Vetri di Haruakira (/viewuser.php?uid=98001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cocci infranti ***
Capitolo 2: *** 2. Santuario ***
Capitolo 3: *** 3. Rosso ***
Capitolo 4: *** 4. Dolore ***
Capitolo 5: *** 5. La mossa di Hades ***
Capitolo 6: *** 6. Via le lacrime ***
Capitolo 7: *** 7. Alcesti ***
Capitolo 8: *** 8. La busta ***
Capitolo 9: *** 9. Il responso della Pizia ***
Capitolo 10: *** 10. Il passato è sulla porta di casa . Il futuro è in arrivo. ***
Capitolo 11: *** 10. Voglio chiamarti Cheiron ***
Capitolo 12: *** 12. Dov' è finita Antares? ***
Capitolo 13: *** 13. Confessioni e vie di fuga ***
Capitolo 14: *** 14. Conoscersi ***
Capitolo 15: *** 15. Confidenze ***
Capitolo 1 *** 1. Cocci infranti ***
c. 1
Capitolo 1
Cocci
infranti
Ora del...
Ora
del...
Ora.
Zac.
Un taglio di
forbici e anche l' ultima ciocca rossa era andata ad aggiungersi alle
altre nel lavello.
Un ammasso di
capelli rossi tagliati.
Antares aveva
scosso i capelli ora corti e aveva osservato quelli tagliati nel
lavabo.
Aveva voglia di
vomitare. Sembravano un mare di sangue.
Come un automa si
spostò verso la vasca e preparò la tintura nera.
Febe era andata all' università. La sua era la
facoltà di
scienze della formazione. L' area universitaria non distava tanto dal
loro appartamento tuttavia il suo edificio era il più
lontano,
in fondo al viale alberato dell' univerisità. Per arrivarci
doveva passare davanti a tutti gli altri. O quasi. Le
segreterie,
Giurisprudenza, Lettere, Ingegneria... Medicina.
Medicina, ripetè nella sua testa mentre portava
istintivamente le mani alla pancia gonfia.
Ora del...
Ora del...
Ora del...
No!- Scosse la testa per scacciare quel ricordo. Si
accarezzò ancora il ventre, protettiva- Ti
proteggerò
piccola mia- sussurrò a voce bassa mentre gli occhi si
arrossavano.
Arrivò alla sede dell' esame. I colleghi la squadrarono da
capo
a piedi. Il professore posò un attimo lo sguardo sul
pancione
gonfio. Ma fu un attimo. Lo distolse subito e fece finta di niente. Ma
era quasi imbarazzato.
Una professoressa anzianotta lì accanto la guardò
con
cipiglio severo e alzò gli occhi al cielo sbuffando prima di
dedicarsi al candidato che le era davanti.
Talia non tornava a casa da due giorni. Fece il suo ingresso sbattendo
contro il mobile accanto al portoncino e rompendo il vaso che si
riversò in mille pezzi sul pavimento insieme ai fiori
appassiti.
Febe di solito si ricordava di cambiarli, ma questa volta non lo aveva
fatto.
Antares corse nel corridoio e accese la luce, poco dopo la raggiunse l'
altra ragazza tenendosi il pancione e camminando di tutta fretta.
Talia stava cercando di rimettersi in piedi sulle gambe malferme. Il
vestito pieno di brillantini che indossava non riusciva a coprire
neppure un quarto della coscia, il trucco pesante era sbavato in
più punti, i capelli biondi, di norma lisci, e che dovevano
essere stati arricciati da un poco, erano solo una massa sfibrata e
arruffata.
Antares guardava la bionda alzarsi e cadere sui tacchi neri troppo
alti. Era ubriaca fradicia. Non aveva la sua pietà, non
aveva la
sua comprensione. Gli occhi nocciola della ragazza -anche i suoi
capelli non erano più gli stessi. Erano corti, erano neri-
la
osservavano indifferenti attraverso le palpebre semiabbassate, le
braccia erano incrociate sul petto.
-Cazzo!- gridò Talia dopo l' ennesima caduta sui fiori e sui
cocci che le avevano ferito le gambe. La voce isterica.- Aiutatemi!
Febe era rimasta dietro Antares. Sentiva gli occhi gonfiarsi.
"Ho scordato di cambiare i fiori", pensò.
Portò le mani alla pancia -di nuovo- e i piedi scalzi
avanzarono
di un paio di passi. Antares
allungò il
braccio bloccandole il passo.
-Alzati da sola- affermò gelida alzando i tacchi.
Antares aveva sorriso alla mora del trio, Febe, prendendole il
braccio:- Andiamo- la incitò soffice.
Talia rimase immobile nel corridoio. Si tolse prima uno stivale, poi l'
altro e si rimise finalmente in piedi. Appoggiò una delle
mani
contro la parete e con gli occhi offuscati dal dolore e la mente dall'
alcool si diresse in camera sua attenta a non passare sui cocci.
Ora del...
Ora del...
Ora. Del.
Antares aveva avuto capelli rossi, lunghi e lisci. Ora
erano
corti e neri. Aveva voluto dare un taglio a un passato non ben
definito, aveva voluto scacciare quel rosso che sembrava riempirle
anche il palato del sapore metallico del sangue. Del suo puzzo.
Febe le aveva chiesto perchè.
-Avevo voglia di cambiare- si giustificò.
Febe aspettava un figlio o forse una figlia. Insomma, lo aspettava e
lei, Antares, lei che era stata sempre molto protettiva con tutte,
fingeva che tutto andasse bene.
Febe era la più fragile tra loro, era quella che anche
fisicamente stimolava un senso di protezione, di debolezza. I capelli
neri erano leggermente ondulati e incorniciavano un viso leggermente
paffuto, gli occhi erano scuri ma dolci. Febe era bassa di statura, era
la più bassa. Era minuta e piccolina. Era tutta piccola e
Antares si domandava come potesse trascinare un pancione
così
grosso.
Ma questo non aveva importanza. Importava piuttosto che lei stesse bene
e non si preoccupasse.
Talia entrò nella cucina stiracchiandosi e sbadigliando.
Prese
il latte dal frigo e si sedette con loro versansolo nel bicchiere.
"Non ha fatto nemmeno lo sforzo di riscaldarlo", si disse Antares.
La ragazza notò ancora una volta i capelli arruffati -ancora
non
li aveva pettinati-, il trucco lavato via velocemente e i segni rossi
sul corpo. Strinse il pugno e chiuse gli occhi respirando a fondo.
Antares pensava che Talia stesse sbagliando e che con il suo
comportamento avrebbe fatto preoccupare Febe. E che si stava
distruggendo. E distruggeva loro di più. Era egoista.
Talia pensava che Antares non poteva proteggere tutte. E non c' era
riuscita infatti e che forse la ormai ex rossa iniziava ad odiarla.
Antares la odiava perchè non si sforzava di capirla, la
odiava
perchè non la riteneva all' altezza di sopportare anche i
suoi
più intimi crucci, perchè lei lo sapeva che anche
Antares, come tutte loro, li aveva.
Febe pensava che ormai loro erano solo i cocci di un vaso rotto come
quello che ancora era a terra all' ingresso. Pensava che Antares aveva
dei seri problemi e fingeva che in realtà tutto andasse
bene,
pensava che anche Talia avesse dei seri problemi e li nascondeva poco e
male.
La giovane si accarezzò ancora la pancia sospirando.
C' erano delle parole che aleggiavano sulle loro teste, dei fatti che
le stavano colpendo lentamente come una spada di Damocle. Ma loro non
erano in grado di reagire.
Ora del decesso, 4:42.
Talia si era aggrappata alla vetrata che le separava da Sophia. Non
sentivano nulla. Con gli occhi sgranati aveva visto un' infermiera fare
cenno di no con il capo, il dottore guardare l' orologio a aprete,
aveva letto sulle labbra del medico ripetendo inconsciamente le sue
stesse maledette parole.
Ora del decesso, 4:42.
Aveva urlato dando dei pugni alla parete trasparente. Aveva urlato.
Febe le era accanto, lei non aveva letto il labiale. Aveva sentito la
voce bassa di Talia, un sussurro.
Ora del decesso 4:42.
Si era spostata indietro non appena Febe aveva iniziato a colpire la
vetrata. Il primo istinto era stata la paura per la sua bambina, quello
contemporaneo le lacrime pizzicare gli occhi e uscire come un fiume in
piena senza fermarsi mai, aveva aperto la bocca per dire qualcosa ma
stava solo singhiozzando. Il nome di Sophia non usciva.
Antares aveva i pugni stretti in quel momento e stava urlando a un
infermiere di farla entrare. Non aveva capito subito cosa era successo.
Si era girata non appena aveva sentito Talia urlare, l' aveva vista
sbattere le mani contro la vetrata trasparente mentre Febe si
allontanava e piangeva -no, quello era pià che piangere-
Era corsa da loro in tempo per vedere un medico coprire il corpo di
Sophia.
Era rimasta immobile, incredula, aveva sentito solo il cuore
accartocciarsi su sè stesso, un pugno portato alla bocca per
potervi affondare i denti e non urlare. Le lacrime scendevano.
_________________________________________________________________________________________
PREMESSE
E NOTE VARIE.
Salve a tutti,
Questa
storia si propone di essere un seguito di Rinascere. Per chi avesse
letto Rinascere, alcune mie storie e il primo capitolo di questa
noterà
immediatamente che c' è una differenza abissale di stile e
contenuti.
Rinascere è ancora molto informe e infantile e io stessa me
ne rendo
conto. Avevo detto che mi sarei dedicata a un seguito solo dopo averla
rivista o forse sarebbe meglio dire riscritta completamente,
sfortunatamente questo tempo non ce l' ho, in compenso sono parecchio
ispirata. Ammetto di avere una certa avversione per i nuovi personaggi,
persino per i miei, tuttavia amo confrontarmi con me stessa. Non
creerò
personagi belli e perfetti, anzi, a volte magari li odieremo, voglio
-ma è difficile, è una sfida per quanto
impossibile- crearli molto
umani. In tutti i casi non aspettatevi storie romantiche o robe da
Harmony perchè non è nel mio stile. In questa
storia ammetto io stessa
che un paio di storie d' amore etero saranno presenti così
come lo
shonen-ai visto che è quello che scrivo di norma,
però saranno storie
particolari - o almeno spero- nel senso che io amo ciò che
è ambiguo,
che non è semplice a livello psicologico per così
dire, amo il
confronto anche conflittuale tra i personaggi, analizzarne i rapporti
privilegiando anche e soprattutto quelli d' amicizia, dunque non vi
aspettate storie d' amore a tutto spiano. Questa, vi avviso,
è una
storia pilota, una prova, infatti avendo poco tempo a disposizione la
posterò solo sulla basa di un eventuale gradimento. Non mi
piace
scrivere solo per me, dal momento in cui un autore -scribacchina nel
mio caso- scrive, lo fa per far leggere la storia e per ricevere pareri
e critiche positive e non, per migliorarsi, per confrontarsi e
perchè
no, per sentirsi un pochino soddisfatto se una storia va a segno.
Questi sono solo alcuni motivi perchè non sopporto il facile
clic su mi
piace/preferite/ricordate. La storia sarà postata
anceh tra gli
originali ovviamente con tutta una serie di cambiamenti significativi,
ma certi capitoli, il primo ad esempio, rimarrano uguali.
DISCLAIMER:
I personaggi di Saint Seiya non mi appartengono ma sono degli aventi
diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.
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Capitolo 2 *** 2. Santuario ***
c. 2
PREMESSA: Come
qualcuno di voi saprà inizialmente questa ff aveva raiting
rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi
sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse
eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento
è comunque doveroso. Le tematiche trattate saranno diverse
rispetto a Rianscere, saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a
tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di esempi.
Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera
più delicata possibile tentando di adattarlo al raiting
scelto, cosa assai difficile avendo deciso di seguire
completamente l' ispirazione. Metto perciò le mani avanti.
Io vi ho avvertiti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se
la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso. Non voglio
rotture di scatole. Ho finito.
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Capitolo 2
Santuario
Death Mask
di Cancer camminava avanti e indietro lungo l' ingresso della casa. Si
rammaricò alla vista delle pareti spoglie. Non un misero
urlo,
non un lamento, non una faccia dagli occhi terrorizzati che lo fissava
al suo passaggio.
Ancora non aveva digerito la storia dell' Atena Exclamation in casa
sua. C' erano molto cose che in realtà non aveva mandato
giù. Sbuffando si tolse l' armatura i cui pezzi caddero
malamente a terra.
-Cazzo- soffiò senza troppa convinzione. Era troppo nervoso.
Andò in cucina e iniziò a cucinare.
Quando Aphrodite dei Pesci entrò nel quarto palazzo
sentì
un profumino invitante provenire dalle sue cucine. Non era un buon
segno,
non alle tre del pomeriggio almeno. Death Mask quando era nervoso
-tanto nervoso- iniziava a cucinare più di quanto potesse
fare
in un mese intero Aldebaran del Toro.
-Death- lo salutò accomodandosi su di una sedia e
accavallando le gambe con grazia.
L' altro grugnì quello che doveva essere un saluto.
-Offrimi qualcosa- disse Aphrodite contemplando le spalle dell' uomo.
Cancer gli mise sotto il naso una tazza di tè e dei dolcetti
appena sfornati mentre l' altro cavaliere dovette trattenere una
risata. In quei momenti il suo compagno sembrava una specie di
casalinga isterica.
Death Mask si sedette con malgrazia di fronte all' altro, le braccia
incrociate e il viso imbronciato come un bambino che aveva ricevuto un
affronto terribile. Lo sguardo vagò per un momento su un
cassetto della cucina.
-Ti manca Sophia?- domandò Dite agguantando un docetto al
cioccolato e col tono di chi stà parlando del tempo.
-Non dire cazzate- biascicò l' altro.
-Non mi sembri molto convinto.
-Non è che mi manca. E' che...- era difficile dirlo, non
voleva
che un presentimento reale fosse scambiato per una semplice
preoccupazione
dettata dalla lontananza. Quando mai lui aveva provato certi
sentimenti?- ho una sgradevole sensazione- finì lentamente
come
se quelle parole pesassero come sassi.
Death Mask dovette ammettere con se stesso che da quando quella pustola
se ne era andata le sue giornate si erano fatte più
silenziose.
Non che Sophia fosse rumorosa o troppo loquace, al contrario, era
sempre posata e schifosamente gentile, studiosa e piena di progetti.
Però gli piaceva stuzzicarla, prenderla in giro, trovarsi i
libri sparsi ovunque per il palazzo, sedersici sopra senza rendersene
conto. Alla fine aveva concluso che non era tanto male avere un'
allieva da spedire ogni tanto all' Inferno. Quando se ne era andata
aveva conservato un libro e un evidenziatore in un cassetto della
cucina e non lo aveva più aperto. Gli era mancata un
pochino,
giusto perchè per forza di cose si era dovuto
abituare
alla sua presenza quando lei e quelle schizzate delle sue compagne
avevano messo sottosopra il Grande Tempio ma era un sentimento che era
duranto una, forse due
settimane, nulla di più.
Poi un paio di mesi prima c' era stato il cambiamento. Si era svegliato
di soprassalto nel letto di Dite, un rumore reale e assordante, troppo
vicino alle orecchie lo aveva irritato, gli aveva dato una specie di
senso di vuoto. Aveva sentito -aveva visto annaspando nel buio- un filo
spesso e lucente tagliato da un paio di forbici. Il filo non
era
sottile e le forbici avevano dovuto fare una pressione maggiore per
dividerlo. E lui aveva sentito quella pressione e quella forza sulla
pelle.
Poi tutto era finito.
Aveva guardato la sveglia sul comodino. Segnava le 4:42.
Gli abitanti del Tempio avevano vissuto pochi mesi prima un' avventura
molto particolare. Quattro ragazzine quasi diciottenni gli erano
capitate tra capo e collo cadendogli addosso dal cielo -nel senso vero
del termine-
Si erano presentate come senshi, come le eredi dei pianeti interni del
Sistema Solare, figlie di quelle guerriere leggendarie che combattevano
con una divisa alla marinaretta.
C' era Sophia, la saggezza, rappresentante di Mercurio, con boccoli di
un tenue castano che incorniciavano il viso fino al collo e dagli occhi
dello stesso colore, pacata e gentile. Studiosa come lo era stata la
madre.
C' era Talia, la forza prorompente dell' amore di Venere che era il suo
pianeta. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi e scuri simili a
quelli di Minako, esuberante e ottimista come lei.
C' era Febe che della passione un giorno avrebbe fatto il suo credo,
figlia del pianeta rosso del sistema solare e diversa nel carattere
dalla madre Rei. Aveva preso solo il colore scuro dei capelli dalla
donna, non altro, essendo piuttosto minuta e assai buona e timida di
carattere.
Infine c' era Antares, figlia dei sovrani di Giove, sorella di Camus di
Aquarius e tanto simile a lui nell' aspetto e nel carattere severo e
composto che si ammorbidiva solo nei confronti delle amiche, di Milo e
del fratello che venerava come fosse un dio.
Non era la loro epoca, avevano detto. Erano venute dal futuro ancora
bambine, insieme al piccoletto che una volta uomo sarebbe stato il
cavaliere dell'
undicesima casa, per scappare da un attacco nemico e non potevano farvi
ritorno se non dopo un ciclo di morte e rinascita. Attaccate dal Caos
perchè insieme erano Cosmos, perchè insieme erano
acqua,
terra, fuoco e aria, garanti dell' equilibrio nel Sistema.
Alla fine il Caos lo avevano affrontato comunque. Alla fine avevano
dovuto chiedere il perdono di Atena che Antares aveva odiato con tutta
sè stessa, alla fine erano tornate alle proprie vite. Sailor
Pluto aveva detto loro che i ricordi di quel periodo sarebbero stati
cancellati per garantire la loro incolumità ma Talia, una
volta
sull' autobus che le avrebbe portate a casa, aveva messo nelle mani
delle amiche una foto e quattro lettere.
-Qui c' è la nostra storia. C' è l' avventura di
questi mesi- aveva spiegato.
Ovviamente questa parte della storia era sconosciuta ai santi del
Santuario.
Alla fine quelle lettere erano state dimenticate e così
quell' avventura.
Nel Tempio qualcuno si ricordava ancora di loro. Erano state buone
amiche, valide combattenti, pessime allieve, erano infine un ricordo
piacevole, un caro affetto che ogni tanto faceva capolino nella mente.
La vita al Santuario procedeva tranquilla e tranquillo era l' animo dei
suoi abitanti come era giusto che fosse.
Pochi erano i cavalieri che maggiormente soffrivano di quella mancanza.
Eppure qualche traccia del loro turbolento e al tempo stesso discreto
passaggio era rimasta.
C' era il libro che Cancer conservava nel cassetto in cucina.
C' era la musica che si espandeva per tutta la settima casa quando Doko
di Libra metteva su un dvd di aerobica e indossava la tuta comprata
insieme a Talia.
C' era un quaderno di ricette che Aldebaran e Febe avevano scritto a
quattro mani.
C' era un pendente verde che era la metà di un altro al
collo del cavaliere di Aquarius.
C' erano dei disegni posati su una scrivania in una delle stanze dell'
undicesimo tempio.
C' era una tuta d' aerobica in un angolo nascosto nell' armadio del
cavaliere di Virgo.
C' erano dei ricordi martellanti nella mente di alcuni.
Saga di Gemini aveva mantenuto quel suo contegno severo a cui si era
però andato ad aggiungere un malcelato disprezzo per
qualcosa o
qualcuno e una rabbia che carpiva i suoi pensieri sempre più
spesso. Si sentiva una bestia ingabbiata e odiava sè stesso
per
gli sciocchi sentimenti che non riusciva a controllare. Saga di Gemini
odiava le emozioni. Le odiava perchè lo indebolivano e lui
che
era un guerriero non poteva permettersi di essere un debole. In
ciò era molto simile al gelido Camus dell' Aquario, il
signore
delle energie fredde che in realtà temeva i sentimenti
poichè erano per lui qualcosa di impossibile da controllare,
un
qualcosa che sfuggiva all' umana comprensione e per lui ciò
era
inammissibile, lui che tutto tentava di capire e di spiegare al lume
della ragione. Alla fine si era rassegnato a qualche emozione, poche a
dire il vero, costanti come martelli pneumatici. Tra queste, quella
principe che sovrana regnava aveva il nome di Milo di Scorpio.
Saga si dava dell' idiota perchè aveva perso la testa per
una
ragazzina. Si diceva che era prestino per avere una crisi di mezz'
età e correre dietro alle minigonne. Si dava dell' idiota
dunque
e fingeva che nulla fosse accaduto, che nulla lo turbasse.
Questo almeno durante il giorno.
Quando calava la notte il saint si dirigeva tra le strade dell' Atene
moderna, girando pub e locali e spendendo le sue ore in compagnia di
qualche bella donna. E se proprio non poteva, il suo letto si concedeva
il peso leggero di qualche ancella. Saga faceva sesso con donne ogni
notte diverse. Bionde, brune, castane... rosse. Ma ancora non era
riuscito a trovare il rosso che cercava.
Quello ce l' avevano solo Camus di Aquarius e una ragazzina
indisponente.
Saga baciava una donna, la penetrava in maniera quasi selvaggia, la
sentiva gemere, urlare il suo nome estasiata e traduceva quella voce in
un altra ben diversa, dura e tagliente.
Immaginava che a gridare il suo nome fosse Antares. Lo poteva sentire
nelle orecchie.
Immaginava che il corpo con cui venivano a contatto le sue mani e le
sue gambe fosse il suo.
Immaginava di fare sesso - o l' amore, questo ancora non lo aveva
capito- con lei.
Poi la notte cedeva il passo alla luce del giorno e Saga di Gemini
appariva un irreprensibile cavaliere. In
realtà il nervosismo costante, l' aria accigliata, gli
allenamenti massacranti sembravano volergli urlare che sì,
qualcosa era cambiato e che lui quel qualcosa non lo aveva accettato.
Ma Saga non voleva sentire. Neache quando vedeva i capelli rossi di
Camus, nemmeno quando evitava i suoi occhi nocciola perchè
gli
sembrava di avere davanti un' altra persona. Una persona che amava e
odiava al tempo stesso, che lo sfidava e che era irriverente e
testarda. Una persona che in fondo aveva respinto lui stesso.
Saga si era ritrovato a compatire Shura più che
sè stesso.
Forse perchè Febe era diversa da Antares. Forse
perchè
Febe sembrava un angelo e deve essere brutto perdere un angelo.
In realtà Shra di Capricorn era un uomo di grande forza e
insieme di grande fragilità. Aveva sopportato con l' onore
di un
guerriero una colpa gravosa, la più dura per l' animo, di
saint
e di amico insieme poichè aveva tentato di uccidere un'
Atena
ancora in fasce e aveva ucciso il suo amico Aiolos di Sagitter, sebbene
la sua mente in quei momenti non gli appartenesse.
Era stata dura manipolare la mente del Capricorno, dovette riconoscere
Saga.
Ora quel santo portava nell' animo un ulteriore peso.
Shura non era come Saga che cercava di non vedere quei ricordi. Anzi,
amava trastullarsi in quel pensiero dolce e amaro, amava ricordare
quella ragazzina che aveva ritenuto prima alla stregua di una sorella
minore, solo poi amante e compagna. L' unica. L' unica che con la sua
dolcezza timida e discreta rendeva meno spigoloso e solitario il suo
carattere.
Faceva male pensare a lei ma allo stesso tempo doveva farlo per non
dimenticare i tratti del suo viso, perchè aveva deciso di
restare fedele a quell' unico amore.
Shura si sedette e sprofondò nella poltrona coprendosi le
mani con il viso.
E' un' ossessione.
Si può morire di un' ossessione?
Avrebbe voluto mandare a quel paese il contegno di saint e la tempra
di guerriero che per carattere o per necessità si era
ritrovato
cucita addosso e urlare, urlare, urlare.
Lo sentiva ogni volta che il cuore iniziava a battere più
forte,
ogni volta che iniziava a rallentare piano piano e stringersi su
sè stesso, ogni volta che la testa iniziava a pulsare e la
bocca
diventava amara.
Questo è il
sapore dell'
ossessione. E' dolce e amara e poi infine diventa aspra e sembra acido
che vuole bruciarti dall' interno.
Il buon senso e i suoi amici gli dicevano che doveva sbattere fuori a
calci nel culo quell' ossessione ma la lui non voleva. La sua forza di
volontà non ne era in grado. Si rifiutava proprio di
mettersi
all' opera e allora Shura se ne stava lì tra l' arena e le
quattro
mura della sua casa a grugnire come un orso.
Death Mask entrò sbattendo la porta e accovacciandosi senza
tante cerimonie sul divano di fronte a lui, Shura sollevo il capo
guardando con un velo di stupore l' amico. Non era da lui essere
così silenzioso.
Rimasero così a fissarsi per un tempo indefinito. Non ha
litigao con Phro, pensò Shura, altrimenti avrebbe vomitato
immediatamente una sequela di insulti all' indirizzo dell' altro.
-Shura- iniziò l' ospite- guardandolo serio- non pensi mai
di farti una bella scopata?
Il ragazzo lo guardò interdetto. Come si permetteva quel
cretino
di dire una cosa del genere? E infangare così il suo amore e
il
nome di Febe? Stava per rispondere a tono quando l' altro
continuò:-
Ti comporti come un vedovo, pezzo di coglione. Quella ragazzina non
è mica finita all' altro mondo. Lei stà vivendo,
magari
sbattendosene di te. Ti ha dimenticato. Quella tizia con la minigonna...
-Sailor Pluto- lo corresse indispettito l' altro
-Sì quella... l' hai sentita no? Si sarebbero scordate
tutto.
Quindi smettila di fare la parte del morto vivente. Mi girano le palle.
Shura pensò che effettivamente Cancer aveva ragione. Certo,
i
suoi modi non erano proprio delicati e non riusciva a capire come
quella mattina si fosse preso il pensiero di farsi i fatti suoi. Ma
aveva ragione, però rispose semplicemente:- No. Non rompere
e
lasciami fare il morto vivente.
Il ragazzo di fronte a lui sbuffò contrariato, voleva
aggiungere
ancora qualcosa ma non lo fece. Si diresse in camera dell' altro
ricomparendo con una maglietta e dei pantaloni.
-Ti sei lavato?- domandò
-Ma certo!
-Vestiti allora. Ti aspetto a casa mia. Ho cucinato.
Shura non pensava che alla quarta casa avrebbe trovato tutti i gold.
Eppure così sembrava. All' appello erano presenti anche
alcuni
silver saint. Mancavano solo i bronze e Atena, al momento in Giappone.
Trovò un tavolo imbandito con leccornie di ogni tipo e
nazionalità, qualche festone in giro per la sala e la musica
altissima che gli spaccava i timpani.
Visto quello spettacolo indegno fece dietrofront verso l' uscita ma
venne bloccato da Aphrodite.
-Hombre... dove vai?
-Me ne torno a casa.
-Death non la prenderebbe bene- il sorriso canzonatorio sul viso di
Pisces si spense all' improvviso. Trattenne l' altro per un braccio-
resta Shura, ci sono tutti.
- Non mi aveva detto che c' era una festa.
-Forse non lo sapeva nemmeno lui fino a un paio di ore fa. Non credo
che lo sapesse mentre preparava tutto questo cibo in cucina. Shura
rimani- ribadì- te lo chiedo come amico. Lo sai che Death
non
ama il casino in casa sua.
-In quella degli altri- sorrise Capricorn pensando a quanto l' amico
amasse andare a scrocco.
-Credo che voglia esorcizzare qualcosa. O qualcuno- terminò
alzando lo sguardo verso il padrone di casa intendo a ballare in mezzo
alla stanza.
Shura acconsentì alla richiesta, stanco di fare domande e si
diresse in un angolino da Aiolos, Camus, Mu e Shaka, apparentemente i
più calmi.
Una volta arrivato osservò Camus assorto a contemplare
qualcosa.
Fece vagare lo sguardo nella stessa direzione di quella del compagno d'
armi e iniziò a ridacchiare.
-Lascia quel panino, dannato artropode!- berciò Kanon con
una
forchettina infilazata nel detto panino che gaiceva solitario su di un
vassoio.
-Giammai!- fu la veemente risposta di Scorpio mentre con la sua
forchetta spingeva l' agognata leccornia verso di sè
-L' ho visto prima io!
-Menti! E' mio!
-Ragazzi- intervenne Aldebaran con un largo sorriso- se permettete...
Sfilò l' oggetto del contendere dalla presa dei due con
grazia
felina e collaudata e se lo pappò sotto lo sguardo allibito
dei
due e quello divertito del gruppetto che osservava la scena. Poi il
gold di Taurus spostò la sua attenzione su alcuni involtini
lì accanto.
Dopo un attimo di smarrimento Milo puntò un' altra solitaria
leccornia:- A-ah- fece passandosi la lingua sulle labbra- mio!-
urlò mentre Kanon gli si gettava alle calcagna urlando
qualcosa
del tipo " E' mio, pezzo di scimmione"
Dopo qualche ora di festa e bagordi Saga di Gemini era ormai giunto tra
le braccia di Bacco e con passo malfermo e ostentando una
risata sguaiata si diresse verso Camus
-Pinguino...- iniziò afferrando una ciocca di capelli
rossicci e
fissandola attentamente- pinguino- ripetè Saga rimanendo un
momento in silenzio prima di iniziare a fissarlo in maniera insistente.
Poi, senza sapere nè come nè perchè,
Camus si
ritrovò le braccia di Saga intorno alla vita e la lingua che
insistente cercava di insinuarsi nella sua bocca.
Saga fu spinto bruscamente lontano dal saint di Aquarius visibilmente
indignato mentre un Milo rosso di rabbia corse verso i due.
-Scommetto... scommetto che non te la cavi male tra le lenzuola-
biasciò il saint della terza casa
-Testa di cazzo- sbraitò Milo afferrandogli la camicia-
giuro che ti spaccco il culo. Ti ammazzo!
-Milo lascialo- intervenne Kanon cercando di staccare le chele dello
Scorpione dal petto di suo fratello- lascialo. Ora lo porto a casa.
-Milo- Camus gli si fece accanto prendendogli i polsi- non è
in sè- spiegò.
-Andate tutti al diavolo- si congedò Saga seguito a ruota da
Kanon.
Il minore dei gemelli riuscì con fatica a portare l' altro a
casa, lo fece stendere sul letto e si accomodò sulla sedia
accanto.
-Mi tieni d' occhio- affermò ridacchiando il maggiore
-Sì- fu la limpida risposta di un Kanon accigliato
-Vieni qui- lo pregò stancamente l'altro- vieni. Stenditi e
dormiamo insieme. Come quando eravamo piccoli.
L' altro sbuffò acconsentendo al desiderio del fratello. Si
ritrovarono faccia a faccia come se si stessero preparando a una lunga
conversazione.
-Non voglio che tu veda quel coso infernale- iniziò Saga, la
bocca che ancora puzzava di alcool
-Rhadamantys. Non dobbiamo temerlo. Ci ha aiutato durante la scorsa
battaglia
-Me ne fotto! Non voglio, non voglio, non voglio.
-Saga- sospirò l' altro
-Mi sento solo- lo interruppe sospirando- lo sai? Io ti
voglio
bene. E' normale, sei mio fratello. Lo sai- ripetè con fare
assorto- credo di essermi innamorato di lei. Però,
però...
voglio più bene a te
-E' un amore diverso. Siamo gemelli- spiegò l' altro
-Sì, ma io- sbadigliò Saga prima di chiudere gli
occhi- voglio più bene a te.
Anche io.
Idiota, sembri un poppante.- pensò il ragazzo
sorridendo
nell' osservare quel volto identico al suo, quel carattere
così
diverso e di norma dignitoso e severo. Ora Saga sembrava solo un
bambino un poco solo, un poco capriccioso. Kanon sapeva che il fratello
gli voleva bene ma effettivamente se lo dicevano assai raramente quasi
che fosse una scomoda confessione, però quelle parole,
dettate
più probabilmente dai fumi dell' alcool che da altro, lo
avevano
reso felice in un certo senso.
Non avrebbe dovuto essere felice per una cosa del genere, si
ammonì.
---------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE:
Lo so, ora dopo questo capitolo mi ucciderete. Inoltre non è
venuto molto bene. Volevo solo dire che risponderò alle
recensioni domani, oggi non ho molto tempo, perdonatemi.
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Capitolo 3 *** 3. Rosso ***
3 vetri
PREMESSA:
Come qualcuno di voi saprà inizialmente questa ff aveva
raiting
rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi
sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse
eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento
è comunque doveroso. Le tematiche trattate saranno diverse
rispetto a Rianscere, saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a
tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di esempi.
Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera
più
delicata possibile tentando di adattarlo al raiting
scelto, cosa
assai difficile avendo deciso di seguire completamente l' ispirazione.
Metto perciò le mani avanti. Io vi ho avvertiti. Vi prego di
chiudere la pagina e di non leggere se la cosa non vi va bene. Confido
nel vostro buon senso.
_____________________________________________________________________________________
Capitolo
3
Rosso
Febe se lo
ripeteva spesso che decisamente no, non si poteva andare
avanti così. Sapeva che prima o poi la situazione
sarebbe
esplosa. Esplosa davvero, ma certo non avrebbe mai immaginato che Talia
tirasse un vaso ad Antares.
Il vaso...
pensare che lo avevano appena cambiato.
Talia era
rientrata dopo tre o quattro giorni di assenza. Aveva aperto piano la
porta dell' ingresso ed era corsa da lei.
-Antares
è a casa?-
aveva domandato in un sussurro mentre lei
rivolgeva la sua attenzione al viso pallido e troppo truccato, ai
lividi sulle braccia e sulle gambe. Febe ricordò di avere
allungato una mano e con il dito indice aveva fatto un solco leggero
sotto l' occhio lasciando una scia che correva verso il basso.
Guardò prima il dito sporco di phard e poi il viso dell'
amica.
Talia si allontanò istintivamente portando le mani al volto.
-Si vede
comunque- affermò Febe con la voce che le tremava
-Non so...
-Di che parli,
giusto? Si chiama Andrea vero?
-...
-Ti ho sentita
piangere al telefono l' altro giorno. Non volevo
sentire, è successo.- Febe si avvicinò di qualche
passo
alla ragazza abbracciandola forte mentre l' altra si lasciava andare in
quella stretta e in un pianto liberatorio. Gli occhi rossi
e gonfi in verità indicavano che già aveva
versato diverse lacrime ma non erano state
lacrime di libertà, non quelle che lasciano l' anima
più leggera. Talia aveva pianto sì, ma di dolore.
-Dovresti
lasciarlo tesoro.
-Litighiamo...
è... è normale- singhiozzò Talia
-No che non lo
è! Non è normale che lui ti... ti...
dannazione... non ci riesco, io non riesco a pronunciare quella parola-
sbottò Febe frustrata. Le faceva male il cuore se pensava
che
Talia stesse passando quell' inferno e non riuscisse a liberarsene.
-Febe...
-Dimmi
-Mi... mi servono
dei soldi. Ma non devi dirlo ad Ann.
-Talia... devo
sapere a cosa ti servono. Tu lo sai che non ho
più contatti con la mia famiglia da quando...- La ragazza
lasciò la frase a metà abbassando le mani e gli
occhi sul pancione.
-Febe scusami, ti
prometto che te li restituirò.
-Non è
questo il punto.
-Andrea... gli
servono dei soldi... deve darli a dei tizi... io non so bene la
situazione. Lui mi ha detto...
Talia
ricominciò ancora a piangere e piangere finchè i
suoi
singhiozzi furono tanto forti da coprire i rumori discreti
alle sue spalle, la porta che si
apriva mentre asciugandosi le lacrime chiedeva nuovamente un prestito a
Febe e il suo silenzio con Antares.
-Cos'
è che non dovrei sapere?- domandò la voce
impassibile della ragazza. Febe alzò gli occhi verso la
porta
mentre Talia si girò con la sgradevole sensazione di essere
stata colta a fare qualcosa di male.
-Niente, niente-
si affrettò lasciando la stanza.
Quando Talia
riemerse dalla sua camera era decisamente di buon umore.
Vantava un abito rosso attillato e un rossetto dello stesso colore su
una bocca incurvata in un largo sorriso.
-Cos'
è- la stuzzicò Antares alzando gli occhi dal
giornale- quel delinquente ha risolto i suoi casini?
-Andrea non
è un delinquente!- lo difese la bionda a spada tratta
-Ah no? E cos'
è di grazia? Gioco d' azzardo, droga... forse
prostituzione... sì un tipo proprio pulito.
-Lui non c' entra
niente in tutto questo! Vuole uscirne, è stato costretto da
della gente che...
-Te ne ha
raccontate di cazzate, eh?- chiese Antares alzando un fine
sopracciglio avvicinandosi alla ragazza- e tu ci hai creduto-
sospirò- Talia, ho fatto fare delle ricerche su di lui.
-Antares!-
urlò l' altra indietreggiando lontano da lei- come... come
ti sei permessa?
-Guardati,
guardati, cazzo! Sembri una puttana!
-Non permetterti!
Tu sei solo invidiosa
-Di prenderle da
mattina a sera?
-Sei invidiosa
perchè non sei bella, perchè nessuno ti
vuole. Sei acida, Antares. Scommetto che tra le lenzuola sembri un palo
della luce.
-Tu invece te ne
intendi ormai no? Sei sempre stata stupida ma adesso
hai superato te stessa. Ti sei fatta abbindolare da quell' idiota!
-Invece tu sei un
genio vero? Sei un genio. Credi di sapere sempre
tutto, di sapere ciò che è meglio per noi. Ma la
sai la
novità? Tu non sei mia madre, tu non sei nessuno. Vorresti
proteggerci... cazzate... non sei nemmeno riuscita a difendere Sophia!
Talia
gridò con tutta la forza che aveva. Ormai sembrava
impazzita. Febe si era ranicchiata sul divano in lacrime, incapace di
agire, di separarle. Chiuse un attimo gli occhi e quando li
riaprì vide Antares schiaffeggiare Talia, sentì
il rumore
della sua mano contro la guancia dell' amica e spalancò gli
occhi incredula.
-Puttana!
Puttana!- urlava Antares mentre piangeva a dirotto, mentre
tutta la
forza che aveva nel corpo in quel momento sembrava concentrarsi un
unico punto e raschiare le corde
vocali, mentre il carattere duro che ostentava si sgretolava in mille
pezzettini troppo piccoli per essere ricomposti- Tu dovevi comprare
quel fottutissimo latte! Dovevi esserci tu
su quella dannata macchina... - si fermò un attimo
scivolando
sul
pavimento. Le ultime parole furono solo un sussurro- non Sophia.
-Ti odio...
Sophia... tu e Sophia siete sempre state così
complici. Sempre.- gli occhi di Talia sembravano bruciare d' ira. Si
allontanò verso l' ingresso, prese il vaso sul comodino e lo
lanciò contro di Antares prima di aprire la porta e sparire.
Era calato il
silenzio, la calma irreale dopo ogni guerra che ha
già distrutto tutto e non ha più nulla da
distruggere,
quella dei campi deserti dopo una calamità, un silenzio di
piombo di chi non riesce più a parlare eppure avrebbe tante
cose
da dire, si sentiva solo il pianto sommesso di Febe, la testa poggiata
contro il divano e le mani che freneticamente toccavano il pancione.
Antares si era alzata - scusa- aveva sussurrato atona prima di
chiudersi nella sua stanza e sdraiarsi sul letto con il braccio
sinistro che bruciava e macchiava di rosso le lenzuola.
-Cavolo è finito il
latte- si lagnò Talia
-Se è per questo il
frigo praticamente è vuoto- aveva fatto notare Febe
-Se è per questo-
aveva aggiunto Antares addentando un biscotto- Talia doveva fare la
spesa.
-Ann... lo so ma non ho avuto
tempo.
-Vai oggi?- chiese Febe- mi
servono degli ingredienti per una ricetta
Talia tossicchiò
imbarazzata- non posso... oggi al corso di fotografia avremo una
lezione piuttosto lunga e...
-Vado io- si offrì
Sophia alzandosi da tavola dopo aver ascoltato la conversazione con un
sorriso sulle labbra
-Toccava a Talia
però- fece notare Antares
-Tu non vuoi mangiare vero Ann?-
la prese in giro Sophia- Finisco la lezione pomeridiana e passo dal
supermercato.
Antares si era
sempre chiesta cosa avesse provato Sophia in quel momento, quando aveva
avuto l' incidente.
"Omissione di
soccorso" avevano sentenziato gli agenti che si erano occupati del caso.
-Omissione di
soccorso- si ripeteva Antares fissando il sangue rapppreso sul braccio.
Era ormai buio
quando Sophia era uscita dall' università, la sua lezione
era finita tardi e il supermercato
più vicino avrebbe chiuso dopo una mezz' ora.
