Starless Night

di Sybelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gioco di Sguardi ***
Capitolo 2: *** Presentazioni ***
Capitolo 3: *** Posso esserti amico? ***
Capitolo 4: *** Forse ti capirò ***



Capitolo 1
*** Gioco di Sguardi ***


Ebbene, questa è la nuova Starless Night. La vecchia l'ho appena cancellata da EFP.
I contenuti non cambiano, fondamentalmente. Cambia lo stile, cambia la profondità; ci saranno nuove prospettive, nuovi significati: spero di rendere questa storia più bella, più fluida.
Ringrazio tutti coloro che rimarranno al mio fianco, seguendola nuovamente.
E ringrazio tutti coloro che vorranno leggerla ora per la prima volta.
Ci vediamo a fine capitolo!

Gioco di Sguardi

Le luci psichedeliche della sala da ballo accecavano i giovani ballerini, annebbiando le loro menti e rendendo ancora più invitanti i drink ristoratori, freschi e rigorosamente alcolici; accaldati, ragazzi e ragazze si accalcavano intorno al bancone dell'angolo bar, esibendo il biglietto che permetteva loro di ottenere un drink gratis.
Altri, che già avevano sfruttato l'occasione, esibivano invece banconote d'ogni tipo.
Tra questi, particolarmente convinta sembrava una ragazza, già piuttosto ubriaca.
Era bella, molto: la pelle dorata era liscia e priva d'imperfezioni, mentre gli occhi verdi brillavano svegli; era frizzante, era viva. E voleva bere!
Dietro di lei, un'altra ragazza: meno bella, più comune.
Questa ragazza era seccata, nervosa, e di certo non si stava divertendo.
"Diana!" Chiamò.
La bionda (perchè la bella ragazza assetata portava un corto caschetto spettinato e biondissimo) la ignorò, o forse non la sentì: "Ehi bel giovane, da questa parte, una vodka lemon!! Ehiiii!"
La sua amica sospirò, irritata, e questa volta prese l'altra per un braccio, portandola via con energia: "Diana, ascoltami! Dobbiamo andare, è tardi!"
"Ma Micol, io devo rimorchiare!!" Protestò l'altra, dimenandosi.
Micol la guardò perplessa, incapace di proferire parola: "Sono... Sono le quattro di notte, sei impazzita?!?!?! Domani dobbiamo andare all'Università, ed io vorrei dormire!"
Diana sembrò pensosa, incerta sul da farsi; poi, esibendo un grandissimo sorriso, disse solo: "Allora prendimi!"
Sfuggì all'amica e corse via, lasciandola lì, sbigottita.
Micol non poteva di certo definirsi una cattiva ragazza, anzi: la pazienza era una delle sue virtù; ma in quel momento desiderava solamente prendere il collo di Diana e stritolarlo, come si fa coi polli.
La pista era affollata, buia, e la massa danzante era informe ed omogenea: trovare Diana lì dentro avrebbe richiesto troppo tempo, ed una dose di pazienza extra che lei non possedeva; per fortuna quel posto (il Prince, discoteca piuttosto affermata) constava anche di un secondo piano, dal quale era possibile vedere la pista sottostante.
Evitando pozze di alcool, bicchieri rotti, gente ubriaca e ragazzini dallo sguardo vacuo, riuscì a raggiungere il piano superiore: un ragazzo la guardò malizioso, ma lei non lo considerò nemmeno.
Diana era sempre alla costante ricerca di un ragazzo, e si sentiva persa senza: inutile, vuota.
E Micol questo non lo sopportava. Micol non sopportava l'idea che una donna si sentisse incompleta senza un uomo; a Micol non piaceva che una donna cercasse un uomo per un motivo del genere.
La giovane aveva avuto storie, in passato: storielle adolescenziali, nulla di importante; ed ora poteva affermare senza alcun dubbio di stare molto bene da sola.
Finalmente vide la propria amica: quella sciagurata si scatenava -dando spettacolo- al centro di un gruppetto di ragazzi; sospirò, sfinita: il giorno dopo gliel'avrebbe fatta pagare, oh sì.
Il suo sguardo viaggiò veloce lungo l'intero locale, e senza motivo si soffermò sul bancone del bar. E fu strano, a quel punto, ritrovarsi ad affrontare un insistente sguardo ambrato.

*

Si trovava al Prince più per caso che per voglia: non amava le luci al neon, né quella musica caotica e quello scatenato modo di ballare, così sgraziato e spesso volgare.
Ricordava con nostalgia gli eleganti balli dell'Ottocento, le allegre fiere medievali e la musica sicura e tonante del giovane Mozart.
Nei secoli tanti aspetti della vita erano mutati inesorabilmente: un tempo i giovani non si divertivano di certo a quel modo; né, tantomeno, ragazzi e ragazze si conciavano così pur di piacere.
Da quando era entrato aveva già notato parecchie coppie appartarsi, senza mai essersi viste o conosciute prima; e il dialogo, il valore dell’animo umano? Dove finivano in quello sfavillante secolo?
Si era sentito un po’ solo, forse. Da tanto non abbracciava una persona amata!
Che fosse stata la solitudine a spingerlo lì? Sia ragazze che ragazzi gli si erano avvicinati, ma nessuno di loro avrebbe mai potuto colmare quel vuoto; li aveva attratti involontariamente, e liberarsene era diventato quasi seccante.
Odiava i propri poteri. Il naturale fascino era di certo un’arma vincente quando si trovava a caccia, affamato: purtroppo era una lama a doppio taglio, che lo vedeva oggetto d’innumerevoli attenzioni da parte dei mortali, accecati dalla sua bellezza.
Ma come spiegare loro che ciò che più desiderava era essere amato per la propria anima?
Voleva una compagna –od un compagno- che avesse occhi non solo per i suoi pregi, ma anche per i suoi difetti.
Rise, ed il suo candido sorriso sbalordì e ammaliò le persone più vicine.
Davvero voleva tornare ad amare? E chi? Non conosceva vampiri e vampire interessanti, e legarsi ad un umano sarebbe stata solo un’inutile seccatura.
Eppure … I suoi sensi erano all’erta.
Troverai la persona giusta!, dicevano.
ORA!
E allora si era voltato, come faceva da due ore a quella parte, verso l’entrata; infatti erano appena arrivate due ragazze.
La prima era bellissima: fisico formoso e tonico, sguardo seducente, sorriso da ragazzina e capelli biondo sole.
Indossava un minivestito verde scuro che risaltava la pelle abbronzata, e si muoveva a suo agio sui tacchi di tredici centimetri, evitando le persone e facendosi strada.
Lesse un solo, chiaro messaggio nei suoi pensieri: trovare un bellissimo ragazzo.
Sorrise, ridendo di quella smania d’apparire; era così giovane, così ingenua…! Quanti anni? Diciannove, poco meno!
Era giunta al Prince con la propria migliore amica; si prese il tempo di osservarla.
Era più alta e più asciutta della bionda, ma i suoi muscoli erano anche più allenati (nuoto, palestra… boxe? Possibile?).
I capelli, legati in una treccia ordinata, erano lunghi e castani, mentre gli occhi (vigili, come se avesse voluto mantenere il controllo sull’intera sala), contornati da un filo di matita nera, erano di un castano più chiaro.
Indossava vestiti più economici e meno appariscenti di quelli dell’amica, e sul viso pallido si delineava di tanto in tanto un sorriso corrucciato.
Non era bella ed attraente quanto l’altra ragazza, eppure rimase soggiogato da quel viso e da quel corpo: la trovava meravigliosa.
Effettivamente, a voler essere sinceri, lui trovava del bello in ogni cosa (anche nella più abominevole); poche volte, però, rimaneva a bocca aperta.
Quella ragazza lo incuriosiva: vedeva qualcosa di totalmente diverso in lei.
La osservò, carpendo dai discorsi con l’amica –che lui sentiva perfettamente, solo concentrandosi sulle loro bocche- e dai pensieri di entrambe sprazzi della loro vita e della loro personalità.
La bionda si chiamava Diana, aveva diciotto anni e, come aveva immaginato, stava disperatamente cercando un principe azzurro (o lillà, blu, magenta… insomma, le bastava che fosse un uomo e respirasse); era una ragazza dal cipiglio deciso e dall’ubriacatura veloce, come poté presto constatare.
L’altra… L’altra era Micol.
Subito pensò che in ebraico significava “colei che regna”.
Oh, ed aveva una personalità degna di una regina! Diciannove anni, pochi soldi in tasca e tanta praticità: aveva la testa sulle spalle.
Vide nei suoi pensieri la rabbia nei confronti dell’amica, che l’aveva costretta ad uscire; vide nei suoi pensieri le sue idee sull’amore (come la comprendeva!); e vide, cosa più importante, la scuola che frequentava.
Si perse nell’ammirarla, così leggiadra e sicura di sé, e sorrise compiaciuto quando anche lei notò la sua presenza.

