A mani nude

di margheritanikolaevna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


  

Citazione: "Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tener viva in noi qualche piccola follia."Marcel Proust;
Fase: Compieta (un’ora dopo il tramonto);

 
Introduzione: Questa storia si colloca idealmente tra gli episodi 2x22 (“Tra le mura domestiche”) e 2x23 (“Eroi”). Infatti, il caso di cui parla Mac è quello su cui indaga la squadra nella prima delle due puntate (un matrimonio a tre nel quale viene ucciso il “marito”), mentre la vicenda riguardante Aiden si sviluppa nella puntata 2x23, in cui vengono ricostruiti a ritroso gli avvenimenti che hanno portato alla sua morte e viene alla fine arrestato D.J. Pratt.  Anzi, potrebbe dirsi che “Eroi” comincia quando finisce questa ff, che vuole offrire una ricostruzione (molto) alternativa della trama dell’episodio in questione.  Il riferimento ai biglietti per l’opera è preso dalla puntata 8x1, dal titolo “Indelible”, ancora inedita in Italia, in cui appare Claire Conrad in un flashback e viene raccontato di come Mac finalmente avesse deciso di portarla a vedere l’opera, cosa che lei gli aveva chiesto più volte. Solo che, purtroppo, il giorno in cui lui le mostra i biglietti è sfortunatamente proprio l’11 settembre 2001: Claire morirà infatti nell’attentato alle Torri Gemelle. L’idea che si tratti della Butterfly è, invece, una citazione di un episodio della terza stagione in cui Mac e Peyton vanno a teatro a sentire questa opera di Puccini. La storia ha partecipato al contest indetto da Liena90 in forma di one-shot ma, pubblicandola,  data la sua lunghezza mi è sembrato opportuno dividerla in più parti per non appesantire la lettura e, spero, creare un po’ di suspance che non guasta mai…
Grazie a chi leggerà e a chi avrà la gentilezza di lasciarmi un suo parere.
 
A mani nude

 
 
Parte prima
 
 
Mac Taylor uscì dall’ascensore e, prima di dirigersi verso il suo appartamento, si soffermò un istante a guardare fuori dal finestrone che dava luce alle scale del palazzo: il sole poteva essere tramontato da un’ora o poco meno e laggiù a ovest, alle spalle dei grattacieli che occupavano buona parte del panorama, nel cielo insolitamente terso si spegnevano via via gli ultimi bagliori di quella che era stata una giornata torrida. Era l’ora in cui la città che non dorme mai, stretta nella morsa di una primavera precoce e rovente, cominciava finalmente a respirare, preparandosi a godere la notte.
L’ora che Mac Taylor preferiva.
Quella in cui, quando naturalmente non aveva il turno di notte oppure non doveva trattenersi in ufficio a causa di qualche caso particolarmente complesso, tornava dalla persona più importante della sua vita: sua moglie Claire.
Con lei poteva finalmente spogliarsi dei panni del rigido tenente della Scientifica, ex maggiore dei marines dallo sguardo impenetrabile e dall’espressione sempre severa, per ridiventare un uomo come tutti gli altri che alla sera, stanco dopo una giornata di lavoro, fa ritorno a casa. Poteva rilassarsi pensando ad altro, sfogarsi raccontandole come stavano procedendo le indagini in cui era impegnato e gli inevitabili problemi che lo assillavano oppure anche solo rimanere in silenzio, certo che lei comunque lo avrebbe capito e accettato.
Eh sì, quella era proprio l’ora che preferiva.
E il momento della giornata che attendeva con più ansia.
Mac Taylor guardò ancora una volta oltre i vetri impolverati e, con un leggero sorriso dipinto sul viso, infilò la chiave nella serratura, la girò e aprì la porta di casa.
Lo accolsero il silenzio di un appartamento ordinato, pulito, borghese e sul tavolinetto davanti al divano, in un vaso di cristallo lucente, un mazzo di peonie bianche (i fiori preferiti di Claire, quelli lui le aveva portato un paio di giorni prima) che, sfinite dal gran caldo, esalavano nell’aria tiepida i loro esausti sentori vegetali.
“Tesoro? Sono tornato!” esclamò il detective con voce allegra.
Fece scivolare il mazzo di chiavi in una coppetta d’argento posta sulla mensola accanto alla porta d’ingresso e il loro rumore metallico attraversò per un istante la casa silenziosa, riempiendo lo spazio fino a quel momento inanimato. 
“Claire?” chiamò, sfilandosi la pistola dalla fondina e chiudendola prudentemente in un cassetto della credenza.
“Oh, ciao tesoro!” disse alla fine, mentre si toglieva la giacca e la sistemava sulla spalliera della sedia accanto al divano “Sono contento di essere a casa! Non hai idea di che caso strano ci sia capitato oggi…”.
“Cosa c’è per cena?” chiese, sganciando il distintivo (che subito ripose nel cassetto accanto all’arma di servizio) dalla cintura e andando verso il bagno per lavarsi le mani.
 
