La Clessidra Dimenticata

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Erica e vecchie case ***
Capitolo 2: *** Parenti Serpenti ***
Capitolo 3: *** Soffitte polverose ***
Capitolo 4: *** Il ciondolo misterioso ***
Capitolo 5: *** La Contea di Diamantina ***
Capitolo 6: *** Giochi di potere ***
Capitolo 7: *** Lo stratega ***
Capitolo 8: *** I Ribelli ***
Capitolo 9: *** Il mulino ***
Capitolo 10: *** Gatto e topo ***
Capitolo 11: *** Nulla di fatto ***
Capitolo 12: *** Errore di calcolo ***
Capitolo 13: *** Nella mente di Daphne ***
Capitolo 14: *** Salto nel vuoto ***
Capitolo 15: *** Nella mente di Isaac ***
Capitolo 16: *** Questione di determinazione ***
Capitolo 17: *** Colpi e contraccolpi ***
Capitolo 18: *** Nella mente di Angelica ***
Capitolo 19: *** Predatori e prede ***
Capitolo 20: *** Chi spia chi? ***
Capitolo 21: *** Il cerchio e la botte ***
Capitolo 22: *** L'Abbazia del Vento ***
Capitolo 23: *** Nella mente di Neil / Nella mente di Axel ***
Capitolo 24: *** Estremi rimedi ***
Capitolo 25: *** Di tunnel in tunnel ***
Capitolo 26: *** Con l'acqua alla gola ***
Capitolo 27: *** Il passaggio ***
Capitolo 28: *** Il peso della responsabilità ***
Capitolo 29: *** Le prigioni ***
Capitolo 30: *** Il falegname ***
Capitolo 31: *** Colpo basso ***
Capitolo 32: *** Un piano da attuare ***
Capitolo 33: *** Glauce ***
Capitolo 34: *** Le segrete ***
Capitolo 35: *** La resa dei conti (o gocce di verità) ***
Capitolo 36: *** La Corona ***
Capitolo 37: *** Ultimi granelli ***
Capitolo 38: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Erica e vecchie case ***


 - Questo posto non mi piace-
Sua madre la guardò con aria severa.
- Non dire sciocchezze, Ariel! Questo posto è perfetto!-
Ariel tentò invano di scostare i lunghi capelli corvini dal viso, ma il vento era troppo forte perché stessero a posto. Storcendo il naso, gettò un’ultima occhiata mesta al vialetto buio e varcò la soglia.
 
Tre anni prima sua madre, Valerie, aveva ricevuto l’inaspettata telefonata di un notaio di York. La vecchia zia Rose era, infine, deceduta, e aveva nominato proprio lei, la sua nipote preferita, erede di una piccola proprietà dispersa nella brughiera. Valerie aveva accettato l’eredità per amore della zia, ma non si era più interessata a quella casa. Amava la città, il turbinare dei suoni e dei colori che il brulicare della vita portava inevitabilmente con sé. La campagna non faceva proprio per lei. Per questo motivo lasciare Londra le era costato molto, anche se sapeva di non aver avuto alternative: se voleva consegnare il suo ultimo romanzo entro il termine aveva bisogno di un posto tranquillo dove concentrarsi. Era stata sua figlia a ricordarle l’esistenza di quel luogo; lei non ci avrebbe mai pensato.
A differenza di sua madre, Ariel era una ragazza solitaria: aveva pochissimi amici, non amava la confusione, parlava poco. Sapeva che con il suo modo di fare metteva in apprensione la sua estrosa madre, ma non poteva farci niente. La sua vita era perfetta così, in mezzo agli scaffali della biblioteca e alle pagine impolverate dei testi di storia. Appena acquisita la casa di zia Rose, aveva insistito molto perché le fosse permesso di passare qualche tempo nel mezzo dello splendido nulla di quel paesaggio inospitale, ma Valerie non aveva voluto saperne. Senza dubbio temeva che la natura già eccessivamente riservata di sua figlia potesse peggiorare ulteriormente, lontano dalla città. Ariel era stata così contenta di aver saputo sfruttare la crisi artistica di sua madre a proprio vantaggio che la delusione le piovve addosso come grandine…
 
La proprietà consisteva in una villetta dall’aspetto fatiscente, costruita su due piani e fornita di soffitta, circondata da un giardino trascurato e un cortile che includeva una stalla deserta, un pozzo asciutto e il piccolo cimitero di famiglia dei primi proprietari. Nonostante l’aria sinistra e decadente, l’insieme risultava affascinante. L’ambientazione perfetta per un film dell’orrore, pensò Ariel. Le sarebbe piaciuto molto, se non fosse stato per il brivido che le era scivolato giù lungo la spina dorsale non appena aperto il cancello arrugginito e cigolante. Era quello stesso brivido che la agghiacciava quando il professore chiamava il suo nome agli esami. Lo stesso che l’aveva avvisata che qualcosa non andava quando il suo gattino non era ricomparso all’ora di cena. Lo stesso che aveva provato quel giorno di quasi undici anni prima in cui suo padre le aveva comunicato che se ne sarebbe andato. Era una sensazione strana e piuttosto spiacevole, e dall’alto dei suoi diciannove anni di esperienza poteva affermare con certezza che era un segnale di allarme. Una specie di sesto senso. Ad ogni modo, ormai si trovava là, e poteva solo augurarsi che sua madre trovasse velocemente l’ispirazione per tornarsene alla sua solitaria vita londinese.
Si chiuse la porta scrostata alle spalle e, finalmente con successo, si mise i capelli dietro alle orecchie. Guardandosi attorno scoprì di trovarsi in un atrio basso e poco illuminato, una specie di corridoio che attraversava la casa in tutta la sua lunghezza.
- La tua camera è di sopra, tesoro. Jerry ha già sistemato le tue cose-
Jerry. Il manager di Valerie. Un tipo viscido che si arricchiva alle loro spalle, assicurandosi la fiducia dell’ingenua scrittrice con le sue untuose lusinghe. A nulla erano valsi i tentativi di Ariel di indurre sua madre alla ragione: era innamorata persa.
- Non mi piace l’idea che tocchi le mie cose- mugugnò la ragazza.
- Dovresti ringraziarlo, invece! Con tutti i libri che hai deciso di portare ci avremmo impiegato una vita a mettere in ordine tutto-
Ariel soffocò un sospiro irritato. Prese la sua inseparabile borsa a tracolla e si mise alla ricerca della sua stanza.
 
La notte era molto buia. Ariel guardava le morbide colline coperte di erica dal balcone della sua camera. Sospirò. L’aria profumava di terra e di umido, e il vento ululava nelle fessure della vecchia casa. A parte questo, il silenzio era assoluto. Quella sera non aveva avuto il tempo di scoprire i misteri che, ne era sicura, quel rifugio le nascondeva. Si era limitata a buttare giù un piatto di pomodori e tonno in scatola prima di lavarsi e mettersi in pigiama. Aveva cercato di dormire ma non ne era stata capace. Si sentiva strana, lontana, persa. Come alla deriva. Era piacevole. Sorrise tra sé pensando che sua madre si sarebbe preoccupata se avesse espresso un simile pensiero. Ma il suo sorriso silenzioso sbiadì subito. Il suo pensiero era volato, diretto come un dardo, a Carrie, la sua migliore e unica amica. Non la vedeva da quasi un anno ormai. Si era trasferita con i suoi genitori a Bruxelles, e le mancava moltissimo. Senza di lei non era la stessa cosa, senza di lei Ariel era diventata ancora più solitaria. Carrie era la sua parte mondana, la sua coscienza sociale. Lei era una ragazza vivace ed espansiva, non le era mai stato difficile stringere amicizie. Si sarebbe fatta nuovi amici nella sua nuova città e così, lentamente ed inesorabilmente, si sarebbe dimenticata di Ariel. Che sarebbe stata sempre più sola. La sensazione di vivere in un altro mondo la accompagnava fin da bambina, ma mai si era sentita tanto avulsa dalla realtà come da quando aveva salutato Carrie. Si asciugò una lacrima traditrice e si strinse nello scialle.
- Smettila sciocca. Piangere non ti gioverà- sussurrò.
Si alzò, lasciò che il suo sguardo scivolasse per l’ultima volta sul profilo irregolare del paesaggio prima di imporsi di dormire.
 

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Capitolo 2
*** Parenti Serpenti ***


- Buon giorno, tesoro-
- ‘Giorno, mamma-
Ariel si sedette a tavola davanti alla tazza di porridge faticando a tenere aperti gli occhi. Aveva dormito poco e male per via degli spifferi e della sensazione di inquietudine che la accompagnava dal loro arrivo.
- Non hai un bell’aspetto, Ariel-
 La ragazza alzò lo sguardo dalla tazza e fissò sua madre a bocca aperta. Era perfettamente pettinata, vestita e truccata. Sbatté gli occhi per sincerarsi di essere del tutto sveglia.
- Aspetti qualcuno?- domandò sospettosa.
Valerie arrossì.
- Beh, veramente credevo di avertelo detto…stamattina verranno a trovarci lo zio William e la zia Eudora…e pensavo di presentare loro Jerry-
- Cosa?!- esclamò Ariel quasi soffocandosi con il porridge.
- Ehm…si, sai, non li vediamo mai e ora che siamo così vicine a York mi sono sentita in dovere di chiamarli- farfugliò.
- Ma mamma! Mi odiano, lo sai!- piagnucolò in preda allo sconforto.
- Non parlare così degli zii! Non ti odiano, loro sono così con tutti…- la voce di Valerie si perse in vecchie memorie.
Ariel si prese la testa tra le mani ed emise un suono strozzato, a metà tra un sospiro ed un singhiozzo.
- Mi dispiace, Ariel. Coraggio, finisci la tua colazione e vai a prepararti. Jerry sarà qui tra poco-
La ragazza ingurgitò controvoglia il resto del contenuto della sua tazza, si alzò e mestamente si diresse al piano superiore.
 
Una combinata mortale: i terribili zii e l’uomo più falso sulla terra. Una prospettiva oltremodo deprimente per la mattinata, pensò mentre meccanicamente rifaceva il letto. La sua perlustrazione avrebbe dovuto attendere ancora. Scelse dall’armadio una camicia blu e una gonna bianca e le distese sul letto. Poi presi il beautycase e si preparò psicologicamente a farsi una doccia. Sapeva già come sarebbe trascorsa la mattina. Lo zio era un uomo perfido, tutti i suoi argomenti di conversazione vertevano sull’inesistente situazione sentimentale di Ariel e sull’ingratitudine di suo padre, che aveva tradito la loro nipote perfetta. Per lo meno, forse, la presenza di Jerry avrebbe inibito quel tema. Sua moglie Eudora, invece, traeva particolare piacere dal compiangere i difetti di Ariel: troppo bassa, troppo introversa, sempre disinteressata, mal vestita e mal truccata.
Ariel si rese conto di digrignare i denti mentre, davanti allo specchio, si truccava gli occhi con una sottile linea nera. Si spazzolò i capelli e si guardò. Non le importava niente di quello che poteva pensare quella vecchia strega: lei si piaceva molto così. I capelli neri le cadevano diritti fino oltre metà schiena, e facevano risaltare in modo inquietante gli occhi azzurri e leggermente obliqui. Le piaceva truccarli solo con la matita nera perché  così facendo creava un forte contrasto con la carnagione bianchissima. Non era molto alta, e nonostante questo disdegnava i tacchi. Non faceva attività fisica da molti anni, da quando aveva abbandonato la danza classica, ma il suo fisico era rimasto quello longilineo di una ballerina. Il suo metabolismo assimilava poco gli alimenti, e questo era un altro punto di forza di Eudora. Tutta invidia.
Ariel scosse risolutamente la testa quando sentì sua madre parlare con qualcuno. Probabilmente quella vecchia casa non aveva nemmeno il campanello. Scesa al piano terra, trovò Valerie e Jerry seduti sul divano in salotto.
- Buongiorno- si limitò a salutare l’ospite, sperando che trapelasse il disgusto che provava per lui.
- Oh! Buongiorno, mia cara! Come sei elegante questa mattina!-
Jerry si alzò per lasciarle il posto sul divano,  che era comunque sufficientemente grande da accogliere quattro persone sovrappeso. Ariel lo guardò inarcando un sopracciglio.
- Tesoro fatti vedere- disse con apprensione sua madre. – Perché non ti sei messa qualcosa per coprire queste orribili occhiaie, Ariel?-
La ragazza sospirò, ma non ebbe il tempo di rispondere perché Valerie avvistò l’automobile degli  zii dalla finestra e si precipitò ad accoglierli, lasciando la figlia sola con l’ aspirante fidanzato. Ignorandolo completamente, Ariel prese un bicchiere dal vassoio preparato su un tavolino e lo riempì d’acqua. Jerry sembrava piuttosto imbarazzato dal silenzio disinteressato della ragazza e, notandolo, lei dovette fare un certo sforzo per reprimere un sorriso soddisfatto. Sorseggiò lentamente l’acqua e quando sentì le voci degli ospiti in corridoio disse:
- Approposito, Jerry, grazie per aver sistemato le mie cose-
L’uomo la guardò a bocca aperta, impreparato a ricevere un commento positivo da lei, ma non replicò perché Ariel aveva calcolato tutto alla perfezione: gli zii entrarono in salotto, lasciando Jerry solo con la sua confusione.
- Ariel! Bambina mia!- esordì William – Come stai? Hai trovato un fidanzatino?-
Stanca di ripetere allo zio che l’ultimo ragazzo risaliva all’era preistorica, la ragazza si sottopose all’edificante sermone sulle qualità che una donna deve possedere per attrarre un uomo.
Quando finalmente sua madre riuscì ad interromperlo per presentargli Jerry, fu il turno di Eudora.
- Come sei pallida, Ariel! Perché non fai qualche lampada, ogni tanto? E questi capelli, poi…non sai che quest’anno vanno di moda corti? Credo che delle meches blu o viola ti starebbero benissimo…-
 
La mattina trascorse lenta e pesante. L’esigenza di dimostrarsi loquace, allegra, attiva, interessata la spossò. Nemmeno Jerry fu esentato dalle “critiche costruttive” degli zii, anzi, ne fu a tal punto bersagliato che Ariel scoprì di provare qualcosa di molto simile alla compassione nei suoi confronti.
Quando, finalmente, la porta si chiuse alle spalle degli sgradevoli parenti, Ariel tirò un sospiro di sollievo e si sentì come se i suoi polmoni non avessero ricevuto vero ossigeno dall’ora di colazione.
 

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Capitolo 3
*** Soffitte polverose ***


 Il giardino circostante la villa era trascurato. A partire dal cancello arrugginito, un sentierino di ghiaia bianca raggiungeva la casa, la abbracciava e collegava le altre strutture che si trovavano sul retro. La macchia di verde antistante era costellata di cespugli e roseti secchi. L’erba era alta e la gramigna svettava qua e là, ma si distingueva un vago sentore di menta che faceva pensare che le erbacce non fossero le uniche forme di vita clandestina. Una lunga e incolta siepe di lauro attraversava in tutta la sua lunghezza la proprietà, dividendo il giardino dal cortile di servizio. Costeggiando la villetta, si giungeva ad un ampio spiazzo sul quale si affacciavano il camposanto e la stalla. Ariel respirò a pieni polmoni l’aria umida prima di entrare nel basso edificio rettangolare.
La stalla non era molto grande, ma era a tal punto vuota da arrivare a sembrare addirittura enorme. Nemmeno una pagliuzza era rimasta a testimoniare la passata presenza di qualche genere di animale. Delusa, uscì sull’aia e si guardò attorno. Di fronte a lei stava il vecchio cimitero. Attraversò il cortile e varcò la recinzione fatiscente. Le piccole lapidi, una decina in tutto, erano coperte di muschio. Non vedevano una ghirlanda o un fiore da troppi anni. La ragazza si incupì pensando che anche lei avrebbe desiderato riposare in un luogo simile, tetro e abbandonato. Mormorò una preghiera, ripromettendosi di cercare qualche mazzolino di fiori, e se ne andò.
Era tutto così immobile, così irrealmente desolato. Era come guardare una fotografia in bianco e nero, senza colori e senza vita.
Rientrando in casa dalla porta principale rimase accecata dall’oscurità del corridoio. Mosse un passo ed inciampò nel tappeto consunto. Imprecò sottovoce.
- Come dici, tesoro?-
La voce di sua madre giunse attutita dalla stanza che si apriva alla sua destra.
- Parlavo tra me e me- rispose Ariel varcando la soglia.
Valerie era seduta su una poltrona logora con il computer portatile sulla ginocchia. La grande stanza era stata adibita a studio, le pareti erano tappezzate di libri polverosi.
- Bella, vero?-
Ariel si rese conto di essere rimasta a bocca aperta e si ricompose. Annuì. Valerie sorrise e ritornò al suo lavoro. La ragazza si guardò un po’ attorno e notò che la porta dello spazioso bagno che si apriva sul lato sinistro della stanza era perfettamente mimetizzata da un vecchio arazzo che raffigurava una scena della cosiddetta guerra delle due rose. Le bastò un’occhiata per capire che i libri erano stati tutti suddivisi per argomenti, ed erano stati sistemati da una mano maniacale. La biografia del Sultano Mehemed II accanto a quella di Giulio Cesare e a quella di Napoleone, la biografia di Leonardo da Vinci accanto a quella di Newton e di Copernico, Nietzsche vicino a Schopenhauer e a Hume, la Bibbia Cattolica accanto a quella Protestante e al Corano, i romanzi suddivisi per autore, in ordine alfabetico, e così via. Proponendosi di dedicare il giorno seguente a ripulire quel piccolo paradiso, Ariel lasciò la stanza. In fondo al corridoio stava la grande cucina con un tavolo al centro. Non prometteva nulla di interessante, così entrò nel salotto, collocato sul lato sinistro dell’ingresso, di fronte allo studio. A parte un ordinario divano posto davanti ad un ordinario televisore, la stanza era quasi completamente vuota. La particolarità stava nella scala a chiocciola che, dal centro dell’ambiente, portava al primo piano. Ariel salì la scala e si trovò in una sala da pranzo molto bella. Il tavolo di mogano era attorniato da otto sedie ed era decorato da un pizzo ingiallito. Le pareti erano tappezzate di quadri e in una teca di vetro faceva bella mostra di sé l’argenteria ossidata. Nell’angolo destro era collocato un piccolo bagno.
La sala da pranzo si affacciava sul corridoio. Il primo piano sembrava essere speculare al piano terra. In fondo al corridoio stava la stanza di Ariel. Non era eccessivamente grande ed era arredata da un tappeto, un armadio, una scrivania ed un letto a baldacchino. Ariel aprì la porta che dava sul balcone e si affacciò. Tutto intorno alla villa si estendeva la brughiera, l’ultimo baluardo della selvaggia natura che un tempo governava la regione. Le piaceva quel balcone perché era stato dotato di una scala esterna che scendeva nel cortile. Una scelta architettonica curiosa. Si attardò per qualche minuto ad osservare quell’insolito paesaggio, prima di rientrare in camera, decisa a perquisire ogni anfratto alla ricerca di qualcosa che potesse distrarla in qualche modo. Aprendo le ante dell’armadio, realizzò che se ci fosse stato qualcosa di strano Jerry l’avrebbe trovato quando aveva messo a posto le sue cose. Era tutto perfettamente in ordine. Si accigliò spostando i vestiti e frugando il fondo dell’armadio senza trovare nulla. Si sedette sul letto, delusa, ma si rialzò subito, diretta alla scrivania. Sul ripiano aveva posato la sera prima il manuale di storia medievale e oltre a quello non c’era niente. Aprì il primo dei quattro cassetti: il suo astuccio e un quaderno. Aprì il secondo: un foglio ingiallito e consumato. Ariel lo prese trepidante e lo distese sulla scrivania. Era una lettera.
 
            Cara Cecile,
ho compiuto il mio triste dovere, e questo peso mi graverà sul cuore per sempre. Ma non c’era altra soluzione,come hai detto tu, questo lo so bene. Darei qualsiasi cosa per essere ancora al fianco tuo e di Mary. Forse un giorno tornerò a calcare la bella terra verde di cui sento già la mancanza, prima che i miei occhi si chiudano definitivamente. Anche se non sono più lì con voi fisicamente, il mio pensiero non vi lascia nemmeno un momento. Prego per voi, mia dolce Cecile, e vi porto nel cuore. Per sempre.
Rose.
 
La firma della zia era sbavata da una goccia, come se scrivendola avesse pianto. La lettera non era datata, ma era evidente che la povera Cecile non l’aveva mai ricevuta. Ariel sospirò e la ripose. Non possedeva molti ricordi di Rose. Aveva sempre abitato in quella vecchia casa e si erano viste raramente, quando andava con sua madre a salutare i parenti a York. Allora Rose le raggiungeva a casa di questo o quello e passavano un pomeriggio insieme. Valerie le aveva raccontato che quando era giovane lei e la zia erano state molto unite, e che quando, poco prima della nascita di Ariel, si era trasferita a Londra avevano perso un po’ i contatti. Per questo motivo era giunta tanto inaspettata la chiamata all’eredità. La ragazza richiuse il cassetto, improvvisamente consapevole che quella vecchia signora gentile non c’era più. Le sembrava quasi di vederla mentre si aggirava per quelle stanze stranamente spoglie. Si asciugò una lacrima ed aprì il terzo cassetto, ma questo era vuoto. Passò al quarto: era vuoto anch’esso. Ma qualcosa attirò la sua attenzione. Il quarto cassetto sembrava leggermente più piccolo degli altri. Incuriosita, Ariel lo sfilò dalla cassettiera e lo posò sul pavimento. Lo girò, lo guardò da ogni angolazione, lo rovesciò. Niente. Pareva proprio che il cassetto fosse nato più piccolo dei suoi fratelli. Delusa, lo raddrizzò per riporlo, ma nell’inclinarlo sentì un clink metallico. Temendo uno scherzo della sua immaginazione, lo inclinò di nuovo e il clink si spostò dall’altro lato. Entusiasta, prese un tagliacarte e infilò la punta nella sottile fessura tra le pareti e il fondo del cassetto. Applicò una lieve pressione e il pannello si sollevò. Nel doppiofondo era nascosta una piccolissima chiave arrugginita. La ragazza la rigirò tra le dita elettrizzata, domandandosi cosa potesse mai aprire una vecchia chiave nascosta tanto accuratamente. Soddisfatta della scoperta, se la infilò in tasca e lasciò la stanza.
Di fronte alla sala da pranzo si trovava la stanza di sua madre. Ariel non l’aveva ancora vista. Al centro era collocato un vecchio tappeto quadrato pieno di polvere. Di fronte alla porta c’era il letto matrimoniale. Accanto al letto, in una posizione assurda, c’era il televisore. L’arredo era completato da una coppia di guardaroba. Non c’erano vestiti in giro, perciò gli armadi dovevano essere già stati riempiti. Sentendo svanire la speranza di nuove scoperte, la ragazza fece per andarsene, ma poi notò, seminascosta dietro al mobile, una porta. Trepidante, si avvicinò e abbassò la maniglia.
Dietro alla porta stava una scala buia. Ariel la salì e si trovò in una soffitta caotica. Trattenne il respiro: l’odore di polvere e di muffa era molto intenso. Guardandosi attorno cercò l’interruttore della luce e lo premette. Un flebile globo luminoso illuminò la stanza, ingombra di ogni genere di cianfrusaglia. Spostò una sedia a dondolo rotta che bloccava il passaggio e attraversò la stanza. C’era un baule pieno di vecchi vestiti in un angolo, una abat-jour con un paralume scolorito, un ventilatore, una culla, uno specchio rotto, una pelliccia spelacchiata, un cappello. Uno spesso strato di polvere ricopriva ogni cosa. Ariel poté constatare che la soffitta si articolava in quattro stanze collegate tra loro. La prima era quella più caotica, come se gli oggetti divenuti inutili fossero stati scaricati nel primo posto utile dalla zia e da innumerevoli altri prima di lei. La seconda stanza era interamente occupata da tappeti arrotolati. L’odore di polvere era insopportabile, così la ragazza si affrettò a passare oltre. Nella terza stanza erano ammassati dei quadri, alcuni molto belli, e nella quarta c’erano una cassettiera e un paravento.
Ariel si avvicinò incuriosita al mobile e aprì i cassetti. Contenevano strani abiti, di una foggia che aveva visto solo alle fiere medievali. Erano femminili, e sembravano abbastanza preziosi. Affascinata ne estrasse uno. Velluto verde, ricamato in oro a motivi floreali. Se lo appoggiò addosso, ma era troppo largo per lei. Accigliata lo piegò e lo ripose. Trovò poi un portagioie intarsiato e, sollevato il coperchio, sussultò per lo stupore. Conteneva gioielli. Erano bellissimi, d’oro e d’argento, costellati di pietre preziose e finemente lavorati. Erano così delicati da sembrare usciti da una favola. La ragazza ne posò alcuni sul pavimento. C’erano collane, bracciali, anelli, ma quello che più la colpì fu una tiara: d’oro bianco e decorata a foglie d’edera, aveva incastonato al centro uno smeraldo a forma di goccia. Ariel non resistette alla tentazione e se la mise sul capo, per poi correre a specchiarsi nella stanza accanto. Rimase senza fiato. Le stava d’incanto. Provò ad immaginarsi con indosso l’abito da dama e sospirò. Sfilò il gioiello e lo ripose mestamente, insieme agli altri, nella cassettiera. Richiuse i cassetti e fece per andarsene. Per scrupolo gettò un’occhiata dietro al paravento, e non poté trattenere un “oh”di sorpresa trovandovi un piccolo baule con la serratura arrugginita. Spostò il paravento e spolverò lo scrigno con una mano, inginocchiandoglisi davanti. Tentò di sollevare il coperchio, ma era sigillato. Sentì montare l’eccitazione mentre il brivido di avvertimento la attraversava nuovamente.
 

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Capitolo 4
*** Il ciondolo misterioso ***


  Con il cuore che batteva forte, Ariel infilò una mano in tasca e ne estrasse la piccola chiave che vi aveva riposto. La guardò e le sembrò che scottasse nel palmo della sua mano. Deglutì e, tremante, la infilò nel buco della serratura. La girò. L’ingranaggio scattò. Si guardò istintivamente attorno, anche se già sapeva di essere sola. Perché poi?, si domandò. Che bisogno c’era di tanta segretezza per aprire un vecchio baule? Era per via di quel brivido sinistro? Non era mai stata superstiziosa, anzi, aveva fatto della razionalità la sua regola di vita. Perché sentiva che in quel baule era racchiuso un segreto che solamente lei avrebbe potuto svelare?
- Coraggio- si disse, prima di alzare il coperchio.
Il baule era completamente vuoto, salvo per un piccolo oggetto sul fondo che brillava fiocamente. Solo svuotando i polmoni con un lungo sibilo si rese conto di aver trattenuto il respiro. Si asciugò i palmi sudati per la tensione sui jeans e infilò la mano nel baule per prendere l’oggetto misterioso. Quando le dita sfiorarono la superficie liscia, il bagliore aumentò di intensità. Portandoselo innanzi al viso, Ariel poté constatare che si trattava di un ciondolo. Sembrava un piccolo mappamondo di vetro montato su un’intelaiatura d’argento con un perno al centro intorno al quale poteva ruotare. All’interno della sfera stava sospesa una sorta di via lattea in miniatura. Il brillio proveniva dalle stelle di luce. Ariel se lo fece girare tra le mani, affascinata dal modellino della sfera celeste che luccicava quasi come una vera galassia. La cosa più sorprendente era il fatto che il ciondolo reagisse al suo tocco: trasmetteva calore alla sua pelle come una creatura vivente. Lo posò con delicatezza sul pavimento e sciolse il nodo del cordone che portava al collo, sfilò la crocetta che indossava e inserì il misterioso oggetto. Lo legò intorno al polso destro e richiuse il baule.
 
Seduta di fronte a sua madre, Ariel consumava in silenzio la sua cena. Aveva raccontato a Valerie quello che aveva scoperto in soffitta e si sentiva molto stanca. Non era solita condividere i suoi pensieri con qualcuno. Quell’inusuale attività l’aveva spossata. Sua madre non aveva condiviso il suo entusiasmo, né per gli abiti medievali, né per i vecchi gioielli, ma aveva mostrato interesse per il ciondolo. Non aveva mai visto nulla di simile. Ariel le aveva chiesto il permesso di tenerlo e Valerie le aveva risposto:
- Insieme alla casa abbiamo ereditato tutto ciò che contiene, perciò prendi pure quello che vuoi-
La ragazza represse un moto di euforia al pensiero della tiara.
- Mi dispiace per questa mattina, tesoro-
Sua madre la guardava con aria colpevole mentre raccoglieva i piatti e si accingeva a lavarli. Ariel sbadigliò.
- Dovresti scusarti con Jerry. Non credo che sia abituato a questo tipo di riunioni familiari-
- Già…forse non è stata una bella idea invitare gli zii- rispose mesta.
- Forse non è stata una buona idea invitare Jerry- corresse la ragazza.
Si alzò e le diede una pacca rassicurante sulla spalla.
- Scusa se sono poco di compagnia, mamma, ma dopo la notte scorsa ho un bisogno disperato di dormire-
- Buona notte, Ariel. Spero che tu possa fare dei bei sogni anche in questo postaccio-
 
Ariel aveva intenzione di studiare un po’ prima di andare a letto, ma una volta nella sua camera non ne ebbe la forza. Troppe erano le ore di sonno arretrate e troppo pesante la giornata trascorsa. Si lavò la faccia e i denti, si spazzolò i capelli e si coricò sopra alle coperte ancora vestita, esausta, e così si addormentò.
 

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Capitolo 5
*** La Contea di Diamantina ***


 Ariel spalancò gli occhi, investita dalla sensazione che qualcosa non andasse. Un refolo d’aria, il fruscio delle foglie. Sbatté gli occhi, accecata dalla luce e ciò che vide la lasciò sconvolta.
Si mise lentamente a sedere e si guardò attorno. Si trovava sull’erba, nel mezzo di quello che sembrava un bosco. Gli alberi alti lasciavano passare qualche raggio di sole.
- Ma cosa…?- farfugliò prima di alzarsi in piedi.
Vide che poco lontano da lei passava un sentiero. Sospirò, convinta di trovarsi in un sogno, anche se non le era mai capitato di esserne cosciente. Soprappensiero si diresse verso il sentiero, ma inciampò in una radice e cadde. Il dolore alla caviglia la svegliò completamente. Si sedette e si massaggiò l’arto, chiedendosi come ci si potesse fare tanto male in un sogno senza destarsi. Formulando questo pensiero, si rese conto di non indossare le scarpe. Anzi, era vestita esattamente come quando si era coricata, con jeans e maglietta. Si grattò la testa perplessa, e notò il ciondolo. Era cambiato. Brillava più intensamente e scottava. Perché non l’aveva notato subito? Osservandolo meglio notò che al centro era comparso un globo rosso, come un pianeta. Sospirò e si rimise in piedi. Ma dove era finita? E come era arrivata lì? E sua madre? Dov’era sua madre? In preda ad un attacco di panico, corse sul sentiero e guardò in una direzione e nell’altra. Non c’era anime viva. Si incamminò lungo il sentiero senza sapere dove portasse, augurandosi di svegliarsi nel suo letto a baldacchino quanto prima. Ma i colori erano tanto vividi e i profumi tanto intensi da convincerla ad ogni passo di più che quel posto sconosciuto era reale.
La strada inclinava leggermente verso destra, accompagnata dal cinguettio degli uccelli sulle cime lontane. Ariel continuava a camminare, meccanicamente, cercando di ragionare. I piedi le facevano male e il suo cervello era in panne. Non c’erano zone boschive nei pressi della proprietà di zia Rose, e lei non aveva mai sofferto di sonnambulismo. La sera prima si era coricata presto, distrutta, e poi cosa era successo? Ma era poi davvero passata la notte? Si sentiva ancora molto stanca, come se si fosse svegliata pochi minuti dopo essersi addormentata, ma era giorno fatto, perciò doveva per forza essere passata…La testa minacciava di esploderle. Seguendo la curva del sentiero si rese conto che la luce si faceva più intensa. Gli alberi diradavano. Accelerò il passo, pensando che una volta all’aperto avrebbe avuto una visione più limpida della situazione.
Ma proprio in quel momento, un brivido gelato la indusse a frenare bruscamente. Istintivamente uscì dal sentiero e si pose al riparo nella vegetazione. Tese l’orecchio, trattenendo il respiro. Si sentiva estremamente stupida: si stava nascondendo senza sapere nemmeno da cosa. In lontananza echeggiava un suono sconosciuto che faceva rimbombare la terra. Si avvicinava rapidamente. Ariel si accucciò di più dietro al cespuglio che la riparava e attese. Il rumore si faceva sempre più forte. Improvvisamente comparve sul sentiero un gruppo di uomini a cavallo. Il boato degli zoccoli sulla terra sembrava un susseguirsi di tuoni spaventosi. La ragazza pregò che non riuscissero a vederla e si sporse appena dal suo nascondiglio. Represse a fatica un gridolino alla vista che le si presentò: una colonna di cavalieri in armatura, con tanto di spade e lance, attraversava il bosco al galoppo. Sconvolta, Ariel si domandò se vi fosse in programma una rievocazione medievale nei dintorni di York, ma aveva la sgradevole sensazione che non si trattasse di un gioco. Sugli stendardi spiccava uno stemma bianco e blu con un rapace sulla sommità di una torre al centro. Non aveva mai visto un simile blasone.
Quando fu certa che il gruppo, che irrazionalmente aveva evitato e che forse avrebbe potuto aiutarla, fosse abbastanza lontano da non poterla più scorgere, si alzò in piedi. Si spolverò i jeans e si assicurò che il ciondolo fosse annodato bene al suo polso. Rialzò lo sguardo muovendo un passo, ma fu subito costretta a fermarsi.
Un gruppo di uomini, vestiti in modo semplice ma inequivocabilmente medievale, era emerso dalla boscaglia e l’aveva circondata, spade e pugnali in pugno. Ariel alzò istintivamente le mani, terrorizzata, ma questi non diedero segno di abbassare la guardia. I suoi occhi scattarono in tutte le direzioni in cerca di una via di fuga ma non ne trovarono. Lei, poi, non era un’atleta, non poteva sperare di essere abbastanza veloce da seminare tutti quegli uomini armati. Il suo cuore batteva forte e il ciondolo le scottava la pelle.
La cerchia si aprì per lasciar passare il capo. Fu sufficiente un’occhiata per costringere la ragazza a chinare il capo. Un semplice lampo di uno sguardo di ossidiana per agghiacciarla.
- Cosa abbiamo?-
La voce baritonale suonò leggermente metallica, e le gelò il sangue.
- Una donna, signore. Si nascondeva tra gli arbusti- rispose uno degli armati.
L’uomo le si avvicinò e le sollevò il mento con la punta della spada per guardarla in faccia. Ariel dovette cedere. Convinta che sarebbe morta in quel luogo, fece appello a tutto il suo coraggio e gli puntò gli occhi in faccia in segno di sfida , resistendo all’impulso di scoppiare a piangere. Era alto, molto più di lei, e le spalle larghe e la muscolatura sviluppata facevano sentire Ariel ancora più gracile. Aveva una carnagione olivastra, il viso spigoloso, dagli zigomi alti, il naso diritto e le labbra sottili. E gli occhi erano neri come la notte, come il buio, come la paura. Sarebbe potuto essere affascinante, se non fosse stato per i capelli che gli cadevano spettinati dalla mezza coda, per gli abiti sporchi e per le cicatrici che segnavano buona parte della pelle visibile.
I suoi occhi si spalancarono in un silenzioso moto di stupore davanti alla prigioniera, ma si ricompose immediatamente.
- Chi sei?-
La strana voce metallica si affievolì appena. Domandandosi se fosse un buon segno, Ariel rispose:
- Ariel Olsen-
- Perché ci stavi spiando, Ariel Olsen? Te l’ha ordinato Gunnar?-
- Non vi stavo spiando. Non so chi siate, né chi sia Gunnar. E non so nemmeno dove mi trovo! Quando ho visto arrivare quei cavalieri ho avuto paura e mi sono nascosta-
L’uomo socchiuse gli occhi e la scrutò con diffidenza. Poi si voltò e disse:
- Qualcuno chiami Axel-
Ariel sentì dei passi allontanarsi ed attese, trepidante. Chi era mai Axel? Era il capo dell’uomo che l’aveva catturata? Per poter controllare un simile luogotenente doveva essere o molto pericoloso o molto carismatico, o entrambe le cose. Che cosa poteva volere da lei? Che cosa poteva farle? E poi chi era questo Gunnar? E quegli uomini che credevano di essere spiati? Come aveva fatto a cacciarsi in un pasticcio simile?
Lo sguardo di ossidiana tornò a posarsi su di lei, e per un momento la ragazza ebbe la sensazione di aver già visto occhi simili, ma lo spettro di un lontanissimo ricordo scivolò via troppo velocemente. Il silenzio ostile si protrasse fino all’arrivo di un altro piccolo drappello di uomini. Ariel trattenne il respiro.
- Isaac!- chiamò quello in testa.
L’uomo dagli occhi scuri si volò lentamente. Per un fugace istante l’espressione dura abbandonò il suo viso lasciando che i tratti si ammorbidissero, e la prigioniera si rese conto di averlo valutato più giovane di quanto probabilmente non fosse. Non poteva avere meno di trentacinque anni.
Axel varcò la cerchia e rimase attonito davanti alla ragazza.
- Chi sei tu?!- domandò.
- I-io…-
Ariel balbettò ma non riuscì a proseguire, inducendo Isaac a rispondere in sua vece. Axel non era decisamente il mastino irritabile che aveva immaginato.
Era molto giovane, e decisamente molto bello. I capelli castani erano striati di bronzo e gli occhi brillavano di uno stupefacente color miele. Il viso sottile e il naso a punta gli davano l’aspetto di un folletto, e il fisico asciutto lo rendeva decisamente interessante. Il suo aspetto gentile rassicurò la prigioniera.
- Ariel…come sei arrivata qui?- domandò, e dalla sua voce melodiosa traspariva solo genuina curiosità.
- So che sembra assurdo, ma davvero non ne ho idea! Ieri sera sono andata a letto, come sempre, nella mia stanza, e quando mi sono svegliata stamattina ero qui. Non so come ci sono arrivata-
Axel rifletté massaggiandosi il mento.
- Perché ti stavi nascondendo?-
Ariel sgranò gli occhi.
- Perché i cavalli facevano un rumore infernale, e quegli uomini erano armati! E poi…- si interruppe, rendendosi conto di non essere capace di spiegare il significato che quel brivido aveva avuto per lei.
- Poi?- la esortò Axel.
- Sarà sciocco, ma ho seguito il mio istinto- sussurrò.
- Non è mai sciocco seguire l’istinto- commentò Axel.
- Dove ci troviamo?- domandò la ragazza.
- Nel bosco di Diamantina-
- Dove?!-
Axel la guardò sorpreso.
- La Contea di Diamantina…nella Penisola della Foce…-
Ariel lo fissò a bocca aperta. Non aveva mai sentito nominare quei luoghi, ed era assolutamente certa che non esistessero affatto posti simili nei dintorni dello Yorkshire. Sentì le forze venirle meno e barcollò. Axel la sostenne prontamente.
- Attento, potrebbe essere di Gunnar- ammonì Isaac.
- Chi è Gunnar?- farfugliò Ariel.
- Da dove accidenti arrivi per non conoscere Gunn…-
Axel troncò la frase a metà notando il ciondolo che pendeva dal braccio della sua prigioniera. Sbigottito, esclamò:
- Per la miseria! Ma tu sei la Custode della Galassia! Perché non l’hai detto subito?!-
Tutti tacquero. Persino il roccioso Isaac sbiancò.
- C-cosa sarei io?!- la voce di Ariel salì di un ottava prima di affievolirsi, al suo cadere in un familiare stato di mancamento.
 
Il mondo le vorticava attorno dandole un forte senso di nausea. La bella voce dell’uomo chiamato Axel suonava lontana.
- Allontaniamoci da qui, Isaac. Gli scagnozzi di Gunnar potrebbero tornare da un momento all’altro-
Nella semi-incoscienza, Ariel sentì la terra svanire da sotto i suoi piedi. Axel l’aveva presa in braccio e la stava portando nel folto della vegetazione. Lentamente, con immensa fatica, aprì gli occhi.
- Ti senti meglio?- domandò Axel.
Da così vicino i suoi occhi di topazio erano ancora più stupefacenti. Cosa avrebbe detto Carrie quando le avesse raccontato di lui? Sempre che fosse riuscita a tornare a York, naturalmente…
- Che cosa mi è successo?- rispose con voce fioca.
- Sei svenuta, credo-
- Si, questo lo so. Mi capita spesso…ma non mi riferivo a questo. Come ho fatto ad arrivare qui?-
- È stata la Galassia a portartici-
- Che cos’è la Galassia?-
Axel la guardò con un misto di preoccupazione e di istintiva simpatia. Avevano raggiunto la loro meta. Guardandosi attorno, Ariel scoprì di trovarsi in un piccolo spiazzo riparato. Axel la posò a terra e disse ai suoi uomini:
- Lasciateci. Ci sono molte cose da chiarire e il tempo stringe. Organizzate dei turni di guardia se necessario, ma tenete Gunnar fuori dai piedi, sono stato chiaro? Isaac, tu resta, ti prego-
Palesemente irritato, l’uomo dagli occhi scuri si sedette su un sasso in un angolo, mentre Axel si accomodava sul terriccio davanti alla prigioniera.
 

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Capitolo 6
*** Giochi di potere ***


- Davvero non sai cosa sia la Galassia?-
- Immagino che tu non ti riferisca all’ammasso di corpi celesti che si trova nello spazio…-
- Il concetto non è lontano-
Axel sospirò e si grattò la testa. Isaac sbuffò, guadagnandosi un’occhiataccia della ragazza.
- Dove hai trovato l’oggetto che porti al polso?-
- In un vecchio baule in soffitta-
- A chi apparteneva?-
Ariel scosse la testa. Isaac sbottò in una risata ironica.
- Hai sbagliato persona, Axel. Non è la Custode. L’ha semplicemente trovata, per puro caso. Rimandiamola da dove è venuta, prima che ci crei altri guai-
Axel lo guardò in cagnesco.
- È lei!-
- Non essere assurdo! È solo una ragazzina!-
- Non può essere molto più giovane di me-
- Scusate se mi intrometto…posso sapere di cosa stiamo parlando?!-
- Ma certo, scusa. Il ciondolo che hai trovato si chiama Galassia. La persona che lo indossa si chiama Custode. La Galassia è viva: pensa, ragiona, decide e parla alla Custode. Le luci che vedi sono i Mondi-
- Mondi?- domandò Ariel.
- Mondi, si. Tante realtà diverse. Come i pianeti di una vera galassia. Il pianeta più luminoso al centro è il mondo in cui ti trovi-
Ariel guardò la stella rossa.
- Dove siamo?-
- Su Rubio. Tu da dove vieni?-
- Ehm…dalla Terra?-
Ariel arrossì, mentre Axel annuiva. Se non altro aveva capito il meccanismo.
- Come sono arrivata qui?-
Axel rifletté un po’ prima di rispondere.
- Sinceramente non ne ho idea. Si dice che, essendo dotata di propria volontà, la Galassia possa spontaneamente decidere dove portare la Custode, e siccome il tuo principale compito è conservare l’equilibrio fra i Mondi è possibile che ti abbia portata qui per aiutarci-
- L’equilibrio fra i Mondi?-
Ariel era sempre più confusa.
- Secondo la leggenda, la Galassia si formò dal caos generato dalla dissoluzione dei Mondi primordiali. Una forma di vita autonoma con la missione di evitare nuove catastrofi simili. Per questo cerca di risolvere per il meglio i conflitti che si creano nei Mondi, per evitare squilibri troppo forti-
- Quindi qui avete un problema-
Axel annuì.
- …E credete che io possa aiutarvi a risolverlo- concluse.
- Esatto-
Isaac sbuffò. Entrambi i ragazzi si girarono a guardarlo.
- Ma non capisci che non è lei?-
- Chi dovrei essere?-
Axel tornò a posare lo sguardo su Ariel.
- C’è una profezia. Dice che quando la Galassia ci porterà la nuova Custode avremo finalmente lo stratega che ci manca per deporre il tiranno-
- Gunnar- suggerì Ariel.
- Gunnar- confermò Axel.
- E io dovrei essere il vostro stratega? Ma io non ne so nulla di guerra! E poi mia madre sarà preoccupata, non posso restare qui!-
La delusione si dipinse sul bel viso di Axel facendo arrossire la ragazza di vergogna.
- Per l’appunto!- esclamò Isaac. – Non è uno stratega, Axel! Non sa nemmeno cosa sia un’arma! Guarda le sue mani: la cosa più pesante che abbia mai impugnato è la penna. E non è stata la Galassia a sceglierla, ci è semplicemente incappata per caso, l’ha trovata…-
Axel balzò in piedi e si erse in tutta la sua altezza. Isaac tacque all’istante.
- La Galassia non si trova, ma si fa trovare! E se questa ragazza l’ha trovata significa che è lei che stavamo aspettando. Puoi non credermi, ma sono certo che sia così. Ti fidi di me, amico mio?-
Isaac si accigliò.
- Certo. Ma ho paura che tu stia commettendo un errore, e se ho ragione tutti ne pagheremo il fio…lei per prima-
Si alzò e se ne andò. Ariel chinò il capo.
- Ha ragione, Axel. Io non so maneggiare un arma. Sono una studentessa. Se si tratta di storia sono imbattibile, ma in qualunque altra cosa…-
Axel le prese le mani.
- Storia? Studi storia? Quante battaglie hai avuto occasione di studiare?-
- Un conto è studiarle…- rispose Ariel scuotendo il capo.
- Ascoltami, Ariel: non abbiamo bisogno di altri guerrieri, ne abbiamo già a sufficienza. Ci serve una mente analitica, che ci capisca qualcosa di strategie belliche. So che sei spaventata e che vuoi tornare a casa ma, ti prego, pensaci un po’ su. È da diciotto anni che aspettiamo questo momento-
Ariel sospirò. Spaventata era a dir poco riduttivo. Lei era terrorizzata. Era preoccupata per sua madre. Chissà come doveva essere in pensiero. Aveva già chiamato la polizia? Stava piangendo?
Ma quel mondo era fermo al medioevo, ed era il suo pane quotidiano! Quanto vantaggio avrebbe potuto trarre da un soggiorno nel suo manuale? Ma come poteva essere all’altezza delle aspettative di Axel?
- Raccontami cosa sta succedendo- disse.
- Ci aiuterai?- esclamò lui con gli occhi brillanti.
- Deciderò dopo aver ascoltato tutto-
Axel si sedette meglio e si schiarì la voce.
 
- La capitale della Contea di Diamantina è Glauce. È la città più grande e popolosa di Rubio. Ed è la nostra patria. Fino a diciotto anni fa era governata da una coppia di sovrani giusti e magnanimi, Re James e la Regina Mary. Regnavano con equità, e il popolo li amava molto perché la città prosperava. Ma il potere porta sempre con sé la sofferenza…Lord Gunnar Senior, membro fidato del Consiglio di sua maestà, morì, e suo figlio Gunnar Junior ereditò le sue sostanze ed il suo rango. Gunnar Junior era un uomo egoista e superbo. In segreto, mentre si arricchiva con il benestare dei sovrani, creò un esercito di rivoltosi e rinnegati, e trovò alleanze tra le città nemiche della Penisola. Non so come, ma riuscì a costruire una potente milizia sotto gli occhi dello stesso James, senza che nessuno se ne avvedesse. E attese. Un giorno di diciotto anni fa, il Re guidò il suo esercito in una spedizione militare all’estremo sud della Penisola. Era una campagna di poco conto e comportava pochi rischi. Ma rimase ucciso da un infiltrato di Gunnar. L’esercito piombò nel caos e cominciò a combattersi al suo interno. I più fedeli fuggirono per riportare a Mary il cadavere dell’amato marito. La Regina, madre di due figli, allontanò i suoi bambini affidandoli a due amiche e si pose lei stessa a capo della resistenza. Ma l’esercito di Gunnar ebbe la meglio. Conquistò la città e fece Mary prigioniera. Dicono fosse una donna di irreprensibile dignità, Mary…incapace di reggere le sofferenze per la morte del Re, per la separazione dai figli, per la prigionia e tutto quello che questa comportava, si tolse la vita. Da allora, Gunnar, il tiranno, governa Glauce e buona parte della Penisola della Foce. Ma il suo è un potere illegittimo! Isaac viveva a corte allora. Era figlio del medico della Regina, e le era molto devoto. Per questo, quando le acque furono sufficientemente calme, iniziò a fomentare la rivolta. Gruppi di fedelissimi si unirono a lui: sono i Ribelli, e si nascondono in questi boschi. Una taglia pende sul loro capo, e la pena di morte. Negli anni, Gunnar si è guadagnato ulteriore sfavore gozzovigliando a spese del popolo, che paga tributi altissimi e vede la propria città prosciugarsi. Glauce ha già perduto alcuni territori di confine, e sta declinando lentamente. I cittadini appoggiano i Ribelli e segretamente offrono loro rifugio, cibo, acqua, denaro, vestiti, e così via. La Confraternita dei Ribelli non è mai stata tanto potente, e sento che presto l’era di Gunnar vedrà il tramonto. La profezia di cui ti ho parlato fu pronunciata da una strega poco dopo la creazione della Confraternita. La Galassia si trovava qui prima dell’avvento della tirannide, ma da allora era scomparsa senza lasciare traccia. Capisci, ora, perché il tuo arrivo mi ha dato speranza?-
Ariel lo guardò in silenzio. Era una storia difficile e dolorosa, quella dei cittadini di Glauce.
- Che ne è stato dei figli di Mary?-
Axel esitò, poi rispose:
- Della femmina si sono perse le tracce ancor prima della caduta della città. È parere condiviso che sia morta. Il maschio ce l’hai davanti-
Ariel sgranò gli occhi, senza parole. Axel era il legittimo erede al trono, capo della Confraternita dei Ribelli. E la triste storia che le aveva raccontato era la sua storia! Per questo gli stava tanto a cuore.
- Ti prego di rifletterci, giovane Custode, prima di prendere la tua decisione. Le sorti di questo conflitto potrebbero dipendere da te-
Il ragazzo si alzò e la lasciò sola, con la testa che le scoppiava e il senso di colpa che le bruciava le guance.
 

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Capitolo 7
*** Lo stratega ***


Sola nella piccola radura riparata, Ariel si prese la testa tra le mani. Voleva tornarsene a casa, da sua madre, dai suoi libri. Voleva andarsene da Rubio, dove le si chiedeva di rischiare la vita, e tornare sulla Terra. …Davvero voleva? Non si era forse sentita orgogliosa quando Axel le aveva detto che dalla sua decisione dipendeva l’esito del conflitto? E non aveva forse faticato a reprimere la commozione davanti all’indistruttibile dignità di Mary? Il sangue scorreva bollente nelle sue vene: una sensazione tanto intensa non l’aveva mai provata prima. Che fosse colpa di Axel?, pensò arrossendo. Qualcosa al polso le fece il solletico. Sorpresa, sollevò la Galassia davanti al viso. Vibrava. No, non era per via di Axel che si sentiva così viva. Era per quel piccolo oggettino luminoso. L’ardente desiderio di mettersi alla prova non le apparteneva del tutto. Erano le sensazioni della Galassia che stava condividendo. Axel aveva detto che la Galassia parlava con la Custode. Beh, era vero! Quel pensiero ne trascinò con sé un altro, così ovvio eppure così remoto fino a quel momento: si stava comportando come se tutto quello che le stava succedendo fosse stato reale, senza pensare che forse, dopotutto, poteva trovarsi in un sogno. Come poteva tutta quella storia essere vera? Come potevano esistere la Galassia, Glauce, lo stesso Axel? Eppure più ci pensava, più le sembrava tutto ovvio. L’aria profumava di storia, nel bosco di Diamantina. E se aveva ragione, e non si trovava in una dimensione onirica, allora era necessario prendere al più presto una decisione.
- Tu mi hai trascinata in questo casino, tu mi tiri fuori: che cosa devo fare?- sussurrò alla Galassia.
Il ciondolo brillò. Un unico lampo che la accecò. Un improvviso pensiero attraversò la sua mente: il suo infallibile istinto l’aveva messa in guardia dagli uomini di Gunnar, ma Isaac e i Ribelli non le avevano procurato alcun brivido. Questo significava che non le avrebbero fatto del male. Come poteva rifiutare il suo aiuto agli uomini che probabilmente le avevano salvato la vita?
Dei passi alle sue spalle la indussero a voltarsi.
- Mi hai chiamato?- domandò Axel.
- Ehm…no, veramente no…-
- Eppure credevo che…-
Il suo sguardo si posò sulla Galassia e farfugliò:
- Pensi…pensi che…-
Ariel accarezzò il ciondolo in un improvviso moto d’affetto.
- Si, Axel. Hai sentito la sua voce-
Il ragazzo la guardò con manifesta ammirazione. Lei sorrise.
- Isaac non crede che io possa aiutarvi- disse.
- Lui è sempre molto pessimista. Probabilmente lo sarei anch’io se avessi vissuto l’orrore che ha vissuto lui. Ma non è malvagio, è solo un po’ diffidente-
- D’accordo, Axel. Ci sto. Cercherò di aiutarvi. Ma se non dovessi essere all’altezza non meravigliatevi-
Sul volto di Axel si allargò un sorriso luminoso.
- Grazie! Grazie Ariel!- la abbracciò come fossero stati vecchi amici.
Imbarazzata, la ragazza ricambiò l’abbraccio. Axel prese a saltellare per lo spiazzo chiamando:
- Isaac! Isaac! Raduna tutti! Abbiamo il nostro stratega! Oh, Ariel, non vedo l’ora di dirlo a Daphne!-
- Daphne?-
- Mia moglie!-
Axel uscì trotterellando dalla radura e scomparve tra gli alberi.
- Lo sapevo, era troppo bello per essere vero- commentò Ariel tra sé e sé, la testa che le girava leggermente per la delusione.
Fece per seguirlo ma accanto a lei comparve Isaac e si fermò.
- Vattene finché sei in tempo-
La sua voce bassa aveva perso quello strano timbro metallico. La ragazza si domandò se non fosse studiato apposta per spaventare i prigionieri.
- Non sono più in tempo- rispose.
- Ti rendi conto che potresti morire?-
Ariel lo guardò negli occhi, reprimendo l’angoscia che le trasmettevano.
- Si, certo. Ma la Galassia mi ha aiutata a riflettere, e ho capito che questa è la cosa giusta da fare-
Isaac distolse lo sguardo con aria cupa.
- Come vuoi. Seguimi: ti porto all’accampamento-
Così dicendo si incamminò tra gli alberi. Ariel lo rincorse prima che scomparisse a sua volta e la lasciasse lì sola, alla mercé degli uomini di Gunnar. Qualcosa le diceva che avrebbe potuto tranquillamente farlo…
 

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Capitolo 8
*** I Ribelli ***


Ariel faticava a seguire Isaac, che si muoveva veloce nel sottobosco. Si domandò come facesse a orientarsi con tanta sicurezza. Anche se bazzicava quei boschi da quasi vent’anni non poteva conoscerli tanto bene. Poi si rese conto che stavano seguendo dei segnali: ogni dieci metri circa era incisa una specie di saetta nella corteccia degli alberi. Si chiese come potesse questo fantomatico Gunnar non aver ancora scoperto il loro nascondiglio. Naturalmente era probabile che si spostassero spesso, escogitando modi sempre nuovi di segnalarsi l’un l’altro. Il percorso, inoltre, era disseminato di sentinelle. Ogni tanto Isaac si fermava e attendeva che un uomo sbucasse da qualche angolo per confermare che la via era libera. L’organizzazione dei Ribelli era ottima, per questo erano potuti sopravvivere a tanti anni di caccia serrata.
Camminarono per almeno dieci minuti e Isaac non pronunciò una parola. E Ariel non aveva alcuna intenzione di rompere il silenzio. In silenzio si era sempre trovata a suo agio, anche quando era mutuato unicamente dall’ostilità. Anche se non era del tutto convinta che si trattasse di quel caso: Isaac le dava l’impressione di essere un tipo molto taciturno.
Quando finalmente raggiunsero uno spiazzo aperto costellato di tende Ariel sospirò di sollievo. Inseguire la sua guida a piedi nudi l’aveva spossata. Isaac la condusse all’ingresso di una tenda identica alle altre, scostò il drappo per farla entrare e la seguì nell’ambiente buio e umido. Gli occhi di Ariel ci misero qualche secondo ad abituarsi alla penombra.
- Eccoti finalmente!-
Axel la afferrò per un braccio e la trascinò al centro della tenda. Nel piccolo ambiente c’erano tre persone sedute, che si alzarono e si fecero loro incontro.
- Ecco il nostro tassello mancante!-
Una bellissima donna dai morbidi capelli rossi e dai luminosi occhi verdi le si fece incontro e la abbracciò con leggerezza.
- Io sono Daphne. Sei la benvenuta nella Contea di Diamantina, Ariel-
La sua voce era bassa e roca. Non era difficile immaginare come avesse potuto conquistare l’affascinante Axel.
- Grazie Daphne- balbettò imbarazzata.
- Lei è la nostra erborista,- intervenne Axel – si è unita a noi due anni fa, quando è stata cacciata dal suo villaggio con l’accusa di stregoneria…-
- Evidentemente era troppo brava per la loro mediocrità-
Una seconda donna si avvicinò, mentre Daphne ghignava. I lunghissimi capelli castani erano raccolti in una treccia che le cadeva morbida sulla spalla. Gli occhi scuri brillavano di ironia e donavano al viso tondo un’aria intelligente.
- Angelica, l’alchimista- spiegò Axel.
Angelica strinse amichevolmente la mano di Ariel.
- Alchimista?- domandò incuriosita, sorprendendosi di riuscire a porre una domanda a bruciapelo ad una perfetta sconosciuta.
- Mi chiamano così perché sono una specie di genio. Mi occupo di chimica e interpreto i segnali. Tento di predire il futuro, insomma-
Ammirata, Ariel sgranò gli occhi.
- È un piacere conoscerti, Angelica-
- Il piacere è tutto mio-
Angelica si fece da parte per permettere alla terza persona di avvicinarsi. Era un uomo sulla cinquantina dai radi capelli scuri e dagli occhi azzurri che accennò un inchino.
- Neil, per servirti. Sono il mugnaio-
Ariel si inchinò a sua volta.
- Neil è la nostra spia a Glauce- disse Axel.
- È un lavoro molto pericoloso il tuo, Neil- commentò la ragazza.
- Il mugnaio?-
- La spia-
Neil sorrise.
- Certo, scusa! Si, naturalmente lo è, ma la mia famiglia è già caduta vittima dell’atrocità di Gunnar, e ora sono solo…posso permettermi di rischiare-
Neil si inchinò di nuovo e lasciò la tenda.
- Beh, Isaac l’hai già conosciuto, naturalmente.- continuò Axel – È il nostro medico, nonché il cuore della resistenza. Nessuno qui oserebbe opporsi a lui…-
Ariel gli lanciò un’occhiata timida, ma abbassò subito lo sguardo. Per quanto sapesse che era sciocco ed irrazionale, quegli occhi di pece le infondevano un terrore che non riusciva a reprimere. Axel la strappò dalle sue preoccupazioni passandole amichevolmente un braccio attorno alle spalle.
- È stata una vera fortuna che gli uomini di Gunnar non ti abbiano vista…è un uomo spietato, non so cosa avrebbe potuto farti-
- Non terrorizzarla, Axel!- lo interruppe Angelica. – Vieni, Ariel. Potrai dormire nella mia tenda. Ti ci accompagno-
La ragazza la prese sottobraccio e la condusse all’aperto, dove, lontana dalla bellezza abbagliante di Axel e dalla sua immeritata confidenza, riusciva a respirare più liberamente.
 
