Goodbye

di Hymn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** May the odds be ever in your favor ***
Capitolo 2: *** I'll never come back ***
Capitolo 3: *** Sixty, Fifty-nine, Fifty-eight ***
Capitolo 4: *** Happy Hunger Games! ***
Capitolo 5: *** Memento Mori ***
Capitolo 6: *** Sorrow&Hope ***
Capitolo 7: *** The beginnin of the End ***
Capitolo 8: *** Grain Field ***
Capitolo 9: *** Struggle ***
Capitolo 10: *** Rage and Love ***
Capitolo 11: *** I Love You; I Love You Too ***
Capitolo 12: *** Semper Fidelis ***
Capitolo 13: *** It's all over ***
Capitolo 14: *** Per sempre ***



Capitolo 1
*** May the odds be ever in your favor ***


« ... dei giovani coraggiosi, dai dodici ai diciotto anni di età... »
 
Ogni anno, era la stessa, identica storia.
La solita donna, la stessa da lunghi anni, sorrideva tranquillamente di fronte alla folla, che aspettava con gelido silenzio i nomi delle due annuali vittime, destinate, come da anni era, alla morte.
I partecipanti degli Hunger Games, del distretto dodici... Erano quelli destinati a morte certa.
Solo due edizioni erano state vinte da qualcuno proveninente dalla riserva di carbone di Capitol City.
Su uno schermo, iniziarono a scorrere le ormai familiari immagini; la colpa del distretto... Dell'ex distretto tredici, fu la motivazione sufficiente per Capitol City. Gli Hunger Games servivano esclusivamente a ricordarci il nostro destino. Quello di semplici pedine. E nessuno, ancora, aveva avuto il coraggio di ribellarsi allo stato delle cose.
Ma chi avrebbe avuto il cuore di portare il proprio distretto a rovina certa? E, come minimo, di peggiorare la crudeltà che già da sessantotto anni avvolgeva i dodici distretti rimasti?
 
Un attimo di silenzio, bastò a riportarmi alla realtà delle cose.
La Mietitura, di nuovo, stava per avere inizio. Il mio nome, nella boccia dei ragazzi, compariva molte meno volte di altri miei coetanei diciottenni, che troppe volte avevano aggiunto alle centinaia di biglietti altri recanti il loro nome, in cambio di cibo per la propria famiglia. Cibo che a volte, bastava giusto giusto per pochissimo tempo.
La donna, con un sorriso nauseabondo stampato in faccia, si diresse verso l'urna delle ragazze... E come ogni anno... 
 
« ... Le ragazze, per prime... »
 
La sua mano si tuffò in quella marea di biglietti, piegati alla perfezione; ed infine, ne artigliò uno.
Con passo baldanzoso tornò al microfono, e con fare teatrale portò quella striscia di carta, salvezza di molti e condanna di un singolo, ad altezza della sua fronte. Sembrava stesse tributanto qualcosa a qualche divinità.
Un lievissimo fruscio, ed infine, inspirò.
Con voce squillante, urlò al pubblico il nome designato come sessantottesimo tributo femmina del distretto 12.
 
« ... Ashlynn Graceling... »
 
Un brusio, ed infine centinaia di occhi che si voltarono verso il gruppo delle ragazze destinate al divenire tributo; e, come sempre accadeva, il gruppo si diradava, lasciando al centro di un circolo lo sventurato, o la sventurata. E fu facile individuare, in questo modo, la ragazza prescelta.
I capelli, di un castano dorato, raccolti in una crocchia; un corpo snello e longilineo, un seno non troppo pronunciato. Era magra, ma non una magrezza che stucca. Decisamente una bella, senza dubbia attraente ragazza. Destinata, per sua sventura, alla morte.
Si incamminò con passo claudicante verso il palco, improvvisamente scortata da due uomini di Capitol City; la donna dal falso sorriso, si congratulò con lei, per poi chiederle quanti anni avesse. E da quel filo di voce amplificato dal microfono, la platea scoprì che aveva 17 anni. 
 
« E adesso, i maschietti! »
 
Di nuovo la sua mano artigliò, questa volta dall'urna dei ragazzi, un altro bigliettino; nuovamente, il destino di un singolo ragazzo, era appeso al nome contenuto in quel pezzo di carta straccia.
 
« Shaw Bladderwrack! »
 
Un brusio, questa volta, dalla parte dei ragazzi.
Brusio a cui la mia voce non partecipò. Decine di occhi si voltarono verso un punto dell'ala maschile, dove stavano i ragazzi diciottenni. I ragazzi che partecipavano per l'ultima volta alla mietitura. Stando al regolamento, solo coloro che avevano dai dodici ai diciotto anni compresi, potevano partecipare. I diciannovenni erano esclusi automaticamente dalla mietitura, e potevano finalmente tornare a vivere più o meno serenamente i rimanenti anni di vita, preoccupandosi esclusivamente di non morire di fame.
Quel giorno, mancavano appena una manciata di settimane al mio diciannovesimo anno di età.
E quel giorno, la buona sorte, non era dalla mia parte.
Shaw Bladderwarck, ero io.

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Capitolo 2
*** I'll never come back ***


« Torna a casa, Shaw. »

Improvvisamente, un boato; tutto divenne nero, poi rosso, con alte lingue di fuoco che salivano vorticosamente verso il cielo, anch'esso di un colore vermiglio, simile a... Simile a sangue.
Mi sveglia di soprassalto, il volto imperlato di microscopiche gocce di sudore. Le mani avevano afferrato saldamente il lenzuolo del mio letto; un letto anonimo, che avrei visto solo in quell'occasione. E probabilmente, mai più.
Solo in quel momento ricordai, come se fosse facile dimenticarlo, dove mi trovavo. Il dolce sobbalzare del treno sulle rotaie cozzava prepotentemente contro l'apatia che mi aveva colto subito dopo la Mietitura.
Il mio destino, era già segnato. Dentro di me speravo di poter tornare, alla conclusione dei Giochi, al mio distretto, rendendolo privilegiato per l'anno seguente. Questo avrebbe significato, tuttavia, uccidere Ashlynn; sperai che qualche altro Tributo la uccidesse prima di me.
Dodici distretti, ventiquattro tributi. Quale era la mia speranza di rimanere in vita? Mi lasciai sfuggire un sorriso amaro, che di gioia non aveva neanche l'ombra.
Quindi, una voce oltre la porta.

« Esci da que-quella came-mera, ragazzo. Ci-ci siamo.. »

Il sorriso sul mio volto divenne una smorfia; Haymitch, il nostro mentore. Un uomo ubriaco, che era il vincitore dei cinquantesimi Hunger Games, il secondo e ultimo vincitore, fino a quel momento del Distretto Dodici.
Sarebbe stato lui il mediatore a Capitol City, tra "noi" e i nostri eventuali Sponsor. Gli sponsor, per i tributi, rappresentavano spesso l'unica ancora di salvezza, avendo loro la possibilità di inviare ai propri pupilli oggetti di cui, generalmente, c'era assoluto bisogno.
In lontananza, come potei notare dal vetro, si stagliava, finalmente, Capitol City.

* * *

Mi lasciai sfuggire un gemito, quando un pettine iniziò a snodare i miei capelli ribelli; la lunga coda che portavo fino a mezza schiena... Ammetto che l'avevo sempre curata poco; non era nelle mie priorità essere vanitoso. La priorità numero uno, nel Distretto Dodici, era sopravvivere.
E fu così che, per svariate decine di minuti ogni centimetro quadrato del mio corpo fu lavato a dovere, perfezionato da mani esperte di persone fin troppo silenziose; non che io, personalmente, avessi voglia di parlare. Certo era che potevano in qualche modo alleviare le sofferenze, più che altro psicologiche, di noi poteri agnelli da macello. Perché questo eravamo, per gli Strateghi.
Tuttavia tutte quelle attenzioni, l'acqua tiepida che scorreva sul mio corpo, fu sufficiente a farmi sciogliere i muscoli, e liberarmi in parte dalla tensione del momento. 
In quella che mi parve un'infinità, la toilettatura era finita.
Come se non bastasse al mio imbarazzo, una delle donne che aveva in parte contribuito al mio "lavaggio", si complimentò; mai, secondo lei, aveva visto dei capelli così belli (una volta ordinati, si intende). Lisci, neri, che a tratti sembravano blu. Optò per legarli in una coda, tenendola bassa, all'altezza delle spalle.

« Adesso ti portiamo da Chloè, così concluderai i preparativi per la parata, bel ragazzo! »

Guardai la donna con sguardo interrogativo, mentre assicuravo bene l'accappatoio in vita; solo dopo la mia mente partorì l'immagine di una donna, capelli color del rame, di una bellezza rara. Era la mia stilista, probabilmente. Rabbrividii, ricordando alcuni dei vestiti che furono prodotti per rappresentare il Distretto Dodici alla Grande Parata. Una volta, i due tributi (e non li invidiavo per niente), furono obbligati a percorrere la sfilata ricoperti di polvere di carbone. Completamente nudi. E l'idea, non mi piaceva affatto.
Sperai che tutta quella fanfara, quell'allegria stucchevole, finisse in fretta.
 

* * *

Su quel carro, accanto ad Ashlynn, mi sentivo un pesce fuor d'acqua. I nostri stilisi, lo stesso Haymitch, ci consigliarono di mostrare una certa spavalderia, sperando di far colpo sul pubblico, e quindi indirettamente, sugli sponsor. Io e Ashlynn, non sapendo bene come comportarci, pensammo che una certa indifferenza alla cosa, qualche rapido cenno di saluto verso il pubblico... Forse un simile atteggiamento poteva farci sembrare degli ossi duri; o almeno, così sperammo.
I vestiti che Chloè e Amaranth ci avevano procurato, beh, non erano poi così male. Non erano proprio il massimo, ma nell'insieme erano buoni. Colori complementari; per lei, una gonna nera, stretta in vita e più ampia sul fondo, svolazzava al trotto dei cavalli; sopra, una camicia simile nelle forme, ma di colore più sul rosso, con numerose sfumatore dal rosso più chiaro al rosso più scuro. Stretta al busto, accentuando le curve del seno di Ashlynn, più larga in vita, da una parte era più lunga, con un taglio obliquo, e non il solito orizzontale. 
Il mio vestito, un semplice abito da cerimonia, aveva le stesse colorazioni, solo invertite per i pantaloni e la giacca. I capelli erano stati acconciati in modo che, stando vicini, risaltasse molto la differenza di colore; i miei neri, i suoi castani dorati.
La notte ed il giorno.
Sorridendo per farci coraggio a vicenda, consci di ciò che stava per accaderci a pochi giorni di distanza, ci mettemmo schiena a schiena. La mia coda sul suo petto, la sua sul mio, in un mix di nero e oro che sembrava mescere le nostre persone.

« And may the odds be ever in your favor! »

L'ironia di quella frase mi scuoteva i pensieri, mentre procedevamo lungo il viale, pronti per ricevere il comune discorso d'inizio dei Giochi. Un'onda anomala di folla accompagnava noi e gli altri ventidue tributi al centro dello spiazzo in cui i carri si sarebbero fermati.
Mi parve di udire qualcuno chiamare i nostri nomi; una speranza mi brillò nel petto. Forse c'era davvero la possibilità che la sorte fosse in mio favore, o al limite, in favore di Ashlynn. Che vincessi io, o che vincesse lei, il nostro distretto, per un anno, avrebbe avuto vita più facile.
Solo che, per una famiglia, la vita non sarebbe affatto stato più facile.

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Capitolo 3
*** Sixty, Fifty-nine, Fifty-eight ***


« Torna a casa, Shaw »

Di nuovo, un incubo; da quando ero giunto a Capitol City avevo iniziato a soffrire d'insonnia. O meglio, insonnia dovuta ad una serie di incubi che mi perseguitavano in quelle poche ore di sonno che riuscivo a raccimolare durante la giornata.
Lungo i miei occhi, al di sotto delle palpebre, si erano fatte sempre più strada le chiazze scure tipiche delle occhiaie; avevo un'aria stanca, spossata.
L'unica cosa che di me rimaneva lucente erano i capelli.
Era proprio il loro colore, nero corvino che talmente era scuro da sembrare blu, che mi aveva "caratterizzato" alle interviste con Caesar, facendomi meritare il soprannome di "black swan", cigno nero.
Ammetto che di cigno, forse, qualcosa avevo. Non ero massiccio come i Favoriti, ma ero sicuramente più piazzato dei miei compagni (o vittime?) dei distretti più sfortunati; come ogni anno, gli unici che sembravano potersi veramente allenare per i Giochi erano i tributi dei Distretti Uno, Due e Quattro.
Sorrisi amaramente, guardandomi allo specchio.
Gli occhi, prima dotati di una certa spensieratezza che riluceva nel verde della mia iride, adesso erano svuotati.
Davanti a me cosa c'era, se non la certezza della morte, mia o degli altri?
Anche Ashlynn era peggiorata, cercando tuttavia di mantenere una sua dignità.
Era un po' dimagrita, ma manteneva alto il portamento.
E nonostante fossimo gli "svantaggiati", al Centro di addestramento, si era guadagnata la fiducia di un gruppetto di tributi dei Distretti undici e nove; agricoltura e caccia; sicuramente utili, nel riconoscimento di eventuali piante commestibili, o per sfuggire agli altri tributi.
E prima e poi, noi saremmo diventati le loro prede... Ma non ci volevo pensare, non era il caso.
Era già difficile di suo la situazione, ormai non mi restava altro che accettarla.
Così facendo, abbracciavo già l'idea della morte. Mia e di Ashlynn.

« May the odds be ever in your favor. » - mimai con la bocca lo slogan dei giochi, nel tentativo di infondermi sicurezza. Il risultato fu una smorfia di disgusto per tale assurdità. Tutti odiavano Capitol City, sin dalla distruzione del Tredici. Sperai che, prima o poi, le cose sarebbero cambiate.
Guardai la sveglia sul comodino; erano appena le due di notte.
Altre sei ore, e i giochi sarebbero cominciati.
Mi sedetti sul letto, accendendo il muro panoramico, così lo avevo chiamato. Con i tasti del telecomando annesso arrivai a scegliere come sfondo un'ambiente a me gradito, sperando mi conciliasse il sonno. Quasi potevo udire lo scorrere dell'acqua nel letto del fiume circondato dagli alberi.
Un falso sole splendeva alto nel cielo.
Ripensai all'ultima settimana. Il centro d'addestramento mi aveva permesso di distrarmi, sfogando la mia rabbia e frustrazione sulle discipline che potevano servirvi. Non ero portato nel corpo a corpo, tendevo a fuggire.
Cercai di mandare a mente i nomi di quante più piante velenose possibili, ed imparando a maneggiare un'alabarda. Non sapevo dire se sarei poi effettivamente stato capace di usarla per uccidere qualcuno, ma almeno avevo modo di tenere alla larga i tributi.
E, senza volerlo, si era creata una specie di alleanza; Ashlynn, io, Maximme e Gladius. Maximme era una giovane quattordicenne, del Distretto Undici; nel centro di addestramento si era dimostrata valida nel riconoscimento di piante mediche, mentre Gladius, del Distretto Nove eccelleva nel piazzare trappole e nel tiro con l'arco. 
Speranza... Quella scintilla di speranza che si era accesa durante la sfilata, permaneva in fondo alla mia mente.
Ed infine, tornai ad addormentarmi. 

