messo faccia a
faccia con i grandi schemi a cui avrebbe dovuto attenersi.
La loro vita era stata
pianificata ancor
prima che uscissero dal grembo materno. Avrebbero dovuto tenere alto
l’onore
della millenaria casata dei Tha e servire Gaia e tutti i suoi abitanti,
affinché continuasse a essere il luogo perfetto dove vivere.
La loro famiglia si
era sempre fatto
emblema di ciò, contribuendo allo sviluppo economico e sociale del
pianeta,
instaurando legami importanti con l’intricata rete di poteri, e
promuovendo le
arti, la cultura, le tecnologie.
Con il solo, piccolo
particolare che la
maggior parte degli eredi maschi si era sempre dedicata all’arte della
guerra.
La conquista di Gaia
era in realtà stata
molto pacifica; chi credeva a certe cose – lui no di certo – aveva
sempre
invocato la grazia divina per aver infine guidato il loro popolo su un
pianeta
così prospero, inabitato solamente da specie “animali” con cui gli
esuli
terrestri avevano subito stabilito un rapporto di mutua coabitazione.
Dopo
l’esperienza del Pianeta Blu, d’altronde, i progenitori di Gaia avevano
posto
l’attenzione fin da subito sulla lotta ai cambiamenti climatici e
l’assoluta protezione
dell’ecosistema del pianeta.
Anche lo sviluppo del
piccolo pianeta
stesso era avvenuto con pochi conflitti, durante l’espansione sulla sua
superfice, con qualche punto di tensione durante il consolidamento dei
centri
abitativi più importanti e le decisioni finali su forma di governo,
autorità
centrali, e così via. La creazione di un esercito era stata quasi
naturale, un
contingente ben addestrato per servire più come forza di protezione
locale che
per fratture intestine.
Ma una volta
assestatisi su Gaia, i
governanti avevano rivolto l’occhio di nuovo verso le stelle: il
sistema cui
apparteneva la loro nuova casa era di dimensioni relativamente piccole,
e dopo
poche migliaia di anni la già avanzata tecnologia geota aveva mostrato
qualche
pianetino capace di sopportare delle forme vitali. Le forze armate
erano
diventate quindi anche utili anche all’esplorazione spaziale e
all’espansione
dell’influenza di Gaia, necessaria soprattutto con la rapida crescita
della
popolazione.
La famiglia Tha, in
particolare, fin
dall’origine si era consacrata con fedeltà a contribuire membri
all’esercito;
lui e Rui, ovviamente, non avrebbero potuto fare altrimenti – non era
mai
neanche stato oggetto di discussione che, una volta assicurato il loro
ingresso
all’Accademia, il grande e principale sistema scolastico che
comprendeva l’insegnamento
di tutte le discipline necessarie al corretto funzionamento della
società,
divise per percorsi specifici a seconda delle età e dei livelli di
studio,
avrebbero intrapreso con onore la strada per diventare ufficiali.
Kert aveva cinque anni
quando l’entrata
all’Accademia aveva sancito la sua prima separazione dalla famiglia;
era
infatti costume che gli studenti lasciassero le loro case per
trasferirsi tra i
vari palazzi che componevano la Scuola, anche per abituarli
all’indipendenza.
Non era certo obbligatorio, ma caldamente raccomandato tra le famiglie
più in
vista, e i Tha, come al solito, non avrebbero sicuramente sfigurato.
Kert l’avrebbe
sempre ricordato come un momento di grande riscatto, essere finalmente
lontano
dalle grinfie di sua madre, ma anche di grande solitudine, per la
lontananza
dal fratellino e da tutto ciò che gli era noto.
Per non parlare poi di
quanto quel primo
anno gli fosse in realtà sembrato un inferno.
Le sveglie ancora
prima dell’alba, a volte
più per gli scherzi dei compagni più grandi che per necessità; le corse
infinite tra le colline umide di rugiada attorno alla capitale seguite
da docce
poco più che tiepide; i pasti non sempre caldi se non si spaccava il
secondo;
le miriadi di lezioni, i professori esigenti, la totale disciplina
richiesta in
ogni momento.
Ma Kert si era
impegnato, come mai aveva
fatto prima. Per dimostrare il suo valore, per ottenere una migliore
considerazione dai suoi genitori, per esibire quanto anche lui, seppur
non
protagonista di nessuna vecchia filastrocca, meritasse di essere
apprezzato.
Riconosciuto. Sostenuto.
Aveva imparato a
sconfiggere il sonno, ad
assicurarsi la cena calda, a brillare durante i corsi senza tralasciare
il
divertimento, a costruire e solidificare veri rapporti di affiatamento.
Aveva conosciuto Zaur
durante il suo
secondo anno; l’alieno dagli occhi neri aveva due anni in più di lui, e
come da
tradizione gli alunni più grandi erano incoraggiati a sostenere ed
aiutare i
più piccoli, anche per incentivare il senso di appartenenza. Non che
Zaur fosse
particolarmente loquace o espansivo; non amava raccontare né di sé né
della sua
famiglia, forse anche per le innumerevoli voci che giravano sulla vera
natura e
forza dei suoi poteri. Ma a Kert non importava, né gli era
particolarmente di
interesse che Zaur fosse così capace: a lui bastava avere trovato un
amico
fidato, qualcuno su cui era sicuro di poter contare.
L’anno seguente, anche
Rui era entrato
puntuale in Accademia. Il fratello maggiore aveva dovuto ammettere
sentimenti
contrastanti: da una parte, era stato felice di poter di nuovo
trascorrere
larghi lassi di tempo con il fratellino, aldilà dei permessi e delle
festività
concesse, e di poter di nuovo condividere con lui le tappe
fondamentali. Dall’altra
parte, il sottile risentimento che provava nei confronti dei genitori
per
l’evidente disequilibrio nei rapporti con i figli lo portava a temere
che, di
nuovo, la loro attenzione si sarebbe concentrata maggiormente su Rui,
nonostante tutto il suo impegno e i suoi risultati negli ultimi due
anni.
Si era imposto di non
preoccuparsene: era
futile incaponirsi e concentrarsi troppo su quello che pensavano i
suoi; lui
sapeva quanto valeva, e aveva tutto il potenziale per dimostrarglielo.
Ci
avrebbero rimesso loro, non lui. E aveva trovato persone che lo
ammiravano,
davvero, per ciò che era. Sarebbe bastato quello.
Il loro quartetto
inossidabile si era
formato lì: lui, Zaur, Rui e Pharart, il biondissimo alunno dello
stesso anno
di Rui, l’unico che proveniva da una delle città minori, tra le
campagne verdi
del pianeta.
Divennero
inseparabili, divennero l’anima
dei loro rispettivi anni, ma divennero anche gli studenti migliori
dell’Accademia.
Divennero anche un
quartetto
particolarmente apprezzato dal resto del corpo studentesco.
Quando, tra i quindici
e i vent’anni, si ritrovarono
tutti e quattro finalmente all’ultimo rango di Accademia, i momenti di
libertà erano
aumentati parimenti ai carichi dei loro doveri, e ogni attimo di
respiro era
passato a fare combriccola, vagando per la capitale e respirandone i
profumi
diversi – e soprattutto beandosi delle occhiate languide che ricevevano
spesso
e volentieri.
La separazione più
rigida tra maschi e
femmine all’Accademia, nonché la moltitudine di differenti percorsi che
dividevano gli studenti, facevano sì che i momenti di svago
diventassero con
facilità feste e ritrovi in cui la socializzazione prendeva una piega
piuttosto
fisica. Pharart, coi suoi capelli biondi, gli occhi
verdissimi e il
carattere aperto ed esuberante, diventava facilmente il centro
dell’attenzione;
Zaur, nonostante fosse il più schivo di tutti e il meno loquace,
mostrava due
magnetici occhi neri che sembravano calamite per ragazze. Altre ancora
si
perdevano dietro la coppia di fratelli, sognando alternativamente gli
occhi blu
di Rui e quelli dorati di Kert, incorniciati entrambi da una massa di
caratteristici
capelli grigi-azzurri.
Ma se Kert
accoglieva volentieri le
richieste di quelle ragazze, chi sognava Rui doveva accontentarsi solo
dei
propri vagheggi.
Il minore dei Tha,
infatti, non aveva mai
avuto occhi che per Espera, la più giovane delle Seles, sei sorelle
appartenenti a un altrettanto influente e antica famiglia che si era
intrecciata alla loro per eoni. L’incontro tra i rispettivi pargoli era
stato
naturale, ovviamente.
Lo scoppio di
quell’amore folle, per Kert, casualmente
propizio.
Espera non gli era mai
andata a genio, né
capiva come il fratello avesse perso così tanto la testa per lei.
Certo, era
una delizia per gli occhi, la più bella delle sei, lo ammetteva pure
lui, con
gli occhi blu del colore della notte e lunghissimi capelli neri che le
sfioravano la vita e splendevano di riflessi bluastri.
Ma Espera era
anche potente – la sola della
generazione odierna dei Seles a governare un set di abilità molto
particolari
che andavano aldilà dei poteri dei geoti. E, apparentemente, anche il
soggetto
di una fantomatica profezia che la connetteva alla notte e alla Luna,
l’antico
satellite terrestre.
E visto che Rui aveva
una affinità non
indifferente con l’acqua, non era certo stato un caso che il loro
affiatamento
fosse stato così sostenuto da entrambe le famiglie. Ciò era bastato
perché Kert
iniziasse ad ideare congetture, soprattutto con le tante volte in cui
aveva
sentito i genitori parlare orgogliosamente della questione, amareggiati
invece
che il figlio maggiore fosse nato sotto la protezione dell’Aria, che
non fosse
stato lui il prescelto.
All’inizio, aveva
cercato di convincersi
che si stava sbagliando, che non c’era assolutamente niente sotto, che
la sua
era solamente sciocca gelosia perché, man mano che crescevano, Rui
cominciava a
voler passare sempre più tempo con la ragazza e meno con gli amici. Si
era
tenuto le sue idee per sé, per amore del fratello, così sinceramente
innamorato; gli anni erano passati, veloci, impegnativi, duri.
Era al suo penultimo
anno del livello finale
dell’Accademia, al cui compimento sarebbe stato decretato un ufficiale
dell’Esercito, quando i mormorii avevano preso a correre veloci tra i
corridoi
della scuola e i vicoli della città: i contatti con i loro antichi
compatrioti
erano stati ristabiliti, su un lontanissimo pianeta chiamato Duuar che
aveva
tentato una riconquista della Terra, e ora il Consiglio Supremo avrebbe
voluto
fare lo stesso.
Sfruttare al massimo
la tecnologia di Gaia
per ritornare a casa e alleviare lo sforzo che il pianeta compiva per
sostener
l’intera popolazione geota.
Il maggiore dei Tha
aveva creduto e sperato
fin da subito in quei pettegolezzi. Sapeva che la sua famiglia avrebbe
fatto di
tutto per parteciparvi, sapeva che lui avrebbe dovuto parteciparvi
e ne
sarebbe stato estremamente fiero. Sarebbe stata la sua grande occasione
di
rivalsa. Sarebbe stato il suo grande scopo.
Ma non era successo
nulla. Le voci erano
scemate così com’erano comparse; un anno era passato, Kert aveva
terminato il
suo percorso di studi, ed era tornato nel grande palazzo di famiglia.
E la routine era
ricominciata,
trascinandolo nel malumore e nella noia, giorno dopo giorno. I panni da
perfetto rampollo di famiglia gli andavano stretti, così come riusciva
a mal
sopportare gli impegni obbligatori a cui lo trascinavano perché era
così che
andava.
Fulgido esempio tutte,
le settimanali cene
con l’intera famiglia Seles, a turni nelle rispettive residenze. Per
“celebrare
i ragazzi,” come ricordava ogni diamine di volta sua madre, con quel
suo
sottile sorrisetto soddisfatto che Kert tanto detestava. Il che non
faceva
altro che accrescere la sua confusione sul perché avrebbe dovuto
parteciparvi
pure lui, visto che i rapporti tra lui ed Espera si mantenevano in
bilico su
una gelidissima cortesia, almeno da parte sua.
Non che non avesse mai
realizzato l’ovvio,
certo, che i suoi genitori si auspicassero che anche lui mostrasse una
preferenza per una delle altre cinque ragazze. Gli andavano più a genio
della
più giovane, sicuro: la saggezza di Egle lo stupiva; le
chiacchiere di
Erizia lo divertivano, e così le baruffe tra Aretusa ed Eriteide, come
infine
le battute di Erica. E aveva ponderato anche di rintanarsi in
qualche
angolino buio con un paio di loro, ma non era mai scattato niente di
particolarmente interessante, e lui stesso non era intrigato
dall’instaurare
complesse e codificate relazioni.
E soprattutto non
avrebbe mai, mai, mai dato
tutta quella soddisfazione a sua madre.
Erano passati così
altri quattro anni,
durante i quali lui si era dedicato ad affinare i suoi poteri e le sue
abilità
mentre aspettava che anche Rui e Pharart completassero il loro percorso
all’Accademia.
Ricordava ancora con
ogni minimo
particolare la mattinata calda e afosa in cui aveva finalmente
accettato che
forse qualcuno, tra le stelle, ce l’aveva davvero con lui.
Una lettera, sigillata
con uno stemma
dorato che tutti conoscevano molto bene, aveva interrotto le poche
chiacchiere
della colazione, la prima in famiglia dopo tanto tempo, a poche
settimane dalla
cerimonia di commiato ufficiale di Rui. Era stato loro padre a leggerla
per
primo, come di consueto; il silenzio sbalordito che era seguito aveva
catturato
la loro attenzione.
« È incredibile, »
aveva mormorato Lorann
Tha, prima di scoccare un’occhiata stupefatta ai figli e alla moglie,
schiarirsi la gola, e leggere ad alta voce, « “Riconosciuti i
meriti
accademici e le capacità innate, nonché le costanti opere
dell’illustrissima
casata dei Tha a favore del miglioramento del nostro pianeta, il
Consiglio
Supremo di Gaia investe Rui Tha della carica di Comandante della
spedizione per
la riconquista del
pianeta Terra, nostra
antica patria. A fronte, inoltre, della loro distinzione all’interno
dell’Accademia, designiamo alla missione anche Kert Tha, Zaur Naktya, e
Pharart
Kyurai, che a lui faranno riferimento. Dettagli aggiuntivi sulla
missione e
suoi relativi preparativi verranno affrontati in una dedicata sessione
riservata del Consiglio, programmata a giorni due dalla consegna di
questa
missiva. Confidiamo che il contenuto della nostra rimanga confidenziale
fino al
momento opportuno. Con l’autorità di cui siamo investiti e sotto la
protezione degli Dei” … e ci sono le firme
dei dodici
Consiglieri. »
Kert ricordava ancora
come la colazione che
aveva gustato fino a quel momento fosse diventata cenere nella sua
bocca. Aveva
continuato a fissare oltre la spalla di suo padre mentre i suoni si
facevano
più attutiti, mentre sua madre scattava in piedi e correva ad afferrare
la
lettera per verificare con i propri occhi che il marito non stesse
allucinando.
Aveva ignorato pervicacemente le iridi di Rui, che avevano tentato di
incrociare il suo sguardo con incredula impazienza.
Non erano state solo
chiacchiere, allora,
tutti quegli anni prima, il Consiglio aveva davvero organizzato
qualcosa. E ora
suo fratello era stato chiamato a guidare la
missione. Suo fratello minore.
Fresco fresco di Accademia.
Di
nuovo
scelto
al posto suo.
La propria nomina gli
pareva un contentino
banale.
« Ma è meraviglioso, »
la voce di sua madre
gli era arrivata più stridula che mai alle orecchie, « Entrambi i
nostri figli
designati dal Consiglio stesso a… e tu, Rui, così giovane! »
Con la coda
dell’occhio, Kert avrebbe
giurato che suo fratello avesse avuto anche il coraggio di arrossire: «
Non
capisco… »
« Non c’è niente da
capire, figliolo, ti
abbiamo sempre detto che le tue capacità vanno oltre ciò che immagini. »
Kert aveva fatto di
tutto per tenere la
bocca chiusa, rifiutandosi di guardare Rui finché il fratello aveva
desistito e
si era alzato di fretta, borbottando qualcosa sul parlare con Espera.
Era stato
abbastanza per far alzare pure lui da tavola e farlo marciare fuori
alla
ricerca della sbronza più veloce.
Pharart l’aveva
intercettato qualche ora
dopo, seduto a bordo del fiume che tagliava esattamente a metà la
capitale. Era
già stato messo al corrente della situazione, ed era così capace di
contagiare
gli altri con il suo entusiasmo che era riuscito a far riscuotere un
po’ il
maggiore dei Tha. Chi era comandante importava poco, gli aveva
ricordato, non
quando l’incarico loro assegnato era di tale portata e soprattutto
perché
sarebbero stati loro quattro a portarlo a termine, insieme, come da
quattordici
anni a quella parte.
E lui ci aveva
creduto. Ancora una volta,
si era impegnato con tutto sé stesso nei quasi diciotto mesi che
c’erano voluti
per prepararsi.
La vigilia della
partenza gli aveva però
donato un altro tassello di quel complicato puzzle.
Non si era neanche
lamentato troppo quando
gli era stato comunicato che la celebrazione d’arrivederci si sarebbe
tenuta a
casa dei Seles, ormai assuefatto a quelle circostanze e soprattutto
finalmente
esaltato dalla prospettiva che da lì a poche ore avrebbe viaggiato tra
le
stelle per raggiungere il Pianeta Blu, ponendo una distanza incredibile
tra sé
e tutti quei vincoli. Una volta stufo di ascoltare i giri di parole
degli
invitati, che li celebravano con argomenti futili, e soprattutto pur di
togliersi da davanti la faccia piagnucolante di Espera, che pareva
incapace di
staccarsi da Rui, aveva preso a gironzolare per il palazzo,
sorseggiando dal
suo bicchiere e stiracchiandosi le membra.
La luce che filtrava
dalla porta socchiusa
della biblioteca era stato un invito troppo grosso per non avvicinarsi
ed
origliare.
Riusciva a
padroneggiare il suo elemento
con abbastanza maestria da evitare che la sua presenza fosse notata da
chi
sostava nella stanza; aveva però trattenuto il respiro lo stesso quando
aveva
spiato dalla fessura – un po’ per precauzione, un po’ per quanto aveva
sentito.
Il padre di Espera
sedeva su una delle
eleganti poltrone rosse, di tre quarti rispetto all’entrata; davanti a
lui,
l’anziano Secondo Consigliere, per una volta senza le vesti che
identificavano
i membri del loro governo.
« Mi rendo conto che
ciò che le chiediamo
non è semplice, » stava sussurrando l’anziano, « Ma è un’occasione
unica che
gioverebbe in maniera inimmaginabile al bene del nostro popolo. »
« Lo comprendo, ma…
mia figlia non è
preparata. E dubito che Rui Tha accetterebbe di portarla con sé in
questa
impresa, che, dovrà darmene conto, non è sicuramente priva di rischi. »
Il Consigliere aveva
accennato appena: «
Sarebbe custodita da quattro dei migliori soldati che il nostro
esercito ha mai
prodotto. E siamo certi che i nostri innamorati si rallegrerebbero di
non
venire separati, di potersi sostenere a vicenda. »
« Ma come…? »
« Se Espera si
trovasse sull’astronave,
alla partenza, dubito che si potrebbero prendere accorgimenti
differenti… »
Kert aveva smesso di
voler ascoltare, in
quel momento. Il danno di potersela ritrovare di nuovo davanti, di
averla
sempre in mezzo ai piedi…. E la beffa che davvero ci fosse molto più
sotto di
quanto sapessero. Di quanto Rui stesso sapesse.
Ma sarebbe mai stato
in grado lui, di
spezzare così il cuore del fratello?
Lo sbuffo di Zaur, che
si sedette accanto a
lui, lo distrasse dai propri ricordi.
« Ti va di darmi il
cambio al monitoraggio?
Mi sta venendo mal di testa. »
Kert poggiò con
estrema cura la sua arma
sul pavimento, ormai così lucida che poteva specchiarvisi dentro.
« La tua cara
meditazione non funziona più?
»
L’occhiata
profondamente gelida lo divertì:
« Se tu stessi mantenendo lo stesso livello di protezioni e scudi che
ho in
ballo da settimane, saresti già con la faccia per terra. »
« Sei tu che ti vanti
di essere il più
potente di Gaia. »
« Tu il più
rompiballe. »
« Concordo! »
« Sta’ zitto, Pharart,
e vieni a darmi una
mano. »
§§§
Minto concentrò tutta
sé stessa per non
affannare troppo rumorosamente mentre si scioglieva i capelli dalla
coda di cavallo
mezza distrutta e li legava nuovamente in un più fresco chignon. Forse
le sue
visite in palestra erano diminuite troppo e le sue lezioni di danza non
erano
più abbastanza, o almeno non per tenere il ritmo di Purin, a quanto
pareva
ancora fresca e pimpante dopo un’ennesima sessione di allenamento. Tra
la
biondina e gli Ikisatashi – che a dirla tutta impartivano ordini più
che unirsi
agli esercizi – non sapeva chi spingesse di più per “rimetterle in
forma”.
Se non altro lei era
ancora in piedi
insieme a Zakuro, mentre Ichigo e Retasu erano afflosciate alla parete
almeno
da cinque minuti.
« Già finito? » le
prese in giro Kisshu,
solo un velo di sudore sulla fronte, « E io che pensavo fosse solo il
riscaldamento. »
La mora gli scoccò
un’occhiata truce: « Se
non la pianti, continuo l’allenamento contro la tua testa. »
Lui rise e le si
avvicinò per avvolgerle un
braccio attorno alle spalle e stringerla a sé, mormorandole scuse poco
sincere
contro i capelli che le fecero solo alzare gli occhi al cielo.
Nel frattempo, Pai si
avvicinò alle scorte
d’acqua, guardando la fidanzata con palese preoccupazione: « Capisco
che
abbiamo iniziato solo da cinque giorni, ma - »
« Niente ma,
» lo interruppe Ichigo,
alzando un dito per ammonirlo, « Ho partorito da quattro mesi e mezzo,
io. È
già tanto che non stia vomitando per tutta la stanza. »
« Ichigo, kami-sama,
che schifo. »
Purin ridacchiò e si
sedette a gambe
incrociate davanti a tutti loro: « Dite che i nostri ospiti non si sono
fatti
risentire per quello che è successo l’ultima volta? Per la tizia che
ha… fatto boom
e poi fiuuuu? »
Zakuro
trattenne una risatina alla strana
descrizione e si diresse a sua volta a dissetarsi: « Può darsi. Anche
se non
riesco a comprendere la loro strategia. Sono in cinque, anche
mancandone una
sola… »
« Ci deve essere
qualcosa che non sappiamo,
» concordò Pai, portando un bicchiere anche a una paonazza Retasu, « Il
modo in
cui quel Rui ci aveva praticamente sotto tiro ed è poi andato da lei… »
Il commento rimase
sospeso nell’aria, e
Minto non poté non notare come Kisshu parve portarsela un po’ più
vicina.
« Spiegherebbe
effettivamente che il
comandante ha un buon controllo sulla sua squadra, nonostante il
caratteraccio
di quell’altro. E se lui è influenzato da così vicino dalla presenza
della
ragazza, forse dovremmo cercare di scoprire un po’ di più su di lei. »
« Comunque, meglio
così, » esclamò di nuovo
Purin, scrocchiandosi il collo, « C’era fin troppa energia quando c’era
lei. Se
le si sono scaricate le pile e gli altri non attaccano finché non sta
meglio,
ci torna comodo. »
« Non siete ancora
riusciti a localizzarli?
» pigolò finalmente Retasu, prendendo piccoli sorsi d’acqua, la voce
solo un
fiato stanco.
Pai scosse la testa,
le iridi che assunsero
un tono più scuro: « Niente. Neanche una traccia. Spero solo che il
vostro
robottino diventi sempre più puntuale a notificarci della loro
presenza. »
« Si chiama Masha. »
« Sicuri sicuri che
non sono in una
dimensione come le vostre? »
« Te l’ho già detto,
scimmietta, quelle
dovremmo riuscire a percepirle. »
« Possiamo averne un
ragionevole dubbio. »
« Tortorella, ora non
essere spiacevole. »
« Scusami? »
« Oooookay,
Chi vuole provare un po’
di arti marziali?! »
§§§
Espera raccolse
l’acqua gelida nei palmi
delle mani e se la portò al viso, sospirando soddisfatta quando il
freddo sembrò
rischiararle la pelle e la mente.
Le c’era voluto più
del solito, ma le era
tornato un po’ di colore sulle guance e ora finalmente riusciva a
passare più
di un’ora in piedi senza doversi aggrappare a Rui o al muro.
Patetica. Era
assolutamente patetica. Non
avrebbe dovuto trovarsi lì, a mettere a rischio la carriera di Rui. A
sentirsi
come un esperimento vivente.
Un sospiro tremolante
le scappò dalle
labbra e si sciacquò la faccia una seconda volta. Le mancava casa così
tanto
che a volte pareva le si sarebbero spezzate le ossa sotto il peso di
quella
situazione, sotto le frustrazioni di quel pianeta, sotto tutto quello
che
riusciva a percepire.
« Ehi, » Rui
picchiettò le nocche contro lo
stipite della porta e le rivolse un sorriso gentile, « Va tutto bene? »
Espera ricambiò con
quanta più convinzione
possibile: « Dovevo alzarmi, » lo rassicurò, « Ormai il letto ha un
buco della
mia forma. »
Lui rise e le offrì la
mano, per poi
tirarla dolcemente verso sé non appena la afferrò: « Te la senti di
venire di
là con gli altri? Stiamo discutendo un po’ il da farsi. »
Lei deglutì ma annuì
da sotto la frangetta,
intrecciando le dita con le sue.
« Certo, basta che non
la considerino
un’intrusione. »
« Sei a tutti gli
effetti parte di questa
missione anche tu, » la rasserenò lui, avviandosi per il corridoio e
poi
guardandola da sopra la spalla, « Per quanto tu sappia che la cosa non
mi va a
genio. »
« Smettila, » gli
sussurrò di rimando,
sfiorandogli il braccio con la mano libera, « Continuare a rimuginarci
sopra
non ti fa bene. Ormai sono qui. »
« La prossima volta
gradirei non trovarti
come un pacco regalo nel bel mezzo della navicella. »
La
prossima volta un corno, avrebbe voluto rispondere
lei, ma preferì mordersi la lingua e
concentrarsi su un sorriso meno tremolante mentre entravano nel salone.
Kert, Pharart e Zaur
erano in piedi davanti
ai sistemi di monitoraggio, e se due di loro la salutarono con più o
meno
calore, un altro quasi non degnò di riconoscere la sua presenza.
« Come sta andando? »
domandò, in un
tentativo di apparire convinta e spensierata.
Il biondo le offrì un
sorriso sincero: «
Stiamo cercando di capire che poteri abbiano queste strane umane.
Alcuni
parrebbero simili ai nostri, altri… »
« Altri non hanno un
cazzo di senso, »
concluse Kert, le braccia muscolose incrociate al petto, « E poi perché
le… ? »
Espera non trattenne
una risatina quando lo
vide imitare coda e orecchie, ma si fece più seria a riguardare i video
che
scorrevano sul monitor: « Anche loro sono giovani. Forse anche più di
noi. »
« Ti cambia qualcosa? »
Rui guardò storto il
fratello per lo scatto
verso la ragazza, avvicinandosi inconsciamente di un passo: « Se
continuare a
monitorarle per ottenere più informazioni possibili su di loro non è
abbastanza, dobbiamo cambiare strategia. Ma nonostante la disparità
numerica –
»
« L’ultima volta li
abbiamo rimessi a
posto, » ghignò Kert, prima di guardare nuovamente con acredine
l’aliena mora,
« Prima dell’interruzione, giusto. »
Espera non riuscì a
non alzare gli occhi al
cielo nonostante la punta di senso di colpa che le si allargò nel
petto,
accentuata dall’ennesimo ringhio di avvertimento che il compagno
rivolse a
Kert.
« Idee proattive, per
piacere. »
Kert fece schioccare
la lingua, già
irritato dalla stasi di quei giorni e dalla presenza di quel visetto
smunto, e
lanciò un’altra occhiata verso lo schermo su cui continuavano a
ripetersi
fotogrammi del loro precedente scontro.
Forse
un’idea ce l’avrei.
« Qualcosa che magari
abbia più effetto di
quanto ottenuto ora. »
Alla voce che uscì
dall’ombra, e che li
fece voltare tutti con prudenza, Kert non smorzò il gemito di sconforto
mentre
Rui aggrottava le sopracciglia e scrutava il buio con più attenzione.
« … Sunao? »
« In persona, Rui. Ma
di certo non qui per
servirvi. »
Dall’angolo opposto
della stanza, apparve
un’aliena alta e snella, con dei lunghi capelli violetti sormontati da
un
doppio chignon; portava con sé un bastone bianco alle cui estremità
luccicavano
due sfere che parevano dense di una nebbia lattea.
« Naktya, Kyurai,
Espera. È un piacere
vedervi. »
Mentre Pharart
lanciava uno sguardo confuso
ai compagni, stupito e un po’ intimorito dalle iridi color agata, il
viso di
Espera si aprì in un luminoso sorriso e lei fece per fare un passo
avanti, ma
poi parve ricordarsi della situazione e si fermò accanto a Rui: « Che
ci fai
qui? »
« Vengo in veste
ufficiale di Messaggera
del Consiglio, » rispose Sunao, avvicinandosi ulteriormente, « È
passata quasi una
settimana dal vostro primo, reale attacco contro la Terra. Diciamo che
c’è…
interesse a capire come pensate di agire. Dopotutto, immagino
gradireste tutti
fare in modo che la vostra missione si concluda il più presto
possibile. »
L’altra ragazza si
rabbuiò e si morse il
labbro inferiore, ma il dorso della mano di Rui sfiorò la sua con
delicatezza:
« Il Consiglio avrà sicuramente ricevuto i nostri rapporti. »
Il sorriso della nuova
arrivata parve poco
rassicurante: « Con me si fa più in fretta. »
Kert impiegò tutti i
suoi muscoli per
rimpicciolire la smorfia che gli nacque spontanea – se stava suggerendo
che
pure lei si sarebbe unita alla spedizione…
Lo sguardo violetto
brillò di divertimento
e si spostò su di lui: « Rimango per il tempo necessario, Kert. »
Lui sussultò ma le
rivolse un ghignetto di
riconoscimento, tentando al tempo stesso di ignorare le occhiate
sbigottite che
Pharart continuava a rivolgergli nel tentativo di catturare la sua
attenzione.
« D’accordo, allora, »
Rui fece un altro
passo avanti e le dedicò un sorriso aperto, « Da parte mia sono sempre
grato
del tuo aiuto. Zaur, per favore, ripristina il video dall’inizio. Ci
sono state
delle complicanze, come ben saprai. »
L’aliena si avvicinò
ai loro schermi,
soffermandosi qualche secondo di più a sorridere a Espera – più allegra
di
quanto non fosse mai stata – prima di concentrarsi sulle immagini; le
si formò
una ruga tra gli occhi e la nebbia nel suo bastone parve pulsare un
paio di
volte, poi si voltò verso la ragazza.
« Quindi… è vero? »
Espera annuì e si
torturò di nuovo il
labbro, stringendosi nelle spalle: « Parrebbe di sì. »
« È anche il motivo
per cui stiamo
aspettando, » aggiunse Rui, sfiorando la schiena della sua compagna, «
I poteri
di Espera sono molto più acutizzati qui sulla Terra, e la sua
guarigione ha
preso più tempo del previsto. »
« Non sia mai lasciare
la donzella in
difficoltà a casa, » commentò sottovoce Kert – quasi al buio in un
angolo, come
a rendersi meno visibile possibile – guadagnandosi l’ennesimo sguardo
truce.
Sunao non lo ascoltò
ma annuì verso la mora:
« Sono notizie rilevanti. »
Lei sembrò impallidire
un po’ di più: « Lo
so. Lo sappiamo. »
Le dita affusolate
della Messaggera si
strinsero attorno al bastone, che questa volta brillò più deciso: «
Sono sicura
che il Consiglio ascolterà la vostra strategia, in luce di tutto. »
Espera sorrise, poi
uno sbadiglio
improvviso la costrinse a scuotere la testa, e Rui le si affrettò
accanto: «
Meglio che torni a letto. »
Mentre lei annuiva e
salutava ancora la
nuova arrivata, avviandosi con il compagno verso la loro stanza, Kert
fece
nuovamente un verso di disappunto: « Il Consiglio dovrebbe occuparsi
della politica
su Gaia e lasciare a noi i piani militari. Viste anche le loro sorpresine.
»
Sunao si voltò
lentamente verso di lui, che
si pentì di aver dato aria alla bocca come suo solito, però rise
maliziosa: « Sorpresina?
Non ci vediamo da quasi un anno e questo è il trattamento che
mi riservi? »
Lui bloccò uno sbuffò,
poi le regalò un
sorriso smagliante: « Dolcezza. »
Lei piegò un
sopracciglio, poco convinta: «
Possibile che debba inseguirti anche all’altro capo dell’universo? »
« Sei davvero qui, o…?
»
Sunao rise e compì gli
ultimi due passi
verso di lui, che s’irrigidì d’istinto; fece per posargli una mano sul
petto e
poi lo attraversò completamente, causandogli un brivido di fastidio.
Un
ologramma.
Kert non riuscì a
trattenere il sospiro di
sollievo che gli scivolò tra i denti mentre Sunao spuntava alle sue
spalle:
neanche sforzando i suoi occhi allenati era possibile rivelare
l’illusione,
tanto la tecnologia – e, lo sapeva, le doti particolari dell’aliena –
erano
potenti.
Almeno
avrebbe affrontato un problema
alla volta.
« Dai, almeno dimmi
che ti dispiace. »
« Tu sogni, Sunamora. »
Lei lanciò i capelli
sopra la spalla mentre
incrociava le braccia e un sorrisetto furbo le si disegnava sulle
labbra: «
Sapessi cosa, Tha. »
Lui gemette
esasperato, alzando gli occhi
al cielo: « Non sono dell’umore. »
Sunao sventolò una
mano come a dirgli di
non lamentarsi: « Allora vai a fare un giro e lascia giocare i bambini
grandi.
»
Si scambiò uno sguardo
con Zaur e si
sistemò di nuovo alla posizione di monitoraggio, a studiare i vari
filmati;
Kert avrebbe voluto replicare, irritato più del solito, ma ritenne più
saggio
approfittarne e sgattaiolare via, verso la penombra sicura della stanza
che si
era assegnato.
Maledizione,
maledizione, qualcuno mi
deve volere davvero male.
Neanche mezzo minuto,
e la voce di Pharart
lo raggiunse a metà del corridoio.
« Cos’è che sapete
tutti e io no? »
Lui si fermò e lanciò
la testa
all’indietro, svuotando del tutto i polmoni: « Ti prego, non ti ci
mettere
anche tu. »
« Spunta una gnocca da
paura che a quanto
pare conoscete tutti e che in più parla a nome del Consiglio e non mi
ci devo
mettere? » il biondo insistette e lo prese per una spalla,
costringendolo a
voltarsi, « E poi cos’era tutta quella… cosa tra voi due? »
Kert digrignò i denti
a vederlo mimare la
maniera in cui Sunao gli si era avvicinato, poi schioccò le labbra: «
Si chiama
Sunao Sunamora, e siccome potrebbe spedirti indietro a Gaia con un
calcio,
lavora per le dirette dipendenze del Consiglio. La Messaggera
è solo un
titolo arzigogolato per darle un’aria più ufficiale rispetto alle cose
che
combina ogni tanto. »
L’amico alzò un
sopracciglio: « Cosa
combina? »
« Chiedilo a lei, se
hai coraggio. Però ti
avviso, ai Supremi è utile pure perché la sua capacità maggiore è la
telepatia.
»
Pharart fischiò e si
lanciò un’occhiata
sopra la spalla: « Sapesse cosa sto pensando io ora… »
« Fidati, non ti
conviene. »
« E quindi? »
insistette, « Com’è che tu
sai tutte queste cose? »
Gli occhi dorati si
strinsero: « … Ci
conosciamo da quando eravamo piccoli. »
« Ti prego, dimmi
che sei stato
baciato dalla sorte. Letteralmente. »
Kert avrebbe voluto
strozzarlo, ma si
limitò a bisbigliare a labbra strette: « Come vedi, io e lei abbiamo
idee
differenti. »
Ci volle mezzo
secondo, poi Pharart sbatté
le palpebre e assunse un’espressione scioccata: « Lei?! » la sua voce
si alzò
di qualche ottava mentre puntava un dito dietro la schiena, « Lei
ha un
conclamato interesse per te e tu non ne vuoi sapere? »
Kert ringhiò a bassa
voce: « Sei tu che non
sai l’intera storia. »
« Non credo mi
interesserebbe visto il
soggetto! »
« E che soggetto, »
l’amico sbuffò e gli
lanciò un’occhiata obliqua, « Ti ricordi quando hai deciso di chiuderla
con la
figlia del tuo vicino? Ecco, però moltiplicala per
quella che è la
Messaggera del Consiglio. E non credo sia una grande attrattiva per il
resto del
pubblico femminile, pensare che a lei possano
scattare cinque minuti di
gelosia una volta conclusasi la faccenda. »
Pharart continuò a
fissarlo come se avesse
perso qualche rotella, poi scrollò le spalle e stese una gamba per fare
un
passo: « Perfetto, allora sicuramente non ti dispiace se ci provo io. »
Il braccio di Kert gli
si parò davanti di
scatto, il pugno che si chiuse attorno alla stoffa della sua maglietta
mentre
gli occhi dorato lo folgoravano; il biondo rise e posò il palmo sul
polso
dell’altro mente alzava un sopracciglio: « Vedi che non sei credibile. »
« Erreskorakas.
(*)»
L’amico si liberò con
un guizzo della mano
e continuò come se niente fosse: « Comunque, voglio sapere tutto di
lei. Dove e
come l’hai conosciuta, perché non l’ho mai vista, cosa hai combinato, e
soprattutto perché e come le
possa piacere un buzzurro come te. »
« In quale mondo sono
affari tuoi? »
Pharart gli rivolse un
sorrisetto così
ammiccante che sapeva stesse rischiando un cazzotto in piena bocca: «
In
questo. »
Kert lo raggelò con lo
sguardo e digrignò i
denti, imprecando di nuovo mentre il biondo sghignazzava soddisfatto.
Rui li
raggiunse in quel momento, chiudendosi piano la porta di Espera alle
spalle e
concedendo al fratello la grazia di nascondere anche lui il ghigno
divertito di
chi aveva sentito tutto.
« La famiglia Sunamora
abitava poco
distante da noi, » spiegò, afferrando con affetto la spalla di Kert, «
E lei,
come Espera, è rimasta a soggiornare a casa per gli anni
dell’Accademia. Ecco
perché forse non l’hai vista. Il resto è un mistero anche per me. »
« Che maschio ingrato.
Io mi vergognerei. »
« Tu sei
a cinque secondi dal
ritrovarti con la trachea spezzata a metà. »
Rui ridacchiò e li
spinse di nuovo entrambi
verso il salone principale: « Possibile che abbiate ancora quindici
anni? »
§§§
La pioggia batteva
incessantemente su Tokyo
da due giorni, e anche Zakuro, che aveva sempre trovato una nota
amaramente
confortante nei cieli grigi, sospirò stanca della situazione. Il trucco
da
telecamera che aveva indosso, poi, sembrava ancora più pesante sulla
pelle con
la cappa di umidità perenne che spingeva su di loro, e lei bramava
dalla voglia
di poterselo togliere sotto una doccia bollente.
Il fatto di essere poi
su un set di una
finta spiaggia caraibica non aiutava certo la situazione.
« Scena trentacinque,
tra due minuti! »
Tentò di non sbuffare
troppo sonoramente;
aveva terminato le sue parti per quella giornata, ma a volte il regista
si
incaponiva a farli rimanere lì in caso di eventuali cambi di idee, o
suoi
sbalzi d’umore. Amava il suo lavoro, ma amava pure essere libera di
poter fare
ciò che voleva quando le era dato.
« Vuoi qualcosa da
bere, onee-sama? »
Rivolse un accenno di
sorriso a Minto,
impeccabile nonostante la lunga giornata e una tazza di cartone ben
stretta tra
le mani: « No, grazie, tra poco dovremmo andarcene. »
La mora non sembrò
molto convinta e
controllò di nuovo l’agenda nel suo telefono di lavoro: « Mezz’ora in
più, per
ora. Questa volta Tanizaki-san mi sente. »
« Non ne vale la pena,
» commentò piatta
Zakuro, « Si agiterebbe solo di più. »
Minto alzò gli occhi
al cielo: « La
puntualità è una grande dote che sta andando persa, » mugugnò, poi si
frugò
nella tasca della giacca per placare il ronzio che se ne levò e il suo
sguardo
si fece ancora più frustrato, « E comunque Pai la deve piantare con
questa
mania del check ogni tre ore! »
La modella osservò i
due connettori,
prontamente affibbiati dagli alieni alle Mew Mew per “ovviare le
mancanze
tecnologiche terrestri”, che la mora teneva in mano e su cui premette
un po’ a
caso.
« Come se non fossimo
già abbastanza in
ansia! E poi cos’è, non si fida? »
Zakuro nascose un
sorrisetto: « Lo sai che
gli piace avere tutto sotto controllo. »
Di nuovo, Minto si
lanciò andare in una
plateale dimostrazione di stizza: « Il fiato sul collo non aiuta! »
L’altra fece per
replicare, ma un trillo
dal suo telefono personale distrasse l’amica per l’ennesima volta, e
per
l’ennesima volta le fece arricciare il naso.
« Tieni, » mormorò,
passandole il
cellulare, e Zakuro non ebbe bisogno di guardare il display per capire
da chi provenisse
il messaggio.
Forse avrebbe dovuto
dirle qualcosa, prima
che Minto scoppiasse. D’altro canto, mettersi subito a parlare di
etichette,
divulgare informazioni, ancora prima di averne parlato per bene…
« Dimmelo se devo
farti modifiche
all’agenda, » continuò la mora con finta nonchalance, guardando dritto
davanti
a sé, « In teoria il tuo unico momento libero sarebbe stasera perché
hai una
cena con i produttori domani, le riprese in notturna dopodomani e
un’intervista
a pomeriggio tardi, e Ichigo voleva fare qualcosa nel weekend, ma
ovviamente
lei è la meno importante. »
« Non c’è bisogno, »
si limitò a replicare,
digitando una risposta veloce, « Stasera andrà bene. »
« Mmmm, » Minto le
lanciò un’occhiata di
soppiatto, mentre controllava l’ora sul display, « Sono già le sette. »
Zakuro intuì bene il
doppio significato di
quel commento all’apparenza innocuo, ma fece finta di nulla: « Sono
sicura che
tra poco finiremo. Immagino che anche Kisshu ti stia aspettando. »
La mora sembrò
irrigidirsi, punta sul vivo:
« Mah, sarà al Caffè. Non abbiamo piani. »
L’amica strinse le
labbra per non
sorridere, scegliendo di non sottolineare che non avessero piani giusto
perché
passavano comunque tutto il tempo libero insieme senza doversi dire
nulla, ma
sapeva benissimo che Minto era su di giri dall’arrivo dei loro nuovi
nemici e
non aveva senso stuzzicarla ulteriormente.
Il rombo di un tuono
lontano echeggiò anche
negli studi, causando un tremolio nelle luci potenti e qualche mormorio
tra la
troupe presente; le due ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata,
memori
della settimana precedente, ma sia i connettori che telefoni e pendagli
rimasero muti.
« Che tempaccio, »
sospirò Minto, « Sono
esausta. Vorrei solo infilarmi in una vasca da bagno. »
Zakuro si stiracchiò
il collo e guardò
fuori dalle finestre, dove un lampo rimbalzò di nuovo tra gli edifici.
« Gli altri dove sono?
»
La mora si strinse
nelle spalle: « Credo
davvero al Caffè. Non penso Retasu e Ichigo si siano sottoposte
volontariamente
alla tortura degli allenamenti senza di noi, oggi, poi a Reta-chan
piace
studiare là, soprattutto se c’è Pai. Di Purin non ne parliamo. »
« Lo sai che le era
mancato, forse sta
cercando di recuperare il tempo perso. »
Minto lasciò passare
un altro tuono e
digitò un altro paio di volte sul telefono: « Quindi ti segno come
irraggiungibile stasera. »
Zakuro dovette
trattenersi dallo sbuffare:
« Tranne per le emergenze, o voi, ovviamente. »
« Domattina la tua
prima chiamata per le
riprese è alle nove e mezza. »
« Nessun problema. »
Anche con la coda
dell’occhio, poteva
vedere l’amica fremere indispettita, il naso arricciato in quella
smorfia così
sua.
« E comunque non
capisco cosa ci tro- »
L’ennesimo boato fece
sussultare le luci e
sembrò scuotere i muri, provocando un silenzio impensierito negli
astanti;
questa volta, però, fu seguito da un distinto squillare di cellulari.
Minto impallidì mentre
Zakuro sibilò una
parolaccia tra i denti, alzandosi veloce dalla propria sedia e
strappandosi la
carta velina infilata nel colletto. Il pendaglio Mew che aveva in tasca
iniziò
a gracchiare, quasi inudibile sotto il vociare allertato dei colleghi e
della
troupe.
« Ragazze,
tocca a voi! » la voce di
Keiichiro le parve provata, « Dovete venire al Ca- »
La comunicazione
s’interruppe, un rumore
inquietante che invece si sollevò dai piccoli microfoni. D’istinto,
Zakuro
afferrò la mano di Minto e la trascinò verso l’uscita, dove si stava
già
assiepando tutta la folla che aveva lavorato con loro quella giornata.
Virò
allora verso un corridoio secondario, dove avrebbero potuto
trasformarsi senza
essere viste da nessuno e andarsene di lì più rapidamente.
Udì la mora trafficare
di nuovo in tasca,
poi la voce di Kisshu che uscì dal connettore, un po’ più chiara
rispetto che
con i loro congegni:
«
Dove siete? »
« Stiamo arrivando, »
rispose concitata
lei, prendendo un respiro di sollievo quando sgusciarono via dalla
massa di
persone che aveva premuto loro contro, « Abbiamo tardato a lavoro, ma
Akasaka-san - »
« Vi vengo a
prendere. »
« No, » s’intromise
rapida la mewlupo,
ripensando a come si era interrotta la comunicazione con il pasticcere,
« Tu
servi al Caffè, arriviamo subito. »
Qualcosa doveva essere
successo, perché per
una volta Kisshu non protestò troppo.
Lei e Minto si
scambiarono solo un’altra
occhiata, prima di accertarsi che fossero davvero sole e avvolgersi di
luci
colorate.
« Di là, » la mewbird
strinse il suo arco e
indicò con un cenno del capo un’uscita d’emergenza, avviandosi a passo
spedito.
La pioggia sembrava
essere aumentata
d’intensità e colorava tutto di una deprimente sfumatura di grigio che
parve
incrementare il gelo delle gocce contro la pelle nuda e il senso
d’inquietudine
alla bocca dello stomaco, ma non lasciarono che le deconcentrasse
troppo.
Zakuro esitò solo un secondo per rispondere a quel messaggio prima di
mettersi
a correre con tutta la forza che aveva.
Credo
che dovremo rimandare la cena.
Retasu era
effettivamente seduta a uno dei
tavoli in angolo del salone del Caffè, una ennesima tazza di tè
bollente che le
fumava accanto per aiutarla a riscaldarsi vista l’umidità esterna e
concentrarsi sui voluminosi tomi aperti davanti a sé. La finta chiusura
del
locale era per lei un’ottima occasione per studiare senza interruzioni,
senza
troppo rumore, e soprattutto per rifugiarsi in un posto accogliente e
vicino
agli altri, e sapeva già che le sarebbe dispiaciuto terribilmente
quando
avrebbero dovuto ricominciare ad aprire le porte al pubblico.
Il fatto che così
facendo potesse passare
molto più tempo attivamente con Pai (e senza dispettose colleghe tra i
piedi)
era la ciliegina sulla torta.
« Dovresti dire al tuo
fidanzato che il
divano nel laboratorio è fatto per essere utilizzato, » si lamentò
Ichigo,
seduta davanti a lei, per l’ennesima volta, massaggiandosi la schiena e
stiracchiandosi impunemente, « Dopo un po’ le sedie diventano scomode. »
La verde sorrise e
scosse la testa: « Non
si studia sul divano, Ichigo-chan. »
Lei brontolò, la mente
che divagò
all’ultima volta che effettivamente lei e Shirogane avevano tentato
di
studiare sul suo divano, e poggiò il mento sui polsi, guardandola con
due
occhioni da cucciolo: « Ti manca molto? Mi annoio. »
« Hai già finito il
tuo libro? »
« Non è una lettura
così entusiasmante, »
mugugnò, studiando il tomo sullo svezzamento, « L’alternativa è fare
l’inventario con Purin e Keiichiro, o il laboratorio. Dove sono
chiaramente una
persona non gradita. »
Retasu ridacchiò e
chiuse il proprio libro,
lanciando uno sguardo all’orologio: « Okay, direi che oggi può bastare.
Ma solo
perché siete voi. »
Guardò con affetto
Kimberly, tranquilla
nella sua culletta che ogni tanto lanciava un versetto di contentezza,
una
delle tante copertine che le aveva regalato a tenerla al calduccio.
« Tra un po’ te ne
servirà una nuova e più
invernale, » commentò, sfiorando il cotone grosso con le dita e al
tempo stesso
lasciando una carezza alla piccola.
« Non dirmelo, ho già
messo via un sacco di
suoi vestiti, » esalò la rossa, « Di questo passo le cambierò armadio
sette
volte prima che compia un anno. E a proposito di armadi, ci dobbiamo
inventare
qualcosa per Minto-chan, tra poco è il suo compleanno. »
La verde annuì: « Dici
che anche stavolta
organizzerà la solita festa? »
Ichigo la guardò, ben
intuendo: « Lo sai
come è fatta, come minimo dice che non vuole che niente cambi
la sua routine.
Oppure ci dice che ci stiamo concentrando sulle cose sbagliate.
Basta
che lo dica in fretta così so cosa mettermi. »
Retasu rise sotto i
baffi, e prese un altro
sorso del suo tè.
Poi accadde tutto
troppo velocemente perché
lei riuscisse a seguire gli eventi. La tazza le scivolò tra le dita
quando i
sistemi di allarme risuonarono all’improvviso, mozzandole il fiato e
facendole
perdere qualche battito al cuore, mentre essa si frantumava in diversi
pezzi e
schizzava liquido bollente ovunque.
L’intero mondo
sussultò e oscillò attorno a
loro con un inquietante cigolio di cemento e un terribile boato sordo.
Non seppe chi gridò
prima, se lei, Ichigo,
la bambina, o i ragazzi che spuntarono atterriti dal piano di sotto:
seppe solo
che istintivamente si lanciò sotto il tavolo, mugolando piano al
contatto con
la sua bevanda mentre si copriva la testa con le mani, per proteggersi,
per non
sentire quel suono.
« Retasu! »
Pai la raggiunse e
l’aiutò a tirarsi in
piedi, scrutandola alla ricerca della più piccola ferita; lei registrò
a
malapena la presenza degli altri, di Ryou che correva da Ichigo e
Kimberly, di Kisshu
e Taruto che imprecavano sottovoce con una pallidissima Purin vicino a
loro.
« Che… che sta
succedendo? »
« I nostri nuovi amici
sono qui, » rispose
sibilando Kisshu, i sai che luccicarono inquietanti sotto i led del
locale, « E
a quanto pare hanno scoperto la base. Sfortunatamente per loro, Taruto
è più in
gamba di quanto faccia intendere. »
« Ha tenuto, »
l’alieno dagli occhi
ametista le parve incredibilmente confortato mentre ripeteva, « Ha
tenuto. »
Taruto, le armi già
impugnate, gli scoccò
solo un’occhiata critica, nonostante la gemella espressione di
sollievo: «
Grazie della fiducia. »
Un lampo di luce
gialla, e MewPurin rivolse
alle amiche un sorriso che tentò di essere confortante: « Andiamo. »
Ichigo annuì, e guardò
indietro solo una
volta a marito e figlia: « Non ci farò mai l’abitudine. »
« Oh, ma andiamo, »
Kert abbassò la sua
arma e fece schioccare la lingua contrariato, « Così è ingiusto. »
Quello strano, vezzoso
locale infatti era
ancora in piedi, completamente intonso, come se il getto d’aria
compressa che
gli aveva scaricato addosso non l’avesse nemmeno scalfito. Perché
effettivamente non l’aveva intaccato, l’unica traccia della sua
esistenza erano
i cespugli sradicati e l’erba divelta lì attorno, che mandava ora un
intenso
profumo di terriccio bagnato.
Quegli umani erano una
sorpresa continua.
Si scostò i capelli
fradici dal volto e
lanciò un’occhiata a suo fratello: « Non puoi fare niente? »
« Vuoi seriamente
sprecare tempo a lamentarti
di un temporale? » lo rimproverò Zaur, la frangia ancora più
appiccicata del
solito sugli occhi.
« Vorrei vederci
quando combatto. »
« Potresti sempre
tagliarti quella chioma
fluente. »
« Senti chi parla. »
Rui scoccò
un’occhiataccia a lui e Pharart:
« È ora di smetterla con le stupidaggini. »
Kert sganciò l’accetta
che teneva alla
cintola e sorrise maligno nel vedere i loro cugini e le umane – tre di
loro,
almeno – correre fuori dalla loro tana.
« Concordo. »
Scattò verso il basso,
i suoi tre compagni che
lo seguirono con traiettorie leggermente diverse, la lama salda anche
tra le
dita bagnate. Kisshu lo intercettò praticamente a metà strada, uno
stridio
metallico che rimbombò sotto il rumore della pioggia all’incrociare
delle loro
armi.
« Non ti è bastata
l’ultima volta? »
Il ghigno di Kert si
allargò un po’ di più
mentre gli occhi dorati fiammeggiavano di stizza: « Sarà un piacere
ripagarti,
Duuariano. »
« Ne manca una! »
MewIchigo scartò di
lato ed evitò una
freccia di Pharart per un pelo, ricambiando con un Ribbon
Strawberry
Surprise che almeno riuscì ad accecarlo per un paio di
istanti. MewPurin,
accanto a lei, seguì il suo attacco con un paio di budini che permisero
loro di
prendere fiato per un secondo.
« Meglio così, »
borbottò la biondina,
passandosi una mano sulla fronte, « Non ci tengo a rivedere il
trucchetto
luminoso. »
La mewgatto annuì,
osservando Rui
combattere contro Taruto con la spada, stavolta, di dimensioni ridotte.
Un altro tuono rombò
per il giardino,
seguito dallo schiocco della frusta di MewZakuro, che comparve insieme
a
MewMinto alle loro spalle.
« Tutto bene? » quando
le altre due
annuirono, la mewlupo domandò preoccupata, « Che è successo? »
« Hanno attaccato il
Caffè, credo con il
bazooka di quello là, » MewPurin accennò col mento a Kert, ancora a
mezz’aria
in un duello personale con Kisshu, « Ma la barriera che Taruto ha
eretto ha
attutito il colpo, non ci siamo fatti niente. »
« Io ho perso tre anni
di vita, ma sì. »
MewZakuro schioccò la
lingua e aggrottò le
sopracciglia: « Quindi ci hanno trovati. »
« Non ricordarlo a Pai
nii-san, per favore,
è già abbastanza su di giri così com’è. »
MewMinto sembrò non
apprezzare troppo il
sarcasmo, lo sguardo impensierito che seguiva la zazzera di capelli
verdi
praticamente neri sotto l’acqua.
Si lanciò in avanti,
affiancandosi a MewRetasu
che insieme a Pai cercava di tenere Zaur il più lontano possibile da
loro.
« Ancora non ho capito
quali sono i suoi
poteri, » esalò a denti stretti, e gli occhi ametista incrociarono i
suoi per
un istante veloce:
« Nemmeno io. »
Fu abbastanza per
farla rabbrividire.
Non l’avrebbe mai
ammesso, neanche a sé
stesso, ma quello stupido traditore Duuariano gli stava davvero dando
sui
nervi.
E, di nuovo, sarebbe
morto prima di
ammetterlo ad alta voce, ma sarebbe stato cento volte più comodo se
quell’arpia
di Sunao fosse stata più che una immagine ad alta definizione confinata
entro
gli apparecchi della loro base. Anche se la tensione che il suo arrivo
gli
aveva provocato poteva essere meglio canalizzata contro i suoi nemici.
Scagliò un altro colpo
verso di lui,
richiamando a sé quel vento insolito; la sua arma preferita gli premeva
contro
la schiena, ma sarebbe stato impossibile imbracciarla e colpire quando
il suo
oppositore lo pressava così tanto.
Ed era svelto, il
bastardo; meno corpulento
di lui ma altrettanto forte e, di contro, forse più agile, con quel
sorrisetto
soddisfatto che avrebbe voluto cancellare con un cazzotto ben assestato.
Poteva quasi avvertire
i propri guanti
chiodati bruciare di voglia.
Kisshu – così l’aveva
sentito chiamare da
quella tizia alata che sembrava essere sempre nel suo raggio
d’attenzione, più
o meno – gli spedì contro un fiotto d’elettricità che lui fu svelto a
far
rimbalzare via contro uno sbuffo d’aria reso più solido. Anche se gli
sembrava
che i suoi poteri non gli appartenessero bene, su quel pianeta. Come se
gli
elementi faticassero a riconoscerlo tanto quanto lui faticava a
riconoscere
loro.
Ricambiò con un
affondo di accetta che fu
parato dai tridenti con uno stridio insopportabile, e i due avversari
si
spinsero lontani a vicenda in un ringhio di comune disdegno.
Kert strinse il pugno,
lanciandosi i
capelli oltre la spalla e ritornando alla carica.
Forse
devo cambiare strategia.
Non vedeva – colpo
– un – colpo –
accidente – colpo.
MewRetasu prese un
respiro all’ultimo attacco
che lanciò e che s’infranse contro lo scudo invisibile, o qualsiasi
cosa fosse,
attorno all’alieno dagli occhi neri, rabbrividendo appena sotto le
gocce gelide
che continuavano a tormentarli.
Ogni volta l’ironia
del suo rapporto con
l’acqua le veniva rimembrato.
Si gettò di lato
seguendo Pai e il suo
ventaglio quando Zaur scese pericolosamente verso di loro: l’alieno
combatteva
con un bastone e sembrava perennemente avvolto da un alone scuro, come
fatto di
ombre, ma il suo fare era svogliato, pigro, quasi si stesse annoiando
ad essere
lì, e soprattutto manteneva sempre una certa distanza che, più che
rassicurarla, la innervosiva.
Scagliò l’ennesimo Ribbon
Lettuce Rush
e caracollò via non appena il bastone di Zaur lo parò, quasi facendolo
scoppiare di ritorno verso di lei.
All’improvviso, una
liana di Pharart saettò
verso di lei, che per evitarla inciampò all’indietro, reprimendo un
urletto di
sorpresa; la frusta di MewZakuro s’interpose tra loro, bruciando la
radice a
metà e facendola uggiolare di dolore.
« Tutto okay? »
« Sì, » rispose senza
fiato all’amica, «
Sto be - »
Il fiato le si mozzò
di nuovo in gola, ma
questa volta come se ci fosse una mano, no, una roccia a premerle sul
petto; strizzò
gli occhi e poi li spalancò, boccheggiando per capire cosa stesse
succedendo,
perché non riuscisse più a respirare.
Non si era accorta,
nel suo sfuggire, che
aveva ridotto lo spazio a separarla da Zaur, e ora l’alieno le
fluttuava poco
distante, gli occhi neri che sembravano ossidiane senza fine.
Fine.
Non ci sarebbe stato
altro, per loro, se
non la fine di tutto, che le avrebbe attanagliate come quella morsa che
ora le
impediva di pensare lucidamente, che le bloccava l’ossigeno.
Non
c’erano altre emozioni se non la più
totale apatia.
Fine.
Nero.
Buio.
Cosa
sta succedendo.
Io
non –
Retasu lanciò un
rantolo e si portò a
gattoni, tenendosi una mano sulla gola: sentì Zakuro chiamarla, ma poi
anche
l’amica emise un gemito strozzato e sembrò bloccarsi sul colpo, al
bordo del
suo campo visivo. L’alieno atterrò con delicatezza sull’erba bagnata;
un guizzo
di viola alle sue spalle, ma Zaur lanciò una mano dietro di sé e anche
Pai
cadde in ginocchio, come colpito da un pugno invisibile.
Niente.
Niente. Non c’era più niente.
« Ragazze! »
Avrebbe voluto dire a
MewPurin di rimanere
indietro, lontana, ma dalla gola le uscì solo un roco soffio che si
affievolì
come la sua speranza.
L’urlo spaventato gli
fece scorgere il subbuglio
poco sotto di loro, notò con squisito piacere che Zaur stava usando uno
dei
suoi trucchetti preferiti su quelle umane. Tre di loro si erano
avvicinate, ed
erano ora immobili, insieme allo sporco traditore in carica.
Gli stava bene. E
forse era proprio
l’opportunità che cercava per sbloccare quella situazione, per capire perché
alla fine il loro potere ammontava solo a quello.
Non aveva tempo di
parlarne con Rui, ma era
sempre stato un fervente sostenitore del “meglio chiedere scusa che
chiedere
permesso.”
Spinse con tutta la
forza dei suoi muscoli
contro Kisshu e lo forzò lontano, per poi allontanarsi a sua volta;
vide negli
occhi dorati, così insopportabilmente simili ai propri, una scintilla
di
soddisfazione al pensiero che forse si stava ritirando.
Sciocco.
Portò la mano dietro
la schiena mentre
continuava a volare, il Duuariano che prese a inseguirlo, e liberò la
propria
arma dai lacci che l’assicuravano; si lasciò poi cadere in verticale
per un
paio di metri, per avvicinarsi il più possibile al suo obiettivo, e dal
nulla
fischiò, un fischio che era stato affinato con anni e anni di pratica,
di amicizia,
di fratellanza. Un fischio a cui i suoi compagni reagirono quasi
d’istinto,
anche senza sapere perché, allontanandosi velocemente da qualsiasi cosa
stessero facendo.
Poi Kert prese la mira
e sparò.
MewMinto stava facendo
a mantenersi dritta
con quel cavolo di vento che sembrava essere aumentato, e la pioggia
battente
le infastidiva le ali come non mai, pur non bagnandole ma rendendo il
volo più
complesso. E non si soffermò sul fatto di essere assolutamente fuori
esercizio,
per quanto riguardava il volo.
Scoccò un’altra
freccia e mirò dritto a
Rui, ma lui, anche con la spada in formato ridotto, riusciva a parare
ogni loro
attacco. Strinse i denti e volò più rasoterra, cercando di trovare un
punto in
cui fosse scoperto o che almeno, combinandosi con MewIchigo e Taruto,
le
avrebbe permesso di colpirlo.
Doveva anche smetterla
di pensare a Kisshu
e di lanciare occhiate preoccupate a quel deficiente ogni cinque
minuti, ma non
le rendeva certo il compito meno facile quando se ne andava in
solitaria a fare
il supereroe.
Strinse i denti e
lanciò un’altra freccia,
che sibilò nell’aria e mancò il bersaglio di pochi centimetri, perché
Rui era
stato sveltissimo a teletrasportarsi dall’altra parte, dietro Taruto e
la
mewrosa.
MewMinto lanciò uno
sguardo alla sua
sinistra, captando la voce preoccupata di MewPurin nello stesso istante
in cui
lo fece il giovane Ikisatashi, e il cuore le diede un tremolio mentre
la mente
cercava di processare le immagini.
Poi udì quel fischio,
così acuto e
brillante, seguito dallo sbotto di Rui che non comprese ma che le
sembrò
comunque una maledizione; poi udì l’ennesimo tuono, che un tuono non
era.
La bomba d’aria
scoppiò verso di loro
veloce come un fulmine e aprì una spaccatura nel terreno, sollevando
chili di terriccio,
polvere, erba, inondando completamente il loro campo visivo già messo a
dura
prova. MewMinto fu scaraventata lontano dalla forza del colpo, ma non
riuscì
nemmeno a capire dove fosse finita, chi ci fosse vicino a lei, perché
non
poteva vedere niente se non pioggia e polvere. Tossì, si sfregò il viso
con i
guanti, il cuore che le batteva in gola e che le diceva che doveva
essere
veloce, veloce, veloce.
Chiamò MewIchigo,
chiamò le altre, e sentì
la rossa risponderle da un punto imprecisato alla sua destra.
Non fece in tempo a
compiere un passo che
una mano le si chiuse attorno al braccio e la strattonò, il guizzo del
teletrasporto che le rivoltò lo stomaco ancora prima di riconoscere due
occhi
dorati e un ghigno incattivito che mormorò: « Tu ora vieni con me. »
Avevano avvertito il
boato fin dal
laboratorio, ma ancora una volta la barriera di Taruto aveva fatto sì
che non
ci fosse alcun danno strutturale al Caffè; gli sarebbe per sempre
rimasta,
però, l’orribile sensazione degli strati e degli strati di cemento
sopra di
loro che echeggiavano minacciose promesse di crollargli addosso
all’occasione
giusta.
Ryou lanciò ancora
un’altra occhiata allo
schermo, il cuore in gola nel vedere la nuvola di polvere e terriccio
che
oscurava le telecamere. I pendagli delle ragazze, però, pulsavano
ancora, così
come i loro comunicatori e quelli degli Ikisatashi, settati anche per
leggere i
parametri vitali.
Sette puntini che
battevano e che gli
fecero esalare il respiro che aveva trattenuto, scambiandosi uno
sguardo con
Keiichiro, pallido quanto lui.
Aspetta…
come sette?!
Ricontrollò ancora,
digitando frenetico
sulla tastiera e zoomando sul segnale dei pendagli.
Quattro.
Solo quattro.
Il cuore gli precipitò
nello stomaco.
Non aggiunse una
parola mentre scattava via
dalla sedia e si lanciava in una corsa forsennata, prendendo i gradini
a due a
due e mormorando maledizioni e preghiere nello stesso momento – non
aveva osato
controllare, non ci aveva nemmeno pensato, solo i suoi occhi avrebbero
potuto…
Spalancò la porta del
Caffè, il vento
gelido che scrosciò la pioggia contro di lui e fin dentro al locale, ma
non gli
importò mentre scrutava il prato tra l’acquazzone e i rimasugli di
quell’attacco fin troppo potente, il cuore che gli batteva così forte
in gola
da bloccargli qualsiasi suono potesse giungere alle proprie orecchie.
Vide una macchia di
rosa che gli fece
rotolare lo stomaco.
Una macchia di rosa
che barcollò e cadde in
ginocchio tra l’erba, chiamando il nome a pieni polmoni.
Prima che Kisshu
lanciasse un urlo ferino,
evocando un para-para per la prima volta in anni e scagliandolo con
tutta la
forza che possedeva contro il parco lì davanti, bruciando gli alberi al
suo
passaggio.
(*)
Dopo un po’ di ricerche sul greco antico perché – ahimè –
il mio vecchio
dizionario è molto lontano, una maniera alternativa di mandare qualcuno
a quel
paese :3 È una crasi tra Ερρε (che già di suo
parrebbe significare vaffanculo)
e Ες κορακας, ovvero letteralmente ai
corvi (vai a far
mangiare il tuo cadavere da un animale spazzino, ecco) e quindi per
esteso vai
al diavolo. Secondo il canon, gli alieni
sono partiti dalla Terra
milioni di anni fa, molto prima che si sviluppasse l’Antica Grecia,
quindi
avrebbero mai potuto parlare greco? No. Mi interessa qualcosa? No :3
|
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Capitolo 13 *** Tonight is gonna be the loneliest ***
Chapter Thirteen – Tonight is gonna be the
loneliest
Aveva capito fin da
subito che avrebbe
replicato quel momento nella sua testa fino all’ultimo dei suoi gironi.
Per
capire dove aveva sbagliato. Per capire se avrebbe potuto fare
qualcosa. Per
flagellarsi di non esserne stato capace.
Il rumore della
pioggia che attutiva gli
stridii dei punti in cui le sue lame collidevano con quelle del nemico.
Il richiamo intimorito
di MewPurin che
sembrava aver distratto pure Kert, e lui gli si era lanciato
all’inseguimento
quando si era allontanato più del previsto, perché non si era mai
tirato
indietro da un duello, non avrebbe mai mollato così facilmente.
Il fischio, fuori
luogo, irriverente,
quella gelida soddisfazione negli occhi, seguito da quel colpo che
avrebbe
dovuto aspettarsi – come aveva potuto cadere nella trappola?
– ma che li
aveva disorientati tutti, travolgendoli, disorientandoli, il fragore
così sordo
contro al terreno, l’aria che si era fatta ancora più densa e
irrespirabile.
Il filo di terrore a
perdere il controllo
per istanti che mai erano stati così preziosi.
Minto che chiamava
Ichigo. Minto che
chiamava lui.
Minto che…
Ci aveva impiegato la
frazione di un
istante a rendersene conto.
Il para para gli
spuntò in mano prima che
potesse comprenderlo.
Nemmeno un briciolo
della rabbia che
provava fu sprigionato nell’urlo belluino che gli raschiò la gola.
Ignorò il singhiozzo
che percepì univoco
salire dalle gole delle altre, voltandosi lentamente verso il Caffè con
il
respiro mozzato dalla bile che continuava a ribollirgli nell’esofago.
L’avrebbe
ucciso.
Se
anche solo l’avesse…
Non
sarebbe rimasto neanche un pezzetto
di lui.
Vide Shirogane, anche
lui già bagnato come
un pulcino, avvicinarsi tentennante a Ichigo, ancora trasformata ma in
ginocchio per terra, il viso nascosto tra le mani, scuoteva la testa e
sembrava
trattenere i singulti.
Non
c’era tempo da perdere, doveva…
Senza neanche
pensarci, senza che il suo
cervello dovesse anche solo decidere, scese velocemente a mezz’aria e
intercettò l’americano a metà strada, afferrandolo per il bavero della
camicia
e sollevandolo per sbatterlo con un ringhio contro al muro del locale,
così
veloce che non fu nemmeno sicuro che l’umano avesse notato il movimento.
« Adesso tu usi quel
tuo cazzo di bel
cervellino per ritrovarla, » latrò, dimentico di ogni buona maniera, di
ogni
incerto rapporto, ignaro anche del senso di colpa e della
preoccupazione
visibile negli occhi azzurri confusi e sgomenti.
Ryou gli afferrò i
polsi e cercò di
scrollarselo di dosso, l’orgoglio ferito anche dal respiro che gli
aveva
strappato, ma fu Taruto il primo a raggiungere Kisshu e scollargli le
dita dal
colletto.
« Ehi, ehi, manteniamo
la calma, » esclamò
a voce rotta, il viso attraversato da un’ombra, « Non è certo colpa di
Shirogane. »
« È colpa mia, »
continuò a singhiozzare
Ichigo, alzandosi su gambe incerte, « L’ho sentita chiamarmi, ma… non
si vedeva
niente e – »
Zakuro le fu accanto
per aiutarla a
raddrizzarsi: « Non è colpa di nessuno, se non dei Geoti, » cercò di
tranquillizzarla, nonostante il gelo nelle sue parole, « Ora
concentriamoci sul
riportarla a casa. »
Si scambiò uno sguardo
con Ryou, che aveva
rimesso insieme i pezzi di ciò che era successo. Lui annuì piano e si
allontanò
da Kisshu, neanche così poco sottilmente, mentre si riaggiustava la
camicia:
« Torniamo dentro,
proviamo a rintracciare
il segnale del suo ciondolo. »
Pai, il ventaglio
ritornato a dimensioni
normali che pendeva mollemente al suo fianco, ritenne più saggio non
rammentare
che non avevano avuto un briciolo di fortuna a intercettare attività
dei loro
nemici, vista l’espressione omicida del fratello, ancora nella presa di
Taruto;
fece quindi un cenno con il mento: « Dovrebbe avere avuto con sé anche
il
nostro comunicatore. Se ha passato qualsiasi barriera protettiva hanno
instaurato – »
« Cos’è, vuoi
sfruttare la situazione, ora?
Usarla come spia? »
Le mani di Taruto si
contrassero attorno
alle spalle di Kisshu mentre le iridi ametista guizzavano più scure: «
Sai
benissimo che non intendevo quello. Il segnale dei nostri congegni è
solo più
stabile, tutto qua. »
« Non preoccuparti,
nii-san, mi
meraviglierei se la nee-san non gli avesse già fatto saltare per aria
mezza
base, » Purin tentò di rivolgergli un sorriso convinto da sotto la
frangetta
inzuppata, « Se ci asciughiamo anche noi un secondo poi… »
« Voi fate come cazzo
vi pare, » Kisshu
riuscì finalmente a togliersi il fratello minore di dosso e strinse la
presa
sui sai, « Io vado a cercarla. »
« Kisshu-san, aspetta,
non sap – »
Il richiamo di Retasu
cadde addosso a
orecchie sorde, perché neanche una frazione di secondo e il fruscio del
teletrasporto vibrò sotto il rumore della pioggia.
« Lasciami! Tu… pezzo
di – »
Un’esclamazione
in una lingua che non comprese, poi MewMinto avvertì tutta l’aria
scapparle dai
polmoni quando la gravità pesò su di lei e la fece atterrare di
schianto su un
pavimento gelido, la sua schiena – le sue povere ali – che
contemporaneamente si spiaccicò contro un muro.
Boccheggiò e tentò,
nella penombra, di
mettere a fuoco la figura che la sovrastava, decisamente più massiccia
da così
vicino, e che si piegò su di lei abbastanza velocemente per toglierle
l’arco
prima che lei potesse anche solo iniziare a comprendere del tutto cosa
stesse
succedendo.
« Per essere così
mingherlina, hai la mano
pesante, » borbottò la figura con forse una punta di soddisfazione,
mentre si
massaggiava il costato, « Questo giocattolino adesso lo prendo io.
Vediamo se
ti passa un po’ la voglia di essere riottosa. »
MewMinto riuscì a
riprendere il controllo
dei propri polmoni e tentò di tirarsi in ginocchio, l’adrenalina che le
pompava
il cuore a mille, ma era fradicia, stanca, completamente disorientata,
e non
poté far altro che guardare la porta – la porta?! – chiudersi alle
spalle del
suo rapitore.
Perché quella era la
situazione, in quel
momento.
Le ci volle qualche
altro secondo in cui si
impose di prendere dei respiri profondi per non cedere alla crescente
trappola
del panico.
Non
perdere la testa, non perdere la
testa, non ne ricavi nulla.
Le scappò comunque un
gemito tra i denti
quando finalmente riuscì a tirarsi in piedi, sostenendosi contro al
muro; tra
la battaglia appena conclusasi e la botta contro al muro, poteva già
sentire
tanti piccoli dolorini fare capolino in vari punti del corpo. Torse
appena il
collo per controllarsi le ali, tastando con prudenza, ma con sollievo
le vide
solo un po’ ammaccate, nonostante i graffi che percepiva sotto le dita
guantate.
Prese l’ennesimo
respiro, raddrizzò la
schiena, e si scostò i capelli grondanti dal viso, osservando meglio
l’ambiente
circostante. Era già scesa la sera e il temporale, che continuava a
tuonare lì
fuori, contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più cupa, ma era
decisamente
rinchiusa in una camera da letto vistosamente elegante ma dall’aspetto
trasandato, come se non ci avesse vissuto nessuno per anni. Solo un
baldacchino
coperto da lenzuola ingrigite era presente, nessun altro pezzo di
mobilio a
parte le spesse tende di velluto che coprivano le tre alte finestre.
Minto vi
si avvicinò subito, alla ricerca di qualsiasi altro indizio su dove
potesse
essere finita, ma quando le scostò non vide altro che una densa nebbia
buia,
che si muoveva indolentemente in pigri vortici.
Era forse quella
maledetta barriera che
rendeva impossibile localizzare i loro nemici?
Sentì il cuore
risalirle in gola, che si
fece all’improvviso più stretta. Si allontanò dalle finestre e andò a
tentoni
verso la porta mentre l’oscurità si faceva più pesante.
« Voi! Lasciatemi
andare! » gridò con quanto
fiato le era rimasto, battendo i pugni contro al legno spesso, « Cosa
volete da
me?! Codardi! Fatemi uscire! »
Strillò e batté finché
non le dolsero
polmoni e mani, ma non udì nemmeno il sibilo dell’aria oltre l’uscio.
S’impose di deglutire
un altro singhiozzo
che le gorgogliò in petto e ritornò in un angolo, accasciandosi di
nuovo contro
al muro quando le cedettero, infine, le gambe.
L’aria nella stanza
non era fredda, ma lei
era così inzuppata che i tremolii non ci misero molto ad
aggredirla.
Non
perdere la testa. Pensa.
Ma solo un nome le
risuonò in testa mentre
raccoglieva le ginocchia al petto e vi nascondeva il viso, incapace di
lottare
oltre contro le lacrime.
Kisshu…
Rui sbucò nel
corridoio principale in una
furia di passi pesanti e un turbinio di gocce bagnate che lasciarono
una scia
gelida attorno a sé.
« Dov’è, » ringhiò,
quasi scagliando via la
propria arma.
Espera gli corse
incontro, osservando
preoccupata la compostezza abbandonata per un’espressione furibonda, i
capelli
fradici che scappavano dal nastro di pelle: « Cos’è successo?! »
Lui non le rispose e
continuò a marciare
per il corridoio; Pharart e Zaur apparvero pochi istanti dopo di lui,
ed Espera
rivolse loro con gli occhi la stessa domanda. Il biondo, però, si
limitò a fare
un cenno di diniego con la testa, così la ragazza si accodò a loro.
Nello stesso istante,
Kert sbucò da uno dei
corridoio laterali con tutta la calma del mondo. Espera non fece in
tempo a
corrucciarsi, stupita – eppur non troppo – dal fatto che non fossero
tornati
insieme, quando Rui quasi gli si lanciò contro con un ruggito, e fu
probabilmente solo perché Zaur lo trattenne per una spalla che non
afferrò il
fratello per il collo.
« Qual è il tuo
diavolo di problema!? »
Kert gli rivolse un
sorriso irriverente e
sventolò l’arco blu che teneva in mano, che sembrava aver perso la
brillantezza
che lo circondava: « Si dice prego, fratellino. »
« Prego un
cazzo, » insistette, «
Hai fatto tutto di testa tua, come al solito! Cosa ti salta in mente?! »
« Questa l’ho già
sentita, » quasi passando
attraverso il muro, Sunao spuntò con una piccolissima agitazione
nell’aria, «
Sarebbe questa la vostra maniera di fare rapporto dopo un attacco? »
« Chiedilo a lui
com’è andata, »
ribollì Rui, mente il fratello alzava gli occhi al cielo, « Chiedigli
perché
per l’ennesima volta ha fatto come gli pareva e ora abbiamo un ostaggio.
»
Sunao sbatté le
palpebre, l’unico segnale
della sua sorpresa: « Hai portato qui un’umana? »
« Non è un’umana
qualunque, non so se
l’avete inteso. Così finalmente saremo in grado di capirci un po’ di
più su
quelle tizie, non capite? »
Zaur piegò appena il
capo, come non
potendogli dargli torto, ma Rui persistette a guardarlo con
scetticismo:
« E cosa avresti
intenzione di fare? »
« Intanto, lasciare
cuocere l’uccellino un
po’ nel suo brodo. Vedi se questo può essere
interessante, » lanciò
l’arco a Pharart, che lo prese un po’ dubbioso, « Poi, domani, con
calma,
potremmo valutare quanto la solitudine le abbia fatto venire voglia di
cantare.
Abbiamo anche un’ospite che potrebbe darci una mano. »
Sunao alzò appena un
sopracciglio: « Per
quanto apprezzi la tua stima, Tha, sono fisicamente a
una distanza
troppo grande per poter usare i miei poteri su di lei. Dovrete farlo
alla
vecchia maniera. »
Kert si strinse nelle
spalle: « Poco male,
c’è sempre Zaur. Non dite che non era un’occasione troppo ghiotta per
non
essere sprecata, io mi ero rotto il cazzo di osservare quelle tizie da
uno
schermo senza capirci niente. Dobbiamo ottenere tutti i vantaggi
possibili, no?
»
Rui si scrollò
finalmente Zaur di dosso: «
Delle tue ideone dovresti prima parlarne con me. »
Lui non sembrò turbato
dal sibilo del
fratello: « Ho sfruttato il momento migliore. E comunque – »
Il rumore dei battiti
contro la porta e
delle grida della loro prigioniera rimbombarono per il corridoio,
interrompendolo.
Espera oscillò pericolosamente per qualche istante, il viso che le
divenne
verdognolo, e mormorò qualcosa di incomprensibile.
« Dovevi proprio
portarla qua? » Rui ringhiò
a bassa voce, lanciandole un’occhiata preoccupata.
Kert rispose alzando
gli occhi al cielo: «
Oh, perdono, aspetta che vado a costruirmi un
altro campo base lontano
dalla principessina bisognosa. »
« Non ti azzardare, »
il fratello fece un altro
passo avanti e gli puntò contro l’indice, gli occhi blu che
fiammeggiavano di
rabbia, « Sei a tanto così da passare il segno. »
L’altro non nascose il
ghigno di stizzoso
divertimento: « Se vuoi lascio a te l’onore del primo giro. »
Il minore fece
schioccare la lingua, e gli
diede le spalle per confortare invece Espera, che aveva iniziato a
respirare in
pesanti boccate che parevano vuote.
« Non la possiamo
lasciare là… così, » mormorò
a bassa voce, scuotendo la testa, « Ha… freddo, e paura, e… »
« Non siamo in un
lussuoso luogo di
ristoro. Siamo in guerra. »
Espera lo guardò con
stizza: « Sì, ma - »
Rui la interruppe
prendendole il viso tra
le mani e annuendo: « Non verrà trattata in maniera degradante. »
Kert alzò di nuovo gli
occhi al cielo, contenendo
uno sbuffo: « È nella stanza più in fondo al corridoio. Ma ci posso
entrare
solo io. »
Questa volta fu
Pharart a sgranare gli
occhi verso l’amico, più spazientito che curioso: « Seriamente? Era a
questo
che ti serviva il dispositivo di isolamento? »
Kert rispose con una
scrollata di spalle,
poi accennò verso Espera: « Abbiamo testato che anche questo non serve
a nulla
con lei. »
Rui emise un altro
mezzo ringhio, e Sunao
si fece avanti prima che la situazione degenerasse ancora, lanciandosi
i
capelli dietro la spalla: « Sia come sia, sappiate che non ho voglia di
riportare al Consiglio che non c’è equilibrio all’interno della
missione. Quindi
vedetela di risolverla in fretta. »
« Chiedigli se non è
stata un’idea geniale.
»
Gli occhi violetti
incontrarono spazientiti
quelli dorati: « Non tirare troppo la corta, Tha. »
« Buona fortuna a
farti ascoltare, Sunao, »
Rui spinse gentilmente Espera verso il salotto e fece per seguirla, non
prima
di sibilare con alterazione verso il fratello, « Spera solo che questa
tua idea
geniale non ce li faccia piombare tutti in casa. Magari
abbiamo avuto solo
fortuna, fino ad ora. »
Kert rimase di sale,
l’espressione
impassibile e le braccia incrociate mentre lo osservava andarsene
insieme agli
altri.
« Rui, » lo chiamò
appena prima che girasse
l’angolo, e lui lo guardò appena da sopra la spalla, « Era la stanza
più
lontana che ci fosse. »
Gli occhi blu lo
scrutarono per un secondo,
prima di voltarsi senza aggiungere altro.
Keiichiro passò
l’ultima tazza di tè
bollente a Zakuro, la quale lo ringraziò con un impercettibile cenno
del capo.
Lui e Shirogane li avevano praticamente costretti a dedicarsi una
doccia
rovente, nonostante le proteste delle ragazze contro il perdere del
tempo
prezioso, ma visto il tremolio ancora persistente nelle dita, sapeva
che
avevano avuto ragione. Un’intera squadra ancor più sottotono non
sarebbe
servita decisamente a nulla.
« Potresti…
raccontarmi di nuovo cos’è
successo? »
Le Mew Mew, i capelli
arruffati dagli
asciugamani, si strinsero ancora un po’ di più tra loro, e Ichigo
deglutì
sonoramente mentre chiudeva gli occhi.
« Lei era… vicino a
me, » pigolò con un
brivido, « Stavamo affrontando Rui insieme a Taruto, a un certo punto
abbiamo
sentito Purin gridare… e… non ho nemmeno capito cosa stesse succedendo
perché
poi c’è stato quel botto, e non si vedeva più niente… lei mi ha
chiamata, ho
cercato di raggiungerla, però… »
« Avrei dovuto
estendere la barriera più in
là, » soffiò a denti stretti il più giovane degli Ikisatashi, « Forse
non
avrebbe… »
« Non potevi fare
nulla contro l’effetto
sorpresa, » tentò di rincuorarlo Zakuro, « Né potevamo aspettarci che
quell’alieno avesse simili poteri. »
Retasu tremò
visibilmente al ricordo: « È
stato come se… come se non ci fosse più ossigeno. Come se non ci fosse
più nulla.
Neanche un’emozione. »
Ichigo girò di scatto
il viso verso di lei
mentre sgranava gli occhi: « L’aveva già fatta, la… la cosa dell’aria,
durante
il nostro primo scontro. Come se ci fosse qualcosa che mi strangolava,
anche se
in realtà non era niente di reale. Ma le sensazioni… »
« È successo quando mi
è arrivato davvero
vicino, » continuò la verde con un filo di voce, « Forse c’è un limite
a ciò
che riesce a fare. »
« È un’informazione
preziosa, » constatò gelido
Pai, l’orgoglio ferito alla consapevolezza che c’era cascato pure lui,
« Sappiamo
che dobbiamo stargli lontano. Possiamo studiare strategie più
dettagliate. »
Ichigo soffiò tra i
denti: « In questo
momento dobbiamo pensare ad altro. Non so se vi
rendete conto che – »
« We know,
Ichigo, » tagliò corto
Shirogane, facendola corrugare appena la fronte, « Ma ogni dettaglio in
più può
essere fondamentale. »
Lei si limitò ad
osservare la schiena del
marito, già impegnato a digitare forsennatamente sulla tastiera.
« Cosa possiamo fare
noi? » domandò
afflitta Purin, per una volta assolutamente senza energia.
« Per ora, riposatevi,
» rispose
comprensivo Keiichiro, rabboccando le tazze di tè, « È tardi, siete
tutte
fisicamente e mentalmente distrutte. Mangeremo qualcosa, nel frattempo
noi
continueremo a lavorare. La troveremo in fretta, vedrete. »
La biondina annuì,
decisamente poco
convinta, e non disse nulla mentre tirava su con il naso.
L’occhiata che Pai si
scambiò con il
fratello minore sottolineò come anche lui non fosse del tutto sicuro
delle
affermazioni del suo collaboratore.
Ichigo si sciolse
dall’abbraccio delle
amiche e sospirò sottovoce: « Vado a dar da mangiare a Kimberly e la
cambio per
la notte. »
Il passeggino della
bimba, che gorgogliava
tranquilla, era parcheggiato quanto più vicino all’ingresso del
laboratorio,
così che fosse disturbata il meno possibile. La rossa sorrise
spontaneamente a
vederla, nonostante lo strattone al cuore, e si strinse la figlia al
petto con
più forza del solito, prendendosi un istante più lungo per annusare il
suo
profumo dolce.
« Ehi, » avvertì Ryou
raggiungerla ancora
prima che posasse la mano sull’incavo della sua schiena, « Scusami, non
volevo
scattare prima. Ma… »
« Lo so, » Ichigo
sospirò e si poggiò a
lui, continuando a cullare Kimberly, « Non posso crederci che stia
succedendo
davvero. »
Il marito le accarezzò
una guancia: « Vuoi
che sentiamo se i tuoi possono venire a prenderla? »
« No, » rispose quasi
senza fargli
terminare la domanda, scuotendo la testa con decisione, « Ho bisogno
più che
mai di sapere che c’è, che è qui con me. »
« D’accordo, » le
lasciò un bacio tra i
capelli e poi accennò ai computer, « Se hai bisogno con lei, chiamami. »
La rossa scosse di
nuovo il capo: « Noi ce
la caviamo. Tu vai a cercare Minto. »
Lui annuì e si
risiedette accanto a Pai,
mentre Ichigo si allontanava lentamente verso il piano superiore.
L’ora successiva passò
in un semi-totale
silenzio, interrotto solamente dal ticchettio delle tastiere, dal
ronzare dei
computer e dai fugaci sospiri delle ragazze, che praticamente non si
scambiarono una parola. Come se interrompere la concentrazione dei tre
scienziati non potesse che aggravare una situazione già degna dei loro
incubi.
Solo quando lo stomaco
di Purin brontolò
rumorosamente, Keiichiro si concesse un sorriso un attimo più
rallegrato: « Non
preoccuparti, sta arrivando la cena. »
Il cellulare di Zakuro
vibrò in
quell’istante, ma lei stessa era così frastornata che le ci volle
qualche
secondo per comprendere il contenuto del messaggio.
O per focalizzare
appieno sul fatto che,
dopo una rapida bussata, Joel comparve sull’uscio del laboratorio, con
indosso
un impermeabile grondante.
«
Hiya, » strascicò,
sollevando una larga borsa di carta che emanava un profumino
promettente, « I
brought supplies. »
Zakuro s’impose di
ignorare l’occhiata
indagatoria che si scambiarono le altre ragazze, e lasciò che fosse
Keiichiro
stesso ad andare incontro al texano per ringraziarlo. Confabularono per
qualche
istante, poi il moro sparì dietro l’angolo per andare in dispensa a
recuperare
tovagliolini e piatti extra.
« Ciboooo! »
cercò di canticchiare
Purin, ma le uscì piuttosto un mormorio poco convinto cui Retasu e
Taruto
tentarono di rispondere con sorrisi abbozzati.
Joel distribuì a lei
per prima l’hamburger
avvolto in una carta oleosa, sprigionando ancora più aroma di prima, e
in effetti
il colorito della mewscimmia sembrò riprendersi un poco non appena ebbe
dato il
primo morso, azzannandolo con più convincimento poi.
La busta fu svuotata
velocemente, e infine
l’americano si fermò davanti alla modella con un sorriso genuino: « Told
you
we’d make dinner anyways, » scherzò, passandole l’ultimo
panino, « I’m
sorry, though. »
Zakuro lo afferrò
lenta, continuando a
ignorare gli sguardi curiosi delle amiche che facevano finta di nulla,
e annuì.
Non aveva voglia di mangiare né tantomeno di spiegare, ma sapeva che
sprecare
forze necessarie non sarebbe valso assolutamente a nulla.
« Shirogane mi ha
chiesto di darvi
un’occhiata, » continuò lui in inglese, accennando allo zaino che
portava in
spalla, « In caso vi siate fatte male. »
Lei piegò appena un
sopracciglio verso il
biondo, la pelle giallastra sotto il riflesso del computer: « Cortese,
da parte
sua, » mormorò solo.
A Joel non sfuggì la
vena di sarcasmo, ma
le rivolse solo un sorriso più convinto: « Traduci tu? »
Saettò ancora una
volta quanto più
possibile per non essere visto tra i palazzi, al tempo stesso cercando
di
percepire ogni singolo dettaglio.
Sapeva che era inutile
(chi mai avrebbe
scelto il centro della città come covo?), ma non poteva starsene fermo.
Avrebbe
cercato ogni singolo centimetro quadrato di Tokyo e dintorni pur di
trovarla il
prima possibile.
Dove
sei?
Tese ancora i sensi,
come se avesse potuto
avvertire il suo profumo o udirla chiamare il suo nome – non
avrebbe mai
dimenticato come l’aveva chiamato in quell’istante – sotto
il rumore
incessante della pioggia e del traffico sotto di lui. Il connettore
nella sua
tasca, invece, rimaneva silenzioso tranne per gli sporadici richiami di
Pai,
che gli intimava di non fare il deficiente e di ritornare al Caffè.
Come se suo fratello
non avrebbe smosso
mari e monti per Retasu.
(Forse
tuo fratello non avrebbe mai
lasciato che ciò accadesse a Retasu).
Digrignò i denti e
scartò a destra, in
direzione di un parco buio e desolato, vista l’ora e il tempaccio. Si
stava
imponendo di non pensare alla possibilità che davvero i loro nemici
avessero la
capacità di creare dimensioni alternative, come avevano fatto loro
tutti quegli
anni prima; non riuscire a trovarli sulla Terra era un conto, non
riuscire a
trovarli nel caso in cui potevano nascondersi tra le pieghe
dell’universo…
Dove
sei?
Solo quando fluttuò
pericolosamente verso
il basso si rese conto del gelo che provava fin nelle ossa e della
stanchezza
che gli faceva vedere doppio.
Solo mezz’ora, si
disse, per riscaldarsi e
bere un caffè, poi avrebbe ricominciato. Non era quello il momento di
mollare.
Prima di poter
ripensarci, si teletrasportò
nel salone principale del Caffè; il calore del locale fu un balsamo per
le sue
membra stanche, ma il sottile chiacchiericcio che proveniva dal
seminterrato,
unito all’odore di cibo, gli fecero ribaltare lo stomaco.
Non prese neanche le
scale, ma di nuovo si
fece comparire vicino all’entrata del laboratorio.
« Bene, bene, » gli
uscì con più cattiveria
di quanto aveva inteso, ma provò una sensazione di crudele
soddisfazione quando
li vide sobbalzare tutti con aria colpevole, « Vedo che qua ce la
spassiamo. »
Zakuro lo guardò con
gelida ragione: «
Dobbiamo mangiare in ogni caso, Kisshu. Nessuno di noi si sta
divertendo. »
« Nessuno di voi sta
facendo un cazzo, »
reiterò lui con veleno, noncurante delle espressioni afflitte delle Mew
Mew, «
Mi sembrate tutti abbastanza al calduccio. »
« Non è vero e lo sai
benissimo, » ribatté
Taruto, spostandosi leggermente davanti a Purin, « Ma mettersi a
marciare alla
cieca sotto un temporale – »
« Cos’è, non ne vale
la pena? »
« Adesso piantala, »
Ichigo strillò,
guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, « Non stai male solo tu,
sai? E
fare lo stronzo non aiuta certo la situazione. »
« Dubito che
tu possa capire.
»
La rossa si alzò di
scatto dal divano, Ryou
insieme a lei, mentre Kisshu ringhiava cupo.
« Cosa staresti
insinuando!? »
« Non è il momento di
fare il cavaliere,
biondino, rimettiti a - »
« Basta. »
Zakuro comparve tra di
loro veloce come un
lampo, una mano testa in fronte al petto dell’alieno e l’altra più
rassicurante
sulla spalla di Ichigo.
« Darsi addosso in
questa maniera non
riporterà Minto a casa, » lo ammonì severa, guardando anche la rossa di
sbieco,
« Sono la prima a volerla ritrovare, ma dobbiamo mantenere la lucidità
e agire
razionalmente. »
« Stiamo davvero
facendo tutto il
possibile, Kisshu-san, » Keiichiro s’intromise pacatamente, annuendo, «
Tutti i
nostri sistemi sono accesi e sincronizzati, e stanno scannerizzando
ogni angolo
della città. »
Kisshu
fece per ribattere di nuovo, ma
un’ennesima occhiataccia della mewlupo lo fece desistere; lei poi
afferrò un
asciugamano dal bracciolo del divano e glielo porse, forse con un po’
troppa
decisione:
« Asciugati e mangia
qualcosa. Non appena avremo
recuperato le forze, usciremo a cercarla anche noi. »
Lui lo afferrò senza
aggiungere niente e si
diresse all’altro divano, lanciando solo uno sguardo che sperò essere
sufficientemente di scuse a Ichigo, notando solo in quel momento i suoi
occhi
gonfi di pianto che lo guardarono con stizza residua mentre anche lei
ritornava
al suo posto.
Shirogane non gli
risparmiò un’occhiataccia
cauta, ma si risedette alla scrivania senza una parola, le spalle che
si
incurvarono più del solito. Kisshu lo ignorò, come ignorò la vocina che
gli
suggerì che a un certo punto forse avrebbe dovuto scusarsi per averlo
appeso al
muro, ma non era decisamente dell’umore per essere educato.
Si
sfregò i capelli sovrappensiero,
trovando odioso, in quel momento, pure quanto fosse soffice e profumato
l’asciugamano. Una parte di lui – seppur piccola – gli sottolineava
come non
fosse razionale, ma il suo essere gli stava ricordando crudele come non
si
meritasse niente di tutto ciò; non si sarebbe dovuto fermare, non
avrebbe
dovuto crogiolarsi al calduccio né riscaldarsi con una morbida
salvietta.
Perché a Minto non
stava venendo concesso
lo stesso trattamento, ne era certo.
E lui, per la seconda
volta, non era
riuscito a salvare in tempo la persona che amava.
Registrò appena Retasu
che gli comparve
davanti con una tazza di caffè fumante e un involucro unto e ancora
tiepido,
quasi mettendoglieli in mano con l’abbozzo di uno dei suoi sorrisi
dolci.
Kisshu mangiò più per automazione che per vera fame, il cibo come
cenere sul palato,
ma il calore del caffè servì almeno a non farlo precipitare nel baratro
più
buio.
Dove
sei?
« Ragazze, mi sentite?
C’è nessuno?
Shirogane? Kisshu? Pronto? »
Con un sospiro stanco,
Minto ripose il suo
pendaglio, niente più che un inutile fermaglio ora, e rabbrividì di
nuovo, accovacciandosi
un po’ di più su sé stessa. Era ancora nella sua forma Mew, e
nonostante la
facesse sentire più in controllo di sé, le sue ali erano ancora umide e
il suo
costume pareva non avere intenzione di asciugarsi; per non parlare dei
suoi
capelli, una massa gelida e tesa che le pesava sul capo insieme alla
stanchezza
e all’angoscia.
Aveva continuato a
cercare di mettersi in
contatto con gli altri a intervalli regolari, parlando sottovoce e al
tempo
stesso il più vicino possibile al microfono, utilizzando sia il suo
ciondolo
Mew che il connettore degli Ikisatashi, ma ogni suo tentativo era stato
vano e
ormai ne aveva perso il conto. L’oscurità nella stanza si era fatta più
intensa, interrotta soltanto dagli occasionali lampi del temporale che
ancora
rombava e che spingeva un fastidioso rivolo di aria fredda attraverso
chissà
quale fessura. Eppure, lei non percepiva nessun altro rumore, nemmeno
il minimo
accenno di uno scricchiolio, il rimbombo di un passo, il soffio di un
passaggio.
Era praticamente certa che fosse colpa di quella strana nebbia che
aleggiava
fuori dalla finestra e che assorbiva i suoni, oltre che a renderle
impossibile
capire dove fosse, quanto tempo fosse passato, cosa stesse succedendo.
Solo i tuoni, e niente
altro, in un
silenzio ovattato e opprimente.
Neanche quando una
coperta e una ciotola di
un qualcosa che non sapeva definire erano apparse
come per magia nella
stanza si era levato un cigolio.
Alla coperta aveva
ceduto, la pelle troppo increspata
dalla pelle d’oca e dai brividi per pensare lucidamente. Stava invece
continuando a fissare la scodella con sdegno, nonostante vi si levasse
un
profumino delizioso che però non riusciva a riconoscere. Non poteva
assolutamente fidarsi: chissà quale intruglio vi era stato mischiato,
non
poteva rischiare di essere avvelenata, o stordita, o peggio ancora…
Scosse la testa e
ignorò puntualmente il
crampo del suo stomaco, che reagiva involontario all’odore invitante di
strane
spezie e alla promessa di un po’ di calore in più. Si strinse solo la
coperta
addosso e poggiò di nuovo la testa sulle ginocchia, ricominciando a
contare i
propri respiri.
« Quasi encomiabile,
la sua testardaggine,
non trovi? »
Sunao gli comparve a
fianco senza il minimo
preavviso, e Kert fece schioccare la lingua, irritato: « Pensavo fossi
troppo
lontana. »
« Non ho bisogno dei
miei poteri per capire
cosa ti passa per la testa. »
Kert le rivolse
un’occhiata scocciata: «
Ficcanaso. »
Lei rise cristallina,
poi si controllò
un’unghia: « Cinque umani e tre Duuariani, che immagino avranno
moltissime
storie da raccontare. Eppure, è quella con il vestito più corto. »
« Per favore, » sbottò
lui, quasi con
disgusto, « Non mi abbasso a certe cose. »
« Mmmh, » replicò lei,
lanciando di nuovo
uno sguardo al monitor dal quale l’alieno stava controllando la loro
ospite, «
Sempre così sicuro di sé. »
Lui sbuffò e si voltò
finalmente a
guardarla: « Cosa vuoi, Sunamora? »
Gli occhi violetti
della ragazza lo
fissarono con una punta di autorità: « Capisco il tuo bisogno di
rivalsa e – »
« Io non ho bisogno di
un bel niente.
»
« - e la tua dedizione
a questa missione, »
lo guardò con gelido fastidio all’interruzione, « E per quanto possa
apprezzare, nonostante i metodi bruschi, le tue soluzioni alternative
per
portare a termine il lavoro, non si può compromettere la solidità della
squadra. Non se vuoi che la missione riesca. Non quando già l’armonia
vacilla.
»
Fu lui stavolta a
guardarla storto: « Solo
perché sei amica di Seles… »
« Io sono anche
amica di Espera, ma
sai meglio di me che sto parlando in tutt’altre veci. »
« Quindi non posso
pensare che sia stata
un’idea del cazzo farla venire qui? E che a parte qualche trucchetto
speciale,
sia tutto molto più difficile? »
Sunao alzò gli occhi
al cielo e incrociò le
braccia al petto: « Puoi pensarlo quanto vuoi, basta che tieni quella
tua
boccaccia chiusa e rispetti gli ordini. Le tue opinioni personali non
hanno
tanta importanza quanto l’incarico che ti è stato dato. »
Kert digrignò appena i
denti: « È mio
fratello. »
Lei alzò solo un
sopracciglio: « Motivo in
più per tacere e obbedire. »
« Sei la prima che non
ascolta i propri
consigli. »
« Io so scegliermi le
battaglie, Tha. »
« Ne sei certa? »
Sunao lo guardò di
nuovo con impazienza,
poi sembrò distrarsi per un secondo prima che una piccola piega le si
disegnasse tra le sopracciglia: « Non posso entrare in quella stanza. »
« Certo che no, »
rispose lui con malcelata
soddisfazione, « Dispositivi di isolamento, ricordi? »
Riconobbe il moto di
stizza sul bel viso
dell’aliena solo perché la conosceva bene: « A che gioco stai giocando?
»
Kert si strinse solo
nelle spalle e le
rivolse un sorrisetto: « Io? Nessuno. »
Gli occhi violetti gli
si rivolsero con
stizza, poi Sunao scosse la testa e svanì di scatto.
§§§
Il telefono le vibrò
così vicino al naso
che Ichigo si svegliò di scatto con il cuore precipitato nello stomaco
che le
batteva freneticamente, mozzandole il respiro. Le ci vollero dieci
secondi
buoni per capire che effettivamente il ronzio proveniva dal suo
cellulare, e
altrettanti per schiarirsi abbastanza la gola da essere in grado di
rispondere.
« Pronto? »
«
Ciao, tesoro! Ho chiamato a casa ma
non c’era nessuno, dove siete così presto? »
« Mamma… » la rossa
concentrò tutte le sue
forze per non far trasparire la minima emozione mentre si tirava in
piedi a
fatica e sgattaiolava fuori dalla stanza dove le altre ancora
dormivano, « Ma
che ore sono? »
« Quasi le
otto, cara! Ma va tutto bene?
»
« Sì, sì… Ryou aveva
un impegno presto e…
ci siamo unite. »
«
Con questo tempaccio, tesoro? Mi
raccomando, state attenti! Volevo sapere se avessi bisogno di qualcosa
oggi. »
« No, no, va tutto
bene, grazie. Magari ci
sentiamo stasera. »
Per un altro paio di
minuti, Sakura la
riempì di parole che Ichigo non ascoltò del tutto, gli occhi chiusi e
la nuca
poggiata al muro, rispondendo a monosillabi il più allegri possibili.
Dover mentire a sua
madre non le era
decisamente mancato.
Quando finalmente
riguadagnò il silenzio,
non si spostò per il tempo di qualche respiro profondo, cercando di
placare di
nuovo quell’insormontabile angoscia che le aveva riacciuffato il petto
non
appena aveva aperto gli occhi e che l’aveva tormentata con orribili
incubi per
quelle poche ore di sonno che era riuscita a concedersi.
Il temporale aveva
imperversato per tutta
la notte, scuotendo con bassi rombi le mura del Caffè e illuminando
quasi a
giorno il salone. Pur con il senso di colpa che le aveva lacerate, le
Mew Mew e
i tre Ikisatashi avevano concordato che fosse più saggio continuare a
setacciare la città attraverso i computer e aspettare che il maltempo
si
placasse quanto bastava perché fosse possibile e non deleterio uscire.
Kisshu
aveva smesso di proferire parola oltre a un cupo ringhio, ma era
sembrato
sinceramente sollevato e stupito quando le ragazze si erano rifiutate
di essere
accompagnate a casa con il teletrasporto, dichiarando quasi in coro che
avrebbero bivaccato al locale per tutto il tempo necessario. Forse era
un
tentativo di non sentirsi come se stessero abbandonando del tutto la
loro
amica, o più necessità che mai di rimanere unite in quel momento, ma
nessuno
aveva provato a insistere oltre, e la sala principale era stata
trasformata in
uno spartano giaciglio di sottili futon d’emergenza e sacchi a pelo.
Ichigo non
sapeva nemmeno come o da quanto Keiichiro tenesse pronto tutto
quell’equipaggiamento, ma immaginava che, con gli anni, l’ingegnoso
scienziato
si fosse preparato a mille e più evenienze.
Bramando un litro di
caffè per svegliarsi –
insieme alle abitudini buone, vivere con Shirogane la stava contagiando
pur di
quelle più brutte – ritornò con passo felpato in sala, zampettando tra
i corpi
ancora addormentati delle amiche fino al passeggino di Kimberly. La
bimba era
già sveglia, ma complice anche il biberon di qualche ora prima, si
stava
intrattenendo da sola, giocherellando estasiata con uno dei pupazzetti
agganciati alla copertura.
Ichigo le sorrise e la
prese in braccio,
mormorandole piano parole di conforto mentre faceva una pausa tattica
in cucina
e poi scendeva in laboratorio.
Ryou era l’unico
presente e praticamente
ancora dove l’aveva lasciato, in piedi davanti alla scrivania, la
schiena curva
sulla tastiera e la e la faccia più scura che gli avesse mai visto.
Notò
chiaramente come si tese quando percepì la sua presenza, probabilmente
aspettandosi l’ennesima domanda o l’ennesimo sbotto di preoccupazione,
scoccandole solo un’occhiata che – nonostante il chiarissimo senso di
colpa che
gli offuscava lo sguardo azzurro – le fece capire che non era
assolutamente
dell’umore adatto per nessuna delle opzioni. Ichigo esalò piano e gli
si
avvicinò, passandogli la tazza colma e bollente: « Hai dormito un po’? »
« Not
really, » rispose lui, quasi
aggrappandosi al caffè e soffiandoci sopra un paio di volte prima di
divorarne
metà tazza in due sorsi, « But it’s fine. How are you? »
Lo conosceva
abbastanza a fondo per sapere
che il suo rivolgersi a lei in inglese era sintomo di quanto in realtà
fosse
stanco e provato, la lingua materna che gli veniva più semplice in
certi
frangenti. Ichigo si strinse nelle spalle, rubandogli la tazza per un
secondo e
riaggiustandosi Kimberly sul fianco: « Ancora niente? »
« Nope. »
Decise di non
insistere e annuì piano,
nonostante il triplo battito angustiato che le fece marcire in gola il
retrogusto del caffè. Ryou le prese la bimba dalle braccia senza
aggiungere
altro e se la coccolò contro al petto, sussurrando cose che la rossa
non capì
ma che le fecero comunque stringere il cuore. Anche forte del fatto che
erano
da soli, compì l’ultimo passo che la separava da lui e lo abbracciò
stretto,
poggiando la guancia contro il suo fianco:
« Ti amo, » gli
sussurrò, « Non so cosa
farei se ti succedesse qualcosa. »
Avvertì il corpo di
lui rilassarsi quasi
all’improvviso, mentre sospirava e l’avvolgeva con un braccio: « Non
dirlo
neanche per scherzo, per favore. »
« Tu sarai
perennemente relegato dietro la
barriera del Caffè. »
Ryou sbuffò, le labbra
perse tra i suoi
capelli, intanto che l’abbracciava più stretta; si scostò poi di quanto
bastava
per sollevarle il viso e accarezzarle una guancia:
« Quando ho visto solo
quattro segnali dei
pendagli… » deglutì e scosse la testa, le iridi azzurre che furono
attraversate
da un fremito, ma non riuscì ad aggiungere altro e Ichigo nascose di
nuovo la
faccia contro il suo petto, riprendendo a stritolarlo:
« Andrà tutto bene.
Minto-chan è forte e… e
andrà tutto bene. »
Se lo sarebbe ripetuta
fino alla nausea,
pur di convincersi.
Si staccarono solo
quando Kimberly mandò un
versetto più deciso a determinare che fosse ora di colazione, in
contemporanea
ai vaghi rumori del piano di sopra che si stava svegliando. Dopo pochi
istanti
perfino Taruto, i capelli completamente sparati in dieci diversioni
diverse,
fece sbucare la testa dallo spiraglio della porta con un sorriso mesto:
«
Akasaka-san ha preparato cibo per tutti. »
« You go
ahead, » Shirogane rivolse
alla moglie un sorriso che tentò di essere convincente, « A lei ci
penso io. »
« Ryou, devi – »
« Davvero. Quando ha
finito vi raggiungo. »
Lei non apparve molto
sicura, ma seguì lo
stesso il giovane alieno su per le scale.
Keiichiro si era
prodigato anche a
ventilare il locale, e nonostante il temporale avesse infino ceduto
alle prime
luci dell’alba l’aria era ancora satura di pioggia e del suo odore,
fredda,
umida e mesta come l’attitudine generale. Il cielo persisteva a essere
di un
tetro e plumbeo grigio tale da attenuare quasi i colori sgargianti del
Caffè, e
solo il sottile profumo di zucchero e caffè portava con sé una punta di
speranza.
Il pasticcere le
sorrise mentre distribuiva
piatti e posate alle ragazze assonnate attorno a un tavolo, ciascuna
con
l’espressione più mogia dell’altra. Purin continuava a sfregarsi gli
occhi
arrossati, come se non riuscisse a stare sveglia, e praticamente non
disse una
parola neanche quando Ichigo le diede il buongiorno sottovoce o quando
Taruto
le si avvicinò con cura porgendole del succo di frutta.
Notando, tra l’altro,
chi fosse ancora
presente al tavolo, la rossa puntò dritto verso Zakuro, in piedi
davanti al
carrello su cui svettavano le propose di Keiichiro, sicuramente in
cerca di
qualcosa che non compromettesse troppo la sua figura perfetta.
« Buongiorno, nee-san,
» Ichigo scrutò i
vari dolcetti, fingendo noncuranza, « Come stai? »
« A posto, Ichigo,
grazie. Tu? »
« Un po’ rintontita. E
non ho molta fame,
ma… abbiamo novità? »
La mora scosse la
testa: « Non se Ryou ti
ha detto qualcosa in più. »
Ichigo sospirò mentre
sceglieva una
crostatina alla frutta: « Speriamo che succeda qualcosa, mi sento come
se non
riuscissi a respirare. »
Zakuro le accarezzò
con fare premuroso una
spalla: « Non perdiamo la testa anche noi. »
Mosse appena il capo
in direzione di
Kisshu, niente più che un’ombra scura all’esatto angolo opposto
rispetto a
loro, e Ichigo concordò prima di scegliere un altro paio di pasticcini.
« Ma quindi, »
aggiunse poi poco dopo,
senza guardare l’amica, « Sarebbe lui il famoso
Joel che ha controllato
il DNA di mia figlia? »
Zakuro incolpò i nervi
a fior di pelle per
il sorrisetto che le scappò: « C’era anche al tuo matrimonio. »
« Mmh, non pensavo di
doverci fare caso. »
« Un medico fidato tra
i ranghi fa sempre bene,
non credi? »
La rossa le rivolse
un’occhiata divertita e
furba: « Sono curiosa di chiedere l’opinione di Minto-chan. »
La modella annuì e
impiegò qualche secondo
di troppo a rispondere, prima di prenderle la mano e stringergliela: «
Ovviamente. »
Ichigo ricambiò il
sorriso, fece un respiro
profondo e s’azzardò ad avvicinarsi a Kisshu. L’alieno teneva il capo
abbassato, i capelli verdi una massa quasi informe davanti al viso, e
lo
sguardo fisso sulla tazza ormai tiepida davanti a sé. Non si mosse né
diede
segno di aver notato la mewgatto quando lo raggiunse o quando gli si
sedette
accanto, ma lei decise di non scomporsi più di tanto.
« Ehi, » lo salutò
piano e fece scivolare
il piattino accanto alla sua mano, « Dovresti mangiare qualcosa. »
Kisshu esalò forse la
prima parola in
dodici ore, la voce roca e sdegnosa: « Non è alto nella mia lista di
priorità.
»
« Invece dovrebbe, »
sbottò la rossa,
spingendogli il piatto ancora più vicino, « Non costringermi a
imboccarti,
sai?! Pensi che se fosse qua, Minto non ti starebbe dicendo che sei un
cretino
e che flagellarti è inutile? Dobbiamo rimetterci in sesto e andare a
cercarla,
quindi mangia. »
L’alieno la osservò
per un paio di secondi
da sotto la frangia scura, poi sbuffò sarcastico e ingollò un solo
biscotto: « Energie
durature non vengono certo dai dolci. »
« Meglio di niente, »
incrociò le braccia
al petto e lo scrutò un altro paio di secondi, mordendosi piano il
labbro, «
Non è stata col- »
« La prima cosa che ha
fatto dopo essermi
sfuggito, dopo aver combattuto solo contro di me, è
stata andare a
prendere lei. Vuoi ripensarci? »
Il tono gelido le fece
venire la pelle
d’oca, ma deglutì e insistette: « Non è… ci hanno preso alla
sprovvista, e… non
sei stato tu. D’accordo? »
« Gattina, forse
dovresti cercare di essere
un pelo più convincente con te stessa prima. »
« E forse tu dovresti
essere un po’ meno
egocentrico e non pensare che la responsabilità sia tutta tua! »
ribatté lei,
abbassando la voce per continuare quando notò le occhiate stranite
degli altri,
« Come quando tu… »
Gli occhi di Kisshu
erano spalancati dallo
stupore: « Mi prendi in giro? » sibilò con astio, un tremolio che gli
attraversò entrambe le braccia.
Ichigo scosse la testa
e poi gli afferrò
d’istinto le mani: « Non è mai stata colpa tua, capito? Neanche
l’ultima volta,
quando io… neanche lì. Ieri men che meno. Smettila di pensarlo,
smettila di
torturarti. Dobbiamo concentrarci a lavorare insieme, a trovarla, ma
per farlo
dobbiamo essere ottimisti e - »
Non terminò la frase,
perché dal piano di
sotto risuonò fioco l’eco dei sistemi di allarme e Kisshu scattò in
piedi,
raggiungendo il laboratorio prima ancora che gli altri potessero
registrare la
cosa e seguirlo.
Pai era già lì, in
piedi accanto a
Shirogane, le dita che correvano veloci sulla tastiera e una profonda
ruga tra
le sopracciglia.
« Quindi!? » sberciò
il fratello minore,
senza fiato, « L’hai… ? »
« No, » perfino
l’americano sussultò al
gelo con cui aveva risposta, « No, questo è solo… sono i sistemi per il
monitoraggio della Mew Aqua. È come se… ne fosse appena svanita una
quantità
maggiore del solito. »
Kisshu sputò una
sequela di imprecazioni di
cui nessuno volle sapere il significato: « Cosa cazzo vuoi che me ne
freghi
della Mew Aqua, perché state sprecando quei rilevatori in questo
momento!? »
« Non hanno la stessa
funzione, non
sarebbero utili, » replicò stoico Pai, « Datti una calmata. »
Un altro paio di
insulti, il verde che
compì qualche passo nella stanza passandosi una mano tra i capelli: « E
se la
barriera di Taruto interferisse con le ricerche? »
« Aizawa ha con sé il
nostro connettore, la
sua tecnologia è logicamente compatibile. »
« Idem il suo
pendaglio, li abbiamo
modificati apposta, così come Masha non vi avverte più come pericoli, »
aggiunse Ryou, il cui tono di voce almeno traspariva dispiacere.
« Allora usciamo, »
Purin s’intrufolò tra
Retasu e Zakuro sulla soglia, stringendo i pugni lungo i fianchi, « È
già
abbastanza tardi e il temporale è finito, dividiamoci e cerchiamo Minto
nee-san
di persona. A costo di andare a prendere il suo cane e fargli annusare
tutta
Tokyo. »
Né Pai né Shirogane
apparvero entusiasti
all’idea di allontanarsi dalle loro compagne, ma ebbero il buonsenso di
non dar
voce ai loro pensieri.
« Contatto radio ogni
quindici minuti.
Venti massimo. »
Ichigo alzò gli occhi
al cielo all’ordine
del maggiore dei tre fratelli: « Vale la stessa cosa per voi. Appena si
accende
una lucina, fatecelo sapere. »
« Kisshu nii-san, io
vengo con te. »
« Faccio prima a
volare, scimmietta. »
« Niente storie, in
caso mi porti in
spalla, andiamo. Tutti fuori tra un quarto d’ora. »
Ryou
lanciò uno sguardo a Ichigo, divertito dall’improvvisa presa di comando
di
Purin, e la rossa ricambiò piegando un angolo della bocca.
« Be
careful, ginger. »
Lei lasciò un bacetto
sulla sommità della
testa di Kimberly e annuì, intimandogli lo stesso con gli occhioni
color
cioccolato prima di correre indietro.
Possibile che fosse
ancora notte? Quanto
tempo era passato? O era anche quello tutto un trucco?
Minto stirò piano le
gambe ed esalò
sofferente: aveva ceduto a un sonno tormentato per qualche ora,
rimanendo
seduta con la nuca poggiata al muro e condannando così le sue membra a
una
dolorosa scomodità che le aveva irrigidite moltissimo.
Continuava a sentirsi
l’umidità fin nelle
ossa, nonostante la coperta che le aveva concesso un po’ di tregua
durante la
notte; almeno la ciotola di cibo aveva smesso di tentarla con il suo
profumino
e ora giaceva intoccata e triste lì dov’era comparsa.
Solo quello e la
consapevolezza di essersi
addormentata le davano certezza che il tempo era passato, ma non sapere
quanto
le provocava ancora più angoscia di quanto già non provasse. Dietro le
tende,
aldilà degli spessi vetri, continuava a vedere solo quella maledetta
nebbia di
origine indefinita, e la stanza sembrava aver perso poche tonalità di
buio.
Non
può essere ancora notte, non può
durare così a lungo.
Anche il rombo del suo
stomaco le dava
sicurezza che fossero trascorse ore, ma una parte di sé si chiedeva
davvero se
volesse esserne felice. Per quanto avrebbe resistito? Senza mangiare,
senza
bere, senza cedere fisicamente e psicologicamente. E inoltre… se i suoi
amici
non l’avevano trovata subito, quanta speranza c’era che con il
trascorrere dei
secondi, dei minuti, potessero compiere passi avanti?
