Mai brindare a un buon nuovo anno

di Claire1991
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mystic Grill ***
Capitolo 2: *** Il brindisi (parte 1) ***
Capitolo 3: *** Il brindisi (parte 2) ***
Capitolo 4: *** Il tipo nuovo ***
Capitolo 6: *** Il povero cuore di Meg ***



Capitolo 1
*** Mystic Grill ***


Il Mystic Grill non era "un" locale, una di quelle taverne -mi sia concesso il termine un po' arcaico- tipiche delle cittadine come la nostra, come la mia, casa mia, Mystic Falls. Perché, volenti o nolenti, siamo stati costretti ad imparare ad amarla: l'abbiamo odiata, ovviamente, abbiamo anche provato a sfuggirla ma, incredibilmente, in un modo o in un altro, un modo si trovava sempre, un modo per tornare, una ragione per restare. Ogni sasso, ogni pietra, ogni filo d'erba -noi eravamo stati fatti di un solo unico impasto- ogni albero, ogni giornata di sole, ogni notte passata a piangere, ogni respiro tolto, ogni speranza ridata. Abbiamo provato, a volte ci siamo quasi riusciti -ognuno con un suo piano, ognuno con il suo progetto, sì, ci saremmo continuati a sentire, ma ognuno in un posto, nessuno nello stesso-, una volta ci eravamo quasi riusciti, ed era incredibile vedere come, dopo tanto tempo, ogni volta, lo sconforto ci prendesse nel vederci ancora tutti qui, lì nello stesso punto in cui eravamo partiti, uno sconforto pieno di desiderio perché, volenti o nolenti, eravamo stati fatti tutti della stessa materia, che era la stessa di quelle pietre, di quei sassi, di quei benedetti fili d'erba con cui ci alzavamo ogni mattina, la stessa materia che ci chiamava a squarciagola, varcato il limite sine quo. Come una madre tigre con i suoi cuccioli. Volenti o nolenti. Il Grill non era un locale, di quelli in cui un turista di passaggio sarebbe potuto entrare, chiedere uno scotch ed uscirsene così come se niente fosse stato. Di quelli di cui nessuno si ricorda -ma sì... ti ricordi...quel tal posto di quella tal cittadina dalla quale siamo passati per andare dai tuoi amici-, di quelli costruiti con vecchie sbiadite assi di legno, con scritte consunte, e sempre gli stessi piatti sul menu. Solo il barista era sempre lo stesso al Grill, Mattie, perché se dovessimo parlare di varietà noi saremmo la prova vivente che quelle mura, quei tavoli e quelle sedie ne videro molta. Di tutti i tipi e di tutte le razze, una cosa fuori dal normale: sature di informazioni quelle pareti esplodevano di tutti i segreti tramati, di dolori bruciati nel fiele dell'odio, di amori perduti, un'anima eterna che da eterni anni si portava nel cuore il dolore dei nostri secoli e delle nostre famiglie e di un peccato compiuto millenni prima. E per questa piccola città, che agli occhi di qualsiasi altro estraneo sarebbe certamente sembrata insignificante, il posto meno importante della sua vita, questa cittadina per noi era sangue, aria, cuore pulsante, era vita, era l'amore più puro, l'odio più cieco, era tutto: senza perdono eravamo stati fatti della stessa materia delle sue infette rocce e da lì non potevamo allontanarci. Volenti o nolenti.

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Capitolo 2
*** Il brindisi (parte 1) ***


Il quadrante segnava le dieci in punto. Tre giovani ragazze se ne stavano tutte sole, sedute a un tavolo, all'aperto: quella, infatti, che tra loro sarebbe parsa per prima all'occhio per il suo carattere estroverso, per i suoi profondi occhi tendenti al viola, per la sua voce insieme dolce e amara, insomma per tante cose...lei era totalmente e irrimediabilmente dipendente dal fumo. Il che era curioso per sua cugina, che ovviamente non fumava. Elena, davvero, non poteva capacitarsi come fosse possibile che Meg nonostante ingollasse tonnellate giornaliere di anidride carbonica potesse stare così bene: era sana come un pesce.