***

« TRENTA, VENTINOVE, VENTOTTO... » 

L'arena, noi ventiquattro Tributi radunati in cerchio intorno alla Cornucopia, che svettava dorata sul piccolissimo altipiano in cui ci trovavamo.
L'arena erano divisa in due settori; da una parte, foresta. Dall'altra, una specie di palude.
Cercai con gli occhi Ashlynn, Maximme e Gladius; incrociai i loro sguardi. Avevano intenzione di correre alla Cornucopia. 

« VENTISETTE, VENTISEI, VENTICINQUE... »

Individuai un giavellotto ed una piccola alabarda con una sola lama; sorrisi leggermente.
Inoltre, la mia attenzione fu catturata da uno zaino, verde scuro, che sembrava ricco di chissà cosa. Decisi che sarebbe stato mio.
Mi sistemai meglio i pantaloni della "divisa", verdi e gialli per questa edizione. Ero pronto allo scatto.
Adesso si trattava di un semplice equilibrio. Correre, Fuggire.
Vivere... O morire.

__________

Nota dell'autore: mi scuso per il ritardo, ma sono molto preso dagli esami per l'università.
Spero che il capitolo vi piaccia; e spero di riuscire ad avere una certa regolarità con la pubblicazione.
May the odds be ever in your favor!
Hymn

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Capitolo 4
*** Happy Hunger Games! ***


« DIECI, NOVE, OTTO... »

Il mondo, almeno per me, divenne silenzioso; anzi, ovattato sarebbe stata la parola giusta.
Un altro suono accompagnava gli ultimi secondi che ci separavano dalla carneficina, nostra o degli altri.
Il cuore mi batteva all'impazzata, riempiendomi le orecchie con la sua pressione, e facendomi pulsare anche parti del corpo che mai avrei pensato potessero risentire dell'aumento del ritmo cardiaco.

« TRE, DUE, UNO. »

Il mondo tornò al suo solito rumore, ed improvvisamente mi ritrovai a correre all'impazzatava verso la Cornucopia, che svettava rassicurante e pericolosa davanti a noi.
Rapidi sguardi accanto a me, e notai come i miei compagni si fossero lanciati anch'essi all'impazzatava verso il centro del grosso corno, mirando alle armi.
A metà strada, mi abbassai per tempo, afferrando quello zaino che avevo puntato già dall'inizio; mi ritrovai faccia a faccia con un tributo, forse del Distretto Sei, forse del Sette... Non avrei saputo dire chi fosse. Non avevo seguito né le interviste, né i punteggi ottenuti alle prove d'addestramento.
Per me era troppo surreale.
Ci guardammo negli occhi, lessi nei suoi il terrore della morte, e riflesso nei miei c'era sicuramente lo stesso pensiero.
Un attimo di esitazione, ed entrambi continuammo la nostra corsa. Lui verso la foresta, io verso quell'alabarda che sembrava poter rappresentare per me l'unica ancora di salvezza in quell'arena devastante.
Osservai, sorridendo, come Gladius fosse già arrivato alla Cornucopia; abile cacciatore, aveva un'ottima prestanza fisica, ed era alquanto agile.
Afferrò, come avevo previsto, o meglio immaginato, arco e faretra.
E celere si girò verso l'orda di tributi che si stava avvicinando. Distolsi lo sguardo, pensando che, un giorno o l'altro, forse anche io avrei ricevuto una delle sue mortali frecce dritta nella giugulare. O forse lui avrebbe incrociato nella sua impresa la lama della mia alabarda.
Riuscii a tranquillizzarmi solo quando le mie dita si chiusero attorno all'asta metallica; era dello stesso peso di quelle nel centro addestramento, anche se sembrava terribilmente più affilata e mortale.
Fu il mio turno di fare dietrofront, questa volta. Dovetti evitare di scontrarmi con diversi tributi, correndo in quel piccolo spazio morto che si venne a creare dietro Gladius; le sue frecce avevano già incontrato qualcuno? O più che altro, quel qualcuno era scappato prima di incappare nella punta dei dardi?

« Foresta. »

Accanto a me era comparsa, rapida come un fulmine, Ashlynn; annui, ed iniziammo a correre velocemente verso il riparo sicuro di quegli alti alberi, che sembravano così simili a quelli al di fuori della recinzione del Distretto Dodici; con la mente corsi a casa, a quando fantasticavo di poter uscire indisturbato dal distretto, e scappare alla miseria che da troppi anni aleggiava sulle nostre vite.

***


« Ci siamo tutti, per fortuna. »

Sorrisi, guardando le facce degli altri quattro compagni di squadra. Nessuno aveva subito ferite gravi; io avevo giusto qualche abrasione la dove avevo sfregato o urtato ostacoli nel sottobosco. Ashlynn aveva un taglio lungo la guancia, infertole da un tributo poco prima che una delle frecce di Gladius gli colpisse la spalla, obbligandolo alla fuga.
Maximme invece, dopo aver afferrato due zaini, era subito fuggita, senza arrivare a incontrare nessuno dei tributi che ancora stavano correndo verso la Cornucopia. Sarei stato contento, se avesse vinto lei.
Inoltre si era già messa in cerca di piante utili per rallentare emorragie o sfiammare parti lese; voleva farsi una scorta di medicamente naturali per i giorni a venire. E senza dubbio, era un aiuto ben gradito.

« Per ora ne sono morti cinque. »

La voce di Glaudius fu seguita dal silenzio più assoluto. Sì, tutti avevamo sentito cinque colpi di cannone, mentre correvamo verso la foresta. Ed ogni colpo, era sempre un mix di gioia e dolore. Perché noi dovevamo pagare colpe che, probabilmente, a Capitol City nessuno già più ricordava?
Mentre pensavo a questo, non potei fare a meno di notare che Gladius aveva estratto dalla faretra una freccia, per lucidarla.
E dalla punta di quella freccia, lentamente, cadde a terra una piccola goccia di sangue.

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Capitolo 5
*** Memento Mori ***


Plic.

Quindi è questo il rumore del sangue al momento che impatta sul terreno. Guardai apatico Gladius che ripuliva la sua freccia, prendendo poi un filo d'erba per verificarne ancora l'affilatura. E sì, era molto affilata. Tagliente. Letale.
E altrettanto letale era lui. Fui soddisfato di averlo scelto come alleato, almeno per i primi periodi di gioco.
Ashlynn non sembrava della stessa opinione, o almeno non dimostrava agli altri se pensava qualcosa di simile a me.
Infatti, quando Gladius notò il mio sguardo sulla freccia, mi squadrò leggermente, un po' preoccupato.
Un sorrisetto, e la scintillante freccia sprofondò nuovamente tra le gemelle, altrettanto letali, nella faretra.

« Non sono orgoglioso di quel che ho fatto. » - fu proprio Gladius ad intervire nuovamente, riportando alla realtà i miei pensieri.
Sorrisi leggermente, non pensavo affatto che fosse orgoglioso di un omicidio.
« Non lo avrei mai pensato... Non sono così maligno. »
Dicendo questo, sedetti più comodamente, ammirando i raggi del sole che filtravano dalle foglie, dando alla foresta un atmosfera quasi umana, nonostante fosse tutto uno scenario ad opera degli Strateghi, in un'arena destinata a macchiarsi di sangue. « Nessuno di noi lo penserebbe. »

Ci furono pochi istanti, in cui i miei occhi verdi incontrarono i suoi, color nocciola; mi parve di riconoscere una nota di riconoscenza nelle sue iridi, insieme a qualcosa di diverso, che non seppi riconoscere.
Rabbrividii, e distolsi lo sguardo, recidendo il contatto visivo.

Mi rigirai l'alabarda tra le mani, osservandola. Il filo era tagliente, e nella lama potevo rispecchiarmi.
Avevo un leggero graffio sulla guancia, niente di grave. Per il resto, due belle occhiaie erano l'unica aggiunta al mio volto.
« Guardate qua. »

Avevo nel frattempo aperto lo zaino che ero riuscito a procurarmi dalla cornucopia; sorrisi quando trovai del filo metallico, un coltello (non troppo grande), un sacco a pelo, una borraccia e quel che mi parvero due pietre focaie.
Decisamente un ottimo acquisto, escludendo il coltello, che non vedevo di molta utilità, per quel momento.
Lanciai il filo metallico e il coltello a Gladius, e lui li afferrò al volo.
Se li girò tra le mani per qualche minuto.
Mi ritrovai a fissarlo (come Maximme e Ashlynn, d'altronde), studiando un po' la sua immagine.
In quel momento gli occhi nocciola erano impegnati nello studiare il materiale che gli avevo passato. Vedevo la fronte, su cui spiccavano dei bei capelli, biondi come quelli di Ashlynn, aggrotttarsi mentre pensava.
Ammirai anche i lineamenti del suo corpo, i muscoli guizzanti e tutto.
E, improvvisamente, distolsi lo sguardo.
Quei pensieri... Mi turbarono, direi.

« Decisamente ci posso fare delle buone trappole, con questi; non so per quanto saranno sufficienti, ma sempre meglio di nulla. » - mi sorrise, e fui quasi certo che, se io fossi morto, avrei voluto che vincesse lui i Giochi.
Non era il tributo dei distretti più agiati, non era una macchina da guerra che non aveva altro scopo che non l'omicidio.
O lui, o Maximme, o Ashlynn.
Sapevo già che altri si sarebbe schierati, ovviamente, con i Favoriti, per aver salva la vita. E beh, loro sarebbero sicuramente morti, proprio per mano dei Favoriti.
Non che la cosa mi dispiacesse.
« Io vado a cercare un po' da mangiare, volontari? »

Ashlynn rimase interdetta, era stanca, e Maximme sembrava intenzionata a studiare le piante della radura per trovarne di adatte alle medicazioni di prima necessità.
« Un po' di selvaggina non farà di certo male. »
Fu nuovamente Gladius a parlare e, afferrato l'arco, si alzò per venire al mio seguito.

***

Al nostro ritorno, Maximme aveva preparato dei sacchetti con dentro degli impasti di erbe, utili contro emorragie superficiali o lividi; altre piante erano state sistemate con cura dentro il suo zaino, per preparare eventuali medicine di emergenza; aveva stracciato un telo plastificato per formare dei lacci emostatici. Quella ragazze era un genio, sì.
Ashlynn invece aveva nel frattempo acceso un fuocherello, leggero; anzi, più che altro aveva creato solo un braciere. Voleva evitare che il fumo segnalasse ad altri la nostra presenza.

Gladius lasciò cadere un paio di conigli sull'erba accanto a noi, soddisfatto della sua caccia. Dal mio canto, mi ero procurato solo un po' di bacche ed erbe aromatiche. Non ero abile a cacciare, purtroppo.
Il sole era già calato, quando Gladius finì di cucinare, anche grazie alle mie erbe, i due conigli; in totale, toccava mezzo coniglio a testa. Decisamente una buona cena.
Il problema, adesso, era l'acqua.
L'indomani mattina, avremmo fatto scorta di quel prezioso liquido.
Ma, per il momento, la nostra attenzione era rivolta verso il cielo.

Lo stemma di Capitol City brillò nell'aria, per pochi secondi, accompagnato dall'inno.
Poi, fu il turno dei tributi morti.
Due ragazze, tre ragazzi. Entrambi i tributi del Dieci.
I ragazzi del Sette e del Sei. La ragazza del Quattro.
Nessuno, apparte me, sembrò notare lo strano tremito che colse Gladius quando il ragazzo del Sette, anche lui diciottenne, capelli corti e  di un bel castano, brillò nell'aria prima di sparire.
Gli occhi del cacciatore, prima vigili, adesso brillavano stancamente.
Solo allora riuscii a comprendere fino in fondo la crudeltà degli Hunger Games.
Non era tanto morire, quello può succede a chiunque.
Ma pochi hanno la capacità di macchiarsi di sangue innocente per salvarsi la vita, senza sentirsi bestie.
E la crudeltà del Gioco, era che il vincitore, spesso e volentieri, vedeva le proprie mani macchiate di sangue per il resto della vita. E Gladius era uno di loro.

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Capitolo 6
*** Sorrow&Hope ***


6. Sorrow and Hope Mi rigiravo un po' sull'erba, attendendo che il sonno, anche per quella notte, scendesse su di me.
Ma non sembrava volesse arrivare. Un leggero alito di vento mi fece rabbrividire, sollevando leggermente la maglietta della divisa da Tributo, e lasciando scoperto un lembo di pelle.
Avevo prestato il sacco a pelo alle due ragazze, che sembravano, tra noi quattro, le più bisognose di riparo.
Non sapevo dire che ore fossero, forse le quattro; non ci era dato sapere da quanto tempo preciso fossimo dentro l'arena, a quanto pare.
Era ancora notte fonda, comunque. La brace si era estinta, e al loro posto era rimasta della carbonella; la osservai, immaginandola nel buio... Era senza dubbio utile, per poter nuovamente accendere un fuoco, l'indomani.
Ma, in quel momento, la mia attenzione era rivolta al motivo per cui non riuscivo ad addormentarmi.
Il sapore forte della selvaggina, mi aveva lasciato la gola avida di acqua. E quell'arsura interiore non mi permetteva di dormire.
Mi sedetti, indolenzito dal duro contatto con il suolo... Afferai dunque lo zaino, estraendone la borraccia.
Soppesandola, pensai che potesse contenere massimo massimo un litro, forse un litro e mezzo.
Sufficiente per una persona, ma per quattro?
Non volevo aprire senza permesso i bagagli degli altri, quindi decisi di avviarmi alla ricerca di una sorgente d'acqua.
Con il silenzio, potevo benissimo udire un eventuale scorrere di quel prezioso liquido.
L'ultimo dubbio era se dovevo portarmi la torcia o meno. Che fare? Se qualche altro tributo fosse stato vicino, avrebbe senza dubbio notato la luce di una lampadina. Accantonai l'idea della torcia, basandomi esclusivamente sui miei sensi. Con un legnetto incisi delle parole sulla cenere, sperando che qualcuno le potesse notare. "Cerco acqua", così scrissi.

Mi concessi di lasciar vagare lo sguardo sul "campo", ammirando le tre figure dormienti.
Nel voltarmi, incrociai il volto di Gladius.
Era... Bello mentre dormiva. Indifeso. Umano.
Scossi la testa, e mi allontanai dalla radura, dopo aver imbracciato la mia alabarda; non contavo di doverla usare, ma era meglio portarla con me, per sicurezza.

Erano già una decina di minuti che camminavano, quando un rumore mi sorprese alle mie spalle.
Un lieve fruscio, niente di particolare. Ma era il luogo stesso ad essere particolare.
Continuai a procedere, verso il gorgoglio d'acqua che già avevo udito pochi minuti prima, tendendo al massimo l'orecchio. Sembrava rumore di passi, decisamente.
Sudore freddo iniziò a corrermi lungo la schiena.

« Dove credev... COSA CREDI DI FARE? »

Mi ero voltato di scatto, l'alabarda puntata alla gola del mio misterioso inseguitore.
E fu un tuffo al cuore quando mi resi conto che, a pochi centimetri dalla lama della mia arma, c'era la gola di Gladius.

« Ti sembra questo il modo di avvertire?! » - lo guardai con gli occhi sconvolti, mentre abbassavo l'alabarda, con rabbia e tristezza mescolati insieme nello sguardo.
« Se non mi fossi accorto che eri te, avrei potuto ucciderti! » - abbassai la lama, mentre stavo per irrompere in un pianto isterico. Quando me ne resi conto mi voltai, intenzionato a farmi passare il magone che mi stava attanagliando.