*
Ricambiò lo sguardo, ma notando che il misterioso osservatore non si decideva a distogliere gli occhi da lei, non tardò a voltarsi per prima, mentre il suo animo oscillava tra l’irritazione e l’imbarazzo.
Scese di corsa le scale, inciampando più volte sui corpi esausti di ragazzi che il giorno dopo non si sarebbero ricordati di niente, e quando arrivò alla pista la percorse in tutta la sua lunghezza, arrivando subito dall’amica.
Quella, sbronza, ballava (o meglio, si dimenava) come una forsennata e ammiccava maliziosamente in direzione di chiunque le capitasse a tiro.
Le prese il polso, tirandola verso di sé: “Forza Diana, dì ciao al tuo amichetto, dobbiamo andare!”
La bionda obbedì di buon grado, agitando la mano e salutando tutti con voce cantilenante, mentre si allontanava sospinta dalla bruna, che agguerrita si apriva la via verso l’uscita.
Lottò ed arrancò, ma alla fine riuscì a guadagnare la porta: una volta fuori respirò a fondo la fresca aria notturna, sollevata.
Si incamminò verso la strada, dove una navetta le avrebbe riportate vicino a casa; indossò la giacca, costringendo l’amica a fare lo stesso.
“Ehi Micol, chi è quel tizio tutto alto con la torcia?” Esclamò ad un certo punto Diana, sgranando gli occhi ed indicando un punto imprecisato dietro la sua schiena.
La ragazza, stupita, si voltò a guardare, scoprendo che la sua cara compagna ubriaca non riusciva più a distinguere una persona da un lampione; sospirò, amareggiata, chiedendosi perché proprio a lei fosse capitata una migliore amica del genere.
Prima di distogliere lo sguardo, però, notò un particolare ben più sorprendente: lo stesso individuo di prima era appoggiato a quello stesso palo della luce e seguitava ad osservarla.
Era giovane, era vecchio? Impossibile a dirsi. Poteva avere qualunque età.
L’ovale del viso –pallidissimo, ma probabilmente era solo un effetto dovuto al lampione ed alla notte- era circondato da lunghi capelli scuri; alla luce del lampione le sembrarono rossi, o comunque ramati, ma non ne era certa.
Lo guardò per poco meno di un istante, ma le parve bellissimo. Non c’era nulla di stonato in quella presenza, che sembrava quasi fondersi con l’ambiente circostante.
Lui schiuse la bocca, forse per parlare, ma la navetta arrivò proprio in quell’istante e Micol non esitò a salirci sopra, trascinando con sé l’amica mezza addormentata.

*
La vide allontanarsi, con l’animo in tumulto.
Cosa voleva dirle, prima? Perché voleva parlarle?
Prese dalla tasca dei pantaloni un registratore, che accese: “Non so cos’abbia Micol Hale di diverso da tutte le altre, anzi, si direbbe una normalissima ragazzina. Sono tormentato: seguirla o lasciarla andare? Ora che non è più qui, questa notte mi appare insignificante.”

*
“Diana!! Diana, Diana, DIANA! Svegliati!”
Una forza sconosciuta la strappò a forza dalla dolce dimensione onirica in cui era piombata, costringendola ben presto ad aprire gli occhi..
Scoprì così che la forza sconosciuta non era altro che Micol, che urlava come un’ossessa, maledicendola ogni quattro parole.
“Mic, piantala! Ho un gran mal di testa, lasciami dormire!” Mugugnò con la voce impastata dal sonno, stiracchiandosi e sbadigliando.
La ragazza perse completamente la testa: “CALMARMI?? Io dovrei calmarmi??? Tra un’ora abbiamo lezione!”
Diana rimase un momento in silenzio, come imbambolata, poi si rianimò di colpo: “NON CE LA FAREMO MAI!”
Balzò giù dal letto e quando si trovò davanti allo specchio si spaventò nel vedere il viso pallido ed il trucco rovinato: “Oh cielo!”
Seguì l’apocalisse: vestiti dovunque, libri ammucchiati nelle borse senza un ordine logico e, naturalmente, urla isteriche provenienti da entrambe.
Micol incolpava Diana di essere una testarda alcolizzata che non dava retta a nessuno, mentre Diana, dal canto suo, accusava Micol di non essere stata abbastanza convincente la sera prima. Rimandarono comunque i battibecchi, così da poter risparmiare tempo, e riuscirono a salire sul metrò giusto in tempo per arrivare in orario alle lezioni.
Una volta a bordo nulla impedì alle due di litigare in santa pace, finchè non trovarono il giusto compromesso e non si stancarono di discutere.
Diana non voleva assolutamente fare cattiva impressione durante le prime lezioni e proprio per questo pregava con tutte le forze che arrivassero in tempo; Micol, intanto, per distrarsi un attimo si mise ad osservare i passeggeri, immaginandosi le loro vite ed i loro caratteri.
E quasi le venne un colpo, quando notò un viso improvvisamente familiare...!
Se ne stava lì, elegantemente seduto con le mani in grembo, a scrutarla; a sua volta era osservato da tutti i passeggeri lì attorno, ma non sembrava curarsene. Inutile dire che il principale motivo di tanto interesse da parte dei presenti era la sua innata bellezza, perfetta in maniera quasi agghiacciante.
Non sorrideva, ma non sembrava per questo serio o cattivo: piuttosto le sembrò assorto.
I suoi occhi presentavano dolci riflessi caramellati, mentre l’oro ed il castano si fondevano in un unico colore.
L’ultima cosa che ebbe modo di notare, prima di scendere velocemente dal mezzo, fu che i suoi capelli all’ombra apparivano neri.

*
Aveva commesso l’ennesimo errore seguendola? Probabilmente sì.
Era sembrata così spaventata! Eppure, nonostante l’evidente spavento, non era scappata; aveva ancora una volta affrontato i suoi occhi, osservandolo attentamente.
Era una donna forte, lo percepiva; ma era ancora tanto giovane...!
Basta, doveva evitarla. Non doveva più cercarla, né doveva continuare ad atterrirla con la sua presenza; doveva placare quella voglia, quella fame di vederla.
Scese in una fermata a caso, allontanandosi subito dalla calca di gente che affollava la stazione.
“Cuore mio, cuore mio, smettila di palpitare!” Bisbigliò a se stesso, domandandosi il motivo per cui il proprio avvizzito organo aveva improvvisamente ripreso a battere tanto intensamente.
Era lei? Era l’umana a renderlo...umano?
“Dunque anche un vecchio vampiro come me può ricadere sempre negli stessi errori?” Si chiese, mentre l’aria carezzava dolcemente (o era forse forte quel vento? Quasi non lo sentiva!) il suo corpo.
Prese nuovamente il registratore, che accese con aria distratta: “Sento il bisogno di donarle qualcosa. Mi sembra povera economicamente; io invece sono ricco e solo. Potrei renderla la mia regina, potrei farla felice. Ma non può funzionare ed io mi sento soccombere già. Perché le do tanto peso? L’ho solo vista. Non ha nulla che altre donne ed altri uomini possano invidiarle.”
Sospirò, ripercorrendo il profilo di quel bel viso con la mente: sentì l’impulso di rivederlo ancora e ancora, per il resto della sua esistenza.
Lei non ha importanza per me, si disse, ma il suo stesso viso lo tradì sorridendo appena.
Portò ancora alle labbra il piccolo apparecchio elettronico: “Credo che questo sia ciò che gli uomini chiamano colpo di fulmine. Che gli dei mi proteggano.”
Lo spense, rimettendolo in tasca.
Ad est c’era il centro cittadino, a nord la campagna, ad ovest la sua villa, a sud l’Università.
Corse più veloce del vento, per arrivare pochi secondi dopo.
Così vecchio e così sciocco!, si disse.
Troppo tardi, ormai era dentro.

Fine primo capitolo

Che dire? =)
Aspetto pareri!
Ah, per chi non avesse seguito la storia da prima e non lo sapesse: non vuole in alcun modo essere un plagio di Twilight.
È solo una storia che volevo scrivere da tempo.
Lasciatemi un commento, se il capitolo vi è piaciuto.
Sybelle

Un disegno di...DIANA.
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Capitolo 2
*** Presentazioni ***


Presentazioni

Non che fosse una tipa particolarmente paranoica, ma stranamente la prima ed unica ipotesi che era riuscita a immaginare era quella dello stalking.
Si diede della stupida: come poteva subito pensare al peggio?
Esistevano le coincidenze, fino a prova contraria; poteva persino essersi sbagliata, no?
Magari lui non la stava fissando come credeva!
No, fuori questione. Il suo cervello razionale si ribellò alle casualità della vita, preferendo ad esse il sospetto.
Micol del resto sognava di diventare una famosa detective, l’intuito di certo non le mancava.
Scese dal treno, dunque, immersa nei pensieri più cupi, ringraziando il cielo nel constatare che quell’individuo non fosse sceso con loro.
“Micol...? Micol...? MICOL!”
Sussultò, mentre Diana le passava una mano davanti agli occhi, cercando invano di attirare la sua attenzione.
“Ci stai pensando anche tu eh?” Esordì la ragazza, esibendo un gongolante sorriso malizioso.
“Pensando a cosa?” Chiese distratta, tentando di comprendere l’eccitazione dell’amica, pur non giungendo a grandi risultati.
Diana parve sognante, se non addirittura estasiata, nel rispondere: “Ma a LUI! Non vorrai mica farmi credere di non averlo notato?!” Domandò dunque stizzita, come se Micol avesse compiuto così uno scandaloso crimine.
Rimase sul vago, senza incrociare il suo sguardo: “Forse, ma spiegati meglio.”
La bionda non se lo fece ripetere due volte e subito si dilungò in un’appassionata descrizione: “Era davanti a noi, indossava una maglia nera, bellissima, e dei pantaloni scuri a sigaretta, divini! Aveva i capelli scuri e lunghi, veramente lunghi –ma come sembravano curati!-, la pelle bianca e perfetta e gli occhi... Oh, ma non hai visto come ci guardava?!”
Micol si ritrovò a pensare, piuttosto egoisticamente, che Diana non centrasse niente: provò una sorta di odio verso l’amica, che riteneva di essere stata guardata da quel tale.
Ebbe l’impulso di dirle che no, non guardava tutte e due, che lui guardava lei. Lei soltanto.
Ma si sentì immediatamente stupida ed infantile, e si limitò ad annuire col capo.
“L’ho visto ieri al Prince, comunque.” Aggiunse, giusto per non sembrare troppo fredda.
“DAVVERO? Ma allora è del posto!” Esultò Diana, esibendo un enorme sorriso.
“Sai Micol...”, disse subito dopo, aggrappandosi al braccio dell’amica, “...Credo di aver visto la mia anima gemella!”
“Non esagerare, dai...!” Commentò con un vago sorrisetto poco convinto, cercando di apparire tranquilla.

Non dire cazzate!
Quanto avrebbe voluto urlarglielo!