E se fossero passati
giorni? Se ne
sarebbero forse accorti, a casa? Se per caso Seiji fosse tornato di
sorpresa
prima del previsto, avrebbe trovato strana la cosa? A qualche domestico
sarebbe
venuto un dubbio non vedendola tornare, non avendo lei dato indicazioni?
E se le sue amiche
avessero coperto la sua
scomparsa così bene?
Un singhiozzo le
risalì lungo la gola e
strinse le dita guantate tra loro, un po’ per darsi coraggio un po’ per
riscaldarle:
proprio per questa incertezza doveva almeno cercare di mantenere i
nervi saldi,
far durate la sua psiche il più possibile.
Non l’avrebbero mai
abbandonata, di questo
era più che sicura. Non doveva pensare ad altro. Non doveva neanche far
entrare
il pensiero che se non avessero fatto in tempo…
« Non te l’ha mai
detto nessuno che
immolarsi per la causa è una scelta futile? »
Solo il terrore che le
stringeva la gola le
impedì di strillare a pieni polmoni.
Sobbalzò visibilmente
e si rannicchiò
ancora di più contro il suo angolo quando gli occhi blu misero
finalmente a
fuoco la figura che era comparsa senza un suono sull’uscio della porta.
« E non te l’ha mai
detto nessuno che non
si spreca il cibo? »
Kert le si stagliava
in fronte e aveva
appena accennato con divertito fastidio alla ciotola ancora piena ai
suoi
piedi. La stava scrutando con curiosità quasi clinica, con un paio di
occhi
dalle iridi dorate che parevano catturare la poca luce presente nella
stanza.
L’alieno sospirò e
scosse la testa, facendo
qualche passo avanti: « Non è da tutti gli ostaggi ricevere un
trattamento
simile, sai? Vitto, riparo, addirittura un letto e una coperta. Non che
sia
stata tutta una mia idea, ovviamente, ma è frustrante vederli ignorati.
E,
appunto, scegliere di non mangiare per dimostrare qualcosa di solito si
dimostra controproducente. »
« Cosa vuoi? » la voce
le uscì flebile e
roca, e molto più tremante di quanto avrebbe voluto, « Cosa vuoi da me?
Perché
sono qui? Perché darmi questo se poi… »
Le parole le morirono
in gola mentre un
altro singhiozzo faceva capolino e lacrime traditrici le bagnavano le
guance.
« Piangere non farà
altro che disidratarti
di più. Il che non ti conviene, se hai intenzione di continuare. »
Minto digrignò i denti
e lo guardò con odio:
« Cosa vuoi da me?! » ripeté stridula.
Kert le si avvicinò
ancora, e lei si
ritrasse d’istinto il più possibile contro al muro, all’improvviso
conscia di
quanta pelle il suo costume le lasciasse scoperta. Si fermò poi a pochi
passi
da lei e le si accucciò davanti, continuando a scrutarla con vivo
interesse:
« Intanto partirei con
il tuo nome,
uccellino. Poi gradirei che, da brava ospite, tu faccia ciò che ti
dico. »
« Crepa. »
Lui rise a bassa voce,
un rombo profondo
nel petto: « Dubito che quello sia il tuo nome, con quel faccino
carino. »
La mora si premette
ancora di più contro la
parete, ma lui rimase fermo. Era così imponente anche praticamente al
suo
livello, ma c’era qualcosa nel suo aspetto che le sembrava stridere con
la sua
attitudine generale. Portava lunghi i capelli color ghiaccio, con un
solo lato
rasato, e se in battaglia l’aveva visto coperto da parabraccia e
gambali di
metallo e guanti chiodati, ora indossava una morbida maglia a maniche
lunghe
dal cui scollo poteva scorgere con facilità dei complessi tatuaggi che
gli
decoravano dalla spalla sinistra in giù.
« Allora, uccellino?
Puoi dirmi chi siete
tu e le tue amiche? »
« Scordatelo, » sibilò
Minto con livore, «
Puoi riprenderti il tuo cibo, puoi anche riprenderti questa, ma io non
ti dirò
assolutamente nulla, lurido codardo! »
Kert gettò la testa
all’indietro e rise di
gusto mentre la coperta atterrava ai suoi piedi: « D’accordo,
uccellino. Vuoi
dimostrare di avere fegato, è molto nobile da parte tua. »
Afferrò il panno e si
alzò con estrema
lentezza, continuando a scrutarla proprio come fa un gatto con la preda
anche
mentre si avviava verso la porta: « Vediamo se sarai dello stesso
avviso anche
tra un paio d’ore. »
Chiuse la porta dietro
di sé, e dopo tre
secondi udì con estrema chiarezza il fracasso della ciotola che vi si
spiattellava contro.
Queste
umane sono più complesse di
quanto avrei pensato, ponderò tra sé e sé, tirandosi
la coperta sopra una spalla; era incuriosito dalla caparbietà di quella
che non
gli pareva più che una ragazzina, e una parte di sé provava fastidio
per la
questione. Avrebbe preferito poter toglierle tutte di mezzo senza stare
a
chiedersi quale fosse la storia dietro.
« Nessun risultato? »
Zaur lo accolse nel
salone con la solita
mancanza di emozioni, la domanda sincera pur avendo osservato tutto dal
monitor.
« Sembra più convinta
di quanto pensassi. »
L’alieno dai capelli
neri sollevò solo un
sopracciglio nel vedere il sorrisetto dell’amico: « Hai qualcosa in
mente? »
Kert continuò a
ghignare: « Hai voglia di giocare
un po’? »
L’aveva
sentita perché si era messa ad
aprire i cassetti della cucina e a frugare tra le posate con una foga
che non
si addiceva per niente allo stato di donna dell’alta società che tanto
sventagliava ai quattro venti. Lui aveva sfogato la risata prima di
scendere di
sotto: sapeva benissimo che il suo orgoglio le impediva di dirlo
chiaramente,
ma tutti quei rumori non erano certo casuali ed erano funzionali
soprattutto ad
attirare l’attenzione.
Lui
aveva fatto tutto apposta, dopotutto.
«
Hai già deciso di far cambiare a
Shirogane l’arredamento della cucina, visto quanto lo stai
distruggendo? »
Minto
non si era neanche girata quando
lui l’aveva schernita dall’uscio della porta, una spalla poggiata con
nonchalance al muro e le mani in tasca.
«
Ikisatashi. »
«
Oh, addirittura, » Kisshu sogghignò e
azzardò un paio di passi avanti, « Pensavo avessimo superato la fase
del
cognome. »
«
Pensavi male, » la mora chiuse il
cassetto con un movimento di bacino – che non passò inosservato – e si
spostò
dall’altra parte della cucina per avvicinarsi al bollitore, già
borbottante e
pronto a riempire la teiera.
Lui
osservò la rigidità della sua schiena
con un sorriso soddisfatto e proseguì a tallonarla a passi lenti: « È
andato
bene il proseguimento della festa? »
Percepì
con chiarezza il moto di stizza
che attraversò la ragazza mentre trasferiva una dose abbondante di tè
nell’infusore, il sopracciglio destro che s’inarcò di getto: « Non vedo
come
possa interessarti. »
«
Hai ragione. Dopotutto credo di aver
partecipato al momento più… eccitante di tutti. »
Il
cucchiaino che Minto aveva stretto
tra le dita fino a quel momento divenne un proiettile letale che lui
riuscì a
schivare solo grazie alle capacità extraterrestri, ridendo con fin
troppo gusto
all’espressione sconvolta e irata di lei.
«
Non so come funzioni il tuo cervello o
quali siano i costumi della tua gente, ma io non
mi
faccio certo abbindolare da uno che mi bacia dal nulla e poi sparisce
per i due
giorni successivi! »
Kisshu
mise da parte l’offesa per quella
sottolineatura della sua gente e rise a
bassa voce:
« Abbindolare? »
«
E che per di più trova piacere in
certe… bassezze degne del più volgare cafone! »
«
Perché non ti è piaciuto essere
baciata, » lui raccolse la posata da terra e gliela porse,
avvicinandosi di
nuovo, « Non mi è sembrato di divertirmi solo io. »
Fu
con estrema soddisfazione che vide il
suo nasino adorabile tingersi di rosso mentre lei riportava
l’attenzione sulla
propria bevanda: « Bene, spero che ti sia divertito abbastanza perché
sicuramente non ricapiterà. »
«
Mmmhm, » Kisshu le si accostò
abbastanza da sfiorarle la spalla con il petto, « In effetti neanche tu
mi hai
cercato per ben due giorni. Forse sono oltremodo offeso di essere stato
usato
come svago durante la tua prima ubriacatura ufficiale. »
Minto
quasi si strozzò con il sorso che
aveva preso e tossicchiò un paio di secondi prima di guardarlo con
sconvolto sdegno:
« Che… che cosa stai… tu vaneggi! »
«
Tra i costumi
della mia gente, come dici tu, » proseguì, attorcigliandosi un
boccolo nero
attorno al dito, « C’è anche l’usanza, tra le ragazze, di… esprimere
quello che
vogliono. Non aspettare sempre che sia lui a fare il primo passo. O il
secondo.
»
La
mora sbuffò e storse il naso: « Buon
per loro, perché non vai – »
Kisshu
le sfiorò di nuovo il labbro con
il pollice e lei si zittì, assecondando il movimento di lui che le fece
inclinare la testa.
«
Io cerco te, tu cerchi me, tortorella.
È così che dovrebbe funzionare. »
«
Tu sei… assolutamente insopportabile.
»
«
Idem. »
Le
sorrise un’ultima volta e poi ghermì
le sue labbra prima che potesse replicare, beandosi di poter avvertirla
schiuderle subito e riuscire a gustarla meglio, con più calma. Erano
settimane
che gli frullava quell’idea in testa, quella voglia di scoprire di più
cosa ci
fosse sotto tutti quegli strati protettivi da algida principessina che
si era
costruita attorno.
Quella
voglia semplicemente di sentirla.
Io
cerco te, tu cerchi me.
È
così che dovrebbe funzionare.
« Nii-san, non è che
potresti rallentare?
Mi stai facendo venire il mal di mare. »
Kisshu batté le
palpebre un paio di volte;
il peso di MewPurin sulla schiena lo riportò alla realtà, mentre
continuava a
volare nel cielo di Tokyo alla ricerca di un qualsiasi segnale che non
sapeva
più cosa fosse.
La mewscimmia aveva
cercato di tenere il
suo passo per il primo paio d’ore, correndo poco sotto di lui e
saltando di
palazzo in palazzo con l’agilità e l’energia che la
contraddistinguevano, ma
tra gli eventi della sera precedente e la nottataccia, la stanchezza
l’aveva
assalita più in fretta del solito.
Non sapeva nemmeno lui
come aveva fatto a
farsi convincere a prenderla a cavalluccio e già poteva immaginarsi la
bizza di
Taruto, spedito a dar manforte alle altre, ma la biondina non ne aveva
voluto
sapere né di abbandonarlo per tornare al Caffè né di fare una pausa
abbastanza
lunga per recuperare.
Non che la loro
ricerca fosse così
fruttuosa: avevano ormai battuto quasi l’intera zona del porto e non
avevano
trovato assolutamente nulla. Pure il congegno che in teoria avrebbe
dovuto
identificare una barriera protettiva o una dimensione parallela era
rimasto
sempre muto, così come il pendaglio di Purin o quel “sesto senso
animale” che
lei millantava si sarebbe attivato per l’amica in pericolo.
Anche solo credere che
Minto non fosse in
pericolo gli sembrava un’idiozia grande quanto un palazzo.
« Tra un po’ dovremmo
tornare alla base, »
esclamò ancora MewPurin, guardando il misero sole dietro le nuvole
grigie, « È passata
l’ora di pranzo da un pezzo, dobbiamo rifocillarci o non avremo la
forza di
continuare. »
Possibile che
persistessero a parlargli di
cibo?
« Se vuoi ti riporto
indietro, ma io non mi
fermo. »
Le braccia sottili
della ragazza si
strinsero attorno al suo collo: « Nii-san… guarda che Ichigo nee-san
aveva
ragione, stamattina. »
« Felice che la
gattina abbia il vostro
supporto. »
« Non fare
l’antipatico, siamo tutti
preoccupati per Minto nee-san. Questi nuovi nemici sono… nemici. »
« Non eri tu quella
che diceva che bastava
rimettersi in forma? »
« E continuo a
sostenerlo, però forse un
po’ più in forma di quanto immaginassi. »
Gli scappò uno sbuffo
divertito e rallentò
ancora un po’: « Avverti qualcosa? »
« No, » MewPurin
scosse la testa e continuò
a guardarsi intorno, « Sarebbe carino brillare come con la Mew Aqua.
Secondo te
quel segnale di oggi ha qualcosa a che fare con questo? »
« Non lo so, ma non
credo. Quando li
abbiamo incontrati la prima volta sembravano non saperne niente. A meno
che non
abbiano trovato qualche maniera per studiarla, ma senza averla mai
incontrata
prima… »
MewPurin sospirò così
forte che gli si
mossero i capelli della nuca, e poi gli si accoccolò più contro, un po’
per
cercare un po’ per dare conforto: « Che casino allucinante, nii-san. »
Lui avrebbe usato
parole decisamente meno
eleganti.
«
Sai che non ci sono cani su Duuar? »
L’affermazione,
così improvvisa e
bizzarra, le fece sollevare di scatto gli occhi dalla pila di riviste
che stava
organizzando per gettarle via. Kisshu era spaparanzato sul divanetto
della sua
stanza e giocherellava con Mickey, un po’ troppo bruscamente per come
lei
preferiva, ma il cagnolino sembrava starsi divertendo un mondo.
«
I cambiamenti climatici del nostro
pianeta non sono stati molto clementi con gli animali, se non con
quelli che
riuscivano a vivere sottoterra come ha dovuto fare il nostro popolo o
altri
molto più resistenti. Quindi piccoli esserini abbastanza disgustosi, o
bestie
molto pelose con poca voglia di essere addomesticati. »
Minto
fece una smorfia poco convinta e
si avvicinò al divanetto, Mickey che le abbaiò felice un paio di volte
scodinzolando con veemenza e pretendendo coccole anche da lei. Durante
quel
mese che avevano passato progressivamente sempre più insieme, Kisshu
aveva
iniziato a raccontarle del suo pianeta d’origine più spesso, e lei era
affascinata da quelle storie, dalle differenze tra i loro popoli ma
anche dalle
più strambe similitudini.
«
Uno dei riti di passaggio all’età
adulta era – o meglio è, anche se tecnicamente sarebbe illegale adesso
–
riuscire a catturare un létide a mani nude.
Una
specie di lanosa lucertola con un enorme dentone davanti e acuminati
artigli
velenosi. La cicatrice sul polpaccio è un regalino di quello che ho
preso io. »
Minto
gli scoccò un’occhiataccia e poi
gli scostò le gambe così che lei si potesse sedere: « Possibile che
ogni cosa
che mi racconti finisca con te che ti fai del male o con te tra le
braccia di
qualcuna? »
«
Queste sono illazioni false e
malefiche. »
«
Ah, e qual era la storia del
bernoccolo causa chetichella via da una finestra? »
«
Ovviamente il bernoccolo mi ha fatto
dimenticare tutto. »
Lei
rise poco divertita mentre anche lui
si metteva seduto e le rivolgeva un’espressione totalmente innocente
prima di
tirarla a sé per la nuca, affondando la mano nei suoi boccoli scuri;
Minto lo assecondò,
schiudendo le labbra per sospirare contro di lui. Fu quasi naturale far
sgusciare la mano sotto la sua maglietta quando gli si portò più
vicina,
tracciando leggera i contorni dei suoi muscoli che aveva imparato a
distinguere
in quelle settimane.
Quando
però avvertì la pelle più spessa
sotto i polpastrelli, Minto s’irrigidì d’improvviso e si scostò lenta,
quanto
le permetteva il pugno di lui ancora tra i suoi capelli.
Kisshu
cercò di incrociare il suo
sguardo e le prese delicatamente il polso con la mano libera: « Che
c’è? » le
domandò sottovoce.
La
mora continuò a fissare il profilo
delle sue dita sotto la maglietta: « Di questa non ne
abbiamo mai… parlato. »
Kisshu
le sfiorò il dorso della mano con
il pollice: « Di cosa? »
«
Di… lei. »
«
Vuoi dire la cotta per la tua amica
che mi è passata ben prima che si innamorasse e si facesse mettere
incinta da
un altro? »
Minto
gli scoccò un’occhiata feroce, poi
sospirò: « Non la chiamerei proprio cotta. »
Lui
le scostò tutti i capelli dalla
spalla così che potesse avere totale libero accesso al suo collo: «
Dettagli
semantici, » mormorò appena sotto al suo orecchio, « E per me ne
abbiamo anche
parlato abbastanza. »
Lei
alzò gli occhi al cielo, imponendosi
di ignorare il piacevole brivido dato dalle labbra di lui contro la sua
pelle;
non riteneva certo quel paio di chiacchiere vaghe (due su tutte quella
sera
dell’agosto precedente al mare o appena dopo la notizia del pargolo in
arrivo)
come un aver affrontato l’argomento Ichigo.
«
Kisshu, dai. »
«
Non c’è nessun dai, tortorella, »
insistette lui, scendendo deciso verso la sua
clavicola, « Lo sai benissimo che non ci sarà mai nessun’altra che può
competere con lei. »
Minto
avvertì il proprio corpo
raggelarsi subito mentre il cuore prendeva a battere come impazzito.
«
Scu-scusami? »
«
Ma ovvio, per lei sono morto. Non
amerò mai nessuna donna come amo Ichigo, » la mano di Kisshu lasciò la
sua per
posarsi sulla sua coscia, « Ma visto che nel frattempo lei si è fatta
una vita,
devo trovarmi delle distrazioni appetibili. »
Lei
tentò di scrollarselo di dosso, i
polmoni che parevano non voler accogliere più aria: « Tu… tu… io non
sono una…
! »
«
Oh, andiamo, dici sul serio? Non puoi
certo pensare che possa provare le stesse cose per te! Finché è
divertente va
bene, ma poi… »
Minto
lo spinse di nuovo via, tentando
invano di incanalare ossigeno. Le girava la testa, il suo intero corpo
tremava.
Cosa?
Non
respiro.
Non
respiro.
Non…
Aprì gli occhi di
scatto e si tirò a
sedere, il cuore che galoppava contro la gola e le mozzava il fiato.
Crollò
sulle ginocchia l’istante successivo, i palmi delle mani che
stridettero alla
pressione con cui sbatterono sul pavimento, lo stomaco che si sforzò
per
rigettare assolutamente il vuoto.
No, non era così che
andava quel ricordo.
Non era stato un ricordo, era…
Tossì e boccheggiò di
nuovo, grata che non
avesse mangiato nulla ma al tempo stesso dilaniata da quel bruciore, da
quelle
schegge nel cuore, dai brividi che parevano non lasciarla andare.
Un incubo, si ripeté
mille volte, era stato
solo un incubo. Non era reale. Non era andata così.
Ma faceva male lo
stesso.
Si raggomitolò sul
pavimento gelido e prese
di nuovo in mano il pendaglio, singhiozzandoci contro: « Kisshu?
Ragazze? »
Non la raggiunse
nemmeno la staticità.
« Ricordami di non
farti mai incazzare
troppo. »
Zaur rivolse uno
sguardo indefinito a Kert,
una scintilla di fierezza negli occhi neri come l’ebano. L’amico gli
diede una
pacca sulla spalla e si allontanò verso il divano.
Se
l’uccellino aveva tutta quella voglia di
sfidarlo, si sarebbe preso il suo tempo.
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Capitolo 14 *** ‘Cause you can be the beauty and I could be the monster ***
Chapter Fourteen – ‘Cause you
can be the beauty
and I could be the monster
Per l’ennesima volta, Pharart si rigirò
quel curioso aggeggio tra le mani. Sembrava legno, o forse qualche
materiale
sintetico creato dagli umani che lui non riusciva a identificare? Non
era
neanche più grande di un suo palmo, eppure l’aveva visto con certezza
lanciare
dardi precisi e potenti.
Con cautela, se lo portò vicino al viso,
osservando il cuore in cima e quelle alucce blu; chi mai decorava la
propria
arma in quella maniera? Che efficacia aveva? C’era qualcosa di speciale
o era
solo scena?
Tentò poi di tirare le due code in fondo,
ma l’arco azzurro rimase assolutamente fermo. Afferrò una delle sue
frecce,
così più rozze a confronto con l’ornato arnese, ma non ci fu verso di
incastrarla, tantomeno di scoccarla.
L’unica spiegazione possibile è che
quell’arma dipendesse esclusivamente dai poteri della ragazza ora
chiusa nell’altra
ala di quella enorme e vuota casa. Sperava solo che, con tutto quel
trambusto
che aveva combinato, Kert riuscisse effettivamente a capire cosa
fossero
i loro poteri.
« Fatto progressi? »
Rui gli porse una bottiglia di vetro colma
d’acqua – accuratamente filtrata e analizzata dai loro sistemi, non
poteva
ancora credere che gli umani riuscissero a bere quella robaccia senza
soccombere
– e Pharart scosse la testa.
« Se lo uso io, è assolutamente inutile, »
borbottò scontento, agitando l’arco di MewMinto come se fosse un
giocattolo
rotto, « Deve essere legato a lei esclusivamente. »
« Mmmhm, » il suo comandante annuì pensoso
e si gettò sul divano con uno sbuffo, « In battaglia sembrava più
grande. »
« Vero? È come se non si attivasse in mano
altrui. Il che non mi è molto utile. »
Rui si passò stancamente una mano sul
viso:
« Questa idea mi sembra sempre più folle. »
Pharart lo guardò di sottecchi: « Espera? »
Gli arrivò in risposta solamente
un’occhiataccia e un grugnito che gli ricordarono come, nonostante
tutto, lui e
Kert fossero decisamente fratelli.
La doccia era così bollente che
probabilmente si sarebbe ustionato, infierendo ancora di più sulle
cicatrici
che gli costellavano la pelle, ma non gli importava: era l’unica
maniera di
attutire l’angoscia sorda che provava e che gli ottundeva la mente.
Avevano
passato tutta la giornata a setacciare Tokyo quartiere per quartiere,
senza
ottenere nessun tipo di risultato.
Minto sembrava sparita dalla faccia della
Terra.
Digrignò i denti e diede un pugno alle
piastrelle della parete, desiderando solo affogare sotto l’acqua.
Non sopportava più nessuno.
Non sopportava più i volti tesi, le
espressioni preoccupate, gli occhi che lo scrutavano con apprensione e
compassione.
Non sopportava averli sempre intorno, con
i
loro bisbigli, mugolii, le loro lacrime ormai secche.
Lei era sua, e lui
l’aveva delusa.
Non l’aveva protetta a dovere come le aveva promesso, e di
nuovo…
S’impose di pensare che non sarebbe andata
in quella maniera, non una seconda volta. Non avrebbe resistito, non
doveva
nemmeno palesare quell’eventualità.
La pelle sopra al cuore tirò con rinnovata
decisione e lui la sfregò così forte da procurarsi un’escoriazione.
Non avrebbe permesso nemmeno a sé stesso
di
arrendersi o darsi per vinto.
Chiuse il getto d’acqua e uscì in una
nuvola di vapore, non curandosi di asciugarsi i capelli e re-indossando
i
vestiti di quel giorno. Il chiacchiericcio del piano di sotto lo
raggiunse
subito e lui ringhiò sottovoce, virando per la camera da letto solo per
trovarsi Taruto che gli sbarrava l’ingresso.
Kisshu, le mani nella tasca della felpa e
il cappuccio tirato su, scrutò il fratello minore con astio, senza dire
una
parola finché non fu il più giovane a sospirare e cedere:
« Non ci possiamo anche preoccupare per
te,
sai? »
« Non ve l’ha chiesto nessuno. »
« Non è così che funziona. »
« Cos’è, ti sei trovato la ragazza e
adesso
sei un esperto delle relazioni sociali? » il verde schioccò la lingua
con
sarcasmo e lo oltrepassò senza risparmiargli una spallata, « Vi state
concentrando sulle cose sbagliate. »
« Kisshu, » Taruto ruotò sul posto e lo
guardò con sincera ansia, « Non credere che non sappia com’è andata
l’ultima
volta. »
Lui si raggelò sul posto, ma non si voltò:
« Cosa mi stai dicendo? Che devo prepararmi al peggio? Che è tutto
inutile? »
« Assolutamente no. Ma i tuoi colpi di
testa non hanno mai - »
« Senti, vaffanculo, » Kisshu si girò di
scatto per ringhiare rabbioso, « Se avessero portato via Purin, sarei
in giro
con te a cercarla, non a farti la predica. »
Taruto fece un passo avanti, quel che
bastava per far valere quei pochi millimetri di cui lo superava: « E
sono
disposto a stare di nuovo fuori tutta la notte, se è quello che vuoi,
ma ti sto
dicendo di non perdere la calma. »
Kisshu fece schioccare la lingua: « Sei
solo un moccioso del cazzo, » sibilò con cattiveria, « E non ne sai un
cazzo, nessuno
di voi sa un cazzo di cosa voglia dire. »
« So cosa vuol dire perdere un fratello. »
Il più giovane non seppe se fu più shock
al
commento o improvvisa realizzazione a sbiancare il viso del verde: in
ogni
caso, Taruto decise di non rimanere ad aspettarlo – o di risparmiarlo
almeno un
po’ – e fece dietrofront per tornare al piano di sotto.
Le altre ragazze avevano volti più
stravolti della sera precedente, l’ansia e la stanchezza per quella
giornata di
futili ricerche che gravavano come dieci anni in più nei loro sguardi,
ma
persistevano nel creare un muro compatto e deciso contro Keiichiro e i
suoi
tentativi di convincerle a riposarsi tra mura più confortevoli.
« E se succedesse qualcosa proprio adesso?
» stava contestando a gran voce Purin, arrotolandosi la punta della
lunga coda
bionda attorno al polso, « Proprio quando non ci siamo? Perderemmo del
tempo,
e… »
« Lo perdereste comunque, se non foste in
condizionali ottimali, » la interruppe Pai, « Tra i vostri poteri e il
nostro
teletrasporto, riusciamo in ogni caso a radunarci in pochissimo tempo.
E per
essere efficaci, bisogna essersi riposati. Questo vale anche per te. »
Taruto guardò appena sopra la spalla, alla
figura di Kisshu, poggiato svogliatamente contro la scala, che quindi
si era
deciso a unirsi a loro; il cappuccio ancora tirato sopra la testa, non
diede
nessun cenno di aver dato ascolto al maggiore dei tre.
« Come… come pensate di… ? »
« L’opzione migliore, a questo punto, »
alla
domanda abbozzata di Retasu, Shirogane sospirò, ignorando di proposito
lo
sguardo di Kisshu, « È aspettare che si facciano vivi loro. Non
vuol
dire che smetteremo di cercarla, » aggiunse veloce, udendo il pigolio
smorzato
di Purin, « Ma presumo che vogliano un… risultato dalle loro azioni. »
Fu Zakuro, questa volta, a digrignare i
denti: « Se vuoi essere ottimista. »
Ichigo sussultò visibilmente al non detto
di quella frase, ma l’americano scosse solo la testa: « Non ha senso
continuare
a disperdere energie preziose vagabondando per tutta Tokyo. I nostri
sistemi
non funzionano come vorremmo ma sono il metodo più efficace che
abbiamo, voi
dovete conservare le forze. »
« Ed essere pronte a tutto. »
Il sussurro ironico di Kisshu raggelò la
stanza, e la mewlupo non si esimé dal lanciargli un’occhiataccia di
castigo.
« Andate a casa nostra, » le invitò
Shirogane con uno sguardo invitante verso la moglie, « C’è spazio per
tutte, e
sarete tutte insieme. Così da raggiungerci più in fretta. »
« Nel frattempo, io e Taruto studieremo
una
maniera per estendere le sue barriere anche alle vostre abitazioni,
senza che
lui debba essere necessariamente presente. Sappiamo che i nostri nemici
possono
trovarci, però sappiamo anche che è una protezione certa. Così da
essere più
sicuri. »
Retasu tremolò palesemente al pensiero ma
tentò di annuire con convinzione: « In ogni caso, domattina torniamo.
Riposatevi anche voi. »
« Vuoi venire con noi, nii-san? »
Purin sembrava al tempo stesso invecchiata
e ringiovanita di cinque anni, e si rivolse a Kisshu con un filo di
voce.
« Forse sarebbe il caso, » suggerì con
forza Pai prima che lui potesse rispondere, « Per non lasciarle da
sole. »
Una smorfia di pura rabbia trasformò il
viso del verde, probabilmente in uno sforzo per non prendere a male
parole il
fratello a quel commento, e lui si limitò a ridacchiare in maniera
derisoria
prima di ritornare al piano di sopra senza aggiungere altro.
Il viola sospirò udibilmente e si scambiò
solo uno sguardo con Taruto prima, e con Retasu poi.
« Lasciarlo stare forse è meglio… »
sussurrò la Mew verde, seguendolo con gli occhioni blu pieni di
preoccupazione,
« Non è un’idea che mi piace, ma verrà lui quando ne avrà bisogno. »
Il più giovane degli Ikisatashi avrebbe
avuto molto da ridire a quell’affermazione, ma decise che fosse un vaso
di
pandora da non aprire in quel momento. Gettò la testa all’indietro e
sospirò,
prima di allungare un palmo verso le ragazze: « Volete un passaggio? »
Zakuro si avvicinò dopo aver lanciato uno
sguardo d’ammonimento ai ragazzi: « Cercate di non peggiorare la
situazione. E
gradiremmo aggiornamenti puntuali. »
Pai la guardò di sbieco, sentendosi
francamente scimmiottato, ma decise di tenere chiusa la bocca e si
limitò ad
annuire, guardandole tutte prima che svanissero in un soffio.
Il rombo del suo stomaco la ferì molto più
che le membra intirizzite, riempendola di vergogna: il suo corpo non
stava
collaborando. Nonostante tutti i mantra che si stava ripetendo di non
cedere,
di non dare ai suoi nemici nessuna soddisfazione, poteva fare ben poco
contro
le più basilari necessità, come quella di mettere qualcosa sotto i
denti dopo
più di ventiquattro ore.
O almeno pensava fossero passate più di
ventiquattro ore. Aveva completamente perso l’orientamento, la sua
stanza
sempre avvolta dalla penombra pesante, e tutta la sua concentrazione
era
dedicata a non addormentarsi.
Perché non voleva rivedere ciò che aveva
visto prima. Non voleva provare di nuovo quella orribile sensazione di
ghiaccio
sulle membra, di una nebbia ancora più densa che le stringeva la
trachea e le
bruciava lo stomaco.
Non voleva che di nuovo un suo ricordo si
trasformasse nella realizzazione di uno dei suoi incubi peggiori.
Rabbrividì del freddo per l’ennesima volta
e scosse la testa: era conscia della sua famosa caparbietà, ma poteva
fare ben
poco contro la stanchezza, la fame, la sete, il martellare incessante
alle
tempie dato forse da ciò che stavano combinando con la sua testa e da
tutti i
fattori della situazione.
Perché lo sapeva che in una qualche
maniera
loro dovevano centrarci.
Respirò e si impose di ignorare l’angoscia
che ancora le fece rimpicciolire il cuore: perché le ragazze non erano
ancora
arrivate? Perché il suo trasmettitore continuava a rimanere muto, senza
nemmeno
un pigolio di Masha?
Era certa che stessero facendo tutto il
possibile, eppure ogni minuto che passava la rendeva più e più nervosa.
Se nemmeno gli strumenti degli Ikisatashi
riuscivano a superare chissà quale congegno geota…
Se nemmeno Kisshu…
Affondò la fronte contro le ginocchia e
sibilò tra i denti.
La prima cosa che avrebbe fatto, quando
(mise un pesante accento sulla parola) sarebbe uscita da lì, sarebbe
stato stringerlo
a sé per inalarne l’odore che ormai significava casa.
La seconda cosa che avrebbe fatto sarebbe
stata prenderlo a cazzotti per averle nascosto tutta la storia dei loro
nemici
e indirettamente ritardare qualsiasi preparazione che le Mew Mew
avrebbero
potuto affrontare.
Perché se gliel’avesse detto, se l’avesse
almeno accennato, forse lei non si sarebbe ritrovata in quella
situazione.
Forse sarebbe stata più preparata, più in forma, più a suo agio con i
poteri
ritrovati e la mobilità delle sue piume.
Forse almeno sarebbe riuscita ad assestare
un calcio come si doveva là dove non batteva il sole a quel maledetto
del suo
rapitore.
Capiva, certo, che c’era una catena di
comando e strani funzionamenti militari di mondi letteralmente alieni –
ma non
condivideva assolutamente il ragionamento.
Se davvero non aveva mai voluto metterla
in
pericolo volontariamente, come le aveva detto…
Fletté le dita intirizzite dentro ai
guanti: non aveva senso ora prendersela con Kisshu, non avrebbe certo
cambiato
le sue sorti. Sperò solo che non stesse perdendo la speranza, che non
stesse
facendo qualche stupidaggine troppo azzardata e rischiosa come suo
solito.
Sperò che la onee-sama – ah, la onee-sama, doveva star morendo di
preoccupazione, e con lei Ichigo e la sua esagerazione… – lo stesse
tenendo
sotto controllo.
Non riusciva a percepire nemmeno un
rumore,
si domandò se i geoti fossero almeno in quella specie di casa, pregò
che non
avessero attaccato le ragazze mentre lei era lì, i due fronti ancora
più
squilibrati del solito…
Il suo corpo tremò un’altra volta e lei si
rannicchiò il più possibile su se stessa, tentando di respirare a pieni
polmoni. Si era ripetuta così spesso di non perdere la testa che temeva
l’avrebbe persa lo stesso per quello sforzo.
Un soffio più gelido le sibilò vicino
all’orecchio e lei strinse di più le palpebre.
Non perdere la testa.
Tranquilla.
Tranquilla.
Respira.
Non è…
« Minto cara, non c’è bisogno di
infervorarsi. Lo sai che non è particolarmente elegante mostrare tutte
queste
emozioni. Perdere la testa è per le isteriche. Non vuoi certo passare
per
isterica. »
La complessa acconciatura di sua
madre
spuntava appena dal collo di pelliccia che si stava aggiustando con
attenzione
allo specchio dell’ingresso.
Minto sbatté le palpebre per
ricacciare
indietro le lacrime di stizza: « È la prima de Lo Schiaccianoci. Mi
avevate
promesso che – »
« Oh, tesoro, ma ormai l’abbiamo
visto
così tante volte, » rovistò nella borsetta alla ricerca della perfetta
sfumatura di rosso con cui dipingersi le labbra, « Non è la fine del
mondo se
lo saltiamo, quest’anno. »
La mora si conficcò le unghie nei
palmi,
cercando di non rendere evidente il respiro che prese: « Non avete
visto
nemmeno uno spettacolo, quest’anno. »
Sua madre roteò gli occhi in
maniera
evidente: « Su, cara, non fare la bambina. Io e tuo padre siamo
impegnati, anche
la nostra vita sociale fa parte dei doveri per continuare il successo
del
nostro marchio. Devi capire che tra un invito del sindaco per l’opera e
un tuo
spettacolino, c’è una scelta ottimale che dobbiamo prendere; non
possiamo certo
passare tutta la nostra vita a teatro. E stasera, la cena per la
Fondazione
Hanagyara è fondamentale. Lo facciamo anche per te, sai. E forse ad un
certo
punto sarebbe il caso che tu iniziassi a unirti a noi. Suo fratello fa
la sua
parte per questa famiglia. »
« Mio fratello ci lavora. Il mio
lavoro
è – »
« Quale lavoro? » la risatina
sarcastica
la ferì più di tutte le parole, mentre la vena sulla fronte della
signora
Aizawa si faceva più prominente, « Questo non è un
lavoro, mia cara. Questo è poco più di un hobby portato all’estremo. »
« Sono appena tornata da sei mesi
come
ospite all’Opéra di Parigi, » replicò lei, « Cosa dovrei fare,
diventare una
statuina da portare al braccio? In attesa del partito migliore a cui
essere
passata? »
« Nessuno ti sta dicendo che devi
smettere, » gli occhi ,dello stesso colore dei suoi ma al contempo così
diversi, si posarono di nuovo sul riflesso nello specchio, « Ma
semplicemente
di mettere le cose in prospettiva. Puoi continuare a ballare nel tempo
libero,
e intanto portare il tuo contributo. Non puoi pensare certo di fare la
ballerina per sempre, non sei più una bambina. È tempo di crescere. »
Minto esalò piano tra i denti.
Non
capivano, nessuno di loro capiva. Non riuscivano nemmeno a riconoscere
un
brivido del suo talento, della sua dedizione, del suo amore.
« Anche tuo fratello è d’accordo
con
noi. Non credi si senta un po’ in svantaggio, lui, così sempre dedito
al nostro
nome e successo? »
Il cuore le si scheggiò con un
rumore
immancabile.
Non era possibile, non Seiji,
lui… lui
non si perdeva neanche uno spettacolo, quando era a Tokyo, lui si
ricordava
sempre di mandarle un messaggio di buona fortuna, dei fiori in
camerino, lui…
« Sicuramente avrebbe piacere di
ricevere il tuo supporto in determinate occasioni, visto quanto
supporto dona a
te. »
Minto scosse la testa, ma aveva
la bocca
troppo secca per poter replicare qualcosa di utile. Notò la figura del
padre
scendere dallo scalone principale e avvicinarsi alla moglie quasi senza
prestare attenzione a lei, troppo impegnato a litigare con il costoso
cinturino
dell’orologio.
« Non vorrai certo attardarti,
cara. »
« Assolutamente no, stavo solo
facendo
quattro chiacchiere con Minto. Diglielo anche tu, caro, che non è più
il
momento di fare capricci. »
« Non abbiamo nemmeno il tempo di
pensarci, ad eventuali capricci. Seiji è già arrivato? »
Minto non poté evitare il
sussulto: suo
fratello… non le aveva detto che sarebbe tornato a casa, le aveva
scritto
dicendole che era rimasto bloccato in Indonesia per lavoro, che per
quello non
avrebbe partecipato…
« Sì, caro, è già alla
Fondazione. A
quanto pare la signorina Okamura è molto amichevole nei suoi confronti.
»
La risata profonda di suo padre
la
infastidì più del solito: « Ora capisco l’ardore di tornare a Tokyo
ogni
settimana. »
Un’ennesima scheggia nel suo
cuore: lei
non lo vedeva da quasi tre mesi, se invece era stato in città tutto
quel tempo…
« Minto, tu cos’hai intenzione di
fare
stasera? »
Glielo chiese con quel tono
indagatorio
che preannunciava che qualsiasi risposta non sarebbe stata
soddisfacente; lei,
che si stava sentendo più come un soprammobile che altro, prese un
respiro
profondo e dischiuse le labbra secche per parlare, ma sua madre fu più
veloce e
si lagnò decisa:
« Minto si è offesa perché
stasera ha
l’ennesimo suo spettacolino e non andremo a vederla, » si riaggiustò un
invisibile capello e ridacchiò, « Quanti problemi che ha la nostra
principessina, non credi? »
« Io te l’avevo detto di non
accontentarla troppo, » il padre s’infilò il cappotto e nemmeno la
guardò,
parlando di lei come se non fosse lì, « E poi seriamente, quel
calpestare
pesante in giro per il palco mi fa venire l’emicrania. Meno lo vedo,
meglio
sto. »
Almeno su una cosa era d’accordo
con i
suoi genitori.
Rimase ferma immobile, mentre
loro
continuavano con le loro chiacchiere insipide e fredde, senza degnarla
più di
attenzione. Il vento gelido di dicembre spazzò della neve dentro
l’uscio quando
i camerieri aprirono l’importante portone d’ingresso per farli uscire,
la
limousine già calda e confortevole alla fine delle scale.
Minto portò con sé il gelo per il
resto
della serata.
Tokyo non era mai davvero buia.
Forse era la cosa che più lo infastidiva
di
tutta quella città: la mancanza di un angolo remoto di quiete dove
ritirarsi,
da solo con i suoi pensieri, per alzare il naso al cielo e contemplare
l’infinito. Cercare casa tra le stelle e ricordarsi perché avesse fatto
la
scelta giusta. Disconnettere occhi e cervello dai milioni di stimoli e
riempire
i polmoni di aria.
Forse avrebbe dovuto rintanarsi sul monte
Fuji.
Appollaiato sul balcone di casa Shirogane,
Kisshu lasciò che il vento freddo di fine settembre gli scompigliasse i
capelli
ancora umidi. Aveva seguito le ragazze solo perché non poteva
sopportare di
rimanere al Caffè con i suoi fratelli e i loro tentativi – tutti a modo
loro –
di sostenerlo; le paladine della giustizia, almeno, avevano la decenza
di
lasciarlo stare, la maggior parte del tempo.
Sbatté le palpebre secche contro quelle
miriadi di lucine che sembravano volergli perforare la cornea e
continuò a
giocherellare con il contenuto delle sue tasche. Quando ne aveva
caricata una
scorta, in astronave, non aveva davvero creduto che gli sarebbero
servite, ma
aveva ceduto a quella vocetta malefica nel retro della sua mente.
Non che avesse mai creduto che sarebbe
arrivato fino a quel punto, eppure…
Udì il sibilo della porta finestra che
scorreva liscia e poi dei passi leggeri che lo raggiungevano in
silenzio.
« Anche tu come tuo fratello millanti di
non sentire freddo? »
Zakuro gli si rivolse con un briciolo di
ironia che lui si stupì accettare di buon grado, così come gradì la
tazza di
brodo bollente che gli porse.
« Non ho mai detto che non lo sento, solo
che ho una tolleranza diversa. »
« Mmhm, » la mewlupo gli si affiancò ma
continuò a guardare dritta davanti a sé, i capelli raccolti in uno
chignon
disordinato l’unica cosa che tradiva l’assurdità di quelle giornate, «
Certe
cose invece le tolleriamo alla stessa maniera, benché con reazioni
diverse. »
Kisshu scrutò per un istante il profilo
del
suo viso, l’ombra più scura intorno agli occhi: « Stai per farmi una
ramanzina
anche tu? »
« Non è nella mia natura, » replicò lei
stringendosi nelle spalle, disegnando con un dito il contorno della
propria
tazza, « Ma Minto si arrabbierebbe se sapesse che ti ho lasciato
perdere. »
Lui fece schioccare la lingua in uno
sbuffo
divertito, prima di prendere un sorso e lasciare che il liquido
bollente gli
rinvigorisse le vene.
« Sono fortunati se non ha già rivoltato
mezzo posto. Ovunque siano. »
Zakuro piegò appena le labbra: « Forse
qualche
anno fa mi sarei presa per folle, e forse è troppo facile attribuire
tutto il
merito al DNA del lupo grigio, ma credo anche che… sentirei, se le
fosse
successo qualcosa. »
Le dita ancora nascoste nella tasca si
contrassero da sole attorno al contenuto, unite alla mandibola di lui.
« Vorrei solo sapere che sta bene.
Sentirlo
detto da lei. E farle sapere che non l’abbiamo
abbandonata. »
« Sa benissimo che non l’abbandoneremmo
mai. »
« Più il tempo passa, meno ne sono
convinto
anch’io. »
Le iridi indaco della ragazza lo
trapassarono di rabbia: « È quando dici cose del genere, Kisshu, che mi
viene
da dubitare davvero da che parte tu stia. »
Lui fu attraversato da un brivido di
collera e rimorso: « Dalla parte che mi permette di non dover più
perdere la
donna che amo. Questa volta non… »
Zakuro tacque qualche istante, ritornando
a
fissare la notte che scendeva.
« Nessuno di noi ha intenzione di lasciar
perdere. E collaborare è l’unica maniera che abbiamo di salvarla. Siete
tornati
qui per questo d’altro canto, no? »
Kisshu le lanciò un’occhiata di sbieco
mentre tracannava l’ultima goccia di brodo: « Vuoi riaprire anche
quel
discorso, ora? »
« No, voglio sapere con cosa continui a
cincischiare in tasca. »
A lui venne spontaneamente da ridere: « Tu
e mio fratello avete parlato molto di più di quanto pensassi. »
« Cambiare discorso con me non funziona. »
« Neanche con Minto, » l’alieno si arruffò
il ciuffo di capelli e finalmente estrasse la mano dalla felpa,
rivolgendole il
palmo, « Probabilmente Pai ha esagerato la descrizione degli eventi. La
sua
ortodossia estrema lo rende poco indulgente. »
Zakuro studiò le palline quasi gelatinose
contenute in una scatolina trasparente, all’apparenza nulla di più che
normali
caramelle.
« Non ho intenzione di prenderle, »
continuò a voce bassa, « Ma… averle con me mi calma. E mi ricorda che
non ne ho
bisogno. »
La modella le studiò ancora qualche
secondo, prima che i suoi occhi bruciassero quelli dorati: « Ce ne sono
sei.
Non costringermi a doverle ricontare. »
Kisshu abbozzò un ghigno acido e rimise la
scatola in tasca: « Signorsì, signora. »
Zakuro annuì, poi si lasciò andare a un
lungo sospiro e si voltò per tornare dentro, la temperatura ormai poco
gradevole, concedendogli un sorriso: « Torna dentro tra un po’. Col
raffreddore
saresti ancora più insopportabile del solito. »
Espera prese il millesimo respiro profondo
e
si tamponò la fronte sudata con il dorso della mano. Il vapore della
pentola le
stava appiccicando la frangetta alla pelle e lei passava dal caldo al
freddo,
ma doveva terminare quel siero antinausea il prima possibile. La sua
scorta
personale si era ridotta drasticamente in poco tempo, e se non fosse
riuscita a
tenere a bada il suo stomaco non avrebbe nemmeno avuto successo a
ricreare tutte
le altre miscele di cui avevano bisogno.
Non conoscendo l’ambiente terrestre o le
sue caratteristiche microbiologiche, si stava preparando a qualsiasi
malanno
che potesse coglierli, innervosita dal fatto che doveva lavorare alla
cieca e
sperando di poter essere efficace; in più, solo le stelle sapevano di
quanti
litri di preparato per la cefalea necessitasse Zaur, rendeva le sue
esigenze
quasi inesistenti.
E con il loro ospite inatteso e tutti gli
sforzi extra che stavano compiendo…
Si rigirò una ciocca tra le dita più per
calmare quel temporaneo tremolio alla mano sinistra che per altro, e
con la
destra rigirò di nuovo la mistura.
Da quanto era arrivata sulla Terra il
senso
di pesantezza alla testa sembrava aumentare ogni giorno di più.
Probabilmente
le si erano anche incurvate le spalle, a causa di tutto quanto le
gravava
addosso.
E poi se non fosse nemmeno riuscita a
raggiungere l’obiettivo per cui era arrivata fino a lì…
Corrugò appena la fronte e diede un altro
giro, osservando il colore e la consistenza dentro la pentola per
controllare
quanto mancasse. Vi si sarebbe lanciata dentro, se avesse potuto.
Se su Gaia la sua empatia era un raro
potere che le provocava piccoli fastidi, facilmente controllabile
grazie a
trucchi, abitudine e tecnologie avanzate, sulla Terra le pareva una
tortura.
Più forte, più intenso, totalmente fuori dalle sue mani. Riusciva a
malapena a
sopravvivere a una giornata come si confaceva, a tenersi in piedi
mentre si
lavava, a non schiantare la faccia nel piatto ad ogni pasto.
Pharart se la sarebbe presa a morte se si
fosse davvero addormentata davanti alla sua cucina.
Un formicolio le prese la spalla sinistra
e
lei la mosse un paio di volte; stava capitando sempre più spesso, e la
disturbava più perché era l’ennesimo inghippo che per un vero e proprio
fastidio fisico.
Almeno era meglio della lotta che stava
compiendosi nelle sue viscere.
Continuando a fissare il colore ambrato
scuro del preparato, allungò una mano verso il piattino accanto a sé e
sbocconcellò del pane: non aveva fame, ma la loro ospite
sì, e i suoi
sensi si stavano affaticando troppo e distinguevano a malapena chi
provasse
cosa.
Se fosse sopravvissuta a questa avventura,
avrebbe migliorato il suo gancio sinistro solo per dedicarlo a Kert
alla prima
occasione utile.
Un brulichio alla gola le fece capire che
avevano ricominciato, quel giochetto che lei non poteva non detestare,
temere,
guardare con estremo disappunto; si mosse sullo sgabello, poggiandovi
sopra
anche il tallone per riposare il mento sul ginocchio, e si concentrò
sulle sue
preparazioni. Un rivolo di sudore freddo le corse lungo la nuca e lei
esalò,
scostandosi i capelli dal viso e dalla schiena. Il suo cuore batté
forte contro
le tempie e lei s’impose di ignorarlo.
Famefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgiafamefreddopaurarabbiadolorenostalgia…
Un bagliore dorato le attraversò il campo
visivo e lei scosse la testa, canticchiando tra sé e sé una ninna nanna
di
quando era bambina per distrarsi, mentre il respiro le si faceva più
pesante e
tutto il suo corpo in contrasto si scaldava. La presa sul mestolo di
metallo si
fece più incerta e il tremolio delle dita più forte, tossicchiò e
canticchiò
più decisa.
Avrebbe dovuto dire a Zaur di piantarla,
che non ne valeva la pena, ma sapeva che Rui si sarebbe innervosito
ancora di
più, che Kert avrebbe sicuramente condiviso un commento imbecille e da
lì
sarebbe nata l’ennesima litigata e poi…
Non terminò quell’ultimo pensiero, perché
il respiro le si mozzò in gola e l’ultima cosa che vide fu un lampo
nero prima
di crollare a terra.
« Guarda che non me lo sono
dimenticata.
»
« E quando mai. Ma dovresti
essere un
po’ più specifica. »
«… quello a cui hai accennato
ieri sera.
» (*)
Kisshu ridacchiò e le diede un
buffetto
monello sulla punta del naso: « Vuoi dire che non ti ho fatto
dimenticare tutto
il resto con il mio… ardore? »
Minto arrossì e al tempo stesso
mise su
un cipiglio decisamente arrabbiato: « Kisshu. Se vuoi fare questa cosa
serve…
comunicazione. »
« Da. Che. Pulpito. Tortorella. »
Lui rise ancora e intrecciò le
loro
dita, portandosela più vicina mentre continuavano a camminare per le
strade
ancora coperte dalla neve, ben conscio che anche solo quel gesto le
arruffasse
le piume e trovandola ancora più adorabile proprio per quello.
« Mi stai facendo rimpiangere di
averti
detto di sì. »
« Bugiarda, » la prese in giro, «
E ti
ho anche offerto la colazione, non vedo cosa tu possa volere di più. »
Lei alzò gli occhi al cielo e si
affrettò verso il cancello sul retro di Villa Aizawa, già desiderosa
del calore
del caminetto del suo salottino preferito.
« Io ti ho raccontato dei miei
genitori.
»
Kisshu emise un suono simile a un
muggito esasperato mentre cacciava la testa all’indietro e quasi si
faceva
trascinare in cortile: « Non molli proprio la pezza, eh? »
« Non saresti qui ora, se fossi
il tipo
che molla la
pezza. »
L’occhiatina divertita ed
evocativa che
gli rivolse da sopra la spalla fu abbastanza per riaccendergli un certo
pizzicore al basso ventre, ma decise solo di seguirla dentro casa senza
tirare
troppo la corda.
Mancando la quasi totalità della
famiglia Aizawa, Minto aveva concesso a gran parte dei domestici una
giornata
di riposo, così la villa era ancora più silenziosa e deserta del
solito; non
che a lui dispiacesse, anzi, era grato per tutte le occasioni di non
dover
sgattaiolare come un ladro attraverso i corridoi evitando l’attenzione
di
chiunque. Sapeva ovviamente che per la ragazza non era lo stesso, ma
sapeva
anche che parte di lei era felice di poter davvero essere sé stessa,
senza
nessuna intrusione esterna.
Sapeva anche che era molto
difficile da
dissuadere e che non si sarebbe concentrata su altro fino
all’ottenimento del
risultato sperato, quindi, Kisshu prese solo un respiro profondo quando
varcò
la soglia della sua camera da letto, il giubbotto che lo precedette con
un volo
preciso fino al divano.
« Dunque… dopo la sconfitta di
Deep
Blue, voi cos’avete fatto? »
Minto si strinse nelle spalle,
mentre si
toglieva con calma la sciarpa e al contempo recuperava il giaccone di
lui per
riporlo nell’armadio: « Abbiamo cercato di riprendere in mano la nostra
vita,
immagino. Ricominciare. »
Kisshu annuì e alzò solo un
sopracciglio: « Ma nel più completo anonimato. Tutti conoscevano le Mew
Mew, ma
nessuno sapeva davvero chi fossero. »
La mora attese, facendo sbucare
la testa
per incalzarlo con lo sguardo a continuare, e l’alieno poggiò una
spalla contro
la porta mentre si passava una mano tra i capelli, fissando il tappeto
morbido.
« Duuar era perfettamente conscia
di chi
fossimo, da dove venissimo, dove abitassimo, cosa fossimo venuti a fare
e come
invece siamo tornati. »
Il tono gelido della sua voce non
nascose la punta di dolore con cui parlò.
« E, più di tutti, su cosa
avessimo
davvero fatto. »
Minto tentennò, tentata ad
avvicinarglisi,
ma Kisshu stava scrutando il pavimento con uno sguardo talmente vuoto e
lontano
che i suoi piedi non si mossero.
« Non importava quante volte
raccontassimo come si fossero svolti i fatti. Che ci fossero
registrazioni,
prove, che le nostre versioni non cambiassero mai di una virgola. Che
avessi
una cicatrice larga quanto un palmo a dimostrare tutto. Chi non ha
voluto
crederci non è mai stato piacevole nei nostri confronti. »
Finalmente alzò gli occhi per
sbuffare
ironico e staccarsi dal muro, favorendo invece di accasciarsi sul
divanetto con
uno sbuffo.
« Appena tornati siamo stati
affidati al
Comando Generale. Per “nostra protezione”, cercarono di vendercelo
all’inizio.
Non che fosse del tutto sbagliato, i sostenitori di Deep Blue più
accesi ci
avrebbero linciati volentieri. »
Minto non poté evitare di
trasalire,
grata che in quel momento il ragazzo le stesse dando le spalle, solo la
sua
nuca visibile mentre si affossava di più nel divano e si strofinava a
disagio
la clavicola sinistra.
« Peccato che anche gli alti
ranghi del
Comando Generale fossero pieni di sostenitori. Certo, nessuno di loro
in grado
di vendicarsi fisicamente, sarebbe stato troppo evidente, ma ciò non
significa
che non ci sia stato procurato altro. »
Fece schioccare la lingua e poi
scosse
la testa, parlando con un astio vecchio di anni: « Non hanno nemmeno
lasciato
in pace la tomba dei nostri genitori. Taruto ha pianto quando l’ha
vista
imbrattata di epiteti poco carini nei nostri confronti. Pai ha dovuto
trattenermi dall’andare a dire altrettanto ai colpevoli – o chi più
facilmente
individuabile, ecco – facendo presa sull’evitare di rendere la
situazione
peggiore. Non che a me importasse poi troppo, mi sembrava di aver già
perso il
perdibile. »
Di nuovo, la mora percepì un
terribile
gelo risalirle dallo stomaco, ma si sforzò di deglutirlo e si avvicinò
al sofà,
poggiandosi sul bracciolo opposto a quello di lui, sempre senza dire
una
parola. La voglia di chiamare una delle poche cameriere rimaste per
farsi
portare del tè le era svanita come neve al Sole.
« Ci hanno accusato di molte cose
e sì,
forse era vero che avevamo tradito il nostro Signore. A essere
effettivi, era
andata direttamente così. Non so neanche cos’avrebbero fatto se
avessero
scoperto che il catalizzatore di tutto era stata… eravate state voi, »
Kisshu
si scosse di nuovo i capelli e continuò a fissare il vuoto, « Ma ciò
che più faceva
male era sentirci dire che l’avevamo fatto per notorietà.
« Non era la fama, quella che
cercavamo.
Non era l’essere l’eroe della patria, inseguito ovunque da bisbigli e
commentini. Io non ero morto per quello, i miei fratelli non erano
morti per
quello. Noi avevamo fatto tutto per un sogno, alla fine. Il sogno di un
mondo
migliore. Avevamo solo capito troppo tardi quale strada percorrere. »
Rise amaramente sarcastico e
finalmente
lanciò un’occhiata alla ragazza, compiendo un ultimo movimento di
spalle.
« Per farla breve, c’è voluto un
po’ per
ripulire la nostra reputazione. Abbiamo avuto la fortuna di trovare
gente
competente nel Comando Generale, che forse tutta questa ammirazione per
Deep
Blue non l’aveva mai avuta e che ha visto subito la potenza della
MewAqua. Ci
hanno promossi di grado, ci hanno regalato una bella casetta un po’
defilata, e
poi alla fine ci hanno accordato di tornare qua. Il resto lo sai. »
La mora annuì lentamente: « Per
misurare
gli effetti della MewAqua(**).
»
Kisshu giocherellò con l’orlo
della
coperta piegata con cura sul bracciolo: « E forse anche per scappare un
po’.
Una soluzione più drastica rispetto ad altri metodi alla fine
controproducenti.
»
Minto si accigliò ma esitò a
domandare,
incerta su cos’altro avrebbe potuto rivelare quella conversazione così
surreale; non poteva evitare di darsi della stupida, come non aveva mai
potuto
pensare a quali conseguenze avevano dovuto affrontare i tre alieni?
« Nel senso che… ? »
« Nel senso che posso anche
dirtelo,
tortorella, ma ogni volta poi finiamo a bisticciare. »
Lui rise senza la traccia di
divertimento e Minto raddrizzò un po’ di più la schiena, il cuore che
le
palpitò bruciante contro al petto.
« È… ancora così? »
Kisshu le rivolse un’occhiata
stanca e
le afferrò lentamente il polso: « Minto. Come se non ne avessimo
parlato almeno
ventisette volte. »
Lei si strinse nelle spalle e si
lasciò
guidare sul cuscino: « Tutte queste altre cose non le sapevo. Magari
ora ha…
più senso. »
« Non sei brava a dire le bugie. »
« Non sto dicendo una bugia. Sto
provando a capire. »
« D’accordo, » lui ghignò e si
fece più
vicino, « No, comunque. E te l’ho detto anche ieri sera. »
Minto avvertì un piacevole
sfarfallio al
ricordo della sera precedente che s’impose di ignorare, anche perché la
fece
sentire in colpa per le sue sciocche priorità.
« Anche per noi non è stato del
tutto
facile, comunque. Non a livelli comparabili a voi, ovvio, è vero quello
che
dici sul nostro anonimato. Ma abbiamo avuto molto a cui pensare, ecco. »
« Mmhm, » Kisshu si sfregò gli
occhi in
maniera stanca, « Il problema è proprio smettere di pensare, una volta
che hai
iniziato. »
« Metodi controproducenti? »
Lui sbuffò e scostò lo sguardo,
rivolgendolo di nuovo alla coperta: « Quando Duuar era ancora un pezzo
di
ghiaccio che galleggiava nello spazio, per rafforzare di più le truppe
che
andavano in avanscoperta alla ricerca di uno straccio di speranza, si
era
inventati questi… integratori. Alcuni erano fatti per tirarti su, altri
per
mascherare le vere sensazioni che percepivi, altri ancora per
rilassarti. A
volte potevano essere incoraggiati un po’ troppo. »
La mora si lasciò sfuggire una
smorfia
indefinita di cui si pentì amaramente: « Kisshu… »
« Non giudicarmi, tortorella.
Quello con
lo squarcio nel petto, letterale e metaforico, ero io. E in ogni modo,
li
prendevo soprattutto per dormire, o per dimenticarmi un paio d’ore di
dove
fossi o di cosa stesse succedendo. Pai, poi, mi ha già rotto oltremodo
il cazzo
a riguardo. »
Di nuovo le scappò
un’occhiataccia,
questa volta per il linguaggio, però scelse di non commentare oltre,
avvertendo
il disagio del ragazzo. Lui le stava ancora stringendo il braccio e
fece
scorrere il pollice lungo la pelle candida del polso, dove percepiva il
battito
del suo cuore.
« Per fortuna che ora ci sei tu. »
Minto s’impose di ignorare il
calore
alle guance in favore di un più composto alzare gli occhi al cielo: «
In senso
buono, spero. »
La presa di lui si fece un po’
più
forte: « Dipende dai punti di vista. »
« Espera! Espera! »
Tra le braccia di Rui, il capo riverso
all’indietro, la ragazza emise solo un roco rantolo dalla gola. Era
pallida
come un cencio, la fronte imperlata di sudore ma la pelle gelida
nonostante il
calore della stanza.
Il suo compagno masticò tra i denti una
maledizione e le scostò i capelli dal viso: avrebbe voluto tirarla su
dal
pavimento freddo, ma temeva il doverla spostare, con il tonfo che aveva
fatto
cadendo dallo sgabello e il fatto che era praticamente priva di
conoscenza.
« Amarya(***),
svegliati, per favore, » la scosse piano, cercando di destarla, ma lei
continuò
a rimanere molle, una sola profonda ruga tra le sopracciglia e gli
occhi che si
muovevano freneticamente dietro le palpebre chiuse.
« Che succede?! »
Pharart comparve preoccupato sulla porta,
inginocchiandosi subito di fianco al comandante con un’esclamazione di
sorpresa.
« Si è fatta male!? »
« Non lo so, » Rui scosse la testa, « Ma
credo che qualsiasi cosa mio fratello stia combinando, stia avendo più
effetto
su Espera che su quella terrestre. »
Il biondo si allungò verso il tavolo e ne
afferrò un panno, con cui le tamponò le tempie madide.
« Sicuro che fosse questo ciò che si
auspicava il Consiglio? »
Rui lo guardò storto: « Non sono neanche
certo che – »
Non fece in tempo a finire la frase che
Espera rantolò una seconda volta, il suo corpo iniziò a essere scosso
da un
tremito inarrestabile che quasi la fece sgusciare via dalla presa del
compagno,
e poi, con un ultimo ansito, vomitò il magro contenuto del suo stomaco.
« Kisshu, smettila. Non è
divertente. »
Minto si alzò dal divano e vi
girò
attorno, improvvisamente scossa da un brivido freddo.
Lui rise e si aggiustò più
comodo: « Ho
solo detto la verità. »
Lei si artigliò gli avambracci: «
Ieri
sera hai detto una cosa diversa. »
Kisshu agitò la mano in aria,
come a
sottolineare la vaghezza di quella affermazione: « Tortorella, non
dirmi che
non hai mai infiocchettato un po’ le cose per ottenere quello che
volevi. »
« Certo che no! »
« Sempre ineccepibile, eh? »
l’alieno si
alzò e la raggiunse nel tempo di un battito di ciglia, ghignando
lascivo, «
Ecco perché è piacevole farti arrabbiare. »
« No che non lo è, » ribatté lei,
fece
un passo indietro e cozzò piano la schiena contro al muro, « E se
davvero la
pensi così, allora… »
« Allora cosa? » Kisshu lo
mormorò in
tono cantilenante e
chiuse la distanza
tra loro, facendo scorrere le dita lungo i fianchi di lei, « Dai,
tortorella,
ci stavamo divertendo, dopotutto. Non fare la guastafeste. »
« Te l’ho già detto, non sono qui
per un
divertimento momentaneo. »
L’alieno ridacchiò e si premette
di più
contro di lei, il naso che le sfiorò l’orecchio mentre la presa sulle
sue anche
si faceva più decisa: « Non dirmi che volevi la grande
storia d’amore, principessina, » continuò a prenderla in giro
con cattiveria
a bassa voce, « Non potrebbe mai funzionare tra di noi, e lo sai
benissimo. »
« Smettila, » Minto cercò senza
successo
di scrollarselo di dosso, due lacrime traditrici che le pungevano gli
occhi, «
Non è vero, e perché avresti aspettato… ? »
Kisshu le bloccò i polsi che
tentavano
di spingerlo via e glieli fermò sopra la testa, bloccandole il bacino
con il
proprio e rivolgendole un altro ghigno malizioso: « Ormai portarti a
letto era
una sfida con me stesso. Non potevo certo lasciare il lavoro fatto a
metà, non
credi? »
« Sei uno stron – »
« Sì, sì, sono uno stronzo, lo
so. Lo
dite sempre tutte, » lui ridacchiò e le tracciò la linea del collo con
la punta
del naso prima di mormorarle all’orecchio, « Ma non avete mai il
coraggio di
dirvi che alla fine è piaciuto anche a voi. Perché ti è piaciuto da
morire, non
è vero, tortorella? »
« Kisshu, smettila! » ripeté lei,
odiando la nota implorante nella voce rotta, « Non è vero, quello che
stai
dicendo non è – »
« Come può non essere la verità?
Te l’ho
già detto, passerotto: a me serve solo dimenticare, non mi importa di
altro. Ed
è molto più piacevole con te che con un paio di sballi. Poi cosa pensi,
» lui
rise ancora e le strinse entrambi i polsi con una mano sola così che
l’altra
fosse libera di tornare ad accarezzarle lasciva il fianco, « Che ci sia stata solo
tu, in tutti questi
mesi? »
Kert si affrettò lungo il corridoio,
imprecando tra sé e sé: quella maledetta rompipalle di Espera trovava
sempre la
maniera di mettergli i bastoni tra le ruote. I trucchetti di Zaur
stavano
sicuramente avendo un effetto sulla sua gradita ospite, e in ogni caso
la
testardaggine che la portava a rifiutare cibo e acqua l’avrebbe
sicuramente
piegata – se lo sentiva che avrebbe potuto ottenere qualcosa da lei, un
briciolo
di informazioni per chiudere la questione il più in fretta possibile,
ma no!
La nobildonna stava male e per questo bisognava interrompere
assolutamente
tutto.
Arrivò davanti alla porta della stanza e
tentennò: poteva udire la terrestre gemere e mormorare qualcosa che lui
non
capiva, con tono decisamente desolante. In quel momento, un brivido gli
percorse la spina dorsale, e sperò di non dover mai affrontare
direttamente i
poteri di Zaur mentre quasi quasi si sentiva in colpa per Espera.
Quasi.
Entrò, e la vista temprò il timore e la
deferenza nei confronti delle capacità dell’amico: la terrestre, il
viso
giallastro e contorto in una smorfia di panico e dolore, pur da seduta
si stava
premendo contro al muro, le alucce blu schiacciate in una piega certo
dolente,
i piedi che scivolavano contro il pavimento e le mani che cercavano di
allontanare qualcosa di invisibile, qualcosa che stava accadendo
solamente
nella sua mente.
« Smettila, smettila, smettila! »
la
sentì strillare, mentre si dimenava come un’ossessa e continuava a
prendere a
schiaffi l’aria. Aveva gli occhi aperti, ma era chiaro che non stesse
in realtà
vedendo nulla di ciò che la circondava, le iridi come appannate da un
velo
lattiginoso.
Kert si avvicinò lento, studiandola: « Non
ti stai certo divertendo, eh, uccellino? »
Quasi sicuramente non l’aveva udito, ma
l’umana emise un altro rantolo e poi si puntellò con forza con i palmi
al
pavimento, sbattendo così forte contro al muro che lui fu sicuro di
sentirlo
scricchiolare.
Stava per vomitare, ne era
convinta. Le
cose che Kisshu le stava dicendo non erano… come poteva rivelargliele
così, con
quel tono di così chiara cattiveria? Come poteva starle spezzando il
cuore in
quella maniera? Oppure… oppure era stata solo una sua illusione, era
cascata
nella trappola come una stupida qualunque, e…
« Cos’è, pensavi che non avessi
dei
bisogni? Che potessi aspettare te e la tua indecisione? La tua
superiorità? »
Kisshu questa volta non rise, un lampo maligno nelle iridi dorate, «
Portarti a
letto è stato piacevole anche per toglierti di dosso quella smorfia da
altezzosa che hai sempre. Non sei tanto migliore di qualsiasi altro
essere, eh
tortorella? Sentirti pregare, per una volta, è stato così
soddisfacente. »
« Smettila, smettila, smettila! »
strillò così forte che le dolse la gola e di nuovo tentò di spingerlo
via con
tutte le sue forze, per mettere spazio tra di loro, ma era intrappolata
tra il
suo corpo e il muro. Kisshu finalmente le lasciò andare i polsi, come
se gli
schiaffi che prese a dargli al torace non fossero altro che carezze, le
stesse
che si erano scambiati la notte precedente, e di nuovo le strinse i
fianchi.
« Non ti stai certo divertendo,
eh,
uccellino? » le mormorò sarcastico, « Peccato, perché invece io volevo
divertirmi. »
Poi una sua mano le si strinse
attorno
alla gola e fece pressione quanto bastava per mozzarle il fiato.
D’istinto, Kert si avvicinò a lei,
soffocando un’imprecazione – averla completamente fuorigioco non
rientrava nei
suoi piani, non da subito perlomeno – e l’afferrò per le spalle,
controllandole
la nuca con le dita. La sentì gemere ancora, ma non trovò tracce di
sangue sui
polpastrelli, anche se l’occhiata che lanciò alle ali gli fece pensare
che non
sarebbe stato lo stesso se le avesse toccato le scapole.
Non ebbe tempo di pensarci, però, perché
l’umana ebbe l’ennesimo spasmo e quasi gli sgusciò via: lui le prese il
volto
con una mano e tentò di raddrizzarla.
« Ora di svegliarsi, uccellino, » le
disse,
scuotendola piano, « Prima di mettermi ancora di più nei guai. »
Un battito più forte e un suono
sordo in
un angolo remoto della mente.
Le bruciava la gola, le bruciava
lo
stomaco, le bruciavano gli occhi, le bruciava il cervello. Si sentiva
come se
pareti invisibili si stessero stringendo inesorabili attorno a lei,
impedendo
ai polmoni di espandersi e incanalare ossigeno.
Si fece tutto buio, tranne per
quel paio
di occhi dorati che continuava a brillare nell’oscurità.
Non poteva essere vero, non era
vero,
non era…
« Kisshu… ? »
Una mano sopra al volto, la sensazione che
il suo corpo riacquistasse tutto il suo peso in un colpo solo,
d’improvviso, la
gravità che la schiacciò verso il basso anche se non c’era direzione in
cui
cadere. I polmoni che si ampliavano al massimo e dolevano, premendo
contro la
cassa toracica. La testa indolenzita, le ali ingombranti e doloranti,
la
schiena e le gambe più pesanti che mai.
Due iridi dorate che le fecero sussultare
il cuore, non seppe se di sollievo o di sgomento.
« Kisshu… ? »
Un sogghigno nell’ombra mentre la presa
sulle sue guance si stringeva un po’: « Spiacente, uccellino. »
Minto non ebbe il tempo di comprendere,
perché il suo stomaco prese il sopravvento su di lei, colpendola con
un’ondata
di nausea che non riuscì a placare. Si lanciò di lato con le poche
forze
rimaste e si abbandonò alla bile, ormai l’unico contenuto disponibile,
che le
incendiò ancora di più le viscere.
Non capì molto di ciò che c’era attorno a
sé, non tentò di decifrare il mormorio infastidito che udì né il rumore
di
passi per la stanza. Il pulsare dentro la sua testa era insopportabile,
così
come lo erano i frammenti di conversazione che le invadevano la mente e
che in
quell’istante non riusciva a distinguere dalla verità.
Le era sembrato così reale, così come
quegli occhi le erano parsi tanto…
Percepì un ennesimo fruscio, poi l’odore
delizioso
che aveva avvertito il giorno prima la colpì sadicamente al ventre.
« A costo di fartelo ingoiare
controvoglia,
» Kert le parò davanti al naso una coppa d’acqua, « Non è divertente
con
un nemico che non è
in forze. »
« Cosa mi avete… » quasi non riuscì a
scandire le parole, le costò una fatica immane anche solo concentrarsi
a far
uscire le sillabe in ordine corretto.
Quasi quanto le costò dover ammettere a sé
stessa che non sarebbe riuscita a ignorare il cibo, questa volta.
L’alieno fece schioccare la lingua in
maniera sarcastica come a dirle di zittirsi, spingendole il bicchiere
di
metallo contro le labbra aride: « Prima accetta l’ospitalità. Le
chiacchiere le
facciamo dopo. »
Controllò che effettivamente bevesse – e
lei
si detestò per l’essere sollevata di non dover reggere da sola il
calice, il
tremolio delle sue membra fin troppo evidente e continuo – però si alzò
non
appena Minto l’ebbe svuotato in piccoli e titubanti sorsi.
Le lanciò solo un’occhiata pungente,
indicando con il mento alla ciotola ricolma della stessa, strana zuppa
speziata
che lei aveva rifiutato, e poi uscì dalla stanza a passo lento.
Minto prese dei respiri profondi, la
fronte
ancora appoggiata al pavimento e il corpo che doleva in decine di punti
diversi. Attese qualche istante che fosse davvero di nuovo sola prima
di
stendere una mano verso la scodella e mettersi faticosamente seduta.
Riuscì ad
ingoiare solo un paio di cucchiaiate, che le sembrarono comunque
ambrosia,
prima che un’incommensurabile fatica le gravasse sulle spalle: non si
diede
nemmeno la pena di combatterla.
Finalmente, si addormentò in un sonno
senza
sogni.
(*)
Vedasi il
capitolo 4, Matters of
the heart
(**) Questa
è la spiegazione fornita nel capitolo 1, ambientato a marzo/aprile. Il
flashback che sta rivivendo Minto ha luogo a dicembre dello stesso
anno, prima
che le Mew Mew vengano effettivamente a sapere del “vero” motivo che ha
spinto
gli alieni a tornare (cosa che viene spiegata nel capitolo 9, Things
left
unsaid, ambientato a settembre dell’anno successivo).
(***)
Da
ya amar,ياقمر,
che in arabo significa “mia
luna”, un termine affettuoso anche usato per indicare che troviamo
qualcuno
molto bello, proprio come la Luna. Poi non dite che uso solo il greco
antico!
xD
|
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Capitolo 15 *** Tiny dancer in my hand ***
Chapter
Fifteen – Tiny dancer in my hand
« Vedi, in fondo sei un tenerone. »
Kert, steso a pancia in su con le braccia
incrociate dietro la testa, aprì solo un occhio: la sagoma nitida,
anche se
forse adesso un po’ trasparente, di Sunao era in piedi davanti a lui,
poggiata
in qualche maniera al muro, a braccia conserte e un’espressione di
sfida in
volto.
« Di nuovo acqua, cibo, premura verso il
suo stato… vuoi forse dare un’impressione diversa di te? »
Lui fece schioccare la lingua: « Hai già
fatto abbastanza la spia per il Consiglio e ora ti annoi? »
Le iridi violette luccicarono di fastidio:
«
Tu stai diventando noioso. »
L’alieno richiuse le palpebre e si
accomodò
di più sul letto: « Credevo avresti apprezzato gli sforzi che faccio
per la tua
amica. »
« Mi pareva di più una correzione alle
conseguenze delle tue azioni. Dopotutto, non c’è bisogno che
m’intrufoli nella
tua testa per sapere che non l’hai fatto per Espera. »
« Vedi di star ben lontana dalla mia
testa.
»
« Con piacere, » lei alzò un sopracciglio
e
mormorò soddisfatta, « Mi basterebbero altri pezzi di
te. »
Kert emise un grugnito sconsolato e si
voltò su un fianco, rivolgendole così la schiena mentre Sunao
ridacchiava
divertita.
« Se hai finito di assillarmi
intergalatticamente,
vorrei andarmene a dormire. »
« Hai intenzione di fare qualcosa con
quell’umana o no? » il tono di Sunao si fece più ufficiale, « O pensi
di
divertirti ancora a giocherellarci senza ottenere nulla? »
Lui controllò lo sbuffo che gli uscì dal
naso: « Ci penso domani. Sono sicuro che non avrà così tanta
resistenza, ora.
Non credo che si lascerà andare a grandi monologhi, ma forse qualche
informazione in più riusciremo a strappargliela. »
« Vedi di fare in fretta. Indebolire la
tua
squadra solo per - »
Kert voltò la testa quanto bastava per
lanciarle un’occhiata infastidita: « È solo un
elemento a essere
indebolito, elemento che non è parte della mia
squadra e che è indebolito
dall’alba dei tempi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo prima di
guardarlo con freddezza: « Un giorno o l’altro la tua testardaggine ti
condurrà
in un pantano da cui farai fatica a uscire. Ti sei sempre fatto vanto
del tuo
essere dedito alla disciplina, e – »
« È veramente qui solo per essere
minimamente utile a Rui una volta al mese per
cinque minuti? » l’interruppe
con una punta di veleno che non andò ignorata, « Perché il trattamento
esclusivo
nei suoi confronti mi ha già ampiamente rotto il cazzo da anni, in più
l’insistenza
tua e del Consiglio sta cominciando a puzzarmi. »
L’aliena non si mosse: « Rinvigorente, da
parte tua, pensare che io ne sappia più di così. »
« Tsk, » Kert si riappoggiò al cuscino e
serrò le palpebre, « Buonanotte, Sunamora. »
L’ologramma sparì senza il minimo rumore.
« Smettila di guardarmi così, te l’ho già
detto: non ce l’ho con te. »
Espera rivolse a Zaur un sorriso
esortativo
insieme alla boccetta di vetro con dentro il preparato analgesico;
l’alieno
dagli occhi scuri, però, la guardò con convinzione inesistente.
« Il bernoccolo che hai in testa
dissentirebbe. »
Lei si sfiorò con le dita il risultato
della sua caduta di qualche ora prima, che ancora pulsava infastidente,
poi si
strinse nelle spalle: « Rischi del mestiere, non trovi? E in ogni modo,
non è
colpa tua. Non ero io lo… scopo? »
La smorfia sofferente sul viso del ragazzo
non sembrò acquietarsi: « Avrei dovuto pensarci. Ma ritenevo che le
ultime
calibrazioni sarebbero state sufficienti a… »
« Probabilmente è stato così, altrimenti
sarei finita faccia a terra molto prima, » Espera gli diede due
colpetti
amichevoli sulle spalle e sbadigliò sonoramente, « Almeno così Kert si
è dato
una calmata. »
Zaur non poté evitare di sospirare, mentre
svuotava la fialetta quasi in un sorso per placare anche il proprio mal
di
testa: « Ogni tanto mi chiedo come farebbe lui, se dovesse sopportare
questo
sforzo. »
« Kert con il mal di testa? Te ne prego,
che
le stelle ce ne scampino, sarebbe la fine di tutti noi, » l’aliena rise
e lo
salutò con una mano, augurandogli poi buonanotte sottovoce mentre si
incamminava lungo il corridoio buio.
Quell’enorme casa sembrava ancora più
estesa durante la notte, anche per la mancanza di luce in tutte quelle
stanze
che loro non avevano adibito a loro campo base, e le provocava sempre
una
strana sensazione.
O forse era solo l’interminabile
formicolio
che le tormentava la base della nuca e l’attaccatura delle spalle. Ne
avvertì
il fastidio anche sul viso, e soffocò una parolaccia tra i denti
quando,
sfiorandosi il naso con le dita, le trovò tinte di rosso.
« Tutto bene? » Rui l’accolse con voce
preoccupata quando entrò nella loro camera, raddrizzandosi sul letto
come già
pronto a saltarvi giù in soccorso.
Espera annuì e afferrò una delle magliette
del compagno, tamponandosi le narici mentre si lasciava cadere sul
materasso
con un sospiro.
« È stata una giornata infinita. »
Un’ombra scura passò sul viso del ragazzo:
« Devo uccidere mio fratello. »
« Non c’è bisogno di essere così drastici,
» Espera rise roca e chiuse gli occhi, poggiandosi alla testiera del
letto non
appena l’epistassi le diede pace, « Magari solo… un calcio nel sedere,
o due
giorni in punizione senza cibo. Sunao come compagna di banco. »
« È insopportabile. »
« Mi sembra una conversazione già
avvenuta.
»
Rui sospirò, le passò un braccio attorno
alle spalle, portandosela stretta a sé, e le lasciò un bacio sulla
tempia: «
Detesto dover scegliere tra voi due. »
« Infatti, non devi, » Espera si voltò
quanto bastava per guardarlo negli occhi, « Siamo io e lui che dobbiamo
trovare
la maniera di convincere pacificamente. Beh, più lui che io, ma… »
« Tu subisci già abbastanza. »
Lei fece spallucce e gli si accoccolò di
nuovo accanto: « Sono la più piccola di sei. Non è la mia prima volta. »
Lui alzò un sopracciglio in maniera
dubbiosa, carezzandole un braccio: « Stento a credere che Egle o Erizia
siano
così dispettose. »
Espera fece una risatina sarcastica e
chiuse
gli occhi, ed entrambi rimasero in silenzio per qualche istante.
« Domani dovrò mandare un rapporto al
Consiglio, » sospirò poi Rui stancamente, sfiorandosi una tempia, «
Sarà
divertente fare giri di parole complessi per alleggerire
la situazione.
»
« Vedi il lato positivo, quando c’è di
mezzo Kert, Sunao tende a chiudere un occhio. O tutti e due. »
« Deve aver battuto la testa molto forte,
da piccola. »
Espera scoppiò a ridere di cuore,
stringendoglisi addosso ancora di più e dimenticandosi della tensione
di quella
giornata, almeno per qualche ora.
§§§
Minto si svegliò di soprassalto,
percependo
nei primi istanti solamente il tuono del suo cuore che batteva
all’impazzata.
Le ci volle qualche secondo per convincere i suoi polmoni a inalare a
fondo per
calmarsi, per scostare quel bruciore che pareva non volerla abbandonare.
Di nuovo, la penombra scura della stanza
non le diede modo di valutare quanto tempo fosse passato, ma sapeva che
aveva
dormito profondamente, poteva sentire un accenno di ristoro nelle ossa,
così
come provava un minimo di sollievo anche allo stomaco.
Si detestò per dover ammettere che le
aveva
fatto bene cedere a quel minimo pasto, e fu quasi sollevata nel
constatare che
ci fossero degli avanzi da considerare colazione, insieme a una nuova
coppa
piena d’acqua. Anzi, forse erano pure maggiori di quanto fosse riuscita
a
ingoiare la notte – il giorno? – precedente.
Scosse la testa a quel ricordo,
cacciandolo
nell’angolino più remoto del cervello che potesse trovare (non aveva
senso
peggiorare la sua situazione, rimuginare su certe cose, avrebbe solo
complicato
ulteriormente tutto), e afferrò di nuovo la ciotola: nonostante si
fosse
raffreddata e un po’ rappresa, le sembrò di nuovo una delle cose
migliori che
avesse mai mangiato, e dovette far ricorso a tutta la sua forza di
volontà per
non lasciarsi scappare un sospiro di soddisfazione.
Fu solo alla terza cucchiaiata che si rese
conto che le sue mani non erano più coperte dai guanti azzurri. Sbatté
le
palpebre un paio di volte, all’inizio bloccandosi confusa, poi poggiò
la
scodella per terra e si controllò di scatto, sussultando un po’
sollevata e un
po’ sorpresa: non era certa del come, forse più del perché, ma
mentre
dormiva aveva sciolto la sua trasformazione da Mew Mew, e ora il suo
bel
vestitino nero era coperto da un desolante strato di polvere, i suoi
capelli
una matassa arruffata e annodata.
Si domandò in che stato fossero le sue
ali,
in che stato fosse generalmente lei, se il suo corpo decideva
automaticamente
di ritornare in forma umana – come se non avesse più le energie
necessarie per
sostenere i suoi poteri, per poter combattere.
Forse nuovamente l’eterna battaglia tra la
sua mente cocciuta e le sue membra le stava regalando nuovi stimoli,
con un
tempismo ineguagliabile.
Almeno gli strati di stoffa in più le
regalavano quantomeno una finta sensazione di sicurezza.
Raccolse le gambe al petto e si
riconcentrò
sul suo magro pasto, ora più decisa a non lasciarsi andare – d’accordo
non
cedere ai trucchetti dei suoi nemici, ma se aveva anche la minima
possibilità
di uscire da lì, avrebbe dovuto concedere al suo organismo l’energia
necessaria
per reagire.
Con un orecchio sempre teso verso
l’esterno, terminò di mangiare, masticando il più a lungo possibile per
indursi
a credere di star ingerendo quantità più sostanziose. Continuava a non
avvertire nulla intorno a sé se non un fastidioso ronzio che poteva
benissimo
essere la sua testa, completamente scombussolata.
Il peso del suo ciondolo Mew, ora in
tasca,
le gravava più del dovuto: un’inutile ancora di salvezza, spento e
opaco
esattamente come si sentiva lei. Le sarebbe bastato sentire anche solo
della
staticità all’altro capo della linea, solo per assicurarsi di avere
almeno un
filo verso gli altri, invece che essere completamente sola in quel buio.
Sola con la sua angoscia, il suo cervello
riempito di immagini impossibili, e una manica di nemici fuori dalla
porta.
« Vedi, sono questi trucchetti che mi
interessano particolarmente. »
Suo malgrado, Minto non riuscì a evitare
di
sobbalzare vistosamente, lasciandosi scappare dalle mani la ciotola,
che
sferragliò sul pavimento in un rumore assordante dopo tutto quel
silenzio. Kert
rimase immobile sull’uscio, a osservarla con sguardo incuriosito mentre
lei si
ritirava d’istinto contro un angolo.
« Dove sono finite le tue alucce,
uccellino? » le domandò « Come fate a passare da quello a…
questo?
»
Per qualche motivo stupido, la mora si
sentì offesa da quell’affermazione, ma si limitò a digrignare i denti e
stringere i pugni per convincere il suo maledetto corpo a smettere di
tremare.
« In cambio della colazione, » le fece
l’occhiolino e sollevò nella sua direzione un piatto, questa volta
fumante e
dall’odore molto più dolce, e un altro bicchiere di acqua, « Come
ringraziamento della mia generosità. »
Minto sbuffò sarcastica dal naso e
rimbeccò
prima di poterci pensare: « Generosità questa? Non
voglio niente da te!
»
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio e
guardare con poca convinzione la ciotola a terra, ripulita a modo: « Mi
verrebbe da dissentire. »
La mora si concentrò sul non arrossire,
colta in fallo, e continuò a fissarlo con tutto l’odio di cui era
capace. Kert
sospirò e si avvicinò di qualche passo, poggiando sul pavimento i due
contenitori.
« Allora, ti è passata un po’ la voglia di
essere scortese? Sto ancora aspettando di sentire il tuo nome. »
Di nuovo, Minto esclamò le prime parole
che
le passarono per la testa: « Non vedo come ti possa interessare, visto
quello
che mi state facendo! »
« Oh, uccellino, potrebbe andarti molto
peggio, non credi? » lui inclinò la testa da un lato e sogghignò
ferino, « Poi
mi sembra scortese sapere il nome del tuo ragazzo e non del tuo. »
Questa volta, Minto avvertì le guance
andarle in fiamme mentre, di nuovo, una strana ansia acida le corrodeva
lo
stomaco a quella menzione.
« Cosa mi avete fatto!? » strillò,
schiacciandosi ancora contro al muro, « Come avete... »
Kert agitò una mano in aria e poi sbuffò:
«
Sei proprio noiosa, uccellino. Non sono qui per rispondere alle tue
domande. »
Ritornò verso l’uscio, e la mora – contro
il suo buon senso – reagì all’improvvisa angoscia di rimanere di nuovo
da sola
in quel buio opprimente, di poter ricominciare ad avere gli occhi e la
mente
invasi da quei ricordi manipolati: « Aspet – »
Le scappò un grido mozzato, mentre
allungava una mano verso di lui, ma le si bloccò in gola nello stesso
istante
in cui la porta si richiuse senza un tonfo.
Pai scrisse un’altra riga di codice,
premette invio, e lasciò che il sistema partisse
prima di concedersi gli
ultimi sorsi di caffè ormai freddo. Esaurite tutte le altre
alternative, tutte
le altre idee, Akasaka aveva suggerito di fare un reboot del programma
che
aveva individuato, tutti quegli anni prima, i cinque DNA compatibili
con quello
degli animali Red Code tra tutta la popolazione.
Forse quello avrebbe
aggirato le tecnologie dei loro nemici, avrebbe ritrovato nuovamente il
codice
genetico di Minto in mezzo agli altri, e avrebbe donato loro la sua
posizione.
Sempre che…
Tracannò il fondo e aggrottò appena le
sopracciglia. Se suo fratello avesse saputo che solo intratteneva quei
pensieri, avrebbe probabilmente smesso di rivolgergli la parola fino
alla fine
dei suoi giorni. Non che l’avrebbe biasimato, lui stesso non era sicuro
di ciò
che avrebbe potuto fare se al posto di Aizawa ci fosse stata Retasu.
Controllò un’ultima volta lo schermo – il
programma non era stato aggiornato da un po’, anche con il DNA della
mewbird in
memoria ci avrebbe impiegato del tempo a completare il tracciamento.
Era da
poco passata l’alba, lui si era concesso qualche ora di sonno non
appena anche
Shirogane aveva ceduto ed era tornato a casa per ristorarsi. Riuscire
ad
ampliare le capacità di Taruto senza che lui fosse effettivamente
presente si
era rivelato più complesso del previsto, e non era stato d’aiuto il
pensiero
costante della Mew Mew mancante.
Lui non aveva legato particolarmente con
Aizawa – non aveva legato particolarmente con nessuno di loro, tranne
una – ma
non era così insensibile da risultare indifferente all’angoscia provata
da
Retasu e dai suoi fratelli.
Mentre si avviava al piano di sopra per
una
doccia ristorativa, controllò il cellulare: la Mew verde gli aveva
mandato
messaggi fino a notte fonda, probabilmente incapace di addormentarsi
come ogni
volta che era irrequieta, e c’era già una comunicazione ad attenderlo.
From:
Ocean_dreaming_mermaid
Tutto bene?? Novità??
Stiamo per fare colazione, tra un po’
torniamo.
Hai
dormito?
Pai si sfregò il viso, avrebbe tanto
voluto
darle notizie differenti e al tempo stesso sgridarla per l’ostinazione
a non
accordarsi dell’effettivo riposo, quando poi non gli risparmiava le
ramanzine.
Lui poteva permetterselo, era abituato, ma lei…
Si trattenne anche dal risponderle che non
c’era bisogno si affrettassero, perché sapeva sarebbe stato letto in
tutte le
maniere possibili e ovviamente non come l’avrebbe inteso lui – non che
non ci
fosse un enorme fondo di verità a voler mantenere l’ambiente
circostante più
tranquillo possibile – e abbozzò la risposta più diplomatica che il suo
cervello in sovraccarico potesse computare.
Attese qualche istante prima di compilare
un altro messaggio a un numero differente, dandosi dell’imbecille per
il senso
di colpa completamente ingiustificato e ricordandosi che non c’era
motivo di
dare altri dispiaceri alla sua ragazza, mettendola a conoscenza solo di
dettagli che avrebbero moltiplicato la sua angoscia e basta.
Il mento appoggiato al palmo della mano
sinistra, l’altra che stringeva pigramente la tazza di caffè, Zakuro
spostò
solo le iridi indaco quando il cellulare vibrò una volta sola sul
tavolo della
sala da pranzo. Solo anni di gelido raziocinio tennero a bada la
delusione nel
suo petto quando vide che l’oggetto del messaggio non portava nessuna
novità.
From:
IkisatashiPai31415
Mio
fratello?
Lo sguardo virò quindi verso Kisshu,
appollaiato sul bracciolo del divano che continuava a fissare fuori
dalle
finestre con occhi assenti. Non avrebbe nemmeno saputo dire se si era
mosso
durante la notte. Stava giocherellando con qualcosa che teneva in mano,
e lei
rilassò appena la fronte nel constatare che fosse solo il cellulare di
Minto,
recuperato probabilmente dalla borsetta che lei aveva lasciato al Caffè
prima
dell’ultimo attacco.
Attorno a lui, le altre tre ragazze si
stavano lentamente riprendendo dal poco e turbato sonno, facendo
colazione e
scambiandosi poche parole: avevano capito che era meglio lasciarlo
stare,
avvicinarlo con cautela come si faceva con un animale ferito,
stuzzicarlo il meno
possibile. Un atteggiamento che lei comprendeva bene.
From:
Loner_Wolf
È
qui. È già un passo avanti.
Non era una risposta particolarmente
confortante, lo sapeva, ma d’altronde era la verità.
Sospirò, cacciò il cellulare nella tasca
del cardigan che le scendeva dalla spalla, riempì una seconda tazza e
la portò
all’alieno, mettendogliela sotto il naso.
« Mangia, » un consiglio che suonò più
come
un ordine, « Sai come funziona. »
Kisshu prese la tazza, ma invece che bere
le mostrò il telefono della mew bird: « Per caso sai il codice? »
domandò
sottovoce, « Le è arrivato un messaggio di Seiji. Non vorrebbe
lasciarlo
preoccupare. »
Zakuro annui e fece un gesto con le dita
per indicargli di passarglielo: « Ci penso io. È capace di non parlarmi
per due
settimane se scopre che ti ho detto qual è. »
Lui rise con uno sbuffo: « Almeno mentimi
e
dimmi che è il nostro anniversario o qualcosa del genere. »
La mew lupo rispose con un sorriso e fece
dietrofront sui tacchi: « Chiediglielo dopo. »
« Come andiamo? » Purin sbucò dalla cucina
con due preoccupanti borse viola sotto gli occhi e il cappuccio della
felpa
tirato sopra la testa, in una mise che ricordava
molto Kisshu, « Io tra
poco sarei operativa… »
« Non c’è fretta, scimmietta, » bofonchiò
l’alieno dagli occhi dorati, concedendosi due lunghi sorsi ristoratori,
« Il
cervellone dorme ancora, e non è arrivato suono dal quartier generale. »
« Ryou è tornato a notte fonda, » rimbeccò
Ichigo sottovoce dall’altra parte della sala da pranzo, « Non siamo dei
robot.
»
« Pai ha detto che è riuscito a far
partire
un altro sistema di controllo, » s’intromise Retasu a bassa voce, nel
tentativo
di suonare incoraggiante, « Però sembra che ci vorrà un po’, perché è
vecchio
e… »
Zakuro vide la smorfia maligna e
sarcastica
di Kisshu che si preparava a ribattere e scattò più veloce di lui,
lanciandogli
un’occhiata di monito.
« Diamo a Ryou un’altra oretta, o ci sarà
inutile se non riesce a ragionare. Anche Pai e Taruto dovranno
riprendersi un
istante, e nel frattempo il programma farà dei progressi. Consiglio a tutti
di fare un altro pisolino – Purin, tu ti reggi a malapena in piedi. Non
sono
neanche le otto, per le dieci torniamo al Caffè e facciamo il punto
della
situazione. »
Kisshu fece schioccare la lingua: «
Signorsì,
signor Generale, » borbottò, ma non osò insistere mentre tracannava di
botto
l’intera tazza.
Stese le gambe e poggiò con cautela la
nuca
contro al muro, imponendosi di smetterla di torturarsi la pellicina del
dito
medio.
Non riuscire a capire quanto tempo stesse
passando la stava facendo uscire di senno: aveva provato a contare i
secondi,
ma perdeva il segno, la mente che vagava a rivivere ricordi o a porsi
un
miliardo di domande, oppure veniva distratta da una fitta di dolore in
qualche
punto random del corpo.
Sospirò e si tolse un paio di pelucchi dal
vestito giusto per avere qualcosa da fare. Aveva di nuovo vagabondato
per
l’intera stanza alla ricerca di uno spiraglio di luce o di un indizio
su dove
potesse trovarsi, ma sembrava assolutamente anonima nel suo essere
decadente e
polverosa.
Non avrebbe nemmeno saputo dire che
emozioni stava provando in quel momento: si sentiva svuotata,
disperata, ma
anche con ottomila pensieri differenti che la mandavano in tachicardia.
Quasi per abitudine, accarezzò di nuovo il
suo ciondolo Mew e decise di tirarlo fuori dalla tasca. Non avrebbe
ceduto alla
tentazione di riprovare a mettersi in contatto con gli altri, le
avrebbe
generato solo più angoscia sentire solo silenzio cupo, però lo strinse
in ogni
caso, alla ricerca di quella sicurezza che il suo DNA modificato le
dava.
Ironicamente, avrebbe detto, visto quanto
poco aveva apprezzato la cosa.
Le sembrò che i suoi geni animali le
sussurrassero qualcosa, o forse stava semplicemente diventando pazza
dopo
quella reclusione; ma non aveva niente da perdere, ormai, quindi si
portò il
ciondolo alle labbra e lasciò che la sua forma Mew si liberasse.
All’iniziò provò un sollievo indefinibile:
arrendersi
al divorare la “colazione” era stata una scelta saggia, doveva aver
recuperato
abbastanza energie, finalmente, anche se continuò a non avere il
coraggio di
estendere le ali più di un paio di millimetri, avvertendo un dolore più
sordo
proprio sulla schiena, e la sensazione di freddo sulla pelle nuda fu
meno che piacevole.
Poi il sollievo si tramutò in sgomento in
pochi attimi, quando si rese conto che nella mano sinistra stava
stringendo
nuovamente il suo arco.
Minto lo osservò a occhi sgranati per
qualche secondo, sbattendo le palpebre: temette che fosse l’ennesima
allucinazione, l’ennesimo segno di follia, ma la sensazione dell’arma
tra le
dita era inconfondibile.
In effetti non aveva mai pensato al
funzionamento dei suoi poteri – a dirla tutta non era neanche sicura
che
avrebbe davvero capito come accidenti funzionavano
– né si era mai
ritrovata in una situazione simile: ogni trasformazione, da ambo lati,
era
stata volontaria, costumi, armi, ali e coda una parte di sé. Non
ricordava di
aver mai perso l’arco prima, semplicemente esso spariva
insieme a tutto
il resto, quindi aveva senso che… tornasse a ogni
sua trasformazione,
no?
Scosse la testa, meglio essere grata di
quella stranezza invece che stare a rimuginare sui perché e i percome.
Devo assolutamente dirlo alle
altre, pensò, prima
che una sensazione di doloroso bruciore le risalisse la
gola al pensiero delle ragazze.
Smettila! insistette
con sé stessa, chiudendo la mano libera a pugno, Essere
melodrammatica non
ti servirà! Ora hai un vantaggio inaspettato, fai un bel respiro e
pensa a come
usarlo a tuo favore.
Le costò una fatica inaspettata tirarsi in
piedi, dopo tutte quelle ore indefinite seduta o raggomitolata su di
sé, ma si
tenne al muro e continuò a prendere respiri profondi per stabilizzarsi.
Poi puntò l’arma contro la porta e attese
in silenzio.
Sunamora era una rompipalle.
Le femmine
erano delle rompipalle.
A cominciare da sua madre, passando per
Seles e le sue turbe, e per finire anche con quella mocciosa umana
testarda e
cocciuta che gli stava solo creando dei mal di fegato.
Non avrebbe sopportato ancora molto il
muso
lungo e il trattamento del silenzio di suo fratello, che l’avevano
accolto
nella cucina in penombra quando si era messo alla ricerca di qualcosa
per
svegliarsi. Gli avevano solo fatto venire voglia di scolarsi due casse
di ollit(*)
già di prima mattina.
Così come gli aveva fatto bramare
l’alcolismo il sorrisetto di Espera, che gli aveva fin da subito
allungato un
piatto caldo: lui non voleva il suo aiuto né la sua gentilezza, l’unica
cortesia che avrebbe gradito sarebbe stato che sparisse e si levasse
dalle
scatole. Entro i successivi due giorni, se possibile.
Kert ringhiò sottovoce e compì gli ultimi
passi che lo separavano dalla stanza in cui c’era l’uccellino. Forse,
infine,
un po’ con le buone ma soprattutto con le cattive, sarebbe stato in
grado di
cavarle più di insulti di bocca e ottenere informazioni importanti in
più sulle
sue compagne e su quei tre sfigati Duuariani.
Zaur era sempre pronto a liberare un po’
dei suoi poteri, dopotutto.
Si fermò prima di aprire e ascoltò con
attenzione: nessun rumore, nessun strepitare o battere contro la porta
– forse
davvero sarebbe stata la volta buona.
Cambiò idea dopo un secondo, quando un
dardo luminoso gli passò a mezzo millimetro dalla faccia non appena
aprì la
porta.
Soffocò una maledizione tra i denti e
reagì
d’istinto, prima che un’altra freccia riuscisse davvero a colpire nel
segno. Minto
era in piedi, ancora vicino al muro, e lui le volò davanti nel tempo di
un
battito di ciglia, causandole un urletto soffocato quando riuscì ad
afferrarla
e sbatterla con forza contro la parete, bloccandola contro di sé.
« Sarebbero questi… i ringraziamenti? »
Kert le premette l’avambraccio contro lo
sterno, non abbastanza da soffocarla ma a sufficienza per renderle il
suo
affanno più deciso. Con l’altra mano le strappò di nuovo l’arco e lo
lanciò
lontano, premendosi poi un po’ di più contro di lei così da assicurarsi
che
stesse ferma; Minto, le punte dei piedi che sfioravano il pavimento,
poté
avvertire l’intero muro di muscoli che la stava sovrastando e smorzò un
gemito
di terrore quando lui le afferrò l’avambraccio e glielo spinse contro
al muro
con forza per bloccarla totalmente.
« Ammetto che apprezzo il tuo fegato, »
esclamò lui, « Ma non apprezzo essere preso per fesso. »
Le torse il braccio per portarglielo
dietro
la schiena, scatenandole un singhiozzo strozzato di dolore, poi la
voltò
completamente, come se non avesse peso, intrappolandole entrambe gli
arti e scostandole
malamente le ali per afferrarla e stringerla di nuovo contro di sé,
anche le
piume della coda che dolsero schiacciate.
« Lasciami! » strillò
lei, tentando
di divincolarsi, di assestargli delle tallonate negli stinchi, nelle
cosce, in
qualsiasi punto potesse raggiungere, ma lui era il doppio di lei e
aveva una
forza tale che c’era ben poco lei potesse fare.
La sollevò di nuovo come se fosse una
piuma, mormorando probabilmente imprecazioni che lei non capiva, e la
trasportò
dall’altra parte della stanza. La scaraventò sul letto polveroso,
continuando a
tenerle bloccate le braccia, e Minto smise di dimenarsi solo per il
completo
terrore che le raggelò le membra. Boccheggiò contro al materasso,
cercando di
respirare mentre sentiva gli occhi pungerle, tentando di estraniarsi
con la
mente mentre lo udiva armeggiare alle sue spalle – maledetto il suo
costume
così corto, maledetta la sua stanchezza, se solo fosse riuscita a
tirargli un
calcio…
Un nastro sorprendentemente morbido le fu
stretto con un po’ troppa veemenza attorno ai polsi e alle caviglie,
poi
finalmente Kert sospirò e si allontanò da lei:
« Così forse la finirai di regalarmi
sorpresine. »
Le ci volle qualche secondo per
comprendere
la situazione, mentre faticosamente si contorceva per guardarlo con
rabbia e
sgomento: « Tu… tu non… »
Gli occhi dorati vibrarono di un’emozione
che lei non riuscì a capire: « Sei carina, tesoro, ma non ho bisogno di
abbassarmi a certe cose. A meno che non venga chiesto. »
Minto si fece scivolare giù dal letto il
più lentamente possibile, atterrando sul didietro con poca grazia e
lanciandogli un’occhiata schifata a quell’ultimo commento.
« Preferirei cavarmi la lingua. »
Lui ridacchiò soddisfatto e si piegò sulle
ginocchia così da essere più o meno alla sua altezza: « Attenzione a
quello che
desideri, uccellino. »
« Cosa vuoi da me? » sberciò per
l’ennesima
volta, cercando di ignorare le lacrime che le punsero gli angoli degli
occhi.
« Non mi hai ancora detto come ti chiami,
»
replicò tranquillo lui, « Direi che quello me lo devi, visto come mi
hai
accolto qui dentro. »
« Non ti devo un bel
niente! Io – »
« Vuoi ricominciare? » la interruppe Kert,
« Basta solo chiedere, ho di meglio da fare che stare qui a discutere
con te. »
La mora avvertì un brivido di terrore e si
conficcò le unghie nei palmi, caricando di veleno la sua risposta: «
Minto. »
Il viso del geota si aprì in un sorriso
solare: « Benissimo, Minto. Il piacere è mio. Ho
pensato che potremmo
fare un giochino, » si sedette sul pavimento a gambe incrociate e poi
stese i
palmi dietro di sé, l’intrico di tatuaggi che fece capolino dallo
scollo della
maglia, « Ho pensato che potresti raccontarmi un po’ di cose. Non avrai
mica
voglia di rimanere di nuovo qui da sola con i tuoi pensieri, giusto? »
Ancora, il cuore prese a batterle furioso
mentre le si bloccava il respiro e dei tremolii gelidi le risalivano il
busto,
però lei scosse la testa e si costrinse a parlare: « Non ti dirò un
accidenti.
»
Kert rise, inclinò il capo da un lato, i
lunghi capelli color ghiaccio che seguirono il movimento: « Ripeto, non
saresti
altrettanto divertente se non avessi questo fegato. Facciamo così, tu
mi dici
una cosa e io ti dico una cosa. Uno scambio equivalente. Mi sembra
giusto, non
trovi? »
Minto si azzardò a scrutarlo per più di
qualche secondo, detestando quegli occhi dorati, detestando la sua
massa
imponente, detestando quell’espressione di completa tranquillità che
tanto le
ricordava qualcuno.
« Scommetto che anche ai tuoi amici
farebbe
piacere sapere una cosetta o due. »
« Non ti azzardare! » esplose lei di
scatto, le ali e la coda che frullarono indispettite, « Tu non sai
niente di
noi! »
« Proprio il fulcro della questione. »
« Perché, esattamente che piani avresti
per
me? » domandò lei, con un singhiozzo che non riuscì a coprire, « Vuoi
forse
farmi credere che… che… »
Le iridi chiare s’incupirono per un
istante: « Vuoi farmi passare per molto meno onorevole di quanto non
sia, Minto?
» il nome le risuonò come fiele detto dalla sua voce, « Come io non so
niente
di te, tu non sai niente di me. »
« Onorevole prendere
un ostaggio, torturarlo
e legarlo! »
« Ho bisogno di informazioni, » proseguì
lui, « Eri la via più veloce per ottenerle. Se fossi stata meno
testarda, forse
in questo momento ti troveresti in una situazione diversa. Ma ripeto,
così è
stato molto più interessante. »
Lei sbuffò sarcastica e cercò di nuovo di
divincolarsi, di allentare la stretta su polsi e caviglie, e lanciò uno
sguardo
disperato al suo povero arco, sbeccato e abbandonato dall’altro lato
della
stanza.
« Non ci pensare nemmeno, » l’ammonì lui,
indovinando, « Potrei non essere così clemente, la prossima volta. A
questo
proposito, come diamine funzionate tu e le tue
compagne? Mi sembra di
capire che non siete semplici umane. Quella tua amica bionda spara un… blob
gigantesco.
»
« Noi siamo le Mew Mew.
»
Kert la osservò per un altro paio di
secondi a sopracciglia alzate: « Ne so quanto prima, dolcezza. »
« Fattelo bastare. »
Di nuovo, un paio di istanti di silenzio,
poi l’alieno scoppiò in una fragorosa risata: « Forse ora capisco
perché quel
Duuariano – Kisshu, hai detto che si chiama? – è così fissato con te. »
Minto perse un respiro alla menzione del
nome, e Kert sembrò non mancare la sua espressione.
« Oh, non dirmi che ti aspettavi che
sarebbe riuscito a trovarti, » sogghignò maligno, « Non ti facevo una
donzella
che aspetta l’arrivo salvifico del suo bell’innamorato. »
« Tu non lo conosci, » ribatté lei,
sputando fuori lentamente e con odio ogni parola. Ottenne solo di farlo
sorridere ancora di più:
« No, però mi sono divertito parecchio a
osservarlo in questi giorni. Scommetto che vorresti sapere tantissimo
cosa stesse facendo. »
Le immagini che le avevano avvelenato il
cervello e il cuore le si accalcarono di nuovo davanti agli occhi,
mentre lo
stomaco le si riempiva di bile e la nausea le risaliva la trachea.
« Vaffanculo, » sussurrò con voce rotta,
guardandolo con tutto l’odio di cui era capace.
« Chissà se potessi barattarti per una
vostra resa incondizionata, di sicuro ci renderebbe il lavoro più
semplice.
Anche se non ce lo vedo, quello spilungone, a prostrarsi a certe cose.
Lui se
la fa con quella dai capelli verdi, non è vero? » Kert le parlò con
calma
assoluta, del tutto divertito dalle sue esternazioni, « A proposito,
non mi è
molto chiaro cosa ci facciano quei tre qua. È questo il metodo di
riconquista
Duuariano? »
Minto spalancò impercettibilmente gli
occhi, confusa: come faceva Gaia a non sapere di Deep Blue, della Mew
Aqua, di
come era andata a finire la missione degli Ikisatashi sulla Terra?
Erano
davvero così scarsi i contatti tra i due pianeti? Non che riuscisse a
capire,
in quel momento, come queste informazioni potessero essere rilevanti,
ma non
avrebbe certo rivelato nulla.
« Duuar e la Terra non sono più nemiche, »
mormorò « Se aveste ascoltato, la prima volta che
ci – »
Kert sventolò una mano in aria: « Ah, sì,
quella storia della pozione magica? Dubito che
possa interessarci. Il
nostro pianeta è in perfetto stato climatico, al contrario del vostro,
solamente ci serve più spazio. Anzi, credo che saremmo comunque più in
grado
noi di rimediare ai danni che avete combinato di qualche mistica
brodaglia. »
« Allora perché venire qui, se la Terra è
in condizione così disastrose per voi? »
Il sorriso dell’alieno si allargò: « Oh,
vedi che alla fine il mio giochino ha senso? » si rilassò un po’ di più
sui
palmi, « Te l’ho detto, Minto. Gaia ha bisogno di estendere i propri
confini.
La nostra popolazione cresce, e non possiamo rischiare di mettere a
repentaglio
l’equilibrio naturale e climatico del pianeta. Non dopo quello che la
nostra
gente ha passato. »
« Ci siamo noi qui adesso! Da millenni, da
ben dopo che il vostro popolo aveva abbandonato la Terra. Come già
detto al
tempo ai vostri compatrioti, non potete venire qui
a rivendicare un bel
niente. »
« E infatti gli è piaciuto così tanto che
sono rimasti. »
Kert ghignò soddisfatto al sottile rossore
che le colorò le guance, e Minto alzò il naso, come a recuperare
qualche
millimetro di inferiorità:
« Sapevano che sareste arrivati, » sibilò,
« Sono qua anche per impedirvi di commettere i loro errori! »
« Direi che sta funzionando, » la prese in
giro ancora, « Grazie comunque per aver confermato che le nostre
comunicazioni
verso Duuar hanno avuto buon fine, ci sentivamo ignorati. Anche se mi
stupisco
che non abbiano inviato contingenti più efficaci, se così interessati
al vostro
destino. Oppure, tutta questa storiella
dell’idillio tra i vostri
pianeti non è poi così veritiera. »
La mora si morse la lingua e tentò di
mettersi seduta più composta: « Vi stiamo tenendo testa in ogni modo. »
« Tu sicuramente, uccellino, te ne devo
dare atto, » anche Kert si raddrizzò e il suo sguardo si fece più
serio, «
Quindi ci siete solo voi ad avere le alucce, immagino. Zaur ha
borbottato
qualcosa sul vostro DNA, ma francamente ero annoiato dopo sette
secondi. »
Lei si domandò quale di loro fosse Zaur,
ma
questa volta scelse di rimanere zitta. L’alieno non ne sembrò molto
turbato.
« Per quale diamine di motivo, poi,
dovreste avere fattezze animali? »
Ancora, Minto si morse le labbra e lo
guardò solo con rancore.
« Uccellino – »
« Minto. »
« Minto, » lui si corresse e rise
divertito, piegandosi poi più in avanti e abbassando la voce, « Stai
tornando a
essere noiosa e antipatica. »
« Perfetto, » ribatté velenosa lei, anche
se le piume delle ali vibrarono in allerta e uno strano rimescolio le
prese lo
stomaco.
Kert emise solo uno sbuffo divertito,
scrutandola per pochi istanti con le iridi cariche d’interesse.
Poi fu come se tutta l’aria venisse
risucchiata dalla stanza.
Purin non aveva mai trovato il Caffè così
deprimente come quella mattina.
Un ennesimo acquazzone aveva deciso di
abbattersi sulla città, ingrigita e fredda, e lei stava incominciando a
diventare claustrofobica con tutto il nervosismo extra che aveva in
corpo.
Puntò dritto contro Taruto non appena
varcò
la soglia del locale, ignorando più che mai il suo imbarazzo di fronte
a
manifestazioni pubbliche di affetto. Il ragazzo stesso, invece, fu più
grato
del solito all’abbraccio in cui lei lo avviluppò, stringendola a sua
volta con
un braccio e carezzandole il cappuccio che portava sopra la testa con
fare
premuroso.
Kisshu, invece, concesse ai suoi fratelli
–
entrambi molto vicini alla cucina e alle sue scorte alimentari –
soltanto un
cenno del capo e scomparve di nuovo al piano di sopra senza dire una
parola.
« Non so cosa fare col nii-san, »
bofonchiò
Purin dopo un po’, quando fu sicura di essere il più possibile fuori
dalla
portata di orecchio, il volto ancora premuto contro il petto di Taruto,
«
Praticamente non ha detto una parola da ieri sera. »
« Non sono certo che vorremmo sentire ciò
che ha da dire, » commentò laconico Pai, bevendo un altro sorso di
caffè
nonostante fosse già alla terza tazza in meno di due ore e
guadagnandosi
un’occhiataccia da parte della bionda, « Sarebbero solo sequele di
parolacce e
commenti poco utili. »
« Lo puoi biasimare? » rispose secco
Shirogane, passandogli accanto per sfruttare anche lui la miscela
fumante
appena fatta.
L’alieno non criticò oltre, e annuì verso
Keiichiro, anche lui con l’ombra della barba che gli scuriva il viso: «
Il programma
ha finito di aggiornarsi. Il codice sembra solido, ma la scansione
procede
lenta. »
Ichigo si lasciò andare a un sospiro
angosciato: « Questo è un incubo. »
« Quante possibilità ci sono che funzioni
meglio di tutti gli altri sistemi che avete già provato? »
Ryou non guardò Zakuro dopo quella
domanda,
concentrandosi solo sulla macchina del caffè: « Non credo che una
comparazione
sia efficace, a livello di meglio o - »
« Okay, quindi non cambierà niente,
capito.
»
Al commento acido della mewlupo, Purin
finalmente si staccò da Taruto e si strofinò la manica della felpa
extralarge,
che non apparteneva certo a lei, contro al viso.
« Vado dal nii-san, » borbottò poi,
svicolando via prima che le amiche o gli Ikisatashi tentassero di farla
desistere.
Per lei non era concepibile alienarsi nel
momento del bisogno: più degli altri sapeva quanto fosse necessario il
sostegno
degli amici, della famiglia, quando le cose si facevano difficili, e se
quel
testone di Kisshu non lo voleva ammettere, sarebbe andata lei a
insistere,
perché lei aveva bisogno anche del suo appoggio in quel momento.
Aveva bisogno lei stessa di vedere che lui
non aveva perso tutte le speranze.
Lo trovò all’incontrario sul suo letto, la
testa penzoloni giù dal bordo e un plico di polaroid in mano.
« Non mi serve una baby-sitter, »
l’accolse
piatto quando la sentì arrivare.
Purin gli scostò le gambe con malagrazia e
gli si sedette accanto: « Io invece voglio compagnia. »
« Non hai un fidanzato per questo? »
« Non essere stronzo, » gli pungolò un
fianco con un dito, e perfino Kisshu fu sorpreso dalla scelta di
linguaggio, «
Ecco, è proprio il mio messaggio principale. »
Nuovamente, lui si stupì della risatina
sincera che gli risalì dalla gola: « Certo che sei proprio una
rompipalle. »
« Appannaggio della sorellina minore. »
Lui fece schioccare ironico la lingua e le
lanciò un’occhiata divertita: « Mi devi dire qualcosa che non so? »
« Non fare il finto tonto, sarebbe uguale
anche se non ci fosse Taruto di mezzo. Passerebbe per la onee-san. »
Il viso di Kisshu s’indurì a quel
commento,
e lui si soffermò di nuovo sulle foto che reggeva – una panoramica di
quasi un
anno di relazione con Minto, da quando lei gli aveva regalato la
macchina
fotografica a poche settimane prima.
Si tolse dalla testa il pensiero che
potevano essere tutto ciò che gli sarebbe rimasto di lei.
Purin sembrò capirlo, perché evitò
pervicacemente di guardarle e gli diede un colpo col ginocchio: «
Andiamo a
vedere cos’ha Akasaka-san in cucina? Secondo me Ryou nii-san ha messo
un bando
ai dolci, perché la colazione stamattina non – »
Un insistente allarme, diverso da tutti
quelli che avevano sentito nel tempo, li fece sobbalzare entrambi,
seguito poi
da segnali a cui erano molto più abituati. Kisshu volò giù ancor prima
che la
bionda potesse sbattere le ciglia, ma si affrettò a seguirlo con il
cuore che
batteva a mille, facendo i gradini a tre a tre fino al seminterrato.
Pai era già curvo sul computer, le dita
che
saettavano sulla tastiera: « Sono scattati tutti contemporaneamente, »
spiegò
spiccio, « Compreso quello sulla Mew Aqua. Ma non capisco cosa – »
« Qui, » Ryou gli indicò un punto sul
monitor principale, poi si sbrigò a zoomare e sgranare l’immagine, « Il
programma per individuare DNA compatibili ha rintracciato il profilo
genetico
di Minto, per una frazione di secondo… »
Kisshu quasi lo spinse di lato: « Dove?! »
« Non ha senso, » sussurrò Zakuro,
scrutando lo schermo, « Perché è sparito di nuovo? »
« Shirogane, dove!? »
Il biondo silenziò gli allarmi e batté un
altro paio di tasti: « Due chilometri a sud di qui. »
Minto si rannicchiò ancora di più su sé
stessa mentre annaspava, i polmoni che non riuscivano a riempirsi, la
gola che
pareva farsi via via più stretta, gli occhi che di nuovo si riempirono
di
lacrime.
Forse era così che si sentiva un pesce
fuor
d’acqua.
« Ho un’amica davvero brava a scoprire
quello che serve, » mormorò Kert e le si avvicinò, sfiorandole con un
dito le
delicate piume della coda, « Sei fortunata che non sia qui con noi. Ma
anche io
non sono proprio inutile. »
Osservò i colori iridescenti del piumaggio
e attese qualche altro istante prima di parlare, degli istanti che a
Minto
parvero infiniti.
« Non mi faccio vanto di chissà quali
capacità, ma qualche asso nella manica ce l’ho. In stanze molto
ridotte, ad
esempio, posso cancellare ogni traccia di ossigeno presente nell’aria.
Tranne,
ovviamente, per me stesso. »
Lei sussultò solo quando avvertì le sue
dita percorrerle un fianco e poggiarsi sul suo collo, come a
controllarle il
battito: avrebbe voluto scrollarselo di dosso, ma non aveva nemmeno le
energie
per mugolare.
« Si rivela utile, quando qualcuno è
particolarmente testardo, » continuò lui, e spostò le dita lungo la
mascella di
lei, « Dici che hai voglia di chiacchierare un po’ di più? »
Minto rantolò, ormai con una palla di
fuoco
dentro al petto al posto dei polmoni, la testa che cominciava a girarle
e ogni
singolo muscolo che faceva male. Anche se avesse voluto, solo per
insultarlo,
non avrebbe potuto nemmeno muovere la lingua, e…
Le labbra di Kert si posarono sulle sue
prima che lei potesse accorgersi che si fosse mosso, le sue dita che le
spinsero il mento in alto. Provò una sensazione di gelido terrore e
fece per
ritrarsi, quando il dolce soffio di aria respirabile le riempì di nuovo
le vie
aeree, schiarendole per un secondo le idee.
