Il Caso Grimborough

di cup of tea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Monotonia ***
Capitolo 2: *** Grimborough ***
Capitolo 3: *** Sherlock e Watson ***
Capitolo 4: *** Fuoco ***
Capitolo 5: *** Qualche risposta - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Qualche risposta - parte 2 ***
Capitolo 7: *** Oblio ***
Capitolo 8: *** Ali in gabbia ***
Capitolo 9: *** Bruschi risvegli ***
Capitolo 10: *** Visite dal passato ***



Capitolo 1
*** Prologo: Monotonia ***





Disclaimer: Tutto ciò che ho scritto è frutto della mia immaginazione, sperando di aver creato una storia interessante e non banale.
Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale e non vengo pagata per scrivere.
E’ la prima volta che mi cimento con una storia di genere fantascientifico, perciò sentitevi liberi di criticare e consigliare. Ma anche i commenti positivi non mi fanno schifo ;)
Insomma, mi piacerebbe sapere che ne pensate, quindi, se vi va, lasciatemi una recensioncina.

Ok, ora la pianto.
Buona lettura!

Cup of tea
 












IL CASO GRIMBOROUGH

 

Cap. 1 -  Prologo: Monotonia



Sul nostro pianeta correva l’anno 2101.

Qui, troppi chilometri separavano la civiltà dall’inciviltà; distese desertiche e aride attraversavano e collegavano fra loro i pochi villaggi abitati dai superstiti dell’Età dell’Inquinamento.

Ora quel tempo era passato, ma i segni di quegli anni velenosi erano come cicatrici indelebili sulla pelle ormai invecchiata della Terra.
Ovunque, le ripetute piogge acide avevano avvelenato i mari, i laghi, i fiumi.
La siccità aveva provocato crepe così profonde sulla crosta, che, dalle immagini dei satelliti, gli innumerevoli ponti costruiti su di esse apparivano come trame di un ricamo confuso e caotico.
Il verde dei boschi e delle foreste non era che un mito, una favola da raccontare ai piccoli prima che si addormentassero.
Anche questo un evento raro, in un mondo in cui le madri amorevoli erano poche e le ore dedicate al dormire ancora meno.


Ogni mattina, Marc Temple si svegliava alle 7.00, beveva il suo intruglio proteico seduto al tavolo della piccola ma funzionale cucina del suo appartamento, leggeva un libro e, quando il display del forno segnava le 7.45, usciva e pedalava fino alla redazione.
Le biciclette erano tornate in voga da quando il Governo aveva vietato l’utilizzo di qualsiasi veicolo inquinante e procurarsi una vettura con motore a latte in un mondo in cui gli allevamenti di bestiame erano una rarità si era rivelato davvero troppo costoso. Soprattutto se di mestiere eri un Cacciatore di Notizie, in una realtà in cui lo scoop più esclusivo che potevi sperare di scrivere era l’uscita dell’ennesimo nuovo aggeggio tecnologico, poco importa la sua effettiva inutilità.


La mattina in questione si sarebbe rivelata una mattina speciale per Marc Temple e stava per cambiare la sua vita per sempre.

Arrivato al grattacielo in cui si trovava la redazione, parcheggiò la bici nella postazione che gli era riservata e passò il badge sotto il lettore dei codici all’ingresso.
Ore 7.54: stava battendo il suo record!
Poi, salì le scale e entrò in ufficio, dove si sedette alla sua scrivania.

“Ehi, straniero!” a parlare era stata Charlize Simmons. “Non ci siamo sentiti per tutto il week-end! Ho cominciato a chiedermi se ti avessero rapito gli alieni!”
Cercava sempre di fare battute, ma non sempre le riusciva.
Tutti sapevano che gli alieni esistevano, ma erano microrganismi così intelligenti da non volersi neanche avvicinare a un pianeta malato come la Terra, figuriamoci rapire un essere umano.
Marc le concesse una risata come contentino e lei gli fece una linguaccia. 
Era la sua vicina di scrivania da otto anni e amica – e, occasionalmente, qualcosa di più – da qualche tempo in meno.
Era una bella donna di trentacinque anni, raffinata ed elegante.
Una Cacciatrice di Notizie spesso più agguerrita di Marc, se le rare occasioni lo richiedevano, e la sana competizione che correva tra i due non era che una benedizione per l’Our New Planet, il giornale per cui lavoravano.
Una cosa di lei che aveva sempre affascinato Temple era che, chissà come, la polvere delle strade sterrate non si attaccava mai ai suoi bei tailleur bianchi. Forse si cambiava nel bagno dell’ufficio e nascondeva i vestiti sporchi nella borsa enorme che portava sempre, Marc non l’aveva ancora verificato.  
“Buongiorno Charlize!Ti ricordo che oggi tocca a te offrirmi il pranzo, e ho scelto un posticino niente male!”
“…Oh, lo immagino! E fammi indovinare… scommetto che sarà anche alquanto costoso!” rispose lei portandosi la mano sul mento con fare pensieroso, come per fingere di averci davvero ragionato su.
“Sei sempre brillante! Non ti smentisci mai!” scherzò Marc, quando una voce inconfondibile lo chiamò.
Smise di ridacchiare e si alzò.


Il Capo lo aveva chiamato nel suo ufficio e non sembrava contento.
Con una forzata cortesia che a stento nascondeva il suo reale stato d’animo, fu fatto accomodare sulla sedia di fronte alla scrivania alla quale sedeva il Capo.
Marc Temple non sapeva quale fosse il problema, ma sospettava che in pentola non bollisse nulla di buono.

Alla fine il Capo parlò.
“Temple, lo sai cos’è questa?” disse, mentre gli mostrava una cartelletta che conteneva un’indagine a cui stavano lavorando da qualche tempo.
“Il Caso Grimborough. Sì, la riconosco.” Marc ancora non capiva dove stesse il problema.
“Esatto. A quanto pare, abbiamo una talpa. Qualcuno ha spifferato le nostre ricerche alla Bright News e c’è il rischio che ci soffino l’esclusiva.”
Ecco, qui stava il problema. E decisamente non era un problema piccolo.
“Ma non è possibile… solo io e te eravamo al corrente degli sviluppi… come è potuto succedere? Non capisco.” Disse Marc, arrovellandosi per risolvere l’enigma.
“Ora non importa. Presupponendo che né io né tu siamo i responsabili di questo colpo basso, scoprirò chi è il traditore, mentre tu sarai occupato a scrivere l’articolo prima che lo facciano loro. Partirai stasera stessa e rimarrai a Grimborough fino a che non avrai concluso l’incarico e scritto una storia degna di questo nome. Questo è quanto.”
“Io... -cosa? Partire questa sera stessa? Ma non ho nemmeno il tempo di organizzarmi! E non siamo neanche  sicuri che ci sia davvero qualcosa su cui scrivere! Che succede se arrivo lì e i nostri sospetti si rivelano infondati?”
Marc si sentiva con le spalle al muro.
D'altronde non c’era altra scelta, doveva andare in quel maledetto borgo e scoprire cosa stesse succedendo. O si sarebbero lasciati soffiare il pezzo più importante nella storia del loro giornale.
“Andiamo Temple, entrambi sappiamo che qualcosa in quel villaggio non gira per il verso giusto! Qualcosa troverai sicuramente! Sei il migliore Cacciatore di Notizie in circolazione, dannazione!”
 

Marc uscì dall’ufficio del Capo e tentò di nascondere la sua preoccupazione dietro l’usuale leggerezza con cui prendeva le cose.
Riordinò la sua postazione, che per qualche tempo sarebbe rimasta vuota. Buttò via cartacce, sistemò i cassetti, recuperò aggeggi di cui non ricordava nemmeno l’esistenza e infilò tutto in uno scatolone da trasloco. 
Quando notò lo sguardo indagatore di Charlize, le chiese se fosse pronta per andare a pranzo. Lei annuì pensierosa e insieme si diressero al Sapore d’Altri Tempi.


“Davvero non vuoi dirmi che c’è che non va?” Nonostante l’espressione serena abilmente costruita sul volto di Marc, Charlize riusciva sempre a leggere oltre l’apparenza.
“Niente Charlize, te l’ho detto. Il Capo mi ha assegnato un nuovo incarico e starò via per qualche tempo, tutto qui.” Rispose lui, mentre giocava con il cucchiaino e lo zucchero rimasto sul fondo della tazzina di caffè.
Per tutto il pranzo avevano evitato di parlare di faccende di lavoro, ma a quel punto lei non era più riuscita a trattenersi.
“Andiamo, Marc. Sono anni che qui non succede niente di interessante. Il nostro lavoro è diventato un semplice elenco di comunicati del Governo o nuove invenzioni tecnologiche che hanno vita breve. Dimmi di che si tratta, per favore.”
Sembrava davvero curiosa, forse perché finalmente c’era nell’aria qualcosa che avrebbe rotto la monotonia della piatta realtà in cui vivevano.
“Non posso dirtelo. Cerca di capire, appena avrò qualcosa in mano potrebbe anche darsi che te ne parli, ma è più probabile che lo scoprirai con tutti gli altri, quando la storia, se ce n’è una, verrà pubblicata.” Tagliò corto Marc.

L’espressione di lei passò da febbrile interesse a triste delusione alla velocità della luce.
Dopodiché lasciò i soldi sul tavolo e prese la borsa.
Marc la seguì con uno sguardo confuso, mentre lei lasciava il locale senza salutarlo.
Era evidente che ci fosse rimasta male perchè tra loro non c’erano mai stati segreti, perciò Temple si promise di chiamarla non appena fosse arrivato a Grimborough.
Intanto, però, doveva tornare a casa a fare i bagagli. 

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Capitolo 2
*** Grimborough ***






Bene.
Prima di lasciarvi alla lettura, ci tenevo a ringraziare tutti coloro che hanno dedicato un po’ del proprio tempo per leggere il primo capitolo. In particolare ringrazio
verichan e Tsukuyomi ,che mi hanno aiutato a migliorarne il testo. Siete fantastiche!
Cup of tea

 











Cap.2 : Grimborough



Marc guardava fuori dal finestrino mentre pensava a cosa lo stesse aspettando.

La sera precedente aveva cercato una navetta che partisse di lì a qualche ora, ma gli fu detto che la prima disponibile diretta a Grimborough sarebbe partita solo nella tarda mattinata del giorno seguente.
Così, eccolo seduto sulla poltrona accanto all’oblò, con il sole alto nel cielo e i suoi potenti raggi che gli  scaldavano il cuore preoccupato.  
Fissando il paesaggio arido e terribilmente ripetitivo scorrere veloce nei suoi occhi, ripassò mentalmente tutto ciò che lui e il suo Capo avevano raccolto fino a quel momento.

Negli ultimi mesi di ricerche, i due avevano prodotto innanzitutto un ritratto del villaggio.
Un borgo cupo come Grimborough era certamente il luogo che ogni Racconta Storie sognava per ambientare il proprio romanzo horror o noir. Con le sue case costruite in sasso scuro e le beole costituenti le vie strette che si facevano strada tra un edificio e l’altro, Grimborough era una macchia color grigio buio che strideva con il beige brillante del deserto confinante.
Ma quella atmosfera da racconto fantastico era fastidiosa per un Cacciatore di Notizie, il cui ruolo richiedeva obiettività e sangue freddo in un posto in cui il mistero e la paura erano pane quotidiano.

Avevano poi analizzato alcune statistiche, che avevano rivelato Grimborough al primo posto nella classifica dei villaggi più ecologici stilata dall’Agenzia Anti-Contaminazione e al primo posto nella lista prodotta dalla Società Dei Lavoratori per la popolazione più attiva e lavoratrice del Continente.
Ma possedeva anche il primato in un’altra inquietante graduatoria: quella delle località a maggior tasso di criminalità, che i Difensori dell’Ordine e dell’Equilibrio avevano stilato per tenere sotto controllo l’armonia e la pace nei villaggi sotto la giurisdizione del Governo. Quando aveva letto questi ultimi dati, Marc aveva commentato che come metodo non si era rivelato troppo efficace, considerato che la maggior parte dei crimini a Grimborough erano rimasti irrisolti e ipocritamente insabbiati.

Questo era tutto ciò che erano riusciti a recuperare. Un villaggio apparentemente ordinario, se si ignoravano le volte che risultava sul primo gradino di diversi podi, perciò Temple e il suo Capo avevano cominciato a dubitare della veridicità della segnalazione anonima che aveva dato il via all’inchiesta.
Fino al momento in cui un maledetto traditore aveva avuto la brillante idea di pugnalare alle spalle il giornale per cui lavorava.
Si sentiva sollevato dal fatto che il Capo non avesse mai messo in dubbio la sua lealtà – d’altra parte come avrebbe potuto tradire l’Our New Planet, fondato da suo nonno e diretto in seguito da suo padre prima di … scomparire? Era un affare di famiglia, una cosa troppo intima perché potesse essere lui la talpa. E fortunatamente il Capo lo sapeva.
Marc sperava davvero che stanasse in fretta il responsabile, o lo avrebbe fatto lui stesso appena concluso l’incarico. Avrebbe scovato quel maledetto farabutto e gli avrebbe fatto sperare di non essere mai nato.
Mai stuzzicare la penna di uno scrittore arrabbiato.

Assorto com’era nei suoi pensieri, quasi non si accorse che la navetta aveva già superato il 15esimo Ponte ed era diretta verso nord. Sarebbe arrivato a Grimborough da lì a qualche minuto e, sebbene fosse in viaggio da più di due ore, non smaniava dalla voglia di scendere.