« Prima o poi, dovrà succedere... Lo sai. O io, o te, forse finiremmo per uccidere l'altro. »
Tristezza nella sua voce. Mi morsi le labbra. Che odio, gli Hunger Games.
Il periodo di addestramento, le stesse alleanze, rendevano le cose molto più difficili di quel che erano.
Se nessuno conoscesse nessuno, nell'arena, sarebbe molto più facile far fuori qualcuno.

« Al limite ci ammazza qualcun altro. Adesso muoviti, aiutami a cercare dell'acqua. »

Sorrisi leggermente quando mi affiancò, e continuammo a camminare nel buio, finché, finalmente, non giungemmo in uno spiazzo. O meglio, un punto in cui gli alberi erano meno fitti, e al centro scorreva un piccolo torrente.
Mi avvicinai, desideroso di bere, quando Gladius mi afferrò per il colletto, tirandomi indietro.

« Finirai te per farci ammazzare, così... » - la sua voce era un sussurro, mentre il suo braccio guizzava, teso, ad indicarmi un punto ad un centinaio di metri da noi. Il suo respiro si era ridotto ad una flebile emissione d'aria calda, che potevo sentire a poca distanza dal mio volto.
Seguii incerto la direzione da lui indicatami. Dovetti strizzare gli occhi per mettere a fuoco quel che poi riuscii a vedere.
Non erano animali, ma Tributi addormentati. Da quella distanza non sapevo dire chi fossero.

« Prendiamo l'acqua ed andiamocene... Penseremo al da farsi domani. » - sussurai, in allarme.
Riempimmo la mia borraccia, e le altre che Gladius portava con se (evidentemente non aveva avuto tutto il mio ritegno, nel curiosare tra la roba di Maximme e Ashlynn).
Iniziai con passo quasi meccanico, quindi, ad avviarmi verso il campo base, chiamiamolo così, e così fece il cacciatore, seguendomi.
Adesso solo il silenzio era nostro compagno, insieme ai rumori della natura che ci circondava.
Mi fermai nuovamente quando fu lui a rompere il silenzio che era calato poco prima.

« Volevo ringraziarti... Per oggi. Per non credere che io sia un assassino. » - mi voltai. Era una situazione strana.
Sorrisi leggermente, per poi parlare nuovamente, diretto al ragazzo - « Solo uno stupido non avrebbe colto il rammarico nei tuoi occhi, mentre riponevi la tua freccia, Gladius. » - gli poggiai una mano sulla spalla.
« Non è colpa tua, nessuno di noi lo vorrebbe. »

Lo fissai, e avrei voluto poter aiutarlo in quel momento. Ma più delle mie parole non potevo garantirgli. Ricambiò lo sguardo, sorridendomi appena. Si vedeva che apprezzava le mie parole. E ne ero contento.

« Torniamo al campo, adesso, e cerchiamo di dormire un po'. »

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Capitolo 7
*** The beginnin of the End ***


Mi svegliai, indolenzito, appoggiato a qualcosa di morbido, o per meglio dire, a contatto con qualcosa di morbido.
Aprendo gli occhi, potei notare che, quel morbido, era il mio zaino. Mi guardai un po' intorno, per poi sedermi, leggermente irrigidito dalla frescura notturna.
E mi ritrovai, praticamente, accanto a Gladius, intento a mettere via il carbone che si era prodotto con la legna ormai bruciata.
Pensai che fosse stato lui a mettermi la testa sullo zaino... Tutto ciò che ricordavo della sera prima era solamente un turbinio di immagini e spezzoni di discorso sulle nostre vite nei relativi distretti.
Appresi della sua famiglia, e di come lui fosse cresciuto abituato a cacciare (dopotutto, il suo Distretto era specializzato in quello); al contrario, io potevo solamente portare la bellezza che per uno del Dodici rappresentava il Prato, uno dei pochi posti felici entro la rete (quasi mai elettrificata) che separava l'abitato dai boschi.

« Buongiorno, Shaw. »
Una voce di ragazza mi distolse commpletamente dal sonno che ancora pesava sulle mie palpebre. Era Maximme; Gladius mi salutò con un cenno della mano, sorridendomi. Mancava Ashlynn. E fu proprio questo il mio primo pensiero.
« Dov'è Ashlynn? »
Lo sguardo di Maximme saettò su Gladius, poi su di me; anche lei sorrise, un po' imbarazzata.
« Si è diretta al fiume... » - quale fiume? Poi, il ricordo della radura scoperta la sera prima con Gladius (e quindi mi tornarono alla mente anche le emozioni provate), mi fecero capire.
« Ci sono dei tributi li... Sarà pericoloso! »
La stessa Maximme proruppe in una risata, per poi rassicurarmi. Gladius abbassò lo sguardo.
La ragazza puntò i suoi occhi, scuri, quasi neri, sui miei, verdi (una caratteristica strana, per i minatori del Dodici). Sospirò appena, la bocca fece assumere al viso una smorfia leggermente contrita.
« Non preoccuparti, ha consegnato solo un piccolo dono ai Tributi che avete trovato ieri; sarà di ritorno quando il cannone sparerà i suoi colpi. »
Questa volta fu il mio turno di mostrarmi confuso; Ashlynn avrebbe ucciso, da solo, quei tributi?
No, non era la ragazza adatta. Poi collegai il tutto. Io ero l'ultimo ad essersi svegliato, Ashlynn mancava chissà da quanto, e Maximme sapeva del fiume.
Gladius probabilmente aveva raccontato alle ragazze la vicenza della sera prima. Fu proprio lui a parlare, visto che la ragazza, adesso, aveva distolto lo sguardo.
« Maximme... Ha preparato una miscela di erbe tossiche, non velenose... Un'erba con proprietà soporifere, ed una con capacità paralizzanti. Ashlynn ha solo versato l'infuso nelle borracce dei tributi. »
Adesso fu la ragazza a parlare, la voce rotta da un po' di rimorso.
« Preferisco che muoiano così, nel sonno, piuttosto che sfregiandone i corpi con qualsivoglia arma... »

Potevo capirla; e condividevo in parte la sua idea. Fu solo in quel momento che una doppietta di cannone mi fece tremare le ossa.
Maximme scoppiò, finalmente, o avrei detto purtroppo, a piangere. Sia io che Gladius la abbracciammo, carezzandole i capelli. Non era affatto giusto, tutto questo.
Le scoccai un bacio sulla fronte, stringendola forte.
Ashlynn fu di ritorno poco dopo, il volto impassibile, gli occhi spenti.
Finimmo col sederci nuovamente in cerchio. Prima Gladius, adesso Maximme.
E anche Ashlynn. Per il momento, mancavo io.
Ancora non mi ero macchiato della tremenda colpa di aver ucciso qualcuno; per il momento, nei miei occhi non c'era ancora traccia di quel tipo di annientamento dell'anima causato dall'omicidio.
O meglio, dall'omicidio programmato per il macabro gusto di Capitol City.
Stavamo agendo per la nostra mera sopravvivenza.
Ma a che costo?

Non è colpa vostra. Smettetela di tormentarvi così, vi prego.

Mi alzai, intollerante di quel silenzio che era sceso, e mi allontanai dal campo, con lo sguardo basso.
O meglio, mi innalzai sul campo; valutata la stabilità dei rami più bassi di un albero, mi arrampicai su di esso, per poi sedermi sui rami più alti, ad almeno una decina di metri da terra.
Tra il folto delle foglie, intravidi un nido di ghiandaie imitatrici. Ne ammirai il colore del piumaggio, gli occhi intelligenti che mi fissavano, indecisi sul da farsi.
Istintivamente, iniziai a fischiettare un motivetto, il solito che mia madre canticchiava mentre faceva le faccende, nel Dodici.
Pochi attimi di silenzio. La ghiandaia, adesso, mi fissava attentamente.
Ripetei la manciata di note, la prima di una lunga serie (*). Infine, una terza.
La ghiandaia, assimilato il motivetto, iniziò a riproporlo, musicandolo in modo proprio, rendendolo una delizia per l'udito.
Soddisfatto, mi misi a fissare il sole; era decisamente ora di muoversi. E, ad occhio e croce, ci stavamo inoltrando nel pomeriggio. Quando avevo dormito?
Guardai in basso, osservando come il terzetto avesse alzato la testa per osservarmi fischiettare.
« Dimmi un po', hai intenzione di fare un concerto con le ghiandaie, adesso? »
Il tono, giocherellone e un po' più allegro con cui Ashlynn mi si era rivolta, mi fece sorridere.
Notai che anche Gladius e Maximme sembrassero più sollevati. Forse la melodia aveva rievocato il loro ricordi più felici di quelli delle ultime ore.
« Se serve a farvi ritrovare un po' di pace, perché no, potrei anche indire un concerto alla Cornucopia! »

Iniziai a scendere, ma a metà scalata, senza rendermene veramente conto, persi l'appiglio sui rami, scivolando verso il basso.
Fu tutto troppo veloce, e senza rendermene conto - e soprattutto senza avere il tempo di emettere alcun tipo di suono - mi ritrovai steso a terra, la gamba destra dolorante.
Gladius si accigliò leggermente, Maximme ed Ashlynn sembravano sul punto di scoppiare a ridere.
Anzi, scoppiarono a ridere!
Quasi volevo sotterarmi, ma quando compresi che la mia rovinosa caduta aveva fatto in modo di farle distrarre, mi misi a ridere pure io.
Tentai di mettermi nuovamente in piedi, ma quando poggiai il piede destro al suolo, cedetti nuovamente, finendo in ginocchio. Mugolai leggermente.
« Temo di essermi storto la caviglia. »
Nel mio campo visivo entrò una mano; Gladius mi aiutò a rialzarmi. « Poggiati a me, e vediamo di allontanarci da qui; agli Strateghi non piace la calma piatta, lo sapete. »
Borbottai un assenso, e mi appoggiai a lui. Era alto quanto me, non avevo quindi problemi di sorta nel farmi aiutare.
La principale differenza tra me e lui, era la massa muscolare. Ringraziai di non aver dovuto fargli io da bastone. Avrei voluto un fratello, come Gladius; anzi, un amico.
Avevo tuttavia altro, per la testa. Mi parve di provare interesse per quel cacciatore. Ed era ormai dalla sera prima, che ci pensavo.
Anche durante la settimana di allenamento mi aveva colpito, quel ragazzo; e anche durante la sfilata, con quel vestito da cacciatore, con la giacca e l'arco sulle spalle.
« Non essere affrettato, Gladius, dobbiamo sistemargli la caviglia o rischiamo che il danno peggiori rapidamente. »

Un leggero bip, il rumore di qualcosa che planava verso terra ci fece alzare lo sguardo.
Un piccolo paracadute piombò tra noi, poggiandosi di fronte ai piedi di Maximme; alzando lo sguardo, potemmo notare un lieve tremolio dell'aria. Probabilmente, era l'hovercraft che stava allontanandosi.

« Sei fortunato, Shaw, evidentemente hai colpito gli sponsor, in qualche modo! »
Maximme aprì quella specie di "granata", estraendone una bella fascia, resistente, ideale per delle steccature. « Sdraiati, ti faccio un impacco di erbe e ti stecco, così la caviglia ci metterà meno a riprendersi dal trauma. »
Sedetti per terra, e così fecero gli altri. Maximme fece e disfece più e più volte la medicazione, insoddisfatta. Dopo essersi assicurata che l'ultimo tentativo fosse il più adatto, mi stese sulla pelle un bello strato di roba di un bel verde foresta, per poi fasciarmi il tutto.
Durante tutta la sua opera, non staccai gli occhi di dosso dal terzetto; ma, più di una volta, mi trovai a fissare il nocciola degli occhi di Gladius.

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Capitolo 8
*** Grain Field ***


Non potei che ringraziare Maximme; con la medicazione che mi aveva fatto, fin dall'inizio il dolore alla caviglia si era allievato; l'impacco di erbe senza dubbio funzionava alla grande. Quando la ringraziai, mi sorrise, arrossendo leggermente.
Era molto carina, quando sorrideva. Anche Ashlynn sembrava contenta del mio rapido miglioramente.
Alla fine avevamo optato per spostarci di poco rispetto al punto di partenza.
Su un foglio Gladius abbozzò una mappa; segnò il fiume, e con qualche linea tracciò la distanza interposta tra il "vecchio" ed il "nuovo accampamento".
Avevamo trovato una specie di grotta, in cui il muschio faceva da padrone, almeno all'entrata. La luce del sole filtrava fino in fondo, rischiarandola.
Ma, con una analisi più accurata, notammo che non era una vera e propria grotta, ma sembrava più una specie di gigantesco albero scavato; probabilmente, un "regalo" del presidente Snow ai tributi, tanto per dire noi possiamo controllare anche dove riposate.
Non c'era bisogno di ricordarlo, gli Hunger Games erano già sufficienti a tale scopo.
Quando vi facemmo il nostro ingresso, Gladius mi lasciò scivolare delicatamente a terra, per poi poggiarmi la gamba su un grosso strato di muschio, che strappò appositamente.
« È per non causarti un ristagno di sangue sul piede; spero ti velocizzi la guarigione, Shaw. »
Lo ringraziai, sorridendo.
Quindi si sedette accanto a me; non avevamo camminato molto, forse un miglio e poco più. Ma oltre al suo peso, doveva sorreggere buona parte dei miei settanta kg, più o meno.
Gocce di sudore gli imperlavano la fronte, e scivolando a terra mosse più e più volte le braccia e si massaggiò le gambe, per rilassare i muscoli che avevano sopportato uno sforzo maggiore del dovuto.

« Non volevo tediarvi per colpa della mia caduta, scusate... » - sorrisi imbarazzato, massaggiandomi la nuca; Ashlynn ridacchiò, e Maximme con lei.
Solo Gladius rimase leggermente più serio, provato dal dovermi sorreggere fino a quel rifugio "naturale". Però ridacchiò pure lui. Sbadigliò, poggiando la testa alla parete, sempre seduto di fianco a me. Chiusi un po' gli occhi, sbadigliando pure io. Non era una giornata pesante, ma avevo dormito malissimo.
« Noi andiamo a fare un giro in zona, per assicurarci che siamo soli nel raggio di almeno 500 metri, voi non muovetevi. » - ironia nella voce di Ashlynn, che sembrava farmi una linguaccia. Alzai il braccio, lanciandole un bel dito medio, che le causò una risata; almeno un po' di gioia era ancora possibile, in quella situazione. Le vidi allontanarsi, e nuovamente piombò il silenzio.

