Palm to Palm Breaths

di ohfreakingbambi74
(/viewuser.php?uid=138822)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24-Fine ***



Capitolo 1
*** 1. ***



1.
 



Abbandonare tutto. Tutto ciò che conosceva e che amava era difficile. Sebbene i suoi genitori avessero atteso la fine della scuola per il trasferimento, Blaine non si sentiva per nulla grato. Aveva fatto dei progetti per quell’estate, l’estate del suo diploma. Voleva andare al mare, fare un viaggio con gli amici, uscire la sera per tornare al mattino, magari avere una cotta estiva ma, soprattutto, voleva divertirsi. Divertirsi coi suoi amici fino allo sfinimento. Dopo tutta la fatica e l’impegno che aveva messo per uscire dalla Dalton con quasi il massimo dei voti, se lo meritava, no?
Ai suoi genitori, però, ciò non pareva interessare. Secondo loro, doveva essere grato del fatto che gli avessero fatto terminare la scuola in quell’accademia ed essere felice del loro trasloco.
“Tanto,” continuava a ricordargli sua madre, “Non resterai con noi che pochi mesi, poi te ne andrai a Yale.”
Perché era già deciso da tempo, precisamente da diciassette anni e quattro mesi, che Blaine, una volta terminato l’istituto privato Dalton, sarebbe stato ammesso alla facoltà di medicina di Yale, con l’aiuto dell’amico del padre, famoso cardiologo. Poi, avrebbe conosciuto una ragazza giusta e meritevole, possibilmente con un carattere compatibile e, quindi, accettabile, dalla madre e, intanto, avrebbe fatto carriera, diventando un medico importante. Quando avesse raggiunto un certo grado di notorietà avrebbe sposato la propria ragazza e, dopo massimo un paio di anni, sarebbe divenuto padre, continuando poi la propria vita perfetta ed organizzando altrettanto alla perfezione la vita dei propri figli, tre al massimo.
Blaine non si era mai sottratto a tale destino. Solo da bambino, un giorno, osò chiedere a sua madre: “E se non volessi diventare dottore?”
La donna l’aveva guardato dolcemente, carezzandogli, senza spettinarlo, i boccoli neri, “Potrai scegliere se diventare avvocato come papà o manager come lo zio. Ma medicina è molto meglio per te tesoro, fidati.”  
Sentendosi ingenuamente soddisfatto per quel ristretto margine di scelta, il piccolo Blaine aveva dato ascolto alla madre, cominciando a immaginarsi la sua vita tra i migliori ospedali d’America. 
Quando realizzò di essere gay, il mondo gli crollò addosso. Vedeva metà del piano per la propria futura, idilliaca felicità bruciarsi come un pezzo di carta in un braciere.
Dopo mesi di dolore, bugie e autocommiserazione era giunto alla conclusione che non poteva continuare a nascondersi, non su quel fronte. Avrebbe deluso immensamente i suoi genitori, magari sarebbe diventato il disonore della famiglia, ma non poteva annullarsi fino a quel punto.
Suo padre e sua madre, infatti, non la presero per nulla bene. Lo fecero andare da uno psicologo per più di un anno, finché anche quell’estraneo non disse loro che l’omosessualità del figlio non era una presa di posizione o un tentativo di ribellione. Sua madre lo accettò. Divenne più dolce e, in modo forse morboso, più attenta. Suo padre non lo guardò negli occhi per più di un mese, per poi sorprenderlo chiedendogli se ci fosse qualcuno ad attirare la sua attenzione.
In effetti c’era un ragazzo che gli piaceva, tanto, ma non abbastanza da mettersi in gioco e rivelare all’intera scuola, esclusi i suoi amici che lo sapevano già, ciò che realmente era. Per tutta la vita aveva sempre avuto un solo e unico amore: la musica.
Senza di essa non sarebbe mai riuscito a tirare avanti. Quando da bambino suo padre l’aveva portato a visitare Yale per la prima volta, Blaine era rimasto ammaliato dal luogo, dalla storia… e dalla facoltà di musica e teatro.
Non voleva però infierire sui piani e le aspettative che i genitori ponevano in lui ulteriormente, chiedendo loro il permesso di iscriversi a tale dipartimento al posto di medicina o giurisprudenza.
Poteva essere considerato sciocco, ma fin da piccolo era cresciuto sentendosi dire di essere l’unico erede della famiglia, il pilastro del loro futuro, il faro che, dopo anni di tentativi e dolore, aveva rischiarato la loro grigia monotonia.
I saluti prima della partenza riuscirono, nonostante tutto, a strappargli una lacrima, raccolta dall’abbraccio col suo migliore amico, David.
Con molti amici, David compreso, si sarebbero ritrovati a Yale, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Perché alle superiori, una strana forza e sicurezza tiene in ostaggio le persone. Ci si sente immuni dal mondo esterno, eppure pronti e smaniosi di dimostrare quanto si vale. Quando ci si ritrova faccia a faccia col futuro, però, si capisce di non essere altro che un minuscolo punto interrogativo tra mille esclamativi. Non si vorrebbe fare altro che tornare indietro nel tempo, per avere solo un’altra giornata in quella splendida, rassicurante monotonia, da cui si è stati strappati da appena pochi mesi.
Ma Blaine, da quella monotonia, non sarebbe mai uscito, perché sapeva ciò che lo attendeva, sapeva ciò che avrebbe fatto passo dopo passo.
Un avvenimento “inaspettato” come quello, quindi, era stato un colpo per lui, anche se solo per pochi mesi avrebbe dovuto cambiare abitudini e adattarsi ad un nuovo tran-tran. Non che fosse spaventato, solo… seccato.
La nuova casa non era molto lontana da Westerville, ma tanto bastava per renderla meno accessibile dato che si stagliava imponente in tutta la sua bellezza vittoriana al centro di un grande giardino, abbellito da roseti e floridi alberi. La fontana, spenta, davanti all’entrata principale faceva intuire quanto in passato quella casa fosse frequentata e piena di vita mentre ora, non era che una vecchia villa ingrigita dal tempo e dalla solitudine.
Giunti all’entrata, Blaine non poté evitare di sentire un brivido freddo e un senso di nausea. L’aria che si respirava era pesante e fredda, come se anch’essa suggerisse di abbandonare quel luogo dimenticato.
Guardando quelle finestre impolverate, gli sembrò quasi che la casa lo guardasse, giudicandolo abbastanza coraggioso o meno per farlo entrare.
Fin da bambino percepiva sensazioni strane in determinati posti. Come in casa della nonna, dove, dopo la dipartita di quest’ultima, lui continuava a percepire il suo profumo di frittelle  dolci e rose appena annaffiate. I fornelli, però, erano spenti e senza gas, e i fiori sul balcone secchi e aridi.
Sua madre gli aveva sempre ripetuto di smetterla con certe fantasie infantili, ma non era stata una fantasia sentire la rabbia e la frustrazione di quella ragazza investita dall’autobus una mattina di due anni prima, o percepire l’ombra di un bambino abbracciare la madre all’ospedale qualche mese prima. Certo non li considerava avvenimenti normali e lo spaventavano non poco, ma non poteva cambiare le cose. Non poteva cambiare nulla.    
Le ignorava. Aveva imparato ad ignorare tutte quelle strane sensazioni che si impadronivano di lui di tanto in tanto. Come la maggior parte degli adulti di fronte alle cose che non comprendono, non gli prestava la dovuta attenzione, volgendo ad esse le spalle.
Le finestre di quella casa, però, continuavano a fissarlo insistentemente, quasi come se gli leggessero nell’anima. Senza saperselo spiegare si ritrovò a stringere i pugni, sentendosi come nudo.
Quando suo padre lo richiamò, scuotendolo piano ad una spalla, fu come cadere da un ramo spezzato dal vento.
“Tutto bene figliolo?” chiese l’uomo preoccupato di fronte al respiro affannato del figlio e al suo sguardo incerto. Annuendo, Blaine si mise in spalla la chitarra ed afferrò il suo trolley trascinandolo fino alla madre, intenta a cercare la chiave che aprisse la grande porta di legno massiccio. I batacchi su di essa ricordavano due grotteschi volti di leone sfigurati dal dolore. In un qual’modo, Blaine li trovava perfino buffi. Inclinando la testa da un lato, infatti, si lasciò sfuggire una piccola risatina.
Sua madre lo guardò sorridendogli incuriosita, tra loro erano abituati a porsi domande senza aprire bocca. Come risposta, Blaine scosse il capo.      
Se l’esterno era da brividi, l’interno era agghiacciantemente superbo. Il tappeto che ricopriva l’enorme atrio era di un rosso porpora scuro talmente intenso da sembrare nero nelle zone d’ombra, i colori della tappezzeria erano oscuri e pesanti ma non privi di classe e fascino. I mobili, anch’essi in stile vittoriano, coperti da lunghi lenzuoli bianchi, sembravano non essere mai stati spostati dalle loro antiche postazioni, come fossero nati per stare lì. Era come entrare in un mondo passato, dove tutto era stato congelato per paura che il tempo, impietoso, rovinasse la sinistra bellezza di quel luogo.
“Ci sarà da lavorare.” Soppesò la signora Anderson una volta entrata in casa e appoggiata la valigia sul tappeto, “Prima di tutto, voglio ridipingere le pareti. Sembra di soffocare qua dentro.”
“Blaine,” lo chiamò nuovamente il padre scostandolo ancora una volta dal rimirare la grandezza della scalinata che portava ai piani superiori, “perché non vai di sopra a scegliere la tua stanza?”
Senza farselo ripetere il giovane corse su per le scale fino a raggiungere un lungo corridoio costellato di porte. Guardò le stanze una ad una, finché non trovò quella perfetta per lui.  Persino sua madre si stupì del fatto che avesse scelto la camera più semplice della casa. Ciò che veramente importava a Blaine, però, era lo spazio per la sua chitarra.
Aveva appena iniziato a pensare su come sistemarsi al meglio in quella stanza, che uno spiffero di aria gelida lo colpì dietro il collo. Voltandosi di scatto però, non vide nulla. la porta era chiusa, così come le finestre.
Dopo aver appoggiato lentamente il trolley sul letto, interamente nascosto da un pesante panno, si affacciò alla porta, squadrando da entrambe le parti il corridoio. Poco distante da lui, sulla sinistra, un’altra porta aperta da cui trapelava la luce del sole gli faceva capire quale sarebbe stata la stanza dei genitori. Alla sua destra, il corridoio si stendeva in quasi tutta la sua lunghezza. Uno specchio a muro, sopra un piccolo comò, rifletteva il candelabro spento e opaco sul mobile e la tappezzeria scrostata che aveva davanti. Non poté fare a meno di piantare gli occhi su quel vecchio specchio appannato dalla polvere, sentiva che, se ci avesse guardato dentro, sarebbe stato risucchiato dal passato.
L’aria, intanto, si faceva sempre più fredda fino a farlo rabbrividire, nonostante la calura estiva.
Facendogli finire il cuore in gola, suo padre lo chiamò dalla finestra. Dandosi dello stupido, si affacciò dalla camera, notando così la vista che la stanza gli offriva sull’entrata principale: il piccolo lago con la fontana spenta, il boschetto di betulle che copriva una piccola parte del giardino e la vista sulla tenuta fino al cancello di ferro battuto, a circa quaranta metri dalla villa.
Davanti all’entrata, il signor Anderson chiamava il figlio per aiutare i traslocatori a scaricare le loro casse e scatoloni dal camion.
“Allora?” chiese compiaciuto il padre quando Blaine lo raggiunse, “Ti piace?”
Il ragazzo annuì emettendo un leggero verso d’approvazione a labbra chiuse.
“E del pianoforte del salotto? Che mi dici?” lo incitò l’uomo sapendo di prenderlo per la gola. Gli occhi di Blaine, infatti, presero a brillare appassionati, mentre il volto gli si illuminava di speranza e aspettativa.
“Quale pianoforte?”  







NdA: 

Premettendo che non so che diavolo scrivere in questo angolino alquanto penoso... dunque... 
Se state leggendo anche "Best Holiday Ever (Wooo!)" (ebbene sì, sto facendo pubblicità occulta!)...
-Prima di tutto vi amo! Amo anche coloro che non la laggono (leggetela!!) e che sono comunque arrivati fino alla fine di questo primo capitolo... c'è tanto ammmmooore nell'aree.
-Secondo, delle due pazze che scrivono quella FF sono Fede, in questa Chià è la beta (vi saluta calorosamente),
-Terzo... non aspettatevi di ridere con questa nuova fanfiction... Ci saranno dei momenti carini, ovviamente, ma non grandi risate. 

Detto ciò... Grazie ancora per aver letto e per le vostre eventuali recensioni (vi-prego!! ditemi qualcosa anche se vi fa schifo. Posso sembrare una disperata... e probabilmente a mia insaputa lo sono... ma mi piacerebbe davvero sapere il vostro parere).

And sooooooo... Alla prossima!;)
 
Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


2.
 



L’unica cosa che riuscì a staccare Blaine dal pianoforte che aveva scoperto esistere nel salottino accanto alla sala da pranzo, fu una chiamata da David, il giorno dopo il trasferimento.
“Hai un pianoforte in salotto?!?” lo assordò la voce dell’amico facendolo sorridere.
“In un salotto. Ha più stanze questa casa che la Dalton!” si spiegò meglio Blaine, abbandonando lo strumento e salendo le scale verso camera sua.
“Come mi dispiace per te.” fece l’amico sarcastico, strappandogli un sorriso, “Allora potresti ospitarci tutti fino a settembre!”
“Perché no? Non credo però che mia madre approverebbe. Ancora mi chiede se tu o Jeff siete solo miei amici…”
“Guarda caro…” prese a scherzare David, facendo scoppiare Blaine a ridere, cosa che non faceva ormai da un paio di giorni, “per quanto bene ti voglia e per quanto tu sia un bel bocconcino, ho altri gusti.”
“Peccato!-” finse, bloccandosi di scatto di seguito ad un leggero tocco tra i suoi capelli. Tocco che gli spostò quasi impercettibilmente uno dei ricci neri. Subito dopo, un brivido ghiacciato, come se qualcuno gli avesse versato della neve sotto la maglia, gli percorse tutta la spina dorsale.
“Blaine?” lo richiamò l’amico, “Tutto ok?”
“Sì.” Rispose lui, “Un piccione ha beccato sul vetro della finestra è mi sono spaventato.” Mentì.
Gli amici non sapevano delle sue ‘sensazioni’, non l’aveva mai detto a nessuno, nemmeno a David. L’unica volta in cui era stato tentato di rivelare loro tutto era stato un anno prima, al compleanno di Wess. Tutti gli amici si erano sistemati per la notte nella taverna ricavata dalla cantina della villa del festeggiato. Blaine non era riuscito a dormire per via di strani rumori provenienti dalla porta che dava sul giardino , come se qualcuno grattasse il legno con le unghie. Gli amici non sentirono nulla, chiedendogli anche se stesse bene. Aveva dovuto inventarsi l’insonnia accompagnata da mal di stomaco e recitare per tutta la notte. Fortunatamente era sempre stato un bravo attore.
“Un piccione?” lo riportò al presente la voce sarcasticamente incredula di David, “Cavolo, da impazzire dal terrore.”
“Idiota. Comunque, per una giornata posso sempre chiedere ai miei il permesso per ospitarvi. Per la notte non credo ma una bella festa in giardino non penso possano negarmela.”
“Vai, Anderson, sfodera le tua armi vincenti: sensi di colpa e occhioni da cucciolo in lacrime!”
Blaine si lasciò andare ad una risata diabolica, interrotta troppo presto da sua madre, appoggiata allo stipite della porta in attesa.
“Ora devo riattaccare,” si scusò con l’amico, “mia mamma mi sta facendo eloquentemente presente che le serve il telefono.”
Una volta salutato David e riattaccato, porse il cordless alla donna che, rivolgendogli un mezzo sorriso, si rintanò nella propria camera per una telefonata con una collega.
Rimasto di nuovo solo, Blaine sospirò pesantemente. Passò diversi minuti a giocherellare con una palla di gomma spuntata da chissà dove, facendola rimbalzare prima per terra, poi contro il muro, contro lo stipite della porta e, al massimo della desolazione, si stese per terra, lanciando la pallina per aria e riprendendola come un grasso gatto annoiato.
Quando il giocattolo gli sfuggì, rotolando fuori dalla porta, accasciò le braccia a terra con un verso scocciato chiudendo gli occhi. Sentendo rumore di passi leggeri appena fuori dalla porta tentò con fare disperato: “Mamma? Mi raccogli la palla?”
Nessuno rispose.
“Mamma?”
Aguzzando l’udito sentì la voce della madre ridere di gusto nella sua stanza. Alzando il collo, guardandosi inquietato attorno, riprovò:
“Papà?”
Di nuovo nulla. Alzandosi in piedi riprovò a chiamare il padre dalla porta. L’uomo, però, gli rispose dal piano di sotto; non poteva quindi essere lui a camminare nel corridoio.
Sentendosi immensamente stupido disse la prima cosa che gli venne in mente: “È occupat- cioè…” si corresse, scuotendo il capo, “C’è nessuno?”
Bravo, idiota!Si disse Cosa ti aspettavi? Che un tipo col lenzuolo bianco in testa uscisse dal muro dicendoti “Buondì, giovanotto, questa è casa mia, gradisce una tazza di te?”
Mentre rientrava in camera, però, la sua pallina di gomma tornò verso di lui sfiorandogli il piede.
Il respiro gli morì in gola. Guardandosi una seconda volta attorno e ripercorrendo con lo sguardo tutta la lunghezza del corridoio, notò nuovamente il nulla assoluto che lo circondava.
Fantastico, anche il cane fantasma!
Senza pensarci troppo su si chinò per raccogliere la palla per poi farla nuovamente cadere per la sorpresa: era calda. Un calore umano, come fosse stata tenuta in mano da qualcuno fino a quel momento.
Subito il giocattolo tornò da solo verso il suo piede, questa volta scontrandosi con esso.
“G-grazie.” Disse Blaine prima di richiudersi la porta alle spalle e poggiarcisi contro.
C’era qualcosa in quella casa. Qualcosa di intelligente, o che quantomeno era in grado di far rotolare una palla. Aveva interagito con lui. Per la prima volta era riuscito a mettersi in contatto, se pur in maniera assai blanda, con un… qualcosa.
Ora restava solo un problema: uscire dalla camera per la cena.
 
Blaine fu silenzioso per tutta la cena. Non che ai suoi genitori dispiacesse la sua tranquillità, ma cominciavano a chiedersi se il loro erede si fosse trasformato in un muro di cartongesso o qualcosa di simile.
Mentre faceva la doccia, cercando di rilassarsi e dimenticare ciò che era avvenuto quel pomeriggio, venne investito da un lieve profumo. Un odore dolce di lampone e ribes, accompagnato da rosa e, era sicuro di sentirlo, vaniglia. Era fresco ma… non sapeva come descriverlo. Era come provenisse da un’altra epoca, ovattato e avvolgente.
Senza poterne fare a meno, se ne riempì i polmoni, lasciando che quella fragranza gli carezzasse la pelle, facendolo sentire protetto e, strano a dirsi, coccolato. Era come un abbraccio. Un abbraccio caldo in una sera d’inverno, quando fuori nevica e l’unica cosa che si desidera è il sole. 
Com’era arrivata, l’essenza svanì, lasciando solo il proprio ricordo.
Dandosi nuovamente dello stupido, imbarazzato come non mai, Blaine finì di asciugarsi e vestirsi, chiudendosi poi in camera, al sicuro sotto le lenzuola con gli auricolari che gli sparavano musica nelle orecchie.
Sentendosi legare dal filo delle cuffie, voltandosi per l’ennesima volta nel sonno, Blaine fece per togliersele. Sentendole incastrate sotto il torace si lasciò sfuggire un piccolo lamento frustrato, per poi alzarsi comunque a sedere sul letto.
‘Poggiando delicatamente’ l’i-pode sul comodino si strofinò gli occhi assonnati sbadigliando. Svegliandolo del tutto, il rumore di passi di quel pomeriggio riniziò, bloccandosi proprio davanti alla sua porta. Cominciò a tremare incollato sul materasso, incapace di qualsiasi movimento, con gli occhi spalancati nel buio puntati in direzione del rumore.
Poi qualcosa cambiò. Sentì quasi il bisogno di andare in contro a ‘quella cosa’, voleva vederla, sentirla, capirla.
Trovandosi di fronte alla porta chiusa venne preso dal panico e dall’indecisione. Aveva paura, talmente tanta che pensava persino di aver dimenticato come parlare; ma la curiosità lo stava corrodendo dall’interno. Allungando la mano verso il legno, percepì una sensazione di panico provenire da dietro di esso. Senza saperne il perché, poggiò il palmo della mano contro la porta. Sussultò percependo come una pressione dall’altra parte, nello stesso punto dove stava la sua mano.
Facendosi coraggio agì in un istante spalancando la porta. Nulla, a parte la densa oscurità della notte.
Non dandosi per vinto, si sedette contro la sponda del letto, in modo da avere la piena visuale della porta.
Aspettando che quel ‘qualsiasi cosa’ si facesse vivo, riprese a giocherellare con la sua palla di plastica. Passò mezz’ora.
Un’ora.
Due ore. Ma del ‘cane da riporto fantasma’ nemmeno l’ombra. Deluso e frustrato, Blaine lanciò la palla per terra con violenza. Come quel pomeriggio, la palla uscì dalla stanza per poi farvi autonomamente ritorno dopo pochi istanti, quando Blaine stava per alzarsi per tornarsene sotto le coperte. Calda come la volta precedente.
Lasciandosi sfuggire un sorriso storto stupefatto, Blaine provò a rilanciare lentamente la palla facendola rotolare piano.
“Avanti…” sussurrò incoraggiante quando notò il ritardo della risposta, che arrivò appena sollecitata.
“Wow!” esultò coprendosi la bocca con le mani. Tutta la paura che provava prima, era sparita, evaporata come acqua al sole, lasciando spazio a una strana impaziente curiosità.
“Sei-sei li fuori?” domandò sorridente, aspettandosi una risposta qualsiasi. Vedendone l’assenza, tentò con un metodo diverso: “Facciamo che… mi rilanci la palla se è , ok?” domandò rilanciando l’oggetto all’esterno.
Il giocattolo tornò lentamente indietro.
“Bene. Dunque, sei reale?”
La pallina tornò. Blaine ci giocherellò per qualche secondo prima di rilanciarla.
“Mi senti lo stesso se parlo piano? Sai, i miei dormono.”
La palla gli sfiorò le ginocchia gentilmente.
Passò circa un’ora a ‘conversare amabilmente’ con la strana entità che rispose affermativamente alle domande “abiti qui?”, “sei un fantasma?”, “guadavi dalla finestra l’altro giorno?” e  “sei stato tu a toccarmi i capelli?”.
Non se la sentì di chiedere del profumo che aveva sentito sotto la doccia; voleva tenere quel momento di serenità, quel momento in cui tutto gli era parso perfetto come un sogno, solo per se stesso al momento.
Non ricevette risposta immediata quando chiese se fosse un cane o un qualsiasi animale da riporto. Quando domandò se fosse umano, il giocattolo non gli tornò indietro gentilmente come le volte precedenti ma lo colpì in fronte rimbalzando poi di nuovo verso il mittente.
“Ti sei arrabbiato?” chiese intimorito massaggiandosi la parte lesa.
L’oggetto gli rimbalzò nuovamente sulla testa mentre lui, raggomitolato su se stesso, preso dalla  paura, sussurrava scuse a raffica e, rilanciando la palla all’essere, chiese: “Mi perdoni?”
Attese una risposta per un paio di minuti poi, aprendo gli occhi, notò la sfera circa a metà strada tra lui e la porta. Tentando un ultimo approccio, provò dopo un colpo di tosse:
“Io ora… d-dovrei tornare a dormire. Per te va bene? Sì, insomma… Buonanotte?”
Il giocattolo si mosse visibilmente verso di lui, toccandogli il polpaccio mentre il dolce profumo della doccia tornava a inebriargli i pensieri.
Cullato da quella fragranza, tornò sotto le coperte, dove percepì un ultimo brivido prima di cadere tra le braccia di Morfeo.  







NdA: 

Buonsalve a tutti! 

Ecco il secondo capitolo. Che dite? Vi è piaciuto? Avete suggerimenti di qualche tipo? Qualcosa non vi ha convinto? Fatemelo sapere, mi raccomando!^^ 
Come la volta precedente non so esattamente cosa scrivere... senza la mia socia a spalleggiarmi la mi idiozia si riduce di un buon 70%... 
Oltre a ciò... Bhè, mi auguro che il capitolo non vi abbia stimolato il riflesso faringeo^^

Alla prossima settimana!^^ (o almeno spero!;) )

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


3.
 
