Per Sherlock Holmes Lei è sempre La Donna.

di shadowofthemoon
(/viewuser.php?uid=161865)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo - Ultimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. ***



Se ne stava lì, in piedi. In strada, da solo. Immobile. Non voleva tornare a casa ora. Voleva stare solo.
Nella sua testa, come sempre giravano milioni di pensieri , sensazioni e visioni, che aspettavano solo di essere collegati. Eppure oggi era diverso. Cosa cambiava dunque? Cosa lo infastidiva di tutto quello che era appena successo? Aveva vinto. Aveva vinto come sempre. Lei non era riuscita a manipolarlo come voleva, non lo aveva battuto. E allora perché non era soddisfatto? Cosa mancava stavolta? Cosa c’era che lo tormentava? Che l’avesse data in pasto ai suoi nemici, nuda, senza nessuna protezione, senza nessuna maschera? Se l’era cercata in fondo. Aveva cercato di giocarlo, l’aveva umiliato davanti a suo fratello. L’aveva fatto sembrare uno stupido,  LUI , Sherlock Holmes, uno stupido. Sherlock Holmes non si lascia manipolare da una donna. Per Sherlock Holmes non esistono nemmeno le donne. Non esistono nemmeno i sentimenti.
Non esistono? Si, forse esistono, pensò. Esistevano anche per lui. Lo sapeva. Diceva di non avere un cuore. Ne aveva fatto un vanto. Essere un sociopatico. Ah si, forse essere un vero sociopatico sarebbe stato meglio. Nessun sentimento, niente di niente. Ma i sentimenti li aveva. Li sentiva, per tante persone intorno a lui. Sentimenti d’affetto e sentimenti d’odio. Anche se non l’avrebbe mai dato a vedere. O almeno ci avrebbe provato. Aveva sentimenti per John, per Mrs. Hudson, Molly, anche per quel incapace di Lestrade, persino per Mycroft. Li aveva eccome. Sentimenti di sfumature diverse, che distingueva a malapena, ma li conosceva oramai, la maggior parte delle volte riusciva a gestirli anche se non sempre li comprendeva.
E poi c’era Lei. C’era Lei e lui qualcosa la sentiva, l’aveva sentita crescere nei mesi trascorsi. Qualcosa che era improvvisamente esploso il primo giorno che l’aveva incontrata. Un’ esplosione sorda, che l’aveva disorientato per un attimo. O forse anche per più di un attimo. Ma non capiva quello che provava, non l’aveva mai capito in tutti quei mesi, era qualcosa che non sapeva gestire, lo faceva agire in un modo che non sempre gli piaceva, e gli faceva commettere errori. Errori. E ne aveva commessi troppi di recente, e c’era sempre di mezzo Lei. In questo momento non voleva pensare a questo, non aveva voglia di mettersi a pensare a cosa provava, era noioso e irritante. Ma perché esistevano queste cose? Non sarebbe potuto nascere come una macchina perfetta? Gli sembrava di avere un difetto di fabbrica. Ma questo non era possibile.
All’improvviso capì che nonostante avesse vinto, stravinto, non sarebbe mai stato soddisfatto di quella vittoria. L’aveva umiliata, ma quel discorso, il suo attacco alla sua stupida emotività, allo svantaggio di amare, quel discorso valeva anche per lui, lo stava facendo anche a se stesso. Lei aveva giocato e aveva perso. Ma anche lui. Anche lui aveva perso. E in più l’aveva condannata a morte. Aveva fatto si che l’unica donna in grado di tenergli testa, di stimolare la sua intelligenza, l’unica che avesse mai smosso in tutta la sua vita una parte sepolta del suo essere, scomparisse per sempre. Quella donna geniale e contorta quasi come lui, persa per sempre. Mycroft l’avrebbe lasciata al suo destino? Il vero uomo di ghiaccio tra i due era lui, Sherlock lo sapeva bene. Per i suoi affari Mycroft si sarebbe venduto anche l’anima. Anche senza rendersene conto. Non poteva fidarsi di lui. Aveva deciso. Non poteva lasciare le cose come stavano.
Con questi pensieri in testa prese a camminare verso casa.
Aveva molto a cui pensare, molto da organizzare, e nessuno tranne lui poteva essere in grado di quella impresa.
Tornato a casa non trovò John. Forse aveva avuto un emergenza a lavoro. Fu sorpreso ma anche sollevato. Non aveva nessuna voglia di parlare con lui della faccenda. Di come erano finite le cose. Non ora.
Sedette in poltrona. Continuavano a scorrergli in testa ricordi di attimi condivisi con Lei. Quella sera stessa, solo poche ore prima erano stati così vicini, tanto vicini che Irene si era tradita.
E lui? Si era tradito? Era riuscito a mantenere il controllo di se stesso, ma per un attimo anche lui aveva avuto la stessa reazione chimica. Il suo cuore aveva cominciato a battere più forte, al tocco della sua mano calda sulla sua, e col suo viso così vicino. Mentre le prendeva le pulsazioni e sentiva il battito di Lei accelerare, si era reso conto che anche il proprio battito lo era. Battevano quasi all’unisono. In quel attimo era ammutolito, proprio quando La Donna gli aveva detto "Oh Mr. Holmes, se questa fosse l’ultima sera prima della fine del mondo, cenerebbe con me?”
Anche ora dopo tante ore non sapeva cosa avrebbe risposto. Le aveva detto di non avere fame. Ed era vero, non aveva mai avuto fame in vita sua. Non quel genere di fame, quella che intendeva Lei. Ma era stato facile non averla. Solitamente disprezzava le donne. Trovava quasi tutto il genere umano stupido, ma le donne se possibile lo erano ancora di più. Ma ora, da quando aveva conosciuto La Donna, non era più certo di niente. E’ questo che la rendeva così spaventosa. La più spaventosa tra le donne. LA Donna . L’unica degna di essere considerata. Era intelligente e scaltra, e aveva potere su di lui. E Lei lo amava. E di questo era certo ormai. Non solo per le pulsazioni e le pupille dilatate. Il modo in cui era crollata alla fine, era più esaurienti di mille parole. Anche perché la maggior parte delle parole che uscivano dalla sua bocca erano quasi sempre menzogne.
Rimase lì a pensare al migliaio di cose che gli rimbalzavano nella testa senza tregua, fissando il fuoco che si spegneva nel caminetto pizzicando leggermente il violino

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


II

Quando John tornò a casa era praticamente mattina, e trovò Sherlock seduto sulla propria poltrona completamente assorto nel suo mondo. Sapeva che spesso si comportava in questo modo, ma stavolta sembrava strano, diverso. Se si non fosse trattato di Sherlock, John avrebbe pensato che fosse triste. Lo salutò sulla soglia del salotto, ed andò in cucina per prepararsi un caffè. Sherlock non alzò nemmeno la testa. John pensò che potesse esserci di mezzo Irene Adler. Da quando era apparsa quella donna Sherlock era ancora più strano del solito. Lei non era in giro, e visto che quando era uscito per andare a lavoro si trovava ancora a casa loro, qualcosa doveva essere successo. Mycroft aveva provato a chiamarlo, ma aveva avuto un emergenza medica e non era stato reperibile per un po’.
“ Ho avuto un emergenza medica stanotte, per questo ho fatto tardi. Mi sono perso qualcosa? Dov’è Lei??” disse John girando la testa per cercarla in giro per la casa. Sherlock non alzò la testa nemmeno stavolta. “Err…Sherlock…tutto ok?” continuò, a questo punto curioso ma anche leggermente preoccupato. Si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. Sherlock alzò la testa finalmente ma il suo sguardo era ancora perso nei suoi pensieri. “Sant’iddio Sherlock, vuoi dire qualcosa? “ a questo punto John era infastidito da questo stato catatonico. Per tutta risposta Sherlock scattò in piedi e afferrato l’archetto cominciò a suonare. Una melodia triste, la melodia che John riconobbe come quella che  Sherlock aveva composto dopo la presunta morta della Adler.
Era morta dunque? Davvero stavolta? John pensò che doveva chiamare Mycroft, perché non ci stava capendo più nulla. E Sherlock non aveva intenzione di rispondergli, almeno non per il momento, era evidente. Bevuto il suo caffè, corse in camera a telefonare a Mycroft, che gli spiegò tutto quello che era successo, dell’aereo, del fatto che Irene aveva tentato di farsi gioco di Sherlock, usandolo, ma come alla fine lui fosse riuscito a batterla, a trovare il codice e a dare tutti i documenti in mano a Mycroft, salvando la situazione. La situazione si, ma non lei. Lei era completamente senza protezione ora. E il codice, beh quello era la prova che il gioco le era sfuggito di mano, che provava qualcosa realmente per Sherlock, ma a quanto pare lui l’aveva respinta e umiliata. Mycroft stava decidendo sul da farsi, ma la vedeva solo come una grande seccatura.
Chiusa la telefonata John non sapeva cosa pensare. Che Sherlock fosse triste perché si era lasciato quasi battere da quella donna? Che si fosse pentito di ciò che aveva fatto? Poco probabile. Del fatto di averla respinta? John non capiva cosa potesse passare per la testa di Sherlock ma decise di lasciarlo cuocere nel proprio brodo, sperando che sarebbe passato tutto in breve tempo, con Irene Adler fuori dai giochi. Lo sperava veramente.
Intanto avrebbe aggiornato il suo blog, visto che il caso si poteva dire concluso. E poi sarebbe finalmente potuto andare a dormire. Violino permettendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


III

Era trascorsa una settimana da quella sera. Sherlock aveva ricominciato la solita routine. Lestrade gli aveva proposto un nuovo caso, ma non ci volle molto per risolverlo, era alquanto banale, come sono sempre i delitti passionali.
Eppure nonostante i giorni passassero una parte del suo cervello era ancora focalizzato quegli eventi di quella serata, sugli avvenimenti degli ultimi mesi. Oramai non era nemmeno più infastidito dalla cosa, aveva deciso di fare finta di niente con tutti, anche perché aveva già deciso il da farsi. Aveva incaricato alcuni dei membri della sua rete di senzatetto di tenerlo informato su tutti i movimenti intorno ad alcuni target, tra cui casa di Mycroft e il Diogenes Club dal quale gestiva molte delle sue attività.
Era riuscito a sapere finora di tutti i movimenti di Lei negli ultimi giorni, e a quanto pare era tenuta in una località segreta ( non per lui ovviamente, conoscendo Mycroft) prima di trasferirla altrove.
Con disappunto Sherlock aveva capito che Mycroft non l’aveva arrestata, ma la teneva solo sotto custodia mentre ne preparava l’espatrio. Questo voleva dire che era totalmente senza protezione una volta lasciato il suolo inglese. Sherlock immaginava di non potersi fidare del fratello. Probabilmente il suo disinteresse aveva qualcosa a che vedere con lui, come sempre. Era un modo per Mycroft di mandare un messaggio a lui, di gestire indirettamente la sua vita. 
In quei giorni era anche passato a fargli visita, chiaramente per controllare la situazione, ma Sherlock aveva fatto finta di nulla, non toccando nemmeno l’argomento. Mycroft aveva cercato di accennare alla cosa, ma aveva subito lasciato perdere visto la reazione del fratello. Gelida ma di chiaro disappunto. In quella visita Sherlock era riuscito però a captare qualche informazione. Ovviamente Mycroft aveva ricevuto una telefonata, come sempre, si era allontanato da Sherlock ed era andato a parlare in cucina. Parlava in codice chiaramente, ma ci volle molto poco per capire di  chi stava parlando. Capì che stava per essere trasferita fuori dalla Gran Bretagna con un volo in partenza la sera successiva. Non era un volo diretto,  in quanto si trattava di un volo per Parigi e probabilmente la sua destinazione finale doveva essere più lontana.
Appena il fratello se ne fu andato, e mentre John si trovava a lavoro, continuò con le sue ricerche. Per ora Lei sembrava essere in buone mani, ma quello che lo preoccupava era cosa sarebbe potuto succedere non appena avesse varcato i confini del Paese. Non voleva condividere tutto ciò con John. John era la cosa più vicina ad una famiglia che potesse avere, ma non poteva condividere questa parte di sé con lui. Non se la sentiva. Sentiva questa cosa come solo sua, ma non capiva perché.
Nei giorni successivi continuò a seguire i movimenti di Lei, aveva scoperto sempre dalle telefonate di Mycroft e anche spiando alcuni suoi documenti, l’identità falsa sotto la quale si celava La Donna e tramite il GPS del suo cellulare ( Mycroft le aveva lasciato il suo cellulare era evidente, essendo interessato solo al contenuto dell’altro telefono, quello che conteneva le informazioni) riusciva a sapere sempre dove fosse. Era persino arrivato ad hackerare il sito del suo gestore per sapere la sua posizione nel caso il GPS venisse disattivato.
Una mattina, qualche settimana dopo,  Sherlock era seduto a tavola intento a fare colazione, quando John rientrò dal suo turno portando il giornale. Una notizia colpì Sherlock come un pugno.Dovette usare tutto il proprio autocontrollo per non mostrare reazioni, quando lesse che un volo diretto da Parigi a New York era stato dirottato da alcuni terroristi verso Karachi. La maggior parte dei passeggeri stava bene ma alcuni occidentali erano stati sequestrati, probabilmente per chiedere rivendicazioni ai vari Governi. Sapeva benissimo che Lei era su quel volo. Aveva seguito fino a un giorno prima i suoi movimenti sapeva che c’era una prenotazione a suo nome su quell’aereo. Il suo cervello sembrò esplodere. E non solo quello. Sentì una sgradevole sensazione di panico e una fitta alla bocca della stomaco. Evidentemente non era riuscito a dissimulare quello che stava succedendo perché persino John se ne rese conto.
“Che c’è sul giornale? Sembri…strano… cioè più strano del solito.” Gli chiese John, fissandolo in modo curioso mentre addentava una fetta di pane tostato.
“Niente” rispose con un ghigno” Nessun omicidio degno di interesse in città. Se continua così morirò di noia. Noia”
“Non è bello gioire della morte della gente…” ribatté John
“Ah, come se non morissi di noia anche tu! Solo che il mio cervello non può sopportare tutta questa calma piatta. Vado in camera a vedere se c’è qualcosa sul blog.” Disse piegando il giornale e si alzò dalla sedia.
“Aspetta, volevo dirti che vado fuori per qualche giorno, Harry sta male, ed è tanto che non vado a trovarla… non ho potuto dire di no, visto che non abbiamo casi al momento e non sono andato a trovarla a Natale. Tornerò non appena starà meglio.” Si affretto a dire John. Sherlock lo guardò fisso in volto e mormorò: “ Devi proprio annoiarti a morte per andare a trovare tua sorella. Quando parti?”
“Tra un paio di giorni. Ma non starò via molto…” ma non fece in tempo a finire la frase che Sherlock si era già voltato e diretto verso la propria camera, chiudendo la porta dietro di sé. A John tutto ciò sembrò ancora più strano, si preoccupò per un attimo del fatto di doverlo lasciare solo. Ma alla fine era un uomo adulto, e c’era comunque Mrs. Hudson a badare a lui. Cercò di non sentirsi troppo in colpa, in fondo non andava  certo a divertirsi  e l’idea di affrontare la sorella non lo rallegrava troppo.
 
Sherlock nel frattempo aveva aperto il suo portatile sul letto. Era seduto sul letto con le mani giunte, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e cercava di  fare ordine tra i milioni di pensieri che come sempre affollavano al sua mente. Doveva pensare ad una soluzione in fretta. Ne passò in rassegna varie. Era certo che i terroristi avessero dirottato il volo per Lei. Se non faceva in fretta qualcosa era morta. In modo definitivo stavolta. Si alzò in piedi e cominciò a camminare in modo frenetico per la stanza. Doveva esserci un modo, e lui doveva trovarlo. All’improvviso trovo l’unica soluzione possibile. Il panico lasciò il posto all’eccitazione, si attaccò al portatile e cominciò a inviare mail. Sapeva a chi rivolgersi anche in Paesi del genere e in circostanze del genere. In passato per combattere la noia aveva viaggiato molto e aveva parecchie persone che ancora gli dovevano favori . Conosceva anche i peggiori criminali. E anche quelli avevano favori da rendergli.
Velocemente contattò chiunque potesse tornargli utile per lo scopo. Aveva urgente bisogno di documenti falsi e prenotazioni, sempre sotto falso nome. Gli ci vollero due giorni per organizzare ogni cosa ma alla fine tutto tornava. Lavorò al piano anche di notte senza dormire, per non far insospettire troppo John. Non era stupido e avrebbe facilmente capito se non avesse preso le massime precauzioni.
Alla fine, quando tutto sembrava pronto si sedette in poltrona. Esitò un attimo, indugiò in un ricordo , quello dello sguardo di Lei fisso nel suo. Perché lo stava facendo? Senso di colpa? Era solo quello? Perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa, visto che l’unica persona che potesse essere incolpata di tutte le sue disgrazie era solo sé stessa? Aveva giocato col fuoco e si era bruciata. Eppure quella punizione gli sembrava enorme, sproporzionata, per una così brava giocatrice. La sua punizione l’aveva già scontata, quella sera, e era stato lui ad infliggerla. Lui, unico giudice e unico carnefice. Aveva già pagato. E lui non riusciva nemmeno più a portarle rancore. Riusciva solo a ricordare quei momenti stranamente piacevoli in sua compagnia. Allora era per quello? Per quella sensazione di smarrimento? Per il gusto del gioco mentale con La Donna, così stimolante per lui, per quel senso di continua sfida che lo aveva spinto a mettersi in mostra come un pavone davanti a Lei? Per quella reazione chimica? Chimica? Era solo una questione di chimica? Il punto era che non riusciva a capirlo. Per queste cose lui non era proprio portato. Sapeva solo che doveva farlo. Doveva, doveva assolutamente.
 
