The blower's daughter

di Cassie chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


(In attesa del secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa prima parte, dato che ho capito che non era molto comp

(In attesa del secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa prima parte, dato che ho capito che non era molto comprensibile! Ho evidenziato le parti in rosso, che sono i ricordi di Draco, e aggiunto qualche piccola cosetta! Buona lettura! Cassie)

 

Parte prima

 

And so it is

Just like you say it would be

Il sole sta sorgendo, una leggera diffusione di luce colpisce le nuvole scure.

Non è vero.

Il sole non sorge davvero da dieci anni. Dalla vittoria del Signore Oscuro, il sole non sorge. Dalla morte di Harry Potter, il sole non sorge. Da allora, il sole non sorge.

La nebbia dei Dissennatori ha tolto ogni possibilità che l’astro della Terra fosse visibile.

La mattina si riconosce solo dagli orologi.

Per chi, ovviamente, ce l’ha un orologio. O, forse, se hai occhio, puoi vedere una lieve luminosità delle nuvole, che avvolgono perennemente il cielo grigio, come una lanugine sparsa.

Tocco il vetro della finestra nella mia camera a Malfoy Manor, è caldo. Una giornata di gennaio sta iniziando. O forse sta finendo? Me lo chiedo sinceramente. Non lo so davvero. Potrebbero dirmi che sta finendo e ci crederei benissimo. E in ultima analisi, non c’è nemmeno uno stupido sole a smentirmi. Superbia. Le mie mani si torcono su sé stesse, eccitate. Potrei dire che è notte e qualcuno potrebbe darmi ragione. Chi lo sa, potrebbe anche darmi ragione qualcuno che non vi sia costretto. Abbiamo il potere. È nostro.

Sfera di luce meravigliosa e bellissima, che solo noi possiamo toccare.

Nemmeno il sole può avere ragione del Signore Oscuro e di uno dei suoi Mangiamorte.

È sorprendente. E io faccio parte di tutto questo, in minima parte sono anche io il signore del mondo.

Sospiro tra me e me, attento che quella minima emissione d’aria si perda nelle pareti di pietra bianca e dura, vacillare proibito. So benissimo che anche solo pensare di essere il signore di qualcosa, oggi, in questo istante, in questo mondo ed in questa vita, è simile ad un tradimento alla mia causa. Tutto è di Voldemort. La mia vita, la mia anima, il mio tempo, le mie donne, la mia casa, la mia famiglia, la mia storia, la mia mente. Non posso pensare di dividere qualcosa con lui, anche quelle cose che sarebbero solo mie di diritto. Quale, poi? Quale diritto? Nessuno. Va bene. Benissimo. Non ci potrebbe essere niente di meglio al mondo.

L’egoismo è per quelli pieni di ricchezze, di fulgidi e brillanti tesori davanti ai loro occhi.

Non credo di avere una cosa così unica da non accettare di dividerla con lui, con Voldemort. Lui che mi ha dato tutto.

Nuovi occhi per vedere.

Nuovi pensieri da forgiare.

Nuove azioni da intentare.

Nuova vita da trascinare.

Senza di lui, non avrei occhi. Pensieri. Azioni.

E soprattutto non sarei già più vivo, da tempo.

Non c’è un motivo più nobile al mondo: evitare la morte e cercare la vita, sia essa di qualsiasi forma e tipo.

Io sto cercando solo questo. Sto guardando solo questo. Sto pensando solo a questo. Sto facendo solo questo.

Trascino eternamente me stesso alla ricerca solo di questo.

Life goes easy on me

Most of the time

Mi volto alle mie spalle, guardandomi indietro. La stanza più ricca del castello, Voldemort mi ha concesso di tenerla. Lui mi ha fatto l’onore di prendere la camera da letto dei miei genitori; mi osservo intorno, le mani che si piegano a pugno. Legni pregiati, perlopiù ebano. Il suo colore nero e rosso mi ha sempre intrigato alquanto, l’ho scelto con mia madre a Diagon Alley, un giorno di giugno. Faceva un caldo, quel dannato sole mi faceva impazzire. Meno male che ora non c’è più; mi attirò immediatamente questa serie di mobili, nella vetrina di un negozio di arredamento magico. Rilucevano nella luce del mattino, fui colpito da quei riflessi stupefacenti di colore. Dopo quei riflessi particolari non li ho trovati più, ma comunque mi piacciono abbastanza questi mobili. Il letto a baldacchino, coperto da un telo rosso sangue, decisamente in pieno stile con me. Tutto in questa stanza è in pieno stile con me. Sulla spalliera del letto, un’imitazione fedele di un quadro babbano, la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci. Questo piaceva a mio padre, non moltissimo a me sinceramente, ma quando me lo chiese, dissi che l’adoravo invece. In effetti, l’adoravo perché mio padre me lo aveva portato appositamente dall’Italia, ma non mi piaceva il soggetto.

“Stai scherzando Weasley? Vorresti dire che qualcuno ha invitato quella roba al ballo? Non la Mezzababbana zannuta?”.

“Buonasera, signor Moody!”.

Un balzo indietro terrorizzato.

“Sei un furetto nervosetto, eh, Malfoy?”.

In realtà, c’è solo una cosa che non è nel mio stile in questa maledetta stanza. Per fortuna ci ho già provveduto. Abbondantemente provveduto.

Cammino lentamente, il mio passo che è silenzioso come quello di un serpente. Ci sono voluti anni, ma finalmente so come camminare come si conviene ad un vero Mangiamorte. Ho ancora delle cicatrici sui piedi, quando mio padre mi faceva notare che non camminavo bene e, per spronarmi, mi faceva camminare in mezzo a chiodi arrugginiti. Credo di aver avuto un principio di tetano per questo, ma per fortuna lo bloccai in tempo. Per il resto, una volta capito il trucco, è stato facile. Arrivo vicino al letto e mi siedo sulla sponda, lo sguardo rivolto ostinatamente alla finestra. Non voglio guardare dietro di me. Non ho paura, sia chiaro. Blaise mi farà delle paranoie assurde, ma figuriamoci se ho paura anche di lui. E il Signore Oscuro, bè… l’ho detto, no? È tutto suo. Il mondo è suo. E' come se comprendesse all'interno di sé stesso tutte le cose infinitesimali che esistono. Se perde qualcosa, soprattutto se è infinitesimale, non fa differenza. Finalmente, spinto da orgoglio latente, mi volto e sorrido. Non è vero. Non sorrido. Non sto sorridendo.

“Guarda come frigna!”.

Risate sguaiate su chi non sente.

“Avete mai visto una cosa così patetica? E dovrebbe essere il nostro insegnante!”.

La guancia che doleva, il vento che lo percuoteva, il primo vero dolore.

“Non osare mai più dire che Hagrid è patetico, tu, mostro… tu, razza di brutto…!”.

“Hermione!”.

“Vai via, Ron!”.

Guardo la donna nel letto. Bionda, nuda, passabile, appena coperta da lenzuola di seta rossa. Ha la testa appoggiata sul cuscino, gli occhi chiusi e le labbra rosse. Mi sono divertito con lei. Abbastanza. I suoi capelli sono sparsi disordinatamente, e si erano stranamente intrecciati con i miei al risveglio, biondi i primi e biondi i secondi, oro il mio e scadente bronzo laccato il suo. Un conato di vomito al ricordo. Mi sono staccato bruscamente, disgustato, e mi sono alzato.

Hannah Abbott.

L’abbiamo catturata due mesi fa, mentre andava in chiesa per sposarsi. Lo sposo era qualcuno di Hogwarts, ma non mi ricordo come si chiamava. Sicuramente uno dei Tassorosso. L'ho ucciso e me ne sono andato. Aveva il viso tumefatto ed era irriconoscibile, e prima non ci avevo fatto caso. Quindi non so chi fosse, Blaise sicuramente lo saprà. Ha organizzato tutto Theodore Nott, e chiaramente ha avuto il primo turno. La voleva da quando eravamo ad Hogwarts, sbavava quando la vedeva passare nella Sala Grande. Si grattava in mezzo alle gambe, ghignando con noi, lei che lo ignorava, circondata dalle sue amiche, il suo passo allegro che faceva saltellare le sue trecce bionde, l'andatura leggermente più veloce mentre lei passava accanto a noi. Non volevo ripassarmela dopo Nott, almeno con gli altri come me, con quelli al mio livello, preferisco avere qualcosa di solo mio. Ma non c’era di meglio, e allora mi sono accontentato. E poi a Nott ormai non fregava più niente, l'aveva sbattuta nelle cucine. Un vero spreco, in fondo è abbastanza graziosa. È un mese che la porto nella mia camera. Ogni sera, piange un po’, fa un po’ di strepiti, ma dice che con me non è poi tanto male. Non è poi tanto male. Non che mi interessi la sua opinione, assolutamente. Nott le faceva male. Io no. Non mi interessa farle male. Che me ne frega? Non è importante lei, tantomeno è importante farle male. Quando la sbatto sul letto, non mi interessa farle male, ma forse glielo farei alla mattina. Male, intendo.

Piange alla mattina.

Si sporge oltre il letto e guarda l’orologio sul comodino. Constata stupita che sono le sette e mezzo, guarda il cielo alla ricerca di una luce che non esiste più. Si volta verso di me e io fingo di dormire. Allora si rannicchia su sé stessa, patetica bambolina di stracci, e piange. Fremo nel sonno per la rabbia, è davvero stupida. Non ha mai capito niente, nemmeno a scuola. Piange perché ricorda il tempo delle sue stupide trecce? Piange perché i capelli le vengono tirati e deve lasciarli sciolti? Vorresti rifarti le trecce, Hannah? Nel nostro mondo, una sola legge impera sovrana. Se non sei capace di smettere di piangere, muori. È meglio. Decisamente. Ovviamente vale per voi. Non per me o per chi comanda. Pallidi fantasmi che avete seguito Potty, se non sapete smettere di piangere, morite. Risparmierete fatica e dolore a voi stessi, ed ulcera nervosa a noi. E noi, dite? Piangiamo noi?

Noi non dobbiamo piangere. È un atto di ingratitudine verso il Signore Oscuro.

Bussano alla porta. Mi alzo da letto e faccio in tempo a indossare una vestaglia di seta nera che avevo distrattamente lasciato su una poltrona.

“Avanti” mormoro, lo sguardo rivolto alla porta, mentre me l’allaccio.

Con un leggero cigolio, la porta si apre. Blaise mi guarda sorridendo. È talmente frivolo quel ragazzo che, a volte, mi sorprendo del fatto che sia ancora vivo. Ha sempre la stessa espressione di quando eravamo ad Hogwarts, il che è tutto dire. Nonostante poi il Signore Oscuro gliela abbia fatto gentilmente notare un mare di volte che il nostro colore caratteristico è il nero, lui continua a foderarsi l’anima e il corpo di colori sgargianti. Renderebbe confuso persino un cieco. Oggi, per esempio, è vestito di una lunga tunica di colore blu pervinca. Blu pervinca. Mi stropiccio gli occhi, irritato, non so perché ma mi dà fastidio quel colore.

“Ciao Harry! Ciao Calì!”.

Sorriso radioso su un volto diverso.

I colori consueti sul suo viso si incastrano perfettamente con il blu pervinca che indossa.

“Quella odiosa mezzosangue è venuta con Krum, e dire che pensavo fosse più intelligente! Krum, ovviamente!”.

Fuori… occhi sorpresi, occhi meravigliati, occhi eccitati, occhi socchiusi in fessure, occhi rassegnati, occhi coperti da polveri colorate, occhi sbarrati dall’invidia, prima ben aperti per scatenare l’invidia altrui, che invece non era arrivata. Occhi tutti su di lei. Occhi tutti per lei.

Dentro… bocca chiusa, parole perse, lingua impastata, pensieri confusi. Occhi che sfuggono. Da lei.

Come un soffio di vento, volteggia a un metro di altezza da tutti loro.

Come sempre, volteggia lontana da tutti loro.

Angelo irraggiungibile, donna insopportabile, demonio insaziabile.

Lei. Fuoco dell’insopportabilità di non averla.

Angelo reietto, uomo eletto, demonio designato.

Lui. Rassegnazione dell’inevitabilità di esservi escluso.

“Buongiorno Draco!” mi fa allegro, mentre ancora mi stropiccio gli occhi “Mi sembri esausto! Hai dormito bene? ”.

“Benissimo … l’Abbott ha fatto bene il suo lavoro!”.

Ride. “Mi eri sembrato stanco, invece… ma forse effettivamente lo sei…”.

Rido. “Già… è sfiancante quella donna! Comunque, ho la mente stanca, non il corpo!”.

“Come mai? Troppi pensieri?! Rimpianti?! Ricordi?! ” sorride in maniera irritante. All’improvviso mi dà fastidio. Soprattutto con quella veste assurda addosso.

“No, sono fin pochi…” rispondo sbrigativo, sedendomi di nuovo sul letto “E’ tutto meravigliosamente facile …”.

“Facile?” chiede Blaise, spalancando i suoi occhi azzurri “In che senso, facile?”.

Non rispondo, voglio dire che, grazie a Voldemort, ognuno di noi ha esattamente che cosa vorrebbe. Non siamo costretti a sgomitare per vivere, abbiamo tutto su un grande e intarsiato piatto d'argento. Il dolore e la fatica ci vengono evitati, il piacere inebria come primo attore la nostra anima. Ma lui non capirebbe. In effetti, non ho ancora capito come faccia ad essere un Mangiamorte. L’ultima volta che gli ho parlato, rimpiangeva Silente. Sì, esattamente il vecchiaccio che è morto prima di Potty. Blaise dice che faceva ridere. Che era divertente. Te la ricordi quella del DIRE-QUALCHE-PAROLA? Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre. Era un grande! Mi faceva morire! Peccato che sia morto. Lo avevo guardato, inarcando un sopracciglio. Ringrazia che qui non ci sia uno come Codaliscia, altrimenti il Signore Oscuro avrebbe già saputo della tua…  nostalgia… e t’avrebbe fatto venire la nostalgia della vita! Lui per niente turbato aveva sorriso con l’aria di chi la sapeva lunga. È per questo che l’ho detto a te, no? Perché andavo sul sicuro, in fondo stava simpatico anche a te… Sorrisi, che razza di tipo strano.

Si siede sul letto vicino a me, rinunciando ad avere la risposta alla sua domanda. È sempre così: lui chiede, io me ne sto in silenzio. Credevo che si annoiasse a morte a parlare con me, invece ho capito che sono il suo esperimento psicologico meglio riuscito. Se le cose fossero andate in maniera… diversa… , sarebbe diventato primario nel reparto di Psichiatria al San Mungo.

Lentamente si guarda attorno, apparentemente con curiosità, anche se conosce la mia stanza a memoria, fin da quando eravamo bambini . Poi sospira languidamente e mi dice: “La puoi spostare per piacere? Mi fa ribrezzo…”.

“Cosa?” chiedo distratto, di rado lo ascolto attentamente.

“L’Abbott… mi danno fastidio i morti…” risponde con la voce scocciata ed annoiata, una smorfia sul volto abbronzato “Chissà da quante ore è lì…”. Mi volto a guardare la ragazza nel letto, effettivamente è da parecchio. Stamattina non ha fatto in tempo né a guardare l’orologio, né tantomeno a piangere, meno male. Rabbrividisco leggermente, notando la piccola scia di sangue che bagna anche le mie lenzuola, le dovrò far lavare daccapo. La Brown e la Weasley non sanno lavare nemmeno un straccio, me le portano sempre troppo aggrinzite. Il resto del sangue, provocato dalla ferita sul collo, si è fortunatamente aggrumato. La lama aveva trapassato la sua carne più debole e delicata con una facilità impressionante. Anche questa è fatta. È morta nel sonno, meglio di così non poteva andare. Non s’è né accorta, né ha fatto in tempo a piangere. Pace al mio sistema nervoso.

La voce di Blaise interrompe il flusso dei miei pensieri. Una voce flautata e leggera, ma che ha sempre l’effetto di sconquassarmi il cervello.

“Sei troppo… generoso…” mi dice, guardandomi con un sorriso rassegnato “Davvero troppo, Draco… dovresti smetterla…”.

“Eh?” chiedo senza eccessivo interesse, i suoi discorsi sono veramente troppo scombinati per me.

“Quella donna… Hannah… voleva disperatamente morire…” risponde con pazienza, come se stesse parlando ad un bambino piccolo “Tutti se ne sono altamente fregati. Tu l’hai accontentata…”,  si raccoglie nelle spalle e soggiunge con una punta di divertimento nella voce: “Te l’ho detto, sei troppo generoso…”.

“Modera il linguaggio, Weasley. Non è meglio che vi muoviate adesso? Non vorrete che riconoscano anche lei, vero?”.

“Che cosa vorresti dire?”.

“Granger, stanno cercando i Babbani, vuoi far vedere le mutande a tutti? Perché se è questo quello che vuoi, aspetta solo un attimo… vengono di qua e almeno ci faremo una bella risata…”.

Altre parole. Le solite. Insulti di orgoglio, risposte di orgoglio. Orgogli diversi.

“Oh, insomma, andiamo a cercare gli altri”.

Soddisfazione dell’essere ascoltato.

“Tieni giù quel tuo testone, Granger”.

“Andiamo!”. 

Fruscio di vesti nella notte, vesti che si allontanano. Una luna sanguigna che illumina il viso. Un sorriso, ma la luce tetra del Marchio nero non permette di distinguerlo.

Allontanarsi, la sicurezza matematica che in quelle situazioni non sarà mai in pericolo.

Fermarsi, un fruscio, un altro alle sue spalle. Chiedersi scioccamente se poteva essere anche lui in pericolo.

“Sei troppo generoso, Draco…”. Una voce flautata e leggera, ma che ha sempre l’effetto di sconquassare il cervello.

“Che cavolo vuoi, Blaise?!”. Irritazione pura, quella della distrazione e del essere scoperti.

“Sai bene che avrebbero preso anche la Granger, era ad un passo… li stavano andando incontro… rinunci alla tua personale vendetta, affidata ad altri da perfetto Serpeverde quale sei, solo per difendere il suo orgoglio da Grifondoro…”.

“Fantasie, Blaise…”. Tacere di fronte all’evidenza.

Illuminazione di una giustificazione.

“Voglio avere io l’onore di vendicarmi… non lascerei a nessuno questo piacere…”. Ghigno soddisfatto.

“Ridi, ridi, ma per me sei e rimani generoso da fare schifo…”.

“Non dire fesserie…” dico, alzandomi in piedi e dandogli le spalle “Mi aveva scocciato, ecco tutto, figuriamoci che mi frega di quello che diceva o pensava… piangeva troppo, ecco tutto. Mi dava fastidio ecco…”.

Lui sorride, sempre troppo accondiscendente, e fa: “Dici sempre troppi ecco, quando sei nervoso… te lo diceva sempre la McGranitt, quando ti interrogava… te lo ricordi? Ah, quanto era simpatica quella donna! Come una carie ai denti, in effetti…però peccato che sia morta!”.

Lo interrompo, infastidito: “Smettila, Blaise! Mi rompi in questi giorni! Che c’è, vuoi che faccia rapporto al Signore Oscuro? Vuoi che gli dica delle tue nostalgie?! Vuoi che ti metta a morte per alto tradimento?! Si può sapere che cavolo vuoi? Che cerchi?”.

“Semplice…” sorride lui, alzandosi in piedi “Vivere, Draco… voglio solo vivere…”.

“E allora smettila con queste storie… stai rischiando troppo... sembra invece che tu voglia morire...” gli dico ancora, guardandolo dall’alto in basso, poi aggiungo: “Lasciami in pace…”.

Il mio tono non ammette repliche. Ma lui replica lo stesso, il suo sorriso è scomparso del tutto: “Non c’è pace, Draco. Da nessuna parte. E io la rivorrei indietro, questa è la mia sola nostalgia. Vivere in pace, e soprattutto libero… ma non ho la presunzione di fartelo capire… in fondo, nessun’altro ci è riuscito, perché dovrei riuscirci proprio io?”.

Non gli rispondo. Come sempre. Non merita una mia risposta.

Non è vero.

Non riesco a rispondergli. Chiudo i pugni a riccio, dovrei invece. Invece, come sempre, è lui a rompere quel silenzio.

Sorride ancora: “Vuoi che faccia qualcosa per te?”.

Che tu diventi muto, così che la tua voce non sconquassi più il mio cervello.

“Voglio una delle Patil, stasera…” rispondo, sollevando il mento con aria altezzosa.

“La maggiore o la piccola?”.

“E’ uguale…” ribatto indifferente “Anzi no, la grande… ma, se la piccola non se l’è fatta nessuno, preferisco quella…”.

“Eccolo qua che ritorna il castigavergini… mi avevi preoccupato, amico, pensavo che l'Abbott ti avesse rammollito...” ride lui, poi si fa ancora serio. È un brutto segno che Blaise sia stato serio due volte nello stesso giorno.

“Che c’è?” chiedo ancora.

“C’è una riunione tra poco… credo un’esecuzione…”.

“E allora?” ribatto con tono annoiato. Ce ne sono decine al giorno.

“Il Signore Oscuro vorrebbe che ci fossi…”.

“Ci sarò” ribatto pronto e vigile “Quando è?”.

“Tra due ore…”.

“D’accordo… tienimi il posto…”.

Un tono di voce secco: “No, Draco… è meglio che arrivi in orario, è davvero molto meglio per te…”.

Un tono che non ammette repliche.

E non ne ha, rimango in silenzio, mentre esce dalla mia camera.

Lui non si chiama Draco Malfoy, le repliche riesce ad evitarle. Sono le risposte, che invece non ha. Nessuno ha mai quello che vuole.

 

And so it is

The shorter story

Con un colpo di bacchetta, faccio sparire il corpo della Abbott, che si smaterializza, andando a finire nella fossa comune assieme agli altri. Per un attimo, resto immobile, ricordandomi che lì ci sono anche i miei genitori. I miei genitori… li ricordo a malapena. Narcissa Black in Malfoy… Lucius Malfoy… non hanno una tomba con questi nomi scolpiti, con fiori freschi del loro unico figlio e quelle due date vicine nella pietra, lontanissime nella memoria. La madre di Blaise, Dorilys Zabini, ce l’ha una tomba. Pulita, colma di camelie bianche, scintillante contro la collina. E lei era la puttana dei Mangiamorte, quella che si sono fatti tutti. C’ero vicino anche io, ma mi fece ribrezzo. Magari è stato proprio per questo, per questo suo lavoro, che ha avuto una tomba. I miei genitori invece no. Avranno fatto male il loro lavoro.

In realtà, non lo so il perché.

Mio padre morì qualche anno dopo la vittoria di Voldemort, era evaso da Azkaban ed era stato riammesso nelle schiere dei Mangiamorte. Una mattina, mi vennero a dire che era morto, solo questo. Erano giorni che lui appariva preoccupato. Il rimpianto del lutto me ne ha fatto ricordare, allora non me ne accorsi. Non ci ho trovato una spiegazione, mai, e nemmeno l’ho cercata più di tanto. Sarebbe stato un suicidio, lo so, c’erano di centinaia che morivano ogni giorno senza un perché. Chiedere avrebbe significato morire. Come mia madre. Lei aveva chiesto troppo. Priva della protezione di mio padre e con la mia ancora troppo immatura, l’avevano uccisa in una notte di pioggia, nel suo letto. Non è vero. Era nel letto di Boris Tiger, ma fa lo stesso. Non ci parlavamo da anni ormai. Le dissi solo di smetterla con le sue indagini, il tono non dissimile a quello che uso con Blaise. Come Blaise, non mi ascoltò. Dovrei decisamente cambiare tono di voce. Comunque, mi disse solo una frase, prima del silenzio del rancore e di quello della morte. Il sangue non si dimentica, Draco, mai. Farai anche tu i conti con il tuo sangue. Non c’è signore oscuro che tenga, quando si parla del sangue.

Stringo i pugni, del sangue non me ne è fregato niente. L’ho ignorato. Continuare a vivere per il sangue, per il mio sangue, sarebbe stato uguale alla fine. Il sangue mi aveva portato fino a lì, mi aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento, solo per la sua inconfutabile purezza. Era stato la mia salvezza. Ma adesso il sangue reclamava la vendetta dell’omicidio di mio padre. Reclamava la mia morte per quell’ancestrale senso dell’onore. Non potevo permettermelo, io volevo vivere. Mio padre sarebbe stato d’accordo con me. Nonostante questo, continuo a fare i conti con gli occhi di mia madre di quel giorno. Azzurri come mai sono stati i miei, privi dei toni grigi di mio padre. Colore lucente contro l’assenza di ogni colore. Rilucenti della determinazione dell’amore che io non conoscerò mai.

Mi continuano a perseguitare quegli occhi.

Correre, riusciva a pensare solamente a quello. Il respiro corto, il fianco che doleva terribilmente, le gambe che credeva avrebbero ceduto. Tutta l’aria che inspirava, era impiegata nella corsa; non arrivava più alcun ossigeno al cervello. Forse per questo esso si perdeva nei pensieri che la sua mente cosciente non avrebbe mai riconosciuto. Le parole del vecchiaccio, poco prima di tirare le cuoia. Gli aveva detto di provare pietà per lui, di non odiarlo e tantomeno di temerlo. Parole insensate, se ne fregava. Ma una frase continuava a percuotergli il cervello con la stessa intensità del suo passo. Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come pensano gli innocenti. Lui era innocente? Certo che lo era, pensò con una punta di disprezzo per sé stesso, mentre Piton lo spingeva giù per le scale. Era stato Piton ad uccidere Silente, non lui. Lui era innocente. Nel canone del mondo comune, era innocente. Ancora. Non perché se fosse diventato un Mangiamorte avrebbe ucciso, macchiando per sempre la sua innocenza, ma perché di fronte al Signore Oscuro, quei concetti subivano una brusca inversione di tendenza. Innocente sarebbe stato Piton, che aveva compiuto l’omicidio, e colpevole lui, che non aveva avuto il coraggio di commetterlo. Le regole cambiavano nel mondo di Voldemort. Sudore freddo della paura impregnò i suoi capelli biondi, assieme a quello caldo dello sforzo. Piton urlava, avevano Potter alle calcagna. Aveva paura di Potter, adesso? Finalmente le scale finirono. La sala Grande… rumore di combattimenti, maledizioni che si infrangevano sulle pareti, acciottolio dei rubini della clessidra di Grifondoro. I rubini odiati nella loro abbondanza, il giorno dell’assegnazione della Coppa delle Case. Quasi si gloriò che adesso rovinassero, innumerabili, contro gli smeraldi intatti della clessidra di Serpeverde. Come se i Mangiamorte ci mettessero una studiata attenzione nelle loro maledizioni per non colpire la clessidra della Casa di cui sicuramente avevano fatto parte. Se mai ci avevno pensato, se mai se ne fossero ricordati… di sfuggita, vide le quattro lunghe tavolate fatte a pezzi. Nostalgia. Non ci si sarebbe seduto mai più. Alcuni come lui combattevano. Con terrore, si accorse che aveva appellato come persone come lui i ragazzi che stavano combattendo. La piattola Weasley, quell’imbecille di Paciock, Lunatica Lovegood. La Mezzosangue... la mezzosangue, si fermò nella sua mente a guardarla più a lungo. In fondo, diceva addio anche alla sua nemica naturale. Quando si sarebbero rivisti, non ci sarebbe stato spazio per trasformazioni in furetti e denti da castoro. Solo tre nomi: Imperius, Crucio, Avada Kedavra. E la fine di ogni gioco.