 
Quando Blaine, al mattino, socchiuse gli occhi, fu per colpa della “flebile” voce della madre che lo chiamava dal piano inferiore.
Battendo le palpebre ancora nel dormiveglia gli parve quasi di vedere una figura appoggiata all’armadio. Essendosi appena svegliato e non del tutto lucido, la associò ad un sogno ancora vivido ai suoi occhi. Quando, infatti, riuscì a capire di essersi effettivamente svegliato, non vide nulla.
Raggiunse la signora Anderson nell’atrio, mentre questa era già pronta, vestita di tutto punto, per una giornata di shopping con le amiche e colleghe. Il padre era ovviamente andato al lavoro quella mattina presto, lasciando, come ogni mattina, un biglietto attaccato al frigo.
Scendendo l’ultimo gradino, Blaine inciampò finendo lungo disteso con la pancia a terra, facendosi pure qualche centimetro in scivolata sotto lo sguardo preoccupato e leggermente canzonatorio della madre.
“Tesoro,” chiese chinandosi verso il figlio, “ti sei fatto male?”
“Mgnio.” Mugugnò Blaine sollevandosi in ginocchio.
“Volevo solo dirti che esco. In cucina c’è già il caffè pronto e ci sono dei cornetti nel forno a microonde.”
Salutata la madre, una volta rialzatosi in piedi, Blaine restò qualche istante a riflettere sul da farsi, con sguardo seriamente concentrato al futuro prossimo. Optò in fine per la colazione, seguita da una doccia e da una lunga seduta di nullafacenza consistente nella lettura di un fumetto prestatogli da David qualche settimana prima, non ancora restituito; rilettura di uno degli Harry Potter, tanto per evadere in un mondo che non fosse il suo e, forse, una sonatina al pianoforte o alla chitarra.
Sospirò nuovamente pensando alle ‘estenuanti attività’ che la giornata gli prefissava.   
Come previsto, esclusa la colazione e la telefonata a quattro con David, Nick e Jeff, che avevano deciso di farlo morire di invidia chiamandolo dalla piscina di Westerville, dove il biondo era appena tornato dallo scivolo gigante insieme al migliore amico, brutalmente costretto, il resto della mattinata fu un vero mortorio.
Pranzò svogliatamente con una scatoletta di tonno, della maionese e una pagnotta di pane integrale, comprata dalla madre fissata per i cibi ‘sani’. Si ritrovò poi a girovagare per la casa senza una meta precisa, scoprendo così la scala per la soffitta, una porta chiusa a chiave da chissà quanti anni e un secondo minuscolo bagno inutilizzato in un angolo del corridoio.
Solo dopo ciò si ricordò di non essere solo in quella casa. Sorrise al pensiero che lo spirito lo avesse seguito, probabilmente ridendo di lui, per tutta la mattina.
“Certo, - sussurrò a bassa voce, sentendosi idiota - che sei di compagnia! Qualche suggerimento?”
Dopo pochi istanti, un rumore dal salotto del pianoforte lo fece trasalire, strappandogli comunque una risata imbarazzata.
“Che velocità!” si complimentò, incamminandosi con calma verso il luogo indicatogli.
Entrando nella stanza da cui gli era sembrato arrivasse trambusto, notò il coperchio dei tasti del piano sollevato, quando, solitamente, se non usato veniva sempre chiuso a chiave.
Lasciando che il sorriso si allargasse si avvicinò allo strumento.
Con un veloce gesto del dito liberò un sol che vibrò per la stanza, infrangendosi contro le finestre velate dalle tende di cotone ricamato, regalate alla famiglia dalla zia il natale precedente. 
“Ti piace la musica?” chiese sedendosi allo sgabello, cominciando a suonare le prime note che gli vennero in mente.
“Anche a me.”
Riuscì quasi a percepire la consistenza della melodia spandersi per la villa. Come fosse un essere vivente, dotato di un corpo e un’anima propri. La musica era viva.
Questo Blaine lo aveva sempre saputo.
Lasciandosi trasportare prese a canticchiare senza seguire il testo, non conoscendo la lingua e, quindi, le vere parole di quel classico.
Quasi impercettibilmente, però, fu come se qualcuno gli cantasse lievemente la canzone all’orecchio, quasi un sussurro:
 
L’amour! l’amour! l’amour! l’amour!
 
La voce cristallina da soprano aumentava di intensità e volume ad ogni parola che intonava. Trasportando chi la ascoltasse in un mondo parallelo fatto di pura perfezione.
 
L’amour est enfant de Bohême,
il n’a jamais, jamais connu de loi,
si tu ne m’aimes pas, je t’aime,
si je t’aime, prends garde à toi!

 
Era come un giorno di primavera. Il rumore di un ruscello che sgela tra i ghiacci. La rugiada che cade da un filo d’erba all’alba. Come un lenzuolo di seta sulla pelle nuda. Come la carezza di un petalo di rosa.
 
L’oiseau que tu croyais surprendre
battit de l’aile et s’envola;
l’amour est loin, tu peux l’attendre,
tu ne l’attends plus, il est là.
Tout autour de toi, vite, vite,
il vient, s’en va, puis il revient;
tu crois le tenir, il t’évite,
tu crois l’éviter, il te tient! 

 
Un calore sconosciuto invase il petto di Blaine, raggiungendo lo stomaco, la pancia, e la gola; costringendolo a unirsi, seppur flebilmente, a quella voce che ora pareva cantare libera, come non la ascoltasse nessuno. Si riusciva persino a percepire la tensione in quella splendida voce, come fosse stato un uccellino tenuto in gabbia per troppo tempo, finalmente liberato che spiega le ali contro il sole e la brezza estiva.
 
 L’amour! l’amour! l’amour! l’amour!
 
Terminata la canzone Blaine non riuscì a trattenere un respiro pesante. Nonostante la sorpresa ed il timore, non era riuscito a smettere di suonare, come fosse naturale e indispensabile continuare ad accompagnare quella splendida melodia intonata in modo talmente magico. Era surreale.  
“Eri tu?”
Sussurrò quasi tremando. Era stata una delle sensazioni più meravigliose che avesse mai provato in vita sua. Si era sentito completo, perfetto, intoccabile, nell’abbraccio di quella voce e di quel profumo, tornato a inebriarlo.
Saltando in piedi si precipitò in camera sua per afferrare malamente la pallina di gomma e tormentarsela tra le mani, camminando avanti e indietro dall’armadio al letto per circa una decina di volte, prima di lanciare il giocattolo fuori dalla porta.
“Eri tu? Era la tua voce quella?” chiese febbrilmente, con un sorriso incontrollato che gli riempiva il volto teso.
Piano, con lentezza quasi snervante, la palla tornò sui suoi passi, arrestandosi a circa un metro da lui.
“È splendida.” Si lasciò sfuggire.
“Ti va di rifarlo? Vuoi cantare di nuovo? Per… me?- Con! Con me!” corresse immediatamente la sua presunzione arrossendo lievemente.  
L’oggetto azzerò lentamente la distanza, fino a scontrarsi lieve contro il suo piede.
“Ok.” Sussurrò afferrando la chitarra, bloccandosi poi di fronte ad un fatto non trascurabile:
“Io… non conosco canzoni della tua epoca. Voglio dire, non so da che tempo vieni; di ‘antico’, senza offesa, conosco solo qualche musica classica. Vuoi riprovare con la Carmen?”
La sfera gli si avvicinò.
“Con la chitarra non sarà il massimo…” soppesò sovrapensiero, cominciando comunque a pizzicare le corde.
Da subito la voce di prima, sebbene evidentemente intimidita, prese ad intonare il ritornello.
 
L’amour! l’amour! l’amour! l’amour!
 
“Sei bravissima.” Sussurrò rapito.
Subito la melodia intonata da quella che, ormai, si immaginava come una sirena con le gambe circondata, senza un motivo vagamente logico, da petali di rose bianche che le svolazzavano attorno, si bloccò seccamente.
Attribuendo l’improvviso silenzio ad una qualche forma di imbarazzo del fantasma, Blaine si lasciò sfuggire la domanda che lo tormentava dal giorno prima:
“Non è un argomento delicato ma… come sei morta?”
Notando il silenzio in cui era piombata la domanda, riprese più intraprendente: “Perché non rispondi? Ormai ho sentito la tua voce, ed è magnifica.”
Non arrivò nessuna risposta. Né dopo un minuto, né dopo due ore, quando la signora Anderson rincasò col marito, incontrato giusto davanti a casa.
Blaine si arrese al suo dubbio insoddisfatto, terminando la giornata noiosamente come l’aveva iniziata.
Frustrato e leggermente offeso dalla scarsa fiducia che lo spirito poneva in lui, andò a dormire dopo la solita chiacchierata via facebook con David.
Stava per abbandonarsi completamente al mondo semi-perfetto dei suoi sogni, che una voce, flebile come l’aria, appena soffiata al suo orecchio, lo cullò al sonno.
“Non ricordo molto. Questo è ciò che ho da mostrarti.” 







NdA: 

Buonsalve a tutti! 
Purtroppo sono in ritardo di una settimana... sorry :'( 
(La beta, Chià, fangirlizza)
Sssì... ok... almeno ha aiutato a rompere il ghiaccio^^ 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi raccomando fatemi sapere che ne pensate. 
Detto ciò... Buona giornata a tutti ed a coloro di voi che vivono in Emilia (come la sottoscritta) Couage!! 

p.s.: Per la canzone che cantano Blaine e... il cane-da-riporto-fantasma-che-cane-non-è, eccovi il link da youtube: http://www.youtube.com/watch?v=Y-KXAULqz80 (Celine Dion...<3)

Fede



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


4.


Riaprendo gli occhi, si ritrovò in una delle stanze della villa. Questa però non l’aveva mai vista. Le pareti, di un pallidissimo grigio perla riflettevano la luce del sole proveniente da una grande finestra, coperta da pesanti tende di velluto porpora; un grande lampadario pendente, ora spento, si stagliava imponente al centro del soffitto, coperto per la maggior parte dal volto di una donna chinata su di lui con un sorriso affabile e materno.
“Buongiorno!” lo salutò distanziandosi da lui, carezzandogli i capelli, dirigendosi poi verso il grande armadio di legno scuro contro la parete.
“Buongiorno.” Si ritrovò a rispondere Blaine con una voce che non era assolutamente la sua.
Sempre involontariamente si alzò dal letto e dal morbido enorme guanciale su cui doveva aver dormito.
Le sue mani erano… non sue. Lui non aveva le dita così affusolate. Non aveva la pelle così chiara e morbida.
Stava per farsi dominare dal panico, quando la donna riprese a parlare.
“Oggi i signori ci hanno dato il permesso di fare colazione in cucina.”
Detto ciò uscì dalla camera, prima che si chiudesse la porta alle spalle, Blaine-che-non-era-Blaine chiese: “Sono tornati?”
La cameriera, perché di quello doveva trattarsi, lo guardò dolcemente scuotendo piano il capo, gesto che le fece cadere un boccolo castano davanti alla fronte.
Sospirò alzandosi in piedi. Afferrando i vestiti poggiati sul fondo del letto dalla donna, pochi istanti prima, si cambiò velocemente.
Era un ragazzo. Un ragazzo particolare a giudicare dalla pelle diafana e delicata e i gesti lievi ma sicuri. Blaine si sentì in profondo imbarazzo quando il giovane si tolse la camicia da notte per infilarsi i pantaloni e la camicia. Si sentiva un intruso nell’intimità di quello sconosciuto.
Rabbrividì quando la mano sfiorò il petto glabro e pallido sotto la camicia, mentre si allacciava diligentemente i bottoni.
Guardandosi allo specchio, rimase incantato. Quel ragazzo era completamente diverso da lui. Più alto di qualche centimetro, i capelli castani venivano accuratamente pettinati, la pelle era pallida, come aveva già avuto la possibilità di notare, come di porcellana, il naso volto un poco verso l’alto, la bocca perfetta, col labbro superiore di poco più sottile di quello inferiore, e gli occhi… quegli occhi.
Talmente chiari da far sfigurare i mari tropicali in cui Blaine aveva fatto il bagno la scorsa estate; talmente brillanti che persino le stelle sarebbero risultate spente al confronto; talmente intensi da far venir voglia di toccarli per testarne la reale esistenza.
Era quel genere di occhi che, ne era sicuro, facevano fermare il traffico come nei film.
Elena doveva aver avuto occhi del genere per far scoppiare la guerra di Troia.
In un secondo, però, un’ombra scura calò sull’espressione del ragazzo che vedeva riflesso, per non lasciarlo più.
Blaine sarebbe voluto rimanere di fronte allo specchio per poterlo osservare all’infinito. Il giovane, però, aprì la porta, permettendogli così di capire quale fosse la sua stanza, e si incamminò verso le scale.
La colazione la passò in silenzio, ascoltando i discorsi vuoti e le raccomandazioni della cameriera.
“Kurt,” lo chiamò ad un certo punto la donna, carezzandogli il volto, facendogli alzare lo sguardo dal piatto mezzo pieno, “Suonami qualcosa, per favore.”
Blaine sentì il proprio volto tendersi forzatamente in un lieve sorriso, mentre voltava il viso per baciare il palmo della mano della governante.
Seguito poi dalla donna, si accomodò sullo sgabello del pianoforte nel salottino.
“Cosa vuoi che ti suoni?” chiese con voce soffice, mentre l’altra si sedeva ad piccolo sofà che Blaine non aveva mai visto.
“Quello che vuoi.” Rispose gentile ma stanca, sebbene fosse appena mattina. Solo allora riuscì a notare le profonde occhiaie che scalfivano il volto non poi così invecchiato della donna. “Basta che canti anche. Adoro la tua voce.”
Sorridendole grato, Kurt-Blaine prese a liberare la musica dalla costrizione dei tasti d’avorio bianchi e neri. Una melodia da balletto, il lago dei cigni ricordò Blaine, mentre le mani danzavano sulla tastiera aggraziate come mai le sue lo erano state.
Come per la prima volta in cui aveva sentito lo spirito cantare l’Habanera, la voce che gli uscì stranamente ma magnificamente dalla bocca prese a cantare senza parole sulla musica.
Appannandosi lentamente, la scena cambiò.
Si ritrovò in un’altra della stanze della casa, una delle più piccole. Arredata semplicemente con mobili in legno e tessuti dai colori morbidi e accoglienti.
Stringeva la mano alla governante, stesa sul letto. I lunghi boccoli castani, di poco sbiaditi dall’età, che cadevano sul guanciale bianco e le occhiaie più marcate che mai. Era pallida, di un colorito quasi giallastro, la sua mano stringeva debolmente quelle di Kurt, guardandolo con sguardo dispiaciuto e affettuoso.
“Vuoi dell’acqua Helena?” chiese lui dolce, rafforzando lievemente la presa sulla mano della donna che scosse piano il capo.
“Sei diventato così grande…” soppesò la malata carezzandolo con lo sguardo, “e sei così bello…”
Un piccolo sorriso grato increspò le labbra tristi di Kurt, mentre prendeva a baciare le dita della governante.
Ciò che il ragazzo provava, però, non erano i sentimenti che Blaine si sarebbe aspettato nei confronti di una dipendente. Per lui quella fragile donna ormai consumata dalla malattia era alla stregua di una madre. Il cuore di Kurt piangeva, gridava, si lacerava, mentre la luce abbandonava lo sguardo di Helena ed i suoi occhi si chiudevano debolmente.
In meno di un attimo la vista gli si annebbiò per via delle lacrime ma il ricordo non mutò. Rimase lì, inerme di fronte al dolore della perdita di quel ragazzo che piangeva tanto disperatamente sul corpo di chi, probabilmente, era l’unica persona che si fosse mai curata di lui.
Urlava. Grida strazianti gli partivano dal petto ed uscivano dalla sua gola. Per Blaine era impossibile ascoltare tutto quel dolore senza poter fare nulla. Avrebbe voluto stringerlo, asciugargli le lacrime, dirgli che ce l’avrebbe fatta, che non era solo al mondo.
La scena in cui si ritrovò in un lampo, però, gli dimostrò l’esatto contrario.
Era seduto per terra, poggiato contro il letto, immerso nella lettura di 'La dodicesima notte'. Segnava col dito le parole che leggeva a fatica. Il cuore di Blaine perse un battito alla vista della mano sul libro; più pallida, dello stesso colorito del volto di Helena, magra, scarna, come quella di uno scheletro.
Arrivato al termine della commedia, Kurt chiuse il libro, poggiandolo accanto a se sul pavimento, dove stavano raggruppati altri titoli come ‘Romeo e Giulietta’ e ‘Everyman’. Sotto di essi, un blocco di fogli da cui si intravedeva il disegno di un vestito scenico e di una scenografia.
Kurt amava il teatro. Lo poteva capire dalla concentrazione particolare che impiegava nell’immaginarsi ogni aspetto di ciò che aveva appena letto. Si lasciava trasportare dal mondo che immaginava tanto splendido quanto gli era parso leggendo le opere ad esso destinate.  
A fatica si alzò in piedi, constatando quanta fatica facessero ormai le sue gambe a sostenerlo. Si stagliò davanti allo specchio.
Avesse potuto, Blaine avrebbe urlato di dolore e orrore. Il bel volto di Kurt era scavato e anch’esso solcato da profonde occhiaie che il ragazzo si sfiorò, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo. Aveva di sicuro perso più di quindici chili dallo scorso ricordo. La cosa che più provocò dolore a Blaine furono i sui occhi. Spenti, arresi all’inevitabile, ma sempre dello stesso meraviglioso celeste sogno.
Dirigendosi al comò vicino alla finestra, afferrò una cornice decorata in filigrana d’argento, ormai rovinata dal tempo, nonostante sembrasse essere stata sempre tenuta con la massima cura.
Una foto ingiallita e rovinata mostrava una famiglia felice. Un uomo robusto, benvestito, con una bombetta in testa e un sorriso fiero, poggiava la mano sulla spalla della moglie, seduta davanti a lui su una ricca poltrona; una donna sui venticinque anni, dai lunghi capelli castani chiaro raccolti in fitti ricci che le decoravano il capo, mentre alcuni le ricadevano sul volto, incorniciando la pelle e gli occhi chiari. In braccio alla donna stava un bambino che sfoggiava un vestitino nuovo di zecca con un sorriso radioso che gli illuminava il piccolo volto rotondo.
Kurt si sedette nuovamente con le spalle poggiate al letto, abbracciando con tutta la forza di cui era capace quella piccola rigida fotografia.     
Allungando il collo, poggiando il capo al materasso dietro di lui, trasse un profondo respiro tremulo,mentre una seconda lacrima solitaria gli scivolava lungo la gota e le labbra gli si piegarono all’insù quasi impercettibilmente.
Espirando, chiuse lentamente le palpebre. Tenebre profonde calarono sui suoi occhi lasciandolo nel buio, dove i suoi nervi si calmarono e i muscoli si rilassarono.
Fu come se, in un solo sospiro, tutto il dolore e le oppressioni di quella breve vita fossero state risucchiate dal respiro di un angelo.
 
Spalancando gli occhi, Blaine si ritrovò nel suo letto, con le lenzuola ed il cuscino buttati per terra, completamente sudato e sconvolto. Le ciglia imperlate di lacrime e la gola piena di singhiozzi soffocati.
Ringraziò di aver chiuso la porta la sera prima, così da non doversi preoccupare che la madre lo sentisse dalla sua stanza.
Il brivido freddo, ormai conosciuto, interruppe il suo pianto dopo qualche istante, costringendolo ad alzare il volto dalle mani per cercare qualche cosa, qualsiasi cosa, da dire.
“Io…” iniziò con voce tremante, asciugandosi le lacrime col dorso della mano, “Grazie per avermi mostrato la tua storia. O, almeno, la sua fine. Non so davvero cosa dire, ho mille domande che mi vorticano in testa e… Dio, mi dispiace di averti scambiato per una ragazza ma… ma la tua voce è così leggera mentre canti che mi sono confuso. Era così lieve anche quando eri vivo? Domanda idiota, ti ho appena sognato, è ovvio, conosco la risposta. È una voce così particolare- non che sia brutta! Anzi, la adoro ma…” stava blaterando. Sproloquiava come una bambino indeciso in preda al panico.
“Mi ha un po’ confuso le idee. Poi, diavolo, ti ho visto senza camicia! Scusami ma ero nei tuoi ricordi, quindi non potevo fare molto, non potevo neanche scegliere se chiudere gli occhi o meno. Anche se, ragionandoci, ora siamo pari, dato che sono sicuro fossi tu nel bagno l’altro giorno mentre mi facevo la doccia, ho sentito il tuo profumo, e-”
Zitto!”  








NdA: 

Buonsalve! 
In ritardo come al solito ecco il quarto capitolo. 
Finalmente scopriamo chi è lo spirito con cui Blaine ha fatto amicizia. Non che ci fosse molto da scoprire, sono più che sicura che l'avevate già capito tutti!XD 
Che ve ne pare della storia di Kurt? Triste, vero? Quando ho scritto la fine, la parte in cui chiude gli occhi morendo, non sono riuscita a trattenere una lacrimuccia ed io non sono una tipa che si commuove facilmente. 
Direi che Blaine aveva preso un bel granchio alla fine dello scorso capitolo, scambiando il povero Kurt per una ragazza!
Poveretto! Morto, solo, timido e pure scambiato per una femmina!XD
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando! 
Un abbracio a tutti<3 

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


5.

 
Aveva sentito quella voce. Non se l’era sognata, ne era sicuro. Dopo quell’episodio, però, Kurt non si era più fatto né sentire né percepire.
Dopo una settimana, Blaine cominciava a pensare di essere impazzito, che ciò che gli era capitato non fosse altro che uno strano scherzo del suo cervello di conseguenza al trasloco non voluto e allo stress a cui i suoi genitori lo sottoponevano, riguardo la sua ammissione a Yale.
Suo padre aveva trovato per caso degli spartiti tra i libri sulla sua scrivania; testi e note di canzoni che Blaine aveva cantato coi Warblers, il glee club della Dalton, fino a pochi mesi prima.
“La musica è un buon passatempo” gli ripeté il padre per l’ennesima volta, “Fa bene alla mente ed ai nervi. Ma non porta il pane in tavola. Dovrai superare infinite difficoltà, la carriera giuridica è piena di intralci e la gente che tenterà di tagliarti la strada, farà, molto più spesso di quanto tu creda, leva sul fatto che sei gay. Useranno questa tua caratteristica contro di te. Non devi dare loro altri pretesti per metterti i bastoni tra le ruote.”
Sapeva che lo diceva per il suo bene. Gliela leggeva negli occhi quella preoccupazione che aveva attanagliato lo sguardo del genitore da quando gli aveva rivelato la sua natura. Come ogni buon padre desiderava il meglio per il proprio figlio e sapeva che per ottenerlo, Blaine avrebbe dovuto sfoderare tutte le armi in suo possesso; lui non voleva altro che il figlio imparasse ciò, come ogni uomo.
Dopo quella ramanzina, il signor Anderson se ne era andato al lavoro, lasciando Blaine solo, come ormai restava tutte le mattine.
Il ragazzo si era accasciato sul pianoforte, producendo un suono cupo e stonato che si sovrappose ad un secondo rumore di vetro infranto. Alzandosi di scatto, si precipitò nella sala accanto, trovando un vecchio vaso di cristallo in mille pezzi, con l’acqua che si espandeva per il pavimento di marmo, rendendolo più lucido e i girasoli comprati dalla madre abbandonati a terra.
Sbuffando seccato, andò in cucina a prendere uno straccio e la scopa.
Avrebbe voluto tentare di instaurare l’ennesimo contatto col fantasma; ma era stanco. Stanco di dover essere sempre lui ad andare in contro a tutto ed a tutti. Se Kurt gli aveva mostrato i suoi ultimi ricordi voleva dire che anche da parte sua c’era la volontà di comunicare, no? Allora perché dopo quella notte, dopo averlo fatto entrare così nella sua esistenza, l’aveva ignorato, restando muto ogni volta che Blaine lo chiamava o che tentava di parlare con lui lanciandogli la palla di gomma.
Dopo aver ripulito si accasciò sul divano, poggiando i piedi al tavolino di legno di fronte al sofà. Assorto nei suoi pensieri, prese a scarabocchiare distrattamente su un block-notes, lo faceva spesso anche a scuola, fingendo di ascoltare le lezioni, mentre scambiava bigliettini con David e Wess sotto al banco.
Diventava complicato spedirsi messaggi quando nel gioco si intromettevano anche Jeff e Nick che, casinisti com’erano, si erano procurati non pochi richiami.
Facendolo sobbalzare il cordless prese a squillare, costringendolo ad alzarsi dal divano.
“Blaine, per fortuna sei in casa!” lo salutò sua madre dal lavoro.
“Dove altro dovevo essere? Sono tutti in vacanza.”
“Smettila di fare il melodrammatico e segnati per me un numero di telefono nell’agenda. Vai alla A e scrivi avvocato Meredith-”
“Hai bisogno di un avvocato, perché?”
“Non è per me, è per Meredith, la mia collega. Ora scrivi…”
Finito di annotare il numero, la signora Anderson chiese:
“Tutto bene a casa? Come va la mattinata?”
“Splendidamente!” ironizzò lui poggiandosi con una spalla al muro, “Ho sventato un attacco terroristico e recuperato il cuore dell’ oceano dai fondali marini, il tutto senza uscire in giardino!”
“Sciocco.” Lo ammonì la donna sghignazzando.
“Mamma, pensavo…” azzardò Blaine dando un calcio al nulla, “Quando i miei amici saranno tornati dalle loro vacanze da sogno… potrei invitarli per una grigliata in giardino o… qualcosa del genere?”
“I tuoi… amici?”
“Sì. David, Wess, Jeff, Nick, Logan, Thad, Trent… I Warblers. No, mamma.” La bloccò prima che potesse porgli la solita domanda che, puntuale, arrivava sempre a quel momento del discorso, “Nessuno di loro mi piace in quel senso e/o è il mio ragazzo.”
“Va bene.”
“Va bene?!?” Si stupì della propria fortuna.
“Sì. Ne parliamo poi meglio quando sarà il momento, ok?”
“Grazie mamma.”
“Sìsì, certo. Ora torno al lavoro. Un bacio tesoro.”
Riagganciando la cornetta la signora Anderson pose fine alla telefonata. Blaine prese a saltare allegro come alle ultime regionali vinte dai Warblers.
Tornando allegramente alla sua postazione dell’ozio, si buttò letteralmente sul divano con un sorriso a trentadue denti, prima di buttare l’occhio sul taccuino, dove, mentre il suo respiro si mozzava per un istante, lesse: Parla.
La scrittura era leggera e veloce, dalle lettere piccole e strette, non tondeggianti e un poco infantili come le sue.
Guardandosi in giro decise di provare un’ultima volta ad approcciarsi con Kurt. Questa volta, però, avrebbe fatto a modo suo.
Mettendosi le mani in tasca, fingendo indifferenza, uscì nuovamente dalla stanza, andando in cucina. Bevve con tutta calma un succo d’arancia, sfogliando un giornale di gossip dimenticato dalla madre.
Tornando in salotto diede una seconda occhiata ai fogli. A fianco alla prima scritta stava una sua copia: Parla.
Concedendosi un sorriso storto, rivolto al nulla, salì in camera sua, mosso dalla stranissima e inconsulta voglia di rifare il proprio letto o, per lo meno, dargli una parvenza di ordine superficiale.
Quando tornò per la terza volta, la parola era accompagnata da un punto esclamativo: Parla!
Prendendo in mano la matita Blaine prese a scrivere nervosamente.
Da fastidio essere ignorati, vero?
Scritto ciò, lasciò scivolare il block-notes e la matita sul tavolino che aveva di fronte, chiuse gli occhi, inspirando profondamente per tre volte, prima di riaprirli.
Parlami
 
Non dirò nulla, finché non sarai tu a parlare per primo.
 