Era stato a Grimborough solo una volta, in passato.
Era solo un bambino e suo padre lo aveva portato con sé quando dovette soggiornarvi per scrivere un articolo sull’elezione del nuovo – e attuale - Sindaco del borgo. Purtroppo, nessuno dei due immaginava che solo uno sarebbe tornato a casa.
Chiuse gli occhi e scrollò la spalle, come per cancellare i tristi ricordi che stavano per affollargli la mente. Fece poi un respiro profondo e, quando percepì che la luce era cambiata, schiuse le palpebre una alla volta, timoroso per ciò che i suoi occhi stavano per vedere.
Era arrivato a Grimborough.

Apparentemente era proprio come se la ricordava: buia e umida. Attese che tutti gli altri passeggeri scendessero mentre si preparava al terribile impatto psicologico che lo avrebbe investito.  
Teneva le mani appoggiate allo schienale del sedile di fronte al suo. Aggrappato al mezzo che lo aveva trasportato fino a quell’odioso villaggio, si sentiva protetto e sicuro.
A volte le sensazioni umane erano davvero inspiegabili!
“Signore, deve scendere. Siamo arrivati!” l’Assistente di Viaggio gli sorrideva imbarazzata. Marc si guardò intorno e constatò che era rimasto l’unico passeggero a bordo. Mentre si alzava, sospirò e staccò le mani tremanti per lo sforzo con cui aveva afferrato la poltrona e recuperò la sua valigia essenziale che aveva riposto nel portabagagli sopra la sua testa. L’Assistente di Viaggio pareva preoccupata per la sua salute, perciò Marc le sorrise e la salutò con garbo per tranquillizzarla. Infine scese.

Coraggio Temple, non sarà così tremendo.

Attraversò a passi lenti il ponte che precedeva le mura sassose del villaggio e aumentò l’andatura solo quando realizzò che allontanare il momento dello scontro col passato non significava eliminare il dolore. Semmai, avrebbe solo prolungato la sua angoscia.
Ora camminava veloce e teneva lo sguardo fisso sulle sue scarpe, un passo dopo l’altro. Le vie non erano affollate, ma i pochi abitanti che circolavano tenevano un’andatura perfino più rapida della sua e quando gli passavano affianco Marc si sentiva investito come da potenti raffiche di vento.
Quando sei angosciato tendi a ingigantire tutto. Diamine, datti una calmata!

L’aria era piacevolmente fresca, ma l’umidità rendeva pesante ogni respiro.
Arrivato nella piazza principale, si fermò per tirare fuori dalla tasca dei jeans consumati un foglietto su cui aveva appuntato l’indirizzo dell’ostello dove avrebbe alloggiato.
“Vicolo di Vetro, n13”  E dove diavolo si trova?
Si guardò attorno osservando le viuzze che si diramavano dalla piazza formando un percorso intricato e contorto. Non aveva proprio idea di quale fosse la strada da prendere e in quel momento rimpianse di non aver mai comprato uno di quei Traccia Percorsi di cui si vedeva spesso la pubblicità. Si rassegnò all’idea che avrebbe dovuto chiedere indicazioni e si mise a scrutare i volti dei passanti per scegliere il meno frenetico.

Una signora che fissava l’orologio da polso parlava da sola. No, non parla da sola, sta comunicando con l’ologramma di qualche conoscente, forse un collega di lavoro. Meglio non disturbare.

Due uomini intenti a discutere animatamente di un certo affare. Tutti qui parlano di lavoro, non mi sorprende che siano al primo posto della classifica.

Giovane attivista di un qualche movimento. Ecco il fortunato!

“Scusami, avrei bisogno di un’informazione…”
“Ehi, amico! Lo sai che è scientificamente provato che l’assenza di sonno provoca gravi amnesie negli Insonni?” disse il ragazzo circondandogli le spalle con un braccio. “E che i farmaci che combattono le emicranie negli stessi soggetti hanno controindicazioni non poco rilevanti sul loro organismo, come stati catatonici o comatosi?” Continuò, appuntandogli alla maglietta una grande spilla con su scritto “NO ALL’ESTRAZIONE DEL SONNO!”
“Ragazzo..”
“Ethan.” Lo interruppe, come per presentarsi.
“Ethan, certo. Senti, non so nemmeno di cosa tu stia parlando e anzi direi che ora non mi interessa. Sono appena arrivato in questo villaggio che personalmente odio – non prendertela – lasciandomi alle spalle la mia adorata e soleggiata Monroeville. L’unica cosa che desidero in questo momento è trovare l’ostello a cui alloggerò e sistemarmi. Sai dirmi in che direzione andare per raggiungere il Vicolo di Vetro?”
“Caspita, amico! Un’iniezione Cortesia non ti farebbe male! Posso mostrarti dove ne fanno, se vuoi!” disse, e Marc non potè fare a meno di pensare che quell’ironia spiccia tipicamente adolescenziale lo irritava terribilmente.
“No, ti ringrazio infinitamente. Se non si trova nel Vicolo di Vetro non lo voglio sapere.” Rispose Marc, con un sorriso forzato.
“D’accordo, d’accordo. Sei fortunato che stavo per andarmene anche io. Da questa parte.”

Finalmente!

Ethan raccolse in fretta le sue cose. Spille, volantini, depliant… con strani slogan contrari a esperimenti legati all’insonnia. Il Cacciatore di Notizie che era in lui era curioso di sapere contro cosa stesse effettivamente protestando il ragazzo, ma il Marc Stanco Viaggiatore ebbe la meglio. Tenne la bocca chiusa e non fece domande. Sentiva che altrimenti lo avrebbe tenuto a parlare all’infinito.

Attraversarono due strade mentre Marc cercava di ignorare metà delle cose che gli stava dicendo Ethan.

Un accompagnatore più logorroico non avresti potuto trovarlo!

Ma fu lieto di avere qualcuno che gli teneva la mente occupata mentre cercava di tenere a bada i ricordi dolorosi. Ogni sasso,ogni edificio,  ogni balcone lo rimandava al passato. Ancora una via, poi un’altra.
“…ed eccoci arrivati al Vicolo di Vetro. Si chiama così per via delle numerose vetrate che caratterizzano gli edifici. E quello è il portone dell’ostello. Io ti saluto qui, devo fare qualche commissione prima di tornare a casa. Ci si vede, amico!”
“Ti ringrazio, ragazzo. Buona fortuna con la tua protesta!” gli rispose Temple.
“Oh, non credere che te la sia cavata con così poco! La prossima volta ti convincerò a firmare la petizione!” gli urlò Ethan di rimando, mentre si allontanava di corsa.

Ormai era sera e Marc sentiva la stanchezza prendere il sopravvento. Entrò nell’atrio dell’ostello e una donna alla reception lo accolse con un sorriso. “Buonasera, signore!”
“Salve, sono Marc Temple, ho prenotato una stanza.”
“Temple? Oh sì, eccola qui. Camera 212, secondo piano. Buona permanenza!”
Marc prese la chiave e fece un cenno di ringraziamento con la testa alla donna. Salì le scale di legno cigolanti e sgangherate e raggiunse la sua stanza in fondo al corridoio. Una volta entrato, gettò in un angolo la valigia e, sedutosi sul letto, prese il cellulare di ultima generazione e compose il numero.

“Pronto, Charlize?”



***

Nota: per il villaggio di Monroeville mi sono ispirata alla canzone dei My Chemical Romance “Early Sunsets Over Monroeville”

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Capitolo 3
*** Sherlock e Watson ***




Ehi!

Prima di cominciare ci tenevo a ringraziarvi tutti, chi per le recensioni utili e piene di entusiasmo e anche chi preferisce leggere e seguirmi ‘silenziosamente’. E’ bellissimo scoprire che il mio racconto ha un certo seguito, mi fa sentire un po’ più fiera del mio lavoro. Siete dei grandi!

Cup of tea

 







Cap.3: Sherlock e Watson




Se non fosse stato per l’irritante suono della sveglia del cellulare, Marc avrebbe continuato a dormire beatamente fino a mezzogiorno. Il sole a Grimborough era debole e non riusciva a filtrare attraverso le fessure delle persiane chiuse, perciò la stanza dell’ostello offriva un buio e quieto nido da cui partire per il  mondo dei sogni.

Dopo la telefonata a Charlize della sera precedente, Temple si era lasciato crollare sul letto, esausto dal viaggio e dalla voce combattuta tra rancore e perdono che la donna gli aveva riservato. Fortunatamente era riuscito a riconquistarla e insieme erano giunti al compromesso che lei avrebbe potuto raggiungerlo in qualsiasi momento l’avesse ritenuto opportuno o ne avesse avuto voglia, ma avrebbe comunque dovuto rimanere fuori dall’indagine.


Nonostante la stanchezza, Marc aveva passato una notte agitata.
Sogni inquieti e risvegli bruschi si erano alternati senza tregua e il Cacciatore di Notizie aveva trovato un po’ di pace solo verso la mattina, quando ormai la sveglia non aspettava altro che suonare irrispettosa della stanchezza altrui.

Con una mano, Marc tastò alla cieca il piano del comodino, alla ricerca del cellulare e del tasto ‘Stop’ che avrebbe salvato la salute dei suoi poveri nervi. Poi, si mise a sedere sul letto, guardandosi intorno fino a realizzare che non sarebbe riuscito a vedere niente se non avesse aperto finestre e persiane. Così trovò la forza di alzarsi e far entrare la luce grigia di Grimborough nella sua stanza, mentre il suo stomaco rivendicava il fatto che la sera prima non era stato riempito.

Infilatosi Tshirt e jeans puliti, Marc uscì dalla sua stanza e la chiuse a chiave. Diretto all’area riservata al ristoro, sentiva il pavimento di legno cigolare detestabilmente a ogni suo passo. Era un rumore a cui avrebbe dovuto abituarsi, così diverso dal suono sordo che sentiva ogni volta che le suole colpivano il pavimento di ceramica del suo appartamento a Monroeville.


La stanza-ristorante era piccola e essenziale. Qualche tavolo di legno scuro, sedie dagli schienali intagliati in modo semplice, candele per illuminare l’ambiente sebbene fosse giorno.
Si avvicinò al bancone del bar dove una ragazza stava lavando le tazze utilizzate dai pochi altri ospiti.

Alla sua vista si bloccò.

Non aveva mai visto niente di simile nella sua vita, tanta bellezza tutta insieme. La pelle diafana tipica degli abitanti di Grimborough contrastava con i lunghi capelli corvini che risaltavano i suoi occhi grandi e grigi. Non dimostrava più di vent’anni e a Marc sembrava così fragile da potersi sgretolare improvvisamente. Troppo delicata per un mestiere frenetico come quello della Locandiera. Aveva una delicatezza nei tratti e nei movimenti che Marc ricordava di aver incontrato solo in Biancaneve, ma quella era solo un’antica favola, mentre la creatura che aveva di fronte era reale, ne era quasi sicuro. Quasi.

“…-alcosa?” Di tutto quello che la ragazza poteva avergli chiesto, Marc percepì solo un suono soave.

Riprenditi, per l’amor del Cielo.

“Scusami?” le disse.
“Le ho chiesto se vuole ordinare qualcosa.” La ragazza gli rivolse un sorriso irresistibile.

Che idiota! Ovvio che ti ha chiesto se vuoi ordinare! E’ mattina, ora di colazione, e sei davanti al bancone di un bar. Cos’altro poteva averti chiesto?!

“Oh, ehm. Mi dispiace, non conosco il menu. So che nel vostro borgo evitate di servire gli intrugli chimici a cui siamo abituati noi…” le rispose, sedendosi su uno sgabello, di fronte a lei.
La ragazza mise a posto i bicchieri che stava asciugando e lo fissò dritto negli occhi. Marc si sentì come se gli stesse leggendo l’anima.
“Non è di queste parti, né dei dintorni, vero? L’ho capito appena l’ho vista entrare e chiedere la stanza, ieri sera. Capelli ancora troppo ordinati per uno che vive nell’umidità di Grimborough. E a giudicare dalla pelle abbronzata e la polvere incastrata sotto le sue unghie direi che viene da Powdercity. O da Monroeville, magari.”
“Non ti sfugge niente, Sherlock.” Marc nascose le mani sotto il bancone. “Vengo da Monroeville.”
“Elementare, Watson!” Rise lei, e a Marc si scaldò il cuore. “Mi dispiace, non volevo sembrarle inopportuna. A volte non so tenere a freno la lingua.”
“Nessun problema. Hai rimediato citando il grande Sir Arthur Conan Doyle. Pensavo di essere l’unico rimasto ad apprezzare i classici dell’Età dell’Inquinamento, figuriamoci i grandi titoli di secoli fa. Mi sorprende che una ragazza giovane come te conosca Sherlock Holmes.”
“Oh, beh. Ultimamente ho del tempo libero…” sembrò evasiva, o offesa, perciò Marc non insistette oltre. E poi il suo stomaco cominciava davvero ad essere imbarazzante.

“Quindi, quali prelibatezze hai da offrire a un povero straniero abituato a brodaglie proteiche e bibite gassate?” Le chiese, cambiando argomento.
Lei sembrò lieta di tornare all’ordinazione. “Da bere abbiamo caffè o tè; da mangiare abbiamo del pane appena sfornato o biscotti, ma se vuole il mio parere sono troppo duri. Meglio il pane.”
“Perfetto allora. Prenderò del caffè e del pane. Ti ringrazio.” Sorrise, mentre si chiedeva dove gli abitanti di Grimborough avessero trovato il grano.