Attraversarono l’accampamento in silenzio. La tenda di Angelica era una delle più esterne, piccola e rattoppata.
- Hai fame?- domandò precedendola all’interno.
Ariel si fermò sulla soglia a guardare il piccolo ambiente a bocca aperta. Era pieno zeppo di libri e di alambicchi di ogni forma e dimensione. Un giaciglio di paglia era posato in un angolo, accanto a due casse di legno, nelle quali la ragazza stava frugando. Sull’altro lato, una brocca d’acqua e una cesta di vestiti. Accanto all’ingresso una spada e un pugnale. Sentendosi lo sguardo curioso di Angelica addosso, domandò:
- Ogni quanto spostiamo l’accampamento?-
- Una volta alla settimana, circa-
- E tu hai la pazienza di sistemare tutte queste cose?!-
Angelica sorrise.
- Ultimamente non è che ci sia molto di meglio da fare…-
- Che vuoi dire?-
Prese un frutto dal vassoio posato sul letto e ne offrì uno ad Ariel.
- Ci stiamo portando in giro una talpa. Gli ultimi due attacchi che abbiamo tentato sono finiti in strage perché gli uomini di Gunnar ci stavano aspettando. Per questo Axel non vuole più rischiare fino a che non avrà scoperto chi ci ha traditi-
- E cosa sta facendo per scoprirlo?-
- Niente! È questo il problema! Non sta facendo niente!-
Angelica sospirò.
- I tuoi vestiti non sembrano comodi, Ariel. Posso darti qualcosa di mio?-
 
Angelica condusse Ariel al torrente che scorreva nelle immediate vicinanze dell’accampamento, dove poté lavarsi e cambiarsi. Il vestito che le aveva prestato le era leggermente largo, ma con una cintura si poteva adattare. Arrossendo mentre si spogliava davanti ad una persona conosciuta meno di un’ora prima, infilò l’abito dalla testa e strinse la cintura. L’azzurro era un po’ scolorito, decadente come l’insieme dell’abito, che un tempo doveva essere stato bello, ma era pulito e tanto bastava. Dopo tutto, stava indossando un abito tipico dell’anno mille, che importanza aveva se non era nuovo di zecca? E che importanza aveva se le acque del torrente erano ghiacciate e se avrebbe dormito sulla paglia? Non esistevano i bagni? Si poteva adattare. Era caduta nel suo sogno, anche se sarebbe stata dura non poteva non sentirsi euforica. Angelica le fornì anche un paio di scarpe di cuoio, che apprezzò in modo particolare.
- Da dove intendi cominciare?-
La sua benefattrice la guardava con curiosità mentre Ariel soppesava in piccolo pugnale che la ragazza si era raccomandata di portare.
- Lo sai, vero, che con questo affare non ci so nemmeno pelare una mela?!-
Angelica sorrise.
- Io, te e Daphne ci mettiamo la testa, gli uomini il braccio-
Ariel sorrise a sua volta.
- Prima di tutto dobbiamo trovare l’infiltrato-
Angelica annuì.
- Finché non avremo risolto questo problema non potremo fidarci di nessuno-
- Come faremo?- domandò Angelica.
- Ho una mezza idea, ma devo prima valutarla. Quando avrò un piano ve ne parlerò-
Angelica si accigliò per un momento, ma la sua fronte si spianò subito in un sorriso cordiale.
- Ci sto. Parliamo di qualcosa di più leggero. Come ti sembra qui?-
Ariel accennò un sorriso.
- Tutto tremendamente strano…-
- Davvero?!- la ragazza sgranò gli occhi – Non si direbbe affatto! Anzi, sembri piuttosto a tuo agio…ti sei perfino vestita da sola nel modo corretto! Eppure le cose che indossavi erano ben diverse da quello!-
Ariel si guardò. Quel lungo abito stretto da una cintura di cuoio in vita l’aveva visto in mille libri e in mille film. Come poteva spiegarle questo?
- È…per via dei miei studi, credo-
Angelica volle che Ariel le raccontasse della Terra e di lei. E Ariel, per la prima volta in vita sua, si sentì a proprio agio a parlare con una quasi perfetta sconosciuta della sua vita, della sua casa, di Valerie. Era così bello, lì: il profumo di muschio e di umido del torrente, il fruscio delle foglie, il cinguettio degli uccelli. L’odore di terriccio era inebriante.
- Da quanto tempo sei nella Confraternita?-
Angelica ammiccò.
- Da dieci anni, più o meno-
- Così tanto?! Posso chiederti quanti anni hai?-
- Ventitre-
- E a tredici anni eri con i Ribelli?-
- Si, esatto. A quell’età ero già super sorvegliata in città. Me la cavavo già molto bene con la chimica e il mio nome veniva associato ad arti esoteriche illecite. Quando ho capito che avevano intenzione di arrestarmi, me la sono data a gambe. Mi sono nascosta in questi boschi e ho incontrato Isaac, che mi ha arruolata. È più o meno quello che è successo a Daphne. È stata cacciata e si è unita a noi. Poi Axel si innamorato di lei e l’ha sposata. Ha spezzato il cuore di molte ragazze…- sorrise divertita – anche perché lei è parecchio più vecchia di lui! Insomma, un uomo più giovane di sette anni non è per nulla usuale! L’avessi vista quando è arrivata…davvero insopportabile! Ma Axel l’ha addomesticata. Adesso è adorabile. Tutto bene?-
Ariel guardava la sua interlocutrice con gli occhi spalancati.
- Si…si, certo, scusa. Faccio solo un po’ fatica a seguirti-
-Si, me lo dicono tutti, sono logorroica-
Angelica si stiracchiò e allungò una mano ad Ariel per aiutarla ad alzarsi.
- Coraggio, torniamo all’accampamento. Non è una buona idea gironzolare a lungo nei boschi da sole, di questi tempi…sai, c’è pieno di fuorilegge- aggiunse con un sorriso malizioso.



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Ecco qua il celere aggiornamento!! Vi anticipo che fino a domenica sarò sepolta viva dai libri causa esami universitari incipienti, quindi non preoccupatevi non sarò rapita dagli alieni, ma per il prossimo aggiornamento dovrete pazientare qualche giorno. Grazie delle recensioni *___* Baciiii 

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Capitolo 9
*** Il mulino ***


- A mio parere c’è un solo modo di scoprire l’identità della talpa- esordì titubante Ariel.
Nella grande tenda di Axel e Daphne c’erano sette persone in fremente attesa: i proprietari della tenda, Angelica, Isaac, i suoi due sottufficiali più fidati, e Ariel stessa.
- La tortura?- domandò Axel.
- No, Axel, no,- Axel si rabbuiò – tutt’altro. Dobbiamo procedere per tentativi. Diffondiamo una voce falsa sulla prossima missione, di modo che possiamo accertarci che ci sia veramente una fuga di notizie. Nel frattempo le nostre vere decisioni resteranno fra noi. Poi daremo informazioni diverse tra un plotone e l’altro. Se saremo fortunati il nostro amico si tradirà-
Axel annuì vigorosamente.
- Si! Si, mi piace! Buona idea, Ariel!-
- Mi fa piacere, Axel, perché non vedo alternative. Dunque, ecco come procederemo: la nostra missione sarà introdurci nel mulino ad acqua che ho scoperto esistere appena al di fuori del bosco, – Angelica annuì– quello che batte la lana per Gunnar, a quanto mi dicono-
- Perché proprio il mulino?- domandò Daphne.
Fu Isaac a rispondere.
- Perché niente mulino, niente lana; niente lana, niente vestiti; niente vestiti, niente protezione dal freddo.– batté le mani – È geniale! In questo periodo lavora a pieno regime per l’inverno prossimo, quindi saremmo abbastanza fastidiosi, ma non è un obiettivo troppo ambizioso perché non c’è una guarnigione fissa!-
- E cosa faremo una volta all’interno?- domandò Axel.
- Che importanza ha? Non entreremo! Anzi, non ci avvicineremo neppure. Sarà sufficiente tenerci a portata d’occhio. Se il giorno del nostro supposto attacco il mulino fosse più protetto sapremmo che il nostro canarino ha cantato di nuovo, e allora potremmo passare alla seconda parte del piano, cioè scoprire in che plotone si trova e, successivamente, chi è-
Axel si illuminò.
- Può funzionare. Eric e Richard comunicheranno ai loro uomini che domani al tramonto ci introdurremo nel mulino. Isaac, tu e Angelica cercherete un punto da cui sia possibile vedere la struttura senza esporsi, e che sia lontano dalla strada, che probabilmente sarà pattugliata. Daphne…-
- Abbiamo finito la mandragola e l’arnica, Axel- lo interruppe lei.
- D’accordo, pensa pure alle erbe. Ariel, io e te simuleremo una riunione strategica per preparare i dettagli del piano-
- Ottimo- rispose Ariel. ­– Andate, presto. Il tempo è denaro-
 
Ariel rimase da sola con Axel. Era rimasta impressionata dalla prontezza con cui aveva afferrato le redini e aveva gestito gli aspetti più concreti del progetto. Un attimo prima era ancora confuso ed esitante, ed eccolo a impartire ordini con una naturalezza stupefacente. Forse era questo che significava nobiltà di sangue, pensò.
- Credi che funzionerà?- domandò lui, strappandola ai suoi pensieri.
- Tu cosa ne pensi? Io non conosco i tuoi uomini, per me è difficile fare previsioni-
- Eppure hai congegnato un piano in meno di ventiquattro ore…-
Ariel si sedette accanto a lui.
- È un piano talmente elementare che chiunque avrebbe potuto congegnarlo…per questo motivo ho qualche perplessità sulla sua riuscita-
- Io non ne sono stato capace-
Ariel arrossì.
- Non offenderti, Axel, ma tu sei un uomo d’armi, e comandare ti è naturale come respirare. Forse semplicemente pianificare non fa per te-
Axel sorrise.
- Secondo me può funzionare. Non è infrequente che una missione salti all’ultimo momento. Se saremo bravi a non tradirci nella giornata di domani, non desteremo alcun sospetto-
Ariel lo guardò perplessa.
- Perché allora quell’aria afflitta?-
- Detesto l’idea di aver ingannato i miei uomini. Quelle persone rischiano la loro vita tutti i giorni in nome mio…-
- È per il loro bene  che lo fai- rispose Ariel, posandogli incoraggiante una mano sulla spalla.
Axel la guardò con i suoi occhi color miele colmi di una tristezza che un ragazzo tanto giovane non avrebbe mai dovuto sopportare.
 
- Fatto tutto?- domandò Axel ai suoi fedeli di ritorno quando già faceva buio dalle loro missioni.
- Uomini informati e piano studiato al dettaglio, come al solito- rispose Richard.
- Anche i miei- aggiunse Eric – e armi varie già pronte-
- Erbe necessarie messe ad essiccare- disse distrattamente Daphne.
- Posto di vedetta inquadrato, capo!- informò Angelica con un sorriso stanco. – A nord della strada c’è un picco, sull’ansa del fiume. Le piante lo coprono fin sullo strapiombo, ma la visuale è perfetta-
- Ottimo, amici. Adesso riposatevi. È stata una giornata lunga, e ho ragione di credere che domani lo sarà ancora di più-
Axel congedò gli ospiti e si chiuse alle spalle il drappo della tenda.
 
- Addomesticata, dici?- domandò Ariel alla sua coinquilina una volta al riparo da orecchie indiscrete – A me sembra ancora piuttosto selvatica…-
Angelica scoppiò in una fragorosa risata.
- Se tu avessi conosciuto Daphne due anni fa la penseresti come me!-
Scuotendo la testa, Ariel si accoccolò sul suo giaciglio di paglia.
Ma la sua mente, stanca delle ore di sonno arretrate, non poté riposare a lungo. Dal vuoto del primo sonno si trovò catapultata in un universo di fredda semi-coscienza in cui soltanto una voce si distingueva. Una voce che diceva “armate il mulino: è necessario intervenire di nuovo”. Un brivido la percorse e gemette.
- Ariel, stai bene?-
Angelica si era svegliata. Ariel si mise a sedere e sollevò la Galassia, che brillava più intensamente del solito, a mostrarla alla sua compagna. La ragazza la guardò senza capire.
- La Galassia ci ha fatto un regalo: mi ha portato la voce di Gunnar. Ha ordinato di armare il mulino-
Angelica sussultò.
- Beh, immagino sia inutile avvisare Axel adesso, perciò…scusa se ti ho svegliata…- concluse Ariel sdraiandosi di nuovo.
Attese che il respiro di Angelica tornasse regolare accarezzando quell’oggettino che le stava dando tanti grattacapi.
“Come hai potuto trascinarmi in questo terribile casino?!” pensò. “Ad ogni modo, grazie della soffiata. Se riesci a portare a me la voce di Gunnar, forse potrai portare la mia alla mamma…beh, se è così, ti prego, falle sapere che sto bene, e che non deve preoccuparsi…”
Si asciugò le lacrime, colta da un’innaturale ondata di sonno, un dono di scuse da parte della Galassia.
 
Il giorno seguente, Angelica riferì ad uno scioccato Axel l’accaduto, e questo, saltellando, aveva preso a ripetere ad Isaac:
- Hai visto? Hai visto? Lo sapevo che era lei!-
Isaac, costantemente afflitto da terribili emicranie che nemmeno la sua arte medica riusciva a curare, lo ignorava e lanciava continue occhiate omicida ad Ariel, che si stava letteralmente liquefacendo per il terrore. Era evidente che non aveva ancora digerito la sua presenza.
- Smettila, amore, non vedi che Isaac ha di nuovo mal di capo?- intervenne finalmente una provvidenziale Daphne, ponendo fine alla drammatica situazione di Ariel.
La giornata trascorse nella fibrillazione per i preparativi all’assalto, e nell’angoscioso senso di colpa di Axel, che continuava a cercare rassicurazione riguardo alla sua irreprensibile condotta.
E venne il tramonto. I Ribelli furono informati da Eric e Richard all’ultimo momento sulla decisione di annullare la missione. Era necessario rimandare tutto a causa di un improvviso aumento degli uomini di guardia alla struttura.
E infatti, come Ariel, Angelica, Axel, Daphne e Isaac poterono constatare dal picco, qualche ora prima del tramonto una piccola guarnigione aveva preso a pattugliare la strada, altre due si erano barricate nel mulino, protetto all’esterno da una quarta.
- Un simile dispiegamento di forze per dei semplici ribelli?- domandò Ariel impressionata.
- In effetti, questa volta Gunnar ha fatto le cose in grande…chissà come ci resterà male quando capirà che non ci faremo vivi!- ghignò Axel.
- Non può davvero pensare che non noteremo i rinforzi prima di attaccare…nemmeno lui può essere così stupido!- esclamò Angelica.
- Forse l’abbiamo sopravvalutato- sentenziò Daphne.
Attesero in quel luogo fino a quando non calò la notte, ed il cielo si fece di un bel color berillio. Gli uomini a guardia del mulino diventarono sempre più inquieti, per abbandonarsi addirittura ad attacchi di isteria. Axel decise che era ora di rientrare all’accampamento quando videro scoppiare una lite che causò almeno tre morti.




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Eccomiiiii scusate il ritardo, sono sopravvissuta ai terribili esami ma, ahimè, la cnnessione internet si è rifiutata di collaborare per giooorni e giooorni! Spero che, almeno, il capitolo valga l'attesa! Besos!
 

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Capitolo 10
*** Gatto e topo ***


Dopo il “fallimento” della missione, era assolutamente necessario spostare l’accampamento. Gli uomini di Gunnar avrebbero potuto decidere di perlustrare la zona. Non si poteva rischiare.
- Ian ha il posto giusto. A ovest, in una conca. Ci ha preceduti là- disse Isaac quella mattina.
- Perfetto!- esclamò Ariel. – A che punto siamo con l’imballaggio, Axel?-
- Ci siamo quasi! Tempo mezz’ora e saremo pronti a muoverci-
- Benissimo. Non voglio mettervi ansia, ma è meglio sbrigarsi…-
Si voltò e si diresse verso il punto in cui sorgeva la sua tenda. Angelica stava caricando su un carretto l’ultimo scatolone.
- Qualcosa non va?-
Ariel si accorse di avere l’aria cupa. Si meravigliò di non essersene resa conto prima.
- Non lo so. Ci sono troppi pezzi che non combaciano. E poi la Galassia è inquieta, ma non riesco a capire per quale motivo. È come se…non volesse dirmelo-
Angelica coprì il carretto con un telo e la guardò.
- Credi che sappia qualcosa più di noi?-
Ariel rifletté qualche secondo prima di rispondere.
- Io credo di si, ma per qualche motivo deve aver deciso di non fornirci quelle informazioni-
Angelica annuì soprappensiero.
- Ti fidi di lei?-
- Si- rispose Ariel senza esitazione.
Angelica sorrise.
- Allora prepariamoci. Credo che fra poco saremo pronti a partire…-
 
Il nuovo accampamento fu montato in un punto protetto e dotato di un torrente che forniva acqua pulita. Ian, chiunque fosse, aveva fatto un ottimo lavoro. Ariel si appuntò di cercarlo.
Come previsto, sistemare tutte le cianfrusaglie e gli strumenti di Angelica le tenne occupate tutta la mattina. Nel frattempo, Axel e i suoi uomini provvedevano alle nuove segnalazioni. Dopo un pranzo leggero a base di pane, carne essiccata e frutta, le due ragazze si presentarono nella tenda di Axel. Sapevano tutti che non potevano permettersi di perdere tempo: la situazione della Confraternita era più precaria ogni giorno che passava.
 
- Come possiamo fare per circoscrivere l’area di ricerca?-
Angelica si tormentava una ciocca di capelli, mentre tutti tenevano il capo chino, in riflessione.
Dopo un lungo silenzio, Daphne disse:
- Sinceramente, non vedo alternative. L’unica possibilità è, come si diceva due sere fa, annunciare missioni diverse a gruppi diversi e vedere su quale obiettivo si focalizzerà Gunnar-
- La domanda è: come facciamo ad evitare che gli uomini parlino tra loro e scoprano il trucco?- domandò Ariel.
Ripiombarono nel silenzio.
- Bisognerebbe dividere i gruppi e tenerli lontani qualche ora. Comunichiamo loro l’obiettivo quando sono già sufficientemente distanti e facciamo in modo che non entrino in contatto- propose Axel.
- Però dobbiamo lasciare alla talpa la libertà sufficiente per comunicare con Gunnar…e dobbiamo anche trovare una scusa plausibile per giustificare tutta la manovra…Isaac, tu sei il più esperto: cosa ne pensi?-
Isaac guardò Ariel con manifesta meraviglia, e non le era difficile immaginarne il motivo. Aveva sempre evitato, per quanto possibile, di rivolgergli la parola. Sentirsi chiamato in causa proprio da lei doveva essere stato uno shock.
- Sono d’accordo con te, Ariel. Serve una ragione convincente per le nostre insolite scelte, ma va considerato il giusto spazio di manovra per la talpa, e non possiamo trascurare una buona sorveglianza per evitare spiacevoli disguidi…- si accomodò i capelli dietro alle orecchie – forse potremmo dire agli uomini che, dato il fallimento delle ultime missioni, abbiamo deciso di cambiare tattica: spostiamo i gruppi e i loro luogotenenti in posti diversi per confondere le eventuali spie che Gunnar dovesse aver sparso per i boschi; poniamo come missione un obiettivo comune, che comunichiamo una volta posizionate le truppe; a quel punto tutti convergono sull’obiettivo e attacchiamo insieme da diversi lati-
- Nel frattempo ognuno di noi sarà collocato in un diverso distaccamento e controllerà che non vi siamo contatti fra le milizie- concluse Ariel. – Sta bene, Isaac. Mi convince! Ora non ci resta che scegliere quali punti colpire…-
 
La riunione li tenne impegnati tutto il pomeriggio. Dopo ore e ore di discussioni si convenne che i Ribelli sarebbero stati frazionati in quattro gruppi da circa quindici unità ciascuno. Il punto di riferimento per gli spostamenti sarebbe stato, come di consueto, il Fiume degli Spiriti, il grande corso d’acqua che attraversava i boschi, come per altro tutta la penisola della Foce. Un gruppo sarebbe stato mandato a nord del fiume sotto il controllo di Axel ed Ariel. Un secondo gruppo sarebbe andato ad est, sotto la giuda di Isaac e Daphne. Il terzo a sud, accompagnato da Eric ed Angelica. L’ultimo a ovest, nelle sapienti mani di Richard e Neil. Axel avrebbe comunicato un attacco alla dogana, Isaac al porto, Eric al guado e Richard alle prigioni.
Gli spostamenti sarebbero stati impegnativi, fece notare Axel, occorreva tempo per organizzare tutto. Perciò la mattina successiva avrebbero convocato una riunione con tutta la Confraternita al fine di spiegare il piano, o meglio, la parte del piano che doveva conoscere. Avrebbero poi avuto a disposizione l’intera giornata per studiare i dettagli e per preparare tutto il necessario alla trasferta. All’alba del giorno dopo sarebbero partiti.
 
Una volta sciolta la riunione, Ariel indugiò sulla soglia della tenda, inducendo un perspicace Axel a seguirla fuori.
- Che succede?- domandò posandole una mano sulla spalla.
Colta come sempre alla sprovvista dalla familiarità che il bel Principe riservava ad una quasi sconosciuta, Ariel lo trascinò al riparo da orecchie indiscrete e, dopo essersi guardata nervosamente attorno, sussurrò:
- C’è una cosa che non riesco a spiegarmi e che non mi piace per niente…-
- Di cosa si tratta?-
Ariel si guardò attorno di nuovo.
- Ricordi che cosa ha detto Angelica di Gunnar? Com’è possibile che potesse pensare che non notassimo i rinforzi prima di attaccare il mulino? Ha messo una generosa taglia sulla nostra testa, perciò ci tiene molto a toglierci dalla circolazione. Allora perché mettere in mostra un simile dispiegamento di forze? Non sarebbe stato più logico disporre le guarnigioni nelle vicinanze, senza dare nell’occhio, per coglierci di sorpresa al momento opportuno e liberarsi così di noi una volta per tutte?-
Axel la guardò intensamente.
- Tutto questo è vero. Tuttavia ho l’impressione che mi sfugga qualcosa del tuo ragionamento…-
- Quello che mi preoccupa, Axel, è che mi è sembrata una reazione addirittura esagerata! Un’ostentazione! Come se Gunnar avesse voluto fare il possibile per farsi notare…-
Axel si incupì.
- Credi che fosse tutto calcolato?! No, è impossibile! Come avrebbe potuto conoscere le nostre vere intenzioni?-
Ariel scosse la testa.
- Non lo so. Tu sai di chi ci possiamo fidare, non è vero?-
- Si, certamente-
- Bene- Ariel represse la preoccupazione e tentò di sorridere.
- Scusa se ti ho fatto perdere del tempo, Axel-
Axel sfoggiò un sorriso mozzafiato.
- Daphne se ne farà una ragione!- le strizzò l’occhio – Prometto che terrò gli occhi ancora più aperti, Ariel-
 

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Capitolo 11
*** Nulla di fatto ***


Le preoccupazioni di Ariel riguardo al viaggio non si rivelarono infondate. Il tragitto verso nord era quello più breve, eppure per lei si dimostrò troppo faticoso. Non era allenata, né abituata a percorrere grandi distanze a piedi, e per di più non con leggerissime scarpe di cuoio. Axel, per fortuna, era molto socievole e altrettanto disponibile. Lasciò che la ragazza si sedesse sul carretto dei viveri e la sostenne raccontandole storie ed aneddoti sulla Confraternita.
- E la tua madre adottiva ha permesso che tu vagassi per il bosco assieme a compagni dalla opinabile reputazione come Isaac?!- domandò sconcertata dal racconto di come fosse entrato a far parte dei Ribelli.
- Naturalmente non voleva! Ma Isaac è stato molto convincente…-
- Allora parla, ogni tanto!- commentò con un sorriso.
Axel scoppiò a ridere.
- Oh sì! È un po’ burbero, ma ti assicuro che parla eccome!-
- Come ha fatto a convincerla?- domandò.
- Le ha detto che solo il legittimo erede al trono avrebbe potuto unire i Ribelli e dare loro la motivazione necessaria. Anche se allora ero molto giovane, e non ero ancora di grande utilità. Ma da quel momento al giorno della morte di quella povera donna non è passato molto…nemmeno due anni. Poverina…lei non era fatta per questo tipo di vita.- sospirò – Mi sarebbe piaciuto che avesse potuto conoscere Daphne. Tua madre invece che persona è?-
- Oh, Valerie è il mio esatto opposto! È disordinata, caotica, socievole ed estremamente ottimista!- chinò il capo a nascondere gli occhi lucidi – La cosa che più mi preoccupa di questo mio soggiorno tra voi è proprio lei. È così apprensiva, ormai sono scomparsa da cinque giorni, starà impazzendo-
Axel cercò di consolarla, ma non era il genere di cosa per cui fosse portato. Ma Ariel lo apprezzò lo stesso. Per la seconda volta in pochi giorni scopriva di poter essere a proprio agio con degli estranei..
 
I boschi della contea di Diamantina erano la cosa più bella che Ariel avesse visto dopo i Peaks. Erano fitti ma non ostili, densi ma non bui, estesi ma non monotoni. Moltissimi torrenti e fiumiciattoli li attraversavano per confluire nel Fiume degli Spiriti e, a volte, creavano rapide, laghetti e cascate, che incorniciavano ripidi e improvvisi strapiombi. L’accampamento provvisorio fu montato in una gola protetta e fu subito convocata una riunione per discutere il piano. L’obiettivo fu dichiarato, i dettagli studiati. Quando tutto fu perfettamente chiaro, la riunione si sciolse ed Axel invitò Ariel nella sua tenda.
- E adesso aspettiamo…- disse sedendosi pesantemente su un cuscino.
Con una rapidità sorprendente, i suoi occhi si chiusero. Ariel lo adagiò dolcemente sullo stuoino e lo lasciò riposare. Quando dormiva sembrava davvero un angelo, i suoi lineamenti si distendevano, facendolo sembrare anche più giovane di quanto probabilmente non fosse. Aveva ragione, dovevano avere all’incirca la stessa età. Perché allora Isaac nutriva così grande fiducia nel suo Principe e così poca stima di lei? Che cosa aveva fatto per meritare tanta diffidenza? Infondo, era vero, non era certo abituata a un simile stile di vita, ma si stava impegnando per dare il proprio contributo senza mai lamentarsi delle scomodità, del cibo scarso, della nostalgia di casa…non era stato facile decidere di partecipare a tutto quel folle spettacolo, mettendo in palio la sua vita in nome di un ideale lontano anni luce da lei. L’ostilità così aperta della persona che forse più di tutti avrebbe potuto aiutarla la metteva ancora più in difficoltà. Sospirò. Era inutile compiangersi, la sua situazione avrebbe difficilmente potuto migliorare. Era giunto il momento di mettere da parte timidezza e insicurezza. Se Isaac non la riteneva all’altezza della situazione poco male: si sarebbe sentita meno obbligata a rivolgergli la parola.
Axel grugnì qualcosa nel sonno riportandola alla realtà. Arrossì all’idea di essere lì a fissare il Principe addormentato. Ma non poteva lasciare la tenda, se voleva che la talpa non si sentisse minacciata. Sempre che si trovasse lì. Si sedette e prese a giocherellare con il ciondolo.
“Scusami”
Una voce dolce e musicale le tintinnò nella testa. Si immobilizzò e si guardò attorno con circospezione. Nessuno. Scrutò nuovamente la tenda in ogni sua ombra e il suo sguardo cadde sul bagliore caldo tra le sue mani. Sgranò gli occhi.
“Sei tu?” pensò, sentendosi estremamente stupida.
“Si, Custode. Ti prego di perdonarmi per tutti i problemi che ti sto creando. Normalmente non comunico in modo così diretto ma…sento la tua angoscia e non posso restare indifferente di fronte allo sconforto in cui ti ho gettata”
Ariel si asciugò una lacrima.
“Perché proprio io, Galassia? Che cos’ho di speciale?”
La Galassia brillò più intensamente.
“Tu sei nata per questo, Ariel. Non si sfugge al proprio destino”
La ragazza singhiozzò sentendo l’aura della Galassia ritirarsi. E improvvisamente si sentì molto sola.
 
Quando Ariel aprì gli occhi, si era fatto buio. Axel stava seduto a gambe incrociate davanti a lei. Si stropicciò gli occhi perplessa. Non ricordava di essersi addormentata.
- Pare che qualcuno abbia il sonno facile- sorrise Axel.
Ariel arrossì, pensando “senti chi parla!”.
- Dormi poco?- le domandò.
- Diciamo che sono abituata a una vita più comoda…-
Axel scoppiò a ridere.
- Quindi Isaac ci aveva visto giusto!-
- Alla perfezione, Axel-
Ariel si concesse un sorriso stanco. Da quando aveva trovato la Galassia non era più riuscita a dormire decentemente, un po’ per via dei giacigli di paglia, un po’ per il freddo e un po’ per la preoccupazione. Ma dopo quell’involontario riposino si sentiva meglio.
- Dove eravamo rimasti?- domandò.
- Eravamo rimasti che è meglio che tu mangi qualcosa, vista la frequenza dei tuoi mancamenti…-
Quando Axel la obbligò a mangiare lo stufato di coniglio che le aveva tenuto da parte scoprì di avere fame. Il suo stomaco era sigillato da giorni ormai, e Axel aveva ragione: svenire in quel luogo non era il massimo.
Aveva dormito fino a notte fonda. Doveva avere davvero degli arretrati spaventosi…
- Com’è il programma di domani?- domandò Axel quando ebbe finito di mangiare.
- Lo chiedi a me?- domandò lei in risposta.
- Sei tu lo stratega, no?-
Ariel sospirò.
- Io darei l’orario di attacco per mezzogiorno. A quell’ora nessuno frequenterebbe una dogana, saranno tutti al riparo dal caldo…-
Axel annuì.
- Perciò sposteremo gli uomini domattina presto verso il punto X e, come di consueto, all’ultimo momento un messaggero ci informerà che c’è stato un problema nello spostamento di un plotone. Quindi non si potrà attaccare. Rimanderemo al giorno dopo, stessa ora, ma andrà di nuovo a monte, perché Gunnar avrà scoperto il nostro messaggero e, quindi, il nostro piano. Ergo, al tramonto di dopodomani rincaseremo tristi e abbattuti, e attenderemo l’arrivo degli altri. Se si atterranno al piano, dovremmo essere i primi ad arrivare-
Axel annuì di nuovo, e disse:
- Avremo due giorni per studiare gli eventuali movimenti di Gunnar, in questo modo. Ma mi domandavo una cosa…che cosa diremo agli uomini quando scopriranno che abbiamo dato quattro obiettivi differenti?-
Ariel chinò il capo.
- Un malinteso è poco plausibile, vero?-
- Decisamente-
- Allora faremo una pessima figura…-
 
Quando il sole raggiunse lo zenit, Axel e i suoi uomini erano pronti all’attacco. Fu in quel momento che intervenne Ariel, che irruppe tra le fila per dare notizia del ritardo, e quindi del rinvio. Tra gli uomini si scatenò il putiferio: che cosa era successo? Avevano combattuto? C’erano dei feriti? Dei morti?
- Hanno dovuto aggirare una legione proveniente da Glauce accampata a est del Fiume, dicono- spiegò ansante Ariel.
Così, tutti se ne tornarono mesti all’accampamento. Tranne i due comandanti, che attesero fino al tramonto, ma non notarono alcun movimento sospetto.
Il giorno successivo, i Ribelli si stavano per muovere quando, con la massima gravità, Axel comunicò che erano stati scoperti, e che sarebbero rientrati quanto prima alla base. Di nuovo, Ariel lo accompagnò al punto di vedetta, ma la dogana rimase deserta. Prestarono anche particolare attenzione alle strutture adiacenti e alle strade limitrofe che scomparivano nel bosco. Se Gunnar avesse voluto un intervento veloce non avrebbe fatto inoltrare le sue guardie nella vegetazione, ma le avrebbe tenute ai margini. Ma lì non c’era proprio nulla che sembrasse fuori posto, nessun appostamento, nessun taglialegna di passaggio, nessuna avvisaglia preoccupante.
Ormai era evidente: la talpa non era con loro.
 

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Capitolo 12
*** Errore di calcolo ***


- Tutto questo è assurdo!- esclamò Daphne indignata.
La trasferta non aveva dato i risultati sperati. Gunnar non era intervenuto su nemmeno uno dei quattro punti possibili, quindi era stato tutto inutile. La talpa li aveva messi di nuovo nel sacco.
- Calmati tesoro,- disse meccanicamente Axel – ci deve pur essere il modo di scoprire di chi si tratta…-
- Se intendi dire un modo che non ci faccia fare una figura meschina prendendo palesemente in giro gli uomini no, non credo ci sia- commentò Ariel.
- Si, infatti…già non sono contentissimi adesso- aggiunse Angelica.
Ariel sospirò.
- Ragioniamo: che cosa può essere successo? O la talpa non è riuscita a comunicare, o Gunnar non ha ritenuto opportuno intervenire, o non siamo stati sufficientemente accorti da scoprirlo. Oppure la talpa è più sveglia di quanto pensiamo e ci ha scoperti-
- Perché parli sempre al femminile, Ariel?- domandò Axel.
- Perché “talpa” è un nome femminile- rispose perplessa.
- Si, d’accordo. Ma pensi che possa anche essere una donna?-
Ariel si fece pensierosa.
- Perché no?-
- Beh, le donne non combattono…non sono direttamente coinvolte-
- E lo stufato dell’altra sera chi l’ha preparato?-
- Le cuoche-
Ariel lo guardò con aria trionfante.
- Ma dai! Non crederai che la spia sia una cuoca!- esclamò Axel.
- Non possiamo escluderlo a priori-
Davanti allo sguardo scontento di Axel sospirò.
- Senti, nella situazione in cui ci troviamo non possiamo permetterci di escludere nessuno dalla lista dei sospettati, non credi?-
- Ha ragione, Axel- intervenne Isaac. – Da noi c’è stata una vera e propria sollevazione quando abbiamo comunicato la ritirata. Gli uomini sono stanchi dell’inattività. E oltretutto, se anche la spia non avesse intuito prima il nostro piano, lo capirà sicuramente appena si diffonderà la notizia degli obiettivi diversi! Dobbiamo inventarci qualcosa…-
- Che ne direste di programmare un attacco, uno serio questa volta, e di fare veramente scendere gli uomini da lati diversi sul punto? In pratica applicheremmo il piano di ieri, ma su una distanza ridotta. Diciamo…che ne so, il deposito merci in cui ci siamo imbattuti quando ci siamo spostati verso il mulino. Divideremmo gli uomini nei soliti quattro gruppi e ci apposteremmo ai lati, per poi convergere-
- E in che modo questo dovrebbe consegnarci la talpa?- domandò Daphne.
- In nessuno. È solo per dare un po’ di animo agli uomini. Se andasse tutto liscio avremmo qualche cianfrusaglia di Gunnar da rivendere, nel peggiore dei casi potremmo fuggire da quattro direzioni diverse e saremmo un bersaglio meno facile-
Un lungo silenzio accolse le parole di Ariel. Era pericoloso, molto pericoloso…ma non quanto perdere la fiducia dei Ribelli.
- Io ci sto!- concluse Isaac.
- Anch’io- assentì Angelica.
- Spero che tu non mi faccia ammazzare, Ariel- disse Daphne con un sorriso.
- Allora è deciso- disse Axel. – Ne parlo subito con Eric e Richard-
- E io mando un messaggio a Neil- aggiunse Daphne.
La riunione si sciolse, e Ariel si ritirò mesta nella tenda di Angelica. Aveva la sensazione di aver appena commesso un grosso sbaglio.
 
Tutto era pronto.
Gli uomini stavano appostati in fremente attesa, armi in pugno, nervi contratti. Aspettavano il segnale del loro comandante. Sapevano che il piano era semplice: avrebbero attaccato da est, avrebbero neutralizzato la guardia di ronda mentre i loro compagni avrebbero fatto la stessa cosa provenendo da ovest, nord e sud. Una volta all’interno, avrebbero portato via tutto il possibile, e sarebbero tornati alla base. Erano preparati, abili, determinati. Erano pronti.
Eppure Ariel tremava al pensiero del rischio a cui li sottoponeva. Per questo aveva litigato con Axel ed Isaac perché lei e Angelica avessero la possibilità di assistere da un punto privilegiato. In caso di pericolo avrebbero potuto lanciare il segnale di ritirata. Gli uomini non volevano cedere, troppo pericoloso, dicevano. Ma a furia di insistere, le ragazze avevano ottenuto ragione.
- Come può Daphne stare tranquilla sapendo suo marito in pericolo?-
Angelica sorrise.
- Lei è fatta così. Il pericolo era il suo pane quotidiano anche prima di aggregarsi a noi…-
Ariel scosse la testa contrariata.
- Mi sembra di capire che non ti vada molto a genio- disse Angelica.
- No, non è questo! Solo che sa essere molto fredda, io non ci riuscirei. Fatico a capirla, tutto qui-
- Secondo me sei invidiosa-
Angelica sfoggiò un sorriso malizioso che strappò una risata ad Ariel.
- Sfido qualunque ragazza a non esserlo!- rispose. – Il sole è tramontato. Teniamo gli occhi aperti-
- Credi che Gunnar attaccherà?- domandò Angelica.
- Non lo so. Quello che è certo è che abbiamo fatto il possibile per impedirgli di arrivare prima di noi, questa volta-
Attesero in silenzio per quella che sembrò loro un’eternità. Nel bosco faceva buio presto. Finalmente, da est si alzò il verso stridente della civetta, cui risposero altri tre versi simili. Nella luce azzurra, le ragazze videro i quattro plotoni uscire veloci e silenziosi dalla boscaglia e precipitarsi sul deposito. Distinsero il comandante di ciascun plotone. E distinsero anche chiaramente ciò che non avrebbe dovuto esserci: un altro gruppo stava calando da sud-ovest, e specularmente uno faceva altrettanto da nord-est. Inoltre un nutrito rinforzo erompeva anche dell’edificio stesso. Angelica non perse tempo e lanciò un ululato che agghiacciò i Ribelli: era la ritirata. Gli uomini si bloccarono e ritornarono nella direzione da cui erano venuti, cercando si scansare, per quanto possibile, gli uomini di Gunnar, che tentavano di accerchiarli. Il cozzare metallico delle armi e i bagliori opachi oscurarono tutto.
Con il respiro che le moriva in gola, Ariel sentì appena le imprecazioni della sua compagna: un brivido tutt’altro che lusinghiero l’aveva percorsa, e c’era una sola cosa da fare.
- Scappiamo! Scappiamo, Angie, scappiamo, svelta!-
Angelica la guardò per un attimo scioccata, ma non se lo fece ripetere due volte. Infatti si udivano già dei passi veloci e lo scricchiolare della vegetazione sotto a stivali pesanti. Le ragazze corsero a perdifiato giù dal pendio scosceso del bosco. I rumori della battaglia erano ancora piuttosto forti, c’erano buone speranze che non le avessero sentite scappare. Corsero senza sapere dove erano dirette. Il bosco era buio, era impossibile orientarsi. Senza avere il coraggio di voltarsi indietro, corsero fino a che le gambe le ressero. Quando Ariel cadde, stremata, Angelica la condusse al riparo di un grosso masso, e attesero, il cuore che batteva a ritmo frenetico, i sensi tesi allo spasimo per captare ogni minimo rumore.
 
Attesero per molto tempo, tremanti, che uno scricchiolio tradisse una presenza ostile, ma nulla sembrava muoversi. Poi, con una naturalezza che sorprese anche lei stessa, Ariel seppe che erano fuori pericolo. Era la Galassia a garantirglielo, e se la Galassia era sicura, potevano fidarsi. Aiutò Angelica ad alzarsi e si mise a cercare i segnali.
- Sono due cerchi incrociati- disse Angelica scrutando le cortecce.
- Eccoli qui!- sussurrò Ariel.
Angelica cercò nei dintorni di quel segnale e, nonostante l’oscurità, trovò un’altra incisione.
Lentamente, facendo attenzione ad ogni rumore, tornarono all’accampamento. Era notte fonda quando avvistarono le luci. Solo allora Angelica domandò:
- Come hai fatto?-
- A fare cosa?- rispose Ariel.
- A sapere che eravamo in pericolo…-
Ariel si fermò. Dopo una lunga esitazione disse:
- È difficile da spiegare. È come se lo sentissi prima. Rabbrividisco senza motivo, mi sento a disagio. Come un principio di attacco di panico. Mi succede da sempre-
Angelica non aggiunse altro. Annuì e, prendendola per mano, si diresse verso le luci.
 
- Grazie a Dio!-
La voce di Axel le accolse e in meno di un secondo si trovarono strette nella morsa d’acciaio delle sue braccia.
- State bene? Cosa è successo? Quando abbiamo saputo che non siete rientrate abbiamo mandato qualcuno a cercarvi, ma non vi hanno trovate…c’erano moltissime impronte, rami spezzati, un mantello strappato…eravamo preoccupatissimi!- incalzò.
Angelica raccontò l’accaduto e di come Ariel l’avesse salvata. Disse che si erano nascoste e che avevano usato le incisioni per orientarsi.
- Voi invece?- domandò Ariel.
- Una marea di feriti, ma per fortuna nessun morto. Dei nostri almeno. Comunque non abbiamo rischiato, abbiamo battuto la ritirata il prima possibile-
- È tutta colpa mia, Axel…- singhiozzò Ariel con gli occhi pieni di lacrime.
Al sicuro, la forza che le aveva permesso di portare in salvo sé stessa e la sua compagna era scomparsa. La tensione era svanita di colpo e i nervi avevano ceduto.
- Non dire assurdità! Abbiamo fatto tutto il possibile per impedire la fuga di notizie, ed è molto preoccupante che anche voi siate state scoperte! Il vostro nascondiglio era introvabile, e abbiamo deciso all’ultimo momento che vi sareste appostate lì, lo sapevamo in pochissimi-
Ariel si asciugò gli occhi.
- Chi lo sapeva?-
Axel rifletté.
- Noi tre, Daphne, Isaac, Neil, Eric, Richard, Ian, Tobias e sua moglie Pat, e Luke-
- Chi sono tutte queste persone, Axel?-
- I più fidati, Ariel…i più fidati…-
Si allontanò afflitto lasciando sole le due ragazze.
Angelica guidò Ariel alla tenda che fungeva da infermeria. Erano entrambe coperte di graffi su braccia e gambe, cose da niente, ma nella fuga Angelica era caduta storcendosi un polso.
Nella tenda, Daphne stava suturando una ferita all’avambraccio di Isaac, e una moltitudine di persone correva qua e là per assistere i feriti.
- Per fortuna siete salve!- esclamò Daphne con un sospiro fissando l’ultimo punto.
Isaac si limitò a rilassare muscoli e nervi, visibilmente contratti, con un lungo sibilo.
- Che cosa è successo? Vi hanno scoperte?- domandò Daphne.
- No, Daphne, peggio. Sapevano dove cercarci- rispose Ariel mesta.
Daphne soffocò un’imprecazione. Angelica ripeté il suo racconto e lo sgomento prese il posto della sorpresa sul volto dei compagni.
- Siete ferite?- domandò alla fine Isaac.
- Solo qualche graffio.- rispose Angelica – Daphne, mi fasceresti il polso per favore?-
- Certo- rispose, conducendola verso le bende.
Isaac scrutò Ariel per un lungo momento da capo a piedi e disse:
- I tuoi piedi sanguinano-
Ariel abbassò lo sguardo, sorpresa. In effetti le scarpette di pelle erano macchiate di sangue in svariati punti.
- Deve essere stato correndo…- sussurrò.
- Non te ne eri accorta?!- domandò perplesso.
Ariel arrossì.
- Avevo altro a cui pensare-
Isaac si concesse un sorriso stanco.
- Vuoi che ti dia un’occhiata?-
Atterrita all’idea di trascorrere anche un solo minuto di più sotto alla lente di ingrandimento di quegli occhi di ossidiana, rispose:
- Oh, no, grazie! I miei piedi sono abituati a ben peggio!-
Non aveva ancora dimenticato il risultato di un pomeriggio di danza classica: si sognava ancora il dolore, i calli e le vesciche che le causavano le punte.
- Il tuo braccio?-
Isaac scrollò le spalle.
- Sono stato fortunato. Se avessi avuto i riflessi appena più lenti… ad ogni modo, è stato fondamentale il vostro segnale. Un secondo più tardi e sarebbe stato un massacro. Ma non sognatevi mai più di esporvi ad un pericolo simile, chiaro? Le braccia si trovano sempre, i cervelli sono molto più rari-
 



****************************
Cara Hareth, seppur valutando il tuo consiglio di accorpare i capitoli a due a due (come vedi mi sono ricordata XD), impedimenti di carattere pratico - ergo, capitolo successivo, che ti anticipo sarà molto corto, ma è necessario che resti così com'è.. - mi hanno impedito di mettere in pratica nell'immediato il bruon proposito! Sorry, vedrai che provvederò quando le circostanze saranno propizie! Besos!

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Capitolo 13
*** Nella mente di Daphne ***


Il sole splendeva caldo, quella mattina. La Contea non avrebbe potuto essere più bella e lei si godeva i raggi sul viso e sulle braccia nude. La sua pelle bianca come il latte ne avrebbe sicuramente tratto giovamento. Felice, trasse un profondo respiro e si coricò. L’erba era fresca e morbida, e i campi di grano tutto attorno a lei facevano brillare ogni cosa di una luce dorata. Socchiuse gli occhi, abbagliata da tutto quello splendore.
- Daphne? Dove ti sei cacciata?-
Maud la chiamava fuori dall’idillio, ma non poteva ignorare la sua sorellina.
- Sono qui- rispose senza alzarsi.
La bambina la raggiunse di corsa e si gettò sull’erba accanto a lei.
- Che paura mi hai fatto prendere, Daphne!- ansimò.
Lei le accarezzò i capelli color rame.
- Ti ho detto come si fa quando ci si perde: Prima si chiama piano, poi più forte, poi si chiede a qualche passante, poi si cerca un ospedale e si aspetta lì-
Le sorrise.
- Ma non ti devi preoccupare, piccolina. Tua sorella non permetterà che ti accada niente di male-
La bambina si accoccolò accanto a lei nel sole caldo.
 
Ariel si svegliò di soprassalto, investita dalla consapevolezza di trovarsi dove non avrebbe dovuto: un ricordo di Daphne. Si guardò attorno. Angelica dormiva della grossa. Il che era un bene, perché si sentiva accaldata e aveva il respiro affannoso, come dopo una corsa. La Galassia brillava dolcemente al suo polso. Sembrava molto stanca. Come aveva fatto a finire nella testa di un’altra persona? Aveva espresso il desiderio di conoscere meglio i suoi compagni, forse la Galassia stava tentando di accontentarla…Entrare nel loro passato era senza dubbio un metodo originale, anche se un po’ indelicato, di approfondire la conoscenza. Ma cosa ci poteva essere di più pratico? Questo significava che sarebbe entrata anche nella testa dell’affascinante Axel? E del burbero Isaac? Al pensiero rabbrividì. Chissà cosa poteva trovarsi in quella mente…
Cercò di rilassarsi. Aveva alle spalle una lunghissima giornata. Le faceva male tutto, i muscoli, le ossa. Erano anni che non si sentiva tanto a pezzi. Sospirò. Le sue ore di luce erano talmente piene che la assorbivano completamente, con il risultato che la notte non faceva che pensare a sua madre, a Carrie e a tutto quello che aveva lasciato in Inghilterra. Era uno stupido capriccio che l’aveva portata a mettere a repentaglio la propria vita? O c’era di più? In tutta quell’assurdità, una cosa era reale: la Galassia. Anche Valerie l’aveva vista, anche lei aveva concordato che si trattava di un oggetto singolare. Era con Lei che tutto era cominciato. Con Lei sarebbe finito. Ma a quanto sembrava il come e il quando poteva dipendere in larga misura da Ariel. Eppure qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle che non stava commettendo una follia, che quella pericolosissima situazione non era altro che un piccolo tassello di un mosaico più grande, sottratto alla sua comprensione.
 