La mattina successiva John partiva per andare a trovare Harry. Sherlock era intento a fare colazione quando John scese, con una piccola valigia in mano, che lasciò a fianco della porta sul pianerottolo delle scale. Si sedette al tavolo. Sherlock negli ultimi giorni gli era sembrato il solito Sherlock, anche se sembrava più eccitato che annoiato. Ma visto che non c’era nulla per cui potesse essere eccitato vista la mancanza di casi, pensò che fosse solo il solito Sherlock. Si rallegrò del fatto che non fosse ancora annoiato al punto di rimettersi a sparare in giro per la casa. John cercò di fargli qualche raccomandazione, sperando di non trovare al suo ritorno la casa totalmente distrutta da chissà quale avvenimento o da un suo attacco di noia. Sherlock  lo ascoltava distrattamente, assorto, a quanto sembrava, nella lettura del giornale. John avrebbe voluto approfondire, ma doveva scappare visto che il taxi sarebbe arrivato a breve. “ Io vado , mi raccomando.” Disse John.
“Ti raccomandi cosa?” rispose con tono stupito Sherlock
“Niente, niente…” mormorò sconsolato John scuotendo la testa, non aveva ascoltato una parola di tutto quello che aveva detto.“ Ci sentiamo più tardi” disse prendendo la valigia e scese le scale velocemente. Sherlock aspettò  di sentire la porta che si chiudeva. Si alzò e guardò in strada John che saliva su un taxi. Sentì dei rumori sulle scale, tornò a sedersi, riprendendo in mano il giornale. Dai passi era chiaramente Mrs. Hudson. 
“Sherlock, caro, ho visto che John è già andato via, che peccato avrei voluto salutarlo! Tu hai bisogno di qualcosa? Giusto per questa volta, visto che non c’è John . Sai bene che non sono la vostra domestica!“ Disse continuando a muoversi per l’appartamento, agitando le mani, chiaramente  indecisa se mettere a posto qualcosa o no.
“John tornerà tra pochi giorni , non si preoccupi per me, Mrs. Hudson” le rispose alzando la testa dal giornale “ io e il mio amico teschio staremo benissimo. Anzi, se gentilmente me lo volesse rendere. Di nuovo”
Mrs. Hudson sospirò dirigendosi verso le scale, ma fu richiamata dalla voce di Sherlock “Ah , probabilmente non starò molto in casa in questi giorni. Ho appena ricevuto una mail con un caso che sembra interessante. “
“ Va bene, Sherlock, cerca di stare attento, visto che non c’è John con te, caro.” rispose dirigendosi al piano di sotto.
Non appena Sherlock senti la porta dell’appartamento sottostante chiudersi, si alzò e si tolse la vestaglia, prese la valigia pronta in camera, i documenti falsi che si era fatto preparare, e infilato il cappotto scese velocemente in strada,  dove prese al volo un taxi per l’aeroporto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


IV

 

Prendere il volo non fu un problema. I documenti falsi erano perfetti, fatti da un uomo di sua fiducia. Inoltre per essere certo di passare inosservato indossava anche un paio di baffi finti e una barba posticcia, e si era cambiato il soprabito con un cappotto meno appariscente di quello che portava di solito. Un’ulteriore piccola precauzione. Nessuno doveva sapere che Sherlock Holmes stava lasciando il Paese. Per il Pakistan poi, meno che mai. Per questo aveva evitato un volo diretto, ed aveva preferito fare un cambio con un breve scalo a Parigi.
In aereo ovviamente non aveva smesso per un attimo di pensare, nonostante fosse infastidito dalla presenza di tutta quella gente noiosa e palesemente stupida intorno a sé. Il piano era buono, ovviamente, ma non doveva lasciare nulla al caso. Era riuscito tramite alcuni informatori in Pakistan a sapere quale gruppo terroristico aveva rapito La Donna. Non che ci volesse molto a intuire che erano gli stessi implicati nel caso dell’aereo. Purtroppo grazie al decriptaggio del codice aveva rotto le uova nel paniere non solo al Governo Inglese ma anche interferito con i terroristi. Questi chiaramente avevano capito che Inglesi e Americani sapevano dei loro piani, e che avevano anche preso provvedimenti.  Era riuscito a scoprire la zona in cui poteva essere prigioniera, anche perché era quella sotto il controllo del gruppo.  Il punto cruciale e quello ovviamente più pericoloso era riuscire ad infiltrarsi nella cellula terroristica. Questa parte del piano ancora non era del tutto stabilita ma era sicuro una volta lì di riuscire a far quadrare le cose.
Giunto a Karachi doveva mettersi in contatto con i suoi informatori, alcuni erano nelle forze di polizia della città, altri erano outsider o ex criminali. Ovviamente prima cercò di dissimulare il proprio aspetto, con un ennesimo travestimento, doveva sembrare il meno occidentale possibile, ed aveva già tutto pronto in valigia. Oltre alla barba e ai baffi scuri, indosso un abito simile ad un Shalwar kameez, di cotone chiaro. Dall’aeroporto si recò direttamente in un albergo della città che aveva scelto come punto d’appoggio. Il tempo di prendere possesso della stanza e uscire nuovamente.
Mentre stava aspettando un suo contatto in prossimità di una via molto frequentata per via di un mercato, la sua attenzione fu attirata da alcuni uomini, quattro in tutto, che discutevano animatamente. Gli bastò un solo sguardo per capire che facevano parte della cellula terroristica. Il loro accento e alcuni particolari dei loro abiti, le callosità della mani, il tipo di terriccio misto a sabbia su scarpe e vestiti, i tatuaggi visibili sulle braccia di due di loro, li tradirono subito ai suoi occhi. In più il loro atteggiamento era palesemente sospetto ed erano armati anche se cercavano di mascherarlo. L’arrivo del suo informatore non fece che confermare i sospetti. I quattro erano il tramite con il quale la cellula terroristica teneva i contatti in città, erano abbastanza noti nei bassifondi anche se nessuno conosceva esattamente la loro vera identità. Solo uno dei quattro mostrava totalmente il volto, gli altri tre lo tenevano sempre coperto e nessuno conosceva la loro identità.
Sherlock capì subito che il motivo per il quale erano in città era chiaramente il sequestro. Avevano rapito altre persone con La Donna, e dovevano chiaramente far presente le loro richieste, lasciando informazioni , video e foto dei prigionieri.
Il punto è che per Lei non avevano richieste. Di Lei non parlava nessuno dei comunicati che gli capitò di leggere. Per ottenere appoggio decise di incontrare una sua vecchia conoscenza, un ex militare ora mercenario, molto  informato sulle cellule terroristiche del luogo, con cui si era tenuto in contatto anche via mail. Riuscì ad ottenere altre informazioni e un aiuto logistico. Ormai aveva deciso di infiltrarsi ma non sapeva ancora come. Doveva riuscire a prendere il posto di uno dei quattro terroristi presenti in città prima che tornassero al luogo dove la tenevano prigioniera. Seguì i movimenti dei quattro per giorni, grazie anche all’aiuto dei suoi contatti sul posto. Giusto l’ultima sera prima che il gruppetto lasciasse la città, riuscì a sorprendere uno dei quatto da solo, leggermente distanziato dal resto del gruppo, lo trascinò in un vicolo e con l’aiuto di un complice riuscì a tramortirlo. Velocemente indossò il vestito del terrorista, cercando di nascondere con cura tutto il volto. Poi raggiunse in fretta gli altri tre. La sua conoscenza della lingua gli permetteva di capire quasi tutto quello che dicevano tra loro. Ma non si sentiva tanto sicuro da formulare frasi troppo articolate, quindi si limitava a rispondere in modo breve e asciutto. Durante il viaggio verso la località dove era situata la prigione, finse per un po’ di dormire. Aveva con sé solo il cellulare, uno modo per contattare gli uomini che lo stavano aiutando e dare loro la propria posizione. Quando arrivarono al campo, rimase stupito, non era molto grande, c’erano pochi mezzi e uomini, e un solo edificio circondato da tende.
Dopo pochi istanti, capì. Era palese , almeno ai suoi occhi, viste le dimensioni del campo, e il numero degli uomini, che quello non fosse il vero e proprio nascondiglio della cellula. Era solo un rifugio momentaneo che avrebbero abbandonato presto. Probabilmente era una questione di giorni, forse di ore. Ed era chiaro che la maggior parte degli ostaggi non era qui. Dopo una breve perlustrazione, ebbe la conferma ai suoi sospetti.
Gli ostaggi, forse tutti, erano in un altro rifugio, più inaccessibile e lontano dalla zona abitata. Questo sarebbe stato abbandonato il giorno dopo.
La notizia lo rese nervoso. Doveva capire dove veniva tenuta prigioniera Lei. E doveva farlo alla svelta. Tra l’altro aveva anche trovato prove di almeno un paio di esecuzioni, tramite decapitazione, da quello che aveva intuito dai discorsi tra i morti c’era di sicuro una donna. Il solo pensiero che potesse essere arrivato tardi era fuori questione. Per un attimo sentì una fitta profonda al petto. Ma la ignorò. Non poteva fermarsi ora.
Mentre cercava di tenersi occupato, uno dei terroristi , chiaramente un suo superiore, visto il tono con cui lo aveva richiamato, lo incaricò di portare del materiale all’interno dell’unico edificio. Questo era piccolo e spoglio, costruito chiaramente con mattoni in fango essiccati dotato di una porta a due battenti e di alcune feritoie che fungevano da finestre. Capì subito entrando, che c’era qualcuno tenuto prigioniero al suo interno, in una delle due stanze. C’era una guardia davanti alla porta della secondo stanza e qualche ciotola con dell’acqua su un tavolo di legno. La guardia gli chiese di dargli il cambio. Non appena si fu allontanato, sbirciò all’interno della stanza attraverso uno spioncino e la vide. C’era Lei seduta sul pavimento, legata ad una catena. Era pallida e sembrava molto più magra rispetto a come la ricordava. Il viso era più affilato e spento. Indossava una lunga veste nera, simile ad un burka e aveva il capo coperto. Era immobile e fissava il suolo. Sembrava l’ombra di sé stessa, eppure manteneva quella sua eleganza altera.
Sentì qualcosa muoversi dentro. Ma cercò di controllarlo, si domandò se stesse bene, o se fosse ferita. Se le avessero dato almeno del cibo. Improvvisamente si sentì invadere dall’ansia per la sua sorte, ma cerco di riprendere il controllo. Agitarsi non avrebbe portato a niente. Doveva ragionare. Solo così sarebbe riuscito a tirarla fuori di lì.
Non disse nulla e restò di guardia all’esterno. Non poteva farsi trascinare dal desiderio di portarla via subito. Non avrebbe avuto senso, e non rientrava nel piano.
Capì subito che il motivo della presenza di questo campo , capì che l’avrebbero uccisa a breve e poi sarebbero partiti facendo perdere le proprie tracce. In fondo non aveva nessuna protezione ora,  nessuno era interessato alla sua sorte. Tranne lui. Gli altri ostaggi potevano fruttare attenzione dai Media, soldi, armi o liberazioni…Lei doveva solo morire e alla svelta.
Dopo aver scoperto che l’esecuzione era prevista per la sera stessa, si offrì volontario per il ruolo di boia. Nessuno sembrava molto interessato alla sua sorte, tutti all’interno della cellula avrebbero preferito essere al campo principale a dettare richieste al mondo intero. Riuscì ad avvertire i suoi contatti di tutto quello che aveva scoperto , e diede loro posizione  e orario dell’operazione.  Aveva scelto accuratamente le persone da coinvolgere, visto che doveva ingannare persino suo fratello, e non era una cosa facile. Erano tutti outsider, ex militari, mercenari, a cui aveva fatto favori. Nessuno poteva ricondurli a lui e questo lo faceva stare tranquillo. Anche perché nessuno di loro sapeva il suo vero nome. Era solito in passato usare vari pseudonimi nelle sue avventure in giro per il mondo. Lo aveva sempre trovato divertente.
Il sole calò in fretta e venne il buio e con esso l’ora dell’esecuzione.
La vide uscire dall’edificio dove era rinchiusa  accompagnata da due uomini, uno di loro la spingeva bruscamente, facendola  barcollare. In quel momento gli fece quasi tenerezza. Sembrava così indifesa, gracile e pallida. Non gli sembrava nemmeno più Lei. Ma lo era. E per un attimo, prima di inginocchiarsi, il suo sguardo brillò come lo ricordava. Chiese come ultimo desiderio di poter inviare un messaggio dal suo cellulare. Supplicò, lacrime agli occhi. Glielo concessero, ultimo e unico atto di pietà. Sherlock capì immediatamente che il messaggio, il suo ultimo messaggio, era per lui. Avrebbe potuto mandarlo a chiunque, ma sapeva che era per lui. Non era certo del significato. Poteva essere un ultimo estremo saluto, il modo di fargli capire che davanti alla morte, l’ultimo pensiero di Lei era andato a lui. Oppure un ultimo atto di sfida, il modo per fargli capire che era morta e che era stata colpa sua. In quel momento non sapeva quale delle due opzioni preferire. Ma sentì comunque una stretta al cuore. Era evidente a questo punto che aveva un cuore anche lui.
Sapeva che il messaggio stava arrivando al suo telefono, che teneva nascosto in tasca, sotto la tunica. Tutto doveva avvenire in pochi secondi doveva essere pronto. La vide prepararsi alla morte, con una incredibile dignità. Lui alzò la spada. Lei non abbassò lo sguardo, mantenne la testa alta, pronta ad affrontare il proprio destino. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


V

 

Nella mente di Irene scorrevano veloci immagini di tutta la sua breve eppure intensa esistenza.
Ma di tutte le persone incontrate, di tutte quelle situazioni vissute, sempre alla ricerca della sfida, di qualcosa che la facesse sentire viva, restava ben poco. Le sembrava che tutto le fosse sfuggito via, come granelli di sabbia tra le mani. Non si era mai sentita così sola.
Aveva sempre cercato di sfuggire quella sensazione riempiendo la sua vita di situazioni e sfide folli. Sapeva che l’indipendenza e tutte le sue scelte, le avrebbe portato solitudine. Ma quello era il primo vero momento in cui si sentiva davvero sola.
E le restavano fissi nella mente solo quegli occhi, glaciali eppure così intensi, che la fissavano alla luce del fuoco, la toccavano dentro. Quegli occhi che l’avevano conquistata  al punto da segnare la sua rovina. In quel momento erano l’unica cosa che le mancava. Non riusciva a rimpiangere quello che era successo, di averlo conosciuto, di averlo amato, di averlo tradito.
Era nella sua natura, il tradimento, anche se le era costato il rispetto dell’unico uomo, l’unico essere umano, che avesse mai suscitato il suo interesse. Ora avrebbe dato chissà cosa per poterlo rivedere per un istante. Si domandò se lui avesse mai pensato a lei anche solo per un attimo da quella sera.
Si sentì una ragazzina sciocca. Ma che aveva da perdere ormai? Non c’era più nulla davanti a lei. Il gioco era finito.
Anche se era l’ultima cosa che avrebbe fatto decise di indirizzare a lui il suo ultimo pensiero. L’avrebbe disprezzata forse, disprezzato la sua debolezza causata dall’amore che provava per lui. Sperava almeno di restare nella sua mente per un attimo, di non cadere nell’oblio.
Quando il suo ultimo desiderio prima di morire fu esaudito, con le mani tremolanti scrisse l’ultimo messaggio: “Addio, Mr. Holmes”. Avrebbe potuto scrivere altro. Ma non era da lei. Lui avrebbe capito comunque. Lo inviò. La consapevolezza che  non l’avrebbe più  rivisto era quasi più dolorosa dell’idea della morte imminente. Sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime. Ma non voleva mostrarsi debole, né vile. Tenne alta la testa. Non le avrebbero tolto la dignità. Sentì una lacrima scenderle giù per la guancia, sapeva che era questione di un attimo. Chiuse gli occhi.
 
