Dio e Semidea.

di Disorientated Writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nina ***
Capitolo 2: *** Conversazione tra Sorelle. ***
Capitolo 3: *** Sull'Olimpo. ***
Capitolo 4: *** Rimango Sola. ***
Capitolo 5: *** La smetto di deprimermi e Chirone mi fa una proposta allettante. ***
Capitolo 6: *** Olimpo, sto arrivando! ***
Capitolo 7: *** Tzè, chiamalo un inizio tranquillo! ***
Capitolo 8: *** Alla fine qualcosa di buono è successo. ***
Capitolo 9: *** Quante cose possono succedere in una mattinata, lo sa soltanto Zeus. ***
Capitolo 10: *** Fuoco che divide, fuoco che unisce. ***
Capitolo 11: *** Tutto può accadere. ***
Capitolo 12: *** Vuoi un pò di torta? ***
Capitolo 13: *** Amore e bel tempo non vanno sempre di pari passo. ***
Capitolo 14: *** Love is in the air, today. ***
Capitolo 15: *** Arriva una nuova ...gradita... sorpresa. ***
Capitolo 16: *** Mi prendo una piccola e ben misera rivincita. Ma pur sempre una rivincita. ***
Capitolo 17: *** Sophie e le sue idee geniali alla conquista del mondo! ***
Capitolo 18: *** Until the very end. ***



Capitolo 1
*** Nina ***


Aloors, qualche spiegazione: La storia è ambientata in un 'universo alternativo', dove i Tre Pezzi Grossi possono tranquillamente avere figli e Crono è ancora nel Tartaro a ronfare. 



 


Nina.
 



Quella mattina aprii pigramente gli occhi.

Faceva caldo perfino in quella Casa.
Mi alzai e d’un tratto realizzai che giorno era. Finalmente io, Nina Armstrong, figlia di Poseidone, 16 anni dichiarati, sarei andata insieme agli ad altri Semidei sull’Olimpo!

Era un anno che aspettavo.
Camminai per la Casa in punta di piedi, cercando di non svegliare mia sorella Earine.
Presi i vestiti dalla mia sacca abbandonata sul pavimento di legno e andai in bagno a prepararmi. Quando finii, trovai Earine in piedi e ancora mezzo addormentata.
  «Sorella, ma sei bellissima!» disse. Io arrossii violentemente. Non sono abituata a ricevere complimenti.
Mi guardai allo specchio, e dovetti ammettere che un pochino aveva ragione.
Per il grande giorno avevo cercato di essere passabilmente presentabile.
Avevo lasciato sciolti i miei lunghi capelli lisci e castano-scuro e una lieve passata di matita nera intorno agli occhi viola. Indossavo dei pantaloni neri e una canotta azzurro-mare (essendo la figlia di Poseidone, mi sembrava più che giusto per andare a conoscere mio padre). Volevo mettermi anche il mio giacchetto di pelle, ma considerando quanto stavo sudando, decisi di metterlo in borsa.
Non appena anche la mia biondissima sorella fu pronta, andammo al Cancello, dove già un gruppo di ragazzi aspettava insieme a Chirone che tutti arrivassero.
Quando finalmente i ritardatari di degnarono di far vedere i loro amorevoli visi (ogni riferimento alle figlie di Afrodite è puramente casuale), salimmo su un pulmino e partimmo alla volta di New York.
Mentre imboccavamo l’autostrada, mi voltai verso Earine, che come me non stava più nella pelle per l’emozione.
   «Rii, non ci posso credere! Stiamo veramente andando sull’Olimpo … oh, sono così emozionata!» dissi, cercando di non urlare istericamente.
Mia sorella non mi degnò di un’occhiata, ma non ci feci nemmeno caso. Succedeva sempre così quando provavamo forti emozioni. Io, più sono agitata e più parlo. Lei, più è agitata e più si chiude in se stessa. Diciamo che ci compensavamo a vicenda. Io, ribelle, scatenata, chiacchierona e ... come dire … non molto interessata alla scuola. Lei secchiona, timida, silenziosa e perfettina. O almeno, all’apparenza. Perché in fondo (ma molto in fondo) era peggio di me. Solo che era più furba, e con quella sua faccia da angelo non la sgridavano mai. Al contrario di me che, ovviamente, passavo la maggior parte del tempo in punizione o dal preside (nel caso del Campo, da Dioniso).
Finalmente, dopo un’oretta di viaggio, intravedemmo le sagome dei grattaceli newyorkesi. Arrivati all’ Empire State Building, sentivo il respiro diventare sempre più irregolare.
Giungemmo davanti ai cancelli,ed io per poco non svenni. Ok, piano … respiri profondi, capito Nina? Ohm … ohm … ohm …   
Quando entrammo nella Sala degli Dei, rimasi senza fiato. Era una sala circolare, tutta i marmo bianco, e gli scranni dove sedevano i Divini Tizi (come li avevamo soprannominati io e il mio migliore amico Matt, figlio di Ermes) erano semplicemente … divini!
Ogni Dio era alto almeno 5 metri, e ci squadravano tutti, come cercando di cogliere ogni più piccolo segreto nascosto nel profondo dell’animo.
Ok, forse ero io che ero un po’ troppo paranoica.
Ad un tratto, seduto su uno scranno, notai il più bel ragazzo che avessi mai visto.  

 



Nda. I nomi Nina ed Earine non sono casuali u.u 
Ma non vi sto a spiegare il perché, sarebbe troppo lungo e complicato. Siate clementi e lasciate una recensione! 
Nina. 




Angolo Autrice Sette Mesi Dopo: OMMIODIONISO! '------' 
Mi vergogno di come scrivevo all'epoca, sìsì. 
Solo, mi pesa troppo il divinculo per mettermi a scrivere tutti i capitoli. 
Prometto che dopo lo stile di scrittura migliora HAHAAHHAAHHA :3

Madamoiselle Nina.


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Capitolo 2
*** Conversazione tra Sorelle. ***


Conversazione tra Sorelle. 


Eccolo lì, seduto sullo scranno d’oro alla destra della sorella, il Dio Apollo guardava annoiato i semidei. I capelli biondi gli ricadevano sugli occhi di un colore indefinito. Era alto (per quanto si possa capire dell’altezza di una persona seduta) e muscoloso. In poche parole, era figo.
Nina si sentì avvampare quando gli occhi del Dio si posarono su di lei, e distolse in fretta lo sguardo. Per la maggior parte del tempo, si rese conto di essere incredibilmente interessata al marmo del pavimento.
 Quando gli Dei li lasciarono liberi di andarsene in giro per l’Olimpo (a patto che non si allontanassero troppo, ovviamente), Nina e Earine camminarono senza una vera meta, fermandosi di tanto in tanto per sedersi o ammirare le sculture e l’architettura olimpica. Era senza dubbio la più bella città che avessero mai visto.
 Ad un certo punto, stanche di andare avanti e indietro, si sedettero su una panchina bevendo un po’ d’ambrosia e Earine fece una domanda all’apparenza innocua. All’apparenza.
  « Come ti sono sembrati gli Dei?»
  «Oh … beh … ecco … diversi!» rispose Nina, cercando di non diventare rossa.
  « Eh sì. Soprattutto Apollo.» e sottolineò ‘Apollo’, « Me lo immaginavo molto meno … come dire … fascinoso.» disse sorridendo e facendole l’occhiolino.
Ecco, ora Nina era più che rossa. Direttamente color ‘barbecue’. Se Earine aveva capito qualcosa, figuriamoci gli Dei! Cazzo.
  «Si capisce così tanto?» chiese imbarazzata.
 Earine le fece ‘no’ con la testa. «Sono tua sorella, ecco perché me ne sono accorta. E ti capisco molto meglio di loro.»
 Nina trasse un sospiro di sollievo. Meno male! Era tentata di pregare Afrodite per fare in modo che non se ne accorgesse nessun’altro, ma poi pensò che da brava pettegola la Dea avrebbe sventolato tutto ai quattro venti. No, non era proprio il caso.
Earine si prese i capelli neri tra le mani e sospirò molto rumorosamente.
  «Forse è il caso di tornare nella sala. È da un bel po’ che siamo via. E poi, c’è il Super-Dio-Figo che ti aspetta». Nina le svuotò il bicchiere d’ambrosia sulla testa.
 Ridendo come due pazze, le Semidee si diressero verso la sala. Nina cercava in tutti i modi di auto convincersi a non diventare paonazza vedendo Apollo.
 

 
Nda. Di nuovo, vi chiedo di avere pietà per questa povera piccola e indifesa bambina :3
Scusate se il capitolo è così corto! Presto metterò quello dopo, se qualcuno di voi avrà il coraggio di leggerlo. Alla prossima!
P.S. questo capitolo lo devo ancora modificare, ma non ho avuto tempo... Domani sarà pronta la nuova versione!
Nina.     

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Capitolo 3
*** Sull'Olimpo. ***


Sull'Olimpo. 


A metà mattinata entrammo in un bellissimo giardino.
Eravamo immerse in un’importantissima discussione sull’ attore più figo del momento (Alex Pettyfer secondo me, William Moseley secondo Rii), quando sentimmo delle voci in avvicinamento. Riconobbi quella di Chirone e quella di Zeus. C’era un’altra voce che non conoscevo, ma decisi che in ogni caso sarebbe stato meglio nascondersi. Tirai mia sorella dietro un tronco e aspettammo. Vidi con la coda dell’occhio Chirone entrare in una casetta poco più in là. Dopo che tutti furono entrati (Zeus, Chirone e un tale che non avevo mai visto), mi ricordai di respirare.  
 Earine mi fece l’occhiolino e andò a nascondersi dietro un cespuglio di rose vicino alla casetta.
Cavolo.
E lei voleva origliare una conversazione Divina da dietro un cespuglio di rose-non-rose?
Oh, Dei.
Io non ci tenevo proprio a rimanere fulminata, ma non potevo lasciarla andare da sola!
Se l’avessero beccata, se ne sarebbe uscita con un ‘cercavo il bagno ‘, e per cena al Campo avremmo mangiato un’ Earine arrosto con contorno di patate e sugo di cinghiale. Meglio non rischiare, una sorella mi serviva ancora!
Mi avvicinai a lei e le strinsi il braccio, in modo da catturare la sua attenzione.
«Seguimi» mimai con le labbra.
Andai a nascondermi dietro una catasta di legno-non-legno e aspettai che anche Earine si fosse nascosta. Lì si stava piuttosto stretti e scomodi, ma meglio così che impanati e fritti.
Non riuscivo a capire bene cosa dicevano, ma le uniche parole che riuscii a comprendere non furono molto d’aiuto.
Chirone: … loro … divisi … voi … ?
Zeus: … ordine … Dei … allenamento …
Tizio Che Non Avevo Mai Visto: … desiderate … lieto … rimasti.
C: … non … niente … tornatene …
TCNAMV: … chi … parlato … aiutarti … Zeus … semidei.
Z: … basta … Eroi … entrambi … qui … Olimpo.
 
Dopo un’altra mezz’ora in cui ne io ne Earine riuscimmo a capire qualcosa, la porta della casetta si spalancò e uscirono.
Aspettammo una decina di minuti e ci scapicollammo fuori dal nostro nascondiglio.
«Bene. Tu hai capito qualcosa, Nina?» mi chiese Rii, mentre si lisciava i jeans schiariti.
«Assolutamente niente. Tu?» dissi, sedendomi sull’erba.
Fece ‘no’ con la testa.
Continuammo a camminare per il parco e a discutere di quello che avevamo sentito, cercando di trovare un senso.
E chi era il tizio insieme a Zeus e Chirone? Perché erano andati in quella casetta? Perché Chirone non era ai Cancelli come aveva promesso?
‘Starò sempre davanti ai Cancelli. Per qualunque cosa mi troverete là .’ .
Testuali parole.
Arrivate al cancello, eravamo ancora al punto di partenza.
Decidemmo di cambiare argomento, e Earine, da brava sorella antipatica qual è, iniziò a parlare a tutto spiano di Apollo.
Stavo per saltarle al collo.
C’era già un gruppo di persone che aspettava, e non feci in tempo a metterle a fuoco che un biondino mi si parò davanti.
Matt, il mio migliore amico.
«Nina, Earine, ce l’avete fatta! Avete visto Quattrozampe? Aveva detto che sarebbe rimasto qui … » ci urlò contro.
Stavo per dirgli cosa avevamo visto e sentito (più visto che sentito, considerando quanto avevamo capito), ma una gomitata di Rii mi ricordò della nostra decisione di non dire niente a nessuno. Uffa.
«No, non l’ho visto … strano.» dissi, in tono disinteressato.
Evidentemente anche gli altri erano nervosi, perché continuavano a chiedermi se avessi visto Chirone, dato che eravamo le ultime arrivate.
Quando finalmente Chirone si degnò di arrivare, fece un sorriso e ignorò alla grande le domande che gli facevano i figli di Ermes. Tzé, che novità.
Quando il numero di domande raggiunse pericolosamente le 23423, Chirone si decise a dare un indizio decisamente utile:
«Vi dirò tutto domani mattina al Campo.» bene. Grazie. Ora sì che è tutto più chiaro.
Un’ora dopo, eravamo tutti seduti sul pulmino arancione-evidenziatore del Campo.
«Questa gita sull’Olimpo è durata molto meno di quanto mi aspettassi. Ma è stata comunque fantastica.» dissi a Earine.
Non sentii nemmeno la sua risposta, perché mi ero persa nel ricordo degli occhi dal colore indecifrabile di Apollo.  
 
Nda. E dopo secoli, ecco il terzo capitolo! 
Spero sia decente. Ditemi che ne pensate!
Baci
Nina.


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Capitolo 4
*** Rimango Sola. ***


Rimango da Sola. 




Appena tornammo al campo, Chirone chiamò Earine per parlarle.
Oh cavolo. E se ci avesse beccate che li spiavamo?
Nah, impossibile. Avrebbe chiamato anche me. O solo me.
Qualunque fosse il motivo, sembrava piuttosto importante, come testimoniavano gli occhi preoccupati del centauro.
Ri mi fece segno di cominciare ad andare, ed io resistetti a stento dalla tentazione di seguirla.
Ormai mi ero ripromessa di continuare sulla buona strada. Dioniso era stato chiaro in proposito. «Rifai un’altra volta quello che hai fatto, e tutte le tue cellule prenderanno fuoco.». No, non ci tenevo proprio a sperimentare l’autocombustione!
Mi diressi verso la Casa di Poseidone e mi sedetti sul letto ad aspettare. Precisamente non so dirvi cosa aspettavo, ma aspettavo. Forse che mia sorella tornasse.
Dopo dieci minuti in quella posizione, annoiata fino al midollo, presi l’iPod dallo zaino e infilai le cuffie nelle orecchie.
Decisi di andare a vedere il mare. Succede sempre qualcosa di interessante, quando si è vicini all’acqua. O almeno, questo succede a me.
Il Campo era pieno di ragazzi che correvano avanti e indietro, satiri che suonavano il flauto (dal flauto di un Satiro Giovane mi sembrò che uscisse una melodia che assomigliava più a Wake Up di Hilary Duff che un incantesimo per le fragole, ma probabilmente mi sbagliavo) e uccelli del lago Stinfalo che svolazzavano di qua e di là.
Momento momento momento: Uccelli del lago Stinfalo??
Non erano una delle dodici fatiche di Ercole?
La cosa si faceva alquanto strana.
Decisi di indagare, ma non ce ne fu bisogno. Appena stavo per mettermi in marcia, sentii il corno di Chirone che ci chiamava a raccolta. Sì, lo sentii anche con i Metallica sparati a tutto volume nelle orecchie, quindi immaginatevi quanto sia rumoroso quel corno. Soprattutto alle sei di mattina di domenica.
Uff, sto divagando.
Mi tolsi l’iPod e lo infilai in tasca. Poi mi unii allo sciame di ragazzi che si dirigeva verso la mensa, dove si tenevano tutte le riunioni.
Arrivata, mi sedetti sul tavolo vuoto della casa di Poseidone. Mio padre negli ultimi vent’anni non si era dato particolarmente tanto da fare, visto che eravamo rimaste solo io e Earine. Prima con noi c’era anche Bendix Chase, ma aveva compiuto vent’anni ed era partito per reclutare Semidei in tutte le americhe. Un compito che ormai durava da tre anni.
Ecco che ricomincio a divagare!
Dicevo, mi sedetti sul tavolo e aspettai. Earine sembrava sparita, e notai che mancavano anche altri ragazzi di altre case. In più, gli uccelli dello Stinfalo continuavano a gracchiarci in torno. Non so precisamente quando quei mostri abbiano iniziato a essere buoni, ma non mi piacevano proprio. Facevano paura, con il becco e le ali di bronzo, gli artigli più affilati di quelli di Ladone e un gracchiare che faceva rizzare i capelli sulla nuca.
Dioniso si alzò dalla sua sedia di pelle di leopardo (bleah! Ma come faceva a sedersi su una cosa simile?) e iniziò il suo discorso molto profondo:
 «Bene, ciao a tutti semidei, è un piacere avervi qui, nessuno si è fatto male, siamo tutti vivi perfetto. Ora una spiacevole –almeno per alcuni di voi, credo- notizia: mio padre ha deciso che un Eroe per ogni Casa vada ad allenarsi sull’Olimpo. Bene bene, non iniziate a esultare, fischiare, urlare o qualunque cosa possa peggiorare la mia divina emicrania. Gli Eroi sono già stati scelti e sono qui dietro che aspettano che io mi convinca a presentarli. Bene, facciamo un bell’applauso a Jillian Darren della casa di Atena, Benedict Shone della casa di Ares, Sophie Sherwood della casa di Afrodite, Earine Whirl della casa di Poseidone, Nathalie Grimold della casa di Apollo, Kevin Jones della casa di Zeus e Alexander Hilton della casa di Ade. Bene, ottimo, fantastico. Un applauso, perfetto, beh ci si vede.»
Non prestai attenzione alle ultime parole di Dioniso. Il mio cervello si era fermato a Earine Whirl. No, non potevo crederci.
Ora che finalmente eravamo una famiglia, ora che finalmente avevamo iniziato a volerci bene … lei se ne andava. Sull’Olimpo poi!
Una missione potevo capirla benissimo, in fondo anche io spesso la lasciavo sola, ma era questione di una settimana, due. Tre al massimo. E invece lei si sarebbe trasferita sull’Olimpo. Per quanto? Forse per sempre.
Mi accorsi che ormai tutti i ragazzi si stavano alzando, e li seguii a ruota.
Mia sorella dopo la presentazione era sparita. Speravo solo che non fosse già partita. Avrei voluto salutarla prima.
Corsi verso la Casa di Poseidone, e grazie agli Dei la trovai ancora lì, con un bagaglio in una mano e un rotolo di pergamena nell’altra.
Entrai titubante, e ostentai una felicità che non avevo. Non volevo rovinarle la partenza per un mio capriccio.
 «Allora, ehm … congratulazioni sorellona.» iniziai.
Lei si girò e sorrise. Aveva già capito tutto. Si avvicinò e mi abbracciò forte, come solo lei sapeva fare. Quanto mi sarebbero mancati i suoi abbracci …
 «Ti voglio bene, Ninetta. »
 «Anche io, solitamente. Ma odio essere chiamata Ninetta.»
Si liberò dal mio abbraccio sorridendo, e uscì dalla Casa.  



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Rieccomi, dopo 21'30918230 secoli, con un nuovo capitolo della mia vomitevole FF :D 
Il nome Bendix Chase l'ho preso dal libro 'Misguided Angel' di Melissa de la Cruz perché non mi veniva niente di meglio. Non c'entra niente con Annabeth, è solamente il primo nome che mi sono trovata sotto gli occhi. 
Grazie a tutti quelli che mi hanno sopportata e che seguono questa FF! 
Anche a chi la mette tra i preferiti *-*
Un grazie di cuore a EarineDaughterOfPoseidon e Piccolalettrice!
Ditemi cosa ne pensate!
 
-Nina.


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Capitolo 5
*** La smetto di deprimermi e Chirone mi fa una proposta allettante. ***


La smetto di deprimermi e Chirone mi fa una proposta allettante. 



Earine se n’era andata. Ero rimasta da sola al Campo.
Una settimana dopo non mi ero ancora ripresa. Avevo saltato la cena e il falò delle undici.
Sapevo che il mio era un comportamento infantile, ma proprio non ce la facevo.
Era mia sorella cavolo! E da un giorno all’altro mi dicono che se ne va sull’Olimpo e mi lascia qui da sola, senza amici (perché era lei la mia unica amica) e senza sorelle.
Decisi che sarei dovuta uscire, o avrei seriamente sfiorato la soglia della depressione. Più che sfiorato l’avrei sfondata, ma questi sono dettagli secondari.
Camminai per il Campo con le mani nelle tasche e lo sguardo fisso a terra.
Io, Nina Armstrong, la sfacciata e ribelle figlia di Poseidone, camminavo a testa bassa per il Campo. Sì, mi stavo seriamente avvicinando alla depressione.
Siccome erano solo le 7 di mattina, tutti i semidei erano ancora al calduccio sotto le coperte. Tutti tranne quella povera sfigata della sottoscritta ovviamente.
Decisi di avviarmi verso la spiaggia. Mi succede sempre qualcosa di interessante, quando sono nelle vicinanze del mare.
Ero quasi arrivata, quando sentii una voce familiare che mi chiamava.
«Nina!»
Mi voltai e vidi un gigantesco centauro corrermi (o meglio, galopparmi) incontro.
«Ciao Chirone.» lo salutai.
Lui sorrise avvicinandosi e posò una mano sulla mia spalla, invitandomi a seguirlo verso la Casa Grande.
Durante il tragitto non proferì parola, e anche io decisi di restare in silenzio.
«Allora, come stai?» disse lui, entrando nella Casa e sedendosi sulla sua speciale Sedia-Cavallo.
«Bene.» mentii.
Chirone mi guardò sorridendo. Come al solito, aveva già capito tutto. Perché sono come un libro aperto per tutti?!
«Okay, sto male, ho quasi varcato la soglia della depressione e avevo intenzione di tagliarmi qualche vena. Contento ora?»
«Per il fatto che sei stata sincera sì, per il fatto che sei depressa e vuoi tagliarti le vene, non molto. Insomma, era tua sorella, okay te lo concedo, ma in fondo anche altri ragazzi sono andati sull’Olimpo, e nessuno dei loro amici mi è sembrato così triste.»
«Vuoi sapere perché sono così triste? Bene, sono così triste non solo perché Earine è la mia unica sorella nonché unica amica, sono così triste perché io e lei avevamo deciso di andarci a vivere insieme per sempre, e invece c’è andata solo lei, mollandomi qui, senza poterla vedere, potermi confidare o ridere con lei!» esplosi. Possibile che Chirone non lo capisse?
Ma a quanto pareva,la risposta era no. Per i seguenti dieci minuti, il centauro iniziò a farmi una predica abbastanza inutile sul fatto che non dovessi tirarmi giù di morale e cavolate del genere.
Al che, mi alzai e lo mollai lì, senza dire una parola. Non era proprio giornata per giocare al Papà. Di padre ne avevo già uno, e sebbene non fosse poi così presente, mi andava a meraviglia.
Girovagai per il campo in cerca di qualcosa di interessante da fare, ma nulla. Era domenica e tutte le lezioni erano state sospese. Hum, lezioni.
Decisi di allenarmi un po’ con l’arco, visto che ero una schiappa totale. Almeno sarei riuscita a distrarmi.
Dopo 234 tirate mandate ovunque tranne che sui bersagli, decisi di lasciar perdere. Evidentemente sarei rimasta un’incapace totale ancora per un bel po’.
Provai con la parete d’arrampicata, ma alle otto del mattino non ero proprio in formissima.
Alla fine, annoiata a morte e decisamente depressa, ritornai alla Casa di Poseidone.
Mi sedetti sul letto e in quell’istante mi venne in mente una frase che mi diceva spesso Earine: «Non piangerti addosso, servirebbe solo a renderti più triste.»
Quella geniaccia della mia sorellona aveva ragione.
Una giornata di depressione bastava e avanzava. Oh si.
Ero finalmente tornata me stessa quando bussarono alla porta.
Corsi ad aprire e trovai Chirone che batteva lo zoccolo (uno dei tanti) per terra. Era il suo modo di dire che era impaziente di darmi una notizia. Potevo solo sperare che non fosse qualcosa che c’entrasse con il pulire-spolverare-studiare-lavorare.
Il centauro sorrise.
«Nina, vedo che hai recuperato il sorriso. Mi fa piacere che sei tornata in te. Bene, direi che forse ho una buona notizia per te.»
«Sono tutt’orecchie!»
«Bene, ho bisogno che qualcuno vada a farmi da vice sull’Olimpo. Un semidio. Così ho pensato a te. Accetti?»
Ok, probabilmente mi ero inventata tutto o avevo sentito male. Io? Sull’Olimpo? Con Earine? E con Apollo? Un momento: che c’entra Apollo?
«Certo che accetto!»
Chirone sorrise e mi diede appuntamento alla Casa Grande tra due ore.
Si chiuse la porta alle spalle ed io per la seconda volta in due giorni mi sedetti sul letto in stato simil-vegetativo.
Pensavo estasiata al fatto che avrei finalmente rincontrato Earine. E Apollo. Uffa, perché mi veniva in mente sempre lui? Insomma sì, era carino, ma era anche un Dio. Come potevo innamorarmi di un Dio? No, assolutamente no.
È solo una cotta passeggera mi ripetei. Solo una cotta passeggera. 

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Nda. Rieccomi con il quinto capitolo! Ditemi che ne pensate, mi raccomando u.u
E' cortissimo perché non ho avuto tempo di ultimarlo, e purtroppo il mio computer (o meglio, il mio Word) ha deciso di complicarmi la vita non salvando le cose. 
Un bacio.
-Nina.

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Capitolo 6
*** Olimpo, sto arrivando! ***


OLIMPO, STO ARRIVANDO!
 

 Ancora non riuscivo a credere alla notizia che mi aveva dato Chirone quando bussai alla Casa Grande. Il centauro venne ad aprirmi sorridendo.
 «Vieni a sederti Nina, così ti spiego ogni cosa.»
 Entrai e mi accomodai sulle poltrone di pelle. La stanza mi era così familiare che avrei potuto trovare qualsiasi oggetto anche ad occhi chiusi. Beh, non sempre i motivi per cui andavo lì erano positivi come questo. Il più delle volte era perché avevo combinato qualche casino.
 «Allora, è tutto piuttosto semplice. Vai lì, parli con Zeus, lui ti assegna una stanza e presiedi alle riunioni in cui dovrei partecipare io, ma essendo occupato con il Campo non posso. Oh, verrà anche un altro ragazzo con te, sarete in due a farmi da portavoce-assistenti olimpionici. Contenta?»
 Ok, a parte il ‘Parlare con Zeus’ e il ‘Verrà anche un altro ragazzo con te’ la cosa non mi dispiaceva.
 «Ehm, sì, okay, si può fare. Quando partiamo?» dissi sorridendo.
Pensa ad Earine, Earine, Earine, Earine, lo stai facendo solo per vedere Earine.
«Stasera.»
 Sorrise e mi congedò. Meglio.
 Mentre tornavo nella mia “capanna”, mi accorsi di non aver chiesto a Chirone chi mi avrebbe accompagnata sull’Olimpo. Pazienza, l’avrei scoperto quella sera stessa. Non era uno dei miei problemi principali.
Era quasi ora di pranzo, e di iniziare a fare le valigie proprio non mi andava.
 Finalmente quella sera avrei rivisto Earine! Chissà se sapeva che arrivavo … no di sicuro, le avrei fatto una sorpresa. Gradita, sperai.
Presi un libro dalla scrivania di Rii (lei leggeva moltissimo, l’ho mai detto? Al contrario mio, che l’unico libro che ho letto è stato ‘New Punk Explosion-La Prima Biografia Ufficiale dei Green Day’ (e il nome è più lungo di tutto il primo capitolo).  
Il libro si intitolava ‘Il Signore Degli Anelli’. Però, che lettura leggera che avevo scelto.
Ero arrivata alla scomparsa di Bilbo quando il corno di Chirone mi avvertì che era l’ora di pranzo. Posai il libro sul letto e mi incamminai verso la mensa.
Mangiai con poco appetito e andai a prepararmi per le lezioni di scherma.
Dopo quelle, decisi che era arrivato il momento di decidere cosa mettere in valigia. Tornai nella casa  e presi il borsone con il quale ero arrivata qui al Campo, tre anni fa.
Era viola-metallizzata e ricoperta di scritte sugli One Direction e i Green Day. Era l’unica cosa che mi ricordava la mia famiglia.
E ora arrivava il momento più difficile: decidere cosa portare in valigia.
Tutti i miei jeans? Massì. Le pantofole di Nemo? Proprio no! La mia trousse? Ovviamente. Qualche libro? Magari a Earine mancavano. E poi ‘Il Signore Degli Anelli’ aveva iniziato a piacermi. La mia spada, Acqua? Direi proprio di si. Oh, quell’adorabile maglione nero e azzurro? Massì, tanto c’è ancora spazio.
Dopo dieci minuti, il borsone straripava di roba e non ci avevo messo dentro nemmeno la metà di quello che volevo. Pazienza.
Finalmente arrivò il momento della partenza. Presi il borsone e mi incamminai verso il “portone” (se così possiamo chiamarlo) del Campo.
Mentre camminavo, continuavo a pensare a cosa sarebbe potuto accadere sull’Olimpo. Io ed Earine, insieme e sull’Olimpo. Poveri Déi. A proposito di Déi … no Nina, no. Mi ero ripromessa di non pensare al Dio della Musica, e avrei mantenuto la mia autopromessa. Ma era così carino …
Quando arrivai a destinazione, vidi Chirone e il mio futuro compagno (di viaggio, eh?) che mi aspettavano davanti al pulmino giallo evidenziatore del Campo. Che poi, perché giallo, se il colore ufficiale del campo era l’arancione evidenziatore? Bah. Si vede che quando ha ordinato di colorarlo il Signor D. non era proprio sobrio.
 Sorrisi al ragazzo che non avevo mai visto prima al campo, che Chirone presentò come Jason Darren, figlio di Ade. Okay lo ammetto, non era per niente male.
Era biondo con gli occhi azzurri, e aveva un bellissimo sorriso. E quando dico bellissimo dico veramente bellissimo. Stupendo. Meraviglioso. Supercalifragilistichespiralidoso. Ok, penso di aver reso l’idea. Certo, Apollo era tutta un’altra cosa … apollo? Ommieidei, ancora? Accidenti a quella Dea delle Barbie Ossigenate. Non so cosa c’entrasse, ma Afrodite sta sempre in mezzo. Ovunque.
Jason mi risvegliò dal mio coma pensieroso con una pacca sulle spalle e salì sul pullman. Mi affrettai a seguirlo.
Siccome eravamo solo in due più Argo (che fanno tre. Fino a qui ci arrivo anche io, nonostante la mia orripilante matematica), non avemmo di che litigare per i posti, come accadeva invece ogni volta che andavamo in missione.
Durante tutto il tragitto non parlammo molto, e quando arrivammo sotto l’Empire State Building sapevo di lui quanto sapevo della vita amorosa di Chirone. Nulla.  