« Com'è il Distretto Nove, Gladius? » - lo sentii girare la testa, verso di me; con la coda dell'occhio, osservai i suoi occhi puntarsi su di me, velati di nostalgia.
Continuando a fissarmi, iniziò a parlare, aggiungendo dettagli al racconto della notte precedente.
« Molto bello; stiamo abbastanza bene, non mi lamento... Dopo quello che mi hai raccontato del Dodici, mi reputo fortunato. » - una breve, breve pausa - « ... Dovresti vederlo durante la germinazione del grano; al vento vedi i campi oscillare come fossero un tutt'uno. Ed il profumo del grano appena dopo la mietitura viene sparso dalle correnti d'aria... »

Gli sorrisi, immaginandomi la sensazione che tale immagine avrebbe provocato in me, se avessi vissuto nel Nove; anche lui sorrise, nel vedermi sorridere.
« Il Dodici non è poi così male, se uno è abituato. Per gli uomini è più dura, per via del lavoro nelle miniere... » - chiusi gli occhi, riportandomi alla mente le immagini del Dodici. « ... Di bello non abbiamo campi di grano ondeggianti, ma abbiamo il Prato; è questa grande distesa d'erba, spesso trascorriamo li i pomeriggi, se non lavoriamo. Ed è bello anche che, più o meno, ci conosciamo tutti. »
Omisi i commerci illegali al Forno, era pericoloso parlarne in diretta tv (anche se sicuramente Capitol City ne era al corrente), ed era un peccato, perché al Forno si poteva assistere, se si aveva fortuna, alle scene più esilaranti.
Di nuovo silenzio, nella grotta. Voltandomi, vidi che Gladius si era assopito. La testa ciondolante, finì per appoggiarsi pian piano alla mia spalla.
Rabbrividii. E, istintivamente, poggiai delicatamente le mie labbra sulle sue, per poi poggiare la mia testa sulla sua.
Mugulò qualcosa, ma non si svegliò; mi resi conto che stavo tremando. Era così vulnerabile, in quel momento; da cacciatore, a possibile preda.
E tuttavia, manteneva quell'aria selvatica che mi aveva colpito. Gli occhi fissi davanti a me, rimasi in quella posizione, svuotato, senza avere intenzione alcuna di muovermi.
Sì, dopo nemmeno dieci giorni di conoscenza, Gladius aveva avuto la capacità di attirare la mia attenzione. Sì, Gladius, decisamente mi aveva catturato. Senza volerlo davvero, ero diventato la sua preda, e lui era il cacciatore. In una trappola non mortale, tutt'altro.
Quella trappola... Mi faceva sentire vivo.

* * *
« È bello, i frutteti sono ovunque. Ma ho sempre covato interesse per le erbe mediche, come hai già capito. » - anche le due ragazze, così come Shaw e Gladius, avevano iniziato a parlare tra loro, raccontandosi il bello dei loro distretti. E come Gladius portava nel cuore il grano che ondeggiava al vento, durante la mietitura, Maximme regalava ad Ashlynn il proprio ricordo del tramonto nei frutteti, al momento di tornare a casa.
Il sole che bagnava le lunghe file di alberi, aveva qualcosa che, nonostante l'essere oppressi da Capitol City, faceva sentire liberi gli abitanti dell'Undici.
Maximme si scostò una ciocca di neri capelli, un nero meno brillante di quello di Shaw, dalla fronte.
I piccolissimi boccoli che aveva, tipici delle donne del suo distretto, non volevano saperne di stare al loro posto. Ashlynn invidiava un po' la ragazza dell'Undici, ma anche lei aveva da offrire dei bei ricordi del Docici.
« Da noi molto belli sono i boschi circostanti il Distretto. » - sapeva bene che oltrepassare la recinzione (quasi mai elettrificata) era punibile con la fustigazione dei Pacificatori, ma anche Ashlynn si era arresa all'idea della morte.
« Qualche volta sono uscita per qualche metro dal confine... I boschi erano a pochi metri da me, ma non ho mai avuto il coraggio di avventurarmi. Però il vento tra le foglie degli alberi è una musica che non scorderò. »
Maximme sorrise a quel ricordo, anche a lei piaceva molto lo stormire delle foglie.
Entrambe, tuttavia, tennero per sé dettagli della loro vita privata. Maximme nascose l'amore per un ragazzo del suo distretto; Ashlynn tenne per sé il suo.
Senza pronunciare i loro sentimenti, sembravano volersi aggrappare ad una sorta di superstizione.
Non raccontare mai i tuoi sogni, ed essi si avvereranno; non volendo esplicare i loro sentimenti, le due giovani speravano, in cuor loro, di poter tornare al loro Distretto.
Ma entrambe sapevano che, probabilmente, non sarebbe mai successo.
« Sai, credo che Shaw abbia una cotta per Gladius. »
Ashlynn fissò Maximme, la bocca spalancata; la giovane quattordicenne, la pelle scura e gli occhi vivaci, si era accorta degli sguardi che Shaw, involontariamente, lanciava al cacciatore.
« Sarebbe un bello scoop. Mmm... Non sarebbero male, insieme. »
Entrambe le ragazze si lasciarono sfuggire una risata; arrampicate su un albero, avevano una bella visuale della situazione.
E la gentilezza degli Strateghi, grazie ai morti della giornata, avrebbe regalato alle giovani, così come a Gladius e Shaw, qualche ora felice, in quell'angolo di buio che erano gli Hunger Games.

* * *
Sonnecchiavo; ero avvolto dall'oscurità.
E se prima di entrare nell'arena il mio incubo ricorrente era il mio cadavere in una pozza di sangue, quel cadavere adesso era vivo. In mano l'alabarda, di fronte a tre corpi, morti. Maximme, Ashlynn, Gladius.
Spalancai gli occhi, ritrovandomi disteso. Gladius mi guardava preoccupato.
« Tutto ok? »
Alzai lo sguardo; Maximme ed Ashlynn non erano ancora torna... « Le ragazze sono tornate, sono andate a cercare dei rami spezzati per mimetizzare la grotta. »
Fissai Gladius, ancora tremante. Non sembrava ferito; era solo un incubo.
« Mi hai svegliato che stavi urlando; sono riuscito a calmarti, prima che tornassero le ragazze, ma non hai mai smesso di tremare... »
Sospirai. Cosa potevo dirgli? Che avevo sognato di ucciderlo? Di ucciderli tutti, loro tre, le tre persone con cui avevo legato?
« Sì, adesso sì. Grazie. »
Gladius mi fece l'occhiolino, e una volta che mi fui seduto, si sedette davanti a me, fissandomi.
« Ah, la tua spalla è molto comoda, spero che la mia testa lo sia stata altrettanto per te! »
Pensai di andare a fuoco. Gladius ridacchiò della mia espressione imbarazzata.
Ma il vero imbarazzo venne solo dopo; prima che me ne rendessi conto, mi abbracciò.
E come prima avevo fatto io, poggiò le sue labbra sulle mie.
Socchiusi le labbra, incredulo.
« Non sei l'unico, Shaw, che osserva gli altri mentre dormono. »

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Capitolo 9
*** Struggle ***


9. Struggle / finire I due giorni successivi passarono rapidamente; la mia caviglia dolorante, grazie alle medicazioni di Maximme, si era notevolmente sgonfiata, e già riuscivo a camminare autonomamente.
Tuttavia non ero guarito del tutto, e più volte la spalla di Gladius fu pronta a sopportare il mio peso.
Scoprimmo che i Tributi avvelenati da Maximme erano entrambi i Tributi del Cinque.
E, a giudicare dai volti, e soprattutto dal taglio degli occhi, sembravano essere fratello e sorella.
Teoria confermata da Ashlynn; alle interviste era stato dato per scontato, Capitol City aveva cercato di occultare la cosa.
Un'intera famiglia, questa volta, era stata spazzata via. La notte della scoperta non fu facile per nessuno di noi quattro.
Tutti ravvicinati, ci addormentammo ognuno sulle spalle dell'altro. Non potei che sentirmi tranquillizzato dalla presenza di Gladius.

« I Favoriti rimangono ancora in gioco; e non solo loro, siamo ancora in... Diciassette. »
Erano già sei giorni che eravamo dentro l'arena.
E tralasciando la carneficina della Cornucopia, l'avvelenamento dei tributi da parte di Maximme, i Giochi scorrevano piuttosto placidamente. E sicuramente agli spettatori di Capitol City, questo non andava affatto bene.
E ben diciassette tributi ancora vivi dopo una settimana, era sicuramente qualcosa che né agli Strateghi né agli abitanti di Capitol City piaceva.
Eravamo tesi, ci aspettavamo uno stravolgimento della situazione da un momento all'altro.
« Allontaniamoci finché siamo in tempo. » - lo stesso Gladius appariva turbato.
Uno strano senso di ansia si faceva largo anche dentro di me, per conseguenza di cose. Puntavo tutto su di lui, ormai. Non su Maximme, non su Ashlynn, non su di me; neanche sui Favoriti.
Erano forti, erano addestrati, ma Gladius era furbo. E generalmente i Favoriti peccavano di superbia, anche se quasi sempre era un Favorito ad aggiudicarsi gli Hunger Games.
Quando uscimmo da quel rifugio, notammo la sostanziale differenza tra il giorno prima e quel momento.
L'aria era torrida. Non era semplicemente caldo, l'aria bruciava quando ci entrava nei polmoni. Ci trovammo ben presto a boccheggiare.
« Le borracce sono piene, vero? » - ognuno controllò la propria, dopo la domanda di Ashlynn; unico vantaggio, eravamo a pieno d'acqua... Per il momento.
Mi venne in mente quando, nei precedenti Hunger Games, gli Strateghi obbligavano i Tributi ad assassinarsi per carenza di cibo, ma soprattutto di acqua.
E sicuramente, quella era la situazione. Nessuno lo disse per certo, ma tutti lo pensammo, sicuramente.
« Il fiume; andiamo al fiume, adesso. »
La mia voce era allarmata; o meglio, consapevole di quello che avremmo trovato.
Non corremmo, la mia caviglia non me lo avrebbe permesso. Dopo nemmeno tre quarti di miglio, la caviglia cedette per l'eccessivo sforzo; stavo per piombare faccia a terra, se Gladius, con i suoi celeri riflessi non fosse riuscito ad afferrarmi in tempo. « Non fermarti adesso. »
Gli occhi color nocciola ardevano di vitalità.
Nonostante venisse dal Nove, il distretto tipico della coltivazione di grano, la sua indole era selvatica; viva. Mentre io ero fin troppo fragile, a tal punto da non sopportare quello sguardo così penetrante, così intenso.
Scossi la testa, poggiando la fronte nell'incavo delle sue spalle. « Vi sto solo rallentando. Andate avanti voi. Starò bene. »
Morirò, ad essere onesti. Ma tenni il pensiero per me.
Senza rendermene conto, iniziai a piangere. Anche Ashlynn e Maximme mi furono accanto, poggiando le loro mani sulle mie spalle. Sentivo la loro presenza, così come ero consapevole del respiro caldo di Gladius che sfiorava il mio collo.
« Non dire cazzate, Shaw, e alzati! »
Gladius iniziò a scuotermi, obbligandomi ad alzare la testa. I suoi occhi erano velati da un velo di lacrime, Ashlynn e Maximme si erano sedute accanto a noi, anche loro sul punto di crollare.
« Non. Arrenderti. » - ancora la voce di Gladius.
Come faceva a non capire che ero, che eravamo spacciati, e probabilmente solo lui aveva qualche chance di vincere, tra noi quattro?
Improvvisamente, con forza e decisione, mi afferrò il viso tra le mani, obbligando il mio sguardo nel suo. « Alza il culo, e muoviti, per favore. Fallo per noi. »
Fallo per me, mimò con le labbra. E di nuovo, quell'istinto primordiale che mi spinse ad abbracciarlo, baciandolo, e questa volta fu un bacio ricambiato.
Non un bacio divampante, non un bacio passionale e scostumato. L'incontro di due paia di labbra  che si volevano far forza a vicenda.
Ashlynn e Maximme intervennero nella scena, portando le loro braccia su di noi, abbracciandoci e chiudendoci in una specie di guscio protettivo, isolandoci e nascondendoci alle innumerevoli telecamere nascoste che documentavano ogni nostra mossa.
Di nuovo le lacrime iniziarono a scivolarmi sulle guance, ma questa volta non erano le sole.
Sentivo sulla mia pelle il battito frenetico del cuore di Gladius, la calda protezione dei corpi di Maximme e Ashlynn. Sentivo il conforto che i loro cuori cercavano di trasmetterci, nonostante lo strazio della situazione.
Infine, sciolsi l'abbraccio, rimanendo poggiato con la fronte a quella di Gladius. « Insieme fino alla fine, ragazzi. Andiamo. »

E, come poche ore innanzi, un altro piccolo paracadute piovve dal cielo, finendo accanto a noi. Gladius lo aprì, e scoprì che era suo.
Suo, ma il beneficiario ero io. Maximme sbirciò dentro, e il volto le si illuminò.
« Sono fiale di antidolorifico ed antinfiammatorio. Shaw, con queste guarirai in men che non si dica! » - Gladius sorrise, prendendomi la mano, e portandola al suo viso, per asciugarsi una lacrima.
Fino alla fine.

* * *
« Non c'è più il fiume. »
Gladius pronunciò con distacco quelle parole; e finalmente capii le intenzioni degli Strateghi. Sorrisi sarcasticamente. Quel fiume era l'unico nella foresta. Ne avevo seguito il corso dalla cima dell'albero, e si notava palesamente il diradarsi degli alberi lungo il suo tragitto.
L'unica altra fonte di acqua, in quel momento, era la palude.
« Vogliono una carneficina; ci stanno spingendo di nuovo alla Cornucopia. Da quel punto la palude è vicina. »

Con cautela uscimmo dal folto del bosco, nascondendoci il più possibile. Ma giunti alla gigantesca Cornucopia, beh, non c'era molto con cui nascondersi. Pensai all'ironia di quella struttura.
Un simbolo di prosperità e fertilità era posizionato al centro di uno spazio destinato al macchiarsi di sangue innocente.
E proprio l'odore di sangue innocente mi fece storgere il naso.
Incauti, era la parola giusta.
Ci voltammo tutti. A terra si stava formando una piccola pozza di sangue. E, nel mezzo, un pugnale.
Lungo il fianco di Ashlynn, si era aperta una ferita.
Dietro di lei, il gruppo dei Favoriti. Mi sentii scivolare a terra, per essere sorretto da Maximme.
Una freccia, rapida, letale, raggiunse la giugulare di Bennett , il Favorito del Due.
Lo vidi stramazzare al suolo, tra l'orrore degli altri tre Favoriti. Mi liberai dalla presa di Maximme, una rabbia crescente in corpo. Afferrai il pugnale, lanciandolo alla cieca verso di loro.
Ma non avevo fatto in tempo, che già si erano dati alla fuga.
« ASHLYNN!! »

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Capitolo 10
*** Rage and Love ***


