A Red Dragon in London

di Airaly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.L'Inizio del caso ***
Capitolo 2: *** 2.La scena del crimine ***
Capitolo 3: *** 3.Ipotesi ***
Capitolo 4: *** 4.Hannibal Lecter ***
Capitolo 5: *** 5.La clinica ***
Capitolo 6: *** 6.Colloquio ***



Capitolo 1
*** 1.L'Inizio del caso ***


La pioggia colpiva insistente la città, una Londra stanca, assopita, ma non del tutto addormentata. Poco lontano dal centro, in una modesta casetta londinese, un Drago stava compiendo il suo destino. Camminava per le stanze tranquillo, rilassato, come un padre di famiglia che torna a casa dopo una giornata di lavoro. La mente dell'uomo corse subito alla famiglia Leeds, un'altra che aveva reso partecipe della sua Gloria. Ripose con cura gli strumenti al loro posto, controllò nuovamente la casetta. Era tutto in ordine. Guardò nuovamente la famiglia Leeds. Si sentiva euforico, era sempre più vicino all'Avvento. Aprì la porta, e subito fu investito dal ruggito del vento e della pioggia battente, quasi come lo stessero accusando. Il Drago ignorò le grida impazzite del vento, invece, incamminandosi, tese le orecchie per ascoltare le urla silenziose della morte che festeggiava nell'appartamento. Quello era il coro che avrebbe accompagnato la sua ascesa.

 

John dovette far appello a tutto il suo autocontrollo. Anche stavolta. Il medico si era sempre considerato una persona paziente, ma questa volta il puzzo era allucinante. Questa volta era troppo. Sbatté la porta del bagno con forza, lasciandosi alle spalle il tanfo orribile che gli aveva riempito le narici, poi si diresse con cipiglio assassino in salotto. Ed eccolo li, il suo stramaledetto coinquilino, un uomo assurdo che era entrato con prepotenza nella sua vita, stravolgendola senza ritegno.

"Sherlock" cominciò John, sul punto di esplodere dinanzi all'indifferenza più completa dell'amico nei suoi confronti, nonostante, ne era certo, sapesse benissimo il motivo della sua prossima, ennesima, scenata.

John non si era mai lamentato della sua nuova vita, la vecchia esistenza era decisamente noiosa a confronto, mai una testa in decomposizione nel frigorifero insieme ai pomodori, mai l'ombra di un'occhio nel microonde, mai un braccio amputato sotto le coperte a carezzargli la schiena, decisamente una vita noiosa, la sua, prima di incontrare Sherlock Holmes. Ma ogni tanto anche la normalità non gli sarebbe dispiaciuta.

Il coinquilino alzò gli occhi di ghiaccio dal giornale che stava sfogliando senza particolare interesse, e come sempre lo perquisì con lo sguardo, giusto per ripassare la storia della sua vita in meno di mezzo minuto.

"Qualcosa non va John?" chiese, apparentemente ignaro dello schifo che aveva combinato in bagno. Il medico sospirò:

"Sherlock, hai riempito la vasca di acqua bollente e, a giudicare dal puzzo, candeggina, dopodiché ci hai gettato dentro un mammifero di cui ignoro la specie, suppongo morto, o almeno spero che lo fosse."

"Ah, quello..." rispose atono il collega, gettandosi sul divano in uno svolazzo di vestaglia.

"Esatto, proprio quello Sherlock. Avresti almeno l'accortezza di ripulire quella roba prima che la signora Hudson venga a fare le pulizie? E' abituata ai tuoi esperimenti, ma mi dispiacerebbe rovinarle il vestito della mattina con quell'odore terribile"

"Non vedo perché dovrei" rispose Sherlock "la signora Hudson non è la mia governante, come spesso ribadisce, quindi niente la obbliga ad entrare nel mio bagno per fare le pulizie, non sei daccordo?"

"Lei non è la tua domestica, ma IO sono il tuo coinquilino, lei non condivide il bagno con te, ma io si. E come tale penso di avere il diritto di usarlo in santa pace quando ne ho bisogno! Sai, non mi piace sfogliare una rivista sul cesso mentre un criceto gigante si decompone a mollo nella mia vasca. Mi stai ascoltando?!

Mentre John si sgolava per interessarlo almeno un pò (senza successo) all'argomento, Sherlock aveva afferrato con decisione il telefono, iniziando ad armeggiarvici sopra con rinnovato interesse.

"John!" esclamò all'improvviso "sapevi che ieri dalle parti dell'Essex si è tenuta la fiera dei nachos?

"La fiera dei...che diavolo centra ora?!" "oh, centra tutto invece! E' proprio li che ho trovato il tuo criceto gigante, sai?" Si soffermò un secondo sull'ultima frase, poi continuò borbottando "mmmm, interessante, chissà se i criceti...

Il medico preferì ignorare le farneticazioni dell'amico dovute alla noia, andò invece a prendere il telefono del detective sulla scrivania, abbandonato dopo che il proprietario aveva trovato un'argomento più interessante cui dedicarsi (cosa succederebbe ad un criceto se venisse nutrito continuamente di nachos).

"Sherlock" John lesse il messaggio, ed un brivido gli corse rapido lungo la schiena. "E' Lestrade".

"Lestrade? Cosa vuole adesso?" sbuffò il coinquilino.

"Vuole che tu vada sulla scena di un crimine, poco lontano da qui"

"La mia presenza sulla scena di un crimine qualunque? Figuriamoci, sarò l'ennesimo delitto amoroso di un povero ubriacone divorziato, non è nemmeno degno della mia attenzione!" sbottò il detective, liquidando la faccenda con un gesto irrequieto della mano.

"Sherlock, la vittima non è una povera disgraziata qualunque, ma un'intera famiglia, e Lestrade non ti vuole per l'omicidio in se, quando per quello che l'assassino ha fatto alle vittime dopo la morte".

 

Un'ora dopo un taxi lasciò i due dinanzi all'umido vialetto d'ingresso della famiglia Leeds. La pioggia aveva smesso di frustare la città, ma il vento non accennava a smettere di ruggire, mentre il cielo già prometteva un nuovo temporale. Agenti della scientifica perlustravano inquieti il piccolo giardino inglese intorno all'abitazione, raccogliendo via via piccoli ed invisibili campioni.

Dalla porta aperta della casa uscì Anderson, pallido in viso:

"Adesso tocca a te strambo, sono sicuro che troverai la faccenda molto divertente" disse con una smorfia. Dopodiché li raggiunse Lestrade, anche lui visibilmente turbato.

"Era ora che arrivaste, i ragazzi qui hanno prelevato tutto il possibile, anche se per ora non siamo riusciti a capirci molto" disse.

"Immaginavo" disse Sherlock, entrando nell'abitazione.

La casa era un modesto terratetto, le vittime erano state trovate al piano di sopra.

"Qui sotto è tutto in ordine" spiegò l'ispettore "abbiamo cercato da cima a fondo ma non abbiamo trovato niente di veramente utile".

Il detective ignorò le parole dell'amico, estrasse la sua piccola lente tascabile dalla tesca e si mise al lavoro. Nel frattempo Lestrade presentò al medico la famiglia Leeds prima di morire.

"Padre, madre e due figli, fin'ora hanno avuto una vita regolare, nessun precedente, nessun piccolo reato, niente che li abbia resi noti alla polizia. Una famiglia facoltosa, il garage è pieno di inutili, costose stronzate, e secondo i vicini brava gente educata. Per adesso ignoriamo il movente che ha spinto l'assassino a fare tutto questo e..."

"Ispettore, dov'è il cane?" lo interruppe Sherlock, appena riemerso dal suo mondo di deduzione.

"Il cane? Qui non c'è nessun cane!" rispose.

"Acuta osservazione Lestrade, complimenti davvero. Esatto, non c'è alcun cane qua intorno, eppure in cucina ci sono ciotole, croccantini e biscotti, per cane. Dov'è finito il cane?" ripetè spazientito.

"Ascoltami" rispose stanco l'ispettore "quando siamo arrivati qui non c'era nessun cane o altro animale, se i Leeds avevano un cane sarà fuggito quando è entrato l'assassino, cosa ci importa a noi del cane?! Adesso vieni, è rimasta la parte che a me piace di meno, ma che a te piacerà da far impazzire". La risposta di Lestrade non aveva convinto Sherlock, che salì al secondo piano quasi distratto, con la fronte corrugata e gli occhi persi nel vuoto.

"E' così importante questo cane?" gli domandò John sottovoce mentre salivano le scale.

"Estremamente" rispose l'altro, senza aggiungere un'altra parola.

L'ispettore li guidò alla porta della camera da letto dei coniugi Leeds, poi si voltò verso di loro:

"La scientifica ha già preso tutto quello che ci serve, ma vi posso concedere solo cinque minuti.

"Saranno sufficienti" disse il detective, aprendo la porta. Immediatamente Lestrade lo afferrò per un braccio:

"So che trovi tutta la faccenda molto elettrizzante, e so che sarà inutile dirtelo, ma vedi di mantenere un certo contegno. Questa è una faccenda che scotta, le circostanze dell'omicidio fanno pensare ad un serial killer, un serial killer pericoloso che quasi sicuramente non si fermerà qui". Lestrade parlò velocemente, scuro in volto. Sherlock lo squadrò da capo a piedi, poi, senza rispondere, entrò nella camera. L'ispettore alzò gli occhi al cielo:

"Prova a farglielo capire, ti prego" disse rivolgendosì a John.