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Capitolo 14
*** Salto nel vuoto ***


- Ho convocato una riunione. Spero non ti dispiaccia che prima non ti abbia consultata…-
Axel aveva preso da parte Ariel dopo colazione con aria grave. Ariel sorrise conciliante. La sua testa era ancora totalmente  assorta nel sogno curioso di quella notte.
- Al contrario, mi fa piacere quando prendi delle iniziative, Axel-
- Perfetto! Perché la situazione è peggiore di quanto pensassi. La talpa è tra i miei fedelissimi, e nessuno è al sicuro. Ho detto ad Ian di scegliere cinque tra i più svegli dei suoi amici per pattugliare la zona, e Daphne si sta occupando di avvisare Neil. Appena sarà qui ci riuniremo in un luogo che non ho ancora comunicato a nessuno per discutere in tranquillità del problema-
Ariel annuì.
- Possiamo fidarci di questo Ian?-
- Assolutamente-
- Mi piacerebbe conoscerlo, Axel…-
- Naturalmente! Vieni, seguimi-
Axel condusse la ragazza in mezzo alle tende fino a quella, particolarmente piccola, del musico. Che sia lui il fantomatico Ian?, si domandò Ariel. Ma Axel si guardò attorno grattandosi la testa e si diresse verso un’altra abitazione, di modeste dimensioni, fuori dalla quale erano sparpagliati degli attrezzi da falegname. Scostò il drappo e chiamò:
- Ian? Ci sei?-
Dalla penombra emerse una figura di media statura, dalla muscolatura ancora acerba. Le spalle erano perfettamente diritte, ma i movimenti, nel complesso, un po’ scoordinati.
- Che succede, capo?-
Ian uscì alla luce del sole e spalancò due grandi occhi nocciola su Ariel in un misto di stupore e ammirazione. A sua volta, la visitatrice dovette faticare a trattenere un’imprecazione: Ian era un ragazzino. Valutò che non potesse avere più di quindici anni. Era logico che fosse affidabile, Gunnar non avrebbe mai pensato di corrompere un bambino. Axel tolse entrambi di imbarazzo dicendo:
- Ian, ti presento Ariel-
- Molto piacere- il ragazzo allungò la mano.
Ricambiando il saluto, Ariel rispose:
- Piacere mio. Sembra che qui parlino tutti molto bene di te…-
Ian sorrise mostrando gli incisivi pronunciati.
- Evidentemente faccio bene il mio lavoro-
- Sei un falegname?- domandò la ragazza accennando agli attrezzi.
- Si! Lo era anche mio padre, prima che Gunnar lo incarcerasse-
- Con quale accusa?-
Ian sbottò in una risata amara.
- Aveva progettato e costruito, assieme al fabbro, le serrature del palazzo per Re James. Così, Gunnar ha preso entrambi, perché conoscevano i punti deboli del palazzo-
- Sono ancora vivi?-
- Non ne ho idea-
Ariel sospirò.
- È per questo motivo che lo fai?-
- Che cosa?- domandò Ian confuso.
- Che combatti con i Ribelli-
- Oh…si certo!-
 
- Ma siete matti?!- domandò con veemenza Ariel al Principe una volta lasciato Ian al suo lavoro.
- Perché?- rispose ingenuamente Axel, sgomento di fronte all’improvvisa indignazione della ragazza.
- Come perché? Avrà quindici anni!-
- Tredici-
- Ancora meglio!-
- È affidabile-
- Lo sarà senz’altro. Ma è giovane! Come puoi rischiare la vita di un ragazzino, Axel?-
- È con Isaac che ti devi lamentare, amica mia, è lui che l’ha arruolato…-
Senza pensarci due volte, Ariel si diresse verso la tenda di Isaac. Se voleva aggredirlo, doveva farlo subito, prima che l’ira svanisse e restasse atterrita davanti a lui come davanti ad un’onda anomala. Non conosceva abbastanza il suo interlocutore per poter prevedere come avrebbe reagito a una simile critica, ma non riusciva a togliersi dagli occhi l’immagine dei corpi straziati e senza vita di un esercito di bambini.
Lo trovò davanti all’ingresso della sua abitazione intento a lucidare la sua spada. Lui la guardò con aria interrogativa ed Ariel deglutì. Le tremavano le gambe.
- Come hai potuto arruolare un ragazzo di tredici anni?- sussurrò, faticando a mantenere ferma la voce.
Isaac la fulminò con i suoi occhi di onice.
- Mi ha chiesto di unirsi a noi nel pieno delle sue facoltà mentali. È motivato, combatte bene, meglio di molti adulti, e sa cosa rischia. Perché avrei dovuto rifiutare?-
Ariel spalancò la bocca scioccata da una simile cieca ostinazione.
- È piccolo! Non puoi rischiare la vita di un ragazzino in questo modo spregiudicato!-
- Anche tu sei piccola, ma quando ti ho consigliato di andartene hai preferito dare ascolto a chi ti metteva in pericolo-
- Io ho diciannove anni, ben sei più di Ian-
Isaac posò l’arma e si alzò in piedi, facendo sentire Ariel una formichina.
- Non ha più niente. Noi siamo la sua unica speranza di rivedere suo padre. È giusto che abbia la possibilità di partecipare. E poi, io non ero molto più grande quando ho fondato la Confraternita-
- Ma lui non era nemmeno nato quando Gunnar prese il potere, questa non è la sua guerra. E non puoi paragonarlo a te! Tu sei un eroe, quanti altri Isaac credi che esistano?-
I lineamenti duri di Isaac si addolcirono appena di fronte a quell’involontario complimento, che nell’indignazione Ariel non si era neppure accorta di aver elargito.
- Passiamo la vita a cercare il nostro posto nel mondo…Ian il suo l’ha trovato qui- concluse Isaac.
Ariel, sull’orlo di una crisi di nervi, ringhiò:
- Come vuoi, stupido presuntuoso, ma se gli dovesse succedere qualcosa ti riterrò l’unico responsabile!-
Si voltò per andarsene ma andò a sbattere direttamente contro ad Axel.
- Ehi, va tutto bene? Neil è qui. Muoviamoci-
 
Axel condusse il gruppetto attraverso il bosco senza esitazioni. Aveva chiarissimo nella sua mente il luogo in cui voleva andare. Ariel, Angelica, Daphne, Neil ed Isaac. Queste le persone che aveva scelto, quelle sulle quali non nutriva il minimo dubbio.
- Bene amici- disse una volta raggiunta la meta. – Accomodatevi pure-
Ariel spalancò gli occhi per la meraviglia. Si trovavano in una piccola cerchia di alberi, dove l’erba era verde e soffice e si vedeva il cielo azzurro. Gli uccelli cantavano e si poteva sentire il gorgoglio del fiume poco lontano. Dieci pietre piatte erano state posizionate in cerchio, e davano al paesaggio l’aspetto di una sala riunioni. Si sedette, completamente dimentica del motivo per cui si trovava lì.
- Dunque, ragazzi- esordì Axel – vi ho portati qui per discutere di quanto accaduto ieri in tutta tranquillità. L’area è pattugliata, ma non da vicino. Ho preferito tenere segreta la nostra meta precisa-
- Hai fatto bene, Axel- intervenne Neil – c’è stato molto trambusto in città questa mattina. Tutti sanno che Gunnar ha quasi catturato Isaac-
Ariel notò che Isaac si toccava istintivamente il braccio ferito.
- Immagino. Ad ogni modo, amici, siamo in guai seri. Pochissime persone sapevano che le ragazze si sarebbero trovate in quel luogo e in quel momento…non hanno acceso nemmeno un lumicino! Dovevano aver già preparato tutto! Sono andati a colpo sicuro. Per fortuna, Ariel ha quella specie di premonizioni…-
- Ho cercato di indagare in città, ma nessuno dei miei informatori ha scoperto niente. Sembra quasi che l’unico a conoscenza dell’identità del traditore sia proprio Gunnar!- disse Neil.
- Eppure deve lasciare tracce da qualche parte…insomma, è un essere umano, non può non commettere mai errori!- esclamò Angelica.
- A che cosa pensi?- domandò Daphne ad Ariel, che non aveva ancora aperto bocca.
Ariel arrossì.
- Beh, ecco…no, io pensavo solo…insomma, Axel ha convocato qui noi per parlare in tutta sicurezza, ma…senza voler essere la solita pessimista…chi ci dice che la spia non sia proprio uno di noi?-
Calò il silenzio. Dopo qualche momento di imbarazzo, Axel disse:
- Nella situazione in cui ci troviamo, Ariel, non possiamo permetterci di dubitare gli uni degli altri-
- Axel ha ragione. Cosa ci resta se viene a mancare anche la fiducia?- domandò Daphne.
- Parli sul serio?- chiese in un sussurro Angelica.
- Secondo me invece, ha ragione lei! Noi stessi non siamo scagionati- intervenne Isaac.
Ariel lo ringraziò con un’occhiata silenziosa.
- Oltretutto, ognuno di noi avrebbe sicuramente avuto il modo di comunicare con la città- aggiunse Neil.
- Di Richard ed Eric cosa mi dite?- domandò Ariel.
Isaac sbuffò.
- Loro sono i primi ad essersi uniti a me. Erano troppo fedeli a James, non riesco ad immaginarli in combutta con quel verme di Gunnar-
Axel si grattò la testa con un sospiro.
- Come possiamo fare?-
Fu in quel momento che Ariel rabbrividì.
- Oh no…- gemette.
Tutti la fissarono.
- Dobbiamo andarcene!- esortò riscuotendosi.
- Cos…- tentò di dire Angelica, ma Axel gridò:
- Sono zoccoli! Scappate!-
 
- Scappate! Scappate, presto!-
Dal folto degli alberi erano emersi i cavalieri di Gunnar. Axel urlava e strepitava perché tutti i suoi ribelli nascosti nelle vicinanze avessero la possibilità di fuggire. E anche per sfogare la rabbia, che Ariel in quel momento condivideva. Erano stati traditi. Di nuovo. Quella doveva essere una zona di massima sicurezza, la loro riunione era segreta, solo loro conoscevano la locazione. Eppure…la talpa doveva essere tra loro. Axel guidava i suoi compagni nei passaggi più stretti, nelle zone più impervie del bosco. Sperava che in questo modo i cavalli non sarebbero riusciti a seguirli. Isaac chiudeva la fila, incitando a sua volta gli altri a correre.
Ariel aveva smesso di pensare: seguiva Axel senza farsi domande, perché correre le assorbiva troppe energie. Il dolore alle gambe, alle piante dei piedi poco protette dalle scarpette di pelle, la difficoltà di schivare tutti gli ostacoli non le lasciavano spazio per altro. Neil arrancava più di lei. Alla sua età non riusciva più a tenere il passo, ma Angelica gli si teneva accanto, pronta ad ogni necessità. Era inspiegabile come potessero dei cavalli seguirli tra arbusti, sassi e ramaglie. E non sembravano intenzionati a mollare la presa. D’altra parte, ad ogni Ribelle catturato corrispondeva una lauta ricompensa…
Il bosco declinava dolcemente ed i fuggiaschi accelerarono il passo. Fu davvero un brutto colpo trovarsi improvvisamente la strada sbarrata da un dirupo. Lo strapiombo scendeva diritto per una decina di metri, e si gettava nel Fiume degli Spiriti. In piedi sul ciglio, Ariel guardò giù. Dietro di loro si avvicinavano i cavalieri. In preda al panico, Ariel strillò:
- Che facciamo?-
- Nel fiume, presto!- gridò Axel.
Angelica, Neil e Daphne si gettarono dalla rupe senza esitazioni, ma Ariel sgranò gli occhi inorridita.
- No, Axel, io non…-
Axel le diede una spinta prima che potesse terminare la frase, e la ragazza si trovò a precipitare nel vuoto.
 
Lo schiaffo dell’acqua sembrò giungere dopo una vita. Sotto shock e completamente in preda al panico, agitò convulsamente braccia e gambe nel disperato tentativo di riemergere, ma il fiume era più forte di lei. La trascinava giù, sempre più giù, nell’oscurità fredda…Ariel chiuse gli occhi mentre le energie le venivano meno.
Si trovava nell’abisso più buio quando una forza sconosciuta decise di prenderla con sé e trascinarla via. Era più vigorosa della potenza del fiume, che tentava invano di contrastarla, e allo stesso tempo tanto fragile. E la portava su, lontano dal dolore, lontano dalla tenebra. La luce si diffondeva dolcemente, e lei non aveva più paura. Il viaggio era quasi terminato.
 
- Ma sei diventato pazzo?!-
Una fitta al torace la riportò nel mondo reale. Tossì forte un buon quantitativo d’acqua. I polmoni le bruciavano, e così le vie respiratorie. Sgranò gli occhi. Isaac stava chino su di lei, e la aiutò a raddrizzarsi.
- Come ti senti?- le sussurrò.
Tremante, Ariel riuscì soltanto ad annuire, sperando che da quel semplice gesto trapelasse la sua gratitudine. Angelica le si precipitò accanto e singhiozzò. Poco dopo sopraggiunse anche Daphne.
- Grazie al cielo…- sospirò, mentre anche Axel le si inginocchiava accanto.
Lo sguardo di pece bollente di Isaac si spostò su di lui.
- Cosa ti è saltato in testa, Axel?! L’hai quasi uccisa!- la sua voce aveva ritrovato il tono metallico.
- Io…io…non potevo immaginare che non sapesse nuotare! Per la miseria, perdonami Ariel!-
Isaac lanciò un’ultima occhiata furente al ragazzo, poi si alzò e si allontanò.
- Ho…cercato di dirtelo, ma…non me ne hai dato il tempo- farfugliò Ariel.
- Non parlare- le disse Daphne posandole un dito sulle labbra.
Ariel, suo malgrado, fu costretta a darle ascolto. Il dolore al torace, il bruciore e i brividi la sopraffecero. Quando riacquistò un po’ di autocontrollo domandò:
- Dov’è Neil?-
- È corso a Glauce. Se scoprissero che si è allontanato dalla città…- la voce di Axel si perse.
La ragazza si alzò in piedi, aiutata da Angelica.
- Ha fatto bene ad affrettarsi. E dovremmo farlo anche noi. Il nostro amico ci ha traditi di nuovo, e sarà meglio accertarci che nessuno oltre a noi fosse a conoscenza della riunione di oggi-
Isaac guardava il fiume. Per un momento pensò di ringraziarlo, ma poi cambiò idea. Aveva l’impressione che nel silenzio si capissero meglio. Lo conosceva soltanto da pochi giorni e le aveva già salvato due volte la vita, e Dio solo sapeva quanto doveva essergli costato trascinarla a riva, opponendosi alla corrente con il suo peso morto a carico, con quel braccio ferito.
- Vieni, Isaac, prima che quegli uomini ricompaiano- disse, prima di accodarsi agli altri, seguita a poca distanza da Isaac.
 



***************************
Hola Chicas! Scusate il ritardo, ma qui tra terremoti vari mi è proprio passato di mente di aggiornare! Spero gradiate il capitolo..besos!
 

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Capitolo 15
*** Nella mente di Isaac ***


- È molto semplice, figlio mio-
Suo padre stava chino su di lui con aria incoraggiante. Gli porgeva ago e filo come fosse la cosa più naturale del mondo. Lui deglutì a fatica e prese con mani tremanti gli strumenti. Il cucciolo ferito guaiva debolmente.
- Sei sicuro che non sentirà niente?- gemette.
- Ne sono sicurissimo, Isaac. Vedi, la crema che abbiamo applicato anestetizza la zona ferita. E poi, se anche dovessi fargli male, poi starà meglio…ricordi? Una breve sofferenza per una perfetta guarigione-
Il cucciolo lo guardava con i suoi occhioni nocciola. Fiducioso.
- Non ci riesco- singhiozzò.
- Certo che ci riesci! Non vuoi che questo cagnolino torni a correre e saltare come questa mattina?-
Asciugandosi le lacrime con la manica della tunica di lana, impugnò l’ago nel modo corretto e si accinse ad iniziare la sua prima sutura.
 
Un guaito lugubre svegliò Ariel. Proveniva dal cane o da Isaac?
- Tutto bene?-
La voce di Angelica emerse dall’oscurità, spaventando la ragazza ancora di più. Non si era ancora abituata a dividere la stanza con qualcuno.
- Era solo un sogno…- sussurrò, più per convincere sé stessa che l’amica.
- Ti capita spesso, eh?-
- Forse dovrei stare più leggera a cena-
Angelica ridacchiò.
- Ne parlerò con le cuoche! Buona notte, Ariel-
Ariel chiuse gli occhi. Quel sogni erano davvero sconvolgenti. Non tanto per i contenuti, quanto per l’empatia che provava con i protagonisti. I suoi occhi erano lucidi come quelli del piccolo Isaac, scioccato all’idea di procurare intenzionalmente dolore al suo  amichetto. Come era diventato il guerriero spietato che aveva conosciuto? Quanta sofferenza si annidava nel suo passato? Quanto dolore doveva aver patito per diventare il paradigma di impenetrabilità, il fondatore della Confraternita, capo dei famigerati Ribelli?
 

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Capitolo 16
*** Questione di determinazione ***


Quella mattina, Ariel si svegliò con una nuova determinazione. Il sogno della notte precedente le aveva insegnato due cose: nessuno nasce maestro e non c’è debolezza che impegno ed esercizio non possano curare. Si alzò quindi di buon ora senza svegliare Angelica, si diresse verso il corso d’acqua e si lavò meglio che poté. L’acqua era ghiacciata. Più ancora delle scarpe scomode, più ancora del letto di paglia, più ancora della necessità di dividere la stanza, era la scarsa igiene personale a pesarle molto. Lavare spesso i capelli significava non poterli asciugare e rischiare di prendere un malanno. E poiché non c’erano medicinali non era il caso di rischiare. Inoltre, un bagno in quei torrenti gelidi era fuori discussione. Con un piccolo pettine di legno che le aveva regalato Daphne si sistemò i capelli. Storse il naso specchiandosi nell’acqua.
Tornò verso le tende passeggiando lentamente. Doveva essersi alzata davvero molto presto perché la vita era ancora scarsa nell’accampamento.
- Buongiorno!-
Ariel si guardò attorno sorpresa ma non vide nessuno.
- Chi ha parlato?- domandò sentendosi molto stupida.
- Io!- dalla tenda alla sua sinistra emersero i riccioli scuri di Ian.
- Buongiorno anche a te, Ian!- rispose con un sorriso.
- Sei sempre così mattiniera?- domandò sospettoso.
La ragazza scrollò le spalle.
- Hai già fatto colazione?- continuò Ian.
- No, non ancora- disse Ariel.
- Entra allora! Stavo giusto preparando-
Ariel seguì il ragazzo all’interno della sua abitazione. I suoi occhi ci misero qualche secondo ad abituarsi al cambio di luce. L’ambiente era piccolo e caotico, non c’era distinzione tra ciò che avrebbe dovuto trovarsi dentro e ciò che avrebbe dovuto trovarsi fuori. Aggrottò la fronte scorgendo uno stivale accanto al cuscino.
- Ti piace il burro?-
- Come?- domandò riscuotendosi.
- Ti piace il burro sul pane?-
Ariel si avvicinò alla piccola tavola di legno, un lusso che la tenda di Angelica non si poteva permettere.
- Si, grazie!-
Ian le fece cenno di accomodarsi, mentre versava del latte in una tazza e glielo porgeva insieme a due fette di pane secco spalmate di burro. Ariel mangiò volentieri. Era la sua miglior colazione da quando aveva lasciato casa.
- Grazie Ian, sei stato davvero gentile-
Ian non rispose. Si limitò a fissarla.
- Perché mi guardi così?- domandò Ariel sulla difensiva.
- Niente. Mi chiedevo solo come faccia una ragazza come te a vivere in un postaccio come questo-
- Che vuoi dire?-
Ian ammiccò.
- Non sono stupido. Tu sei istruita, raffinata. Hai le mani curate e i capelli perfetti. Non sei abbronzata e non hai cicatrici. È evidente che sei abituata a ben altro stile di vita. Come fai a resistere?-
- Ti sei coalizzato con Isaac?-
- Perché?-
- Perché anche lui non fa che ripetermi di tornare a casa-
Ian scoppiò a ridere.
- E come mai sei ancora qui?-
Ariel lo guardò intensamente.
- Se ti dicessi che non lo so ancora sarebbe preoccupante?-
- Non hai un bel rapporto con Isaac, vero?-
- Dì pure che non ho rapporto alcuno. Mi ha giudicata senza nemmeno provare a conoscermi, e non credo ci sia verso di fargli cambiare idea. E poi mi guarda sempre come se volesse uccidermi…come se i suoi occhi non fossero già abbastanza inquietanti!- esclamò.
- Inquietanti?- domandò Ian con un sorriso curioso.
- Si! Sono così…scuri…non so, sembra di caderci dentro!-
- Uhm, non ci avevo mai pensato- disse il ragazzo.
Ariel sospirò.
- Hai ragione, Ian, io non sono abituata a questa vita. Ma ho fatto una scelta e non ho intenzione di piangermi addosso. Quando mi sono trovata qui non desideravo altro che tornare a casa mia, ma ora…ora sento che è giusto cercare di aiutare Axel. Lui è stato molto gentile con me e vorrei poterlo ripagare-
- Parli di lui con molta familiarità, Ariel…insomma, è il futuro Re- obiettò Ian in tono di rimprovero.
- Ad Axel non piacciono le formalità- rispose istintivamente.
Immediatamente si domandò da dove avesse attinto quell’informazione. Non ricordava che fosse stato lo stesso Axel a confessarglielo, eppure ne era assolutamente certa.
- Oh- sussurrò Ian sorpreso.
- Grazie infinite della colazione e dell’ospitalità,- disse Ariel alzandosi – ora devo proprio andare-
Il ragazzo la accompagnò all’ingresso e, prima che uscisse, le disse:
- Ho sentito dire che ieri hai discusso con Isaac…-
Ariel arrossì e non rispose. Al posto di Ian, lei sarebbe stata molto risentita nei confronti della persona che l’aveva giudicato troppo debole. Infondo, in che modo lei si era comportata diversamente da Isaac? Anche lei aveva giudicato dalle apparenze. Stupida presuntuosa come lui.
- Grazie- concluse Ian con un sorriso amichevole.
- Grazie?!- domandò Ariel guardandolo di sottecchi.
- Si…per esserti preoccupata- rispose.
Ariel sorrise e, scuotendo il capo piena di meraviglia e di ammirazione per la tempra eccezionale di quel ragazzino, lasciò la tenda.
 
Respirando a pieni polmoni l’aria fresca si diresse verso il centro dell’accampamento. In mezzo alla piazza, Axel stava parlando con una bambina.
- Grazie Hailie, sei un tesoro-
La bimba arrossì e corse via trotterellando. Axel la seguì con lo sguardo, facendosi rigirare un fiore tra le dita.
- Piccole ammiratrici?- domandò Ariel avvicinandosi.
- Ai miei tempi, le bambine non erano così intraprendenti!- commentò Axel con un sorriso nostalgico. – Come stai?-
- Non c’è male, grazie- rispose – Ian mi ha appena offerto la colazione-
- Anche tu giovani ammiratori?-
- Non direi- sorrise. – Posso rubarti un minuto?-
- Certo, amica mia, tutti i minuti che vuoi!-
Ariel si incantò per un momento a fissare la stupefacente sfumatura ambrata dei suoi occhi e faticò a reprimere un fortissimo moto di invidia per Daphne. Si schiarì la voce, imbarazzata.
- Ecco, io pensavo…visto anche quello che è successo ieri…tu credi che sarebbe inopportuno se ti chiedessi di insegnarmi a difendermi? Insomma, potrebbe capitarmi di trovarmi da sola e…-
Axel annuì.
- È una buona idea Ariel! Non si sa mai cosa può capitare a gironzolare per i boschi in compagnia di una banda di ricercati! Dammi qualche minuto, il tempo di prendere il necessario-
 
- Tieni entrambe le mani sull’impugnatura, la destra più vicina alla lama- disse Axel posizionandole le mani – Ecco, così…ora divarica un po’ di più le gambe, per essere stabile-
- Non è facile esserlo, con un vestito lungo fino ai piedi-
- Mi dispiace, non ci ho mai provato- sorrise. E continuò:
- Per parare, innanzitutto, si fa così- le mostrò il movimento corretto, accompagnando le sue braccia a parare un colpo immaginario. – Chiaro?-
- Chiaro- rispose Ariel.
- Per attaccare, invece, si alza l’arma- le fece alzare le braccia e le sostenne in un ampio movimento verso il basso.
- Coraggio, prova da sola-
Axel si allontanò di qualche passo per guardare l’allieva. Ariel sollevò la spada, si sbilanciò e cadde per terra. Axel scoppiò a ridere e la aiutò a rialzarsi.
- Troppo entusiasmo!- esclamò.
- Non ridere, non osare ridere- grugnì la ragazza.
- Impossibile!-
- È pesantissima, non riesco a muovermi molto bene…- disse Ariel accigliata.
Axel si fece pensieroso.
- Chiederò al fabbro di forgiarne una più piccola, più lunga di un pugnale ma più corta di una spada normale. Che ne dici?-
Ariel annuì.
- Tu ,però, intanto abituati a muoverti con questa, e vedrai che poi sarà molto più semplice-
 
Axel preparò una serie di percorsi con scatti, saltelli e slalom, perché Ariel potesse imparare a muoversi con il pesante fardello della spada. Con il massimo impegno, la ragazza schivò pietre, saltò ramoscelli e aggirò alberi senza fiatare. Molte volte cadde, e Axel non rise più perché la forza di volontà dell’allieva meritava rispetto. Ma neppure la incitò: Ariel sembrava proprio appartenere a quel genere di persone che ama raggiungere la meta con le proprie sole forze.
- Basta così per oggi-
Ariel si lasciò cadere sull’erba accanto all’arma. Axel si sedette accanto a lei.
- Come ti senti?- domandò.
- A pezzi…e vedrai domani!- rispose la ragazza con il fiatone.
- Beh, secondo me migliori a vista d’occhio. Se per qualche giorno ripeterai questi esercizi, non sarà più un problema muoverti con dei pesi-
Ariel sospirò.
- Non sono mai stata una grande atleta-
- Forse non avrai una muscolatura molto allenata, ma la mentalità è ottima, te lo assicuro!-
- Quando ballavo, gli allenamenti erano molto più duri di questi-
- Ballavi? Che significa?-
Ariel tentò di spiegare al Principe in che cosa consistesse la danza classica, ma quando fu evidente che non riusciva a capire, improvvisò qualche passo. Axel batteva le mani entusiasta.
- Quando vorrai tornare a preoccuparti di cose serie, Axel, è arrivato un messaggero di Neil-
La voce di Isaac rimbombò come in una camera sepolcrale. Da quanto tempo era lì? Si voltò e se ne andò silenziosamente come era venuto.
- Ma quanto è irritante…- commentò Ariel a mezza voce, strappando ad Axel una risata nervosa.
I messaggeri portavano raramente buone notizie.
 
Nella tenda di Isaac, un ragazzino aspettava impaziente. Si guardava attorno, colpito forse dall’austerità di quel luogo. Ariel non aveva mai visto prima l’abitazione del loro medico, ed era davvero particolare, non tanto per quello che vi si trovava quanto per quello che non vi si trovava. Non vi era nulla che potesse dare un’identità all’abitante, non un soprammobile, un libro, un’arma. A parte il giaciglio di paglia, un tavolo con due sedie e un baule , tutto collocato in un ordine maniacale, nulla di personale.
- Ciao Bill- disse Axel al ragazzo.
- Signore…- salutò Bill timidamente.
- Quali nuove?-
- Hanno preso Neil, signore-
- Cosa?!- esclamarono tutti sgomenti.
- Che cosa è accaduto?- domandò Ariel, riavendosi per prima.
- Lo aspettavano nel suo cortile. Non ha avuto neppure il tempo di impastoiare il suo cavallo…-
- Dove lo tengono, Bill?- domandò Axel, il panico nella voce.
- Nella torre. Domani sarà trasferito alle carceri, nella mattinata, dicono, dove sarà processato e giustiziato-
Un sospiro di sollievo accolse quella notizia. Sapevano bene, infatti, che a quell’ora Neil avrebbe già potuto essere stato decapitato. Evidentemente non lo consideravano un pericolo.
- C‘è altro?-
- No, signore-
Axel annuì.
- Bene, Bill. Mangia, bevi e riposati. Ti fermerai con noi qualche giorno, non è sicuro per te tornare subito a Glauce-
- Grazie signore-
Axel si voltò e prima di uscire dalla tenda fece cenno ad Ariel di seguirlo. Alla ragazza dispiaque notare un fugace disappunto sul volto della bella Daphne.
Axel la condusse fuori dall’accampamento, ad un’ansa del torrente incorniciata dalle rocce. La fece sedere. In quel punto il frastuono dell’acqua era tanto forte che per capire quello che si diceva era necessario aiutarsi leggendo il labiale.
- Come procediamo?-
- Dobbiamo intervenire durante il trasferimento, Axel-
- Come?-
- Cerchiamo un diversivo. Non so, un attacco frontale, un’imboscata, oppure anche un’esca…- la sua voce si perse.
- Un esca? A che pensi?-
Ariel si grattò la testa.
- Se noi mettessimo un bambino in lacrime in mezzo alla strada, o meglio ancora una ragazza implorante, credi che si fermerebbero?-
- Per il bambino forse no, ma per la ragazza, se è carina, senza dubbio-
- Ottimo. Poniamo che questa ragazza stia correndo su un sentiero che dal bosco si immette sulla strada che collega la principale alle carceri, e che si diriga verso i cavalieri inseguita da quattro uomini a cavallo, vestiti da briganti…-
Axel annuì.
- …implorando aiuto in nome del giusto Gunnar…-
- I cavalieri devierebbero verso il bosco per aiutarla, esponendosi al nostro attacco- concluse Axel.
Ariel sorrise compiaciuta.
- Una volta circondati, per tanti che siano, non ce la faranno!-
- Ci sto! Convoco tutti nella tenda di Isaac-
 
- Si può fare!- dissero Eric e Richard all’unisono.
Angelica annuì e Daphne commentò:
- Quindi ti serve una di noi, Axel-
- Chi sarà l’esca, capo?- domandò Richard.
Axel si incupì e rifletté in silenzio. Dopo una lunga attesa, dichiarò:
- Sarà Ariel-
Ariel sentì il cuore balzarle in gola. Non aveva calcolato la possibilità che a dover mettere in atto il piano fosse proprio lei. Che stupida.
- Non se ne parla-
Isaac parlò per la prima volta, e lo fece in un tono che non ammetteva repliche. – È troppo pericoloso Axel, lei è inesperta-
Nonostante la velata critica nei suoi confronti, Ariel provò un forte moto di gratitudine verso Isaac.
- Lo so, Isaac, lo so- disse Axel abbassando lo sguardo – nemmeno io mi sento tranquillo a mandarla incontro ai suoi uomini, ma non c’è soluzione: Daphne ed Angelica sono conosciute, i loro volti sono appiccicati su ogni parete di Glauce accanto al mio e al tuo. Se le riconoscessero sarebbe un disastro…-
Isaac chinò il capo. Il ragionamento di Axel non faceva una piega, purtroppo, pensò Ariel.
- Te la senti?- le domandò Angelica prendendole le mani tra le sue.
Mettendo da parte le riserve, Ariel annuì.
- Allora è deciso!- esclamò Axel. – Passiamo al piano-
Isaac prese dal baule una vaschetta di sabbia e la pose al centro del tavolo. Vi disegnò con un legnetto il limitare del bosco, la strada maestra e l’incrocio che conduceva alle prigioni. Apprezzando l’ingegnosità dei Ribelli, Ariel domandò:
- C’è per caso una strada secondaria che interseca quella delle prigioni, diretta nel bosco?-
- Si, qui- Isaac la disegnò, poco lontano dall’incrocio.
- Splendido! In questo caso, domattina di buon ora ci apposteremo al limitare dell’ombra. Quando le nostre sentinelle ci confermeranno che stanno per arrivare, entreremo in scena. I cavalieri andranno in confusione e, spero, prenderanno il sentiero. Quando saranno in prossimità del limitare della vegetazione, da destra e da sinistra uscirete voi, e li circonderete. Davanti a loro ci saranno già quattro uomini, quindi non dovrebbe essere troppo complicato…-
- Si, ma in questo modo, tu ti troverai nel mezzo- fece notare Angelica.
- Lo so, e per questo motivo penserò io a liberare Neil. Ho più opportunità e darò meno nell’occhio-
Isaac scosse il capo.
- Cosa c’è ancora?- sbottò Ariel.
- È un lavoro da soldati, non da ballerine- disse.
- Beh, è di una ballerina che disponete, quindi niente storie-
Isaac le lanciò un’occhiata omicida che le gelò il sangue nelle vene. Si schiarì nervosamente la voce e disse:
- Quanti saranno?-
Axel si grattò il mento.
- Di solito si spostano in non più di venti per i prigionieri…-
Ariel annuì. La Galassia sembrava soddisfatta del suo piano, e questo le infondeva un po’ di fiducia.
- Se questo è tutto, io convocherei gli uomini- disse Eric.
- Certo, fai pure- rispose il Principe. – Vi raggiungerò tra un minuto- aggiunse lasciando la tenda.
Eric lo seguì, e così gli altri.
Quando Ariel si mosse per fare altrettanto si vide sbarrare la strada da Isaac. Indietreggiò di un passo, intimorita dalla sua statura e dal suo sguardo di fuoco.
- È inutile che mi guardi in quel modo, non credere che mi piaccia l’idea di gettarmi in pasto ai suoi uomini…- disse sulla difensiva.
- Vattene, sei ancora in tempo- ringhiò Isaac – questa storia non fa per te-
- Non sono stata abbastanza chiara allora. Io non me ne andrò fino a che tutta questa storia non sarà finita. Non mi interessa andarti a genio, sarebbe sufficiente che tu mi lasciassi in pace!- sibilò.
In una frazione di secondo, Isaac balzò in avanti e, afferrandola per il collo, accostò il visino di Ariel al suo. Colta di sorpresa, la ragazza non ebbe il tempo di reagire. La grossa mano piena di cicatrici le stringeva la gola e le toglieva il respiro.
- Lo vuoi capire, stupida, che questo non è un libro?- sibilò Isaac al suo orecchio, mentre lei lottava per non perdere i sensi.
- Qui si rischia la vita, sei sicura di essere disposta a morire?- continuò, prolungando all’infinito la sua presa d’acciaio.
Improvvisamente come era arrivata, l’ondata d’ira passò, e Isaac lasciò andare la ragazza, che tossì e cadde in ginocchio.
Massaggiandosi il collo dolente, Ariel alzò lo sguardo su di lui, furiosa. La fissava sbigottito, come spaventato dalla propria reazione.
- Puoi non credere in me, se vuoi, e non ho alcuna intenzione di supplicarti. Ma quello che mi preme che tu capisca è che anche se sono giovane e inesperta, non sono una stupida, anzi, forse sono la persona con più cervello in mezzo alla tua marmaglia di “pela patate”. Alla stessa età a cui tu fondavi confraternite io giocavo con le bambole, è vero, ma sono perfettamente capace di valutare il pericolo- rispose con voce rauca.
Isaac le lanciò un’ultima occhiata scioccata e se ne andò.
 

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Capitolo 17
*** Colpi e contraccolpi ***


Quella notte, Ariel non riuscì a chiudere occhio. Continuava a ripassare i dettagli del piano per essere certa di non dimenticare nulla di fondamentale. Era letteralmente terrorizzata all’idea di quello che l’aspettava, e la reazione di Isaac non l’aveva aiutata. A pensarci le venivano ancora i brividi. La consolava l’idea che sembrasse lui stesso scioccato dal suo scatto. Inspirò profondamente ed espirò piano piano, senza fare rumore. Angelica aveva il sonno leggero.
C’era un aspetto del piano che non avevano analizzato, e che lei personalmente aveva volutamente ignorato: se la talpa avesse avvisato Gunnar, che cosa sarebbe potuto succedere? Se, come aveva detto Bill, stavano aspettando Neil, significava che qualcuno li aveva avvertiti, non poteva essere una coincidenza. La situazione stava diventando sempre più difficile, e Ariel aveva la sgradevole sensazione che dal suo arrivo fosse precipitata. Che la spia si sentisse il fiato sul collo? Forse i piani per ingannare Gunnar l’avevano messa in guardia, oppure erano arrivati troppo vicini alla verità. Era cambiato il metodo. All’arrivo di Ariel volava in cerchi concentrici avvicinandosi sempre di più al cuore della Confraternita, l’ostentazione di uomini al mulino ne era la prova. Ora era molto più diretta, rischiava di più. Naturalmente questo significava una maggiore probabilità di commettere errori, ma il meccanismo ormai era in movimento, e prendeva velocità. Se davvero Angelica, Daphne, Isaac e Neil erano affidabili, ed Axel ne era assolutamente certo, forse dovevano valutare l’ipotesi di allontanarsi dalla Confraternita per qualche tempo. La spia li avrebbe seguiti e, almeno, gli altri sarebbero stati al sicuro. Axel non era uno stupido, ma aveva moltissima fiducia nei suoi compagni, forse troppa. Come poteva essere obiettivo, d’altra parte?
Ariel si girò sul fianco. Che cosa sapeva di loro? Ancora troppo poco. Axel era scagionato per principio, così come lei stessa. Isaac aveva fondato la Confraternita, era difficile credere che potesse essersi alleato con Gunnar. Angelica le sembrava sincera, e se era con i Ribelli da dieci anni sarebbe stato molto rischioso corromperla. Daphne era la moglie di Axel e veniva da tutt’altra parte della Penisola della Foce. Non era mai stata a Glauce. Che rapporti poteva aver avuto con il tiranno? Neil era stato arrestato. Che fosse una messa in scena? Se fosse stato così, l’indomani sarebbe stato un massacro. Ma Gunnar gli aveva ucciso moglie e figlie, non poteva essere.
Era evidente che c’erano ancora troppi punti lacunosi. Uomini e donne che ruotavano attorno ad Axel e che lei non aveva conosciuto, insospettabili confratelli che potevano essere benissimo passati dalla parte del nemico. Erano poi così sicuri che ci fosse una spia soltanto? Se fossero state due? O tre? O quattro?
Si girò sull’altro fianco. Perché non avevano colpito Axel ed Isaac? Tolti di mezzo loro tutto l’insieme sarebbe caduto come un castello di carte. Troppi buchi, troppe ombre, troppi interrogativi che non potevano ancora trovare adeguata risposta.
 
- Santo cielo, Ariel, hai un aspetto orribile!-
Daphne accolse con preoccupazione la comparsa di Ariel la mattina ben prima dell’alba.
- Posso immaginarlo- rispose mesta.
- Lascia fare a me…-
Le si avvicinò impugnando un pettine d’osso ed un fiore, che riuscì ad applicarle tra i capelli, una volta pettinati a dovere. Le diede un pizzicotto sulle guance e si allontanò di un passo per ammirare la sua opera, soddisfatta.
- Dopo aver corso un centinaio di metri, il tuo incarnato sarà perfetto, cara!-
- Eccoti!- Axel si avvicinava a larghi passi sventolando un oggetto lungo e sottile.
- Hai passato di nuovo la notte in bianco?!- domandò scrutandola con un sopraciglio sollevato.
Ariel sospirò irritata.
- Cos’hai lì?- disse ignorando la domanda.
Axel sorrise raggiante.
- Questa? È la spada che ti ho promesso!-
Sguainò l’arma strappando un “oh” si stupore alla ragazza e a Daphne. La lama, sottile come uno stiletto e lunga una quindicina di pollici, luccicava macabra tra le mani del Principe. Come ipnotizzata, Ariel allungò la mano e impugnò il metallo freddo, per scoprire che era anche molto più leggera della spada di Axel. Fece qualche passo sollevandola e fendendo l’aria.
- Come ti sembra?- domandò il Principe.
Ariel si abbandonò ad uno dei suoi rari sorrisi di entusiasmo.
- È perfetta!- esclamò.
- Sono d’accordo- disse lui aiutandola a riporla nel fodero.
Dalla bisaccia estrasse una cintura di cuoio a cui assicurò l’arma e la legò ai fianchi di Ariel. Mentre la ragazza si sistemava le pieghe del vestito verde acqua commentò:
- Non darà un po’ troppo nell’occhio?-
Axel sorrise. I suoi occhi color miele assunsero un’espressione maliziosa.
- Non con questo-
Frugò di nuovo nella bisaccia per mostrarle uno scialle di un blu stupefacente.
- Era della zia. Devi fare colpo se vogliamo che rischino tanto per aiutarti…-
A bocca aperta, lasciò che Axel glielo posasse sulle spalle, imbarazzata.
- Sei uno splendore tesoro- Daphne sorrise – Gunnar in persona si fermerebbe per te!-
 
Il bosco era freddo a quell’ora. Per fortuna Axel le aveva dato quello scialle. Il sole si levava appena all’orizzonte creando un’atmosfera inquietante. I cavalli sbuffavano impazienti e i loro cavalieri cercavano di calmarli con parole dolci e carezze. Angelica aveva adottato la stessa tecnica con lei. Le teneva la mano gelata tra le sue e le ripeteva che sarebbe andato tutto secondo i piani. Ariel non si era mai sentita peggio, ma nonostante ciò nessun brivido di avvertimento. Lasciava che le parole rassicuranti dell’amica (si sorprese di considerarla tale) le scivolassero addosso e si chiuse nel suo guscio di autoincoraggiamento. Lei era intelligente, era lo stratega, ce l’avrebbe fatta. Era sempre stata brava a mentire, era la missione che faceva per lei. I suoi capelli erano decisamente più belli di quelli della maggior parte delle donne che aveva conosciuto, i suoi occhi erano magnetici, il vestito che indossava metteva in risalto la sua figura longilinea ma femminile. Non doveva avere paura, tutto sarebbe girato per il verso giusto.
Non dovettero attendere a lungo. Ian e i suoi messaggeri disseminati sul lato est del bosco, che costeggiava la strada maestra, fecero giungere la notizia dell’approssimarsi di una drappello di diciassette uomini, cinque dei quali a cavallo, e di un carro coperto, quando il sole non aveva ancora un inclinazione di venticinque gradi sull’orizzonte. Axel ed Isaac erano già posizionati agli estremi della vegetazione, da dove avrebbero potuto facilmente attaccare. Ariel fece un gran respiro.
- Stai indietro, Angie. Questo posto potrebbe diventare un inferno-
Angelica sgranò gli occhi e obbedì. I soldati comparvero poco lontani dall’incrocio.
“Galassia, sono nelle tue mani”.
Dopo un’occhiata d’intesa ai suoi presunti inseguitori, Ariel lanciò un grido acuto e surreale che bloccò istantaneamente il drappello. Senza più pensare a nulla, si lanciò di corsa sul sentiero affiancato da spruzzi di verde. Il peso della spada la faceva traballare ed incespicare proprio come se avesse corso per ore.
- Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Vi prego!-
Finse di inciampare e di cadere.
I soldati la guardavano scioccati, senza dire una parola, chiedendosi se quella sublime apparizione fosse frutto della loro immaginazione, della levataccia o dell’ansia dovuta al loro ingrato compito. Ariel si rialzò e riprese a correre verso di loro. La breve stradina doveva essere lunga a sufficienza da convincerli a salvarla.
- In nome di Gunnar, vi supplico, salvatemi oppure uccidetemi!- frignò con tono isterico.
In quel momento, i Ribelli suoi compagni emersero correndo dal bosco. Erano molto più veloci di lei, e in un baleno la raggiunsero. Lei lanciò un nuovo strillo e cadde. Due di loro la sollevarono di peso e la costrinsero a seguirli. Ariel scoppiò in lacrime.
- Ehi! Ehi voi!-
Uno dei soldati di Gunnar reagì, e suscitò analogo istinto nei compagni.
- Fermi! Fermatevi subito!-
- Lasciatela andare immediatamente!-
Gli uomini presero a gridare e, dopo un’ultima indecisione, spinsero cavalli e carro lungo il sentiero. Ariel continuò a dimenarsi e a strillare fino a quando uno degli uomini a cavallo non si lanciò all’inseguimento dei suoi aguzzini e non intraprese un combattimento con loro. Un secondo uomo a cavallo scortò Ariel al carro, proprio nel momento in cui un ululato sinistro diede il segnale d’attacco ai Ribelli.
I soldati rimasero congelati con le loro armi in pugno. Uno di loro issò la ragazza al sicuro sul carro e si precipitò nella battaglia incipiente. L’ultima immagine che Ariel ebbe della pacifica stradina secondaria fu di una marea di teste e di bagliori che fluivano urlanti verso il carro, un boato e poi solo clamori indistinti e grida. Il soldato chiuse la tenda del carro, lasciando la ragazza cieca per il repentino cambio di luce.
- Tu?!-
Neil la fissava da un angolo con occhi e bocca spalancati. Aveva un occhio nero e un labbro gonfio.
- Anch’io sono contenta di vederti, Neil- rispose Ariel, e senza perdere tempo sfoderò la spada e iniziò a recidere le corde che lo immobilizzavano.
- Ma…ma…tu?!- ripeté scioccato.
La ragazza lo guardò con disappunto.
- Basta con questa storia della ballerina, chiaro?-
- Quale ballerina?- domandò il mugnaio sempre più confuso.
- Lascia stare. Andiamo, il tempo stringe-
Scostò la tenda proprio mentre il carro veniva sobbalzato da una poderosa spinta. Smontò cautamente, la lama in pugno. I Ribelli stavano avendo la meglio sui pochi uomini di Gunnar. Accanto al carro giaceva, impossibile dire se morto o privo di sensi, l’uomo che l’aveva fatta salire. Gli prese la spada e la diede a Neil.
- Andiamocene di qui- urlò per sovrastare il rumore della battaglia.
- Ariel!-
La voce di Angelica la raggiunse, diretta come un dardo, gelandole il sangue. Non avrebbe dovuto essere lì. Perché non si era allontanata? La cercò nella mischia e la trovò al centro del campo di battaglia, con un pugnale in mano, mentre cercava di difendersi alla meglio. Menando colpi a caso attorno a lei, la raggiunse.
- Che ci fai qui?- le domandò.
- Mi sono avvicinata troppo, un soldato mi ha inseguita e…-
Aveva una ferita alla testa, ma non sembrava grave.
- Ha liberato il prigioniero!- il grido sovrastò il caos e gli uomini di Gunnar si lanciarono, furiosi e disperati, verso di loro.
In preda al panico, Ariel cercò di combattere. Parò qualche colpo, ma le sue braccia non erano fatte per resistere alla forza di un uomo che non aveva più nulla da perdere. Un dolore lancinante all’avambraccio le fece girare la testa. Era ferita. Terrorizzata, continuò a colpire a caso, sperando di riuscire a tenere i soldati lontano da lei e dall’amica praticamente disarmata, ma si sentiva sempre più debole. Il sangue le colava caldo lungo il gomito e l’odore metallico le riempiva i polmoni dandole la nausea.
“Resisti, Custode, stanno arrivando”.
La voce calda e rassicurante della Galassia le impedì di cedere. Parò miracolosamente ancora due colpi prima di vedere l’uomo che stava per colpirla a morte cadere come una marionetta con i fili recisi. E mentre il campo di battaglia iniziava a girare veloce, troppo veloce, sentì la bella voce di Axel che chiamava il suo nome, lontana, ed ebbe la fugace visione di due occhi di ossidiana su di lei.
Poi il buio.

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Capitolo 18
*** Nella mente di Angelica ***


Dolore. E una grande spossatezza. Queste sensazioni riportarono Ariel nel mondo reale. Con infinita fatica riuscì a socchiudere gli occhi. Sbatté le palpebre e, lentamente, mise a fuoco. Era sdraiata in una tenda improvvisata, e il braccio le faceva un male tremendo. Un rumore sommesso, in sottofondo, ritmico e rilassante. Si lasciò sfuggire un sospiro. Un cambio di luce la rese improvvisamente consapevole che qualcuno era accanto a lei. Qualcuno che tritava qualcosa con un pestello.
- Bentornata-
- Isaac…- sussurrò.
- Stai tranquilla-
La sua voce era pacata e rassicurante.
- Cosa mi stai facendo?-
- Ti ho suturato la ferita al braccio. Ora sto preparando una pasta con le erbe miracolose di Daphne per aiutarla a cicatrizzare-
- Grazie-
Isaac si interruppe. Dopo qualche secondo annuì.
- Come sta Angelica?-
La voce di Ariel stava riacquistando un po’ di fermezza.
- Se ne sta occupando Daphne. Ma non preoccuparti, non è grave-
Ariel sospirò di nuovo. Richiuse gli occhi e attese pazientemente. Isaac tritava a ritmo costante, accompagnato dal suo respiro regolare. Quando ebbe finito, aggiunse un liquido ambrato e mescolò. Poi prese la pasta e la applicò sulla ferita. Ariel gemette.
- Ancora un attimo, ho quasi finito-
- Sei un bravo medico, Isaac- sussurrò Ariel.
Isaac emise un suono soffocato simile ad una risata.
- Nonostante questo, temo ti resterà una cicatrice-
- Non importa…- sospirò – Non sei stanco di salvarmi la vita?-
Ignorando la domanda provocatoria, Isaac rispose:
- Sei stata molto coraggiosa, Ariel-
- Si dice così adesso?-
- Preferisci incosciente?-
Ariel ridacchiò.
- Si, così mi suona meglio-
Isaac le sorrise.
- Ecco fatto. Riposa adesso, hai perso molto sangue. Ti verrò a chiamare quando partiremo-
Le posò una grossa mano calda sul ginocchio con fare rassicurante e la lasciò sola.
Sola a meditare su quanto successo. Aveva rischiato seriamente di morire, ma avevano recuperato Neil. E, infondo, Isaac non era poi tanto male…il suo sorriso aveva il potere di mettere i suoi pazienti a proprio agio. Forse era per questo motivo che ne elargiva così pochi. Sorrise tra sé all’idea di Isaac che spiegava alla sua vecchia nonna perché fosse necessario prendere i farmaci per la pressione.
Con quella assurda immagine negli occhi, si abbandonò al sonno.
 
Quando si svegliò non seppe dire se fossero passati pochi minuti oppure ore. Si trovava sul carro che era appartenuto ai soldati di Gunnar, ed era in movimento. Provò a piegare il braccio fasciato. Faceva male, ma non eccessivamente. Accanto a lei, Angelica dormiva raggomitolata. Chissà che spavento doveva avere preso. Sembrava tanto forte, ma Ariel ricordava bene che quando si erano trovate sole ed inseguite nel bosco buio si era subito fatta prendere dal panico. Sorrise tra sé, esausta. La Galassia luccicava debolmente: sospettava che avesse fatto molto più che incoraggiarla. Strisciando per non cadere, raggiunse il lato anteriore della vettura e, scostando la tenda, uscì a cassetta.
Isaac sedeva appisolato accanto ad Axel, che le sorrise e si posò un dito sulle labbra. Divertita, Ariel si sedette vicino ad Isaac e si sporse per comunicare con il Principe. Puntò il dito verso di lui e alzò il pollice. Axel rispose alzandolo a sua volta. Stava bene. Con un cenno del capo girò la domanda a lei. Annuì. Axel le strizzò l’occhio. Chiedendosi come potesse Isaac dormire seduto, si guardò attorno. Il carro sobbalzava su un sentiero circondato da piante ad alto fusto. Il sole era allo zenit. Quanto tempo aveva dormito? E dov’erano? I Ribelli procedevano in una colonna ordinata, e c’erano anche donne, bambini, animali e carretti. Stavano spostando l’accampamento. Quale sarebbe stata la prossima mossa della talpa? Ariel non riusciva ad immaginarlo. Ma di una cosa era persuasa: dato che la situazione era ormai largamente compromessa, forse valeva la pena di rischiare e di allontanarsi per qualche tempo. Ma prima di tutto era necessario ascoltare il racconto di Neil. Magari aveva visto o sentito qualcosa che poteva essere di…
- Come stai?-
Ariel fece un salto.
- Scusa, non volevo spaventarti-
Isaac si stiracchiò con uno sbadiglio.
- Sto bene, grazie- rispose Ariel in un sussurro.
Gli occhi di onice la scrutavano con fare professionale facendola sentire su un vetrino da microscopio. Distolse ostinatamente lo sguardo, imbarazzata, fino a quando Isaac non cedette e lo distolse a sua volta.
- Dove stiamo andando?- domandò.
- A sud. Gunnar non sarà affatto contento del nostro scherzetto. Inoltre uno dei suoi è riuscito a scappare, quindi è molto probabile che a quest’ora sia stato emesso un ordine d’arresto anche per te- rispose Axel.
Ariel annuì, ma la sua mente vagava già lontano, oltre gli alberi, oltre Diamantina.
Perché la talpa si teneva al largo? Per non destare sospetti. Quindi era una persona abbastanza in vista? Una di quelle passibili di dubbio? Se fosse stata una cuoca, o un cacciatore, o una qualunque sentinella, non avrebbe avuto bisogno di tante precauzioni. Ma in questo caso, come avrebbe potuto conoscere tanto bene i piani elaborati in riunioni riservate? Inoltre doveva trattarsi di qualcuno che aveva la possibilità di assentarsi per un certo periodo di tempo per trasmettere le notizie a Glauce. Non veniva notata la sua assenza? Era normale che passasse qualche tempo in solitudine perché ineriva al suo lavoro? Era autorizzato ad allontanarsi per qualche altro motivo, quindi non si poteva sospettare nulla? Sospirando, Ariel chiuse gli occhi. Si sentiva molto stanca. La notte insonne sommata alla tensione accumulata l’avevano sfinita.
In un men che non si dica si trovava a Londra.
 
- Finalmente un sogno come si deve!- esclamò.
- Come dici?-
Carrie, al suo fianco, la guardava da dietro un hotdog.
- Che cos’è quella faccia, Olsen?-
Ariel abbassò lo sguardo.
- Niente…è solo che…è bello essere qui-
Carrie sorrise.
- Lo so! Hai fatto bene a mollare quel fannullone di Axel! Che rischi lui la vita per la sua città!-
- Cosa?!- Ariel sbarrò gli occhi.
- Lo sai che ho ragione! Hai fatto la scelta giusta, la Galassia era un fardello troppo pesante-
Ariel si toccò istintivamente il polso. Il ciondolo era sparito.
- Ma che dici? Io non mi sono tirata indietro!-
- Certo che l’hai fatto! Altrimenti come potresti essere qui?-
In preda all’orrore, la ragazza cercò la ferita al braccio, ma trovò solo pelle immacolata.
- Ma…ma…i Ribelli?- farfugliò.
- Chi se ne importa, è passato!-
- No- urlò Ariel – no, io non l’ho fatto! Mai, mai lo avrei fatto!-
- Ti sbagli, amica mia- il sorriso di Carrie si trasformò in un ghigno spaventoso, e Ariel prese a precipitare nell’oscurità.
Improvvisamente il buio e il terrore scomparvero, e si ritrovò in una stanzetta piena di vapori dall’odore acre. Anche dal basso della sua visuale poteva vedere che gli alambicchi erano sparsi ovunque.
- Wow- la sua vocetta acuta rimbombò nel piccolo ambiente.
- Piccolina!- un uomo sui trent’anni, di media statura, emerse dalla nebbia e si chinò su di lei.
- Ciao papi!-
- Lo sai che è pericoloso qui…- disse l’uomo con fare apprensivo.
Lei annuì energicamente. Suo padre le scostò la frangetta troppo lunga dagli occhi.
- Anch’io voglio giocare con queste cose!- disse.
L’uomo sorrise.
- Quando sarai più grande potrai farlo. E sono certo che diventerai una grande scienziata! È un vero genio, la mia bambina!-
Lei sorrise e gli schioccò un bacio sulla guancia.
- Angelica quante volte devo dirti di lasciare che tuo padre salti in aria da solo?-
Sua madre era apparsa sulla porta con un lungo mestolo di legno in mano. Poiché ricordava bene che quell’arnese poteva essere utilizzato anche per fini ben diversi dalla cucina corse via più veloce che poteva.
Poi di nuovo il buio e il senso di vertigine.
 
Ariel si svegliò al suono del suo stesso grido.
- Ehi! Tutto ok?- Axel la scuoteva dolcemente.
Si erano fermati.
- Oh, Axel, che bello vederti!- esclamò gettandogli le braccia al collo.
- Ehm…si…anche a me fa sempre piacere vederti- farfugliò il Principe.
Ariel lo lasciò andare per asciugarsi gli occhi.
- Dove siamo?-
- Siamo appena arrivati. Monteremo qui l’accampamento- disse entusiasta.
La ragazza si guardò attorno. Intorno a loro si stendeva una meravigliosa vallata verde e fiorita. I Ribelli erano già intenti a montare le tende. Deglutendo a fatica per l’improvviso senso di panico provocato dall’idea di lasciare quel luogo di pace, disse:
- Convoca una riunione, Axel. Subito-
 
- Come stai, Angie?- domandò Ariel mentre aspettava che Axel riuscisse a convocare tutti.
L’amica si era appena svegliata ed era la prima volta che aveva la possibilità di parlarle dalla battaglia.
- Sto bene, grazie. Sono stata molto fortunata. Mi hai salvato la vita-
- A buon rendere-
Ariel sorrise.
- Isaac mi ha detto che il tuo braccio se l’e vista brutta- aggiunse Angelica.
- Può darsi, ma finché ci sarà lui a rimettere insieme i miei pezzi posso stare tranquilla!-
- Già…è davvero apprensivo nei tuoi confronti, ha vegliato su di te per tutto il viaggio…-
Stupita, Ariel spalancò gli occhi, tradendo per un attimo la confusione di sensazioni contrastanti che provava: gratitudine e ammirazione, ma anche irritazione e una sana antipatia. Si ricompose, ammonita dall’aria sospettosa dell’amica, rifugiandosi nella sua usuale aura di cinismo.
- Ha di che farsi perdonare- sussurrò.
- Che cosa intendi dire?-
L’arrivo dell’interessato pose fine alla conversazione, ed Ariel ringraziò il cielo per questo. Non aveva nessuna voglia di rendere pubblico il loro diverbio, rientrava in quell’insieme di cose che sentiva troppo personali per condividerle con chiunque. Isaac la guardò dall’alto al basso per qualche lunghissimo secondo, poi posò il suo sguardo su Angelica. Le domandò qualcosa, ma Ariel non afferrò: vedere le sue grandi mani le aveva riportato alla mente le sensazioni provate il giorno prima, nell’ambito dello spiacevole episodio di cui stava appunto parlando pochi momenti prima. Il senso di soffocamento, il dolore, la sensazione di totale impotenza davanti alla forza divina di quelle mani. La paura. Infine, il desiderio di abbandono. Rabbrividì. Abbandono? Aveva davvero sentito una cosa simile, oppure la notte in bianco passata a rimuginare sul fatto aveva modificato la sua percezione del reale? Non riusciva a capire come potesse, lo stesso uomo, averle salvato la vita meno di dodici ore dopo. Le stesse mani l’avevano sottratta al nemico, gli stessi occhi che mandavano scintille d’ira l’avevano accarezzata più e più volte alla ricerca di sintomi di dolore, di mancamenti, di infezioni. Lo stesso Isaac che l’aveva terrorizzata era stato gentile e premuroso, il migliore dei medici. Maledicendo l’incoerenza, Ariel si sedette.
- Ehi, Ribelle!-
Ian fece capolino nella tenda e si lasciò cadere accanto a lei. Aveva un graffio che gli segnava tutta la guancia sinistra.
- È bello vederti tutta intera!- esclamò.
- Anche per me- rispose Ariel concedendogli il suo miglior sorriso.
Ian le piaceva, lui era limpido. Gli si leggeva in faccia quello che pensava. La sua compagnia le liberava la mente.
- Hai chiesto tu di convocare la riunione?- domandò.
- Si, credo che sentire il racconto dell’accaduto direttamente da Neil potrebbe giovare a tutti…-
- Sentiamolo allora!-
Axel entrò seguito da sua moglie, da Eric, Richard e per ultimo Neil. Avevano tutti l’aria molto stanca. Si accomodarono e il mugnaio domandò:
- Che cosa volete sapere?-
- Tutto, anche i dettagli più insignificanti. Qualunque particolare, nella nostra situazione, potrebbe risultare vitale-
Neil si schiarì la voce.
- Vediamo…quando i cavalieri hanno fatto incursione nella nostra riunione, come voi, mi sono gettato nel fiume. Poi, come vi ho detto, ho recuperato il mio cavallo all’accampamento e sono tornato di corsa in città. Avevo con me un cambio d’abiti, quindi al mio arrivo non ho attirato grande attenzione. Arrivato nel cortile di casa ho impastoiato il cavallo. Non ho nemmeno fatto in tempo a togliergli le briglie che mi sono trovato circondato da soldati. “Che succede?” ho domandato. Uno di loro ha risposto “Sei in arresto, Neil il mugnaio, e sarai processato con l’accusa di cospirazione e tradimento”. Ho protestato ma non mi hanno dato ascolto. Ho cercato di scappare ma non ci sono riuscito. Mi hanno legato e imbavagliato e mi hanno portato a palazzo. Mi hanno rinchiuso nelle segrete, e già che c’erano mi hanno lasciato qualche ricordino- segnò orgoglioso i lividi – Durante la notte, una guardia è sempre rimasta davanti alla mia cella. Questa mattina, non saprei dire a che ora perché non c’erano finestre, mi hanno caricato su quel maledetto carro senza dirmi dove mi avrebbero portato. Ero legato molto stretto, non riuscivo a muovermi. Mi dispiace, ragazzi, ma non ho sentito nessuna conversazione che inerisse al nostro problema. Mentre ero in cella c’era una guardia sola a sorvegliarmi, mentre mi spostavano ho sentito parlare di dolci, di un torneo che si terrà la prossima settimana e delle presunte relazioni amorose di Gunnar-
- Grazie Neil. Sei stato eroico- disse Axel.
- Grazie a voi. A quest’ora sarei morto se non mi aveste recuperato-
- Che si fa adesso?- domandò Angelica.
Ariel si schiarì la voce e cambiò posizione. Tutti la guardarono.
- Io un’idea ce l’avrei, ma è solo una misura difensiva-
- Parla- disse Isaac.
“Adesso sei disposto ad ascoltare la ballerina?!” avrebbe voluto urlargli in faccia Ariel, ma si limitò a lanciargli un’occhiata impenetrabile.
- Gunnar ha colpito prima Isaac, poi Neil, poi Angelica…no, non credo sia stato un caso che tu sia finita in mezzo alla battaglia…è evidente che sta stringendo il cappio attorno al collo del direttivo. La mia proposta è di allontanarci dalla Confraternita-
Tutti iniziarono a parlare insieme, impedendo ad Ariel di continuare.
- Silenzio!- tuonò Isaac, riportando la pace.
- Grazie. Lasciatemi finire. Se noi ce ne andremo per qualche tempo, ovviamente non risolveremo nulla, ma per lo meno terremo la talpa lontana dai Ribelli e i civili saranno al sicuro. Tanto, ci troviamo in una fase infinita di stallo, non sappiamo più che pesci pigliare. Teniamo loro al sicuro e cerchiamo di avvicinarci a Glauce per indagare. Oltretutto, in pochi potremo muoverci più facilmente, senza dare nell’occhio, e soprattutto con più velocità-
Un silenzio inquieto accolse le sue parole.
- Probabilmente hai ragione anche questa volta, Ariel, ma l’idea di andarmene…- Axel lasciò cadere la frase.
Daphne gli accarezzò una guancia.
- Chi vorresti con te?- domandò Isaac.
Ariel abbassò lo sguardo.
- Axel, Daphne, Angelica, Neil e te, Isaac. Ian resterà qui e coordinerà il sistema informativo, Richard quello offensivo ed Eric quello difensivo-
- Io ci sto!- dichiarò Angelica.
- Anch’io- disse Eric.
- Io darei l’anima per venire con voi, ma obbedisco- aggiunse Ian posandole una mano sulla spalla.
- D’accordo- confermò Richard.
- Sono in debito con te, farò qualunque cosa mi chiederai- sussurrò Neil.
- Sta bene- la voce ferma di Isaac rimbombò dopo qualche secondo di pesante silenzio.
Daphne sorrise e prese la mano del marito.
- E sia- sentenziò Axel.