Come prima, dopo aver scritto chiuse gli occhi per non riaprirli prima di una trentina di secondi.
 
Ti prego
 
Hai paura?
 

 
Anch’io.
 
Avevano entrambi paura. Una paura matta di entrare veramente in contatto tra loro. Così lontani, eppure così vicini. Due tempi diversi, due mondi diversi; eppure erano li. Tutti e due in attesa che un qualcosa, qualunque cosa, li facesse avvicinare.
C’erano sicuramente regole non scritte che vietavano al mondo dei vivi e quello dei morti di entrare in contatto. In quel momento, però, non parve importare a nessuno dei due.
L’aria si era appesantita, diventando tangibile e densa come lo è solitamente in quegli attimi che precedono una tempesta. Come prima di un esame, quando si è talmente tesi che ogni secondo scandito dall’orologio pare si allunghi all’infinito e si vorrebbe solo chiudere gli occhi, per risvegliarsi a cose fatte.
Blaine si sentiva così. Fatta eccezione per la parte del chiudere gli occhi per aprirli alla fine. Era agitato ma non per la paura. Voleva udire la voce di Kurt più di ogni altra cosa. Voleva vederlo. Rivedere quegli oceani cristallini che erano i suoi occhi, le sue labbra sottili e, ne era sicuro, morbide, la sua pelle che pareva di cristallo opaco. In quel momento Blaine tentò di concentrarsi solo sul ricordo di quella splendida voce.
Una cosa alla voltasi ripeteva, per ora voglio solo sentire la sua voce. Solo quella. Ti prego.
Passarono dieci minuti senza risposta.  Blaine riprese la matita e scrisse un’ultima cosa:
Kurt. Anch’io ho paura. Tantissima.
 
“Blaine.”
Il cuore gli piombò dal petto allo stomaco, per poi tornare al suo posto con sussulto.
Kurt era lì, lo aveva chiamato, con una voce sottile come quella di un bambino terrorizzato. Era sicuro che, se avesse potuto vederlo, lo avrebbe visto tremare, intento a contorcersi le dita nervosamente, o a tirarsi i capelli castani dietro un orecchio con scarsi risultati.
Un timido sorriso stupefatto illuminò il volto del moro, mentre cercava di articolare una qualsiasi frase di senso compito, ridotta poi una lieve carezza della voce: “Kurt.”
Parlò rivolto al nulla. Gli pareva che il suono provenisse non molto lontano da lui; al di là del tavolino di legno. Non potendone essere sicuro preferì comunque guardare fisso di fronte a sé.
“Grazie, Kurt. Grazie.”
“Hai… paura?” la voce giungeva ancora lieve e timorosa, come se il ragazzo si coprisse la bocca con la mano.
“Sì. No. Non più. Eppure sì…” Blaine sospirò frustrato, odiava non riuscire a spiegarsi, facendo la figura del babbeo balbettante, “Mi sei mancato. Pensavo… di essere impazzito.”
“E se tu fossi pazzo, adesso?”
Blaine scosse vivamente la testa, sorridendo in modo quasi infantile, “Tu sei reale.” 







NdA: 

Buonsalve a tutti!! 

Come al solito sono in ritardo rispetto ai miei piani ma ormai la fiducia sulla mia puntualità sta scemando sempre più (sopratutto dalla parte della sottoscritta). 
Anyway... Come va coi primi caldi estivi? Personalmente è un paio di giorni che rimpiango l'inverno con tutta me stessaT.T
Per i maturandi come sta andando? Tutto bene spero!
Nel caso vi stiate preparando per la terza prova... Cosa ci fate quì a leggere?? Filate a studiare!!XD
Scherzo, un po' di riposo fa sempre bene e se avete impiegato un po' del vostro poco tempo per leggere questo capitolo, non posso che ringraziarvi con tutto il cuore^^ 

A proposito... Piaciuto il capitolo?
E quello scorso? Non ha commentato nessuno quindi mi chiedevo se c'era qualcosa che non vi piaceva o non vi convinceva... 
Che mi dite? 

Spero di riuscire a aggiornare prossima settimana (non dovrebbero essere problemi... in teoria... betaggio permettendo:P)
Un abbraccio a distanza (abbracciarsi con 'sto caldo è tremendo!) a tutti!

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


6.


 
“Mi raccomando, tesoro, stai attento alla torta che ho messo nel forno.”
“Non sia mai che distrugga uno dei tuoi rari sprazzi casalinghi!”
Era raro, infatti, che la signora Anderson si mettesse a cucinare, soprattutto il mercoledì mattina, giorno in cui aveva la mezza giornata libera dal lavoro. Quando Blaine si era svegliato, aveva quasi temuto che i suoi si fossero dimenticati il gas acceso, sentendo il profumo prodotto dal dolce della madre; il che non era certo un buon segno.
“Perché stai uscendo se hai la mattinata libera?” le chiese mentre la osservava indossare le scarpe.
“Commissioni. Attento alla torta.” Gli ricordò prima di chiudersi la porta alle spalle.
Salutandola dalla finestra, Blaine si stampò il solito sorriso di circostanza sulle labbra per poi scoppiare ad esultare quando l’automobile della madre uscì dal cancello.
“Tua madre ti ha dato il permesso di invitare i tuoi amici?” gli chiese la voce limpida di Kurt, prendendolo un po’ di sorpresa.
Blaine annuì vigorosamente, voltandosi con una piroetta. Non sapeva mai dove guardare quando parlava con Kurt il che lo faceva sempre sentire un pazzo disturbato.
“Purtroppo però devo aspettare il prossimo mese, ora sono tutti in vacanza nelle loro ville al mare.”
“Non ti senti solo?”
“Fino alla scorsa settimana sì. Poi ti sei deciso a parlare.” Rispose sorridendo, immaginandosi lo spirito arrossire un poco, in una maniera che lui avrebbe sicuramente adorato.
“Comunque mi sto pentendo della mia decisione.” Lo riprese Kurt serio.
“Perché? Ho-ho fatto qualcosa che ti ha offeso, ho-?”
Una lieve sghignazzata rimbalzò sulle pareti del corridoio, facendo scappare un piccolo sorriso anche a Blaine.
“No. Non hai fatto nulla, ma non stai zitto un attimo.”
“E… è un male?”
Dopo un breve momento di silenzio, il fantasma rispose in un sospiro: “No. Non proprio.”
Passarono qualche minuto in silenzio, semplicemente godendosi la rispettiva compagnia.
Blaine non lo vedeva, ma sapeva che era lì, con lui. Forse seduto dall’altra parte del divano o, magari, dritto davanti alla libreria intento a leggere col capo lievemente inclinato, i nuovi titoli che la famiglia Anderson aveva aggiunto ai suoi vecchi libri.
“Blaine,” iniziò ad un certo punto, facendo alzare il volto del moro dal suo libro, “insegnami una canzone. Una nuova.”
“Sicuro? Sono molto diverse da quelle a cui sei abituato.” Fece lui tornando con gli occhi sulla frase lasciata a metà.
“Sì. Voglio imparare. Per favore.”
Sorridendo, il ragazzo mise il segno alla sua lettura, buttando poi il libro sul cuscino accanto a lui.
“D’accordo. A patto che tu mi consigli un nuovo libro. Questo l’ho quasi finito.”
“Ma li conosci praticamente tutti.” Gli fece notare lo spirito con voce divertita.
Era vero, Blaine conosceva praticamente tutti i libri di cui Kurt gli parlava e ne aveva letti e riletti più della metà. Ma li avrebbe volentieri riletti una terza e anche una quarta volta, solo per far piacere all’amico.
Salendo le scale verso camera sua, Blaine pensò a quale canzone poter insegnare a Kurt. Non doveva essere qualcosa di troppo movimentato, non voleva certo scioccarlo subito, ma non poteva nemmeno rifilargli una di quelle lagne che piacevano tanto a sua madre!
Come un fulmine a ciel sereno lo colpì una melodia perfetta.
“Kurt, tu sei religioso?”
“Non proprio. Perché?”
“Bhe… tanto non vuol dire niente.” Rimuginò tra sé e sé il moro, infilandosi la chitarra a tracolla. Posizionando lo spartito sul letto accanto a lui, in modo che Kurt potesse leggere il testo, prese a strimpellare, aggiungendo poi alla sinfonia con la chitarra la propria voce, volutamente più bassa e calda:
 
I heard there was a secret chord 
That David played and it pleased the lord 
But you don't really care for music, do you 
Well it goes like this the fourth, the fifth 
The minor fall and the major lift 
The baffled king composing hallelujah 

Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah .... 

Well your faith was strong but you needed proof 
You saw her bathing on the roof 
Her beauty and the moonlight overthrew you 
She tied you to her kitchen chair 
She broke your throne and she cut your hair 
And from your lips she drew the hallelujah 

Come la volta precedente Kurt si unì a lui per il ritornello. Come la prima volta, le loro voci insieme creavano un connubio assolutamente perfetto. Era come… come una fiamma che scioglie il ghiaccio. Come una lieve brezza tra i capelli in una calda giornata estiva. Le fiamme di un grande camino vicino alle mani infreddolite dopo una pomeriggio tra la neve.
  
Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah .... 

Prendendolo in contropiede, Kurt intonò la terza strofa.
 
Baby i've been here before 
I've seen this room and i've walked this floor 
I used to live alone before i knew you 
I've seen your flag on the marble arch 
But love is not a victory march 
It's a cold and it's a broken hallelujah 

Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah .... 

Terminarono la canzone e Blaine avrebbe dato qualsiasi cosa per poter guardare Kurt negli occhi, per vederli lucidi come, sicuramente, erano i suoi; per sorridere alla vista delle sue gote, solitamente pallide, arrossate dalla passione con cui aveva cantato insieme a lui.
“È bellissima.” Lo riscosse la voce leggermente affannata dello spirito, “E… non parla di religione… almeno… non esplicitamente…”
“Non credi in Dio, Kurt?” chiese diretto, portandosi la chitarra dietro la schiena. Non voleva metterlo in difficoltà, voleva solo conoscerlo meglio.
“No. Cioè, da bambino sì. Non mettevo indubbio la sua esistenza ma… sono successe delle cose… io non…” prese a balbettare confuso, “Ricordo… che all’inizio credevo poi… no. Ho smesso. Forse…” riprese con semplicità, “se avessi creduto… se credessi… non sarei qui ma… dove sono gli altri.”
“Dove sono gli altri?”
“Non lo so. Suppongo comunque di non dovermi trovare qui.”
Un pesante silenzio piombò tra loro. Blaine, essendo già entrato in contatto col carattere suscettibile dello spettro, non voleva rischiare di farlo arrabbiare; rimaneva, quindi, seduto sul letto a contorcersi le dita nervoso.
“Sarà una cosa egoista da dire,” riprese non riuscendo a fermare le parole, “ma sono contento tu sia qui.”
“Anche’io che ci sia tu.”
Il nuovo silenzio che seguì, venne interrotto dal leggero sbuffo sorridente di Blaine che si accasciò sul letto dopo essersi levato la chitarra di spalla.
“Vorrei tanto vederti di nuovo. Mi sembra di parlare costantemente al telefono o di essere in una di quelle stanze che si vedono nei telefilm polizieschi, con gli specchi riflettenti solo da un lato. Tu puoi vedere me, ma io non posso vedere te. È frustrante.”
“Telefilm?”
“Non deviare il discorso per favore.”
La lieve risata di Kurt si infranse contro le pareti mentre il suo proprietario usciva, probabilmente, dalla stanza.
“Credo che la torta di tua madre si sia carbonizzata.”
 
A cena, quella sera, si unì a loro un collega del signor Anderson con la propria famiglia. La figlia, una giovane circa dell’età di Blaine, cercava in tutti i modi di attirare l’attenzione su di sé, fino a rovesciare ‘inavvertitamente’ il suo bicchiere di succo sulla camicia del ragazzo che, gentilmente come gli era stato insegnato, si congedò per andare in camera a cambiarsi.
Blaine fu grato di quella scusa a portata di mano, preferiva lavare la macchia via a mano piuttosto che assistere a sua madre che raccontava con un sorriso innocente di quando, da piccolo, aveva fatto pipì sul tappeto o di come, appena poche ore prima, fosse distratto da ‘Dio-solo-sa-cosa’ bruciandole così la torta che aveva preparato apposta per la serata (immane bugia dato che il padre aveva detto loro degli ospiti solo un paio di ore prima).
Portando la camicia sporca in bagno, dopo essersi cambiato, venne raggiunto da Kurt che, con tono acido, chiese: “ Se vuoi vendetta basta dirlo. Suo padre sta bevendo vino, ci metto un niente a macchiarle quel bel vestitino di cotone da due soldi.”
“Tranquillo.” Rispose sghignazzando, “Tanto non caverà un ragno dal buco comunque.”
“Non è abbastanza carina? Hai gusti più particolari? In effetti ha una faccia un po’ cavallina e il cranio troppo piccolo.”
“Parli come mia nonna.” Riprese a ridere, tentando di togliere la macchia lavando l’indumento a mano, “Comunque no. Cioè, è per via dei gusti ma… potrebbe anche essere Anne Hathaway che non mi cambierebbe nulla.”
“Farò finta di sapere di chi stai parlando…”
“L’attrice che recitava in televisione l’altro giorno.” Spiegò Blaine sorridendo.
Ogni tanto si dimenticava di quella piccola differenza che c’era tra loro: il tempo.
“Hai un debole per le bionde?”
“No. Non mi piacciono le ragazze.” Ammise tranquillamente, arrendendosi alla macchia che gli resisteva tenace e buttando la camicia nel cesto della biancheria.
“Kurt?” chiamò quando non udì alcun tipo di risposta, alzando finalmente il capo dal lavandino.
Bloccandogli il fiato, vide in controluce, di spalle alla finestra sul fondo del corridoio, da cui entravano i raggi rossi del tramonto, la figura slanciata di Kurt. Sebbene semitrasparente, vedeva chiaramente il rossore sul suo volto incorniciare i suoi occhi cristallini, sebbene sbiaditi dalla trasparenza, spalancati, come spaventati ma, comunque, accesi da una strana luce di speranza.
Non riuscendo a trattenersi, Blaine sorrise estasiato, allungando una mano verso di lui. Ritraendosi, però, con uno scatto, come scottato, Kurt tornò invisibile, permettendo a Blaine di udire solamente i suoi passi che, affrettati, si rintanavano in soffitta. 









NdA: 


Ecco il nuovo capitolo! Non sono poi tanto in ritardo 'sta volta, no? 
Lo sono? 
Ho perso un po' la cognizione del tempo per colpa di alcuni compiti da consegnare all'ultimo quindi sorry!!
Comunque... che ne pensate?
Ah! Cosa importantissima!!

Un minuto di silenzio per la torta della signora Anderson. Uno dei pochi sprazzi di... casalinghità(?) di quella benedetta donna. 

Eeeeeeeeee quindi... 
Grazie mille a tutti quelli che hanno commentato e che seguono la storia. Davvero mille abbracci a tutti! 
(Gongolo per il consenso della mia cara beta Chià, stanca morta) 

Per chi di voi non conoscesse la canzone cantata da Kurt e Blaine... (anche se ne dubito fortemente...)
Ascoltatevela infedeli! (?): (Hallelujah di Rufus Wainwright) http://www.youtube.com/watch?v=gcM02aV39xc 

Detto ciò, buona serata a tutti (subconscio: Chi vuoi che legga in un sabato sera estivo?!?? Solo tu che te ne stai rintanata in casa col condizionatore a palla!!)
(scherzi a parte... 39 gradi?!?? Ma ci lessiamo!!!)  

Ciaociao!

Fede 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. ***



7.



 
Blaine provò ad aspettare che Kurt si facesse vivo per tutta la nottata. Si scervellò come un pazzo per trovare un senso al suo comportamento. Poi, quando un’idea lo colpì violentemente, non poté fare altro che considerarla come l’unica verità.
Kurt non voleva vederlo.
Gli aveva confessato di essere gay e lui era scappato. Al suo tempo, l’omosessualità non doveva certo essere un argomento molto trattato. Probabilmente veniva evitata e nascosta il più possibile. Forse Kurt era cresciuto in una famiglia che gli aveva insegnato a disprezzare quelli come lui. Se così fosse stato si spiegava l’espressione sconvolta sul suo volto e lo scatto spaventato che aveva fatto allontanandosi dalla sua mano.
Non riuscendo a trattenersi, si abbracciò le ginocchia e, mordendosi le labbra, tentò di impedire che quelle stupide lacrime scendessero dai suoi occhi.
Era come se una voragine si fosse spalancata nel mezzo del suo petto e da essa, bruciando come un fuoco, uscisse tutto il suo dolore, tutto ciò che aveva provato con Kurt e per Kurt.
Lo conosceva da poco e tra loro c’erano fin troppe differenze, prima fra tutte la morte e la vita, a Blaine però pareva che questo aspetto, per quanto ingombrante, non fosse meno insormontabile di altri. Era stupido un pensiero del genere, lo sapeva benissimo. Ma non poteva fare a meno di ignorarlo. Lui era lì e Kurt era lì; nient’altro gli importava. Ogni volta che lo spirito gli sorrideva o scherzava con lui, si sentiva come sulle nuvole e non poteva fare altro che sorridere a sua volta, molto spesso con espressione ebete, come Kurt si premuniva di fargli amichevolmente presente.
Non sapeva se ciò che aveva iniziato a provare per l’amico, oltre una forte e innegabile attrazione, potesse essere qualcosa di più profondo, era in realtà la prima volta che si poneva una simile domanda. Si accontentava di passare le sue giornate con lui, ciò bastava a renderlo felice e rasserenarlo.
Si era appena lasciato sfuggire un singhiozzo quando il profumo fruttato e unico dello spirito lo colpì come aria gelida. Soffocando il respiro irregolare con una mano, strinse in un pugno ferreo le lenzuola sopra la propria testa, in attesa di un qualsiasi gesto da parte dell’altro.
“Blaine?” lo chiamò sussurrando Kurt, sedendosi sul bordo del letto, accanto a lui.
“So che non stai dormendo, Blaine.” gli si avvicinò, fino a sfiorargli i capelli con le dita.
Non era come una carezza normale. Era più simile al contatto con un minuscolo banco di nebbia, laddove avrebbero dovuto esserci le dita del ragazzo.
“Ti prego. So di averti ferito ma… posso spiegarti tutto, in un certo senso… Blaine, guardami. Per favore.”
Udendo l’ultima parola rotta da un tremolio nella voce dell’amico, Blaine si fece forza e, scoprendosi dal lenzuolo, si mise a sedere sul materasso. Nel buio la figura scura della siluette del fantasma si stagliava sfocata poco distante da lui.  
“Puoi accendere una luce?” domandò leggermente sollevato Kurt, tirandosi un ginocchio vicino al petto, poggiandosi col tallone al bordo del letto.
Blaine obbedì e, appena rivoltatosi verso il suo interlocutore, ebbe una delle visioni più splendide della sua vita: Kurt se ne stava seduto davanti a lui sul suo letto, una gamba che veniva lasciata dondolare giù dal giaciglio e l’altra tenuta vicino a sé, le mani sul ginocchio che gli sfioravano le labbra socchiuse e gli occhi cristallini incollati a quelli di Blaine. La luce della abat-jour gli illuminava appena metà volto, i cui colori, sbiaditi dall’inconsistenza, sembrarono ravvivarsi quando, con un lieve sorriso accennato, allungò una delle mani affusolate per cercare inutilmente di carezzare la gota di Blaine, arrossendo poi ritirando la mano, definita ‘troppo audace’ dal proprietario.
Restarono in silenzio ad osservarsi, a studiarsi, ad imprimersi reciprocamente nella memoria quei piccoli particolari che i sentimenti combattuti imprimevano loro sui volti.
Il primo a parlare fu, stranamente, Kurt che, con un sorriso imbarazzato, reso spettacolare dal luccichio che gli illuminava le iridi, disse: “I tuoi occhi brillano.”
“Anche i tuoi.” Rispose Blaine inclinando il capo, senza distogliere lo sguardo dal suo.
“Perché sei scappato?” chiese poi cercando di contenere il tremolio che si era ripresentato nella sua voce. Mentre il suo sorriso si spegneva, Kurt abbassò lo sguardo, fino a nascondere le labbra con le mani.
“Blaine tu sei… sei la prima persona che incontro che… non ha paura. Di sé stessa. Io non ricordo bene, lo sai, ma ho l’impressione che ciò… quello che mi hai detto oggi, credo mi avessero insegnato fosse sbagliato.”
“Per molti lo è ancora Kurt. Ma ormai è una condizione riconosciuta ed io odio nascondermi.”
Con un sorriso quasi invidioso Kurt riprese: “È anche per questo che sono fuggito oggi. Per questa enorme differenza tra noi, tra le nostre due realtà. Tu… sai cosa sei… hai dato un nome a questa, scusa il termine, diversità. Io… so solo che io ero come te. Le ragazze non mi interessavano. Ricordo che fu per questo che non potevo uscire. Tutti i miei ricordi, li hai visti, si svolgono in quella camera, in queste stanze. Ho sempre pensato che essere com’ero fosse una punizione. Un modo in cui Dio, o chiunque per lui, mi dicesse che era colpa mia se… non ricordo… è tutto così confuso…”
Blaine voleva abbracciarlo, prendergli le mani dicendogli di calmarsi, di respirare, di non preoccuparsi perché non era obbligato a raccontargli tutto.
Avrebbe voluto baciarlo.
Quel pensiero gli attraversò il cervello come un fulmine in un giorno senza pioggia.
Tutto in quel ragazzo gli urlava ‘baciami’. La pelle così chiara, i capelli così soffici e perfetti, le dita così sottili, il collo flessuoso, il corpo sinuoso, quel suo adorabile naso all’insù, la sua dannata bocca fatta per sorridere e cantare, certamente non per starsene aperta in un sospiro soffocato dal panico come in quel momento e quei suoi magnifici occhi di diamante e topazio, dentro i quali si riusciva perfino a scorgere un’intera galassia; almeno, Blaine avrebbe giurato di vederla. La sua galassia. Dove, da qualche parte, in un qualche remoto angolo, stava il suo pianeta.
“Poi sei arrivato tu.” Lo riportò in quella stanza la voce dell’amico, “E senza nemmeno accorgertene mi hai mostrato che non era una punizione. Perché se avevano punito me, che motivo potevano avere per punire anche te? Mi hai liberato di una prigione molto più opprimente di queste mura. Tutto ciò l’ho capito in queste poche ore. Quando ti ho sentito parlare di ciò che sei, con una naturalezza a me sconosciuta, prima… mi ha colpito perché ho capito…” prese a trarre profondi respiri e a sbattere velocemente le ciglia, “che non ero solo che –singhiozzò- sono scappato, perché… ho avuto paura. In un momento tutto ciò che mi avevano insegnato era tornato a galla mentre tu te ne restavi di fronte a me con quello sguardo e-”
“Basta.” Sussurrò Blaine cercando di prendergli una mano, col solo risultato di passargli attraverso.
“Basta Kurt. Dimenticati ciò che ti dicevano. Parlavano per pregiudizi. E il pregiudizio è solo ignoranza.”
“Nel mio mondo i pregiudizi erano mezze verità.” Gli sorrise lui, assumendo un aspetto antico.
A Blaine parve di trovarsi di fronte ad uno di quei testi arcaici, rilegati mille volte, con qualche pagina rovinata e magari con le scritte sbiadite ma ancora intatti, splendidi nella loro antica e regale bellezza.
“Allora non era il mondo per te.” fece schietto il moro, strappando un sorriso accondiscendente all’altro.
“Penso di averlo sempre pensato anch’io.”
Dopo un altro momento di pausa, per Blaine veramente snervante, Kurt rise, rilassando la gamba, lasciandola cadere accanto all’altra.   
“È più forte di te. Non riesci a concepire il silenzio, vero?”
“No.” Rise a seguito Blaine, scompigliandosi i capelli, “perché stare zitti quando si possono fare tante cose come chiacchierare o cantare?”
“Devi essere stato un bambino complicato. Iperattivo?”
“Un poco.”
“Non mi dire…” fece sarcastico dondolando i piedi.
“Kurt perché…? Perché riesci a muovere gli oggetti mentre non puoi… si insomma… se cerco di entrare in contatto con te, ti passo attraverso?”
“È complicato…” rispose incrociando le gambe  e voltandosi verso di lui, “Gli oggetti sono inanimati, non hanno una propria aurea che li circonda, mentre gli esseri viventi sì. È diverso. Quando tocco un oggetto non incontro nessun’altra aurea che intralcia con la mia. Con i viventi, invece, mi scontro con la loro. Potrei riuscire a toccare anche qualcuno ma sarebbe per me estremamente faticoso.
Inoltre, per voi l’aura è qualcosa a voi invisibile che vi circonda, per me invece è tutto. Io sono fatto d’aura, la stessa che mi circondava quando ero in vita. Non so se ti è chiaro.”
“Abbastanza.” Annuì un po’ deluso Blaine.
Aveva veramente sperato ci fosse un modo per toccarlo. Anche solo per sfiorargli la mano.
Scrutandolo, Kurt notò questo infrangersi delle speranza dell’amico e, sospirando sorridente, si mise più comodo sul materasso facendosi coraggio.
“Metti la mano aperta di fronte a te.” gli disse con un sorriso.
“Perché?”
“Fallo e basta. Fidati. Ora resta immobile.”
Davanti ai suoi occhi Kurt traeva profondi respiri a occhi chiusi, corrugando le sopracciglia concentrato.
Comprese ciò che l’amico era intenzionato a fare, solo quando lo vide portare la propria mano pari alla sua, alla distanza di un soffio.
“Kurt non importa-”
“Shht!” lo zittì stizzito aprendo un occhio per fulminarlo.
Dopo un paio di respiri, lo spirito annullò la distanza tra loro, facendo aderire il palmo della propria mano con quella del ragazzo. Non durò che un attimo. Uno splendido attimo in cui la pelle di Blaine rabbrividì a contatto con quella fredda e liscia di Kurt. Riuscì quasi a sentire le dita dello spettro tremare per l’emozione, prima che quelle falangi affusolate gli trapassassero la pelle causandogli una sensazione di gelo fin dentro le ossa.
Kurt sospirò stanco appoggiandosi con le mani contro il materasso ai lati delle sue gambe.
“Non dovevi sforzarti così.” Lo riprese Blaine preoccupato, non riuscendo comunque a trattenere un sorriso grato, “Non era una cosa poi così importante, in fondo.” Mentì, non aspettandosi la risposta che ne seguì.
“Per me lo era” lo trafisse nuovamente con quei suoi universi azzurri, “E lo rifarei. Devo solo riprendermi e… esercitarmi. So che posso fare di meglio.”
Sorridendogli, Blaine si spostò un po’ di lato sul materasso, facendo spazio accanto a lui per Kurt che, imbarazzato e arrossito, si stese sopra le lenzuola, raggomitolandosi come un gatto e sorridendo all’amico che si stava addormentando.  