Il cielo era completamente terso, pieno di stelle, ma la luce abbagliante del tondo lampione, che si innalzava proprio sulle loro teste, rubava loro ogni naturale splendore. C'erano fiori ovunque. Qualche coppietta camminava in mezzo alla strada o sul marciapiede oppure se ne stava seduta sulle panchine della piazza principale.

C'era davvero poco da fare in quel buco di città. Davvero poco. Qualsiasi cosa potesse esserle apparsa minimamente interessante, lei l'aveva già fatta. Alla bellezza di 17 anni compiuti la vita sembrava non poterle offrire niente di più interessante di una cittadina dai tremila abitanti o giù di lì, dove ogni sguardo incrociato per strada non era altro che il riflesso di un uomo già conosciuto che niente aveva più da offrirle se non il ricordo di qualcosa ormai sfuocato nella memoria, se non l'impronta di un desiderio inestinguibile che mal si incastrava in quella città troppo piccola per lei.

Eppure, questa era una sera importante, una notte carica di elettricità. Ed eletrizzata se ne stava seduta, abbandonata sulla sedia, con le sue due amiche. Con aria di sfida si accese un'altra sigaretta, flettendo leggermente la testa. Ma se davvero Bonnie pensava di intimidirla con quel suo sguardo tra l'indagatore e il severo, si stava sbagliando di grosso. Nessuno le avrebbe tolto di dosso il buon umore e nessuno poteva dirle che cosa fare e che cosa non fare. O come doversi sedere. “Potresti almeno avere la decenza di coprirti, Meg” notò, indignata. Roteò gli occhi. Per un po' di carne in bella vista, che problema poteva mai esserci.

“Non sapevo fossimo tornati nel 1800...e in ogni caso tu riusciresti ad essere comunque molto più intransigente degli stessi padri secessionisti”. Piegò leggermente la gamba destra e il vestitino giallo scese di parecchi centimetri, lasciando intravedere uno scorcio di slip. “Sono giovane, non lo sarò per molto", disse, mentre si appoggiava allo schienale della sedia con fare seducente "voglio poter godermi la vita in santa pace”.

E tutte due, all'unisono, scossero la testa, esasperate. Bonnie non rideva, Elena sì. E con un gesto veloce spostò lo sguardo sulla sua sigaretta e poi di nuovo su di lei per vedere se si fosse accorta che come sua cugina anche lei rideva. Anzi, sorrideva. Perché vederla ridere le dava una serinità incredibile, non chiedeva di meglio. Un sorriso del genere, o semplicemente un sorriso era molto più di quello che potesse sperare. Perchè da quanto tempo ormai si era dimenticata di che colore fossero le sue guance quando era felice? O forse era l'alcool a renderla così disinibita, meno controllata, meno lei. La nuova lei. In tal caso, se si fosse trattato di questo, era necessario un altro giro. Se poteva farla sentire meglio...

“Sì, ma messa così sembri una sgualdrina”, puntualizzò.

“Solo invidia”, rispose, piegando leggermente la testa "Sii meno impostata, Bonnie: guarda come si diverte Elena". La fulminò: "lo sai bene come andrà a finire...".

"Mi dovrai portare a casa con una paletta", ammise Elena annuendo.

"Per fortuna", disse ridendo "che al contrario di voi due io reggo l'alcool: vederete vi porterò a casa sane e salve". Si guardarono. "Sarà un primo giorno di scuola memorabile: imbottite di farmaci da post-sbornia!". E tutte insieme scoppiarono a ridere.  

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Capitolo 3
*** Il brindisi (parte 2) ***


"Dobbiamo brindare", disse Meg, improvvisamente, sventolando una mano in aria. L'argomento scuola le aveva acceso una lampadina lampeggiante in testa.

Sospirarono sconfitte. Quello del brindisi era una tradizione. Non si scampava.