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Nda. Rieccomiii :) Questo capitolo non è niente di speciale, è solo il 'ponte' tra la fine della vita al Campo di Nina e l'inizio della sua vita sull'Olimpo.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e recensiranno le mie storie e chi ha messo me e questa FF tra le preferite ♥
Un bacio e recensite, mi raccomando!
-Nina.


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Capitolo 7
*** Tzè, chiamalo un inizio tranquillo! ***


Tzè, chiamalo un inizio tranquillo!


 

Diedi un calcio ad un sassolino e continuai a camminare canticchiando una canzone dei Clash. Jason era accanto a me, ma non era di compagnia, avendo passato la mezz’ora precedente a fissarsi le scarpe.
London calling to the faraway towns, now war is declared-and battle come down, London calling to the underworld,come out of the cupboard, you boys and girls …
 Ci stavamo dirigendo verso il padiglione che ci aveva indicato Earine (più che altro, che aveva indicato a Jason. Non mi si era filata di striscio) e dove ci aspettava Zeus per discutere di non so cosa. Non è che Rii fosse stata tanto chiara in merito.
 Quando finalmente arrivammo al padiglione, vidi Zeus seduto su un trono d’oro che parlava con una bionda ossigenata.
 «Divino Zeus, ci ha chiamati?» disse Jass. Come faceva ad essere così formale in qualunque situazione rimaneva un mistero.
Mister Sparafulmini si voltò verso di noi e sorrise.
Anche la bionda si voltò, e in quel momento capii che l’avrei odiata più di chiunque al mondo. Più della mia vicina che quando avevo otto anni sparava Mozart a tutto volume alle tre di notte.
Era alta, con gli occhi azzurro-cielo e la bocca che sembrava dovesse scoppiare per quanto era piena e rossa. I capelli biondi erano ondulati e  lunghi fino alla vita. Tzè, quelli di Earine erano molto più fighi.
Sorrise, mostrando una schiera di denti perfetti e bianchissimi (Cosa che mi faceva fumare di rabbia. Perfino i suoi denti dovevano essere perfetti!). Si presentò come Sophie Lockwood, figlia di Afrodite.
Beh, a questo ci arrivavo anche io, grazie tante.
 «Sophie è un’altra ragazza del Campo Mezzosangue,» disse Zeus. Come se io e Jason fossimo talmente stupidi da non aver capito nemmeno questo. « e si unirà a voi come vice di Chirone. Contenta Nina? Avrai un’altra amica con cui dividere la stanza!»
Oh no, oh no! Santecarotecarotose, no!
Sophie mi rivolse un sorriso talmente zuccheroso che perfino i suoi denti si sarebbero potuti riempire di carie solo a guardarlo. Ricambiai, ma quello che mi venne fuori probabilmente era una smorfia degna di Scilla.
 «Oh, che bello! Sono sicura che presto presto diventeremo migliori amiche!»
Sì, aspetta e spera. Diventerò tua amica solo quando Ade indosserà un tutù di pailettes rosa e inizierà a ballare il tango argentino con una rosa in bocca insieme a Ares. Pensai.
Si avvicinò a noi e iniziò ad ammiccare in modo piuttosto ovvio a Jason. Ho già detto qualche volta che la odiavo? Non ero gelosa, però mi dava fastidio, ecco.
 Zeus intanto ci guardava sorridendo. Sparafulmini sadico!
 Sophie mi si sedette per terra e mi costrinse a fare come lei.
 «Ninetta, tu non te ne intendi molto di moda, al contrario di Jason, vero?» disse, lanciando un’occhiata al diretto interessato, che nel frattempo si era seduto vicino allo zietto, ma con ogni probabilità stava ascoltando tutto. In quei cinque giorni ero riuscita a conoscerlo abbastanza da capire quando fosse vanitoso. Soprattutto quando si parlava dei suoi capelli. Ci metteva più lui in bagno che io!
Ricacciai indietro una risposta poco carina e mi limitai a fissarla male. Che aveva da dire contro il mio stile? Solo perché i miei jeans neri non erano Gucci ma Made In Bancarella, non significava che avevo un pessimo gusto del vestire. Evidentemente, la figlia di Afrodite non la pensava così.
«Sai, questi capelli ti fanno sembrare Samara. Dovresti legarteli, o magari potresti farti i boccoli. Sembri peggio di Bella in New Moon quando Edward la lascia!»
Osantowinniethepooh! Ci mancava solo che fosse una Twilightdipendente, ora. 
«Bella quando cosa?» chiesi. Sinceramente, avevo visto solo Twilight come film, e mi era bastato.
Lei mi guardò strano, come se dovessi per forza sapere tutti i libri e i film a memoria.
«Non lo sai? Non hai mai visto quei meravigliosi film? Non dirmi che sei una Potterdipendente. Quel maghetto sfigato fa vomitare. È così noioso.»
«Cosa cosa cosa cosa??? Per tutti i mutandoni sbrilluccicosi di Z…» poi mi ricordai che il diretto interessato era presente, e modificai la mia imprecazione. «…ac Efron, come osi!»
Okay, quella tipa mi stava decisamente sul cavolo. 
Stavo per continuare, ma Jason mi prese per un braccio e scusandosi con Zeus e Sophie mi trascinò via.
 
«Brutto idiota, che stai facendo?» gli urlai, appena mi lasciò il braccio.
«Ti sto salvando, genietta. Non potevi certo trucidarla davanti a Zeus, no? E poi, meglio se te la tieni amica, visto che ti toccherà sopportarla per i prossimi … beh, per parecchi mesi.» disse sorridendo.
Okay, aveva ragione. È che io le bambine perfettine non le posso sopportare. Specialmente se insultano il mio Harry. Tutto quello che riuscii a dirgli fu un «Vai al Tartaro, Jas.»
 Lui sorrise e si incamminò verso le Cabine, ovvero le stanze che ci aveva assegnato il nostro caro zietto. Erano delle stanze circolari in marmo bianco, e si trovavano una davanti all’altra.
Lo seguii, ma alla fine invece di dirigermi verso la mia cabina andai da Earine. Mi serviva qualcuno che mi aiutasse a superare il trauma.
Viveva con gli altri “eletti” del campo in un’enorme casa, accanto al campo di addestramento (Che io avevo decisamente ignorato negli ultimi giorni. Sono una tipa piuttosto pigra, io).
Mi diressi verso la sua stanza e bussai, sperando di trovarla lì. Di cercarla per tutto l’Olimpo in quel momento proprio non mi andava!
Fortunatamente, aprì la porta, e mi sorrise.
«Ninetta! Come stai?»
Probabilmente lo sguardo che le rivolsi bastava come risposta. Si scostò e mi lasciò entrare.
La sua camera era bellissima. Sulle pareti bianche aveva attaccato un milione di poster e foto. I mobili erano tutti in legno ridipinto d’azzurro, e un’enorme tridente era stato adagiato sul muro, accanto al letto azzurro. Sì, il colore preferito di Rii era l’azzurro, se non si era capito.
Mi sedetti su una delle poltroncine gonfiabili che si era portata dal Campo e le raccontai di Barbie Hilton, come l’avevo mentalmente soprannominata.
«Condoglianze, mia cara Ninetta. Ho come l’impressione che per te sarà piuttosto dura sopportarla.»
Grazie dell’aiuto, sorellona, sul serio.
«Cambiando argomento … che mi dici del tuo amico?»
Rimasi talmente stupita dal repentino cambio di discorso che ci misi un po’ a capire di chi stesse parlando. Aveva scaricato così il mio problema e si era subito fiondata sull’argomento Jason Darren. Tzè, bell’amica!
«Grazie della considerazione Rii, sono veramente commossa.» dissi sbuffando.
Da quando le avevo presentato Jason, non faceva altro che parlare di lui. Non che la cosa mi desse fastidio. Okay, forse solo un pochino.
 Il fatto che si fosse presa una cotta comunque era più che immaginabile. Jas era biondo, simpatico, figo, con degli occhi supercalifragilistichespiralidosi e un sorriso che ti faceva squagliare. Beh, Apollo era tutta un’altra cosa, comunque. Lo avevo incrociato sì e no due volte in quella settimana, e ogni volta che lo vedevo dovevo concentrare tutte le mie capacità per non diventare color aragosta. Non mi ero mai sentita completamente a mio agio con i Semidei. Erano esseri completamente diversi da me. Figuriamoci un Dio.
«Del mio amico ti dico le stesse cose che ti ho detto ieri, l’altro ieri e l’altro ieri ancora. Se inizia a farmi domande su di te mi ricorderò di avvisarti, contenta?» le dissi.
Jason in realtà mi aveva fatto qualche domanda su Earine, ma non ero dell’umore adatto per riferirle il tutto. anche perché non penso le sarebbe interessato sapere che Jas mi aveva chiesto quanto portasse del davanzale. Era così pervertito quel ragazzino!
Vedendo che Rii continuava a ignorare il mio problema, decisi di levare le tende.
Mi alzai, la abbracciai e mi diressi verso la porta.
 Continuai a camminare senza meta. Non avevo intenzione di rivedere Sophie così presto.
Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di qualcuno che correva nella direzione opposta alla mia. Finii con il fondoschiena a terra in meno di un secondo, battendo i gomiti sulla ghiaia.
«Scusa Nina! Stai bene?»
«Brutta Testa Morta di Jason, ma guardi dove vai o gli occhi ce li hai solo per bellezza?»
Sì, quel giorno la finezza mi girava alla larga.
Lui mi aiutò ad alzarmi senza rispondere.
«Guarda il tuo gomito!» disse.
Al ché, abbassai lo sguardo e inorridii. Era diventato tutto rosso, e sanguinava. Non pensavo di averlo battuto così forte.
Jass mi prese il gomito e con una garza (Sì, una garza. Lui andava sempre in giro con una borsetta del pronto soccorso. No, non era normale) me lo fasciò.
Poi fece una cosa che mi lasciò più inorridita di prima: tenne il mio gomito e gli diede un bacio, dicendo qualcosa tipo «Ora la bua non c’è più.» 









Angolo Autrice: 
Eccomi qui con il nuovo capitolo! 
Contenta, Lils? ;) 
Scusate se è orrendo, ma non avevo proprio ispirazione T.T 
Ringrazio EarineDaughterOfPoseidon, piccolalettrice e Effie Malcontenta Weasley per il sostegno. Vi adoro, ragazze! 
Scusate se c'è stata poca NiSon (anzi, per niente), ma mia madre rompeva che dovevo chiudere, e ho fatto tutti di fretta. 
Perdonatemi se ci ho messo una vita ad aggiornare, ma ero partita 15 giorni per l'Olanda, e lì non potevo scrivere cose lunghe perché la connessione si disconnetteva ogni 3 secondi T.T 
Detto questo, chiudo! Grazie a tutti quelli che hanno recensito e che recensiranno questa storia! 
-Nina.

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Capitolo 8
*** Alla fine qualcosa di buono è successo. ***


Alla fine qualcosa di buono è successo.

 



Mi girai e rigirai nel letto, cercando inutilmente di dormire.
Sophie urlava come una pazza che rivoleva il suo rossetto color pompelmo (Questi per lei sono incubi). Il vento ululava.
E il ricordo di Jason che mi diceva “Ora la bua non c’è più” mi tormentava.
Era successo solo una settimana prima. E io ancora faticavo per resistere all’impulso di correre via quando lo vedevo. Oh, era stato così imbarazzante!
Sospirai, certa che per quella notte avrei anche potuto restare sveglia. Come la notte prima. E quella prima ancora.
Okay, ve lo dico chiaro e tondo: era da un po’ che non riuscivo a dormire, e volete sapere perché? Perché sognavo in continuazione Apollo e Jason. Ed ero sempre più confusa.
Passi Jason, è un mio amico. Ma Apollo? Cavolo! Quei sogni rendevano tutto più difficile. Insomma, era un DIO. E non l’avevo praticamente mai visto. Perciò, quei sogni erano del tutto infondati. O no? 
Bah, io di amore me ne intendevo quando di matematica. Ovvero, assolutamente niente.
Sbuffai, rigirandomi per l’ennesima volta. Ah, se solo Sophie avesse smesso di urlare che voleva il suo stramaledettissimo rossetto! Ma probabilmente questo era chiedere troppo.
Esasperata, mi alzai. Non riuscivo più a restare sdraiata per colpa dell’iperattività. Misi ai piedi le ciabatte di Nemo (Che Chirone mi aveva portato qualche giorno prima, durante una delle rarissime visite) e mi diressi verso la scrivania che dividevo con Miss. Perfezione. Praticamente la usavo solo io, visto che lei i trucchi li teneva in bagno (che ormai ne era pieno zeppo) e in quanto a libri, dubitavo che sapesse cosa fossero. Probabilmente l’unico libro che aveva letto era “Guida Per Il Trucco Perfetto E Senza Sbavature, di Lelly Kelly.” Okay, il titolo l’ho inventato, ma sono sicura che una cosa del genere esista, purtroppo.
Mi sedetti sulla sedia di legno e presi carta e penna. Era da un po’ che avevo deciso di tenere una sorta di diario, perché la mia mente era decisamente troppo affollata per tenere tutto lì. E diciamocelo, non era nemmeno molto affidabile.
Mi legai i capelli in una coda e iniziai a scrivere, quasi meccanicamente.
 
Caro Diario,
sono le 3 del mattino, e io sono ancora qui, a cercare di fare chiarezza sulla mia mente. Impresa impossibile. Cavolo, io Apollo nemmeno lo conosco! Eppure la maggior parte delle volte mi ritrovo a pensarlo. A pensare ai suoi bellissimi occhi … ecco, lo sto facendo di nuovo! Ma non è colpa mia. Mi succede quasi senza accorgermene. Cioè, un secondo prima sto pensando a che pantaloni mettermi, e un secondo dopo sto sbavando al ricordo di lui. Ti pare normale? A me no.
Per non parlare di Jason. Non so mai come comportarmi con lui. Prima fa il sostenuto, poi il cascamorto. Sul serio, non  so più che fare. Non so nemmeno perché mi sto facendo tutti questi problemi. I ragazzi non mi sono mai interessati. È sempre stata Earine quella che li adocchiava. Io preferivo allenarmi.
Ma ora, sembra che i ruoli si sono scambiati. Lei è quella che si allena, io quella che pensa ai ragazzi. Miei Dèi, le cose che succedono in solo due settimane!
 

Avrei potuto continuare all’infinito, quando un tuono mi fece sobbalzare.
Ecco, ci mancava solo il temporale. Ma che aveva Zeus oggi?
Sospirai, e presi un altro foglio. Stavolta, anziché i miei pensieri, scrissi una canzone. Beh, in realtà, la riportai semplicemente sul foglio. L’avevo sentita talmente tante volte che ormai la sapevo a memoria.
 
I like your smile
I like your vibe
I like your style
But that’s not why I love you

And I, I like the way
You’re such a star
But that’s not why I love you

 
L’immagine del dio della musica mi si stampò davanti agli occhi. Non vedevo più nemmeno il foglio. Solo lui e i suoi meravigliosi occhi di un colore indefinito.
Sospirai, mettendo giù la penna. Era inutile, per quella sera non sarei riuscita a concludere niente.
Non potevo nemmeno uscire, con quella tempesta che infuriava là fuori.
Mi alzai dalla sedia e tornai a letto. Faceva piuttosto freddo, con addosso solo quella camicia da notte leggera, rossa. Incredibile, anche sull’Olimpo c’era l’inverno.
Se la memoria non mi ingannava, quel giorno era il 20 novembre. Era così difficile tenere il conto, lì.
Sbuffai. E ora che faccio?
«Come mai in piedi?» la voce inaspettata di Sophie mi fece sobbalzare.
«Credevo dormissi.»
«Infatti dormivo, fino a quando quel tuono non ha fatto tremare tutta la casa.»
In effetti, era da un po’ che non la sentivo lamentarsi per quello stramaledettissimo rossetto.
«Beh, io sto tornando a letto. Buona notte.» dissi, troncando sul nascere ogni eventuale conversazione. Solo la sua voce mi faceva venire i nervi. E in quel momento ero ancora più isterica del solito.
Mi misi sotto le coperte e mi girai in modo da dare le spalle alla figlia di Afrodite.
Incredibilmente, poco dopo scivolai nelle braccia del sonno, con il volto di Apollo stampato a fuoco nelle palpebre.
 
La mattina dopo mi alzai di buon’ora. Sophie russava alla grande, e il sole splendeva fuori dalla finestra. Beh, almeno la giornata si preannunciava piuttosto normale.
Mi preparai con calma e uscii.
L’Olimpo di prima mattina era uno spettacolo incomparabile.
I prati rilucevano come smeraldi, il sole sembrava ancora più luminoso e il cielo era di color zaffiro, con qualche nuvola qua e là che sembrava panna montata. Okay, forse questo non dovevo pensarlo.
Subito il mio stomaco iniziò a brontolare. Il giorno prima non avevo mangiato praticamente niente e vomitato l’anima, per non si sa quale ignoto motivo.
Mi diressi quasi di corsa in quella che noi chiamavamo Mensa, ma che assomigliava di più a una sala dei ricevimenti del palazzo di Versailles. Solo, con più marmo bianco.
Il Centauro che faceva da cuoco mi lanciò un croissant alla crema, e subito dopo arrivò la mia adorata cioccolata calda.
Sorrisi e mangiai tutto di gran carriera. Avevo una fame!
Quando ebbi finito, tre cioccolate calde e quattro bombe alla crema più tardi, salutai il Centauro e mi incamminai verso il Lago.
Quel posto mi piaceva da morire. Le acque erano sempre limpide, ed era circondato da una fauna rigogliosa, splendente.
Sì, sull’Olimpo praticamente tutto riluceva di luce propria.
Arrotolai i bordi dei Jeans spiegazzati che avevo indossato quella mattina e immersi i piedi nell’acqua. Era una sensazione fantastica, e non faceva nemmeno così freddo.
Sorrisi al mio riflesso, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Mezz’ora dopo ero ancora lì, intenta a crogiolarmi nei miei problemi amorosi.
Ve l’avevo detto, finivo sempre così.
Mi alzai, mi rinfilai le mie adorate Converse nere con i teschi fucsia e mi voltai …. Andando a sbattere contro qualcuno. Perché andavo sempre a sbattere contro le persone?! Sulla fronte dovevo aver scritto Pericolo Pubblico.
Caddi (per la seconda volta in una settimana) con il fondoschiena per terra, sbattendo piuttosto forte.
Alzai gli occhi, sicura che fosse quell’idiota di Jason, quando invece mi ritrovai davanti Apollo.
Non so bene cosa feci in quel momento. Non ricordo se arrossii, smisi di respirare o iniziai a balbettare. Probabilmente tutte e tre le cose.
Lui sorrise, porgendomi la mano per aiutarmi a rialzarmi.
La strinsi e in men che non si dica mi ritrovai in piedi.
«Scusa» disse sorridendo. E che sorriso! «Non ti avevo vista.»
Okay, questo mi sembrava strano. Voglio dire, c’ero solo io lì. E gli stavo praticamente davanti.
«N-non f-fa niente.» perché stavo balbettando??
Sorrisi, porgendogli la mano.
«Piacere, io sono Nina Armstrong, figlia di Poseidone.»
Lui ricambiò il sorriso, stringendomi la mano.
«Piacere, Nina. Io sono Apollo.»  




Angolo Autrice: 
CE L'HO FATTA! 
Uh, ancora non ci credo. Sono riuscita a pubblicare il capitolo! *Saltella per la casa intonando canti di vittoria.*
No okay, tornando seri, ho un pò di persone da ringraziare, e sono: 

1) EarineDaughterOfPoseidon, perché mi sopporta sempre e perché se non me l'avesse consigliato lei io non avrei mai iniziato a scrivere questa Fic. 
2) MidnightSun_, perché lei è lei. Punto. 
3) Effie Malcontenta Weasley, perché lei è la mia MalefiGa, la mia Zia Liliana e la mia Sorellina. Chiaro il messaggio (?) ? 
3) Piccolalettrice, perché ha sempre, SEMPRE la pazienza di recensire ogni nuova orrenda storia o capitolo che pubblico. 
E a tutto il mio adorato gruppo di matte su facebook. Vi adoro, ragazze. 
Nina.





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Capitolo 9
*** Quante cose possono succedere in una mattinata, lo sa soltanto Zeus. ***


 
Quante cose possono succedere in una mattinata, lo sa soltanto Zeus. 

 





«Piacere, Nina. Io sono Apollo.» 
Pronunciò quelle parole sorridendo, come solo lui sapeva fare. Sì, lo ammetto: sotto il letto ho un diario con tutte le foto che sono riuscita a fargli di nascosto. Non sono molte, ma abbastanza da sbavarci sopra per bene.
Sorrisi, non sapendo che pesci pigliare.
«Allora, Ninetta, da quant’è che sei qui su?» disse, senza smettere di sorridere.
Ninetta, mi aveva chiamata Ninetta! Odio quando la gente mi chiama Ninetta. Mi fa sentire così … piccola. Beh, in confronto a lui, però, piccola lo ero davvero.
«Uh, qualche mese. Non so, è difficile tenere il conto, qui. È tutto diverso.»
Lui sorrise, allontanandosi un pochino, grazie agli Dèi. Tutta quella vicinanza non faceva altro che mandarmi in iperventilazione.
Si sedette sull’erba, contemplando il lago. In quel momento, i suoi occhi ricordavano il colore del mare alle prime luci del mattino.
Sorrisi, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio. E ora?
Lui mi guardò negli occhi, battendo la mano accanto a lui.
«Guarda che puoi anche sederti. Non mordo mica.» disse, accennando una risata, evidentemente divertito dalla mia timidezza.
«Se prometti di non mordere, allora …» risposi, avvicinandomi e mettendomi a sedere accanto a lui. Profumava di aghi di pino. Mi piaceva quell’odore. Mi ricordava il bosco vicino alla casa di mia madre, dove andavo a nascondermi ogni volta che lei cercava farmi fare i compiti. Uh, troppi ricordi. E non tutti piacevoli, purtroppo.
Il silenzio che si prolungò tra di noi si stava facendo decisamente opprimente.
«Com’è essere un Dio?» buttai lì, tanto per iniziare una conversazione.
«Oh, è una gran figata! Beh, a parte tutta la scocciatura dei compiti divini e il fatto che ogni volta che incontri qualcuno di interessante, sparisce troppo in fretta, come la fiamma di una candela esposta al vento. Tremola un pochino, e poi, puff, sparita, come se non fosse mai esistita.»
Fiamma. Fiammella. Fuoco.
Scossi la testa, per non perdermi nuovamente nei ricordi.
«Non ti facevo così profondo.» dissi, facendo una smorfia divertita. Giusto per fargli capire che non dicevo sul serio. Non si sa mai, con gli Déi. Potrebbero trasformarti in ragno solo perché li hai battuti ad una gara di tessitura. Ehm, ogni riferimento a fatti e avvenimenti realmente accaduti è puramente casuale, ovviamente. 
«Sono un tipo dalle mille risorse, non lo sai?» rise. Aveva una bellissima risata. Era cristallina, priva delle incrinature causate dalla paura e dal dolore. Anche la mia era così. Prima di quella notte …
«E soprattutto, dalle mille qualità» disse, continuando a ridere.
«Già, e immagino che la modestia sia una di quelle, se non la principale, eh?» dissi. Pian piano, iniziavo a sciogliermi. Parlare con lui era così semplice … per un momento mi dimenticai della mia supercotta per lui, iniziando a vederlo sotto una luce diversa, sotto la luce del semplice amico. Inutile dire che il momento passò in un attimo quando si voltò a guardarmi, con i suoi occhi di un colore indefinito, stavolta tendente all’oro.
«Ovvio. Non esiste persona più modesta di me, in questo mondo. E nemmeno negli altri, se è per questo.» disse, ghignando divertito.
Sicuramente, sei il più bello. Ma questo non lo dissi.
Alzò gli occhi al cielo, con il sorriso perennemente stampato sulle labbra.
Il mio cuore mi diceva di avvicinarmi e poggiargli il capo sul petto, e restare così, immobili, per l’eternità. Fortunatamente, il mio corpo e la mia mente non diedero ascolto a quest’assurda idea.
«No, hai ragione, non vedo come possa esistere una persona del genere. Voglio dire, più modesti di te si muore!» dissi, accennando una risata, che si spense quasi subito quando vidi un’ombra passare nei suoi occhi, e i muscoli della mascella indurirsi. Evidentemente, non gli era piaciuta la mia battuta.
Abbassai lo sguardo, iniziando a giocherellare con una ciocca di capelli, senza parlare.
Ecco, avevo immediatamente perso tutta la scioltezza acquisita fino ad un secondo fa.
Lui si voltò, sorridendo.
«Però, certo che sei timida forte tu, eh? Su con l’autostima! Te lo dice l’esperto in materia.» mi disse, scoppiando a ridere.
Io arrossii fino alla radice dei capelli. Forse anche un po’ più in su. 
Non sapevo proprio come comportarmi con lui. Un secondo prima ride, un secondo dopo diventa serio, e un secondo dopo ancora torna a ridere più di prima. Forse andava a secondi alterni.
Abbozzai un sorriso, continuando a concentrarmi sulle sue converse.
Un momento. L’avevo notato solo ora, ma indossava delle scarpe identiche alle mie. Perfettamente,identiche. Erano anche queste nere con i teschi. Solo che i suoi, anziché fucsia erano verde acido. Come la maglietta a mezze maniche che indossava, e che lasciava scoperte le sue braccia muscolose …
Okay, meglio distrarsi. Gli ormoni iniziavano a correre a tutto spiano.
Apollo si alzò in piedi, stiracchiandosi, per poi voltarsi verso di me e lasciarmi senza fiato con uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Beh, quelli di Jason erano tutti un’altra cosa.
Oh no. Come potevo pensare al figlio di Ade in un momento simile? Cavolo, stavo finalmente parlando (beh, si fa per dire) con Apollo, cioè, Apollo, non so se mi spiego, e pensavo a Jason. La cosa iniziava a preoccuparmi, e anche parecchio, direi.
«Ninetta, che ne dici di fare un giro per l’Olimpo? Odio stare fermo.» disse. E senza aspettare risposta, mi prese per mano e mi tirò in piedi, iniziando ad incamminarsi.
Grazie, è un vero piacere sapere che la gente tiene conto della mia opinione, pensai, affrettandomi a raggiungerlo.
Apollo camminava tranquillamente, e soprattutto, normalmente. Niente ondeggiamenti del corpo stile “superbullo”. Camminava come un ragazzo normale, al contrario di Jas … no. No, Nina, no. Non pensare al figlio di Ade. Ecco, ci hai appena pensato.
Lo raggiunsi, saltellando. Ormai lo facevo più che per abitudine, che per altro. Lo so, sembravo una buffa imitazione di Heidi, ma che volete farci. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Camminammo per un po’, alternando momenti di chiacchiere, perlopiù superficiali, a momenti di imbarazzante silenzio. Beh, non avevo nessuna intenzione di lamentarmi, comunque.
Ad un tratto, Apollo si fermò, voltandosi a guardarmi. Stavolta però sembrava dispiaciuto. O forse era solo una mia impressione, probabilmente.
«Ninetta, è stato un piacere conoscerti. Spero che ci rivedremo, un giorno o l’altro.» senza aggiungere altro, mi fece l’occhiolino e sparì, in un lampo dorato, lasciandomi con un “ciao” ancora appeso alla punta della lingua.
Sospirai, un tantino delusa. Avevo sperato di poter parlare con lui un po’ più a lungo, ma pazienza. Intanto, l’avevo conosciuto.
Sorrisi, ansiosa di raccontare tutto ad Earine. Poi, però, la mia euforia si sgonfiò come un palloncino, quando mi ricordai che Earine non mi rivolgeva più la parola, per chi sa quale recondito motivo. E ci stavo male, molto. Insomma, non sapevo nemmeno che avevo fatto.
Sbuffai, calciando un ciottolo vicino ai miei piedi. Fortunatamente, sapevo dove mi trovavo. Ero vicina al campo d’allenamento per i Semidei, dove io non andavo praticamente mai. Sì, sono una tipa decisamente pigra.
Mentre camminavo, immersa nei miei pensieri, sentii un’inconfondibile rumore in sottofondo. Sembravano due piccioni che tubavano. Okay, ve lo dico chiaro e tondo. Sembravano due tizi che si stavano sbaciucchiando.
Non sono mai stata troppo brava a dare un freno alla mia curiosità.
Mi avvicinai all’albero da dove sembrava provenire il rumore, e restai senza fiato, sentendo una tremenda fitta al cuore.
Erano Jason e Sophie, e stavano amoreggiando alla grande.
Rimasi senza parole. Jason. E Sophie. Jason, che si baciava con Sophie. Il mio Jason, che si baciava con quella testa di ovatta di Sophie. Ehi, un momento. Perché ho appena pensato Jason con l’aggettivo mio prima?
Déi.
Indietreggiai lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile. Quando fui abbastanza lontana dai due, incominciai a correre, con le lacrime agli occhi. Perché, poi, non lo sapevo nemmeno io. Insomma, Jason era un mio amico. Punto, fine della storia. E allora perché vederlo scambiarsi effusioni con Sophie mi faceva stare tanto male? E poi Jason piaceva a Earine. E non mi importava niente che ormai con lei non parlavo quasi più. Era comunque mia sorella.
Continuai a correre, sempre più confusa, fino a quando non mi ritrovai davanti alla mia Casa. Entrai, sbattendo la porta, e mi tuffai sul letto, bagnando il cuscino con le mie lacrime. Perché?
Ancora non riuscivo a capirlo.
Premetti la testa sul cuscino. Ero sempre più confusa. Io amavo Apollo, no? L’avevo sognato continuamente, e fino a un’oretta prima, il mio cuore aveva battuto esclusivamente per lui. Ma ora? Vedere Jason e Miss  Perfezione insieme mi aveva fatto male. Possibile che io lo … amassi?
No, è da escludere. O forse no?
Grugnii. Odiavo la mia indecisione, ma odiavo ancora di più i miei sentimenti offuscati.
Perché, perché doveva essere tutto così dannatamente difficile? Perché non potevo semplicemente impedire al mio cuore di innamorarsi?
Bah, come faceva Afrodite a interessarsi così all’amore, lo sapeva solo lei.
L’amore porta dolore. Questo è poco ma sicuro.
Quando mi calmai, avevo la mente più lucida, ma il cuore rimaneva costantemente in tempesta.
Sbattei la testa sul materasso. Hum, forse avrei dovuto provare con qualcosa di più duro.
Mi asciugai le lacrime, che mi sembravano ancora così insensate, e mi sedetti sul letto.
Era incredibile quante cose potevano accadere in una sola mattinata.
Sospirai, giocherellando con la mia medaglietta.
Okay, Nina, ora calmati. Respira profondamente.
Peccato che per me era poco più che impossibile.
Cacchio!
Era ufficiale: odiavo Afrodite.  