Nel silenzio del deserto avvolto dalla notte, quando ormai non aspettava altro che la mano della morte su di sé, lo sentì. Riconobbe il suono della propria voce, il gemito che aveva regalato all’uomo che l’aveva stregata. In un attimo non seppe se credere alle sue orecchie, senti il cuore saltarle in gola, tra gioia ed emozione. Aprì gli occhi e si voltò nella direzione dalla quale aveva sentito provenire il suono.
Guardò l’uomo che la sovrastava, il suo carnefice. Lo guardò e riconobbe immediatamente quegli occhi. Limpidi come l’acqua di un ruscello, lampeggianti di euforica tensione. I suoi occhi.
”Quando dico corri, corri!!” Le disse, spalancandoli come un bambino davanti ad un nuovo gioco.
Era chiaramente eccitato e divertito da quell’azione di salvataggio. E in quell’istante  invece di rivolgere la spada verso di lei, si voltò verso i terroristi che li circondavano e iniziò ad attaccarli. Irene guardò davanti a sé, non riuscendo più a trattenere la gioia che le esplodeva dentro, sorrise. Gli importa allora, pensò. Gli importa a tal punto che è venuto fin qui per salvarmi. Personalmente. Dannato scaltro uomo dal buffo cappellino.
Si sentì subito meglio, come se giorni di torture e privazioni fossero spariti in un attimo.
Si voltò e vide Sherlock combattere contro vari uomini contemporaneamente, sapeva che era abile con la spada e anche in grado di cavarsela nei combattimenti corpo a corpo, ma doveva aiutarlo in qualche modo. Non poteva resistere a lungo da solo.
Si alzò, accanto a sé giaceva il corpo del primo terrorista colpito da Sherlock, e prese il mitra che aveva con sé. Seguì con lo sguardo la situazione attorno a loro, cercò di avvicinarsi a Sherlock tenendo sotto tiro gli altri uomini della cellula terroristica che stavano sopraggiungendo. Sparò due volte, colpendo due uomini, uno dei quali ad una gamba.
Anche Sherlock aveva abbandonato la spada, e si faceva largo a colpi di arma da fuoco. In quel momento lui lanciò un’occhiata verso l’unica via d’accesso al campo, stavano sopraggiungendo alcuni mezzi, apparentemente due o tre fuoristrada. Irene sentì numerosi colpi di armi da fuoco.
A quel punto Sherlock le afferrò un braccio “Ora. Corri!!!” le disse cominciando a correre verso la zona est del campo verso le montagne. Irene cominciò a correre con lui, che teneva ancora la presa salda intorno al suo braccio. Continuò a correre, benché fosse a piedi nudi, cercando di tenere il passo di Sherlock, nonostante fosse impossibile per lei tenere lo stesso ritmo, vista la differenza di statura e di corporatura tra loro due.
A Irene sembrava di correre da ore, improvvisamente sentì il peso delle condizioni patite in quei giorni, della fame, sentì le ginocchia cedere, e sentì il proprio corpo che cadeva a terra, senza darle il tempo di rendersene conto.
Sherlock si bloccò immediatamente e per la prima volta da quando avevano lasciato il campo, si voltò verso di lei. Non disse una parola, si limitò a guardarla. Ma bastò quello per ridarle forza. Non gli avrebbe mai dato ancora la soddisfazione di vederla debole e bisognosa di aiuto.
Ma quando lo vide porgerle la mano, sentì il cuore saltare un battito, e il calore invaderle il petto. No, non ancora, pensò, mettendo la mano in quella di lui. Stavolta era di sicuro colpa della corsa. L’attrazione che provava per lui non c’entrava nulla, pensò. Ma sapeva che stava mentendo a se stessa, quando sentì il cuore continuare  a battere velocemente nel petto, e il rossore salirle in volto, anche se ormai stavano solo camminando,  in silenzio, nel deserto avvolto dall’oscurità, mano nella mano.
Non riusciva nemmeno più a ricordare quando aveva camminato mano nella mano così con qualcuno, né se le fosse mai capitato.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


VI
 

Camminarono in silenzio per circa un’ora. Sherlock cercava di non farsi distrarre dal calore della piccola mano che sentiva nella sua, continuava a focalizzare la sua attenzione sul piano.
Non erano ancora in salvo, e in più Lei non sembrava più in grado di correre.
I mercenari che aveva ingaggiato, sotto la guida del suo aggancio, a quest’ora dovevano aver terminato l’attacco al campo. Avrebbero predisposto tutto come aveva ordinato,  in parte aveva già sistemato alcuni particolari da solo, nel pomeriggio. Se tutto andava come aveva stabilito, nessuno avrebbe potuto capire che La Donna si era salvata, nemmeno suo fratello. 
Grazie al corpo di vittima femminile sconosciuta, a tutte le prove che aveva preconfezionato a tavolino, e all’incendio che oramai stava distruggendo il campo nessuno avrebbe potuto provare il contrario. In più aveva predisposto un video abbastanza credibile, anche se non si vedeva il momento esatto dell’esecuzione, che unito agli effetti personali, al cadavere semicarbonizzato e a testimonianze create ad hoc, avrebbero ingannato chiunque.
In più era convinto che Mycroft avrebbe voluto credere alla morte di Irene Adler perché era quello che in fondo desiderava, e non avrebbe mai pensato a quello che era in realtà accaduto, anche a costo di negare l’evidenza. Era la soluzione più comoda per lui, e a quella avrebbe preferito credere.
Raggiunsero una radura, dove li aspettava un fuoristrada, che Sherlock aveva disposto per la loro fuga.  Ad aspettarli c’era uno dei mercenari, che alla parola d’ordine gli consegnò le chiavi del mezzo e si allontanò.
Salirono in auto, e in quel momento si rese conto che Lei era restata in silenzio per tutto il tragitto. Non aveva ancora sentito il suono della sua voce, e questo era davvero raro. Per un attimo desiderò ascoltarla di nuovo, sprezzante e sicura, mentre apostrofava qualche frase ammiccante di sfida.
Ma allontanò il pensiero, e non disse nulla. Guidò nella notte, in silenzio, verso la prossima tappa, di cui era a conoscenza lui solo. Non smise di pensare nemmeno per un attimo. Era abituato alle affollate riunioni di pensieri nella sua testa, ma ora con Lei accanto si facevano largo anche pensieri inadatti alla situazione, distrazioni pericolose.
Detestava le distrazioni, rovinavano il meccanismo perfetto del suo cervello. Eppure non poteva negare di provare in parte piacere per l’esistenza di quelle sensazioni, che erano tutte generate da Lei e da Lei sola.
Erano talmente nuove e sconosciute per lui che si sentiva come davanti ad una nuova scoperta, con sé stesso sotto le lenti del microscopio.
Frugò nella valigia che aveva fatto lasciare in auto e ne estrasse un paio di cerotti alla nicotina. Stava diventando nervoso, e aveva ancora bisogno di pensare.
Fu allora che si voltò a guardarla. Sapeva che dormiva,  aveva sentito il suo respiro cambiare circa trentacinque minuti prima, e sapeva che era tranquilla ora. Il volto di Lei nella notte illuminato solo dal bagliore leggero dei fari dell’auto , sembrava più dolce. Sherlock, rise. Dolce non era proprio il termine più adatto per definire  La Donna. No, decisamente non lo era. Ne aveva dato prova anche quella stessa sera, difendendosi da sola, arma in pugno, come la prima volta in cui l’aveva incontrata. L’Unica Donna che non ti lascia nemmeno fare l’eroe in pace. Rise di nuovo. Eppure al momento era l’unico termine che gli venisse in mente.
Fermò l’auto e le pose una mano sulla spalla, Lei, probabilmente ancora scossa dagli avvenimenti dei giorni precedenti, si svegliò in modo brusco, afferrando la mano di lui in modo deciso. Era chiaramente terrorizzata, e stava cercando di difendersi da quella che pensava fosse una aggressione. Quando capì che era al sicuro, lo fissò con sguardo smarrito, uno sguardo che gli fece sentire una fitta allo stomaco. Pensò che probabilmente potevano aver abusato di Lei durante la prigionia, ma scacciò il pensiero immediatamente.Pensò che in una situazione del genere fosse il caso di rassicurarla. John sarebbe stato d'accordo. Le sorrise e le indicò di scendere dall’auto.
Nel frattempo costeggiando il fiume Indo erano giunti al mare.  C’era una piccola spiaggia, isolata e non illuminata. Sul bagnasciuga c’era una piccola scialuppa.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


VII   

 

Tramite la piccola scialuppa arrivarono in prossimità di quello che sembrava un cargo mercantile. Sherlock salì per primo lungo una piccola scaletta di corda che scendeva lungo un lato della nave. Poi issò a bordo la valigia ed infine afferrò Irene aiutandola a salire a bordo. Sul ponte della nave, li aspettava quello che sembrava essere il Capitano. Era un indiano, baffuto e grassoccio.
Sherlock si mise a discutere pacatamente con l’uomo nella sua lingua, poi voltandosi disse “ Vieni” e prese la valigia.
Irene lo seguì sotto coperta lungo un piccolo corridoio abbastanza buio. Non era certo una nave da crociera ma dopo quello che aveva passato negli ultimi giorni, questo sembrava il paradiso. Non poteva fare a meno di pensare che era qui, viva, con lui al suo fianco. Per tutta  la durata della fuga aveva continuato a pensare a quello che stava succedendo, al perché lui fosse qui, al perché l’avesse salvata. Si rese conto improvvisamente di tutto quello che aveva fatto, da solo, per lei.
Per la prima volta in vita sua, si sentì in colpa. Lei aveva cercato di ingannarlo, lo aveva umiliato, pur di vincere il Gioco che aveva tessuto intorno a lui. Aveva condannato se stessa all’infelicità, sfidandolo apertamente, e perdendo. Eppure lui era qui, per lei. Cosa significava allora tutto questo? L’aveva perdonata?
Arrivarono davanti ad una piccola porticina, troppo piccola perché lui ci passasse senza doversi chinare. Era una piccola cabina, con un letto poco più grande di un singolo, una poltrona, un tavolo e poco altro mobilio. Non poteva essere una cabina dell’equipaggio, troppo confortevole, era chiaramente quella del Capitano.
Sherlock chiuse la porta alle sue spalle e posò la valigia sul letto. Si voltò a guardarla, finalmente.
Come sempre il suo sguardo sembrava non tradire nessuna emozione. Limpido e glaciale, intenso e penetrante. Lei sostenne  il suo sguardo, come sempre. Lo guardò fisso negli occhi, come avevano sempre fatto fin dal  loro primo incontro.
All’inizio tenere il suo sguardo era stato per lei una sfida, non voleva mostrarsi inferiore a lui, non voleva perdere il Gioco. Ma presto si rese conto che anche volendo non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi di lui. Ci si perdeva dentro , ed era troppo bello per lei perdercisi. Erano magnetici. Ti attiravano a loro per poi non lasciarti scampo. E infatti lei non aveva avuto scampo.
Ancora le bruciava un po’ il fatto di aver perso di mano la situazione, ed aver fatto entrare lui nel suo cuore e nella sua mente. Ma era successo. E dopo tutto quello che aveva sopportato in quei tremendi giorni alle sue spalle, la sensazione di essere perduta per sempre e di non poterlo mai più rivedere avevano lasciato il segno in lei. Era sempre la stessa ma in qualche modo era diversa. Vederlo qui , in carne ed ossa, dopo averlo sognato nelle disperate notti di prigionia era bello, emozionante anche per lei. Ma non voleva farlo notare troppo agli occhi di lui. Sapeva che era in grado di leggerle dentro se avesse abbassato la guardia.
A quel punto, Irene ruppe il silenzio tra loro, che durava da ore. “Mr. Holmes…” disse, ma fece subito una piccola pausa, e sentì la voce di lui risponderle, veloce, come sempre “Miss Adler, credo che ora sia il caso che lei si faccia un bagno e si riposi un po’. Chiaramente non siamo ancora al sicuro, e ci aspetta un viaggio lungo. Ora se permette ho ancora delle cose da sistemare…“ La velocità della frase le strappò un sorriso. Il solito Holmes!
“ Non è il caso che io sappia qualcosa di questo piano? Visto che mi coinvolge personalmente?” Disse lei, cercando di riprendere almeno un minimo di controllo sulla sua situazione. Continuava a guardarlo fisso negli occhi, lui ricambiò lo sguardo.
“Direi di no.” Rispose asciutto.
“ E per quale motivo se è lecito? E’ della mia vita che stiamo parlando…so che lei ha già probabilmente pensato a tutto ma…”
“ Non c’è nessun motivo per cui debba essere messa al corrente del piano ora. Saprà tutto a tempo debito. Non intendo darle nessuna possibilità di intralciare ciò che ho stabilito, questa volta.” Detto ciò lui si chinò ad aprire la valigia, ne tirò fuori una maglia chiara e cominciò a cambiarsi.
Lei restò stupita , non sapeva cosa ribattere, o meglio lo sapeva, ma non aveva la forza di intavolare con lui una discussione, che sarebbe stata accesa, visto l’irremovibilità  del suo interlocutore.
Capì che l’aveva salvata, ma che non si fidava ancora di lei. Pensava che potesse tradirlo, usarlo di nuovo e scappare, magari lasciandolo in mezzo ai guai.
Beh, effettivamente avrebbe potuto. Era molto da lei, pensò. Per un attimo l’idea le piacque anche. Ma poi posò lo sguardo su di lui , che ora le voltava le spalle, mentre cambiava la maglia, come in un gesto di pudicizia nei suoi confronti. Un sorriso le increspò le labbra. Un attimo prima era un dominatore nato, pronto a controllarla in ogni sua mossa, l’attimo dopo sembrava un ragazzino. Alla fine lui doveva averne passate per salvarla da quell’inferno, e non aveva nessuno motivo plausibile per salvarla. Tranne uno, forse. Quindi per ora tradirlo non sembrava l’idea migliore.
Si lasciò cadere sul letto con un sospiro. Va bene, per adesso . Pensò.
Sherlock intanto si era già completamente cambiato, indossava un paio di pantaloni chiari e una maglia di cotone blu. Ancora indossava la barba finta. Chiaramente anche questo era un travestimento per passare inosservato a bordo della nave.
“Il blu le dona” gli disse lei con un mezzo sorrisetto” ed ho sempre amato gli uomini con la barba”.
“ E’ meglio che si faccia quel bagno. Io sarò di ritorno tra poco. “ Disse lui lanciandole solo uno sguardo  mentre usciva, impassibile come sempre.
Irene si lasciò cadere sul letto, esausta. Se fosse stata un altro tipo di donna sarebbe scoppiata in lacrime, se le sentiva tutte in gola. Ma aveva già pianto abbastanza davanti a Sherlock e non aveva intenzione di farsi trovare in lacrime ora.
La prigionia l’aveva distrutta, non solo fisicamente ma anche mentalmente. Aveva seriamente messo in discussione se stessa e tutte le sue scelte.
Ricordò la notte in cui, non potendo dormire, vedeva danzare davanti i volti delle poche persone che avrebbe voluto rivedere. Si era domandata se qualcuno avrebbe effettivamente sentito la sua mancanza, se la sua esistenza fosse valsa a qualcosa alla fine dei giochi.
Aveva sempre voluto il potere. Non tanto la ricchezza, per quello sarebbe bastato sposare un uomo ricco e sciocco, più vecchio di lei magari, come facevano tante altre donne. Lei voleva di più.
Voleva il gusto del gioco, che la stuzzicasse, la vittoria, il potere. La sensazione di tenere in smacco altre persone molto più potenti e importanti di lei.
Ma quella notte sola nella piccola prigione avrebbe solo voluto un’altra possibilità . E ora quel desiderio era realtà. Si alzò  in piedi , prese un asciugamano e del sapone dalla valigia ed entro nella piccola stanza da bagno annessa alla cabina. Si spogliò, facendo attenzione a dove si toccava. Anche se non aveva detto nulla sentiva male ovunque e sapeva di essere ferita. La schiena bruciava , e le gambe e i piedi le dolevano.
Si fece una doccia calda, che le sembrò rimetterla al mondo. Si avvolse piano nell’asciugamano e uscì dal bagno. Prese la vestaglia di Sherlock dalla valigia e la indossò, poi si mise a frugare nella piccola valigia. C’erano un paio di camicie, una bianca e una viola, in puro stile Sherlock, due paia di pantaloni, qualche maglia utile per un travestimento dell’ultimo minuto, qualche ricambio di biancheria e poi una gonna nera, una camicetta verde per lei, e un vestito di seta leggero, del colore dei suoi occhi. Un paio di scarpe nere con un tacco decisamente basso per i suoi gusti.
E poi biancheria per lei. Sorrise estraendo il reggiseno dalla valigia. L’aveva scelto lui? Le sue misure le conosceva, ma l’aveva scelto davvero lui?
L’idea che si fosse recato da solo in un negozio di biancheria intima per comprarle reggiseni e mutandine era talmente tenera e buffa allo stesso tempo che la fece scoppiare a ridere. Ed ha anche buon gusto si disse.
In quell’istante, sentì la porta aprirsi e Sherlock entrare. Aveva un vassoio con del cibo in una mano e una borsa nell’altra. Notando l’espressione di lei con le mani affondate nella valigia, le sembrò per un attimo perdere la sua consueta freddezza, per un attimo le sembrò quasi imbarazzato. Sempre più divertente pensò Irene.
“ Ho dovuto prendermi la libertà di scegliere qualche capo di abbigliamento per lei, Miss Adler. So che probabilmente non sono di suo gusto, ma dovrà tenere un basso profilo per un po’ di tempo, temo.” Disse richiudendo la porta alle sue spalle.
“ Ha scelto tutto lei personalmente, Mr. Holmes? Sono lusingata.” Disse lei sorridendo.
“ Non lo sia. Non avevo altre opzioni plausibili.” Si affrettò lui mentre posava il vassoio sul tavolo di legno. Le sembrava quasi di averlo visto arrossire.
“E mi fa piacere notare che lei ricordi così bene il colore dei miei occhi, Mr. Holmes.” Continuò lei sorridendo.
“Ora credo che sia più sensato per lei mangiare, invece che parlare di abbigliamento.” Era chiaro che cercava di cambiare argomento. “Inoltre, vorrei sincerarmi delle sue condizioni di salute.” Si era voltato e la fissava, ancora immobile e di nuovo impassibile.
“Sto bene, grazie.” Non sapeva perché ma non voleva in quel momento che lui vedesse la realtà della sua condizione fisica. L’aveva conosciuta fiera e indipendente. Non sopportava di essere vista così. A maggior ragione da lui.
“ Non sia stupida. In fondo non ha nulla di cui vergognarsi, visto il nostro primo incontro. “ le disse provocandola, sorridendo.” So già che è ferita. Ho notato che ha problemi alla schiena, alla gamba sinistra e ad entrambi i piedi. Non sono ferite leggere. Vanno medicate. Mi faccia vedere.” La sua voce era ferma e tranquilla.
Quella voce la faceva tremare a volte. Irene sospirò, arrendendosi all’evidenza delle sue parole. Si voltò e lasciò cadere a terra la vestaglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