Evitava ogni maledizione, reclamando forze assurde ogni minimo secondo, la Granger.

Vuoi vivere, Mezzosangue?

Io anche. Non c’è nessuna differenza tra me e te.

A questo pensava, mentre in una frazione di secondo la vide e i suoi capelli agitati dal vento del suo attacco lasciavano una scia ramata nei suoi pensieri.

Lo stesso pensiero si spezzò a pezzi, quando lei si voltò e distrattamente lo guardò.

Distrattamente, null’altro era concesso. A lui, da lei.

Pietà nei suoi infiniti occhi dorati.

Pietà nel colore caldo dei suoi occhi.

Pietà nell’assenza di colore dei suoi.

La stessa pietà degli occhi azzurri di Silente.

La pietà dei buoni. La pietà degli innocenti che guardano un colpevole.

Sono sicuri di avere un paradiso sopra di loro, e guardano con pietà i dannati.

Avrebbe voluto spaccarle la faccia, ma non poteva. Stava correndo no?

E poi… non poteva… non poteva e basta.

Questo sentiva… dentro… oltre la paura ed oltre il suo folle volo.

Perché non poteva?

Era un Mangiamorte, ormai, ci avrebbe vissuto con queste cose.

Perché allora non poteva?

Stava ancora giocando? Ancora avrebbe voluto vedere denti di castoro e trasformazioni in furetto?

Ancora non era pronto?

Domande senza risposta e, prima che da Potter, fuggì da lei e dal suo insopportabile sguardo.

Con rabbia, infrango il mio pugno chiuso contro la finestra, spaccando il vetro. Il sangue cola lungo le mie nocche rimaste furiosamente serrate, mentre dallo squarcio nel vetro mi raggiunge il vento freddo,  gelandomi il viso. Rabbrividisce il sangue caldo sulla mia mano gelata, mentre la mia stanza si riempie dell’odore nauseabondo dei cadaveri ammonticchiati poco vicino. Un odore dolciastro, il sottofondo di metà della mia vita. Mi fa venire la nausea, mi porto la mano sanguinante sulla bocca ed afferro la bacchetta, nascosta sotto il cuscino.

Reparo” mormoro, anche se parte di quel tanfo orribile resta impregnato nelle pareti. Resta confinato nella mia mente.

Mi siedo di nuovo sul letto e guardo senza alcuna ombra di interesse la ferita sulla mia mano aprirsi sempre di più. Mi strappò dalla carne viva un frammento di vetro, e poi la tampono leggermente con un fazzoletto di stoffa bianca, che immediatamente si impregna di rubino.

Per un attimo sorrido. Ora capisco Blaise, quando parla della nostalgia. Una persona, una volta, mi disse che la parola nostalgia deriva da nostos, ritorno in greco… Ulisse, un eroe babbano voleva tornare a casa dopo vent’anni di guerra. Ogni volta, era una nuova impresa, una nuova avventura, ma nulla sembrava avvicinarlo a casa sua. Al massimo, sembrava solo allontanarsene. Nel viaggio, sul mare, attraverso la terra, lui struggeva per essa. La nostalgia… null’altro che il desiderio del ritorno. Io non provo nostalgia, mai.

Di solito, oso aggiungere onestamente.

I miei mai sono sempre simili ai di solito degli altri, deve essere tipico dell’indole egocentrica ed intransigente dei Malfoy. Rendiamo obsoleta l’abitudine delle cose, trasformandole in eventualità straordinarie e inconfessabili. Io non voglio ritornare da nessuna parte, quindi non provo nostalgia. Però… questo accade di solito. Di solito, per esempio, non mi sfracello la mano contro un vetro per il puro gusto di farlo. Quindi è anche ammesso che io provi nostalgia. Un po’, non fraintendiamo… non mi chiamo Blaise Zabini che ha nostalgia di tutto, dalla pioggia d’estate a Silente, passando per le Millegusti+1 e le cravatte verde-argento di Serpeverde.

Io non rimpiango mai nulla.

Guardo la mia mano.

Onestà, prego.

D’accordo, questo accade con la cadenza dei vostri di solito.

Oggi, come ogni uomo, mi sento anch’io di rimpiangere qualcosa. Cose estremamente semplici, nebbie impalpabili. Danzano attorno a me, apparentemente della consistenza del fumo, ma alla fine è pur sempre fumo che finisce negli occhi. Quindi, brucia da morire.

Io spesso lo ignoro questo miasma attorno alla mia persona. Di solito ignoro i miei rimpianti. Ignoro che volevo vendicare mio padre e salvare mia madre. Posso farlo, posso ignorarli, perché è facile farlo. Molto facile. Come ogni altra cosa nella mia vita.

Li sogno spesso la notte. Siamo in salotto ed è dicembre; fuori nevica. Nelle mie orecchie, sento solo il fischio sordo dell’aria che entra dagli spifferi. Ho cinque anni e mezzo, e sono seduto davanti al camino. Guardo le fiamme scoppiettare e sorrido, mi piace il fuoco. Me ne è rimasta la passione anche adesso, infatti la prima cosa che faccio, quando andiamo in missione, è incendiare le case degli Auror e stare lì ore ed ore a guardare le lingue di fuoco dorate sollevarsi verso il cielo. Blaise mi guarda, sogghignando, ma non mi interessa niente, resto lì e tutto sembra essere al di fuori di una piccola porta nella mia mente. Anche nel mio sogno c’è una piccola porta, chiusa. Quella dalla camera dei miei. Io sento delle urla attutite ma non me ne preoccupo. Non mi interessa. Dopo un po’, le urla cessano e sento i passi di mio padre per le scale; mi stringo nelle mie spalle, coperte da un vestitino di velluto verde.

Guarda il fuoco anche lui. Non parla per ore ed ore e io sono… felice. Contento che lui condivida quello che sto vedendo io; immagino i suoi occhi grigi come i miei illuminarsi del contrasto di colori più caldi, riempirsi di scintille luminose, restringersi per la paura dello scoppiettare di un tizzone ardente. I nostri pensieri bruciano dello stesso fuoco. Mi illudo che dalle ceneri del passato nasca qualcosa che ci renda uniti. Perché essere padre e figlio non è avere lo stesso cognome, non è che tuo padre ti dà gli occhi grigi e i capelli biondi e finisce tutto lì. C’è… qualcos’altro. Non so cosa è. Io non posso provare nostalgia. Non c’è desiderio del ritorno per una cosa che non c’è mai stata. Nel mio sogno, però, questo non l’ho ancora capito, in fondo ho solo cinque anni, no? Mi limito a non guardare mio padre, convinto che io ora sia una parte di lui, quella parte di lui che gli permetterà di vivere in eterno. Volgarmente, le persone comuni dicono suo figlio. All’ improvviso, però, sento un odore fortissimo, lo conosco bene. L’odore di mia madre. È anche lei vicino a noi. Mia madre sa di ciliegia. Si mette sempre quel profumo per coprire quello della Pozione Guaritrice che ha un tanfo orribile. È una pasta arancione che odora in maniera strana, quando ero piccolo quell’odore mi faceva arricciare il naso e stare male. E allora lei lo copriva con quel profumo prezioso e raro. Non sapeva che era inutile, a farmi chiudere lo stomaco non era quell’odore inqualificabile di un medicinale, ma quello ferrigno del sangue che sentivo sempre in sottofondo, nonostante il profumo. In sottofondo, come quelle urla, nonostante una porta chiusa.

“Draco… devi andare a letto…” mi dice, la voce acuta e tremolante.

Mi volto e annuisco, alzandomi. Ero un bambino viziato, si sa… ma non facevo i capricci… mai...

Sorridendo, guardo mio padre. Rimango immobile, perché lui ha lo sguardo fisso non sul fuoco, non su di me, ma sulla maschera d’argento da Mangiamorte che tiene appesa sul camino, dopo quattro anni che ha smesso di usarla. Brillano gli occhi a mio padre. Non ha mai avuto quell’espressione, quegli occhi, quel viso, colmo contemporaneamente di rabbia, di dolore e di trionfo, sembrava… rifulgere… più del fuoco, più di ogni cosa minimamente luccicante al mondo. Io non splendo di quella luce davanti ai suoi occhi.

È una constatazione veloce, ma ha l’effetto di un terremoto nella mia testa.

E non splenderò mai di quella luce davanti ai suoi occhi.

Mia madre mi prende in braccio, mi porta in camera mia e mi mette a letto. Nella penombra della stanza, i lividi che ha sul viso, seminascosti dai suoi boccoli biondi, sembrano molto più scuri, la sua faccia liscia e rosea sembra addirittura sparire, come inghiottita da enormi buchi neri. Lei mi accarezza il viso, poi guarda la finestra. Forse pensa che sto dormendo o forse me lo dice apposta. Guarda scendere la neve gelida e mormora, una piccola lacrima lucente splende sulla sua pelle liscia: “Lucius sta diventando esattamente come Bella… se non indosseremo una di quelle maledette maschere, non ci guarderà nemmeno in faccia…”.

È qui che mi sveglio.

Non è un sogno.

Si è capito.

È semplicemente il giorno in cui si è decisa la mia vita. Lo so che avevo cinque anni e mezzo, ma erano abbastanza per capire che quell’uomo… il Signore Oscuro… aveva tutto. E io niente. Aveva mio padre, tanto per dirne una. La più importante delle cose al mondo per me, certo. Per questo sono diventato un Mangiamorte. Per mio padre.

Ma le cose sono rimaste le stesse. Io non ho niente, e Voldemort tutto. Lui ha avuto l’ammirazione sfolgorante di padri a cui aveva promesso di oltrepassare i confini di ogni morte e di ogni potere. Lui ha avuto mio padre… io non l’ho avuto mai. E questo, stavolta, è un vero mai, un mai degli altri. Comunque, alla fine ha avuto anche me. I miei motivi per essere un Mangiamorte adesso sono altri, ma alla base c’è una storia semplice. Semplicissima e brevissima.

Volevo compiacere mio padre e volevo che lui mi guardasse.

Per questo, non provo rimpianto dei miei genitori. Per questa maschera, per indossarla, per nascondermi nel suo incavo luccicante, per splendere della sua luce riflessa, ho dovuto accettare tanto, sopportare molto, sacrificare tutto. Me stesso, tanto per dirne una. Quando la indosso, io sono come un’onda del mare, scura e nera che si infrange sulla terra. Non conta riconoscermi, basta che io ci sia e dia il mio contributo. E, quando la indosso, io vivo secondo essa. Morirò secondo essa. La regola base della maschera è essere fedele al Signore Oscuro. Prima lui, e poi il resto. Prima lui, e poi gli altri. La famiglia… loro, quella sera, mi hanno fatto capire chiaramente che cosa dovevo essere, mi hanno fatto capire che questo era scritto nel codice genetico della nostra stirpe. Quindi… quando qualcosa gli si è rivoltato contro ed avevano già fatto di me quello che volevano, non potevano chiedermi di tornare indietro. Verso cosa? L’ho detto, a parte il Signore Oscuro, non avevamo nulla per cui desiderare di tornare. Non potevo vivere, accettando una parte di regole. Non potevo vivere, essendo solo un Mangiamorte a metà. O tutto, o niente. Io ho accettato tutto. Come mio padre, che non ha certamente lasciato spazio a mia madre e a me. Allora perché avrei dovuto farlo io?

Io sono prima di tutto un Mangiamorte.

E solo dopo, molto dopo, io sono Draco Lucius Malfoy.

E con molto dopo, si intende solo qualora il Mangiamorte lo abbia permesso.

 

No love no glory

Inizio lentamente e faticosamente a svestirmi, oggi mi sento davvero stanco. Blaise aveva perfettamente ragione. Come cavolo fa, non lo so, ma ha sempre ragione lui, mi fa una rabbia eccezionale.

Raggiungo la mia sontuosa camera da bagno in marmo bianco e nero, e riempio la vasca fino all’orlo. Acqua di tutti i colori dell’arcobaleno sgorga dai rubinetti d’oro massiccio, mentre nuvole colorate di bolle si sollevano nell’aria. Mi ci adagio comodamente dentro. Poggio la testa sul bordo della vasca, distendendomi, e chiudo gli occhi. Quando li riapro stancamente, osservo pigramente la superficie dell’acqua, che agito con le mani, descrivendo piccoli cerchi concentrici. Il mio corpo è pieno di ferite e l’acqua è diventata rosata. Nel punto accanto alla mia mano, diventa addirittura rossa. Eccola lì, di nuovo la maledetta nostalgia. Adattata ad uso ed esigenza di Draco Lucius Malfoy. L’ho detto, io non provo nostalgia degli altri, ma solo di me stesso. È l’unica cosa verso cui potrei avere desiderio di ritornare.

Ieri, abbiamo assaltato l’ultima roccaforte degli Auror e mi sono dovuto battere con quel demente di Dean Thomas. L’ho fatto fuori, ovviamente, ma non mi aspettavo che fosse così forte. Blaise me l’ha menata, dicendo che dovevo medicarmi, ma io davvero non avevo dolore o fastidio. Mi sono ritirato in camera mia, ho dormito qualche ora e poi mi sono fatto l’Abbott.

C’era un tempo però in cui al minimo taglio urlavo, in cui la vista del sangue che rovinava la mia pelle diafana mi accecava di dolore, in cui ogni minima escoriazione mi faceva gemere. Una volta, ad Hogwarts, quella specie di mezzogigante pulcioso ci fece vedere un ippogrifo. Mi fece male, mai come mi posso essere fatto male adesso. Mio padre lo fece anche condannare a morte quella specie di animale, chiaramente perché io mi presentai a lui, come se avessi avuto la più grande delle disgrazie mai subite e fossi un qualche sopravvissuto ad una mattanza di un pazzo omicida. Ma non era davvero niente in confronto a quello che ebbi dopo.

Da Mangiamorte.

Ululare di animali notturni. La luna splende tonda nel cielo, come il viso scarno di un assassino. Guarda il cielo attraverso la finestra rotta, uno spiffero di vento gelido che gli raggiunge il viso. Mai come l’altra folata di vento che attraversa la stanza nella sua assenza.

Lei… fresca tramontana. Guarda le sue bende sul suo corpo. Ferite sparse che ancora bruciano e percuotono i suoi sensi provati. Piccole lacrime di dolore splendono nei suoi occhi grigi, ostaggi di una vergogna inammissibile. È solo. Si dice che sarà l’ultima volta che piange. Giustificazione per una colpa capitale. La piccola goccia salata cade lungo il suo viso, i suoi zigomi severi e il suo collo sottile e bianco, tocca le sue vesti lacere, muore nell’incavo del gomito. Spaventata la sua piccola lacrima, risalta come un diamante sulla fronte di una donna nera, mentre arriva nel centro di una macchia scura sul suo braccio. Il tatuaggio dei Mangiamorte.

Credeva che gli Auror fossero i bravi ragazzi. Non era vero, sapevano ferire, torturare, uccidere, peggio dei Mangiamorte.

Credeva che Piton non l’avrebbe abbandonato. Non era vero, si erano separati giorni prima. Lo aveva lasciato alla Stamberga Strillante.

Credeva che la vita di un Mangiamorte fosse lusso ed onore. Non era vero, ma questo lo sapeva da tanto.

E poi credeva un’altra cosa… ma a questa non sa ancora dare una qualificazione.

Non conosce la nostalgia. Il desiderio del ritorno.

Non sa dove potrebbe tornare. Non c’è niente dietro di sé, per cui desideri tornare.

Un rumore conosciuto. Conosciuto come il vento.

Lei, ovviamente.

“Oggi avevo più compiti del solito…”.

Parole senza importanza.

“La McGranitt ci sta parlando della trasfigurazione animale…”.

Parole assolutamente inutili.

“Ed ovviamente dovevo esercitarmi, tra poco ci sono i M.A.G.O.!”.

Parole che gli davano fastidio.

“Come se non bastasse, poi, quella dannata Mrs Purr mi ha seguito per ore!”.

Parole tenui ed instancabili, mentre imbeve le nuove bende nel disinfettante verde scuro.

“E dovevo anche aiutare Dean con Storia della Magia!”.

E parole… non sa definirle, non le conosce… sono in effetti parole ben strane… fantasmagorie di pensieri di foggia particolare.

C’era ancora la McGranitt che caricava di compiti. C’era ancora la trasfigurazione animale da studiare. C’erano ancora i M.A.G.O di cui preoccuparsi. C’era ancora Mrs Purr che rompeva. C’era ancora Dean Thomas, lo scemo integrale. E tutti gli altri, e il resto del mondo.

C’era tutto, e questo, nonostante tutto…

“Nelle cucine ho trovato un po’ di pasticcio di funghi… spero che ti piaccia…”.

Non sa cosa siano, ma sono parole vitali, necessarie. Per lui. Per credere che esiste ancora un universo lì fuori. Non solo fuori da quella casa, ma fuori di lui, del solo mondo che conosce, della sola vita che sta vivendo. E lei lo sa, chissà come lo sa.

Finisce il suo lavoro e guarda il cielo, mentre lui mangia.

“Non cambierà niente, lo sai, Granger?”.

Lei annuisce, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non deve aver mai pensato il contrario.

“Il fatto che tu mi stia aiutando, non cambierà nulla… sono sempre me stesso, e tu la schifosa Mezzosangue di prima…”.

Solleva le sopracciglia, in espressione annoiata. Certo che lo sa, sa sempre tutto come sempre.

“Quando starò bene, tornerò dal Signore Oscuro e tu da Potty, no?”.

Le sta chiedendo conferma. E lei gliela dà, annuendo stancamente.

“E allora perché?”.

È davvero confuso, adesso. Lei saprà sicuramente perché. Come sempre.

Se sa tutto, perché?

“Ho quasi ucciso Silente…”.

Una nuova conferma ad una domanda non fatta.

Resta in silenzio ancora, poi sorride dolcemente.

Come fa con tutti, si dona a tutti. Anche a lui, sebbene non abbia mai chiesto niente. A nessuno, tantomeno a lei.

“E’ il quasi che ti frega.”.

Raccoglie le sue cose, pronta a tornarsene nella sua Torre d’Avorio da Grifondoro.

“E soprattutto la mia coscienza… dopo che ti ho trovato qui per caso, so che è qui che dovrei essere. È quella che non mi fa andare via. È la mia coscienza che mi fa tornare.”.

Tace lui, vorrebbe chiederle perché lui invece la fa restare.

Si ferma lei di spalle, davanti alla porta, mangiata dai tarli. Appoggia la mano sullo stipite e rimane ferma.

Chiaramente non lo delude. Dona la risposta che lui cerca, la risposta che lei ovviamente conosce.

“Non ti preoccupare, Malfoy. Mi fai restare solo perché è nella tua natura. La natura di sfruttare la gente per il proprio vantaggio. Non  farti domande e non essere inutilmente confuso; è solo il tuo egoismo a farti restare… qui, con me…”.

Annaspo e torno a galla, emergendo con la testa fuori dall’acqua. Mi sono addormentato e stavo quasi per affogare. La vasca è profonda sì, ma io stavo morendo da perfetto imbecille. Tossicchio ancora un po’, la gola che raschia. Mi sollevo faticosamente a sedere e mi stropiccio gli occhi, guardando fisso davanti a me il riflesso nello specchio dalla cornice dorata. Lo guardo attentamente, lo scruto, come se non fosse il mio; mentre lo faccio, mi sento annaspare, come se davvero stessi affogando ed avessi i polmoni pieni d’acqua. E quel che è peggio è che vorrei quasi che fosse vero. Invece è solo una maledetta sensazione. È solo questo. Una sensazione. E mi sta uccidendo.

Rido senza senso, una risata folle, troppe volte udita in questi luoghi. Non da parte nostra, chiaramente. Tra loro, gli altri, quelli che non contano. Nel  mio caso, al massimo, potrebbero prendermi per pazzo, ma questo non ha mai costituito un problema, anzi… guardare l’esempio della vecchia compianta zia Bellatrix, per credere.

Perché rido?

Niente mi uccide davvero. Le ferite, il rimpianto, la morte incombente, quella altrui. Così, mi dico, farò sì che niente davvero mi uccida, ferendomi, straziandomi, dolendo la mia anima.

È buffo, ma nonostante tutto, ho ancora paura di morire. Dopo il potere, la gloria, la ricchezza, la fama, il piacere.

Ho davvero paura di morire. Ed allora, come tutti, mi racconto questo.

Quando sarà il mio turno, non me ne dispiacerà. La morte troverà un’anima facile da portare via. Calerà senza sforzo e senza lacrime inutili la sua falce scintillante su di me.

Certo, spero più tardi che mai, come tutti. Ma intanto probabilmente sarò talmente, non dico morto, ma poco vivo che non mi farà male.

Poi arriva quella sensazione. Non la chiamo, mai, e lei lo stesso entra, come una folata di vento freddo che fa aprire e sbattere le finestre. Non so come definirla, so che arriva. E che mi spacca dentro. Ci sono giorni in cui arriva ad ogni minima parola, pensiero o idea. La trova sempre una strada per trovarmi. Mi fiuta, come se lasciassi dietro di me una scia luminosa, per lei impossibile da ignorare. È esattamente allora che vorrei morire pur di non sentirla più.

Io che mi aggrappo alla vita con folle disperazione, voglio allo stesso modo disperatamente morire in quei momenti.

Morire davvero, perché dentro mi sento fin troppo vivo.

E non so perché.

Ogni Mangiamorte è morto. Lo dice il nostro nome stesso, ci cibiamo della morte.

Per la gloria.

Moriamo per essa.

Non si può essere vivi, punto e basta. Chi è vivo, non può essere morto, ovvio, come chi può essere noi, non può essere loro. Chi è vivo, non può cibarsi della morte altrui per amore della gloria.

Semplicemente, non è Mangiamorte.

Questi momenti, questa…  cosa…mi ricorda che sono ancora vivo, mio malgrado. Troppo vivo.

Ho una vita perfetta, ho una stanza perfetta, sono un Mangiamorte perfetto che conosce giorni di perfetta gloria.

Eppure, sono ancora vivo.

L’unica cosa imperfetta sono io con la fottuta sensazione strana.

Imperfetta, come colei che me la provoca, suprema parabola dell’imperfezione umana.

Ed è imperfetta, perché mi convince del contrario, del contrario di tutto, come sempre. Sorrido a me stesso, guardo il mio riflesso nello specchio ed appare diverso. Sono Draco Lucius Malfoy per un attimo e me lo godo fino all’ultimo, nonostante sia il più grande tradimento. Riassaporo i miei occhi, il mio sguardo, il mio viso… e i miei pensieri… me li ero scordati, come fossero. Belli. Non sapevo che fossero così chiari, trasparenti, stalattiti di cristallo su una parete di roccia dura.

“Sai che sto studiando Aristotele?” sorriso soddisfatto sulla sua bocca rosea e piena.

“E allora?” sorriso annoiato sulla sua bocca sottile, arricciata in una smorfia di disgusto. Sta molto meglio adesso, riesce anche ad essere ironico. L’ironia è un lusso di chi sta bene. Quando se ne sarà andato da quella maledetta casa, recupererà anche il suo cervello. Che dovrebbe aver già cacciato la Mezzosangue, ora che si sta rimettendo. Cosa che non ha fatto, ce l’ha ancora di fronte. Ma il cervello è un lusso di chi non possiede niente di meravigliosamente inspiegabile.

“Come -E allora?!-??!! Non mi chiedi perché?”. Smorfia di delusione, da bambina capricciosa. Sporge leggermente il labbro inferiore. Gli viene da ridere, ma non lo fa.

Morirebbe, pur di non farlo.

“Perché?!!” voce infinitamente annoiata, si stiracchia stendendosi meglio sul divano cremisi. La luce del sole inonda le stanze polverose. E lei è lì, nonostante siano le Vacanze di Natale. Mai lontanamente immaginato.

“Non così! Sembra quasi che non ti interessi!” . Frustrante, decisamente frustrante parlare con lei.

“Infatti, è proprio così, Granger…”.

Silenzio, crede che lei si stia arrendendo. No. Si sta solo riorganizzando.

Lei non si arrende mai.

“E va bene, visto che ti scoccia tanto e io adoro scocciarti, te lo dico lo stesso!”. Sorriso ancora più soddisfatto. Praticamente inutile discutere con lei.

Profumo di fiori di pesco e vaniglia. Si siede accanto a lui.

“L’ho cominciato a studiare per caso… e ho scoperto una cosa importante! Leggi!”.

Oro rosso nei suoi capelli.

“Se non tieni fermo sto cavolo di libro, non leggerò mai niente!”.

“Scusa”. Si ferma. È sempre troppo agitata, quando è felice. È felice la Mezzosangue. Ed è con lui. Fa schifo pensarlo, no? Pensa, ma la voce della mente è troppo flebile per udirla. Lei è insopportabilmente fastidiosa e soprattutto rumorosa.

Mette a tacere ogni altra voce.

“Dove devo leggere per porre fine a questa lagna?”.

“Qui!” risata impaziente ed eccitata.

“Mi hai fatto male! La gamba,ahia! Ti ci sei seduta sopra!”.

“Non è vero!”. Moto di stizza, un piccolo pugno sulla spalla destra.

“E se anche non era vero, ora mi hai fatto male alla spalla fasciata!”.

“Scusa, accidenti! Vuoi leggere?!”.

“Mi lasci in pace poi? Emigri in un altro continente?”.

“Sì, sì! Ma leggi, dannazione!”.

Sospiro rassegnato.

“La felicità, infatti, come abbiamo detto, richiede virtù perfetta e vita compiuta, giacché nel corso della vita…”.

“Basta!” un’esclamazione affrettata.

“Come basta?! Tutto qui? Consolati, Granger, non ci ho capito niente! E, soprattutto, non me ne frega niente!”.

Sospiro spazientito.

“E’ ovvio che non capisci… non presti attenzione! Rileggi!”.

“Fossi matto! Una basta ed avanza!”.

“Sei decisamente impossibile, Malfoy… possibile che tu non abbia capito?”.

Espressione diversa. Occhi cioccolato nella nebbia dei suoi. Brividi sul suo collo. Lei, mortalmente seria.

“No, Granger… spiegamelo tu, visto che sei tanto brava…”.

Sorride. È felice, quando deve spiegare qualcosa.

“Non sarai mai felice, se non sarai dalla parte giusta. Quella della virtù, che, si dà il caso, sia la mia parte. E quella di Harry. Non sarai mai felice dall’altra parte. Non ci sarà spazio per l’amore, di nessuno, e quella che penserai essere gloria, non sarà nulla di tutto ciò.”.

“L’ho fatta la mia scelta, Granger, lo sai… te l’avevo detto che non sarebbe cambiato niente…”.

Improvvisamente è costrizione stare con lei. Claustrofobia, si sente soffocare. Fa per alzarsi.

“Volevo solo dirtelo… sapere di averlo fatto…” sorriso triste. Fa male.

“Per svuotarti la coscienza?”. Arrogante ed amaro, come sempre. Chiude le porte.

“No… non solo per questo…”. Accogliente e dolce, come sempre. Spalanca le porte.

“E allora per cosa altro?”. Inaspettatamente imbarazzato.

“Per chi altro, vuoi dire?” , una ghirlanda il sole alle sue spalle. Sembra una regina.

Annuisce e deglutisce.

“Per te… ma soprattutto per me…  e non c’entra niente la mia coscienza…”.

“E cosa allora?”.