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Eccoci qua! Spero di non aver fatto danni nei fantastici copia-incolla di fusione dei capitoli XD
Grazie mille Hareth e Socorro98 per le vostre preziosissime recensioni!! Baciii
 

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Capitolo 19
*** Predatori e prede ***


La compagnia procedeva in totale silenzio. Ognuno era perso nei propri pensieri, consapevole di una cosa: viaggiando soli erano più vulnerabili. Ma la determinazione che pervadeva il volto di ognuno di loro testimoniava la piena convinzione nella scelta effettuata.
Il sole stava sorgendo, e faceva un freddo cane. Ariel si strinse di più nello scialle blu che Axel le aveva gentilmente regalato, dicendo che si intonava troppo bene con i suoi occhi per lasciarlo chiuso in un vecchio baule. Al suo fianco pendeva la spada che le aveva salvato la vita. Sospirò. Aveva pensato molto alla possibilità di lasciare l’accampamento e, di volta in volta, i pro avevano duellato strenuamente con i contro. I contro avevano resistito con fierezza, ma alla fine avevano dovuto cedere. Erano giunti ad un punto morto. La talpa li teneva in pugno. Se dovevano rischiare, tanto valeva mettere al sicuro i Ribelli. Li avevano lasciati in ottime mani: Richard ed Eric erano uomini di Re James, Ian…perché Ian aveva dovuto restare nella vallata fiorita? Era davvero insostituibile come coordinatore delle sentinelle? Naturalmente no, aveva solo tredici anni, per quanto potesse essere sveglio e determinato era molto, troppo giovane. Proprio per questo doveva restare.
 
- Sei sicura che non mi vuoi con te?-
Ian aveva guardato Ariel con i suoi occhioni nocciola, da cucciolo. Col cuore grave, lei aveva dovuto deglutire varie volte prima di riuscire a rispondergli.
- Tu mi servi qui-
- Sappiamo entrambi che non è vero-
Ariel abbassò lo sguardo.
- Ian…tu…io…perché vuoi mettermi in difficoltà?- farfugliò.
- Lo sai, vero, che non sono più un bambino?- disse posandole le mani sulle spalle.
Ariel arrossì.
- Si, Ian, lo so…ma ti prego, non insistere…è stata una decisione molto sofferta. Ci tengo troppo a rivederti tutto intero-
La bocca del ragazzo si stiracchiò in un sorriso amaro.
- Sicura che sia per questo?-
- Per cos’altro?-
Ian esitò. Infine capitolò.
- D’accordo, allora. Se questo ti farà sentire più tranquilla starò qui e farò il bravo.- sorrise – In bocca al lupo, Ariel- aggiunse abbracciandola stretta.
Colta alla sprovvista, la ragazza ricambiò l’abbraccio. Se ne andò senza aggiungere nulla. Il nodo alla gola le impediva di parlare.

 
C’erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli prima di partire. Perché non l’aveva fatto? Perché non gli aveva detto di stare attento, di non fidarsi di nessuno, di non muoversi mai da solo? Un brivido la percorse al pensiero di non rivedere più quegli occhi sorridenti. No, un cucciolo testardo e ansioso di mettersi alla prova come Ian non avrebbe dovuto trovarsi lì…
- Stai bene?-
Angelica la guardava, preoccupata. Annuì. La nausea non le permetteva molta più espansività.
- Sono sicura che tu abbia fatto la cosa giusta-
- Lo credi davvero?-
Angelica annuì con un sorriso incoraggiante.
- Siete pronte, ragazze? Fra pochi minuti potrete godervi una visione del panorama più bello di tutta Diamantina!- disse Axel, ponendo fine al piccolo conflitto interiore di Ariel.
E non esagerava. La ragazza trattenne il respiro e sentì il cuore aprirsi, trovandosi sul ciglio di un dirupo che si gettava in una valle di polle d’acqua. Accanto a lei, una cascata azzurra precipitava gettando schizzi dappertutto e facendole rombare le orecchie. Il sole rifletteva i suoi raggi obliqui sui laghetti, facendo sembrare quella grande distesa di acqua un mare di oro fuso. L’arcobaleno abbracciava la roccia e gli uccelli volavano spensierati.
- Siamo in Paradiso?- mormorò.
- Questa è Valle Luce. La cascata che forma i laghi è, appunto, in fiume Luce, e si getta nel Fiume degli Spiriti due giorni di viaggio più a nord- spiegò Isaac.
Ariel continuava a fissare la valle a bocca aperta.
- Non cadere in catalessi, non sono attrezzato anche per quello!- esclamò il medico con un ghigno prima di seguire il gruppo, che si avviava verso il fondo della valle.
Riscuotendosi, Ariel lo rincorse. Altro che i Peaks! Quel posto era il giardino dell’Eden!
 
La discesa si rivelò faticosa. Il sentiero che costeggiava il fianco della cascata era ripido e scosceso, e i ciottoli non offrivano molti appigli. Le scarpe di cuoio leggero, poi, non erano fatte per simili sollecitazioni. Ariel rimpianse gli scarponcini da montagna abbandonati nella cantina del suo appartamento a Londra. Erano a metà strada e il sole splendeva limpido sopra di loro, disegnando cortissime ombre, quando la ragazza fu attraversata da uno dei suoi famigerati brividi. Senza pensarci due volte spintonò Isaac, che procedeva dietro di lei, nella boscaglia a margine del sentiero e fece cenno ad Axel di fare altrettanto con gli altri. E attese. I secondi passavano senza che si udisse alcun rumore a segnalare una presenza estranea.
- Sicura che…- sussurrò Isaac, ma Ariel gli tappò la bocca con una mano.
La Galassia vibrava di nervosismo. Dopo diversi minuti un bisbiglio ruppe il silenzio surreale. Ariel sentì Isaac irrigidirsi al suo fianco. Pregò che anche Axel, poco più avanti sul sentiero, avesse sentito. Passarono altri interminabili secondi. Il respiro leggermente accelerato di Isaac l’unico rumore.
Poi apparvero.
Tre uomini si guardavano attorno, circospetti. Tiravano un mulo carico d’acqua, cibo e armi di riserva. Istintivamente, Ariel si strinse al fianco di Isaac.
- Non possono essere andati tanto avanti- sussurrò il primo uomo.
Il secondo rispose:
- Credete che ci abbiano scoperti?-
- No, è impossibile. Siamo stati attenti. Ed erano abbastanza lontani da non sentire rumori-
Scosse il capo ripetutamente. Il secondo uomo, non ancora convinto, disse:
- Tu cosa ne pensi, Jack?-
Il terzo uomo lo guardò con aria di superiorità.
- Smettetela di fare domande inutili. Tanto, gli ordini sono di scendere fino alle polle. Se vogliono raggiungere Glauce, la via più semplice è questa, e tre di loro sono donne. Non cambieranno strada, nemmeno se scopriranno di essere seguiti-
- D’accordo, ma se tu sapessi di essere seguito non cercheresti di eliminare l’inseguitore? Prendendolo alle spalle, magari?-
Il secondo uomo era ancora dubbioso. Il terzo si fermò bruscamente e lo prese per la collottola, tirandolo a sé.
- Se non smetti di piagnucolare sarò io ad eliminarti! Adesso ascoltami bene, razza di idiota: non sanno ancora della nostra presenza, perché è evidente che non si sarebbero fermati a godersi il panorama, in caso contrario. E la discesa è faticosa, perciò non hanno avuto il tempo di guardarsi alle spalle. I sassi sdrucciolano, facendo rumore, che copre quello prodotto da noi. Anche perché siamo ancora troppo lontani per essere notati. Adesso basta storie, muoviamoci prima di perderli davvero!-
I tre si rimisero in marcia, superando il nascondiglio di Ariel ed Isaac prima, e quello degli altri poi.
 
Lasciarono passare diversi minuti prima di muoversi. Era vitale che quegli uomini continuassero a pensarli davanti. Ariel  guardò Isaac di sottecchi e rabbrividì. Aveva lo sguardo fisso, cupo, furente. Era agghiacciante. Facendo appello a tutto il suo coraggio gli posò una mano sull’avambraccio. Lui spostò lentamente l’attenzione su di lei. Gli occhi di ossidiana si addolcirono appena.
- È davvero utile questa tua capacità- sussurrò.
- Trovi?-
Ariel si alzò e si sistemò la gonna mentre il resto del gruppo li raggiungeva.
- Tutto questo è davvero inquietante- sospirò Axel.
- Cogliamoli alle spalle, prima che si accorgano che non siamo più dove dovremmo essere!- esclamò Daphne.
- Non esiste!- sbottò Ariel. – Per il momento dobbiamo lasciare che ci credano ignari di loro-
Daphne fece per ribattere, ma Isaac le posò una mano sulla spalla, zittendola.
- Ha ragione, Daphne. Non sappiamo se ci siano altri uomini sulle nostre tracce e chi li abbia incaricati di seguirci…-
- …e nemmeno che intenzioni abbiano!- aggiunse irritata Angelica.
Pratico come di consueto, Axel notò:
- Hanno delle provviste. Se hanno in programma un cambio della guardia non deve essere tanto presto-
Ariel sospirò.
- Sapete cosa mi preoccupa più di tutto? Siamo partiti da meno di dodici ore, e già ci stanno alle calcagna. Con un asino non possono essere arrivati da Glauce dopo che abbiamo deciso di partire, non ne avrebbero avuto il tempo. Questo significa che erano già nei paraggi, pronti per una simile evenienza. Hanno un mucchio di cose con loro, quindi dovevano trovarsi in un accampamento con, almeno, una dispensa. Ma in questo caso ci devono essere degli altri uomini appostati non troppo lontani dalla nostra base. Possibile che non li abbiamo scoperti?!-
Ariel lasciò cadere la domanda. Dopo una manciata di secondi che sembrarono ore, Neil domandò:
- Quindi che si fa?-
Ariel si premette le nocche sulle tempie. Aveva un’emicrania tremenda.
- Secondo me, per il momento ci conviene seguirli da lontano. Quando arriveranno alla valle si renderanno conto che siamo spariti, e spero non prima. A quel punto si accamperanno e valuteranno il da farsi. È evidente che le opzioni potrebbero essere due: li abbiamo scoperti e/o abbiamo cambiato strada, oppure li abbiamo scoperti e stiamo preparando un’imboscata. Accenderanno un fuoco e aspetteranno che ci tradiamo: un movimento, una luce, una voce…Ma noi ci terremo sul pendio, a portata d’occhio, nel buio. Quando calerà la notte non faremo nulla. Loro si agiteranno, inizieranno a sentire rumori anche dove non ci sono, e inizieranno a dubitare dei loro stessi sensi. Quando, infine, la stanchezza farà abbassare loro la guardia, attaccheremo. Conviene fare prigionieri, Axel, secondo te?-
Axel si grattò il capo, pensoso.
- L’uomo spavaldo è pericoloso e va sicuramente eliminato. Secondo me conviene salvare solo il fifone…da solo avrà paura e, forse, riusciremo a spillargli qualche informazione utile. Per esempio chi sia il loro informatore, dove siano accampati (perché mi pare evidente che anche i Ribelli sono in pericolo) e che intenzioni abbiano-
Ariel annuì.
- D’accordo. In marcia allora. Ma attenti! Dobbiamo stare sempre riparati e non perderli mai di vista. Si ci scoprono sono guai!-

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Capitolo 20
*** Chi spia chi? ***


La discesa diventò, se possibile, ancora più disagevole. Tenendosi al limitare dei boschi, si mossero lentamente e silenziosamente. I tre uomini erano sempre più sospettosi e perplessi, anche quello più sicuro di sé iniziava a guardarsi attorno con sempre maggiore frequenza. E loro dovevano evitare, in tutti i modi possibili, di essere visti. E, insieme, non potevano permettersi di perderli di vista. Quando il pendio divenne troppo scoperto, Isaac suggerì un cambio di tattica. Il gruppo avrebbe continuato la discesa al riparo della vegetazione mentre, a turno, uno degli uomini si sarebbe tenuto in una posizione che offriva una visuale pulita. Axel aveva con sé un mantello dello stesso colore del pietrisco su cui si muovevano, poteva essere utilizzato per mimetizzarsi quando gli uomini si fossero voltati indietro.
E così fecero.
Nelle difficoltà e nella circospezione della discesa trascorse l’intera giornata. Quando il sole fu inclinato sull’orizzonte, i tre soldati avevano raggiunto la valle e avevano acceso un fuoco.
- Indicazioni, capo-
Axel la guardava di sbieco. Con un occhio continuava a controllare il focolare attorno al quale tre ombre si muovevano. Ariel deglutì. Anche se poteva dirsi notevolmente migliorata nella relazioni interpersonali, prendere decisioni così, su due piedi, le riusciva ancora difficilissimo. Isaac ghignò della sua indecisione.
- Che c’è? Il nostro esperto stratega non sa scegliere?-
Ariel evitò di guardarlo, anche se l’avrebbe volentieri percosso con un sasso. Sperava che nell’aria che si faceva azzurra non si notassero le lacrime che tratteneva. Doveva smettere di piangere per qualsiasi cosa, faceva pessime figure. Questo non impedì ad Angelica di assestare un bel calcio in uno stinco al medico, che non batté ciglio.
- Accampiamoci qui, per il momento.- disse infine – Niente fuochi, solo cibi freddi stasera. Se staremo vicini non dovremmo patire nemmeno troppo il gelo-
- E poi?- domandò impaziente Daphne.
- E poi aspettiamo. Quando la luna sarà alta, ci avvicineremo un po’. Quando uno dei tre si allontanerà dal fuoco, e prima o poi succederà, credetemi, potremo permetterci di osare di più, perché se anche dovessimo fare rumore gli altri due lo attribuirebbero al loro compagno. A quel punto, neutralizzeremo quello da solo, e badate: se è quello impaurito ci serve vivo, e successivamente gli altri due-
Axel annuì.
- Senza fuoco patiremo molto freddo…- disse Neil.
Ariel abbassò gli occhi.
- Lo so, ma non vedo alternative…-
- Lo stratega ha parlato, amici!- esclamò Daphne – Diamoci da fare con mantelli e coperte, forza, per lo meno saremo seduti su qualcosa di caldo!-
Le ragazze utilizzarono le coperte, i mantelli di riserva, tutto il possibile per dare l’impressione di un rifugio accogliente. Neil razionò formaggio, pane secco e frutta e cenarono così, al buio, schiacciati l’uno contro l’altro per cercare di scaldarsi.
 
Quando Ariel aprì gli occhi era notte fatta. Daphne dormiva accanto a lei e Angelica confabulava, piano, con Neil. Non ricordava di essersi addormentata. Si avvicinò a loro e si guardò attorno. Nessuna traccia di Axel ed Isaac. Guardò la luna, che splendeva piena, e fu assalita dal senso di vertigine.
- Ditemi che non è come penso- sussurrò.
Angelica la guardò con apprensione.
- Perché quella faccia?-
- Perché?! Perché il mio piano era pensato per essere attuato da sei persone, non da due!- esclamò.
- Non ti preoccupare- intervenne Neil – sono abituati a questo tipo di azione, andrà tutto bene. E poi non crederai davvero che ti avrebbero lasciata partecipare!-
Ariel guardò verso il fuoco preoccupata. Che stupida, come aveva potuto addormentarsi in un momento simile? La Galassia vibrò. Ariel la fissò sorpresa.
“Sei stata tu? Sei stata tu a farmi addormentare?!”
La Galassia vibrò di nuovo.
“Perché l’hai fatto?”
“Non avresti potuto essere d’aiuto. Avresti insistito per andare e, alla fine, Axel avrebbe ceduto. Entrambi sarebbero stati troppo in ansia e la missione sarebbe stata a rischio”
“Che stratega è uno che non sa nemmeno dove si trovano i suoi uomini?” pensò sconsolata.
“Devi avere più fiducia in loro”
Ariel sospirò. Quante persone c’erano attorno al falò? Erano ancora tre, oppure i suoi occhi la tradivano?
 
Non è incredibile come, quando si attende qualcosa con ansia, il tempo sembri fermarsi? Come quando, da bambini, si aspetta la mezzanotte della Vigilia di Natale, e si è impazienti di scartare i propri doni, e si continua a domandare agli adulti “quanto manca?”, per poi scoprire, ogni volta, che dall’ultima domanda è passato un solo minuto…strana cosa il Tempo. Dotato di una propria volontà.
Come la Galassia.
La Galassia che pensa, la Galassia che parla, la Galassia che decide. La Galassia generosa e la Galassia tiranna. La Galassia che sceglie una ragazzina spaventata come Custode, che la getta in un mondo che le è lontano secoli, eppure che le appartiene, che le è diventato indispensabile come l’aria che respira. Indispensabile come gli occhi intelligenti di Angelica, che in quel momento la stavano fissando corrucciati di apprensione. Ariel distolse lo sguardo. Non avrebbe più reagito come una bambina, se l’era giurato. Allora perché le veniva da piangere? Per la preoccupazione, per la stanchezza, oppure perché la notte, per lei, era sempre un momento particolare? Il momento della riflessione, dell’esame di coscienza, del ricordo? Forse era solo la tensione che la stava distruggendo. Chi era la spia? Ogni giorno che passava era sempre più confusa. Troppi pezzi mancanti, ancora, in quel puzzle. L’unica cosa che, come un mantra, continuava a ripetersi era “non è lei”. Non c’era un motivo particolare per cui non  avrebbe dovuto trattarsi di Angelica. Anzi, era senza dubbio abbastanza scaltra da saper reggere il doppio gioco. Ma Ariel non sarebbe riuscita a sopportarlo. Ecco qual era il prezzo della confidenza: la perdita dell’obiettività.
 
- Guardate!-
Neil segnava con l’indice le ombre attorno al fuoco. Una si stava muovendo. Uno dei tre uomini si era alzato. Si stiracchiò e si allontanò nell’ombra della prima vegetazione. Ariel trattenne il respiro. Era il momento.
I minuti passavano senza che l’uomo ricomparisse. Gli altri due si guardavano attorno, sempre più inquieti. Lo chiamarono, nel silenzio della notte le loro voci raggiunsero i Ribelli. Nessuna risposta. Silenziosa come una gatta, Daphne comparve accanto ad Ariel.
- Ci siamo?- sussurrò.
La ragazza annuì. Attesero.
Un secondo uomo si alzò e si addentrò titubante nel bosco alla ricerca del compagno. Ariel soffocò un’imprecazione. Dove erano finiti Axel ed Isaac? Avevano perso l’occasione di colpirli insieme. Poi, un urlo lacerò la notte. L’uomo che si era allontanato per secondo ricomparve correndo e gridando. Quello che non si era mosso balzò in piedi e sfoderò la spada. Ma non poté percorrere molti passi in direzione dell’altro prima che un pugnale lanciato con perizia e precisione millimetrica si conficcasse nella sua gola. L’uomo cadde, privo di vita. Ariel deglutì, assalita da un improvviso senso di nausea. L’unico superstite si ritrovò bloccato: Isaac davanti, spada in pugno, ed Axel dietro, con un secondo pugnale pronto a scattare. Si guardò attorno, in preda al panico.
- Axel è famoso per i suoi pugnali in tutta la Contea!- disse Daphne con un sorriso sadico.
Ariel sorrise a sua volta. Quella donna non finiva mai di sorprenderla. Infine, il soldato si lasciò cadere sulle ginocchia e gettò l’arma, alzando le mani. Axel si avvicinò con cautela, lo perquisì e lo legò bene. Poi lo fece alzare e, aiutato da Isaac, lo trascinò su dal pendio, verso il loro accampamento.
Ariel attese pazientemente l’arrivo del prigioniero. Quando, finalmente, gli uomini li raggiunsero, gettarono il soldato a terra con un tonfo e un gridolino. Questo roteò gli occhi da un volto all’altro, fu scosso da un brivido e svenne. Tentarono di svegliarlo, ma non vi riuscirono. Valutando che non fosse abbastanza sveglio da simulare uno svenimento, lo lasciarono lì, con il proposito di interrogarlo non appena si fosse ripreso, e si distribuirono i compiti: Ariel ed Angelica avrebbero acceso il fuoco, Neil ed Isaac sarebbero tornati all’accampamento nemico a trafugare tutto ciò che poteva rivelarsi utile, Daphne avrebbe rimesso in sesto una mano ferita di suo marito.
Così, quando il prigioniero rinvenne, furono tutti pronti ad accoglierlo.
Axel si ergeva in tutta la sua statura, mani sui fianchi, sguardo di pietra.
- Sai chi sono?- domandò con un tono di voce che fece rabbrividire anche Daphne.
- S-s-si- balbettò l’uomo facendosi piccolo, piccolo.
- È Gunnar che ti manda?-
Annuì convulsamente, a testa bassa.
- Quanti altri sono sulle nostre tracce?-
- Io-io-io…-
- Parla!- tuonò Axel.
- Io…non lo so! Credimi, Signore, non lo so!-
Il Principe si accigliò.
- Dove eravate accampati?-
L’uomo sbiancò e cominciò a tremare.
Preso dall’irritazione, Axel gli voltò le spalle per rivolgere una domanda ad Ariel. Ma proprio in quel momento, con un guizzo improvviso, il prigioniero si lanciò su di lui brandendo un coltello. Un secondo dopo, la lama della spada di Isaac era conficcata nello stomaco del soldato.
- No!- urlò Axel, e si precipitò sull’uomo, ma questi aveva già perso conoscenza.
Axel spostò lo sguardo, furioso, su Isaac.
- L’hai ucciso! Isaac, l’hai ucciso! Dovevo interrogarlo!-
Isaac lo guardò stupito per qualche secondo prima di rispondere:
- Dovevo lasciare che ti pugnalasse?!-
Axel imprecò. Balzò in piedi e cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro.
Ariel si sentiva persa: non aveva mai visto il Principe litigare con Isaac e, ingenuamente, non lo credeva possibile. Cercò di svuotare il cervello. Cercò di canticchiare qualcosa tra sé, per non pensare al corpo senza vita dell’uomo che le stava davanti, al sangue che si stava spargendo ovunque, all’odore metallico che la nauseava. Represse un conato di vomito. Niente bambinate, si ripeté. Come faceva quel motivetto che continuava ad assillarla da qualche giorno ininterrottamente?
- Ariel, vieni con me!-
Axel la prese per un polso e la trascinò via di forza dal fuoco.
- Mi fai male!- si lamentò, ma lui non la lasciò andare.
Si addentrò nel bosco buio, e per quanto lei si divincolasse la sua presa era troppo forte. Quando finalmente si fermò e si volse verso di lei, i suoi occhi di miele erano lucidi della lacrime che gli correvano giù lungo le guance.
- Axel…- sussurrò Ariel.
Il Principe sospirò.
- Io ho legato quell’uomo, Ariel! L’ho legato bene! E prima di legarlo ho verificato minuziosamente che non avesse armi nascoste addosso. E non ne aveva…ti giuro che non ne aveva!-
Ariel comprese. Solo lui ed Isaac si erano avvicinati al prigioniero.
- Axel, io…non riesco a crederlo…-
Il ragazzo scosse il capo, disperato.
- Eppure non vedo soluzione. L’ha ucciso, Ariel, ha ucciso l’unica persona che poteva darci qualche informazione-
Ariel chinò la testa sopraffatta dal panico. Non sapeva cosa pensare. Axel aveva ragione, era tutto molto sospetto, troppo sospetto.
- Io credo che una persona con l’esperienza di Isaac avrebbe saputo ottenere lo stesso risultato senza attirare tutti i sospetti su di sé- disse.
Axel la guardò. Era distrutto.
- Tu sei la persona che ci conosce di meno. Credi che qualcuno di noi si sia comportato in modo più sospetto?-
Deglutì.
- No- rispose.
- Io…non riesco a pensare che l’uomo che ho sempre considerato un fratello, che mi ha insegnato a combattere e a comandare possa avermi tradito…-
- Se devo essere sincera, io non credo che l’abbia fatto. Sai che io non ho un buon rapporto con lui, il mio parere è disinteressato. Non credo che sia una spia. Insomma, è vero, ha fatto tutto quanto era nelle sue capacità per rimandarmi a casa, ma quando avrebbe potuto liberarsi definitivamente di me non l’ha fatto, mi ha salvato la vita. Molte volte. E poi, hai visto come ti guarda? Ti vuole bene, Axel, è talmente evidente! No, non è lui…deve esserci un’altra spiegazione ai fatti di questa notte…-
Axel si grattò il capo.
- Ci sono due possibilità: o durante la mia perquisizione non ho trovato il coltello e si è liberato con quello, oppure qualcun altro l’ha aiutato. Chi ne ha avuto modo?-
- Tutti, Axel. Tutti fino a quando io ed Angie non siamo riuscite ad accendere il fuoco-
- C’era buio, giusto…-
Axel la prese per mano.
- Scusa se ti ho fatto male. Promettimi che terrai d’occhio Isaac, ti prego. Io…non ne sono capace-
Ariel annuì e tornarono insieme all’accampamento.

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Capitolo 21
*** Il cerchio e la botte ***


Alle prime luci il viaggio riprese. Axel era imbronciato e sua moglie gli restava accanto, silenziosa. Pronta a farsi in quattro per lui quando ce ne fosse stato bisogno. Ma sapeva bene che quando suo marito era sulle sue, lì bisognava lasciarlo. Neil procedeva dietro di loro, canticchiando tra sé. Cantava spesso, il mugnaio, e aveva davvero una voce niente male, pensò Ariel, che camminava a pochi passi da lui. Alle sue spalle sentiva i passi leggeri di Angelica e, anche se non faceva rumore, sapeva che Isaac chiudeva la fila. La bellissima Valle Luce aveva perso un po’ del suo fascino dopo gli avvenimenti di quella notte. All’infinita distesa di laghi si sovrapponeva l’immagine del soldato che era morto a pochi passi da lei, e del suo compagno, il cui corpo giaceva ancora accanto ai resti del fuoco. Che ne era stato del terzo uomo? Non era difficile immaginarlo. Era naturale che i Ribelli fossero anche assassini, quella era una guerra, dopotutto, e in guerra si muore o si uccide. Nessuno meglio di lei poteva saperlo. Eppure trovarsi lì, sul campo, era tutta un’altra cosa. E quel delitto era stata lei stessa ad organizzarlo! Che cosa avrebbe pensato sua madre di lei? Sospirò. Non riusciva a smettere di pensare alle parole di Axel. Nessuno si era comportato in modo più sospetto di Isaac.
“È ridicolo!” pensò.
“Io non ci trovo niente di ridicolo” la voce della Galassia le scaldò la mente.
“Ma tu non dormi mai?!” domandò irritata.
“No” disse semplicemente.
“Tu sai chi è, vero? Lo sai dall’inizio…”
“È così” rispose.
“Capisco che tu abbia buone motivazioni per non rivelarmi la verità, ma non ti pesano i morti, le vittime, gli uomini e le donne che sono stati uccisi e che lo saranno?”
“Mi pesano, si. Ma non è tempo. Non ancora. L’equilibrio è delicato, Ariel. Dentro di te hai tutti gli elementi per risolvere questo problema, e quando sarà giunta l’ora troverai il tuo posto…”
Il calore della Galassia si ritirò, lasciando Ariel corrucciata. Mai come in quel momento aveva mal sopportato di essere tenuta allo scuro di qualcosa. Dentro di lei c’erano gli elementi? Che cos’era che non riusciva a vedere? Che cosa era successo quella notte? Lei stessa aveva visto Axel perquisire il prigioniero, e non lo credeva tanto sprovveduto da tralasciare un dettaglio come un pugnale. Isaac lo aveva aiutato a trasportare l’uomo. Chi altri si era avvicinato? Di nuovo Isaac, quando era svenuto aveva controllato i segni vitali. Il medico e Neil, poi, si erano allontanati per diversi minuti. In quel lasso di tempo ognuno si era occupato di qualcosa. Lei e Angelica dovevano accendere il fuoco, e ci avevano messo secoli. Angelica si era allontanata a cercare legnetti secchi. Era buio pesto, poteva benissimo averne approfittato per aiutare il prigioniero. Daphne intanto aveva curato Axel. Al ritorno del marito ci aveva messo un po’ a trovare il pacchetto con le sue erbe a causa dell’oscurità. Aveva praticamente messo a soqquadro tutto l’accampamento. Poteva aver lasciato cadere un coltello accanto allo svenuto? Poteva. Al ritorno degli altri il fuoco era acceso, e l’uomo iniziava a svegliarsi. Apparentemente, l’unico a non aver avuto l’opportunità sembrava essere Neil. Ariel si massaggiò le tempie. Nella loro condizione era già quello di per sé un motivo di sospetto. Ad ogni modo, Axel aveva ragione: Isaac aveva avuto veramente tante occasioni di passargli il pugnale. Senza contare che era stato proprio lui a controllare che il prigioniero fosse veramente svenuto! Era svenuto davvero? Oppure fingeva? Ariel scosse il capo. Anche Daphne aveva dei rudimenti di medicina, se ne sarebbe accorta. Che gran casino!
Una mano le si posò sulla spalla facendole fare un salto.
- Guarda!- gli occhi di Angelica brillavano – Quello è il lago Talvit, il più grande della Penisola della Foce. Non è bellissimo?-
Ariel si fermò per godersi meglio lo spettacolo. La superficie dorata dell’immenso lago si increspava sotto il vento lasciando intravedere il suo reale colore blu. Gli uccelli galleggiavano pacifici e ogni tanto infilavano la testa sotto il pelo dell’acqua in cerca di pesci. Era davvero molto bello. Improvvisamente, tutti gli uccelli si alzarono in volo, oscurando il sole, al suono rauco di un grido che si levava dall’ultimo baluardo di bosco accanto a loro.
Ariel sfoderò istintivamente l’arma, così come i suoi compagni. Gli uomini si strinsero attorno alle ragazze, ma non poterono evitare la sorpresa quando un gruppetto di persone calò su di loro. Ariel strinse la spada. Era evidente che quelli non erano uomini di Gunnar: erano disorganizzati, i loro vestiti erano laceri e sporchi, le loro lame arrugginite.
L’impatto costò caro a molti di loro. Dopo pochi minuti si trovarono in meno di metà. Nella mischia, un uomo con la barba bianca puntò Ariel. Le gambe le tremavano ma era pronta a combattere. Il vecchio attaccò, ma lei parò il colpo senza grande sforzo. Rispose con un fendente un po’ troppo lento, ma pure il suo aggressore lo era. Riuscì a ferirgli una spalla, seppur lievemente. L’uomo la guardò scioccato, si voltò e corse via. Cosa che tutti cominciavano a fare. Nel giro di pochi minuti tutti i superstiti avevano battuto la ritirata. Era evidente che non si aspettavano resistenze.
- Chi cavolo erano quelli?!- domandò Ariel, quando erano ormai tutti scomparsi nel bosco.
Daphne stava pulendo il sangue dal suo pugnale sulla casacca di una vittima.
- Briganti- rispose – devono averci visti in marcia con delle provviste e considerata la percentuale di donne avranno pensato bene di arricchirsi con le nostre proprietà…-
- È una cosa che capita spesso?- domandò Ariel.
- Ogni tanto…- Daphne fece spallucce, come fosse la cosa più normale del mondo.
Scuotendo la testa, Ariel attese che tutti fossero pronti a ripartire.
Axel le aveva chiesto di controllare Isaac, e lo stava facendo, anche se aveva l’impressione che lui lo sapesse. Aveva accusato il colpo. Dalla notte prima non aveva ancora detto una parola che non fosse strettamente necessaria, teneva lo sguardo basso. Faceva di tutto per stare lontano da Axel. Ariel sospirò. Era assurdo anche solo pensare che un uomo come Isaac, che rischiava la vita da diciotto anni per quella causa, potesse essersi alleato con Gunnar. Cosa poteva avergli promesso? Oro, potere, una carica prestigiosa? Tutte cose che anche Axel gli avrebbe dato. Donne? Non aveva certo bisogno dell’aiuto di Gunnar per ottenerle. Se semplicemente si fosse stancato di quella vita avrebbe potuto andarsene. Il mondo è grande. No, non le tornavano i conti.
Riprendendo la marcia Ariel si tenne in fondo alla fila. Da lì avrebbe potuto vedere meglio, controllare i movimenti dei suoi compagni e notare eventuali anomalie. Non si era mai fatta riguardi a studiare le persone che la circondavano, ma quella volta si sentiva veramente un verme. Il suo tentativo di chiudere la fila non passò inosservato. Isaac le si affiancò e la lasciò passare. Lei si fermò e lo guardò dubbiosa.
- Non fare quella faccia, non mi fido a farti fare da retroguardia. Cerchi sempre di ammazzarti nei momenti meno opportuni-
Ariel si limitò ad alzare un sopraciglio e non si mosse. Isaac sospirò e le fece cenno di proseguire accanto a lui. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Quel suo desiderio di restare isolato non deponeva affatto in suo favore, si appuntò Ariel.
- Lo so che vuoi tenermi d’occhio, ma non c’è bisogno di mettersi in pericolo per farlo, ti pare?-
Ariel lo ignorò e proseguì in silenzio. Forse poteva anche avere ragione, ma non lo avrebbe perso di vista, nemmeno un attimo.
- Axel crede che tu sia una spia- disse dopo lunghissimi minuti di pesante silenzio.
Isaac la guardò in tralice.
- Fa bene a sospettare di me. Questa notte ho combinato un vero disastro. Tu cosa pensi?-
- Da quando ti interessa il mio parere?- rispose acida.
- Da quando ne dipende la mia vita-
Il tono sarcastico del medico non le piacque per niente. Ariel evitò il suo sguardo. Il paesaggio intorno a loro stava cambiando. La vallata scompariva per lasciare posto ad una pianura sconfinata. Il vento era fresco. Le catene montuose non dovevano essere molto lontane.
- Io non sono d’accordo- concluse.
Isaac si arrestò, costringendola a fare altrettanto. In un sussurro appena udibile, disse:
- Qualunque cosa dovesse succedere a me, Ariel, tu resta accanto al Principe. È troppo ingenuo, troppo impulsivo…qualunque cosa accada, tu ragiona anche per lui, sono stato chiaro? Tieni sempre gli occhi bene aperti, non lasciare mai che la tua ottima capacità di giudizio sia influenzata dalle tue simpatie…-
Isaac lasciò vagare gli occhi scuri sull’orizzonte sterminato. Non si accorse quindi che Ariel lo fissava a bocca aperta. Perché diceva quelle cose? Temeva che gli potesse succedere qualcosa? Temeva che Axel potesse liberarsi di lui?
- …non fidarti mai ciecamente nemmeno dei tuoi più cari amici…e non dare per scontato che io sia una brava persona solo perché mi devi la vita- concluse riprendendo la marcia.
Ariel rimase per un attimo inebetita, così dovette rincorrerlo.
- Qualche vita- corresse. – E poi, non preoccuparti, se temi di essermi abbastanza simpatico da condizionare il mio giudizio sei in una botte di ferro!- aggiunse con un sorriso che avrebbe voluto essere ironico ma risultò un po’ troppo tirato.
Isaac ghignò divertito sapendo che le parole della ragazza non si allontanavano di molto dalla verità.
 
Ariel non credeva di poter camminare tanto a lungo. Dopo un momento di crisi in cui le gambe avevano minacciato di cederle, aveva iniziato a muoversi meccanicamente, come per inerzia. Il clima era teso, perciò il pranzo fu consumato velocemente. La totale mancanza di ripari era uno svantaggio, ma a suo modo anche un vantaggio: nessuno avrebbe potuto seguirli a loro insaputa. A meno che non piovesse su di loro l’intero esercito, avrebbero saputo difendersi.
- Di preciso, dove stiamo andando secondo te?-
Angelica scoppiò a ridere.
- Verso est. Stanotte ci accamperemo qui vicino e da domani risaliremo verso nord. Se non troveremo intoppi, dovremmo impiegarci una settimana, più o meno, per raggiungere Glauce-
- Così poco?-
- Viaggeremo fuori dal bosco, attraverso la miriade di paesini che costella la Contea, fino al grande porto. Da lì, in un giorno soltanto di cammino saremo in città-
Ariel si accigliò.
- Niente bosco?!-
- Perché, ne sentirai la mancanza?-
- Per carità! Solo mi domandavo se non sia più pericoloso viaggiare in mezzo alla gente…-
Angelica si allontanò dagli occhi un ciuffo con un gesto caratteristico.
- Sulla costa non arrivano molte notizie di quello che accade nella capitale. Sono abituati ad ogni tipo di persone, sono mercanti, noi non daremo nell’occhio. E poi, chi si aspetterebbe che facessimo una scelta così avventata?-
Tutti quelli che la talpa avviserà, pensò Ariel con una vertigine di preoccupazione.
Camminarono fino a pomeriggio inoltrato senza incontrare ostacoli. Quando le ombre si allungavano, Axel prese Ariel da parte.
- Allora?- domandò.
Non c’era nessun bisogno di precisare.
- Tutto nella norma- rispose Ariel.
Il ragazzo sospirò.
- Axel, non credi che sarebbe meglio attraversare i boschi per raggiungere Glauce?-
- Non arriveremmo più…-
- Lo so, ma hai pensato a cosa potrebbe succedere se la talpa avvisasse del nostro arrivo?-
Axel si incupì.
- Si, ci ho pensato. È un bel problema. Hai notato le tracce di carri che abbiamo incrociato appena fuori dalla valle?-
Le aveva notate, eccome! Erano recenti. Chi mai passerebbe con un carro in una zona semi desertica e popolata da banditi?
- Non credo sia una buona idea, Axel- tornò a ripetere.
- Ne riparleremo domani, va bene? Siamo arrivati!-

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Capitolo 22
*** L'Abbazia del Vento ***


Un complesso di rovine si stagliava fiero contro il cielo che tendeva ormai al blu. Una struttura imponente lasciata lì, sola, una carcassa di pietra annerita che urlava vendetta. Ariel spalancò gli occhi e la bocca di fronte a quello spettacolo inquietante.
- L’Abbazia del Vento. O quello che ne resta…-
Axel si incamminò fra le rovine, seguito dai compagni.
- Che cosa è successo qui?- domandò Ariel.
L’immagine di infinita tristezza che le si era presentata l’aveva colta totalmente impreparata. La profonda desolazione le fece venire le lacrime agli occhi.
- Questa è stata la roccaforte della Confraternita per molto tempo. Ma Gunnar l’ha scoperto…- la voce di Isaac si spezzò.
La ragazza lo guardò sorpresa. Era la prima volta che si mostrava per quello che era: un uomo, niente di più e niente di meno, con i suoi punti deboli e le sue fragilità, per quanto bravo potesse essere a nasconderli.
- Dannazione!- imprecò Isaac.
Ariel si riscosse e sospirò.
- Che cosa ha fatto Gunnar?-
Isaac si chiuse in un silenzio carico di dolore, così Axel rispose:
- Torturò e uccise i monaci e bruciò l’Abbazia. Questi eventi risalgono a nove anni fa. Da allora nessuno calca più il terreno sul quale ci troviamo perché si crede che le anime dei monaci trucidati cerchino vendetta.- abbassò la voce – Quando passiamo di qua ci accampiamo sempre tra le rovine: Gunnar è troppo superstizioso per metterci piede e a noi sembra di celebrare la memoria dei defunti-
Ariel si guardò attorno con cuore gonfio di un dolore che non le apparteneva. La Galassia aveva conosciuto quei luoghi, quegli uomini coraggiosi e le loro sofferenze. Si asciugò una lacrima con disinvoltura, sperando che così nessuno la notasse.
- Perché si chiama “Abbazia del Vento”, Axel?-
- Ha assunto questo nome dopo l’incendio. Vedi? Gli archi sono rimasti esposti e l’aria ci scorre in mezzo e crea dei corridoi di vento…-
- Si sta facendo buio velocemente. Dovremmo sbrigarci- disse sua moglie.
- Daphne ha ragione- mormorò Angelica prendendo Ariel per una mano e trascinandola al riparo di una parete quasi integra nel transetto sinistro.
Ariel si lasciò condurre obbediente e preparò il suo giaciglio mentre l’amica accendeva un piccolissimo fuoco e razionava le provviste. Le notti erano fredde nella Contea di Diamantina. Mangiucchiò qualcosa e si coricò sulla coperta di lana ad osservare il cielo. L’aria era innaturalmente limpida e le stelle brillavano di uno splendore tale da apparire vicinissime. Ariel allungò la mano per afferrarle, come faceva da bambina, e sorrise. Le piaceva la notte, la faceva sentire bene. Il sole, con i suoi raggi potenti, feriva i suoi delicati occhi azzurri, ma la notte…il chiarore della luna, l’aria tagliente, il suono vibrante del silenzio…
Un lugubre ululato la indusse ad alzarsi.
- È questo che intendeva Axel- sussurrò Angelica.
- Sembra che pianga- sospirò Ariel, mentre sentiva una dolce nostalgia impossessarsi del suo cuore.
E un ronzio le rimbombava nella testa, prima lontano e indistinto, poi sempre più vicino e definito, in tutti i suoi accenti ed inflessioni. Il motivetto che continuava ad occuparle la mente in quei giorni prese forma. Ricordava la musica, ricordava le parole. La testa minacciava di esploderle. Doveva liberarlo, doveva liberare quel canto rinchiuso da troppo tempo. E cantò…
            - Noi siamo qui, vicino a te, nel sole e nell’oscurità…
            e questa è una promessa che mai dimenticare dovrai.
            La vita risplenda su te, cuore puro,
            sul Regno e quel che è al di là…
            E quando un giorno, Signora Morte
            tiranna a sé ti vorrà
            non piangere, anima mia,
            ma va a testa alta incontro all’eternità,
            con forza e determinazione…
            E saprai che noi saremo soltanto un passo più in là…-
La sua voce, bassa e dolce, intonò quell’inno remoto, e i suoi compagni si incantarono ad ascoltarla. E non perché fosse particolarmente dotata, ma perché quella bellezza struggente e malinconica non poteva lasciare un cuore umano indifferente. Forse quello, forse la scenografia sublime, forse il manifesto stupore della Galassia, travolsero Ariel al punto tale da farle perdere i sensi.
 
Quando riprese conoscenza erano tutti attorno a lei.
- Va tutto bene?- domandò Axel.
- I-i-io…si…- farfugliò.
Isaac le mise tra le mani una ciotola piena di un liquido ambrato.
- Che cos’è?- domandò.
- Uno sciroppo di miele. Dato che svieni spesso, ne tengo sempre una dose a portata di mano- rispose Isaac.
Ariel notò che la sua voce tremava appena.
- Ti ringrazio-
Ingurgitò il preparato, che sapeva di erbe dolci, e sospirò.
- Dove hai sentito quel canto?- domandò il medico quando gli altri si furono allontanati per preparare il campo per la notte.
- Non ricordo. Lo conosci?-
Ariel rimase colpita dall’aria di smarrimento che era dipinta sul volto di un uomo solitamente tanto sicuro. Isaac esitò.
- No. Naturalmente no-
Detto questo si allontanò, lasciando Ariel sola sotto quel cielo surreale, con la sensazione che fosse una bugia.




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Si, lo so, è corto ^_^ Ma voi mi volete bene comunque, giusto? GIUSTO?! XD By the way, i prossimi aggiornamenti saranno più consistenti, promesso! Baciiiii
ps. mi piace troppo questo capitolo :)
 

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Capitolo 23
*** Nella mente di Neil / Nella mente di Axel ***


- Papà, papà!-
Si inginocchiò accanto alla bambina che gli era corsa incontro piangendo a dirotto.
- Cosa è accaduto, Lina?- domandò accarezzandole i capelli biondi morbidi come la seta.
- La mamma non vuole lasciarmi giocare con Leah- piagnucolò.
Il broncio della sua bambina gli strappò un sorriso.
- Non credi che Leah sia ancora un po’ troppo piccola per giocare con te?-
La bambina si rabbuiò.
- Ma io mi annoio!- protestò.
Le asciugò le lacrime.
- Sono sicuro che con la tua sorellina non ti divertiresti ancora. Sai, i bambini piccoli sono un po’ monotoni: mangiano, dormono e sporcano- Lina sorrise  - Ma sono certo che quando sarà un po’ più grande vi divertirete da matte insieme!-
La bimba lo abbracciò, rasserenata.
Era forte, quel corpicino. Aveva la netta sensazione che stesse crescendo troppo in fretta. E da grande sarebbe diventata una bellissima donna, proprio come sua madre.
 
Ariel si svegliò con il cuore pesante. Che cosa era successo con esattezza alla famiglia di Neil non aveva mai osato chiederlo. Ma cominciava a sospettare che la Galassia avesse intenzione di mostrarglielo. Rabbrividì al pensiero. Aveva visto scorci del passato di Daphne, di Isaac, di Angelica e di Neil. Con Axel avrebbe completato la collezione. I momenti che aveva vissuto erano, in qualche modo, esempi di come erano soliti condurre le loro giornate prima di diventare i famigerati Ribelli. Erano piccoli spicchi di felicità domestica. Se aveva afferrato bene la logica con cui si stava muovendo la Galassia, sarebbero seguiti altrettanti sogni, con ad oggetto i momenti bui, quelli che davvero avevano fatto dei suoi compagni quello che erano.
Richiuse gli occhi e ripiombò nel sonno, per svegliarsi solo alle prime luci con la consapevolezza di aver fatto un incubo orribile e con una strana sensazione di nostalgia che non sapeva definire.
 
Il viaggio proseguì più veloce una volta lasciata l’Abbazia. Il cielo nuvoloso li proteggeva dal calore mortale del sole. Al di fuori della fresca ombra del bosco faceva davvero molto caldo.
L’atmosfera tra loro, quel giorno, era più distesa. Axel rideva e scherzava, Daphne sembrava meno snob del solito, Angelica era su di giri all’idea di vedere il mare, Isaac aveva ricominciato a spiccicare qualche parola e Neil… Ad Ariel si strinse il cuore al pensiero del sogno di quella notte. Si costrinse a non pensarci. Erano tutti di buon umore, non voleva essere la solita guastafeste.
- Con quello che abbiamo recuperato dagli uomini di Gunnar avremo provviste anche per domani!- disse Neil esaminando i bagagli.
- …ne avremmo anche per dopodomani, se Axel non mangiasse come un leone!- aggiunse Daphne con un sorriso.
- Quante storie! Io devo crescere!- esclamò Axel, suscitando una risata generale. E facendosi più serio disse:
- Perfetto! Da domani mattina dovremmo iniziare ad incontrare qualche centro abitato-
Ariel dovette sforzarsi di non aggrottare la fronte. Non era riuscita a convincere il Principe a cambiare piano di viaggio, e la riteneva una sconfitta personale. Oltre che una scelta suicida. Soffocando un sospiro, si riempì gli occhi della magnifica natura che la circondava: pianure verdi e sterminate, la sottile linea del mare ad est.
- Quando ero piccola, papà mi portava spesso al mare- Angelica si guardava attorno estasiata – Diceva che quando prendevo il sole mi comparivano le lentiggini sul naso!-
Ariel sorrise. Avrebbe voluto chiederle cosa fosse successo alla sua famiglia ma le mancò il coraggio. Tuttavia fu lei stessa a prendere l’iniziativa.
- Avevo nove anni quando mio padre fece saltare in aria il laboratorio. Morì. Mia madre ed io restammo gravemente ferite. Io mi ripresi, lei no…non del tutto almeno…il suo corpo è a posto, si muove bene, nessun problema…è la testa ad essere scomparsa completamente…-
- Mi dispiace- sussurrò Ariel stringendole la mano.
- È stato tanto tempo fa- rispose strizzandole l’occhio. – Abita poco lontano dal porto, con mia zia. A volte mi sento in colpa per averla lasciata, ma Axel ha più bisogno di lei di me…non ci riconosce nemmeno…-
Ariel non sapeva esprimere l’ammirazione che provava per Angelica. Avrebbe desiderato possedere anche solo un terzo della sua forza.
- Tu mi parli spesso di tua madre, Ariel, ma tuo padre non lo nomini mai- disse incerta.
Ariel la guardò di sottecchi.
- Non ho molto da dire su di lui. Ero ancora una bambina quando ha deciso di lasciare mia madre e di trasferirsi. Da allora l’ho sentito con sempre meno frequenza, e visto solo un paio di volte-
Angelica scosse il capo.
- Certe persone non riescono a capire che fortuna sia avere una famiglia-
Ariel lasciò cadere il discorso. Era un tasto abbastanza dolente. Improvvisamente, fu folgorata dalla consapevolezza di non aver mai veramente capito la storia: la conosceva alla perfezione, ma oltre al mero dato letterale e demografico non aveva mai pensato di spingersi; quel giorno, sotto il cielo nuvoloso della Contea di Diamantina, scoprì che le persone che aveva sempre considerato pedine sulla scacchiera della storia, provavano emozioni e sentimenti che, nonostante tutti i muri e tutte le differenze, erano estremamente uguali ai suoi. Scoprì che Re Baldovino, il sultano Mehemed, l’arcivescovo di Canterbury e Leonardo da Vinci avevano un cuore che batteva esattamente come il suo. Arrossì per la vergogna di non averlo capito prima.
 
Pranzarono ai margini di una pista battuta da sempre più frequenti passaggi di carri.
- Credi che uno di questi sia lo stesso che ci precedeva ieri?- domandò Axel.
- È probabile. Tuttavia non possiamo avere la certezza che quel carro cercasse noi-
Il Principe sbottò in una risata nervosa.
- Giusto, magari facevano una scampagnata-
Ariel si girò lentamente verso di lui con l’intenzione di apostrofarlo con un commento acido, ma represse l’istinto. Axel stava osservando sua moglie che sfogliava un libro, la cascata rossa dei capelli che ondeggiava sotto la brezza leggera, l’aria concentrata. L’espressione rapita del ragazzo la convinse a rimandare i rimproveri. Sfoggiando il sorriso più dolce mai dipintosi su volto umano, il Principe sussurrò:
- Non è bellissima?-
Ariel ridacchiò. Non c’erano dubbi, il cervello del suo capo era andato in pappa. Domandandosi se mai, un giorno, anche lei sarebbe riuscita a guadagnarsi una simile ammirazione da parte di un uomo come Axel, cominciò a raccogliere le sue cose e a prepararsi per la partenza.
Il pomeriggio trascorse veloce, tra i racconti dei fatti più strani avvenuti da quando Axel era entrato nella Confraternita e le epiche descrizioni che Neil era solito intessere di Glauce. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, Ariel era impaziente di vedere la Capitale: tutti la descrivevano con affetto e ammirazione, e i maltrattamenti cui Gunnar la sottoponeva non facevano che aumentarne il fascino. Una città che resisteva strenuamente, senza chinare il capo, fiera come un tempo non troppo lontano lo era stata la sua Regina.
Due giorni interi di viaggio senza incontrare macchinazioni del tiranno erano manna dal cielo, ma Ariel sapeva bene che non era il caso di abbassare la guardia. Non poteva sapere se fosse il frutto della sua azione di spionaggio sui compagni oppure se rientrasse in una manovra più ampia. Se si fosse trovata lei al posto di Gunnar avrebbe aspettato. Erano in mezzo al nulla, non era possibile tendere loro un agguato. E se i suoi calcoli erano giusti, di guai ne avrebbero trovati oltre misura nella prima cittadina.
 
Di notte, il vento portava il rumore del mare con sé. Ariel respirò a pieni polmoni l’aria fredda. Niente stelle, quella notte. C’era una buona probabilità che in poche ore iniziasse a piovere.
- Dormi troppo poco-
Axel si era avvicinato silenziosamente, ma Ariel aveva riconosciuto il suo passo.
- Hai ragione- concesse, continuando a scrutare l’orizzonte.
- Come stai?-
La ragazza lo guardò sospettosa.
- Perché?-
Axel si guardò i piedi imbarazzato.
- Beh…ecco…non hai una bellissima cera…-
Ariel sorrise. Il Principe era troppo cavaliere per dirle che aveva un aspetto orrendo: era pallida, con delle occhiaie mostruose, le mani piene di tagli dovuti all’acqua ghiacciata…aveva anche perso peso, cosa che riteneva impossibile visto il punto di partenza.
- Sto bene- rispose.
- Sicura?- Axel la guardava dubbioso.
- Sicura. Qualche problema di insonnia me lo trascino da anni-
Il ragazzo sorrise.
- Buona notte, Ariel- disse, prima di tornare al suo giaciglio.
- Anche a te-
Quando si decise a ritentare di addormentarsi, Ariel si coricò e si avvolse nelle coperte di lana. La terra dura sotto alla schiena le faceva male. Zia Eudora aveva ragione, era troppo magra. Chiuse gli occhi ed ebbe appena il tempo di sentire il tocco caldo della Galassia sulla sua mente prima di cedere alla stanchezza.
 
Era così incredibilmente bello quel posto. L’erba, i fiori, le farfalle. Era estremamente felice di aver convinto la sua tutrice a fargli prendere lezioni da Isaac.
- Sei pronto?-
Un Isaac giovane, pulito e pettinato, brandiva una pesante spada contro di lui. Sorrise raggiante.
- Questa volta non ce la farai!- esclamò con la sua voce ancora acuta.
Isaac si avventò su di lui e le lame cozzarono, ma Axel resistette. Sembrò resistere. Dopo qualche secondo di pressione cadde al suolo ridendo a crepapelle.
Isaac si sedette accanto a lui e gli scompigliò i capelli con un sorriso.
- C’è ancora del lavoro da fare, che dici?- domandò amichevolmente.
- Molto lavoro da fare- corresse Axel, continuando a ridere.
Isaac era ancora un avversario troppo ostico per lui, ma già il fatto di poterlo affrontare era la più grande conquista.
 
Ariel capì di essere scivolata fuori dal sogno, ma non aprì gli occhi. Con quell’ultimo momento di gioia i sogni felici avrebbero probabilmente avuto fine.
Si girò sul fianco e si accoccolò tra le coperte ruvide, pregando che la Galassia le lasciasse fino a mattina l’eco dolce di quel sogno pieno di pace e di affetto, prima di gettarla nell’abisso.