L’alieno si ritrasse molto più lentamente
di come si era avvicinato, e la guardò sempre con quell’insopportabile
sorriso
soddisfatto; Minto serrò le labbra, cercando di trattenere ogni più
preziosa
molecola di ossigeno, cercando di togliersi l’orribile gusto di quel
bacio di
dosso.
« Possiamo ancora andare avanti così.
Oppure possiamo – » Kert s’interruppe e inclinò appena il capo da una
parte,
come se stesse ascoltando qualcosa che lei non poteva sentire.
La mora, la cui riserva d’aria stava di
nuovo decrescendo pericolosamente, notò solo un guizzo scocciato nella
sua
mascella prima che l’alieno le sorridesse di nuovo e le stuzzicasse,
questa
volta, le ali.
« D’accordo, divertimento finito, » tirò
un
po’ di più, strappandole l’ennesimo gemito di dolore, e sfilò una delle
piume,
rigirandosela incuriosito, « Come ricordino delle nostre chiacchierate.
»
L’aria le ritornò violentemente nei
polmoni
e la vista le si appannò del tutto per quante lacrime le fluirono negli
occhi;
Minto prese quanti più respiri possibili, tossendo e boccheggiando
contro la
nausea e il pulsare nel suo cervello.
« Sei un essere spregevole! » esclamò con
voce rotta, e lo fece solo continuare a sorridere.
« Scommetto che pensavi la stessa cosa
anche dei Duuariani, quando sono arrivati qui per la prima volta, » la
prese in
giro sottovoce, sfiorandole il naso con la piuma prima di portarsela
alle
labbra, « Magari cambierai idea anche su di noi. »
Lei non fece in tempo a reagire,
attraversata solo da un brivido di disgusto e terrore, che lo vide di
nuovo
fare una smorfia scocciata, il viso che si rivolse al muro a loro
opposto,
verso l’entrata della stanza. Con uno sbuffo contrariato, si alzò in
piedi,
infilandosi la sua piuma in tasca, e le lanciò un’occhiata un po’
contorta:
« Peccato doverti condividere, ora. »
Con un gesto annoiato, Kert finalmente
aprì
la porta.
L’alieno dagli occhi blu, quello che
doveva
essere a capo della combriccola, entrò come una furia e si diresse
subito
addosso al suo rapitore, senza degnarla di uno sguardo: « Ma sei
impazzito?! »
urlò in un sussurro, dandogli uno spintone, « Espera stava diventando blu!
»
Kert rispose con un ghigno divertito: « Le
ha sempre donato, come colore. »
Minto, ancora boccheggiante e molto
confusa,
si distrasse da quella discussione, osservando solo l’uscio spalancato,
il
corridoio buio oltre ad esso che sembrava però molto più luminoso della
stanza
dove aveva passato chissà quante ore. Se solo fosse stata libera, se
fosse
riuscita a slegarsi almeno le caviglie…
Tentò di librarsi in volo, ma le ali le
fremettero dolenti e si sollevò forse di un paio di millimetri prima di
ripiombare con un gemito sul pavimento duro. Ogni energia che aveva
riconquistato durante il sonno era come svanita, tutte le sue cellule
si
rifiutavano di collaborare e la testa le girava più che mai. Alzò lo
sguardo e
si contorse il più possibile per guardare quel corridoio – una
casa, quella
era una vera e propria casa! – e i suoi occhi registrarono
le figure dei
due alieni che già aveva incontrato, più una terza che non era quella
comparsa
durante la battaglia notturna, ma un’altra, diversa, e che la stava
osservando
con…
Emise un gridolino quando si sentì di
nuovo
sollevare in alto per i polsi legati, Kert che la sostenne appena i
suoi piedi
si posarono sul pavimento perché le gambe non riuscivano a sorreggerla.
Avvertì
Rui dire qualcos’altro, un borbottio confuso da parte dei suoi
compagni, e poi
percepì un dolore sordo alla nuca e tutto divenne nero.
Kisshu nemmeno notò il muro di pioggia che
gli si abbatté addosso quando apparve nel punto indicatogli da
Shirogane. Quasi
non aveva lasciato che l’americano finisse di parlare: si era fatto
riportare
le coordinate nel suo comunicatore ed era saettato fuori senza neanche
aspettare che le Mew Mew reagissero.
I sai già impugnati, si guardò intorno,
cercando oltre l’acquazzone per un segno di vita. Un altro parco, uno
che lui
non conosceva, completamente svuotato visto il tempaccio.
Dove sei?
« Ma che ti salta in testa! » la voce
stridula di MewIchigo, le orecchiette nere già inzuppate, gli arrivò
come un
trapano all’orecchio, « La devi smettere con queste azioni alla James
Bond,
siamo una squadra! »
L’alieno non la degnò di uno sguardo, e la
rossa digrignò i denti, la codina nera che sferzò l’aria con
irrequietezza: «
Non li vedo. Ryou, sei sicuro del luogo? »
Masha le fluttuò accanto per trasmettere
la
voce del marito: « Certo che lo sono, » il suono
giunse più metallico
del solito, « Il segnale dei geoti continua a provenire da
lì! »
MewRetasu si mordicchiò il labbro: «
Minto-chan non c’è. Non c’è nessuno. »
« State cercando qualcosa? »
Sette teste scattarono all’insù alla voce
sarcastica di Kert, una macchia grigiastra contro il cielo plumbeo.
Sembrava
molto più soddisfatto dei suoi compagni, a triangolo poco dietro di
lui, le
armi già imbracciate. MewIchigo avvertì una stretta allo stomaco nel
constatare
che, comunque, di Minto non c’era traccia. Strinse la sua campanella e
fece un
passo avanti, maledicendo la pioggia che le impediva di vedere bene: «
Razza di
bastardi! » strillò, il pelo della coda irto, « Ridateci la nostra
amica! E
spero per voi che non le sia successo niente! »
Un tuono rombò sotto la risata sprezzante
dell’alieno: « Non preoccuparti, umana, ci siamo
molto divertiti. »
MewIchigo poté giurare di sentire Kisshu
ringhiare veramente, mentre anche lui avanzava, Taruto che praticamente
lo
tallonava; un ringhio che si fece ancora più cupo quando, dopo un cenno
d’intesa tra Kert e l’alieno coi capelli neri, quest’ultimo mosse
appena il
capo: la Mewbird comparve come dal nulla, imbavagliata e legata,
chiaramente
priva di sensi, dentro una specie di bolla d’aria sospesa nel vuoto
poco
lontano dai geoti.
« Avete voglia di venire a prendervela? »
continuò a provocarli lui, sganciando l’accetta alla cintola e
facendola
roteare un paio di volte, « Perché mi costerà molto separarmi dalla sua
amabile
compagnia. »
« Pensiamo bene a cosa fare, » MewZakuro
sussurrò veloce, « Non possiamo rischiare di metterla in pericolo. »
MewIchigo annuì, cercando di studiare la
situazione mentre un altro lampo illuminava cupamente il parco. Un
brilluccichio catturò la sua attenzione, facendola scrutare alla sua
sinistra
con la coda dell’occhio. Il campanellino in cima alla sua coda trillò
innervosito non appena lei registrò esattamente quel dettaglio.
« Kisshu, cosa diavolo pensi di fare?! »
Lui fletté appena le dita su cui
galleggiava
pigramente un para-para: « Ammazzarlo, » rispose solo, con tutta la
naturalezza
del mondo.
MewZakuro
gli andò incontro e lo prese per un braccio, costringendolo a voltarsi
per
guardarla: « Sei impazzito? » sussurrò, lanciando un’occhiata
all’enorme chimero,
« Quel… coso potrebbe perdere completamente il
controllo e rischiare di
colpire Minto! »
Le iridi dorate la guardarono con
un’espressione di stupore mista a livore: « Avrà solo un obiettivo ben
preciso.
»
Se la scrollò di dosso, e, di nuovo, partì
prima che qualcun altro potesse anche solo aprire la bocca, lanciandosi
a testa
bassa tra gli alberi alla ricerca di un ospite compatibile per il
para-para.
« Brutto stupido, » fu il solo commento di
Pai, che però estrasse il suo ventaglio e si gettò anch’egli dietro al
fratello.
Sotto il costante scrosciare della
pioggia,
i due gruppi si lanciarono l’uno contro l’altro, in un’esplosione di
colpi e
colori. MewRetasu ebbe l’impressione che i suoi attacchi fossero
superflui in
confronto ai litri di acqua che stavano cadendo e che rendevano il
terreno
erboso un pericoloso pantano sdruccioloso, ma serrò i ranghi vicina
alle sue
amiche e impugnò le nacchere più forte del solito.
MewZakuro, accanto a lei, si rese conto
invece di essere poco concentrata, parte dell’attenzione a Minto,
inerme dentro
quella sfera opaca, e parte invece a Kisshu e alle sue idee poco
pensate.
Sferzò nell’aria con la frusta, spezzando a metà strada qualche freccia
di
Pharart che aveva puntato a MewPurin e Taruto, e di nuovo lanciò
un’occhiata
verso il boschetto ben tenuto, dove si era intrufolato il verde senza
ancora
farvi ritorno.
« Dove si è cacciato?! » esclamò a voce
alta per superare il rumore del temporale e i sibili dei loro colpi,
schivando
allo stesso tempo uno degli attacchi di Rui, il quale, pur senza quello
strano
supporto dell’altra aliena e della Luna, aveva lo stesso una precisione
micidiale.
Pai ricomparve pochi secondi dopo,
annunciato
da una scarica di ghiaccio puntata verso Zaur, colpevole di starsi
avvicinando
troppo a MewRetasu, le spalle contratte in un sintomo della sua
frustrazione;
la mewlupo cercò di incrociare il suo sguardo, per chiedergli qualche
delucidazione, ma con la coda dell’occhio vide finalmente Kisshu
sfrecciare
rasoterra fuori dalla boscaglia, puntando dritto contro Kert con aria
omicida.
MewZakuro non avrebbe ammesso che aveva
trattenuto il fiato per un secondo.
Prima, il rombo di un tuono, poi l’urlo di
un gigantesco chimero che spuntò dalle fronde: un drago, dalla cui
bocca
violacea, dello stesso colore del corpo, uscivano delle strane fiamme
verdastre, mentre due ali dorate spiccavano da sopra una lunga criniera
rossa
che gli percorreva l’intera schiena.
Pharart non riuscì a mascherare una
maledizione: « Che diavolo è?! » esclamò confuso, puntando subito tre
frecce in
una volta in direzione dell’animale.
Anche Rui imprecò tra i denti, volando a
zig-zag
per evitare le fiammate: « Possibile che abbiano sempre qualche
trucchetto!? »
« Vai così, nii-san!! » urlò invece
estasiata MewPurin, schivando una delle radici di Pharart e
intrappolandola in
uno dei suoi budini così che Taruto potesse tranciarla.
MewIchigo, molto meno entusiasta della
situazione, si fermò a riprendere il fiato e a scostarsi la frangia
inzuppata
dagli occhi, studiando la bestia che ora si muoveva sinuosa tra i
nemici, quasi
seguendo gli stessi movimenti che Kisshu compiva contro Kert,
serrandolo in
duello. Aveva udito il rumore di una frenata, e si guardò appena sopra
la
spalla per confermare che Ryou era riuscito a raggiungerle – lei non ne
era
stata particolarmente convinta, ma non era riuscita a fargli cambiare
idea, a
conquistare il senso di colpa che lui continuava a provare nei loro
confronti.
Lo vide mimare qualcosa che sicuramente
era
un’imprecazione in lingua madre, e si prese solo un altro attimo per
indicargli
la sfera in cui si trovava Minto: lui sbiancò visibilmente anche da
duecento
metri più indietro, poi però annuì e le fece un cenno di
incoraggiamento, cui
lei rispose con un sorriso tremolante.
Conosceva Kisshu, molto bene sotto certi
punti di vista, e pregò solo tra sé e sé che non perdesse la testa,
mandando al
diavolo tutta quella situazione.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie
così
forte da ottundere tutto il resto.
Quello stronzo, figlio di puttana.
Aveva completamente smesso di pensare
quando aveva visto Minto ridotta in quello stato, una figurina indifesa
sospesa
a mezz’aria, così vicina a lui e al tempo stesso quasi inavvicinabile.
L’unico suo obiettivo ora era metterla in
salvo.
Togliendo di mezzo tutti quelli che
avrebbero potuto ostacolarlo.
Kisshu strinse i sai e affondò un’altra
volta, sprigionando una carica elettrica rivolta dritta al cuore del
suo
avversario. Non gli importava nemmeno, in realtà, dove i suoi attacchi
incessanti colpissero, l’importante era colpire.
Se solo le hai storto un capello
più di
così…
Kert riuscì a deviare il colpo con una
leggerezza che non si sposava con la sua mole e poi gli rise in faccia
di
gusto, tentando di ricambiare con il filo dell’accetta mentre provava a
comandare l’aria attorno a sé perché lo assistesse.
« C’è forse qualcosa che non va? »
denigrò,
lanciandosi i capelli fradici dietro le spalla, « Pensavo saresti stato
contento
di rivedermi. »
« Muori, » rispose solo Kisshu a denti
stretti, schizzando di nuovo a testa bassa contro di lui e poi virando
all’ultimo, così che il mostro che aveva creato potesse passargli
dietro e
avere campo libero.
Kert soffocò una maledizione, schivò le
vampate verdognole e si voltò all’ultimo per parare la lama
dell’avversario,
che gli era arrivato alle spalle. Non si era aspettato questa ennesima
trovata
dei duuariani, che lo stava facendo sudare nonostante il freddo della
maglia
fradicia contro la pelle. Bloccò l’ennesimo colpo coi parabraccia e
sferrò un
pugno a Kisshu, riuscendo solo però a sfiorargli la gota con le punte
delle
borchie sui guanti.
Di nuovo, si lasciò cadere all’indietro
quanto bastava per allontanarsi dall’avversario e sganciare il suo
amato
bazooka, creando una bolla d’aria che colpì in pieno il drago: non fu
abbastanza, però, per sconfiggerlo, solo per allontanarlo
momentaneamente con
un boato di rabbia.
Kisshu quasi non parve accorgersene: gli
fu
di nuovo addosso, con un’espressione di serafica furia, i dardi
elettrici che
si avventavano su Kert ogni secondo.
Il geota fece schioccare la lingua e ne
schivò quanti più possibili, parando gli altri con l’accetta e tentando
di
manovrare la sua arma con una mano sola.
« D’accordo. Vogliamo fare sul serio? »
Un pigolio incessante la riscosse dal
profondo torpore in cui era caduta, e da cui le pareva di non riuscire
a
risalire. Quando Minto finalmente aprì gli occhi, le ci volle qualche
istante
per comandare le sue palpebre, così come a mettere a fuoco le immagini
e
ricomporre i pezzi degli ultimi avvenimenti. Il cuore le schizzò
nuovamente in
gola quando si rese conto di stare galleggiando in aria mentre,
parecchi metri
sotto di lei, finalmente rivide le sue amiche.
Anche se avrebbe preferito ritrovarle in
condizioni diverse.
Sicuramente non aveva previsto il dragone
sputafuoco, chiara opera di qualcuno che conosceva bene. Scannerizzò
velocemente la scena alla ricerca di Kisshu, e quando lo trovò,
impegnato in un
serrato testa a testa con Kert, il cuore prese a batterle come una
furia: ma
non osò fiatare, per paura di poterlo distrare, non osò nemmeno
muoversi per il
terrore sia di deconcentrare chiunque di loro o di forare la sua
precaria
protezione. Inoltre, polsi e caviglie erano ancora legati, e la benda,
per
quanto morbida, aveva iniziato a sfregarle la pelle in maniera
fastidiosa;
quindi, ogni movimento le procurava solo infinita irritazione.
Ciliegina sulla
torta, bendata com’era sarebbe riuscita solo a emettere mugolii
incoerenti che
non avrebbero aiutato la situazione.
Forse si era trovata in una posizione
migliore nel covo dei geoti.
Un puntino rosa attirò la sua attenzione,
e
sgranò gli occhi con sollievo quando Masha – l’origine di quel pigolio
così
fastidioso ma così benvenuto – le fluttuò davanti, sbattendo
inconsolabile
contro la barriera d’aria.
« Minto! Tutto… bene? »
Lei si contorse quanto poteva, attenta a
tutto, per cercare Shirogane, la cui voce risuonò preoccupatissima
attraverso
il robottino. Quando finalmente lo trovò, poco più indietro rispetto
alla
battaglia a scendere dalla macchina, si limitò ad annuire e mormorare
incoraggiante.
Lo vide passarsi una mano tra i capelli
biondi mentre probabilmente il suo cervello lavorava a mille miglia
all’ora: « Adesso
cerchiamo una maniera di tirarti giù da lì. »
Sobbalzarono entrambi all’ennesimo tuono,
seguito dal ruggito della bestia: Minto si incurvò dalla parte opposta
per
osservarla venire colpita da un getto d’aria di Kert in un turbinio di
fiammate
e scagliata lontano, schiantandosi contro degli alberi e sollevando una
nuvola
di terriccio e sabbia che per qualche secondo peggiorò la visibilità
ancora di
più.
Un altro barrito, e il chimero ritornò
alla
carica, le ali che sferzarono l’aria vicinissimo alla sua cella. La
Mewbird, il
cuore che le schizzò in gola, sentì chiaramente lo spostamento della
sfera, il
tremolio delle sue pareti a quel contatto sfiorato, così come udì la
parolaccia
di Shirogane sopra al pigolio terrorizzato di Masha.
« Minto-chan! Stai bene!? » la
voce
affaticata e inquieta di MewIchigo le parve lontanissima, e lei non
riuscì ad
individuare l’amica in quel macello, mentre le gocce di pioggia
sembravano
farsi più intense, abbattendosi come proiettili contro la superficie
leggera
della bolla.
« Bisogna tirarla fuori da lì! »
« Grazie, Shirogane! » sberciò la mewrosa, in un battibecco che a Minto
sembrò la cosa più
familiare del mondo, « Hai anche idee oltre a – »
La comunicazione s’interruppe quando il
chimero di Kisshu, le fauci spalancate, piombò davanti alle Mew Mew, le
grosse
unghie nere che s’infilarono nel terreno e lo fecero tremare,
spaccandolo e
facendo vacillare le ragazze. La coda sferzò e quasi colpì MewRetasu,
che
scattò all’indietro all’ultimo e poi si coprì le orecchie con le mani
quando la
bestia lanciò un urlo belluino e sprigionò una fiammata divampante in
direzione
dei geoti.
Minto osservò a occhi sgranati la scena,
Kisshu dritto nella linea di tiro di quelle vampate ora smeraldo:
l’alieno non
sembrò farvi caso, concentrato com’era solo su Kert. Vide l’alieno dai
capelli azzurri
evitare per un soffio la carbonizzazione con una carambola al
contrario,
l’ennesima bolla d’aria lanciata stavolta a mo’ di protezione, e il
verde
dietro di lui, i sai inghiottiti dalla luce dorata delle scariche
elettriche.
« Io lo sapevo che l’idea di
Kisshu era
un’idea del cazzo. »
Non avrebbe potuto essere più d’accordo
con
la sua onee-sama.
Rui avvertì il calore quasi prima di
accorgersi delle fiamme dirette verso di loro. Schivò il colpo rosato
dell’umana con le orecchie da gatto e lanciò un’allerta ai suoi
compagni, la
gola che gli si strinse nel vedere suo fratello così vicino al
pericolo. Non
ebbe il tempo di riflettere, si concentrò solo sul volare quanto più
lontano
possibile e attirare a sé abbastanza acqua da rimandarla indietro verso
quel
mostro, spegnendo appena la potenza dell’attacco. Dall’altro lato, Kert
fece lo
stesso con un getto d’aria, e lui riprese a respirare un po’ più
facilmente.
Se solo fosse riuscito ad andare ad
aiutarlo… non che gliel’avrebbe permesso, ma non gli piaceva per niente
come
fosse palese che la questione fosse diventata personale tra lui e quel
duuariano.
Si tolse una ciocca fradicia dagli occhi e
lanciò un altro getto d’acqua verso la bestia, notando però come avesse
intralciato anche le sue nemiche.
Forse poteva voltare la situazione a loro
vantaggio.
« Pharart! » chiamò a gran voce, « Vai! »
« Minto-chan è sveglia! » MewIchigo
saltellò tra le sue compagne e tirò in piedi MewRetasu, ancora
rintontita da
quell’ultima trovata del chimero davanti a loro, « Dobbiamo portarla
giù! »
MewZakuro tenne gli occhi fissi sulla coda
dell’animale che scudisciava irritata mentre esso sembrava riprendere
il fiato
dopo tutto il caos provocato: « Se Taruto o Pai potessero – »
Il richiamo di Rui giunse fino a loro. Tre
frecce, e poi tre altre ancora, sibilarono poco distanti, conficcandosi
tutt’attorno al chimero: il tempo di sbattere le ciglia e la terra
tremò di
nuovo, le Mew Mew che caddero come birilli, mentre radici grosse quanto
tronchi
spuntarono di scatto dal terreno per aggrapparsi al drago e bloccarlo.
Il lucertolone lanciò un urlo devastante
di
dolore, e prese a dimenarsi come un ossesso per potersi liberare. Le
quattro
tentarono di rimettersi in piedi, ma le scosse provocate dal bestione
erano
incessanti e la sua coda, rimasta libera, era una frusta impazzita.
« Taruto, fa’ qualcosa! »
« Non mi rispondono! » il più giovane
degli
Ikisatashi urlò di rimando al grido di Purin, volandole accanto per
aiutarla a
rialzarsi e al tempo stesso cercando di stabilire un contatto con
quelle
radici.
« Sbarazzatevene! » tuonò Pai, creando una
potente corrente per parare le ragazze dai colpi dei nemici, « Togliete
di
mezzo questo coso impazzito! »
« È stata un’idea di tuo fratello! »
« Vi sembra il momento di
pensare a una
cosa del genere!? »
MewIchigo strinse i denti, e fece per
prendere la sua campanella e rivolgerla alla povera bestia quando Rui
piombò su
di lei come un lampo, portandosi dietro ancora più pioggia.
Lei barcollò all’indietro, pericolosamente
vicino agli artigli del drago, e fu solo grazie agli innati riflessi
felini che
riuscì a incastrare la sua arma nella punta della spada di lui,
fermandola e
respingendola per un soffio.
Un getto d’acqua da MewRetasu, alle spalle
di Rui, le venne in soccorso, ma la mewverde fu poi incalzata da Zaur,
e le
venne quasi naturale allontanarsi il più possibile, combatterlo da
lontano,
memore dell’ultima volta in cui se l’era ritrovato vicino.
Il terreno tremò ancora all’ennesimo
ruggito del chimero, e MewIchigo traballò e provò a girargli intorno,
continuando ostinatamente a lanciare lampi di luce rosata verso
l’alieno; lo
stivale, però, incontrò un pezzo di roccia divelta e lei sentì il
pavimento
mancarle da sotto i piedi mentre scivolava e cadeva a terra.
« Non ci provare! » MewPurin le fu accanto
come per magia, e uno dei suoi anelli si schiantò con forza contro la
guancia
dell’alieno, stoppandolo quanto bastava per poi immobilizzarlo dentro
uno dei
suoi budini.
« Grazie, » esalò MewIchigo, accettando la
mano che le porse per tirarsi su e prendendo un respiro profondo per
calmare i
battiti impazziti del suo cuore.
La bionda le fece l’occhiolino e impugnò
di
nuovo le proprie armi: « Non c’è di che, leader.
Andiamo! »
Anche a distanza di metri, e con Kisshu
che
non gli lasciava spazio per respirare, Kert si accorse
dell’imprecazione del
fratello: lo vide con la coda dell’occhio venire colpito dalla
piccoletta in
giallo e poi inghiottito da quel blob di cui lui
non si poteva ancora
capacitare.
Strinse i denti e, per una volta, fu lui a
lanciarsi contro il duuariano in un eccesso di rabbia, riuscendo
finalmente ad
assestargli un cazzotto nel plesso solare che lo fece volare lontano e
gli
bloccò il respiro per qualche istante.
Questa storia del loro duello stava
cominciando a stressarlo, era finito il divertimento, e avrebbe
preferito
tornare a combattere a fianco di Rui, per essere certo che il
fratellino stesse
bene.
E dover continuare a sostenere quella
sfera
d’aria in cui dentro c’era l’uccellino…
Kisshu tornò a testa bassa e armi puntate
contro di lui, evitò per un soffiò la corrente d’aria che il bazooka
gli sparò
contro, e fu in grado di sfiorarlo con il filo della lama, aprendogli
uno
squarcio nella maglia.
Kert fu svelto ad allontanarsi e imprecò,
controllando con le dita di non essere ferito, e poi guardò con
disprezzo il
suo avversario: « Ora mi hai un po’ rotto le palle. »
Il verde fece schioccare la lingua e roteò
i sai: « Il sentimento è ricambiato. »
Il geota ghignò, alzò la mano destra, e lo
guardò con estremo divertimento, prima di schioccare le dita.
Non sapeva se da quel momento in poi
avrebbe sofferto di vertigini, ma sicuramente le sarebbe piaciuto
rimanere un
po’ più vicino al suolo, per un po’. Soprattutto con la nausea che era
ritornata a farle visita, ora che era costretta a osservare i suoi
amici
battersi senza che lei potesse fare nulla.
Il chimero era ancora legato dalle radici
di Pharart, e le ragazze stavano dando il loro meglio, premute
com’erano dai
geoti. Non avrebbe osato dirlo, ma le sembrava pure che Pai fosse in
difficoltà.
La pioggia, inoltre, continuava a cadere
copiosamente e le gocce colavano lungo le pareti, creando uno strano
effetto
che non faceva che aumentare il suo voltastomaco. Masha era ancora
accanto a
lei, a trasmetterle la voce di Shirogane che cercava di essere
rassicurante, ma
Minto provava tutto tranne che conforto.
Se fosse successo qualcosa alle sue amiche
per colpa sua… perché non era stata capace di tirarsi fuori da quella
situazione…
Le risalì un singhiozzo dalla gola e tentò
di nuovo di liberarsi con attenzione, ma non era nemmeno in grado di
dispiegare
le ali senza provare un dolore lancinante lungo tutto la schiena.
E non poteva distrarle, non poteva
permettere che…
La bile le gelò lo stomaco quando, più in
là, vide di nuovo Kisshu e Kert scontrarsi da troppo vicini, questa
volta colpirsi
sul serio, le parve addirittura di vedere il rossore spargersi sullo
zigomo del
verde. Tentò ancora di spalancare le alucce, ma le si riempirono solo
gli occhi
di lacrime alla fitta che le fece tremare la spina dorsale.
Osservò Kert fermarsi, dire qualcosa,
alzare la mano.
Le si bloccarono i battiti quando vide con
chiarezza assoluta, quasi al rallentatore, la superficie della sua
sfera
vibrare di nuovo.
E iniziò a cadere.
Shirogane era certo che quella scena gli
avrebbe fagocitato i sogni per il resto della vita.
Aveva provato a tenere compagnia a Minto
per tutto quel tempo, utile a ben poco altro in quel frangente; l’aveva
sentita
lamentarsi piano, sussultare insieme a lui quando le ragazze si erano
trovate
in un momento complesso, provare a liberarsi senza successo.
Non avevano avuto un momento di pausa per
poter pensare a un piano, per poter permettere a uno dei tre alieni di
avvicinarsi e tentare di fare breccia in quella sfera, per lui poco più
che un
tremolio controluce di cui non distingueva i contorni sotto al
temporale, per
liberarla e portarla a casa.
E poi aveva sentito il suo urlo disperato
anche da dietro alla benda che le copriva la bocca.
Agì senza pensare, mentre il mondo
rallentava: si mise a correre nella sua direzione, gli occhi fissi su
di lei
che combatteva per spiegare le ali, e gridò con tutto il fiato che
aveva in
gola.
« PURIN! »
Con la coda dell’occhio, vide la biondina
voltarsi, cercarlo, poi sgranare gli occhi in una smorfia di puro
terrore.
Non riuscire a volare nel momento di
maggiore bisogno l’annientò più della sensazione di caduta libera; le
distrusse
anche quell’ultimo tassello di autocontrollo che aveva. Ci provò, con
tutte le
sue forze, a distendere le ali, ma riuscì solo a frenare di poco la sua
caduta,
il vento che piagò le sue povere piume già martoriate e stanche.
Si accorse che stava gridando solo dal
dolore nella gola, e chiuse gli occhi, per contrastare il capogiro
provocato
dalla vista del suolo che si avvicinava inesorabile, per non pensare a
niente,
per lasciarsi solo andare.
Il suo urlo si smorzò tutto in un colpo
solo quando si scontrò contro qualcosa di freddo, gelatinoso, ma
soprattutto
morbido.
Minto aprì gli occhi di scatto: le ci
volle
qualche istante per decifrare il perché all’improvviso vide tutto
giallo. Si
rese appena conto di essere avviluppata da Pudding Ring
Inferno, o
meglio, un grappolo di essi, che avevano fermato il suo volo, quando il
braccio
di Shirogane spuntò dall’esterno e l’afferrò, tirandola a sé con tutte
le sue
forze.
La pioggia era così forte che praticamente
sciacquò via i rimasugli del budino non appena Minto si lasciò cadere a
terra
con un singhiozzo strozzato, inalando quanta più aria possibile. Ryou
le girò
attorno e armeggiò veloce con le bende che ancora la legavano per
liberarla,
poi l’abbracciò di slancio, come mai aveva fatto prima, e lei sentì
tutta
l’adrenalina crollare di botto mentre si lasciava andare tra le braccia
del
ragazzo.
« It’s okay,
it’s okay, I’ve got you, » le mormorò all’orecchio, « I’ve
got you now.
»
« Oh, kami-sama, Minto nee-san! »
MewPurin esalò un sospiro di sollievo incredibile attraverso Masha, « Ragazzi,
l’abbiamo presa! Sei tutta intera? »
« A posto, » replicò spiccio Shirogane,
staccandosi da lei quanto bastava per lanciarle un’occhiata da capo a
piedi,
gli occhi chiari che furono attraversati da un’ombra, « La porto al
sicuro, voi
vedete di chiudere la partita. »
Minto tentò di deglutire un paio di volte,
la gola completamente secca, e guardò oltre la spalla del ragazzo,
cercando quello
sguardo dorato.
Lo sguardo dorato che la scrutò solo per
un
istante, prima di rilanciarsi a testa bassa nella mischia.
« Andiamo, » Ryou la sollevò di peso e la
portò in macchina, adagiandola con cura nel sedile posteriore, « Let’s
go
home. »
Quell’urlo era stata la goccia finale che
aveva fatto traboccare il vaso.
L’avrebbe ammazzato con le sue stesse
mani,
l’avrebbe squarciato in una maniera tale che di lui non sarebbe rimasto
nulla
se non l’impronta della sua cenere.
Era stato come se il mondo si fosse
fermato, in quell’istante. La battaglia stessa aveva subito
un’interruzione, i
volti di ciascuno trasfigurati dall’orrore.
Tutti tranne uno.
Kisshu aveva distolto lo sguardo, anche se
non l’avrebbe nemmeno ammesso a sé stesso. Mentre Minto cadeva, lui
aveva
guardato il ghigno soddisfatto di Kert. Anche se forse c’era stata una
punta di
dispiacere in quell’espressione, e lui quello non gliel’avrebbe mai
permesso o
perdonato.
Non aveva avuto il coraggio di guardarla.
Non aveva avuto il coraggio di crederci, perché aveva saputo che –
ancora una
volta – non sarebbe mai arrivato in tempo.
Che sarebbe stata di nuovo tutta colpa sua.
Si era sentito come davanti a Deep Blue,
il
cuore gli si era squarciato una seconda volta, aveva sentito le carni
riaprirsi
e dolere mentre tutto smetteva di avere un senso.
Poi quel grido di Shirogane, la figurina
di
MewPurin che esitava per un istante, l’attacco salvifico che aveva
avviluppato
Minto come un abbraccio.
Tutto era ripreso di scatto: il rumore
della pioggia, il battito del suo cuore, il ruggito del chimero che
finalmente
riusciva a liberarsi da quelle radici.
Kert ridacchiò e gli fece l’occhiolino: «
Tutto è bene quel che finisce bene, non trovi? »
Kisshu gli fu addosso in un istante.
MewIchigo riprese a respirare non appena
la
voce di Ryou – molto poco convinta, ma non ci si soffermò molto – le
rassicurò
che Minto, perlomeno, era con lui e sulla via del ritorno. Le cedettero
le
ginocchia per un istante e lei vacillò, ma inspirò dal naso e si fece
forza,
re-impugnando la propria arma e scagliando un colpo contro Zaur.
Il dragone scelse proprio quell’istante
per
librarsi di nuovo in aria e zigzagò tra i tre geoti impegnati a
fronteggiarli,
mentre anche l’urlo di Kisshu riempì l’aria. MewIchigo trattenne il
respiro
quando lo vide lanciarsi contro Kert, riuscire ad afferrarlo per il
bavero
della maglietta, e poi schiantare entrambi contro il bosco, lasciando
una scia
di alberi spezzati dietro di loro.
I tre nemici si bloccarono all’unisono:
Rui
mandò una chiara maledizione e si tuffò dietro al fratello, seguito
subito dai
suoi compagni, così come dalle Mew Mew e i due duuariani.
Il polverone si diradò, spinto dal vento
del temporale, per mostrare i due in un solco del terreno, che si
disincastravano da un groviglio di rami, le vesti tagliate e visi
feriti,
entrambi con un’espressione di pura rabbia sul viso, le armi già
sguainate.
Pharart agì senza pensare, scoccando una
freccia che sfiorò Kisshu solo perché Pai riuscì a intercettarla con un
Fuu
Hyou Sen, mentre nello stesso momento Rui si teletrasportò
di fianco a Kert
e lo acchiappò per un braccio. Sparirono entrambi, la bestemmia del
secondo che
rimbombò nell’etere, e i loro due compagni li seguirono poco dopo.
Cadde un silenzio tombale anche sotto la
tempesta, interrotto solo dall’ansimare di Kisshu, che si tirò in piedi
appoggiandosi a un tronco e vacillò pericolosamente, e dal guaire
pietoso del
chimero, rimasto senza un obiettivo. Pai si avvicinò al fratello e lo
prese per
una spalla, ma lui se lo scrollò di dosso e si asciugò un rivoletto di
sangue
che gli scese dal labbro spaccato.
« Dov’è? »
MewZakuro gli fu davanti con ferocia: «
Sei
una testa di cazzo, » gli sputò velenosa, « Niente, niente
di quello che
hai fatto oggi è stato strategico o quantomeno intelligente! Abbiamo
solo avuto fortuna, te ne rendi conto?! »
Kisshu la guardò senza dire nulla,
boccheggiando pesantemente, gli occhi dorati percorsi da un’emozione
indescrivibile e le nocche che sbiancarono attorno all’elsa dei sai.
« Okay, basta così, » Pai s’infilò tra di
loro a mani alzate, « Liberiamoci del chimero e andiamo a casa. »
Nessun altro osò fiatare.
Non si rese molto conto del tragitto in
auto, né di essere di nuovo sollevata di peso e portata via, finché il
calore
del Caffè non la investì con prepotenza. Keiichiro andò loro incontro
con
un’espressione di totale sollievo, e prese Minto dalle braccia di Ryou,
avvolgendola con premura in una coperta di lana morbida e che profumava
di
sapone di Marsiglia. La trasportò fino al laboratorio, bisbigliando
cose con il
suo protetto che lei non si prese la briga di ascoltare, perché le
sembrava di
essere di nuovo in una bolla, poi la adagiò con cura su uno sgabello
della
cucina, tirandole la coperta fin sopra la testa.
Minto tentò di ringraziarlo, come tentò di
farlo quando il pasticcere le offrì, senza aggiungere nulla, una tazza
di tè
bollente, ma la sua gola sembrava completamente riarsa e riuscì solo a
esprimersi con un sorriso tentennante mentre si stringeva il panno
ancora di
più addosso. Non era decisamente elegante, ma non se ne curò
minimamente.
Udì i ragazzi parlottare appena fuori la
porta, probabilmente per controllare la situazione delle Mew Mew e dare
loro un
resoconto, e soffiò piano sul liquido bollente che irradiava calore
dalle dita
a tutto il corpo, facendola rabbrividire più forte di quanto non stesse
già
facendo. Le ci volle un attimo per distinguere la voce aggiuntiva a
quella di
Ryou, che ritornò nella stanza e le rivolse uno dei suoi rari sorrisi
genuini,
rimanendo a una rispettabile distanza da lei ma inginocchiandosi per
essere più
alla sua altezza: « Hai bisogno di qualcosa? »
Di nuovo, Minto cercò di parlare e si
schiarì la gola: « No, » gracchiò, deglutendo un altro paio di volte
per
tentare di lubrificare le corde vocali, « No, sto… okay. »
Lui annuì, decisamente poco convinto e non
potendo non lanciare un’occhiata ai visibili segni sul suo corpo: «
Possiamo
solo… controllare? »
La mora guardò di nuovo di sbieco la
soglia, e difatti vi ci spuntò Joel con in mano una valigetta e un
sorriso
incoraggiante: « Hey there. Do you mind if I take a quick look at ya? »
Minto si agitò sullo sgabello e prese un
altro sorso, le ali che fremettero di dolore: « Non… non c’è bisogno,
davvero.
»
Ryou continuò a sorriderle mentre si
tirava
in piedi: « Sai che sono meticoloso. »
La mora sbuffò, poi aggrottò la fronte e
sospirò, prima di annuire: « Shirogane, ce ne bastava uno che abbaiava
ordini
in inglese. »
Il biondo le prese la tazza e si avvicinò
al muro per lasciare spazio a Joel: « L’unica che abbaia ordini qui sei
tu. »
Il texano le offrì la mano a mo’ di
saluto,
prima di aprire la valigetta per estrarne una lucina con cui le
controllò gli
occhi; poi le tastò delicatamente la testa, le controllò le ferite più
visibili, medicandole con un unguento fresco, sempre bofonchiando in
inglese
stretto con il suo connazionale.
« I ain’t a vet,
though. And the head – »
« Thank you. Maybe tomorrow. »
Joel annuì e le rivolse un altro sorriso,
mentre Shirogane si riavvicinava e le porgeva di nuovo la tazza.
« Non c’è niente di grave, » la rassicurò,
« I geni dei Red Data sono efficaci, di solito, a rimettervi in sesto.
Però ci
terrei mi dicessi se ti venisse mal di testa, e sarei più sicuro se
potessimo
farti qualche esame in più. »
« Va bene così, » gracchiò lei, « Sto
bene.
Non è successo nulla. Davvero. »
Il biondo la scrutò qualche istante, poi
fece di sì col capo: « Puoi sciogliere la trasformazione, ora. Starai
più al
caldo. »
E sei al sicuro,
sapeva che era ciò che intendeva e che non aveva bisogno di dirle.
Lei annuì e stirò le dita quasi bruciate
intorno alla tazza, prendendo un respiro lento. Non era mai stata
trasformata
tanto a lungo, e non le venne naturale sciogliere la trasformazione
dopo che ne
era stata costretta fuori a causa della poca energia. Si era sentita
impotente,
e la sensazione di accresciuta sicurezza che la sua forma Mew le dava
era stata
l’unica cosa a cui appigliarsi. Si ricordò anche che avrebbe dovuto
condividere
il particolare della sua arma, ma di nuovo una stanchezza incredibile
l’assalì
e lei, con un ultimo brivido si lasciò andare.
Un deciso trambusto dal piano di sopra le
fece capire che le ragazze erano tornate; non fece in tempo a contare
fino a
dieci che Purin fu la prima a lanciarsi nella stanza, stritolandola tra
le
braccia senza dire niente, seguita da Ichigo che invece non riuscì a
frenare un
singhiozzo mentre l’agguantava da dietro.
« Minto-chan, sono così sollevata…! »
mugolò Retasu, infilandosi a forza tra le altre due per abbracciarla a
sua
volta, e la mora tentò di sorridere mentre sbirciava oltre le teste
delle tre
verso Zakuro, che allungò solo un braccio per prenderle la mano e
guardarla con
tutto il sollievo del mondo.
« Sto bene, ragazze, davvero, » mormorò
lei
con un fil di voce, non tentando però di sottrarsi da quell’affetto.
« Sono morta di paura, » esclamò Ichigo,
la
codina nera che sferzava l’aria con un crescente tintinnio della
campanella, «
Quando ti hanno… e oggi che… ah! Non ho mai lanciato così forte il mio
attacco.
»
« E io non sono mai stata più contenta di
poter creare budini. »
Una risatina sincera rimbombò tra le
pareti
spoglie, e le Mew Mew lasciarono lentamente andare la mora, soprattutto
quando
udirono degli altri passi veloci scendere le scale.
I tre Ikisatashi apparvero sulla soglia
del
laboratorio con Taruto in testa, che le rivolse un sorriso sinceramente
rincuorato e sembrò tentennare se avvicinarsi o meno, solo per essere
spinto da
parte, con poco garbo, dal fratello maggiore. Kisshu, le armi ancora in
mano e
la frangia che gli gocciolava sugli occhi, si bloccò dopo pochi passi e
il suo
viso quasi trasfigurò a vederla seduta sullo sgabello, le spalle che
contemporaneamente si rilassarono del tutto. Minto sentì il cuore
perdere un
paio di battiti mentre precipitava nello stomaco e la gola le si
strinse un po’
di più, non sapeva se per l’angoscia che ancora provava, per quanto le
fosse
mancato, o per la strana espressione che gli leggeva in viso, di
sollievo misto
a senso di colpa.
« Stai bene? »
Minto annuì, alzandosi lentamente, e
all’improvviso vide solo nero; lui l’aveva stretta a sé d’istinto, una
mano
persa tra i suoi capelli sciolti, così veloce che non si era nemmeno
resa conto
del movimento. Inspirando a fondo l’odore del ragazzo, non notò neanche
lo
strappo del teletrasporto al suo ombelico, né che l’ambiente
circostante fosse
diventato quello familiare della sua camera da letto, né che avesse
iniziato a
piangere senza accorgersene.
Rimase solo lì, ferma a stropicciargli con
forza la maglietta sulla schiena e a cercare di placare i sobbalzi
delle sue
spalle, volendo soltanto sentire il calore e il profumo di Kisshu. Non
seppe
nemmeno quanto rimasero in quella posizione, lui fermo come una roccia
a
stringerla a sé; Minto poteva ancora avvertire l’elsa di uno dei sai
premere
contro l’incavo della sua schiena, come se il ragazzo non volesse
nemmeno fare
il minimo movimento per paura che si spezzasse qualcosa. Solo quando,
alla
fine, il peso di quelle giornate calò su di lei facendola rabbrividire
da capo
a piedi, lui la allontanò appena, scrutandola con attenzione.
« Ho bisogno di una doccia, » pigolò solo
lei con la voce ancora roca, « Ho freddo e voglio… »
La sua voce si affievolì e fece solo un
gesto per spiegarsi, senza che ce ne fosse bisogno. Gli occhi di
Kisshu, scuri
nel buio della camera, continuavano a guardarla come se avessero potuto
trapassare i vestiti e accertarsi davvero che stesse bene, e lei, ben
conscia
dei lividi e dei graffi, non aveva ancora voglia di affrontare quel
discorso.
Fece fatica a staccarsi da lui ed essere
davvero investita dalla temperatura della stanza, nonostante la coperta
ancora
sulle spalle, e avvertì anche lui tentennare a lasciare andare i suoi
capelli.
« Vuoi che…? »
Lei scosse la testa, forse con un po’
troppa decisione, guardando il suo collo più che i suoi occhi, e Kisshu
annuì,
facendo solo un passo indietro, la mandibola contratta in una rabbia
che ancora
non riusciva a dissipare.
Minto strascicò i piedi fino al suo bagno
privato e vi si barricò dentro con un giro di chiave, desiderosa solo
di
chiudersi fuori dal mondo e sentire le quattro mura che più conosceva a
sua
protezione; Kisshu sarebbe potuto entrare ugualmente e una chiave non
l’aveva
di certo mai fermato, ma sapeva che non l’avrebbe fatto.
Almeno non la prima mezz’ora.
Riempì la vasca da bagno, lei che
preferiva
sempre le docce, e vi spremette pressoché mezza bottiglia di sapone;
l’acqua
era quasi troppo bollente, ma vi si immerse di fretta, cercando il
ristoro nei
profumi e nel silenzio. I suoi sensi, così provati dall’essere stati
all’erta
per giorni, si rilassarono di colpo e lei scivolò giù, il naso a pelo
d’acqua e
il corpo completamente sommerso. Non seppe se si addormentò o se
semplicemente
il suo cervello entrò in una specie di stasi, ma rimase così finché non
si
accorse di quanto si fosse intiepidita e di quanto fossero grinzose le
sue
dita.
Ben attenta a non incrociare il suo
riflesso nello specchio per non vedere davvero le condizioni in cui
verteva,
agguantò l’accappatoio più morbido che riuscì a trovare nella pila
dentro
l’armadietto e vi si avviluppò dentro, legandosi i capelli bagnati in
una
crocchia scomposta di cui non le importò più di tanto. Il suo corpo le
mandò
segnali della fame, ma lei voleva solo buttarsi a letto e dormire il
più a
lungo possibile.
Quando rientrò nella camera, Kisshu aveva
riposto i sai e acceso la luce, ma sembrava essersi mosso di poco; era
poggiato
con una spalla a una delle colonne del baldacchino, il viso rivolto
verso la
porta ma l’espressione persa in chissà quali pensieri. Alzò appena la
testa
quando la udì avvicinarsi, i piedi scalzi per lei inudibili sul tappeto
soffice, e la scrutò da sotto la frangia scura.
« Dovresti mangiare, » le disse a bassa
voce, « Qualcosa almeno. »
Minto scosse di nuovo la testa,
stringendosi le falde dell’accappatoio mentre si avviava verso il
letto: «
Credo di essermi addormentata, ma ho ancora sonno, non ho voglia di
fare altro.
»
Si chiese come lui potesse rimanere così
immobile, seguendola solo con lo sguardo e prendendo un respiro: «
Tortorella,
dovremmo - »
« No, » lei lo interruppe ferma con un
movimento della mano, scostando le coperte e infilandocisi dentro
direttamente
così, « Non ora. Per favore. »
In un movimento che sembrò costargli molta
fatica, finalmente Kisshu annuì e si spostò, volando alla porta
finestra per
assicurarsi fosse chiusa a chiave e tirare le tende, compiendo la
stessa azione
con la porta della camera. Minto si accoccolò tra i cuscini
rabbrividendo, la
coperta tirata fin sotto al naso, e lo osservò in silenzio, sentendosi
quasi a
disagio per la rabbia che avvertiva emessa da ogni poro della pelle del
verde,
una versione di lui che non vedeva da anni. Infine, compiuto il giro di
ricognizione della stanza, Kisshu si passò una mano nella frangia,
sospirò
pesantemente, e le si sedette accanto, carezzandole la guancia con il
dorso: «
Credevo sarei impazzito, » le rivelò in un sussurro che le strinse lo
stomaco,
mentre il cuore vi si precipitava all’improvviso, ancora poco avvezzo
ai suoi
scatti di sincerità, « Non lascerò mai più che ti succeda qualcosa. »
Lo disse in una maniera così gelida e al
tempo stesso così rovente, decisa, solenne, che Minto poté solo
rabbrividire
intanto che allungava una mano per passarla dietro al suo collo e
tirarlo
contro di sé, solo per sentire il sapore della bocca contro la sua
invece che
quello salato delle lacrime.
Kisshu si stese accanto a lei e la strinse
forte, respirando a fondo l’odore dei suoi capelli, di nuovo fermo come
se la
sua immobilità le potesse segnalare che sarebbe sempre rimasto lì,
anche quando
finalmente la mora si addormentò con un ultimo singhiozzo.
« Mannaggia, che giornata! » Purin rilassò
d’un colpo le spalle e buttò la testa all’indietro non appena varcò la
soglia
della propria camera, Taruto subito dietro di lei, « Mi sembra di aver
perso
tre anni di vita solo oggi! »
L’alieno tentò di sorriderle, anch’egli
con
tutta la stanchezza del mondo che gli gravava sulle membra.
« Sono contento che Minto-san sia…
tornata.
»
Lo sguardo caramello della biondina si
scurì per un istante, mentre cercava di sorridere: « Già… ma ora voglio
prendere a cazzotti più che mai quegli schifosi! »
Taruto ridacchiò e le si avvicinò con le
mani in tasca, poggiando la fronte contro la sua: « Non pensare di
allontanarti
troppo. »
Lei sbuffò supponente e gli avvinghiò le
braccia al collo: « So badare a me stessa. Sono loro che non devono
avvicinarsi
troppo a me, o vedrai come li riduco! »
Il ragazzo rise di nuovo a labbra strette,
sfiorandole la curva bassa della schiena mentre la stringeva un po’ di
più: «
Mio fratello sarà da tenere a bada più che mai, ora. »
« Non l’avevo mai visto così… » ammise
Purin, mordicchiandosi una guancia, « Cioè, sì, ma… be’, lo sai. »
Lui l’accarezzò di nuovo quando la sentì
rabbrividire e sfregò ancora le loro frangette: « Non posso biasimarlo.
»
« Anche tu devi promettermi che starai
attento, però, » dichiarò la mewscimmia, tirandosi sulle punte per
farsi più
vicina, « È tutto più complicato del previsto, e… e mi preoccupo per
te. »
Taruto poté percepire le proprie orecchie
farsi più calde mentre deglutiva piano, fissandola negli occhi: « Anche
io mi
preoccupo per te. »
Uscì più un sospiro mozzato che una vera e
propria affermazione, ma non gli importò più di tanto perché Purin
prese a
baciarlo mezzo secondo dopo. Lui la strinse a sé così forte che la
sentì
perdere un fiato, ma al contempo la biondina ricambiò, le mani che si
spostarono a perdersi nei suoi capelli mentre camminava all’indietro.
L’alieno registrò appena la caduta sul
letto di lei, che cigolò pericolosamente, perché tutti i suoi neuroni
erano
focalizzati soltanto sul respiro di Purin mischiato al suo, al calore
delle sue
curve premute morbidamente contro di lui, al sapore della sua bocca e
della sua
pelle sulle labbra.
Né annotò con troppa convinzione il fatto
che le dita veloci della ragazza gli stavano già allontanando la
maglietta e
scorrevano impudenti lungo tutta la sua schiena e il suo torace, le
unghie che
sfiorarono decise oltre il bordo dei suoi pantaloni. L’unica cosa di
cui era
conscio era il galoppare incessante del cuore nelle orecchie che
echeggiava
quello di lei, furioso sotto al suo palmo quando s’azzardò ad
accarezzarla lì
dove batteva strappandole un ennesimo sospiro impaziente.
Galoppare che s’interruppe di scatto con
un
incendio nel petto non appena il corpo nudo di Purin s’allineò al suo.
Non erano mai stati così vicini, senza
niente tra loro due, e Taruto dovette soffiare tra i denti per
guadagnare un minimo
di lucidità e valutare le opzioni successive.
« Purin… » mugugnò con voce roca,
nascondendo il viso contro la spalla della ragazza e al tempo stesso
approfittandone per continuare a saggiare il suo sapore.
Le unghie di Purin si piantarono un po’
più
sotto al suo bacino: « Non ti azzardare a fermarti, Taruto. »
Gli scappò uno sbuffo divertito a sentire,
per una volta, il suo nome e non uno strano e imbarazzante appellativo,
soprattutto con quel tono appena scocciato; le lasciò un paio di baci
sotto l’orecchio
e le accarezzò il fianco, muovendosi di millimetro in millimetro con
tutta la
cautela del mondo.
« Volevo solo essere sicu - »
« Sì, » lei lo interruppe ancora e gli
prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla mentre alzava
appena i
fianchi verso di lui, « Assolutamente sì. »
(*) Dal
termine finlandese olut che significa birra.
|
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Capitolo 16 *** Balancing on breaking branches ***
Chapter Sixteen – Balancing on
breaking
branches
Minto si svegliò di
colpo con una scarica
di adrenalina che le fece accelerare il cuore. Impiegò un paio di
minuti a
rendersi conto di dove fosse e cosa stesse succedendo, a riabituarsi
tutt’a un
tratto alla luce accecante del Sole. Fece un respiro profondo e sbatté
le
palpebre per mettere a fuoco i contorni del suo letto, della sua
stanza, delle
tende appena scostate che facevano filtrare la giornata.
Era a casa.
Rimase ferma, a stella
prona nel centro del
letto, ancora qualche istante per assicurarsi che fosse reale, muovendo
solo
una gamba e strusciandola contro il lenzuolo morbido e profumato.
Quando si
tirò a sedere, con lentezza, sentì le membra pesare il doppio del
solito, i
capelli ancora attorcigliati nello chignon che protestavano sordi, e
controllò
l’orario sull’orologio: poter constatare che ora fosse, nonostante per
lei
fosse quasi moralmente impensabile dormire fino alle undici, nonostante
non
potesse neanche quantificare il tempo passato, le provocò un senso di
pace
ineguagliabile.
Solo quando Mickey
entrò di corsa nella
stanza, abbaiando e reclamando le attenzioni della sua padrona, Minto
si rese
conto di essere sola.
« Ciao, piccolo mio. »
Lo prese in braccio e
affondò il naso nella
sua pelliccia morbida, inspirando il profumo che riusciva sempre a
calmarla,
mentre il cagnolino si tendeva per leccarle le guance.
« Continuo a essere
geloso, sai. »
Alzò gli occhi
sull’uscio, da dove Kisshu
la stava guardando con un mezzo sorriso sollevato. Minto cercò di
ricambiare,
ma le sue labbra tremolarono troppo vistosamente e decise che fosse più
sicuro
rimanere con il volto affossato nel pelo.
Il ragazzo le si
avvicinò piano, tirandosi
dietro un carrellino portavivande sul quale fumava una teiera.
« Ora mangi, » quasi
le ordinò,
allungandole un tovagliolo come se non ammettesse repliche, « Le tue
amiche mi
hanno chiamato tre volte a testa per assicurarsi che ti stessi
sfamando, anche
perché ieri sera… »
Lei glissò sulla frase
lasciata a metà e accettò
il croissant fatto in casa che le porse poi, spostando gentilmente
Mickey così
che potesse posarsi il tovagliolo in grembo. Il cagnolino si sedette
ubbidiente
accanto a lei, una zampina appoggiata alla sua coscia mentre nel
frattempo si
godeva le carezze che gli concesse Kisshu.
Fecero colazione in
silenzio; Minto si
sentì subito ristorata da quella tazza di tè che le parve quasi un
miraggio e
dal cibo di conforto e che sapeva di casa sulle papille gustative. Si
impose di
andare con calma, per non sforzare lo stomaco, ma al tempo stesso
avrebbe voluto
finire al più presto per arrotolarsi ancora tra le lenzuola e poi
uscire a
sentire il calore del Sole sulla pelle.
« Grazie, » esclamò
dopo aver ripulito la
terza brioche, schiarendosi la gola quando la sentì gracchiare, « Avevo
fame. »
Kisshu sorrise e la
osservò impilare con
attenzione la tazza e il piattino sul carrellino, non potendo non
notare il
leggero tremolio della sua mano. Senza pensare, le prese piano il polso
e la
tirò verso di sé, sentendola tendersi appena.
« Sto bene, » lo
riassicurò subito,
cercando un sorriso, « Devo solo… riassestarmi. »
« Mi devi dire se ti
ha fatto qualcosa. »
Minto sentì il cuore
precipitarle nello
stomaco e scostò la testa, sibilando infastidita: « Kisshu… »
Il polso sottile
ancora tra le mani, lui
fece scorrere le dita sui lividi e i graffi causati dall’essere stata
legata,
scoccando al contempo un’occhiataccia arrabbiata a quelli che
comparivano sulle
caviglie e quello appena visibile dalla spalla abbassata
dell’accappatoio, che
sapeva essere solo il primo di tanti.
« Te li ha fatti lui
questi, no? »
Glielo
chiese sottovoce, quasi con calma, e
lei in un primo momento si sottrasse di scatto, prima di sospirare: «
Diciamo
che è stato il muro contro cui mi ha scaraventata a farli… » rispose in
un
mugugno.
Kisshu le rivolse uno
sguardo così pungente
che lei non riuscì a opporsi quando si spostò un po’ per scostarle
l’accappatoio e scoprirle la schiena. Lo udì mormorare qualcosa che non
capì,
ma che presunse essere un qualche tipo di imprecazione, alle varie
escoriazioni
ed ecchimosi sulla pelle chiara, però glieli tracciò con la punta delle
dita,
con una gentilezza che non era sua, poi le rivolse un tentennante
ghigno: «
Cosa fai, tortorella, cerchi di metterti a pari con me? »
Minto storse il naso,
non riuscendo ad
evitare di scoccare un’occhiata veloce al bordo della cicatrice che
spuntava
dal colletto della sua maglia, e alle altre sul fianco che sapeva
nascoste.
« Non sono… la stessa
cosa. »
Il verde rispose con
un muto verso e le
accarezzò ancora un po’ la schiena, indugiando sul segno Mew tra le
scapole.
« Ti ha fatto…
qualcos’altro? »
« No, » rispose
tentando di suonare
convinta, alzando lo sguardo verso di lui ma riabbassandolo subito
dopo, « Non
ti devi preoccupare. »
Kisshu grugnì
sarcastico dal naso: «
Guardati, » ringhiò, scrutando con astio la chiara impronta delle dita
sul suo
avambraccio, « Non mi basterà neanche sgozzarlo per fargliela pagare. »
La gelida e concreta
violenza con cui lo
disse la fece rabbrividire ancora, mentre si alzava dal letto per
cercare
nell’armadio un pigiama vero e proprio, che la coprisse anche un po’ di
più. Nonostante
le ore dormite e l’abbondante colazione, avvertì le gambe tremolare
incerte e
una sensazione di enorme pesantezza che le gravò addosso, rendendole i
movimenti
più lenti del solito; la consapevolezza dello sguardo concentrato di
Kisshu su
di sé, attento a ogni suo più piccolo dettaglio, non le fu nemmeno di
aiuto.
Rovistò fino in fondo
e recuperò un pigiama
di cotone meno elegante del solito ma più morbido e confortevole, e fu
quasi
automatico nascondersi un po’ dietro l’ingresso per cambiarsi.
« Che vuoi fare oggi? »
Seppe che la domanda
era stata posta più
per riempire quel silenzio così strano che per una reale risposta, ed
ebbe la
totale certezza che il ragazzo si sarebbe opposto a qualsiasi proposta
lei
avesse tentato che includesse un suo allontanamento dalla proprietà.
Si sciolse i capelli e
li scosse per
cercare di dare loro un ordine, gemendo sottovoce quando vide i boccoli
arruffati e impazziti dall’aver passato una ennesima notte bagnati e
legati.
« Niente, » borbottò
cincischiandoci mentre
tornava in stanza, tentando di sciogliere qualche nodo, « Non so
neanche quando
sia oggi. Solo niente. »
Mickey le saettò tra
le caviglie e lei si
piegò per prenderlo in braccio e strofinare di nuovo il viso contro di
lui,
mormorando sciocchezze sottovoce. Kisshu si alzò e la raggiunse,
ignorando
invece il cagnolino per prenderle il volto tra le mani: « Sul serio, »
insistette, con una punta di nero nelle iridi ambrate, « Se c’è
qualcosa di cui
vuoi parlare, o se – »
Minto dovette
sforzarsi per non spostare il
viso, scosse comunque la testa: « Va tutto bene. Davvero. »
Non le parve per nulla
convinto – la bugia
era suonata debole pure a lei – così tentò di sorridergli e gli sfiorò
una
guancia con un palmo, tracciandogli le evidenti ombre sotto gli occhi e
i tagli
sul viso, più attenta sul livido già scuro provocatogli dal pugno di
Kert.
« Non hai dormito, »
constatò, e lui emise
uno sbuffo sarcastico mentre la lasciava andare:
« Più di quanto avrei
dovuto, tortorella. »
Lei sistemò meglio
Mickey in braccio e si
avviò di nuovo verso il letto, ignorando il capitombolo freddo del suo
stomaco:
« Si pranza comunque in salottino, non credere. »
L’alieno la seguì, una
piega appena
divertita sulle labbra: « Quando mai. »
La spalla gli cigolò
sonoramente per la
millesima volta, e Kert fece una smorfia, bloccandosi a metà movimento
con la
mano a mezz’aria sopra al tavolo. Pharart, sedutogli in fronte, sbuffò
dal naso
e gli passò la caraffa che lui aveva tentato di afferrare: « Stavolta
le hai
prese proprio per bene. »
« Non esserne così
soddisfatto, » mugugnò
di contro l’altro, sibilando infastidito a come gli tirò un taglio
particolarmente fastidioso sullo zigomo sinistro, « Posso comunque
farti il
culo. »
« Facciamo che per un
po’ nessuno fa
niente? » Espera, con molto più colore sulle guance, gli passò accanto
e gli
porse uno straccetto con dentro del ghiaccio, « Tieni, ti aiuterà. »
Lui la ringraziò con
un grugnito sommesso e
la guardò con la coda dell’occhio: « Mio fratello è ancora a fare
rapporto al
Consiglio? »
La ragazza annuì e si
legò i lunghi capelli
neri in una treccia veloce prima di affacciarsi di nuovo su una pentola
che
bolliva: « Hanno richiesto un aggiornamento stamattina presto. »
« Può dare buone
notizie: terrestri e
duuariani non possono tracciare i nostri segnali né superare i nostri
sistemi
di protezione, neanche con una dei loro dentro la nostra base; Duuar
non ha
sicuramente intenzione di soccorrere la Terra, non avendo inviato più
che tre
allocchi idealisti – se davvero li ha inviati – e
ci sono solo quelle
cinque a rompere le scatole, nessun altro. »
Pharart, dopo il
riassunto, lo studiò
scettico: « Mi pare che bastino, a rompere le scatole. Hai visto cosa
sono
stati in grado di creare? Quel robo non si decideva
a morire! »
« Ci ha solo colti di
sorpresa, tutto qui,
» Kert scrollò le spalle e, con l’ennesima smorfia, si appoggiò allo
schienale
della sedia, « Ora sappiamo che hanno un debole per gli animali da
guardia. »
« Vorrei capire come
hanno fatto, » il
biondo prese un sorso della densa e speziata bevanda scura che era la
versione
geota del caffè, « Non è esattamente un dettaglio minimo. »
« Voi li
sopravvalutate, » brontolò
l’altro, continuando a girare la spalla con delle smorfie di fastidio,
e
Pharart gli lanciò un’altra occhiata dubbiosa:
« Secondo me sei tu
che li sottovaluti. »
Espera, da dietro
Kert, si scambiò con lui
uno sguardo divertito, poi rovistò tra le boccette della scaffalatura e
ne
estrasse una tonda scatolina di metallo.
« Puoi usare questi
per i lividi, » lo
allungò all’alieno dei capelli grigi con un sorriso amichevole, « E
anche sulla
spalla, se ti fa molto male. Ma mettine poco, è parecchio forte. »
Kert grugnì in segno
di ringraziamento, non
degnando la ragazza di più che uno sguardo mentre si alzava con fatica.
« Dovreste vivere più
sereni, » bofonchiò,
zoppicando fuori dalla stanza.
Pharart alzò un
sopracciglio e guardò la
sua schiena che si allontanava come se gli fosse cresciuta una testa
extra: «
Che botta in testa hai preso?! »
Lui non rispose
all’ironia e si trascinò di
nuovo verso la sua camera da letto, gettandosi sul materasso con uno
sbuffo
pesante.
Quel maledetto
duuariano. Ad ogni battaglia
riusciva sempre a lasciargli almeno un ricordino della sua
fastidiosissima
presenza, e lui poteva solo sperare di ricambiare con abbastanza
irritazione.
Anche se vedere il suo
viso stravolto
quando aveva dissolto la bolla d’aria che aveva contenuto l’uccellino…
Si frugò in tasca e
tirò fuori la piuma che
aveva strappato dalle ali di Minto. Se la rigirò davanti al viso,
sfiorandone
la superficie morbida e studiandone i colori iridescenti, se la portò
anche
davanti al naso per testarne il profumo.
« Stai diventando
sentimentale? »
Kert sussultò
visibilmente a quella voce
improvvisa, poi lanciò uno sguardo rabbioso a Sunao, comparsa per
l’ennesima
volta inaspettatamente.
« La devi piantare! »
le ringhiò contro, «
Farai venire un infarto a qualcuno. »
L’aliena sorrise
gelida: « Troppo preso dai
tuoi bei ricordi? »
Lui alzò gli occhi al
cielo e ripose l’ala
in tasca: « Credo che tu abbia di meglio da fare che venire qua a
controllarmi.
»
« Non finché Rui non
ha terminato il suo
messaggio al Consiglio. Mi annoiavo. »
« E quindi hai deciso
di venire a rompermi
le scatole. »
« Non pensavo certo di
trovarti impegnato a
fare contemplazioni. »
Kert esalò piano,
irritato, e cercò una
posizione più comoda, la dannata spalla che continuava a dolere.
« Non contemplavo
nulla, sto solo
cercando di capire come funzionino le nostre amichette. »
« Immagino tu abbia
molto interesse a
studiarle. »
« Sunamora, evita i
giri di parole, per
cortesia. »
L’aliena lo guardò
solo con gli occhi
violetti stretti in due fessure: « E tu cerca di evitare di distrarti
dal compito che devi svolgere. »
§§§
La luce fredda del
frigorifero illuminava a
malapena l’immensa cucina, ma a lui non importava più di tanto, anzi,
era grato
per l’assoluta solitudine.
Rovistò ancora un po’
nel frigorifero, solo
metà dell’attenzione rivolta ai vari ordinati contenitori e pacchetti
del
considerevole elettrodomestico, l’altra posta sul telefono che reggeva
in mano
e in cui continuava a scrivere e cancellare messaggi.
Identificato un
recipiente con dentro
qualcosa che pareva non dover richiedere nemmeno di essere riscaldato,
Kisshu
chiuse l’anta del frigo con una spallata e trascinò i piedi fino
all’isola nel
mezzo, mentre la stanza piombava nel buio salvo che per il brillio del
suo
schermo.
Non era mai stato
molto articolato con le
parole – benché più dei suoi fratelli – o almeno, non con quelle che
gli
avrebbero cavato dieci groppi diversi dalla gola. Quelle con le quali
avrebbe
dovuto ammettere cose poco carine nei suoi confronti,
assolutissimamente vere,
ma… non vedeva tutta questa necessità di dover abbassare il capo,
quando
avrebbe voluto vedergli, gli altri, nella sua
situazione.
Stuzzicò con un
cucchiaio un po’ dei
rimasugli, e si sfregò una mano sugli occhi.
Avere Minto a casa era
stato come
riprendere a respirare, come togliersi l’intero Monte Fuji dal petto.
Poterla
stringere, sentire la sua voce, provare il suo calore, voleva non
separarsi da
lei nemmeno per un istante per il terrore di vedersela svanire da sotto
al naso
per la seconda volta.
Il problema era
proprio oltrepassare
l’ostacolo Minto.
Era assolutamente
conscio che le sue
pretese dovevano trovare un freno: era tutto appena successo, erano
passate
poco meno che ventiquattro ore dalla fine di tutto, e dal suo canto,
per quante
ne avesse passate lui stesso, non aveva certo subito le stesse cose,
perciò non
poteva comprendere appieno il suo stato d’animo.
Dall’altro lato,
avrebbe voluto sapere con
più certezza quello che era successo, anche per capire come aiutarla.
Perché i
suoi deboli sto bene non lo convincevano per nulla.
Avevano passato la
giornata a casa,
praticamente a fare la spola tra la camera da letto della ragazza e il
salottino che lei preferiva, con la televisione accesa in sottofondo e
il
caminetto che scoppiettava, anche se era un ultimo giorno di settembre
ancora
tiepido. Minto era rimasta avviluppata tra vestaglia e coperta, a
coccolare
Mickey, giocherellare con il suo cellulare, fare commenti di poco conto
su
qualche aggiornamento che scovava, ma soprattutto a dormire, un sonno
pesante e
agitato. Anche adesso, si era addormentata poco dopo l’ora di cena,
dopo aver
appena sbocconcellato della frutta, il cagnolino sempre stretto a sé e
una ruga
tra gli occhi che non sembrava volerla abbandonare.
Kisshu le era rimasto
accanto tutto il
tempo, benché consapevole del palmo e più di distanza che lei era
sembrata poco
incline a valicare. Sì, non si era particolarmente opposta al suo
accarezzarle
i capelli o una gamba o la schiena con tutta l’attenzione del mondo, o
cercare
di tenerle la mano, ma non gli era sfuggito come facesse fatica anche
solo a
incrociare il suo sguardo.
Forse però doveva
ammettere che le occhiate
velenose che non poteva non lanciare alle sue ferite potevano non
essere
d’aiuto.
Esalò un’altra volta,
si arruffò i capelli
e abbandonò la misera cena, anche lui ormai senza appetito.
Ringraziare Shirogane
era l’ultima cosa che
avrebbe voluto fare in quel momento, ma sapeva benissimo che non poteva
esimersi, non dopo che aveva praticamente salvato la pelle alla mora.
Con un ultimo sbuffo,
incarnando suo
fratello maggiore il più possibile, digitò il messaggio più caustico e
diretto
a cui potesse pensare e lo inviò prima di rimangiarselo.
Il secondo
ringraziamento, invece, doveva
farlo per forza con una telefonata.
Non ci vollero molti
squilli perché Purin
rispondesse, la voce finalmente tornata squillante ed energica: « Kisshu
nii-san! Tutto okay?! C’è qualcosa che non va?! »
Gli nacque un sorriso
spontaneo sia per la
preoccupazione che per i rumori di sottofondo, così in contrasto con la
silenziosa solitudine di villa Aizawa.
« Tutto a posto. Hai
un secondo? »
«
Certo! Che succede? »
Kisshu si scompigliò i
capelli un’altra
volta, prendendo tempo, prima di esalare: « Per oggi. Volevo… ah – se
tu non
avessi… »
« Nii-san,
ma scherzi?! È per questo che
siamo una squadra! »
Lui sbuffò e ritentò:
« Sì, ma comunque – »
« No,
guarda, non voglio neanche
sentirlo. Davvero. Basta che in futuro fai un po’ meno lo stronzo. »
Questa volta Kisshu
rise davvero, e nel
frattempo ripose il contenitore di nuovo in frigo.
« Questa è l’influenza
di mio fratello,
vero? »
« Ti saluta!
»
« Certo, certo. Fate i
bravi, mi
raccomando. »
Purin terminò la
telefonata con una
risatina innocente, e l’alieno ripose il cellulare in tasca senza più
badarci, lasciando
la cucina e arrancando con stanchezza attraverso la casa buia.
Mickey, ben
accoccolato sotto il braccio di
Minto, aprì solo un occhietto quando lo sentì entrare in camera.
Solitamente,
Kisshu non tollerava che il cagnolino dormisse con loro nel letto, per
quanto
potesse andarci d’accordo, ma quella era un’eccezione comprensibile.
Anche se ciò voleva
dire avere una bestia
pelosa e alquanto possessiva tra lui e la mora.
Con un sospiro,
s’infilò anche lui a letto,
concesse al cane una carezza con un dito sulla sommità del testolino, e
tentò
di farsi il più vicino possibile a Minto senza schiacciarlo, passando
un
braccio attorno alla vita della ragazza da sopra le coperte in cui lei
si era
arrotolata come un bozzolo. Lei esalò solo un sospiro e non si mosse,
nemmeno
quando lui le sfiorò la fronte con le labbra.
Taruto alzò gli occhi
dai piatti che stava
sciacquando quando Purin ritornò in cucina e gli sorrise.
« Niente di grave,
credo che Kisshu nii-san
stesse solo cercando di fare un po’ ammenda. »
Il più giovane degli
Ikisatashi vece un
verso indefinito dal naso: « Vorrei anche vedere. »
« Dai, non essere
cattivo, » la biondina
abbassò la voce e si guardò velocemente alle spalle, dove i suoi
fratelli e
sorelle stavano svicolando velocemente e rumorosamente fuori dalla
stanza,
litigando per l’ordine di utilizzo del bagno, « Non era una situazione
semplice. »
« Mmmhm, » il
duuariano si asciugò le mani
su uno straccio e poi l’attirò a sé per la vita, « Stai bene? »
« Taruto, me l’hai
chiesto sette volte. »
Lui si accigliò alla
sua risata candida, le
punte delle orecchie che si colorarono di rosa: « Scusa se voglio
essere
carino! »
« Tu sei molto
carino, » sussurrò
lei suadente, avvolgendogli le braccia intorno al collo e alzandosi in
punta di
piedi, « Ma non c’è bisogno di essere apprensivi. Sto benissimo.
»
Il rossore si allargò
su tutto il viso del
ragazzo, che poggiò la fronte contro quella di lei: « Volevo
accertarmene. »
« E tu come stai? »
Taruto deglutì
rumorosamente, sbirciando
velocemente verso l’entrata per accertarsi che effettivamente il resto
della
famiglia Fong fosse uscita, visto quanto Purin si stava ora strusciando
contro
di lui: « Alla grande. »
« Ottimo, » la
biondina gli soffiò a pochi
millimetri dalle labbra, sorridendo accattivante, « Stasera hai voglia
di
rimanere? »
La mano dell’alieno
sulla vita si trasformò
in un pugno che le strinse la maglietta mentre lui quasi si sforzava di
scherzare: « Lo sai che sei una gran sfacciata, scimmietta? »
Purin sorrise ancora
di più, prima di
baciarlo: « È per questo che ti piaccio un casino. »
Taruto non poté far
altro che trovarsi
assolutamente d’accordo.
« Preparati a un altro
disastro naturale, la
testa di broccolo mi ha appena mandato un messaggio
per ringraziarmi.
»
Ichigo, ben poco
incline al sarcasmo in
quel momento, ingollò un altro paio di biscotti mentre lanciava
un’occhiata
poco divertita a Shirogane, in piedi davanti a lei in camera da letto.
« I nomignoli non ti
aiutano certo a creare
un clima sereno con lui. »
« Chi ha detto che
voglio creare un clima
sereno? »
Lei alzò gli occhi al
cielo e continuò a
guardarlo storto mentre lui si preparava a seguirla a letto: « Ancora
con
questa storia? Non possono continuare a starti antipatici anche a
distanza di
anni. »
« Wanna bet?
»
« D’accordo,
d’accordo, » Ichigo sbuffò e
trangugiò un altro biscotto, seguito da un sorso di tè, « Almeno fallo
per
Minto-chan, Reta-chan e Purin-chan. »
« Dubito che a loro
interessi della mia
opinione. Perfino Za – » s’interruppe e scosse la testa, ignorando
l’occhiata
confusa della moglie, che per mille ragioni differenti era meglio
rimanesse
all’oscuro di tutto, « Se stanno bene a loro, perfetto. Io non devo
certo
giocarci a pallone. »
« Tu non
giochi a pallone. »
« Technicalities.
»
Ichigo sospirò ancora:
« Minto-chan è molto
più tranquilla da quando sta con Kisshu. »
« Stiamo ancora
aspettando gli effetti
benefici su di lui. »
« Non è vero, e lo
sai. »
« Ha distrutto più
alberi lui questa
settimana che un uragano. »
« Vuoi dirmi che tu
non avresti fatto lo
stesso? »
« I pride
myself
with being quite rational, Momomiya. »
« Non incominciare! »
Ryou grugnì
qualcos’altro di indefinibile e
si stese accanto a lei, riponendo il cellulare senza aver completato la
sua
risposta.
« I’m just
glad
it’s over. »
« Io pure, » rispose
la rossa, con più
rapidità del solito, « Speriamo di avere un po’ di tranquillità, per
ora. Non
mi erano mancati i chimeri, lo ammetto. O Kisshu che sclerava. »
« A me non era mancato
niente di tutto ciò,
Kisshu in primis. »
« Ryouuu… »
« Potresti non
mangiare nel letto? »
« Shirogane, sono
esausta, e tu sei
estremamente assillante stasera! »
« Poi non lamentarti
se ci sono le
briciole! »
§§§
C’era ancora poca luce
in cielo quando
Kisshu ritornò in camera da letto, cercando di fare il meno rumore
possibile.
Aveva smesso di dormire da ore, ma Minto ancora riposava e lui non
voleva
disturbarla, ormai abbandonato all’idea che il sonno le fosse
necessario per
riprendersi.
Lui, invece,
continuava a provare una
soffocante sensazione d’impotenza che non era in grado di scrollarsi di
dosso e
che continuava a tormentarlo, rendendogli impossibile trovare davvero
pace
anche nei sogni.
Terminò di vestirsi e
controllò ancora una
volta l’orologio. Pai gli aveva chiesto di raggiungerlo per aiutarlo
con alcuni
dei sistemi della loro astronave, per collegarli meglio al programma di
scannerizzazione dei DNA e tentare di incrementarli entrambi; non aveva
particolarmente voglia di smettere di tenere la mewbird sott’occhio, ma
non
riusciva più a stare in casa con quella strana atmosfera, e aveva
soltanto una
determinata quota di volte in cui avrebbe potuto dire di no a suo
fratello. E
se far connettere i sistemi avrebbe potuto evitare altre disgrazie
simili…
Girò attorno al letto
e si sedette sul
bordo dal lato di Minto, scostandole delicatamente i capelli dal viso.
« Vado per un po’ al
Caffè, tortorella, »
le sussurrò pianissimo, accarezzandole lo zigomo con una nocca, « Torno
presto,
okay? »
Minto rispose solo con
un mugugno
indistinto, arrotolandosi ancora di più tra le coperte, così tanto che
Mickey,
ancora accanto a lei, ci finì sotto. Kisshu attese ancora qualche
istante, poi
sospirò piano e si teletrasportò direttamente dal letto senza
aggiungere altro.
La mora, mezza sveglia
in realtà dopo
averlo sentito aggirarsi per la stanza, rimase con gli occhi chiusi
ancora per
un po’, a godersi la comodità del suo letto, il ronfare del cagnolino
accanto a
lei che la scaldava, il profumo familiare di tutto ciò che conosceva.
Però non riusciva a
separarsi dalla
sensazione di continuare a essere dentro quella bolla in cui era stata
rinchiusa, anche se ora tutto sembrava più ovattato, più smorzato.
Non le piaceva
continuare a sentirsi in
trappola, non le piaceva sentirsi la vittima che doveva essere trattata
coi
guanti perché aveva subito qualcosa di traumatico.
Lei voleva che tutto
tornasse a posto, che
la vita riprendesse come sempre. Perché non poteva dare a nessuno la
minima
soddisfazione di pensare di averla vinta.
Si sentì d’improvviso
claustrofobica a
ripensare come avesse passato le sue prime ventiquattro ore in
ritrovata
libertà di nuovo come una reclusa, in casa a piangersi addosso, anche
se solo
metaforicamente. Senza aver il coraggio di sostenere lo sguardo di
Kisshu, mal
sopportando addirittura le sue premure e il suo affetto – sapeva che
era pieno
di buone intenzioni, ma di nuovo, lei non voleva essere solo una
donzella in
difficoltà da accudire.
La vita doveva andare
avanti e lei doveva
affrontarla.
Riprenderla in mano,
riconquistare la sua
autonomia e la sua libertà.
Come aveva sempre
fatto.
Ricacciò indietro le
lacrime che le
pizzicarono gli occhi, diede un ultimo bacino alla testolina pelosa di
Mickey,
e cacciò giù le gambe dal letto, dirigendosi spedita verso il bagno.
Avrebbe cominciato con
il concedersi una
passeggiata ristorativa, per godersi ogni singolo istante fuori da
quattro mura
che iniziavano a stringersi un po’ troppo attorno a lei.
Era così presto che i
domestici avevano
appena iniziato i preparativi per la giornata, ma non le importò più di
tanto:
chiese solo una tazza di tè e si barricò di nuovo in camera,
concedendosi tutto
il tempo del mondo per dedicarsi a sé stessa. Armata di phon e spazzola
tonda,
diede un tono d’ordine ai capelli, coccolandoli dopo tutti i
maltrattamenti che
avevano subito negli ultimi giorni, aggiungendo anche un cerchietto di
velluto
blu come accessorio; poi si truccò con cura, stendendo un velo di
lucidalabbra
rosso e un blush un po’ più colorato del solito per
contrastare il
pallore inconsueto delle sue guance e quelle ombre sotto gli occhi che
sembravano non voler desistere.
Mickey le rimase
accanto per tutto il
tempo, steso sui suoi piedi davanti alla sedia della sua toeletta, a
uggiolare
di tanto in tanto quando lei gli parlava, però Minto decise di non
portarlo con
sé. Aveva bisogno solo di uscire, di camminare veloce senza pensare a
nulla.
Una volta soddisfatta
del risultato, si
concesse di infilare il primo paio di jeans che trovò nell’armadio e un
paio di
tennis comode, e uscì di casa prendendo con sé una borsetta con solo
cellulare
e portafoglio, ricordandosi d’inviare un messaggio d’avviso solo
all’ultimo
istante e mantenendolo il più conciso possibile.
L’aria pungente di
ottobre le rinvigorì
piacevolmente il viso, e Minto inspirò a pieni polmoni, cacciando le
mani
dentro le tasche del cappotto. Si sentì contenta di aver indossato un
maglione
un po’ troppo spesso per il periodo, perché, nonostante il pizzicore
sulle
guance non la disturbasse, continuava a sentire ancora freddo, e sapeva
che non
era solamente colpa del meteo. Si avviò a passo deciso, continuando a
prendere
grosse boccate d’aria e a cercare continuamente di camminare al Sole
così che
potesse avvertirne il calore fino alle ossa.
La città si stava
svegliando, e il rumore
del traffico cominciava a riempire le strade. Le sembrava che fosse
passata
un’eternità da quando si era accordata un momento solo per sé stessa,
una
camminata senza meta, senza scopo, senza dover correre da una parte
all’altra
inseguendo responsabilità. Era sempre così concentrata su ciò che
doveva fare,
su cosa fosse meglio fare, e ora le pareva di aver
smarrito sé stessa.
Le sembrava di non sapere più da che parte doversi voltare per
riprendere le
redini della situazione.
Tokyo le sembrò
all’improvviso enorme,
troppo vasta, troppo caotica.
Il batticuore della
mattina precedente le
riverberò in gola e sentì le mani farsi improvvisamente sudaticce, la
gola
stringersi. D’istinto, si guardò intorno, controllò il cielo sopra di
sé, ma
per strada c’erano solo affaccendati lavoratori, studenti in ritardo
che
correvano, madri che camminavano tranquille spingendo passeggini.
Il
ritratto della normalità, provò a tranquillizzarla il
suo senso Mew.
E al tempo stesso lei
era ben consapevole
di quanto poco normale ci fosse in quella situazione. Di come tutto
sarebbe
potuto cambiare in pochi secondi, a causa di invasori interplanetari
per cui a
lei era stato iniettato il DNA di un animale in via d’estinzione.
E magari non era
nemmeno una situazione
vera, era solamente un altro di quegli strani incubi a cui l’avevano
assoggettata durante il rapimento, solo molto più potente, molto più
reale, e
presto avrebbe aperto gli occhi e…
La mano le volò quasi
automaticamente alla
borsetta a tracolla e al cellulare custodito dentro, la tentazione di
telefonare a Kisshu e chiedergli che la raggiungesse, o che la
riportasse a
casa, ma poi si bloccò di colpo: no, non poteva cedere.
Le sembrò di esserselo
ripetuta più volte
in quei giorni che in tutta la sua vita, ma era vero: non poteva dare a
Kert e
alla sua compagnia la soddisfazione di averla davvero distrutta, da
averla resa
incapace di fare una camminata da sola.
E non avrebbe neanche
potuto sopportare per
un istante di più la luce preoccupata e devastata negli occhi d’ambra
del
verde.
Di nuovo quasi senza
pensarci,
concentrandosi solo sul calmare quell’orribile sensazione di
soffocamento che
le stava opprimendo il petto – lì dove il geota aveva spinto
un po’ di più
con l’avambraccio – impartì alle sue gambe di muoversi e di
condurla nel
primo posto sicuro che le venne in mente.
Lo stupore nel tono di
Ichigo a trovarla sotto
casa di prima mattina e perdipiù senza preavviso fu percepibile anche
attraverso il citofono, a cui rispose dopo una manciata di secondi non
indifferente che fece preoccupare la mora di aver scelto il momento
sbagliato.
« Minto-chan! Vieni
dentro! » sulla soglia,
la rossa l’accolse con l’usuale calore, anche se Minto non poté non
cogliere la
sorpresa e la preoccupazione sul suo viso, e l’abbracciò stretta pur
con un
braccio solo, l’altro impegnato a reggere una gorgheggiante Kimberly, «
Tutto a
posto? »
« Sì, stavo…
passeggiando e sono arrivata
qua. »
Per una volta, non si
sottrasse troppo in
fretta dal contatto con l’amica, che continuò a sorriderle fingendo
sicurezza.
« Cosa ti posso
offrire? »
La mora appese il
cappotto e ricambiò il
sorriso della bimba, che la guardava piena di curiosità agitando un
braccio
paffuto verso di lei: « Un caffè sarebbe perfetto. »
Ichigo annuì e le
osservò il volto per un
istante di troppo, vista anche la scelta diversa dal solito, poi le
passò la
bimba in braccio: « Tieni, è il tuo turno di fare un po’ di allenamento
delle
braccia. »
Kimberly fece qualche
verso felice per quel
passaggio, rivolgendo un altro dei suoi sorrisi sdentati alla mora, per
cui
aveva già dimostrato una certa affezione, e Minto in tutta risposta la
strinse,
accogliendone il calore e l’odore dolce, che inspirò piano.
« Come stai? »
La rossa la guardò da
sopra la spalla
mentre trafficava con la macchinetta del caffè, tentando di suonare
normale e
tranquilla.
« Tutto okay, »
rispose, cullando piano
Kimberly, « È bello essere a casa. »
Quasi come se
avvertisse il suo malessere,
il bebè si rilassò di più contro il suo petto, alzando una manina e
posandogliela, seppur con una certa malagrazia, contro la guancia.
Ichigo
invece non replicò, tornando verso di lei con due tazze fumanti e
indicandole
il divano con un cenno del capo.
« Hai dormito un po’? »
La mora cercò di
sbuffare sarcastica come
al suo solito, ma le uscì solo un soffio poco convinto mentre stringeva
la
bambina un po’ più forte per fermare il tremolio insolito delle mani: «
Momomiya, non sei brava a bluffare. »
« Non sto bluffando, »
si difese l’altra, «
Sono molto preoccupata per te. E il fatto che ti sei palesata qui
all’improvviso, pallida come uno straccio, da sola, non
mi aiuta. Ma sto
tentando di non asfissiarti. »
Minto trovò quasi
divertente che la
facciata solida dell’amica fosse crollata in meno di cinque minuti, ed
esalò
piano: « Ho solo camminato troppo in fretta, » borbottò, « Non… volevo
stare in
casa. Ma poi non volevo neanche stare fuori. »
Ichigo la scrutò e
poggiò la propria tazza
sul tavolino lì davanti; fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma
il rumore
di passi che scendevano le scale la fece fermare. Qualche istante dopo,
Shirogane apparve in salotto, un asciugamano attorno al collo e i
capelli
ancora umidi ad indicare che era appena uscito dalla doccia.
« Ehi, Minto, »
l’americano la salutò con
l’abbozzo di un sorriso, « Tutto bene? »
« Certo. Sono solo
venuta ad assicurarne
tua moglie dal vivo, visto che altrimenti non mi crede. »
Fu completamente
conscia che lui non si
bevve la bugia per un secondo, ma fu abbastanza elegante per annuire e
dirigersi verso di loro.
« La porto di là, così
potete stare
tranquille. »
Minto, sotto sotto,
non gradì
l’allontanamento del corpicino caldo e profumato dal suo, ma fece un
cenno di
assenso con il capo e gli allungò la bambina, che trillò estasiata
all’arrivo
del papà.
Ryou rivolse un paio
di smorfie a Kimberly,
se la sistemò contro il fianco e poi guardò la mora con aria un po’
contrita: «
Lo so che è presto, e non sto dicendo di farlo subito, ma qualsiasi
informazioni sugli alieni sarebbe utile… »
Ichigo si voltò con
una tale furia verso di
lui che quasi udirono lo scricchiolio delle vertebre cervicali, e lo
trucidò
con lo sguardo: « Shirogane! »
« Hai ragione, »
insistette invece Minto,
annuendo piano, « Facciamo domani, d’accordo? Da me. »
« Dico davvero, »
perseverò lui, « Se ti
serve più tempo non deve essere – »
« La devo affrontare
in ogni caso, giusto?
» commentò la mora con una punta di ferita ironia, « Tanto vale
chiuderla in
fretta. Non che ci sarà molto di eclatante, visto che ho passato tre
giorni
chiusa in una stanza buia. »
Gli occhi azzurri la
scrutarono con
un’intensità e una preoccupazione mai vista prima, ma Shirogane tacque
ed ebbe
la prontezza d’animo di non scambiarsi un’occhiata con la moglie, che
al
commento di Minto si era lasciata scappare un respiro agitato.
« D’accordo. Facci
sapere tu quando. Sono
di sopra, se vi serve qualcosa. »
Scese di nuovo il
silenzio, la tensione di
Ichigo assolutamente palpabile mentre si aggiustava e scattava senza
sosta sul
divano, incerta su cosa dire o fare. Minto afferrò la propria tazza dal
tavolino e prese un paio di sorsi, grata per il calore che le
attraversò il
petto.
« Lo so a cosa stai
pensando, » iniziò
sottovoce, le dita che corsero lungo il bordo della tazza, « Ma non è
successo nulla
del genere, né nulla di tragico. »
Il sospiro di sollievo
di Ichigo quasi
rimbombò per il salotto, ma la rossa non disse nulla e lei continuò,
prendendo
un respiro profondo.
« Solo un bacio, »
aggiunse in fretta, come
per liberarsene, lanciando solo uno sguardo al volto atterrito
dell’amica, « Da
parte sua, ovvio. Che non era nemmeno un bacio, perché alla fine…
vabbè, poi ve
lo spiego. Ma per il resto, poteva andare peggio, ecco. Almeno mi ha
portato da
mangiare, e addirittura una coperta. »
« Oh, Minto-chan, » il
tono le fu quasi
insopportabile, « Non so come tu – »
« Non sto cercando
pietà, Ichigo, » la
interruppe di scatto, « Né voglio trasformare questa cosa
in qualcosa di
più grande. Voglio solo… andare avanti. E, come diceva Shirogane,
almeno
tirarci fuori qualcosa di positivo e fruttuoso. »
Ichigo si morse un
labbro, gli occhioni
color cioccolata umidi: « … l’hai detto a Kisshu? »
Minto fece uno strano,
isterico verso di
gola: « Stai scherzando? Assolutamente no. »
« Ma forse dovresti – »
« È già abbastanza sul
piede di guerra così
com’è. E non ho intenzione di fomentare oltre le sue tendenze
all’avventatezza,
alla vendetta, e al fare il nobile cavaliere. »
Ichigo non osò
aggiungere altro,
limitandosi ad annuire con convinzione nulla, così Minto si riassestò
sul
divano e continuò: « Ho solo bisogno di stare tranquilla, di avere pace
intorno
a me. Fare finta che non sia successo nulla, eliminarli al più presto
dalla mia
vita. Basta. »
« Okay, » la rossa,
ancora una volta, non
parve assolutamente convinta dell’affermazione, ma sedò la
preoccupazione e la
voglia di investigare oltre, le si fece più vicina e raccolse le gambe
sotto di
sé, « Puoi stare qui anche tutto il giorno, se vuoi. Possiamo guardare
un po’
di televisione spazzatura, farci delle maschere. E poi un sacco di
nuovi
ristoranti hanno aggiunto l’opzione di delivery. »
« Momomiya, ci sarà
mai un momento in cui
non pensi a mangiare? »
« Io apprezzo
le cose belle della
vita, » replicò l’amica, e conquistò un altro paio di centimetri,
quanto
bastava per far passare il braccio sotto al suo e stringerla con quella
tenerezza che le aveva sempre dimostrato nonostante i battibecchi e il
noto
disgusto della mora per le dimostrazioni pubbliche di affetto, « Ah,
poi non
sai cosa mi ha raccontato Mowe! Hai presente quella sua compagna di
università
che giocava a pallavolo al mio liceo?! »
Una alla volta, le
altre tre ragazze si
unirono a quella giornata di totale relax e calma. Minto non si chiese
se le avesse
invitate direttamente Ichigo in un momento in cui lei era distratta, ma
in
fondo non le importava più di tanto; l’unica cosa di cui fu grata fu
che, in
ogni caso, parve tutto esattamente normale e non votato a farla sentire
come se
la stessero compatendo o trattando come una bambola di ceramica.
La prima a palesarsi
fu Zakuro, portando
con sé una busta piena di maschere per viso che – raccontò con un
abbozzo di
sorriso – le erano state regalate dopo uno shooting promozionale e che
non
sarebbe mai riuscita a utilizzare tutte da sola. Ovviamente, Minto non
mancò di
puntualizzare quanto rumore esagerato fece Ichigo nell’aprire il
tesoro, e la
rossa si lanciò in una tiritera fin troppo irritata su quanto fosse
difficile
trovare un momento di relax con una bimba così piccola e l’ennesima
invasione
aliena.
Fu poi la volta di
Purin, che entrò
baldanzosa in salotto con una quantità di gelato sufficiente per dieci
che
provvide a distribuire a grosse cucchiaiate senza ascoltare le proteste
di
nessuna delle tre, infilandosi a viva forza tra di loro e prendendo
controllo
del telecomando per sintonizzare la televisione su un melodramma di
dubbio
gusto. Retasu invece apparve appena dopo pranzo, insieme ad altri
manicaretti
preparati direttamente da lei, con molta probabilità all’ultimo momento
visto
l’occasione, e che finirono divorati in men che non si dica come pasto
vero e
proprio tra un gelato e l’altro.
Minto si godette ogni
istante, per una
volta non scrollandosi Ichigo di dosso e, come sempre ringraziando
qualsiasi
entità potesse ascoltarla di aver trovato delle amiche del genere che,
seppur
in maniera per lei alquanto folle, riuscivano a riempire vuoti che
l’avevano
accompagnata fin da quando era bambina.
Fu appena finito
l’ennesimo, sconclusionato
episodio della serie televisiva che Purin, giocherellando con il
cucchiaio,
arricciò le labbra in un ghigno divertito: « Vi devo dire una cosa. »
Le quattro teste
scattarono curiose verso
di lei, che però continuò a fissare la ciotola con fare dispettoso.
« Be’, non tenerci
sulle spine! » si
lamentò Ichigo, sporgendosi per guardarla in viso, « Cos’hai
combinato?! »
La biondina tentennò
ancora un poco,
sciogliendo il cumulo finale di gelato in una pappetta, poi allargò
ancora di
più il sorriso e rivolse alle amiche un’occhiata furba, inarcando
appena le
sopracciglia e scrollando le spalle in maniera allusiva.
Ci vollero un paio di
secondi, poi l’urlo
collettivo che riecheggiò per casa fece spuntare Shirogane fuori dal
suo
studio, per controllare che non fosse successo nulla di male, prima di
farlo
ritornare nel suo antro scuotendo la testa.
« Visto, Reta-chan, è
così che si fa, si
avvisano le amiche subito, non dopo settimane! »
Retasu divenne
bordeaux dietro le lenti: «
N-non mettermi in mezzo! »
« Tutto, voglio sapere
tutto! »
« Be’ magari non
proprio tutto,
Ichigo-chan. »
La rossa si era già
lanciata a stritolare
la biondina tra le braccia: « Ah, come siete cresciuti! »
« Abbiamo due anni in
meno di te, nee-san.
»
« Che c’entra, vi
siete conosciuti che
eravate dei bambini e ora guardatevi! Cosa vi fanno gli Ikisatashi! »
« Ichigo, per favore,
non essere volgare. »
« Poi, comunque se c’è
qualcuno che mi deve
raccontare tutto, quelle siete voi! Mi servono indicazioni! Idee!
Suggerimenti!
Tipo, come si fa esattamente quella cosa con la bo
– »
« No! »
Il grido terrorizzato
di Retasu, seguito da
Ichigo che placcava Purin e le tappava la bocca, scatenò una risata di
cuore in
Minto, che scosse la testa mentre si copriva le orecchie con le mani,
lo
stomaco che le doleva dall’allegria; fu solo un istante, ma le sembrò
che i
pezzetti della confusione che provava dentro di sé si riallineassero,
lasciandola
un po’ più leggera.
Un po’ più finalmente
libera.
Kisshu rilassò le
spalle nell’istante in
cui sentì il portone principale aprirsi e chiudersi, condito dai saluti
di
benvenuto dei domestici di villa Aizawa. Era quasi ora di cena, la luce
si era
affievolita da un pezzo e lui aveva dovuto attaccarsi a tutto il suo
autocontrollo – e ai messaggi di aggiornamenti inviatigli da Purin nel
corso
della giornata – per non marciare fuori a recuperare Minto, o almeno
accertarsi
coi suoi occhi che fosse tutto a posto.
Non era decisamente da
lei uscire e poi
sparire per tutto il giorno, mandandogli solo due vaghi messaggio in
cui gli
annunciava che era uscita e che sarebbe rimasta fuori.
Esalò piano tra i
denti e si allontanò
dalla finestra su cui si era appollaiato, cercando di procurarsi
un’espressione
più tranquilla possibile, anche se dentro di sé sentiva macinare la
stizza e la
preoccupazione di non aver avuto la ragazza sotto gli occhi quanto
avrebbe
voluto. Si poggiò di nuovo al baldacchino con una spalla e l’aspettò,
udendola
parlottare sottovoce con cordiale eleganza poi rivolgersi a qualcuno
che lui
intuì essere Mickey dal tono più dolce e acuto.
Difatti Minto comparve
sull’ingresso della
sua camera da letto pochi istanti dopo, il cagnolino in braccio e di
nuovo il
naso nascosto nella sua pelliccia morbida. Kisshu le rivolse un sorriso
di
saluto, ma gli sembrò che lei tentennasse un secondo prima di entrare e
ricambiare con stanchezza:
« Pensavo saresti
stato al Caffè. »
Lui non riuscì a non
aggrottare le sopracciglia:
« Non volevo lasciarti sola. »
Minto lasciò andare
Mickey e gli rivolse un
sorriso: « Non credo cenerò, stasera. Purin ci ha portato credo sei
chili di
gelato, e Retasu i suoi ultimi esperimenti in cucina. Stanno per
scoppiarmi i
pantaloni. »
« Eravate tutte dalla
micetta? »
Non che gli servisse
davvero la conferma.
« Mmhm, » la mora si
tolse il maglione
mentre si addentrava nell’armadio, pronta a riporre tutto in maniera
ordinata,
« C’erano novità su cui aggiornarci. »
Kisshu si limitò ad
arcuare un
sopracciglio: « … sarebbero? »
Lei rispuntò con
indosso il pigiama della
mattina e un sorriso furbo: « Dovresti chiedere a tuo fratello. »
Lui ci impiegò qualche
istante, poi sbuffò
divertito e la seguì verso il letto: « Quando si dà una svegliata poi
non ci
mette molto. »
Minto sorrise e si
legò i capelli in una
coda bassa protettiva mentre si poggiava ai cuscini e batteva piano la
mano sul
materasso per chiamarvi Mickey. Si sentì all’improvviso esausta,
nonostante i
familiari profumi di casa che allentarono un poco la tensione che
sentiva.
L’alieno le si sedette accanto, con una cautela che le diede fastidio,
perché
la fece sentire di nuovo come la bambola di porcellana da mettere in
bella
mostra, ciò che si era impegnata tutta una vita a scrollarsi di dosso.
Sospirò piano e al
tempo stesso cercò
l’odore noto del ragazzo, la sua presenza confortante, così poggiò la
tempia
contro la sua spalla.
« Abbiamo costretto
Shirogane alla
reclusione tutto il giorno. »
Kisshu rise e posò lui
stesso la guancia
sulla sommità della testa di lei: « Scommetto che gli avete fatto solo
un
favore. »
« Gli ho promesso che
domani… domani ne
parliamo. »
Lui s’irrigidì,
intrecciò le loro dita: «
Non devi promettergli un accidente, se non te la senti. »
« Me la sento, »
ribatté un po’ troppo
velocemente Minto, ma lui non commentò, « E potrebbe essere utile. »
Mickey si allungò
esattamente in mezzo a
loro, spaparanzandosi sulle loro gambe, e la mora abbozzò un sorriso
mentre
iniziava a coccolarlo.
« Quindi hai qualcosa
da raccontare. »
« Sì. No. Non
in quel senso, » la
mora sbuffò a denti stretti, raddrizzandosi all’improvviso, « Tipo, c’è
una
cosa che ho scoperto sulle nostre armi che potrebbe essere pratica,
okay? Tutto
qua. E comunque sia, non ho voglia di parlarne adesso. Oggi sono
riuscita a
rilassarmi, e… »
Kisshu si concentrò
sul cagnolino solo per
tenere a bada la rabbia che gli sobbolliva dentro: « Ho notato. Mi hai
solo
scritto che – »
« Non ci ho pensato,
d’accordo? » Minto sbottò
con più veemenza di quanto avrebbe voluto e lo interruppe di scatto, «
Era
esattamente il punto della giornata. Non volevo
pensare a nulla di che.
»
Lui si morse la lingua
giusto perché gli
sembrava inutile ed egoista rischiare di litigare, ma buttò fuori
l’aria: « Ho
capito. Lo so. Mi dispiace, ma mi hai fatto preoccupare. »
« Non devi, » reiterò
lei, e si
ri-afflosciò giù, « Non c’è niente di cui preoccuparsi. Sto bene e va
tutto
bene. Dovete solo concedermi il tempo di riprendermi. »
L’alieno avrebbe solo
voluto aggiungere che
nascondere le cose sotto al tappeto non era sicuramente la strategia
giusta,
non dopo accadimenti del genere, che lui lo sapeva bene, ma preferì il
silenzio, conscio che il muro della ragazza non sarebbe stato abbattuto
tanto facilmente
e di certo non con cieca insistenza.
Se stare con le altre
era la maniera che
preferiva per lasciarsi quel momento alle spalle, lui avrebbe solo
dovuto
accettare la cosa, accettare i suoi ritmi.
Minto si distese di
più tra i cuscini e si
voltò così da poggiare il viso e una mano contro al suo petto; Kisshu
sentì un
minimo di inquietudine abbandonarlo e le baciò la testa, mormorando
contro i
capelli neri: « Se vuoi dormire, posso andare. »
« No, » le dita
sottili gli strinsero di
getto la maglietta e lei scosse la testa, accoccolandoglisi meglio
addosso. Non
aveva pensato prima di parlare, e nonostante il senso di colpa che
ancora le
pungeva la gola, in quel momento aveva bisogno di sentirlo lì con lei,
«
Rimani. Per favore. »
« Quanto vuoi,
tortorella, » rispose lui in
un sussurro, accarezzandole i capelli e baciandola ancora, « Non devi
neanche
chiederlo. »
Mickey s’intrufolò di
nuovo tra loro,
incastrandosi sotto al braccio della ragazza e guaendo, estremamente
soddisfatto dell’aver conquistato il letto per la seconda notte di
fila. Kisshu
avrebbe quasi giurato che gli avesse rivolto uno sguardo di sfida, però
cedette
allo sguardo implorante e gli concesse qualche carezza.
« Cos’è che ti ha
raccontato esattamente la
peste bionda? »
« Non chiedermi di
ripeterlo. »
§§§
L’invito
ufficiale per il ritrovo a villa
Aizawa, con ordine del giorno un riassunto sul poco che Minto era
riuscita a
carpire degli alieni di Gaia, fu lanciato a mattina inoltrata il giorno
dopo,
con appuntamento per l’ora del tè, cosicché tutti potessero organizzarsi
al
meglio; e affinché la padrona di casa potesse mettere in ordine le idee
e
costruirsi il discorso più appropriato possibile, ripetendosi quali
dettagli
omettere e su quali, invece, soffermarsi di più. Il tutto senza
risultare
troppo ovvia, anche se lo sguardo da cane da caccia di Kisshu le
trapanò la
schiena tutto il tempo.
Non le sfuggì nemmeno
l’ironia del fatto
che, da ventun anni a quella parte, il pomeriggio precedente al suo
compleanno
era stato destinato ad ogni preparativo per la festa del dì successivo,
e
invece in quel momento stava solo istruendo lo chef su quali tramezzini
servire
nello studio di suo padre per un colloquio sulla
sua prigionia.
Scosse la testa e
fletté ancora le dita,
allontanando il pensiero quanto più possibile. Doveva smetterla di
soffermarsi
su ciò che le era stato tolto e pensare solo a come sfruttare appieno
quella
situazione.
Con una puntualità
insolita, l’intero gruppo
si presentò alla villa all’orario concordato palesando una vaga
allegria per
alleggerire la situazione, avviandosi per i corridoi parlottando a
bassa voce
mentre seguivano il maggiordomo.
Lo studio del signor
Aizawa non era una
stanza che frequentavano spesso, e Minto l’aveva scelta anche per quel
motivo,
oltre all’austerità che emanava. In più, era abbastanza spaziosa per
accoglierli tutti con comodità, grazie anche al lungo tavolo di noce
che
svettava al centro e che suo padre utilizzava nei rari momenti in cui
ospitava
riunioni di lavoro formali a casa.
Lei si aprì nel solito
sorriso di
circostanza quando gli amici li raggiunsero, indicando con studiato
decoro il
carrellino portavivande ben fornito. Kisshu, invece, li accolse tutti
appoggiato a braccia incrociate contro la scrivania, il viso scuro e
l’aria di
chi, nuovamente, fosse pronto a prendere a calci il primo malcapitato
che
avesse aperto bocca.
« Minto-san, non c’era
bisogno che ti
disturbassi così tanto, » disse Keiichiro, accettando di buon grado una
tazza
di tè.
La mora fece spallucce
e si diresse al
tavolo, reggendo la sua tazza preferita: « Sciocchezze, siete miei
ospiti. E
non deve essere un’occasione di disagio, giusto? Accomodatevi pure. »
Si sedette in uno dei
posti centrali senza
attendere risposta, né senza badare alle occhiate che, fu certa, gli
altri si
scambiarono. Kisshu, che ancora non aveva detto una parola, si staccò
dalla
scrivania in un movimento fluido e si accomodò dritto alla sua
sinistra,
tirando pure la sedia un po’ più vicina alla sua. Ichigo, al contempo,
si sedette
subito alla sua destra, mettendole davanti anche un piattino con dei
tramezzini
che però fecero solo rivoltare lo stomaco alla mewbird.
Con molto poco rumore,
di nuovo così
insolito per loro, le altre tre Mew Mew, i due americani e i due
Ikisatashi
riempirono un lato del tavolo, occupandolo con un paio di laptop e dei
registratori: perfino Masha sbucò dalla borsa di Ichigo, frullando fino
alla
padrona di casa e accoccolandosi tra le sue braccia senza chiedere
permesso.
« Partirei
dall’inizio, » cominciò
Keiichiro, schiarendosi la voce e digitando veloce sulla tastiera, «
Dalla
battaglia, se non vi dispiace. »
« Eviterei di rivedere
le immagini, »
commentò caustica Zakuro, seduta direttamente in fronte a Minto come
per essere
pronta a studiarne ogni reazione, ma Pai la guardò con freddezza:
« Capire come hanno
fatto potrebbe
rivelarsi – »
« Facciamo senza, » lo
interruppe Kisshu
velenoso, poi fece un cenno verso Ichigo e Purin, « Io mi stavo
scontrando
direttamente con Kert. Voi? »
La mewscimmia fece a
pezzetti un angolino
del tramezzino con le dita: « Ichigo-nee san e io stavamo dietro a
quello biondo.
Poi ho visto Retasu nee-san e Zakuro nee-san cadere in ginocchio, e… »
Retasu si mosse a
disagio sulla sedia prima
di parlare: « È stata colpa di quello con i capelli neri, » bofonchiò,
quasi
rabbrividendo al ricordo, « All’inizio ci stava lontano, e sembrava
quasi
annoiato dall’intera situazione. Quando si è avvicinato, però… »
« Ci ha tolto il
fiato, » continuò Zakuro
quando la Mew verde tentennò, « Letteralmente. Aveva come delle ombre,
attorno
a sé, ed è stato come se diventassero… più concrete e reali. Come se
davvero
stesse diventando tutto nero. E non ci fosse più nulla. »
« Probabilmente è lo
stesso potere che
hanno usato su di me, » Minto prese un respiro profondo e chiuse gli
occhi,
anche per fermare le lacrime che percepì pizzicare, « La stanza in cui
mi
trovavo è sempre stata al buio, avvolta da una specie di nebbia fatta
quindi di
ombre. E quella sensazione che descrivete, è stato per me anche come se
stessero prendendo i miei ricordi e… trasformandoli in un incubo. »
Scese un silenzio
assordante mentre le
parole delle ragazze venivano assorbite. Ichigo le coprì le mani con
una delle
sue e le rivolse quell’occhiata affettuosa e carica di preoccupazione
che aveva
affinato con la maternità; di solito, Minto l’avrebbe sgridata per quel
suo
eccesso di melodrammaticità, scostandola con poco garbo, ma mentre
riprendeva a
raccontare, sforzandosi di far suonare la voce in maniera più sicura
possibile,
fu grata che il palmo caldo dell’amica attutisse un po’ il tremolio
delle sue.
« Non ho molto da
dire, » gracchiò e si
schiarì ancora la voce, evitando pervicacemente lo sguardo degli altri,
ma
soprattutto quello di Kisshu, una statua di sale accanto a lei, « Come
vi ho
già raccontato, ho passato
tre giorni in
quella stanza. Era davvero una stanza da letto, in
una casa, quasi
simile alla mia. Al di fuori c’era un corridoio, ma è stato tutto
quello che
sono riuscita a vedere. C’era questa oscurità tutt’intorno che bloccava
qualsiasi cosa – luce, rumore, tutto. »
Pai fu il primo a
parlare, dopo qualche
istante di silenzio: « Potrebbe essere stata la causa per la quale i
nostri
sistemi non riescono tutt’ora a identificare la loro posizione. Ma
significherebbe un potere non indifferente. »
« Anche il mio
ciondolo Mew era
completamente fuori uso. Ho provato diverse volte a chiamarvi, ma… be’,
lo
sappiamo. »
Ichigo emise un verso
strozzato al suo
sarcasmo, e la stretta sulle sue mani aumentò per un istante.
Minto continuò come se
non si fosse mai
fermata: « Volevano informazioni su di noi, ovviamente. Sapere come
funzionassero
i nostri poteri, credo che in parte abbiano anche carpito qualcosa del
nostro
DNA modificato. Non sembravano sapere nulla della storia di Deep Blue,
o del
ruolo di Duaar e della Mew Aqua. Almeno, era solo Kert che interagiva
con me,
anche se mi è parso di capire che non fosse lui quello in grado di fare
quel…
trucchetto con la mente. Che hanno usato per cercare di convincermi a
parlare.
»
Udì la sedia accanto a
lei scricchiolare e
Kisshu sibilare piano al sottotesto di quell’ultima affermazione, ma la
mora
giocherellò solo con il cucchiaino della sua tazza di tè. Nello stesso
istante,
Keiichiro si sporse un po’ in avanti per cercare di incontrare il suo
sguardo:
« Minto-san, non devi
scendere nei dettagli
se è troppo difficile, mi raccomando. »
« Non so come
facessero… non erano
situazioni inventate dal nulla, erano situazioni che sono certa di aver
vissuto, solo rigirate, rimescolate, in una maniera tale da… da
renderlo una
tortura, è inutile fare tanti giri di parole. Un ricordo con i miei
genitori
era pressoché uguale, tranne per… la cattiveria nelle loro parole, o i
dettagli
su Seiji, le sue presenze in città. Altri erano su… » s’interruppe e
scosse la
testa, questa volta cercando di non guardare Ichigo, « Insomma, come se
sapessero esattamente cosa cambiare, come renderlo
un’arma. »
Questa volta, lo
stridio della sedia che
venne allontanata di scatto la fece sussultare, però continuò a fissare
dritta
davanti a sé le venature del tavolo, anche quando Kisshu cominciò a
camminare
avanti e indietro come una tigre in gabbia.
« A proposito di arma,
» Minto si schiarì
la gola e prese un sorso per ristorarsi, « Una cosa può tornarci
davvero utile:
a un certo punto mi sono addormentata, e quando mi sono svegliata, mi
sono
ritrovata in forma umana, perché ero esausta. Ovviamente quando mi
hanno
catturata, mi hanno portato via l’arco, non devo stare neanche a
raccontarvelo.
Ma il punto principale è che, una volta ripresami un attimo, sono
riuscita a
ritrasformarmi. E avevo di nuovo il mio arco. Come
se non fosse mai
successo nulla. »
Un mormorio di stupore
si levò dalle altre
Mew Mew, mentre gli americani si scambiarono un’occhiata incuriosita.
« Be’, che figata, in
effetti! » esclamò Purin
con una punta di contentezza in più del dovuto, « Non ci abbiamo mai
pensato…
anche se non mi ricordo di aver mai perso i miei tamburelli. »
« Però è complicato,
trasformarsi e
ritrasformarsi durante una battaglia comporterebbe dei rischi non
indifferenti.
»
Minto scrollò le
spalle al commento di
Zakuro: « Credo sia stata l’unica scoperta degna di nota. Oltre al
fatto che
sì, la motivazione per l’invasione Geota parrebbe il fatto che il loro
pianeta
sta diventando sovrappopolato e non vogliono rischiare di mettere in
pericolo
il loro ecosistema, a quanto pare fantastico. »
« Dimmi che almeno sei
riuscita a
piantargli una freccia tra le gambe. »
La battuta di Taruto
le strappò un sorriso:
« Ci ho provato. Ne è valsa la pena. »
Kisshu, ancora a
marciare irrequieto alle
sue spalle, ringhiò quando la vide sfiorarsi sovrappensiero lo sterno,
dove
svettava il livido provocatole da Kert quando lei aveva cercato di
colpirlo, ma
lei persistette ad andare avanti.
« Questo è tutto,
direi. Come già detto, io
ho parlato solo con Kert. Giusto poco prima di liberarmi, è spuntato
quell’altro, il capo della banda. Ha detto qualcosa su una certa Espera,
sul fatto che nemmeno lei riuscisse a respirare quando… ah sì, »
aggiunse alla
fine, stanca, « Kert sa fare un’altra cosa. In ambienti molto
ristretti, può
manipolare l’aria intorno a sé così da renderla irrespirabile, qualcosa
del
genere. Un altro giochetto che a fatto per tentare di rendermi più
disposta a
raccontargli cose. »
« Lo ammazzo. »
Sia Pai che Zakuro
lanciarono uno sguardo
d’avvertimento a Kisshu; il maggiore degli Ikisatashi poi si concentrò
di nuovo
su Minto: « Ogni altro dettaglio che pensi sia utile? »
« C’era un’altra… » la
mora aggrottò la
fronte mentre provava a ricordare gli ultimi istanti dentro quella
casa, «
Quando Rui è entrato, ha lasciato la porta aperta, loro erano tutti in
corridoio, e c’era una figura in più che non mi pare aver riconosciuto.
»
« Oh, perfetto, »
Ichigo si lasciò andare a
un gemito esagerato, « Ce ne mancava anche un’altra. »
« Quindi? » Kisshu si
fermò di scatto e
incrociò le braccia, « Cosa abbiamo intenzione di fare? Stare qui di
nuovo ad
aspettare che ci prendano ancora alla sprovvista? »
Keiichiro si scambiò
un’occhiata d’intesa con
Pai prima di rivolgersi all’alieno dai capelli verdi: « Credo sia
giusto dare
tempo a tutti di riprendersi. Anche durante l’ultimo scontro siete
riusciti a –
»
« Appunto.
Approfittiamone e colpiamo. »
« Colpiamo dove,
esattamente? »
sbottò Pai, stanco, « Per tua informazione, ne sappiamo quanto prima. I
nostri
sistemi non sono ancora in grado di localizzarli. »
« Allora miglioriamoli.
»
« Lo dici come se tu
sapessi come, »
s’intromise Ryou, anch’egli parecchio provato e innervosito dal
comportamento
ostile di Kisshu, « Ma a parte fare ancora più casino del solito, non
mi pare
tu sia riuscito a inventarti geniali soluzioni. »
« Non sono io
il genio della
situazione, giusto? » replicò con veleno l’altro, guardandolo rabbioso
e
continuando a parlare a denti stretti.
Ichigo si alzò e
sventolò le mani: « Non
litigate, » esclamò con forza, lanciando uno sguardo specialmente
intenso al
marito, « È già stato un pomeriggio non semplice. Ci serve coesione.
»
« Ci serve un piano.
»
« E penseremo al
piano! » sbuffò sfinita,
alzando gli occhi al cielo, « Non c’è altro, vero, Minto-chan? »
La mora pensò che
fosse la maniera di
Ichigo di dirle che le dava ragione rispetto alla discussione del
giorno prima,
che decisamente Kisshu non era nello stato mentale per venire a sapere
altre
cose, quindi si limitò ad annuire.
« Se mi venisse in
mente qualcos’altro... »
Keiichiro le rivolse
un altro sorriso
incoraggiante: « Mi raccomando, Minto-san, non rimuginarci troppo.
L’importante
è che tu sia tornata a casa sana e salva. »
Kisshu ringhiò
un’altra volta e fece per
commentare probabilmente il suo disaccordo riguardo al “sana”,
ma Zakuro
s’intromise con un sorriso: « E dobbiamo festeggiare. »
« Oh, onee-sama, non
lo so… » Minto si
sfregò di nuovo i lividi che spuntavano dalle maniche della camicia, «
Non sono
molto in vena… »
« Dai, dai, nee-san,
una cena tra di noi, »
Purin si alzò e, di nuovo in barba a tutti i principi fondamentali
della mora,
circumnavigò il tavolo per andarla ad abbracciare, « Anche qui da te,
senza
sbatta. »
« Non capisco come si
coniughino
esattamente qui da me e senza sbatta.
»
« Un pigiama party è
super comodo. »
Minto guardò di nuovo
Zakuro e il suo
sorriso incoraggiante, e dopo qualche secondo annuì più convinta: « Vi
va bene
per le sette e mezza domani sera? »
«
Sììì,
» Purin la stritolò un altro paio di istanti, praticamente
facendole
perdere due o tre decibel nell’orecchio destro, poi saltellò energica
dalle
altre, « Riunione regali! »
« D’accordo, la
proseguiamo fuori, » anche
Keiichiro si alzò e si scambiò uno sguardo d’intesa con la padrona di
casa, «
Riposati, Minto-san. E grazie per il tuo prezioso aiuto. So che non
deve essere
stato facile. »
Con un ultimo sorriso,
e un giro concitato
di saluti e promesse per il giorno dopo, li condusse quindi tutti verso
l’uscita. La casa piombò nel solito silenzio assordante, e Minto
percepì un
brivido freddo di immensa stanchezza serpeggiarle giù per la schiena.
Avvertire anche Kisshu
e la sua
irrequietezza incombere per la sala non era certo d’aiuto.
Con un sospirò si alzò
e si sfregò la
fronte, ringraziando con un sorriso la cameriera che subito venne in
soccorso a
raccogliere tazze e piattini dal tavolo.