Angolo Autrice:
Ecco il nono orrendo capitolo, contenti? 
Sì, lo so, fa ancora più schifo degli altri, ma vi prego, non linciatemi!
Io sono una bambina carina&coccolosa (?) ♥
Occheii, come al solito ringrazio Amby_ e vi invito a leggere la sua Fic, che è semplicemente stupenda, poi il mio Zainetto Effie Malcontenta Weasley, la mia amica Earine/Valeria e chi più ne ha più ne metta e, ovviamente, tutto il "cast" dell' Empire of Olympus! 
Uh, ringrazio anche quelle anime pie che hanno recensito e recensiranno. Perché lo farete, vero? :')
Un bacio! 
Nina.


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Capitolo 10
*** Fuoco che divide, fuoco che unisce. ***


Fuoco che divide, Fuoco che unisce.






Mi appoggiai all’asse di legno accanto a me, sfinita.
Erano tre ore che pulivo le stalle in compagnia di Sophie, e non ne potevo più.
Sbuffai, mentre la biondina ricominciava a tessere le lodi del suo Jason.
«Ma è belliiiissiiimo, Ninetta! Come fai a non accorgertene?!»
Me ne accorgevo benissimo da sola, grazie.
«Non chiamarmi Ninetta, bionda ossigenata.» borbottai, abbassando gli occhi sulla balla di fieno accanto a me, che mi aspettava da mezz’ora per essere portata ai pegasi.
Sbuffai, prendendola con le mani e lanciandone un po’ in testa ad un pegaso.
Ho sempre avuto una pessima mira.
Continuai con il mio ‘giro di viveri’, mentre Sophie continuava a urlarmi nell’orecchio quanto fosse bello il SUO Jason. Fortunatamente per lei avevo le mani occupate, o non avrei risposto delle mie possibili azioni.
«Ninetta, ma la smetti di avere quella faccina da cimitero? Su con la vita, zuccherino!»
Respira profondamente, respira profondamente.
«Ninetta, ma perché non ti metti un po’ di smalto? Sembra che le tue unghie siano state mangiate da Scilla!»
«Ninetta,» continuò imperterrita Sophie, senza immaginare che stava per premere il pulsante per l’esplosione «Ma lo sai che Apollo è un gran bel pezzo di figo? Ovvio, lui non è niente in confronto al mio superfavolossissimo Jesse, ma ci si può sempre accontentare, no?» 
«Lockwood, chiudi quella boccaccia, che ti conviene.» dissi, lanciandole un’occhiata degna di Era quando scopre l’ennesimo tradimento del suo maritino.
Quanto odiavo quella ragazza, lo sapeva solo Eris.
Stavo per urlarle addosso qualche altro epiteto poco carino, quando fummo interrotte da una voce inconfondibile.
La voce di un odiosissimo figlio di Ade.
«Sophie, tesoro! Ciao Ninetta!»
La figlia di Afrodite si girò e lanciò un vomitevole urletto stile ragazzina di cinque anni. Io sbuffai, borbottando qualcosa che assomigliava vagamente ad un “non mi chiamo Ninetta”.
Mentre si sbaciucchiavano allegramente davanti a me, feci di tutto per trattenere un conato di vomito. E soprattutto, per trattenere le lacrime.
«Vi dispiace andare a fare le vostre cosette da qualche altra parte? Devo pulire una stalla io.» dissi, velenosa.
Sophie si voltò e mi fece una linguaccia, mentre Jason mi osservò impassibile.
«Beh, non era chiaro il messaggio? Fuori.» sibilai, vedendoli ancora lì. Non avevano idea di quanto mi desse fastidio la cosa. Oppure sì?
Jason sorrise, chiedendomi cosa avessi mangiato quella mattina.
Ahah, che battuta divertente e originale, Darren. Davvero.
Lo fulminai con gli occhi e mi voltai, andando a riprendere il mio zaino.
Se non se ne volevano andare loro, me ne andavo io.
Tanto ormai le stalle erano praticamente finite.
Sophie poteva tranquillamente sporcarsi le unghie finte per mettere a posto la carriola. 
Borbottai un saluto e gli passai accanto, senza smettere di maledirli con gli occhi.
Se uno sguardo potesse uccidere, Sophie sarebbe già spirata da tempo.
 
Erano passati solo sei giorni da quando li avevo beccati ad amoreggiare nel bosco, e la cosa faceva ancora male.
Solo, faceva male in modo strano.
Sbuffai, dirigendomi verso il lago. Almeno lì potevo riflettere con calma.
Arrivata a destinazione, mi lasciai cadere sulla ghiaia, lasciando lo zaino accanto a me.
Sospirai, iniziando a giocherellare con dei sassolini.
Alzai gli occhi al cielo, osservando le nuvole che giocavano tra loro nell’immensità dell’azzurro. Loro non avevano questo genere di problemi.
Mi stesi di schiena, sentendo le lacrime bagnarmi le guancie.
Ah no, Nina, non piangere. Non ne vale la pena.
Avevo pianto solo tre volte in tutta la mia vita.
Quella sera di dicembre, quando Earine era stata mandata sull’Olimpo e quando avevo visto Jason e Sophie. Non volevo che ci fosse nessuna quarta volta. Non per quell’idiota di Jason, in ogni caso.
Mi alzai in piedi, andando a raccogliere una margherita che era sbocciata poco più in là.
Quando mi risedetti, un’idea malsana si fece largo nella mia mente.
Oh, insomma, che avevo da perdere a fare m’ama non m’ama?
Jason, Apollo, Jason, Apollo, Jason, Apollo …
A metà, lanciai via il fiore, infastidita. Tanto quello stupido fiore non mi avrebbe certo aiutata a scegliere.
Che poi, scegliere chi? A nessuno dei due interessava di me. Era questa la cosa più triste.
«Ninetta! Ancora qui?»
Mi voltai di scatto, udendo quella voce.
Oh, ma cos’era, una persecuzione?
Apollo sorrise, mettendosi a sedere accanto a me.
«Uh, sì, è il mio posto preferito. Ci vengo tutte le volte che sono triste.» dissi, mordendomi la lingua all’ultima frase. Su, Nina, vai a sbandierare ai quattro venti che hai il cuore spaccato in due!
Lui sorrise, comprensivo.
«Ti capisco, Ninetta. Anche io ci vengo spesso quando mi sento giù.»
Sorrisi, non sapendo bene cosa dire.
Mi guardai le scarpe, imbarazzata. In quel momento desideravo solo sparire.
Accidenti a me quando avevo espresso il desiderio di andare sull’Olimpo!
Lui continuò a sorridere, sdraiandosi sulla schiena, e lasciando che i raggi di sole facessero risplendere i suoi lineamenti come circondati da un leggero alone dorato.
Distolsi lo sguardo, prima che la bava potesse uscirmi da sola.
Non era proprio il caso, diciamocelo.
«E tu, non hai nulla da fare durante il giorno? Voglio dire, gli Déi non dovrebbero andare a controllare questo e quell’altro, invece di girovagare per l’Olimpo?» dissi, giusto per tirare in ballo qualche argomento. Il silenzio tra noi stava diventando decisamente imbarazzante.
«Hum, no, Ninetta, direi che durante il giorno non ho proprio niente da fare. È la notte che richiede tutto il mio impegno.» disse, ghignando.
Gli tirai uno schiaffo sul braccio, borbottando un “scemo”.
Lui si tirò su a sedere, guardandomi negli occhi.
Abbassai gli occhi, certa che se lo avessi guardato un secondo in più sarei svenuta. O, più probabilmente, gli sarei saltata addosso.
«Ninetta, ora devo andare. Ci vediamo dopo.» disse, facendomi l’occhiolino e sparendo in un lampo dorato.
Dopo? Mi sono persa qualcosa?  Mi chiesi, confusa.
Scrollai le spalle, cercando di non pensarci. Probabilmente voleva dire un giorno molto lontano in un’epoca ancora più lontana.
Mi alzai in piedi, stanca di stare lì seduta.
Magari a casa avrei trovato qualcosa di più produttivo da fare.
Prendere a freccette la gigantografia di Sophie, per esempio.
Mi incamminai lentamente, canticchiando Wish You Were Here.
 
Quando arrivai alla casa (che poi, non so nemmeno perché mi ostini a chiamarla casa, dato che non è altro che uno stanzone più un bagno) lanciai lo zaino sul letto e mi andai a fare una doccia. Le docce hanno sempre un effetto calmante su di me.
Sotto il getto caldo dell’acqua, cercai di fare chiarezza sul mio cuore.
Insomma, Jason poteva anche piacermi, ma probabilmente quella che provavo per lui non era altro che attrazione fisica. Solo che non riuscivo a spiegare le mie lacrime.
E, beh, Apollo era Apollo. Avevo bisogno di dire altro? Probabilmente sì, perché altrimenti non si capiva la mia indecisione.
Sbuffai, consapevole che per quella volta non sarei riuscita a fare chiarezza nemmeno sul tema ‘Cioccolato o Crema’, figuriamoci quello ‘Jason o Apollo’.
Quando uscii dal bagno, fui avvolta da un forte odore di fragola. Sophie era tornata.
Ignorandola completamente, andai di corsa verso il mio armadio, per prendere dei vestiti. Di andare in giro in accappatoio non era proprio il caso.
Mentre prendevo una maglietta viola pescata a caso dal mucchio, lanciai un’occhiata indagatrice a Sophie, che continuava a fissarmi.
«Beh, che hai da guardare?» sbottai, indispettita.
Lei scosse la testa, lanciandosi in uno dei suoi zuccherosissimi sorrisi.
«Non penserai mica di venire al falò con un maglioncino viola di seconda mano, vero?»
La fissai a bocca aperta.
«Falò? Di cosa stai parlando, Sophie? Io non vengo a nessun falò.» rabbrividii al solo pensiero.
«Il falò di stasera, sciocchina. Sai, quello che abbiamo organizzato noi de Campo … una specie di … hum, come potrei dire … rimpatriata!» concluse, orgogliosa.
Falò. Fiamme. Fuoco. Incendio.
«Sophie, forse è il caso che io salti questa festa … sul serio, non ci tengo a venire.»
Purtroppo, Sophie non aveva nessuna intenzione di mollare.
A niente servirono i miei poco gentili “Vai al Tartaro, Sophie”.
Mi costrinse a mettermi seduta, per sottostare alle sue “operazioni di bellezza”, come le aveva chiamate.
Alla fine, cedetti, pensando che tanto era inutile discutere.
Mi imbrattò il viso, mi spazzolò e sistemò i capelli e mi costrinse a indossare un suo vestito.
Non ero mai stata così vicina all’esaurimento nervoso come in quel momento.
«Sophie, basta! Tanto io non ci vengo a quel dannatissimo falò!» esclamai, dopo che la biondina mi ebbe passato per l’ottava volta la matita sugli occhi.
«Smettila di fare così, Ninetta, e guardati allo specchio, va’.» mi disse, sorridendo.
Sbuffai, avvicinandomi alla lastra di vetro vicino al letto della figlia d Afrodite.
Okay, lo devo ammettere.  Sophie aveva fatto un ottimo lavoro.
I capelli erano raccolti in una treccia morbida, con qualche perlina qua e là.
I miei occhi nocciola erano cerchiati da un tratto leggero di matita nera, e il lucidalabbra rosa aveva un suo perché.
Sophie mi aveva fatto indossare un miniabito nero, attillato, con le spalline ricamate in oro. Sotto, avevo i leggins e degli anfibi neri.
Non mi ero mai sentita così bella.
Per una volta Sophie ha fatto qualcosa di utile, pensai sorridendo al mio riflesso.
Sentitasi chiamata in causa, la bionda mi si avvicinò, con un sorriso zuccheroso sulle labbra. Zuccheroso ma vero.
Oh no. Stavo pensando che Miss Perfezione alla fine non era male! Svegliati Nina, svegliati!
Ricambiai il suo sorriso e mi voltai, per guardare l’ora all’enorme orologio d’ottone attaccato alla parete.
«Sophie, a che ora è l’appuntamento?»
Si voltò anche lei, per guardare l’orologio, e impallidì.
«Mancano solo tre ore! Come faccio a prepararmi in solo tre ore?!» mi urlò, in preda al panico.
Sorrisi tra me e me. Tutte uguali le figlie di Afrodite.
Per il tempo restante, mi misi a leggere un libro, mentre Sophie correva all’impazzata su e giù per la stanza, alla ricerca ora del suo rossetto color pompelmo, ora degli orecchini a forma di cuore.
Abbassai gli occhi sul libro che avevo preso a caso dalla libreria, Starcrossed.
Ero arrivata quasi a metà del libro, quando Sophie mi urlò che era pronta.
Sospirai, andando a rimetterlo a posto.
Mi stampai in faccia il mio miglior sorriso e la seguii fuori dalla porta.
Già a metà strada, tornò la smorfiosa e odiosa Sophie di sempre.
Alzai gli occhi al cielo, mentre lei continuava con la sua lamentela su quanto costassero ora gli smalti dalla Kiko. Aveva sbagliato persona con cui parlarne.
Per me gli smalti erano come Sophie. C’era, ma non serviva a niente.
 
Quando arrivammo al padiglione dove si sarebbe tenuta la “festa”, mi bloccai di colpo.
Il fuoco era alto, e percepivo il calore delle fiamme sulla mia pelle.
Rabbrividii,cercando di non pensarci, ma tenendomi ben lontana dal falò.
Erano tutti ragazzi del Campo che non conoscevo.
Tranne Sophie, Jason e … Earine.
La mia sorellina preferita era seduta in un angolo del padiglione, con i capelli biondi legati in una crocchia mezza sfatta, e guardava con occhi pieni di tristezza e rancore  Jason e Sophie che si abbracciavano. Abbassai gli occhi, vergognandomi di me stessa.
Possibile che non avessi pensato anche a lei? Possibile che non mi fosse venuto in mente prima che a lei piaceva Jason? Ma forse piacere non era la parola giusta, visto con quanto dolore e desiderio lo guardava …
Scossi la testa, appiattendomi il più possibile contro una colonna di marmo.
Il calore de fuoco era insopportabile.
Così come i ricordi che emanava.
Scivolai lentamente per terra, appoggiando la testa alla colonna, facendo di tutto per non guardare il maledetto falò.
Eppure era così vicino, così vero … e i ricordi che faceva tornare a galla erano così dolorosi …
Scossi la testa, bloccando sul nascere ogni possibile crisi di pianto.
Mentre cercavo di allontanarmi il più possibile da quelle fiamme maledette, mi accorsi di una presenza accanto a me.
Apollo.
Che ci faceva lì?
Alzai lo sguardo, incontrando i suoi meravigliosi occhi.
Era appoggiato alla colonna, con le braccia conserte e un ghigno divertito stampato sul bel volto.
Mi alzai in piedi, ostentando indifferenza.
«Come mai qui, Apollo?» chiesi, con un tono apparentemente noncurante.
«Cosa c’è, non posso? L’Olimpo è di tutti … beh, quasi.» mi rispose, senza smettere di ghignare.
Lo guardai di traverso, ma con un’alzata si spalle lasciai perdere. Non era il momento.
Ad un tratto, una folata di vento improvvisa alzò le fiamme, terrorizzandomi.
Se fino a quel momento ero convinta di poter tenere a bada la mia paura del fuoco, in quel momento capii che era impossibile. Le lacrime erano vicine.
Il dio del Sole mi guardò preoccupato, corrugando le sopracciglia.
«Tutto bene?» mi chiese, preoccupato.
Scossi la testa, abbassando gli occhi per non fargli capire che erano umidi di lacrime.
Lui sorrise, e mi prese per mano, facendomi allontanare dal padiglione.
Mentre mi trascinava, lanciai un’occhiata a Sophie e Jason, ma erano troppo occupati a dividere una pannocchia per accorgersi di me. Earine era sparita, invece.
Poverina, se io c’ero rimasta male, figuriamoci lei …
Apollo mi trascinò verso la collina, continuando a sorridere.
Quando arrivammo in cima, si sedette, tirandomi la mano per farmi mettere accanto a lui.
Quel posto era bellissimo. Da dove eravamo noi, si vedevano tutte le stelle, e si notava appena il chiarore del fuoco, seminascosto dalla boscaglia che circondava il padiglione.
«Hai qualche problema con il fuoco, Ninetta?» mi chiese lui.
Evidentemente era uno che andava dritto al punto, senza girarci intorno.
Abbassai gli occhi, triste.
Lui mi prese la mano, e in quel momento iniziai a parlare.
«Sì, ho qualche problema con il fuoco, ma non è sempre stato così. Da piccola mi piaceva. Passavo ore e ore a guardare le fiamme nel camino di casa, mi piaceva vederle danzare in quel loro modo strano, invitante.» sospirai, persa nei ricordi. Lui strinse ancora di più la mia mano. «Poi, un giorno, è cambiato tutto. Lo ricordo perfettamente. All’epoca abitavamo in una casetta nei pressi di Long Island. Io e mia madre cambiavamo spesso città, a volte perfino continente. Avevo undici anni. Lei era appena tornata dal lavoro, e stavamo parlando in cucina … ad un tratto, si è sentito uno scoppio, poi un altro. Io e mia madre non abbiamo mai avuto tanti soldi, e non potevamo permetterci di riparare niente.» continuai, con voce rotta. «Lo scoppio proveniva dai fornelli. Non riesco a ricordare la dinamica dell’accaduto, forse semplicemente non l’ho mai capito, fatto sta che in pochi minuti tutta la cucina prese fuoco. La nostra era una casetta principalmente costruita in legno. Ricordo che urlai, e che mia madre mi trascinò, fuori dalla porta. Quando arrivammo all’ingresso, ormai il fuoco era ovunque. Lei spalancò la porta e mi spinse fuori, ma lei non riuscì a seguirmi … un’asse di legno le piombò addosso, separandola da me per sempre.» ormai le lacrime scendevano copiose lungo la mia guancia. Sentii Apollo che mi accarezzava la guancia, e iniziai a singhiozzare ancora più forte.
In preda a quei tristi ricordi, poggiai la testa sul suo petto, continuando a piangere senza sosta.
Lui mi abbracciò, ma quasi non me ne resi conto.
Per la prima volta dopo cinque anni, piansi di un vero pianto liberatorio.
E restammo così, abbracciati, a guardare le stelle e a pensare a quanto a volte la vita fosse crudele. 






Angolo Autrice:
Toh, già il decimo capitolo ho pubblicato! Wow, ho superato me stessa *^*
Allora, intanto il tiolo del capitolo non ha molto senso, ma è il migliore che mi è venuto in questo momento.
Ringazio come sempre Earine, Lils, Amby, Thalia, Court, Dylan/Emily e chi più ne ha più ne metta! 
Poi, ringrazio la mia amica Claudia perché ... beh, perché lei è speciale, ed è ... Lei u.u 
Ditemi che ne pensate, ci ho messo quattro ore per scriverlo. 
Spero ne sia valsa la pena '-' 
Un bacio, 
Ninetta. {D'ora in poi mi firmerò sempre così C:}


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Capitolo 11
*** Tutto può accadere. ***


Tutto può accadere. 





«Ninetta! Sveglia, zuccherino! È ora di alzarsi!»
Aprii gli occhi, assonnata.
Solo una persona poteva avere quella voce così fastidiosa. Sophie.
Sospirai, mettendomi lentamente a sedere e guardando l’ora: le 8 del mattino.
Lanciai un’occhiata assassina alla figlia di Afrodite.
«Sophie, perché mi hai svegliata a quest’ora? Sono solo le otto.» mugugnai, guardandola di sbieco.
Indossava un completo veramente ridicolo. Un top fucsia e dei pantaloncini corti, ma molto, corti, giallo evidenziatore.
Non che ci stesse male, ma quante persone indossano dei vestiti del genere alle otto di mattina?
Solo lei, appunto.
Mi stiracchiai, notando solo allora che indossavo una maglietta rosa che non ricordavo avere mai messo. Ed era anche rosa confetto, per di più.
«Sophie, per caso ieri mi hai prestato un tuo pigiama?» le chiesi, sbadigliando.
Lei mi guardò in modo strano.
«Certo che no. Ieri quando sono tornata nella casa stavi già dormendo alla grande! Beh, è anche vero che sono tornata un pochino tardi.» mi rispose, calcando leggermente sul “un pochino tardi”.
Non volevo sapere cosa avesse fatto con Jason per tutta la notte precedente.
Ripensai a quello che era successo la sera prima, senza riuscire a ricordare nulla che c’entrasse con una maglietta rosa confetto. Bah.
Mi alzai, certa che non sarei riuscita a riaddormentarmi.
Non con Sophie che faceva yoga in camera, in ogni caso.
La biondina era stesa sul pavimento, in non so quale complicatissima mossa, che cercava di trattenere dei gemiti di dolore. Ma chi glielo faceva fare.
Andai in bagno per vestirmi, e sotto il getto freddo della doccia sorrisi.
Devo assolutamente raccontare tutto a Earine! pensai, eccitata. Poi, aggrottai le sopracciglia. Raccontare cosa? Non è che la sera prima fosse successo nulla d’interessante. Semplicemente, Apollo mi aveva abbracciata. Ah, Apollo …
Okay, necessitavo di un intervento al manicomio.
Scossi la testa, allontanando qualsiasi possibile fantasticheria sul dio del Sole.
Uscii dalla doccia in fretta e furia, cercando di vestirmi il più in fretta possibile.
Dovevo assolutamente andare a parlare con Earine.
Corsi fuori dal bagno, quasi investendo Sophie. Peccato, avrei potuto farla secca.
Borbottai un “ciao” e mi diressi verso la casa di Earine.
Mentre camminavo, ripensai a come l’avevo vista la sera prima, triste e sola, e sentii un tuffo al cuore.
Era pur sempre la mia sorellina dalla faccia d’angelo adorata.
Quando arrivai, mi fermai davanti alla porta, spostando il peso da un piede all’altro.
Ero indecisa se bussare o no. Era da tanto che non parlavamo …
Mugugnai, bussando piano alla porta. Se non apriva entro tre minuti, avrei levato le tende.
Purtroppo per me, appena arrivai a ottanta, la porta si aprì, rivelando la mia sorellina con gli occhi arrossati dal pianto.
Mi sentii un mostro. Come potevo averla lasciata così, da sola?
«Ehi Rii.» dissi, incerta, abbozzando un sorriso.
Lei mi squadrò da capo a piedi, invitandomi ad entrare, senza smettere di lanciarmi occhiate di fuoco.
Passi il fatto che è un sacco di tempo che non ci vediamo, ma perché diamine mi fissa così? Mi chiesi, sentendomi a disagio.
Mi accomodai sul suo letto, senza smettere di sorridere.
Lei mi lanciò un’occhiata di fuoco,sedendosi su una sedia lì vicino.
«Quanto tempo, Nina.» disse, con il veleno che trapelava da ogni singola sillaba.
Mi sentii come se mi avessero appena trafitto il cuore con un coltello.
Perché mi parlava così?
«Ehm … hum … essì, tanto tempo. Come stai?» buttai lì, senza sapere cosa dire.
«Potrebbe andare meglio.» rispose, squadrandomi.
Mi feci piccola piccola. Ed ora che avevo fatto?
«Perché dici così? Che è successo?»
Lei scosse la testa, incredula.
«Mi chiedi anche cosa è successo, Nina? Lo sai quanto io ami Jason!» urlò, alzandosi in piedi e guardandomi con gli occhi che lanciavano lampi.
Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Jason? Lei era arrabbiata con me … per Jason? Non avrebbe dovuto scannare Sophie?
«E che c’entra lui?» le chiesi, stupita.
«Che c’entra? Sei proprio stupida tu, eh? Gli vai dietro come un cagnolino!»
Earine aveva completamente perso la testa.
«Io vado dietro a chi? Ma si può sapere cosa stai dicendo, Earine? Sei matta o cosa?»
Iniziai ad alzare la voce, stringendo la presa sulle lenzuola del letto della mia sorellina, frustrata.
Lei scosse la testa, continuando a guardarmi con astio.
Lo so, era una cosa stupida per cui litigare, ma era proprio questo il motivo.
Non potevo credere che mi stesse giudicando in questo modo, per una cavolata del genere, per un ragazzo! E quel ragazzo era quel figlio di una vacca di Jason.
«Earine, a me Jason non piace! È solamente un mio amico! Se te la vuoi prendere con qualcuno, perché non vai a prendere Sophie a calci nel fondoschiena, visto che è con lei che si vede, ora. Che c’entro io?» urlai, alzandomi in piedi.
Non sopportavo quando la gente se la prendeva con me per cose idiote.
Ero andata da lei con tutta l’intenzione di riallacciare i rapporti e raccontarle di Apollo, ma evidentemente Earine non aveva intenzione di giocare alle sorelline-che-si-vogliono-tanto-bene.
«Tu c’entri, Nina, certo che c’entri! Credi che non vi abbia visti? L’altra volta, quando sei caduta davanti alla mia finestra e Jason ti ha dato un bacio sul gomito!»
«Non dirmi che hai pensato che io sono caduta apposta!» dissi, leggendo questa affermazione nei suoi occhi.
Scossi la testa, incredula. Era una cosa semplicemente ridicola!
Ma lei evidentemente non la pensava così.
Continuò a urlarmi contro per un tempo indefinito, quando alla fine non ressi più.
«Earine, sai che ti dico? Mi sono rotta. Ero venuta qui per riallacciare i rapporti, per raccontarti di quello che era successo ieri sera con Apollo, ma a quanto pare tu non ne vuoi sapere. Beh, sai che ti dico? Vai al tartaro, e rimanici!» urlai, in preda alla collera.
Detto questo, girai i tacchi e uscii dalla casa. Non ne potevo più.
Sapevo di essere sull’orlo delle lacrime, ma non permisi loro di uscire.
Non volevo che qualcuno mi vedesse così.
Attraversai il campo d’allenamento in fretta e furia, senza staccare gli occhi da un punto indefinito davanti a me. Non mi voltai nemmeno una volta.
Camminai a grandi falcate fino alla mia casa. Davanti alla porta, cambiai direzione, avviandomi verso il lago.
Con un po’ di fortuna, Apollo avrebbe fatto una delle sue entrate di scena.
Insomma, non era nemmeno ora di pranzo, e già avevo litigato con la mia sorella preferita!
Sbuffai, mentre lanciavo un sassolino nell’acqua.
Ad un tratto, sentii dei passi dietro di me.
Ma non era Apollo, e nemmeno Jason.
Era mio padre Poseidone.
Lo fissai imbambolata, per una manciata di secondi.
E lui che ci fa qui? Pensai, mente lo guardavo sedersi accanto a me.
Sorrise, guardandomi con i suoi occhi del colore del mare.
«Ciao, Nina. Come stai? Ultimamente, non abbiamo avuto modo di vederci.»
Disse, sorridendo.
Ultimamente? Era dalla mia visita sull’Olimpo che non lo vedevo. E la visita risaliva a un paio di mesi fa, se non di più.
«Oh, beh, sto bene, a parte il fatto che ho litigato con Earine.» dissi, sbuffando.
Non sapevo nemmeno il perché di tanta confidenza. Insomma, l’avevo visto una volta in tutta la mia vita, praticamente.
«Mi dispiace. Non è bene che litighiate tra voi. E dimmi, perché mai è successo?»
Disse, stringendomi in un qualcosa che sarebbe dovuto assomigliare ad un abbraccio.
Senza sapere nemmeno perché, gli raccontai tutta la storia. Con lui, mi sentivo libera di dire qualsiasi cosa. Okay, era mio padre, e avevamo iniziato a parlare da, che so, cinque minuti scarsi, ma sentivo che era la persona giusta con cui parlarne.
Anche perché, di confidarmi con Apollo, ancora non me la sentivo.
Lui mi ascoltò assorto, poi, sorrise.
«Tranquillizzati, Nina. È solo una cosa temporanea. Earine non è veramente arrabbiata con te. Solo, sta cercando qualcuno su cui addossare tutte le sue paure e le sue ansie. E per chi sa quale motivo, ha scelto te come capro espiatorio.»
Sbuffai, per nulla tranquillizzata. E perché avrebbe dovuto scegliere proprio me? La cosa mi fece rimanere molto male.
Io non l’avrei mai utilizzata come pupazzetto antistress. E non mi sembrava giusto che lei lo facesse con me.
Dovevo aver assunto un’espressione veramente triste, perché mio padre sorrise, dandomi un bacio sulla fronte.
«Porta pazienza, Ninetta. Vedrai che tutto si sistemerà. Il legame che c’è tra di voi è più profondo di qualsiasi cotta lei possa essersi presa per il figlio di Ade.» disse.
Sorrisi, cercando di credere in quelle parole.
Lui sciolse il nostro semi-abbraccio, scusandosi.
«Ora devo andare, Ninetta. Porta pazienza, e vedrai, tutto andrà per il verso giusto.»
E sparì.
Ero di nuovo sola.
Alzai gli occhi al cielo nuvoloso. Non prometteva niente di buono.
Lentamente, mi alzai dalla mia solita postazione e mi diressi con calma verso casa.
A circa metà del tragitto, venne giù il diluvio universale.
Arrancavo, cercando di coprirmi il più possibile, ma indossavo solo una maglietta a maniche corte, e sopra un giacchetto leggero, senza cappuccio.
Mi strinsi nelle spalle, cercando di avvelocizzare, ma era un’operazione completamente inutile. La pioggia era talmente fitta che non riuscivo a vedere nemmeno cosa c’era a distanza di due metri.
Sbuffai, iniziando a tremare dal freddo. Probabilmente mi sarei presa un’influenza, come minimo.
Continuai a vagabondare, pregando Zeus che non avessi sbagliato strada.
Ci mancava solo quello.
Ad un tratto, inciampai su un sasso, e caddi rovinosamente in avanti, graffiandomi tutta.
Quella era decisamente una giornata da dimenticare.
Mi rialzai lentamente, guardando inorridita la maglietta (già zuppa di suo) completamente distrutta.
Imprecai a più non posso, buttando giù tutti gli abitanti dell’antica Grecia di cui mi veniva in mente il nome.
Quando finalmente riconobbi in lontananza la sagoma della casa, sospirai di sollievo.
Accellerai il passo, rischiando di scivolare per un numero infinito di volte.
Quando finalmente aprii la porta ed entrai, mi sentii felice come non l’ero mai stata in vita mia.
La casa era vuota, il che voleva dire che probabilmente Sophie era andata da Jason e c’era rimasta, per via del temporale.
Rabbrividii, calciando via le converse zuppe e andando alla ricerca di qualcosa di caldo e comodo. Pescai i pantaloni di una tuta e un felpone, e corsi in bagno, senza smettere di starnutire e tremare dal freddo.
Dopo una doccia calda, mi sembrò di stare già molto meglio.
Indossai gli abiti asciutti e buttai nel cesto quelli bagnati, senza degnarli di un’occhiata.
Ancora tremante, andai ad accoccolarmi sotto le coperte, alla ricerca di un po’ di calore.
Appena mi coprii, sprofondai in un sogno senza sogni.
A svegliarmi, fu il rumore terribile di un fulmine che cadeva lì vicino.
Pregai Ecate che la casa fosse provvista di parafulmini.
Quando un altro fulmine si abbatté vicino alla casa, mi nascosi sotto le coperte.
Avevo paura dei fulmini quasi quanto avevo paura del fuoco.
Restai lì per un tempo indefinito, aspettando con ansia che il temporale finisse.
Dopo un bel po’, mi stufai, e iniziai a camminare per la casa, sobbalzando ogni volta che sentivo il rumore di un tuono.
 