VIII

 

Era stato calmo e deciso fino a quel momento. Tutto filava come previsto. A bordo era tutto tranquillo e il Capitano aveva tutto sotto controllo.
Aveva il tempo di dedicarsi a Lei. Sapeva che era ferita, lo sapeva da quando l’aveva vista camminare al campo, ben prima della fuga. Aveva dovuto ignorare tutti gli indizi che vedeva, altrimenti l’avrebbero condizionato. Ma ora era il caso di curare quelle ferite.
La Donna sembrava stranamente timida, come se improvvisamente mostrargli la propria nudità la rendesse vulnerabile. Strano, pensò. La prima volta non si era fatta tanti scrupoli.
Poi improvvisamente capì. Capì che questa era per Lei la prima volta in cui si mostrava realmente nuda ai suoi occhi. Non aveva più la maschera della dominatrice indosso, non era forte e senza paure. Era sola, violata nel corpo. Si sentiva debole ma non voleva mostrarlo a lui.
Sentì una stretta al cuore, che divenne una fitta non appena vide la sua candida schiena nuda,  totalmente ricoperta di ferite, più o meno profonde. Frustate. Era ricoperta di ferite e lividi anche sulla gamba sinistra e su entrambi gli avambracci. Ferite da difesa. Si sentì invadere da una sensazione fortissima e repentina.
Rabbia. Si, era la stessa sensazione che si era impossessato di lui quando aveva visto le ferite per le percosse sul volto di Mrs. Hudson, ma questa volta era molto più violenta. Una rabbia violenta, ma del tutto fuori luogo, pensò. Aveva già vendicato quelle ferite, gli uomini che avevano causato tutto questo erano stati puniti ore fa.
Cercò di sopprimere quella sensazione così forte che lo faceva sentire furioso, chiuse gli occhi per un istante e respirò profondamente. Riaprì gli occhi e con calma aprì la borsa che aveva portato con sé e iniziò a disinfettarle le ferite. Non era un medico, ma dalle sue conoscenze della materia, non sembravano ferite gravi, ma non da trascurare.
Iniziò a fasciarle le ferite, all’improvviso vide il suo corpo tremare percorso da un brivido. Distolse per un attimo l’attenzione dalle ferite, che avevano focalizzato la sua attenzione e posò il suo sguardo su di Lei. La pelle bianca si era increspata, in quella che volgarmente viene definita pelle d’oca.
Osservò  il fenomeno quasi affascinato. Immediatamente si rese conto che non avrebbe dovuto posare la sua attenzione sul suo corpo nudo. Come durante il loro primo incontro, nonostante si sforzasse di rimanere impassibile, la visione lo turbava. Non sapeva neppure spiegarsi come, ma si sentiva distratto, disorientato non appena lo sguardo si posava su di Lei. Si sentì improvvisamente agitato, sentì il battito accelerare nuovamente, temeva di essere tradito da qualche gesto involontario del suo corpo. Strinse la fasciatura in fretta, raccolse la vestaglia e gliela appoggiò sulle spalle. Si voltò immediatamente. Sperava che non avesse capito nulla, né notato il suo repentino cambiamento.
La sentì voltarsi ma si diresse velocemente verso il tavolo, prese un pezzo di pane e iniziò a mangiarlo. Si sentiva già molto meglio. Quando si voltò di nuovo era di nuovo avvolta nella vestaglia, seduta sul letto intenta a medicarsi alcuni tagli su gambe e piedi. Le sembrava piena di dignità e fascino anche in questo momento.
La Donna era indubbiamente superiore a tutte le donne che avesse mai conosciuto. Era superiore per carattere, ingegno e furbizia. E anche in quella circostanza, doveva ammetterlo, una parte di lui se ne sentiva affascinato.
“ Sarà meglio che lei mangi qualcosa Miss Adler. Avrà bisogno di tutte le sue forze per il viaggio.”
Alzò lo sguardo, sembrava battagliera .” Non ha ancora intenzione di dirmi la destinazione Mr. Holmes?”
“ Anche se ho curato tutto nei minimi particolari , non dovrebbe essere difficile per lei scoprire qualcosa. Pensi.” Le rispose fissandola. Sapeva che se c’era una persona in grado di prevenire le sue mosse, quella era Lei.
Lo guardò dritto negli occhi e sorrise.“ Beh, di certo, visto le sue dimensioni, ci serviremo di questa nave solo per giungere alla prossima tappa, non troppo distante da qui. Viste le Nazioni poco raccomandabili che ci circondano, la destinazione più plausibile e facilmente raggiungibile è l’India. Probabilmente una piccola città sulla costa dell’India.”
Sorrise. In pochi attimi aveva già capito la prossima mossa.
“Visto Miss Adler, non ha nulla di cui preoccuparsi. Mangiamo e riposiamoci un po’ per adesso.” Mentre finiva la frase la vide alzarsi dal letto andandogli incontro. Per un attimo fu preso alla sprovvista. “ Ovviamente lei prenderà il letto, e io la poltrona…non …” Si affrettò ad aggiungere velocemente, cercando di prevenire le sue avances.
Ma Lei non disse nulla. Si era avvicinata, così vicina da permettergli di sentire chiaramente il profumo della sua pelle.
Lo stava ancora guardando, ma stavolta il suo sguardo sembrava diverso dal solito. Cercò di leggerla, non sempre era facile, a volte impossibile.
Successe tutto in una frazione di secondo, tanto da lasciarlo spiazzato. Sentì il peso del corpo di Lei appoggiarsi improvvisamente al suo, e ne sentì il calore. Non se l’aspettava.
Il  volto affondato nel suo petto. La mano che stringeva la sua maglia. Non capiva cosa stesse succedendo, era totalmente frastornato. Era un altro trucco? Un’altra mossa nel loro personale  Gioco? Restò immobile, pietrificato. Sperò che non facesse caso al suo battito totalmente fuori controllo. Maledette reazioni chimiche incontrollate!
Ascoltò il respiro di Lei, che restava immobile, con il viso sul suo petto. Stava piangendo? Possibile? Gli stava realmente mostrando la propria fragilità, deliberatamente? Sentì la sua voce mormorare piano “ Grazie.”
Sentì una stretta al cuore. Un’altra dannata reazione chimica. Maledizione.
Respirò profondamente, era indeciso se alzare una mano per posarla sulla sua spalla. Forse in questi casi si fa così, pensò. Ma non fece in tempo a decidersi, scattò lontana da lui, voltandogli le spalle, e si infilò nel letto senza guardarlo più.
Evidentemente questo era troppo anche per Lei. Pensò e si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro.
Si immerse nei propri pensieri, ascoltò il respiro de La Donna cambiare in quello del sonno profondo. Continuò a arrovellarsi sulle loro prossime mosse, su come continuare a passare inosservato ai controlli di Mycroft, su come riuscire a controllare le proprie reazioni in sua presenza.
Pensò che il giorno dopo avrebbe dovuto mandare qualche messaggio a John, visto che avevano avuto pochi contatti dalla partenza e non aveva idea dei suoi programmi.
All’improvviso fu distratto dai suoi pensieri da un cambiamento nel respiro di Lei. Era agitato, sconvolto. Un incubo. E visto il modo in cui cominciava ad agitarsi e il posto dal quale l’aveva tirata fuori doveva essere uno dei peggiori. Si alzò e la raggiunse vicino al letto, anche se non sapeva bene cosa avrebbe fatto. Non era bravo in queste cose. Rapporti umani.
Sentiva il bisogno di far cessare il suo disagio che lo rendeva nervoso, sempre più nervoso, ma non sapeva bene come. Cosa si fa in questi casi? E’ necessario il contatto fisico? Il pensiero gli faceva quasi paura.
Sedette sul letto accanto a Lei, che oramai si agitava in modo evidente, le pose una mano sul braccio, cercando di non essere troppo rude. Era sempre rude in queste cose, a quanto pare, o almeno a detta di John. Cercò di scuoterla con decisione ma in modo gentile. Mentre al suo tocco sembrava agitarsi maggiormente, anche se stava aprendo gli occhi, mormorò piano“ Miss Adler…”
Al suono della suo voce, la vide calmarsi, aprire gli occhi, anche se era evidentemente ancora scossa, tanto da afferrare la sua mano all’altezza del polso. “ E’ solo un incubo. E’ al sicuro ora.”  Il respiro rallentò, il corpo sembrò rilassarsi e tornò a sdraiarsi, ma non lasciò la presa sulla sua mano.
Restò seduto al suo fianco, gli sembrava più sensato così. Le rimase accanto finché non la vide di nuovo sprofondare nel sonno profondo, con espressione distesa e tranquilla. Solo allora si liberò dalla presa e si alzò.
Decise che non avrebbe dormito, in fondo dormire era noioso, e aveva troppe cose a cui pensare. Prese un altro cerotto alla nicotina dalla valigia, lo applicò sul braccio, vicino a quello messo poche ore prima, e tornò in poltrona, mani giunte sotto il mento, a pensare.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


IX

 

Quando Irene aprì gli occhi ricordava poco di ciò che era avvenuto durante la notte. Sapeva di aver avuto un incubo, e purtroppo ricordava quando fosse stato realistico. Era precipitata nel panico assoluto, incapace di far fronte al terrore che la attanagliava. Poi ricordava la voce di lui, la sua voce calda che la rassicurava. Il suo tocco e la sua presenza vicino a lei. Ma era vero o si era immaginata tutto? Il sonno e i suoi desideri le avevano giocato brutti scherzi? Eppure era convinta di aver sentito la presenza di lui accanto a lei, non poteva essere solo la sua immaginazione.
La sera prima era stata fin troppo vulnerabile. Era crollata. Stava per scoppiare a piangere tra le sue braccia come un’eroina di un romanzo d’appendice. Stupida. Eppure quel “grazie “ era sentito. Sapeva che gli doveva la vita, e la possibilità di un futuro diverso. E sapeva che in quel momento era stata sincera, e forse lui meritava di vederla senza maschera, dopotutto. Almeno ogni tanto.
Si alzò a sedere sul letto, la vide seduto in poltrona intento a fare colazione. Evidentemente si era già lavato e cambiato d’abito, visto che indossava dei pantaloni scuri e un camicia bianca, portata leggermente sbottonata sul collo, come faceva abitualmente.  
“Buongiorno Mr. Holmes.”
Si voltò a guardarla “ Miss Adler.”
“Perché non mi ha svegliata? Mi preparo in un attimo!” Disse saltando giù dal letto, dirigendosi verso il bagno. Si rinfrescò rapidamente, tornò in camera prese la biancheria e il vestito che Sherlock aveva comprato per lei e li indossò. Le calzavano alla perfezione. Notò nuovamente come il colore del vestito si accordasse alla perfezione con quello dei suoi occhi. Sorrise.
“Sono davvero lusingata !“ Disse voltandosi a guardarlo.
“Non lo sia.” Rispose voltandosi a guardarla, per poi distogliere lo sguardo da lei.
Sorrise divertita ricordando lo stesso scambio di battute avvenuto al loro primo incontro.
Si preparò una tazza di tè e mangiò un po’ del pane tostato presente sul vassoio sul tavolo, poi si voltò avvicinandosi alla poltrona
“ Vuole cenare con me, Mr. Holmes?” Disse col solito tono da flirt con il quale gli si rivolgeva solitamente.
Lui rispose voltandosi a guardarla. “ Ho appena fatto colazione.”
L’espressione del suo volto sembrava divertita. Probabilmente anche a lui piaceva l’idea di ricominciare il loro Gioco.
Poco dopo attraccarono nelle vicinanze del porto di Mumbai, scesero dalla nave , e presero un taxi diretti apparentemente al centro della città. Arrivarono in un albergo, un albergo di lusso per stranieri chiaramente.
Entrati nella hall Sherlock si avvicinò alla reception e iniziò una delle sue interpretazione di “persona comune” in questo caso un cittadino americano, Mr. Tom Johnson , di passaggio a Mumbai con la moglie. Per Irene era esilarante vedere Sherlock che si sforzava di sembrare umano e di dissimulare il proprio accento. Si unì alla recita, prendendolo sotto braccio e mormorando un paio di commenti stizziti sulla qualità dell’hotel, senza dimenticare di aggiungere “caro” ogni volta che si rivolgeva a lui.
Salirono in camera, chiusa la porta alle loro spalle, Sherlock si voltò verso di lei mentre posava la valigia sul tavolo.” Il suo accento americano è molto buono”
“Nemmeno il suo è male” gli rispose guardandolo fisso, occhi negli occhi. Rimasero a guardarsi in silenzio a lungo, adorava quando i loro sguardi si connettevano in quel modo. All’improvviso si sentì il suono del cellulare di Sherlock. Sherlock si voltò a rispondere. Era John. Era chiaro che lo aveva lasciato all’oscuro di tutto. Povero John. Ma anche questo le fece capire fino a che punto Sherlock si fosse spinto pur di salvarle la vita. Terminata la telefonata, si voltò nuovamente verso di lei.
“ Credo che oggi le converrà restare in Hotel. Non è prudente per lei uscire anche se ormai siamo in un altro Stato. Ha troppi nemici a piede libero.”
Questa frase le suonava come una condanna alla prigione. Cercò di obiettare ma non c’era nulla di sensato che potesse dire. Purtroppo aveva ragione lui. Questo significava  anche che probabilmente sarebbe rimasta sola in camera, mentre Sherlock sbrigava altri affari in città.
Infatti poco dopo lo vide prepararsi ed uscire. Era già stufa della propria immobilità ma in fondo sentiva ancora i segni della prigionia sul suo corpo. In fondo nemmeno 24 ore prima era rinchiusa in una cella sporca e buia. Fece una doccia, stavolta in un bagno degno di questo nome, si medicò le ferite e cambiò la fasciatura. Estrasse dalla valigia il suo capo preferito, la vestaglia di Sherlock, e la indossò. Si sedette sul letto e ordinò il pranzo in camera. Finito di pranzare, si sdraiò sul letto e sprofondò in un sonno profondo.
Al suo risveglio, Sherlock era già rientrato in albergo. Si aggirava su e giù per la stanza in modo frenetico. Ancora assonnata si mise a sedere sul letto.
“ Vuole dirmi ora cosa ha deciso di fare con me, Mr. Holmes?”
 Lui smise di camminare, si mise a sedere in poltrona, tenendo lo sguardo su di lei.
“Non si preoccupi Miss Adler non ho intenzione di consegnarla nelle mani di nessuno. Sarà libera di decidere come crede se la soluzione che ho scelto per lei non sarà di suo gradimento.”
“ E sarebbe?” rispose mettendosi a sedere sul letto.
“ Avrà una nuova identità , una nuova vita e una nuova casa.”
“ E come è riuscito a fare tutto questo da solo?”
“ Trattandosi di me, non è stato un compito troppo arduo. La parte più seccante è stato prendere alcuni contatti.” Disse chiaramente stizzito dalla mancanza di fiducia nelle sue capacità che gli stava dimostrando.
“ Ma le sarà costato molto denaro...”
“Miss Adler provengo da una famiglia decisamente benestante non ho certo problemi di soldi. Inoltre anche se il mio conto in banca è spesso controllato da mio fratello, ho un fondo segreto per le emergenze in una cassetta di sicurezza di cui solo io sono a conoscenza.”
“ Non più a quanto pare.”
“ Beh non credo che il fatto che ne sia a conoscenza lei possa influire più di tanto a questo punto.” Disse in modo distaccato come sempre, mentre si sedeva in poltrona.
Era scioccata da tutto quello che aveva organizzato per lei, per lei sola.
Aveva immaginato qualcosa di simile, ma ora che lo ascoltava dalla voce di lui le sembrava tutto totalmente surreale. Sentì una fitta alla bocca dello stomaco, e il cuore battere più velocemente. Cosa voleva significare il suo comportamento? C’era del sentimento anche da parte sua? Come poteva aver fatto tutto questo altrimenti?
“ Perché fa tutto questo per me Mr. Holmes? “
Vide gli occhi di lui spalancarsi per un attimo, come se attendesse quella domanda ma non volesse comunque ascoltarla. Non rispose. Si limitò a guardarla.
Irene si alzò, avvicinandosi a lui. Si mise in ginocchio vicino alla poltrona, come quella sera in Baker Street, davanti al camino. Posò una mano sulla mano di lui in modo lento e leggero. Di nuovo gli occhi nei suoi occhi. Restò in silenzio per qualche istante poi disse di nuovo sussurrando:
“ Perché fa tutto questo per me? “