 *

“Signora, mi scusi, non vorrei interromperla mentre svolge il suo prezioso lavoro. Mi vedo d’altronde costretto a chiederle l’ubicazione dell’aula quattro. Sarebbe possibile forse?”
La signora delle pulizie credeva ormai di aver visto praticamente tutto, in cinquantotto anni di vita e trenta di onorata carriera; ma mai, mai aveva visto un giovane –o forse era un uomo?- così galante, ben educato e ... sexy. Avvampò come una ragazzina, balbettando inebetita la risposta.
“Lei è stata davvero gentile. La ringrazio per la cortese informazione.” Dopo averla abbagliata con un sorriso perfetto –ed averla messa in totale imbarazzo-, si diresse nella direzione indicatagli.
Trovò immediatamente l’aula, vi entrò e si sedette in un posto a caso; la classe era costituita da sessantadue membri, dunque era piuttosto piccola, e la maggioranza di questi era maschile.
La sua ricerca sarebbe stata rapida.
Ed eccola là, infatti, la preziosa Micol!
Qualche banco più in basso vide infatti una lunga chioma castana, le cui lisce ciocche terminavano in piccoli boccoli ordinati. Micol sorrideva divertita all’amica, che le sedeva proprio affianco.
Le due stavano controllando l’una gli appunti dell’altra, divertendosi forse nel notare le incongruenze e gli errori dovuti alla distrazione.
Sentì l’impulso selvaggio di richiamare la sua attenzione.
Che pensiero stupido ed infantile!
Si prese il tempo di ammirarla; notò che il suo viso era un po’ allungato e che la sua pelle era liscia e pulita; non si truccava molto e non era una che badava troppo all’apparenza ed alla bellezza.
Diana, l’amica bionda, al contrario sembrava attentissima al proprio aspetto, pur non volendo apparire una ragazza facile o, ancora peggio, di cattivo gusto.
Vederle nella loro quotidianità gli fece un certo effetto: erano entrambe sorridenti e rilassate, ragazzine giovani e semplici.
Per esempio Diana la sera prima gli era sembrata vanitosa e oca, usando il gergo moderno, mentre in classe appariva simpatica e gioviale.
Micol gli sembrò più coerente: una persona pacata che sapeva sia adattarsi che prendere in mano la situazione.
Il suo sorriso era così dolce!
Ma non poteva perdersi in certe sciocchezze da mortali: il professore era entrato.
Così, mentre l’uomo aggiustava la sua cartellina ed i suoi oggetti personali, lei, come era già successo altre tre volte dal giorno prima, si girò ed incrociò il suo sguardo.
Allo spavento seguirono la rabbia e l’indignazione, a loro volta seguite dal sospetto; non scappò dai suoi occhi, anzi, li affrontò con rara determinazione.
In quei pochi secondi combatterono fieramente.
Chi avrebbe distolto lo sguardo?

 
*

 Si sentiva osservata. Di nuovo. E lei ODIAVA sentirsi osservata.
Per tutta la vita aveva lottato contro i pregiudizi altrui, così quando sentiva un paio d’occhi su di sé subito avvertiva un nuovo giudizio; la irritava.
Non poteva comunque giungere a conclusioni affrettate: doveva scoprire se davvero la stessero guardando.
Si girò e per l’ennesima volta si trovò ad incrociare lo sguardo magnetico del tizio affascinante.
Il cuore ebbe un sussulto. Paura. Chi era? Non l’aveva mai visto prima: né a lezione, né in città, né in discoteca... Eppure dalla sera prima era diventato onnipresente.
E continuava a fissarla con quei suoi occhi splendidi, come a volerla intimorire!
No, non era mai esistito che Micol Hale, la spavalda, avesse avuto paura di qualcuno, e non sarebbe successo mai; nemmeno se ad atterrirla era quell’inquietante ed attraente ragazzo (uomo?).
Avrebbe ricambiato lo sguardo ed avrebbe messo in ginocchio quel miserabile figlio di ...!
L’avrebbe costretto a distogliere quegli occhi maledettamente sexy da lei; lui le sembrò sorpreso, ma pronto comunque a vincere la sfida che gli lanciava.
Il docente li interruppe sul nascere, iniziando a parlare: “Buongiorno. Vi sarà di certo giunta voce di un accordo tra la nostra facoltà e la polizia; l’accordo ora è ufficiale. Comprende in particolare gli studenti dell’ultimo anno, ma è probabile che anche voi veniate coinvolti; il progetto consiste nella compartecipazione lavorativa, così noi della facoltà di criminologia potremo partecipare alle indagini e contribuire virtualmente ad esse. Potrete, nelle ore apposite di lezione, formulare ipotesi, alibi, accuse, moventi e quant’altro sia utile ad un’indagine.”
Il professore attese che la classe manifestasse i propri sentimenti a riguardo, per poi cominciare la lezione.
Micol era sempre stata una “secchiona”: i suoi appunti erano oggetto di contese e di ammirazione.
Quel giorno non riuscì a scrivere niente.

 *

Quella facoltà sembrava davvero interessante: l’impulso di diventare uno studente si fece sempre più forte...
No! Non poteva!
Cosa stava facendo? Era impazzito?! Diventare studente sarebbe stato il primo passo verso la socializzazione con gli umani, e questo avrebbe anche portato ad incontri sempre più ravvicinati con la ragazza.
Voleva conoscerla, voleva parlarle. DANNAZIONE!

Stupido, stupido, stupido! Non innamorarti! Perché non impari dal tuo passato? Perché non impari a diffidare?
Si sentì preda di una sofferenza che da tempo aveva dimenticato.
Seguirla o non seguirla? Presentarsi o sparire?
Avrebbe tanto desiderato che lei si voltasse di nuovo, per bearsi ancora dell’autunno dei suoi occhi!
Con i suoi poteri avrebbe tranquillamente potuto entrare nella sua mente e manipolarla fino a farla voltare, certo, ma non era ciò che voleva; lui voleva che lei lo notasse per ciò che era, per un moto volontario.
Sentiva il bisogno che lei provasse per lui l’interesse che lui provava per lei.
Capì che non poteva lasciarla andare così.

Posso almeno provare a conoscerla.
Così, finite le lezioni, andò spontaneamente da lei e dalla sua amica.
Lei arretrò leggermente, schiva, avvertendo forse un segnale di pericolo.
Era splendida.

 *

 Era splendido. Fu l’unico pensiero che riuscì a formulare in quel momento. Le uniche volte che l’aveva visto era stato sotto luci abbaglianti o nel buio della metro, così non era riuscita a farsi un’idea precisa.
Ora che la luce del giorno lo illuminava –sebbene le nuvole grigie attutissero l’effetto dei raggi solari- poteva vederlo per come era veramente: non aveva rughe, imperfezioni o brutti lineamenti.
Il suo viso era pallido ma non per questo sembrava malato, anzi, sembrava piuttosto in forma.
Era giovane ma definirlo giovane era comunque sbagliato. Era strano.
Indossava un dolcevita nero, jeans scuri e una cintura firmata (Valentino... Non era un famoso stilista italiano?); le scarpe erano semplici Adidas bianche con le strisce nere. Il look era sportivo ed informale, ma l’effetto finale, su di lui, mozzava il fiato.
I capelli non erano né neri, come Diana sosteneva, né rossi, come credeva lei. Erano indubbiamente scuri, castani forse, ma dai riflessi si capiva che non erano castani; quando la luce li colpiva assumevano riflessi ramati, al contrario, se rimanevano all’ombra, i riflessi diventavano violacei.
Un colore parecchio insolito, insomma, come i suoi occhi.
Improvvisamente si sentì tremendamente banale con il suo semplice castano.
Prima di poter fare qualcosa, Diana era già partita all’attacco: una simile occasione non andava sprecata!
“Ciao, sono Diana Rowen! Sei nuovo?” Coronò l’esuberanza con un sorriso abbagliante.
Lui sembrò divertito; rispose con voce garbata e tranquilla: “Piacere Diana Rowen. Sì, effettivamente sono nuovo, e non conosco ancora nessuno.”
Diana rimase affascinata dal timbro profondo ed ammaliante dell’uomo, ma non perse comunque tempo: “Come ti chiami?”
Micol notò che, curiosamente, venne preso da un rapido attacco di panico: solo per un istante i suoi occhi apparvero persi e incerti.
Si riprese molto velocemente: “Io sono Armand De Lincourt.”
“Sei francese?” Domandò Diana, colpita dalla singolarità del nome.
Pensò che tutto in quella persona era estremamente inusuale: l’aspetto, i modi, il nome...
“Sì.” Rispose sorridendo, ed il panico che per un momento lo aveva assalito si era già vaporizzato.
Spostò lo sguardo su di lei: “E lei come si chiama, madame?”
Avvampò, pur non volendolo, e nessun broncio, nessuna diffidenza poté impedirle di rispondere: “Micol Hale.”
 

*

 La sua voce aveva un suono così dolce! Nonostante all’apparenza fosse una ragazza forte e risoluta, possedeva un timbro vocale femminile ed affascinante.
In più si accorse di un fatto singolare: mentre Diana, come tutti, rimaneva immediatamente sedotta da lui, Micol resisteva stoicamente, impedendosi di cedere.
Le sorrise, sperando che cogliesse il suo invito a lasciarsi andare: fu inutile.
“Sono davvero felice di avervi conosciute; in classe mi sentivo spaesato e solo.”
Aveva subito capito il carattere della ragazza bionda e quindi sapeva perfettamente che lei avrebbe subito cercato di farlo sentire meno solo.
“Beh, hai già fatto un giro per la città?” Incalzò lei, attendendo fremente la risposta.
“No.” Rispose semplicemente, aspettando che lei lo invitasse.
“Allora che ne pensi di venire con me e Micol? Ci divertiamo!”
Micol non sembrò affatto entusiasta, ma lui non poteva permettersi di rifiutare: “D’accordo.”