La mattina dopo, pioveva ancora.
Sophie era tornata, anche lei fradicia dalla testa ai piedi, e per tutto il tempo non ci eravamo rivolte parola.
Evidentemente, neanche lei gradiva i temporali.
La mattinata passò lentamente, intrisa dalla noia.
Sophie per disperazione iniziò a mettere apposto il suo armadio ed a ordinare i suoi trucchi per colore, operazione che le richiese due ore abbondanti, ma non erano comunque abbastanza.
Quando finalmente il cielo si schiarì, a metà pomeriggio, la biondina lanciò un grido di felicità, correndo fuori dalla porta, rischiando di travolgermi.
Per me, invece, il sole che era uscito non voleva dire niente.
Il tempo minacciava ancora pioggia, e dopo l’esperienza di ieri non me la sentivo di riuscire.
A quanto pare Zeus era piuttosto arrabbiato, quel giorno.
Ero immersa nella lettura di un libro, quando qualcuno bussò alla porta.
Andando ad aprire, mi ritrovai davanti un Apollo tutto sorridente.
Ricambiai il sorriso, invitandolo ad entrare.
«Hai freddo?» mi disse, indicando la felpa.
Annuii, andando a sedermi sul letto. Lui si mise accanto a me.
Non so esattamente quand’era apparsa tutta questa confidenza, ma mi andava più che bene, pensai, mentre mi accoccolavo vicino a lui.
«Come stai, Ninetta? Poseidone mi ha detto che tra te e tua sorella non scorre buon sangue, ultimamente.»
Sussultai. Da quando ero diventata il centro dei pettegolezzi tra gli Déi?
Borbottai, cercando di non pensare alla litigata del giorno prima. Quando stavo insieme ad Apollo, mi sentivo felice. Non volevo rovinare tutto ricordando il giorno prima.
Lui mise un braccio intorno alle mie spalle.
Sorrisi, contenta. Quant’era dolce, il mio Apollo. Un momento, da quando in qua l’aggettivo mio andava a pari passo con il nome Apollo? Pensai, sgomentata.
Abbassai gli occhi, cercando inutilmente qualcosa da dire per spezzare il silenzio che era sceso tra noi.
«Quindi, riguardo al discorso di prima … chi è questo Jason?» mi chiese, prima che io potessi iniziare a blaterare sul tempo.
Lo fissai sbigottita. E Jason che c’entrava ora?
Mi strinsi nelle spalle.
«E’ un figlio di Ade.» dissi, tenendomi sul vago, incerta su cosa rispondere.
Lui abbozzò un sorriso, anche se non mi sembrò uno dei suoi soliti sorrisi.
Più che altro, non mi sembrò un vero sorriso, punto.
«E’ il figlio di Ade con cui si vede Sophie. Sai, la figlia di Afrodite con cui vivo.» dissi, lanciando un’occhiata eloquente alle pile di riviste di moda sparsi sul letto della biondina. «E, beh, è anche il figlio di Ade dietro al quale sbava Earine. Ma io non ti ho detto niente, chiaro?» dissi, cercando di buttarla sul ridere, anche se lui non sembrava gradire molto l’argomento. Chissà perché.
Gli lanciai un’occhiata di traverso, accoccolandomi ancora di più accanto a lui.
Rabbrividii. La febbre era vicina, probabilmente.
«Ninetta, posso farti una domanda? E mi prometti di rispondere con sincerità?»
Mi chiese.
Io annuii, pentendomene subito.
«Quel Jason, piace anche a te?»
Lo fissai confusa, prima di sbottare in un “certo che no” altamente indignato.
Prima forse mi piaceva, poi, dopo aver capito che razza di sterco di minotauro fosse, avevo completamente cambiato idea.
Lui sorrise, avvicinando il suo volto al mio.
«Ottimo.» disse.
Dopo, non so come, mi ritrovai a baciarlo con tutta la forza di cui ero capace. 






Angolo Autrice:
Okay, in questo momento ho gli occhi che mi si chiudono, un mal di testa pazzesco e una crisi di nervi nei confronti dei miei genitori, ma dettagli u.u
E Ninetta e Apollo finalmente si sono baciati. Checoshacarina :')
Uh, immagino avrete notato che Poseidone praticamente non c'entra un'emerito fungo, ma dovevo pur farlo apparire, per dopo.
Oh sì, per dopo ;)
No, non ho intenzione di spoilerare (?)
Comunque, questo capitolo in un certo senso è stato scritto a quattro mani {Ovvero, le mie, e quelle della meravigliosa Earine/Valeria/Cassie :'D}.
La maggior parte delle idee malefiche che leggerete in futuro sono opera sua :D 
Ringrazio la mia adorata JarJar, che nonostante deve ancora leggersi tutti i capitoli, già ha iniziato a programmarmi il prossimo ♥
Spero che questo capitolo vi piaccia!
Baci,
Ninetta.

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Capitolo 12
*** Vuoi un pò di torta? ***


Vuoi un po’ di torta?

 
 






25 novembre.
Che giorno terribile.
Ho sempre odiato questa data.
In questo giorno, puntualmente, succede qualcosa di male.
E nemmeno stavolta sono stata risparmiata.
 
***
 
Posai la rivista sul comodino, sbuffando.
Ero stesa sul letto a pancia in giù, e stavo cercando in tutti i modi possibili e immaginabili di ingannare il tempo.
Operazione altamente inutile.
Apollo mi aveva promesso che sarebbe venuto a trovarmi, ma ancora non si era fatto vivo.
Mi rigirai di schiena, pensando a quanto era strano pensare il dio della Musica come il mio fidanzato. Avevo passato la maggior parte della mia vita a pensare che non mi sarei mai trovata un ragazzo, ed ora stavo perfino con un Dio.
Un sorriso involontario si disegnò sulla mia guancia.
Sarà anche strano, ma questa situazione mi piace. Eccome se mi piace! Pensai,senza smettere di sorridere, felice.
Mi stiracchiai, alzandomi in piedi, alla ricerca di qualcos’altro da fare.
Le riviste di Gossip di Sophie non facevano per me.
Iniziai a fare avanti e indietro per la stanza, ripensando al fatto che io e Earine non ci eravamo ancora rappacificate, nonostante l’incoraggiamento di mio padre.
Mi fermai, incrociando le braccia dietro la schiena, e guardando fuori dalla finestra.
Una serie di colpi alla porta mi riscosse dai miei pensieri.
Mi catapultai ad aprire, ritrovandomi davanti Apollo. Il mio, Apollo.
«Buongiorno, Ninetta!» mi disse, abbracciandomi.
Io sorrisi, dandogli un veloce bacio sulle labbra.
Quando ero con lui, il cuore mi si riempiva di gioia.
Lo feci entrare, senza lasciare nemmeno per un secondo la sua mano.
Ci accomodammo sul letto, come facevamo sempre. Lui steso, e io accoccolata accanto a lui.
«Come stai?» gli chiesi, accarezzandogli lo zigomo.
«Uh, credo di non potermi lamentare. E tu?» mi disse, voltandosi verso di me e sorridendo.
«Bene.» buttai lì.
Restammo in silenzio per un po’, abbracciati l’uno all’altra, fino a che Apollo non sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri.
«Che ne dici di andare un po’ in giro? Non mi va di restare chiuso in casa, oggi.»
Mi disse, mettendosi a sedere.
Io inarcai il sopracciglio, ma con un’alzata di spalle acconsentii.
Non potevo resistere a quella faccia da cucciolo che tirava fuori ogni volta che voleva qualcosa.
Uscimmo di casa e iniziammo a camminare, mano nella mano.
Fuori il tempo era sereno, e non faceva nemmeno eccessivamente freddo.
Sorrisi, grata di questo.
Non avevamo una meta precisa, camminavamo, semplicemente.
Sorrisi, pensando che solo una settimana prima questo accadeva solo nei miei sogni più impossibili, mentre ora … beh, ora era la realtà.
Lanciai un’occhiata ad Apollo, che stava ancora blaterando su quanto gli Haiku fossero un invenzione fantastica.
Sospirai. Erano giorni che non faceva altro che recitare Haiku su Haiku, ed erano tutti orrendi, tra l’altro.
Ma ovviamente, mi astenevo dal dirglielo.
Ero immersa nei miei pensieri, quando Apollo si fermò di colpo.
Lo fissai, curiosa. E ora? Si era accorto che avevo spento il cervello mentre parlava degli Haiku?
Lui sorrise, accarezzandomi la guancia.
Rabbrividii, ma se dal freddo o dalla felicità, non so dirlo. Era più probabile la seconda, in ogni caso.
Sorrisi, senza sapere bene cosa fare.
Lui si chinò su di me, dandomi un dolce bacio sulle labbra.
In quel momento ero al culmine della felicità.
Peccato che non durò più di tanto.
«Nina!» la voce di mio padre ci fece sobbalzare.
Mi staccai da lui, voltandomi verso Poseidone.
Oh cavolo.
Apollo indurì la mascella, teso.
«Ehm … papà!» balbettai, non sapendo bene cosa dire.
Poseidone mi fulminò con un’occhiata di fuoco. Sperai solo che non trasformasse nessuno dei due in un merluzzo.
«Ninetta, allontanati immediatamente da lui. Sei troppo piccola.»
Ninetta? Piccola?
Lo fissai incredula. Okay che in confronto a lui ero piccola, ma non lo ero per i canoni degli umani!
Apollo scosse la testa, incredulo quasi quanto me.
«Lei non è piccola, Poseidone. E può fare quello che vuole.»
«No che non lo può fare! E tu lasciala stare, Apollo. Non puoi stare con lei.»
«Smettetela di parlare di me come se fossi invisibile! Ci sono anche io qui, non so se ve ne siete accorti.» sbottai, infastidita dalle parole di mio padre.
Perché io e Apollo non potevamo stare insieme? Che c’era di sbagliato?
Era questo che non riuscivo proprio a capire.
Apollo mi lanciò un’occhiata di traverso, allontanandomi con un braccio, per poi tornare a guardare mio padre, con il mento alzato in segno di sfida.
Osservai i due Déi che mi si trovavano davanti, incredula.
Mio padre guardò con astio Apollo, per poi tornare a posare i suoi occhi su di me.
«Nina, te lo ripeto. Non puoi stare con lui. È un Dio, e tu sei troppo piccola. Ti proibisco di frequentarlo ancora!» mi disse.
Strinsi i pugni, cercando invano di incenerirlo con lo sguardo.
«Tu non sei mia madre.» borbottai, con gli occhi che si riempivano di lacrime.
Non era giusto!
Apollo mi si avvicinò e mi cinse le spalle con un braccio.
Poseidone si avvicinò pericolosamente, lanciando lampi dagli occhi. A quanto pare, non gli piaceva molto che si ignorassero le sue parole.
«Infatti, Nina, sono tuo padre, e come tale ti ordino di lasciar perdere Apollo. E in quanto a te,» disse, voltando la testa verso il ragazzo «Dopo dovremo fare un bel discorsetto per quanto riguarda il fidanzarsi con mia figlia senza dirmi nulla!»
Poi mi prese per mano, trascinandomi letteralmente via.
Provai a ribellarmi, ma invano. Era decisamente troppo forte.
 
Stavo ancora cercando di liberarmi dalla sua presa, quando Poseidone si fermò di colpo.
Io lo osservai stupita. E ora che succedeva? Apollo ci aveva seguiti?
Sperai per lui di no.
Mio padre avvelocizzò il passo, con il volto paonazzo per la rabbia.
Continuò a trascinarmi, stringendo ancora di più la sua mano intorno al mio polso.
Grugnii.
«Si può sapere che sta succedendo,ora?!» gli urlai,ma lui continuò ad ignorarmi.
Poco dopo, arrivammo in una radura, dove Jason e Earine si stavano … baciando.
Rimasi a fissarli ad occhi spalancati.
Lanciai un’occhiata preoccupata a mio padre, e il modo in cui osservava Jason non mi piacque affatto.
«Earine!» urlò, senza lasciarmi andare.
Vidi Jason e mia sorella voltarsi di scatto, e gli occhi di Earine spalancarsi dalla sorpresa, vedendo Poseidone. E me, soprattutto.
I suoi occhi si soffermarono su di me, prima di tornare a osservare preoccupata nostro padre.
Jason invece, era rimasto immobile, con gli occhi fissi in quelli del dio del Mare.
Pregai che la stessa scena di prima non si verificasse ancora, ma fu tutto inutile.
Iniziò ad inveire contro i due, che avevano ormai il volto cinereo per il terrore.
Poseidone stava iniziando a fare paura anche a me.
Continuò a trascinarmi mentre si avvicinava a grandi falcate verso Earine.
Rabbrividii, vedendolo prenderla per il polso e iniziare a trascinarla, minacciando di morte il povero Jason in caso l’avesse rivisto toccare la figlia.
Cercai di muovere le gambe, ma inutilmente. La sua presa era ancora piuttosto forte.
Poteva sembrare una scena comica, se non fosse stato per il colore degli occhi di mio padre, che stavano diventando sempre più tempestosi.
Earine non disse niente. Non fiatò nemmeno.
La cosa mi lasciò più che sconcertata. Scossi la testa, mentre Jason continuava a fissarci, incredulo. Evidentemente, doveva ancora mandare giù il fatto di essere stato beccato a baciarsi con Earine dal padre della ragazza.
Poseidone continuò a trascinarci ancora per un bel pezzo, fino a che la cosa non divenne insopportabile.
«Lasciami, papà! Non sono una mocciosa, non c’è bisogno che continui a fare il padre superprotettivo!» urlai, strattonando il braccio e impuntando i piedi, nella speranza che lui mi lasciasse.
Earine mi fissò con occhi vuoti. Avrei voluto urlarle di svegliarsi.
Poseidone liberò entrambe, continuando a fissarci, come se volesse trasformarci in calamari.
«Non sto facendo il padre superprotettivo, Nina. Sto cercando di evitarvi troppi dolori in futuro. Ve li siete scelti proprio bene i fidanzati, voi.» mi disse, sputando la parola “fidanzato” quasi fosse un insulto.
Quasi non ci vidi più dalla rabbia.
«Troppi dolori in futuro? Vuoi farci rimanere zitelle a vita, per caso? Vuoi picchiare a sangue ogni ragazzo che ci sorride per strada?» urlai, in preda alla collera.
Earine mi sfiorò il braccio, ordinandomi di smetterla, ma io ero stufa di sentirmi dire cosa dovevo fare. Soprattutto se gli ordini in questione riguardavano il non vedere più la mia ormai ragione di vita.
Scossi la testa, ricacciando indietro le lacrime, cercando di non pensarci.
Poseidone mi guardò sconcertato.
«Non parlarmi così, Ninetta.»
«Io non mi chiamo Ninetta. Mi chiamo Nina. E l’unica persona che può chiamarmi Ninetta è Apollo, non tu!» sbottai.
Earine mi guardò incredula, ma io non ci feci caso.
Ero troppo arrabbiata. E anche molto, molto, triste.
Mia sorella scosse la testa, guardando nostro padre dritto negli occhi.
«Nina ha ragione. Non puoi trattarci così!» gli disse.
Mi voltai a guardarla, stupita. Era ancora la stessa persona che prima mi aveva guardata con occhi vuoti o soffriva di personalità multipla?
«Non puoi dirci cosa possiamo o non dobbiamo fare! Scegliamo noi con chi stare, non tu!» continuò lei, stringendo i pugni.
Poseidone fissò entrambe, sprizzando collera da tutti i pori.
«Invece eccome se decido io! Non posso vedervi rovinare la vostra vita. E tu, Nina, hai anche preso il peggiore dei due.» disse, puntandomi il dito contro.
Ero al massimo dell’esasperazione.
«Cos’ha Apollo di sbagliato? Solo perché è un Dio non possiamo stare insieme?» gli urlai, indignata.
«Di sbagliato, ha che ti sta usando. Come Jason sta usando Earine.»
Detto questo, Poseidone ci voltò le spalle e sparì.
Rimasi a fissare a bocca aperta il punto in cui solo fino a un secondo prima si trovava mio padre.
«Lo so che Jason mi sta usando. Però lo amo, e non mi importa. Prima o poi si accorgerà veramente di me.» disse Earine.
Mi voltai a fissarla, stupita.
«Cosa? Ma …» lasciai la frase in sospeso, vedendo i suoi occhi appannarsi di lacrime.
Come i miei, del resto.
Lei mi si avvicinò e mi abbracciò, iniziando a piangere a dirotto.
Rimasi immobile per la sorpresa per un altro secondo, poi scoppiai anche io.
Non ce la facevo a tenere tutto dentro. Non ce l’avrei mai fatta.
Chissà ora dov’era Apollo. Chissà cosa aveva fatto dopo che Poseidone mi aveva trascinata via in quel modo tanto barbaro.  
«E oggi era anche il mio compleanno. Però, che bella festa.» borbottai, con nero sarcasmo.
Earine alzò la testa, sorpresa.
«E’ vero, oggi compi diciassette anni!» urlò, trapanandomi un orecchio.
«Calmati, Rii. È solo un compleanno. E questo non è certo stato uno dei migliori.» sussurrai, sedendomi a terra.
Mia sorella mi guardò con tristezza, prima di poggiarsi accanto a me.
«Scusami per averti urlato contro, l’altra volta. Non avrei dovuto.» mi disse, dispiaciuta.
Io abbozzai un sorriso, tranquillizzandola. Ci eravamo rappacificate, ed era questo l’importante.
Le strinsi forte il braccio, cercando di ricacciare indietro le lacrime che stavano nuovamente tentando di uscire.
Basta lacrime. Mi dissi, asciugandomi gli occhi con la manica della felpa.
Earine poggiò la testa sulla mia spalla.
«E ora che si fa?» mi chiese.
Sospirai, alzando le spalle. Non sapevo nemmeno dove eravamo.
Ad un tratto, la consapevolezza che ci eravamo perse mi terrorizzò.
L’Olimpo era grande, potevamo essere finite ovunque.
Mia sorella mi guardò. A quanto pareva, anche lei non aveva la più pallida idea di dove ci trovavamo.
Si alzò in piedi, porgendomi una mano per aiutarmi.
Sorrisi, accettando l’aiuto.
Iniziammo a seguire il sentiero che si trovava alle nostre spalle. Da qualche parte bisognava pur cominciare, in fondo.
Restammo in silenzio per un po’, ognuna troppo presa dai suoi tristi pensieri per iniziare una vera conversazione.
Finalmente, sbucammo su un lago.
Era lo stesso lago dove avevo incontrato per la prima volta Apollo.
Sospirai, rattristata, sedendomi sulla ghiaia.
«Non è giusto.» sbottai, quando mia sorella si poggiò accanto a me, per la seconda volta. «Non è giusto,» continuai.«Papà non ha il diritto di dirci con chi stare. Non mi interessa se lui è uno dei Tre Pezzi Grossi. Noi siamo comunque degli esseri umani, non i suoi giocattolini!»
Ero veramente arrabbiata.
Earine annuì, senza dire nulla.
Probabilmente perché non c’era più nulla da dire.

 
 









Angolo Autrice:
Dodicesimo capitolo, Presente! (?) 
Okay, se vi piace, andate a ringraziare la mia amica Valeria per avermi costretta a scrivere.
Sennò, andate lo stesso da lei per leggere la sua Fiction 'Storia di Una Semidea' u.u
Questo capitolo l'abbiamo praticamente scritto insieme, grazie al Sacro Msn :) 
Oh, povera Ninetta. Quanto mi è dispiaciuto scrivere quello che è successo.
No, non è vero. Sono sadica u.u
E Possy non è un padre cattivo. E' solo un pò tanto troppo decisamente insopportabilmente iperprotettivo.♥
Uh, vi lascio, che ho ancora un mal di testa pazzesco:3 
Bacii & Ci vediamo al prossimo sadico (?) capitolo!
Ninetta.

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Capitolo 13
*** Amore e bel tempo non vanno sempre di pari passo. ***



Amore e bel tempo non sempre vanno di pari passo.









Quando aprii gli occhi, era ancora buio.
Sbuffai. Quel giorno avevo ancora meno voglia di alzarmi del solito.
Mi alzai dal letto, andando a sbattere contro il comodino, che mandai gentilmente al tartaro.
Per mia sfortuna, lì sull’Olimpo non esisteva l’elettricità. Ergo, o ti svegli quando il sole è alto, o sei fritta.
Ecco, io ero fritta.
La stanza era completamente buia, ad eccezione del mio braccialetto fosforescente, che in ogni caso non era molto utile. 
Cercando di non andare a sbattere a nient’altro, mi diressi verso l’armadio.
O verso il punto in cui credevo che c’era l’armadio.
Giusto per iniziare bene la giornata, anziché aprire le ante dell’armadio, aprii la porta del bagno, dandomela in faccia.
Serrai la bocca cercando di non urlare, e nel frattempo maledii tutte le divinità di cui sapevo l’esistenza.
Decisi di rimettermi a letto. Magari così avrei ridotto le probabilità di morte.
Camminai lentamente, riuscendo a scorgere il profilo del letto.
Stavo per avvicinarmi, quando inciampai in una borsa e caddi rovinosamente a terra.
Però, la giornata si preannunciava fantastica, davvero.
Mi rialzai, e con un sospiro di sollievo mi stesi sul letto, ringraziando Zeus che sopra di me non c’era una mensola. O con ogni probabilità mi sarebbe caduta addosso.
 