“Se resti dall’altra parte, non ci sarà mai spazio per l’amore di nessuno…”, inaspettatamente incerta “Tantomeno per il mio…”.

È in quel momento che capisce che definitivamente ha perso il suo cervello. In quel minuscolo momento che passa tra le sue parole e l’esserne felice oltre ogni ragionevole misura. Il momento in cui davvero pensa di passare dall’altra parte. Dove c’è lei. Il suo piccolo e meraviglioso mistero inspiegabile.

Ritorno a guardarmi allo specchio e constato freddamente che la maschera è di nuovo al suo posto. Una maschera più rigida e fredda di quella d’argento dei  Mangiamorte, una maschera che porta incastonati come due opali morti i miei occhi grigi. Ogni tanto Draco solleva la sua piccola testa, accende gli occhi e mi fissa, ma poi muore lì, nell’inferno dentro di me. Draco muore assieme a lei, la Mezzosangue. Li vedo avviluppati dalle fiamme, rido mentre si accartocciano come foglie secche, e calpesto con disgusto la loro cenere. Peccato che, come fenici, risorgano sempre da esse, facciano solo finta di morire, e io non me ne avveda mai. Mai che disperda quelle ceneri nel vento e lasci che si perdano. Lo dimostra questa maledetta sensazione, l’ho detto. La sensazione è lei. Lo capisco chiaramente. L’effetto è lui, dare forza a Draco. Penso che sarebbe già morto, se non ci fosse stata lei.

Io sarei un vero Mangiamorte, se non ci fosse stata lei.

Torno in camera mia, una piccola nube di vapore che mi segue nel mio percorso. Svogliato, apro l’armadio, cercando la mia lunga tunica nera da Mangiamorte. Lascio scivolare a terra l’accappatoio bagnato, nonostante non mi sia ancora asciugato. La mia pelle rabbrividisce al contatto con le piccole gocce che cadono lungo le braccia, il torace e le gambe.

Ho lavato via il sangue, ma le ferite ci sono ancora.

Stringo le labbra, mordendo il labbro inferiore con forza, sento il sapore metallico del sangue in bocca. Scivola nella mia gola, brucia le mie viscere. Il sangue non mi dà tregua, il mio sangue puro non mi dà tregua. Ma resisto, so resistere. Me l’ha insegnato mio padre; ogni volta che provi dolore, procuratene un altro. Se ti fa male il braccio, pizzicati il fianco; se ti fa male la gamba, morditi le labbra. Concentrati sul dolore che tu stesso ti sei procurato e mordi, mordi come se ne andasse della tua vita. Prenditi a morsi avidi ed avari, fin che il dolore sia così lacerante da cancellare l’altro dolore, quello che tu non ti sei cercato. Il dolore che non volevi. Diventerai cieco del dolore precedente, e, quando smetterai di mordere, lo saprai. Lo saprai che quel dolore che ti faceva annaspare, non era niente in confronto ad un altro che potresti provare. E imparerai a sopportare.

Morso. I Malfoy non esistono più.

Nuovo morso. Sono l’ultimo dei Black e dei Malfoy.

Pelle screpolata in mezzo ai denti. Hanno ucciso i miei genitori.

Lingua tocca il sangue. E io non so il perché.

Sangue nella mia gola. Non ho chiesto il perché.

Gengive che fanno male. Non volevo sapere il perché.

Denti fulminati di dolore. Non mi importava il perché.

Pugno contro l’anta dell’armadio. Osso che brucia. Sono sempre stati fedeli

Calcio contro la poltrona. Dito che si flette innaturalmente. Spilli nei muscoli. Non è bastato che fossero fedeli.

Testata contro la parete. Martello contro la mia fronte. Vertigine nei sensi. Rivolo caldo lungo la guancia. Li ho traditi.

Sono morti.

Io sono fedele.

E se non basterà?

Cado in ginocchio, ancora nudo.

Ora il sangue scorre di nuovo. Ed ancora non fa male. Non fa male. Non c’è distrazione, papà. Nessuna distrazione.

Il paradosso è che, se anche potesse sentirmi e volesse degnarmi di ascoltare e rispondere, cosa che non ha mai fatto in vita, credo che mi direbbe soltanto che gli faccio schifo, profondamente schifo.

Esattamente quello che penso anch’io di me stesso.

Perché sono loro due la distrazione. I miei genitori e la loro orribile fine sono la distrazione.

Il dolore, quello vero, è un altro.

Ancora mi guardo allo specchio. Draco mi sorride beffardo dall’altra parte del vetro.

La guarda attraverso lo specchio. I suoi occhi, le sue labbra, il suo viso, le vede solo dallo specchio. Si trucca. Sta a mezzo centimetro dalla superficie di vetro, il naso che accarezza leggermente lo specchio stesso. Respiro condensato in un piccolo alone.

Piccolo sorriso curva le labbra di lui, rosse di una piccola scia di sangue.

Un morso d’amore. Sa anche mordere la Regina dei Grifondoro.

Non sa truccarsi, però. Ride mentre la guarda. È buffa. È bella. Lei che ora sta lì. In una camera da letto con lui, come la cosa più naturale del mondo. A piedi nudi, le gambe scoperte, solo la camicia di cotone addosso, come la cosa più naturale del mondo. L’espressione corrucciata mentre si trucca, come la cosa più naturale del mondo.

“Che cavolo hai da ridere?!”. Esplosione di piccola rabbia. Onde di capelli la seguono.

“Sei malata? Non sto affatto ridendo!”. Negare, sempre negare. Anche l’evidenza.

“Guarda che non sono cretina, Draco! Ti ho sentito!”.

“E allora, oltre che malata, sei anche sorda…!”.

Occhi pieni di scintille. Si sta arrabbiando.

Limitare i danni.

“E va bene! Ma insomma, guardati! Non ti sai per niente truccare!”.

“Ma che accidenti dici?!”.

“Hai un occhio più scuro e uno più chiaro!”. Risata che prude la laringe.

“Ovvio, stavo ancora finendo… devo sfumare…”. Sguardo di superiorità. C’era un tempo in cui lo odiava. Ora è una droga. Non potrebbe mai farne a meno.

“Sarà… ma se ammetti di non saper fare una cosa, mica muori, Granger…”.

Passa un lampo nei suoi occhi. È solo un secondo, lampo bronzo nei suoi occhi d’oro.

Guarda lo specchio, si volta. Inumidisce il dito, lo passa sulla palpebra. Voce che indugia.

“Non mi chiami mai Hermione…”.

Guardarla turbato. Non sapere che voglia dire.

“E allora? Mi viene più naturale chiamarti Granger… ti ho chiamato per anni così…”. Tutte le cose tra loro scorrono naturali. La risata, il letto, lei che si trucca, e lui che la chiama Granger.

“Se è per questo, anche io ti ho sempre chiamato Malfoy… e ora ti chiamo Draco…”.

Ancora tremore. Ancora di spalle. Calcio nello stomaco.

Alzarsi dal letto. Naturale. Stringerla per la vita, la guancia contro la sua. Baciarla.

Sospiro di lei, scirocco caldissimo.

“Se vuoi, ti chiamo Hermione… se ti dà tanto fastidio…”.

Sorriso bellissimo. Mano sulla sua, appoggiata sul fianco.

Bacio sul collo di lei, pesca e vaniglia. Un altro, un altro, un altro ancora. Deliziosa caramella lei, un vizio a cui non si riesce a smettere. Dieci, cento, mille “Hermione” nelle sue labbra.

“Dai, adesso basta!” Risata. Tenue fuga. Nuvole nello sguardo dissolte dal sole delle sue iridi.

Parole discordanti dalla tensione nella sua pelle. Non ascoltarle. Baciarla ancora.

“Dai, Draco! Sei impossibile! Devo andare alla riunione! Smettila!”.

“Di fare che?”. Continuare, fino alla morte. Fino ad averla consumata tra le sue labbra. Ingenuità assolutamente non ingenua. Strattone, scappa. Ride. La insegue.

Cadere nelle lenzuola, arrancare nella loro zattera del mondo naufrago. Guardare i suoi occhi annebbiarsi di piacere, riempirsi d’amore, sussurrare il suo nome, e sapere che è normale. Amarla alla follia, e sapere che è normale. Prenderla con tutto sé stesso, e sapere che è normale. Sentirla dire che lo ama, e sapere che è normale.

Se una cosa è così normale, naturale, deve essere per forza anche giusta.

Deve essere così. Ad ogni costo, o davvero il mondo non funziona. Davvero niente funziona.

La sua testa sul suo petto. I capelli scompigliati che sanno di shampoo per bambini. Lei, il migliore balsamo per tutto. Lei lo accarezza, come una soffice brezza marina.

Passa le dita sulle sue palpebre chiuse e frementi, non dorme, lo sa già. Le ritrae sporche di polvere colorata. La sua maschera personale… ogni donna si trucca per nascondere sé stessa e mostrare un’altra faccia. Guarda una donna truccarsi e capirai ogni suo minimo segreto. Se mostrerà il suo viso lindo e pulito davanti al tuo, vuol dire che sei una parte di lei, e che crede di poterselo permettere. Di essere lei stessa con te.

Sorride, ovviamente parole di Blaise Zabini. Non sue.

Le toglie ogni traccia di quella maschera, quella che mostra fuori da quella camera. Le è grato, perché glielo lascia fare. Rimane lì, tra le sue braccia, il respiro ancora leggermente affannoso.

“Lo sai che tutto… questo… ci metterà in un mare di casini?”. Voce rassegnata, lo guarda dal basso in alto.

“Certo che lo so…”.

“Lo sai che il meglio che possiamo aspettarci, è che Harry lo scopra e mi mandi al San Mungo?”.

“Lo so…”.

“Lo sai che stiamo rischiando grosso?”.

“Lo so…”.

“E che questa… cosa… potrebbe ucciderci?”.

“Lo so…”.

“E che, soprattutto, non ci porterà a niente?”. Incerta la voce, occhi di nuovo pieni di nuvole.

Non c’è un altro “lo so”. La bacia. Con forza, dolore, le sue labbra sanno solo di necessità e bisogno. Non passione e non amore, allora. Lei risponde nella stessa maniera. Succhiare la forza l’uno dall’altra. Lui, il coraggio da lei. Lei, la spregiudicatezza da lui. Non aver pronunciato l’ultimo “lo so…”. L’arcano segreto che li farà rincontrare, ancora, ancora ed ancora.

Staccarsi alla ricerca d’ossigeno, necessità minore, ma importante.

Sorriso triste sulle labbra di lei. Stringerla forte e soffocarla nel suo petto.

Udirla lo stesso.

“Hai ragione. È ormai perfettamente chiaro che non so più niente…”.

La porta si apre. Guardo con occhi confusi la persona sull’uscio, anche se so benissimo chi è. È la sola che potrebbe semplicemente entrare, senza bisogno di un invito. Mi guarda scioccata, a metà tra la vergogna, il timore e lo stupore.

“Ma che diamine stai facendo?!!” mi urla, richiudendo la porta, per timore che qualcuno la senta.

Mi alzo dal pavimento, ingombro di pezzi di vetri e schegge di legno. Prima che possa rispondere, urla ancora, rossa in viso: “E mettiti qualcosa addosso, dannazione!”.

Sorrido, afferrando la vestaglia e mettendomela addosso: “Sei mia moglie, e ti faccio ancora questo effetto? Lo sai che non è normale?”.

Incrocia le braccia e mi guarda con sguardo di sfida: “Figurati quanto me ne importa… e comunque non avevo la minima intenzione di saltarti addosso… anche perché Blaise avrebbe ucciso prima me e poi te…”, si gratta pensosamente la guancia, squarciata nel centro da una profonda cicatrice scura, poi aggiunge: “Anzi credo che ammazzerebbe prima te, e poi me… e naturalmente gli farei cambiare idea… su di me, chiaramente. Per te, non avrei fatto in tempo…”. Sorrido ancora, mi fa piacere vederla così. Sembra… serena. Ovviamente so che non è vero. Ma l’apparenza è la migliore delle consolazioni. Non viviamo tutti così in fondo, come lune che mostrano sempre la stessa faccia, lasciando l’altra più scura e meno bella nell’ombra sempiterna? Perché dovrei deluderla, se finge di essere serena? E sicuramente le costa moltissimo farlo?

“Che c’è, Pansy?” le chiedo, dandole le spalle, mentre mi vesto.

Non risponde alla mia domanda, ma provvede a farmene una lei. In fondo, è pur sempre mia moglie.

“Si può sapere che cavolo hai combinato? Hai quasi distrutto la tua camera!”

“Un Sectumsempra uscito male… sai che non mi riesce bene…”. Certo che lo sa, è pur sempre mia moglie. Quindi sa perfettamente che il Sectumsempra l’ho usato con Dean Thomas ed è uscito benissimo. C’era lei, vicino a me. E sa anche che sulle cose non ha effetto, ma solo sulle persone.

Mi ricambia il mio favore di prima, lasciando la mia faccia nascosta nell’ombra. 

“Sei veramente imbranato…” dice ironicamente, guardandomi con un tenue sorriso.

“Già… allora che vuoi?” le chiedo, voltandomi. Mi sono rivestito, anche se i miei capelli sono ancora bagnati. Dovrei smetterla con questa abitudine di portarli lunghi come mio padre, figurati a lui che gliene frega, se anche si degnasse di guardarmi, dovunque è. 

Esita un po’ prima di rispondere. Si passa la mano tra i capelli lunghi e neri, brilla come una stella l’anello con diamante che porta all’anulare sinistro. Il mio anello, quello che ha indossato per la prima volta tre anni fa, quando ci siamo sposati. Quello che era di Narcissa Black Malfoy. Se lo meritava Pansy, davvero. E’ l’unica a cui forse l’avrei ceduto. Il gioiello splende irritante per i miei occhi, mentre ancora le sue dita passano nei suoi capelli scuri. I capelli che mai io ho toccato, accarezzato o baciato. Certo, alcune volte dorme con me, ma, se la toccassi, credo davvero che Blaise mi ucciderebbe. E poi non ne ho proprio voglia, non mi piacciono i triangoli amorosi tra migliori amici. Inoltre, credo che allo stadio attuale delle cose, posso tranquillamente definire Pansy come una sorella.

Quando Blaise mi chiese di sposare la donna che lui amava da almeno cinque anni, non capii perché. E nemmeno capii quando me lo ordinò il Signore Oscuro. Ma l’ho fatto. Per la prima condizione, quella di Blaise, poi ho capito. Per la seconda, non c’è ancora spiegazione. La cerimonia fu sfarzosissima. Ci unì in matrimonio il Signore Oscuro stesso con un lungo rito, culminato con la consegna dell’anello di mia madre a mia moglie. Molti si meravigliarono, e so benissimo il perché.

Splendeva un diamante sulle dita di Pansy, non uno smeraldo, come fa ogni Mangiamorte con la compagna della sua vita.

“Ma è bellissimo! Chissà quanto ti è costato!”. Occhi illuminati dalla luna e dalla meraviglia.“Ma perché?”. Fa sempre domande lei, anche nei momenti migliori.

Infila al suo anulare sinistro la piccola gemma verde giada. Sorride alla piccola difficoltà che incontra nell’infilarlo fino alla fine. Porta la sua mano alle labbra, e le bacia quel dito stesso.

“Lo vedi a che dito te l’ho messo, Grang- volevo dire- Hermione?”. Fa sempre errori lui, anche nei momenti migliori.

Corrugare della fronte. Pensare. Distendersi delle piccole pieghe della sua pelle. Capire. Rossore sulle guance. Capire meglio. Mani sulla bocca. Aver definitivamente compreso.

“O mio Dio!” . Urlo felice, lacrime sulle guance.

“Sta zitta! Altrimenti ci sentono, Granger!”. Sussurro prudente, carezza sulle lacrime.

“Vuoi dire che… insomma che tu…”

“Sì Granger, vuol dire esattamente che io…”. Ridere. Non si può far altro con lei. Tensione che evapora nella risata almeno un po’. Tensione che ritorna per la risposta.

Non arriva risposta. Rimane in silenzio. Doloroso silenzio.

Nuove lacrime, e sa già che sono diverse da quelle di prima.

Espressione cambiata in un soffio di vento.

Lancinante freccia ferisce lo stomaco.

“Hermione, che c’è?”. Stringerla per la vita. Cercare i suoi occhi. Non trovarli.

“Guarda che se non vuoi, non importa…”. Non è vero, importa eccome.

Dita che stringono convulsamente il suo mantello. Affonda il viso nel suo petto. Piange, ancora.

La stacca da sé. Come sempre, a malincuore.

Viso arso dal sale delle lacrime. Ma sorride, lei sorride, come sempre. Risata acuta, ago sotto le sue unghie.

“Che cosa scriveremo sull’invito? Fedele Mangiamorte sposa Valente Auror? E metteremo la clausola di non uccidersi durante il ricevimento, ma solo fuori?”. Scherza. E piange.

Ora capisce. Stretta più forte sulle sue braccia.

“Draco, siamo realistici… tu sei un Mangiamorte ed io…” parole soffocate dalle lacrime. Non va avanti, e lei parla sempre, anche nei momenti importanti.

Sentirsene soffocato. Desiderare che lei parli, che dica qualsiasi cosa, anche un “no”, ma il silenzio… morirne per ogni secondo che continua. Pregare perché finisca… a qualsiasi prezzo. 

“Se è solo questo il problema…” sussurro inudibile.

Raggi del sole di nuovo nei suoi occhi, mescolati a quelli della luna. Solleva il capo. Viso luminoso di stelle e luna. E di altro. Sorride, la conosce bene quella luce. Luce gemella alla sua. Capisce che ha trovato la soluzione.

Tra poco… mai più silenzi…

“Hanno ucciso i miei genitori… hanno fatto del male ai miei amici… fin quando c’è stato da giocare, era un conto. Ti ho messo in pericolo per stare con me, ora non ne ho più voglia…”. Stretta più forte sulle sue braccia. Tremore nella voce. Stringerla più forte, pregarla intensamente di dargli quel coraggio che gli manca ancora.

“D’ora in poi, sarà tutto in salita, ma non mi interessa se sarai ancora con me. Ho bisogno che tu mi renda migliore, come già riesci a fare. Se deciderai di sposarmi, io…”. Voce spezzata, sguardo altrove. Non ci riesce.

Quando finirà di parlare, niente sarà più come prima.

Lo braccheranno, cercheranno, tormenteranno. E lei con lui. Già… però… lei con lui… lei sempre con lui…

“Draco…” un piccolo richiamo. Dita nervose sulla sua mano.

Guardarla ancora, il petto che trabocca di luce. Lei… il suo coraggio… lei, la sua forza. Lei, il vento che spinge altrove la sua nave. Può ribellarsi al vento, lui, piccola barchetta? Certo che no.

“Domani verrò con te da Potter… gli dirò tutto…”.

Raggiante lei, piccola stella senza cielo. Splendi, stellina, brucia questo stupido mondo del tuo calore e della tua luce.

Esplodi di colori, e fagliela vedere. Ti guarderò da quaggiù, principessa del cielo.

Questo pensa. E sa come farla bruciare di luce.

“Da domani, qualsiasi cosa tu dica o faccia, io non sarò più un Mangiamorte… sarò solo Draco Malfoy… e , se tu lo vorrai, sarò anche il marito della piccola, insopportabile, Mezzosangue Granger…”.

Vola tra le sue braccia, meteora lucente. Farfalla di luce spicca il volo.

Morde le sue labbra, lacrime dissolte sulle sue guance. Ogni luce muore.

E lui si dice che le regalerà milioni di anelli. Miliardi, se vorrà. E quello smeraldo cadrà per terra, nella polvere. Il simbolo del legame di un Mangiamorte. Quello che lui non sarà mai più.

Mi viene da rimettere e mi porto impercettibilmente la mano alla bocca. Ricordare il matrimonio con Pansy non è una bella esperienza. E poi l’anello… la celeberrima sensazione…

Quando sposai Pansy, pioveva a dirotto. Lo ricordo bene, le finestre ticchettavano d’acqua e non si vedeva niente fuori. Né dentro, solo la tenue luce del camino che illuminava fiocamente il salotto. Misi l’anello a Pansy e il Signore Oscuro, come simbolo del nostro legame eterno, fece uccidere un unicorno e ci riempì una coppa piena del suo sangue. Lo ricordo ancora quel liquido argentato che splendeva beffardo nel bicchiere di cristallo; lo avevo visto solo un’altra volta, nella Foresta Proibita, il primo anno. Imbrattava gli alberi e i cespugli.

“Hagrid, guarda! Scintille rosse! Gli altri sono in difficoltà!”.

“Non pensi che gli sia successo qualcosa, vero?”.

“Se si tratta di Malfoy, non me ne importa proprio niente, ma se capita qualcosa di brutto a Neville… in fin dei conti, se lui è finito qui, la colpa è nostra…”. Eri davvero preoccupata, Granger? Anche per me? O eri d’accordo con Potty?

Rido quasi, è abilissima a trovare sempre una strada. Ovvio che l’abbia fatto anche adesso…

Pansy riuscì ad evitare di bere il sangue con una scusa, io invece dovetti farlo.

Era la cosa più dolce che avessi mai bevuto, meglio del vino o di qualsiasi altra cosa al mondo.

Scivolò nella mia gola con facilità, rendendomi quasi ebbro. Lasciai la stanza che mi sentivo fortissimo ed invulnerabile.

Sgattaiolai in camera mia e corsi in bagno. Mi misi due dita in gola e vomitai tutto, fino all’anima. Me lo ricordavo che diceva il Mezzogigante pulcioso… chi avrebbe voluto una vita dannata, dopo aver ucciso la creatura più innocente fra tutte? Io non la volevo ancora una vita dannata. Ora forse berrei un secchio pieno di sangue di unicorno, se servisse a qualcosa. E non so nemmeno se capirei di viverla una vita dannata. Da che cosa si capisce? Ti spuntano le corna, la coda e il forcone? Ci devo proprio provare, magari cancella anche la maledetta sensazione.

Quando mi ricomposi, decisi di tornare alla festa che si teneva per il mio matrimonio. Incontrai Blaise nel corridoio. Mi disse solo, gli occhi innaturalmente chiari: “Grazie… ora che è Pansy Malfoy, nessuno la toccherà più con un dito…”. Agitai la mano con fare noncurante, e tornai al banchetto, coronato dall’uccisione di Neville Paciock e Luna Lovegood. Mi sentii male verso la fine, quel dannato sangue mi faceva un effetto strano.

Pansy è stata una delle prime Mangiamorte donna. La sua famiglia era ricca abbastanza, fedele abbastanza, docile abbastanza. I genitori e la sorella Mildred morirono la notte di Natale di quindici anni fa. Da allora, se ne sono fregati che fosse una di noi. Ha il corpo pieno di cicatrici, più o meno visibili. Temo di più quelle invisibili in verità: le prime, quelle che si vedono, sono solo antiestetiche, le seconde invece l’hanno quasi fatta suicidare anni fa. L’hanno ferita, picchiata, ridotta quasi alla pazzia, violentata. Intuibile che, come sempre, non sappia il perché.

Sei mesi prima del nostro matrimonio, l’hanno accoltellata all’addome. Non avrà più figli. Soffre ancora di disastrose emorragie. Chiaramente ora non la toccano più, è mia moglie in fondo. Ma sta con Blaise. Lui la ama molto.

Mia madre aveva sempre torto.

Il sangue non conta niente, anche se a sancire un’unione ci pensa il sangue di unicorno.

Anche quello puro, se qualcuno decide che non sei poi così importante.

“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue”.

Ah già, non conta nemmeno quello impuro a conti fatti.

Pansy finalmente mi risponde, mi ero quasi dimenticato che ci fosse.

“L’esecuzione, Draco… sta per iniziare…”.

Sospiro annoiato, che razza di scocciatura. Perché devo esserci anche io? Mi sento così tremendamente stanco.

“Non sai perché il Signore Oscuro vuole che ci sia anche io?” chiedo, finendo di vestirmi. Soppeso un po’ tra le mani la maschera argentata, prima di indossarla.

“No” nega velocemente. Troppo velocemente, aggiungo. Quindi non è vero. Lo sa benissimo, ma non vuole dirmelo.

La guardo, scuotendo il capo, Blaise sa fingere molto meglio. Dovevano mandare lui a chiamarmi, non Pansy. La vedo agitarsi e saltellare quasi sui piedi, freme dalla voglia di dirmelo. Le do le spalle, sorridendo. Dieci secondi e mi spiffera tutto. Continuo a fare le mie cose, poi la sento sbuffare di impazienza.

“Non vale la pena non dirtelo, per quello che conta…” dice, giustificando il suo prossimo tradimento davanti al tribunale della sua coscienza “Tanto per quello che importa, no? Non potrai farci niente lo stesso…”.

“Già, già…” dico, ancora soffocando le risate nella mia gola. Mi fa sempre morire dal ridere, Pansy. Inconsapevolmente, certo… credo che se lo sapesse, se la prenderebbe molto male. Egoista come è, troverebbe il modo di non farmi più sorridere in sua presenza. Tutto per non darmi quella piccola parte di sé stessa in maniera così gratuita. La stessa identica cosa che farei anch’io. È mia moglie, nonostante tutto. E ci deve essere un motivo.

“Ma Blaise non vuole che te lo dica adesso… ha paura che tu rovini tutto…” prosegue, giocherellando con i suoi capelli come una bambina particolarmente capricciosa.

“Figurati che posso rovinare a Blaise… qualsiasi cosa ha in mente, la rovinerà da solo… e poi non hai appena detto che non posso lo stesso farci niente?”. Lei sorride, stavolta sembra quasi sincera. Poi si rabbuia. I capelli scuri le coprono il viso, la cicatrice sembra sparire. Se li scosta con un gesto della mano. Quando solleva lo sguardo e mi guarda, ha gli occhi lucidi.

Mi fermo. Non ho più voglia di ridere.

“Che c’è, Pansy? Dimmelo…” le chiedo, guardandola e muovendo un passo nella sua direzione.

Sorride: “Ti voglio molto bene, e Blaise anche… hai fatto tantissimo per me e per lui. Se tu fossi stato un altro, se non fossi stato così generoso, io… chissà dove sarei… perciò…”, la sua voce si spezza: “Draco, non fare niente di stupido, ti prego. Hai visto cosa è successo ai miei genitori e ai tuoi? E a mia sorella?”, piange: “E a me? Non sapremo mai di che crimini ci siamo macchiati. Non potremmo farci mai niente…”.

Non mi piace questo discorso, decisamente. Come non mi piace essere definito generoso due volte nella stessa giornata, ed assolutamente senza spiegazione logica, né effettivo merito. Decisamente preferivo che mi mandavano Blaise, non voglio sentire che sta per dirmi. Non lo voglio più. Quei due a stare assieme sono completamente partiti. Non avrei mai dovuto permetterlo.

“Pansy, che sta succedendo?”, eppure non mi esimio dal chiederglielo. L’afferro per le spalle controvoglia, l’acqua dei miei capelli bagnati scivola lungo il mio collo assieme a sudore freddo.

Pansy esita ancora, ed io ancora prego perché non parli.

Ma nessuno mi ha mai sentito ed esaudito, quando mi metto a pregare.