 
*

Diana aveva esagerato questa volta. Invitare, senza consultarla, un emerito sconosciuto per un’improvvisata uscita a tre era l’azione più sconsiderata che avesse mai fatto!
Che poi l’emerito sconosciuto fosse un dio incarnato non era una scusante.
Il pretesto?
“Ti prego Mic, aiutami a conquistarlo! Mi piace da impazzire!”
Cosa non si fa per gli amici...
“Armand, ma quanti anni hai? Scusa se te lo chiedo, ma sembri più grande di noi... Non si direbbe che hai appena cominciato l’Università!”
Micol alzò gli occhi al cielo: tipico di Diana esordire con domande patetiche.
Infatti lui rise, una risata così dolce da stupirla: “Infatti io sono un po’ più grande di voi, ho ventiquattro anni. Comunque vorrei farti notare che l’Università si può iniziare a qualunque età.”
Diana arrossì, annuendo impercettibilmente.
Riuscì a superare la brutta figura in pochi minuti, intrattenendo il suo nuovo “amore” con infinite chiacchiere sugli argomenti più disparati; Micol li osservava ad un passo di distanza, studiando silenziosamente il bel -bellissimo, divino, sensuale!- francese.
C’era qualcosa che non le quadrava: l’idea dello stalking si fece ancora strada nella sua mente.
Cercò di non pensarci.
Diana si fermò improvvisamente, stupendo entrambi; iniziò a cercare qualcosa nella borsa, finchè non ne tirò fuori un foglietto stropicciato.
“Un promemoria.” Spiegò frettolosamente, aprendolo.
In effetti Diana scriveva sempre su un foglio le cose che temeva di scordarsi; purtroppo poi si dimenticava del foglio, così si era sempre da capo.
“Ecco cosa dovevo prendere! Mi ero scordata di aver finito i soldi nel cellulare! Mi aspettate un attimo mentre vado a ricaricarlo? Ci metto un secondo!” Esclamò tutto d’un fiato, indicando un tabacchi poco distante.
Trovò stupido avere l’affanno per una questione così semplice; Diana davvero si sentiva così in soggezione con Armand?
Lui al contrario sembrava estremamente a suo agio: “Vai pure, noi non ci muoveremo d’un passo.”
Rincuorata, corse subito al negozio.
Lei ed Armand si ritrovarono improvvisamente soli, in una piazzetta poco frequentata in un angolo della città incredibilmente tranquillo; la pace fuori e l’inferno dentro.
Sentiva un disagio che non riusciva a spiegarsi: paura, ansia, agitazione, sospetto... Cosa poteva essere?
“Puoi avvicinarti sai?” Le sorrise lui, educatamente sarcastico.
“Sto bene dove sto, grazie.” Rispose il più freddamente possibile, senza incrociare il suo sguardo. Non sembrava un pervertito, però...
Fidarsi è bene, non fidarsi...
Non si sarebbe avvicinata dunque, anche se a chiederglielo era stato un fotomodello dalla voce intrigante e dai modi di un gentleman! Non avrebbe fatto la figura della stupida!
Lui reagì in modo bizzarro: sembrò rattristato ed un po’ deluso, come se lei avesse rifiutato una proposta galante. Lo guardò appena, giusto in tempo per notare il suo cambio d’espressione: la tristezza era stata sostituita da uno sguardo assorto e meditabondo, come incantato.
Parlò, e la sua voce fu talmente bassa che dovette persino sforzarsi per sentirlo: “Sei stata creata dagli angeli...”
Non poteva crederci: davvero l’aveva detto?
“C-cosa? Come hai detto?” Impacciata e presa alla sprovvista, non ricevette risposta.
Diana tornò, riprendendo subito a ridere ed a scherzare intimorita con il francese.
Lui da parte sua le sorrideva garbatamente dandole corda, e lanciò solo un’ultima occhiata in sua direzione.
Lei era una statua: non poteva esserselo immaginato; aveva davvero pronunciato quelle parole.
Si sentì stordita.
Ricominciando a camminare dietro di loro, si concentrò sulla sua voce, notando che il tono era leggermente diverso: sembrava spontaneo, sincero e divertito, ma si sentì abbastanza sicura di poter affermare che quello che stava chiacchierando con Diana non era il vero Armand.
Il vero Armand era quello che le aveva appena detto, con l’aria di un uomo che osserva la cosa più bella di questo mondo, che quella cosa più bella era lei.
 

Fine secondo capitolo

 Ed eccoci qua =)
Sono tanto felice di vedere che questo remake ha riscosso successo!
Spero che il capitolo, per quanto esiguo, vi sia piaciuto! ^^

 Euridice Volturi: Grazie mille per i gentilissimi complimenti, li apprezzo veramente molto. Per il disegno di Armand... L’impresa si sta rivelando difficile! O.ò Speriamo bene! Aspetto la tua su questo capitolo, ciao =)

 Houdry: Ciao Houdry, ti ringrazio infinitamente per il tuo giudizio così positivo: mi rendi fiera del mio italiano! X3 Il disegno l’ho fatto io, sì, anche se devo ammettere che dal vivo fa un’impressione migliore ^^’’. Micol la puoi vedere qui sotto, per Armand dovrete –purtroppo- aspettare. Spero che tu recensisca ancora! Un bacio

 StilledAnima: Ciao carissima! Sono così felice di rivederti! Innanzitutto sono lieta del fatto che tu abbia notato la maturazione stilistica e le migliorie apportate alla trama: sto cercando di fare del mio meglio! >.< Ah, per fortuna sono riuscita a rendere bene il carattere di Micol: non volevo creare una ragazza troppo perfetta o troppo imperfetta. È una ragazza carina e simpatica, con la testa sulle spalle ed i suoi sogni; una donna terra a terra, insomma, ma non arida e vuota. >.< Voglio che Micol sia una ragazza come tante, come potrei essere io e come potresti essere tu. Ci si vede =) Bacio!

 Aphrodite: Ma guarda un po’, una sorellona! :D Mi rende contenta vedere un po’ di entusiasmo da parte tua... sperando ora –e qui mi maledirai- di non deludere!!! O.o Armand registra tutto più per diletto che per utilità... ma lo spiegherà in futuro. Spero che tu legga presto questo capitolo! >.< un bacione

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Capitolo 3
*** Posso esserti amico? ***


Terzo capitolo: Posso esserti amico?

Rifletteva, turbato, sulle conseguenze delle sue azioni.
Si era presentato da un giorno all’altro nella vita di due ragazze mortali, seguendole e, forse, perseguitandole. Si era impossessato a forza della fiducia di una facendo leva sul proprio fascino, così da poter avvicinare l’altra. Quale doveva essere la sua prossima mossa? Aveva poche scelte: poteva sparire dalla loro vita per sempre, oppure poteva cercare di mostrarsi per quello che era, ovvero un ragazzo dalle migliori intenzioni.
Ma in fondo era davvero così?
Prese il quadernino su cui appuntava i propri stati d’animo ed intinse la piuma d’oca nel calamaio, per poi scrivere con foga i pensieri del momento.
Io sono una creatura meschina. Cerco di convincermi della bontà dei miei intenti, ma tutto in me è pericolo e bugia. Io sogno la vita di un ragazzo, ma sono un vampiro. Lo sono sempre stato e mai sarò mortale.
Il mio comportamento in fondo lo dimostra: ho usato il mio fascino per giocare con i sentimenti di Diana, e deridendo la sua sensibilità con la mia ipocrisia conto di fare breccia nel cuore di Micol.
Micol... Il mio arido cuore sussulta. Di amore? Che sia?
Ripose il pennino con un sospiro rassegnato.
Erano passate due settimane dal suo azzardato esordio...
Avrebbe dovuto resistere all’impulso di presentarsi, avrebbe dovuto lasciarla andare da subito, da quella sera al Prince; non avrebbe dovuto farsi coinvolgere da se stesso.
Doveva rassegnarsi: nessuno lo poteva più amare. Lui era un reietto dell’umanità, uno scarto demoniaco...
Vampiro, già... Ma al di fuori della letteratura cosa significava esserlo? Nulla di romantico e romanzato esisteva nella sua condizione: lui era un dannato, solo e perduto.
Micol non doveva stare con lui, perché l’avrebbe corrotta per sempre.
E poi cosa voleva fare? Fingersi umano? Per quanto tempo avrebbe funzionato la farsa? Un anno, forse due...
In più, non aveva né identità né patria. Armand de Lincourt... Come gli era saltato in mente di dire quel nome? Avrebbe potuto dirne mille altri: Alex, Arthur, Anthony, Adrian... Un nome americano e normale, sarebbe stato così facile! Ed invece era andato a pescarsi l’identità più insolita e straniera che poteva esistere: si era scelto la vita del francese antiquato. Era caduto in un errore da principiante, da vero stupido: la prima regola era adeguarsi al luogo, alla società ed al secolo.
Armand de Lincourt era stata la sua identità alla corte di Marie Antoinette; era quasi inconcepibile che utilizzasse quel nome in un’università americana del ventunesimo secolo.
Eppure, nonostante tutte le sue stranezze, Diana Rowen era caduta nella trappola senza pensarci due volte: era una ragazzina ingenua ed innamorata; carina, ma scontata.
D’altra parte esserne amico era la via più veloce per arrivare a Micol. Micol, a cui erano rivolti tutti i suoi pensieri.
Infatti, per quanto la compagnia di Diana risultasse piacevole e travolgente, una parte di lui era sempre, costantemente rivolta a lei. Continuava a tormentarsi: la paura che un giovane mortale potesse vederla con gli stessi occhi con cui la vedeva lui lo faceva impallidire di gelosia.
Del resto non credeva possibile che nessuno avesse ancora notato la luce che emanava la dolce ragazza...
O forse era una luce che vedeva soltanto lui?
L’infatuazione mi fa pensare cose ridicole e sdolcinate, si disse.
Comunque fortuna voleva che Diana passasse ogni minuto disponibile con lui, dunque, volente o nolente, anche Micol doveva sempre essere nei paraggi.
Ah, senza parlargli ovviamente.
“Innamorati di me anche tu...” Sussurrò ancor prima di potersene avvedere. Sobbalzò: ma cosa gli veniva in mente?!
“MALEDIZIONE!” Urlò, gettando a terra la sedia intarsiata dalla quale si era alzato.
Osservò con orrore le sue stesse mani violente, rattristandosi: “Io sono un mostro... Micol, devi scappare da me. Accorgitene, cacciami dalla tua vita! Convinci Diana, fai qualunque cosa sia in tuo potere per liberarti di me!”
Ma cosa ciarlava a fare? Stava solo dando aria alla bocca ed ai buoni propositi: lui sapeva bene che non si sarebbe lasciato rifiutare e che non se ne sarebbe andato mai da quella città.
La verità era che lui la desiderava ardentemente: desiderava quel sorriso, quei capelli morbidi, quella pelle elastica, quegli occhi luminosi. Desiderava amare quel carattere cocciuto, forte e delicato, desiderava baciare quelle labbra sottili e quelle guance colorate.
Perso com’era in quei pensieri estatici, non si accorse di non avere mai pensato al sangue della giovane; non si accorse della sottile differenza tra desiderio carnale e desiderio spirituale.
Non se ne accorse, ma in fondo già lo sapeva.