NdA: 

Buonsalve!
Come va? Il caldo è stato clemente con voi o vi siete già sciolti come ghiaccioli in spiaggia? 
Io sono sempre più grata ai condizionatori ed al loro inventore, tale Willis Haviland Carrier mi giunge voce... santifichiamo Wikipedia.

Ad ogni modo... che ne dite del capitolo? Piaciuto? Fatto schifo? Mosso il riflesso faringeo o quello intestinale? 
Fatemi sapere^^ 

Grazie mille a chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite. A tutti un enorme abbraccio soffocante<3 

Detto ciò vi saluto. Alla prossima!

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. ***



8.
 
 


Uscire di casa dopo tutto quel tempo sembrò quasi irreale per Blaine.
Non che gli dispiacesse, anzi! Quando David al telefono gli aveva chiesto di uscire, aveva preso a cantare un inno in sua lode, sotto lo sguardo scioccato di Kurt, intento a sfogliare un suo vecchio libro illustrato.
“Non mi piace lasciarti solo, però.” Aveva preso a lamentarsi mentre si vestiva per uscire.
Scoppiava di felicità al pensiero di rivedere il suo migliore amico ma, contemporaneamente, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa verso Kurt.
Lui non poteva uscire. Non poteva oltrepassare il confine della proprietà di famiglia, fortunatamente compreso di giardino. Glielo aveva spiegato una sera mentre, come ormai era loro abitudine, restavano a chiacchierare sul letto prima che Blaine si addormentasse.
Sorridendogli grato, Kurt gli si avvicinò con due papillon in mano, uno azzurro, che si intonava con i jeans che il moro indossava, e l’altro nocciola, della sfumatura più simile ai suoi occhi.
“Non preoccuparti. Quando torni voglio che mi racconti tutto.” parlava tranquillo mentre avvicinava i due fiocchetti al collo di Blaine alternativamente, buttando poi quello beige sul letto alle sue spalle e lasciando cadere davanti a se quello azzurro, prontamente afferrato dall’amico.
“Tu cosa farai?” chiese legandosi il pezzo di stoffa al collo, sopra la polo a maniche corte.
“Spaventerò piccioni.” Sbuffò sedendosi sul letto, “leggerò qualcosa per la centesima volta. Disegnerò, forse.”
Sorridendo, Blaine gli si avvicinò sedendogli accanto.
“Domani ti va un pic-nic?”
“Cosa penseranno i tuoi genitori nel vederti mangiare da solo in giardino?”
“Come se fossero a casa per pranzo.”
Sorridendogli comprensivo, Kurt si avvicinò alla fotografia appesa accanto alla scrivania, quella che ritraeva Blaine con un paio di amici, scattata l’ultimo giorno di scuola.
“Quindi…” riprese indicando i ragazzi con l’indice, “oggi esci con… lui.” Sentenziò puntando il dito verso il giovane sorridete che abbracciava Blaine quasi strozzandolo. 
“David.”
“Sarete solo voi due?”
“No. Dovrebbero esserci anche Nick e Jeff. Quello col nasone e quello col ciuffo biondo.” Precisò notando lo sguardo incuriosito dello spirito.
“Dev’essere divertente…”
“Ti racconterò ogni cosa ‘sta sera.” Fece Blaine allegro, guadagnandosi l’ennesimo sguardo teneramente comprensivo da Kurt, “Ti divertirai anche tu, fidati.”
 
Quando raggiunse l’entrata del Lima Bean, Blaine capì subito di essere l’ultimo arrivato all’appuntamento. Dal fondo del locale provenivano le risate sguaiate di David e le lamentele esasperate di Nick, il tutto nei confronti del povero Jeff che se ne stava stravaccato su un divanetto con lo sguardo più perso del mondo.
“Che mi sono perso?” esordì Blaine sedendosi accanto al ragazzo di colore che, tra le risate, lo strinse in un abbraccio fraterno.
“Ciao bello!” lo salutò poi asciugandosi una lacrima, “Jeff ha appena scambiato –non chiedermi come- la saliera con la zuccheriera ed ha appena condito il suo caffè.”
“Solo che è troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato e troppo tirchio per pagare un altro caffè.” Gli fece eco Nick scocciato, salutando comunque l’amico colpendo il suo pugno teso col proprio, gesto subito imitato dal biondino.
“Che senso ha prenderne un altro, è buono lo stesso ti dico!”
“Fa schifo, Jeff. È andato, fattene una ragione!”
“Non è vero! Scommetto che se aggiungo del caramello viene fuori qualcosa di esplosivo.”
“Per il tuo stomaco.” Ribatté David mescolando la propria brutta imitazione di un frappuccino, prontamente sfilatogli dalle mani da Blaine per berne un sorso dalla cannuccia fluorescente.
“Volete scommet- Nick,” richiamò l’attenzione dell’amico con una spinta, “Scommettiamo. Se viene fuori un qualcosa di commestibile e riesco a berlo, dieci dollari.” Propose porgendo la mano tesa.
“Manco morto!” la scansò il moretto schifato, “Non mi giocherò dieci dollari per vederti vomitare!”
“Tecnicamente in quel caso li vinceresti.” Gli ricordò l’altro senza smuovere la mano.
“Sì, poi chi spiegherebbe tutto a tua madre?”
Dopo un attimo in cui i due amici di vecchia data –preistorica, si può dire- si fissarono eloquentemente negli occhi, Nick afferrò con un gesto stizzito la mano dell’altro, “Cinque dollari, Jeff. È tutto ciò che mi rimane nel portafoglio.”
Lasciando che un enorme sorriso gli illuminasse il volto, Jeff si alzò per andare al bancone a chiedere del caramello.
“Vomiterà. Già lo so.” Si disse sottovoce Nick scuotendo il capo.
“Mi siete mancati, ragazzi.” Ammise Blaine rilassando la schiena sulla metà di divanetto che divideva con David.
“Anche tu.” Fece il moretto tirandogli un lieve calcio sotto il tavolo, “Il campo quest’anno non era più lo stesso senza di te che davi i voti ai sederi delle ragazze con occhio critico. O, almeno, più critico del nostro.”
“Non avete avuto una vincitrice di Miss Lato B quest’estate?” chiese Blaine stupito.
Per tutti gli anni trascorsi alla Dalton, lui e gli amici avevano frequentato il campo estivo della scuola, gemellato con l’accademia femminile di Westerville. Quello era stato l’unico anno in cui Blaine non era riuscito a parteciparvi e, purtroppo, l’ultimo a cui avrebbe potuto.
“No.” Gli rispose David un po’ seccato, “Ci siamo insabbiati sulle ultime due finaliste. Scelta impossibile.”
“Una era Lana, quella del terzo anno dai capelli rossi; l’altra era Kim, del secondo.” Lo illuminò sulla situazione Duval, mentre il biondo tornava da loro soddisfatto.
“Kim?” domandò Blaine, cercando nella sua memoria un volto da abbinare a quel nome.
“Quella che è nata con una quinta.” Suggerì Jeff, mentre iniziava a mescolare il suo cocktail letale.
“Ah! Quella a cui sbavavate tutti dietro!” si riscosse il riccio.
“Scelta difficile, no?” tornò nuovamente sull’argomento ‘concorso improvvisato’ David riappropriandosi del proprio bicchiere.
“No! Kim ha un gran seno ma di lato B non mi pare poi così dotata. È ovvio che avrebbe vinto Lana.”
“Ecco perché abbiamo sempre bisogno del nostro personal-gay! Tu sei l’unico con un minimo di lucidità!”
Blaine rise. Gli era mancato uscire coi suoi amici, ascoltare le loro cavolate e provare quel travolgente calore che riusciva a fargli dimenticare ogni problema e ogni dubbio.
Gli sarebbe piaciuto che Kurt fosse lì con loro, che ridesse insieme a lui ai battibecchi di Nick e Jeff e alle battute di David, che facesse amicizia con Jeff, magari ripetendogli che non esiste una differenza concretamente logica tra un corvo ed una scrivania, spiegandogli - cosa a cui tutti loro avevano già da tempo rinunciato - che era solo un espediente di Lewis Carrollper indicare la pazzia del personaggio del cappellaio.   
La risata dei due ragazzi di fronte a lui lo riportò con la mente in quel locale, nella realtà, in cui Kurt era a casa da solo e lui se ne stava lì a ridere coi suoi migliori amici.
“…Poi non sai cosa hanno combinato questi due deficienti!” esclamò David indicando gli interessati con un gesto tanto teatrale quanto superfluo.
“Per saltare canoa sono andati dalla dottoressa del campo dicendo di aver bisogno di consulenza psicologica di coppia!”
Ridendo, Blaine chiese a quanti giorni di lavaggio bungalow li avessero condannati. I due giovani, però, gonfiarono fieri il petto dichiarando: “Ci ha creduto.”
“Oltre canoa siamo anche riusciti a saltare l’escursione!” sottolineò fiero il biondo.
Uscirono ridendo dal bar e decisero di fare un salto al negozio di musica poco lontano dalla Dalton, in cui passavano i loro pomeriggi liberi, dopo aver fatto i compiti.
Appena arrivati, Blaine prese a cercare una canzone che potesse piacere a Kurt. Escludendo a priori l’area Metal provò a dirigersi verso le colonne sonore.
Prima che si potesse fare un’idea un po’ più specifica su cosa potesse piacergli, David lo affiancò sorridendogli, aspettando un sorriso di rimando per chiedere a bruciapelo: “Lui chi è?”
La presa che aveva su un CD si allentò improvvisamente, senza fortunatamente conseguenze visibili all’amico. Voltandosi verso di lui, Blaine sorrise nuovamente, confuso.
“Lui chi?”
“Blaine, ti conosco da quasi quattro anni. Siamo stati compagni di stanza per tre e ci siamo rotti i coglioni reciprocamente come fratelli. Chi è?”
Lo sguardo che l’amico imponeva su di lui era sempre stato il punto debole di Blaine. Era come se David gli leggesse dentro, come se riuscisse a vedere il vero Blaine. Oltre lui, solo Kurt ne era capace.
“Un ragazzo che ho conosciuto. Abita dalle parti della villa. È un po… particolare.”
“Gli piacciono le colonne sonore?”
“Gli piace il teatro.”
Senza pensarci troppo su, il ragazzo dalla pelle scura si avvicinò ad uno scaffale poco lontano, dal quale afferrò un libro sottile, porgendolo poi a Blaine.
Canzoni indimenticabili?” lesse il ragazzo a voce alta.
“Le conosci quasi tutte. Elton John, Barbra Streisand, Elvis.”
“Sei un genio.”
“Grazie, grazie.” Sghignazzò gongolante l’altro, “Me lo dicono tutti.”
“Non è vero.” Lo smorzò Jeff alle sue spalle, mentre portava alla cassa un disco dei Nirvana, seguito a ruota da Nick e il suo CD dei Backstreet Boys: “Tutti ti dicono che sei uscito da tua madre al contrario.”
Scoppiando in una sonora risata, Blaine si avvicinò con gli amici alla cassa, guardando di tanto in tanto il libro con le note e i testi di quelle che dovevano essere le canzoni più belle della musica.
 
Una volta tornato a casa, quel pomeriggio sul tardi, Blaine attese l’arrivo di Kurt in camera sua, col suo regalo nascosto sotto il cuscino. Non vedeva l’ora di vedere l’espressione dell’amico di fronte a quel piccolo pensiero. Rimuginandoci sopra, Blaine pensò che, forse, non gli sarebbe piaciuto poi tanto: le canzoni erano sì vecchie ma Kurt non ne conosceva nemmeno una. Forse era troppo fargli un regalo così senza un reale motivo, a parte quello di rivedere il suo bellissimo sorriso illuminargli gli occhi.
Kurt, però, non si presentò.
Né quella sera dopo cena, né durante la notte.




 

NdA: 


Buondì a tutti!! 
Questo capitolo è stato un po'... di pausa...? Nullo...? Diverso...? Decidete voi come definirlo, io mi sono divertita a scriverlo e basta.XD 

Avviso: 
Dato che domani parto per la montagna (un posto bellerrimo anche se dimenticato da Dio... e dalla maggiorparte degli esseri umani) e torno prossimo sabato... il nono capitolo si farà attendere (sai che novità!!) 

Spero che il capitolo  sia stato di vostro gradimento. 
Tanti buoni saluti.
Ossequiosi ossequi ossequianti (è il caldo... non badateci)

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. ***



9.


 
Blaine venne svegliato, la mattina successiva, da un morbido fresco contatto contro la sua fronte, poi contro la sua guancia. Socchiudendo gli occhi si ritrovò faccia a faccia con Kurt, inginocchiato accanto al suo letto. Poggiato con le braccia sul materasso, lo guardava sorridente, scostandogli un paio di ricci indisciplinati dalla fronte.
“Buongiorno” gli disse in un sussurro divertito, mentre l’amico si stropicciava gli occhi.
“‘Gniorgno. Che ore sono?” chiese mettendosi a sedere.
“Quasi le dieci. Hai dormito più del solito.”
“Ti ho aspettato ieri sera.” Disse a mo’ di scusa il moro, volgendo lo sguardo verso lo spirito. Il sorriso di Kurt si smorzò leggermente in un tremolio imbarazzato.
“Ho… avuto da fare. Mi farò perdonare, lo prometto.” Riprese a sorridergli posando la mano sulla sua. Come un fulmine, la consapevolezza che la sua pelle fosse a diretto contatto con quella dell’altro lo colpì quasi schiaffeggiandolo. I suoi occhi si spalancarono, colmati dalla sorpresa e dall’emozione, cominciarono a saltare dal volto di Kurt alle loro mani, ora unite dalle dita intrecciate.
In contrapposizione con la sua sorpresa, il volto di Kurt si illuminò maggiormente in un sorriso soddisfatto e divertito.  
“Kurt… Kurt come-?”
“Te l’avevo detto che con un bel po’ di pratica sarei migliorato. Ci ho messo tutta la notte e decine di piccioni ma… credo il risultato sia accettabile, no?”
Aveva appena finito di parlare che la loro stretta venne vanificata dalla debolezza di Kurt che portò la sua mano a passare attraverso quella di Blaine.
“È il mio massimo temo.” Si incupì lo spirito, guardando nuovamente l’amico negli occhi.
“È fantastico, Kurt. Tu sei fantastico.”
Arrossendo, il fantasma si avvicinò alla porta della stanza.
“Ti aspetto in cucina. Devi preparare il tuo pranzo per il pic-nic. Non penserai che me lo sia dimenticato? Inoltre dovrai raccontarmi tutto di ieri.”
Detto ciò, uscì dalla porta chiusa della stanza, lasciando Blaine libero di cambiarsi, ancora preda del piacevole stupore causatogli dall’amico.
Vestendosi in fretta, quel tanto che la confusione post-risveglio gli permetteva, recuperò dal fondo dell’armadio una vecchia coperta da usare come appoggio per il pomeriggio sul prato.
Prima di chiudersi la porta alle spalle si ricordò del libro di musica sotto al cuscino.
Tenendolo nuovamente tra le mani percepì un brivido percorrergli la colonna vertebrale. Non era come quelli che gli procurava Kurt era… più intenso. Gli toglieva il respiro, costringendolo a chiudere gli occhi e respirare lentamente.
Aveva paura. Paura che Kurt non apprezzasse il regalo, che lo giudicasse male che… nemmeno lui in realtà sapeva esattamente cosa temere.
Chiudendosi la porta alle spalle, il grottesco involtino gigante che aveva creato raggomitolando alla bell’e meglio la coperta gli cadde di mano, cominciando a rotolare lungo il corridoio. Sbuffando Blaine lo seguì scocciato, finché questo non si fermò di fronte alla porta chiusa a chiave.
Quella porta che aveva attratto Blaine dal suo primo giorno in quella casa, se ne rendeva conto solo ora, era l’accesso alla camera di Kurt.
La curiosità si impadronì di lui e, prima che la vocina della sua coscienza potesse ricordargli che le buone maniere avrebbero previsto il permesso dell’amico per vedere la sua stanza, si ritrovò a scuotere la maniglia della porta, nel tentativo di aprirla.
Azione del tutto inutile considerata la totale assenza della chiave.
Dopo il terzo tentativo sbuffò frustrato e, afferrando malamente da terra il panno arrotolato, fece per andarsene.
Aveva appena fatto qualche passo dando le spalle alla stanza che udì il rumore inconfondibile di una serratura che veniva aperta, seguito dal suono stridulo e scricchiolante di una porta lentamente schiusa forse per la prima volta da più di cinquant’anni.  
Voltandosi nuovamente, avvertì uno strano panico che gli fece contorcere qualcosa a livello del petto. Kurt non gli provocava mai simili sensazioni. Nemmeno all’inizio, quando ancora non si conoscevano, aveva mai provato una simile paura, quasi nauseante.
“K-Kurt?” provò a chiamare con voce tremante, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella fessura creata dalla porta socchiusa.
Dal piano di sotto la voce dell’amico lo raggiunse, chiedendogli che fine avesse fatto.
Deglutendo pesantemente, Blaine si fece violenza per avanzare ed afferrare la maniglia della porta.
La stanza era esattamente come Blaine la ricordava da ciò che Kurt gli aveva mostrato. Le tende erano state tolte dalla lunga finestra, così come i panneggi del letto a baldacchino. Negli angoli della camera e sul lampadario calavano pesanti ragnatele, talmente fitte da sembrare seta ricamata mentre ogni mobile era imbiancato da uno spesso strato di polvere.
Senza poterne fare a meno lo sguardo di Blaine cadde sul punto accanto al letto in cui Kurt aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta. Nel punto in cui un angelo era tornato a casa.
Costringendosi a volgere lo sguardo altrove, vide strani segni ed incisioni sul lato del guardaroba. Piccole tacche con segnati accanto nomi e numeri:
-Kurt, 13, 1897
-Christine, 11, 1897
-Kurt, 14, 1898
-Christine, 12, 1898
Continuava così per qualche altro centimetro, fermandosi poi a ‘Christine, 14, 1900’.
Passandoci sopra le dita, Blaine riuscì a sentire le scanalature fatte nel legno, probabilmente da un temperino o un piccolo tagliacarte.
Sul mobile accanto alla finestra erano appoggiati dei libri, probabilmente quelli che Kurt amava più leggere negli ultimi giorni. Avvicinandosi ad essi Blaine sorrise nel riconoscere ‘sogno di una notte di mezza estate’ e nel notare tra le pagine i fogli disegnati dell’amico. Probabilmente chi si era occupato della sepoltura del ragazzo aveva preferito che la stanza restasse così come il suo proprietario l’aveva lasciata, come ultimo, nonché inutile, segno di rispetto.
Prendendo in mano il libro per sfogliarlo, Blaine fece inavvertitamente cadere dalle ultime pagine la vecchia foto della famiglia dell’amico. La fotografia era più rovinata e sbiadita che mai, nonostante ciò, però, i volti restavano riconoscibili. Specialmente quello di Kurt bambino, così paffuto e... Blaine riusciva perfino a vederlo splendere come solo lui riusciva, nonostante la pessima qualità dell’immagine e gli anni di differenza; così simile alla madre, anche se nel sorriso traspariva la stessa solarità che illuminava il volto del padre.
Lo sguardo rapito di Blaine si velò di lievi lacrime mentre sfiorava lievemente col polpastrello il volto del bambino sorridente.
“Blaine.”
La voce di Kurt lo colpì come una doccia fredda, mozzandogli il fiato.
Voltandosi di scatto, vide l’espressione persa e sconvolta dell’amico chiedergli spiegazioni.
“Kurt io…” iniziò vergognandosi della sua inguaribile curiosità, “Io non volevo… la porta si è aperta e non ho resistito, perdonami-” si bloccò notando che l’attenzione del ragazzo non era più volta verso di lui.
Era come se un dolore profondo si fosse impossessato dello spirito. Il suo volto si contorse in un’espressione di agonia, mentre pareva aver smesso di respirare, portandosi le braccia attorno alle spalle in un abbraccio protettivo.
I suoi occhi azzurri divennero vitrei, persi in una dimensione in cui l’amico non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo.
Il senso di impotenza che si impadronì di Blaine lo fece quasi impazzire. Non poteva sopportare di vedere Kurt in quelle condizioni senza poter fare nulla.
Dimenticandosi della realtà si lanciò verso l’amico a braccia aperte, pronto ad abbracciarlo e stringerlo, sussurrandogli all’orecchio parole rassicuranti che lo facessero tornare in se.
Voleva tranquillizzarlo, baciargli i capelli, fargli capire che era lì con lui e per lui.
Realizzò di non poterlo toccare soltanto quando avvertì se stesso passare attraverso il corpo etereo di Kurt. Sentendo un improvviso freddo che gli penetrò fin dentro le ossa mentre aria simile a nebbia ghiacciata gli entrava nei polmoni e gli congelava ogni muscolo, ogni nervo, ogni cellula, ogni pensiero. 
Prima di rendersene conto si ritrovò a guardare negli occhi una giovane donna dai lineamenti angelici che gli sorrideva quasi infantilmente, mentre lo rimirava come fosse la cosa più meravigliosamente splendida dell’universo. 




NdA: 

Benritrovati! 
Finalmente sono tornata dalla montagna! Devo dire che è stato molto rilassante e, sopratutto, produttivo!XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Attendo il vostro parere che è sempre ben accetto.

Alla prossima.
Un abbraccio. 

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***



10.


 
Gli occhi della donna si illuminavano sempre più grazie al grande sorriso che le increspava le labbra, rendendoli così ancora più luminosi e cristallini, come il cielo in una limpida giornata primaverile. Il sole che entrava dalla finestra alle sue spalle le rischiarava i lunghi capelli, lasciati liberi per la notte, rendendoli quasi biondi.
“Buongiorno dormiglione.” Trillò con voce cristallina, resa calda della dolcezza con cui parlava, mentre gli carezzava lieve i capelli e le gote.
“Buongiorno.” Rispose ‘Blaine’ con una voce piccola e sottile, leggermente impastata dal risveglio.
“Papà è andato in città. Vuoi che chieda ad Helena di prepararti la colazione?” domandò la donna baciandogli la guancia. Il piccolo capo di ‘Blaine’ annuì, mentre si stropicciava gli occhi.
“Nel pomeriggio verranno a farci la foto di famiglia. Dovremo farci belli. Sei contento?”
Il bambino annuì nuovamente, scendendo dal letto diretto verso il bagno.
Una volta uscito guardò nuovamente la madre seduta sul letto e, porgendole le braccia tese, chiese: “Mi dai una mano, mamma?”
Sorridendo, la giovane donna si avvicinò al figlio per sfilargli la camicia da notte e aiutarlo a indossare la piccola camicia ed i pantaloni.
Era come se Blaine conoscesse quella donna da sempre. C’era qualcosa di dannatamente famigliare nei suoi gesti e nelle movenze; non era per il fatto che fosse una madre, era… altro. Tutto in lei faceva pensare alla dolcezza e al sole. Era soffice quanto una nuvola e luminosa quanto un riflesso d’arcobaleno.
Quando fu vestito di tutto punto, la mamma gli fece fare una piroetta per farlo voltare verso lo specchio alle proprie spalle.
Non si stupì più di tanto nel vedere i suoi mari cristallini preferiti, incorniciati da quei tratti che rendevano Kurt perfetto sebbene più gentili e tondeggianti nel volto da bambino.
In un lampo il volto della donna gli fu a pochi centimetri in una tacita richiesta. Kurt baciò sonoramente la guancia della madre. Soddisfatta strinse la piccola mano del figlio con la sua e, facendole dondolare, accompagnò Kurt (e Blaine) in cucina dove una Helena, estremamente più giovane di quanto Blaine la ricordasse, aveva appena riempito di latte una tazza che a Kurt pareva enorme, posandogli accanto un piattino pieno di biscotti appena sfornati.
La madre di Kurt prese subito un biscotto, non aveva ancora ingoiato il primo morso che già si complimentava con la governante per le sue straordinarie capacità culinarie.
“Come si dice a Helena che ti ha preparato la colazione, Kurt?” chiese diligentemente la donna sedendogli accanto.
“Grazie.” Disse educatamente il bambino inzuppando un biscotto con le uvette nel latte tiepido.
 