« Mi sembra tutto una
stronzata. »
Minto dovette
trattenersi dall’esalare a
voce alta e intimò a Kisshu di tacere con un’occhiata glaciale, se non
altro
per le orecchie che era meglio non coinvolgere.
« Compiere azioni
azzardate non è mai stata
la scelta migliore, » si limitò a replicare a denti stretti, avviandosi
a passo
spedito verso la propria camera.
« Neanche aspettare
che ci caschino le
risposte in grembo! » replicò il ragazzo, seguendola, « O lasciarli
buoni e
comodi e – »
« Kisshu, per favore!
» la mora si bloccò
appena oltre l’entrata della stanza e alzò le mani in un gesto di
stanchezza, «
Hai sentito anche tu gli altri, i nostri sistemi sono bloccati e non
abbiamo la
maniera di rintracciarli, quindi per ora dobbiamo
accettare la
situazione così com’è. Non facevamo niente di molto diverso quando si
trattava
di voi. »
Un lampo sdegnoso
attraversò le iridi
dell’alieno, che sembrò fisicamente mordersi la lingua e prendere un
secondo
prima di parlare, mentre lei gli dava le spalle per l’ennesima volta in
quella
giornata e si avvicinava alla sua toeletta.
« Minto, » il sussurro
le arrivò forte e
risoluto, con una vena d’ira non indifferente e che la fece sussultare,
«
Quando dico che ti amo, voglio dire che farei qualsiasi cosa per te. »
La comprensione di
ogni singolo significato
di quella frase le causò nuovamente un tremore lungo la spina dorsale
mentre
immagini chiarissime le scorrevano davanti agli occhi. Non seppe
neanche lei
cosa le prese, pensò solo che l’ultima volta che avevano fatto l’amore
le
sembrasse lontanissima, e che c’erano cose che avrebbe solo voluto
cancellare e
in quel momento non aveva altra maniera di farlo.
Si voltò e gli prese
il viso tra le mani,
baciandolo senza dargli possibilità di replica; né sembrò che Kisshu
stesse
aspettando qualcosa di diverso, vista la foga con cui la ricambiò,
stringendola
così forte da spezzarle il fiato e cercando di accarezzare ogni singolo
millimetro di lei che poteva raggiungere. Si spogliarono a vicenda con
veemenza
ancor prima di arrivare al letto, lei alla ricerca come sempre del
calore del
corpo di lui per infrangere un gelo che era dentro al suo petto e non
c’entrava
nulla con l’autunno.
Quando però Kisshu la
stese sotto di sé e Minto
socchiuse le palpebre per guardarlo mentre le scivolava dentro, il
cuore le
precipitò in gola e lei sussultò a incrociare i suoi occhi.
Occhi dorati.
Gli stessi che aveva
visto in quella
stanza, eppure così dissimili.
Gli stessi che
l’avevano guardata mentre le
vomitavano addosso veleno, gli stessi che l’avevano illusa di esserne
uscita,
gli stessi che l’avevano osservata con divertimento mentre l’aria
l’abbandonava
e i polmoni bruciavano, mentre…
Te
l’ho già detto, passerotto: a me
serve solo dimenticare, non mi importa di altro.
Portarti
a letto è stato piacevole anche
per toglierti di dosso quella smorfia da altezzosa che hai sempre.
Sentirti
pregare, per una volta, è stato così soddisfacente...
Gemette per tutte le
ragioni sbagliate e
cercò di camuffarlo strusciandosi contro di lui, ma Kisshu conosceva
ogni
millimetro del suo corpo alla perfezione e s’immobilizzò subito,
preoccupato di
averle sfiorato con un po’ troppa decisione uno dei lividi.
« Ti ho fatto male? »
Minto scosse la testa
e poi, d’istinto, non
riuscendo a sopportare quel velo di dubbio negli occhi dell’alieno, si
voltò
prona, artigliandoli al tempo stesso la mano.
Non bramava che il suo
odore, il suo
calore, il modo in cui la faceva sentire, ma al contempo non riusciva a
guardarlo, a sopportare il suo sguardo preoccupato, a sostituire i
ricordi che
di nuovo le affollavano la mente con la sensazione vera e concreta di
averlo
lì.
Lo avvertì titubare,
per una volta,
riguardo alla sua scelta, nonostante non avesse mai formulato richieste
particolarmente sdolcinate durante quei momenti, e la mora sollevò
appena i
fianchi, aumentando la stretta sulla sua mano.
« Kisshu, ti prego, »
emise in un sospiro,
« Stringimi e fai l’amore con me. »
« No, » con tono quasi
dolorante, Kisshu si
staccò da lei e si sedette sulle ginocchia, tentando di voltarla con
cautela, «
Non finché non mi dici cosa c’è. »
Minto dovette
reprimere un mugolio: «
Niente, » esalò, provando a suonare convincente mentre gli rivolgeva
l’accenno
di un sorriso da sopra la spalla, « Pensavo che – »
L’alieno le lanciò
un’occhiataccia e fu
meno gentile nel girarla, questa volta, così da guardarla in faccia: «
Ne hai
parlato prima, e d’accordo. Ma non ne hai parlato con me.
»
La mora sentì il gelo
farsi di nuovo spazio
nello stomaco e afferrò il lenzuolo per coprirsi prima di mettersi
seduta: « Ho
detto tutto quello che dovevo dire, » esclamò lenta, per non fare
tremare la
voce, « Volevo solo… stare con te. Non pensarci, non renderla più
grande di
quanto non sia. È passato. »
« Così passato che non
riesci nemmeno a
guardarmi in faccia, » sputò lui, rimangiandosi le parole subito dopo
quando
l’avvertì ritrarsi un po’ di più e abbassare lo sguardo, colpevole.
Kisshu sospirò e si
scostò i capelli dagli
occhi, afferrandole poi la mano, « Tortorella, ascolta, » se la
premette sul
petto, lì dove la pelle si faceva spessa e deturpata, « Non è la stessa
cosa,
okay, ma io… so cosa vuol dire affrontare momenti davvero
difficili. Non
dico che tu debba continuare a parlarne, ma tenersi tutto dentro non… »
Minto quasi sillabò la
frase successiva: «
Abbiamo appena passato, che ne so, un’ora a parlarne. »
« Non prendermi per
imbecille, » replicò
lui di nuovo con un po’ troppo gelo, « Hai menzionato mezza situazione,
e visto
quanto cerchi di evitare il discorso, mi sembra lampante che ci sia
qualcos’altro sotto. Qualcosa che proprio non vuoi dirmi. »
La ragazza ritrasse di
scatto la mano ed
emise uno strano verso dal naso mentre si alzava dal letto, portandosi
dietro
il lenzuolo: « Mi stai accusando di non avere il coraggio di dire le
cose come
stanno? Ho raccontato tutto, tutto il necessario,
non so cosa tu voglia
di più o… o cosa ti aspetti, perché – »
« Dovrei sapere come
aiutarti. Insomma, Minto,
guarda come sei ridot– »
« Lo sto continuando a
ripetere, come
aiutarmi! » strillò lei, quasi battendo il piede a terra, « Però non mi
sembra
che il messaggio sia recepito! »
Kisshu sospirò e
alzò le mani in segno di arresa: « Voglio solo che tu stia bene,
d’accordo?
Perché non è così, ed è giusto che non lo sia.
Nessuno si aspetta che tu
stia bene ora, Minto, sono passati solo due cazzo di giorni. Però devi
– »
«
Non devo un bel niente, » replicò lei a voce
stridula, « Sta a me decidere
cosa fare o non fare. Capito? »
L’alieno
si raggelò, poi la osservò un altro paio di istanti prima di annuire
con
estrema lentezza.
«
Come vuoi. Se hai bisogno, sai dove trovarmi. »
Minto si sentì
improvvisamente svuotata e
sola quando lo vide alzarsi dal letto per rivestirsi; si strinse un po’
di più
il lenzuolo attorno a sé e sospirò: « Kisshu, non… »
Lui sventolò una mano
come a dirle di non
preoccuparsi intanto che si rimetteva i pantaloni, poi le si avvicinò e
le
lasciò un bacio sulla fronte e una carezza del pollice sulla guancia.
« Vado a cercarti un
regalo, » le mormorò,
« Ci vediamo stasera, se ti va. »
La mora si limitò ad
annuire, un groppo in
gola di senso di colpa grande quanto una mela che le bloccava le
parole, e
Kisshu svanì con un soffio senza dirle altro.
§§§
Non gli pareva che
nessuno di loro fosse in
realtà nel gran mood di festeggiare, ma Ryou aveva
da tempo smesso di
chiedersi quali fossero i meccanismi che condizionavano gli animi delle
ragazze
e le loro conseguenti interazioni.
Sicuramente il gelido
riserbo di Kisshu,
quella sera, così diverso dal suo carattere dirompente ed estroverso,
non
gridava allegria per quella festa improvvisata. E se lui si fosse messo
a
pensare alla mail che pareva far pesare il cellulare in tasca un paio
di chili
in più…
Come sempre quando si
trattava di Minto,
anche nei momenti in cui era palese non fosse molto in forma, la cena
era stata
elegante, ottima e abbondante, come se ci fossero state molto più che
ventiquattr’ore di preparazione alle spalle; e nemmeno quello lo aveva
stupito,
dopotutto, ben abituato ai mirabolanti standard della famiglia Aizawa.
Anche Keiichiro era
riuscito a rifinire una
splendida torta a due piani alla crema chantilly, e Ryou si domandò se
– in
barba a tutta la scaramanzia – l’avesse iniziata a preparare con largo
anticipo, sicuro che l’occasione si sarebbe presentata.
Retasu tagliò una
fetta di dimensioni non
indifferenti e la passò alla festeggiata, che con enorme soddisfazione
del
pasticcere, se la gustò decisa, nonostante fosse già il bis.
« Quindi adesso la
onee-san può bere negli
Stati Uniti, » commentò Purin, divorando lei stessa una seconda fetta
più
grossa della prima, « Potresti organizzare un bel viaggio quando sarà
anche il
mio turno, onii-san. »
Ryou alzò solo un
sopracciglio, un
fastidioso ronzio all’orecchio al soggetto: « Stai già mettendo le mani
avanti,
noto. »
« Metti che tu e
Ichigo onee-san vogliate
mettere in cantiere un altro bebè, bisogna organizzarsi per tempo! »
« Purin, ti prego, »
gemette la rossa,
guardandola sconvolta, « Per ora basta Kimberly, che non dorme da due
notti. »
« Il tuo peggiore
incubo, Momomiya. »
Lanciò uno sguardo
infastidito a Minto e
poi le rivolse una linguaccia: « Non dico niente solo perché è il tuo
compleanno e voglio essere carina. »
« Era anche il mio
compleanno quando l’hai
scoperto, un anno fa, sicuri che non ci sia un’altra sorpresina? »
« E smettila! »
Una risatina si levò
dal gruppo, puntellata
dal rumore delle forchettine contro la ceramica, e Ryou controllò di
nascosto
un’altra volta l’app di e-mail sul cellulare. Per la East
Coast era
ancora mattina presto, ma se qualcuno si fosse svegliato
particolarmente
volenteroso…
Forse avrebbe dovuto
smetterla di manifestare
così intensamente – o gufare – perché il telefono prese a
vibrargli
intensamente in mano, un numero parecchio familiare che riempì lo
schermo.
Si scambiò solo
un’occhiata d’intesa con
Keiichiro, ignorando invece quella interrogativa e leggermente irritata
di
Ichigo, e si alzò per uscire in corridoio, così da poter parlare
liberamente.
La moglie non era ancora in grado di capire del tutto quando lui
entrava in
modalità completamente madrelingua, ma preferiva essere prudente,
soprattutto
conoscendo il caratterino della rossa.
La ragazza in
questione, infatti, non si
esimette dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffare, parlando piano
verso
Zakuro: « Possibile che non sappia smettere di lavorare? »
La modella le versò un
altro po’ di champagne:
« Non sarebbe il Ryou che conosci, in quel caso. »
« Ma almeno a una cena
di compleanno! »
« Dai, nee-san, almeno
non è la tua. »
Lei arricciò il naso
verso Purin: « Grazie
del supporto. »
« Dite che il nii-san
la finisce quella
fetta? »
L’intera torta venne
spazzolata intanto che
Shirogane terminava la sua telefonata, a cui dopo un po’ si aggiunse
Keiichiro,
strappando un altro po’ di sonori mugugni da parte della compagnia. Col
dolce
terminato, e gli altri due in separata sede, Pai ne approfittò per
controllare
l’orologio e guardare Retasu.
« Mi sembra di capire
che la festa stia
terminando. »
Kisshu, spaparanzato
in maniera poco
elegante su una delle poltrone, lo osservò con un sopracciglio alzato:
« Non
sia mai che ti diverti troppo, tu. »
« Preferisco non
arrecare troppo disturbo, io.
»
Il fratello fece
schioccare la lingua in
maniera ironica, e Zakuro s’intromise con lo studiato sorriso di
circostanza: «
Magari è meglio far riposare Minto. »
La mora esalò piano,
palesemente non
entusiasta all’idea di rimanere da sola ma al tempo stesso chiaramente
esausta:
« Grazie per essere venuti. I regali sono bellissimi. »
Purin, accoccolata
accanto a lei, la
strinse: « Invecchi bene, onee-san. »
« Ma dai! »
I due americani
tornarono in stanza, uno di
loro con una faccia che a Zakuro non preannunciava niente di buono,
così la
modella si prodigò a raggruppare tutti per farli uscire il più
celermente
possibile.
« Facciamo un pigiama
party presto,
promesso, » Minto salutò le amiche sulla soglia, di nuovo non
estraendosi
troppo presto dai loro abbracci.
« Guarda che me lo
segno. »
« Momomiya, come se tu
avessi bisogno degli
inviti. »
Ichigo le fece
l’ennesima linguaccia prima
di avviarsi lungo il vialetto illuminato di luce soffusa, incominciando
a bofonchiare
con Shirogane. Minto la osservò per un istante con un sorrisetto
intenerito,
poi si voltò verso Kisshu, che si era poggiato alla porta socchiusa.
« Anche quest’anno,
niente candeline. »
Lei sbuffò divertita e
alzò gli occhi al
cielo mentre scuoteva la testa: « Questa è proprio una fissazione. »
« È divertente, » la
prese in giro lui,
togliendo una mano dalla tasca del giubbotto di jeans per
attorcigliarsi un
boccolo nero attorno al dito, « E te l’ho detto che il tuo compleanno
ti
intenerisce. Guarda quanti abbracci hai dato. »
« Sei geloso? »
« Sempre, » Kisshu
rispose a tono
all’ironia e poi spostò il palmo sul suo viso, accarezzandole lento la
gota, «
Un anno fa ti ho baciato per la prima volta. »
Minto avvertì il
ventre frullarle alla voce
roca con cui mormorò, al ricordo di quel bacio inaspettato: « Lo so.
C’ero
anch’io. »
L’alieno sbuffò
divertito e poi roteò gli
occhi: « Concedimeli cinque secondi di romanticismo, tortorella, almeno
nelle
occasioni speciali. »
« Un compleanno non è così
speciale.
»
« Pensavo di più a una
cosa come
l’anniversario. »
« Ma oggi non è il
nostro anniversario. »
« E figuriamoci, »
Kisshu la canzonò ancora
e si avvicinò di un passo, « Sentiamo, allora quando si confà
che sia? »
Minto arricciò il naso
ma decise di stare al
gioco; aprì la bocca per rispondere convinta che quella
mattina di fine
dicembre le sembrava molto più appropriata, quando un crampo le prese
lo
stomaco a tutte le versioni del ricordo che le ripassarono in mente,
insieme
alle mezze verità, a quelle che ancora non le andavano giù, al pensiero
di
tutto il tempo perduto per questioni diverse e per motivi differenti.
Kisshu
dovette accorgersi di qualcosa, perché la mano sulla sua guancia si
contrasse
per un istante e anche il suo viso si fece più duro.
Lei scosse la testa e
inspirò piano,
abbozzando un sorriso tremolante: « Ci penserò, » glissò, pur sapendo
che era
la risposta sbagliata e pregando che gli bastasse lo stesso, che
potesse
leggere oltre quelle due parole.
L’alieno la studiò per
un paio di secondi,
immobile, e lasciò cadere la mano con uno sbuffo: « Zero romanticismo,
tortorella. »
La mora sorrise ancora
e inalò l’aria
fredda che filtrava dalla porta ancora aperta per reprimere le emozioni
contrastanti che le si affollavano dentro e poter decidere come
procedere.
« Sono effettivamente
esausta, » mormorò
poi, fissandogli più il colletto del giacchetto che il viso, ma gli
afferrò
comunque le dita, « Perché non rimani a dormire? »
Le sembrò che un peso
non indifferente si
levasse dalle spalle del ragazzo, quindi passando a lei ancor più senso
di
colpa, ma Kisshu si limitò a chiudere l’uscio prima di intrecciare le
dita con
le sue.
« Niente cane, però. »
« Mickey. »
« Il cane. »
« Dorme con me da più
tempo di te, sai. »
« Appunto, è ora che
si levi dalle palle. »
« Kisshu! »
Ichigo non era mai
stata sottile, ma pure
Ryou, dopo un po’, diventava un libro aperto, soprattutto se di
malumore,
quindi non si stupì più di tanto quando la moglie lo prese di petto non
appena
si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
Kimberly dormiva dai
nonni, perciò la rossa
ebbe tutta la libertà di mettersi le mani sui fianchi e parlare con il
tono di
voce agguerrito della sua adolescenza: « Si può sapere che avevi di
tanto
importante da dire al telefono mentre eravamo a cena? »
Shirogane s’impose di
contare fino a dieci,
ben sapendo che sarebbe passato dalla parte del torto non appena avesse
aperto
bocca.
« Il fuso orario,
Ichigo, » esclamò pacato,
« A volte non ho molte possibilità di scelta su quando essere
contattato. »
La rossa ci rimuginò
un po’ sopra, poi
spinse comunque avanti il mento: « Quindi? C’è qualcosa che non va? Di
solito
ti mandano solo messaggi. »
L’americano sciorinò
nella sua mente tutte
le possibilità che aveva di recapitare le novità. Forse la stava
facendo solo
più grossa di quella che era, Ichigo si era sempre dimostrata molto
comprensiva, ed era una cosa fuori dal comune, non certo una ricorrenza
già
accaduta. Forse si stava solo fasciando la testa prima di essersela
rotta.
Sospirò e si appoggiò
a un mobile
dell’ingresso, scompigliandosi i capelli prima di spiegare: « Ti ricordi che quando
siamo tornati, ti ho
raccontato che stavamo cercando dei soci per supportare il nuovo
progetto? »(*)
Ichigo si sforzò di
fare mente locale: «
Sì, ma era più di un anno e mezzo fa… »
Lui annuì: « Ci
abbiamo messo un po’ a
trovarne qualcuno di abbastanza convinto e al tempo stesso solido, e
che
sembrasse affidabile. Solo che ora dobbiamo passare a una nuova fase
più attiva
del progetto, e i nostri nuovi soci vorrebbero incontrarci di persona,
invece
che solo su videoconferenze. »
Di nuovo, la rossa
assimilò il discorso con
calma, iniziando a perdere la pazienza per i giri di parole che
sembravano
voler evitare il punto: « … e quindi? »
« Quindi, avrei un
volo prenotato per
dopodomani. »
Scese il silenzio
totale mentre Ichigo
continuava a scrutarlo come se gli fosse cresciuta una seconda testa, e
lui
proseguì, nel tentativo di risollevare l’atmosfera.
« Si tratta solo di un
paio di settimane,
massimo tre. Giusto per incontrare tutti, firmare i documenti
necessari,
mettere in piedi i prossimi processi e assicurarci che tutto funzioni
anche da
remoto. »
Ichigo incrociò le
braccia al petto e
sembrò annuire: « Perciò… tutto così, all’improvviso. Non molto
amichevoli,
questi soci, sapendo che sei dall’altra parte del mondo. »
Ryou poté già
avvertire i timpani dolergli:
« Non proprio. Ne avevamo parlato, ma non era stato confermato nulla,
ancora,
e… »
Un fuoco che conosceva
bene si accese nelle
iridi della ragazza: « Lo sapevi… e hai deciso di parlarmene quando era
già
tutto pronto? »
« Te l’ho detto appena
ne ho avuto
conferma, » ribatté lui,
« Era inutile
starsi a preoccupare se – »
« Oh, andiamo,
Shirogane, di
nuovo! » strillò la rossa, battendo un
piede a terra, « E ti sembra meglio dirmi il giorno prima che
devi
andare oltreoceano a tredici ore di fuso, per tre
settimane?!
Mentre siamo di nuovo affrontando una battaglia intergalattica
con degli
alieni che hanno appena rapito e torturato la mia migliore amica!? Con in
più una neonata da badare a casa?! Io cosa mi dovrei
inventare esattamente
adesso?! »
La parte più razionale
di lui avrebbe
voluto rispondere che aveva ben poco da fare rispetto alla nuova
minaccia
aliena, anche perché non era certo una scusa che avrebbe potuto
sbandierare ai
colleghi, ma sapeva che qualsiasi cosa avrebbe solo peggiorato la
situazione.
« I know, I
know, you’re right, »
tentò di risolvere, avvicinandosi a lei, « Ma sarà per pochissimo, non
c’è
bisogno di preoccuparsi. Andrò solo io, quindi Keiichiro può – »
« Akasaka-san non è
mio marito né il padre
di mia figlia, » rimbeccò subito lei, gli occhi lucidi, « E te l’avevo
già
detto. Io sono tua moglie, Shirogane, e mi
devi dire le cose! In
anticipo! »
« Ichigo, non mi
sembra così grave, è solo
un viaggio di lavo – »
« Masaya aveva detto
la stessa cosa, »
Ichigo parlò con voce tremula e lo guardò con rabbia, « Che era solo
uno
scambio. Che sarebbe durato poco. E non eravamo sposati, né stavamo
combattendo, né avevamo una bambina da accudire. E sia ben chiaro,
Shirogane,
io non ho intenzione, per nulla, di intraprendere
un’altra relazione a
distanza, per quanto poco tempo sia. »
Shirogane la guardò
spiazzato; avrebbe
voluto ribattere che stava esagerando, che le cose non erano per niente
comparabili, che non si era neanche mai posto il dubbio di una
relazione a
distanza e che piuttosto avrebbe mollato le redini dei suoi affari. Non
riuscì
a dire nulla di tutto ciò, perché Ichigo fece dietrofront e marciò su
per le
scale, chiudendo la porta della camera da letto con un tonfo
assordante.
(*)
Capitolo uno, Together again
|
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Capitolo 17 *** See how deep the bullet lies ***
Chapter Seventeen – See how deep the
bullet
lies
« Continuo a non essere convinto di questa
cosa. »
Per l’ennesima volta, Kisshu si tormentò
il
farfallino dell’uniforme, studiandosi allo specchio con un’espressione
assai
inappagata.
« Be’ vedi di fartelo andare bene, » gli
sbottò contro Ichigo, passandogli alle spalle con una scatola di
camicie di
scorta, « Anche perché qua funziona così, non abbiamo bisogno del tuo
convincimento per fare qualcosa. »
L’alieno le lanciò un’occhiata stizzosa: «
Ohi, micetta, stiamo calmini eh. Siamo un po’ su di giri causa mancanza
del
biondo? »
« Oh, sta’ zitto. »
Lui si scambiò uno sguardo con Purin, che
scosse la testa in maniera d’avviso mentre ricominciava a riempire i
porta-salviette.
« Hai parlato con Shirogane nii-san,
nee-san? »
Ichigo alzò gli occhi al cielo mentre
smollava un’altra scatola su un tavolo con un tonfo e l’apriva con
rabbia: «
Certo che ci ho parlato, è mio marito. »
« Buono a sapersi, vista l’attitudine. »
« Kisshu, ho delle forbici in mano e non
ho
paura di usarle. »
L’alieno rivolse un’altra occhiata alla
mewscimmia, che gli intimò di tacere con un’occhiataccia nonostante il
sorrisetto divertito.
« Come sta? »
« Non vedo perché preoccuparsi per lui, »
continuò a sbottare la rossa, « Non è lui quello che è rimasto a casa
con una
neonata, dei nemici di un altro mondo, gli ormoni a mille e pure
un Caffè da
riaprire. »
« Dai, nee-chan, scommetto che gli mancate
un sacco e si sta preoccupando. E torna tra qualche giorno, no? »
« Lo spero ben per lui, visto che il “paio
di settimane” effettivamente sono tre. »
« Non che lo possiamo biasimare per la
settimana extra, con tutta la comprensione che circola qua. »
« Kisshu! » le due ragazze lo esclamarono
all’unisono pur con due toni differenti, e Ichigo lo guardò come se
potesse
strozzarlo con la forza del pensiero.
« È inutile che fai lo spiritoso, sai! E
pensa piuttosto alla tua, di relazione, dato che
certo non sei il genio
delle coppie. »
L’alieno si gelò di colpo e il suo viso si
rabbuiò a quella frecciatina totalmente ingiustificata, mentre la rossa
marciava borbottando di nuovo verso il magazzino per recuperare tutto
il
necessario alla pronta re-inaugurazione del Caffè. Purin, invece, gli
andò
accanto e gli diede qualche affettuoso colpetto sulla schiena:
« Lascia perdere, lo sai che con la
nee-chan è impossibile discutere quando è così. Però tu devi imparare a
non
ribattere, eh. »
« Si influenzano a vicenda, mi pare, »
rimbrottò lui, strappandosi definitivamente il papillon dal collo, « E
si deve
fare i cazzi suoi. »
La biondina lo guardò divertita e gli fece
un’ultima carezza alla schiena: « Ecco, applica il tuo stesso
consiglio. »
« Di solito stai dalla mia parte. »
« Ma infatti lo dico per te. To’, porta
questi di là, sono avanzati, » gli mise in mano le salviettine che non
avevano
trovato posto nei portatovaglioli e gli indicò la cucina, « E benvenuto
ufficialmente nello staff del Caffè. »
« Guarda, non stavo nella pelle. »
Lei rise e scosse la testa, avviandosi
lungo il corridoio per recuperare gli utensili da pulizia. Come ideato
da
Keiichiro, per far sì che il tattico cambiamento di personale si
svolgesse
nella maniera più facile possibile, il Caffè era stato chiuso
all’incirca un
mese per “importanti lavori di riparazione al sistema idraulico”; le
cameriere
non appartenenti alle Mew Mew erano state raccomandate ad altri locali
della
città, attraverso la fitta rete di contatti di Akasaka, così da “non
arrecare
loro disagio visti i lunghi tempi di attesa”, e il loro posto sarebbe
stato
occupato dai tre Ikisatashi, in modo da poter essere liberi di scattare
alla
minima necessità.
Sia Kisshu che Pai avevano, nelle ultime
due settimane quando la veridicità di quella proposta si era fatta
sempre più
concreta, opposto estrema resistenza: l’uno perché preso dal suo
desiderio di
vendetta che smorzava mangiandoli, i dolci, e ben poco predisposto a
dover
sciogliersi in salamelecchi; l’altro perché non vedeva la necessità di
essere
distratto da ben più fondamentali compiti, quali il miglioramento dei
loro
sistemi di rilevamento e protezione.
Solo Taruto aveva accolto la novità con un
atteggiamento più propositivo, seppur lui stesso non molto convinto di
dover
avere a che fare, per la maggior parte, con ragazzine esagitate e
coppiette
melense: il fratello dagli occhi dorati, però, continuava a
rimbrottargli che
lo facesse solamente per mancanza di cose migliori a cui pensare e per
la
costante presenza, invece, di un paio di toniche gambe che spuntavano
da una corta
gonnellina gialla. Come poche volte nella vita, d’altro canto, il
minore dei
tre alieni si risparmiava di fargli notare come tutto quel suo pessimo
umore
degli ultimi tempi fosse provocato dal problema opposto.
Minto e Zakuro, infatti, erano di nuovo
delle rare apparizioni al locale: la prima soprattutto aveva ripreso la
propria
vita come se nulla fosse, anzi, forse caricandosi di impegni più del
solito –
cosa di cui l’alieno dai capelli verdi non riusciva a non soffrire,
sentendosi
come se non riuscisse a passare del reale tempo con lei.
E poi c’era anche quell’altro piccolo
particolare che…
« Si può sapere cos’è questo macello? »
Pai
salì le scale del laboratorio e si guardò intorno infastidito, « Qui
c’è chi
sta cercando di lavorare. »
Kisshu lo trucidò con lo sguardo: « Ti
sembro uno che si sta divertendo? »
« Mi sembri uno che trae diletto
dall’infastidire Momomiya, così che poi lei infastidisca tutti, »
replicò il
maggiore con criticismo.
L’altro fece schioccare la lingua e
accennò
alla scatola di camicie: « Guarda che ce n’è anche per te, sai. Non
credere di
riuscire a scampartela. »
L’espressione di Pai non mutò: « Ho cose
più importanti a cui pensare. Ad esempio, ai nostri nuovi sistemi di
protezione. Dove sono gli altri? »
Kisshu si strinse nelle spalle,
riappoggiando le salviettine su uno dei tavoli prima di cacciarsi il
farfallino
in tasca e iniziare a sbottonarsi l’uniforme: « Qua ci sono solo la
scimmietta
e la gattina, e Akasaka in cucina a darci dentro per domani. Retasu
sarà a
lezione, no? »
« E Taruto? »
« A fare rapporto. Non che io capisca a
cosa serva, visto che nessuno ha intenzione di darci una mano. »
Pai gli diede un’altra scorsa poco
convinta, poi estrasse un piccolo apparecchio dalla tasca: « Vallo a
chiamare.
Dovrei essere riuscito a trovare una soluzione per le sue barriere. »
« Oh, ma vallo a chiamare tu. Non è che
perché adesso devo fingere di fare il cameriere che
potete darmi tutti
ordini! »
La vena sulla fronte del maggiore pulsò
pericolosamente: « Preferisci andare tu a chiamare tutte le Mew Mew? »
Kisshu fece una strana smorfia, lanciò uno
sguardo verso la cucina, e poi con un ultimo borbottio scontento si
teletrasportò via, lasciando che Pai scuotesse la testa sconsolato.
Circa mezz’ora dopo, tra i magnifici
effluvi che si alzavano dai forni in funzione, l’intero gruppo si
ritrovò in
cucina, chi fisicamente e con ancora i musi lunghi – come Ichigo e
Kisshu – e
chi invece connesso attraverso cellulari e laptop – come Minto e Retasu.
« La onee-sama è nel bel mezzo
di una
scena, l’aggiorno io dopo, » esclamò la mora, infatti,
parlando sottovoce e
continuando a guardare alla sua sinistra, verso l’entrata del set, « Però
cerchiamo di sbrigarci, non posso disturbare. »
« Sì, anch’io ho solo una pausa
veloce! »
Pai sembrò prendere più sul serio il
commento
della sua ragazza che quello dell’amica; perciò, annuì e posò l’oggetto
sul
tavolo, un piccolo disco non più grande di un portachiavi con sopra una
piccola
cupoletta tonda.
Prima di parlare però, rivolse lo sguardo
a
Ichigo: « Shirogane? »
Lei, a braccia incrociate, si limitò a
scrollare le spalle: « Fuso orario. Lo saprà poi. Quindi? »
L’alieno rimase impassibile e parlò,
invece, a suo fratello minore: « Dovrei essere riuscito a trovare il
sistema di
stabilizzare le tue barriere, con questo. »
« Strafigo, nii-san! » commentò subito
Purin, avvicinandosi per curiosare con il disco grigio scuro, « E come
funziona? »
« È come se fosse un piccolo ripetitore.
Riesce a captare gli impulsi emessi dalle barriere di Taruto e
sostenerli,
finché non gli viene inviato un ordine di spegnimento. Devo
controllarne il
raggio e la durata, e ne serviranno almeno due per ogni luogo che
vogliamo
proteggere, ma potrebbe essere un buon punto di partenza. »
Keiichiro annuì e, dopo un muto cenno
d’assenso da parte del suo ideatore, si allungò per prendere in mano il
ripetitore: « E ovviamente non impedisce movimenti e non è da noi
tracciabile? »
« Esatto. A meno che io non vi dia i
dettagli. Per quanto riguarda i Geoti… a questo punto non voglio
perdere troppo
le speranze. »
« Quanto ti ci vuole a ricrearne a
sufficienza? »
« Vorrei testare questo, prima di tutto, »
rispose a Kisshu, « E perfezionare il modello, se ce n’è bisogno. Poi
non
dovrebbe essere troppo complesso. »
« Il nii-san ha trovato la maniera di
sottrarsi al lavoro sporco. »
Ichigo non trovò la battuta di Purin
minimamente divertente: « Essere a corto di personale non è una
meraviglia. »
« Da che pulpito, Momomiya. Come
se la
prima propositrice del licenziamento delle altre non fossi stata tu,
per motivi
completamente personali. »
« Perché non vieni qui invece di fare
tanto
la simpatica, » sbottò contro Minto, « Non che il tuo contributo si
noterebbe
poi così tanto! »
« Troveremo sicuramente una soluzione,
Ichigo-chan, » cercò di tranquillizzarla Keiichiro con un sorriso prima
che il
battibecco degenerasse troppo, « E grazie per questo, Pai-san. Sono
convinto
che dormiremo tutti sonni più tranquilli così. »
« Iniziamo dalla barriera qui? » domandò
Taruto, poi si grattò la nuca, « Potrebbe essere utile, sta cominciando
a non
essere facile da sostenere. »
« Okay, quindi abbiamo finito? »
la
voce di Minto gracchiò, « Devo rientrare, e se non c’è niente
da parte
nostra… »
« Dovremmo parlare di ricominciare i
nostri
allenamenti, » riprese Pai, scatenando un’ondata di mugolii scontenti,
«
Bisogna essere costanti, altrimenti – »
« Appena mio marito
torna e può
stare lui con la bambina, ci pensiamo, » sibilò
Ichigo, « Nel frattempo
ho già abbastanza cose a cui pensare. »
« Sono due settimane che i Geoti non
attaccano, non possiamo – »
« Intanto riapriamo sto benedetto Caffè,
poi vediamo. »
« Momomiya – »
« Ikisatashi. »
Il sopracciglio dell’alieno tremolò alla
presa in giro, e Taruto fu abbastanza svelto da infilarsi tra i due.
« Okay, andiamo a provare questo coso per
le barriere. Non vi serve una mano per domani, vero? »
« No, » Ichigo sorrise fintamente
zuccherosa e piegò appena la testa verso Kisshu, « Abbiamo tutto il
volenteroso
aiuto che ci serve. »
« Per domani gatto al forno sul
menù. »
Il nome di Kisshu rimbombò in un
ammonimento in cinque voci diverse per la cucina, mentre Pai scuoteva
la testa
e faceva dietrofront il più velocemente possibile.
Il borbottio della pentola ancora sul
fuoco
faceva da piacevole sottofondo alla cena, accompagnato dal tintinnio
delle
posate contro i piatti, come in una qualsiasi occasione casalinga; la
conversazione, invece, sembrava non riuscire a divergere dalle
congetture sui
nemici e sulle maniere differenti in cui affrontarle.
La spalla aveva finalmente cessato di
cigolargli, e Kert aveva particolarmente voglia di ributtarsi nella
mischia e
ripagare Kisshu con la sua stessa moneta: gli veniva davvero difficile
tenere a
bada l’orgoglio, ferito tanto quanto le sue articolazioni.
Si stava distraendo, però, tra una
cucchiaiata e l’altra – Pharart aveva probabilmente impegnato l’attesa
a
sperimentare tra i fornelli, perché numi, era
buono quell’intruglio – a
studiare Espera, quella sera ancora più silenziosa del solito. Il viso
tondo
della ragazza gli pareva ancora più pallido, e il mignolo della mano
sinistra,
poggiata sul tavolo, ogni tanto fremeva, come colpito da un tic. Se
n’era
sicuramente accorto suo fratello, perché da destrimane qual era, stava
invece
impugnando la posata con la sinistra, così che il palmo libero potesse
posarsi
sulla schiena della ragazza e lì accarezzarla.
Kert s’impose di mantenere un’espressione
neutra solo per non istigare la solita discussione con i suoi compagni
di
brigata, apparentemente non disturbati da queste continue interruzioni
al loro
incarico. Capiva che Espera andasse loro più a genio di quanto potesse
dire
lui, ma invece non concepiva come non fossero frustrati dai tempi
d’attesa che
andavano dilatandosi e dai vari aggiustamenti che dovevano apporre
vista la di
lei presenza.
Cosa diavolo c’era che lui
effettivamente non capiva di lei?
Quel pensiero gliene veicolò direttamente
un altro, che lo tormentava da prima che la missione addirittura
cominciasse,
da quella conversazione che aveva origliato a casa Seles.
Ora che l’aveva lì davanti agli occhi, ora
che si erano accertati di cosa potesse combinare…
No, non ne era convinto. Non lo era mai
stato, e tutta quella situazione non faceva che solidificare i suoi
quesiti.
Era tutto troppo importante perché ci si
potesse permettere anche il minimo errore.
« Ti ho tolto le parole di bocca, eh? »
Pharart, seduto accanto a lui, gli diede una gomitata tra le costole
che un po’
lo fece sbuffare, « Te l’ho detto che mi sono superato, stasera! »
« Preparalo in abbondanza, abbiamo trovato
una maniera di spegnerlo. »
« Ah-ah-ah, » Kert fece una smorfia al
fratello minore dopo quella battuta, « Non ti conviene che il tuo
secondo in
comando sia spento. »
« Dai, fratellone, fallo un sorriso una
volta tanto. »
« Sì, sei così carino quando
sorridi!
»
« Pharart, dillo che vuoi un cazzotto in
bocca. »
Tutti scoppiarono a ridere, Seles
compresa,
e Kert si rilassò un po’ di più sulla sedia, nonostante quel fastidioso
pensiero che continuò a pizzicargli un angolo del cervello.
Quando finalmente Taruto riuscì a buttarsi
sul
letto, a fine serata, non si risparmiò un lungo sospiro. Abituarsi ai
nuovi
ritmi del Caffè non era facile, e Pai l’aveva letteralmente spremuto
con tutte
le prove per testare la stabilità del suo nuovo congegno. Quasi non
aveva la
forza di muovere nemmeno il dito mignolo per afferrare il cellulare e
mandare
un messaggino a Purin.
La porta della camera si aprì prima che
potesse effettivamente raccogliere le ultime energie, e alzò appena il
mento
per osservare Kisshu che rientrava.
« E tu che ci fai qui? » lo canzonò subito
il fratello maggiore, « Pensavo che la scimmietta avesse il monopolio
delle tue
notti. »
« Potrei farti la stessa domanda, »
rimbeccò l’altro.
Kisshu si strinse nelle spalle: « La
tortorella era impegnata, e io sono esausto. Se oggi è stato solo un
preannuncio di cosa ci toccherà domani… »
Taruto lo seguì con lo sguardo e poggiò la
testa contro al palmo per guardarlo meglio: « Tutto okay? »
« Potrei farti la stessa domanda,
»
lo prese in giro il più grande, con un ghignetto sarcastico, « Non hai
avuto
molte occasioni di aggiornarmi. »
Un vago rossore si sparse per le guance
del
minore: « Perché non sono fattacci tuoi. »
« A parte che tenere una cosa come questa
nascosta, in questo gruppo, è quasi impossibile, quindi
ringrazia che non
l’abbiamo saputo in diretta, ma poi scusami, vorrei sapere se tutti i
miei
trucchi, lezioni di vita e consigli sono stati adeguatamente applicati.
»
« Ma va’ a quel paese. »
« D’accordo, allora chiedo alla
scimmietta,
poi però non ti lamentare se – oh! »
Il cuscino di Taruto lo centrò in pieno,
ma
entrambi si misero a ridere sommessi, e Kisshu si sedette sul letto
esalando e
scompigliandosi i capelli.
« Come sta Minto? »
Evitò lo sguardo del fratello, nonostante
il tono casuale della domanda, e cincischiò con la coperta: « Sta,
direi. »
« Diresti? »
« Hai mai provato a cavarle più di cinque
parole di bocca, quando non vuole parlare di qualcosa? » rispose
sarcastico e
amaro, « E più insisti, più si chiude a riccio, quindi. »
Taruto passò a fissare il soffitto: «
Anche
tu eri ben testardo, dopo il nostro ritorno a Duuar. »
« Grazie, sei d’aiuto. »
« O anche mentre Minto… non c’era, se è
per
questo, » insistette « Ora che ci penso, la quantità di gente con un
pessimo carattere
in questo gruppo è spaventosamente alta. »
« Perché tu invece sei liscio come l’olio.
»
« Sono sicuramente più paziente di te. E
più simpatico di Pai. »
Kisshu sorrise a trentadue denti e guardò
la parete dietro ai loro letti: « La pesciolina un giorno verrà fatta
santa. »
Taruto si assestò ancora nel letto
sogghignando, e passarono pochi istanti di silenzio prima che
domandasse: «
Quando… quanto ci hai messo a capire che ti eri innamorato di Minto? »
« Pfff, » anche
l’altro si stese, in
una posa molto simile alla sua, « Tu non hai
niente da capire. Si vede
lontano un miglio che sei cotto della scimmietta e da un pezzo. Che tu
non
abbia le palle per dirglielo nonostante tutto, è un
altro discorso. »
« Oh, e rispondi però, visto che rompi
così
tanto le palle sulle lezioni di vita! »
Kisshu si strofinò sovrappensiero il
petto,
studiando una ragnatela nell’angolo del soffitto: « Con Ichigo è stato
immediato, e… dilaniante, come una bomba che scoppiava. Con Minto è
stato tutto
diverso – se solo provi a dirle una parola di questo ti ammazzo, sei
avvisato,
» s’interruppe lanciandogli un’occhiataccia e riprese solo quando
Taruto gli
fece il saluto militare, « È stato come… be’, lo capirai più di me,
come
piantare un seme senza sapere che pianta fosse e veder crescere un
baobab. »
« Romantico. »
« Sei tu che fai domande da ragazza! »
Kisshu rise quando il fratello gli fece il dito medio, poi continuò a
bassa
voce, « E comunque, Purin non è Minto. Io ho aspettato a dirglielo
perché avevo
paura che scappasse, che si sentisse in dovere di lasciarsi andare
prima di
quando volesse. La scimmietta decisamente non è così – anzi,
probabilmente tra
poco ti verrà pure a chiedere. »
Un sottile sorriso si dipinse sulle labbra
di Taruto: « Lo so. »
Il maggiore ghignò divertito, ripiegando
entrambe le braccia dietro alla testa. All’improvviso, quel senso di
inquietudine che l’aveva accompagnato negli ultimi quindici giorni si
ripresentò ineffabile, e lui si tirò a sedere, colto dalla necessità di
assicurarsi – ancora – che la mewbird stesse bene.
« Dove vai? » gli domandò Taruto, preso
alla sprovvista.
« Dalla tortorella, » rispose lui,
riacciuffando la felpa che aveva abbandonato ai piedi del letto, « Vedo
se è
tornata. Tanto non devo essere qui fino a dopo pranzo, domani, no? »
Suo fratello fece una smorfia come per
protestare, visto ciò che gli aveva detto prima, ma poi si limitò ad
annuire e
augurargli sottovoce la buonanotte, e Kisshu si teletrasportò con un
cenno
della mano.
Quando arrivò sul familiare balcone di
villa Aizawa, vide le luci della camera accese attraverso le tende
accuratamente
tirate. Minto doveva quindi essere rientrata, ma non gli arrivò nessuna
risposta dopo che ebbe bussato leggero al vetro un paio di volte.
Che si sia già addormentata? si domandò confuso, cercando di sbirciare dentro
la stanza. In quel
caso, non avrebbe voluto svegliarla, tantomeno di soprassalto, ma non
gli
sarebbe certo bastato basarsi solo sull’aspetto dell’abitazione
dall’esterno.
Quanto più silenzioso possibile, comparve
all’interno della camera, fluttuando a pochi centimetri da terra così
da non
provocare nemmeno il più sottile tonfo. Minto stava effettivamente
dormendo,
abbozzolata tra le coperte; neanche a dirsi, Mickey sbucò dall’incavo
delle sue
braccia quando si accorse della presenza dell’alieno, ma si concesse
solo di
scodinzolare un po' con la linguetta di fuori.
Kisshu ponderò sul da farsi: si era
accertato che stesse bene, d’accordo, ed era incredibilmente egoista
svegliarla, ben conscio che ultimamente i suoi sonni non erano molto
tranquilli
– doveva anche essersi addormentata all’improvviso, viste tutte le luci
accese.
Al tempo stesso, ultimamente gli pareva che riuscissero a ritagliarsi
un
istante solo loro due unicamente di sera, e anche quando non distratta
dalla
quotidianità che – giustamente – bramava così tanto adesso, Minto era
sempre un
po’… sfuggevole.
Volò fino al suo lato del letto, il
cagnolino che lo fissò con entusiasmo, riaccucciandosi giù quasi a
dirgli di non
preoccuparsi, e lui le accarezzò piano il viso, scostandole una ciocca
sfuggita
alla crocchia morbida con cui dormiva sempre.
« Dormi bene, tortorella, » sussurrò,
posandole un bacio sulla testa.
La ragazza nemmeno si mosse, continuando a
riposare placida; Kisshu la osservò ancora un altro istante, ascoltando
il
ritmo profondo e regolare del suo respiro, poi spinse l’interruttore
della luce
e volò via non appena la stanza piombò nel buio.
§§§
Espera si massaggiò le tempie con i
polpastrelli, socchiudendo gli occhi e deglutendo piano nel tentativo
di
placare lo stomaco. Quell’emicrania la stava devastando, e il
persistente
fischio che percepiva nelle orecchie era la ciliegina sulla torta.
Cercò però di non darlo a vedere: i suoi
quattro compagni stavano borbottando tra di loro davanti a lei, in
piedi a
rivedere ancora i filmati dell’ultimo scontro con le umane per tentare
di
capire la dinamica di quello strano animale che le aveva accompagnate,
e
l’ultima cosa che lei desiderava era distrarre di nuovo Rui con il suo
malessere. Lui si preoccupava sempre troppo per lei, e soprattutto
smetteva di
prestare attenzione al suo incarico; non avrebbe sopportato, quel
giorno, di
vedere ancora l’angoscia nei suoi occhi blu.
« Dovremmo catturarne un esemplare e
studiarlo, » stava dicendo in quel momento Zaur, allargando con le dita
l’immagine di quell’essere luminoso in mano a uno dei Duuariani, «
Devono aver
effettuato qualche specie di innesto. »
« Dobbiamo essere sicuri che sia sicuro da
maneggiare, » replicò Rui, « Non conoscendone le proprietà, potrebbe
essere
come portarci una bomba in casa. »
« Ed è un essere vivente, potrebbe essere
tossico, o - »
Espera smise di ascoltare, o meglio, smise
di provare a sovrastare il sibilo che le stava spaccando la testa a
metà.
Doveva resistere ancora per poco, avrebbe trovato la scusa perfetta
appena dopo
pranzo, nessuno si sarebbe incuriosito troppo se fosse andata a
stendersi per
riposarsi.
Il solo pensiero di cibo le provocò una
tale capriola in ventre che temette avrebbe rigettato direttamente lì
nel
salone, davanti a tutti.
« D’accordo, andiamo adesso, così che –
Espera? »
Lei si raddrizzò di scatto alla domanda di
Rui, e stese un sorriso il più sincero possibile: « Scusami, mi sono
distratta.
»
Il compagno la osservò per qualche secondo
e le si avvicinò: « Andiamo ad allenarci un po’. Ti dispiace rimanere
sola? »
« Assolutamente no. Non vedevo l’ora di
avere un po’ di calma. »
E non era certo una bugia.
Gli occhi blu la scrutarono ancora un po’,
prima
che Kert gli mettesse un braccio attorno alle spalle e lo spingesse
verso il
corridoio, rumoreggiando su cose cui lei non prestò attenzione.
Attese solo di sentire affievolirsi le
loro
voci, poi si alzò dal divano e si affrettò verso il bagno; le girava
talmente
tanto la testa che a metà del corridoio perse l’equilibrio e si scontrò
contro
il muro. Sibilò un lamento al tonfo sordo della spalla, e al tempo
stesso si
sfiorò il naso, avvertendo un fastidioso pizzicore: la traccia rossa
che si
vide sulle dita le strappò un’altra invettiva.
Strinse i denti e quasi si diede la
spinta,
sfiorando la parete con la mano sinistra per sostenersi finché non
raggiunse il
bagno. Lì, aprì subito il rubinetto sull’acqua più fredda possibile e
ne
raccolse un’abbondante quantità tra i palmi prima di affondarci il
viso,
incurante della frangetta che si infradiciò all’istante. Si sentiva il
volto in
fiamme come se avesse un febbrone esagerato, ma contemporaneamente
stava
sudando, senza neanche un brivido.
Tranne quel formicolio tra le spalle che
all’improvviso le attraversò il braccio e le fece tremare le mani.
Un altro rivolo di sangue le scese dal
naso, denso e costante, tingendo l’acqua di un rosso intenso, ed Espera
dovette
costringersi a rimanere calma mentre percepiva il cuore scenderle nello
stomaco
e il respiro farsi più affannoso. Si sciacquò di nuovo la faccia,
rimanendo più
a lungo dentro al liquido fresco, cercando di rilassare ogni muscolo,
gli occhi
chiusi anche per contrastare i continui capogiri.
« Spiegami ancora come dovresti esserci
d’aiuto, in queste condizioni. »
Strinse i denti per non fare scappare il
gemito che le crebbe in gola all’udire la voce dell’ultima persona che
avrebbe
voluto vedere in quel momento.
Perché non era con gli altri!?
« Quasi mi dispiace per te, » continuò
Kert, poggiandosi allo stipite della porta a braccia incrociate, « Non
sei un
bello spettacolo. »
« Kert, per favore, » gemette Espera,
ancora piegata sul lavandino, lanciandogli solo un’occhiata stanca, «
Perché
devi proprio infierire? Non ti basta questo? »
« È esattamente questo
il problema,
» uno strano luccichio gli attraversò le iridi dorate mentre si
staccava appena
dal legno, facendo solo un passo verso di lei ma senza attraversare la
soglia,
« Non riesco davvero a capire perché il Consiglio abbia insistito così
tanto
per farti partecipare a questa missione, addirittura facendoti
salire sulla
navicella di nascosto, se questo è tutto ciò che riesci a
contribuire.
D’accordo, il trucchetto con la Luna è stato interessante, ma non siamo
certo
stati capaci di rifarlo, vero? »
Il ronzio nelle orecchie dell’aliena si
fece più intenso mentre lei scuoteva la testa e si tamponava il naso
con il
dorso della mano: « Sai benissimo che non è stata una mia scelta, »
ansimò, «
Non capisco cosa – »
« Dal mio punto di vista, con te qui le
cose sono solo peggiorate, » proseguì lui, quasi ignorandola e facendo
un altro
passo avanti, « Non ti reggi in piedi, e questo deconcentra Rui. Siamo
tutti
più impegnati a trovare maniere di non farti soffrire, invece che
concentrati
sul vero senso di questa missione. Quindi, di nuovo, perché? »
« Io non lo so, il perché! »
stridette
lei con voce rotta, bagnandosi di nuovo le mani così da passarsi le
dita
fradice tra i capelli, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, «
Senti, per
favore, capisco che io e te non andiamo d’accordo, e avrei anch’io
preferito
rimanere a Gaia, ma non… non è colpa mia. »
« Andiamo, piccola Seles, » Kert abbassò
la
voce e il suo tono si fece più canzonatorio, « Vuoi farmi davvero
credere che
non ci sia nient’altro sotto? »
« Cos… altro!? Cosa
stai dicen – »
« Davvero pensi che non sia evidente
quanto sia tutto assolutamente orchestrato a tavolino? Tu, piccolo
gioiello speciale
di una famiglia importante, con addirittura una
vecchia filastrocca
profetica alle spalle, che casualmente diventi il
centro del mondo di
mio fratello. I vostri poteri così compatibili, per
solo disegno del fato?
»
Espera percepì di nuovo quel formicolio,
alla base della nuca, e la stanza girò un’altra volta mentre lei si
allontanava
di un paio di passi, il cuore che batteva forte: « Kert, smettila.
Non
ti permetto di dire che – che non… »
« Di dire cosa, che non vi
amate? »
lo disse con tale sdegno e presa in giro che le strappò un singhiozzo,
« Prova
quello che vuoi, ma non tentare di convincermi che tu, e tutta la
combriccola
dietro di te, non ci stiate prendendo in giro. E ora mi sono stancato
di non
farmi domande. »
« Quali domande!? » boccheggiò ancora lei,
e sbatté la schiena contro al muro, « Quello che dici non ha senso, non
c’è niente
dietro quello che io provo per Rui! Solo perché tu non pensi che io sia
– »
« Lo ami così tanto che non ti sei neanche
posta un dubbio quando ti hanno caricato sulla navicella? »
« Serviva qualcuno che potesse curarvi, »
replicò lei, scuotendo la testa, « Serviva… se vi foste feriti, o se vi
fosse
servito qualche decotto, e Rui non avrebbe ascoltato nessuna
motivazione per… E
non essere cieco, quella storia della Luna l’abbiamo sempre conosciuta
tutti. »
« Una volta al mese non mi pare
giustificazione sufficiente, Seles, » il ghignetto di lui non lasciava
trasparire nessun divertimento, ed Espera si premette di più contro la
parete
quando lui, in due falcate, attraversò l’intero bagno e le si piantò
davanti, «
Non per come gioca il Consiglio. Non per questa
missione. »
« Non so cosa tu voglia, » sussurrò lei,
ricacciando indietro il groppo in gola e piantando i polpastrelli
contro il
muro, perché aveva incominciato a vedere doppio e il cuore le era
accelerato
come un pazzo, « Mi hanno detto di partire, che sarei stata utile, e
che sì,
non avrei dovuto separarmi dal mio compagno per mesi, mentre lui
partiva per riconquistare
la Terra. È così difficile per te da capire? »
« Smettila di prenderci in giro, » sibilò
Kert di rimando, « Smettila di prenderlo in giro.
Questa non è una
favola, i vostri poteri non combaciano per caso, tu
non lo ami per caso,
e non sei qui per caso. »
« Basta! » Espera scosse la testa e
abbassò
il capo, lacrime traditrici che le scivolarono dagli occhi, « Sei
completamente
impazzito, non è – »
L’alieno non si curò della sottile
corrente
che s’alzò per un secondo nella stanza, troppo concentrato sulla rabbia
che gli
era sbocciata in petto.
« È un po’ che ti tengo d’occhio, Espera,
e c’è qualcosa che non va. Te ne sei accorta anche tu, vero?
La tua
testolina non è così piena di sogni. Quindi dimmi.
la. verità. »
Sillabò con rabbia quell’ultima frase tra
i
denti stretti, avvicinandosi così tanto a lei che la sua fronte gli
sfiorò il
petto.
Espera scosse ancora la testa, respirando
ad ansiti, sperando solo che si allontanasse in fretta e al tempo
stesso non
potendo ignorare quel pezzo di lei che gli dava ragione, quel fremito
lungo il
corpo che non la lasciava libera, anche se lui si stava sbagliando, doveva
sbagliarsi, non…
« NO! »
Fu questione di un attimo: Espera lo
spinse
via, un tremore più violento lungo la spina dorsale, e, nello stesso
istante, un’enorme
energia scaturì da lei, facendo cozzare Kert contro all’uscio così
intensamente
che il legno scricchiolò. Lui, però, quasi non ci badò, più concentrato
a
osservare le iridi improvvisamente del tutto nere della ragazza,
indistinguibili dalle pupille, gli artigli che avevano preso il posto
delle
dita, il ghigno ferino sul suo bel viso tondo.
Durò giusto il tempo di un battito di
ciglia, così rapido che per un istante nemmeno lui ci avrebbe creduto
se non
fosse stato per la fitta di dolore che si ripresentò alla schiena dopo
qualche
giorno di pausa.
« Ah, eccoti qua, piccola Seles, » Kert
ghignò come un bambino, massaggiandosi la spalla, « Lo sapevo che non
potevi
essere questa rompipalle per niente. »
Espera, ansimando pesantemente, ondeggiò
sul posto, si guardò le mani che ritornarono del loro aspetto
originale, ancora
tremolanti, e scosse la testa: « Io non… non capisco cosa… cosa mi sia
suc – »
Alzò il volto e gli lanciò uno sguardo
così
sperduto che, per un istante, l’alieno provò pietà per lei: « Sarà
divertente
scoprirlo, non trovi? »
Lei non gli rispose, continuando a
scrutarsi i palmi con occhi sgranati, e il suo intero corpo cominciò a
tremare
prima che le gambe le cedessero e lei crollasse in ginocchio a terra,
il volto
cereo.
Kert sospirò e le si avvicinò di nuovo,
accucciandosi davanti a lei e prendendole il mento tra le dita senza
che lei
opponesse resistenza: « Facciamo così, per ora sarà il nostro piccolo
segreto,
» mormorò, specchiandosi nelle iridi scure, « Ma non pensare che mi
andrà bene
a lungo, che mio fratello sia all’oscuro di certi frammenti di te. »
Espera tentò di fare di no con il capo,
all’improvviso priva di qualsiasi energia: « Pensa quello che vuoi,
compiaciti
di aver avuto ragione, ma quello che c’è tra me e Rui è vero. »
« Dolcezza, » Kert ghignò di nuovo, prima
di allontanarsi, « Credo che a questo punto sia l’ultimo dei tuoi
problemi. »
A cavalcioni sopra di lui, Retasu si
aggrappò di più al suo collo e vi nascose il viso contro per smorzare i
sospiri, e Pai non poté fare a meno di accigliarsi mentre l’udito fine
coglieva
i rumori appena fuori dalla stanza, l’andirivieni caotico per il
corridoio e i
sussurri attutiti dal salone principale ogni volta che la porta veniva
aperta.
Non erano certo sufficienti a deconcentrarlo dalla meravigliosa
sensazione
della ragazza tra le sue braccia, dal calore dei loro corpi che si
univano, ma
sapeva che non era necessariamente lo stesso per lei, che parevano
dover fare
sempre tutto in segreto, di corsa, mentre lui voleva sentirla, amarla
completamente senza nessuna preoccupazione d’impiccio. La strinse a sé,
afferrandole con maggiore forza i fianchi morbidi e leggermente sudati,
e un
pensiero gli si disegnò in mente quando l’avvertì scivolare ancora su
di lui.
« Voglio vivere con te, » le sussurrò roco
all’orecchio.
Gli sembrò di avvertire il cuore della
verde accelerare contro al suo petto, ma era troppo distratta in quel
momento
per poter rispondere con più che l’ennesimo mugolio di piacere e un
fremito che
le corse lungo la spina dorsale.
« Dicevi sul serio? » gli chiese sottovoce
una decina di minuti dopo, accoccolata placidamente contro di lui, le
gambe
intrecciate alle sue.
« Certo, » le spinse dolcemente gli
occhiali sopra al naso, che lei s’intestardiva a rimettere praticamente
subito
ma che finivano per storcersi inesorabili quando poggiava la guancia
contro al
suo petto, « Gli ultimi avvenimenti mi hanno fatto capire che vorrei
passare
quanto più tempo possibile con te. In santa pace. »
Retasu arrossì subito al velato
significato
di quell’ultima parte, aggiunta a voce più bassa, e gli rivolse un
sorriso
tremolante mentre le farfalle nello stomaco si moltiplicavano a
dismisura.
« Però magari… ecco, senza fretta, »
mormorò, le guance in fiamme, « Prima dovrei… presentarti ai miei
genitori. Ah
– ehm… magari dovrei anche prima dire loro che… che sì, insomma, che ho
un
ragaz… un fidan… ? »
L’alieno rise piano, intenerito dal suo
balbettio emozionato, ma la guardò con tutta la serietà possibile: «
Retasu,
non c’è assolutamente fretta. Abbiamo tutto il tempo del mondo. E
concordo, ci
vuole un ordine alle cose. »
Lei avvertì il cuore galoppare ancora più
forte a tutti quei non detti, a tutte quelle certezze che in segreto
bramava.
« Sarei onorato di conoscere la tua
famiglia. »
Retasu non poté far altro che sporgersi in
avanti e baciarlo, il respiro mozzato dalle sensazioni che la stavano
assalendo, e Pai la strinse di rimando con una risata soddisfatta,
accarezzandole la schiena nuda.
« Devo andare, » mormorò lei però dopo
qualche istante, assolutamente controvoglia, « Riapriamo tra poco, e – »
L’alieno si corrucciò: « Non devo davvero
mettermi quei vestiti e scendere con voi, vero? »
Retasu non poté fermare la risatina che la
prese: « Credo proprio che sia l’idea originale. »
Ogni traccia dell’appagamento di poco
prima
svanì dal viso del ragazzo, che si stese sulla schiena e premette una
mano
sugli occhi: « Voi umani mi volete morto. »
La ragazza ridacchiò e si districò dal
loro
abbraccio, rivestendosi in fretta e sgattaiolando verso il bagno dopo
aver
controllato che il corridoio fosse libero.
Kisshu che cominciò a chiamarli a gran
voce, con tono pure scocciato, dal piano di sotto fu la goccia che fece
decisamente
traboccare il vaso.
« Oh, alla buon’ora, eh! » li accolse
infatti
al piano principale qualche minuto dopo, « Scusate, vi abbiamo disturbato?
»
Pai gli fece una smorfia, per nulla
divertito dal sarcasmo: « Kisshu, strozzati. »
« Non molto difficile, con questo coso, »
scoccò un’occhiataccia al maggiore e intanto si torturò il farfallino,
« Su,
forza, che il supplizio sta incominciando. »
« Benvenuti, bentornati al Caffè Mew Mew!
»
in quell’istante, Purin aprì la porta d’ingresso e iniziò a vociare a
pieni
polmoni, con un’energia che fece venire mal di testa istantaneamente ai
tre
alieni, « Prego, da questa parte, vi portiamo subito al tavolo
migliore. Ah,
ehm, Pai nii-san… magari tu vai alla cassa, che dici? »
« Non ci dovevo stare io alla cassa!? »
« Ichigo-chan, dai, tu sei più… esperta
a trattare con i clienti! »
« Retasu, tu sei amica mia. »
Non ci fu molto spazio per le dispute,
perché il Caffè fu sommerso da clienti impazienti di gustarsi le
creazioni di
Keiichiro dopo un mese di privazione, e il nuovo meccanismo di gestione
interna
si dovette arrendere a mettersi in moto all’istante, stirandosi sorrisi
di
circostanza sulle guance.
Ichigo soprattutto dovette sforzarsi di
calarsi totalmente nella parte di cameriera perfetta: non le era
mancato per
niente il lavoro ai tavoli, dopo la pausa della gravidanza e della
maternità,
invece – ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce – sentiva la
mancanza delle
ex colleghe allontanate, sì a lei spiacevolissime ma comunque più
rodate a quel
tipo di lavoro che i suoi nuovi compagni di sventura.
« Ma che musi lunghi, » Minto varcò la
soglia e lanciò un sorrisetto sarcastico verso la rossa, che pur da
lontano la
sentì e la guardò storto.
«Ah, nee-san, ci sei anche tu! »
« Pensavo sarebbe stato uno spettacolino
divertente, » rispose ironica a Purin, sollevandosi gli occhiali da
sole sul
capo, poi si accigliò appena, scrutando Kisshu che interagiva con un
tavolo di
ragazze un po’ troppo palesemente contente delle sue attenzioni, « Cosa
starebbe combinando? »
« Uhm… servizio clienti ottimale? »
« Mmmhm, » lei continuò a fissarlo male, e
probabilmente l’alieno se ne accorse, perché scrisse l’ultimo appunto
sul
palmare e poi virò subito da lei con un sorriso contento.
« Tortorella, sei venuta a salvarmi da
questo incubo? »
« Non mi pare che sia una situazione così
disastrosa, visto l’impegno che ci metti. »
« Simpatica, tortorella.
Se mi
impegnassi davvero, ci sarebbe un chilometro di coda, qua fuori. »
Lei rizzò la schiena e lo sorpassò,
schioccando
la lingua: « Vedi di non fare l’imbecille e portami un tè, Akasaka-san
sa
quello che mi piace. »
« Fai sul serio!? »
Purin rise di soppiatto e gli diede un
colpetto con la spalla un po’ per rinfrancarlo, un po’ per farlo
ritornare al
lavoro, ignorando volutamente i borbottii dell’alieno.
Anche Ichigo si tenne alla larga da Minto,
più
per puro astio nei confronti di vecchie dinamiche che per qualche
problema con
l’amica – che in realtà avrebbe voluto interrogare al più presto
possibile,
perché stava iniziando a divagare un po’ troppo anche con lei – ma
riuscì quasi
a intravederla, con il flusso di gente che continuava imperterrita a
sciamare
dentro e fuori al locale.
Conosco qualcuno che ne sarà
molto
contento.
Il pensiero le fece risalire ancora quella
fastidiosa rabbia che l’aveva accompagnata negli ultimi quindici giorni
e di
cui non riusciva proprio a disfarsi, nonostante le frecciatine e i
battibecchi
costanti con Shirogane al telefono, che non facevano altro che
esacerbarsi
quando lui la implorava di smetterla di tenergli il muso.
Perché lei non gli teneva il
muso, lei
aveva ragione, e anche se lui aveva ammesso che lei aveva ragione, a
lei non
bastava, era arrabbiata, e…
Non finì di concentrarsi sul fatto che la
sua coscienza ormai suonava in tutto e per tutto come Ryou, che una
silhouette
particolarmente conosciuta si stagliò sull’ingresso giusto in quel
momento,
causandole una strana piroetta allo stomaco.
Oh, che
déjà-vu.
«
A-Aoyama-kun?! » Ichigo
tentò di suonare convinta e
accogliente, ma non riuscì a nascondere la sorpresa, « Che ci fai – ah,
benvenuto! Anzi, bentornato! »
Masaya le sorrise tranquillo, scostandosi
un po’ dall’uscio: « Ciao, Ichigo. Ho saputo che il Caffè avrebbe
riaperto e
allora ho pensato che sarebbe stato bello rivederlo dopo tutto questo
tempo. »
« Hai fatto bene, » lei annuì e poi
gesticolò verso la sala, « Come vedi, non sei stato l’unico ad avere
questa
idea. Non è passata neanche un’ora e siamo già incasinati… il che è un
bene,
direi. »
Il moro ridacchiò e lanciò un’occhiata
veloce alla sua divisa: « Tu come stai? Devo dire che non sembri
cambiata
neanche di una virgola. »
Lei ricambiò la risatina a disagio e si
passò automaticamente i palmi contro i fianchi: « Eh-eh-eh, magari…
comunque
tutto bene, un po’ stanca, sai… tra la bimba, il lavoro, e… beh, tu
sai
cosa. »
Masaya si avvicinò cospiratorio su di lei
quando abbassò la voce per aggiungere quell’ultimo accenno, e il suo
bel viso
fu attraversato da un’espressione preoccupata che gli fece stringere le
labbra.
« Mi dispiace non essere più di aiuto, »
ripeté costernato, « Davvero, se c’è qualcosa che vi possa servire,
anche solo…
»
La rossa scosse la testa e gli sorrise: «
Nessun problema, Aoyama-kun. Ce la caviamo, come sempre. Al massimo
siamo un
po’ ammaccati. E i ragazzi sono un prezioso aiuto. »
Lui sembrò accorgersi in quel momento
della
presenza dei tre Ikisatashi tra lo staff e ne rimase stupito per un
istante,
prima di sorridere e rivolgersi di nuovo alla rossa, scostando lo
sguardo da
Kisshu: « Sono felice che abbiano trovato la giusta strada e che vi
stiano
supportando. Dalle poche immagini che passano i notiziari, la
situazione
appare… complicata. »
Ichigo si torturò il grembiule, desiderosa
di cambiare discorso: « È diversa, ma al tempo stesso è… siamo
abituate, sai? »
« Sì, capisco, » Masaya le sorrise più
caloroso, grattandosi poi la nuca, « Non sono cose che si dimenticano
facilmente. »
« No, decisamente no… » ridacchiò, un po’
in un imbarazzo inspiegabile visto il rapporto così negli anni
consolidato con
il ragazzo, ma lui continuò molto tranquillo.
« I nuovi… ospiti, » abbassò la voce
ancora
e si scostarono maggiormente verso il muro, « Provengono dallo stesso,
uhm,
luogo di… ? »
Di primo acchito, Ichigo si stupì un poco
della domanda, poi realizzò che tutto il loro primo scontro con i
Duuariani
aveva avuto lo stesso impatto su Masaya che su di loro, ed era stato
una parte
importante della sua vita (avrebbe mai potuto dimenticare,
lei, di avere
avuto ben due entità diverse nascoste dentro di sé?).
« Ecco, è una storia un po’ complessa, in
effetti… no, ma sì, cioè… è tutto un gomitolo di progenitori e
navicelle
perdute, e… »
Aoyama annuì concentrato: « Ammetto di
avere avuto motivi egoisti per chiederlo, volevo assicurarmi che non si
ripetessero schemi complessi come l’ultima volta. »
Ichigo capì l’antifona: « Sono qui per
motivi simili, ma nessuna, ehm, entità cosmica??
da risvegliare. »
« Quindi non sono qui per la Mew Aqua? »
La rossa batté appena le palpebre, poco
avvezza al fatto che qualcuno esterno alla sua cerchia più stretta,
seppur si
trattasse di Masaya, fosse così schietto riguardo gli accadimenti
passati: «
Non… non che noi sappiamo, ecco. »
« Sì, non è questo il momento adatto per
parlare di queste cose, » Aoyama tentò di scherzare, « E perdonami se
lo sto
facendo, ma non ero sicuro di avere altra occasione. Giuro, sono anche
qui per
riassaporare le delizie di Akasaka-san. »
Ichigo gli sorrise e poi scosse la testa:
«
Hai ragione, sono scortesissima, a farti rimanere qua in mezzo al
corridoio…
scusami, vieni pure… »
« Mademoiselle, ecco
a lei, » Kisshu
posò il tè di Minto sul tavolo con un po’ troppa decisione e una punta
di
stizza nella voce. La mora non si scompose e lasciò uscire un sospiro
contento
quando inalò il profumo del vapore dalla teiera.
« Mmm, ora sì che ci siamo, » esalò
soddisfatta, « Ah, in effetti mi era mancato molto. »
L’alieno la osservò con stupito
divertimento: « Ottengo meno reazioni io. »
« Oh, Kisshu, su, non fare l’esagerato
ora,
è che – che c’è? »
Non si perse la maniera in cui il ragazzo
s’irrigidì di colpo, o il sottile sibilo che gli scappò dai denti
stretti, così
seguì la traiettoria del suo sguardo.
« Ma guarda, guarda, » commentò sottile,
osservando Ichigo e Masaya che parlottavano, « Una scena familiare,
Momomiya
che viene distratta da Aoyama-kun. Era un sacco che non lo vedevo… fa
un po’
strano, in effetti, che sia qui. »
« Mhhm, » Kisshu non si mosse, la schiena
dritta come un palo, « Un delizioso tuffo nel passato. »
Lei lo guardò da sotto in su, corrugando
la
fronte al gelo della sua voce: « Kisshu? »
L’alieno, però, la ignorò, spostando solo
le iridi dorate per incrociare quelle di Taruto, dall’altro lato del
salone,
che aveva notato anch’egli il nuovo ospite.
L’ultima volta che aveva incontrato Aoyama
era stato… e sì, il nome di lui era capitato parecchio nei discorsi del
loro
gruppo, ma rivederlo lì, dal vivo, tranquillo e sorridente come se
nulla fosse
era un’esperienza del tutto diversa. Gli pareva anche che il moro li
stesse
volutamente ignorando, assorbito dalla sua conversazione con la
mewneko, che
gli stava indicando il bancone dove si ritiravano gli ordini take-away
–
non che lui avesse particolarmente voglia di parlargli, men che meno di
essere
civile nei suoi confronti, ma l’audacia di fingere che non esistessero,
dopo
tutto quello che…
« Kisshu? »
Si accorse a malapena delle dita di Minto
che si strinsero leggere intorno alle sue per scrollargli appena il
braccio, troppo
concentrato su quella strana sensazione che gli vibrò in petto e che
sapeva
anche i suoi fratelli – Pai comparsogli all’estremo del campo visivo –
stavano
provando, viste le espressioni ceree sui loro volti.
Non era la stessa cosa, lo sapeva, non era
lo
stesso, eppure… non sapeva nemmeno dove finissero i suoi
sentimenti per
Masaya e dove iniziassero quelli per i suoi alter ego, e dovette
stringere la
mascella per evitare che piccole saette gli corressero sui palmi,
perché non
era quello il momento, decisamente, ma il pulsare del suo cuore non
pareva
smettere di rimbombargli nelle orecchie, e –
« The fuck. »
Fu l’esclamazione a distanza ravvicinata
di
Shirogane, spuntato all’improvviso dall’entrata posteriore, che lo
riscosse
dalla sua trance, forse anche per lo stupore di essere d’accordo con
lui, per
una volta.
Minto continuava a fissarlo, confusa e
quasi sul punto di alzarsi, e Kisshu scosse la testa, ricambiando la
sua
stretta prima di lanciare un sorrisetto ironico all’americano: « Un
arrivo
provvidenziale, biondo. »
« Davvero, » fu l’unica cosa che commentò
l’altro, poggiando il borsone che reggeva in un angolo del corridoio.
Minto, invece, alzò gli occhi al cielo e
lasciò la mano di Kisshu, riconcentrandosi sul suo tè: « Voi due siete
proprio
senza speranza. »
« Non so di cosa tu stia parlando, » disse
laconico l’ultimo arrivato, e si dileguò tra i corridoi secondari prima
che lei
potesse prenderlo in giro oltre.
La mora sbuffò divertita, poi guardò di
nuovo l’alieno: « Tutto okay? »
Lui abbozzò un sorriso che non raggiunse i
suoi occhi e poi le fece l’occhiolino: « Mi merito la mancia per
l’ottimo
servizio, non trovi? »
« Scommetto che c’è qualcuna sicuramente
disposta ad accontentarti qua in mezzo. »
« Tortorella, la gelosia non ti si addice,
» si azzardò a lasciarle un bacino veloce sulla testa, non dandole
occasione di
lamentarsi allontanandosi in fretta ed evitando a larghe falcate
l’angolo in
cui aspettava Aoyama.
Ryou, invece, arrivò in cucina seguendo le
code rosse di una certa divisa, e si appoggiò allo stipite silenzioso
come un
gatto.
« Vedo che la riapertura sta andando a
gonfie vele. Un sacco di clienti, oggi. »
Keiichiro concesse al suo protetto un
festoso saluto, genuinamente sorpreso dal suo arrivo – e inconsapevole
della
scena avvenuta qualche minuto prima – mentre Ichigo, impegnata a
impacchettare
dei bignè su un vassoio da portar via, sobbalzò visibilmente.
« Be’! E tu che ci fai qui! »
« Fino a prova contraria, Momomiya,
sono
il co-proprietario di questo locale. »
Lei non riuscì a non fare una smorfia
seccata: « Sai benissimo cosa intendo! Mi avevi detto che saresti stato
via
un’altra settimana! »
Akasaka ebbe l’accortezza di scivolare via
discreto, borbottando qualcosa sulle scorte da prendere in dispensa,
mentre
Ryou si staccava dal muro e si avvicinava alla rossa: « Non posso fare
più
sorprese a mia moglie, oltretutto in una giornata così di spicco? »
Ichigo si concentrò per tenere a bada il
calore che le pizzicò le guance e incrociò le braccia al petto: « Ne
hai già
fatte abbastanza di sorprese a tua moglie,
non trovi? »
« Sei davvero ancora
arrabbiata con
me da due settimane? »
« Il programma era di esserlo per tre. »
« E hai già trovato un rimpiazzo, visto
che
me ne sono andato? »
Le guance della ragazza s’incendiarono e
lei non riuscì a evitare di guardarlo scandalizzata, schiaffeggiandogli
anche
un braccio: « Shirogane, a volte sei proprio stupido! »
« Sei tu quella assorbita dal tuo ex
fidanzato e che ce l’ha ancora con me. »
« Appunto, ex, »
Ichigo gli sventolò
davanti la mano con anello di fidanzamento e fede, « E abbiamo già
discusso
ampiamente del perché io abbia ragione ad avercela con te, quindi non
venire a
fare il geloso ora per motivi assurdi. Se fossi arrivato tra dieci
minuti non
te ne saresti neanche accorto, Masaya-kun sa benissimo come non causare
disagio.
»
Ryou occhieggiò il pacchetto che lei aveva
chiuso con un nastrino: « Sono per lui quelli? Glieli porto io. »
« Shirogane, no! »
Ichigo cercò di sgusciargli sotto al
braccio per fermarlo, ma lui aveva già afferrato l’involucro tenendolo
troppo
in alto perché lei ci arrivasse e stava già marciando verso il moro.
« Hey there, Aoyama. »
Masaya staccò lo sguardo dal cellulare e
gli sorrise, tendendogli la mano con fare garbato: « Shirogane, che
piacere
rivederti. Vedo che gli affari vanno benone, congratulazioni. »
« Non ci possiamo lamentare, » Ryou non
ricambiò la stretta, preferendo mettergli in mano direttamente il suo
ordine, «
Grazie del supporto. »
« Ah, è il minimo. Come dicevo a Ichigo,
mi
dispiace non poter fare di più, ma come ti avrà sicuramente detto, io
non ho
più… nessuna capacità, ecco. »
Il biondo lanciò un’occhiata di sbieco
alla
rossa, spuntatagli alle spalle quasi di corsa e che stava tentando di
fingere
che fosse tutto a posto, le mani intrecciate dietro la schiena.
« No worries, »
rispose schietto,
facendogli un gesto col mento, « La situazione è sotto controllo. »
« Sì, Ichigo mi raccontava. Gli Ikisatashi
sono una risorsa preziosa, giusto? »
Shirogane non poté non sentirsi colto sul
vivo, seppure dubitando che Aoyama gli stesse lanciando una frecciatina
connessa al fatto che lui, effettivamente, per le circostanze attuali
poteva
fare ben poco di concreto.
« Sono una spinta in più a un meccanismo
ben oliato. »
Ichigo gli diede un pizzicotto di
soppiatto
al tono infastidito e monocorde, ma Masaya perseguì a sorridergli e poi
alzò il
pacchettino a mo’ di saluto.
« Be’, ora devo andare. Mi ha fatto
piacere
passare e vedere che le cose stanno andando per il meglio, è stato
bello
riviverlo per un attimo. Magari ci vediamo un’altra volta, che ne dite?
»
« Sì, Aoyama-kun, sentiamoci, » la rossa
intervenne prima che Ryou potesse aprire bocca, il gelo nel suo sguardo
fin
troppo eloquente, e rispose al sorriso del ragazzo con altrettanta
simpatia, «
E fa attenzione in giro, mi raccomando! »
« Vale lo stesso per te, Ichigo. Salutami
tanto le altre, e ringraziale ancora. Arrivederci, Shirogane! »
L’americano non disse nulla, scrutandolo
con astio finché non lo vide scomparire oltre il portone d’ingresso,
poi guardò
la moglie dall’alto verso il basso: « It does seem you two
talk an awful
lot. »(*)
Ichigo lo scrutò malissimo prima di
scuotere le mani in aria: « Sei insopportabile! Vai a casa da tua
figlia che è
meglio, o tra un po’ non ti riconoscerà più. »
Lui la riagguantò per un polso prima che
si
allontanasse troppo: « Ichigo, would you stop punishing me
already? »
« No, guarda che non funziona, » la rossa
alzò gli occhi al cielo e fece, però, magra resistenza al suo voltarla,
«
Soprattutto se fai l’antipatico con gli altri! »
« Perdonami se dopo quasi tre settimane
che
non ti vedo, non ho voglia di condividerti con Masaya Aoyama, a cui
piace rivivere
il passato, » rimbeccò lui, afferrandola piano per la vita.
« Non mi stai condividendo con lui, »
sbuffò esasperata lei, poi gesticolò verso la sala gremita, « Piuttosto
con
tutti i clienti che sono di là in balia di Kisshu e Taruto. »
« They can wait, »
Ryou abbassò la
voce e poggiò la fronte sulla sua, « Mi siete mancate. »
« Devi farti perdonare, » lei persistette
a
fare la sostenuta, nonostante il sorrisetto che minacciò di spuntarle
sul viso,
« Ho intenzione di rimanere arrabbiata per tutta la settimana
rimanente, dico
sul serio. »
« Lo so, lo so. Prometto che – »
« Oh, sposini! Guardate che qua i tavoli
non si puliscono da soli! » Taruto spuntò da dietro una colonna, il
viso
coperto da un sottile strato di sudore e il farfallino già storto, e li
guardò
truce, « Tu dovresti star dirigendo i lavori, in quanto cameriera più
anziana!
»
« Chi hai chiamato anziana?! »
Ryou rise piano quando Ichigo sgusciò via
per andare a rincorrere il giovane alieno, poi si sgranchì la schiena
affaticata dal lungo volo, l’organismo che non riusciva a percepire su
quale
fuso orario fosse. Forse avrebbe dovuto davvero ascoltare la moglie e
andarsene
a casa, per un sonnellino e le dozzine di coccole arretrate a Kimberly;
stava
quasi per ritornare sui suoi passi e riprendersi le valigie, quando Pai
attirò
il suo sguardo dalla cassa.
Shirogane si concesse di pensare a quanto
fosse una stramba visione, l’alieno con l’uniforme e lo sguardo torvo a
contare
i resti e augurare una buona giornata ai clienti in uscita, così
incredibilmente
glaciale come quando annunciava loro i deludenti risultati delle loro
ricerche.
Anche se gli sembrava più svelto di Ichigo
a valutare le monete.
Si salutarono con un cenno del capo, e
l’americano poggiò il gomito contro al banco: « Tutto sotto controllo? »
« Stabile, » rispose spiccio il Duuariano,
«
Abbiamo quasi finito di mettere di perfezionare gli stabilizzatori per
le
barriere di Taruto. »
Shirogane annuì: « Sarei interessato a
saperne di più in dettaglio. Non è il forte di Ichigo spiegare queste
cose. »
Pai non batté ciglio: « Ho lasciato una
relazione approssimativa sulla scrivania. Ci sarebbe da lanciare anche
un
aggiornamento dei nostri sistemi, ho ricevuto una notifica pochi minuti
fa. »
Il biondo annuì, vedendo la sua
possibilità
di un riposino allontanarsi sempre di più.
« Scendo adesso. Raggiungimi quando hai
finito. »
Gli rispose solo un vago mugolio che gli
parve assomigliare molto a Se mai finirò.
Si sentiva coperta da un sottile strato di
sudore congelato, ma aveva così tanto freddo, in quel momento, che
l’idea di un
bagno non le sfiorò nemmeno l’anticamera del cervello. Se quella
mattina si era
sentita incandescente, ora, invece, stava facendo fatica a non sbattere
i
denti.
Rannicchiata nel letto, con ogni possibile
strumento per riscaldare l’ambiente in funzione, Espera si avviluppò
ancora di
più tra le coperte pesanti, tentando di placare il tremolio che le
irrigidiva
ogni muscolo.
Forse era meglio così, però: le rendeva
difficile pensare, rimuginare su quanto successo poche ore prima, sulla
smorfia
soddisfatta e insopportabile che si era disegnata sul viso di Kert e
che non
era scomparsa per il resto della giornata.
Non sapeva nemmeno lei come aveva fatto a
non rivelare nulla a Rui, e sperò che suo fratello maggiore mantenesse
la
misera promessa di non farlo lui stesso. Prima doveva essere lei a
capire cosa
le fosse successo e quale fosse il suo significato. Contemporaneamente,
non
voleva nemmeno paventare a sé stessa la possibilità che ci fosse un
granello di
verità in quello che Kert aveva suggerito.
Non dubitava di sé stessa, certo che no, e
nemmeno di Rui. Ma poteva essere realmente certa che non ci fosse stato
nulla
di combinato, alle loro spalle? Che se i loro sentimenti non fossero
stati
genuini, le loro famiglie non avrebbero comunque trovato la maniera di
farli
avvicinare?
Serrò gli occhi strettissimi, si morse il
labbro inferiore. Non aveva mai provato così tanta paura, intrappolata
nell’ignoto di quel suo strano potere, ancora più spaventoso della sua
connessione con la Luna, a cui non aveva nemmeno ancora fatto
l’abitudine.
Come avevano potuto mandarla allo
sbaraglio, senza mai prepararla a qualcosa del genere? Avevano davvero
giocato
tutto sulle possibilità che antichi sospetti si rivelassero reali? E
come
poteva lei ora affrontarlo, senza avere la minima idea di cosa
stesse
affrontando? Non avrebbe potuto neppure contattare il Consiglio e
chiedere
spiegazioni, perché non sapeva come comunicare con loro senza avvertire
Rui o
gli altri. Forse se fosse riuscita a prendere Sunao da parte a un certo
punto…
« Stai dormendo? » non aveva neanche
sentito il suo compagno entrare, e il suo sussurro inquieto le spezzò
il cuore.
Rui non aspettò che rispondesse e le si sedette accanto, il materasso
che
oscillò sotto il suo peso, accarezzandole la testa, « Devo ammettere
che mi
stai facendo preoccupare molto. »
« S-s-s-scu-u-sami, » balbettò lei, senza
il coraggio di guardarlo.
« Non dirlo neanche per scherzo, » le
sfiorò la fronte sudata come ad assicurarsi della sua temperatura, «
Posso
chiedere a Zaur di aiutarti a dormire? »
Espera avvertì un tremore nel petto
all’idea che l’amico utilizzasse i suoi poteri su di lei, ma riconobbe
l’utilità di quel suggerimento, e annuì soltanto.
Rui sospirò e si concesse qualche altro
secondo da solo con lei, ignaro della tempesta che le imperversava
dentro e che
non sapeva nemmeno da che parte cominciare a spiegargli.
Ichigo girò la pagina del libro che teneva
appoggiato alle ginocchia, senza aver davvero letto le righe
precedenti. Era
stanchissima, ma non riusciva ancora a prendere sonno.
Ryou, invece, era crollato poco dopo cena,
dopo aver praticamente monopolizzato le attenzioni di Kimberly, e ora
stava
ronfando piano accanto a lei, un braccio avvinghiato attorno alla sua
vita e il
viso sepolto tra i cuscini.
Cercando di non svegliarlo, gli accarezzò
leggera i capelli biondi, intanto che cercava di riconcentrarsi almeno
sulla
sua lettura. Era ancora irritata con lui, pienamente cosciente che la
permalosità di entrambi era sempre stato un problema, ma il palloncino
di ansia
che aveva portato in petto per tutti quei giorni si era sgonfiato non
appena le
era ricomparso davanti agli occhi.
La causa della sua insonnia corrente,
invece, era uno strano pizzicore al cervello procuratole dall’incontro
con
Masaya. Forse non ci era più abituata, o forse davvero le frecciatine
gelose di
Ryou la stavano influenzando, ma più ci pensava più si sentiva confusa,
e parte
di lei si sentiva in colpa per quelle sensazioni e per non sentirsi
capace di
avere con lui una conversazione tranquilla e completamente onesta.
O forse era solo la sua maniera di
proteggerlo da quell’ennesimo casino intergalattico, per non fargli
rivivere
l’incubo che avevano condiviso. Non c’era bisogno che lui sapesse
esattamente
chi fossero i loro nemici, era già abbastanza che si preoccupasse e
fosse
costernato di non essere più d’aiuto (anche se il suo senso di colpa
non si
attutiva quando realizzava che parte di lei fosse parecchio contenta
che Masaya
non avesse più i suoi poteri, visti i precedenti), la cosa migliore per
lui era
girarle più alla larga possibile.
Poi, se doveva essere sincera, aveva la
quasi piena certezza che Pai non avrebbe esitato a farla fuori se
avesse
scoperto che condivideva particolari sui loro nuovi nemici con qualcuno
di “esterno”
…
« Why are you
not sleeping. »
Ryou lo bofonchiò in una maniera così
stretta e pastosa che Ichigo ci mise qualche secondo di più a capirlo.
« Scusami, non ti volevo svegliare, »
sussurrò, poggiando il libro sul comodino e spegnendo la luce, « Stavo
solo
pensando a delle cose. »
Lui aprì un unico occhio azzurro: « Che
cose? »
La rossa sorrise al tono preoccupato anche
sotto la coltre del sonno e gli si stese accanto: « Niente di che.
Forse sono
troppo su di giri dopo tutto il lavoro di oggi. »
La stretta dell’americano si fece un po’
più decisa e lui incastrò meglio il naso nell’incavo del collo di lei.
« È la tua maniera di chiedere un
part-time? »
« No, » Ichigo rise e riprese a passargli
le dita tra i capelli, « Dormi, ora. Mi servi in forma. »
Ryou le borbottò qualcos’altro in inglese
che lei non si prese la briga di comprendere, e gli si allineò contro,
ascoltando
il rumore del suo respiro per placare il ronzio della sua mente.
§§§
« Siamo riusciti a perfezionare lo
stabilizzatore, » la voce di Pai risuonò fiduciosa all’interno del
laboratorio,
« La barriera attorno al Caffè è solida, e stiamo procedendo
all’installazione
dei congegni in tutte le vostre case. Qualsiasi altra miglioria
successiva sarà
compiuta da remoto. »
« E io finalmente potrò liberarmi del mal
di testa, » scherzò Taruto, un po’ orgoglioso per il merito condiviso
in quella
creazione.
« Ovviamente, ripeto che non possiamo
essere sicuri che i Geoti non lo captino, ma abbiamo ridotto al minimo
gli
impulsi che emette e speriamo che ciò sia sufficiente. »
« O che almeno non gli interessi
abbastanza
da catturare la loro attenzione. »
Pai annuì al commento di Zakuro, poggiata
a
braccia conserte contro al muro.
« Almeno è un sollievo, » esalò Retasu,
ancora con la divisa da cameriera addosso, il Caffè chiuso da poco più
di una
mezz’oretta, « Sapere che così noi o i nostri cari possiamo avere una
protezione in più, soprattutto quando non ci siamo noi. »
« Forse ricomincerò a dormire tutta la
notte, » la battuta di Ichigo risuonò molto debole, e Ryou, accanto a
lei, le
accarezzò piano la schiena.
« Ciò non significa che dovrete abbassare
la guardia. È soltanto una precauzione aggiuntiva, ma che non vi
distragga. »
« Figurati se ci distraiamo, Shirogane, »
replicò acida Minto, « È un pensiero che proprio non ci abbandona, sai
com’è. »
Pai fu di nuovo il primo a spezzare il
silenzio gelido che era sceso nella stanza: « Per questo, a discapito
di suonare
come un disco rotto, bisogna rimettersi in carreggiata con i nostri
allenamenti. E forse discutere di strategie durante i combattimenti,
visti i casini
dell’ultima volta. »
Kisshu si strinse nelle spalle
all’occhiataccia velenosa: « Il chimero è stato utile all’effetto
sorpresa. »
« Come no, » il fratello maggiore fece
schioccare la lingua, « Comunque, ora, capisco se il nostro numero si
ridurrà
per un po’, però – »
« Perché? » Minto sbottò ad alta voce,
lanciandogli uno sguardo di ghiaccio, « Se stai parlando di me, sappi
che non
ho nessuna intenzione di stare a guardare. Non ho bisogno di un
trattamento di
favore. »
Zakuro le posò una mano sulla spalla,
scrutandola con preoccupazione: « Non è un trattamento di favore.
Vogliamo solo
darti il tempo di recuperare. »
« Ho recuperato. »
« Sei sicura? »
La mora annuì, le unghie che si
conficcarono negli avambracci: « Non voglio… darla vinta a nessuno. »
« Minto-chan, non è questione di – »
« Stai scherzando? »
Perfino Retasu tremò sotto il gelo della
domanda
di Kisshu e che gli aveva attraversato gli occhi.
« Tu non ti avvicinerai di un centimetro a
loro. »
« Decido io cosa fare, » gli replicò la
ragazza con livore, « Non ho intenzione di nascondermi, è mio dovere
aiutare le
altre. »
« Non ti metterò in pericolo una seconda
volta, » ribatté irremovibile lui, avvicinandosi, « È assolutamente
fuori
discussione che tu ti ributti nella mischia così pre– »
« Fuori discussione?! »
lo strillo
stridulo e incredulo di Minto rimbombò nella sala, inondata di un
silenzio di
piombo, e lei notò appena come la stretta di Zakuro sulla sua spalla
fosse
aumentata, « Tu non hai nessun diritto di… ! »
« Col cazzo, » sibilò Kisshu, colmo d’ira,
« Pensi davvero che ti lasci andare là fuori dopo quello che è
successo? »
« Non dipende da te! » sibilò lei,
stringendo i pugni lungo i fianchi solo per fermare le lacrime che
sentiva
affacciarsi sulle ciglia. Con la coda dell’occhio, vide Ichigo titubare
e
accennare a un passo avanti:
« Minto-chan, forse… »
« No! » la interruppe bruscamente, poi si
rivolse di nuovo a Kisshu, « Tu non puoi dirmi cosa devo o non devo
fare, ora
più che mai è mio compito combatterli. Non darò loro certo la
soddisfazione di
pensare che siano riusciti a… a… »
L’alieno espirò rumorosamente per
calmarsi,
rilassando le spalle, e la raggiunse per prenderle il volto tra le
dita: «
Tortorella, non posso combattere se devo pensare a – »
« Non te l’ho certo chiesto, » Minto
soffiò
livorosa e scattò all’indietro, scostandogli con malagrazia le mani, «
Non mi
serve un babysitter. »
« Min–
»
« Lasciami stare, » Kisshu aveva provato
di
nuovo a riavvicinarsi allungando un braccio, ma la mora lo allontanò
ancora di
getto, scrollando le spalle per evitarlo e scuotendo la testa mentre
iniziava a
respirare pesantemente, « Mi devi lasciare stare,
io devo – »
« Minto! »
« Minto-chan! »
Sia Ichigo che Zakuro si lanciarono in
avanti quando la videro inciampare e perdere all’improvviso tutto il
colore dal
volto; fu però Keiichiro a raggiungerla per primo, e l’afferrò
gentilmente per
le spalle così da aiutarla a sedersi.
« Minto-san, va tutto bene, » esclamò con
sicurezza, inginocchiandosi davanti a lei e cercando di incontrare gli
occhi
della mora che però erano vacui e persi sul pavimento, « Respira con
me, dal
naso. »
Un suono strozzato uscì dalla gola della
ragazza, che continuava ad ansare con una mano sul petto. Keiichiro le
prese le
mani e le parlò sottovoce qualche altro istante, poi guardò gli altri
da sopra
la spalla: « Credo sia un attacco di panico, è meglio se uscite.
Rimango io con
lei. Davvero, Kisshu-san, » insistette con gentilezza quando lo vide
esitare un
passo avanti.
Lui si lasciò condurre fuori solo dalla
presa di Taruto sulla spalla e da quella di Purin, che gli si avvinghiò
al
braccio mentre guardava l’amica con preoccupazione.
« Vogliamo continuare a insistere che vada
tutto bene? » ringhiò quando furono tutti in corridoio.
« Non è il momento, Kisshu, » lo riprese
Zakuro.
« Non lo è mai, » mugugnò rabbioso lui a
mezza voce, e la biondina attaccata a lui lo scosse un istante come a
dirgli di
tacere, « Ditemi che ho torto a dirle che sarebbe meglio si prendesse
un
momento. »
« Glielo devi consigliare, non
imporre,
Kisshu. »
Lui alzò gli occhi al cielo al rimbrotto
di
Ichigo: « Da che pulpito. »
Purin si mordicchiò un labbro e sbirciò la
porta chiusa: « La nee-san potrebbe dirci qualcosa… sembrava così
tranquilla
l’ultima volta a casa tua, Ichigo nee-san… »
« È più complicato di così, Purin, » la
voce di Zakuro era gentile, ma solcata da un accenno di preoccupazione,
« A
volte le emozioni ti sorprendono tutte all’improvviso. »
« Sì, però se non ne parla… »
« Sfondi una porta aperta, » con maggiore
cura del solito, Kisshu si scrollò la ragazzina di dosso e, nonostante
il
flebile richiamo di Retasu, non attese molto prima di rientrare nella
stanza.
Minto era ancora seduta per terra, le
braccia strette intorno a sé e il viso nascosto contro le ginocchia.
Keiichiro
le stava accanto, accarezzandole piano la schiena pur tenendosi a una
distanza
consona per lasciarla respirare, e gli rivolse un’occhiata di
comprensione cui
Kisshu rispose con un cenno che sperò indicasse la sua riconoscenza.
Il pasticcere abbozzò un mezzo sorriso e
mormorò qualche altra parola di conforto alla mora prima di alzarsi,
quasi
cedendogli il posto mentre l’alieno le si accovacciava in fronte.
« Non ti azzardare a dirmi te
l’avevo
detto o altro di simile. »
Gli scappò un sibilo divertito al commento
pungente, e le sfiorò piano i capelli: « Non sia mai che io abbia
ragione, eh,
tortorella? »
Gli occhi color caffè, lucidi e arrossati,
si alzarono abbastanza per trucidarlo con poca allegria verso il suo
sarcasmo
non richiesto, e lui sospirò pesantemente.
« Ascoltami per una volta in vita tua, »
mormorò, « Non c’’è niente di male ad ammettere di avere bisogno di una
tregua.
Fidati. »
« Voi non capite, » s’intestardì lei, un
brivido che le attraversò di nuovo mani e gola, « Per me sarebbe come
ammettere
che… che mi hanno sconfitta davvero. »
« Minto, a costo di essere crudele, » le
divaricò con cautela le ginocchia così da esserle ancora più vicino,
posando la
fronte contro la sua, « Se reagisci così al solo pensiero di
affrontarli, come
immagini che reagirai ad averli davanti sul serio, e ritieni che possa
essere strategicamente
saggio? »
La mora sgranò appena gli occhi e non
riuscì nemmeno a guardarlo in faccia mentre le guance le si coloravano
di
stizza.
« Lo dici solo perché non vuoi che possa
succedere qualcos’altro. »
Kisshu combatté la voglia di alzare le
iridi al soffitto: « Anche. Ma so pure di cosa sto parlando. »
« Non ti preoccupare, nee-san! » la testa
di Purin sbucò dalla fessura della porta, « Noi ce la caviamo e ti
aspettiamo
più carica che mai! »
Lei fece schioccare la lingua, già
estremamente scocciata dalla sua sciocca e incontrollata esplosione
emotiva, e
accettò l’aiuto di Kisshu a tirarsi in piedi.
« Anche Ryou nii-san sta praticamente
sempre nelle retrovie, gli vogliamo bene lo stesso. »
« Thank you, so
kind of you. »
« Non credo che paragonarmi a Shirogane
sia
un complimento efficace. »
Il biondo le rivolse un’espressione
stoica,
ammorbidita però dall’ombra di un sorriso.
Minto fece di nuovo per aprire la bocca e
tentare di replicare ancora, quando il segnale di allarme iniziò a
risuonare
acuto in laboratorio.
Un gemito collettivo si sollevò dalle Mew
Mew, che si irrigidirono all’unisono.
« E ti pareva, » borbottò Ichigo, « Una
puntualità paurosa. »
Kisshu aveva già estratto i sai, e si
voltò
serio verso la mora: « Tu rimani qui. »
Lei represse l’istinto di ribattere con
forza, il senso di colpa in gola che si mischiò al batticuore erratico
che le
riempì il petto, ed ebbe solo l’energia di annuire mentre altre quattro
luci
colorate riempivano lo spazio.
Il vento gelido soffiava tra i piloni di
acciaio, creando uno stridio inquietante che quasi faceva dolere le
loro
orecchie delicate, ma Pharart si stava concentrando di più su quanto
incredibile fosse quella costruzione altissima, che cozzava così tanto
con la
maniera in cui Gaia era stata edificata e che, per lui, non era altro
che una
deturpazione della natura.
« Hanno davvero bisogno di stare così in
alto? » domandò a Zaur, accanto a lui, « Bloccano qualsiasi vista,
qualsiasi
luce per coloro che non li raggiungono. »
« Forse è a causa della sovrappopolazione,
» commentò placido l’altro, neanche una smorfia sul viso pallido, « È
tutto
così… grigio. »
« Non siamo qui a discutere di
architettura, » abbaiò Kert, i capelli sciolti che sferzavano nel
vento, « Dove
sono le nostre amichette? »
« Vedi di non fare troppe cazzate. »
« Siete un po’ ripetitivi. »
Zaur fece ruotare pigramente il proprio
bastone: « E tu una testa calda. »
« Io avrei in mente un’altra descrizione. »
Si rivolsero tutti e quattro verso il
basso, dove finalmente erano spuntati i loro avversari, la tizia dalle
orecchie
nere e con la buffa gonna rosa in testa.
Il ghigno di Kert si fece più maligno: «
Parrebbe che manchi la mia dolce ospite. Non aveva voglia di rivederci?
»
L’unico indizio che Kisshu non avesse
gradito
la frecciatina fu il luccichio dei sai che spuntarono tra le sue dita.
Fu MewIchigo invece a lanciarsi per prima,
un lampo di luce rosa magenta che investì i Geoti mentre lei saltava in
alto,
per avvicinarsi di più a loro, che contemporaneamente si gettarono
contro
terrestri e Duuariani.
Non si soffermò molto a pensare al luogo
scelto per lo scontro: il cantiere di un nuovo centro commerciale di
lusso, con
annesso enorme parcheggio riservato, ancora semplicemente un vuoto
scheletro di
cemento e acciaio, tra cui le folate di vento s’inserivano gemendo.
Parando i
fendenti di Pharart e al contempo lanciando saette colorate, MewIchigo
risalì
la rampa per raggiungere il piano più alto disponibile e ridurre così
la
distanza dai nemici, segretamente invidiando gli Ikisatashi e la loro
capacità
di volare.
« Ribbon Strawberry Surprise! »
La luce travolse i quattro Geoti, ma non
abbastanza per rallentare la loro controffensiva. La mewgatto udì
chiaramente il
clangore delle armi di Kisshu contro l’accetta di Kert, e delle bolas
di
Taruto contro la corta spada di Rui.
« State lontane da Zaur quanto possibile,
mi raccomando. »
Il richiamo di MewZakuro le arrivò forte e
chiaro mentre anche le altre la raggiungevano, e si scambiarono tutte
un cenno
d’intesa, il respiro che si fece più affannoso al solo pensiero di ciò
che
Minto aveva raccontato loro.
« Ribbon Lettuce Rush! »
Il getto d’acqua di MewRetasu accompagnò
una scarica di proiettili di ghiaccio di Pai, il vento che pareva
giocare a
loro favore: Pharart riuscì a schivare di poco l’attacco, un pezzo
della sua
maglietta che venne tranciato via di netto.
« Erreskorakas, » mormorò tra i denti, incoccando un’altra freccia,
i cui poteri erano
nullificati vista la mancanza di un suolo fertile da colpire, « Non
potevamo
scegliere un luogo più semplice per me?! »
Kert parò un fendente di Kisshu, che lo
stava tallonando incessantemente, e si scambiò un’occhiata velocissima
col
compagno.
« Nessuno ha niente in contrario a
liberarsi di questo obbrobrio, vero? »
Non aspettò neanche la risposta dei suoi
compatrioti: un colpo di taglio d’accetta si premurò di mantenere una
distanza
adeguata dal suo avversario, e al contempo, con la mano sinistra riuscì
a
reindirizzare una folata di vento così da deviare un getto di luce di
MewIchigo
e spingere Kisshu ancora più lontano, abbastanza per poter liberare il
suo
bazooka.
« Teneteli impegnati! » gridò agli altri
Geoti, e poi mirò dritto a uno dei piloni che sorreggevano l’ultimo
piano del
cantiere, lì dove le Mew Mew erano impegnate a combatterli.
Dalla sala di controllo del laboratorio,
Shirogane dovette trattenere una bestemmia tra i denti nell’osservare
le
immagini che scorrevano nello schermo a tutta parete, il cuore che gli
scivolò
in gola – o meglio, le immagini che non riusciva a vedere, a causa del
polverone che aveva invaso l’intera ripresa di Masha; mantenne la calma
solo
per Minto, accanto a lui, che piantò le mani sul tavolo e singhiozzò un
Ragazze!
che riverberò solo tra le mura fredde.
Il biondo digitò qualcosa sulla tastiera,
stringendo i denti e lanciando uno sguardo al piccolo schermo alla sua
sinistra, dove le quattro lucine colorate lampeggiavano speranzose: «
Stanno
bene, » sibilò, quasi ad autoconvincersi, « Sia i ciondoli che i
connettori
degli Ikisatashi lo confermano, sono solo… »
La mewbird sbatté ancora i palmi sulla
scrivania e gemette piano, incitando dentro di sé l’inquadratura a
schiarirsi
mentre il senso di colpa e l’ansia le impedivano di respirare. Si frugò
in
tasca e ne estrasse il proprio ciondolo, provando un angosciante senso
di
déjà-vu mentre ci esclamava dentro per richiamare le proprie amiche e
riceveva
solo staticità in risposta.
Shirogane digitò ancora qualcosa e attivò
il vivavoce, spedendo Masha il più vicino possibile al luogo
dell’impatto, e
mormorando un’altra ingiuria quando finalmente riuscì a intravedere
qualcosa.
Mentre il cemento si sgretolava sotto i
loro piedi in tante zolle diverse, MewZakuro si era ritrovata a
scivolare verso
il basso prima ancora di rendersi conto di cosa stesse succedendo, i
tacchi
degli stivali che avevano tentato di frenare invano la caduta. L’urlo
acuto di
MewPurin le aveva perforato i timpani mentre la biondina slittava
accanto a lei
e cercava di afferrarla, il bordo del parcheggio in costruzione che si
era
avvicinato pericolosamente veloce.
La mewlupo era riuscita solo a sguainare
la
propria frusta e lanciarla contro uno dei piloni ancora in piedi,
mentre
stendeva il braccio destro per agguantare l’amica pregando che il suo
istinto
la stesse guidando correttamente. Il bagliore violetto si era
arrotolato
attorno al pilastro nello stesso momento in cui lei aveva percepito il
vuoto
nello stomaco, la mancanza di terra sotto il sedere e il peso di
MewPurin che
le tirava ancora di più verso il basso, e non era riuscita a contenere
il
gemito di sollievo quando la frusta aveva retto, che si era mischiato
all’esalazione pesante che le era scappata allo schiantarsi, per il
contraccolpo, contro uno dei piloni della costruzione.
« Nee-san! » MewPurin annaspò in quel
momento, stringendole la mano con forza, « Siamo appese come dei
salami! »
MewZakuro digrignò solo i denti, le spalle
che le cigolarono dolorosamente allo sforzo di reggere sia lei che la
mewscimmia, e cercò invano con gli occhi un appoggio per arrampicarsi
di nuovo
al sicuro.
« Onee-sama! » la
voce di Minto le giunse dal robottino rosa che fluttuò innervosito
accanto a
lei, « State… come possiamo…?! »
« Le altre… » MewZakuro riuscì solo a
mormorare mentre una goccia di sudore le scendeva da sotto la
frangetta, « O…
gli Ikisatashi… »
« Taruto!! »
MewPurin cercò di rimanere il più ferma
possibile
mentre scrutava verso l’alto alla ricerca dell’alieno, ma i detriti che
si
erano sollevati nello scoppio le facevano prudere gli occhi e le
rendevano
difficile riuscire a inquadrare più di una vaga silhouette in cielo.
Guardò
quindi verso il basso, cercando di calcolare quale sarebbe stata la
distanza di
una eventuale caduta per togliersi da quella situazione, ma pure lei
avvertì un
brivido di vertigini nel constatare quanto fosse distante il suolo.
« Nee-san… ce la fai se io mi spingo e…
provo a infilarmi al piano di sotto? »
In tutta risposta, la mewlupo sentì la
presa sulla frusta che scivolò di qualche prezioso millimetro.
Le orecchie smisero di fischiarle dopo
quelli che sembrarono minuti interminabili, e MewRetasu sentì una
miriade di
sassolini correrle giù per le braccia non appena le sciolse dalla presa
protettiva sopra la testa. Quando il terreno le era scomparso da sotto
i piedi,
lei era caduta dritta al piano inferiore, infilandosi in
un’intercapedine
momentanea che un po’ l’aveva protetta dal crollo.
Cercò con lo sguardo le amiche, ma non
vide
nessuno attorno a sé, così prioritizzò uscire da lì. Tossendo a causa
della
polvere, e con un fianco ammaccato che sentiva pulsare, si arrampicò
con
cautela tra i pezzi di cemento e acciaio che ora spuntavano minacciosi
l’uno
sull’altro, facendo sbucare con cautela prima la testa per controllare
che il
campo fosse libero.
Non si aspettò certo di vedere i piedi di
MewPurin penzolarle davanti.
« Ragazze! » si tirò fuori dal buco di
scatto e corse fino al bordo della piattaforma, « Ma come… forse posso
provare
a – »
Le caviglie della biondina erano a qualche
centimetro a penzoloni da lei, e la mewfocena tentò di afferrarle, per
portare
almeno una di loro coi piedi per terra; ma il pilone all’angolo, ancora
in
piedi, era troppo lontano, e lei non aveva nessun tipo di appoggio cui
sostenersi per allungarsi il più possibile.
Il cemento cigolò terribilmente un’altra
volta e l’intera costruzione tremò, e MewRetasu ebbe la netta
sensazione di
vedere la più giovane delle Mew Mew scivolare un po’ di più. Si sporse
di
nuovo, intanto che la voce stremata di MewZakuro la raggiungeva.
« MewPurin, fallo. »
« Nee-san, sei sicura che…? »
MewZakuro quasi le scosse la coda da lupo
in faccia per dirle di sbrigarsi; così, la mewscimmia prese il respiro
e poi lo
trattenne, mentre scalciava per aria e tentava di darsi la spinta per
saltare
di nuovo dentro al cantiere.
« Retasu nee-san, prendimi eh. »
« Ci-ci provo! »
La mewlupo trattenne una parolaccia mentre
lo sforzo sulla sua spalla si faceva estremo, ma cercò di aiutare
l’amica,
accompagnandone i movimenti quanto riusciva: probabilmente fu per i
geni
potenziati di entrambe, ma dopo un paio di sgraziati tentativi e
sgambate nel
vuoto, MewPurin riuscì ad inarcarsi quanto bastava per volare
goffamente tra le
braccia di MewRetasu, che l’agguantò stretta a sé mentre entrambe
capitombolavano per terra.
MewZakuro esalò, di colpo molto più
leggera, e sgranchì il braccio dolorante, la spalla in fiamme, prima di
portarlo anch’esso attorno all’elsa della frusta così da sentirsi più
sicura.
« Okay, nee-san, come facciamo a
recuperare
te ora? »
MewPurin non riuscì a finire la domanda
che
un altro colpo d’aria colpì la parte opposta del cantiere, e un altro
boato
dolorante riempì l’aria.
Il primo istinto di Pai, non appena aveva
capito cosa stesse succedendo, sarebbe stato quello di correre a
proteggere
Retasu; ma – e la parte più addestrata di lui gliene avrebbe dato atto
– i loro
nemici erano stati particolarmente furbi a gettarsi serrati contro di
loro per
impedirgli di soccorrere le umane, senza lasciargli la minima
possibilità. Zaur
gli si era lanciato contro velocissimo, e Pai aveva ondeggiato sotto la
forza del
bastone premuto contro il suo fidato ventaglio. Con la coda
dell’occhio, aveva
visto Pharart frapporsi tra Kert e Kisshu così che il primo potesse
scaricare
tutto il suo potere, mentre Rui continuava a tallonare Taruto a colpi
di spada,
che il più giovane scansava con abilità ma con difficoltà crescente,
anche a
causa dell’angoscia per la sorte delle ragazze.
La nube di polvere che si era sollevata in
conseguenza dell’attacco di Kert aveva impedito loro sia di prendere un
respiro
profondo sia di potersi accertare dell’entità dei danni per vari
minuti, minuti
che il maggiore degli Ikisatashi aveva passato con il cuore che gli
aveva
battuto contro le tempie fino quasi a renderlo sordo. Il loro
sviluppato udito
gli aveva almeno concesso di poter udire il richiamo di MewPurin, ma
l’occhiata
veloce che era riuscito a concedersi non aveva placato la bile che gli
bruciò
la gola, e sperò che anche suo fratello più giovane mantenesse la calma.
« Ci tenete davvero tanto a quelle
ragazzine, eh? » con
una risata sarcastica,
Kert volò sotto Pharart, il bazooka sempre retto con la mano sinistra
come se
pesasse la metà di ciò che sembrava, e assestò un colpo d’accetta ben
piazzato
a Kisshu, che riuscì a pararlo con uno dei sai solo all’ultimo secondo,
« Siete
un po’ troppo prevedibili ormai. »
Pai fece schioccare la lingua e con un Fuu
Shi Sen scatenò una corrente d’aria abbastanza decisa per
mettere in
difficoltà Zaur per il tempo necessario ad andare a dare supporto al
verde,
decisamente troppo infastidito dalle continue provocazioni del loro
avversario.
Una scarica di aculei di ghiaccio si
frappose
tra i due Geoti, costringendoli a separarsi, ma una freccia di Pharart
gli
soffiò di rimando a un millimetro dall’orecchio, impedendogli di
caricare
un’altra raffica come avrebbe voluto.
Non riuscì a evitare, cedendo pure lui
alle
istigazioni di Kert, di controllare ancora una volta il cantiere dove
c’erano
le Mew Mew, di scrutare per la frazione di un secondo un paio di code
verde
brillante – almeno MewRetasu pareva in piedi, intenta a provare di
acciuffare
la mewscimmia, ma…
Zaur gli fu addosso una seconda volta, le
spire del suo potere che si avvilupparono intorno al suo collo
mozzandogli il
fiato e impedendogli di schivare il colpo di bastone che lo colpì in
pieno
petto. Pai volò all’indietro per qualche istante, più cadendo alla
cieca mentre
cercava di recuperare la lucidità. Avvertì Kisshu masticare
un’imprecazione tra
i denti mentre incrociava i sai e formava una bolla di elettricità che
spedì a
velocità avanzata contro i nemici per placcarli e fare guadagnare al
fratello
preziosi attimi.
« Fuu Rai Sen! »
Pur con voce un po’ roca, Pai contribuì
all’energia lanciata da Kisshu, creando un muro di fulmini che
costrinse i tre
Geoti a dover virare all’ultimo secondo. Il fratello minore quasi non
attese
che si dissolvesse prima di lanciarvisi attraverso e caricare di nuovo
Kert, il
quale però scansò verso sinistra e si allontanò veloce dall’altro lato
del
cantiere, troppo veloce perché il Duuariano riuscisse a raggiungerlo in
tempo
prima che, con un ghignetto divertito, mirasse una seconda volta contro
lo
scheletro della costruzione.
MewRetasu l’aveva stretta a sé d’istinto
quando i pezzi di cemento e acciaio aveva iniziato a cadere attorno a
loro, e
MewPurin non era riuscita a non urlare quando aveva percepito lo
stomaco fare
cinque capriole all’improvviso vuoto d’aria.
Almeno era riuscita a spedire un paio di Pudding
Ring Inferno sopra le loro teste così da bloccare quante più
pietre volanti
possibili.
Non sapeva più nemmeno dove si trovassero
o
cosa restasse di quel povero centro commerciale, ormai un lato quasi
del tutto
sventrato: ringraziò solo di sentirsi tutte le ossa al posto giusto,
nonostante
le escoriazioni che ora le decoravano le ginocchia.
« Tutto okay, nee-san? »
La mewfocena si tastò un paio di volte la
testa e la schiena, poi annuì poco convinta: « Mi… mi sembra di sì.
MewZakuro?
»
La mewscimmia si tirò in piedi con
cautela,
non fidandosi delle crepe che decoravano quel pezzo di cemento caduto
insieme a
loro e i cumuli di macerie lì attorno, e diede una scorsa all’ambiente
circostante.
« Là! »
Qualche metro più in basso, alla fine di
una slavina di detriti, intravide l’amica, stesa a terra con la frusta
mollemente abbandonata sotto di sé.
MewPurin si stese sul pavimento e portò le
mani a coppa davanti alla bocca per chiamarla con preoccupazione: «
Nee-san! Mi
senti!? MewZakuro nee-san!! »
Le parve di vederla muoversi appena, la
coda folta che fremette; Masha le frullò davanti e poi piombò laggiù,
strofinandosi contro al viso della mewlupo e sicuramente trasmettendole
la voce
di Ryou e Minto all’orecchio. Fortunatamente, questa volta il movimento
della
modella fu più evidente, e MewPurin esalò un sospiro di sollievo mentre
faceva
il segno dell’okay a MewRetasu.
« Dobbiamo andare ad aiutarli, » esclamò
poi, cercando con lo sguardo gli Ikisatashi, « E dobbiamo andarcene da
qua, non
so quanto reggerà questo coso! »
Masha si ricongiunse a loro con un pigolio
agitato, e il tono di Shirogane fece gelare a tutte e due il sangue
nelle vene
quando si accorsero, effettivamente, che c’era qualcos’altro che non
andava.
« Dov’è Ichigo? »
Pharart fece una capriola all’indietro,
schivò l’ennesima saetta bruciante di Kisshu, poi utilizzò la punta del
suo
arco per assestargli di rimando un colpo sul gomito, facendogli perdere
l’equilibrio per qualche istante.
Doveva cambiare strategia, il
combattimento
corpo a corpo non era il suo forte, men che meno in una situazione così
serrata
come quella che si era venuta a creare, e soprattutto con Kert che
sembrava una
pallottola frenetica che cercava di mettere a segno quante più mazzate
possibili.
Il suo secondo attacco contro
quell’ingombrante e oscena costruzione umana non aveva sortito del
tutto gli
effetti desiderati, e il suo compagno sembrava deciso a frustrare
quanto più
possibile i Duuariani invece che concentrarsi sulle umane: quindi forse
Pharart
avrebbe potuto approfittarne.
Devo solo riuscire a trovare una
minuscola via d’ingresso.
Lanciò una freccia contro Pai, centrandolo
in pieno nel suo ventaglio sproporzionato e riuscendo così a evitare
che
generasse abbastanza potere, poi lasciò che se ne occupasse Zaur e si
fiondò in
verticale verso il basso, non badando alle loro nemiche né agli
schiamazzi
della battaglia sopra di loro, concentrato solo invece a trovare un
centimetro
di verde da poter sfruttare.
Quasi gli scappò un fischio di vittoria
quando si accorse di quella piccola aiuola, giusto all’angolo più a
nord del
grigio edificio: gli umani vi avevano accalcato quelli che immaginava
fossero
gli strumenti e i materiali necessari a completare il loro lavoro, ma a
lui non
importava. Gli sarebbe bastato anche molto meno.
Afferrò quattro frecce contemporaneamente
dalla sua faretra e le incoccò senza aspettare, incastrandole
perfettamente nel
terreno. Non attese neanche di controllare che andasse tutto per il
meglio,
fece dietrofront e ritornò in alto, tra i suoi compagni, muovendo
appena un
polso.
Pochi istanti dopo, otto radici dal
diametro quasi pari a quello di uno dei piloni di sostegno sibilarono
fuori dal
terreno, seguendolo senza che lui facesse niente per poi serpeggiare
tra il
cantiere abbattendo muri e colonne.
MewRetasu e MewPurin quasi non si
accorsero
dell’arrivo di tre di queste: le piante senzienti le agguantarono e si
avvilupparono a loro in una morsa implacabile, sbattendole contro a una
delle
pareti rimaste e silenziando le loro grida di sorpresa e dolore. Anche
MewZakuro
fu afferrata dalla terza di esse e lanciata vicino alle amiche, e
dovette
stringere i denti quando le radici le ribaltarono a testa in giù,
lasciandole
minacciosamente a penzolare nel vuoto.