Rimasero in silenzio mentre lui faceva colazione e lei dava una sistemata ai tavoli. Intanto Marc trovò all’estremità del bancone un grande foglio piegato in quattro che voleva assomigliare a un giornale, come quelli che uscivano secoli prima. Il titolo non era accattivante né ad effetto. Sembrava essere solo la trasposizione su carta di un dato di fatto: “Quattordicesima vittima del mese, Via Plumbea”
“Già, siamo a quattordici. Niente male per un borgo di non più di cinquecento abitanti, vero?” la ragazza era comparsa alle sue spalle silenziosamente e sorrideva amaramente. “Cosa ti ha portato in questo posto maledetto, Watson?”
“Devo sistemare un paio di faccende…” ora era lui a fare l’evasivo, ma approfittò per chiedere spiegazioni. “Com’è che qui tenete il conto degli omicidi, invece che risolverli?”
“Oh, non è detto che siano omicidi. Di fatto non si trova mai un colpevole e si finisce per considerarli suicidi. Cosa non troppo lontana dalla verità, comunque, perché vivere qui può essere davvero deprimente e portarti a compiere atti mostruosi per disperazione. Prova a chiedere ai Cortesi, o agli Anaffettivi. Certe cose possono davvero renderti pazzo.”

Stop. Stop. Stop. Troppe informazioni. Cortesi? Anaffettivi? Di cosa stiamo parlando??

“Scusa, credo di non seguirti. Chi – o cosa – sono?” Cercò di aprire la mente il più possibile per assorbire più informazioni che poteva.
“I Cortesi sono persone che hanno venduto la loro Maleducazione per una certa somma di denaro. Disperati che non sapevano come altro tirare avanti. Gli Anaffettivi hanno venduto l’Affetto, come suggerisce il nome. Lo so, suona come un romanzo di fantascienza, ma è la realtà di Grimborough. Non è un caso se siamo i migliori in tante classifiche. Se sei tanto servizievole al punto di non poter dire di no e non hai una famiglia da cui tornare la sera perché di fatto non hai affetti, si fa presto a diventare il villaggio più produttivo. Poi, adesso che gli Esattori hanno trovato il modo di estrarre il sonno…” Si interruppe di colpo.
Marc era senza parole.

Amico, dove sei finito? In che luogo di squilibrati ti sei andato a cacciare?

Scusa, ho parlato troppo. Non volevo turbarti. E’ che per noi è talmente naturale che non facciamo più caso ai dettagli raccapriccianti. Ti lascio andare alle tue faccende… ho decisamente superato il limite. Mi dispiace. Scusa. Ora devo tornare al lavoro, mi sono fermata anche troppo.” Sembrava essere più turbata lei di lui. Ed evasiva. Di nuovo. Che ci fosse altro?
“Ok, non fa niente. Grazie per avermi raccontato queste cose… sono Marc, comunque.”
“Alicia.” Disse lei, correndo in cucina e chiudendosi la porta alle spalle in fretta.

Ok. Niente panico.

Marc cercava di riordinare le idee, ma l’unica cosa che sentiva era solo un forte mal di testa. Fissava il vuoto davanti a sé, perso nel buio del legno scuro e nelle parole che aveva appena ascoltato. Forse la soffiata era fondata: qualcosa a Grimborough davvero era inquietante, ma non si trattava più di scoprire i colpevoli dei reati. Era un gioco più ampio, più pericoloso.

Temple era totalmente confuso, aveva bisogno di aria. Ma soprattutto aveva bisogno di Ethan.
 

***

Eheh. Non avete capito niente in questo capitolo, vero?
Eeeeh, ma io sono cattiva e non vi svelo niente! ;)
Alla prossima,
cup of tea

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Capitolo 4
*** Fuoco ***





Salve popolo!
Questa volta ho impiegato un po’ più del solito ad aggiornare, per colpa dell’università e del maledetto  studio… beh, magari questo non ha fatto altro che accrescere la vostra curiosità e la vostra attesa! ;)
Spero non ci siano errori, quando l’ho scritto ero un po’ stanca. Ho fatto del mio meglio, comunque.
Buona lettura e non dimenticatevi di farmi sapere che ne pensate!
Cup of tea










Cap. 4: Fuoco





Camminare per le vie di Grimborough non era esattamente ciò che ci voleva per ritrovare un po’ di pace, ma Temple si accontentò di riempire i polmoni di un’aria così pulita come non ne aveva mai respirata. Ovviamente se non si contava la sua breve permanenza nello stesso luogo, anni addietro.


Prese dalla tasca il taccuino su cui aveva annotato le informazioni che Alicia si era lasciata sfuggire. Immaginò Charlize prenderlo in giro come quando prendeva appunti su una storia a Monroeville: “Fino a quando utilizzerai mezzi così obsoleti come carta e penna? Non ti sei ancora rassegnato al fatto che con i LeggiPensieri i tempi di lavoro si sono dimezzati? Sei così “vecchia scuola” che mi fai tenerezza!” 
Marc si ritrovò ad ammettere che quei commenti al limite dell’insopportabile gli mancavano di già, però non riusciva a capire come si potesse permettere ad un apparecchio tecnologico di entrare nella propria testa, seppur non letteralmente, e lasciarsi rubare i Pensieri. Il lavoro era più rapido, certo, ma Marc trovava che quella fosse una prassi alquanto inquietante.
Il che lo fece rabbrividire quando lesse sul blocco, poco al di sotto di “Bollettino vittime/suicidi”: “Vendita di Maleducazione e Affetto. Come è possibile?”
Una riga spessa e profonda sottolineava la domanda, così che apparisse ripassata più volte. A ogni tratto di penna corrispondeva un tentativo di arrivare a una risposta plausibile, ma l’unico risultato fu un foglio quasi bucato in quel punto.
Marc si ritrovò a riflettere sul fatto che probabilmente il meccanismo di estrazione di Maleducazione e Affetto poteva non essere poi tanto diverso dall’estrazione dei Pensieri, che era diventata una pratica piuttosto comune.
Ma l’estrazione dei Pensieri consisteva nel produrre una copia dei flussi di parole che normalmente circolano nella mente, per poi renderli facilmente manipolabili... e inoltre, se da una parte i pensieri erano costituiti da una materia gelatinosa e tangibile, dall’altra non era sicuro che lo stesso valesse per Maleducazione e Affetto.
Ma soprattutto, che te ne fai dopo? I pensieri li rileggi e li modifichi, come un testo scritto. Maleducazione e Affetto sono astratti, fino a prova contraria. E inutili, senza un corpo da governare o che li governi.


Mise per iscritto anche quest’ultima riflessione e poi si mise in cerca di Ethan, per avere qualche informazione in più su cui lavorare. Si ricordò che il giorno prima Ethan stava protestando nella piazza principale, perciò si avviò in quella direzione, accorgendosi che la sua andatura rapida poteva competere ad armi pari con quella dei frenetici abitanti di Grimborough.
Arrivò sotto l’alta Torre dell’Orologio in meno di dieci minuti, ma si sorprese nel vedere che dove la sera prima c’era stato un agguerrito attivista con il suo banchetto fornito di gadgets e volantini disegnati a mano, ora c’era un nastro di plastica a strisce rosso e bianco, un tavolo ribaltato, dei mucchietti di cenere per terra e un Operatore Ecologico intento a sistemare i danni del piccolo ma devastante falò.
Sembrava che i passanti non ne fossero incuriositi, nessuno si fermava preoccupato per quanto potesse essere successo, Marc sembrava essere l’unico astante.


Si avvicinò all’Operatore che teneva lo sguardo fisso sul suo potente aspirapolvere.

“Mi scusi, sa per caso dove si trovi il ragazzo che stava qui? E’ un po’ che lo cerco.” Gli chiese.
“Mi dispiace, non so risponderle. Io sto solo facendo il mio lavoro; vorrei davvero, davvero poterla aiutare, ma non so come potrei esserle utile.” Rispose l’uomo, sinceramente affranto per la sua mancanza di informazioni …o di Maleducazione?
"Va bene, non si preoccupi. Lo troverò da solo, continui pure il suo lavoro.” Marc era rimasto colpito dalla disponibilità quasi disturbante dell’Operatore, che sembrava davvero volerlo aiutare. Riprese a camminare, alla ricerca di Ethan.

Una brutta sensazione lo aveva colto nel vedere il banchetto rovesciato, un brutto presentimento lo aveva messo sull’attenti. Qualcosa di brutto era successo, questo era chiaro. Sperava solo che il ragazzo stesse bene. Per qualche motivo era preoccupato per lui, e non si trattava solo del fatto che era una delle sue migliori fonti, al momento.
L’aveva visto per meno di un’ora, il giorno prima, ma non poteva fare a meno di pensare a quanto gli somigliasse da ragazzo.
Voglia di vivere, credere nei propri ideali, prontezza di spirito… cose che con l’età erano un po’ sfumate, vuoi per disillusione, vuoi per maturità.
Quando era bambino, il suo sogno più grande era girare ogni angolo del mondo con suo padre. Visitare ogni centro abitato, fare lunghi viaggi nel deserto durante i quali avrebbero discusso su ciò che si sarebbero lasciati alle spalle e ciò a cui stavano andando incontro, o si sarebbe fatto raccontare qualche storia, che suo padre avrebbe reso indimenticabile per la capacità innata che aveva di rendere vivi i personaggi.
Suo padre una volta gli aveva detto che i sogni sono il motore della vita ma, pochi anni dopo, quando realizzò che era scomparso, Marc perse molta fiducia nel futuro e abbandonò la sua passione per i viaggi e l’avventura.
Fu cresciuto da sua madre, che non gli dedicava molto tempo, diventò sedentario e intraprese la carriera di Cacciatore di Notizie, più per seguire le orme del padre, che per passione personale.
 
 
Non trovò Ethan se non nel tardo pomeriggio, quando ormai stava rimandando le ricerche al giorno seguente.

Il ragazzo era seduto su un gradino davanti al portone di una casa, all’incrocio con il Vicolo di Vetro.
Teneva la testa appoggiata sulle braccia incrociate, raggomitolato con le ginocchia al petto.
Per qualche motivo, a quella vista, Marc sentì stringersi il cuore, ma anche rilassarsi per il sollievo.


“Serata perfetta per godersi questa brezza fresca davanti a casa, non trovi?” Disse a Ethan, dopo essersi  avvicinato con finta noncuranza. Finse di prendere un bel respiro per riempire i polmoni e sospirò. Fissava un punto indefinito all’orizzonte.
Ethan alzò la testa. “Mia madre mi ha buttato fuori di casa.” Disse, secco. Riabbassò la testa e la nascose tra le braccia, come per impedire a Marc di notare l’imbarazzo e la rabbia e che lo attanagliavano.
“Questo spiega perché te ne stai lì tutto raggomitolato, invece di espandere per bene la tua cassa toracica. Alzati, ti offro qualcosa da mangiare. Ormai è quasi ora di cena, e io mi devo ancora sdebitare per la tua disponibilità di ieri sera.” Gli disse.
“Non ce n’è bisogno.”
“Io dico di sì. Sono uno a cui non piace avere questioni in sospeso.”
“Perfetto, allora. Spero tu abbia con te molti soldi, perché ti costerò parecchio.” Rispose Ethan, abbozzando un sorriso.
In quel momento Marc si accorse del livido sullo zigomo del ragazzo e delle piccole ustioni sulle braccia, ma non disse nulla. Preferì fare finta di niente: se ne avesse avuto voglia, Ethan glielo avrebbe raccontato a tempo debito.


Insieme raggiunsero l’ostello a pochi metri di distanza ed entrarono nell’atrio, dove la donna del giorno prima li accompagnò nella sala-ristorante.
Marc notò con sorpresa che dietro al bancone Alicia era ancora in servizio, ma si disse che probabilmente una pausa doveva averla fatta, magari a metà giornata.
Si salutarono, e Ethan non perse occasione per provarci senza alcun ritegno, mentre Marc si scusava per lui e lo spingeva verso un tavolo vuoto. Poi, i due ordinarono una zuppa calda vegetale e purè.


“Allora, che hai combinato per farti cacciare di casa?” azzardò Marc, mentre mangiavano.
Ethan ci impiegò un po’ a rispondere, ma poi disse:“Le ho detto che i Difensori dell’Ordine hanno distrutto tutto ciò per cui mi batto da un anno a questa parte, bruciato in meno di venti secondi il mio impegno e la mia campagna portata avanti con il sudore e la tenacia. Ho urlato loro che non sarebbe bastato un fuocherello a fermarmi, e che un modo per continuare lo troverò. Per tutta risposta le ho prese di brutto, ma sono ferito più nell’orgoglio che nel fisico. Non sopporto l’oppressione che si respira in questo posto dimenticato da Dio. Non c’è libertà, non c’è scelta. O fai come dicono loro, o puoi dire addio alla tua vita. Sono capaci di prendersi anche quella, se vogliono. Ad ogni modo, nel vedermi tornare così malconcio, mia madre non ci ha visto più. Non è mai stata d’accordo che io manifestassi, ma ultimamente aveva fatto finta di non sapere come passo le mie giornate. Vedendo che non mi fermerò solo perché quattro bestioni mi hanno minacciato di spedirmi dentro, lei mi ha buttato fuori di casa. Credo lo abbia fatto perché ha paura che farebbe la mia stessa fine se la collegassero a me, piuttosto perché sia preoccupata per me.” Fece un sorriso amaro, mentre fissava il piatto e giocava con la forchetta.
Aveva detto tutto senza pensarci due volte, si vedeva che aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi.