***
 
Mac Taylor era seduto davanti a una tavola apparecchiata con gusto e attenzione: sulla tovaglia inamidata spiccavano in bella mostra una bottiglia di vino bianco immersa nel suo secchiello del ghiaccio e una composizione di frutta multicolore. La luce ondeggiante di due candele disegnava ombre strane sulle pareti, facendo risplendere di fugaci bagliori le sfaccettature dei bicchieri di cristallo e le posate d’argento.
“Non devi scusarti, tesoro” disse il poliziotto, asciugandosi la bocca e poi posando il tovagliolo accanto al piatto “Non mi importa se non sei riuscita a preparare la cena, non fa niente: so che anche tu hai avuto una giornata impegnativa!”.
Appoggiò la schiena contro la sedia e sorrise.
“Come ti dicevo prima, oggi abbiamo iniziato a indagare su un caso veramente singolare: la vittima, un uomo d’affari sulla quarantina, è stata assassinata con un colpo di pistola al volto. Il proiettile gli si è conficcato nell’occhio destro e, mentre eravamo lì per i rilievi, è arrivata una donna sostenendo di essere la moglie del morto”.
Fece una pausa, bevve un sorso di vino e poi riprese.
“Fin qui, nulla di strano; ma dopo qualche minuto si è presentata anche un’altra ragazza, più giovane, che pure ha detto di essere sposata con la vittima! Pensa che le due non solo si conoscevano, ma si sono persino consolate a vicenda!”.
La risata lieve di Mac risuonò nel silenzio della stanza, che ne riportò un eco distorto, quasi sinistro.
“Quindi, Claire” proseguì il detective con fare allegro, sporgendosi in avanti “Capisci? Era un matrimonio a tre! Come una coppia sposata, ma in tre! Vivevano insieme, facevano sesso insieme… E dire che lui aveva una vita all’apparenza del tutto normale, anzi secondo chi lo conosceva sembrava quasi una specie di boy-scout”.
D’improvviso la sua espressione mutò, divenendo infinitamente dolce.
“Ecco” aggiunse dopo un istante “A noi una cosa del genere non potrebbe capitare, io non accetterei mai di dividerti con nessuno; noi non abbiamo bisogno di questi mezzucci, noi ci amiamo, non siamo come tutte le altre coppie”.
Socchiuse appena gli occhi e la sua voce si fece morbida come il velluto.
“Noi siamo felici”.
 
IL GIORNO DOPO 
 
“Detective Taylor, ma lei non richiama mai?” esclamò il giovane avvocato dai capelli ricciuti e un tantino spettinati, quando riuscì finalmente a raggiungere il poliziotto che, a passo svelto, stava uscendo dal suo ufficio dopo avere ascoltato da Stella gli ultimi ragguagli circa i residui di sparo rinvenuti sulle mani della “seconda moglie” della vittima, sospettata di aver ucciso il “marito” per gelosia.
“Sono stato occupato” borbottò Mac, sperando di liberarsi rapidamente di quello che sapeva essere uno scocciatore.
“Il signor Pratt dice di essere pedinato da qualcuno del suo Dipartimento…” iniziò l’altro, fermandosi in mezzo al corridoio.
“Il signor Pratt”  lo interruppe Mac, brusco e come scimmiottando le parole dell’altro “è il sospettato in un’indagine in corso, ma le assicuro che al momento non c’è nessuno dei miei uomini addetto alla sua sorveglianza”.
“Allora il mio cliente se l’è inventato?” incalzò l’avvocato, che iniziava a irritarsi per l’atteggiamento del poliziotto.
“Il suo cliente è uno stupratore” ribatté l’altro, gelido.
Si fissarono per un istante, trafiggendosi a vicenda con lo sguardo.
“L’ha trasformata in una vendetta personale, vero?” continuò il legale, con aria di sfida.
Mac non raccolse la provocazione e rispose seccamente: “Non è una vendetta, è il mio lavoro”.
“Allora le rinfresco la memoria” proseguì l’altro “Ha già provato a incastrarlo due volte, ma ha sempre fatto un buco nell’acqua: nel primo caso la vittima non ha testimoniato e nel secondo non avevate prove sufficienti!”.
Il detective replicò con un sorrisetto beffardo: “Sa cosa si dice della terza volta?”. 
L’uomo in giacca e cravatta sospirò, scosse la testa e disse: “Presenterò una formale querela per vessazioni ingiustificate e persecuzione”.
“Faccia pure!” fu la laconica risposta.
“Adesso ha finito?” aggiunse il poliziotto, spazientito.
“Per ora…” fece l’avvocato, tentando di sembrare minaccioso.
“Bene. E allora si tolga dai piedi!” tagliò corto Mac.
 Senza guardarsi indietro, il tenente si allontanò.
 
***
 
Mac parcheggiò l’auto sotto casa, scese sul marciapiede, chiuse la portiera a chiave e guardò il cielo; il sole era scivolato dietro l’orizzonte mentre se ne stava imbottigliato nel traffico dell’ora di punta e adesso l’aria fresca della sera e un vento leggero che portava i suoni della città gli accarezzarono il viso.
Negli ultimi minuti era caduto un lieve scroscio di pioggia; l’atmosfera era umida e greve, tutt’intorno ai lampioni tremolava una nebbiolina iridescente e i marciapiedi deserti qua e là rilucevano.
Era stata una giornata massacrante e il detective, stremato, sospirò rumorosamente.
Che cosa gli importava della pioggia, della fatica, di quel criminale di D.J. Pratt che se ne andava ancora in giro libero, nonostante avesse brutalmente stuprato due donne? Che cosa gli importava dell’intera città?
Importava solo essere a casa, finalmente.
 