« AH, così si fa! » esclamò soddisfatto
Kert, osservando l’operato dell’amico, « Ce ne hai messo per
sgranchirti, eh,
vecchio mio? »
Una saetta di ghiaccio ed elettricità di
Pai gli fece sfrigolare un lembo della maglietta, ma quel colpo quasi
messo in
segno non gli fece perdere la spavalderia.
« Vediamo di giocare sul serio, da bravi. »
Shirogane avrebbe annotato sul calendario
quel giorno come la prima volta che aveva udito Minto Aizawa lasciarsi
scappare
un’esclamazione ben poco elegante alle scene che stavano scorrendo sui
monitor;
ma d’altro canto non poteva certo biasimarla, visto quanto lui stesso
stava
sforzandosi di non sciogliere la lingua in una bestemmia dopo l’altra,
il cuore
che gli stava battendo in petto come un forsennato.
Dovette quasi costringere Masha ad
allontanarsi dalle Mew Mew, appese ancora come salami e nelle mani
solamente
della volontà dei Geoti, per reindirizzarlo verso il punto in cui,
sulla mappa
alla sua sinistra, lampeggiava piano l’icona di MewIchigo, che ancora
non era
spuntata dopo il primo sparo contro il cantiere.
« Dov’è quella cretina!?! » sibilò piano
Minto, la voce carica d’angoscia e le nocche bianche contro al tavolo,
« Perché
Taruto non… »
Ma il più giovane degli Ikisatashi stava
venendo attaccato con sempre maggiore velocità da Rui, e fin sullo
schermo
erano visibili le gocce di sudore che gli correvano lungo le tempie e
il
pallore che gli annebbiava le guance.
Ryou digitò ancora qualcosa, e il piccolo
robottino s’incuneò lungo un piccolo e scuro tunnel tra i detriti, poco
distante da dove il centro commerciale aveva iniziato a collassare a
causa
della prima corrente d’aria ricevuta. Le immagini si fecero buie e poco
chiare
mentre Masha svolazzava qua e là chiamando la sua padroncina a gran
voce: poi,
finalmente, dopo che il segnale si distorse così tanto che solo qualche
confuso
pixel fu visibile, la trasmissione inquadrò un ammasso di stoffa rosa
ricoperto
di polvere e sassolini.
« Ichigo, » lui esalò dapprima un sospiro
di sollievo vedendo le orecchiette nere guizzare alla sua voce, che
tentò di
mantenere più salda possibile, poi dovette schiarirsi la gola nel
notare il
rivoletto di sangue sotto i capelli rosa acceso, « Ichigo, mi senti? »
« Ichigo! » Minto scosse il tavolo come se
avesse potuto scuotere l’amica, poi afferrò di nuovo il suo ciondolo e
ripeté
stridula la chiamata, nella speranza che le arrivasse più forte e
chiara, «
Ichigo, rispondi! Tirati
su! »
Ci volle qualche secondo, Masha che
continuò a pigolare e svolazzare in quello spazio ristretto causando
ancora più
interferenze, poi la mewgatto emise un gemito confuso e sbatté le
palpebre un
paio di volte.
« Che… che succede? »
« Ichigo,
Ichigo, pii! Stai
bene, stai bene!
»
Lei picchiettò un dito guantato sulla
testolina del robot solo per farlo stare calmo: « Sì, penso
di… ma dove sono
finita!? »
Shirogane ruotò appena la visuale sui loro
monitor: « Ti è franato metà dell’ultimo piano addosso. Sei tutta
intera? »
MewIchigo, ancora rannicchiata per terra,
tentò di muoversi, e fece una smorfia dolorante quando si sfiorò la
testa: « Ehm…
ho come la brutta sensazione di essere intrappolata qui. »
Minto sbatté di nuovo i palmi sulla
scrivania: « Devi andare ad aiutare gli altri! » strepitò « Sono in
difficoltà,
Pharart le ha… »
Ryou le sfiorò appena una mano per cercare
di tranquillizzarla: « Sei sicura di non riuscirti a muovere? »
« Sono letteralmente
in un buco, Shirogane! » strepitò di rimando lei,
l’espressione
all’improvviso piena di panico, « Riesco a malapena a
stendere le gambe,
come diavolo faccio a - ?! »
L’americano fece un respiro profondo, poi
ordinò piatto: « Trasformati in gatto. »
Sia la moglie che la mewbird lo guardarono
come se fosse diventato matto.
« Shirogane, se si trasforma poi non
riuscirà a… »
« E se non si trasforma, rimarrà lì sotto
e
rischia di non uscirci, » rimbeccò lui, guardando solo la mora, «
Quindi,
Ichigo, trasformati. »
Il trillo del campanellino sulla sua coda
riecheggiò
nel laboratorio mentre MewIchigo tentennava: « Non so se... »
« Ichigo, do it now.
»
« Oh, al
diavolo! »
Taruto parò l’ennesimo colpo della spada
di
Rui e volò ancora più vicino ai suoi fratelli: serrare i ranghi in quel
momento
gli sembrava l’unica opzione disponibile, combattere quanto più uniti
possibile
e sperare che le Mew Mew riuscissero a togliersi dall’impiccio il più
in fretta
possibile.
Un moto di rabbia, angoscia e vergogna gli
attraversò il petto a quel pensiero: lui e Pharart parevano condividere
un
potere simile, eppure lui non riusciva a controllare le piante del
Geota, che
in quel momento stavano tenendo in scacco le ragazze – dovette
concentrarsi per
non lanciare l’ennesima occhiata a Purin, una macchiolina gialla in
quel
serpente verde e lucido che pareva stringersi ad ogni tentativo della
biondina
di liberarsi – né era riuscito ancora a trovare lo spazio per creare a
sua
volta delle piante in grado di contrastarlo. Rui lo teneva con
precisione sotto
tiro, non lasciandogli più del tempo di un respiro, e Taruto stava
iniziando ad
avvertire la stanchezza prendere il sopravvento sui suoi muscoli.
Per un istante, invidiò Kisshu: era
sicuramente il più concentrato tra loro tre, conscio che Minto era al
sicuro al
Caffè Mew Mew, e rispetto all’ultima volta i suoi colpi apparivano più
precisi,
più freddi, anche se Taruto riusciva a riconoscere la luce indispettita
nei
suoi occhi ogni volta che Kert apriva bocca per tormentarli.
Lanciò le sue bolas, seguite poi dal suo
pugnale, esultando piano quando riuscì almeno a far sì che le prime si
attorcigliassero alla punta dell’arma di Rui, frenandolo quanto bastava
perché Taruto
tentasse di richiamare a sé qualche ramo spinoso che almeno rallentasse
le
cinque radici libere di Pharart, che saettavano tra di loro cercando di
afferrare pure i Duuariani.
Riuscì a malapena ad aprire una mano,
però,
perché Rui fu svelto a liberarsi delle bolas e ricacciarsi contro di
lui, quasi
bloccandolo tra di sé e una delle grosse e agguerrite piante.
« Avete rotto i coglioni, » udì suo
fratello di mezzo sibilare, mentre piantava ripetutamente i sai in una
delle
radici, che gli sprizzò linfa verde acido in faccia, « Taruto, un
chimero - »
« No! » ruggì Pai, e
lanciò
l’ennesima scarica di ghiaccio contro le piante e contro i Geoti, «
Niente che
non riusciamo a controllare! »
« Ah perché questa ti sembra una
situazione
controllata! »
Kisshu ebbe appena il tempo di scrollarsi
la frangia umida di sudore dagli occhi prima che Zaur gli fosse addosso
con il
suo bastone, e fece una carambola di lato, al tempo stesso fendendo
l’aria con
i sai e usando una delle radici selvagge come base di appoggio per
rilanciarsi
contro il nemico.
Pai non gli rispose, troppo impegnato a
sparare
colpi uno dopo l’altro contro Kert, che ribatteva con tante piccole
scariche di
aria compressa che vanificavano tutti i loro sforzi.
Maledizione…
Le orecchie le vibravano
insopportabilmente, tutto il sangue al cervello a forza di rimanere a
testa in
giù. Per l’ennesima volta, MewZakuro tentò di liberarsi, ormai satura
di non
avere un appoggio saldo per i piedi, ma le spire di quel serpente
vegetale
sembravano non avere intenzione di lasciarla andare, e ad ogni suo
sforzo esse
aumentavano il loro ondeggiare, sbatacchiandola di qua e di là e
provocandole
il mal di mare, oltre che a spezzarle il fiato.
Non le sembrava che le sue amiche fossero
in
condizioni migliori, anche se MewPurin pareva essere stata in grado di
liberare
almeno un braccio e ora prendeva a randellate la radice che la
intrappolava con
uno dei suoi tamburelli.
« Lasciami… andare… brutta… stronza! »
Puntualizzò ogni parola con un colpo, ma
l’ultima parolaccia le uscì strozzata, perché la punta della radice le
saettò
di più lungo la gola e gliela strinse leggermente, mozzandole ancora il
respiro.
« MewPurin! » la chiamò preoccupata
MewRetasu, che stava provando a rimanere il più ferma possibile mentre
litigava
con le nacchere strette tra le mani, le braccia troppo bloccate lungo
il corpo
perché riuscisse a metterle in funzione.
All’improvviso, un bagliore di luce rosata
attirò la loro attenzione: MewRetasu quasi trattenne il respiro, ma fu
solamente Ichigo in versione gattina nera che fece la sua comparsa dopo
tanti
anni.
« Ma che diamine… » bofonchiò annaspando
MewPurin, « Nee-san, non sei molto utile così?! »
La micetta soffiò incarognita, e senza
attendere oltre si lanciò verso le amiche, piantando i piccoli artigli
contro
la radice che intrappolava la mewscimmia e arrampicandosi fino in cima,
prendendo a morderne la punta così che mollasse la presa.
MewPurin non riuscì a trattenere un
gridolino impaurito quando la spira incominciò a dimenarsi come
un’ossessa per
scacciarsi la bestiolina di dosso: Ichigo però resistette, azzannando
con tutta
la forza che aveva in corpo la parte più sottile dell’essere vegetale e
graffiando in quanti più punti possibili, con la caparbietà di una
tigre.
L’ennesimo scossone, Ichigo che miagolò e
soffiò agguerrita, la spira che lasciò andare il collo di MewPurin ma
che di
contro si lanciò contro la gattina, riuscendo finalmente a scrollarsela
di
dosso con un’ultima avvitatura su sé. La mewscimmia gridò, un po’ per
il
movimento improvviso che la avvicinò al suolo a una velocità
spaventosa, un po’
per l’angoscia per l’amica, il corpicino nero che venne eiettato
lontano dove
non c’erano appigli.
« Ichigo! »
In quello stesso istante, tre fiotti di
luce azzurra apparvero quasi dal nulla, e MewMinto dietro di loro, le
ali
ancora un po’ ammaccate ma spiegate e l’arco ben teso davanti a sé:
mentre le
sue frecce filavano verso le radici che intrappolavano le ragazze, lei
piombò
verso il basso e afferrò la micia all’ultimo, stringendosela protettiva
al
petto prima di atterrare con cautela.
« Stai bene, brutta scema!? » esclamò,
controllando
il folto pelo nero e ignorando i miagolii irritati, « Cosa pensavi di
fare!!? »
MewMinto neanche le diede retta, se la
mise
sotto al braccio e si riconcentrò sulle altre: i suoi primi Ribbon
Mint Echo
avevano solo indebolito le radici, così non attese oltre e ne rispedì
altri,
tutti di fila, senza nemmeno pensare, finché non vide una forte luce
azzurra e
finalmente le piante ritirarsi quasi uggiolando nel terreno, mentre il
budino
di Purin creava per la seconda volta una piattaforma di appoggio più
morbida
del cemento.
« Sei grande, nee-chan! » l’accolse
festosa
la biondina, « Ora andiamo a fargli il culo a strisce! »
Non l’avrebbe mai ammesso, ma Pai fu
positivamente stupito – e, sotto sotto grato – dell’apparizione
improvvisa di
MewMinto e dell’occasione che il trambusto da lei causato gli presentò.
Non ascoltò il ringhio del fratello di
mezzo, né quello irritato dei loro nemici: si erano distratti tutti a
causa del
vociare, delle luci colorate, del rumore delle radici che si ritiravano
e delle
loro sorelle che parevano correre loro in aiuto.
Non avrebbero avuto un’altra occasione
simile.
Pharart gli era più vicino, avevano
combattuto faccia a faccia fino a un istante prima, il biondo che usava
le sue
frecce come arma bianca e lui che si riparava e attaccava a colpi di
ventaglio.
Veloce come un fulmine, Pai chiuse la distanza tra di loro, afferrò la
freccia
che Pharart ancora teneva in mano riuscendo a strappargliela per la
sorpresa, e
gliela conficcò dritto nel ventre.
L’ossigeno parve sparire dall’aria mentre
quasi la scena si fermava: Pharart si irrigidì un istante, gli occhi
verdi che
si spostarono sul rametto ruvido che gli spuntava dalla pancia, prima
che
iniziasse a cadere all’indietro.
Un ruggito, e sia Kert che Rui gli furono
subito dietro, il primo che riuscì a teletrasportarglisi alle spalle e
lo
afferrò appena prima che si schiantasse al suolo. Non tentò di estrarre
la
freccia, lanciò solo uno sguardo al fratello, che gli atterrò accanto
l’istante
successivo, e svanì nel nulla, seguito poco dopo da Rui.
Pai guardò solo Zaur, poco lontano da lui
con il bastone ancora alzato e che gli rivolse lo sguardo più nero che
il
Duuariano avesse mai visto, prima di scomparire anch’egli.
« Cos’è successo!? » domandò stravolta
MewPurin non appena gli Ikisatashi le raggiunsero in terra, ma il
maggiore di
loro si rese conto in quel momento di non avere nemmeno più la forza di
risponderle.
Abbandonò mollemente il braccio lungo al
fianco, il suo fidato ventaglio che ritornò delle sue dimensioni
normali, e
riuscì a sostenere lo sguardo preoccupato e sconcertato di MewRetasu
soltanto
per una frazione di secondo.
Kisshu, allora, emise un lungo e sgraziato
barrito mentre gettava la testa all’indietro e incrociava i sai dietro
la
schiena, poi indicò Ichigo, tra le braccia di Minto, con un dito che
fece
girare in cerchio: « Ebbene? »
Un miagolio irritato, che interpretarono
come un lasciate perdere e andiamocene, per favore, fu
l’unica risposta
che ottenne.
Masha frullò tra di loro, così che
Shirogane potesse di nuovo interpellarli: « Venite al Caffè,
non mi sembrate
una favola. »
« Hai anche il coraggio di pontificare,
biondo, dalla tua comoda seduta? »
« Magari quel cazzotto che hai
preso in
faccia te la renderà più sopportabile. »
« La tua è chiaramente gelosia, » l’alieno
oltrepassò il robottino e avvolse le spalle di MewMinto con un braccio,
senza
dirle niente ma stringendola con un po’ troppa decisione perché fosse
del tutto
contento, prima di precedere gli altri al loro quartier generale.
(*)
« Pare proprio che voi due parliate davvero tanto. »
|
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Capitolo 18 *** But I'm the mess that you wanted ***
Chapter Eighteen – But I’m the
mess
that you wanted
Una sequela di parolacce si levò dalle labbra di Rui non
appena varcarono la soglia del salone, Pharart, a capo riverso sul
petto
stretto tra lui e Kert. S’impose di ignorare il calore crescente che
sentiva
espandersi contro il suo fianco da quello dell’amico, e circumnavigò le
sedie
con quanta più cautela possibile, mirando verso il tavolo al centro
della
stanza.
« Cos’è successo?! »
Espera li raggiunse preoccupata, sgranando gli occhioni
blu non appena capì cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, non perse
un
secondo a reagire: nonostante il pallore sul viso, si rimboccò le
maniche e
cacciò giù dal tavolo le poche cose lì sopra, facendo spazio perché
Kert e Rui
potessero deporvi con cura il biondo.
« Nella dispensa, la sacca rossa, » istruì Zaur e Rui,
che annuirono convinti, « E dell’acqua calda, subito, per favore. »
Pharart esalò un sibilo di dolore quando le dita sottili
dell’aliena tastarono attorno alla ferita, da cui ancora spuntava la
freccia.
« Scusa, » la ragazza gli rivolse un sorriso
incoraggiante e dispiaciuto, « Non sarà piacevole toglierla, ti
avverto. »
« E quando mai, » boccheggiò lui, fissando il soffitto
per non guardare il sangue che persisteva a colargli lungo l’ombelico o
gli
strumenti che lei estrasse dalla bisaccia che Zaur le passò velocemente.
Rui tornò in quel momento e poggiò una bacinella accanto
alla compagna, che vi tuffò le mani e poi si scambiò uno sguardo con
l’alieno
dagli occhi neri.
« Non posso che consigliarlo. »
« D’accordo, » Pharart ansimò un’altra volta e strinse i
denti mentre il dolore s’irradiava fin dietro la schiena, « Basta che
facciate
presto. »
Espera annuì, poggiando con leggerezza i polpastrelli
attorno alla freccia: « Pronti? Uno, due, e… »
« Mi sembra pulita e non molto profonda, Ichigo-chan,
niente di cui preoccuparsi. Però continua a metterci il ghiaccio,
d’accordo? E
sta’ all’erta, se dovesse venirti mal di testa. »
« Grazie, Akasaka-san, » la rossa gli rivolse un sorriso
stanco, sfiorandosi di nuovo sovrappensiero il taglio che aveva appena
sopra
l’orecchio sinistro e che lui aveva appena terminato di medicare.
« Figurati, con quella testa dura non c’erano sicuramente
pericoli. »
Ichigo fece una smorfia dispettosa a Minto: « Simpatica
come sempre. »
« Non ho ancora sentito grazie, sai, piccola palla
di pelo volante. »
« Non ho proprio niente da ringraziarti se il trattamento
è questo! »
« Ragazze, per favore, » Zakuro esalò, appena divertita
ma esausta, il braccio contuso poggiato temporaneamente su un foulard
per
riposare l’articolazione e una varietà di tagli sul corpo che non
sapeva come
avrebbe spiegato alla troupe della serie tv, « È ora di andare a casa. »
« Concordo, » Purin si stiracchiò con un sonoro
scrocchiare, poi sbadigliò, « Domani tutto come al solito? »
« Solo se ce la fate. »
La biondina quasi saltellò sul posto in risposta a
Keiichiro: « Io e Taru-Taru direi di sì. »
« Tu vai a batterie nucleari, altroché. »
Rivolse una linguaccia a Kisshu – ancora a massaggiarsi una
scapola dove si stava affacciando un vistoso livido causato da una
delle radici
di Pharart – poi salutò di nuovo sottovoce le amiche e, agguantato
Taruto sotto
il braccio, si allontanò spedita dal laboratorio.
Le altre la seguirono mormorando saluti più o meno
energici, sciamando fuori in gruppo senza le forze per commentare oltre
il
disastro conclamato che quella battaglia si era dimostrata.
Non appena furono lontani da sguardi indiscreti, ma
comunque riparati tra i sentieri del parco, Shirogane passò un braccio
attorno
alle spalle di Ichigo e la strinse a sé, posando il naso tra i suoi
capelli: «
Direi che ora sei pari e patta con tutto quello che facevi a tredici
anni. »
« Mmph, che meraviglia, » rispose sarcastica lei,
poggiandogli una mano sul petto per farsi più vicina, «
In realtà mancherebbe solo che tu avessi più
di un alter ego. Come quando pensavamo che il Cavaliere Blu fossi tu. »
« L’avrei preferito, » commentò lui lugubre, poi abbassò
la voce, « Dopo mi racconti a cos’hai pensato. »
Ichigo arrossì e alzò gli occhi al cielo: « Che sciocco.
»
« Ahio, tortorella, fai piano! Quella roba
pizzica! »
Minto sbuffò e tamponò ancora una volta con il
disinfettante il taglio che Kisshu aveva sullo zigomo destro.
« Non essere esagerato, » gli concesse una carezza, poi
afferrò una pomata lenitiva e si accomodò sul divanetto alle sue spalle
per
trattare invece il grosso ematoma che gli stava fiorendo sulla spalla,
« E poi
forse così ti ricorderai che devi stare più attento. »
Lui, seduto sul pavimento, esalò tra i denti quando le
dita lo sfiorarono con la crema fredda: « Le liane non erano nel piano,
e non
sono il mio stile di bondage. »
La mora, automaticamente, gli diede uno scappellotto sulla
spalla opposta che gli strappò un gemito più per lamentela che per vero
fastidio;
calò poi il silenzio per un paio di minuti, lei che continuò
placidamente a
massaggiargli la scapola contusa.
« Sei arrabbiato? » domandò sottovoce dopo un po’.
Kisshu si tese appena sotto le sue mani, però sospirò e
scosse la testa: « No, » mormorò e si voltò quanto bastava per
scrutarla con la
coda dell’occhio, « Ma ogni tanto sottovaluto la tua cocciutaggine. »
« Ho dovuto farlo, altrimenti… »
« Lo so, » l’alieno si girò del tutto, « Non significa
che non valga quanto ti ho detto oggi. »
Minto annuì e socchiuse le palpebre quando la bocca del
ragazzo si posò sulla sua; le scappò un sospiro non appena dischiuse le
labbra,
e gli accarezzò un’altra volta il viso prima di allontanarsi lentamente.
« Come sta Pai? » domandò poi a bassa voce,
concentrandosi sul tubetto di crema da richiudere.
Kisshu fece ruotare la spalla: « Non è la prima volta, e
tra tutti è sicuramente quello più avvezzo alla mentalità da siamo
in guerra,
ma… non so, forse dovrei andare a parlarci. Anche la pesciolina non mi
è
sembrata del tutto convinta. »
Minto fece un vago verso di naso, a sottolineare come
fosse un dato di fatto non essere “del tutto convinte”, poi stirò un
sorriso
stanco: « Credo faresti bene ad andare e non lasciare a Taruto tutto il
compito
di controllare come stia. Io, intanto, mi faccio una doccia e mi
preparo. »
L’alieno la scrutò un secondo di troppo prima di assentire:
« D’accordo. Non ci metto tanto, ma se ti addormenti faccio piano. »
Lei annuì e sorrise ancora, passandogli la maglietta che
lui aveva abbandonato sul pavimento e dandogli un altro bacio di
saluto. Attese
di vederlo scomparire, e poi qualche altro secondo in più, scrutando
che non
fosse per caso ancora fuori dalla finestra, prima di buttare fuori
tutta l’aria
che aveva nei polmoni e alzarsi di scatto, un brivido violento che
quasi le
fece scivolare la crema dalle dita.
Aveva agito senza pensarci troppo, poche ore prima,
spinta solo dall’istinto di andare ad aiutare le sue compagne, dal
richiamo del
loro senso Mew – ma una volta afferrata Ichigo, una volta che aveva
posato i
piedi a terra e aveva rivolto lo sguardo verso la battaglia
soprastante…
rivederli là, tutti assieme, rivedere lui… poteva
ancora sentire la
morsa gelida in cui le si era stretta la gola, il battito frenetico del
cuore
che non le aveva lasciato la possibilità di respirare, si era sentita
di nuovo rinchiusa
in una stanza senza via di uscita, le spire buie di un potere
sconosciuto che
non le avevano lasciato scampo, e lei…
Minto fece appena in tempo ad arrivare in bagno e
inginocchiarsi davanti alla tazza del water prima che il contenuto del
suo
stomaco vi ci rovesciasse dentro, mentre lacrime altrettanto amare e
pungenti
le bruciarono gli occhi.
Per l’ennesima volta, Retasu rotolò nel letto alla
ricerca di una posizione che le facesse prendere sonno. Provava dolore
e
indolenzimento in ogni punto del corpo – e per fortuna che anche in
casa era
abituata a indossare un cardigan, vista la stagione, perché sarebbe
stato
complesso spiegare ai suoi genitori la miriade di piccole ferite che la
costellavano – e aveva le palpebre pesanti, ma il suo cervello proprio
non
voleva saperne di spegnersi per concederle un po’ di ristoro.
Eppure, l’aveva sempre saputo com’erano e come sarebbero
andate le cose.
Non rendeva viverle da così vicino meno complesse.
Le immagini della battaglia di poche ora prima
continuavano a lampeggiarle contro gli occhi chiusi.
L’espressione determinata di Pai che non aveva mai
vacillato, men che meno quando…
Quando ha fatto ciò per cui è stato addestrato.
Strinse il lenzuolo nel pugno e strofinò la faccia contro
il cuscino. Stava davvero cercando di convincersene, era un argomento
che
avevano anche trattato in passato, ma per lei era davvero diverso,
viverle
nella pratica.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
« Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »(*)
Era vero, lo sapeva, era stata onesta quando gli aveva
detto quelle parole: e ora lo aveva conosciuto più a fondo, era a
conoscenza di
ogni suo dettaglio, e…
Ne sei proprio certa?
La vocetta insistente nella sua testa non voleva
lasciarla stare, causandole ancora più senso di colpa. Quando ne
avevano
parlato, lei aveva ritenuto che fosse tutto nel passato, che non si
sarebbero
mai più ritrovati in una situazione simile. Che certe parti di Pai non
sarebbero più tornate a galla.
Era consapevole che non ci fosse nessun colpevole per
esse, che le circostanze della vita di lui, così diverse dalle proprie,
lo
avessero costretto a trovare ogni espediente per sopravvivere; com’era
consapevole che lui avesse intentato ogni soluzione possibile per
cambiare, per
redimersi, soprattutto ai suoi occhi.
Però, Pai aveva anche saputo più cose di lei, di tutti
loro, aveva trattenuto informazioni vitali, aveva lasciato che di nuovo
il suo
rigore militare prendesse il sopravvento, e forse, forse quando aveva
messo la
maggior parte delle carte in tavola con lei, aveva anche posato le basi
per un
avvertimento, un’anticipata ammissione di colpevolezza.
Forse lei stava ingigantendo solo la questione, le sue
amiche non le parevano mai sconvolte tanto quanto lei; forse doveva
solo
abituarsi ancora alla nuova realtà delle cose.
Forse le serviva solo dormirci sopra.
Si raggomitolò un po’ di più, stringendo il cuscino tra
le braccia, il ricordo della conversazione di un paio di giorni prima
che le
bruciò la gola.
Zakuro soffiò sulla tisana bollente, reggendo la tazza
con una mano sola mentre si aggiustava al meglio sulla poltrona del
salotto.
Ormai provava dolore ovunque, entrambe le spalle non la smettevano di
ruggire,
e lei stava solo contando i minuti fino a quando gli antidolorifici
avrebbero
iniziato a fare effetto.
« Here ya go. »
Joel la raggiunse e le porse il cellulare, che le aveva
recuperato dalla borsa appoggiata in ingresso; lei aveva avuto la mezza
idea di
mandare qualche messaggio per accertarsi di Minto e Retasu,
soprattutto, ma si
sentiva così esausta in quel momento che anche digitare le parole
giuste le
parve un’impresa impossibile.
« Grazie, » sospirò fiaccamente, ficcando il telefono
nello spazio tra le sue gambe e il bracciolo, « Sicuro che la dose
fosse
giusta? »
Il texano la guardò alzando solo un sopracciglio: « Ya
sure you don’t wanna go to the hospital? »
Zakuro prese un sorso e scosse la testa, dovendosi
concentrare più del solito per scivolare sull’inglese: « Il mio fidato
medico
ha detto che non ho nulla di rotto. »
« Ho detto che lo escluderei… »
« Ho solo bisogno di rilassarmi. Dirò che ho avuto un
incidente in bici, o qualcosa del genere. »
« Basta che non mi dipingi come il ragazzo violento. Che
è comunque molto più credibile di un’invasione aliena. »
La modella lo guardò di sottecchi mentre lui si lasciava
cadere sul divano in fronte a lei: « Ne parli come se fosse cosa da
tutti i
giorni. »
Joel si strinse nelle spalle, la profonda cadenza del sud
che le solleticò piacevolmente l’udito: « Shirogane non ha risparmiato
dettagli
quando mi ha chiesto se volessi partecipare ufficiosamente al progetto,
in
particolare quando mi sono trasferito a Tokyo e potevamo parlarne di
persona. Era
necessario che sapessi a cosa stessi andando incontro affinché potessi
collaborare in maniera funzionale. E non sono il tipo che si fa
dissuadere da
una coda o un paio d’orecchie. Su una come te soprattutto. »
Zakuro mosse appena le sopracciglia mentre nascondeva il
viso dietro la tazza: « È la tua maniera di rivelarmi qualcosa? »
« Dipende da che vuoi farci poi, » ricambiò il sorriso
divertito che gli rivolse, e si rilassò ancora di più sul sofà, « Ma
sarà per
un’altra volta, quando non sarai imbottita di farmaci. »
« Che ancora non stanno funzionando. »
Joel le fece solo un cenno con la testa: « Come facevate…
prima? »
Lei prese un sorso più lungo della tisana calda,
accogliendone l’effetto rilassante: « Keiichiro, per la maggior parte,
per le
cose più banali. Ma tranne per la battaglia finale… non è mai stato
troppo
terribile. Non così, almeno. »
« Ora sei tu che ne parli come se niente fosse. »
Zakuro si strinse nelle spalle, notando come in effetti
il dolore pareva essersi attenuato: « Ho – abbiamo – dovuto abituarci,
o
saremmo impazzite. Normalizzare il fatto che mi spuntano le orecchie e
la coda
da lupo, renderlo davvero una parte di me, era l’unica maniera per
andare
avanti. Forse addirittura per un certo periodo mi è mancato. Ma guai a
te se lo
dici a Shirogane. »
L’uomo rise sottovoce e fece il gesto di chiudersi la
bocca con una zip e gettare via la chiave, invogliandola con un cenno
del capo
a continuare.
« Paradossalmente è meno normale stare qui a parlarne con
te. »
« Devo prenderlo come un complimento? »
Lei poggiò la testa contro lo schienale della poltrona e
lo studiò per un istante: « Non c’è mai stato nessuno di esterno con
cui poterne
discutere. Qualcuno la cui maggior parte della vita non ruota attorno a
questo,
almeno. È rinfrancante, anche non doverlo spiegare. »
Joel la guardò con una punta di soddisfazione che lei non
mancò e che le solleticò piacevolmente la spina dorsale.
« Come siamo sincere, oggi. »
« Sono chiaramente i medicinali. »
Lui rise sarcastico, alzandosi e avvicinando il viso al
suo: « E tu dicevi che non funzionavano. »
L’avrebbe persa.
L’avrebbe persa di nuovo.
L’avrebbe persa per sempre.
Non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
Aveva visto lo shock, la realizzazione, la paura nei suoi
occhi, non appena era riuscito a riabbracciarla, e ora temeva che la
sua paura
più grande potesse compiersi.
Che lei vedesse cos’era davvero, che capisse
quanto non la meritasse.
Non si rimangiava ciò che aveva fatto, no, sapeva che era
stata l’azione giusta da compiere anche e soprattutto per proteggere lei,
ma se solo fosse riuscito a spiegarsi…
Il beep beep beep insistente del computer
principale gli provocò un fastidioso ronzio alle orecchie, e Pai sforzò
gli
occhi ormai secchi e iniettati di sangue per controllare le
informazioni sul
monitor.
Una ruga gli si segnò profondamente sulla fronte: perché
diamine adesso il monitoraggio della Mew Aqua segnalava di nuovo una
quantità
ingente sparita nel…
« Yo. »
Pai sobbalzò visibilmente sulla sedia quando Kisshu
comparve all’improvviso nel laboratorio, senza premurarsi di accendere
il resto
delle luci nella stanza. Lui soffiò tra i denti e si sfregò le
palpebre,
levandosi gli occhiali.
« Credevo Aizawa ti avesse fatto passare la mania di
certe pessime maniere. Che ci fai qua? »
Il minore ignorò la frecciatina e afferrò una delle sedie
libere, girandola così da posare i gomiti sul poggiatesta: « Passavo a
controllare. »
Pai continuò a massaggiarsi il volto: « Immagino tu
intenda il tuo lavoro, ma ho già passato in rassegna tutti i sistemi e
non c’è
niente da - »
« Io avrei fatto la stessa cosa, » Kisshu lo interruppe
tranquillamente, non perturbato da come il fratello stesse fingendo
noncuranza,
« Anzi. Sto ancora aspettando di averne la possibilità. »
Il maggiore rallentò il proprio movimento nervoso, ma
persistette a non guardarlo in faccia.
« La fai facile, tu, » mormorò esausto e roco dopo qualche
secondo, « Aizawa è più pragmatica su certe cose. Basta vedere cos’ha
combinato
oggi. »
« La pesciolina non è certo un’ingenua, sa benissimo in
che razza di situazione ci troviamo. Devi solo darle il tempo di
elaborare. »
« Kisshu, non mi servono le paternali. »
« Non è una paternale, ma… » il verde sbuffò e scosse la
testa prima di lasciare la sedia e alzare le mani, « D’accordo, come
vuoi tu,
era solo per venire a vedere come stavi, Mister Pezzo di Ghiaccio. Non
siamo su
Duuar, non devi farti andare bene tutto a muso duro, sai. »
« Proprio perché non siamo su Duuar, non è – ah,
lascia perdere, » Pai fece schioccare la lingua e si riconcentrò sul
monitor, «
Non puoi capire. »
« Come no, » commentò solo Kisshu da sopra la spalla,
avviandosi verso la porta senza voltarsi, « Forse invece la tua vita
sarebbe un
pochetto più semplice, se ti mettessi in quella testaccia che tutti
capiamo
molto di più di quanto pensi. »
Gli rispose solo il ticchettare furibondo della tastiera.
Kert, Rui e Zaur, tutti e tre le facce pallide e stanche,
saltarono in piedi non appena Espera risbucò dal bagno, dove si era
ripulita da
ogni traccia appartenente a Pharart.
« Allora?! » sberciò Kert, i pugni stretti e un nodo
nello stomaco che gli rendeva roca la voce.
« Se la caverà, » esclamò lei decisa, per poi fissare Rui
con un misto tra decisione e angoscia, « Ma deve rimanere a riposo
assoluto per
almeno dieci giorni, due settimane sarebbe ancora meglio. Ho fatto il
meglio
che potevo, ma i nostri strumenti qui sono quello che sono. »
« Assolutamente, » lui annuì convinto, « Non ho
intenzione di mettere ancor più in pericolo un mio compagno. »
Mentre Kert si risiedeva sul divano con uno sbuffo, Zaur
guardò il suo comandante: « Non sarà presa bene. »
« Non m’interessa. »
« Se possono aspettare per lei, possono aspettare
anche più a lungo per un membro ufficiale di questa squadra. »
Rui ignorò Kert e si morse l’interno della guancia: «
Penseremo a qualcos’altro. Ora andiamo a riposare anche noi, o non
combineremo
davvero nulla. »
Espera gli si avvicinò, avvolgendolo in un abbraccio che
forse lei necessitava ancora di più, imponendosi di ignorare lo sguardo
glaciale che Kert le aveva rivolto.
Nonostante la tendenza all’ottimismo e all’energia, Purin
fu contenta che, il giorno dopo, Akasaka avesse deciso di aprire il
Caffè solo
per il turno pomeridiano. La botta della battaglia era stata più
intensa di
quanto avesse anticipato, e lei e Taruto si erano ritrovati a dormire
fin quasi
all’ora di pranzo; anche ora che stavano percorrendo il vialetto
assieme,
diretti alla struttura rosa e bianca, non si sentivano affatto riposati
quanto
avrebbero dovuto, ed ogni tanto la mewscimmia testava la capacità di
espansione
di polmoni e cassa toracica, giusto per controllare che le radici che
l’avevano
stretta non avessero causato troppi danni.
« Ehi, Reta-chan! » la sagoma della mew verde sbucò dal
lato opposto, e Purin le sorrise contenta, « Come stai? Niente di
rotto? »
L’amica accennò a un sorriso poco convinto: « Sembrerebbe
di no. Voi tutto bene? »
Taruto la studiò preoccupato, gli occhioni blu contriti e
le pesanti occhiaie sotto di essi fin troppo notevoli: « Ce la caviamo.
»
« Devo evitare i miei fratellini per un po’, » sospirò la
biondina, « O penseranno che Taru-Taru sia un poco di buono, con il
macello che
ho sul collo. »
Si scostò un po’ la sciarpa che indossava, rivelando
l’alone blu lasciatole dalla radice che le aveva stretto la gola poco
prima che
Ichigo riuscisse a intervenire, e Retasu la guardò sconsolata:
« Mi raccomando, Purin-chan, se ti serve qualcosa… anche
se pure io ormai non so cosa inventarmi con i miei. Fortuna che le
maniche
lunghe non sono fuori luogo, ormai. »
« Ma scusate, perché non abbiamo mai pensato a una base
segreta extra, » inquisì a voce alta Purin mentre s’incamminavano tutti
verso
l’ingresso, « Dove possiamo trasferirci tutti così da minimizzare
questo tipo
di interazioni. Tipo casa di Minto nee-san. »
« Fidati, tu non vuoi convivere con Kisshu. »
« Secondo me sarebbe divertente! Poi così saremmo sempre
insieme. »
« Ripeto, non vuoi passare tutto il tempo con i
miei fratelli. »
« Sei solo geloso, Taru-Taru. »
Retasu ridacchiò delle loro chiacchiere, ma esitò a
dirigersi insieme a loro verso gli spogliatoi; il Caffè pareva deserto,
ma
sapeva benissimo dove avrebbe trovato Pai, e non avrebbe potuto
concentrarsi
per nulla se non fosse almeno riuscita a salutarlo prima che iniziasse
il caos
del servizio.
« Ah, Purin, ti raggiungo dopo, voi intanto andate. »
« D’accordo, ti
lascio la merenda da parte allora! »
La verde annuì, girò sui tacchi mentre prendeva un
respiro e fissò le scale del seminterrato, gli ultimi gradini avvolti
nella
penombra che le sembrarono significativi del suo stato d’animo.
Su, forza e coraggio, non è mica la prima volta che ci
parli, anzi…
Strinse la ringhiera e s’incamminò lenta, ripetendosi
mentalmente le cose che avrebbe voluto – o dovuto – dire, come un
mantra di
rassicurazione, concentrandosi sul respiro e sui suoi passi così da non
capitombolare giù, attirando più attenzione di quanto avrebbe voluto.
Quando arrivò al seminterrato, notò che la porta del
laboratorio era socchiusa, e le voci di Pai, Kisshu, e Akasaka
filtravano
sottovoce.
« Non è la prima volta che il sistema fa così, » stava
esclamando Kisshu con tono scocciato, « Anche quando la tortorella…
quindi
magari è solamente un errore. »
« Non può essere un errore, te l’ho già detto, » sbottò
stanco il maggiore degli Ikisatashi, « I nostri sistemi, almeno su questo,
non fanno errori. »
« Ma se non riescono nemmeno a localizzare i nostri
amici! »
Keiichiro si intromise tra i due, e Retasu poté
immaginarsi la ruga tra gli occhi: « Questo invece hai detto che non si
era mai
verificato? »
« Non che mi sia accorto prima, né ne ho trovato traccia
sui registri. »
Retasu stessa corrugò la fronte e cercò di avvicinarsi di
soppiatto per capire di cosa stessero parlando, i loro mormorii che si
fecero
più sordi, ma ebbe fatto tre passi che la porta del laboratorio si aprì
del
tutto, rivelando il pasticcere.
« Ah, Retasu-san, buon pomeriggio! Scusatemi, non mi sono
accorto che si era già fatta ora di apertura. Purin-san è di sopra? »
Lei non poté evitare di arrossire, sentendosi colta in
fallo anche se non aveva fatto niente di sbagliato, e annuì nervosa: «
Sì, con
Taruto-san. Io ero, uhm… »
« Pesciolina, qual buon vento, » Kisshu, lui stesso con
un viso piuttosto segnato, uscì stancamente dallo stanzone e scrocchiò
il
collo, « Non ditemi che è già ora di iniziare la tortura. »
Retasu rise e sbirciò oltre la sua spalla: « Come sei
drammatico, Kisshu-san. »
L’alieno la guardò per un istante e le sorrise: « Tutto a
posto? »
Lei si sentì fin troppo scrutata dalle iridi dorate e
riuscì solo a muovere il capo in un gesto confuso. Lui le diede un
buffetto
sulla testa e, prima di allontanarsi al piano superiore, fece in tempo
a
bisbigliarle qualcosa all’orecchio che la fece sorridere prima che Pai
comparisse corrucciato sulla soglia.
« Che ha detto? »
Retasu non seppe se il suo cuore iniziò a battere agitato
per la sua presenza o per il suo tono scontroso: « Niente, solo una
sciocchezza. »
Pai fece schioccare la lingua con fastidio, poi sospirò e
si fece da parte, lo sguardo che si addolcì posandosi sulla ragazza.
« Come stai? »
Lei scrollò le spalle: « Ammaccata, » esalò, « E stanca;
non ho dormito granché. Qui tutto bene? »
Le dita di Pai fecero per sfiorarle una gota, ma poi
ricaddero pesantemente lungo il fianco dell’alieno: « Come mai non sei
riuscita
a dormire? »
« Forse ero… troppo stanca. E non è stata una giornata
facile. »
« Retasu, » la voce scura si fece ancor più brusca mentre
Pai tentennava se avvicinarsi di più a lei o al contrario farsi
indietro, «
Dimmi la verità. »
Lei inspirò di scatto, tentando di ignorare il pulsare
del suo petto e il nervosismo crescente: « È la verità, » mormorò
sottovoce,
intrecciando forte le mani solo per tenerle ferme, « Io non… non sono
come le
ragazze, non mi è mai piaciuto combattere, e… e ieri è stato difficile,
per
me. »
Questa volta, il passo indietro di Pai fu ben chiaro, e
la colpì come uno schiaffo, intanto che il viso del ragazzo si faceva
ancora
più cereo: « Non posso biasimarti, né chiederti di restare, se ciò che
è
successo è troppo per te. »
La Mew Mew scosse la testa: « N-non lo è, ma… cioè, sì,
d’accordo, lo è, però… » fece un respiro profondo
e alzò lo sguardo,
rivolgendogli gli occhioni blu colmi di lacrime, « Sei sempre tu. »
L’alieno la fissò, quasi studiando ogni centimetro del
suo viso alla ricerca del più piccolo tentennamento.
« Non pensare che sia fiero di me stesso, » mormorò a
voce così bassa che Retasu faticò a comprenderlo, « Ma sono disposto a
qualsiasi cosa pur di proteggerti. E comprendo, se ciò ti provoca
disgusto. »
La verde lo guardò scioccata, avanzando verso di lui e
prendendogli il volto tra le mani: « Cos – no, Pai, non potrei mai
esserlo. Ho
solo bisogno di… di capire. Di accettare la realtà dei fatti. »
I palmi di Pai si posarono sui suoi, stringendole le dita
come se in realtà volesse allontanarla: « Non posso vivere al pensiero
che tu
abbia paura di me, Retasu. »
Lei rimase stoica, facendo ancora mezzo passo in avanti:
« Non ho paura di te. Ho paura della situazione, ho paura di perderti.
Ma di te
mai. »
Pai parve rilassarsi di una frazione, ma non cambiò
espressione, accarezzandole solo il dorso della mano con un pollice: «
Sei
troppo buona. »
« Smettila di dirlo come se fosse un insulto. »
Finalmente le rivolse l’ombra di un sorriso, inclinandosi
di più verso di lei: « Tutto il contrario. »
Anche Retasu incurvò le labbra all’insù, seppur con un
tremolio: « Possiamo… parlarne un po’? »
« Certo, » Pai annuì e le lasciò andare le mani, aprendo
appena le braccia ed espirando del tutto quando lei vi si raggomitolò
dentro,
il profumo dei suoi capelli che lo invase come una rassicurazione, « Di
tutto
quello che vuoi, per quanto vuoi. »
§§§
Il fracasso del cemento che si frantumava addosso alle
sue amiche l’assordò anche attraverso gli altoparlanti del laboratorio.
Provò
ancora l’inutilità del proprio comunicatore, dei richiami senza
risposta, quel
senso opprimente di pressione al petto che non la lasciava proprio
stare.
Poi Ichigo cominciava a cadere e lei volava così
veloce da sentire dolore in ogni singola piuma, o forse era lei che
stava
cadendo di nuovo, senza rallentare, solo il boato della battaglia come
sottofondo, e quella voce che…
Minto si tirò su di scatto e prese un respiro, piantando
bene i palmi contro al materasso per assicurarsi che no, nonostante
l’odiosa
sensazione nello stomaco, non stava cadendo, era al sicuro nel suo
letto, nella
sua stanza, illuminata e –
Perché era così illuminata?
Nonostante l’ottundimento per il sonno interrotto in
maniera così brusca, saltò giù dal letto come una furia non appena ebbe
lanciato un’occhiata alla sveglia e un’altra al suo cellulare per
accertarsi
realmente di che ore fossero. Aveva dormito ben oltre all’orario
prefissato, e
ora era in indiscutibile ed insopportabile ritardo per il suo
appuntamento con
Zakuro.
Stringendo un paio di maledizioni tra i denti – perché
diamine Kisshu non l’aveva svegliata!? Perché se n’era andato senza
avvertirla?! – si preparò il più velocemente possibile,
senza neanche
perdere tempo ad avvisare la onee-sama con un messaggio, quasi
abbaiando che le
fosse preparata l’automobile, ignorando completamente l’elegante
colazione che,
come ogni mattina, l’aspettava nel salottino preferito.
Odiava, odiava con tutta sé stessa essere in ritardo,
soprattutto per delle stupidaggini come il poco e cattivo sonno, o per
le
mancanze altrui; e poi il lavoro era l’unica cosa in quel momento che
le dava
costanza, che le teneva lontano distrazioni poco piacevoli, pensare di
non dare
il massimo e gravare su Zakuro non era per niente accettabile.
Si dovette trattenere dall’ordinare all’autista di andare
quanto più veloce possibile, intanto che finiva di darsi gli ultimi
ritocchi
sul sedile posteriore e continuando a lanciare pensieri maligni a
destra e a
manca, dal traffico inesorabile di Tokyo a Shirogane e i suoi
esperimenti
genetici. Quando finalmente la limousine si fermò davanti all’elegante
complesso di appartamenti in cui viveva la modella, Minto si lanciò
fuori con
un ultimo commento distratto sul non aspettarla né tornare a prenderla,
il naso
infilato nella grossa borsa nera alla ricerca del mazzo di chiavi
giusto.
Salutato il portiere in maniera spicciola e sfogato metà della
sua frustrazione sul pulsante dell’ascensore, arrivò quasi senza fiato
all’ultimo
piano, davanti all’entrata del loft di Zakuro. Suonò il campanello, ma
come di
consueto infilò le chiavi nella toppa prima di ricevere risposta.
« Buongiorno onee-sama, scusa il ritardo! » esclamò ad
alta voce, « Ma non ho sentito la svegli – ah. »
La voce le si affievolì mentre gli occhi si posavano sul
paio di scarpe chiaramente maschili riposte all’ingresso, e lei percepì
in quel
momento il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e che evidentemente
non era
in utilizzo dalla mewwolf, la quale le comparve davanti in
quell’istante con in
mano una tazza di caffè.
« Buongiorno, Minto, non preoccuparti, » le sorrise,
facendo finta di non notare la sua espressione stizzita, « Non ti
ricordi? Le
riprese sono sospese fino alla settimana prossima. »
La mora si lasciò scappare uno sbuffo irritato mentre
l’informazione faceva effettivamente capolino dai meandri del suo
cervello.
« Ah, certo, giusto… » borbottò, scuotendo la testa, poi
si concentrò per essere più pimpante, « Allora possiamo approfittarne
per
rivedere l’agenda degli impegni futuri? So che Tanizaki-san voleva
renderti
partecipe di un paio di campagne, ma ho paura che possano coincidere
con – »
Zakuro la fermò con una mano leggera sulla spalla: «
Minto, in realtà credo che dovremmo rallentare e goderci questi giorni
di
pausa, senza andare in overbooking. Soprattutto con
quello che sta
succedendo ultimamente, farebbe bene anche a te, non trovi? »
Il viso di Minto si accigliò di scatto e lei boccheggiò
un paio di secondi prima di esclamare: « Cosa vorresti intendere? »
« Niente. Non c’è fretta di riempire i tempi morti, siamo
già abbastanza stressate, e parlo di tutte noi. E sia come tua
assistita che
come tua amica, prenderti un respiro sarebbe – »
« Non mettere in
mezzo me se t’importa solo di passare del tempo con lui. »
Zakuro rimase stoica allo sbotto improvviso, stringendole
solo un po’ di più la spalla: « Sto cercando di aiu – »
« Che poi vorrei capire cosa ti stia passando per la
testa, con quello là, » continuò imperterrita la mora, lanciando
un’occhiataccia di fuoco oltre il corridoio d’ingresso dove ancora
sostavano, «
Ha quanto, trentun anni? E ancora deve andare a importunare le
ventenni?! »
« Minto. »
« E poi, non sappiamo niente di lui! Metti… metti
che lo stia facendo solo per il suo lavoro, di cui abbiamo pochissimi
dettagli!
Metti che… che sia tutta una trappola, che ti voglia studiare,
o – »
« Minto, ora basta. »
Il tono della modella la fece trasalire e zittire
d’improvviso, la bocca che si strinse in una linea severa.
« Ti sono sempre molto riconoscente del fatto che ti
preoccupi per me, anche quando la tua apprensione è mal posta, » sibilò
gelida
Zakuro, « Ma prima di dirci qualcosa di cui poi ci pentiremo, ritengo
sia
meglio tu vada. »
Le iridi color caffè tremolarono lucide, ma Minto alzò il
naso e si limitò ad annuire, le nocche strette attorno al manico della
borsa
che impallidirono.
« D’accordo, » esclamò indispettita, « Se hai bisogno sai
dove trovarmi, non ti disturbo oltre. »
Girò sui tacchi e non si voltò indietro, sforzandosi di
controllare il tremolio del proprio mento almeno fino a quando si
chiusero le
porte dell’ascensore.
Espera bussò dolcemente all’ingresso della camera che ospitava
Pharart e attese qualche istante; non udendo nessuna risposta, si
bilanciò
meglio la bacinella d’acqua contro il fianco ed aprì la porta, facendo
sbucare
solo il viso dalla fessura.
« Sono ancora vivo. »
Sorrise al fievole commento roco del ragazzo ed entrò più
decisa, raggiungendo il letto: « Ciao, come stai? »
« Come qualcuno a cui hanno perforato le budella. »
La ragazza sorrise ancora e gli sfiorò la fronte con il
palmo, assicurandosi che la temperatura non fosse salita nuovamente: «
È ora di
cambiarti di nuovo la fasciatura. Ma prometto che diventerà sempre meno
fastidioso. »
Pharart grugnì lamentoso, fissando il soffitto con
concentrazione: « Dimmi che almeno tra un po’ potrò uscire da qui. Sto
cominciando a essere inghiottito dal materasso. »
L’aliena rise e iniziò a lavorare con attenzione: « È
passata una settimana, direi che è stato il periodo più delicato. La
ferita si
sta rimarginando bene, ma voglio essere cauta. Tu come ti senti? »
« Posso mentirti e dire che voglio lanciarmi giù dal
letto? »
« Assolutamente no. »
Si scambiarono una risata, ed Espera tastò con accortezza
la cicatrice arrossata che ora gli decorava l’addome. Pharart sibilò
tra i
denti e l’aliena corrugò la fronte, concentrandosi per trasmettergli
quanta più
calma e tranquillità possibile.
« Come fai? » domandò dopo un po’ il biondo, mentre lei
intingeva una spugna nella bacinella e prendeva a lavarlo delicatamente.
Espera ci pensò su un attimo, stringendosi nelle spalle:
« Non so come spiegarlo, io vi sento e basta. A volte è come se potessi
percepire anche il colore di un’emozione, quando è molto forte. È anche
per
questo che ho voluto dedicarmi alle cure, per riuscire a spargere
quanta più
positività possibile; anche perché non è sempre semplice riuscire a
influenzare
l’umore altrui. »
« Ma non stai male? »
« Un po’, » replicò lei, iniziando a srotolare la garza
pulita, « Su Gaia è più facile. »
« Come darti torto. »
Si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Espera lavorò
qualche altro istante in silenzio e infine gli sorrise: « Ecco fatto.
Mi
raccomando, sai come funziona: se inizi a sentirti male, o senti che la
ferita
è calda, fai un fischio. Vado a prenderti il pranzo, intanto. »
« Manda qualcuno di quei pigroni a farmi compagnia,
magari. Kert mi deve ancora una rivincita a shatranj(**). »
Lei annuì e lo salutò con un cenno, rassicurata di
vederlo in condizioni via via migliori. Si sbarazzò dell’acqua
intiepidita in
bagno, si risciacquò viso e mani, e infine si diresse verso il salone
principale, dove i rimanenti tre della compagnia passavano la maggior
parte del
tempo.
« Qualcuno ha pensato a mettere qualcosa sotto i denti? »
Kert, in piedi vicino al monitor principale, la guardò
storto: « Abbiamo pensieri ben più gravi. »
« Me lo ricorderò, sai, quando sentirò lamentarti, » lo
riprese lei in uno scatto d’ironia che gli fece guizzare il
sopracciglio
pallido, però poi intercettò lo sguardo preoccupato di Rui, che le
sorrise
mesto:
« Il Consiglio è un po’ stanco dei nostri aggiornamenti
speranzosi ma vacui. Stanno richiedendo di rivedere le strategie. »
Zaur fece schioccare la lingua, scocciato, e il maggiore
dei Tha lo echeggiò.
« Possibile che non gli importi nulla? »
« Ci sono interessi ben più grossi, Kert, e lo sai anche
tu. »
Lui sibilò qualcosa sottovoce, poi si rivolse di nuovo a
Espera con cattiveria: « Tu, principessina, pensi di renderti utile in
un lasso
di tempo sensato? »
La ragazza cercò di rimanere impassibile a
quell’affermazione, ben sapendo quale fosse il non detto a cui Kert
stava
riferendosi e perciò inveendogli contro silenziosamente dentro di sé;
poté
anche percepire un brivido strano che le corse lungo la schiena e che
le fece
tremolare la mano, unito alla voglia di tirargli un altro cazzotto, poi
però
un’idea le arrivò in quel momento e lei raddrizzò la schiena: forse, se
fosse
riuscita a parlarle, a spiegarle la situazione sfruttando quest’ultima
necessità…
« Io forse un’idea ce l’avrei. »
La visita non la prese del tutto alla sprovvista, ma le
fece comunque uno strano effetto trovarsi Kisshu davanti alla
portafinestra del
balcone.
« Cos’hai contro la porta d’ingresso? » l’accolse Zakuro
a voce bassa, e lui si scrollò nelle spalle:
« Questo è più veloce, e poi ci sono ottomila telecamere
in questo palazzo, devo evitare che a mio fratello venga l’ennesima
sincope. »
Lei non commentò, come decise di non commentare il fatto
che era in giro in maglietta alle dieci di una sera di fine ottobre, ma
gli
fece strada fino ai divani. Si accomodò su uno dei braccioli, ma Kisshu
rimase
in piedi circa al centro della stanza, il viso scuro e le mani poggiate
sui
fianchi:
« Vogliamo continuare a far finta che vada tutto bene? E
che sia solo questione di tempo? Finché litiga con me ancora okay, ma
con te?
Mi sembra un segnale ben chiaro. »
Zakuro si picchiettò un ginocchio con un dito,
arricciando appena le labbra: « Raramente Minto ha avuto mezze misure
riguardo
le proprie opinioni, ma questa volta ha esagerato. »
« I dettagli non mi interessano, sono fatti vostri, però
non venirmi a dire che non sei preoccupata del suo comportamento, »
Kisshu si
passò le dita tra i capelli, il ciuffo della frangia che rimase
spettinato
all’insù, « D’accordo, la tortorella è parecchio drammatica, ma – »
« Cos’è successo dopo che è andata via da qua? »
Lui sbuffò e scosse la testa: « Sono passato da lei per
cena e praticamente mi ha sbranato, accusandomi di non averla svegliata
apposta
perché la stiamo trattando tutti come se sia malata, che tu stessa non
la
ritieni capace di gestire la situazione e l’hai voluta allontanare – ti
risparmio i commenti sul tuo moroso. Quando le ho fatto notare che non
avevi
tutti i torti e che questa settimana di respiro fa bene a tutti, ha
ricominciato a dire che nessuno di noi la sta a sentire e che,
fondamentalmente, siamo tutti degli egoisti iperprotettivi. Non so se
non se ne
renda conto, o se faccia finta di niente, » aggiunse poi con un ultimo
sbuffo.
Zakuro rimase in attesa, così lui continuò il suo sfogo, incominciando
a
librare a mezz’aria a gambe incrociate:
« Dorme tantissimo, ma non dorme bene. Mi sveglio in
continuazione perché la sento che si agita, che borbotta, ho perso il
conto di
quante volte si è svegliata di colpo in piena notte – e devo far finta
di non
accorgermene, di continuare a dormire, perché se solo provo a
consolarla
s’incazza come una biscia e mi dà del pesante. E se non ci sono io,
dorme con
tutte le luci accese; non passa neanche per il corridoio se la luce è
spenta.
Poi l’hai visto pure tu come ha reagito la settimana scorsa, e non mi
pare che
la situazione stia migliorando. »
Kisshu prese un respiro, poi fece schioccare la lingua in
maniera dolorosamente sarcastica, fissando gli intricati decori del
tappeto
persiano: « E queste sono le cose che noto quando sto con lei, che è
molto meno
spesso di quanto vorrei. Perché non credo di dovertelo dire che il più
delle
volte sembra faccia pure fatica a guardarmi negli occhi, o a rivolgermi
la
parola. Per non dire altro. Sono qui a quest’ora, dopotutto. »
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri. Zakuro
continuò a tamburellare sulle proprie gambe, cercando di articolare i
pensieri;
Minto non gliene aveva mai parlato, ma non le era necessario perché
sapesse che
ci fosse stato di più di quello che aveva rivelato sui loro nemici, o
che
almeno, l’impatto del suo rapimento sulla sua psiche fosse maggiore di
quanto
le piacesse dare a vedere. Ma costringere Minto in una direzione
diversa da
quella che si era prefissata non era mai stato un’impresa semplice,
perdipiù se
veniva messa in discussione la sua capacità di resistenza, o la sua
autonomia.
« Non so cosa fare, » esalò ancora Kisshu, la voce
stanca, « Se inizia a isolarsi anche da voi… »
« Dalle un po’ di tempo per sbollire, » disse infine la
modella, « E dallo anche a me. Le voglio bene, e capisco la situazione,
ma ciò
non le dà adito di dire le cose che ha detto, o almeno nella maniera in
cui lo
ha fatto. Ma non la lasceremo sola, se è ciò che ti preoccupa, neanche
se o
quando ce lo chiederà. Però, e soprattutto, non dovremmo starle
addosso,
nessuno di noi, e tu in primis. »
« Facile a dirsi, » replicò lui, « Non sei tu quella che
viene evitata come se avessi la peste. »
« Appunto, insistere ti tornerà solo indietro come un
boomerang. Quando si sentirà pronta, vedrai che sarai lei a cercarti;
nel
frattempo, possiamo spingerla piano verso la
direzione giusta. Ti ha
ascoltato, durante l’ultima battaglia, ed è rimasta in disparte. »
« Sì, per la prima mezz’ora. »
« Meglio che niente. »
Lui fece uno sbuffo e annuì lento, facendo penzolare una
gamba nell’aria: « E se alla fine non vuole cercarmi più? »
Zakuro esitò una frazione di secondo, ma cercò di
sorridere incoraggiante: « Chi è che è parecchio drammatico, ora? »
Kisshu fece una smorfia poco divertita, poi si raddrizzò
e si scrocchiò il collo: « Torno al Caffè. È stata una giornata
infernale, e
Pai vuole un aggiornamento costante dei sistemi. Almeno lui e la
pesciolina
hanno fatto pace. »
La modella si alzò e lo seguì di nuovo alla finestra: «
C’è qualcosa da monitorare di più? »
« No, no, » la schiena rivolta a lei, Kisshu agitò solo
una mano come a dirle di non preoccuparsi, « È solo mio fratello che è
paranoico. Tutti in tema, eh? »
Lei rispose solo con un arriccio delle labbra, non del
tutto convinta, e un ultimo cenno di saluto, prima di guardarlo
teletrasportarsi via.
§§§
Che si detestassero a vicenda era un dato di fatto. Che
Seles fosse una vipera vendicativa era una novità.
Non sapeva neanche se avere più rispetto per lei, dopo
quella trovata: chiaramente era stato un gran colpaccio, un’idea
geniale, anche
perché quelle due si conoscevano così bene, Seles non poteva non averle
parlato
di tutto, compreso quello che interessava a lui.
Però lui aveva sperato fino alla fine che il Consiglio
non approvasse il suggerimento, e anche una volta che era arrivato il
via
libera, per l’intera settimana successiva lui aveva auspicato che non
succedesse davvero. Era diventato talmente nervoso
che pure Pharart –
seppur convalescente, lo stronzo, aveva abbastanza
fiato per prenderlo
in giro senza sosta, e Zaur con lui – a un certo punto lo aveva trovato
insopportabile, chiedendogli di lasciarlo stare per un paio di ore.
Espera
figuriamoci, non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a rendersi a lui
così
invisibile per quella decina di giorni, ben conscia del danno
che aveva
provocato.
E invece no. Stava per succedere davvero, e il segnale
d’arrivo aveva appena raggiunto i loro server.
Dopo innumerevoli rotture di scatole attraverso un
ologramma perfetto, Sunao comparve davanti a loro in carne ed ossa, il
nuovo
membro della missione di Gaia sulla Terra, a dare supporto addizionale
ora che
uno di loro era ferito e, quindi, la loro efficienza si era ridotta
ulteriormente.
Rui sorrise smagliante, inclinando appena la testa verso
la nuova arrivata: « Sunamora, benvenuta. È un piacere e un onore
averti tra
noi. »
Espera non attese un istante e si lanciò al collo
dell’amica con un gridolino contento, quasi spezzandole il fiato mentre
rispondeva: « È un piacere anche per me. Credo che ci divertiremo. »
Kert alzò gli occhi al cielo a quel commento, e si limitò
a un saluto spiccio non appena lei fu libera dalla presa della mora: «
Sunamora. »
« Tha. »
Sunao gli sorrise, divertita dal suo evidente fastidio;
una frazione di secondo dopo, Pharart – che non si sarebbe per niente
perso
l’occasione – s’intromise tra di loro, porgendole la mano con
un’espressione
smagliante:
« Kyurai Pharart. Piacere di fare finalmente la
tua conoscenza di persona. »
L’aliena rise e gli strinse la mano: « Ah, il nostro eroe
ferito in battaglia. Ho sentito molto parlare di te. »
« Solo cose irreprensibili, spero. »
Kert fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo:
« Dovresti essere a letto. »
« L’hai sentita, sono un eroe. Un eroe non si abbandona
al proprio dolore. »
« Tu sei un imbecille. »
Espera scivolò leggera tra di loro per prendere Pharart
per le spalle prima che il tic nervoso della mascella di Kert
diventasse ancora
più evidente.
« Ha ragione, sai, » esclamò, « Torna a riposarti. »
Il biondo finse una smorfia scioccata: « Devo essere sul
punto di morte, se tu e Kert siete d’accordo. »
« Finiscila. »
Sunao rise ancora e gli fece l’occhiolino: « Avremo modo
di chiacchierare, ne sono certa. »
« Aspetterò con impazienza, » Pharart replicò con
altrettanta malizia e accennò a un inchino, nonostante il volto che
perse
velocemente colore.
Espera lo spinse un po’ più decisa verso l’uscita, quasi
trascinandolo via, mentre Kert sbuffava sonoramente e l’aliena dai
capelli
violetti continuava a ridere.
« Dargli corda non l’aiuta, se non si regge in piedi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo: « Invece è un buon segno
se mantiene il suo spirito. »
« Quello sempre, » lui seguì la sagoma dell’amico con gli
occhi, poi esalò e si passò nervosamente una mano tra i ciuffi grigi, «
Credo
sia anche una maniera di accantonare il pensiero che in pratica
l’abbiamo
riacciuffato per un pelo. »
La ragazza lo studiò incuriosita: « Non ti vedevo così
abbattuto da un bel po’. »
« Non avevamo mai rischiato così. »
« Scommetto che una maniera di tirarti su la trovo. »
Kert le rispose solo con un ringhio poco divertito al
doppio senso, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla, ma le fece
comunque
un cenno mentre s’incamminava lungo il corridoio. La precedette
all’interno
della propria camera e si lasciò cadere sul divano, facendolo cigolare
lamentosamente. Sunao lo seguì svelta e gli porse una bottiglia di
vetro prima
di sedersi accanto a lui, poggiando il gomito sulla spalliera e
raccogliendo le
gambe contro di sé:
« Pacco speciale. »
Lui emise un verso di soddisfazione: « Come l’hai
motivata la cassa di ollit? »
« Un regalo per il morale dei nostri eroi. »
Kert sbuffò, scostandosi i capelli dal viso con un cenno
del capo: « Sunamora, stai cercando di corrompermi. »
Lei ridacchiò e fece cozzare gentilmente le rispettive
bottiglie: « Mai negato il contrario. »
L’alieno prese un sorso, poi sospirò pesantemente e si
passò una mano su viso: « Il Consiglio deve ritenere che siamo in un
bel
casino, per mandare te. »
« Rui ha comunicato la prognosi suggerita da Espera, non
l’hanno ritenuta ottimale. »
« Tsk, » lui fece schioccare la lingua, « E
figuriamoci. »
Si afflosciò di più sul divano, massaggiandosi la radice
del naso e buttando la testa all’indietro contro la spalliera mentre
Sunao
rideva sottovoce:
« Comunque grazie del complimento. »
« Sottintendevo che tu sei una grandissima rompipalle. »
« Prometto che cercherò di essere clemente con te durante
gli allenamenti. »
Kert emise uno stridulo verso di naso condito di
incredulità prima di lanciarle un’occhiataccia, poi però sbuffò: « Non
ti sto
dando ragione, né tantomeno al Consiglio, ma a volte mi chiedo se
davvero non
abbiamo sottovalutato tutto questo. Sicuramente non avevamo tutte le
informazioni necessarie, e quei Duuariani… »
Sunao si spostò appena sul divano, le dita della mano
sinistra che gli sfiorarono la spalla: « Non dirmi che sei davvero
preoccupato.
»
« I pianetini attorno a Gaia al massimo avevano una fauna
ipertrofica che non era in grado di infilzarti con la tua stessa arma.
»
« Come se non avessi avuto da discutere anche con loro, »
lo prese in giro, « Ma sei carino quando ti preoccupi per il tuo amico.
Che non
mi avevi mai presentato, tra parentesi. »
Kert la guardò di nuovo male: « Da quando te li devo
presentare io? »
L’aliena rise e bevve: « Sarebbero di fondamentale aiuto
quando diventi insopportabile. »
Lui grugnì, poi giocherellò un po’ con la bottiglia e
sospirò: « Raccontami un po’ di casa. Quali sono le chiacchiere ad Astù? (***)»
« A parte la costante narrazione delle vostre gesta, vuoi
dire? Credo che tra un po’ il Consiglio interverrà per fare tacere
Euribe. »
Kert sbuffò al nome di sua madre: « Le manco e non vede
l’ora di rivedermi, vero? Mentre il suo bambino e la sua
perfetta compagna sono
l’ultimo dei suoi pensieri, completamente dimenticati. »
« È fiera anche di te. Tu però un po’ la osteggi, » Sunao
allungò la mano e gli sfiorò coi polpastrelli la metà di capelli che
lui
portava rasati, « Ad esempio, quando ammetterai che quest’acconciatura
è solo
per farla infuriare? »
« Tsk, » lui schioccò la lingua e poi la guardò con
soddisfazione, accennando all’insieme di tatuaggi che gli decorava
l’intera
spalla sinistra, « Mai come questi. »
« Appunto, » lei ricambiò il sorriso divertito, bevve un
sorso ed esclamò, « Ah, a proposito, Jalant e Utha si sposano. »
Kert sbarrò gli occhi alla notizia sull’amico,
responsabile dei decori sulla sua pelle: « Che stai dicendo?! Ma se
Utha non ha
accettato un appuntamento per anni…! »
« Ha accettato poco dopo che siete partiti. »
«… e in due mesi hanno deciso di sposarsi? »
Sunao fece spallucce: « A volte la perseveranza paga. »
Kert sbuffò, mormorando qualcosa sull’essere folli, e le
lanciò l’ennesimo sguardo piccato al limitatamente velato riferimento
della sua
frase; voltandosi però verso di lei, la traiettoria del suo sguardo
dorato cadde
inevitabilmente sulle sue labbra: sempre stese nella solita smorfia
soddisfatta,
lui non si domandò nemmeno se lei l’avesse notato. Era impossibile che
Sunao
non notasse qualcosa.
Non si spostò, ma preferì fissarle la punta del naso,
anche mentre le dita della ragazza continuarono a giocherellare con i
suoi
capelli cortissimi. L’avrebbe negato perfino sotto tortura, ma la
presenza di
Sunao lo stava facendo sentire più vicino a Gaia, cullandolo in un
oblio di
normalità che in quel momento gli mancò d’impatto.
« E tu che mi dici? »
Lei lo guardò da sotto le ciglia scure e fece camminare
indice e medio come delle gambe lungo la spalla di lui: « Il Consiglio
mi tiene
impegnata. Soprattutto ora che l’attenzione è concentrata su di voi. »
« Malumori? »
« Come al solito. Qualche dissapore riguardo le nuove
regole sull’espansione delle zone abitative nella regione di Harav.
Niente di
che. La vita è un po’ noiosa ora, soprattutto a sentir parlare di te
costantemente. Senza poterne approfittare. »
Kert la scrutò di sbieco: « Ma se sei sempre stata qui a
rompere le scatole. »
« Oh, su, non è la stessa cosa e lo sai. Il divertimento
arriva adesso. »
« Guarda che lo so cosa stai cercando di fare. »
« Non mi sembra di aver mai detto il contrario. »
Lui sbuffò e scosse la testa mentre svuotava mezza
bottiglia in un sorso.
« Come se non avessi avuto fior fiore di appuntamenti,
Sunamora. »
Sunao continuò a sorridere sorniona e gli si fece più
vicina: « L'unico che mi ha mai dato filo da torcere, » mormorò,
inclinando il
viso verso di lui mentre spostava appena le gambe così che lo spacco
laterale del
suo vestito scoprisse ancora più pelle nuda, « Sei tu. Vuoi continuare
pure
sulla Terra? »
« Sei appena arrivata in missione speciale da parte del
Consiglio. »
« Esatto, non vedo il motivo per sprecare tempo. »
Kert sospirò e ne studiò il volto
per un istante, così vicino al suo che sarebbe bastato un respiro per
sfiorarlo.
Era sempre stata la donna più bella che avesse mai conosciuto, ma era…
complicata. Lui era complicato. La loro amicizia era complicata, sempre
in
bilico su un limite che lui si era sempre imposto di non attraversare.
Non
aveva tempo per certe cose, non aveva nemmeno il tempo anche solo di
rifletterci.
E lei era
perfettamente capace di staccargli la testa a morsi, se avesse voluto.
« Dovresti
essere mia amica. »
« Lo sono, »
ribatté Sunao divertita, « Ricordami, da chi sei andato a lamentarti
appena
ricevuta la straordinaria notizia dell’onore concesso al fratellino? »
Il sorrisetto
sbruffone dell’aliena non fece che aumentare il suo disagio, pungendolo
sul
vivo. Dopo il suo vagabondare per ore, dopo che Pharart aveva cercato
di
rallegrarlo, sulla sponda del fiume, era stato lui stesso a cercare
Sunao, un
consistente numero di bottiglie con sé, e a procedere a sciorinare su
di lei
tutta la sua infinita frustrazione fino a notte inoltrata.
Probabilmente non
aveva neanche mai più parlato così tanto dopo quel frangente.
« Non ti
reggerei, altrimenti, quando ti ubriachi diventi insopportabilmente
logorroico.
»
Kert le fece una
smorfia poco divertita, e Sunao riprese il lento accarezzargli dei
capelli.
« È inutile che
me lo rinfacci ora, perché lo so che non ti è dispiaciuto. »
Gli occhi di lei
brillarono un istante: « Non credo dispiaccia neanche a te. »
Il tono di voce
così basso e carico di sfida gli provocò un deciso crampo allo stomaco
che lui
s’intestardì a ignorare finendo l’ollit in un fiato:
« È un’idea di
merda, Sunamora. Sotto molteplici punti di vista. »
« Hai mai
pensato che stai facendo tutto da solo? »
Lui controllò il
proprio riflesso nelle iridi lillà, contraendo ogni singolo muscolo per
non
sfiorarla, la mano di lei leggera che continuava a stuzzicarlo come
tante volte
prima, e come mai prima di allora.
Non era mai
stato un bugiardo, e non avrebbe iniziato a esserlo in quel momento,
convincendosi che non ci avesse pensato molte più volte di quanto gli
piaceva
ammettere, e che il problema era proprio quello, e cacciarvisi…
« Siamo sulla Terra,
» sussurrò Sunao, sfruttando il suo non ribattere, e si alzò per
portarsi
davanti a lui e farsi spazio tra le sue ginocchia aprendo con lentezza
i
bottoni laterali del vestito che indossava, « Le regole di Gaia non si
applicano qui. Perché non approfittarne? »
Gli scappò uno
strano ansito strozzato: « … abbiamo un incarico da – »
Gli occhi
violetti brillarono di divertimento mentre anche l’ultima asola veniva
liberata: « Tha, non essere troppo sicuro di te stesso. »
Kert rimase
stravaccato sul divano, le iridi che si tinsero di un tono più scuro
nell’osservare la pelle color latte che spuntava ammiccante, e
contrasse le
dita attorno alla bottiglia: « Tu vuoi rendermi la vita un inferno. »
Sunao rise di
nuovo a mezza bocca mentre il suo abito cadeva del tutto sul pavimento
con un
sottile fruscio di seta e lei gli si inginocchiava in fronte,
sfiorandogli le
cosce.
« Quindi dimmi
di no come fai di solito. »
Il suo pollice
si mosse a tracciare il contorno delle labbra della ragazza quasi
autonomamente, il respiro caldo che gli solleticò deliziosamente la
pelle.
Al diavolo.
Stava già tutto andando a puttane, poteva cacciarsi anche in questa.
« Non mordere, »
esalò, e il guizzo scaltro nelle iridi viola gli diede tutt’altro che
conferma.
(*)
Capitolo cinque,
Another spring
(**)
Dal nome persiano per il gioco
antico degli scacchi, dal sanscrito chaturanga che
si riferisce appunto
al gioco dallo stesso nome, antenato degli scacchi moderni. https://en.wikipedia.org/wiki/Shatranj
(***) Dal greco antico
(sì, lo so, aridaje) ἄστυ, che
indicava la parte bassa della polis (in
contrapposizione all’acropoli)
vero fulcro della città nel quale si svolgeva la vita quotidiana. https://it.wikipedia.org/wiki/Asty
|
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Capitolo 19 *** Burning in me [da qui in poi storia da modificare] ***
Burning in me
Sunao camminava tranquilla per il prato fiorito davanti al Palazzo del Consiglio Supremo.
Non ci andava per la bellezza del paesaggio; ci andava soltanto perché lì non c’era mai nessuno che la potesse disturbare.
Si sedette per terra: l’erba e gli steli erano così alti che coprivano tutta la sua snella figura.
Prese un piccolo fiore tra le dite. Rosso; rosso come il sangue che tante volte quelle mani avevano toccato ed assaporato.
Lo buttò lontano. Quello era un tempo di pace sul suo pianeta, ed era suo dovere rispettarlo.
Anche se in fondo si annoiava a morte.
All’improvviso, sentì un rumore di passi: si alzò in piedi e vide un messo correrle incontro.
“Sunamora!” gridò ansimante “I Consiglieri vogliono vederti, subito.”
Lei annuì, e con passo veloce entrò nel Palazzo, dirigendosi verso la Sala del Consiglio.
Aprì la grande porta di legno d’ebano, duro e massiccio, e si posizionò nel centro.
“Allora…” esclamò “Avete bisogno di me?”
Lei era l’unica che si permetteva di trattarli a quel modo. Era l’unica che poteva farlo. Perché, senza di lei, si sarebbero ritrovati in grossi guai.
Il Terzo Consigliere si voltò verso di lei: “Sunao, devi tornare sulla Terra. Pharart è stato ferito, ed abbiamo bisogno di tutte le forze possibili. Rui Tha non vuole attaccare finché non si sarà rimesso, e per quanto teniamo alla sua guarigione, i tempi si stanno allungando troppo. Questa missione sta durando più a lungo del previsto…”
“Pertanto…” continuò l’Undicesimo “Abbiamo deciso a voto concordante che anche tu rimarrai sul nostro vecchio pianeta, per dare una mano…”
“Ma non dovrai soltanto combattere!” preciso il Quinto “Cerca anche di convincere Kert Tha che non è lui a comandare, e che il suo pieno aiuto è molto importante per noi. Ma soprattutto, digli che non dovrà mai rivelare ciò che ha scoperto. Pena… la vita.”
La bella aliena sgranò appena gli occhi: una minaccia?
“Ora puoi andare. Partirai al nostro comando.” Concluse quindi l’Ottavo.
Lei accennò ad un inchino, e si ritirò senza dire più niente.
If I let you go
Boy I will be a fool
(What kind of girl wants to be a fool?)
Kert, Zaur e Pharart (che ancora portava una fasciatura attorno allo stomaco ma che poteva ora sedersi tranquillamente) erano immersi a giocare ad amhi, un gioco molto simile agli scacchi umani, ma il cui numero massimo di giocatori era sei.
“Beh, allora? Battete la fiacca?”
I tre alieni alzarono contemporaneamente le teste al suono di quella voce.
Pharart sorrise: “Ciao, Sunao. Qual buon vento?”
Lei rispose al sorriso: “Sono venuta per parlare con voi. Dov’è Rui?”
“Da qualche parte, con Espera…” rispose allusivo Kert.
“Bene. Allora parlerò con voi.” Si piazzò proprio davanti a loro “I Supremi hanno deciso che questa missione la sta tirando troppo per le lunghe, e hanno mandato me per aiutarvi, soprattutto ora che Pharart è stato ferito e non è più al massimo delle sue capacità.”
Kert alzò lo sguardo: “Cosa?!?”
Sunao sorrise maliziosa: “Proprio così. È un ordine, Kert.” aggiunse poi.
L’alieno dagli occhi dorati sbuffò e si riconcentrò sul gioco.
La ragazza, invece, si sedette sul divano poco distante da loro. Inevitabilmente, lo spacco laterale del suo vestito si alzò e, sempre inevitabilmente, lo sguardo di Kert e Pharart andò a finire sulle sue lunghe gambe.
“Ahh, ho perso. Mi ritiro!” esclamò l’alieno dagli occhi verdi, e si sedette vicino a Sunamora, allungando un braccio sullo schienale del divano dietro di lei “Che dici, hai voglia di chiacchierare con un povero, giovane, baldanzoso ferito?”
Lei scoppiò a ridere, ma fu Kert a borbottare il nome dell’amico in tono ammonitorio.
Lui sospirò: “Va bene, ho capito. Possibile che debba sempre cuccartele tutte tu?” esclamò, facendo ridere ancora di più la Messaggera.
“Ho vinto.” Zaur pronunciò le sue prime parole dopo due ore di silenzio, compiendo la mossa vincente.
Sunao approfittò del termine del gioco per dire: “Kert… dovrei parlarti…”
Pharart alzò gli occhi al cielo in un’espressione che significava Mi immagino quanto parleranno…, mentre l’amico si alzava e con un gesto del capo segnalava alla ragazza di seguirlo.
Si fermarono poco dopo, davanti ad una porta chiusa, lontana dal salotto.
“Cosa dovevi dirmi?” domandò il maggiore dei Tha, incrociando le braccia.
Un sorriso malizioso si dipinse sul volto della bella aliena mentre gli si avvicinava e infilava le mani sotto la sua maglietta, posandole sul petto muscoloso: “Niente che non possa essere rimandato…”
***
“Ti distrarrai dalla missione, se continuiamo così!” scherzò Kert, ansimante.
Sunao si girò sulla pancia, iniziando a percorrergli il petto con un dito: “Sei tu la mia missione…”
Un’ombra passò negli occhi ambrati dell’alieno: “Cosa vuoi dire?”
Anche la ragazza si fece seria: “I Consiglieri mi hanno incaricata di dirti di che non sei tu a comandare, ma che soprattutto devi dare tutto te stesso per la missione. Sei un elemento importante.”
Lui sorrise: “Grazie, lo sapevo già.”
“E poi…” Sunamora esitò un attimo “Poi hanno detto che non dovrai mai e poi mai rivelare ciò che hai scoperto. Se lo farai… ti uccideranno.”
Kert si lasciò andare contro il cuscino, le braccia incrociate dietro la testa: “Sembra una bella prospettiva. Un po’ lo pensavo…”
“Non dire cretinate, Kert!” esclamò la Messaggera “Non pensare sempre a fare l’eroe, questa è una cosa seria! Io ho tentato di aiutarti, ma…”
Veloce come un fulmine, Kert le prese la gola con una mano: “Hai cercato di aiutarmi? Beh, non farlo mai più. So badare a me stesso, non mi serve l’aiuto di nessuno.”
Sunao non si mosse nemmeno, ma una scintilla di rabbia brillò nei suoi occhi violetti: “Posso ucciderti in due mosse, Tha. Quindi ringrazia se ti ho dato il mio aiuto.”
L’alieno sciolse piano la stretta, e quando il suo collo bianco fu libero, Sunamora rimase immobile come una statua di pietra, come se non avesse sentito il dolore della stretta.
E poi, all’improvviso, le loro bocche ripresero possesso le une delle altre, avide, mentre venivano travolti da una nuova ondata di passione…
***
Kert si voltò sulla schiena, a braccia aperte: “Basta! Non ce la faccio più!” esclamò, respirando faticosamente “Beh, Sunamora, penso di averti ridato indietro tutti gli anni che volevi…”
La ragazza sorrise, senza fiato anche lei: “Non pensare di liberarti così facilmente di me. Usufruirò molto spesso del fatto che sei a mia totale disposizione…” rispose, avvolgendosi nel lenzuolo.
Il giovane sorrise. Che volontà del cavolo che aveva. E quanto era stato stupido! Se avesse saputo che Sunao era così, forse non sarebbe scappato per così tanto.
La Messaggera si mise su un fianco, appoggiando il viso ad una mano: “Kert… cosa provi per me?”
L’alieno la guardò con un sorriso: “Assolutamente niente, Sunamora. Solo attrazione fisica, e basta. L’amore, o una cosa del genere, sarà riservato a qualcun’altra…”
Sorrise anche lei: “Perfetto. Ricambio totalmente. Vuol dire che sarò la tua amante per tutta la vita…”
Non sentendo la sua risposta, alzò il viso e lo guardò: si era addormentato.
Sunao sospirò.
Algida, crudele e bugiarda: ecco com’era lei.
Sensibile, debole e sentimentale: tre caratteristiche che odiava, ma che stava facendo sue.
Lentamente, per paura di svegliarlo, si spostò, strisciando vicino a lui.
Appoggiò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi.
Per un effimero secondo, poteva permettersi di essere ciò che non era.
Quando si svegliò, Kert era seduto sul davanzale della finestra, già vestito.
“Ben svegliata. Hai dormito come minimo due ore. Meno male che dovresti aiutarci a svolgere la missione: sei una parte molto sveglia…” esclamò ironico.
Sunao si mise seduta: “Non è colpa mia se qualcuno mi ha fatto stancare troppo…” replicò.
L’alieno sorrise e si alzò, andando verso la porta.
“Te ne vai di già, Kert? Non ti facevo così poco resistente…” ironizzò lei “Oppure hai ancora paura di me?”
“Non dire cretinate. Io vado a fare il mio dovere, al contrario di qualcuno…” rispose gelido il maggiore dei Tha.
La Messaggera si distese a pancia in giù sul letto, lasciando che il lenzuolo scoprisse più schiena del dovuto: “Ma io sto facendo il mio dovere… non trovi?”
Si scambiarono una lunga occhiata; poi Kert sbuffò e abbassò la maniglia della porta.
Ma prima di uscire, guardò la ragazza gelidamente ed esclamò, minaccioso: “Non ci provare, Sunamora. Non provare nemmeno ad innamorarti di me!”
***
“Ciaaaaaaooo, siamo tornatiii!” Strawberry entrò sorridente nel Caffè, stringendo Kim in un braccio e salutando con l'altro “Vi sono mancata?”
“Oh, grazie a Dio se tornata!” Mina lasciò cadere l'uniforme sopra un tavolo, accasciandosi su una sedia “Finalmente posso smettere di lavorare e posso bere il mio tè in pace.”
La rossa si rabbuiò: “Naturalmente....”
“A me invece sei mancata, Strawberry!” Paddy corse ad abbracciarla “Ma dov'è Pam?”
“E' andata a casa a cambiarsi, ha un'intervista nel pomeriggio,” rispose Pie.
“Ah!” Mina si alzò in piedi “Allora devo andare!”
“No, ha detto che per oggi può fare da sola.” l'alieno dagli occhi viola la fermò, e lei si risiedette con aria afflitta.
Quiche svolazzò da lei per consolarla: “Andiamo, chérie, almeno così hai un giorno in più per rilassarti. Ed ora che è tornata Strawberry, non hai niente di cui preoccuparti!”
Ryan rise mentre i soliti tre cominciavano a bisticciare, e si avvicinò a Kyle: “Tutto bene?”
Il moro annuì: “Voglio farti vedere una cosa, però.”
Scesero assieme nel seminterrato, dove i computer ormai lavoravano 24 ore al giorno.
“Non abbiamo ritenuto che fosse qualcosa di importante, ma volevo comunque una tua opinione prima di intraprendere qualsiasi iniziativa.” spiegò Kyle.
Ryan si sedette davanti allo schermo, osservando quel cerchio verde pulsante davanti a lui: “E' un nuovo campo di forza?”
“Questo è quello che pensava anche Quiche. Ma sembra diverso da quello degli alieni.”
Il biondo premette alcuni tasti: “Il programma avrebbe segnalato se fosse stato qualcosa di nuovo, però.” avvicinò il viso allo schermo “Perché mi sembri familiare?”
“Shirogaaaaaaaaneeeee,” la voce di Strawberry riecheggiò dal piano superiore “Puoi venire qui un aaaaaaaattimoooooo?”
Ryan scosse la testa, sconsolato, facendo ridere Kyle: “Su, andiamo a vedere cosa vuole la nostra principessa.”
Il sorriso sornione della Mew Rosa non convinceva per niente il ricco americano: “Dimmi, Momomiya.”
“Beh, io e le ragazze stavamo pensando,” gli si avvicinò, le mani dietro la schiena, gli occhioni da cucciolo adorante che brillavano “Visto che il Caffè è ancora chiuso per un po', perché non ci offri un bel pic-nic nel parco? Siamo stati lontani per così tanto, ed è una giornata così bella, sarebbe un peccato sprecarla chiusi qui dentro.”
Lui sospirò, guardando le sette facce trepidanti: “Te lo ricordi cos'è successo l'ultima volta che abbiamo fatto un pic-nic, vero?”
“Sìsì ma dai andiamo sto morendo di fame, ed è divertente!”
“Va bene, va bene!” le mise le mani sulle spalle per farla smettere di saltellare “Facciamo questo pic-nic, ma dopo si lavora! Ho un'attività da mandare avanti, o voi cinque mi manderete sul lastrico.”
***
“Zaur, vieni un po' qua.”
L'alieno dai poteri del Nulla si avvicinò a Rui, in piedi davanti ad un monitor.
“Abbiamo per caso lasciato qualche cosa in questa zona?” indicò con un dito un punto dello schermo dove s'intravedeva un globo di luce pulsante “Oppure è qualche congegno delle Mew Mew?”
Zaur osservò l'immagine: “Non mi sembra appartenga a noi, non mi risulta che siamo mai andati in quella zona. Ne sai qualcosa, Kert?”
Il maggiore dei fratelli Tha, beatamente steso sul divano, alzò le sopracciglia: “Ehi, io sono sempre stato qui.”
Sunao si unì ai due alieni: “C'è qualche problema?”
Rui indicò nuovamente quella strana sfera verdognola che pulsava: “E' comparsa da qualche settimana. Non è mai stata rilevata nessun tipo di attività in quella zona, e c'è qualcosa di strano in questa... cosa. Va e viene, non è mai stabile. L'ho vista la prima volta circa due settimane fa, poi è sparita fino ad oggi. Hai mai visto qualcosa del genere?”
Sunao strinse gli occhi per osservare meglio: “Non sembra terrestre, ma non viene nemmeno da Gaia. E' una zona particolare della città?”
Zaur allargò l'immagine così da avere una visione più chiara: “No, soltanto case e qualche negozio. E' una zona residenziale, non mi sembra un punto fondamentale.”
“Beh, sicuramente non è un campo protettivo,” Sunao incrociò le braccia al petto, raddrizzando la schiena “Volete andare a dare un'occhiata?”
“Non ti dispiace?”
L'aliena scrollò le spalle alla domanda di Rui: “Sono qui per questo, in fondo.”
“Vengo anch'io!” Kert si tirò su di scatto dal divano, e nel vedere il sorrisetto soddisfatto di Sunao, le puntò contro un dito “Non farti strane idee, Sunamora. Voglio soltanto uscire da qui.”
“Cercate di non farvi notare,” li implorò il minore dei fratelli Tha.
“Ricevuto, fratellino,” Kert prese Sunao per un polso ed insieme si teletrasportarono nel luogo indicato sullo schermo.
Iniziarono a camminare lentamente lungo le strade deserte del quartiere, cercando di non attirare l'attenzione evitando di esporsi in pieno sole.
“Senti... riguardo ad Espera...”
“Tu lo sapevi?” Kert interruppe la Messaggera, voltandosi verso di lei.
Lei alzò un sopracciglio: “Io ed Espera... ci conosciamo da molto tempo. E con i miei compiti, be', diciamo che non resto tagliata fuori dalle cose importanti.”
Kert annuì: “Chi altro ne è al corrente?”
“Solo le persone interessate, e no, Rui per adesso non è tra queste. O almeno, non su tutto l'argomento.” Sunao si fermò “Non devi dirglielo.”
L'alieno le si avvicinò: “E' mio fratello, Sunamora. Ha il diritto di sapere. Non può continuare a vivere all'oscuro di tutta questa messinscena.”
“Pensi davvero che lo sia?” la bella aliena rise “Oh, Tha, non hai capito proprio niente. Quello che c'è tra Espera e Rui è tutto vero. Chiamalo destino, chiamali gli Dei, io non lo so. So solo che sarà il Consiglio a decidere il momento più adatto per comunicarlo a Rui, sempre che non l'abbia già fatto Espera stessa. Ma loro due, hanno fatto tutto da soli.”
Kert riprese a camminare: “Ti fidi troppo del Consiglio.”
“Solo perché faccio quello che mi chiedono non significa che io mi fidi.”
Il maggiore dei Tha non rispose, si limitò solamente a guardarsi intorno: “Qui non c'è assolutamente niente. Quel tuo bastone speciale riesce a metterci in contatto con Rui?”
Sunao evocò la sua arma, mormorando qualche parola che fece brillare una delle due sfere alle estremità; di lì a poco, il viso di Rui comparve nella sfera: “Ehm.. Sunao?”
“La zona è pulita, Rui,” rispose lei “Non c'è nulla di interessante.”
“Me l'aspettavo, quel campo di forza è sparito poco dopo che ve ne siete andati.”
“Allora possiamo tornare alla base.” Kert alzò le braccia per stiracchiarsi i muscoli “Sarebbe noioso vivere in un posto del genere, non c'è mai nulla da fare.”
“Oh, io posso pensare a qualcosa...” Sunao lo guardò maliziosa, e si teletrasportò con una risata mentre l'alieno sospirava e scuoteva la testa.
***
C'è troppo sole.
Corrugò la fronte.
Che pensiero strano. E' un po' che faccio questi pensieri strani. Non è da me.
Si guardò intorno. Come era arrivato al parco? Non ricordava di aver camminato così tanto.
Ma qual'è l'ultima cosa che ti ricordi?
Strinse gli occhi. Si ricordava di aver letto il giornale, quella mattina. O forse era la mattina precedente?
Non lo sapeva.
Le senti quelle voci?
Sì, le sentiva. Erano distanti, portate dalla soffice brezza primaverile fino alle sue orecchie. Voci allegre di ragazze e ragazzi. Bambini con i loro genitori, o forse le loro tate. Coppie di anziani che passeggiavano lentamente all'ombra dei ciliegi.
C'è troppo rumore.
No, non era vero. Era tutto così delizioso, così rilassante.
Preferisco il buio.
Sì, la luce era forte. Ma era bella, no?
Avrebbe dovuto essere mio.
Guardò davanti a sé, ad un gruppo di ragazzi che giocavano tra di loro.
Tu non sei mai stato capace di scherzare così.
No, lui era fermo, e costruito. Lui aveva degli impegni, dei progetti da portare avanti, non poteva arrestarsi di fronte a niente.
Allora cos'era quel senso di vuoto alla bocca dello stomaco? Quel bruciore di invidia nei confronti delle gente?
No... non della gente...
Scosse la testa, e sorrise.
Lo riconosci questo posto?
C'era venuto tante volte, come tutti. Come dimenticare, qui era stato felice.
Qui ti hanno distrutto.
Si massaggiò le tempie. Era da qualche mese che provava forti fitte alla testa, quasi delle emicranie di poca durata. Forse era meglio farsi vedere da un dottore.
Il cuore diede un battito più forte.
Aveva caldo, eppure il vento cominciava a rafforzarsi.
Devo tornare.
***
Strawberry si affacciò dalla porta della cucina: “Ehm... Ryan?”
Il biondo fece girare lo sgabello della cassa, voltandosi verso di lei, che riprese: “Potresti venire un attimo?”
La seguì nella stanza, e Strawberry gli indicò sconsolata un libro di cucina aperto sul tavolo davanti a lei: “Kyle mi ha chiesto di aiutarlo a fare questi dolci, ma il libro che mi ha dato è in inglese e io non ci capisco niente, lui adesso è a fare delle commissioni e le altre sono in pausa pranzo, e logicamente Mina non vuole aiutarmi.”
Ryan rise dell'esasperazione della rossa, e le si avvicinò: “Vediamo un po'... Banana cream pie.”
“La torta alla banana.” annuì la ragazza, un'espressione concentrata sul viso. “E Kyle mi ha detto di fare anche la base della torta, perché lui le ha finite. E questi sono gli ingredienti.”
Ryan seguì il suo dito: “Bene, allora è semplice.”
“Lo so che è semplice, sarebbe molto più semplice se fosse in giapponese!”
Il biondo le arruffò i capelli: “E' una ricetta originale americana, ginger, non lamentarti troppo.”
Strawberry gonfiò le guance e lui rise di nuovo: “Allora. Su, prendi il sale, la farina e lo zucchero e mischiali nel miscelatore.”
Lei fece come le era stato detto, e il ragazzo le si avvicinò: “Adesso aggiungi il burro, e miscela di nuovo.”
“Butter.” mormorò la Mew rosa, profondamente concentrata.
“Mmmhmm.” Ryan le mise le mani sui fianchi, poggiando la guancia contro quella morbida della ragazza. “Now add some water.”
“Questo lo so.” borbottò Strawberry, e il biondo le diede un bacio sulla tempia, sorridendo, per poi prendere la pasta dal miscelatore.
“This is called dough,” le mormorò all'orecchio, appoggiando l'impasto sul tavolo e prendendole le mani “And now you have to work it like this.”
Guidò le sue mani nell'impasto, lavorandolo in due dischi, scendendo lentamente a baciare il collo di Strawberry, sorridendo quando sentì il corpo della ragazza rilassarsi contro il suo mentre le sue guance si tingevano di rosso e le si affannava il respiro.
“AHEM.” sussultarono entrambi al richiamo di Quiche, comparso sulla porta con un ghigno divertito “Non vorrei interrompere la vostra scena alla Ghost, ma c'è qualcosa che dovresti vedere, Einstein.”
I due si staccarono, seppur controvoglia, Strawberry dirigendosi verso il lavandino per prendere un bicchiere d'acqua e nascondere il rossore del suo viso, Ryan invece impassibile come suo solito.
“Cosa c'è?” domandò pulendosi le mani sopra uno straccio, e seguì Quiche in uno dei tavoli più in un angolo, dove lo stavano aspettando gli altri.
“Quel segnale si è riacceso cinque minuti fa, sta cambiando posizione.” spiegò Pie, voltando il computer verso il biondo.
Ryan digitò velocemente sulla tastiera: “E' qui vicino!”
“Vado a controllare!” Paddy corse fuori dal locale, fermandosi all'entrata del vialetto d'ingresso del Caffè e guardandosi intorno.
Il parco sembrava normale, affollato come al solito da ragazzi, famiglie ed anziani.
“Stiamo cercando un chimero?” domandò a Lory, appena arrivata al suo fianco.
La Mew verde scosse la testa: “Non lo so... Ryan ha detto che era proprio qui...”
Kyle comparve in quel momento, reggendo due buste di carta: “Che succede, ragazze?”
“Era comparso di nuovo quello strano segnale di cui ci avete parlato, ma qui non c'è niente.” rispose demoralizzata Paddy.
Il moro si guardò attorno: “Forza, torniamo dentro. Forse, analizzando i dati al computer riusciremo a capire di che cosa si tratta.”
***
Rimase nascosto nell'ombra dell'albero.
Perché faceva così caldo? Stava sudando, eppure indossava una maglietta a maniche corte, mentre tutti attorno a lui portavano almeno una felpa.
Si asciugò la fronte, osservando le goccioline sul dorso della sua mano.
Pochi secondi dopo, evaporarono.
Il calore viene da dentro di me.
Il cellulare iniziò a squillargli in tasca.
Fai finta che sia tutto normale.
Si chinò e raccolse la sua valigetta.
Presto.
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Capitolo 20 *** Always trust your senses ***
Grazie a tutti
coloro che hanno commentato :) Spero che anche questo capitolo vi
piaccia, è stato ispirato dai Led Zeppelin e da Mozart
quindi spero che sia decente. xD
A presto e grazie anche a chi leggerà,
Hypnotic Poison
Always
trust your senses
“A
te
non piace, vero?”
Espera
alzò lo sguardo dalla tazza di tè fumante che
teneva tra le mani:
“Hai davvero bisogno di chiedermelo?”
Sunao
sorrise: “Lo sai che preferisco usare i miei poteri solo con
gli
estranei.”
“Ah,
piacerebbe anche a me,” sospirò l'aliena dai
capelli corvini
“Purtroppo l'empatia non sceglie. La telepatia è
di gran lunga
migliore.”
“Ciò
assodato, devo usarla o preferisci rispondermi da sola?”
Espera
fece un respiro profondo: “Sono venuta qui solo per stare con
Rui... be', e anche per quell'altra
cosa...”
aggiunse, guardando di sottecchi l'amica “Come potrebbe
piacermi
tutto ciò? So che il mio potere è importante e
che così lo è
questa missione, ma per me non ha nessun senso.”
Sunao
mescolò il liquido ambrato: “Il Consiglio non ha
bisogno di avere
un senso.”
“Purtroppo.”
le due aliene si guardarono, consapevoli di quanto rischiosi quei
discorsi sarebbero stati per qualunque altro alieno. Ma anche per
loro, in fondo, se non fossero state attente.
“Spero
solo che torneremo a casa al più presto. Mi sembra di stare
qui da
secoli.” Espera si alzò, rovesciando il resto del
contenuto nel
lavandino sporco della vecchia villa.
L'altra
sorrise: “Non sei fatta per le missioni, Espera.”
“Per
questo l'avevo implorata di stare a Gaia, ma lei naturalmente non mi
ha ascoltato.” Rui entrò scherzando nella cucina,
schioccando un
bacio dolce sulle labbra della sua compagna “Vi
disturbo?”
“No,
stavamo soltanto facendo discorsi da donne.” le due aliene si
guardarono, complici, e Sunao si rivolse a Rui: “Come sta
andando
il monitoraggio?”
“Come
al solito. Quello strano campo di forza continua ad andare e venire.
Zaur sta cercando di tracciarne un ritmo, ma sembra che sia del tutto
casuale.”
“E
le umane?”
“Appena
Pharart si sarà ripreso, penseremo ad un piano. Credo che
anche loro
si stiano preoccupando di quell'energia.”
Sunao
si alzò: “Hai detto che hanno dei rilevatori di
presenza aliena?”
L'alieno
annuì: “Sì, una ricognizione sul posto
non avrebbe senso, farebbe
soltanto saltare tutto. Anche perché è un bene
che loro non
sappiano che tu sei qui, Sunao. L'effetto sorpresa è a
nostro
vantaggio.”
“Non
aspettiamo troppo, Rui,” la Messaggera si diresse verso
l'uscita
“L'attesa mi innervosisce.”
***
“Guarda
lo zio Kyle, Kim!” la testolina bionda si girò
verso l'americano,
che prontamente scattò una foto. “Non riesco a
credere che abbia
quasi un anno.”
“Nemmeno
io,” Strawberry sorrise dolcemente, “Grazie per le
foto, Kyle.
Non so come faremmo senza di te.”
“Forse
se non avessi dimenticato la macchina fotografica a New York,
potremmo fargliene anche noi!” la rimbeccò Ryan.
La
rossa gli fece una linguaccia, aggiustando la figlia contro il suo
fianco: “Hai un papà davvero
insopportabile.”
“Dada!”
trillò la bimba, allungando le braccine paffute in direzione
del
biondo, che subito la prese in braccio.
“Come
to daddy, you little bug!” la
sollevò sopra la sua testa, facendola ridere di gusto sotto
lo
sguardo intenerito di Strawberry “E comunque, non potresti
vivere
senza di me.”
“Oh,
non ti vantare troppo.” la rossa agitò una mano,
divertita,
imitando Mina e le sue manie da nobildonna.
Kyle
rise a quella scenetta: “Bene ragazze, tra venti minuti
apriamo,
quindi preparatevi.”
“Ci
pensi tu ad avvertire i due piccioncini?” gli
domandò Ryan,
facendo un cenno del capo verso Paddy e Tart, impegnati a darsi
focosi baci in un angolo del Caffè.
Il
moro sospirò: “E dire che avevo appena
pulito...” mugugnò,
rintanandosi in cucina.
Strawberry
piegò la testa da un lato, osservandoli: “Tu non
mi baci mai così,
in pubblico.”
“Così
non è appropriato, in pubblico,”
borbottò il biondo, con aria
truce “Cosa staresti insinuando?”
Lei
rise, alzandosi sulla punta dei piedi e dandogli un leggero bacio a
fior di labbra: “Niente, niente.”
“Non
sapevo che il Caffè si stesse trasformando in una maison
de plaisance”,
Mina entrò in quel momento, ridacchiando “Devo
andare a mettermi
un costume da can-can?”
“Fai
poco la spiritosa,” l'ammonì Ryan “O
mando te a dividere quei
due.”
“Certo,
come no, capo,”
replicò lei sarcastica, e il biondo sospirò
sconsolato, andandosi a
rintanare in cucina.
“Oggi
Lory non c'è?” domandò al suo amico
pasticciere, impegnato a
sistemare i vassoi con gli ultimi dolci così che fossero
pronti non
appena avrebbero aperto.
“No,
è all'università. Anche Pam mancherà,
ha delle interviste per il
suo nuovo film.” rispose.
Ryan
si voltò verso Kim, sospirando di nuovo: “Non
vogliamo sapere cosa
combineranno oggi Mina e Strawberry, vero piccola?”
Nel
frattempo, le due Mew Mew si stavano infilando le divise nello
spogliatoio.
“Scusa
Mina, ma dov'è Quiche?” domandò la
rossa, sistemandosi la
crestina in testa. “Solitamente non si stacca mai da te.
“Oh,
ehm...” la Mew blu si schiarì la voce
“E' rimasto a casa, aveva
delle cose da fare con Pie, credo...”
Strawberry
aggrottò le sopracciglia, guardando il riflesso della
schiena
dell'amica nello specchio: “Va tutto bene?”
“Sì
sì, perché?” rispose l'altra un po'
troppo velocemente.
“Mina,
se c'è qualcosa che non va, a me lo puoi dire.” la
Mew rosa si
sedette sulla panca di legno, così da poterla osservare.
“Oh,
e va bene.” Mina si lasciò cadere di fianco a
Strawberry, facendo
un respiro profondo. “Però promettimi che non ne
parlerai con
nessuno.”
La
rossa fece il segno di chiudersi le labbra e poi buttare via la
chiave, così lei riprese, appoggiando la testa contro al
muro e
chiudendo gli occhi: “Da quando c'è stata tutta la
storia di Kert,
Quiche ha cominciato a fare discorsi strani...”
“Strani
in che senso?”
“Strani
nel senso di molto seri,
Strawberry.
Molto a lungo
termine.”
Mina la guardò, alzando le sopracciglia in modo eloquente.
Gli
occhioni della rossa si spalancarono dopo qualche istante:
“Ooooh.
Vuoi dire che... lui vorrebbe...?”
“Sì,
sì, esatto,” la mora agitò una mano,
quasi scacciando il pensiero
“Ma sono cose che a me non passano neanche per la testa! Ho
soltanto vent'anni, per carità!”
“Beh,
non vedo cosa ci sia di male...” borbottò la Mew
rosa, abbassando
lo sguardo sulle mani che teneva in grembo.
“Non
fraintendermi, Strawberry, io penso che sia una cosa bellissima che
tu e Ryan siate sposati, ma la situazione è diversa! Voi
avete una
figlia ed è da così tanto tempo che voi vi
piacete, e sì, Quiche
abiterà anche a casa mia e stiamo insieme da un po', ma
è un'altra
cosa!”
L'amica
piegò la testa di lato, incuriosita: “Io e Ryan ci
siamo messi
assieme poco prima di te e Quiche.”
Mina
alzò un sopracciglio, nel suo solito gesto di
superiorità: “Sei
davvero così scema da non esserti mai accorta che Ryan ti ha
messa
su un piedistallo d'argento da quando ha iniziato il
Progetto?”
Le
guance della rossa avvamparono e si gonfiarono come quelle di un
criceto: “Ma cosa c'entra!” sberciò
“Prima noi non... non...
oh insomma!”
La
Mew blu rise: “Comunque, è totalmente diverso. Io
so che lo amo,
ma non sono pronta a...quello.”
espirò pesantemente “Specialmente ora che ho
ripreso a ballare.”
“Davvero?”
Strawberry raddrizzò all'improvviso la schiena, felicemente
sorpresa.
“Sì.
Quando voi siete partiti per New York, ho intensificato i miei
allenamenti visto che non dovevo più gestire gli affari di
Pam, per
un po', e mi sono accorta di quanto mi mancasse davvero.
Così,
qualche giorno fa ho detto a Pam che se non le fosse dispiaciuto,
avrei smesso del tutto di lavorare con lei, così da poter
riprendere. Adesso sono in contatto con alcuni dei miei vecchi
insegnanti, per vedere se riusciamo a mettere su una
produzione.”
Strawberry
lanciò le braccia al collo dell'amica, prendendola un po' di
sorpresa: “Sono molto felice per te. E vedrai che le cose con
Quiche si sistemeranno, basta che gli parli chiaramente.”
“Ragazze!”
Paddy entrò saltellando nello spogliatoio, già
con la divisa
addosso “Siete pronte? Kyle vorrebbe aprire!”
“Arriviamo!”
Si
alzarono entrambe in piedi, controllando gli ultimi particolari allo
specchio prima di dirigersi fuori.
Quando
Mina passò di fianco alla Mew Gialla, tirò fuori
un foulard bianco
di seta dalla tasca, ghignando: “Io mi metterei questo. Non
vorrai
sbandierare i tuoi succhiotti a tutti i clienti.”
Paddy
arrossì violentemente: “Grazie...”
“Shirogane,
volevo avvertirti che siccome sto ricominciando la mia carriera da
grande ballerina classica, sarò costretta a lavorare di
meno,”
annunciò a gran voce la Mew blu quando entrò nel
salone.
“E
ti pareva...” borbottò Strawberry “Tanto
il lavoro sporco tocca
sempre a me.”
“Come
ti pare, Mina, però adesso iniziate, su. Vi pago per
qualcosa.”
rispose Ryan, già decisamente irritato nonostante fosse
soltanto
l'inizio di una giornata che, lo sentiva, si sarebbe profilata molto,
molto lunga.
***
“Mi
annoio.”
Sunao,
in piedi davanti al monitor con cui controllavano la situazione delle
Mew Mew, lanciò un'occhiata a Kert, steso a pancia in su sul
divano:
“Potresti fare qualcosa.”
“Ma
non c'è niente da fare!” si lamentò lui
con il tono di un bambino
capriccioso, alzando le braccia “Ho già lucidato
Maciste, ho
controllato che fosse carico, ho controllato quanta energia residua
hanno le nostre cariche, mi sono accertato che l'astronave fosse
nascosta e a posto, e ho passato un'ora attaccato a quel coso a
sbirciare quelle tre umane che corrono avanti e indietro portando
cibo!”
“Potresti
giocare ad ahmi
con Pharart.”
“Lui
dorme, perché le medicine che gli dà Seles lo
stancano! Zaur è in
meditazione, e mio fratello è di là con quella!”
sbuffò esasperato e lanciò un altro gemito,
voltandosi sulla pancia
e nascondendo il volto nel cuscino del divano.
Sunao
alzò un sopracciglio: “Potresti comportarti da
adulto?”
“No.
Mi annoio. Sono venuto qui per combattere, non per stare seduto su un
divano lercio.”
L'aliena
rise e gli scostò le gambe, così da potersi
sedere di fianco a lui:
“Si vede che è la tua prima missione
importante.”
“Non
mi stai aiutando, Sunamora.”
Lei
gli scostò i capelli dal volto: “Allora battiti
con me. Vediamo se
riesco a sconfiggerti come quando avevamo sette anni.”
Gli
occhi dorati di Kert brillarono: “D'accordo.”
Mezz'ora
dopo, stava capitombolando per l'ennesima volta contro il pavimento
di uno dei tanti corridoi della villa.
“Atterrato
di nuovo.” sorrise raggiante Sunao, bloccandogli i polsi
sopra la
testa “Ammettilo, Kert, non mi puoi battere.”
“Non
vale...” borbottò lui.
Lei
ridacchiò, alzandosi e spolverandosi il vestito violetto:
“Vuoi
riprovare?”
“No
grazie,” si massaggiò la schiena “Vorrei
essere tutto intero per
quando attaccheremo le umane.”
“Mi
avete svegliato,” Pharart uscì dalla sua stanza, i
capelli sparati
per aria e gli occhi ancora chiusi “Non potevate fare le
vostre
cose da un'altra parte?”
“E'
pomeriggio inoltrato, amico, era anche ora che ti
svegliassi.” lo
riprese Kert.
“Espera
dice che ho bisogno di riposo.” l'alieno dagli occhi verdi
incrociò
le braccia al petto.
L'altro
alzò gli occhi al cielo: “Ritorna a dormire prima
che ti faccia
del male di nuovo.”
Pharart
brontolò qualcosa, ritornando nel buio della sua stanza
salutandoli
con un gesto della mano, e Kert fece scrocchiare le ossa del collo:
“Detesto stare qui senza far niente. Sicura che non possiamo
andare
a distruggere qualcosa?”
Sunao
rise: “Per quanto mi piacerebbe, non sono io a capo di questa
missione, quindi no, devi rispettare gli ordini di Rui.”
L'alieno
le si avvicinò, le braccia incrociate: “Sbaglio o
tu non devi mai
seguire gli ordini di nessuno?”
Gli
occhi violi brillarono divertiti: “Io no, ma tu
sì.”
“Ugh!”
la prese per un polso, marciando verso la sua stanza mentre lei
rideva “L'avete sempre vinta voi!”
***
“Sono
esausta!” Strawberry si lasciò cadere su una
sedia, lanciando lo
straccio sul tavolo.
“Avete
fatto un ottimo lavoro, ragazze.” Kyle sorrise dolcemente,
riponendo i soldi della cassa.
“Vuoi
dire che ho
fatto
un ottimo lavoro,” esclamò la rossa, voltandosi
verso Mina che
chiacchierava contenta in francese al cellulare “Visto che qualcuno
ha passato metà del tempo a rilassarsi!”
“Io
ti ho aiutato, onee-chan,” Paddy era seduta a gambe
incrociate sul
bancone, e Strawberry le lanciò un'occhiataccia:
“Sparivi ogni ora
e mezza per venti minuti alla volta. E no, non voglio sapere
perché.
Farò finta di non aver notato Tart che si aggirava furtivo
per il
locale, e spera solo che Ryan non lo venga a sapere.”
“Perché,
soltanto voi potete fare le cosacce al piano di sopra?” Mina
intervenne al “momento esatto”, colorando il viso
della Mew rosa
della tinta dei suoi capelli, un sorriso malefico sulle labbra.
Kyle
quasi si lanciò fisicamente in avanti per fermare la
discussione che
altrimenti sarebbe iniziata: “A proposito, dov'è
Ryan? E' sparito
da un po', e non è giù in laboratorio.”
La
rossa si alzò dalla sedia: “Penso di averlo visto
andare in
giardino con Kim, prima.”
Si
avvicinò alla porta, sbirciando prima fuori dalla finestra a
forma
di cuore.
Effettivamente,
Ryan era seduto su una panchina appena fuori dal locale, un occhio
attento a Kimberly che giocava tranquilla sull'erba, l'altro al
portatile sulle sue ginocchia.
Non
sapeva se fossero i geni del gatto Iriomoto, oppure semplicemente il
suo istinto, ma non era tranquillo, anzi. Era tutto il giorno che
provava una sensazione di inquietudine, come se fossero costantemente
osservati.
E
non era la stessa sensazione che aveva provato anni prima, o quella
che lo accompagnava da quando i nuovi nemici erano apparsi; sapeva
che gli alieni non potevano avvicinarsi più di un certo
raggio,
altrimenti i sensori li avrebbero rilevati.
No,
era una sensazione nuova, che non aveva mai provato prima ma che al
tempo stesso sembrava familiare, e gli faceva drizzare i capelli
sulla nuca, come se tutti i suoi sensi gli stessero gridando di stare
all'erta.
“Ryan?”
Il
richiamo di Strawberry lo prese alla sprovvista, facendolo
sobbalzare; era così assorto nei suoi pensieri che non si
era reso
conto che lei si era seduto accanto a lui, ed ora lo osservava con
un'espressione preoccupata.
“Hey,”
chiuse il computer, ravvivandosi il ciuffo biondo con una mano
“Avete
finito al locale?”
La
moglie si morse un labbro: “Sì, ma... stai bene?
È tutto il
giorno che sei strano.”
Lui
scrollò le spalle, rimanendo sul vago: “Solo un
po' di pensieri
per la testa. Prendo Kim e andiamo a casa, d'accordo?”
La
rossa annuì, poco convinta della sua risposta, e lo
seguì fino
all'auto, giocherellando con la figlia.
Anche
il tragitto fino a casa fu silenzioso. Strawberry intuiva che mille
pensieri stavano vagando nella mente dell'americano, e sapeva anche
che sarebbe stato del tutto inutile cercare di tirarglielo fuori se
lui non avesse voluto parlarne.
“Io
vado nel mio studio,” le disse dopo poco che entrarono in
casa
“Dico a Nina che prepari la cena, va bene?”
“Non...
non rimani un po' con me? Non ci siamo visti tutto il
giorno.”
mormorò la Mew rosa, mettendo Kimberly nel suo box e
guardandolo con
gli occhioni da cucciolo ferito.
Ma
Ryan sospirò: “Ho dei dati importanti da
analizzare e degli
appunti da sistemare per la conferenza all'università di
domani,
sweetheart.
Prometto che li finirò prima di cena.”
“D'accordo...”
borbottò lei, e il marito le diede un dolce bacio sulla
fronte prima
di sparire lungo il corridoio.
Strawberry
sospirò sconsolata e si accasciò sul divano,
sbuffando. Kimberly
era tranquilla con i suoi giochi, e lei non voleva certo disturbarla
quando poteva concedersi un po' di riposo -quella
bimba aveva tutto il caratterino del padre-,
perciò prese il cellulare di tasca e decise di chiamare
Mina, per
controllare come stessero andando le cose dopo la chiacchierata che
avevano fatto quella mattina.
Ma il
telefono squillò a vuoto per parecchi secondi,
così la rossa
riattaccò, se possibile ancora più depressa di
prima.
Kim
gorgogliò qualcosa, allungando alla mamma un cubo di gomma
colorato
con un sorriso.
“Nessuno
bada a noi, piccolina.” borbottò la rossa
“Cosa possiamo fare
per passare il tempo?”
***
Quando
Ryan risbucò, dal suo studio, con gli occhi arrossati e la
testa
dolente, gli bastò seguire l'odore di arrosto per capire
dove
avrebbe potuto essere la sua famiglia.
Si
fermò sulla soglia della cucina, osservando con un sorriso
Strawberry che ascoltava attentamente la dolce Nina nel tentativo di
carpire i segreti della sua fantastica cucina, mentre la piccola Kim
mangiava con gusto -e
con
le mani-
delle carote tagliate a rondelle.
“Ha
capito, signorina Strawberry?” domandò l'anziana
governante.
“Lascia
stare, Nina, potresti insegnarglielo mille volte e comunque non
supererebbe l'originale.” lui entrò in quel
momento, passando un
braccio attorno alle spalle della moglie, che gli sorrise splendente.
Nina
scosse la testa con affetto a quel ragazzo che aveva visto crescere:
“Dovrebbe essere più comprensivo, signorino Ryan,
non è affatto
semplice accontentare i suoi gusti difficili.”
Se
possibile, il sorriso di Strawberry si allargò ancora di
più mentre
dava una gomitata leggera al biondo: “Vedi, te l'ho sempre
detto.”
“Comunque,
l'arrosto sarà pronto tra due minuti. Con il vostro
permesso, me ne
andrei a casa. Mi raccomando, signorina Strawberry, si ricordi quello
che le ho detto.”
“Buonanotte,
Nina, e grazie. Ci vediamo domani.” la salutò
Ryan, una nota
d'affetto nella voce che riservava soltanto all'anziana donna, con
lui ormai da così tanti anni che ormai era entrata a far
parte della
famiglia. Ma forse non sarebbe mai riuscito a convincerla a dargli
del tu.
Si
sedette vicino a Kimberly mentre Strawberry sistemava le ultime cose
a tavola.
La
rossa lo osservò per tutta la durata della cena e il resto
della
serata.
Sì,
ad occhio poco allenato tutto sarebbe apparso normale nel
comportamento di Ryan, ma lei, che dopo anni ed anni aveva
decisamente imparato a conoscerlo, poteva vedere benissimo dietro la
sua solita maschera di apparenza che c'era qualcosa che lo turbava.
Perciò,
con il solito tatto che la caratterizzava, non esitò a placcarlo
poco dopo che ebbe fatto addormentare la bambina.
“Allora,
dimmi subito cosa c'è che non va.” gli
domandò diretta, parandosi
davanti a lui a gambe larghe e mani sui fianchi, come un sergente
istruttore davanti ad una fila di giovani reclute.
Ryan
alzò un sopracciglio: “Scusami?”
“Avanti,
su su, non fare il finto tonto con me, so benissimo che non sei
soltanto preoccupato per la conferenza di domani, tu adori
stare al centro dell'attenzione quando si tratta di dimostrare che
sei un genio.”