Marc fu felice della fiducia che il ragazzo aveva riposto in lui, perciò non resistette e gli disse: “Ti propongo un lavoro. Sarai il mio assistente, nonché principale fonte di informazioni. Sono un Cacciatore di Notizie e sto lavorando a un articolo. Non ti svelerò tutto subito, prima voglio accertarmi che di te posso fidarmi. Le condizioni sono queste: stipendio minimo, reperibilità 24 ore su 24, massima riservatezza. Se vengo a sapere che hai tradito la mia fiducia, farò in modo che ti spediscano dentro davvero.” Sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno, gli occhi del ragazzo avevano cominciato a brillare e la testa ad annuire meccanicamente nell’istante in cui aveva detto “Ti propongo un lavoro” ed era sicuro che Ethan non avrebbe sprecato quell’opportunità. “Ci sono domande?”
“In realtà, sì. Dove posso dormire?”
"Nella mia stanza c’è un letto in più, per tua fortuna. Se vuoi, puoi restare, altrimenti trovati un'alternativa." Si divertiva a fare il duro con lui. "Se decidi di rimanere, o
vviamente comincio già da stasera a detrarre il soggiorno dal tuo stipendio. Ma prova a russare anche solo una volta e ti licenzio.” 

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Capitolo 5
*** Qualche risposta - Parte 1 ***


Ehi!
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei avvisarvi: questo capitolo è molto breve e probabilmente sconclusionato. E’ una sorta di ponte per ciò che verrà dopo. E' anche probabile che non capirete nulla, ma abbiate pazienza. In origine il capitolo era molto più lungo, ma mi sono accorta che leggerlo tutto in una volta poteva risultare faticoso. Perciò, ho deciso di spezzarlo in due parti, così da rendere il tutto un po’ più leggero. La seconda parte arriverà tra pochissimi giorni!
Intanto, vi ringrazio e vi lascio questo :)







Cap.5: Qualche risposta – parte 1

(Un piano per agire, su cui scrivere “decidere come agire”)



Il mattino seguente Marc dovette svegliare Ethan con una cuscinata in faccia, perché il ragazzo si stava mostrando troppo pigro per abbandonare il mondo dei sogni.

“Giù dalle brande! Oggi abbiamo molto da fare!” Lui si era già lavato e vestito per guadagnare tempo, o per ammazzarlo, e adesso stava lanciando a Ethan la maglietta e i jeans che il ragazzo indossava il giorno prima.
“C-che ore sono?” Gli rispose il ragazzo, con l’aria di chi non è solito alzarsi di buon’ora.
“Sei in punto! Potrei dirti che siamo già in ritardo sulla nostra tabella di marcia!”
“Sei in punto?! Tabella di marcia?! Cosa stai farneticando, quando l’avresti scritta?!” Disse Ethan, stropicciandosi gli occhi con una mano e spostando le lenzuola con l’altra.
Marc tirò fuori il solito taccuino e mostrò il frutto della sua notte insonne passata a rimuginare sulle recenti novità. “Stanotte ho cercato di riordinare le idee e ho preparato una sorta di piano su come agiremo: per prima cosa, una buona colazione. Poi, andrai a casa tua e prenderai un paio di vestiti puliti per cambiarti. Il mio povero olfatto te ne sarebbe davvero grato, non sai quanto puzzi.” Si morse la lingua subito dopo essersi fatto sfuggire questa osservazione, pensando che fosse indelicato lamentarsi della puzza di bruciato mista a sudore e qualche strana sostanza infiammabile, con uno che se l’è vista brutta in un incendio. Così ricominciò: “Io nel frattempo valuterò il da farsi e vedrò di cominciare a spiegarti un po’ di che cosa ci occuperemo.”
“Amico, tu non sei a posto.”
“Che vuoi dire?” Chiese Marc, disorientato dall’affermazione del ragazzo, apparentemente scollegata dal suo discorso.
“Voglio dire che stanotte non hai dormito per scrivere un piano d’azione in cui ti sei appuntato “valutare come agire”… non so se ti rendi conto della tua paranoia.” Marc si strinse nelle spalle, offeso nel suo sensibile orgoglio, ma almeno ebbe la certezza che il ragazzo lo stesse ascoltando con attenzione nonostante la levataccia, cosa a cui non l’avrebbe sottoposto, se anche lui fosse riuscito a chiudere occhio. Ma questo probabilmente era meglio non dirlo.
 
 
Dopo la colazione, Marc diede a Ethan altre disposizioni: una volta recuperati i vestiti, si sarebbero incontrati all’ingresso dell’ostello intorno a mezzogiorno.
Nel frattempo lui rimase al tavolo a riflettere sui vecchi appunti, ancora troppo criptici. Ogni tanto si lasciava sfuggire qualche parola, sussurrandola tra sé e sé o parlando a voce alta.

Quando alzò la testa dal foglio, notò che Alicia lo stava osservando. Le sorrise e lei gli si avvicinò. “Cosa leggi?”
“Oh, nulla di che. Forse un mucchio si sciocchezze.” Le rispose in modo evasivo e il suo maldestro tentativo di apparire naturale mentre nascondeva il taccuino sembrò un po’ debole persino a lui stesso.
“Oh, capisco. Allora ti fai uscire il fumo dalle orecchie arrovellandoti per ‘forse un mucchio di sciocchezze’. Certo, certo. E’ normale.” Lei roteò gli occhi e fece come per andare via, ma Marc le afferrò un braccio per bloccarla.
“Scusami. E’ una faccenda di lavoro. Non te ne andare.” Le disse, e lei abbozzò un sorriso, senza dire niente. Per un tempo che sembrò durare un’eternità Alicia lo fissò negli occhi, mentre lui cercava di aggrapparsi a un qualunque altro discorso.

Infine, fu lei a rompere il silenzio e Marc le fu grato.

“Carino il tuo nuovo amico. Ethan, giusto?”
Ok, forse non te ne sono più tanto grato.
Per quanto odiasse ammetterlo, nutriva un qualche interesse per quella ragazza, anche se ancora non aveva capito di che tipo, e sentirla fare apprezzamenti su Ethan lo irritava leggermente. Leggermente.
“Sì, se ti piace il genere attivista-trasandato.” Sapeva di non rendere giustizia alle qualità del suo neodipendente, e si ripromise che lo avrebbe pagato in anticipo, per fare penitenza.
Alicia rise, ma poi si rabbuiò.
“Qualcosa non va?” Le chiese.
Lei sospirò e sembrò cercare disperatamente le parole giuste in una nuvola confusa di pensieri.“Marc, tu mi sei simpatico. Dico davvero.”
“Anche tu lo sei.” La incoraggiò lui.
“Sì, ma quello che voglio dirti è che devi lasciare perdere qualsiasi cosa tu stia iniziando. E’ pericoloso andare a ficcarsi in quel genere di faccende. Se potessi tornerei indietro e cancellerei il momento in cui ti ho detto quel poco che poi sei riuscito ad appuntarti. Per rispondere subito a ciò che stai pensando: numero uno: sì, ho capito che sei un Cacciatore di Notizie, gli unici altri che andrebbero in giro con carta e penna, per quanto una prassi antiquata, sarebbero i Racconta Storie, ma loro di solito hanno quello strano affare al polso per gestire la Fantasia e tu non mi sembri averlo; numero due: sì, sono riuscita a intravvedere qualcosa dal tuo taccuino. E numero tre: sì, ancora una volta sono stata invadente e impertinente. Però lo dico per te. Qui a Grimborough alcuni occhi sono più pericolosi di altri e non ti conviene stuzzicarli. Finiresti in un mucchio di cenere come ha rischiato Ethan.” Mentre parlava, gli allungò il foglio di giornale di quel mattino, dove veniva riportata la descrizione di un “intervento necessario per riportare il villaggio alla quiete”.
“E’ assurdo. Ethan non disturbava nessuno con le sue manifestazioni. A mala pena riusciva ad attirare l’attenzione di qualcuno.” Le disse, ma lei ribattè dicendo che le sue proteste erano bastate a indurre il Sindaco a far sguinzagliare i suoi Difensori dell’Ordine, perciò qualcosa di fastidioso doveva averla fatta.
Il Sindaco, lo stesso che era ancora in carica sin dalla sua elezione di vent’anni prima, quando Marc era  arrivato a Grimborough col padre. Che motivo avrebbe di perdere tempo dietro a un adolescente?  Era ovvio che c’era qualcosa sotto.
“Alicia, lui protestava per qualcosa contro l’insonnia o roba del genere… come può essere un problema per il Sindaco?”
“Allora tu non mi vuoi capire. Ti ho detto di lasciare perdere.”
“No, sei tu che non vuoi farti capire! Prima mi sbatti in faccia strane idee su Cortesi e Anaffettivi, o come si chiamano. Poi scappi e la volta successiva mi dici di lasciar perdere le mie ricerche ma mi fai capire che nella protesta di Ethan c’è qualcosa che irrita i potenti. Scusami, ma proprio non riesco a seguirti. Se è davvero così pericoloso come dici, allora dimmi quello che sai, così potrò difendermi, se necessario.”
Alicia era combattuta. Lo si poteva facilmente percepire dal modo in cui teneva le dita intrecciate per non farle tremare e dai denti che le stavano martoriando le labbra. Marc le prese le mani fra le sue e cercò di sembrare più rassicurante possibile. “Ce la posso fare Alicia. Dimmi quello che sai.”
“Scusami, non posso!” Rispose lei liberandosi dalla leggera stretta di Marc e scappando via.
Lo ha fatto di nuovo.
 
 
A mezzogiorno Marc e Ethan mangiarono al chiosco in Piazza.
Marc partì alla lontana nel raccontare la conversazione che aveva avuto con Alicia. Gli riferì della sua capacità di cogliere i particolari e della sua prontezza di spirito, e solo infine gli disse di quanto apparisse preoccupata e tormentata da qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con le sue proteste. Si sforzò di farla sembrare una semplice osservazione, una cosa che lascia un po’ il tempo che trova, ma probabilmente Ethan aveva già capito dove volesse arrivare. Comunque, non si sentiva ancora pronto a rivelare al ragazzo la ragione del suo arrivo a Grimborough, così gli chiese semplicemente di raccontargli ciò che sapeva riguardo all’Insonnia e a tutto il resto, comprese le ragioni per le quali manifestava.

“Amico, te lo dirò senza tanti giri di parole. Però non qui. Mi sembra un po’ troppo presto per tornare ad infastidire il Sindaco. Torniamo all’ostello e ti darò le risposte che cerchi.” Ethan gli parlò con una tale solennità da farlo sembrare una altra persona: un adulto maturo, consapevole dei rischi che sta correndo, non il ragazzino esuberante e imprudente che gli era sembrato. Quando, poi, il ragazzo gli si rivolse ancora, chiedendogli fiducia e promettendogli in cambio serietà e lealtà, Marc non potè fare a meno di acconsentire alla sua richiesta.
 
Sulla via del ritorno furono rallentati dalla folla che si era accalcata all’angolo con la Strada della Pietra Grigia, non lontano dal Vicolo di Vetro. Era la prima volta che Marc vedeva gli abitanti di Grimborough intenti in qualcosa che non fosse lavoro. La ragione di quel trambusto si rivelò essere la morte di un uomo, la “quindicesima vittima del mese”, come avrebbe riportato il foglio locale. Omicidio o suicidio che fosse, rese ancora più impellente la sua urgenza di avere delle risposte, perciò Temple allungò il passo e si fece strada sgomitando tra gli astanti, mentre trascinava via dalla calca anche  Ethan, tirandolo per un braccio.

Arrivati all’ostello, salirono le scale ed entrarono nella stanza di Marc, ma non prima che quest’ultimo avesse notato l’assenza di Alicia al bancone del ristorante. Era la prima volta che la ragazza non si trovava sul posto di lavoro da quando Marc era arrivato. Meglio così, quella ragazza lavora troppo. Ha bisogno di una pausa.

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Capitolo 6
*** Qualche risposta - parte 2 ***


Ciao! Eccovi la seconda parte del capitolo, come promesso!
Buona lettura!
Cup of tea





Cap.6 : Qualche risposta – parte 2
Un inaspettato senso paterno



“Non è un’intervista, vero? Cioè… il mio nome non comparirà da nessuna parte, né tantomeno gli aneddoti che ti sto per raccontare, vero?” Ethan era seduto sul suo letto con la schiena appoggiata al muro e fissava Marc con gli occhi di chi sta per riporre la sua vita nelle mani di un’altra persona.

"Un po' tardi per voler passare inosservato, non credi?* Ad ogni modo, te lo prometto: io proteggo le mie fonti.” Lo rassicurò il Cacciatore di Notizie.