Però
Antares sapeva che Sophi era prudente, Sophi era saggia e non guidava
veloce e agli incroci si fermava e guardava bene prima di passare.
Guardava bene.
Sophi era rimasta
in fin di vita al centro di un incrocio e quando l'
avevano portata all' ospedale era più morta che viva.
Febe teneva gli
occhi spalancati contro il tessuto arancione del
divano, la mente era un turbinio soffocante di emozioni grigie e nere.
E
rosse. Come il sangue, quello che macchiava il braccio di Antares,
come quello che aveva visto sul corpo di Sophia. Il telefono
squillò
all' improvviso, la ragazza guardò l' orologio. Segnava le
nove
di sera.
Chi poteva
chiamare a quell' ora? Fissò gli occhi sul
telefono e lo osservò e lo sentì squillare
imperioso,
portò una mano sulla bocca per trattenere un urlo.
Era stato
propriò così quel giorno. A casa c' era solo lei,
Antares era sull' autobus di ritorno da una visita ai suoi nella
città natale di tutte loro e Talia si
era trattenuta con alcune ragazze del corso.
Il telefono aveva
suonato, lei aveva guardato l' orologio sulla parete
pensando di non aspettare nessuna chiamata e che le ragazze
eventualmente l' avrebbero
contattata sul cellulare.
-Pronto?
Una voce asettica
e senza toni particolari le comunicava che la sua
amica era stata portata d' urgenza all' ospedale. Era rimasta ferma
qualche minuto a fissare il telefono, senza dire una parola aveva preso
le chiavi e il telefonino ed era andata di corsa in ospedale componendo
solo altri due numeri: Talia e Antares.
I genitori di
Sophia sarebbero arrivati solo il giorno successivo
essendo assenti dal paese. Erano andati in Germania a trovare i
genitori del padre. Dopo la morte della figlia avevano deciso di
trasferirvisi definitivamente.
Febe si era
alzata dal divano- Pronto?-
-Febe... sono
Eleni, scusami se ti disturbo ma vorrei chiederti
assolutamente per domani alcuni appunti.
Febe
tirò un sospiro di sollievo. Forse avrebbero dovuto
staccare il telefono di casa. O forse no. Aveva il terrore quando lo
sentiva suonare.
Talia era salita
su di una macchina rossa che la aspettava sotto casa, aveva salutato
distrattamente il suo ragazzo.
-Ehi bambolina-
la apostrofò lui circondandole il collo con un braccio- non
mi saluti decentemente?
Talia come un
automa fece come le era stato richiesto. La sua bocca
puzzava già di alcool. Forse le ragazze avevano ragione,
anzi,
avevano ragione di sicuro. Talia pensava che Andrea era pericoloso alla
guida, andava troppo veloce. Le strade quella sera, un
lunedì
come tanti altri, erano praticamente deserte. Quando giunsero nei
pressi di un incrocio il ragazzo iniziò a ridere forte- ora
ci
divertiamo- aveva urlato per sovrastare la musica assordante che si
espandeva nell' abitacolo mentre premeva sull' accelleratore.
Aveva fatto i
successivi tre incroci così, senza fermarsi, senza guardare.
Talia ebbe paura,
ebbe tanta paura. Era terrorizzata. Tenne gli occhi
fissi sulla strada e le mani artigliate al cruscotto mentre quella
stupida musica -sembravano delle urla- sembrava volerle
spaccare
i timpani. Per un attimo immaginò l' incidente di Sophia.
Era la paura che
rendeva tutto così nitido?
I poliziotti
avevano detto che l' auto che aveva distrutto la loro
piccola utilitaria doveva venire da destra e a giudicare da come era
stata ridotta la macchina doveva essere piuttosto grossa e resistente.
Talia si vide
davanti agli occhi Sophia che passava la strada, vide una
grossa auto correrle addosso, sentì il frastuono dell' urto,
lo
stridere dei freni della loro piccola macchina, il pirata che
avanzava fino al centro dell' incrocio schiacciando e spingendo Sophia
e poi scappare.
Le venne da
piangere all' improvviso, urlò il nome di Sophia mentre si
copriva gli occhi per non vedere:- Rallenta!
-Sei una rottura
di coglioni, Talia- sbuffò il ragazzo esaudendo finalmente
il suo desiderio.
Avevano
immaginato mille volte quella scena, lei e le ragazze, mille volte ma
ora il terrore rendeva tutto più chiaro.
-Se... se quel pirata avesse
avvertito i soccorsi, si sarebbe salvata?- aveva chiesto Talia ai
poliziotti.
-E' difficile dirlo... i medici
dicono che se fosse arrivata prima di certo ci sarebbero state
più speranze.
Invece Sophia era
rimasta al centro di quello stupido incrocio deserto
finchè una coppia non l' aveva vista e aveva avvertito i
soccorsi.
C' era un solo
testimone. Era il conducente di un camioncino che sul
suo tratto di strada, mentre si dirigeva all' incrocio, aveva visto
sfrecciargli accanto solo
una macchina ammaccata.
Quella era solo
una strada periferica, una di quelle strade periferiche
e poco frequentate. Talia sapeva che Sophia l' aveva presa solo per
fare prima.
***
Camus aveva
indossato una tuta e degli occhiali da sole, aveva raccolto
i lunghi capelli rossi sotto un cappello largo e si apprestava ad
uscire fuori dal tempio. Aveva gironzolato per le strade di Atene
guardingo e finalmente era arrivato all' università.
-Ehi Cam...
La voce lo fece
sobbalzare, il ragazzo si girò lentamente e si
ritrovò di fronte al sorriso soddisfatto di chi aveva colto
la
sua preda in flagrante.
-Milo?
L' interpellato
si tolse gli occhiali da sole e il berretto che indossava per
lasciare libera la chioma bionda:- sembriamo due deficienti vestiti
così... se non addirittura dei tipi particolarmente
sospetti-
gli fece notare.
-Già-
convenne il rosso abbassando gli occchi a terra- che ci fai qui?-
domandò poi con cipiglio
-Ti seguivo, no?
E' da un po' che ti comporti in maniera assai... sospetta... e visto
che con me non volevi parlarne...
-Mi hai pedinato!
-Mi hai costretto
a farlo anche se in realtà immaginavo già
qualcosa. Dunque Antares viene a lettere?
-Sì.
-L' hai
già vista?
-Un paio di
volte... da lontano. E'... cambiata... in peggio, temo.
Milo era
perfettamente consapevole che dopo averla ritrovata a Camus
mancasse la sorella. Il suo compagno in fondo per lui era un libro
aperto e benchè cercasse di restare impassibile, certi suoi
gesti, come quello di andare ogni mattina a dare un' occhiata ai
disegni di Antares - quasi per accertarsi che fossero ancora
lì-
erano assai eloquenti, per non parlare del fatto che in rarissimi
momenti, forse un paio nell' arco di diversi mesi, il cavaliere di
Aquarius gli aveva chiaramente confessato il suo malessere.
-Credo che mi manchi, sai. E poi
mi
preoccupa, odio il fatto di non sapere se stia bene o meno. E' mia
sorella... è normale non è vero?
-Sì Cam, è
normale provare delle emozioni. Specie verso chi si vuole bene.
-Passerà. Prima o poi
la smetterò di fare così
-Non è un crimine
-Lo so. Ma fa male. Milo-
chiamò dopo qualche minuto- se non potessi più
vederti... credo che ti cercherei.
-Io sono qui, Cam.
-Sì, ma sei la
persona più importante della mia vita.
Anche Antares... però lei ha una vita, come posso dire, che
non
deve dipendere dalla mia, mentre io e te...
Milo sorrise e lo
abbracciò ispirando a fondo il profumo dei
suoi capelli:- Noi siamo intrecciati, legati, dipendenti l' uno dall'
altro Camus.- concluse al suo posto conscio di quanto fosse difficile
per il suo ragazzo esternare certi sentimenti.
Camus e Milo
avevano incrociato Saga lungo le gradinate del
tempio. Si salutarono brevemente, poi Saga dopo essere sceso per alcuni
gradini tornò indietro chiamando i due ragazzi.
-Volevo scusarmi
per il comportamento increscioso dell' altro giorno.
-Non preoccuparti
Saga, credo di aver capito.
-Temo di non
capire io adesso, Camus- rispose il saint dei Gemelli fissandolo
perplesso.
-Non credo che tu
sia interessato a me. Tutto qui.- il cavaliere di
Aquarius si trattenne dal fare il nome di Antares. Non ci voleva un
genio per comprendere che il suo parigrado avesse sovrapposto l'
immagine della sorella alla sua- non è successo nulla, ok?
Saga
annuì ringraziandolo prima di scusarsi ancora con Milo e
congedarsi.
-Se ci riprova lo
ammazzo per davvero- borbottò lo Scorpione del
cielo che, sebbene fosse cosciente di ciò che passava in
realtà per la testa di Gemini, trovava comunque il suo
comportamento imperdonabile. Forse, si disse, perchè era
stato
coinvolto Camus.
Saga aveva
attraversato la prima casa per dirigersi all' arena, qui Mu
di Aries sorseggiava del tè in compagnia di Shaka di Virgo.
Alla
vista di Gemini al primo sovvene l' increscioso episodio della festa e
il suo pensiero passò in maniera quasi automatica alle
custodi.
-Shaka-
incominciò- secondo te come se la passano le ragazze?
-Ti riferisci
alle senshi? O meglio, alle custodi?
-Esattamente.
-Mi auguro per
loro che stiano bene, in fondo hanno scordato tutto
dunque è come se l' esperienza al santuario non sia mai
esisitita. E se per loro questo non è esistito non vedo dove
sia
il problema.
-Già,
il fatto di non ricordare nulla non comporta passaggi traumatici alla
vita normale. Ci pensi mai a loro?
-A dire il vero
no, eccetto quando mi ritrovo davanti agli occhi Libra
con quell' orrenda tuta d' aerobica- affermò Shaka
arricciando
il naso.- e tu, amico mio?
-No. Di certo
sono state una piacevole compagnia ed è stato
bello condividere questa avventura con loro ma... ecco, diciamo che
quasi nessuno di noi ha avuto legami tali da affezionarsi a lungo a
quelle ragazze. Conserveremo di loro un buon ricordo però.-
sorrise Mu.
-Credo che loro a
noi si siano affezionate molto invece.
-Non ne dubito
Shaka, anche Kiki sente molto la loro mancanza.
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Capitolo 4 *** 4. Dolore ***
c. 4
Capitolo
4
Dolore
Death
Mask aveva visto quel filo recidersi una sola volta, una che
però
gli era sembrata sufficiente per tutta la vita. Agli uomini non era
concesso vedere il volto delle Moire e invece lui -ammesso che
quelle che aveva immaginato fossero le loro fattezze reali- le aveva
sognate. Ed erano davvero, davvero brutte. Ma oltre a questo gli era
rimasta addosso quella sgradevole sensazione, quel brutto presentimento
che non riusciva a spiegarsi. Per questo aveva deciso di scendere
giù, nel mondo infero. Da quanto tempo non ci andava? Da
quando
era morto per l' ennesima volta. No, no... da quando aveva avuto la
brillante idea di mandarci quella pustola di Sophia. Era da un po' che
non andava laggù, da quando quelle scocciatrici se ne erano
andate in effetti. Otto? Nove mesi? Lui non stava certo lì a
ricordarsene.
Tsè... come se contasse i giorni, le ore, i minuti e i
secondi
trascorsi da allora. Per quello bastava gà Shura.
E Saga?
Saga, bè, era davvero il boss. Al contrario del
cavaliere
dell' undicesima casa si era dato alla bella vita. Forse.
La valle della morte non era
poi cambiata molto. Era sempre triste e desolata e come
sempre se
tendeva l' orecchio poteva sentire l' urlo di qualche disperato. Death
Mask ghignò, in fondo era una musica piacevole.
Si guardò intorno con le mani nelle tasche e l' aria
annoiata. In fondo era tutto sempre uguale, o no?
Il cavaliere del Cancro percepì una strana energia provenire
dalla zona dei tribunali. Nei pressi del primo una pesante
umidità
e un forte odore salmastro gli pizzicarono le narici. Vide dell' acqua
scorrere copiosa lungo le gradinate del tribunale coprendole
interamente come un velo. Death Mask rimase stupito mentre osservava
quello
spettacolo inquietante. Gli metteva i brividi. Si chiese se non fosse
il caso di chiamare rinforzi e avvisare Atena.
" No, Atena no!"- penso risoluto- "che poi si mette nei casini"
"Sei un coniglio, Death", si ammonì. Prese un respiro
profondo e
iniziò a salire i gradini sebbene l' acqua non gli rendesse
facile la cosa. "Male che vada mi teletrasporto in superficie"
Il saint degludì a vuoto ben sapendo che per quanto ne
sapeva
poteva benissimo rimetterci le penne. Si diede dell' idiota ad ogni
passo. Attraversò i diversi edifici e finalmente giunse alle
spalle dell' ultimo. Notò che erano tutti deserti, non aveva
incontrato nemmeno quel rognoso di Lune a rompergli le scatole. Poi
finalmente, ma non tanto in realtà, vide gli spectre riuniti
intorno a una forte luce dai colori freddi.
-Ritornate immediatamente ai vostri posti!- ringhiò Aiacos
-Sommo Garuda... i tribunali sono invasi dall' acqua
-Questo spettacolo non può ripetersi ogni giorno. Non potete
riunirvi qui! Dannazione! Siete soldati del sommo Hades non ragazzini
davanti ad un' attrazione da circo- li ammonì Rhadamnthys
-Tornate alle vostre occupazioni- intervenne Minos con voce soffice
mostrando le mani in posizione d' attacco e un ghigno sadico sulle
labbra.
La folla si disperse lasciando in quel luogo solo i tre generali e
Lune. Death Mask si avvicinò piano senza neppure sapere
perchè. Quella luce gli era familiare in qualche modo eppure
razionalmente non riusciva a spiegarsi il perchè di quell'
attrazione nei suoi confronti. Quel brutto presentimento non lo
abbandonava.
I quattro percepirono il suo cosmo voltandosi verso di lui.
-E tu che ci fai qui?- domandò Aiacos con disprezzo
Il saint non rispose, si ritrovò proprio sotto la luce col
naso all' insù.
-Cazzo...
Talia quella sera era uscita di casa con una faccia funerea. Il grosso
ematoma sotto l' occhio sinistro rimaneva ben visibile nonostante il
trucco più pesante del solito e la gonna troppo corta per
essere
definita tale lasciava intravedere dei lividi violacei e una serie di
graffi che dovevano avere sanguinato parecchio.
- Io... vado- le aveva salutate con la voce malferma
-Talia- la fermò Febe trattenendola per un braccio- sono
preoccupata. Non andare, ti prego. E' evidente che non vuoi!
La bionda si liberò dalla presa con un movimento brusco e
indietreggiò chiudendosi alle spalle la porta. Febe
sentì
i passi risuonare veloci lungo le scale e giurò di avere
visto
le lacrime bagnare il volto dell' amica prima che questa scappasse.
Poco dopo Antares apparve sulla soglia della sua stanza avvolta in un
giaccone pesante:- Fuori fa freddo- sorrise.
La ragazza si avvicinò a Febe prendendole le mani, fece un
respiro profondo:- Ascolta, Fe... io seguo Talia e cerco di riportarla
a casa. Tu chiuditi dentro e non aprire a nessuno e per nessun motivo.
-Così mi fai paura Ann
-Sì, scusami, ma lo sai che sono apprensiva-
scherzò Antares.
Febe si sedette sul divano e accese il televisore. Aveva bisogno di un
programma comico, di qualcosa di divertente perchè tutto
quello
non lo era davvero. Respirò a fondo mentre le voci della tv
le
tenevano compagnia, respirò a lungo più volte
mentre le
lacrime si ostinavano a bagnarle il viso e le mani toccavano il
pancione per darsi forza.
-Perdonami tesoro mio... che inferno ti sto facendo passare! Non
è salutare per te tutto questo, no, non lo è-
disse
parlando alla sua creatura.
Antares prese l' auto e si diresse sicura all' Infernal, un locale
dagli affari assai dubbi. Sapeva che il proprietario era indagato
per spaccio di droga ma in effetti la polizia non aveva trovato niente
di certo a suo carico. Quando entrò giurò di
trovarsi per
davvero in una bolgia infernale. Intorno a sè vedeva mille
teste, un sacco di gente, parecchi di loro su di giri, troppo, mentre
il fumo
la avvolgeva, avvolgeva tutto. Le forti luci che c' erano
andavano dal verde al
rossastro mentre ballerine sfacciate danzavano su un palco rotondo in
abiti succinti. La ragazza si domandò se per caso
non fosse finita in un bordello. Si tolse il giaccone, faceva troppo
caldo là dentro. Fece un rapido giro rendendosi ben presto
conto
che trovare Talia in quell' inferno sarebbe stato veramente
impossibilie.
-Porca miseria!-
Antares era stanca, era di pessimo umore, sentiva il cuore scoppiarle
nel petto per una preoccupazione che forse non esisteva neppure, ed
infine era infastidita, anzi no, irritata da tutto quel caos, da quel
caldo, dalla gente stupida che spintonava e dal fatto di non riuscire a
trovare Talia.
-Per Atena...-
-Come? No, no Saga... mi chiamo Milena. Mi-le-na- scandì la
ragazza mora accanto al cavaliere pensando che non avesse capito il
suo nome.
Saga si domandò se quello scricciolo col maglioncino verde
chiaro fosse lei o no. No, concluse. Antares aveva i capelli lunghi e
rossi e poi non frequentava certi posti. Forse. In fondo non poteva
saperlo. Non poteva perchè lui non sapeva niente di Antares.
Si
alzò dallo sgabello scusandosi con la sua nuova conquista
deciso
a seguire quel maglione. E se fosse stata lei che avrebe fatto?, si
chiese all' improvviso.
L' avrebbe tirata per i capelli fuori da quel posto e le avrebbe fatto
una ramanzina.
No, non poteva. Lei nemmeno si ricordava di lui.
Avrebbe finto un incontro casuale.
No, non poteva nemmeno. Pluto era stata chiara quando era intervenuta
alla fine della battaglia per togliere loro la memaoria di quelle
vicende. Niente più contatti di nessuno genere.
L' avrebbe guardata da lontano.
Poteva provarci, risolse infine.
Antares si portò fino a una porta sul retro, vide che era
socchiusa. Si guardò intorno notando che nessuno faceva caso
a
lei. Stava per aprirla quando sentì la voce di Andrea
provenire
proprio dal vicolo.
-E allora bambolina- disse il ragazzo stringendo forte il mento di
Talia- dammi i soldi della droga che hai venduto nel cesso.
Antares fu percorsa da un brivido, il cuore le rimbombava in corpo.
Se quel bastardo la toccava, se la toccava, si ripetè, lo
avrebbe ammazzato.
Talia tirò fuori i soldi stroppicciati da una tasca della
giacca leggera.
-Solo questi?- si lamentò il ragazzo
-S-sì
-Allora non ci siamo capiti- urlò a pochi centimetri dal suo
viso- non ci siamo capiti Talia. Se non fai quello che ti dico le
ammazzo, hai capito? Ti avevo detto di venderla tutta, stronza!
Il ragazzo lasciò i capelli di Talia facendola cadere a
terra e
dandole un calcio, tirò fuori un coltello dalla tasca dei
jeans
e si chinò all' altezza della ragazza che singhiozzava
terrorizzata, le sollevò la gonna ridendo:- Ora mi faccio un
bel
giretto su questa bella carrozzeria.
Antares era terrorizzata. Forse era la prima volta in vita sua che era
così terrorizzata, in fondo fino ad allora non era mai
successo
niente, prima che Sophia morisse tutto andava bene. Poi il mondo era
crollato e ora era terrorizzata, terrorizzata, terrorizzata. Era
rimasta ferma con la mano
artigliata al pomello della porta incapace di muoversi, aveva
iniziato a piangere come una bambina senza rendersene conto e quando
aveva visto Talia stesa a terra aveva spalancato la porta e aveva
urlato di lasciarla stare spingendo il ragazzo per terra. Aveva preso
l' amica per il braccio aiutandola a rialzarsi molto velocemente e l'
aveva fatta nascondere dietro di lei.
Sentiva le mani di Talia stringerle il maglione, non le vedeva ma
percepiva le spalle alzarsi e abbassarsi ritimicamente per il pianto.
-Non la devi toccare, hai capito?- Antares stava urlando, stava
piangendo, la voce era diventata acuta, il respiro era corto e
interrotto dai singhiozzi- io ti denuncio!
Andrea si era alzato in piedi e non sembrava per niente spaventato,
anzi sembrava quasi divertito da quella scena:- Se tu mi denunci
porterò nella merda anche quella puttana della tua
amichetta.
Cosa vorresti fare tu? Una ragazzina...- sputò a terra e si
avvicinò a loro con il coltello ben in vista- hai un bel
faccino. Se non fossi stata sempre così acida una scopata
con te
me la sarei fatta volentieri. Peccato.-
- Antares scappiamo. Per piacere scappiamo
-Io... io...- Antares aveva smesso di piangere, Antares aveva smesso di
urlare- dimmi che non lo ami-
-Che diavolo? No, no Ann- gridò Talia tirando l' amica verso
di sè per andare via- non è il momento-
-Bene.- Antares si sollevò il maglione e tirò
fuori una
piccola pistola dai jeans. La puntò contro il ragazzo-
Avvicinati e ti ammazzo. Sei sulla buona strada. Alza le mani.
-Tu sei pazza- sussurrò, un ghigno folle increspò
le sue
labbra- stronza... mi fai ridere, ridere! Guarda come tremi, bambola!
Posa quell' arnese e forse quella puttana la passa liscia.
Gli occhi di Antares bruciavano, i singhiozzi scuotevano il corpo
minuto facendolo treamare tutto, le mani tenevano saldamente la
pistola. Si morse il labbro. Un mostro rimaneva sempre un mostro. E qul
mostro aveva toccato Talia. Forse non solo lei.
Avevano bisogno di pace.
Le mani le tremavano, gli occhi erano offuscati dalle lacrime, la mente
dalla rabbia e dal dolore.
Premette il grilletto.
Un colpo.
Un solo colpo partì colpendo il ragazzo di fronte a lei che
si accasciò ai suoi piedi urlando.
Dal locale provenivano ancora i suoni di una musica assordante.
Talia si portò le mani alla bocca trattenendo un grido.
-Do... dobbiamo chiamare la polizia- affermò Antares in
preda ai
brividi- è stata legittima difesa.- balbettò
vuota.
Si inginocchiò a terra e si coprì il
viso con
le mani abbandonandosi a un pianto liberatorio senza sentire Andrea che
chiedeva aiuto.
Saga l' aveva persa di vista molto presto in mezzo a tutta quella
folla, si concentrò nella zona in cui l' aveva intravista
poco
prima accanto a una porticina secondaria e dopo parecchi minuti
pensò che probabilmente poteva essere uscita fuori. Non se
ne
stupiva più di tanto visto che il maglione che indossava non
era
adatto ad una discoteca piena di gente.
Quando però aprì la porta non si aspettava certo
tutto
quello, il suo stato d' animo era cambiato in maniera brusca, l' ansia
e la sotterranea felicità di trovarsela di fronte erano
state
sostituite dalla preoccupazione e dallo stupore più neri. Il
ragazzo vide Talia
che cercava qualcosa nella borsetta dicendo frasi sconnesse, vide
Antares che gettava malamente
una pistola di lato e si piegava su sè stessa, vide un
ragazzo
steso al suo fianco che sanguinava copiosamente. Rimase un attimo
immobile, spaesato, poi
guardò ancora Antares e sentì i pezzi della sua
anima
frantumarsi ancora, ancora e ancora.
Andò prima da Andrea, pieno di sangue, il
giovane gli prese la mano con un gesto frenetico implorando di
chiamare un' ambulanza.
Saga fece un cenno afermativo con il capo estraenedo il cellulare dalla
tasca dei jeans. -Arriveranno tra poco- affermò liberandosi
della mano sudata del ragazzo- non è grave. Ho visto di
peggio- terminò alzando i tacchi. Saga non riuscì
a provare pietà per quel ragazzo, voltò le spalle
convinto che Antares doveva avere avuto un buon motivo per commettere
un gesto così grave e nonostante questo sapeva bene che quei
pensieri e quel sentimento di pietà che veniva a mancare non
si addicevano a un cavaliere di Atena. Guardò un momento
Talia che era scivolata a sedere con la schiena contro il muro, era
visibilmente sotto chock e in teoria, si disse, avrebbe dovuto
confortarla. Non ci riusciva, Saga voleva solo stringere una persona,
consolarla, dirle che c' era e che tutto sarebbe andato bene. Si
maledisse per quella sua mancanza di buon senso ma non ce la faceva
più a non correrle accanto. Si inginocchiò all'
altezza di Antares stringendola forte e sè in un gesto
istintivo e
frenetico e ciò che lo colpì di più fu
probabilmente il fatto che l' ex guerriera lo lasciava fare, lui che
era uno
sconosciuto. La ragazza si era appoggiata contro di lui e le braccia
prima inerti sui fianchi erano andate a stringere le sue in un bisogno
di protezione che non si era mai concessa.
La sentiva piangere, tremare, farsi sempre più vicina e
più piccola contro la sua figura. Quella non era Antares, si
disse Saga sgomento.
L' aveva lasciata forte e barricata dentro ad un fortino
impenetrabile dagli eventi, dalla gente, dalle emozioni diverse dalle
tre ragazze che la circondavano e anche in quel caso cercava di
mantenere il distacco giusto per fronteggiare gli eventi. Ora la
ritrovava fragile e impaurita, la trovava spaccata in mille pezzi,
rotta, completamente rotta mentre quel fiume di debolezze nascoste
veniva a galla e tutto ciò che prima era stato assorbito dal
forte in cui era chiusa veniva prepotentemente rilasciato.
-Coccinella...- sussurrò il ragazzo contro i suoi capelli in
una muta preghiera a ritornare forte.
Il cavaliere del cancro e i tre generali erano rimasti in silenzio a
contemplare ciò che di inquietante era sulle loro teste.
-La riconosci?- domandò a un certo punto Minos risvegliando
il saint dal suo torpore.
-No- fece secco- di che diavolo parli?
-In effetti in quello stato ci ho messo un po' anche io. Quella larva
fosforescente è Sophia.
Death Mask si tirò indietro di qualche passo. Non poteva
essere, no, quella non era la pustola. Non poteva, si disse.
E davvero quegli spuntoni di roccia sotto cui si trovavano non
circondavano solo una forte luce, ma un corpo. Ed era Sophia. La
ragazza aveva la posizione delle mummie egizie, sembrava circondata da
un liquido, probabilmente acqua e infine da quella luce fredda. Dall'
interno di quello strano bozzolo scendeva l' acqua che si riversava
sugli spuntoni di roccia su cui era adagiato e che si riversava negli
edifici e bagnava, bagnava tutto.
-E' qui... bè... è qui da un po'-
affermò Aiacos
parlando a un Cancer troppo sconvolto per starlo a sentire.
Minos si ricordava ancora di come all' incirca quattro mesi prima l'
Inferno era cambiato. Si ricordava di un fuoco fatuo che non era un
fuoco fatuo e non capiva cosa fosse in realtà e che vagava
per
la valle della morte, e raggiungeva la Giudecca. Si ricordava quella
cosa prendere posto fra tre spuntoni di roccia che sembravano quasi
intrecciarsi e diventare ogni giorno più grossa, si
ricordava l'
acqua che aveva invaso -infettato a suo dire- tutto, e poi si ricordava
della ragazza che era chiusa in quel bozzolo di luce e di acqua. Quella
ragazza con cui aveva preso un tè, che gli aveva mandato dei
dolcetti per Natale. Non che la conoscesse granchè, l' aveva
vista due o tre volte al massimo. Ma la ragazza che lui aveva
conosciuto era viva. Viva. La creatura nel bozzolo era morta. La morte
non gli aveva mai fatto impressione, insomma, era un giudice di sire
Hades, era il burattinaio, era il più sadico tra i giudici.
Ma
forse, forse, si disse, non gli aveva mai fatto impressione
perchè non era mai stato a contatto con la vita, quella
vera,
pacifica prima della morte. E Sophia era viva. Lui se lo ricordava. Era
viva quando il cavaliere del cancro l' aveva mandata negli inferi per
vendicarsi di un qualche scherzo bizzaro e ci aveva parlato, e aveva
dei progetti, delle amiche. Voleva vivere, voleva crescere. E invece
era morta. Minos dovette ammettere di esserci rimasto piuttosto male
anche se in effetti non sapeva spiegarsi il perchè. In fondo
lui
aveva ucciso tanta gente, tante ragazze come lei. Le aveva viste
implorare pietà. Ma le aveva viste sempre nel dolore e nella
paura che precede la fine. Lui conosceva la morte. Non si era mai posto
il problema che quelle persone vivessero davvero proprio come Sophia.
E ora lei era morta.
E aveva il viso scavato e bianco e gli occhi ostinatamente aperti e il
sangue le macchiava il corpo esile.
Era un bel problema. Era un grosso, grosso problema soprattutto
perchè sire Hades non c' era. Il signore del mondo
sotterraneo
non si curava più del suo regno da quando dopo la guerra
contro
il Caos la sua sposa era scomparsa. Ogni giorno usciva con i cavalli
scuri e infernalissimi alla ricerca della bella Kore, vagava invisibile
sulle teste degli uomini e tra di loro alla ricerca della donna, della
dea, della sposa che era fuggita. Forse solo il sommo Hades sapeva il
perchè. Forse.
_____________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, mi auguro che questo capitolo non sia
sconclusionato o almeno non più del solito.
Più avanti inizieremo meglio a capire il comportamento di
certi personaggi, ad esempio quello di Saga che va da Andrea giusto
perchè era moribondo, lui che è così
ligio al dovere e che un cavaliere. Dunque non vogliatemene. Passo e
chiudo, un saluto,
Haru.
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Capitolo 5 *** 5. La mossa di Hades ***
c. 5
Capitolo 5
La
mossa di Hades
Il
cavaliere del Cancro salì lentamente le gradinate che
portavano
al tredicesimo tempio. Di norma si sarebbe
lamentato per il
lungo tragitto borbottando che Aphrodite aveva un culo enorme mentre
lui a ogni santa riunione dorata, a ogni stramaledettissima
convocazione in solitaria o meno da parte di Sion, doveva fare
centinaia e centinaia di scale. Di norma si sarebbe fermato di tanto in
tanto per imprecare qualcosa. Di norma avrebbe risposto male a chiunque
lo fermasse. Di norma a ogni sbuffo intervallava un impropero nei
confronti di Sion che Zeus sapeva perchè lo avesse convocato.
Quel giorno
camminava,
semplicemente. Non sbuffava, non imprecava, non si lamentava. Camminava
lentamente con le mani affondate nelle tasche dei jeans fissandosi le
scarpe bagnate. Era inevitabile che si baganssero, pensò,
era
come se le avesse infilate per intero in una pozza di fango dopo un
temporale, e in fondo non c' era andato poi tanto lontano, di acqua
giù agli Inferi ce ne era per potere riempire una piscina.
Un brivido gli percorse la spina dorsale, sentì i
peli
delle braccia farsi dritti e la pelle d' oca su ogni singolo centimetro
del corpo. Starnutì un paio di volte, dei, che freddo.
Aveva freddo. L' umido dell' Inferno gli era entrato nelle
ossa e
l' aria pungente di quella giornata non faceva altro che
ricordarglielo. Si sentì invadere da una profonda tristezza,
le
palpebre si facevano pesanti mentre procedeva lentamente lungo le
gradinate del tempio. Era così stanco e così
lento, era
così triste. Gli sembrava di portarsi dietro un grosso
macigno e
di trascinarlo con sè lasciando un solco enorme al suo
passaggio. Si voltò di riflesso, ovviamente non c' era
niente.
Dopo aver parlato con quel vecchio bastardo doveva mettersi a letto,
risolse.
Starnutì nuovamente chiedendosi se Kanon sapesse qualcosa di
quella storia. Se la intendeva con quel bastardo della Viverna, non
poteva non sapere niente. Gli avrebbe dato un pugno sul naso molto
presto.
E se il suo corpo procedeva a rilento, al contrario la testa
di
Death Mask si muoveva veloce, gli ingranaggi del suo cervello si
muovevano in mile congetture, in mille domande tanto che quando
arrivò davanti alla porta del gran sacerdote gli faceva un
gran
male la testa.
Quella notte stessa una lunga assemblea si tenne sull' acropoli divina.
-Purtroppo è una questione che riguarda il signore degli
Inferi.
E' nel suo regno che sta avvenendo qualcosa di anomalo e a nessuno,
nè uomo nè dio è dato intervenire-
affermò
Atena dopo un lungo dibattito con i suoi cavalieri.
-Divina Atena, le cose potrebbero degenerare. Non dovremmo prevenire il
peggio?- domandò Aiolia del Leone.
-Sarebbe il meglio, lo so- rispose Saori impotente- ma purtroppo non ho
nessun potere a tal proposito. Vedete, a nessun dio è dato
intervenire nel regno di un altro dio.
La dea si morse il labbro inferiore. Non c' era modo di intervenire.
-Hades non farà niente- intervenne Death Mask con una vena
di
irritazione nella voce- forse non sa nemmeno cosa sta succedendo. I
suoi tirapiedi-
-Cancer!- lo riprese Sion
-Sì, sì... i giudici- si corresse velocemente l'
altro-
dicono che è troppo impegnato a cercare Persefone in lungo e
in
largo. Quando è così come si comportano gli dei?
-Potremmo mandare un' ambasceria ad Hades- propose Aiolos
-Per dirgli?- domandò scettico Aphrodite- Rifletti Sagitter,
credi che i suoi giudici non lo abbiano già informato?
-Non lo metto in dubbio ma è l' unica cosa che possiamo
fare: sollecitarlo.
Aiolos di Sagitter, Camus di Aquarius, Mu il Grande di Aries e infine
-ma solo per dargli un passaggio- Death Mask di Cancer erano stati
scelti per conferire con il sommo signore della morte.
-Ben quattro cavalieri d' oro- li prese in giro Aiacos sorridendo e
arcuando le sopracciglia.
-Mi stupisce come siate arrivati fino al palazzo di sire Hades- si
informò Minos
-Rechiamo un permesso della somma Atena- rispose immediatamente Aiolos
mostrando il foglio di pergamena che recava con sè.
-Entrate- acconsentì Rhadamanthys- ma non ne caverete un
ragno
dal buco- continuò sospirando e guadagnandosi l'
occhiataccia dei
suoi due parigrado. O meglio di Aiacos visto che Minos nascosto da
quella sua lunga frangia sembrava imperturbabile.
-Kanon...- Saga si accomodò nella poltrona di fronte al
fratello con aria seria- non sapevi nulla di tutto ciò?
Il gemello corrugò la fronte serrando la mascella:- E come
potevo? Ti rammento che non vedo Rhadamntys della Viverna da
più
di quattro mesi. E comunque siamo rimasti d' accordo di non rivelarci
nulla che abbia a che fare con i ruoli che ricopriamo. Poi
perchè lo chiedi proprio a me?- si inalberò
-Vi frequentate
-Una scopata ogni tanto non è frequentarsi- gli fece notare
il fratello sornione
-Non voglio saperlo. Non voglio sapere niente- rispose Saga con una
nota adirata nella voce- ci mancherebbe solo che lo portassi qui
dicendo "ehi Saga, ecco Rhadamanthys, quello che ha preso a calci in
culo alcuni dei nostri compagni nella scorsa guerra. Oggi cena qua"
-Simpatico davvero. Non è nei miei progetti, rasserenati.
Saga a volte si stupiva del suo comportamento. Era sempre stato molto
protettivo nei confronti del fratello, non lo aveva visto per tredici
anni e ora quel senso di protezione si era trasformato in un bisogno.
Bisogno di proteggerlo, bisogno di averlo sempre intorno,
più
che da bambini. Non era giusto, lui non era il suo sole. Saga non era
il sole di Kanon, non poteva pretenderlo specie se lui per primo
ammetteva di voler godere della luce di un altro astro.
Imprecò
a denti stretti sentendosi un egoista. Alla fine confessò al
fratello ciò che era accaduto all' Infernal, di Antares, di
Talia, di come si era sentito.
-Dannazione! Non ci voleva. Saga, sta succedendo qualcosa... e cazzo,
come lo diciamo a Camus?
Quello era un tasto dolente, Saga stesso si era posto il problema
sperando di ricevere aiuto dal fratello. In tutta onestà non
era
sicuro di voler essere proprio lui a dare quella notizia al cavaliere
di
Aquarius. Per fare che poi? Pluto era stata cristallina. Non dovevano
avere nessun contatto con le senshi.
-Se non...-
-Non ci pensare idiota- lo ammonì Kanon- Camus deve saperlo,
poi se la sbrigherà lui.
I quattro cavalieri di Atena ebbero come l' impressione che un vento
gelido li avesse percorsi sin dentro le ossa non appena varcarono la
porta che li avrebbe condotti al cospetto del dio infero. Hades sedeva
compostamente sul trono in cima a una lunga fila di gradinate di marmo
scuro, l' ambiente, decisamente largo, era immerso in una sinistra
penombra e i tendaggi rossi appesi alle grandi finestre non
permettevano di vedere cosa si celasse all' esterno, a rischiarare il
grande salone solo la luce di alcuni candelabri.
A Death Mask, Hades sembrava più pallido e cadaverico del
solito. Sperò che fosse di buon umore.
Prima di arrivare nel palazzo del dio aveva mostrato ai suoi compagni
la situzione in cui versava l' Inferno e dunque anche la causa di
ciò. Appena l' aveva rivista gli si erano gelate le mani ed
era
rimasto in silenzio, in un rispettoso silenzio.
-Sommo Hades- iniziò Rhadamanthys dopo che tutti si furono
inchinati di fronte al dio- i cavalieri di Atena Glaucopide chiedono
di potere parlare di fronte a voi.
Il dio non accennò alcuna espressione, rimase in silenzio,
fermo. Ma è ancora vivo?, si chiesero i presenti. Aiacos
tossì discretamente.
-Alzatevi- affermò il dio incolore senza aggiungere altro.
Aiolos cercò con lo sguardo i suoi compagni i quali lo
invitarono a prendere la parola.
-Ehm... Sommo Hades... sappiamo che la situazione qui nel
vostro
regno è assai preoccupante- Aiolos si fermò e si
girò a guardare nuovamente gli altri i cavalieri preoccupati
di
quel silenzio, Sagitter sospirò pesantemente prima di
continuare
più risoluto- la situazione è grave, è
evidente.
Una senshi si trova nel vostro regno. Una senshi che dovrebbe riposare
in pace e non lo fa. L' acqua ha invaso i tribunali infernali e la
divina Atena teme che la presenza della guerriera negli Inferi annunci
gravi pericoli per voi e per la superficie. Siamo qui per sollecitarvi
ad intervenire.
-E' il vostro regno, Hades- intervenne Camus di fronte al silenzio del
dio con una veemenza che non
si confaceva alla sua natura- se non volete agire voi stesso,
permettete ai cavalieri della dea di farlo. Dobbiamo scoprire il
perchè di tutto ciò!-
Sulle labbra del dio apparve un sorriso di scherno, gli occhi
rimanevano assenti o quasi folli:- Temi per tua sorella, cavaliere? Mi
pare che sia ancora viva, no?
-Le guerriere dell' equilibrio rinascono periodicamente. E' per questo
che la senshi di Mercurio non dovrebbe trovarsi qui, è
evidente
che c' è qualcosa che non va. Non vorremo affrontare nuovi
pericoli, sommo Hades- intervenne pacatamente Mu.
-Dunque avevo ragione io. Il cavaliere di Aquarius teme per la sua
giovane sorella. Peccato...- aggiunse sospirando- peccato che della
Terra poco mi importi.
-La vostra sposa non la pensa così- affermò Camus
inarcando un sopracciglio sottile. I cavalieri si fecero indietro, i
giudici gli lanciarono un' occhiata intimidatoria, il sorriso sul viso
del padrone di quel luogo scomparve.
-Tu giochi con il fuoco cavaliere. O sarebbe meglio dire con la morte.
Con la morte fatta persona. Bada a te, non continuare a sfidare gli
dei.-
-Sommo Hades, anche il vostro regno rischia il pericolo-
tentò
Aiolos- converrette con me che tutto ciò
è allarmante.
Hades sospirò scocciato portandosi una mano sotto il mento:-
Sai
cavaliere... è così noiosa l'
eternità. Andatevene
ora, mi sono annoiato delle vostre chiacchiere.
-Ecco l' hai fatto incazzare- sbottò Death Mask rivolgendosi
a Camus.