*

La osservava sempre. Ovunque. A lezione, quando rideva e scherzava (falsamente tra l’altro) con Diana, quando uscivano, quando mangiavano, sempre. E lei iniziava veramente ad averne paura...
Secondo Diana Armand era una persona simpatica, affabile ed incredibilmente colta, uno spettacolo d’uomo, un cavaliere di corte, un supereroe Marvel; Diana non faceva che ripetere ogni giorno quanto fosse figo, maturo, attraente, sexy, accattivante, sorprendente, talentuoso, eccetera eccetera eccetera.
Lei invece aveva sempre quella brutta sensazione che lui non fosse quello che diceva di essere.
Non le piaceva il modo in cui era comparso nelle loro vite e non le piaceva il modo in cui vi si era infiltrato nel quotidiano; trovava strano il suo nome ed ancora più strani i suoi modi.
Sentiva un campanello d’allarme trillare come impazzito e le pareva quasi di vedervi sopra una scritta: “DANGER.”
L’avviso lampeggiava senza sosta, mentre le lettere infuocate ardevano di rinnovata fiamma quando Armand compariva dal nulla e le salutava.
Lei non lo conosceva, non sapeva praticamente niente di lui. Lui raccontava tante storie a Diana, ma lei non si fidava; diceva di essere piuttosto agiato (ed il simbolo dei dollari per un istante era brillato negli occhi verdi e affascinati di Diana), di aver viaggiato molto e di essere vissuto anche in Inghilterra (e per questo, a suo dire, non aveva un accento caratteristico). Aveva raccontato tante belle favolette sulla nebbia di Londra, sull’affollamento di Parigi e via dicendo...
Micol doveva ammettere che sentirlo parlare era piuttosto stimolante: riusciva sempre a parlare di argomenti intelligenti senza apparire noioso o arrogante.
Ma non voleva farsi irretire; aveva cercato di fare notare a Diana le stranezze del bell’arrivato, ma l’amica era cieca e sorda. Se ne era follemente innamorata e non l’avrebbe lasciato andare per niente al mondo.
Micol sbuffava e si arrabbiava, non capendo la testardaggine di quell’infatuazione: certo, Armand di sicuro era affascinante, cortese, bellissimo e... sexy, va bene, ma possibile che soltanto lei vedesse la tenebra della menzogna?
Eppure... Dovette ammettere che, sotto tutta quella tenebra, sperava anche lei di trovare la luce.

*

Dall’alto della sua venerazione per Micol nulla gli impediva di vedere Diana come una brava persona, simpatica e ricca di vita, così si preoccupò quando, all’Università, la trovò pallida e apatica.
“Diana stai bene? Sembra che tu abbia la febbre.” Le disse accostandosi, come a volerla scrutare più da vicino.
La ragazza si portò una mano alla fronte, appoggiandosi stancamente al banco; i suoi movimenti apparivano lenti e appesantiti.
“Ho un po’ di nausea questa mattina. Non preoccuparti, passerà.” Biascicò, scompigliandosi i capelli e scostando la frangia, come se la infastidisse.
Micol le porse un bicchiere d’acqua (che era appena andata a prendere): “Non dovevi venire, te l’avevo detto! Perché non sei rimasta a letto?”
“Micol ha ragione, non è salutare per te stare qui: dovresti riposarti e prendere un medicinale.” Aggiunse immediatamente Armand, suscitando l’approvazione (e lo sdegno, perché aveva osato chiamarla per nome) di Micol.
“Andiamo ragazzi, sto bene! Okay? Siete gentili a preoccuparvi, ma non ho assolutamente la febbre!” Si lamentò infastidita la malata, bevendo subito dopo un lungo sorso d’acqua.
Armand comprese un nuovo aspetto della sua improbabile amica: non accettava di avere bisogno di aiuto. Gli sembrò del tutto simile a quei bambini capricciosi che fingono di stare bene pur di non andare dal dottore.
“Non essere stupida, sei bollente ed io ti riporto a casa! Il professore è in ritardo, non se ne accorgerà!” Insistette l’altra, indossando subito la giacca e prendendo entrambi gli zaini.
“Mic, non insister-!” Diana dovette trattenere un conato di vomito troppo palese per essere ignorato.
Armand comprese allora che quello era il momento giusto per passare del tempo con Micol e guadagnare la sua fiducia; non perse tempo: “Vi accompagno in macchina, così non dovrà starsene in metropolitana.”
Micol sorrise sarcastica: “Primo: no, grazie! Secondo: con quale macchina, il tuo bolide invisibile? Eri in treno oggi, proprio come noi! Se vuoi renderti utile preoccupati di spiegare al signor Gilmore la nostra assenza, nel caso lo chiedesse. Okay?”
“Colpito e affondato.” Ammise con un sorriso.
Diana tentò di calmarli, ponendosi in mezzo con fare pacificante: “Non agitatevi, va bene? Armand, sei carinissimo a preoccuparti per me, ma sono nelle mani sicure di Micol.”
Sorrise ancora: “Lo so.” Disse soltanto.
Poi aggiunse: “Però voglio comunque accompagnarvi. Ho la macchina.”
Micol provò a ribattere, ma lui aveva già condotto Diana fuori e la giovane non poté che seguirli.
Armand sospirò: ipnotizzare col pensiero, a distanza di chilometri, un venditore d’automobili e costringerlo a portargli un auto lì nel parcheggio era piuttosto semplice, per lui. Spiegarlo a Micol, purtroppo, lo era molto meno.

*

Il viaggio fu un incessante e perpetuo interessamento alle condizioni di Diana, che più veniva “coccolata” più s’innervosiva; a meno di cinque minuti da casa arrivò ad urlare un irato “BASTA”, e così sia Armand che Micol si decisero a rimanere in silenzio.
Se Diana non fosse stata febbricitante avrebbe amato quelle attenzioni che le riservavano l’uomo che adorava e l’amica più cara che aveva; in quel momento, però, il sangue le fluiva rovente nelle vene e la rendeva molto più suscettibile e lunatica.
Voleva solo starsene per i fatti suoi e dormire. Così fu: la portarono nell’appartamento, la lasciarono in camera e le portarono giusto il necessario affinché potesse cavarsela da sola; avrebbero voluto rimanere in casa con lei ma Diana li cacciò, minacciandoli di esporsi volontariamente al freddo per aggravarsi ulteriormente, se fossero rimasti.
Così, seppur a malincuore, Micol aveva richiuso la porta di casa dietro sé, senza poter ignorare il magnetico sguardo di Armand sul suo profilo.
Perché si comportava così quel ragazzo?! Tutta quella farsa dell’amico preoccupato, della macchina e del voler restare a tutti i costi...
Ma forse non era una farsa, forse lui era innamorato di Diana.
Innamorato. Sentì il desiderio di picchiarlo, ma si trattenne; oh, non perché non ne avesse il coraggio...!
Avrebbe potuto tranquillamente dargli qualche bel pugno! Non erano le conseguenze a spaventarla, bensì le cause: perché il pensiero che a lui piacesse Diana la infastidiva?
Lei non era di certo innamorata, non era di certo gelosa! Il fascino di Armand non l’aveva ancora conquistata, no? No?
“Vuoi che ti porti da qualche parte, visto che Diana non ti vuole a casa per un po’?” Domandò pacatamente l’oggetto dei suoi pensieri, come tastando il terreno delle sue possibili reazioni.
“Con la tua macchina rubata? No, grazie.”
Sperò di avere smorzato ogni tentativo del suo interlocutore, ma così non fu; anzi, gli diede l’occasione di intavolare un discorso.
“Non l’ho rubata, te lo giuro.” La sua voce era così calma e bassa da sembrare quasi un sussurro.
“Sì certo, non ne dubito! Infatti, sebbene tu sia venuto in treno con noi e non ti sia mai staccato da noi, sei riuscito a procurarti una macchina con le chiavi già attaccate. Normale, no? Perché dovrei dubitare della tua onestà?” Rispose acida, complimentandosi con se stessa per la feroce ironia.
Lui rimase zitto.
“Dove l’hai presa?” Domandò allora seria, scrutandolo furente.
“Ne sono dispiaciuto Micol, davvero, ma non posso dirtelo.” Mormorò lui; nel dirlo abbassò gli occhi, proclamandosi colpevole.
Ma colpevole di cosa? Micol si pentì di averlo aggredito; non aveva riflettuto abbastanza ed aveva parlato d’impulso, come le succedeva quando non comprendeva qualcosa.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando per scaricare la tensione: “Senti, io non so più cosa pensare. Davvero. Prima ci segui, poi ti ritroviamo all’Università, poi mi dici quelle cose strane ed adesso aiuti Diana che sta male.”
Armand ascoltò quello sfogo in religioso silenzio, seguendo i movimenti della ragazza con impercettibili movimenti della testa.
Infine Micol esplose: “Ma si può sapere cosa vuoi da n... cosa vuoi da me?”
 “Voglio esserti amico.”
Ed in quel momento tra i due il più umano era lui.