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Come promesso sono stata puntuale :) E come potete notare è arrivato anche il tanto atteso sogno su Axel ^_^
 

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Capitolo 24
*** Estremi rimedi ***


Le poche ore di sonno furono abbastanza riposanti da permettere ad Ariel di ricaricare le energie. Appena alzata si pettinò i capelli e li legò con una striscia di stoffa, sistemò l’abito e fece colazione. Axel aveva ragione, si stava trattando da schifo. Era ora di darsi una sistemata.
- Di buon umore?- domandò Angelica sospettosa.
- Può darsi- rispose Ariel.
Ci misero poco a raccogliere le loro sempre più misere cose. Ripartirono, fiduciosi di trovarsi in un centro abitato nel giro di qualche ora.
Lungo la strada iniziarono a comparire viaggiatori a cavallo, a bordo di carri e a piedi. Il mare era sempre più vicino, l’aria profumava di salsedine. Ariel capì perché Axel avesse insistito tanto per fare quella strada: aveva a tal punto perso l’abitudine a vedere gente che si ritrovò a gioirne. Sorrise al pensiero di quello che avrebbe detto Valerie.
 
Quando varcarono le mura della cittadina, Ariel scosse la testa, convinta di essere caduta in uno dei suoi sogni. Le case erano di pietra, le strade di terra battuta, qua e là si intravedevano un maniscalco, un fruttivendolo, un mugnaio, un falegname, una scuola per musici… Era tutto perfetto, esattamente come l’aveva sempre immaginato! L’occhiata divertita che le lanciò Isaac la convinse ad imporsi un po’ di disciplina. Con infinito sforzo, smise di guardarsi freneticamente attorno. Era una cittadina piccola ma piena di vita.
- Scusami, buon uomo, sai dirmi dove posso trovare un fornaio?- domandò Daphne ad un passante sfoggiando il più seducente dei suoi sorrisi.
L’uomo la fissò a bocca aperta per qualche secondo prima di ritrovare l’uso della parola.
- Svoltato quell’angolo, a sinistra- rispose infine segnando un incrocio col dito indice.
Axel sbuffò irritato, ma la tecnica di sua moglie li condusse in tutti i luoghi che intendevano raggiungere. Così, riempite le bisacce, si apprestarono a lasciare il paese.
Proprio mentre stavano per attraversare la porta nord, Ariel fu attraversata dal solito brivido. Spinse i compagni in uno stretto vicolo che costeggiava le mura e, riparata dietro un cumulo di sporcizia, attese.
Dopo pochissimo tempo, cosa che la fece tremare all’idea del rischio che avevano corso, due uomini passarono lungo la strada guardandosi attorno con circospezione. Angelica, accanto a lei, trattenne il respiro: non erano bardati da cavalieri e non portavano le insegne di Gunnar. Ma avevano una spada ciascuno legata in vita, e due cavalli che si lasciavano tirare docilmente. I Ribelli si appiattirono di più nell’ombra e i due uomini non li notarono e passarono oltre, lasciando la cittadina.
Ariel si afflosciò lungo il muro sentendo defluire la tensione.
- Se adesso ci seguono in incognito è davvero una tragedia- sussurrò Daphne.
- Dobbiamo trovare il modo di camuffarci- disse Angelica.
- Mantelli e cappucci?- propose Neil.
- Daremmo ancora più nell’occhio- sbottò Axel.
- Dobbiamo separarci- disse Isaac.
Tutti lo guardarono.
- Si aspettano di vederci insieme, se ci presentiamo in due o tre è meno probabile che badino a noi- spiegò.
Gli sguardi si spostarono su Ariel. Aspettavano un suo parere. Ma lei aveva già fatto un salto più avanti. Naturalmente la soluzione proposta da Isaac era la più logica, ma anche la più pericolosa. Il suo cervello lavorava a pieno regime. Se Gunnar aveva camuffato i suoi uomini, qualcuno doveva averglielo suggerito. Così come doveva aver saputo che il suo primo drappello aveva fatto una fine ingloriosa. Ma chi, chi poteva averlo avvisato? Ariel aveva tenuto gli occhi aperti, aveva osservato i movimenti di tutti. Nessuno si era allontanato dal gruppo. Con un sempre maggiore senso di impotenza si rese conto che non poteva sapere se uno di loro avesse concordato dei segnali visivi. Se, per esempio, il gesto con cui Angelica si spostava i capelli dagli occhi avesse voluto significare “seguiteci a distanza”, lei come avrebbe potuto saperlo?
- Allora?-
Axel la fissava con aria preoccupata.
- Si, è una buona idea. Pericolosa ma buona-
Infondo, se avessero viaggiato separati, la talpa non avrebbe rischiato a dare informazioni: non potendo sapere dove si trovassero gli altri, avrebbe ristretto la cerchia alle due o tre persone del sottogruppo. Axel spalancò gli occhi scioccato.
- Ma siete diventati tutti matti?!- esclamò.
- Vuoi arrivare tutto intero al porto?- domandò Ariel stizzita.
- Naturalmente, ma…-
- Allora fidati di noi!-
Axel sospirò rassegnato.
- Come procediamo?- domandò Angelica.
- Rimetto i dettagli ad Isaac. Io non conosco la geografia della zona-
Isaac aggrottò la fronte.
- Se non vogliamo esporci troppo, conviene dividerci in due gruppi: uno raggiungerà il porto seguendo il lungomare, l’altro attraversando l’entroterra-
- Appuntamento al porto, quindi- precisò Neil.
Isaac annuì.
- Molo tre, come ai vecchi tempi-
Neil ammiccò. Axel guardò perplesso le ragazze e fece spallucce.
- Non condivido, ma sta bene. Dato che sono il futuro Re, faccio io i gruppi: per avere un sostegno medico in entrambi i gruppi, Isaac e Daphne devono dividersi. Io andrò con Daphne e con Neil, mentre Isaac con Angelica ed Ariel. Che strada scegliete?-
- Il mare!- esclamò Angelica.
- D’accordo allora-
Si divisero i viveri appena acquistati e si salutarono. Se tutto fosse andato secondo i piani, in un paio di giorni sarebbero stati di nuovo tutti insieme.
 
Nonostante l’irritante compagnia di Isaac, Ariel si ritrovò a ringraziare il cielo di non essere finita con Axel e Daphne. E sospettava che non fosse un caso la sua collocazione in un gruppo diverso rispetto a quello del Principe: di tre persone, una era neutrale, perciò la talpa avrebbe rischiato ancora di più se avesse voluto comunicare con Gunnar. La strada che seguiva la costa declinava dolcemente verso est. Il vento più insistente e il profumo di salsedine testimoniavano la sempre maggiore vicinanza del litorale. Angelica non la smetteva di parlare. Diceva che se non fosse stata ricercata avrebbe vissuto lì, in uno di quei paesi. E che magari, un giorno, si sarebbe davvero potuta trasferire lì.
- A te non piace il mare, Ariel?- domandò dopo l’ennesima perorazione sui poteri medicamentosi del sale, che aveva visto chiamare in causa anche un disinteressatissimo Isaac in qualità di medico.
Ariel sorrise.
- Mi piace molto, si…ma non ho mai avuto modo di godermelo come avrei voluto. Mia madre è il tipo di persona che si diverte in mezzo alla gente, in spiagge affollate. Io non proprio…-
Angelica annuì comprensiva. In quel momento, dietro un filare di alberi, la visuale si aprì a rivelare il primo scorcio di acqua blu. Ariel si fermò ad osservarlo affascinata, imitata dall’amica. La sottile linea di sabbia bianca, gli scogli, le onde alte…
Isaac sbuffò. Spingendo aventi le ragazze con le sue enormi mani disse:
- Non sia mai che ci arrestino mentre ammiriamo il panorama! Andiamo, su! Ma come è saltato in testa ad Axel di mettere voi due nello stesso gruppo?!-
Le ragazze scoppiarono a ridere e ripresero il cammino. Attraversarono un altro paese, più piccolo del primo, dove tutti sembravano fare i pescatori. Muovendosi con circospezione, riuscirono ad evitare i due uomini che li avevano preceduti. Se avevano preso quella direzione, per lo meno gli altri dovevano essere al sicuro. Lasciarono che ripartissero e poi si apprestarono a riprendere a loro volta il viaggio. Dovevano sperare che non si fermassero per strada. Anche se in tre anziché in sei, Isaac era comunque Isaac, e Angelica era comunque Angelica. Erano ricercati da una vita, ormai. E il medico era abbastanza appariscente, suo malgrado, per via della statura e dei lineamenti diversi da quelli tipici della Penisola. L’unica che aveva buone probabilità di non essere riconosciuta era Ariel.
Dopo pranzo, Isaac dovette cedere di fronte all’insistenza di Angelica e lasciare che si bagnasse i piedi nell’acqua gelata. Ariel declinò gentilmente l’invito dell’amica e si sedette sulla spiaggia, riposando le gambe in attesa del momento di ripartire. Isaac camminava nervosamente avanti e indietro, borbottando tra sé. La ragazza sorrise della sua irritazione. Guardò la Galassia. Il cielo grigio cupo faceva risaltare la sua luminosità.
- Davvero non sai a chi appartenesse?-
Isaac si era fermato e fissava il ciondolo. Ariel scosse il capo.
- Era in un baule chiuso a chiave, e la chiave era nascosta nel doppiofondo di un cassetto in camera di mia zia-
Isaac annuì con aria persa.
- Che voglia ti è venuta di andare a cercare il doppiofondo dei cassetti?!-
- Che tu ci creda o no, appena ho messo piede in quella casa mi è venuto uno dei miei brividi-
- Allora a maggior ragione avresti dovuto girare alla larga-
Ariel sorrise mesta. Le sembrava passata una vita da quel pomeriggio, anche se sapeva che in realtà erano solo poche settimane.
- Già…- sussurrò.
- Ti sei pentita?- domandò sedendosi accanto a lei.
- Ti piacerebbe, vero, che ti dicessi di si? Potresti dirmi “te l’avevo detto”…ma non ti darò questa soddisfazione! Anzi, sono contenta di essere qui: sono in un posto bellissimo, con degli amici, con la Galassia, e sto imparando molto da voi- rispose continuando a guardare il mare.
Le labbra di Isaac si stiracchiarono in un mezzo sorriso ironico.
- Non mi dai soddisfazioni-
Attesero in silenzio che Angelica si stancasse di correre su e giù a piedi nudi in cerca di conchiglie e poi ripartirono.
Il sole era già calato quando misero piede nella prima città degna di questo nome.
- Come ci sistemiamo per la notte?- domandò Ariel.
- A questo penso io- rispose Angelica, conducendoli attraverso un dedalo di vicoli caotici.
Ariel si era già persa da un pezzo e iniziava a fare buio quando si arrestarono davanti ad una piccola abitazione con una porta di legno.

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Capitolo 25
*** Di tunnel in tunnel ***


Angelica bussò alla porta senza esitazioni. Dopo qualche secondo giunse uno scalpiccio dall’interno, e delle voci attutite. La porta si scostò appena e si intravide un occhio nocciola. Prima  sospettoso, poi stupito, infine felice. La porta si aprì del tutto, e una donnetta sui quarant’anni gettò le braccia al collo di Angelica strillando.
Quando finalmente riuscì a liberarsi, la ragazza si asciugò gli occhi e fece un passo indietro per introdurre i suoi compagni. La donna esclamò:
- Ma ci sei anche tu, Isaac!-
Anche lui subì i festeggiamenti della signora, e incassò passivamente svariati abbracci e baci sulle guance. Quando si decise a lasciarlo andare, posò gli occhi su Ariel, che pregava di essere inglobata dalla parete accanto a lei.
- E tu?- domandò la donna con un sorriso amichevole.
- Lei è Ariel- disse Angelica. E aggiunse a beneficio dell’amica:
- Questa è mia zia Joy-
Joy strinse vigorosamente la mano di Ariel.
- Una nuova recluta! Fantastico!- esclamò. – Coraggio, entrate!-
I tre seguirono la donna nella casupola caotica.
- Harold, guarda chi è venuto a trovarci!-
Un uomo calvo seduto davanti al fuoco girò la testa con qualche difficoltà, senza alzarsi, e disse:
- Angie, bambina! Ben tornata! Benvenuti ragazzi!-
- Avete cenato?- domandò Joy.
- No, ma…-
- Allora ci penso io! Accomodatevi. Finché si cuoce la zuppa vado a prendervi il necessario per la notte-
- Ma veramente noi avremmo comprato…-
- Niente ma! Seduti e buoni mentre lavoro-
I tre obbedirono senza battere ciglio.
Ariel si guardò attorno intimorita. Harold aveva ripreso istantaneamente a dormire davanti al fuoco. Il salotto che li ospitava era piccolo ma accogliente. Il camino acceso dava un bel senso di ospitalità. Le cianfrusaglie che ricoprivano il mobilio non lasciavano dubbi sull’effettività della parentela con Angelica.
Nonostante l’allegro benvenuto di zia Joy, però, Ariel sentiva che qualcosa non andava. Ci mise qualche minuto a capire che i vetri erano oscurati da tende scure e che la porta era fornita di molti catenacci, di varie forme e dimensioni. Dalla cucina proveniva rumore di ciotole e di coltelli. La ragazza studiò l’espressione dei suoi silenziosi compagni. Angelica, generalmente così esuberante, era impenetrabile, Isaac, generalmente impenetrabile, era malinconico. Che fosse quella la zia che ospitava la madre di Angelica?
Joy ricomparve con coperte e cuscini e si accinse ad imbottire la pietra fredda del pavimento.
- Non preoccuparti, Joy, ci pensiamo noi- disse Isaac gettando un’occhiata ad Ariel, che si alzò subito per aiutarlo.
Angelica invece, dopo un attimo di esitazione, seguì la zia nella stanza attigua.
- Venite spesso qui?- domandò Ariel in un sussurro per non svegliare Harold.
- Quando siamo in zona. Joy è gentile, e Angie la vede volentieri…-
Ariel continuò ad ammucchiare coperte e cuscini, sempre più a disagio. Sentiva Angelica singhiozzare nella stanza accanto e farfugliare qualcosa che assomigliava tremendamente ad un “mamma”. Avrebbe voluto parlare con Isaac per concedere all’amica quella privacy che una casetta di quelle dimensioni non poteva offrire, ma come sempre non le veniva in mente nulla da dirgli. Quando i singhiozzi si trasformarono in pianto, Ariel sospirò:
- Non puoi fare niente per lei?-
Isaac scosse il capo mestamente.
- Ho provato tutto quello che mi è venuto in mente…-
Joy li raggiunse con due ciotole di zuppa calda e le mise loro tra le mani.
- Angie dice che dormirà con sua madre. Se per voi non è un problema io andrei a letto. Lasciate pure i piatti dove trovate posto, ci penserò io domattina. Buona notte, ragazzi-
Prese suo marito per un braccio e, semiaddormentato, lo trascinò via.
La zuppa di zia Joy aveva un profumo fantastico. Cenarono in silenzio, velocemente. Senza bisogno di dirselo, sapevano entrambi di condividere la stessa sensazione di estraneità dal dolore di quella casa.
L’inquietante stanzetta adibita a bagno era molto meglio di quanto Ariel avesse visto fino a quel momento, ma le fece comunque rimpiangere la casa di zia Rose. Inquieta, ma stanca morta, si coricò tra i vari strati di coperte.
- Notte, Isaac- sussurrò.
Il grugnito che ottenne in risposta le confermò che il medico era probabilmente più stanco di lei. Chiuse gli occhi, con un sorriso, e cedette subito al sonno.
 
Il corridoio buio sembrava non avere fine. Il polso rotto gli faceva un male tremendo, ma non doveva pensarci, non era ancora tempo. Se voleva uscire vivo di lì doveva tenere tutti i suoi sensi all’erta. Da qualche parte giungevano delle grida. Gemette. Basta torture! Basta interrogatori! Se doveva morire, sarebbe morto, ma non prima di aver tentato la fuga. Era o no il fondatore della Confraternita?! Da un corridoio secondario giungevano delle voci, prima indistinte, poi sempre più chiare e precise. Si nascose in un antro buio, sperando che non lo notassero. La fortuna si schierò dalla sua parte. La due guardie passarono oltre, non videro il ragazzo sporco di sudore, fango e sangue, che si nascondeva nell’ombra. Soffocando un gemito di dolore, riprese il cammino. Pregava soltanto di aver preso la direzione giusta. Ma il tunnel inclinava leggermente verso l’alto, questo doveva pur significare qualcosa! Quando raggiunse un bivio sentì lo stomaco chiudersi nella morsa del panico. Le gambe iniziavano a cedergli, non aveva abbastanza forza da tentare entrambe le direzioni. Non prima che Gunnar scoprisse la sua cella vuota, almeno.  Non mangiava da…da quanto? Altri passi, e il rumore di qualcosa di pesante che veniva trascinato. Da che braccio del corridoio provenivano? Si accucciò dietro ad una roccia, augurandosi che fosse sufficientemente grande da coprirlo per intero, e attese. Una goccia che gli colava lungo la guancia gli diede un brivido. La asciugò con una mano, scoprendo che era sangue. La ferita alla tempia doveva essersi riaperta. Dopo un’infinità, altri due uomini sbucarono dal corridoio di destra e proseguirono per quello di sinistra. Trascinavano un cadavere. Non riuscì a trattenere le lacrime riconoscendo Bob. Il suo amico, confratello, compagno d’infanzia. Alla fine aveva ceduto. Avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto…gli uomini si  fermarono.
- Che hai?- domandò uno.
- Mi è sembrato di sentire qualcosa…- rispose l’altro.
- È la stanchezza, te lo dico io! Io vedo già tutte quelle fastidiose lucine negli occhi!-
Il compagno continuava a guardarsi attorno circospetto.
- Dai, amico, andiamo! Siamo quasi arrivati. Prima lo scarichiamo, prima ci riposiamo-
L’altro uomo annuì e ripartirono.
Dopo un lungo sospiro, cercò di reprimere la rabbia e la frustrazione. “Usa il cervello che ti ho dato, ragazzo” diceva sempre suo padre. Le guardie dovevano scaricare un corpo (non Bob, un corpo) e dove l’avrebbero fatto? Nella fossa comune, logico. La stessa fossa comune che aveva visto quando, anni prima o solo pochi giorni non sapeva dirlo, lo avevano portato lì, in catene. Una via d’uscita, quindi! Represse il panico e si asciugò gli occhi con una manica lacera.
- Ti vendicherò, Bob. Fosse anche l’ultima cosa che faccio, giuro che ti vendicherò- sussurrò a sé stesso, mentre una voce lontana gridava:
- È scappato! Il prigioniero della cella 347 è scappato!-
Ghignò.
- O adesso o mai più, Isaac- si disse, prima di spiccare la corsa sulle gambe malferme, incontro a Morte o Libertà.
 
- Sveglia, Ariel! Svegliati!-
La ragazza annaspò spalancando gli occhi e cadendo in quelli di pece del medico.
- Ma che-che…cosa…?!- farfugliò, faticando a ricostruire la realtà dopo l’angosciante sogno.
Respirò a pieni polmoni, mentre l’aria malsana delle prigioni sembrava di nuovo invaderle le vie respiratorie alla vista della cicatrice che spiccava sulla tempia sinistra di Isaac.
- Dobbiamo andarcene!- disse lui tirandola in piedi.
- Ma che succede?!- riuscì ad articolare.
- I soldati stanno perquisendo le abitazioni, saranno qui fra poco- rispose Isaac chiudendo la bisaccia che conteneva tutti i loro averi e mettendosela in spalla.
- Di qua- disse Joy sbucando dalla stanza accanto.
Abbracciò il medico.
- Sai già come funziona. Mi raccomando, Isaac, la mia Angie è nelle tue mani-
Li trascinò in una stanza buia. Un donna giaceva sul letto addormentata. Angelica le accarezzò una guancia con gli occhi lucidi che risaltavano nella poca luce, mentre Joy apriva una botola ben dissimulata nel pavimento.
- Grazie Joy- sussurrò Isaac, calandosi nel buco scuro, seguito dalle ragazze.
- In bocca al lupo- piagnucolò la donna, prima di richiudere la botola e sigillare l’ingresso.
Ancora una volta, Ariel si meravigliò dell’eccezionale organizzazione della Confraternita. Percorrendo quel tunnel buio come una notte senza luna, che i suoi compagni sembravano conoscere come le loro tasche, apprezzò l’ingegnosità di poter disporre di “case sicure” come quella, fornite di un’insospettabile via di fuga.
- Dove porta?- domandò.
- Un paio d’ore a nord. Tra noi e il porto, c’è una grotta rocciosa, mezza sommersa dall’acqua. Beh, maschera alla perfezione l’uscita di questo passaggio- concluse Isaac.
- Vi ricordate, vero, che non so nuotare?- domandò Ariel allarmata.
- Non preoccuparti, non ti ho salvata tante volte per lasciarti annegare qui…-
La ragazza non rispose. Ringraziò tra sé e sé la Galassia per quel lumicino rassicurante che le offriva e proseguì in silenzio. La sua mente era a tal punto svuotata, come purificata dal sogno di quella notte, che si rese appena conto di mettere un piede davanti all’altro, e di seguire i due compagni che facevano strada, e dei singhiozzi sommessi di Angelica. Al punto che si sorprese di trovarsi sul ciglio di un lago sotterraneo.

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Capitolo 26
*** Con l'acqua alla gola ***


Ariel rabbrividì. L’aria gelida sfiorava la superficie dell’acqua, increspandola appena. Isaac percorse cautamente un sottile sentiero che costeggiava lo specchio d’acqua, seguito da Angelica. Il lago non era molto ampio. La ragazza deglutì.
“Coraggio, stupida, non cadrai in acqua!” si auto incoraggiò.
La Galassia rise.
“E se anche tu dovessi cadere, ci sarà Isaac a tirarti fuori, dico bene?”
“Anche tu mi prendi in giro adesso?!” domandò Ariel irritata.
La Galassia rise di nuovo. Prendendo un bel respiro, si fece forza e lentamente seguì la striscia di terra che la separava dai suoi compagni. Scoprì così che evitando di guardare l’acqua poteva essere molto più semplice.
- Sei stata bravissima, Ariel- disse Angelica abbracciando l’amica tremante sulla sponda opposta.
Isaac la guardava di sbieco.
- Non sto per svenire-
Il medico annuì e proseguì. Ariel sospirò frustrata e si liberò dall’abbraccio di Angelica per seguirlo.
Oltre il lago, la grotta proseguiva buia e asciutta per qualche tempo. Quando cominciava a filtrare la luce azzurra del mare e il profumo di salsedine riempì l’antro, anche l’acqua comparve ad occupare l’imboccatura. L’intera imboccatura.
- Ecco, ci siamo- gemette.
- Non è molto il tragitto, Ariel- disse Angelica. – Vedi? Fino a metà si tocca…appena fuori, sulla sinistra, c’è la spiaggia-
- Per poco che sia, Angie, mi hai vista: affondo come un sasso!-
Angelica sopirò. Il suo mutismo era la prova inconfutabile della tragicità della situazione. Isaac, intanto, si levò la bisaccia e la diede ad Angelica, che la prese senza capire.
- Tu vai e cerca di bagnarla il meno possibile. A lei penso io-
Dubbiosa, Angelica annuì. Si issò i viveri su una spalla e si calò in acqua. In effetti, notò Ariel, per i primi metri si riusciva a camminare.
- Dai, andiamo- disse Isaac, prendendola per un polso e tirandola in acqua.
Pur opponendo tutta la forza di cui disponeva, dovette cedere. Il medico era di gran lunga più forte di lei. L’acqua gelata le inzuppò subito le scarpe e le si arrampicò su per le gambe attraverso il vestito, dandole un brivido. Isaac la sentì tremare e la guardò allarmato.
- È la paura, nessun attacco nemico- disse lei.
Isaac sospirò.
- Ancora non ti fidi di me?- le domandò avvicinandosi di un passo.
Ariel indietreggiò, intimorita più dalla inusuale vicinanza di Isaac e dei suoi occhi di ossidiana che dall’altissima probabilità di annegare senza il suo aiuto. E poi, quella situazione stava diventando assurda: non era lui a non avere fiducia in lei, e non vice versa?! Cominciò a girarle la testa.
- Come faccio a sapere che non sei la talpa e non mi lascerai morire?- domandò in preda al panico.
Isaac sorrise, il rassicurante sorriso da medico, non il ghigno che era solito sfoggiare.
- Hai detto tu che non credi che sia io…-
Si avvicinò di nuovo e, cambiando presa, le strinse la mano e la condusse verso l’uscita. Come aveva detto Angelica, per qualche metro si toccava. Ma l’acqua saliva velocemente, così come il senso di panico.
- Isaac…- gemette, ma lui, imperturbabile, continuò a tirarla.
- Isaac ho paura…- ripeté.
- Lo so, ma vedrai che andrà tutto bene. Non sarò più un ragazzino, ma ti ho recuperata svenuta dal Fiume degli Spiriti con un braccio appena ricucito, credo di farcela a trasportarti cosciente per qualche metro…-
- Ho paura lo stesso…-
Le strinse più forte la mano. L’acqua le arrivava alle spalle ormai.
- Nemmeno mia madre era mai riuscita a farmi immergere tanto-
Isaac scoppiò a ridere.
- Sono molto persuasivo, allora!-
Si voltò e si avvicinò ad Ariel. Le prese il viso tra le mani e si chinò alla sua altezza. Guardandola negli occhi disse:
- Ora dovrai ascoltarmi molto attentamente, intesi?-
- Mi stai ipnotizzando?- piagnucolò Ariel.
- No, ma vorrei tanto saperlo fare. Adesso aggrappati alle mie spalle, non al collo se non vuoi strangolarmi, e tieniti forte. Io nuoterò con le braccia, se tu volessi agitare un po’ le gambe te ne sarei grato. Tutto chiaro?-
Ariel annuì.
- Sei ancora terrorizzata?-
Annuì di nuovo.
- Sei una paziente impossibile!- sospirò lasciandola andare e voltandosi per consentirle di attaccarsi alle spalle.
Con un singhiozzò, la ragazza obbedì.
- Scusami- mugugnò.
Isaac camminò fino a che non perse l’appiglio, poi iniziò a nuotare con le braccia. Ariel teneva gli occhi il più chiusi possibile. Quando si rese conto di trovarsi in acque profonde si strinse più forte alla schiena larga e socchiuse gli occhi. Li spalancò subito entrambi per lo stupore. Si trovava a pelo d’acqua e vedeva il mondo dal basso. Il profumo di salsedine le riempiva le narici, tutto sembrava essersi colorato di blu. Allungando il collo vide che l’imboccatura della grotta era molto vicina, ormai. Si ricordò di quanto le aveva detto il medico e prese a sgambettare.
- Tutto bene lì dietro?- domandò Isaac tra gli scialacquii.
- Si- rispose Ariel poco convinta.
Oltrepassarono l’uscita e si ritrovarono sotto la pioggia scrosciante. Isaac sbuffò, Ariel non seppe dire se per lo sforzo o per il disappunto nello scoprire una condizione meteorologica così infelice. Sulla sinistra si apriva una sottile spiaggetta. Isaac la puntò e pochi minuti dopo fece scivolare Ariel sulla sabbia scura.
- Se non altro, con l’acqua che viene non daremo nell’occhio bagnati fradici…- commentò Angelica dando una pacca sulla spalla all’amica.
Isaac si lasciò cadere accanto alle due ragazze con un sospiro.
- Pioggia o no, dovete darmi qualche minuto per riprendermi. Ho assistito a parti meno complicati!-
Ariel scoppiò a ridere, imitata da Angelica. “Forse, in futuro, l’acqua mi farà meno paura”, pensò.
 
Quando riuscirono a ripartire, Ariel scoprì che utilizzando il passaggio segreto di Joy avevano tagliato parecchia strada. Poche ore li separavano dal Porto. La domanda che tutti e tre si facevano e che, però, nessuno aveva il coraggio di esprimere era: com’era la situazione, là? Anche al Porto erano in atto perquisizioni a tappeto? Silenziosi e assorti ognuno nelle proprie preoccupazioni, percorsero la costa distrattamente, senza beneficiare del bellissimo panorama che si offriva loro. E quando comparvero le prime case, fu evidente che si trovavano alle soglie dell’enorme complesso del Porto.
 
La piazza principale era caotica. Ospitava un immenso mercato, pieno di persone che urlavano e di ogni genere di animali. Isaac si guardò attorno e, individuato ciò che cercava, si diresse a passo spedito verso un grumo di spazzatura. Le ragazze lo rincorsero, erano entrambe troppo basse per tenere la sua velocità. Quando si furono avvicinati a sufficienza, Ariel scoprì con stupore che il grumo di spazzatura altro non era che una persona, sepolta sotto ad un ammasso di rifiuti per proteggersi dalla pioggia. Quando gli furono ormai a pochi passi, Isaac si voltò verso di loro e disse:
- State indietro. Non è un gentiluomo…-
- In che senso?- domandò Ariel perplessa.
- Ehi amico!- una voce emerse dal cumulo – Hai con te due belle signorine e non me ne offri nemmeno una?- biascicò.
Angelica diede di gomito ad Ariel e sillabò “ubriaco”. Isaac alzò gli occhi al cielo e si avvicinò minaccioso al barbone.
- Lo sai ancora con chi stai parlando, pezzo di deficiente, o ti sei bevuto anche il poco cervello che avevi?!- sibilò.
L’uomo sbiancò nel riconoscere il suo interlocutore.
- Si-signore…io…davvero…-
Isaac lo prese per la collottola e lo trascinò lontano da orecchie indiscrete.
- Chi è quello?- sussurrò Ariel ad Angelica.
- Un informatore di Isaac…lo so, non sembra molto affidabile- aggiunse in risposta all’aria scettica della ragazza.
Isaac scambiò qualche frase con l’uomo e lo lasciò andare, per tornare da loro. Imprecò.
- Sono già arrivati. Andiamo-
Ripartì con passo veloce, costringendo nuovamente le ragazze ad inseguirlo. Le condusse fino ad un’osteria dall’aspetto poco raccomandabile.
- Statemi vicine- disse, prima di varcare la porta.
Angelica prese Ariel per mano. L’interno era fumoso e caotico. C’erano grida e puzzava di pessima birra e di sporco. La quasi totalità degli avventori era, ovviamente, di sesso maschile. I tavoli accanto all’ingresso si voltarono verso i nuovi arrivati, squadrando le ragazze ai raggi X. Angelica strinse più forte. Ariel desiderò tanto non aver avuto i vestiti fradici appiccicati addosso e i capelli che gocciolavano ovunque. Arrossì violentemente, cercando di nascondersi dietro alla schiena di Isaac. Attraversarono velocemente la sala e imboccarono una scaletta che saliva ai piani superiori. Alcuni avventori ammiccarono ad Isaac, che li ignorò e accelerò il passo.
- Mi dispiace- sussurrò.
- Mai un incontro in un bell’ostello raffinato, eh?!- sbottò Angelica, strappando ad Ariel una risatina nervosa. Che stupida ad aver sempre creduto che essere ritenuta una secchiona asociale fosse la peggior reputazione possibile…essere scambiata per una prostituta era decisamente peggio! Bella figura avevano fatto…e Isaac non faceva una piega. Esisteva il modo di metterlo in imbarazzo?, si domandò Ariel cercando di reprimere l’irritazione.
Da una stanzetta provenivano delle voci concitate. Isaac bussò, e un occhio azzurro fece capolino, per poi aprire la porta.
- Salve, Neil- disse.
- Meno male, state bene!-
Ariel starnutì.
- Già…bene…- commentò a mezza voce.
Axel scoppiò a ridere e si alzò in piedi, coprendo le ragazze con il suo mantello asciutto. Quanto le era mancata quella risata rassicurante…
Daphne li abbracciò tutti e tre con un sorriso. I suoi occhi sembravano ancora più verdi dopo quella breve separazione. Si sedettero, alcuni sul pavimento, altri sui due lettini, unico arredo di quella squallidissima stanza.
- Ditemi tutto- disse Isaac.
Neil, noto per la sua capacità di sintesi, prese a raccontare: dopo essersi separati, avevano preso la strada che entrava nella regione per risalire verso la meta. Non avevano incontrato ostacoli per buona parte della giornata, ma una volta giunti a Tibas, la cittadina in cui intendevano passare la notte, avevano scoperto che Gunnar aveva ordinato perquisizioni a tappeto e si erano visti obbligati a noleggiare un carro e un cavallo, che li aveva condotti direttamente al Porto. Anche loro vivi per miracolo, quindi.
Isaac riassunse la loro esperienza, evitando delicatamente ogni accenno alla madre di Angelica e tralasciando l’attacco di isteria di Ariel.
- Sempre peggio…- commentò Daphne, agitando elegantemente la mano, come a voler scacciare una mosca fastidiosa.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta, mettendo tutti in allarme.
- Appunto- sospirò la rossa sostandosi i capelli dagli occhi.
- Avanti- disse Axel, con la spada in pugno, pronto ad attaccare.
La porta si aprì lentamente, a rivelare un ragazzino.
- Bill?! Che cosa ci fai qui?!- esclamò Neil.
In effetti, notò Ariel ad un esame più approfondito, era lo stesso ragazzino che aveva portato loro notizia dell’arresto del mugnaio.
- Per fortuna vi ho trovati!- sospirò lasciandosi cadere in ginocchio.
Angelica lo trasse in piedi, mentre Axel gli offriva un bicchiere d’acqua.
- Dovete tornare subito alla base- disse, rifiutando l’acqua.
- È successo qualcosa?-
- Siamo sotto assedio, signore- si limitò ad aggiungere.
Tanto bastò a far scoppiare il putiferio.
- Silenzio!- tuonò Isaac, riportando la calma. – Spiegati-
- Il giorno dopo la vostra partenza, Ian ha beccato uno spione di Gunnar. Ci aveva visti e non sapevamo se c’era qualcun altro con lui. Quindi abbiamo spostato tutto verso nord, lungo il fiume. Ma la sera del giorno dopo ci avevano già trovati di nuovo, allora siamo andati ad est. Ci hanno seguiti. Ieri ci hanno attaccati. Per il momento ci siamo difesi, ma mi hanno mandato subito a cercarvi-
Un silenzio grave accolse le parole di Bill.
- Che facciamo?- domandò dopo quello che avrebbe potuto essere un secolo Neil.
- Torniamo indietro, ovvio. E lo faremo immediatamente!- rispose Axel.




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Adoro questo capitolo, è giusto che lo sappiate XD

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Capitolo 27
*** Il passaggio ***


Le ore che seguirono quella riunione improvvisata furono molto concitate, al punto che Ariel si lasciò trascinare qua e là senza fiatare, completamente persa nei suoi pensieri a cui non riusciva a dare una forma definita. Troppe idee si affollavano nella sua mente, e spaziavano dalla battaglia incipiente ad Ian. Si sentiva così tremendamente stupida ad aver pensato di poterlo proteggere lasciandolo alla base…ma chi avrebbe potuto immaginare che la situazione sarebbe degenerata così rapidamente?
- Dovresti dormire, Ariel-
Axel la guardava con un insolita aria severa. Il carro su cui viaggiavano dondolava, guidato dal piccolo Bill, nelle ultime luci del giorno, e i suoi compagni cercavano di ricaricare le energie prima dell’epilogo. Sgranò gli occhi senza capire.
- Hai un aspetto terribile, dovresti smettere di abusare del tuo fisico…e di sicuro questa volta non te lo puoi permettere- aggiunse.
- Come si fa a dormire in queste situazioni?- sbottò irritata.
Non aveva chiesto lei di trovarsi in quel tremendo casino, né di rischiare la vita (anche se Isaac non sarebbe stato d’accordo su questo punto), né di venir svegliata prima dell’alba per via delle perquisizioni, e tanto meno di infradiciarsi fino al midollo. Aveva sicuramente l’aspetto di una disperata, ma non era certo colpa sua. Senza abbandonare l’aria da comandante, il Principe sibilò:
- Trova il modo, o sarò costretto a farti somministrare qualche diavoleria da Daphne-
Ariel sospirò, mentre un’unica lacrima le scivolava giù lungo la guancia. Axel si addolcì appena.
- Ho bisogno che tu sia al massimo della lucidità domani, lo sai…-
Ariel annuì.
“Posso aiutarti io se vuoi…” le sussurrò alla mente la Galassia.
“Ian è ancora vivo?”
“Si. Allora? Vuoi dare ascolto ad Axel, oppure no?” incalzò.
“D’accordo” sbuffò Ariel.
Si accoccolò nel suo angolino mentre il sonno innaturale della Galassia le ovattava i sensi. E sognò.
 
Stava correndo nel bosco scuro. I passi e le grida alle sue spalle la informavano che gli uomini non avevano ancora smesso di seguirla. Un lembo della veste si impigliò in un ramo secco. In preda al panico lo tirò fino a strappare la gonna. E riprese a correre, non aveva nemmeno il tempo di imprecare. I suoi inseguitori non demordevano. Le lacrime le rigavano le guance offuscandole la vista e i capelli si erano slegati, andandole negli occhi. Improvvisamente una mano le afferrò il polso e la trascinò nell’ombra di un grosso masso coperto di muschio. Si dimenò, naturalmente, ma una seconda mano le tappò la bocca.
- Shhh- le intimò. – Non sono di Gunnar. Voglio aiutarti-
Scettica riprese a dimenarsi e gli morse la mano, ma lui non mollò la presa.
- Sono Isaac, il fondatore della Confraternita. Tu sei Angelica, giusto?-
La ragazzina smise immediatamente di opporre resistenza. Isaac le tolse la mano dalla bocca per permetterle di rispondere.
- Che cosa volete tutti da me?- singhiozzò, ma il suo sospiro disperato fu soffocato dal frastuono provocato dalla mandria di soldati al suo inseguimento.
Isaac la coprì col suo mantello scuro mentre superavano il loro masso.
- Tu sei in fuga, se quelli ti prendono sei morta. E a noi farebbe molto comodo un cervello come il tuo- disse Isaac, le labbra tirate in un sorriso rassicurante, per quanto teso, gli occhi neri che guizzavano a destra e a sinistra.
- Noi chi?- rispose terrorizzata la ragazzina.
- I Ribelli. Ci stai?-
Angelica deglutì e annuì.
- Mia madre e mia zia…-
- A loro possiamo pensare noi-
La ragazzina si alzò e, impegnandosi al massimo per atteggiarsi ad adulta, rispose.
- Affare fatto-
 
Lo scenario cambiò. Una casetta spoglia si apriva davanti ai suoi occhi. Tutto era a pezzi, distrutto da una ferocia inaudita. Si passò una mano sulla fronte sudata e si asciugò gli occhi azzurri. Il sangue era ovunque. Ma fu solamente quando vide un piedino bianco e immoto sbucare da una panca che lanciò un urlo straziante.
 
“No! Questo non voglio vederlo!”
Ariel spalancò gli occhi, madida di sudore. Era notte fonda e il bosco si stagliava davanti a lei.
“Sei capace, per una volta, di farmi dormire come tutti i comuni mortali?!” sospirò furiosa.
“Credevo volessi sapere di chi puoi fidarti…” rispose la Galassia.
“Questa notte voglio dormire e basta! Sono stanca di morte e di sangue! Questi sogni mi sfiancano, tanto vale restare sveglia”
“Sia come vuoi”
 
Riaprendo gli occhi, Ariel scoprì di trovarsi nel folto del bosco. Guardandosi attorno si rese conto di non conoscere quella zona. C’era muschio dappertutto, forse per via della vicinanza del mare. Pochi minuti dopo il carro si fermò.
- Da qui non è più sicuro- disse Bill.
- Useremo il passaggio delle paludi- sentenziò Axel. – Avete messo l’accampamento al solito posto, vero?-
- Si, signore. Proprio sul passaggio- rispose Bill impastoiando il cavallo.
- Perfetto. Faremo così: attraverseremo le paludi seguendo il passaggio, in silenzio e velocemente, per essere alla base prima del sorgere del sole. La nebbia ci proteggerà, ma non per sempre. Andiamo-
Domandandosi preoccupata in cosa consistesse il passaggio nelle paludi, Ariel seguì Angelica senza fare domande. Axel era già abbastanza nervoso anche senza la sua inopportuna goffaggine. Il terreno umido e muscoso del bosco si faceva via via sempre più acquitrinoso. Comparvero felci e qualche pozza di acqua putrida circondata da canne di bambù. L’aria divenne umida e pesante, una sottile nebbiolina avvolse ogni cosa. Poi, improvvisamente, una sterminata distesa d’acqua si aprì davanti ai suoi occhi. Si accorse di trattenere il respiro solo quando fu costretta ad espirare. Non c’erano dubbi: quella cosa, qualunque cosa fosse, aveva tutto l’aspetto di una palude. Ed era estremamente inquietante. Axel armeggiò per qualche minuto con le mani nell’acqua densa, infine annuì soddisfatto e immerse un piede. Fece un passo, sotto lo sguardo stupito di Ariel: sembrava camminare sul pelo dell’acqua.
- M-ma come…?!- bisbigliò.
- È un lastricato sommerso- spiegò Angelica – segui attentamente i miei passi, giù dal sentiero ci sono molti piedi di fango. Attenzione, è viscido-
Angelica si incamminò cauta dietro ad Axel. Ariel deglutì prima di cimentarsi a sua volta nella traversata. L’umidità le riempiva le narici e la nebbia limitava tristemente la sua visuale. Non che avesse intenzione di godersi la passeggiata…Era terrorizzata dall’idea di mettere il piede in fallo e di morire sepolta da quel fango puzzolente. Per non cedere al panico (era sicura che quella volta Isaac l’avrebbe uccisa con le proprie mani) si costrinse a ragionare. Che cosa avrebbero fatto una volta alla base? Avrebbero organizzato la resistenza? Avrebbero combattuto? Potevano sperare di vincere contro l’esercito di Glauce? Se conoscevano il territorio meglio dei soldati avevano un vantaggio. Dove portava quel sentiero fantasma? Se avevano costruito l’accampamento sulla riva della palude, i Ribelli avevano circoscritto le possibilità di attacco di Gunnar. E se la talpa avesse svelato l’esistenza di quel varco? Rabbrividì. La nebbia iniziò a diradare, e Ariel si sorprese nel posare il piede su qualcosa di quasi solido. Un isolotto interrompeva la monotonia palustre. Axel si chinò e ripeté l’operazione di ricerca, fino a trovare un altro lastricato ben nascosto. Di nuovo, in fila indiana, attraversarono una distesa di acqua e nebbia che sembrava non avere fine. Un’altra isola, un altro sentiero. Di nuovo un cambio di direzione.
- È un labirinto…- sospirò.
Angelica si limitò a lanciarle un’occhiata prima di proseguire. Ariel non sapeva cosa aspettarsi, e l’evidente nervosismo dei suoi compagni, Axel sopra a tutti, era una novità negativa. A intervalli brevissimi si fermavano ad ascoltare i rumori, protetti da quella coltre di umidità, e quando, oltre al gracidare delle rane, cominciò a captarsi qualche suono umano, si fecero ancora più circospetti. I rumori, dapprima leggeri e indistinti, diventarono sempre più chiari e nitidi. Sussurri, parole bisbigliate, risate nervose che la vastità delle paludi amplificava. Voci femminili. La fronte di Axel si spianò ad un cenno di assenso di Bill. Pochi minuti dopo, il sentiero terminò bruscamente in un cespuglio di canne. Ariel guardò Angelica scomparire al suo interno, prima di seguirla. Dopo qualche minuto di marcia in un’oscurità verde e spigolosa, emerse finalmente dalla foschia per ritrovarsi nel cuore dell’accampamento.
 
Con una zuppa bollente tra le mani, tutto sembrava avere una connotazione migliore. Gli abiti erano finalmente asciutti, i Ribelli avevano respinto tutti gli attacchi ed Ian, seduto accanto a lei, era ancora tutto intero.
- In partenza si era messa male…- raccontava Eric – I suoi erano molti, e noi siamo andati nel panico. Ogni dove ci spostassimo, ce li ritrovavamo alle spalle! Per fortuna siamo riusciti ad arrivare qui. Con la base protetta su due lati è stato più semplice difenderci, e molti dei suoi sono scomparsi tentando di attraversare la palude-
Eric non pronunciava mai il nome del tiranno, notò Ariel, come a volerlo privare della sua dignità di persona.
- Richard sta facendo un ottimo lavoro- continuò – finora lui e i suoi ragazzi sono riusciti ad intercettare tutti i messaggeri che tentavano di raggiungere Glauce per chiedere rinforzi-
Axel annuì.
- La situazione adesso com’è?- domandò.
Eric ghignò.
- Ci aspettiamo che attacchino al sorgere del sole. Non sono molti, per la verità, ma fino a questo momento erano meglio organizzati di noi. Adesso che l’alchimista è tornata, però…-
Il ghigno si allargò creando un agghiacciante contrasto con la risata cristallina di Angelica.
- Tu sì che sai come lusingare una donna, Eric!- rispose Daphne con un sorriso glaciale.
- Ho l’impressione che mi sfugga qualcosa- sussurrò Ariel ad Ian che, con un aria cupa che non gli si addiceva, rispose:
- Angie è particolarmente brava a creare espedienti di disturbo…e di distruzione di massa…-
Certo, è una chimica!, considerò tra sé.
- Niente esagerazioni questa volta, Angie- disse secco Isaac.
- Cosa intendi per esagerazioni?-
- Quel fuoco che non si spegneva che l’ultima volta ha rischiato di mandarci tutti al creatore è un’esagerazione-
Angelica sbuffò.
- Il fuoco greco un’esagerazione…!- sbottò.
Ad Ariel si rizzarono i capelli sulla testa: parlavano di quel fuoco greco?! Quello di cui nessuno conosceva la formula? Quello che le avrebbe potuto offrire una cattedra ad Harvard se fosse riuscita a riprodurlo?
-  Non è il momento di litigare, amici-
Sempre saggio, Neil.
- D’accordo, non temete, ho già in mente quello che fa al caso nostro!- esclamò Angelica ritrovando il sorriso.
- In ogni caso, abbiamo un vantaggio: non sanno che siamo tornati, e di certo non saranno felici di vederci- commentò Axel.
 
I primi raggi del sole colorarono di un tiepido oro le tende e la palude. Ariel se ne stava protetta nell’accampamento, ad attendere.
La vittoria o la sconfitta.
La vita o la morte.
- Andrà tutto bene-
Daphne, al suo fianco, la guardava con i suoi limpidi occhi smeraldini. Le avrebbe creduto, se solo la sua voce non avesse tremato così tanto. Si sentiva un verme a starsene lì a guardare mentre i suoi compagni erano schierati sul campo. Persino Ian aveva ottenuto di partecipare, persino Angelica aveva un ruolo.
- Appena cominceranno ad arrivare i feriti, Ariel, dovrai far sparire quel musetto mogio…devono vedere speranza in noi- disse Daphne.
Ariel annuì. Più facile a dirsi che a farsi.
Un urlo echeggiò nel bosco. Un frastuono e un boato. I soldati di Gunnar avevano attaccato. Ariel ringraziò il cielo di non poter vedere, già si sentiva sul punto di svenire. Che cosa sarebbe successo se fosse morto l’erede al trono? Scacciò il pensiero, sentendosi chiudere lo stomaco. Poteva solo pregare e attendere che quell’incubo terminasse.
 
Il tempo passava ad una lentezza innaturale. Ogni tanto, un’esplosione confermava che Angelica era ancora in attività. Giunsero dei feriti, e giunsero anche dei cadaveri: nella piccola infermeria, Ariel tentava in tutti i modi di coadiuvare Daphne che bendava, puliva, suturava e steccava. Si sentiva terribilmente inadeguata. E il tempo continuava a passare.
Uno scoppio di grida.
- Che succede?-
Neil, di vedetta all’accampamento perché ormai troppo vecchio per combattere, chiamò Ariel. La ragazza si arrampicò sul cumulo di legna che fungeva da posto di guardia e allungò il più possibile il collo. Sul campo di battaglia era tutto buio, una polvere nera tingeva l’aria, lasciando tutti i combattenti interdetti. Qualche urlo, ogni tanto, testimoniava che i Ribelli, preparati ad una simile mossa, riuscivano a sfruttare quella occasione.
- Che cos’è?- sussurrò Ariel.
- Qualche diavoleria di Angelica. Sta dando il meglio di sé oggi!- esclamò Neil con un sorriso.
Ariel si aggrappò al braccio del suo compagno e trattenne il respiro quando la polvere iniziò a posarsi. Nella mischia della battaglia era difficile distinguere i Ribelli. Una massa indistinta che si muoveva in modo disarmonico, come tante piccole formichine in un immenso formicaio.
- Tu ci capisci qualcosa?- domandò aguzzando la vista.
- Non molto, veramente…ma sono certo che siamo in vantaggio noi! Non mi pare che siano arrivati moltissimi feriti, e senza dubbio all’inizio c’era molta più ressa-
Smontò dalla torretta improvvisata e tornò da Daphne , con il terrore di veder giungere uno dei suoi amici su una barella con il petto squarciato.
- Allora?- domandò Daphne correndo qua e là.
Aveva i capelli legati e il sudore le imperlava la fronte, ma riusciva ad essere bella lo stesso, pensò Ariel con una punta di invidia.
- Neil dice che va bene-
Daphne annuì prendendola per un polso e trascinandola al capezzale di un moribondo per essere aiutata.
E così il tempo continuava a passare. Cercando di ignorare i clangori e le grida, Ariel correva da un paziente all’altro, sentendosi in uno di quei telefilm sui medici quando, dopo il disastro ferroviario, il pronto soccorso sta per collassare. Nella sua mente continuava a fluttuare l’inquietante immagine di una clessidra che, con lentezza estenuante, lasciava cadere, grano dopo grano, la sua sabbia, come a scandire i secondi di angoscia.
I boati degli incoscienti miscugli chimici di Angelica si susseguivano con sempre maggiore frequenza, accompagnati dalle grida di entusiasmo di Neil.
- Guardate! Guardate!-
Quando le urla del mugnaio si facevano più intense, Ariel correva a dare un’occhiata veloce, spaventata, per scoprire ora una zona di bosco rasa al suolo, ora una serie di lampi accecanti, ora un denso fumo nero che avvolgeva ogni cosa. All’inizio si domandava come i Ribelli potessero sfruttare simili diversivi, ma poi capì che lo scopo era un altro: voleva terrorizzare gli uomini di Gunnar fino a costringerli alla ritirata. Dove fosse veramente Angelica e come facesse a mettere in atto i suoi piani, non sapeva dirlo. Ma quando un grande fuoco verde si accese nel bel mezzo del campo di battaglia, fu evidente anche ad una profana come lei che i soldati erano sull’orlo della disperazione. Attese a fianco di Neil il gran finale.
Un ultima grande esplosione illuminò il bosco e scosse la terra. I pochi soldati superstiti si misero a correre, come impazziti. Alcuni si inoltrarono nel bosco, altri cercarono rifugio nelle acque assassine della palude. Un boato di felicità si levò dalla schiera dei Ribelli. In preda all’ansia e all’euforia, Ariel setacciò con lo sguardo il campo di battaglia. A fatica riconobbe Axel che stringeva compiaciuto la mano di Angelica, ed Isaac, poco lontano, che fissava qualcosa con lo sguardo perso. In un primo momento, la ragazza temette che fosse ferito, ma quando seguì il suo sguardo sentì il tempo fermarsi. Senza rendersi veramente conto di quello che faceva, balzò giù dalla catasta di legna e si precipitò sul campo di battaglia. Molti la guardarono senza capire mentre, con le lacrime che le rigavano il viso, superava un Isaac cinereo e immobile, per accasciarsi tremante sul corpo senza vita di Ian.
 




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Amiciiiii domani non potrò aggiornare causa torneo di beachvolley, ma confido che sopravviverete, anche perché il capitolo di oggi è bello lungo..e immagino anche che avrò dissipato parte dei dubbi della mia cara Socorro98 con il finale di oggi! ^^ Baci baci e buon "uicchènd" XD

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Capitolo 28
*** Il peso della responsabilità ***


I riccioli scomposti e incrostati di polvere, gli abiti inzuppati del sangue che era sgorgato dall’orrenda ferita al fianco…Ariel toccò quel sangue appiccicoso in uno stato di quasi totale incoscienza.
- No…no…- gemette guardandosi le mani bagnate.
Isaac si lasciò cadere in ginocchio, silenzioso, accanto a lei e chiuse gli occhi, come in preghiera.
- Isaac, fai qualcosa! Salvalo! Sei un medico!- farfugliò.
- Non c’è più nulla che possiamo fare per lui- sussurrò Isaac.
- Ti prego…- singhiozzò.
- No, Ariel…mi dispiace…-
Con la vista offuscata dalle lacrime, la ragazza sentì appena due braccia estranee cingerle le spalle. Non era vero. Non poteva essere. Ian le stava facendo un pessimo scherzo, questione di momenti e sarebbe balzato in piedi ridendo di lei.
Eppure i minuti passavano e non succedeva nulla.
Non riusciva a staccare gli occhi dal corpo dell’amico, al punto che le lacrime le correvano bollenti sulle guance, lavandole la polvere dal viso, ma non emetteva un suono. Axel la stringeva forte, togliendole il respiro, e le singhiozzava tra i capelli. Era caduta in uno stato catatonico che ovattava anche il suo dolore. Ma il ruggito disperato di Isaac la riportò alla realtà, quando questi lanciò la sua spada lontano per sfogare la frustrazione. Riscuotendosi, la ragazza si alzò e, sentendo il panico defluire dalla sua testa, si ricompose. Si asciugò gli occhi, si rassettò il vestito. Tutti i Ribelli spostarono lo sguardo, increduli, su di lei.
- È l’unico modo, Axel- disse con voce innaturalmente fredda e limpida.
- Ma di che parli?- farfugliò il Principe.
- Dobbiamo entrare nelle prigioni, e liberare il padre di Ian. Solo lui sa come entrare nel palazzo di Gunnar, e di sicuro non ne verrà fuori da solo vivo-
- Entrare nelle prigioni?! Ma sei impazzita?-
- Avete voluto che fossi il vostro stratega? Ebbene, questo è l’obiettivo primario-
Il suo sguardo duro non gli lasciò spazio di replica. Anche perché la determinazione svanì veloce come era arrivata e gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. Le ginocchia cedettero e cadde al suolo tremante.
 
Quando riacquistò la consapevolezza di sé si trovava sul letto di Isaac. Era notte fonda, ma una candela al centro della stanza illuminava a sufficienza da permetterle di capire dove si trovava. Isaac dormiva seduto su una sedia con la testa appoggiata alle braccia, incrociate sul tavolo. Faceva freddo. O per lo meno, lei aveva freddo. Era l’escursione termica o la disperazione? Si alzò silenziosamente e, presa una delle innumerevoli coperte che la scaldavano, la posò sulle spalle di Isaac. Si sentiva già abbastanza in colpa per avergli sottratto il suo giaciglio dopo una battaglia, non gli poteva fare anche prendete tutto quel freddo. Cosa ci faceva lì? Era svenuta, molto probabilmente, e il medico si era (di nuovo) preso cura di lei, allontanandola da quel caotico ospedale, sperando magari di risparmiarle una notte di incubi. Sorrise tristemente e si asciugò gli occhi, notando così che le sue mani erano candide. Anche il suo vestito era pulito. Qualcuno si era preso la premura di rimetterla in sesto. Scuotendo il capo per allontanare l’immagine di Ian si coricò. Un macigno le opprimeva il petto, ma non voleva piangere. Non era quello di cui avevano bisogno, una sciocca ragazzina da consolare. Sospirò.
“Penso io a te, cucciolo” sussurrò la Galassia, cullando la Custode in un sonno neutro, e impedendole di cogliere un impercettibile movimento sulla sedia alle sue spalle.
 