“La Granger, Draco…” sussurra “L’hanno presa stanotte… è lei che stanno per giustiziare…”.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Parte seconda

Parte seconda

 

No hero in her skies

 

Mi stacco dalle sue spalle, fattesi improvvisamente roventi. O sono le mie mani che si sono agghiacciate? Ghiaccio fuso nelle mie vene, lo sento persino nei capillari delle dita, del naso e del labbra. Avanza sinuoso nel mio sangue, come un serpente dalla pelle viscida e dalla testa triangolare. Animale a sangue freddo che si nutre del mio già poco calore.

Faccio un passo indietro, un altro ancora, e poi ancora un altro. Pansy parla, ma non la sento. Tutto viene coperto da un ronzio forte ed assordante nelle mie orecchie. Vedo… grigio, solo quel colore, l’assenza di ogni forma cromatica, persino il nero sarebbe meglio. Forse l’iride dei miei occhi copre le pupille; evaporano i colori da tutto, dai ricordi e dal presente, un quadro dalle tinte sbiadite dal tempo, contorni incerti e macchie di luce, come fossero state bagnate dall’acqua. Tutto non è altro che una serie di distorte immagini, Pansy, la mia stanza, il mio riflesso. Ancora la mano sulla bocca, come se volessi vomitare, come se la mia anima volesse scappare via. Draco sta cercando di scappare. Pansy mi urla ancora qualcosa, ma è lontanissima. Lei è lontanissima.

Il fracasso nelle orecchie aumenta a dismisura, la testa sta per scoppiare. Forse tra poco cadrò riverso per terra in una pozza di sangue. Morto. È questo pensiero che mi fa prestare attenzione al ronzio nelle orecchie. E c’è davvero tutto, stavolta. La sensazione aveva il pregio di essere veloce, adesso è tutto sinistramente lento. Non passa mai.

C’è tutto. Le parole sussurrate, quelle urlate, quelle taciute, quelle aspettate, quelle temute, quelle soffocate, quelle rimpiante, quelle sognate, quelle ilari. Quelle scivolate via, quelle che pungono, quelle che fanno male, quelle che inquietano, quelle che fanno arrabbiare, quelle che fanno ridere. Quelle baciate dalle sue labbra, quelle schiacciate sulla sua spalla, quelle bisbigliate sui suoi capelli. Quelle non dette… le parole non dette, contraddizione in termine. Non si può non dire una parola. Eppure ci sono… ci sono ancora parole che le voglio dire.

C’è tutto. E sento l’echeggiare dei suoi tacchi quadrati sull’asfalto bagnato di una notte senza luna, sento l’incidere incerto, la piccola insicurezza sulle gambe tornite fasciate dai pantaloni scuri, mentre se ne va, avvolta dall’oscurità che ogni notte la porta da me.

E ancora sento il fruscio delle sue labbra contro le mie, premere forte, aprirsi languide e richiudersi veloce, il suo sapore di ciliegia, accarezzarle fino ad impazzire, fino a sentirsi bruciato da un marchio insaziabile, la malattia di Re Mida, volere sempre e non averne mai abbastanza.

E ancora ascolto il silenzio dei suoi occhi, le onde dorate di luce che si accavallano l’una sull’altra, mentre mi dice qualcosa di stupido, mentre ride, mentre mi dice che ho torto marcio ed invece io le ripeto che ho perfettamente ragione, e alla fine ha ragione lo stesso lei.

Ci sente inaffondabili, fino al secondo prima dell’impatto con l’iceberg.

Ti glori di te stesso, mostri i muscoli e i denti, sei invincibile, inaffondabile; ti ergi a re del mondo sulla prua della tua nave, gridi al mare, urli al cielo, strepiti al vento. Ti inebri di potere e sai che non finirà mai.

È impossibile che finisca, niente del genere può finire. Dio non la conosce forse da miliardi di anni questa sensazione?

Poi all’improvviso, sei nell’acqua gelida, e non sai come ci sei finito. Anneghi fino alla gola, mille lame nella carne, ghiaccio nelle vene più caldo del sangue. Rabbrividisci ed annaspi, esule del paradiso, punito per la tua presunzione. Muovi le braccia e cadi negli abissi, il respiro si taglia a fette, piangi e le lacrime si gelano sulle guance, fanno male, rinunci all’idea di piangere. Non servirebbe lo stesso. Raccogli ricordi e pensieri, e trovi carta bruciata dal mare. Si sbriciolano nelle tue mani e non sei niente, solo un’ombra passata per caso su questo pianeta. Hai pianto, hai gioito, hai vissuto in definitiva, e forse hai anche amato. Ma questo non conta, sei meno della polvere, uno degli altri che si illudono di aver avuto un qualche peso su questa terra. Il mare, il cielo e il vento ridono urlanti di te.

Tutto ride adesso di me. Il letto con il baldacchino, la dama nel ritratto, le tende di raso, lo specchio con la cornice di ebano.

E la sensazione si diverte anche lei. Offusca i contorni delle cose, li sbiadisce e li cancella piano, lei sola diventa chiara e netta. Sorge come il sole, quel sole che non esiste più. Arriva, fulgida e risplendente.

Mentre il ghiaccio blocca tutto, lei scioglie i legacci, illumina le catene, le spezza tra le sue spire, e poi libera Draco.

Alla fine ce l’ha fatta. Dopo anni di lotta, ce l’ha fatta a vincere la sua eterna battaglia contro di me.

Come è sempre accaduto, sento nelle vene quel ghiaccio lasciare il posto alla lava, a lapilli incandescenti che scorrono incendiando i miei tessuti. Sorrido, mentre Pansy mi guarda stupita. Non capisce, come potrebbe? Ma io sì.  E mi ritrovo a sibilare un: “Finalmente…”.

Lei… la mia forza e il mio coraggio… lei… a rendermi migliore… non posso permettere che muoia.

Lei che sa anche fare questo di me, trasformarmi nell’eroe che le hanno portato via dai suoi cieli azzurri, quello che io non sono, e che anzi ho contribuito a fare fuori.

Hai ragione, mamma. Contro il sangue non si va mai, non c’è Signore Oscuro che tenga.

Ed è lei il mio sangue, è più vitale del sangue stesso. Impura, Mezzosangue… sanguesporco.

Ma è sempre sangue lei, rossa e salata di vita. Sempre vita lei. Non le si addice la morte, quella è fatta solo per quelli come me, non per quelli come lei. Per gli angeli di questo misero mondo perso. Come l’Abbott. E chissà perché mi torna in mente l’Abbott proprio adesso. E la trovo la risposta… perché, come tutti gli altri che ho ucciso, semplicemente non se ne era mai andata.

Sbatto le palpebre un paio di volte, recuperando il controllo di me stesso. Finalmente il ronzio sparisce, le cose riacquistano i loro colori e i loro odori, e sento finalmente la voce di Pansy, che dice affranta: “Sapevo che non dovevo dirtelo!”.

Tutto però adesso ha colori più vividi, più intensi e più forti. Mi accecano, mi assordano le voci e i suoni. Tutto si vela di una necessità urgente, tutto riflette quello che sento dentro. Non posso permettere che muoia.

La maschera è caduta.

Non c’è più niente che attutisca quello che c’è fuori, che lo faccia arrivare filtrato. E non c’entra niente la maschera d’argento che mi ritrovo ancora a portare sul viso.

“Pansy, l’hanno portata nel salone principale, vero?” le chiedo, afferrandola per le spalle.

“Draco, per favore… ti faranno fuori… e non prima di avertela mostrata morire…” sussurra lei tra le lacrime.

“Ti prego, Pansy… per favore…” la imploro, ed ancora tutto mi assorda, attorno a me uno spettacolo di luci e suoni.

Lei esita ancora e in quella pausa le chiedo velocemente: “Blaise è lì vero? Che cosa ha in mente?!”.

“Ha fatto sì che non le facessero del male…” la voce di Pansy è rimpianto puro. Forse si chiede perché alla Mezzosangue anche Blaise abbia concesso il lusso che a lei invece è stato ripetutamente negato, come una porta sbattuta in faccia con violenza, volta dopo volta, in una sera d’inverno. Il suo tono torna incolore come prima, mentre aggiunge: “Non lo so che cosa ha in mente Blaise, ma non vuole che tu mandi tutto all’aria…”. Sospira ancora Pansy e la vedo sfilarsi il mio anello dal dito. Poi me lo consegna nella mano destra, la sua è freddissima, ghiacciata. 

Amara, dice: “Questo non serve ad una vedova…sono nella stanza al piano inferiore, quella delle riunioni. Fa presto…”.

L’abbraccio forte. Vorrei dirle qualcosa, ma non lo faccio. Tutto risuonerebbe come un addio, qualsiasi cosa io dicessi. E non ne ho la forza e il coraggio. Lei, lontana, me ne dà la quantità sufficiente per fare quello che sto facendo.

Lacrime sul suo viso. Piange ininterrottamente da ore. Non sa il perché. Non osa chiederglielo.

Lacerante dolore in lei, lacerante il suo riflesso in lui. Urla e si strappa i vestiti. Mani nei capelli opachi.

Lontana.

Ha paura e non fa domande. Come quando è davanti al Signore Oscuro, e non chiede perché.

Solo che adesso il terrore è mille volte più angosciante.

Se questo è il vero terrore, allora non deve mai averlo provato davvero…

Finalmente risposta. E capisce tutto.

“Hanno ucciso Harry e Ron stanotte… i tuoi amichetti li hanno uccisi stanotte…”. Cantilena infernale sulla bocca della sua creatura celeste.

Esco velocemente dalla mia stanza, aprendo la porta e iniziando a scendere le scale in pietra. Mi assale come un colpo sulla nuca la serie infinita di urla dei prigionieri catturati e torturati nelle segrete. Fanno… male… incredibile... le sento solo quando esco dalla mia stanza, cioè molto raramente. C’è un perenne Incantesimo Insonorizzante sulla mia camera che mi impedisce di sentirle. Possibile che non capissi perché non volessi sentirle? Perché le detestassi tanto? Perché ne avessi tanto timore, disgusto, orrore? Possibile che solamente adesso abbia capito?

Gelosia come una lama sottile. Avrebbe provato lo stesso dolore, se fosse morto lui?

“Non lo sapevo…” sussurro inutile ed insensato, velato di rimorso. Nell’ombra, dolore. Per lei.

Scendo le scale con foga, a due a due, un secondo in più e sarò arrivato troppo tardi. Passano ai lati del mio viso, stazioni leggermente illuminate su un binario deserto e oscuro, i quadri preziosi che sono sulle pareti di pietra, alcuni animati, altri no. Giallo oro, rosso rubino, azzurro zaffiro… la storia della mia famiglia. Mia nonna Leonor, seduta in salotto; mia zia Bellatrix e mia madre Narcissa, sedute su delle poltroncine di velluto nero; mio padre Lucius, ironia della sorte, che guarda lo scoppiettare di un caminetto. Sono tutti morti. La stessa folle luce negli occhi, la luce della rivalsa, dell’insoddisfazione, del potere. La luce dei miei occhi, codardi come la polvere che seppellisce tutti i morti della mia famiglia, codardi come i vermi che li circondano. E so che la polvere e i vermi aspettano anche me. Con me, lapidaria promessa, scende però nel terreno anche quella luce, compagna infida di ogni Malfoy. La luce che ci ha ucciso muore con l’ultimo dei Malfoy. All’improvviso, lo percepisco con sconvolgente certezza. Io sono l’ultimo dei Malfoy. E con oggi si chiude la nostra storia. Vivere qui, aver permesso che Voldemort vivesse qui, averlo persino ritenuto un onore, mi ha illuso che la mia famiglia ci fosse ancora, fosse solo nascosta. Nascosta sì, nelle crepe dei muri, nelle intercapedini dei ritratti, nello spazio tra il caminetto e il divano, sotto i tappeti, nelle travi del soffitto. Ma la mia famiglia è morta. Tutta, per Voldemort. E so che oggi morirò anche io, perché finalmente lo chiamo così. Voldemort. Non c’è Signore Oscuro che tenga. Hai ragione, mamma, hai sempre avuto ragione tu. Perdonami, mamma. Ti perdono, papà.

Guardami, mamma. Guarda come ho imparato bene la lezione, anche meglio di te.

Tra poco passerò questa soglia e davanti a me ci sarà il mio assassino. Sai chi sarà? Tom Orvoloson Riddle, il piccolo maniaco di potere Tom Riddle. Non il Signore Oscuro. Non gli concedo nemmeno il privilegio del nome Voldemort.

Hai ragione anche tu Blaise, ora la capisco anche la tua nostalgia di Silente. Era l’unico che lo chiamava Tom.

Mia piccola Mezzosangue, rido tra me e me, mentre apro la porta lentamente Hai davvero ogni potere del mondo su di me.

 

Can’t get my eyes of you

 

La prima cosa che sento, quando apro la pesante porta di legno finemente intagliato, è l’odore di incenso che tenta di coprire quello del sangue, versato da anni qui dentro. Un pietoso tentativo di non sentirlo, ogni Mangiamorte odora del sangue che ha versato, può lavarsi le mani, ma quello resta. Resta, anche contro un profumo alla ciliegia che non copre i lividi causati da un marito… mia madre. Resta, anche contro una maschera che non dovrebbe permettere di respirare e quindi di sentirlo… io.  

Le risate dei Mangiamorte. Acute e fastidiose. Mi perforano le orecchie.

Una risata ironica, triste, quasi canzonatoria. Gli perfora le orecchie.

“Non lo sapevi…”. Non gli crede.

Una folla confusa si trova nella stanza, ma chiaramente non riesco a riconoscere nessuno. Indossano tutti come me la maschera d’argento dei Mangiamorte, e stanno tutti in cerchio attorno ad un punto ben preciso. Che ci sia lei al centro? Tento di sporgermi, ma le figure davanti sono troppo alte, e quindi non riesco a vedere niente. Il terrore mi alita sul collo. Vedo solo Voldemort, davanti al mio caminetto, con accanto Codaliscia e Barty Crouch Junior. Tutto è cominciato davanti ad un caminetto trent’anni fa e tutto lì finirà. La breve rinascita di Draco Lucius Malfoy si compirà lì. Voldemort ha il viso nascosto da un pesante cappuccio nero, intravedo solo il saettare dei suoi occhi rossi.

I suoi occhi sono tersi dalla luce del fuoco del caminetto.

“No che non lo sapevo, Hermione! Ieri sera ero con te, o te ne sei dimenticata? E stamattina… sono andato a trovare mia madre…”.

Il sudore freddo mi imperla la fronte, il pregio di questa maschera è che almeno nessuno se ne può rendere conto. Le tende poi sono tirate e, a parte la luce del camino e quella azzurrina dei Lumos alla sommità di alcune bacchette, non si vedrebbe lo stesso niente. Figuriamoci un rivolo di sudore d’angoscia sulla fronte di un Mangiamorte tra i più fedeli. Le risate proseguono, ma non sento urla e grida di dolore.

“Tua madre? Sei andato al cimitero?”. Nonostante tutto, preoccupata. La voce trema, ma pensa sempre a lui.

Pensa sempre a lui… nonostante le urla e le grida di dolore…

“Sì… volevo vederla… non lo so… spiegarle… tutto questo… sarei venuto da Potter tra un’oretta…”.

Mi sporgo alla disperata ricerca di Blaise, voglio trovarlo prima che Voldemort mi veda. Se effettivamente vuole che ci sia anch’io, mi cercherà finché non mi avrà visto nella folla. Un attimo… perché vuole che ci sia anch’io? Possibile che sappia di me ed Hermione? Sarebbe perfettamente possibile, lui sa tutto, sempre. Che l’abbiano fatta parlare? No, non è possibile, Blaise ha fatto sì che non le facessero niente. Devo trovarlo, subito. Prima che Voldemort trovi me… e soprattutto prima che… accada quello che temo da anni, quello che credevo di lasciare fuori dalla mia camera con un Incantesimo Insonorizzante. La paura di sentirla gridare tra quelle voci sconosciute, la sua voce acuta orribilmente mutata, rispetto alle sue vivaci grida di rabbia e a quelle soffuse di piacere.

Non mi sento molto razionale al momento e, in questo stato, mi serve che qualcuno pensi per me. Devo stare proprio male per affidare questo compito a Blaise Zabini.

Sobbalzo, mentre mi sento stringere il braccio.

“Consolati! Puoi anche dire a tua madre che non hai tradito la vostra preziosa causa!”. Voce stridula, folle, irrazionale. Non le si addice. Sobbalza.

“Ma che stai farneticando?!”. La voce non sembra la sua. Troppo acuta e stridula. Suo padre direbbe “da femminuccia”, ma preferisce rimuoverlo.

“Draco…”, respiro finalmente. Blaise. Mi guarda, soppesandomi con lo sguardo per un lungo secondo. I suoi occhi sembrano sorridere, ma non riesco a distinguerlo con certezza. Credo di aver perso la capacità di riconoscere nettamente le cose, i miei sensi sembrano intorpiditi. La vista è nebulosa, e il maledetto ronzio sembra essersi acclimatato perfettamente alle mie orecchie.

“Pansy ti ha detto tutto, vero?” mi chiede in un sussurro affrettato, cercando di non farsi sentire da nessun altro.

Annuisco con il capo, non sono sicuro della mia voce in questo momento. Potrebbe risuonare troppo da femminuccia.

Lo intravedo sorridere, per poi rispondermi: “Ho fatto bene a dirle di stare zitta… così ero matematicamente sicuro che ti avrebbe spiattellato tutto… piccola Pansy… meglio così, abbiamo decisamente poco tempo… più ne risparmiamo, meglio è… ”.

“Vuoi aiutarmi?” gli chiedo, guardando apparentemente al di sopra della sua spalla destra, simulando disinteresse assoluto. Disinteresse, sì come no… il sangue mi sta ribollendo nelle vene dal disinteresse.

“E’ovvio, Draco…” risponde lui, alzando le spalle “Non che mi piaccia particolarmente farlo e la Granger non mi è mai stata simpatica… però… credo di doverti dodicimila favori, e devo iniziare a ripagarteli, no?”.

“Hai qualcosa in mente?” chiedo senza giri di parole. Non credo che mi debba nulla, ma meglio approfittarne…

“Diciamo di sì… comunque una cosa non è affatto ovvia… che vuole fare Draco? Liberarla?” mi dice, avvicinandosi in tono cospiratorio. Le risate stanno aumentando ancora di più. La pelle sembra accartocciarsi dai brividi.

“Non sto farneticando, non trattarmi da stupida! Sto dicendo la verità, Draco, dannazione!”. Urla con tutte le sue forze lei. Stridio su una superficie liscia. Gli fa male, accartoccia la pelle.

“Ovvio” rispondo velocemente, senza esitazione. Oggi sembra la giornata dell’aggettivo ovvio.

Sorride ancora Blaise, mi infastidisce come sempre, ma forse è l’ultima volta che lo vedo, quindi glielo concedo.

“Bene” aggiunge in tono scherzoso “Ho un piano… l’avrei attuato lo stesso, anche se tu non fossi venuto, ma ero abbondantemente sicuro che ci saresti stato…”. Mi arrendo anche questo, alla consapevolezza che il suo piccolo esperimento su di me sia riuscito perfettamente.

“E quale sarebbe la verità, sentiamo, Granger…”. Tono beffardo di ere ed ere fa. Non riesce ad evitarselo. Il sangue Malfoy reclama quell’ultima difesa, la difesa di una roccaforte contro un mondo che agita bandiera bianca.

“Dimmi, ma fa presto…”

“La Granger non c’è ancora, Draco… è nelle celle… la porterà qui Pansy…” mi risponde Blaise, circospetto.

“Non chiamarmi Granger! Non lo sopporto!”. Ancora urla. Viso in fiamme, e le fiamme ristorate dal mare salmastro di lacrime crudeli.

“Ma lo vedi come stai?! Sei sconvolta, non sai neanche tu che stai dicendo… ascoltami, adesso calmati e riposa. Ne parliamo più tardi…”.

Abbasso gli occhi e sospiro di sollievo. Anche le risate sembrano attenuarsi nella mia mente.

Recupero il controllo di me stesso, e formulo la domanda che ho nella mente da quando Pansy mi ha detto che l’avevano catturata. Non è di vitale importanza, ma devo sapere.  Il mio grande errore negli anni è stato non voler sapere. Non sapendo, chiudendomi gli occhi, mi privavo la possibilità di fare qualcosa.

Ora invece è diverso. Che sa Voldemort? Me lo chiedo senza sosta.

Ha potere, perché sa tutto, non perché ha tutto. Quella è una diretta conseguenza.

Sono stato impotente, perché non ho mai saputo niente, non solo perché la vita mi ha tolto lei, il mio tutto. Quella era una causa scatenante.

Mi schiarisco la voce e chiedo: “Blaise, tutti questi anni… io…”, esito, poi prendo forza. Sono perfettamente sicuro che Blaise sappia già tutto. Per questo, anche Blaise ha tanto potere su di me. Perché sa.

“Come hanno fatto a catturarla?” sputo finalmente fuori.

Lui sospira con aria impaziente: “Sapevo perfettamente delle tue piccole strategie e dei tuoi piani diversivi, Draco…”, ecco, come volevasi dimostrare “In questi ultimi dieci anni, da quando vi siete lasciati, hai fatto di tutto per proteggerla, per far sì che non la prendessero… segnali discordanti, false piste, testimonianze sbagliate… ha funzionato per fin troppo tempo, ma come vedi, non poteva durare per sempre …”.

“Credevo fosse al sicuro…”.

Lui mi stringe forte il braccio: “Svegliati Draco… era questo che cercavo di farti capire con il mio discorsetto di stamattina. Niente è al sicuro a questo mondo. Né io, né te, né Pansy, né tantomeno la donna che ami da tutta una vita. Lo vedi cosa siamo? Semplicemente noi quattro? Una Mezzosangue, amica di Potter. Una Purosangue, fedele da generazioni. Il figlio di Lucius Malfoy, il figlio della puttana dei Mangiamorte. E siamo tutti sulla stessa barca… forse oggi morirà la Granger ed era una Mezzosangue. Ci racconteremo questo come scusa. Poi domani morirò io, e che cosa ci racconteremo? Che mia madre non ha fatto bene il suo lavoro?”.

È la prima volta che parla così di sua madre. Così… onestamente. Davvero siamo ad un passo dalla fine.

Mi stacco da lui, quasi con uno strattone, una reazione inconscia di difesa, la sua voce come sempre mi ha sconquassato i neuroni.

“Non ci sarà un più tardi, Draco”. Voce che spezza ogni pensiero, catene arrugginite sotto una mannaia affilata. Dimenticarsi come si fa a respirare. Credere di non averne un granché bisogno in quel momento.

“Che stai dicendo? Mi vuoi spiegare di che diamine stai parlando?!”.

“Questa cosa deve finire. Qui, adesso… non posso andare avanti così…”.

“Così, come?”.

“Comunque…” riprende Blaise, la sua voce da irata è tornata normale. Guarda di sottecchi Voldemort e gli altri due accanto a lui, accertandosi che non ci abbiano visto. Poi prosegue: “Ho un piano… e decisamente non può fallire…”.

Inarco un sopracciglio: “E perché non può fallire?”.

“Perché è l’unico che abbiamo…”.

“Immaginavo che fosse questo il motivo…”.

“Comunque, può davvero funzionare… ricordi quale è il più grande punto debole del nostro grande e potente Signore?”.

Accentua le ultime parole con sprezzante e disillusa ironia. Forse se avesse il viso scoperto, potrei anche cogliere una smorfia di disgusto sul suo viso. Come sia riuscito a sopravvivere tutti questi anni, è ancora un mistero.

“No che non lo so…” replico, non credo che Voldemort abbia un punto debole tanto visibile. A parte gli Horcrux ovviamente, ma Dio solo sa dove sono nascosti. Ci ha provato San Potter a trovarli e si è visto com’è andata a finire.

“Oh sì che lo sai… te ne sei solamente dimenticato…” aggiunge in tono chiaramente saccente, nonostante stiamo ancora parlando sottovoce.

Sbuffo: “Ti vuoi dare una mossa ed aprire quella fogna di bocca che ti ritrovi?!”. Mi ritrovo a sorridere, mentre dico: “Certo che è strano… siamo ad un passo dalla morte e riesci ancora a farmi incazzare…”.

“Parla per te…” fa lui offeso “Ci sarai  tu ad un passo dalla morte, non certo io…”.

“Bè allora?!”.

“Allora, che?!”.

“Il piano, Blaise!”.

“Ah sì… ti dico solo due parole… magia bianca…”.

“Magia bianca…” ripeto tra me e me pensieroso “Tipo quella che proteggeva Potter? Quella che gli aveva lasciato sua madre, morendo?”.

“Esattamente…” risponde lui sottovoce, meno male che gli altri Mangiamorte stanno pensando a tutt’altro, altrimenti avremmo già fatto une bella fine. Stiamo praticamente tramando alle spalle di Voldemort… mi correggo, non alle sue spalle, davanti ai suoi occhi.

Prende fiato e prosegue: “Non ti garantisco cose definitive, né tantomeno durature… ma ti garantisco tempo… tempo per scappare…”.

“Scappare?!” chiedo soprappensiero. Non l’avevo minimamente contemplato nelle mie opzioni.

“Certamente io e Pansy scapperemo…” risponde lui “Va bene la generosità, ripagare favori e tutto il resto, ma è una bella occasione anche per me e per Pansy. Tu che vuoi fare?”.

“Io li ho traditi, Draco. Ho tradito Harry e Ron per stare con te. Me ne sono fregata di tutto. Di loro e della nostra amicizia. E sono anni che… sono anni che mi nascondo… i-io non li ho mai detto niente di te, nemmeno quando ti aiutavo e ti medicavo nella Stamberga Strillante. Mio Dio, quanto tempo è passato da allora! E in tutto questo tempo, loro… loro non sapevano niente, loro non sospettavano niente… io stavo con loro, e…”. Parole monche. Lacrime che annebbiano i pensieri di lei.

“Sono cose vecchie, Hermione, che c’entra adesso?! Oggi tu… oggi noi… glielo avremmo detto… non è colpa nostra, se sono morti… è… la guerra…”. Incertezza su quella parola tanto infida. Si è insinuata fredda nelle loro parole, serpente dai denti aguzzi. Li sta facendo a pezzi.

“E chi la fa la guerra? Non siamo forse noi? Anche io e te? Ho ucciso Mangiamorte, tuoi amici, e tu hai ucciso Auror, miei compagni. Come speriamo di uscirne? Con che presunzione abbiamo pensato di essere diversi da loro? Di poterne uscirne, io e te?!”.

Tono maledettamente convinto. Esita. Sa perfettamente come vincere, come sempre. Continua lei, la voce più alta, le lacrime più disperate, il viso più rosso.

“Svegliati, Draco! Possibile che tu non capisca?! Noi due non siamo niente, niente di niente! Che abbiamo più di loro? Niente! Harry aveva una profezia a proteggerlo, e noi? Nulla! Nulla!”.

Rimango in silenzio. Scappare… mi guardo attorno, la mia casa, i luoghi che mi hanno visto nascere, dove è vissuta la mia famiglia. È qui che avrei desiderato morire. Nascere, vivere e morire qui.

Scappare… non c’è il pensiero dell’impossibilità della cosa, della difficoltà che ben tre Mangiamorte scappino con una prigioniera. Non c’è la mancanza del coraggio, la paura di essere scoperti, il terrore per me, per lei e per i miei due amici.

C’è solo la profonda consapevolezza che oggi la storia finisce. Oggi è il grande giorno

Non ho potuto scegliere come nascere. Non ho voluto scegliere come vivere. Mi voglio almeno preservare la scelta della mia morte.