Elena aggrottò le sopracciglia. Aveva un'espressione perplessa: in effetti che cosa c'era mai da festeggiare, ora? Ma bisognava pur dare uno scossone alla serata.

“Domani è un giorno importante e lo sapete anche voi”. Bonnie roteò lo sguardo. “Domani è il primo giorno di scuola...sai che novità e comunque non possiamo festeggiare senza Caroline...”.

“Non è venuta quindi...”. La fissò indignata.

“Non è potuta venire: stava male”. Alzò le spalle.

“Con lei festeggeremo domani a scuola, sempre che possa venire”. Si rimise con la schiena appoggiata allo schienale, agitando la sua sigaretta. “Domani non è solamente il primo giorno di scuola, è il primo giorno, il primo giorno di tutto....domani è il primo giorno del nostro nuovo anno e sarà...”.

“Fammi indovinare...incredibile e spettacolare?”.

“Puoi starne certa”, rispose abbandonandosi totalmente sulla sedia, tendendo le gambe appoggiate a un vaso. Domani era il giorno, il primo di tutti quelli che sarebbero venuti poi, il primo di qualcosa che sarebbe stato di certo incredibile. Elena era ancora più perplessa di prima: che cosa poteva esserci mai di così tanto bello nel primo giorno di scuola? In quel primo giorno di scuola per di più? Già si immaginava le espressioni forzatamente contrite dei suoi compagni di scuola.

Le accarezzò leggermente la spalla: qualsiasi cosa le sarebbe successa lei sarebbe stata lì, sempre pronta a soccorrerla.

“Il fatto è che ogni hanno ripeti sempre lo stesso brindisi”, disse Bonnie con i pugni sotto il mento “e immancabilmente non succede mai niente”. Elena corrugò di nuovo la fronte. Meg le lanciò addosso i suoi occhi, infuocati di rabbia. Doveva proprio avere una bella faccia tosta per sostenere una cosa talmente assurda. Si era sbagliata, era ovvio, non aveva calibrato bene la situazione e le persone coinvolte. Elena l'aveva già perdonata, ovviamente. Meg era un po' più ostile. Ed anche lei si era resa immediatamente conto della gaffe che aveva appena fatto. Ma era comunque dolorosamente irritante. Non era successo nulla?!? Davvero Bonnie? Al di là di qualsiasi gossip basso e animale: come poteva essersi dimenticata anche per un solo secondo dei genitori di Elena. Quando nel suo sguardo non si vedeva altro che il dolore della loro mancanza. O forse lo vedeva solo lei. O lei meglio di qualsiasi altra persona. Certo sentiva questo forte ed indussolubile legame, questa loro capacità di capirsi al volo, di provare il dolore e le gioie dell'altra. Così, da sempre. Eppure, come gli era potuto scappare una cosa del genere? Ogni sera prima del primo giorno di scuola brindavano per il nuovo anno e quando Meg sperava che potesse succedere qualcosa di incredibile e di straordinario si immaginava sempre sorprese molto piacevoli. Durante quell'anno qualcosa di incredibile era senza dubbio successo benché quel maledetto incidente su quel maledetto ponte non potesse certamente definirsi piacevole. Tutt'altro.

“Questo sarà davvero un anno incredibile”, disse Bonnie ad un certo punto. Un po' di getto e stralunata. “Che dici? Sarà spettacolare, per ognuno di noi”. Meg si alzò: era ora di brindare avendo qualcosa di fisico con cui farlo. Avevano già finito la loro seconda mandata. Ormai da un po'. Matt stava andando a rilento e qui bisognava mettere un po' di legna sul fuoco altrimenti rischiavano davvero di tornare a casa sobrie. “Stai attenta”, disse Elena voltandosi quasi di scatto mentre Meg entrava “ a quello che desideri: ho letto da qualche parte che se continui a chiedere prima o poi verrai esaudita”. Senza sapere come o quando ma è certo che verrai esaudita. Era una frase di un vecchio libro, di quelli che suo padre le leggeva sempre prima di andare a dormire e che leggeva anche a Elena quando dormivano insieme e non abitavano ancora sotto lo stesso tetto. Quando aveva senso fare i pijama-party.