"Farò il possibile" rispose lui, seguendo poi l'amico in camera.

Quasi immediatamente John pensò alla guerra. Pensò all'Afghanistan. John pensò che di morti violente ne aveva viste parecchie. Era un ottimo medico, pensò, aveva sempre avuto dei nervi d'acciaio, le morti violente non lo aveva mai turbato. Ma quelle quattro figure appoggiate al muro macchiato di sangue, che ricambiavano il suo sguardo con le orbite vuote e sanguinanti, riuscirono quasi ad incrinare la spessa corazza costruita dal medico durante la guerra.

 

__________

 

Ed eccomi qui, mi presento con questa mia prima fanfiction! Diciamo non proprio la prima che scrivo, ma la prima che decido di pubblicare sul web. Partiamo quindi con qualche piccola delucidazione!

Come ho scritto all'inizio, questa storia è basta sugli avvenimenti raccontati in Red Dragon, bellissimo libro di Thomas Harris, che cosiglio a tutti coloro che non hanno ancora avuto modo di leggerlo. In questa storia vedrete i nostri eroi, Sherlock Holmes ed il fedele dottor Watson, alle prese con un particolarissimo serial killer. Come già detto è la prima fanfiction che pubblico, non vi chiedo di esser troppo clementi ma di considerare questo piccolo fattore nelle vostre critiche, che saranno tutte accolte senza problemi! E' un fandom divertentissimo su cui scrivere, ma ammetto che potrei non rendere al massimo i personaggi, data la loro personalità profonda e caleidoscopica, specialmente chiedo perdono ai/alle fans del dottor Hannibal Lecter, personaggio talmente interessante che potrei non riuscire a rendere al meglio la sua personalità con le mie modeste parole. Per oggi concludo qui, aggiornerò al più presto con un nuovo capitolo, scuola ed impegni vari permettendo! :)

Hila

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Capitolo 2
*** 2.La scena del crimine ***


Tornò a casa, ripulì e ripose con cura la dentiera di lattice che indossava, poi rimise a posto gli strumenti. Dopodiché andò a farsi una doccia, si lavò per bene tutto il corpo, ed una volta uscito si infilò un morbido kimono di seta. Scese al piano inferiore, estrasse le cassette dalla telecamera che aveva appena riposto, sistemò il proiettore di fronte al telo bianco che pendeva davanti ad una poltrona in salotto, si preparò un drink e si accomodò a sedere. Il Drago accese il proiettore, inserendo la cassetta. La famiglia Leeds apparve davanti ai suoi occhi, felice, durante un'allegro pomeriggio d'estate. Guardò i volti ed i colori che passavano rapidamente, i due figli che ridevano davanti alla telecamera, la mamma che portava in casa i sacchetti della spesa, il cane che scodinzolava dietro. Fermò la scena sulla signora Leeds. Era davvero una bella donna, alta e formosa, i capelli scuri ed ordinati che ricadevano morbidi sulle spalle scoperte ed abbronzate. Mandò indietro il nastro, riguardò tutta la scena. Poi tolse la cassetta, ed inserì il nastro nuovo, quello su cui aveva registrato poche ore fa. La scena stavolta non iniziava con un sorriso e tanti colori. Iniziava con i coniugi Leeds che dormivano ignari nel proprio letto.

 

"John, dimmi come sono morti" disse Sherlock, mentre osservava attentamente le quattro figure appoggiate al muro. La sua voce parve come un coltello, tagliava la spessa coltre di morte che esalava la stanza.

"Non è evidente?" rispose il dottore, ancora turbato dalla scena che si presentava davanti ai suoi occhi. Il detective prese a fissarlo con il suo sguardo di ghiaccio. "Dimmelo lo stesso" sentenziò. John sospirò, come al solito non seguiva la sua linea di ragionamento, in quella stanza poi gli riusciva particolarmente difficile.

Di malavoglia si avvicinò ai cadaveri, osservandoli da vicino, o perlomeno, dalla distanza minore che il fetore di sangue e morte permettevano.I quattro corpi erano appoggiati al muro, seduti per terra, quasi stessero guardando un film o facendo un gioco tutti insieme. Sul corpo delle vittime erano presenti evidenti ferite, probabilmente inferte con un'arma da taglio, anzi, sicuramente inferte con un'arma da taglio, concluse amaramente John, visto che alcuni pezzi scheggiati di uno specchio erano ancora conficcati nella carne. Oltre a questo, ad ogni vittima erano stati cavati gli occhi, probabilmente con le stesse schegge che avevano provocato gli altri traumi. Mentre guardava i tagli, il dottore notò un'altro genere di ferite, solamente sul corpo della signora Leeds, che, notò solo in quel momento, era nudo, molto più piccole e meno evidenti. Le osservò bene, le ferite seguivano una linea arcuata, una serie di piccole depressioni impresse nella carne. Erano morsi. Inspirò piano aria nei polmoni, con orrore, mentre le orbite sanguinanti continuavano a fissarlo, quasi facendosi beffe di lui mentre si rendeva conto dell'orrore sofferto da quel corpo martoriato. Si sentiva sempre meno a proprio agio in quella stanza.

"John" intervenne Sherlock "concentrati sulle ferite presenti dal collo in giù, di tutte le vittime, mi interessano quelle per adesso. Cosa ne pensi? Non hai ancora detto una parola". Il dottore sorvolò sul fatto che solitamente LUI rimaneva spesso a strisciare per la stanza o il vicolo di un delitto finché non traeva le giuste conclusioni, a volte per intere ore senza degnarlo di uno sguardo.

"Le vittime sono morte a causa di queste profonde ferite presenti in tutto il corpo, più specificatamente i tagli inferti alla gola ed agli occhi sono stati fatali, il dissanguamento è la causa più probabile. Inoltre ci sono anche questi... morsi, sul corpo della signora Leeds, non sono la causa della morte ovviamente, anche se è da specificare se sono stati inferti dopo il decesso o... prima" continuò John, rabbrividendo a quella possibile eventualità.

Sherlock annuì. "Continua" aggiunse poi.

"Ehm, credo che sia tutto" disse John. Uno scintillio balenò negli occhi del detective.

"Ne sei sicuro?" proseguì "le tue deduzioni sono esatte, ma purtroppo sono assolutamente lontane dalla verità". Il dottore si irritò leggermente, odiava quando il coinquilino lo faceva parlare e ragionare per mezz'ora solo per dirgli alla fine che aveva sbagliato tutto.

"Dove ho sbagliato?" chiese quindi, un pò riluttante e rassegnato ad ascoltare l'ennesima, brillante prova del collega.

"Oh, non hai assolutamente sbagliato, la tua analisi è perfetta, hai soltanto mancato di osservazione, hai mancato i particolari essenziali. Il che ti ha portato ad ignorarne uno importantissimo". Si avvicinò quindi ad uno dei cadaveri, precisamente a quello del signor Leeds. "Guarda qui" disse, indicando il petto macchiato di sangue "non vedi nulla di strano?".

John si avvicinò ancora di più, guardando attentamente la chiazza rossa. Inizialmente non vide niente, dopo poco però, aiutato dalle indicazioni dell'amico, intravide all'altezza del cuore un piccolo foro, nascosto dai grumi di sangue.

"Gli hanno sparato!" esclamò il dottore. Sherlock sorrise, felice che finalmente John avesse colto quell'importante particolare. Quindi si alzò, ed iniziò a girare per la stanza. "L'assassino a sparato solo a lui".

"Dici davvero?" chiese il dottore, osservando con attenzione il cadavere dell'uomo, che effettivamente, anche ad un confronto accurato con gli altri corpi non mostrava segni letali di accoltellamento. "Perché il killer ha ucciso soltanto il marito con una pistola? Avrebbe potuto ucciderli tutti e quattro, evitando il rischio che qualche membro della famiglia si accorgesse della sua presenza".

"Già, come mai hai sparato al marito?" ripeté il detective in un sussurro, quasi come se avesse l'assassino di fronte agli occhi. Poi tornò ad esaminare i cadaveri, e John sussultò quando improvvisamente Sherlock esclamò soddisfatto.

"John! John guarda!" dissè entusiasta, indicando il corpo della signora Leeds "come ho fatto a non accorgermene prima? Che stupido, stupido, sono stato!".

Il dottore si avvicinò a guardare il motivo di tanto entusiasmo da parte del suo amico, e solo dopo aver guardato per bene riuscì a vedere a cosa si riferisse. Sui polsi della vittima era presenti dei lividi, delle striature violastre che erano passate inosservate a causa delle altre abbondanti e più evidenti ferite.

"Sembra che sia stata legata" asserì John.

"Legata con le mani dietro la schiena" confermò Sherlock "i segni lasciati dal nastro adesivo sono inconfondibili. Aaah! Che caso magnifico John, il cane, le mani legate!". John evitò di chiedere come diavolo facesse a sapere che la vittima era stata legata con del nastro adesivo e non con una corda, e stava per rimproverare l'amico per il suo eccessivo entusiasmo, quando Lestrade irruppe nella stanza.