-Io non ho fatto nulla. Ho cercato semplicemente di fare leva sull'
unico affetto che abbia. Ma è evidente che non gli
è
mai importato molto di quello che pensa la moglie. Se così
fosse
ci saremmo risparmiati un bel po' di guerre sacre.
-Il problema rimane- disse Aiolos- per quanto ne sappiamo potrebbe non
accadere nulla... o l' irreparabile. E allora sarà troppo
tardi
per agire.
-Sire Hades- iniziò con circospezione Aiacos quando i gold
saints furono ormai troppo lontani per poterli sentire- non avete
intenzione di fare nulla?
-Lasciatemi ragionare e non temete. Ammetto di avere... ecco...
trascurato i miei affari per così dire, ma qualche rimedio
troveremo e magari riusciremo anche a guadagnarci qualcosa. Nel
frattempo assicuratevi che quel "coso" non resti incustodito, state
bene attenti ad ogni suo movimento, ammesso che ne faccia, e
comunicatemi qualsiasi cosa vi insospettisca. Io da parte mia
farò una visita ad Atena.
-Ma i suoi cavalieri sono appena andati via- gli fece notare Aiacos
-Aiacos, quando mai un dio si abbassa a parlare con dei semplici umani?
Non che parlare con Atena mi sorrida... ma tant' è.... a
volte bisogna fare dei sacrifici.
E Hades il suo sacrificio lo fece la mattina seguente senza perdere
ancora troppo tempo. Il suo cosmo nero e inquietante, potente,
svegliò di gran corsa tutto il santuario alle prime luci
dell' alba. I cavalieri vestirono le loro armature in un batter d'
occhio, i santi d' oro presidiarono agguerriti i loro palazzi,
i silver saint preparavano i battaglioni degli eserciti a circondare le
mura del tempio e a difendere Rodorio, Kanon era corso nelle stanze
della dea mentre le rose di Aphrodite si estendevano lungo le gradinate
che conducevano all' ultimo tempio. Hades volteggiava con noncuranza
sul tredicesimo palazzo, un sorriso divertito rendeva il suo aspetto in
apparenza meno pericoloso:- Quanto trambusto! Un po' inutili
le vostre difese non trovi?- domandò rivolgendosi ad Atena.
-Mi sembri di buon umore, cosa ci fai qui?- ribattè la
padrona del tempio impugnando saldamente lo scettro di Nike.
Hades fissò lo sguardo sull' oggetto, quando mai la Vittoria
era stata dalla sua parte? Dalla parte di qualcuno che non fosse Atena,
meglio. E quello scettro e la Nike alata sulla mano della statua della
Glaucopide sembravano volerlo ricordare come monito a chi decidesse di
muovere guerra al Santuario di Atene. Lui lo faceva ogni
duecentocinquanta anni e ogni volta perdeva, era destino evidentemente.
A volte si chiedeva chi glielo facesse fare, non solo perdeva la guerra
-e la faccia- ma senza nemmeno accorgersene anche Persefone gli era
fuggita dalle mani, e del resto che pretendeva? L' aveva rapita nella
piana di Nisa. Quanto poteva sperare che durasse un matrimonio del
genere. Tanto, si disse, o almeno parecchi secoli. Peccato che lui
avesse davanti l' eternità e il tanto allora non esisteva.
-Diciamo che ho trovato le cure ai miei mali- rispose il dio atterrando
dolcemente sul suolo. Kanon si posizionò di fronte ad Atena
e a Sion pur notando che in effetti Hades non indossava alcuna
armatura. Mai fidarsi però, specie degli dei.
-Cosa ci fai qui?
-Domanda un po' scontata, nipote, non trovi? Non sei stata forse tu a
cercarmi?
-E tu hai rifiutato la mia richiesta- gli fece notare Atena avanzando
di qualche passo.
-Ho pensato- fece spallucce avanzando verso il trono su cui si
accomodò- sai, in effetti qualcosa bisogna fare per quel
coso giù agli Inferi. Ma sia ben chiaro che ti faccio un
favore.
-Hades, non temete per il vostro regno?- domandò Sion
-Il regno dei morti non cambia, non cambierà mai.
Lì è tutto morto, quindi... come può
cambiare un cadavere, no? - Hades fece una pausa volgendo lo sguardo
sul paesaggio che si intravedeva tra le colonne- però... la
vita può cambiare, può morire... e io ne trarrei
beneficio non credi? Per questo dico che ti faccio un favore. Quel
bozzolo, pericoloso per la Terra, mi potrebbe arricchire di parecchie
anime.
-Se è come dici che vantaggio ne trarresti aiutandoci?
-Vantaggio io? Mi credi così opportunista? No, non
vantaggio... ti chiedo solo di aiutarmi a ricongiungermi alla
mia adorata sposa in cambio del mio prezioso aiuto.
-Sapevo che c' era un secondo fine- sbottò Kanon a bassa
voce guadagnandosi l' occhiata truce di Hades.
-I tuoi cavalieri dovrebbero imparare a tenere a freno la lingua-
costatò con una non troppo velata aria di
superiorità-
-Io non so come rintracciare Kore- affermò Atena.
-Oh sì che lo sai- sbottò Hades- prima o poi si
rivolgerà a te. O che so, usa i tuoi tirapiedi...-
-Cavalieri!- lo interruppe Atena risoluta- non sono dei tirapiedi.
Questi uomini servono la giustizia!
-Mi sto annoiando- incominciò ora serio il dio alzandosi
dallo scranno- trova Kore... o Persefone, chiamala come vuoi. Ti
manderò la sua sacerdotessa. Quella stolta a me non ha detto
niente. Trova la mia sposa e ti dirò come scongiurare il
pericolo della fine del mondo.
-Fine del mondo?! Che stai dicendo?
-La guerriera imbalsamata nel mio regno non è forse una
delle custodi dell' equilibrio? Non è forse l' essenza dell'
acqua? Spezza l' equilibrio e la Terra diventerà finalmente
una landa deserta. Poseidone ne sarà contento visto che se
non ti sbrighi questo pianeta verrà ricoperto dalle acque.
_______________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, spero di non essere troppo in ritardo ma
questo capitolo mi ha dato qualche problema. Mi rendo conto di avere
caratterizzato Hades un pochino a modo mio, spero non vi dispiaccia.
Volevo solo dire che sto riscrivendo Rinascere, a giorni dovrei
ripostarla nuovamente con il titolo provvisorio "Cosmos", ve lo dico
perchè credo che cambierò delle cose rispetto
alla precedente versione, forse sciocchezze, forse parecchio, ancora
sto decidendo. Se vi andasse di leggerla e dirmi cosa ve ne sembra
della nuova versione (sistemata soprattutto nello stile) mi farebbe
piacere. Ho dato un' occhiata ai primi quattro capitoli dove in effetti
ho dato una sistemata alle frasi, agli errori di battitura, ampliato i
pensieri di qualche personaggio ecc...
Per finire risponderò alle recensioni questa sera o domani.
Vi ringrazio per l' appoggio che mi avete dato fino ad ora,
Haru.
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Capitolo 6 *** 6. Via le lacrime ***
v. vetri bo
Capitolo
6
Via
le lacrime.
Non voglio
più dare baci che sanno di sangue.
Non voglio
più ricevere baci che sanno di sangue.
Non voglio
più baci.
Un bacio non deve sapere di sangue.
Un bacio deve avere il sapore dell' amore.
E l'' amore non deve avere il sapore del sangue.
L' amore ha un solo sapore, un solo inconfondibile profumo e non
è certo il sapore metallico che sembra volerti congelare i
nervi, nè l' odore di ferro bruciato mescolato a un
disinfettante che brucia la pelle.
Non voglio più baci. Non voglio nemmeno l' amore.
Talia aveva gli occhi fissi sulla parete spoglia dell' ospedale. Aveva
smesso di parlare, di piangere e di urlare da quando le sirene dell'
ambulanza e i loro suoni assordanti le avevano riempito la testa e gli
occhi. Era tutto rosso, sempre tutto irrimediabilmente rosso. Da mesi
ormai. Il sangue di Sophi, quello di Andrea
nel vicolo della discoteca, le sirene dell' ambulanza e della polizia.
Tutto rosso.
Medici e poliziotti avevano iniziato a trafficare intorno
a loro, a parlare, a fare domande. Non sapeva nemmeno come ci fosse
arrivata lì, all' ospedale. Con lo sguardo disperato aveva
visto
degli agenti portare via Antares. Dove la portavano? E poi chi era quel
tizio biondo? Chi era? Non le sembrava affatto di conoscerlo.
-E' ancora sotto chock. Non può rispondere alle vostre
domande-
informò uno dei medici parlando con qualche agente.
Talia si sentiva schiacciata dagli eventi. Erano proprio sfortunate,
pensò. Si sentiva pressata, stritolata. Quel dolore l'
avrebbe
uccisa, ne era certa. Dolore perchè poi?
Già, Sophia era morta, si disse abbassando per un attimo gli
occhi prima di ritornare a fissare la parete bianca. Sophia non c' era
più e il mondo gli era crollato addosso, l' equilibrio della
loro amicizia si era spezzato. E Febe... di chi era il bambino di Febe?
Si era per caso domandata se non fosse il frutto di una violenza. Febe
non parlava del padre del bambino. Perchè? E poi c' era
Antares
e la sua depressione, Antares e il rancore nei suoi confronti, Antares
che aveva perso la ragione. Infine, lei, Talia. Dove era andata a
finire la ragazza ottimista? Quella che rideva sempre, che sognava il
principe azzurro? Era sempre stata convinta che prima o poi, il
principe, quello vero, lo avrebbe trovato. Tanti perchè e
nessuna risposta. Tanti dove e nessuno luogo in cui andare a
rifugiarsi. Ripensava all' amore, che bella parola! A- MO-
RE, se
lo scandì nella menta, se lo ripetè in
un sussurro.
Aveva sempre creduto
fermamente nell' amore, l' amore era il suo credo. E invece del
principe azzurro aveva trovato Andrea, il cattivo della situazione.
Quando Sophia era morta aveva sperato che qualcuno la salvasse e la
portasse via regalandole di nuovo la felicità, e Andrea era
bello, era più grande, era gentile... sì, era
bello, era
bello e maledetto. Ingenuamente le era sembrato uno di quei ragazzi che
frequentano dei pessimi ambienti e cattiva compagnie più per
necessità che per vera inclinazione e lei, Talia, lo avrebbe
salvato. Come nei film più belli. Quelli che la facevano
piagnucolare davanti al televisore. Invece no, Andrea era marcio
dentro. La picchiava, la ricattava, la costringeva a vendersi per
comprarsi l' ultima moto che era uscita o per regalarle un vestito
sempre più corto dei precedenti. "Altrimenti le uccido", le
ripeteva sempre. "Non ti conviene denunciarmi, sai? Finiresti in
prigione anche tu. Ho molti amici che sarebbero contenti di giocare con
quelle galline che dividono la casa con te"
Aveva vissuto nel terrore per tutti quei mesi, era stata zitta e non
aveva parlato. Aveva paura di Andrea, paura che per colpa sua -di
nuovo- le sue amiche ci rimettessero la vita. Doveva ammettere che un
po' temeva anche Antares. Già la odiava, se avesse saputo
una
cosa del genere la loro amicizia sarebbe morta definitivamente.
Chissà se Febe l' avrebbe perdonata quella volta? La dolce
Febe... ora che se fosse morta, sarebbe morta anche la creatura che
portava in grembo.
Talia si alzò dal lettino, con passo malfermo si
avviò al
bagnetto dietro di lei. Si tolse i sandali rossi dal tacco alto e si
sfiorò le calze strappate. Sentiva ancora sulla pelle il
tocco
del coltello di Andrea, le sue mani irrispettose. Iniziò di
nuovo a piangere. Era questo l' amore? Era questo l' amore? No, era
odio, era perversione, era malattia mascherata da amore. "Io ti amo",
le diceva con un sorriso sul viso sbarbato. "Io ti amo". No, Talia non
voleva più sentire quella parola. Mai più. Odiava
l'
amore. L' amore era una malattia. Non voleva più sentire
quelle
parole. Significavano dolore, significavano violenza.
Aprì la porta del bagno e sollevò i capelli
biondi sulla
nuca, ormai vomitare era diventata un' abitudine. "Magra, ti voglio
magra", le diceva.
Talia scivolò contro la parete gelida e ringraziò
il
cielo, ringraziò Antares per avere avuto un coraggio che a
lei era
mancato. Morto, lo voleva morto adesso.
Ma Andrea per quanto ne sapeva non era morto e Antares, le avevano
detto, era negli uffici della polizia. Respirò a fondo e si
pulì il viso.
Via le lacrime, si ammonì. Antares aveva
bisogno di lei. E anche Febe. Aveva sbagliato, aveva contribuito a
rovinare le loro vite con quella storia di Andrea -e di Sophia-, ora
doveva riparare.
Uscì fuori dalla stanzetta fredda dell' ospedale trovandosi
davanti un
paio di agenti:- Posso rispondere alle vostre domande- aveva detto.
Via anche l' amore.
Antares era stata portata di tutta fretta alla stazione di polizia, era
stata strappata dalle braccia di Saga il quale era stato trattenuto per
alcune domande prima di essere mandato via garantendo la sua
reperibilità. Il saint di Gemini non aveva avuto il tempo di
rendersi conto di nulla, in effetti. Era accaduto tutto troppo
velocemente, troppo velocemente lo avevano separato -strappato via- da
Antares, l' aveva intravista appena per un attimo ancora, prima che la
ragazza sparisse in uno dei tanti uffici. Guardava fisso di fronte a
sè, l' aria seria e apparentemente distante, le labbra
piegate
in una linea dura.
Coraggiosa. Aveva pensato Saga in quel momento.
Impenetrabile. Aveva aggiunto poi.
Frantumata. Si era detto infine
ripensando a tutte le crepe nascoste sotto quella faccia lontana dal
mondo.
-Posso fare una chiamata?- aveva chiesto Antares neutra a uno dei
poliziotti.
Dieci minuti dopo quella telefonata era arrivato un avvocato, un caro
amico di famiglia. Appena un' ora dopo il generale Martakis, il padre
di Antares, aveva fatto il suo ingresso nella
stazione di polizia e nel giro di qualche ora la ragazza era fuori.
Legittima difesa. Nulla di più e nulla di meno. Come se non
fosse successo niente.
-Ti ringrazio Ilias- aveva detto il generale stringendo calorosamente
la mano dell' avvocato.
-Di nulla Dimitri, sai che voglio bene a tua figlia. L' ho vista
crescere.- sorrise l' altro prima di congedarsi.
Il generale fissò la figlia con aria
severa, le fece appena un cenno con la mano, in effetti non era mai
stato uno di molte parole, e la condusse verso l' auto scura nel
parcheggio. Dimitri Martakis era un uomo alto, dal fisico asciutto e
i capelli ormai ingrigiti, un bell' uomo, un generale dell' esercito
dal viso severo
che aveva impartito e preteso disciplina dai soldati come dalla figlia.
Considerò che sarebbe stato meglio se quella storia non
fosse trapelata,
pensò ai giornalisti e se li immaginò come
sciacalli. Pensò che anche Katherine non avrebbe dovuto
sapere nulla o
non avrebbe
più smesso di urlare come una donnetta. In effetti era una
donna, si ritrovò a pensare l' uomo acennando un sorriso.
Una donna affascinante
quanto viziata. Antares per fortuna da lei aveva ereditato poco o
nulla. La sua Ann, aveva sempre pensato il generale, era un piccolo
uomo e aveva reagito con coraggio contro quel delinquente. Una figlia
degna di suo padre. Peccato che avesse scelto di studiare qualcosa di
inutile come la letteratura o la storia. Un topo di biblioteca, ecco
cosa era quella ragazza. Uno spreco, pensò per l' ennesima
volta
scuotendo appena il capo. Il generale non parlava, non guardava di
sottecchi la figlia, non la consolava. Per cosa poi? Aveva reagito con
prontezza e rapidità. Si ricordava che Antares stessa
qualche
mese prima aveva chiesto una piccola pistola da tenere in casa e lui
non aveva posto obiezioni. Ovviamente Katherine non sapeva niente.
"Atene è una grande città, poi noi abitiamo da
sole", si
era giustificata. E lui le aveva insegnato a maneggiare un' arma. Un
padre normale si sarebbe preoccupato probabilmente al suo posto. Ma lui
non era un padre come gli alti, era il generale, figlio di un alto
ufficiale,
nipote di generali e colonnelli, pronipote di generali e
così via.
-Perchè non torni in paese per qualche giorno. Ti farebbe
bene
staccare la spina, ti vedo pallida.- disse infine, una volta sotto
casa. In effetti, forse Antares era leggermente provata.
-No, papà. Sto bene-
Stava bene, si ripetè l' uomo mentalmente. Magari era vero.
Magari no. In quel caso dimostrava una grande forza d' animo. La sua
Ann era forte, sapeva cavarsela. Era giusto così, solo
così sarebbe diventata ancora più forte. Doveva
essere in
grado di badare a sè stessa, a non far conto su nessuno.
Quando Antares rientrò a casa non trovò nessuno.
Pensò che avrebbe dovuto chiamare Febe. La ragazza che
rispose
all' altro capo del telefono era molto agitata, l' aveva investita con
un fiume di parole e singhiozzi lasciandole appena il tempo di dire che
con la legge erano a posto. Febe l' aveva avvisata di trovarsi in
ospedale, i medici volevano tenere Talia in osservazione per qualche
altra ora.
-Sto arrivando- capitolò infine Antares dopo tutta quella
sequela di parole. In realtà evrebbe solo voluto stendersi
sul
letto e dormire, dormire, e dormire, guardò con un certo
desiderio le pasticche sul comodino. Pillole per dormire la notte,
gocce per favorire la concentrazione di giorno. Le servivano, concluse.
Magari quando si sarebbe svegliata
avrebbe stretto la mano di Sophia e quella di Talia e Febe. E' stato un
brutto sogno, le avrebbero detto. In quel momento si sentiva solo
stanca, dormire di sicuro le avrebbe fatto bene e magari svegliandosi
di nuovo sarebbe tornata ad essere la solita Antares, magari sarebbe
diventata acciaio, sì, un robot d' acciaio a cui le emozioni
non
possono arrivare.
Le emozioni sono un
caos. Sono ingestibili.
Sembrano una specie di
malanno. Non esiste una cura?
Vorrei non provarle, di
sicuro starei meglio.
Sono troppo forti le
emozioni, e io invece così debole...
La ragazza sospirò, era appena entrata a casa e
già
doveva uscire. Non ce la faceva più di sicuro.
Passò di
sfuggita davanti allo specchio all' ingresso, ritornò
indietro e
si guardò. Capelli neri, occhi spenti, pelle pallida, borse
violacce. Il ritratto della salute, proprio. Si toccò un
occhio e si
chiese se potesse piangere. Forse no, non aveva più la forza
nemmeno per quello, si sentiva davvero stanca. Tutte quelle emozioni l'
avevano completamente prosciugata.
E poi chi era quel ragazzo? Aveva un buon profumo, ed era tanto caldo.
Le sue braccia la tenevano al caldo.
-Odio ricevere queste telefonate capito? Lo odio!- si stava lamentando
Febe all' indirizzo di Talia- cosa è successo?
Perchè parlavi con quei poliziotti? Perchè?-
nella foga le aveva afferrato il braccio e Talia avrebbe voluto
rispondere "ahi, mi fai male" però non poteva. Si chiese
perchè parlava con quei due poliziotti. Il perchè
da dire a Febe almeno.
-Volevano un' autografo di... mia madre- inventò.
-Tua madre non fa più la modella da quindici anni- la
rimproverò Febe a voce bassa.
Talia pensò che sembrava tanto una bambina quando metteva il
broncio. Una bambina in cappotto rosso e con un pancione che era quasi
il doppio di lei, si corresse mentalmente.
-Non sono stupida e non sono malata- le fece notare con una certa
decisione- aspetto solo un figlio. O una figlia. Ma... insomma-
alzò le braccia al cielo esasperata- non sono debole di
cuore. Non mi verrà un infarto se mi date una brutta
notizia. Se devo apprenderla da un telegiornale o da una voce senza
emozioni al telefono... allora sì, lì
crollerò. Ma se voi mi dite la verità
starò bene qualunque cosa sia. Cioè no, non
starò bene se sono cattive notizie... ma non
morirò mica, dannazione!
Talia avrebbe voluto ridere. Febe si arrabbiava ma non faceva paura a
nessuno. Era buffa, si ritrovò a pensare con una punta di
dispiacere. La sua amica quando si arrabbiava -cosa assai rara- si
metteva a gesticolare. Gesticolava tanto. Muoveva le mani per aria,
alzava le braccia in alto, tamburellava le dita su qualsiasi oggetto
nella vicinanze. Parlava tanto, divagava, si perdeva. Era tanto dolce
anche se era arrabbiata. Si chiese se poteva difendersi dal mondo con
tutto questo concentrato di dolcezza.
-Siediti Fe... ora ti racconto- capitolò infine la bionda.
-Bè... - Febe sospirò- almeno è finito
tutto bene- disse alla fine del racconto di Talia- Io lo sapevo-
affermò battagliera mulinando un pugno per aria- lo sapevo
che quel... aaaah... quel viscido...oh, mi metterei ad urlare.
Febe guardò di sottecchi l' amica, teneva lo sguardo basso.
-Scusami- sussurrò stringendo la mano di Talia nella sua-
non parliamone più, uhm? Iniziamo di nuovo tutte insieme,
vuoi?
Talia alzò gli occhi sull' altra ragazza:- Come fai a non
avercela con me? Poteva finire molto, molto male. Per tutti quanti-
aggiunse indicando il pancione che Febe accarezzò
isitintivamente.
-Non è successo- rispose con calma facendo spallucce
Febe riflettè che probabilmente in tutti quei mesi era un
miracolo che non avesse perso la sua creatura. Troppo, troppo dolore.
Era strano come quella piccola vita dentro di lei crescesse ugualmente
e non si arrendesse, lottasse, quasi, per nascere nonostante neppure
appena al mondo sulla sua testa si erano abbattute così
tante sofferenze. Aveva una grande forza, molta più di lei
di certo.
Un mese, mancava solamente un mese e il suo piccolo tesorso sarebbe
nato. Anche per questo dovevano ricominciare. Febe ammise che non le
avrebbe perdonate, non avrebbe perdonato Talia e Antares, se non
avessero ricominciato di nuovo, se avessero fallito. Lei su chi poteva
contare se non su di loro? Se anche loro l' avessero abbandonata lei
che avrebbe fatto? Aveva tanta paura. Forse tutto questo è
una punizione, pensò. Una punizione per aver rifiutato il
suo bambino, almeno all' inizio.
Quando erano ritornate in paese ricordavano ben poco del
periodo trascorso e lei dopo pochi mesi si era accorta di
aspettare un figlio. Un figlio! Non ci credeva proprio. Non voleva
crederci. Dio, quanto aveva pianto! Aveva pianto di dolore. Si era
chiesta mille volte da dove venisse quel bambino -sciagura lo aveva
chiamato-, non ricordava proprio nessun ragazzo. Forse Theo, quel
compagno che insisteva sempre per riaccompagnarla dopo le lezioni. Ma
lei non ricordava proprio. Che le avevano fatto?
Era stato terribile, terribile. Non ricordava, non sapeva che fare.
Aveva pensato di abortire, le era sembrata la cosa migliore. Le ragazze
l' avevano accompagnata alla clinica, la tenevano per mano. Erano tutte
insieme.
Quell' ospedale -tutti gli ospedali- le ricordavano quella clinica
ingrigita dagli anni e dalle sofferenze della gente, dall' animo di
madri spaventate o arrabbiate. Madri.
Febe scoppiò a piangere all' improvviso dopo che un medico
aveva chiesto a Talia di seguirlo. E Antares dove era andata a finire?
Perchè ancora non arrivava Ann?
Dovette ammettere che quel bambino all' inizio l' aveva odiato con
tutta sè stessa. Non lo voleva. Punto. Non lo voleva
perchè non riusciva proprio a capire se nascesse dall' amore
o meno, perchè aveva paura. Come avrebbe cresciuto un
bambino lei che non sapeva neppure curare sè stessa?
Ricordava i silenzi delle sue amiche, i silenzi che valgono
più di tanti lunghi discorsi, le braccia di Sophia che le
dicevano con voce gentile che se avesse deciso di tenerlo sarebbe stata
una madre dolcissima.
-Non ci siamo- le avevano sorriso Talia e Antares coprendo la sua mano
con le loro. Erano quattro paia di mani.
Ricordava infine una piccolissima cappella all' interno della clinica.
Due ore, rammentò, due ore dopo sarebbe stato il suo turno.
Un turno! Febe rise nervosamente, non le sembrava vero! Abortire era
come un turno dal medico o alla posta? Bè non proprio,
dovette riconoscere ma in quel periodo vedeva tutto con gli occhi di un
cuore malato, malato per una mente incapace di ricordare, per una paura
che la sovrastava.
-Vado in quella cappella- aveva avvisato le amiche tremando.
Era assurdo. C' era una madonnina col bambino. Era piccolina e tanto
bella, tanto serena.
-Che devo fare Madonnina mia? E' un gran peccato è vero?-
domandò a mani incrociate quella volta.
Udì dei rumori provenire dal corridoio, istintivamente si
affacciò sull' uscio e vide un ragazzo alto, moro, era
girato di spalle e stava parlando con una ragazza che piangeva. Il
ragazzo tese la mano grande verso la giovane che lo
abbracciò forte. Poi Febe rimase imbambolata a guardarli
mentre sparivano nel corridoio. Un' infermiera che passava di
là poco dopo comunicò allegra ad una collega che
quella ragazza avrebbe tenuto la sua bambina. Il fidanzato non appena
aveva saputo era corso da lei.
-Io nemmeno ce l' ho un fidanzato-. borbottò Febe parlando
con la statuina. E il suo cuore sanguinò e si
accartocciò. Faceva proprio male. Però un sorriso
le spuntò sulle labbra e iniziò ad accarezzare il
ventre ancora piatto. Era stupido pensare che quel bimbo, amore o no,
non c' entrava nulla? Che meritava il suo affetto e non la sua
vendetta? Che forse, forse, si ripetè incerta, un poco di
amore c' era anche per lei?
Febe alzò gli occhi su una vetrata trasparente. Rifletteva
l' immagine di una ragazza con un grande pancione e ancora un poco
impaurita, dalle guance paffute e un poco arrossate. Non poteva
soffrire per un ricordo che non esisteva, no?
Sorridi Febe, sorridi.
Caccia via il dolore.
Caccia via la paura, Fe.
Forse sarai forte anche
tu.
Non devi permettere che il dolore diventi una malattia,
che un ricordo che non c' è ti uccida e uccida quelle manine
che stringerai tra poco.
Sorridi Febe.
_______________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Eccomi con il nuovo capitolo. Finalmente
sappiamo qualcosa di più delle nostre ragazze e abbiamo
anche qualche notizia su Febe. Mi auguro che il capitolo vi piaccia.
Abbiamo la comparsa del papà di Antares, qualche accenno
alla sua famiglia, che ora sappiamo aver contribuito a modellare in
parte il suo carattere. Credo che una comparsa la faranno
anche i parenti di Febe e Talia, in particolare Febe vi ricordo che non
ha più contatti con i suoi. Piano piano comporremo il
puzzle, mi auguro. Prossimo capitolo al santuario. Spero non vi sia
dispiaciuto non vedere apparire nessuno dei gold in questo capitolo ma
avevo bisogno di iniziare a sbrogliare la matassa sul fronte senshi. Vi
avviso che in rete è presente il primo capitolo del remake
di Rinascere con il titolo Cosmos: i guardiani dell' equilibrio. E'
completamente diverso rispetto al precedente, ho anticipato certe cose,
tolte altre e compagnia bella. Mi farebbe piacere come sempre avere il
vostro parere. Domani provvederò a rispondere alle
recensioni. Vi ringrazio infinitamente
|
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Capitolo 7 *** 7. Alcesti ***
c. 7
NOTA: Come ricorderete nei
capitoli iniziali c' era una premessa che
recitava così: "Come qualcuno di voi saprà
inizialmente questa ff aveva raiting
rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi
sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse
eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento
è comunque doveroso. Le
tematiche trattate saranno diverse
rispetto a Rianscere,
saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a
tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di
esempi.
Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera
più
delicata possibile tentando di adattarlo al raiting
scelto, cosa
assai difficile avendo deciso di seguire completamente l' ispirazione.
Metto perciò le mani avanti. Io vi ho avvertiti. Vi prego di
chiudere la pagina e di non leggere se la cosa non vi va bene.
Confido
nel vostro buon senso. Non voglio rotture di scatole. Ho finito." Se
non l' ho più messa non è perchè
quanto detto non sia più valido, al contrario, lo è,
semplicemente o mi scocciava o me ne scordavo.
Capitolo
7
Alcesti
Hades se ne era andato via sorridendo con la stessa velocità
con
cui era apparso tra gli allarmati abitanti del tempio lasciando dietro
di sè una scia di muta sorpresa per i giorni successivi.
Molte
furono le riunioni tra i santi dorati al tredicesimo tempio sotto la
guida benevola della dea protrettice di quei sacri luoghi. La
verità è che l' esercito d' oro non sapeva come
agire.
Come evitare la catastrofe imminente?
-I ghiacci si sciolgono ad una velocità preoccupante- aveva
fatto sapere Camus dell' Aquario di ritorno da un sopraluogo nelle
terre più a nord del pianeta.
-E Atene, così come molte altre città nel mondo,
è
teatro di piogge incessanti- rincarò Aiolos di Sagitter.
-Di questo passo non ci vorrà molto affinchè
ciò
che ci ha detto Hades diventi realtà- sospirò
Shion
avvicinandosi ad una delle grandi vetrate della sala.
Il cielo era scuro in una maniera assai preoccupante e mentre i fulmini
squarciavano l' aria carichi di elettricità, la pioggia
impietosa si abbatteva su una terra già provata dal fango
nei
giorni precedenti. Era, notò il pontefice, una pioggia
leggera
ma costante che bagnava ogni cosa senza apparente violenza e che
sembrava
immergere tutto in una calma irreale e dolorosa specie per chi sapeva
cosa quella pioggia significasse. Il sacerdote vide all' improviso un
albero bruciare in lontananza colpito da un fulmine particolarmente
violento, la luce nella grande sala si spense immediatamente dopo
lasciando i presenti
avvolti dall' oscurità, poche candele un momento dopo
brillarono rischiarando i visi dei santi d' oro che si erano stretti
intorno a un tavolo non molto largo. Quando la porta dietro di loro si
aprì con un cigolio lento e sinistro per quell' atmosfera,
non
esitartono a girarsi con i fiati sospesi e il cosmo sguainato dal nulla
come fosse una spada pronta alla lotta.
Una figura ammantata procedeva silenziosa sotto i loro occhi vigili
reggendo un bastone nodoso e una candela dinanzi a sè.
-Buonasera divina Atena e buonasera anche a voi cavalieri- la voce
bassa ma decisa, come fosse lontana e irreale quasi che provenisse da
un
mondo altro, oscuro e misterioso, si rivelò essere quella di
una
donna che levando il cappuccio sulle spalle si rivelò essere
giovanissima e di straordinaria bellezza. La pelle diafana contrastava
con gli occhi color vinaccia e con i capelli altrettanto
scuri quasi fossero fatti col carbone, il corpo a giudicare dalla
braccia che pallide lasciavano intravedere le vene violacee dei polsi
prometteva di essere esile. Quella giovane donna incuteva un timore
quasi reverenziale, non sembrava neppure umana ma una creatura sputata
dalle profondità della terra e nonostante ciò non
si
poteva fare a meno di restare ad osservarla affascinati e desiderosi di
quella bellezza eterea e apparentemente intoccabile.
-Io sono Alcesti, devota sacerdotessa di Kore divina.
-Alcesti, benvenuta nel santuario di Atene- si fece avanti la dea del
luogo leggermente turbata dalla figura che aveva di fronte- spero che
con il tuo aiuto riusciremo a ritrovare Kore e ad evitare la catastrofe.
-Mi dispiace deludervi Atena ma non so proprio dove possa essere la mia
signora-
Atena intrecciò le mani in grembo abbassando lo sguardo su
di
esse, si sentì profondamente delusa e sconfortata. Iniziava
a
pensare che non ce l' avrebbero mai fatta.
La luce nel frattempo era ritornata rischiarando meglio il volto dell'
ospite e facendo sospirare di insolito sollievo i guerrieri.
-In ogni caso faremo tutto cò che è in nostro
potere
anche in questa situazione disperata. Mi auguro che potremmo comunque
contare su di voi, sacerdotessa- intervenne Shion fissando la ragazza
con cipiglio.
-Naturalmente.
-Bene, è già tardi. Alcune ancelle provvederanno
a
scortarvi nella vostra stanza- terminò il sacerdote
congedando
la seduta.
Quando fu solo con la dea, Shion la fece accomodare su di una sedia
facendo egli stesso la medesima cosa:- Atena, non permettete che lo
sconforto prevalga sui vostri sentimenti. Ditemi, cosa è
cambiato 'sta volta rispetto al passato?
-Shion, ogni guerra poteva essere scongiurata solo in un modo:
combattendo viso a viso col nemico, aggirando ostacoli la cui
risoluzione imparavamo a conoscere sul campo. Ma ora spigami, come si
aggira ciò che non si conosce? Non sappiamo
perchè Sophia
sia in quello stato, non sappiamo come fermare il disastro imminente.
Non trovo soluzioni, Shion.
-Atena, voi siete la guida di questo esercito. Siete la nostra luce, la
nostra speranza, il nostro conforto, voi rappresentate l' ideale per
cui combattiamo. Credete forse che arrendendovi gioverete agli uomini e
alle donne che combattono nel vostro nome? Permettetemi di dirlo, ma
così facendo non siete degna del loro rispetto, della vita
che
vi donano.
Atena guardò il sacerdote con aria pensosa, si
passò le
mani sul viso pensando che Shion aveva ragione. Si sentì
profondamente colpevole e indegna in quel momento del ruolo che
ricopriva. Non poteva arrendersi, lo doveva a quell' umanità
che
aveva amato con tutta sè stessa, lo doveva soprattutto a
coloro
che combattevano per la giustizia. Se lei per prima si fosse lasciata
andare allo sconforto, se si fosse resa passiva, tutto ciò
che
avevano fatto in passato, tutte le guerre combattute nei secoli, gli
uomini caduti per quella pace tanto desiderata, sarebbe stato vano.
Prese la mano dell' uomo che aveva davanti tra le sue sorridendo
dispiaciuta:- Perdonami Shion. Questo esercito, no, gli uomini e le
donne che popolano questa acropoli sono la mia forza e il mio ideale.
Non vi deluderò.-
Il giorno successivo Atena e il pontefice furono pronti a mettere in
moto la macchina del santuario. Shura fu incaricato di recarsi ad
Eleusi, al
santuario di Demetra, insieme ad Alcesti. Atena pregò il
saint
di
non utilizzare la forza del suo cosmo in modo da nascondersi agli occhi
di eventuali nemici, la dea ritenne che la prudenza in quell' occasione
non sarebbe mai stata troppa. Mu, Shaka e Camus, considerati cavalieri
di grande ingegno e sapienza furono invitati a recarsi negli Inferi per
conoscere meglio la natura del bozzolo che ivi dimorava. Prima che
ciò avvenisse Saga di Gemini raccogliendo tutto il suo
coraggio
salì le gradinate dei templi fino all' undicesimo. Mai, in
tutta
la sua vita si era ritrovato in una situazione tanto indesiderabile,
pensò che in battaglia o persino nelle questioni
diplomatiche
tutto appariva più semplice, i sentimenti non inteferivano,
doveva parlare con degli estranei o combattere. Punto. Ma ora doveva
comunicare a un suo compagno d' armi che la sorella si trovava in una
situzione incresciosa, un compagno con cui in effetti non aveva mai
avuto una grande confidenza o rapporti di amicizia ma con cui aveva
condiviso attimi importanti, fatti di ansia e di dolore durante la
scalata alle dodici case sotto il vessillo di Hades. Quell' esperienza
aveva unito tutti coloro che ne erano stati protagonisti sotto il
marchio dell' infamia e del tradimento, li aveva resi partecipi dello
stesso dolore. Questo avevano in comune e nulla più.
L' aria all' interno del tempio era come di consueto piuttosto fredda,
Saga ebbe un brivido alimentato inoltre dalla pioggia che aveva
incontrato lungo il percorso. Chiamò a gran voce il nome del
compagno d' armi non sentendosi pronto ad entrare nei suoi appartamenti
privati. Dopo qualche minuto il proprietario del palazzo fu sotto i
suoi occhi, altero e severo come sempre.
-Dimmi, Gemini- fu il saluto lapidario del cavaliere dei ghiacci.
-Aquarius, sarò breve- incominciò Saga, deciso a
liquidare in fretta quella spinosa faccenda- reco notizie di tua
sorella Antares.
Camus ascoltò attentamente il breve racconto del parigrado a
baccia conserte e con la medesima espressione con cui lo aveva ricevuto.
-Non molti giorni fa la polizia mi ha telefonato avvisandomi che
comunque tutto si è risolto nel migliore dei modi per
Antares-
terminò infine Saga.
Camus rimase per qualche minuto in silenzio come se stesse ponderando
le parole pù adatte da dire:- Capisco- risolse infine- bene,
ti
ringrazio per avvermi avvisato. Ora, se è tutto, devi
perdonarmi
ma come sai ho una missione-
Saga annuì cercando di non far trasparire la sua sorpresa di
fronte alla reazione controllata -indifferente- del ragazzo- spero di
non essere stato invadente- aggiunse prima di congedarsi.
-Affatto.
Quando Saga se ne fu andato Camus rimase sulla soglia del suo tempio,
poi finalmente decise di recarsi all' ottava casa. Sentiva la pioggia
accarezzarlo e bagnargli le guance come se le sue gocce fossero le
lacrime
che non riusciva a versare. Non riusciva a piangere, il controllo
faceva parte di lui ma Antares era stata un piccolo diamante che aveva
scalfito, incrinato il suo ghiaccio fino a creare tante piccole crepe.
L' aveva spiata troppe volte per non capire che qualcosa non andava ma
aveva sempre deciso di rimanere fermo a guardare, impotente contro il
dettame che gli vietava di incontrarla. Non poteva non sentirsi
preoccupato per quella sorella -la sua sorellina- in cui rivedeva i
suoi stessi attegiamenti se non che forse Antares sembrasse
animata da un che di selvaggio. Si chiedeva come poteva
dimenticarsi di lui,
Antares, che lo adorava come fosse il sole. Il cavaliere di Aquarius
sperò senza troppa convinzione che la sua Ann fosse
abbastanza
forte da risollevarsi, nel frattempo lui poteva solo concedersi l'
abbraccio rassicurante del custode dell' ottavo tempio.
Shura non era mai stato un uomo di molte parole e durante il breve
tragitto in auto fino ad Eleusi ebbe modo di appurare che anche la sua
compagna di viaggio poteva vantare la stessa qualità. Il
panorama era terribilmente grigio e monotono e gli unici rumori che
interrompevano il silenzio erano dati dal ticchettio della pioggia sui
vetri e dal moto delle ruote sull' asfalto bagnato, osservando le case
e la vegetazione scura con aria annoiata Alcesti parlò all'
improvviso con la voce calme e irreale che la caratterizzava:- Una
volta qui vicino c' era la Via Sacra che conduceva Atene ad Eleusi.
Ogni anni erano molti coloro che la percorrevano per le feste in onore
delle dee.
-...
-Non sei un gran conversatore vero nobile Shura?
-Già.
-Già- ripetè la ragazza prima che il silenzio
cadesse di nuovo nell' abitacolo.
Shura fissò Alcesti con la coda dell' occhio, era vestita
con
abiti civili, un jeans, un maglione scuro e scarpe da ginnastica, nell'
insieme era molto semplice eppure ogni capo sembrava esaltare le forme
del suo corpo. Quando l' aveva vista per la prima volta pochi giorni
prima aveva pensato che fosse particolarmente esile e invece si era
sbagliato. Di certo i polsi erano sottili, le mani avevano delle belle
dita lunghe, ma il seno, prosperoso, si adattava ad un corpo dalle
curve
sinuose. Un corpo da toccare, pensò il cavaliere prima di
scacciare velocemente quel pensiero rimproverandosi la sua debolezza.
-Metti l' impermeabile- disse Shura una volta arrivati preparandosi a
sua volta a scendere dall' auto.
-Aspetta- la mano di Alcesti si posò sul suo braccio- qui
siamo
nella città moderna. Dobbiamo procedere verso il bosco. Il
tempio antico fu distrutto dai barbari e quello nuovo ricostruito
in un luogo inaccessibile e visibile solo agli eletti.