10. The End is Coming « ASHLYNN!! »

Un urlo triplo si alzò dal nostro gruppo, Maximme che tentava di sorreggermi dopo che mi ero liberato di lei per lanciare - invano - il pugnalo, nonostante l'evidente sforzo, Gladius con l'arco in mano. In lontananza, ormai fuori tipo, il trio dei Favoriti.
Inginocchiata davanti a noi, Ashlynn. A pochi metri, morto, una freccia in gola, Bennett.
« VAI! » urlai a Maximme, che non poteva muoversi a causa del mio peso. Lei mi guardò, e per qualche secondo fu incerta, poi annui.
Mi maledissi di esser stato piagnucolone solo qualche ora prima. Se avessi avuto ancora l'antidolorifico...
Gladius e Maximme raggiunsero Ashlynn, l'uno con l'arco ancora in mano, gli occhi nocciola fissi su quelli della ragazza del Dodici, la mia compagna del Dodici.
I suoi occhi, tipici del Dodici, ma così particolari, grigi ma striati d'azzurro, si muovevano tra di noi, in preda al panico.
Maximme le portò una mano sulla bocca, impedendole di parlare. Gladius le accarezzava la fronte, per calmarla.
Ed io, arrancando, giunsi accanto a lei, diametralmente al ragazzo del grano * (così mi piaceva nominarlo) e le presi la mano destra tra le mie, gli occhi verdi tristi, le spalle ciondolanti, distrutte da quel carico di emozioni degli ultimi giorni.
« Shaw, riesci a strappare questo tessuto? » - Maximme catturò la mia attenzione, mentre mi stava passando una lunga striscia (pensai almeno tre metri, larga anche un metro, ad occhio e croce) di tessuto nero. La afferrai, saggiandone la resistenza.
« Penso di poterlo fare. » - la guardai, e mi indicava Gladius. Mentre carezzava Ashlynn, non sembrava esser presente. Aveva lo sguardo spento, e avevo già intuito il perché.
Con i denti saggiai l'estremità del tessuto in larghezza, e trovai una cucitura leggermente più lente. Strappai con gli incisivi il filo, e con tutta la forza di cui disponevo, tirai in direzioni opposte i due lembi. Per qualche secondo sembrò inutile, poi un sonoro strap il tessuto si aprì per almeno cinque centimetri, non proprio al centro, ma quasi.
Sorrisi, e continuai a tirare. In pochi attimi, avevo ricavato due strisce larghe più o meno cinquanta centimetri.
Maximme piastricciò con altre erbe mediche la ferita sul fianco di Ashlynn, maledicendo il fatto che non poteva suturarle, ma solamente avvicinare i lembi di tessuto tra di loro per cercar di favorire la cicatrizzazione della stessa. Almeno le erbe avrebbero aiutato il sangue a coagulare.
Con il mio aiuto, tenendo il più vicino tra loro i bordi della ferita, "spingendo" da entrambi i lati, Maximme fasciò stretta Ashlynn, per bloccarne il sanguinamento.
La ragazza era completamente madida di sudore, gli occhi stanchi, la bocca contratta in una smorfia di dolore. « Andrà tutto bene, Ashlynn. »

Alzai lo sguardo verso gli altri due; Maximme era stravolta, ma lucida. Gladius era... Era e non era, sembrava completamente immerso in un mondo a parte. Due omicidi in pochi giorni, non era preparato.
Al momento l'unico a non aver ucciso qualcuno ero io. Tutti aiutavano me, io non proteggevo nessuno. Bello scambio.
Afferrai il pugnale, pulendo la lama sull'erba, e lo infilai nella cintura. Facendo leva sull'asta dell'alabarda mi alzai, saggiando la resistenza della caviglia. Maximme mi guardò.
« Dobbiamo andarcene da qui, prima che sbuchino altri tributi. »
Annuì, per poi guardare Gladius. Il ragazzo era ancora immobile. Sospirai, portandomi zoppicando accanto a lui. Poggiai una mano sulla sua spalla, scuotendolo leggermente. Niente. Di nuovo, nessuna reazione.
Spazientito, sbuffai un po' corrugando la fronte.
Lo obbligai, in parte, a girarsi verso di me, quando lo chiamai per nome. E istintivamente gli mollai un sonoro ceffone, che neanche lui si aspettava.
Si sbilanciò all'indietro, per poi emettere una specie di ringhio, e voltarsi verso di me, visibilmente incazzato.
« Che cazzo credi di fare, eh, Shaw? »
Lo fissai, accigliato. « Niente, richiamavo la tua attenzione. Ma smetti di cadere in questo stato di catalessi... Possiamo capir... »
Potevo quasi vedergli pulsare le vene nel braccio quando si slanciò contro di me, atterrandomi.
Portò entrambe le mani sulle mie spalle, obbligandomi a terra, facendomi battere la schiena.
« Gladius! » - « Maximme, porta Ashlynn nella foresta, cerca un luogo riparato. Adesso. »
La ragazza lo guardò di traverso, ma obbedì. Raccolte le proprie cose, e lo zainetto di Ashlynn, la aiutò ad alzarsi, e si diressero il più veloce possibile verso la foresta, che distava poco dal punto in cui eravamo.
Gladius le osservò sparire, pochi minuti dopo, nel folto della vegetazione.

« Gladius, mi stai facendo male. » - puntai i miei occhi verdi nei suoi nocciola, che erano tornati, fiammeggiante, nei miei. Fiammeggianti d'ira, in quel momento.
« Ne sono consapevole! »
« E allora levati e torna a comportarti normal... »
Non finii la frase che mi obbligò a tacere, quando sferrò un pugno a pochi centimetri dal mio orecchio sinistro, impattando con le nocche sul terreno.
« Cosa credi di capire, esattamente?! Tu, voi, NON potete affatto capire! »
Lo guardai, mentre tremava, le pupille dilatate, sull'orlo di una crisi.
« VOI  non avete mai visto uccidere qualcuno di fronte ai vostri occhi, ad eccezione di ora! »
Mi ci volle poco a realizzare le sue parole, ed arrivai a fare due più due velocemente.
Si rialzò, voltandomi le spalle. Rimasi in quella posizione, il cuore che mi batteva all'impazzata, la schiena dolorante. Non accennò a girarsi quando lo chiamai. Non si girò, non parlò.
Stringendo i denti, feci leva sulla gamba sinistra, per rialzarmi, facendo molta attenzione alla caviglia ancora steccata. Zoppicando, mi avvicinai a lui, da dietro.
Allungai le braccia, e gli cinsi il collo. Lo sentii rabbrividire al contatto con il mio corpo. Poggiai la mia fronte nell'incavo della sua spalla, senza dire niente, continuando ad abbracciarlo.
Non so quanto rimasi in quella posizione, ma sicuramente una decina di minuti.
Il respiro di Gladius, prima affannato e irregolare, tornò al suo ritmo consueto. Il tremore che gli pervadeva le membra andò scemando, finché non scomparve del tutto.
Le sue mani si posarono una sul mio braccio, l'altrà sulla mia testa. Anch'io, come lui, rabbrividii di quel gesto. Mi obbligò a sciogliere l'abbraccio, per tornare a stringermi in posizione frontale.
Solo in quel punto, da eretti, notai la lieve differenza d'altezza tra di noi. Le sue labbra potevano tranquillamente arrivai all'altezza del mio zigomo. Strinse forte, obbligandomi al suo petto, assaporando ogni attimo di quel breve intervallo di tempo. Sentivo le sue guance ispide per via della barba incolta degli ultimi giorni sul mio viso. Un sussurro all'orecchio. « Grazie, Shaw. »
Gli carezzai i capelli, tranquillamente.
Sciolsi l'abbraccio, e gli sorrisi, incerto. Ricambiò il sorriso, e mi fece segno di poggiarsi sulla sua spalla.

* * *

Le ragazze nel frattempo erano giunte al bordo della foresta, nascondendosi in un piccolo spiazzo.
Maximme non sapeva che fare, ma si era accorta che le condizioni di Ashlynn stavano lentamente degenerando. Un colpo di cannone, e poi un altro, la fecero rabbrividire. Due colpi; due morti. Il suo pensiero saettò subito a Gladius e Shaw, ma si obbligò a mantenere la calma.
Dalla borraccia afferrò un po' di acqua, e pestò delle erbe all'interno di un piccolo bicchiere da campo (frutto della scelta del suo zaino), e fece bere ad Ashlynn l'infuso ottenuto. Era una specie di antidoto, e sperò funzionasse. La ragazza, che fino a pochi minuti prima aveva comunque una certa mobilità, sembrava iniziare a dare segni di difficoltà motorie.
Maximme aveva pensato ad un veleno con proprietà di blocco sui nervi, ma senza sapere quale veleno era effettivamente stato usato, non poteva che affidarsi ad antidoti molto, molto generici. Forse, troppo generici.
Alzò lo sguardo al cielo, mentre stringeva forte la mano di Ashlynn.
« Gladius, Shaw, sbrigatevi... »
Era un sussurro, una supplica. Ashlynn non si accorse neanche di quelle parole, caduta in un sonno senza sogni.

* * *

« Quel coglione del Nove ha ucciso Bennett... »

Fu la ragazza del Due a parlare.
Un seno prosperoso, due occhi di un misto tra arancio e marrone, la pelle pallida, i capelli di un colore molto simile al rame. La sua voce tradiva rabbia, odio per quel ragazzo del quattro, un contadino, uno che badava al grano. Non si spiegava il suo grande talento con l'arco. Che fosse anche un cacciatore?
« Calmati, Lea. » - un'altra voce femminile. Era stata la ragazza del Distretto Uuno a parlare, adesso.
Occhi scuri, quasi neri, la pelle abbronzata, capelli di un bellissimo colore, un biondo più luminoso di quelli di Ashlynn. Alla cintura portava uno stiletto.
La voce era pacata, con una leggera vena di tristezza.
Sì, i Favoriti erano carogne con gli altri tributi, venivano addestrati appositamente per essere macchine da guerra; ma finché non si dovevano schierare l'uno contro l'altro, mostravano una buona fedeltà.
« Taci, Jessy, taci. »
La voce di Lea era un sussurro, misto all'odio che provava per il ragazzo del Nove, e al dolore che provava pensando a Bennett che, lo sguardo perso nel niente, il terrore negli occhi, crollava a terra, una freccia conficcata in gola.
Non amava Bennett, ma da quando si erano offerti come tributi, era diventato qualcosa di più simile ad un amico che avesse mai avuti.
Aveva quasi 18anni, era senza dubbio bello, corti capelli a spazzola, castani con riflessi biondi, gli occhi di un bellissimo colore, ghiaccio.
Ma non erano freddi, anzi. Erano gentili, nonostante nell'Arena il ragazzo fosse evidentemente addestrato all'essere proprio una macchina da guerra vera e proprio.
Non era muscoloso, ma aveva una muscolatura guizzante, simile a quella di Gladius (ma Lea non poteva saperlo), forse più tonica e piazzata. Gladius non aveva avuto l'allenamento di Bennett, la sua muscolatura si era tonificata con il lavoro nei campi e con l'interesse nel tiro con l'arco.
Jessy fissò Lea, incerta sul da farsi. Si portò accanto a lei, sedendogli vicino. Lea, senza dire niente, si sdraiò, la testa sulle gambe della ragazza del Distretto Uno.

In tutto questo, l'altro ragazzo Favorito, era rimasto in silenzio. Gli occhi, quasi viola, erano fissi a terra. Aveva i capelli neri. E su quella carnagione scura che lo contraddistingueva, e al viola degli occhi, lo rendevano senza dubbio un bel ragazzo.
Nella testa di Sebastian, l'unica parola che guizzava tra i suoi pensieri, era vendetta.

__________

Okey, prima di tutto devo ringraziarvi per le numerose visite (che scemano verso gli ultimi capitoli, ma vabbé), che devo dire non mi aspettavo molto.
Poi ringrazio Lusio per le recensioni, che sono sempre gradite, e sono contento che il modo in cui scrivo lo colpisce. :P
Inoltre per la citazione "Ragazzo del Grano", contrassegnata da un (*) nel testo, ringrazio Umbro.
E beh, l'idea me l'ha fornita lui, dopotutto. :)

Grazie a tutti!
Hymn

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Capitolo 11
*** I Love You; I Love You Too ***


Sulle nostre teste risuonarono due colpi di cannone; altri due tributi morti.
Sentii Gladius irrigidirsi, e altrettanto feci io. Lo stavo rallentando, e sapevo che anche lui aveva immediatamente pensato ad Ashlynn e Maximme. « Salta in spalla. »
Inizialmente non capii; quando poi lo vidi inginocchiarsi di fronte a me, afferrai il concetto.
Facendo attenzione a non fargli male, mi sistemai come meglio potevo sulle sue spalle. Mi diede in mano l'arco, e si posizionò sul torace la faretra. L'alabarda ciondolava obliqua sulla mia schiena, non l'avrebbe intralciata.
Dopo avermi afferrato le cosce con le mani, iniziò a correre. Ringraziai che non potesse vedermi, perché il mio imbarazzo era veramente evidente.
Oltre all'imbarazzo, nella mia mente si stava facendo largo un altro pensiero. Eravamo rimasti in sedici. E chissà quanto velocemente altri tributi sarebbero morti. Quelle morti sarebbero diventate il mio pass d'accesso all'ultimo periodo con Gladius; la mia morte, la sua vittoria. Perché tra noi, lui doveva vincere.
E, a malincuore, avevo già immaginato come potessse finire.
« Shaw, tutto ok? »
Avevo appoggiato nuovamente la mia testa sulla sua spalla, e non mi ero accorto che mi si erano inumiditi gli occhi. Il solo odore della sua pelle, leggermente abbronzata, non faceva che uccidermi dentro.
« Sì, Gladius. Tutto bene. » - sbuffò. Sapeva che stavo mentendo? O semplicemente era stanco? Lo sentii stringere leggermente le mani. Senza pensarci, diedi libero sfogo alle mie parole.
« Ti amo, Gladius. » - sentii che stava girando leggermente il viso verso di me. « Ti amo, Shaw. »
Questa volta, le lacrime uscirono da sole. Il fitto della vegetazione, nel frattempo, ci riparava con le chiome dei suoi alberi.

* * *

« Siete arrivati... » - Maximme proruppe in un pianto di gioia quando ci vide sbucare in quella radura. Gladius mi fece scendere, e mi aiuto a sistemarmi, prendendomi per mano.
Ma adesso la priorità era Ashlynn. Maximme ci informò della sue condizioni.
« Credo che la lama del pugnale fosse avvelenata, ragazzi. » - rancore nelle sue parole; il pensiero che qualcun altro avesse avuto la sua stessa idea, e l'avesse usata contro di noi e contro di lei, la riempiva di odio.
Ci disse che già aveva provato ad usare un antidoto, e sembrava che le condizion di Ashlynn fossero migliorate.
Nessuno di noi aveva espresso il timore che quelle due cannonate segnalassero la morte di due di noi.
Afferrai dalla cintura il pugnale, e lo osservai più da vicino. Solo allora notai una leggera scalanatura, o meglio, un piccolo foro sulla punta, proprio dove l'arma aveva penetrato il fianco di Ashlynn.
Questa non poteva essere un'arma lecita negli Hunger Games.
« Deve essere un dono, anche costoso. »
Solo un tributo aveva avuto la fortuna di ricevere un'arma costosa come regalo da parte degli sponsor. Ed era difficile trovare di nuovo un Finnick Odair.
Non ci rimaneva altro da fare che aspettare.