I suoi grandi e semplici occhi la trafissero. A volte aveva una semplicità di cuore talmente disarmante da lasciarla senza fiato e nei momenti sempre meno opportuni le ricordava perchè erano così simili loro due, perchè si capivano al volo, sempre, ora più che mai.

 

Scrollò la testa e si appoggiò al bancone, mostrandosi il più gentile possibile. Non era sicura che Matt sarebbe stato abbastanza remissivo da poterle concedere un terzo giro. "Matt...", accennò, con un sorriso caldo e amichevole e uno sguardo pieno di sotto intesi. Ma dopotutto come poteva ricordarsi anche solamente il titolo di quel libro?!? Erano passati anni, e sarebbero passati anche per Elena. Prima o poi. Prese le birre. Sorrise. Tirò dritto.

 

Tutto iniziò così: con un piccolo e insignificante chiodo infilzato nel nocciolo di quel povero cuore, invisibile allo sguardo e magari impercettibile al tatto, una sciocchezza sì, ma i cambiamenti più grandi e irreversibili sono quelli che consumano nel fuoco di una brama insaziabile, lentamente, ogni brandello di carne, uno dopo l'altro, e, in principio impercettibili, esplodono poi di un dolore senza ritorno: un piccolo chiodo e il suo destino era già stato segnato.

Il quadrante segnava le dieci e dieci.

Tre giovani ragazze se ne stavano sedute a un tavolo, ignare di tutto sopratutto di quello che sarebbe accaduto da lì a poche ore.

Un anno incredibile e spettacolare.  

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Capitolo 4
*** Il tipo nuovo ***


Era una mattina come tante altre. I raggi del sole perforavano a intermittenza la stanza, mentre una flebile brezza accarezzava le bianche tende.

Era una mattina come le altre. O almeno così sembrava: il tanto atteso primo giorno di scuola era arrivato e la testa le faceva così male che non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti.

"Caffè, caffè, caffè!!!", gridò estasiata appena vide la caraffa mezza piena.

Elena cercò di azzittirla sventolando una mano. Le medicine non avevano ancora fatto effetto: per nessuna delle due.

"Sono un disatro!", esclamò zia Jenna entrando in cucina "avrei dovuto prepararvi la colazione...sono proprio una disgraziata!". Jeremy si versò la caraffa dentro la sua tazza.

"Zia, il caffè è più che sufficiente, grazie".

"Zia, scusa", disse Elena "non dovresti avere un incontro o qualcosa del genere...". Jenna guardò l'orologio e si allarmò ancora di più. "Oh sì cavoli proprio ora...".

Non era facile tranquillizzarla: si sentiva in dovere per tutto. Come se fosse stata una sua responsabilità badare a loro tre. E in fondo lo era, ma era successo tutto così infretta...tutti e tre la guardavano correre di qua e di là con un non so che di tenerezza: dopotutto zia Jenna aveva abbandonato tutto per loro. Dopotutto, anche lei soffriva come loro.

Meg ne approfittò per strappare via a Jeremy i soldi che aveva preso da Jenna: sapeva bene dove sarebbero andati a finire. E sperava con tutto il cuore che suo cugino non diventasse un tossico. Così come che sua cugina, quella mattina, non vedesse il notiziario: due ragazzi erano stati trovati morti non lontano da Mystic. Spense la tv. Si preoccupava.

 

 

Quando Meg arrivò a scuola, da sola, perchè Elena sarebbe venuta con Bonnie, quando arrivò, tutto era al suo posto: il suo regno era ancora lì come l'anno prima. Perchè lei lì in qualche modo era la regina. Capo delle cheerleader, senza troppa fatica poteva avere tutto quello che desiderava. Era guardata. Ammirata. Invidiata. Odiata.

Eppure si era appena resa conto che nel suo regno era venuta a crearsi un'ipercettibile falla.