***
 
“Insomma, Claire…” proseguì Mac mentre, seduto sul letto, finiva di abbottonarsi la parte superiore del pigiama blu scuro “La vittima e sua moglie erano sposati da un anno e quando il sesso tra loro è diventato routine, si è aggiunta Laura: hanno addirittura fatto una seconda cerimonia nuziale!”.
Si alzò e attraversò la camera per raggiungere la finestra e tirare le tende per la notte.
“È una ragazza strana, Laura” aggiunse il poliziotto, meditabondo “Pensa che stamattina, quando le ho detto che eravamo a conoscenza del fatto che cinque anni fa aveva sparato al suo fidanzato, si è infuriata talmente tanto che mi ha addirittura schiaffeggiato, in mezzo alla strada, davanti a Stella!”.
“No, non preoccuparti tesoro” continuò, portandosi una mano alla guancia sinistra “Non mi ha fatto male e anzi il fatto che abbia ceduto alla mia provocazione ci ha consentito di portarla in Centrale con l’accusa di aggressione a un poliziotto, così abbiamo potuto prelevare dei campioni per verificare se recasse o meno tracce di polvere da sparo sulle mani. Ma secondo Stella si è trattato solo di un trasferimento secondario: insomma, forse non è stata lei a premere il grilletto”.
Si sedette di nuovo sul letto e lentamente s’infilò sotto le lenzuola.
Spense la luce, chiuse gli occhi e intrecciò le dita dietro la nuca mentre i muscoli, indolenziti dalla lunga giornata di lavoro, cominciavano a rilassarsi.
“Sai” disse, dopo qualche minuto di riflessione “in fondo anch’io non penso che quella donna sia l’assassina, sembrava proprio sconvolta per la morte del “marito”; credo che l’amasse veramente e che abbia accettato di lanciarsi in un ménage à trois pur di non perderlo”.
“È incredibile cosa si riesca a sopportare per amore: Laura si era illusa che così potesse funzionare! Era una vera pazzia e sono certo che anche lei se ne fosse resa conto; ma, come si dice, a volte è necessario coltivare dentro di sé qualche follia per poter continuare a vivere…”.
 
***
 
“Aiden?” la voce di Mac Taylor risuonò nell’ufficio ancora deserto a quell’ora del mattino.
“No, non mi disturbi affatto, anzi. Mi fa piacere sentirti, come stai?” proseguì il detective, tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio per un istante mentre si toglieva la giacca e si sedeva dietro alla scrivania.
Dopo aver ascoltato per qualche decina di secondi, riprese: “No, non ci sono novità sul caso di D.J. Pratt… il suo avvocato è venuto da me perché quel delinquente si lamenta di essere importunato da qualcuno dei miei, ma io gli ho risposto che non è così”.
Ci rifletté su un istante e poi aggiunse, in tono più serio: “Aiden, dimmi che non c’entri tu in questa storia! Mi raccomando, sta’ attenta a non fare sciocchezze: quello è un tipo pericoloso e tu non sei più una poliziotta, se ti metti nei guai io non potrò proteggerti”.
Ascoltò ancora per un po’ le rassicurazioni dell’ex collega e quindi la salutò, non prima di averle promesso che se ci fossero stati sviluppi l’avrebbe avvisata subito.
Chiusa la conversazione, ripose il telefonino e appoggiò le mani sul tavolo, le labbra premute in una linea esangue.
Sbuffò: Aiden Burn era uno dei suoi rimpianti.
Una ragazza estremamente capace, un’ottima investigatrice.
Ma impulsiva e impaziente: aveva preso troppo a cuore la storia di una delle vittime di D.J. Pratt, intraprendendo una sfida personale con quell’uomo. Per lei catturarlo era diventata un’ossessione e, pur di incastrarlo, si era spinta fino a manomettere delle prove.
Poi Aiden ci aveva ripensato, certo, ma il guaio ormai era fatto: il suo comportamento era stato troppo grave, aveva messo a repentaglio la credibilità dell’intero laboratorio e, per quanto fosse stato difficilissimo farlo, lui era stato costretto a licenziarla.
Quell’ossessione le era costata la carriera.
Certo, anche a lui bruciava il fatto non essere riuscito a sbattere in galera uno stupratore seriale, ma sapeva che per farlo bisognava seguire le regole.

 

Per fortuna, sembrava che lei avesse capito le sue motivazioni e non gli serbasse rancore; mesi prima gli aveva detto che stava studiando per prendere la licenza come investigatrice privata e lui sperava con tutto il cuore che la sua ex collega riuscisse a voltare pagina, rimettendo in carreggiata la propria vita. E che, soprattutto, non si mettesse di nuovo nei guai per colpa di quel bastardo di D.J. Pratt.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


 