-Io non sono un eletto- obiettò il guerriero
-Non temere. Sarai ben accetto.
I due ragazzi dovettero lasciare l' auto all' inizio di una stretta
strada che si snodava tra la fitta vegetazione boschiva, camminando
fianco a fianco, Shura e Alcesti si facevano luce con delle torce,
illuminando ora il terreno fangoso, ora il percorso che continuava. La
fine della strada corrispose al termine della foreste e attraverso gli
ultimi alberi il Capricorno intravide un villaggio circondato da prati
rigogliosi e terreni fecondi che si protraevano ai piedi dell' alta
acropoli a ridosso della montagna.
-Questa è la nostra Elusi- dichiarò orgogliosa la
ragazza.
Camminando per il paese Shura notò come fosse evidente che
quei territori appartenessero a Demetra. Tutto urlava alla vita, tutto
odorava di messi e dei prodotti dell' agricoltura. Saliti degli ampi
quanto
interminabili gradini, si aprì di fronte a loro
una vasta
spianata e al di sopra di essa una una serie di sette portici
prima di giungere al santuario vero e proprio.
Shura seguiva Alcesti a distanza di pochi metri, la vedeva muoversi
decisa davanti a lui e non potè fare a meno di paragonarla a
Febe. Alcesti odorava di donna, di sensualità,
pensò
amaramente il saint. Chiuse gli occhi e ricordò il volto di
Febe, un viso rotondo e delicato contro quello allungato e serio della
donna che era con lui, pensò al corpo esile e minuto, ai
seni
non troppo pronunciati e notò quanto Alcesti fosse
esattamente
il contrario della guerriera che in teoria doveva avere l' indole del
fuoco.
-Quanti anni hai?- chiese all' improvviso il saint.
Alcesti sorrise di rimando:- In quest' epoca ventiquattro.
Ventiquattro, si ripetè il giovane, si mise le mani tra i
capelli perchè, dannazione, Febe era una bambina. Aveva
sempre
emanato calma e dolcezza, una purezza che lui non aveva rispettato. Era
stato attratto da lei ma era un desiderio ben diverso da quello che gli
scatenava Alcesti. Con Febe non avrebbe mai potuto fare sesso e basta,
con Febe - e lui ce ne aveva messo tanto- ci voleva l' amore, per
forza. Si domandò se per caso fosse così volubile
da
mutare i suoi sentimenti nel giro di un paio di giorni. Aveva
sventolato il suo amore per lei da quando se ne era andata, e ora? E
ora sbavava dietro la prima venuta? A ben pensarci aveva ritenuto il
suo amore per Febe qualcosa di sacro e lei una sorta di angelo, la
stessa natura della ragazza, ingenua e docile, gli impediva di
definirla donna, di definirla sensuale.
-L' ultima stanza del santuario contiene la grotta che conduce nell'
Ade- lo informò Alcesti. Il santuario, a pianta rettangolare
presentava innumerevoli navate. Shura pensò che non avrebbe
potuto percorrere quel labirinto da solo. Si sarebbe perso. Dopo aver
attraversato dei corridoi giunsero ad un largo portone e aprendolo
Alcesti gli spiegò che quello in cui si trovavano era
il
telesterion, il salone dove aveva luogo la cerimonia di iniziazione dei
misteri Eleusini. Il
telesterion era costituito da otto navate con file di sei colonne;
numerose opere d'arte lo decoravano, rilievi di re e di uomini, delle
due dee.
-Questo tempio è immenso- riconobbe Shura
-Ecco, siamo arrivati- dichiarò Alcesti aprendo un portone
molto
più piccolo del precedente. La sala, circolare e scavata
probabilmente all' interno stesso della montagna, ospitava in posizione
centrale le statue, di grandissime proporzioni, di Demetra e
Persefone. Per il resto a parte un trono posto di fronte a degli scuri
tendaggi, non vi era nulla. Sullo scranno una donna molto anziana
vestita con i colori scuri della terra sembrava attendere i due giovani.
-Iambe- si inchinò Alcesti- sacerdotessa di Demet-
L' anziana donna fermò la giovane co un cenno della mano:-
Non è qui colei che cerchi. Demetra ha abbandonato questi
luoghi.
________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, in questo angolo autrice vorrei fare due
precisazioni. La prima riguarda Atena. Come avrete notato abbiamo una
dea che si fa prendere dallo sconforto ma che per fortuna si riprende.
Spero non me ne vogliate ma mi piaceva l' idea di rappresentare una dea
e le sue debolezze, i suoi turbamenti, non credo ne sia esente. La
seconda precisazione riguarda il santuario di Eleusi, in particolare il
telesterion era effettivamente così come l' ho descritto.
Bene, detto ciò spero come sempre di ricevere qualche vostro
parere. Come avrete notato abbiamo la comparsa di un nuovo personaggio,
appositamente delineato fisicamente con tratti più o meno
Merysuani, un personaggio che in particolare interagisce con Shura. Che
ruolo avrà Alcesti? Febe ha una rivale? E Demetra, che fine
ha fatto? o_o
|
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Capitolo 8 *** 8. La busta ***
c. 8
Capitolo 8
La
busta
Dopo che era arrivata anche Antares le ragazze erano potute uscire
dall'
ospedale. Quando la ragazza aveva fatto il suo ingresso nella sala d'
attesa si sedette su una sedia rossa
accanto a loro. Erano
schierate una accanto all' altra e paradossalmente per loro, che
avevano avuto sempre qualcosa da dirsi, erano rimaste qualche secondo
in silenzio con gli occhi bassi sul pavimento e la mente concentrata
sulle due persone che ognuna aveva accanto.
-Scusate- aveva detto Antares alla fine. Si era alzata in piedi e si
era rivolta a Talia- non volevo dire quelle cose l' altro giorno, sai?
Non credo di stare molto bene.- aggiunse guardando altrove, incerta.
Febe aveva sorriso, si sentiva un poco meglio ora che tutto si stava
sistemando. Come erano potute cadere così tanto? Vide Talia
alzarsi e sorridere a sua volta:- Perdonami Ann, perdonatemi
entrambe.
Vi voglio bene- aveva concluso trascinandole entrambe in un abbraccio
confuso:- Vi voglio bene- aveva continuato commossa. Le
stringeva, le stringeva forte e non le avrebbe mai fatte scappare.
Aveva desiderato quell' abbraccio da mesi, forse tutte loro ne avevano
avuto bisogno.
Una volta a casa
Febe decise
di mettere ordine in giro per il loro
appartamento e infine nella sua stanza. Pensò che doveva
sistemare e cambiare delle cose, far posto a dei giochi e
a tutto ciò che poteva servire a un neonato. Ancora non
aveva
preparato nulla, aveva solo comprato una culla. Non sapeva il sesso del
bimbo, non aveva voluto, aveva deciso che non importava se fosse stato
un maschio o una femmina, avrebbe avuto da subito il suo amore
incondizionato, glielo doveva per quel senso di colpa che ancora si
trascinava dietro per non averlo voluto, perchè un padre
quel
bimbo probabilmente non lo avrebbe mai avuto, perchè lei per
prima non sapeva cosa avrebbe risposto un giorno quando le avrebbe
chiesto di lui, di papà. Allora cosa gli avrebbe detto?
Tesoro
mio, non so chi è? Non mi ricordo nemmeno come sei arrivato?
Non
voleva sapere se era un maschio o una femmina, voleva amare quella
creatura così, di un amore cieco, assoluto, privo di
condizionamenti. Febe aprì l' armadio e notò un
piccolo
scatolo sotto una massa ordinata di coperte, lo prese cercando di non
far cadere nulla curiosa di sapere cosa mai potesse averci messo all'
interno. Non ricordava di avere qualcosa da nascondere.
Antares arrivando nell' appartamento si congedò per andare a
dormire, in lontananza sentì il suono delle campane di una
chiesa. Da quando non pregava? Da una vita probabilmente, non aveva mai
creduto in niente che non fosse la realtà. Ora le
campane le ricordavano solo un suono di morte. Nel loro paese le
campane di una chiesa cattolica suonavano per scandire le ore del
giorno. Ricordò che quando Sophia aveva avuto quell'
incidente
lei non c' era. Era stata l' ultima delle ragazze ad arrivare in
ospedale. Fu la volta in cui era andata da suo padre per
chiedergli una pistola, era profondamente risoluta quel giorno e il
generale negli occhi della figlia aveva visto solo questo, non aveva
notato le mani che tremavano appena e il bisogno di un abbraccio che
non avrebbe mai preteso da lui. Quando aveva chiesto il
perchè
del livido sulla fronte Antares aveva risposto di essere caduta. "Stai
più attenta", fu l' affermazione dell' uomo mostrandole una
pistola che considerava adatta a lei. Si chiese se per caso suo
padre avesse collegato il livido alla sua strana richiesta dicendosi
che se così fosse stato il generale come sempre avrebbe
guardato
non una ragazza in difficoltà ma sua figlia che onorandolo
se la
sarebbe cavata da sola, e quell' arma era uno dei tanti modi in cui
farlo. Antares si sollevò la manica del maglione
che
copriva il braccio sinistro, una lunga cicatrice lo percorreva fin
verso l' alto, le vennero i brividi. Dovette ammettere a sè
stessa che le era finita bene, molto, molto bene, sarebbe potuta
morire o restare gravemente ferita. Avrebbe dovuto ascoltare Febe e
Sophia quando le dicevano di
non tornare tardi la sera. Quel giorno in particolare si era trattenuta
in biblioteca fino a tardi, quando ne era uscita era già
buio e
il cielo prometteva pioggia, aveva preso una via secondaria e dopo
qualche minuto aveva sentito dei passi seguirla, aveva iniziato a
camminare più veloce, poi qualcuno la afferrò per
le
spalle sbattendola contro il muro, un coltello puntato alla gola e un
alito che puzzava di alcool le intimavano di lasciare la borsa. Era
cocciuta Antares e odiava chi valicasse il suo spazio personale, il
suo territorio, la dignità. Schiacciò un piede
all'
aggressore facendolo allontanare, un calcio allo stomaco e fu a terra.
Sarebbe andata bene se quell' idiota non avesse avuto un complice che
lo aspettava alla fine della strada e che aveva pensato bene di farsi
avanti. Era stata buttata a terra, presa a calci perchè
mollasse
quella dannata borsa ma lei non la lasciava, stringeva forte nonostante
il dolore. C' era la sua vita lì dentro, si ripeteva. Un
colpo
con un coltellino sul braccio le aveva provocato un taglio che
bruciando alla fine l' aveva costretta a mollare la presa. Era rimasta
a terra per un tempo indefinibile con gli occhi spalancati verso il
cielo e l' acqua che iniziava a bagnarle il corpo e a mischiarsi col
sangue che usciva dal taglio. Le doleva da impazzire ma non riusciva a
muoversi, la pioggia si mischiò ai singhiozzi e al senso di
una
perdita irrazionale. Perchè aveva lasciato il ciondolo in
quella
stupidissima borsa? Quella collana insignificante, che possedeva sin
dai tempi dell' orfanotrofio, era l' unico legame con un passato di cui
non ricordava nemmeno l' esistenza. Si era sentita senz' anima. Si era
sentita una stupida, debole ragazzina come non le capitava da tempo
ormai.
Non avrebbe permesso a nessuno di approfittarsi della sua debolezza.
Essere donne non significava essere deboli, lo avrebbero capito tutti.
Appena un paio di giorni
dopo prese l' autobus per andare in paese e avere un' arma che la
difendesse. Qualche ora più tardi un bussare insistente alla
porta della sua stanza la risvegliò dal suo sonno, non
ricevdo risposta
lo scocciatore si fece avanti accendendo la luce, quando Antares si
rigirò tra le coperte vide suo padre che la guardava con
aria di
rimprovero.
-Mi aspettavo che mi aprissi tu- puntualizzò- troppo pigra
per farlo?
-Stavo...
-Dormendo- terminò l' uomo guardandosi intorno- te lo
concedo.
Sono stati giorni duri per te. - Il generale Martakis si
spostò
sulla soglia della porta- prepara la valigia. Tua madre desidera
vederti.
Antares si alzò di scatto dal letto, avrebbe voluto puntare
i
piedi e dire di no ma le avevano insegnato ferma obbedienza ai genitori
e
rispetto nei loro riguardi.
-Non mi tratterrò molto. Entro un paio di giorni vorrei
ritornare qui ad Atene. Non manca molto al parto.
-Concesso- dichiarò il generale. "Concesso soldato", avrebbe
dovuto dire, pensò la figlia.
Talia dopo mesi interi guardando le sue amiche si sentiva con il cuore
più leggero. Sophia le mancava, probabilmente quel vuoto in
un
pezzo di cuore lo avrebbe avvertito per tutta la vita, nè
del
resto si poteva cambiare tutto ciò che avevano vissuto. I
baci
sulla pelle di uno sconosciuto, gli schiaffi di Andrea e le sue minacce
le avevano tagliato l' anima scavandosi un posto con la forza dentro di
lei ma ora si sentiva più sollevata, non doveva
più avere
paura, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male, ora poteva
urlare ad alta voce il legame con Febe e Antares, essere fiera
perchè aveva resistito anche a quella tempesta. Talia
aprì l' armadio e i cassatti con gli abiti, doveva buttare
un
po' di cose che non le appartenevano. Voleva tornare ad essere
sè stessa, vestire solo con ciò che le pieceva,
mangiare
dolci, fare aerobica, scattere fotografie, uscire con le amiche,
ridere, ridere tanto.
Ridere, ridere, ridere. Lo ripetè forte, ad alta voce, con
convinzione afferrando tutti quei manga nascosti in un vecchio
scatolone, i romanzi rosa invece pensò di buttarli via,
tanto a
quelle cose neppure ci credeva più.
Antares aveva avvertito Talia e Febe che sarebbe ritornata per un paio
di giorni in paese dai suoi, quando se ne fu andata, la seconda
ritornò alla busta che aveva trovato nella scatolina. Era
una
busta di un tenue arancione pastello e aveva impregnato la scatola in
cui era stata conservata con il suo profumo, un odore fruttato e vivace
che riconobbe come il profumo preferito da Talia. Non si
stupì
che la bionda avesse potuto spruzzarlo sulla busta, era proprio da lei,
riflettè divertita. Intravide una foto e una
lettera e
tutto il suo corpo si immobilizzò per lo stupore. Chi
diavolo
era tutta quella gente vestita di oro che era insieme a loro? La
ragazza ebbe un inspiegabile senso di nostalgia, un tuffo al cuore
quando si vide ritratta accanto a un ragazzo dai capelli scuri.
Posò lentamente la foto sulla scrivania e
incrociò le
mani tra loro in maniera così forte che le unghie corte
dell'
una si conficcarono quasi nell' altra, sentì tutto il corpo
in
tensione e rimase lì ad osservare quel ragazzo che le fece
arrossare le guance e battere forte il cuore senza che neppure fosse
presente. Avrebbe voluto incontrarlo, si sentiva il cuore scoppiare nel
petto e una felicità irrazionale che si mischiava a una
strana
nostalgia e a un affetto istintivo e inspiegabile. Affetto? A Febe, e
per questo si diede della stupida, sembrò una cosa assurda.
Nemmeno si ricordava chi fosse, che ruolo avesse nella sua vita.
Guardando ancora quel ragazzo iniziò a cercare nella sua
testa
lo straccio di qualche ricordo e se lo vide, come se fosse
lì
proprio davanti a lei, vestito di un oro abbagliante, bello e luminoso
come il sole, severo e contegnoso nei modi, quasi fosse un re delle
favole o un antico cavaliere. Se lo ricordò accennare un
sorriso
e prendere una collana dalle sue mani mentre la neva cadeva, "Ecco,
questa... questa è per voi, nobile Shura",
balbettò senza
rendersene conto a sua volta con le lacrime che iniziavano a bagnarle
gli occhi.
Febe posò la testa sul tavolo, nascondendosi a piangere come
una
bambina, quel pianto forte e copioso sembrava non volersi
fermare
più. Si sentiva profondamente triste, triste
perchè aveva
solo quel ricordo sbiadito, triste perchè non ricordava
niente
di più, triste perchè era sicura di essersi
innamorata di
un fantasma, di un ricordo inspiegabile, di un ricordo perduto. Forse
era diventata pazza all' improvviso? Non capiva più niente.
Sì sentì profondamente e assurdamente innamorata,
ciò che desiderava più di ogni altra cosa in quel
momento
era toccare quell' uomo, vederlo, sentiro parlare. Che voce aveva? Si
sentì sola, perduta, incapace di capire dove
stesse la verità, poi si toccò il ventre gonfio
per cercare
sicurezza, no, non era sola, non doveva più pensarlo. C' era
la
sua creatura, c' erano Talia e Antares.
-E se lui fosse il tuo papà?- domandò alla pancia
gonfia.
Quando Antares arrivò a casa non vide immediatamente l' ora
di
andarsene via di nuovo. Trovò sua madre intenta a
chiacchierare con due sue amiche spocchiose nel salotto. Quando la
videro insistettero per farla accomodare a
prendere il tè insieme a loro mentre suo padre si
rinchiudeva
nel suo studio. Sua madre la squadrò da capo a piedi con
aria
critica, quasi digustata. Indossava ancora la
tuta scura con cui suo padre l' aveva trovata in casa.
Perchè
cambiarsi? aveva pensato, in fondo era accettabile. Una semplice,
normalissima e anonima tuta. Il fatto che fosse scura esaltava
probabilmente il suo pallore e le occhiaie sotto gli occhi ma tanto lei
non voleva piacere a nessuno.
-Sei pallida cara, stai forse male?- domandò una delle donne
-Non ho dormito molto a dire il vero- spiegò la ragazza con
aria indifferente
-Avresti dovuto mettere del phard- la rimproverò sua madre-
e
magari indossare qualche altra cosa. Un vestito pastello magari. Hai
sempre avuto la carnagione chiara, gli abiti scuri ti fanno sembrare
un cadavere tesoro- finì di spiegarle da buona intenditrice.
-Katherine- rise la donna di prima- da che ricordi raramente ho visto
tua figlia in società. Ma come mai, ora che ci penso?
Sua madre fece a sua volta un sorriso tirato liquidando in fretta la
questione con un "la mia Ann e molto timida" e cambiando velocemente
argomento.
In realtà Antares odiava le feste pompose, la gente che le
frequentava e gli abiti che la facevano sembrare una meringa.
Sua madre invece era una donna molto bella, da bambina avrebbe
desiderato essere come lei, poi con gli anni aveva cambiato idea anche
se doveva ammettere che le dispiaceva non possedere almeno un po' della
sua bellezza e della sua eleganza. E del resto come sarebbe stato
possibile visto che era stata adottata? I suoi genitori non potevano
essere più diversi tra loro, erano due mondi distanti
ritrovatisi insieme dopo uno stupido errore di gioventù. Sua
madre Katherine era la classica baronessina inglese in vacanza
in terra di Grecia, un po' viziata, una giovane avvenente dal
sorriso smagliante, con gli occhi azzurri come il solito oceano e i
boccoli biondi come le vecchie spighe di grano tanto spesso tirate in
ballo da scrittori senza troppa voglia di costruire nuove metafore. Suo
padre l' affascinante e carismatico ufficiale di dieci anni
più grande che poteva avere ai suoi piedi tutte le donne. Si
erano conosciuti, innamorati, o almeno infautati l' uno dell' altro, ed
erano scappati a sposarsi senza ovviamente il consenso delle rispettive
famiglie. Alla fine Katherine si era accorta di quanto fosse noiosa la
vita in un piccolo paese di provincia in una terra che non era la sua e
Dimistri di quanto frivola fosse la sua sposa. Un figlio poteva essere
la soluzione a un matrimonio fatto di piccole sfide e vendette
reciproche, un figlio che non arrivava mai e alla fine fu adottato.
Il generale avrebbe desiderato un maschio ma per far tacere i
piagnistei della moglie acconsentì a prendere quella bimba
che a Katherine era sembrata una bambola di porcellana. E Antares fu l'
oggetto della nuova sfida per farla diventare una Lady infiocchettata o
un ufficiale dal temperamento marziale destreggiandosi tra le figlie
delle amiche snob della madre e le paturnie sull' esercito del padre
che per indispettire la moglie permetteva alla figlia i divertimenti
che alla baronessina sembravano da maschiacci, perchè in
fondo a Katherine era stato evidente sin da subito che la sua bambolina
fosse più attratta da un' arrampicata su alberi da cui poi
non riusciva più a scendere, per il senso di vertigine una
volta sulla cima, che da smalti e vestitini alla moda. Antares aveva
deciso di non voler diventare come sua madre, non voleva essere frivola
nè dipendere da nessuno. Katherine dipendeva dalla sua
famiglia inglese e da suo padre, senza di lui non riusciva a fare
niente, non era neppure mai andata a pagare una bolleta in vita sua. E
il generale del resto aveva fatto di tutto affinchè la
figlia non diventasse l' immagine della moglie, prima di tutto
insegnandole il valore del denaro imponendole piccoli sacrifici e
rinunce, poi dell' umiltà e di quanto fosse
importante sapersela cavare da soli.
Antares per quel giorno perse la voglia di stare in casa dopo
che si era sorbita i discorsi della baronessina e delle sue amiche e
dopo che la stessa le aveva proposto una seduta da un' estetista che
magari le avrebbe potuto sfoltire per ben benino le sopracciglia rosse.
Era riuscita a lasciare casa nel tardo pomeriggio, si diresse
immediatamente in direzione dei giardini e in uno dei tanti viali vide
un gruppetto di suoi coetanei provenire dalla direzione opposta alla
sua. Notò che erano alcuni suoi vecchi compagni di liceo e
le venne un nodo allo stomaco, quel gruppetto non le aveva mai fatto
una gran simpatia. Non sapeva se girarsi dall' altro lato o salutarli,
a volte quei ragazzi la intimidivano con i loro attegiamenti, non si
sentiva alla loro altezza, non si sentiva bella per entrare nelle loro
grazie, nè interessante, nè alla moda. Dalle sue
labbra uscì uno ciao indifferente mentre fingeva una
sicurezza che non aveva e si stampava sulla faccia quell' aria di
superbia che non rispondeva alla realtà. Il gruppetto le
passò davanti, qualcuno non si era nemmeno accorto di lei,
qualche altro ricambiò distrattamente. Era passato appena
qualche secondo quando una voce allegra e un po' stupita la
richiamò pronunciando il suo nome.
Antares girandosi notò Alex davanti a lei. Non ci credeva,
aveva abbandonato il suo gruppo per venirla a salutare?
-Non sapevo che tornassi, tua madre si lamenta sempre con la mia
perchè non vieni mai- disse avvicinandosi.
-Rimango per un paio di giorni- scandì lentamente.
Alex si girò verso i suoi amici avvertendoli di andare
avanti. Quando furono soli il sorriso sulle sue labbra scomparve:- Non
mi dici niente? Non sembri felice di vedermi.
-Mi fai ridere Alex, oggi è un giorno speciale per caso? E'
da un po' di tempo che non mi riservi tutte queste attenzioni.
Alex era stato suo compagno di classe e suo amico, i loro genitori si
conoscevano da una vita e loro erano praticamente cresciuti insieme.
Era stata la sua prima cotta, una cotta piuttosto lunga che si era
trascinata dietro per anni. All' età di quattordici anni
erano persino stati insieme per un mese, poi lui si era tirato
indietro. Antares pensò che era stata colpa sua visto che si
era sempre rifiutata di baciarlo. Che diavolo mai di cotta era stata la
sua?!
Però Alex era bello, era tanto bello. A sua mamma piaceva,
forse perchè era biondo, forse per i capelli corti
soprattutto ai lati che ne esaltavano meglio i lineamenti e quel ciuffo
ribelle che copriva costantemente uno degli occhi verdi. Antares aveva
sempre pensato che fosse uscito da uno di quei romanzetti che leggeva
sempre Talia.
-Ohi Ann... lo sai che ti voglio bene- le stava dicendo mentre le
prendeva la mano per abbracciarla.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Bene, e anche questo capitolo è andato.
Talia non ha avuto molto spazio ma vi assicuro che ci sarà
anche per lei. Febe scopre qualcosa, non so se questa parte mi
è venuta bene, a volte non so nemmeno io come gestire i miei
stessi personaggi. E infine anche in questo capitolo compare un nuovo
personaggio, un altro. Un Gary Stu XD, ma... che ruolo avrà
Alex nella vita di Antares? Saga verrà a sapere della sua
esistenza? E se è sì, come reagirà?
Mi sento un tantino ridicola con queste domande, ma amen, ogni tanto ci
stanno.
Un saluto,
Haru.
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Capitolo 9 *** 9. Il responso della Pizia ***
c. 9
Capitolo
9
Il
responso della Pizia
-I
più saggi tra i saint di Atena vi definiscono- rise
sarcastico
Aiacos di fronte ai tre guerrieri che osservavavano pensosi il bozzolo
in cui si trovava Sophia- siete qui da un' ora eppure non ne avete
cavato un ragno dal buco.
-E' evidente che
le vostre
manzioni debbano essere piuttosto tediose se non vi cruccia rimanere
qui ad osservare noi- rispose Shaka senza aprire gli occhi azzurri sul
Garuda di fronte a lui.
-Lasciali fare
Aiacos- intervenne Minos stancamente- hanno carta bianca.
Camus
inforcò gli
occhiali da vista avvicinandosi maggiormente all' involucro e
osservandolo attentamente, tirando fuori un paio di pinzette e una
busta allungò il braccio.
-Ti sembra una
buona idea?- lo fermò Mu
-Non dovrebbe?
-Non sappiamo se
così facendo rischiamo di alterare qualcosa.
-Un campione
è necessario a questo punto. Non abbiamo molta scelta, Mu.-
concluse Camus ritornando al bozzolo.
-Ti vedo a
disagio amico mio- notò Shaka avvicinandosi all' Ariete d'
oro.
-Non sbagli-
sorrise il
ragazzo- vedi... è strano, sai, ma è come se
stessimo
profanando una tomba, intendo dire... la stiamo studiando
senza
riguardo. Guardala, porta sul corpo i segni del modo in cui
probabilmente è morta.
-Mu, noi non
abbiamo cattive
intenzioni, non la osserviamo per mera sete di sapere. Il destino degli
uomini è in gioco e noi dobbiamo cercare in ogni modo di
scongiurare il peggio.
-Dannazione!
Non appena Camus
imprecò i presenti si voltarono nella sua direzione.- E' una
sostanza molle, è sottile, prendendo un piccolo campione si
è bucata. Guardate, ne esce del liquido.
-Sembra acqua-
notò Minos.
-Il buco non c'
è più- notò Mu vedendo l' acqua
smettere di zampillare.
-Ragazzi, il
liquido si tinto leggermente di rosso- affermò
Camus.
-Viene da quella
ferita- Mu
indicò un taglio sottile all' altezza del polso destro-
prima
non c' era. Evidentemente la situazione è più
grave di
quanto pensassimo.
-Un colpo, anche
minimo, dato all' involucro, è una ferita sul corpo di
Sophia- terminò Shaka
-Non sappiamo se
è viva o meno- disse Camus lapidario.
Nella campagna
inglese
aleggiava una fitta nebbia, il maniero dei Cavendish si ergeva solido
circondato da un giardino in cui Kanon avrebbe detto che si sarebbe
potuto perdere. Come di consueto alla porta dall' aspetto solenne venne
ad
aprire una cameriera accennando uno sguardo stupito all' inatteso
ospite che da mesi non varcava le soglie di quella casa e che se ne era
andato in maniera assai brusca.
-Comunico a Lord
Spencer-Cavendish la vostra presenza signore-
-Ah, allora
quello stronzo
è in casa- sussurrò Kanon con una smorfia
stupita
facendo accapponare le orecchie alla regale cameriera del maniero- dov'
è?- chiese poi autoritario.
-Prego?
-Dov'
è quel signorotto inglese?
-Abbiate un poco
di rispetto, signore! Lors Cavendish è molto impegnato.
-A lustrarsi i
mocassini
forse!- rise Kanon facendosi strada nell' ampia dimora fino a
raggiungere la biblioteca e aprendo le porta seguito dagli urletti
furiosi della donna alle sue spalle.
-Kanon- lo
salutò il padrone di casa posando lo scoth sul tavolo al suo
fianco- mi lasci sempre infelicemente perplesso.
-Tsè,
sapevo di trovarti qui
-Vai pure
Margaret, ti ringrazio molto.
-Come mai sei qui
e non a pungere il culo col forcone a qualche disgraziato?
-Il
perchè della tua
presenza lo dovrei domandare io, Gemini- rispose Rhadamantys senza
scomporsi- inoltre sai bene che non ho un forcone, senza contare che
tali bassezze sono indegne per un qualsiasi soldato di sire Hades. E
dunque... che vuoi?- terminò il ragazzo prima calmo e infine
righiando l' ultima frase.
-La divina Atena
ha inviato alcuni di noi alla ricerca di Kore.
-E' Persefone.*
-E' lo stesso.
-Non credo
proprio. Dovresti
saperlo meglio di me, Kanon. Sei greco, no? Comunque mi dicevi che la
tua signora vi ha mandati in giro per il mondo, deve essere proprio a
corto di idee. Hai scelto tu la meta del viaggio?- ghignò il
giudice.
-Sono venuto solo
ad accertarmi che non ci sia sotto qualcosa! Cosa diavolo ha in mente
Hades?
-Assolutamente
nulla, vuole solo ritrovare la donna che ama.
-Ma non si degna
di aiutarci a scongiurare il casino cosmico che è nato con
quel coso giù agli Inferi!
-E
perchè dovrebbe? Noi
il mondo lo vogliamo distruggere, ti ricordo. Perchè credi
che
ci reincarniamo ad ogni guerra sacra? Tuttavia vi sarà
riconoscente se ritroverete la sua sposa.
Kanon si
accasciò
stancamente sulla poltrona di fronte all' altro passandosi una mano
sulla fronte, Rhadamantys lo osservò in silenzio. -Tieni-
gli
disse dopo qualche minuto porgendogli il bicchiere ambrato.
-Puoi parlarmi di
Alcesti?- chiese il saint di Gemini
-Non c'
è molto da dire. E' la somma sacerdotessa di Persefone.
-Non intendo
questo. Dimmi
com' è, se ci possiamo fidare... io...- Kanon strinse le
labbra,
non sapevano davvero cosa fare, si era ridotto a chiedere informazioni
- a pregare- a un vecchio nemico. E amante.
-Non lo so Kanon,
Alcesti non
ha nulla a che fare con noi, con sire Hades. Non ha mai partecipato
alle guerre sacre, so solo che è molto fedele alla sua
signora e
a Demetra, non le tradirebbe mai, è praticamente l' ombra di
Persefone ed esiste praticamente da sempre. Conosci la storia di
Alcesti e Admeto?*
-Vuoi dirmi che
è la stessa Alcesti che ha accettato di morire al posto del
marito?
-Esattamente.
Atena e il
Pontefice avevano
saputo da Shura e Alcesti che non solo Persefone, ma neppure Demetra si
trovava ad Eleusi. Secondo la vecchia Iambe la signora delle messi si
era reincarnata sulla Terra. Dopo Eleusi, Shura e la sacerdossa furono
inviati in Sicilia sperando che le ninfe che abitavano quella che era
stata l' antica piana di Nisa e che erano da sempre molto vicine alla
signora del mondo sotterraneo, potessero aiutarli.
-E' un viaggio
alla cieca- fece notare Alcesti una volta in albergo non avendo
ottenuto nulla neppure dalle ninfe.
-Non abbiamo
altre soluzioni-
Shura osservava la pioggia che scorreva fuori dalle finestre, pensava
che rischiavano di non farcela quella volta, che erano senza via d'
uscita. Al tempio ancora attendevano notizie dai saint inviati nell'
Ade. Milo e Aiolia invece erano stati inviati al santuario di Apollo a
Delfi. Erano sull' orlo della disperazione, si ritrovavano in un
labirinto senza via d' uscita. Avrebbe voluto che Febe vivesse
tranquilla, si chiese se non fosse veramente il caso di richiamare le
senshi,
Sion stesso aveva accennato alla questione. Quando lo aveva
fatto, al suo ritorno da Eleusi, nella sala che per l' ennesima volta
in quei giorni aveva visto i santi d' oro riuniti, si era levato un
mormorio di sorpresa, di opinioni contrastanti. Camus era stato
irremovibile nel non volerle coinvolgere e Aiolos stesso aveva
convenuto che il loro coinvolgimento avrebbe potuto alterare il futuro.
Uno dei motivi per cui la guerriera di Plutone aveva imposto la
rimozione dei ricordi delle ragazze e il venir meno dei contatti con il
Santuario era stato proprio quello. Milo però aveva preso le
distanze dell' idea del compagno.
-Non sei obiettivo, Camus- lo aveva accusato con calma
-Non dire sciocchezze, Scorpio. Non possiamo alterare il futuro, sai
bene che è pericolosissimo.- Milo, e un po' tutti in
realtà, sapevano bene che quando il cavaliere di Aquarius
chiamava il compagno con il titolo della sua costellazione allora non
c'
era niente di buono se non rabbia e Camus quel giorno fu molto
contrariato, si sentiva quasi tradito perchè era venuto meno
proprio l'
appoggia della persona in cui credeva di più.
-Ti arrampichi sugli specchi, non è da te- gli aveva
sussurrato
all' orecchio lo Scorpione del cielo prima di continuare ad alta voce,
in modo che tutti udissero- Il futuro, signori miei, di certo
è
gia mutato dal momento in cui la senshi di Mercurio si è
chiusa
in quell' involucro negli Inferi. Qualcosa deve essere andato storto,
dunque meglio fare intervenire anche le senshi e cercare di salvare il
mondo e dunque anche il futuro che non averlo proprio un avvenire, non
credete?
Le parole di Milo erano state accolte con assenzo mentre la seduta si
chiudeva con lo sdegno di Camus e la decisione della dea di chiedere l'
intervento delle senshi, essendo Sophia una guerriera, entro pochi
giorni
al massimo se non avessero ottenuto nulla dalle azioni dei saint in
missione.
Molto probabilmente, risolse il cavaliere di Capricorn, tra non molto
lui e Febe si sarebbero rivisti. Non sapeva cosa pensare, non sapeva se
sentirsi felice o meno. Che diavolo sarebbe accaduto tra loro?
-Ti vedo pensieroso, nobile Shura.
"Anche lei mi chiamava
così, nobile Shura, ma la sua voce era timida, reverenziale
quasi, la sua è decisa, sensuale."
-Non ci troviamo in una situazione favorevole, è normale che
io sia pensierono.
Alcesti si avvicinò sedendosi sul tavolino di fronte a lui e
sorridendogli:- Sono una sacerdotessa, so molte cose e ho accumulato
tante vite da conoscere meglio gli uomini di quanto conosca persino me
stessa.
-E in me cosa vedi?- scherzò il saint
-Non prendermi in giro- fu la risposta bonaria- vedo un uomo combattuto.
Capricorn si fece serio guardando attentamente la ragazza:- E hai anche
qualche consiglio?
-Io credo semplicemente che un uomo debba seguire le sue inclinazioni.
Se ad esempio, un uomo tende al male, è inutile che si
arruoli
tra le fila del bene. Ne nasceranno solo grandi disastri. Quali sono le
inclinazioni che ti danno noia?
Shura era indeciso se parlarne o meno con lei, ma forse, si disse,
forse avrebbe trovato veramente una soluzione. Era stanco di sentirsi
in bilico in quel modo:- Una è il desiderio, l' altra
è
un sentimento non ben definito.
-Il desiderio è un' attrazione verso qualcosa o qualcuno. C'
è sempre un motivo perchè ciò avviene.
Soddisfalo
Shua, le incertezze nei sentimenti difficilmente hanno ragione d'
esistere, soprattutto nei sentimenti d' amore. O si ama o non si ama.
Soddisfa il tuo desiderio se è ciò che
vuoi.
Shura sorrise ad Alcesti, era un sorriso un poco amaro, e si
alzò dalla sedia su cui si trovava seduto:- Credo che starei
male comunque, sai?
-Camminiamo da ore, non ne posso più- si lagnò
Milo
-Non lamentarti, potrebbe accadere di peggio che qualche callo ai
piedi- lo redarguì Aiolia
-Ehi gatto, che schifo! Ma tu te lo immagini Aphrodite a scarpinare
insieme a noi?- ridacchiò poi Milo strappando un sorriso
all' amico.
-Il Parnaso- osservò Aiolia alla vista del monte- manca
poco. Credi che troveremo anche Apollo?
-Non credo, non mi pare un dio che ami mescolarsi agli uomini di quest'
epoca. In ogni caso è Gennaio, se i miti non raccontano
fandonie, o almeno non solo quelle, di questi tempi dovrebbe essere
nell' estremo Settentrione, presso gli Iperborei.
I due saint fecero il loro ingresso nel Tempio scuro e silenzioso,
procedendo verso l' interno udirono dei canti, alcuni sacerdoti del
santuario pregavano e offrivano i loro doni di fronte alla statua del
dio. Pochi minuti dopo, come comparso dal nulla, un giovane
sacerdote si fece loro incontro invitandoli a seguirlo se cercavano la
Pizia. Nella zona più interna, alla fine di un lungo
corridoio fiancheggiato da alte colonne, un' ampia entrata li condusse
al cospetto di una giovane fanciulla in ginocchio ai piedi del tripode
di bronzo. Le braci accese intorno a loro illuminavano l' ambiente
profumando l' aria di essenze varie e irriconoscibili che pizzicavano
le narici e gli occhi annebbiando i sensi.
-Questi odori... mi entrano dappertutto
-Milo, ritorniamo alle soglie all' entrata della stanza. E' pericoloso
avvicinarsi a lei, rimarremmo storditi.- propose Aiolia afferrando l'
altro per il braccio.
La ragazza intanto si muoveva di movimenti leggeri e aggraziati di
fronte al braciere dinanzi a lei, sembrava danzare muovendo le vesti
leggeri e dai tenui colori pastello formando mille svolazzi
intorno al suo corpo, sorrideva e sorridevano i suoi occhi mentre il
dio le parlava invadendola con il suo calore e la sua sapienza, quel
discorso solo a lei conosciuto era come una carezza, il dio la toccava
e lei, le sue mani, andavano a sfiorare i punti in cui credeva di avere
sentito la mano stessa del suo signore.
-Cavalieri- li chiamò poi con voce tenue risvegliandosi da
quel momento d' estasi- fatevi avanti. Vi aspettavo.
La ragazza era giovanissima, aiutandosi con le mani sottili si
avvicinò al tripode sedendovi sopra, la pelle imperlata di
sudore e la voce ancora affaticata mostravano chiaramente i segni della
sua stanchezza, regalando loro un sorriso fece ancora cenno con la mano
affinchè non avessero timore dei fumi che lentamente
sembravano sparire.
-Sapevo che sareste venuti, Aiolia di Leo e Milo di Scorpio. I vostri
nomi sono grandi, rispetto molto la vostra casta e la vostra dea.
-Apollo non la pensa così- sorrise Milo
-Vi rispetta anche lui, credetemi. Avete solo visioni un poco diverse
riguardo certe questioni. Ma non è per questo che siete qui.
Aiolia prese la parola:- Dite bene e proprio perchè non
abbiamo molto tempo verremo subito alla questione. La divina Persefone
è sparita e così Demetra, inoltre una delle
senshi che hanno combattuto al nostro fianco durante l' ultima guerra
si trova in una condizione anomala negli inferi, riposa in un bozzolo.
Secondo Hades ciò porterà all' inondazione delle
terre emerse. Egli dice che potrebbe aiutarci ma lo farà
solo a condizione di ritrovare la sua sposa.
-Ero al corrente della questione ma volevo sentirla ugualmente dalle
vostre labbra, cavalieri. Proprio in questo momento Apollo mi ha
parlato, lo avete visto quando siete entrati. Dovete sapere che la
senshi che è ora prigioniera in quello che voi chiamate
bozzolo, nella vostra ultima battaglia ha fatto un patto con le Moire.
-Che diavolo... e perchè mai?- sbottò Aiolia.
La ragazza sorrise con indulgenza:- Ascoltate bene tutto ciò
che ho da dirvi. Non ricordate che Death Mask di Cancer aveva perso la
vita? Non vi spiegate come sia potuto tornare in questo mondo prima che
la luce del Cosmos, dei quattro elementi della natura in unione con i
vostri cosmi, potesse espandersi? Anche il cavaliere del Cancro era con
voi in quel momento. Ebbene, ciò è accaduto
perchèmentre scendeva a combattere il Caos la senshi di
Mercurio ha accettato l' offerta delle Moire. La sua vita in cambio di
quella del cavaliere.
-Sacrificarsi... per Death Mask...- sussurrò Milo sorpreso.