Al suo ritorno il padre di Kurt venne accolto dal bambino con una rincorsa nel vialetto della villa, per poi spiccare un salto e attaccarsi al collo dell’uomo che si era messo in ginocchio sul selciato.
“Hai fatto il bravo?” chiese l’uomo prendendolo in braccio. Il piccolo Kurt annuì fiero mentre la madre li raggiungeva e baciava il marito sulla bocca.
Il padre di Kurt era una persona che in molti avrebbero definito perfettamente normale. Queste persone, tuttavia, non avevano mai visto i suoi occhi grigi illuminarsi di fronte al figlio o non riuscivano a percepire la sua intera essenza agitarsi ogni volta che la moglie gli sorrideva.
Erano una famiglia perfetta, tutti nel paese lo sostenevano. Non avevano nemici e la loro vita scorreva tranquilla e serena.
 
Quando arrivò il fotografo, Kurt si sistemò comodo sulle gambe della madre, attento di non stropicciare il vestito nuovo portatogli in dono dal padre dalla città.
“Un vero damerino!” lo ammirò il fotografo, mentre preparava la grande macchina fotografica. Il bambino sorrise fiero, guardando la madre in attesa di un segno di approvazione da parte sua.
“Quanti anni hai?” gli chiese l’uomo cordiale.
“Cinque.” Rispose Kurt mostrando la manina aperta davanti a se.
“Un ometto ormai.” Sorrise l’altro, mentre la mamma di Kurt muoveva le gambe sotto il corpo del figlio, facendolo muovere come al trotto.
“Troppo veloce mamma!” Rise il piccolo.
Tutto ciò che Blaine riusciva a sentire in quei momenti era… calma. La perfezione di una famiglia unita e felice. Si lasciò cullare da quella splendida sensazione di sicurezza che le braccia della donna gli trasmettevano finché il flash accecante della macchina fotografica non costrinse Kurt a chiudere gli occhi infastidito, per riaprirli in un altro ricordo.
 
***

Kurt aveva circa sette anni, stava seduto accanto al letto a leggere un libro di fiabe. Blaine, però, notò l’immobilità dei suoi occhi. Non leggeva una parola, se ne stava semplicemente lì seduto a fissare un’immagine in bianco e nero.
Facendo battere veloce il cuore del bambino, il padre aprì la porta della sua stanza, sorridendogli stancamente.
“Mamma vuole vederti. Attento a non farla stancare.”
Saltando in piedi come un grillo il bambino si precipitò tra le braccia del padre; prendendolo poi per mano chiese: “Cosa ti ha detto il dottore?”
“Mamma è stanca.” Disse l’uomo con voce rotta, “Si è malata, ma presto starà meglio.”
Leggermente rassicurato, il piccolo entrò nella camera matrimoniale dei genitori dove, stesa sul letto, quasi irriconoscibile se non per la bellezza non del tutto intaccata dalla malattia, la sua mamma respirava a fatica. I capelli castani stesi sul cuscino più scuri e secchi e la pelle talmente pallida da riuscire a vedere le vene sottostanti, gli occhi rossi e infossati ma le labbra volte in un sorriso alla vista del figlioletto.
“Kurt.” Lo chiamò tendendogli la mano.
Il bambino si arrampicò sul letto e le si stese accanto, come faceva lei la mattina per svegliarlo. Dopo un piccolo bacio alla guancia della madre, si accoccolò contro il suo petto, nascondendo di tanto in tanto il volto contro il suo collo.
“Sei stato bravo col maestro oggi?” chiese con un filo di voce la donna.
“Sì. Bravissimo. Mi ha fatto leggere un nuovo libro.”
“Bravo il mio bambino. Perché non me lo racconti?”
“Elisabeth.” La rimproverò il marito richiamando l’attenzione, “Non devi sforzarti, sai cos’ha detto il medico.”
“Non considero interessarmi del mio bambino uno ‘sforzo’, Burt.” Spiegò lei afferrando a fatica la mano del marito che, cercando di trattenere le lacrime, le baciò la punta delle dita.
Kurt rimase colpito da quel gesto. I suoi genitori si amavano tantissimo e questo lui lo sapeva ma era raro che si scambiassero effusioni, persino di fronte a lui. Solo ogni tanto li vedeva baciarsi lievemente quando Burt doveva partire per la città o uno dei due usciva per delle commissioni.
Quell’innocente bacio gli parve come la cosa più dolce e pura del mondo.
“Allora tesoro.” Lo richiamò la donna cercando di dare tutta l’energia possibile alla voce, “raccontami questa storia.”
“Non me lo ricordo.” Ammise spaesato il piccolo. La condizione della madre gli aveva fatto dimenticare ogni cosa, persino il titolo del libro che aveva tra le mani pochi minuti prima.
“Non fa niente.” Lo tranquillizzò lei, “Me lo racconterai la prossima volta. Ti va di cantare con me?”
Kurt annuì quasi impercettibilmente. Sorridendogli nuovamente, Elisabeth prese ad intonare una flebile nenia, una vecchia ninna nanna che canticchiava sempre al suo bambino per farlo addormentare sereno durante i rumorosi temporali primaverili.
La sua voce, sebbene resa roca e debole dalla malattia, era uno dei suoni più ammalianti e limpidi che Blaine avesse mai udito.
La sottile vocina di Kurt si unì a quella della madre per qualche strofa, prima che il bambino si addormentasse sulla spalla calda e unica della sua mamma.
 
***
 
Quando Kurt/Blaine riaprì gli occhi, si trovavano su di un grande prato verde. Tutto era luminoso e colorato, fatta eccezione per i vestiti dei presenti, tutti suoi toni del nero e grigio.
Gli occhi di Burt erano rossi, lucidi e stanchi come quelli di Kurt. Da quelli del bambino, però, non uscivano più lacrime. Tra le mani stringeva un ciondolo della madre, un ovale finemente decorato con all’interno il disegno di una rondine.
La lapide bianca accecava sotto il sole che illuminava il resto del paesaggio.
In molti si avvicinarono all’uomo ed al bambino per porgere le proprie condoglianze, tutte accolte educatamente da Burt mentre il figlio se ne stava dritto davanti alla tomba della madre, incassando tutte le carezze ed i buffetti come schiaffi e spintoni.
Dopo circa un’ora, Burt prese Kurt per mano per portarlo via da quel giardino pieno di marmi bianchi e grigi. Il bambino, però, si divincolò dalla stretta del padre che, esterrefatto, lo guardò avvicinarsi alla scritta dorata sulla lapide, chinarcisi sopra e lasciarci un bacio leggero, prima di tornare da lui ed afferrargli la mano così grande rispetto alla sua.
“Andiamo a casa papà?”
Annuendo commosso, l’uomo prese il figlio in braccio e uscì con lui dal cimitero. 
 
***
 
In un secondo passarono gli anni. Anni in cui Burt e Kurt si sostenevano a vicenda, uniti da quell’amore che aveva sempre unito la loro famiglia e dal dolore dell’assenza di Elisabeth.
In cinque anni, c’erano ancora notti in cui Kurt si svegliava spaventato da un sogno o da un tuono chiamando la propria mamma. Ogni volta, Burt correva in camera sua e si metteva sotto le coperte con lui, chiedendogli di cantargli la bella ninnananna che gli aveva insegnato la madre. Burt non sapeva cantare, Elisabeth aveva sempre definito la sua voce il verso di un fagiano sovrapposto al ringhio di un leone, prima di baciarlo sorridendo. L’uomo sapeva, però, quanto quella nenia servisse a Kurt. Bastavano poche note e il ragazzino si calmava e, stretto al suo braccio, crollava nuovamente nel mondo dei sogni.
Kurt continuava a non andare a scuola. Fin da subito Elisabeth non aveva voluto mandarlo in un luogo dove i bambini, ne era sicura, lo avrebbero preso in giro. Era troppo fragile, troppo delicato. Gli altri studenti lo avrebbero sicuramente additato o peggio.
La donna aveva sempre saputo che il suo bambino era particolare e lei, forse, lo amava di più anche per questo.
Burt non riusciva a capirlo ma si era comunque adeguato agli ultimi voleri della moglie.
Kurt, quindi, aveva un maestro privato, lo stesso da quando aveva sei anni. Si erano affezionati l’uno all’atro e, spesso, il mentore giocava insieme al ragazzino nelle pause dallo studio.
La loro vita aveva raggiunto un qualche equilibrio. Non completo ma, in un certo senso, giusto.
Tutto si frantumò una sera poco dopo il tredicesimo compleanno di Kurt.
 
Il neo-tredicenne era steso sul tappeto del salotto, intento a disegnare la scena di un libro che aveva appena finito di leggere. Vicino a lui, su una poltrona poco distante dal camino, Helena rammendava dei calzini, lanciando, di tanto in tanto, dolci occhiate al ragazzino preso dal suo lavoro.
Burt si era recato in città, quel pomeriggio, per una commissione di lavoro, cose di cui Kurt si preoccupava poco e sarebbe dovuto tornare a momenti.
Kurt aveva deciso di aspettarlo per la cena. Gli piaceva mangiare insieme a suo padre, ascoltandolo mentre gli raccontava la sua giornata e di quanto fosse grande la città.
Guardando l’orologio a pendolo appeso alla parete, la governante si poggiò in grembo il rammendo a cui stava lavorando per volgere uno sguardo comprensivo al ‘bambino’.
“Tesoro, credo sia ora di mangiare per te. È chiaro che il signor Hummel tarderà questa notte.”
“No.” Si impose deciso Kurt mettendosi seduto, “Voglio aspettarlo. Mamma lo faceva sempre.”
“Ma la signora non aveva tredici anni-” Helena venne interrotta da un’insistente bussare al portone principale. Precedendola con un balzo, Kurt si precipitò ad aprire.
Il suo largo sorriso si tramutò in un’espressione confusa quando, davanti a se, non trovò Burt ma un uomo, vestito con una lunga palandrana nera e gli stivali infangati. Fuori pioveva e l’acqua che scrosciava ed i tuoni non facevano che rendere quella figura più inquietante e spaventosa che mai.
“Sì?” chiese Helena raggiungendo Kurt, stringendogli le spalle con le mani.
“La signora Hummel?” chiese con voce roca l’uomo, mentre gli occhi di Kurt continuavano a scrutarlo senza pietà.
“No. La signora è deceduta. Sono la governante. Può dire a me.”
Molto lentamente, con gesti tristemente calcolati, l’energumeno porse ad Helena il cappello di Burt. Completamente bagnato. Infangato. Sporco di un’altra sostanza che Kurt non era in grado di catalogare.
Blaine, al contrario, aveva capito che quelle pesanti macchie che rovinavano la tuba del signor Hummel non erano altro che sangue.
La donna soffocò un mezzo urlo portandosi la mano alla bocca mente i suoi occhi caddero inevitabilmente sul ragazzino alla sua sinistra, ancora confuso ed ignaro.
“Kurt…” Aveva iniziato a singhiozzare, mentre l’uomo con cappotto se ne era andato tirandosi dietro la porta, “Kurt mi- mi dispiace tanto.”
Non riuscendo a dire altro abbracciò il giovane ragazzo che, non riuscendo a sorreggere tutto il peso della governante, cadde con lei in ginocchio.
“He-Helena?” domandò con voce tremante, quando uno scuro sospetto prese a farsi largo nella sua mente, “Papà?”
Bastò quella parola per far aumentare i singhiozzi della donna, intervallati da respiri affaticati e frasi sconnesse: “Scusa.” E “Non è giusto.”
Cercando di contenersi, Kurt scivolò via dall’abbraccio soffocante della governante e corse su per le scale, nella stanza dei genitori.
Il letto perfettamente rifatto. Senza una piega. La camicia da notte del padre perfettamente piegata sul suo cuscino ed una rosa sul guanciale che era di sua madre.
Una furia cieca si impadronì di quel piccolo ed esile corpo. Perfino Blaine si spaventò di quanto dolore o odio si stesse sprigionando da quel ragazzino, poco più che un bambino.
Gli occhi di Kurt pungevano restando comunque aridi, così come la sua gola che diventava sempre più asciutta e secca ad ogni urlo che sembrava essergli strappato direttamente dal cuore.
Gridando come mai aveva fatto si buttò sul grande letto matrimoniale, afferrando l’indumento del padre e strappandolo con rabbia mentre flash di Burt sorridente a cena, che gli prometteva di rimanere a casa più spesso il prossimo mese e progettava le loro vacanze insieme, gli balenavano davanti agli occhi.
Bugiardo!” prese a strillare con tutta la forza che aveva, rendendo la camicia del padre nient’altro che un cumulo di stracci sfilacciati, “Schifoso bugiardo!
Poi, senza controllo, afferrò la rosa sul lato del letto di Elisabeth.
Perché?” riprese “Perché te lo sei preso?” e ancora, “Egoista!” accartocciò il fiore nella mano, pungendosi con le spine, “Ti odio! Vi odio!
Blaine si sentiva male. Fisicamente male. Mai in vita sua aveva provato un dolore del genere. Una tale disperazione, frustrazione, rabbia, odio, rimpianto, abbandono.
Kurt aveva solo tredici anni e già aveva perso entrambi i genitori.
Elisabeth, che lo amava più di ogni altra cosa al mondo, l’unica che avesse mai capito l’anima di quel bambino troppo gracile per giocare ai soldati con gli altri.
Burt. Burt che considerava il figlio come il dono più bello che la vita gli avesse mai fatto. L’unico alleato di Kurt contro il mondo, contro tutto e tutti dopo la morte della madre. L’unica persona, a parte Helena ed il suo tutore, che si curava di lui, che si preoccupava per la sua esistenza. 
Continuò ad urlare nel buio di quella stanza, ormai destinata a rimanere vuota e fredda.
Blaine, dal suo piccolo posticino, credeva di morire. Quella grida e quel dolore lo colpivano come mille pugni dritti nel ventre, come mille serpenti che lo mordevano negli occhi. Come la vista di una lacrima di Kurt.
E Kurt, ora, stava versando fiumi di lacrime.  
 
***
 
Blaine non vide il funerale di Burt. Era come se i primi mesi dopo la morte del padre, Kurt non avesse un vero motivo per sopravvivere.
Una fitta nebbia grigia gli annebbiava la vista e Blaine non riusciva a capire se il fumo fosse davanti a se o dentro ai suoi occhi.
Appena la foschia si rischiarò un poco, Blaine e Kurt videro una carrozza fermarsi davanti alla porta della villa. Un uomo distinto dai lunghi curatissimi baffi e dalle folte basette uscì da essa poggiando la lunga scarpa lucida sul selciato, seguito subito da una distinta donna con un lavoratissimo vestito color porpora, dietro di lei, per ultima, una ragazzina dai lunghi capelli biondi il cui viso era costellato di minuscole e fitte leggere lentiggini.
Gli occhi di Kurt si legarono immediatamente con quelli, così simili ai suoi, della bambina che gli sorrise incoraggiante.
“Kurt.” Lo chiamò cordiale la donna, stringendolo in un abbraccio totalmente di circostanza, “Ci dispiace così tanto di aver saputo solo ora della dipartita del caro Burt.”
O della sua eredità’ pensò Kurt e Blaine con lui.
“Sei diventato così grande dall’ultima volta che ci siamo visti, tesoro.”
“Anche per me è un piacere zia.” Ricambiò sempre cortese lui, passando poi ai restanti membri della famiglia.
 
La sorella di Burt, insieme al marito ed alla figlia, si trasferirono nella villa con la scusa che nessun tredicenne può vivere decentemente da solo.
A Kurt venne quasi da vomitare quando vide la coppia insediarsi nella stanza e nel letto dei suoi genitori. Lo stesso letto sul quale Helena lasciava ancora due rose sui cuscini ogni mattina. 
All’inizio Kurt era altezzoso e freddo con tutti; presto, però, la solarità della cugina lo contagiò, facendo di quella ragazzina di due anni minore di lui, la sua più cara amica.
Cominciarono a fare tutto insieme: studiare, leggere, disegnare, andare a cavallo.
I nuovi proprietari della villa si erano portati dietro dalla loro vecchia casa alcuni del loro personale, tra i quali il maggiordomo con la famiglia.
Kurt notò per la prima volta il figlio del capo della servitù circa un anno dopo, di ritorno da un pomeriggio passato a cavalcare con Meredith.
Quel giovane dai capelli rossi scuri e la pelle abbronzata gli aveva gentilmente sfilato di mano le redini del suo cavallo, per strigliarlo.
Kurt non era mai stato un ragazzo attento all’aspetto delle persone ma quel giovane uomo aveva attirato il suo interesse. Era attratto da qualcuno. Per la prima volta in vita sua. Ed era la persona sbagliata. O, meglio, era del sesso sbagliato.
Nel corso dei giorni, però, Kurt e quel giovane continuarono a scambiarsi sorrisi di nascosto da tutti. Blaine non poté fare a meno di provare una stretta di gelosia. Quel piccolo Kurt sembrava abbastanza preso da quella sua prima cotta.
Ad un certo punto, in netto contrasto col sorriso che Blaine sentiva allargarsi sul volto dell’amico, una voce femminile stridula ed acuta gli perforò i timpani:
Disonore!
In un flash si ritrovò nel salotto della villa, seduto su di una poltroncina mentre la zia di Kurt gli girava intorno come un avvoltoio infervorato, gridando cattiverie verso di lui mentre il marito se ne stava zitto sul divano, tenendosi la testa con le dita con in volto un’espressione di profondo disgusto.
Eresia! Blasfemia! Orrore! Satana, ecco cosa c’è in te!
Kurt se ne stava seduto sulla poltroncina con la schiena dritta e gli occhi fissi di fronte a se.
“Farsi scoprire a baciare lo stalliere!”
“Non lo stavo baciando. Stavamo solo parlando.” Cercò di difendersi con voce ferma Kurt. Dietro di lui, entrambi potevano sentirla, Helena piangeva sommessamente per la vergogna.
“I vostri volti erano a due centimetri di distanza.” Gli ricordò inutilmente l’uomo, attirando su di se lo sguardo poco cerimonioso del nipote.
“Ti renderai conto-“ riprese la donna con fare esagitato, “che non possiamo permettere che ciò venga a sapersi. Per Diana, diventeremmo lo zimbello del paese. Non voglio pensare all’eventualità che lo scoprano in città! Meredith non riuscirebbe a trovare nessun giovane disposto a sposarla!”
Kurt smise di ascoltarli. Tentò di ritornare con la memoria a pochi minuti prima. A quando la sua bocca era a così poca distanza da quella di Charles che riusciva quasi a sentire il suo fiato sulle labbra.
Sapeva che ciò che provava era sbagliato e contro natura ma non poteva farci niente. Come ogni adolescente si era preso una cotta e sperava si sarebbe, un domani, trasformata in un vero amore. Come di quelli che leggeva nei libri.
Di seguito a quella discussione, Kurt salì piano le scale, fino a raggiungere la propria camera. Una volta entrato si accasciò sul letto, non accorgendosi della presenza della cugina in piedi acanto alla finestra.
Quando la vide restò in attesa. Occhi azzurri cristallo in occhi ghiaccio trasparente, curiosi, consapevoli, infantili.
Si aspettava disgusto e vergogna anche da parte sua ma, prendendolo di sorpresa, la dodicenne si sdraiò accanto a lui per abbracciarlo stretto per la vita.
Un abbraccio che, dopo tanto tempo, sapeva di casa. Di affetto. Di famiglia.
“Non mi interessa se ti piacciono i maschi.” Trillò lei con voce semplice, “Tanto piacciono anche a me.”
Sorridendo, Kurt la strinse forte, lasciandole un piccolo bacio tra i setosi capelli biondi.
Senza poterlo evitare, anche Blaine si affezionò a quella ragazzina che, esile quasi come il cugino, non dimostrava più che dieci anni.
 
Meredith fu l’unica a restare accanto a Kurt nei lunghi mesi durante i quali gli zii gli vietarono in tutti i modi di uscire. Licenziarono il suo insegnante privato, dicendogli che era già abbastanza grande da poterne fare a meno.
Ci volle un po’ perché Kurt realizzasse cosa i suoi parenti tentassero effettivamente di fare, ossia rinchiuderlo in casa. Come fosse motivo di vergogna. Come se la sua esistenza fosse da nascondere al resto del mondo.
Era tenuto prigioniero dai propri parenti, in casa sua.
Quando se ne rese conto non poté fare altro che ridere. Ridere di rabbia, di disperazione. Ridere perché le lacrime non avrebbero mai potuto esprimere ciò che provava. Il pianto era diventato per Kurt solo un dispendio inutile di energie. Le uniche che lo avrebbero ascoltato sarebbero state Helena e sua cugina e lui le amava troppo entrambe per caricarle anche di quel fardello.
Solo durante i primi mesi aveva tentato una sottospecie di ‘fuga’.
Con l’aiuto di Meredith aveva indossato i vestiti più semplici che possedeva per arrivare fino al cancello principale e aprirlo.
Vedere le campagne che circondavano la villa aprirsi sotto i suoi occhi riempì il cuore di Kurt di un’emozione mai provata prima. Era come se dal suo petto un’aquila volesse prendere il volo per fuggire lontano. Lontano da quella donna che lo guardava con disprezzo ogni volta che era costretta a dividere l’aria di una stanza con lui. Lontano da quell’uomo che lo giudicava rimanendo comunque assorto nei suoi titoli ed azioni. Lontano perfino da Helena e Meredith. La prima quasi assillante per le troppe cure nei suoi confronti e la seconda solo perché, nel modo più innocente di tutti, non aveva mai conosciuto il senso della parola ‘dolore’.
Arrivò al limitare della proprietà. Alle sue spalle Meredith lo incitava a uscire, mentre il maggiordomo correva verso di loro per fermarli.
Blaine poteva quasi sentire l’elettricità respirata da Kurt in quel momento.
L’istinto di prendere a correre senza mai volgersi indietro, contrastato dalla forte consapevolezza del nulla. Non era nessuno, fuori da quel cancello. Non aveva nessuno.
Decise quindi di fare l’unica cosa sensata.
Dal suo piccolo angolino inesistente, Blaine prese ad urlare.
Chiudendo gli occhi, Kurt liberò quella piccola aquila che aveva in se. Essa prese a volare nel cielo senza voltarsi mentre lui aveva semplicemente fatto un passo indietro.
Aveva appena detto addio per sempre al suo futuro ed alla sua libertà ma, stranamente, ciò non sembrò scalfirlo.
Il maggiordomo, una volta raggiunti i due giovani, afferrò malamente le braccia di entrambi e li trascinò nuovamente in casa.
Prima di varcare la soglia della villa un ultimo dubbio solleticò Kurt che, senza preoccuparsi dell’indelicatezza della domanda o del disagio che avrebbe procurato all’uomo, domandò innocente: “Charles?”
“Da suo nonno.” Rispose burbero l’uomo senza guardarlo negli occhi, “Ci penserà lui a fargli tornare la ragione.”
 
***
 
Da allora i giorni divennero tutti uguali, distinti solamente dalla presenza della cugina che, amorevole, lo teneva aggiornato su ciò che accadeva nel mondo, fuori da quella bella gabbia che Kurt si ostinava a chiamare ‘casa’.
In quella monotonia, Blaine percepì come un senso d’assopimento in Kurt.
Quando tutto riacquistò un senso e le immagini tornarono nitide, Kurt si stava guardando allo specchio, sistemandosi il colletto della camicia. Molto più simile al ragazzo conosciuto da Blaine. non fosse stato per gli occhi, talmente spenti da sembrare ciechi. Occhi che non osservavano più ma che vedevano soltanto.
Accanto a lui, Helena si raccomandava, per un motivo non molto chiaro, di non farsi vedere per casa quel giorno.
In quel momento, il rumore di una carrozza fermata davanti al portone attirò l’attenzione del ragazzo. Guardando dalla finestra, vide la cugina, ormai quattordicenne, correre in contro al giovane appena sceso dal calesse, abbracciandolo buttandogli le braccia al collo sotto lo sguardo sorridente e compiaciuto della madre.
Chissà quanti soldi possedeva la famiglia di quel ragazzo per riuscire a strappare un sorriso tanto accogliente alla zia, si ritrovò a pensare Kurt, finalmente solo in camera.
Poi, in un lampo, Blaine capì perché Kurt ricordasse tanto bene quell’abbraccio visto dalla finestra.
In un secondo il fidanzato di Meredith si voltò quel tanto che permise a Kurt di vederlo in faccia per mezzo secondo. Ciò che lo colpì maggiormente non furono i capelli biondi e soffici del giovane, ne la sua pelle chiara, furono gli occhi. Non il colore ma ciò che ci lesse dentro.
L’amore che quel ragazzo provava nei confronti della gracile biondina che stringeva tra le braccia era incredibilmente palese dal modo in cui le sue iridi brillavano verso di lei. Da come il suo sorriso non accennava a ridimensionarsi, neppure quando lei gli rubò un bacio nascosto. Da come le sue mani la sfiorassero con reverenza, come per paura di poter rompere una bambola di cristallo.
C’era amore.
Un amore che Kurt aveva visto solo un’altra volta in vita sua. Quando suo padre aveva baciato le dita di sua madre.
All’improvviso, Kurt capì che non gli sarebbe mai importato di morire. Giovane, vecchio, quella sera, domani, cent’anni dopo; non gli importava. Avrebbe dato tutto ciò che aveva, ogni minuto che gli rimaneva da vivere, ogni secondo, per essere guardato a quel modo anche solo per una volta.
Era quello che aveva sempre desiderato. Era la mancanza di quel sentimento a farlo sentire così vuoto e fuori posto.
Per la prima volta dopo la sua rinuncia alla fuga, se ne pentì.
In quella casa, ne era sicuro, non avrebbe mai conosciuto l’amore. Nemmeno una sua pallida imitazione.
Dopo tempo, una lacrima solcò la gota del giovane che, sconfitto, si lasciò scivolare contro il letto, accasciandocisi contro.
Voleva alzarsi e andare a respirare ancora quel sentimento ma non poteva. Non riusciva a fare altro che sorridere stupidamente voltando la testa da una parte all’altra.
Era così impossibile per lui essere amato?
Non pensava di chiedere troppo. Succedeva tutti i giorni. La gente si innamorava, così come si odiava.
In quello stato di incredulo torpore, Blaine assistette all’abbandono della villa da parte dei parenti, con la stupida scusa delle vacanze estive. All’ignaro addio da parte di Meredith, che lo abbracciava affettuosamente.
“Torneremo presto, Kurt. Poi tra poco mi sposerò e sarò libera di vederti tutte le volte che vorrò!”
Disse lei con l’ingenuità di una bambina, contrastante con l’anello di fidanzamento che sfoggiava fiera al dito.
 