Parte seconda
 
"L’assassina non era Laura, come pensavamo all’inizio, bensì Elle, la moglie legittima!” disse Mac dopo aver mandato giù un boccone della bistecca ai ferri che aveva preparato per cena “ Vedi, Claire, ci ha detto di averlo fatto per odio e gelosia. In pratica, veniva sempre per seconda: il marito faceva l’amore ogni volta prima con Laura e lei si sentiva di troppo, aveva capito di essere diventata un incomodo, un’estranea in casa propria”.
Sorrise, posò la forchetta accanto al piatto e allungò la mano verso il bicchiere.
“Non l’ha lasciato perché l’amava” continuò.
Bevve un sorso, inghiottì il vino e riprese, meditabondo.
“L’amava tanto da ucciderlo… per rabbia, dopo che lui le aveva riso in faccia e le aveva detto che si stava comportando come una stupida, che i suoi timori erano infondati e  che doveva farsela passare”.
“E adesso le è passata” concluse poi, con amarezza.
“Ma non voglio rattristarti con queste storie!” riprese, dopo qualche minuto di silenzio durante il quale aveva finito la sua bistecca.
“Piuttosto, ho una sorpresa per te!” esclamò.
Si alzò da tavola, uscì dalla stanza da pranzo, prese la giacca che aveva gettato sul divano del salotto, infilò una mano nella tasca interna e ne trasse due foglietti giallo chiaro.
Con aria soddisfatta e felice, li appoggiò sulla tovaglia candida, accanto al cestino del pane.
“Ecco, Claire” disse sorridendo “Sono due biglietti per andare a sentire la Madama Butterfly al Metropolitan: so quanto adori l’opera lirica e quante volte mi hai pregato di portartici. Ricordi quando, cinque anni fa, avevo comprato due biglietti come questi e tu eri così felice che finalmente mi fossi deciso ad accompagnarti?Poi sono stato trattenuto al lavoro per quel duplice omicidio, ho fatto tardi e abbiamo perso lo spettacolo: tu sei stata tanto dolce a non farmi pesare la cosa, ma so che ci sei rimasta male”.
“Quindi” continuò “dato che domani sarà il nostro anniversario e che finalmente è tornata in città la stessa compagnia che cinque anni fa ci siamo lasciati scappare per colpa mia, e proprio con la medesima opera di Puccini che ti fa impazzire, non potevo fare altro che prendere di nuovo i biglietti!”.
Guardò l’orologio che aveva al polso e pensò che domani, a quell’ora, sarebbero stati comodamente seduti su due poltroncine di velluto imbottito, vestiti eleganti, e lui avrebbe trascorso l’intera serata ad ammirare Claire, considerato che poche cose sulla faccia della Terra lo annoiavano quanto il canto lirico.
“Mi faresti l’onore di accompagnarmi?”.
E non era finita. I biglietti per l’opera non erano la sola sorpresa che Mac aveva riservato a sua moglie: un paio di giorni prima, infatti, era passato per caso di fronte alle vetrine scintillanti di Tiffany e, obbedendo a un impulso segreto del quale non avrebbe saputo dare conto, era entrato. Un paio di meravigliosi orecchini di perle, semplici ma elegantissimi, avevano attirato subito la sua attenzione e, sicuro che sarebbero stati perfetti ai lobi delicati di Claire, il detective li aveva comprati senza pensarci su nemmeno un istante e senza contrattare, nonostante il prezzo fosse evidentemente eccessivo. Insomma, aveva lasciato l’azzimato commesso con la sensazione di avere di fronte un fedifrago con la coscienza sporca e non invece un marito innamorato. 
Adesso, il raffinato scatolino turchese col suo bel nastro bianco latte giaceva accuratamente nascosto sotto il tovagliolo di Claire, con accanto un biglietto sul quale aveva scritto il suo nome.
Vero: non c’era nessun bisogno di farle un regalo così costoso, anzi forse lei l’avrebbe persino rimproverato perché aveva speso buona parte del suo stipendio per quegli adorabili affarini, ma che importava? Il suo sorriso, anche solo il sorriso di un istante, non aveva prezzo.
Il trillo rabbioso del campanello fece sobbalzare Mac Taylor; irritato contro chiunque avesse osato interrompere la sua cena con Claire, il detective andò borbottando ad aprire la porta.
Non appena schiuse uno spiraglio Aiden Burn, senza attendere che lui l’invitasse a entrare, si precipitò in casa tanto repentinamente che Mac - nonostante non avesse alcuna voglia di sorbirsi estranei tra i piedi in quel momento - non poté che lasciarla passare e richiudere la porta dietro di lei.
Quando fu dentro, Mac si accorse che la ragazza era sconvolta: i capelli arruffati, i vestiti in disordine e, quel che è peggio, una vistosa ferita sullo zigomo sinistro, che sanguinava abbondantemente. Barcollò appena, mentre si faceva strada nell’appartamento, tanto che Mac la afferrò per un braccio nel timore che potesse sentirsi male e cadere a terra.
“Aiden” esclamò il poliziotto, sorpreso e preoccupato “Che cosa ti è successo? Sei stata aggredita?”.
Lei annuì.
Poi, mentre Mac l’aiutava a sedersi, disse: “È stato Pratt: si è accorto che lo stavo seguendo e mi ha attirato in una trappola facendomi credere che aveva intenzione di violentare anche la donna il cui appartamento stava tinteggiando in questi giorni…è successo a due isolati da qui e ho pensato che forse tu potevi…”.
“Bastardo!” mormorò il detective “Hai fatto benissimo a venire qui, adesso prendo la giacca e ti accompagno in ospedale”.
“Credo che volesse uccidermi” continuò Aiden, scostandosi dal viso una ciocca di capelli sporchi di sangue “Mi ha colpita e poi trascinata dentro un’auto ferma in un vicolo, ma io ho lottato e l’ho morso con tutte le mie forze al braccio”.
“Ricordi il posto?” fece Mac, afferrando un piccolo blocco per appunti che teneva accanto al telefono “E l’auto, sei riuscita a riconoscere il modello o a vedere la targa?”.
“Mac, sei sempre il migliore!” pensò Aiden con un lieve sorriso “Ecco l’istinto del detective che viene fuori”.
Ci rifletté su per qualche secondo e poi rispose “Uhm… sì, il posto era un parcheggio all’aperto qui vicino, un luogo isolato, di fronte alla casa dove Pratt sta lavorando in questi giorni e la macchina” esitò ancora un momento, cercando di richiamare alla mente i dettagli di quegli attimi drammatici.
Nel frattempo il tenente aveva preso nota di ciò che la ragazza gli stava dicendo, segnando tutto sul suo blocchetto: quei pochi dati potevano rivelarsi la loro arma segreta per incastrare finalmente D.J. Pratt non solo per stupro, ma addirittura per tentato omicidio.
“La macchina era una Cadillac nera, ma purtroppo della targa ricordo solo gli ultimi due numeri, “7 e 5”. Sai Mac? Credo che quel bastardo avesse deciso di ammazzarmi lì dentro…” aggiunse alla fine, ancora sotto shock.
Mac sollevò lo sguardo su di lei e si accorse di quanto fosse pallida e sofferente; sebbene cercasse con tutte le sue forze di mostrarsi coraggiosa, era evidente che l’incontro con Pratt l’aveva profondamente segnata.
“Aspetta” disse Mac, facendo un passo verso di lei “Stai sanguinando parecchio; non muoverti, vado in cucina a prendere un po’ di ghiaccio da mettere sulla ferita”.
 