"Sherlock, non vorrei interrompere il vostro lavoro, ma è arrivato il coroner, sapete, per i cadaveri. Penso che non gli farebbe piacere trovare due sconosciuti a giro per la scena di un crimine... beh, come questo" disse, facendo un'ampio gesto con la mano.

"Fa niente Lestrade, ce ne stavamo giusto andando" disse allegro il detective, uscendo dalla macabra scena del delitto. Quando John si chiuse la porta alle spalle sentì il suo amico ridere di gusto in fondo alle scale. Lui e Lestrade si guardarono. Le risate di Sherlock Holmes portavano sempre guai con se.

 

__________

 

Eccomi finalmente con un nuovo capitolo, chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo tra scuola ed impegni vari ho decisamente poco tempo per aggiornare^^" Comunque, in questo capitolo vediamo altri inquietanti particolari riguardanti il Drago ed il suo operato, ma tranquilli, nel prossimo capitolo il fedele Lestrade farà un pò di luce su questo mistero grazie ai dettagli della sacrosante ed onnipresente scientifica! Mentre il nostro Sherlock ovviamente farà tutto di testa sua.... Inoltre si presenterà un personaggio molto interessante, qualche idea su chi possa essere? c;

Ringrazio tutti coloro che hanno letto questi due capitoletti iniziali, e prometto che quando avrò più tempo rispenderò anche ad ogni vostra recensione, un grazie anche a chi lascerà un commento in futuro, a chi lo ha già lasciato e a chi passava semplicemente di qua. Mi scuso per il capitolo un pò corto e scritto velocemente, spero comunque che vi sia piaciuto :)

Hila

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Capitolo 3
*** 3.Ipotesi ***


Pioveva. Come sempre, da li a pochi giorni. Uno spesso strato di nuvole scure stanziava sopra Londra da un bel pò ormai, vivendo in Inghilterra ci si è abituati, ma John avrebbe preferito un pò di sole, per una volta. Beh, per quella volta, almeno.

Il vetro bagnato distorceva il mondo al di fuori del 221b, un quadro monocromatico che il suo coinquilino avrebbe classificato come monotono ed irritante.

John si voltò a guardarlo, Sherlock era seduto sulla sua poltrona a pizzicare distratto le corde del violino. Il dottore tenne a freno la lingua per un pò, sapeva che il detective odiava che si interrompessero i suoi lunghi ragionamenti mentali, ma la curiosità lo stava consumando. Pronunciò infine un timido:

"Allora, cosa ne pensi?". Inizialmente non ottenne risposta, un vaso da notte avrebbe ricevuto più attenzione, pensò John, poi trasalì all'esclamazione improvvisa dell'amico.

"Lo sai che non rischio mai di formulare ipotesi senza ricevere tutti gli indizi ricavabili dal caso, John. Ma penso che il giorno in cui ci hanno presentato questo caso è stato un giorno molto fortunato per i miei schedari di criminologia!" esclamò contento. Il dottore sospirò per l'ennesima volta, poi disse:

"Pensavo avessi ricavato tutto il possibile dalla tua ispezione nella casa". Un piccolo brivido corse veloce lungo la sua schiena, la scena che gli si era presentata davanti una settimana prima lo aveva scosso più di quanto osasse ammettere.

"Ho ricavato tutto ciò che si poteva ricavare così come si presentava ai nostri occhi, ma ci sono particolari che, lo ammetto, neanche io talvolta riesco a cogliere" rispose il detective "oppure perché non ho alcuna intenzione di sporcarmi le mani con i villici che la signora Leeds chiamava 'vicini'. Per questo ho mandato Lestrade a fare un giro per il quartiere, in questi giorni, e per questo ci raggiungerà qui fra pochi minuti. Voglio avere tutti gli elementi davanti ai miei occhi, e dopo iniziare con le ipotesi". Dopodiché John non riuscì più a strappargli una parola, e nell'attesa, si preparò una tazza di thé.

Lestrade arrivò un'ora dopo (decisamente molti minuti dopo l'ora stabilita da Sherlock), ed aveva l'aria di chi aveva seriamente bisogno di una buona notte di sonno. Evidenti borse orlavano i suoi occhi scuri, la camicia era stropicciata e vecchia di qualche giorno, ed appena arrivato si accasciò pesantemente sul divano, sospirando. I due personaggi che gli si presentavano davanti erano talmente contrastanti nel loro atteggiamento che al dottore scappò quasi da ridere.

Lestrade era stanco, nervoso e fradicio di pioggia, Sherlock, seduto davanti a lui, era fresco come una rosa e particolarmente attivo, come gli era consono durante un caso.

" 'Sera Sherlock, John" disse l'ispettore, rivolgendo al medico un cenno del viso "scusatemi se non mi presento con una faccia più allegra, ma è stata una settimana snervante.

"Per il pluriomicidio?" chiese John.

Lestrade annuì:

"Non possiamo negare che la faccenda è parecchio grossa, le circostanze degli omicidi sono molto insolite, e le notizie circolano in fretta". Detto questo posò una cartella che John notò solo in quel momento sulla scrivania del detective.

"Tutto quello che abbiamo raccolto fin'ora. Tuo fratello è stato bravo, non pensavo che avrebbe ottenuto l'intero dossier, con tanto di foto e analisi della scientifica" poi aggiunse borbottando "magari si decidesse ad esse un pò più collaborativo ed un pò meno dispotico".

Sherlock, che dal canto suo era rimasto in silenzio fino a quel momento, prese il dossier del caso ed iniziò a sfogliarlo, poi disse:

"Dimmi tutto quello che avete scoperto", gli occhi fissi sui fogli contenuti nella cartella.

L'ispettore, era evidente, avrebbe preferito andare a casa a bersi un caffè, e magari anche dormire qualche ora, ma iniziò comunque il suo monologo, rimettendo rapidamente in ordine le idee.

"Allora, l'autopsia non ha rivelato quasi niente che già non sapevi. La signora Leeds ed i due bambini sono morti dopo una ferita letale causata da un'arma da taglio, ancora dispersa. Dalle analisi risulta che i due figli sono stati uccisi per primi, evidentemente l'assassino immaginava che avrebbero potuto mettersi a piangere e farsi sentire dal vicinato. Poi è stato il turno dei coniugi Leeds, anche se non sappiamo chi dei due sia morto per primo. La signora Leeds è morta a causa di una ferita letale alla gola, non provocata dai pezzi di specchio in giro per la stanza, come sospettavamo, ma da un'altra arma da taglio, ancora dispersa. Il signor Leeds, invece, è stato ucciso con un'arma da fuoco, dentro trovi modello e calibro" fece una pausa strofinandosi stancamente gli occhi "e questo non riusciamo ancora a spiegarcelo.

"Non è ovvio?" disse Sherlock con una smorfia "è chiaro che il signor Leeds deve essersi accorto dell'assassino, deve averlo scoperto, in qualche modo. Probabilmente si è svegliato mentre uccideva la moglie, ed il nostro uomo, ritrovatosi alle strette, non ha avuto altra scelta che sparargli, il modo più rapido per ucciderlo in fretta".

Lestrade rimase con l'espressione di uno a cui viene mostrato pazientemente il risultato di 'due più due', poi continuò il resoconto:

"L'autopsia ha rivelato anche che l'assassino si è dedicato particolarmente alla signora Leeds, oltre ai tagli presenti su tutti e quattro i cadaveri sono stati rinvenute altre ferite, provocate da svariati morsi su tutto il corpo, insieme a dei lividi nella zona dei polsi. Pensiamo che la signora sia stata legata, prima o dopo la morte.

"Lo sapevamo" disse il detective, congiungendo le punte delle dita "potresti dirci qualcosa che ancora non sappiamo, per favore?".

L'ispettore strinse i denti e proseguì:

"Questo non puoi saperlo, e se sai anche questa stavolta mi preoccupo sul serio. Le ferite non sono solamente superficiali, abbiamo trovato una scheggia dello specchio nella... tra le gambe della signora, ecco.

John sgranò gli occhi, Sherlock affilò i suoi mentre altre ipotesi si affacciavano nella sua mente.

"Allora non abbiamo a che fare con un pazzo maniaco" disse "quest'uomo agisce con uno scopo preciso, qualcosa di più che il mero bisogno carnale di uccidere.

"Come fai a dirlo?" chiese John.

"E' chiaro che se l'assassino voleva semplicemente uccidere e trarre piacere dal potere che quest'azione li riservava, non avrebbe agito così. Il fatto che abbia frettolosamente ucciso il marito con la pistola fa pensare che volesse prendersi il suo tempo, non voleva fuggire immediatamente, non voleva interruzioni dopo" disse, calcando sull'ultima parola "che motivo avrebbe un matto furioso, di rimanere in una casa dopo essersi sfamato? Questa categoria di killer non ha bisogno di possedimenti materiali, ed in questo caso non è stato sottratto nulla dall'abitazione, quindi gli elementi fanno pensare ad un'altro scopo, quello appunto di infierire sui cadaveri in qualche modo.