C'era un ragazzo nuovo.

L'aveva addocchiato immediatamente: non l'aveva mai visto. E lei conosceva tutti lì.

Era carino, medio alto, magro, probabilmente con muscoli pronunciati. Con quegli occhiali da sole, la giacca di pelle...sì, se la tirava e parecchio. E tutti lo guardavano. E già lei lo odiava.

Quello era il suo giorno e lui glielo stava fregando.

"...quindi è nuovo..eh?", si gongolò Bonnie.

"Per quanto mi riguarda", disse Meg "potrebbe anche essere imparentato con il presidente degli stati uniti, ma lo detesteri comunque". Si rimise gli occhiali da sole aspettando la campanella, ancora con le tempie martellanti. Elena la guardò confusa.

"Un così bel bocconcino?", chiese Bonnie incredula. Lo indicò. "Oggi è il mio giorno: io arrivo, tutti mi guardano e mi prendo la mia dose giornaliera di attenzioni...", disse sbuffando

"Ti ha decisamente rubato i riflettori", ammise Elena ridendo "...è bello".

"Allora fiondati", la incitò Meg "non c'è dubbio che io flerti con un mio futuro-già-acerrimo-ruba- attenzioni-nemico!". Prese la borsa ed entrò a scuola. La guardarono comunque, nonostante il tipo nuovo.

 

Vicino all'armadietto c'era Caroline. Si salutarono tutte. Gelo nel parlare con Elena. A conti fatti però non le dispiaceva rivederla: ora poteva usare la sua più fedele informatrice. Nel giro di poche ore avrebbe scoperto vita morte e miracoli di quel ragazzo grazie a Caroline e poi gli avrebbe dato il colpo di grazia. Non c'era spazio per un re nel suo regno.

"Appena saprò qualcosa", disse Caroline "ti dirò tutto....hai intenzione di andarci a letto insieme?". Meg si voltò a guardarla allibita e incredula sospirò : "la tua finezza Caroline è imbarazzante, ora vai e torna con qualcosa tra le mani". Le dava incredibilmente fastidio quando le parlava in quel modo: quello che lei faceva sotto le lenzuola non erano assolutamente fatti suoi.

Mentre osservava il suo orario, lo rivide. Quel ragazzo che aveva icrociato al Grill la sera prima. Si chiamava John, forse, e giocava a foot-ball. "Ciao, Meg".

"Ciao", disse sorridendo appena. La sera prima si erano scambiati una lunga serie di occhiate, botta e risposta. In quegli sguardi c'era dentro già tutto.

"Stasera? Che fai?". Lo guardò dritto negli occhi con quella sua solita espressione che usava sempre per ammaliare chiunque fosse il fortunato. Si annoiava. Tremendamente.

"Alle dieci al Grill". Si appoggiò al muro e lo tenne impigliato nel suo sguardo finchè non si fu definitivamente annoiata. E lo lasciò andare. Un altro nome da aggiungere alla sua lista.

Ritrovò Elena: era appena uscita dal bagno dei maschi.

"Secondo me ci nasconde qualcosa", disse Meg a Bonnie ridacchiando.

"é proprio diventata una brutta persona..eh?"

"Irrecuperabile..già". Prese un paio di libri dall'armadietto.

"Mia nonna dice che sono una veggente", disse Bonnie, così dal nulla.

"Ah...ok...", rispose Meg volantodosi verso di lei "andrà in porto con John?". Fissò il vuoto facendo qualche strana mossa..."andrai decisamente in porto"

"L'hai visto?"

"C'è mai stata una volta in cui tu abbia toppato?!?", chiese incredula. E tutte e due si misero a ridere. Bonnie veggente?!? Puff! Non riusciva nemmeno a vedere figurarsi prevedere.

 

 

La lezione di storia fu una palla tremenda: il loro prof aveva una conoscienza storica che rasentava il ridicolo. Si credeva un gran sapientone quando davvero il suo Q.I. rischiava di abbassare la media nazionale.