Oggi so di poterlo fare.

Non potrei accettare una morte diversa da questa. Sono vissuto da assassino, morirò da eroe. Non è una bella novità?

Sento gli occhi pizzicare e il respiro diventare più veloce, nonostante quello che ho pensato e mi sono detto.

Sono sempre un codardo Serpeverde in fondo. Sono sempre un Mangiamorte, in fondo.

Come un gattino che indossa le spoglie di un leone, come il corvo della fiaba che si mette addosso le piume della gazza. Sospiro più forte. Per una volta, sia benedetta questa maschera maledetta da Mangiamorte.

“Hermione, io oggi sarei venuto da Potter… oggi avrei smesso di essere un Mangiamorte…”. Tono quasi accondiscendente. Ultimo vano tentativo. La priorità su tutto: non farla andare via.

“Credi che sarebbe cambiato qualcosa? Una minima cosa? No! Non che non sarebbe cambiato niente… ascoltami per piacere…”.

“Ti sto ascoltando…”. E mentre dice questo, sa già di aver perso.

“Ho capito…” mi dice Blaise, la voce leggermente malferma.

“Forse lei non mi permetterà di farlo…” aggiungo e, dopo anni, riscopro una nota quasi… dolce… nella mia voce.

Blaise mi mette la mano su una spalla, mentre mi dice piano: “Non ti preoccupare… me la trascinerò di peso se sarà necessario…”.

“Grazie Blaise…”.

“Dodicimila favori, ricordi?” mi fa lui ironico “Non vorrai perseguitarmi per tutta la vita da fantasma?!”.

Certamente se diventassi un fantasma, non sarebbe lui quello che perseguiterei… povero illuso…

All’improvviso, sento tutti i miei muscoli irrigidirsi, compreso il cuore, che alla fine è sempre un muscolo anch’esso.

Voldemort si è mosso e mi ha visto.

“Va da lui…” mi sussurra Blaise, voltandosi per tornare indietro “Fa finta di niente… ci penso io al resto… non farti scoprire…”. Rabbrividisco leggermente, mentre si allontana. Il bagliore di quei due folli occhi rossi lo sento sulla mia pelle. Sembra scrutarmi fin dentro all’anima, fino ai pensieri più intimi e nascosti. Forse sta già intuendo che cosa ho in mente. Non è forse un Legilimens? Il migliore al mondo? Sorriso amaro.

E io non sono certamente il migliore Occlumante al mondo. È decisamente uno scontro impari.

Comunque ho ancora qualche freccia al mio arco. Sono uno dei migliori attori sulla faccia della Terra. Recito da anni davanti a lui. E se sono ancora vivo, vuol dire che ha funzionato. O che evidentemente aveva bisogno di me.

Sia come sia, oggi non dovrebbe essere diverso, non dovrebbe essere cambiato niente. E se è cambiato qualcosa… non credo di volermi porre adesso il problema…

“In questi mesi, in questi anni… quando incontravo Harry e Ron, parlavamo… di Hogwarts e dei nostri ricordi… di come Luna fosse sempre così assente, di come Neville fosse sempre così imbranato, di come Lavanda fosse sempre così truccata e cose simili. Ridevamo sai? E poi ricordavamo voi, gli altri. La Parkinson, Tiger, Goyle, Nott, Zabini… e te, il principe delle serpi. Harry sai che faceva? Si dispiaceva. Diceva che tu non volevi uccidere Silente, ma che Voldemort ti ricattava. Lui sperava, Harry sperava sempre che tu saresti passato dalla parte giusta, che saresti cambiato. Ron ovviamente non era d’accordo. Come sempre, io mi mordevo la lingua per non parlare, per non dire che Harry aveva ragione. Che tu eri cambiato, che stavi con me, che ci saremmo sposati. È successo anche ieri sera, e stavo per dirli tutto, ma poi ho pensato che sarebbe stato più giusto, se lo avessi spiegato tu. Stamattina, mentre pensavo a loro, a quanto abbiamo condiviso, ho ripensato ad Hogwarts. E a te. Al ragazzino biondo che mi chiamava Mezzosangue ogni volta che mi vedeva, al Cercatore di Serpeverde che commetteva falli su falli, al giovane uomo che camminava impettito nei corridoi, maltrattando tutti e guardando il mondo con aria di eterna sufficienza. Mi sono detta che tu eri cambiato, che ora sei un altro. E poi mi sono raggelata, Draco. Perché tu in realtà non sei cambiato di una virgola…”. Sputa fuori tutto il veleno dalla sua vita. Sputa lui fuori dalla sua vita.

“Ti rendi conto di che cosa stai dicendo?! Mi stai dicendo che io sarei ancora quella persona?! E lo sai meglio di me che non è così…per te, io…”.

“Per me, cosa?! Eh, cosa?! Cosa hai fatto per me?! Niente! Niente! Sei rimasto da quella parte, Draco! Dalla parte di quelli che per sempre mi avrebbero chiamato Mezzosangue, di quelli che hanno ucciso i miei due migliori amici, di quelli che hanno catturato Ginny!”.

“Draco…” lo sento dire a mezza voce. Immediatamente la folla confusa tace, come un solo e grande oceano silente, smettono di parlare e si voltano a guardarmi. Chiudo gli occhi, concentrandomi, poi li riapro, abbasso il capo in modo cerimonioso ed attraverso la stanza, fendendo la folla in due ali. Tutti provano timore per Draco Lucius Malfoy; il paradosso è che adesso, per la prima volta, ho io paura di loro. Da bambino avevo sempre un terrore assurdo delle maschere dei Mangiamorte e dei loro mantelli neri. Quando li vedevo, piangevo; me lo raccontava mia madre, quando lei e mio padre si lasciavano andare malinconicamente ai ricordi del loro Oscuro Signore. Quando Lui era scomparso, io avevo quasi due anni, e fino a quel momento mio padre aveva sempre la bella idea di portarmi ai raduni dei Mangiamorte. Non a vedere una partita di Quidditch, non a giocare a Scacchi Magici, non a Diagon Alley a prendere un gelato, no; ai raduni dei Mangiamorte. Per vedere folli che inneggiavano, assassini che ridevano e vittime che piangevano. E poi si meravigliano del fatto che sono diventato un Mangiamorte… e dovrei anche sentirmi in colpa…

Congelo nella mia mente la paura infantile che inspiegabilmente è risorta, e continuo a camminare, attraversando il salotto.

I miei passi sono i soliti; sicuri, ampi, solo leggermente più incerti. Sono molto fiero di me.

Arrivato davanti al Signore Oscuro, abbasso ancora leggermente il capo. Nessun inchino, tantomeno un bacio cerimonioso sulla sua mano guantata di nero. Non se ne parla proprio.

Codaliscia e Barty Crouch mi guardano malevoli. Si sono sempre chiesti perché Voldemort fosse tanto benevolo con me.

Tranquilli, non lo so nemmeno io, considerando poi che ha fatto fuori entrambi i miei genitori senza pensarci…

Ma adesso non è il momento per recriminazioni e domande inutili. La sola domanda che ha davvero importanza è: Quanto Voldemort sa?

“Te la sei presa comoda, eh?” mi dice Voldemort in tono quasi scherzoso. Se ci fosse stato rimprovero nella sua voce, non sarei più vivo.

“Vi chiedo perdono, mio Signore…” accenno ancora ad un movimento del capo. È difficile farlo, sto lottando con l’improvviso stimolo di rimettere. Dato che sento ancora il fuoco rosso dei suoi occhi sul mio viso, mi affretto ad aggiungere in tono casuale: “L’Abbott mi ha dato un po’ di problemi… ma li ho risolti…”. Blaise ha ragione. Niente è più al sicuro a questo mondo. Spero almeno che nell’altro mondo saremo tutti al sicuro. Scusami comunque, Hannah… ma, come si dice… mors tua, vita mea… e tu sei già bella che morta…

Finalmente Voldemort ride, accolgo la sua risata con sollievo. Sì, mi fa rizzare i capelli sulla nuca, ma meglio che ride piuttosto che faccia altro… tipo, non lo so, uccidermi, scuoiarmi, polverizzarmi o torturarmi fino alla follia. O tutte e tre le cose assieme.

“Perché mi avete fatto chiamare, mio Signore?” chiedo senza troppi giri di parole.

Barty e Codaliscia spalancano gli occhi quasi scioccati dalla mia audacia, mentre percepisco solo una breve risatina di Voldemort.

“Sei curioso?” mi chiede, sogghignando. Stiamo praticamente giocando al gatto con il topo. E chiaramente non sono io il gatto.

Mi limito a rimanere in silenzio. Mossa sbagliata.

Intravedo le sue narici piatte e livide, da serpente, fremere. Si è arrabbiato. Codaliscia e Barty sghignazzano.

Che razza di faticaccia, non so se sia meglio la sevizia da Cruciatus o la tortura mentale…

“Certo che lo sono, Mio Signore…” sospiro stancamente “Sembravate desideroso di condividere questa esecuzione con me…”.

Il fremito si è attenuato. Respiro di sollievo, ad occhio e croce ho ancora qualche minuto di vita.

Nella folla che ascolta silenziosa attorno a noi, con il fiato quasi sospeso, scorgo una figura che si accuccia in un angolo. Blaise è al suo posto. Iniziamo il bluff del secolo.

Accentuo la mia voce sul tono più lezioso ed adorante che mi esce fuori. Quello di tutta una vita, insomma.

“Chi sarà giustiziato oggi, mio Signore?”.

“Come? Non lo sai?” risponde inopportuno come sempre Codaliscia, lisciandosi il viso con le lunghe unghie grigiastre.

Stringo i pugni con rabbia e nervosismo. Con lui non ho nessun genere di obbligo. Lo posso usare come valvola di sfogo. In fondo potrei farlo fuori bendato, con le mani legate e i piedi attaccati al suolo. Schiocco la lingua infastidito: “No che non lo so, razza di scherzo della natura… altrimenti ti pare che l’avrei chiesto?!”.

Codaliscia si ritrae a disagio, mentre Voldemort ride e risponde al suo posto. Credo che ci godrebbe molto a vederci combattere tra di noi, come due cani randagi in una lotta clandestina.

“Stiamo per giustiziare Miss Granger…” aggiunge ironico. Ha scoperto l’ironia da un paio d’anni. Ed è patetico, decisamente. E poi dicono che il potere non dà alla testa…

Scoppio a ridere, spero che la mia risata non risulti forzata: “Davvero? Non sa che enorme gioia mi dà oggi, mio Signore!”.

“Lo so, lo so… non l’hai mai potuta sopportare, vero Draco?”.

“Ma oggi io sarei venuto da Potter, insomma, Granger!”. Ultimo disperato tentativo.

“E perché non l’hai fatto prima? Perché non ne eri convinto! Perché evidentemente non mi amavi abbastanza per farlo!”. La più grande bestemmia che abbia mai sentito.

“Non ti azzardare a dire una cosa del genere!”. Urla con tutto il fiato che gli rimane in gola.

“Sì, mio Signore…” mi affretto a replicare, mi sono estraniato fin troppo “Mezzosangue e Grifondoro? Non so cosa sia peggio… se poi si aggiunge che era anche la migliore amica di Potter…”.

“Ed invece lo dico, eccome! Se fossi passato prima dalla nostra parte, forse Harry e Ron adesso…”. Voce spezzata, rimpianto gelido contro freddissima realtà accaduta.

Lui ancora ride ed avrei voglia di spaccargli la faccia. Proprio così, come un dannatissimo e schifoso babbano. Credo che ci sarebbe molta più soddisfazione nel piegargli con le mie mani quel ghigno di superiorità e quell’espressione di potere su ogni maledetta e singola vita.

Comunque so benissimo di non poterlo fare. Quindi mordo le labbra a sangue e me ne sto fermo. Dolore che scaccia il precedente, pallida consolazione, palliativo e placebo… a volte anche mio padre ha ragione.

“Non avrei potuto fare niente e questo lo sai meglio di me”. Risposta rassegnata. La solita per ogni occasione.

“Secondo me, il peggio erano proprio i suoi genitori…” ride sguaiatamente Barty “Babbani fino al midollo… che schifo, chissà che fine avranno fatto… ma in effetti che fosse anche la migliore amica del Ragazzo-che-NON-è-sopravvissuto… bè, è una bella lotta!”.

“E chi te l’ha detto? È la stessa balla che tu ti racconti per i tuoi genitori?!”. Voce che sferza l’aria. Vento nelle sue orecchie. Fischia senza sosta, sale sulle ferite, lei che è sempre stata miele. Non la riconosce.

Forse per quello che la schiaffeggia con tutte le sue forze, fino a farla barcollare.

Ma quando solleva gli occhi, capisce il suo errore. Capisce che non c’è più niente da fare.

Di fronte a lui, lei appoggia la mano sulla guancia arrossata. Spalanca gli occhi e, nonostante tutto, lei è davvero meravigliata.

Occhi color oro brunito. Occhi lucenti e splendenti, sole nelle nuvole grigie dei suoi.

Occhi di dolore. Occhi che piangono lacrime nascoste. Milioni di lacrime nascoste.

Occhi alla fine anche soddisfatti. Occhi che sembrano dire la frase che lei direbbe sempre… te l’avevo detto, io!

È davvero lei.

“Voglio che tu te ne vada… vattene, vattene via!”. Folle Erinne, folle vendicatrice dei torti altrui, prima che del suo dolore.

“No, Hermione… aspetta…”. Ultimo paletto che si fa a pezzi contro il suo volto sconvolto.

Voldemort ride ancora, accompagnato da Codaliscia e Barty. La leggera ombra nell’angolo del mio campo visivo di Blaise mi impone di ridere a mia volta. Mi faccio enormemente schifo.

“Vattene! Non hai salvato i tuoi genitori, perchè dovresti fare lo stesso un giorno per me? Non sei cambiato, non sei mai cambiato, e io stupida che ci credevo anche di essere l’artefice del grande cambiamento di Draco Lucius Malfoy! Ora vedo tutto con infinita chiarezza! E vedo anche dove mi stava portando questa cosa! Alla morte! E nel tragitto ha pensato bene di portarsi via Harry e Ron! E loro erano tutto per me! Tutto! Dove eri tu, quando c’erano solo loro due? Te lo dico io! A farti marchiare il braccio, ecco dove! Non cambierai mai, sarai sempre un Mangiamorte. Per sempre, e io non ci posso fare niente. Non ci voglio più fare niente, e questo fa tutta la differenza di questo mondo. Sei stato per anni con coloro che mi avrebbero volentieri ucciso! Non ci posso pensare… e l’ho capito solo ora. E mi reputavo anche una persona intelligente…” un silenzioso mormorio, ancora lacrime.

Alla fine arriva la condanna.

Nessun imputato può sottrarvisi.

Colpevole od innocente. E lui è sicuramente colpevole.

“Vattene adesso… non ti voglio vedere mai più…”.

Mi faccio schifo. Come se mi guardassi dall’esterno e vedessi una cosa che non dovrebbe nemmeno esistere, una bestemmia incarnata, quello che vedo da fuori, quello che sono sempre stato… ora, invece, io… sono davvero cambiato?

 “Ti prego aspetta, non può finire tutto così… lo sai che mi stai facendo? Mi stai uccidendo…”. Disperato, come la prima volta che la vide davvero, alla Stamberga Strillante, mentre gli medicava le ferite.

Bellissima parentesi che si chiude. Cinicamente si direbbe: - E’ stato bello finché è durato-. Ma non ce la fa a dirselo. È durato… tempo verbale passato… riusciva a coniugare lei solo al presente ed al futuro nella declinazione della sua vita. E, senza accorgersene, parlando di lei, ha già usato il passato.

“No… non credo di averne il potere, né la capacità e tantomeno la forza… anche se forse dovrei farlo… addio… Malfoy…”. Luce di smeraldo splende nella sua mano. Gli ha ridato l’anello. Lo stringe nelle mani convulsamente, il freddo del metallo non deve tornare. Per sempre, l’ultimo calore di lei. Stringe forte l’anello, diventa tiepido e si illude che non sia solo il suo di calore. Lei è andata via. Ora non più vento. Solo smorta e inconsistente aria che vibra del suo cognome maledetto. Lo mette in tasca. Indossa la sua ultima maschera ed apre il sipario.

Si prevedono molte repliche. Dieci anni di repliche. Andrà per la maggiore quello spettacolo.

La sua prima battuta, quella d’esordio, la conosce alla perfezione.

“E’ stato bello finché è durato…”.

Sbatto le palpebre un paio di volte.

È arrivata la prova del nove.

Hermione sta entrando.

Sento il cigolare dell’ampia porta di metallo, quella che conduce alle segrete. Chiudo gli occhi e nella mia mente distendo la mano davanti a me, come se la stessi aprendo io quella porta, quella stessa porta che volevo aprire io davanti a lei il giorno in cui sarebbe entrata per la prima volta in questa casa.. Farfalle di luce invadono i pensieri da quella fessura aperta, svolazzano lievi, e per un attimo non vedo niente. Tutto è troppo bianco. Troppo bianco.

Bianco come lei. Rimango con gli occhi chiusi, le risate, le urla e le voci sono solo onde perfide nelle mie orecchie.

La mia fantasia vola, viaggia, libera i miei occhi dall’onere di dover vedere lei.

Perché so cosa mi aspetta.

La vedo emergere piano dalla luce, e non conta se le segrete sono buie, se in questa stanza c’è solo la luce del caminetto, se il sole non esiste più. Lei è la luce, il sole, la vita e spazza via questo buio, questa notte, questa morte.

Come in un ideale crepuscolo, abbiamo un solo secondo per incontrarci. Perché lei è il sole e io sono la luna, e non c’è dato stare assieme.

E questo è il crepuscolo. Della mia vita e della sua.

Avanza piano, irresistibile raggio di sole. Si eleverà contro chiunque la circondi come una statua di pietra orgogliosa ed altezzosa. I suoi passi sono lenti, misurati, leggeri, sembra che scivoli sul ghiaccio, pattinatore esperto.

Ha il mento sollevato in alto, gli occhi asciutti e solo leggermente rossi, le labbra vermiglie serrate in una smorfia di disappunto regale. Regale, come la principessa che è. Il collo bianco sfavilla nella sua stessa luce, le spalle sono aperte e fiere, il petto quasi proteso in avanti. Tintinnano come campanelli i riccioli mentre cammina piano, bronzo colato, le fanno da cornice al viso dorato. La immagino la sua espressione e la traduco in parole. È la sola cosa che non è mai stata di Voldemort, la sola cosa al mondo che non ha mai avuto, assieme all’Eroe Potty e al Cavaliere Impavido Weasley. Morti loro due, rimane lei sola, la Regina Mezzosangue. Oggi finisce anche l’ultimo limite di Voldemort. Ha anche il trio dei miracoli. Ma lei avanza lo stesso con quell’espressione orgogliosa e prende tutti in giro, me compreso che non l’ho avuta mai e mi sono illuso che fosse mia. Non mi avrete, sembra dire, la sola che mi avrà sarà la Morte.

Ricopre tutto d’oro con la sua sola presenza, re Mida di questo compassionevole mondo perso.

Sento i suoi passi assieme a quelli di Pansy ticchettare sul marmo duro, si stanno avvicinando.

Ho negli occhi l’immagine di una madonna rinascimentale, ricoperta di oro giallo e rubino.

E poi apro gli occhi. E non riesco a smettere di guardarla.

Non è Hermione. Non può essere Hermione.

Il Mangiamorte sa perfettamente cosa vede. Una come le altre.

Il problema che Draco è perfettamente d’accordo con lui. È una donna ferita come le altre. È una donna torturata come le altre. È una donna violentata come le altre. È una donna morta come le altre.

E lei non dovrebbe essere le altre. Assolutamente.

Annego. Boccheggio e non respiro. È lei l’ossigeno, era lei l’ossigeno. Morirò pur di non respirare questa… cosa… che non può essere lei. Se eri ossigeno, ora sei monossido di carbonio. Se eri vento, ora sei tempesta di sabbia. E io morirò pur di non respirare te. Mi sento Giuda e tu incarni il tradimento. Ti bevo da anni a piene mani, calice amaro di fiele, e solo ora sembro accorgermi quanto tu non mi disseti, ma invece bruci la mia gola. Bevo te e muoio. Tradisco Voldemort per te, sono un traditore per te. E tu non dovresti essere questa cosa piccola e deforme che mi è stata buttata ai piedi.

Sei rimasta a terra, raggomitolata, stringendo qualcosa al petto. Sollevo gli occhi su Pansy quasi come se le chiedessi spiegazioni. Lei fa spallucce e si volta, andando via. Raggiungendo Blaise.

Vogliamo liberare questa cosa, già. A costo delle nostre vite.

Desideravo morire, ed ora che non sei che una bambolina di stracci, voglio disperatamente vivere. Vivere come un Mangiamorte, ovvio.

Non vali questo sacrificio.

Rimane con la faccia premuta al suolo, Voldemort ride assieme a Codaliscia e Barty. I suoi capelli sono una zazzera disordinata e sporca. Sono bui, sono… neri... Hermione aveva i capelli dell’autunno. E questa invece sembra la parodia della morte.

Sta piangendo. Piange, un rantolio sommesso giunge dalle sue braccia incrociate e serrate.

Ferisce le mie orecchie, come lo stridio su una lavagna. Odio che le persone piangano. E lei non piangeva mai.

Sono tentato di AvadaKedravizzarla all’istante; forse Voldemort me lo chiederà… forse voleva che la uccidessi per porre fine a questo mio supplizio… vederla e sapere che non è più lei…

“Mi guardi almeno in faccia, Miss Granger…” sospira iroso Voldemort, mentre le imprime un calcio violento sul viso.

Lei non solleva il viso che rimane ostinato per terra. Muoviti, stupida…

“Barty…” sibila Voldemort ed immediatamente Crouch Junior l’afferra per i capelli e la strattona in alto. La sento gemere e piangere ancora.

Faccio un passo indietro, appiattendomi contro la maschera. E se lei mi riconosce?

Mi accorgo che non era sola. E soprattutto che non era lei a piangere.

A terra, dove ai miei occhi c’era solo lei, c’è una minuscola bambina. Dovrà avere all’incirca dieci anni. Anche lei ha i capelli neri, ma due scintillanti occhi chiari pieni di lacrime. Indossa un piccolo vestito blu notte, troppo grande per lei, strappato e lacero. È sporca, ma sembra una bella bambina. Spero che non le abbiano fatto niente, non sarebbe la prima volta in ogni caso che si fanno anche una bambina. Sembra star bene, ha solo un ematoma viola sul capo e qualche escoriazione sparsa sul resto del viso.

“Mamma!” urla. E sta parlando con…

Mi volto repentinamente verso di lei, verso quella donna.

Quella che era la mia donna… e chissà se adesso è ancora… mia…

E davvero, nonostante tutto, non ci ho mai pensato.

Quando Cristo morì, ci fu un terremoto. Dicono che si squarciò il velo del tempio di Gerusalemme.

Un sottile velo si squarcia anche nella mia mente. Un terremoto sfracella i miei nervi.

La guardo ancora. La guardo ancora ed ancora ed ancora.

Non riesco a smettere di guardarla.

Ha i capelli neri, il viso pieno di graffi e scorticature. Perde sangue da un labbro. È dimagrita. I suoi occhi sono spenti. Le sue spalle sono curve, quasi come quando si piegava sotto il peso di mille tomi ad Hogwarts. La sua espressione è più dolce, quasi lasciva, come quando si mette troppo zucchero in un piatto e diventa immangiabile. Storpia con lei. Ma con lei storpia anche il vestito nero fatto a brandelli, le guance ricoperte di polvere, i capelli innaturalmente scuri pieni di foglie secche.

Eppure alla fine ha addosso tutto questo.

È sempre Hermione… è diversa, ma è lei.

Sei soltanto una madre.

Mi ritraggo, tra lo scioccato, il disgustato e il terrorizzato, le spalle incontrano il caminetto.

Chi altro ti ha avuto Hermione?

Dimmi solamente questo… così all’inferno lo maledirò fino alla fine del tempo… quel lui che ha osato solamente guardati come solo io avevo il diritto e il destino di fare…

Recondita, come una nota di sottofondo nel silenzio di una casa vuota, la gelosia mi fa vacillare.

Lei sussurra solo: “Non piangere, Naike…”. Naike… vittoria, in greco.

Beata te, Hermione… evidentemente la conosci ancora la speranza.

Crouch la tiene stretta, fa aderire il suo corpo al suo, Voldemort continua a ridere. Crouch ansima e tutti continuano a ridere. Urlano frasi oscene alla donna che solo io, in questa stanza, ho preso davvero. Senza violenza, senza pubblico.

Hermione sorride. Sorride. Sarai sempre la paladina Grifondoro, e io il codardo Serpeverde.

Guarda la figlia.

“Sta zitta, piccolo furetto che non sei altro…”.

“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.

Ha dieci anni. La bambina ha dieci anni.

“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.

 Dieci anni fa, noi ci siamo lasciati.

“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.

La bambina è sua figlia. È figlia di Hermione. E l’ha chiamata “furetto”.

Naike ha gli occhi grigi, sembrano lune di riflessi argentati.

Gli occhi di mio padre che sono rivolti ad una maschera argentata, i miei occhi ingenui che inseguono fiamme bionde.

Si squarcia completamente il velo nella mia mente, un tempio cade a pezzi sotto un terremoto.

Un centurione romano, quando Cristo morì, disse solo: “Davvero quest’uomo era figlio di Dio…”.

Capisco perfettamente che cosa intendesse.

Davvero questa bambina è mia figlia…

Mia figlia… vita… la stessa da cui volevo furiosamente staccarmi fino ad un attimo fa, ma che adesso mi impone crudelmente troppe domande. E il destinatario per una volta non è Hermione.

Stringo violentemente i pugni, il sangue si ferma.

Se Voldemort non fosse mai esistito… e sebbene sono un traditore, davvero è la prima volta che lo penso.

Lui era l’artefice della mia salvezza.

Una blanda salvezza d’accordo, la piena remissione sarebbe stata Hermione, ma quello passava il convento.

E ora invece lo odio con tutta l’anima.

Non posso rimanere qui fermo.

Barty sta leccando avidamente il collo bianco della mia mezzosangue. La tiene ferma per il seno e la bacia, sogghignando. Io tremo, Hermione resta immobile, Naike ha smesso di piangere. Allora anche tu sei coraggiosa, come la tua mamma… non lo sapevo…che stupido, certo che non lo so… e non lo saprò mai…

Non ce la faccio più.

Voldemort sembra accorgersene. Sogghigna: “Cosa c’è Draco?”. Si finge preoccupato e so benissimo che non lo è. Il preoccupato dei due sono io. Non perché so perfettamente che cosa accadrà adesso, non perché l’ho visto milioni di volte con decine di altre donne come lei. Magari fosse per questo…Hermione ha spalancato i suoi grandi occhi caramello. Sembrano anche riempirsi delle lacrime che non voleva versare. Sussurra tra sé nelle labbra il mio nome. Si guarda attorno, cercandomi, per quanto glielo consenta la presa d’acciaio di Barty.

Basta. Decisamente è troppo. Sapevo di non potermi fidare di Blaise. Farò tutto da solo, come sempre.

La mia mano corre repentina alla bacchetta sotto il mantello e la estraggo.