John rifletté sull'ipotesi del detective, ed effettivamente non gli sembrava molto impossibile come soluzione. Poi un dubbio gli fulminò la mente come un lampo a ciel sereno:

"Se dici che l'assassino voleva prendersi del tempo, significa che aveva sicuramente programmato tutto. Non ci si fionda in una casa a giocare ai burattini coi cadaveri, se non sei assolutamente sicuro che nessuno può scoprirti, giusto? Questo vuol dire che c'è l'eventualità che il killer avesse sorvegliato la casa, o che peggio ci sia addirittura entrato sotto mentite spoglie.

Sherlock sorrise compiaciuto, evidentemente contento che qualcuno fosse arrivato a quella conclusione senza che lui dovesse sprecare fiato.

"Lestrade?" interpellò l'ispettore.

"Abbiamo chiesto ai vicini. Nessuno ha sentito niente la notte dell'omicidio, probabilmente la pistola era silenziata. Ma abbiamo parlato con un vecchietto interessante" disse con una smorfia "è rimasto a lamentarsi con noi del costo eccessivo delle bollette elettriche, stavo per andarmene via quando ha detto che il giorno prima aveva litigato con un dipendente dell'azienda elettrica. Gli ho chiesto se era normale che un tecnico venisse da quelle parti, e lui mi ha risposto che di solito non ricevono mai la visita di un tecnico, a meno che non ci sia un problema urgente. Ti risparmio gli altri quindici minuti di lamentele. Poi sono riuscito a chiedergli se aveva una faccia conosciuta, e mi ha risposto che le volte in cui l'azienda ha mandato un dipendente il vecchietto ha sempre riconosciuto lo stesso uomo, mentre stavolta si trattava di uno sconosciuto.

"Ha fornito una descrizione?" chiese John, ritrovandosi improvvisamente elettrizzato a quella piccola, grande scoperta.

"Niente di concreto. Alto, biondo, un paio di folti baffi l'unico elemento caratteristico. Il vecchio afferma che aveva un fisico prestante, ma non ci giurerei su quest'ultima. E' andato da lui a chiedergli se fosse venuto per le sue bollette, ma lo sconosciuto gli ha risposto che era li solamente per una misurazione al generatore del quartiere, e nulla di più. Questa è l'unica informazione degna di nota che abbiamo ricevuto" concluse Lestrade in un'alzata di spalle.

Sherlock annuì:

"Questo conferma la tua ipotesi John, a cui io era già arrivato lo stesso giorno in cui Lestrade ci ha presentato il caso. Vi siete stupiti del fatto che quel giorno ho insistito tanto sull'assenza del cane, ebbene, è un'altra prova a favore della mia teoria. Il fatto che manchi il cane, famoso per la sua fedeltà e istinto di protezione, indica che l'assassino ha fatto in modo che l'animale non si trovasse fra i piedi al momento dell'omicidio, vuol dire che sapeva già che la famiglia possedeva un cane. Sono sicuro che se controllate nei cespugli intorno al quartiere con uno strumento di rilevazione per gas da decomposizione, troverete sicuramente il fedele cagnetto.

"Come diavolo ho fatto a non pensarci prima!" esclamò Lestrade, battendosi una mano sulla fronte. Sherlock stava per rispondere con l'ennesima frecciatina, ma improvvisamente la signora Hudson bussò, entrando nel soggiorno.

"Sherlock caro, è arrivata una lettera a nome tuo, il postino non mi ha voluto dire chi la manda, mi ha chiesto di firmare ed è sparito subito, che maleducato! Pensate che quando vivevo con mio marito preparavo sempre dei biscotti croccanti per il postino e si fermava sempre a..."

Il detective afferrò con il garbo che gli era caratteristico la busta anonima, ignorando la brava donna che gliela porgeva, e dopo una breve analisi della carta, del mittente, della scrittura precisa vergata su un'angolo e del francobollo, aprì la lettera, leggendone brevemente il contenuto. Dopodiché scattò in piedi, afferrò sciarpa e cappotto e gettò la lettera sulle gambe dell'ispettore, dicendo:

"Questo, Lestrade, ti piacerà. La lettera è indirizzata a me, inviata da un certo signor Hannibal Lecter, che mi ha cortesemente chiesto di fargli visita. Davvero una scrittura interessante per uno psichiatra cannibale.

 

__________

 

Eccoci qui, un'altro capitolo è finalmente arrivato! Come al solito vi chiedo scusa per la lunga attesa, ma stiamo entrando nel periodo maggio/giugno, e come sapete in questo lasso di tempo la scuola non perdona XD Comunque, pochi eventi rilevanti in questo capitolo, devo ammetterlo, un pò noioso. Ma ho ritenuto necessario fare un piccolo punto della situazione degli elementi effettivi raccolti fino a questo punto, onde evitare pericolosi errori in futuro, come dice il nostro Holmes, mai formulare ipotesi se non si hanno tutti gli indizi a disposizione!

Spero che comunque vi sia piaciuto, e di avervi messo un pizzico di curiosità che vi farà leggere il prossimo capitolo, come al solito le recensioni sono benvenutissime, e anzi mi farebbe piacere cosa pensate in merito a questo qui c: Salute e pace! *Assassin Mode ON* c;

Hila

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Capitolo 4
*** 4.Hannibal Lecter ***


Inserisce la cassetta, e fa partire il video. Il titolo del film, creato con le sue mani e le sue riprese, campeggia sulla superficie liscia del telo bianco. Si sistema meglio nella poltrona, pronto a scattare, finendo il sandwich mangiato velocemente. Ha bisogno di guardare il suo lavoro ancora una volta, un'altra volta. Ed ecco la famiglia Leeds, le scene passano veloci, stavolta il Drago non si sofferma sui particolari, sulle belle curve della signora Leeds, sulle espressioni felici, non ha tempo. Un'occhiata veloce, un giudizio sommario prima di ripartire.
L'emozione che sta provando è immensa, sta per salire un'altro gradino, un'altro piccolo passo più vicino alla Gloria. Ferma il video, rimette a posto la cassetta, chiude la casa a chiave e sale sul furgone. E' ora di partire, il Drago pretende la sua parte.