Il
ragazzo sorrise, poi guardò la giovane davanti a lui, gli
occhioni
color del cioccolato pieni di impazienza ma anche di apprensione. Che
senso avrebbe avuto tenerle nascosto qualcosa? Strawberry riusciva
sempre a raggiungere quello che voleva, persino con lui.
She
got under his skin,
come dicevano dalle sue parti, e lui sapeva che era indelebile.
“D'accordo,”
sospirò “Se proprio lo vuoi sapere, ho passato gli
ultimi giorni a
cercare di capire cosa sia quella strana energia che compare ogni
tanto, e il fatto di non riuscirci mi agita.”
“Perché
tu vuoi sempre sapere e capire tutto.” annuì la
rossa.
Ryan
le lanciò un'occhiata storta: “Be', mi preoccupa
non sapere a cosa
potreste andare incontro, se mi permetti. Eppure mi sembra di averlo
già visto, ma non riesco mai a raccogliere dati a
sufficienza per
poter fare una comparazione ottimale con quello che abbiamo nel
database.”
“Sono
sicura che ci riuscirete,” Strawberry gli regalò
uno dei suoi
soliti sorrisi splendenti “Tu, Kyle e Pie siete dei geni con
queste
cose.”
“Questo
lo so, non c'è bisogno di ricordarmelo.”
La
Mew rosa gli fece una linguaccia e fece per dirigersi verso il bagno,
quando si sentì tirare dolcemente per il polso, ritrovandosi
stretta
tra le calde braccia del biondo.
“Sta
attenta, d'accordo?” le mormorò all'orecchio.
Lei
alzò lo sguardo: “Sempre.”
Ryan
le scostò teneramente la frangetta dagli occhi, dandole poi
un
buffetto sulla fronte: “Brava la mia gattina...”
Strawberry
sorrise e si alzò sulla punta dei piedi, per catturargli le
labbra
in un dolce bacio.
***
Il
mattino dopo, qualche quartiere più in là, Mina
avrebbe voluto
davvero tanto che fosse un'altra la notizia alla quale aveva dovuto
svegliarsi.
Non
che i suoi genitori fossero a meno di dieci minuti di macchina da
lì.
Come
se pregare Quiche di andarsene in fretta non provocasse altro stress
ad una situazione già di per sé complicata.
“Ma
perché non glielo vuoi dire!?” sbraitò
l'alieno all'ennesima
richiesta della mora, la quale fece un respiro profondo.
“Quiche,
il modo più appropriato per dirlo ai miei genitori non
è facendoti
trovare in camera mia alle nove del mattino. Non è una cosa
da
persone per bene, non del loro
tipo.
Cosa credi che penserebbero se sapessero che tu vivi qui?!? Te lo
chiedo come favore personale, ti scongiuro.”
Quiche
fece una smorfia contrariata: “Non mi piace.”
“Neanche
a me, ma è l'unica cosa da fare, adesso. Ci manca solo che
mi metta
a litigare con i miei più di quanto non faccia
già.”
Gli
diede un veloce bacio e poi lo spinse fuori dalla stanza, chiudendo
la porta.
L'alieno
sospirò e decise di teletrasportarsi a casa di Pam, dove era
sicuro
che avrebbe trovato suo fratello maggiore.
Così
apparve per precauzione davanti alla porta del loft dell'attrice, e
suonò il campanello -non voleva sapere quali sarebbero stati
i
rischi dell'interrompere quei due in un momento intimo.
“Quiche?
Cosa ci fai qui?” Pam apparve sorpresa quando gli
aprì.
“Ehm...
scusa, non volevo disturbare, lo so che è presto, ma sono
arrivati i
genitori di Mina e lei mi ha mandato via. Sono venuto qui per
Pie.”
La
modella si fece da parte per farlo passare: “Va tutto
bene?”
Quiche
svolazzò fino al divano, le orecchie da alieno abbassate
come quelle
di un cucciolo abbandonato: “Sì e no,
diciamo.”
“Quiche,
non ho voglia di stare ad ascoltare i tuoi problemi
sentimentali.”
Pie entrò in quel momento nel salotto, incrociando le
braccia al
petto dopo aver riposto il portatile in una valigetta.
“Be',
grazie, fratello, non preoccuparti così tanto per
me,” replicò
sarcastico l'altro, facendo una smorfia “Potrei
arrossire.”
“Per
favore, non litigate,” li interruppe Pam, aggiustandosi i
capelli
nello specchio “Noi stavamo per andare al Caffè,
Quiche, vieni con
noi?”
L'alieno
dagli occhi dorati guardò la coppia. Era strano osservare
Pie in
abiti umani, che tutti e tre ormai si erano abituati ad usare per
mischiarsi alla folla, soprattutto visti gli ultimi attacchi alieni,
ma il fratello maggiore era completamente disinvolto in essi.
Alla
fine, proprio l'alieno da cui meno ce lo si sarebbe aspettato era
stato quello che meglio si era integrato nei ritmi della vita umana.
Ancora
un po' e Quiche era certo che si sarebbe pure messo a guidare un'auto
al posto del teletrasporto.
“Allora?”
lo incitò ancora Pie, così Quiche
saltò in piedi: “Va bene,
vengo anche io.”
Scesero
silenziosamente fino al garage, ognuno immerso nei propri pensieri,
cosa che stupì davvero il secondo degli Ikisatashi:
“Ma... perché
siamo qui?”
Pam lo
guardò curiosa: “Prendiamo la macchina,
no?”
E
Quiche non poté trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.
***
Ryan
parcheggiò velocemente vicino al Caffè,
così da poter far scendere
Strawberry e Kimberly.
“Mi
raccomando, dì a Kyle che mi mandi un messaggio se succede
qualcosa,
non posso rispondere alle chiamate.” le ricordò
per l'ennesima
volta.
“Sìììììììììììììììì.”
“E
quando dico qualcosa, intendo
qualsiasi cosa.”
“Sììììììììììì,
lo sooooooooo.”
“Cerca
di non litigare troppo con Mina oggi, ho un locale da mandare
avanti.”
“Va
beeeeeeeeeene!”
“Ah,
e tenete lontano da Lory il nuovo servizio di piatti, vorrei che
quello resistesse più di una settimana.”
“D'accordo
capo,
come vuoi tu
capo,
ai suoi ordini
capo.”
"Non
chiamarmi capo e smettila di farmi il verso, ragazzina.”
Strawberry
ridacchiò e si sporse dentro il finestrino del biondo,
dandogli un
lungo bacio appassionato con tanto di schiocco finale: “Ci
vediamo
dopo, non farti adulare troppo dalle studentesse alla
conferenza.”
"Tsk,”
Ryan indossò gli occhiali, scuotendo la testa, e
ripartì
velocemente, lasciando il finestrino abbassato così che il
vento
giocasse con i suoi capelli.
Avrebbe
preferito rimanere al Caffè quel giorno, ma quella
conferenza era un
impegno improrogabile, era stata pianificata da settimane, e non
poteva sottrarre i suoi collaboratori ad altre giornate di lavoro.
Non
aveva nessuna voglia di parteciparvi, ma non avrebbe avuto senso
annullarla. Meglio affrontarla subito e toglierla dalle scatole, poi
avrebbe avuto tutto il tempo di dedicarsi al progetto μ
e
a tutti i nuovi dati che stava raccogliendo.
Era
sicuro di essere vicino a scoprire qualcosa, se lo sentiva. Ma
ciò
non toglieva che i suoi sensi fossero tesi al massimo, e non gli
piaceva, per
nulla.
"Buongiorno,
Shirogane!” lo salutò uno dei suoi colleghi e
partner quando scese
dalla macchina. “Ci aspettano in aula magna.”
"Perfetto.”
annuì e si lisciò la giacca e la cravatta,
controllando un'ultima
volta il cellulare.
Temeva
che per l'ennesima volta i suoi sensi avrebbero avuto ragione.
E
solo a fine giornata avrebbe capito di non aver avuto torto.
***
"Allora,
siamo pronti?!” Kert, ghignando, si sistemò in
spalla il suo
Maciste, il micidiale cannone che sparava aria compressa “E'
da
troppo tempo che siamo fermi, spero di non essermi
arrugginito.”
Rui
lo ammonì con lo sguardo: “Vediamo di non fare
scemenze,
d'accordo? Soprattutto tu, Pharart.”
"Ai
tuoi ordini, fratellino.” l'alieno dagli occhi dorati si
teletrasportò fino a sopra al parco centrale di Tokyo, non
troppo
lontano dallo stesso Caffè. “Qui mi sembra che
vada bene, no?”
domandò a Sunao, apparsa accanto a lui.
La
bella aliena ignorò la sua domanda, ponendone un'altra con
voce
annoiata: “Quanto ci metteranno le umane ad arrivare? Voglio
osservarle per bene prima di decidere il da farsi.”
"Stanno
arrivando,” la rassicurò Zaur, “State
pronti.”
Sunao
si alzò nell'aria, più e in alto ed indietro
rispetto ai quattro
alieni schierati, mettendosi davanti al Sole così che fosse
difficile per le Mew Mew poterla guardare, mentre lei aveva un'ottima
visuale.
Era
proprio curiosa di poter vedere dal vivo cosa fossero in grado di
fare. Forse no, non avrebbe combattuto, non ancora. Non voleva far
finire il divertimento troppo presto.
"Non
dovresti essere qui.” mormorò quando un gentile
spostamento d'aria
l'avviso che Espera era comparsa al suo fianco.
Lei
fece spallucce: “Non riesco a stare a casa da sola. E poi...
c'è
qualcosa che non va, non senti?”
Sunao
piegò la testa di lato: “E' la prima volta che mi
trovo in una
situazione simile. Non riesco ancora a definire come dovrebbero
essere le cose. Per questo voglio osservare quelle cinque
umane.”
Espera
stava per ribattere qualcosa, quando la voce di MewPurin si spanse
per il parco: “Ancora non vi siete arresi, brutti
alieni?”
"No,
e non lo faremo mai!” replicò Kert, caricando la
sua potente arma.
Iniziarono
a combattere, ma entrambe le parti sembravano più caute del
solito.
"Sbaglio
o c'è qualcuno in più?”
borbottò Quiche a Pie, indicando con un
cenno del capo quelle due figure scure contro-sole.
"Ci
mancava solo questa!” sbuffò MewBerry, sfrecciando
accanto a loro
per evitare un colpo di Pharart “Ribbon
Strawberry
check!”
"Smettila
di fare chiacchiere e vieni a lottare, cuginetto!” Kert
stuzzicò
Quiche, che emise un ringhio profondo, scagliandosi contro di lui.
-Questo
è tutto quello che sanno fare?- pensò sorpresa
Sunao, osservando
l'agguerrita battaglia dall'altro -Non sono molto forti, ma allora
perché non vengono sconfitte?-
Una
freccia bluastra di MewMina saettò veloce tra le due aliene,
che si
scansarono appena per evitarla.
"Ragazzina
impertinente.” ringhiò la Messaggera
“Attaccare chi non la sta
attaccando.”
Evocò
il suo bastone, pronta ad entrare in azione, quando all'improvviso
udirono un potente tuono provenire da non molto lontano, ed una
nuvola di polvere si alzò così in alto da
oscurare persino loro,
mentre una forte corrente spingeva tutti verso sinistra.
"Ma
cosa...?” tossì MewLory, cercando di rimettersi in
piedi.
"Che
cosa è stato? Un colpo alieno?” domandò
MewPam, aiutando
MewPaddy.
"No,
anche loro sono stati colpiti!” replicò MewBerry
“Voi vedete
qualcosa?”
Poco
più in là, anche Ryan dovette arrestare l'auto
quando la polvere lo
raggiunse.
La
conferenza era stata sospesa poco dopo l'attacco alieno, e lui era
corso via.
In
quel momento, il portatile che aveva sistemato sul cruscotto si
accese, ed un allarme iniziò a lampeggiare.
Sgranò
gli occhi: “Non è possibile!”
Sunao
tossì, scrollandosi la sabbia dal viso, ed all'improvviso un
brivido
le percorse la schiena.
Stava
avvertendo qualcosa che non pensava avrebbe mai incontrato.
"Ma
questo è...”
Le
cinque Mew Mew si rimisero lentamente in piedi; la polvere cominciava
a diradarsi lentamente, e MewBerry strinse gli occhi, provando a
capire cosa potesse essere successo.
Il
respiro le si mozzò in gola: “No! Non
può essere!”
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Capitolo 21 *** Dies Irae ***
Dies Irae
Il suo corpo bruciava.
Com'era finito lì?
Si portò una mano alla fronte, per cercare di fermare la testa che girava e girava senza sosta.
Le vene pulsavano al ritmo del suo cuore.
Doveva liberarsi di tutta quell'energia. Ma come?
-Oh, lo sai,- rispose una voce dentro di sé -Lo sai eccome...-
Scosse la testa, strinse i denti: “No...” mugolò, il corpo che faticava a rispondere ai suoi comandi.
Udì una risata.
-E invece sì.-
***
Kert si districò dai rami dell'albero su cui era finito, passandosi un braccio sulla faccia per poter togliere la sabbia: “Ma che diavolo è stato?” ringhiò.
Si guardò intorno, cercando i suoi compagni, anch'essi sparpagliati tra la vegetazione, tranne una.
Alzò lo sguardo, non stupito dal fatto che Sunao fosse stata l'unica a non essere troppo colpita da quella strana esplosione, ma curioso dalla strana postura rigida dell'aliena.
Era come se fosse spaventata. E sapeva benissimo che lei non lo era mai.
“Zaur?” chiamò l'amico “Cosa c'è?”
L'alieno dai poteri del nulla si scrollò le foglie dai capelli: “Non lo so. Non sono state le umane.”
Si voltarono verso le Mew Mew, in tempo per vederle alzarsi faticosamente in piedi.
“E' scoppiata una bomba?” domandò MewPaddy, massaggiandosi il fondoschiena.
“State bene?” MewLory si guardò attorno “Non si vede più nulla!”
MewBerry si passò una mano sugli occhi, cercando di pulirli dalla polvere e dalla sabbia. Aveva un bruttissimo presentimento, lo sentiva alla bocca dello stomaco, era come se tutti i suoi sensi stessero urlando allo stesso momento.
“Ragazze...” mormorò, facendo un tentennante passo in avanti “Lo sentite anche voi?”
La nuvola di polvere cominciò a diradarsi. La Mew rosa deglutì rumorosamente, avvicinandosi lentamente al punto da cui era partita l'esplosione, il cuore che le batteva forte dentro al petto, rimbombandole nelle orecchie.
-Io conosco questa sensazione,- pensò, -Questa è la stessa sensazione di quando...-
Scosse la testa, rifiutandosi di continuare. Avvertì lontano MewPam che la chiamava, ma non le badò. La nuvola si stava diradando e lei poteva scorgere una figura...
Le si mozzò il fiato in gola, mentre le ginocchia le cedevano: “No! Non può essere!”
Davanti a lei, un ghigno malefico stampato in volto, si stagliava Mark.
“Mewberry!” le altre quattro Mew Mew le corsero accanto, cercando di farla rialzare, ma sembrava che il suo corpo non volesse collaborare.
“M-Mark?” balbettò.
Il ragazzo davanti a lei piegò la testa da un lato, con aria interrogativa: “Intendi dire il corpo che abito?” si lasciò scappare una risata inquietante “Oh, ma non può sentirti ora, micetta, è totalmente in mio controllo.”
Pie si parò davanti alle ragazze: “State ferme.” sussurrò.
“Ikisatashi!” esclamò Mark “Così hai deciso di tradire il tuo padrone una seconda volta?”
L'alieno fece apparire i suoi ventagli, senza staccare gli occhi dal ragazzo in fronte a sé. Non lo superava in fatto di forma fisica, ma poteva avvertire la grande forza che emanava; sapeva anche che quell'energia si sarebbe moltiplicata enormemente se solo Mark avesse preso la forma dell'essere che sprigionava quel potere.
Avrebbe dovuto capirlo prima, pensò, avrebbe dovuto riconoscere quel maledetto campo energetico che li tormentava da settimane: non era altro che lui.
Aoyama scrocchiò il collo: “Bene. È stato un piacere rivedervi; sarà un piacere ancora più grande distruggervi!”
Alzò un braccio, compiendo un largo gesto con la mano che scatenò un'altra onda di energia.
Le Mew Mew chiusero gli occhi, pronte ad essere investite, quando all'improvviso Sunao si parò davanti a loro, il suo bastone che fermava l'attacco, le due sfere su entrambe le sommità che brillavano come impazzite.
“Andatevene, e in fretta!” si voltò verso le cinque, ringhiando a denti stretti per lo sforzo.
Tart prese per mano MewPaddy, mentre Pie prendeva in braccio MewBerry, ed il gruppo cominciò a correre via.
Sunao si voltò di nuovo verso Aoyama, spostando con uno sbuffo il suo colpo verso il parco vicino.
“Tu non sei umana,” osservò il moro “Da dove vieni?”
“Da un posto che non ti vuole.” veloce come un gatto, la Messaggera lo colpì sotto al mento con un capo del bastone, lanciandolo lontano.
Prima che potesse contrattaccarla, si spostò velocemente verso i suoi compagni, che avevano osservato la scena incerti e senza capire del tutto cosa stesse succedendo. “Dobbiamo andarcene, ora.”
“Cosa sta succedendo, Sunao?” le domandò Rui.
“Ti spiegherò tutto non appena saremo alla base, ma ora muoviamoci.”
Nello stesso momento, le cinque Mew Mew e i tre fratelli Ikisatashi correvano, correvano forte come non mai, sospinti da un opprimente senso del terrore, verso il Caffè.
Kyle li stava aspettando sulla soglia, tenendo la porta aperta finché non furono entrati tutti, per poi chiuderla a doppia mandata.
Il salone rimase al buio se non per la luce che proveniva dalla cucina: tutte le finestre erano state chiuse.
“Rimanete trasformate...” mormorò Ryan, mentre prendeva MewBerry dalle braccia di Pie e la stringeva tra le sue.
Stettero tutti in silenzio, i nervi tesi, ad aspettare per quelle che sembrarono ore, mille pensieri che si affollavano nella mente, le orecchie pronte a cogliere qualsiasi rumore o cambiamento.
“Forse non verrà?” domandò infine, con una vocina piccola piccola, MewLory.
MewPam si avvicinò ad una finestra, scostando appena una persiana: “Qui fuori non c'è nulla.”
“Anche i rilevatori non danno alcun segnale,” Kyle controllò il portatile poggiato sul bancone “Direi che possiamo stare tranquilli.”
“Tranquilli?!” gridò Mina, afflosciandosi sul pavimento dopo essersi ritrasformata “Ma dico io, vi rendete conto di chi ci siamo trovati davanti?!”
“Mina...” la riprese Lory, mettendosi un dito davanti alle labbra e facendo un cenno verso Strawberry che, con lo sguardo perso nel vuoto, si era andate a sedere in un tavolo in un angolo, Ryan poco dietro di lei.
“Hey,” le si inginocchiò davanti così da essere alla sua altezza “Come stai?”
La rossa ebbe un sussulto, come se si fosse appena risvegliata: “Bene,” si schiarì la gola “Dov'è Kim?”
“Quando gli alieni hanno attaccato, Kyle ha chiamato i tuoi, sono venuti a prenderla.” le rispose, studiando con attenzione il suo viso.
“Va bene.” Strawberry si voltò, appoggiando la guancia alla mano, e lasciando un'altra volta che i suoi pensieri prendessero il sopravvento, così con un sospiro Ryan si alzò.
“Allora? Cosa facciamo adesso?” gli domandò Quiche, incrociando le braccia al petto.
“Quello che avremmo dovuto fare anni fa!” rispose Mina a voce alta “Lo sapete che lo state pensando tutti, lo leggo sulle vostre facce. Nessuno si aspettava una cosa del genere, nessuno soprattutto avrebbe mai pensato ad una forza del genere!”
“No, aspettate!” Strawberry si alzò in piedi “Noi non... non possiamo... è Mark!”
“Non è Mark, Strawberry, lui è...” Paddy fece un respiro profondo prima di pronunciare quel nome “E' Profondo Blu.”
“Non ne siamo ancora sicuri!” la rossa strinse i pugni, mentre le sue guance si tingevano di rosso “Magari è ancora come qualche anno fa! Ryan, diglielo tu!”
Il biondo sospirò. Perché dovevano mettere in mezzo lui adesso? “Ascolta, Straw...”
Lei lo guardò come un cucciolo abbandonato in un canile guarda i possibili padroni, gli occhioni già bagnati di lacrime che lui non riusciva del tutto a comprendere, o che forse non voleva affatto comprendere.
“Strawberry ha ragione,” intervenne in fretta Pam per salvare l'amico da quella situazione “Non siamo ancora sicuri del tutto di quanta parte di Mark sia rimasta in Profondo Blu, e quanta invece abbia preso il sopravvento. Non possiamo permetterci di prendere decisioni affrettate.”
“Sì ma non possiamo nemmeno affrontare due nemici diversi nello stesso momento!” replicò Paddy.
“Non avete visto come si sono comportati gli alieni?” domandò la Mew gatto, portandosi al centro della sala “Quella tizia sconosciuta ci ha salvato, deve pur significare qualcosa!”
“Si chiama Sunao, credo.” intervenne Mina, ben poco convinta “L'ho sentito quando... beh, lo sapete.”
“Vi chiedo solo di aspettare,” mormorò Strawberry “Non possiamo sporcarci le mani di una vita innocente.”
Ryan, Kyle e Pie si scambiarono un'occhiata, un discorso silenzioso che solo loro tre potevano capire. Infine, l'americano sospirò: “Va bene, ma vi pregherei di fare ancora più attenzione. Non sappiamo quando, come né se Aoyama alias Profondo Blu attaccherà ancora, e nemmeno quale possa essere il gioco degli alieni. Tenete le spille sempre con voi e comunicate i vostri spostamenti, così potrete essere facilmente raggiungibili in caso di necessità. E sarebbe meglio non girare da sole.”
Mina si voltò verso Lory e Paddy: “Volete venire a stare da me? Tanto la casa è grande, e saremo più sicure.” E inoltre lei non aveva nessuna voglia di stare da sola con Quiche, visti gli ultimi avvenimenti.
Le altre due ragazze annuirono. “Sì, d'accordo. Sarà come fare un pigiama party!” la Mew gialla sorrise allegra.
Salutarono gli altri e si avviarono verso villa Aizawa. Pie si rivolse a Ryan: “Ti dispiace se rimango un po' qui? Credo sia opportuno aggiornare i dati nei computer, a questo punto.”
Lui si passò una mano tra i capelli, un gesto che tutti sapevano era simbolo del suo nervosismo: “Certo, assolutamente, anzi, rimango anche io. Pam, potresti...?”
La Mew Viola annuì: “Ti accompagno a casa io, Strawberry.”
La rossa guardò il marito: “Io in realtà vorrei fare una passeggiata, per schiarirmi un po' le idee.”
Ryan le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani: “Sweetheart, per favore. Mi sentirei molto più tranquillo a saperti a casa, invece che a spasso da sola, almeno finché rimango qui.”
“D'accordo...”
Le diede un bacio dolce in fronte, e l'osservò allontanarsi insieme all'amica, poi raggiunse Kyle e Pie al laboratorio.
***
Gli alieni di Gaia rientrarono rumorosamente nella villa abbandonata, quasi gettando al suolo armi e armature.
“Allora? Cos'è questa storia?! Chi è quella sottospecie di carciofo che lancia onde energetiche?” sbraitò Kert “Pensavo fossero quelle cinque e i tre cugini che avremmo dovuto combattere!”
“Infatti questo non era previsto nei piani,” sibilò Sunao, lanciandogli un'occhiataccia infastidita dal suo comportamento. “Questo non era previsto da nessuna parte.”
“D'accordo, Sunao, cosa sta succedendo?” Rui si sedette su un divano sfondato, passando un braccio attorno alle spalle di Espera.
La Messaggera incrociò le braccia, strofinandosele per far passare quell'orrenda sensazone che le aveva fatto venire la pelle d'oca: “Avete mai sentito parlare di Profondo Blu?”
Zaur corrugò le sopracciglia: “E' una leggenda, una delle tante storie che ci raccontavano da piccoli se non ci comportavamo bene...”
“E invece no,” Sunao si voltò verso le grandi vetrate del salone “Purtroppo, Profondo Blu è una storia vera, ma così antica da essere stata tramutata in leggenda, anche per non spaventare il popolo.”
“Cosa stai dicendo, Sunao, com'è possibile che non se ne sapesse nulla!” intervenne spaventata l'altra aliena “Le cinque Mew Mew sembravano conoscerlo, non può essere antico!”
Lei prese un respiro profondo: “E' una di quelle cose di cui vieni a conoscenza solo quando hai determinati intrecci con il Consiglio, Espera. Non mi stupisco che anche la tua famiglia possa esserne stata tenuta all'oscuro.”
Si rivolse di nuovo ai suoi compagni, incominciando a narrare: “Per quello che so, Profondo Blu faceva parte della spedizione che ci ha condotti su Gaia, quando il nostro popolo lasciò la Terra. Era di famiglia nobile, la più nobile di tutti, ma era l'unico rimasto. Aveva brama di potere, non gli stava bene l'idea di doverlo condividere con altri in un Consiglio. Pensava che solo lui avesse il diritto di governare il pianeta. La prima grande battaglia di Gaia è stata opera sua.”
Un mormorio sconcertato si diffuse tra gli alieni: conoscevano tutti, a grandi linee, quella battaglia, l'avevano studiata, ma non sapevano nulla della vera causa.
“E così, dopo averla perduta, è stato esiliato. Ma non è stato facile sconfiggerlo... aveva un potere enorme, così grande da poter spazzare via più soldati in un colpo solo. Ci sono state grandi perdite. Tutti gli addestramenti specifici che fate all'Accademia, che all'apparenza possono sembrarvi così strani, sono stati concepiti in modo che se qualcosa del genere si dovesse ripresentare, l'esercito sia pronto.”
“Quindi... come ci è finito sulla Terra? Perché è ricomparso proprio ora?” domandò Pharart.
“L'esilio era stato deciso per lo stesso pianeta dei vostri cugini. Il resto lo sapete.” rispose Sunao “A quanto pare, quelle Mew Mew non hanno fatto del loro meglio a sconfiggerlo, visto che una parte di Profondo Blu è rimasta intrappolata nel corpo di quell'umano. Deve essersi risvegliata quando siete arrivati voi, e lentamente ne ha preso possesso.”
“Cosa facciamo adesso?” domandò l'alieno dagli occhi verdi.
La Messaggera si strinse nelle spalle: “Devo parlare con il Consiglio, prima di fare qualsiasi cosa bisogna aspettare un loro ordine.”
“Che seccatura,” bofonchiò Kert, intrecciando le braccia dietro la testa e appoggiandosi allo schienale del divano “Ma quanto è potente questo qui?”
“Troppo.” Espera intervenne d'un tratto, il tono spaventato “Ha un'aurea incredibile, c'è troppa energia per una mente umana, non riesco a capire come possa sopportarlo!”
“Dici che non c'è solo Profondo Blu lì dentro?” domandò Zaur, e la mora scosse la testa.
“No, ho chiaramente sentito anche una parte umana, seppur piccola. Il padrone di quel corpo è quasi totalmente soggetto a Profondo Blu, ma è ancora cosciente, anche se... sembra quasi che non si dispiaccia troppo di quel potere, non so come spiegarlo.”
Sunao afferrò il suo bastone: “Parlerò con il Consiglio, voi intanto cercate di tenere la situazione sotto controllo. Bisogna capire dove si nasconde, i suoi spostamenti, tutto. Più ne sappiamo, meglio è.”
Si allontanò in un angolo del grande salone, nell'ombra. Il suo viso era illuminato soltanto dal pallido luccichio biancastro della sfera attraverso la quale parlava con i Supremi di Gaia.
Kert poteva vedere le sue labbra muoversi, velocissime, eppure non ne usciva suono.
I loro occhi si incrociarono per una frazione di secondo, e si stupì di leggere dentro quelli violetti di Sunao un'emozione che non credeva lei avrebbe mai potuto provare.
E a saperla così preoccupata, si preoccupò anche lui.
***
La doccia era gelata, eppure non riusciva a placare il calore del suo corpo.
Piccole nuvolette di vapore lo circondavano, causate dalla brusca differenza tra la sua pelle e il getto d'acqua.
Sentiva un ronzio nelle orecchie, fastidiosissimo; gli appannava i pensieri, e la vista.
“Perché l'hai fatto?” sussurrò, appoggiando la fronte contro le piastrelle del muro, cercando conforto nella loro inutile freschezza.
-Non ho fatto niente che tu non volessi,- gli rispose.
Strinse i denti: “Non è questa la cosa giusta...”
-Invece sì,- la voce dentro la sua testa sorrise soddisfatta -Io uso solo la tua ira, niente di più... è tutto merito tuo... sei tu che vuoi tutto ciò...-
Vide la sua mano stringersi a pugno senza che ne fosse pienamente cosciente.
Sì, era vero.
Erano anni che covava rabbia dentro di sé, che la teneva nascosta, in crescita, annichilita sotto falsi sorrisi. Ma era sempre rimasta lì.
Ed era giunto il momento di farla uscire.
Buon pomeriggio a tutti :) Capitolo un po' cortino, ma cruciale ;) E' stato scritto di getto tra stamattina e ieri pomeriggio, naturalmente a lezione perché la sottoscritta si annoia molto. XD
Scusate un po' l'attesa ma maggio si avvicina e gli esami incalzano, quindi il tempo a mia disposizione diminuisce notevolmente, nonostante io procrastini come una pazza. Tra l'altro, mentre gli ultimi capitoli di questa fic erano già stati scritti, più o meno, tempo addietro, da questo in poi è tutto materiale originale, e visto che sotto tortura della mia cara Izayoi007 ho dovuto leggermente modificare la trama, ci sto mettendo un po' di più. XD Cosa non faccio per accontentarti, onee-san! :P
E poi non sono mai stata famosa per gli aggiornamenti veloci, e sto sperimentando anche in un altro fandom ;)
Grazie naturalmente a chi legge e commenta, siete un prezioso stimolo per questa pigrona di autrice. Ah, e dovreste anche ringraziare la mia professoressa di Scrittura Creativa all'uni, che mi ha dato la carica dopo aver letto una descrizione ad hoc di Sunao e avermi detto che era perfetta. Ora capite perché lei è il mio personaggio preferito ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere ;)
A presto,
Hypnotic Poison
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Capitolo 22 *** Plan B ***
Plan
B
Quando
Ryan rincasò, era ormai quasi mattina.
Lui,
Kyle e Pie avevano passato l'intera notte a discutere, a catalogare
dati, a confrontarli e a cercare di trovare una soluzione plausibile.
Dire
che stava da schifo era poco.
S'infilò
in doccia dopo aver acceso la macchinetta del caffè,
cercando di non
addormentarsi sotto il getto tiepido ed invitante. Voleva tornare al
locale al più presto possibile, era determinato a risolvere
in
fretta quella faccenda, a costo di non dormire per giorni.
“Non
sei tornato a casa.” Strawberry entrò in cucina,
strofinandosi gli
occhi con un pugno, mentre lui era appoggiato al bancone, ignaro di
quanto in realtà quel caffè fosse caldo.
“Siamo
rimasti tutta la notte a lavorare,” le spiegò,
trangugiando uno
dei biscottoi che Nina aveva lasciato per loro in un barattolo
“Mi
aspettano al Caffè tra poco.”
“Ma
hai bisogno di dormire.” replicò la rossa, ancora
con gli occhi
pieni di sonno.
“Dormire,
Strawberry?!” sibilò l'americano, appoggiando la
tazza sul ripiano
con una mano tremante “Come pensi che il pensiero di dormire
possa
anche solo sfiorarmi in questo momento?”
La
ragazza trasalì, presa alla sprovvista da quello scatto
improvviso:
“Scusa... io dicevo per te...”
“Lasciamo
perdere, d'accordo? Non è certo la prima volta che passo la
notte in
bianco.”
“Mi
spieghi perché ce l'hai con me stamattina?”
ribatté la Mew rosa.
“Non
ce l'ho con te, Strawberry, ma potresti cercare di capire il tipo di
situazione!”
“Niente
che non abbiamo affrontato prima!”
“Oh,
certo!” Ryan alzò ad un tratto la voce
“Sei alieni pazzoidi che
cercano di uccidervi da qualche mese, e il tuo ex fidanzato che si
risveglia all'improvviso con manie omicide, mi sembra una situazione
perfettamente normale! Perdonami, forse sono io un po' troppo
conservatore!”
Strawberry
abbassò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore:
“Se non fosse
Mark, non te la prenderesti così tanto...”
pigolò.
Il
biondo sentì il sangue ribollirgli nelle vene, e strinse i
pugni:
“Credi davvero che sia solo per questo? For
God's sake, do you think I'm that shallow and stupid?”
Afferrò
la tazza e la gettò nel lavandino, dove atterrò
rumorosamente,
facendo sussultare la ragazza.
“Io
passo la notte al computer a cercare di capire cosa fare, e lei pensa
che io sia geloso.” mormorò, piegato sopra al
lavabo, dandole le
spalle. Gli scappò una risata incredula. “Oh,
riesci sempre
davvero a stupirmi, Momomiya.”
La
Mew gatto rimase zitta, indecisa su cosa dire. Ryan non aveva mai
alzato tanto la voce con lei, si rendeva conto che forse aveva
davvero esagerato.
“Proprio
non riesci a capire perché?” i due occhi color
ghiaccio la
andarono a fissare, e lei dovette spostare lo sguardo per la loro
intensità.
Se
lo ritrovò a pochi centimetri in un attimo, senza nemmeno
accorgersi
che si era mosso.
“Non
abbiamo mai incontrato una potenza tale. Il potere di Profondo Blu
anni fa era una porzione di quello che è adesso.
È come se nel
corso degli anni la sua forza si fosse accresciuta. Noi non ce ne
siamo mai accorti, non abbiamo potuto fare niente, e adesso siamo in
pericolo. E il pensiero...” le prese il viso tra le mani,
costringendola a guardarlo “E il pensiero che lui
possa
farti del male mi terrorizza e disgusta allo stesso tempo.
Perché è
come se una parte di me mi stesse urlando di stare ancora
più
attento, perché lui
mi
odia, e non si farebbe nessuno scrupolo a ferirti per ferire
me.”
Strawberry sentì una lacrima scorrerle lungo la guancia:
“Ma lui... lui è Mark, non ha mai fatto del male a
nessuno...”
“Profondo
Blu sì,” ribatté lui “E non
sappiamo ancora quanto vi sia
dell'uno, e quanto dell'altro. E poi, prima non eri mia,
Strawberry.”
La
strinse forte a sé, inspirando il dolce profumo dei suoi
capelli,
cercando di avvolgere la sua esile figura con il suo corpo, spinto
dall'istinto protettivo. Se soltanto Mark, o Profondo Blu, o chi per
lui, avesse osato torcerle un solo capello, l'avrebbe ucciso con le
sue stesse mani.
***
Quella
stessa notte, anche Espera non riusciva a dormire.
Sunao
e Rui erano tornati in tutta fretta a Gaia, per parlare in prima
persona al Consiglio e ricevere ulteriori istruzioni, e non sapevano
di preciso quando sarebbero tornati.
Era
la prima notte che passava da sola sulla Terra, e ciò le
procurava
una strana sensazione. Era abituata a stare senza Rui, ma decisamente
non era abituata a farlo in un pianeta straniero, sul quale tutte le
emozioni che provava erano amplificate.
La
luce del mattino filtrava già fioca dalla finestra,
perciò decise
di alzarsi. Non sarebbe riuscita a riprendere sonno in ogni caso.
Vagabondò
silenziosa fino alla cucina, sorprendendosi di trovarci Kert. Non
l'aveva mai preso per un tipo mattutino.
“Ehi,”
lo salutò a bassa voce “Come mai già
sveglio?”
L'alieno
dagli occhi dorati scrollò le spalle: “Mi piace
allenarmi alla
mattina presto, quando è più fresco. Poi torno a
dormire.”
Espera
annuì, leggermente in imbarazzo. Il loro non era il migliore
dei
rapporti, e non avevano mai avuto troppe occasioni di trovarsi da
soli.
Si
preparò un tè leggero, sedendosi poi davanti al
ragazzo. Quel
silenzio la metteva a disagio, ma poteva percepire che, almeno per
una volta, Kert non le era ostile. O almeno, non in quel momento.
“Ehm...
Kert?” lui alzò lo sguardo “Mi stavo
chiedendo... se, sai,
quella
cosa
che è successa quella volta... potrebbe essere utile contro
Profondo
Blu?”
Il
maggiore dei fratelli Tha la studiò per un istante, poi si
strinse
nelle spalle: “Francamente, non lo so. Immagino che sia
proprio per
questo che il Consiglio ha voluto che tu venissi qui, ma credo
proprio che Rui non accetterebbe mai di mandarti in battaglia senza
un adeguato addestramento.”
“Già...”
Espera fissò la tazza “Non gli ho mai nemmeno
spiegato per bene in
cosa consista.”
Kert
sbuffò: “Non mi sorprende. Scommetto che il
Consiglio ti ha
vietato di parlarne, quindi non capisco perché tu lo stia
facendo
con me.”
Lei
gli lanciò un'occhiataccia: “Tu volevi vederlo, e
tu ne hai
parlato con Sunao.”
Lui
rise, alzandosi: “Ma voi femmine non vi tenete mai nulla per
voi,
eh?”
La
ragazza sorrise: “Kert? Io tuo fratello, lo amo
davvero.”
“Lo
so, lo so,” ribatté lui, allontanandosi per il
corridoio con un
gesto della mano.
***
“Scusate
il ritardo!” Lory entrò in tutta fretta al
Caffè, seguita poco
dopo da Paddy “Ma abbiamo dovuto usare la macchina.”
“Perché
non vi ha portate Quiche con il teletrasporto?”
domandò curiosa
Strawberry, finendo di apparecchiare gli ultimi tavoli.
“Be',
ehm...” la Mew Verde si morse il labbro inferiore
“Le cose non
stanno andando molto bene tra lui e Mina, hanno litigato tutta
sera...”
Proprio
in quel momento la ballerina entrò furibonda nel locale,
sbattendo
la porta di ingresso e dirigendosi senza dire una parola nello
spogliatoio.
“Ecco,
appunto...” mormorò Paddy, avvicinandosi alla
rossa per
bisbigliarle nelle orecchie “E' stato così tutto
ieri. Non è
stato poi un gran pigiama party.”
La
porta sbatté di nuovo, stavolta a causa di Quiche, che
gridò:
“Guarda che non abbiamo finito!”
“Hey,
hey, basta così.” Pam gli si parò
davanti, alzando una mano
“Smettetela di urlare.”
“Urlare
è l'unico modo per essere certi che la principessina
mi
stia ad ascoltare!” ribatté lui in direzione dello
spogliatoio.
Tart
prese per un braccio suo fratello: “Dai, fratellone, andiamo
a
farci un giro.”
Mentre
Quiche borbottava qualcosa di indefinibile, ma decisamente poco
educato, Tart si rivolse alla sua ragazza e le fece un sospiro
sconsolato, e Paddy sorrise: “Povero il mio Tart, con i due
fratelli che si ritrova.”
“Perdonami,
Paddy, ma cosa staresti insinuando?” il glaciale Pie era
appena
apparso lì di fianco a lei, un'espressione poco convinta in
volto.
Strawberry
ridacchiò, dirigendosi in cucina e abbandonando l'amica
“in
difficoltà” - mancava poco all'apertura, e non
aveva voglia di
sentire le solite lamentele di Ryan sul fatto che lo avrebbero
mandato sul lastrico con la loro poca voglia di lavorare.
Il
suddetto americano era nella stanza, appoggiato ad un ripiano intento
a bersi l'ennesima tazza di caffè nero per cercare di stare
sveglio,
con risultati decisamente scarsi.
“Hey
there,” esclamò
sorpreso quando la Mew Rosa lo abbracciò di slancio
“A cosa devo
tutto questo affetto?”
“Volevo
solo dirti che sono molto contenta che io e te siamo sposati e non
litighiamo.” rispose lei con un gran sorrisone infantile.
Ryan
rise, arruffandole la frangetta: “Senti, io adesso vado in
camera
mia a farmi un pisolino...” abbassò la voce e
inclinò il viso
pericolosamente vicino a quello della ragazza
“Perché non vieni
con me e mi fai un bel massaggio rilassante, a cui potrei ricambiare
con qualcos'altro di molto, molto piacevole?”
Strawberry
divenne bordeaux mentre inevitabilmente le spuntavano le orecchie e
la coda feline: “Shirogane!” strillò,
lanciando un'occhiata
imbarazzata al povero Kyle che fingeva di non sentire nulla mentre
affogava il proprio dolore nella preparazione dei dolci del giorno.
Il
biondo scoppiò a ridere, rubando un veloce bacio alla povera
Mew rosa: “Oh,
I love it when you scream my name, baby.”
Kyle
non poté far altro che infornare una torta, un velo di
rossore sulle
guance, mentre Strawberry rincorreva Ryan cercando di colpirlo con
una pentola.
***
Zaur
chiuse il collegamento con il Caffè Mew Mew; non era
minimamente
interessato ai problemi sentimentali di quelle cinque umane. Anche
se, doveva ammetterlo, lo incuriosiva il loro comportamento quasi
noncurante della situazione in cui si trovavano.
Come
facevano ad essere così spensierate con non una, ma ben due
minacce
che incombevano su di loro? O forse la loro era solo
ingenuità?
Si
strinse nelle spalle. In quel momento era ben più
preoccupato per
quello che Rui e Sunao avrebbero raccontato al loro ritorno da Gaia,
che sperava avvenisse al più presto possibile. Sapeva bene
che il
Consiglio non si faceva mai attendere molto, ma quella era
decisamente una situazione particolare. Sperò dentro di lui
che non
si cogliessero decisioni affrettate. Non aveva nessuna voglia di
finire in pasto ad un alieno dal super-ego.
Un
rumore qualche stanza più in là lo avviso che,
finalmente, la
Messaggera e il comandante della spedizione erano tornati sulla
Terra.
Espera
corse nel salone, saltando in braccio a Rui: “Mi sei
mancato!”
esclamò, mentre lui la teneva sollevata per il busto.
Kert
entrò lentamente nella stanza, scuotendo la testa a quella
scena
così
sdolcinata,
lanciando solo un'occhiata a Sunao. Non aveva un'aria così
allegra.
“Allora?
Qual è il piano?” domandò, buttandosi
come sempre nel suo posto
preferito sul divano, di fianco a Pharart.
Rui
prese un respiro profondo: “La decisione del Consiglio non
è stata
unanime, anzi... diciamo che è stata decisamente
combattuta... ma
alla fine ha valso il voto del Primo Consigliere.”
“Ebbene?
Cosa sarebbe?” lo spronò Pharart.
L'alieno
dagli occhi blu guardò velocemente Sunao, che si strinse
nelle
spalle, e continuò: “Il Consiglio vuole che
combattiamo assieme
alle Mew Mew per eliminare, del tutto, Profondo Blu. Lo ritengono una
minaccia molto più importante che la conquista della
Terra.”
“Stai
scherzando?!” esclamarono in coro Kert e Pharart.
“Quando
mai il Consiglio Supremo ha scherzato?” li riprese Sunao, con
aria
evidentemente scocciata.
Zaur
si alzò in piedi: “Credono davvero che potremo
allearci con coloro
che fino adesso abbiamo cercato di sconfiggere?”
Rui
si strinse nelle spalle: “Questi sono gli ordini. Abbiamo
tempo per
elaborare un piano più preciso, ma vorrei riuscire a
sfruttare la
prossima Luna piena.”
“E'
una grandissima stronzata, ecco cos'è.”
ringhiò Kert “Erano
tutti ubriachi quando hanno escogitato questo mirabolante
piano? Non possiamo neanche avvicinarci a quelle cinque senza
scatenare una battaglia!”
“Dovremo
rifletterci e ragionarci su,” replicò il fratello
“Sono certo
che tutti noi vogliamo la distruzione di Profondo Blu, riusciremo a
trovare un terreno comune.”
“Meglio
allearci con le umane che scatenare una guerra coinvolgendo l'intero
esercito di Gaia.” Pharart si strinse nelle spalle
“In fondo loro
sono quasi riuscite a sconfiggerlo una volta, avranno pure qualche
trucchetto conveniente.”
“E
come pensate di approcciarle? Io non ci tengo a essere fritto da
Quiche, considerando che sarà opportuno presentarsi
disarmati se
l'intento è una pacifica discussione di alleanza.”
Kert calcò con
fastidio su quelle ultime parole, facendo una smorfia di disgusto.
Espera
si alzò in piedi, raggiungendo Rui:
“Andrò io!” esclamò
“Loro
non mi conoscono ancora così bene e, siate sinceri, ho un
carattere
davvero migliore del vostro. E posso comprendere il loro.”
“Tu
là da sola non ci vai.” sentenziò il
suo compagno “Non hai un
briciolo di addestramento.”
Lei
roteò gli occhi: “Che tipo di addestramento
potrebbe mai servirmi
per andare a parlare
con
delle persone?”
“Potremmo
accompagnarla e stare dietro di lei, assicurandoci che vada tutto
bene,” suggerì Pharart “Tenendoci ad una
distanza adeguata a non
far pensare loro che stiamo per attaccarli o che sia una sorta di
trappola.”
Rui
si voltò verso Zaur: “Che ne dici?”
L'alieno
dagli occhi neri scrollò le spalle: “Tentar non
nuoce.”
Espera
sorrise soddisfatta, stringendosi ad un braccio di Rui mentre lui,
Zaur e Pharart confabulavano tra loro, cominciando ad elaborare un
piano per poter contattare le cinque umane.
Kert
si voltò verso Sunao, che era rimasta stranamente zitta
durante
quella discussione, in tempo per vederla uscire sul grande balcone
del salone. Si tolse i sandali che portava e si sedette sull'ampio
bordo, allungando le gambe davanti a sé e chiudendo gli
occhi per
assaporare la calda luce del Sole sulla pelle, la stanchezza che
velocemente prendeva il sopravvento su di lei.
L'alieno
la raggiunse, sedendosi di fronte a lei e stendendo le gambe vicino
alle sue: “Forza, Sunamora, cosa c'è che non
va?”
Sunao
si strinse nelle spalle, fissando il giardino: “Non mi piace
per
nulla l'idea del Consiglio. Ma naturalmente, non c'è stato
verso di
fargliela cambiare.”
Lui
le prese delicatamente una caviglia, massaggiandole il piede:
“Andiamo, sono sicuro che c'è anche
qualcos'altro.”
L'aliena
lo fissò: “Lo sai cosa farà il
Consiglio se falliamo?”
Kert
abbassò lo sguardo, ignorando la domanda e passando il
pollice sopra
la cicatrice che le correva lungo la caviglia, l'unica che si potesse
vedere sul corpo della Messaggera: “Questa te l'ho fatta
io.”
Gli
piaceva quel suo segno: gli ricordava che anche lei, in fondo, non
era intoccabile come faceva credere, e gli dava un senso di
soddisfazione sapere che era stato proprio lui.
“E'
vecchissima. Avevamo cinque anni, è stata la prima e unica
volta in
cui mi hai battuta.” Sunao sorrise “Mi ero
ripromessa che non te
l'avrei più fatto fare. Direi che ci sono riuscita,
no?”
L'alieno
le fece il solletico sotto la pianta: “Mi ricordo ancora di
te che
sbraitavi davanti all'Accademia Prima perché volevi entrare.
Tuo
padre doveva portarti via con la forza.” si morse la lingua
troppo
tardi, dandosi dello stupido. A lei non piaceva parlare del padre, e
lui l'aveva sempre saputo. “Scusa, non volevo...”
borbottò.
Un
sorriso stanco si dipinse sulle labbra della bella aliena, che
ritornò a godersi il Sole: “Non fa niente. Non
posso fare finta
che non sia successo nulla, è logico che ogni tanto sia
necessario
parlare di lui.”
Kert
prese a massaggiarle lentamente il polpaccio, sapendo che entrambi
beneficiavano da quel contatto: “Alla fine sei riuscita a
diventare
forte come voleva lui. Dovresti esserne contenta.”
“Diciamo
di sì...”
Poco
più in là, con aria furbesca e soddisfatta,
Espera osservava la
scena, così eccitata da infilzare le unghie nel braccio del
povero
Rui, che davvero non comprendeva il perché di tutta quella
allegria.
“Guardali!”
cinguettò lei “Sono testardi come dei muli, ma
sono perfetti
assieme.”
Rui
sbuffò: “Ma che stai dicendo? Mio fratello non
è fatto per le
storie serie. Si è innamorato solo di Maciste.”
Espera
gli diede un pizzicotto: “Sì, ma lei è
Sunao! Si conoscono da
quando sono piccoli e hanno sempre avuto qualcosa di speciale. Solo
che tuo fratello ha un debole per le aliene frivole che gli cascano
ai piedi. Sunao invece un po' lo spaventa, perché... be',
Sunao fa
un po' paura a tutti. Ma lo intriga anche, perché nonostante
sappiano entrambi che lei ha sempre cercato di conquistarlo, non ha
mai fatto come tutte quelle stupidotte che lui si è portato
a letto.
Fidati, io
lo so.”
“E
quindi cosa vorresti fare?”
“Niente,
lo capiranno da soli. Spero.”
Rui
rise: “E se non lo volessero capire? Conosci Kert, lui non
è fatto
per l'amore, potrebbe farsi picchiare prima di ammettere che prova
dei sentimenti.”
“Ma
tanto non mi può ingannare,” l'aliena gli
lanciò un'occhiata
“Capisco sempre quando mi state mentendo.”
Il
compagno arrossì: “Ehi, io non ti dico mai
bugie.”
Lei
ridacchiò: “Ecco, appunto.”
Giusto
in quel momento Sunao si voltò a fissarla per un istante, un
sopracciglio alzato ed un'espressione che diceva Ti
sei forse dimenticata che posso ascoltare i tuoi pensieri e sono
esperta nell'arte marziale?
che fece zittire subito l'amica.
“Cosa
c'è?” le domandò Kert, ancora impegnato
nell'accudire, in un
riflesso quasi meccanico, quel paio di gambe che lo facevano
impazzire.
Sunao
lo guardò, facendo un sorrisetto compiaciuto:
“Niente, pensavo che
ho solo voglia di dormire.”
Lui
le scoccò il suo solito sorriso sbruffone: “Con
me?”
Lei
scoppiò a ridere, dandogli un colpo leggero con la gamba che
lui
stringeva: “Vattene, Tha, ho già esaurito la mia
pazienza con te.”
L'alieno
si alzò, sempre ghignando, rubandole un bacio prima di
rientrare
nella villa.
Sunao
chiuse gli occhi, assorbendo più calore possibile.
“Non ti mordo,
Espera, tranquilla.” esclamò dopo poco, avvertendo
la presenza
dell'amica.
“Ciao,”
cinguettò lei, comparendole davanti “Posso rubarti
un minuto?”
La
Messaggera annuì, così Espera si sedette vicino a
lei: “Vorrei
che tu mi allenassi.”
Solo
un occhio violetto si aprì: “Come?”
“Hai
capito bene! Voglio essere di aiuto anche io, qui, e l'unico modo per
farlo è ricevendo un adeguato allenamento. E quale migliore
maestra
di te potrei trovare?”
Sunao
osservò pensierosa l'altra aliena per qualche secondo:
“Tu non
l'hai mai fatto, vero?”
“Cosa?”
“Non
ti sei mai trasformata
di tua spontanea volontà.”
“Oh.”
Espera si rabbuiò “No. In realtà mi
è successo solo un paio di
volte, e sempre quando mi ero arrabbiata molto. Ma non sono mai
riuscita a controllarlo.”
“E'
rischioso, devo essere sincera.” Sunao si sedette,
raccogliendo i
capelli in una crocchia “Qui non c'è un luogo
adatto, non hai mai
provato a controllarlo, e non so quanto potere tu possa avere. Se
è
come lo immagino, è pericoloso lasciarti affidare solo
all'istinto.”
L'altra
si morse un labbro: “Come possiamo fare? I Supremi hanno
voluto
proprio questo, in fondo.”
Lei
si strinse nelle spalle: “Non lo so. Non ho mai conosciuto
nessuno
con un potere simile al tuo. Possiamo chiedere a Zaur, forse lui ne
sa qualcosa in più.”
Espera
annuì: “Va bene. Penso che sia meglio
chiederglielo dopo che
avremmo parlato con le Mew Mew, è più importante
adesso. Ma ora ti
lascio riposare, avremo un pomeriggio impegnativo.”
Sunao
rispose al sorriso dell'amica, alzandosi e stiracchiandosi i muscoli
prima di avviarsi dentro la villa. Era da un molto tempo che non si
sentiva così stanca. Ma d'altronde, era anche da molto tempo
che non
doveva affrontare cose così grosse.
Le
sfuggì uno sbadiglio, fece per aprire la porta della camera
di Kert,
in cui si era trasferita in pianta stabile, quando una mano
l'afferrò
per un polso, portandola in un angolo buio.
“Per
il cielo, Tha, che diavolo ti prende?” sbuffò,
intrappolata tra il
muro e il corpo dell'alieno.
“A
te non va per niente giù il piano del Consiglio,
vero?” gli occhi
dorati si piantarono nei suoi, luminosi nel buio del corridoio.
“E
con questo?” sussurrò lei.
Kert
ghignò: “E se io e te non giocassimo secondo le
regole?”
***
“Mina,
se continui a sbattere così i vassoi sul tavolo, finirai per
spaventare i clienti.”
La
Mew Blu lanciò un'occhiataccia a Paddy, che si
zittì subito.
“Sai
quanto me ne importa dei clienti.” sibilò, aprendo
il cassettino
della cassa e prendendo con violenza i soldi di resto.
Strawberry
la osservò con un sopracciglio inarcato, simile a quello che
l'amica
sfoggiava la maggior parte dei giorni: “Se permetti, a me
importa.
Non sei tu quella che deve sopportare Ryan quando si lamenta che lo
faremo chiudere.”
Mina
chiuse il cassettino con forza, facendolo tintinnare così
forte che
la rossa pensò si rompesse: “Come se si dovesse
preoccupare di
soldi, lui.
Forse si lamenta perché deve sopportare le tue
lamentele tutto il giorno!”
La
Mew Rosa sentì la rabbia montarle in corpo, le guance che si
tingevano di rosso: “Senti, non è colpa mia se
stai litigando con
Quiche, quindi cerca di essere un po' più civile!”
“Non
lo voglio neanche sentire nominare!” sbraitò
l'altra, attirando
sguardi curiosi dai clienti mentre impilava tazzine sporche in
equilibrio precario “Lasciami in pace!”
“Hey,
hey, ragazze!” Tart sbucò in quel momento dal
laboratorio “Vi si
sente fino da giù, Ryan mi ha chiesto di dirvi di smetterla.
E se
posso aggiungere, vi state comportando da bambine.”
“Ha
parlato l'adulto.” arrivò la risposta acida di
Mina.
“Guarda
che è mio fratello quello con cui ce l'hai, non
io.”
“Ho
detto che non voglio sentirlo nominare!”
“Ah,
certo, ignorami pure, questo risolverà tutto!”
la voce di Quiche rimbombò dal piano inferiore.
Pam
e Lory si scambiarono un'occhiata preoccupata, la prima scuotendo la
testa sconsolata. “Ma proprio adesso dovevano litigare?
Dovremmo
essere uniti al massimo.”
“Non
è colpa mia, sai!” Quiche salì le scale
a grandi passi, pestando
i piedi ad ogni gradino “Ha cominciato lei.”
Pam
inarcò un sopracciglio: “Davvero maturo,
Quiche.”
“Non
potreste lasciarcene fuori?” lo implorò la Mew
Verde “O almeno
cercare di evitarlo al locale?”
“Se
magari lui evitasse
di stare sempre tra i piedi al Caffè Mew Mew, allora forse
non litigheremmo anche qui!” ringhiò Mina,
prendendosela questa
volta con dei poveri piattini innocenti.
“E
dove vorreste che io andassi, vostra grazia?”
replicò sarcastico
l'alieno, accennando ad un inchino.
Mina
gli lanciò uno sguardo di fuoco: “Ah, lo so io
dove dovresti
andare!”
“Ragazzi!”
Ryan gridò sovrastandoli tutti “Smettetela subito.
Bisogna
chiudere il locale, sono arrivati gli alieni.”
Bonsoir
:) Stavolta aggiornamento abbastanza veloce e diciamo non troppo
corto :)
Lo
so che si concentra molto sugli alieni, ma mi serviva per spiegare un
pochetto di cose e per far vedere il loro lato della vicenda. E poi
mi stanno simpatici quindi abbiate pazienza con me ^^
Ah,
per chi non si ricordasse qual è il
“vero” potere di Espera, la
risposta è nel capitolo 16 :)
Colgo
l'occasione per ringraziare chi legge e commenta, e chi ha inserito
questa storia tra i preferiti/ricordati/seguiti. Se avete voglia di
perdere cinque minuti del vostro tempo per lasciare anche un
commento, mi fareste molto felice, tanto lo so che ci siete ;)
Si
passa in fase esami seria, quindi spero di riuscire ad aggiornare al
più presto. Incredibilmente stanno venendo fuori
più capitoli di
quelli che pensavo, quindi vedremo ^^
A presto, la vostra
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 23 *** Seize the chance ***
Seize
the chance
“A
te non va per niente giù il piano del Consiglio,
vero?” gli occhi
dorati si piantarono nei suoi, luminosi nel buio del corridoio.
“E
con questo?” sussurrò lei.
Kert
ghignò: “E se io e te non giocassimo secondo le
regole?”
Sunao
batté le palpebre un paio di volte, cercando velocemente
nella mente
di lui qualcosa che desse senso a quelle parole: “Ti sei
bevuto il
cervello?”
“Eddai,
Sunamora, ascolta.” Kert iniziò a bisbigliare,
lanciando
un'occhiata verso l'entrata del corridoio “Di là
stanno
progettando di andare a parlarci oggi pomeriggio. Sappiamo benissimo
che questa è un'enorme cretinata. Allearci con chi dobbiamo
distruggere? Non mi sembra una grande strategia. Invece possiamo
prendere due piccioni con una fava.”
“Tu
vuoi farti ammazzare, ecco cosa vuoi!” sibilò lei
“Sei
impazzito, per caso? Hai già mezzo Consiglio contro di te,
hai idea
di cosa potrebbero fare se soltanto intuissero che stai di
nuovo infrangendo
un loro ordine?”
“Sarebbe
solo perché non capirebbero che il loro è un
ordine demente! Cosa
pensi che faranno le umane dopo che avremmo, forse,
sconfitto Profondo Blu? Pensi che ci ringrazieranno?!”
Sunao
sospirò, passandosi una mano sulla fronte:
“Ascoltami bene. Posso
capire i tuoi seri
problemi
con l'autorità, ma quello che stai proponendo è
una missione
suicida. Lo so che non è il migliore dei piani, non sta bene
nemmeno
a me. Ma io ci tengo alla pelle. Per il Cielo, non dovresti venire
nemmeno a raccontarmele certe cose!”
L'alieno
sbuffò: “Già, come se tu potessi mai
andare a fare la spia su di
me al Consiglio.”
Lei
lo fulminò con lo sguardo: “Non tirare troppo la
corda, Kert.”
Lui
alzò le mani in segno di difesa, staccandosi da lei, la
quale
riprese: “E comunque, nessuno ci ha ancora detto cosa fare dopo
che Profondo Blu sarà sconfitto...”
Kert
alzò di scatto lo sguardo, ghignando divertito al medesimo
sorrisetto dell'aliena: “Ora sì che ti riconosco,
Sunamora.”
Sunao
gli fece l'occhiolino e si voltò verso la stanza da letto:
“Ora
vado a riposare, sarà un pomeriggio estremamente faticoso.
Il Cielo
sa quant'è noioso patteggiare.”
“Ma
non puoi trovarti una stanza per te?”
“Perché?
È molto più divertente stare nella
tua...”
***
Ryan
sorseggiò quella che era la quarta, quinta forse? tazza di
caffè
della giornata, continuando a scrivere velocemente sulla tastiera del
computer.
Poteva
sentire gli schiamazzi provenienti dal piano di sopra, ma non poteva
importargliene di meno. Aveva imparato ben presto a lasciar perdere
le solite litigate tra le ragazze, non erano affar suo, men che meno
quando si trattava di affari di cuore. Sarebbe intervenuto solo e
soltanto nel caso in cui il tutto fosse diventato eccessivo (come
quella volta che Mina si era messa a rincorrere Paddy brandendo un
tagliere di marmo – da
dove la tirava fuori tutta quella forza era ancora un mistero per
lui).
Per il resto, Pam poteva gestire benissimo la situazione.
Lanciò
uno sguardo obliquo a Pie mentre anche Quiche si metteva a sbraitare,
quando il beep
beep
proveniente dal computer lo distrasse: si erano accesi i radar che
segnalavano la presenza degli alieni.
“Goddammit..”
sussurrò, abbandonando la tazza ormai vuota sul tavolino e
correndo
fuori dalla stanza, Pie dietro di lui. Possibile che non ci fosse mai
un attimo di pausa?
“Ragazzi!”
gridò quando raggiunse il salone“Smettetela
subito. Bisogna
chiudere il locale, sono arrivati gli alieni.”
Mina
roteò gli occhi: “Oh, per l'amor del
cielo!”
Kyle
uscì dalla cucina, pulendosi le mani sul grembiule:
“Il locale è
pieno, Ryan, non vorrei creare inutilmente panico.”
“Secondo
me non vogliono combattere,” Paddy era affacciata alla
finestra, a
guardare il giardino sul retro “Sono mezzi nascosti dagli
alberi e
c'è una tizia dai capelli neri che sembra stia aspettando
sul
vialetto.”
“Okay,
okay...” Ryan si passò una mano sugli occhi,
pensando velocemente
“Allora ci andrò a parlare.”
Strawberry
saltò in avanti, afferrandolo per il bordo della camicia:
“Tu non
vai da nessuna parte da solo!” esclamò
“Non hai poteri per
difenderti!”
“Andremo
io e Pie con lui,” Pam suggerì
“D'accordo? Così voi potete
lentamente svuotare il locale senza causare panico.”
Uscirono
dalla porta sul retro, percorrendo il corto vialetto in silenzio e
sulla difensiva.
Qualunque
atteggiamento pacifico avrebbero mai potuto dimostrare gli alieni,
non era decisamente abbastanza per poter abbassare la guardia.
Soprattutto quando solo quell'aliena, dall'aspetto così
mite,
emanava una tale energia da far vibrare i sensi sia di Pie che della
Mew Viola.
Il
trio si fermò a qualche metro da Espera, che sorrise
nervosamente:
“Ehm... ciao. Io mi chiamo Espera. Sono qui per potervi
chiedere di
parlare, a nome di tutti.” gli altri rimasero zitti,
così lei
continuò “Lo so che potrebbe sembrarvi strano, ma
visti gli ultimi
avvenimenti, abbiamo deciso che il corso delle azioni avrebbe dovuto
essere interrotto, e così...”
“Perdonami, ma potresti
arrivare al sodo?” la interruppe Pam, fredda ma cortese.
L'aliena
annuì: “Noi... vorremmo chiedere di partecipare
insieme a noi,
come alleati, alla lotta contro Profondo Blu.”
I
tre alzarono contemporaneamente le sopracciglia, alquanto sorpresi.
“Come
scusa?” domandò Ryan “Voi vorresti allearvi?”
Espera
annuì ancora: “Se siete disposti ad avere un
incontro tutti
assieme, potremmo discuterne meglio, ma il punto è
questo.”
Pam
e Ryan si scambiarono un'occhiata: “Do
you think she's serious or is this some kind of trap?”
sibilò la mora.
L'americano
si strinse nelle spalle. Se ci pensava a fondo, combattere con gli
alieni per sconfiggere Profondo Blu era la scelta migliore che in
quel momento avevano a disposizione.
“Noi
dovremmo parlarne con gli altri,” rispose ad Espera
“Avremo
bisogno di un po' di tempo.”
Lei
si voltò per un istante verso i suoi compagni:
“Potremmo tornare
più tardi, quando il vostro locale sarà vuoto, se
vi va.”
“Per
poter spiarlo?” ringhiò Pie, le braccia incrociate
al petto, ben
poco incline a trattare con quei cugini. Pam gli mise una mano sul
braccio per calmarlo, mentre Espera scrollava le spalle: “No,
non
abbiamo bisogno di quello, già fatto.”
Ryan
alzò di nuovo il sopracciglio per la schiettezza
dell'aliena,
lanciando un'occhiata agli altri nascosti tra gli alberi.
“Va
bene, sentite, tornate qui tra tre ore.” replicò.
Espera
gli sorrise, soddisfatta, e si teletrasportò velocemente,
mentre i
tre ritornavano al Caffè.
“Non
so cosa ti stia passando per la testa,” borbottò
Pie rivoltò a
Ryan, che scosse le spalle.
“Non
lo so nemmeno io...” rispose “E non sono molto
curioso di sapere
cosa ne penseranno gli altri.”
“Secondo
me sei caduto dal seggiolone quando eri piccolo e hai battuto la
testa estremamente forte.” esclamò Mina, dieci
minuti dopo quando,
a locale ormai quasi vuoto, ebbero terminato di raccontare di quel
breve incontro.
“Hanno
chiesto soltanto di parlare, io non ho detto ancora di
sì,”
ribatté il biondo “Mi fido di loro poco quanto
voi.”
“Ed
è meglio farlo qui al Caffè piuttosto che in un
luogo che non
conosciamo,” intervenne pacatamente Kyle “Giochiamo
letteralmente
in casa.”
La
Mew blu scrollò le spalle, afferrando un vassoio pieno di
dolci:
“Fate come volete, ma a me non va giù.”
Strawberry
fece per dirle qualcosa mentre si dirigeva verso un tavolo occupato
da una famigliola, ma Pam le mise una mano sulla spalla, fermandola:
“Lascia stare. In questo momento per lei è
più difficile che per
noi.”
La
Mew rosa annuì: “Lo so, vorrei cercare di
aiutarla...”
“Mina
non lo ammetterebbe mai, lo sai. Lascia che stia un po' da sola con i
suoi pensieri, si farà avanti lei quando ne avrà
bisogno.”
Strawberry
guardò l'amica, che quel giorno lavorava come mai aveva
fatto prima,
e poi sospirò: “Forza, rimettiamoci al lavoro.
Abbiamo tre ore per
svuotare questo posto.”
***
“Hanno
anche delle pretese, capisci! Siamo noi
quelli che vanno ad umiliarsi
per chiedere aiuto, e loro
ci fanno pure aspettare.” Kert borbottò poco
contento, steso a
pancia in su sul suo letto, le braccia incrociate dietro la testa.
Sunao,
in piedi davanti al grande specchio incrinato mentre si rivestiva,
gli lanciò un'occhiataccia: “Stai continuando a
pensare a quelle
cinque anche dopo che ti ho fatto impazzire?”
Lui
ghignò: “Oh, non darti così tante arie,
Sunamora.”
L'aliena
sbuffò, appuntandosi mentalmente di fargliela pagare, dopo,
e si ravvivò i capelli: “Forza, alzati.
È ora di andare.”
Kert
cantilenò come un bambino lagnoso: “Ma devo
proprio?”
Gli
servì soltanto la smorfia glaciale della Messaggera come
risposta.
“Cerchiamo
di essere pazienti, d'accordo?” domandò Rui
all'intero gruppo
quando si riunirono tutti nel salone, pronti per ritornare al
Caffè.
“Sissignore,”
ribatté Pharart con una punta di ironia “Pazienti
come Kert quando
ha fame.”
Tirato
in causa, l'alieno dagli occhi dorati gli ringhiò contro,
divertendo
l'amico e togliendo qualsiasi speranza dal povero Comandante, che si
limitò a prendere per mano Espera e teletrasportarsi davanti
al
locale rosato.
Era
ormai tardo pomeriggio, e la luce del Sole stava scemando, lasciando
posto al chiarore dei lampioni. Meglio, per non essere notati dagli
umani.
I
sei si incamminarono lungo il vialetto sul retro, i sensi tesi a
captare ogni possibile minaccia, soprattutto in quanto disarmati.
“Spero
solo che lo siano anche le umane, e i vostri cugini,”
mugugnò
Zaur, interpretando il pensiero di tutti.
La
porta sul retro si aprì di scatto, rivelando Pie e Ryan,
entrambi
visibilmente tesi e dai volti duri.
“Immagino
che questo incontro sia spiacevole per tutti,”
cominciò l'alieno
viola “Ma nonostante ciò, a quanto pare
è necessario, quindi
cerchiamo di non sprecarlo e di farla corta, così da
risparmiarci
ulteriori dolori.”
Si
fecero da parte, e gli alieni di Gaia marciarono dentro, in silenzio.
Le
Mew Mew li stavano aspettando in piedi davanti ad un grande tavolo
posto apposta al centro della sala, vestite nei loro abiti
quotidiani, Tart, Kyle e Quiche in mezzo a loro.
Mina
fece un brusco respiro profondo, un brivido che le corse lungo la
schiena nel vederli, e, in silenzio, Paddy le prese la mano e gliela
strinse forte in un gesto di conforto.
“Siamo
qui in pace,” iniziò Espera “Comprendo
benissimo gli stati
d'animo di tutti, ma posso assicurarvi che le nostre intenzioni sono
onorevoli.”
“Fidatevi,
quando vi dice che comprende,” Kert afferrò
sgraziatamente una
sedia, buttandocisi sopra e guadagnandosi l'ennesima occhiataccia da
Sunao “Lei ha il dono dell'empatia.”
Le
Mew Mew si scambiarono uno sguardo, poi Strawberry si
schiarì la
gola: “Quindi... se ho capito bene, voi volete combattere
insieme a
noi per sconfiggere Profondo Blu?”
Rui
annuì, facendo un passo avanti: “E' arrivato
l'ordine di
eliminarlo del tutto, e sappiamo che anche voi avete un interesse in
questo.”
La
Mew rosa si morse il labbro inferiore. Le parole eliminarlo
del tutto
non le suonavano molto bene.
Kyle
indicò il tavolo con un gesto del braccio:
“Venite, qui staremo
più comodi e potremmo discutere in pace.”
Mai
aveva avuto così torto.
Non
ci volle molto perché l'incontro si trasformasse in una vera
e
propria discussione, alimentata principalmente dai costanti
battibecchi tra Quiche e Kert, e da Strawberry, che continuava a
voler difendere l'innocenza del corpo umano di Profondo Blu.
Pam
si massaggiò le tempie, frustata: “Riusciamo almeno
a concordare su come sconfiggerlo?!”
“Non
avete l'addestramento adatto,” spiegò Sunao,
decisamente alterata
“Bisogna riuscire a combinare i nostri sforzi, ma tutti avete
bisogno di imparare alcune cose.”
“Non
abbiamo tempo di allenarci!” esclamò Lory
“Profondo Blu potrebbe
attarci da un momento all'altro!”
“Be' allora non vi resta
altro che farvi sconfiggere ogni volta,” abbaiò la
Messaggera con
rabbia “Io vi ho già salvato la pelle una volta,
ma non basto da
sola.”
“Di
quali allenamenti stai parlando?” domandò curioso
Tart.
“Velocità,
tecniche speciali di combattimento, misure ad
hoc...”
spiegò lei “Alcune di queste sono insegnate
all'Accademia di Gaia,
ma non troppo nel dettaglio, devono essere rafforzate. Altre sono...
trucchi del mestiere.”
Pam
le lanciò un'occhiata interrogativa; anche quell'aliena
emanava un
potere che la metteva a disagio, nonostante l'aria così
tranquilla e
controllata. Pur non ammettendolo, le incuteva timore proprio per
questo.
“E
tu saresti l'unica a conoscerle? Come facciamo a sapere che invece
non sia un trucco per gettarci direttamente nelle fauci di Profondo
Blu?” ringhiò Quiche, che stava facendo un
grandissimo sforzo di
volontà nel trattenersi dall'infilzare il cugino
lì all'istante.
Sunao
sbuffò, sprezzante: “Se quello fosse il mio piano,
non starei qui
a perdere tempo con voi. Vi lascerei soltanto combattere contro di
lui e il problema sarebbe risolto.”
“Scommetto
che ti piacerebbe.”
Kert
ghignò: “A me molto, cuginastro.”
Pie
mise una mano sulla spalla del fratello prima che questi si alzasse
per attaccare: “Credevo che sarebbe stato un incontro pacifico.”
sibilò.
“Facciamo
una pausa, d'accordo?!” Kyle si alzò in piedi,
alzando le mani “Se
a tutti voi va bene, vi offrirei del tè per distarci qualche
istante. Farà bene a tutti.”
Il
generale mormorio di assenso permise a tutti di alzarsi in piedi e
sparpagliarsi per il salone del locale.
Visibilmente
frustrato, Ryan si avviò verso il bagno riservato al
personale,
seguito a ruota da Strawberry, che si era rigirata talmente tanto una
ciocca di capelli tra le dita da averle dato la forma di un ricciolo.
Si
chiuse la porta alle spalle, osservando in silenzio mentre il biondo
si sciacquava il viso e si passava una mano tra i capelli, ormai
talmente arruffati da non avere più un senso. Fece l'unica
cosa che
le venne spontanea e che sapeva sarebbe servita a entrambi: senza
aggiungere una parola, andò a cingere la vita del ragazzo
con le
braccia, appoggiando la guancia al suo petto e facendo un respiro
profondo, ascoltando il ritmo del suo cuore.
Ryan
sospirò, stringendola forte a sé:
“Rimpiango i momenti in cui
erano solo tre gli alieni con cui trattare.”
La
rossa sorrise: “Non hai mai avuto pazienza.”
“Ne ho avuta
eccome, invece,” replicò lui
“Soprattutto per quanto riguarda te
e quel merluzzo. Avrei potuto spaccargli la faccia un miliardo di
volte e, Dio,
quanto vorrei averlo fatto, in questo momento.”
Strawberry
gli diede un pizzicotto, poggiando il mento sul suo petto
così da
poterlo guardare negli occhi: “Cosa dobbiamo fare?”
“Non
lo so,” sospirò “In realtà
un'idea ce l'avrei, ma non so quanto
possa piacere.”
“Peggio
di così... a cosa stavi pensando?”
“Intanto,
pensavo che sarebbe meglio far partire i tuoi con Kim per una vacanza
da qualche parte... Tokyo è pericolosa in questo momento,
starei più
tranquillo a saperli lontani da qua...” iniziò ad
accarezzarle la
guancia con il pollice mentre lei annuiva “E poi, pensavo che
anche
noi potremmo spostarci, e iniziare questi famosi allenamenti al
mare... così saremo anche noi lontani dalla città
e avremo spazio
per muoverci senza che nessuno si meravigli.”
“Vorresti
far entrare gli alieni in casa tua?”
“Sempre meglio quella al
mare che qui a Tokyo.”
La
Mew Rosa ci pensò su per un istante, poi si strinse nelle
spalle:
“Se tu credi che sia una buona idea...”
“Credo
che sia la migliore che abbiamo, per il momento.”
Poco
più in là, nello spogliatoio delle ragazze,
Quiche bussò
leggermente contro lo stipite di legno chiaro, facendo sobbalzare
Mina, che velocemente stava finendo di riempiendo la sua borsa.
“Non
ho intenzione di rimanere qui più del necessario,”
spiegò quando
lo vide “Così risparmio tempo.”
L'alieno
annuì, facendo un piccolo passo verso di lei:
“Come... come stai?”
“Benissimo.”
rispose a denti stretti la Mew Blu, troppo velocemente
perché la
risposta fosse sincera “Sono solo incredibilmente stanca ed
irritata da tutti questi disastri che si accumulano uno sull'altro.
Ho ben altre cose a cui pensare.”
“Mina,
senti...”
“No.”
lei si voltò di scatto, alzando una mano “Non
iniziare con il
Mina,
senti.
Non ho voglia di ascoltarlo, non qui, non adesso.”
“E
allora quando?” sbottò lui “Sono giorni
che va avanti questa
storia!”
“Non
lo so! Forse domani, forse dopodomani, forse quando il casino con gli
alieni sarà finito!” afferrò la borsa e
marciò fuori dalla
stanza, scontrandosi in pieno con la povera Lory, che era andata a
cercarli per informarli che il dibattito era ripreso.
“Ryan
ha proposto di allenarsi al mare da lui,”
bisbigliò mentre si
avvicinavano al tavolo.
“Shirogane
ha fatto cosa?!” Mina alzò gli occhi al cielo
“Ha sbattuto
davvero, davvero forte.”
“Allora,
siamo tutti d'accordo?” domandò Kyle
“Sunao gentilmente ci
insegnerà quello che serve per poter sconfiggere Profondo
Blu, e
Ryan metterà a disposizione la casa al mare, così
da poter essere
lontani da occhi indiscreti.”
“Quanto
tempo ci vorrà?” Pie si rivolse a Sunao, che si
strinse nelle
spalle.
“Questo
dipende da voi. Date le circostanze, mi piacerebbe risolvere in
massimo una settimana quello che normalmente si impara in
mesi.”
“Prospettiva
interessante...” mugugnò sarcastico Tart.
“Bene,
allora se abbiamo finito, io me ne andrei a casa.” Mina
iniziò a
marciare verso l'uscita, facendo il giro largo per evitare di passare
vicino a Kert.
Paddy
si alzò subito dopo: “Mina aspetta, vengo con
te!” esclamò, poi
schioccò un bacio sulla guancia a Tart e corse dietro
l'amica.
Rui
guardò i suoi compagni, rivolgendosi poi a Ryan:
“Allora noi
togliamo il disturbo. Vi va bene partire domani pomeriggio, al
tramonto? Preferiamo non farci vedere dagli umani.”
Il
biondo annuì e così, con qualche cenno di saluto,
gli alieni di
Gaia si teletrasportarono via.
Gli
otto rimasti tirarono un lungo sospiro di sollievo, accasciandosi
sulle sedie. Erano state le due ore probabilmente più lunghe
della
loro vita.
“Che
ne pensate?” domandò il maggiore degli Ikisatashi,
sfregandosi la
fronte per allontanare il fastidioso mal di testa che lo aveva
aggredito.
“Espera
e Sunao mi fanno venire i brividi,” rispose il fratello
più
piccolo, con una smorfia di paura “Avete percepito anche voi,
vero,
il potere che hanno?”
Le
tre Mew Mew annuirono, preoccupate in volto.
“Però,
è una buona cosa se adesso sono dalla nostra parte,
no?” chiese
Lory.
“Non
abbassate la guardia,” fu la risposta di Ryan “Non
possiamo
essere del tutto certi delle loro intenzioni. Per quanto mi riguarda,
sono più letali di quanto non eravate voi.”
“Non
mettermi alla prova.” borbottò Quiche, malamente
allungato su due
sedie, lo sguardo fisso sul tridente che si stava rigirando tra le
dita.
“Andiamocene
a casa, tutti,” Kyle si infilò la giacca e prese
per mano Lory
“Siamo tutti stanchi e abbiamo bisogno di riposo. Non
sarà facile
sopravvivere a questa settimana.”
In
pochi minuti, Ryan e Strawberry rimasero soli nel locale. La rossa si
alzò, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente:
“Prendo le mie
cose e poi andiamo?”
Lui
annuì: “Faccio un paio di telefonate, ti aspetto
qui fuori.”
Strawberry
corse veloce dentro e fuori dallo spogliatoio – non le
piaceva per
niente essere l'ultima nel locale buio, anche se accadeva decisamente
molto spesso, e soprattutto non le piaceva in un momento come quello.
Perciò accelerò più del solito il
passo, chiudendo svelta la porta
sul retro del Caffè con un doppio giro di chiave e
raggiungendo il
marito proprio nel momento in cui terminava una telefonata.
“Sono
riuscito a trovare tre posti per una crociera,” la
informò
prendendola per mano “Pensi che ai tuoi
piacerà?”
“Certo
che gli piacerà! E poi, come hai detto tu, è
meglio che stiano
lontani, per un po'.”
Salirono
in auto, il chiacchierare di cose futili che copriva l'apprensione
che entrambi provavano, dimostrata da quel continuo strofinare di
pollici l'una sul dorso della mano dell'altro.
Era
come se parlare ad alta voce delle preoccupazioni e delle paure le
avrebbe soltanto rese più vere ed incombenti; invece,
entrambi
necessitavano di un angolo di pausa in cui fingere, per una volta,
che tutto fosse normale.
L'aria
familiare di casa li fece rilassare, aiutata dalla voce allegra di
Sakura che giocava con la piccola Kimberly.
“Ciao
mamma,” salutò Strawberry, piegandosi sulle
ginocchia per prendere
in braccio la figlia, che si era lanciata in gridolini estasiati non
appena l'aveva vista entrare nella sua cameretta.
“Ciao
ragazzi,” la signora Momomiya si alzò dalla
poltroncina, andando
immediatamente a salutare il suo bel genero “Com'è
andata la
giornata?”
“Uhm...
bene,” mentì il biondo, grattandosi il collo
“Senta, Sakura,
potrebbe farmi un favore?”
“Ma certo caro, tutto quello che
vuoi,” tubò lei, raccogliendo le sue cose.
Ryan
si schiarì la gola: “Ecco, vede... io e Strawberry
avremmo vinto
dei biglietti per una crociera, ma non abbiamo tempo di andarci tra
una cosa e l'altra... perciò mi chiedevo se a lei e a
Takashi
avrebbe fatto piacere andarci con Kim, in modo che non vadano
sprecati.”
“Oh
ma che cosa carina!” Sakura applaudì come faceva
la figlia “Sono
certa che a Takashi piacerà tantissimo l'idea, era da
così tanto
tempo che volevamo andarcene in vacanza!”
“L'unica
cosa è che dovreste partire dopodomani, mamma.” le
spiegò la
rossa, e la madre si strinse nelle spalle.
“Nessun
problema, lo sai che sono una maga delle valigie.”
I
due ragazzi risero: “Troverà i biglietti nella
cassetta delle
lettere domani, ho predisposto che l'agenzia facesse
così.”
terminò l'americano.
“Grazie
mille, ancora. Allora, ci vediamo domani?”
Strawberry
annuì, schioccando un bacio sulla guancia della donna:
“A domani
mamma, saluta papà.”
Quando
la signora Momomiya fu uscita, Ryan inserì immediatamente
l'allarme
per le porte principali. Sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a
fermare un potere alieno, ma in qualche modo gli serviva come
placebo.
La
stanchezza accumulata in quella giornata si riversò su di
lui in un
colpo solo, e si rese conto di voler soltanto dormire per ore,
perché
si prospettavano giorni ancora più difficili. E di certo
possedere
geni di gatto non l'aiutava.
Appoggiò
la fronte sulla spalla di Strawberry, seduta sul bracciolo della
poltrona a controllare la piccola che giocava beata: “Ti
prego,
dormiamo.”
Lei
ridacchiò: “Ci pensi tu a metterla a
letto?”
Annuì,
prendendo in braccio la figlia e lanciandola in aria, facendola
strillare di felicità.
Strawberry
sorrise, mentre sentiva il cuore gonfiarsi. Solo lei conosceva quel
lato del carattere dell'algido americano; solo lei sapeva quale
dolcezza poteva riservare in privato a quella sua piccola copia
sputata. Sapeva che tra lui e Kimberly c'era un legame speciale,
racchiuso tra quei sorrisi che la bimba riservava solo a lui ed egli
ricambiava allo stesso modo, e l'illuminarsi di entrambi quando
l'altro entrava nella stanza.
Non
ne era gelosa, affatto; si sentiva fiera di aver creato qualcosa che
li potesse rendere così felici, qualsiasi cosa potesse
succedere.
Era contenta di sapere che avrebbero per sempre avuto l'un l'altra.
Osservò
curiosa Ryan che trascinava il lettino verso la loro camera,
canticchiando filastrocche in inglese a lei sconosciute ma dalla
melodia familiare, tante erano state le volte che l'aveva sentito,
quando lo ascoltava in silenzio per paura di poter interrompere quel
momento.
Sapeva
benissimo perché, quella sera, lui la volesse far dormire
con loro,
e approvava appieno... anche se quello stesso pensiero le procurava
una dolorosa fitta al cuore.
Entrò
in camera proprio mentre il ragazzo rimboccava le coperte alla
piccola, e le si avvicinò per sfiorarle i capelli dorati.
L'idea
di non poterla avere vicino le stringeva lo stomaco, ma sapeva che
sarebbe stato solo per il suo bene.
Ryan
l'abbracciò da dietro, appoggiando la guancia contro la sua
mentre
entrambi rimanevano incantanti a guardare quel loro piccolo miracolo.
“Andrà
tutto bene, vedrai.” le sussurrò lui all'orecchio.
E
lei pregò davvero di poterci sperare con tutto il cuore.
Sì,
io domani ho un esame e sì, non sono per nulla pronta eppure
sì,
sono qui a ultimare e pubblicare questo capitolo perché la
parte
sciagurata, procrastinante e masochista di me riesce sempre a
prendere il sopravvento. Siete quindi liberi di sgridarmi, se volete.
XD
Spero
che almeno siate felici dell'aggiornamento, anche se io non sono
pienamente soddisfatta del capitolo... voi che dite?
Abbiate
pietà, è solo l'inizio della sessione.
Andrà sempre peggio.
Grazie
a chi legge, commenta (doppio grazie a voi!) e come al solito segue
questa fic. Ora torno ad avere la crisi di panico pre-esame e vedere
se riesco a farmi entrare qualcosa in testa. Se avete bisogno di
chiarimenti o che so altro, o semplicemente volete farmi felice,
sapete dov'è il pulsante Aggiungi un
commento
;)
A
presto,
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 24 *** L'Addestramento - Parte Prima ***
L'addestramento
- Parte prima
L'addestramento
- Parte prima
Kert
si svegliò all'alba controvoglia quella mattina, complice un
raggio
di Sole che birichino lo colpiva in pieno viso. Con un grugnito
irritato, si alzò dal letto per andare a chiudere quella
maledetta
tenda e guadagnarsi delle ore in più di sonno, consapevole
del fatto
che gli sarebbe servito nei giorni successivi. Poteva benissimo
saltare i suoi allenamenti, tanto Sunamora li avrebbe schiavizzati
tutti.
Si
voltò verso l'aliena addormentata tra le sue lenzuola, la
luce che
lanciava riflessi sulla pelle candida della schiena. Non era
decisamente abituato ad avere qualcuno permanentemente nel letto,
eppure non gli dispiaceva la compagnia di Sunao.
Alzò
le sopracciglia. Cosa si era appena detto?
Un
movimento aldilà del vetro catturò la sua
attenzione; strinse gli
occhi, cercando di vedere meglio. Aveva la spiacevole sensazione di
essere osservato. Eppure, il vecchio giardino davanti a lui era
completamente vuoto, a parte per alcuni uccellini mattinieri.
Scuotendo
la testa, chiuse con un colpo le pesanti tende di velluto rosso e si
infilò di nuovo nel baldacchino. Tutta quella situazione,
tra umane
e Profondo Blu, lo stava rendendo paranoico.
Era
forse un bene, allora, spostarsi temporaneamente nella villa di quel
biondo sfacciato, lontano da Tokyo. Lui, dopotutto, aveva sempre
voglia di prendersi una vacanza.
Inoltre,
avrebbe avuto tutte le opportunità per dare sui nervi al suo
caro
cuginetto.
Un sorriso maligno gli si disegnò sulle labbra mentre
cercava una
posizione più comoda. Oh sì, Quiche aveva davvero
poca pazienza, ed
era estremamente divertente vederla scemare in pochi istanti. Forse
si sarebbe messo nei guai con Rui, ma poco importava. Aveva bisogno
di qualche distrazione, o sarebbe impazzito.
-Non
che Sunao non sia una distrazione piacevole,-
gli ricordò una vocina nella sua testa.
Si
voltò sul fianco, osservando il profilo della Messaggera.
Quando
dormiva, e dormiva parecchio, sembrava così dolce ed
innocente.
Tutta diversa da com'era in realtà. O almeno, da com'era
diventata
da quando suo padre era morto e lei era stata cresciuta dallo zio.
Si
ricordava ancora di quando erano piccoli. Di quando, per sua madre,
era ancora accettabile che lui e Rui giocassero liberamente tutto il
giorno, con chiunque volessero.
Le
scostò una ciocca di capelli che le cadeva sulla guancia,
sistemandola dietro l'orecchio, soffermandosi solo un secondo a
sfiorarle la pelle.
Poi
sbuffò. Ma cosa diavolo andava a pensare?! Non aveva tempo
per certe
cose. Relazioni e intrecci vari non lo interessavano, specialmente
non durante una missione del genere.
Lui
era lì solo per fare il suo dovere e mostrare quanto davvero
valesse. Prima avrebbero ucciso Profondo Blu, prima avrebbero risolto
il problema Mew Mew, prima tutta quella storia sarebbe finita, e lui
sarebbe stato libero di tornarsene a casa e vivere in pace.
Fino
a quel momento, però, avrebbe tenuto i suoi pensieri per
sé. Ci
teneva, davvero, a non essere squarciato vivo da quell'arpia di
Sunao. Per adesso, si disse, l'unico modo in cui le avrebbe
consentito di usare le unghie sarebbe stato per lasciare piacevoli
graffi sulla sua schiena.
Ghignò
di nuovo, trovando finalmente la posizione giusta per dormire.
Fu
Pharart a svegliarlo, qualche ora dopo, aprendo violentemente le
tende: “Buongiorno, amico. Muovi il sedere, è ora
di fare i
preparativi.”
Kert
grugnì: “Ma se partiamo stasera!”
“Lo
so, ma tuo fratello vuole controllare alcune cose prima di andarcene,
così siamo sicuri che vada tutto bene.”
Il
maggiore dei Tha maledisse mentalmente suo fratello minore e la sua
puntigliosità.
L'altro
lato del letto era vuoto; Sunao, come al solito con il suo fare
felino, era scomparsa chissà dove, e sarebbe tornata solo
quando
avrebbe voluto. Probabilmente a controllo concluso.
Per
quello fu sorpreso di trovarla già nel salone quando vi
giunse,
intenta a parlottare fitta fitta con Espera, entrambe raggomitolate
sul divano. C'era sicuramente qualcosa che quelle due stavano
architettando, ed era certo che non lo sarebbe venuto a sapere se non
al momento stesso dell'attuazione.
“Kert,
hai controllato che Maciste sia a posto?” gli
domandò Rui,
scorrendo velocemente su uno degli schermi.
“Mmmhmm,”
fu la risposta “E' fermo da settimane, ha bisogno di essere
usato.”
“Credo
che per il momento sia meglio lasciarlo all'astronave, non credo ne
avremmo bisogno durante gli addestramenti.”
“Scusami?”
il fratello si piegò in avanti per avvicinarsi “Tu
vorresti andare
disarmato dalle umane?”
Rui
gli scoccò un'occhiataccia: “Non saremo
completamente disarmati,
ma ricordati che saremo là per allenarci.
Insieme.”
“Seeee,
seee,” Kert agitò una mano nell'aria
“Vado a controllare
l'astronave. Cercate di farvi trovare pronti.”
Uscì
senza aggiungere altro, facendo scrocchiare le ossa del collo,
scendendo la grande scalinata di marmo che portava al parco della
villa.
Di
nuovo, provò la fastidiosa sensazione di essere osservato.
“Chiunque
tu sia, sappi che qui non c'è niente da vedere.”
borbottò,
sentendosi ridicolo di star parlando praticamente da solo e a voce
alta.
Sospirò.
Quella storia doveva finire, e alla svelta.
***
“Sì,
mamma ma mi raccomando, non la viziate troppo e non datele troppo da
mangiare! E chiamatemi per qualsiasi cosa! Va bene, ciao, ci sentiamo
domani!” Strawberry poggiò il cellulare sul
bancone con un
sospiro, accasciandosi contro al muro.
Kyle
le fece un sorriso comprensivo, allungandole una fetta di dolce:
“Coraggio, principessa, questo ti farà sentire
meglio.”
“Grazie,”
la rossa ricambiò, accettando con piacere quella ciambella
al
cioccolato “Non so nemmeno perché continui ad
insistere con i
miei, tanto me la riporteranno in versione mostriciattolo viziato,
come sempre.”
“Questo
è perché ha preso da sua madre!”
esclamò Ryan, sbucando dal
seminterrato con degli scatoloni, nei quali erano stati accuratamente
sistemati i computer e le apparecchiature di cui avrebbero avuto
bisogno nei giorni successivi.
“Non
è vero!” replicò lei
“Assomiglia di più a te! Sai, Kyle, che
stamattina, quando l'abbiamo lasciata dai miei, mi ha salutato con un
Bye
bye?!
Undici mesi e già fa come suo padre!”
Il
pasticcere rise: “Direi che è una buona cosa, no?
Sembra una
bambina intelligente.”
“Certo
che lo è, è figlia mia.” Ryan si
allungò sul bancone con un
sorriso sornione “E comunque, complimenti, amico. Ho sentito
la
buona notizia!”
Strawberry
si fermò con il cucchiaino ancora tra le labbra:
“Che buona
notizia?”
Kyle
arrossì leggermente: “Ehm... be', ho chiesto a
Lory se le sarebbe
piaciuto passare un po' più di tempo a casa mia, e
così le ho
liberato un po' di spazio nell'armadio, solo per lei.”
“Oh,
che cosa carina!” la rossa ritornò al suo dolce
con un sorriso
“Immagino che ne saranno felici anche Paddy e Tart, ora
avranno
casa di Lory molto più libera...”
Il
moro fece una smorfia: “Già... ci sono state
già troppe
situazioni imbarazzanti...”
Un
forte battibeccare proveniente dal giardino avvisò i tre
dell'arrivo
di Mina. Ryan roteò gli occhi: “Ma non
finirà mai questa storia?”
“Buon
pomeriggio!”Kyle salutò allegramente il resto
della combriccola
che stava entrando nel Caffè, visibilmente scocciati come il
biondo.
“Vorreste
spiegarmi perché siamo dovuti venire qui tre ore prima della
partenza?” sberciò la Mew blu, lasciando cadere
con un tonfo la
sua -enorme- valigia.
“Perché
non possiamo partire tutti assieme,” rispose glaciale Ryan
“Ci
sono degli strumenti da portare al mare che non possono essere
trasportati con gli alieni, sono troppo delicati, e sono molti.
Perciò, io, Strawberry, Kyle e Lory partiremo subito con le
auto.
Voi aspetterete gli alieni, e andrete con loro. E no, Mina, non mi
farai cambiare idea.”
“Certo,
figuriamoci se si possa mai separare la coppietta d'oro...”
borbottò lei, marciando verso la cucina per andarsi a
prendere una
tazza di tè.
L'americano
la ignorò, incominciando a organizzare gli spostamenti della
giornata, mentre Pam la seguì oltre le porte bianche da
saloon.
La
Mew blu le dava le spalle, trafficando lentamente con la fine
porcellana di Kyle. “Mi dispiace dover essere sempre la
stronza,”
esclamò avvertendo la presenza dell'amica
“Però certe cose sono
davvero insopportabili.”
“Non
devi scusarti con me,” Pam le si affiancò
appoggiandosi al
bancone, le braccia incrociate al petto “So a
cos'è dovuto il tuo
comportamento, non ti posso biasimare. La colpa, però, non
è né di
Ryan né di Strawberry.”
“Questo
lo so,” sibilò la mora “Potrebbero
comunque tenere conto di
quello che è successo invece che fare finta di
niente.”
“Siamo
tutti preoccupati per te, Mina,” esclamò Pam
“Quiche in primis.
Se non ne parliamo è soltanto perché sappiamo che
tu non vuoi.
Siamo tutti pronti ad aiutarti.”
“Potrebbero
allora evitare di lasciarmi qui da sola circondata da
alieni.”
bisbigliò, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Come
poche volte aveva fatto, Pam l'abbracciò: “Tu non
sei sola,
d'accordo? Ci siamo noi, e non permetteremo che ti facciano del
male.”
“Tu
ti fidi di loro?”
La
Mew viola pensò qualche istante prima di rispondere:
“Non mi fido
di tutti
loro.
Espera mi sembra sincera, e credo che Rui tenga molto a conto la sua
opinione.”
Mina
annuì, tirando su con il naso, poi si staccò
dall'amica: “Meglio
tornare di là, prima che a Shirogane venga un infarto
perché non
gli stiamo dando retta.”
L'altra
sorrise: “Kyle ha detto che tiene della valeriana
nell'armadietto
dei medicinali. Magari ti farebbe bene.”
“Forse
dopo. Per adesso, mi godo il mio tè.”
Uscirono
insieme nel salone, giusto in tempo per sentire Kyle esclamare:
“Allora, ci vediamo più tardi. Se ci sono dei
problemi, chiamate.”
“Non
ci sarà nessun problema, capo,” Paddy
salutò facendo un buffo
saluto militare “Ci penserò io a tenere tutti a
bada.”
Ryan
sorrise: “Come no. Cercate di non sfasciarmi il locale, per
favore.”
Si
avvicinò a Mina, dandole un amichevole buffetto sul naso:
“A bada,
tigre. O comincerò a nasconderti il tè.”
Lei
rispose con una linguaccia, spingendolo via: “Andatevene, o
farete
tardi.”
Con
qualche saluto in più, rimasero in sei all'interno del
locale.
Tart
si guardò intorno: “Cosa facciamo adesso? Gli
altri non
arriveranno prima di due ore.”
“Potremmo
fare un gioco!” esclamò Paddy con un salto.
“Ti
prego, no.” la fermò tetro Quiche, lanciando
occhiatine sbieche a
Mina, che continuava imperterrita ad ignorarlo bevendo il tè.
“Uffaaaa,
come siete scontrosi! Adesso vi insegno una cosa!” la
biondina
marciò verso la cucina, ritornando in sala poco dopo
brandendo un
coltello ed una mela verde. “La
vita è così, vedete," esclamò
affettando il frutto "A
volte è aspra come questa mela verde, ma poi basta
aggiungerci un
po' di zucchero, un po' di bei momenti, e diventa dolce come una
caramella."
Ne
prese uno spicchio e lo infilò in bocca:
“Perciò smettetela di
essere sempre negativi, ed imparate a vedere il lato positivo delle
cose!”
Pam
sorrise, divertita ed anche un po' intenerita da quella dimostrazione
di maturità che pochi, in fondo, si aspettavano dalla
ragazza; si
dimenticavano, a volte, di quanto in effetti fosse cresciuta.
“Sono
sicura che ci sia rimasto qualcosa in dispensa. Per una volta
potremmo seguire l'esempio di Mina e rilassarci tutti con del
tè.”
“Grazie,
Pam, almeno qualcuno qui mi apprezza.” sospirò
teatrale la mora
“Vado a prepararvelo, nessuno lo sa fare bene quanto
me.”
***
Kert
si voltò per l'ennesima volta con aria scocciata, osservando
il
parco dietro di sé che lentamente si oscurava con
l'avvicinarsi
dell'imbrunire.
“La
vuoi piantare?!” gli sibilò Pharart dandogli una
gomitata “Mi
stai facendo diventare paranoico! Non c'è niente!”
“Scusa!
Ma è tutto il giorno che ho la sensazione di essere
osservato!”
“Magari
è il tuo cervello che si sta risvegliando dal letargo e
vuole
considerazione.”
Kert
gli restituì la gomitata, gettandosi un'ultima occhiata alle
spalle,
il Caffè Mew Mew a ormai pochi metri da loro.
“Piantatela,
o vi rispedisco alla base.” sibilò Rui,
aggiustandosi la cinta a
cui pendeva la sua spada.
Il
resto del vialetto fu percorso in silenzio, la porta sul retro si
aprì prima che potessero bussarvici. Pie, come al solito, li
accolse
con un'espressione non esattamente contenta.
“Siete
pronti?” domandò bruscamente non appena furono
tutti dentro al
locale.
Il
Comandante della spedizione si guardò attorno:
“Noi sì, e voi?”
“Il
resto della nostra squadra è già nella villa di
Ryan,” spiegò
Mina, stringendosi le braccia al petto “Hanno portato tutti
gli
strumenti necessari che non potevano essere spostati con il
teletrasporto.”
“Vorremmo
di nuovo ringraziarvi per la vostra
disponibilità,” intervenne
Espera, notando l'aria tesa che continuava ad aleggiare nella sala.
“Ringraziateci
dopo che Profondo Blu sarà sconfitto...”
borbottò Paddy, tendendo
la mano a Tart “Allora, vogliamo muoverci? Prima arriviamo da
Ryan,
prima potremo finalmente calciare quell'antipatico di Aoyama nel
sedere.”
Pam
sorrise e prese la mano della biondina, offrendo l'altra a Pie:
“Guidi tu?” gli domandò ironica.
Lui,
già normalmente poco avvezzo a scherzare, alzò
gli occhi al cielo e
si limitò ad afferrare il fratello minore per un polso,
intimandogli
inoltre con un'occhiataccia di smetterla di stringere i suoi tridenti
in modo minaccioso.
“Vieni,
Mina?” domanò poi Quiche, facendo sobbalzare la
ragazza che
continuava a starsene rigida e ferma ad un angolo della sala.
“Ehm...”
lei fece un passo in avanti e prese invece l'altra mano libera di
Tart “Sono a posto, grazie.”
Kert,
dal canto suo, osservò incuriosito quello che era appena
successo,
un sopracciglio incurvato e la lingua pronta a scattare con un
commentino sarcastico, ma la forte presa di Zaur sul suo avambraccio
fu il chiaro segnale che doveva starsene zitto. Perché tutti
volevano sempre togliergli qualsiasi fonte di divertimento?
Il
cerchio per il teletrasporto si chiuse in fretta, con la Mew Blu che
tendeva una titubante mano ad Espera, la sola che sembrava
sinceramente allegra e felice per tutta quella situazione.
Pie
li sorvolò tutti con lo sguardo un'ultima volta, poi chiuse
gli
occhi ed una forte luce si propagò per il Caffè.
Qualche
decimo di secondo più tardi, il calore del locale fu
sostituito da
una leggera brezza fresca che profumava di sale, e i loro piedi
affondarono dolcemente nella sabbia, ormai raffreddata dal tramonto.
“Sììììììììì
che bello!” strillò Paddy, sganciandosi dagli
altri e correndo
lungo la spiaggetta privata di Shirogane.
Gli
alieni di Gaia si guardarono intorno, un po' stupiti. Le spiagge nel
loro pianeta erano decisamente differenti, con la sabbia rosa oppure
i ciottoli bianchi, e senza decine di villette alle loro spalle.
“Venite,
immagino che ci staranno aspettando.” Pam li
esortò a raggiungere
la grande casa a due piani, circondata da un bel porticato.
“Spero
che Kyle abbia cucinato qualcosa per cena, sto morendo di
fame!”
borbottò Tart, le mani incrociate dietro la testa.
“Non
siamo qui in vacanza, Tart.” lo rimbeccò glaciale
il fratello più
grande.
“Lo
so, ma dobbiamo mangiare comunque, non credi? Ci servono forze per
gli allenamenti! Non essere sempre così scorbutico,
fratellone,
ricordati cosa ha detto Paddy!”
“Ragazzi!”
Strawberry comparve sulla porta con un sorriso, sventolando un
braccio a mo' di saluto “Finalmente siete arrivati! Giusto in
tempo
per la cena.”
Tart
fece una linguaccia a Pie, una smorfia birichina sul viso:
“Visto,
cosa ti avevo detto!”
Ryan
si unì alla rossa, facendo un cenno del capo agli stranieri:
“Benvenuti a casa mia. Scusate il disordine, ma abbiamo
cercato di
sistemarci come potevamo.”
Rui
rispose con un sorriso, e i due gruppi si riunirono all'interno,
seguendo il padrone di casa lungo il corridoio d'ingresso.
“Abbiamo
pensato che potevamo usare il salotto per gli allenamenti,”
spiegò
il biondo “E' la stanza più grande della
casa.”
Tutti
i mobili erano stati spostati contro al muro esterno, così
da
lasciare vuoto più spazio possibile; il grande tappeto era
stato
arrotolato ed appoggiato ad una parete; tutti i soprammobili erano
stati riposti con cura nello sgabuzzino, e Lory stava terminando di
svuotare l'enorme libreria.
“Che
ne dici, Sunao?”
L'aliena
si guardò intorno, prendendo la parola per la prima volta:
“Non
sarà una sala come quelle dove siete abituati voi, ma
può andare.”
Paddy
alzò la mano come una scolaretta: “Senti capo,
come facciamo a
dormire tutti qui?”
Ryan
sorvolò sull'appellativo: “Come sapete, ci sono
cinque stanze in
questa casa, e noi siamo in sedici. Voi cinque ragazze potete dormire
in una delle stanze matrimoniali al piano di sopra, ci sono due letti
grandi. È la mia camera, quindi state
attente o provvederò
personalmente ad uccidervi. Voi tre Ikisatashi potete prendere la
stanza qui al piano terra. Per voi,” si voltò
verso gli alieni di
Gaia “Ci sono altre due stanze al piano di sopra. Io e Kyle
prenderemo l'ultima rimasta.”
“Allenamenti
dediti alla castità, vedo,” sghignazzò
Kert all'orecchio di
Pharart “Mi sembra d'essere tornato ai tempi
dell'Accademia.”
L'alieno
dagli occhi verdi lo guardò eloquente: “Come se tu
e Sunao non
sgattaiolerete di nascosto nel bel mezzo della notte. Rui ed Espera
allo stesso modo,” sospirò sconsolato
“Per il Cielo, penso che
dormirò sul divano.”
Kyle
uscì dalla cucina con il solito sorriso gentile:
“Se per voi va
tutto bene, la cena è servita. Così potemmo
andare a dormire presto
ed iniziare subito domattina.”
Con
un mormorio di assenso, quello strano gruppetto di sedici si
spostò
verso la gigantesca cucina immacolata, costruita apposta per poter
permettere al moro pasticciere di soddisfare la sua vena creativa.
Fosse stato per Ryan, sarebbe bastato un fornello, un frigo e un
microonde.
Forse
come nessuno avrebbe potuto prevedere, la cena si svolse con insolita
tranquillità, tra qualche risata un po' imbarazzata e
reciproci
racconti sulla vita nei rispettivi pianeti, grazie anche
all'intervento di Espera, che stava allenando i suoi poteri empatici
così da far calare un'aurea di calma su tutti.
“Sembra
che vada bene, no?” bisbigliò Lory a Kyle, mentre
sciacquavano i
piatti prima di riporli in lavastoviglie, lanciando un'occhiata agli
altri seduti intorno al tavolo a godersi un'ultima tazza di
tè.
Il
ragazzo si strinse nelle spalle: “C'è della
valeriana in quel tè,
e ho cercato di preparare i cibi più rilassanti che
conoscessi.
Spero che continuerà ad essere così, almeno per
questi prossimi
giorni.”
“Secondo
me dobbiamo solo imparare a conoscerli,” si
sistemò gli occhiali
sul naso e sorrise “In fondo non siamo poi così
diversi, abbiamo
accettato gli altri, non vedo perché con loro dovrebbe
essere
diverso.”
“Sei
sempre così ottimista,” Kyle rise, allungandosi
per darle un
tenero bacio sulla testa “Ecco perché ti
amo.”
La
Mew Verde arrossì di botto, sorridendo imbarazzata.
“Dio,
ci mancavate solo voi ad essere tremendamente sdolcinati, dopo
Shirogane e Strawberry,” la voce di Mina li prese alle spalle
“Cosa
ho fatto di male?”
“Lasciali
stare!” la sgridò Paddy, comparsa anche lei vicino
al lavandino
per riporre la tazza “Sei tu l'acidona!”
“Tu
sta' zitta, i tuoi comportamenti in pubblico con Tart sono alquanto
deplorevoli!”
“Ah,
parla quella che si andava a rinchiudere nel bagno del Caffè
per
ore!”
“Per
forza, la camera è costantemente occupata da Ryan e
Strawberry!”
“RAGAZZE!”
il biondo in questione, un vago rossore sulle guance, scattò
in
piedi “Adesso basta. Non mi sembra il momento di discutere di
certe
cose! A letto, forza. Domani sarà una giornata
impegnativa.”
Paddy
ridacchiò: “Sì capo.”
Espera
si voltò verso la Mew rosa, che stava scuotendo la testa con
aria
affranta: “Non capisco. È sempre
così?”
Strawberry
annuì: “E non hai ancora visto tutto.”
Si
alzò e raggiunse il marito nella veranda, dov'era intento a
concedersi l'unica sigaretta della giornata.
“Credo
di aver avuto una pessima idea.” borbottò, non
dovendosi voltare
per sapere chi stava affianco a lui.
La
rossa si infilò sotto il suo braccio, stringendo e sfregando
la
guancia contro il suo petto come una vera gatta: “Secondo me
no. Lo
sai che dopo un po' che siamo tutti insieme cominciamo a dare in
escandescenze.”
Lui
rise: “Don't I know it.”
Le
arruffò la frangetta con una mano, dandole poi il solito
buffetto
sul naso: “Mi mancherai stanotte.”
“Infatti
non capisco perché non posso dormire con te,”
sbuffò lei facendo
il broncio da bambina “Mina mi farà gli scherzi
con i fantasmi e
non dormirò niente.”
“Dopo
chi la sentiva se soltanto io e te potevamo condividere la
camera?”
La
rossa guardò oltre la sua spalla: “Tanto lei e
Quiche adesso non
vanno neanche d'accordo...” commentò, osservando
come i due
stavano ai lati opposti della sala, palesemente ignorandosi a
vicenda.
Il
biondo sbuffò: “Anche quello sarebbe un problema
da risolvere,
prima che si scannino... e prima che Quiche scanni anche
Kert.”
Unì
dolcemente le loro labbra, prima di spingerla verso l'interno:
“Vai,
ora, o domattina sarà impossibile tirarti giù dal
letto!”
Strawberry
gli fece una linguaccia, poi corse su per le scale a raggiungere le
amiche.
Al
piano di sopra, la squadra di Gaia era tutta riunita in una delle
stanze a loro riservate.
“E
così... siamo qua.” iniziò tentennante
Pharart. “Che ne
pensate?”
“A
me stanno simpatici!” Espera si sedette con un rimbalzo sul
lettone
“E lo sapete che di me potete fidarvi. Certo, ancora non si
fidano
pienamente, soprattutto Pie e Quiche, però d'altronde
nemmeno voi
siete così aperti nei loro confronti.”
“Ehi,
per gente che fino a qualche settimana fa cercava d'ammazzarsi a
vicenda, direi che stiamo facendo dei progressi!”
commentò il
biondino.
“Concentriamoci
solo sulla missione corrente adesso, d'accordo?” Rui li
guardò ad
uno ad uno, soffermandosi in particolare sul fratello. “Kert,
io,
te, Pharart e Zaur dormiremo nell'altra stanza.”
“Niente
scherzi, eh?” esclamò Pharart cercando di essere
minaccioso,
spostando il dito indice tra Sunao e Kert, e Rui ed Espera.
Quest'ultima
rise, chiudendo la porta dietro i ragazzi:
“Buonanotte!”
Quando
calò il silenzio, si voltò verso l'amica:
“Dai, dimmelo perché
sei rimasta così in silenzio tutt'oggi.”
Sunao
la guardò, un sopracciglio alzato: “Non abbasso la
guardia, io.
Non celebro le alleanze campate per aria. Non provo molta simpatia
per la gente, in generale.”
L'altra
ridacchiò: “Soprattutto non provi simpatia per le
occhiatine di
Kert alla ragazza con le ali.”
La
Messaggera s'infilò casualmente nel letto: “Sei
così sicura che
non ti ucciderò nel sonno?”
L'amica
rise: “No, mi vuoi troppo bene e sai che sono la tua
coscienza!”
***
“Buongiorno
buongiorno buongiorno!” Paddy si lanciò sul grande
lettone in cui
ancora dormivano Mina e Strawberry, svegliandole di soprassalto
“Alzatevi, dormiglione! Mancate solo voi!”
“Gesù,
Paddy,” grugnì Mina, nascondendo la faccia sotto
al cuscino “Non
potresti essere un po' più gentile?”
La
Mew Gialla strappò loro le coperte di dosso: “Non
quando ormai è
tardi! Su, forza, vi ho portato la colazione qua! Mangiate in fretta
e poi scendete, sono tutti pronti! Se finiamo presto poi possiamo
andare in spiaggia!”
“Ma
dove la trova tutta quella energia?” borbottò
Strawberry,
osservando la più giovane correre lungo il corridoio.
Circa
dieci minuti più tardi, scesero nel salone, per trovarsi il
resto
della loro squadra seduto sul pavimento.
“Ci
hai messo tutta quella fretta per niente!” sberciò
Mina “Non
sono neanche riuscita a bere il mio tè con calma!”
“E'
meglio non avere lo stomaco troppo pieno, uccellino,” Kert e
Zaur
si unirono a loro “Sunao non va molto per il
sottile.”
“Lo
prenderò come un complimento, Tha.” l'aliena scese
le scale in
quel momento, terminando di sistemare i capelli in una lunga treccia.
Aveva dismesso il suo solito vestito violetto di taglio cinese,
preferendo una corta tuta dello stesso colore aderente, simile a
quella che veniva distribuita ai cadetti dell'Accademia.
Lo
stacco di gamba che le lasciava scoperta attirò l'attenzione
di
tutti i maschi presenti.
“Ahem,”
esclamò Ryan, ignorando l'occhiataccia che gli stava
mandando
Strawberry “Bene, allora... cominciate.”
Sunao
si posizionò al centro della stanza, gli altri a cerchio
attorno a
lei: “Sappiate che in questa settimana, imparerete davvero
poco di
quanto avremmo bisogno in realtà. Ma quello che
cercherò di
insegnarvi riuscirà almeno in parte a colmare la lacuna che
abbiamo
nei confronti di Profondo Blu. Per il resto, bisognerà
affidarsi
alla fortuna. Cercheremo di agire soprattutto sulla vostra
velocità,
sulle tecniche di combattimento corpo a corpo che potranno essere
utili. Profondo Blu combatte da lontano, non se lo
aspetterà.
Inoltre, magari vi insegnerò qualche trucchetto
segreto.”
Si
scrocchiò collo e dita con un sorriso minaccioso, poi si
rivolse a
Kert: “Tha, vieni qui. Vi dimostrerò cosa dovrete
essere in grado
di fare.”
“Ma
perchè io?!” si lamentò lui, alquanto
preoccupato per la sua
salute.
Sunao
roteò gli occhi con fare scocciato:
“Perché sei l'unico qui in
mezzo che può tenermi un minimo di testa. E poi
perché non mi
faccio scrupoli a combattere con te,” aggiunse sogghignando.
Lui
si avvicinò a testa bassa: “Appunto...”
Si
posizionarono l'uno di fronte all'altra, Kert in una posizione di
difesa. Sunao annuì, e in mezzo secondo, l'alieno cadde a
terra con
un gemito, la bella Messaggera ancora in piedi e un sorriso
soddisfatto sulle labbra.
Le
cinque Mew Mew sbatterono le palpebre, sconcertate.
“Come...
come hai fatto?” boccheggiò Strawberry
“Praticamente non ti sei
mossa!”
“Questo
è quello che dovete imparare,” replicò
l'aliena, porgendo una
mano a Kert per aiutarlo a rialzarsi “Non mi aspetto che
otterrete
lo stesso risultato, io provengo da anni di intenso addestramento...
ma almeno non sarete goffe e lente come adesso.”
“Goffe
e lente, ha detto?” borbottò Paddy a Lory
“Noi non siamo goffe e
lente!”
“Forza,
Kert, riprovaci.”
Per
la seconda volta, il povero Tha si ritrovò con il sedere a
terra e
la schiena dolorante.
Sunao
si sistemò una ciocca sfuggita alla treccia, nemmeno una
traccia di
affanno sul suo viso candido: “Ora, sistematevi a coppie.
Così
possiamo iniziare ad insegnarvi qualcosa.”
“Io
vengo con te!” esclamò Pam, ansiosa di poter
comprendere le
tecniche di Gaia.
L'altra
annuì: “Sì, non combattete con qualcuno
di cui già conoscete le
capacità, perchè non sarà
così con il nemico.”
Rui
si avvicinò a Strawberry con un sorriso, alla quale la rossa
(che
per l'occasione aveva riesumato i suoi vecchi codini) rispose
titubante. Pharart raggiunse Mina dopo aver lanciato uno sguardo
eloquente a Kert, che per tutta risposta decise di divertirsi un po'
sfidando Quiche. Zaur si rivolse a Pie, Lory e Paddy invece contro
Tart.
Da
quel momento, il salotto di casa Shirogane si trasformò in
una vera
e propria arena di combattimento. Il biondo controllava la scena con
aria preoccupata, soprattutto nell'angolo di Quiche e Kert, che
sembravano prendere la cosa un po' troppo sul serio.
Espera
sostava di fianco a lui e Kyle, interessata a tutto quello che stava
succedendo. Al contrario di Sunao, non aveva mai preso parte ad un
addestramento prima, in quanto non era possibile per le ragazze
entrare nell'Accademia, neanche per una visita, se non per le
cerimonie di diploma.
Una
strana sensazione che percepiva nell'aria, a pochi centimetri da lei,
però, la incuriosiva. Non le ci volle molto per capire che
proveniva
dal ragazzo accanto a lei, ed era molto simile a quella che provava
in vicinanza delle Mew Mew.
“Tu
non sei come gli altri umani,” gli disse.
“Cosa?”
Ryan si voltò verso di lei per un istante, per poi ritornare
al
trambusto generale quando un urletto di Strawberry, che era scivolata
per un attacco di Rui, attirò la sua attenzione
“Ah, già. Anche
io ho i geni del gatto Iriomoto.” le spiegò,
mostrandole
brevemente il segno ormai sbiadito sul suo collo, nascosto dal
colletto della camicia “L'avevo testato su di me prima di
iniettarlo nelle ragazze.”
“Quindi
sei stato tu a farle diventare Mew Mew?”
Ryan
annuì: “Sì. Tutto grazie alla genetica,
e ad un po' di
creatività.”
“Che
ti avevo detto, uccellino, meglio non aver mangiato tanto,
vero?”
scherzò Kert, ansimando per lo sforzo, quando lui e Mina si
trovarono a sedere vicini, in un piccolo momento di pausa che si
potevano concedere, perché Sunao stava osservando singoli
combattimenti.
“Ehm...
già...” borbottò la mora.
“Senti,
ma quindi ci sono dei problemi in Paradiso?” all'aria
interrogativa
della ragazza che seguì, l'alieno continuò
“Tra te e Quiche,
dico. Di solito siete sempre attaccati per le costole.”
La
Mew Blu abbassò gli occhi, incerta su cosa dire,
tremendamente a
disagio ed ormai sull'orlo di una crisi di nervi, quando Sunao
richiamò con un colpo secco Kert, portandolo nuovamente al
centro
della sala così che lui potesse combattere con il fratello.
Facendo
un respiro profondo, Mina si alzò e raggiunse l'aliena,
ritta
davanti a lei con le braccia incrociate al petto. Prima che potesse
dire qualcosa, fu interrotta: “Non l'ho fatto per
te.”
Sgranò
gli occhi, stupita che Sunao avesse indovinato cosa stava per dire, e
di nuovo l'aliena parlò: “Sono una
telepate,” le spiegò,
guardandola con la coda dell'occhio “Riesco a sentire i tuoi
pensieri.”
“Ah,”
Mina si morse un labbro, ancora più a disagio
“Be', comunque
grazie lo stesso.”
“Ripeto,
non l'ho fatto per te, ma perché non mi servono distrazioni.
Kert
deve imparare a concentrarsi. E tu, a quanto pare, sei una
distrazione.”
“Scusa,
non lo faccio apposta. Anzi, non ho la minima voglia di essere una
sua distrazione.”
Sunao
rimase zitta, e la Mew blu decise di allontanarsi, un brivido di
inquietudine che le correva lungo la schiena. Non le piaceva per
niente l'aver scoperto qual era l'ennesimo pregio dell'aliena.