E c'era il ragazzo. Così lo chiamavano. Nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome. Nessuno sapeva da dove venisse. Insomma tutti ne parlavano ma nemmeno uno di loro si era azzardato ad avvicinarlo per parlargli. Lei, non ne aveva la ben che minima intenzione. Avrebbe aspettato le info di Caroline: lei ce l'avrebbe fatta. E poi di quello a lei fregava meno di zero: era solo un problema di cui disfarsi. Quanto ancora sarebbe stato al centro delle loro attenzioni?

Lei viveva di attenzioni. Erano il suo pane quotidiano.

"Ciao". Alzò la testa dal banco. La lezione era finita e il ragazzo le stava parlando. Rimase shokata lei, erano shokati tutti gli altri. Nessuno l'aveva ancora visto parlare con qualcuno, o almeno essere intenzionato a farlo. "Come ti chiami?", continuò. E poi perchè lei? Ma che cavolo voleva sto qui?!?

"Meg", rispose "Margaret Katherine Pierce", aggiunse pensando che riferirgli l'intero nome forse sarebbe stato meno scortese. Rimase a fissarla per una buona manciata di secondi.

"Hai una bella collana", disse un po' sovrappensiero. Se la guardò. "Grazie, cimilio di famiglia".

Si sedette vicino a lei. "Tu sei la cugina di Elena, vero?". Perchè quello lì conosceva sua cugina?

"Infatti...tu...come ti chiami?", disse cercando di non essere troppo intrattabile.

Si illuminò. "Mi chiamo Stefan e sono felice di conoscerti". Meg si alzò.

"Stefan...?", chiese prendendo i libri dal banco.

"Salvatore". Non ci poteva credere. Quei Salvatore?!? Ora anche lei sorrideva.

"Tu sei per caso imparentato con Zach?", chiese tutta incuriosita.

"Sì, è mio zio!".

"Scherzi? Ma è incredibile!", disse Meg illuminandosi

"Come mai lo conosci?"

"Quando ero piccola mio padre mi portava sempre a casa sua...a volte mi smollava lì per giorni interi...e Zach era carinissimo con me e poi la casa...mi piace: ha un suo fascino, molto particolare". Stefan non la smetteva di sorridere. Sembrava felice di poter conoscere finalmente un amico di famiglia.

"Davvero...mi manca un sacco", disse Meg sovrapensiero.

"Immaginavo fossi tu", disse "quando sono arrivato zio Zach mi ha parlato di te...gli manchi anche tu".

"Devo venire da voi, allora"

"Vieni: sei la benvenuta". Mentre sorrideva vide il suo riflesso sulla finestra. Era da anni che non intravedeva niente del genere sul suo volto. Per la prima volta dopo tanto tempo percepì tutta la consistenza del suo cuore. Era da tempo che non si sentiva così bene e gioiosa. Poi si rivoltò a guardarlo e deglutì. Improvvisamente tornò fredda come il ghiaccio. Come poteva lui, uno sconociuto, aprirle il cuore in quel modo, nel giro di cinque minuti, quando persone più importanti di lui, più importanti per lei, da anni ci provavano? Si sentì raggelare ed uscì dalla classe. Aveva abbassato la guardia, qualcuno aveva provato a scalfire il muro, e in pochi minuti aveva avuto l'impressione di sentire sulla sua pelle, di nuovo, una certa sensazione di pace dolce e familiare. Sepellita nella polvere del tempo ormai passato. Non sapeva perchè, non sapeva come. E preferiva chiuderla lì. Stupido ragazzo nuovo.

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Capitolo 6
*** Il povero cuore di Meg ***


Erano le quattro passate. A casa non c'era nessuno. In una situazione normale a quell'ora si sarebbe trovata sul campo a far correre le sue cheerleader a suon di grida e fischiettate.

Ma era il primo giorno di scuola e il giorno dopo ci sarebbero state le selezioni.