***
 
Aiden Burn cominciò finalmente a rilassarsi: l’adrenalina che l’aggressione di quel criminale le aveva lasciato in circolo si stemperava ora nella stanchezza. Poteva tirare un sospiro di sollievo: era al sicuro, adesso, e Mac l’avrebbe aiutata.
Aveva fatto bene a rivolgersi a lui; se c’era una persona in grado di sbattere in galera Pratt quello era Mac Taylor!
Mentre aspettava che il tenente tornasse, la ragazza non resistette alla curiosità di ficcare un po’ il naso nell’appartamento.
Quel luogo era circondato, infatti, da una sorta di alone di mistero: nessuno tra gli agenti della sua ex squadra e, più in generale, nessuno di quanti lavoravano al Dipartimento vi aveva più messo piede da quella tragica mattina di settembre del 2001, quando la vita di tutti i cittadini di New York era stata irrimediabilmente sconvolta.
C’era chi pensava che Mac Taylor avesse fatto della casa dove aveva vissuto, insieme  a sua moglie Claire, gli anni più felici una specie di santuario dedicato alla memoria della morta, nel quale non erano ammessi estranei.
Altri, invece, osservando quanto il tenente fosse riservato - talvolta fino all’eccesso - riguardo ai suoi sentimenti e alla sua vita privata, credevano semplicemente che si fosse rassegnato al suo lutto e non amasse parlarne non nessuno, né condividerlo, per non richiamare alla memoria attimi dolorosi del suo passato.
Certo lui le aveva detto di non muoversi, ma che male c’era a dare un’occhiatina in giro? Del resto, non avrebbe toccato nulla.
Si alzò lentamente e si diresse verso la sala da pranzo, dalla quale proveniva una luce calda e tremolante.
Quando mise piede nella stanza, ciò che vide la lasciò senza fiato: un tavolo rotondo coperto da un’elegante coperta di tela di Fiandra color avorio, un mazzo di peonie fresche al centro, posate d’argento e piatti di porcellana (pieni di qualcosa che lei, nella penombra, non riuscì a distinguere) che risplendevano alla luce tremula di due candele.
Ma la cosa che la sconvolse fu che quella tavola impeccabile, che aveva tutta l’aria di essere stata preparata per una cenetta romantica coi fiocchi, era apparecchiata per due.
Si avvicinò, sbalordita: possibile che Mac avesse un ospite a cena? E, in quel caso, perché non le aveva detto nulla? Forse aveva una relazione e non voleva renderla pubblica…
Certo, considerò la ragazza, da uno come lui avrebbe potuto aspettarsi una cosa del genere. E, tuttavia, qualcosa non quadrava, glielo diceva l’istinto: non c’era nessun altro in casa oltre loro due, di questo era sicura, e, se la persona misteriosa con la quale Mac aveva appuntamento non era ancora arrivata, a che scopo accendere già le candele e lasciare che il cibo si freddasse nei piatti prima del tempo?
In preda a una strana sensazione, che stava cominciando a trasformarsi in sottile inquietudine, Aiden si accostò alla tavola continuando a scrutarne i dettagli, fino a che non notò qualcosa di colorato sporgere appena da sotto l’angolo d’un tovagliolo inamidato: infilò la mano e ne trasse uno scatolino turchese che, come quasi ogni donna sulla faccia del pianeta, riconobbe immediatamente.
Tiffany?
La faccenda si faceva sempre più strana.
Prendendo l’astuccio, aveva spostato il tovagliolo rivelando anche la presenza di una piccola busta marmorizzata: il nome che vi lesse scritto sopra trasformò la sua sorpresa in sbalordimento puro, misto a qualcosa che assomigliava già alla paura.
Claire?
“Mio Dio” mormorò, tenendo tra le mani quel piccolo pezzetto di carta rivelatore.
In un lampo, tutto le fu chiaro: Mac, il razionale, rigoroso Mac Taylor, era impazzito per il dolore. La morte della moglie aveva spezzato la sua anima in maniera molto più profonda di quanto ciascuno dei suoi amici avrebbe mai potuto immaginare.
La sua mente di acciaio lucido non era riuscita a reggere il peso del dolore e aveva ceduto: non potendo sopportare di continuare a vivere senza Claire, aveva rimosso la sua perdita.
Claire Conrad Taylor non era morta, per suo marito.
Continuava a vivere nel suo cervello annebbiato, abitando il suo cuore straziato come aveva abitato quella casa anni prima. 
Era chiaro: Mac, solo al mondo, senza nessuno al suo fianco, per andare avanti aveva avuto bisogno di mettere in scena quella farsa tragica. Ogni giorno, ogni notte. Per cinque lunghissimi anni.
Quella follia non faceva male a nessuno, in fondo, ma gli era indispensabile per sopravvivere; coltivarla dentro di sé - comprese -  era l’unica cosa capace di rendere sopportabile la sua vita infelice.
L’ex agente sentì il cuore stringersi in una morsa di compassione per la solitudine disperata di quell’uomo buono, onesto, che la sorte aveva colpito tanto duramente.
Eppure, capiva anche di dover fare qualcosa: la vita di troppe persone dipendeva dalla capacità di giudizio di Mac Taylor e, per quanto gli volesse bene e sentisse pena per lui, si rendeva conto che aveva bisogno di aiuto. Doveva assolutamente curarsi, trovare qualcuno che lo aiutasse a riprendere il contatto con la realtà.
“Aiden!” la voce severa di Mac la fece improvvisamente sobbalzare.
“Maledizione” continuò lui, furioso come la ragazza non lo aveva mai visto prima “Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non muoverti!”.
Fece due passi verso di lei, il volto livido, le mani tese in avanti e negli occhi uno sguardo indecifrabile.
Aiden sapeva di trovarsi davanti a un uomo stravolto, forse non in grado di controllarsi, ma continuava a fidarsi ancora di lui.
Andiamo, lui era Mac Taylor, pensava: era suo amico, avevano lavorato insieme per anni e una vocina dentro di lei le diceva che non avrebbe mai potuto farle del male.
“M-mi dispiace” rispose la ragazza, posando sul tavolo la busta che ancora le era rimasta in mano “Non volevo essere invadente, scusami”.
“Ma…”.
Si avvicinò e gli mise una mano sul braccio; scosse la testa, gli occhi umidi di lacrime di commozione.
“Mac” disse, guardandolo fisso in viso "Ho visto il biglietto e il regalo: mio Dio, ma com’è possibile?”.