La sera, la situazione era migliorata. Ashlynn aveva riacquistato colorito. Ma non potevamo cantar vittoria. Aveva la febbre alta, ed il colorito derivava semplicemente dal calore che il suo stesso corpo produceva.
L'antidoto di Maximme aveva arginato di poco il problema. Ashlynn aveva mangiato - poco - ma aveva mangiato.
Ma la sua veglia durò veramente poco. La sostanza contro cui stava lottando, e che Maximme aveva neutralizzato solo in parte, aveva nuovamente preso il sopravvento.
Ci distraemmo esclusivamente quando l'inno ed il sigillo di Capitol City ci indicarono che era il momento di sapere chi erano i tributi morti.
Il primo, era il tributo del Due. Scoprimmo che si chiamava Bennett. Ma avevamo sentito anche altre due cannonate. Chi poteva essere morto?
Solo quando lessi il distretto di provenienza, mi irrigidii. E con me, anche Gladius, e Maximme.
La ragazza del Nove, Renee. Il ragazzo dell'undici, Travis.
Mi chiesi se li conoscessero. Loro non accennarono niente, ed io non osai chiedere nessuna informazione.
Ma tutto sommato, non mi sembravano troppo sconvolti. La cosa che ci turbò era il fatto che, entrambi, avevano appena compiuto tredici anni.
« Riposatevi, ragazzi. Starò io sveglia ad assistere Ashlynn. »
Sorrisi, e la ringraziai. Ma non prima di averle passato il sacco a pelo. Gladius aveva "costruito" con dei rami ed un po' di terra un giaciglio più morbido, su cui deporre la mia compagna. Maximme aveva lo sguardo stanco, ma vigile. Prendersi cura di Ashlynn era diventata la sua priorità.
Nuovamente, la situazione ci ricordò che eravamo alla mercé del presidente Snow. E, come qualche giorno prima, iniziai a cantare. Non potevo far altro. Le ghiandaie, riconosciuta la melodia, la modificarono con le loro voci, per poi andare scemando.
Così, mentre Maximme assisteva Ashlynn, io mi portai accanto a Gladius. Sorrisi, quando si riscosse. Non si aspettava una simile "invasione". Ma, sorridendo, mi fece posto. Poggiai la guancia sulla sua spalla, e lui mi avvolse con il braccio, portandolo sul mio fianco. Con l'altra mano cercò la mia, e la strinse. Mi diede un bacio sulla fronte, e iniziò ad intonare sottovoce una lenta melodia.
Mi addormentai presto, avvolto dal calore del suo corpo. Potevo comunque avvertire il suo braccio che, impercettibilmente, mi stringeva a sé.

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Capitolo 12
*** Semper Fidelis ***


Era buio. No, non era buio. Era oscuro. Ero avvolto dall'oscurità. Battevo le palpebre, ma non cambiava niente. Ero totalmente immerso nell'oscurità più totale.
Allungai la mano, cercando quella salda e sicura di Gladius. Non la trovai.
Iniziai ad agitarmi, alzandomi - almeno credevo - in piedi.
Ma non ero su qualcosa di solido. Non ero nemmeno immerso in un liquido.
Sembrava di volteggiare... No, galleggiare. Stavo galleggiando, ma la sensazione era completamente diversa dal galleggiare nell'acqua. Brancolavo nel buio, e le uniche ancore di salvezza, Gladius, Maximme, ed Ashlynn, non erano con me.
E poi, d'improvvisamente, un incendio. Ma non un incendio vero. Ero io che bruciavo. Potevo avvertire, ma non vedere, brandelli del mio corpo lentamente scivolarmi di dosso. Non stavo bruciando, stavo sciogliendomi.
Iniziai ad urlare, senza tuttavia riuscire a sentirmi.
Poi, luce. Anzi, una voce. Una voce allarmata, quasi umana. No... Decisamente umana.

« Svegliati, Shaw, svegliati dannazione! »

Sì, riconoscevo quella voce. Allungai una mano verso di lei; poi, un tocco, caldo. E riuscìì a riemergere da quel buio in cui ero piombato.


Aprii gli occhi. Gladius. Gli occhi stanchi, rossi. Sbattei le palpebre un paio di volte. Mi stava tenendo le spalle con le mani, potevo vedere i suoi bicipiti contratti nello sforzo di tenermi con il busto eretto. Doveva avermi strattonato per farmi svegliare.

« Che... Che è successo? » - lo guardai, un po' sconvolto. Era giorno, ormai. E anche abbastanza inoltrato da quel che potevo vedere.
« ... Hai iniziato ad agitarti e mugolare, Shaw, pensavo stessi male. »
Quando fu sicuro che mi fossi tranquillizzato, lasciò la presa.
Mi voltai intorno, cercando le ragazze. Ashlynn era più pallida della sera prima, Maximme le dormiva accanto. Mi avvicinai a loro, strisciando.
Allungai la mano sulla fronte di Ashlynn, per sentirne la temperatura.
Tuttavia, la ritrassi subito. L'alabastro, il contatto con la sua pelle, già pallida di suo, mi ricordava l'alabastro. Anche il rosso dovuto alla febbre della sera prima aveva lasciato spazio ad un pallore generale.
Anche le sue mani erano nelle stesse condizioni. Il suo petto si alzava lentamente, ad un ritmo irregolare; il respiro era ridotto quasi ad un sibilo. Mancava poco. Molto poco.
E noi non potevamo far altro che aspettare.
Gladius mi arrivò alle spalle, silenziosamente. Non mi spaventai quando mi avvolse tra le sue braccia.
Inconsciamente, avevo imparato a riconoscere il tocco della sua pelle sulla mia.
« La conoscevi da molto? » - scossi la testa.
Il suo mento adesso era sulla mia spalla, gli occhi nocciola fissi su Ashlynn. Sentivo il battito del suo cuore sulla mia schiena.
« No, non molto. Solo qualche parola così, nel Distretto. Sai... Giusto quando ci trovavamo al Prato nelle giornate estive. »
Un lieve fruscio; Maximme aprì gli occhi. Sorrise leggermente quando ci vide, per poi tornare seria. Si sedette pure lei accanto ad Ashlynn, attendendo l'inevitabile.
Risposi alle domande che Gladius mi poneva automaticamente, lasciando andare i ricordi e le parole. Maximme aveva radunato le nostre cose, e inconsciamente con le mani stava intrecciando una corona con i fiori che stava cogliendo dal manto erboso sotto di noi.
L'aria era più fresca del giorno prima; agli Strateghi evidentemente quello spettacolo stava piacendo.
Rimanemmo in quella posizione per quasi un'ora, il tempo era scandito dalle pause tra le domande di Gladius e le mie risposte.
Ogni minuto che passava, Ashlynn respirava sempre più lentamente.

Bang. Stavo parlando, quando un colpo di cannone mi obbligò a tacere.
Le braccia di Gladius ebbero uno spasmo, e mi strinsero con forza, quasi violentemente da mozzarmi il fiato.
Maximme chinò la testa. La sua mano, lentamente, andò a poggiarsi sul collo di Ashlynn, all'altezza della giugulare.
Qualche istante, e ritrasse la mano.
Non alzò la testa né parlo. Solo un sospiro.
Avvertii le lacrime di Gladius scivolare lungo i suoi zigomi, per bagnare anche il mio volto, tanta era la vicinanza.
La sua prese non accennava a diminuire di intensità, ed io non potei far altro che lasciarmi avvolgere da lui, e risolvendo il mio malessere in singhiozzi silenziosi. La voce non accennava ad uscirmi di gola.
Davanti ai nostri occhi Maximme sistemò i capelli biondi di Ashlynn in un'elegante crocchia. Le diede un bacio sulla fronte, per poi poggiare sulla sua fronte la stessa corona che fino a poco prima stava intrecciando.
« Andate. »
Anche le mani furono intrecciate sul seno appena pronunciato. Maximme aveva reso Ashlynn l'immagine di una normalissima adolescente. Tuttavia di normale non c'era niente.
« M-ma... . » - un ulteriore pressione delle braccia di Gladius sul mio busto; sentivo ancora il suo volto sul mio, il mento reso ispido dall'accenno di barba sulla mia spalla.
« Cosa ne sarà di te? » - la ragazza sorrise, incerta. Carezzò nuovamente il corpo di Ashlynn, quasi avesse paura di romperlo. « Qualcosa inventerò. »
Mi balenò in mente un pensiero. « Adesso siamo gli ultimi rimasti dei nostri Distretti... »
Non ebbi risposta.
Gladius mi aiutò a rialzarmi. Saggiai la caviglia, e sembrava essere a posto. Sorrisi, e la sfasciai Era decisamente meno gonfia, e sembrava reggere abbastanza bene il mio peso. Ripiegai con cura la benda, e la porsi a Maximme. Sì, era stata destinata a me, ma era giusto che la avesse lei. La prese tra le mani. Sorridendo, si alzò leggermente sulla punta dei piedi per arrivare all'altezza dei nostri volti.
Baciò entrambi con la delicatezza di una farfalla; solo allora potei avvertire il leggero odore che la sua pelle emanava. Non era un odore comune, anzi.
Mi chiesi se era tipico della gente dell'Undici.
Ma non feci in tempo che la ragazza afferrò il proprio zaino, e si diresse dalla parte opposta alla nostra.
Io e Gladius ci incamminammo, diametralmente a Maximme, fino a che non distammo circa venti metri dal corpo di Ashlynn. Sembrava una statua.
Solo allora un hovercraft fece la propria comparsa, e sollevò il corpo della ragazza.
E, veloce com'era comparso, scomparve alla nostra vista.

* * *

Un colpo di cannone fece voltare il gruppo dei Favoriti.
Tutti e tre, e specialmente Jessy, sorrisero. Il sorriso di Lea, tuttavia, tradiva una certa stanchezza.
Sapevano già che il colpo di cannone segnava lo spengersi della ragazza bionda del Dodici.
Ma l'obbiettivo di Lea, adesso, era ancora in vita. Voleva far fuori il ragazzo del Nove, quello che aveva scoccato con mira eccellente la freccia alla gola di Bennett.
Nella mente dei tre Favoriti ancora risuonava il rumore di carne lacerata, ma soprattutto del gorgoglio di sangue.
« Lea, abbiamo tempo. »
Sebastian aveva preso parola per rompere il silenzio che aleggiava fin dalla sera prima.
« Li faremo fuori, entrambi... Suvvia, sono un minatore fallito ed un contadino! Ce la possiamo fare, come ogni anno! »
Non sembrava turbato; credeva nelle sue parole. Ma effettivamente era sempre stato così. I Favoriti, oltre che vincere, avevano un altro obbiettivo. Erano macchine, addestrati fin dall'infanzia all'arte del combattimento e del dare spettacolo.
« Sebastian, vaffanculo. Chiudi quella fogna prima di ritrovarti un foro all'altezza del cuore. »
Il ragazzo fece una smorfia, per allontanarsi di qualche passato.
« Come preferisci, Lea. Non chiedermi aiuto quando il ragazzo del Nove ti pianterà una freccia in fronte, perché starò in disparte a godermi lo spettacolo. »
Lea ringhiò, innervosita da quelle parole. Veloce come un lampo, Jessy si portò a metà tra i due, prima che la ragazza del Distretto Due potesse compiere qualche gesto avventato.
« Riservate le vostre abilità per gli altri tributi. Siamo rimasti in tredici. »
Lea sbuffò, e Sebastian tornò a sedersi, le spalle voltate. Jessy del quartetto, adesso del trio, era quella che aveva i nervi più saldi.
Tuttavia, non era una vera e propria cima nel combattimento. La sua abilità stava nel saper usare la lingua. Sarebbe riuscita a mettere KO chiunque a parole, portando qualsiasi persona avesse di fronte a dubitare della propria stessa esistenza.
A quel punto, demotivati ed abbatuti, erano facili prede per la sua lama.

* * *

Aveva camminato per più di due ore, ed era stremata.
Non sapeva quanto sarebbe sopravvissuta, da sola. Non voleva pesare di più sulle spalle di Gladius, e in parte di Shaw. Sapeva che quei due, insieme, avrebbero potuto sopravvivere più a lungo di chiunque altro.
Lei li avrebbe solo rallentati.
Si arrampicò su quella che le sembrava una quercia, facendo attenzione a non incappare in nidi di Aghi Inseguitori. Si fermò su uno dei rami più alti, e rimase in attesa.
Maximme osservò il cielo, e quando il volto di Ashlynn comparve nell'aria, non poté far altro che iniziare a piangere, silenziosamente.

* * *

« Mi dispiace, Shaw. » - nuovamente ci eravamo fermati. Avrei proseguito il cammino, se fosse dipeso da me, ma Gladius non voleva sforzar troppo la mia caviglia.
Ma oltre quello, la sera era scesa, e con essa gli Strateghi avevano mostrato ai rimanenti tredici tributi a chi era stato "dedicato" il colpo di cannone di metà pomeriggio.
« Non preoccuparti... Sto bene. »
Eravamo entrambi scossi; entrambi avevamo perso l'altrà metà che avrebbe potuto assicurare ai nostri Distretti un anno più tollerabile del solito. Perché oltre ad aver salva la vita, almeno noi dei Distretti più disagiati, puntavamo al garantire un po' di serenità per i nostri concittadini.
Mi afferrò la mano, voltandosi di fianco.
Iniziò a fissarmi, interessato. Sentivo il suo sguardo studiare ogni singolo mio lineamento. Con la punta dell'indice contornò i contorti dei miei occhi, poi del naso.
Si fermò leggermente sulle labbra, per strapparmi un leggero brividio. Seguì la curva della spalla, scendendo lungo il bicipite e l'avambraccio. Giunto alla mia mano, distese la sua, e la strinse.
Con forza e delicatezza allo stesso tempo mi trasse a sé, abbracciandomi.
I nostri visi erano, adesso, a pochi centimetri l'uno dall'altro. Con l'altra mano afferrò un lembo del suo sacco a pelo, e lo tirò fin sopra le nostre spalle, a coprirci.
Con la mano libera imitai i suoi gesti di poco prima, ma solo dopo aver coperto anche le nostre teste. Non volevo che Capitol City rubasse quel momento di intimità tra di noi. Non c'era una vera e propria felicità, ma entrambi gioivamo della vita dell'altro.
Disegnai con il mio indice il contorno dei suoi occhi, in cui mi sembrava di perdermi ogni volta che mi guardava. Ammirai il naso, non troppo pronunciato, seguii la dolce curva tra le nari ed il labbro superiore.
Tornando verso il basso, schiusi leggermente le sue labbra, per una semplice questione di inerzia. Lo vidi sorridere, e mi baciò leggermente la punta del dito.
Mi scappò una leggera risata, e sentii che anche lui la condivideva.
Poggiai quindi la mano sul suo petto, all'altezza del cuore, confortato da quel battito regolare. Mi avvicinai a lui, finché i nostri nasi non si sfiorarono.
« Posso baciarti, Gladius? » - ridacchiò leggermente, stringendomi la mano ed avvolgendomi le spalle con l'altro braccio.
« Tutto quel che vuoi, Shaw. »
Le nostre bocche si incontrarono, prima incerte; ma durò poco, che tornammo ad assaporarci, in un tenero abbraccio di corpi e di labbra.
Era dura pensare che, a distanza di pochi giorni, tutto sarebbe finito, per uno di noi. Ma quando la sua mano mi accarezzò la guancia, dimenticai quel pensiero.
« Gladius, prometti di vincere. Per te, per Ashlynn, per Maximme. »
Mi pose un dito sulla bocca. « Per te, soprattutto. Non pensarci, Shaw. Non pensiamoci, ti prego. »
Con il braccio intorno alle mie spalle mi tirò a sé, finché i nostri petti non arrivarono a combaciare.
« Non ci pensiamo. »
Mi diede un altro bacio, per poi strusciare il suo naso sul mio. Sentii l'umido delle sue labbra, ed il sale delle sue lacrime. Sapeva quanto me che, tra i due, quello più papabile al non farcela, ero io.
Sorridendo leggermente, mi sfilai dal polso il braccialetto che portavo con me, e lo infilai al suo polso.
« ... Grazie, Shaw. »
Semper Fidelis, da qui all'eternità.