“Bene,” cominciò Ethan, che ora era spaparanzato sul proprio letto. Marc gli prestò tutta l’attenzione possibile, carta e penna alla mano. “Protesto da quando ho quindici anni. Ora ne ho diciannove, se te lo stai chiedendo. Ho cominciato quando ero a scuola, cercando di convincere i miei amici che farsi estrarre il Sonno non fosse una grande idea. Loro dicevano che, al contrario, era quanto di più utile ci fosse per uno studente: non dover dormire e avere più tempo per studiare e per i propri hobbies sembrava la loro più grande priorità. All’epoca, comunque, l’estrazione del Sonno era solo un’ipotesi di ricerca, la sola idea che fosse possibile sembrava fantascienza. Gli Esattori non avevano ancora costruito un laboratorio adatto a questo tipo di operazione e non erano sicuri che si potesse effettivamente procedere con un’estrazione sistematica. Sfortunatamente, però, in soli quattro anni hanno messo su una struttura efficiente, proprio come anni prima avevano fatto per estrarre Maleducazione e Affetto. Oggi, la pratica è ancora in fase sperimentale e pochissime persone si sono prestate come cavie. Di solito questi sono disperati che non sanno come tirare avanti e si accontentano di un’esigua somma di denaro per far sopravvivere la famiglia. E’ facile contattare gli Esattori, la prassi è la stessa che viene usata per vendere la Maleducazione e l’Affetto: ognuno di noi possiede nelle proprie case un apparecchio simile ai vecchi telefoni, con però un solo bottone. Se lo premi, i Difensori dell’Ordine ti vengono a prendere, ti sedano  e ti portano nel laboratorio. Nessuno a parte loro sa dove si trovi. Dio solo sa cosa succede una volta che sei lì.”

Prese un respiro profondo prima di continuare. Fissò fuori dalla finestra e poi riprese.

“Mio padre è stato una delle primissime cavie a sottoporsi all’estrazione del Sonno.” La sua voce parve quasi spezzarsi, ma Marc gli lasciò tutto il tempo di cui avesse bisogno per non lasciarsi sopraffare dall’emozione. Era totalmente rapito dal racconto e non voleva perdere il filo, ma soprattutto non se la sentiva di interromperlo con qualche inutile parola di conforto.
“Cosa accadde?” chiese, non con morbosa curiosità giornalistica, ma con umana preoccupazione nei confronti del nuovo amico.
“Morì un mesetto dopo l’estrazione, all’inizio dell’anno. Ma non prima di impazzire per le emicranie e per le amnesie. Quando, all’inizio, aveva riferito il suo stato di crescente malessere al Guaritore che lo aveva preso in cura in seguito all’operazione, questo gli somministrò delle pillole che a lungo andare lo portarono a cadere sempre più frequentemente in stati comatosi. In un raro momento di lucidità, si rese conto che quello non era più vivere: se era sveglio, doveva lavorare; se era strafatto per le pillole, non era cosciente di ciò che succedeva a casa. Era diventato come un fantasma. Perciò decise di non prendere più le pillole e cercare di godersi quei rari attimi che ci erano concessi. Ma ovviamente la sua Insonnia portò con sé sempre più gravi conseguenze sul suo fisico: diventò pericoloso per sé stesso e per gli altri. Mamma gli è stata sempre accanto, mentre io perdevo tempo cercando di convincere Grimborough a lasciar perdere queste vendite assurde, invece di passare insieme a lui gli ultimi momenti che ci rimanevano. Che cretino sono stato! Pensavo davvero di poter cambiare le cose! Risultato: papà impazzì del tutto e morì per strada, come l’uomo che abbiamo visto oggi, e Mamma vendette l’Affetto. Disse che, in questo modo, per lei sarebbe stato più facile dimenticare papà e ne avrebbe anche ricavato qualche soldo. Che ironia: pensando di fare un atto d’amore nei miei confronti, ottenendo denaro utile per il nostro futuro, vendette se stessa e la madre che ormai non ho più. Ora è la donna arida e vuota che mi ha cacciato di casa.”
Marc ora aveva assunto in tutto e per tutto la modalità Cacciatore di Notizie, quindi gli fece alcune domande per chiarirsi le idee. Il Marc umano sarebbe certamente subentrato in seguito.

“Hai detto che se tuo padre era sveglio doveva lavorare. In che senso? Non gli erano concessi momenti di libertà?”

“No. Una delle condizioni per la vendita del Sonno è che diventi proprietà del Sindaco. Gli Esattori non hanno trovato qualcos’altro da poterti togliere solo per darti in cambio dei soldi. L’altruismo non è nel loro DNA. Chissà, magari gliel’hanno tolto? Haha scusa, perdona il mio umorismo nero.” Non c’era allegria nella sua voce.  “Ad ogni modo, a Lui importa che senza Sonno tu non puoi dormire, quindi diventi una risorsa assai preziosa: hai più tempo a disposizione per lavorare. Lo stesso vale per la Maleducazione e per gli Affetti: senza Maleducazione sei servizievole e non riesci a dire di no alle richieste che ti vengono poste; senza Affetti non senti il bisogno di tornare a casa la sera. I potenti la mettono giù come se fosse una scelta tua, offrendoti soldi per queste cose, ma di fatto ti stanno schiavizzando. Solo che, quando te ne accorgi, è troppo tardi e non puoi tornare indietro. Ti sei chiesto perché non estraggono la Forza di Volontà o… la Tenacia, magari? Perché un uomo senza queste cose non varrebbe un bel niente. Sarebbe inutile per i Suoi scopi.”

“E quali sono i Suoi scopi? E poi.. chi è questo ”Lui” di cui stiamo parlando?”

“Il Sindaco, di chi vuoi che stiamo parlando?! E’ un megalomane, prova piacere nel vedere la sua amata città al primo posto di qualsiasi classifica. Gonfia il suo ego e si sente potente. E’ un malato!” La faccia di era fatta rossa di rabbia.

Calò il silenzio per qualche minuto.

“Uhm. Capisco. Ma cosa ne fanno, poi, delle cose che estraggono?”

“Nessuno lo sa. Saranno tenuti in qualche luogo… un archivio, forse. La verità è che nessuno ci ha mai pensato perché comunque non inventeranno mai un sistema per restituirti ciò che ti hanno preso.”

“Ok… ho un’ultima domanda. Prima mi è sembrato di capire che giudichi una perdita di tempo protestare contro queste attività… Cosa ti spinge a continuare a farlo?”

“Sai come si dice: ‘la speranza è l’ultima a morire’. E inoltre è qualcosa per passare le mie giornate…. A maggior ragione ora che ho perso mia madre.”

“Avrai perso lei, ma hai trovato me. Non permetterò che tu ti metta in pericolo così gratuitamente! Lascia perdere le proteste, aiutami come stai facendo ora a smascherare questi loschi progetti!” Marc si spaventò per la foga con cui aveva parlato. Era come se il suo istinto paterno fosse esploso tutto in una volta e questo sembrò turbare anche il ragazzino, che sembrava quasi imbarazzato.

“Sei gentile, amico. Ma so badare a me stesso. Ad ogni modo… è bello sapere di avere qualcuno dalla propria parte.” Marc sorrise a queste parole.

“Ora, però, se il grande Cacciatore di Notizie non ha altre domande da farmi, è il suo turno. Cosa lo ha portato qui?” Ethan stava prendendo in giro l’atteggiamento dei più famosi Cacciatori di Notizie. Aveva preso una ciabatta in mano e la teneva come se fosse un microfono. Era tornato ad essere l’esasperante ragazzino che aveva conosciuto. In qualche modo Marc si sentì rincuorato. Abbassò la ciabatta e iniziò a parlare.

“Allora… sono un Cacciatore di Notizie, questo lo diamo per assodato. Lavoro per l’Our New Planet, il giornale nazionale che ha sede a Monroeville. Lo fondò mio nonno, ci lavorò mio padre, e ora ci lavoro io. Tempo fa è arrivata in redazione una lettera anonima che diceva, testuali: ‘Non permettete che a Grimborough lo scempio continui’. Solo io e il mio Capo eravamo a conoscenza del suo arrivo e del contenuto, perché la lettera arrivò direttamente alla mia scrivania e io la mostrai solo a lui. Per un po’ l’abbiamo ignorata ma poi abbiamo deciso di non sottovalutarla e abbiamo cominciato a condurre delle ricerche a distanza. Qualche giorno fa, però, abbiamo scoperto che qualcuno all’interno della redazione ci ha traditi, passando l’informazione al giornale concorrente. Non sappiamo chi sia la talpa, né come sia venuto a conoscenza della lettera. Così, eccomi qui, a scrivere la storia prima che lo facciano gli altri.”

“Affondiamo quei bastardi. I tuoi concorrenti, e gli Esattori col Sindaco. Scriviamo la parola FINE a questa storia.”


“Bravo ragazzo.”
 
***

Si fece presto sera.

Marc osservò l’esausto Ethan addormentato sul letto e non potè fare altro che essergli grato per l’appoggio cieco che gli aveva offerto.

Finalmente l’indagine si stava smuovendo.

Si rattristò nel pensare a quanti orrori quel ragazzo avesse potuto passare e con lo stesso istinto paterno che lo aveva assalito prima, si alzò dalla piccola scrivania e gli rimboccò le coperte, prima di lasciare la stanza per andare a mangiare un boccone. Chiuse piano la porta e fece per attraversare il corridoio e scendere le scale, ma non ebbe il tempo di farlo.


Alicia era rannicchiata contro il muro con la testa nascosta tra le ginocchia e piangeva, spaventata.

 



* Ringrazio Verichan che mi ha suggerito le parole, e Tsukuyomi che mi ha fatto notare quanto l'inizio del capitolo potesse originariamente risultare confuso.

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Capitolo 7
*** Oblio ***





Ehi!! Ne è passato di tempo dall’ultimo aggiornamento! Chiedo umilmente perdono per questa attesa.

Ad ogni modo, dopo una lista infinita di esami da sostenere e una crisi da pagina bianca non indifferente, sono tornata più carica che mai, insieme a Marc, Ethan e Alicia.

Spero che questo capitolo, seppur breve, valga il mese di silenzio appena trascorso!

Al solito, mi piacerebbe sapere che ne pensate. Buona lettura!|

Cup of tea



Ah, ancora una cosina: colgo l’occasione per festeggiare con voi le prime 200 visite al primo capitolo! Senza il vostro contributo non avrei raggiunto questo - magari modesto, ma comunque davvero importante -  traguardo. Vi ringrazio uno per uno!
 








 CAPITOLO 7 – OBLIO
 




“Alicia! Cosa succede?!” Marc si precipitò sulla ragazza, circondandole le spalle con un braccio con fare protettivo, ma lei si ritrasse convulsamente da quell’abbraccio, come chi si scotta le dita con una padella bollente.
Temple si sorprese e si sentì quasi tradito per l’improvvisa diffidenza che gli era stata appena riservata, ma rimase comunque seduto accanto a lei, tenendosi a qualche centimetro di distanza.

Il silenzio che seguì sembrò durare all’infinito, interrotto di tanto in tanto solo dai singhiozzi della giovane Locandiera o dai sospiri preoccupati del Cacciatore di Notizie. Aveva deciso di lasciarla in pace, ma anche di offrirle un muto sostegno rimanendo lì con lei, fin quando non si fosse sentita pronta a raccontare cosa la turbasse. Con Ethan, quando lo aveva trovato ustionato e tumefatto, questa strategia aveva funzionato e con un po’ di fortuna avrebbe ottenuto lo stesso risultato con Alicia. In fondo era rannicchiata dietro la porta della SUA camera, qualche motivo doveva esserci. Magari proprio il fatto che si fidava di lui.

La cosa si rivelò essere più lunga del previsto, ma alla fine Alicia girò la testa dalla sua parte e lo fissò dritto negli occhi. Non era la prima volta che lei lo squadrava con quell’intensità, ma era la prima volta che lo faceva lui. Nello sguardo di lei leggeva una supplica, un disperato grido di aiuto ma anche panico e disorientamento. Alla vista delle sue lacrime si sentì come un naufrago sbatacchiato a destra e a sinistra dalle onde in tempesta e comprese il senso di smarrimento che si era impadronito della ragazza, ma ancora non sapeva cosa avesse scatenato quel turbamento in lei.

Fu lei a diradare le ombre dell’incertezza.

Le lacrime le scorrevano ancora lungo le guance, ma non singhiozzava più. Forse la disperazione stava lasciando spazio alla speranza. “Ho ferito la mia Guaritrice. Con un bisturi.” Disse infine, con gli occhi ancora fissi in quelli di lui.

Marc ne rimase scioccato. Credette di aver capito male, ma non fece in tempo a chiederle nulla, perché lei aveva già ricominciato a parlare. “Oggi pomeriggio sono andata a fare una visita, ma mi ha fatta arrabbiare e l’ho colpita.”

“Ok, forse non è il caso di parlarne qui. Forse andare in un luogo più appartato è meglio.” Le disse Marc.

“No!” Lo aveva bloccato prendendogli un braccio, mentre lui si stava alzando. “No. Ti prego. Rimaniamo qui.” Gli ripetè.

“Ma è pericoloso! Se ci sentisse qualcuno?”

“Non c’è nessuno a quest’ora, gli unici ospiti oltre a te e al tuo amico sono due anziani che a quest’ora staranno cenando. Ti prego, mi sento al sicuro qui.” I suoi occhi erano più imploranti che mai. Chissà perché non voleva spostarsi di lì.