"Che hai detto???" esclamò Lestrade, afferrando la lettera appena ricevuta dal detective "stai scherzando spero!".
"Nessuno scherzo. Penso che il nostro mittente non sia il tipo di persona a cui piace fare scherzi" rispose Sherlock. Stava già per scendere le scale, con quel suo impeto che gli era caratteristico, quando quasi si scontrò con Mycroft, appena giunto dalle scale.
"Tu non vai da nessuna parte fratellino" sentenziò il governo britannico.
John pensò che l'ultima cosa di cui avevano bisogno in quel momento era proprio il maggiore dei fratelli Holmes, giunto probabilmente per impartire l'ennesimo paletto che avrebbe tenuto a freno (invano) il fratello minore.
"Ah, Mycroft! Immagino tu abbia intercettato la lettera. Hai per caso scatenato una guerra mondiale per averla? Devo indossare l'elmetto?" disse sarcastico Sherlock, cercando di scansare l'importante mole del fratello e sgusciare verso la porta.
"Al contrario, è stato uno dei miei funzionari a recapitartela. Prima di chiamare te, il dottor Lecter ha cortesemente convocato me, ben conscio della mia... posizione. Mi ha chiesto espressamente un colloquio con mio fratello, insistendo perché ti fosse mandata quella lettera, scritta di suo pugno.
"E' un chiaro ed aperto messaggio, un segno di sfida oserei dire. Sono sicuro che è al corrente del fatto che sono abile in grafologia, vuole che analizzi la sua grafia, decisamente contrastante con la sua personalità. Mycroft, non ci eri arrivato?
"Certo che ci ero arrivato" rispose il fratello maggiore, piccato "ma sarai daccordo con me nel pensare che qualsiasi mossa fatta da quell'uomo può facilmente diventare un tentativo per staccarti la lingua a morsi. Ho dovuto prendere le precauzioni necessarie.
"Pensavi si fosse nascosto nella busta?
Mycroft stava per replicare spazientito, quando John non poté più sopportare il fatto di essere messo da parte, e disse a voce alta, sovrastando le frecciatine dei due fratelli:
"Qualcuno mi spiega chi diavolo è questo Lecter?!
I due Holmes, più un quanto mai incredulo Lestrade, si voltarono a guardarlo, come se avesse chiesto di che colore è il cielo.
"N-non... Non sai chi è, John?" sussurrò l'ispettore, guardandolo con tanto d'occhi.
"No! Non lo so" rispose il dottore, irato "e se qualcuno di voi si degnasse di informare anche me, forse sarei un pò più contento, sapete?
"E' evidente che tu non sappia chi sia, è successo tutto mentre eri in Afghanistan, e quando ti hanno congedato la faccenda era già conclusa. I giornali ne parlavano ancora, ma sicuramente tu non eri nelle condizioni psicologiche migliori per prestargli attenzione" rispose Mycroft "Sherlock, vuoi raccontarglielo tu?" aggiunse poi, rivolto al fratello. Il detective non rispose, John notò solo in quel momento che sembrava distratto, gli occhi persi a guardare chissà dove, ignaro di chi o cosa si trovasse intorno a lui. Poi si ridestò, come colpito da una scossa elettrica, iniziando a parlare velocemente:
"Il dottor Hannibal Lecter è un'eccellente psichiatra, aveva uno studio privato nella City, e a detta di molti era il migliore nel suo campo. Oltre che eccellente medico è anche un uomo colto, appassionato di arte, della buona cucina, e di cultura giapponese, è inoltre abilissimo nel disegno anatomico, ed alcuni dei migliori manuali di medicina recano sulle pagine i suoi disegni.
"Wow" commentò John "personaggio interessante. Ma che diavolo ha fatto? Perché stai girando intorno al problema Sherlock? Non è da te, e non è da tuo fratello non mettere bocca in quello che dici ogni due secondi. Cosa è successo di così importante mentre ero in Afghanistan?
Sherlock lo guardò negli occhi per qualche secondo, una luce strana gli brillava nelle iridi grigie:
"Il dottor Lecter ha passato un'infanzia difficile, quando era bambino viveva con la sua famiglia in Lituania, in un grande castello, la famiglia era di nobili origini. Durante la Seconda Guerra Mondiale la tenuta fu occupata dai tedeschi, ma i familiari riuscirono a fuggire ed a rifugiarsi in un casino di caccia, nascosto nella foresta. Vissero li per due anni. Poi alcuni abitanti del luogo disertarono, come era comune a quei tempi, erano gli stessi abitanti che avevano informato i nazisti dell'esistenza del castello Lecter. Quando Hitler morì ed i tedeschi furono definitivamente sconfitti, i disertori si ritrovarono a vivere come dei nomadi, non potevano tornare alla vita normale poiché sarebbero stati fucilati, ed i nazisti non avevano alcun interesse a salvare le loro vite. Giunsero quindi al casino di caccia, per fartela breve uccisero i genitori di Lecter, e risparmiarono lui e la sua sorellina minore, Mischa. Ma durante il rigido inverno russo i disertori si ritrovarono affamati, senza cibo e febbricitanti, e l'unica cosa rimasta commestibile erano proprio i due fratelli.
John arrivò rapidamente alla conclusione del racconto, e inorridito aspettò che la voce atona di Sherlock finisse di parlare.
"Mangiarono prima la sorella. Lecter riuscì a fuggire in qualche modo, fu raccolto ed allevato per un pò all'orfanotrofio locale, situato proprio nel vecchio castello Lecter, poi fu portato via e cresciuto a Parigi da suo zio e dalla moglie giapponese. Forse sei già riuscito a capire di quali crimini si sia macchiato Lecter.
"Vuoi dirmi che è un... cannibale?" chiese il dottore in un filo di voce.
"Esattamente. L'uccisione di sua sorella ha lasciato un buco, una tara nella sua mente, o una consapevolezza, chiamala come vuoi. Ha deciso di vendicarsi a modo suo. Ecco chi è Hannibal Lecter, John.
"E come avete fatto a prenderlo? Ti sei occupato tu del caso? Non me ne avete mai parlato!" protestò, stavolta rivolto anche a Lestrade. Il medico notò che l'ispettore guardò Mycroft come in cerca di una conferma, poi si rivolse a John:
"Non ce n'è mai stata l'occasione ed il motivo. Ora Lecter si trova in un istituto psichiatrico di massima sicurezza, costantemente controllato, vive in un'ambiente isolato, il mondo si è dimenticato di lui, tranne le rare volte in cui pubblica articoli per giornali di medicina e cose simili.
"Pubblicano articoli di un pazzo cannibale?!
"John, Lecter non è affatto pazzo. Per questo il mondo della psicologia è così interessato a lui. Lecter ha una mente brillante, è un genio quasi. Tutto ciò che ha fatto lo ha fatto seguendo un preciso intento, capisci? Agisce con una tale freddezza e precisione da far pensare che quello che fa è assolutamente normale" continuò Lestrade con una smorfia "e ciononostante quando sei davanti a lui ti senti studiato, sventrato e analizzato nel giro di un'occhiata. E' un personaggio, devo ammetterlo, incredibile nella sua follia.
"Allora vi siete occupati voi del caso" constatò John, ora rivolgendosi a Sherlock "perché non mi hai mai raccontato niente? Non posso credere che un caso così non ti abbia come minimo ucciso dalla felicità!
A questo punto il detective sembrava, se possibile, ancora più riluttante a parlare di prima:
"Non era importante, non c'è mai stato il bisogno di parlarne" rispose, liquidando rapidamente la faccenda "e ora Mycroft, se permetti ho un colloquio piuttosto interessante cui partecipare, ho l'autorizzazione del governo britannico a procedere o vuoi mettermi una camicia di forza, visto che siamo in tema, e legarmi alla poltrona?
Mycroft sospirò, ignorando il riacquistato sarcasmo del fratello:
"Puoi andare. Ma Sherlock, per favore, ricordati con chi hai a che fare. Non si gioca a chi è più bravo laggiù, hai capito?
"Non pensavo fossi venuto per farmi la predica, fratello" rispose, ignorando gli ammonimenti appena ricevuti. "Vieni John?" disse poi.
Il medico rimase leggermente spiazzato da quella richiesta:
"Ma lo psichiatra vuole parlare con te, cosa ci faccio io?" disse, poco convinto. Certo non aveva alcuna voglia di prendere un thé insieme ad un cannibale. Qualunque cosa dicesse Lestrade, per quanto John ne sapeva, quello la poteva inzupparci le sue orecchie, nel thé.
"Vorresti dirmi che il mio blogger rinuncia ad un'intervista così sensazionale?" disse il detective, sogghignando.
Ahi. Beccato in pieno. E va bene, il dottore era tremendamente curioso di vedere questo fantomatico Lecter, e non poté che seguire l'alta figura giù per le scale, che aggiunse:
"E comunque puoi assistere da dietro il vetro a specchio, non c'è bisogno che tu ti sieda al tavolino con me.
E l'amico non poté fare a meno di sentirsi sollevato.
 Lestrade e Mycroft scesero dietro di lui.
"Venite anche voi?" chiese John.
"Senza di me non vi faranno entrare" disse Mycroft "e l'ispettore Lestrade è una... 'garanzia' di sicurezza.
Il dottore sentì il sarcasmo volare alto, in quella frase, ma fece finta di nulla. Mandò avanti Sherlock, che intanto era tornato lo stesso di sempre, e che iniziò a cercare smanioso un taxi. Chiese poi al maggiore dei fratelli Holmes:
"E' anche libero di non rispondermi, Mycroft, ma mi vuole dire che diavolo c'é sotto? Avete partecipato alle indagini, si può sapere che diavolo è successo durante quel caso? Non mi venga a dire che Sherlock era semplicemente dispiaciuto per la piccola Mischa mentre parlava, perché non le crederei e lo sa bene. Che relazione c'è tra Sherlock e quel Lecter?
Mycroft rimase in silenzio per un pò, studiando la punta del suo ombrello, poi sorrise e disse:
"Ci sono cose che ancora non le è dato sapere, signor Watson, cose che lo Stato non vuole condividere, e questa è una di quelle.
"Vuole venirmi a dire che quel Lecter è divenuto causa di un'affare di Stato?
"Qualcosa del genere. Sa, quando si stacca una buona percentuale di carne dal braccio sinistro del Primo ministro il Governo deve iniziare a prestare un pò più di attenzione. E comunque non sono sicuro che Sherlock voglia renderla partecipe di quale fu il suo scopo nell'indagine. Rimanga al suo posto Watson, per favore". Detto questo salì sul suo grande macchinone lucidato, dicendo che li avrebbe aspettati all'entrata dell'istituto e sgommando via.
Il medico era a dir poco furioso per quell'esplicita richiesta a rimanere fuori dai piedi, ma seguì comunque in silenzio Sherlock che salì rapidamente sul taxi, intimandogli di darsi una mossa.
John pensò che la sua vita era cambiata sul serio, da quando aveva conosciuto Sherlock Holmes. Appena tornato dall'Afghanistan non si era nemmeno accorto che uno psichiatra aveva quasi mangiato il braccio sinistro del Primo ministro, e quel giorno invece stava andando a trovare lo stesso psichiatra, forse per chiedergli se gli piacque lo spuntino.

 

__________

 

Ed ecco un'altro capitolo :) Vi è piaciuto? Scusatemi se ho accorciato di molto il racconto sull'infanzia di Lecter, pensavo che descrivere troppo nel dettaglio ci avrebbe fatto uscire dal corso degli eventi. Vi starete chiedendo csa centra Lecter con l'omicio della famiglia Leeds? Vedrete che il nostro caro psichiatra avrà un ruolo importante e... particolare, allo stesso tempo! Vi chiedo scusa per gli eventuali errori nel testo, sono un pò di fretta, ma prometto che correggerò appena possibile, un bacio! :)

Ps: Grazie per le vostre recensioni, non sapete quanto mi rendano felici!