Scosse
la testa, e si avvicinò a Pharart, che le sorrise:
“Tranquilla.
Sunao non morde, di solito. È molto più brava ad
abbaiare.”
“Se
lo dici tu...” borbottò lei
“Ricominciamo?”
L'addestramento
si prolungò fino a tardo pomeriggio, quando tutti
stramazzarono al
suolo esausti. Tutti, tranne Sunao, ovviamente, che mostrava soltanto
qualche segno di affaticamento.
“Lasciatemi
morire qui,” boccheggiò Paddy “Non
voglio più sconfiggere
Profondo Blu se questo è quello che devo soffrire.”
Kyle
sorrise, asciugandosi le mani in uno straccio: “Su, non dire
così,
siete state bravissime. Avete giusto il tempo per fare una doccia,
poi la cena sarà pronta.”
“Sì,
non siete state male quanto pensavo,” la frase di Sunao fu
presa
quasi come un complimento “Domani andrà meglio,
ora che avete
afferrato le basi.”
“Non
ci arrivo a domani se continui a trattarmi in questo modo!”
esclamò
Kert, steso a pancia all'aria con visibili graffi e lividi sul corpo.
“Oh,
andiamo, ne hai passate di peggio,” lo rimbeccò
lei,
allontanandosi lungo le scale con un movimento d'anca che lo fece
scattare subito in piedi.
Ryan
si avvicinò a Strawberry, riversa sul divano:
“C'è un bagno con
le bolle che ti aspetta,” le sussurrò scostandole
i capelli dal
viso.
In
risposta gli arrivò un gemito affranto che lo fece sorridere.
“Va
bene, ho capito.” la prese in braccio e sparì pure
lui lungo le
scale.
“Io
eviterei il piano di sopra per un po', se fossi in voi,”
esclamò
Pharart, conquistandosi risate e cenni di approvazione da parte del
resto del gruppo.
Espera,
in un angolo, sorrise soddisfatta. Sì, stava decisamente
andando per
il meglio.
Ed
era fiduciosa che le cose non avrebbero potuto che migliorare.
Perdonate la
poca originalità del titolo, ma sapete che sono sempre la
parte più
noiosa e difficile da trovare xD Come vedete, questo capitolo
è solo
una prima parte. Ho deciso oggi mentre scrivevo di dividerlo in due,
perchè sennò sarebbe diventato davvero lungo, ed
io non ho il tempo
in questo momento di poterlo scrivere tutto. Quindi godetevi questo
per primo ^^ Anche perchè è già
passato un po' dall'ultima volta
che ho aggiornato, quindi non volevo lasciarvi troppo sulle spine.
D'altronde, io sono una maestra nel non scrivere per due settimane, e
poi fare un intero capitolo in una giornata xD
Grazie come
sempre a chi legge, commenta, segue e preferisce :) A presto, in
bocca al lupo a chi ha gli esami e buone vacanze a chi invece ha
finito! A presto, vostra
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 25 *** L'Addestramento - Parte Seconda ***
L'addestramento
– Parte II
“Ho
un'idea!” Espera si lasciò cadere vicino a Sunao
sulla morbida e
calda sabbia.
Era
il secondo giorno di allenamento, e grazie anche all'intervento delle
dolci limonate di Kyle, si erano tutti concessi una pausa dopo
pranzo.
Così
si erano sparpagliati sulla spiaggetta privata, chi a prendere il
Sole, chi a sguazzare un po' in acqua, chi a fare un sonnellino e
chi, come Ryan e Pie, che comunque non si staccava dai computer di
controllo.
“Sentiamo,
quale sarebbe la tua idea?” domandò la Messaggera,
chiudendo gli
occhi per assaporare al meglio il calore della luce sulla pelle.
L'aliena
dai capelli neri affondò le mani nella sabbia, spargendone
un po'
sulle gambe lasciate libere dal vestito che Lory le aveva prestato
(il suo lungo abito nero non era certo adatto all'ambiente):
“Hai
presente Ryan?”
“Tu
che ne pensi?”
“Va
be', comunque! Stavo pensando, magari lui può riuscire ad
aiutarci
con il mio
addestramento.”
“E
come?” Sunao si voltò verso l'amica “Non
è un soldato né un
alieno.”
“Sì,
ma è stato lui a creare le Mew Mew! Magari riesce anche a
creare
qualcosa che possa aiutarmi a controllare il mio potere
finché non
sarò in grado di farlo da sola!”
Sunao
sembrò rifletterci un attimo: “Potremmo provare.
Forse prima,
però, dovresti parlarne con Rui. Non credo sarà
così felice che tu
voglia giocare alla cavia.”
L'altra
si morse un labbro: “E se poi mi dice di no?”
L'aliena
rise sbuffando, sarcastica: “Non sono io quella che organizza
la
sua vita a seconda di quello che mi dice un maschio.”
“Ehi,
non fare l'antipatica,” Espera le diede una gomitata
“Non siamo
tutte indipendenti
come te.”
“Ho
imparato ad esserlo, mia cara.”
“Certo,
e quindi tutta questa situazione non è fatta per attirare
l'attenzione di Kert, che sta facendo finta di dormire per
approfittarne.” ribatté lei, riferendosi al
succinto costume nero
a fascia che la Messaggera indossava, comprato da Paddy (che,
all'insaputa di tutti, si era dedicata ad uno shopping frenetico per
le ragazze così da avere scuse in più per godersi
la spiaggia).
Sunao
sorrise, stendendo le lunghe gambe: “Be', che c'è?
Sto solo
immedesimandomi nella perfetta turista umana. Siamo sotto copertura,
o sbaglio?”
Espera
si alzò, scuotendo la testa e spazzolandosi la sabbia dal
vestito:
“Vado a parlare con Rui, così tu puoi continuare a
immedesimarti.”
Poco
più in là, un altro alieno stava osservando di
nascosto la sua
ragazza prendere il Sole, con uno sguardo a metà tra il
truce e il
malinconico sul volto, sospirando sconsolato ogni due per tre.
“Senti,
fratellone, perché non vai semplicemente a
parlarci?” esclamò
spazientito Tart.
“Lei
non vuole parlare con me...” borbottò Quiche.
Il
fratello minore gli si sedette accanto: “Se non le parli non
lo
saprai mai.”
“Ma
sono giorni che mi evita!”
“Ammettilo
che però tu sei un po' opprimente.”
Gli
occhi dorati si trasformarono in due fessure piene d'odio:
“Non ti
ci mettere anche tu.”
“Sto
solamente dicendo,” Tart si ristese sulla sabbia calda,
coprendosi
gli occhi con un giornale “Che se magari le dessi un po' di
spazio,
se viveste la vostra relazione con calma e senza troppi
condizionamenti o piani decisamente
importanti, magari stareste meglio.”
“Cos'è,
Paddy ti ha trasformato in un guru dei rapporti sociali?”
Per
tutta risposta, il fratello gli diede un colpo con il piede,
così
che Quiche si spostasse in avanti e fosse costretto ad alzarsi.
Con
un sospiro, si fece coraggio e si avvicinò lentamente a
Mina, che
stava risistemando la sua sdraio così da potersi accomodare
all'ombra.
“Ehm...
ciao,” iniziò l'alieno, strofinandosi nervosamente
il collo “Ti
serve una mano?”
La
Mew blu lo guardò per un secondo: “Ah... ho fatto,
grazie.”
“Possiamo...
possiamo parlare un attimo? Non di quello,”
si affrettò a precisare, muovendo le mani davanti a
sé “Solo...
così.”
La
ragazza fece un respiro profondo, poi si stese sulla sdraio e gli
fece segno di sedersi vicino.
Quiche
si mise sul bordo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, a lei
perpendicolare così da poterla guardare negli occhi.
“Mi manchi.”
esclamò.
“Siamo
insieme tutti i giorni.” replicò lei, mordendosi
subito dopo la
lingua per una risposta così banale.
L'alieno,
difatti, non esitò a lanciarle un'occhiatina storta:
“Mi manca
stare con
te.
Lo so che non possiamo aggiustare tutto subito, però ti
prometto che
non ti assillerò più con certe
cose
e avrai tutto lo spazio che vuoi, e non lascerò
più gli asciugamani
per terra dopo la doccia o i vestiti sparsi per casa...”
Mina
rise: “Guarda che non ti ho ancora detto di
sì.”
“Oh.”
le orecchie a punta si abbassarono come quelle di un cagnolino
afflitto, e la Mew Blu sospirò, prendendogli la mano.
“Ho
solo vent'anni, Quiche. Ho ancora così tante cose da fare,
che
voglio
fare, e tra me e te è successo tutto così in
fretta... dobbiamo
andarci piano, d'accordo?”
“D'accordo...”
lui la guardò da sotto la frangetta verde “Posso
stare ancora un
po' qui con te?”
Mina
annuì, alzandosi: “Mettiti tu qui, così
staremo più comodi.”
Quiche
sorrise e prese il suo posto, stringendola poi tra le braccia quando
lei si accoccolò contro il suo petto, intrecciando le loro
dita.
Aveva Tart da ringraziare, quello era certo.
“Sembra
che abbiano fatto pace,” esclamò Pharart
sottovoce, avendo notato
che Kert non si era fatto sfuggire la scenetta.
“Questo
è tutto da vedere,” replicò l'altro.
L'alieno
dagli occhi verdi sospirò: “Mi devi spiegare la
tua fissazione. Tu
hai Sunao, per il Cielo, Kert! Guarda Sunao! È...
è una dea!”
“Sì,
la dea della morte.” borbottò Kert, scrocchiandosi
il collo mentre
si sedeva.
L'amico
alzò le sopracciglia: “Motivo in più
per non farla arrabbiare.”
In
quel momento, l'aliena in questione si alzò, raggiungendoli:
“Pausa
finita, è ora di riprendere.”
“Eddai,
tesoro, ancora cinque minuti.” la pregò Kert con
un ghigno.
Pharart
temette che lo sguardo di Sunao potesse uccidere veramente.
“Chiamami
tesoro un'altra volta, Kert, e ti spezzo un braccio. Forza, ora. Sei
il primo a combattere.”
***
“Un
rimedio per fare in modo di riuscire a controllare la tua
forza?”
Ryan
e Kyle si scambiarono un'occhiata titubante a quella strana richiesta
che Espera e Sunao presentarono loro nel tardo pomeriggio, chiusi
nello studio del biondo, trasformato in un mini-laboratorio.
“Ragazze,
dovremmo sapere tutta la storia prima di procedere,”
esclamò il
moro “Interagire sui DNA e sui vostri poteri non è
semplice, e può
essere pericoloso.”
“Ed
io lo so bene. Posso trasformarmi in gatto quando voglio, ma solo per
un tempo molto limitato, o rischio di non tornare più umano.
E non
ho poteri come quelli delle Mew Mew.” spiegò Ryan
“Abbiamo
bisogno di più informazioni possibili.”
“Espera
è una degli ultimi alieni in grado di sfruttare al massimo
le sue
capacità,” iniziò a spiegare Sunao
“La sua quantità di potere
è tale che lei, diciamo...
si trasforma, un
po' come le vostre Mew Mew.”
“Potresti
farci vedere come, adesso?” le domandò gentilmente
Kyle.
L'aliena
dagli occhi blu si concentrò qualche secondo:
“Ehm... no. È
proprio questo il problema. Ci sono riuscita pochissime volte, e solo
quando ero molto arrabbiata.”
Ryan
sospirò a voce alta, passandosi una mano tra i capelli:
“D'accoooordo.” esalò “Vediamo
cosa possiamo fare. Io
inizierei con alcuni esami, che ne dici?”
L'amico
annuì: “Dovrei farti delle analisi del sangue, se
per te va bene.”
Espera
li guardò con gli occhioni sgranati: “Cosa vuol
dire?”
Kyle
rise, la prese per mano e l'accompagnò su una sedia:
“Adesso ti
spiego tutto.”
“Ci
metteremo un po','” Ryan si voltò verso Sunao
“Puoi andare, se
vuoi. Prometto che la tratteremo bene.”
La
Messaggera annuì, e senza aggiungere altro, uscì
dalla stanza,
dirigendosi nella fresca cucina.
“Tutto
bene?” domandò Rui, seduto al bancone con Zaur,
intenti a giocare
ad ahmi.
Lei
fece un cenno d'assenso, unendosi a loro.
Erano
ancora impegnati nella partita un'ora dopo, quando Strawberry
ritornò
dalla spiaggia.
“Ehm...
scusate, avete visto Ryan?” domandò ai tre alieni,
quasi impaurita
dal doverli disturbare.
“E'
con Espera nel suo studio.” rispose laconica Sunao.
“Ah.”
la rossa si morse il labbro, a disagio, guardandosi intorno. La casa
era quieta, tutti stavano approfittando di quelle poche, piacevoli,
agognate ore di pausa.
Tart
e Paddy si stavano scambiando paroline dolci sul divano, quindi
l'idea di sistemarsi in salotto era fuori discussione. Mina e Quiche
stavano “recuperando il tempo perduto” dopo aver
fatto pace,
chiusi nella camera dei tre fratelli Ikisatashi, a cui lei non si
sarebbe avvicinata neanche sotto tortura. Pam e Pie si erano concessi
una passeggiata lungo la spiaggia, mentre Lory era in camera a
studiare. Di Kert e Pharart non le importava più di tanto,
quindi
era rimasta letteralmente senza compagnia.
Poi
cosa ci faceva Ryan nello studio con Espera?
Lanciò
un'occhiata veloce a Rui: sembrava abbastanza tranquillo, quindi lei
non aveva niente di cui preoccuparsi.
-Ma
certo che non hai niente di cui preoccuparti, Strawberry!-
si disse -Smettila
di fare la sciocca!-
Eppure
non era ancora del tutto soddisfatta.
Girò
sui tacchi e si diresse verso la stanza in fondo alla casa, bussando
con fermezza.
“Oh,
sei tu,” Ryan aprì la porta giusto dello spiraglio
necessario per
infilarci il viso “C'è qualche problema?”
Strawberry
lo guardò, confusa: “No, volevo solo... non so
cosa fare, sono
tutti impegnati... che state facendo?”
Il
biondo uscì, chiudendosi subito la porta dietro le spalle:
“Delle
ricerche un po' complicate,” si passò una mano sul
viso, un filo
di barba che faceva capolino sulle guance “Anzi, mi faresti
un
grande favore se potessi andarmi a chiamare Sunao.”
“E
perché?”
“Te
l'ho detto, stiamo facendo delle ricerche e mi serve il suo
aiuto.”
La
rossa incrociò le braccia al petto: “Cosa potrebbe
sapere Sunao
che tu non sai?”
Ryan
sospirò, affranto, mettendo le mani sopra le spalle di lei:
“Strawberry, ti prego, non ti impuntare come una
bambina.”
“Non
mi sto impuntando!” replicò lei con uno sbuffo
“Non mi piace che
mi tieni nascoste le cose!”
“Non
si parla delle ricerche prima che siano concluse, conosci la mia
regola,” le diede un buffetto sul naso “Smettila di
fare la
gattina gelosa.”
Punta
sul vivo, gli fece una linguaccia, poi gli schioccò un bacio
sulle
labbra, prolungandolo qualche secondo in più del dovuto:
“Ci
vediamo dopo!” gli sussurrò.
Non
fece nemmeno in tempo a mettere piede in cucina, che i rumori di un
familiare battibecco si avvicinarono dal corridoio.
“Pensavo
aveste fatto pace,” esclamò sorpresa quando Mina
le passò di
fianco, furente.
“AH,
ci vuole molto più di un pomeriggio a curare la
stupidità!”
replicò quest'ultima, sbattendo con violenza l'anta del
frigorifero
dopo aver afferrato una bottiglia d'acqua.
Strawberry
scosse la testa, voltandosi verso l'aliena dai capelli violetti:
“Ehm, Sunao? Ryan chiede se lo puoi raggiungere.
“Solo
un secondo.” la Messaggera rimase concentrata sulla
scacchiera
davanti a lei, muovendo uno dei pezzi “Ho vinto!”
esclamò con un
sorrisone.
Rui
si appoggiò allo schienale della sedia: “Non ha
senso giocare con
te, sai sempre che mossa stiamo per fare!”
“Tutto
talento, ragazzi.” si alzò, volteggiando vicino
alla rossa, che
stava osservando incuriosita quello strano gioco.
Zaur
risistemò i pezzi: “Ti possiamo insegnare, se
vuoi. Non è
difficile.”
“Davvero?”
Strawberry arrossì di botto, poi annuì
“D'accordo, grazie!”
“Allora,
qual è il problema?” domandò l'aliena
quando entrò nello studio,
illuminato da una grande finestra che copriva l'intera parete
esterna.
“Nessun
problema, abbiamo solo bisogno di vedere dal vivo quello che succede
ad Espera per capire come agire.” le spiegò Kyle.
Sunao
guardò l'amica: “Te la senti?”
“Assolutamente!”
confermò Espera “E' stata una mia idea, dopo
tutto.”
L'altra
annuì, poi ispezionò la stanza: “Non
possiamo stare qui, è
troppo piccolo. Non c'è un posto vuoto?”
“La
cantina,” le rispose Ryan “E' grande, non ci sono
cose fragili.”
“Andiamo
allora!” Kyle in testa, si avviarono silenziosamente al piano
interrato, più fresco rispetto al resto della casa; era un
grande
stanzone, praticamente vuoto, in cui erano riposti vecchi mobili e
cose che nessuno usava più.
“Bene,
e adesso che si fa?” domandò il biondo,
incrociando le braccia al
petto.
Le
due aliene si scambiarono un'occhiata, poi la mora scosse le spalle:
“E' inutile, non riesco ad arrabbiarmi con te.”
“Non
ti devi arrabbiare,” le spiegò Sunao
“Cerca di concentrare la
tua energia e farla uscire fuori.”
Rimasero
tutti in silenzio per qualche istante. Non successe nulla.
“Vedi,
te l'ho detto, sono una frana!” piagnucolò Espera.
“Come
facciamo adesso?” domandò Kyle.
La
Messaggera ghignò: “Oh, molto semplice.
C'è soltanto una persona
in grado di far saltare i nervi a Espera in cinque minuti.”
“Non
sono la tua cavia, Sunamora.” borbottò Kert quando
Sunao lo
trascinò in cantina.
“Oh,
andiamo. Sappiamo benissimo che ti piace un sacco litigare,
soprattutto con Espera.”
“Questo
è vero.”
Al
ghigno dell'alieno, Espera gli lanciò un'occhiataccia:
“Dovresti
imparare ad essere un po' più gentile.”
Lui
sbuffò: “Perché mai dovrei essere
gentile con te? Mi innervosisci
da morire.”
“Il
sentimento è reciproco.”
“Sei
solo una ragazzina viziata,” Kert si avvicinò
all'aliena, e Sunao
fece allontanare leggermente i due umani, spingendoli contro al muro
“Ottieni tutto quello che desideri solo con un battito di
ciglia.”
“E
tu sei esattamente il tipo di alieno che stravede per quelle che gli
sbattono le ciglia.” ringhiò lei, mentre un
impercettibile soffio
di vento riempiva la stanza.
“Bada
a come parli, Seles.”
“Altrimenti
cosa fai, vai a raccontarlo a Rui?”
Kert
fece per estrarre uno dei suoi pugnali, e all'improvviso, una forte
corrente di energia si scatenò dal corpo dell'aliena; come
già era
successo una volta, occhi e unghie si allungarono in un aspetto
felino, e con un ringhio scattò in avanti, pronta ad
affondare i
canini nell'alieno davanti a lei.
Sunao
fu più veloce e la prese alle spalle, bloccandola e dandole
un colpo
secco dietro al collo, facendola cadere a terra priva di sensi.
Kert
si raddrizzò, spostandosi la frangetta all'indietro:
“Direi che è
andata bene, no?”
I
poveri Ryan e Kyle erano appiccicati contro al muro, completamente
terrificati.
La
Messaggera represse un sorrisetto: “Be', avete visto la
potenza
dell'antica Gaia. Vi è bastato?”
“Oh,
sì, decisamente.” balbettò Kyle.
“Abbiamo tanto su cui
lavorare.”
***
“Mi
volete spiegare perché sono due giorni che i vostri due
uomini sono
chiusi nello studio e riemergono solo all'ora di cena?”
Mina
si parò davanti a Lory e Strawberry la mattina del quarto
giorno di
addestramenti, tutti schierati sulla spiaggia in quanto Sunao aveva
in mente qualcosa di speciale.
La
rossa fece spallucce: “Solite cose da scienziati che non ci
diranno
finché non avranno finito.”
La
Mew bird si controllò le unghie: “Se a te va bene
che facciano le
cose alle tue spalle.”
“Perché
non pensi un po' ai fattacci tuoi!?” replicò la
Mew rosa “Faresti
un favore a tutti se risolvessi i tuoi problemi, saresti meno
acida!”
“Ragazze,
ragazze, state buone, vi prego!” le scongiurò
Lory, parandosi tra
le due “Non è il momento di litigare!”
“Allora,
voi tre, vi volete dare una mossa?!” le chiamò
Tart, che era
entrato in acqua fino alla vita.
Strawberry
aggrottò la fronte: “Eh? Perché state
facendo il bagno?”
“Combattere
in acqua è più difficile a causa della
resistenza,” le rispose
Sunao, facendo loro segno di entrare “Una volta superato
questo,
combatterete anche sulla sabbia.”
“Che
strazio,” sussurrò la Mew rosa all'orecchio di
Lory “Non ce la
faccio più!”
“Dai,
è divertente, si sta così bene!”
esclamò Paddy, sollevando
qualche spruzzo che le fece guadagnare occhiate assassine da parte di
Mina.
“Paura
dell'acqua, uccellino?” le domandò Kert, con il
solito ghigno
beffardo stampato sul suo bel visino.
La
Mew blu lo guardò con aria annoiata: “Per tua
informazione, io
sono una bravissima nuotatrice. Trovo inaccettabile il fatto che io
mi debba bagnare i capelli appena lavati perché la tua amica
ha
deciso di torturarci.”
L'alieno
scoppiò in una risata sguaiata: “Però,
che caratterino, quasi
quasi sei peggio di Sunamora.”
“Gira
al largo, Kert!” Quiche si intromise tra i due, gli artigli
pronti
ad essere usati, provocando uno sbuffo da parte della ragazza.
“So
benissimo prendermi cura di me stessa, Ikisatashi!”
sbottò, le
mani sui fianchi.
Pam
e Pie si scambiarono uno sguardo. Sarebbe stata una lunga giornata.
Forse
fu la frescura dell'acqua, o il tormento dell'allenamento by
Sunao, ma gli animi rimasero più o meno allegri, o
almeno non
erano tutti pronti a saltare l'uno alla gola dell'altro. La
stanchezza che crollava su di loro a causa dell'intenso regime di cui
li subissava la Messaggera del Consiglio occupava le loro menti; dopo
qualche ora, potevano pensare solo al cibo e a una lunga e sonora
dormita.
Kyle
riteneva che ciò fosse un bene, rifletté quella
sera mentre
sistemava i piatti che fino a qualche minuto prima erano stati colmi
di prelibatezze,ingurgitate in un batter d'occhio; conosceva le sue
ragazze, e sapeva che sotto la facciata di tranquillità che
sempre
mostravano, erano davvero preoccupate per tutta quella situazione.
Non
riuscire a pensarci per qualche ora, ma pur lavorando per riuscire a
risolverla, non poteva che aiutarle a migliorare e a rilassarsi, per
quanto possibile.
Era
davvero fiero di ognuna di loro; continuavano a sorprenderlo giorno
dopo giorno, ed anche se in fondo erano sempre le stesse, gli pareva
un po' difficile scorgere in loro le bambine che aveva conosciuto
tanti anni prima al Caffè.
“Mi
raccomando, a letto presto!” esclamò scherzoso
quando vide Ryan e
Strawberry, mano nella mano, avviarsi verso la spiaggia per una
passeggiata.
“Certo,
nonno!” lo riprese il biondo con una risata.
“Mi
manca Kim.” esclamò la rossa quando furono
abbastanza lontani
dalla casa per sentire soltanto il rumore delle onde “Mi
sento una madre orribile perché mi sto perdendo il suo primo
compleanno.”
Ryan
l'avvolse con un braccio, posandole un bacio sulla testa:
“Manca
anche a me. Ma è più sicura in crociera con i
nonni, che
sicuramente le staranno facendo una bellissima festa di compleanno.
Poi, quando tornerà, festeggeremo tutti assieme.”
“Posso
comprarle un pony?”
“No.”
“E
se lo volessi io?”
“No.”
La
rossa scoppiò a ridere, incrociando le braccia dietro al suo
collo e
portandolo vicino al suo viso: “Vedi, te l'ho detto che sei
cattivo
con me.”
Si
scambiarono un tenero bacio, rassicurati dal fatto che nessuno
potesse vederli, poi ripresero a camminare, i piedi a bagno e le dita
intrecciate.
“Tu...
ne vorresti un altro?” domandò all'improvviso la
Mew rosa. “Di
bambini, intendo.”
Il
ragazzo prese qualche istante prima di rispondere: “Be',
sì, credo
di sì – tra qualche tempo, però. Quando
Kim sarà più grande e
non ci saranno ex fidanzati pazzi tra le ruote.”
“Però...”
Strawberry si fermò di nuovo, afferrandogli la camicia
“Intanto
possiamo, uhm, provarci senza provarci comunque, non credi?”
gli
sbottonò il primo bottone, guardandolo da sotto in su con
aria
maliziosa “Tanto Kyle prima di altre due orette non ci va a
dormire, e la stanza è tutta libera...”
Mentre
la coppia Shirogane rientrava in casa un po' troppo di corsa per
poter camuffare le loro intenzioni al resto della compagnia, nella
stanza delle due ragazze aliene Kert si stava godendo uno dei rari
momenti di gentilezza da parte di Sunao.
“Oh,
sì, proprio lì!” mugolò,
quando le mani esperte dell'aliena
premettero sopra un muscolo particolarmente dolente “Per il
Cielo,
era dai tempi dell'Accademia che non ero così rigido.
È tutta colpa
tua, sappilo.”
L'aliena
rise, massaggiandogli delicatamente il collo: “E' un'offerta
per
farti fare più... attività
fisica?”
“Dipende,
i tuoi allenamenti sono da panico,” borbottò
“Almeno così so
che posso darne quattro a Quiche ancora più facilmente, sta
diventando insopportabile.”
Sunao
si irrigidì impercettibilmente: “Come reagiresti
se qualcuno
stesse cercando di fregare la ragazza a te?”
“Non
è la sua ragazza. Non adesso, almeno.”
Sunao
fece schioccare la lingua, trattenendosi al massimo per non
spezzargli il collo in quello stesso istante.
“Perché
ti sei fermata?” domandò ingenuamente Kert,
voltandosi a guardarla
con gli occhi spalancati come un innocente bambino.
“Lascia
perdere.” ringhiò lei, scendendo dal letto e
avvicinandosi allo
specchio.
Lui
la raggiunse e la prese per i fianchi, appoggiandola sopra la
cassettiera così da averla vicinissima: “Sei
gelosa.” osservò
con una punta di stupore, e di soddisfazione.
“Non
ti azzardare a giocare con me, Tha.” ringhiò lei.
L'alieno
rise: “Sei gelosa. Ah, Sunamora. Eppure ce ne sono state
tante.”
Sunao
rimase zitta, fermando quelle parole prepotenti che tanto volevano
uscire, ma che non potevano. Ma
prima non c'ero io.
Si
divincolò, cercando di sfuggire alla sua presa, ma per una
volta era
lui ad essere più forte, le dita che,
quasi
piacevolmente, affondavano nella sua carne, tenendola stretta. Si
sentiva una stupida, un'idiota, perché tutto il muro che si
era
costruita attorno si stava incrinando, per di più a causa di
un'inutile umana. Anzi, nemmeno quello, perché Mina, in
fondo, non
aveva niente a che fare con tutto ciò.
“Te
l'avevo detto,” sussurrò Kert, avvicinandosi
“Ti avevo
avvertita.”
Gli occhi violetti
fiammeggiavano di
rabbia, mentre rispondeva con odio: “Sei l'ultima persona al
mondo
alla quale darei retta.”
Lui sorrise, appoggiando
il viso
nell'incavo del suo collo, sfregando appena il naso contro la pelle
candida: “E' per questo che mi piaci, Sunamora.” le
bisbigliò
all'orecchio.
Sunao chiuse gli occhi,
disprezzando
il brivido che le corse lungo la schiena, il battito più
forte del
suo cuore a quelle parole. Era una farsa, e lei lo sapeva. Se l'era
ripetuto fino alla nausea per potersi salvare. Ma adesso, stava
fallendo.
“Non
essere gelosa,” continuò lui, baciandole il collo
“Sei la più
brava di tutti a non lasciarti andare alle emozioni... coloro che ami
sono le tue debolezze, e il nemico non aspetta altro che colpirle...
non c'è posto per i sentimenti in guerra...”
Con uno scatto, Sunao lo
allontanò
da sé, balzando giù dal mobile.
“Puoi
fare quello che vuoi,” si avviò in direzione della
porta “Sta'
solo attento a non farti infilzare da Quiche, non ci tengo ad essere
ancora di più in svantaggio con Profondo Blu.”
Si dileguò alla
svelta, raggiungendo
la spiaggia a grandi falcate.
Si sedette sulla sabbia
fresca,
stringendo le ginocchia al petto. Non sapeva se odiava più
lui o se
stessa in quel momento.
“Tu ed Espera
avete la brutta
abitudine di ritenere che io non mi accorga quando siete alle mie
spalle.” esclamò, avvertendo Rui dietro di lei.
Lui rise, sedendosi
accanto a lei:
“Posso?”
“Sei venuto a
farmi la predica?”
“Come se non lo
sapessi.”
Lei sorrise, alzando lo
sguardo verso
il cielo stellato: “Tu credi che sia una stupida,
vero?”
“No, credo che
lo sia mio
fratello.” Rui le mise una mano sulla spalla
“Ascolta, Sunao. Mio
fratello è davvero un idiota. E io vorrei farti due
discorsi. Uno da
amico, e uno da comandante.”
L'aliena rimase in
silenzio, così
lui continuò: “Quello da amico è per
dirti che Kert può essere
un testone, e non è abituato alle cose serie. A nessuna
cosa
che vada presa sul serio. Quindi devi essere paziente, con
lui.”
“Paziente?”
sibilò lei “Vuoi
davvero che ti venga a raccontare tutto quello che è
successo negli
ultimi, che so, quindici anni?”
“Lo so. Ma
è fatto così, e lo sai
meglio di me. Il discorso da comandante, invece,” fece un
respiro
profondo “E' che non ci possiamo permettere delle discordie
tra di
noi. Soprattutto non tra te e Kert. Tecnicamente parlando, siete i
più forti che ho.”
Sunao sorrise sarcastica:
“E' una
fortuna allora che io non faccia parte né dell'Esercito
né della
tua missione, quindi tecnicamente non mi potresti
dare
ordini.”
Rui scosse la testa,
ridendo: “Vedi,
siete uguali, sempre a sminuire la mia autorità.”
Risero entrambi, poi il
minore dei
fratelli Tha si alzò e le tese la mano, aiutandola ad
alzarsi.
***
“Sei
proprio sicuro che devi andare? Tra due giorni torniamo a
casa!”
Ryan
guardò Strawberry oltre al bordo della valigietta in cui
stava
riponendo il computer: “Te l'ho già spiegato,
Straw, devo
analizzare questi campioni al più presto e i macchinari che
mi
servono sono a Tokyo. In più devo incontrare dei nuovi
fornitori per
il Caffè, e il Consiglio d'Amministrazione di una delle
aziende ha
bisogno di un parere. Quindi sì, devo andare.”
“Uffa.”
la rossa incrociò le braccia al petto e fece il broncio.
Lui
rise, scompigliandole i capelli: “Mi accompagni alla
macchina?”
“Chiamami
stasera!” gli intimò poco dopo, sporgendosi dentro
all'abitacolo
dell'auto.
“As
usual, sweetheart.” replicò l'americano, prima di
darle un bacio.
Strawberry
ripensò alla conversazione di quella mattina, l'alba per
lei, e
fissò di nuovo il grande orologio tondo appeso in cucina,
poi il suo
cellulare. Erano ormai le dieci e mezza della sera, e Ryan non aveva
ancora chiamato.
“Magari
è ancora in riunione,” provò a
consolarla Kyle “Hai provato tu
a sentirlo?”
Lei
annuì: “E' sempre staccato,
però.”
Il
moro le mise davanti una coppetta di macedonia con un po' di gelato
alla crema: “Sono sicuro che non c'è niente di cui
preoccuparsi,
lo sai com'è fatto. Ha sempre tantissime cose per la
testa.”
-Sì,
ma non si dimentica mai di chiamarmi...-
pensò la Mew rosa.
Affondò
il cucchiaino nella pallina gelida, e guardò fuori dalla
grande
finestra.
Non
sapeva se il freddo che provava nello stomaco era colpa del gelato o
di un bruttissimo presentimento.
TAN
TAN TAAAAAAAAAAAN :D ahahah Ecco a voi la vostra tanto amata vena
sadica della suddetta autrice, che vi ringrazia davvero tanto per il
supporto che le dimostrate.
Aggiornamento
velocissimo, capitolo come al solito scritto quasi tutt'oggi, che vi
lascerà con il fiato sospeso perchè non ho idea
di quando potrò
scrivere il prossimo. Invoco il vostro perdono!
Scappo
perché sono di super fretta e sono, of
course, in ritardo! A prestissimo,
la vostra
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 26 *** Temple of Doom ***
Temple
of Doom
Strawberry
chiamò per l'ennesima volta il cellulare di Ryan; per
l'ennesima
volta, le fu risposto che il numero era irraggiungibile.
Ricacciò
il groppo che le si stava formando in gola, voltandosi verso Kyle:
“E' sempre staccato. È via da 24 ore, Kyle, non
dirmi che non sei
preoccupato perché non ci credo.”
Il
moro prese un sorso del suo caffè; praticamente lui e la
rossa non
avevano dormito tutta notte: “Prova a chiamare a
casa.”
“Va
sempre in segreteria!” esclamò lei “Nina
non arriverà prima
delle nove e mezza, e io non resisto fino alle nove e mezza. Qualcosa
non va, e lo sai anche tu.”
L'uomo
si passò una mano sugli occhi. Non era da Ryan sparire
così; ormai
aveva trovato mille scuse per ciò che stava accadendo, ed
ogni
teoria era stata smentita in poche battute.
“Okay,”
sospirò “Allora forse è meglio tornare
a Tokyo. Io vado a
svegliare Pie, io e lui riporteremo un po' di attrezzature a casa. Tu
preparati con gli altri e anticipaci al Caffè, ci
incontriamo lì.”
La
rossa annuì e corse su per le scale, facendo i gradini a due
a due;
entrò come un fulmine nella camera che condivideva con le
altre Mew
Mew, spalancando le tende di colpo.
“Ragazze,
svegliatevi, dobbiamo andare!” esclamò, scuotendo
Mina per una
spalla.
“Ci
stanno attaccando?” mugugnò confusa Paddy,
sfregandosi un occhio
con un pugno.
“No,
ma Ryan è sparito, sono ventiquattr'ore che non lo
sentiamo,”
rispose lei “Mina, alzati!”
La
ballerina nascose la testa sotto il cuscino: “Chiama la
polizia,
no?”
Strawberry
si bloccò. In effetti non ci aveva pensato. Kyle, d'altro
canto, non
l'aveva proposto, e lui sapeva sempre cosa fare.
“La
polizia ci metterebbe molto più tempo di quello che serve a
noi,”
Pam si alzò svelta, avvicinandosi alla sua valigia e
prendendone
fuori un paio di jeans “Forza, in piedi.”
Al richiamo del suo
idolo, Mina si tolse le coperte con uno sbuffo, ma non aggiunse
un'altra parola. Strawberry incrociò lo sguardo della Mew
viola,
mimando un grazie
con le labbra a cui l'altra rispose con un sorriso.
Si
sentì toccare la spalla, e voltandosi si trovò
Lory che le
sorrideva e le allungava un vestito: “Non puoi certo tornare
a casa
in pigiama, Strawberry.”
La
rossa annuì; aveva la gola così secca e stretta
da non riuscire a
parlare. Si stava muovendo come un automa, recuperando le sue cose in
fretta ed infilandole senza cura nella valigia. Lei sapeva
che qualcosa non andava.
Furono
pronte in meno tempo di quanto ci avessero mai messo, e scesero al
primo piano con urgenza, sorprese di trovare anche gli alieni di Gaia
già pronti.
“Kyle
ci ha spiegato tutto,” chiarificò Espera
“Abbiamo dei monitor,
nella base, che ci possono dire dove potrebbe essere andato
Ryan.”
Kert
alzò gli occhi al cielo, piegandosi appena per sussurrare
all'orecchio di Pharart: “E certo, raccontiamo pure tutti i
nostri
trucchi.”
“Grazie,
ma anche noi siamo ben adeguati,” Kyle sorrise “Ci
dirigeremo al
Caffè, per adesso.”
“Noi
torniamo alla nostra base, allora,” Rui annuì.
Sapeva che non era
momento d'essere d'impiccio “Se avete bisogno, sapete come
contattarci.”
Si
teletrasportarono in silenzio, subito l'americano riprese la parola:
“Quiche, Tart, andate con le ragazze al Caffè. Io
e Pie vi
raggiungeremo con la macchina e gli strumenti.”
“Possiamo
prima passare da casa mia?” Strawberry dovette schiarirsi la
gola
due volte per far uscire almeno un filo di voce “Voglio
controllare
se c'è qualcosa fuori posto.”
Quiche
le tese la mano con un sorriso: “Andiamo.”
Nel
tempo di un battito di ciglia, si ritrovarono nell'ingresso di Villa
Shirogane.
Strawberry
salì a rotta di collo le scale in direzione della loro
camera da
letto, sperando con tutto il cuore che Ryan fosse lì,
addormentato
ed ancora esausto per tutta la fatica a cui si sottoponeva, con il
cellulare senza batteria.
L'avrebbe
sgridato, probabilmente gli avrebbe anche tirato due o tre ceffoni, e
perché no, magari anche un pugno sul petto, e poi l'avrebbe
abbracciato e gli avrebbe dato dell'idiota e dell'insensibile, ma
l'avrebbe tenuto così stretto che nessuno dei sarebbe
riuscito a
respirare.
Bastava
solo che lui fosse dietro quella porta.
Stese
le dita, aggrappandosi alla maniglia e abbassandola con una tale
furia che quasi si staccò, capitombolando all'interno della
stanza.
La luce del mattino brillava forte dalle grandi finestre... e tutto
era in perfetto ordine, come se nessuno ci fosse mai entrato.
Si
dovette sostenere contro lo stipite, mentre le ginocchia le tremavano
impazzite e gli occhi bruciavano salati.
L'unico
elemento di conforto era la valigia di Ryan, accuratamente riposta in
un angolo ai piedi del letto e svuotata.
Si
lasciò cadere sul materasso, osservandosi le punte dei
piedi. -E'
passato da casa,-
pensò -Ma
quando?-
“Strawberry?”
Si
voltò verso Paddy, che l'aspettava sull'uscio, senza
proferire
parola.
“Abbiamo
controllato dappertutto,” le spiegò la Mew gialla
“E' tutto in
ordine, non c'è segno di scasso o niente di che.”
La
rossa annuì: “E' venuto qui, però.
C'è la sua valigia.”
“Vuoi
andare al Caffè ora?”
“Sì,
andiamo.” Strawberry si alzò svogliatamente,
accettando la mano
dell'amica.
Ancora
una volta, grazie a Quiche e Tart raggiunsero velocemente il locale,
atterrando dolcemente sulla fresca erba del giardino.
Pam
storse il naso, i sensi del lupo all'erta. Sembrava tutto tranquillo,
molto
tranquillo.
Allora
perché la porta d'ingresso sembrava socchiusa?
Il
gemito strozzato che provenne dalla gola di Strawberry le
confermò
che anche lei aveva colto il medesimo particolare.
Si
lanciarono tutti dietro la rossa in corsa, la quale spalancò
la
grande porta di legno facendola cigolare pesantemente. Ciò
che li
accolse fece trattenere il fiato a tutti.
Il
Caffè era stato completamente ribaltato; sedie e tavoli
giacevano
alla rinfusa per terra, le gambe all'aria; in cucina, le padelle
erano cadute tutte per terra, ed il tavolo di metallo su cui Kyle
lavorava era addossato contro il forno. Una colonna nella sala
principale era annerita.
Quiche
le si avvicinò, toccandola con prudenza. Riconosceva il
risultato,
ma non aveva la forza di dirne la ragione ad alta voce.
“Cos'è
successo?” mormorò Lory, guardandosi attorno
spaventata.
“Non
sono stati dei ladri, i soldi sono ancora tutti nella cassa.”
esclamò Pam. Poi si piegò, raccogliendo qualcosa
da sotto il
bancone. “E' il cellulare di Ryan, è
spento.”
La
testa di Strawberry girò così forte che quasi le
mancarono i sensi
e fu costretta ad appoggiarsi a Mina.
La
Mew Blu la fece sedere lentamente per terra, spingendole la testa tra
le gambe e accarezzandole la schiena: “Respira, Straw. Non
perdiamo
la testa, cerchiamo di ragionare.”
“E'
stato lui!”
la
voce della rossa venne fuori a singhiozzi mentre calde lacrime
sgorgavano prepotenti “E' stato lui, ne sono
sicura!”
“V-vuoi
dire Profondo Blu?” domandò la Mew Verde.
“Sì.”
si voltarono tutti verso Quiche, ancora intento a studiare la colonna
“Questa è una bruciatura data da un suo
attacco.”
“Quiche,
maledizione, un po' di tatto!” sibilò Mina, mentre
i singulti di
Strawberry aumentavano di numero e volume.
Pam
raggiunse le due, inginocchiandosi così da essere al loro
stesso
livello: “Strawberry, ascoltami.” prese le mani
della rossa e la
costrinse dolcemente a darle attenzione “So che è
difficile, ma
devi calmarti. Solo tu puoi dirci dove potrebbero essere. Solo se
manteniamo la calma potremmo andarci a riprendere Ryan.
D'accordo?”
Lei
annuì, boccheggiando per respirare mentre i singhiozzi
continuavano
a bloccarle i polmoni. La Mew lupo sorrise, scompigliandole la
frangetta nello stesso identico modo dell'americano, poi si
rialzò,
piantando le mani sui fianchi. “Abbiamo bisogno di un piano,
e ne
abbiamo bisogno in fretta. Non sappiamo né dove sia Ryan,
né da
quanto tempo è prigioniero di Profondo Blu. Il tempo
è nostro
nemico.”
“Dovremmo
chiamare Rui e gli altri,” l'esclamazione di Mina colse un
po'
tutti di sorpresa, ma lei fece finta di nulla “Siamo
già a corto
di Pie, e sappiamo benissimo che non riusciremmo a sconfiggerlo da
soli. E poi siamo alleati, o sbaglio?”
“Mina
ha ragione!” confermò Paddy con enfasi
“Anche con Pie saremmo in
svantaggio.”
“Io
chiamo Kyle, intanto,” aggiunse Lory “Lo informo
della situazione
e gli dico di sbrigarsi.”
“Fratellone,
sei sicuro che sia opera di Profondo Blu?” domandò
incerto Tart.
Quiche
batté la mano sulla colonna: “Ho visto abbastanza
attacchi come
questo per poterne essere certo. Vieni a vedere tu stesso.”
Pam
fece un respiro profondo, lanciando un'occhiata intorno a sé
prima
di chiamare: “Rui!”
Ci
volle qualche istante perché l'alieno dai capelli blu
apparisse
davanti a loro, una smorfia preoccupata in viso.
“Cos'è
successo qui?” domandò dopo essersi guardato
intorno.
“Crediamo
che Profondo Blu abbia rapito Ryan,” gli spiegò la
Mew viola “Se
dobbiamo attaccarlo, non possiamo farlo da sole.”
Lui
si passò una mano tra i capelli: “Nessun indizio
su dove
potrebbero essere?”
“Non
abbiamo ancora iniziato le ricerche. Come puoi vedere, non siamo in
ottime condizioni.”
Si
soffermarono brevemente su Strawberry, ancora seduta sul pavimento
con Mina al suo fianco che continuava a parlarle e accarezzarle la
schiena.
“Farò
venire Espera qui, sarà d'aiuto,” Rui
parlò a voce bassa “Dirò
a Zaur di controllare sui nostri apparecchi se riesce a trovare
qualcosa. Datemi dieci minuti.”
Poco
dopo che se ne fu andato, la sua compagna apparve al posto suo, le
guance che impallidirono vistosamente non appena mise piede nel
Caffè.
Sorrise
a Mina: “Ci penso io, non preoccuparti.”
sussurrò, prendendo una
mano di Strawberry.
La
Mew Blu annuì, stringendosi il petto con le braccia. Faceva
caldo,
eppure il Caffè era terribilmente freddo.
“Non
ci voleva,” mormorò così che solo Pam
la sentisse “Quel
bastardo sa benissimo quali sono le nostre debolezze.”
“Non
capisco come facesse a sapere che Ryan sarebbe tornato al
Caffè,”
replicò la Mew Viola “Mi sembra impossibile che
sia accaduto tutto
per caso.”
Mina
sgranò gli occhi: “Vuoi dire che Profondo Blu ci
stava spiando?”
L'amica
si strinse nelle spalle: “Avrebbe potuto attaccarci quando
eravamo
tutti insieme a casa di Ryan, sarebbe stata l'occasione perfetta.
Invece ha aspettato il momento esatto in cui soltanto uno di noi era
da solo e lontano per colpire, sapendo benissimo che effetto avrebbe
provocato.”
Lory
uscì di corsa dalla cucina, il cellulare ancora
all'orecchio: “Pie
e Kyle non saranno qui prima di un'ora, sono bloccati nel
traffico.”
Pam
si scostò la frangetta dagli occhi. Non era certa che
avessero
un'ora di tempo.
Il
lieve rumore del teletrasporto le avvisò che Rui era
tornato,
accompagnato da Pharart e Zaur.
“I
nostri rilevatori non mostrano niente,” spiegò
quest'ultimo, con
un po' più di flemma del solito “Non
c'è nessun campo di energia,
da nessuna parte della città.”
“Questo
vuol dire che Profondo Blu non è qui?” chiese
Quiche,
avvicinandosi a loro.
“O
che si sta nascondendo per farci pensare che non sia qui.”
continuò
Pam.
“E
se fosse a casa sua? Di Mark, voglio dire.” tentò
Paddy.
Rui
scosse la testa: “Kert e Sunao sono là a
controllare, se avessero
trovato qualcosa ci avrebbero già avvertito.”
Pharart
fece un passo avanti: “Sentite, se ho capito bene, la vostra
leader
ha avuto una storia con questo tizio umano, giusto?” disse a
bassa
voce “Lei forse potrebbe dirci dov'è.”
Lory
annuì: “Sì, Strawberry è la
nostra unica speranza.”
Prima
che potessero aggiungere altro, gli ultimi due componenti della
squadra di Gaia fecero la loro comparsa in mezzo a loro.
“Settore
pulito,” esclamò Kert “Sembra che quella
casa sia stata chiusa
per giorni, non potete immaginare la puzza che c'era.”
“Ascolta,
Strawberry,” Pam ritornò di nuovo ad
inginocchiarsi davanti
all'amica, che appariva molto più calma con Espera accanto a
lei
“Ora devi pensare a dove potrebbero essere. Tu conoscevi
Mark,
sapevi come ragionava. I nostri computer non riescono a
localizzarlo.”
“D'accordo,”
con una nuova scintilla di tenacia negli occhi, la rossa si
alzò,
spolverandosi il vestito, e cominciò a passeggiare per il
Caffè.
“Avete
detto che casa di Mark era vuota, giusto?” quando gli altri
annuirono, lei riprese, contando sulle dita “E qui al
Caffè
ovviamente no. Se Profondo Blu sta davvero tenendo Ryan prigioniero,
ha bisogno di un posto nascosto, dove la gente non li può
vedere.”
“Stai
parlando di mezza Tokyo!” sbuffò Tart, beccandosi
un'occhiataccia
da Paddy.
Ma
la Mew gatto scosse la testa: “No, non può essere
un luogo scelto
a caso. Questo non è stato fatto per caso, Mark è
sempre stata una
persona molto razionale. Ci dev'essere un significato.”
Mina
si accigliò: “Non vorrai dire che dopo tutti
questi anni, Profondo
Blu si sta prendendo una rivincita personale per gelosia?”
“Per
quale altro motivo avrebbe rapito il capo?” le rispose Paddy,
che
per smorzare la tensione stava in equilibrio su una sedia su un piolo
solo. “Avrebbe guadagnato molto di più a rapire
una di noi.”
Strawberry
bloccò all'improvviso il suo passo, alzando la testa:
“Il vecchio
tempo sul fiume!” esclamò.
Lory
aggrottò la fronte: “Vuoi dire quello qui nel
parco?”
“Sì!
È un paio di anni che è stato chiuso in attesa
della
ristrutturazione, vero?”
Mina
annuì: “Sì, non sono ancora riusciti a
trovare i fondi necessari
però.”
La
rossa strinse i pugni: “E' il posto perfetto. È
completamente
chiuso da una staccionata così alta che non si riesce a
vederne
oltre, non ci passa mai nessuno perché è in un
luogo un po' isolato
del parco, nessuno saprebbe che lì si sta nascondendo
qualcuno!”
“Come
fai a essere sicura che siano lì?” le chiese
scettico Quiche.
La
rossa si morse il labbro inferiore: “E' l'unico luogo adatto
che
possa avere un significato per Mark. È l'ultimo posto dove
ci siamo
visti prima di lasciarci.”
“Fermi,
fermi.” Sunao si fece avanti, alquanto incredula di tutto
ciò che
aveva sentito “E' di Profondo Blu che stiamo parlando, non di
qualche semplice umano sociopatico. Siete sicure che non sia un po'
una forzatura?”
“Dentro
Profondo Blu c'è comunque Mark,” Lory si
aggiustò nervosamente
gli occhiali “E' l'unica teoria che abbiamo.”
L'aliena
sospirò: “Cerchiamo di stare in guardia. Non siamo
ancora
abbastanza forti per combatterlo. Da che parte dobbiamo
andare?”
Strawberry
sorrise, prendendo il medaglione Mew Mew dalla tasca:
“Trasformiamoci, ragazze!”
Il
locale si riempì di luci colorate, svelando poco dopo le
cinque
combattenti.
“Andiamo
a prendere a calci Profondo Blu!” esclamò con un
grido eccitato
MewPaddy.
Si
misero tutti a correre lungo il sentiero del parco, ancora poco
affollato, con MewBerry in testa, che cercava di ricordare la strada
più breve per arrivare al vecchio tempio.
Sperava
davvero che la sua supposizione fosse esatta; altrimenti, non avrebbe
assolutamente saputo dove sbattere la testa.
Un'alta
recinzione di legno si stagliò di fronte a loro, oltre la
quale si
potevano soltanto scorgere le fronde degli alberi più alti.
“Brrr.
Inquietante.” commentò Tart “Ora capisco
perché non viene mai
nessuno da queste parti.”
“Forza,
scavalchiamo.”
MewBerry,
MewPam e MewPaddy spiccarono un salto, mentre MewMina e gli alieni
volarono graziosamente al di sopra della staccionata, portando
MewLory con loro, ed atterrarono in mezzo ad una fitta vegetazione.
“Pharart,
ci pensi tu?” domandò Kert, tagliando con un
pugnale alcuni dei
rami più sottili; camminare lì era praticamente
impossibile.
L'alieno
biondo annuì, e con un gesto della mano iniziò a
far ritirare
lentamente le piante, piegando i rami stando attento a non spezzarli.
“Fai
piano,” sussurrò Sunao mentre si inoltravano a
piccoli passi nel
bosco “Non dobbiamo attirare l'attenzione.”
Seguirono
il vecchio sentiero ormai in disuso, le orecchie tese verso il rumore
dell'acqua scorrevole che sentivano davanti a loro. La Messaggera
arricciò il naso, il bastone già pronto nella sua
mano: non
avvertiva assolutamente nulla che le desse la conferma di una
presenza, aliena o umana, in quel luogo.
“Ecco,
ci siamo,” bisbigliò MewBerry, indicando la
vecchia costruzione in
legno che si ergeva a pochi metri da loro, sopra un isolotto
artificiale ricoperto di erba e muschio “Devono essere
lì dentro.”
Le
Mew Mew evocarono le loro armi e il gruppo riprese il cammino,
cercando di fare il meno rumore possibile.
Attraversarono
il fiume saltellando sui grandi massi che spuntavano dall'acqua, e si
ammassarono contro la porta di ingresso del tempio, sbarrata da due
assi incrociate.
“Non
è stata aperta,” sibilò MewMina
“Forse c'è un'entrata sul
retro?”
La
rossa scosse la testa: “Non che io sappia.”
Strinse
gli occhi, cercando di scorgere qualcosa all'interno della
costruzione, ma era troppo buio persino per i suoi occhi felini.
“C'è
un'altra porta là in fondo,” evidentemente, Sunao
aveva occhi
migliori dei suoi “C'è un filo di luce che filtra
da sotto. Questa
è solo una specie di anticamera.”
“Buttiamo
giù questa porta, allora!” esclamò
Kert, già pronto ad
utilizzare Maciste, ma Rui lo fermò: “Faremmo
troppo rumore e
verremmo scoperti!”
MewPaddy
e Tart si allontanarono verso il lato del tempio, constatando che
anche le finestre erano state sbarrate. Gli occhi dell'alieno si
illuminarono all'improvviso: “E se fosse entrato da
sopra?!”
Si
alzò in volo quanto bastasse per osservare il tetto, notando
con
piacere che in effetti c'era uno squarcio abbastanza largo per farci
passare un uomo adulto.
“Ragazzi!
Ehi!” attirò l'attenzione degli altri
sbracciandosi così da non
urlare, poi indicò frenetico il buco “Da
qua!”
Svolazzò
di sotto per poter prendere MewPaddy in braccio; Quiche
sollevò
MewBerry, Pharart una MewLory ormai cianotica dall'imbarazzo, e Rui
aiutò MewPam.
“Entriamo?”
mormorò Espera, occhieggiando con timore il varco. La luce
vi
filtrava, illuminando soltanto un piccolo spazio del tempio,
permettendo loro di vedere il pavimento di legno di bambù.
Sunao si
mosse per prima, abituata a situazioni come quella eppure a disagio,
seguita da vicino da Kert.
Si
calarono nel buco, atterrando tra nuvole di polvere che pizzicarono
gola e naso, ma tutti cercarono di non tossire per non rompere il
silenzio, quasi sacro, che padroneggiava.
“Non
ricordavo che fosse così grande,” la voce di
MewBerry era poco
meno di un sussurro “Guardate, c'è un corridoio
là a sinistra!”
Rui
sfoderò la sua spada, portandosi davanti ad Espera:
“Andiamo.”
Percorsero
il corridoio, la schiena attaccata contro il muro e i sensi pronti a
cogliere qualsiasi movimento.
All'improvviso,
la terra sotto i loro piedi cominciò a tremare con violenza,
ed il
pavimento si aprì; con un urlo, crollarono tutti al piano
inferiore,
il luogo vietato ai turisti del tempio, tra schegge ed assi di legno.
Una risata macabra rimbombò nel buio.
“Ma
guarda, guarda, siete caduti dritti nella mia trappola. Siete
così
prevedibili che non è divertente giocare con voi.”
I
tredici si alzarono in piedi, cercando di capire da dove provenisse.
“Fatti
vedere, Profondo Blu!” gridò Kert “Sei
un po' troppo grande per
giocare a nascondino!”
Una
fortissima luce si sprigionò di scatto, così
potente che si
coprirono tutti il volto con le mani; quando si placò
abbastanza per permettere loro di vedere, MewBerry dovette reprimere un
grido.
Profondo
Blu era davanti a loro, in fondo ad un'immensa sala, i lunghi capelli
neri che fluttuavano nell'aria insieme a lui; dietro, avvolto in
quella che sembrava una bolla d'energia, c'era Ryan, privo di sensi.
“Cosa
c'è, MewBerry, sei preoccupata?” le
domandò l'alieno con tono
canzonatorio “Oh, non ti agitare, io e il tuo caro maritino
ci
siamo divertiti un po'.”
La
Mew gatto ricacciò indietro le lacrime, ringhiando:
“Maledetto,
lascialo andare!”
Profondo
Blu rise di nuovo: “Non hai detto per favore!”
Espera
si aggrappò al braccio di Rui: “Guardagli gli
occhi! Ne ha uno
azzurro e uno marrone, vuol dire che l'anima del ragazzo è
ancora
dentro di lui!”
“E' una buona cosa, no? È così che
siamo
riusciti a sconfiggerlo la prima volta, lo spirito di Mark ci ha
aiutati!” domandò MewPaddy, vicina a loro.
Ma
l'aliena mora scosse la testa: “No. Avevate ragione. Mark
è spinto
da una furia cieca alimentata dalla gelosia. Sento che lui vuole
esattamente tutto questo. Ecco perché Profondo Blu
è così forte
questa volta: non sono due anime che si stanno combattendo, ma stanno
collaborando!”
“Ragazzo
umano o no, io mi sono stancato.” Kert caricò
Maciste, dopo un
cenno d'assenso di Rui, e lo puntò dritto al cuore
dell'alieno di
fronte a loro.
Sparò,
sicuro di aver fatto centro; ma il colpo rimbalzò contro una
barriera invisibile, costringendoli a lanciarsi a terra e
scontrandosi contro una parete in un'ennesima esplosione di legno e
calce.
“E'
protetto da un campo di energia!” gridò MewLory.
“Però,
siete perspicaci!” ribatté il loro nemico
“E' così triste
dovervi eliminare subito!”
Stendendo
pigramente due dita, lanciò contro di loro una scarica di
energia.
“Pudding
Ring Inferno!” l'attacco di MewPurin
assorbì all'ultimo istante quello di Profondo
Blu, facendo sorridere contenta la ragazza. Tutti le ore passate a
perfezionare la tecnica erano servite, allora!
“Dobbiamo
cercare di avvicinarci,” Sunao si rivolse a Rui e Zaur
“Non ha
senso lanciargli attacchi da lontano che lui può
parare.”
Il
Comandante si voltò verso MewPam: “Riuscite a
distrarlo mentre noi
proviamo ad avvicinarlo e combatterlo corpo a corpo?”
La
Mew viola annuì, correndo ad informare le altre del piano.
MewMina
incoccò una freccia: “Ribbon
Minto Echo!”
Il
colpo si infranse nuovamente contro la barriera, ma le Mew Mew
cominciarono un ritmo serrato d'attacchi.
Pharart
tentò di spingere alcune radici fino a Profondo Blu, ma
anche queste
furono bloccate, scatenando una malvagia ilarità nell'alieno
dagli
occhi bicolori: “Siete talmente dolci, cercate di
sconfiggermi, ma
non ci riuscirete mai!”
Senza
neanche guardare, un altro gesto della mano catapultò gli
alieni di
Gaia all'indietro, rendendo vano il loro tentativo di avvicinarsi.
MewBerry
si piegò sulle ginocchia per cercare di riprendere fiato,
senza mai
staccare gli occhi da Ryan, che ancora non dava segno di ripresa. Si
asciugò il sudore dalla fronte, e cercò MewLory.
“Devi
provare a lanciare un attacco leggero verso Ryan, per svegliarlo in
qualche modo,” le disse “Magari lui non
è avvolto da uno scudo.”
La
Mew verde si morse il labbro: “Ne sei sicura?”
Lei
annuì con un sorriso: “Un po' d'acqua non gli
farà male!”
In
effetti, lo scossone che il Ribbon
Lettuce Rush
provocò alla “bolla” di Ryan
riuscì a svegliarlo. Il ragazzo si
mise in ginocchio, tenendosi la testa. Quando sentì MewBerry
chiamare il suo nome, si voltò di scatto, un'espressione di
terrore
sul viso.
“Strawberry!”
gridò, battendo contro la parete azzurrina della sua
trappola
“Ragazze!”
“To', il principino si è svegliato,”
commentò
Profondo Blu “Ora potrò torturarlo ancora un po',
proprio qui
davanti a voi, che ne dite?”
“NO!” MewBerry corse in avanti,
parandosi davanti all'alieno “Perché gli stai
facendo questo?!”
“Perché
tu avresti dovuto essere mia!” l'urlo dell'alieno fece
tremare
l'intero tempio, mentre dal suo corpo scaturiva un'energia
così
potente che spostò tutti indietro di qualche centimetro,
investendoli come una raffica di vento. Quando la Mew rosa
ritornò a
guardarlo, vide che entrambi gli occhi erano tornati marroni.
“E
invece mi hai lasciato così, dopo tre anni, senza un
briciolo di
spiegazione decente, perchè
non mi amavi, per
poi farti mettere incinta da... da lui!”
boccheggiò ancora Mark con disgusto.
“Allora
prenditela con me!” gridò la rossa “Ma
lascia stare Ryan! Lascia
stare le mie amiche!”
“Strawberry non fare idiozie!” implorò
di rimando il biondo.
Ma
Mark scosse la testa, ridacchiando: “E dov'è
sarebbe altrimenti il
divertimento?”
Il
suo colpo fu così veloce che MewBerry riuscì a
evitarlo solo di
striscio, capitombolando a terra e sfregandosi il ginocchio,
facendolo sanguinare.
Le
altre quattro Mew Mew corsero attorno a lei, pronte a proteggerla,
mentre gli alieni si preparavano di nuovo a colpire.
“Eppure
ti facevo meglio di così, Profondo Blu,”
commentò all'improvviso
Sunao, un filo di sarcasmo nella voce “Tutto questo per una donna?”
L'alieno
si voltò verso di lei, assottigliando gli occhi di nuovo di
due
colori diversi: “Sì, io so chi sei.”
sibilò “Tu hai lo stesso
sangue di quelli che mi hanno cacciato da Gaia, non è vero?
Avverto
la loro puzza.”
La
Messaggera rimase interdetta, e le labbra del moro si stirarono in un
ghigno che scoprì i canini: “Io so tante cose di
te, Sunamora.
Cose che scommetto vorresti sapere anche tu. Cose su tuo
padre.”
All'improvviso,
un fortissimo dolore la colse alla testa, costringendola a cadere in
ginocchio. Varie immagini cominciarono a scorrerle davanti agli
occhi.
Immagini
di pioggia, di figure incappucciate, di un paio di braccia che la
tenevano stretta.
Strinse
le palpebre, ringhiando: “Non cedo ai tuoi
trucchi,” sibilò,
scuotendo il capo per cercare di fermare quel dolore.
La
risata dell'alieno le giunse da lontano, mentre vedeva a malapena
Kert che si parava davanti a lei. Avvertì Espera cadere di
fianco a
lei, avvolgerle un braccio attorno alle spalle e dirle parole che non
riusciva a comprendere, perché il fischio che le rimbombava
nelle
orecchie copriva tutto.
Kert
mirò al soffitto, che crollò sopra Profondo Blu,
distraendolo per
un istante.
MewBerry
e MewMina ne approfittarono per lanciare i loro colpi, mentre MewPam
lanciava la sua frusta verso Ryan, arrotolandogliela alla caviglia e
strattonandolo verso di sé.
Profondo
Blu ringhiò, evitando per un soffio la freccia della
Mewbird, che
gli tagliò la guancia.
Pharart,
Zaur e Quiche tornarono all'attacco, avvicinandosi il più
possibile
all'alieno e tentando di colpirlo, ma ancora una volta furono
scansati all'indietro.
“MALEDETTI!”
gridò lui, notando Ryan che veniva trascinato al sicuro da
Tart e
MewPaddy e MewBerry che correva verso di lui. Un ringhio gutturale
salì dalla sua gola mentre racchiudeva le dita intorno ad
una sfera
di energia, pronto a colpire la Mew rosa.
“MewBerry,
attenta!” gridò MewMina, mirando al polso
dell'alieno per tentare
di fermarlo.
Poi,
qualcosa di incredibile accadde.
Mentre
Profondo Blu si preparava a lanciare la sfera, i suoi occhi
cambiarono nuovamente colore, il viso si trasformò in quello
di
Mark, che gridò: “NO!”
In
quel frammento di secondo, MewPam e Pharart ne approfittarono per
lanciare un attacco combinato: la frusta della Mew Mew si avvolse
attorno al braccio dell'alieno, trascinandolo al suolo, mentre la
freccia del biondo si conficcava nella sua spalla.
Sfracellandosi
sul pavimento, riacquistò le sembianze di Profondo Blu:
“Non
finisce qui!” gridò, prima di smaterializzarsi.
“Se
n'è andato!” esalò MewLory,
accasciandosi per terra e
riacquistando la forma umana.
Mewberry
si lanciò al collo di Ryan, appoggiato al muro del tempio.
“Ouch!”
gemette quando il dolce
peso
della ragazza si riversò su di lui “Fai piano,
temo di avere
qualche costola incrinata e il polso slogato.”
“Sei
un cretino!” gli gridò lei all'orecchio, il viso
nascosto nel suo
collo, appena bagnato di lacrime “Mi hai fatto morire di
paura!”
“Non
pensare che mi sia divertito ad essere massacrato dal tuo pazzoide di
un ex!” rimbeccò lui di rimando, stringendola
più forte “Te
l'ho sempre detto che non mi era mai piaciuto.”
Quiche
ripose i suoi tridenti, passando un braccio attorno alle spalle di
Mina: “Usciamo da qui, che ne dite?”
Tutti
mormorarono d'assenso; Sunao, però, era ancora a terra,
raggomitolata su se stessa, il viso appoggiato sulle braccia e il
corpo scosso da brividi.
“Profondo
Blu ha usato i suoi poteri contro di lei,” spiegò
Espera, pallida
in viso per tutte quelle emozioni che la investivano allo stesso
momento “E' entrato nella sua testa e le ha provocato
dolore.”
Sunao
sibilò qualcosa, che i terrestri non capirono ma che fece
sorridere
Kert: “Sono parolacce che non vi
ripeterò,” rispose alla muta
domanda dei loro compagni. Si piegò e la prese in braccio,
ignorando
il suo mugolio di dissenso. “Andiamocene, forza.”
Risalirono
così com'erano entrati, trasportando i due feriti con cura.
“Ce
la fai a camminare?” domandò Strawberry
preoccupata, sostenendo
Ryan che si appoggiava alle sue spalle.
Lui
annuì: “Sì, ma mi sa che devo vedere un
dottore.”
Quiche
lo addocchiò: “Cerca di non svenire almeno
finché non siamo fuori
di qua, biondino.”
“Ragazze!
Ragazze! Siete lì?!” la voce di Kyle li raggiunse
dall'altra parte
della staccionata.
“Kyle,
siamo qua!” strillò Paddy di rimando
“Abbiamo salvato Ryan!”
“State
lontani!” con ben poca grazia, Pie aprì un buco
nella recinzione,
così che fosse più facile il passaggio, balzando
poi in avanti per
stringere Pam tra le braccia, in una manifestazione d'affetto che
nessuno si sarebbe aspettato.
Kyle
si affrettò a controllare il suo migliore amico, dandogli
una pacca
sulla spalla: “Mi farai venire un infarto un giorno o
l'altro.”
Ryan
sorrise un po' a fatica, mettendo ancora più peso su
Strawberry, le
cui ginocchia stavano per cedere. Tart intervenne, sostenendolo
dall'altra parte: “Forza, è meglio portarti
all'ospedale.”
“Una
clinica,” sussurrò il biondo “Una di
quelle di cui sono
finanziatore, faranno meno domande.”
Pam
e Pie si voltarono verso gli alieni, la ragazza con un abbozzo di
sorriso: “Grazie per il vostro aiuto. Non ce l'avremmo fatta
senza
di voi.”
Rui
ricambiò con un sorriso: “Lo stesso vale per voi.
Direi che una
valutazione sia necessaria domani, che dite?”
Pie
annuì: “Domani sera, al Caffè. Ora
è tempo che si riposino
tutti.”
Si
salutarono con un cenno, e gli alieni di Gaia si teletrasportarono
nella loro base.
“Cielo,
che mattinata!” esalò Pharart, lasciandosi cadere
sul divano
“Voglio chiedere un aumento di paga al Consiglio, non ci
avevano
mai preparato a qualcosa del genere.”
Espera
rise, avvicinandosi a Sunao, seduta su un altro divano.
“Scotti.”
le disse, toccandole la fronte.
“Hai
qualche tuo intruglio miracoloso, Seles?” le
domandò Kert.
La
mora si morse il labbro: “Forse posso provare
qualcosa.”
“Qualunque
cosa,” borbottò Sunao, stringendosi la testa tra
le mani “Sta
per scoppiare.”
“Fatti
un bagno freddo per abbassare un po' la temperatura, io torno
subito.”
Circa
venti minuti dopo, la Messaggera era arrotolata tra le coperte, una
tazza di qualcosa di verde e fumante tra le mani.
“Ha
uno strano odore, ma è buono.” mormorò,
prendendone un sorso.
L'amica
sorrise: “Non so quanto possa funzionare; di solito lo
preparo come
rimedio alle influenze, e invece tu...”
“Io
ho avuto un bastardo che si è intrufolato nella mia mente e
ha
provocato così tanto stress da farmi salire la febbre alle
stelle.”
terminò la viola con ironia “Non mi era mai
capitato prima. Ora
capisco perché il Consiglio l'ha allontanato.”
“Senti...”
Espera esitò “Riguardo quello che ha
detto...”
Sunao
si irrigidì, mentre l'ennesimo brivido la faceva tremare
così forte
da versarsi un po' di liquido sulle dita. “Sono stanca,
Espera,”
rispose secca “Ti dispiace?”
L'altra
sorrise: “D'accordo. Chiamaci, se hai bisogno.”
La
Messaggera si stese nel letto, raggomitolandosi per tentare di
fermare quell'assurdo tremore.
Si
sentiva una sciocca, ed estremamente vulnerabile. Profondo Blu
l'aveva colpita proprio nel suo punto più forte. Come faceva
a
sapere chi era? Come aveva fatto a trovare quei ricordi nella sua
mente?
Incapace
di dormire, si arrovellò il cervello per quelle che le
parvero ore,
mentre la testa continuava a dolerle; il fischio che aveva sentito
nel tempio era scomparso, ma l'aveva lasciata rintontita.
Si
era ormai fatto il tramonto quando la porta si aprì. Sapendo
benissimo chi fosse, rimase zitta e ferma. Non aveva voglia di
intavolare una conversazione.
Con
sua grande sorpresa, però, Kert stesso si infilò
sotto le coperte,
passando un braccio attorno alla sua vita e spingendola contro il suo
corpo, avvolgendola con il suo calore.
***
La
casa era avvolta dal buio, le finestre chiuse e le tende tirate.
Il
minimo spiraglio di luce gli dava fastidio.
-Sei
stato un'idiota!- gridò, mentre la figura al centro della
stanza
cadeva a terra -E' per colpa tua se sono scappate!-
“No,”
singhiozzò il ragazzo “Io volevo solo...”
-Il
tuo stupido amore per quella ragazzina, ecco cosa ti ha sempre
ostacolato! Ma adesso sono stanco!-
Mark
scosse la testa: “No, per favore, no...”
-Può
esserci solo uno di noi.-
Aoyama
urlò così forte che pensò che i
polmoni stessero per scoppiargli,
mentre una forte luce azzurrina avvolgeva il suo corpo.
Poi,
tutto finì.
Quando
si rialzò in piedi, si diresse allo specchio.
Nel
riflesso c'era soltanto un paio di occhi azzurri.
Buonaseeeeeeeeeeera
:D Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; è stato un po'
difficile immaginarmi la dinamica della battaglia – era da un
po'
che non ne scrivevo, e c'era davvero tanta gente da far combattere
O.O
Come
vedete, è andato tutto più o meno bene...
prometto che qualsiasi
interrogativo verrà risolto, ma come al solito ci sono
sempre i
commenti ;)
Ah!
Vi avviso che, se ho fatto i conti giusti, Mele TERMINERA' al
TRENTESIMO capitolo :) Un po' è ora, anche se mi
sentirò malissimo
xD
Bene,
ditemi che ne pensate :) A presto e buon weekend, vostra
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 27 *** Blood, sweat and tears ***
Blood,
sweat and tears
C'era
una pioggia torrenziale, grandi gocce che rimbalzavano contro il
terreno.
C'erano
figure incappucciate, sfocate contro la parete grigia che continuava
a scendere dal cielo. Si avvicinavano, lente e inesorabili, le
passavano accanto senza riconoscerla.
C'erano
braccia che la tenevano e la tiravano indietro, i piedi nudi che
affondavano nel fango mentre si divincolava, gridando.
C'erano
due occhi neri come il carbone che la guardavano con rabbia.
Sunao
si tirò su di
scatto, boccheggiando per respirare. Un rivolo di sudore freddo le
corse lungo la tempia, mischiandosi ad una traccia salata che non le
aveva chiesto il permesso di scendere.
Rabbrividiva
ancora nel
caldo di quella notte di fine primavera, il venticello che pungente
le entrava nelle ossa stanche, la testa che ancora le doleva.
Strinse
gli occhi.
Dov'era finito Kert e perché la finestra era aperta?
Afferrò
la vestaglia di
seta bianca, avvolgendosela sulle spalle per cercare di fermare i
brividi, si affacciò alla finestra. La luce della Luna
illuminava il
grande parco lasciato alla forza della natura, e gli alberi erano
troppo fitti perché lei potesse distinguere la figura
dell'alieno.
Con
uno sbuffò, si
teletrasportò in basso, avviandosi a piedi nudi tra le
piante, in
silenzio. Non riusciva a trovare i suoi pensieri, e questo la
preoccupò. Se Kert era così tanto concentrato da
riuscire a non
pensare a nulla, ci doveva essere qualcosa di storto.
Si
bloccò
all'improvviso, la netta sensazione di essere osservata. Eppure non
c'era nessuno lì vicino a lei.
Un
movimento alla sua
destra catturò la sua attenzione: su un albero a pochi metri
da lei
stava strisciando un serpente di notevoli dimensioni.
Sunao
fece un passo indietro; non era certo un'esperta di fauna terrestre,
ma quel rettile era decisamente troppo grosso per poter aver vissuto
da solo in un vecchio giardino. Ed era solo una sua suggestione, o il
serpente stava... pensando?
“Io
ve l'avevo detto che qualcuno ci osservava.” la voce di Kert
la
fece sobbalzare. L'alieno era comparso di fianco a lei, stringendo
uno dei pugnali che ogni tanto utilizzava. “Questo
bastardello era
appostato sul listone della mia finestra. Non ho fatto in tempo a
prenderlo, che è scappato giù.”
“Profondo
Blu ci stava spiando con un serpente?” domandò
incredula lei.
Kert
annuì: “Una
specie di chimero, o comunque si chiamino quei cosi.”
“Ecco
come faceva a sapere dove fosse Shirogane, allora.”
“Sicuramente
non si è ancora ripreso dalla battaglia, immagino gli
servissero
solo informazioni.” si avvicinò al serpente, e
velocemente lo
pugnalò nella testa. “Problema risolto.”
Sunao
fece una smorfia
nel vedere il corpo dell'animale contorcersi per qualche istante:
“Hai intenzione di lasciarlo lì?”
“Lo
porteremo più tardi a far vedere agli altri,” Kert
si voltò ad
osservare l'aliena “Tu, piuttosto, cosa ci fai qui? Non vedi
che
stai congelando?”
“Se
ti preoccupa tanto la mia salute, la prossima volta magari chiudi la
finestra!” ribatté lei, incrociando le braccia sul
petto. Stava
decisamente tremando più del previsto.
L'alieno
le poggiò le
labbra sulla fronte: “Scotti ancora,”
mormorò.
Passandole
un braccio
attorno alla vita, li teletrasportò in camera, dove si
premurò di
chiudere la finestra, tirando le pesanti tende di velluto rosso.
Sunao
si avvolse nelle
coperte, sorpresa quando, di nuovo, Kert la strinse a sé,
intrecciando le loro gambe e appoggiando il viso contro la sua
spalla.
“Non
me lo vuoi dire cosa ti ha fatto vedere Profondo Blu?”
sussurrò
dopo qualche minuto, percorrendole il braccio, avanti e indietro, con
le dita.
Lei
chiuse gli occhi:
“Non mi ha fatto vedere niente che non sapessi
già... ha solo
ripescato nei miei ricordi cose che pensavo di aver
dimenticato...”
“Riguardo
tuo padre?”
“Tra
le altre cose.” rimase ferma mentre il palmo dell'alieno
continuava
a scorrere appena sulla sua pelle, riscaldandola. Non si era nemmeno
accorta di aver smesso di tremare.
Kert
l'accarezzò in
silenzio finché udì il suo respiro farsi
più regolare e profondo,
stringendole infine la mano mentre si sistemava accanto a lei e
chiudeva gli occhi.
Dall'altra
parte della casa Espera, che si era alzata per bere un bicchiere
d'acqua, sorrise, mentre anche il suo cuore batteva più
forte.
***
“Dai,
Ryan, per favore.”
“No.”
“Ma
è buona!”
“Allora
mangiala tu!”
“Io
non sono ricoverata in ospedale!”
“Stanno
per dimettermi comunque!”
“Shirogane!”
“Momomiya.”
“Ah
insomma!” Strawberry appoggiò con rabbia il
piattino di plastica
contenente le mele cotte sul comodino “Sei
insopportabile!”
Ryan
fece un sorriso tronfio: “Lo so.”
Il
medico di turno bussò alla porta con un sorriso:
“E' bello vedere
che ha tanta energia dopo un incidente in moto, signor
Shirogane.”
“Già.
Posso andare a casa?”
L'uomo
controllò la cartella appesa ai piedi del letto:
“Vediamo.
Slogatura al polso sinistro, contusione alla spalla... però
i valori
sono a posto. Sì, le farò portare i documenti, ma
deve riposare
quella costola incrinata, quindi niente sforzi per un paio di
settimane e a letto il più possibile. È stato
fortunato.”
Quando
il dottore uscì, Ryan si voltò con un sorriso
sornione verso la
rossa: “Sentito? Devo stare a letto il più a lungo
possibile.”
“Ah,
non farti strane idee,” replicò lei “Ti
devi riposare.”
“Ci
sono tante cose che riesco a fare da steso.”
Strawberry
stava prendendo fiato a sufficienza per rispondergli per le rime,
l'intero volto arrossato, quando una voce conosciuta li raggiunse dal
corridoio.
“Ryan,
caro, come stai?” Sakura entrò di getto nella
stanza,
probabilmente svegliando l'intero reparto, prendendo il bel visino
del genero tra le mani “Oh, guarda qui che brutti graffi, ma
per
fortuna sono solo quelli!”
Takashi
la seguiva,
molto più stoico, reggendo Kimberly in un braccio.
Gli
occhi di Strawberry si illuminarono quando videro la bimba, che
ricambiò con altrettanto vigore, esclamando “Mama!”
e
tendendo le braccine paffute verso di lei.
“Ma
ciao, amore mio,” miagolò la rossa, schioccandole
un bacio sulla
guancia dopo averla abbracciata “Ti sei comportata bene con i
nonni?”
“Oh,
sì, è stata un vero angelo, una bambina
perfetta!” tubò il nonno
decisamente in visibilio.
“Tesoro,
non sei contento che Ryan stia bene?” domandò con
un sorriso
Sakura, la mano sinistra che ancora accarezzava la guancia del
giovane, notevolmente a disagio per tutte quelle attenzioni.
Il
marito raddrizzò la
schiena, schiarendosi la gola: “Ahem, naturale. Certo,
bisognerebbe
correre un po' meno in moto.”
Ryan
si trattenne a stento dall'alzare gli occhi al cielo, non volendo
scatenare le ire della sua dolce
mogliettina,
concentrandosi invece sulla sua mini-fotocopia, la quale lo osservava
con aria preoccupata.
“Che
c'è?” Strawberry la fece rimbalzare sul suo
braccio “Ti fanno
paura tutte le macchine attaccate a papà? Ma papà
se le merita,
perché ha fatto preoccupare tanto la mamma.”
“Oh,
sciocchezze, Strawberry, Ryan non voleva sicuramente avere un
incidente,” intervenne Sakura, sistemando il lenzuolo del
ragazzo.
“Dovresti essere più paziente.”
Il
biondo la guardò
divertito, alzando le sopracciglia in modo eloquente, e la rossa
sospirò: “Grazie di averci tenuto Kim,
mamma.”
La
madre capì
l'antifona, facendole una carezza: “Grazie a voi per il bel
regalo.
Mi raccomando, vi aspettiamo a cena una di queste sere!”
“Può
contarci, Sakura, lo sa che lei è la mia cuoca
preferita!”
La
signora sorrise ed
arrossì al complimento di Ryan, accentuando ancora di
più la
somiglianza con la figlia, poi sventolò la mano in segno di
saluto:
“Riguardati caro, mi raccomando!”
Takashi
spese cinque minuti a salutare figlia e nipote, ignorando
più o meno
palesemente il genero, finché non fu l'infermiera di turno,
arrivata
a portare i documenti delle dimissioni, a chiedergli gentilmente
di
andarsene.
“Guardiamo
il lato positivo, almeno ti sei fatto male sono nella parte di
sinistra e puoi ancora scrivere,” commentò pacata
Strawberry
mentre Ryan firmava le carte, occhieggiando l'infermiera che sembrava
un po' troppo interessata al biondo.
Lui
ignorò il commento,
sapendo che qualsiasi risposta gli stesse passando per la mente
avrebbe inevitabilmente iniziato una lite, e preferì
concentrarsi
sul levarsi di dosso l'orrendo camicie da ospedale in favore dei
vestiti che la rossa gli aveva preparato.
“Qual
è il programma di oggi?” le chiese mentre lo
aiutava ad indossare
una camicia.
“Be',
tu vai a casa,” rispose lei “Io invece devo andare
al Caffè, è
stato già difficile convincere Mina a lasciarmi prendere un
giorno
libero.”
“Allora
vengo anche io.”
“Non
ci pensare nemmeno,” Strawberry puntò il dito
contro il suo petto
“Tu ti devi riposare,
quindi appena arriviamo a casa fili a letto, senza storie.”
“Sì
mamma,” la prese in giro, abbassandosi per rubarle un
meritato
bacio.
Prese
Kimberly in
braccio, sistemandosela sul lato buono, mentre la rossa si occupava
dello zaino con i vecchi vestiti, e finalmente uscirono dalla
clinica, spicciandosi verso i taxi per evitare la pioggerellina che
era appena iniziata a scendere.
Una
volta giunti a villa
Shirogane, Nina si precipitò ad accoglierli.
“Oh,
signorino Ryan!” esclamò con un certo cipiglio,
l'accento spagnolo
più marcato che mai “Le sembra il caso di farmi
prendere certi
spaventi?!?”
Il
ragazzo rise, concedendole un abbraccio affettuoso: “Lo
siento, Nina.”
“E'
da quando è nato che gli dico di non correre,”
replicò lei,
rivolta a Strawberry “Ma non c'è una volta che mi
abbia
ascoltata!”
La
rossa fece sì: “Non
imparerà mai. Secondo te ce la farà a rimanere a
riposo per qualche
giorno?”
La
governante alzò le
mani al cielo: “Non stava a letto nemmeno con la febbre a
quaranta, dovevo sempre minacciarlo di toglierli il computer e di
chiudere a chiave la biblioteca.”
“Funzionava?”
“Certo
che no.” Ryan le fissò con un sorrisetto irritante
che fece
sospirare entrambe, poi l'anziana donna gli diede un buffetto materno
sulla guancia.
“Vado
a prepararle qualcosa, signorino. Deve rimettersi in sesto dopo
l'orrido cibo da ospedale.”
“Grazie
mille, tata.”
I
due giovani si
ritirarono nella loro camera, il biondo stendendosi immediatamente
sul letto visto lo sguardo della moglie, che sorrise soddisfatta:
“Allora, io vado al Caffè,”
proclamò “Ormai sono le quattro,
tra poco è ora di chiusura.”
“Verranno
gli alieni?” domandò lui, accarezzando la
testolina bionda di
Kimberly, seduta accanto a lui.
Strawberry
annuì: “Sì,
faremo il punto della situazione. Kyle ha detto che ti chiameremo in
videoconferenza così non ti perderai nulla.”
“Sounds
good,”
Ryan le prese una mano “Stai attenta, mi
raccomando.”
La
rossa sorrise: “Tu
riposati e non preoccuparti. Ci vediamo dopo.”
“Bye-bye,”
la
salutò Kim con un faccino triste, a cui lei rispose con un
bacio
prima di uscire.
Decise
che, nonostante la pioggia, si sarebbe concessa una passeggiata; le
sarebbe servito a rinfrescarsi le idee e a rilassarsi. Gli ultimi due
giorni erano stati a dir poco avventurosi,
ed era certa che le fosse spuntato qualche capello bianco.
Si
morse il labbro
mentre si avviava lungo la strada per il parco. Profondo Blu aveva
fatto tutto quello, spinto anche dall'assurda gelosia di Mark? Lo
stesso Mark che l'aveva salvata una seconda volta, impedendo che il
suo alter-ego la colpisse? Le sembrava tutto molto folle.
D'accordo,
lei e Mark
non si erano lasciati in termini pacifici – anzi, per il
ragazzo
era stato decisamente un fulmine a ciel sereno. Ma erano passati
più
di due anni, ormai, come poteva covare ancora tutto quel risentimento
verso di lei?
Il
trillo del cellulare
la riscosse dai suoi pensieri: “Pronto?” rispose,
cercando di
suonare il più allegro possibile “Oh, ciao Kyle!
Sì, siamo già
tornati a casa, io sto per arrivare. Va bene, a tra poco.”
Allungò
il passo, e
dopo un quarto d'ora entrò sorridente al Caffè,
ancora colmo di
clienti.
“Ciao
capa!” la salutò Paddy, le mani occupate da un
vassoio ciascuna e
un terzo in testa.
“Ehm..
ciao, Paddy, vuoi una mano?”
“No,
tranquilla, qui abbiamo quasi finito. Kyle ti aspetta in
cucina!”
Il
moro pasticciere
indossava la sua divisa bianca, impegnato a riporre in frigorifero
gli avanzi di quella giornata: “Salve,
principessa,” la salutò
allegramente “Come sta il nostro scorbutico malato?”
“Resiste
al riposo,” la rossa si sedette su uno degli sgabelli,
agguantando
un pasticcino “Ma sopravviverà.”
Kyle
rise, togliendosi
il grembiule: “Abbiamo chiuso un po' prima così da
poter
incontrarci con la squadra di Rui senza finire eccessivamente
tardi.”
“Posso
farti una domanda?” la Mew rosa guardò fissa il
ragazzo, notando
il piccolo irrigidimento nella sua postura “Mi sono sempre
fidata
di te, Kyle, quindi vorrei che per favore mi dicessi quanto sei
davvero preoccupato.”
Lui
accennò ad un
sorriso: “Se te lo dicessi, poi Ryan mi
ucciderebbe.”
“Ma
Ryan non c'è.”
“Ah,
Strawberry,” Kyle si lasciò scappare un'altra
risata,
appoggiandole una mano sulla spalla “Ti dirò solo
che io ho piena
fiducia in voi e nelle vostre capacità.”
“Va
bene, va bene,” la rossa sospirò, sventolando una
mano “Ho
capito l'antifona.”
“Sai
anche cosa significhi la parola antifona,
Momomiya?” Mina entrò in quel momento in cucina,
un sorrisetto
cattivo sulle labbra.
“Ciao
anche a te, Mina, è sempre un piacere rivederti.”
ribatté
Strawberry, facendole una linguaccia.
La
Mew Blu si versò un bicchiere d'acqua: “Stiamo
chiudendo di là. A
che ora dovrebbero arrivare gli altri?”
Kyle
controllò l'orologio tondo appeso sopra l'entrata:
“Tra una decina
di minuti.”
“Se
Lory non rompe l'ennesimo servizio di piatti, direi che saremo pronte
per quel momento.”
“La
tua dolcezza ti precede, chérie,”
Quiche si unì a loro, passando un braccio attorno alle
spalle della
ballerina e lasciandole un bacio sulla guancia, che stupì
sia Kyle
che Strawberry, visto che quei due avevano litigato fino al giorno
prima.
I
due si scambiarono un'occhiata divertita, e Kyle batté le
mani:
“Forza, andiamo a cambiarci, così saremo pronti ad
accogliere i
nostri ospiti.”
Dieci
minuti dopo, le cinque Mew Mew, Kyle e i tre fratelli Ikisatashi
erano seduti attorno ad un tavolo al centro della sala, uno dei
computer pronto a chiamare Ryan.
Puntuali
come sempre, gli alieni di Gaia fecero la loro comparsa all'ora
stabilita.
“Cos'hai
in quello scatolone?” chiese Paddy a Kert.
“Oh,
vedrete,” ghignò di rimando l'alieno,
appoggiandolo il pacco sul
tavolo.
“Sunao
come sta?” volle informarsi Lory.
“Si
è ripresa, ma è meglio che stia a
riposo,” le rispose Espera
“Anche se è stato difficile convincerla a
rimanersene alla base.”
“Stessa
cosa per questo testone,” commentò Strawberry,
indicando il viso
di Ryan sul monitor, non particolarmente divertito.
-Appurate
le nostre condizioni fisiche, vorrei sapere com'è la
situazione,-
si limitò a dire.
“Be',
ieri notte abbiamo fatto una scoperta interessante,”
iniziò Kert
“Avete presente che continuavo a ripetervi che mi sembrava di
essere osservati? E che ci chiedevamo tutti come Profondo Blu facesse
a sapere dove fosse il biondino?”
Gli
altri annuirono, e lui fece un sorrisetto: “Mistero
svelato.”
Aprì
lo scatolone, rivelando l'enorme serpente ritrovato la notte prima,
che era ancora miracolosamente vivo, grazie alla sua natura di
chimero.
Strawberry
e Mina gridarono, correndo a nascondersi dietro il bancone; Lory si
accasciò contro Kyle; Pam si ritrasse lentamente contro il
muro,
rigida come un bastone; Paddy osservò l'animale con
curiosità.
“E'
un enorme pitone,”
concluse Ryan, osservando l'animale dall'altro grazie a Quiche che
reggeva il portatile “E'
un chimero?”
“Di
sicuro non è una biscia normale, visto che gli ho piantato
un
pugnale nel cervello ed è ancora qui che ci sibila
contro.”
esclamò Kert, stuzzicando la bestia con un dito.
“Portatelo
via!” strillò Mina da dietro la cassa
“Mi fanno schifo!”
Pharart
sospirò: “Povero animaletto, torturato a questo
modo. Vorrei
sapere dove Profondo Blu l'ha rimediato.”
“Non
mi interessa!” la voce della Mew Blu superò
nuovamente quella
degli altri, per una volta supportata da Strawberry “Quelli
come
lui mangiano quelli come me!”
Paddy
e Tart sghignazzarono assieme: “Ne avresti paura anche se non
avessi i geni del lorichetto.”
“Se
permettete, vorrei analizzarlo,” propose Kyle, adagiata Lory
su una
sedia “Senza fargli male, naturalmente,” aggiunse,
dopo aver
notato la smorfia preoccupata di Pharart.
“Peggio
di così non so come possa stare...”
borbottò Quiche.
“Sentite,
visto che siamo qui, posso farvi una domanda?” Ryan prese nuovamente la
parola. “Sapete
tutti perché Profondo Blu ha qualche problema con me e con
Strawberry, però mi sfugge ciò che è
successo con Sunao. Sembrava
più che un semplice attacco di difesa.”
“In
effetti,” anche Pharart si aggiunse, voltandosi verso Espera
“Cos'è
che ha detto riguardo il suo sangue?”
L'aliena
si morse il labbro inferiore, facendo un gran respiro:
“Ehm... ma
se ve lo dico, dovete promettere che non ne farete parola con
Sunao.”
Gli
altri annuirono, così lei continuò:
“Naturalmente io non conosco
tutta la storia, ma solo quei pezzetti che mi ha raccontato lei o che
ho appreso da, ehm, altre fonti. Come vi abbiamo già
raccontato,
Profondo Blu è stato esiliato dal nostro pianeta per mano di
quegli
stessi che poi avrebbero formato il Consiglio. La carica di
Consigliere viene tramandata nelle famiglie, e Sunao...”
Espera
fece un altro respiro profondo “Sunao è la nipote
del Primo
Consigliere, che a sua volta discende da uno degli Originari.”
“Aspetta,
aspetta, cosa?!”
Kert
si girò di scatto verso di lei, gli occhi spalancati
“Vuoi dire
che... che suo padre...”
L'aliena
annuì, guardando poi i loro compagni terrestri dall'aria
confusa:
“Sunao ha perso suo padre quando era molto piccola. Lui era
un
Generale dell'esercito di Gaia, come suo fratello, lo zio di Sunao
che l'ha allevata ed addestrata. Durante una delle guerre del nostro
pianete, suo padre ha perso la vita in circostanze poco chiare... e
si vocifera che sia stato lo stesso Consiglio ha darne l'ordine,
perché il Generale Sunamora era un uomo buono... troppo
buono. Kert,
non ti azzardare a parlarle,” terminò velocemente
“Ucciderebbe
sia me che te, ed è già abbastanza vulnerabile in
questo momento,
senza sapere che ormai siamo tutti al corrente di questa
storia.”
“Quindi
Profondo Blu vede in lei uno dei suoi primi nemici.”
osservò Rui
“Però non può davvero conoscere il
padre di Sunao.”
“Infatti
la sua è stata tutta una farsa,” gli rispose il
fratello “Ha
detto che è solamente riuscito a riportare a galla
determinati
ricordi, ma niente che lei non sapesse già.”
“Profondo
Blu sa giocare con le nostre debolezze,” intervenne Pie, dopo
essere rimasto in silenzio, come suo solito, la maggior parte del
tempo “Evidentemente, quei ricordi sono una debolezza per
Sunao, ed
ora che lo sa, non esiterà ad utilizzarle.”
In
quegli stessi istanti, nella vecchia villa Mitsuma che faceva da base
agli alieni, Sunao era seduta nel centro di una delle stanze
più
remote, al buio, illuminata solo dalla fioca luce del suo bastone.
Il
Consiglio aveva richiesto di parlarle, ed anche lei aveva bisogno di
porre loro qualche domanda.
Chiuse
gli occhi, concentrandosi sul peso del suo corpo; ancora scossa
com'era, sarebbe stato particolarmente difficile teletrasportarsi a
Gaia. Con un grande sforzo, sia fisico che mentale, sì
ritrovò
davanti alle grandi porte della Sala del Consiglio.
Fece
un respiro profondo prima di entrare, aspettando che la testa
smettesse di girarle e che le gambe si stabilizzassero, poi spinse il
portone ed entrò.
Come
si aspettava, nella Sala erano accese solo alcune candele, che
contribuivano all'atmosfera imponente e un po' spettrale. Riusciva a
fatica a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo ogni volta che vi
metteva piede.
“Buongiorno,
Messaggera.” la voce del Quinto Consigliere la raggiunse da
un'entrata laterale, dalla quale lentamente stavano sfilando i
Dodici.
Lei
accennò ad un inchino, senza mai staccare gli occhi dalle
figure
incappucciate che prendevano posto nei loro seggi.
“La
situazione è peggiore di quella che avevate
previsto,” incominciò
poi quando si furono tutti seduti, senza aspettare che le dessero la
parola.
“Niente
che Gaia non possa affrontare.” replicò il Terzo
Consigliere.
Sunao
sbuffò con il naso, sarcastica: “L'ultima volta
che il nostro
pianeta si è trovato a combattere Profondo Blu, è
stato spazzato
via metà del nostro esercito. Potete davvero pretendere lo
stesso da
noi e da cinque ragazzine umane?”
Il
Terzo si alzò in piedi: “Le nostre tecniche sono
migliorate nei
millenni che sono passati.”
“Oh,
andiamo!” Sunao si avvicinò agli spalti
“Avete visto benissimo
cos'è in grado di fare, avete visto quant'è
aumentata la sua
potenza! Non venitemi a raccontare sciocche favole, ma datemi un
metodo per sconfiggerlo. Per quale altro motivo mi avreste chiamata
qui, altrimenti?”
“La giovane Seles è riuscita ad utilizzare
il suo potere?” il Secondo Consigliere parlò
pacatamente.
“Ci
sta lavorando,” rispose la Messaggera tra i denti.
“E' un po'
difficile quando nessuno ha mai predisposto per
lei
l'addestramento adatto. La sua abilità sarà
utile, ma non
sufficiente comunque per poter battere Profondo Blu.”
Sulla
Sala scese il silenzio, rotto soltanto dai respiri profondi
dell'aliena. Stava facendo più fatica del previsto, ed era
certa che
il Consiglio non si sarebbe lasciato sfuggire il sottile strato di
sudore sul suo viso.
“Il
nemico è riuscito a debilitare anche te.”
inaspettatamente, fu il
Primo Consigliere a pronunciare quella frase. Era il più
saggio ed
il più anziano, e non prendeva parola se non in particolari
circostanze di grave necessità.
Lei
sentì il sangue che le ribolliva di rabbia, e dovette
mordersi la
lingua prima di sibilare: “Per questo motivo vi sto dicendo
di
dirmi quale arma avete in mente. Non mi servono i miei poteri per
capirlo.”
Il
Primo Consigliere rise, i canini appuntiti che brillarono nel buio:
“Audace, sfrontata e impeccabile come sempre,
Sunamora.”
“Mi
avete scelta per questo.”
Con
un gesto della mano, il Primo si fece portare un piccolo scrigno
dall'Undicesimo: “Questa sarà un'arma
finale,” esclamò, aprendo
il cofanetto e rivelandone un pugnale racchiuso da un involucro di
cuoio “E' stato tramandato per secoli nel nostro Consiglio,
in caso
si ripresentasse un'occasione del genere. Abbiamo sempre temuto che
l'esilio non sarebbe stato abbastanza per Profondo Blu. Ma
perché
funzioni, servirà un sacrificio.”
“Perché
non l'avete usato subito?” domandò incredula la
Messaggera,
avvicinandosi per poterlo prendere.
“E'
stato creato dopo la sua sconfitta.” le rispose il Quarto
Consigliere.
Sunao
lo tolse dal suo involucro. La lama era spessa, a forma di saetta e
finemente cesellata con delle scritte nell'antica lingua di Gaia, che
lei non riusciva a leggere.
“Che sacrificio?” sussurrò.
“Devi
maneggiarlo con estrema cura. Potrà essere toccato solo dal
sangue
di ciò che Profondo Blu odia di più.”
“Cosa
vuol dire?” alzò la testa di scatto, ma il
Consiglio si stava già
ritirando, ignorandola.
Insistere
non le sarebbe servito ad altro.
Quando
fu lasciata sola, un ringhio le salì alla gola: come diavolo
avrebbe
dovuto usare quel pugnale? Da dove avrebbe dovuto prendere il sangue?
La
porta alle sue spalle si aprì da sola, segnalandole che era
ora di
andarsene.
Si
sistemò il pugnale nella cintura che portava, incamminandosi
fuori
dal Palazzo.
Le
era mancata l'aria di casa, e la respirò a pieni polmoni.
Avrebbe
tanto voluto trattenersi e tornare a dormire nel suo letto, ma sapeva
che la sua missione era solamente cominciata.
Con
un ennesimo sforzo, si teletrasportò nella villa sulla
Terra; ma non
appena i suoi piedi toccarono il pavimento polveroso, le ginocchia le
cedettero e lei capitombolò a terra.
Una
parolaccia nella sua lingua madre le sfuggì dalle labbra
mentre la
testa iniziava di nuovo a pulsarle ferocemente, rifiutandosi di
mandare i segnali giusti ai suoi arti così che si potesse
alzare.
“Dove
diavolo eri finita?!” si accorse solo in
quel momento di
essere caduta nel bel mezzo del corridoio principale, che Kert
percorse a grandi falcate.
“Ugh...
ero a Gaia...” borbottò, lasciandosi tirare in
piedi.
Kert
l'appoggiò al muro: “I Consiglieri?”
“Mmhmm,”
Sunao chiuse gli occhi, stringendo le labbra, per cercare di fermare
la nausea che si era impossessata del suo corpo “Ho... una
cosa...
per Profondo Blu...”
“Va
bene, ne parliamo dopo,” l'alieno la prese in braccio visto
che lei
continuava ad accasciarglisi contro.
“No,
ascoltami!” riprovò lei, ma Kert le
lanciò un'occhiataccia: “Ti
ho già detto che ti avrei legata al letto e avrei dovuto
farlo, dato
che sei andata a scorrazzare per l'universo. Quindi adesso ti riposi,
parleremo con gli altri più tardi.”
“Stasera,”
borbottò Sunao, raggomitolandosi nel letto “Con le
umane.”
L'alieno
annuì, poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta
alle spalle e si
diresse verso il salone principale dove erano sistemati i loro
monitor di controllo.
Dopo
averne acceso uno, collegato direttamente con il Caffé,
chiamò:
“Ehi, Rui?”
Il
viso del fratello comparve poco dopo; lui e gli altri erano rimasti
al locale per poter osservare il risultato dei test di Kyle sul
pitone: “L'hai trovata, fratellone?”
“Sì,”
Kert si spostò i capelli dal viso “Era stata
chiamata dal
Consiglio, ha detto che ha qualcosa da dirci, ma era esausta.”
“Falla
dormire per qualche ora!” Espera si intromise nella
conversazione, totalmente incurante della smorfia annoiata del
'cognato' “Noi saremo qui ancora un po', potete
raggiungerci
quando si sveglia.”
“Affermativo,
passo e chiudo.”
Interruppe
la comunicazione e ritornò nella sua camera. Si accorse solo
allora
del pugnale legato alla vita della ragazza.
Curioso,
si avvicinò lentamente, allungando una mano per afferrarlo.
“Non
lo toccare.” si fermò, lanciando un'occhiata a
Sunao che,
naturalmente, riusciva a sgamarlo anche con gli occhi chiusi.
Lui
ghignò: “Perché, hai paura che mi
faccia male?”
L'aliena
si girò sulla schiena, fissandolo con i suoi occhi violetti:
“Me
l'ha dato il Consiglio, per combattere Profondo Blu. È di
quello che
volevo parlarvi.”
“Raggiungeremo
gli altri più tardi, quando starai meglio. Ordini di
Seles.”
Sunao
si slegò la cintura, appoggiando cautamente l'arma sul
comodino
tarlato, e si voltò verso il maggiore dei Tha, ricambiando i
suoi
soliti sorrisetti ironici: “Non mi vieni a fare compagnia
ora?”
Lui
sbuffò, evitando il suo sguardo: “Dormi,
Sunamora.”
***
“Io
continuo a dire che non è una buona idea.”
Strawberry lanciò
un'occhiataccia a Ryan, che camminava lentamente accanto a lei
mentre, per la seconda volta quel giorno, tornava al Caffè.
Lui
si strinse nelle spalle: “Sto bene, mi sento bene, non ho
voglia di
stare a casa da solo. Ricordati che i geni del gatto aiutano anche
me.”
“Il
medico ha detto che devi riposare!” lo
sgridò lei, aprendo
con violenza la porta rosa e spingendo il passeggino di Kim dentro il
locale.
“Ho
riposato abbastanza.”
“Mamma
e papà sono tornati,” Tart li
punzecchiò non appena entrarono,
penzolando a testa in giù dal soffitto.
“Ce
l'avete fatta!” sospirò Mina “Sempre in
ritardo, Momomiya.”
“Scusatemi,
ma la piccola peste non aveva voglia di comportarsi bene e
mangiare,”
rispose la rossa, prendendo in braccio la figlia, molto contenta di
essere al centro dell'attenzione.
Ryan
si sedette, mascherando un po' il dolore al fianco: “Qual
è
l'argomento di questo incontro?”
Sunao,
anche lei seduta, estrasse il pugnale: “Il Consiglio Supremo
di
Gaia mi ha dato questo. È l'arma finale per sconfiggere
Profondo
Blu, ma per funzionare deve essere bagnato del sangue di ciò
che lui
più odia.”
“Perfetto,”
mugugnò Quiche “Ci mancavano solo gli
indovinelli.”
“Non
dovrebbe essere difficile,” intervenne Pam
“Pensiamoci un
attimo.”
“Profondo
Blu odia tutti,” piagnucolò Tart “Non
possiamo prendere il
sangue di 7 milardi di persone!”
“Potremmo
andare a campione. Profondo Blu odia gli umani, ci basterà
il sangue
di un umano,” Ryan guardò Kyle, che
annuì e si recò in
laboratorio.
“Odia
anche voi Mew Mew, e noi tre,” Quiche indicò se
stesso e i suoi
fratelli “E odia sicuramente anche te, biondino.”
Rui
corrugò la fronte: “Siete sicuri di quello che
state dicendo?
Sbagliare potrebbe esserci fatale.”
“E'
l'unica soluzione che abbiamo.” Kyle ritornò dal
piano di sotto,
stringendo una ciotolina in mano, dentro alla quale c'erano degli
aghi sterilizzati.
“Servirà
anche il mio sangue,” Sunao si alzò con una
smorfia, tolse il
pugnale dal fodero e lo appoggiò nella ciotola.
“Ricapitoliamo”,
Kyle iniziò a distribuire gli aghi “Uno a me, per
gli umani; uno a
voi ragazze, uno a Ryan, uno a Sunao, e uno a quale di voi
Ikisatashi?”
Pie
si fece avanti, e tutti si disposero a cerchio attorno al pugnale.
“Pronti?
Uno, due, tre...”
Gli
otto prescelti si forarono un dito con l'ago, abbastanza
perché ne
uscisse una goccia di sangue, facendola scivolare lungo la lama.
Aspettarono
tutti con il fiato sospeso, per secondi interminabili; infine, una
luce rossastra si propagò dal pugnale, e le gocce furono
assorbite.
“Dite
che ha funzionato?” Pharart fu il primo a parlare, a bassa
voce.
Sunao
afferrò l'arma e la ripose nel suo fodero: “Non ci
resta che
scoprirlo.”
Ho
un esame tra tre giorni, sono in preda all'ansia e al panico puro, ma
ho voluto aggiornare Mele prima delle vacanze, perché poi
non avrò
Internet per un mesetto :(
Il
capitolo è venuto lunghissimo senza che io me ne accorgessi
xD Spero
vi sia piaciuto e abbia aiutato a chiarire un paio di cose :)
Scappo
a studiare, a presto!
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Capitolo 28 *** Let the sky fall ***
Let
the sky fall
The
pain of war cannot exceed the woe of aftermath,
The
drums will shake the castle wall, the ring wraiths ride in black,
ride on
Sing
as you raise your bow, shoot straighter than before
No
comfort has the fire at night that lights the face so cold
(Led
Zeppelin – The Battle of Evermore)
Il
cielo sopra Tokyo era grigio, freddo, metallico; non il tipico tempo
che si sarebbe aspettato a metà giugno.
I
rumori della città sembravano ovattati, il traffico
più lento del
solito.
Strawberry
sospirò, guardando fuori dalla grande finestra del salotto.
Giusto
un paio di gocce e l'atmosfera sarebbe stata perfettamente
deprimente.
“Mama
mama”, Kimberly
si attaccò alla sua gamba, richiedendo attenzione.
La
rossa sorrise, inginocchiandosi così da essere all'altezza
della
bimba seduta: “Dimmi, piccola mia.”
Lei
le afferrò dolcemente le ciocche rubino, ridendo: “Dada?”
“Vuoi
andare a cercare papà?” allo sguardo giocoso della
piccola,
Strawberry la prese in braccio, dandole un bacio sulla fronte.
Stare
con sua figlia la faceva sentire meglio, ma non poteva ignorare
quella sensazione di stretta allo stomaco che provava da qualche
giorno. Le aveva pure fatto passare l'appetito, e saltare le
meravigliose colazioni di Nina era un segno grave.
Si
avviò verso lo studio di Ryan, Kimberly che le blaterava
nell'orecchio giocherellando con i suoi capelli, distraendola a
malapena dai mille pensieri che le provocavano un mal di testa
perenne.
La
stanza era silenziosa, mancava il familiare ticchettio delle dita sui
tasti. Il ragazzo si era alzato presto quella mattina, ancora prima
del solito, quindi Strawberry non si stupì quando lo vide
steso sul
divano nero, addormentato con dei fogli sulla pancia.
Gli
si sedette accanto, lasciando che Kim si sporgesse piano per toccare
il viso del papà, come le piaceva fare tutte le mattine,
gorgogliando sottovoce.
Ryan
si stiracchiò, passandosi una mano sugli occhi:
“Che ore sono?”
mugolò.
“Sono
quasi le nove e mezza,” rispose la rossa “Faremo
tardi al Caffè
se non partiamo subito.”
“Sai
che novità,” diede un buffetto sul naso alla
figlia, che si
lamentava delle poche attenzioni ricevute “Goodmorning
bumblebee.”
Kimberly
tentò di ripetere il buffo soprannome nella sua lingua da
bebè,
sganciandosi definitivamente dalle braccia della madre per essere
issata sopra la testa del biondo in una cascata di risatine e urletti
contenti.
“Guarda
che ha appena mangiato,” lo ammonì divertita la
Mew Gatto “Dove
te le metto queste?”
Ryan
lanciò un'occhiata alle carte che lei stava raccogliendo:
“Nel
primo cassetto a sinistra della scrivania, per favore.”
Strawberry
si accigliò mentre si dirigeva verso il mobile:
“Quello dei
documenti importanti?”
“Proprio
quello,” fu la laconica risposta dell'americano, che la
convinse a
dare un'occhiata veloce ai documenti per scoprire di cosa si
trattassero. Ma, prevedibilmente, erano scritti in inglese, e a meno
che non includessero teneri nomignoli o ricette di dolci, lei non
sarebbe riuscita a ricavarci niente.
Richiuse
il cassetto con un tonfo leggero, e fu sorpresa di trovarsi il
ragazzo a pochi centimetri. “Sono i documenti
dell'assicurazione,”
le spiegò, sistemandosi la bimba sulle spalle
“Sai, in caso...
succeda qualcosa.”
Il
nodo allo stomaco che la opprimeva da giorni si strinse ancora di
più, ma allo stesso tempo si sentì sollevata dal
fatto che Ryan,
come al solito, riusciva a provvedere per tutto. Annuì, poi
si
strinse a lui, cercando di evitare la ferita al fianco che ancora
doleva.
“Mama
'ffè?” Kimberly s'intromise con la sua vocina
roca, facendoli
ridere entrambi.
“Sì
tesoro, adesso andiamo al Caffè dallo zio Kyle!”
le rispose la
rossa “A te piace tanto il locale, vero? Sei proprio una
golosona,
come la tua mamma.”
“Sì
sì,” trillò la biondina.
“A
proposito,” Ryan lanciò un'occhiata veloce al
tavolo della cucina
quando vi passarono davanti per raggiungere l'uscita
“Perché non
hai mangiato nulla a colazione?”
“Non
mi andava,” Strawberry arricciò il naso, infilando
le scarpette ai
piedini grassocci di Kimberly prima di metterla nel passeggino
“Con
tutto quello che sta succedendo mi è un po' calata la
fame...”
Il
ragazzo le arruffò i capelli, dandole un bacio sulla fronte:
“Scommetto che Kyle ha preparato qualcosa di speciale solo
per
voi.”
Fu
giusto il moro americano ad accoglierli con un sorriso sulla soglia
del Caffè, insieme ai primi clienti della giornata. Gli
affari
dovevano andare avanti, nonostante tutto, ed erano una dolce
distrazione.
“Vado
subito a cambiarmi!” Strawberry si diresse nello spogliatoio,
dove
le altre ragazze stavano terminando di infilarsi le loro divise.
“Pam
non c'è oggi?” domandò riponendo la
borsa nell'armadietto.
“No,
ha un servizio fotografico, ci raggiungerà verso
sera,” rispose
Mina, sistemandosi il grembiule.
“Strawberry,
cos'hai? Mi sembri un po' pallida.” Lory le si
avvicinò
preoccupata, ma la rossa fece un gesto vago con la mano:
“Niente di
che. Deve essere lo stress, ho lo stomaco chiuso da qualche
giorno.”
“Ti
capisco, stamattina mi sono svegliata con dei crampi
fortissimi,”
sospirò la Mew Blu “L'ultima cosa di cui avevo
bisogno!”
Paddy
sghignazzò, rientrando in sala: “Dovresti esserne
contenta, almeno
sai che non c'è un piccolo Quiche nella tua
pancia.”
“Oh
per cortesia, non dire queste cose neanche per scherzo! Per
carità!”
Strawberry
e Lory risero sottovoce mentre anche la mora usciva dalla stanzetta.
Voltandosi verso il suo armadietto, la rossa si accigliò nel
notare
un pacchettino in un angolo.
Fece
per tirare fuori il cellulare, quando la voce della Mew Verde la
distrasse. -Oh,
fa niente, ci penserò dopo!-
si disse, seguendo l'amica.
Fu
abbastanza sorpresa quando, in uno dei tavoli all'angolo, vide gli
alieni di Gaia, che cercavano di camuffarsi tra la folla grazie a
degli abiti umani.
“Come
mai sono già qui?” domandò a Kyle,
afferrando uno dei vassoio
tondi posti sul bancone.
“Stiamo
registrando elevate attività energetiche in giro per
l'intera
città,” le spiegò lui “Ci
è sembrato più opportuno
incontrarci subito, così da essere pronti in caso di
necessità.”
“Non
sarà pericoloso lasciare Pam da sola?”
“Ci
sono Pie e Quiche con lei, non preoccuparti. Potremo raggiungerla in
un baleno.”
La
rossa annuì e si dipinse un sorriso stanco sul volto,
raggiungendo i
loro alleati
e sentendosi un tantino a disagio quando Espera le diede una lunga e
profonda occhiata.
“Ehm...
posso portarvi qualcosa in particolare?”
“Io
vorrei quella cosa gialla e fresca che ci ha sempre preparato il tuo
amico pasticcere!” esclamò con gusto Pharart,
facendo ridere la
Mew Mew mentre segnava una limonata sul taccuino.
“Sì,
portane tanta per tutti, e poi tanto cibo!”
rincalzò Kert,
spaparanzato comodamente sul divanetto.
“Guarda
che non siamo qui per divertirci e fare un banchetto,” gli
sibilò
Sunao, con aria annoiata.
L'alieno
scrollò le spalle: “Siamo qui, tanto vale
mangiare.”
Strawberry
rise di nuovo: “Torno tra poco,” si
avviò in cucina, passando
con un sorriso l'ordine a Kyle, ed osservò intenerita
Kimberly che,
ancorata saldamente alle dita dello zio
Tart,
muoveva i primi tentennanti passi, sotto l'occhio vigile e attento di
Ryan.
“Non
mi hai detto dei campi di energia,” mormorò a
quest'ultimo
riempendo una brocca di limonata.
“E
ora lo sai comunque,” ribatté incrociando le
braccia al petto.
Lei
gli fece una linguaccia: “Guarda che la leader sono io,
dovrei
saperle certe cose.”
“D'accordo,
ma il capo rimango comunque io.”
“Uffa,
Shirogane.” prese i piattini che le porgeva Kyle e
ritornò cauta
verso il tavolo degli alieni.
“Non
è successo nulla in questi due giorni?” le
domandò Sunao,
giocherellando con un coltello.
Strawberry
scosse la testa: “Ho saputo solo ora di questa energia che
pervade
la città.”
“Mi
fa rizzare i capelli,” commentò Pharart prendendo
un lungo sorso
di limonata “E' inquietante.”
“Sta
solo aspettando il momento giusto per attaccare,”
sussurrò la
Messaggera “Non sarà lontano.”
***
Il
ticchettio delle gocce di pioggia andava a ritmo con quello del
grande orologio a parete che le stava davanti, contò Pam
mentre
sedeva nel suo camerino per una pausa.
Al
resto della popolazione poteva sembrare un normale temporale estivo,
ma la pelle d'oca che l'assillava da quella mattina le diceva tutto
il contrario.
I
suoi sensi di lupo non l'avevano mai tradita.
“So
che stai pensando la stessa cosa,” guardò Pie,
seduto nell'angolo
che nervosamente controllava dei dati sul suo portatile ogni quarto
d'ora.
“Che
Profondo Blu attaccherà oggi?”
La
modella annuì, l'alieno lasciò andare un lungo
respiro: “Il
temporale potrebbe essere dalla nostra parte, Rui controlla
l'acqua.”
La
Mew viola si lasciò scappare uno sbuffo ironico:
“Non se tutta
questa energia viene prodotta da Profondo Blu stesso.”
“Abbiamo
anche il pugnale.”
Pam
si alzò di scatto: “Certo, una
speciale arma
dataci da un Consiglio di Saggi
che fino a qualche settimana fa avrebbe fatto banchetto delle nostre
carni, un'arma tenuta nascosta per millenni che non sappiamo nemmeno
se funzionerà. Come facciamo ad essere sicuri che non serva
ad
eliminare anche noi?”
“Pam,
calmati.” Pie le appoggiò le mani sulle spalle
“Sai meglio di me
che agitarti non porta a nulla. Dobbiamo fidarci delle opzioni che
abbiamo.”
“Ehi,
ragazzi!” Quiche entrò in camerino, riassumendo il
suo aspetto
alieno appena chiusa la porta “Ho parlato con Tart, ha detto
che
tutto procede bene e non c'è nessuna
novità.”
Il
fratello maggiore annuì: “Anche il rilevatore di
questa zona non
segnala altra attività se non quella che già
conoscevamo.”
“Tra
quanto pensi che sarai pronta?”
Pam
si strinse nelle spalle: “Ne avrò per un'altra
oretta come
minimo.”
“D'accordo,”
l'alieno dagli occhi dorati li guardò nervosamente
“Allora...
posso andare o avete ancora bisogno di me?”
Pie
alzò gli occhi al cielo: “Non riesci proprio a
tenertelo nei
pantaloni, eh?”
“Ehi!”
il fratello arrossì vistosamente “Guarda che non
stavo pensando a
quello!”
“Sì
sì, come no. Vattene prima che cambi idea!”
Quiche
gli alzò contro il dito medio prima di teletrasportarsi nel
retro
del Caffè, lanciando un'occhiata circospetta al cielo sopra
di lui
che continuava a farsi più scuro.
“Ciao,
chérie,”
salutò il più allegramente possibile Mina quando
la vide entrare
nel magazzino per prendere dei fazzoletti. Lei sussultò,
portandosi
la mano sul cuore.
“Quiche!
Mi hai spaventata a morte!” boccheggiò
“Ti sembra questo il modo
di entrare?! La porta è fatta apposta!”
Lui
rise, prendendole il viso tra le mani: “Scusa, volevo evitare
i
clienti,” le diede un bacio dolce sulle labbra
“Come sta andando
qui?”
“Il
locale è pieno ma il servizio è un po' lento,
siamo tutte esauste e
non vogliamo stancarci ulteriormente... sai, in caso.”
L'alieno
annuì comprensivo, intrecciando le dita con le sue si
diressero
assieme verso la sala principale.
“Ehilà,
cuginastro!” lo accolse Kert con un ghigno
“Perché non vieni qui
a farti battere anche ad ahmi?”
Rui
gli diede un calcio da sotto il tavolo: “Per favore,
fratellone.”
“No,
va bene,” l'Ikisatashi si sedette di fianco a Zaur
“Fatevi
sotto.”
Mina
scosse la testa, avviandosi in cucina per consegnare un ordine;
all'improvviso, un tuono fortissimo rimbombò per l'intero
locale,
che piombò nel buio tra le grida della gente.
Le
Mew Mew scattarono sull'attenti, ma la luce tornò dopo pochi
istanti.