-Già, le moire le hanno concesso alcuni mesi di vita dopo la
battaglia, poi Sophia è stata coinvolta in un incidente, la
sua automobile è stata presa in pieno da un' altra, l' uomo
alla guida non le ha prestato neppure soccorso. Sophia non è
solo una senshi, era anche la signora dell' acqua e destino vuole che
come le altre custodi degli elementi si reincarni periodicamente ma
affinchè ciò avvenga non devono esserci
interferenze nel ciclo di morte e rinascita, ogni vita che vivono esso
deve fare il proprio corso senza l' intromissione degli dei. In questo
caso ciò non è avvenuto e Sophia si trova in
bilico tra la vita e la morte, la sua anima è intrappolata
all' interno del suo corpo.
-Che dobbiamo fare allora?- domandò Milo
-Per quanto riguarda Sophia non posso dirvelo neppure io, ci sono
questioni, quelle del mondo dei morti, che neppure alla Pizia di Apollo
è dato sapere ma cercate di rintracciare le senshi. Ormai il
futuro è irrimediabilmente alterato. Le guerriere devono
essere coinvolte, temo che grandi prove spettino sia a voi che a loro.
-Non sarà semplice. Non crederanno mai a una parola di tutta
questa storia. Ora hanno una vita normale!- obiettò Aiolia.
-Cavaliere di Leo, molte cose sono cambiate nel momento esatto in cui
le senshi e i saint di Atena si sono incontrati, ci sono state delle
decisioni che cambieranno gli eventi. Queste ragazze si ricorderanno di
voi! Per quanto riguarda Persefone e Demetra posso dirvi che non sono
molto lontane da voi. Una bambina è la chiave di tutto.
_________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Bene, bene vi avviso che già nel prossimo ne
accadranno delle belle (?), abbiamo scoperto qualcosa in pù
sul
bozzolo e non solo su quello, Milo e Cam hanno litigato e neanche tra
Rhada e Kanon le cose
vanno troppo bene. Qualche capitolo fa abbiamo saputo che non si
frequentavano da un po', chissà come mai. E, ciliegina sulla
torta, Shura e Alcesti, il nostro hombre si è comportato
bene ma
non crediate che sia finita qui.
NOTICINE: La prima riguarda le battute tra Kanon e Rhada relativamente
al nome della regina degli Inferi, nascono dal fatto che *Kore
significa propriamente "ragazza", "figlia", dunque a mio avviso connota
proprio l' aspetto di Persefone legato alla fanciullezza, a Demetra,
alla vita aperta in un certo senso, rispetto a Persfone che mi rimanda
maggiormente all' essere regina dell' Ade. Ovviamente è solo
una mia modestissima opinione.
*Alcesti e Admeto: Ad Admeto fu concesso di evitare la morte se qualcun
altro si fosse offerto al suo posto quando fosse giunto il momento.
Nè il padre, nè la madre di Admeto pur essendo
avanti con gli anni si offrirono e lo fece Alcesti. Eracle,
giunto alla loro corte e compreso ciò che stava accadendo
riesce a strappare la fanciulla alla morte. Un' altra versione vuole
che siano gli stessi signori degli Inferi a lasciarla andare.
|
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Capitolo 10 *** 10. Il passato è sulla porta di casa . Il futuro è in arrivo. ***
c.
ATTENZIONE:
La seguente premessa vale come ricorderete per tutta la ff
e credo in particolare
per questo capitolo: Non
me la sono sentita di alzare il raiting a rosso per dare a tutte le
persone che avevano seguito "Rinascere" la possibilità di
leggere questo seguito ma
le tematiche trattate saranno
pesanti e delicate e dunque non adatte a
tutti. Vi
prego di
chiudere la pagina e di non leggere se non ve la sentite o vi ritenete
particolaremente sensibili, se insomma la cosa non vi va bene.
Confido
nel vostro buon senso.
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Capitolo
11
Il
passato è sulla porta di casa. Il futuro è in
arrivo.
Talia
quando si era svegliata quella mattina si era stiracchiata per
permettere al torpore di abbandonare i muscoli dopo un lungo sonno, si
era svegliata sorridendo e pensando che Antares sarebbe tornata e che
Febe avrebbe cucinato qualcosa di buono per tutte, guardando fuori
dalla finestra aveva messo il broncio perchè pioveva a
dirotto,
"pazienza", si era detta risoluta, " troverò il modo di
trascinarle ugualmente per negozi". Già dal mattino sapeva
come
sarebbe andata la loro giornata. Dovevano intanto comprare un mucchio
di cose per il bambino - o bambina, questo ancora non lo sapevano- di
Febe e poi avrebbero fatto una maratona di vecchi film. Tutto
programmato, tutto bello e perfetto. E allora perchè era
andata
diversamente? Perchè per l' ennesima volta si ritrovava tra
le
quattro mura di un ospedale con i genitori di Antares che discutevano
con i medici se portarla al reparto di psichiatria o meno e con Febe
terrorizzata in sala parto? Che ci facevano lì loro, proprio
loro? No, c' era uno sbaglio, non doveva andare
così. "Destino,
ehi, ascoltami", avrebbe protestato, "c' è uno sbaglio! Noi
non
dovremmo essere qui! "
E invece tutte quelle proteste erano solo nella sua testa. Con chi
poteva lamentarsi?
Solo un attimo, solo un attimo si era sentita al sicuro, quando aveva
incrociato i suoi
occhi.
Sentiva Febe piangere e gridare. Salvate il mio bambino, diceva. Talia
ebbe di nuovo paura, aveva perso il conto per tutte le volte che ne
aveva avuta per quella sera. Si tappò istintivamente le
orecchie, non ce la faceva a sentire le urla di Febe, il silenzio di
Antares. Tutto questo la scuoteva nel profondo, era come se le loro
emozioni, il loro dolore nascessero dentro di lei e si mescolassero al
suo dolore, come se non ne avesse già abbastanza.
Sentì un tocco leggero sul polso, si voltò e vide
un ragazzo biondo chinato accanto al suo viso. Sapeva chi era, lo
sapeva perfettamente, Shaka di Virgo lo avevano chiamato gli uomini
che erano con lui e che le avevano portate in quell' ospedale, si era
ricordata per un momento di lui e ora se ne ricordava col cuore, con l'
anima, con l' istinto di un ricordo sbiadito e sfumato. La
struttura apparteneva alla
fondazione Kido e Talia ebbe come l' impressione che per i medici e le
infermiere dell' enorme clinica fosse tutto sommato ordinario vedere
nei loro corridoi dei ragazzi che si trascinavano dietro enormi casse
dorate. Lasciò istintivamente che la mano del
ragazzo allontanasse le sue dalle orecchie, lo vide accomodarsi
compostamente al suo fianco.
Cosa avevano fatto di male? si domandò Talia.
-Cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo?- glielo chiese, proprio
a lui, ad alta voce, piangendo.- Cosa?!- ripetè prima di
alzarsi
di scatto e correre verso le porte della sala in cui si trovava Febe,
ci appoggiò la fronte, l' orecchio. La sentiva ancora
gridare e
si chiese se avrebbero mai saputo il sesso del bambino, Febe ne sarebbe
morta, ne era certa e lei non lo avrebbe sopportato.
Shaka andò lentamente verso Talia, la prese delicatamente
per le
spalle facendola allontanare:- Non è un bene che tu stia qui.
-Tanto le sento lo stesso. Le sento entrambe- aveva
detto senza
smettere di piangere, con stizza- Antares non è pazza!-
aveva urlato poi
verso i genitori dell' amica.
Uno dei medici si fece avanti:- Signorina, nessuno di noi ha detto che
la sua amica lo sia, ma è innegabile che abbia subito un
forte trauma e
noi qui non possiamo fare nulla, adesso bisognerà affidarci
ai
colleghi del reparto di psichiatria.
-Lei non la conosce, non può dire questo! Antares
è
forte! E' dannatamente forte e ci vuole bene e sa perchè si
riprenderà? Lo sa? Perchè ci ama,
perchè per lei sarebbe un dolore vederci star male per lei,
ecco
perchè. Perchè deve vedere il suo nipotino o la
sua
nipotina, perchè, cazzo, quel bambino nascerà!
Nascerà!
L' uomo aveva fatto cenno ad alcuni infermieri di far allontanare la
ragazza mentre il cavaliere di Virgo assisteva impotente alla scena, si
fece avanti, ancora una volta, ancora una volta l' uomo più
vicino agli dei si avvicinava al mondo degli uomini, quello
più
marcio e doloroso, prendendo la mano di una ragazza.
-Urlare non farà nascere il figlio di Febe nè
rinsavire Antares.
-Starò meglio
-No, trasmetti tensione a chi ti sta intorno, alimenti il dolore che
già ti divora dentro. Controllalo, non farti mangiare.
E Talia si era seduta ed era rimasta in silenzio. Si alzava
regolarmente ogni ora per andare a vomitare il suo nervosismo, il
panico e la paura nel bagno, per il resto piangeva e
aspettava. Quello è Alex, si disse a un certo punto
guardando il
ragazzo che parlava con i genitori di Antares. E quello nella sua
stanza, quello che le stringe la mano, realizzò,
è Saga di Gemini.
Antares nei giorni trascorsi in famiglia aveva avuto modo di
riallacciare nuovamente i rapporti con Alex. La loro amicizia,
nonostante i lunghi mesi di silenzio, sembrava essere ancora solida.
Parlavano senza imbarazzo e senza imbarazzo Alex le regalava grandi
baci
sulle guance e abbracci che la tenevano al caldo, una volta le aveva
anche preso la mano e avevano passeggiato così, come se tra
loro
ci fosse qualcosa di più di un' amicizia ripresa da meno di
un
giorno. I genitori di Alex avevano cenato a casa sua e tutto sembrava
così giusto, così perfetto. Tutti andavano d'
accordo con
tutti e le loro madri avevano ricominciato con i classici discorsi in
cui speravano di vederli insieme. Antares aveva sentito volare paroloni
come consuocere, abitare vicino a loro e termini affini. Lei a quella
roba
non ci pensava proprio, doveva laurearsi prima e magari trovare un
lavoro, e sì, forse anche qualcuno da amare. La ragazza
doveva
ammettere che tutti quelli che conoscevano lei e Alex in quel paese
avevano
sempre pensato che prima o poi si sarebeo messi insieme, poi quell'
idea
era sparita quando si erano allontanati negli ultimi mesi di liceo e
infine all' università. Nonostante entrambi fossero andati
ad
abitare ad Atene e Alex studiasse medicina, non troppo lontano dalla
facoltà di Antares, non si erano mai visti nè
sentiti
prima di quel giorno. E allora tutto sembrava essere ricominciato.
Antares aveva creduto di essere ancora innamorata di Alex, ammesso che
amore
poteva definire quella strana cotta che si era portata dietro per anni,
a scuola, e invece era sorpresa perchè quel sentimento
sembrava
essere sparito, sbiadito,
lontano. Si cresce, si era detta, è normale. Non le batteva
più forte il cuore ogni volta che lui la abbracciava o le
parlava, non si sentiva al settimo cielo se la guardava e le sorrideva.
-Ann, mi dispiace se in tutti questi mesi non mi sono più
fatto
sentire- aveva iniziato Alex un giorno stringendole forte la mano- ma
dovevo cercare di capire. Il nostro rapporto è sempre stato
in
bilico, non era amicizia, non era amore. Dovevo capire. Ann, tu mi hai
aspettato?
Antares aveva aggrottato le sopracciglia, non capiva:- Che intendi
dire, scusa?
-So che sei stata innamorata di me- aveva inziato il ragazzo prima che
Antares lo interrompesse brusca.
-Io non mai detto di essere innamorata di te.
Alex aveva sorriso, malizioso:- Si vedeva Ann. Ogni volta che
litigavamo mi cercavi anche se ero io quello in
torto, venivi tu da me quando non volevo uscire, diventavi tutta rossa
se ti abbracciavo...
- In pratica ero il tuo cane- concluse Antares con ovvietà-
Alex, ero una ragazzina stupida... e idiota. Hai mai sentito da me
testuali parole: ti amo? Ti ho mai detto "sono innamorata di te"? No, e
non l' ho fatto
perchè non lo sentivo.
-Cazzate Ann, sei stata tu a dirmi "meglio se ci allontantiamo per un
poco perchè non ce la faccio così",
perchè non ce
la facevi a sentirmi parlare di Elena, ecco perchè- si
inalberò il ragazzo- E' assurdo, neghi l' evidenza.
-Cotta, si chiama cotta e ti avverto, mi stai facendo incazzare. Arriva
al punto.
-Con te non si può mai parlare- aveva sospirato Alex-
comunque mi piaci, Ann- aveva aggiunto- ora sono pronto.
Antares si era azata dalla panchina su cui si trovavano:- E allora no,
Alex, non ti ho aspettato, non ho aspettato che tu fossi pronto.
Alla fine era comunque rimasta quasi una settimana lontana dalle
ragazze perchè in fondo si stava bene a scappare dal dolore.
In
quei mesi i capelli stavano riscrescendo, ora le arrivavano alla base
del collo ma soprattutto proprio in quei giorni erano ritornati rossi e
questo lo doveva a sua madre che aveva insistito per portarla dal
parrucchiere
e poi doveva anche ringraziare suo padre perchè aveva
trovato i
sonniferi e tutte le pasticche che prendeva e l' aveva trascinata dal
medico.
-Non prenderai più questa roba. All' inizio non
sarà
semplice ma non la prenderai più perchè se lo
farai me ne
accorgerò e allora Antares non rivedrai più
Atene, nè Febe, nè Talia- aveva detto il
generale. Ottimo
deterrente, concluse la ragazza.
Quando era tornata a casa era pronta a ricominciare per davvero, era
convinta che nessuna di loro si sarebbe fatta distruggere dal dolore e
i suoi capelli, i suoi adorati capelli, quelli che aveva tagliato e
rovinato, che aveva tinto come la pece, erano rossi. Brillavano e ne
andava fiera, non sapeva perchè. Eppure quando sembravano
pronte
per rialzarsi qualcosa le aveva
buttate di nuovo a terra. Stavano guardando un film alla televisione,
era piuttosto tardi e Febe aveva
approfittato di uno stacco pubblicitario per alzarsi, era ritornata
portando una busta e mostrando loro l' interno, aveva letto ad alta
voce cosa vi era scritto e allora il film era finito nel dimenticatoio
per lasciare posto a una serie di dubbi.
-Questa è la scrittura di Talia- aveva detto Antares- ti
avrà fatto qualche scherzo.
-E la foto?- aveva chiesto la mora
-Un fotomontaggio. Oggi si può fare di tutto al computer
-Ann- aveva esordito Talia- me lo ricorderei se avessi fatto uno
scherzo così. E poi se è come dici,
perchè queste
cose si trovavano in una scatolina nascosta? Non ha senso.
-Ci sono un sacco di cose che non ci ricordiamo- aveva borbottato la
rossa per giustificare la sua tesi
-Questo non è un montaggio, lo so, lo capisco... insomma, me
ne
intendo di foto, no? E questo vi assicuro che non è un
montaggio.
Sia Talia che Antares -la seconda suo malgrado- avevano dovuto
ammettere che quella foto non gli era del tutto indifferente, che,
esattamente al centro del cuore avevano sentito un' emozione strana, di
quelle emozioni che sono tutto e sono niente, a cui non sai dare un
nome e che si ripercuotono interamente su di te, sul tuo corpo, magari
facendo accellerare il cuore e pulsare la testa, e poi sulla mente che
inizia a provare quella sensazione di frustrazione per cui sai che
manca qualcosa, la tessera di un puzzle; che un dettaglio, un ricordo,
qualcosa insomma, sfugge al tuo controllo razionale, alla tua memoria.
E' un ricordo nascosto, è presente nell' archivio della tua
testa ma non hai la più pallida idea del cassetto in cui
cercare. E in effetti per quella sera non ebbero neppure il tempo di
cercarlo quel benedetto cassetto, erano andate a dormire forti della
filosofia che la notte porti consiglio e invece si erano ritrovate
qualcuno che le afferrava malamente buttandole giù dei
propri
letti e trascinandole in salotto, verso l' entrata. Talia aveva
rigettato tutto quello che aveva mangiato sul tappetto mentre Febe
scivolava in un angolino, come se volesse sparire aveva abbracciato
sè stessa, aveva cercato di nascondere il pancione. Antares
era
terrorizzata, come tutte, era rimasta ferma al centro della stanza e lo
guardava, guardava Andrea e
il suo amico e non sapeva che diavolo fare.
-Paura, eh, bastarda?- aveva esordito il ragazzo- Guarda.- aveva
aggiunto alzando una pistola scura sotto il suo naso- lo sai cosa
è questa? Certo che lo sai. Fa paura vero?
Antares spostò lo sguardo da Andrea alla pistola,
dalla pistola ad Andrea e si pentì per quello che aveva
fatto in
discoteca. Forse se si fosse limitata a scappare con Talia tutto quello
non sarebbe successo. Fissò un' altra volta il
ragazzo,
"non guardarmi" aveva urlato prima di colpirle il mento facendola
cadere a
terra.
-Ector- chiamò poi spostandosi verso Talia e accarezzandole
lascivamente la gamba- questa è la puttana che non ha
venduto la
tua droga. Fanne quello che vuoi, ti risarcisco con i suoi servizi.
E Talia, che si era spostata all' improvviso da quel tocco andando a
sbattere contro il pianoforte a parete alle sue spalle, si era sentita
di nuovo
sporca, di nuovo colpevole, di nuovo una merce di scambio. Che qualcuno
le aiutasse, che qualcuno le aiutasse, urlò nella sua testa.
Si
voltò di scatto non appena sentì il pianto di
Febe, sembrava ancora più piccola e indifesa in quello
stato. La
sentirono anche i due uomini, si spostarono verso di lei e Talia
coprì i pochi passi che le separavano per mettersi davanti
all'
amica -e al piccolo- tremando come una foglia e completamente impotente
ma decisa a non spostarsi da lì.
-Quella è incinta- disse l' altro ragazzo con una smorfia-
è inutile. Per ora la chiudiamo nello sgabuzzino.- Aveva
dato
uno schiaffo a Talia facendole battere la testa contro il muro, senza
riguardo aveva costretto Febe ad alzarsi afferrandola per il braccio e
spingendola dentro il ripostiglio delle scope, la porta si era chiusa
ed
era rimasto solo buio, dall' altro lato poteva sentire i rumori, le
voci, il dolore. La ragazza portò le mani al pancione,
doveva
scegliere se mettere le mani sul ventre oppure sulle orecchie per non
sentire e scelse suo figlio. Lo accarezzò, lo
tranquillizzò o almeno ci provò e
tentò di trarne conforto a sua volta. Era
terrorizzata, tremava; tremava, piangeva a dirotto e alla fine
pregò. Però aveva paura di tutto quel buio, di
tutto quel
rumore, aveva paura di perdere quello che le restava.
Andrea era ritornato da Antares:- Occupati della bionda mentre io
regolo i conti con questa.
La ragazza aveva visto Ector trascinare Talia verso una delle loro
stanze.
-Ti ammazzo!- aveva urlato stridula girandosi verso di loro e cercando
di
seguirli se non che Andrea la afferrò per i capelli e le
fece
sbattere violentemente il viso contro il pavimento:- Ma allora non hai
capito, sei scema. Non potete
fare un cazzo! Cos' è? Vuoi fare la voce grossa, ti senti
una tigre e invece sei una gattina, la mia schiavetta.
Andrea l' aveva fatta mettere in ginocchio, era dietro di lei e le
puntava la pistola contro il fianco, la ragazza stava impazzendo di
dolore, ebbe come l' impressione che un grosso livido le si stesse
formando rapidamente sulla fronte, sentiva il naso pulsare e il calore
del sangue che le riempiva le narici prima di colare sul
pavimento, c' era così tanto rosso che giurò di
sentirlo
attraversare gola, riempire i polmoni, riversarsi ovunque; le
doleva il mento e aveva quasi l'
impressione di non poter parlare e capelli, i suoi capelli, quelli che
brillavano, l' unica cosa di sè di cui andava orgogliosa.
Non
aveva mai sopportato
granchè il dolore eppure aveva fatto a botte un sacco di
volte,
eppure erano ormai due anni che tirava pugni su di un ring di boxe.
Però il dolore non lo sopportava, cercava di imporselo,
imporsi
di sopportare ma in realtà aveva una soglia del dolore
piuttosto
bassa.
Sentì dei colpi provenire dallo sgabuzzino, Andrea si era
alzato
deciso a farli smettere. Ti tengo sotto tiro, l' aveva avvisata
camminando
verso il ripostiglio senza mai darle le spalle.
E allora era stato un attimo, si era ricordata del fermacarte nel
cassetto del mobile accanto a lei, Andrea si era girato un secondo,
solo uno e allora lei era stata veloce, lo aveva preso dal cassetto, si
era abbassata
e aveva corso i pochi passi che la separavano da lui. Quell' idiota l'
aveva vista,
aveva sparato, ma Antares gli era comunque addosso, aveva dato una
spinta con il
piede alla porta del ripostiglio, immediatamente un colpo al cuore
dell' uomo sotto di lei e infine aveva visto il braccio di Andrea
allentarsi, la pistola cadere per terra ma per lei non era abbastanza.
Il rumore della pistola aveva attirato l' altro ragazzo, nello stesso
istante la porta di casa si spalancò e tre figure vestite d'
oro
fecero risplendere la stanza, o almeno fu quella l' impressione che ne
ebbe Antares.
Nei giorni precedenti la dea Atena e il Pontefice avevano inviato la
maggior parte dei santi d' oro in giro per il mondo alla disperata
ricerca di notizie su Demetra e Kore. La dea per quel momento aveva
deciso di mettere al corrente della delicata situazione solo la casta
più alta del tempio in modo da evitare allarmismi
-benchè
giustificati- ed impedire a possibili nemici di trovare anche una falla
minima all' interno del sistema del santuario. Nonostante le
esortazioni della Glaucopide Camus era rimasto ostinatamente fermo
negli Inferi, mentre osservava Sophia pensava che doveva trovare una
soluzione, una soluzione veloce magari. Non poteva permettere il
coinvolgimento delle senshi, in realtà di sua
sorella, nè che
Antares facesse la fine della guerriera di Mercurio o che il loro
futuro fosse buttato alle ortiche. Aveva avuto
un' unica certezza alla fine della guerra passata, ovvero un futuro di
pace, con Milo e sua sorella; pace per tutti, pace per l' intero
sistema solare. E ora i suoi parigrado volevano chiedere l' intervento
delle senshi, un intervento magari inutile e che avrebbe significato
contravvenire al
veto di Pluto e che poteva cambiare tutto. Tutto. Loro dicevano che l'
avvenire era già stato modificato, lui quella
possibilità
invece non voleva nemmeno prenderla in considerazione.
-Stupidi- borbottò Camus all' indirizzo degli altri gold
saints e di uno in particolare.
Antares era l' unica famiglia che aveva, l' unica di cui ricordasse
qualcosa, l' unico affetto avuto per un breve periodo della sua
infanzia. Ricordava tutto di lei. Ricordava che quando sua mamma gli
aveva detto di aspettare un bambino aveva messo il broncio, che quando
l' aveva vista per la prima volta aveva pensato a quanto fosse brutta,
che era caduta dal seggiolone e lui l' aveva presa con le sue braccine
ancora piccole e corte, che le aveva regalato orgoglioso Koko, un
coniglio di peluche, che ogni notte quella cosina così
simile a
lui sgusciava nel suo letto tirandosi addosso tutte le coperte e
aggrappandosi al suo collo.
Cosa credevano? Che l' idea di non rivederla più gli
sorridesse?
Che non fosse preoccupato per lei? Aveva visto che era pallida e
sciupata, aveva visto e non aveva potuto fare niente.
-Stupida Sophia- ringhiò- alla faccia della sapienza.
Tsè... mandare tutto a puttane per quell' idiota di Cancer.
E mentre Camus studiava Sophia giù agli Inferi, Milo e
Aiolia
tornavano da Delfi con il responso della Pizia, Kanon ripartiva
nuovamente per la magione dei Cavendish per parlare della cosa con la
Viverna, Shura e Alcesti ritornavano ad Eleusi e Mu, Aldebaran e Aiolia
scandagliavano l' Europa e l' Asia minore alla ricerca di notizie sulle
dee. Il santuario in quei giorni era particolarmente noioso e
solitario, la casa dei Gemelli a Saga sembrava infinitamente triste e
silenziosa senza la presenza rumorosa del fratello. Il maggiore dei
gemelli non faceva a meno di stupirsi per il comportamento di Camus, un
gold saint fuggito agli Inferi gli sembrava una barzelletta e
probabilmente avrebbe anche riso se la situazione in cui si trovavano
non fosse stata così assurda. Dormiva più o meno
tranquillamente quando Shaka di Virgo fece la sua placida irruzione
nella sua stanza da letto. Non che non avesse percepito il suo cosmo
nonostante il sonno in cui era caduto ma non vedeva perchè
avrebbe dovuto alzarsi dal letto. Il cosmo di quel cavaliere da quando
lo conosceva non era mai mutato di una virgola, sembrava che nessuna
emozione potesse penetrarvi, che riuscisse a separare l' energia del
suo cosmo dai suoi sentimenti, ammesso che il Budda si permettesse il
lusso di provarli. Solo Ikki di Phoenix e solo durante il loro
combattimento durante l' ultima guerra contro Hades aveva giurato di
percepire qualche vibrazione insolita, un po' come un sassolino nell'
acqua, così piccolo e in grado di produrre delle onde
sottili e
di breve durata. Però c' erano, il sassolino le onde le
creava. E quella
notte, quando Shaka aveva aperto la porta della sua stanza pregandolo
con voce calma di alzarsi, aveva giurato di percepire un paio di quelle
onde, un cambiamento lieve, quasi invisibile.
-Shaka, è strano vederti lasciare il tuo tempio e ancora di
più lo è se nel cuore della notte. Che succede?
-Ti prego di alzarti, Saga di Gemini. Temo sia necessario recarsi
immediatamente ad Atene. Ti spiegherò brevemente non appena
avrò convocato gli altri.
Gli altri nella fattispecie erano Aiolos e Milo.
-Shaka, come mai questa urgenza?- aveva domandato Sagitter mentre si
spostavano velocemente verso Atene.
-Posso percepire distintamente ogni cosa- aveva iniziato il ragazzo-
concentrandomi posso sentire emozioni, inclinazioni... e questa notte
ciò che ho sentito è stata molta sofferenza e una
richiesta d' aiuto.
-Shaka, vieni al dunque!- chiese Milo in ansia
-Al tempo Scorpio, l' impazienza non ti sarà d' aiuto. Ho
sentito Talia domandare aiuto per sè e per le sue amiche e
noi
stiamo andando a soccorrerle.
Shaka di Virgo era convinto di essersi distaccato dalle umane cose, in
passato era anche stato convinto di non potere cadere in errore, di
avere estirpato il dubbio da sè, ma gli eventi, iniziati con
la
scalata al tempio di una manciata di ragazzini, gli avevano dimostrato
il contrario. Nonostante la sua presunta superiorità si
trovava impreparato, lui, proprio lui che era
l' Illuminato, a fronteggiare l' altro, quelle debolezze umane che
inevitabilmente lo coinvolgevano nel momento stesso in cui toccavano
chi gli
era caro. Lui personalmente riusciva a distaccarsene totalmente o quasi
ma chi lo circondava no, incapace di vedere, diversamente da lui,
oltre, e incapace di liberarsi delle debolezze. A nulla valeva la sua
sapienza, i suoi consigli spesso richiesti proprio dall' altro, e
dunque poteva solo stare a guardare l' umana distruzione, lui che era
più in alto, lui che era Illuminato. A volte però
era
capitato che questa umanità che sembrava avere scordato lo
coinvolgesse e allora era un fiume in piene da arginare velocemente.
Così era stato con Ikki di Phoenix che gli aveva aperto una
nuova finestra sulle cose, una finestra che si era immediatamente
impegnato a esplorare, capire, superare e innalzarsi ancora una volta e
ancora più illuminato di prima, così era stato
mentre i
traditori salivano le gradinate del tempio, ammirava il loro cuore,
accettava un nuovo sacrificio, scopriva che i cavalieri di Atena di
quella generazione erano in grado di unirsi e combattere come compagni.
E infine c' era Talia, Talia che mesi addietro aveva sconvolto la sua
routine, che aveva messo a dura prova la sua calma con balletti assurdi
e canzoni stonate sotto la doccia. Talia che con il suo dolore lo aveva
colpito come un pugno nel petto. Era un dolore che lo aveva investito,
pressato, schiacciato, gli sembrava quasi di provarlo sulla pelle tanto
era imponente, irriguardoso, avanzava senza curarsi di schiacciare gli
altri. Era un dolore che era paura, paura della morte, paura del dolore
stesso, era un dolore che era preoccupazione, enorme e accorata per le
persone che amava, era senso di perdita per una perdita che c' era
già stata e per altre due che invece ancora non
erano perdita ma
vite attaccate ad un filo. Era questo e molto altro e colpiva, e
feriva.
E poi alla fine era il dubbio. Lo era stato quando lei era caduta verso
il
vuoto e Virgo temette per la prima volta di non farcela, di arrivare
troppo tardi per afferrare il suo braccio e salvarla.
Quando Talia era stata portata nella camera da letto di Febe, la
più vicina all' ingresso in cui era rimasto Andrea, aveva
capito
le intenzioni dell' uomo, non ci voleva poi molto e allora aveva
deciso, scuandosi con Febe, Antares e Sophia era uscita di corsa sul
balcone e giù, si era buttata giù. Bastava
chiudere gli
occhi e concentrarsi sulle persone che amava, ormai avevano perso, non
c' era scampo a quel giorno, non ce la faceva a lottare, ad accumulare
ancora ferite su ferite, tanto valeva concludere con dignità
che
vivere l' inferno sulla terra. E Shaka, mentre salivano le scale verso
il loro appartamento, aveva visto qualcosa - o qualcuno- cadere
attraverso le vetrate che sostituivano la parete da un lato. Aveva
fatto di corsa le scale, in quei pochi interminabili attimi si era dato
fiducia dicendosi che un saint ha il dono della velocità
della
luce, che, nel momento in cui aveva spalancato la porta di un
appartamento sotto lo sguardo stupito e spaventato dei suoi abitanti,
ce l' avrebbe fatta. Si era sporto dal balcone e in quell' esatto
momento Talia aveva sentito una mano che la afferrava per il braccio,
poi aveva visto, aveva visto quella stessa mano coperta d' oro, e poi
sù,
lungo il braccio, la spalla, tutto era oro in lui. Aveva accarezzato
con lo sguardo i capelli biondi
che le solleticavano la fronte e gli occhi azzurri aperti su di lei.
Sorrise fissandolo dimenticandosi del vuoto sotto di lei e
prendendo a piene mani la pace e il conforto della pienezza di quel
viso che le stava sopra, concedendosi alla fine tra le sue braccia il
piacere di un ricordo.
-Shaka?- chiamò Talia uscendo nel giardino della sesta casa
-Oh per Atena...e adesso che vuoi?- chiese il saint afflitto
-Che accoglienza! Comunque volevo darti questo
Talia pose sotto al naso di Virgo una serie di fogli scritti a mano.
-Cosa sono?- domandò perplesso il gold
-Un contratto
-....
-E' un contratto che regolerà la nostra convivenza. Leggilo-
lo esortò piena di buone intenzioni
Passarono i secondi, i minuti e poi un' ora abbondante e Shaka si
ostinava a non girare pagina, fermo alla prima.
-Shaka...e allora?- chiese Talia
-E allora....e allora non si capisce niente, chi l' ha scritto? Una
gallina?
-Sì, l' ha scritto la gallina proprio davanti a te
-Ah. Scusa- disse mortificato il cavaliere
-Non importa, l' ho
scritto di
getto...sai avevo fretta, dovevo accompagnare Dohko per negozi.
Facciamo una cosa, ti propongo un patto, poi se ti va bene, lo
renderemo valido con una stretta di mano- propose la ragazza
-Uhm....ok- capitolò il ragazzo pensando di non avere molte
alternative
E così Talia aveva promesso che sarebbe stata meno rumorosa,
che non
avrebbe più cantato nè sotto la doccia
nè mentre
si vestiva, che sarebbe andata a fare la sua oretta di aerobica
giornaliera nella settima casa, che avrebbe obbedito a Virgo, il quale
a sua volta si impegnava ad essere piu paziente e a spiegarle
ciò che non capiva e infine a chiacchierare con lei almeno
una mezz'
oretta al giorno.
Alla fine del "patto" Shaka tirò fuori dalla tunica una cosa
e la diede alla ragazza
-Cerotti per non russare?!- si meravigliò Talia- Io non
russo!
-Si invece, quando dormi tu mi sembra di avere in casa dieci elefanti.
Se vuoi ti faccio sentire la registrazione- detto questo il santo della
Vergine tirò fuori dalla tunica un piccolo registratore nero
-Che cosa? Mi hai registrata?- domandò Talia offesa
-Mi servivano delle prove- rispose placido Shaka.
-E va bene userò questi stupidi cerotti- capitolò
finalmente la ragazza per buona pace di Shaka.
Milo arrivando disarmò rapidamente l' uomo alle spalle di
Antares mentre Saga si avvicinava cautamente alla ragazza che si
abbandonava ancora una volta contro Andrea. Il gold la
guardò qualche istante coperta di tutto quel liquido rosso
che
sembrava ovunque intorno a lei, il sangue che le usciva dal naso, dalle
mani, si mescolava a quello del ragazzo e non si capiva più
se Antares stesse ferendo lui o piuttosto sè
stessa. Le
prese il polso togliendole dalle mani il piccolo oggetto.
-Basta così- sussurrò facendola spostare contro
di sè. La sentì lamentarsi e toccarsi il fianco.
-Fammi vedere- le impose mentre lei con un no stentato si allontanava
verso Aiolos che tra le braccia teneva una Febe terrorizzata.
Milo le afferrò le spalle.
-Non mi toccare!- urlò cadendo a terra. I ragazzi videro le
pupille degli occhi nocciola dilatarsi, li guardava come se solo in
quel momento avesse acquisito una nuova consapevolezza.
Rapidamente i santi d' oro portarono le tre ragazze all' ospedale della
fondazione Kido. In quei pochi secondi Talia rimaneva in silenzio,
ascoltava Antares a tratti gridare,a tratti singhiozzare frasi
sconnesse e Febe gemere per i dolori del parto imminente.
Febe non avrebbe pensato di partorire in quel modo, in quel giorno.
Forse suo figlio aveva pensato che era meglio sbrigarsi per nascere
prima che fosse troppo tardi, ma lei in quel momento non sapeva se
aveva la forza necessaria per spingere, come dicevano i dottori. La
verità è che si sentiva spossata fisicamente e
mentalmente, tutta la paura e la preoccupazione le avevano
letteralmente succhiato ogni energia. Quando la adagiarono sul letto
della sala parto sarebbe voluta scappare. Non ce la faceva proprio, poi
pensò che però erano salve, nonostante la paura
erano
salve e allora aveva sorriso pensando che adesso le toccava l' ultimo
sforzo per la creatura per cui aveva lottato in quei mesi. Lottato con
i genitori che l' avevano buttata fuori di casa non appena avevano
saputo che aspettava il bambino di un padre sconosciuto. Pensavano che
non volesse dirglielo il nome del padre ma la verità era che
lei
non se lo ricordava proprio e poi aveva dovuto combattere con
sè stessa, con quella parte fatta di dubbi e di paure, con
la
sè stessa debole che credeva di non poter diventare madre e
infine contro la gente che la guardava rimproverandola o compatendola.
Quella notte però era arrivata alla fine della corsa, aveva
temuto di essere arrivata alla fine e basta e in quel ripostiglio aveva
pianto pensando che avrebbe perso suo figlio, pensando alla cattiveria
che c' era dall' altro lato della porta. Un attimo dopo si era
sentita male, aveva sentito qualcosa rompersi e il ventre dolerle e
allora aveva realizzato: il suo bambino aveva deciso di nascere. Aveva
iniziato a sbattere i pugni contro la porta chiusa, poi la luce fioca
del soggiorno, uno sparo e la porta che si richiudeva. Aveva visto di
nuovo tutto buio e pensando al peggio era stato il panico e la paura,
il
cuore pompava veloce nel petto e i polmoni si muovevano annaspando alla
ricerca d' aria che non percepivano in respiri brevi e secchi, un
groppo in gola le impediva di urlare, le lacrime si bloccavano sugli
occhi. Non poteva finire così, aveva pensato, aveva un
bambino
da far nascere e da crescere prima che tutto finisse. Un bambino.
Bambino, aveva ripetuto nella sua testa. Bambino, era il suo primo
pensiero in quei momenti di paura. Poi finalmente qualcuno aveva aperto
quella dannata porta tirandola
fuori. Si era calmata solo quando aveva visto Talia e Antares
nonostante non riuscisse a capire cosa avesse l' ultima. Nella sala
operatoria i medici avevano iniziato a parlare di complicazioni, non
aveva capito niente, lei, solo che qualcosa stava impedendo a suo
figlio di respirare bene, che il piccolo si trovava in una posizione
anomala.
Aveva gridato:- Salvate lui!- era un ordine, un appello perentorio e
disperato. Non le importava di morire, Antares e Talia avrebbero
cresciuto suo figlio, lo avrebbero fatto bene, lo avrebbero fatto per
lei, ne era sicura, si fidava. Se in quell' istante le avessero
proposto di morire al posto di suo figlio avrebbe accettato senza
esitazioni, avrebbe accettato l' inferno per quella creatura. Erano
passate ore, ore trascorse a lottare anche quando non ce la faceva
più e alla fine era scoppiata a piangere. Di
felicità,
perchè aveva sentito il vagito di un neonato; alto, forte,
poderoso, stava urlando al mondo di esistere, gridava "eccomi, sono
qua, ce l' ho fatta. Ho vinto!"
Il medico guardò l' orologio:- Sono le 02:45 del 12 Gennaio,
signora, è nato un bel maschietto-
Febe iniziò a ridere, a piangere e a ridere
perchè suo figlio era già un eroe.
Nella sala d' attesa tutti tirarono un sospiro di sollievo, Talia si
buttò addosso a Shaka urlando "è nato! E' nato!"
per poi
sgattaiolare veloce nella sala da parto e ridere con Febe. Mancava solo
Antares e ovviamente Sophia.
Shura e Alcesti avevano trovato alloggio in un albergo ad Eleusi e
ritornati dal tempio si erano seduti a parlare nella stanza del ragazzo.
-Dobbiamo trovare il modo di aggirarci indisturbati nel santuario-
aveva esordito Alcesti
-Credi che Iambe ci nasconda qualcosa?
-Questo non lo so e non credo ne avrebbe motivo ma mi sembra assurdo
che non sappia dove sia Demetra, la accompagna da una vita! Dovremmo
partecipare ad uno dei riti.
-Starai scherzando...
-Affatto. E' una buona idea invece.
Shura si distese sul letto allargando le braccia, quella sera si
sentiva particolarmente stanco, quella Iambe era un osso duro, o
parlava troppo e di cose inutili o si chiudeva nel più
ostinato
silenzio. Alcesti gli si avvicinò stendendosi al suo fianco.
-Mi ricordi qualcuno- ammise poggiando la testa sulla mano fissandolo.
Il ragazzo non parlava, imbarazzato da quella vicinanza eccessiva, dal
suo profumo che gli entrava nelle narici desiderandone di
più,
Alcesti allora ne approfittò per continuare- qualcuno che ho
amato molto, Shura.
Si protese ulteriormente rotolando delicatamente su di lui, gli
afferrò il viso tra le mani e lo baciò. Il saint
guardò con la coda dell' occhio l' orologio sul comodino un
po' per indecisione e un po' per pensare a qualcosa di diverso dal
corpo di Alcesti, segnava le 2: 45,
mancava poco più di un quarto d' ora alle tre e la notte era
ancora lunga. Nella sua testa rimbombarono le ultime parole di Alcesti
nella notte precedente.
"Le
incertezze nei sentimenti difficilmente hanno ragione d'
esistere, soprattutto nei sentimenti d' amore. O si ama o non si ama.
Soddisfa il tuo desiderio se è ciò che
vuoi."
Poi
Shura decise di non pensare più.
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ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, spero che non vi dispiaccia un capitolo
così lungo ma mi sembava un peccato dividerlo a
metà, avrebbe perso molto. Ci tengo a dire una cosa a
proposito delle note iniziali. Io non credo che questa storia necessiti
di raiting rosso, leggendo cosa indica il raiting arancione mi sembra
che vada bene per questa ff, anche per questo motivo, sebbene avessi in
mente scene più forti, non le ho messe, proprio per cercare
di mantenermi nella fascia arancione, per rispettare il raiting che ho
messo, tuttavia ci tengo a ricordare ogni tanto la premessa
perchè credo che ognuno di noi abbia una
sensibilità diversa, questo è tutto. Non so dare
un giudizio su questo capitolo, di certo incastrare i vari punti di
vista della stessa situazione o comunque dei suoi diversi momenti non
è stato semplice e ancor di più farlo con l'
occhio dei saint, dunque come sempre mi affido a voi.