Sto per urlare una maledizione, ma poi mi fermo. Una voce chiara e netta. Mi volto verso la fonte dell’urlo, ma non faccio in tempo a riconoscerla. Chiudo repentinamente gli occhi, un bagliore accecante di colore bianco riempie la stanza. Brucia di dolore le nostre pupille. La retina si riempie di macchie scure e nere, non riesco più a vedere nulla. I mangiamorte urlano, accecati, mentre Voldemort sembra letteralmente impazzito, strepita dando ordini contradditori a destra e a manca. Il lungo periodo di potere lo ha decisamente acclimatato a starsene tranquillo a godere della sua ironia e dei suoi trucchetti contorti. Sembra incapace di difendersi e di attaccare.

Qualcosa mi urta e cado rovinosamente a terra. Cerco di rotolare piano verso il punto dove penso che ci siano Hermione e Naike, ma incontro solo una selva di gambe e piedi che mi calpestano a più riprese.

Tutt’un tratto, mi arretro immobile, accucciato per terra. Sento distintamente una voce nel mio cervello.

Di chi è che non ti fidi?!!” E va bene che la sua voce mi sconquassa il cervello, ma adesso è troppo….

Di te, Blaise… e di chi, altrimenti?! Quando diamine ci hai messo?!”.

“Il tempo necessario perché riuscisse…”

Si può sapere che cavolo hai fatto?”.

“Fiat lux… un incantesimo di mia invenzione… crea una sorta di piccolo sole…”.

“E come ti è venuta l’idea di creare quest’incantesimo?”.

“Quando dovevo abbronzarmi e il sole non c’era…”.

“Evito decisamente di fare commenti…”.

“Sono nella tua mente, Draco… li sento perfettamente… come vedo che razza di fantasie avevi su Pansy al secondo anno, ma sei un pervertito! Addirittura nel sotterraneo di Piton con le pozioni che sballottano…”.

“Vuoi che sbatta la testa contro il pavimento, così magari ti ammazzo per pura casualità magica?!”.

“Comunque sei un pervertito… abbiamo Hermione e Naike… stiamo uscendo dalle cucine… muoviti…”.

Serro forte gli occhi e so che non è per la luce.

“Forse dovrei rimanere qui… per coprirvi le spalle…”.

La voce di Blaise suona perforante tra i miei neuroni.

“E’ la donna che ami… se siamo fortunati, non la rivedrai mai più… e poi c’è tua figlia… vuoi davvero che non ti veda mai?”.

“Sapevi di Naike? E allora perché non me l’hai detto?”.

“Perché hai un equilibrio mentale instabile e non sapevo nemmeno se saresti venuto per la Granger… se ti dicevo pure della bambina, Dio solo sa che avresti fatto…”.

“Va bene, ho capito… senti, davvero… resto qui… affronto i Mangiamorte e vi do il tempo per scappare…”.

“Non ti si addice fare l’eroe, e per una volta che lo fai, vuoi che la tua bella non ti veda? Muoviti! Punta la bacchetta agli occhi e pronuncia : - Inferis Nox- vedrai perfettamente…”.

 

And so it is

Just like you say it should be

 

So benissimo che cosa lei si aspetta. Si aspetta che io scappi, che io fugga, che io mi accucci qui in attesa che tutto finisca.

Immobile per terra, come una serpe in seno, il sole sparirà per l’ultima volta nella mia vita e io ritornerò alle tenebre.

Tra qualche anno, qualcuno confusamente mi parlerà della morte di Blaise Zabini e Pansy Parkinson, assieme a due sporche mezzosangue, e io sorriderò, mentre dentro… bè dentro sarà tutta un’altra cosa. O magari no… moriranno oggi stesso e io, da vile traditore di tutte le parti e di tutti gli schieramenti del mondo, me ne fregherò, continuando a vivere nel velluto e nei merletti.

Una volta, mio padre mi disse che noi, che la nostra razza è nata tra i merletti per fare solo due cose: fare la guerra e fare l’amore.

Ovviamente non usò la seconda espressione. Mi sembra ovvio. Ma il senso era questo.

Non ci sarebbe nulla di male, se io tornassi indietro, se fossi ancora vile, codardo, inutile come sono sempre stato.  Ma già so che non è possibile, anche mentre lo penso. Mi sono ricordato la frase di mio padre, e già l’ho stravolta.

Fare l’amore… lui non ha mai usato quella parola, ed invece in un periodo lontanissimo della mia vita, io l’ho sparsa a piene mani.

Su di lei.

Pensare: “Al diavolo, Granger, non farò mai quello che ti aspetti! Per una volta, devi avere torto, cazzo!”, sentire Blaise dire di spicciarmi ed avvertirmi che sono fuori dalle cucine, e sussurrare Inferis Nox, credo che passino dieci secondi netti.

Il bagliore termina almeno per i miei occhi. Ora vedo tutto perfettamente; la sfera di fuoco al centro della stanza, i mangiamorte che sbattono ciechi tra di loro, Voldemort che prende a calci qualcuno apparentemente senza motivo. Sembra un enorme miasma di corpi, sangue e sudore.

Inferno… la notte dell’inferno… quando ci arriverò, ci sarò già abbondantemente abituato…

Mi concentro, intravedendo un varco che conduce al portone di pietra.

Per un attimo, respiro a fatica, poi prendo coraggio e inizio a correre follemente in quella direzione, prendendo a gomitate uomini, dando calci, spingendo e scalpitando, come un animale in trappola. Senza prudenza, senza paura.

Esattamente come lei non penserebbe mai che io sia capace di fare.

Per quel che rimane della mia vita, non le darò mai più la soddisfazione di darle ragione.

 

 

Allora, eccolo finalmente il secondo capitolo! Ringrazio tutti coloro che hanno commentato, tutti gentilissimi e carinissimi! Ringrazio anche chi ha letto solamente e sono molti, ma il fatto che non abbiano lasciato nemmeno una piccola recensione, mi spaventa… non è che questa storia fa veramente schifo? Fatemelo sapere, anche in maniera telegrafica, ci tengo veramente! Un enorme bacio! Cassie!

 

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Parte terza

Parte terza

 

Corro velocemente, la milza duole orribilmente. Mi arpiono al corrimano in pietra delle scale che portano ai piani inferiori, sarà l’ultima volta che le scendo queste scale. Caccio lontano le lacrime, la nostalgia, la paura, il rimorso e la stanchezza. Non ci riesco, ma non importa. Non sono mai voluto diventare un superuomo. E’ decisamente molto quello che sto facendo. 

Le cucine.

Odore di stantio e di cibi, corpi di elfi domestici per terra. Blaise si è aperto un varco, uccidendoli senza troppi pensieri. Anche quando uccide non ha pensieri, come diamine fa? Godo nell’essere io il saccente della situazione, almeno stavolta.

Avrà invocato lo statuto del C.R.. E.P.A., dopo che ha assistito a questa scena.

I fumi dei cibi che sobbollono ancora nelle pentole toccano i miei vestiti, dandomi ancora una sensazione di nausea, che, se possibile, si intensifica quando vedo finalmente la porta dell’uscita, dopo i lunghissimi tavoli di legno, usati per poggiare le pietanze. Ancora, sto per fermarmi, ma non lo faccio. Vorrei, con tutte le mie forze fermarmi, l’istinto di sopravvivenza continua a gemere nelle pareti della mia stanza. Lei, come sirena crudele, però è infinitamente più potente, sembra richiamarmi alla fine dei miei giorni. Sembra dirmi che ormai la mia vita è finita e che dovrei saperlo anch’io; perfida, mi mostra gli abissi dell’inferno, non la vetta del Paradiso.

Apro la porta di scatto, il respiro che si condensa in vapore. L’aria è fredda, ghiacciata, carica di brina e nevischio. Rabbrividisco, stringendo gli occhi per scorgerli, ma non riesco a vederli. Sono le dieci del mattino ed è tutto così maledettamente grigio… Voldemort, dannato… quando sento anche le ciglia ghiacciarsi e le mani iniziare a spaccarsi, intravedo finalmente il guizzare di una veste rossa. Pansy. Sento di non avere più fiato, ma corro in quella direzione. Sono pochi passi, solo pochi passi e niente più, ma sembrano lunghissimi. La mia vita intera sembra srotolarsi nell’intervallo di essi.

Finalmente i miei piedi ghiacciati raggiungono il loro obiettivo, mi fermo, l’acqua che si congela su di me.

Curioso… il destino, la vita, o, non lo so, Dio magari, se esiste… comunque, tutte queste cose assieme hanno un senso dell’umorismo sfrenato. L’ironia del destino… sono tutti e quattro fermi vicino al castagno spoglio che mia madre piantò nel giorno della mia nascita. Ha trentacinque anni quest’albero, ha trentacinque anelli nella sua corteccia… se non è destino questo, che debba morire proprio qui, che altro potrebbe esserlo, non lo so…

Eccole lì, le quattro persone che ho amato di più in tutta la mia vita… Blaise, l’amico silenzioso ed insopportabile, quello che anche adesso mi guarda con espressione rassegnata. Rassegnazione dell’impossibilità che io cambi, che lui cambi in qualche modo, saremo sempre quello che siamo. Pansy, la moglie silenziosa e complice, quella che anche adesso mi guarda con espressione rassegnata. Rassegnazione dell’impossibilità che io resti come sono, che così io mi salvi nell’unica maniera che pensa mi sia concessa, rimanendo cioè qui con Voldemort, mentre lei invece cerca la salvezza altrove.

E poi loro due… l’amore nascosto ed urlato di questi anni. Ma che dico? di tutta la vita.

Hermione è in piedi accanto all’albero, si regge al suo tronco, come se ne volesse avere forza. Ha il viso bianco e gli occhi spalancati, i capelli neri svolazzano nell’aria. I suoi occhi cioccolato sono sempre gli stessi, sono sempre ospiti del sole scomparso, sono sempre così pulsanti e vivi da lasciare frastornati, muti ed immobili al suolo alla ricerca della motivazione di tutto il mondo. E come io non me ne fossi accorto prima, è un autentico mistero. Naike mi guarda senza curiosità alcuna, stretta alla madre, rabbrividisce nel mantello di Blaise con gli alamari d’argento.

Hermione mormora qualche parola all’indirizzo di Pansy, staccandosi dall’albero e facendo segno a Naike di lasciarla. La bimba obbedisce e mi guarda ancora senza capire. Mi fa male mia figlia, la sua ovvia indifferenza, vedere i miei stessi occhi grigi privi di sentimenti. Vorrei urlarle chi sono, ma non lo faccio. Non ne ho il coraggio. A volte è meglio l’indifferenza, che l’odio, checché ne dicano tutti il contrario. E lei, Naike, mia figlia, non so che cosa sentirebbe sapendo chi sono. Mi odieresti, Naike?

Vedo ancora Hermione dire qualche parola a Blaise che annuisce a sua volta, ma non riesco a capirle, il vento soffia forte nelle mie orecchie.

Lei muove qualche passo nella neve fresca, venendo verso di me. Sembra muoversi piano, vorrei che lei fosse già qui ed invece c’è ancora un altro passo, un altro ancora e poi di nuovo un altro.

Finalmente arriva ad un passo da me.

Non me la ricordavo così piccola, così minuta, così esile. Le sue spalle potrei afferrarle entrambe con una mano sola, potrei spezzarla anche solo guardandola. E forse la sto già spezzando, perché non riesco a smettere di guardarla e lei chiude gli occhi piano con espressione sofferente.

Non smettere di guardarmi, per favore… li ho cercati tanto i tuoi occhi nelle notti d’estate, in quelle d’inverno, in ogni singola dannata notte in cui non capivo nemmeno se era estate o inverno, perché il mio corpo voleva solo te, ghiaccio bollente.

Forse mi ascolta, chi lo sa, perché finalmente solleva il viso. Gli occhi sono asciutti, non vuole piangere… ovvio

Dice solamente, le labbra screpolate che si aprono di un centimetro: “Non credevo che ci fossi tu dietro a questa fuga… dopo tutti questi anni…”.

 

We’ll both forget the breeze

Most of the time

 

Questi anni… hai ragione. Che per me siano passati tutti adesso, non vieta che per te siano stati più lunghi, della consistenza di veri anni, non di secondi come è stato per me. Ne sento il peso, la nettezza chiara e distinta sulle spalle, ma per il resto non esistono. Però vedere i tuoi capelli adesso neri, i tuoi occhi adesso più smorzati nella loro luce, e soprattutto vedere nostra figlia, significa che inevitabilmente, volente o nolente, quegli anni davvero sono passati. 

Non ti dico questo, non credo che sia necessario.

I tuoi occhi ancora si volgono lontani, riempiendosi delle folate di vento e neve che ci circondano. Guardi altrove, mentre mi chiedi sottovoce, come se lo stessi chiedendo solo a te stessa: “Perché, allora?”. Per un solo secondo, davvero non ti ho sentito; davvero la tua voce è stata così lieve da perdersi nel vento. Ma poi la tua domanda risuona nel mio cervello come una campana. C’è la risposta, ovvio che c’è, ed è enorme, luminosa, bellissima. Ma non esce dalle mie labbra. Sembra che mi sia dimenticato come si faccia a parlare. Dubitavo del mio coraggio di arrivare fino a qui, e ne avevo motivo. Il coraggio non fa parte del mio DNA, è evaporato nello stesso istante in cui l’ho saputa più o meno al sicuro. La necessità è la più potente molla d’azione dell’agire umano. Nel mio caso, ho sempre agito per la mia mera ed esclusiva sopravvivenza, ora le cose sono leggermente mutate, ma la sostanza non cambia. In fondo, lei è viva, Naike è viva, non c’è niente di più importante… quindi… sono perfettamente sicuro che non dirò null’altro. Nulla di diverso. Gli addii sono scene alla Blaise Zabini, non alla Draco Malfoy. E lei lo dovrebbe sapere più di chiunque altro al mondo. Mi sento quasi offeso dal suo pretendere una risposta, quando sa benissimo che non l’avrà mai.

Improvvisamente i suoi occhi si fanno liquidi, violenti ed intensi, come non sono mai stati. Li temo quasi mentre si incollano ai miei.

Sorride, un sorriso triste e tirato, infinitamente malinconico, come l’eco del mare in una conchiglia.

“Sei cambiato, Draco… tanto…” dice soltanto.

Sbatto le palpebre un paio di volte, forse non ho sentito bene.

“Che hai detto?” le chiedo stupidamente. Dopo anni, apro la bocca davanti a lei e, la prima cosa che le dico, è immensamente stupida.

Lei ripete la sua frase con dolcezza, e ora ne colgo ogni remota ombra nascosta, fremente dietro le parole innocenti.

Rido a me stesso, non a lei, e rispondo tagliente, un tutt’uno con il vento che sta rendendo il mio viso rosso: “Curioso che tu lo dica… considerando che tra me e te è finita perché dicevi che non sarei mai cambiato… come vedi, hai preso un bel abbaglio… allora commetti degli errori anche tu… buono a sapersi…”.

Lei sorride ancora, mentre dice delicata: “Hai perfettamente ragione, ma almeno in questo non cambierai mai… sarai sempre il solito arrogante e presuntuoso di sempre…”, incrocia le braccia al petto e per un attimo sembra tornata quella di tanti anni fa “E sai qual è il paradosso? Che ne sono persino contenta!”.

“In effetti, è paradossale…” concedo e lei annuisce di nuovo.

Come prima, le parole si bloccano nell’aria attorno a noi. Sembrano così tante, eppure svolazzano attorno a noi nell’aria gelida, beffarde nella loro inconsistenza e nella nostra incapacità di afferrarle. Torna il silenzio, sembra una pelle liscia sui nostri respiri. Non è un silenzio imbarazzato, è un silenzio… teso. Tante volte siamo rimasti in silenzio, quindi non ne abbiamo paura; ma l’urgenza di dirci qualcosa prima che… è palpabile. Ci alita sul collo il silenzio, come un animale affamato, e più lo fa, più noi ce ne stiamo fermi e zitti. Paradosso è certamente la parola giusta per descrivere la situazione, e me e lei. Come sempre.

Almeno qualcosa non cambia mai.

Non è importante, ma lo sembra, mentre penso a cosa chiederle. È la prima ed unica cosa che mi è venuta in mente. Mi sento un adolescente al primo appuntamento, e non c’è niente di più diverso in questo momento. Nonostante le mani sudaticce e il cuore in gola.

Trovo solo la voce per dire: “Come mai hai i capelli neri?”.

Lei aggrotta le sopracciglia, mentre torna a guardarmi, sembra volermi dire che sono veramente cretino a farle una domanda del genere. L’espressione del suo viso non mi è ovviamente nuova, me la riservava sempre da Hogwarts in poi quindi ci sono abbondantemente abituato.

“Mi sembra ovvio, Malfoy…” risponde brusca lei, incrociando di nuovo le braccia e guardandomi con espressione insofferente “Era per non farmi riconoscere… che facevo, me ne andavo in giro con un cartellino con su scritto – Hermione Jane Granger, Auror, ex di Draco Lucius Malfoy, per favore CATTURATEMI!- ?!!”.

Improvvisamente so perché il mio inconscio mi ha suggerito di chiederle dei capelli. In fondo, mi fido sempre del mio inconscio, del mio istinto, del mio sangue, anche se non scorre esattamente in direzione del cervello.

“Devo dedurre che anche per Naike sia lo stesso, no? Non ha nemmeno lei i capelli neri?” la mia voce è un debole pigolio, ma cerco di non farla tremare.

Lei sussulta impercettibilmente e le sue braccia scivolano sui suoi fianchi, mentre i suoi occhi cadono altrove. Guizzano veloci, lontani dal mio viso e dai miei occhi. Ti ricordo Naike, eh Hermione? Credevi che non me ne accorgessi… andiamo, abbiamo gli stessi occhi…

La sento sospirare, per poi rispondere: “Certo che no… è bionda… è una tua copia in miniatura…”.

“Non l’avrei mai saputo, vero?” chiedo con rabbia. La rabbia… dolcissimo schermo di anime inquiete.

“No…” risponde sinceramente, tornando a guardarmi. Scorre di nuovo l’antica elettricità degli scontri verbali tra me e lei. E ne sono oltremodo felice. Sembrava che avessimo smarrito anche noi stessi, oltre a tutto il resto.

“Lo sapevi il giorno che ci siamo lasciati?” chiedo ancora, il livore nelle mie parole è un’onda lunga che travolge entrambi nel suo corso.

“Avevo dei sospetti, ma no… non lo sapevo con certezza…”.

“Avresti dovuto dirmelo… ma no, tu pensavi che dovevi lasciarmi, non c’era bisogno di un motivo per tenerti legata a me, no?!!”. Stavolta lo urlo con tutta la forza che mi è rimasta in corpo, lei assurda imputata di un processo per la colpa di avermi reso infelice in questi dieci anni.

Ma lei sa sempre come spiazzarmi: “E’esattamente come dici… non avevo bisogno di un altro motivo per non riuscire ad allontanarti da me… se tu avessi saputo di Naike… bè, può darsi che sarebbe finita nella stessa maniera. Ma io forse non sarei riuscita a privare, oltre che me stessa, anche mia figlia di te, di suo padre…”.

Le sue parole crepitano incandescenti nella mia mente, soprattutto l’altro motivo. Mi ci aggrappo con tutte le forze, l’unico superstite del tempo trascorso è quel motivo remoto.

“Qual’era l’altro motivo?” chiedo scioccamente, e la mia voce mi ricorda la sua, quando poco prima mi ha chiesto perché avessi deciso di salvarla. Spero che anche la risposta sia lo stessa…

Lei incrocia ancora le braccia sulla veste consunta, sospirando con l’aria di pensare che sono davvero stupido.

“Mi sembra ovvio quale fosse l’altro motivo… non te lo devo stare certo a dire…”.

Mi ritrovo ad atteggiare la mia voce come una preghiera, davvero lei è una dea pagana crudele che vuole negarmi questa piccola ed insignificante risposta, inutile perché velata del passato, eppure così importante che ne dipende tutto quel poco che resta. Agli umani, non è concesso di amare le dee, e allora? Lasciateci nella nostra illusione, non abbiamo chiesto a nessuno di essere svegliati.

“Dimmelo lo stesso… credo di essermelo dimenticato… gli anni passano…”.

Hermione sospira e guarda il cielo gonfio di nuvole, per un po’ ha smesso di nevicare. I suoi capelli sono bagnati e le si sono attaccati in lunghe onde sul collo bianco e rosso.

“Farebbe male… a tutti e due…” bisbiglia piano, senza guardarmi “Non abbiamo bisogno di altra sofferenza, non credi? E poi che importa? Quel tempo non esiste più… sono passati dieci anni…”.

La interrompo, recuperando assurdo coraggio dalle profondità di me.

“Il tuo altro motivo di allora è lo stesso mio motivo… solo che per me come era di allora, lo è anche di adesso… lo è sempre stato e credo che non smetterà mai di esserlo… il motivo per cui sono qui e il tuo perché al mio averti salvata di poco fa… è sempre dannatamente lo stesso… e sta tranquilla, il male che mi ha fatto in questi anni non potrebbe farlo di più adesso, nemmeno volendo…”.

 

And so it is

The colder water

 

Lei si stringe nelle spalle, so che le mie parole non se le aspettava perché non me le aspettavo nemmeno io da me stesso. Tenere a freno i sentimenti, imbavagliarli, legarli per impedirli di fare male, è una cosa che non ha logica. È come voler legare l’aria o l’acqua, costringerla in forme che altrimenti non prenderebbe mai. È fare qualcosa di frustrante ed illogico. Adoperandomi nel portare avanti questo gioco, ho reso i miei sentimenti acqua gelida. Effettivamente li ho fermati, ma solo perché si sono ghiacciati su loro stessi. Ora riscoprirli così forti, impetuosi e caldi soprattutto… non ci sono abituato. Non c’è niente che lei non riuscirebbe a farmi fare.

Solleva gli occhi miele verso il tetto della mia casa, puntandolo sui gargoyles di pietra delle balaustre. Ne sembra rapita, sembra essersi dimenticata di me, eppure me ne sono perfettamente accorto che ha fatto un passo indietro. Si è allontanata da me.

“Sono passati dieci anni, Draco… ormai non ha più importanza…” ripete, sembra che per lei il ritornello degli anni passati sia un mantra. Se lo ripete in continuazione per inculcarselo nel cervello. Non ci crede nemmeno lei.

Annullo la distanza tra me e lei con una sola falcata, approfittando del fatto che il suo sguardo sia apparentemente perso altrove. So ancora che, invece, se ne è accorta benissimo; le sue spalle tremano e si stringono in un attimo.

“Guardami…” le ordino con voce autoritaria. Sono sempre un Mangiamorte in fondo.

“No…” risponde secca e dura. È sempre Hermione Granger in fondo.

“Perché?” le chiedo, la voce più bassa e più tagliente “Hai paura?”.

Lei ride, una risata bassa e gutturale… forzata… prima di dire: “E di che cosa dovrei aver paura, scusa?! Di te?! Figuriamoci… non ho avuto paura di Voldemort, vedi quanta paura posso avere di te…”.

Intanto guarda sempre altrove.

“E allora fallo…” la esorto, stringendola violentemente per le spalle. La sento sussultare, mentre le urlo contro: “Fallo, dannazione! Guardami, Granger!”.

Sento dalla sua gola arrivarmi un suono soffocato, prima che lei si volti finalmente a guardarmi in faccia, le mani artigliate sulle mie braccia nel tentativo di allontanarmi da lei. I suoi occhi sono nitidi e puliti, come sempre. Sembra tranquilla, ostenta serenità, ma le sue labbra tremano. Potrebbe essere il freddo, no? Questo penso…

Continuo a pensarlo, mentre regge fiera il mio sguardo.

Lo penso ancora, mentre quello sguardo d’agata regge granitico, mentre io sto decisamente per crollare.

“Non avrei mai dovuto lasciarti… sarei dovuta rimanere con te ogni secondo della mia vita…”. Un colpo netto, una stilettata precisa. Maledetta Mezzosangue, vuole farmi morire…

Lo ha sciolto lei l’ultimo segreto. L’ha fatto cadere lei l’ultimo vessillo, si è arresa pur di non concedermi di entrare nella sua roccaforte senza un suo specifico invito. Sento sorridere la mia stessa anima. E per la prima volta in vita mia, ringrazio Dio per qualcosa…

La tiro bruscamente a me, non ce la faccio più. È così piccola, così leggera… la bacio ferocemente, mangiandole le labbra a sangue e a fuoco. Il bisogno primordiale, conosciuto dall’inizio della storia. Le sue labbra sono screpolate, non sono piacevoli, sento il sapore ferrigno del sangue in bocca, ma solo sentire le sue mani cedere dalla presa ferrea sulle mie braccia, vale tutto questo bacio che sa solo di bisogno.

Avevo bisogno di baciarla, da anni. Finisce il bisogno, arriva il piacere.

Mi ritrovo a scivolare le mie braccia lungo la sua vita, il mio corpo e il suo che si incastrano perfettamente tra loro come un tempo. Le sue dita fredde le sento sulla mia nuca, intrecciarsi con i miei capelli bagnati e giocherellare spensierate. Fiore di bucaneve nell’inverno freddo, le sue labbra si aprono, accogliendo le mie, sento il suo sapore, prigioniero dei ricordi, ora vivido come il vento che mi sferza la faccia, come l’acqua che gela nelle scarpe, come il mantello che fustiga la mia schiena. Sarà anche dolore, dolore anche lei, come tutto il resto. Ma è vera. Quello che sembrava sbiadito e spento, una brutta copia della vita vera, muore nelle mie labbra e nelle sue, unite assieme per l’ultima volta.

Geli l’inferno, bruci il paradiso, se solo questo attimo non sia la cosa più bella che ci sia al mondo.

Le nostre labbra si accarezzano dolcemente, sfregando le une sulle altre, lasciando uno spazio insufficiente a dividerci. Ogni volta che la sto per lasciare, mi punge dentro la voglia e mi riaccosto a lei. Cosciente che sta per finire, ne rifiuto la realtà immodificabile, continuando in quest’atto contemporaneamente eterno ed ancestrale.

Mi stacco controvoglia dalle sue labbra, non da lei. E chi la lascia più adesso… la stringo a me, appoggiando la guancia sulla sua testa. Il suo viso rimane soffocato sul mio petto, ma non credo che le dia fastidio.

Certo, sento le sue lacrime bagnare la stoffa della mia tunica, ma la sento anche mormorare soffusa il mio nome.

Mi dà i brividi come dice il nome “Draco”... la piccola inflessione tenue e decisa sulla erre… Dio, non credo che nessuno lo dica tanto bene…

Si irrigidisce appena, mentre mormora: “Accidenti, mi sono dimenticata di Naike! Ci sta guardando, vero?”.

Annuisco, poi le chiedo contrariato: “Perché di che ti preoccupi? Non è mia figlia, no?”.

Lei si stacca da me bruscamente, e chiede atona: “E di chi dovrebbe essere figlia, scusa?!”.

 

The blower’s daughter

 

Fingo un’espressione meditabonda, portandomi un dito sulle labbra; inutilmente devo aggiungere, perché tutti i probabili padri di Naike, a parte me, cominciando da Potter e passando per Weasley, Thomas, Finnegan e persino Paciock, sono tutti all’altro mondo. È la prima volta che mi rendo conto che ne sono morti così tanti. Non trovando alcun nome, alzo le spalle e rispondo: “Non lo so… dimmelo tu… di che altro potrebbe essere figlia Naike?”.