La mattina dopo, quando Isaac la svegliò, si sentiva un pochino meglio. Se non altro aveva riposato.
- Scusami tanto- biascicò.
Il medico non rispose. Si limitò a metterle una tazza di latte tra le mani. Fecero colazione nel più totale silenzio. Ogni parola sarebbe stata superflua. Ariel sapeva quanto Isaac fosse legato ad Ian. Che strano parlare di lui al passato, pensò. Quando Angelica fece capolino nella tenda, entrambi sussultarono.
- Bene, siete svegli- disse in un tono basso e pacato che non le era usuale. – Axel ci ha convocati tutti nella sua tenda…sai, Ari, temo che tu l’abbia messo in confusione con quella storia delle prigioni…-
Ariel prese un bel respiro e si alzò.
- Andiamo allora. È giunto il momento di mettere alla prova le difese di Gunnar-
Nella tenda di Axel regnava il silenzio. Ognuno sembrava totalmente assorto nei propri pensieri cupi. Quando entrarono gli ultimi tre assenti, Axel, Daphne, Neil, Eric e Richard levarono gli occhi a scrutarli attentamente mentre prendevano posto. Ariel si sentiva in equilibrio su un filo: doveva percorrerlo tutto per raggiungere la salvezza, ma come fare? Come convincere Axel, sempre così apprensivo, che la scelta più pericolosa era anche la migliore? Come spiegare al riservato Isaac che aveva curiosato senza vergogna tra i suoi peggiori ricordi? Perché il medico non aveva mai reso noto ad Axel la sua esperienza nelle prigioni? Doveva aver avuto i suoi buoni motivi. Come poteva allora, lei, giocargli un simile tiro?
- Ebbene?- domandò Daphne stanca di quell’inutile silenzio.
- Axel ci ha convocati, aspettiamo che dica qualcosa- rispose Angelica con un’alzata di spalle.
- Non sono io a dover parlare- disse Axel freddamente.
Ariel si alzò e gli si avvicinò minacciosa.
- Ti andavo più a genio quando proponevo obiettivi abbordabili? Che c’è? Adesso che è il momento di rischiare, all’erede manca il coraggio?- domandò caustica.
- Non dire assurdità! Per le cose serie rischio tutto quello che è necessario rischiare, ma solo perché tu lo vuoi vendicare…-
Ariel sbiancò.
- È questo che pensi? Che metterei a rischio la vita di tutti voi per una stupida vendetta?- la sua voce stillava delusione e Axel rimase a fissarla a bocca aperta – Beh, buono a sapersi- concluse tornando a posto.
- Non credo che volesse dire questo…- disse Daphne titubante.
- Io invece credo proprio di si- ribatté lo stratega.
Axel arrossì.
- Beh, a me non sembrava niente male come idea- intervenne Eric – insomma, ormai abbiamo protratto questa situazione di incertezza per un sacco di anni, ma sapevamo dall’inizio che prima o poi si sarebbe resa necessaria una mossa del genere-
Axel scosse il capo.
- Capisco, Axel, che ti preoccupi l’idea di saltare in braccio a Gunnar, ma devi riconoscere che Ariel ti ha sempre dato i consigli giusti al momento giusto…perché questa volta non ti fidi di lei?- domandò conciliante Neil.
- Perché le altre volte non aveva appena perso un amico-
- Quindi sono sconvolta e sragiono, giusto? – disse Ariel – Senti un po’, comandante, ti sei mai domandato come abbiano fatto gli uomini di Gunnar a trovare la nostra base e a seguirci fino a qui? Quante volte c’erano riusciti prima? E quanto credi che avrebbero impiegato a scoprire il passaggio?-
Axel non rispose.
- E poi, detto fra noi, credevo che ormai tu mi conoscessi abbastanza bene da sapere che piuttosto che rischiare di farmi ammazzare lascerei invendicata anche mia madre. Non sono pazza, sono razionale. Certo, se a te sta bene di continuare a cincischiare fino a quando Gunnar non morirà di vecchiaia, per me non ci sono problemi…però magari dimmelo subito, perché così me ne torno a casa!-
Axel chinò il capo e non rispose. Ariel si sentiva così arrabbiata, così frustrata, che si alzò e fece per andarsene.
- Scusa-
La voce flebile del Principe la raggiunse mentre stava già lasciando la tenda. Si voltò e lo guardò con aria interrogativa.
- Hai ragione, sono un codardo, scusami. Ma non andartene. Abbiamo bisogno di te qui-
- Se le cose stanno così, sai qual è la mia proposta- disse senza sedersi.
- È impossibile entrare nelle prigioni, Ariel, lo sai bene. Se sapessimo come fare, l’avremmo già fatto da un pezzo…-
Camminando avanti e indietro nervosamente, Ariel si passò le dita tra i capelli.
- È impossibile per chi non abbia una guida…-
Axel la guardò con sospetto. La ragazza esitò, poi si decise.
- Ma noi disponiamo di una fonte affidabile…qualcuno che è addirittura riuscito a scappare da quella fortezza…-
Il silenzio vibrava di aspettativa. Ariel prese un bel respiro e alzò gli occhi su Isaac. Un Isaac pallido, sciupato, spento. I suoi occhi ricambiarono lo sguardo limpido dello stratega con un misto di sorpresa e consapevolezza inscindibili. Un’ombra di sofferenza li attraversò prima che cedesse e distogliesse lo sguardo.
- Non ne sono capace…-
Ariel sentì lo stomaco contrarsi alla vista di tanto dolore. Si inginocchiò davanti a lui per costringerlo a guardarla.
- Sì che ne sei capace. Lo so che è difficile tornare laggiù, ma solo tu puoi risolvere questa situazione-
- Tu mi valuti troppo, Ariel. Credi che io sia una specie di genio, di eroe capace di tutto…beh, ti sbagli-
Si alzò e lasciò la tenda. Ignorando tutti gli sguardi che tentavano di leggerle il pensiero, scioccati, curiosi, perplessi, la ragazza strinse i pugni e lo seguì. Il medico scomparve nell’austera ombra della sua tenda e, dopo aver preso un bel respiro, vi si immerse a sua volta. Vedendolo lì, a testa bassa, si sentì estremamente colpevole.
- So che sei furioso ma, ti prego, prima di decidere in quale truculento modo uccidermi, fammi entrare nelle carceri…senza qualcuno che conosca quel luogo non possiamo sperare di tirar fuori il padre di Ian da lì, e senza di lui non possiamo violare la dimora di Gunnar-
Isaac contrasse i pugni e li rilassò molte volte prima di rispondere, con un tono profondo e innaturalmente calmo:
- Non sono furioso…-
Fortunatamente le dava le spalle, perché Ariel non poté impedire al sopraciglio scettico di sollevarsi.
- …ma non sono in grado di fare quello che mi chiedi. Sono passati troppi anni…-
Avvicinandosi di qualche passo, lo stratega gli posò una mano sulla spalla.
- So che quello che ti sto chiedendo potrebbe portarci tutti nella tomba anche troppo facilmente. Sarò un po’ incosciente forse, ma non sono una stupida. E so anche quanto ti costa affrontare il tuo passato che, mai come in quel luogo, ti ha temprato. Da quando sono giunta a Diamantina, Isaac, volente o nolente, sei stato una guida per me. Questa volta lascia che sia io a guidare te: il momento che aspettavamo è arrivato, tutto quello per cui hai lavorato diciotto lunghi anni sta per compiersi. È il tuo destino, Isaac, l’hai sempre saputo. Combattere al fianco del Principe per la libertà di Glauce. La profezia sta per avverarsi. Noi poveri mortali non abbiamo la forza di opporci all’eterno potere della Galassia. E tu, tu che hai compiuto gesta eroiche, che da solo ti sei sollevato contro il tiranno, che hai tenuto le redini di questo folle gioco per tutto il tempo…tu sei l’unico che può mettere la parola fine a questa storia. Non si sfugge al proprio destino- concluse con un sussurro, ricordando quanto le aveva detto la Galassia.
Gli occhi le si velarono di lacrime mentre Isaac si voltava, lo sguardo cupo ma un mezzo sorriso storto sulle labbra.
- Andiamo stratega- disse semplicemente precedendola fuori dalla tenda.

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Capitolo 29
*** Le prigioni ***


Una volta convinto Isaac a prendere le redini dell’operazione, Ariel non dovette fare altro che sedersi ed ascoltare. Isaac non le domandò come avesse scoperto quanto aveva per anni accuratamente omesso, anzi, aveva l’impressione che già sospettasse una qualche conoscenza di Ariel in materia. Era una persona molto intuitiva e dopotutto, forse, aveva accettato che anche lei potesse avere un posto nella sua guerra. Così, il medico aveva abbozzato una piantina delle prigioni, completa di entrate, uscite e uscite secondarie. Pure dopo più di dieci anni ricordava alla perfezione la collocazione delle celle, più in profondità quelle dei prigionieri ritenuti più pericolosi, più in superficie quelle dei ladruncoli. La particolarità di quel carcere stava nell’essere stato costruito scavando nella roccia: gli uffici amministrativi si trovavano in superficie, le celle sotto terra. Questo era, insieme, un vantaggio se si considerava l’irregolarità dei corridoi e la luce scarsa, e uno svantaggio perché offriva poche vie di fuga. Isaac calcolò che vista l’importanza dei prigionieri che cercavano, questi dovessero trovarsi abbastanza in profondità, ma non all’ultimo piano, riservato ai folli che avevano attentato alla vita di Gunnar. Cinque piani di celle in totale: escludendo l’ultimo, ne rimanevano comunque quattro da setacciare. Più facile a dirsi che a farsi.
- Entreremo dal lato della fossa comune, verso ovest- disse Isaac – c’è una puzza tremenda, si tengono il più possibile alla larga-
Richard intervenne:
- Visto gli spazi ridotti, non potremo venire in molti, dico bene?-
- Dici bene. Non più di tre persone- confermò Isaac.
- Consiglio che i restanti si appostino nei paraggi. Dovesse succedere qualcosa…-
Il medico annuì.
- In ogni caso, se anche dovessero catturare qualcuno di noi, non ci giustizierebbero subito- disse Neil – Gunnar vuole sempre vedere prima i sospetti Ribelli, quindi se dovessero portarci a Glauce, gli altri avrebbero un’opportunità, se invece dovesse spostarsi lui, beh…-
- …sarebbe l’occasione giusta- concluse Daphne.
- Una volta dentro, il corridoio si dirama. La strada che va a destra scende verso i piani più bassi, l’altra porta alle prime celle. Noi scenderemo cautamente. Non ci sono diramazioni in quel corridoio, porta direttamente all’ultimo piano, quindi devo supporre che da lì si possa risalire verso il quarto, il terzo e il secondo. Magari, poi, la strada si ricollega all’altro braccio del corridoio…-
Ariel non poté fare a meno di sorridere. Si, forse tendeva a idealizzare la leggendaria figura del Fondatore, ma non aveva tutti i torti a ritenerlo “una specie di genio e di eroe pronto a tutto”, per usare le sue parole. Non stava forse dimostrando di esserlo?
- Come faremo ad uscire?- domandò Richard.
- Così come saremo entrati, solo più velocemente- rispose Isaac serafico.
- Chi verrà con te?- per la prima volta fu Axel a parlare.
Isaac indossò la solita espressione imperscrutabile.
- Ho bisogno di Angelica. Potremmo dover far saltare in aria qualcosa. E…-
- Voglio venire io!- esclamò Ariel.
In un improvviso slancio di coraggio aveva pensato di poter chiedere alla Galassia di indirizzarli nella ricerca della cella, e nessun secco “no” le era giunto alla mente.
Isaac si incupì e, dopo qualche secondo di riflessione, annuì.
- Vorrai scherzare!- intervenne Axel.
Isaac lo guardò stupito.
- Perché?-
- Sei l’unico capace di combattere, vi farete ammazzare!-
- Il suo sento senso per il pericolo ci tornerà utile, Axel. In ogni caso, tu non avresti mai messo piede in quel posto-
Axel scosse il capo, sconvolto, borbottando qualcosa di molto simile ad un “sono impazziti tutti”.
Così, i dettagli del piano furono ultimati e Axel diede ordine di smantellare l’accampamento. Nonostante Ariel avesse sconsigliato quella manovra (era molto utile avere due lati sicuri in caso di un nuovo attacco), non ci fu verso di far cambiare idea al Principe.
I Ribelli lavorarono alacremente per riuscire a partire per ora di pranzo e trovarsi così entro notte sul lato ovest della penisola, non troppo vicini al limitare del bosco, ma nemmeno così lontani da non poter correre in soccorso del comandante e dei suoi.
 
Solamente quando l’imponente costruzione di pietra si presentò alla sua vista, Ariel capì quanto fossero alte le probabilità di venire scoperti. Ma per la prima volta non aveva paura. Sapeva di non essere nel pieno delle sue facoltà mentali, era troppo pungente il dolore per la perdita di Ian da permetterle di ragionare con lucidità, di valutare il pericolo come avrebbe dovuto. Ma non le importava. Prese sottobraccio i suoi compagni di avventura, guadagnandosi un’occhiataccia di Isaac e uno sguardo sorpreso di Angelica.
- Sapete, ragazzi, se devo rischiare le penne voglio farlo in vostra compagnia…non esistono compagni migliori di voi per morire!-
Angelica scoppiò a ridere.
- Anche noi ti vogliamo bene, Ari!- disse quando si fu ripresa.
- Cos’è tutto questo sentimentalismo, ragazze?- domandò Isaac storcendo il naso.
Ariel rise a sua volta e, lasciandoli andare, si fermò. L’ombra delle carceri incombeva ormai su di loro come una maledizione. I compagni si voltarono a guardarla senza capire.
- Andrà tutto bene- disse in un sussurro – Non chiedetemi perché, ma sono convinta che andrà tutto bene-
- Spero per te che sia vero, altrimenti il mio spirito perseguiterà il tuo per l’eternità!- ridacchiò Angelica tornando indietro ad abbracciarla.
- Andiamo, squilibrate, o finiremo per farci scoprire davvero!- le riprese Isaac, ma Ariel notò che faticava a trattenere un sorriso.
Quando il sole scomparve oltre l’orizzonte, Eric, poco più a sud, segnalò la regolare presenza dei Ribelli. Ad un cenno del medico, le ragazze lo seguirono fuori dall’ultimo sprazzo di bosco. Era una notte di luna nuova e il buio era assoluto. Vestiti di nero, si mimetizzavano alla perfezione con la desolata zona ad ovest dell’immenso carcere di Glauce. Un odore pesante riempiva l’aria ed aumentava ad ogni passo, acquisendo sempre più un forte sentore di putrefazione. Isaac si muoveva con sicurezza. Dietro ad un filare di alberi si allargava la fossa comune. Angelica dovette trattenere un conato: oltre all’aria irrespirabile, la vista di quel luogo di morte, in cui nemmeno la dignità era lasciata ai prigionieri, era davvero straziante. Ariel chiuse gli occhi un secondo per farsi coraggio, poi si costrinse a concentrarsi sulla loro guida e a non prestare attenzione alcuna al contesto. Il cappuccio nero che le cadeva sugli occhi le limitava la visuale, ma cercò comunque di dare un’occhiata alla struttura che si ergeva su di loro, fiera e terribile. Isaac si avvicinò cautamente al grosso cancello che dalla fossa immetteva nell’edificio. Verificò che non ci fossero guardie e tentò di entrare. Il cancello tintinnò e non si mosse. Isaac sbuffò e lanciò uno sguardo scocciato ad Angelica, che estrasse dalla bisaccia che teneva sotto al mantello una collezione di piccoli listelli di ferro. Scelse accuratamente lo strumento, lo infilò nella serratura e prese ad armeggiare, con la fronte corrugata per la concentrazione. Dopo qualche minuto di lavoro, la serratura scattò con un flebile clank e Angelica sorrise soddisfatta. Isaac la ringraziò con un cenno del capo e spinse il cancello, che si aprì con un cigolio. Attesero qualche momento in silenzio che si scatenasse l’inferno, ma nulla si mosse. Evidentemente non li avevano sentiti. Ariel si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e si incamminò cauta dietro ad Isaac. La Galassia illuminava fiocamente i loro passi infondendo alla Custode un po’ di sicurezza. Quando i suoi occhi cominciarono a riconoscere le forme, però, non poté reprimere un brivido. Il tunnel che li avvolgeva era scavato nella roccia viva in modo grossolano. Molte sporgenze e nicchie erano lasciate  libere a loro beneficio. Le torce si susseguivano su entrambi i lati. Fortunatamente, di notte erano spente, almeno in quella zona a basso rischio. Il terreno, a differenza delle pareti, era ben livellato. Certo, non doveva essere semplice comunque trasportare dei pesi morti per tutto quell’immenso edificio…Alla puzza dei cadaveri si stava sostituendo gradualmente un cattivo odore di chiuso e un vago sentore di sudore misto a muffa e a qualche altra pessima sostanza. Doveva pur esserci il modo di aerare quel bunker, oppure tutti i suoi abitanti sarebbero soffocati in poche ore. Magari un qualche condotto ben nascosto, che avrebbe anche potuto tornare utile. Meravigliandosi di non aver ancora incontrato ostacoli, si avvicinò un po’ di più ad Isaac.
- Dovremmo esserci ormai…- disse.
Isaac continuò a scrutare l’oscurità corrucciato. Il naso perfettamente diritto spiccava nella luce lattiginosa del ciondolo, i lineamenti austeri e aristocratici sembravano ancora più raffinati. Ariel aveva sempre avuto la sciocca abitudine di fissare le persone a loro insaputa. Non era molto loquace, non se la cavava bene nei rapporti interpersonali, per questo aveva imparato a conoscere chi la circondava dalle emozioni che lasciava trasparire. Il pronunciarsi delle linee (era giusto chiamarle “rughe”?) in mezzo alle sopraciglia del medico descrissero meglio delle parole i suoi legittimi dubbi: come diavolo faceva Ariel a sapere dove si trovava il loro bivio? Anche la diretta interessata se lo stava domandando, senza riuscire però a darsi una risposta. Nel suo sogno non era stata in quella parte di edificio. Eppure sentiva che era così. Forse era la Galassia a trasmetterle quelle conoscenze utilissime che di certo non le appartenevano. Pochi minuti dopo, infatti, si aprì sulla loro destra il corridoio che conduceva nel cuore delle prigioni. Ma era spiacevolmente chiuso da un cancello.
- Temo che questo sia qui a causa mia- commentò Isaac con evidente disappunto.
Angelica ghignò e ripeté l’operazione con i suoi piccoli strumenti da scassinatore. Con consumata abilità fece scattare la serratura e cedette il passo alla loro guida. Isaac aprì il cancello e lo richiuse alle loro spalle.
- Credete che sia saggio richiuderlo?- domandò Angelica con un filo di apprensione nella voce.
- Se lo lasciassimo aperto ci annunceremmo- rispose Isaac.
- Ma se dovessimo aver bisogno di scappare…-
- …tu tieni pronto il tuo esplosivo- concluse il medico in un tono che non ammetteva repliche.
Angelica si morse vistosamente il labbro inferiore, in un atteggiamento che Ariel aveva imparato a riconoscere come quello di chi sapeva di dover evitare discussioni.
Il tunnel proseguiva in discesa, buio e inquietante. C’era umido e freddo, e i continui brividi di Angelica mettevano ansia ad Ariel, che aveva i nervi a fior di pelle nell’attesa di un presentimento negativo. Si sentiva estremamente infantile, ma avrebbe tanto desiderato nascondersi dietro alla schiena di Isaac. Il senso della realtà stava ricomparendo ad intervalli sempre più brevi e per periodi di tempo sempre più lunghi. L’ambiente non era cambiato affatto dal suo sogno, e anche se sapeva che questo avrebbe dovuto rassicurarla, in realtà le dava la terribile impressione che il tempo si fosse fermato. Il medico si guardava attorno e, a mano a mano che riconosceva i luoghi che aveva per tanti anni tentato di seppellire nei suoi ricordi, il suo volto si faceva più scuro. E i minuti passavano lenti, l’uno uguale all’altro, impossibili da quantificare. Di colpo, una corrente gelata lungo la schiena paralizzò Ariel. Prese Angelica per un polso e le fece segno di tacere. Isaac capì al volo e le spinse su per il tunnel, per poi nasconderle in una nicchia in ombra. Si teneva pronto per una simile necessità da quando avevano messo piede in quel luogo. Ariel ebbe appena il tempo di coprire la sua pelle adamantina con il mantello nero per evitare una sentinella che conduceva svogliatamente il suo giro di ronda. Trattenne il respiro. Con passi strascicati, la guardia li oltrepassò, diretta verso il cancello. Il rumore si attutì e scomparve il lontananza.
- Non l’ho sentito arrivare…- mormorò Angelica.
Ariel sentì Isaac rilassare i muscoli accanto a lei e si costrinse a respirare. Il medico sospirò.
- Nemmeno io. Doveva davvero dormire in piedi per non vederci! È improbabile che abbia le chiavi del cancello, ci conviene muoverci se non vogliamo ritrovarcelo alle spalle-
Ancora più cautamente ripresero la discesa. Pur senza sollevare obiezioni, Ariel spronava il cervello a lavorare a pieno regime: anche se avevano prestato moltissima attenzione, nessuno di loro aveva sentito i passi della sentinella…cosa sarebbe successo se il suo sesto senso avesse fatto cilecca? C’era la possibilità che un simile rischio si ripetesse, lo sapeva. Ma avevano scoperto anche una cosa positiva, che il livello di allerta era basso. Una sola sentinella e semiaddormentata non era certo un grande pericolo. D’altra parte, per molti anni nessuno era riuscito a fuggire da quella fortezza, e mai, a memoria d’uomo, qualcuno aveva tentato di entrarvi. Perché poi? Paura? Mancanza di fiducia nei propri mezzi? Forse semplicemente quel labirinto senza una guida valida sarebbe potuto diventare la loro tomba anche senza bisogno di venire catturati…
Il tunnel si addentrava sempre più in profondità nella terra. Gli occhi di Isaac scivolavano senza requie a destra e a sinistra, sempre in cerca di un possibile riparo.
- Manca molto?- domandò l’alchimista.
La sua voce tremava fortemente.
- No- rispose secco Isaac.
Angelica era troppo spaventata per accigliarsi, ma Ariel non riuscì a risparmiargli un’occhiataccia, anche se non ebbe il coraggio di commentare: ogni tratto del medico esprimeva una tensione quasi dolorosa. Deglutì, mentre la luce diminuiva leggermente.
Improvvisamente, il tunnel curvò ad angolo retto a sinistra. Nella semioscurità se ne resero conto soltanto pochi secondi prima di andare a sbattere contro alla parete.
- Il quinto livello- sussurrò Isaac sbirciando oltre l’angolo.
- Era qui che ti tenevano?- bisbigliò Ariel.
Il medico non le rispose, ma si voltò verso le ragazze e posò una mano sulla spalla dell’una e una mano sulla spalla dell’altra, con fare cospiratore.
- Ora ascoltate: dietro quest’angolo il tunnel prosegue diritto per qualche minuto e sulla sinistra si aprono i corridoi con le celle, perpendicolarmente al passaggio principale. Secondo me, in fondo, la galleria curverà di nuovo di novanta gradi verso sinistra e riprenderà a salire. Non so come siano posizionate le celle degli altri livelli, né quanta sorveglianza sia prevista, perciò massimo silenzio e massima cautela. Non credo che chi cerchiamo si trovi qui, ma dobbiamo comunque controllare, perché non ci sarà un’altra occasione-
“Non sono qui” tintinnò una voce nella testa di Ariel.
- Non sono qui- ripeté la ragazza meccanicamente.
- Come lo sai?- domandò Angelica.
- Lo dice la Galassia- rispose.
- La Galassia sa dove si trovano?- domandò scettico Isaac.
“Si”
- Si- riportò Ariel.
- Possiamo fidarci?- il medico la guardò intensamente, dandole la spiacevole sensazione che potesse leggerle nel pensiero.
“Maleducato” commentò la vocina.
Ariel represse una risata nervosa.
- Direi di si- concluse.
Isaac annuì. Prese Angelica per mano, questa fece lo stesso con Ariel, e svoltarono l’angolo. Come aveva detto la loro affidabile guida, dal corridoio si aprivano, come i denti di un pettine, dei lunghi tunnel bui in cui si intravedevano le sbarre delle celle scavate nella roccia. Erano talmente poco illuminati che era impossibile dire se, da qualche parte, vi fossero guardie. Il medico trascinò le ragazze oltre il primo passaggio. Attesero in silenzio l’inizio della fine. Niente. Di nuovo oltre il secondo. Ancora niente. Oltre il terzo. Un uomo emerse dall’ombra del quarto, ma non ebbe il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo. Con la prontezza di riflessi di un felino, Isaac estrasse il pugnale e gli tagliò la gola. Con un gorgoglio sinistro la guardia si accasciò al suolo, mentre una grande pozza di sangue si apriva sul pavimento. Il russare sonoro di un detenuto coprì il fruscio del corpo che veniva trascinato nell’ombra. Superarono così il quarto tunnel e, pregando di avere fortuna, il quinto e ultimo. Dopo un’occhiata veloce oltre l’angolo, svoltarono di nuovo per trovarsi ai piedi di una salita che si perdeva nel buio.
- Andiamo, forza- disse Isaac dopo aver espirato forte.
Lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, a quel luogo di orrori che sperava fortemente di non rivedere mai più, e ripartì senza aspettare le sue compagne. Anche dopo innumerevoli manifestazioni di umanità, Ariel continuava a sorprendersi dei momenti di improvvisa debolezza del medico. Era talmente abituata ad accollargli tutti i suoi problemi da dimenticarsi (era brutale, ma era proprio così) che anche lui poteva aver bisogno di sostegno. Arrossì per la vergogna, ringraziando l’oscurità. Per questo motivo aveva represso la nausea davanti al cadavere della guardia, alla puzza di escrementi e all’impossibile ricerca che li attendeva. Non poteva pretendere che Isaac fosse forte anche per lei per tutta la vita. E Angelica non era certo nella sua migliore condizione: si guardava attorno spaesata, sembrava non realizzare nemmeno dove si trovasse.
Dei passi in avvicinamento, accompagnati dal solito brivido, indussero i tre a rifugiarsi dietro ad un grande masso, in attesa del passaggio di una guardia. Dal buio emerse un omone con una pancia enorme, che barcollava sotto il suo stesso peso. Li oltrepassò senza vederli e portò il suo passo pesante giù lungo il corridoio. I tre si rimisero velocemente in strada e si fermarono soltanto quando un nuovo tunnel intersecò il loro. Il quarto livello. Isaac guardò Ariel con aria interrogativa.
“Non sono qui” disse la Galassia.
Ariel negò con il capo, guadagnandosi uno sguardo che sapeva di “spero tanto per te che sia così”. Augurandosi che la Galassia non sbagliasse, lo stratega oltrepassò con i suoi compagni la diramazione. Dopo soltanto pochi passi, però, si bloccarono al suono di una voce che proveniva da  braccio destro del corridoio che avevano appena superato.
- Non hai visto?- domandò un uomo.
- Cosa?- rispose un altro.
- Come un’ombra…-
- Secondo me hai bevuto troppo. Quanto vino è rimasto in quella bottiglia? Fammi vedere!-
Il tintinnare del vetro sul pavimento di pietra.
- Dai, Alan, non dire idiozie, ho visto qualcuno!-
Alan sbuffò.
- Sarà quel ciccione di Liam- disse.
- No, Liam è sceso verso il quinto qualche minuto fa-
Alan sbuffò di nuovo.
- D’accordo, frignone, vado a dare un’occhiata, ma quando avrò appurato che non c’è nessuno la smetterai di lamentarti, va bene?-
Ariel guardò Isaac in attesa di ordini, ma questo fissava con gli occhi sbarrati la direzione da cui provenivano i passi di Alan. Lo prese per un polso e lo trascinò su, verso un punto in cui una torcia si era spenta. Isaac si lasciò condurre come in trans, ma per fortuna almeno Angelica si era riscossa e li aveva preceduti. Si addossarono al muro, sperando che nell’oscurità particolarmente densa, Alan non prestasse attenzione a tre nuove ombre nere.
La testa della guardia fece capolino. Con gli occhi ridotti a due fessure guardò a destra e a sinistra, scrutò l’altro braccio del quarto livello, controllò nuovamente il corridoio, infine tornò dall’amico scuotendo il capo.
- Tu bevi troppo, Jim…- disse, accompagnando le sue parole con una risatina nervosa.
Ariel si lasciò scivolare per terra tremante. Isaac si sedette accanto a lei e si prese la testa tra le mani sospirando. Angelica li guardò scioccata.
- Ma siete fusi? Non possiamo riposarci, Liam starà tornando, muovetevi!-
Ariel aprì bocca per rispondere ma poi ci ripensò. Se non altro l’alchimista era tornata tra i vivi. Si alzò, anche se le gambe faticavano a sostenerla e allungò la mano ad Isaac per aiutarlo ad alzarsi. Questo la afferrò e si trasse in piedi, pallido come mai.
- Hai ragione- disse.
Risalirono il tunnel fino all’incrocio successivo, ma quella volta si tennero abbastanza lontano da poter captare eventuali rumori senza essere visti.
“Ci siamo” disse la Galassia. “Terza cella a sinistra”
Ariel trasse un bel respiro e disse:
- Terza cella a sinistra, ragazzi-
I suoi compagni annuirono. Lo sapevano: da come avrebbero gestito quella situazione sarebbe dipesa la loro vita o la loro morte.




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Mi scuso con Hareth per l'esigua presenza del suo amico Axel in questo capitolo ;) Sempre riguardo al fare e disfare di Isaac..XD Porta pazienza, mia cara, verranno tempi migliori! Baci
Cat

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Capitolo 30
*** Il falegname ***


- Ok…ok– si ripeté Angelica meccanicamente cercando di farsi coraggio.
- Come si fa a raggiungere le celle senza farsi scoprire?- Ariel si massaggiò il naso mentre rifletteva ad alta voce – Servirebbe un diversivo…-
Dalla profondità della terra giunse uno scoppio di grida indistinte.
- Questo può andare bene?- commentò Isaac con una punta di sarcasmo.
- Ho l’impressione che abbiano trovato il tuo amico, Isaac…- disse Angelica.
Il medico sghignazzò.
- Cosa sta succedendo?-
Voci dal corridoio del terzo livello.
- Oh merda! Passeranno di qui!- esclamò Ariel.
Isaac estrasse il pugnale e le ragazze lo imitarono. Due uomini si precipitarono fuori dal tunnel finendo direttamente tra le loro braccia. Ariel ringraziò il cielo che l’infelice compito di zittirli fosse capitato ad Angelica e ad Isaac anziché a lei. Per uccidere non era ancora forte abbastanza, nonostante tutti i suoi buoni propositi. Lasciarono le due guardie al suolo ancora agonizzanti e si lanciarono alla ricerca della cella.
- La terza?- domandò Isaac.
- La terza!- confermò Ariel con un filo di panico nella voce.
- È questa!- esclamò il medico aggrappandosi alle sbarre solide e iniziando a scuoterle.
- Chi diavolo siete voi?!- domandò un uomo accucciato nell’ombra della cella.
- Sei il falegname?- domandò Angelica.
- Si, sono io-
L’alchimista scansò Isaac, armeggiò qualche secondo con la serratura e, con una piccola esplosione, la porta si spalancò.
- Chi siete?- domandò di nuovo, incapace di credere ai propri occhi.
Isaac lo aiutò al alzarsi in piedi.
- Non mi riconosci?- domandò dolcemente.
- Isaac?! Sei proprio tu?- esclamò sbalordito.
Il medico sorrise.
- Dov’è il fabbro?-
- Morto. Poche settimane fa- mormorò il falegname.
Isaac imprecò.
- Non c’è tempo, Isaac!- incalzò Ariel.
- Puoi camminare?- domandò.
L’uomo scosse il capo, mesto. Ariel notò, quando mosse un passo, che zoppicava. Isaac si guardò attorno alla ricerca di un aiuto, poi sospirò.
- Aggrappati a me- disse prendendolo in spalla.
- Che facciamo adesso?- strillò Angelica.
- Scappiamo, dannazione!- rispose Isaac.
- Non di là!- gridò Ariel agli amici che si stavano precipitando lungo il corridoio principale.
Entrambi la guardarono senza capire.
- Ci sarà sicuramente un cancello in fondo, e tra pochi minuti si fionderanno tutti qui dal quinto livello- spiegò.
- Ma allora come…?- farfugliò Angelica.
- Ci deve essere un condotto di aerazione! Cerchiamo quello, svelti!-
I tre si divisero, mentre i passi e le grida si avvicinavano sempre più. Ariel cercò nelle profondità del tunnel, mentre i detenuti cercavano con ogni mezzo di convincerla a liberarli. Imponendosi di ignorare le loro implorazioni disperate, la ragazza tastò il muro, cercò botole, griglie, finestre, porte. Niente. Il tempo passava inesorabile, la sabbia della clessidra era quasi caduta tutta.
- Qui!- la voce di Angelica emerse dal buio. Ariel corse, imitata da Isaac, nella direzione dell’alchimista, che teneva sollevata un’asse di legno posta a copertura di un tombino. Isaac posò il falegname, aprì la botola e vi fece entrare le ragazze, che sorreggevano il detenuto, poi la richiuse accuratamente, facendo in modo che l’asse tornasse ad aderire alla grata.
- Ehm ehm- la voce di Ariel rimbombò.
Nell’oscurità più totale, l’unico barlume di luce era il fioco brillare della Galassia. Isaac si issò nuovamente in spalla il falegname.
- Jonathan, giusto?- domandò.
L’uomo annuì. Non domandò chi fossero quelle due folli con l’aspetto di angioletti che si accompagnavano al medico, che ricordava ancora ragazzino, né cosa fosse quello strano oggetto al polso della mora, o come fossero entrati, o perché. Per tutte quelle domande ci sarebbero state risposte a tempo debito.
Seguirono quel condotto trepidanti. Gli unici rumori giungevano in corrispondenza delle griglie, e a quanto pareva nessuno aveva ancora pensato di cercarli laggiù. Ma le grida, i passi veloci e pesanti, tutti i segnali d’allarme li facevano sentire più che mai prossimi alla più cruenta morte. Senza prestare molta attenzione al rumore che potevano produrre correndo a perdifiato, risalivano lo stretto cunicolo, largo abbastanza da farli passare uno per volta e alto appena a sufficienza per Isaac. Ad ogni bivio pregavano di prendere la direzione corretta, perché si trovavano in un vero labirinto, e perdersi sarebbe equivalso a suicidarsi. E dopo infinite svolte, infinite salite e discese, griglie, angoli e angoscianti decisioni, da una presa d’aria lasciata scoperta videro il cielo.
 
Angelica si lasciò scivolare a terra, sfinita.
- Dove ci troviamo?- bisbigliò Ariel.
- Non lo so, ma di certo siamo fuori- rispose Isaac trepidante.
Sollevò cautamente la griglia e sbirciò fuori.
- Perfetto! Siamo sul lato sud, verso Eric. Riesco a vedere il filare di alberi della fossa. Andiamo, forza!-
Spostò la grata e guardò senza capire le ragazze, che lo fissavano perplesse.
- Che cosa c’è?- domandò.
- Non per fare la saputella, amico- disse Angelica – ma come faremo ad uscire se l’uscita è sopra alla nostra testa?! Voglio dire, tu che sei alto ci arriveresti, ma noi tappe…-
Isaac sbuffò.
- Come siete malfidenti…-
Nel dire questo fece segno ad Angelica di avvicinarsi e, intrecciando le mani a formare come uno scalino, aspettò che la ragazza vi posasse un piede per issarsi all’altezza dell’uscita. Angelica sorrise soddisfatta e gli diede una pacca di ringraziamento sulla spalla prima di sparire oltre il buco.
- Vai tu, Ariel. Quando sarai fuori vi passerò Jonathan-
Ariel annuì. Fece leva sulla mano del medico e, aiutata da Angelica, lasciò il condotto e riguadagnò l’aria aperta.
- Devi mangiare di più, Ariel! Fidati di un medico!- le disse Isaac dalla profondità della terra.
- Oh, per Dio! Sembri mia zia Eudora!-
Angelica scoppiò a ridere  mentre trascinavano fuori anche il falegname, seguito dal medico.
- E adesso?- domandò Ariel.
- Adesso dobbiamo riuscire a raggiungere Eric e i suoi senza farci beccare…-
- Eccoli là!- gridò una voce lontana.
- Dicevi?!- ironizzò Angelica.
Cominciarono a correre, senza voltarsi indietro, diretti verso il bosco dove i Ribelli li attendevano. Le frecce sibilavano accanto a loro, le voci sempre più vicine. Isaac era appesantito dal fardello che portava sulle spalle e arrancava.
- Eric!- strillò Angelica disperata quando una freccia le sfiorò il viso.
- Non mollare, Isaac, ci siamo quasi!- gridò Ariel vedendolo incespicare.
Isaac stringeva i denti, barcollava perdendo velocità, e le guardie del carcere di Glauce si avvicinavano troppo velocemente.
Un boato. Urla. Una nuvola nera che prorompeva dal verde scuro. Eric in testa.
Ariel ebbe appena il tempo di sorridere prima che Angelica la prendesse per un polso per non rischiare di perderla in mezzo a quella marea umana.
 
Quando Ariel si svegliò faticò a ricostruire la sequenza degli ultimi eventi. Erano riusciti a scappare dal carcere con il padre di Ian, ma il fabbro era morto. Con a una fortuna a dir poco sfacciata erano usciti vivi e per un pelo Eric e i suoi uomini avevano salvato loro la pelle. Una volta nel bosco freddo un carro li aveva trasportati lontano, verso l’accampamento ben nascosto in una macchia inaccessibile di boscaglia. Là, Daphne si era presa cura di Jonathan e di Isaac, lei e Angelica erano state spedite a letto. Altro non sapeva. Sospirò e si alzò. I muscoli indolenziti si facevano sentire, ma non si era mai sentita più viva, più pronta a tutto pur di trovarsi faccia a faccia con Gunnar, pur di rendere ad Axel il suo trono. Guardandosi attorno scoprì che Angelica si era già alzata. Stiracchiandosi uscì dalla tenda, nella luce verde del fogliame denso.
- Buongiorno!-
Sobbalzò. Axel la stava aspettando seduto accanto all’ingresso, e si alzò.
- Mi hai fatto venire un infarto- borbottò la ragazza.
- Scusa- rispose Axel con un sorriso disarmante. – Come ti senti?-
- Bene direi! Che ore sono?-
- Le cinque-
- Ho dormito così tanto?-
Il Principe annuì.
- Dove sono gli altri?- domandò Ariel accigliandosi.
- Isaac è ancora in infermeria. Era a pezzi, poveretto. Angelica invece si è allontanata con Eric un paio d’ore fa e non è ancora tornata…-
- Con Eric?!-
Axel sfoggiò un sorrisetto malizioso.
- Sai, si girano attorno da una vita, ormai…sarebbe ora che si decidessero! Anche perché, insomma, lui non è più un ragazzino…ecco, hai capito cosa intendo…-
Ariel arrossì.
- In effetti non li vedrei male insieme. Sono entrambi tremendamente inclini alla violenza…-
Axel scoppiò a ridere.
- Jonathan si sente meglio. È un po’ sottopeso e zoppica per via di una frattura mai curata, ma per il resto sta abbastanza bene. Vuoi parlargli?-
- Mi piacerebbe, si!-
Axel la condusse alla tenda in cui il falegname conversava con Daphne. Entrambi le sorrisero al suo ingresso e Daphne le offrì uno sgabello.
- Il mio nome è Ariel- disse all’uomo allungando la mano.
Rispondendo al saluto, questo disse:
- Lo so. Mi hanno parlato di te. So che eri amica di mio figlio-
La ragazza sentì scivolare nello stomaco un grosso masso. Annuì abbassando gli occhi.
- Perché mi avete liberato, stratega?- domandò il falegname.
- Perché tu sei l’unico a conoscere i punti deboli del palazzo di Gunnar. Non possiamo resistere ancora molto, qualcuno ci sta vendendo al tiranno, perciò dobbiamo muoverci subito se vogliamo rendere il trono al legittimo sovrano. Dobbiamo entrare al palazzo reale di Glauce, e tu sei l’unico a poterci dire come fare-
L’uomo si fece pensieroso. Dopo lunghi minuti di silenzio, disse:
- Naturalmente vi aiuterò. Vi devo la libertà, ed è per questa causa giusta che il mio Ian ha perso la vita. Ma devi lasciarmi un po’ di tempo per riflettere, per rispolverare i miei vecchi ricordi-
- Tutto il tempo necessario- concluse Ariel con un sorriso prima di lasciare la tenda.

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Capitolo 31
*** Colpo basso ***


Angelica ricomparve solo a ora di cena, ed era particolarmente su di giri. Ariel non le chiese nulla: era esattamente il genere di argomento che la metteva nel più infelice imbarazzo. E non tanto perché disdegnasse il pettegolezzo (era pur sempre una donna, diamine!), quanto perché quei discorsi finivano sempre per convergere sugli affari suoi, desolantemente poveri di contenuti. Ma vedere l’amica in quello stato di esaltazione le faceva piacere. Cenarono insieme discutendo di quello che era successo quella notte e di cosa sarebbe potuto verificarsi una volta a Glauce. Già raggiungere il palazzo si sarebbe rivelata, molto probabilmente, un’impresa ardua.
Una piccola porzione del cervello di Ariel le consigliava di non concedere troppe confidenze sui suoi progetti ad Angelica, perché non si era ancora scoperta l’identità della talpa. Un’altra parte, ben più consistente, invece, le ripeteva che se la spia fosse stata la sua amica non sarebbero mai usciti da quell’inferno che era il carcere. Non vivi, per lo meno. La piccolissima concentrazione di materia grigia restante, intanto, si domandava come mai la Galassia non si fosse più fatta sentire dalla soffiata nel terzo livello. Che fosse offesa perché la Custode aveva rifiutato il sogno su Neil? Approposito del mugnaio, che fine aveva fatto?! Da quando erano partiti per la loro missione impossibile non l’aveva più visto…
Prima di andare a dormire, decise di fare una passeggiata nell’accampamento. L’aria era fredda e limpida, e rimpianse di trovarsi in un luogo tanto fitto di alberi da non riuscire a vedere le stelle. Nelle tende, le luci erano ancora quasi tutte accese. Le ombre danzavano inquietanti sulle pareti di stoffa. Sorrise tra sé avvicinandosi alla tenda di Axel e Daphne. Non aveva ancora ringraziato a dovere la moglie del Principe per il sostegno datole durante la battaglia nelle paludi, e l’esperienza nelle prigioni, che tante volte in poche ore le aveva fatto guardare la morte in faccia, le aveva insegnato che a volte potrebbe non presentarsi un’occasione migliore per dire o fare qualcosa. Quanto spesso capita di risparmiare un “grazie” o negare un “ti voglio bene” per paura di sembrare banali, sdolcinati, infantili? Ci ripetiamo “la prossima volta glielo dico”, ma se non dovesse esserci una “prossima volta”? Avremmo semplicemente negato un sorriso ad un amico…
Con la testa piena di questi strani pensieri, allungò la mano per sollevare un angolo del drappo e chiedere “permesso”. Ma una voce profonda e leggermente metallica la bloccò.
- Dì ad Ariel di andare a casa, Axel-
Ariel rimase pietrificata.
- Perché mai?- domandò incredulo Axel.
Isaac sbuffò.
- Quella ragazza ha un talento naturale per cacciarsi nei guai…non possiamo rischiare di portarla a palazzo! Non posso badare a lei in continuazione!- esclamò.
- Sei ingiusto, amico mio. Ci ha reso un grande servizio, finora, e tu stesso hai insistito perché entrasse nelle prigioni con te. Come sarebbe andata se lei non ci fosse stata?-
Con il cuore improvvisamente pesante, Ariel poteva quasi vedere il bel viso di Axel imbronciato. Aveva sempre avuto fiducia in lei, almeno lui. Una lacrima solitaria le solleticò la guancia. Credeva, dopotutto, che Isaac avesse seppellito l’ascia di guerra, che avesse accettato la sua utilità nel conflitto. Evidentemente non era così. E nel silenzio che si protraeva, Ariel avrebbe tanto desiderato entrare e prenderlo a schiaffi. Dopo quella che avrebbe potuto essere un’eternità, Isaac sussurrò:
- Ha svolto il suo compito. Adesso è il momento di congedarla. Non capisci quanto la metti in pericolo? Quanto ci metti in pericolo?-
Ariel deglutì e, lentamente, entrò nella tenda. Axel sbiancò e Isaac, che le dava le spalle, si voltò a guardarla senza tradire un’emozione. Di pietra, come sempre. Sulle labbra della ragazza si stiracchiò un sorriso amaro.
- È così, dunque…- disse, la sua voce era perfettamente stabile.
Era sempre stata brava a recitare, e mai come in quel momento aveva desiderato non dare una soddisfazione al suo interlocutore. La sua maschera di freddezza non sarebbe crollata, non quel giorno, non davanti ad Isaac!
- Sono un peso, un impiccio, per te. Eppure mi pareva di esserti stata utile solo poche ore fa- considerò fingendo noncuranza. – Sta bene. L’importante è saperlo. Solo una cosa, Isaac: se ti ho sempre creato tutto questo disturbo, potevi dirmelo apertamente, oppure, che so, lasciarmi annegare al Porto…-
Si voltò con l’intenzione di andarsene. Isaac le afferrò il polso per trattenerla, ma lei lo ritrasse bruscamente, come se la mano del medico fosse stata incandescente.
- Non toccarmi!- sibilò. – E pensare che ti avevo rivalutato, Isaac, pensare che mi ero addirittura illusa che…ah, che stupida! Che stupida, credere di averti fatto cambiare idea su di me! Sei uno stronzo, Isaac…uno stronzo maledettamente bravo a recitare-
Se ne andò veloce, verso la sua tenda, lasciando solo un silenzio sgomento dietro di sé.
 
- Che cosa è accaduto?- domandò Angelica quando Ariel scoppiò a piangere e, dopo essersi lanciata sul letto, infilò la testa sotto al cuscino.
- Ti prego, non me lo chiedere- singhiozzò.
L’amica si sedette accanto a lei e le accarezzò la schiena fino a che non si calmò.
- Va meglio?- domandò dolcemente Angelica.
Ariel annuì. Si sedette, stringendo il cuscino e si asciugò gli occhi.
- Scusami, è la rabbia…- mormorò.
- Pienamente motivata!-
Axel era entrato silenziosamente nella tenda.
- Posso parlarti, Ari?-
- Tolgo il disturbo- disse Angelica uscendo.
Axel si sedette per terra e sorrise nervoso, come se una ragazza in lacrime potesse essere molto più pericolosa delle acque assassine della palude.
- Sei stata…sei stata…- cominciò.
- Un’idiota, lo so- concluse Ariel.
- No, sei stata fantastica!- corresse, guadagnandosi un’occhiata sospettosa.
- Nessuno, a memoria d’uomo, ha mai osato insultarlo!-
Ariel abbassò lo sguardo.
- E dubito che se lo sia mai meritato tanto…- aggiunse il Principe.
La ragazza sospirò.
- Perché mi ha portata nelle prigioni se pensa questo di me?- domandò.
Axel scosse il capo.
- La sua mente non è mai stata propriamente un libro aperto per me, ma mai come in questo periodo ha preso decisioni illogiche-
Il silenzio calò sulla tenda. Da un lato, Ariel avrebbe voluto andarsene per dimostrare ad Isaac cosa poteva significare perdere lo stratega, dall’altro sapeva di non doverlo fare, non prima della fine.
- Tu che cosa vuoi fare? Vuoi venire con noi o tornare a casa?- domandò improvvisamente Axel.
- Tu vuoi che io resti o che me ne vada?-
- Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, non è educato-
Ariel sorrise.
- Io non lo so. Qual è la cosa giusta da fare?-
- Io vorrei che tu restassi. Mi sentirei più tranquillo. Ma forse dovresti chiedere consiglio alla Galassia-
Ariel abbassò lo sguardo sull’oggettino luminoso.
- Tu che dici?- sussurrò.
“L’ultimo granello di sabbia non è ancora caduto, Custode. Non è ancora tempo per i cambiamenti”
La voce innaturalmente dolce risuonò chiara nella mente di Ariel quanto in quella di Axel, che la guardò sgomento.
- Mi sembra sia stata chiara- disse Ariel con un sorriso. – Credi che Isaac mi ucciderà?-
Axel si riscosse.
- Dipende da quanto impiegherà a riaversi dallo shock!-
Ariel balzò in piedi e prese a passeggiare avanti e indietro nervosamente, sotto lo sguardo preoccupato del Principe.
- Accidenti a lui! Era stata una così bella giornata! Ogni cosa dica il falegname riguardo al palazzo, il nostro primo problema è arrivare interi a Glauce…-
Axel aggrottò la fronte per il repentino cambio di argomento.
- …e visto il colpaccio di questa notte credo che la sorveglianza non sarà lasciata al caso…- aggiunse la ragazza.
- Questo potrebbe non essere un problema- disse il Principe.
Ariel lo guardò sospettosa, così riprese:
- Se riusciremo a raggiungere il villaggio di Mern, appena fuori dalle mura, lì abbiamo una delle nostre “case sicure”, come le chiami tu-
- E da lì, un passaggio ci porterà in città?- domandò.
- Esatto! Direttamente alla bottega del macellaio!- rispose Axel.
Ariel annuì soprappensiero. Nemmeno quella splendida scoperta riusciva a rallegrarla.
- Che importanza ha?- chiese improvvisamente il Principe.
Lei lo guardò senza capire.
- Che importanza ha quello che Isaac pensa di te? Tutti noi sappiamo quanto vali, è così rilevante se lui è un idiota orgoglioso e non se ne accorge?- si spiegò.
Ariel scoppiò a ridere.
- È molto rilevante, sì, perché quando sarò riuscita a convincere quel mulo cocciuto sarò riuscita a convincere anche me stessa!-
Axel la guardò perplesso.
- Scherzi a parte, Ax, io non sono mai stata una bomba di autostima, ma mi sono sempre vantata largamente della mia capacità di ragionamento che, poco modestamente, ho sempre ritenuto superiore alla media. Il parere di Isaac è un vero schiaffo morale-
Axel scosse il capo  rassegnato e borbottò:
- Donne…-
 
Axel prima e Angelica poi erano stati carinissimi a cercare di tirarle su il morale, e per un po’ di tempo ci erano anche riusciti, ma nel silenzio della notte la rabbia e la delusione erano ricomparsi più pungenti che mai. Perché mai doveva starle tanto a cuore il parere di Isaac? Axel aveva ragione, se tutto l’universo (svariati mondi, per la verità) ritenevano che lei fosse una persona intelligente, che cosa poteva mai importarle di quell’idiota? Domanda interessante quella. Era sempre stata così brava a farsi gli affari suoi, a vivere avulsa da quello che la circondava, che non ricordava più che cosa si provava a rodersi il fegato a quel modo…
Angelica si rigirò nel suo letto, segno che era sveglia. Sembrava dormire sempre sonni tranquilli, e Ariel si domandava come facesse. Con tutto quello che aveva vissuto, o anche solamente visto era innaturale che riuscisse a dormire. Lei non ci riusciva.
“Hai ancora dei sogni per me, vero?” pensò rivolta alla Galassia.
“Adesso sei pronta, Custode?”
“Si. Ma non quello di Neil, ti prego. Le sue bambine no”
“Come desideri”
Le palpebre si chiusero su un abisso di oscurità.
 
- Come sta?-
Isaac non rispose. Si limitò a guardare la donna che giaceva sul letto davanti a lui con gli occhi pieni di dolore.
- Capisco-
Chinò il capo in un ultimo, eroico, tentativo di nascondere le lacrime. Ma non ci riuscì. Le stille presero a scorrergli sulle guance senza più controllo. Isaac gli posò una mano sulla spalla e uscì, lasciandolo solo con la donna che gli aveva fatto da madre per tutti quegli anni. Singhiozzò inginocchiandosi accanto al letto. Che cosa poteva fare che non avesse ancora tentato per guarirla? Che cosa poteva dire? A cosa serviva essere giovani, forti, importanti, se davanti alla morte tutto questo non poteva cambiare nulla?
Con un gemito sommesso, lei aprì gli occhi verdi, ormai opachi.
- Ciao, Ax-
La sua voce tremava per lo sforzo.
- Non parlare. Ti affaticherai-
La donna sorrise.
- Potrebbe essere l’ultima volta che ti vedo, bambino mio-
Axel si asciugò le lacrime e tentò di sorridere, ma ebbe la sensazione che, più che un vero sorriso, gli fosse riuscita una smorfia.
- Non dire sciocchezze! Tu guarirai, Isaac ti guarirà!-
- Isaac è un bravo ragazzo e un bravo medico, ma ci sono cose che nemmeno il tuo amico può cambiare…-
Con immenso sforzo, levò una mano e gli accarezzò una guancia.
- Come sei cresciuto…- sospirò – Il mio tempo sta per concludersi, Ax, ma non ho rimpianti: oramai sei grande abbastanza da badare a te stesso. E un giorno, non troppo lontano forse, sarai Re. Sarai forte e carismatico come James, e saggio e amato come Mary, e quel giorno, Glauce tornerà a risplendere…-
Detto questo chiuse gli occhi e sprofondò in uno stato di sonno comatoso.
Axel pianse ancora un po’ accanto alla sua benefattrice, poi si alzò e si allontanò con il cuore pesante e con la sensazione che quello fosse un addio.
 
Il trambusto svegliò completamente Ariel in pochi secondi.
- Che succede?- gridò Angelica allarmata precipitandosi fuori dalla tenda.
Ariel balzò in piedi e la rincorse. Una piccola folla si stava radunando attorno alla tenda che fino a pochi giorni prima era appartenuta ad Ian. Sgomitando, raggiunsero l’ingresso dove Richard stava lottando per allontanare i curiosi. Il cielo si stava facendo più chiaro, ma poteva mancare ancora un’ora al sorgere del sole.
- Ah, voi due! Dentro!- esclamò Richard afferrando Angelica per un braccio e scaraventandola dentro assieme ad Ariel.
L’interno era silenzioso e nella luce di una candela quattro persone se ne stavano in piedi attorno ad un letto. Le ragazze si guardarono preoccupate e si avvicinarono lentamente. Axel si scostò dal capezzale per lasciarle avvicinare. Ariel si lasciò sfuggire un gridolino.
Jonathan giaceva in una pozza di sangue. Aveva un pugnale conficcato nella gola, gli occhi spalancati in un’ultima manifestazione di orrore. E quella vista fu troppo per lei, il mondo prese a girare e tutto divenne scuro.
Quando riprese i sensi qualcuno singhiozzava in sottofondo.
- Tutto bene?-
Gli occhi di miele di Axel la scrutarono nella luce fioca e la sua voce dolce la fece rinvenire completamente.
- Scusatemi, sono…sono una vergogna…- mormorò arrossendo.
Axel la aiutò ad alzarsi. Quando la vista le si schiarì completamente riconobbe Daphne, in un angolo, che piangeva con il viso tra le mani. Isaac e Angelica fissavano il corpo del falegname come ipnotizzati e Neil camminava avanti e indietro senza requie. Richard stava ancora tentando di disperdere la folla ed Eric si era unito a lui.
- Come è potuto accadere?- bisbigliò Ariel, più a sé stessa che ai suoi compagni.
Axel sospirò.
- Daphne ha passato la notte qui, proprio per evitare questo tipo di rischio, ma ha dovuto allontanarsi qualche minuto per andare in bagno e quando è tornata…-
Daphne singhiozzò più forte.
- Non è stata colpa tua, lo sai…- disse Axel abbracciando sua moglie.
Ariel scosse il capo, pregando di svegliarsi da un brutto incubo. Non era possibile! Quello era l’uomo che avevano liberato rischiando la vita, l’uomo che avrebbe dovuto aprire loro le porte del palazzo di Glauce, l’unico in grado di farlo! Ed era rimasto ucciso prima di poter svelare loro i punti deboli della fortezza di Gunnar…
- È una tragedia- sussurrò Neil – ma nonostante questo, non tutto è perduto. Questa notte, Ariel, mentre cercava di ricordare, Jonathan ha confidato a Daphne i suoi dubbi riguardo al palazzo. Non sarà come sentirlo di prima mano, ma Daphne ha tutte le informazioni che ci servono…-
Daphne annuì tra i singhiozzi.
Ariel continuò a scuotere il capo sconsolata. Quell’evento imprevisto complicava enormemente tutta la faccenda.
- Axel, credo che io e te dovremmo parlare. Da soli- disse.
- Lo credo anch’io- rispose il Principe.
Diede un bacio a sua moglie e la liberò dalla stretta delle sue braccia.
- Vieni- disse ad Ariel, prendendola per mano e trascinandola fuori, attraverso la folla che finalmente iniziava a disperdersi, fino alla sua tenda.
 