La luce mi ferì gli occhi.
Mi misi seduta sbadigliando. Chissà quando mi ero addormentata.
«Oh, finalmente ti sei alzata, Bella Addormentata!» mi trillò Sophie nell’orecchio.
Sobbalzai, rendendomi conto solo in quel momento di avercela a pochi centimetri dal viso.
«Sparisci, Sophie.» borbottai. Non ero dell’umore giusto per iniziare, o meglio, ri-iniziare, la giornata con il sorriso.
Mi alzai lentamente, stiracchiandomi.
Mentre Sophie correva all’impazzata su e giù per la stanza (ora in cerca del rossetto, ora del top di paillettes), mi trascinai fino alla libreria. Non degnai l’armadio di uno sguardo, ricordando la portata di prima.
Presi un libro a casaccio e tornai a letto, per ficcarmi sotto le coperte e leggere in santa pace. Ultimamente la lettura era diventata il mio passatempo preferito.
Mentre leggevo, tornai con la mente all’imbarazzante scenata del giorno prima. Certo che papà non aveva davvero niente da fare.
Sbuffai, scuotendo la testa.
Se mai avrò un figlio, non gli farò mai una scenata del genere. Poco ma sicuro!
Pensai, mentre ribollivo di rabbia.
Sfogliai svogliatamente qualche altra pagina, poi rimisi a posto il libro.
Un romanzo d’amore medioevale non era proprio quello di cui avevo bisogno.
Mi vestii in fretta e furia e uscii, nella brezza gelida del mattino.
Sbuffai, stringendomi nel mio giacchetto nero.
Fortunatamente, all’interno era ricoperto di pelliccia, altrimenti sarei morta assiderata.
Mi scostai una ciocca di capelli dagli occhi e mi diressi a grandi falcate a casa di Earine.
Chissà come stava la mia sorellina.
Feci tutta la strada di corsa, scivolando una ventina di volte a causa dell’erba bagnata di rugiada. Quel giorno il mio senso dell’equilibrio se n’era andato in vacanza nei Campi Elisi.
Quando ormai il dietro dei miei pantaloni era più verde che nero, intravidi la casa di Rii.
Con un’esclamazione di gioia mi precipitai a bussare, battendo i denti. Quel giorno era ancora più freddo del solito, purtroppo.
Io ho sempre odiato il freddo. Beh, più che altro, ho odiato trovarmi fuori al freddo. Sotto le coperte si stava tanto bene d’inverno.
Earine aprii subito, e mi accolse con un sorriso.
Indossava dei jeans chiari e un pullover blu scuro. Intorno al collo, aveva un’enorme sciarpa di lana.
Sorrise, spostandosi di lato per lasciarmi andare. Io mi catapultai dentro, senza farmelo ripetere due volte.
La sua stanza era piccolina, calda, con le pareti verde scuro.
La abbracciai, sorridendo.
«Come stai, sorellina?» le chiesi.
Earine sospirò, stringendosi nelle spalle e andando a sedersi sul letto. Io mi accomodai su uno sgabello.
«Non posso lamentarmi.» borbottò.
Le lanciai un’occhiata significativa. Come la capivo.
Scrollai le spalle, decisa a evitare l’argomento che leggevo nei suoi occhi.
E che con ogni probabilità lei leggeva nei miei.
«Allora, ehm … come va qui sull’Olimpo?» buttai lì, dicendo la prima cosa che mi era venuta in mente.
Lei sorrise, lanciandosi in un dettagliatissimo (purtroppo per me) racconto sui suoi ultimi mesi lì. Alla seconda parola, spensi il cervello.
Earine è fatta così. Dalle un argomento, e per la mezz’ora successiva puoi tranquillamente metterti le cuffie e ascoltare la musica. Tanto lei sarà troppo impegnata a parlare per prestarti attenzione.
Quando finì il suo monologo, mi sorrise.
Io ricambiai il sorriso, alzandomi e avvicinandomi alla finestra.
A quanto pareva, ero arrivata a casa di mia sorella appena in tempo.
Fuori infuriava la bufera. La pioggia cadeva senza sosta, e il vento sembrava deciso a sradicare tutti gli alberi che si trovavano sul suo cammino.
Rabbrividii, abbracciandomi. Sentivo freddo solo a guardare fuori dalla finestra.
Tornai a sedermi, non trovando niente di meglio da fare.
Tra noi due era sceso un silenzio tombale.
Rii aveva iniziato a giocherellare con il ciondolo a forma di tridente che portava al collo.
Ero decisa a iniziare a parlare del tempo, quando lei intavolò il discorso tanto temuto.
«Hai più parlato con Apollo dopo l’altra volta?»
«Earine, “l’altra volta”» dissi, mimando le virgolette con le dita. «Era ieri. E comunque, no, non ci ho parlato. Avrei dovuto?» sbottai.
Non ero veramente arrabbiata con Apollo. Solo, la frase di mio padre continuava a ronzarmi in testa:«Di sbagliato, ha che ti sta usando. Come Jason sta usando Earine.»
«Nina, sul serio, non starai pensando a quello che ha detto papà ieri!» disse Rii, scuotendo la testa.
«Era così ovvio?» le chiesi, cercando di buttarla sullo scherzo.
«Te lo leggo negli occhi. E comunque, non pensarci. Non ne vale la pena.»
Cercò di sorridere, ma non le riuscì molto bene. Evidentemente, anche lei ripensava in continuazione alla scena di ieri. Anzi, alle scene di ieri.
Borbottai qualcosa di insensato, mentre lei si alzava per andare a prendere i guanti nell’armadio.
«Earine, secondo te perché papà ha detto che Apollo mi stava usando?» le chiesi, andando a sedermi sul letto e portando le ginocchia al petto.
Lei si sedette accanto a me, sospirando.
«Non saprei. Forse perché è un Dio, e fa il cascamorto con tutte.» disse.
Quelle parole mi ferirono moltissimo.
Ma certo, che idiota che ero. Probabilmente, era solo alla ricerca di una ragazza. E io ero la prima idiota che c’era cascata.
Scossi la testa, cercando di non pensarci più. In fondo, l’avevo sempre saputo.
Mia sorella mi guardò male, ma io le sorrisi e feci finta di niente.
Meglio non farle capire che c’ero rimasta male, o avrebbe iniziato a fare la madre-ossessiva-compulsiva. E sinceramente, Poseidone bastava e avanzava.
«E … tu? Hai più parlato con Jason?»
Earine ignorò completamente la mia domanda.
Chissà che era successo. Ma se lei non voleva parlarmene, non avrei certo insistito.
Alzai gli occhi verso la finestra, e sbuffai, guardando i fiocchi di neve volteggiare nel cielo candido.
«Ci mancava solo la neve. Ora i pinguini possono tranquillamente venire a ballare il tango qui fuori.» sbuffai.
Earine rise –la prima risata che le sentivo da mesi.
Sorrisi, contenta, e la abbracciai, cercando di farle capire tutte le cose non dette in quell’abbraccio.
Sorrisi, dandole un bacio sulla guancia.
«Dai sorellina, che prima o poi troveremo i ragazzi giusti per noi!» dissi, cercando di credere alle mie stesse parole.
Earine mi squadrò dalla testa ai piedi, ma sorrise, accettando lo sforzo.
Sciolsi l’abbraccio, chiedendomi perché diamine il tempo aveva scelto proprio quel giorno per eguagliare la temperatura del Polo Nord.
«E ora io come ci rivado a casa?»
Dissi, dando voce ai miei pensieri.
Mia sorella alzò lo sguardo verso la finestra, e sorrise.
«Con i tuoi bei piedini, come sennò?» disse, ridendo.
Sbuffai. Tanto non era mica lei quella che si sarebbe gelata le ossa.
Iniziai a prepararmi per andare. Ripresi il giacchetto che avevo abbandonato per terra e mi feci prestare dei guanti e una sciarpa da Earine.
Tanto lei non sarebbe dovuta uscire, quel giorno.
Imbacuccata come uno sciatore delle Ande, mi accinsi ad uscire dalla casa di Earine.
Che poi, più che casa è un monolocale, ma questi sono dettagli secondari.
La salutai velocemente, e iniziai a incamminarmi il più velocemente possibile verso casa, cercando di non cadere ad ogni passo che facevo.
Impresa piuttosto complessa.
Mentre camminavo, posai il piede su una lastra ghiacciata, scivolando all’indietro.
Sarei piombata per terra spaccandomi l’osso sacro, se qualcuno non mi avesse afferrata da dietro.
Qualcuno di molto biondo.
Sbuffai, irritata, cercando di rialzarmi, ma come un’idiota poggiai nuovamente il piede sulla lastra, scivolando di nuovo.
Apollo rise, riprendendomi al volo.
«Ninetta, forse è il caso che stai più attenta a dove metti i piedi.» disse, continuando a ridere e aiutandomi a rimettermi in piedi.
«Tzk.» borbottai, infastidita. Non aveva assolutamente niente di meglio da fare? Che so, andare a fare la corte a qualche altra ragazza, per esempio.
Lui continuò a ridere senza ritegno, forse per la mia espressione arrabbiata, forse per la figuraccia di poco prima.
Qualunque fosse il motivo, non avevo nessuna intenzione di scoprirlo.
Gli voltai le spalle e tornai a camminare, accelerando il passo.
Non avevo nessuna intenzione di permettere a quell’muscolo insensato e odioso che era il mio cuore di iniziare a battere all’impazzata solo perché lui mi aveva toccata.
«Nina! Ehi, Nina!» mi urlò lui, ma io finsi di ignorarlo.
Cosa che non era molto difficile, visto che il vento aveva ricominciato a soffiare, selvaggio.
Apollo mi rincorse, prendendomi per mano.
Resistetti alla voglia di tirargli un cazzotto sullo stomaco.
«Lasciami!» gli urlai, liberando la mano con uno strattone.
Il Dio del Sole mi fissò con i suoi occhi da cucciolo, e per un secondo fui tentata di saltargli addosso e spupazzarmelo tutto.
Per un secondo solo.
Lo fulminai con la migliore occhiataccia del repertorio, e tornai a camminare, a testa alta.
Apollo mi si parò davanti, senza smettere di sorridere.
«Mi fai passare?»
«Prima la parolina magica.» disse, trattenendo a stento una risata.
«Vai al tartaro. Va meglio, ora?» sbottai, innervosita, rabbrividendo dal freddo.
Lui continuava a restare immobile, continuando a sghignazzare.
Dei, come era infantile!
Pestai un piede per terra, infastidita.
«Ninetta, eddai! Dimmi che ti è successo.» mi disse, avvicinandosi.
Sbuffai. Ah no, non ci cascavo.
Gli occhi da cucciolo potevano funzionare con chiunque, ma con me no.
Incrociai le braccia, fulminandolo con lo sguardo.
«Precisamente, Apollo, qual’era la parte della ramanzina di mio padre sul “non potete stare insieme” che è stata persa durante la traduzione?» sbottai.
Lui mi guardò come se avessi avuto cinque occhi e dieci braccia. Come un’aliena, cioè.
«E tu stai veramente a sentire quello che dice mio zio?» chiese, stupito, come se non fosse una cosa ovvia.
«Appunto, Apollo. Tuo zio. Alias, mio padre. Ergo, siamo cugini! Giusto per elencare uno dei tanti motivi per cui non possiamo stare insieme» urlai, in preda alla frustrazione.
Lui abbassò gli occhi.
«E, tanto per chiarire, io non ho nessuna intenzione di essere una delle tante ragazze che ti cadono ai piedi!» urlai. Avevo bisogno di sfogarmi, e avevo trovato il mio pupazzetto anti-stress.
Apollo mi guardò, ferito.
Ah, certo, adesso era colpa mia se si faceva tutti gli esseri viventi che incontrava per strada.
«Nina, si può sapere cosa stai dicendo?» mi disse, prendendomi per mano e guardandomi negli occhi.
Accidenti a lui e a quei meravigliosi occhi che si ritrovava.
Scossi la testa, liberando la mano e abbassando lo sguardo, certa che non avrei resistito un secondo di più.
«Nina, ti prego. Possiamo chiarirci?» disse, piantandosi davanti a me.
«Beh, non è che mi hai lasciato molta scelta, non credi? E poi, non potevi aspettare un momento un po’ più caldo per iniziare a recitare la parte del cane bastonato? Ho le dita dei piedi completamente gelate.» dissi, acida.
Lui mi guardò, abbozzando un sorriso e stringendosi nelle spalle.
«Posso continuare o devi buttare fuori altro veleno?» mi disse. Non aspettò risposta e subito continuò. «Sul serio, Nina, credevi davvero che solo perché Poseidone mi ha impedito di frequentarti, io avrei smesso di volerti vedere?» a questo, non risposi.
Lui continuò, imperterrito. «Cugini. Bah. Per gli Déi la parentela non vuol dire nulla.» sorrise, ma evidentemente la mia espressione fu abbastanza eloquente da fargli capire che come battuta era veramente pessima. «Okay, sorvoliamo su questo. Nina, sul serio. Mi dici il vero motivo per cui stai continuando a fare l’offesa?» disse, senza smettere di sorridere.
«Non sto facendo l’offesa.» sbottai. «Okay, forse, un pochino. Ma non è questo il punto. E vuoi sapere il vero motivo per cui sono arrabbiata? Beh, ce ne sono diversi. Da quale devo cominciare? Dal fatto che sto morendo di freddo e tu sei qui, a maniche corte e un sorriso odioso sulle labbra e mi costringi a partecipare ad una discussione che avrei volentieri evitato? Oppure dal fatto che, al contrario tuo, io non sono una Dea, e non ci tengo a passare il resto dei miei giorni sotto forma di calamaro perché mio padre ci ha visti insieme? Sai, potrei continuare all’infinito, ma al contrario tuo io non ho tutto questo tempo!» gli urlai, sprizzando veleno ad ogni parola, e alla fine mi sentii un po’ in colpa. In fondo, era praticamente tutta colpa mia.
Lui scosse la testa, riprendendomi per mano l’ennesima volta.
«Ninetta, smettila. Ti prego.» disse.
Sembrava ferito. Ma ferito da cosa? Probabilmente non ero la prima ragazza che gli urlava contro. E va bene, il problema era principalmente quello.
Avevo paura di essere solo l’ennesima idiota che gli cadeva ai piedi.
«Ti prego cosa? Si può sapere che ti sto facendo? Sto semplicemente rispondendo alle tue domande, mi sembra. O no?» sbottai, stringendomi nel giacchetto e rabbrividendo dal freddo.
Il vento continuava a soffiare quasi volesse spingermi contro di lui. Sbuffai. Adesso anche il clima ci si metteva!
Incrociai le braccia, aspettando una risposta che tardò ad arrivare.
«Nina, ti prego.» ripeté. «Non lo capisci proprio, vero?» mi chiese.
Lo fissai, stupita.
«Capire cosa? Che c’è da capire?» chiesi, impaziente di terminare quella conversazione.
«Da capire, c’è che ti amo. Che non sei e non sarai mai “una delle tante”, per me. E voglio che tu questo lo sappia, Ninetta.» disse, come se l’avessi pugnalato al cuore.
Rimasi a guardarlo imbambolata. Aveva veramente detto quello che avevo sentito? O era tutta un’invenzione della mia mente malata?
Continuò a guardarmi con i suoi occhi da cucciolo, aspettando una qualsiasi reazione da parte mia.
«Tu ... io … ma …» balbettai, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
Intanto, le sue parole mi rimbombavano nella mente.
Ti amo. Strano come quelle semplici parole riuscivano a sconvolgerti l’esistenza.
Lo guardai un’altra volta negli occhi, aprendo la bocca per dire qualcosa di sensato.
Mi avvicinai lentamente, quasi con paura.
Con ogni probabilità era tutto un sogno. Però, che sogno bello che era.
Stavolta fui io a prendere le sue mani nelle mie.
Per un momento, mi mancò il coraggio di fare quello che stavo per fare. Insomma, fino a un minuto fa, non la smettevo di urlargli contro. E ora, mi stavo pericolosamente avvicinando a lui, per pronunciare una frase che forse avrebbe fatto meglio a rimanere in fondo alla mia gola.
«Apollo, anche io ti amo. Tanto.» dissi, quando ormai il mio volto era a pochi centimetri dal suo.
Lui mi prese il volto tra le mani, sorridendo, felice.
I suoi occhi ridenti riflettevano i miei.
Sorrisi, dandogli un bacio sulle labbra.
Fu il più bel bacio di tutta la mia vita.
Quando ci staccammo, mi abbracciò, dandomi un bacio sulla nuca.
«Ti amo.» sussurrai, contro il suo petto.
«Anche io, piccolina. Anche io.» mi disse.
E mentre il vento infuriava, io rimanevo abbracciata ad Apollo, la cui sola vicinanza mi scaldava il cuore d'amore.














Angolo Autrice:
Yo Yo! Eccomi qua, con il 13° capitolo! Oh, quanto mi sono divertita a scriverlo -w-
Alloooora, ringrazio un pò di persone:
- Amber {Amby_}, che mi ha aiutata a scriverlo e perché lei sotto il sole è una palla da discoteca (?)
- Valeria {ValerieVasHappenin... Spero di averlo scritto bene, amore!}, che mi ha aiutata moltissimo negli ultimi capitoli! Vi consiglio di andare a leggere la sua nuova Fiction, 'Storia di una Semidea'. E' bellissima :)
Pooi, la mia Claudia {JarJar}, perché lei è lei. Amore, per te ho due paroline speciali: YO YO! 
Oghè, direi che ho finito!
Un bacio, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ninetta.

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Capitolo 14
*** Love is in the air, today. ***


Love is in the air, today. 






Earine Pov.
 

Sorrisi, guardandomi allo specchio.
I miei capelli biondi erano cresciuti parecchio, da quando avevo lasciato il campo. Ora arrivavano fino all’anca.
Spalancai i miei occhi color del mare a più non posso, osservandomi da ogni angolatura.
Doveva essere tutto perfetto. Io dovevo essere perfetta.
Tra meno di due ore, sarei uscita con Jason. La nostra prima vera e propria uscita da fidanzati.
Era successo tutto talmente così in fretta che non l’avevo detto nemmeno a Nina. Un bacio, una dichiarazione d’amore. Stop. Nulla di troppo esaltante.
Jason aveva lasciato Sophie qualche giorno prima. O lei aveva lasciato lui.
Bah, in ogni caso, ora Jason stava con me. E me lo sarei tenuto con le unghie e con i denti, se necessario.
Con un’ultima passata di lucidalabbra fui pronta.
O almeno, lo fui dal punto di vista fisico. La mia mente era ancora in subbuglio. Stavo per uscire con Jason. Con Jason, capito? Non con un qualsiasi ragazzo … con Jason!
Ero al settimo cielo. Erano mesi che aspettavo quel momento. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato.
Giusto per fare qualcosa nell’attesa che Jason arrivasse, rimisi a posto la stanza, mentre nella mia mente riaffioravano i ricordi delle estati passate, quando io e Nina dovevamo sistemare la nostra cabina ogni weekend, e mentre io correvo di qua e di là, accertandomi che ogni minima cosa fosse in ordine, lei si sdraiava sul letto e iniziava ad ascoltare la musica, ogni tanto improvvisando un balletto.
Scossi la testa, sorridendo. Ah, la mia Ninetta, che ora usciva con il Dio del Sole. No, decisamente Nina non aveva perso tempo, da quando era arrivata sull’Olimpo.
Avevo appena finito di risistemare tutto, quando qualcuno bussò alla porta.
Cercai di cancellare quello stupido sorrisino dalla mia faccia, ma non fu per niente facile riprendere il controllo. Il cuore mi batteva all’impazzata.
Quando riuscii a darmi un contegno, aprii la porta e mi ritrovai faccia a faccia con Jason.
I capelli scuri gli ricadevano sugli occhi, dandogli quell’aria sbarazzina che adoravo.
Un momento. Scuri?
«Jason, da quando in qua i tuoi capelli sono neri?» dissi, nascondendo un sorriso. Così era ancora più bello.
Lui scoppiò a ridere, dandomi un bacio sulle labbra. Cercando di non andare in iperventilazione, ricambiai, felice.
«Beh, i miei capelli sono sempre stati neri. Prima li avevo tinti.» disse, staccandosi da me.
Lo guardai, accigliata. Non ce lo vedevo proprio fermo dal parrucchiere a leggere riviste di gossip. Trattenni una risata all’idea.
«Comunque sia, con i capelli neri sei ancora più bello del solito, il che è tutto dire.»
Arrossii immediatamente, stupita da quello che mi era appena uscito dalla bocca. Non potevo credere di averlo appena detto.
Lui scoppiò a ridere, prendendomi per mano e trascinandomi fuori dalla porta di casa.
«Grazie, tesoro.» disse, ghignando.
Mentre camminavamo, senza volerlo, ripensai alle parole di mio padre, Poseidone. Di sbagliato, ha che ti sta usando. Come Jason sta usando Earine.
Quelle parole mi fecero nuovamente male al cuore. Possibile che ogni volta che ci ripensavo me lo sentivo pesante come un macigno?
Jason mi lanciò un’occhiata, accorgendosi che qualcosa non andava.
Sorrisi, facendogli capire che non era nulla.
Non volevo mentirgli, ma non avevo nemmeno il coraggio di chiedergli spiegazioni. Se spiegazioni ce n’erano, ovviamente.
Lui ricambiò il sorriso, stringendomi la mano.
Dopo un po’ il silenzio tra noi divenne piuttosto pesante. Stavo per intavolare un discorso sulle piante quando Jason si fermò di colpo e mi baciò, senza preavviso. Per poco non svenni.
Sorrisi, e quando ci staccammo lo abbracciai con tutte le forze che avevo.
Continuammo a camminare, mano nella mano, senza mai parlare più di tanto.
Ad un tratto sospirai, sedendomi a terra. Eravamo su una collina. Jason si sedette accanto a me, circondandomi le spalle con un braccio e stampandomi l’ennesimo bacio sulle labbra.
Mentre Jason parlava di non so quale festa imminente, sentii degli schiamazzi provenire da poco più in là. Mi alzai in piedi e vidi Nina e Apollo che si rincorrevano come degli idioti. Sospirai. Tra i due non saprei dire chi è il più infantile.
Scossi la testa, mentre il figlio di Ade si alzava e incrociava le braccia al petto, osservando la scena insieme a me e sforzandosi parecchio per non scoppiare a ridere.
Certo che quei due sembravano divertirsi davvero.
Apollo aveva appena preso Nina, ed erano rotolati per terra, abbracciati, mentre ridevano a più non posso.
Sorrisi, felice che finalmente la mia sorellina avesse trovato qualcuno con una materia grigia simile alla sua.
«Certo che quei due sembrano spassarsela parecchio, eh?» mi disse Jason, mentre scoppiava a ridere.
In quel momento mi resi conto che forse non era il caso di farsi notare. Apollo poteva anche essere idiota, ma era pur sempre un dio. E gli dei non ci mettono niente a trasformarti in una rana. Ve lo dico per esperienza personale.
Tirai Jason per una manica, facendogli segno di allontanarsi. Lui scosse la testa e mi seguì a malincuore. A quanto pareva, aveva ancora voglia di divertirsi guardando quei due.
Mentre ci allontanavamo di soppiatto, sentivo ancora le risate di Nina e Apollo che mi ronzavano per la testa. Quei due spruzzavano felicità da tutti i pori.
In quel momento, mi assalì una tristezza infinita.
Ninetta evidentemente aveva chiarito ogni dubbio con il Dio del Sole. E io invece?
Scossi la testa. Basta, Earine. Abbi coraggio e chiediglielo, per le mutande smerlettate di Efesto!   
«Jason … posso parlarti un secondo?» oh no. Pessimo inizio, Earine.
Sospirai, cercando di prendere coraggio, mentre lui mi fissava con aria interrogativa.
Volevo davvero rovinarmi la giornata (e con ogni probabilità anche le seguenti) solo per una cosa che aveva detto mio padre?
Sì, lo volevo davvero.
«Earine, va tutto bene?» mi chiese, preoccupato. Io annuii, tentando di formulare una frase di senso compiuto.
«Ehm, ecco …» no, così non andava per niente bene. Feci un respiro profondo e continuai, stavolta più sicura. «Hai presente l’altra imbarazzantissima volta? Sai, quando noi ci stavamo baciando ed è arrivato mio padre?» dissi, cercando di non arrossire fino alla radice dei capelli al ricordo. Lui annuì.
«Lui mi ha detto … che tu mi stavi usando.» dissi, pronunciando le ultime parole di getto, non sapendo come continuare. Forse non era proprio la cosa giusta da dire.
Lui mi guardò, sorpreso. Poi sospirò piano.
«Earine, ti giuro che non è così. Io ti amo davvero. E non mi importa se tuo padre dice che non possiamo stare insieme, per chissà quale motivo. Io ti amo. E ti giuro che non ti sto usando, perché non avrei mai il coraggio o il motivo di farlo.» disse, incespicando sulle parole.
Sorrisi, prendendolo per mano. Lui ricambiò il sorriso e mi baciò.
Fu quel bacio a cancellare tutti i dubbi che avevo.
Tutti, tranne uno.
«Jas … perché allora stavi con Sophie?» gli chiesi, cauta.
Lui sorrise, dandomi un buffetto sulla guancia. «Ancora non l’hai capito, genietta? Volevo farti ingelosire. Beh, più che altro, volevo vedere se ti piacevo.» disse, ghignando.
Gli tirai un pugno sulla spalla, ridendo. Bene, e anche questo era sistemato.
 
 
 
Nina Pov.

 
«Basta! Basta! Smettila!» urlai, mentre Apollo continuava a farmi il solletico, ridendo come un matto. Aveva le lacrime agli occhi per le risate, e la cosa andava avanti già da un bel pezzo.
Gli tirai un calcio sul ginocchio, e finalmente si decise a lasciarmi respirare.
Senza smettere di ridere si alzò, prendendomi per mano.
«Ninetta, sei tutta rossa!» disse, come se non fosse ovvio.
«Ma va’?» chiesi, scoppiando a ridere e abbracciandolo.
Lui sorrise e mi baciò, facendomi sciogliere.
Ero al culmine della felicità. Sorrisi, staccandomi e gli accarezzandogli la mascella.
Lui mi diede un buffetto sul naso, ghignando.
Oh no. Conoscevo quell’espressione, e significava chiaramente ‘ora ti torturo un pochino’.  
Ero pronta a difendermi quando un’ombra passò negli occhi verde-oro di Apollo.
«Apollo, che succede?» gli chiesi.
Lui volse la testa di scatto. Seguendo la traiettoria del suo sguardo, vidi cosa lo aveva fatto preoccupare.
E stava facendo preoccupare anche me, a dirla tutta.
Poseidone ci fissava in modo truce, come se volesse trasformarci in merluzzi e buttarci nel Mississippi.
Lanciai un’occhiata preoccupata prima a lui, poi ad Apollo, che non aveva mosso un muscolo.
Sospirai. Possibile che mio padre doveva essere sempre in mezzo?
Guardai il mio ragazzo, che mi rivolse un’occhiata piuttosto eloquente: ‘Taci’.
«Nina, Apollo. L’altra volta mi sembrava di essere stato piuttosto chiaro. O sbaglio?» disse, pericolosamente calmo.
«Papà, non hai niente di meglio da fare che infiltrarti nella mia vita privata? Sai, qualcosa come tenere d’occhio il mare e salvare le aragoste verdi dall’estinzione.» sbottai, beccandomi un’occhiata di rimprovero dal dio del sole, che scrollò le spalle e continuò a tenermi stretta, nonostante lo sguardo di disapprovazione di mio padre.
«Si, zio, sei stato piuttosto chiaro l’altra volta.» disse Apollo, ignorando il mio commento. Poi alzò il mento, intimandomi di non commentare.
Poseidone stava fumando di rabbia. «Nina, per l’ennesima volta, lascialo stare. Puoi decisamente trovare di meglio.» sbottò.
Io lo fissai, incredula.
«Zio, basta. Che ne dici di lasciare a lei la scelta, ogni tanto?»
«Basta un corno, Apollo. Lasciala andare immediatamente, ci siamo capiti?»
Ero sull’orlo dell’esplosione. Non era tanto il fatto che mio padre avesse appena interrotto uno dei momenti più belli della mia vita per l’ennesima scenata da genitore protettivo a darmi fastidio. Quello che mi faceva veramente innervosire era che la discussione si stava svolgendo solamente tra Apollo e Poseidone. Cos’ero io, il vicino della porta accanto?
I due dei continuarono a litigare, finché non esplosi sul serio.
«La volete smettere?» urlai. Mi fissarono entrambi sorpresi. «Si può sapere che problemi hai?» continuai, guardando mio padre.
Lui sospirò, incrociando le braccia al petto.
«Nina, lui non è il ragazzo giusto per te. Non voglio che passi il resto della tua vita a soffrire perché lui ti ha lasciata per l’ennesima modella.» disse.
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo, ma feci finta di niente. Tanto mi ero già rassegnata all’idea di non poter trascorrere tutta la mia vita con Apollo. Ma almeno il tempo che mi era stato concesso volevo godermelo, senza che Poseidone giocasse a fare papà orso.
Scossi la testa.
«Vai al tartaro.» sbottai. «Non ti sopporto quando fai l’iperprotettivo. Sei stato assente per sedici anni. Non ho intenzione di iniziare a farmi comandare a bacchetta proprio adesso.» continuai, sempre più arrabbiata.
Il volto di mio padre era diventato cremisi.
«Nina, non parlarmi in questo modo!» urlò.
«E tu non parlare a lei, in questo modo.»
Mi voltai incredula verso Apollo, che teneva lo sguardo fisso verso mio padre.
«Smettila di parlarle così. Smettila di voler decidere della sua vita. Lei è una persona, non il tuo burattino.» disse, fissandolo con aria di sfida.
Io ero sempre più stupita.
«E inoltre, non mi interessa per quanto potrai vietarle di incontrarmi. O parlarmi. O anche solo pensarmi. Perché io la amo, e non mi importa di quello che puoi dire!» disse, arrivando quasi ad urlare.
Gli occhi mi si fecero umidi. Non riuscivo a credere a quello che avevo appena sentito.
Mi voltai a guardarlo.
Forse non era proprio la cosa giusta da fare, ma non mi interessava di quello che avrebbe potuto dire mio padre.
Non mi importava di niente.
Solo di Apollo.
Sorrisi e lo baciai con tutta la forza e la passione di cui ero capace.
Lui barcollò, sorpreso. Poi lo sentii sorridere sulle mie labbra, e ricambiò il bacio, con uguale passione. Se non di più.
Solo in quel momento mi resi conto di ciò che avevo appena fatto.
Avevo baciato Apollo. Davanti a mio padre. E probabilmente se non mi fossi fermata saremmo finiti a fare anche altro.
Apollo si staccò lentamente da me, sorridendo. Poi guardò il dio del mare, che non sembrava poi così contento dell’accaduto.
Poseidone ci fulminò con lo sguardo, e per un momento temetti che ci avrebbe trasformati in sogliole e usati come zerbino.
Ad un tratto, sospirò, rassegnato.
«E va bene, avete vinto voi.» disse, come se quelle parole gli costassero una fatica immensa.
Non credevo alle mie orecchie. Gli era bastato un semplice bacio per arrendersi?
Lo fissai sospettosa, mentre Apollo lo guardava incredulo.
«Che volete che vi dica? Quando siete insieme sprizzate felicità da tutti i pori. L’ho appena visto con i miei occhi.» disse, stringendosi nelle spalle. Nonostante le parole rassegnate, notai che non aveva ancora digerito la pillola. Guardava il braccio di Apollo intorno alla mia spalla come se volesse triturarlo.
Detto questo, Poseidone si strinse nelle spalle e sparì, lasciandosi dietro un forte odore di salsedine.
Ancora non riuscivo a credere ai miei occhi. E nemmeno alle mie orecchie.
Mi voltai verso Apollo.
«E’ bastato davvero un semplice bacio per fargli cambiare idea?» dissi, scuotendo la testa.
Lui prese il mio volto tra le mani e sorrise.
«Ninetta, quello era un bacio pieno d’amore, non un bacio dato così tanto per fare.» disse, accarezzandomi la guancia.
Sorrisi, sentendo gli occhi inumidirsi. La frase che aveva appena pronunciato non aveva molto senso, per me. Ma il modo in cui l’aveva detto, il modo in cui mi guardava … sorrisi, abbracciandolo, felice come non mai.
Ripensai a quando l’avevo visto per la prima volta. Mi era sembrato così distante, così impossibile, seduto su quello scranno d’oro, alto sei metri e con quell’aria da fighetto.
Ora invece, era lì, e mi stava stringendo a sé come se quello fosse stata l’ultima volta in cui avrebbe potuto farlo.
Sorrisi, poggiando il volto sul suo torace muscoloso, e respirando a pieno il suo odore di aghi di pino.
Lui prese il mio volto tra le mani e mi baciò più volte, lentamente.
Il mio cuore scoppiava di gioia.
Mentre ci baciavamo, il sole iniziò a calare, dando vita al più bel tramonto che io avessi mai visto. 















Angolo Autrice:
Oh, grazie agli Dei, ce l'ho fatta! Questo capitolo è stato un parto completo, e penso che si noti. 
Scusate se è così corto, così diabetico e così... bleah. 