Lei risponde presuntuosa: “Se era un modo contorto per chiedermi se sono stata con qualcun altro, la risposta è no… e vale anche e soprattutto per questi dieci anni… può essere solamente tua figlia… e quando la conoscerai non ne avrai nemmeno il minimo dubbio. È identica a te… a volte mi veniva voglia di picchiarla, esattamente come facevo con te…”.

Interrompo le sue parole, l’equivoco di fondo nelle nostre parole mi ha riportato alla dolorosa realtà concreta.

“Hermione…” la mia voce è più seria e grave del solito, e lei ovviamente se ne accorge. Si stacca da me, guardandomi in volto; passa sotto le sue palpebre un fulmine azzurro. Perché mi dovevo innamorare proprio della più intelligente della scuola? Mi fossi preso Lavanda Brown, e quella non c’avrebbe capito niente…

“Non ci pensare neanche…” sibila come un serpente, staccandosi da me e guardandomi quasi con odio.

Lo sapevo, come sempre Blaise non c’è mai quando ho bisogno davvero di lui. La Granger può diventare più pericolosa di Voldemort, quando ci si mette, e lui se ne sta lì tranquillo a fumarsi la sua sigaretta con Pansy, chiacchierando amabilmente con mia figlia. Sembra che siamo ad un allegro picnic, credo di essermi persino scordato che tra poco il piccolo sole di Blaise perderà i suoi effetti.

“Ascoltami Granger…” inizio, tentando di essere convincente, ma lei ovviamente vanifica i miei sforzi, rovesciandomi addosso il suo consueto fiume di parole. Urla, senza timore che qualcuno la senta, nemmeno che la senta nostra figlia, e prima si faceva tanti problemi… ma quant’è strana…  stringe i pugni furiosa, il viso rosso e livido e i capelli arruffati nel vento ghiacciato, zuppi di nevischio.

“Non se ne parla proprio! Nella tua insensata idea, io e Naike dovevamo essere complici del tuo suicidio?! Ce ne dovremmo andare, sapendo che tu invece rimani qui a farti ammazzare?! E io che cosa le dovrei dire, un giorno, quando mi chiederà di suo padre? Che è morto davanti ai miei occhi, perché ero troppo codarda per morire assieme a lui?! Tu scapperai assieme a noi, e non mi importa se ci prenderanno e se ci uccideranno tutti e tre assieme… mi hai capito?!!”, la sua voce si spezza e i pugni ricadono molli lungo le sue braccia, mentre continua: “… se anche ci uccideranno… per la prima volta, noi tre… finalmente staremo tutti assieme… l’ho fatto una volta questo errore, non lo farò di nuovo… dovevo morire con Harry e Ron e non l’ho fatto, dovevo vivere accanto a te e non l’ho fatto… non puoi togliermi anche questo…”.

Cadono alla fine le lacrime dai suoi occhi, volge il viso dall’altra parte, nascondendole timidamente.

Faccio un passo verso di lei, cerco di volgerle il viso verso di me, prendendola per il mento, ma lei si ritrae bruscamente. Scoppia in singhiozzi, urlandomi di non toccarla. Le sue lacrime silenziose restano chiuse nelle mani che porta al viso.

“Non avrai pace, se resterai con me…” mormoro, aggrappandomi con tutte le mie forze alla mia decisione. Guardo il Malfoy Manor, non lei, e da esso ne traggo il nefasto coraggio. Da lei, potrei ricavarne solo voglia di vivere, la morte è invece ospite privilegiata del mio castello.

Solleva irata lo sguardo, mettendosi una mano nei capelli neri, agitandone una ciocca davanti ai miei occhi: “La vedi questa?! È la prova concreta che non sono mai stata in pace! Con te o senza di te, non sono mai stata al sicuro! Mi sono spostata di luogo in luogo, costringendo anche nostra figlia a fare lo stesso! Per stare al sicuro, ho sacrificato tutto quello che c’era di bello nella mia vita! Ora sono stanca, non sono più disposta a farlo! Se anche dovessi vivere, che senso poi avrebbe vivere così?!”, la sua voce aumenta di tono: “Perché ogni maledetta volta non provi a pensare a me, prima che a te stesso?!!”.

“E’ per te che lo faccio, stupida!” urlo a mia volta, annullando di nuovo la distanza tra me e lei.

“Non hai nessun diritto di decidere per me, mi hai capito, Malfoy?!!” mi guarda sfrontatamente dal basso verso l’alto. E solo perché è più bassa di me, altrimenti mi guarderebbe da una vetta di novemila metri di altitudine.

“Tu farai quello che ti dico io, hai capito?! Te ne andrai da questo maledetto posto, ti farai una bella vita, ti sposerai, darai dei fratellini a Naike e ti dimenticherai di me… non intendo discutere su questo…”.

“No, non lo farò mai!”.

“Ed invece sì che lo farai!”.

“Dovrai lanciarmi un Imperius per farmi andare via di qui…”.

“Non credere che non ne potrei essere capace…” la minaccio ed estraggo dal mio mantello la bacchetta.

Gliela punto contro, sperando di spaventarla. Ha ragione ovviamente. Non ha avuto paura di Voldemort, figuriamoci quanta potrebbe averne di me. Solleva il mento orgogliosa, sfidandomi con lo sguardo e con la voce: “Avanti, fallo… muoviti…”.

Ora la riconosco la madonna che mi ero configurato poco prima. Le mancano solo i suoi veri capelli.

Rimango con la bacchetta sguainata, puntata contro di lei, e continuiamo a guardarci, l’odio che abbiamo sempre conosciuto fa crepitare l’aria gelida attorno a noi. Siamo capaci di odiarci, con la stessa forza e la stessa intensità di come ci amiamo. Sembriamo di nuovo i ragazzini di Hogwarts che si sfidavano apertamente nei corridoi, mancano solo Potty e Lenticchia che le danno manforte. Mi sembra quasi di sentirli accanto a me e a lei… manchiamo anche noi, in fondo, a ben vedere. Un tempo, la mia bacchetta non avrebbe tremato di fronte ad una Mezzosangue; un tempo, i suoi occhi non sarebbero stati pieni di lacrime davanti a me. Lacrime di rabbia, ma di una rabbia assordante che solo l’amore frustrato e calpestato può dare.

Premo la bacchetta contro la sua fronte, mentre i suoi occhi mi sfidano ancora.

Revelo naturam!” urlo e il suo viso non cambia espressione. Le lacrime splendono un po’ di più, diamanti color dell’oro, mentre il vento libera nell’aria una cascata di bronzo alle sue spalle.

Sorrido, mentre i suoi riccioli castani le cadono di nuovo a ghirlanda attorno al suo viso.

Ora sei veramente tu… volevo vederti così prima di andarmene…

 

The pupil in denial

I can’t take my eyes off of you…

 

“Incantesimo banale… Malfoy…” dice sprezzante e sembra davvero il castorino di tanti anni fa, la cocca di tutti i professori. Me ne illudo ed invece, nonostante i capelli di nuovo chiari e nonostante la voce presuntuosa, so benissimo che non è più lei, la Mezzosangue zannuta. La mia piccola e dolcissima Mezzosangue Zannuta…

Scendono a precipizio le lacrime sul suo viso, mentre mormora: “Banale, esattamente come questo… Reseco!”.

Estrae anche lei la bacchetta dal mantello, puntandomela contro. Un lampo di luce violetto mi colpisce.

“Banalissimo in effetti, Granger… mi aspettavo di meglio…” tento di tenere ferma la mia voce. Non è onorevole per un Malfoy piangere, nemmeno quando sta per morire.

Intravedo i fili dorati dei miei capelli fluttuare lontani nel vento, sfioro quelli che sono rimasti e li trovo corti sulla nuca.

Anche tu l’hai pensato, allora… volevi che per l’ultima volta fossimo come tanti anni fa… che fossimo di nuovo noi stessi…

Non riesco a smettere di guardarla, lei che è di nuovo castana. È lo specchio di me stesso, di quello che sarei voluto essere per tutta la vita, l’uomo di cui ora sono una pallida immagine. I capelli corti alla Draco Malfoy, e non più alla Lucius, ne sono il segnale più forte.

Non c’è il tempo materiale per cambiare anche tutto il resto, ma grazie lo stesso per i capelli. Mi piacciono, corti… me ne ero scordato…

Riesci sempre a farmi il regalo più bello, la sorpresa più gradita, il dono più inaspettato.

 

Did I say that I loathe you?

Did I say that I want to leave it all behind?

 

Ho detto di odiarti? Ho detto che avrei lasciato tutto questo alle mie spalle? Erano bugie, Granger. Bugie colossali, grandi come case, enormi come il mio castello. La cosa bellissima e meravigliosa è che anche tu sei una bugiarda. E da me che sono e sempre sarò un Serpeverde, è normale aspettarselo, ma da te, dalla Regina dei Grifoni… come tu hai cambiato me, evidentemente devo aver fatto lo stesso per te…  non ti voglio lasciare. Me lo potrei permettere, dopo tutto quello che la vita mi ha tolto. La vita mi ha tolto i miei genitori, e poi te e Naike. Potrei riprendermi tutto in una volta sola, e sarebbe giusto. In apparenza. Giusto vuol dire equo, e io non sono stato mai equo. Quanto ho tolto io agli altri? Tanto, troppo. L’iniquità rende tutto lontano dalla giustizia. Lo fa diventare vendetta, patetica, stupida ed insana vendetta. Verso, chi, poi? Quando tutte queste cose le ho fatte solo e solamente io? Con chi me la dovrei prendere? Il destino, la vita, Voldemort, Dio? Con te? Ancora bugie.

Il tuo innato senso della giustizia un giorno lo capirà, ora no e mi fa piacere, anche se mi sta rendendo le cose più difficili. Non riesci a capirlo perché ci tieni a me. In caso contrario, lo avresti capito subito, come sempre…

Grazie, Granger… Grazie, Hermione…

Siamo rimasti così, quanto, due secondi, due minuti, due ore o due vite intere?

Non lo so adesso, riesco solo a guardarla e basta. E lei fa lo stesso, non abbiamo nemmeno bisogno di toccarci, i nostri sguardi due ponti d’oro e d’argento che uniscono le nostre anime.

La mia mano rompe l’incanto, la sollevo per accarezzare la sua guancia. Lei chiude gli occhi repentinamente, le ciglia nere brillano della luce delle lacrime che non vuole piangere. Con gli occhi chiusi, solleva le braccia come una bambina che chiede di essere presa in braccio. Debolmente, le porta sul mio petto, intreccia le sue dita dietro la mia nuca. Rimane così immobile, gli occhi chiusi, le lacrime serrate. Sembra quasi che stiamo ballando e, con lacerante angoscia, mi rendo conto che con lei non ho mai ballato. E, dolore impossibile, non ballerò mai.

Stringe le braccia attorno al mio collo ed appoggia la fronte sulla mia spalla. I suoi occhi restano sigillati.

“Hermione…” la richiamo “Adesso vattene… prendi Naike e scappa… Blaise e Pansy ti proteggeranno…”.

Lei non si muove, anzi mi stringe più forte. Sussurra solamente: “Saluta Naike, prima… voglio che abbia almeno un piccolo ricordo di te…”.

Annuisco con il capo, e lei si stacca malvolentieri da me. Volge gli occhi indietro, dove ci sono Pansy, Blaise e Naike.

Chiama sottovoce la bambina, che ci stava guardando con gli occhi sbarrati. Chissà che cosa deve aver pensato tutto questo tempo vedendomi con sua madre. Mentre Naike piano si avvicina, Blaise mi fa segno di stringere con il tempo. Sollevo preoccupato il capo, il riflesso del sole nelle finestre del salotto si sta affievolendo.

Annuisco, rivolgendomi a lui, poi mi rivolgo ad Hermione: “Che cosa le devo dire?”.

“Quello che vuoi… è tua figlia, Draco… dille quello che vorresti sentirti dire tu e ci prenderai… te l’ho detto, no? E’ identica a te in tutto e per tutto…”.

Naike finalmente arriva davanti a noi, si stringe imbarazzata nelle spalle e mi guarda con sospetto.

Poi si rivolge ad Hermione e chiede: “Che c’è, mamma? Non ce ne andiamo?”.

“Tra un momento, tesoro…” risponde lei, mettendosi in ginocchio per arrivare alla sua altezza “Hai conosciuto Pansy e Blaise? Ti stanno simpatici?”.

“Sì, mamma…” sorride lei, ancora titubante, poi torna sospettosa a guardarmi.

“Ti stai chiedendo chi è questa persona, Naike?” le chiede dolcemente Hermione.

“No, mamma…” risponde la bambina, poi, arrossendo, riprende: “Credo di aver capito chi è…”.

Mi stringo nelle spalle a disagio, parlano di me come se non ci fossi.

“E secondo te, chi è?” le chiede ancora pazientemente Hermione.

Lei scruta i miei capelli, i miei occhi, il mio viso e la mia totale figura, poi abbassa gli occhi e chiede incerta: “E’ il mio papà?”.

Hermione sorride ed annuisce, accarezzandole una guancia, non prima però di aver asciugato velocemente una lacrima solitaria che le solcava il viso. Mi sento spezzare qualcosa dentro, ci spero ogni secondo che termini l’agonia di vederle per l’ultima volta, eppure pagherei per restare sempre sospeso in questo istante.

Papà…” mi canzona Hermione, dandomi una gomitata nel fianco dopo essersi alzata da terra. Emetto un lamento soffocato, è sempre così maledettamente violenta…

Aggrotta le sopracciglia e mi fa: “Papà, lo sai che Naike è una veggente? Lei si è sempre chiesta da dove venisse il suo potere, considerando che io sono babbana di origine… tu lo sai,  papà?”.

Ho recepito il messaggio, vuole che la smetta di stare in silenzio.

Ci rifletto su e poi rispondo sicuro, guardando mia figlia: “Certamente… la tua bisnonna, Leonor Malfoy… la madre di mio padre. Era cugina di Cassandra Cooman, una grandissima veggente… aspettavamo da anni di vedere chi ne avrebbe ereditato il potere…devi aver preso da lei…”.

Naike spalanca gli occhi, quanto sono chiari… vorrei solamente scappare, adesso… mi costringo a tenere i piedi incollati al suolo ed è una violenza inimmaginabile. Non sono decisamente fatto per fare l’eroe.

“Era bionda come te, la bisnonna?” mi chiede, gli occhi luminosi. È bellissimo, sono grigi come i miei, ma lucenti come quelli di Hermione. Non so com’è stato possibile, ma è la cosa più bella che abbia visto.

“Come me, certo…” il groppo in gola sta diventando terribilmente pesante. Non riesco a respirare.

“Anche io sono bionda…” cinguetta lei vanitosa, poi agita i suoi capelli neri con fastidio: “Questi non sono miei… la mamma diceva che così non mi avrebbero riconosciuta…”.

“Stai bene anche così…” sussurro, spero che mi abbia sentito perché davvero non riesco a parlare più forte di così.

Quando Blaise mi parlava del dolore di non poter avere un figlio da Pansy, non lo capivo. Gli rispondevo sprezzante che doveva ringraziare Dio di potersi portare a letto una donna sterile così non c’era alcun rischio di gravidanza indesiderata; e poi, se anche Pansy fosse rimasta incinta, il bambino non sarebbe sempre passato per mio? Che soddisfazione ne avrebbe avuto? Lui diceva, sibillino come sempre, che non potevo capire.

Ora ho capito.

Pensare di amare qualcuno come amo Hermione, per me, era un miracolo.

Pensare poi di amare Hermione, alias la Mezzosangue Zannuta… bè, è intuibile che cosa sarebbe successo se me l’avessero detto vent’anni fa.

Ma poi pensare di amare qualcuno tanto quanto Hermione, nemmeno conoscendolo bene quel qualcuno, era decisamente impossibile.

Invece la prova vivente è questa bambina altezzosa come sua madre, che sorride rossa in viso perché le ho detto di stare bene con i capelli neri.

Tiro su con il naso, cercando di calmarmi. Avrei fatto decisamente meglio a non seguirle, accidenti a Blaise e a tutte le sue idee balorde.

Il tipo in questione si avvicina cautamente a noi e dice velocemente: “Hermione, adesso dobbiamo veramente andare…”. Pansy, alle sue spalle, annuisce gravemente, le sorrido e lei mi risponde con uno sbuffo sarcastico.

Non cambieremo mai, Serpeverde fino alla fine del mondo.

Guardando Pansy, mi ricordo di una cosa.

Mi frugo ossessivamente nelle tasche, fino a trovare quello che cerco.

L’anello che mi ha restituito Pansy, brilla scintillante nella mia mano, come un cristallo di ghiaccio.

“Mi dispiace per te, ma la tua occasione di avere un anello mio l’hai gettata al vento dieci anni fa…” sorrido, rivolgendomi ad Hermione “Hai perso il treno e adesso lo do ad un’altra…”.

Hermione sorride a sua volta, gli occhi lucidi, non riesce a parlare nemmeno lei.

Mi inginocchio all’altezza di Naike e cerco di ricordarmi quello che mi ha detto Hermione. Le parole che volevo sentirmi dire da mio padre…

“Naike…” inizio e già la mia voce trema. Respiro a fondo e, sotto i suoi occhi indagatori, riprendo: “Questo era di tua nonna, e prima ancora della mia, la veggente di cui ti ho parlato…”, le porgo l’anello che lei stringe con un sorriso tra le sue mani paffute. Le poggio una mano sulla spalla, sospirando ancora, e continuo: “Un giorno, quando diventerai una grande veggente, stringerai questo anello e vedrai la storia di tutta la tua famiglia. Purtroppo io non posso raccontartela, ma tu la vedrai anche meglio di come avrei potuto dirtela io. Seguila bene, tutta fino alla fine, e capirai quello che oggi non posso dirti ancora… sono sicuro che ce la potrai fare, che vedrai tutto, forse anche cose che io non so, e per il resto ti aiuterà tua madre. Non è questa la vera sfida, Naike. Per questo, sono ampiamente convinto che ce la farai… un giorno lontano, vedrai anche questo giorno, mi vedrai di nuovo dirti queste cose e forse vedrai anche quello che succederà tra poco. Quello vorrei evitartelo, ma se accadrà… stringi i denti e fatti forza. La vera sfida è che tu capisca perché l’ho fatto. Ora non potresti capire… ma, se sei anche solo la metà di come era tua madre, capirai…”, la mia voce si abbassa di un tono, mentre aggiungo: “… e quel giorno, Naike, perdonami, se puoi… e ricorda che l’ho fatto solo per te e la mamma… me lo prometti?”.

Lei annuisce grave e sussurra: “Te lo prometto, papà…”.

Dannazione, fa un male cane quella piccola parola… ho sempre notato che le parole più piccole servono sempre per delineare cose enormi, di cui l’uomo ha paura. Terra. Mare. Cielo. Vento. E poi… mamma… ed alla fine… papà…

Le sorrido, non voglio che ricordi un uomo codardo come padre.

Sebbene io sia proprio così, sebbene quando vedrà tra anni questo giorno, Naike vedrà esattamente questo.

Il tremore nella voce che ora riesce ad ignorare, il luccichio negli occhi che ora non può vedere, il livore nelle labbra che ora non distingue… allora tutto sarà chiaro. Ma per allora… Dio solo sa dove sarò io… in qualsiasi inferno dove finirò, me ne importerà ben poco… sarò troppo occupato a bestemmiare Dio per avermi allontanato da loro due, per curarmene…

Hermione finalmente parla di nuovo e dice a Naike di andare da Blaise e Pansy.

La bambina annuisce, stringendo forte l’anello, si volta e fa qualche passo.

Poi si blocca, torna indietro, si ferma incerta davanti a me, torturando le sue dita.

Poi mi getta le braccia al collo, stringendomi forte con i piccoli arti infreddoliti.

Non riesco a fare nulla, resto immobile. Mi chiedo come Hermione abbia mai potuto pensare che mi somigli in qualcosa… mi vuole far morire esattamente come lei, come la Mezzosangue… e in fondo è una Mezzosangue anche lei… ironia della sorte, l’ultima dei Malfoy e dei Black è una Mezzosangue… mio padre mi avrebbe semplicemente ucciso, se lo avesse saputo…

“Ti voglio bene papà…” dice convinta, la piccola voce ferma e seria “La mamma parla sempre tanto di te… e io ti ho sempre voluto bene…  ciao papà”. Forse mi sbagliavo, probabilmente se le avessi detto tutto, avrebbe davvero capito.

È esattamente come sua madre.

Sua madre…Naike non mi odia, per merito suo… per che cosa non devo ringraziarla questa dannata Mezzosangue?

Naike raggiunge Blaise e Pansy, Blaise la prende in braccio e lei si accuccia contro di lei, come un piccolo cagnolino.

Poi Blaise estrae la bacchetta, mormora qualche parola e fa apparire uno squarcio luminoso nell’aria di colore verde smeraldo.

Il passaggio che li permetterà di andarsene di qui…

Annuisco, rivolto a lui … e Blaise annuisce a sua volta…

Non serve altro. È il mio migliore amico, se ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui con me, sa benissimo che, oltre a questo cenno del capo, non avrà nient’altro.

“A parte sentirmi chiamare migliore amico per la prima volta…” la sua voce risuona nella mia mente… stringo i pugni, il maledetto è rimasto in contatto telepatico con la mia mente per tutto questo tempo.

“Bè, allora hai avuto fin troppo… te ne vuoi andare adesso?!” urlo nel mio cervello.

Lui mi guarda e lo sento dire: “Pensa in positivo… se va male, ci vediamo tra poco…”.

“Blaise…”.

“Lo so, lo so…” la sua voce è saccente ed annoiata “Le proteggerò a costo della mia vita, renderò felice tua moglie… e tu mi hai sempre voluto bene… gli addii me li devo anche fare da solo… guarda che roba…”.

Sorrido verso di lui, mentre sparisce nel gorgo.

Pansy indugia sulla soglia, poi mi urla dietro, le lacrime che scorrono sul viso sottile, atteggiato in una smorfia impertinente: “Sei stato il marito peggiore del mondo…!!”.

“E tu la moglie migliore del mondo…” le rispondo a mia volta “Perché non c’eri mai e mi tradivi con il mio migliore amico!”.

Pansy sorride a sua volta, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, poi solleva una mano in segno di saluto e sparisce anche lei.

Resto un po’ a guardare la luce smeraldo. Siamo lì di nuovo io e lei, da soli per l’ultima volta, gli occhi fissi sul gorgo che ci separerà.

Stavolta, non riusciamo a smettere di non guardarci.

Qualsiasi cosa dirà o io dirò, sarà un addio. E non ne ho la forza.

“Ti amo Draco…” sussurra, lo sguardo ancora fisso nella luce verde che le rende i capelli invitanti di sfumature sconosciute.

Deglutisco e non la guardo ancora.

“Anch’io…” bisbiglio.

I miei sensi si riacutizzano nel sentire un tramestio di passi alle mie spalle. L’incantesimo di Blaise è finito. Stanno arrivando.

Lei si volta, senza una parola, piccola come non è mai stata.

Si getta su di me e mi abbraccia forte.

La stringo saldamente a me per la vita … dammi la tua forza, amore mio… non lo dico, ovvio… lo penso solamente, la imploro e una piccola lacrima cade dalla mia guancia sui suoi capelli, sparendo subito.

L’ultimo regalo per te… l’ultima lacrima… forse la prima, non lo ricordo più…

“Fammi restare… posso aiutarti, davvero…” implora per l’ultima volta, ma sa già che non l’ascolterò.

Non le rispondo, continuo ad abbracciarla, l’eco delle grida alle nostre spalle sempre più forte come il richiamo di un Caronte che vuole immediatamente la sua anima designata.

“Vieni con me, allora…” pigola, i singhiozzi che non rendono distinguibili le sue parole.

“Hermione, va via…” la mia voce non trema più. Mi mordo le labbra per renderla ferma.

Solleva il viso, baciandomi con forza, aggrappandosi a me come se stesse affogando. Se non avessi la certezza matematica che se mi trovassero in questo istante, ammazzerebbero anche lei… li chiederei… uccidetemi adesso, per favore…

Rispondo al suo bacio con passione, infantilmente pensando che stiamo diventando una cosa sola e che così nessuno la separerà più da me.

Ma poi con la stessa forza la stacco da me e le do le spalle, lasciando me stesso e lei al freddo.

Ci dobbiamo abituare a questo, Hermione… per anni, non ci abbiamo fatto i conti con lo stare separati, ma ora…

“Va adesso…” mormoro, lo sguardo fisso sulla porta delle cucine, i passi sono sempre più vicini.

“Non ti dimenticherò mai…” bisbiglia ancora lei.

“Nemmeno io… va ora…” sento la mia voce dire. Inutilmente perché il mio“mai” sarà di qualche minuto… da morti, si ricorda qualcosa?

Il suo ultimo “ti amo” si perde nel vento con altre parole che lei ha detto, ma che non ho udito. Mi arrivano invece i suoi passi sulla neve che l’allontanano da me, e il gorgo che crepita.

Mi volto, osservandolo da sopra la mia spalla destra.

È sparito. C’è solo l’albero di mia madre adesso.

Sospiro, sono salvi. Tutti e quattro.

I passi diventano molesti schiaffi nelle mie orecchie. Fanno esplodere la porta con un violento Bombarda!, urlato da una decina di voci. La fanno staccare dai cardini. Subito dopo, un’enorme ondata  monocrome si abbatte nel giardino.

Rimango fermo, lo sguardo gelato, la bacchetta che scivola dalle mie dita sudate e ghiacciate.

La punto stupidamente contro le milioni di asticelle di legno che vi vengono frapposte.

Voldemort avanza silenziosamente come un serpente e batte le mani ironicamente. Idiota…

“Lo sapevo, Draco…” dice irato, avanzando verso di me con la bacchetta sguainata “Lo sapevo che avresti cercato di liberare la sporca Granger… meno chiaro era che ti avrebbero aiutato anche la Parkinson e Zabini…”.

Sorrido ironicamente, sto tremando e so che non è per il freddo. Una parte del mio cervello mi urla di implorare pietà, ma il resto… no… devo rendere fiera di me Naike, quando guarderà questa scena un giorno. Ed anche Hermione…

Voldemort mi punta contro la bacchetta e ride ancora, gli occhi fiammeggiano.

“Mi ci voleva solo l’occasione giusta, sai Draco?” ride tra sé e sé.

Spalanco gli occhi, voleva farmi fuori da tanto tempo … il perché lo sa solo lui. Forse è lo stesso che ha portato alla morte dei miei.

“In effetti, eri diventato una spina nel fianco…” continua lui, incrociando le braccia e studiandomi “Ma eri pur sempre il migliore… quindi ero un po’ riluttante a toglierti di mezzo, ma adesso come puoi immaginare… non passerò sopra questa cosa…”.

“Era chiarissimo…” gli faccio eco, sollevando il mento. La Granger mi ha contagiato. Buona cosa, almeno sono sicuro di non scappare come un coniglio come sarebbe caratteristico da parte mia…

“Facciamo una cosa veloce, vuoi? Te lo devo dopo questi anni di duro servizio…” ride lui, puntandomi la bacchetta alla tempia “A proposito, nel caso me lo sia lasciato sfuggire, la prenderemo… la Mezzosangue sarà la prima a morire dopo di te… assieme a quegli altri due traditori…”, stringo i pugni e lui, non soddisfatto, prosegue maligno: “Anzi no… prima ci divertiremo un po’ con lei… è davvero una bella streghetta… e la figlia quando crescerà, sarà un belvedere anche lei… ti ha messo le corna, eh, Draco? La Mezzosangue si è divertita in tua assenza… e tu l’hai anche liberata… l’ami davvero molto, eh?!”. La sua voce assume un’aria disgustosamente melensa.