“Va bene, come vuoi tu. Ma parla piano. Cos’è questa storia che hai attaccato la tua Guaritrice? E poi…perché vai da una Guaritrice?” Marc trovava inverosimile, se non impossibile che una creatura minuta e fragile come Alicia potesse aver davvero fatto del male ad un altro essere umano. Non perché non potesse essere una potenziale delinquente – il primo principio chiaro a qualsiasi buon Cacciatore di Notizie era che TUTTI sono sospettabili – ma perché non credeva che la ragazza avesse la forza fisica necessaria perché il suo attacco risultasse efficace.

“…oh beh ultimamente ho delle perdite di memoria… una cosa da niente. Forse lavoro troppo. Comunque oggi pomeriggio mi sono ritrovata in strada senza ricordarmi come ci fossi arrivata. E’ stato terribile.” La voce le tremava in continuazione. “C’era della gente che correva ma nessuno si accorgeva di me. Ero spaventata, non riuscivo a ricordare niente. Mi sono precipitata dalla Guaritrice perché mi desse qualcosa per ridurre i sintomi e lei mi ha dato delle pillole.” Allungò a Marc un barattolino di pastiglie rosse. Su di esso era incollata un’etichetta che recitava il nome del medicinale a chiare lettere: NAPALIKE. “Serve per dare un po’ di pace a chi… non dorme molto.” Spiegò lei. “Ad ogni modo – continuò – in quel momento sono stata presa da uno scatto di rabbia incontrollabile. Non mi so spiegare il perché. Lei mi stava aiutando a trovare un sistema per superare il mio problema, ma io l’ho sentita ostile, con tutti i suoi “Questo non ti impedirà di lavorare.” o “per la tua condizione non ti posso garantire ore di permesso, non sei così grave.” L’ho tagliata con il bisturi, su un braccio.” Affondò la testa tra le mani, la vergogna che doveva sentire era palpabile. “Ma è come se non l’avessi fatto io. Te lo giuro non farei del male a una mosca! Non so cosa mi è preso!” Marc le si avvicinò, e delicatamente le accarezzò il viso, sollevandole la testa. Era disperata e lui non riuscì a veder niente di male o sbagliato in lei. Tutto ciò che provava era compassione.

Lei gli si accoccolò accanto e non disse più niente. Si lasciò andare ad un altro pianto liberatorio, e Marc la tenne lì, sperando che quello fosse l’ultimo. Riusciva a pensare solo a quanto doveva essersi sentita spaventata e a come doveva essere scappata dall’ambulatorio in cerca di un posto dove nascondersi, in preda al panico. Probabilmente la Guaritrice aveva già chiamato aiuto e a quell’ora i Difensori dell’Ordine le erano alle calcagna e bisognava trovare al più presto un posto sicuro dove nasconderla.

Troppe stranezze c’erano nel suo racconto, ma sentiva che presto avrebbe svelato ogni particolare. Prima di tutto doveva fare delle ricerche su quel medicinale, il NAPALIKE. Poi doveva capire a cosa fossero dovute quelle amnesie: una vocina in fondo la sua testa gli stava già suggerendo la risposta, ma lui si rifiutava di ascoltarla.
Quando sentì che Alicia si era calmata la sollevò da terra e la fece entrare in camera. Non era un granchè come nascondiglio, ma era qualcosa per cominciare. Quella notte avrebbe trovato una soluzione migliore e l’indomani l’avrebbe trasferita da qualche parte. Lei gli sorrise e lo baciò sulla guancia, facendolo sciogliere come un ghiacciolo al sole.

Le disse di mettersi comoda, intanto lui sarebbe andato a prendere qualcosa da mangiare.

Uscendo, fece attenzione a non svegliare Ethan che dormiva ancora beatamente. Quando scese nella sala ristorante vuota sentì il cellulare vibrare.

Era Charlize.



Oh merda.

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Capitolo 8
*** Ali in gabbia ***







CAPITOLO 8 – Ali in gabbia






Oh merda.

CheFaccioCheFaccioCheFaccio??

Il cellulare continuava a vibrare impazientemente nella mano di Marc, che fissava lo schermo in preda al panico.

Non fare lo sciocco, che c’è da aver paura? Niente, probabilmente, ma siccome il più delle volte la paura è irrazionale, Temple premette il tasto RIFIUTA e mise fine al fastidioso ronzio del telefono. Avrebbe affrontato il problema in mattinata, a mente lucida e riposata.

Consultò poi il Registro Chiamate e si accorse di averne accidentalmente mancate tre, tutte provenienti dal numero della redazione. In effetti, pensò Marc, nonostante non fosse passata neanche una settimana dalla sua partenza, era strano che il Capo non avesse ancora chiesto notizie sulle indagini: il pressante controllo che esercitava sul lavoro dei suoi giornalisti era proverbiale. E infatti anche questa volta non si era smentito, solo che Temple probabilmente era troppo occupato a salvare ragazzini in difficoltà per accorgersi di una stupida vibrazione.


Si spostò nella Hall, nell’angolo più lontano dalla sala ristorante, preoccupato che la coppia di anziani potesse aver deciso di cenare tardi, e, assicuratosi che non ci fosse nessuno sguardo o orecchio indiscreto nei paraggi, si sedette su un consumato divanetto in velluto verde e avviò la chiamata.

Dallo schermo del cellulare apparve un ologramma del Capo, seduto alla scrivania dello studio del suo appartamento, nel momento in cui questi accettò la chiamata.

“Temple. Era ora. Sei meno reperibile di-“ Marc non gli permise di completare il paragone.

“Sì. Scusami Burt. Ho avuto da fare. Ho delle novità, forse, ma niente di concreto per le mani.” Vide l’espressione del Capo accendersi di entusiasmo, mentre praticamente saltava sulla sedia come un bambino eccitato per un regalo. “Lo sapevo! Lo sapevo che qualcosa in quell’orribile posto non gira! Cos’è?! Traffico di droga? Armi? Schiavi?”

"Con la terza ti ci sei avvicinato, sì. Ma dammi ancora un po’ di tempo e ti saprò dare qualche notizia in più. Novità riguardo alla talpa?”

“Nessuna, per il momento. Ma Charlize si è offerta di darmi una mano. Ovviamente non sa nulla, per lei è solo un controllo dei dipendenti. Dopo averla interrogata, le ho fatto credere che mi sarebbe stato utile qualcuno che conoscesse bene i suoi colleghi e che si facesse raccontare qualcosa da loro. Quella donna sa essere davvero persuasiva e riesce a farsi dire qualsiasi cosa, parola mia. Non a caso è tra i Cacciatori migliori. Mi ha fatto qualche nome, ma nessuno da licenziare o da accusare di tradimento.”

“Chi per esempio?”

“McMollie, del Settore Cultura, beccata ad amoreggiare al telefono con l’amante sul posto di lavoro.”

“No, non posso crederci! Christina mi è sempre sembrata una così seria e a modo. Spero che Jeremy non lo scopra…” Marc trattenne un risolino.

“Già. Oh e …Anderson, Economia, nasconde una collezione di liquori nel suo armadietto, lo sapevi? Pare che nella pausa organizzi aperitivi in corridoio con i colleghi e non mi abbia mai invitato!” Burt sembrava più offeso che indignato per la cattiva condotta del suo dipendente.

“No! Ehm, è incredibile!” Marc cercò di sembrare il più naturale possibile, mentre cercava di nascondere un sorriso dovuto al ricordo delle tante bevute clandestine in compagnia della redazione.

Burt si schiarì la voce. “Ad ogni modo” riprese, “niente per cui possa supporre che siano dei traditori …almeno non nei confronti della redazione. Dei richiami disciplinari sono più che sufficienti. Ma non mi do pace.”

“Va bene, Burt. Lo troveremo. Ora devo lasciarti, ci sentiamo appena avrò qualcosa di più fra le mani.
Comunque tu tieniti pronto, perché qui c’è roba che fa accapponare la pelle.”

“Buon lavoro, Marc.” E l’ologramma sparì.

Temple si ritrovò a sorridere come un ebete, fissando lo spazio occupato fino a qualche istante prima dalla figura di Burt. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a lui, ma quel vecchio e grasso pelato gli mancava sul serio. Come tutti i suoi colleghi, del resto. Sentire tutti i racconti del Capo gli aveva scaldato il cuore, ma gli aveva anche ricordato che lui, invece di stare con loro, si trovava a chilometri di distanza, per risolvere un caso a limiti della realtà, in un luogo la cui aria stessa era impregnata del ricordo di suo padre scomparso.

E, come se non fosse già abbastanza, non riusciva a credere che dietro a qualcuno dei suoi compagni potesse in realtà nascondersi una spia. Con un pensiero simile, sentì presto che il sorriso stava abbandonando il suo viso.


Un po’ sconsolato, rientrò nella sala ristorante e ordinò al bancone pane e patate. Non che ci fosse molta scelta a quell’ora di sera, ma fortunatamente aveva trovato qualcosa di sostanzioso e facile da portare via.

Fu strano non vedere Alicia al suo posto: la signora che la sostituiva era vecchia e scontrosa, certamente più in accordo con l’atmosfera di Grimborough di quanto lo fosse la ragazza che ora era nascosta nella sua camera, ma sicuramente anche più sgradevole.


***

Tornato in camera, trovò Ethan ancora immerso nel mondo dei sogni e Alicia in piedi davanti alla finestra.

“Forse faresti meglio ad allontanarti da lì, non vorrei che qualcuno ti vedesse.” Le disse Marc. La vide girarsi verso di lui con il viso nuovamente rigato di lacrime e sentì una fitta al cuore: non voleva più vederla in quello stato. La Alicia che aveva conosciuto era deliziosamente impertinente e vivace, non terrorizzata e disperata. Promise a se stesso che sarebbe riuscito a farla tornare com’era.

“Mi manca, sai?” Disse lei. “Poter andare in giro liberamente… Vorrei viaggiare, vedere posti che non ho mai visto…”

Sentendo quelle parole, Marc non poté che pensare che fosse un po’ troppo presto perché lei cominciasse già a sentire il peso di essere una fuggitiva costretta a nascondersi. In fondo erano passate solo poche ore dalla sua fuga. D'altra parte, anche lui si era sentito subito in trappola pochi istanti dopo aver messo piede a Grimborough, perciò non se la sentì di giudicarla. “Che vuoi dire?” Le chiese, invece.

Prima di rispondere, Alicia si abbassò e, risvoltato più volte l’orlo dei fuseaux neri che indossava, mostrò a Marc l’esile caviglia destra. Attorno ad essa era legata una spessa cavigliera in quello che a prima vista sembrava essere acciaio di due centimetri di altezza. Lungo la circonferenza c’era anche un display con una lucina azzurra che lampeggiava.

“Che cos’è?” Chiese di nuovo Marc.

“E’ la ragione per cui da un po’ di tempo non posso andare da nessuna parte. Sai, non tutti siamo così fortunati da fare il mestiere che ci piace… alcuni di noi devono arrangiarsi come possono… credi che mi piaccia lavorare giorno e notte dietro quello stupido bancone?!” Il suo tono di voce si era notevolmente alzato e Ethan stava cominciando a rigirarsi nel letto. Questo bastò perché Alicia si ricomponesse. “Scusa. Ogni tanto tendo a perdere il controllo.”

“Non importa.” La rassicurò Marc, gettando un’occhiata a Ethan che aveva ripreso a russare, in una posizione degna di un contorsionista. Poi riprese, prendendole una mano: ”Non devi scusarti. Però devi smetterla di raccontarmi le cose a metà… così è difficile aiutarti. Devi fidarti di me.”

Alicia era evidentemente combattuta, ma alla fine cedette. “Ho venduto il mio Sonno, Marc. Avevo bisogno di soldi e quella mi è sembrata la via più facile. E’ una pratica ancora in sperimentazione e qualche mese fa gli Esattori hanno promesso un compenso molto alto per chi si fosse offerto come cavia. Io non avevo niente da perdere, così mi sono fatta venire a prendere. Erano in tre, in tuta bianca e viso coperto. Mi hanno addormentata e portata in una specie di laboratorio, presumo; non lo so con certezza perché non ero cosciente. Qualche ora dopo sono uscita dallo stato di trance, senza più Sonno e con questa cavigliera. Poi mi hanno portato da una Guaritrice, che ha effettuato qualche test. A quanto pare stavo reagendo bene. Infine, mi hanno portato da un uomo, a cui non so associare una funzione precisa, se non quella di farmi firmare delle carte. Clausola numero 1: lavorare 22 ore su 24 nel luogo assegnato. Firma. Clausola numero 2: l’utilizzo delle due ore libere sono a discrezione dell’Insonne. Firma. Clausola numero 3: i soli luoghi frequentabili sono il posto di lavoro,  l’ambulatorio di un Guaritore a scelta in una lista di 10 e la strada che li collega. In caso di disubbidienza la cavigliera segnalerà agli Esattori la posizione dell’Insonne e lo farà saltare in aria. Firma.”

Difficile dire chi, tra Alicia e Marc, fosse rimasto più senza fiato. Se lei nel raccontare, o lui nell'ascoltare.

“E ora eccomi qui, costretta a nascondermi in una stanza dell’ostello in cui lavoro per avere aggredito la mia Guaritrice, senza possibilità di scappare per colpa di questo aggeggio. Non so se sia peggio temere l’arrivo dei Difensori dell’Ordine o degli Esattori. In entrambi i casi saranno qui a breve.”
Marc era a corto di parole di conforto.

La situazione era davvero senza speranza.