Grazie a quella santa donna di Valeria, ovvero ValerieVasHappenin {L'ho scritto bene? Mi sbaglio sempre u.u}.
Ti adoro, mente malvagia che non sei altro! ♥


Bene, come avrete notato, stavolta ho inserito anche il POV di Earine. Insomma, quella povera semidea non faceva mai niente u.u
Okay, nemmeno stavolta ha fatto granché, ma scusatemi. 
Ho un mal di testa terribile e ci sto lavorando da tre ore.

Detto questo, ringrazio tutti quelli che hanno recensito, i 'lettori invisibili', chi ha messo la storia tra le seguite e chi tra le preferite.
Chi ha fatto tutto ciò che ho elencato, sappi che è un grande u.u 

Bene, direi che ora posso anche smetterla di sclerare e salutarvi.
Al prossimo capitolo, gente!
Besos,
Ninetta.


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Capitolo 15
*** Arriva una nuova ...gradita... sorpresa. ***


Arriva una nuova ... gradita ... sorpresa. 









Apollo Pov.
 
Sorrisi, accarezzandole la guancia.
Nina –la mia Nina-, dormiva serena, accoccolata al letto.
Probabilmente non si era nemmeno accorta che ero venuto a trovarla.
La guardai sorridendo, mentre lei sospirava. Chissà cosa stava sognando.
Me, probabilmente, a giudicare dal sorriso che le era spuntato sul volto.
Le spostai una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio.
Quant’era bella, la mia Ninetta, mentre dormiva.
Sembrava un peluche.
Scossi la testa, sorpreso di me stesso.
Da quando in qua ero diventato così romantico?
Io, Apollo, il Dio del Sole, della Musica, delle Arti, della Medicina, della Bellezza (e sottolineerei ‘Bellezza’) e di un altro bel po’ di roba, che sbavava davanti ad una ragazza.
Era una cosa preoccupante, quella.
Insomma, da quanto conoscevo Nina?
Due mesi? Forse poco più.
Ah, quante soap-opere si sarebbe fatta Afrodite.
La compagna di stanza di Ninetta si rigirò nel letto, brontolando qualcosa riguardo a un rossetto improponibile. Da quando il pompelmo era un colore?
Scossi la testa, ignorandola completamente.
Fuori era ancora buio. Mancavano ancora un po’ di ore all’alba, perciò potevo godermi il momento, prima di dover correre di qua e di là con la mia Maserati Spyder Divina.
Le accarezzai nuovamente la guancia, felice.
Il perché mi sentivo così, ancora mi era difficile capirlo.
Oh, insomma. Qualche tempo fa avevo completamente perso la testa per lei.
Ora ero tornato in me. Più o meno.
Dimmi, Zeus, perché hai fatto nascere Afrodite?
Non potevi fare una dea del formaggio? Sarebbe stata sicuramente meno fastidiosa.
Mi stesi accanto a lei, incastrandomi tra il muro e il suo corpo.
Da quella prospettiva era ancora più bella.
Quasi si fosse accorta della mia presenza, Ninetta girò la testa verso di me, borbottando una frase senza senso compiuto.
A meno che “akdjfdfisfjwefirjhfer” fosse improvvisamente diventata una parola.
Abbozzai un sorriso, dandole un bacio sul naso.
Lei fece una smorfia, ma continuò a dormire.
A quel punto, sentii il suono del mare. Quel suono a metà tra un tuono e il brontolio della pancia del nonno Crono.
Okay, questo probabilmente era zio Poseidone che osservava la scena.
Possibile che qui sull’Olimpo non si potesse mai avere un momento di privacy?
Tutti sapevano tutto. Il che era forte, ma solo quando era la privacy degli altri ad essere violata.
Come quella volta che Efesto aveva costruito una rete invisibile e l’aveva applicata sul suo letto, e quando Ares e Afrodite ci si erano gettati per fare le loro cosettine erano rimasti imprigionati.
Ah, le risate.
Io e Ermes prendiamo ancora in giro Ares, anche perché in fondo sono passati solo tremila anni. Quella è una scena che non si scorda con così poco.
Quando sentii per la seconda volta l’ammonimento di Poseidone, decisi che forse era il caso di tagliare la corda, o il vecchio Barba d’Alghe avrebbe allagato la casa.
E con l’umidità i miei capelli diventavano orrendi.
Con questa possibile e tremenda minaccia che mi perseguitava, mi alzai dal letto e salutai Nina con un bacio sulla guancia.
«Dormi bene, piccolina.» dissi, sorridendo.
Cercando di fare il meno rumore possibile, mi diressi verso la porta e la chiusi piano, attento a non svegliare la mia Bella Addormentata.
Della sua amichetta bionda non me ne importava niente, ma Ninetta si meritava un po’ di tranquillità.
Infilai le mani nelle tasche dei Jeans e iniziai a camminare, senza ben sapere che direzione prendere.
Ormai l’Olimpo lo conoscevo a memoria.
Non come la Terra degli Uomini, che cambiava in continuazione.
Ottomila anni fa c’era un giardino fiorito dietro la casa di Nina, ora, nel 2011, c’è ancora lo stesso identico giardino.
Ah, no, scusate, Demetra aveva aggiunto una pianta di passiflora nell’Ottocento.
Che poi, non so nemmeno cosa sia una passiflora, ma quando l’ha piantata la cara vecchia Demmy non la smetteva di battere le mani tutta contenta. Bah.
Mentre mi annoiavo da morire –ah, io che mi annoio DA MORIRE! Quanto sono forte, ragazzi-, un fulmine cadde a dieci centimetri dal mio strafighissimo viso, facendomi rizzare i capelli.
Ergo: il papino aveva bisogno di me.
Ma io dico, un cellulare no, eh? È moderno, comodo, colorato e non rischia di rovinarti la piastra.
Non che io mi piastri i capelli, ovviamente.
Sono meravigliosi di loro.
Mi alzai faticosamente in piedi e mi incamminai moolto lentamente verso la Sala principale dell’Olimpo, dove papà teneva tutti i suoi allegri discorsetti.
Solitamente, le nostre riunioni riguardavano cosucce molto tranquille e felici, come il Terremoto-Barra-Tsunami in Giappone (colpa di zio Poseidone che si era arrabbiato con un paguro che gli si era attaccato al tridente e non voleva scollarsi) o l’inizio della Guerra Mondiale.
Rincuorato da questi ricordi, affrettai il passo.
 
 
 
Nina Pov.
 
Quella mattina fui svegliata da un rumore continuo di colpi.
Mi misi a sedere stropicciando gli occhi.
Quella notte avevo fatto un sogno assurdo.
Avevo sognato che Apollo –il mio Apollo- veniva a trovarmi, e io dormivo beata, mentre lui aveva quella sua faccia da orsacchiotto.
Sophie si alzò strisciando i piedi e andò ad aprire, borbottando maledizioni di ogni genere (da ‘che ti si strappi il vestito di Chanel’ a ‘Che la tipa davanti a te in fila si prenda l’ultima matita fucsia per gli occhi della Kiko’).
Sulla soglia della porta, c’era una ragazza altissima, magrissima, biondissima, con degli occhi verdissimi e un altro paio di cose fastidiosamente ‘issime’.
La tipa molto issima si era presentata come Allye, figlia di Ares e nostra futura allenatrice.
Già dal fatto che ci era venuta a svegliare alle 6 di mattina non lasciava presagire niente di buono.
In aggiunta, le frasi ‘figlia di Ares’ e ‘allenatrice’ non mi ispiravano per nulla.
Ho sempre odiato lo sport, il movimento fisico, il sudore, la fatica e quant’altro.
Oh si, sono una tipa molto atletica, io.
Quando arrivammo al campetto arredato per gli allenamenti, fui piacevolmente sorpresa di ritrovarci anche Jason e Earine.
Insomma, il movimento fisico già era insopportabile di suo, se dovevo farlo anche da sola insieme a Sophie, poi …
Non ebbi nemmeno il tempo di salutare la mia sorellina che Allye ci fece iniziare a lavorare.
C’erano anche molti altri ragazzi che non conoscevo, e che sinceramente non avevo nemmeno voglia di conoscere.
Mentre facevamo i piegamenti, alzai gli occhi verso il sole, immaginandomi la faccia che avrebbe fatto Apollo guardandomi lavorare in quel modo.
Come minimo si sarebbe fatto quattro risate e avrebbe fatto apparire un’aranciata dal nulla.
Era molto altruista, il mio amore.
Sorrisi.
Ormai il dio del Sole era mio, e su questo non c’erano dubbi.
Mi sorpresi del mio stesso pensiero.
Da quando in qua ero una tipa gelosa?
E di un ragazzo, poi.
Beh, sempre che ‘ragazzo’ si potesse chiamare quell’essere ultramillenario ultrafigo con un paio di occhi meravigliosi.
A proposito dei suoi occhi meravigliosi, un giorno o l’altro avrei dovuto chiedergli di che colore erano.
Non riuscivo ancora a decidere se erano d’oro, d’argento, viola o verdi.
E fra tutti quei colori ce n’era di differenza, diciamocelo.
Oh, forse stavo iniziando a diventare daltonica.
Dopo il quarto giro di corsa arrancavo, cercando di avere un ritmo sostenuto e preservare qualche energia.
Al quinto, Allye mi fece sedere dopo che ero caduta otto volte e svenuta due.
Mentre sorseggiavo del nettare e guardavo con un sorriso sadico sulle labbra tutti gli altri ragazzi sbuffare, cadere, inciampare, sudare e quant’altro, un fulmine cadde poco lontano da Allye.
Lei sorrise e fece segno agli altri di smettere, ignorando allegramente la sottoscritta.
Io guardai curiosa prima lei, poi il punto in cui era caduto il fulmine e viceversa.
Earine mi si avvicinò e sospirando si sedette accanto a me.
Ah, la mia sorellina adorata, con i suoi capelli biondi e gli occhi verde mare, innamorata pazza del cugino.
Evidentemente l’ultima parte era una caratteristica di famiglia.
«Nina, lo sai che ti odio, vero?» disse, fra uno sbuffo e l’altro, mentre io finsi di non ascoltarla.
Ehi, mica era colpa mia se avevo una preparazione fisica piuttosto scadente.
Beh, forse un pochino colpa mia lo era.
Allye intanto si era allontanata verso la radura che circondava il campetto.
«Yo, cugine!» disse una voce fin troppo familiare.
E, ovviamente, ci mancava il Sonopiùfigoio n°2, Jason Darren, figlio di Ade e aspirante fotomodello.
La seconda parte l’ho aggiunta io, ma con ogni probabilità sarà questo il suo lavoro, se un mostro non lo manda a trovare il papino prima.
Jas si sedette accanto a Earine e le prese la mano.
Com’erano dolci, quei due.
Aprii la bocca per dar voce ai miei pensieri, quando un battere di mani mi bloccò.
Mi voltai e vidi Allye in compagnia di Apollo e una ragazza mai vista prima.
Momento momento momento. E quella chi era?
Capelli troppo mori, occhi troppo azzurri, fisico troppo perfetto.
Era decisamente ‘troppo’ per i miei gusti.
A giudicare dalla faccia di Earine, anche lei doveva pensarla allo stesso modo.
Jason invece la guardava sbavando, ma non era questo il mio problema principale.
Il mio problema principale era il modo in cui lei guardava Apollo e lui guardava lei.
Le rifilai la mia peggior occhiataccia e borbottai qualcosa di piuttosto insensato.
Sophie, dall’altra parte del campo, mi rivolse un’occhiata curiosa.
«Il mio nome è Stella Hope, piacere ragazzi.» si presentò la ragazza.
Stella Hope? Che razza di nome è Stella Hope?
Miei dei, e di chi era figlia quella là?
Allye ci disse che era figlia di Zeus. Bene.
Jason borbottò un ‘ma che bello, tutti i cuginetti riuniti’.
Rii gli tirò una gomitata nelle costole.
«E cosa ci fai qui, di grazia?» chiesi a Stella, in tono indifferente.
Cercavo di non darlo a vedere, ma il fatto che Apollo non mi avesse nemmeno salutata, o meglio, guardata, mi dava piuttosto fastidio.
Lei mi rispose di essere l’Araldo degli Dei o una cosa del genere, e per nonsisaquale motivo era venuta qua sull’Olimpo.
«Ma cosa ci fai qui qui? Nel senso, qui con noi.» chiese Sophie.
Stella fece la faccia di chi la sa lunga. «Sono qui per aiutare voi semidei a migliorare i vostri poteri.»
«Perché tu non hai la nostra stessa età, scusami?» le chiese un tipo con i capelli biondi, gli occhi verdi e il tatuaggio di una stella sul collo.
Non l’avevo mai notato prima.
«No tesoro. Io sono immortale. Ho … uh … diciamo qualche annetto in più di voi.»
«Annetto nel senso che quando tu eri adolescente Omero raccontava della guerra di Troia o qualcosa di più recente? Tipo, che so, il crollo dell’Impero Romano d’Occidente.» disse il tipo.
Stella lo incenerì con lo sguardo e gli voltò le spalle, ignorandolo.
«Tanto per la cronaca, il mio nome è Freddie Wilson, figlio di Ermes, tesoro.» disse lui, facendole l’occhiolino.
La mattinata continuò così, tra tremendi allenamenti fisici (degli altri però, io avevo accusato un fantomatico dolore alla caviglia) e la completa assenza di dialogo tra me e Apollo.
E la cosa non mi piaceva per niente.
Continuavo a lanciare occhiate infuocate a Stella, che si era appiccicata stile chewing-gum al dio del Sole e non gli si staccava di dosso per un secondo.
Beh, non che lui faceva molto per togliersela di torno, anzi.
Se ne stavano lì, a parlare fitto fitto, a lanciarmi occhiate di traverso (Stella) e a guardare ovunque tranne che nel punto in cui ero seduta io (Apollo).
Con il passare del pomeriggio, il mio umore peggiorò ancora.
Allye mi aveva costretta ad allenarmi e ci aveva fatto fare qualcosa come cinque minuti di pausa, se non meno.
A un tratto, a Stella venne la malsana idea di fare un tiro al bersaglio.
E fu lì che iniziò la mia lenta discesa verso la rovina.
Io ho una pessima mira. E questo è un fatto scientificamente provato, non me lo sto inventando.
Ma un conto è tirare con l’arco al Campo Mezzosangue, dove una volta su dieci becchi il bersaglio e le nove rimanenti le tiri tutte nei punti più disparati (dal fondoschiena di Chirone alla poltrona zebrata del Signor D.), e un conto è provarci sull’Olimpo mentre il patrono del tiro con l’arco, che tra l’altro è anche il tuo fidanzato, ti guarda come se dovesse metterti dei voti.
Vergogna più assoluta.
Mentre tiravano gli altri, io spostavo il peso da una gamba all’altra, mentre Earine e Jason provavano a consolarmi.
«Vabbè, dai, alla fine non sei nemmeno così male.» provò a dire Jas.
Earine gli tirò un ceffone sul braccio.
«Smettila di dirle così. Lo sappiamo tutti che è un’incapace.»
Mi misi le mani in tasca, borbottando.
«Ma non è vero! Ha solo bisogno di pratica!»
«Hai ragione. Di molta, moltissima pratica. E di impiantarsi degli occhi a infrarossi con le freccine al neon per segnarle dove sta il bersaglio.»
«Scusate eh, ma io sono ancora qui!» sbottai, infastidita.
Avevo davvero una mira così pessima? Evidentemente si.
Quando fu il mio turno, maledii per l’ennesima volta Stella e la sua idea idiota.
Non aveva davvero niente di meglio da fare che mettermi in imbarazzo davanti ad Apollo?
No, evidentemente no.
Chissà cosa c’era tra quei due. O cosa c’era stato.
Mi feci un milione e mezzo di filmini mentali, sperando che nessuno di quelli corrispondesse alla realtà.
Incoccai la freccia e tirai a casaccio.
Tanto anche se mi fossi impegnata, avrei centrato il lato opposto di quello che volevo beccare.
Magari l’avrei tirata anche all’indietro.
Neanche a farlo apposta, la freccia si era conficcata al centro del cerchio più piccolo.
La guardai a bocca aperta per un secondo, poi scrollai le spalle e andai a riprenderla.
Earine mi scoccò un’occhiata stupita.
Io mi strinsi nelle spalle, scuotendo la testa.
Ne ero più che certa: lì doveva esserci lo zampino di Apollo.
Ma a che gioco sta giocando quello là?
Mi chiesi, mentre tornavo a sedermi.
 
 
 
Earine Pov.  
 
Guardai stupita la mia sorellina centrare il bersaglio, e immediatamente lanciai un’occhiata di traverso ad Apollo.
Quel tipo non me la raccontava giusta. No, nemmeno un po’.
Prima ignora quella poverina di Nina, poi la aiuta a tirare bene.
E, ragazzi, perché Nina tiri bene ce ne vuole.
Quindi solo il biondo dio del Sole poteva essere stato.
Necessitava di una bella chiacchierata, pensai, incrociando le braccia al petto e andandomi a sedere accanto a Nì.
Jason mi seguì come un’ombra.
Ah, il mio caro adorato Jason. Potevo incaricare lui di parlare con Apollo, ma in quanto maschio era un essere nettamente inferiore.
Non penso potesse capire la gravità della situazione.
Guardai Nina cercare di trucidare con lo sguardo Stella.
«Nì, guarda che non la puoi fulminare, quella è una prerogativa dei figli di Zeus. Al massimo, puoi far apparire il suo tsunami personale.» dissi, cercando di metterla di buon’umore.
Missione fallita.
Lei non mi degnò nemmeno di un’occhiata.
Tzé, e io che cercavo di aiutarla.
Finalmente, Allye decise che ci aveva sfiancati abbastanza, e ci lasciò liberi di andare, con la promessa che sarebbe tornata a chiamarci entro breve.
«Meraviglioso!» borbottò Nina, senza staccare gli occhi da Apollo e Stella.
Anche io li guardai, ma più che triste il mio sguardo era a dir poco nauseato.
Sveglia, Apollino! Tu stai con Nina, non con quella figlia di ninfa di Stella!
Scrollai le spalle e diedi a Nina il peggior consiglio che potessi mai darle.
“Vatti a buttare nel Mississippi” sarebbe stata una cosa più passabile.
«Paragli.» dissi, indicando Apollo con il mento.
Lei mi guardò stupita, e si strinse nelle spalle.
Avrebbe fatto meglio a seguire la sua idea dell’”ignorarli”.
«Se lo dici tu …» assentì, alzandosi in piedi.
Com’è che ogni volta che doveva non mi ascoltava mai, e quando avevo sparato una cavolata del genere faceva quello che le dicevo?
Dovevo sparare cavolate più spesso, se questo era il risultato.
Nina si avviò verso Apollo e Stella. Io la seguii quasi fossi la sua guardia del corpo.
Jason si unì a noi.
Quel tornado della mia sorellina chiese ad Apollo di parlargli in disparte.
Lui assentì con un cenno distratto.
Non sentii di preciso cosa si stavano dicendo, ma vidi che Nina iniziava ad avere gli occhi lucidi.
Stella invece aveva un sorriso soddisfatto disegnato sulle labbra.
Mi avvicinai a lei a passo di marcia e me ne uscii con un «Tesoro, ti posso dire una cosa?» talmente zuccheroso da far cariare i denti di Barbie.
E talmente finto da farle accapponare la pelle.
Lei mi sorrise amorevolmente e si disse disponibile a parlare.
«Guarda che la sua era una domanda retorica, idiota.» sentii brontolare Jason.
Miei Dei, perché quel figlio di Ade non se ne stava mai zitto? Perché?
Nina e Apollo intanto continuavano a parlare. Lei aveva quel suo sguardo spento che significava “lacrime in arrivo”. Lui una faccia scolpita nella pietra.
Ad un tratto, mi montò su una grande rabbia verso Apollo, che sfogai su Stella.
«Senti un po’, tesoruccio» esordii. «Non provare a metterti in mezzo tra la mia sorellina e Apollo, o presto ti ritroverai con il fondoschiena a mollo nel Mare dei Mostri.»
Lei fece una faccia stupita. Ah, certo, perché io oltre essere idiota sono anche ceca, no?
«Non so di cosa tu stia parlando …» disse. Se il mio tono di prima faceva accapponare la pelle a Barbie, il suo le faceva venire la cellulite.
«Si, certo, e io sono Afrodite!»
Un tuono in lontananza. Scusa cugina.
Stella alzò gli occhi al cielo e mi guardò con aria innocente.
«Guarda che non siamo ciechi! Ce li abbiamo gli occhi per vedere!» sbottò Jason, che non sapeva nemmeno di cosa stavamo parlando, secondo me.
Ah, Jason Jason. Non ti immischiare in cose che non ti riguardano come una litigata tra femmine. Potresti uscirne piuttosto maluccio.
Gli lanciai un’occhiataccia e lui si zittì, prima di peggiorare la situazione.
Con molta –e finta- calma, tornai a rivolgermi a Stella.
«Senti, so che tu puoi essere mossa dalle migliori intenzioni» colpo di tosse da parte di Sophie, quell’impicciona che stava ascoltando la conversazione fingendo di allacciarsi la scarpa.«E che ovviamente non sai nulla della storia tra Nina e Apollo» altro colpo di tosse. «Ma te lo dico con estrema tranquillità: non ti immischiare. Nina ne ha passate abbastanza. Non ti ci mettere anche tu, ora che si era finalmente sistemato tutto, tesoro.»
Lei inarcò il sopracciglio e sorrise.
«Dubito che tra la tua sorellina e Apollo sia successo lo stesso che è accaduto tra me e Apollo. Ne dubito altamente. Anche perché Lina, o come si chiama, mi sembra ancora una bambina pura … e casta.»
«Nina.» la corressi, digrignando i denti.
Che si credeva, che non sapessi che Apollo se l’era fatte tutte? Oh, andiamo.
È del dio del Sole che stiamo parlando, mica di sua sorella Artemide!
Scossi la testa e le voltai le spalle. Inutile parlare con lei.
Mi sembrava la solita tipica montata, che crede che il mondo giri solo intorno a lei.
Tipo Sophie, anche se a giudicare dallo sguardo d’astio della figlia di Afrodite, Stella doveva essere insopportabilmente piena di sé anche per lei.
Il che è tutto dire, ragazzi.
Scrollai le spalle e stavo per ribattere quando Nina tornò indietro e mi interruppe.
«Lascia perdere, Earine.» disse semplicemente, per poi voltarsi e andare via.
Sperai nuovamente con tutto il cuore che uno tsunami si abbattesse su Apollo e Stella e la seguii, tirandomi dietro Jason che era rimasto lì impalato come un idiota.  















Angolo Autrice:
*Partono i cori da stadio, Apollo intona l'alleluja e Paris Hilton diventa improvvisamente vergine.*
CE L'HO FATTA, CHE ZEUS SIA LODATO!
Sono tre giorni che ci lavoro (ed è comunque venuto abbastanza schifoso, ma vabbè) ._. Ah, lo so, Apollo è un tipo moolto lunatico. Prima o poi vi spiegherò tutto, forse u.u
Contenti? Io si, tanto :3
Allors, devo ringraziare un pò di persone stavolta, quindi iniziamo subito prima che io impazzisca:
1. __Amby, che mi ha inviato il coraggio di scriverlo via facebook. ♥
2. ValerieVasHappenin, che mi sopporta sempre quando sclero e che mi fa fare muscoli a forza di copiare&incollare pezzi del capitolo su Msn. ♥

3. Kyhan ,che spero di aver scritto bene, per l'idea dell'Araldo. ♥
E, ovviamente, ringrazio tutti coloro che leggono, recensiscono e seguono la mia storia. ♥



Nina. 

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Capitolo 16
*** Mi prendo una piccola e ben misera rivincita. Ma pur sempre una rivincita. ***



Mi prendo una piccola e ben misera rivincita. Ma pur sempre una rivincita.










« Nina, ma io ti avevo avvertita! »
Questo, è Poseidone, il mio amato padre, che cinque giorni dopo lo sfortunato evento, mentre lancio sassolini sulla superficie increspata di un laghetto, si presenta con un ridicolo completo a fiori hawaiani, un cappellino di paglia e un sorriso a trentadue denti.
Avete presente i soliti discorsetti dei genitori, quelli ‘oh, tesoro, ti avevo avvertito, ma tu non mi ascolti mai, sei sempre stata testarda, proprio come tua/o padre/madre ( a seconda di chi è che parla ) e bla bla bla’?
Ecco, il mio, di padre, non se lo fece scappare.
Dopo avermi quasi accecata con la sua ridicolissima camicia hawaiana e il suo sorriso si sedette accanto a me, cercando di mascherare la sua palese felicità.
« Ciao, papà. » borbottai, troppo concentrata sui sassi per guardarlo in faccia.
Lui non si fece scoraggiare dalla mia totale mancanza di interesse e continuò, imperterrito.
« Ninuccia, come stai? So cos’è successo tra te e Apollo … però, non dire che non ti avevo avvertita! »
Ninuccia?
« Sì, mi sembra che una volta o due avevi accennato a una possibilità del genere. » risposi, rivolta ai lacci delle mie scarpe.
Lui mi squadrò, e con una scrollata di spalle riprese da dove lo avevo interrotto. Evidentemente, non si era aspettato una risposta da parte mia.
«  Ci ho provato in tutti i modi ad avvertirti. Te l’avevo detto che quello non è un ragazzo adatto a te. Saresti potuta uscire con chiunque altro, non avrei certo detto niente. Ma lui. »
Strinsi i pugni. Non aveva niente di meglio da fare? Per tutte le mutande a fiorellini di Ares! Lo sapevo che non sarebbe durata. Non sono così stupida.
« Hum, hum. » iniziai a giocherellare con il mio anello di latta ( un regalo di Earine quando avevamo tredici anni ).
Iniziai a sperare con tutta me stessa che Poseidone finisse in fretta il suo discorsetto da papà preoccupato e mi lasciasse in pace. Non ne potevo più.
Già era difficile fare i conti con me stessa, non avevo certo bisogno che mio padre mi rinfacciasse il resto.
« Papà, lo so, ho capito. Non avrei dovuto. Contento ora? » dissi, con più acidità di quanto avrei voluto.
Poseidone mi guardò di traverso, leggermente irritato per essere stato interrotto a metà del suo interminabile monologo.
« Ninetta » iniziò, la voce che tremava per l’irritazione. « Non credo proprio che tu abbia capito. Perciò, per favore, smettila di interrompermi e lasciami finire. »
Ah, certo. Si parla di me e non posso nemmeno intervenire!
« Beh, scusami papà, ma non ho proprio voglia di ascoltarti. Buona giornata. »
Detto questo, mi alzai e mi allontanai a grandi falcate, senza lanciarli un’occhiata di più.
 
Dei!
Come invidiavo le altre ragazze. Quelle normali.
Niente fidanzato ( ex, fidanzato, se proprio bisognava essere sinceri ) divino, niente padre che potrebbe trasformare entrambi in calamari … ah, chissà che pacchia!
Dopo una ventina di minuti di cammino sempre più frustrato, mi ritrovai nel campo degli allenamenti.
Odiavo quel posto.
Oltre alla frustrazione per il discorsetto senza né capo né coda di mio padre e quello che era successo qualche giorno prima ( una sconosciuta spuntata dal nulla arriva e mi frega il ragazzo sotto gli occhi, niente di che ), si aggiunse anche il mio odio istintivo verso qualsiasi strumento per il movimento fisico. Che, in un giorno normale sarebbe stato quasi nullo, ma in quel momento anche la minima cosa mi faceva andare su tutte le furie.
Dannazione!
Strinsi i pugni fino a far diventare bianche le nocche, mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi.
Se solo ripensavo a l’altro giorno, agli occhi adoranti di Apollo mentre guardava Stella …
Camminando senza quasi vedere dove mettevo i piedi, immaginai una morte lenta e dolorosa per entrambi.
Magari far indossare un tutù di pailettes rosa confetto ad Apollo, con tanto di capelli tinti dello stesso colore. Magari anche una con bella canzoncina di Čajkovskij
 in sottofondo.E per Stellina, magari potr-
Riuscii a malapena a completare il pensiero, che inciampai in un borsone da ginnastica e rotolai a terra, sbattendo la schiena.
« Ehi, tutto bene, sorella? »
Mi rialzai faticosamente sui gomiti, e misi lentamente a fuoco il volto di chi aveva parlato.
Era il ragazzo dell’altro giorno, di cui non ricordavo il nome. Fred, Frissy, Frey … qualcosa del genere.
I capelli biondi, ricci, gli incorniciavano il volto leggermente appuntito, e un sorriso scaltro si era dipinto sul suo volto.
« No, non sto per niente bene, ma vabbè. » risposi, rialzandomi in piedi a fatica spolverandomi i jeans.
Lui sorrise e mi porse la mano.
« Scusa, sorella, non avrei dovuto lasciare il mio borsone in mezzo alla strada. Comunque, io sono Freddie Wilson, ya. »
Abbozzai un sorriso e gli strinsi la mano.
« Forse avrei dovuto stare più attenta a dove metto i piedi. Io sono Nina Armstrong. »
Con il sorriso sempre più evidente sul volto appena abbronzato, Freddie lasciò la mia mano e si chinò per prendere il borsone.
« Scusa ancora. Ecco, meglio spostarlo, prima che qualcun altro si materializzi per inciamparci. » si incamminò verso uno strano aggeggio per i pesi e lanciò la borsa poco più in là.
Annuii, non sapendo bene cos’altro fare.
Mentre Freddie spostava il borsone, misi le mani nelle tasche e iniziai a dondolarmi sui talloni.
E ora? Che si fa?
« Yo, sorella, ti va di allenarti con me? » mi chiese.
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia. Io. Allenarmi. Di mia spontanea volontà?
Solo quando gli asini voleranno e Zeus diventerà un marito fedele.
« Hum,no grazie. A proposito, perché mi chiami sorella? Che io sappia, non sei un figlio di Poseidone. »
Lui scoppiò a ridere, avviandosi verso il centro del campo.
Lo seguii, tanto per fare qualcosa. Sembrava simpatico, quel ragazzo.
« Io chiamo tutti sorella, fratello, zio, zia, cugino! » disse, sorridendo e pronunciando l’ultima parola con una voce da bambino.
Io lo guardai inarcando il sopracciglio, e lui rise di gusto.
« Dai, sorella, non mi dire che non hai mai visto Lilo&Stich! »
Lilo e cosa?
« Mai sentiti nominare. »
Lui scosse la testa, come se gli avessi appena detto che l’Empire State Building si trovava a Parigi.
Per un po’ rimanemmo in silenzio, lui che si allenava, io che lo guardavo, seduta per terra, giocherellando di tanto in tanto con qualche filo d’erba.
« Ehi, sorella, posso farti una domanda? Non per essere indiscreto, ma sei tu la figlia di Poseidone, quella che usciva con il dio del Sole? »
Rimasi per un secondo pietrificata, indecisa se alzarmi e andarmene o pestarlo a sangue.
Poi scrollai le spalle, e risposi.
« Si, ero io, fratello. » pronunciare ad alta voce quelle parole mi fece male.
Forse perché avevo sperato che finché non lo avessi accettato, non si sarebbe completamente realizzato.
« Ah. »
Questo fu il profondo e confortante commento del figlio di Ermes.
Scrollai per l’ennesima volta le spalle e feci un gesto con la mano, per dirgli di lasciar perdere.
Non era un argomento di cui amavo parlare.
Lui continuò ad allenarsi, senza aggiungere altro.
Fu proprio in quel momento in cui la giornata, se possibile, peggiorò ancora.
 