“E'
stato Profondo Blu?” domandò Ryan, prendendo
Kimberly in braccio e
cullandola per calmare il suo pianto spaventato.
Kyle
lanciò un'occhiata al monitor del portatile: “No,
è l'alta
concentrazione di energia che aiuta il temporale. Si deve scaricare
da qualche parte. Non è stato un suo attacco.”
Il
biondo passò la bambina a Strawberry, marciando verso il
tavolo
degli alieni. Sunao era tesa come una corda di violino; se avesse
avuto una coda, l'avrebbe sferzata nervosamente in aria.
“E'
stato il temporale,” sussurrò, cercando di non
farsi sentire dai
clienti attorno a loro “Ma continua a non piacermi, non
può essere
una coincidenza.”
Zaur
annuì, mentre un altro tuono più calmo rombava in
sottofondo: “E'
come se ci stesse avvertendo.”
“Tenetevi
pronti.”
Mentre
Ryan ritornava in cucina, Espera lanciò un'occhiata
preoccupata
verso l'amica, che come tutti i felini, non era un'amante dei
temporali, e che si era alzata di scatto dopo il ragazzo per correre
in bagno.
“Ci
penso io,” Kert la raggiunse con il suo solito passo calmo,
entrando senza bussare.
“Credevo
che questo fosse per le signore,” lo prese in giro lei,
sciacquandosi il viso.
L'alieno
la osservò: “Cosa c'è?”
“Niente,”
la Messaggera si strinse nelle spalle “Tutta questa energia
mi
rende nervosa.”
Si
morse il labbro, mentre una delle immagini delle notti precedenti si
riaffacciava prepotente nella sua mente. Figure
incappucciate nella pioggia.
“Senti,”
scosse la testa, riaggiustandosi i capelli “Potrebbe essere
l'occasione giusta per sfruttare i poteri di Espera, se lei riesce ad
utilizzare l'energia nell'aria come catalizzatore per la sua.”
Prima
che Kert potesse risponderle, un altro tuono scosse le pareti del
Caffè, portandosi di nuovo via la luce e scatenando la paura
dei
clienti.
“Ma
che diavolo...” borbottò l'alieno, guardando le
lampadine sul
soffitto che tremolavano.
Sunao
uscì dal bagno, colpita da uno dei pensieri che aveva
captato,
raggiungendo la cucina.
Lì,
la televisione si stava accendendo con il ritorno della corrente, e
le immagini del notiziario scorrevano sullo schermo: un'elegante
giornalista, sotto un ombrello colorato, presentava l'evento della
giornata.
«Nemmeno
la pioggia può fermare l'appuntamento più
importante della
stagione»
sorrise,
voltandosi un attimo per indicare l'imponente costruzione alle sue
spalle «Come
ogni anno in questo momento al Tokyo Dome si sta svolgendo la Partita
di Mezza Estate, che come sapete è la partita di baseball
più
aspettata dopo la finale del campionato, e che sarà seguita
da una
festa con tutte le personalità più importanti
della nostra città.
Si aspetta un'affluenza superiore a quella degli anni
precedenti.»
Le
Mew Mew si guardarono l'un l'altra, mentre memorie delle precedenti
battaglie si impadronivano di loro.
“Avanti,
cosa?! Spiegatemi!” esclamò Sunao a voce alta,
catturando i loro
pensieri.
Lory
deglutì: “Abbiamo già combattuto al
Dome, tanti anni fa,”
mormorò “A Profondo Blu è sempre
piaciuto affrontarci in luoghi
pieni di gente...”
“Che
stupidi!” Ryan batté un pugno sul tavolo di
metallo “Avremmo
dovuto pensarci prima, oggi è il momento perfetto! Il Dome
sarà
affollatissimo, come ho potuto dimenticarmene!”
“Bel
colpo, Einstein,” borbottò Quiche, a cui Mina
diede una gomitata
di rimprovero: “Dobbiamo andare là!”
“Sarà
difficile convincere a sospendere la festa,”
constatò Kyle “Ci
vogliono mesi di preparazione e non credo ci ascolteranno
volentieri.”
I
tuoni continuavano a crescere in sottofondo, i riflessi dei lampi
giocavano con le ombre del locale.
“Allora
andiamoci e prepariamoci a far evacuare le persone quando Profondo
Blu attaccherà,” propose Strawberry “E'
rischioso, ma se non ci
vogliono ascoltare...”
La
luce si spense per la terza volta, accrescendo il nervosismo anche
nelle Mew Mew.
Mina
deglutì: “Io vado a chiamare Pam, sono sicura che
anche dov'è lei
sta mancando la corrente.”
Ryan
annuì: “Dille di prepararsi e venire qui, tra poco
entriamo in
azione.”
La
rossa gli lanciò un'occhiataccia: “Noi
entriamo in azione. Tu
rimani qui.”
Il
ragazzo scosse la testa: “Io sono l'unico che può
farvi entrare
alla festa senza destare sospetti. Non possiamo creare
panico.”
“Ryan,
no.” la moglie pestò il piede a terra
“Non sei ancora guarito
del tutto, devi rimanere qui con Kim, è pericoloso
là!”
“Kim
rimarrà qui con Kyle,” ribatté lui
“Proprio perché è
pericoloso non ti lascio andare da sola. Sono arrivato troppo tardi
già una volta.”
Con
gli occhi che le bruciavano di lacrime, Strawberry lo
abbracciò di
slancio, nascondendo il volto contro la sua camicia.
“Andrà
tutto bene, vedrai,” le sussurrò, accarezzandole i
capelli e
lasciandole un bacio sulla testa.
Tart
entrò nella cucina, seguito dagli alieni: “I
clienti se ne stanno
andando,” osservò “Sono tutti spaventati
dai black-out.”
“Meglio
così,” esclamò Kyle “Ah, Pam,
Pie, avete fatto presto!”
La
Mew Lupo annuì: “Non mi piace, non mi piace per
niente.”
“L'importante
è non perdere la calma,” Rui li guardò
uno per uno “Dobbiamo
rimanere concentrati per non dare occasione al nemico di colpirci,
approfittando delle nostre debolezze.”
“La
fai facile, tu,” borbottò Paddy, incrociando le
braccia “Noi non
siamo state addestrate come dei militari.”
“No,
ma sapete già com'è affrontare Profondo Blu. E
siete molto più
forti dell'ultima volta.” cercò di consolarla
l'amico pasticcere.
Strawberry
aggrottò le sopracciglia, gli occhi rivolti al pavimento:
“Speriamo,
l'ultima volta non è andata molto bene...”
borbottò, sentendo la
presa di Ryan farsi più forte attorno alle sue spalle.
Espera
si fece avanti, prendendole la mano e infondendole un goccio di
tranquillità; si sorrisero titubanti a vicenda, ancora
incerte
riguardo a quale tipo di relazioni si stessero instaurando tra di
loro.
“Eccone
un altro...” mormorò Lory, notando il lampo di
luce che si
infranse contro il loro vetro.
Contarono
in silenzio i pochi secondi che precedettero il tuono, comprendendo
quanto fosse vicino quel temporale, poi Kyle batté le mani:
“Forza,
ragazze, andate a prepararvi. Entrerete non trasformate così
la
gente non si allarmerà.”
Quando
le ragazze furono entrate nello spogliatoio, Ryan si voltò
verso il
suo migliore amico, guardandolo dritto negli occhi: “Tu sai
qual è
il cassetto.”
Il
moro rispose allo sguardo: “Non dirlo neanche per
scherzo.”
“E'
solo una precauzione,” il biondo si inginocchiò,
sorridendo a
Kimberly seduta nel suo girello con il ciuccio saldo tra i dentini,
ancora spaventata da tutti quei tuoni “You're
gonna behave with uncle Kyle, aren't you?”
La
bimba si accigliò, allungando una manina per toccargli la
guancia:
“Dada
where?”
Lui
la prese in braccio: “Papà e mamma devono andare a
fare una cosa,
ma tornano presto, d'accordo?”
Kim
scosse la testa, appoggiandosi contro la sua spalla:
“No.”
Ryan
rise: “Oh, ma così lo zio Kyle ci rimane male,
vedi?”
L'americano
fece una buffa smorfia triste, e la biondina si sporse verso di lui,
che la sollevò sopra la sua testa: “Facciamo tanti
dolci e non ne
diamo neanche uno a quei cattivoni, va bene?”
Tutti
risero quando lei rispose di sì, poi il biondo le
passò una mano
tra i capelli: “Love
you bumblebee.”
“Noi
siamo pronte,” le Mew Mew si affacciarono sulla porta.
Sunao
si avvicinò a loro, afferrando il pugnale dalla giarrettiera
sulla
coscia: “Questo è tuo.”
Strawberry
lo prese titubante: “Perché lo dai a me?”
“Tu sei colei che
l'ha sconfitto una volta, è di nuovo compito tuo.
È soprattutto la
vostra battaglia; il colpo finale spetta a te.”
La
rossa annuì, osservando l'arma per qualche istante prima di
riporlo
in borsa. “Andiamo.”
Si
presero per mano, e si teletrasportarono poco lontano dall'entrata
del Tokyo Dome, già attorniata da auto della polizia,
giornalisti e
fotografi.
“Come
facciamo ad entrare?” domandò Paddy, allungando il
collo per
vedere la fila di persone che già percorrevano il tappeto
rosso.
Ryan
si sistemò il colletto della camicia: “Venite con
me.”
“Non
siamo abbastanza eleganti!” sibilò Mina
“Non posso farmi vedere
conciata così!”
Kert
rise sottovoce: “Hai delle strane priorità,
uccellino.”
Mentre
gli altri si riparavano dai goccioloni di pioggia sotto l'entrata di
un bar, Ryan confabulò con una ragazza all'entrata che in
mano
teneva una cartellina, mostrandole il più smagliante dei
sorrisi.
“Ecco
a voi Shirogane all'attacco,” ridacchiò Paddy
“Dite che è così
che conclude tutti i suoi affari?”
“Io
tacerei, Paddy, prima che Strawberry ti strangoli,”
ghignò il
maggiore dei fratelli Tha, occhieggiando l'espressione nera della
rossa.
“Su,
è per una buona causa!” cercò di
calmarla Lory, battendole una
mano sulla spalla.
Con
un altro sorriso verso la ragazza sconosciuta, Ryan si voltò
verso
il gruppo e fece loro segno con la mano di avvicinarsi.
“Buon
divertimento, signor Shirogane!” cinguettò la
sconosciuta, e
Strawberry fu trascinata dentro il Dome prima che potesse saltarle
alla giugulare.
“Che
cosa le hai detto?” domandò con finta voce
innocente.
Ryan
aveva un'aria divertita: “Oh, niente, che mi avrebbe fatto davvero
piacere
poter partecipare insieme ai miei amici stranieri, e che lei sarei
stato molto
grato.”
“Vedrai
quanto sarai grato stasera...” borbottò la moglie.
Si
fecero strada tra i corridoi affollati, evitando quelli principali e
preferendo quelli utilizzati dagli organizzatori che ancora stavano
allestendo i preparativi per la serata, mentre in sottofondo si
sentivano i rumori della partita in corso.
“Quanto
manca alla fine?” chiese Quiche.
Ryan
controllò il suo orologio: “Mezz'ora,
più o meno.”
“Quando
la partita finirà, la gente lascerà gli spalti e
il Dome si
riempirà,” esclamò Pie
“Sarà quello il momento perfetto per
colpire.”
Le
luci al neon sopra di loro tremolarono per qualche istante.
“L'energia
è aumentata...” mormorò Zaur
“Credo si stia avvicinando.”
Sunao
si guardò intorno: “Combattere qui dentro
è un pessima
idea. Lo spazio è troppo chiuso.”
“Se
lo portiamo fuori rischiamo di colpire altre persone,”
replicò
Paddy “Qui invece forse potremmo contenerlo.”
“Ricordiamoci
l'addestramento che abbiamo fatto,” li avvisò Rui
“Forza,
continuiamo a camminare.”
Mentre
il gruppo si addentrava nello stadio, Kert prese per un braccio
Sunao, costringendola a fermarsi.
“Non
fare cose stupide.” le impartì, fissandola nelle
iridi violette.
Lei
cercò di liberarsi dalla sua presa: “Non farle
tu.”
“Guarda
che dico sul serio,” l'attirò a sé,
catturandole le labbra in un
bacio che la meravigliò.
“E
questo?” domandò divertita quando si separarono.
Lui
rise, stringendosi nelle spalle: “Così.”
“Ehi,
voi due!” la voce di Pharart li raggiunse dal fondo del
corridoio
“Ci penserete dopo a festeggiare, ora muovetevi!”
In
poco tempo raggiunsero la sala centrale dello stadio, poco lontano da
dove si teneva la partita. Alcuni addetti stavano finendo di
sistemare gli ultimi ritocchi, e già alcune persone
iniziavano a
riempire lo spazio.
“Adesso
cosa facciamo?” domandò Tart.
“Aspettiamo.”
rispose laconico Zaur.
Ma
all'improvviso, le porte alle loro spalle si aprirono, e l'orda degli
spettatori si riversò nella stanza; alcuni cantavano,
perché la
loro squadra aveva vinto la partita, altri invece si lamentavano ad
alta voce. Molti di loro erano già abbastanza inebriati
dall'alcool.
Erano talmente tanti che il gruppo si trovò all'improvviso
separato.
“Ragazze!”
chiamò Strawberry, mentre veniva spinta dalla massa verso
destra,
senza riuscire a districarsi tra i corpi sudati che continuavano ad
entrare.
Si
alzò sulle punte dei piedi mentre veniva sballottata di qua
e di là,
cercando di avvistare qualcuno dei suoi compagni.
-Questo
non va bene,- pensò,
mentre l'ennesimo tuono rimbombava sul soffitto -Non
va per niente bene.-
Afferrò
il cellulare della tasca, componendo il numero di Ryan mentre con gli
occhi continuava a perlustrare. Non avrebbe dovuto essere
così
difficile individuare una testa bionda!
Ma,
ovviamente, all'interno del Dome non c'era campo.
“Maledizione!”
esclamò, un brivido che le corse lungo la schiena
all'ennesimo
rumore inquietante del temporale. Sentì un reflusso acido
risalirle
per la gola, e si sforzò di mandarlo giù. Non era
decisamente ora
per gli attacchi di panico.
Decise
di spingere tra la folla per cercare di raggiungere le sue amiche,
mordendosi un labbro mentre il suo stomaco continuava a fare le
capriole.
Finalmente
trovò un angolo vuoto, in cui si fermò per
prendere aria.
“Ragazze!” provò ancora “Ryan!
Quiche!”
L'alieno
le comparve al fianco, la mano stretta in quella di Mina:
“Per
fortuna abbiamo trovato almeno te!”
“Dove
sono gli altri?”
La
mora scosse la testa: “Li abbiamo persi nella folla, non si
riesce
a vedere nulla, c'è troppa gente!”
“Ho
un brutto presentimento,” ringhiò Quiche
“Lui è qui, ne sono
sicuro.”
Mina
prese la sua spilla dalla tasca: “Ci trasformiamo?”
Strawberry
aprì la bocca per risponderle, quando l'intera sala
piombò nel buio
più totale.
In
un primo momento, ci fu solo un silenzio sgomento. Poi, pian piano,
le voci della gente cominciarono a crescere a mano a mano che saliva
anche la loro paura.
La
Mew blu si sentì afferrare il braccio; se c'era qualcuno che
odiava
il buio, quella era la sua amica dai geni di gatto.
“Sta
arrivando,” mormorò “Forza,
metamorfosi!”
Due
lampi di luce, rosa e azzurro, brillarono nel buio, attirando
l'attenzione delle altre tre Mew Mew, che non esitarono a seguire il
loro esempio, ma anche della gente raccolta nella sala.
“Ma
sono le Mew Mew!”
“Perché
sono qui?!”
“Cosa
sta succedendo?”
MewBerry
agitò nervosamente la coda, facendo trillare il suo
campanellino:
“Oops.”
“Dì
qualcosa!” la incitò MewMina con una spinta in
avanti.
“Cosa
dovrei dire?!”
In
quel momento, Quiche catturò qualcosa che si muoveva
nell'aria. Con
uno scatto, balzò sulle ragazze, spingendole a terra:
“GIU!”
gridò, mentre sentiva qualcosa che bruciava un lembo del suo
vestito, ed una scarica elettrica si infrangeva contro il muro.
Le
luci si riaccesero di scatto, e la risata malefica che avevano
imparato a conoscere riempì l'aria: “Ogni volta
cadete dritti
dritti nella mia trappola, cosa potrei chiedere di
più?”
MewBerry
alzò lo sguardo verso il soffitto, da dove Profondo Blu
troneggiava,
i lunghi capelli neri al vento, gli occhi di ghiaccio puntati verso
di loro.
“Sarà
un piacere eliminare anche questa feccia umana insieme a voi, mie
care Mew Mew.”
Fu
come se l'intera sala si risvegliasse da uno stato di trance; le
persone cominciarono ad urlare e correre verso l'uscita, mentre le
Mew Mew e gli alieni cercano di spingerli a muoversi più
velocemente.
Profondo
Blu rise di nuovo: “Oh, credete davvero che possa essere
così
facile?” con un movimento della mano, chiuse tutti i pesanti
portoni, bloccando la folla all'interno della sala.
“Fatevi
da parte!” saltando davanti alla folla, Kert
caricò il suo
Maciste, mandando un getto d'aria così potente da divellere
le porte
e creare spazio sufficiente per far uscire le persone.
Con
un ringhio, Profondo Blu volò fino a lui, utilizzando la sua
energia
per alzarlo da terra e sbatterlo contro al muro, senza doverlo
toccare: “Non mi sfidare, stupido alieno.”
Kert
rise, boccheggiando per la morsa che gli bloccava le vie d'aria:
“E'
così divertente giocare con te, sei così suscettibile.”
Una
scintilla di rabbia negli occhi, Profondo Blu evocò una
spada, che
le Mew Mew riconobbero come quella che aveva usato il Cavaliere Blu.
La alzò, pronto per colpire Kert, quando una delle frecce di
Pharart
comparve dal nulla, seguita da una grossa liana che si andò
ad
attorcigliare contro il braccio del nemico, costringendolo a mollare
la presa.
Kert
cadde a terra tossendo, e Sunao gli fu accanto in pochi istanti:
“Non
ti avevo detto di non fare cose stupide?!” gli
gridò contro mentre
lo aiutava a rialzarsi.
Lui
le fece il solito ghigno: “Dolcezza, è solo
l'inizio.”
La
Messaggera alzò gli occhi al cielo, concentrandosi sul
potente
alieno, che aveva alzato una mano verso il soffitto. Una scarica di
energia scaturì dalle sue dita, colpendo una parete del
Dome, la
quale iniziò velocemente a sgretolarsi e a cadere sulle
persone che
ancora cercavano di scappare.
“Pudding
Ring Inferno!”
l'attacco di MewPaddy servì a bloccare alcuni massi, e lei
si
apprestò a correre verso le persone che avevo salvato
“Uscite,
presto!” li incitò.
Asciugandosi
la fronte con una mano guantata, si guardò intorno: le sue
compagne
avevano iniziato a lanciare attacchi consecutivi contro Profondo Blu,
ma egli aveva nuovamente innalzato la sua barriera protettiva, e
rispondeva colpo su colpo.
Solo
Espera e Ryan rimanevano in disparte, aiutando la folla ad evacuare
attraverso le macerie, e parlando concitatamente.
“Non
sento più l'aura di quel ragazzo!” stava infatti
dicendo l'aliena
“Ora c'è soltanto l'anima originale di Profondo
Blu! Ecco perché
ha entrambi gli occhi azzurri.”
“Ma
questo vuol dire che è più debole,
giusto?”
Lei
annuì: “Non di tanto, ma potremmo usarlo a nostro
vantaggio. Se
prima c'erano due anime che collaboravano, adesso è una sola
a
combattere.”
Ryan
si girò verso la Mew Gialla, aiutando un'anziana signora a
scavalcare: “MewPaddy, devi dirlo alle altre!”
La
ragazzina rispose con un buffo saluto militare:
“Sì capo!”
Saltellando
rapida, raggiunse MewLory e MewMina: “Ragazze, il cattivone
lassù
ha definitivamente eliminato Aoyama. Ora stiamo combattendo soltanto
contro di lui, ed è un po' meno forte.”
“Non
si direbbe,” esclamò la Mew blu a denti stretti,
mentre per
l'ennesima volta saltavano di lato per evitare i pezzi di parete che
cadevano ad ogni colpo andato a vuoto.
Ma
anche dal canto suo, Profondo Blu si sentiva in difficoltà.
Gli
attacchi delle Mew Mew e degli alieni erano precisi e veloci, non gli
lasciavano un attimo di pausa. Non poteva non notare la differenza
nella sua forza da quando si era tolto di mezzo quell'inutile umano.
Forse
allora non era stato tanto inutile, si ritrovò a pensare. Ma
gli
faceva ribrezzo soltanto ammettere che dipendeva da un umano, da un
essere tanto inferiore a lui.
Il
tempo speso rinchiuso nel suo inconscio non l'aveva certo aiutato; la
sua energia era sì cresciuta, ma lui era fuori allenamento.
E le Mew
Mew sembravano più decise che mai.
Schivando
l'attacco di Pie, si concentrò per una frazione di secondo,
e tutte
le luci si spensero; il cielo era così nero che non riusciva
a
penetrare l'oscurità del Dome.
“Oh,
andiamo!” rise Quiche “Moscacieca,
seriamente?”
MewPam
strinse gli occhi, cercando di scorgere qualcosa nel buio, le
orecchie da lupo tesissime.
Dopo
un attimo interminabile, una saetta di Profondo Blu colpì il
soffitto; la Mew Viola fu svelta a spingere via MewLory e MewBerry, e
tutte e tre rotolarono lontano tra i resti appuntiti.
L'alieno,
recuperata la sua spada, volò dritto verso Rui, che fece
appena in
tempo a sguainare la sua arma, facendola stridere contro quella
dell'alieno dagli occhi di ghiaccio.
“Ti
vedo un po' in difficoltà, Comandante,” rise
questo, il volto a
pochi centimetri da quello del ragazzo “Gaia non è
cambiata tanto
in questi secoli, allora.”
“Noi
non giochiamo sporco,” esalò l'altro, raccogliendo
abbastanza
forze per spingerlo via.
Profondo
Blu rise, allargando le braccia: “Davvero? E tredici contro
uno
come lo chiami?”
Ripartì
alla carica, iniziando un duello di spade contro il minore dei
fratelli Tha, che non dava spazio agli altri per attaccare, per paura
di poter colpire involontariamente il loro alleato.
Espera
si morse un labbro, impaurita, e lanciò uno sguardo verso il
cielo;
la luna piena era ancora lontana, e non ci sarebbe stato modo di
usare il suo potere comunque, vista la coltre di nuvole nere che
copriva la volta celeste.
“Espera!”
Sunao l'afferrò per un braccio, un rivolo di sangue che le
correva
lungo la guancia causato da un taglio sulla tempia “Devi
riuscire
ad usare la tua energia.”
“Co...come
faccio?” le chiese sperduta lei, guardandola con i grandi
occhioni
blu spalancati.
“Inventati
qualcosa, Seles, arrabbiati!” le abbaiò contro
Kert, che non
distoglieva lo sguardo dal fratello.
Lei
fece un respiro profondo, la voce che le tremava: “Se mi
mettete
sotto pressione non ci riesco!”
“Ah,
inutile!” l'alieno dagli occhi dorati si avvicinò
al gruppo delle
Mew Mew “Gioca sporco, uccellino.”
sussurrò a MewMina “Usa una
di quelle tue frecce e colpiscilo alle spalle!”
La
ragazza lorichetto lo guardò incredula: “Sei
pazzo?! Non vedi
come si muovono velocemente? Rischierei di colpire Rui!”
“Tu
fallo e basta!”
Incrociando
internamente le dita, MewMina incoccò una freccia:
“Ribbon
Mint Echo!” mormorò.
Tutti
trattennero il fiato mentre seguivano la traiettoria dell'attacco; la
freccia arrivò a pochi centimetri da Profondo Blu, il quale
mosse il
braccio libero velocemente, spostandola verso l'alto e rimandando il
colpo indietro, costringendo i suoi avversari a cozzare l'uno contro
l'altro per non essere colpiti; il dardo si infranse nel muro alle
loro spalle, lanciando detriti attorno a loro.
“Ahia,”
borbottò Tart, ripulendo il rivolo di sangue che gli
scendeva dalla
spalla “Ormai non ho più idee su come fare per
batterlo...”
MewBerry
si tirò in piedi: “Forza, ragazzi, non
molliamo!”
Si
lanciarono di nuovo all'attacco, scatenando una risata da parte del
loro nemico.
“Ancora
non l'avete capito che non siete abbastanza forti?”
sogghignò,
brandendo la spada contro quella di Rui con una mano, e usando
l'altra per lanciare onde d'energia “Siete patetici.”
Il
successivo colpo fece tremare l'intero Dome, intrappolando le decine
di persone che ancora cercavano di uscire.
“La
tua è tutta una finta, Profondo Blu!”
ringhiò Quiche, creando un
piccolo chimero a protezione degli umani “Sappiamo benissimo
che
sei in difficoltà!”
“Ah
sì?” una scintilla di sfida brillò
negli occhi di ghiaccio
“Allora guarda qui, Ikisatashi.”
Spingendo
lontano Rui con l'aiuto della spada, l'alieno formò nel suo
palmo
una sfera rossa di energia, che pulsava come una piccola stella.
Senza esitazione, la diresse velocemente contro le Mew Mew, che
impaurite la osservarono crescere nel suo viaggio.
“Ribbon
Lettuce Rush!”
il colpo di MewLory servì appena per frenare quella scarica
infuocata, ma non riuscì ad evitare che fossero comunque
colpite e
che si schiantassero contro la parete.
“Ragazze!”
gridò Tart, roteando le sue bolas
“Ragazze, forza!”
Ryan
si voltò verso Espera, afferrandola per le spalle:
“Espera,
concentrati!” le urlò per sovrastare i rumori
della lotta e del
cemento che crollava “Ci abbiamo lavorato, devi
riuscirci!”
L'aliena
annuì, chiudendo gli occhi, cercando quell'energia
all'interno del
suo corpo. Sapeva che era lì, la sentiva fremere da qualche
parte
nel suo inconscio, ma non sapeva come tirarla fuori.
-Concentrati,
concentrati,-
si ripeté -Devi
andarli ad aiutare, concentrati!-
Una
scossa che spezzò il pavimento sotto i suoi piedi la
distrasse,
dovendo mantenere l'equilibrio.
Guardò
disperata verso il campo di battaglia, dove Sunao stava bloccando la
millesima onda energetica di Profondo Blu mentre Zaur e Pie
combinavano i loro poteri per aumentare la portata dei loro attacchi.
Le Mew Mew erano esauste, si stavano rialzando a fatica aiutate da
Quiche e Pharart.
Cercò
Rui con gli occhi, lo vide saltare dalle spalle del fratello con la
spada pronta ad infilzarsi nel collo di Profondo Blu, che
però si
accorse appena in tempo dell'alieno e lo colpì ferocemente,
spedendolo a schiantarsi al suolo.
Un
ringhio ferino si levò dalla sua gola, qualcosa
ruggì piano nel
profondo del suo cuore.
Sunao
avvertì il cambiamento d'aria, permettendosi una frazione di
secondo
per guardare con la coda dell'occhio l'amica, che respirava
pesantemente.
Scivolando
tra i sassi, raggiunse MewBerry, mettendole una mano sulla spalla:
“Sta' pronta,” le disse.
La
Mew gatto annuì, asciugandosi il sudore sulla fronte,
incurante dei
tagli e dei graffi che aveva su tutto il corpo, e strinse forte il
pugnale che aveva portato alla cintola tutto quel tempo.
Espera
si concentrò, lasciando che l'istinto le percorresse
l'intero corpo,
ma mantenendo il controllo di se stessa, proprio come aveva imparato
a fare.
In
un istante, con un ruggito acquistò la sua forma
più feroce,
accompagnata da una forte corrente d'energia che li investì
tutti.
Profondo
Blu si accigliò, sgomento. Quella trasformazione non
rientrava
decisamente nei suoi piani; mai avrebbe pensato che un alieno di Gaia
avrebbe potuto raggiungere un tale livello di forza.
“Paura,
Profondo Blu?” gli ghignò Kert, ricaricando il suo
bazooka.
Sunao
e MewBerry si scambiarono un'occhiata quando Espera si
lanciò contro
l'alieno come una tigre, i lunghi capelli neri che svolazzavano
intorno a lei. Sembrava che i colpi non la scalfissero nemmeno; e
cosa più importante, sembrava che lei fosse la sola a
riuscire a
superare la barriera protettiva del nemico.
“Ragazze,
andiamo!” al grido di MewPam, le Mew Mew ricominciarono con i
loro
attacchi, rinvigorite anche da quel filo di speranza. “Non
fermatevi, continuate a colpirlo, lasciate che Espera gli si
avvicini!”
“Dai,
Seles, attaccalo!” la incitò Kert, volando il
più possibile
vicino ai due alieni.
Da
quel momento, si svolse tutto molto velocemente.
Espera
saltò verso Profondo Blu, graffiandogli il viso con i suoi
artigli;
in quell'istante di incertezza e stupore, perse il controllo del suo
schermo, permettendo così a Kert di prenderlo alle spalle,
intrecciando le braccia attorno alla sua schiena e bloccandolo.
“MewBerry,
adesso!” strillò MewPam.
Aiutata
da Sunao, che la spinse in alto, la Mew gatto si avvicinò a
Profondo
Blu, che si stava divincolando come un pazzo nella morsa di Kert.
“Cosa
pensi di fare, eh, ragazzina?!” le gridò, il volto
paonazzo e la
bocca che schiumava di rabbia “Pensi che i tuoi stupidi
poteri
possano sconfiggere me, il grande Profondo Blu?!?”
Lei
estrasse il pugnale dal fodero, facendo un respiro: “Mi
dispiace,”
sussurrò, mentre per un istante il volto di Mark si
sovrapponeva,
nella sua mente, a quella del nemico “Mi dispiace
davvero.”
Chiudendo
gli occhi, raccolse tutte le sue forze e conficcò il pugnale
dritto
nel cuore di Profondo Blu, che lanciò un grido. Si
udì chiaramente,
nel silenzio che seguì, il rumore di tanti respiri
trattenuti
insieme mentre si attendeva un segno, una prova che quell'arma
avrebbe funzionato.
L'alieno
rise: “Hai sbagliato mira, ragazzina.”
Poi,
una luce gialla si levò dal pugnale.
Profondo
Blu sgranò gli occhi: “Ma... cosa..? NO!”
La
luce aumentò d'intensità e di ampiezza, per poi
esplodere in modo
accecante tra le urla disumane dell'alieno, che si
disintegrò con
lei in tanti piccoli pezzettini che svanirono nel nulla, come
bruciati dalla forza di quell'antica magia.
L'onda
investì tutti in pieno, accecandoli, catapultando i due
più vicini
dall'altra parte del Tokyo Dome, che stava tremando in modo
incontrollabile.
Il
cielo rombò mentre lampi e tuoni riempivano l'etere, ben
visibili
dal soffitto perforato dall'energia del pugnale.
Poi,
improvviso com'era iniziato, tutto finì. Seguì un
silenzio
assordante.
Mina
aprì gli occhi lentamente; sentiva dolore in tutte le parti
del
corpo, e notò che si era ritrasformata, probabilmente per
esaustione. Con un gemito, notò che il suo polso aveva una
piega
strana.
Una
parolaccia a lei sconosciuta catturò la sua attenzione, e
vide Kert
steso a terra, una copiosa quantità di sangue che gli usciva
dalla
gamba.
“Maledizione,”
sussurrò l'alieno, impallidendo vistosamente
“L'arteria...”
Sunao
gli si inginocchiò accanto: “Kert Tha, ti avevo
detto di non fare
stronzate! Non ti azzardare a morire, sai?”
esclamò.
Lui
rise: “Non stavo progettando di farlo.”
La
Messaggera strappò un lembo del suo vestito, legandolo
appena sopra
la ferita, per tentare di bloccare l’emorragia.
“Mi
stai facendo male,” mormorò il ragazzo, mentre il
colore
continuava ad andarsene dal suo viso sempre più velocemente.
“Ma
stai zitto…” replicò l'altra.
Sentì
Rui avvicinarsi, ma lo bloccò con un ampio gesto del
braccio: “Stai
fermo. A lui ci penso io!” esclamò.
Notando
che la situazione si era aggravata, aveva deciso di portarlo a Gaia.
Evocò
quindi il suo bastone, concentrandosi il più possibile
mentre
piccole gocce di sangue le cadevano dal naso per lo sforzo.
Mormorò
qualche parola e in una luce bianca scomparvero entrambi.
“Voi
state bene?” domandò il minore dei fratelli Tha,
mentre aiutava
Espera, di nuovo in forma normale, ad alzarsi.
Ryan
corse verso di loro, il cellulare in mano: “Stanno arrivando
delle
ambulanze, ci sono altre persone ferite!”
Si
guardò intorno concitato, cercando Strawberry; l'aveva persa
di
vista nell'esplosione.
Poi
la vide, ancora trasformata in Mew Mew, in piedi in un angolo, che
fissava il vuoto.
“Strawberry!”
la chiamò a gran voce, raggiungendola.
Lei
si girò verso di lui, una mano appoggiata sullo stomaco.
Abbassò lo
sguardo avvertendo una strana sensazione appiccicosa, scostò
il
palmo: era completamente insanguinato, ed una grossa macchia scura si
stava allargando sul suo costume rosa.
“Dite
all'ambulanza di fare presto!” la voce di Ryan le giunse
ovattata e
lontana, percepì appena le sue braccia che la circondavano
mentre
lei si accasciava a terra, il mondo che si faceva buio.
“Straw,
baby, stay with me, okay? Stay with me!”
Ebbene
sì, sono colpevole di avervi scritto 13 pagine di capitolo
(il
doppio del normale), ma mi è un po' sfuggita la mano xD E
naturalmente vi lascio in suspense :D Sarà finita davvero?
Saranno
tutti vivi e vegeti? Oppure la sottoscritta ha preso l'autostrada
definitiva del sadismo verso i proprio personaggi?
Mah,
chissà! Lo saprete solo al prossimo capitolo ;) Spero che
questo vi
abbia soddisfatto, io personalmente ho un po' sofferto nel scriverlo
ma mi sono anche divertita ^_^ Chissà se avete colto tutte
le
“Easter eggs” che ho sparso qua e là...
(Izayoi007 tu non fai
testo perché te hai avuto spoiler! xD)
Meno
due capitoli, people!
A
presto e grazie a tutti!
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 29 *** One more dawn ***
One
more dawn
Erano
anni che a Tokyo non si verificava un incidente del genere.
Le
ambulanze andavano e venivano senza sosta, gli ospedali erano pieni
di feriti e la stampa era come impazzita. Tutti volevano sapere cosa
fosse successo; tutti, ancora una volta, erano impazienti di scoprire
come le Mew Mew avevano nuovamente salvato la città.
Fortunatamente,
quando i soccorsi erano iniziati ad arrivare al Tokyo Dome, le
ragazze erano già ritornare normali, e non erano state
riconosciute
da nessuno; erano passate semplicemente per delle vittime di
quell'attacco.
Ma
tutto questo, per Ryan, era soltanto un dettaglio all'interno dei
problemi molto più grandi che stava affrontando in quel
momento.
Era
seduto da ore su una delle scomode sedie di metallo ed eco-pelle
della sala d'attesta della stessa clinica in cui anche lui era stato
ricoverato; era riuscito a far mandare lì le ragazze, dove
era
sicuro che ci sarebbero stati meno problemi. La clinica, comunque,
era piena di altre persone, mandate lì direttamente dal
General
Hospital, che non riusciva a contenerle tutte.
Esalò
pesantemente, la fronte appoggiata contro i pugni chiusi, i gomiti
sulle ginocchia.
Erano
quattro ore che Strawberry era nascosta in chissà quale sala
operatoria; quattro ore che a lui stavano sembrando quaranta; quattro
ore in cui nessuno si era degnato di dirgli niente.
Avvertì
la sedia accanto alla sua strisciare contro il pavimento bianco
quando qualcuno la spostò, poi una tazza di caffè
apparve nel suo
campo visivo.
“Ti
farà bene,” gli disse sottovoce Kyle.
“Grazie,”
la sua voce gracchiava, e si schiarì la gola prima di
prendere un
sorso. Il calore della bevanda si sparse velocemente nel suo stomaco,
facendolo rabbrividire.
L'amico
lo osservò, i capelli spettinati, gli occhi arrossati, la
bocca tesa
in una linea dura, e gli mise una mano sulla spalla, stringendo
forte: “Ancora nessuna novità?”
Ryan
scosse la testa: “No, non mi hanno detto niente.”
“Nessuna
nuova, buona nuova.”
“Le
ragazze come stanno?” domandò prima di prendere un
altro sorso.
“Un
po' ammaccate, ma si riprenderanno. Stanno dormendo tutte
ora.”
In
altre tre sorsate, il caffè, nero e bollente come solo
poteva dargli
conforto, era tutto finito. Accartocciò la tazza di carta,
facendone
una pallina e lanciandola con precisione nel cestino dall'altro lato
del corridoio.
“Bel
tiro,” un signore sulla quarantina, qualche sedia
più in là, gli
fece un sorriso titubante, a cui il biondo rispose con un cenno
“Anche lei è qui per l'incidente al
Dome?”
L'americano
annuì: “Sì. Mia moglie è
rimasta... coinvolta.”
“Anche
la mia,” il signore si grattò il collo
“Ha il bacino fratturato,
ma poteva andarle peggio. Ho sentito che al General la situazione
è
caotica.” lo scrutò per qualche istante
“Lei è Shirogane,
vero?”
Ryan
sorrise: “Già.”
“E'
facilmente riconoscibile,” rise l'uomo “Non se ne
vedono tanti
come lei in giro. E la sua foto è appesa tra gli altri
finanziatori
della clinica.”
Kyle
nascose un sorriso dietro ad un finto sbadiglio; sapeva che al suo
amico non piacevano tutte quelle attenzioni, soprattutto quando era
così preoccupato, e l'accorciarsi delle sue frasi ne era un
segno.
La
porta che conduceva al corridoio delle sale operatorie si
aprì, e ne
uscì un medico che si rivolse a quel signore, togliendo un
altro
giorno di vita al biondo.
Il
moro gli batté una mano sul ginocchio: “Non
mancherà tanto,
vedrai.”
Lui
si passò una mano sul volto; non era neanche sicuro di
ciò per cui
la stavano operando, né della gravità della
situazione. Sapeva solo
che aveva perso molto sangue, e che il taglio nella sua divisa, e
conseguentemente nella sua pelle, era lungo quanto il suo
avambraccio.
“Dov'è
Kim?” chiese dopo qualche altro minuto di silenzio.
“Al
Caffè con Pie e Tart. L'ho lasciata che stava
dormendo.”
Ryan
non riuscì a fermare la risatina che gli scappò
dalle labbra:
“Credo che, dopo di te, Pie sia il miglior babysitter che
abbia mai
avuto. Kim lo adora.”
“Esatto,
è in buone mani,” Kyle si unì alla
risata “Gli darò il cambio
non appena Pam si sveglierà.”
L'orologio
alla parete segnò le sei in punto; il Sole era riapparso
lentamente
dopo il temporale, e lanciava raggi titubanti contro le spesse
finestre.
“Dimmi,
Kyle, è finita questa volta?”
Il
moro sospirò: “Zaur dice di sì. I
rilevatori non trovano più
niente;l'energia è scomparsa del tutto, le uniche presenze
aliene
sono quelle già conosciute. I simboli delle ragazze sono
rimasti, ma
sono sbiaditi. Credo che sia perché gli alieni rimangono
qui.”
Le
porte scorrevoli si aprirono una seconda volta, un medico percorse il
corridoio con passo svelto e sicuro dritto verso Ryan, che
scattò in
piedi.
“Signor
Shirogane?” lui annuì “L'operazione
è andata a buon fine. Siamo
riusciti a fermare l'emorragia interna, ma la signorina Momomiya ha
perso molto sangue, quindi dovrà stare in assoluto riposo.
Vorremo
tenerla qui in osservazione per qualche giorno per evitare
complicazioni.”
“Grazie,
dottore,” gli strinse forte la mano “Posso
vederla?”
Il
medico annuì: “E' nella stanza 420, si
risveglierà tra poco non
appena sarà finito l'effetto dell'anestesia.”
Fece
per aggiungere qualcosa, ma Ryan era già scattato verso la
stanza,
dimentico del resto. La stanchezza che gli appesantiva le gambe non
fermò la sua corsetta, e si arrestò solo quando
fu davanti alla
porta bianca.
Dovette
fare un respiro profondo prima di abbassare la maniglia ed entrare in
silenzio.
Strawberry
era stesa tra le lenzuola candide, i capelli scarmigliati sul cuscino
e poco colore sulle guance; ma era lì, e la sua pelle era
calda e
morbida.
Le
prese la mano, sedendosi sulla poltroncina accanto al letto,
sorridendo quando la vide arricciare il naso come faceva tutte le
mattine prima di svegliarsi.
“Ehi,”
la salutò, scostandole la frangia dagli occhi
“Come ti senti?”
La
rossa aggrottò le sopracciglia, gli occhi semi-chiusi:
“Mmmhm...
dove sono?”
“Sei
in ospedale, sei appena uscita dalla sala operatoria.”
“Ah,
giusto,” si strofinò gli occhi usando la mano del
biondo, poi si
bloccò all'improvviso “Ryan?”
“Sì?”
Deglutì
un paio di volte: “C'è un ago nella mia mano
sinistra, vero?”
Il
ragazzo scoppiò a ridere, dandole un bacio sulla punta del
naso: “E'
la flebo, ragazzina, e no, non te la possiamo togliere. Hai perso un
sacco di sangue e hai bisogno di riposo.”
“Ma
a me fanno paura gli aghi,” piagnucolò, evitando
accuratamente di
guardare la sua mano.
Ryan
le accarezzò una guancia: “Lo so, ma è
un male necessario.”
“Se
lo dici tu,” si accoccolò meglio contro i cuscini,
intrecciando le
loro dita “Mi dispiace averti fatto preoccupare.”
Lui
le diede un buffetto sulla fronte: “Un giorno di questi mi
farai
venire un infarto.”
“Ti
ho ripagato per l'ultima volta che ci sei finito tu qui,” lo
afferrò per la camicia e lo attirò dolcemente a
sé, per scambiarsi
un lungo bacio.
“Ti
amo,” le sussurrò sulle labbra quando si
separarono, godendo del
rossore che le riempì le guance.
“Anche
io ti amo,” gongolò lei felice, scattando per
rubargli un altro
bacio veloce, ben sapendo che presto non avrebbero potuto godere di
molti attimi da soli.
Infatti,
dopo pochi minuti passati a fare le fusa come i gatti che erano,
furono interrotti da un veloce bussare alla porta.
“Siete
decenti?” Mina infilò la testa nella stanza con un
ghigno ironico,
facendo alzare ad entrambi gli occhi al cielo.
“Vorrei
che osservaste la mia eleganza in questo orrendo camice da
ospedale,”
scherzò la mora, andando ad abbracciare l'amica
“Per fortuna che
me ne posso andare!”
Strawberry
occhieggiò il braccio ingessato: “Cosa ti sei
fatta?”
“Polso
rotto,” sospirò la Mew bird “Ma non
crediate che questo mi
fermerà dal ballare, nossignori.”
“Le
altre come stanno?”
“Pam
ha qualche costola incrinata, niente di grave fortunatamente. Lory ha
una gamba rotta, mentre Paddy ha un enorme bernoccolo in testa e
vogliono tenerla un po' qui per escludere una commozione cerebrale,
ma per il resto sta bene. Eravamo tutte preoccupate per te,
così
hanno mandato me, visto che sono l'unica che si può
alzare.”
“Eri
preoccupata per me? Mi sento onorata!”
Quiche
si unì a loro, un cerotto sulla guancia e dei documenti in
mano, ma
sorridente: “Ehilà, micetta. Sono felice di
vederti tutta intera e
pronta a ribattere.”
La
rossa gli fece un gesto di saluto con la mano, e l'alieno, camuffato
da umano, si rivolse alla sua ragazza: “Sono i documenti per
uscire, se li vuoi firmare.”
“Che
meraviglia!” Mina si chinò per stringere in un
altro abbraccio la
Mew gatto “Torniamo domani a trovarti, d'accordo?”
Strawberry
annuì, le parole che vennero soffocate in uno sbadiglio;
rimasti
soli, Ryan le baciò le nocche della mano che ancora
stringeva:
“Posso lasciarti sola cinque minuti per andare in bagno? Ho
anche
abbandonato Kyle senza dirgli nulla.”
Lei
ridacchiò: “Certo, prometto che non
scappo.”
Con
un altro bacio sulla fronte, il biondo uscì velocemente
dalla
stanza, mentre lei sbadigliava per una seconda volta.
Un
soffuso bussare le fece alzare lo sguardo verso la porta, dove
sostava Espera, in abiti umani, con un'espressione timida sul volto.
“Ehi,”
Strawberry le rivolse un sorriso stanco “Entra
pure.”
L'aliena
si avvicinò al lettino, osservando un po' a disagio quella
stanza
per lei così strana, e appoggiò cauta la mano
sopra quella della
rossa: “Sono contenta che tu stia bene.”
Il
contatto con Espera le diede sollievo immediato, ed ancora una volta
la Mew rosa si stupì della forza dei suoi poteri:
“Voi come
state?”
“Non
c'è male. Kert si rimetterà presto, Sunao
è stata veloce a
riportarlo a Gaia. Dovrà stare fermo per qualche tempo,
sarà quella
la cosa più difficile.”
Risero
entrambe, un po' anche a smorzare quella tensione strana tra di loro.
Non erano certo amiche, ma come altro potevano definirsi dopo tutto
quello che avevano affrontato assieme?
“Tu
lo sapevi, vero?” domandò Strawberry dopo qualche
istante di
silenzio. “Mi ricordo il modo in cui mi hai guardata al
Caffè.”
Espera
annuì: “Mi dispiace, davvero.”
“Non
dirglielo, d'accordo?” le strinse la mano con forza
“Per favore,
non dirlo a Ryan. Non voglio che lo sappia, si prenderebbe tutto il
peso sulle spalle pensando che sia colpa sua, perché
è stato lui a
farci diventare Mew Mew.”
“D'accordo.”
l'aliena sospirò, alzandosi dalla sedia di plastica
“Ora devo
andare, devo controllare i miei feriti.” ridacchiarono di
nuovo
“Ripartiremo appena ci saremo ripresi tutti, ma prima
vorremmo...
non so, festeggiare con voi, credo.”
La
rossa sorrise: “Sono certa che a Kyle non
dispiacerà tenere chiuso
il Caffè per un pomeriggio.”
Espera
la salutò con un gesto della mano, e Strawberry si
adagiò contro i
soffici cuscini, sospirando. Quando l'aliena se ne era andata,
l'esaustione l'aveva colta di sorpresa. Non le piaceva neppure stare
da sola in quella stanza asettica, con quel fastidioso beep
dei monitor attorno a sé e quell'orrendo ago piantato sulla
sua
mano. Solo guardarlo le faceva salire la nausea.
Si
passò una mano sul ventre piatto, lisciando le pieghe delle
lenzuola. Troppo
piatto, e che così sarebbe rimasto.
Era
vero, allora. Non ne era stata certa, non aveva voluto
esserne certa. Eppure, in cuor suo, l'aveva saputo; e, al tempo
stesso, anche quella
eventualità era stata messa in conto, nel momento stesso in
cui
aveva messo piede al Tokyo Dome.
-E'
tutto finito,- pensò, cercando
di respingere l'odioso groppo in gola -Finalmente
è tutto finito.
Possiamo ricominciare.-
Chiuse
gli occhi, lasciando scorrere un'unica lacrima, e si
addormentò.
***
Espera
lasciò l'ospedale, lanciando un'occhiata furtiva intorno a
sé prima
di teletrasportarsi.
L'aria
fresca della vecchia villa Mitsuma l'avvolse dandole conforto, e
senza indugio si diresse verso la camera che condivideva con Rui.
Il
compagno non si mosse quando lei scivolò nel letto accanto a
lui,
troppo stanco quasi per sorriderle: “Stanno tutte
bene?”
borbottò.
“Direi
di sì,” Espera si accovacciò contro il
suo petto, rilassando le
membra provate dagli sforzi di quella giornata “Sunao ha
già
riportato qui Kert?”
“Mmmhmm.
Credo che vogliano stare il più lontano possibile dal
Consiglio.”
“E'
comprensibile,” l'aliena chiuse gli occhi, espirando la sua
stanchezza “Avremo un po' di spiegazioni da dare.”
“Possono
attendere,” Rui passò un braccio attorno alla vita
di lei, e
riprese a dormire.
Nel
salotto in penombra, Zaur e Sunao parlavano a bassa voce,
quest'ultima intenta a fasciarsi le ferite che aveva riportato.
“Avresti
fatto meglio a fartele medicare a Gaia,” osservò
l'alieno moro.
“Ho
sempre fatto da me,” ribatté lei, avvolgendosi una
garza bianca
attorno alla caviglia “E come vedi, non mi sono mai rimaste
cicatrici. Meno mi vedono ferita, meno sanno cosa si combina per
volere del Consiglio. E meno conoscono i miei punti deboli.”
Zaur
abbozzò ad un raro sorriso, lasciando cadere la testa
all'indietro
contro la poltrona: “Stai diventando troppo
sospettosa.”
“Sospetto
è il mio secondo nome,” ironizzò la
Messaggera, prima di essere
interrotta da uno sbadiglio.
L'alieno
dai poteri del Nulla la osservò con un solo occhio aperto:
“Sei
esausta, Sunao. Stiamo dormendo tutti, vai anche tu.”
Sunao
si alzò, stiracchiandosi i muscoli e scrocchiando il collo:
“Buonanotte, Zaur.”
Lui
rispose con un cenno del capo, sistemandosi meglio sulla poltrona, e
lei si avviò sbadigliando verso la sua stanza.
Facendo
il meno rumore possibile, affondò le mani nella brocca di
acqua
fresca, spruzzandosela sul viso dove ancora c'erano tracce di sangue
ormai secco.
Dopo
aver portato Kert a Gaia e averlo lasciato in mani fidate
perché si
prendessero cura di lui, era stata convocata in fretta e furia
davanti al Consiglio per un rapporto dell'ultimo minuto, senza avere
neanche un secondo per respirare.
Si
guardò allo specchio, controllando i graffi sottili sul
collo e sul
viso, passandosi le dita tra i capelli violetti per snodarli. Era
decisamente esausta, forse anche più degli altri.
Togliendosi
il vestito, strappato e sporco di sangue che non era suo,
osservò il
riflesso dell'alieno che dormiva alle sue spalle, la gamba destra
fasciata e issata sopra un cuscino, il braccio sinistro abbandonato
sopra gli occhi, e fu felice di constatare che le guance avevano
ripreso colore.
Non
si mosse nemmeno quando lei gli si sdraiò accanto, girata
verso la
porta così da essergli di schiena. Avrebbero fatto i conti
con le
conseguenze delle loro azioni in un altro momento.
***
Quando
Strawberry si risvegliò, era già mattina. Si
stropicciò gli occhi,
guardandosi intorno.
L'orologio
alla parete segnava le otto, un'ora per lei normalmente abominevole,
ma d'altronde aveva dormito per quasi tredici ore; la giacca di Ryan
era accartocciata sopra una poltroncina, segno che anche il ragazzo
aveva passato la notte lì. Avvertì una punta di
tristezza a non
trovarlo accanto a lei, visto che si era addormentata prima che lui
tornasse.
La
porta si aprì, ed una dottoressa dal viso simpatico
incorniciato da
lunghi capelli castani le sorrise: “Signorina Momomiya? Sono
la
dottoressa Shiori, potrei parlarle un attimo?”
Strawberry
annuì, puntellandosi sui gomiti così da sedersi,
e l'altra donna
scorse la cartellina attaccata alla fine del letto: “Io sono
una
ginecologa, signorina. Mi dispiace riferirle che, a causa delle
ferite ricevute, lei ha subito un aborto spontaneo.”
La
rossa sorrise tristemente, mentre le parole le rimbombavano nelle
orecchie: “Io non sapevo nemmeno di essere incinta. Mi era
venuto
il dubbio la mattina stessa dell'incidente, quando avevo visto il
pacchetto di assorbenti, ma non ho più avuto il tempo di
controllare...”
“Quindi
nemmeno suo marito ne era al corrente?”
Lei
scosse la testa: “No, e preferirei che rimanesse
così. Sarebbe un
duro colpo per lui.”
“Mi
dispiace, davvero,” la dottoressa Shiori le offrì
un sorriso
caloroso, posando una mano sulla sua spalla “Ma la voglio
anche
tranquillizzare, tutto è a posto. Non ci saranno problemi
per future
gravidanze, dovrà solo riguardarsi un po' più del
solito. In ogni
caso la terremo sotto controllo durante la sua degenza qui.”
“Grazie,”
Strawberry sorrise di rimando, un po' più sollevata,
nonostante
avesse già voglia di scappare da quel posto e rifugiarsi
nelle
sicure mura di casa sua.
Una
matassa di spettinati capelli biondi fece capolino dalla porta,
sovrastando l'espressione confusa di Ryan: “Buongiorno. Va
tutto
bene?”
La
dottoressa gli tese la mano: “Buongiorno, signor Shirogane,
io mi
chiamo Rumiko Shiori. Sono venuta soltanto a scambiare quattro
chiacchiere con la signorina Momomiya e a rassicurarla sulla sua
salute.”
L'americano
la occhieggiò: “Non ci sono problemi,
vero?”
“Assolutamente
no,” Shiori si scambiò un'occhiata d'intesa con la
Mew rosa “Ora
vogliate scusarmi, ma devo continuare il giro di visite.”
Quando
la dottoressa fu uscita, Ryan si voltò verso la ragazza:
“Sei
sicura di star bene?”
Lei
annuì, prendendogli la mano: “Sono solo controlli
di routine per
qualcuno a cui hanno squarciato la pancia.”
“Non
dire così, sciocca ragazzina,” ribatté
il biondo con una smorfia
preoccupata, dandole un buffetto sul naso “Soprattutto non
adesso
che stanno arrivando i tuoi genitori.”
“Oh
no,” Strawberry mugolò, sbattendosi le mani sulla
faccia “Adesso
mio padre mi ucciderà. Gli sarà venuto un infarto
quando gli avrai
telefonato! Ora che ci penso...” aprì le dita
quanto bastava per
poterlo guardare “Tu come fai ad essere ancora
vivo?”
Un
brivido invisibile percorse la schiena del ragazzo:
“Fortunatamente
ha risposto tua madre al telefono. Farei meglio ad andarmene di qui,
che dici?”
“Assolutamente
no!” la rossa lo agguantò per una manica
“Rimani qui ed affronta
il tuo destino insieme a me!”
Il
consueto rumore di sottofondo li avvertì che l'uragano
coppia
Momomiya stava per colpirli a tutta forza.
“La
mia bambina!” Sakura si lanciò sulla figlia,
stringendola in un
abbraccio mozzafiato, singhiozzando disperata.
“Mamma...
mamma, sto bene,” boccheggiò la più
giovane, lasciandole delle
pacchettine rassicuranti sulla schiena.
“Oh,
piccola mia, mi hai fatto morire di paura! Sapevo che eri maldestra e
ti sei sempre fatta male, ma non sei mai finita in ospedale per una
cosa del genere! Com'è successo, cos'hai fatto?!”
Mentre
Strawberry raccontava una scusa più o meno plausibile
riguardo le
sue ferite e l'attacco al Dome, Ryan uscì lentamente dalla
stanza,
per lasciare spazio ai genitori della ragazza e permettere loro di
passare un po' di tempo assieme indisturbati.
Prese
il cellulare di tasca, mandando un messaggio a Kyle per sincerarsi
delle condizioni di Kimberly, e controllò alcuni notiziari
online,
accertandosi che, come sempre, l'identità delle Mew Mew
fosse
protetta. Tutte le prime pagine, ovviamente, riportavano la notizia
della battaglia e di come strane forze si fossero alleate per
sconfiggere il nemico, ma nessuna di esse si avvicinava in modo
pericoloso alla realtà.
“Ragazzo.
Ti devo parlare.”
Alzò
lo sguardo, trovandosi Takashi a poca distanza, un'espressione scura
in viso. Ryan non aveva paura di molte cose, ma doveva ammettere che,
anche per il rispetto che provava per lui, il signor Momomiya era
capace di incutergli parecchio timore.
“Vorrei
sapere com'è successo,” continuò l'uomo
al silenzio del ragazzo.
“Gliel'ho
detto al telefono. Eravamo al Dome per partecipare alla festa, quando
tutto è iniziato a cadere...”
“Stronzate!”
Takashi gli si avvicinò ulteriormente, il viso furente,
inchiodandolo contro al muro “Ho visto i notiziari, ho visto
le
condizioni degli altri feriti. Ci sono tanti punti che non quadrano.
So per certo che voi non dovevate nemmeno essere alla partita,
perché
io ci portavo sempre Strawberry da piccola, e mi aveva telefonato
qualche giorno prima per raccontarmi quanto fosse dispiaciuta di non
poterci andare.”
“Le
ho fatto una sorpresa,” ribatté Ryan a denti
stretti; non riusciva
a capire da che parte stesse andando a parare il signor Momomiya, ma
le accuse che sembrava gli stesse mandando non gli piacevano per
nulla.
“La
sua è una ferita da taglio,” Takashi lo
ignorò, gli occhi color
pece che bruciavano di rabbia “E tu, tu sei tutto
intero.”
L'americano
sentì il sangue ribollirgli nelle vene: “Non
crederà forse che io
abbia aggredito Strawberry ed abbia usato l'attentato al Dome come
copertura, vero?”
L'uomo
scosse la testa: “Se avessi pensato che tu sia quel tipo di
uomo,
ti avrei tenuto lontano da mia figlia e mia nipote molto tempo fa.
Voglio solo la verità.”
Ognuno
sostenne lo sguardo dell'altro, ognuno cercando qualche tipo di
conferma. La mente di Ryan viaggiava veloce, rovistando per un
appiglio che potesse soddisfare il suocero; sapeva bene,
però, che
in quel momento non ne sarebbe stato in grado.
“Anche
quando lei era più piccola, ogni tanto notavo qualcosa di
strano, ma
non riuscivo mai a capire... poi è finito tutto
all'improvviso, e
adesso è ricominciato...” la voce del padre di
Strawberry si
affievolì “Ho sempre avuto un sospetto, ma mi
sembrava
impossibile, neanche lontanamente immaginabile che la mia
bambina...”
“Signor
Momomiya, io non so di cosa lei stia...” tentò il
biondo, ma
l'uomo più anziano sventolò una mano per fermarlo.
“Avanti,
ragazzo, dimmelo. Strawberry è... è una di... loro?”
Gli
occhi ghiacciati si spalancarono, il loro proprietario rimase senza
fiato. Com'era possibile che Takashi Momomiya avesse scoperto il
segreto?
Egli
rise senza divertimento, passandosi una mano tra i capelli:
“Sembro
pazzo, lo so. Ma è l'unica spiegazione che mi viene in mente
per
spiegare il comportamento di mia figlia. Sakura crede che io non
l'abbia mai capita, invece sono sempre stato bravo a comprenderla,
solo che non ho mai voluto dire niente. Credevo che certe cose
dovessero essere risolte semplicemente tra madre e figlia. E poi,
quella in rosa le è maledettamente somigliante.”
Ryan
rimase in silenzio, chiedendosi se l'uomo stesse ancora parlando con
lui o piuttosto da solo.
“Non
voglio neanche sapere cos'è successo, come è
successo, se sia
sempre stato così. Mi pare logico che anche tu abbia a che
fare con
tutto ciò.”
“Takashi,
signore. La devo pregare di non rivelare niente di tutto ciò
a
nessuno, nemmeno a sua moglie,” il biondo si
staccò dal muro,
osservando preoccupato il suo interlocutore “La segretezza
sta alla
base della sicurezza di sua figlia, e di tutte le altre.”
Takashi
annuì: “Vorrei solo sapere se... se è
mai stata più in pericolo
di così?”
“Le
posso assicurare che ho sempre fatto di tutto perché fossero
sempre
al sicuro,” il ragazzo tentò di sviare il
più possibile la
domanda, ben sapendo che in realtà l'uomo davanti a
sé non ne
voleva la risposta.
“D'accordo,”
Takashi si allontanò da lui, le spalle basse ed incurvate.
Sembrava
che dieci anni in più fossero improvvisamente calati su di
lui.
Ryan
lasciò andare un lungo respiro, riaggiustandosi la
maglietta,
seguendolo a breve distanza nella stanza di Strawberry.
Lei
gli lanciò un'occhiata curiosa, rispondendo alle domande
della
madre, e lui le rispose con un sorriso che tentava essere
rassicurante.
Poteva
fidarsi di Takashi? Sì, era sicuro che quell'uomo avrebbe
fatto di
tutto per la figlia, come d'altronde lui avrebbe fatto per la sua;
quindi il loro segreto era in buone mani. Takashi aveva senz'altro
realizzato i rischi che porre quella domanda comportava, ed anche
quelli che sarebbero sorti se per caso si fosse lasciato sfuggire
anche un solo dettaglio della faccenda.
Si
sedette nella poltroncina che aveva occupato tutta notte, che gli
fece dolere il fianco, osservando come la rossa interagiva
allegramente con i suoi genitori. Improvvisamente, gli mancò
Kimberly, la persona più vicina e simile a lui che potesse
avere,
l'unico collegamento materiale al concetto di famiglia a cui lui
potesse avvicinarsi.
“Ryan,
caro?” alzò lo sguardo su Sakura, che gli si era
avvicinata con il
solito sorriso premuroso “Tu sei sicuro di stare bene? Ti sei
fatto
controllare dai medici?”
“Sì,
grazie, non si preoccupi,” rispose, un po' più
duro di quanto
avrebbe voluto “Ho solo passato l'intera notte su questa
sedia, e
sono un po' stanco.”
“Perché
non ti fai accompagnare a casa da mamma e papà?”
s'intromise
Strawberry “Casa mia è più vicina a qui
che la tua, puoi farti
una doccia e mangiare qualcosa di decente. Sono sicura che
papà ha
dei vecchi vestiti che ti staranno bene.”
Non
poté non trasalire alla scelta di parole della rossa; a
volte si
dimenticava di quanto in realtà lei fosse giovane ed ancora,
in
certi versi, dipendente dalla sua famiglia.
Si
alzò di scatto dalla sedia, schiarendosi la gola:
“No, grazie, ma
non voglio creare disturbo. Se volete rimanere un po' qui da soli con
Strawberry, io passo da casa mia, poi da Kyle per prendere Kimberly.
Dovrei essere di ritorno tra non più di due ore.”
Lei
si accigliò, vedendolo salutare tutti con solo un gesto
della mano
ed un sorriso forzato, ed uscire prima che lei potesse aggiungere
più
che un Ciao.
Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
***
Anche
dall'altra parte della città, nel covo degli alieni, la
giornata era
incominciata presto, con la sensazione che la vita potesse
ricominciare a scorrere in modo normale.
Rui
era steso sul divano, la schiena scoperta, Espera seduta vicino a lui
che armeggiava con batuffoli di cotone e una bottiglietta sigillata.
“Quale
malefico intruglio stai usando che brucia da morire?”
esclamò
l’alieno.
La
compagna sorrise: “Qui sopra c’è scritto
‘Acqua ossigenata ’.
E non lamentarti tanto,
visto
che so che non fa così male… Kyle ha detto che fa
molto bene per i
tagli ed è un ottimo disinfettante, quindi ho deciso di
provarlo
invece di usare i nostri unguenti.”
“Sì
ma almeno quelli non sono così terribili!”
“Non
ti lamentare, fratellino, c'è qualcuno che sta
peggio!” Kert entrò
zoppicando nella stanza, sostenuto da Pharart, la gamba destra ancora
fasciata e piegata.
Espera
roteò gli occhi: “Dovresti stare a riposo
assoluto, la ferita non
si è ancora rimarginata!”
“Seles,
sai meglio di me che non sono capace,” si appoggiò
al bracciolo
del divano “Ho già riposato abbastanza, avevo
bisogno di uscire
dal letto.”
Lei
non commentò, limitandosi a constatare la punta di
nervosismo e
fastidio di una certa aliena seduta sul davanzale, e ritornò
a
prendersi cura delle ferite di Rui.
“Dovresti
ringraziarla, ti ha salvato la vita,” sussurrò
Pharart
all'orecchio dell'amico mentre lo accompagnava verso il balcone.
“Chi
ti ha detto che sono qui per parlare con lei?”
replicò il maggiore
dei Tha.
L'alieno
biondo gli lanciò un'occhiataccia: “Se ho fatto
tutta questa
fatica a portare in giro il tuo culone da novanta chili per niente,
ci penso io a ucciderti con le mie mani.”
Lui
ghignò e si staccò da lui, saltellando su una
gamba sola per gli
ultimi metri fino al davanzale, sul quale si lasciò cadere
pesantemente.
“Dovresti
davvero smetterla di alzarti ed andartene, la mattina.”
scherzò
irriverente.
Sunao
lo guardò di sbieco: “Pensavo fosse quello che
volevi da tutte
quelle che entrano nel tuo letto,” replicò
acidamente.
Kert
reclinò il capo, godendosi il Sole sulla pelle fresca:
“Ti avevo
detto di non farlo, Sunamora.”
-E
invece l'ho fatto lo stesso,-
voleva borbottare, ben sapendo a cosa si riferisse (*), ma si morse
la lingua. Sia per non dargli la soddisfazione di vederla fare una
ripicca come una bambina, sia perché dirlo a voce alta non
avrebbe
fatto altro che renderlo ancora più reale e lei
più vulnerabile.
“Credevo
saresti stato più gentile con chi ti ha salvato la
pelle,” decise
invece di rispondere.
“Mi
sembra di averti ringraziato abbastanza già a
Gaia.”
Lei
sbuffò. Ne aveva già avuto abbastanza di quella
conversazione. Il
suo lavoro era stato fatto, non vedeva l'ora di tornarsene a casa e
rimanerci per sempre. Ancora una volta, avrebbe cancellato il
suo
viso dai suoi ricordi... o almeno ci avrebbe provato.
“Cosa
facciamo adesso? Riguardo le Mew Mew?” Kert interruppe il
filo dei
suoi pensieri.
Sunao
scrollò le spalle: “Il Consiglio vuole che
torniamo tutti a casa.
Diranno che fin dall'inizio la missione era finalizzata ad eliminare
Profondo Blu, così il popolo sarà
contento.”
“Otto
mesi sulla Terra buttati al vento, quindi.”
“Non
per il Consiglio. Ci faranno una figura migliore se la spacceranno
per una missione di pace.”
Kert
sbuffò, innervosito. “Immagino che dovremo seguire
le regole.”
La
Messaggera si alzò: “Ci sarà una grande
festa al vostro ritorno,
dovresti esserne contento.”
Lui
la osservò, curioso: “Tu te ne vai?”
Sunao
sciolse i lunghi capelli: “Non ho più nulla da
fare qui, e non
appartengo alla squadra della missione. Non sarà per me, la
festa.
Sai benissimo che molte delle cose che faccio devono rimanere
segrete.”
“Lasci
a noi tutta la gloria?”
L'aliena
sorrise, sprezzante: “Se fosse la gloria ciò di
cui vado in cerca,
non sarei la Messaggera del Consiglio.”
“Allora
cosa cerchi?”
Lei
scosse la testa, incamminandosi verso l'interno della villa:
“Ciao,
Tha.”
Kert
incrociò le braccia dietro la testa: “La Sunao che
conoscevo io
una volta non sarebbe mai scappata. Lei adorava le sfide, ed amava
dimostrare di essere la più forte di tutti.”
Sunao
si bloccò. La stava forse prendendo in giro? Non aveva mai
voluto
curiosare troppo nella sua mente, ma in quel momento era poco lontana
dal farlo.
Se
c'era una cosa che non poteva sopportare, era che Kert Tha giocasse
ancora più sfrontatamente con i suoi sentimenti.
-Già,
sentimenti,-
pensò con una punta di disgusto. -Ed
io che lo lascio anche fare.-
Si
sentì afferrare per un polso, ritrovandosi quella faccia da
schiaffi
ed il suo ghigno irriverente a poca distanza dalla sua.
“Torniamocene
a dormire,” le sussurrò con un luccichio malizioso
negli occhi “Ho
ancora due o tre trucchetti da insegnarti...”
Lei
alzò gli occhi al cielo, cercando di liberare il braccio.
Fino a
qualche mese prima, sarebbe stato tutto ciò che avrebbe
voluto;
invece era caduta nella trappola che lei stessa aveva creato,
nonostante molte volte si fosse giurata che sarebbe stata attenta
perché aveva già patito troppo, e lui era
così insopportabilmente
sicuro di sé per lasciarlo vincere a quel modo, dopo tutto
quello
che lei aveva costruito per proteggersi e vincere.
La
stretta di Kert si rafforzò sulla sua pelle interrompendo
ancora i
suoi pensieri, la tirò lentamente a sé
appoggiando la fronte contro
la sua e catturandole le labbra in un bacio simile a quello che le
aveva dato al Dome: forte, deciso, e per certi versi,
disgraziatamente dolce.
“E
ci metterò tanto, tanto, tanto tempo ad
insegnarteli...” mormorò
l'alieno quando si staccarono, guardandola dritta negli occhi.
Avrebbe
tanto voluto mandarlo al diavolo tante volte quanti furono i battiti
accelerati del suo cuore... invece si limitò a rispondere al
suo
ghigno con un sorriso malizioso, voltandogli le spalle, e a mandare
al diavolo Espera che si stava mentalmente beando di aver avuto
ragione per l'ennesima volta.
***
Ryan
percorse lentamente il corridoio della clinica, esattamente due ore
dopo esserne uscito, come aveva previsto.
Era
passato da casa e si era concesso un pisolino di mezz'ora, una doccia
fresca e una tazza di caffè bollente. Poi era passato da
casa di
Kyle, mettendolo al corrente di ciò che Takashi Momomiya
aveva
scoperto. Come lui, l'amico aveva mostrato grande stupore.
“Ma
sono certo che il segreto rimarrà comunque al sicuro,”
gli aveva detto, allungandogli la borsa con le cose di Kimberly
mentre il biondo se la issava su un fianco “Sai
benissimo cosa un padre potrebbe fare per la propria figlia.”
Condividere
lo stesso pensiero di Kyle l'aveva sempre rincuorato; per lui era
come un fratello maggiore, una guida che gli indicava la direzione
giusta in qualunque situazione.
Le
tendine erano ancora tirate nella stanza di Strawberry, ma non ne
usciva suono, quindi dedusse che i suoi suoceri se ne fossero andati.
L'aprì con calma, in caso si fosse addormentata,
perciò si sorprese
di trovarla sveglia e vigile.
“Ehi,
eccoti qua!” esclamò sorpresa “Volevo
chiamarti, ma poi mi sono
resa conto di non avere idea di dove sia il mio cellulare.”
L'americano
appoggiò giubbotto e casco della moto sulla poltroncina,
dirigendosi
poi verso la sedia più vicina al letto: “I tuoi
effetti personali
sono tutti qui, nelle cassette di sicurezza. Vuoi che vada a
riprenderli più tardi?”
“Sì,
grazie,” la rossa lo osservò sedersi “E
Kim?”
“Sono
passato a prenderla a casa di Kyle e l'ho portata da Mina e Quiche,
perché sono gli unici che possono tenercela per un po'. Non
poteva
venire qui, non vogliamo che vi contagiate a vicenda.”
“Giusto.
Però non vedo l'ora di vederla.” gli prese la mano
“Va tutto
bene?”
“Sì,
è solo che... no, niente, lascia perdere.”
“Dai,
dimmelo.”
Ryan
appoggiò il mento sulla mano: “E' che a volte, con
tutte le cose
che abbiamo passato, mi dimentico di quanto tu sia ancora...
piccola.”
La
rossa si acciglio: “Piccola?”
Lui
rise, tracciando linee invisibili sul palmo di lei con un dito:
“Prima hai chiamato casa
quella in cui abitavi con i tuoi genitori, nonostante ti fossi
già
trasferita nel tuo monolocale, e siano ormai quasi due che abiti con
me. Tendi a farlo molte volte. Non hai nemmeno ancora cambiato il tuo
cognome con il mio. So che può sembrare sciocco, e non sei
nemmeno
tenuta a farlo, ma ogni tanto mi sembra come se non riuscissi ancora
a considerare noi
come una famiglia.”
Il
singulto che provenne dalla gola della ragazza gli fece alzare lo
sguardo di scatto, andando ad incrociare gli occhioni marroni pieni
di lacrime.
“Ti
ho ferito,” singhiozzò Strawberry “Mi
dispiace, ma lo sai che
quando io sto male mi trasformo nella bambina piagnona e mi manca la
mamma, e...”
“Oh,
baby,”
Ryan non riuscì a trattenere un sorriso mentre si sedeva sul
bordo
del letto e la stringeva dolcemente tra le braccia “Non devi
piangere per una sciocchezza simile. Lo so che sei una
frignona.”
Lei
rise tra le lacrime, strofinando la guancia contro la sua maglietta:
“Antipatico... e comunque noi
siamo
una famiglia. Però il mio cognome mi piace di più
del tuo.”
“In
effetti mi riporta a tempi divertenti chiamarti Momomiya.”
“Mi
sfruttavi sempre.”
“You
loved it.”
Un
leggero bussare alla finestra li distrasse; il biondo si
alzò e
scostò la tendina, rivelando Quiche dall'aria stanca con in
braccio
Kim, ciuccio in bocca e le guance striate da lacrime asciutte.
“Cos'è
successo?” domandò l'americano, uscendo
velocemente nel corridoio
e prendendo in braccio la bimba.
“Si
è svegliata da un riposino e voleva disperatamente la
mamma,” gli
spiegò l'alieno “Così mi sono
teletrasportato qui prima che anche
Mina si mettesse a piangere dallo sconforto.”
“Mama!”
esclamò la piccola, appoggiando la manina contro il vetro e
chiudendo e aprendo le ditina paffute come la rossa stava facendo
dalla sua stanza.
“Mommy's
sick, bumblebee,”
le disse il padre “Devi stare un po' con la zia Mina, poi
papà
stasera viene a prenderti.”
“Mama
what?”
domandò lei, gli occhioni marroni pieni nuovamente di
lacrime.
“La
mamma è inciampata e si è fatta la
bua,” le spiegò pazientemente
Ryan, per una volta usando un termine da bambini anche con la sua
precoce bimba.
Questa
si girò nuovamente verso la finestra, sorridendo quando
Strawberry
le lanciò un paio di baci.
“Ci
stai un po' con lo zio Quiche e la zia Mina? Ci sono un sacco di
stanze da esplorare e un sacco di vestiti! Stasera torniamo a casa,
d'accordo?”
Kimberly
guardò il suo papà: “Ice-cream?”
Il
biondo rise, dandole un bacio in fronte: “Sì,
mangiamo anche il
gelato, ma non diciamolo alla mamma!”
Lei
annuì, convinta ma ancora un po' titubante, e
allungò le braccia
verso lo zio,
che
sorrise.
“Ci
sai fare con le donne, eh biondino?”
“Con
lei soprattutto,” si salutarono con un sorriso, e Ryan
ritornò
dentro la stanza mentre Quiche si teletrasportava nuovamente verso
casa.
Strawberry
sbadigliò per l'ennesima volta, appoggiandosi meglio sui
cuscini:
“Non vedo l'ora di andarmene a casa. Odio
l'ospedale.”
“Lo
so, ma non uscirai di qui finché non lo dice il medico, non
un
giorno prima.”
“Sì,
capo.”
***
Una
settimana dopo, l'estate arrivò in grande stile,
risollevando gli
animi mentre Tokyo si riprendeva pian piano dall'attacco e ognuno
tornava alla solita, tranquilla ed amata routine.
Il
Caffè Mew Mew era ormai chiuso per ferie, e lo sarebbe stato
fino
alla fine d'agosto, per permettere al suo staff di godersi di un po'
di meritato riposo dopo mesi a dir poco avventurosi.
In
quel momento, però, una piccola “festa
d'addio” stava volgendo
al termine – gli alieni di Gaia erano pronti per ritornare
sul loro
pianeta.
“Be',
non c'è molto da dire,” esclamò Kyle,
in mano un fresco bicchiere
di limonata “Come in passato, siamo riusciti ad abbattere le
diversità tra di noi ed unirci per una causa comune, e
questo è
motivo sicuramente di festa.”
“Basta
che voi cugini non vi mettiate di nuovo in testa di
distruggerci,”
scherzò Quiche con un ghigno, lanciando un'occhiata poco
carina al
cugino dagli occhi dorati.
Rui
scosse la testa, sorridendo: “Abbiamo parlato con il nostro
Consiglio. La Terra sarà lasciata in pace e considerata un
alleato
prezioso.”
“In
altre parole, se mai un giorno avrete bisogno, fate un
fischio,”
Pharart rivolse a tutti un occhiolino.
Strawberry,
seduta su una sedia perché ancora convalescente ed uscita
giusto
quella mattina dalla clinica, annuì: “Lo stesso
vale anche per
voi.”
Espera
fece un passo avanti, le gote colorite per quell'atmosfera di
contentezza così estranea tra di loro: “E'
arrivato il momento di
andare. Vi ringraziamo anche per l'ospitalità che ci avete
offerto.”
Ryan
le sorrise, tendendole la mano: “Il piacere è
stato nostro.”
Si
strinsero tutti la mano a vicenda, con Paddy che come al solito
strafece lanciandosi ad abbracciare ognuno degli alieni, perfino
Sunao.
“Mettevi
in contatto con noi, ogni tanto!” esclamò contenta
la più giovane
del gruppo “Le tecnologie di Pie sono sicuramente in grado di
raggiungervi!”
Il
Comandante annuì con un sorriso: “Lo faremo di
certo.”
Si
avviarono tutti verso il parco, nel luogo dove l'astronave aliena era
stata nascosta al loro arrivo grazie a degli speciali schermi, e si
salutarono per un'ultima volta.
“E
così, anche questa è fatta,”
commentò Kert, osservando il gruppo
che diventava sempre più piccolo mentre lentamente la
navicella
prendeva quota.
Sunao
rise: “Sei diventato triste?”
“No,
però forse un po' mi mancherà la Terra e tutti i
suoi divertimenti
strani. Chissà, magari ogni tanto potrei prendere una
capsula e
scendere a fare un giro.”
Zaur
e Pharart si scambiarono un'occhiata preoccupata prima di ridere, e
la Messaggera scosse la testa, in fondo anche lei divertita,
allacciandosi una cintura attorno alla vita per prepararsi al salto
di velocità che presto avrebbero fatto.
Ricambiò
il sorriso di Espera, ed entrambe chiusero gli occhi, contente. Era
finalmente ora di tornare a casa.
Sulla
Terra, le Mew Mew rimasero a naso in su finché quel puntino
lontano
sparì all'improvviso.
“Bene,
se ne sono andati!” Paddy si stiracchiò, lanciando
le braccia al
cielo in un turbinio di capelli biondi “Siamo ufficialmente
libere... ed in vacanza!”
“Mi
sembra che sia passato un secolo dalla prima volta che gli abbiamo
incontrati,” commentò Mina, incamminandosi sul
sentiero che
portava al Caffè “Ve lo ricordate?”
“E
come dimenticarlo!” le rispose la Mew Gialla “Erano
talmente
belli!”
Tutte
risero, lanciando occhiatine nervose ai ragazzi davanti a loro.
“Cosa
farete adesso?” domandò Lory, saltellando cauta
sulle stampelle
“Io e Kyle pensiamo di andare qualche giorno negli Stati
Uniti una
volta che sarò guarita.”
“Io
devo tenere quest'orrendo gesso ancora una settimana, poi
incomincerò
fisioterapia e contemporaneamente i miei allenamenti, e poi voglio
andare qualche giorno in Francia a rilassarmi,”
esclamò contenta
la Mew Blu.
“Io
inizierò le riprese di un film tra poco, ma non dovrebbe
essere una
cosa lunga,” rispose pacata Pam.
“Invece
io e Tart andremo in Cina a trovare mio papà!”
Paddy saltellava da
un piede all'altro poco davanti a loro “E grazie al
teletrasporto
non dovremo pagare niente.”
“E
tu, Strawberry?”
La
rossa sorrise alla sua amica dai capelli verdi: “Credo che io
e
Ryan andremo un po' al mare con Kimberly a non fare assolutamente
nulla.”
“Oh,
lo so io cosa farete...!” sogghignò la Mew blu,
causando
un'improvvisa comparsa di orecchie e coda da gattina nere.
Paddy
si bloccò all'improvviso, con sguardo triste:
“Ma... allora non ci
vedremo mai, questa estate.”
“Non
dire così,” Pam le mise una mano sulla spalla,
sorridendole serena
“L'hai appena detto, con il teletrasporto sarà
facilissimo
raggiungerci quando vorremo.”
“E
poi abbiamo già passato abbastanza tempo assieme, non ti
pare? Tutto
questo stress mi sta facendo venire le rughe!”
“Quello
che Mina vuole dire,” Strawberry guardò di sbieco
la ballerina “E'
che ci meritiamo tutte un po' di vacanze e di relax, per riprenderci
e staccare un po'. Ma non per questo ci perderemo di vista, in fondo
ci siamo ritrovate dopo cinque anni! Sono stati anni intensi, non
credete?”
Ci
fu un mormorio di assenso generale, mentre ognuna si perdeva nei
propri pensieri riguardo a tutto ciò che avevano passato da
quel
giorno in cui, per caso, o molto più probabilmente per
destino, si
erano ritrovati tutti davanti al Caffè ormai abbandonato,
quasi due
anni prima.
“E
poi, Paddy,” la rossa riprese, con un sorriso “Il
tuo
diciottesimo compleanno è il sette agosto, quindi dovremo
assolutamente ritrovarci al mare e festeggiare!”
“Sìììììììììììììì!”
la biondina spiccò un salto “Hai sentito,
capo?”
Ryan
si girò, ormai avvezzo a quel nomignolo che comunque
continuava a
negare: “Cosa state combinando voi cinque?”
“Niente,
si fanno solo programmi per l'estate,” Strawberry lo
raggiunse,
agganciandosi al suo braccio libero, l'altro impegnato a reggere Kim.
“Non
ditemelo, avete intenzione di sfasciarmi di nuovo la casa al mare,
vero?” sospirò lui.
“Eddai,
Mister Biondo, non potresti vivere senza di noi,” lo prese in
giro
Mina.
“Non
chiamarmi così!”
Kyle
sorrise, aprendo la porta del Caffè: “Su, forza!
Ci sono i dolci
da finire, poi possiamo chiudere ed andare ufficialmente in
vacanza!”
Alla
parola dolci,
tutto il gruppetto si mosse più velocemente, ridendo e
scherzando
con una leggerezza di spirito che non avevano provato per un lungo
tempo.
Il
moro li osservò ad uno ad uno, con affetto, notando quanto
fossero
in fondo cambiati in quei mesi passati assieme.
Tutto
era iniziato lì, al Caffè, molti anni prima; era
ripreso nel
medesimo posto ed ora era lì che si chiudeva, lasciando
spazio a
qualcosa di nuovo, intrecciato con quel filo rosso del destino che li
univa tutti e che non si sarebbe mai spezzato.
Con
un ultimo sorriso, chiuse la porta.
(*)
Cfr. Cap. 19 Burning
in me
Chi
è che finisce un capitolo alle undici di sabato sera?
Ioooooo :D Chi
è che non ha Internet per pubblicarlo subito? Sempre
iooooooooo xD
Adesso le vacanze sono finite (sad face) e quindi eccomi qui ^^
Mi
sono fatta prendere come al solito la mano, ma è il
penultimo
capitolo (argh) e dovevo tirare un po' le fila di tutto :)
Spero
di non essermi dimenticata niente, e spero che la conclusione della
storia vi stia piacendo. Come avete visto, sono stata abbastanza
clemente ;) Se vi dicessi come sarebbe dovuta finire all'inizio,
nella prima “bozza”, probabilmente mi lincereste XD
Ah, nota
informativa per chi come me è fissato con date ed
età: qui dico che
Paddy ha 18 anni perché ho fatto due conti veloci: la fic
è stata
iniziata nel 2006 perché era il periodo in cui si
trasmetteva
l'anime, quindi il “passato”. Più cinque
anni (il salto che fa
la fic) si fa il 2011, più due anni di avventure fa il 2013,
cioè
ora ;) Senza volerlo, lo giuro!
Spero
di riuscire a terminare e pubblicare l'ultimo capitolo prima del 25
agosto, quando teoricamente dovrei partire... ma non posso
assicurarvi nulla perché si sta rivelando difficile xD
Bene,
ringrazio davvero chi è arrivato fin qui – ho
avuto un sacco di
letture in più del solito per il capitolo precedente, quindi
grazie
moltissimo perché sono stata piacevolmente sorpresa! Magari
lasciatemelo un commentino, dai, giusto perché stiamo
arrivando alla
fine ;)
Un
bacione a tutti e a presto con l'ultimo capitolo!!!
Hypnotic
Poison
|
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Capitolo 30 *** Epilogo - Mele e Caramelle ***
Epilogo
– Mele e Caramelle
Il
rumore di piedi scalzi rimbombava sommesso nel corridoio.
Kimberly
Shirogane, cinque anni e mezzo, mezzo metro di capelli biondi ed un
orso di peluche grande quanto lei, accostò silenziosamente
l'orecchio alla porta della stanza dei suoi genitori.
Non
udendo alcun rumore, s'arrischiò ad aprire, e
zampettò in punta di
piedi fino al lato del padre, aspettando zitta. Contò fino a
centottanta; quando nessuno si mosse, bisbigliò:
“Papà! Papà, mi
avevi promesso che con il nuovo anno sarebbe arrivato il
fratellino!”
Ryan
sospirò, girandosi di schiena e passandosi una mano sugli
occhi:
“What's
that, bumblebee?”
“Il
fratellino!”
Il
biondo guardò la sveglia sul comodino, che segnava le otto
del
mattino del due gennaio 2018. “Mancano ancora due mesi, sweetheart.
Lo sai che ce ne vogliono nove.”
Kimberly
fece una buffa faccia contrariata, simile a quella della madre.
Nonostante fosse molto precoce per la sua età, sebbene non
come lo
era stato il padre, spesso era ingenua ed infantile come ci si
sarebbe aspettato. “Mi hai ingannata!”
Ryan
rise, girandosi per sollevarla da sotto le ascelle e portarla nel
lettone: “Guarda che la mamma si arrabbia se la
svegli.”
“Sono
già sveglia,” mugugnò Strawberry da
sotto le coperte.
“Hi
mommy!” Kimberly gattonò
nell'altro lato del lato per infilarsi sotto il
braccio della rossa e darle un bacio sulla guancia.
“Perché
mi dovete sempre svegliare?” piagnucolò, facendo
il solletico alla
bimba “Siete crudeli!”
“Tanto
dobbiamo andare al Caffè, oggi torna la zia Pam con
Roa!” la
biondina si lanciò nel mezzo del letto, in tempo per essere
catturata dal padre.
“Forza,
vai a fare colazione, Nina ti sta aspettando!”
“All
right,”
la bimba trotterellò giù, trascinando l'orsetto
lungo il pavimento.
Quando
la porta si chiuse, Ryan si voltò per andare ad accarezzare
quella
bella pancia tonda di sette mesi che puntualmente lo costringeva
giù
dal letto tutte le notti per soddisfare strane richieste culinarie.
“Dormito bene?”
“Mmmhm,”
Strawberry si mise sgraziatamente sulla schiena, scalciandosi la
coperta di dosso “Ho avuto caldo.”
Il
biondo rise: “Solo tu puoi avere caldo a gennaio, sweetheart.
Forza, muoviamoci o faremo tardi.”
“Io
ho sempre fatto tardi,” si lamentò lei
“E' la mia
caratteristica. Quindi torno a dormire e tu vai senza di me.”
Ryan
la tirò delicatamente per un braccio finché non
fu in posizione
seduta: “Andiamo, altrimenti Mina se la prenderà
con me. Le avevi
promesso che saresti stata puntuale per la rimpatriata del nuovo
anno.”
“D'accooooordo,”
sbadigliò sonoramente, “Questa pancia è
così faticosa, con Kim
non era così!”
“Sei
stata tu a volerci provare così presto, darling,”
il biondo la spinse verso il bagno, aprendole la doccia ed
allungandole il suo sapone preferito, spalmandosi contemporaneamente
un velo di schiuma da barba sulle guance “Non è
colpa mia se con i
miei geni da superuomo ci siamo riusciti subito.”
“Ahah,”
si fece cullare dall'acqua calda, il sorriso un po' affievolito,
osservando le goccioline rimbalzare sul pancione, mentre il ricordo
di quella mattina in ospedale le si affacciava alla mente.
Ogni
tanto ci pensava: come sarebbe stato, cosa sarebbe potuto succedere,
se sarebbe stata comunque incinta in quel momento. Non le piaceva
soffermarcisi troppo, però. Era passato il tempo in cui
poteva
permettersi di fantasticare a lungo, e certi ricordi pungolavano
troppo il cuore per essere portati a galla molto spesso.
“Straw?”
la voce del marito la fece trasalire “Sei lì
dentro da venti
minuti in silenzio, va tutto bene?”
Si
schiarì la gola, afferrando l'accappatoio e facendogli una
linguaccia: “Te l'ho detto che sono stanca. Vado a vestirmi,
tu
controlla che Kim sia pronta.”
Ryan
le lasciò un bacio sulla sommità della testa,
mentre la rossa si
avviò verso il suo armadio, che occupava l'intera parete
sinistra
della loro camera da letto.
Dopo
quasi sette anni insieme, Ryan si era dovuto arrendere e glielo aveva
fatto costruire proprio come piaceva a lei, limitandosi ad un
più
sobrio armadio a due ante ed una cassettiera dal lato opposto, che
non potevano che sfigurare. D'altronde, dopo tutto quel tempo passato
con Mina, era il male minore a cui Strawberry lo poteva assoggettare.
Venti
minuti dopo, la famiglia Shirogane passeggiava in direzione del
rosato locale, Kimberly ben stretta tra i due genitori ed imbacuccata
per benino, che parlava senza sosta proprio come la madre.
L'americano
un po' temeva quello che sarebbe potuto succedere con quelle due e
tra
quelle
due negli anni avvenire, perciò era molto contento che il
bimbo in
arrivo sarebbe stato un maschietto; forse avrebbe finalmente
avuto qualcuno dalla sua parte.
L'aria
calda del Caffè provocò un piacevole pizzicore
sulle loro guance
raffreddate dall'aria di gennaio.
“Ciao
zio Kyle, ciao zia Mina!” cinguettò allegra
Kimberly.
“Ciao
mostriciattolo!” Mina si chinò e
l'abbracciò, schioccandole un
bacio sulla guancia “Sei pronta per ricominciare le tue
lezioni di
danza?”
La
biondina annuì, sventolando una mano in direzione di Paddy e
Tart
che erano appena usciti dalla cucina. “Dov'è zia
Pam?”
“Il
loro aereo dovrebbe atterrare tra poco, non preoccuparti.” le
rispose Kyle, porgendo loro un vassoio di cioccolata calda
“Venite,
sistemiamoci al bancone.”
Appesi
i cappotti nei rispettivi ganci, il gruppetto si sistemò
attorno
alla cassa; il locale era ancora quasi vuoto, perciò non
avrebbero
dato fastidio.
“Allora,
ammettetelo che è stato noioso festeggiare Capodanno senza
di noi!”
esclamò Paddy, il labbro superiore macchiato da uno sbaffo
di
cioccolata.
“Io
ero a Parigi,” rispose sorniona la ballerina “Non
posso certo
lamentarmi.”
“Dai,
tu che non ti lamenti? Non mi dire!” la prese in giro la
rossa,
sedendosi goffamente su uno sgabello.
L'amica
le fece una smorfia, per poi rivolgersi a Kyle: “Anche il
Capodanno
tuo e di Lory si dice sia stato interessante...” tutti
ridacchiarono nel vedere l'imbarazzo sul viso del bel pasticciere
“A
proposito, dov'è la nostra futura sposina?”
“Doveva
consegnare un ultimo documento per la tesi, sarà qui a
momenti.”
“Quiche,
invece?”
Mina
cambiò subito espressione alla domanda del più
giovane degli
Ikisatashi: “Perché dovrei saperlo, non sono mica
la sua ragazza.”
“Oh,
andiamo!” sbuffò Strawberry “Ancora con
questa storia degli
amici?!”
“Amici
intimi,”
ridacchiò Paddy, guadagnandosi un'occhiataccia.
Ryan
scosse la testa: “Bumblebee,
did you bring your coloring book with you?”
La
bimba annuì, mostrandogli l'album con le figure da colorare:
“Posso
andare a sedermi a quel tavolo mentre aspetto Roa?”
“Ecco,
prendi anche due biscotti!” Kyle glieli porse e lei si
accomodò
tranquilla, dondolando le gambe paffute dal bordo della sedia.
Mina
guardò con la coda dell'occhio una delle giovani cameriere,
che
indossava una divisa bianca. Nessuna di loro lavorava più al
Caffè
da tempo, ormai, ma ne avevano acquistata ognuna una quota, pur
lasciando la maggior parte della proprietà e le redini del
tutto a
Ryan e Kyle. Si ritrovavano comunque tutte lì, e le azioni
di
monitoraggio non si erano mai interrotte del tutto. L'unica
differenza era che il laboratorio era costantemente chiuso a chiave,
la quale era in possesso solo di Ryan, e che le loro storiche divise
erano state ritirate, in quanto le cinque ne erano troppo gelose per
lasciarle ad altre ragazze, che perciò indossavano semplici
vestiti
bianchi.
“Come
se la stanno cavando?” mormorò la mora.
Strawberry
alzò le sopracciglia: “Lavorano sicuramente di
più di quanto non
facessi tu.”
“Se
non fossi incinta ti prenderei a schiaffi, Momomiya.”
“In
realtà, sarebbe Shirogane.”
“Zitto
tu, l'hai sempre favoreggiata solo perché le morivi
dietro.”
Kyle
rise sotto i baffi, preparando un vassoio per una delle cameriere.
Era incredibile per lui come niente fosse cambiato, in quegli anni.
Poteva aspettarsi sempre una delle solite baruffe da adolescenti.
“Mi
sono persa qualcosa?” Lory entrò in quel momento,
riavviandosi i
capelli tagliati a caschetto dopo essersi tolta il berretto di lana.
“Vedere
l'anello!!!” fu la risposta collettiva che le sopraggiunse
dalle
amiche, così sporse la mano sinistra per mostrare quel
semplice
anello con un bel diamante che Kyle le aveva regalato alla mezzanotte
del nuovo anno.
“Sì,
non male,” giudicò Mina “E la
data?”
“Prima
mi devo laureare,” rispose la Mew verde “Poi vorrei
trovare
lavoro in uno studio, quindi non prima di un paio d'anni,
direi.”
“Uffa,”
borbottò Strawberry “Io volevo tanto festeggiare
un bel
matrimonio.”
“Possiamo
sempre convincere Pam e Pie a fare una cerimonia,”
tentò la più
giovane “Il matrimonio super veloce in comune sarà
anche stato
romantico, ma io voglio una festa.”
“Sai
che mio fratello non è un appassionato di queste
cose,” le ricordò
Tart.
“Se
Mina è riuscita a convincere Quiche a mettersi una cravatta,
non
vedo perché non potremmo convincere Pie.”
La
mora alzò gli occhi al cielo: “Mi spiegate
perché dovete sempre
tirare in ballo me?”
Paddy
sospirò, appoggiandosi con entrambe le braccia sul bancone:
“Avanti,
racconta, cos'è successo stavolta?”
“Niente.”
“Mina!
“Uffa!
Abbiamo... bisticciato,
va bene?”
“Particolari.”
“No!”
“Aizawa!”
La
mora sbuffò vistosamente, portandosi i capelli dietro la
spalla.“Stavamo... colorando,
l'altro giorno,” lanciò un'occhiata veloce a
Kimberly, che sedeva
tranquillamente ad un tavolo con matite e un libro di figure da
riempire “Era un po' che non ci vedevamo, così...
vabbè,
insomma... nel... momento clou,
be'...”
“Non
sono sicuro di volerlo sentire...” gemette Ryan, pigiando le
mani
sulle orecchie e voltandosi verso il muro.
Lei
lo fulminò con lo sguardo: “Sappi che la colpa
è tua, Mister
Biondo!”
“Insomma,
Mina, cos'è successo?” insistette Paddy.
“Be'...
mi sono spuntate le ali, lui si è messo a ridere e a
prendermi in
giro, così l'ho buttato fuori.”
“Ma
dai, Mina!” Strawberry rise “Non è mica
qualcosa di così
grave.”
Ryan
sollevò un sopracciglio: “Eppure con me ti ostini
ad arrabbiarti
se succede.”
“Visto
quanto voi due colorate,
non mi stupisco.” sghignazzò la Mew gialla.
Kimberly
alzò la testa in quel momento, li osservò tutti
con aria annoiata e
un po' saccente: “Guardate che lo so che si chiama fare
l'amore.
Come pensate che papà abbia messo incinta la
mamma?”
La
ballerina sbatté un paio di volte le palpebre, rompendo per
prima
il silenzio generale: “Non potevate aspettare un po' di
più per
spiegarle certe cose?”
“Ci
abbiamo provato!” bisbigliò Ryan
“Strawberry ha deciso di
raccontarle una storia con un seme di cocomero, e un'ora dopo
è
venuta da me con in mano l'enciclopedia della scienza aperta sulle
pagine della riproduzione!”
La
rossa scosse la testa: “Non so nemmeno perché ci
ostiniamo a
mandarla in prima elementare, a settembre.”
“In
ogni caso, io ho finito di raccontarvi della mia vita
privata.”
Lory
mise una mano su quella dell'amica: “Vedrai che le cose si
sistemeranno, tra te e Quiche.”
Mina
fece per replicare, ma la porta principale si aprì,
scatenando un
urletto di gioia da parte di Kimberly: “Roa!”
La
bionda corse verso la bimba più piccola, identica alla sua
bella
mamma ma con i colori del papà, ed altrettanto quieta, Roa
Fujiwara-Ikisatashi era arrivata come una sorpresa due anni dopo la
fine della battaglia contro Profondo Blu.
Salutò
con un sorriso timido quei volti familiari, accettando la mano che
Kim le tendeva.
“Mamma,
possiamo andare a giocare in cucina?” chiese quest'ultima
alla
rossa.
Strawberry
sorrise: “Sì, ma dovete obbedire allo zio Kyle se
viene di là, e
non disturbate le ragazze.”
Osservando
intenerita le due bambine sgattaiolare in cucina semplicemente
passando sotto la porta da saloon, Pam andò ad abbracciare i
suoi
amici, soffermandosi per posare una mano sul ventre della rossa:
“Che
bella pancia che hai.”
“E'
una peste,” replicò lei con un sorriso dolce
“Tutte le volte che
veniamo al Caffè incomincia a fare le capriole
perché sente il
profumo dei dolci.”
“Ho
avuto finalmente notizie da Gaia,” annunciò Pie
dopo qualche
istante di chiacchierare vaghe sui vari festeggiamenti.
“Com'è
la situazione là?” Lory soffiò sulla
sua tazza di cioccolata
“L'ultima volta che ci siamo sentiti è stato quasi
due anni fa
quando Espera ci ha raccontato che era nata Selene.”
Pie
annuì: “Penso vada tutto bene, anche se mi hanno
raccontato che ci
sono un po' di tensioni. Credo che la loro situazione politica non
sia più stabile come una volta. Ma i nostri cugini stanno
bene.”
“Purtroppo!”
Quiche comparve di soppiatto in mezzo a loro, ghigno sghembo sul viso
come al solito, afferrando al volo un pasticcino.
Mina
alzò gli occhi al cielo: “Ancora con questa
storia? Sono passati
cinque anni!”
“Davvero,
Quiche, sarebbe ora che anche tu crescessi, ormai sei un vecchiaccio
di ventisette.”
“Okay,
okay, non vi coalizzate subito, sono appena tornato!”
alzò le
braccia in segno di difesa, stringendo gli occhi in direzione di
Paddy “E tu cos'è che continui a
scribacchiare?”
La
bionda sorrise, premendo sul foglio per mettere un punto fermo e
chiudendo il quadernetto con un piccolo tonfo: “E' il mio
diario!
L'ho iniziato con il nuovo anno, ho intenzione di scrivere di tutto e
tutti, vecchie avventure comprese! Così un giorno lo
leggerò ai
miei nipoti!”
Tart
la guardò con un'espressione spaventata: “Ehi,
adesso non correre
troppo.”
Kyle
rise, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo:
“Passerà più
in fretta di quanto tu non creda.”
“Sì,
però per adesso non ci voglio pensare.”
Strawberry
sorrise, accarezzandosi distrattamente la pancia, reprimendo uno
sbadiglio che le era causato dal dolce tepore del Caffè e
dal
chiacchiericcio dei clienti. Ripensò a quella mattina,
rendendosi
conto che, in fondo, aveva tutto quello che aveva sempre voluto.
“Guardate,
ragazze, nevica!”
Le
due si voltarono verso la finestra, appannata da candidi fiocchi che
scendevano lenti.
Ryan
e Strawberry si guardarono, contando all'unisono fino a tre.
“Mamma,
papà!” Kimberly apparve al momento previsto,
eccitatissima
“Andiamo fuori a giocare, per favore!”
“Prima
infilatevi i cappotti,” le ammonì Pie.
La
rossa strinse forte la mano dell'americano, seguendo la figlia per il
vialetto sul retro. Guardò i suoi amici, ormai una vera
famiglia,
finalmente spensierati e felici.
Sì,
si disse. Aveva tutto quello che si poteva desiderare; se l'erano
guadagnato, e non l'avrebbe cambiato per niente al mondo.
***
Paddy
sorrise, riponendo quel vecchio diario un po' impolverato sopra la
pila dei suoi fratelli. Erano ognuno così grosso e
strapazzati che
aveva paura si sarebbero rotti se non fosse stata cauta.
Prese
il più nuovo di tutti, quello che ancora doveva finire di
riempire;
sfogliò velocemente le pagine: sì, le sarebbero
dovute bastare per
raccontare le ultime cose.
Afferrò
la sua speciale penna stilografica, riservata a quelle occasioni,
inforcò gli occhiali ed incominciò.
22
agosto 2092
Ci
sarebbero tante cose ancora da scrivere su di noi, ma non
basterebbero migliaia di pagine per potervi raccontare quello che
davvero è voluto significare far parte di quella famiglia.
Ormai
credo che l'abbiate capito, no? Noi eravamo una famiglia, lo siamo
stati dal primo momento in cui abbiamo messo piede al Caffè.
Forse
ci abbiamo messo un po' di tempo a capirlo, ma è stato
così.
Ora,
però, è giusto che io dedichi un po' di tempo ad
ognuno di loro,
singolarmente, per salutarli come si deve... e per dirgli arrivederci
un'altra volta.
Strawberry
e Ryan... che dire, loro ce l'hanno fatta. La coppia più
improbabile
di tutte, eppure quella per cui tutti noi abbiamo sempre tifato. Se
esiste qualcosa come le anime gemelle, loro due ne sono stati un
esempio. Hanno creato la famiglia perfetta, e tutti noi li abbiamo
sempre presi a modello... senza dirglielo, ovviamente, Ryan ci
avrebbe scannati.
Dopo
Kimberly, brava bella e soprattutto intelligente (e con la stessa
linguaccia lunga della mamma), hanno avuto il piccolo Luke - la
fotocopia sputata di Strawberry, ma con la stessa timidezza del
padre, ed una cotta spropositata per Pam. Tutte le volte che da
piccolo veniva al Caffè, si nascondeva dietro alle gambe del
padre
ed osservava la modella da lontano. A qualche San Valentino ha
trovato perfino il coraggio di mandarle dei disegni. Naturalmente la
cosa si è poi attutita nel tempo, ma non gli è
mai passata davvero.
Lo abbiamo sempre un po' preso in giro, povero caro, ma era bravo a
stare al gioco.
Tre
anni dopo lui è arrivata Katherine, denominata Kitty Cat per
le sue
indomite qualità feline. Occhi azzurri e capelli rossi, solo
i Kami
sanno quanti capelli deve aver perso Ryan dietro quel tornado di
figlia ed i suoi innumerevoli spasimanti. Almeno in quello lui e
Takashi Momomiya si sono alleati.
Come
ci si aspettava, sono tutti e tre super intelligenti. Kimberly parla
cinque lingue ed ha preso le redini delle aziende del padre; Luke
è
diventato primario di neurochirurgia all'ospedale di New York;
Kathrine è diventata scienziata in chimica biomolecolare
(con
qualche titolo dal nome importante che non riuscirò mai a
ricordare)
ed ha lavorato in famiglia, seguendo le ricerche del padre e del
nonno. Tutti e tre si sono sempre ovviamente divisi tra gli Stati
Uniti ed il Giappone, soprattutto dopo la morte dei loro genitori.
Ryan
e Strawberry se ne sono andati praticamente insieme. Il primo di noi
ad arrendersi, se volete, è stato proprio il nostro caro
americano.
Alla fine, l'avere un DNA “contaminato” ha avuto la
meglio su di
lui.
Si
è spento nove anni fa, nel letto della sua villa al mare,
pacificamente, alla comunque nobile età di 92 anni;
Strawberry era
ovviamente al suo fianco. So che si sono sorrisi fino alla fine, e
che lei non ha pianto. È uscita dalla camera, chiudendosi la
porta
dietro, ed ha semplicemente annunciato che in ogni caso non sarebbero
stati separati per tanto tempo, perché non ci erano mai
riusciti.
Tre
mesi dopo, anche lei è andata via. Posso giurarvi che era
bellissima. È stato in quel momento che ho davvero capito
quanto
potessero amarsi quei due.
È
inutile dire che mi mancano; mi manca la risata giovane e spensierata
che Strawberry ha conservato fino all'ultimo, e la sua voglia di non
arrendersi mai. Ogni tanto la ritrovo nei suoi figli, e mi scalda il
cuore. Non ne avrò mai abbastanza di guardarla ridere nelle
foto.
Mina
e Quiche sono sempre stati speciali. Non ho mai conosciuto due
persone più cocciute ed orgogliose di loro. Per anni, dopo
la
battaglia finale contro Profondo Blu, si erano intestarditi che
volevano essere “solo amici”... per poi
puntualmente finire nello
stesso letto, e bisticciare. Una cosa certa di loro due erano le
litigate, si sentivano per tutto l'isolato.
Ma
erano palesemente pazzi l'una per l'altro, altrimenti non ci sarebbe
stato tutto questo tira e molla.
Ad
un certo punto, mentre Mina era a Parigi per i suoi vari spettacoli
di ballo, aveva iniziato una relazione stabile con un coreografo
francese. Non so quali minacce abbiano dovuto attuare Pie e Ryan per
evitare che Quiche andasse là e lo prendesse a calci. Per un
attimo
abbiamo pensato tutti che fosse davvero finita, tra di loro.
Poi
sono arrivate le vacanze estive, Strawberry ci ha assoldati per
passarle tutti insieme al mare, e nove mesi dopo nasceva Gabrielle,
fiera e combattiva. Allora quei due hanno deciso di mettere la testa
a posto.
Ho
speso pagine e pagine per raccontarvi del loro matrimonio –
in
grande stile, elegante, costoso. Perfetto per Mina. Credo che tutti
fossimo pronti a sgozzarla, al tempo. Ah, e come ha sempre
sottolineato, ci ha tenuto a mantenere il suo cognome, diventando
perciò la signora Aizawa-Ikisatashi, perchè lei
non era una
semplice popolana che metteva da parte il suo nobile nome.
Quattro
anni più tardi è arrivato Vincent, che si
è dovuto sorbire anni di
angherie da parte della sorella maggiore (tutta sua madre). Ma in
fondo si sono sempre voluti un sacco di bene. Gabrielle, neanche a
dirlo, è diventata ballerina, mentre Vincent avvocato.
Se
ne sono andati entrambi a 95 anni, ma Quiche sei anni fa, Mina
quattro; lui nella loro casa a Tokyo, lei in quella di Parigi in cui
si era trasferita dopo essere rimasta sola. Diceva che l'aria
francese si addiceva meglio alla sua pelle; in realtà
c'erano
semplicemente troppi ricordi qui in Giappone. Ma è sempre
tornata
spesso, ogni volta che c'era bisogno di lei, perché era
conscia di
essere per noi indispensabile.
Su
Lory e Kyle si potrebbe scrivere un libro sulla coppia perfetta. In
tanti anni di matrimonio li ho sempre visti innamorati come il primo
giorno.
Una
volta presa la laurea in psicologia ed aver trovato un buon posto di
lavoro in uno studio che l'apprezzava per le sue enormi doti, si sono
sposati in una semplice e riservata cerimonia che ha fatto commuovere
pure Mina (la quale ha sempre però dato la colpa agli ormoni
della
gravidanza).
Un
anno dopo nasceva Sophia, occhioni azzurri e capelli mori, ed uno
spiccato senso per l'arte; era la controparte tranquilla di
Katherine, essendo nata un mesetto prima. Sono cresciute quasi come
sorelle, essendo Sophia figlia unica. Si è laureata in
Storia
dell'Arte e Tutela dei Beni culturali, e dopo aver viaggiato un po'
per il mondo, è tornata per gestire il Caffè
quando Kyle è
diventato troppo anziano per fare tutto da solo.
Il
nostro amico pasticciere ha seguito il suo migliore amico dopo un
anno; la morte di Ryan lo aveva particolarmente colpito,
probabilmente pensava che se ne sarebbe andato via prima lui. Credo
però che Ryan non volesse rimanere da solo un'altra volta.
Così, a
99 anni, ci è stato portato via l'amico più
gentile che avessimo.
Lory
ci ha lasciati invece due anni fa – aveva sempre detto che
avrebbe
voluto fare la nonna il più a lungo possibile, e
così è stato. È
stata adorata dai nipoti e dai pronipoti di tutti noi, era la loro
nonna anche senza nessuna relazione di parentela. Come il
Caffè,
così anche casa sua profumava sempre di dolci e ne era
sempre piena,
anche quando Kyle non c'era più. È stato un modo,
credo, per
sentirselo comunque vicino. E a Nonna Lory non potevi mai rifiutare
una tazza di tè.
Pie
ha dovuto imparare a vivere sotto i riflettori per potersi godere la
vita con Pam, e devo ammettere che ci è riuscito piuttosto
bene –
anche se non siamo mai stati in grado di convincerli a festeggiare in
pompa magna il loro matrimonio.
Hanno
avuto due figlie così simili da passare sempre per gemelle.
Roa, la
sorpresina dopo la battaglia finale, il bianco al nero di Kimberly,
è
diventata la pasticciera ufficiale del Caffè insieme a Kyle,
e dopo
di lui. Forse non era proprio ciò che suo padre aveva in
mente, ma
si è dovuto adattare.
A
otto anni di distanza è invece arrivata Maya, identica a Pie
in
tutto e per tutto, solamente un po' più loquace. Nessuno ha
capito
molto bene come, ma ha seguito più o meno lo stesso percorso
di
Katherine (con cui passava la maggior parte del suo tempo essendo un
anno più piccola) ed è entrata anche lei nella
compagnia Shirogane.
Potrei anche dirvi chi si è sposata, ma immagino che la
risposta sia
ovvia.
Nessuna
di loro ha, fortunatamente, voluto seguire le orme della loro mamma;
la fama che ha seguito Pam fino all'ultimo era abbastanza per tutti e
quattro. Lei se n'è andata tre anni fa, Pie l'anno scorso.
Ha
resistito soprattutto per “le bambine”, come si
è ostinato a
chiamarle tutta la vita, scatenando le loro ire. Era diventato ancora
più taciturno dopo la morte di Pam, anche perché
le ragazze le
assomigliavano troppo per poter fare finta di niente. Ma anche lui si
è dato un gran da fare con i nipoti, è sempre
stato uno dei nostri
baby-sitter preferiti. Tutti i bambini hanno sempre nutrito un enorme
rispetto nei suoi confronti, come noi d'altronde. Erano entrambi
capaci di infonderti calma con poche parole, e di rimetterti al tuo
posto senza essere scortesi. Erano davvero i nostri due lupi: ti
facevano compagnia senza chiedere niente in cambio, senza fare troppo
rumore.
E
poi, ci siamo io e il mio Tart. Io sono diventata maestra elementare,
e abbiamo avuto cinque splendidi figli: Rin, che è una
pediatra; i
gemelli Benji e Tommy, l'uno dentista e l'altro giornalista; Lola,
professoressa di Storia all'università, e Ricky, il
più giovane di
tutti e il più indomabile, che dopo tante indecisioni ed
anni
passati a fare spettacoli circensi proprio come me, ha deciso di
aprire un ristorante.
Potrei
stare qui a raccontarvi di quanto sia fiera di ognuno di loro, e di
tutti i nipotini che mi hanno dato, ma sarebbero parole incapaci di
racchiudere davvero il sentimento.
So
che ho vissuto, grazie a loro, la vita migliore che potessi chiedere.
Mi sarebbe piaciuto passare anche questo ultimo anno insieme al mio
Tart, ma purtroppo non si può avere tutto – e noi
abbiamo avuto
davvero tanto.
Credo
si sia notato che tutti i nostri primogeniti sono stati femmine. Non
sappiamo se sia stato un segno del destino, se sia stato un caso o
chissà cosa. Inoltre, tutti i nostri figli hanno ricevuto la
voglia
Mew, nei nostri stessi posti, anche se man mano si affievoliva. Kyle
aveva detto che sarebbe passato con il tempo e con le generazioni,
che non sarebbero più state rafforzate da sangue alieno o
modificato.
Non
ci ha mai dato fastidio, però. Sì, eravamo sempre
in allerta perché
non potevamo essere sicuri di ciò che sarebbe successo; ma
in un
certo senso era un ennesimo simbolo della nostra unione.
È
per questo che non abbiamo mai chiuso il Caffè, e spero
tanto che
non chiuderà. È lui l'emblema materiale di
ciò che siamo stati e
di tutto quello che ha significato per noi. Perciò
è stato passato,
quota per quota, pezzetto per pezzetto, in eredità ai nostri
figli e
ai nostri nipoti, e così deve continuare. È
scritto in ogni
testamento, in ogni singolo pezzo di carta che abbia qualche valore,
e lo ripeto anche qua.
Come
ho già detto, ci sarebbero tante cose da raccontare. Vorrei
potervi
dire di più sulle nostre famiglie, sulle nostre avventure
quotidiane, su quegli strani amici che provenivano da un altro
pianeta e che non abbiamo mai dimenticato.
Ma
non è più tempo per le storie, ora.
Ora
è tempo che anche io mi ricongiunga a chi mi aspetta,
perché così
dev'essere. Forse, un giorno, qualcuno racconterà queste
storie al
posto mio.
Quando
questo diario sarà trovato, conoscerete
la verità sulle Mew Mew. Per questo ho voluto scrivere di
tutto e di
tutti, per fare in modo che non fosse perduta,e che i nostri
discendenti sapessero davvero chi siamo state.
Saprete
che la nostra vita non è stata veramente come la dipingeva
la
televisione, ma è stata una vita fatta di sacrifici e di
fatiche. A
cui però, fortunatamente, si sono susseguiti momenti di
tenerezza e
dolcezza. Come quando, con il mio Tart, ci divertivamo a mangiare
mele così aspre da aver subito bisogno
di mangiare caramelle.
Questo
ho sempre voluto insegnare, ai miei amici, ai miei figli, e a voi.
Nei momenti bui, basta guardarsi intorno e trovare qualcuno che
è
disposto a camminare insieme a te.
Perché
noi abbiamo imparato sulla nostra pelle che non bisogna arrendersi
mai.
Spero
che questi diari saranno tramandati alle nostre famiglie; sono qui
per questo. Ma vi prego, non divulgate il nostro segreto. È
soltanto
per voi.
Con
affetto, a tutti
Paddy
chiuse il diario e lo ripose in cima agli altri. Poi prese la
corrispondente pila, infilandola con cura in una delle tante scatole
numerate che aveva, lasciandole un po' in bella vista. Erano
lì per
un motivo.
Si
avviò poi verso camera sua, guardandosi attorno.
Lì
dentro, l’aria era satura di ricordi, dolci o cattivi che
fossero,
impressi eternamente nelle foto un po’ sbiadite, ma dai
colori
ancora vividi. Guardò i visi sorridenti dei suoi figli, dei
suoi
nipoti… e delle sue amiche, con le loro famiglie.
Andò
ad aprire il comodino, prendendone fuori una foto di loro cinque
trasformate e i rispettivi compagni; passò il dito sopra la
cornice
un leggermente consunta dagli anni, e l'appoggiò sul
mobiletto.
Le
mancavano davvero tanto, tutti. La casa era silenziosa da ormai
troppo tempo.
Le
scappò da ridere quando alcuni ricordi le tornarono in
mente, si
asciugò la lacrima che le stava solcando il viso rugoso.
Sì, doveva
sorridere, perché lei era Paddy ed aveva sempre sorriso. E
poi, li
avrebbe rivisti tra poco.
Così,
si stese sul letto, avvolgendosi tra le lenzuola dal profumo
familiare, lasciando che le memorie scorressero libere davanti ai
suoi occhi, avvertendo quel vago aroma di zucchero, cioccolato, mele,
e il caffè nero di Shirogane, il profumo di Mina e lo
shampoo alla
fragola, e mentre la mano di Tart, piccola e giovane, si schiudeva
per rivelarle una caramella, lei si si abbandonò tra le
braccia di
Morfeo, per l’ultima volta.
Fine
Mele
e caramelle
Okay,
ragazzi, è l'una e quaranta del mattino, sono qui che piango
e io
L'HO FINITA. Non ci posso credere, è finita. Mi sento
assolutamente
persa: è stata la mia prima long fic, mi ha accompagnata per
sette
lunghi anni ed ora... puff, basta, done. XD
Prima
di ringraziarvi, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto. Sembra
un po' strano, diviso in due parti così, ma l'ho fatto
apposta. La
prima parte è per presentarvi i personaggi in un dopo
abbastanza
ravvicinato, la seconda è per la conclusione. La fine
l'avevo
scritta anni ed anni fa quindi ho voluto mantenere l'idea del diario
di Paddy. :)
voglio
ringraziare tutti quelli che hanno letto, recensito, preferito,
seguito e ricordato; un grazie speciale a chi c'era nel 2007 ed
è
tornato, un super grazie ad Izayoi007 perché senza di lei
non
l'avrei più ripresa :)
Ho
due comunicazioncine veloci veloci. La prima è che
riprenderò al
più presto in mano i primi capitoli per dargli una sistemata
– non
so ancora quando, ma comunque metterò l'avviso nella
descrizione,
quindi se volete buttateci un occhio :)
La
seconda è che, se siete in qualche modo confusi da tutti i
personaggi che vi ho buttato nel piatto in questo ultimo capitolo,
fatemelo sapere e farò in modo di vedere se riesco a
mandarvi lo
schemetto che mi sono fatta io, il quale purtroppo non è
riproducibile al computer perché se ne fossi capace l'avrei
fatto
così e non sul buon vecchio foglio di carta.
Bene,
direi che è tutto. Posso andare a letto a piangere lacrime
di
tristezza e felicità – se mai aveste bisogno di
me, contattatemi
:)
Ho
una one-shot in lavorazione (manca giusto la fine!) quindi spero di
non farmi attendere troppo, ma ho una vacanza che chiama ;)
A
presto,
Hypnotic
Poison
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