Hila

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Capitolo 5
*** 5.La clinica ***


Si sistemò meglio sul ramo, mentre i suoi muscoli protestavano. Quella posizione era decisamente scomoda, ma in quel modo poteva vedere molto bene l'intera casa Jacobi. Si aprì una lattina di birra, lasciò che il liquido fresco gli invadesse la gola. Poi tornò a guardare l'abitazione. Voleva fare qualche ripresa, ma non gli piaceva riprendere soggetti così distanti, non si scorgevano i volti, le espressioni, meglio aspettare. Quella sera stessa avrebbe ricevuto ciò per cui stava fremendo così tanto, non riusciva a star fermo su quel dannato albero.

"Sii paziente" disse. E tornò a bere la sua birra.

 

Arrivarono alla clinica in meno di un'ora, comunque troppo tempo per John. Il fatto che stessero per incontrare un pazzo cannibale con il gusto del raffinato non lo allettava per niente, anzi. Il suo stato di ansia era alimentato anche dal fatto che Sherlock non aveva alcuna intenzione di renderlo partecipe della sua vera relazione con Lecter. Quando aveva preso fiato per parlare, il detective lo aveva preceduto, come al solito, con un criptico quando mai irritante "non te lo dico". A quel punto John aveva rinunciato ad una qualsiasi forma di comunicazione con il coinquilino.

Appena scesi dal taxi vennero loro incontro Mycroft e Lestrade, accompagnati da un'altro uomo sulla quarantina in camice bianco.

"Mi sono appena messo daccordo con il dottor Graham, Sherlock, ti può concedere dieci minuti insieme a Lecter, ovviamente prendendo le... giuste precauzioni.

"Queste precauzioni" sospirò di rimando il detective "rendono tutto così poco... emozionante".

"Se vuoi gli mettiamo coltello e forchetta davanti e ti piazziamo una bella mela rossa in bocca, sono sicuro che sarebbe decisamente più interessante, non sei daccordo?!" rispose Mycroft fulminando il fratello.

"Forse dovremmo avviarci, signor Holmes?" azzardò il dottore accanto a loro "un'intervento straordinario di questo tipo richiede la mobilitazione di molte controparti, come ben saprà, e forse non è la situazione adatta, questa, per perdere tempo.

John sorrise, quel Graham aveva fatto intendere chiaramente che 'l'intervento straordinario' causato da quell'improbabile coppia era una grandissima rottura di palle per tutta la clinica, e che non vedevano l'ora di lavarsene le mani.

"Certo, dottore, ha sicuramente ragione" ammise Mycroft a denti stretti, senza distogliere lo sguardo omicida dal fratello minore.

La clinica era un complesso di edifici basso e grande, le costruzioni più piccole, immaginò John, dovevano essere adibite ad uffici e magazzini, mentre poco più in là, in una zona rialzata e senza alberi si intravedeva pure un eliporto.

Ma ciò che colpiva di più l'occhio era il grande complesso centrale, latteo ed anonimo, con moltissime file di finestre, tutte saldamente chiuse con robuste sbarre di ferro e muri solidi e spessi che non lasciavano trapelare quasi niente al mondo esterno. Sembrava quasi un pianeta con mille crateri, e piccoli satelliti a girarci intorno.

Il suo fantasticare fu interrotto quando varcarono la soglia dell'edificio centrale che stava osservando. Immediatamente l'atmosfera cambiò.

Tutt'intorno vi erano solo camici, guanti e cuffie di plastica, tutto rigorosamente bianco o di tonalità che non andavo oltre il grigio pallido. In tutto quel candore il cappotto nero del suo amico assomigliava ad un'enorme macchia su un lenzuolo bianco, magari di cioccolata, o thé nero, pensò John, più appropriato.

"Carino, eh?" gli sussurrò Lestrade all'orecchio "ci credo che qua dentro sono tutti matti, chi non impazzirebbe in un posto simile?

In effetti l'atmosfera era decisamente pesante. Il dottor Graham, dopo aver scambiato due parole con la signorina dell'accettazione li aveva guidati lungo un corridoio infinito, le pareti bianche costellate su i due lati da porte blindate ed ermetiche. Ma anche con quelle barriere fra loro e gli inquilini interni, si potevano udire qua e la grida di ogni tipo, da pianti sommessi ad urla selvagge, e più di una volta John si trovò a sobbalzare, sentendo qualcuno che batteva forte contro la porta blindata.

Intanto, Sherlock non lo stava degnando di uno sguardo, pareva concentratissimo sul percorso che stavano percorrendo e quasi superava Graham, tanto andava spedito. Il medico sentì una punta di risentimento nei suoi confronti, va bene non volerlo rendere partecipe di certi particolari, ma addirittura ignorarlo? Decisamente aveva bisogno di fargli un paio di domande. Ma NON in quel dannato posto, pensò, trasalendo per l'ennesima volta all'ennesimo tonfo.

Finalmente il corridoio finì, ed il gruppetto si trovò di fronte ad un luccicante ascensore, largo abbastanza da farci entrare una barella da ospedale.

John vide che la clinica continuava anche parecchi metri sottoterra, e si sentì leggermente turbato quando il dottore premette il pulsante per il piano più basso. Arrivati in fondo Graham interruppe un silenzio decisamente imbarazzante con la sua voce tranquilla (incredibile quando il suo atteggiamento stonasse con la clientela del centro):

"Siamo al piano più basso, come avrete notato. Gli ultimi due piani sotterranei sono occupati da criminali psicotici ritenuti estremamente pericolosi. Attualmente, su questo piano, ne risiedono due, ed uno, ovviamente, è il dottor Lecter. Se volete seguirmi..." concluse, sorpassando svariate porte, se possibile, ancora più grandi e corazzate di quelle viste al piano di sopra, tutti apribili solo tramite codici numerici, diversi per ogni entrata. In quel punto della clinica non si vedevano molti camici bianchi, erano sostituiti da addetti alla sicurezza armati di tutto punto che guardavano in cagnesco chiunque passasse loro vicino.

Infine Graham si fermò del tutto, davanti ad un'ultima porta blindata.

"Siamo arrivati" disse a bassa voce "quando aprirò questa porta ci saranno due celle occupate. Una, sulla sinistra, contenente un maniaco separato da tutti noi solo attraverso delle grate di ferro, non preoccupatevi, robustissime. Purtroppo alcune circostanze ci hanno costretto a questa sistemazione, devo ammettere, ancora un pò pericolosa. Il soggetto è affetto da svariate malattie infettive, nessuna potenzialmente mortale o pericolosa, ma vi devo chiedere comunque di passare il più lontano possibile dalla cella, sarebbe spiacevole trovarsi sulla camicia qualche macchia... indesiderata.

"La cella che vedrete di fronte a voi invece" proseguì il dottore "è interamente composta di vetro antiproiettile, impossibile da infrangere, di parecchi centimetri di spessore. E' l'alloggio di Lecter. E' stato predisposto un'ambiente per il vostro colloquio, signor Holmes" disse poi rivolto a Sherlock " quando arriverete davanti alla cella verrete scortato in un'anticamera laterale, usata di solito per i colloqui tra lo psichiatra e gli altri medici del centro o editori. Un vetro vi separerà, e lì potrà comunicare con Lecter solo attraverso un microfono posto davanti a lei.

Iniziò a digitare il codice, e nel frattempo continuò a parlare:

"Ha piena libertà, potrà fargli qualsiasi domanda lei voglia e potrà parlare di qualsiasi argomento, ma le devo chiedere di non passare assolutamente alcun oggetto a Lecter. Quell'anticamera è adibita anche alla consegna del cibo, dei libri da lui richiesti, di qualunque cosa abbia bisogno, tutto grazie ad una cassetta comunicante fra i due ambienti. Non gli passi neanche un foglio, oggetti contundenti quali penne, lapis e qualsiasi altra cosa. E' chiaro?

"Certamente" rispose il detective "comunque devo solo scambiare due parole con lui, nulla di più.

A Watson venne da ridere per l'ennesima volta quel giorno, già, il suo coinquilino stava per fare due chiacchiere a cinquanta centimetri di distanza da un'uomo che potrebbe volentieri mangiargli la lingua a morsi e tutto era normale per lui. Dio, quando avrebbe voluto avere anche lui un briciolo di quella sua dannata freddezza.

Quando uscirono, John dovette fra appello a tutto il suo autocontrollo per far si che le sue gambe smettessero di comportarsi come budini. Non aveva mai visto un'uomo del genere, e proprio non sapeva come diavolo aveva fatto Sherlock a sostenere il suo sguardo per quasi dieci minuti, addirittura a parlarci. Durante il viaggio di ritorno, 'gentilmente' offerto da Mycroft, il medico ripensò a quello scontro fra Titani.

Quando il dottor Graham aveva aperto la porta blindata, subito erano stati investiti da ogni genere di invettive da parte dello psicopatico nella cella di sinistra, come aveva predetto Graham più volte il simpaticone aveva cercato di sputar loro addosso, e John era quasi convinto che la roba che usciva da quella cella non fosse tutta saliva.