Ariel si sedette sul cuscino che il Principe le offriva e lui le si sedette di fronte, vicinissimo, per limitare al minimo il tono di voce. Per un fugace attimo, Ariel ebbe l’impressione di trovarsi in campeggio con Carrie, come quando da piccole si raccontavano storie dell’orrore al lume di una candela.
- Lo sai, vero, che nessuno di noi ha un alibi? Ovvero che chiunque sapesse per quale motivo abbiamo recuperato il padre di Ian è un potenziale sospettato?-
Axel annuì gravemente.
- Chi sapeva che tipo di informazioni ci avrebbe fornito?- domandò Ariel.
Axel contò sulle dita:
- Tu, io, Daphne, Angelica, Eric, Isaac, Richard e Neil-
La ragazza si rabbuiò.
- Pochi. Escludendo noi due…dov’erano gli altri al momento dell’omicidio?-
- Angelica era con te-
- Si, ma io dormivo. Mi sono svegliata solo con le grida, e quando ho aperto gli occhi lei era già in piedi…non posso provare che non sia uscita per ucciderlo e sia poi rientrata-
Axel si grattò la testa. Ariel continuò:
- Daphne era con Jonathan. Qualcuno l’ha vista uscire per andare in bagno?-
Axel negò riluttante.
- Quindi abbiamo solo la sua parola- concluse Ariel.
- Non farebbe mai una cosa simile-
- Mi limito ad analizzare i fatti, Ax. Isaac?-
- In infermeria- disse Axel.
- Da solo, immagino-
Il Principe annuì.
- Altro sospettato. Richard?-
- Lui stava conducendo la ronda con altri due uomini, che lo possono confermare! Come vedi mi sono già mobilitato…-
Ariel sospirò.
- Meno male che almeno uno lo abbiamo eliminato! Eric, invece?-
- A letto. Senza alibi- bisbigliò mesto Axel.
- E Neil? Dov’è stato tutto ieri? Non l’ho mai visto in giro. A questo punto lo considero un comportamento sospetto-
- Nella sua tenda. Ieri mattina ha detto di non sentirsi bene ed è andato a riposare, non l’ho rivisto fino a pochi minuti fa. In tutta onestà, non ha un gran bell’aspetto…-
- Ciò non toglie che non abbia un alibi-
Ariel si prese la testa fra le mani.
- Ti rendi conto, vero, che se la talpa fosse Daphne, fidandoci di lei rischieremmo di finire direttamente tra le braccia di Gunnar?!-
Per un secondo, il Principe le guardò come se stesse delirando, poi sembrò metabolizzare le sue parole e, con un sorriso amaro, disse:
- Abbiamo alternative?-

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Capitolo 32
*** Un piano da attuare ***


Ariel non rimise piede nella tenda in cui giaceva il corpo di Jonathan. E non per evitare la visione dello scempio che era stato fatto del suo cadavere, ma le persone che vi vegliavano. Ormai non c’erano più dubbi, la talpa era in quel piccolo ambiente, e lei non era in grado di riconoscerla. La fiducia andava centellinata, così come la confidenza, e più fosse riuscita a girare alla larga, meno avrebbe rischiato di mettere il piede in fallo. Quel dubbio, enorme, che come un macigno la schiacciava, che aveva sempre taciuto anche a sé stessa, emerse in tutta la sua atrocità: davvero Axel non poteva essere la spia? Lei ne era sempre stata assolutamente certa, in nessun modo, mai il Principe avrebbe tradito i suoi amici! Ma arrivati a quel punto non ci si poteva più fidare solo del proprio istinto. Alla luce dell’ultimo tragico avvenimento anche il comportamento del medico acquisiva una nuova e ben più inquietante sfaccettatura. Era possibile che avesse cercato di liberarsi di lei per avere un ostacolo di meno. Ma ne avrebbe davvero avuto bisogno? Dopotutto, Isaac sapeva fin troppo bene che Ariel lo credeva innocente. Che utilità aveva, poi, porsi tutte quelle domande destinate a non trovare risposta? Infondo, Axel aveva ragione: non avevano alternative. Perciò doveva solo pregare che Daphne fosse sincera e che ricordasse bene le parole di Jonathan.
 
Presa dalle sue tormentate riflessioni, fu l’ultima a presentarsi alla tenda del medico, dove avrebbero dovuto preparare il piano. E a giudicare dagli sguardi dei suoi compagni doveva avere un aspetto strano. Forse era la determinazione a renderla così…temibile? Si, era decisamente timore quello che leggeva nei loro occhi. E sapeva di avere qualcosa in più, qualcosa che metteva i compagni in soggezione: lei era l’unica, tra loro, in virtù del monile che portava al polso, ad essere esentata dal sospetto di tradimento. Sentì un sorriso macabro sfiorarle le labbra acquisendo questa consapevolezza. Si sedette e attese. Dopo un attimo di esitazione, Daphne si alzò e disse:
- Eric e Richard non ci saranno?-
Axel scosse il capo. Nessuno osò domandare il perché, ma lo intuirono ugualmente: ancora meno variabili. Daphne si schiarì la voce.
- Premetto che io non ho mai visto l’interno del palazzo, motivo per cui alcune parti del discorso di Jonathan non mi sono molto chiare. Ma ve le riporto comunque, confidando che qualcuno di voi possa aiutarmi…-
- Tu dicci tutto quello che ricordi, non preoccuparti del resto- disse dolcemente Axel.
- D’accordo- Daphne prese un bel respiro – Dunque, il palazzo è posizionato a nord-est nel centro abitato, su una piccola altura che lo pone in una prospettiva di supremazia rispetto alla città. Sul lato est, quindi, e sul nord è davvero molto vicino al mare. L’ingresso principale è quello a sud. Il ponte levatoio è speculare alla passerella di un edificio che viene normalmente chiamato “casa degli orrori”. È una sorta di teatro, con tanto di platea, loggione e così via, che Gunnar ha fatto costruire come sala degli interrogatori. In pratica ci porta i sospettati e inscena uno spettacolino per chi voglia assistere…più è probabile l’utilizzo di torture più è facile che ci sia pubblico. Molti sospettano che il palazzo e la casa degli orrori siano collegati…ebbene, secondo Jonathan è proprio così!-
Gli ascoltatori decorarono il tono cospiratore di Daphne con un perfetto “oh”. La rossa riprese:
- Entrare nel palazzo dal palazzo è praticamente impossibile, ma accedervi dal teatro potrebbe essere relativamente semplice. Oltre alla porta principale, quella frontale al ponte levatoio, ce n’è una di servizio sul lato ovest, che normalmente non viene utilizzata perché l’altra è obiettivamente più comoda. Non è nemmeno presidiata perché è sprangata e comunque nessuno avrebbe interesse ad entrare in un teatro vuoto. Se noi entrassimo di lì, ci troveremmo nel sottopalco, proprio dove è collocato l’ingresso del cunicolo che porta a palazzo!-
- Sono stato in quel sottopalco, ma non ricordo nessun passaggio- intervenne Neil.
- Certo, perché è nascosto. Jonathan ha parlato di una statua di Gunnar, che dovrebbe nascondere il nostro passaggio-
- Dove porta?- domandò Isaac.
Daphne si accigliò.
- Beh, questo punto è un po’ nebuloso. Ha parlato di tunnel scavati nella roccia e di celle in disuso, ma io non…-
- Le segrete- disse Isaac.
Tutti gli sguardi si spostarono su di lui.
- Il palazzo è stato ristrutturato e ampliato da Re James nel periodo subito successivo alla costruzione del carcere. Tempo prima, tutto il complesso di cunicoli che si insinuavano tra le fondamenta era stato costellato di celle e fungeva da prigione. A lavori ultimati, è stato trasferito tutto fuori città, e i sotterranei non sono più stati utilizzati-
- Ma certo!- esclamò Daphne picchiettandosi con un dito il nasino a punta – Ora capisco! Per questo ha parlato anche di un labirinto! Diceva che se riusciremo a uscire da quel labirinto ci troveremo già nella parte abitata del palazzo, e allora servirà solo molta fortuna per trovare Gunnar…-
Axel annuì quando sua moglie concluse e si sedette.
- Bene, amici. Direi che il piano che Jonathan ha disegnato per noi è più che buono. Entrare nel teatro non dovrebbe essere difficile, trovare il passaggio nemmeno. Se avremo la fortuna di non incontrare nessuno saremo nelle segrete in un baleno!-
- Se ricordo bene, i sotterranei si articolavano in tre grandi rami, e solamente uno raggiungeva i piani superiori- intervenne il medico.
- Bene. Quando saremo là, allora, ci divideremo in tre gruppi, e ognuno seguirà un ramo. E poi…-
- …poi pregheremo di avere fortuna?!- domandò Ariel scettica.
- Vedi alternative?- disse Axel.
- No, ma ti rendi conto che se Gunnar scoprisse la nostra presenza ci dispiegherebbe davanti l’intero esercito, vero?-
Isaac ghignò.
- Poco male. In questo caso renderebbe vita facile a Richard ed Eric, che saranno appostati fuori in attesa dell’occasione giusta-
Ariel scosse il capo rassegnata. Troppe cose le sembravano lasciate al caso, ma ancora una volta Axel aveva ragione. Alternative non ce n’erano, perciò niente storie.
 
L’intera operazione richiese più tempo e più organizzazione del previsto. Ognuno di loro aveva un compito preciso da svolgere, allo lo scopo di snellire i tempi.
Isaac si era incaricato di ragguagliare Eric e Richard: il loro intervento sarebbe stato fondamentale una volta che Axel e i suoi si fossero introdotti nel palazzo, ma non potevano essere messi a parte di tutto il piano per ragioni di sicurezza. Per fortuna erano uomini d’arme, erano pragmatici e non si erano avuti a male, forse anche perché era stato il loro vecchio amico a dipingere loro la precarietà della situazione senza procrastinare.
Daphne ed Angelica coordinavano lo smantellamento ed i preparativi per il trasferimento dell’accampamento. Meta: il limitare nord della vegetazione. Si trattava di un’operazione sempre impegnativa, il trambusto dovuto alla fuga del prigioniero, proprio in quella zona, aveva reso tutto ancora più problematico.
Neil ed Axel si occupavano di reperire il materiale necessario all’attuazione del piano: cavalli veloci, abiti scuri, armi e arnesi vari.
Ariel, contrariamente a quanto le suggeriva il suo istinto, si era chiusa in un silenzio ascetico. Aveva impacchettato le sue misere cose, aveva fatto affilare la spada e aveva girovagato per l’accampamento sempre più spoglio per il resto del tempo. Troppe cose le ronzavano nella testa. Se si fosse trovata a Londra, in un momento come quello, si sarebbe chiusa in camera ad ascoltare Bach sparato al massimo volume consentito dal suo stereo. Ma non si trovava a Londra, bensì in un bosco freddo e umido popolato da ingrati ed assassini. No, non era giusto parlare così…assassini può darsi, ma di ingrati ce n’era soltanto uno. Si accorse di digrignare i denti soltanto quando la mandibola iniziò a farle male. Doveva sembrare impazzita, a giudicare dagli sguardi che le lanciavano i Ribelli, ma nonostante le apparenze non si era mai sentita più razionale. E aveva chiarissima davanti agli occhi l’immagine di ciò che li aspettava: una lunga corsa verso Mern, un pericoloso soggiorno a Glauce e un’altra missione suicida. Nel bene o nel male, l’ultima.
 
Per quanto ognuno avesse fatto del suo meglio per svolgere il proprio compito il più rapidamente possibile, non si riuscì comunque a muovere l’accampamento prima del tramonto. La distanza da coprire era breve, ma a intervalli di tempo brevissimi dovevano fermarsi in attesa che Eric desse il segnale di via libera. Per questo motivo il sole era già scomparso e il cielo si faceva scuro quando la carovana raggiunse il luogo prestabilito.
Non potevano perdere un minuto di più ed Ariel lo sapeva. Ma fu comunque difficile risolversi a lasciare tutto così, improvvisamente. La tenda ancora da montare, impacchettata con tutte le cianfrusaglie della sua coinquilina, i Ribelli indaffarati, Richard che, essenziale come al solito, impartiva ordini qua e là. Eric impegnato nell’organizzazione del turno di ronda. Nel bene o nel male, era probabile che in quel piccolo paese nomade non avrebbe più rimesso piede.
Axel la aiutò a salire sul proprio cavallo prima di salirvi a sua volta. Naturalmente era l’unica a non saper cavalcare, e il Principe, gentiluomo come sempre, si era offerto di cavalcare con lei. Questo le fruttò un’occhiata sbieca di Daphne, ma non se ne preoccupò più di tanto: il momento della cotta era passato, e la bella e sofisticata erborista non poteva certo preoccuparsi di lei. Si calò il cappuccio sul viso, gettando un ultimo sguardo all’accampamento.
- Sei pronta?- sussurrò Axel.
Ariel annuì aggrappandosi saldamente al pomello della sella. Il Principe prese le redini, circondandola con le sue braccia.
- Scusa, potrei schiacciarti un po’. Non sono abituato ad avere passeggeri…-
Ariel sorrise tra sé. Andavano incontro al suicidio di massa e lui si preoccupava di non schiacciarla…
Ad un cenno di Isaac, i cinque cavalli furono spronati. Nell’oscurità della notte, i cinque animali attraversarono, solitari, la strada più pericolosa mai percorsa dai Ribelli, la più diretta, la più esposta.
Con il fiato sospeso e le lacrime che le rigavano le guance per l’aria fredda, Ariel aspettò l’inizio della fine: un colpo, un grido, una freccia. Ma questi non vennero. Possibile che nessuno avesse pensato di pattugliare una via d’accesso alla città tanto vicina alle prigioni? Con la sgradevole sensazione che si stessero cacciando in un guaio gigantesco, la ragazza si tenne stretta alla sua cavalcatura. Le braccia di Axel le facevano male, e le gambe le si intorpidirono, ma che importanza poteva avere, dopotutto, paragonato a quello che avrebbero fatto di lì a ventiquattro ore? Era una notte meravigliosa, fredda, limpida…cavalcava con la persona migliore che avesse mai conosciuto incontro alla missione che, secondo la Galassia, era lo scopo della sua esistenza. Che importanza aveva il resto?
Lentamente, una figura più scura delle altre ombre si disegnava davanti ai suoi occhi. Le imponenti mura di Glauce, che si facevano ogni momento più alte e spaventose. Nonostante tutto, Ariel non aveva mai provato ad immaginarsi la città. E pure, dall’alto dei suoi studi e delle sue esperienze turistiche, non l’avrebbe di certo immaginata così assurdamente grande. Avvicinandosi maggiormente, poi, comparvero anche i sobborghi, piccoli centri abitati al di fuori della cinta muraria. Axel virò a sinistra, costeggiando Glauce da lontano. Il cavallo rallentò e procedette al passo fino a fermarsi davanti ad una casupola malridotta. Il Principe smontò e aiutò Ariel a fare altrettanto. Domandandosi come avrebbe fatto a sopravvivere senza i sorrisi caldi e rassicuranti di Axel, la ragazza si guardò attorno. Mern era davvero un borgo minuscolo. Se non si fossero sbrigati non sarebbero passati inosservati. Isaac dovette condividere i suoi pensieri perché bussò con insistenza alla porta fino a che un uomo non aprì, con il tipico cipiglio di chi è stato buttato giù da letto nel cuore della notte. Le sopraciglia bianche e cespugliose erano unite in un broncio molto poco lusinghiero sopra a due occhi azzurri e sporgenti. Gli ci volle un istante prima di riconoscere i suoi visitatori, istante dopo il quale il suo viso si trasfigurò per la gioia. Strinse Isaac in un rude abbraccio e gli fece segno di entrare mentre prendeva i cavalli per le redini e li conduceva sul retro.
- È suo zio, il fratello di suo padre- bisbigliò Axel all’orecchio di Ariel in risposta al suo sguardo dubbioso.
I sei entrarono nella piccola abitazione senza dire una parola fino al ritorno del proprietario, che rientrò chiudendo a chiave la porta. Sempre senza parlare, accese qualche candela, prese dei bicchieri, una brocca di vino e del formaggio.
- Cosa vi porta qui?- domandò infine.
Ariel rabbrividì. La sua voce era tremendamente simile a quella di Isaac nei suoi momenti peggiori.
- Entreremo a palazzo, Bram. Domani notte- disse Isaac.
Bram annuì come fosse stata la cosa più normale del mondo. Il suo sguardo acuto scrutò il viso di tutti i presenti, indugiando un momento di più su quello di Ariel. A disagio, la ragazza sostenne il suo sguardo indagatore finché non fu lui a distoglierlo. Un fugace ricordo, che le sembrava tanto lontano da appartenere ad un'altra vita, la riportò a quando l’istinto l’aveva fatta reagire allo stesso modo davanti al medico, al loro primo incontro. Per un attimo, il vecchio sembrò sul punto di dire qualcosa, poi ci ripensò e dopo un lungo momento domandò:
- Vi fermerete qui questa notte?-
Axel si versò un bicchiere di vino.
- No, grazie Bram. Partiamo subito-
Il vecchio annuì di nuovo servendo agli ospiti il formaggio. Ariel non aveva fame ma si costrinse a mangiare. Aveva l’impressione che non le fosse data facoltà di rifiutare alcunché in quella casa. L’atmosfera era pesante, nessuno parlava. Isaac si guardava attorno come se non avesse aspettato altro che l’occasione propizia per fuggire a gambe levate. Quando finalmente Axel si risolse a partire, Bram aprì un armadio, scostò i vestiti che conteneva e rimosse il pannello sul fondo. Una scala dall’aspetto precario scendeva nel sottosuolo. Accendendo una torcia, Isaac scomparve nel pozzo, seguito da Angelica, da Daphne, Neil ed Axel.
- Grazie, Bram- mormorò Ariel prima di seguire i suoi compagni.
Non sapeva perché l’avesse detto, forse perché le sembrava assurdo congedarsi così da un uomo che custodiva un segreto che avrebbe potuto portarlo al patibolo, senza nemmeno scusarsi di averlo svegliato in piena notte. Non era giusto. Tutto qui.
Il vecchio lasciò affiorare un sorriso nostalgico che la ragazza non seppe interpretare. Poi riposizionò il pannello al suo posto e tutto diventò buio.

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Capitolo 33
*** Glauce ***


Ariel rincorse la fiammella che Isaac reggeva fino a che non raggiunse Axel. Il tunnel era buio, e lei cominciava ad essere stanca di gallerie, cunicoli e passaggi segreti.
- Quanto è lungo?- mormorò all’orecchio del Principe, cercando di tenere il passo.
- Un’oretta- rispose questo.
Si lasciò sfuggire un gemito esasperato. Un’ora di silenzio rischiava di essere fin troppo funzionale alla meditazione e sapeva già che si sarebbe lambiccata il cervello con stupide paranoie. Paranoie sull’identità del traditore, paranoie su Gunnar, paranoie sulla Galassia. Paranoie sul comportamento di Isaac. La rabbia iniziale si era trasformata in frustrazione e in qualcosa di molto simile alla delusione. Essere trattata continuamente da bambina era snervante, soprattutto quando era l’unica a subire quel trattamento. Nemmeno Ian era così poco considerato. Ariel sentì le lacrime spingere per uscire ma si sforzò di ricacciarle indietro. Si era ripromessa di non piangere più per Ian, e non sarebbe certo venuta meno alla promessa in quel posto terribile mentre, con tutta probabilità, andava incontro alla morte. Se fosse sopravvissuta, magari, nella sua camera di Londra avrebbe potuto sfogare tutto quel vuoto che la opprimeva, ma non lì.
Bram si era rivelato una persona strana: sembrava che nessuno dei suoi compagni si trovasse a proprio agio in sua compagnia, nemmeno Isaac, che pure era suo nipote. Ariel sospirò. Eppure Bram era stato felice di vederlo…che cosa era capitato al padre di Isaac? La ragazza fu sorpresa di constatare di non esserselo mai domandato. Nonostante in sogno avesse visto quell’uomo, aveva continuato a considerare il medico una sorta di entità astratta, senza legami e senza affetti al di fuori della Confraternita. Che assurdità…probabilmente aveva amici a Glauce, fratelli, magari una donna…Che sciocchezze andava a pensare! Era colpa del buio, l’aveva sempre spinta a ragionare, forse perché non vedendo bene con gli occhi era costretta ad aprire la mente.
Improvvisamente, Axel si fermò ed Ariel gli andò a sbattere contro. Il Principe la apostrofò con un grugnito di dolore.
- Scusa- mormorò mortificata – Che succede? Perché siamo fermi?-
- Credo che Isaac e Angelica stiano discutendo- bisbigliò il Principe.
Il corridoio non era largo abbastanza da permetterle di affiancarglisi per verificare. Si appese alle spalle di Axel e allungò il collo per cercare di capire.
- Ma che problema c’è?- domandò captando solo dei bisbigli concitati.
Angelica gesticolava rivolta al piglio minaccioso del medico. Il Principe si avvicinò a Neil che gli sussurrò qualcosa. Annuì perplesso.
- Ehm…non abbiamo capito bene…credo che Angie si sia infuriata perché Isaac va troppo piano…-
Ariel lo guardò scioccata.
- Stai scherzando?! Litigano in un dannato tunnel che potrebbe seppellirci vivi da un momento all’altro per una cretinata del genere?!-
Axel fece spallucce.
- Credo che lei sia convinta che lui sia il colpevole-
- Per quale motivo?- sussurrò sempre più sbigottita.
- Perché è stato lui ad imporre di non convocare Eric e Richard-
- Ma…-
- Non ha senso, lo so- tagliò corto Axel. – Vuoi andare a sedare la lite, stratega?-
Ariel ghignò.
- Spero che Angie gli rompa il naso con un pugno-
- Ariel!- ammonì il Principe a metà tra il serio e il faceto.
- Va bene, va bene, vado…- disse la ragazza alzando le mani in segno di resa.
Axel si addossò la muro di pietra per permetterle di strisciare avanti, e così fecero anche Neil (cosa che risultò ardua vista la corporatura robusta del mugnaio) e Daphne. Quando riuscì a raggiungerli, i due sembravano effettivamente sul punto di venire alle mani.
- Ehm, ragazzi…- esordì titubante.
Entrambi la guardarono minacciosi.
- Che vuoi?- sibilò Isaac.
- Non vi sembra il caso di rimandare le risse?-
- Ma questo qui è un’idiota!- esclamò Angelica.
- Lo so, Angie, e se tu volessi pugnalarlo avresti tutta la mia comprensione, ma vi ricordo che siamo in uno stramaledetto pozzo, chissà quanti metri sotto terra, che non mi sembra neanche particolarmente sicuro…possiamo darci una mossa e litigare fuori?- disse, modulando la voce in una tonalità neutra, da attrice consumata. Riuscì persino a reprimere il sorriso soddisfatto suscitato dall’espressione stupita di Isaac.
Il medico sembrò inghiottire un grosso rospo viscido prima di rispondere con riluttanza:
- Non sai quanto mi costi ammetterlo, ma hai ragione. Rimandiamo le ostilità, Angelica-
L’alchimista spalancò la bocca per ribattere ma si bloccò quando la mano di Ariel le si posò sulla spalla.
- D’accordo- capitolò – ma io chiudo la fila-
Si voltò e, senza prestare troppa attenzione a non dare gomitate e pestoni ai compagni, scivolò dietro ad Axel. Ariel la guardò scomparire nell’oscurità. Quando si voltò, Isaac la fissava come aspettandosi di veder sparire anche lei.
- Ci muoviamo?- disse la ragazza, un po’ più secca di quello che avrebbe voluto.
Isaac grugnì e ripartì. Ariel fu costretta a seguirlo da vicino anche se avrebbe lungamente preferito tornarsene nella retroguardia. Ancora perplessa per il comportamento di Angelica, che poteva essere un po’ esuberante ma non era certo un’attaccabrighe, lasciò che il suo flusso di coscienza proseguisse libero. Axel credeva che Angelica credesse Isaac la spia. Questo significava che il Principe credeva Angelica innocente? Apparentemente si. Ma credeva innocente anche Daphne, in quanto sua consorte. Ed anche Isaac, per colpa sua. Cosa ne pensava di Neil? Ariel non lo sapeva, ma non lo riteneva abbastanza brillante da poter tenere in piedi tutto quel teatrino. A meno che non fosse troppo brillante…accidenti ad Axel, lui li conosceva tutti così bene che avrebbe dovuto capire al volo chi mentiva! Invece era talmente ingenuo, talmente buono da doversi affidare alla capacità di giudizio di una quasi perfetta estranea. Ariel sospirò. Se l’uomo di Gunnar fosse stato lui non avrebbe perso tempo a sviare i sospetti su qualcun altro. A meno che non giocasse a fare l’indeciso per trarla in inganno.
- Ci siamo-
La voce profonda di Isaac la strappò dalle proprie logorroiche riflessioni appena un momento prima che si mettesse a sbattere la testa contro al muro. Isaac bussò alla porta di legno contro la quale terminava il tunnel, contando i secondi tra un colpo e l’altro in una sequenza prestabilita.
Ariel sentì Angelica mormorare:
- E se non ci fosse nessuno?-
La sua voce non riusciva a mascherare la vena di panico. Domandandosi se l’amica soffrisse di claustrofobia, non si accorse che il medico stava indietreggiando. Nonostante l’imprecazione che le sfuggì quando andò a sbattere contro di lei, Isaac la ignorò, con la disinvoltura tipica di chi ostenta indifferenza, senza nemmeno chiederle scusa. Invece che infuriarsi, la ragazza si ritrovò ad invidiare la sua perfetta interpretazione. Soprappensiero, si massaggiò la fasciatura della vecchia ferita al braccio. Le faceva ancora male, ma in tutto il trambusto di quei giorni non ci aveva badato.
La porta cigolò mentre il chiavistello girava. Rialzando gli occhi, Ariel ebbe appena il tempo di notare lo sguardo fugace e vagamente apprensivo del medico prima che lo distogliesse. Maledicendo l’incoerenza si riparò gli occhi dalla luce che proveniva dalla porta che si scostava lentamente.
Un ragazzo con una lanterna in mano comparve titubante oltre il varco e un sorriso assonnato si allargò sul suo viso riconoscendo Isaac.
- Qual buon vento!- disse stringendogli la mano e facendosi da parte per permettere ai Ribelli di uscire dal passaggio.
Ariel si guardò attorno grata di trovarsi in una casa confortevole e ben illuminata.
- Brian!- esclamò Axel sgomitando per emergere dal cunicolo.
- Vecchio mio, è bello vederti ancora tutto intero!- ridacchiò il ragazzo, gli occhi scuri che brillavano di gioia.
Axel e Brian si abbracciarono ridendo di chissà quale ricordo comune.
- Mi sei mancato, Ax- sussurrò il moro lasciandolo andare.
Si rivolse agli altri e, dopo aver accennato un inchino diretto ad Angelica e Daphne, notò Ariel.
- Noi non ci conosciamo, dico bene?- disse porgendole la mano.
Ariel ricambiò il saluto con un sorriso nervoso. Perché su Rubio erano tutti così estroversi?
- Lei è Ariel, il nostro stratega- disse Neil.
Brian le ruotò il polso per osservare meglio il ciondolo.
- Cavoli, questa è roba che scotta! È veramente…-
Lasciò cadere la frase cercando gli occhi di Ariel, che annuì.
- In questo caso credo che non vi chiederò che cosa ci fate in città-
- Per te sarebbe senza dubbio più sicuro non saperlo- disse Axel.
Si accomodarono mentre il ragazzo andava a svegliare sua madre.
- È un po’ particolare, ma è una brava persona- mormorò Neil a beneficio di Ariel – Da quando suo padre è morto, tre anni fa, è lui ad aiutare sua madre con la macelleria-
Ariel annuì. Si sentiva sciocca a dover aspettare che qualche anima misericordiosa si prendesse la briga di darle qualche informazione, ma sapeva di non avere alternative. La stanza in cui erano sbucati era una specie di monolocale. Un lato era attrezzato con due lettini di paglia, un altro con uno scaffale pieno di stoviglie immacolate. Al centro c’era un tavolino con quattro sedie. Nessuna finestra. La porta da cui era uscito Brian era dotata di tre chiavistelli. Che fosse una stanza segreta che il macellaio aveva costruito per ospitare i Ribelli? La ragazza si sedette su un lettino accanto ad Angelica e la guardò di sottecchi. Sembrava ancora piuttosto nervosa. Ariel scosse il capo per scacciare il subdolo dubbio che le si era insinuato nel cuore, che il malessere della sua amica fosse dovuto alla probabilità che il suo doppio gioco stesse per venir smascherato.
- Benvenuti amici-
Una voce gentile e rassicurante la fece sentire subito meglio. Sulla soglia era comparsa una donnina piccola ed esile, con dei grandi occhi scuri e dei bei riccioli neri, che sorrideva maternamente. Somigliava molto a Brian.
- Neil, sei vivo!- esclamò alla vista del mugnaio.
- Che piacere vederti, Justine!- disse Neil abbracciandola.
Mentre Justine dispensava baci e abbracci, Ariel poté notare le sottili rughe che le correvano ai lati degli occhi e lo scialle nero che ancora portava. Si sentì improvvisamente più sollevata al pensiero di quante brave persone girassero attorno alla cerchia di fuorilegge alla quale si era accompagnata.
Justine e Brian fecero colazione con loro, riassumendo gli ultimi avvenimenti. Li informarono che Gunnar si era fatto ancora più restio alle apparizioni pubbliche, che era in corso una guerra commerciale con la lontana città di Passe e che stavano rischiando di venir tagliati fuori dalle rotte verso l’est. Che da qualche mese gli arresti per sospette attività illecite erano aumentati vertiginosamente, così come i tributi richiesti, che le truppe si stavano ritirando dal sud lasciando terreno alle città-stato confinanti. Insomma, la situazione era ogni giorno più nera.
Poi se ne andarono. Era mattina e la macelleria doveva aprire. I Ribelli restarono soli a definire i dettagli del piano, considerando ogni possibile variabile, anche le più improbabili, per non farsi cogliere impreparati. Ma Ariel non partecipava. Stava pensando a Glauce, a come da potenza inespugnabile, egemonica nei commerci con il suo immenso Porto, temibile in battaglia per il suo eroico esercito, in meno di vent’anni si fosse ridotta a quella larva che avevano descritto Justine e suo figlio. Un enorme corpo, alle estremità del quale non giungeva più sangue. Un cuore ancora pulsante, ma che a causa delle diffuse cancrene era estremamente precario. Com’era veramente la città? Le sue vie erano tortuose o geometriche? I suoi edifici di legno o di pietra? Com’era il palazzo?
Ariel si riscosse rendendosi conto che tutti la guardavano.
- Allora? Che ne pensi?- ripeté Axel.
Ignorando totalmente la domanda, Ariel disse:
- Credi che sarebbe possibile, Axel, fare un giro in città?-
Il Principe sgranò gli occhi.
- Scusa?!- farfugliò.
- Non guardarmi come se fossi impazzita! Mi piacerebbe fare un sopralluogo-
- Ti guardo come se fossi impazzita perché sei impazzita!-
Ariel si imbronciò.
- Non essere stupido, starò attenta e non darò nell’occhio. Infondo, c’è un solo testimone che mi abbia vista bene in faccia…-
Axel spostò lo sguardo sui Ribelli in cerca di sostegno, ma tutti sembravano incredibilmente interessati alle proprie scarpe. Isaac incluso.
- Perché ti vengono sempre queste pessime idee?!-
 
Il sole era allo zenit quando Ariel ed Axel uscirono alla luce del giorno. Brian aveva insistito per accompagnare lui lo stratega, ma Axel si era opposto. Non voleva che il suo amico rischiasse l’arresto e voleva essere presente quando quella sciagurata ragazza si fosse fatta beccare. Con un cappello calato sugli occhi, il Principe si guardò attorno circospetto. Continuando a lanciare occhiate di disapprovazione ad Ariel, borbottò:
- Solo un velocissimo sopralluogo, chiaro?-
Ariel annuì soddisfatta. Finalmente fuori da quel maledetti corridoi sotterranei! Si sistemò meglio il velo sul capo mentre Axel la prendeva sottobraccio e la trascinava fuori dal vicolo.
La ragazza scoprì ben presto che Glauce era una città estremamente caotica: le vie erano tortuose, lastricate con sempre maggior cura via via che si avvicinavano al centro, le case erano ammassate le una sopra alle altre senza un’apparente logica. Nell’aria si respiravano i più svariati odori, dai più sgradevoli ai più raffinati. Si sorprese di saper riconoscere la condizione sociale degli abitanti che incrociavano dal loro vestire e dalle loro pettinature. Il maschio del palazzo incombeva sempre più sulle loro teste, ed Axel si faceva sempre più nervoso. Ma Ariel non si sentiva in pericolo. La città era viva, piena zeppa di gente, di venditori ambulanti, di guardie che non degnavano di uno sguardo due umili contadini come loro. Non si era mai sentita più protetta.
- Hai abitato qui, Ax?- domandò improvvisamente.
Il Principe lasciò che il suo sguardo si perdesse sul profilo severo del castello, poi trasse un bel respiro prima di rispondere.
- Molti anni fa, si-
- È bellissima-
Axel sorrise e non rispose. La sua espressione parlava di nostalgia e di rabbia. Tutto quanto, lì, gli apparteneva, ed era costretto a muoversi di soppiatto, come un ladro di pollame.
- Quello è il teatro- disse cambiando bruscamente discorso.
Una costruzione molto strana si levava in mezzo alle case. Era interamente intonacata e decorata con disegni dai colori vivaci. Le tre alte guglie svettavano nel cielo spruzzato di nuvole, rivaleggiando in altezza con le torri del palazzo reale. Ariel storse il naso. Forse nella mente disturbata di Gunnar doveva sembrare ricercato, ma a lei sembrava solo un’accozzaglia di virtuosismi architettonici mal riuscita. Fece per proseguire lungo il vicolo, ma il Principe la trascinò nella direzione opposta.
- Non possiamo passare davanti al palazzo- disse.
Imboccarono una via secondaria che li condusse direttamente sul lato ovest, dove secondo le indicazioni di Jonathan si trovava la porta di servizio. Una rapida occhiata fu sufficiente per capire molte cose: era da molto tempo che l’ingresso secondario non era utilizzato, a giudicare dalla ruggine del chiavistello; non vedeva un presidio fisso da altrettanto tempo; Gunnar era un vero imbecille presuntuoso a lasciare l’unica via di accesso alla sua fortezza lì, abbandonata al proprio solitario e inglorioso destino.
Ariel stava traendo tutte queste conclusioni quando un brivido la attraversò. Prese Axel per un polso e accelerò il passo.
- Fermi dove siete!-
Troppo tardi. Una guardia a cavallo li aveva presi alle spalle.
- Tieni la testa bassa- bisbigliò al Principe prima di voltarsi, con le viscere attorcigliate.
Sfoggiando il suo sguardo più innocente e pregando di non venir riconosciuta, farfugliò:
- Abbiamo fatto noi forse male?-
La guardia strabuzzò gli occhi davanti a quel linguaggio stentato.
- Siete troppo vicini al Palazzo- rispose.
Ariel si inchinò.
- Oh, voi scusate! Scusate! Noi no di qui, noi persi! Noi non sapevamo. Tu, così gentile, prego dove noi potere trovare pozzo?-
La guardia guardò Axel incuriosito. Ariel si sentì mancare.
- Mio marito…- disse la ragazza con un filo di voce – lui cieco…- mormorò.
Impietosito, l’uomo disse:
- Il Re non vuole che i civili si avvicinino alla sua dimora, perciò è meglio che ve ne andiate velocemente. Proseguite diritto per tre crocicchi, poi svoltate a destra e troverete un pozzo-
- Grazie, signore, grazie, tu tanto buono…-
- Si, si, ma andate!- tagliò corto.
 
Axel non le rivolse la parola fino a quando la porta della macelleria non si richiuse alle loro spalle. Solo allora le posò le mani sulle spalle e, guardandola negli occhi, le disse:
- Tu sei completamente pazza-
Faticava a controllare la voce tanto era furioso, i suoi occhi brillavano in maniera allarmante. Ma Ariel era troppo elettrizzata dall’adrenalina che le aveva lasciato addosso l’essere riuscita a farla franca così spudoratamente per preoccuparsene. Ridacchiò.
- Ti ho riportato a casa sano e salvo, che cosa vuoi di più? E poi è stata una gita molto istruttiva: sappiamo che Jonathan ha una buona memoria, che Daphne non ha mentito e che la porta è davvero libera, ma anche che la zona è abbastanza pattugliata, anche se è probabile che di notte le guardie siano meno vigili, e che quindi dovremo essere rapidi a scassinare la porta-
Per un attimo la furia di Axel vacillò e i suoi lineamenti si addolcirono, poi ritrovò il cipiglio da comandante e rispose:
- Ringrazia i tuoi Dei per la fortuna che ti hanno concesso. La guardia ti ha risparmiata, e lo farò anch’io, ma non sai quanto mi costi…-

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Capitolo 34
*** Le segrete ***


Al calare della notte, sei figure incappucciate cercavano di confondersi con le ombre di Glauce. Silenziose, veloci, vigili. Liquide scivolavano nell’oscurità dei vicoli più stretti, quelli dove il buio era più denso. Precise, non si lasciavano sfuggire un sospiro, né un sussurro, né un gemito. Senza perdere tempo, si dirigevano spedite verso la Casa degli Orrori. Si fermarono dietro all’angolo della farmacia, lì accanto, per lasciar passare il soldato di guardia che, ignaro della minaccia incombente, si allontanava strascicando i piedi. Con un gesto secco della mano, l’ombra che apriva la fila ordinò alle altre di muoversi. Svoltarono l’angolo e, addossandosi al muro intonacato, raggiunsero la porta arrugginita. Un’altra ombra si chinò davanti al chiavistello. Un baluginio metallico scintillò per un attimo nella debole luce. Attesa. Il respiro che sembrava più lo scrosciare di una cascata, il battito del cuore che minacciava di svegliare l’intera città. Clank. La porta si aprì con un cigolio inquietante. Una per una, le sei ombre si persero all’interno dell’edificio, prima che la porta si richiudesse sui loro ripensamenti con un colpo secco. E irrevocabile.
 
Una piccola torcia illuminò l’ambiente. Il sottopalco, per fortuna, era davvero deserto. Ariel si guardò attorno con attenzione. Dovevano cercare una statua, ma notò con sgomento che non c’era niente che potesse assomigliare ad una statua. Molte armi arrugginite erano gettate qua e là alla rinfusa, e qualche inquietante strumento di tortura giaceva abbandonato, ma di statue neanche l’ombra. Il sottopalco non era molto grande e non c’erano pareti in ombra. Imprecò sottovoce.
- L’avranno spostata?- bisbigliò Daphne, anche lei all’affannosa ricerca del passaggio.
- Se è rimasta qui a lungo ci sarà pur rimasta una traccia- commentò Isaac aspro.
- Fermi!- intervenne Neil. – Lasciatemi riflettere. Sono stato più volte in questo luogo e ho visto quella statua. Credo che si trovasse là!- disse additando l’angolo sul lato sud.
- Non sarebbe più logico che il passaggio fosse rivolto al castello?- domandò Angelica avvicinandosi al punto indicato dal mugnaio.
Neil si strinse nelle spalle.
- Logico o no, la statua era qui- disse avvicinandosi e sfiorando la parete intonacata.
Axel si fece largo e posò l’orecchio sulla parete, poi bussò. Annuì. Bussò di nuovo. Si spostò di qualche passo e ripeté la prova.
- La parete, qui, è piena, ma dove c’era la statua, in effetti, ha un suono diverso…-
Si grattò la testa con fare pensieroso, poi tornò davanti al punto segnalato da Neil, estrasse il pugnale e grattò l’intonaco. Il sottile strato bianco si sbriciolò a rivelare una porta di legno.
- Aha!- esclamò entusiasta.
Aiutato da Isaac, grattò fino a scoprire il contorno del pannello camuffato. Fu un lavoro incredibilmente veloce, eppure Ariel sentiva scivolarle addosso pesanti i secondi preziosi che stavano perdendo. Una volta distrutta una parete, infatti, anche la più ottusa delle sentinelle avrebbe capito cosa stava succedendo. Dopo aver liberato i bordi, Axel pulì la serratura. La guardò accigliato.
- Come si fa ad aprirla? L’intonaco ha otturato gli ingranaggi…-
Angelica sbottò:
- Pivello…dai, levati!-
Armeggiò con una lunga pinza per qualche minuto. Ariel riusciva a leggere la concentrazione sul suo viso. Una gocciolina di sudore le scivolò giù lungo la guancia prima che, con uno scatto, la serratura girasse. Angelica sorrise soddisfatta asciugandosi la fronte.
- Sei mitica, Angie!- esclamò Axel estasiato.
- Lo so!- rispose la ragazza.
Isaac infilò la punta della spada nella fessura tra la porta e la parete e fece forza. Uno scricchiolio ed un rumore sordo accompagnarono l’apertura del passaggio.
I sei guardarono con apprensione e aspettativa nella galleria. Ariel, dal canto suo, si sentiva divisa tra i terrore e l’entusiasmo. Stentava a frenare il tremito di eccitazione e paura. Era come febbricitante.
“Ci siamo, Galassia. Qui si cambia la storia” sussurrò con il pensiero.
“Ci siamo, Custode. Sei pronta?” rispose la voce.
“Ci puoi giurare!”
Ariel fece un passo verso il buio.
- Aspetta- disse Axel. – Aspettate. Vorrei…ringraziarvi come si deve prima che sia troppo tardi per farlo…-
- Non vorrai metterti a fare dei discorsi melodrammatici qui, eh, Ax? E poi, sono certa che saprai sdebitarti con una lauta ricompensa quando avrai una corona sulla tua bella testolina!- Angelica gli strizzò l’occhio.
Axel sorrise.
- Sarò sempre in tempo a fare anche quello, non trovi? Il fatto è che…insomma, quello che stiamo per fare è…potremmo non uscirne vivi, capite? Per questo lo voglio fare ora. Voi avete rischiato la vita tante volte per Glauce e per me. In tutti questi anni non mi avete mai abbandonato, mi siete sempre rimasti accanto. A partire da te, Isaac, che per primo hai creduto in me e che sei ben più di un semplice amico…- Isaac chinò il capo in segno di ringraziamento, e Ariel seppe con certezza che voleva nascondere la sua emozione davanti a quelle parole così sincere – passando per Angelica, che da dieci anni scassina porte qua e là per la Contea, e che ha messo a mia disposizione il suo inestimabile genio creativo, senza il quale sarei ancora fermo allo stadio larvale…- Angelica ridacchiò per nascondere l’imbarazzo – e non posso certo tralasciare Neil, che dopo anni ed anni di intrighi e bugie varie ha addirittura rischiato di essere giustiziato!-
- È stato un piacere- sorrise Neil.
- Grazie anche al mio eccezionale stratega- proseguì il Principe, strappando ad Ariel uno dei suoi rari sorrisi degni di tale nome – che con il suo arrivo ha ridato vita e speranza alla Confraternita, anche se ha tentato di farmi ammazzare meno di dodici ore fa…-
- Ti ricordo che tu mi hai quasi annegata- ribatté Ariel divertita.
- Ehm, già…in effetti…- balbettò Axel.
Poi si schiarì la voce e riprese:
- E infine, devo ringraziare te, Daphne, amore mio. Se sono ciò che sono oggi è soprattutto grazie a te, che mi hai sopportato, sostenuto e consigliato in questi due lunghi anni-
Daphne sorrise. I brillanti occhi verde smeraldo sembravano vivi alla luce danzante del fuoco. Con una bianca mano affusolata sfiorò il viso del marito e sussurrò:
- Nella gioia e nel dolore-
I due restarono a fissarsi, occhi negli occhi, per qualche secondo, fino a che Angelica non disse:
- Ehm, anche noi, Ax, ti vogliamo bene e tutto il resto. Possiamo andare adesso?-
Axel la guardò sorridente e rispose:
- Certo! Andrò incontro alla morte più rilassato ora-
Il corridoio era buio, ma abbastanza spazioso da non farli sentire oppressi. La torcia illuminava bene le pareti e l’angolo improbabile che il percorso compiva poco lontano dall’ingresso. Perché mai costruirlo dal lato opposto al palazzo? Il tunnel prese a scendere ed Ariel comprese: le segrete si allargavano nel sottosuolo come le radici di un immenso albero. Probabilmente quel passaggio non aveva bisogno di arrivare fino alle fondamenta del palazzo, era sufficiente che scendesse per qualche metro. La ragazza cercò di liberare la mente per sottrarsi alla morsa crescente del panico. Da quanto si trovava a Diamantina? Aveva perso completamente la nozione del tempo. Potevano essere passati anni o soltanto pochi giorni da quando aveva lasciato lo Yorkshire. Angelica, dietro di lei, le prese la mano: il corridoio terminava in una strettissima scala a chiocciola, che scendeva all’infinito nell’oscurità più assoluta.
- Non dovremo scendere da lì, vero?- mormorò l’alchimista terrorizzata.
- Temo di si, Angie-
Ariel si liberò dalla presa dell’amica e tastò la parete in cerca di un’altra via d’uscita.
- Temo che non ci siano alternative- concluse mesta.
I sei restarono per un attimo a scrutare quel baratro senza dire una parola. Infine, l’irriducibile Isaac, armato di torcia, posò il piede sicuro sul primo gradino e iniziò la discesa. Ariel deglutì e lo seguì trascinando Angelica. Axel si accodò a loro, poi Daphne e Neil con un’altra torcia.
 
I gradini stretti e viscidi di umidità rendevano la discesa estremamente faticosa. La necessità di non scivolare assorbiva tutta la concentrazione di Ariel, e l’avrebbe anche tranquillizzata se non fosse stato per il continuo sbuffare del medico e per gli squittii spaventati di Angelica. E la scaletta sembrava proseguire senza fine, nel cuore della terra. Sopprimendo l’idea di dover risalire poi dall’altra parte Ariel sospirò.
- Credo che ci siamo quasi. Gli scalini stanno diventando più larghi-
La voce di Isaac suonò come una benedizione. Qualche minuto dopo, i Ribelli poterono posare il piede in piano.
L’inquietante scala a chiocciola terminava in una stanzetta circolare con tre porte.
- E adesso?- mormorò Ariel.
Isaac la guardò con un misto di paura ed eccitazione.
- Dobbiamo dividerci. È pericoloso, ma è l’unico modo. Questo posto è un vero labirinto, se seguiremo percorsi diversi avremo qualche probabilità in più che almeno uno di noi raggiunga il palazzo. Anzi, forse sarebbe meglio lasciare delle segnalazioni che ci consentano di capire dove siamo già passati-
- Ma…Isaac- intervenne Axel – in questo modo come potremo sapere se qualcuno avrà trovato l’uscita?-
Il medico si accarezzò il naso in un gesto caratteristico, cercando una soluzione.
- La Galassia- soffiò Ariel in un improvviso lampo di genio.
Axel la guardò perplesso.
- Se uno di noi si troverà in pericolo oppure troverà l’uscita potrà invocare la Galassia. Sono certa che lei troverà il modo di farci comunicare-
Tutti guardarono il piccolo barlume di speranza che brillava tra le mani di Ariel.
“Puoi farlo, non è vero?” supplicò la ragazza.
“Io posso tutto” rispose la voce nella sua testa.
Rasserenato, lo stratega guardò i suoi compagni. Dovevano dividersi, ma come? Come poteva essere garantita l’incolumità dell’erede? Solo poche ore prima avrebbe messo entrambe le mani sul fuoco per Isaac, ma dopo il brutto tiro che le aveva giocato non sapeva cosa pensare. Logicamente, Axel non poteva viaggiare con una donna che aveva bisogno di protezione. Escludendo il medico restava una sola alternativa.
- Neil, tu andrai con Axel- disse.
Neil si inchinò, obbediente come sempre. Assolutamente certa di non voler restare sola con lo sguardo omicida del medico, valutò chi poteva stare al suo fianco. Temendo di non riuscire ad essere imparziale nei confronti di Angelica concluse:
- Isaac, tu andrai con Angie, e Daphne con me-
Daphne sorrise raggiante, mentre gli altri due si guardarono in cagnesco. Ariel trasse un profondo respiro.
- Sei pronta, Daphne?- sussurrò.
La sua compagna annuì.
- Che porta scegli?-
La rossa le guardò attentamente tutte e tre, infine si avvicinò a quella di destra.
- Questa è la porta che fa per noi!-
Axel borbottò qualcosa a Neil e questo disse:
- D’accordo, Ax. Noi andremo a sinistra-
Angelica guardò altezzosa Isaac, poi gli concesse un sorriso conciliante.
- A quanto pare dovremo rimandare ancora la nostra salutare litigata, mio caro compagno della porta centrale!- esclamò dandogli una pacca sulla spalla.
Le labbra del medico si incresparono nel suo classico ghigno mentre posava la mano sul metallo freddo e faceva scorrere il catenaccio. Angelica scomparve per prima. Isaac indugiò un attimo sulla soglia e lasciò scivolare il suo sguardo di ossidiana su Ariel. Irrazionalmente, lei se l’era aspettato, attendeva quel gesto, la reazione di chi sa di essersi comportato ingiustamente e di poter avere un’ultima occasione di fare ammenda. Si era ripromessa di dimostrarsi sprezzante, ma non ne fu capace. Gli occhi del medico erano velati di quella strana malinconia che qualche volta Ariel vi aveva scovato. Non disse nulla, ma si limitò a lasciar trapelare una sottile apprensione. Come sempre, lui sembrò comprendere. Annuì prima di scomparire a sua volta.
- Riportamela tutta intera, per favore- disse Axel, strappandola alla dolorosa sensazione che non avrebbe più rivisto gli occhi del medico.
- Nel limite del possibile…- rispose, suscitando la risata cristallina e ammaliante dell’erborista.
Attese che Axel e Neil entrassero e sparissero nel buio prima di far scivolare a sua volta il catenaccio. La porta si aprì con un cigolio sinistro su un corridoio dalle pareti di pietra chiara. Daphne impugnò saldamente la torcia che Neil aveva preparato per loro ed entrò. Ariel richiuse la porta alle proprie spalle e la seguì.
Il corridoio curvava subito verso destra e terminava bruscamente contro ad una parete spoglia. Daphne si accigliò.
- È uno scherzo?-
Ariel la ignorò e, dopo averla superata, tastò il muro in cerca di qualche anomalia. Ma tutto sembrava essere desolantemente ordinario. Dopo aver perso interi minuti a cercare qualcosa che cominciava a sospettare non esserci affatto, sospirò e indietreggiò. Daphne, che aveva assistito in silenzio, domandò:
- Niente?-
- Niente-
- E quello? Che cos’è?-
- Cosa?-
Daphne segnava un puntino nero minuscolo all’altezza del proprio mento. Ariel si avvicinò fino a sfiorare con il naso la parete. Poi toccò il puntino, per scoprire che si trattava di un buco.
- Come ho fatto a non vederti, maledetto?!- mormorò.
Infilò il mignolo, l’unico dito abbastanza piccolo, nel pertugio e spinse. Con un clack un ingranaggio cominciò a girare. La ragazza fece un passo indietro mentre la parete ruotava sui cardini scivolando di lato e lasciando uno spiraglio largo quanto una persona di profilo.
- Congratulazioni, Daphne!- si complimentò Ariel precedendola oltre il passaggio segreto.
Quando il fuoco illuminò le pareti della nuova stanza, le due trattennero il respiro. La grande sala era piena zeppa di mobiletti, scaffali e tavolini ricoperti di strani oggetti pieni di polvere. Alambicchi, provette, fiale  e bollitori erano disseminati ovunque. Al centro, un tavolo di pietra, che ricordava in modo agghiacciante un altare sacrificale, era coperto di libri e pergamene. Daphne si avvicinò esitante e sfogliò un libro.
- Alchimia- mormorò.
Ariel annuì distrattamente. Era già giunta alla stessa conclusione. Le pareti erano annerite in svariati punti come se qualcuno vi avesse bruciato contro qualcosa. Lei stessa aveva visto Angelica all’opera, sapeva che il fuoco era essenziale. Perciò doveva esserci una presa d’aria da qualche parte.
- A giudicare da questi trattati, qui abitava qualcuno alle prese con la Pietra Filosofale…- continuò.
Ariel alzò una mano per zittirla. Per un secondo gli occhi smeraldini fiammeggiarono di indignazione, che cedette subito allo stupore. Posandosi l’indice sulle labbra, lo stratega le indicò la piccola griglia sopra alla propria testa. Daphne capì al volo: il condotto poteva portare la loro voce chissà dove rivelando così la loro presenza. Alzò il pollice in segno affermativo e indicò l’uscita. Ariel annuì e la precedette. Solo una volta richiusa la porta della stanza dell’alchimista si concesse un sospiro.
- Scusa- disse – non volevo zittirti, ma…-
Daphne sventolò la manina con grazia.
- Non ci pensare. Andiamo-
Proseguirono in silenzio per lunghi minuti opprimenti, fino a quando il corridoio si divise in due. Gettandosi una breve occhiata intorno, l’erborista prese la diramazione di sinistra. Ariel frenò l’istinto di fermarla per chiederle un consulto. Dopotutto, non sapendo dove andare, una direzione valeva l’altra. Estrasse dalla bisaccia un gessetto che aveva sapientemente portato con sé in previsione di una simile evenienza e disegnò una freccia sulla parete, poi si affrettò a seguire Daphne.
Il nuovo passaggio era più largo e vi si affacciavano cinque porte. Con il cuore che batteva veloce, Ariel si domandò se una di quelle potesse portare all’ala abitata del palazzo, pur sapendo che era improbabile vista la profondità a cui si trovavano. Come seguendo un accordo tacito, Daphne aprì la prima porta. Muovendosi con cautela per non fare rumore, Ariel entrò nel nuovo ambiente e si guardò attorno: era pressoché identico alla stanza dell’alchimista, ma desolantemente vuoto. Scosse il capo rassegnata e uscì, per dedicarsi alla seconda porta. Sentendo l’eccitazione svanire in una nuvoletta di vapore, constatò che dietro alla seconda c’era un’altra stanza uguale. Qualche pezzo di stoffa abbandonato era tutto ciò che conteneva. Sentì la sua compagna sospirare mentre richiudeva la porta. Senza più aspettative, spinse la terza, che si aprì con un cigolio. Altra stanza, questa volta tappezzata di scaffali coperti di libri. La ragazza sentì le ginocchia tremare: si trovava in una meravigliosa biblioteca medievale e non poteva fermarvisi. Che ingiustizia. Fece scorrere un dito sulla rilegatura dei tomi ordinatamente disposti sulla libreria accanto all’ingresso. “Storia della penisola della Foce”, “Grandi battaglie della Fondazione”, “Ascesa di Glauce”, “Sir Donovan, il Conquistatore” e altri titoli simili.
- Andiamo, Ari?- domandò Daphne posandole una mano sulla spalla.
- Si- mormorò rapita la ragazza.
Eppure non si mosse. Sfilò con estrema delicatezza un libricino e lo guardò intensamente.
- Ariel…- disse di nuovo la sua compagna, incerta.
- Credi che Axel se la prenderebbe molto se tenessi questo come ricordo?-
Daphne sbirciò da sopra la spalla di Ariel, incuriosita, e sorrise. Il libro aveva una copertina di velluto verde scuro, sulla quale brillava il titolo in lettere d’oro: “Genealogia della stirpe reale di Glauce”.
- Non credo che farà problemi- disse.
Ariel sorrise a sua volta e infilò il libretto nella bisaccia. Prima che potesse adocchiare qualcos’altro, Daphne la prese per mano e la trascinò fuori.
Dopo aver appurato che le ultime due stanze non differivano in nulla dalle precedenti, se non nel contenuto (qualche moneta arrugginita la quarta e un quadro e uno specchio la quinta), le due ragazze procedettero oltre. Il nuovo corridoio era molto lungo e tempestato di porte su entrambi i lati.
- Non avrai intenzione di controllarle tutte, vero?- domandò Daphne senza mascherare la preoccupazione.
Ariel scosse il capo.
- Mi piacerebbe poterlo fare, ma non abbiamo tutta la vita a disposizione. Sai, quando Isaac ha parlato di celle mi sono immaginata qualcosa di molto meno…umano-
Daphne annuì, senza rallentare il passo.
- Forse qui tenevano i prigionieri più interessanti…quelli che lavoravano per il Re-
- Forse- concesse Ariel prima di svoltare l’angolo alla fine del corridoio.
Le due si bloccarono di colpo. Dal salone in cui erano approdate si aprivano quattro passaggi.
- E adesso?- sospirò Ariel sconfortata.
Daphne si attorcigliò un ricciolo attorno all’indice, indecisa.
- Magari potremmo…-
La torcia tremolò mentre un refolo d’aria la sfiorava, scompigliando i capelli delle ragazze e lasciandole di sasso.
- Da dove veniva quello?!- esclamò Ariel allarmata.
- Non ne ho idea! Deve esserci qualcosa, un tombino, una grata, collegato con l’esterno…ma ogni da dove venisse, è andato di là!- disse additando il passaggio più a sinistra. – Se la corrente d’aria va di là significa che c’è un’apertura…chissà che non sia l’uscita!-
Ariel annuì inquieta. Il modo in cui quel soffio di vento attraversava quelle segrete che puzzavano di chiuso e di morte le faceva venire i brividi. Ma il ragionamento di Daphne non faceva una piega.
Con una nuova risolutezza imboccarono quella strada. Ogni tanto, il refolo ricompariva a dare loro coraggio. Il tempo trascorreva lentamente, tra bivi, scelte da fare, frecce di gesso e celle travestite da stanze. E la Galassia non riportava notizie dagli altri Ribelli. Ariel si sentiva sempre più oppressa dall’ansia e non poteva fare a meno di invidiare la perfetta lucidità e tranquillità di Daphne, sempre acuta e pronta a prendersi delle responsabilità. Lo sconforto ebbe definitivamente la meglio quando si imbatterono in una freccia disegnata da Ariel. La ragazza si lasciò scivolare per terra.
- Non usciremo mai di qui…- piagnucolò.
- Non dire sciocchezze, è sufficiente cambiare direzione al primo bivio!- rispose Daphne traendola in piedi a forza. –Coraggio, via quel musetto triste! Sento che ci siamo quasi-
Ariel si lasciò trascinare senza prestare molta attenzione alla strada. La puzza di muffa le ricordava la soffitta di zia Rose. Quanto tempo era passato da quando aveva scoperto quella soffitta? Un’eternità, più o meno…
Uno squittio particolarmente acuto di Daphne la riscosse.
- Guarda Ari, guarda!- esclamava saltellando sulle punte dei piedi.
Davanti a loro stava una scala. Una scala a chiocciola come quella che li aveva portati lì. Elettrizzate si lanciarono nella scalata, che sembrava non avere mai fine. Quando ormai le gambe non le reggevano più, gli scalini si allargarono e si abbassarono, la luce iniziò a filtrare e, finalmente, la scala ebbe fine.
La luce dorata delle torce le accolse nella stanza circolare e ben arredata in cui spuntarono.
- Beh direi che ci siamo…- mormorò Ariel. – Questa non può che essere l’uscita delle segrete, c’è luce, c’è mobilio, c’è…c’è una grata!- aggiunse indicando la griglia che lasciava intravedere la luce del primo sole proveniente dalla strada. – A questo punto non ci resta che dire alla Galassia…-
Si interruppe, attraversata dal peggior brivido immaginabile. Paralizzata dalla paura, sprecò una paio di secondi preziosi prima di voltarsi per mettere in guardia Daphne. Ma non ebbe il tempo sufficiente. Sentì l’aria sibilare accanto a lei, un fortissimo dolore alla testa, e poi il buio…