Per Blaine fu un’agonia rivivere gli ultimi giorni, in cui Kurt aveva semplicemente deciso di lasciarsi andare. Leggendo per l’ultima volta quelle storie che gli parlavano di vita e di ciò che non avrebbe mai avuto.
 
Quando rivisse l’ultimo respiro di Kurt, il suo ultimo battito di ciglia, l’ultima carezza a quella foto, a quei ricordi felici persi per sempre, Blaine si sentì morire con lui.
Di nuovo.      

 




NdA: 


Buonsalve gente! 

Ammazza! Sette giorni esatti! Pressochè un miracolo!

Questo capitolo è più lungo dei precedenti, come avrete ovviamente notato da voi (che considerazioni idiote faccio di tanto in tanto). 
La storia di Kurt è... tragica. Poveretto, capitano tutte a lui! 

Spero vi sia piaciuto...

Ah! Avete saputo che da domani si può comprare il libro di Chris ("The Land of Stories") nelle librerie Feltrinelli, vero?
Io mi sono svegliata 'sta mattina pensando candidamente "Eh, che bello... Mercoledì vado a prendere TLOS!"
E la mia socia, accanto a me, mi fa: "Guarda che Mercoledì è domani." 
Ci sono rimasta secca! 
Ora sono in fibrillazione come non mi capitava dai tempi di "Harry Potter"... Non pensavo mi sarei sentita così per nessun altro libro... 

Ok, ora la smetto di tediarvi e vi auguro una buona giornata come ogni essere umano normale. 

Alla prossima, spero puntuale come 'sta volta (hehehe... illusa...). 
Un abbraccio. 

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. ***



11.


 
Tornò alla realtà quando sentì le proprie mani urtare violentemente il pavimento, alle spalle di Kurt.
Gli era passato attraverso ed in quel mezzo istante in cui aveva vissuto la sua vita, in realtà nulla era veramente successo.
Voltandosi di scatto verso di lui, Blaine cercò di attirare nuovamente la sua attenzione.
Kurt si volse lentamente nella sua direzione e lo guardò negli occhi. Tutto di lui sembrava colorato con colori talmente opachi quasi da farlo apparire sbiadito.
Blaine lo chiamava, urlava il suo nome con tutte le sue forze ma Kurt continuava a guardarlo come se non lo vedesse veramente.
In quegli occhi chiari Blaine non riusciva nemmeno a vedere il proprio riflesso.
Poi, come la nebbia in un mattino umido, Kurt cominciò a dissolversi piano, in modo quasi impercettibile.
“Kurt, no.” Disse Blaine in tono frustrato, sporgendosi nuovamente verso di lui e cercando di afferrargli la stoffa della camicia inutilmente.
Quando se lo vide sparire davanti agli occhi, Blaine imprecò, tirando un pugno al legno del pavimento.
Per l’ennesima volta era stato inutile. Impotente di fronte al dolore di quel ragazzo che, nonostante fosse già trapassato, non aveva vissuto nemmeno un quarto della propria vita.
Sedendosi per terra, con la schiena poggiata al muro e le mani strette a tenere le ginocchia, Blaine si arrese all’evidenza.
Era innamorato di Kurt.
Non sapeva nemmeno quando aveva iniziato a provare quel sentimento verso l’amico. Gli piaceva e lo affascinava dalla prima volta che lo aveva visto, certo, ma dall’attrazione all’amore c’è differenza.
Non era mai stato innamorato prima, escluse quelle cotte che lo avevano colpito a scuola, eppure era sicuro si trattasse proprio di amore.
Quale altro sentimento avrebbe mai potuto riempirgli il cuore in quel modo, tanto da riuscire quasi ad annullare tutti gli altri?
Quale altra emozione lo avrebbe portato a pensare a Kurt in ogni momento?   
Alzandosi stancamente in piedi scese le scale per andare nella sala del pianoforte. Gli pareva quasi di avere dei macigni legati ai piedi.
Sedutosi al piano, aprì il libro/regalo di Kurt ad una canzone a caso.
“Kurt…” sospirò con voce incrinata, prima di sferrare un forte pugno sui tasti del pianoforte, producendo un rumore orribile e stonato che riecheggiò per le stanze vuote della villa.
“Cazzo!” imprecò poi colpendo violentemente il libro con la mano aperta, facendolo così piombare malamente aperto sul pavimento. Portandosi le mani ai capelli, tentò di trattenere per l’ennesima volta le lacrime.
“Non puoi continuare a scappare, Kurt!” urlò al nulla, nella sola speranza che l’amico lo sentisse anche attraverso lo stato di shock in cui si trovava.
“Non puoi evitarmi! Sono qui e non voglio essere uno di passaggio. Voglio aiutarti.” Riprese fiato guardandosi inutilmente attorno, “Ma come posso fare se non me ne dai l’occasione?” gridò a pieni polmoni.
“Rispondimi!” tentò dopo qualche istante di silenzio.
Sembrava quasi che Kurt non esistesse più. Non riusciva più a sentirlo, non c’era alcuna traccia di lui. Spazientito, Blaine afferrò il cellulare dalla mensola della cucina ed uscì nel giardino.
Andò a sedersi sotto al grande albero poco lontano dalla casa e, cercando di distinguere i numeri attraverso il velo di lacrime che gli appannava la vista, compose il numero di David.
“Bello! Che mi dic-”
“Lo amo.”
“Ok. Felicitazioni. Altro?”
“No, David, io… lo amo davvero.”
“Cavolo. Blaine cos’è successo? Hai la voce da travestito col raffreddore, stai piangendo?”
“No.” Mentì asciugandosi una lacrima.
“Sì, stai piangendo. Che ti ha fatto? Se ti ha fatto del male giuro che-”
“Non ha fatto niente. Solo… non si fida di me e… David; non so cosa fare.”
“Non pensi che dirglielo potrebbe farti fare qualche passo avanti?”
“No.” Negò soffocando un sorriso Blaine, “Scusa la chiamata pietosa ma…”
“Non dirlo neanche, bello. Vuoi uscire? Sai che posso liberarmi quando vuoi.”
“No David, sto bene.”Cercò di rassicurare l’amico, rendendosi conto dell’inutilità del suo gesto.
Una chiacchierata col suo migliore amico non avrebbe sistemato le cose. Non quella volta.
Quella volta se la sarebbe dovuta cavare da solo.
 
Quella sera Blaine non mangiò. Nonostante tutte le lamentele della madre si chiuse in camera, stendendosi sul letto a fare nulla.
Il suo cervello lavorava talmente tanto che gli pareva quasi di essere diventato un computer. Avrebbe solo voluto spegnersi o andare in stand-by per qualche giorno. Il tempo di riprendersi e trovare tutto perfetto, una volta risvegliatosi.
L’espressione di Kurt quel pomeriggio, prima che svanisse, gli riempiva gli occhi ogni volta che si azzardava a chiuderli.
La consapevolezza e l’angoscia che ci aveva letto dentro gli avevano aperto una ferita grande quanto il suo cuore, nel petto.
Restò in silenzio per tutto il tempo. Udì i suoi genitori spegnere il televisore in salotto, dove guardavano l’ennesima puntata del loro Talk-show preferito, li sentì andare in camera.
Sua madre si affacciò alla porta della sua stanza per controllare se stesse dormendo. Come da bambino nelle notti di natale, quando cercava di restare sveglio per riuscire a sentire e vedere Babbo Natale, Blaine chiuse gli occhi fingendo di dormire. La signora Anderson si avvicinò al letto e augurandogli la buona notte, gli baciò lieve la fronte ed i ricci che la ricoprivano.
Era un gesto, quello, che riusciva sempre a tranquillizzare Blaine molto più di una camomilla.
Solo il bacio di sua madre era riuscito a farlo smettere di piangere la sera in cui aveva ammesso ai genitori di essere gay e suo padre, sconvolto, era silenziosamente uscito di casa per andare a bere qualche drink al suo bar di fiducia.
Solo lei era riuscita a calmarlo quando, all’ospedale, ancora tremava di seguito al pestaggio subito da lui e dal suo amico al ballo di fine anno nella vecchia scuola, quella che aveva provato a frequentare prima della Dalton.
Quella volta, però, non riuscì a portargli nemmeno un briciolo di conforto.
“Buonanotte tesoro.” Gli sussurrò lei all’orecchio carezzandogli dolcemente i boccoli.
La signora Anderson era solita augurare il buon riposo al figlio in quel modo ogni sera. Aspettava che il suo bambino, ormai uomo, andasse a dormire e, prima di coricarsi a fianco al marito, si inginocchiava accanto al letto del ragazzo sussurrandogli all’orecchio e carezzandogli il capo. Spesso si ritrovava anche a canticchiargli canzoni che era solita intonargli da bambino per farlo addormentare.
Ancora non riusciva a capire come quel suo piccolo scricciolo dai capelli corvini soffici come nuvole, si fosse tramutato in quel bel giovane che passava i pomeriggi a suonare la chitarra ed il piano, scherzando al telefono con gli amici e che ora le pareva tanto turbato da qualcosa che non le avrebbe mai rivelato.
Quella era la cosa che più le mancava del suo bambino, la sua totale fiducia in lei. La stessa che l’aveva portato a confessarle di aver nascosto il primo cellulare del padre così da costringerlo a passare più tempo a casa anziché al lavoro.
“Meredith?” La chiamò con un sussurro il marito dalla fessura della porta.
Dando un’ultima carezza al suo tesoro, la donna uscì dalla stanza con un mezzo sorriso, facendosi guidare in camera da compagno.
 
Aprendo nuovamente gli occhi, Blaine riprese a pensare al nulla, cercando figure immaginare nelle tenebre.
Passò qualche ora –o qualche minuto secondo l’orologio interno di Blaine- prima che un suono limpido gli solleticasse l’udito, costringendolo ad alzasi.
 
Midnight not a sound from the pavement 
Has the moon lost her memory? 
She is smiling alone 
In the lamplight, the withered leaves collect at my feet 
And the wind begins to moan 

 
Socchiudendo la porta del salotto del pianoforte, vide Kurt ritto di fronte al pianoforte, intento a suonare leggendo una delle canzoni nel libro comprato da Blaine.
 
Memory, All alone in the moonlight 
I can dream of the old days 
Life was beautiful then 
I remember the time I knew what happiness was 
Let the memory live again 

Avvicinandosi, Blaine si fermò poco distante da lui che, avvertendo la sua presenza, si lasciò sfuggire un sospiro. Iniziando a cantare la strofa successiva, si volse leggermente verso di lui, donandogli un timido sorriso appena accennato, cario di scuse e costernazione. 

Every streetlamp seems to beat 
A fatalistic warning 
Someone mutters and the street lamp gutters 
And soon 
It will be morning 

Daylight 
I must wait for the sunrise 
I must think of a new life-

 
A quel punto la voce di Kurt si spezzò, incapace di continuare a cantare parole così distanti da lui. Le sua dita tremavano sul tasti del pianoforte sbagliando le note. In uno scatto si strinse le mani al petto, chiudendosi a riccio su di esse. Ce la stava mettendo tutta per non scomparire come quella mattina e Blaine non poté che essergliene grato.
Sedendosi al suo fianco riprese a suonare la strofa dal principio. La sua voce non era perfetta come quella di Kurt su quella canzone ma cercò di non pensarci.
 
Daylight 
I must wait for the sunrise 
I must think of a new life 
And I mustn't give in. 
When the dawn comes, tonight will be a memory too 
And a new day will begin 

Mentre suonava agilmente al pianoforte, Kurt portò il suo sguardo, prima incantato sulle sue dita in movimento, al suo volto. Blaine non sarebbe riuscito a guardarlo in faccio in quel momento, ripensando a ciò che aveva ammesso al telefono col suo migliore amico quel pomeriggio.
Forse Kurt aveva sentito. Forse, ora che aveva riacquistato la sua memoria, era lì solo per dirgli addio.
Quando riprese a cantare, Kurt si unì a lui, senza distogliere gli occhi dal suo viso.
 
Burnt out ends of smoky days 
The stale cold smell of morning 
A streetlamp dies; another night is over 
Another day is dawning... 

Le loro voci raggiunsero una perfezione indescrivibile mentre intonavano le ultime parole della canzone. Entrambi si sentirono colmare da quell’emozione straripante quanto un’esplosione vulcanica.

Touch me! 
It's so easy to leave me 
All alone with the memory 
Of my days in the sun... 
If you touch me, you'll understand what happiness is 
Look, a new day has begun.

Prima che Blaine potesse ridestarsi da quel torpore che lo aveva incantato, vide gli occhi di Kurt farsi brillanti e le loro labbra sfiorarsi, quasi come la carezza di una piuma, mentre le dita affusolate dello spirito gli solleticavano il profilo della mandibola.
Un largo sorriso si fece spazio sul volto di entrambi prima che Kurt lo baciasse nuovamente in maniera più concreta, tanto che Blaine riuscì a percepire il calore e la morbidezza delle sue labbra.
Quando Blaine prese a ricambiare il bacio, cercando di avvicinarsi ulteriormente a Kurt cingendogli il collo, il corpo del fantasma perse consistenza, facendo sbattere il naso di Blaine contro lo sgabello del piano.
“Scusa.” Soffocò Kurt coprendosi la bocca con le mani, per non mostrare la sua mezza risata imbarazzata, “Scusa io- mi sono lasciato andare e ho perso il controllo, io-” senza riuscire ad impedirlo scoppiò a ridere, sotto lo sguardo rapito e innamorato di Blaine.
“Blaine.” lo chiamò Kurt reclamando la presenza della sua lucidità, “Blaine?” chiese nuovamente avvicinando la mano al suo volto.
Blaine la afferrò, stringendola forte e avvicinandosela alla bocca. Baciò il palmo di quella mano così miracolosamente reale con tutta la reverenza di cui era capace, respirando a fondo quel profumo di rose, vaniglia e ribes di cui amava riempirsi i polmoni.
Non era come toccare la carne di un qualunque essere vivente. Era, sì, morbida e liscia ma più simile alla porcellana al tatto. Come un manufatto di vetro soffiato morbido, freddo e fragile.
Kurt semplicemente si lasciò sfuggire una risata lieve, quasi infantile, continuando a guardare Blaine in quei suoi occhi brillanti che illuminavano il suo mondo. 





NdA:


Perfetto! Sono tornata ad aggiornare in ritardo (ormai la puntualità è un'utopia a cui non aspirò più T.T) 

Che dire... finalmente una svolta! 
Si sono baciati... yeeeeeeeh!!!
E adesso? Le cose sono ancora più incasinate, no? 
Ogni tanto mi sento terribilmente bastarda... sto incasinando la vita di 'sti poveretti in una maniera assurda!XD

La canzone cantata da Kurt e Blaine è, ovviamente, "Memory" di Barbra Streisand. --> http://www.youtube.com/watch?v=78Ruh0ewBVo

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Come sapete attendo un vostro parere che, per me, equivale ad oro colato!

Mille grazie a chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e- DIAVOLO!! In 8 l'hanno messa tra le preferite?!????!? Siete dei santi!!
*cerca di riacquistare il controllo respirtorio asciugandosi le lacrime* 
Ok... mi posso riprendere... mi devo riprendere... 

*ostentando una falsa parvenza di calma e dignità*
Grazzie mille. Alla prossima. 

Un mega abbraccio.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. ***


12.
 

Appena riaperti gli occhi, la mattina successiva, Blaine si aspettava di vedere Kurt accanto a sé, dato che si era addormentato mentre lo spirito gli carezzava i capelli, baciandogli di tanto in tanto la fronte.
Facendogli balzare il cuore in gola, invece, la prima immagine che ebbe di quella giornata nuvolosa fu un inquietante primo piano del suo migliore amico che gli sorrideva ad un palmo di distanza dal naso.
“Che caz-!” si lasciò sfuggire saltando sul letto, scatenando così le risa dell’altro.
“Che ci fai qui?”
“Ieri ti ho sentito un po’ scosso. Così ti ho invaso casa. Tua madre ti saluta, è già uscita.”
“Uscita?” chiese stranito dall’improvviso slancio di cieca fiducia della madre, “Senza dire nulla? Senza… domande indiscrete?”
Il ragazzo dalla pelle scura scosse la testa, porgendo a Blaine la foto di una ragazza.
“Non dopo che le ho mostrato la foto della mia ragazza.”
“David, questa è tua cugina.”
“Io lo so. Ma lei no, giusto?” rispose con un sogghigno, rimettendo la foto della giovane dai lunghi capelli neri nel portafoglio.
“In ogni caso, perché ti porti dietro una sua foto?”
“Appunto per usarla in questo modo. Ora alzati. Voglio che mi mostri questa graziosa catapecchia. Muoviti!” detto ciò uscì dalla stanza mettendosi le mani in tasca e prendendo a vagabondare per il corridoio.  
Vestendosi, si sentì in colpa per Kurt. Avrebbe voluto augurargli il buongiorno e passare la giornata con lui.
Prima di raggiungere l’amico, prese un foglio dalla propria stampante e scrisse un breve messaggio allo spirito.
Una volta giunto in cucina, l’amico se ne stava seduto su una sedia in attesa, sorseggiando un bicchiere di succo che si era versato come fosse in casa sua.  
“Da dove vuoi iniziare il giro turistico?” chiese Blaine appoggiandosi con la spalla alla porta, in attesa.
“E che ne so! La guida sei tu, mica io!”
 
“Come guida turistica fai schifo.”
“Ti voglio bene anch’io, David.” Gli rispose Blaine senza dargli troppo ascolto, mentre spalancava la portafinestra che portava al giardino.
“Quanto è grande il parco?” domandò il ragazzo, sgranando gli occhi.
“Sinceramente non lo so. Abbastanza.”
“Sì, credo basti per una vita decente.” Scherzò il giovane di colore.
Passarono la mattinata a fare niente. Oziarono nel modo più pigro e indecente possibile, finché un flebile pigolio non attirò l’attenzione dei due.
Poco distante da dove si erano piantati –con tanto di bottiglietta di tè e sacchetto di patatine- un piccolo passerotto era caduto dal nido e piangeva con tutta la forza che aveva in corpo.
Subito si fiondarono in casa alla disperata ricerca di una scatola da scarpe vuota.
Entrambi da bambini erano stati dei piccoli lupetti scout e, quindi, da bravi diciottenni, smaniavano dalla voglia di allevare un uccellino in una scatola da scarpe, così come il manuale aveva insegnato loro.
Quando, per David, venne l’ora di tornare a casa nel pomeriggio, si giocarono la paternità della bestiola a sasso-carta-forbice.
Vinse Blaine. Forbici contro carta. Non c’era storia!
“Kurt!” lo chiamò una volta rimasto solo, “Kurt, vieni a vedere!”
Spuntando dal nulla, in quel modo che, lo sapeva, faceva sussultare Blaine ogni volta, Kurt si sporse oltre la sua spalla per guardare l’uccellino.
“È caduto dal nido.” Spiegò Blaine, “Probabilmente ha un’ala spezzata.”
Lentamente lo spirito allungò una mano e, con un dito, sfiorò la piccola testolina dell’animale. 
Voltandosi verso il suo volto, Blaine notò il suo sguardo brillante. Gli occhi eccitati e concentrati su quel piccolo esserino che tremava tra le mani del moro. 
“Vuoi?” Chiese semplicemente, tendendogli l’uccellino per farglielo prendere in mano. Kurt, però, scosse il capo stringendosi le mani al petto.
“Rischierei di farlo cadere.”
“Lo curerai tu?” domandò dopo un po’, quando Blaine riadagiò il passerotto nella scatola ricoperta da panni e cotone.
“Noi. Se vuoi. Poi, quando starà meglio, lo lasceremo volare. O potremmo prendergli una gabbietta se preferisci.”
“No.” rispose facendosi serio, guardandolo come se stentasse a riconoscerlo, “Ci sono già troppi esseri viventi rinchiusi in questo luogo. Lui ha le ali. Non è giusto impedirgli di spiegarle.”
“Hai ragione.” Riconobbe subito il ragazzo, arrossendo un poco dall’imbarazzo.
Come in un lampo, Blaine ricordò di come Kurt aveva ingenuamente voltato le spalle alla libertà quella volta che sua cugina l’aveva aiutato a fuggire. Quel passerotto era come Kurt all’epoca. Spezzato, ma con ancora un misero barlume di speranza.
Era stato Kurt a fermarsi davanti al cancello. A fare una scelta.
Lui, invece, stava agendo come gli altri. Voleva rinchiudere quel piccolo esserino senza dargli nemmeno una possibilità.
Un senso di vergogna gli oppresse il petto.
“Scusa, non- non ci avevo pensato. Sarà bello vederlo volare via.”
Sorridendo, Kurt intrecciò le dita di una mano alle sue, facendogli subito ritornare alla mente ciò che era accaduto la notte appena passata.
Prendendo a giocherellare con quelle dita affusolate simili a cristallo, domandò timidamente, riuscendo per puro miracolo a guardarlo negli occhi: “Posso baciarti di nuovo?”
Il lieve sorriso che increspava le labbra disegnate dello spirito si fece più brillante e le sue gote più rosee. Annuendo come un bambino, si avvicinò un poco al volto di Blaine, lasciando che fosse lui a colmare la distanza tra loro.
“Non svanire come la volta scorsa, ok?” si assicurò il moro con un tremolio nella voce.
Un ultimo sospiro divertito del fantasma e Blaine gli sfiorò gentilmente le labbra con le sue.
Il respiro di Kurt nella sua bocca era così reale da fare male e le sue labbra talmente concrete; così diverse dal resto del suo corpo, che a Blaine pareva quasi di poterlo abbracciare se solo avesse allungato le braccia.
Ad interromperli fu il rumore del portone che si chiudeva, dietro le spalle del signor Anderson di ritorno dal lavoro.
“Aspettami questa sera. Ho una sorpresa.” Disse solare lo spirito, prima si dissolversi in un veloce bacio sulla guancia del giovane.
“Blaine?” Lo chiamò subito dopo il padre, facendolo lottare per tornare su quel pianeta.
“Cos’è quella scatola?”
“U-un passerotto. L’abbiamo trovato io e David ‘sta mattina in giardino. Non riesce a volare.”
“Pensavo avessimo superato la fase ‘raccatta animali’ anni fa.” Sghignazzò l’uomo togliendosi la cravatta.
Roteando gli occhi sbuffando, col sorriso sulle labbra, Blaine afferrò la scatola e fece per uscire dal salotto.
“Hey, aspetta.” Lo richiamò il padre un po’ impacciato, “Tutto a posto? Voglio dire… in generale…”
“Sssì…?” si bloccò lui, confuso.
“Ti trovi bene in casa?”
“Sì, certo.”
“Stai studiando per Yale?” domandò a bruciapelo con sguardo più serio.
Blaine restò a fissare suo padre negli occhi. Non aveva ancora aperto libro da che si erano trasferiti, troppo preso dalle novità e da Kurt, cosa di cui non si sarebbe mai pentito.
Intercettando i suoi pensieri, l’uomo gli afferrò morbidamente una spalla.
“Non devi dare per scontata la tua ammissione, Blaine. È importante. E per le cose importanti si deve sempre lottare, sforzarsi, sacrificare cose meno essenziali.”
“Spiegati meglio.”
“Ti ho sentito suonare e cantare questa notte.”
“Ah.” Blaine rispose monosillabico mentre una strana inquietudine si faceva largo in lui.
Quello citato da suo padre era stato un momento importante per lui e Kurt e lui lo aveva interpretato come uno degli sciocchi sfoghi artistici del figlio.
Scostandosi dalla presa del padre, Blaine si diresse velocemente in camera sua.
“La musica non ti darà mai garanzie.” Lo inseguì la voce del padre su per le scale.
Senza stupirsi più di tanto, trovò già Kurt ad aspettarlo, seduto sul suo letto.
“Ho sentito il discorso di tuo padre.” Spiegò lo spirito piantando subito gli occhi in quelli del moro.
Aspettò che Blaine gli si sedette accanto per continuare: “Penso tu sappia come la penso.” Iniziò, “È molto nobile da parte sua preoccuparsi per il tuo futuro. È una cosa che tutti i genitori fanno. O, almeno, dovrebbero. Ma non è la sua vita. È la tua. Devi essere tu a fare le scelte.
Se avrai fortuna sarà la cosa più splendida che si possa immaginare. Se, invece, fallirai, l’avrai fatto provandoci e non c’è onore più grande. Imparerai dagli errori e ti rialzerai in piedi quando cadrai. Ma sarai tu a farlo. Devi avere coraggio, Blaine. So che ne hai.
Così, quando sarai vecchio, - prese a sfiorargli il volto con la mano - seduto nel giardino di casa tua, magari mentre guardi i tuoi nipotini giocare, penserai: ‘Ho fatto tutto quello che potevo’. E non avrai rimpianti. Non c’è niente di meglio.”
Lottando per trattenere le lacrime, Blaine depose la scatola con l’uccellino per terra e poggiò la testa sulle fredde e fragili gambe di Kurt che, con una dolcezza pari solo a quella di una madre, prese a carezzargli i boccoli neri.
 