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


X

 

Era seduto in poltrona, con La Donna in ginocchio ai suoi piedi. Sentiva il tocco della mano calda di Lei sulla propria. Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi. La stava aspettando. Era ovvio che si chiedesse il perché di tanta premura da parte sua. Se lo chiedeva anche lui da giorni , si interrogava sul perché delle proprie azioni ma non riusciva a venirne a capo. Non riusciva ad riconoscere questi sentimenti che eppure sentiva, né li accettava. Ma non riusciva neppure a ignorarli o a rifiutarli. Ci aveva provato quella famosa notte, ad allontanarla da sé, ma evidentemente non era così facile.
Non aveva la risposta alla sua domanda. Quindi non rispose.
Si limitò a guardarla ancora, fissa negli occhi, così simili ai propri.
Il contatto con la sua mano l’aveva agitato, ma ancora riusciva a tenere la cosa sotto controllo. Ruotò il polso in modo da prendere la mano di Lei sotto la sua, le dita a contatto col polso. Stavolta avrebbe capito subito cosa stava facendo. Impossibile ingannarla due volte con lo stesso trucco.
Infatti la sentì dire immediatamente “ Mi prende ancora  le pulsazioni?” e dopo una breve pausa sussurrò dolcemente, avvicinando il suo volto al suo “Faccia pure Mr. Holmes, stavolta non ho nulla da nascondere.”
Il suo battito era accelerato, come quella sera in Baker Street. Continuava ad aumentare man mano che gli si avvicinava. Era così vicina che poteva sentire il suo respiro sulla pelle del volto, il corpo caldo proteso contro il suo.
E in quel momento sentì il controllo sfuggirgli di mano, il proprio cuore battere all’impazzata e lo stomaco chiudersi. Si rese conto che anche Lei gli stava prendendo le pulsazioni stavolta, e per un attimo fu preso dal panico. I loro battiti veloci erano in sincrono perfetto. “Accelerato” gli disse con un sorriso malizioso.
Non sapeva assolutamente cosa fare. Restò solo immobile a guardarla negli occhi.
“Le sue pupille sono dilatate” continuò, venendo ancora più vicina. Ora sentiva il peso del suo corpo esile contro proprio. Cercò disperatamente di distogliere il pensiero da quella sensazione di calore così fisica e potente.
Non rispose.
Vide il suo volto sempre più vicino, trattenne il fiato. Ebbe un lieve sussulto quando sentì le labbra di Lei sfiorare le sue. Fu un bacio leggerissimo. Era una sensazione nuova, mai provata prima. Era come dare un bacio su una guancia, ma più intenso. Stranamente piacevole.
Un calore vivace gli salì al viso, lasciandolo senza fiato per un istante.
Appena lo ritrovò le sussurrò sulle labbra “Non voglio fidarmi di lei” cercando di ostentare freddezza.
“Non la tradirò stavolta” gli rispose praticamente sulle labbra, mentre gli dava un altro bacio leggero a fior di labbra.
L’arrivo di questo era meno inatteso ma non meno devastante. Oramai aveva totalmente perso il controllo sulle proprie reazioni emotive. Quelle sensazioni erano così insopportabilmente piacevoli, tanto da fare quasi male.
“ Non posso fidarmi di lei” le sussurrò nuovamente, sperando di riuscire a dissimulare tutto quello che gli si agitava dentro.
Nemmeno stavolta La Donna indietreggiò, si avvicinò ancora alle sue labbra e disse piano“ Le devo la vita, non potrei mai nuocerle”
A quel punto non riuscì a trattenersi, non appena sentì il calore delle labbra di Lei avvicinarsi alle sue, senza rendersene neppure conto la baciò per primo.
Desiderava ancora quel morbido contatto, anche se faceva fatica ad ammetterlo persino a sé stesso.
Indugiò nel bacio, sentì che lo ricambiava e si lasciò guidare dapprima dolcemente, poi in modo sempre più profondo. La sensazione fu travolgente, totalmente sconosciuta. All’inizio fu scosso in modo violento, ma dopo qualche attimo gli sembrò diventare più piacevole e intima. Era strano, coinvolgente, caldo e bagnato. Non riusciva ad allontanarsi. Il coinvolgimento non era solo fisico, lo sentiva diffondersi per tutto il corpo,  il cuore gli batteva all’impazzata e un forte calore lo avvolgeva sempre più. Si sentiva terrorizzato e incuriosito allo stesso tempo  e  non riusciva a smettere di baciarla. Sentì la sua mano passargli leggera sul volto e poi muoversi piano ad accarezzargli i capelli, soffermandosi a giocare con i riccioli. Non era in grado di capire quanto fosse durato quel bacio, ma gli sembrava quasi che il tempo si fosse fermato.
Si distaccò quasi senza fiato, e le sussurrò “Bugiarda”.
Emotivamente questo era decisamente il suo massimo per il momento. Gestire tutte queste sensazioni fisiche e psicologiche in una volta sola, per la prima volta era decisamente troppo per lui. Sentì salire il panico, desiderò la consueta lucidità, si scostò piano da Lei e si alzò in piedi di scatto. Aveva decisamente bisogno di una doccia. Fredda.
Non era in grado di gestire la situazione, ma sapeva che non poteva lasciarsi andare a quelle sensazioni o sentimenti o qualsiasi cosa essi fossero. Ogni volta che prendevano piede in lui perdeva la lucidità. Si sentiva come un ragazzino di sedici anni. Probabilmente per queste cose era un ragazzino di sedici anni. Forse aveva ragione Mycroft. Dio. No. Non avrebbe certo abbandonato La Donna ma doveva tornare un minimo padrone del Gioco, o avrebbe perso in modo plateale. Non era ancora sicuro che i sentimenti fossero uno svantaggio. Non aveva intenzione di mettersi a provare sentimenti per persone a caso, figuriamoci, ma quei pochi affetti che aveva, quei pochi sentimenti che aveva sentito nascere in sé , voleva conservarli e tenerli con cura. Ma doveva anche imparare a gestirli, o sarebbero davvero stati la sua rovina. E questo valeva anche per Lei.
Quando tornò in camera, dopo aver fatto la doccia ed essersi cambiato la camicia, la trovò seduta al tavolo intenta a cenare. Aveva chiaramente ordinato la cena in camera mentre lui era in bagno.
“Vuole cenare con me, Mr. Holmes?” Scherzò come sempre.
“ Non ho fame” in questo momento non sapeva se era vero o meno. Forse fino a qualche istante prima, aveva sentito fame, quel tipo di fame a cui Lei faceva sempre allusione. Ma ora era di nuovo in possesso delle sue facoltà, era lucido.
“ Domani mattina abbiamo il volo molto presto, le consiglio di andare a dormire presto Miss Adler. ”Continuò.
“ Quale è la nostra destinazione? Una città europea?” gli chiese .
“Sherbrooke, Quebec ” le rispose in modo asciutto.
“Quebec? Ma è così lontano da Londra! Io non voglio…non potrò più…” non finì la frase ma  lo guardava fisso negli occhi con uno sguardo in cui leggeva un misto di rabbia e di…tristezza. Possibile che fosse triste?
“ E’ abbastanza lontano da permetterle una vita tranquilla, lontana dai suoi nemici. E non dovrebbe pensare a Londra ora. E’ meglio per lei non farci ritorno per anni.”
“ Questo non è possibile. Sa che non lo farò” lo sfidò.
“ Questa sarà una sua decisione, il mio compito per il momento è portarla in un posto sicuro. Ha già tutti i documenti in regola, sotto il suo nuovo falso nome ovviamente.”
“Ha pensato proprio a tutto.” Gli rispose. Il tono era chiaramente ironico.
Doveva essere proprio indispettita dal fatto che avesse scelto una località tanto lontana. “ Quindi la nostra destinazione è questa.” Continuò.
“Si” Le rispose  senza troppi giri di parole.
La vide alzarsi e dirigersi in bagno sbattendo la porta dietro di sé. Sembrava aver accettato la cosa anche se non di buon grado. Sicuramente per La Donna dover accettare che qualcuno avesse pianificato tutta la sua vita futura senza tenere la sua opinione in considerazione era decisamente difficile da accettare. Era abituata a decidere da sola, a dominare. In quel momento non aveva voglia di discutere. Si sentiva stranamente stanco. Strano, anche se non dormiva da giorni e aveva girato mezzo mondo. Si mise seduto sul letto. Dormire è noioso, pensò. Non voglio dormire.
Ma si sdraiò comunque sul letto e si immerse nei suoi pensieri, senza accorgersene però, scivolò in un sonno profondo.
 
Si sveglio di colpo. Era buio, cercò di capire per quanto tempo potesse aver dormito.
Cosa poteva essere successo in quel lasso di tempo? Perché diavolo si era addormentato così di colpo! Queste fastidiose reazioni del suo corpo cominciavano ad infastidirlo. Lei dov’era?
All’ultima domanda rispose da solo non appena si rese conto del peso che sentiva premere lungo il lato sinistro del suo corpo. Chiaramente c’era qualcosa, o meglio qualcuno accanto a lui. Sentì il corpo caldo contro anzi, proprio sopra al proprio, sentì un braccio che gli cingeva il busto, la mano posata sul proprio petto. La Donna dormiva, tranquilla. Dormiva praticamente abbracciata a lui, col suo corpo troppo vicino, pericolosamente vicino. Dovette trattenersi per non sobbalzare, saltando in piedi. Non sapeva se era preferibile per lui lasciarla dormire così o svegliarla dovendo poi sottostare ai suoi attacchi fisici e psicologici. Solitamente era divertente, stimolante ma oggi le cose erano sfuggite troppo al suo controllo e il Gioco non gli piaceva così tanto se non poteva condurlo lui. Non voleva arrendersi così facilmente e darle vinta la partita. Per ora erano decisamente pari.
Decise, che era meglio, per ora, non svegliarla, in fondo mancavano solo poche ore all’alba, e sarebbero trascorse in fretta o almeno così sperava.
Non riusciva più a dormire. Il calore di Lei lo distraeva, avvertiva il contatto morbido contro il proprio corpo, cercava di richiamare pensieri meno pericolosi, nel tentativo di ignorarla, sobbalzò quando la sentì muoversi  nel sonno, strofinando il suo viso contro il petto, il respiro vicino al suo collo, la mano che stringeva sempre più stretta la camicia, la gamba che scorreva lungo la propria. Percepì un brivido scorrere tutto lungo la schiena, e la sua pelle reagire. Pelle d’oca. E non solo quello. Chiaramente i suoi recettori erano stati stimolati un po’ troppo. Ancora quelle reazioni fisiche che non poteva controllare. Fu felice del fatto che dormisse profondamente e non potesse rendersi conto del suo stato. Non poteva negare che fosse in qualche modo piacevole. Chiaramente colpa della chimica. Fece un respiro profondo, cercando di concentrarsi su cose più importanti. Dopo un’ora si era quasi praticamente abituato a quel contatto, anche se sentiva ancora il proprio battito un po’ accelerato, nonostante il respiro ritmico di Lei in qualche modo lo cullasse. Senza rendersene quasi conto lasciò scivolare la mano sul suo braccio, ricevendo in cambio una sensazione soffusa e piacevole. Rassicurante. Rimase per un attimo stupito da questa sensazione.Poi si addormentò di nuovo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


XI

 