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Capitolo 11 *** 10. Voglio chiamarti Cheiron ***
.c.11
Capitolo
11
Voglio
chiamarti Cheiron
Il cellulare iniziò a squillare con insistenza, Shura si
rigirò nel letto affondando la testa nel
cuscino, prima o
poi avrebbe smesso, ma a un giro di squilli ne seguì un
altro.
Accese la lampada sul comodino fissando accigliato l' orologio che
segnava appena alle 4:30 del mattino, pensò ad un' emergenza
e si
alzò rapidamente dal letto cercando di individuare il punto
da
cui proveniva il suono e finalmente lo trovò sotto il
maglione
gettato malamente sul pavimento.
-Pronto
-Shura...
-Aiolos! Aiolos,
che diavolo è successo?
-Shura- dall'
altro lato del
telefono si sentì un attimo di silenzio, poi un sottofondo
di
voci tra cui riconobbe quelle di Milo e Saga.
-Aiolos!
-Shura, ascolta,
Febe ha avuto un... un bambino.
Il saint
crollò a
sedere sul letto, incredulo. Di chi diavolo era quel figlio? fu la
prima cosa che si chiese, e per un attimo sentì del
risentimento
nei confronti della ragazza perchè si era scordata di lui,
non
solo aveva conosciuto un altro ma ci aveva anche fatto un figlio.
Non
può essere, idiota,
gli disse la parte più razionale di sè, i tempi
non
coincidevano, non vedeva Febe da sei mesi quindi...
-Era
già incinta quando se ne è andata-
soffiò.
Si sentiva
dannatamente
intontito, non era pronto. Insomma, qualsiasi uomo ha nove mesi di
tempo per prepararsi, lui invece riceveva una telefonata, una stupida
telefonata e gli dicevano che era padre, perchè ormai non c'
erano grossi dubbi, il bambino era suo.
-Shura? Shura ci
sei?
-Sì
-Tutto bene?
-Non troppo, a
dire il vero.
-Forse dovresti
venire in ospedale. Non è nato da molto.
-Qu-quando
è nato?
Aiolos diede un'
occhiata
veloce all' orologio:- Sono le 4:30... intorno alle 02:45, neppure da
due ore- e Shura sentì Aiolos sorridere.
-02:45-
ripetè in trance- 02:45... nemmeno due ore. Mi sono perso la
nascita di mio figlio
-Non è
tardi per recuperare, è andato tutto bene, Febe e il piccolo
stanno bene
-E' un maschio
-Sì,
è un maschio.
-Un nome ce l' ha?
Aiolos rimase un
momento in
silenzio, spostò il peso da una gamba all' altra:-
Sì ce
l' ha- confermò e Shura pensò che non aveva
partecipato
neppure a quello, neppure a dare un nome a suo figlio. La piccola Febe
aveva fatto tutto da sola, a quanto pare era cresciuta molto in quei
mesi. E lui non c' era stato, non aveva potuto esserci, nè
per
lei, nè per il bambino e soprattutto si era dimenticato di
lei.
Nella notte in cui era stesa sul letto di una sala operatoria per far
nascere il loro bambino, nella notte in cui suo figlio nasceva, lui se
la spassava con la sacerdotessa di Kore.
-Dimmelo, no?-
domandò bruscamente
-Si chiama Cheiron
Ci fu un attimo
di silenzio, un attimo per riflettere ancora:-Ci sentiamo dopo-
Shura chiuse
bruscamente la
telefonata e iniziò a rivestirsi, quando si girò
vide
Alcesti che lo guardava in silenzio. I movimenti del Capricorno erano
nervosi, frustrati, rapidi.
-Dovresti sfogare
in qualche modo il tuo malessere.
-Già e
per farlo, per sfogarmi come dici tu, sono andato a letto con una
sconosciuta e mi sento uno shifo, sai?
Alcesti si
alzò e Shura
se la vide così, seminuda di fronte a lui. Avrebbe voluto
coprirla, gli faceva ribrezzo lei e il suo corpo, gli faceva ribrezzo
persino sè stesso:- Non dire sciocchezze, sei venuto a letto
con
me perchè volevi, perchè mi desideravi. Non
cercare
scusanti per alleggerirti la coscienza!
-Mi sento male lo
stesso. Mi
sento male perchè per loro non ci sono stato,
perchè lei
era lì, in ospedale e io nel letto di un' altra.
Perchè
mio figlio si chiama Cheiron. Cheiron!- urlò il ragazzo-Sai che vuol dire? Lo
sai?!
-E' il centauro-
disse con calma Alcesti
-Il
più saggio e giusto,
così meritevole da essere onorato da Zeus in persona che lo
collocò tra le stelle, come costellazione del Sagittario.
Shura aveva
serrato la
mascella, i pugni così stretti da dolergli, avrebbe voluto
abbandonare il suo proverbiale autocontrollo e distruggere tutto invece
respirò, afferrò il cappotto e uscì
dalla stanza.
Cheiron. Suo figlio che era anche del suo stesso segno zodiacale, si
chiamava Cheiron. Perchè diavolo si chiamava Cheiron?
Febe aveva chiesto ad Aiolos di farle visita nella sua stanza poco dopo
la nascita del bambino, non vedeva l' ora di farglielo vedere. Ne
era orgogliosa, era orgogliosa di quel suo piccolo tesoro. Il saint di
Sagitter era luminoso anche senza quell' armatura dorata che gli aveva
visto addosso poche ore prima, Febe allungò il braccio verso
di
lui afferrando la sua mano nella propria, ben più
più piccola
e più chiara, con l' altro braccio teneva il bambino accanto
a
sè, attenta a non fargli del male. Gli occhi della ragazza
si
fissarono sulla figura del saint:- Le devo la vita, le dobbiamo la
vita- precisò, si sentiva immensamente riconoscente a quell'
uomo dal sorriso gentile, così grata da non sapere come
dimostrarglielo e allora cercò di trasmettergli il suo
calore,
il suo grazie immenso e grandissimo, stringendo la sua mano- Grazie!
Grazie!
Aiolos si passò una mano tra i capelli, imbarazzato:- Non
devi ringraziarmi, davvero, non è necessario.
-Oh sì invece, lo guardi- aggiunse lasciando la presa e
allungando il piccolo verso di lui- lo prenda, guardi. E' un miracolo.
Lo, so, per ogni madre il proprio figlio è un miracolo ma
lui lo
è davvero, non sa quanto ha dovuto combattere in tutti
questi
mesi... e ha combattuto ancora, fino all' ultimo, per poter nascere.
Non so perchè lo abbia fatto, non lo so davvero
perchè in
fondo credo che lui sentisse tutto, tutto quanto. Non siamo state molto
fortunate in questi mesi, abbiamo vissuto tante sofferenze, io e le mie
amiche e lui con noi, ne sono certa. Però ha lottato, ha
voluto
esistere e lei lo ha aiutato ad esistere, signore.
Aiolos prese il bimbo tra le braccia e iniziò a cullarlo
pensando che forse era lui a dover ringraziare Febe, perchè
davvero quel piccoletto era bellissimo, un miracolo davvero, come
diceva lei.
-Non chiamarmi signore, non darmi del lei. Mi fai sentire vecchio, non
lo sono- sorrise sedendosi sulla poltrona al suo fianco continuando a
cullare il bimbo.
-Scusi... scusa. Io sai, credo di averla vista un' armatura come la
tua. L' ho vista e ora lo so, voi esistete
-Noi, esistiamo?
-Sì, voi... voi... gente vestita con delle armature dorate.
Ho
una foto in cui ci siete voi e noi, io, Antares, Sophia e Talia ma
onestamente ho delle difficoltà a ricordare come
ciò sia
possibile.
Il saint di Sagitter pensò che era impossibile che loro
avessero
una foto di quel periodo, non doveva essere così, Pluto
aveva
cercato di eliminare ogni cosa, ogni oggetto che le legasse al
santuario e allora qualcosa doveva essere andata storta. Si
ricordò le parole di suo fratello, la Pizia aveva detto che
certe decisioni avrebbero avuto ripercussioni sul futuro
quindi se
le senshi avessero deciso di tenere una foto, allora è
probabile
che prima o poi si sarebbero comunque ricordate dei saint e di Atena
anche senza il loro intervento diretto. Era tutto terribilmente
complicato. Il bambino dormiva placidamente tra le sue braccia,
bisognava assolutamente telefonare a Shura, in teoria il padre era lui.
-Hai già deciso il nome?- domandò all' improvviso.
Febe sorrise:- Ci ho pensato a lungo, tanto, tanto a lungo. Talia e
Antares in questo periodo mi hanno proposto bizzeffe di nomi,
ma ho deciso solo questa notte. Ho bisogno che tu mi dica una cosa.
Sulla tua cassa ho intravisto un centauro, è il Sagittario
vero?
Il tuo segno è il Sagittario?
Aiolos annuì impercettibilmente.
-Lo avevo capito, quando ti ho visto, non so perchè, ma l'
ho
capito. Mio figlio si chiamerà Cheiron e sai
perchè,
perchè Chirone era il più giusto e saggio e buono
tra
tutti i centauri. Ha rinunciato alla sua immortalità, sai,
per
donarla a Prometeo. E tu sei buono e giusto e saggio... come Cheiron-
sorrise contenta-
Voglio che mio figlio cresca così e voglio che il suo nome
onori
l' uomo che lo ha salvato.
Aiolos si sentì imbarazzato e onorato al tempo stesso,
orgoglioso
di quel bambino ma non poteva permettere che il suo nome ricordasse
lui, il Sagittario. Non doveva essere così. Il suo nome
doveva
ricordare un altro uomo, leale e fedele, il più fedele tra i
santi alla dea.
-Non posso, non posso accettare Febe. Non è giusto, questo
bambino ha un padre di cui essere fiero, te lo assicuro.
-Mi ricordo di una sola persona in questi giorni, una persona ricoperta
di oro come te e mi ricordo tutto ciò che ho provato con
questa
persona, cosa ho sentito e mi ha trasmesso e se è lui il
padre
di mio figlio, allora sì, so che questo bambino
può
esserne fiero ma voglio ugualmente esserti riconoscente. Se tu non ci
avessi tirato fuori in tempo da quel ripostiglio, il mio piccolo
Cheiron non ci sarebbe mai stato, non avrei mai dovuto scegliere un
nome per lui. E allora si chiamerà Cheiron, mi dispiace-
pigolò a voce bassa, rammaricata.
-Non devi scusarti affatto, sono onorato. E' un onore grandissimo, te
lo assicuro, non devi fraintendere... sono felice.
Antares sentiva il bip bip degli strumenti al suo fianco, i muscoli
intorpiditi come se avesse dormito per giorni e poi aprendo lentamente
gli occhi, l' oscurità più completa fu sostituita
da una
luce biancastra, non forte ma abbastanza da infastidirla. Le sue narici
captarono puzzo di disinfettante e di ospedale, una stanza con le
pareti metà blu e metà bianche e le poltrone di
uno
smunto turchese, strani apparecchi attorno a lei e uno di quegli
armadietti grigi e allungati. Bleah, aveva sempre odiato gli ospedali e
soprattutto le iniezioni. Ricordava che ogni volta che doveva farne una
girava per minuti interi per la casa col sedere al vento faticando per
tener su i pantaloni e insieme scappare dall' ago. Riabbassò
lievemente le palpebre cercando di muovere le dita ma
percepì
qualcosa che glielo impediva, quando girò la testa dall'
altra
parte identificò quel qualcosa come una mano più
scura
stretta intorno alla sua. Era Saga, accarezzò la zazzerra
bionda
arruffata domandandosi che diavolo ci facessero in un ospedale, lo
chiamò. Il ragazzo la guardò per un attimo
stordito,
scosse appena la testa prima di chiedere ansioso:- Come ti senti?
Antares ridacchiò:- Come se mi avessero dato una botta in
testa.- Il suo sorriso si spense in fretta, le era parso di capire che
l' avevano dovuta ricucire da qualche parte, si osservò le
mani
e notò che erano entrambe fasciate. Le sembrava di averle
già viste così una volta ma scacciò
velocemente il
pensiero- Saga, che ci faccio qui? - la sua voce si incrinò,
si
fece incerta- è... è successo qualcosa al bambino?
Il saint di Gemini la guardò un momento confuso, prima di
realizzare:- No, non ti preoccupare. Febe e il bambino stanno bene e
prima che tu lo chieda, sì, è un bel maschietto-
Saga aveva aveva fatto un cenno affermativo con la testa ampliando il
sorriso che era spuntato sulle labbra severe.
-Sono contenta, sono davvero contenta ma vorrei sapere che ci faccio
qui, vorrei sapere se il nostro di bambino sta bene. Se c' è
ancora, ecco.
-Che?- Saga si domandò di che diamine stessa parlando quella
ragazza mentre la fissava stralunato. Sembrava veramente preoccupata,
poi si ricordò dello stato mentale e non solo fisico con cui
l'
avevano portata in ospedale e delle raccomandazioni dei medici.
Assecondatela, avevano detto. Alla fine i genitori non avevano voluto
il trasferimento al reparto psichiatrico, tuttavia c' erano alcuni
psichiatri che la seguivano ugualmente per via dell' influenza delle
famiglia di Antares nonostante Talia continuasse a ripetere che la sua
amica non era impazzita.
Il saint aprì la bocca per parlare, lo fece lentamente
misurando
bene le parole e non sapendo in realtà cosa dire di
preciso:-
Sta...- si fermò mentre vedeva chiaramente Antares agitarsi
sul
letto, segno che probabilmente stava perdendo la pazienza- Vuoi che
stia bene?- chiese invece alla fine
-Ma che cazzo di domanda è? E' ovvio che voglio che mio
figlio, nostro figlio, stia bene!
-Allora sta bene.
Normalmente Antares avrebbe insistito per sapere il perchè
della
sua domanda, si sarebbe fatta mille paranoie e mille domande fino a
quando Saga avrebbe ammesso la verità, questa volta,
notò
il saint, si era improvvisamente quietata, aveva sentito ciò
che
voleva.
-Bene. Bene- ripetè afferrando nuovamente la mano del
ragazzo.
Poco dopo il saint andò ad avvisare i medici e la famiglia
che
Antares si era svegliata. Nel giro di pochi minuti la stanza si
riempì di camici bianchi mentre il cavaliere aspettava nella
sala d' attesa adiacente insieme alla famiglia e a quell' Alex. Si
alzò per andare ad avvertire Talia e gli altri cavalieri, in
quel momento con Febe, prima che il padre di Antares gli si avvicinasse
insieme ad Alex.
-Vorrei sapere da lei- iniziò lentamente il generale con
severità- vorrei sapere in che rapporti è con mia
figlia.
Non mi ha mai parlato di lei.
Saga rimase un momento interdetto, quel giorno gli stava capitando
piuttosto spesso e non gli piaceva per niente:- Sono semplicemente un
amico.
-Molto affezionato direi- disse Alex con una punta di fastidio
Saga si mise le mani nelle tasche e sorrise canzonatorio al ragazzino
che aveva davanti:- E tu chi diavolo saresti invece?
-Io sono il suo ragazzo
E a Saga quella semplice affermazione pareve un pugno nel petto, un
pugno che avrebbe volentieri ricambiato con un uno vero e decisamente
fisico su quella faccia da schiaffi.
-Signor... signor?- domandò nuovamente il generale
strappandolo ai suoi pensieri
-Avérof
-Bene, signor Avèrof, le sono infinitamente grato per tutto
ciò che ha fatto per la mia Ann. Probabilmente senza l'
intervento suo e dei suoi amici le nostre ragazze sarebbero state
spacciate, tuttavia le devo chiedere per cortesia di non interferire
nella vita di mia figlia. Vede, lei non mi piace. Trovo che sia un
elemento di disturbo, quello che si definisce un semplice amico -tra l'
altro Ann non ha molte amicizie- non le starebbe accanto con tanta
dedizione. Antares è fidanzata, lo ha sentito lei stesso e
con
un ragazzo della sua età.- Il generale calcò la
voce
sottolineando le ultime due parole, come se non bastasse si
congedò con un "addio", non certo con un semplice
arrivederci.
Era proprio un addio e Saga intuì che quello era il suo modo
gentile per dirgli che non lo voleva più tra i piedi.
Saga sbuffò, come se quel despota potesse impedirgli di
vederla,
non lo avrebbe permesso. Andò via tornando pochi minuti dopo
insieme agli altri cavalieri, mancava solo Milo. Aiolos lo
avvertì che era andato ad avvisare Camus.
-Signor Martakis, come sta Ann? Che hanno detto i medici?- si
informò Talia andando incontro all' uomo appena uscito dalla
stanza della figlia. Il generale invece la sorpassò
velocemente, livido
in viso, mentre sua moglie parlava animatamente con Alex
dicendogli di calmarsi e che avrebbero chiarito la questione.
-TU. Grandissimo bastardo!
Il saint di Gemini si accigliò nel vedersi puntare contro il
dito indice del generale e nel sentirsi dare del bastardo Si stava
decisamente esagerando. Aveva detto di non piacergli. Bene, concluse,
nemmeno lui gli piaceva. Per niente.
-Ora sta esagerando generale. Mi dica che vuole e facciamola finita.
-Hai anche questo coraggio? Non ti vergogni, eh? Quanti anni hai?
Bè, lo sai, Antares ne ha solo diciannove. Mi spieghi
perchè ha chiesto di suo marito? Che diavolo le hai fatto?
In quel preciso momento, mentre Saga cadeva dalle nuvole e si domandava
per l' ennesima volta
cosa stesse succedendo e come, in che universo e in che momento si
fosse sposato con Antares, Camus, seguito a ruota da Milo,
arrivò verso
di loro. Quando il generale Martakis lo vide, sbiancò. Sua
moglie si avvicinò a lui e al nuovo venuto con gli occhi
spalancati dalla sorpresa: -Tu, tu sei uguale a lei-
balbettò con ovvietà.
-E tu chi saresti?- chiese il generale.
Camus sollevò le sopracciglia, incrociando le braccia al
petto:-
Io sono il fratello di Antares- fu la limpida risposta, data per lo
più senza riflettere e per liquidare in fretta quei due
scocciatori- Voi sareste...?
-I suoi genitori. Antares non mi aveva detto di avere un fratello. Tu
non c' eri proprio quando l' abbiamo presa all' orfanotrofio- disse l'
uomo.
-Piacere allora. Se non c' ero probabilmente è
perchè ero
già stato portato via. Se volete facciamo un test del DNA,
non
mi interessa, ora se volete scusarmi vado da mia sorella.
-E' stato un po' brutale- fece notare Saga girandosi verso Milo
-Abbastanza brutale
Camus entrando nella stanza sospirò nel vedere la sorella
tutta
intera, la abbracciò forte sedendosi sul letto al suo
fianco:-
Quanto tempo...- sospirò sollevato.
-E' solo da ieri che non ci vediamo. O forse è dall' altro
ieri? Non me lo ricordo sai?
Camus la guardò confuso:- Ann, ma che stai dicendo? Noi non
ci vediamo da-
Una dottoressa alle sue spalle lo interruppe invitandolo gentilmente ad
uscire:- Vi vedrete dopo- aveva concluso sorridendo prima di dirigersi
insieme a lui verso il pingue gruppetto in sala d' attesa. Camus si
sentì piuttosto irritato. Non vedeva sua sorella da una vita
e ed era potuto restarle accanto appena qualche secondo,
sbuffò sonoramente, se non aveva fatto storie era solo
perchè evidentemente qualcosa non andava.
-Allora- iniziò la donna- io sono la dottoressa Cassandra
Skopas, sono la psichiatra responsabile di Antares.-guardò
una
cartella blu prima di continuare- Ho bisogno di parlare con la
famiglia, ovviamente anche con il signor Camus Grandier, poi con il
signor Avérof e per finire con la signorina Karamanlin.
Potete
seguirmi tutti insieme nel mio ufficio.
La psichiatra era una giovane donna bassina e dai capelli corti di uno
strano arancione tendente al rossiccio, aveva gli occhi azzurrissimi e
un grande sorriso. Sembrava quasi un folletto e nell' insieme era
piuttosto carina e di sicuro originale con quel suo abito giallo
canarino sotto il camice bianco. Fece accomodare i genitori di Antares
sulle due sedie di fronte a lei, Camus e Talia su un
divanetto
scuro mentre Saga al contrario preferì restare in piedi
contro la
parete.
-Lei è troppo teso signor Averof- rise- e lei, signor
Martakis è troppo agitato. Facciamo un bel respiro e
calmiamoci
tutti.
-Sarebbe agitata anche lei dottoressa se venisse a sapere che sua
figlia si è sposata con un tizio più vecchio di
lei. E
sconosciuto.
-Non saltiamo a conclusioni affrettate generale, non è da
lei.
Mi dicono che è sempre molto calmo.- la dottoressa
inforcò un paio di occhiali da vista con le aste colorate
dando
uno sguardo veloce alla cartella di Antares prima di stendersi contro
la poltrona- Allora, vi farò un veloce quadro della
situazione,
ho già parlato con la signorina Karamanlin.-
-Talia- la interruppe la ragazza- mi chiami Talia
La donna sorrise:- Bene, ho parlato a lungo con Talia che mi ha
spiegato come sono andate le cose, lo ha spiegato anche alla polizia a
dire il vero, ma comunque... Talia mi ha detto che erano tutte andate a
dormire, poi i due aggressori le hanno costrette ad alzarsi dai loro
letti portandole nel salotto all' ingresso, Andrea, l'' ex ragazzo di
Talia,
con il quale Antares si era già... uhm... scontrata in
passato,
ce l' aveva particolarmente con lei. Febe era stata chiusa in un
ripostiglio, Talia veniva portata via dall' altro aggressore, Antares
rimaneva sola nella stanza. A questo punto cosa succede? Lo chiedo a
lei signor Averof perchè Antares non se lo ricorda. Vi
prego di rispondere a tutte le domande che vi farò, per me
è essenziale riuscire a ricostruire i fatti in modo da poter
capire ciò che accade nella testa di Antares.
-Non saprei, quando siamo arrivati Antares era addosso ad Andrea, lo
colpiva ripetutamente con un fermacarte, non era in sè,
credo.
Sembrava completamente vuota. Abbiamo tirato Feebe fuori dal
ripostiglio, ho fatto allontanare lentamente e con calma Antares dal
ragazzo e siamo venuti qui.
-Quando ha iniziato a dire frasi senza senso?
Saga ci pensò un momento, in realtà da quello che
aveva
notato il problema erano loro, i cavalieri di Atena:- Si è
assicurata che Febe stesse bene, poi ci ha guardati attentamente,
è rimasta in silenzio prima di parlare... in modo strano.
-Cosa diceva?
-Quello che ha detto quando i dottori l' hanno vista per la prima volta.
La donna sorrise ancora:- Me lo deve dire lei, io non ero ancora
presente, mi dispiace.
Intervenne Talia:- Urlava, si metteva le mani tra i capelli, piangeva,
a volte gridava forte, a volte sussurrava: Sophia, Sophia è
morta diceva. Non ce la faccio più, sono stanca e poi Camus,
diceva che gli mancava, che aveva bisogno di lui, che Saga non la
voleva più vedere. Diceva però che non ce la
faceva
più soprattutto, che aveva paura ed era stanca,
stanchissima.
Poi si è come svuotata, nei suoi occhi non c' era
più
niente e non ha più parlato. I medici l' hanno operata e ora
lei
si sveglia e sembra tranquilla- Talia rise nervosamente.
-Non la voleva più vedere, eh?- fece il generale guardando
in tralince il saint di Gemini.
-Signor Averof, lei è sposato con Antares? Aspetta un figlio
da lei?
-No e no.
-Siete stati fidanzati?
Saga rimase in silenzio decidendo cosa rispondere. Non era semplice
visto che in effetti sì, erano stati insieme una volta. A
dirla
tutta una volta erano proprio stati sposati e aspettavano un bambino.
Ma era un' altra vita, troppo lontana per contare ancora qualcosa.
-Il rapporto tra Saga e mia sorella è stato sempre molto
altalenante- intervenne Camus al suo posto- è uno di quei
rapporti che è un poco un miscuglio di tutto, mai definito e
definibile in qualcosa, probabilmente ci sono troppe incomprensioni tra
loro per potere dare un nome a questo tipo di relazione.
-Capisco. Sophia, chi è?
-E' morta- fu la risposta laconica di Talia- qualche mese fa. Era la
nostra migliore amica, ne abbiamo tutte sofferto molto.
-Lei, Camus, è realmente il fratello di Antares.
-Sì
-Noi non lo sapevamo- disse Catherine Martakis
-Bene, allora è evidente che Antares abbia subito un forte
chock, ci sono state delle cose che le hanno causato una specie di
cortocircuito al cervello, troppi ricordi e troppi pensieri scomodi
tutti insieme. Poi il nulla, c' è stato una specie di
black-out
per cui vostra figlia ha eliminato tutto ciò che trovava
scomodo, spiacevole, doloroso creando una realtà tutta sua,
una
specie di mondo perfetto in cui rifugiarsi in cui sono presenti solo le
cose che le fanno comodo o che lei desidera.
Il generale fece una smorfia disgustata:- Mia figlia desidera sposarsi
con quell' uomo? E un figlio, sempre da lui?
-Ha sempre detto che di figli e matrimoni non ne voleva sapere niente,
che doveva laurearsi, che erano progetti lontani- disse la madre
costernata.
Quando uscirono fuori dalla stanza Camus si avvicinò a
Saga:-
Antares ricorda, solo che ricorda solo certe cose, non ha inventato
niente. Ricorda il suo matrimonio con te, il bambino e Sophia, ricorda
solo le cose positive e nella sua testa non fa distinzione tra i
ricordi accumulati nella varie vite, tra quelli presenti che
appartengono a lei e quelli che appartengono alla sè stessa
passata. Non è questione di desideri o di mondi immaginari.
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Capitolo 12 *** 12. Dov' è finita Antares? ***
c.
Capitolo
12
Dov'
è finita Antares?
Antares
non capiva.
Si toccava delicatamente il ventre e non capiva. Immaginava un grosso
punto interrogativo troneggiare sulla sua testa. Lei si
sentiva
emozionata, felice - e anche spaventata, sì. Non era bello
quello che le era accadatuto? Aspettava un figlio da Saga. Le
scappò un risolino. Era felicissima, per natura non era mai
felice, riusciva sempre a trovare qualcosa che non andava in tutto e
non amava abbandonarsi alle emozioni ma adesso era tutto cambiato. Ma,
sarebbe stata in grado di occuparsi di un' altra creatura? Si mise una
mano sulla testa rossiccia, a mala pena sapeva curare sè
stessa!
Scosse il capo sentendosi un po' sciocca perchè aveva
iniziato a
ridere sommessamente senza motivo. No, un motivo c' era. Era
dannatamente felice. Ce l' avrebbero fatta.
Però non poteva fare a meno di chiedersi perchè
sua mamma
piangeva, perchè suo padre le aveva detto -irritato, lo
aveva
visto che era irritato- che sarebbe andata a casa con loro.
Aveva piegato la testa di lato aggrottando le sopracciglia:- E Saga?
Il generale divenne paonazzo, strinse i pugni, stava per urlare ma
Katherine lo bloccò asciugandosi gli occhi rossi e
abbozzando un
sorriso:- Poi, poi viene- mentì.
-Senti dolore?
-Un po'- Antares fece una smorfia mentre Alex le cambiava la fasciatura
alle mani. Sua madre passò in quel momento dal salotto
guardandola con aria smarrita. Katherine non aveva mai immaginato di
potersi trovare in una situazione del genere. Sua figlia era pazza.
Pazza! In ospedale aveva taciuto, si era asciugata le lacrime mentre
sua figlia si carezzava una pancia dove credeva stesse un bambino -era
terribile, terribile- ma poi era bastato mettere piede in
auto per mettersi a piangere e ad urlare mentre Dimitri, in silenzio,
pareva non ascoltarla neppure. Lo aveva scosso in preda alla rabbia:- e
tu non dici nulla? Mi ascolti? Ti sto parlando, dannazione!
-Cazzo, Cat, stai zitta!- Dimitri Martakis non usava mai termini
volgari, le parolacce non rientravano nel suo personale vocabolario, il
suo linguaggio era sempre molto controllato ma quella
situazione esulava dal suo controllo, -inammissibile!- e provava quella
leggera frustrazione che portava il suo cervello a riflettere
affinchè tutti i pezzi del puzzle perfetto che aveva
costruito
in quegli anni tornassero a combaciare.
- Sto pensando- terminò
più rilassato mentre rifletteva sul modo di liberarsi di
quel
dannato Averof.
Due giorni dopo Saga e Camus non avevano più trovato Antares
nella sua stanza d' ospedale e Talia non riusciva a mettersi in
contatto con lei.
-Mamma?- Antares si affacciò alla porta della biblioteca
seguita a ruota da Alex- dove è papà?
-Perchè, lo vuoi sapere?
-Come perchè? Ma che domande sono? Voglio sapere quando
potrò tornare ad Atene.
Alex si appoggiò pigramente al pianoforte all' interno della
stanza:- Che devi andare a fare ad Atene?
Antares stava perdendo la pazienza e poi si chiedeva cosa diavolo
potesse interessargliene a lui:-La smettete con tutte queste domande?
Io non lo so, veramente, da quando sono qua non fate altro che
controllarmi...-
Il suo sfogo fu interrotto dall' ingresso del generale, le
poggiò una mano sulla spalla costringendola a sedersi sulla
poltrona che aveva alle spalle:- Siediti, Antares- aggiunse, prima di
iniziare a camminare su e giù per la stanza. Si
passò una
mano sul volto stanco:- Tu non tornerai ad Atene.
E Antares per poco non si mise ad urlare.
"Calma, devi stare calma", si ammonnì poggiando una mano sul
ventre. Ma chi voleva prendere in giro? Lei non era mai stata calma. In
apparenza forse, ma no, non era mai stata nè calma e
nè
tranquilla. Non ci voleva poi molto a farla arrabbiare, era solo brava
a soffocare emozioni e sentimenti, a controllare le sue azioni.
-Tu sei fidanzata con Alex- continuò il generale indicando
con un cenno il ragazzo.
"Che? Ma quando mai?", pensò la rossa. Quando era successa
questa cosa?
-Non con Avèrof- e quel nome il generale lo
sputò- quel vecchio...
E Antares pensò che quella era ipocrisia visto gli anni che
separavano i suoi genitori.
-Hai... avuto un incidente- continuò l' uomo. Quante volte
se l'
era immaginato quella scena? Quante volte aveva ripetuto la sua parte?-
abbiamo parlato con i medici, ti curerai da un bravo psicologo. Ci
hanno spiegato che la tua mente crede cose che non sono, che non
esistono. Capisci?- ora la guardava come se fosse una bambina.
Mentre Antares lo guardava come se avesse tre teste e otto mani, ma che
stava farneticando? Lei non ricordava proprio un bel niente.
Niente:-Che dici? Che incidente? Non so di che parli- si era alzata in
piedi aumentando il tono della voce.
Dimitri le si era messo davanti urlandole di calmarsi, che gli stava
mancando di rispetto:- E' questo che ti ha insegnato quel bastardo?!
Non mi hai mai risposto così. Non ti permettere, Antares.
Non ti
permettere!
Ecco. Questo la faceva piangere. Il terrore di ferire la sua famiglia,
di deluderla, di mancarle di rispetto la faceva star male. Forse per
questo ogni volta taceva e prendeva le cose così per come
venivano.
Oh, ma quanta paura che aveva. Suo padre la spaventava a volte, quando
alzava la voce. Bastava quello per farla scappare con la coda tra le
gambe. La ragazza si era accasciata sulla sedia, in silenzio, l' uomo
si era calmato, le parlava conciliante:- Devi credere a quello che ti
dico. E' così. Sei stata in ospedale, no?
E Antares annuì. Era vero, ci era stata, solo che non sapeva
perchè.
-Ecco, è perchè hai avuto un incidente... con...
con l'
auto. Hai sbattuto la testa.-Il generale si passò una mano
tra i
capelli. Dio, quante sciocchezze.- adesso, te l' ho detto, ricordi cose
sbagliate, credi cose sbagliate.
-Il bambino...- sussurrò-... Saga...?
Il generale le strinse la mano:- Non c' è nessun bambino,
Ann. E
tu e quell' uomo non avete alcun tipo di rapporto, ti ha trovato e ti
ha portata in ospedale, grazie al cielo, ma nient' altro. Tu stai con
Alex.
Antares si tirò le maniche del maglione fino a coprire le
mani,
si sentiva le guance bagnate, forse stava piangendo. Però
era
brava perchè dalla bocca non usciva alcun rumore. Era brava,
brava davvero, così nessuno l' avrebbe sentita, nessuno si
sarebbe preoccupato o l' avrebbe compatita o peggio, le avrebbe dato
della stupida perchè per queste cose non si piange. C'
è
gente che sta peggio. Glielo ripetevano sempre da bambina.
Era brava.
Ma, neanche troppo metaforicamente, il suo mondo era crollato.
Se lo erano visto spuntare in ospedale silenzioso e come se avess un
diavolo per capello, Shura.
-Dov' è?- aveva sillabato a un Aiolos stralunato. Lo sapeva,
lui, che quel nome, Cheiron, non era stata una buona idea. Era raro
vedere
Shura arrabbiarsi e nonostante non lo desse a vedere, lo era parecchio.
In quel momento era come se lo stesse bruciando con gli occhi, lo stava
implicitamente accusando che era colpa sua, che in qualche modo il
destino voleva per forza che lui fosse l' eroe della situazione e lui
fosse in torto marcio, persino con Febe.
E poi quel nome per suo figlio era stata la ciliegina sulla torta.
Cosa voleva dimostrare Febe? Cosa? Era forse un modo per punirlo? Era
capace di questo, quella ragazzina?
Shura alzò i tacchi senza una parola di più
diretto verso la stanza della ragazza.
-Aspetta, Shura.
-Che vuoi, Aiolos? Ho fretta.
-Ti ruberò solo un secondo. Ecco... prima che tu parli con
Febe
devi sapere che non ricorda molto del periodo trascorso al tempio.
Shura annuì:- Per via di Pluto, no?
-Sì, per via di Pluto- confermò Sagitter- ma per
qualche
strano motivo, per via di una foto che hanno tenuto, ricorda vagamente
qualcosa, qualche emozione... non ho ben capito.
-Ok. Altro?
-No, tutto qui.
-Tutto qui- sospirò Shura andando via.
Capricorn aprì la porta lentamente chiedendosi come diavolo
potesse affrontare quella situazione assurda. Era ironico, no? Che
proprio nel momento in cui andava a letto con un' altra donna ritrovava
Febe. E non solo lei.
Gli si gonfiò il cuore nel petto quando lo sguardo scuro di
lei
si posò addosso a lui, si sentì un pugno in fondo
allo
stomaco fatto di felicità e di dolore, più
precisamente
di colpa. Per questo faceva così male. Rimase immobile come
uno
stupido senza sapere che dire e che fare.
Quando Febe lo vide schiuse la bocca in un moto di sorpresa,
abbassò
lievemente la testa di leato increspando le labbra in un sorriso, era
rimasta così, a godersi quella figura come il sole sulla
pelle.
Fu un attimo di felicità pura e incondizionata, un momento
in
cui il cervello le andò in cortocircuito sotto il peso di
ricordi, visioni, azioni e sentimenti. Il suo amore, il suo amore lo
aveva ricordato tutto, tutto in un momento lo aveva visto, non solo
sentito, tutte le immagini di mille vite, mille giorni sovrapposti le
erano fluite nell' anima, le erano passati dalla mente come le immagini
di un film.
Si alzò in piedi, di scatto, sollevando le coperte e
piangendo come una bambina.
-Shura- ripetava il suo nome singhiozzando.
Shura.
Shura.
Shura.
Non seppe mai quante volte lo aveva ripetuto mentre piangeva e rideva,
mentre si stringeva contro di lui e se lo stringeva tra le braccia con
la poca forza che aveva. Aveva sfregato la testa contro il suo petto,
lo chiamava, piangeva, rideva. E non le importava di sembrare stupida,
non le importava di sembrare una ragazzina piagnucolona.
Si ricordava di lui. Si ricordava!
E lo poteva toccare, stringere, abbracciare, vedere. Potevano parlare!
Era bellissimo.
Il cavaliere di Capricorn rimase in silenzio, la strinse stretta a
sè sorridendo, per un attimo forse poteva dimenticare la sua
colpa, poteva dimenticare di aver dubitato di lei.
L' avrebbe baciato, quello scricciolo che aveva dato al mondo il loro
bambino. Non vedeva l' ora di vederlo.
Talia era sempre stata una socievole ed espansiva, non si creava
particolari problemi davanti a niente e a nessuno, riusciva ad essere
sè stessa persino di fronte alla persona più
scontrosa o altezzosa o superba che ci potesse essere, incurante del
suo giudizio assai probabilmente poco lusinghiero. Non le importava, l'
importante era essere sè stessi, sempre. Eppure in quei
giorni c' era una persona in grado di farla tacere, di metterle un
certo timore, una specie di soggezione, e quella persona, con sua
enorme preoccupazione, era Saga. Non sapeva bene perchè, non
lo sapeva affatto, ma quell' uomo, così grande,
così composto, così serio, la faceva sentire
piccola piccola e fuori luogo, spesso inopportuna.
Pensò che dovesse essere molto innamorato di Antares e un
poco invidiò l' amica, era fortunata ad avere accanto una
qualcuno che si preoccupasse tanto per lei, che per lei agiva in un
determinato modo. Quando aveva saputo che era sparita, o meglio, che i
suoi genitori l' avevano portata via dall' ospedale, non aveva fatto
apparentemente una piega. Aveva avvisato Camus e si erano messi a
chiedere in giro a medici e infermieri sperando di poter reperire
qualche notizia utile, poi si era avvicinato a lei:- Sai dove abitano?
-Lo so ma il padre di Antares non è un uomo stupido, non
credere che si farà scovare tanto facilmente.
Aveva annuito:- Lo sospettavo, in effetti. Allora sai dove potrebbero
essere?
-Ovunque... in Grecia... o da qualche parte in in Inghilterra. Non lo
so.
-Bene, allora vorrà dire che cercheremo ovunque.
Si era girato ed era andato via e Talia si era passata una mano sulla
faccia ammirando quell' uomo che riusciva a non perdere il controllo e
maledendosi al tempo stesso per essere così inutile. Si era
attaccata al telefono e aveva chiamato Antares più e
più volte, ovviamente non aveva risposto nessuno. Per quanto
ne sapeva poteva anche non vederla più.
Si battè una mano sulla coscia, era possibile essere
così sfortunate? Come poteva spiegare la situazione a Febe?
Non era mai stata brava in queste cose, era sempre stata la meno
responsabile di tutte, la più infantile, non poteva
sobbarcarsi un peso del genere tutto in una volta.
Si sentiva dannatamente sola e a dirla tutta invidiava un poco sia Febe
che Antares, loro non erano affatto sole. E non era giusto questo
perchè, cavolo, era Antares quella che si proclamava
indipendente, quella che aveva più palle di tutte loro messe
assieme, non vedeva perchè dovesse avere ben due ragazzi a
proteggerle le spalle, Saga e suo fratello. Antares era quella che tra
tutte loro ne aveva di sicuro meno bisogno, le sue spalle erano
abbastanza larghe. Mentre lei invece era stata brava solo a trovare un
buono a nulla che le aveva procurato un sacco di guai e ora si
ritrovava con l' anima a pezzi perchè da una parte non
desiderava affatto il tocco di un uomo, dall' altra voleva anche lei
qualcuno al suo fianco -qualcuno che non fossero Febe o Antares-, come
se non bastasse si sentiva un verme, un verme schifoso
perchè non poteva essere gelosa delle sue amiche, non era
giusto, quello che avevano se lo meritavano e non era vero che le
spalle di Antares erano larghe o forti, erano piccole forse quanto le
sue.
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Capitolo 13 *** 13. Confessioni e vie di fuga ***
c. nuovo vetri
Capitolo
13
Confessioni
e vie di fuga.
Sull' acropoli di Atene si era tenuta un' assemblea speciale a cui
parteciparono tutti i cavalieri d' oro e la sacerdotessa di Kore al
cospetto di Atena e del Pontefice per discutere di quanto accaduto e
degli avvenimenti più recenti. Al termine della riunione
Saori,
Talia e Febe si erano spostate in un piccolo salotto adiacente alla
grande sala.