L’unica cosa che sentì di fare fu tirarla dolcemente verso il letto dove la fece sdraiare accanto a lui. La abbracciò e la tenne stretta. “Allora li aspetteremo insieme. Non permetterò che ti facciano del male, parola mia.”

Lei non rispose, ma la sentì annuire con la testa contro il suo petto. “E… Alicia… neanche io amo il mio lavoro.”

Se non fosse stato così esausto per la giornata e per la notte precedente, lo shock per le ultime scoperte lo avrebbe tenuto sveglio tutta la notte. Invece, cullato dal respiro regolare di Ethan nel proprio letto e dal calore di Alicia accanto a lui, crollò in un sonno profondo e senza sogni.


La mattina seguente avrebbe richiesto tutta l’energia possibile.
 







Ok ok lo so… Marc, prima le prometti che aspetterete insieme e poi ti addormenti??? Eh dai, capitelo. Salva ragazzini in difficoltà, ma è umano anche lui. ;)
Alla prossima, sperando che abbiate ancora voglia di stare al computer nonostante il caldo, il sole, il mare o qualsiasi alternativa allettante vi si presenti.

cup of tea <3

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Capitolo 9
*** Bruschi risvegli ***


Buooooongiorno!

Lo so, lo so… è passato un secolo dall’ultimo capitolo, sono imperdonabile! Probabilmente questo mio ritardo nella pubblicazione entrerà nei Guinness dei Primati.

Però, se state leggendo questa nota, probabilmente vuol dire che nonostante tutto non mi avete ancora abbandonata, e ve ne sono grata.

Se potessi entrare nello schermo del mio Pc e uscire dal vostro, vi abbraccerei uno per uno, soprattutto i veterani che continuano impavidi e instancabili a leggere e recensire fin dai tempi del primo capitolo. Siete fantastici e preziosi, proprio come i vostri consigli e il vostro supporto.

Ma abbraccerei anche chi legge silenziosamente, perché quelle quasi 300 visite sono un grande regalo.

E, ancora, abbraccerei chi segue, ricorda o preferisce: siete dei pazzi, ma mi riempite il cuore di gioia.

Purtroppo, però, non sono ancora abile con la smaterializzazione, perciò vi dovete accontentare solo di un abbraccio virtuale, di quelli che stritolano, e di un enorme, sentito e profondo GRAZIE.

Siete insostituibili!

 







CAPITOLO 9 – BRUSCHI RISVEGLI



Se Marc avesse dovuto stilare una lista delle 10 Migliori Dormite Della Sua Vita, quella della notte appena trascorsa sarebbe sicuramente stata sul gradino più alto del podio.

Il solo fatto che le notti precedenti erano state tormentate da incubi, cattivi pensieri e dal setto nasale deviato di Ethan, che russava forte come uno di quei trattori che si usavano una volta, sarebbe stato sufficiente a farla passare in vantaggio, ma, inoltre, questa appena passata era stata una notte il cui punteggio sarebbe comunque salito alle stelle per un dettaglio non indifferente: una bella ragazza era distesa al suo fianco, cosa che non accadeva da un po’, e, ancora più importante,  non era una di quelle prepotenti e direttive come Charlize.

Bum. Bum. Bum.

Quelli sarebbero stati certamente i tamburi all’inizio dell’inno nazionale, mentre quella Notte starebbe ricevendo la sua medaglia d’oro dalle mani di Marc e starebbe salutando il pubblico in delirio. Quello che però non avrebbe avuto senso sarebbe stato il fatto che il pubblico starebbe urlando “Marc, Marc!”, invece di incitare la vincitrice.

Probabilmente sto sognando, pensò Marc e ne ebbe la conferma quando sentì un paio di mani gelide e fragili spingerlo giù dal letto mentre altre due, decisamente meno delicate, lo stavano schiaffeggiando insistentemente  in piena faccia.


Oh, un risveglio del genere mette di sicuro in discussione il verdetto dei giudici!


 Pensò, ancora confuso e intorpidito dal sonno, mentre cercava di mettere a fuoco la situazione.

Bum. Bum. Bum.


Questa volta, ai battiti – che aveva realizzato provenire da dietro la porta – si era aggiunta una voce profonda e roca.
“Difensori dell’Ordine e Dell’Equilibrio. Aprite questa porta, o verrà fatta saltare.”


Bum. Bum. Bum.

Bastò questo a rimettere in moto il suo cervello: Marc fece cenno ad Alicia di nascondersi sotto il letto, mentre Ethan si sdraiava di nuovo sul proprio e assumeva una posa che sembrasse il più naturale possibile, aprendo una pagina a caso di “Guerra e Pace”, che aveva trovato sul comodino di Temple, ma non prima di avergli lanciato un’occhiata a metà tra lo stupore e la disapprovazione per la discutibile scelta di lettura dell’amico. Marc in risposta scosse la testa rassegnato e aprì la porta, ostentando nonchalance.

Davanti all’ingresso ora aperto c’erano cinque Difensori, tutti uguali nelle loro divise bianche e tutti incredibilmente massicci e imponenti. Dio solo sapeva quanti ce ne fossero all’esterno dell’ostello, pronti a intervenire al minimo ordine.

“Buongiorno. Vogliate perdonare il nostro abbigliamento da camera, ma sapete, non vi aspettavamo. Avete bisogno di qualcosa?” disse Marc, mostrando un sorriso e uno sguardo falsamente sorpreso.

“Abbiamo un mandato di perquisizione per questa camera.” A parlare era stata la stessa voce roca che aveva annunciato la loro presenza. L’uomo che aveva appena parlato era alto e muscoloso, con capelli e barba così scuri da rendere, se possibile, il suo sguardo ancora più cupo e minaccioso. Marc lo vide lanciare un’occhiata verso Ethan e cambiare espressione, come se avesse riconosciuto una vecchia conoscenza. Anche Ethan doveva essersene accorto, perché cominciava ad agitarsi sul letto.
“Abbiamo ragione di credere che qui si nasconda una ricercata.” Proseguì poi l’uomo.

Marc ne lesse il nome sulla targhetta cucita sul lato sinistro della giacca della sua candida divisa. “Non so di cosa stia parlando, Capitano… si pronuncia come si scrive? Ieskowitz?”
“E’ Aieskowitz, in realtà. E non abbiamo tempo da perdere qui.” Fece un cenno con la testa ai quattro della sua squadra, che irruppero nella stanza. Ethan fu fatto alzare dal letto, mentre blaterava qualcosa sulla violazione di domicilio e protestava deliberatamente mentre i Difensori buttavano all’aria coperte e lenzuola e ribaltavano i comodini e la scrivania. Marc cercava con tutto sé stesso di non guardare nella direzione in cui sapeva esserci Alicia, ma gli riusciva molto difficilmente.

“Signori, come potete vedere ci siamo solo io e il ragazzino, qui.” Cercò di distrarre gli agenti, ma peggiorò la situazione. Ieskowiz gli si avvicinò minacciosamente, mostrando un sorriso beffardo capace di far accapponare la pelle. “Marc Temple, il famoso Cacciatore di Notizie, crede davvero che siamo così stupidi.” Scoppiò in una fragorosa risata, accompagnato dai suoi quattro uomini. “Come sa chi sono?” chiese Marc, ormai non più molto disinvolto. “Oh, noi siamo al corrente di molto di ciò che accade a qui a Grimborough. Credeva davvero che un Cacciatore con la sua fama non sarebbe stato tenuto d’occhio fin dal suo arrivo in città? Mi delude davvero.”

“Capitano, abbiamo trovato questo” disse un agente, porgendo a Ieskowitz il blocco di Marc. Questi cercò di riprenderselo, ma fu bloccato con le braccia dietro la schiena da un altro Difensore.

“Bene, bene, bene. Questo è davvero interessante.” Disse Ieskowitz scorrendo gli appunti; poi, distrattamente si rivolse ai suoi:
“Ora non vi resta altro che trovare la ragazza.” Intanto Marc cercava di liberarsi, ma le mani erano state appena bloccate da qualcosa di metallico e duro. “Andiamo, Temple, non può deludermi due volte nel girò di pochi minuti: come può un Cacciatore del suo calibro usare ancora mezzi così obsoleti come un blocco e lasciarli in giro, così facilmente reperibili?” Marc non perse tempo a rispondere alla provocazione; abbassò, invece, prontamente la testa mentre la pesante copia di “Guerra e Pace” volava nella sua direzione, colpendo direttamente in fronte l’agente dietro di lui e poi tirò un calcio sulle ginocchia di questo, che cadde a terra urlando di dolore. Il lancio di Ethan era andato a buon fine, ma, immediatamente dopo, il ragazzino fu spinto contro il muro e ammanettato, proprio come Temple, che nel frattempo era stato raggiunto e bloccato da un altro agente.

Quegli agenti erano davvero troppo forzuti per credere di poter opporvi resistenza, ma Ethan non voleva demordere e si dimenava facendo appello a tutta la furia possibile. Sapeva che non sarebbe bastato a liberarsi, ma si fermò solo quando Ieskowitz lo afferrò per i capelli e lo costrinse a guardarlo in faccia.

“Ci reincontriamo, ragazzino. Pensavo che l’incendio dell’altro giorno sarebbe bastato come avvertimento, ma evidentemente mi sbagliavo. Fai lo schiavetto per questo pluripremiato Cacciatore, adesso?”

Ethan sputò in faccia al Capitano.

“Credo sia giunto il momento di accompagnare fuori questi signori.” Ordinò Ieskowitz, che tirò fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca e si pulì il viso. “Sì, Capitano.”
 
 


“Aspettate!”

Marc sperò di esserselo solo immaginato, ma non potè fingere di non vedere Alicia uscire dal suo nascondiglio e consegnarsi agli agenti.
“Alicia, che diavolo pensi di fare?!” urlò Marc, ma fu colpito nel fianco da un Difensore e gli si mozzò il fiato in gola.
“Taci, Marc! E’ me che sono venuti a prendere, non voi due. Vi ho trascinato io in questo casino. Ieskowitz, sono qui, verrò con voi senza fare storie, non serve che portiate via anche loro.” Supplicò Alicia, ammanettata a sua volta.
“Oh, signorina, non ho dubbi che verrà senza fare storie. E sono certo anche che i suoi amici saranno lieti di unirsi alla nostra piccola gita.”
Queste furono le ultime parole che Marc sentì, insieme a qualcosa che gli si stava conficcando nel braccio sinistro. Provò un dolore lancinante e poi più nulla.
 


Il buio.
 

Poi la confusione.
 

Si sentiva cullare, poi trascinare, poi sballottare.
 
E poi di nuovo il buio.

 

Dov’era Ethan? E Alicia?
Sentivano anche loro un caldo insopportabile a un braccio?
 

Forse non gli importava veramente… perché ora era un bambino e suo padre era con lui. Durante uno di quei viaggi incredibili di città in città. Suo padre sorrideva e gli stava raccontando le meraviglie del passato.
Distese sconfinate di verde, “alberi” così, si chiamavano. “Vedi, figliolo, questa una volta era una “foresta”!” quello era il termine tecnico. Ma il piccolo Marc riusciva solo a vedere un noiosissimo terreno beige, bruciato dal sole e arido per la siccità. Con qualche arbusto spoglio e rinsecchito. “E qui scorreva un fiume, che quando pioveva si riempiva così tanto da strabordare dal letto e finiva per allagare tutto il territorio intorno.” “Papà, non prendermi in giro! Una cosa così non può succedere!” era seriamente scettico, ma gli piaceva pensare che una volta ci fosse così tanta acqua sul Pianeta, che la gente vi si poteva addirittura immergere. Questo era il suo racconto preferito. Ma tutto quello che riusciva a vedere nel punto in cui suo padre aveva indicato ci fosse stato questo fantomatico “fiume” era un’enorme crepa nel terreno. Una delle tante.

E sentiva caldo. Caldo. Caldo al braccio sinistro.


 
E un bruciore agli occhi.
 
Voleva strofinarseli, ma aveva le mani bloccate. Così li aprì piano piano. La luce era accecante.
 
Si ritrovò sdraiato su un fianco, su qualcosa di morbido, qualcosa in movimento. Ma non riusciva a vedere oltre quelli che sembravano i sedili anteriori di un’automobile. Cominciò ad agitarsi ricordando più o meno gli ultimi avvenimenti, ma non ci volle molto prima che sentisse di nuovo qualcosa che gli si conficcava nello stesso punto sul braccio e il dolore lancinante che seguiva.
 


E di nuovo il buio.
 
 





 
Quando finalmente si svegliò per l’ennesima volta, non sentiva più sotto di sé la sensazione piacevole della poltrona dell’auto. Questa volta era sdraiato su qualcosa di estremamente duro e freddo, decisamente poco comodo e terribilmente umido.
Cercò di mettersi seduto e scoprì con sorpresa che le sue mani erano finalmente libere. Dove prima c’erano le manette, ora c’erano due segni rossi e profondi all’altezza dei polsi.
Se li massaggiò un po’, e fece lo stesso con il braccio sinistro, dove scoprì di avere un grosso livido intorno a quella che sembrava essere la puntura di una siringa.

Infine mise a fuoco il luogo intorno a sé.
Era seduto su un pavimento di pietra, la stessa pietra che caratterizzava l’intera Grimborough. Perlomeno so di non essere stato portato lontano.