Quando Irene si svegliò era quasi mattina. Era ancora quasi nella stessa posizione in cui si era addormentata. Quando, uscita dal bagno, dopo essersi medicata di nuovo le ferite, lo aveva trovato sul letto, completamente vestito, immerso in un sonno profondo, le era venuto da ridere. Eccolo lì il grande consulente detective. Addormentato e senza difese come un bambino. Avrebbe potuto agevolmente darsi alla fuga. Ma per andare dove? Per farsi catturare di nuovo? Gettare nel cestino l’unica persona che le era corsa in aiuto, senza chiedere niente in cambio, le sembrava davvero insensato. E poi quella persona era lui.
L’unico uomo che avesse mai contato qualcosa per lei. Dio mio poi, com’è dannatamente carino mentre dorme, pensò. Lo aveva già stuzzicato abbastanza quella sera, ma proprio non riusciva a smettere.
Desiderava baciarlo dalla prima volta che l’aveva visto. Baciarlo e prenderlo a schiaffi.
Erano i due desideri contrastanti che si impossessavano di lei ogni volta che posava lo sguardo su quel visino dagli zigomi affilati.
Prenderlo a schiaffi era stato un piacere, anche se avrebbe preferito farlo in altre circostanze, più piacevoli. Per baciarlo c’era voluto un po’ più di tempo. E non era nemmeno andato male, visto il suo soprannome e il suo completo disinteresse per questioni di questo tipo. Anzi. Era stato un bel bacio. Intenso e coinvolgente. Le aveva tolto il fiato. E se lui non si fosse scostato avrebbe continuato a baciarlo per tutta la notte. Ma sapeva che era troppo presto per Sherlock. Non si fanno i conti con queste cose in pochi attimi. E non era ancora pronto. Eppure continuava a desiderare di baciarlo. E di prenderlo a schiaffi. Continuamente. Non che i baci fossero una consuetudine nemmeno per lei. Era tanto che non baciava nessuno. Nel suo lavoro aveva bandito i baci, troppo intimi, troppo coinvolgenti. I sentimenti dovevano essere lasciati fuori. Ma questa volta non c’era riuscita.
Si stese sul letto accanto a Sherlock, si avvicinò piano attenta a non svegliarlo. Accostò il corpo al suo e posò una mano sul suo petto, sentendone il battito calmo del cuore. Ascoltò il suo respiro regolare finché non scivolò in un sonno profondo.
Si risvegliò praticamente abbracciata a lui. Era scivolata su di lui e aveva una gamba attorno alla sua. Irene controllò che fosse ancora addormentato, si fermò ad ammirare  il suo profilo mentre dormiva. Si rese conto che una mano di lui le cingeva il braccio quasi ad abbracciarla. Sentì una fitta cuore, come se fosse invaso di dolcezza. Che strana sensazione. Non sapeva se il gesto fosse stato volontario o causato dal movimento durante il sonno, ma non riuscì a non provare quella dolce stretta al cuore. Si vergognò di sentirsi felice per quel minuscolo contatto, come era stata felice per quel bacio, ma non poteva fare a meno di esserlo. Doveva ammettere ormai che i sentimenti che provava per Sherlock erano totalmente sfuggiti al suo controllo, e non aveva minimamente intenzione di soffocarli, soprattutto ora che lui le stava salvando la vita. Ma neppure poteva abbandonarvisi completamente.
Pensò al piano e alla loro destinazione, così lontana. Lontana da Londra, città che era tutto per lei e lontana da lui. Non poteva sopportare  l’idea di non poterlo più vedere per chissà quanto tempo, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. E lui non se ne era nemmeno accorto. Quando si trattava di comprendere i sentimenti era davvero lento a volte.
Non poteva sopportare l’idea di essere costretta in qualcosa contro la propria volontà.
Ma per ora la decisione migliore le sembrò quella di seguire il piano alla lettera, anche se sapeva che non gliela avrebbe data vinta così in fretta, non sarebbe uscita di scena così facilmente. E far decidere ad altri, come impostare la propria vita poi, era fuori questione. E questo valeva anche e soprattutto per lui.
Mentre pensava a tutte le soluzioni possibili per il futuro sentì il corpo di Sherlock muoversi sotto al suo, capì che si stava svegliando. Lo vide aprire gli occhi un po’ intontito da sonno. Sbarrò per un secondo gli occhi quando la vide così vicina a lui, ma riconquistò subito la sua consueta freddezza.
“Buongiorno Mr. Holmes “ sussurrò sorridendo mentre con le labbra gli posava un bacio leggero sulla guancia.” Dormito bene?”
“Buongiorno Miss Adler” rispose meno composto del solito, tirandosi immediatamente su, a sedere  sul letto. “ Abbiamo un volo che parte tra due ore. Direi di muoverci”
Irene sorrise, era evidente che il risveglio e il bacio sulla guancia non lo avevano lasciato indifferente.
Sherlock si alzò, prese i suoi vestiti e si chiuse in bagno.
Irene si vestì e si fece un trucco leggero. Cambiò il colore degli occhi con delle lenti a contatto scure e indossò una parrucca biondo cenere. Coprì la parrucca con un cappello.
Lasciarono l’albergo in fretta, senza fare colazione, per essere notati il meno possibile.
Presero un taxi per l’aeroporto, e non ebbero nessun problema ad imbarcarsi.
L’aereo avrebbe fatto scalo a Parigi, da lì avrebbero preso un altro volo per Montreal.
Il viaggio non fu troppo lungo, ma era difficile trovare modi per distrarre Sherlock costretto in un ambiente così ristretto con poche possibilità di muoversi.
Irene sorrise nel vederlo così irrequieto e pensò a quello che la aspettava durante il viaggio ben più lungo verso Montreal.
“ Verrà con me fino in Quebéc? “ gli chiese. In realtà sperava che lui venisse con lei.
“ Non le darei certo la possibilità di rovinare la mia splendida creazione, non prima di averla portata a termine. Ripartirò non appena si sarà sistemata.”
“ Sistemata?” rispose dubbiosa.
“ Spero non cercherà di ricominciare con il suo vecchio stile di vita. Potrebbe trovare un’occupazione meno pericolosa e meno in vista.”
“ Più noiosa, quindi.” Gli disse lanciandogli un’occhiata.
“ Temo di si”
“ Questo non posso prometterglielo, non sono fatta per le cose noiose.” Rispose con un sorriso malizioso, alzando le spalle.
“ Su questo non posso proprio darle torto, Miss Adler. Detesto le cose noiose, come stare seduto costretto in cinquanta centimetri di spazio, senza poter camminare, alzarmi o…”
“ Può sempre pensare Mr. Holmes. Mi dica cosa pensa dei passeggeri che ci circondano? Facciamo una gara di deduzione?” Lo sfidò divertita.
“ Gara?” La guardò alzando leggermente un sopracciglio. “ Temo che abbia già perso, trattandosi di me…” continuò.
Iniziarono a sfidarsi a chi riusciva a dedurre più informazioni possibili dai propri vicini, ed era chiaro che entrambi sapevano tenersi testa.
Irene doveva ammettere però che Sherlock spesso la superava, lei non riusciva ad elaborare i pensieri con tanta velocità e precisione, aveva bisogno di maggior tempo.
In fondo sapeva che l’uomo che aveva affianco era unico nel suo genere. Lo sapeva bene e non poteva fare a meno di ammirarlo per questo.
Dopo la gara, lessero un po’ di quotidiani presenti sull’aereo, che erano quasi tutti francesi, un paio inglesi, e dopo aver corretto, terribilmente infastidito, gli errori grossolani presenti nelle notizie riportate, Sherlock sfidò Irene a cercare di risolvere qualche caso in base ai pochi indizi descritti nella cronaca.
Era dannatamente stimolante stare in sua compagnia, era come un vulcano, un tornado di idee che ti travolge in pieno. E lei era stata completamente travolta.
Anche i suoi repentini cambi di umore, i capricci le piacevano. La divertivano. Era come cercare di domare una bestia selvatica. Era così simile a lei eppure così diverso.  
Una volta incontrato Sherlock Holmes la vita non poteva essere come prima.
Scesero dall’aereo a Parigi, all’aeroporto Charles De Gaulle. Avevano due ore di attesa prima di imbarcarsi sul volo per Montreal. Irene decise di fare un giro per i negozi dell’aeroporto, visto che non possedeva che un paio di abiti. Decise di evitare abiti troppo costosi, ma nemmeno di rinunciare completamente al buon gusto. Sherlock le diede una parte del denaro che aveva preparato per lei e la lasciò fare, limitandosi a seguirla da una certa distanza, giusto per controllare che non ci fossero personaggi sospetti a seguirli.
Fece qualche giro per negozi, cercando di ricreare un piccolo guardaroba, non certo all’altezza di quello che aveva in precedenza, ma che le permettesse di ritornare un minimo nei propri panni, anche se sotto copertura.
Mangiò qualcosa e si imbarcarono.
Il viaggio fu ovviamente lungo, Irene trovava sempre più divertente il crescente fastidio di Sherlock, sembrava un bambino iperattivo costretto in un box troppo piccolo. Continuava ad agitarsi, rispondeva male alle hostess che tentavano di contenere i suoi capricci, alternava momenti di logorrea a stati quasi catatonici, dai quali riemergeva sempre con una valanga di osservazioni e pensieri.
Irene riusciva a stargli dietro, anche se era consapevole di non essere al suo livello.
Nessuno poteva esserlo. Nemmeno Moriarty, pensò. Non sapeva perché ma questo pensiero la fece sentire sollevata. Era una garanzia.
Continuò per tutto il viaggio a cercare di tenerlo occupato, con sfide verbali, giochi e provocazioni, anche se era impossibile anche per lei legare a sé l’attenzione di Sherlock per un periodo così lungo. Ci riusciva bene ma sapeva che sarebbe nuovamente ripiombato nei propri pensieri, con lo sguardo fisso, perso chissà in quali congetture.
Arrivati a destinazione, mentre aspettavano le valigie, Irene si sentì stranamente triste, e , sensazione strana per lei, sperduta. Era in un Paese a lei sconosciuto, senza identità, e appena lui se ne fosse andato anche completamente sola. Senza la propria identità a proteggerla si sentiva veramente disorientata. Ma almeno era viva. E di sicuro non avrebbe permesso a Sherlock di eliminarla dalla sua vita. Ce l’aveva sempre fatta, ce l’avrebbe fatta anche stavolta.
Presero un taxi dall’aeroporto, diretti alla sua nuova casa. Non era nemmeno curiosa.
L’idea di una vita in” basso profilo” non la entusiasmava, ma sapeva di non avere scelta. Almeno per un po’.
Era sera quando arrivarono davanti a quella che sarebbe stata la sua nuova casa. Era una piccola villetta bianca ad un piano, con portico. Graziosa e di basso profilo, un’idea di come sarebbe stata la sua vita futura. Non sapeva se essere sollevata o rattristata. Sapeva che il suo tempo con Sherlock stava per scadere e averlo avuto tutto per sé in quei giorni era stata un’esperienza dalla quale non era ancora sicura di voler fare a meno.
Entrati in casa cominciarono ad esplorarla, aveva un bel salotto con annessa una piccola cucina, uno studio e una camera abbastanza spaziosa. Niente di lussuoso o particolarmente chic, ma in ordine e di buona qualità.
Improvvisamente Irene guardò Sherlock, lo guardò fisso negli occhi, ancora una volta.
“ Quando se ne andrà Mr. Holmes?” Era seria, si sentiva anche triste. Non voleva dirgli addio ancora una volta.
“ Tra due giorni, sicuramente. Devo tornare prima del ritorno di John, e ora tutto mi sembra in ordine. Appena avremo sistemato le ultime cose la libererò dalla mia presenza, Miss Adler.”
“ E se io non volessi esserne liberata? Se volessi tenerla qui per sempre?” Cercava di sforzarsi di non sembrare triste mentre lo diceva, ma maliziosa come sempre.
Lui la guardò negli occhi di nuovo, senza dire nulla. Mi sta scrutando, pensò. Irene ricambiò lo sguardo e fece un passo, avvicinandosi. Restarono in silenzio per un tempo che non riuscì a quantificare. Fissi gli occhi negli occhi, senza dire una parola.
Non riusciva a smettere di guardarlo, come se non esistesse niente altro che avesse un senso al mondo. E era il loro unico modo di comunicare, vero e senza finzioni.
Ad un tratto Sherlock parlò, staccando il contatto visivo con lei, girando lo sguardo verso la parete della sala dove c’era uno specchio. “Devo andare. Dopodomani.”
Irene non rispose, si voltò e si diresse silenziosa verso la camera da letto. Si tolse la giacca, e la parrucca e li posò sul letto. Si fece una doccia, e si cambiò, indossò di nuovo la vestaglia di Sherlock, poi tirò fuori dalla valigia i pochi abiti che le appartenevano ora e iniziò a riporli nell’armadio. Guardò ancora una volta gli abiti che lui aveva comprato per lei. Poi tornò in salotto, a piedi nudi e coi capelli sciolti ancora bagnati.
Sherlock era seduto su di una delle due poltrone del salotto. Aveva acceso la tv, probabilmente si annoiava. Era seduto con le gambe raccolte contro il petto e le teneva con le braccia. Irene fu divertita dalla visione, nelle occasioni in cui si erano incontrati in precedenza, a parte il periodo trascorso in aereo, Sherlock aveva mantenuto un atteggiamento altero e posato. Vedere la sua vera essenza era per lei elettrizzante. Vederlo fare i capricci come un bambino, cambiare umore continuamente, annoiarsi e diventare nervoso era davvero una scoperta. E non minava minimamente la sua passione per lui. Anzi la arricchiva.
Ed eccolo lì seduto in poltrona tutto rannicchiato a sbraitare contro la tv, per non si sa quale imprecisione o banalità. Troppo divertente.
Improvvisamente si voltò verso di lei, la guardò e si alzò in piedi di scatto cominciando a frugare nelle sue tasche. :” Ecco questi sono i suoi nuovi documenti Miss Adler. C’è tutto, anche l’assicurazione sanitaria. Le darò anche i documenti bancari del conto a suo nome. Li ho in valigia. “ le disse consegnandole una busta, piena di documenti appunto, tutti intestati a Miss Alice Irons. Sherlock uscì dalla stanza e fece ritorno poco dopo , con altre buste in mano, in cui chiaramente c’erano gli altri documenti. Irene non le aprì, li mise in un cassetto dello scrittoio e lo chiuse a chiave.
“ La ringrazio Mr. Holmes. “ Fu l’unica cosa che riuscì a dire.” Credo che ora andrò a letto. Il volo è stato stancante.”
“ Certo, io ovviamente resterò qui sul divano. A domani Miss Adler. ”
Irene andò in camera e chiuse la porta dietro di sé. Non sapeva perché ma il suo umore era pessimo. Si gettò sul letto sopra le coperte e si addormentò.
La mattina seguente si svegliò, si recò in bagno per controllare le ferite, poi stringendosi la vestaglia di Sherlock sul corpo, cercò di pensare in modo più lucido agli avvenimenti della sera prima. Era rimasta scossa, ma non aveva nemmeno compreso il perché. Doveva essergli grata di tutto, della fatto stesso che potesse ancora respirare, della sua nuova vita, di quella casa. Ma quel pensiero la faceva anche stare male. La rendeva felice e sofferente al tempo stesso. Aveva sempre risolto i propri problemi da sola ed ora si trovava a dovere tutto ad un uomo. Lei che degli uomini non aveva mai voluto sapere se non per sfruttarli per i propri scopi. Ora non solo il suo cuore apparteneva a quest’uomo, anche se era forse il più straordinario e intelligente, ma gli doveva anche tutto il resto.
Era spaventata da quello che comportava. Aveva paura di legarsi troppo, ancora di più di quanto non lo fosse già. E questo non le piaceva. Anche solo l’idea la infastidiva. Forse sarebbe stato meglio per lei che Sherlock Holmes fosse uscito dalla sua vita per sempre. Ma era in grado si sopportarlo? E soprattutto lo voleva realmente? Era ancora la stessa donna? O la prigionia e l’essere così vicina alla morte l’avevano cambiata in qualche modo? Si sentiva diversa, in fondo al suo essere ma ancora non capiva come e cosa le avrebbe portato questo cambiamento.
Entrò in salotto e vide Sherlock, già vestito con abito scuro e camicia bianca, seduto al tavolo intento a leggere il giornale mentre faceva colazione, chiaramente preparata da lui. Un uomo dalle mille risorse, sorrise tra sé e sé.
“No. Non lo voglio fuori dalla mia vita. “ pensò nell’esatto istante in cui i suoi occhi si soffermarono su di lui, che si era voltato a guardarla, accortosi della sua presenza.
Si sedette al tavolo con lui e cominciò a fare colazione. Era la prima volta che facevano colazione insieme seduti al tavolo. Era una sensazione inusuale per lei, non aveva mai conosciuto la vera vita domestica, nemmeno da ragazza, e questo istante le sembrò quasi surreale.
Sherlock era particolarmente loquace, intento a commentare le notizie del giornale del luogo. Il posto era tranquillo forse, ma la cronaca nera del Canada era ricca di avvenimenti che stuzzicavano la sua fantasia, quindi continuava a leggere stralci di articoli commentandoli, deducendo fatti da brevi descrizioni, deridendo la cecità delle autorità legali, rammaricandosi di dover tornare a Londra senza potersi occupare di nessuno degli interessanti casi pubblicati.
Si cambiarono e andarono in città, per sistemare le ultime faccende e permettere ad Irene di orientarsi un minimo nel piccolo centro.
Era sera quando rincasarono. Sherlock cominciò a sistemare le sue cose in vista del volo di ritorno per Londra della mattina dopo.
Irene intanto cominciò a studiare i documenti contenenti tutte le informazioni sulla sua nuova vita. Aveva indosso un abito bianco leggero, sul viso un trucco leggero e i lunghi capelli scuri lasciati sciolti sulle spalle. “Dovrà permettermi di risarcirla appena ne sarò in grado, Mr. Holmes”  gli disse, alzando lo sguardo dai fogli, e posandolo su di lui intento a fare la valigia sul tavolo del salotto.
“ Non credo che sia necessario Miss Adler. Sono solo soldi. E dubito che Lei possa darmi qualcosa in cambio per averle salvato la vita. Ho fatto solo quello che ritenevo giusto fare. Non mi deve nulla.” Rispose volgendo lo sguardo verso di lei, per poi tornare alle sue faccende.
“ Si sbaglia. E comunque la risarcirò che lo voglia o no. Non amo dipendere da altre persone.”
“ Lei non dipende certo da me, né lo vorrei. Le ho già detto che non mi deve nulla.” Le rispose di nuovo, interrompendo del tutto quello che stava facendo, e guardandola fissa negli occhi. “ E’ stata una decisione mia.”
Lei non rispose ma era davvero adirata dal fatto che non volesse accettare di liberarla almeno da quel fardello.  Gli avrebbe restituito fino all’ultimo penny comunque.
“ Ah dimenticavo.” Le disse ancora, frugando nella sua valigia” mi sono permesso di prenderle un nuovo cellulare,  se mai dovesse servirle.” Posò il cellulare, piccolo e nero, sul tavolo vicino a lei e tornò verso la valigia.
Irene lo prese e scorse il menù e poi l’agenda. Sorrise quando trovò l’unico numero in agenda. Aveva messo il suo numero in agenda. Quindi quel telefono era il suo modo per dirle che se voleva poteva mettersi in contatto con lui.
“ La ringrazio. “ gli disse.
Lui non si voltò “ Forse è il caso che lei vada a dormire Miss Adler.”
“ No. Stasera no.”
Sherlock si voltò a guardarla e la fissò dritta negli occhi senza parlare, alzando un sopracciglio.
“ Stasera no, preferirei restare qui con lei, Mr. Holmes. E’ la nostra ultima notte insieme.” Continuò lei, rispondendo allo sguardo, mentre si alzava per avvicinarsi a lui che restava ancora in silenzio.” La prego.”
Lui si lasciò cadere sul divano con un sospiro. Irene gli sedette accanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


XII

 