Aveva passato le ultime due ore a mettere su un piano d'attacco grazie al quale in seguito sarebbe riuscita a tirare fuori sangue e sudore dalle sue adepte.

Elena non era ancora tornata a casa benché sarebbe dovuta essere lì già da un po'.

-sei con Elena?-, scrisse a Bonnie. No, non era con lei. Lei e Caroline volevano sapere se dopo sarebbero andate al Grill con loro. Forse: prima doveva recuperare sua cugina.

 

Alle cinque in punto sentì un porta chiavi tintinnare.

"Dov'eri?", le chiese mentre con fare noncurante si fumava la sua sigaretta, distesa sul letto.

Si strinse nelle spalle. "Ero da Bonnie". Meg sentì un non troppo impercettibile tuffo al cuore.

Ma si era già dileguata nella sua stanza.

Dopo un paio di secondi la seguì in camera. Non sapeva che dirle.

"Come stai?", fu l'unica cosa che le venne fuori.

"Bene", rispose sorridendo. Ma era un sorriso finto. E il suo cuore si strinse in una morsa di ghiaccio. Lei era come qualsiasi altro sconosciuto ai suoi occhi. Non sua cugina, non la sua migliore amica, non la sua unica sorella.

"Bonnie", accennò con un filo di voce "e Caroline mi hanno chiesto se dopo andiamo al Grill".

Si strinse ancor più nelle spalle. "Forse..sì".

 

Tornò in camera sua. Si cambiò. Si truccò. Si specchiò. Ma il suo triste cuore era ancora lì freddo e duro come un sasso, lì che le pesava da morire. Chi era lei per sua cigina?

Poi le tornò in mente John e non ci pensò più.

Scese le scale e la vide immobile di fronte alla porta di casa che parlava con...il tipo nuovo?!?

Primo, come faceva a sapere dove abitavano? Secondo com'era possibile che dopo un solo giorno di scuola fossero già così amici da darsi appuntamento a casa loro? Non li aveva nemmeno mai visti parlare!

"Grazie", gli diceva "di avermi riportato il mio diario". Lui sorrise. Maledettto sorriso.

"L'avevi lasciato al cimitero". Meg ebbe un altro tuttfo al cuore. Ecco dov'era stata. E si sentì di nuovo male. E dovette ripensare a John.

"No, non l'ho letto", diceva il tipo "a me non piacerebbe se qualcuno leggesse il mio".

Elena si illuminò, "anche tu hai un diario?!?".

"Mi serve per ricordare". Che palle!

"Ma che emozione", disse Meg appoggiandosi sullo stipite della porta "tu hai un diario, lei ha un diario, io ho un diario". Tutti e due si misero a fissarla confusi. Elena era anche leggermente infastidita. Non poteva immaginare quanto lo fosse lei.

"Da quant'è che stavi ascoltando?", chiese.

"Da abbastanza...ti aspetto in macchina".

Ma Elena non sembrava intenzionata a mollare il ragazzo e insieme andarono al Grill.

 

Quando Meg arrivò al Grill sentì di aver assoluto bisogno di una forte dose di alcool.

"Ciao!", disse Caroline tutta felice.

"Ciao Bonnie", rispose Meg agguantando il primo bicchiere di birra che vide.

"Ehi non mi ignorare", protestò Caroline "ho un sacco di info interessanti sul nostro giovane amico".

Che cosa aveva fatto di male? Si poteva sapere?!?

"Allora si chiama Stefan Slavatore, si è trasferito da poco, i suoi credo siano trapassati o qualcosa del genere ed è per questo che è venuto qui ad abitare da suo zio...".

Meg la fulminò, "trapassati? Davvero Caroline?!?". Meg detestava la sua stupida superficialità.

"da suo zio Zach", continuò imperterrita "gli piace il blu, e ci sposeremo presto".

Meg e Bonnie si misero a ridere all'unisono. " Lui almeno lo sa?".

Ma era tutto inutile: quando Caroline si metteva in testa una cosa era irremovibile.