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


 

Parte terza
 
L’uomo impallidì ancora di più, abbassò lo sguardo sul pavimento e non rispose.
“Non devi preoccuparti” continuò lei “andrà tutto bene, troveremo qualcuno che saprà aiutarti, tutto il dolore svanirà. E anche Claire finalmente svanirà!”.
Quello che accadde subito dopo fu rapidissimo, inatteso e sconvolgente e lasciò ad Aiden Burn giusto il tempo di capire che quella sera aveva commesso un errore imperdonabile, dal quale non poteva più tornare indietro. E che forse le sarebbe costato la vita.
Mac, infatti, gridò: “No!”.
Fu un urlo basso, roco, come di un animale in gabbia, che alla ragazza ghiacciò all’istante il sangue nelle vene; il grido disperato di un uomo che lotta per sopravvivere, che difende il suo mondo da chi minaccia di distruggerlo.
Una frazione di secondo dopo, la colpì con tutta la sua forza sulla fronte, proprio dove già D.J. Pratt le aveva quasi sfondato il cranio, strappandole un grido strozzato di dolore.
La gettò sul pavimento immobilizzandola col suo peso e si scagliò ancora contro di lei: Aiden era giovane e addestrata, ma lui era molto più forte e, soprattutto, accecato dalla rabbia e dalla paura. La ragazza mugolò, folle di terrore, adesso consapevole che se non si fosse difesa lui l’avrebbe uccisa.
Sollevò le mani per difendersi, ma Mac, con furia cieca e sorda, le afferrò il polso così forte che Aiden sentì il suono della sua ulna sinistra che si spezzava, mentre con l’altra mano lui le tappava la bocca per impedirle di urlare per quel dolore atroce.
Il calcio col quale le fratturò due costole le mozzò il respiro in gola; la bocca le si riempì di sangue e un velo nero le calò implacabile davanti agli occhi. Nello stordimento, udì solo il respiro affannoso di Mac chino sopra di lei e il bruciore al torace che non le dava tregua;cercò di respirare, ma il respiro non volle venire. Ebbe l’impressione di essere scagliata fuori di sé e fuori e fuori e sempre nel vento. Poi, mentre il dolore inspiegabilmente si attenuava, galleggiò e, invece di procedere, si sentì scivolare indietro. Aprì con uno sforzo enorme gli occhi: Mac era in piedi davanti a lei, ma la vista era già confusa e lei non riuscì a distinguere né i suoi lineamenti né la sua espressione.  Cercò di muoversi, di rialzarsi, ma non poté. Prima di riuscire ad articolare un qualsiasi pensiero, l’oscurità l’avvolse e fu solo il corpo, illuminato dalla luce tremula delle candele orami quasi consumate, di una ragazza massacrata, raggomitolata sul pavimento di un’elegante sala da pranzo borghese. ***
 