Poi si erano diretti verso una porticina laterale, accanto alla cella di fronte a loro. Visto che era completamente di vetro, a parte lo sgabuzzino adibito a bagno, si poteva facilmente vedere l'interno. Era una stanza semplice, una branda, un tavolo con una sedia in alluminio, un televisore ed uno scaffale stracolmo di libri appoggiato alla parete. Ma la parte più sorprendente era proprio quella, la parete. Era ricoperta di fogli, alcuni enormi, altri piccoli come una cartolina, e molti di essi rappresentavano, disegnati divinamente, città, chiese e cattedrali, soprattutto la città italiana di Firenze era molto ricorrente in quegli schizzi, John riconobbe la grandiosa cupola rossa molte volte. In più qualche articolo di giornale, prevalentemente a sfondo medico o scientifico e addirittura delle ricette di cucina. Se quella stanza non si fosse trovata in quell'inferno di posto sarebbe parsa la camera di un qualche insegnante di arte o medicina, pensò John.

L'unica cosa che preoccupò leggermente il dottore fu il fatto che all'interno della cella non si intravedeva nessuno, e certo l'inquilino non era andato a comprare le uova.

Una volta varcata la porticina si ritrovarono in una piccola anticamera. Graham guidò Sherlock alla loro sinistra, poi chiuse la porta dietro di se e scortò il resto del gruppo in un'altra camera, ove un grandissimo vetro che dava sulla saletta per i colloqui campeggiava spavaldo. John immaginò che si trattasse del vetro a specchio di cui parlava Graham.

Ora però il dottore poteva sentire l'ansia attraversarlo come una scossa elettrica. Si accomodò con Lestrade a Mycroft su delle poltroncine adibite apposta per osservare l'ambiente dall'altra parte del vetro in tutta comodità, e volse lo sguardo verso il suo amico.

Sherlock era seduto su di una sedia posta davanti al divisorio, completamente appoggiato allo schienale come gli era caratteristico. Fissava i disegni sulle pareti come aspettandosi che prendessero vita da un momento all'altro, non si guardava intorno, non si sistemava meglio sulla seggiola, non cambiava posizione. Sembrava una statua nata e scolpita lì.

Poi un rumore venne dalla cella. Una figura uscì da dietro la libreria, e finalmente John poté vedere Hannibal Lecter.

 

__________

 

Ve lo chiedo per pietà, non uccidetemi XD Volevo inserire l'arrivo alla clinica e l'incontro con Lecter in un solo capitolo, ma stava venendo fuori troppo lungo ed ho deciso di spezzarlo in due parti, vi chiedo scusa ç____ç

Commenti particolari? Non molti a dire il vero, a parte il fatto che mi sono dannatamente divertita a scrivere questa parte! E perdonatemi la citazione a Firenze, da fiorentina non potevo ignorare il fatto che Letcer adora la mia città, diciamo che ne sono "onorata" XD Adesso a voi la parola! Spero di poter aggiornare al più presto un nuovo capitolo, e se vi state chiednedo cosa farà il nostro Drago, nella prossima parte avrete tutta per voi una parte raccontata dal suo punto di vista, spero che vi piacerà :)

Hila

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Capitolo 6
*** 6.Colloquio ***


Hannibal Lecter era un ometto secco e preciso nell'aspetto, quasi fragile, sembrava. La bocca sottile era decorata da una chiostra di denti precisi e bianchissimi, gli occhi di un'azzurro ghiaccio-grigio molto simili a quelli del detective. Nonostante la divisa forzata (uno di quei pigiami strani, che si associano subito ad una clinica, pensò John) appariva molto elegante e pacato nei movimenti, quasi ne ponderasse uno per uno prima di eseguirlo.
John pensò che effettivamente non sembrava quel cannibale spietato che tutti descrivevano, aveva un'aria quasi cordiale mentre si avvicinava al vetro trasparente, sorreggendo alcuni grossi volumi che il dottore riconobbe come manuali di medicina. Quando si sedette, poggiando con calma i volumi da una parte e cominciò a parlare, il medico dovette ricredersi.
"Buonasera Sherlock" disse sorridendo al detective, che ancora non aveva mosso un dito, né proferito una parola.
Ok, questo era un punto fermo e sicuro nel dubbio che attanagliava il dottore: Lecter conosceva Sherlock. Cercò di non pensare alle possibili motivazioni, anche se ammise a se stesso di sentirsi un pò suggestionato. Diavolo, a quell'innocua affermazione una stupida morsa di primordiale preoccupazione si era subito impossessata di lui. Guardò i suoi accompagnatori, per accertarsi che magari l'ansia che sentiva era solo una sua sensazione.
Mycroft era criptico come al solito, seduto compostamente ad osservare la scena, apparentemente estraneo a ciò che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Dio quanto gli sarebbe piaciuto sapere cosa gli stava passando per la testa! Ma resistette alla tentazione di chiedere (e comunque di ottenere in risultato un'occhiata stentata) e volse lo sguardo verso Lestrade, seduto alla sua sinistra.
Anche lui pareva tranquillo, forse era soltanto una sua impressione, alla fine. Si rilassò momentaneamente, tornando a guardare i due dall'altra parte del vetro.
"Buongiorno Lecter" rispose Sherlock.
"Ah, ti prego di perdonare la mia piccola mancanza. I dottori non mi hanno ancora permesso di accendere il televisore, e pensano che potrei usare le lancette di un'orologio per scavare un tunnel sotterraneo, o qualcosa del genere" disse lo psichiatra, continuando a sorridere amabilmente.
Un momento di silenzio, interrotto infine da Lecter:
"Come va, Sherlock?"
Ci fu qualcosa, qualcosa nel modo in cui parlò, in quel tono così uguale a pochi istanti prima e così diverso allo stesso tempo, che fece muovere impercettibilmente il detective sulla sedia. Persino John capì che quella semplice domanda nascondeva qualcosa di più ampio, di cui, pensò irritato, soltanto lui non era a conoscenza.
"Bene, benissimo" rispose Holmes, sistemandosi meglio sulla sedia.
"Allora, Lecter" aggiunse "posso sapere perché mi hai chiamato?"
"Ma come? Nessuna brillante deduzione? Non hai intenzione di scoprirlo da solo? Di inebriarti del piacere di vedere tutto quello che vuoi? Davvero, Sherlock? Non vuoi?"
"No. Ho un caso per le mani. Ho fretta."
Lecter sorrise di nuovo, John cominciò effettivamente a scorgere un briciolo di follia in quel sorriso.
"Tu non hai mai fretta Sherlock. Lo so bene. Vuoi goderti ogni singolo istante, ogni momento in cui i comuni mortali si prostrano dinanzi a te, pregandoti come un dio in terra di risolvere i loro problemi, di svelare le loro paure. Perché hai fretta Sherlock?"
L'aria era pregna di nervoso silenzio, i due fuochi di quell'ellisse vibrante concentrati l'uno sull'altro, il ghiaccio dei loro occhi ribolliva, uno così folle, l'altro freddo più che mai.
John pensò che il detective non avrebbe risposto, invece dopo poco replicò:
"Te l'ho già detto Lecter, ho fretta perché ho un caso urgente da risolvere. E comunque ormai mi resta ben poco da dedurre su di te, dovresti saper bene anche questo, no?"
"Touchè..." mormorò, sempre sorridendo, lo psichiatra.
"Dio mio, sembra pure che si stia divertendo!" esclamò all'improvviso Lestrade, muovendosi sulla sedia. John fece per replicare, ma immediatamente si fermò all'occhiata glaciale che Mycroft aveva indirizzato ad entrambi.
"La pregherei, ispettore, di fare silenzio. Credo che anche lei sia in grado di immaginare che questo vetro non è così insonorizzato come dovrebbe essere, vorrei evitare che il nostro amico sentisse più di quanto gli è concesso. Sono stato abbastanza chiaro?"
Il suo tono era tranquillo, ma lasciava trapelare quella fastidiosa sicurezza data dal potere certo ed assoluto. A quanto pare se ne accorse pure Lestrade, che più che ribattere preferì tornare a guardare la scena davanti ai suoi occhi, che dal canto suo non era cambiata di molto.
I due continuavano a fissarsi, sembrava quasi un duello fra due Titani, anche se John non sapeva ben spiegarsi il perché.
A interrompere il silenzio fu Sherlock.
"Sto aspettando" disse piano.
Lecter si accomodò meglio sulla sedia in plastica con una smorfia:
"E' davvero così impossibile sperare in una modesta poltrona?" disse, poi tornò a fissare il detective:
"Lasciamo stare i giochetti, Sherlock, ovviamente sai già perché ti ho chiesto di venire."
"Hai delle informazioni utili riguardanti l'omicidio dei Leeds avvenuto qualche giorno fa."
Lecter sorrise di nuovo, annuendo lentamente.
"Allora non sono l'unico a cui piace giocare. Esatto, è proprio per questo che ti ho fatto venire."
"Immagino tu abbia guardato i telegiornali, e letto i quotidiani. Dubito tu possa aver ricavato qualche informazione utile da quei poveri disperati che si fanno passare per giornalisti."
"Diciamo che ho avuto modo di consultare... altre fonti."
A queste parole Sherlock si rizzò impercettibilmente sulla sedia, il suo sguardo si fece più affilato.
"Altre fonti?" sussurrò.
Lecter gli rispose con un'altro sorriso, reclinando la testa di lato.
"Quanto ti piace l'irregolare? Quando ti piacciono le piccolissime crepe nascoste nella folle perfezione di questo mondo?"
"E' scovando quelle crepe e scavandoci dentro che si giunge alla reale verità. Non importa quali siano i mezzi per riuscirci."
"Hai perfettamente ragione. Dove sta la crepa in questo caso, Sherlock? L'avrai notata, immagino."
"L'assassino.
"Esatto, Sherlock, esatto".
A John il modo in cui Lecter continuava a ripetere il nome del detective dava il voltastomaco, mentre parlava con lui sembrava stesse cercando di raggiungere un'altro fine, non informare il detective riguardo al delitto, quella pareva quasi una scusa. Che diavolo aveva in mente Lecter?
"L'assassino. Vedi, in questi giorni mi ha contattato. Cosa insolita per un'assassino vero? Contattare uno psichiatra, intendo."
A queste parole i due fratelli Holmes, in contemporanea pur non potendosi vedere, si rizzarono sulle loro sedie.
"No, Sherlock. No, no, no. Credi che sarei così stupido da rivelarti il suo nome? E comunque, anche volendo, non potrei. Non mi ha parlato direttamente. Mi ha parlato attraverso le sue gesta."
A queste parole Sherlock scosse la testa in un moto d'impazienza, aggiungendo:
"Oppure avrà usato i giornali. Un'articolo, una lettera, un codice cifrato con un libro. Molto più probabile" disse il detective, unendo poi le mani come gli era solito.
"Questo non posso dirtelo, dove sarebbe il divertimento? Tornando a noi, mi ha detto che colpirà ancora. Questo lo sapevate di già, immagino. Mi ha detto quando colpirà."
"Avanti" lo spronò Sherlock, che a quanto pare non stava più nella pelle.
Lecter rimase in silenzio per qualche secondo, continuando a fissare il detective.
"Hai mai guardato la luna piena Sherlock?" chiese "osservata attentamente intendo".
"E' un corpo celeste come tanti altri. Credo che giri intorno alla Terra, ma non ne sono del tutto sicuro. Non vedo perché dovrebbe interessarmi."
"Ah! La luna piena è stata ed è, nell'antichità come tutt'ora, una fonte di ispirazione inestimabile per l'uomo. C'è che ne trae forza, chi idee, chi la considera un traguardo importante. Hai capito quello che ti voglio dire, Sherlock?"
"Colpirà la notte di luna piena. Perché? Con quali criteri sceglie le sue vittime?" disse il detective pensieroso.
Lecter continuò a sorridere.
"Sta a te scoprirlo. Questo novellino ha voluto farsi notare dal sottoscritto per un motivo. E' un soggetto promettente, chissà, forse potrebbe rendermi onore, un giorno."
Sherlock si alzò improvvisamente.
"Non credo proprio" disse a voce alta, dirigendosi verso la porta.
"Hai intenzione di impedirglielo, Sherlock? Come l'ultima volta? Saresti pronto allo stesso modo, come hai fatto per catturare me?"
Il detective si fermò, voltandosi verso lo psichiatra.
"Questa è la mia domanda. Se al nostro prossimo incontro darai la risposta giusta, forse potrei... aggiornarti sulle intenzioni del nostro assassino, periodicamente."
"Non ci sarà un prossimo incontro" rispose Sherlock, rimanendo immobile.
"Oh si che ci sarà. Ci sarà eccome. In cambio di informazioni, voglio che tu venga saltuariamente ad informarmi sulle indagini."
"Così che tu possa poi riferirle all'assassino?
"No, no, no" rispose Lecter, scuotendo la testa "non sono così meschino, ci mancherebbe! Voglio solo osservare le tue linee di pensiero Sherlock. Dopotutto sono sempre uno psichiatra, e tu sei un soggetto affascinante."
"Non eri tu quello che sottoponevano alle 'brillanti deduzioni' di tirocinanti brufolosi?"
Lecter scosse la testa.
"Poveri stolti che si fanno trascinare dalla prima corrente appena più veloce delle loro sinapsi rinsecchite. Io faccio bene il mio lavoro."
"Grazie per le informazioni, Lecter" disse il detective, concludendo la discussione.
"Ciao Sherlock" rispose lo psichiatra sorridendo "ti aspetto. E' sempre bello avere un'amico per cena.
John vide Sherlock sollevare un'angolo della bocca. Dopo quel colloquio, se così si poteva definire, il medico era sempre più convinto che quei due non avevano niente di normale nelle loro teste.