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Paura eh? XD

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Capitolo 35
*** La resa dei conti (o gocce di verità) ***


Qualcosa si era, infine, spezzato dentro di lei. Lo sentiva chiaramente. Tanti piccoli frammenti che si sbriciolavano nel vuoto immenso che aveva nel petto. Solo poche ore prima c’era stato un cuore, proprio lì. Ma le sembravano ricordi troppo lontani per poterle appartenere davvero. La sua piccola, ingenua Maud non c’era più, volata via per sempre, con i suoi occhioni verdi, con le sue lentiggini, con la sua risata cristallina. Come aveva potuto accadere? Come aveva potuto lei, Daphne, permettere che la sua sorellina finisse vittima di quel conflitto così lontano da loro? Lei, che aveva giurato a suo padre sul letto di morte che l’avrebbe protetta a costo della propria vita, aveva fallito. Nel peggiore dei modi. Non riusciva a togliersi quell’immagine dagli occhi: la sommossa dei Ribelli,la risposta dell’esercito di Glauce, Mern trasformata in un campo di battaglia,il sangue ovunque, Maud che perdeva la sua mano e veniva inghiottita dalla folla, il suo corpicino martoriato…
Una mano carica di anelli preziosi le sfiorò una guancia riscuotendola.
- Dunque, mia bella Daphne…ho sentito parlare molto di te. Dicono che tu sia un’erborista molto dotata…alcuni ti chiamano strega!-
La voce untuosa di Gunnar la fece rabbrividire.
- Sei disposta a collaborare?-
Daphne alzò gli occhi sul tiranno. Era grasso e i pochi capelli avevano un aspetto molto precario. Non aveva l’aspetto di qualcuno particolarmente fedele alle promesse fatte.
- A quale prezzo?- domandò incerta.
Gunnar sorrise, viscido.
- Insieme, vendicheremo la tua Maud. Quello sciocco ragazzino ed il suo presuntuoso mentore si pentiranno di aver sfidato Lord Gunnar. Io avrò Glauce, tu la tua vendetta-
Le si avvicinò e le sfiorò le labbra con un disgustoso dito ingioiellato, a lasciar intendere che c’era anche una clausola non espressa nel loro contratto. La vendetta valeva tanto? Daphne sentì ribollire il sangue nelle vene.
- Allora, mia bella strega? Mi consegnerai Axel?-
 
Ariel si svegliò senza ricordare nulla di quanto le fosse accaduto. Ricordava solo un forte dolore alla testa, e nulla più. Represse un conato di vomito al pensiero del sogno, o meglio, del ricordo, che la Galassia le aveva inviato durante il suo stato di incoscienza. Possibile che…? Scosse la testa e cercò di muoversi, ma scoprì di essere legata. E provò una fitta di panico nel constatare che la Galassia era scomparsa.
Un’ombra in movimento attirò la sua attenzione. Strizzò gli occhi per capire di chi o di che cosa si trattasse, ma la sua vista ancora annebbiata non riusciva a mettere a fuoco bene nella penombra. La testa le faceva un male tremendo. Poi, dei passi irruppero nella stanza.
- Noto che finalmente la bella addormentata si è decisa a destarsi!-
Gunnar ridacchiò della propria battuta e accese le torce. Ariel socchiuse gli occhi, accecata, per poi spalancarli sgomenta.
- No…-
Non poté fare a meno di gemere sentendosi invadere dalla più totale disperazione. La risata viscida di Gunnar accompagnò il suo pigolio.
- Tu…sei sempre stata tu! La talpa…come hai potuto? Come hai potuto farci questo…Daphne?-
Daphne rise. Una risata dura, sprezzante, così diversa da quelle che erano solite affiorare dalle sue belle labbra.
- Non sai che soddisfazione sia, per me, essere riuscita a sfuggire alla tua inquisizione, Ariel. Pare proprio che, dopotutto, tu non sia la più intelligente della compagnia!-
Ariel sentì le lacrime bruciarle gli occhi e rigarle il viso. Per la vergogna di non essere stata all’altezza, per la delusione di aver scoperto in quella che credeva un’amica la peggior doppiogiochista, per il dolore del tradimento.
- Beh, sarò sincero, cara- intervenne Gunnar – mi aspettavo tutt’altro genere di persona quando mi hai detto che mi avresti portato lo stratega. Questa qui è una bambina…-
Daphne ghignò.
- Ti assicuro che hai davanti agli occhi la principale causa dei tuoi problemi-
Gunnar si inginocchiò, faticando per via della grossa pancia sporgente, davanti ad Ariel, che singhiozzava piano, e le sollevò il mento per guardarla meglio in viso.
- Eppure tu mi ricordi qualcuno…-
Nauseata dal comportamento di Daphne, Ariel non si fece sfuggire l’occasione e approfittò della vicinanza di Gunnar per sputargli in faccia. La sua situazione era già tragica, non poteva peggiorare. La strega scoppiò in una risata fragorosa.
- Te l’avevo detto che non è innocua come sembra!-
Riavutosi dal momentaneo shock, Gunnar le diede un pesante schiaffo. Ariel si impose di non gemere, nonostante il sapore dolciastro del sangue che le riempiva la bocca.
- Stupida presuntuosa! Inchinati davanti al nuovo Custode della tua preziosissima Galassia!- tuonò agitando il ciondolo che gli pendeva dal collo.
Per una frazione di secondo Ariel rimase senza fiato. Chiamato a raccolta tutto il coraggio che possedeva, represse un nuovo attacco di pianto e sbottò in una risata sarcastica.
- Ti fa ridere?- sbraitò Gunnar paonazzo.
- Si, mi fa ridere la tua ignoranza. Anzi, mi meraviglio che tu abbia potuto organizzare un così complesso colpo di stato! Devono averti aiutato, senza dubbio. Non puoi certo aver fatto tutto da te, non sei abbastanza sveglio…e lo dimostra il fatto che tu creda di poter diventare più forte grazie alla Galassia. Lei non è al servizio di nessuno, non è una donna che puoi sottomettere al tuo potere!-
Gunnar arrossì e si gonfiò come un tacchino.
- Staremo a vedere! Quando arriverà ciò che resta dei tuoi amichetti ti dimostrerò io chi comanda!-
- Che ne è stato degli altri Daphne?- domandò Ariel, assalita dalla vertigine all’idea del destino che poteva essere stato riservato loro.
- Molto semplice: la galleria imboccata da Angelica ed Isaac termina in una cella naturale da cui una volta entrati è impossibile uscire; nella direzione presa da Axel e Neil abbiamo posizionato un filo invisibile all’altezza delle caviglie che, una volta tirato, fa scattare una pioggia di frecce. Se conosco Neil, e lo conosco, avrà voluto fare strada. A quest’ora sarà già morto-
- Ne valeva la pena, Daphne? Il gioco valeva la candela?-
Daphne si fece sospettosa.
- Che significa?-
Ariel ghignò.
- Adesso che sei ad un passo dalla vendetta, ti senti forse meglio? Cosa te ne verrà in tasca? Maud non tornerà indietro, lo sai…e sai anche che la colpa di tutto questo non è dei Ribelli, ma dell’uomo per cui lavori-
Daphne arrossì e i suoi occhi lampeggiarono d’ira.
- Cosa vuoi saperne, tu, di lei? Non osare, non osare mai più…- gridò furiosa.
- Calmati, tesoro, calmati. Axel sarà qui a momenti, non possiamo perdere la testa- intervenne Gunnar.
- E poi? A che cosa vi servo io?- domandò Ariel confusa.
- Poi contratteremo- disse semplicemente Gunnar.
- Non rivelarle il piano- lo ammonì Daphne ritrovando fulmineamente l’autocontrollo.
- Perché? È giusto che sappia cosa la aspetta.- ghignò – Quando Axel arriverà, gli proporrò un vantaggioso scambio: la tua vita in cambio di Glauce. Firmerà un accordo con il quale dichiarerà di abdicare in mio favore, dandomi così la legittimazione che mi serve. Nessuno potrà più ribellarsi al mio potere!-
Ariel si accigliò.
- E se non dovesse accettare?-
- Lo farà-
- Perché mai? Io non accetterei!-
Daphne rise, una risata amara.
- Non essere sciocca, Ariel, farebbe qualunque cosa per salvarti la vita. La cosa che più mi irrita di te è che sei sempre riuscita a fargli fare quello che hai voluto. È come se tra voi ci fosse una sorta di legame. È invisibile, ma io lo sento…da quando sei arrivata non hai fatto altro che incrinare sempre più quel piccolo paradiso ovattato che con tanta fatica avevo costruito attorno a lui. Non l’hai distrutto, no, ma l’hai danneggiato irrimediabilmente. Hai fatto in modo che dubitasse di me, l’hai reso sospettoso…-
Ariel la guardava con gli occhi sgranati, ancora incredula davanti alla maestria con cui Daphne aveva saputo tirare le fila di quella storia, di quello spettacolo di cui era stata un’eccezionale burattinaia. Mormorò:
- Ma lui non ha mai sospettato di te, evidentemente. Altrimenti non avrebbe continuato, gettando all’aria ogni cautela, a renderti partecipe dei nostri piani più riservati. Ma naturale, tu eri l’unica a poter conoscere certi dettagli, certi programmi…come il luogo della riunione segreta, oppure il nostro viaggio attraverso la Valle Luce, o ancora, la posizione mia e di Angie durante l’attacco al fortino! Se solo Axel mi avesse detto che tu continuavi a sapere tutto…ma ha preferito mettere in dubbio la fedeltà di Isaac, di Isaac, capisci?, piuttosto che pensare male di te. E lo sai perché? Perché ti ama. Più di quanto ami Glauce, Isaac, me, persino più di quanto ami sé stesso. E tu invece? Ti sei presa gioco di lui per tutto questo tempo…e perché poi?! Per una vendetta senza nessun sapore. Non riesco a concepire che tu abbia tradito tuo marito con questo…questo…non riesco nemmeno a chiamarlo uomo!-
Gunnar arrossì violentemente ma non disse niente.
- Tradire Axel? Si tradisce chi si ama. Io mi sono limitata a servirmi di lui, niente di più. Il suo cuore è troppo ingenuo, Ariel…forse se ti avesse conosciuta due anni fa…ma non è stata per nulla facile, sai? All’inizio non riuscivo proprio a sopportare la compagnia dei Ribelli. Sporchi assassini, ecco cosa sono! E men che meno riuscivo a sopportare Axel, così infantile, così orrendamente bisognoso di attenzioni. Poi, però, ho capito che dipendeva soltanto da me: se fossi stata brava, il supplizio sarebbe finito presto. Ma sei arrivata tu, stupida ragazzina, e hai indebolito la mia fortezza dalle fondamenta…ma adesso il gioco è finito-
- Ben detto, Daphne-
Axel entrò nella stanza con passo pesante. I suoi abiti erano logori e impregnati di sangue, ma non sembrava ferito. Gli occhi brillavano di una luce macabra, la fronte era corrugata, la testa alta. Daphne sbiancò. Ariel, al contrario si sentì invadere da un’ondata di panico mentre Gunnar le puntava un coltello alla gola. Poteva solo pregare che Axel avesse sentito abbastanza da diffidare nel modo più assoluto della rossa e da evitare i raggiri del tiranno. Represse un singhiozzo al pensiero degli altri Ribelli.
- Finalmente, mio Principe!- esclamò Gunnar. – Dunque, ti voglio proporre un accordo…-
-Non siamo qui per contrattare, razza di tacchino gigante- rispose una squillante voce femminile.
Dall’oscurità della galleria emersero Angelica, Isaac e Neil, che si posizionarono attorno ad Axel. Ariel sentì il cuore esploderle e si sentì improvvisamente molto più leggera. Daphne vacillò.
- Ma come…come…- balbettò Gunnar.
- Silenzio, verme- ringhiò Axel.
Gunnar balzò in piedi, liberando la gola di Ariel, che incrociò lo sguardo di Isaac, i cui occhi la fissavano con apprensione.
- Sto bene- sussurrò.
Isaac annuì.
- Dunque, amici miei- disse cordialmente Axel – come la mettiamo adesso?-
Il suo tono di voce contrastava in modo agghiacciante con il suo sguardo, che trasudava furia e disprezzo. Gunnar si guardò nervosamente attorno. Poi, con voce isterica, strillò:
- Guardie!- e rimase sgomento davanti alla risata crudele di Axel.
- Credi forse che questo sangue mi appartenga? Le tue guardie sono morte, Gunnar. I miei Ribelli stanno occupando il Palazzo-
Ormai in preda al panico, prese a sbraitare contro Daphne, che aveva perso tutta la sua baldanza ed era rimasta cinerea ed immobile come una statua.
- È tutta colpa tua, stupida oca! Non avrei dovuto affidarti un simile compito! Non avrei dovuto fidarmi di te!-
- No, infatti. Per una volta io e te siamo d’accordo- commentò Axel.
- Ma come…come osi?!- balbettò Daphne.
- Taci, strega- sibilò Isaac, e sguainò la spada.
Axel e Neil lo imitarono, mentre Angelica si precipitava a recidere le funi che legavano Ariel. La ragazza, dolorante ed indolenzita, si alzò lentamente e barcollò. Angelica la sostenne e la allontanò da quella che si preannunciava sarebbe diventata un’arena di combattimento.
- È giunta l’ora della resa dei conti- disse Axel, e la sua voce suonò come un brontolio ferino.
Gunnar indietreggiò un passo ed estrasse la sua spada. I Ribelli avanzarono. In un lampo, questione di un secondo, il tiranno balzò su Daphne e la immobilizzò, bloccandole un braccio dietro alla schiena e premendole la lama sulla pelle delicata del collo.
- Fermi, o la uccido- disse.
Per la prima volta, fu Neil a rispondere.
- In che misura dovrebbe interessarci, tiranno? Daphne morirebbe comunque-
Gunnar sembrò sul punto di ribattere, ma la sua bocca si aprì e si richiuse senza emettere suono. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa. Tutti trattennero il fiato mentre lasciava la presa su Daphne e si accasciava al suolo tra i gorgoglii. La strega impugnava un coltello insanguinato, e una grande macchia rossa si allargava sullo stomaco di Gunnar.
- Fatevi avanti!- ruggì Daphne puntando il pugnale contro ai Ribelli.
Neil fece un passo avanti.
- No, Neil. Questa è la mia guerra- sospirò Axel.
- Stai attento- sussurrò Ariel, domandandosi se il Principe sarebbe stato capace di riporre l’amore per sua moglie.
Daphne si avventò sul marito con la ferocia di una leonessa. Axel la schivò, con l’evidente intenzione di non ferirla. La donna attaccò di nuovo, e il Principe di nuovo schivò il colpo. Furiosa, partì nuovamente alla carica, ma per la troppa foga, scivolò sulla pozza di sangue del tiranno che si allargava sul pavimento e cadde.
Axel allontanò da lei l’arma e le puntò la lama al cuore.
- Dovrei ucciderti, schifosa puttana- sibilò.
- Fallo allora- ringhiò Daphne.
Axel indugiò a lungo, la punta della spada premuta sul tessuto leggero del vestito.
- Invoca la mia pietà-
- Mai!- gridò la donna sputandogli.
Axel la guardò con gli occhi carichi di dolore.
- Dovrei ucciderti…ma non ne sono capace. Ti amo troppo, Daphne, e l’amore non si cancella con un colpo di spugna…-
Si voltò mentre Isaac e Neil la legavano. Poi disse:
- Ariel, tu mi hai saggiamente consigliato tante volte. Che cosa devo fare di lei?-
Ariel si avvicinò.
- Desidera morire. Imprigionala. Almeno per il momento. Fino a quando non avrai le idee più chiare e potrai prendere una decisione di cui non dovrai poi pentirti…-
Axel annuì.
Un colpo e un grido di dolore li indussero a voltarsi verso la prigioniera: era riuscita a liberarsi dalla stretta di Neil e, recuperato il pugnale, se l’era conficcato nel petto.
- No!- gridarono all’unisono Ariel ed Axel, ma Daphne si era già accasciata con un gemito.
- Non posso crederci…- mormorò Isaac pochi minuti dopo, chiudendole delicatamente gli occhi.
 
Avevano vinto. La guerra era finita, così come la fuga, l’inganno.
Eppure nessuno gioiva. Axel piangeva sul corpo della moglie, e Angelica cercava di confortarlo, ma le lacrime non risparmiavano nemmeno lei. Neil era andato a dare mestamente l’annuncio alla Confraternita, che aveva ormai occupato l’intero Palazzo. Ariel se ne stava seduta in un angolo, a riflettere. Daphne li aveva ingannati tutti, dal primo all’ultimo. Nessuno aveva mai sospettato di lei più che degli altri. Nemmeno Ariel, che pure era così diffidente. Non si poteva immaginare, non si poteva prevedere…ed ora erano lì, a piangere sul cadavere di un’amica traditrice in un giorno che avrebbe dovuto essere di pura gioia. In un giorno che segnava la svolta definitiva della vita di tutti loro. E Gunnar? Era morto ancor prima di realizzare che la sua epoca era tramontata, per mano della sua stessa talpa. Come loro, si era fidato della persona sbagliata. Della stessa donna che aveva spezzato il cuore puro di Axel, troppo innamorato di sua moglie per sopportare la sua perdita. Che cosa era passato per la testa di quella ragazza che Ariel aveva visto nei suoi sogni? Quale follia le aveva fatto credere che la vendetta per l’infelice sorte della sua sorellina potesse essere la scelta migliore? Daphne li aveva traditi, ingannati, usati, venduti. Eppure tutti piangevano la sua morte con il massimo dolore.
Isaac si sedette accanto ad Ariel facendola sobbalzare. Aveva ricomposto il corpo di Gunnar, da bravo medico, e aveva l’aria esausta.
- Questa è tua- disse, tenendo la Galassia tra le mani.
Con gli occhi pieni di lacrime, la ragazza lo ringraziò, e lasciò che le legasse il ciondolo al collo. Sorrise al piacevole tepore che la Galassia diffondeva in lei.
“È finita, dunque, amica mia…”
“Non finirà mai, Ariel” rispose la voce dolce nella sua testa.
Isaac la squadrò con apprensione e domandò:
- Sei ferita? Ti hanno fatto del male?-
Le sfiorò il labbro gonfio e sospirò.
- Sto bene- rispose Ariel, domandandosi se fosse la verità.
- Come avete fatto ad arrivare qui sani e salvi, Isaac? Gunnar aveva disseminato il vostro cammino di trappole…-
Isaac distolse lo sguardo. Dopo una lunga esitazione, rispose:
- È stata Lei, la Galassia. Ci ha parlato. È stata una sensazione stranissima, quella voce ultraterrena, nella nostra testa…ci ha spiegato cosa sarebbe accaduto se non avessimo cambiato strada, e ci ha guidati qui. Se non fosse intervenuta Lei, noi ora…- deglutì e lasciò cadere la frase.
Ariel scoppiò a piangere ed Isaac la tenne stretta fra le sua braccia fino al ritorno di Neil.




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Eccomiiiii scusate il ritardo!! *Sorrisone a Socorro98 che è maestra di pazienza e occhiataccia ad Hareth che le mette pressione* Scherzoooo sapete che vi adoro! Qui ormai siamo agli sgoccioli, ancora pochi capitoli MWHAHAHA

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Capitolo 36
*** La Corona ***


- Che cosa mi è rimasto?-
Axel passeggiava nervosamente avanti e indietro. La Sala del Trono che Gunnar aveva fatto costruire era tutto fuorché grandiosa: una lunga passerella conduceva dall’ingresso alla predella, sulla quale svettava uno scranno di legno laminato d’oro; la cupola che la sovrastava aveva un ché di dissacrante; le finestre erano sporche e opache. Ariel si sentiva più nel covo di un delinquente, di un falsario, piuttosto che in un palazzo reale.
- Che cosa? Una vita, Axel, e un popolo che è qui fuori ad invocare il tuo nome- rispose con dolcezza.
- Ma lei non c’è più…- mormorò il Principe.
Ariel sospirò e non rispose. Non sapeva più come fare a tirarlo fuori da quel pozzo di rimpianti. Gli si parò davanti, obbligandolo a fermarsi, e gli posò le mani sulle spalle.
- Lei ti ha tradito, Ax. In ogni modo possibile. Non dimenticarlo. Adesso smettila di consumarti, c’è un regno da governare…-
- E una Corona da liberare!- trillò Angelica entrando impetuosamente nella sala.
I due sobbalzarono.
- Ho…ho interrotto qualcosa?- domandò sospettosa.
- Naturalmente no, Angie. Allora? Come procede?- rispose Ariel arrossendo.
Angelica si lasciò cadere pesantemente sul trono.
- Ho bisogno di un bagno- disse storcendo il naso.
- Tutti ne abbiamo bisogno, ma prima risolviamo questo piccolo dramma, che dici?-
Axel sorrise stancamente. L’alchimista sbuffò.
- Le cose stanno così: quell’idiota ha sprangato l’ingresso della Sala del Trono, quella vera, intendo, non questo tugurio…secondo una delle domestiche l’ha fatto perché al suo interno giace la Corona, protetta da una teca di cristallo e luce che in vent’anni nessuno è riuscito ad aprire-
- Cristallo e luce? Che significa?- domandò Axel.
- Significa che dopo la morte del Re, la Regina affidò la Corona alla Custode, e la Galassia la protesse da Gunnar facendo in modo che non potesse indossarla-
Ariel ridacchiò.
- Simpatica-
- Si, infatti. Comunque, Isaac e Neil stanno aiutando i soldati a rimuovere le pietre che bloccano l’ingresso-
Calò il silenzio. Erano tutti esausti. Da quando non dormivano decentemente? In quelle ultime quarantotto ore era successo di tutto, e non c’era nulla che Ariel desiderasse di più di un bel bagno e un letto comodo. Ma non era ancora tempo, il cerchio non si era ancora chiuso. E mentre l’intera città si riversava nelle strade e nelle piazze per acclamare la fine delle tirannide e l’ascesa del legittimo regnante, mentre le truppe di Richard scortavano i Ribelli nascosti nel bosco verso Glauce, mentre il personale di servizio del palazzo rimetteva a nuovo il Castello con rinnovato entusiasmo, c’erano persone indistruttibili come Isaac, Neil, Eric e i loro fedelissimi che si rimboccavano le maniche, ancora una volta, rifiutandosi di cedere alla stanchezza, per dare ad Axel la sua Corona.
- Ne sarò capace?- domandò il Principe all’improvviso.
- Di fare che?- rispose Angelica, guardinga.
- Di governare-
L’alchimista scoppiò a ridere.
- Ma sii serio!-
Axel sorrise mettendo un finto broncio. Ariel avrebbe voluto stringerli forte e dire loro quanto si fosse sentita sollevata dopo aver avuto la certezza che non si sarebbero rivelati traditori, e, dopotutto, sì, era felice che non lo fosse nemmeno lo scorbutico medico, che le aveva dato tanti grattacapi quante soddisfazioni. Ma si trattenne. Per rispetto di Axel, che aveva perso la sua Daphne, e per quel qualcosa che le si agitava in fondo allo stomaco, dandole la nausea. L’idea di avere a disposizione le ultime ore su Rubio prima di ritornare alla normalità londinese le stringeva il cuore. Reprimendo un’inopportuna ondata di lacrime si affacciò alla finestra aperta. I cittadini vociavano euforici: da quando Axel si era presentato loro, quella mattina, non avevano smesso di acclamarlo.
- Ax, ragazze…-
Neil stava sulla soglia, le maniche della casacca arrotolate fino al gomito, le braccia coperte di graffi e il viso bianco di polvere. Un sorriso illuminò i limpidi occhi azzurri.
- La porta è aperta- disse.
I tre si scambiarono un’occhiata trepidante prima di seguire il mugnaio.
La porta intarsiata era tanto grande da far sembrare Isaac ed Eric, ai suoi piedi, poco più che moscerini. Isaac sorrideva. Un sorriso vero, non il solito ghigno, di quelli che centellinava con attenzione. Axel lo abbracciò commosso prima di varcare esitante la soglia della porta monumentale. Ariel e gli altri lo seguirono nella Sala del Trono dalla quale Re James e la Regina Mary avevano regnato giustamente la città di Glauce, vent’anni prima. Ariel vacillò davanti a tanta maestosa vastità. Ma le altissime finestre colorate, il pavimento di marmo bianco, le colonne che sembravano reggere il cielo, le immense volte a sesto acuto, i due troni di eccellente ebano, non erano nulla in confronto a ciò che per tanto tempo quel luogo aveva custodito gelosamente.
La Corona era là, a pochi passi da loro. Protetta dalla sua teca di cristallo, splendeva di una luce fredda e limpida che donava  alla Sala del Trono una atmosfera surreale. Ariel lanciò un’occhiata ad Axel: il suo viso era trasfigurato dall’emozione, gli occhi brillavano di una consapevolezza nuova.
- Posso avere questo onore?- domandò in un sussurro.
Axel distolse a fatica lo sguardo dal gioiello per posarlo su di lei. Annuì trepidante. Ariel sorrise e si diresse con passo deciso verso la teca. Quando si trovò davanti alla Corona, splendida nella semplicità dell’oro lucidissimo, posò una mano sullo scrigno e questo si dissolse. Come poteva sapere come avrebbe dovuto comportarsi? Ancora una volta era stata una conoscenza innata e misteriosa a guidarla, la conoscenza che, cominciava a capirlo, solo la Custode poteva vantare. Il gioiello, finalmente libero, sprigionò tutta la sua energia. Fu allora che accadde.
 
Ariel si sentì immergere nell’acqua ghiacciata di un torrente di luce e crollò al suolo priva di forze. Axel, Isaac, Eric, Neil e Angelica le si precipitarono addosso e la scuoterono. Le loro voci suonavano lontane e, lentamente, andavano scomparendo. La cosa più strana era che ad Ariel sembrava di osservare la scena da un punto in alto, da qualche parte, sopra il suo corpo inanimato. Mentre si chiedeva come fosse possibile, la luce la accecò e fu costretta a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, non si trovava più nella Sala del Trono. Sbalordita e confusa, si guardò attorno. Era in una camera, e molte persone erano raccolte attorno ad un letto. Si stropicciò gli occhi, perché aveva l’impressione che tutto fosse avvolto da un sottile strato di nebbia. Poi realizzò di trovarsi in un ricordo. Ma era diverso da quelli che era solita vedere nei propri sogni, sembrava quasi che la Galassia l’avesse portata direttamente nel passato…attraverso il potere che aveva trasfuso diciotto anni prima nella Corona, magari? Si avvicinò al letto. Una donna teneva tra le braccia due bebè appena nati e piangeva di gioia. I suoi occhi, obliqui come falci di luna e azzurri come il cielo di aprile, non lasciavano mai nemmeno un attimo le sue creature, un maschietto e una femminuccia, che strillavano tra le sue braccia.
- Guarda, James,- sussurrò la donna al marito, che le sedeva accanto – questo è Axel, il tuo erede. Governerà Glauce con giustizia e onestà. E questa è la sua sorellina, che lo sosterrà in questo compito e sarà la sua più fidata consigliera. Guarda i tuoi figli, mio Re: con loro, il tuo regno sarà al sicuro…-
Gli occhi color miele dell’uomo si riempirono di lacrime mentre allungava la mano tremante per l’emozione a sfiorare il visino della sua bambina…
Un nuovo lampo di luce e lo scenario cambiò.
La Regina era china sul corpo senza vita del marito. Era pallida e smagrita, ma il suo sguardo era fermo.
- Signora…?- domandò un ragazzino alle sue spalle.
- Dì a Cecile di portare via i miei figli, prima che Lord Gunnar conquisti il Palazzo. Dille di prendere con sé Axel e di affidare sua sorella a Rose. Devono essere divisi. Solo in questo modo saranno al sicuro-
La donna si alzò, si chinò sul ragazzino e gli posò le labbra sulla fronte.
- Vai, Isaac. La loro salvezza dipende da te-
Nuovamente abbagliata, Ariel si ritrovò in una soffitta buia. Una donna stava posando una bambina addormentata in una culla. Sospirò e aprì un baule, nel quale ripose un ciondolo che brillava di una luce lattea. Quando la donna si voltò, Ariel sussultò: era zia Rose.
Un altro flash. Una casa in un quartiere centrale di York. Rose stava seduta ad un tavolino e di fronte a lei, Valerie cullava una bambina.
- È bellissima, zia- sussurrò Valerie, temendo di svegliarla.
- Sapevo che desideravi un bambino, mia cara. Così quando me l’hanno affidata…-
- Ma i suoi genitori non la staranno cercando?-
- Non ha più i genitori, Valerie. Te ne prenderai cura tu?-
- La crescerò come fosse mia figlia, zia. Lo giuro-
 
Un ultimo lampo. Ariel spalancò gli occhi sui volti sconvolti degli amici.
- Grazie a Dio, sei viva! Mi hai fatto prendere un colpo!- esclamò Axel.
La ragazza si alzò a sedere e, improvvisamente consapevole dell’incredibile verità, gettò le braccia al collo a suo fratello.
Axel ricambiò l’abbraccio senza capire, mentre Ariel gli singhiozzava sulla spalla.
- Calmati! Che cosa ti prende? Stai male? Isaac…-
Il Principe si guardò attorno, ma il medico era scomparso.
- Ax…- farfugliò la ragazza – Oh, Ax…tu sei…sei…-
Axel la scostò per guardarla in faccia.
- Sono cosa?- domandò preoccupato.
- Io sono tua sorella!- disse infine.
Axel ammutolì, continuando a fissarla. Dopo un’eternità, Eric domandò:
- Ne sei certa?-
Ariel raccontò loro che cosa aveva visto entrando in contatto con la Corona. Ad ogni parola, la consapevolezza della verità si faceva sempre più forte.
- Questo è un miracolo…- mormorò il Principe stringendola a sé.
- Lo è davvero- disse Angelica prendendo Eric sottobraccio.



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-2 ragazziiiii che ansia :D Un applauso ad Hareth che mi ha sgamati il finale all'altezza del 3° capitolo più o meno -___-" :)

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Capitolo 37
*** Ultimi granelli ***


Dopo un bagno caldo e un breve sonno ristoratore, Ariel si sentiva di nuovo umana. Mentre aspettava Angelica davanti alla porta della sua camera si guardò allo specchio appeso alla parete del corridoio: l’abito color avorio le cadeva fino ai piedi ed era bellissimo, con le maniche larghe e lo scollo ampio, ma non volgare; una domestica le aveva acconciato i capelli in un sobrio ma elegante chignon; una tiara sottile le cingeva il capo, illuminandola della luce blu degli zaffiri di cui era tempestata. La Galassia le pendeva brillante dal collo sottile, così come l’aveva legata Isaac. Sospirò. Possibile che Angelica fosse sempre in ritardo?
- Dai, Angie, sono sicura che tu sia perfetta anche così, dobbiamo andare!- brontolò da dietro la porta.
Tuttavia dovette attendere ancora qualche minuto prima che la sua amica si decidesse ad uscire. Ariel sorrise.
- Te lo dicevo che sei perfetta-
Angelica si guardò a sua volta nello specchio con aria critica, lisciandosi i lunghissimi capelli castani. Il ciuffo che per abitudine teneva sugli occhi era stato scostato con una molletta di perle, lasciandole scoperto il viso tondo e i grandi occhi scuri. Fissò torva l’immagine riflessa.
- Il colore di questo vestito non mi piace- disse.
- Bugiarda, il verde acqua è il tuo colore preferito!-
Angelica ghignò.
- Non sono abituata a questo sfarzo…sono figlia di gente umile, io-
Di fronte all’insolito imbarazzo dell’amica, Ariel la abbracciò. Sapeva benissimo che lo sfarzo non aveva nulla a che fare con il suo nervosismo, l’unica causa era il povero Eric, che aveva l’unica colpa di piacerle. Ma decise di non infierire.
- Non preoccuparti, ho già visto Axel, ed è talmente bello che, se ci terremo vicine a lui, non ci noterà nessuno!-
 
Nonostante il terrore iniziale, la cerimonia dell’incoronazione si rivelò un successo. Il popolo accolse con calore il nuovo Re e la Principessa, sua sorella. Furono tributati onori ai Ribelli, e nominati cavalieri Isaac, Neil, Richard ed Eric. Fu una serata piacevole, scandita da danze, ottimi cibi e un’allegra compagnia. Re Axel riuscì per qualche ora a deporre l’amarezza e si impegnò a dispensare benedizioni e saluti. Non che avesse bisogno di applicarsi per essere benvoluto: l’eredità degli anni di buon governo di James era ricaduta in pieno sulle sue spalle, enfatizzata dalle sofferenze inflitte da diciotto anni di tirannide. Ma quando le luci calarono sulla grande Sala del Trono e il nuovo Re ripose la Corona nel suo scrigno, le ombre tornarono ad oscurare i suoi begli occhi di miele.
- Cos’è che ti turba, Ax?- domandò Ariel quando suo fratello la accompagnò alla sua camera da letto.
Axel sorrise mesto.
- Troppe cose, oggi. Credo che questa sia stata la giornata più lunga della mia vita…-
Ariel rise.
- Isaac mi ha evitato tutta sera- aggiunse il Re.
La Principessa sospirò inquieta, intuendo che quello era il vero tarlo che rodeva suo fratello. E, in verità, rodeva anche lei, dato che aveva ricevuto lo stesso trattamento da parte del medico…
- L’ho notato- disse. – Ti direi che forse ha bisogno di stare da solo per riordinare le idee, o che deve metabolizzare gli ultimi eventi, o lo shock di aver cercato di cacciar via la Principessa…- sorrise tra sé – ma se vuoi il mio parere sincero, credo ti stia evitando perché sapeva la verità-
Axel spalancò gli occhi.
- Dici davvero?-
Ariel annuì.
- È tutto il giorno che ci penso. Lui l’ha sempre sospettato, dal primo momento. Ricordo la sua espressione la prima volta che ha visto il mio viso…non so se e quando ne abbia avuto conferma, ma ti evita perché teme la tua reazione-
Axel chinò il capo.
- Beh, mi hai dato molto materiale su cui riflettere, Ari…buonanotte-
Le lasciò un bacio sulla fronte e si allontanò con le spalle basse lungo il corridoio.
Dopo essersi spogliata e lavata, Ariel si buttò sul letto di piume, ben sapendo che non sarebbe stato semplice prendere sonno. Troppi pensieri le affollavano la mente. Zia Rose la Custode…incredibile! L’immagine di quella lettera abbandonata nel cassetto della scrivania le danzò davanti agli occhi: parlava di un compito difficile e di Mary, parlava di una bella terra verde che le aveva rubato il cuore, parlava di Cecile, la donna che aveva cresciuto Axel. Come aveva saputo convivere con un simile segreto per diciotto lunghi anni, proprio non lo sapeva. E Valerie? Perché non le aveva mai detto la verità? Perché non le aveva mai detto che non era la sua vera madre?
Tutte quelle rivelazioni avrebbero razionalmente dovuto destabilizzarla, terrorizzarla, ma assurdamente non era così. Anzi, ogni ricordo che trovava senso e collocazione le dava una nuova sicurezza. Quel senso di estraneità e di alienazione che da sempre la accompagnava e che tanto impensieriva Valerie e Carrie trovava finalmente una giustificazione: la Terra non era il suo mondo. Finalmente aveva la certezza di non essere pazza. Sospirò. Nonostante la stanchezza non riusciva a cedere al dolce sonno. Senza saperlo, nelle settimane passate con i Ribelli, a vivere una guerra che sentiva non appartenerle, aveva riavvolto il nastro della sua vita. Dal momento in cui aveva estratto quel ciondolo dal baule di Rose era partito un conto alla rovescia che, inarrestabile, le aveva reso la verità. La Galassia aveva conservato per lei, durante tutto quel tempo, la Clessidra dimenticata dei suoi ricordi perduti, e quando si era ricongiunta alla Custode l’aveva capovolta. La Clessidra, un po’ alla volta, aveva lasciato scivolare giù i suoi granelli di polvere, restituendo ad Ariel quanto di più prezioso le era stato sottratto. Folgorata da un lampo di genio, la ragazza scivolò fuori dal letto e afferrò la bisaccia che aveva abbandonato, senza riguardi, sul pavimento accanto alla spada. Ne estrasse trepidante il libricino che aveva sottratto dalle segrete quella che le sembrava una vita prima, e lo sfogliò con delicatezza. Nell’ultima pagina era tracciato un diagramma complicato, un susseguirsi di nomi di Re e delle loro Regine. In fondo, spiccavano i nomi di James e di Mary, da cui dipartivano due caselle, nelle quali una calligrafia precisa e pulita aveva aggiunto Axel ed Ariel. La Principessa si strinse il libro al petto.
- Così questo è il mio vero nome…- mormorò tra sé.
“La vecchia Custode amava troppo tua madre per permettere che ti fosse dato un nome diverso” tintinnò la Galassia.
Tornando a stendersi, Ariel lasciò vagare la mente sull’immagine dei suoi veri genitori, sulle loro voci. Ripensò ad Isaac, che aveva evitato Axel per tutto il giorno, e ricordò che non era presente nemmeno quando era rinvenuta dopo il suo piccolo viaggio nel passato, quella mattina. Ripensò al ragazzino cui Mary aveva affidato i suoi figli. Ripensò a ciò che lei stessa, solo pochi minuti prima, aveva detto a suo fratello, senza però aver afferrato davvero tutto quello che implicava…
L’improvvisa piena consapevolezza che Isaac fosse a  conoscenza da chissà quanto tempo della sua vera identità la sconvolse. Non tanto perché aveva mentito a lei, ad Axel e a tutti loro, e questo le aveva probabilmente salvato la vita, ma perché era stato capace di portare un simile peso da solo, senza tradirsi, senza vacillare. E si rese conto che la rabbia che avrebbe razionalmente dovuto provare per essere stata ingannata, era inibita da una fortissima ammirazione. Per la sua forza, per il suo coraggio, per la sua fedeltà. Per quell’uomo che aveva reso possibile la ribellione. Isaac, che le si era sempre dimostrato tanto ostile, e che pure l’aveva protetta tante volte. Che faceva di tutto per inasprire i suoi difetti, ma che spiccava inevitabilmente per le sue virtù. Che era così rude, ma spesso anche così cavaliere da non saper reprimere le buone maniere. Che si abbruttiva in tutti i modi possibili ma restava comunque tremendamente affascinante. Ariel arrossì violentemente. Non si era resa conto che i suoi occhi di ossidiana le fossero diventati tanto cari, tanto indispensabili. Come era successo? Quand’è che l’uomo che le tarpava le ali con il suo pessimismo era diventato così vitale per il suo equilibrio? Il cuore le rimbombava nelle tempie. Come aveva potuto commettere un errore simile? Lasciarsi affascinare da un uomo tanto inavvicinabile…perché non se ne era avvista subito, quando era ancora in tempo ad evitare l’inevitabile? Era troppo presa dalla loro piccola diatriba per prestare attenzione ai suoi sentimenti, forse. L’improvvisa coscienza di dovergli chiedere delle spiegazioni su quanto le era stato taciuto la gettò nel panico: parlare con Isaac non le era mai stato facile, avevano più che altro condiviso silenzi, a volte ostili, a volte…sì, a volte carichi di una tensione positiva che fino a quel momento non aveva notato. La Galassia vibrò, percependo l’agitazione della Custode. Ariel inspirò ed espirò lentamente, prendendosi la testa tra le mani. In un modo o nell’altro doveva chiedere ad Isaac spiegazioni, anche se questo poteva allontanarlo da lei per sempre.
 
La mattina dopo, Ariel prese il coraggio a quattro mani e si presentò alla porta della stanza del medico. Esitò, poi bussò con la mano tremante. La porta si scostò di pochi centimetri a rivelare un occhio scuro. Poi si aprì. Sull’uscio comparve Isaac come la ragazza non l’aveva mai visto. I vestiti puliti e i capelli pettinati contrastavano con il pallore spettrale che l’incarnato olivastro accentuava. Ariel deglutì davanti al naso perfettamente diritto, alle labbra sottili e ai lineamenti aristocratici. Lottò per non arrossire. Ebbe la sensazione che quella fosse la prima volta che lo guardava davvero.
- Posso parlarti?- esordì infine con un tono di voce basso ma deciso, pregando che non risultasse ostile.
Isaac la guardò dall’alto al basso, e per un attimo il suo sguardo tradì una sofferenza antica.
- Facciamo due passi- disse poi, permettendo ad Ariel di espirare.
Uscirono in silenzio dal Palazzo e dalle mura del cortile e scesero lungo il fianco dolce della collina che declinava verso il mare. Ariel non ebbe il coraggio di aprire bocca fino a quando non fu Isaac a rompere il silenzio.
- Ti stavo aspettando- disse.
- Perché?- domandò sorpresa la ragazza.
- Perché hai tutto il diritto di chiedermi spiegazioni- rispose.
- Ma tu hai tutto il diritto di non darmene-
Ariel alzò gli occhi su di lui. Per qualche secondo, Isaac sostenne il suo sguardo, poi cedette.
- Sediamoci là- capitolò, indicando una roccia piatta che poteva fungere da panchina.
Dopo essersi seduta, la ragazza si sistemò la veste elegante con deliberata lentezza. Sapeva che il medico si trovava in una situazione molto poco piacevole, e questo la imbarazzava in modo tremendo. Deglutì.
- Mi detesti, Isaac. Dal primo momento in cui mi hai vista. Posso chiederti che cosa ho mai fatto per meritare una simile diffidenza?-
Si rese conto con una fitta di panico che, per la prima volta nella sua vita, non era riuscita a fingere distacco. La sua voce si era spezzata sull’ultima parola, tradendola irrimediabilmente.
- Tu non sai di che cosa stai parlando- rispose cupo Isaac.
- Aiutami a capire, allora. Tu eri l’unico a sapere la verità. Perché non ne hai parlato ad Axel?-
- Non ero certo che fossi proprio tu, non volevo dargli false speranze-
- Non prendermi in giro! Mi hai mai guardata, Isaac?! Sono uguale a mia madre!- la sua voce salì di un’ottava mentre sentiva crescere la frustrazione.
Isaac sospirò. Improvvisamente sembrò molto più vecchio di quanto non fosse veramente.
- Rose ti aveva portata via con sé, e la Galassia era scomparsa con lei. Non avevo modo di rintracciarla, ed io ero l’unico a sapere a chi Mary ti avesse affidata. Tutti hanno creduto che tu fossi morta, e per te era più sicuro che continuassero a crederlo-
Dopo una lunga pausa durante la quale lasciò vagare lo sguardo malinconico sulla distesa d’acqua, aggiunse:
- Erano passati diciotto anni, Ariel! Come potevo accontentarmi di una somiglianza fisica?- e continuò – e non ti ho mai detestata-
Ariel gli lanciò uno sguardo sbieco, per scoprire che la stava fissando con un misto di apprensione e di qualcosa di molto simile all’affetto. Abbassò gli occhi su un fiore ai suoi piedi, lo colse e se lo rigirò tra le dita.
- Il tuo comportamento smentisce le tue parole-
- Pensa quello che vuoi-
La ragazza alzò il viso alla fresca brezza che portava dalla città il profumo del pane appena sfornato.
- Quand’è che l’hai capito?- domandò.
Isaac la guardò di sottecchi.
- Ricordi quando siamo passati per le rovine dell’Abbazia? Hai cantato una canzone e hai detto di non ricordare dove l’avessi imparata…beh, io lo so-
- Davvero?!- esclamò Ariel abbandonando il fiore.
- Lei ve la cantava sempre…la Regina-
Sul viso spigoloso si dipinse un sorriso nostalgico.
- È stato in quel momento- mormorò.
Ariel lo guardò in silenzio per qualche minuto, turbata. Poi, con voce fioca, domandò:
- Com’era lei?-
Gli occhi di ossidiana si velarono di lacrime trattenute.
- Lei era un angelo. Era buona, gentile e giusta. La sua voce era musica. E i suoi occhi…erano del colore del cielo appena spruzzato di nuvole. Ma questo lo sai, li vedi ogni volta che ti guardi allo specchio-
Ariel sorrise ed Isaac distolse lo sguardo.
- Perché volevi che me ne andassi?-
- Mary voleva che tu fossi al sicuro, e qui non lo saresti stata- rispose secco.
- Ma mio fratello aveva bisogno di me-
- Si. Ma se tu avessi ignorato la tua vera identità non ti saresti cacciata nei guai. Almeno così credevo, ma è evidente che sbagliavo. Tua madre aveva messo la vostra vita nelle mie mani, e tu hai rischiato di perderla troppe volte…ho tradito la sua fiducia-
- No, Isaac, non l’hai fatto! Lei desiderava che io fossi consigliera di Axel, ed è esattamente quello che tu mi hai permesso di diventare!-
Isaac gemette e si coprì il viso con le mani, la testa china, come se il peso di quei diciotto anni gli fosse improvvisamente crollato sulle spalle. Ariel scivolò in ginocchio davanti a lui e, con delicatezza, gli scostò le mani dal viso. Gli occhi neri si spalancarono in una genuina espressione di stupore. La Principessa sorrise.
- Non devi rimproverarti nulla. Mi hai difesa dall’inizio alla fine, ho perso il conto di quante volte mi hai salvato la vita. Io ti sono debitrice…- sospirò – Ti prego, Isaac, non riesco a vederti così…-
- Una Principessa non dovrebbe stare per terra-
- Temo di avere qualche lezione da recuperare-
Isaac sorrise.
- Dimmi la verità: perché volevi che me ne andassi?-
Il sorriso sbiadì.
- All’inizio ero convinto che tu fossi solo una ragazzina presuntuosa, che non dava peso al pericolo. Poi ho capito che ti avevo valutata male, ma oramai era tardi…se fossi riuscito a rimandarti subito da dove eri venuta mi sarei risparmiato una buona dose di illusioni e false speranze-
- Non si scappa dal proprio destino, Isaac- sussurrò la ragazza, senza afferrare il significato di quelle parole.
- Esatto. E il mio destino è sempre stato questo: un tempo, fui il più devoto dei sudditi a Mary, oggi sono il più devoto degli uomini a sua figlia…-
Ariel abbassò lo sguardo per nascondere il rossore, raggiunta come un dardo da quella frase velata di malinconia. Isaac continuò:
- Ma tu sei una Principessa, ed io…io…-
La Principessa gli sfiorò le labbra con un dito, e si interruppe. Gli prese le mani.
- Tu sei il mio angelo custode, Isaac. Io non posso fermarmi qui, non ancora. Ho un’altra famiglia, un’altra madre. Un’altra vita cui non posso e non voglio rinunciare. Ma…- gli sollevò il viso con delicatezza perché la guardasse negli occhi – ma voi siete una parte di me troppo importante. E la Galassia mi porterà qui ogni volta che mi sarà possibile.- e continuò – Io questa sera me ne andrò, ma voglio lasciarti un dono: - la Galassia proruppe in un fascio di luce che colpì Isaac al cuore – esprimi un desiderio. Ti prometto che si avvererà-
Così dicendo Ariel si alzò e costrinse Isaac a fare altrettanto. Per un attimo si concesse di annegare nel buio di quegli occhi incandescenti, mentre il medico la attirava a sé, suggellando quella promessa con un bacio.
 
- Ma devi proprio andare?-
Ariel guardò con affetto Axel, che teneva gli occhi bassi. Si voltò e lasciò scivolare lo sguardo sul profilo irregolare di Glauce. Dalla finestra dell’immensa biblioteca, vanto della Regina Mary, la vista era spettacolare.
- Tornerò presto, promesso- disse.
- Mi sembra ancora impossibile…siamo proprio sicuri che non sia un sogno?- sussurrò Axel.
Ariel ridacchiò.
- Perché dici questo?-
Axel sospirò.
- Ti ho sempre creduta morta…-
Ariel abbassò lo sguardo.
- Io non sapevo nemmeno che tu esistessi…tu almeno hai potuto fare un po’ di pratica con Isaac, io credo di essere un disastro come sorella-
Axel sorrise.
- Non hai un’amica con la quale non ci sono segreti?-
Ariel esitò.
- Ce l’avevo. Ma lei ora abita lontano, e la sto perdendo…-
- Più lontano di noi due?-
Ariel lo guardò. I suoi occhi di miele erano lucidi. Non avevano mai davvero smesso di esserlo dalla morte di Daphne.
- Ma come posso dirle tutto questo? Come posso raccontarle di te, e di Glauce, e della Galassia, senza sembrare pazza?-
Axel non rispose. Quella volta nemmeno lui aveva una soluzione. Dopo un lungo silenzio, sussurrò:
- Perché Isaac non mi ha detto la verità, quando ha scoperto chi sei?-
Era evidente che quella domanda gli aveva perseguitato il cuore e la mente da quando la verità era emersa. Ariel gli posò una mano sulla spalla.
- Isaac è un amico fedele. Ha fatto quello che ha ritenuto meglio per noi. E questa omissione ha gravato a lungo sul suo cuore. Ma prova a pensare: se ci avesse messi a parte della sua scoperta, anche Gunnar l’avrebbe saputa, e allora…-
- …saresti morta- concluse Axel.
- Esatto-
- È successo qualcosa, tra voi, vero?-
Ariel sgranò gli occhi.
- Perché?-
- È la prima volta che parli di lui con una simile empatia-
Ariel arrossì. Suo fratello le cinse le spalle con un braccio.
- Sono contento, Ari. Sarò geloso fino alla morte della mia sorellina, ma…per una persona come Isaac credo che sarà più facile sopportarlo-
Sorridendo, Axel si allontanò per lasciarle lo spazio necessario. Aveva deciso che se ne sarebbe andata senza salutare nessuno ad di fuori di suo fratello, non avrebbe retto l’emozione. Angelica avrebbe fatto del suo meglio per trattenerla, Isaac si sarebbe limitato a guardarla con la pece bollente dei suoi occhi in tumulto. Così era molto più semplice. E, dopotutto, non le offriva forse un ottimo pretesto per tornare il prima possibile? Regalò un sorriso abbagliante a suo fratello e chiuse gli occhi.
“Sono pronta”
“Allora andiamo, Custode”
Solo un secondo, prima di sbattere le palpebre, di nuovo, nell’oscurità di una stanza piena di spifferi gelati.




***************************
Scusate il panegirico di Isaac, lo sapete, è dall'inizio che mi trattengo XD Domani ultimo appuntamento..sob sob mi mancherete :'(

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Capitolo 38
*** Epilogo ***


Ariel accese la luce, esitante. Elettricità, incredibile! La sua stanza era tale e quale l’aveva lasciata, con le scarpe ai piedi del letto e il libro aperto sulla scrivania. Inspirò profondamente. L’aria era fredda e umida, ed era innaturalmente immota. Aveva dimenticato cosa significava trovarsi nel bel mezzo del nulla, dopo aver vissuto settimane così caotiche. Quanto era stata via? Come poteva, dopo tutto quel tempo, ripresentarsi da sua madre come se niente fosse? Magari, Valerie aveva mobilitato la polizia, magari era impazzita di dolore…con quale cuore? Deglutì a fatica, oppressa dal senso di panico e dall’umido che sembrava volerle impedire di respirare.
“Fidati di me…ancora una volta…”
Ariel annuì. La voce dolce della Galassia le aveva sempre dato sicurezza. Lei non l’avrebbe tradita.
“Sapevi da subito che era Daphne, vero?” domandò, conoscendo già quale sarebbe stata la risposta.
“Certo. Ma l’equilibrio è delicato, fragile…non è cosa da poco riuscire a preservarlo, Custode…e poi, solo in questo modo avresti ritrovato te stessa”
La ragazza sfiorò il manuale di storia medievale e un sorriso le si dipinse sulle labbra.
“Mi fido di te”
Si cambiò precipitosamente e si lanciò lungo le scale. Quando, in cucina, il suo sguardo cadde sul calendario, il cuore mancò un colpo: non solo la sua stanza, la cucina, l’intera casa non era cambiata, ma non era passato un solo giorno dalla sua partenza!
- Oh mio Dio- mormorò, coprendosi gli occhi con le mani, sopraffatta dalla felicità.
La Galassia scintillò.
- Ariel, tesoro, che cosa ci fai già in piedi? Sono soltanto le cinque e venti…-
La ragazza sobbalzò e si volse all’ingresso. Valerie era là, in carne ed ossa, con la faccia assonnata e i capelli arruffati. Senza esitare, senza riflettere, Ariel si gettò tra le sue braccia. Valerie la strinse senza capire, impreparata ad una simile manifestazione d’affetto. Solo quando le posò una mano sulla testa e poté constatare che la consistenza dei suoi capelli neri era ben diversa da quella che era solita ottenere con l’utilizzo maniacale di balsamo, esclamò:
- Che cosa è successo ai tuoi capelli?-
La prese per le spalle e la scostò. I suoi occhi indugiarono sul suo viso abbronzato, sulle occhiaie che ancora circondavano gli occhi azzurri, sui piccoli graffi che costellavano le sue braccia. La sua espressione si fece ancora più confusa.
- Sembra che in una sola notte tu abbia vissuto un’intera vita…sei andata a letto anatroccolo e ti sei svegliata cigno…Che cosa ti è accaduto, Ariel? E quella?- strillò portandosi le mani alla bocca alla vista della cicatrice al braccio.
Ariel sorrise al pensiero dell’autografo di Isaac. Fece sedere Valerie e prese posto di fronte a lei. Era incredibile come in una sola frase fosse riuscita a racchiudere tutta la sua esperienza su Rubio. Ma dopotutto, pensò, era pur sempre sua madre!
“Coraggio, Custode, il tempo della guerra si è consumato. Ora è il momento delle spiegazioni…”
- Va tutto bene, mamma. Spero che tu non abbia impegni con Jerry, oggi, perché c’è una lunga storia che ti devo raccontare…-
 
Dopo il lunghissimo racconto della figlia, Valerie capì. D’altra parte, come poteva, una scrittrice di romanzi come lei, rifiutare una storia tanto incredibile? Quell’alba restituì alla Custode il pieno potere sul proprio destino. Conscia che, anche se l’ultimo granello di sabbia della sua Clessidra Dimenticata era caduto, il compito della Galassia non si era esaurito, che alle sue spalle stava un progetto troppo ampio per poter essere pienamente compreso da quella formichina precaria che sapeva di essere. Che, forse, nell’eternità del monile, di lei non sarebbe rimasta traccia alcuna. Che l’immensa Clessidra che scandiva il tempo della Galassia non avrebbe mai lasciato andare il suo ultimo granello.





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*___* ebbene si, amici, è finita! Che tristezza infinita :'( Grazie mille a Socorro98 e ad Hareth per avermi sopportata fino ad oggi, e per avermi esposto le loro dettagliatissime e interessanti teorie, e soprattutto per aver letto tutto con entusiasmo! Grazie ai recensori occasionali e a chi - so che ci siete! :) - ha letto tutto senza mai recensire! Grazie a tutti! Spero di ribeccarvi alla prossima occasione! Un bacione,
Cathy ;)

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