Sentirla pregare di poter restare con lui durante la notte lo aveva fatto immediatamente capitolare. Ovviamente non le avrebbe mai dato la soddisfazione di ammettere che anche a lui faceva piacere poter stare ancora un po’ di tempo con Lei prima della partenza. Alla fine non poteva essere troppo dannoso. O almeno così sperava.
Sedeva sul divano fissando il soffitto. “ Beh dovremmo trovare un modo di passare la serata che non sia troppo noioso. Io mi annoio facilmente, lo sa. “ Le disse, senza guardarla.
“ Io avrei un idea.” Disse con il suo solito tono maliziosamente provocatorio.
Si voltò a guardarla in viso, sopracciglio alzato e espressione scettica.
“Cosa potrebbe proporre che possa seriamente interessarmi?”
“ Sono certa di conoscere molti modi per trascorrere una serata in modo tutt’altro che noioso, Mr. Holmes, modi che lei ignora completamente. Sono convinta che riuscirebbero tuttavia ad interessare persino lei.” Sorrise maliziosa. Lo stava chiaramente provocando. “Ma per ora potremmo semplicemente limitarci a giocare una partita a scacchi, che ne dice? Sempre se pensa di riuscire a battermi.” Continuò con espressione di sfida.
Sbuffò divertito da quella sfida ingenua.“ Perché pensa davvero di riuscire anche solo a mettermi in difficoltà? Avrei potuto anche pensare di lasciarle vincere la partita se non fosse così sfacciata.” Rise sarcastico.
“ Vedremo se non sono capace di batterla. E quando vincerò, si prepari a pagare pegno.” Ribatté La Donna fissandolo negli occhi, avvicinando il viso.
“Battermi? Ah!” Disse ridendo” Ma lei si ricorda con chi sta parlando? Potrei batterla bendato.”
“ Non esageri Mr. Holmes. Non che non mi alletti l’idea di bendarla, ma si ricordi che non mi faccio scrupoli a metterla al tappeto. Dovrebbe ricordarla bene la sensazione del mio amato frustino sul suo bel faccino dagli zigomi affilati.“ gli disse ridendo, mentre si alzava a prendere la scacchiera e la sistemava sul tavolino da caffè. 
Se lo ricordava bene, anche se drogato quella sensazione se la ricordava bene.
““The whip hand”, già.” Pensò.
La partita iniziò, le lasciò la prima mossa. La prima parte del gioco non lo impensierì affatto, controllava il gioco come sempre, prevendendo le sue mosse con largo anticipo, solo guardando alcuni movimenti dei suoi occhi o impercettibili smorfie del viso. Ad un certo punto, però verso metà partita perse per un attimo il controllo del gioco, Lei prese il sopravvento immediatamente. Appena si distraeva, era pronta a sferrare il suo colpo, come sempre, come nel loro personale Gioco. Questo non fece altro che renderlo più interessato alla partita, a spingere più a fondo, per metterla alle strette, batterla più in fretta. Che non vincesse lui era fuori discussione. Impossibile, si disse. Eppure in effetti a tratti riusciva a metterlo in difficoltà, prevedeva le sue mosse e poi all’improvviso la perdeva di vista, era spiazzato e doveva ricominciare da capo.
Non faceva trapelare nessuno dei suoi pensieri all’esterno, certo di riuscire a mantenere il controllo. Vinse la partita. Non così facilmente come sperava, ma certamente non le avrebbe mai dato la soddisfazione di ammetterlo.
La guardò vittorioso, con un sorriso infantile e esultante “ Diceva?” facendo roteare in aria il cavallo nero, che le aveva in precedenza mangiato.
“ So di averla messa in difficoltà più di una volta, che lo ammetta o no.”
“ Sono certo di aver messo il suo re sotto scacco matto poco fa. Chi era certa di vincere la partita?” Continuò, divertendosi a ribadire la propria superiorità.
“Oh, andiamo! Ha solo vinto una partita a scacchi! Non c’era in ballo la salvezza della Nazione! E poi non è detto che non vinca io la prossima, Mr. Holmes.”
“Vuol continuare a giocare finché non riuscirà a battermi? Giocheremo all’infinito, allora!” Le rispose alzando le mani.” Forse le conviene dare forfait adesso finché è ancora in tempo.”
“ Ah Ah. Divertente. Non servirà giocare all’infinito, la batterò di sicuro prima di quanto creda.“
“ Vediamo. Tre partite, se riesce a vincerne almeno una, ha vinto lei. La prima è andata. Le restano due tentativi.”
“ Mi sta dando un vantaggio quindi. Conoscendo il suo ego, Mr. Holmes, poteva andarmi anche peggio.”
Iniziarono la seconda partita. Questa volta il gioco di Lei era più aggressivo e allo stesso tempo sfuggente, lo studiava di più. Pensava. Aveva di certo un cervello fuori dal comune, di questo era già a conoscenza, ma non sempre ne aveva il pieno controllo. Non come lo avevo lui almeno. Ma quando voleva, sebbene con minore velocità, poteva tenergli testa agevolmente. Così fece durante la partita, decisamene più intensa e battagliera della precedente, tanto da entusiasmarlo in alcuni passaggi.
Lo eccitava dover pensare più velocemente per poter prevedere le sue mosse e capire come limitarne i danni. Rischiò anche di farsi mettere sotto scacco, ma riuscì a venirne a capo. Alla fine però riuscì comunque a spuntarla, e di nuovo la mise in scacco, poco dopo in scacco matto. Era decisamente euforico. Non ricordava da tempo una partita a scacchi che lo avesse coinvolto e interessato a tal punto. E aveva anche vinto. Non era come giocare da solo. E con John capiva la fine della partita già dalla seconda mossa. Noioso.
“ E allora?” Le rivolse uno sguardo di sfida, senza riuscire a trattenere l’euforia della vittoria.
“ Ne ho ancora una. E non creda che sarà facile stavolta. L’ho studiata per bene, Mr. Holmes.”
Iniziarono in fretta la terza e ultima partita, giocavano da ore, probabilmente erano già circa le tre di notte.
La partita si mostrò fin dall’inizio diversa dalle precedenti. Il suo gioco era cambiato, questo lo spiazzò per un attimo. Questa Donna riusciva sempre a spiazzarlo. Sensazione fastidiosa, ma anche stimolante. Non appena pensava di averla quasi afferrata, gli sfuggiva. Non riusciva nemmeno a leggerla ora, come la prima volta che l’aveva vista, anche se stavolta, almeno, era vestita.
La guardò in volto, l’espressione concentrata e sicura, che aveva già visto altre volte, attese la sua mossa, cercò di prevedere le possibili contromosse che avrebbero evitato di fargli perdere il suo cavallo. Riuscì ad arginare il suo attacco su di un fronte, ma si scoprì sull’altro. Perse l’alfiere, e la cosa non gli piacque affatto. Riprese il controllo della partita, cambiando strategia, cercando di adattarla alla sua. Riuscì facilmente a mettere il suo re in scacco ma  capì subito  di essere caduto in un tranello, e che la partita era persa, tempo due mosse e avrebbe avuto il proprio re in scacco matto. Alzò lo sguardo dalla scacchiera e la guardò fissa negli occhi. Sapevano entrambi che Lei aveva vinto. Un sorriso beffardo comparve sul suo volto, ovviamente si sarebbe presa la rivincita. “ Non ride più ora? E’ il momento di  pagare pegno.”
La guardò inarcando un sopracciglio “ Non credo proprio. Non ho mai detto di aver accettato le sue condizioni.”
“ Oh si che lo farà invece, non le permetterò di sottrarsi alla sua punizione”
“Le vecchie abitudini sono dure a morire, vero Miss Adler? Ma non sono certo il tipo da lasciarsi dominare.” Rispose , mantenendo lo sguardo fisso sul suo.
Doveva stare attento a come si muoveva, non poteva concederle troppo potere su di lui, né permetterle di tentarlo di nuovo.
“ So bene che ad entrambi piace dominare il gioco, ma in fondo non è più divertente così?” lo incalzò protendendo il corpo verso di lui.
“ E’ vero ad entrambi piacere dominare, decidere le regole della partita e né a me né a lei piace perdere. “
“ Questo non potrà mai cambiare Mr. Holmes, lo sa. Non saremo mai come gli altri.”
“No, mai.” Le rispose, senza espressione nella voce. Era un dato di fatto. Erano diversi dagli altri, questo non sarebbe mai potuto cambiare, questo l’unico modo di rapportarsi che conoscevano, e l’unico loro permesso. Avrebbero continuato a giocare, anche se forse con regole nuove, e avrebbero continuato a ferirsi, avvicinarsi per poi fuggire, per sempre.
“Quella notte, Mr. Holmes…”riprese per poi interrompersi quasi immediatamente.
“Quella notte si è comportata da stupida, e ha perso…non c’è altro da dire” non aveva affatto intenzione di riaprire quel discorso, che rischiava di portare con sé pericolose ripercussioni.
“Per quanto riguarda quello che è avvenuto dopo la mia cattura…”si fermò di nuovo, come se facesse fatica ad esprimersi, cosa che solitamente non avveniva mai. Questo lo portò a guardarla nuovamente fisso negli occhi.
“ Non deve spiegare nulla, ho dedotto già tutto da solo, come sempre. Forse non meritava un’ esperienza del genere, né la morte, per questo io non ho potuto lasciarla in quella situazione.” le disse, con voce calma, praticamente priva di emozioni.
“Ma me la sono cercata, non lo nego. E’ stata colpa mia. Ma non è questo di cui cercavo di parlarle. Dietro tutto quanto mi è successo c’è la mano della più grande mente criminale che il mondo abbia mai visto. Ho giocato male le mie carte, e suo fratello ha ottenuto anche documenti che lo riguardavano personalmente. E questo ha firmato la mia condanna a morte.”
“ Lo so, lo sapevo anche quella sera. “
“ Non capisce? Non è finita, io posso essere salva, ma lui tornerà, tornerà presto, stavolta per lei!” Il suo sguardo gli sembrò sinceramente preoccupato, cosa che lo stupì più del contenuto del suo discorso.
“E con questo? Non vedo l’ora di potermi finalmente confrontare con quell’uomo! Pensa seriamente che io potrei mai tirarmi indietro davanti ad un confronto con lui? Ma se lo bramo da mesi!” esclamò alzandosi in piedi, eccitato solo all’idea di una nuova sfida.
“Stia attento Mr. Holmes la prego. Non sottovaluti mai quell’uomo. E’ ossessionato da lei e capace di tutto. Scelga bene in chi riporre la sua fiducia. Dico sul serio.” L’ansia crescente di Lei lo ferì, come se stesse mettendo in dubbio le sue capacità.
“ La sua preoccupazione non ha senso, posso batterlo. Glielo assicuro, non lo temo.” La guardò sicurò di sé. Non riuscì a frenare il tono di stizza mentre pronunciava quelle parole. Non avrebbe mai messo in dubbio le proprie capacità anche se sapeva che in parte aveva ragione, che il confronto con Moriarty si avvicinava, e che non sarebbe stato affatto facile. Si rimise a sedere sul divano, lasciandosi assorbire dai suoi pensieri, perdendo totalmente la cognizione di ciò che avveniva intorno a lui e dello scorrere del tempo.
Quando riemerse dal torpore La Donna era seduta accanto a lui e lo guardava in silenzio, i capelli sciolti sparsi sulle spalle. Sembrava divertita quando i loro sguardi si incontrarono. Gli sorrise.
“ Trovo davvero interessante guardarla mentre viene assorbito dai suoi pensieri. E’ come se fosse in viaggio in un altro mondo. La sua mente è davvero uno strumento affascinante.” Disse, aveva lo sguardo dolce, molto più di quella notte a Baker Street.
Si limitò a tacere, era decisamente la migliore mossa in quella circostanza.
Guardò l’orologio, erano quasi le cinque del mattino. Si alzò, raggiunse le sue cose e cominciò a risistemarle, l’ora della partenza era vicina.
Poco dopo anche Lei si alzò dal divano, e iniziò a camminare su e giù per la stanza, guardandolo mentre finiva di sistemare la valigia. Alla fine si appoggiò alla scrivania, senza smettere di osservare i suoi movimenti. Chiamò un taxi per l’aeroporto,  si cambiò la camicia, indossando quella bianca, chiuse la valigia e  finì di sistemarsi in bagno. Sentiva ancora il suo sguardo addosso, alzò la testa e la guardò fissa in volto.
“Credo che sia il momento di congedarci Miss Adler. O forse dovrei dire Miss Irons.”
La Donna non staccò il contatto visivo, e mantenne il volto serio e lo sguardo deciso.
“ Non finisce di certo qui Mr. Holmes. Io voglio una rivincita, e non sto parlando solo degli scacchi.”
“Ha vinto solo una partita su tre. Fortuna.”
“ Vedremo la prossima volta. “Tacque ma il suo sguardo cambiò, diventando quasi grave “ Mi raccomando cerchi di restare vivo fino al nostro prossimo incontro. Si ricordi che mi deve una cena.”
Tornava ancora su quel discorso, evidentemente ne era quasi ossessionata. Si avvicinò facendo un paio di passi, si chinò su di Lei e le sussurrò praticamente nell’orecchio “ Nessuno può battere Sherlock Holmes, e lei dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro”.
Sentì all’improvviso le sue mani stringergli il bavero della giacca. Lo tirò a sé con decisione, tanto da coglierlo impreparato. Un lieve senso di panico si impossessò di lui, attanagliandogli lo stomaco. Il respiro caldo che gli accarezzava il collo e poi il viso lo fece sobbalzare leggermente. Odiava il senso di smarrimento che riusciva a provocargli. Indietreggiò appena, ma sentì che lo attirava a sé di nuovo, in modo più delicato questa volta. Percepì il tocco caldo e soffice delle sue labbra sulle proprie.
La morsa allo stomaco si fece più stretta mentre il bacio lentamente diventava più profondo. Si lasciò guidare, non riuscendo ad opporre nessuna resistenza. Le mani di Lei scivolarono lungo la giacca, accarezzandogli prima il petto, poi delicatamente il collo, fino a stringersi intorno alle sue spalle, sentiva tutto il suo corpo stretto contro il proprio.
Nonostante fosse già avvenuto questo tipo di contatto tra loro, non riusciva ancora ad abituarsi alla sensazione, che faceva emergere di nuovo quelle  emozioni strane, così difficili da controllare. Non era in grado di ignorarle e metterle a tacere. Senza rendersene conto le posò una mano sul braccio, stringendo leggermente la presa, provò la morbidezza della sua pelle nuda sotto le dita. Il cuore batteva velocissimo, come durante una corsa. Indugiò ancora sulle sue labbra, ancora e ancora, abbandonandosi completamente, soccombendo dolcemente sotto tutte quelle sensazioni così poco conosciute. Poi all’improvviso riuscì a ritrovare la propria lucidità e si scostò da lei lentamente. Non appena il contatto tra loro fu interrotto, mentre ancora cercava di riprendere fiato e con esso il controllo completo su se stesso, Lei gli diede un bacio, e ancora uno, leggeri, a fior di labbra.
Lo guardò fisso negli occhi con un espressione che gli sembrò tra l’arrabbiato e l’addolorato “ Sherlock,  dico sul serio.”
Fu colpito dal sentirsi chiamare per nome per la prima volta, ma non rispose. Si limitò a guardarla fissa negli occhi senza dire nulla. Capiva che forse stavolta era sincera, ma non voleva pensare a cosa potesse o dovesse significare, non voleva interrogarsi su cose del genere. In quel momento risuonò il suono del clacson che aspettava in strada.
Per un attimo restarono immobili, continuando a guardarsi dritti negli occhi, poi lui si voltò, prese la valigia e si diresse verso la porta e la aprì.
Si fermò per guardarla ancora mentre usciva “ Addio, Miss Adler”
“ Arrivederci, Mr. Holmes.” Gli rispose, ancora appoggiata alla scrivania.
Chiuse la porta e salì sul taxi. Si voltò istintivamente verso la casa, mentre il taxi stava partendo. La vide alla finestra, incrociarono ancora gli sguardi per un momento prima che l’auto scivolasse via.
 
Il viaggio filò liscio anche se purtroppo fu per lui lungo e noioso.
Non riusciva a comprendere come tanti fastidiosi e irritanti esseri potessero essersi dati appuntamento su quel volo. Non sopportava nessuno dei suoi stupidissimi vicini di poltrona, più volte si trovo ad immaginare modi per liberarsi di loro.
A questo si aggiunsero bambini urlanti e madri petulanti.
Una delle signore di mezza età che gli sedeva accanto gli riversò addosso milioni di chiacchiere totalmente prive di interesse e di senso. Cercò addirittura di addormentarsi visto che non sarebbe potuto essere più noioso di quello che lo circondava.
Per fortuna dopo qualche ora di agonia riuscì a concentrarsi sui suoi pensieri, sul discorso fatto con La Donna su Moriarty. Non riusciva a condividere la preoccupazione di tutti quelli che lo circondavano, anche perché non vedeva l’ora di riaffrontare quell’essere diabolico e geniale. Lo disprezzava e lo ammirava allo stesso tempo. Sapeva quanto fossero simili eppure opposti, aspettava con ansia di poter chiedere quella partita, interrotta bruscamente in modo decisamente insoddisfacente.
Era cosciente del fatto che sarebbe stato ancora più complicato questa volta, Moriarty amava tessere intrighi e trappole come ragnatele, e sapeva che sarebbe tornato presto.
Arrivato a Heathrow, saltò immediatamente su di un taxi diretto al 221b di Baker Street, ma non senza effettuare prima un paio di fermate per controllare le informazioni dalla sua rete di informatori. Doveva conoscere tutti gli spostamenti di Mycroft per essere certo che non sapesse della sua azione di salvataggio segreta.
A quanto pare niente si era mosso a Londra in quei giorni, o almeno niente che lo riguardasse. Probabilmente gli affari di Sua Maestà avevano preso il sopravvento.
Giunse a casa, salì velocemente le scale e si diresse in camera. Posata la valigia su letto l’aprì per disfarla alla svelta. Non sapeva esattamente quando John avrebbe fatto ritorno ma non voleva che ci fosse in giro nulla che potesse far nascere in lui qualche sospetto. Forse non era veloce come lui nel comprendere le cose, ma era meglio non sottovalutare il suo ingegno.
Notò immediatamente che dalla valigia mancava qualcosa. La sua camicia viola, non c’era più, e anche la sua vestaglia. Evidentemente qualcuno ci aveva messo mano mentre era in bagno. Quel qualcuno aveva anche lasciato una piccola busta bianca, proprio sopra ai suoi pantaloni. Prese la busta tra le mani e l’aprì.
Si diffuse quel lieve e dolce  profumo che conosceva ormai bene.
Era solo un biglietto scritto a mano con grafia elegante e leggera. “ Mr. Holmes, mi sono permessa di tenere un souvenir della nostra avventura. Mi è sempre piaciuto vederla stretto nelle sue camicie e questa è forse la mia preferita, tanto da volerla tenere per me. Spero che non me ne voglia. E’ libero di immaginare che uso potrei farne, se le fa piacere. Per quanto riguarda la sua vestaglia blu, mi ci sono affezionata, non potrei separarmene. Le ho comprato una vestaglia simile per renderle il distacco meno duro. Pensi un po’ a me quando la indossa. Al nostro prossimo incontro. I.A.”
Un souvenir. Non sapeva se sorridere della cosa o esserne infastidito. Quella era anche la sua camicia preferita. E sarebbe anche dovuto andare a comprare una nuova camicia, per non far sorgere sospetti in John. Non capiva cosa potesse averla spinta a tenere per se degli oggetti in suo ricordo, ma oramai c’era poco da fare.
Al loro prossimo incontro. Una parte di lui sperava che questo non si verificasse troppo presto, o forse che non si verificasse del tutto. Non era piacevole sentirsi tanto disorientato e dover lottare per mantenersi lucido sotto tutti gli attacchi di Lei.
Ma d’altra parte non era nemmeno certo di non volerla rivedere mai più.
Al momento decise che era meglio non porsi più il problema e tornare finalmente alla propria routine quotidiana.
La nuova vestaglia era praticamente identica alla precedente, anche per il colore.
Non avrebbe avuto nemmeno il problema di giustificarla a John. Svuotò la valigia in fretta, ripose i documenti e la lettera sul fondo del cassetto del suo armadio, sotto alcuni vestiti.
Fece una doccia veloce, si cambiò i vestiti, indossò la vestaglia e si recò in soggiorno per leggere il giornale sprofondando nella sua poltrona. Poco dopo sentì Mrs. Hudson rientrare in casa e salire le scale. “Oh Sherlock, sei in casa allora! Ero salita a controllare un paio di cose. Quando sei tornato? “
“Stanotte. Non c’era molto di interessante da vedere, così me ne sono andato via quasi subito…tutto così insopportabilmente banale.” Rispose senza smettere di leggere il giornale.
“ Capisco, caro. E John? Sai quando farà ritorno a Londra? Non vedo l’ora di sapere come sta sua sorella! Povero John, non deve ess-” non fece in tempo a finire la frase che Sherlock la interruppe brusco “ Non so, probabilmente domani, stando al suo ultimo messaggio. O forse anche stasera. Non appena farà ritorno potrà tediarlo con le sue innumerevoli domande Mrs. Hudson, ma ora mi faccia il piacere di lasciarmi leggere il giornale in pace!”
“Oh Sherlock, non capisco perché devi essere così sgarbato a volte. Comunque il frigo è praticamente vuoto, dovresti uscire a fare la spesa.”
La spesa? Non ci pensava proprio. “ Mi prepari qualcosa lei per stasera.”
“ Non dovresti nemmeno chiederle certe cose! Non è tra i miei compiti preparare i pasti, ma anche stavolta farò un’eccezione, mi sembri sciupato, e dovrai pure mangiare qualcosa. Ah se non ci fossi io non so come fareste!” Disse uscendo dalla stanza.
 