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Capitolo 13
*** It's all over ***


Tremava. Dopo aver passato la notte sull'albero, il corpo di Maximme era in preda a spasmi, a causa della posizione scomoda e dell'allerta continua a cui il suo corpo e la sua mente erano stati obbligati.
Era da sola ormai, doveva contare esclusivamente sulle sue forze.
Aveva intenzione di far campo bruciato intorno a Gladius e Shaw, perché... Il  perché non se lo giustificava nemmeno lei.
Sapeva che era giusto, e basta.
Non era un'assassina, avrebbe puntato esclusivamente ad indebolire gli avversari.
Le era già bastato uccidere una volta. Non aveva intenzione di farlo ancora.
Un lieve fruscio dietro di sé la fece voltare.
Ma non era nessuno. O almeno, non c'era nessuno.
Aveva i nervi a fior di pelle, non era mai stata coraggiosa, men che mai adesso, che era sola e abbandonata in una foresta che non conosceva. Le mancavano i frutteti del Distretto Undici, l'aria profumata dal polline dei fiori degli alberi da frutto.
L'unica cosa che la confortava era la vicinanza con la vegetazione. La faceva sentire a casa.
Mentre meditava non si accorse che qualcuno, effettivamente, la stava seguendo. Il tributo maschio del Quattro la stava seguendo.

Lo sguardo di Eljas era vigile sulla ragazza. Stava valutando se, effettivamente, potesse rappresentare una minaccia per lui.
Non notava armi alla cinta o nelle mani della ragazza, ma non sapeva cosa potesse contenere lo zaino.
E, tuttavia, non sarebbe stato un problema. Le sembrava piuttosto esile, anche se agile da come la vedeva destreggiarsi tra le fronde e tra le radici che spuntavano dal suolo.
Solo quando notò la carnagione leggermente più scura, capì che doveva essere la ragazza del Distretto Undici. Ma lui era forte, seppur debilitato. Dopo lo scontro con i Favoriti, dal quale era uscito vivo per miracolo, era vulnerabile.
Un alleato era comunque un ottima cosa.
Si avvicinò lentamente a Maximme; ma non aveva comunque fatto i conti con i sensi della ragazza, resi più acuti dal nervoso e dalla situazione in generale. Prima che potesse poggiarle una mano sulla spalla, la ragazza aveva già sferrato un calcio all'altezza del plesso solare di Eljas, obbligandolo a saltare all'indietro, causandogli non poche fitte di dolore all'addome.
« Chi sei? »
La ragazza era ancora in preda al panico, anzi, sarebbe più consono dire in preda all'ansia.
« Eljas, Distretto Quattro... Non volevo ucciderti, anche se effettivamente è questo lo scopo del gioco. »
Sorrise leggermente, stringendosi il braccio destro. Maximme, seppur sospettosa, poté notare le condizioni del giovane.
« ... Maximme, Distretto... » - « ... Undici. »
Eljas sorrise a sua volta quando Maximme fece una faccia più scocciata che sorpresa.
« Beh, tra gli alberi ti muovi come se fossi a casa tua... E nel Distretto Undici avete frutteti, no? »
La ragazza annuì, guardando meglio Eljas.
Era più alto di lei, ovviamente, ed anche più alto di Gladius, senza ombra di dubbio.
Era più massiccio del ragazzo del Nove, con una muscolatura più scolpita. Non si sorprese, considerando che la maggior parte delle persone del Quattro erano dedite alla pesca o al nuoto. Capelli corti, quasi rasati. Erano leggermente più lunghi nel centro, quasi a formare una specie di pinna.
Ma la cosa che più sorprese Maximme era un tatuaggio sul fisico di Eljas. Grazie allo squarcio che aveva sulla maglia, all'altezza della spalla destra (la stessa che, aveva notato, doveva causargli fitte dolorose) vide una spirale azzurra risalire dal bicipite ed avvolgere tutta la scapola del ragazzo.
Un'altra spira, di un blu più scuro si intersecava con la prima, mescolando i colori. Infine, inchiostro più chiaro, quasi grigio, si creava tra le due. Sembrava un'onda. Anzi, era sicura che fosse un'onda.
Persa com'era nei suoi pensieri, non si accorso che Eljas le si era avvicinato, per poi muoverle le mani di fronte agli occhi.
 « Ehi, ci sei ancora? »
Maximme si riscosse e balzò all'indietro, impaurita. La sua reazione fece ridere Eljas per qualche secondo, prima che il dolore lo sopraffacesse. La ragazza scosse la testa, e si avvicinò a lui, per poi posargli le mani sulle spalla destra.
Aveva la pelle calda, rassicurante. Tastò più e più volte l'intera articolazione, per poi passare alle ossa del braccio. Eljas la osservava incuriosito, gli occhi cobalto puntati sulle mani della ragazza.
« Non hai niente di grave, è solo una brutta contusione. Vieni con me, cerco delle erbe per farti un impacco. »
Si incamminò nuovamente, ma dopo qualche passo si fermò, perché il ragazzo era rimasto fermo. « Perché mi stai aiutando? »
« Semplice, non voglio aiutare Capitol City a regalare ai suoi abitanti carneficine gratuite. Ora muoviti. »
Eljas recuperò la distanza tra sé e la ragazza, e si incamminò al suo fianco, colpito dalle parole di Maximme. Nemmeno lui, fondamentalmente, voleva essere un fenomeno da baraccone della capitale.

* * *

« Cos'hai intenzione di fare? » - fu nuovamente Sebastian a rompere il silenzio che era piombato sui Favoriti sin dalla sera prima, quando il volto di Ashlynn (non che loro la conoscessero per nome) comparve nel cielo, preceduto dall'inno nazionale.
Lea si voltò verso di lui, mordendosi le labbra. « Voglio uccidere il ragazzo del Dodici. »
Sia Sebastian che Jessy si guardarono. Lea voltava loro le spalle, quindi non li avrebbero visti. « Occhio per occhio, dente per dente. »
In definitiva, il ragazzo del Nove doveva soffrire, così come lei aveva sofferto la morte di Bennett.
Corpulento com'era, anche abbastanza astuto, era uno dei Favoriti più papabili alla vittoria.
O almeno così lei sperava, fin da quando si erano offerti volontari alla Mietitura. Lo aveva ammirato combattere corpo a corpo nel Centro Addestramento, apprezzandone anche il lato divertente e comico al momento del pranzo nel loro alloggio.
Forse era il primo amico che trovava, o per meglio dire, il primo veramente sincero. Peccato che lo avesse trovato proprio in un'occasione così triste.
« Ok. »
Jessy era preoccupata. Ma era inquieta fin dalle prime ore della mattina. Avvertiva pericolo, senza sapere bene il motivo.
Tuttavia non voleva darlo a notare. Si sentiva osservata, come se un falco stesse scrutando ogni loro movimento, ogni loro parola.
Dopotutto, i Favoriti, nonostante fossero sempre i più forti, erano i tributi che spesso venivano colpiti a tradimento dagli altri venti, per portarli il più velocemente alla morte, e rendere i Giochi dei Giochi più o meno equi.
« Merda. Abbiamo finito l'acqua, dobbiamo andare a riempire di nuovo le borracce! »
Jessy sospirò, incerta. « D'accordo, andrò io. Voi state attenti alle provviste. »
Con lo stiletto al fianco, si incamminò verso il fiume, le tre borracce al sicuro nello zaino.
Avevano lasciato l'equipaggiamento di Bennett alla Cornucopia, dopo che la freccia del ragazzo del Nove gli aveva trapassato la gola.

* * *

Quattro colpi di cannone, in rapida successione, fecero tremare tutta l'arena.
Alzammo lo sguardo, incerti. Non c'eravamo ancora mossi, dopo la sera prima. Eravamo rimasti abbracciati, sotto quel sottile scudo rappresentato dal sacco a pelo. Avevo poggiato una mano sotto la maglia di Gladius, e in quella posizione mi ero risvegliato, con lui che mi cingeva il busto con le braccia, stringendomi a sé.
Dormiva ancora, quando mi ero svegliato.
Adesso tuttavia eravamo entrambi vigili, e turbati. « Spero non sia Maximme. »
Non c'era niente da fare, se non aspettare la sera stessa. Quindi, ci costringemmo a riempire il tempo.
Mi insegnò a tirare con l'arco, nell'eventualità che avessi dovuto ereditare la sua attrezzatura. Mi incazzai quando si rivolse in quel modo, ma mi tappò la bocca, poggiandovi sopra la sua. Non me l'aspettavo, e quindi non replicai.
Io, dal canto mio, cercai di fargli riconoscere quelle poche piante velenose che conoscevo (e qui sarebbe stata d'aiuto Maximme), per evitare che, magari, si avvelenasse per sbaglio alla ricerca di cibo.
Raccogliemmo un po' di legna, per cuocere un po' di quella carne che era riuscito a procurarsi, forse era un fagiano. Nel pomeriggio, mi rigiravo tra le mani il suo coltello.
E fissavo il mio riflesso sulla lama. Osservai i capelli, immaginando che sarebbero stati d'intralcio se qualcuno li avesse afferrati. Strappai un filo d'erba, e lo passai sul filo della lama. Venne tranciato in due. Sorridendo, raccolsi i capelli in una coda, senza farne scappare nemmeno uno.
Quindi, lentamente, avvicinai la lama alla mia capigliatura. Assestai un colpo secco, e sentii i capelli lacerarsi in un fruscio. Feci l'operazione due o tre volte, finché non riuscii ad avere una capigliatura simile a quella di Gladius; solo un po' più scompigliata, decisamente.
« Ce ne era proprio bisogno? » - lo guardai. Mi stava squadrando, lo sguardo contrariato. Ridacchiai, e gli spiegai il motivo.
Mi fissò, serio, e poi sbuffò. « Eri più bello prima, Shaw. »
Mi avvicinai a lui. « Perché, ora non lo sono? » - voltai le spalle, "offeso". « Lo saresti sempre, lo sai. »
Mi abbracciò da dietro, come feci io con lui pochi giorni prima, e sorrisi al suo tocco. Gli scoccai un bacio sulla guancia ispida, e sentii i suoi zigomi contrarsi in un sorriso.

* * *

La sera, nel cielo dell'arena, comparvero i volti associati ai quattro colpi di cannone.
Erano gli sventurati Tributi del Tre e dell'Otto.
Avevano scelto di rifugiarsi nella palude, in una specie di canneto. E da allora, avevano semplicemente aspettato che il numero di persone in gioco diminuisse. Ma gli Strateghi si sa, sono capricciosi. Non gli ci era voluto molto a rendere la palude un luogo malsano, con esalazioni di gas nocivi. Inizialmente i quattro non se ne erano accorti, per il semplice fatto che il gas era stato reso inodore.
Ma poco a poco avvertirono i loro corpi farsi più pesanti, le palpebre chiudersi.
Non ebbero il tempo di pensare a qualcosa da farsi, perché già avevano perso i sensi. A quel punto, passarono soltanto pochi secondi, in cui il prezioso ossigeno non arrivò più al cervello, causandone il collasso.

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Capitolo 14
*** Per sempre ***


Risuonarono quattro colpi di cannone. I Favoriti alzarono gli occhi al cielo, sperando con tutta l'anima, se ci credevano o meno, che si trattasse delle morti dei tre ragazzi che erano con la ragazza del Dodici. Il quarto non gli importava.
Viceversa, Maximme temette per l'incolumità di Gladius e Shaw; ed entrambi loro, per quella della loro amica.
Ma la sera, quando i volti dei quattro Tributi (per loro anonimi) comparvero nel cielo, i Favoriti imprecarono, e senza aspettare altro, partirono alla ricerca dell'anello debole dell'ex terzetto (ma loro non lo sapevano, ancora), ovvero Maximme.
Invece Maximme, Gladius e Shaw si tranquillizzarono leggermente. Sapevano tuttavia che i Favoriti volevano loro, e che adesso era esclusivamente questione di ore, forse giorni. La caccia era aperta.

* * *

« Gladius. »
Lo chiamai, la voce piatta. Si girò verso di me, ero rimasto leggermente più indietro di lui. « Che succede? »
Mi guardò, leggermente preoccupato, si vedeva, dalla strana apatia che mi aveva colpito da quando avevo visto i quattro morti nel cielo. Sorrisi. « Devi promettere. »
Si fermò. « Che cosa, di preciso? »
Continuai a fissarlo; sentivo che sarei scoppiato a piangere da un momento all'altro, e non potevo permettermelo, non adesso. « Sarai tu ad uccidermi. »
Crollò il silenzio, tra di noi. Non sapevo come avrebbe reagito Gladius. Si avvicinò a me, e potei leggere nei suoi occhi odio, rabbia, dolore.
Ma solo per un breve attivo. Mi diede un leggerissimo bacio; e ma quando ci guardammo, notai solo un senso di smarrimento nei suoi occhi. « Giuralo, Gladius, non ci metto niente a cercare i Favoriti e farmi ammazzare da loro. »
Sussultò alle mie parole. Avevo sì paura, ma le avevo pronunciate con fermezza. Sapevo che gli chiedevo troppo. Poggiai la mia fronte alla sua, e le mani al suo cuore. « Non sarai mai più solo, Gladius. »
Portò le sue a stringere le mie, e avvertii che tremava. « ... Impazzirò, lo sai. »
Deglutii leggermente, un nodo in gola. « No Gladius, sarai forte. Non sarò con te, ma ci sarò, sempre. »
Si staccò da me, dandomi le spalle. Mi sentii finalmente libero di sciogliermi in un pianto silenzioso. « Solo perché ti amo. Niente di più. »
« E niente di più vorrò da te. » - da quella posizione mi era impossibile scorgere il suo volto, ma ero sicuro che stesse piangendo.
Ma quel silenzio strano che si venne a formare, durò poco. Altri colpi di cannone ci distrassero. Altri due.

* * *

Maximme ed Eljas alzarono gli occhi al cielo, increduli. Altri due morti. Sei morti in poche ore. Seppero che, almeno in parte, doveva essere il tiro mancino degli Strateghi.
Erano in sette, adesso. Quanto ancora sarebbe durato quel gioco?
Il ragazzo nel frattempo si era rimesso dalla brutta contusione che si era procurato, ad aveva ripreso la totale mobilità del braccio che si era danneggiato.
Furono entrambi contenti, anche se Maximme sapeva che per lei era finita. Aveva con se la borraccia di Ashlynn.
La girò tra le mani, e la osservava. « Non dovrai bere da questa borraccia. »
Eljas la guardò, senza capire. Lui aveva la sua, perché avrebbe dovuto bere da quella? « Aspettami qui. »
Tornò dopo diversi minuti, con in mano dei fiori dalla colorazione violacea. Li guardò, sospettoso. Aveva notato che la ragazza li sorreggeva attraverso diversi centimetri di stoffa. « Si tratta di Anemone pulsatilla. »
Maximme iniziò a pestare con un rametto quei fiori che aveva raccolto, aggiungendovi via via un po' d'acqua. « Possono causare la morte, specie se chi li assume è già in stato di debolezza. »
Il ragazzo la guardò. Forse aveva capito dove la ragazza voleva arrivare a parare con i suoi discorsi. « Mi stai dicendo che... »
Maximme alzò lo sguardo, e lo piantò nel suo. « Se dovessi morire, lascia la mia roba alla mercé dei Favoriti. Se morirò, non sarà né per mano tua, né per mano di Gladius e Shaw. »
Eljas abbassò lo sguardo, il volto contratto in una smorfia. « Moriremo insieme, allora. »
Maximme si fermò, e controllò se il colore di quell'infuso fosse abbastanza chiaro. E soprattutto, inodore. Sembrò soddisfatta del risultato. Versò il suo preparato all'interno della borraccia di Ashlynn, e agitò. Sentirono il liquido vorticare all'interno delle pareti del contenitore, e associarono quel gorgoglio alla morte.
Infine, lo ripose nella sua borsa. « Molto bene, almeno non sarò da sola. »
Si alzò, scuotendosi le mani. Tese la destra a Eljas, per aiutarlo a rialzarsi. « Direi che morire per salvare altra gente è un'ottima cosa, non credi? »
Il ragazzo sorrise leggermente; non era mai stato troppo altruista, ma non sapeva far altro che nuotare. « Direi che hai perfettamente ragione. »
Si guardarono ancora negli occhi.
« Dove pensi che potrebbero essere i Favoriti? »
Maximme si fece pensierosa. « Non so, ma potremmo attirarli qui. »

* * *

Jessy alzò lo sguardo, nella direzione indicata da Sebastian. Lea fremeva di rabbia. « Del fumo. »
Si guardarono. Poteva essere una trappola, ma dubitarono che si trattasse dell'arciere del Nove. Dopotutto non era così stupido, e lo avevano capito.
Erano rimasti in sette. Loro tre; il ragazzo del Dodici ed il suo amichetto del Nove; la ragazza dell'Undici, ed il ragazzo del Quattro, che avevano già incontrato.
« Non mi importa chi sia, andiamo. »
Lea si alzò, e senza aspettare risposta, iniziò a correre verso la direzione indicata dal Favorito. Sebastian e Jessy sospirarono leggermente, e si gettarono al suo "inseguimento". Due di loro non avrebbero di certo vinto, ma non potevano comunque sopportare che Tributi provenienti da altri Distretti che non fossero l'Uno ed il Due potessero vincere gli Hunger Games. Era successo poche volte, e non doveva succedere più.
« Lea, aspettaci! »
Le furono al fianco in pochi secondi di corsa serrata.
Non dissero niente, ma si inoltrarono nel bosco, verso la direzione del fumo.