Su una parete c’era una finestra senza vetro, solo una griglia di metallo che impediva l’entrata e l’uscita. Da essa filtrava una luce arancione scuro e freddo. Si alzò in piedi e guardò fuori, investito da un’aria pesante e gelida. Doveva essere da poco calato il sole, ma non riusciva a capire se fossero passate ore o giorni dalla mattina in cui Ieskowitz era entrato nella loro camera.

A giudicare dall’altezza che lo separava dal terreno, stimò di trovarsi almeno al quindicesimo piano dell’edificio, il che rendeva inutile qualsiasi tentativo di fuga.

Si girò rassegnato verso la porta di quella che ormai aveva capito essere una cella di tutto rispetto. Era fatta di un metallo pesante ed era sollevata di qualche centimetro dal pavimento, il che spiegava come fossero riusciti a entrare i due topi che gli stavano facendo compagnia da quando si era svegliato. Sulla porta c’era anche un piccolo oblò, apribile sia dall’interno che dall’esterno, probabilmente serviva per passare il cibo ai detenuti, sempre che gli agenti si premurassero di dar loro da mangiare. Lo aprì e guardò fuori. Con un po’ di fortuna Ethan e Alicia potevano benissimo trovarsi a qualche cella dalla sua, sempre che fossero stati portati nello stesso posto. Invece, si ritrovò di fronte un uomo, seduto su una sedia proprio davanti alla sua cella, che sembrava stesse solo aspettando quel momento.



“Buongiorno Temple. Dormito bene?”

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Capitolo 10
*** Visite dal passato ***


Ci siamo, gente. Capitolo 10!

Prima di lasciarvi alla lettura, ringrazio tutti come al solito.
Questa volta, però, oltre a tutti voi che leggete, recensite, seguite e preferite, devo ringraziare una persona in particolare:
_ivan , il cui aiuto è stato davvero prezioso per questo capitolo.
Non solo si è reso disponibile a farmi da beta (credo si dica così..) ma ha contribuito a rendere il mio testo ben più ricco e curato.
E, per di più, ha fatto tutto ciò alla velocità della luce, ma non per questo facendo le cose di fretta. C’è molto di suo nelle righe che seguono, ci terrei che lo teneste a mente. Magari date un occhio alle sue storie, meritano davvero! Io le adoro.


Cup of tea
 








 
 

CAPITOLO 10 – VISITE DAL PASSATO





[…Invece, si ritrovò di fronte un uomo, seduto su una sedia proprio davanti alla sua cella, che sembrava stesse solo aspettando quel momento.
“Buongiorno Temple. Dormito bene?”]



L’uomo che aveva appena parlato si alzò in piedi, appoggiandosi ad uno scuro bastone da passeggio. Era vestito elegantemente e non sembrava troppo anziano, ma probabilmente dimostrava meno anni di quanti ne avesse in realtà. Senza dubbio, pensò Marc, tutta quella massa grassa che lo avvolgeva doveva essere il frutto di anni di abbuffate o, semplicemente, una delle conseguenze della sua grave zoppicatura. Ciò che era certo, comunque, era che tutto quel grasso vanificava il goffo tentativo di migliorare l’aspetto con tinte scure e quelli che sembravano ripetuti interventi di chirurgia estetica. L’odore della sua colonia era talmente forte da pungere le narici di Marc, nonostante la distanza: Temple arricciò il naso, disgustato sia dalla situazione che dall’uomo che aveva di fronte.
 
“Non fare quella faccia, Marc. Non mi riconosci? Io e te ci siamo già incontrati in passato, non ricordi?”
Marc fissò negli occhi quell’uomo pusillanime e viscido che gli sorrideva beffardo. Qualcosa gli sembrava familiare, ma non riusciva a mettere a fuoco chi potesse essere.

“Non so di cosa stia parlando, signore. E non sono neanche sicuro che mi interessi. Voglio solo uscire di qui e ritrovare i miei amici.”

“Oh, stai pure tranquillo, Marc. I tuoi amici stanno bene… se si può dire così. Ma ti consiglio di metterti comodo, perché ho intenzione di raccontarti una storia. E’ questo quello che fai, non è così, Marc? Tu vai a caccia di storie, e guarda dove questo ti ha portato. Non tutto può essere spifferato al mondo, Marc, ora non puoi lamentarti di dove ti trovi. Comunque, sono così dispiaciuto che non ti ricordi di me, che mi sembra un peccato non riportarti alla mente il nostro precedente incontro, Marc.”

Temple trovava estremamente irritante l’insistenza con cui quel signore ripeteva il suo nome. Decise quindi concentrarsi sui suoi occhi più che sulle parole: quegli occhi, oh, gli erano tremendamente familiari. Taglio a mandorla e iride così scuro da confondersi con la pupilla ma, se si guardava con più attenzione, si poteva notare chiaramente una fitta venatura rosso sangue. Occhi così non si potevano dimenticare facilmente… e solo una persona di sua conoscenza ne era il proprietario. Eppure, il corpo non corrispondeva all’uomo che Marc credeva di aver individuato, perciò accettò il consiglio ricevuto e si rassegnò ad ascoltare ciò che aveva da dirgli.

“Fammi fare un rapido calcolo, Marc. Quanto tempo è passato? Da quanti anni sono in carica? Vuoi dirmelo tu, Marc?”

In carica? Dio, quello non può essere il Sindaco… almeno, non QUEL Sindaco – il Sindaco eletto ventisei anni fa – il Sindaco Frerrer.

Eppure doveva essere lui. Per quanto diceva la stampa, il sindaco attuale di Grimborough era lo stesso che fu eletto quando, con suo padre, era andato a Grimborough per scrivere del suo ingresso in carica. Marc era certo di non essersi perso nel frattempo l’elezione di un nuovo sindaco, perché aveva seguito la scena politica di Grimborough attentamente, soprattutto negli ultimi mesi. Allora perché l’uomo che aveva di fronte non era affatto uguale fisicamente a quello ritratto nelle fotografie sui giornali? Gli occhi erano decisamente quelli di un tempo, perciò non poteva che essere lui.

“Allora, Marc?”

“Lei è il Sindaco Frerrer, non è così?” azzardò Temple.

“Sapevo che eri perspicace. Ti ricorderai, allora, dell’affascinante articolo che scrisse tuo padre sulla mia ascesa.”

“Avevo otto anni, non sapevo nemmeno cosa fosse la politica. Non l’ho mai letto, né mi è mai venuta voglia di farlo negli anni successivi, considerato il dolore che mi causa il ricordo della scomparsa di mio padre. Ovviamente ho colmato quella lacuna leggendo negli anni altri articoli su di lei.” Ora Temple si sentiva confuso. Cosa c’entravano adesso suo padre e un articolo così vecchio?

“Beh, Marc, è un vero peccato che tu non l’abbia mai letto, perché non saprai mai cosa tuo padre aveva scoperto. L’unica copia esistente era la bozza su cui stava lavorando e fu preventivamente eliminata prima della sua pubblicazione. Dev’essere un vizio dei Temple immischiarsi in faccende che non li riguardano.”

“Non capisco, cosa avrebbe scoperto di così pericoloso per lei?”

“Vedi Marc, sarò magnanimo con te.” Disse Frerrer muovendosi d’un passo dalla sua posizione, per dare un po’ di tregua alla gamba buona.“In poco più di una settimana ti sei macchiato di reati vergognosi che non posso ignorare. Nascondi una fuggitiva, resisti alle autorità… non posso permettere che uno come te crei scompiglio nella mia tranquilla cittadina.”
Marc sbuffò un sorriso, incredulo. “Tranquilla cittadina? Ha voglia di prendermi in giro.” Disse. “C’è più marcio qui che nelle vecchie fogne.”
 
 “Non interrompermi, Marc. E’ maleducazione. Come stavo dicendo, temo non ti rimanga molto da vivere, e credo che questo lo potessi supporre anche tu, viste le severe punizioni che riserviamo alle persone come te. Ma mi sembra una cosa orribile lasciarti andare via senza averti presentato una persona. Magari lui saprà schiarirti le idee. Temple?”

“La sto ascoltando.” Sbottò.

“Oh, non tu, Marc. Lui.”


A Marc si fermò il respiro. A un rumore di passi lenti che si avvicinavano seguì l’arrivo di un agente che indossava un’uniforme bianca molto simile a quella che portavano i Difensori. Frerrer si spostò non senza fatica, per lasciare spazio al nuovo arrivato di fronte alla finestra della cella.

“Marc, credo non serva che ti presenti Grant Temple.”

Quando riconobbe i tratti di quel volto così familiare, Marc sentì sparire la terra sotto ai suoi piedi, sconfitto dall’emozione. Quello era l’uomo di cui aveva sempre temuto il ricordo. I suoi capelli chiari e la sua pelle leggermente dorata stonavano con i tratti gelidi tipici degli abitanti di Grimborough. Quelle erano le inconfondibili caratteristiche proprie di qualsiasi persona proveniente da Monroeville. Marc, ammutolito ed esitante, si avvicinò alla piccola finestra senza distogliere gli occhi dall’uomo che stava dall’altra parte neanche per un momento. Non poteva essere lui. Suo padre era morto, ventisei anni prima… e neanche a Grimborough avevano ancora inventato chissà quale stregoneria in grado di riportare in vita i morti. Allungò un braccio fuori dall’apertura e sfiorò, insicuro, il viso di suo padre, che poteva facilmente essere il proprio, invecchiato di qualche anno. Ne seguì i lineamenti con le dita: prima la fronte segnata da rughe scavate dal tempo e dalla preoccupazione, poi scese lungo le sopracciglia folte e giù lungo il naso fino alle labbra, serie e bagnate dalle lacrime appena nate. Marc ne sentì scorrere una sulla propria guancia e si ridestò solo quando questa ebbe raggiunto il mento. Ritrasse la mano e si passò il dorso sulla guancia rigata.

“Figliolo.” Disse l’uomo, con la voce affaticata di chi sostiene un mondo sulla propria schiena. Marc non rispose. Sentiva che non poteva essere vero, che quello doveva essere un trucco, una trappola della quale non conosceva lo scopo. Oppure lo avevano di nuovo drogato e quella era solo un’allucinazione. Arretrò e allontanandosi spaventato dalla porta finì con lo sbattere la schiena contro la parete opposta. I due topi corsero via squittendo nel sudiciume, disturbati dai piedi di Marc.

“Marc” riprovò Grant, ma anche questa volta non ottenne nessuna risposta.

“Bene, suppongo che vi serva un po’ di tempo. Vi lascio soli, tanto né tu né lui potete andare da nessuna parte.” Così dicendo, Frerrer si congedò e per qualche minuto l’unico suono che si sentì riecheggiare nel corridoio fu quello dei suoi passi strascicati e del suo bastone da passeggio che puntellava come uno zoccolo la pietra del pavimento.

“Marc.” Questa volta la voce di Grant suonò più decisa.

“Ventisei anni.” Fu l’unica cosa che Marc ebbe voglia di dire. “Ventisei fottutissimi anni. Io ti credevo morto, ti ho visto quando ti hanno portato via le guardie! E invece in tutto questo tempo tu eri qui, vivo e vegeto… e  lavori per loro, addirittura!”

“Lo so, m-“

“No! Non lo sai!” La voce del giovane Temple riecheggiò tra i corridoi delle prigioni, perdendosi negli angoli più bui. “Non sai cosa ho passato in questi anni! Ero solo un bambino! Sono tornato a casa pensando di aver perso l’unica persona al mondo a cui volevo bene, dopo aver perso la mamma solo qualche anno prima! Perché? Perché mi hai fatto questo?!”Marc attraversò in lacrime la cella. Con rabbia cominciò a sferrare i primi pugni contro la porta, che vibrò con rumorosi clangori.
 
“Marc, ora devi calmarti.”

“Calmarmi?! Non so nemmeno chi sei, non sei l’uomo che credevo mio padre! Lui lottava per la giustizia, non sarebbe mai passato dalla parte di qualche squilibrato a cui piace la scienza! Dio, non sei nemmeno di Grimborough, perché lavorare per il suo sindaco?!”

“Marc, ci sono cose che non scegliamo perché ci va di farlo. A volte bisogna fare ciò che è necessario.”

“Ed era necessario abbandonare un bambino di otto anni a sé stesso, senza spiegazioni, per seguire la tua nuovissima vocazione?!”

“Non pretendo che tu mi perdoni per averti lasciato. Sappi però che l’ho fatto perché era giusto così.”

“Continuo a non capire.” Rispose frustrato Marc.

“Non importa, quello che ci interessa adesso è che domani subirai un processo, poco importa se giusto o no, e non servirà a nulla dire qualcosa a tua discolpa. Ti condanneranno. Ora, utilizza bene questa lunga notte e ragiona sul da farsi: i tuoi amici faranno lo stesso, per lo meno lo farà il ragazzino. Ho avuto modo di vedere anche loro prima di vedere te.”

“Li hai visti?! Alicia sta bene?! E Ethan?!”

“Oh, il ragazzo è forte, è solo un po’ ammaccato. Lei invece… non se la passa troppo bene.”

No, Alicia.

Un allarme sonoro li interruppe, intermittente come il suono di una sveglia. Grant guardò il cercapersone. “Il nostro tempo è scaduto. Hanno bisogno di me giù di sotto. Abbi cura di te, Marc, e… non permettere che questo scempio continui a Grimborough.”

Abbandonato alla ferocia dei suoi pensieri, Temple poggiò una spalla alla porta e, stremato, si lasciò scivolare a terra.
 

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