Passata qualche ora di assoluta tranquillità mentre era seduto davanti a computer intento a stilare il resoconto di un suo vecchio esperimento, avvertì una presenza al piano di sotto. Sentì anche la voce della padrona di casa e dal tono amichevole capì subito che stava arrivando la solita visita di controllo da parte del suo parente più prossimo presente in città. Sbuffò alzando gli occhi al cielo. Ci mancava giusto il terzo grado  da parte di Mycroft.
Continuò a scrivere mentre il fratello entrava nella stanza con suo solito incedere elegante ma altezzoso.  “ Buonasera Sherlock. Vedo che sei impegnato in una delle tue catalogazioni.”
“ Scusa, non ricordavo che oggi fosse il giorno del controllo al fratellino. Devo ricordarmi di segnarlo in agenda” Rispose senza distogliere lo sguardo dallo schermo del portatile.
“ Sono passato solo a farti un saluto e a vedere come stavi.” Mycroft fece un paio di passi per la stanza, roteando leggermente il suo ombrello tra le mani.
“ Sto bene, mi hai visto. Se non c’è altro puoi andare. La Regina non ha bisogno di te stasera?”
“ John è a lavoro?”
“ E’ da sua sorella, torna domani. C’è altro? Finito il terzo grado?” disse voltando a guardarlo stavolta.
“ Avrei voluto parlare con lui riguardo un paio di questioni, ma a quanto pare sarò costretto a rimandare.”
“ Perfetto, allora arrivederci Mycroft.”
“Arrivederci Sherlock.” Non era molto convinto di andarsene immediatamente, ma sapeva  benissimo che in sere come queste era impossibile parlare col fratello. Anche se avrebbe voluto  metterlo al corrente di molte cose di cui era a conoscenza, non poteva e in parte non riusciva a farlo. Sperava almeno di mettere a tacere la propria coscienza parlando con John nei giorni successivi. Quindi si voltò e uscì.
 
Sherlock continuò gli esperimenti per tutta la notte, fino all’alba, interrompendo solo per mangiare gli spuntini lasciati da Mrs. Hudson per lui. Dopo i noiosissimi viaggi in aereo stare da solo in compagnia di un microscopio era come essere in paradiso, e non sentiva nemmeno la noia dell’inattività.
John entrò in casa verso le otto e trenta del mattino, e lo trovò seduto al tavolo della sala intento a trafficare con tessuti e solventi.
“ Stai cercando di far saltare in aria l’appartamento o solo di dargli fuoco?” Lo apostrofò non appena varcata la soglia.
“ Nessuno di questi elementi chimici dovrebbe provocare reazioni del genere.” Rispose con calma.
“ Dovrebbe.”
“ Potrebbe sempre verificarsi qualche interessante inconveniente, magari dovuto a qualche sostanza di cui sono intrisi i tessuti. Sarebbe davvero interessante da verificare.”
“Direi proprio di no… non riesci a tenerti occupato con qualcosa di meno pericoloso?”
Disse lasciandosi cadere sulla poltrona esausto.
“Ah John, devi andare a fare la spesa, il frigo è vuoto da giorni.”
“ Ma sono appena tornato!! Sono esausto, per essere qui stamattina mi sono alzato alle 5! Non potevi andare tu a fare la spesa?”
“ Sai benissimo che non esco di casa se non per motivi davvero importanti. E poi sapevo che saresti tornato prima o poi”.
“ Quindi evitare morire di fame non è una motivazione abbastanza importante per farti uscire di casa…”
Sherlock distolse lo sguardo dall’esperimento  e lo guardò sgranando gli occhi
“Oh suvvia John non puoi essere così sciocco! Sai benissimo che prima di morire di fame dovrebbero passare almeno quaranta giorni. Tu non saresti mai stato via tanto a lungo. “
John scosse la testa, sconsolato. Poi battendo entrambe le mani sui braccioli della poltrona si alzò, sbuffando.
“ E comunque sono stato bene e mia sorella si è ripresa… grazie per avermelo chiesto!“
“ Di niente.” Sherlock era tornato ai suoi solventi e non alzò nemmeno la testa.
Alzando le mani al cielo il dottore uscì di nuovo dalla porta dalla quale era appena entrato, richiudendola dietro di sé.
Non c’era mai una volta in cui gli avesse dato la soddisfazione di un saluto come si deve. Ma alla fine oramai non si aspettava altro, Sherlock era Sherlock, e a lui andava bene anche così.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo - Ultimo ***


XIII

 

Quando John fece ritorno a Baker Street, carico di buste della spesa ed esausto, il salottino era deserto.
Posò tutto sul tavolo della cucina e si avvicinò alla porta della stanza di Sherlock, socchiudendola leggermente. Lo vide riverso sul letto completamente vestito, profondamente addormentato. Questo era davvero strano anche per lui,  pensò che era meglio lasciarlo riposare, visto lo strano umore dei giorni precedenti la sua partenza per andare a trovare Harry.
Richiuse la porta, prese i propri bagagli e salì in camera a riposare.
Dopo qualche ora fu svegliato dal suono del violino. Evidentemente Sherlock era tornato operativo. Scese al piano di sotto e lo trovò alla finestra. Non suonava niente di specifico, solo pezzetti di melodie, ma almeno non si trattava di roba triste. Non si voltò neppure quando John entrò nella stanza “ Mangio qualcosa e scappo al lavoro, ho dormito troppo…”
“ Solo tè per me grazie.” Gli rispose, interrompendo l’esecuzione e posando il violino sul divano. “ Spero solo che arrivi qualche nuovo caso, comincio davvero ad annoiarmi”
“ Oh per l’amor del cielo, non cominciare! Trovati qualcosa da fare, chiama Lestrade, fa ciò che vuoi ma niente crisi isteriche!” ribatté dalla cucina, mentre finiva di preparare il tè.
“ Ho anche una tremenda voglia di fumare. Maledizione. Tutta colpa di Mycroft. Ah, a proposito, mio fratello è passato per parlare con te. Come mai?” disse saltando sulla propria poltrona e rannicchiandosi stringendo le ginocchia con le mani.
“ E che vuoi che ne sappia io? Sono appena tornato a casa! Lasciatemi almeno il tempo di sedermi prima di mettermi in mezzo ai vostri bisticci tra fratellini.”
Sedette anche lui in poltrona mentre addentava un pezzetto di pane tostato.
“Quindi tua sorella ha ancora problemi con l’alcool e avete anche litigato di nuovo!”
“ Già. E’ seccante a volte non poter tenere niente per se stessi. Comunque tutto sommato il mio soggiorno non è stato troppo negativo”
“Quindi tornerai presto a trovarla?” gli chiese con un ghigno.
John sorrise beffardo di rimando “Non ci penso neppure!” Si alzò dalla poltrona, prese la giacca, si voltò verso di Sherlock prima di uscire “ Bevi il tè prima che diventi freddo e mangia qualcosa. A stasera.”
Mentre si recava allo studio medico, telefonò a Mycroft per capire il motivo della sua precedente visita, ma alla fine non c’era niente di nuovo. Il terribile fratello maggiore era come sempre semplicemente preoccupato per il suo fratellino, ma totalmente incapace di comunicare con lui in modo sano e di proteggerlo in modo normale. Quindi cercava ancora una volta di capire da lui come andavano le cose e come fosse l’umore del giovane Holmes. Lo rassicurò dicendogli che a parte la noia sembrava essersi ripreso dalla questione “ Irene Adler”, e che era il solito Sherlock. Chiuse la conversazione e si precipitò a lavoro, visto che stava facendo tardi.
 
In Baker Street intanto Sherlock aveva indossato camicia e completo scuro, preso tutti i documenti che potevano collegarlo alla missione di salvataggio e alla nuova identità della Adler, ed era uscito scendendo velocemente le scale. Salì in taxi e si diresse in banca, quella in cui teneva la sua cassetta di sicurezza personale, di cui nessuno era a conoscenza. L’unico modo per evitare che il fratello ficcasse eccessivamente il naso nei suoi affari. Prese la chiave della cassetta di sicurezza, la aprì e ci infilò velocemente la cartellina con tutti i documenti. Richiuse e uscì.
Prima di rincasare dovette andare in cerca di una camicia identica a quella che La Donna aveva tenuto per sé. Fu costretto a girare ben tre negozi prima di trovarne una identica, ed era davvero seccato quando finalmente riuscì a rimettere piede a casa.
Ripose immediatamente la camicia nell’armadio e si liberò delle prove dell’acquisto.
Poi si mise in poltrona a guardare la televisione. Si sentiva davvero patetico.
Sapeva che Lei non si sarebbe fatta sentire a lungo. Forse mai più. In parte questo pensiero lo consolava, perché tutto sarebbe tornato come era prima, e lui sarebbe tornato completamente se stesso. Anche se ricevere quei messaggi era stato un gioco piacevole, per questo decise di tenere tutti i vecchi messaggi salvati nel proprio telefono. Forse era un po’ troppo sentimentale anche lui in fondo.
Poco dopo rincasò John con la cena e lo trovò al tavolo del salotto intento in qualche lettura. “Tutto bene?” gli chiese dalla cucina. Non aveva motivo di chiederlo, non era successo assolutamente niente di rilevante. Chiaramente era ancora preoccupato per lui. John si preoccupava sempre, e spesso troppo. Ma era comunque una sensazione piacevole, sapere di avere qualcuno di cui fidarsi e su cui poter sempre contare.
Chiuse il libro e alzò lo sguardo verso di lui “Perché non dovrei? E’ successo qualcosa? Mycroft ti ha detto qualcosa?”
“ Assolutamente no. Chiedevo tanto per sapere, visto che in questi giorni non ci siamo visti molto…”
“Non è successo niente di niente. Che si mangia ?” disse alzandosi e entrando in cucina, cercando di troncare la conversazione lì dov’era.
“ Spero che tu abbia voglia di cibo cinese stasera.“
 
Erano passate parecchie settimane, più di sei sicuramente. Era un giorno piovoso, e Sherlock era seduto al tavolo della cucina, intento in uno dei soliti esperimenti. Niente di particolarmente esaltante, ma non c’era molto da fare in quel periodo visto che l’ultimo caso, un omicidio a Leeds era evidentemente banale, per lui almeno.
Non aveva notizie de La Donna da momento in cui l’aveva lasciata per tornare in Inghilterra. Ma non si preoccupava per lei, sapeva che se ci fosse stato qualche problema la notizia gli sarebbe arrivata immediatamente.
All’improvviso sentì i passi di John per le scale, non era neppure ancora entrato dalla porta ma capì che aveva chiaramente della novità dal ritmo con cui saliva le scale. Bagnato dalla pioggia, probabilmente come gli accadeva spesso era uscito senza ombrello. Era agitato, e strano. Immediatamente rispose che non si trattava del caso ma di Irene Adler. Di Lei? Gli chiese se era tornata a Londra. Poteva essere tanto folle da tornare in città senza la sua copertura?  John disse di aver parlato con Mycroft, che era sotto ovviamente al telefono. Alzandosi gli chiese ancora se era tornata a Londra. Non riusciva a concentrarsi più su quello che stava facendo, doveva sapere cosa sapevano.
John rispose che non era a Londra. Quando gli fu davanti scrutò il suo volto. Era strano, sembrava agitato. Fece una pausa prima di dirgli che La Donna era in un programma di protezione in America. Evidentemente Mycroft aveva saputo che era morta, e aveva preferito montare questa storia per evitare di dirgli la verità. Perfetto. Pensavano che fosse morta. Quindi era al sicuro.
“ Beh sai…” continuò John.
“So cosa?”
“ Beh non potrai più vederla” era chiaramente preoccupato della sua reazione alla notizia
“ E perché dovrei volerla rivedere?” E non era una bugia. Non c’erano motivi per cui avrebbe dovuto volere un incontro con Lei. Perché avrebbe mai dovuto volerlo?
“Non ho detto questo…”
Mentre tornava a sedersi al microscopio “ Quello è il suo dossier?”
Sapeva benissimo che lo era, aveva già visto il contenuto della busta e aveva notato che conteneva il famoso telefono.
“Si, stavo per riportarlo a Mycroft…vuoi…”
“No” rispose secco e brusco, ricominciando a guardare fisso nel microscopio.
John sembrò colpito dalla sua reazione. Tacque per un attimo, guardandosi in giro come faceva spesso prima di parlare. Fece un passo nella sua direzione “ Ascolta, in effetti…”
“ Ma prenderò comunque il telefono” disse tendendo la mano aperta verso di lui. All’improvviso aveva sentito nascere il desiderio di tenere per sé il telefono. Un desiderio forte che non riusciva a dominare. Probabilmente anche lui aveva bisogno di un souvenir, un ricordo da tenere custodito solo per se stesso.
“ Non c’è più niente dentro, è stato svuotato…”
“ Lo so, ma” sapeva perfettamente che non c’era più niente da scoprire al suo interno, ma non era per quello che lo voleva per sé. “ io lo terrò comunque.”
Mantenne la mano tesa e aperta, senza staccare però lo sguardo dal microscopio. Non riusciva a guardarlo in questo momento, temeva di non riuscire a controllare la propria emotività.
“Devo ridarlo a Mycroft, non puoi tenerlo.” Non ricevendo nessuna risposta continuò” Sherlock, devo ridarlo a Mycroft, è del Governo, ora.”
“Per favore.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire, tendendo ancora di più la mano verso di lui. Desiderava tenere quel ricordo, non gli importava del resto, né di Mycroft né del governo.
John si bloccò, non disse nulla per qualche istante, poi infilò la mano nella busta con i documenti, prese il telefono e lo posò nel palmo della sua mano.
Sherlock strinse delicatamente la presa sul telefono e se lo infilò in tasca.
“ Grazie.” Non aveva niente altro da dire, quindi tacque.
“ Beh sarà meglio che riporti questo” disse riferito alla documentazione nella busta. E fece qualche passo verso la porta.
“Si.”
Il dottore però non uscì, si fermò pensoso per qualche istante. Probabilmente si stava chiedendo se gli stava sfuggendo qualcosa. Si girò nuovamente verso di lui e gli chiese
“ Ti ha mandato altri messaggio dopo…tutto quella storia?”
La risposta fu sincera, non aveva nessuno motivo di mentirgli, né voleva farlo.
“ Una volta, mesi fa.”
“Che diceva?”
“ Addio, Mr. Holmes” ricordava benissimo quel messaggio e il momento in cui era stato inviato.
John sembrava voler dire altro, cominciò a passeggiare sul posto, ma non disse nulla e uscì, scendendo le scale.
Rimasto solo distolse immediatamente lo sguardo dal microscopio, e prese il proprio telefono. Si alzò e si diresse verso la finestra. Scorse tutti i messaggi scambiati con Lei, che conservava ancora tutti, fino ad arrivare a quell’ultimo messaggio.
Tornò col pensiero al momento in cui era stato inviato, a quella notte nel deserto. Rivide La Donna in ginocchio in attesa della morte, che gli spediva quell’ultimo pensiero. Rivide le sue lacrime, e il momento in cui chiuse gli occhi, pronta a morire.
E ricordò l’eco del suo gemito e l’attimo in cui si rese conto di essere in salvo, perché lui era lì per salvarla.
Non riuscì a non sorridere mentre la sua mente tornava a quella sera e a tutto ciò che era avvenuto da lì in poi.
L’unica Donna che era stata in grado di tenergli testa e di catturare la sua attenzione, era salva. Non sapeva se si sarebbero rivisti, non era quello che lo preoccupava, la cosa importante è che fosse in vita e fuori pericolo. Solo questo gli interessava al momento. Rise ed estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni, e lo fece volteggiare in aria. “ La Donna.” Disse e infilò il telefono nel cassetto della scrivania. Ma prima di chiuderlo si fermò un attimo. Ripensò a Lei e al rispetto che in cuor suo comunque le portava, alla sua grande intelligenza e si corresse “ LA Donna.” L’Unica. Chiuse il cassetto e si voltò, tornando al lavoro e alla propria vita.
 

FIN

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1057041