 
PoV Apollo.
 

Quel giorno, era andato peggio del solito.
Quella polipa insopportabile di Stella non mi aveva lasciato da solo un attimo.
Ero appena tornato dal mio giro intorno al mondo con la mia Supermacchina, quando quell’essere disgustoso si era presentato davanti a casa mia e si era avvinghiata al mio braccio.
Dei!
Possibile che non riuscisse a capire quanto era insopportabile?
L’avrei volentieri scaraventata giù dall’Olimpo, ma dopo mio padre mi avrebbe come minimo appeso a testa in giù sopra al Tartaro. Tenendomi con una corda seghettata che casualmente si sarebbe staccata.
Era pomeriggio inoltrato, e stavo passeggiando per l’Olimpo con quella polipa attaccata al braccio, che parlava e parlava di cose più o meno futili.
« Stella, non me ne potrebbe importare di meno del fatto che hai comprato cinque paia di magliette durante il tuo viaggio a Roma. » borbottai, dopo un’interminabile lista di cosa si era comprata, cosa aveva scartato, cosa aveva visto nella capitale d’Italia.
Probabilmente, se io fossi stato al posto di Stella e Nina al posto mio, la mia adorata ragazza mi avrebbe pestato a sangue.
Ah, Ninetta.
Da quando Stella era arrivata, tutto si era complicato.
Come se prima fosse facile stare con la figlia di Poseidone.
Provai a scostarmi l’appiccicume vivente dal braccio, ma niente.
Aveva una presa di ferro quella ragazza, purtroppo per me.
Perché si era dovuta innamorare di me?
Okay che sono il dio più figo, bello, fantastico, dolce, sensazionale, meraviglioso, supercalifragilistichespiralidoso, romantico e sensuale di tutti, ma questo non faceva di me un porta-Stelle.
Aveva scelto un pessimo momento per tornare, quella ragazza.
Per Zeus,voglio dire, era sparita per più di un secolo, e proprio cinque giorni fa doveva tornare?  
« Apollo, tesoro, vuoi ascoltarmi? Sei un po’ distratto ultimamente. » mi disse quella.
« Sono troppo occupato ad ammirare la tua bellezza per prestare ascolto alle tue soavi parole. » e a immaginarti cadere giù dall’Olimpo, ma l’ultima parte non la dissi.
Meglio tenermela buona. Ricordavo perfettamente cos’aveva fatto l’ultima volta.
O meglio, ricordavo cosa mi aveva fatto il nostro caro paparino.
Stella era sempre stata la sua figlia preferita, purtroppo per me.
Talmente preferita da concederle l’onore ( ma solo per lei ) di diventare Araldo degli Dei e acquisire l’immortalità.
Peccato.
Dopo un po’ di tempo, arrivammo al campo degli allenamenti, quello che usavano alcuni semidei per allenarsi.
E l’unico posto che Nina odiava di tutto l’Olimpo.
Quel pensiero mi fece sorridere. Probabilmente la mia amata semidea stava poltrendo sul divano, a mille kilometri da lì.
Quando io e Stella oltrepassammo un enorme albero, fui costretto, con mio grande sgomento, a ricredermi.
Nina era lì. Lì lì lì lì. Proprio lì.
Era seduta sull’erba e mi dava la schiena.
Il mio volto assunse una sfumatura rossastra ( no, non era gelosia, assolutamente … okay, forse lo ero appena un po’ ) quando notai che stava parlando con un ragazzo.
Dovevo averlo già visto da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare dove.
Boh, non ero mai stato particolarmente interessato agli altri ragazzi.
Era l’altro sesso quello che riceveva tutta la mia attenzione.
Il tipo era biondo, con i capelli biondi e ricci.
Sorrideva in modo alquanto fastidioso mentre parlava con la mia Nina.
Tzk.
« Guarda un po’ chi c’è qui. » sussurrò Stella.
Allarmato, mi voltai verso di lei, pronto a incenerirla in caso di necessità.
Cos’aveva in mente di fare quella polipa?
Doveva solo provare a toccare Nina e l’avrei ridotta in cenere.
La mia Nina non si toccava.
Stella Hope mi lasciò il braccio e si diresse a grandi falcate verso di lei, chiamandola.
Quando Ninetta si voltò, rimasi impietrito.
I suoi grandi occhi viola acceso erano più apatici. Più tristi.
Ci rimasi veramente male, quando compresi che la colpa era mia.
Non avrei dovuto lasciarla così, ma cos’altro potevo fare?
Forse Poseidone aveva ragione. Non la meritavo proprio.
Lei si alzò in piedi e ci squadrò dall’alto al basso.
Il suo amico le si avvicinò, guardandoci incuriosito, forse troppo idiota per capire veramente quello che stava succedendo.
Quando finalmente quel suo stupido cervellino lo comprese, mi lanciò un’occhiataccia.
Dico, un’occhiataccia a me!
Prima che potessi fare altro, Stella si rivolse a Nina.
« Ciao, tesorino. Come stai? » che tono viscido che aveva, quella ragazza. Viscido come lei. Bleah.
Ninetta la ignorò completamente, continuando a guardarmi dritto negli occhi.
Non avevo mai provato così tanto interesse in quel sassolino accanto ai miei piedi, prima d’ora.
 
 
PoV Nina.
 

Li guardai entrambi. O meglio, li fulminai entrambi.
Che cosa ci facevano lì? Perché, perché con tutto l’Olimpo a disposizione, dovevano venire per forza dove stavo io?
L’Olimpo era abbastanza grande per tutti, senza che fossi costretta a vedere le loro facce.
« Ciao, Stellina cara. » dissi, voltandomi verso di lei e incrociando le braccia al petto.
No, non avrei pianto. Non avrei nemmeno fatto nessuna scenata. Non avrei fatto vedere loro quando soffrivo a vederli insieme.
La figlia di Zeus mi fece uno di quei disgustosi e zuccherosi sorrisi che le riuscivano tanto bene.
Io per poco non vomitai.
« Niineeetta! »
Ecco, mancava solo lei, ed eravamo a posto. Sophie.
Arrivò saltellando al centro del campo, ignorando Apollo e Stella e fermandosi accanto a me.
« Ninetta, ti ho cercato ovuuunque. »
« Bene, ora mi hai trovata, contenta? » borbottai, continuando a guardare con astio crescente Stella, che nel frattempo si era riavvicinata ad Apollo e si era avvinghiata al braccio di quest’ultimo.
Sophie li guardò male, poi mi si avvicinò all’orecchio.
« Se vuoi, io posso immobilizzare Stella mentre tu la meni. » sussurrò, sorridendo.
Io la guardai stupita. Però.
Freddie, nel frattempo, non aveva staccato gli occhi dalla nuova arrivata.
Se la stava letteralmente mangiando con gli occhi.
E Sophie lo stesso.
Oh no, vi prego, una coppietta felice proprio in quel momento era l’ultima cosa che mi serviva.
Ci mancavano solo Earine e Jason che amoreggiavano in un angolo e stavo a posto.
« O beh, Ninetta, noi togliamo il disturbo. » mi urlò Stella, dall’altra parte del campo.
Detto questo, fece una cosa che mi mandò in bestia. L’unica cosa che poteva veramente farmi scoppiare a piangere davanti a tutti.
Baciò Apollo.
 
 
PoV Freddie.
 

Per poco non sputai tutta l’acqua che avevo appena bevuto.
La tipa insopportabile aveva appena baciato Apollo.
Lanciai un’occhiata preoccupata Nina, e la vidi tremare visibilmente, mentre stringeva i pugni. Magari stava immaginando che dentro essi ci fosse la testa di Stella.
« Ehm, sorella, tutto bene? » azzardai, sperando che non mi facesse a pezzettini per aver anche solo osato rivolgerle la parola in un momento del genere.
La sua amica bionda – e che amica bionda! – le poggiò una mano sulla spalla.
« Nì, lascia stare. Andiamo, forza. »
Ma la figlia di Poseidone non la sentì nemmeno.
Sempre più stupito, la vidi scostare la mano e dirigersi verso il dio e la tipetta, con gli occhi che mandavano lampi. E che, con ogni probabilità, avevano assunto una sfumatura scarlatta.
« Uh, eh, Nina … » iniziai, ma le parole mi morirono in bocca.
La ragazza aveva appena tirato uno schiaffo in piena faccia ad Apollo.
Ad Apollo. Non a Stella.
Erano tutti stupiti quanto me.
Apollo anche di più.
Guardava Nina come se fosse un’aliena, massaggiandosi stupefatto con la mano la guancia colpita.
Lei, in tutta risposta, gli voltò le spalle e tornò da me e la biondina.
« Su, andiamo. Non c’è più niente da fare qui. »
Non osai contraddirla, nemmeno per dirle che dovevo prendere almeno il borsone.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
« Freddie, Sophie, forza. » ripeté, trascinandoci via.
Oh, Sophie. Ecco come si chiamava quella ragazza.
















Angolo Autrice: 
Ebbene sì, non sono morta! 
Scusatemi se ho aggiornato dopo 50349502 anni, ma l'ispirazione non arrivava mai ç_____ç 
Okay, vi devo dire un pò di cose, e poi sparisco a fare i compiti ( -.- ) 
1. Ringrazio Khyhan sperando di aver scritto bene il nome, per alcune idee, che mi hanno salvato la vita :3
2. Non mi è piaciuto molto quello che ho scritto verso la fine. Troppo veloce. Però ho provato a scriverlo in cento e altri modi, ma faceva ancora più schifo. Quindi, vi beccate quest'orrore u.u 
3. Io, ho scritto una Fict originale. Cioè, più che altro, ho scritto il prologo. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche se non la inizierò fino a che Dio e Semidea non sarà finito, ovvero, fra altri due capitoli :D  il link è questo --->
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=918177&i=1

e, beh, per il momento direi che non c'è altro da dire :') 
Proverò in tutti i modi a sbrigarmi a pubblicare il prossimo capitolo. Forse, domenica prossima. Forse.

Un bacio a tutti, 

Nina.







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Capitolo 17
*** Sophie e le sue idee geniali alla conquista del mondo! ***





Sophie e le sue idee geniali alla conquista del mondo! 

 











PoV Sophie.
 





« Lalalalalalala, non ti sento! » canticchiai, con le mani premute sulle orecchie, mentre Nina inveiva contro di me, fuori di sé dalla rabbia.
Come era esagerata quella ragazza! In fondo, avevo solamente distrutto per sbaglio una foto sua e di Apollo. E per sbaglio, quella foto era anche finita in una pozzanghera.
Ma ovviamente, era tutto un grosso sbaglio.
Okay, okay, va bene, lo ammetto: l’ho fatto apposta. Oh, insomma, quella ragazza doveva dimenticarsi di Apollo, ad ogni costo!
Ed io, in quanto figlia della dea dell’Amore, mi ero assunta la responsabilità di questa penosa missione.
Penosa per me, ovviamente.
Nina mi rincorse per tutta la casa come una furia, senza capire che l’avevo fatto per lei.
Ah, i giovani d’oggi!

Meglio se mi sto zitta.
« Sophieeeeeeeee! Ti uccido! Ti trucido! Ti … »
« Trasformo in un mollusco e ti faccio mangiare da Nessie, il mostro di Lock Ness? » completai per lei, risparmiandole la fatica di continuare con le sue minacce.
« Esatto. » mi rispose, fermandosi in mezzo alla stanza per riprendere fiato.
Uff, la figlia di Poseidone era giovane fuori e vecchia dentro. Altro che Benjamin Button.
Scrollai le spalle e mi avvicinai, sventolando una maglietta bianca trovata per caso a mo’ di bandiera.
« Giungo in pace, Miss Maremoto! » esclamai ridendo.
Lei, per tutta risposta mi fulminò.
Uno, due, tre …
« COME HAI OSATO, RAZZA DI BARBIE?! » urlò Nina, al culmine della rabbia.
Bene, forse rovinare la foto non era stato il primo passo più adatto al mio piano.
Peccato. Ci avevo messo così tanto impegno a rubarla dal guanciale di Nina!
Dlin dlon.
Il campanello della porta mi salvò dall’ennesima sfuriata di Occhi Viola, che ultimamente aveva preso la brutta abitudine di usarmi come punching-ball.
Nina mi fulminò e poi si affrettò ad aprire.
Sulla soglia della porta apparve un Freddie piuttosto imbarazzato.
Awwww, Freddie.
Il ragazzo si grattò la testa, imbarazzato. Dei, com’era dolce!
« Ehm, ciao Nina! Cercavo, ehm, Sophie. » borbottò, messo a disagio dagli occhi assassini della ragazza.
Lei mi indicò con un cenno del capo e sorrisi, avvicinandomi con molta nonchalance.
« Ciao, Freddie. » dissi, spostando i capelli dietro la schiena con un gesto distratto. Apparentemente, distratto.
Il figlio di Ermes divenne ancora più rosso, e si passò una mano tra i capelli, a disagio.
Lanciai un’occhiata a Nina, che era sul punto di esplodere, e decisi che era meglio sparire dalla sua vista per un po’.
Più velocemente che potei presi Freddie per mano e lo trascinai lontano dalla casa, correndo.
« Uff, ehm, Soph… » iniziò lui, quando mi fermai in una radura, a distanza di sicurezza dalla casa di Nina e da ogni possibile fonte d’acqua.
Voi non avete mai visto Nina arrabbiata, perciò non potrete mai capire cosa vuol dire trovarsi nel suo raggio d’azione.
« Siiiiiii? » trillai, stringendolo per un braccio con un sorriso angelico stampato in volto.
« Ecco, volevo dirti che … » iniziò il bellissimo figlio di Ermes, ma io lo interruppi prima che potesse pronunciare un’altra parola.
« Shhhh. » sibilai, portandomi un dito sulla bocca.
Lui mi guardò, interrogativo, ma lo ignorai e drizzai le orecchie.
Avevo sentito una voce provenire da poco lontano.
Una voce che assomigliava disgustosamente a quella di Stella Hope.
Presi Freddie per mano e lo trascinai verso un cespuglio, poco più in là.
Da quella posizione, vidi chiaramente Stella Hope che parlava concitatamente con un ragazzo dai riccioli castani, di una bellezza abbagliante.
Non mi serviva un libro di Mitologia per capire chi fosse. Eros.
Perché quella corpivendola di una Hope parlava con mio fratello?
Freddie fece per protestare, ma io lo bloccai, intimandogli di tacere. Volevo ascoltare la loro conversazione a tutti i costi.
« Allora, Asterì, Stella mia, come sta andando il tuo piano di vendetta? » chiese Eros a Stella.
Stellina mia?! La cosa iniziava a farsi intrigante.
« Procede alla perfezione. Ormai sono decisamente vicina al traguardo, amore mio. » rispose la Sua Stellina.
Amore mio?! Questo era pane per i miei denti di figlia di Afrodite!
Freddie mi lanciò uno sguardo sbigottito.
Dovevo assolutamente ascoltare il resto.
« Tra poco Apollo e quella piccola semidea si diranno definitivamente addio. E io farò capire a quell’idiota di un dio del Sole cosa vuol dire venire scaricati dalla persona che si ama! » esclamò Stella, alzando i pugni al cielo.
Eros sorrise.
Io, invece, ghignai. Idea luminosa.
Feci cenno a Freddie di andarcene. Avevo sentito tutto quello di cui avevo bisogno, per il momento.
Lui mi prese per mano e facendo il meno rumore possibile ci allontanammo.
Quando fummo sicuri di essere fuori dalla portata d’orecchio di Stella, ci fermammo.
« Ma hai sentito? » esclamò lui, stupito quanto me.
Annuii, pensando rapidamente a un piano. Dovevo dirlo a Nina, sissignore.
Però, non potevo certo andare a dirglielo da sola.
Come minimo mi avrebbe staccato la testa, giusto per allenarsi.
Mi serviva un aiuto. Ma chi …
Earine.
A sua sorella maggiore Ninetta avrebbe scuramente prestato ascolto!
Sfregai le mani, impaziente di iniziare con l’Operazione Salvataggio Matrimonio!
Titolo non molto originale, lo so, ma mica avevo tempo di mettermi a cercare un nome adatto!
« Freddie, vai da Jason e spiegagli tutta la situazione. Non mi interessa se non vi siete mai visti! Dobbiamo salvare la coppia del secolo! È mio dov - … ehm, nostro dovere, nostro. » ordinai, cacciandolo letteralmente via.
Avremmo ripreso la nostra conversazione romantica più in là.
Corsi a perdifiato verso la casa di Earine.
Dovevo assolutamente sbrigarmi, quel triangolo amoroso era durato fin troppo per i miei gusti.
Era giunto il momento di mettere la frase “Happy End”.
E no, l’Happy End non sarebbe certo stato per Stella Stellina La Notte Si Avvicina!
Arrivata davanti alla casa, iniziai a tempestare la porta di colpi.
Dopo dieci minuti buoni, un’assonnata Earine mi aprì la porta.
« Si può sapere perché stai ancora dormendo? Dobbiamo metterci in moto, ora, subito, IN QUESTO PRECISO ISTANTE! » gridai, in preda alla frustrazione.
Per una figlia di Afrodite le questioni di cuore erano una questione di vita o di morte.
Lei mi fissò a metà tra l’incuriosito e l’irritato.
Sbuffai, spiegandole la faccenda a grandi linee.
« Mi cambio. » fu il suo unico, laconico, commento.
Meno di venti minuti dopo, stavo nuovamente correndo a rotta di collo per l’Olimpo.
Stava diventando una brutta abitudine, purtroppo.
Quando arrivammo, ansanti, per poco non svenni sul portico.
Dei, tutto quell’esercizio fisico non faceva certo per me!
Sbuffando, aprii la porta con un calcio.
« Nina, » iniziò Earine. « Dobbiamo assolutamente parlarti. »
« Non vi voglio ascoltare. Andate via. » rispose un sospetto involucro di coperte.
« Ah no, bella di casa! Tu ora mi ascolti, che lo voglia o no! » esclamai, saltando sul suo letto e strappandole le coperte di dosso.
Per dirle quella cosa mi ero fatta mezzo Olimpo di corsa, e ora non avrebbe mandato in fumo il mio intero piano solo perché era depressa!
Nina sbuffò, dimenandosi.
« Senti un po’, Mademoiselle Nina, ora mi ascolti per bene! » urlai, frustrata.
Lei e Earine mi fissarono come fossi matta, ma vabbè.
Con un respiro profondo, iniziai a raccontare a Nina tutto ciò che avevo visto.
Lei mi ascoltò attentamente, senza lasciarsi sfuggire neanche una frase.
Poi, quando ebbi finito, la guardai, in silenzio e in attesa.
Lei mi guardò.
Earine ci guardò.
Nina scoppiò a ridere.
Un momento: ridere?
« Nina, si può sapere cosa diavolo ti ridi? » sbottò Earine. Possibile che Miss Maremoto non comprendesse la gravità della situazione?
« Perché è ovvio che lo dite solo per farmi sentire meglio. Tanto lo so che Apollo la ama, e lei ama lui. Non c’è nient’altro da fare. » Nina abbassò lo sguardo, triste e rassegnato, smettendo subito di ridere.
La guardai, stupita.
« Ninetta, ma tu non puoi arrenderti proprio adesso! Non dopo tutto quello che hai passato! » urlai, alzandomi in piedi.
Per me le questioni d’amore erano la cosa più importante del mondo. Come poteva non capirlo?!
« Appunto, Sophie. Ne ho passate fin troppe, io. » rispose, triste.
« Ma, ma, ma … » provai a ribattere, ma la sua espressione infinitamente demoralizzata me lo proibì.
In compenso, mi venne in mente l’unica alternativa possibile.
« Ok. Ti lasciamo in pace, Nì. » dissi, prendendo Earine per un braccio, che stava consolando Nina.
Lei mi fissò come fossi pazza ( di nuovo. Possibile che nessuno si fida mai dei miei piani geniali che finiscono sempre per salvare il mondo? Bah. ), ma si fece trascinare fuori dalla porta.
Poi, ovviamente, si impuntò.
« Ora mi spieghi cos’hai in mente, Zucchero Filato? »
« Tralasciando il fatto che mi hai chiamata Zucchero Filato, ho intenzione di parlarne con il diretto interessato. Oh sì. » risposi, sorridendo malvagiamente.
Lei mi fece l’occhiolino e mi prese sottobraccio, incamminandosi insieme a me verso l’unico posto in cui potevamo trovare il diretto interessato.
La piazza della Musica.
 
 
 




 
PoV Earine.
 
 



Lo trovammo lì, intento a farsi bello davanti alle Muse.
Apollo, con i capelli biondi che sembravano fatti di raggi di sole ( esibizionista ), suonava tranquillo la lira, con indosso uno stranissimo gonnellino che all’epoca dell’antica Grecia doveva andare molto di moda, ma ora era altamente ridicolo.
Lanciai un’occhiata a Sophie, che mi seguì con un cenno d’assenso.
Marciai verso il dio del Sole con la faccia più da Sorella Incavolata che riuscivo a fare.
E a giudicare dall’occhiata che mi lanciavano le Muse, dovevo esserci riuscita piuttosto bene.
« Senti un po’, dio del Sole da strapazzo! » inveii, decisa a strapazzarlo un po’ prima di rivelargli ciò che sapevamo riguardo a Stella Stellina la Notte si Avvicina.
Lui alzò gli occhi e mi fissò sorpreso, come a chiedersi chi poteva osare chiamarlo ‘dio da strapazzo’.
« Ah. Ciao … e tu saresti? » mi domandò, con fare annoiato.
Brutto …
Per sua fortuna, Sophie mi strinse il braccio, impedendomi di ucciderlo a suon di cazzotti.
« Io sono Earine. Sai, la sorella di una certa Nina, non so se la conosci. » sbottai, irritata.
Ancora non riuscivo a capire cosa ci trovasse Nina in un tipo come quello.
Miei dei!
Lui sembrò illuminarsi al solo sentire il nome di mia sorella.
Mi dovetti trattenere parecchio per non pestarlo a sangue.
« Nina … come sta? » mi chiese, preoccupato.
Io lo fulminai con lo sguardo.
« Come vuoi che stia?! Da schifo. E vediamo un po’, di chi è la colpa? » borbottai, mantenendo tutta la mia calma residua per non urlare come una posseduta per la piazza.
Lui abbassò gli occhi, per poi tornare a concentrarsi sulla sua lira.
Decisi che prima o poi l’avrei menato. E ‘sti cavoli che lui era un dio!
Avrei chiamato mio padre a darmi man forte. Oh sì.
« Ah. » fu il suo unico commento.
Sophie mi lanciò un’occhiata nervosa, evidentemente chiedendosi quanto ancora dovevo andare avanti con la pagliacciata della sorella incavolata.
Mi dispiacque per lei, ma ne avevo ancora per parecchio.
« ‘Ah’ è tutto quello che dici al riguardo? Però, i miei complimenti. Se li sceglie bene i fidanzati mia sorella. » sbottai, velenosa, incrociando le braccia.
Probabilmente se avesse potuto mi avrebbe trasformata in un rospo, ma non avrebbe mai osato mettersi Poseidone ancora più contro.
O almeno, speravo.
« Sparisci, semidea. Già devo sottostare alle ramanzine di mia sorella. » borbottò lui, più alla sua lira che a me.
Oh, almeno uno dei due gemelli divini con un po’ di sale in zucca!
« Ora basta, Earine. Andiamo dritte al sodo, o davvero questo ci trasforma in zanzare. » mi sussurrò Sophie.
Con una scrollata di spalle, capitolai, e mi parai davanti ad Apollo, nuovamente, con le braccia incrociate.
« Prima dobbiamo dirti una cosa importante, riguardo a Stella Hope. »
Lui fece una smorfia, come se il nome ‘Stella Hope’ fosse un sinonimo di ‘Orrore Profondo’.
Probabilmente aveva ragione.
« Ditemi. Poi, però, sparite. » sbottò.
Sophie prese un respiro profondo e, per la terza volta in meno di due ore, raccontò per filo e per segno della conversazione tra Stella ed Eros.
« Stamattina, mentre camminavo per un boschetto poco distante casa di Nina, ho visto Stella parlare con un ragazzo, ovvero mio fratello, Eros. »
Al solo sentire quel nome, Apollo strinse i pugni e serrò la mascella, pensando probabilmente a una bella e dolorosa morte per l’odiato rivale.
« L’ha chiamata, non so, Eldunarì, Tortinì … » continuò Sophie, grattandosi la testa cercando di ricordare il nome.
« Asterì. Vuol dire ‘stella’ in miceneo. » la corresse Apollo, alzando un dito con fare saccente. »
Mi trattenni a stento dal tirargli un calcio lì dove non batte il sole.
« Sì, quella roba là. Insomma, poi l’ha chiamata Amore mio, e insieme hanno parlato di un nonsoquale losco e contorto piano per vendicarsi di … te. » concluse lei, tirando un sospro.
Apollo ci fissava sempre più stupito.
Alla fine disse solo: « E’ la verità? »
Sophie annuì.
Poi, il dio del sole fece la cosa più impensabile di tutte.
Saltò in piedi e iniziò a battere le mani, tutto contento.
Lo guardai, tentando nel frattempo di ricordare il numero del manicomio più vicino, anche se il fatto di essere sull’Olimpo complicava un po’ le cose.
« Ah! Lo sapevo, io! E papà che non voleva credermi, Tzè! »
Io e Sophie annuimmo, sorridendo.
Di cosa diavolo stava blaterando?
Probabilmente si accorse dei nostri sguardi incuriositi ( e preoccupati per la sua sanità mentale, tra l’altro ) e ci fece segno di seguirlo fuori dalla piazza.
Dopo una trentina di minuti, un megalomane vestito con solo un kilt bianco panna, una biondina che sembrava un confetto e la sottoscritta, unica persona normale del gruppo, stavano mettendo a punto un piano per cancellare Stella Hope dalla faccia della terra.
E possibilmente anche dell’Olimpo.
« C’è una sola cosa che farebbe più male a Stella di tutte le altre: essere messa in imbarazzo di fronte a tutti gli Dèi. » iniziò Apollo, guardandoci.
Buono a sapersi.
« Io avrei un’idea … » iniziò Sophie, unendo le dita dietro la schiena e facendo un saltello indietro.
Io e Apollo la guardammo, in attesa.
« Allora, » iniziò lei. « Stella ed Eros sono innamorati, giusto? Ma tu non la ami, perché ami Nina …. Giusto? » la figlia di Afrodite sottolineò particolarmente l’ultimo giusto.
Apollo annuì, mentre io la fissavo senza riuscire a capire dove volesse andare a parare.
« E allora, la cosa è semplice! Tu, Apollo, convocherai una riunione degli dèi, dove dirai che vuoi sposare Stella! Eros, essendo il dio dell’amore e delle passioni, probabilmente darà in escandescenza, rivelando tutto il piano. E vissero per sempre tutti felici e contenti! » terminò, battendo le mani, tutta contenta.
« C’è un solo piccolo dettaglio: Nina. » osservai.
Sophie sbatté le palpebre, poi sbuffò.
« A tenere buona Ninetta ci penserai tu, Earine! Sei o non sei sua sorella? »
Ah, certo! Tanto toccava sempre a me il lavoro peggiore. Tzk.
Apollo, intanto, sembrava caduto in una sottospecie di trance dalla quale sembrava non voler più risalire.
« Yu-huu! Apollo? Ci sei? » dissi, scrollandolo per le spalle.
Lui sembrò riaversi per un attimo.
« Eh? Si, certo. Stavo solo pensando … » scosse la testa, evitando di renderci partecipi ai suoi pensieri contorti.
Poi, ripensandoci, si sedette.
« Forse è il caso che vi racconti perché Stella mi odia. Così potrete dirlo a Nina, dal momento che non mi vuole parlare. » iniziò lui.
Io e Sophie ci guardammo, sedendoci immediatamente accanto a lui.
Una storia del genere non potevamo certo lasciarcela scappare!
« Ma prima, è il caso di cominciare dalla storia della sua vita. Stella ha … beh, parecchi anni. È nata nel 950 a.C. quando compì vent’anni, Zeus, nostro padre, le offrì di diventare araldo degli Dèi. E quel giorno, iniziò la mia rovina. » terminò, in tono amareggiato.
Chissà cos’aveva combinato quella tipa in, uhm, quasi tremila anni!
« Fammi indovinare, si è innamorata di te. » disse Sophie, con fare sapiente.
Lui annuì e continuò: « In realtà, lei accettò solo perché era segretamente innamorata di me, o almeno, così mi ha detto Afrodite. Solo, all’inizio nemmeno la guardavo. Insomma, si, era carina, ma all’epoca le ninfe erano molto meglio! » tossì « insomma, dicevo … dopo un qualche centinaio d’anni, ci mettemmo insieme, perché mi ero scoperto innamorato di lei, o almeno, così credevo. Ma, ovviamente, alla prima ninfa la scaricai. Da quel giorno, Stella si autoproclamò la mia ombra. Mi seguiva ovunque andavo, non mi lasciava da solo un momento. Passarono così i millenni, con questo ininterrotto tira e molla. Solo nel medioevo restammo insieme per più di un secolo, cosa che mi convinse di amarla per davvero. Proprio quando iniziavo a sentirmi veramente felice, lei mi tradì con un comune mortale. » disse ‘comune mortale’ come chiunque direbbe ‘spazzatura’. « Da allora non ci parlammo più, finché mio padre non decise di richiamarla qui sull’Olimpo, qualche tempo fa. » terminò, sconsolato.
Che razza di storia complicata!
« E dimmi, Apollo, io cosa dovrei riferire a Nina dopo tutto questo miscuglio di roba? » domandai, gelida.
« Che non ho mai amato nessuna come amo lei. E che Stella pagherà per averci separati, parola di Dio del Sole. » 

















Angolo Autrice: 
Oh. non ho parole per questo coso!
Fa schifo, lo so.
E' corto, lo so.
MANCA UN SOLO CAPITOLO, LO SO! *Balla la conga.* 
No, sul serio, mi serviva un capitolo di "slancio" per il prossimo, che, vi avverto, riempirò di miele e sdolcinatezze varie :') 
Forse scenderà anche qualche lacrima ai nostri cari personaggi, sìsì. 
Volevo ringraziare Viola, ovvero Khyhan, per il supporto e il "sopporto", visto che c'è sempre quando ho una crisi artistica :D 
Ti voglio bene, chica!
Pensavo di fare anche un Epilogo dove parlerò un po' di quello che succedera' dopo, se non addirittura un diciannovesimo cap- NO! 
Il diciottesimo capitolo + epilogo e basta :')
Penso di aver torturato abbastanza sia voi lettori che i personaggi :3 
Grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono o, semplicemente, aprono la pagina del primo capitolo e la richiudono e non leggeranno mai quest'inutile ringraziamento :') 
Grazie, grazie, grazie!
Al prossimo [ e ultimo ] capitolo! 