“Bastardo!” urlo e gli mollo un pugno in faccia, come desideravo fare da un sacco di tempo.

Che soddisfazione, magra, ma sempre una soddisfazione.

Lui barcolla un po’, un tempo non sarebbe successo. Ha sconfitto la morte, come nessuno prima di lui aveva mai fatto. Ha raggiunto l’eternità. Ma il suo corpo è sempre carne, è sempre soggetto alla vecchiaia ed alla stanchezza. Tra la giovinezza e la morte, c’è sempre un periodo in cui sei più debole e meno preparato. Ed anche più solo. Questo vale anche per lui, anche se considerando da che situazione partisse, è sempre il più grande mago del mondo. Per la terza condizione, invece…

Lui non è mai solo.

E questa è la sua più grande forza.

Simultaneamente al mio attacco, è uno scoppiare di raggi di luce da tutte le direzioni. Mi abbasso per scansarne qualcuno, recuperando la mia bacchetta. Non voglio morire standomene fermo. Le urla coprono gli altri suoni, striscio per terra con cautela, i Mangiamorte confusi si accalcano per colpirmi, ma non riescono a farlo tutti assieme, quindi puntano alla cieca, sbagliando mira. La metà di loro sono dei perfetti imbecilli. Vigile, sento alle mie spalle uno scalpiccio di passi e un tonfo. Mi volto, pronto, ma poi mi gelo. Voldemort mi punta la bacchetta alla nuca.

“Bè, questo mi ha sorpreso, davvero…” ringhia aspramente “Te ne andrai con l’orgoglio di avermi colpito…”.

Le mie braccia cadono lungo i fianchi.

La bacchetta rovina nella neve fresca.

Chiudo gli occhi, non voglio vedere le facce soddisfatte dei Mangiamorte.

È finita.

“Avada Kedavra!”.

Sospiro. E poi è l’ultima cosa che sento.

Il vento si fa meno freddo, l’aria meno pungente, la luce meno intensa.

Nel buio, solo il baluginare di due occhi color cioccolato e di altri due grigio luna.

 

 

Non potete immaginare di che fatica è stato questo capitolo, dover mantenere uguale Hermione è stata un’impresa! Devo dire di somigliarle parecchio e solo questo l’ha reso un pochino più semplice! E poi, sapendo come dovevo concluderlo, mi è venuta un’angoscia assoluta! LA FIC NON E’ FINITA! Manca ancora un capitolo! Quindi, abbiate ancora un po’ di pazienza! Cercherò di aggiornare quanto prima! Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi stanno dedicando il loro tempo! Sono stata molto contenta che, nello scorso capitolo, ci siano state molte più recensioni! Spero che non mi ammazziate per questo! Un mega bacione, quindi, a Synnovea, silvia 90, kiki (spero di non averti fatto perdere in questo capitolo!), Aleptos (i capitoli sono quattro, questo è il penultimo! Grazie del capolavoro, anche se non penso di meritarmelo!), Merryluna, cocorita (la colpa del Naike è di una deficiente che ho visto in tv e che aveva il suo nome scritto così! avendo sgobbato per cinque anni come una pazza sulle versioni di greco, sapevo che si scriveva NIKE, ma quella maledetta mi ha confuso! Grazie della recensione bellissima!), Sally 90, Lady Crystal.

Un piccolo avviso: il prossimo capitolo è un pochino, diciamo, strano. Non so se si capisce benissimo la situazione. Ma alla fine si capisce tutto, non vi preoccupate!

 

 

 

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Epilogo

Epilogo

 

“Finalmente…”. Il sibilo di Voldemort si smarrisce nel vento. Nessuno sente la sua esclamazione.

Anche il Signore Oscuro consente a sé stesso gesti proibiti di vacillamento, a patto che si perdano nel vento.

I Mangiamorte rilassano le spalle, sollevati. Due di loro, fendendo la bufera di neve, si avvicinano al loro Signore.

Barty Crouch Junior dà un calcio schifato al fianco del giovane uomo biondo esanime, steso per terra. Il volto reso bianco reca la traccia di un minuscolo sorriso.

“Che cazzo ti ridi, bastardo?!” ride sguaiato Barty, prendendo a calci il viso dell’uomo morto.

I Mangiamorte ridono ad alta voce, poi iniziano lentamente a ritornare nel castello, al caldo. Poco importa che il suo padrone sia appena morto. Chiaramente continueranno a vivere lì.

Codaliscia striscia vicino a Voldemort, guardando disgustato il cadavere.

“Mio Signore…” lo chiama soffuso Codaliscia “Perché avete aspettato tanto?”.

Voldemort si volta irato, mormorando sferzante: “Osi esprimere dubbi sul mio agire?”.

“N-n-no…” balbetta Codaliscia, terrorizzato, poi cerca di restringere il tiro: “Mi chiedevo solo perché non l’avete fatto prima… conoscete tutta la storia da anni ormai… ed invece dopo aver tolto di mezzo Lucius, avete aspettato tanto con il ragazzo… perché?”.

“Avevo i miei motivi, Codaliscia…” risponde Voldemort, tracotante, la veste nera che si agita nel vento.

Poi prosegue: “Lucius era inutile. Esattamente come la moglie. Non mi servivano ed appena è venuta fuori la cosa, li ho fatti fuori. Non me la sentivo di rischiare. Ma Draco era ancora utile… doveva rimanere in vita… e ti dirò, se oggi non avesse cercato di liberare la Granger, lo avrei tenuto in vita per altri due - tre anni, il tempo di finire di costruire Dark Hell Manor… ci serviva il suo castello, no?”.

Barty e Codaliscia ridono. Barty si avvicina, osservando ancora il cadavere che ha ripetutamente sfregiato.

“Almeno adesso potrò smettere di controllare tutte le donne che uscivano dalla stanza di questo fottuto bastardo…” commenta volgare, ridendo sardonicamente “Ogni volta era una rogna vedere se erano incinte o meno…”.

“Ora capisco…” mormora Codaliscia con un battito di mano “Per questo avete reso sterile la Parkinson, mio Signore… per impedirle di avere figli da Malfoy…”.

“Codaliscia sei in ritardo di anni, ma meglio tardi che mai…” annota Voldemort tra sé e sé, poi ride scomposto: “Adesso che è morto l’ultimo dei Malfoy, anche l’ultima profezia è caduta… queste profezie… smontata una, le smonti tutte…”.

“L’unica persona che poteva porre fine alla vostra grandezza era l’ultimo dei Black e dei Malfoy…” ride anche Barty “Con la morte di Draco, che non ha avuto figli, il vostro Regno sarà eterno!”.

Non è vero.

Tutti ridono e festeggiano, alzando cupe scintille nere nel cielo bianco di neve. Un Marchio nero splende sinistro sul corpo dell’ultimo Malfoy. Intanto, Theodore Nott viene attirato da un’ombra scura nella neve fresca. Si allontana.

Dopo qualche secondo, ritorna con la seconda gradita sorpresa della giornata.

 

 

Lontano, miglia e miglia più in là.

Una grotta buia in una montagna rosa da frane e smottamenti. La pioggia cade senza sosta, fango sulle vesti e sulle mani.

Una bimba dorme, sogna il primo capitolo della storia dei Malfoy. Sogna, ignara del suo destino. Sogna, la nuova prescelta, l’ultima prescelta, l’ultima dei Black e dei Malfoy.

Sorride.

Accanto a lei, un uomo e una donna.

Per ora, con lei condividono solo i capelli. Neri come la notte.

Anche se lei è bionda, quello è un primo passo.

Un primo passo verso la vittoria, un primo passo verso Naike.

“Sarà nostra figlia…” mormora Blaise Zabini.

“Lo so… alla fine Draco ci fa fare sempre quello che vuole…”. Pansy Parkinson si stringe all’uomo, la testa di Naike sulle sue gambe.

E alla fine riescono a sorridere anche loro.

 

Le palpebre sono assurdamente pesanti, sembrano d’acciaio e non riesco ad aprirle. Ogni maledetta cellula del mio corpo mi fa un male boia, comprese quelle dei capelli. Stringo forte gli occhi, le pupille si restringono, dietro le palpebre chiuse una luce bianca accecante mi ferisce gli occhi. Ma che diamine è? mi chiedo nel tepore del dormiveglia.

Cerco di riaddormentarmi, rispondendomi velocemente che sarà il sole.

Il sole?!

Mi tiro bruscamente a sedere dalla posizione supina, in cui mi trovavo, e mi guardo attorno sconcertato. Sono steso in un letto, mi sembra familiare… sussulto… il letto di Hogwarts. Riconosco immediatamente le lenzuola odorose di gelsomini, un profumo che non ho più ritrovato, sebbene lo cercassi da ogni parte. Riconosco anche il copriletto verde-argento, tipico della mia Casa; ci sono persino le lampade verdognole agli angoli di pietra della stanza. L’unica cosa diversa è la luce del sole. La stanza è la mia, ma quella di Hogwarts era nei sotterranei. Era impossibile vedere il sole. E poi, che io mi ricordi, la luce del sole non la vede nessuno da anni.

Mi stendo di nuovo sul letto, lentamente i ricordi ritornano a galla.

Avada Kedavra!

Sollevo la mano verso l’alto, non me la ricordavo così piccola…

 “Ti sei svegliato finalmente, Malfoy…” una voce conosciuta mi fa sobbalzare.

Mi volto verso l’ingresso e vedo fermo sulla soglia… oh mio Dio… un diciassettenne Potter mi guarda con aria di sufficienza.

Una goccia di sudore freddo mi scende lungo il collo. D’accordo, sono impazzito…

“Ce ne hai messo di tempo a svegliarti…” mormora lui, avvicinandosi al mio letto con le braccia incrociate.

Lo squadro con attenzione, è esattamente identico al Potter del settimo anno. I capelli sono sempre neri e spettinati, gli occhi verde brillante sono sempre nascosti dalle spesse lenti, c’è persino la famosa cicatrice a saetta.

“Tu invece sei più piccolo di quello che mi aspettassi…” dice, ridendo tra sé e sé.

“Più piccolo?!” chiedo sconcertato, ma la mia domanda si blocca in gola. La mia voce… è quella di un bambino… difficile non rendersene conto… se questa è sempre la mia stanza, di fronte a me, ci dovrebbe essere lo scrittoio e uno specchio.

Mi sollevo leggermente ed intravedo il mio riflesso nello specchio.

Non ho la voce di un bambino, sono un bambino. Undici anni più o meno. Il pigiama è persino quello azzurro con i boccini che mi regalò mia zia Elladora per il mio decimo compleanno, sono mingherlino e pallido come allora, e persino i capelli biondi sono appiattiti sul capo con la gelatina, come mi piaceva a quell’età.

La morte è proprio strana… certo che mi aspettavo di tutto tranne che essere di nuovo un moccioso…

“All’inizio, anche a me ha fatto uno strano effetto… ed avevo quindici anni…” commenta Potter, poi sogghigna tra sé e sé. Riesco a cogliere solamente le parole: “… undici anni…”.

Mi alzo dal letto, barcollando come se avessi la febbre.

“Potter… se davvero sei Potter… si può sapere che diavolo è successo?!” chiedo nervoso, stringendo i pugni ed agitandoli vicino alle sue ginocchia. Non mi ricordavo così minuscolo.

Potter sospira tra sé e sé e risponde: “Certo che sono io, furetto… siccome ti conosco, hanno detto a me di venirti a chiamare… hai la prima lezione tra poco… muoviti… Piton ti aspetta…”.

Sto decisamente perdendo la pazienza. Che diamine di lezione?!! E Piton è morto! E pure Potter! Ma, ora che ci penso, sono morto anche io…

“Se ci sei tu, questo deve essere l’inferno…” ribatto caustico.

“Non è l’inferno, idiota… e comunque tra poco io me ne vado di qui… è l’ultimo anno…” risponde lui, guardando verso l’alto.

Non ci sto capendo niente.

“Se è il paradiso, è una bella cantonata…” borbotto.

“Non è nemmeno il paradiso… presuntuoso come sempre, Malfoy… pensavi di meritartelo?” replica Potter acido.

Abbasso il capo, alla rabbia si sostituisce un vago senso di vergogna. Ma immediatamente mi riprendo: Potter era il prescelto ed è esattamente dove sono io, quindi…

“E’ una via di mezzo…” risponde alla fine Potter, appoggiandosi con una spalla alla colonna del letto a baldacchino “Un luogo che ti permetterà di arrivare nel luogo che vorresti…”.

Non rispondo, distogliendo lo sguardo da lui per puntarlo di nuovo alla stanza sconosciuta. Potter si stacca dal mio letto e mormora qualcosa a labbra strette. Agita la mano e in un bagliore opalino, compare davanti a me uno specchio dall’aspetto vecchio e consumato, e dalla cornice intarsiata d’argento.

“Bè, che c’è?” mormoro a Potter, guardando lo specchio con aria scettica.

“Dio, Malfoy… mi ero dimenticato quanto sei imbecille…” sbuffa Potter, indicando poi la superficie di vetro “Guarda dentro… c’è il luogo dove vuoi andare…”.

Controvoglia, mi avvicino allo specchio in cui nulla sembra visibile a causa della luce riflessa del sole.

Poi la mia gola si chiude.

Poggio una mano sul vetro freddo, gelido come il vetro della mia finestra a Malfoy Manor. Dall’altra parte, una mano sottile si appoggia alla mia, superandola in grandezza.

“Granger…” mormoro, gli occhi che pizzicano. Oltre alle lacrime che cerco di trattenere, Hermione è talmente luminosa da farmi bruciare gli occhi. Lei sorride e dice qualcosa, ma non riesco a sentire la sua voce. Piange e ride Hermione, ed è bellissima. Bella oltre ogni ragionevole misura, oltre ogni razionale logica, oltre ogni logica fantasia. Veste di bianco, i capelli risplendono e gli occhi scintillano di stelle d’oro.

“P- perché?” balbetto, rivolto a Potter, la mano ancora sul vetro, oltre il quale Hermione la tiene ancora appoggiata. Continua a dirmi qualcosa che non riesco a sentire.

“Non lo chiedere a me…” sorride Potter, guardando il riflesso della sua migliore amica “Quella ragazza ha fatto sempre delle scelte discutibili… Malfoy… Draco… è morta lo stesso giorno, in cui sei morto tu…”.

“NO!” mi ritrovo ad urlare, staccando la mia mano dal vetro.

“Persino prima di te… anche se di dieci secondi …” continua Potter, gettando un’occhiata al riflesso che ha smesso di parlare, silenziosa per le nostre orecchie, e che, sorridente, si stringe nelle spalle.

“Come?” chiedo, guardandola di nuovo.

“Ha lanciato un incantesimo al portale, affinché sparisse… si è nascosta dietro l’albero di tua madre…” spiega Potter, entrambi guardiamo Hermione, lui risponde sorridente al sorriso di lei, io la guardo ancora turbato e sconvolto “Quando i Mangiamorte hanno reagito al tuo attacco a Voldemort, lei è uscita allo scoperto, protetta dal vecchio mantello di mio padre. È stata colpita per caso da un anatema, mentre si avvicinava a te. E, subito dopo, hanno ucciso anche te…”.

Ora ricordo. Le parole che mi aveva detto, salutandomi, e che io non avevo udito; lo scalpiccio di passi alle mie spalle e poi il tonfo. Era… lei.

“Non doveva morire per me…” mormoro, abbassando il capo. Le lacrime adesso bagnano silenziose il mio viso.

“Lo penso anch’io…” risponde sinceramente Potter, guardandola “Ma lei è fatta così… la conosci… e se la conosco bene come penso, ti sta già aspettando… faresti bene ad andare a lezione, altrimenti non la raggiungerai mai…”.

Sorrido, il sapore salato delle lacrime in bocca, mentre poggio la mano di nuovo sulla sua che continuava ad aspettarmi, instancabile come sempre. Le sussurro a labbra strette: “Aspettami”, sperando che lei mi capisca.

Hermione annuisce, sorridendo ancora, e le sue labbra sillabano: “Ti amo”.

Annuisco, asciugandomi le lacrime con la manica del pigiama. La sua mano si stacca dal vetro, mentre lei si fa di lato per permettermi di vedere cosa c’è alle sue spalle. Non ce ne era bisogno, amore mio.

Se davvero è il mio paradiso, il nostro paradiso, so perfettamente cosa c’è alle sue spalle.

La vista di Malfoy Manor, lucente nei suoi torrioni antichi e splendente nella luce del sole, mi toglie il fiato. Vedo montagne smeraldine e prati di fiori da colori che non credo di aver mai visto. Piango ancora e non riesco a farne a meno. Ed è bellissimo.

Hermione sorride sulla scala d’ingresso, poi agita la mano, sillabando: “Ti aspetto…”, e alla fine sparisce.

Lo specchio mi restituisce solo il mio riflesso infantile.

“Il suo ultimo sacrificio l’ha fatta arrivare direttamente lì…” mormora Potter commosso “E il tuo ti ha permesso di essere qui… tra poco, l’andrò a raggiungere anch’io…”.

Sorrido ironico e mormoro, le lacrime che si asciugano sulle mie guance: “Avvicinati alla mia donna, Potter, e ti ammazzo… di nuovo…”.

Potter ride tra sé e sé: “Adesso sarà meglio che ti vesta…”.

Ad un tratto, mi ricordo di una cosa e fermo Potter sull’uscio.

“Che altro c’è?!” chiede lui, nervoso “Sono in ritardo, la McGranitt mi mette una nota!”.

“E Blaise e Pansy?” chiedo spaventato “E Naike?”.

Potter sorride ancora, fa ricomparire lo specchio e mormora: “Zabini e Parkinson saranno i migliori genitori del mondo per tua figlia… in quanto a Naike… è confortante vedere un prescelto che non sono io… con l’aggravante di un ben diverso risultato…”.

Lo specchio si illumina ancora e stavolta riesco subito a distinguere le sagome al suo interno. La luce è pressoché scomparsa, anzi la scena che vedo è al buio, se non per una piccola luminescenza perlacea.

“Accadrà tra dieci anni…” sussurra Potter alle mie spalle.

Riconosco immediatamente il salotto del Malfoy Manor, esattamente come l’ho visto l’ultima volta che ci sono stato. Le tende rosso cupo sono tirate, il caminetto è acceso, i mobili di legno pregiato non ci sono più, ad eccezione della poltrona di mio padre che adesso fungeva da trono o pseudotale per Voldemort. La stanza è piena di gente, viva e… morta.

Cadaveri giacciono a terra in pozze di sangue nero, riconosco molti Mangiamorte e qualche Auror che conosco di vista.

Tutto sembra sospeso in un momento di stasi, le bacchette tacciono, gli incantesimi sono bloccati. Si odono solo i gemiti dei feriti.

Al centro della stanza, distinguo a malapena due figure, una stesa per terra, l’altra in piedi. La seconda indossa un mantello bianchissimo e lucente con cappuccio. All’improvviso, l’ombra per terra urla qualcosa e la seconda figura per il contraccolpo dell’incantesimo scagliatole contro, fa un passo indietro. Il cappuccio cade dalla sua testa, rivelando una cascata di boccoli biondissimi.

“Naike…” mormoro, appoggiandomi stancamente allo specchio.

Mia figlia, chiaramente, non mi sente. Si porta una mano al viso dove scintilla un taglio poco profondo; asciuga il sangue e, così facendo, rende visibile l’anello che io le ho dato e che porta all’anulare destro.

I suoi occhi socchiusi si aprono, rivelandosi chiari come me li ricordo.

Senza nemmeno un gemito di dolore o fastidio, punta sicura la bacchetta contro la misteriosa figura ai suoi piedi. Lo spostamento del suo mantello luminoso la rende visibile.

Boccheggio. Voldemort è steso per terra, il capo calvo scoperto, il sudore che gli imperla la pelle biancastra. Gli occhi rossi saettano inquieti nella stanza, trovando solo gli Auror che Naike deve essersi portata con sé.

“Che vuoi fare, puttanella?” le chiede arrogante, guardandola dal basso verso l’alto.

Naike sorride freddamente: “Mi sembra ovvio… che vuoi farci? Le profezie sono veramente noiose… non si riesce mai a venirne fuori…”.

Voldemort ride: “Non sei una Malfoy… l’ultimo è morto dieci anni fa… non puoi farmi nulla… non ne hai il potere, la profezia parlava dell’ultimo dei Black e dei Malfoy… solo quello avrebbe avuto il potere di uccidermi…”.

Naike inarca un sopracciglio, come faceva sempre Hermione.

“E pensare che mi hai avuto anche sottomano per un’intera notte… quando avevo dieci anni, mi hai persino catturata…”.

Voldemort spalanca gli occhi. È la prima volta che lo vedo autenticamente terrorizzato.

“La mocciosa di quella volta!” balbetta spaventato.

“Esatto” replica crudele Naike “La stessa a cui hai ammazzato nella stessa giornata il padre e la madre…”.

La bacchetta preme più forte sul collo di Voldemort.

“Com’è possibile?” si chiede ancora Voldemort, tremando “Credevo che Malfoy e la Mezzosangue non avessero fatto in tempo a…”.

“Errore di valutazione” replica sbrigativa lei “Adesso è l’ora che faccia quello per cui sono nata… sai che mi dicevano sempre i miei genitori, mentre mi allenavano? Intendo, Blaise Zabini e Pansy Parkinson, ovviamente. Che non posso fallire, perché già mia madre me l’ha imposto chiamandomi così… Naike significa vittoria…”.

“Non sei la prescelta, l’ultimo prescelto era Potter!” grida disperato Voldemort, cercando di sfuggire alla presa di Naike.

“Non credere che sia perché una stupida profezia mi ha designato come tale…” sussurra lei, gli occhi grigi scintillano per un attimo, prima di tornare torbidi come prima “Le faccio io stessa le profezie e so benissimo quanto siano inaffidabili… vedere Harry Potter per credere… no, Riddle. Ti ammazzerò per un solo motivo. Uno ed uno soltanto. Gli altri ne trovino i loro… ma io…”, la bacchetta trema per un attimo, prima di tornare ferma.

“Ti ammazzerò perché mi hai impedito di avere nostalgia di mio padre…”.

Trasalgo, sentendo quello che ha detto.

Mormora qualche parola e, un attimo dopo, Voldemort smette per sempre di vivere.

Mia figlia sposta tutti i capelli su una sola spalla, chiude gli occhi sospirando mentre gli Auror scoppiano di gioia, tenendo i Mangiamorte catturati. Naike sorride a tutti, stanca e ferita, si stringe la mano destra, dove porta l’anello. Lo guarda e piange, piegata su di esso.

Bambina mia…

Poi si allontana degli altri, fendendo la folla in due ali festanti. Potter mi consente di seguirla con lo sguardo.

Attraversa le stanze dove tutti i Malfoy sono vissuti, le osserva con malcelata curiosità, sfiora con le dita insanguinate i quadri preziosi, accarezza i mobili rari. Arriva all’ingresso e spalanca il pesante portone, pronunciando un “Alohomora” a bassa voce.

Esce all’esterno.

Le voci allegre restano alle sue spalle, rese mute dal grave portone di pietra che si è richiuso.

C’è vento. Spazza la foresta e i prati, trasportando odori lontani.

Il cielo è grigio.

Come sempre.

Solleva lo sguardo, guarda le pesanti nuvole con aria corrucciata.

Alza la mano destra che si illumina di un bagliore celeste. Piccole scintille si staccano dalla sua mano, giocano con le sue dita, sfiorano il mio anello. Poi arrivano alle nuvole.

Sorride Naike, il mantello candido che si agita nel vento.

Le scintille creano una macchia celeste nel cielo.

Lentamente si espande, prima piano, poi sempre più veloce, fendendo l’orizzonte e il limite descritto dalle montagne.

Il cielo è tornato azzurro. Oro puro, balugina sulle sue spalle, nuovamente illuminato dal sole.

Torna a vedersi anche un piccolo spicchio di luna, dietro il castello, pallido per la luce del nuovo giorno che inizia.

I petali di fiori si sollevano, circondando la sua esile figura nel vento dell’estate.

Sole… gli occhi di tua madre…

Luna… i miei…

E, alla fine, tu… vento… siamo tutti e tre assieme.

Vivremo assieme. Per sempre, assieme.

Naike chiude gli occhi, il vento che le scompiglia i capelli chiari.

Resta immobile così.

Tremano leggermente le sue mani abbandonate lungo i fianchi.

So che cosa vedi, Naike.

Il paradiso di tua madre… orgogliosa, apre gli occhi e guarda attorno a sé.

Felice che il luogo più bello del mondo sia un po’simile a quello che ha creato lei.

Chiude ancora gli occhi.

E vedi me, vedi dove sono.

Felice, apre di nuovo gli occhi.

È felice, adesso. Felice, davvero.

Fa qualche passo. In direzione di un albero noto.

Dopo averlo raggiunto, si siede alle sue pendici. Fa passare la sua mano sull’erba fresca. Stringe i denti per una fitta di dolore al fianco.

Dove la sua mano è passata, è comparsa una piccola lastra di marmo.

Recita: “Il vostro amore sarà come il vento… anche se non potrò vederlo, continuerò sempre a sentirlo. Esattamente come accadeva per voi due da tutta una vita… Naike…”.

Si solleva, toglie alcuni fili d’erba dal mantello e fa qualche passo.

Si ferma.

Ed ascolta il vento.

 

“Potter, quand’è che cominciano le mie lezioni?”.

 

 

 

Siamo chiari! Io, di solito, non mi commuovo scrivendo le mie storie. Cerco sempre di darmi un contegno perché altrimenti non riuscirei a scrivere di determinate cose, considerando che mi affezionerei troppo ai personaggi e pur di non farli capitare qualcosa, stravolgerei tutta la storia. Ma stavolta… ve lo giuro… mi sono commossa davvero, da sola poi! Ma sarò normale? Avevo deciso dall’inizio di far morire sia Draco che Hermione, ma Naike è nata molto dopo, mentre scrivevo la storia stessa, quasi come se reclamasse un’esistenza! Un solo chiarimento: non ho nominato precisamente il luogo dove si trova Draco, ma sarebbe una specie di purgatorio. Nella mia mente malata, l’ho immaginato simile alla scuola di Hogwarts, quindi le loro lezioni o pseudotali, sarebbero dei mezzi di espiazione. Draco torna all’età di undici anni perché ha molti anni di pentimento da scontare, mentre Harry l’ho fatto di 17 anni perché è lì da molti più anni di Draco, quindi ha finito quasi la sua opera di pentimento! A volte, sono veramente contorta… me ne stupisco da sola! Che dire ancora? Questa storia è stata una specie di parto ed averla terminata per me rappresenta un enorme risultato, considerando che l’ho scritta talmente di getto da meravigliarmene io stessa! Ci tengo tantissimo, come una piccola creatura, specie per questo ultimo capitolo, quindi ogni sorta di commento sarebbe gradito! Un mega ringraziamento a tutti coloro che hanno recensito questa storia o che hanno solamente letto! Grazie davvero tanto!!!! Spero che ci siate ancora per questo capitolo! Non so se scriverò ancora una Draco/ Herm, sicuramente se lo facessi, sarebbe una storia molto più allegra! Questa mi è costata lacrime e sudore nel vero senso del termine! Grazie ancora, Cassie!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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