*

Probabilmente la sua risposta l’aveva incuriosita, perché accettò di seguirlo fino al bar più vicino, il “Melody Coffee”. Era un bar spazioso e gradevole, con un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Una volta trovato il tavolo fece per prepararle la sedia, con galanteria, ma lei fu più rapida e si sedette immediatamente, sfidandolo con la sua indifferenza.
Lei mi piace.
Non si scoraggiò; le si sedette di fronte, chiedendole cosa voleva ordinare; lei in tutta risposta chiamò il cameriere e dettò direttamente a lui il suo ordine: una fetta di crostata ed un the.
Armand sorrise sconsolato di quella cocciutaggine.
Lei mi piace.
“Continuerai ad ignorarmi o parleremo? Pensavo volessimo chiarire.” Più che una constatazione fu quasi una proposta di pacificazione.
Micol cedette (come resistere a quegli occhi luminosi?): “E va bene... Se vuoi parlare ti ascolto.”
Lo disse in un sospiro, facendo trasparire noncuranza; dentro, al contrario, bruciava di sentimenti. Armand capì che quei sentimenti non erano per forza benevoli.
“Innanzitutto-“ Il cameriere portò il vassoio con la crostata e la bevanda calda, così Armand dovette interrompersi sin da subito; quando il giovane gli chiese se anche lui desiderasse qualcosa, sorrise e disse che no, lui non aveva fame.
Micol lo invitò a continuare il discorso, mentre si adoperava contemporaneamente a fare colazione.
“Innanzitutto mi voglio scusare. Credo di averti spaventata.”
Micol rise freddamente: “Tu non mi fai paura. Sei soltanto seccante.”
Il vampiro spalancò gli occhi, accennando un sorriso sorpreso: “Seccante? È questo che provi nei miei confronti?”
Era una domanda retorica a cui Micol non rispose.
“Mi voglio scusare, allora, per essere stato seccante...” Sapeva perfettamente che Micol aveva paura di lui, lo percepiva; ma non voleva contraddirla.
“Tu ci hai perseguitate.” Intervenne lei, senza troppi giri di parole. Non le piaceva tergiversare.
“E’ vero.” Ammise lui. Micol allora lo guardò negli occhi, non nascondendo la propria costernazione.
“Mi prendi in giro?” Chiese, non sapendo se ridere o se arrabbiarsi.
“No. Io vi ho seguite da quella sera in poi, è vero, l’ho fatto. Volevo rivedervi; non ho molti amici e raramente provo sentimenti forti e benevoli verso qualcuno.”
Micol rimase un momento in silenzio, con le labbra appena dischiuse e gli occhi persi nel vuoto.
“Ti sei innamorato di Diana?”
Armand rispose con un sorriso sereno: “No.”

*

Il cuore batté dieci volte più rapidamente, il cervello divenne leggero e quasi impercettibile.
Non osò porre la stessa domanda con diverso soggetto.
Insistette su Diana, si sforzò di concentrare ogni sua domanda su di lei: “Eppure ti comporti come se lo fossi!”
La voce le uscì stridula e si maledisse aspramente per questo.
“Io provo grande tenerezza nei suoi confronti. È una ragazza simpatica e vitale, mi fa piacere starle accanto.”
A Micol sembrò che ne parlasse come si parla di una bambina. Le sembrò che Armand non considerasse Diana sul suo stesso piano.
“Fammi capire... Ti sei iscritto alla nostra facoltà soltanto per rivederci?”
Soltanto per rivedermi?
Sorrise enigmatico: “Chi lo sa...!”
“Tu sei pazzo!”
L’espressione di Armand cambiò, ma Micol non riuscì a capirne il motivo.
“Oh, sì.” Rispose soltanto, pensando a qualcosa che lei non poté cogliere.
Per un po’ nessuno dei due seppe più cosa dire; rimasero dunque assorti ognuno in qualcosa, Micol nel cibo (che aveva ormai finito) e Armand nell’ambiente circostante.
La ragazza notò che lui aveva la sorprendente capacità di guardare tutto con estrema cura; riusciva a notare quei dettagli insignificanti, come le cuciture dei vestiti o quei particolari effetti ottici dovuti ai raggi del sole.
Era un ragazzo scrupoloso e attento, sempre ben curato e sorridente. Ah, ed era anche notevolmente pazzo ed incosciente. Sembrava buono, ma alle volte il suo sguardo assumeva un che di spaventoso; non era una persona decifrabile. Quando credeva di aver capito il suo carattere, ecco che lui faceva qualcosa di inaspettato, cambiando le carte in tavola.
Decise di rompere il silenzio: “E così sei francese, Armand de Lincourt.”
Lui si voltò verso di lei con rinnovato interesse, inglobandola nel proprio sguardo: “Sì può dire che io lo sia.”
“Tu non sai essere chiaro, vero?” Lo schernì lei.
“L’hai notato?” Sorrise di rimando lui (e quasi sembrò timido).
Micol si accigliò: “Difficile non notarlo. Non dici mai le cose come stanno: usi perifrasi, stai sul vago, giri intorno ai concetti... Sembra che tu non voglia che qualcuno ti conosca davvero.”
Armand colse l’occasione: “E tu vuoi conoscermi davvero?” Sorrise.
Lei arrossì, impercettibilmente ma inevitabilmente.
“Beh, in fondo non sei male. Sei ... interessante.” Ammise, abbassando lo sguardo.
“Interessante quanto un caso psichiatrico, suppongo.” Incalzò lui, facendola ridere.
Ebbene sì, Micol rise. Per la prima volta gli diede una chance.
E lui rise insieme a lei.
Risero tanto, risero a lungo, timidamente; spesso lo fecero quasi senza motivo. Felici entrambi, ognuno per motivi diversi.
O forse, in fondo, entrambi per lo stesso.

Fine capitolo 3

Perdonerete mai il ritardo? Sono stati mesi complicati e caotici. Il capitolo è corto, tranquillo, normale.
Spero soltanto che i cinque minuti che si impiegano a leggerlo siano stati piacevoli. ^^
Vi mando un abbraccio, cari lettori!

Sybelle

Ah... vi ringrazio, ovviamente, per le recensioni. Mi hanno fatto un gran piacere! <3
Ad Aphrodite: Micol in fondo è un personaggio un po’ idealizzato. Non è perfetta, ma idealizzata sì. Diana, al contrario, è il ritratto di molte ragazze superficiali ma anche simpatiche di oggi. Io non farei MAI amicizia con Diana. Micol è guardinga, sospettosa... Non timida, ma solitaria sì. Armand, come si vedrà, non è decifrabile perché non ha carattere. È una cosa che farò dire chiaramente, in futuro, ad un personaggio: Armand, nonostante la sua “veneranda” età, non è mai riuscito a formarsi un suo carattere. È collerico ma buono, passionale ma controllato, saggio ma incosciente. Credo che già si veda: lui non è in pace con se stesso, non si conosce ancora. Per questo scrive i propri pensieri, per auto-analizzarsi.


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Capitolo 4
*** Forse ti capirò ***


4 cap starless night
Forse ti capirò

Qualche giorno dopo, non appena Diana era stata in grado di parlare senza che la voce le raschiasse la gola, era arrivato puntualissimo l’interrogatorio.
“Avete fatto amicizia???? E’ fantastico lui, vero??? E dimmi, ti ha detto qualcosa? Magari di se stesso... magari di me???”
Micol si era resa conto per la prima volta della profondità dei sentimenti dell’amica, che quando parlava del ragazzo si agitava, balbettava, probabilmente il suo cuore batteva a mille. Le era mancato il coraggio di dirle che Armand la considerava solo un’amica, una ragazza simpatica e nulla più; la notizia l’avrebbe annientata. No, meglio: non le avrebbe creduto, avrebbe provato ad adescare Armand e, al rifiuto di lui, sarebbe crollata a pezzi.
Aveva sempre ritenuto ridicoli i colpi di fulmine della biondina, a maggior ragione quando il ragazzo di cui diceva di essere innamorata era molto fumo e niente arrosto; Diana infatti tendeva a giudicare un ragazzo dall’aspetto fisico, non tanto per superficialità, quanto per ingenuità. Tra l’altro, quando scopriva l’assenza di intelligenza o di valori, allora si dichiarava subito disillusa e lasciava perdere quei suoi amori passeggeri. Ma Armand non era così: Armand era bello sia fuori che dentro; sembrava creato apposta per intrappolare giovani prede nel suo charme.
Diana non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Comunque, con il tempo i loro rapporti andavano migliorando: divennero un trio inseparabile.
Armand le accompagnava in facoltà, si sedevano affianco durante le lezioni, spesso uscivano al pomeriggio e lui andava a trovarle mentre lavoravano (le due ragazze avevano trovato lavoro in un centro commerciale, Diana come commessa e Micol in una gelateria).
Tutte le ragazze intorno a loro le invidiavano, morivano di gelosia solo al vederle: ma se accettavano la presenza di Diana, data la sua avvenenza, erano ancora più irritate da Micol, che sì era bella, ma non al punto da meritarsi l’amicizia di un uomo tanto affascinante, tanto irraggiungibile.
In più era ricco, ricchissimo: non lavorava ma vestiva come un gran signore, spendeva denaro come se si fosse trattato di caramelle, adorava fare regali. Per il diciannovesimo compleanno di Diana aveva portato alla festeggiata una felpa verde smeraldo, sulla manica della quale imperava, a caratteri cubitali, una scritta dorata: D&G.
Ovviamente non si era limitato ad una maglia griffatissima: era anche un pezzo unico, fatto per l’occasione; infatti Armand vi aveva fatto cucire una scritta in brillanti con il nome della ragazza.
Esagerato, aveva pensato Micol, fare un regalo simile ad un’amica conosciuta solo un mesetto fa.
Che razza di regali avrebbe potuto fare ai suoi parenti o alla sua ragazza?!
Che regalo avrebbe potuto fare a lei?
Aveva scacciato quel pensiero con profondo fastidio; dovette ammettere, però, che Armand era sicuramente un bel tipo – difficile da inquadrare e piuttosto sospetto, ma pur sempre un bel tipo.
Possedeva, a dispetto di quanto potesse sembrare, una personalità piuttosto varia, al limite del lunatico. Non che alzasse mai la voce, o litigasse, o assumesse un atteggiamento indispettito, per carità!
D’altronde Micol si era presto accorta di quanto il suo comportamento oscillasse tra due opposti: l’avvenente uomo sicuro di sé e il ragazzo ingenuo e sorpreso da tutto.
Era intelligentissimo (a lezione non ascoltava neanche una sillaba, eppure ai test brillava), affabile con tutti ma veramente amichevole con nessuno: teneva il mondo a debita distanza, scusandosi di ciò con un sorriso splendente; era molto più diffidente di Micol, una specie di miracolo.
In più, sembrava perennemente a dieta: non mangiava mai, declinava gentilmente ogni tipo di offerta riguardante il cibo. Diceva di soffrire di disturbi alimentari e di preferire non mangiare in pubblico; però beveva, eccome se beveva! Si portava appresso una fiaschetta argentata da cui, ogni tanto, beveva qualche sorso.
Micol lo osservava; lo osservava molto e, pur non capendolo, sentiva di capirlo. Era confusa.