La cena, quella sera, fu estremamente silenziosa. La signora Anderson tentava di animarla raccontando con un sorriso le tante cose che le erano capitate al lavoro ma Blaine, di fronte a lei, restava impassibile, con lo sguardo volto solo al suo piatto e il pensiero altrove. Più precisamente al piano di sopra.
Finita la seconda portata, si alzò prendendo in mano il proprio piatto.
Al richiamo della madre, riguardo il dolce non ancora servito, rispose di non avere più fame per poi uscire dalla stanza, portare il piatto in cucina e andare di filato nella propria camera.
Kurt se ne stava sdraiato sul letto, fischiettando in risposta ai pigolii del passerotto, carezzandogli piano la testolina.
Sorrise in saluto a Blaine che subito si stese buttandosi sul materasso accanto a lui.
“Non ti fa molto bene sdraiarti subito dopo mangiato.”
“Grazie nonna.” Lo prese in giro il moro voltando il volto verso di lui.
“Sbaglio o questo pomeriggio avevi parlato di una sorpresa?” riprese poggiandosi su un gomito.
Kurt annuì, “Ma dovrai aspettare di essere sotto le coperte. Oh cielo-!” si bloccò subito notando lo sguardo malizioso e divertito dell’amico.
“No! Non pensare male!”
Blaine scoppiò a ridere di fronte agli occhi lucidi di imbarazzo e alle gote rosse del ragazzo. Kurt si coprì il volto con le mani al massimo della vergogna.
“Non nasconderti. Sei adorabile.” Cercò di calmarlo Blaine avvicinandosi, “Non era mia intenzione farti vergognare così tanto, davvero! Stavo solo scherzando!”
“Avete uno strano modo di scherzare oggi.” Mugugnò lo spirito da dietro le proprie mani, lasciando liberi gli occhi di infrangersi in quelli di Blaine.
Il giovane cercò un contatto con le mani dello spirito, ma trapassò solamente quell’impalpabile nebbia di cui l’altro era costituito. Mentre il suo sorriso si spegneva e la sua mano tornava con un tonfo sul materasso, chiese: “Cosa provi quando qualcuno o qualcosa ti attraversa?”
“Quando succede con un oggetto, “ prese a pensare, “quasi nulla. Solo una lontana percezione. Quando, invece, sei tu… credo lo stesso che senti anche tu. Avverto la consistenza della tua mano. È come bollente, circondata, però, da uno strato di fine aria ghiacciata. Quindi ne sento solo il calore sottostante; è… strano… piacevole, fastidioso, frustrante, doloroso, soffice. Sei tu.”
Dopo un attimo di silenzio, Blaine si mise seduto e, tenendo lo sguardo fisso sulla parete, ammise: “Odio non poterti baciare ogni volta che voglio.”
“Il nostro primo bacio è stato meno di ventiquattro ore fa.” Gli ricordò Kurt con un sorriso comprensivo.
“Allora perché mi sempre di amarti da una vita?”
Restarono per interminabili minuti solo guardandosi negli occhi. Carezzandosi l’un l’altro con lo sguardo. Finché Kurt non sussurrò a Blaine di sdraiarsi e mettersi a dormire.
 
 
 


 
NdA:


Datemi un momento per commuovermi... ho aggiornato prima di partire... ho brutalmente costretto la mia carissima beta a sedersi ad un computer né mio nè suo e betare!

Ok... mi sono ripresa... (più o meno) 

Questo per me è ufficilmente il capitolo del dopo-bacio. Scriverlo è stato quasi un parto perchè davvero non-avevo-idee!
Mi sono messa al PC e David è spuntato fuori di sua spontanea volontà! Che ragazzo indisciplinato!
Quel povero uccellino... anche lui se ne è autonomamente svolacchiato fuori dalla mia testolina... e, ad essere sinceri, non so nammeno che farmene di lui (brutalità estrema)...

Come al solito attendo il vostro parere come rubini che piovono dal cielo. (Anche questo, come mi è uscito non chiedetemelo... sospetto di avere una doppia personalità malvagia di nome Agatah (H aspirata alla fine) --> so che probabilmente non si scrive così come nome ma suonava beneU.U) 

Spero quest'ultimo sia stato di vostro gradimento^^

Un milione di grazie a tutti coloro che leggono e che, sopratutto, commentano^^

Un mega abbraccio a tutti.

Alla prossima. (A settembre dato che torno il 30...)

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. ***



13.
 


 
Blaine si era addormentato da pochi minuti, cullato dal respiro fantasma di Kurt, quando, come risvegliato da un sogno sotto al sole, mentre  gli occhi bruciano piacevolmente e la pelle, riscaldata, pare come addormentata, aprì gli occhi in un giardino.
Gli alberi da frutto erano fioriti e tutto intorno si espandeva il profumo avvolgente dei fiori, dell’erba irrigata da poco e di fieno. Un vento leggero soffiava tra le fronde e, di tanto in tanto, qualche passerotto spiccava il volo buttandosi dai rami più alti o dai cespugli sottostanti.
Cominciando a guardarsi intorno, riconobbe la scuderia nel quale Kurt aveva quasi baciato quel ragazzo, quando era ancora in vita. Ciò significava che era nel giardino della villa. Ma perché?
Interrompendo i suoi pensieri, dal portone del ricovero, uscì Kurt, bello e reale come non lo aveva mai visto. I capelli castani gli ricadevano leggermente spettinati sulla fronte ed il suo sorriso diventava sempre più solare ad ogni passo che faceva verso di lui.
Quando lo spirito lo raggiunse, gli afferrò senza esitazione le mani, portandosene una alle labbra per sfiorarne il dorso.
“Kurt, cosa…? Come-?”
“Sono nel tuo sogno, Blaine. In questo modo possiamo stare insieme; senza problemi.” Spiegò eccitato, con gli occhi che gli brillavano come quelli di un bambino.
“Posso-posso toccarti… io- Kurt! Le tue mani sono calde e-e morbide…”
“Shhht.” Lo zittì dolcemente l’altro, poggiando la fronte sulla sua.
“Vieni,” disse poi cercando di animarlo, “ti mostro la stalla. Voi non la usate, anche perché ormai è diroccata.” spiegò tirando per mano Blaine che si guardava intorno rapito per poi tornare inevitabilmente con lo sguardo sul suo Kurt.
“Ma un tempo era splendida. Lui,” fece avvicinandosi ad un cavallo baio, “è Radames. Sì, lo so, è prevedibile.” Scosse la mano imbarazzato mentre Blaine sorrideva, carezzando timorosamente l’animale, “Come il protagonista dell’Aida. Quella, invece,” riprese facendo voltare Blaine, “è Venus, la giumenta di Meredith.”
“Kurt?” lo interruppe il moro confuso, “Quindi ora… siamo nel passato?”
“Sì. Nel mio.” Spiegò, “Ciò che vedi sono la ricostruzione dei miei ricordi. Invece di viverli attraverso me, come le scorse volte, li rivivi con me.”
In quel momento la cugina di Kurt entrò correndo nella stalla, afferrò un frustino appeso alla parete e tornò di corsa fuori.
Era più giovane rispetto all’ultimo ricordo che lo spettro aveva di lei. I lunghi capelli biondi ondeggiavano per la corsa e grazie alla lieve brezza primaverile che soffiava in quel momento all’esterno.
“Suo padre ha appena comprato uno splendido purosangue, lo sta montando ora nel giardino.”chiarì lo spirito, “Vuoi andare a vedere?”
“Loro, possono vederci?”
“No. Sono solo proiezioni.”rispose mentre uscivano dalla scuderia.
Il sole limpido colpì gli occhi di Blaine, costringendolo a coprirsi il volto con un braccio mentre Kurt, accanto a lui, continuava a camminare corrugando semplicemente le sopracciglia e socchiudendo gli occhi. 
Poco distante, Meredith aveva appena raggiunto il padre, in sella ad uno splendido cavallo bianco, mentre la madre se ne stava seduta poco distante su una grande poltrona di paglia intrecciata.
Blaine non badò più di tanto a quelle figure, rimase semplicemente a guardare Kurt per qualche istante.
La sua pelle pallida pareva quasi brillare di luce propria sotto quella lucente del sole, i cui raggi parevano quasi carezzargli come seta le gote leggermente arrossate e quel suo nasino all’insù che a Blaine sarebbe tanto piaciuto vezzeggiare con un piccolo bacio appena accennato sulla punta.
Senza pensarci troppo colse l’impulso del momento e, bloccandosi all’improvviso dopo un passo, si trasse vicino Kurt e gli posò le labbra proprio dove aveva immaginato.
Quando riaprì gli occhi, lo spirito lo guardava con un mezzo sorriso, gli occhi lucidi e le dita sul punto che Blaine aveva appena baciato. Percependo il lieve smarrimento dell’amico, lo spettro abbassò la mano e disse con voce sottile: “Il mio papà lo faceva spesso.”
Afferrando il volto di Kurt tra le mani gli baciò nuovamente il naso, strappandogli una piccola risata deliziosa, si spostò poi sulle guancie, sul mento e sulla bocca.
Quando le loro labbra entrarono in contatto, senza problemi, senza che Kurt dovesse concentrarsi per non perdere consistenza, senza che Blaine dovesse controllarsi, una fitta di gioia colpì entrambi allo stomaco ed al petto, facendoli quasi barcollare. Kurt portò le mani al collo di Blaine, stringendo tra le dita i suoi ricci mentre lui, osando più di quanto avesse mai fatto in vita sua, chiese gentilmente a Kurt l’accesso alla sua bocca.
Le loro lingue, come loro, presero a carezzarsi timidamente, finché lo spirito, prendendo il compagno piacevolmente alla sprovvista, non si avvicinò ulteriormente, così da far entrare in contatto i loro corpi alla perfezione.
Dopo che si furono separati per mancanza d’aria, Blaine trattenne il volto di Kurt ancora tra le mani. Voleva imprimersi nella mente ogni angolo, ogni millimetro, ogni minima espressione di quel viso alla perfezione, più di quanto avesse fatto in precedenza.
Quando Kurt aprì gli occhi, ritrovandosi a distanza praticamente nulla da quelli dell’altro, vide per la prima volta quello sguardo, quello che aveva sognato e spiato di nascosto per tutta la vita, per lui. Solo per lui. Quegli occhi così concentrati e rapiti che brillavano fermi, seguendo con attenzione innaturale ogni suo più piccolo movimento, ogni suo cambiamento d’espressione.
Prima di riuscire a dire o fare qualsiasi cosa, lasciò che una lacrima gli solcasse la guancia e che venisse prontamente fermata dalle labbra del moro.
“Eccoti.” Sussurrò Kurt, prima di abbracciarlo stretto, quasi togliendosi il respiro, stringendolo talmente tanto da farsi male alle braccia.
Blaine lo cinse a sé, pensando di non volerlo più lasciare andare. Sarebbero rimasti così per sempre. Loro due. Abbracciati in quel mondo perfetto in qui potevano essere finalmente uguali.
Lentamente un annebbiante torpore si impadronì di Blaine. Le membra si facevano pesanti e la vista si appannava.
“Ti stai svegliando.” disse piano Kurt, carezzandogli il volto come, ogni tanto, faceva mentre si addormentava.
“Non voglio. Voglio restare qui.” Si lamentò Blaine stringendosi al braccio di Kurt mentre entrambi cadevano in ginocchio; lui per via delle gambe che faticavano a reggerlo e lo spirito per sorreggerlo.
“Shht. Non dirlo. Non devi mai dirlo, Blaine.”
Le parole che Kurt continuava dolcemente a ripetergli divennero come una nenia confusa mentre le immagini di quello splendido giardino si facevano sempre più indistinte.
L’ultima cosa che vide, fu lo sguardo della governante, appena uscita su richiesta della signora, che si poggiava inequivocabilmente su di lui, squadrandolo con furia.
 
Quando riaprì gli occhi, sdraiato sul suo letto, si alzò di scatto a sedere, cercando subito Kurt con lo sguardo. Lo trovò lì accanto a lui, sdraiato sul materasso che lo guardava dispiaciuto.
“Che ore sono?” domandò agitato cercando la sveglia.
“Le cinque e dieci. Dormi un altro po’.” Rispose calmo lo spirito, sfiorandogli inconsistentemente la mano.
Tornando a sdraiarsi, si voltò verso Kurt, il quale continuò a carezzargli le dita, a volte toccandolo e a volte passandogli attraverso. 
“Quello che hai detto prima…” Iniziò lo spettro, mentre il suo sguardo tremava dalla sua mano agli occhi del suo interlocutore, “Che… non volevi tornare… Non dirlo mai più.”
“Kurt,” si scusò Blaine, guardandolo di nuovo in quel modo che l’altro amava, “Non intendevo ferirti; davvero-”
“Lo so. È ovvio che non lo hai fatto apposta. Ma… -sospirò- tu hai una vita bellissima, Blaine. Una vita che devi ancora vivere. Non sprecarla volendo rinchiuderti nell’impossibile. Non privarti di tutte le cose meravigliose che incontrerai sulla tua strada.”
“Ma Kurt io-”
 “No, fammi finire. Volendo vivere nei sogni, rinneghi quella splendida vita che ti è stata donata. Quelle splendide occasioni che non aspettano che te. Il tuo futuro. Non ripudiare tutto questo, perché non avrai mai seconde possibilità.”
Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, quelli di Blaine erano colmi di lacrime.
“Kurt… io ti amo.”
A quelle parole lo spirito lo strinse a sé, permettendogli di cercare col volto il calore assente di quella parte di lui tra il collo e la clavicola. In quella posizione, Blaine continuò a piangere silenziosamente, stringendosi al suo amore sempre più.
“Anch’io. Anch’io.” 








NdA:


Buondì!

Finalmente l'aggiornamento! (Parte un coro di voci angeliche)
Che dire... altra tristezza da aggiungere! 
Almeno ora, però, Kurt e Blaine hanno trovato un modo per poter stare insieme... anche se alquanto labile e... per nulla permanente... 
Evviva l'allegria! <-- Compenso la tristessa della FF con commenti cretini=.=

Per il betaggio di questo capitolo ringrazio tantissimo Greta, la mia carissima Rory, che mi ha fatto questo enorme piacere (sappi cara che appena ti vedo ti assalgo con un abbracciocolamento sofocante!)
Un grande grazie anche a tutti voi che leggete e che commentate (la speranza è l'ultima a morire).

Alla prossima.
Un abbraccio.

Fede



Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. ***



14.


 
 
Nelle notti che seguirono Kurt entrò spesso nei sogni di Blaine, mostrandogli il più possibile del suo mondo. Gli fece vedere come appariva la casa quando era bambino, la sua stanza, nella quale passarono quelle che a loro parvero ore a baciarsi e carezzarsi; il salone addobbato per natale e per il quattro luglio; si baciarono sotto al vischio e parteciparono ‘con Meredith’ alla caccia delle uova pasquali per tutto il parco; restarono a guadare il tramonto e l’alba seduti sui rami del grande albero –un ippocastano, disse Kurt- sotto al quale Blaine aveva ammesso i suoi sentimenti per la prima volta in una lacrimevole chiamata al proprio migliore amico.
Alla fine di ogni sogno, la governante fissava il ragazzo con sguardo truce, terrorizzandolo. Una volta svegliatosi, però, Blaine accantonava subito questo ultimo ricordo per concentrarsi sugli altri e sul giovane steso al suo fianco.
Una sera, prima di sprofondare nel mondo dei sogni, Blaine propose a Kurt di portarlo nei suoi ricordi; Come risposta lo spirito sorrise solare, posandogli un veloce bacio a stampo sulle labbra.
 
La prima cosa che percepì fu l’odore di alcol usato per pulire le classi, seguito da quello fastidioso del gesso e dai suoni della quotidiana vita scolastica. I corridoi della Dalton, illuminati dal sole che penetrava dalle grandi vetrate, erano splendenti esattamente come Blaine li ricordava.
“Questa è la Dalton, la mia scuola. O, almeno, lo era fino a qualche mese fa.” Introdusse a Kurt aprendo un braccio per mostrare il lungo corridoio deserto. 
“Ti manca molto?” chiese l’altro afferrandogli la mano. Blaine annuì.
“Era una seconda casa per me. Sai, sono arrivato al secondo anno. Nella vecchia scuola erano successi dei casini e…”
“Sei lontano.” Constatò Kurt dopo quelli che a Blaine parvero pochi istanti. Probabilmente si sbagliava data la preoccupazione dello spirito e le voci degli studenti che provenivano dalle classi del piano di sotto, prima assenti.
“Ti va di parlarmene?” continuò stringendo la presa sulla sua mano.
“Ero andato ad una festa con un amico, era il ballo di fine anno. Una ricorrenza a cui, di solito si va con una ragazza.” Precisò notando il momentaneo dubbio dell’altro. Cominciando a camminare lentamente, riprese: “Andava tutto bene all’inizio. Ballavamo, ridevamo, bevevamo punch. Poi degli stupidi cominciarono a prenderci in giro. Il mio amico decise di tornare a casa, così chiamammo suo padre perché ci venisse a prendere. Andammo ad aspettarlo nel parcheggio. Dei ragazzi più grandi, ubriachi, ci avvicinarono e… noi due stavamo vicini, avevamo paura… hanno visto che ci tenevamo per mano e…”
“Blaine.” lo richiamò Kurt posandogli una mano sul volto, facendolo uscire di nuovo da quei ricordi dolorosi, “Resta con me.”
“Ci hanno picchiato a sangue.” Sputò tutto d’un fiato. Davanti a lui lo spirito chiuse di scatto gli occhi traendo un profondo respiro.
“Appena dimesso dall’ospedale mi sono trasferito qua, dove la tolleranza riguardo episodi simili è pari a zero. Non ho mai più rivisto il mio amico. I suoi gli hanno cambiato scuola e vietato di cercarmi di nuovo. Gente simpatica, eh?”
Kurt storse le labbra in un sorriso poco convinto, tornando poi al discorso iniziale.
“Dove siamo ora?”
“Al secondo piano. Qua stavano gli uffici e la direzione-” si bloccò di scatto sentendo una melodia provenire da un’aula del piano inferiore. Un largo sorriso malinconico e eccitato si impadronì del suo volto.
“Vieni!” prese a correre trascinandosi dietro l’altro ragazzo, “Questo ti piacerà.”
Correndo per i corridoi che conosceva come le sue tasche, tenendo per mano Kurt, Blaine prese a ridere. Senza ragione. Senza un perché.
Dalle sue spalle, la voce mossa dalla corsa e dalle risa dello spirito lo raggiunse: “Blaine rallenta!”
Svoltato l’ultimo angolo, si ritrovarono in una grande sala arredata in modo lussuoso. Poltroncine e divanetti rossi porpora stavano accanto a piccoli tavolini di legno scuro. In fondo alla stanza, accanto al muro, un tavolo faceva da scrivania, ricoperto da mucchi di fogli tenuti fermi da un martelletto da tribunale in legno. Per tutta l’aula, ragazzi vestiti con eleganti divise e cravatte a righe cantavano e ballavano sprigionando allegria da ogni nota.
Kurt riconobbe alcuni dei volti presenti nelle foto ricordo che Blaine aveva appeso al muro.
“Blaine…? Cos’è questo?” domandò ridendo.
“Questi sono i Warblers. Il Glee club della Dalton.”
“’Glee club’?” chiese nuovamente confuso.
“Il coro della scuola.” spiegò veloce Blaine, prendendolo per mano ed unendosi al canto dei suoi vecchi compagni.
“Ma… che musica è questa?” fece Kurt tappandosi le orecchie tra le risate.
“Lollipop!”
“Oh. Ora sì che ho capito.” Ribatté sarcastico, interrotto da una piroetta improvvisa.
Intorno a loro gli altri ragazzi si divertivano saltando a destra e a manca. Kurt non capiva quella musica e quel modo di ballare così confusionario; ma in fondo non gli dispiaceva. Bastarono pochi minuti e si ritrovò a saltare con Blaine, ridendo come mai in vita sua.
Quando la musica finì, i Warblers si complimentarono gli uni con gli altri, spintonandosi allegramente e rifilandosi allegre pacche sulle spalle. Blaine, invece, si lanciò sulle labbra di Kurt per un bacio che spiazzò lo spirito più del ballo e della musica messi insieme.
Lo prese subito per mano e corsero nuovamente fuori dall’aula. Blaine lo portò in giro per tutta la scuola mostrandogli la caffetteria, l’aula di letteratura, quella di matematica, quella di francese, il laboratorio di scienze, il tavolo a cui mangiava sempre coi suoi amici. Volle lasciare per ultima la camera che divideva con David.
“Blaine!” Lo chiamò Kurt lungo il corridoio del dormitorio, trattenendolo, “Calmati! Perché tanta fretta?”
“Non so quanto tempo ci rimanga.” Ammise con fiatone, “Voglio mostrarti il più possibile prima di svegliarmi.”
Kurt sorrise comprensivo, carezzandogli il collo, “Possiamo sempre tornare domani notte.”
Blaine annuì, riprendendo a camminare con più calma. Arrivati davanti ad una porta, una tra le tante in quel lungo corridoio, ci si fermò davanti.
“Questa era la stanza mia e di David.” Disse poggiando la mano sul pomello. Kurt si avvicinò di un altro passo, guardando la porta con curiosità e sorridendogli.
“Sai,”riprese con voce tesa, “sei il primo ragazzo che mi piace… che entra qua dentro.”
La scintilla sbarazzina che illuminava gli occhi dello spirito si accentuò, mentre, incoraggiante, posava una mano sulla spalla dell’amico.
Aprendo finalmente la porta, Blaine si stupì nuovamente di quanto quella stanza fosse perfettamente uguale a come la ricordasse.
Il poster di Megan Fox di David attaccato alla parete sopra il suo letto, gli attestati di partecipazione alle competizioni del Glee club sue e dell’amico, la loro foto di gruppo a Disneyworld, le brochure di Yale sulla sua scrivania, i testi e gli spartiti.
Al centro di quella camera, tenendo Kurt per mano, Blaine si sentì completo.
Alle sue spalle sentì il suo compagno di sogni abbracciarlo, posandogli un gentile bacio sulla spalla.
“C’è la facoltà di musica nell’università che ti piace?”
Blaine sorrise a quella domanda così infantile. Voltandosi per rispondere baciò il naso del ragazzo che, come le volte precedenti, sorrise deliziosamente deliziato.
“Sì.”
“Vacci.”
“Non posso. I miei vogliono che-”
“Non saranno loro ad andarsene. A sostenere gli esami. Non sarà loro il futuro che andrai a costruirti.”
Erano più di due settimane ormai che Kurt gli ripeteva quelle parole, guardandolo ogni volta con dolcezza e comprensione. Blaine rimase a guardare per qualche istante quegli splendidi universi cerulei che riuscivano a scrutarlo fino in fondo all’anima.
Sentendo che il momento del risveglio si avvicinava, condusse Kurt al letto, dove lo fece sedere, mettendosi accanto a lui.
“Fra qualche giorno verranno i miei amici. Sai, quelli che cantavano prima.”
“Sarà un piacere conoscerli.” Rispose educatamente, avvicinandosi poi per un ultimo bacio prima del risveglio. 






NdA:


Buon pomeriggio! In quanti di voi sono tornati a scuola oggi? Com'è andato il primo giorno?^^

Bene. Ho di nuovo aggiornato leggermente in ritardo... vabbè.
Questo capitolo è di passaggio, come avrete capito... non succede molto... però Blaine ha mostrato la Dalton a Kurt... 
La canzone che ho immaginato cantassero i Warblers è Lollipo di Mika (http://www.youtube.com/watch?v=6md5RSnVUuo)
Nel prossimo capitolo ritroveremo quel gruppo di carissimi giovincielli quali gli amici di Blaine... sperando che gli distruggano casa... Kurt non ne sarebbe molto feliceXD

Come sempre aspetto il vostro parere^^
Un abbraccio. Alla prossima.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. ***



15.

 
 
Svegliarsi col gelo che attanaglia le ossa fino a provocare brividi incontrollati non era certo il massimo per Blaine. Soprattutto alle sette e trenta di sabato mattina.
Spalancando gli occhi all’improvviso si costrinse a trarre un profondo respiro, prima di riuscire a parlare: “Kurt, cosa-diavolo-ti-salta-in-mente?!?”
“È da mezz’ora che tento di svegliarti. Hai il sonno più pesante di un orso in letargo!”
“Ma… era proprio necessario?” domandò poggiandosi sui gomiti, mentre gli occhi ancora tentavano di abituarsi alla luce del lampadario.
“Non piagnucolare così tanto per un piccolo schiaffo.”
“Avrò freddo per una settimana.” Brontolò accasciandosi nuovamente sul materasso.
Sbuffando, lo spirito afferrò le lenzuola, tirandogliele bruscamente via di dosso.
“Dovresti ringraziarmi, dato il caldo.”
“Ma cosa vuoi?!” piagnucolò coprendosi il capo col cuscino.
“Devi prepararti, dare alla camera una parvenza dignitosa. Non vorrai che i tuoi amici entrino in questo guazzabuglio?!?”
“Kurt.” Sospirò scocciato voltandosi nuovamente verso di lui, “Uno: questo non è un ‘guazzabuglio’, è un ordine diversificato, riesco perfettamente a trovare ogni cosa qua dentro.
Due: i ragazzi sono abituati, abbiamo condiviso il dormitorio per tre anni, io conosco il loro casino e loro conoscono il mio!
Tre: Arriveranno alle dieci e mezza. Sono-le-sette-e-trentacinque!”
“È questione di educazione!” ribatté lo spettro posandosi le mani sui fianchi, in un chiaro segno di disappunto.
“È questione di tempistica! E di modernità.”
“Quindi è considerato ‘moderno’ e ‘alla moda’ accogliere gli ospiti in una stalla?!?”
“Sì!!”
Nonostante tutte le lamentele e gli sforzi di Blaine, per rimanere ancorato al proprio letto per almeno un’altra ora, Kurt si rivelò irremovibile. Lo costrinse ad alzarsi, rifare il proprio letto come si doveva –non solamente a tirare su da terra le lenzuola come faceva di solito-, andare in bagno per farsi una doccia –“Non so, vuoi controllare che mi lavi nel modo giusto?!”- e, finalmente per Blaine, a fare una bella colazione.
I signori Anderson guardavano il figlio con tanto d’occhi, mentre questo mangiava svogliatamente una grande tazza di latte e cereali.
“Blaine,” azzardò sua madre, dopo una scambio preoccupato di sguardi col marito, “sicuro di stare bene?”
“Sì,” rispose con tutta la nonchalance di cui era capace al momento, “Perché?”
“L’ultima volta che ti sei alzato così presto è stato per il trasloco. E ti abbiamo dovuto buttare giù dal letto.” Gli ricordò il padre, alzandosi da tavola e riponendo la tazza del caffè nel lavabo.
“Sto bene.” li rassicurò lui, “Voglio solo mettere un po’ in ordine per quando arriveranno i ragazzi.” Mentì sentendosi un perfetto idiota. Sua madre si precipitò su di lui, posandogli una mano sulla fronte.
 