-Quindi non disturbiamo?- aveva domandato Febe stringendo il piccolo
Cheiron contro il petto.
-No, assolutamente!- Saori aveva sorriso, Febe non era cambiata per
niente in quel tempo lontana dal santuario. Era necessario che loro
fossero al sicuro tra le case dello zodiaco. La dea, doveva ammetterlo,
si sentiva parecchio frustrata. C' era Kore che non si trovava, Demetra
che sembrava essere sparita assieme alla figlia, Sophia che si trovava
negli Inferi. E no, non era proprio il suo posto. E non ultimo, un
imminente
catastrofe naturale se non si sbrigavano a risolvere quella situazione
al più presto possibile. E come se non bastasse, ciliegina
sulla torta, Antares era
uscita fuori dai gangheri ed era sparita.
Bene.
Ottimo.
Perfetto.
Calmati, si ripeteva nonostante cercasse di apparire il più
decisa possibile quantomento con gli altri.
Calmati e non farti prendere dal panico.
Due delle custodi in fondo erano al tempio ed era già
qualcosa,
Febe già sembrava ricordare praticamente tutto, e Talia
piano
piano anche.
Guardò le due ragazze sedute di fronte a sè,
dovette
ammettere suo malgrado che avrebbe preferito che al loro posto ci
fossero state Sophia e Antares. Si sentì un po' in colpa per
questo pensiero ma si era dimostrato evidente che le altre due senshi
avessero un carattere più forte se si considerava la
fragilità di Febe, e più maturo, visto che Talia
era fin troppo
esuberante. Senza contare che la guarriera dell' acqua e dell' aria
avrebbero saputo fronteggiare molto meglio la situazione. Atena scosse
il capo. Ma che stava facendo? Doveva avere fiducia in quella ragazze.
Per Zeus! Erano guerriere. E se lo erano c' era un motivo, dovevano
avere le qualità adatte per esserlo, semplicemente dovevano
tirarle fuori.
Fiducia.
Sì, fiducia. Sorrise alle due ragazze chinandosi verso il
bambino. Sorrise maggiormente, quel fagottino era speciale.
-Posso prenderlo in braccio?- chiese timidamente.
Febe annuì porgendole il piccolo addormentato.
La dea lo prese goffamente tra le braccia:-E' bellissimo. Bellissimo.
In momenti come quello o quando il suo cuore aveva battuto
più
forte per... amore -lo poteva chiamare così quel
sentimento?- si
chiedeva se fosse giusto reincarnarsi come umana. Sapeva che la sua
permanenza sulla Terra come donna, e non come essenza divina come era
stato nell' antichità, l' aveva cambiata. Prima era diversa,
era
diverso parte del suo modo di pensare, certi suoi principi. Stando tra
gli uomini, vivendo le loro stesse fuggevoli emozioni, percependo
sulla sua pelle i tempi e le epoche cambiare e rinnovarsi, era mutata
anche lei con loro, il suo modo di concepire le cose, persino le
guerre.
Una volta era in prima linea, assisteva questo o quell' eroe che ai
suoi occhi era stato meritevole, a volte agiva anche per un suo piacere
personale, magari per vendicarsi di piccoli torti subiti. Si vergognava
a morte di ciò, gli dei, tutti loro, erano stati egoisti,
capricciosi, probabilmente più umani degli umani.
Antares chiuse gli occhi e si immerse completamente nell' acqua, le
piacevano i vapori che si diffondevano nella piccola stanza del bagno,
la tranquillità di quel momento, il malinconico ritmare
delle
gocce d' acqua del rubinetto. Sbuffò contrariata, solo lei
poteva vederci della poesia in cose stupide come quella. Forse era
pazza per davvero, insomma, sua madre la guardava con un misto di pena
e
vergogna -perchè, si chiedeva, perchè proprio a
lei una
figlia con le rotelle fuori posto?- mentre suo padre si limitava a
guardarla deluso, sembrava volerle dire "ma che diavolo combini? Uscire
di senno in questo modo!"- eppure lei pensava che non fosse colpa sua.
Insomma, non è che una mattina ti alzi e dici "oh
bè,
oggi credo proprio che diverrò pazza. Per dispetto."
Eh no, mica funzionava così. Strano che suo padre non lo
capisse, era sempre stato un uomo tanto assennato. Era come se fosse
impazzito assieme alla figlia e allora si ostinava il generale, si
ostinava a trovare una benedetta cura. E c' era lo psichiatra che
veniva ogni giorno prescrivendo medicinali dai nomi strani, e c' era
quello per dormire e quello per stare calma e quello per questo e per
quell' altro. Bho, lei non ci stava capendo più niente. Si
sentiva solo tanto confusa. Di certo non sarebbe guarita
così.
La prima volta che aveva visto quel tizio aveva capito che quello non
consultava i libri di medicina ma quelli contabili, che aveva fatto non
il giuramento di Ippocrate, ma quando mai! Aveva fatto il giuramento
dell' esimio Conto Bancario.
Antares non si sentiva propriamente pazza, non totalmente per lo meno.
Forse giusto un pochino perchè di alcune cose era sicura. O
no?
Sophia era morta, di quello ne era sicura e glielo avevano confermato.
E poi? Bho, e poi basta.
No.
Aspetta.
C' è... c' è... c' è Camus. E le
avevano detto "e Camus chi è?"
E Saga. Oh, almeno lui esiste, così le avevano detto. Ma non
era chi lei pensava.
Antares aggrottò le sopracciglia. Si sentiva prigioniera
della
sua stessa testa, e anche dei suoi genitori. C' era qualcosa che non
andava. Forse era la pazzia. Forse era più pazza di quanto
pensasse. E lei che credeva di avere solo qualche problema, solo
qualche piccolo complesso. No invece, era tutta folle.
Doveva guarire. No, voleva guarire. Però non prendeva le
medicine del Dottor Non-si-ricordava-il-nome. Gli faceva antipatia,
solo per questo.
E se avesse provato a scappare?
Aveva sentito un discorso un paio di giorni prima. Suo padre e suo zio
-quello materno, Alfred- volevano convincere quel disgraziato di Alex a
sposarla. Ovviamente non sapevano che lei stava origliando e infatti si
dovette trattenere dal ridere. Alex era sbiancato -Ma state
scherzando?!-, ecco, aveva detto proprio così.
-Le nostre famiglie sono molto unite, tuo padre non avrebbe nulla
in contrario a unire i patrimoni- aveva detto lo zio Alfred, e Antares
aveva pensato "ah, ecco. E' questione di soldi"
-M... ma no!- E Alex balbettava
-Non vuoi bene ad Antares?- il generale
-Le voglio bene ma non ho intenzione di sposarmi con una pazza. E'...
è assurdo. Mi fa schifo!- Alex di nuovo. Antares se ne era
andata via, aveva sentito abbastanza. Adesso sapeva di fare schifo.
Faceva un po' male questa cosa. Chi avrebbe amato una pazza come lei?
Alex non si era più fatto vedere, meglio così.
Sentì bussare alla porta, insistente, improvviso, fastidioso.
-Antares! Antares! Cosa stai facendo? Antares?!- era sua madre.
-Il bagno- una risposta semplice. La verità.
-Lo sai che non vogliamo che ti chiudi a chiave. Apri, tesoro!-
preoccupata come se si aspettasse sempre il peggio.
Antares uscì fuori dalla vasca di mala voglia,
aprì la
porta e si ritrovò di fronte il pallido riflesso di sua
madre.
In pochi giorni si era sciupata molto, doveva essere a pezzi, non era
truccata e sui capelli era evidente la ricrescita da cui faceva
capolino qualche filo ingrigito. Si sentì in colpa.
Febe stava tornando alla casa del capricorno, Cheiron tra le sue
braccia. Se aveva ben capito il discorso di Atena e di Sion dovevano
risvegliare i loro poteri. Il problema era: quali poteri se li avevano
esauriti tutti durante la battaglia contro Beryl? Sophia avrebbe
trovato la soluzione, o magari Antares. Ma non c' erano nè
l' una
e nè l' altra. Lei non era tagliata per queste cose e a
voler
essere onesti non era nemmeno tanto sicura di voler partecipare a un'
eventuale guerra.
Ma Sophia era rinchiusa in una specie di bozzolo.
Quando lo aveva saputo per poco non scoppiava a piangere, se
non lo
aveva fatto era solo perchè Shura la stava guardando e anche
quell' ospite strana, Alcesti, che le incuteva un vago timore.
Cosa doveva fare? I saint erano abbastanza certi che Sophia era morta,
per lo meno fisicamente. Di certo non poteva lasciare una delle sue
migliori amiche in quello stato, non era giusto, l' anima di Sophia
meritava la pace, tuttavia nell' istante stesso in cui aveva sentito il
suo piccolo scalciare nel proprio grembo tutte le sue
priorità
erano cambiate.
Come doveva comportarsi?
C' era solo da cacciarsi nei guai in quel posto! Non poteva
lasciare orfano il suo bambino o peggio mettere a repentaglio la sua
vita. Se c' era una cosa che aveva imparato l' ultima volta era il
fatto che il grande tempio non era un posto così sicuro come
sembrava.
Sospirò, "Ho bisogno di cucinare", si disse, cucinare poteva
distrarla o al contrario, se necessario le permetteva di concentrarsi
meglio.
Persino Shura non era più quello di prima. Magari non la
voleva più, magari non voleva Cheiron.
Shura sapeva di starsi comportando in modo strano, avrebbe preferito
che Febe alloggiasse al tredicesimo tempio invece che nella propria
casa. Da quando l' aveva vista aveva scambiato solo un bacio con Febe
poi non era più riuscito a toccarla, si teneva a debita
distanza
da lei. Trascorreva le sue giornate all' arena sottoponendosi ad
allenamenti massacranti, se lei entrava in una stanza lui si premurava
di uscirne, il problema al massimo erano i pasti.
Gelidi e silenziosi, nonostante la piccola Febe -ma quell' aggettivo
forse non le si addiceva più- avesse tentato, almeno
inizialmente, ad attaccare bottone. Non è che gli facesse
piacere comportarsi così, nè tanto meno vedere il
viso
addolorato della ragazza. Febe non era mai stata brava a nascondere i
suoi sentimenti.
Una sera gli aveva domandato come era andato l' allenamento, lui si era
limitato a grugnire un "bene" stentato.
-E... e ti sei allenato con qualcuno?- la voce le tremava.
-No.
C' era stato un momento di silenzio, Febe stava letteralmente mordendo
la forchetta pensando probabilmente ad una risposta che le permettesse
di continuare quella pallida conversazione:- Cheiron...- si era
interrotta alzandosi da tavola e farfugliando che andava a prendere il
dolce. Aveva sentito i suoi singhiozzi provenire dalla cucina.
Shura si andò a sedere sugli spalti dell' arena, alcuni
ragazzi
si allenavano insieme ai propri maestri, dopo qualche minuto Alcesti si
accomodò al suo fianco:- Mi evitate nobile Shura.
-Buongiorno anche a voi, sacerdotessa.
Alcesti sorrise:- La vostra bella è tornata. Ora siete
persino
padre. Dovreste esserne felice eppure sembra che vi sia morto il gatto.
-Sono
felice- ci tenne a sottolineare il cavaliere.
-Vi assicuro che non sembra. Vi sentite forse colpevole per averla
tradita?
Capricorn rimase in silenzio, tecnicamente non aveva tradito Febe visto
che non stavano insieme e credeva che non l' avrebbe più
rivista.
-E' pur sempre una forma di tradimento- aggiunse Alcesti come
leggendogli nel pensiero- per questo vi sentite così in
colpa.
Il problema è che voi urlavate fiero e sicuro il vostro
amore nei
confronti di quella ragazza eppure avete giaciuto con un' altra donna.
Immagino dobbiate essere confuso. Vi sentite in obbligo nei confronti
di quella giovane? Non capisco bene perchè a dire il vero.
-Ho un figlio, dannazione!- sbottò il ragazzo
Alcesti rise:- Siete antico, amico mio. Sapete quanta gente divorziata
esiste? Eppure i loro bambini crescono molto normalmente. E se volete
la mia opinione vostro figlio crescerà maglio lontano dal
tempio, senza il peso di essere il figlio di un cavaliere. Sapete che
crescendo qui si voterà a una missione, come tutti del
resto. La
giustizia è una strada irta di ostacoli.
Alcesti non aveva tutti i torti ma lui, il più fedele tra i
cavalieri della dea, non avrebbe tratto che orgoglio da un figlio
fedele ai suoi stessi ideali:- Sceglierà lui la sua strada.
-E allora cosa volete fare? Giocare alla famiglia felice, qui al
tempio? Con una donna che non amate?
-Voi non capite! Io... io amo Febe.
-Non si direbbe.
-Non è semplice, lei è così... pura e
dolce e delicata, ingenua. Fragile. Come posso io farle del male?
-Allora non è amore. Voi vi sentite semplicemente obbligato.
Avete fatto sesso con me, Shura. Questo non è amore, ve lo
garantisco io- concluse Alcesti andando via.
-Io non so che diavolo fare...
Come poteva abbracciare Febe, parlarle normalmente, dormire con lei
-era da quando era arrivata che si era trasferito sul divano- se si
sentiva un verme ogni volta che la guardava? L' aveva tradita,
è
vero, Alcesti aveva ragione. Era un tradimento perchè aveva
sempre detto di amarla. La verità è che si
sentiva
davvero confuso. Doveva parlarle, lei doveva sapere.
L' aveva trovata ai fornelli, Cheiron nella culla, lontano dai fornelli
e al tempo stesso a portata d' occhio. Si era st upito non poco quando
lei e
Talia si erano presentate al tempio con ben due culle, una
più
leggera e semplice, l' altra graziosamente lavorata. Gli aveva spiegato
che aveva bisogno si sapere che suo figlio fosse al suo fianco, nella
sua stessa stanza.
Shura si era schiarito la voce, un modo un po' goffo di annunciarsi e
dopo che lei lo abbe salutato spostò una sedia sedendosi al
tavolo.
-Se hai fame ho preparato una torta di mele- aveva detto Febe indicando
il dolce sul piano della cucina.
-No, grazie.
Febe si era girata verso il frigorifero cercandovi qualcosa all'
interno e intanto parlava:- E... e allora come mai sei qui?- Si era
voltata verso di lui all' improvviso, rossa in viso-
ciòè,
non intendo dire che non puoi venire. E' casa tua, no? Certo che
è casa tua, puoi fare quello che vuoi. Non che ti serva il
mio
permesso, ben inteso...- aveva sospirato richiudendo lo sportello del
frigo- è che di solito sembri evitarmi, ecco.
Shura aveva spostato una sedia accanto alla propria:- Siediti.
Quando Febe fu accanto a lui gli sorrise un po' triste:- Non devi dirmi
delle belle cose, vero?
Si era limitato ad annuire:- E' passato molto tempo da quando ve ne
siete andate. Ho sentito molto la tua mancanza e ti ho amata tanto...
però prima o poi bisogna andare avanti- si era fermato un
momento osservando con la coda dell' occhio i movimenti della ragazza,
vedeva le sue mani strette tra loro sulle gambe, gli occhi bassi e
gonfi puntati sul tavolo scuro- il fatto è che... in
realtà non sono andato avanti, non mi sono dimenticato di
te,
Febe però mentirei dicendoti che non è cambiato
nulla.
-N... non ti capisco Shura, puoi essere più... chiaro?- era
un
sussurro il suo, la voce spezzata e alterata dai singhiozzi trattenuti
a forza.
-Sono stato con una donna di recente, è la sacardotessa di
Kore, Alcesti.
-Ah- Febe non pensava che le sacerdotesse facessero queste cose. In
effetti Alcesti era una bellezza particolare, desiderabile di sicuro.
Le avrebbe spaccato il muso a quella lì, lo pensò
per un
attimo mentre in quello dopo rifletteva sul fatto che aveva perso
irrimediabilmente Shura. Cosa si aspettava del resto? Già da
quando si erano conosciuti ai suoi occhi era poco più che
una bambina. Non l'
avrebbe mai vista come una donna e ora che c' era la sacerdotessa ancor
meno.
Adesso poteva piangere. Era rumorosa quando piangeva, forse patetica.
Di sicuro debole. Non le importava più niente. Non aveva
nemmeno
il coraggio di chiedere in cosa aveva sbagliato, in cosa non era degna
di lui, di implorarlo. Non era una questione di orgoglio, non ce la
faceva semplicemente. Era inutile, non si sceglie chi amare, tuttavia
tentò un semplice:- Posso cambiare, se vuoi.
Sentì il braccio di Shura avvolgerle le spalle e non
potè fare a meno di abbandonarvisi.
-Sono solo confuso, Febe. Tu non devi cambiare per nessuno.
E allora Febe pensò che forse aveva una speranza:- Ti
aspetterò. Aspetterò.
-Potrei deluderti.
-Aspetterò lo stesso.
-Non ti garantisco niente.
Cercò di asciugarsi le lacrime alla meno peggio:- Non
importa.
Shura la guardò in silenzio. Sorrise interiormente, un'
ostinazione degna della guerriera di Marte quale era.
Dopo qualche ora Febe raggiunse Shura nel salotto. Avrebbe dovuto fare
le valigie da sè, ne era consapevole però decise
di
parlare prima con lui:- Vuoi che vada via, immagino.
Il ragazzo sollevò gli occhi sulle due figure che aveva
davanti,
la madre e il bambino:- No, potete restare. E' mio figlio.- disse
indicando il bambino.
-E allora tienilo in braccio- Febe allungò Cheiron verso di
lui. Si sentiva un poco in colpa, forse aveva giocato sporco, una parte
di lei sapeva che Shura non l' avrebbe cacciata, specie se Cheiron
fosse stato con lei. Se fosse andata via di sua spontanea iniziativa
invece non era certa che lui l' avesse fermata.
Saga non aveva mai visto di buon occhio il rapporto tra la Viverna e
suo fratello e doveva ammettere che quando era venuto a conoscenza del
fatto che si erano lasciati aveva fatto non pochi salti di gioia.
Questo per due motivi fondamentali: il primo era
ciò che Rhadamantys rappresentava, uno dei giudici di Hades,
loro nemico giurato, e ciò che in virtù di questo
ruolo aveva compiuto in battaglia. Saga non avrebbe mai
dimenticato quello che era accaduto ai suoi compagni anche se non
colpevolizzava certo il gigante degli inferi, era suo dovere difendere
il dio a cui aveva votato l' esistenza. Se si fosse comportato
diversamente lo avrebbe ritenuto un essere infido e indegno, mentre
invece, benchè nemico, lo ammirava. Il secondo motivo era
quello di
non voler vedere Kanon soffrire. Se un giorno si fossero trovati
nuovamente sul campo di battaglia suo fratello avrebbe servito
lealmente la dea
così come Rhadamanthys il suo signore, di questo ne era
certo e
proprio perchè sapeva che sarebbe andata così era
cosciente del dolore che questa lealtà avrebbe comportato
per
entrambi, perciò quando Kanon e il giudice avevano smesso di
frequentarsi aveva tirato un sospiro di sollievo. Era meglio
così.
E poi non riusciva a fidarsi completamente di quel tizio.
Nonostante ciò ora si trovava in un locale londinese a
sorseggiare
tè con la Viverna e Kanon al centro che probabilmente se la
rideva sotto i baffi.
-Grazie per l' aiuto che ci stai dando- aveva iniziato appoggiando la
tazzina sul piattino.
-Non montarti la testa, Gemini, lo faccio solo perchè le
guerriere potrebbero servirci tutte quante. Vi aiuto per il bene del
regno di sire Hades, non certo per altro.
-Ne sono consapevole, quindi sarò breve. Quest' incontro
è tedioso per te quanto per noi, Viverna.- Kanon stava
mettendo
altro zucchero nel te, Radamanthys guardò il gesto
contrariato,
sul cucchiaino che il minore dei gemelli reggeva nella mano destra era
ammucchiata una montagnetta considerevole di zucchero, era fastidioso.
Gli tolse il cucchiano dalla mano.
-Che diavolo stai facendo?!- sbottò Kanon contrariato.
-Stai rovinando il gusto del tè- poi alzò gli
occhi al cielo- hai dei gusti barbari- sputò.
-A me piace zuccherato- sibilò l' altro tendendosi verso di
lui.
-Troppo. E' irritante, nessun inglese te lo perdonerebbe mai.
-Ah- Kanon ebbe una sorta di illuminazione- per questo hai smesso di
offrirmi il tè quando di venivo a trovare.
-Ovviamente, non potevo sopportare un simile scempio.
-Sei un egoista. Non puoi impormi ciò che più ti
aggrada!
-Non l' ho mai fatto.
-Non è vero!
-Solo per il tè?
Saga osservava la scena basito e si chiese come avessero fatto a stare
insieme se non addirittura a provare un reciproco interesse anche se
conoscendo suo fratello probabilmente tutto quello lo divertiva:-
Smettetela- li interruppe alla fine- abbiamo cose più
importanti
a cui pensare.
Rhadamanthys lo guardò torvo, nessuno poteva permettersi di
dare ordini a un giudice infernale, tuttavia dovette convenire che il
cavaliere di Atena non aveva poi tutti i torti. Kanon sbuffò
abbandonando la tazza sul tavolo.
-Ho saputo che la madre di Antares è una donna inglese,
la famiglia è piuttosto in vista. Si chiama
Katherine Hinchinghooke.
-In società ci conosciamo più o meno tutti. Il
nome non mi è nuovo, mi informerò.
Saga si trovava di fronte ad una villa a pochi chilometri da Londra,
aveva dovuto attraversare un giardino enorme per giungere fino al
portone. La Viverna gli aveva dato l' indirizzo spiegandogli che
apparteneva alla madre di Katherine, lascito di una prozia. Fece un
giro attorno alla casa, non era il caso di agire subito, avrebbe
peggiorato la situazione e molto probabilmente se ne sarebbe andato a
mani vuote mentre lui doveva portare Antares con sè. Forse
sarebbe dovuto andare Camus al suo posto. Aquarius aveva lasciato tutto
nelle sue mani dicendo che si fidava di lui e che al momento aveva da
fare. Che diavolo poteva mai avere da fare di più
importante?!
Qualcosa ci doveva essere, si disse Saga, il cavaliere dell'
unidicesima non era un tipo che prendeva le cose alla leggera.
Saga era
rimasto per buona parte della mattinata a tenere d' occhio la casa, si
era arrampicato sui rami di un albero per cercare di vederne meglio l'
interno per dove era possibile. Finalmente nel primo pomeriggio
sperò
di aver individuato la stanza di Antares. Vide la ragazza chiudere le
tende, forse per riposare dopo il pranzo. Aspettò qualche
minuto e
decise di tentare la sorte iniziando a tirare dei sassolini contro la
finestra, si sentiva tanto un adolescente, se la situazione non fosse
stata disperata avrebbe potuto riderne. Immediatamente si nascose tra i
rami dell'
albero su cui si era appollaiato in modo da non venire scoperto se ad
affacciarsi non fosse stata Antares.
E invece era proprio lei, la vide scostare le tende e aprire le ante
guardando verso il basso e poi in direzione dell' albero. Il cavaliere
fece
capolino tra i rami portandosi l' indice alle labbra non appena vide la
sua faccia stupita. Le sorrise.
-Sei venuto... per me?-
aveva bisbigliato lei indecisa se pronunciare
le ultime due parole. Era davvero strano che qualcuno facesse una cosa
simile proprio per lei.
-Sì, per te.
-Mi... mi... - respirò a fondo prima di articolare la frase-
mi porterai via di qui, con te?
-Se vuoi. Se non vuoi, no.
Antares iniziò a torturarsi il maglione con le mani indecisa
se
parlargli o meno del suo stato di salute, eppure sentiva di
voler
essere sincera con quel ragazzo -un uomo a dire il vero- a costo di
rimetterci quella possibile via verso la libertà:- Ti devo
dire
una cosa. Io, vedi, non sto bene.
Saga arcuò le sopracciglia ma non disse nulla lasciandola
continuare.
-Dicono che... sono pazza.- sputò velocemente le ultime
parole.
Il cavaliere di Gemini sospirò chiedendosi cosa diavolo le
avessero messo in testa.
-Questo lo giudicheremo insieme più tardi. Ora dimmi, Ann,
ti fanno uscire di casa?
-In giardino e mai da sola.
-Ce la fai a uscire oggi?
-Tra un paio d' ore posso scendere giù e chiedere a mia
madre di
accompagnarmi fuori. Prima non posso, vogliono che riposi- fece una
smorfia.
-Ok, io sono qui, non mi muovo. Quando uscirai, passeggia in giardino,
io ti seguirò e al momento opportuno ti porterò
via. Ho
bisogno di sapere se ci potrebbe essere qualche ostacolo
però...
non so, allarmi... security...
Antares ridacchiò:- Ma per chi ci hai preso?
-Devo calcolare tutto- rispose Saga piccato
-Scusa. In giardino comunque non c' è nulla di tutto questo.
-Bene.
E Saga si sentì sollevato, almeno in parte,
perchè aveva letto negli occhi di Antares una fiducia nei
suoi confronti che prima era sempre stata assente.
Alle quattro del pomeriggio Antares aveva varcato la porta di casa
insieme alla madre. E purtroppo anche il padre. Saga notò
che la
ragazza camminava verso il cancello, doveva aspettarselo. Sorrise, era
tipico di lei. Stava cercando di facilitare la fuga.
Quando furono abbastanza vicini all' uscita Saga si parò
davanti
a loro. La madre di Antares cacciò fuori un urletto mentro
il
padre tirava fuori una pistola dalla fondina che portava al fianco
sinistro.
-Bastardo. Dovevo saperlo che con te le misure non erano mai troppe!
Che vuoi?! Lascia in pace la mia famiglia!
Antares corse verso Saga spalancando le braccia davanti a lui, in
silenzio. Era visibile il tremolio sulle mani e le braccia.
-Antares torna qui!
-No.
-Ti ho detto di tornare qui immediatamente! Ora!- il generale aveva
perso la pazienza e urlava, Antares era spaventata, tentata di non
disobbedirgli e fare cosa le diceva ma Saga la prese per il polso.
-Mi servi, coccinella.- le sussurrò all' orecchio prima di
caricarsela sulle spalle a scappare.- purtroppo non ho il cavallo
bianco- le sorrideva di sbieco.
In quel momento tutto era cambiato, all' improvviso non sentiva
più le urla di suo padre e i singhiozzi di sua madre, non
vedeva
più il paesaggio che si muoveva troppo veloce, non sembrava
neppure che Saga stesse correndo. Volava.
Quel nome, coccinella, le aveva fatto perdere un battito al cuore che
all' improvviso si era svegliato, impazzito.
-Coccinella...- si disse con un sorriso a fiorn di labbra. Le sapeva di
nostalgia. La emozionava.
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ANGOLO AUTRICE:
Coccinella per chi non lo ricordasse è il soprannome che
Saga
aveva dato ad Antares quando per la prima volta si erano incontrati
nella loro vita precedente. Ovviamente Saga va parecchio veloce, troppo
per una semplice persona, quindi è normale che ad Antares
sembra che voli o roba del genere, in pratica
non capisce più niente XD
Mi rendo conto che il capitolo è dedicato alle due coppie
con un poco di Atena ma se voglio continuare la storia devo seguire l'
ispirazione e stranamente ho bisogno di scrivere qualcosa del genere.
Dico stranamente perchè per me è una
novità. Ovviamente anche Talia avrà il suo spazio
e ci saranno delle situazioni che la coinvolgeranno.
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Capitolo 14 *** 14. Conoscersi ***
c nuovo
Capitolo
14
Conoscersi
Antares si mosse sul sedile aprendo lentamente gli occhi, si
passò una mano sulla faccia mentre muoveva l' altra,
indolenzita per essere stata appoggiata sotto la guancia fino a quel
momento. La prima cosa che notò fu che il sole volgeva al
tramonto e non potè fare a meno di chiedersi per quanto
tempo avesse dormito. Saga, di fronte a lei, guardava pigramente fuori
dal finestrino senza dire una parola. Rimasero ancora in silenzio in
quella
placida quiete accompagnata dal movimento rapido del treno sui binari.
Avevano
attraversato la Manica a bordo di una nave. Ricordava che a un certo
punto del viaggio si era affacciata alla balaustra contemplando i
flutti scuri dell' oceano. La giornata era tiepida, l' aria profumava
di umidità per la pioggia della notte precedente e la luce
illuminava l'
acqua su cui navigavano, eppure Antares non potè fare a meno
di
avvertire una certa inquietudine, un senso di paura e di piccolezza che
si era
impadronito di lei mischiandosi alla nostalgia e a vecchi dolori.
Temeva l' acqua sin da quando ne avesse memoria, odiava i luoghi troppo
stretti e chiusi, evitava persino gli ascensori. Per lei era vitale lo
spazio, lo paragonava quasi a una possibilità maggiore di
respiro, per questo temeva l' acqua, perchè se l' avesse
sovrastata non ci sarebbe più stata l' aria. Rimase
imbambolata
a fissare la schiuma del mare sotto di sè, i flutti che si
muovevano di più al passaggio della nave e non
potè fare
a meno di pensare a Sophia che in acqua praticamente ci viveva, non
poteva farne a meno, si trovava a suo agio, sempre, che fosse
una piscina o l' acqua agitata del mare. Era una
specie di sirena e più di
una volta aveva provato a convincerla a imparare a nuotare, a vedere il
mare, e l' acqua più in generale, come amici, come
dispensatori di
vita.
Non ci era mai riuscita. In quell' esatto istante di trance le venne
alla mente un vecchio ricordo, antico come il mondo. Era doloroso e
bello insieme. Era doloroso perchè in quel ricordo stava
morendo
nell' acqua di un' enorme vasca*, era bello perchè suo
fratello
la salvava. Era il suo eroe.
Si ricosse all' impovviso solo quando Saga le toccò una
spalla preoccupato.
-Che diavolo vuoi fare?- aveva chiesto aggrottando le sopracciglia
-Di che parli?
In risposta si limitò ad allontanarla dalla balaustra, solo
in quel momento si accorse di essersi sporta troppo.
-Quante cose ricordi?- La voce del cavaliere interruppe i suoi
pensieri, Antares spostò lo sguardo su di lui tacendo
qualche
momento nel tentativo di riordinare le idee. Si fissò le
scarpe
domandandosi cosa poter ripondere.
-Ricordo... tante cose... e altre credo di averle scordate. A dire il
vero non so cosa ci sia di vero e di falso in quello che so- sorrise
amaramente- questo non vuol dire essere usciti fuori di banana.
Saga sospirò pesantemente:- No. Sfrutteremo il viaggio per
mettere ordine. Puoi iniziare a dirmi tutto quello che ricordi.
Antares chiuse un attimo gli occhi e sorrise beata:- Camus.
Il cavaliere non potè fare a meno di irritarsi. Ovviamente,
si disse.
-Potresti essere più precisa?- domandò infastidito
-E tu potresti stare più calmo? Ecco... lo vedi? Abbiamo
ricominciato. Mi ricordo anche di questo.
Sì, avevano ricominciato. In effetti era strano che ancora
non avessero discusso.
Talia camminava per le vie affollate di Atene insieme a Shaka. Si
domandò perchè diavolo lei dovesse farsi largo
tra la
folla a suon di spintoni mentre il suo santo accompagnatore sembrava
galleggiare tra la gente, non era possibile che non trovasse alcun
ostacolo al suo passaggio. E Talia per girarsi a vedere se fosse ancora
dietro di lei aveva persino sbattuto contro un palo guadagnandosi una
botta sul naso.
-Dannazione, non poteva essere almeno un bel ragazzo?!-
piagnucolò per un attimo prima di ricordarsi che lei di
uomini
non ne voleva più sapere niente. Forse era stato decisamente
meglio il palo.
Si era fermata davanti a una vetrina sospirando. C' erano un paio di
pantaloni azzurri carinissimi. Doveva ricordarsi di telefonare ai
propri genitori e farsi mandare qualche soldo, sua mamma di sicuro non
avrebbe avuto nulla in contrario a qualche piccola spesa, potevano
andare a fare shopping insieme, si sarebbero divertite un sacco.
-Andiamo?- la voce pacata di Shaka la riportò alla triste
realtà. Tutto era stato stravolto in quegli stupidi mesi, si
maledisse per aver fatto preoccupare i suoi genitori con il suo stupido
atteggiamento. Non se lo meritavano. Aveva telefonato a casa poco dopo
essere arrivata al Tempio, era scoppiata a piangere chiedendo il loro
perdono più e più volte. Poteva immaginare dall'
altra
parte del telefondo il sorriso un po' commosso di sua madre stretta
nell' abbraccio sollevato di papà.
-Non c' è nulla da perdonare tesoro, la morte di Sophia vi
ha
fatte soffrire tutte quante. Sappiamo che quello che è
accaduto
è stato dovuto solo a questo, cercavi una via di fuga dal
dolore... e ne hai trovato dell' altro. Ma io e papà lo
sappiamo
che non avresti mai fatto nulla del genere altrimenti, tu sei la nostra
piccola- le aveva detto sua madre.
Avrebbe voluto abbracciarli e sentirsi coccolata nel loro abbraccio. I
suoi genitori avevano insistito per andare a trovarle, volevano
riabbracciare tutte loro e viziare il bambino di Febe, le avevano
persino riproposto di ritornare a casa insieme alle ragazze, che
avrebbero parlato con la famiglia di Febe.
La sua risposta era stata un "ci penserò, sento anche cosa
dicono le altre", era consapevole che in quel momento
-benchè
desiderasse con tutta sè stessa ritornare a casa- non poteva
prendere alcuna decisione senza prima consultarsi con Atena e Shion.
Aveva ottenuto di potere andare all' appartamento per prendere alcune
cose -e gettarne altre-, dopo il ritorno di Antares sarebbe potuta
tornare un paio di giorni a casa per rivedere i suoi familiari e
tranquillizzarli.
L' appartamento era buio, sostò un momento all' ingresso
insieme
a Shaka prima di andare ad attaccare la luce. Passò
velocemente
dalla sala principale quasi ad occhi chiusi, guardando un momento con
la coda dell' occhio il ripostiglio semi aperto. Le venivano ancora i
brividi. Il letto nella sua camera era ancora sfatto da quel maledetto
giorno. Aprì freneticamente l' armadio e i cassetti sotto lo
sguardo attento del cavaliere di Virgo tirandone fuori vestiti -o
pseudo tali-, collane e bracciali che le aveva regalato Andrea o che
semplicemente aveva comprato per compiacerlo. Li infilò
tutti in
qualche borsa trovata in un cassetto della cucina schiacciandoveli
dentro con forza e cercando di non pensare e di non guardarli
perchè ognuno le ricordava solo un attimo doloroso di
violenza e
cattiveria.
Shaka percepiva il suo dolore, a un certo punto sentì anche
i
singhiozzi di Talia. Si abbassò alla sua altezza cercando di
cacciare via le lacrime con le mani, delicatamente come solo lui sapeva
fare. Rimpiangeva la ragazza allegra e rumorosa che aveva conosciuto e
si augurava che sarebbe tornata al più presto quella di
prima,
confidava nella sua forza.
-Tutto passa. Affronta anche questo dolore, vincilo, non impedire che
ti faccia vacillare. Non permettere ad altri di soffocare la tua voglia
di vivere e il tuo essere o soffrirai in eterno. Andrea è
morto,
non farà più del male a nessuno, non permettere
che un
cadavere uccida la tua essenza. Hai vinto, Talia, sei riuscita a
liberati delle sue angherie, sei riuscita a riabbracciare le tue amiche
come un tempo, a chiedere perdono ai tuoi genitori. Manca poco, devi
sorridere adesso.
-Come posso? Sophia... è... c' è un' altra
guerra....
-Lo stai dicendo tu che c' è un' altra guerra. Chi
è il nemico di grazia?
-...-
-Salverete Sophia.
-Ne sei troppo sicuro.
-Ho visto l' affetto che vi lega, è lo stesso affetto che vi
ha
permesso di uscire dal dolore di tutti questi mesi- Shaka sorrise
quieto aiutandola a rialzarsi e afferrando alcune borse- prendi la tua
macchina fotografica e buttiamo la spazzatura.
Talia non potè fare a meno di annuire con forza, non era
sola,
non avrebbe mai affrontato nulla da sola, era un grande conforto. Il
cavaliere di Virgo in quel momento le aveva dato un poco della pace che
emanava in quella sua grandezza di uomo e di santo.
Antares in quel momento sembrava più avvicinabile. Era
calma, quasi intimidita, era quasi tenera addirittura. Saga
dovette soffocare una risata, di tutti gli aggettivi che poteva trovare
tenera era di sicuro il meno adatto per la ragazza che aveva di fronte
-Tu mi mandi in confusione- aveva detto lei a un certo punto sospirando
rassegnata. Prima o poi sarebbe saltato fuori anche quell' argomento,
quello relativo al loro rapporto, era inevitabile e quando aveva visto
le labbra di Saga incresparsi in un sorriso che sembrava promettere
qualcosa di più si era chiesta cosa potesse suscitare tanta
ilarità in quel momento e quella frase le era uscita
spontanea fuori dalla bocca.
-Anche tu.
-Non è vero! Quando sono andata via ti ho detto chiaramente
che... - aveva
distolto lo sguardo rigirandosi i pollici- ti ho detto cosa sentivo per
te... e tu mi hai mandato a quel paese senza troppi complimenti- la sua
voce si era fatta via via più agguerrita- non mi
fraintendere,
eh, non che volessi che tu provassi per forza le stesse cose nei miei
confronti. Ma almeno potevi essere un poco più delicato!
-A volte avrei voglia di strangolarti. Seriamente. Forse non
sarò stato l' uomo più delicato di questo mondo
ma,
insomma, Ann, siamo realisti... te ne stavi andando quando mi hai
detto che eri innamorata di me. Ti saresti scordata tutto. Cosa volevi
che facessi?
-Niente, non volevo che facessi niente. E comunque il problema non si
pone, tanto tu non mi vuoi e io... e io...
Saga si era sporto sul sedile, il viso all' altezza del suo, gli occhi
fissi nei suoi:- Tu... cosa...?- sembrava quasi minaccioso.
Antares si allontanò appoggiandosi contro il sedile.
Il ragazzo prese una ciocca rossa rigirandosela intorno al dito:- Siamo
stati
sposati, qualche migliaio di anni fa- sottolineò guadando i
suoi
capelli- quando ci siamo rivisti non abbiamo fatto altro che litigare.
E' strano che nasca un amore, non trovi?
-Che vorresti dire? Che ti ho mentito?
Saga sbuffò:- Sempre sulla difensiva, eh?- lasciò
ricadere le ciocce rosse allontanandosi e
poggiandosi a sua volta contro il proprio schienale:- Stai sempre a
pensar male, dannazione. E' assurdo. Non fai altro che fraintendere le
mie parole, Ann.
-Forse perchè tu non riesci ad essere chiaro.-
borbottò lei
La guardò pigramente, appoggiando il viso sotto il palmo
chiuso
della mano:- Vorrei conoscerti. Vorrei che ti fidassi di me, vorrei
vederti stare bene con me come riesci a stare con gli altri. Sembro
essere l' unica persona che odi.
-Sei l' unica persona che mi fa uscire fuori dai gangheri in maniera
esponenziale- ci tenne a precisare.
-Mi ami- sorrise lui malevolo facendo piegare il viso di
Antares in un' espressione rossa e indignata- però mi sei
ostile.
Si sarebbe volentieri messo a ridere, sia per l' ovvietà di
quell' affermazione che per la faccia di Antares. La vedeva, con i
denti stretti che magari pensava a quanto fosse dannato e si divertisse
a metterla in imbarazzo. Invece si fece serio:- Non sono un uomo
delicato- la avvisò -e le ricordò- mentre la
guerriera si asteneva dal fare domande a proposito di quell'
affermazione.
Quando finalmente scesero dal treno si incamminarono verso la
città, notarono che era stato montato un luna park non
lontano
dal centro. Antares si fermò guardando in lontananza le
giostre
illuminate, alcune di esse svettavano imponenti e colorate verso l'
alto, la ruota panoramica girava lentamente. Sarebbe davvero voluta
andarci, le piacevano un sacco i luna park. Afferrò il
braccio
di Saga camminando in direzione di quelle luci.
-Ehi, dove stai andando?! Dobbiamo andare al tempio.
-Voglio andare alle giostre.
-Che?- Saga si fermò di colpo facendo girare la ragazza
verso di
sè- Tu forse non ti rendi conto della situazione, Antares.
Ti
sei dimenticata di tutto quello che ti ho detto sul treno?
La ragazza gli si avvicinò agitando le mani:- Non dirlo,
perfavore. Non ricordarmelo. Per una volta non ricordarmelo. Ti chiedo
solo cinque minuti, solo per vedere le giostre. Non ti farò
perdere tempo, lo prometto.