*

Iniziava lentamente a capire meglio il carattere di Micol, che, una volta avvicinata, non era affatto severa e imbronciata come appariva a occhi esterni: era anzi una ragazza sorridente e amabile, molto alla mano e pragmatica. Aveva un forte senso etico e l’educazione era un suo chiodo fisso; non provava il bisogno di omologarsi o di cercarsi molti amici, al contrario preferiva starsene con poche persone selezionate.
Con quelle dava il meglio di se stessa: elargiva abbracci e sorrisi, battute e consigli; ovviamente, il suo sguardo innamorato non aveva potuto celargli anche qualche difetto... Ad esempio, Micol odiava essere presa in giro.
Non che non sapesse stare agli scherzi, o che non accettasse qualche battuta sul suo conto, ma alla lunga il gioco la infastidiva, scavando nel suo orgoglio e facendone scaturire cattiveria e nervosismo.
In più, difficilmente accettava aiuto: voleva sempre e comunque farcela con le proprie forze; le vittorie voleva sudarsele.
Era una ragazza estremamente atletica, del resto: aveva praticato per anni il nuoto e il karate, ed andava regolarmente in palestra per seguire corsi di boxe e di autodifesa. Sempre sport individuali, perché lei era fatta così: preferiva primeggiare. In una squadra si sarebbe sentita oppressa.
Diana era l’esatto opposto in quel senso: espansiva, solare, sempre alla ricerca di nuovi amici e di compagnie numerose (anche se, in fondo, alla fine rimaneva sempre ancorata alla migliore amica, sua roccia, sua fortezza); adorava gli sport in cui si faceva gioco di squadra e ad una giornata da sola in casa preferiva un infernale giro al centro commerciale con chiunque le capitasse a tiro. Nella stessa situazione Micol, se poteva, se ne stava a casa a leggere (o a fare zapping, perché no!), oppure usciva per godersi lunghe passeggiate solitarie.
Armand notò come le sue due nuove amiche, nonostante queste palesi differenze caratteriali, vivessero in assoluta simbiosi: se l’altra non c’era si sentivano perse.
L’aveva notato ritrovandosi da solo con Diana, un pomeriggio: girovagavano per il centro, chiacchierando amabilmente, eppure, nonostante il vampiro sapesse perfettamente di essere l’oggetto dei sogni della ragazza che era lì con lui, la bionda appariva distante, a tratti completamente assente. Il discorso ricadeva spesso su Micol e quasi sempre per iniziativa di lei.
Per Micol lo stesso: poteva anche passare un intero pomeriggio a lamentarsi della coinquilina, ma alla fine tutto ciò che Armand sentiva non erano le lamentele, ma la pressante necessità di Micol di avere vicino l’amica, anche nel male.  
Le due si adoravano e si odiavano come sorelle.
E lui che ruolo aveva, in tutto ciò? Doveva ammettere di essersi sentito più volte escluso, sensazione per lui completamente nuova e inaspettata, alle volte graffiante, alle volte insidiosa.
Aveva passato quasi tutta la vita in compagnia di altre due persone: era abituato ai trii, che considerava come una sorta di piccola famiglia; in quel trio, però, lui era un intruso.
Non credo di poter tollerare la solitudine, oramai; potevo, non posso più.
Puntualmente, ogni volta che i pensieri più cupi ottenebravano la sua mente e gravavano sul suo sguardo, Micol giungeva a salvarlo con piccoli gesti inaspettati e colmi d’affetto: un tocco sulla spalla, un sorriso, una battuta, oppure il delicato lavoro delle sue dita sui suoi capelli, quando sedevano l’uno davanti all’altra e lei si metteva a intrecciargli le ciocche, confessandogli quanto preferisse la sua compagnia a quella dei chiassosi compagni di facoltà.

*

Era stato faticoso sconfiggere il proprio orgoglio ed ammettere che, effettivamente, Armand era una persona piacevole. Era stato faticoso ma necessario, perché la presenza del francese stava diventando costante e lei si ritrovò inconsciamente a ricercarla, sperando in un contatto, in una parola, in un sorriso.
Le piacevano i suoi sorrisi: avevano il potere di farla sentire a posto.
Un’altra cosa che le piaceva erano i capelli del ragazzo; oramai era diventato un passatempo rilassante quello di pettinarli con le dita, tra una lezione e l’altra. A dirla tutta, provava una certa invidia per quei capelli più lucenti e setosi dei suoi (erano persino più lunghi!), d’altronde Armand giurava di non prestare loro alcuna attenzione particolare.
Non era vanitoso e tendeva ad annullare l’aria arrogante con gli atteggiamenti più umili (Micol non si sarebbe mai scordata l’assurdo momento in cui si era ritrovata ad insegnarli cosa fossero i cartoni animati come se si fosse trattato di un argomento dalla rilevante importanza socio-politica).
Diana la invidiava per la facilità con cui si rapportava ad Armand: la bionda era sempre troppo nervosa con lui, temeva sempre di non piacergli e quindi tentennava. Micol non la capiva, ma non glielo diceva; del resto, quando mai capitava che Diana si sentisse a disagio con qualcuno? Era un evento epocale.
E spaventoso.
Armand non amava Diana, né provava per lei qualcosa che non fosse una tiepida amicizia; Diana invece bruciava, ardeva, lo voleva per sé ma non aveva il coraggio di rivendicarlo.
E Micol? Micol stava lì e li osservava, cercando di dimenticare le assurde parole che lui le aveva detto tempo prima e tentando di non pensare a quanto fosse evidente che Armand cercava sempre e solo lei.
E poi a lei lui non piaceva, quindi la situazione era davvero improbabile – anche se, a pensarci bene, trovava irreale che ad un simile adone potesse interessare una tipa come lei. In definitiva, preferiva non rifletterci troppo su; preferiva piuttosto godersi quelle belle giornate, le risate, le passeggiate, le ore spese a fare shopping in tre e quelle a chiacchierare tranquillamente, quando la gelateria era vuota e Armand passava a salutarla con quel suo modo di fare che sembrava casuale e che invece non lo era mai.

*

La facoltà di criminologia era un luogo interessante se non per le materie, per le persone che dentro vi circolavano: poliziotti, detective, professori dal passato oscuro, studenti con i più improbabili passatempi...
Il mondo, in quel piccolo ateneo, era davvero vario.
Armand si beava di tutte quelle sfaccettature della realtà, analizzando le persone con la stessa cura di uno scienziato: raramente si fermava a parlare, molto più spesso osservava. Dunque, se c’era una cosa che aveva notato, era la massiccia presenza di uomini e ragazzi; uomini e ragazzi che, spesso e volentieri, si facevano avanti sia con Diana (piuttosto comprensibile, quel corpo e quel viso avrebbero mandato in visibilio qualunque umano) che con la sua Micol. Non che Armand volesse sminuire il valore della bella castana –lui avrebbe dato l’anima solo per passare la vita a corteggiarla, ad elemosinare anche un’unica carezza-, ma non poteva che innervosirsi quando un giovane umano le si avvicinava con fare amichevole o persino interessato.
Per esempio si ritrovò a detestare un certo Paul, un ragazzo alto, trasandato e col naso storto che faceva parte della cerchia d’amici delle due ragazze; Paul era allegro e vivace e si intratteneva volentieri a chiacchierare con le due colleghe di studio. Armand lo odiava. Dal profondo. Lo odiava perché sorrideva a Micol in modo sfacciato, sicuro del suo charme da essere umano.
Quando vedeva la sua pelle scura pensava con rammarico e dolore al proprio pallore di spettro. Quasi a sentirsi inadeguato.
Quel giorno, quel fatidico quindici di ottobre, Paul riuscì a rivelarsi più irritante del solito con una sola, agghiacciante esclamazione.
“Ehi Mic, Didi, avete saputo? Ci faranno vedere un cadavere, all’obitorio! E’ un cadavere senza sangue!”
Armand riuscì per un momento ad ignorare il fatto che quel tale appellasse le sue due amiche con nomignoli (cosa che lui non faceva) e riuscì anche a non pensare all’incredibile maestria con cui l’aveva palesemente evitato, non salutandolo: Armand ebbe orecchi solo per la notizia.
Un cadavere senza sangue...
Quello era un serio problema.