 

Nel giro di pochi minuti erano tutti attorno ad un solo tavolo. E c'era anche lui.

Parlarono di tutto e di più: soprattutto gli fecero un sacco di domande. Ma Meg rimase piuttosto taciturna: si limitava ad osservare Elena per vedere come la sua presenza la influensasse. Se positivamente oppure no. Eppure sembrava rilassata. A malincuore anche lei accettò il suo essere lì con loro.

"Ma dimmi", chiese rivolgendosi proprio a lei "chi ti ha dato quell'anello?". E poi capì l'origine della sua curiosità. Lo stemma impresso sopra era lo stesso del suo anello. Non ci aveva mai fatto caso. "Me l'ha dato mio padre", disse "perchè sua madre era una Salvatore proprio come te".

Sospirò. "Io non l'ho mai conosciuta però".

"La nonna Mery: io l'ho vista, una sola volta, quando ero molto piccolo". Caroline si illuminò.

"E quindi voi due in un qualche strano modo siete imparentati?". Sospirai ancora. Davero come faceva ad essere così stupida.

"Non c'è nessuno strano modo ", precisò Bonnie venendo in mio aiuto "sono normalissimi cugini di secondo o terzo grado".

"Secondo me terzo...".

E continuarono a parlare di quello ancora per un po'. Ma restava il fatto che lui non le piaceva per niente. Si sentiva così strana al suo fianco. Poteva evitarlo, era in suo potere, l'avrebbe fatto.

 

Era sfinita. Si appoggiò al bancone bevendo di tutto o di più. Qualche panca più in là c'era lui. John.

"Stai bene?", le chiese Matt mentre asciugava un bicchiere.

"Se mi porti qualcos'altro da bere sì". Scosse la testa irremovibile.

"Sei un guasta feste e ti odio", disse appoggiandosi al bancone.

"Non c'è niente che non vada in te", disse dopo un po'.

"E io non ti ho chiesto niente a proposito", rispose fredda. Le versò ancora un po' di schotch. Si alzò. Lasciò diverse banconote e gli sorrise. "Vado a dare un senso a questa serata", disse ammiccando al tipo lì di fianco.

Uscirono e girarono un po' in giro per la città. Lei conosceva tutti i posti più lugubri della città dove fosse possibile procurarsi qualsiasi cosa illegale o non ma sopratutto illegale senza che la gente facesse troppe domande.

I ricordi erano particolarmente confusi. Erano andati in un parchetto desolato a fumare di tutto e di più belli tranquilli e indisturbati dovevano aver passato così buona parte della notte.

Ora erano le quattro del mattino e lei si trovava in un letto non suo. I vestiti sparsi per la stanza. Si rivestì velocemente e silenziosamente. E in cinque minuti era già fuori. E in dieci minuti aveva già raggiunto casa sua. E con una silenziosa maestria si era già arrampicata su per la finestra di camera sua e infilata sotto le coperte.

 

Il mattino dopo mentre si vestiva, Elena passò a darle il buon giorno.

"Dove sei stata stanotte?", le chiese senza la minima preoccupazione. L'importante era che non la scoprisse Jenna. "Come si chiamava quel tipo del...?"

"Josh Smithsham", rispose immediatamente. Aveva capito al volo che cosa era successo quella notte. E lei, diciamo, aveva il triste compito di ricordarle i nomi dei tipi con cui andava.

"Che strano", disse Meg ridendo "vuol dire che io per tutto questo tempo l'ho chiamato con un nome sbagliato".

Aprì un'anta del suo armadio, fece una breve pressione sulle assi di questa che al suo tocco scoccarono e spalancò il suo interno che era cavo e sul nudo tronco segnò vicino ad altri nomi rossi il nome ancor più rosso della sua ultima vittima. Ce n'erano tanti. Tantissimi. Ma mai abbastanza. Tutti incisi con decisione sul legno. Indelebili. Sarebbero rimasti lì per sempre come se li avesse scolpiti sulla roccia. Indelebili nel suo povero cuore, indelebili sul legno.  

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