Mac Taylor, ancora chino sul cadavere di Aiden, sbatté le palpebre e deglutì a vuoto; si passò meccanicamente la lingua sulle labbra aride e, facendolo, sentì il sapore salato del sangue che le macchiava. Guardandosi le mani, si accorse che erano imbrattate di rosso; schizzi di sangue misto a materia cerebrale gli sporcavano la faccia e la camicia, una volta immacolata.
Mentre il respiro tornava regolare poco a poco e la sua mente sconvolta recuperava lucidità, si rese conto finalmente di cosa era appena accaduto. Di cosa aveva fatto.
Si guardò intorno: la sua violenza era stata tale che dal povero corpo della ragazza il sangue, che ora colava formando una chiazza sempre più ampia sul pavimento, era schizzato sulle pareti, sui mobili, persino sul soffitto.
Nel suo cervello disorientato, lo sconcerto per ciò che aveva commesso si confuse con uno straziante senso di colpa: Aiden era una sua amica, era venuta lì in cerca di aiuto e invece lui… era diventato un assassino, come quelli cui quotidianamente dava la caccia da anni. Anzi, persino peggio, peggio di D.J. Pratt, peggio di tutti gli altri: era diventato un mostro.
Dunque, uccidere era una cosa tanto facile?
Sentiva che il sangue gli correva vertiginosamente nelle vene, mentre la nebbia oscura che gli aveva ottenebrato il cervello per pochi, determinanti, minuti si stava dissipando. Non era la prima volta che gli toccava: già in passato aveva provato la terrificante esperienza di togliere la vita a un altro uomo … però in quei casi era stato diverso, profondamente diverso. Era accaduto quando, giovane marine, aveva combattuto durante la campagna in Libano e più recentemente nel corso di un’azione di polizia per arrestare un sospettato, proteggere un civile o un agente della sua squadra, oppure se stesso.
Qui invece aveva ammazzato a mani nude una donna indifesa, ferita, in difficoltà, con l’unico scopo di salvare se stesso, il suo lavoro e la sua vita.
Avrebbe desiderato riflettere, ma non ne fu capace, e anzi ben presto si convinse che non aveva realmente bisogno di perdersi dietro alle elucubrazioni della sua mente sconvolta giacché ogni suo gesto, ogni movimento, ogni passo che l’aveva condotto al delitto era stato dettato dalla necessità.
Proprio così, gli appariva incontrovertibilmente chiaro adesso: non aveva avuto scelta, aveva agito nell’unico modo possibile.
Subito dopo fu assalito dal terrore: se qualcuno avesse sentito? Se fossero riusciti a risalire a lui? Forse uno dei vicini aveva visto Aiden entrare a casa sua e, non appena si fosse saputo della sua morte, immediatamente i suoi colleghi avrebbero fatto due più due.
No, non poteva permetterlo.
Non era pronto a rinunciare alla sua vita, con tutto ciò che essa comportava.
La prima cosa da fare era liberarsi del cadavere e ripulire tutto: di scene del crimine ne aveva viste talmente tante che nessuno meglio di lui sapeva come occultare indizi, nascondere prove e depistare un’indagine per omicidio.
Già, di scene del crimine ne aveva analizzate decine, centinaia, ma mai avrebbe pensato che la sua sala da pranzo sarebbe diventata una di esse.
Tirò giù dal divano il telo che lo ricopriva e, facendo attenzione a non guardarlo in faccia, vi avvolse il corpo di Aiden; poi lo prese tra le braccia, attraversò l’appartamento e lo depose delicatamente nella vasca da bagno, in modo che il sangue che continuava a uscirne non finisse sul pavimento e potesse in seguito essere pulito con maggiore facilità.
Adesso doveva occuparsi degli schizzi: furono necessarie due ore di lavoro serrato per rimuovere le macchie di sangue e Mac dovette fare ricorso a tutta la sua abilità di investigatore per scovare anche le tracce più piccole e nascoste. La capacità di osservazione che di solito gli era utile per incastrare un colpevole adesso la stava usando invece per salvarne un altro: lui stesso.
Quando ebbe finito, era esausto e fradicio di sudore: si guardò intorno, considerando che, avendo passato dovunque l’ipoclorito di sodio (1), il DNA di Aiden ne era stato irrimediabilmente degradato così che, seppure a qualcuno fosse venuto in mente di passare il luminol in quella camera, scoprendo gli aloni invisibili a occhio nudo che non era riuscito a cancellare del tutto, non si sarebbe mai potuto affermare con certezza che la ragazza era stata uccisa lì.
Attento a non lasciare dietro di sé tracce, andò nel bagno di servizio, si spogliò e sistemò i suoi abiti imbrattati di sangue in una busta di plastica: se ne sarebbe liberato più tardi, con calma.
Si infilò sotto la doccia e, mentre si insaponava quasi non rabbia, sfregandosi la pelle e i capelli tanto da farsi male come se, rimuovendo il sangue, potessero scorrere via insieme all’acqua rossastra anche il dolore e il senso di colpa, d’un tratto comprese quale fosse l’unica soluzione possibile per salvare se stesso e insieme riparare almeno a un po’ del male che aveva fatto, rendendo ad Aiden, in qualche modo, giustizia.
***
 