Madamoiselle Nina. 


Ps. Per chi di voi non lo sapesse, ho iniziato una nuova originale, e ormai sono al capitolo 5 ... mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=918177&i=1

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Capitolo 18
*** Until the very end. ***


LALALAALALA, occhi a me un secondo! (?) volevo avvertirvi che questo capitolo sarà scritto in terza persona ... non so esattamente il perché '^' 
Detto questo ... BUONA LETTURA :D





Diciottesimo Capitolo:   Until the very end. 

 











Ed il giorno della verità arrivò.
Quel giorno, successero molte cose: alcune trovarono la loro fine, altre, il loro inizio.

 
Quando Nina si svegliò, trovò la sua stanza inondata dalla luce del sole.
Sole … pensò amaramente la figlia di Poseidone.
Si alzò scalciando le coperte e lentamente si avviò verso il bagno, sicura che quel giorno non sarebbe stato poi così diverso dai ventinove precedenti.
Nina ancora non lo sapeva, ma si sbagliava di tutto.
Quel giorno, ogni cosa sarebbe cambiata, nel bene o nel male.
Si fece una doccia veloce e indossò i primi vestiti che le capitarono sotto mano.
« E quelli cosa sarebbero, esattamente?! » esclamò indignata Sophie, vedendola uscire dal bagno con indosso un paio di leggins verde muschio e un pullover grigio riempito di renne sorridenti.
Nina dovette ammettere che Sophie aveva ragione: quelle renne erano veramente ridicole.
« Tanto non avevo la minima intenzione di uscire, oggi. » rispose con noncuranza, prendendo un libro a caso dal mobile lì accanto. Fece una smorfia nel leggere il titolo: Twilight.
« Penso che questo sia tuo, Soph. » brontolò, lanciando il libro verso la biondina e prendendone un altro.
Sophie la guardò con occhi sgranati, e Nina si preparò all’ennesima inutile sfuriata.
« Che diavolo stai facendo?! Non puoi rimanere chiusa tutto il giorno qua dentro, Ninetta! » esclamò infatti la figlia di Afrodite.
« Non sono dell’umore giusto per uscire, okay? »
« Tu non sei mai dell’umore giusto per fare niente, cara la mia mollusca! A parte mangiare, dormire e leggere, s’intende. » borbottò Sophie, lanciandosi sul letto e guardandola pensierosa.
Nina, per tutta risposta, scrollò le spalle e si accoccolò sul letto, pronta ad iniziare il nuovo libro.
Ma, evidentemente, Sophie non aveva la minima intenzione di lasciarglielo fare.
« Che ne dici di andare in giro per l’Olimpo? E per Olimpo non intendo la distesa di prati verdi, intendo la città, dove c’è qualche anima viva. » buttò lì, con apparente noncuranza.
Molto, apparente.
Sophie aveva un piano preciso, anche se Nina non poteva neanche lontanamente immaginarlo.
« Dove vuoi andare? No grazie. » sbuffò la diretta interessata, senza neanche alzare gli occhi dal libro.
Sophie sospirò. Sarebbe stato un lungo e sporco lavoro farla uscire da quella dannata camera.    
« Eddai, tipregotipregotiprego! Se oggi esci con me, ti prometto che ti lascerò in pace per il resto della settimana! »
« No. »
« Ti lavo i vestiti! »
« Nah. »
« … Brucio la mia copia di Twilight? »
« E’ un’idea … ma no. »
« Indosso il tuo pullover con le renne per uscire con Freddie! »
« Già so che non lo farai, e la mia risposta è sempre NO. »
« Oh, eddai! Lo sai che tra mezz’ora ho un appuntamento in città con Freddie, Jason e Earine? Non vuoi neanche più vedere i tuoi amici? » tentò nuovamente Sophie, esasperata dalla cocciutaggine di Nina.
La figlia di Poseidone tentennò per un istante. Era da così tanto tempo che non vedeva gli altri semidei …
« E va bene, andiamo! » capitolò infine, sicura che se ne sarebbe pentita alla grande.
Sophie balzò in piedi sorridendo e batté le mani, contenta.
« Ottimo! Allora chiudi quel libro e togliti quel maglioncino con le renne, o te lo strappo di dosso. » esclamò, lanciandole una normalissima maglietta nera.
Nina abbozzò un sorriso e si liberò in fretta e furia del pullover. Peccato, le ricordava il natale, la sua festa preferita.
Venti minuti dopo, le due semidee correvano a perdifiato verso la città.
« Corri, Nina, corri! » urlò Sophie, mulinando le braccia come un buffo uccello rosa shocking.
« Ma … uff … perché tutta … uh … questa fretta? » soffiò Nina, ansimando.
Aveva sempre odiato correre.
E farlo con gli stivali a tacco alto che le aveva prestato Sophie non rendeva certo il tutto più gradevole.
La bionda figlia di Afrodite si limitò a fare un gesto di stizza. Non aveva la minima intenzione di rovinarle la sorpresa. Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, a fine giornata Nina avrebbe dimenticato il piccolo incidente della corsa scapicollata.
Quando finalmente giunsero nella cittadina di marmo, Nina ebbe l’impressione che qualcosa non andava.
La cittadella era stranamente silenziosa.
Niente Muse a suonare e cantare nella piazza, niente divinità minori a giocare a palla nelle vie … la città sembrava deserta, a parte qualche passante, che sembrava stranamente nervoso.
Decisa a capire cosa c’era che non andava, Nina afferrò la prima donna che le capitò accanto per il braccio.
« Scusi, ma cosa sta succedendo qui? Dove sono tutti? » domandò alla donna, senza accorgersi di Sophie, che la stava tirando per una manica.
La donna la fissò stupita.
« Ma come, non lo sapete? Il Divino Apollo deve fare un annuncio molto importante riguardo a quella … ragazza adorabile … »
Nina impallidì visibilmente, e Sophie si premette una mano sulla bocca.
« C-Che razza di a-annuncio deve fare? » balbettò la figlia di Poseidone, spiazzata.
« Ma l’annuncio di matrimonio, no? » esclamò la donna, incurante dell’effetto che avrebbero provocato queste parole.
Nina, infatti, lanciò un’occhiata impaurita a Sophie.
Poi svenne.
 
Sophie sbuffò, mentre si trascinava dietro, letteralmente, la figlia di Poseidone.
« Però, Ninetta, certo che per essere uno scricciolo pesi davvero tanto, eh? » sbuffò, mentre proseguiva per la strada di salita che l’avrebbe condotta nel posto prestabilito per “l’annuncio”.
Per le mutande a fiori di Efesto, perché Apollo non poteva scegliere un posto in pianura per annunciare il matrimonio?!  Pensò amaramente, mentre Nina non dava il minimo segno di volersi riprendere.
Sophie sperò solo che si riavesse prima del grande annuncio, o il suo piano sarebbe stato tutto altamente inutile.
« Sophie, finalmente siete arrivate! … per l’amor del cielo, che è successo a Nina?! » la voce di Earine le impedì di maledire ulteriormente Apollo e le sue sadiche idee.
« E’ … uff … svenuta, quando ha appreso la notizia. » spiegò la figlia di Afrodite, mentre l’altra semidea osservava la sorella con fare preoccupato.
« Spero che si riprenda in fretta. » brontolò, per poi aiutare Sophie a trascinarla dietro un fitto muro di alberi, dove Jason e Freddie le aspettavano, scalpitanti.
« L’avete portata? »
« Santo cielo, che le è successo? »
Sophie scrollò le spalle, senza perdere tempo a spiegare ai due ragazzi l’accaduto.
Apollo, sul capo della collina, stava iniziando a parlare.
« Ehm … Cari fratelli, sorelle, cugini, zii, nonni (che spero non siano qui presenti) e compagnia bella … » iniziò il biondo dio del sole, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
Zeus sbuffò, dall’alto del suo scranno dorato.
« Dacci un taglio, Apollo, e sbrigati a fare questa proposta alla mia adorata figliola! » tuonò, esaminandosi le unghie.
Sophie notò che all’appello mancavano molte divinità, come Demetra, Efesto, Ermes e Dioniso.
Poseidone, d’altro canto, fissava Apollo come se volesse squartarlo vivo … cosa che probabilmente rientrava nei suoi piani.
Sophie allungò il collo per vedere Stella, ma da quella posizione poteva solo scorgere i suoi lunghi capelli neri, accanto al padre.
Sperò ardentemente che il piano funzionasse.
« Lo sai che secondo me stai facendo una cavolata, vero, fratello? » brontolò una bambina dai capelli rossi, che fissava Stella nello stesso modo in cui Poseidone fissava Apollo, e che Sophie identificò come Artemide.
Bene, quella dea le stava sempre più simpatica.
« Concordo con la piccola Artemide … sai per quale coppia facevo la coppia, Apolluccio. » trillò la donna più bella che Sophie avesse mai visto, e che riconobbe con un tuffo al cuore. Afrodite.
Il resto delle divinità, però, sembrava piuttosto disinteressato a quello che Apollo aveva da dire.
Earine, intanto, continuava nervosa a far scattare gli occhi in ogni direzione, aspettando che la persona cruciale del piano arrivasse.
E che sembrava non avere la minima intenzione di presentarsi.
« Secondo voi, Eros verrà? » domandò Jason, nervoso. Nina continuava ad essere svenuta, e Apollo si stava pericolosamente avvicinando a Stella.
« Deve arrivare! Non può non venire! » esclamò sottovoce Freddie, ugualmente nervoso.
Che cosa gli ci voleva a comparire, pestare Apollo a sangue e dichiarare davanti a tutti gli déi che l’amore di Stella per Apollo era tutta una grande balla?
I semidei erano sempre più nervosi.
« Apollo … » bofonchiò Nina, che si era ripresa in quel momento.
« Shh … aspetta un secondo, Nina. Aspetta solo un secondo … » disse Earine, mettendole una mano sulla spalla per impedirle di alzarsi.
Apollo, nel frattempo, si era inginocchiato davanti a Stella.
« ECCOLO! » il grido smorzato di Jason fece sospirare Earine di sollievo.
« Stella, figlia di Zeus, vuoi … »
Ma Apollo non riuscì mai a finire la frase, per fortuna.
Eros, il dio delle passioni, era sceso in picchiata su di lui cercando di colpirlo.
Nina, nel frattempo, si era alzata di scatto ed era uscita dalla macchia dove si nascondevano tutti i semidei.
Apollo schivò il colpo, mentre il resto degli déi osservava la scena, stupito.
« E questo cosa vuol dire?! » esclamarono Zeus e Poseidone, in coro.
Nessuno badò a loro due.
Gli occhi di tutti erano puntati su Apollo, Eros e Nina, che sembrava essersi resa conto solo allora dell’errore che aveva fatto ad uscire allo scoperto.
Eros guardò Apollo con un tale sguardo carico d’odio che Sophie rabbrividì. E quello era suo fratello?
Prima che chiunque potesse fare una sola mossa, Eros incoccò una freccia nera nel suo arco e la puntò verso Nina.
« Muoviti, e la colpisco con una freccia d’odio. E ti odierà, proprio come Dafne. »
Eros scoccò con un sorriso malvagio sul volto la freccia nera come il piombo.
Nemmeno i riflessi allenati e veloci di Apollo riuscirono a fermarla. Il tempo si dilatò, mentre Eros scoppiava a ridere e Apollo e Nina guardavano terrorizzati la freccia che usciva dal petto della giovane semidea.
Nina si era aspettata di provare un odio senza pari, profondo come un abisso … eppure, tutto ciò che provò in quel momento, fu uno strano senso di fastidio nel punto in cui la freccia si era conficcata.
Sophie, Jason, Freddie e Earine la guardarono ansiosi, quasi aspettandosi un improvviso scoppio d’ira.
Lo stesso valeva per gli déi. Apollo in particolare sembrava immobilizzato dalla paura.
« Nina … » sussurrò, talmente piano che nessuno lo sentì.
Erano troppo concentrati sulla semidea.
Che scoppiò a ridere.
Eros la fissò, stranito.
« Avanti, figlia di Poseidone, urla a tutti il tuo odio per il dio del Sole, scappa dai suoi occhi, corri lontano dalla sua voce. Odialo come non hai mai odiato nessuno in vita tua. » disse, volando davanti a lei.
Stella, che fino a quel momento era rimasta immobile come una statua, tossì, in attesa.
« E perché mai dovrei farlo, scusa? » Nina lo guardò confusa.
Sophie guardò prima Eros, poi Apollo, poi Nina. Infine, voltò lo sguardo verso la madre, in cerca di spiegazioni.
Che diavolo era successo?
Con grande sorpresa di tutti, fu proprio Afrodite a spezzare il silenzio che si era creato.
La risata cristallina della dea dell’amore percorse tutto l’Olimpo, facendo volare delle colombe.
« Ebbene, questa sì che è una sorpresa! » esclamò, per poi scoppiare nuovamente a ridere.
Tutti la guardarono, in cerca di spiegazioni.
« Ah, Eros, Eros, quando imparerai a dare ascolto alla tua adorata mammina? » continuò, sconsolata, per poi esibirsi in un grande sorriso.
Eros la guardò, stupito. Come tutti i presenti, del resto.
« Afrodite, si può sapere di cosa diavolo vai blaterando? » commentò acidamente Ares, infastidito dalla mancanza di spiegazioni esaurienti.
« Possibile che nessuno mi presta mai ascolto quando dico ‘Non c’è nulla di più potente del vero amore’, immagino. » terminò Afrodite, con un gran sorriso, facendo l’occhiolino a Nina, che si sentì avvampare.
Era amore vero, il suo?
Amava veramente Apollo?
Evidentemente, sì.
Apollo, d’altro canto, era immerso nei medesimi pensieri.
E così, il loro era vero amore. Non gli serviva Afrodite per rendersene conto.
L’aveva sempre saputo.
Si era innamorato di lei dal primo momento che l’aveva vista, tempo fa, durante la visita sull’Olimpo da parte della giovane semidea.
« Si può sapere cos’è tutta questa storia?! » gridò ad un tratto Stella, dopo un lungo e imbarazzante silenzio.
E, forse, sarebbe stato meglio se non l’avesse mai fatto.
Tutti gli déi, Apollo e Zeus compresi, si voltarono verso di lei.
Ed Eros, che si era avvicinato all’Araldo per tenerle la mano.
« Perché non lo spieghi tu, Stella Stellina la Notte si Avvicina? » ridacchiò Sophie, dando una gomitata a Nina, che non si era minimamente accorta di quello che stava succedendo.
La figlia di Poseidone aveva occhi solo per Apollo.
Stella avvampò, fissando Sophie con astio.
« E, dimmi, cosa dovrei spiegare esattamente? » ringhiò, gelida.
« Mah, non saprei, tu che dici, Stella Stellina la Notte si Avvicina? » si intromise Earine, che come Sophie ci stava prendendo gusto.
« Che ne dici di spiegare a Zeus perché stai tenendo la mano di Eros e non hai battuto ciglia quando è arrivato con l’intenzione di prendere l’amore della tua vita a bastonate? » Jason trattenne a stento le risate, mentre parlava.
La soddisfazione di vedere quei due nei guai era troppa.
Poseidone, intanto, guardava corrucciato Zeus, che sembrava indeciso se triturare Stella, ridurre Eros in briciole o fregarsene altamente e andarsi a bere un brandy.
« Ebbene, Stella, sono curioso di sapere come ti difenderai dalle accuse di questi giovani Eroi. E non lasciare la mano di Eros, non sono cieco! » ringhiò infine, battendo un pugno sullo scranno dorato.
Sui volti di Poseidone, Afrodite e Ares (che aveva partecipato alla riunione solo perché era stato costretto dalla dea dell’amore) si disegnò un sorriso malizioso.
Stella non aveva certo raccolto amicizie, da quando era diventata Araldo degli Déi, più di tremila anni prima.
« Ehm, ecco, io … » iniziò lei, balbettando.
Nina la fissò, pensierosa. E così, quello che mi avevano detto Earine e Soph era vero. Stella stava realmente mentendo a tutti solo per ripicca, pensò, con una buona dose di soddisfazione personale.
Apollo inarcò il sopracciglio, in attesa.
« Io … oh, al diavolo! » esclamò Stella, pestando i piedi per terra. « Io amo Eros, e non me ne importa niente di Apollo. Volevo solo farlo soffrire, come lui aveva fatto soffrire me! » rivelò, sull’orlo delle lacrime.
Probabilmente finte, pensò Earine.
Apollo fece un ghigno trionfante, e Zeus lo fulminò con lo sguardo. Fortunatamente, solo con quello.
Nina fece un gran sorriso.
Finalmente, tutto era finito per il meglio.
Ora non c’erano più problemi.
Niente di niente, a mettersi tra lei ed Apollo.
Zeus lanciò un’occhiata disgustata alla figlia.
« E io che ti avevo permesso anche di ritornare, nonostante mi avessi già deluso più di una volta! Oh, ma oggi non mi farò abbindolare così facilmente. » sorrise enigmatico, accarezzandosi la barba nera « Credo che qui ci sia bisogno di un cambiamento. Sì, assolutamente. »
Tutti lo fissarono, stupiti. Era forse impazzito?
Il signore dei Fulmini fece segno a Nina di avvicinarsi.
La semidea, tremante, arrivò davanti a lui, lanciando un’occhiata spaventata ad Apollo, e poi a Poseidone.
« Ninotchka Armstrong, figlia di Poseidone. »
Nina sussultò, sentendosi chiamare con il proprio nome per esteso. Nome che aveva rivelato solo ad Earine, prima d’ora.
Ninotchka?  Pensò Freddie, stupito. Che razza di nome era ‘Ninotchka’?!
Apollo, Sophie e Jason stavano pensando la stessa, identica cosa.
Poseidone sorrise comprensivo alla figlia, come se sapesse cosa aveva in mente il fratello.
Cosa che probabilmente era vera.
« Accetti di diventare il nuovo Araldo degli Déi? » terminò Zeus, con un sorriso.
Le reazioni a quella proposta furono tra le più disparate.
Nina per poco non ebbe un mancamento. Gli occhi di Apollo schizzarono fuori dalle orbite, mentre Sophie e Earine applaudirono. Finalmente la loro amica poteva coronare il suo sogno d’amore eterno.
Stella, invece, urlò di rabbia, ma nessuno le diede ascolto.
« Ma … se accetto … rivedrò Earine, Sophie, Jason e Freddie, vero? Anche se loro non vivranno più sull’Olimpo? » domandò la bruna figlia di Poseidone, lanciando un’occhiata nervosa verso i suoi amici.
Dentro di sé, Nina era corrosa dall’indecisione.
Accettare? Non accettare?
« Certo che li rivedrai, Ninotchka. Solo, al contrario dei tuoi amici, tu sarai immortale. » rispose Zeus, sorridendo comprensivo.
Nina volse uno sguardo spaventato ad Apollo.
Il dio del sole le sorrise, così come solo lui sapeva fare.
E Nina sentì che ogni dubbio si era dissolto, come nebbia dispersa dai raggi del sole.
« Accetto. »
 
-
 
Tutto l’Olimpo era in fermento.
La festa per l’arrivo di un nuovo Araldo degli Déi era iniziata, e, per esperienza personale, gli abitanti del paradiso greco sapevano che feste strabilianti come quelle capitavano raramente.
Nina, d’altro canto, era terrorizzata.
« E cosa devo fare? Che dovrò dire? E perché diamine Zeus ha ordinato che tutti indossassero un abito greco? I jeans non andavano bene?! » gridò per l’ennesima volta la ragazza, mentre una Sophie sull’orlo di una crisi isterica cercava di sistemarle il lungo vestito bianco panna che Poseidone aveva portato alla figlia qualche ora prima.
« Calmati Nì, vedrai che andrà tutto bene! » esclamò, lisciandole le pieghe dell’abito con fare esperto.
Poi aggiunse, pensierosa: « Ma davvero il tuo nome completo è Ninotchka?  »
« Sì, lo è. E se provi a ridere ti rompo qualcosa sui denti. » rispose acida l’altra ragazza, mentre guardava preoccupata la sua immagine allo specchio.
Quasi non si riconosceva, con il vestito lungo, la collana e i bracciali dorati e i boccoli tra i capelli castani. Era abituata a vedersi in jeans, maglietta e capelli lisci, non in versione “dea greca”.
Anche se, effettivamente, è quello che sei diventata.
Poseidone le aveva spiegato che ‘Araldo’ e ‘Divinità’ non erano poi così diversi tra loro. 
« Guardati, Ninotchka! Sei bellissima! » disse Sophie, battendo entusiasta le mani.
Nina le sorrise, grata. E pensare che solo tre mesi prima avrebbe voluto affogarla …
« Certo che sarà strano non averti più in camera con me, d’ora in poi … chissà come farò senza nessuno che mi urla contro alle sette del mattino! » ironizzò la figlia di Afrodite, mentre andava in bagno a prepararsi.
Lasciando Nina da sola con le sue ansie e le sue paure.
E se nulla di ciò che sperava fosse accaduto?
La promessa di un’immortalità la spaventava, e non poco.
Rabbrividì, pensando al futuro, a ciò che l’aspettava come Araldo degli Déi.
Ma non ebbe tempo d’indugiare oltre.
La porta si spalancò e i suoi amici si catapultarono nella stanza, anche loro con indosso delle vesti greche.
« Sei pronta? »
« Tutto bene? »
« Sei emozionata, Nì?! »
Una raffica di domande la travolse, senza neanche lasciarle il tempo di salutarli per bene.
« La mia sorellina si spoooosaaaaaa! » urlò Earine, abbracciandola di slancio.
« Rì, guarda che non si sposa mica! Prende semplicemente il posto di quella sciattona di una Hope. » le disse Jason, dandole dei colpetti sulla spalla.
Se Nina si sentiva nervosa, Earine non era da meno.
Finalmente la sua sorellina avrebbe coronato il suo sogno d’amore e sarebbe stata per sempre con il ragazzo dei suoi sogni. Se ancora non aveva pianto dalla commozione, poco ci mancava.
Non appena Sophie fu pronta, uscirono tutti insieme dalla casa e si diressero verso la cittadina di marmo.
 
-
 
« Sei bellissima stasera, Ninetta. » la voce del dio del sole alle sue spalle fece sobbalzare la figlia di Poseidone.
Si voltò verso Apollo e sorrise.
« Grazie. Mai quanto te però. » rispose, circondandogli il collo con le braccia.
Non si era mai sentita così felice come in quel momento.
Tutto era perfetto. La musica, i suoni, i colori … loro.
In un angolo vide Sophie e Freddie ballare avvinghiati tra loro e sorrise. Erano fatti l’uno per l’altra quei due.
« Ho un regalo per te, Ninotchka. » disse Apollo, senza smettere per un secondo di sorridere. Stava scoppiando di felicità.
« Perché ho come l’impressione che anziché ordinarvi di chiamarmi ‘Ninetta’ dovrò iniziare a mettere un tabù sul nome ‘Ninotchka’? » domandò ironica Nina.
Il dio del sole scoppiò a ridere, poi tirò fuori un sacchetto di satin nero.
« Aprilo. » la incoraggiò lui, mettendole l’involucro in mano.
Lentamente, Nina aprì il sacchetto.
Conteneva un bracciale di perle viola, dello stesso colore dei suoi occhi.
Sorrise ad Apollo, gettandogli le braccia al collo.
« Grazie, è bellissimo! » esclamò, al settimo cielo.
« Mai quanto te, però. » rispose Apollo, prima di baciarla con passione.
Per entrambi, quello era solo l’inizio. L’inizio di una nuova vita.
Una nuova vita insieme.
« Ti amo, Apollo. »
« E io anche di più, mia piccola Ninotchka. Io anche di più. »
 
 
 
 
 
 
E così si concluse quel capitolo della loro vita.
Nina ed Apollo erano insieme, felici, per l’eternità.
Sophie e Freddie si erano ufficialmente fidanzati. E come non avrebbero potuto esserlo, dal momento che il figlio di Ermes aveva regalato alla bionda un rossetto color pompelmo  come pegno d’amore?
Earine e Jason si scambiarono un bacio al chiaro di luna. Il primo di una lunga serie.

 




Fine? 








 

Angolo Autrice: 
PER LE MUTANDE A FIORI DI EFESTO, NON CI CREDO! *^*
E' l'ultimo capitolo ... OH MY ZEUS :')))
Stavolta vi toccherà sorbirvi un 'angolo autrice' più lungo del solito, perché ho un CASINO di persone da ringraziare e salutare :3 
E allora ... incominciamo!

Valerie: e come potevo non iniziare da te? Se non mi avessi convinta a iniziare a scriverlo, Nina, Apollo, Jason, Earine, Sophie, Freddie e Stella non sarebbero qui. Stella è meglio, ma dettagli.  Ti voglio un mondo di bene, e mi dispiace che ora non ci sentiamo più così tanto. Tu sarai sempre il mio Apollo, io la tua Nina, così come tu la mia Earine e io il tuo Jason [ solo pochi capiranno il senso della frase HAHAHAAHAHAAH ]
Khyhan: Violetta bella, un mega ringraziamento va anche a te, e forse SOPRATTUTTO a te :3 per le tue idee geniali, l'aiuto, Jamie,  il supporto, il "sopporto" e l'ispirazione mandata via chat. Ah, e, ovviamente, per l'Araldo degli Déi, che è di tua proprietà privata e mi hai concesso gentilmente di poter riutilizzare! :) 
Effie Malcontenta Weasley: Essì, devo ringraziare anche te, Effuccia bella :) Per l'ispirazione, l'aiuto, la Lennott, e l'ispirazione per il carattere di Apollo (grazie per il capitolo dove lui e Scott si incontrano. Non ti amerò mai abbastanza per questo AHAHAHAHAHA) ... e soprattutto ... W IL NOSTRO ARMADIO *w*
Amber: Ringrazio anche te, mia adorata Amberina alla Conquista del West :') Ti ringrazio per il coraggio che mi hai mandato, per avermi sopportato, perdonato e per gli scleri su Milla Blake, FF che finirò nel 3067 :') Ti voglio bene, tanto! :3
JarJar: TU NON HAI ANCORA LETTO LA STORIA PER INTERO, ma vabbè, ti perdono, solo perché puzzi u.u 

GNAAAAH, non ho abbastanza tempo per salutare tutti, ma ringrazio ognuno di voi per aver letto, recensito o anche solo dato una sbirciatina alla storia :')
Senza il vostro sostegno, avrei mollato al secondo capitolo. 


Sto già iniziando a scrivere un sequel, ma non ho la minima idea di quando lo pubblicherò. Presto, spero :'D 
Anche se dubito che Earine,Jason,Nina,Apollo,Sophie e Freddie possano essere ugualmente i protagonisti. Li ho torturati fin troppo E per quanto riguarda Stella ed Eros ... beh, la loro è una storia che non finisce qui ;)


Un bacio, e alla prossima!
Per sempre vostra,
Madamoiselle Nina. 



 

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