« Ci siamo. »
Maximme stava letteralmente soffocando a causa del fumo, ma stava facendo finta di rilassarsi, e lo stesso Eljas. Non avevano intenzione di farsi ammazzare come nulla fosse, comunque. Avrebbero cercato di opporre un minimo di resistenza.
« Ehi, sfigatelli... Non sapete accendere un fuoco senza affumicarvi? »
Si voltarono, e videro i Favoriti. Se lo aspettavano, ma (ri)trovarseli così vicino era comunque un esperienza sconvolgente. Sapevi che stavi per morire, in pratica. E le eccezioni erano poche. Si alzarono di scatto, affiancandosi. Lo sguardo non era tanto sul ragazzo, né sulla ragazza con lo stiletto. Erano più che altro preoccupati della ragazza che aveva scagliato il pugnale. « La tua amichetta è morta, eh bella? »
Fu proprio Lea a parlare, indirizzando parole cariche di odio a Maximme. Tuttavia la ragazza non era intenzionata a lasciarsi trattare a pesci in faccia. « Oh beh, anche il tuo amichetto penso abbia fatto una bella fine. »
Tutti videro i pugni di Lea contrarsi. « Almeno lui è morto combattendo, non preso alla sprovvista, sei piuttosto codarda, sai? »
Maximme sapeva che le provocazioni, adesso, erano pericolose. E non tardò ad accorgersene; Lea le se scagliò addosso, rapida come non mai. « Tu, brutta stronza, non osare!! »
In una manciata di secondi furono a terra; Eljas fece per correre in direzione di Maximme ed aiutarla,  ma non fece in tempo che Sebastian gli si piazzò davanti. Jessy era scattata ad afferrare i loro bagagli. Almeno parte del piano era andata a buon fine.
« Dovevi pensi di andare, pescatore? »
Eljas lo squadrò, accigliato. « E tu che vuoi da me, scostumato del Distretto Uno? Siete così dediti ad ogni sorta di stronzata che siete diventati dei mostri nel tempo! »
Ovviamente si riferiva più che altro a Capitol City, ma lo stile di vita del Distretto Uno era comunque molto simile.
« Chi cazzo credi di essere, eh nanerottolo? La scorsa volta ti è andata be... »
Non fece in tempo a rispondere, che Eljas gli aveva sferrato una potente ginocchiata nello stomaco, obbligandolo a chinarsi. Con un ulteriore pedata, lo fece cadere all'indietro, dopo avergli prepotentemente spaccato il naso. Sangue caldo uscì a fiotti dalle narici di Sebastian, imbrattando l'erba su cui andò a schiantarsi con un sonoro tonfo; in quanto ad agilità, Eljas era molto più agile di Sebastian, essendo appunto abituato a nuotare. La sua rapidità nelle reazioni e nei movimenti l'aveva favorito molto.
Un altro colpo di cannone.
La scena per qualche secondo si fermò, con Eljas che fissava attonito il corpo di Sebastian, immobile, di fronte a sé. Lea e Jessy si voltarono contemporaneamente, gli occhi sgranati per la scena.
Il calcio, il violento calcio di Eljas aveva fatto sì che le ossa del naso, o meglio, la cartilagine, riuscisse grazie all'impatto a spaccare letteralmente le ossa del volto, causando al Favorito una morte cerebrale praticamente istantanea. « NO! »
L'urlo delle due Favorite riportò l'attenzione di tutti alla carneficina che di li a poco si sarebbe svolta; Eljas, noncurante di Jessy, si lanciò contro Lea, tentando di staccarla dal corpo di Maximme, che già sembrava soffrire delle ferite da taglio lungo le braccia, causate da un pugnale (questa volta innocuo, per modo di dire) che la ragazza del Due si era nascosta nello scarpone. Grazie all'intervento di Eljas la ragazza dell'Undici riuscì ad allontanarsi dalla Favorita.
Tuttavia in quel modo Eljas si era esposto in modo troppo diretto. Riuscì ad evitare qualche fendente di Lea, ma non aveva fatto i conti con Jessy.
Era sì la più debole del gruppo, ma in quel momento era in posizione fin troppo favorevole per un attacco a sorpresa.
Rapido, crudele, e letale.
La lama dello stiletto, affilata come un rasoio, letteralmente trapassò da parte a parte il busto di Eljas.
E nuovamente, il tempo sembrò fermarsi nello spiazzo.
Il ragazzo abbassò, rantolando, gli occhi al suo addome. Vide la lama spuntare, estranea, dalle sue membra. E, contemporaneamente dalla sua bocca iniziò a sgorgare, lentamente, del sangue. Cadde in ginocchio, ed incrociò lo sguardo di Maximme.
Non era impaurito. Sapeva che qualcuno avrebbe vendicato la sua morte. « Fuggi. » - dalla sua bocca non uscì alcun suono. Maximme riuscì a rialzarsi, ma barcollò all'indietro, perdendo di nuovo l'equilibrio.
Si afferrò al fusto di un albero, e proprio mentre gli occhi di Eljas roteavano, ormai privi di vita, ed un colpo di cannone risuonava nell'aria, iniziò a correre nel bosco.
Lea si lanciò dietro di lei, in un inseguimento folle.
Jessy invece era rimasta sul luogo dello scontro, uno scontro sanguinolento, troppo breve. Liberò nauseata il cadavere di Eljas dalla lama dello stiletto, gettandola lontano. Il forte odore di sangue le faceva bruciare occhi e bocca. Il suo stomaco minacciava di rivoltarsi; il fumo che si alzava dalla catasta di legna verde, l'odore del ferro, tutto minava il suo sangue freddo.
Si inginocchiò vicino a Sebastian, guardando il suo viso, i suoi lineamenti.
Nonostante il sangue che già stava raggrumandosi, rimanevano comunque dei lineamenti dolci. Strano ma vero, nonostante il suo essersi offerto volontario, non apprezzava gli Hunger Games. Gli pose una mano sugli occhi, chiudendogli le palpebre.
Si avvicinò poi a Eljas, e gli incrociò le mani, a coprire lo scempio che aveva commesso, che lo aveva privato della vita. E come aveva fatto a Sebastian, permise alle palpebre di coprire gli occhi del ragazzo.
Ma la cosa che più le diede fastidio, era l'espressione del ragazzo. Sorrideva, così come i suoi occhi.
Poi, di nuovo, un colpo di cannone. Pochi secondi dopo, vide Lea uscire dal bosco. Aveva un braccio insanguinato.
« Quella stronza. Ha tirato fuori dal niente un coltello, e mi ha ferito alla spalla. Ma ormai è morta, la signorina. Andrà a far compagnia all'altra stronza sua compagna. »
Jessy osservò Lea, inquieta. Non sapeva più che pesci prendere con lei.
E non sapeva più se, effettivamente, voleva che fosse lei la vincitrice.
« Controlla nello zaino cosa c'è. »
Jessy annuì, ma fece cenno all'amica... A Lea, di allontanarsi. Quella zona, per lei, era diventata un inferno sceso in terra. Non che gli Hunger Games, già di per sé, non fossero un inferno.
La ragazza tirò fuori una borraccia, un sacco a pelo, e un po' di carne secca. Sorrise.
« Beh, abbiamo acqua in più, e un po' di provviste. »

* * *

« Siamo... Siamo in quattro. »
Lo disse con voce distrutta. Lo osservai. E mi venne in mente che, a momenti, forse poche ore, la mia vita sarebbe terminata.
Però ero... Più o meno contento. Me ne andavo per mano sua. E non l'avrei mai più abbandonato.
Sicuramente una scena simile agli Strateghi piaceva molto. I due innamorati, di due Distretti diversi, obbligati a piegarsi di fronte alla volontà della Capitale.
Sorrisi leggermente, e andai vicino a Gladius.
Gli presi le mani, guardandolo negli occhi. Ricambiò il contatto visivo, gli occhi immersi in una tristezza allucinante.
« Andiamo, dai. »
Lasciai i nostri corpi uniti, esclusivamente per una mano, e iniziai a camminare.
Non sapevo bene perché, ma ripercorremmo le stesse strade che già avevamo percorso. La mia mente stava cercando di tornare indietro, ai momenti più piacevoli passati nell'Arena. La canzone che avevo cantata dall'albero; la mia caduta rovinosa, Maximme che mi fasciava la caviglia.
Io e Gladius in quella specie di anfratto roccioso. I dialoghi notturni riguardo la vita nei nostri Distretti.
Sentivo la mano di Gladius premere sulla mia, la sua pelle ruvida sulla mia.
Tornammo al fiume. Non so quanto tempo passò, forse un paio d'ore.
Due belle ore. Due ore in cui godemmo veramente della presenza dell'altro. Non ci furono baci, non ci furono singoli abbracci. L'unico contatto era quello saldo delle nostre mani.
Infine, senza veramente accorgercene, tornammo alla Cornucopia, la dove tutto era iniziato.
« Sarebbe bello poter tornare ai nostri Distretti, insieme. »
Lo guardai. « Lo so. Sarò sempre con te, Gladius. »
Osservammo il nostro riflesso nella superficie dorata della Cornucopia. « Non vedrò mai più con gli stessi occhi il nero della notte, adesso. »
Sorrisi, e lui fece altrettanto. Non erano sorrisi di gioia, non erano smorfie di dolore mascherate.
Era qualcosa di diverso, ma non sapevo definire bene cosa. E neanche lui. Forse era la consapevolezza che, morte o meno, io sarei comunque rimasto impresso nella sua anima. Avrei lasciato traccia del mio, seppur breve, percorso insieme a lui.
« E allora, quando ti sentirai solo, pensa che il nero della notte è un mio abbraccio. »
Adesso sul mio volto erano comparse lacrime amare. Era tutto quasi perfetto. Se non fosse stato per i due colpi di cannone che, a breve distanza l'uno dall'altro, risuonarono nell'Arena.
Anche Gladius cominciò a piangere. « Non voglio farlo. »
Lo guardai, le lacrime agli occhi, lo sguardo duro. « O te, o gli Strateghi. Scegli. »
« Non c'è una terza possibilità? »
Strinsi la sua mano, e la portai al suo cuore. « Non mi perderai. Non mi perderai MAI. »
Urlai l'ultimo mai, e l'eco risuonò nell'Arena, ormai vuota.
Vidi il tremito che scosse il corpo di Gladius, notai il dolore nel suo volto.
Sperai di non avergli chiesto troppo. Sapevo che era troppo. Ma era così che volevo morire. Non per mano degli Strateghi.
Sarei morto per mano di qualcuno che amavo.
« Fallo. Adesso. »
Mi allontanai da lui, e aprii le braccia. Lo spazio necessario affinché la sua freccia incrociasse il mio corpo, sottraendogli la vita.
Nient'altro. Lo vidi incoccare, lentamente, una freccia. Vidi le sue lacrime rigargli di sale il volto, cadere a terra. Iniziò a prendere la mira.
Sorrisi leggermente. « Non sbagliare, non credo che reggerei altra tensione. »
Lo vidi fare una smorfia, e ritrovò per qualche istante la sua ironia. « Non fai te il lavoro sporco, adesso. »
Ridacchiai.
Nuovamente alzò l'arco; e nuovamente tese la corda. La freccia era incoccata. « Ti amo, Shaw. »
Mi lasciai andare nel momento esatto in cui, con un urlo disperato, lasciò andare la freccia. « Ti amo, Gladius, e ti amerò sempre. »
Non seppi se tutte le parole riuscirono ad uscirmi dalla gola.
Per qualche secondo fui consapevole della freccia che, rapidamente, si stava avvicinando a me.
Avvertii per una microscopica frazione di secondo la mia pelle lacerarsi, all'altezza del cuore. E poi, buio.

* * *

« NO! »
Inizio a correre, avvicinandomi al corpo di Shaw, che ho privato della vita. Vedo che, tuttavia, se ne è andato con un sorriso sulle labbra. Gli afferro il collo, prima che crolli rovinosamente a terra.
Non estraggo la freccia, non ho il coraggio. La lascio dov'è, ma decido di ignorarla. Per un momento mi rispecchio nei suoi occhi, nei suoi bellissimi occhi.
Ma non resisto, e con le dita impedisco alle telecamere di rubare la mia immagine riflessa nelle sue iridi verdi, nel nero della sua pupilla, che quasi sembra chiaro, rispetto ai suoi capelli. Passo un dito sui suoi zigomi, asportando quel velo di sale lasciato dal suo pianto. Gli accarezzo i capelli, che adesso sono corti. Poi osservo il mio polso, e ci trovo il suo braccialetto. Porto le mie labbra su quel semplice pezzo di cuoio, e ce le poggio, dando un leggero bacio.
E poi, bacio la sua fronte, poggiandovi la mia. Lascio che le mie lacrime cadano e righino nuovamente il suo volto. Ignoro la voce che, falsamente gioiosa, mi dichiara vincitore. Penso alla sua famiglia. Penso al Distretto Dodici. Penso al dolore dei suoi amici.
Credo sia paragonabile al dolore che provo io, all'altezza del cuore.
D'improvviso, sento un fruscio sulla pelle, un tocco. E sono sicuro che Shaw non mentiva, lui sarà con me, per sempre.

__________

NdA: Ok, la mia prima long è conclusa.
Adesso mi odierete. Tuttavia spero vi sia piaciuta, so che non è niente di speciale, ma ci tenevo a iniziare con qualcosa che mi ha appassionato.
Come vedete, ho tratto diversi spunti dalla narrazione della Collins. E niente. Alla prossima, e grazie a tutti voi lettori.
May the odds be ever in your favor.
Hymn

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