Chiudere il cadavere in una delle grosse valigie di Claire, che ancora conservava sopra all’armadio, fu semplice; più complicato e pericoloso fu invece trasportarla fino alla sua auto e infilarla nel cofano.
In una città come New York non gli risultò nemmeno tanto difficile, nonostante l’ora, procurarsi una tanica di benzina per accendini, praticamente impossibile da rintracciare.
Seguendo le indicazioni che gli aveva fornito Aiden, individuò il posto dove Pratt l’aveva aggredita e, tenendo a mente la descrizione della macchina in cui lui l’aveva spinta, trovò anche la Cadillac nera. Quando, indossati i guanti bianchi di lattice, provò ad aprire la portiera, si accorse che era stata forzata con uno Slim Jim (2) così come il blocchetto dell’accensione: allora era proprio così, pensò, D.J. Pratt doveva avere rubato quell’auto per uccidervi Aiden a riparo da occhi indiscreti.
Per Mac Taylor fu terribile aprire la valigia e, guardandosi intorno col cuore in gola nel terrore di essere sorpreso da qualcuno, tirarne fuori il corpo e distenderlo sul sedile anteriore.
Aprì appena i finestrini, in modo da lasciar passare aria a sufficienza per alimentare la combustione all’interno dell’abitacolo, ma non tanta da far divampare alte le fiamme, attirando così l’attenzione della gente prima che il fuoco completasse la sua opera di distruzione.
Infine, la parte più atroce.
Il tocco che avrebbe incastrato Pratt senza lasciargli alcuna possibilità di salvezza: le mani guantate del detective aprirono le mascelle del cadavere - fortunatamente, considerò, non era ancora sopraggiunto il pieno rigor mortis - e, facendo forza insieme dall’alto e dal basso, le richiusero sul bracciolo del sedile del passeggero in maniera da lasciarvi su un’intaccatura che chiunque non fosse stato presente lì con lui in quel momento avrebbe scambiato certamente per un morso, inferto da Aiden mentre era ancora viva.
Si alzò, sparse tutta la benzina sul corpo e sui sedili e con un fiammifero appiccò il fuoco.
Mentre risaliva in macchina e metteva in moto, udì distintamente il crepitio delle fiamme e vide i primi bagliori rossastri riflettersi sui marciapiedi lucidi di pioggia e sui vetri delle altre auto in sosta. 
Quello sarebbe stato il suo tributo ad Aiden Burn.
Si era ricordato di un caso cui avevano lavorato insieme sei anni prima. Una donna era stata rapinata e uccisa mentre tornava a casa dopo il lavoro; loro avevano un sospettato, ma il suo alibi reggeva, non c’erano testimoni e l’indagine era a un punto morto. Quindi Aiden aveva iniziato a tormentare quel tipo, seguendolo e provocandolo, fino a che lui non aveva ceduto e le era saltato addosso: con l’accusa di aggressione a una poliziotta arrestarlo era stato facile e, una volta in Centrale, si erano accorti che l’uomo aveva una vistosa ferita sull’avambraccio, poi risultata un morso compatibile con la dentatura della vittima. Così la giovane detective era riuscita a incastrare il colpevole anni prima; allo stesso modo, sarebbe riuscita a incastrare D.J. Pratt adesso.
Quando il cadavere fosse stato scoperto, infatti, per la sua squadra sarebbe stato assai facile ricollegare il segno sul bracciolo dell’auto con il morso che Aiden gli aveva dato durante la loro colluttazione; da qui, la conclusione più logica sarebbe stata desumere che la ragazza fosse stata ammazzata all’interno della macchina da Pratt, secondo il piano da lui effettivamente concepito e poi non andato in porto a causa della reazione della ragazza.
Poi ci avrebbe pensato lui a tirare fuori al momento giusto la storia del caso di sei anni prima, facendo credere che Aiden avesse voluto, in punto di morte, lasciare una traccia che avrebbe consentito loro di incastrare l’assassino.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


 

Epilogo
 
 
IL GIORNO DOPO

 
Prima di aprire la porta di casa, Mac Taylor lanciò ancora uno sguardo oltre il finestrone delle scale: il sole era tramontato da un’oretta o poco più e giungeva il dolce momento in cui il giorno caotico è già finito, mentre la notte sfrenata non è ancora cominciata. I grattacieli si stagliavano neri contro il cielo e ogni cosa appariva come oscurata sulla terra, mentre l’aria sembrava percorsa da un mesto, corrusco splendore.
L’ora che preferiva.
Ma quella sera il detective aveva levato la faccia in alto con un’espressione completamente diversa stampata sul viso pallido e corrucciato; abbassò gli occhi, segnati da una profonda, ineffabile tristezza, sul pavimento e infilò la chiave nella toppa.
I cardini dell’uscio aperto e subito richiuso emisero un lieve cigolio.
Mac mise le chiavi in tasca, non si tolse la giacca, né ripose pistola e distintivo come di consueto: solo si appoggiò con la schiena alla porta, gli occhi chiusi e le pallide labbra serrate in una smorfia di dolore, troppo esausto e disperato per compiere qualsiasi gesto ulteriore.
Rimase in silenzio qualche secondo.
“Claire?” chiamò poi, senza cambiare posizione.
“Claire?” ripeté.
Sospirò tristemente.
“Mio Dio, Claire” disse, infine, incredulo “Oggi è successa una cosa terribile: ti ricordi di Aiden Burn?”.
 

 

FINE
 
Note: (1) l’ipoclorito di sodio è un componente della comune candeggina che tutti noi abbiamo in casa; (2) lo SlimJim è una sottile striscia di metallo (di solito di acciaio) di circa 60 cm di lunghezza e circa 2-4 cm di larghezza, inizialmente commercializzato con tale denominazione da HPC Inc., un produttore e fornitore specializzato in strumenti di scasso. È utilizzato per sbloccare le porte di automobili senza l'uso di una chiave o chiavistello (fonte:Wikipedia).

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