Saga le prese la mano entrando con calma all' interno del luna park:-
Se vuoi provare qualche attrazione in particolare dimmelo.
Antares si guardò intorno, vide delle ragazze camminare con
tanti peluche tra le mani. Si ricordò che ogni volta che
andava
alle giostre le veniva voglia di vincere qualcosa. Da piccola
trascinava suo padre per un sacco di bancarelle fino a che non avesse
ottenuto almeno un pupazzo, da grande ci pensava lei stessa cercando
disperatamente di vincere qualcosa per tutte, per sè stessa,
per
Sophia, Talia e Febe. Sul momento, quando vedeva qualcuno camminare con
parecchi premi pensava che era facile ma ogni volta non lo era per
niente e si ritrovava a spendere quasi tutti i suoi soldi.
Anche adesso, in quel momento, avrebbe voluto vincere qualcosa. Quando
una coppia le passò accanto pensò che magari
avrebbe potuto regalare
il premio a Saga... o no, forse Saga avrebbe potuto vincere qualcosa
per lei.
Si guardò intorno spaesata osservando le varie bancarelle,
gettò lo sguardo in alto sulla ruota panoramica. Sarebbe
voluta
salirci ma non poteva chiedere tutto questo a Saga.
Strattonò un poco la mano del ragazzo:- Andiamo- disse
quando si fu girato.
-Siamo arrivati da poco. Non vuoi salire da nessuna parte?
-No, andiamo. Va bene così e poi vorrei passare un attimo
dall' appartamento per prendere delle cose.
Prima di tutto dei soldi, si disse. Non si sarebbe mai fatta pagare
niente da nessuno. Se Talia fosse stata lì le avrebbe urlato
nelle orecchie che era stupida, orgogliosa e testarda come un mulo.
Entrare nell' appartamento che aveva condiviso con le ragazze era
diventato una specie di trauma. Fino a poco tempo prima era un luogo
felice ma adesso sembrava essersi riempito solo di sentimenti negativi.
Erano state felici di poter andare a vivere insieme, erano una famiglia.
Andares andò immediatamente nella propria stanza seguita
discretamente da Saga che si stupì della quantità
di
peluche e di salvadenai che si trovavano all' interno. Antares mise l'
essenziale in un borsone, poi prese un altro zaino e scelse un paio di
salvadenai di latta richiudendo la porta dietro di sè a
malincuore, adorava tutte quelle cose.
-Ne hai tanti- notò Saga.
-Cosa? Pupazzi o salvadenai?
-Entrambi. Sei una risparmiatrice?- le sorrise fermandosi accanto al
tavolo della cucina. Antares annuì:- Abbastanza,
sì.- poi
spostò lo sguardo sul frigorifero, c' era una piccola
lavagnetta
luminosa e dai colori sgargianti con la scrittura di Sophia che
ricordava a Talia di chiudere il gas prima di uscire, le sottolineature
e le freccette intorno le aveva fatte Antares aggiungendo una faccina
che faceva una linguaccia accanto all' altra sorridente disegnata da
Sophia. Si chiese se tutto quello sarebbe mai potuto ritornare.
Sospirò:- Sono stanca- si girò verso il ragazzo
che le stava accanto- tu come fai? Combattere, essere un cavaliere,
sacrificare tutto... come fai? Non sei mai stanco?
-No.
Antares fece un mezzo sorriso:- Non ci credo.
-Ho dei momenti di sconforto ma la mia fede non è mai
vacillata. Ho tradito una volta ma ti posso assicurare che anche quando
ero Arles credevo in qualche modo nel Grande Tempio. Ora sto espiando
la mia colpa. E' un onore per me combattere al servizio della giustizia
e della Dea.
-A me non interessa nulla di tutto questo, non sono tagliata per essere
una persona altruista, nè per combattere.
-Eppure da quel che ti conosco non mi risulta che tu ti sia mai arresa
senza combattere.
Antares spostò una sedia e si sedette:-Mi costringo a farlo,
Saga. Non mi sembra di avere avuto un momento di pace in tutto questo
tempo. Vorrei che tutto fosse normale.
-Il destino ha deciso così
-Ci credi?
-Credo negli dei e so quanto possano essere capricciosi.
-Non voglio più reincarnarmi, mi sono stancata. Ogni volta
che sono nata su questa Terra ho perso tutto. Ora dobbiamo cercare di
salvare Sophia, di darle la pace...
-Cosa sono questi discorsi disfattisti? Non credevo che amassi fare la
vittima, Ann.
Antares alzò di scatto la testa:- Posso piangermi addosso
ogni tanto? Posso?!
-E' da quando ti conosco che mi domando se tu sia una donna o una
bambina...
-Sono una persona. Non sono un' eroina, non una sacerdotessa di Atena,
non un gold saint. Non possiedo nervi saldi o spirito di sacrificio o
altruismo come voi! Io voglio solo che le persone che amo stiano bene e
magari un poco di pace anche per me.
-Ti si chiede solo di fare il tuo dovere- la rimproverò, si
passò una mano sulla fronte e tra i capelli sbuffando-
dannazione, ti facevo più matura. Sei ancora una ragazzina.
In quel momento pensò per l' ennesima volta che non
sarebbero mai andati d' accordo.
Sentì la sedia spostare e cadere, Antares sbattere
vilentemente le mani sul tavolo, la voce che sibilava crescendo di
tono:- Tu. Tu non puoi dirmi che sono una ragazzina. Non sai niente.
Cosa posso farci? Te l' ho già detto prima, non ho la tempra
di un eroe, non sono un cavaliere, non ho ricevuto il vostro dannato
addestramento, al contrario di te non sono stata preparata a queste
cose. Almeno io ho dovuto affrontare i problemi, e anche le gioie,
sì, anche quelle, della vita normale. Tu ci riusciresti
Saga? O sai solo fare il cavaliere? Proteggi un mondo di cui non sai
nulla! Sai cosa vuol dire avere due genitori che per te vogliono cose
completamente diverse? Sai che confusione per una ragazzina avere prima
il permesso del padre di poter correre tra l' erba e poi venire
rimproverata dalla madre per lo stesso motivo? Oppure sapere che non
sarai mai abbastanza per nessuno dei due? Perchè non sei
nè una perfetta signorina nè tanto meno un
maschio, un soldato?- abbassò il tono della voce, quasi
pentita per tutto quello che aveva detto- sono stupidate... lo so e so
di non potermi lamentare perchè nella vita in fondo ho avuto
tutto ma certe cose a volte fanno male. Proprio in questo momento ho
pensato a Sophia. Stavo per dirti che non sapevi cosa significava
perdere chi ami ma mi sono ricordata che questo forse lo sai meglio di
me. Hai combattuto così tante guerre... sì.
Scusami. Ho sbagliato, non dovevo dirti quelle cose, sono piccolezze le
mie, lo so. Cerco solo di dire che non è l' età
che rende grande una persona, non sempre almeno. E' una questione di
esperienze e anche io ne ho accumulate più di quante ne
vorrei.
Vide Saga posare la sedia e raccogliere il borsone da terra, prese le
chiavi dal tavolo e la mano di Antares nella sua:- Andiamocene di qui,
uhm?
Si chiusero la porta alle spalle scendendo le scale in silenzio, il
cavaliere si sentì tirare leggermente:- Non essere
arrabbiato, perfavore.-
-Non sono arrabbiato. Mettiamoci una pietra sopra, ok?
Antares annuì continuando a camminare alle spalle di Saga:-
Certo che... anche tu potresti chiedermi scusa.
Il ragazzo si girò sorpreso:- Cosa?
-Sei stato tu ad incominciare- gli fece notare Antares facendo
spallucce.
-Sei una
donna estremamente antipatica lo sai?
-E tu sei un vecchio schifosamente orgoglioso e arrogaante
-Vecchio?!
Saga lasciò che Antares andasse ad abbracciare le sue
compagne e il fratello. Atena era molto sollevata per il fatto che la
guerriera di Giove fosse finalmente tra le mura del Santuario, il
cavaliere di Aquarius inoltre aveva scoperto delle cose piuttosto
interessanti. Dovevano consultarsi tutti insieme per agire al meglio,
salvare Sophia, ritrovare Demetra e Kore e di conseguenza, cosa
più importante, salvare il pianeta.
-Wow- Antares stava contemplando il piccolo Cheiron nella sala del
tredicesimo tempio in attesa che iniziasse la riunione con la dea e il
pontefice. Saga, poco lontano da lei di qualche metro, la osservava con
la coda dell' occhio- è piccolissimo.
Talia rise tirando fuori la macchina fotografica per scattare qualche
foto al piccolo:- E' normale, cosa ti aspettavi, un elefante?
-No!
Febe si avvicinò ulterioremente con il bimbo, Shura non
troppo lontano da lei osservava la scena con quel solito groppo alla
gola che era il suo sgradito senso di colpa:- Prendilo in braccio.
-No, no... meglio di no. Lo sai, sono imbranata con i bambini.
Talia le rivolse un' occhiata furba:- Cos' è? Hai ancora
paura dei bambini?
-Hai paura dei bambini?- intervenne Milo sconvolto.
-Non ho paura dei bambini.
-Una volta una bambina si è messa a fissarla-
iniziò a raccontare Talia con foga- e lei sapete che ha
fatto? Si è attaccata al mio braccio e mi ha chiesto
"perchè mi guarda?"
-Aveva una faccia antipatica!- si difese Antares
-Ann, non dire queste cose- la rimproverò bonariamente Febe-
i bambini non possono avere facce antipatiche.
-Ovviamente non è il caso di Cheiron- si affrettò
ad assicurare la guerriera del fulmine ringraziando mentalmente Talia
per averla messa in quel casino.
-Spiegami questa cosa dei bambini- la incalzò Milo
divertito- anche Camus non ci sa fare granchè a dire il vero.
Il cavaliere di Scorpio si guadagnò un' occhiata truce da
parte dell' interessato. C' era di più e Milo lo
capì immediatamente, Camus era ancora arrabbiato con lui.
-A me piaccioni i bambini- precisò Antares- solo che devono
essere bravi e buoni. Sono i B.R.U. che mi fanno paura...
cioè... non paura...
-Cosa diavolo sono i B.R.U.?- si intromise Aphrodite che aveva sentito
la conversazione.
Antares si spalmò una mano in faccia, bene, ora la cosa era
di dominio pubblico:- Sono i bambini rumorosi e urlanti. Quelli
impossibili da tenere a freno e che fanno tutto quello che vogliono
senza che i genitori possano o vogliano fare qualcosa- le venne un
brivido lungo la schiena, sperava di non doverne mai incontrare uno.
-Io ero una B.R.U.!- urlò soddisfatta Talia mettendosi a
ridere- bè... sì... più o meno.
-Chissà perchè ma lo sospettavo-
affermò Shaka avvicinandosi insieme a Mu
-Cavalieri!- la voce di Shion richiamò tutti all' ordine
mentre la dea prendeva posto sul suo scranno.
Atena diede immediatamente la parola ad Aquarius senza perder tempo:-
Qualche giorno fa ai confini estremi del santuario sono state rinvenute
le spade dell' aria, del fuoco e della terra. Le ho analizzate e ho
scoperto che non sono fatte di comune materiale come si potrebbe
pensare ma... ecco, sono la manifestazione di
energia. Cercherò di spiegarmi, analizzando una
qualsiasi delle spade non troverete mai, che ne so, acciaio o bronzo ma
con opportuni apparechi rileverete ad esempio nel caso del fuoco
energia termica e luminosa, come se vi ritrovaste di fronte a un
oggetto di fuoco e che brucia. Così per le altre due spade
che comunque a noi si presentano come armi normali. Volendo potremmo
supporre che sono una parte di aria, fuoco, terra traferite in degli
oggetti così come loro- e fece cenno con la testa alla
ragazze- ne sono l' incarnazione umana.
-Avete trovato la spada di Sophia?- chiese Death Mask.
-No. Suppongo che ogni spada sia strettamente legata alla propria
guerriera, probabilmente per questo non abbiamo ritrovato quella di
Sophia. Al momento è importante che le ragazze ottengano la
loro spada.
-Non hai detto che sono qui al santuario?- intervenne Aiolia.
-Sono... incastrate- spiegò Atena al posto del cavaliere
dell' unidicesima- cioè... sono incastrate in delle rocce o
qualcosa di simile. La spada dell' aria è protetta da un
vento molto forte, quella della terra galleggia su un lago di fango a
cui si arriva attraverso un ponte di pietre mobili, quella del fuoco
infine si trova su di un mare di lava.
-E tu, Aquarius come hai fatto ad arrivarci?- incalzò Death
Mask
Camus sorrise:- Sono un cavaliere e governo le energie fredde. Non
è difficile superare quegli ostacoli, per lo meno non
dovrebbe esserlo per un qualsiasi gold saint.
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HARU DICE: Molto rapidamente specifico che Antares si riferisce a
quando violata la promessa che la legava ad Apollo durante la sua prima
rinascita viene punita con la morte. In quell' occasione rischia di
annegare in una delle vasche che si trova nella zona del sacrificio ma
Camus la salva.
Scusate se ho deciso di dedicare questo capitolo a Saga e Ann ma avevo
bisogno di sbrogliare la loro situazione, avrei continuato con una
seconda parte ma mi sono resa conto che rischiavo di non finire
più. Nel prossimo capitolo salvo imprevisti ci sposteremo a
dare un' occhiatina a Febe e Shura perchè ricordiamoci che
la nostra ragazza ha una rivale questa volta. Più avanti
-anche se è ancora presto- vi anticipo che parecchio spazio
verrà dato unicamente al punto di vista dei cavalieri, salvo
ispirazione contraria.
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Capitolo 15 *** 15. Confidenze ***
c. 3 vetri
Capitolo
15
Confidenze
Febe da quando Antares era tornata si sentiva molto più
tranquilla, senza contare il fatto che il cavaliere di Aquarius aveva
ritrovato le loro spade. Tutti credevano che fossero andate distrutte
durante lo
scontro precedente, consumate come dovevano essersi consumati i loro
poteri invece ora potevano sperare che se le loro spade erano sane
allora
anche la loro energia doveva essere se non intatta -cosa che era
impossibile- per lo meno ancora presente benchè
particolarmente affievolita.
Antares si era già recata al confine nord del tempio insieme
al
fratello e al cavaliere di Scorpio per cercare di recuperare la sua. A
Febe, mentre cullava Cheiron per farlo addormentare, scappò
un
sorriso. Antares era sempre stata così, poteva avere tanti
difetti, era scontrosa, diffidente e facile a menar le mani, -poco
femminile e priva di sex appeal, avrebbe aggiunto Talia- ma non era
certo una che perdeva
tempo, soprattutto se di mezzo c' erano loro, le sue amiche. Era quella
che le aveva sempre protette, ma nella sua testa Febe non aveva mai
associato quell' aspetto del suo carattere al fatto che in effetti
proprio lei
era la guerriera del coraggio e della protezione. In fondo ognuna di
loro, -tranne lei stessa forse che si domandava ancora che avesse a che
fare una
come lei col titolo di guerriera di Marte- possedeva una parte di
spicco del proprio carattere che era quello per cui era considerata la
guerriera di un certo pianeta. Così come Antares era forte e
coraggiosa, e quindi era normale che proteggesse tutti, allora Sophia
era tanto intelligente e prudente. Era giusto che fosse la guerriera di
Mercurio, quella della sapienza e che Talia così bella e
vivace
fosse la combattente di Venere.
Ma lei, Febe, ancora se lo chiedeva, lei che non era combattiva, che
non era coraggiosa nè passionale in alcun modo... lei che
diritto aveva di fregiarsi del titolo di guerriera di Marte, del fuoco
e della passione? Quale? Non riusciva nemmeno a tenersi stretto Shura,
nemmeno a tirare fuori gli artigli e intimare a quella Alcesti di stare
lontano dal suo compagno.
-Oh- Febe arricciò le labbra, le guance in fiamme-
compagno...-
ripetè a fior di labbra. Era una parola importante e si
domandava se poteva usarla per riferirsi a Shura.
La faceva pensare a qualcosa di primordiale, di istintivo rimandandole
alla mente un patto non scritto che non si basava su nessuna carta e
nessun contratto, un vincolo che univa le anime e che chiedeva fede e
fedeltà, rispetto, lealtà, vita, sacrificio.
Insomma,
ogni singola cellula del proprio essere veniva coinvolta per donare
tutto di sè all' altro. Febe si sentiva assolutamente
disposta a
donare la sua intera vita a Shura. Tutto. Poteva chiederle tutto. Il
suo potere, la sua vita, l' anima, il sacrificio più grande.
Poteva chiederle tutto questo e anche di più e lo avrebbe
avuto.
Avrebbe avuto tutto di lei. Tranne Cheiron ovviamente. Ciò
che
poteva coinvolgere negativamente suo figlio non lo avrebbe ottenuto.
Febe scosse la testa dandosi della stupida. Shura non avrebbe mai fatto
richieste così assurde. Però se si fosse reso
necessario...
-Febe- Talia entrò negli appartamenti del Capricorno
chiamando a
gran voce il suo nome e la guerriera di Marte dovette farsi una corsa
fino all' entrata
per pregare l' altra di smetterla. Dietro la bionda, Antares rimuginava
su quanto dovesse essere faticoso avere un figlio, augurandosi di non
dover fare l' esperienza nell' immediato futuro. Nel qual caso avrebbe
ovviamente castrato il
responsabile. E a dire il vero non si spiegò
perchè un
sorriso diabolico le comparve sulle labbra e il nome di Saga per la
testa.
-Fai paura- notò in effetti Talia indicandola
Le ragazze si diressero nel salotto, il piccolo Cheiron dormiva placido
nella culla accanto al divano.
Talia si guardò intorno accavallando le gambe:- Dov'
è la capra?
-Porta rispetto, è un saint- la rimproverò atona
Antares
-Non c' è- rispose Febe fissandosi il vestito a motivi
floreali.
Era indecisa se raccontare il tutto alle amiche, Talia
perchè
probabilmente avrebbe iniziato a improvvisarsi novella Cupido
macchinando alle sue spalle e Antares perchè probabilmente
l'
avrebbe presa mentalmente per stupida - non glielo avrebbe detto
apertamente-, visto che avevano cose più importanti a cui
pensare, e a proposito di questo chiese- come è andata con
le
spade?
Antares grugnì un "tch" e tanto bastava per indicare che non
era andata bene.
Talia dal canto suo le mostrò un' unghia scheggiata:- E una
pietra stava per colpirmi!- aggiunse affranta- E quel dannato di Shaka
non ha fatto niente per impedirlo- ringhiò.
-E tu ci sei andata?- indagò Antares.
Febe negò col capo:- Shura preferisce accompagnarmi. In
questo
momento è proprio al confine sud per rendersi conto della
situazione. Le labbra di Febe assunsero una linea dura, le faceva
decisamente
male parlare di lui.
-Che c' è?- chiese ancora Antares in uno dei suoi rari
momenti di dolcezza mettendo una mano sulle sue.
-Se c' è qualcosa che non va puoi parlarne con noi- la
incitò Talia
Febe respirò a fondo mentre Antares si riappoggiava contro
la poltrona:- Tra me e Shura le cose non vanno tanto bene...
La ragazza spiegò quanto era accaduto tra lei e il cavaliere
da quando
si erano reincontrati parlando anche di Alcesti, parlava a voce bassa,
un po' per non svegliare Cheiron e un po' perchè tutto
quello le
faceva talmente male che sarebbe potuta mettersi a piangere
lì,
come una bambina, non che non lo stesse facendo a dire il vero ma
cercava di farlo nel modo più discreto possibile:- Voi che
fareste al mio posto?
-Le spaccherei la faccia- ringhiò Antares mostrando un
pugno-
poi si grattò la testa e sembrò ripensarci- no,
forse no.
Parlerei chiaramente con S...- si fermò mordendosi la
lingua,
perchè diavolo doveva pensare a lui? Mica stavano insieme,
che
facesse cosa diavolo gli pareva- parlerei chiaramente con il tizio...
sì
insomma, il mio ragazzo o pseudo tale dicendogli quello che penso.
-L' ha fatto- le fece notare Talia spazientita indicando Febe con la
mano.
-In effetti tu e Shura non stavate insieme- dichiarò allora
la guerriera del fulmine
-E lui sapeva che non vi sareste rivisti- continuò Talia
-Questo lo so anche io!- sbottò Febe con sommo stupore delle
altre due- e che mi fa arrabbiare ma allo stesso tempo so di non
potere accampare diritti- aveva iniziato a gesticolare- che devo fare?
Cosa?
-Però che bastardo- masticò Antares incrociando
le
braccia sul petto e le gambe sul divano- non puoi dire a una persona
che sei confuso. Non puoi!
-Abbassa la voce- disse stancamente Talia spalmandosi contro lo
schienale del divano- stai pensando ad Alex vero?
-Sì, anche lui mi aveva detto di essere confuso ai tempi del
liceo. E io gli stavo dietro come una deficiente.
-Ti piace ancora?- chiese molto innocentemente Febe
-Nah.
-Ora le piace Saga- ridacchiò Talia-
-Scema- soffiò la rossa.
Talia fece spallucce:-Almeno non lo nega.
-Scusate ma si stava parlando di me- si intromise la flebile voce di
Febe.
-Però se lui ti amava non ti doveva tradire-
sentenziò Antares.
-Dai Ann, non essere rigida, magari quel poveretto era confuso, solo
e.... ma sì, aggiungiamo anche disperato- fece la
bionda.
-Voi due mi confonderete le idee, me lo sento- sospirò Febe
-Ci hai chiesto aiuto e ora te lo prendi- puntualizzò la
rossa,
poi ghignò- tu hai un punto a tuo vantaggio- e
indicò la
culla
-Sei cattiva, Antares- piagnucolò Febe
-Antares ha ragione. Tu gli hai dato un figlio, questo vi lega.
-Non userò mai mio figlio!
-Nessuno ha detto questo- la calmò Talia- stiamo solo
dicendo
che oggettivamente Cheiron è come un filo, questa creatura
in un
modo o nell' altro vi lega e Shura mi sembra uno che a certe cose ci
tiene. Poi se così non fosse, se non doveste stare insieme,
Cheiron rimane comunque figlio di entrambi, in un modo o nell' altro vi
accomuna.
-Io voglio che stia con me perchè mi ama e non
perchè si senta in obbligo. Questo genere di unioni non
funzionano- sussurrò Febe
Talia le mise una mano sulla spalla sorridendolole:- E sarà
così, non devi preoccuparti.- poi si alzò in
piedi troneggiando sulle altre due con tutta la sua altezza- Ora sai
che devi fare? - puntò in
alto l' indice e si sarebbe messa a gridare qualcosa se Antares non l'
avesse afferrata per la vita buttandola di nuovo sul divano.
-Dì quello che devi dire a bassa voce- la minacciò
-Riconquistarlo!- sussurrò Talia con tutta la convinzione e
la faccia tosta di cui disponeva.
-Ma che dici? E come si fa?- sussurrò allarmata la guerriera
del fuoco.
Antares assottigliò gli occhi particolarmente interssata:-
Sì, come si fa?
Talia rise compiaciuta:- Povere ingenuotte, non sapete niente. Ma non
preoccupatevi perchè qui con voi avete la dea dell' amore.
Ahahahaha- sospirò soddisfatta- come mi diverto.
Nel pomeriggio...
-Dobbiamo salvare Sophia e scongiurare un imminente catastrofe. Che
cazzo ci facciamo in un negozio di pizzi?
-E' un negozio di intimo- la delucidò Febe
-Rilassati, Ann- la liquidò invece Talia passandole davanti
e
sventolandole la mano sotto al naso con nonchalance- e poi l' hai
sentito Sion, non
dobbiamo esaurire tutta la nostra energia visto che non
sappiamo quanta ne abbiamo a disposizione. Riposo. Ci vuole riposo!
Febe si guardò intorno girando tra capi succinti e mutandoni
portandosi il passeggino con un Cheiron che sembrava ridere dell'
idea:- Almeno tu ti diverti, amore mio- gli sorrise la ragazza.
Talia stava ciarlando con la commessa di qualcosa che Antares non
riusciva a capire e che neanche a dirlo la preoccupava assai. Si
ritrovò di fronte a un tanga e arrossì,
domandandosi come
diavolo facesse la gente a portare un pezzo di stoffa così
piccolo.
-Che utilità ha?- domandò al nulla squadrando il
detto
pezzo di stoffa- il sedere non lo copre di sicuro. Io morirei di freddo
per
tutto il tempo.
-Che domande. Si vede che sei proprio un maschiaccio- la
rimproverò Talia prima di trascinarla in un camerino
cercando di
abbassarle i pantaloni all' urlo belluino di:- Fammi vedere che mutande
hai!
-Taliaaa, ti ammazzo! Lasciami stare! Non mi toccare la cintura!
Febe fece un sorriso di scuse alle due commesse che fissavano il
camerino fin troppo movimentato con un' espressione tra lo
spaventato e il perplesso. Era
sempre così, da quel che ricordava, la guerriera non
riusciva a pensare
a una volta in cui, andando tutte insieme per negozi, non avessero in
qualche modo attirato l' attenzione e non sampre -anzi mai- facendo una
buona figura.
A un certo punto si sentì la risata sguaiata di Talia e Febe
infilando la testa nel camerino la vide indicare le mutande di Antares
con sopra stampato un pinguino.
-Che c' è? Sono belle- si giustificò l' altra,
rossa in viso- a me piacciono.
-Anche a me- concordò Febe.
Talia le diede una pacca sulla spalla:- Dai, anche a me... ma non sono
certo adatte per conquistare un uomo.
-Io non devo conquistare proprio nessuno!- abbaiò Antares.
-Già, già- Talia uscì dal camerino-
restate qua, vado a cercarvi qualcosa.
Guardò il cielo attraverso la porta del negozio, era plumbeo
e prometteva un burrasca.
"Cosa stai facendo Sophi?"
Tornò con una serie di completini che distribuì
sapientemente tra le due amiche.
-Voi maschietti a volte non capite il tesoro che vi si para davanti. Mi
raccomando, non diventare ottuso come il tuo papà- disse
Talia a
Cheiron metre lo cullava tra le braccia e aspettava che le altre due
uscissero dai camerini.
A un certo punto sentì la voce di Febe, più
spaventata
che altro:-Ta..Talia ma sei proprio sicura che questo
vada bene?
Poi quella di Antares:- Ma come diavolo si mette questa roba?!
Talia aggrottò le sopracciglia e guardò di nuovo
Cheiron
che rideva:- Anche noi femminucce in effetti non siamo poi questi gran
pozzi di scienza certe volte-
Alla fine della giornata Antares aveva comprato tre paia di mutandine
classiche che aveva reputato particolarmente carine e un completo
intimo senza troppi fronzoli che le coprisse un poco di più
il
sedere, Talia andava fiera del reggiseno che, parole sue, "le faceva
le tette più sode" e Febe rimuginava sul fatto che avrebbe
dovuto nascondere in qualche antro nascosto del palazzo del Capricorno
il baby-doll pesca che in teoria doveva essere tutto pizzi e
merletti ma che
in pratica era trasparente, il completo intimo rosso con le calze
abbinate e l' insieme di misere stoffe che avebbe dovuto richiamare l'
uniforme di una cameriera. Che vergogna! Era rossa come un peperone,
già il solo pensiero di indossare una qualsiasi di quelle
cose
-Talia diceva che bisognava essere audaci ma qui si esagerava- davanti
a
Shura la faceva andare in tilt, probabilmente di quel passo avrebbe
perso i sensi. Sì, sarebbe svenuta, le ragazze avrebbero di
sicuro chiamato aiuto, sarebbe arrivato Shura a sorreggerla e avrebbe
scoperto quegli abiti indecenti.
O mio Dio!
Non poteva permetterlo!
Non sarebbe mai svenuta!
-Certo che è pesante salire tutte queste scale col
passeggino- si lamentò Talia
-Ma se sto facendo tutto io!- ululò Antares
Io sto portando le buste- si giustificò la bionda
-Scusami, ti sto facendo fare tutta questa fatica- si aggiunse Febe
dondolando il corpo per fare addormentare Cheiron
-Non fa niente, non fa niente- ribattè prontamente la
guerriera di Giove per non far sentire in colpa l' amica.
Alla terza casa Saga e Kanon stavano parlando seduti sui gradini, il
primo si alzò raggiungendo Antares per prendere il
passaggino.
-Ce la faccio, ma grazie- lo precedette la ragazza cercando di assumere
un tono gentile
-Te lo porto- affermò comunque Saga togliendoglielo dalle
mani.
Antares alzò un sopracciglio:-Perchè?
Il cavaliere la guardò ponderando attentamente la risposta e
cercando di
non dire qualcosa che agli occhi di Antares potesse apparire come un
affronto mortale, quando l' ebbe trovata sorrise soddisfatto e
arcuò le sopracciglia fintamente stupido:- Perchè
hai
fatto trecendo gradini, è ovvio.
-Nh
Saga, doveva ammetterlo, in un primo momento fu tentato di dire
qualcosa del tipo "perchè sei una femminuccia e il
passeggino per te è pesante", poi saggiamente
si rese conto che una frase del genere gli avrebbe fatto guadagnare una
sfuriata millenaria e l' odio perenne delle coccinella -che non aveva
un carattere per niente facile.
Kanon dal canto suo stava osservando tutte le buste che portava Talia
desiderando, curioso com' era, di dare un' occhiata all' interno, cosa
poco raccomandabile visto che Febe sembrava una pentola a pressione
pronta a scoppiare da un momento all' altro -imbarazzo? E di che?- e
Antares di sicuro avrebbe per lo meno tirato fuori la sua lingua
biforcuta. No grazie, sentenziò quindi senza però
rinunciare al suo scopo:- Ohi Talia, quante buste- ridacchiò
allora- devi averne comprate di cose!
-Eh no, Kanon. Di queste buste solo una è mia.
Bene, ora Kanon sapeva una cosa in più.
-Wow, allora Febe e Antares hanno svaligiato un negozio. Se non sbaglio
vende dell' intimo- era un attore nato, aveva adocchiato sin da subito
il nome del negozio.
-Già- annuì Talia- soprattutto Febe. Ah, ma non
preoccuparti Saga, Antares non è stata da mano.
Sia Febe che Antares erano diventate tutte rosse, in particolare
Antares si voltò di scatto verso Saga:- Non è
come pensi-
chiarì e per dimostrare la sua tesi gli avrebbe pure fatto
vedere le mutande che aveva comprato ma non le era sembrata una buona
idea dopo tutto.
Allora fissò Kanon senza rendersi conto del sorriso
malizioso
del ragazzo alle sue spalle:- Abbiamo comprato cose normali. Cos'
è? Tu cammini senza mutande? Eh?
Detto questo si allontanò di corsa trascinandosi dietro il
passeggino e le altre due ragazze senza ovviamente risparmiarsi assieme
a Febe una sonora lavata di capo per Talia che le cose a volte non
le mandava certo a dire.
Erano riuscite ad arrivare ai rispettivi templi prima che iniziasse a
piovere. Rientrata in casa Febe cercò Shura e non trovandolo
si affrettò a sistemare i nuovi acquisti in un angolo
nascosto
dell' armadio, vedendo che la pioggia non accennava a smettere, dopo
una mezz' ora
chiamò Antares facendola scendere alla casa del capricorno.
-Scusami se ti disturbo, Ann... sono dispiaciutissima. Il fatto
è che... ecco, volevo chiederti il favore di tenere Cheiron.
Suppongo che Shura sia ancora al confine e fuori piove, non vorrei che
si prendesse un raffrddore.
La guerriera di Giove annuì già domandandosi
tristemente
cosa diavolo dovesse fare per prendersi cura di un bambino. Quando Febe
andò via Cheiron dormiva ma se si fosse messo a piangere? O
se si fosse sentito
improvvisamente male? O...oppure... poteva accadere di tutto e pensando
proprio a quel tutto si mise le mani tra i capelli entrando nel panico
più totale e pregando che Febe si sbrigasse. Nel frattempo
non
avrebbe tolto un attimo gli occhi dalla culla. Forse avrebbe potuto
provare a chiamare rinforzi, si sarebbe sentita di certo più
sicura. I saint avevano un cellulare, grazie al cielo quella era una
modernità ben accetta tra le mura del tempio.
Provò a
telefonare prima a suo fratello e quindi a Milo che a quanto pare
però avevano deciso di non utilizzare come si deve il
telefonino
visto che entrambi squillavano a vuoto. Fece rapida due conti
mangiandosi le unghie delle mani e guardando vigile Cheiron -santo
bambino, dormiva- , chi poteva chiamare? La casa immediatamente
più vicina era quella del Sagittario ma a parte che non
aveva il
numero di telefono -ammesso che Aiolos possedesse il magico oggettino-
non
erano nemmeno in gran confidenza. Però Aiolos era buono e
gentile quindi sì, se avesse potuto lo avrebbe chiamato
eccome.
Talia. Avrebbe chiamato Talia.
Febe aveva afferrato di corsa l' ombrello e si era recata al confine
meridionale, lì Shura contemplava immobile l' immenso lago
di
magma che si era formato tra le rocce e circondato da un muro di fiamme
non troppo alte ma che comunque avrebbero ostacolato chiunque volesse
prendere la spada che si trovava su un masso di grandi dimensioni che
sembrava galleggiare al
centro del liquido incandescente.
Febe rimase qualche minuto a guardargli le spalle, fece qualche passo
avanti raggiungendolo e sfiorandogli timidamente la spalla con la mano.
Shura si girò lievemente sorpreso della sua presenza
lì:- Che ci fai qui?
La ragazza sobbalzò appena, non voleva infastidirlo:- Sta
piovendo- fece una pausa e si morse le labbra-
ho pensato che... potevi prenderti un raffreddore. Ti ho
portato un ombrello- disse lentamente porgendogli l' oggetto.
Shura guardò l' ombrello rosso che gli veniva porto, non
fece una piega, non si mosse:-Cheiron?- domandò invece.
Shura era freddo, terribilmente freddo e Febe si sentì
stringere il cuore perchè non ce la faceva più.
Come poteva stargli intorno se la sua presenza non era gradita, se lo
metteva in imbarazzo?
-L' ho lasciato al tempio con Antares e sono venuta qui. Vorrei che tu
tornassi indietro con me- prese coraggio e gli mise una mano sul
braccio cercando di
stringere l' armatura- perfavore. Prenderò quella spada, te
lo
prometto.
Non avrebbe pianto benchè la tentazione fosse forte. Doveva
smetterla o non sarebbe mai stata degna di stargli accanto. Sarebbe
cambiata per lui.
Il saint prese l' ombrello appoggiato col manico al polso di Febe e
annuì, lo aprì sulla propria testa iniziando a
camminare
al suo fianco verso il santuario, camminando lentamente per
godersi la malinconia del cielo plumbeo sulle loro teste, il
silenzio scandito dal solo ritmare incessante della pioggia sulla
piante, sulle roccie, suglie ombrelli e sul terreno.
-Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non
raggiungibile.
Antares allontanò il cellulare dall' orecchio fissando l'
apparecchio con aria scioccata. Ma che stava succedendo a tutti?
Si accucciò su una sedia e la avvicinò alla culla
poggiandovi le braccia conserte e la testa adagiata su di esse
assorbendo la tranquillità che emanava quel bambino. All'
improvviso il piccolo fece una smorfia e strabuzzò gli occhi
irrompendo in un pianto potente, come se fosse dipeso dal semplice
fatto
di trovarsi davanti un' estranea e non la sua mamma. In un primo
momento Antares si tappò le orecchie, poi prese Cheiron
dalla
culla e con quello che per lei fu uno sforzo enorme odorò il
bambino. Non sembrava aver fatto la cacca ma se ne volle assicurare
comunque. Come aveva supposto era pulito.
Allora che avesse fame?
No, Febe le aveva detto che aveva già mangiato.
E allora?
-Perchè piangi?- rantolò nel panico
più totale.
Poi respirò a fondo, doveva calmarsi. Si
posizionò bene il
bambino all' altezza del petto e iniziò a girere intorno
alla
stanza cullandolo stretto, canticchiando qualche canzone e facendo
qualche smorfia divertente -ma che a lei sembrava semplicemente idiota.
Voleva semplicemente trasmettergli un
poco di tranquillità.
Lentamente il pianto del bimbo andò scemando permettendo ad
Antares di rilassarsi e tirare un sospiro di sollievo,
continuò
a cullarlo, con le labbra increspate da un sorriso materno e gli occhi
addolcitisi all' improvviso.
Quando alzò lo sguardo si accorse che Saga era fermo sulla
soglia
della porta. Come colta in flagrante si arrestò all'
improvviso smettendo di cullare il
bambino che ricominciò a
piangere di nuovo costringendola più goffamente a ripetere i
movimenti precedenti.
Il saint si avvicinava a lei guardandola in modo strano e Antares
sarebbe
voluta scappare il più lontano possibile, quella situazione
era
davvero troppo imbarazzante.
Si ritrovò con Saga a pochi centimetri da loro, il cavaliere
allungò una mano accarezzandole la guancia e sorridendole:-
Sei
bellissima.
La guerriera rimase un attimo a bocca aperta a guardarlo spiazzata poi
abbassò gli occhi:- No- sussurrò
-Sei bellissima- ripetè avvicinando il suo volto a quello di
lei- e in questo momento sei la cosa più dolce che abbia mai
visto.
Febe e Shura avevano percorso il tragitto che li separava dal tempio
nel più religioso silenzio col peso di un muro invisibile
che li separava.
-Hai detto che hai bisogno di tempo- fece lei a un certo punto facendo
arrestare il cavaliere- ma sembra solo che tu stia cercando di
allontanarmi. E la sai una cosa? Non mi interessa. Non mi interessa,
Shura. Io resterò qui fino a quando non me lo dirai tu,
chiaramente, di andarmene. Voglio che tu lo sappia. Non ti costringo ad
amarmi ma ad essere sincero e fino a quando non me lo dirai,
finchè non mi dirai "ti amo" oppure "vai via" io
resterò qui e... e fino a quel momento farò di
tutto per non perderti.
Febe gli passò davanti senza attendere una risposta, sperava
solo di essere abbastanza forte da tentare davvero quel tutto
e di non farsi sopraffare prima. Quando arrivò
trovò Saga e Antares seduti sul divano, Cheiron placidamente
addormentato tra le braccia della ragazza in un altrettanto
religioso
silenzio.
Usciti fuori dalle stanze private del tempio del Capricorno, Antares si
girò verso Saga:- Non ti ho chiesto cosa ci facevi da questa
parti.
-Tornavo dal tredicesimo templio, tutto qui.
-Ah... allora io salgo.
-Sì, e io invece devo scendere.
-Già.
-Camus non era nel suo tempio.
-Quando sono venuta qui c' era ancora.
-Ho capito. Magari è con Milo.
-Magari, sì.
A Saga era evidente che stavano perdendo tempo ritardando il momento
dei saluti, pensò quindi di svelarle il motivo per cui era
stato
al tredicesimo tempio:- Ho chiesto a Sion di poterti allenare.
-...
-Credo di poterti preparare adeguatamente in vista di eventuali
complicazioni.
-Come mai ti sei fatto carico di questa responsabilità?
Saga fece spallucce:- Ho voglia di combattere con te, tutto qui.
Avresti preferito che ti allenasse Camus?
-Non pensavo di dovermi allenare di nuovo ad essere onesti.
-Bene- Saga si voltò dandole le spalle- ci vediamo domani
mattina nel settore nord. Ti aspetto per le sette.
-Otto-
Antares sentì uno sbuffo:- Otto- capitolò il
ragazzo.
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ANGOLO AUTRICE:
In questo capitolo si parla per buona parte di mutande e infatti avrei
voluto intitolarlo "Mutande", ma poi non ne ho avuto il coraggio... ok,
scherzi a parte, inizialmente avrei voluto dedicare questo capitolo
solo a Shura e Febe ma poi è uscito fuori così.
Abbiamo una Talia che sembrerebbe essere ritornata quella di una volta,
Antares particolarmente su di giri e Febe apparentemente risoluta.
Ovviamente tra il Capricorno e neo-Mars non finisce mica qui. Nel
prossimo capitolo in teoria (in teoria perchè poi i
personaggi fanno quello che vogliono -.-) dovremmo avere l' allenamento
di Saga e Antares che come immaginerete non sarà dei
più simpatici, un paio di cosucce che riguarderanno
rispettivamente Shura e Febe e finalmente Milo e Camus e poi bho...
avrei in mente altre cose (soprattutto una su Talia) ma non so se
inserirle già ora oppure aspettare un pochino.
Se può interessarvi ho postato due nuove ff, una shonen-ai
dal titolo "Le
relazioni pericolose (ovvero il buon vicinato)" e l' altra
che invece coinvolge Kanon e un nuovo personaggio, ed è
invece un het, il titolo è "Running
away"
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