Quando finalmente uscirono dalla clinica, John inspirò l'aria pungente e piovosa, riempiendo gli avidi polmoni che fin'ora avevano respirato l'atmosfera satura di antisettici e medicinali.
Mycroft si congedò velocemente, dopo aver scambiato due parole con il dottor Graham, ordinandogli letteralmente di sorvegliare ancora di più Lecter. Nonostante la sorveglianza strettissima, per gli oggetti che riceveva ma anche per le lettere ed i giornali, un serial killer era riuscito a mettersi in contatto con lui.
"Sherlock, vorrei che tu cercassi di capire come, quando e perché l'assassino ha contattato Lecter. Non le sue conclusioni filosofiche, ma i fatti così come stanno."
Il detective piegò di lato la testa, guardando il fratello con aria di sfida.
"E perché non ci pensi tu, Mycroft?"
"Perché io sarò impegnato a nascondere ai media questo allegro colloqui, sarò impegnato a modificare l'assetto di sorveglianza di Lecter, sarò impegnato cento volte in più di quanto non sarai tu" sbottò il fratello maggiore, salendo su di una delle sue macchine eleganti e sgommando via pochi secondi dopo.
Rientrarono al 221b dopo mezz'ora di traffico umido e congestionato. John sapeva che avrebbero dovuto organizzarsi per cercare di capire chi sarebbero state le prossime vittime dell'assassino, avrebbero dovuto cercare di trovare e decifrare il messaggio del killer e trarre le giusto conclusioni. Ma pensava anche che il suo coinquilino non avrebbe aperto bocca per quanto riguardava l'incontro appena avvenuto, per quanto si fosse comportato come al solito per tutto il tempo, lo conosceva fin troppo bene da capire che, a modo suo, era leggermente scosso anche lui.
Sherlock entrò in casa, gettò in un'angolo sciarpa, guanti e cappotto, raggiunse avido il suo violino, e cominciò a riversarvici dentro le sue emozioni, che nessuno era in grado di decifrare. Tranne forse, un paio di persone.

Era contenta di quel suo nuovo lavoretto part time. Molly Hooper si era un pò stufata dell'obitorio del Bart's, così aveva deciso di fare qualche altro lavoretto nelle giornate in cui all'obitorio non c'era molto lavoro. Era rimasta soddisfattissima, si divertiva un sacco! Non era elettrizzante come sezionare un cadavere per Sherlock, ma era comunque molto contenta. Aveva anche conosciuto un sacco di persone simpatiche e normali, e quella sua nuova passione la stava appassionando molto. Chissà, forse un giorno sarebbe stata in grado di unire i due lavori in qualcosa di nuovo e spettacolare, sognò la ragazza. Già, forse sarebbe stato possibile davvero!

Parcheggiò velocemente il furgone, come al solito aveva fretta. Dopo diverse ore di appostamento nei pressi della casa Jacobi, conosceva a memoria la disposizione della casa e dei dintorni, non aveva più bisogno di osservare, e più tempo rimaneva nei paraggi, più probabilità c'erano che qualcuno lo notasse.
Camminò a passo svelto verso l'edificio grigio. Aveva bisogno di una pellicola apposita per i film notturni. Sorrise. Sicuramente qualche stupido amico gli avrebbe consigliato di comprarsi una telecamera digitale, ma dove stava la passione? Dov'erano i fotogrammi trasudanti di vita e movimento? Le pellicole sottili che abilmente fermavano le scene di una vita, conservandone il calore e l'emozione? No, non c'erano paragoni. Per questo aveva bisogno di una pellicola. Si era reso conto, sulla strada del ritorno, che aveva finito quel tipo di pellicola, e ovviamente gli serviva per stasera.
Entrò, pronto a sfoggiare il suo sorriso migliore. Gli venne incontro una ragazza sorridente, i capelli raccolti in una coda di cavallo.
"Buongiorno. Posso esserle utile?" disse.
"Avrei bisogno di una pellicola per riprese notturne, mi servirebbe subito.
"Controlliamo in magazzino. Sicuramente è rimasto qualcosa. Mi segua, può chiamarmi Molly, Molly Hooper, per qualsiasi cosa.
"La ringrazio, Molly Hooper".

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Finalmente ecco un nuovo capitolo! Vi chiedo scusa per il ritardo, ma ovviamente sono stata impegnata con la scuola, e ho concluso con TUTTO QUANTO solo ieri! Non ho molto da dire, anche perché sono di fretta, a parte che DOVEVO inserire una citazione dallo spettacolare film "Il silenzio degli innocenti", ovvero frase finale di Hannibal, molto sime a quella detta alla fine del film :D Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito recensioni! sempre gradite^^ Un bacio :)

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