*

“Non era una mia vittima Armand, non lo era.”
“Sei sicura?”
“Al cento per cento. Attualmente mi sto nutrendo a New York, e Constantine è con me. Non è nostro.”
“... Io... Io temo di esserne il responsabile.”
“Tu?!?! Non sei più un bambino! Come hai potuto lasciare un cadavere in mostra?”
“... Non ci scopriranno, comunque.”
“No, certo che no, ma è ugualmente seccante tesoro.”
“...Mi dispiace.”

*

L’obitorio. Un luogo asettico e spaventoso, un tesoriere di cadaveri. Lì i corpi venivano smembrati, studiati, rivoltati e infine venivano messi in una scatola.
Lei un giorno vi avrebbe lavorato, in quel posto. Lei voleva assolutamente lavorarci.
Non sapeva come spiegarlo... Ciò che era mistero l’affascinava; ciò che era irrisolto la ammaliava. Sentiva il perenne bisogno di trovare soluzioni, dare risposte a quel mondo così pieno d’incertezze.
Tante persone morivano senza che si sapesse l’identità del loro assassino: troppe. Micol voleva stanare quell’assassino.
“Il corpo è stato trovato da un pescatore, appena fuori dal centro urbano. Come vedete si tratta di un uomo che doveva avere circa una sessantina d’anni, ma attualmente non è ancora stato identificato. La particolarità del caso consiste in questo elemento: il corpo è stato ritrovato senza una goccia di sangue, come svuotato. E non è stato trovato alcun segno di ferite da taglio o armi da fuoco. Si stima che il decesso sia avvenuto circa quattro, cinque giorni fa.”
Quello era decisamente un mistero.

*

Micol era straordinaria, senza dubbio; questo si ritrovò a pensare, osservandola con attenzione.
Gli era bastato uno sguardo per capire che il cadavere era proprio la sua vittima, così, poiché già lo conosceva, si era dedicato all’analisi di ben altri soggetti.
Diana era pallida, a tratti disgustata: l’obitorio la metteva in soggezione, lei era nata per la luce, il prato, il Sole ed il cielo. Non per i cadaveri. Scrutava, sì, il morto, ma cercava di concentrarsi sui dettagli meno sgradevoli; Micol, al contrario, era una macchina da guerra.
Fissava, annotava, rimuginava, chiedeva e fissava ancora: quello era il futuro che si era scelta, non poteva mostrarsi debole. Certo... inizialmente anche lei, come altri, aveva avuto bisogno di qualche minuto per poter affrontare quella vista (e lui era stato ben lieto di offrirle la sua spalla come appoggio); poi si era fatta coraggio, aveva distaccato la mente da ogni emozione e si era concentrata sul resto.
E Armand si ritrovò a pensare che non avrebbe potuto desiderare compagna migliore.
I cadaveri non la sconvolgono!, pensò.
Ma lui, che era cadavere tanto quanto quel morto lì disteso, si sentì ugualmente orribile.

*

“Tu cosha ne penshi?”
“Scusami?”
Diana sputò nel lavandino l’acqua, decretando la fine della toeletta mattutina.
“Del cadavere, della giornata di ieri... Insomma...”
Si trovava parecchio a disagio, a parlarne: quel corpo, quel viso, quell’odore... Non erano stati un toccasana. Affatto. E visto che Micol sembrava tanto (ma tanto) più tranquilla di lei, sperava che parlarne avrebbe alleviato anche solo di poco il suo netto fastidio.
“Beh...”, cominciò infatti la castana, sedendosi su una sedia, “...penso che sia stata una giornata importante per noi. Quello è il lavoro per cui sto studiando, quindi sono stata contenta. Inorridita, certo, ma contenta. E poi dai, insomma... Era senza sangue! Capisci?”
Ecco, Diana non aveva avuto torto: l’entusiasmo di Micol (un po’ stonato forse, dato il contesto, ma pur sempre sincero) riuscì subito a calmarla.
“Sì, magari è stato Edward Cullen spuntato fuori dal suo bel libro rilegato!” Ironizzò, ridendo di gusto insieme all’altra, che la corresse ricordandole i gusti vegani del personaggio in questione.
“Allora si sarà trattato di Armand.”
Allo sguardo alquanto esterrefatto di Micol, Diana si accorse dell’errore fatale: “Oh cazzo, non intendevo il nostro Armand! Io intendevo quello dei libri!”
Micol scoppiò a ridere, tanto forte da farsi venire le lacrime agli occhi.
“Questa dobbiamo dirgliela!” Ripeteva.
“Questa dobbiamo proprio dirgliela!”

*

La sua bara.
La sua bara era lunga e stretta ed il legno ormai consunto non poteva più vantare il colore intenso di un tempo; nonostante questo, era sempre riuscito a mantenerla in condizioni ottimali. Era scampata a incendi, terremoti, umidità, viaggi, crolli...
Non che lui necessitasse per forza di dormire in un sepolcro, figurarsi. Semplicemente poteva rivelarsi utile avere un luogo così riparato dove riposare, nei momenti di più cupa stanchezza. Soprattutto quando il nutrimento veniva a mancare per lunghi periodi o la luce iniziava a diventare fastidiosa, come se ancora avesse potuto bruciargli la pelle.
In verità quella sua bara lo spaventava da sempre: claustrofobico fino al ridicolo.
“Io sono vivo.” Decretò a se stesso sfiorando quel legno.
“Io sono vivo.” E dormo in una tomba, si trattenne dall’aggiungere. Con un gesto secco l’aprì, andando a svelare l’imbottitura interna, a tratti sfilacciata, a tratti stinta.
Aveva decisamente bisogno di un nuovo sepolcro; magari più resistente, magari più bello.
Eppure, eppure... Eppure niente sarebbe mai stato come quello che già aveva.
Dovette ammettere, seppur con rammarico, che quel pezzo di legno sudicio oramai sapeva di casa.

*

“Mic, sei sveglia?”
“No.”
La coperta si scosse e ridacchiò: Diana era sepolta là in mezzo, da qualche parte, stretta al cuscino e per nulla intenzionata a chiudere gli occhi.
Anche Micol rise, contagiata dalla demenzialità del momento: “E’ tardi Didi! Che vuoi ancora?”
“Scusamiii...” Qualche movimento, silenzio, altri movimenti; con uno scatto Diana si liberò dalle coperte, scese dal letto e si intrufolò in quelle dell’amica, sorridendo birichina.
“Ah no, non se ne parla sai?” Commentò subito l’altra, cercando prima solo con le mani, poi anche coi piedi, di spingerla giù dal suo umile giaciglio monoposto. Gli sforzi furono vani: le due più che lottare si solleticavano a vicenda, più che discutere ridevano e, più Micol cercava di cacciare Diana, più Diana si aggrappava a Micol strappandole quasi via il pigiama.
La castana dovette infine dichiararsi vinta, mentre l’usurpatrice proclamava vittoriosa la riuscita del colpo di stato.
Naso contro naso, le due iniziarono a chiacchierare, pizzicandosi le gambe con i piedi giusto per ricordarsi a vicenda l’odio reciproco, di tanto in tanto.
“Non riesco a non pensare ad Armand, sai?” Disse improvvisamente Diana, svelando il motivo di tutta quell’inquietudine.
“Credo... non so, credo sia una cosa seria stavolta. È che lui è così dolce e gentile! È diverso da tutti gli altri, e vabbè, è anche bello sì, molto bello, però...cioè... E’ come se...Oddio, che sto blaterando?” Rise di se stessa, ma era tutta rossa in viso.
Micol sorrise: “Dicevi che non è solo bello, ma anche dolce e gentile, diversamente dagli altri.”
Diana annuì con convinzione: “Perché vedi, lui è... è speciale. Ha un sorriso tanto dolce! E poi non guarda solo le mie tette o il mio culo, e questo è...wow.”
Micol provò a buttarla sul ridere: “Magari è gay!”, disse. Il pensiero la disturbò e decise di non pensarlo mai più. Perché lei già sapeva che a lui Diana non piaceva. Ma se fosse stato omosessuale allora... allora...
Allora cosa?
“Non dire stupidaggini!” Diana capì la battuta e rise, spintonandola.
“Però sai cosa?”
Micol improvvisamente non era più in vena di scherzare: “Cosa?”, mormorò.
“A volte mi sento inadeguata. Lui è così tutto ed io sono così... niente.”
L’abbracciò stretta: “Non è vero che sei niente. Sei bellissima.”
L’inadeguata era lei.


Fine 4° capitolo

E va bene... sono in ritardo. LEGGERO, LEGGERISSIMO ritardo.
Scusatemi, è un periodo della mia vita davvero delirante. I 18 anni sono una brutta cosa, eeeeh.
Mi auguro che il capitolo sia in qualche modo piaciuto e abbia ripagato l’attesa di...ehm...quel qualcuno che l’ha letto, immagino.
E’ successa una cosa bizzarra che mi ha spinta a chiudere qui il capitolo, piuttosto che continuarlo ulteriormente.
E’ successo che, a distanza di molti, molti giorni, io abbia usato il termine “inadeguato” senza ricordarmi di averlo usato anche per Armand, poche righe più sopra. Questa cosa mi ha esaltata al punto da farmi dire: voglio che il capitolo si concluda così.
A proposito: il titolo è dovuto al fatto che i due si stanno reciprocamente studiando.
Ah! Ho citato, così, tanto per fare dell’auto-ironia, sia Twilight che il libro Armand il Vampiro; l’uno perché la trama lo ricorda, il secondo perché il mio Armand è uguale a quell’Armand lì (perdonami Anne!).
Si fa per ridere insomma!

Sybelle


Aphrodite: Armand è un sacco cuccioloso <3. Lui è... educato. Credo sia il termine esatto. Non è uno di quei vampiri tutto sangue e rock'n'roll, né tanto meno è un vecchietto ammuffito. Vuole vivere, come tutti. Vuole amare.
Micol... Micol si scioglierà un po', andando avanti. Poveraccia, anche lei di tanto in tanto si rilassa! o.ò
A me piace, mi infonde sicurezza. :) E' molto tosta!
Dimmi che pensi del capitolo quando puoi <3.

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