“Ora è di suo gradimento?” domandò Blaine sarcastico, mostrando a Kurt la propria stanza dopo aver spolverato, spazzato, dato l’aspirapolvere e passato lo straccio in ogni angolo.
Lo spirito si guardò intorno con aria critica, per poi tornare con lo sguardo su Blaine, sorridendogli soddisfatto. Si bloccò subito, però, alla vista dello stato dei vestiti del moro.
“Blaine, sei sudicio!”
“No, dici?!”
“Corri a farti la doccia.”
“Di nuovo…”
“E cambiati!”
“Sì, nonna!” rispose dirigendosi in bagno.
Si era appena rimesso i pantaloni che il campanello prese a suonare insistentemente. In un lampo Kurt entrò in camera attraversando la porta.
“Blaine, ti sembra il caso di far asp-?”
“Ho capito! Ora vado!”
Ma lo spirito non si era bloccato per la risposta seccata dell’amico, bensì dall’imbarazzo nel vederlo senza maglietta. Quando Blaine notò lo strano silenzio dello spettro si voltò verso di lui:
“Kurt, tutto ok?”
“S-sì.” Rispose con voce gracchiante, guardando agitatamente in ogni direzione tranne che verso di lui, “P-potresti metterti qualcosa addosso, per l’amor del cielo!”
Arrossendo un poco, Blaine si infilò velocemente la camicia, correndo poi al piano di sotto per aprire la porta, da poco vittima di violenti pugni.
Quando aprì la porta, l’intero gruppo gli si buttò addosso, in testa Flint, Logan e Thad che cominciarono a tirargli ‘amichevoli’ pugni alle spalle e alla schiena.
“Era ora! Cos’è, ti eri perso per le stanze?” Domandò ridendo David, seguito da Trent:
“No. Aveva trovato l’ingresso per Narnia ed è appena tornato dopo aver dominato per anni donando prosperità al regno!”
Rifilandogli una schiaffo sulla nuca, Logan lo corresse: “Deficiente. È chiaro che ha trovato l’entrata per la camera dei segreti!”
“Forte!” fece eco Jeff, “Com’era il basilisco?”
“Rimandiamo questi discorsi nerdolesi davanti ad un bel bicchiere di tè freddo, per favore?” propose Wes, entrando senza problemi di invito.
Riaverli tutti nel salotto di casa faceva tornare Blaine con la memoria alla Dalton. A quelle sere in cui, non sapendo cosa fare, si ritrovavano a bere birra - segretamente contrabbandata da David e Thad - e ingozzarsi di patatine e pop-corn nella sala comune del dormitorio, davanti ad un buon film splatter di serie B o a classici come ‘Nightmer’ e ‘Il Silenzio degli Innocenti’.
“Allora,” prese la parola Flint dopo una lunga sorsata di tè, “Che ci racconti? È dalla fine della scuola che non ci si vede…”
“Niente di particolare…”
“E come va con quel tipo?!” si intromise David, attirando l’attenzione degli altri.
“Quale tipo?!” si fece più curioso Trent.
“Grazie David. Sei un amico.” Fece Blaine sarcastico, accasciandosi sullo schienale della poltrona.
“Penserai ad una vendetta verso cioccolatino più tardi,” fece Wes scuotendo una mano con noncuranza, “ora parla.”
“C’è questo ragazzo… abita da queste parti e… mi piace.”
“Tutto qui?” chiese Logan deluso dopo qualche istante d’attesa.
“Sì! Cosa volete che vi dica?!?”
“Che hai una piscina da qualche parte in giardino.”
Otto paia di sguardi straniti si volsero verso Jeff.
“Questo-cosa-c’èntra?” gli chiese Nick con la sua solita falsa calma.
“Ho caldo.”
“In effetti,” si aggiunse Thad, “un bel bagno non sarebbe male.”
“Ci sono due vasche da bagno e una doccia se volete.” Propose Blaine.
“La fuori c’è una fontana, no?” domandò David con fare pratico, “Accendila.”
“È rotta. Papà ha provato a darci un occhio ma pensiamo abbia incasinato tutto ancora di più.”
“Ci penso io.” Esclamò alzandosi in piedi convinto.
“No! Non ti farò mettere le tue manacce su nulla!”
“L’ultima volta che hai cercato di aggiustare qualcosa era la fontanella di cioccolato a casa di Logan.” Gli ricordò Wes.
“Ha cominciato a spruzzare cioccolato bollente ovunque!” lo seguì il biondo.
“Mio padre mi ha insegnato qualche cosina in più. Vedrete che tra pochi minuti potremo annaffiarci sotto l’acqua.”
“Blaine, cosa vuole fare alla fontana?” la voce irrequieta di Kurt arrivò come un sussurro alle orecchie del moro che, preso alla sprovvista sussultò.
“Blaine, non fargli mettere le mani sulla fontana! L’ha fatta costruire mio nonno!”
“David,” cercò di fermare l’amico, “è una fontana parecchio antica. Non so se è il caso…”
“Sciocchezze! In giro mi chiamano ‘il mago aggiusta tutto’.”
“Chi? Tua madre?!” gli si piazzò davanti Trent, facilmente scansato dal ragazzo di colore.
Il gruppetto seguì il ragazzo fino al monumento in questione. Nell’orecchio di Blaine la voce di Kurt non faceva che supplicarlo di fermare l’amico, passando poi alle minacce, quando notò l’inutilità delle proteste.
“Se non lo fermi subito, giuro che lo faccio cadere dalle scale non appena tenta di andare in bagno.” “Gli metto termiti nel tè.” “Santissimo- Togli quelle luride manacce dal putto!
“Ehm, David, davvero… allontanati.”
Il ragazzo di colore, però, era ormai diventato sordo a qualsiasi voce che non fosse quella del suo piccolo cervellino, impegnato in quel momento dal cercare di capire cosa non andasse nell’oggetto del suo studio.
“Non voglio guardare.” Languì Kurt portando il viso contro la spalla di Blaine.
Gli ormai ex-Warblers si misero in fila per godere del penoso spettacolo del loro amico che si rendeva ridicolo davanti a tutti. Non che non fossero abituati, ovviamente, ma uno spunto per sfotterlo era sempre ben accetto.
Dopo un “A-ha” di consapevolezza, vari rumori poco tranquillizzanti ed un verso di estrema soddisfazione, David abbassò una leva nascosta dietro un cespuglio e, come per magia e con estrema sorpresa di tutti, dal corno del putto, prese a zampillare l’acqua. Da prima scurita dalla ruggine, per poi tornare limpida come Kurt la ricordava nei giorni della sua infanzia.
Staccandosi lentamente da Blaine, lo spirito si avvicinò all’acqua che cominciava a riempire la vasca di roccia, bagnandosi le dita volse subito il più solare dei sorrisi a Blaine.
Lui, però, era impegnato a scherzare con gli amici, prendendo in giro David nonostante il lavoro svolto senza conseguenze negative.
Quando Blaine si volse finalmente verso di lui, vide gli occhi di Kurt spalancarsi, posandosi sul volto di Logan.
Avvicinandosi al biondo, le mani dello spirito presero a tremare in piccoli scatti quasi impercettibili.
In un angolo della testa del moro, fece capolino la domanda sul perché i suoi amici non vedessero lo spirito chiaramente come lui.
Tale domanda, però, venne eclissata da uno strano malessere vicino al petto.
Come se un’onda anomala lo colpisse, Blaine provò una fitta di gelosia talmente forte da costringerlo a distogliere lo sguardo. Kurt non aveva mai rivolto a nessuno uno sguardo talmente rapito come quello che ora stava donando a Logan, nemmeno a lui.
“Che vi avevo detto?” richiamò l’attenzione David, dirigendosi verso di loro.
“Bravo.” Cercò di rispondere il padrone di casa distogliendo lo sguardo dallo spettro, “Vogliamo rientrare?”
“Ma che sei scemo?!?” chiese Jeff scioccato, togliendosi la maglietta mentre si avvicinava al bordo della fontana, “Io adesso mi faccio un bagno!”
“Jeff, l’acqua sarà sporca.” Cercò di farlo ragionare Nick, come ogni volta.
“Me ne frego! È caldo!”  detto ciò scavalcò il muretto della vasca e si piazzò esattamente sotto il getto dell’acqua fredda.
Tra gli ex-Warblers volarono sguardi complici e cospiratori, prima che, all’unisono –Nick compreso-, si tolsero le maglie e, alcuni, perfino i pantaloni, per cercare refrigerio dal caldo afoso del pomeriggio.
“Blaine.” lo avvicinò Kurt come se niente fosse successo, “Non vorrai andare anche tu? Non è affatto igienico e- si bloccò per mezzo secondo alla vista del torace nudo del ragazzo- e cosa penserebbero i tuoi?”
“Il parere degli altri è il mio ultimo pensiero.”
“Davvero?” la domanda arrivò diretta e pungente come Kurt voleva, colpendo Blaine sul vivo.
“Ora sì.”
Sconcertato dalla sua freddezza, Kurt lo guardò raggiungere gli amici irrigidendosi. Le sopracciglia corrugate, i pugni stretti e lo sguardo così duro rendevano lo spirito quasi irriconoscibile agli occhi di Blaine che, nel frattempo, veniva stritolato giocosamente per il collo da Nick.
Con quella che il moro riconobbe come una scintilla di delusione, negli occhi, Kurt rientrò in casa, sparendo oltre il portone d’ingresso socchiuso. 





NdA:


Ma saaaaaalve!! *risorgendo da non-si-sa-dove*
Finalmente ecco il quindicesimo capitolo! 
I Warblers sono tornati! *esulta spargendo coriandoli* 
Vom-Vom-Vom-Vooooooom!!
Ting-Tiki-Ting!!
e altri gorgeggi vari di sottofondo...
Che cari ragazzi senza speranza, eh? 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia almeno fatto sorridere, a differenza degli altri... anche perchè in questo periodo c'è bisogno di risate per i fan della Klaine... santo cielo che ansia!!
Personalmente sto facendo di tutto per non pensarci... Non vedo l'ora sia il quattro notte così ci si cava il dente e... probabilmente l'ansia crescerà ancora di più... ok, ora sono depressa. 

Tornando al discorso iniziale, fatemi sapere il vostro parere, mi raccomando!^^

Per il betaggio di questo capitolo ancora mille grazie a Greta, mia salvatrice!

Un abbraccio.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. ***



16.

 
 
“Trent, passami le uova. Thad, taglia i pomodori. Logan, hai messo la tovaglia? Blaine, dove diavolo è il prezzemolo? Nick, portami Jeff lontano o lo sfiguro col coltello!”
Quando Wess prendeva in mano le redini dell’organizzazione dei pasti, niente poteva fermarlo. Si trasformava in una sottospecie di casalinga disperata con manie di perfezionismo. Quando ciò accadeva, David spariva miracolosamente come fosse fatto di fumo e Jeff finiva puntualmente rinchiuso in un armadio o, all’occorrenza, in un ripostiglio.
Seppur preso dalla preparazione del pranzo e dall’eseguire gli ordini dell’amico nevrotico, Blaine non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo sconfortato e deluso di Kurt, un paio d’ore prima.
“Hey, amico.” Lo chiamò l’asiatico, avvicinatosi senza che Blaine se ne accorgesse, “Tutto ok?”
“Sì. Certo.”
“E allora perché –iniziò falsamente calmo per poi assomigliare al drago sputafuoco della Bella Addormentata- hai versato la Coca-Cola nell’acqua di cottura?!?”
“Ho fatto cosa?!?”
In meno di un secondo gli sguardi di tutti i presenti si voltarono verso i due. Dai loro occhi traspariva panico cieco e incredulità nell’azione di Blaine; manco Wess fosse stato Voldemort in persona!
“Esci dalla mia cucina!”
“Ma è casa mia!”
Esci!
Fuori dalla porta della stanza, Blaine si ricongiunse con David e Jeff in salotto.
“Tu cos’hai fatto?” chiese il biondino dondolandosi sulle gambe di una delle sedie.
“Ho rovinato l’acqua nella pentola.”
“Sacrilegio!” scherzò David con voce cavernosa.
Simulando un sorriso, Blaine si sedette sul divanetto, accanto all’amico. Come se qualcosa l’avesse punto, però, si rialzò subito di scatto.
“Vai a prendere Armando?”
Bloccandosi sconcertato il moro si voltò verso il migliore amico, “Chi sarebbe Armando?!?”
“L’uccellino dell’altro giorno! Ti sei ricordato di sfamarlo, vero? Padre degenere.”
“Certo che l’ho sfamato ma… Armando?”
Tra loro Jeff alternava lo sguardo prima sull’uno poi sull’altro, divertito, come davanti ad una puntata della sua sitcom preferita.
“Tu lo cresci ma io gli do il nome. È un compromesso più che buono. Vai a prenderlo, muoviti.”
Arrendendosi alla strana malattia mentale che pareva aver irrimediabilmente colpito l’amico, Blaine salì le scale di corsa per fermarsi, una volta di fronte alla porta della camera di Kurt.
Poggiando il palmo di una mano sulla superficie di legno, bussò lievemente con l’altra.
Chiamò Kurt a mezza voce temendo di farsi sentire dagli amici. Non era sicuro che il fantasma fosse in quella stanza, dopotutto, da che ne sapeva lui, poteva essersi rifugiato in ogni angolo o in ogni muro.
“Kurt.” Chiamò ancora, “Per favore, voglio parlarti. Non scappare come al solito.”
“Non sto scappando.” La voce dello spirito giunse bassa e seria dalla parte opposta della porta.
“Sai non ero sicuro fossi veramente qui dentro.” Cercò di allentare la tensione il moro, sorridendo sollevato dalla collaborazione dell’altro.
“Invece sì.”
Dopo quella risposta secca, Blaine rimase senza parole vicino alla porta, carezzandone il legno come fosse la mano del ragazzo.
“Kurt, posso entrare?”
Come risposta la serratura scattò, lasciando così che si aprisse un piccolo spiraglio.
Facendo capolino all’interno, Blaine vide subito Kurt seduto sul letto che lo guardava con gli stessi occhi seri che lo facevano sembrare più vecchio di quanto non fosse mai stato.
“Non dovresti essere qui. Hai lasciato soli i tuoi ospiti.”
“Stanno benissimo.” si avvicinò al giaciglio sedendosi accanto a lui.
“Perché sei stato così freddo, Blaine?” domandò dopo qualche istante, senza distogliere lo sguardo da quel punto nel muro di fronte a sé.
“Ti ho visto…” cominciò a spiegarsi traendo un lungo respiro, “guardare Logan in… modo strano. Come fossi attratto da lui e… mi ha dato fastidio.”
Togliendogli ogni forza, Kurt volse di scatto lo sguardo verso di lui, guardandolo stupito, divertito, incredulo.
“Tu… sei geloso?”
Anche quel piccolo accenno di sorriso che, segretamente compiaciuto, aveva increspato le labbra dello spirito, svanì di fronte allo sguardo di Blaine in quel momento. Quei lucidi occhi di miele lo guardavano colpevoli, chiedendogli di non giudicarlo ma solo di perdonarlo.
“Blaine,” riprese Kurt poggiando una mano sulla sua, “Non potrei mai essere attratto da qualcuno che non sia tu.”
Sporgendosi, posò un piccolo bacio a stampo sulle labbra del moro che, con un sospiro, tentò di ricatturare le sue inutilmente.
“Lo guardavo perché… Dio, è una cosa così stupida.” Sospirò passandosi una mano tra i capelli.
“No, non lo è.” Lo rassicurò Blaine tornando a guardarlo rapito.
“Il tuo amico Logan è… uguale a Christian. Il fidanzato di Meredith.”
“Quello biondo che guardavi dalla finestra?”
Con una flebile risata imbarazzata, Kurt annuì, sistemandosi un ciuffo castano dietro l’orecchio.
“Chissà.” Riprese poi Blaine con voce più rilassata, “Magari è un loro pronipote, o roba simile.”
“Forse. Ciò significherebbe che è in parte imparentato anche con me.” soppesò con indifferenza, in attesa della reazione dell’altro.
“Ecco perché ho avuto una cotta per lui al secondo anno.”
“Tu- davvero?”
Blaine sorrise di fronte allo sguardo incredulo dello spirito.
Spostando l’attenzione dagli occhi del moro, sulla sua bocca, Kurt si sporse per baciarlo di nuovo. Sfiorò appena le sue labbra che la ‘flebile’ voce di David giunse come un clacson alle loro orecchie, quasi assordandoli:
Blaine! Mamma Wess dice che il pranzo è pronto!
Kurt gli scoppiò a ridere in faccia, coprendosi poi la bocca con una mano e lasciandosi cadere sul letto con la schiena.
“I tuoi amici sono favolosi!”
 
Quando la signora Anderson tornò dal lavoro, quella sera, aveva in programma un cena tranquilla, un po’ di televisione seduta accanto al marito sul divano e di recarsi a letto presto. Rimase quindi spiacevolmente colpita quando, aperto il portone principale, dopo lo shock termico dovuto alla temperatura polare presente all’interno, si ritrovò davanti otto ragazzi, tra i quali il proprio figlio. Se ne stavano spaparanzati senza dignità sul sofà e sul tappeto del salotto, intenti a strimpellare la chitarra e il violino come fosse un ukulele, mentre gli altri canticchiavano ridendo come ubriachi.
Accanto al figlio, il ragazzo di colore muoveva piano una mano dentro una scatola da scarpe da cui provenivano deboli cinguettii.
“Blaine?” chiamò la donna, subito raggiunta dal ragazzo appena alzatosi dal pavimento, “Cosa-state-facendo?”
“Ci rilassiamo.” Rispose lui semplicemente, sollevando le spalle come soleva fare da bambino.
“Col condizionatore puntato sui -20°?!?”
“È caldo, mamma!”
“E poi i tuoi amici non dovevano restare solo per il primo pomeriggio? Sono le sette e mezza!”
“Pigiama Party a sorpresa?” ironizzò il signor Anderson appena entrato nella stanza, salutato da quel gruppo di zombie, in cui era compreso suo figlio,ancora svegli per miracolo.
“Vedo che vi state seriamente preparando per l’università.” Ironizzò l’uomo slacciandosi la cravatta.
“Non ne ho bisogno. La mia ammissione a medicina è praticamente assicurata.” Rispose prontamente orgoglioso Wess, attirandosi gli sguardi infuocati degli altri, escluso Jeff che, bello come il sole, ammise allegramente di essersi iscritto alla facoltà di musica di Yale, insieme a Nick.
“Musica?” domandò il signor Anderson poco convinto, accanto a lui Blaine ascoltava tutto teso come una corda di violino.
“I vostri genitori non hanno avuto nulla da ridire?”
“Assolutamente no.” rispose il biondino candidamente, “Mia madre era soddisfatta, immaginava avrei fatto una scelta del genere, mentre mio padre mi ha semplicemente dato carta bianca.”
Nonostante l’ingenua naturalezza del ragazzo, l’atmosfera della stanza si raffreddò palesemente.
Blaine alternava nervosamente lo sguardo tra suo padre ed i suoi amici, sperando in un qualche intervento divino che lo facesse sprofondare in un qualsiasi altro luogo che non fosse quello in cui si trovava.
“Direi…” azzardò David dopo una manciata di secondi, “che si è fatto, per noi, l’orario di andarcene. Nick, placca Jeff e mettilo in macchina, vi riaccompagno io."
In pochi incredibili istanti che parvero sconvolgere ogni percezione del tempo, gli ex-Warblers si erano dileguati dalla villa, organizzandosi con le tre macchine con cui erano arrivati.
Trovandosi solo coi suoi genitori, Blaine si arrese all’imminente solito discorsetto di suo padre. La signora Anderson, come al solito, si tirò fuori dalla situazione con la scusa di dover correre a spegnere il condizionatore ancora acceso mentre suo marito si passava una mano sul volto con fare stanco e, dopo un lungo sospiro, tornava a guardare il figlio.
“Blaine-”
“Lo so, papà. Lo so. La musica non mi garantirà soldi in tasca ogni mese. È un rischio troppo grande ed io ho bisogno di sicurezze.”
Detto ciò, il ragazzo salì le scale di corsa con la scatola della bestiola in mano, chiudendosi nella propria camera dove, con sua sorpresa, Kurt non era presente.
Al suo posto, però, una busta lo aspettava sul guanciale del letto.
Sopra la carta, la scrittura di David citava:
 
“A Blaine. Perché non ha il fisico per il camice bianco.” 






NdA:


Oddio che ritardo mostruoso!! Shame on me!

Comunque... rieccoci. Che ve ne è parso del nuovo capitolo? 
I Warblers non se ne volevano andare, ho dovuto cacciarli a pedate dalla storia! Che persone ostinate!
Kurt e Blaine sono, fortunatamente, riusciti a chiarirsi e fare pace... e gli amici di Blaine gli lasciano una sorpresa in camera, cosa sarà? *musica di suspance*  (ssssssì.. certo... mi compatisco anche da sola adesso... quando si parla di "passi avanti"...)

Per il betaggio come sempre grazie mille alla mia socia Chià e alla sempre adorabilissima, disponibilissima, dolcissima, e chi più ne ha più ne metta, Grè (Elfo Mikey su EFP), non so davvero come farei senza queste due meraviglie!

Detto ciò, spero che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto. Come sempre aspetto il vostro parere con impazienza.

Un abbraccio.
Fede.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. ***



17.



Hey bello!

 
Se leggi questa lettera allora vuol dire che a metà estate non hai ancora avuto le palle di parlare coi tuoi come si deve.
Vergognati!
Medicina?!? Ma chi vuoi prendere in giro? Al secondo anno di liceo sei stato male nel dissezionare una rana!
Detto tra noi, sei troppo pappamolla per affrontare quegli studi!
Tu sai, come me, Jeff, Nick e Thad che, la tua vera strada è Yale, ma non nella facoltà dei camici bianchi.
Sei nato per tenere una chitarra in mano, Blaine.
Per suonare e cantare con quella tua dannata voce che non lascia spazio per nessun’altro.
 
E quindi…
Ho spedito una domanda di ammissione a tuo nome ed è arrivata la risposta che troverai nella stessa busta di questa lettera.
Non l’ho aperta. Voglio che sia tu il primo a sapere quali possibilità ti si prospettano per il futuro.
 
Ora non cominciare a blaterare su mezzi crimini e illegalità, tanto lo sai che non ti ascolterei, quando mai l’ho fatto?
 
Fammi sapere se sarai dei nostri il prossimo anno.
 
Ossequi.
 
David
 
P.s.: Wes, Jeff, Nick, Logan, Trent e Thad ci tengono a farti sapere che hanno partecipato.
 
P.p.s.: Jeff tiene particolarmente a informarti che è stato lui ad imbucare la domanda d’ammissione.
 
P.p.p.s.: Così, tanto per romperti le scatole ancora un po’.
 
P.p.p.p.s.: Ciao!
 

In uno scatto di frustrazione e nervosismo, Blaine buttò il foglio di carta più lontano possibile da lui, prendendo poi a camminare velocemente avanti e indietro per la stanza.
Come avevano potuto i suoi amici pensare che, facendo una cosa del genere alle sue spalle, sarebbe stato meglio per lui? Era già abbastanza grande da badare a se stesso e se non aveva inviato la domanda d’iscrizione a quel dipartimento era perché aveva, ormai, fatto la sua scelta. Una scelta dolorosa che gli era costata notti insonni e tante lacrime.
Medicina era l’unica strada che gli avrebbe consentito di poter continuare a guardare negli occhi suo padre senza essere attanagliato dal terrore di leggervi delusione.
Nonostante tutto, però, era grato a quel gruppo di pazzoidi che continuavano a credere in lui.
In contrasto con tutto ciò, in lui si faceva largo sempre più l’idea di mollare tutto. Non scegliere né medicina né musica e restare lì. Con Kurt. Voleva passare le giornate guardandolo ridere e cantare; vedere la sua reazione per ogni minima cosa per lui nuova, come quel giorno in cui gli aveva spiegato l’uso del televisore. Perché solo quegli occhi cristallini e puri riuscivano a toccargli l’anima, facendolo sentire vivo.
Posando nuovamente gli occhi sulla busta sul cuscino, sentì di non riuscire a prenderla in mano. Le sue gambe non si muovevano, le mani gli tremavano e il cuore era un tutt’uno con lo stomaco che si contorceva in balia del panico.
Senza poterne fare a meno, si sedette contro il letto, stringendosi le ginocchia e chiamando l’unica persona che sapesse infondergli un coraggio che mai prima aveva saputo d’avere:
“Kurt.”
Subito la fredda mano dello spirito gli sfiorò i boccoli, carezzandogli poi le mani che stringevano le ginocchia.
“Sono qui, Blaine. Cos’è successo?”
Alzando lo sguardo Blaine indicò con un cenno del capo la lettera stropicciata lanciata contro l’armadio.
Kurt la lesse attentamente sciogliendosi poi in un sorriso commosso.
“Blaine, è meraviglioso. Hai degli amici fantastici.” Disse con voce sottile, riavvicinandosi a lui, dandoti questa opportunità è uno dei doni più belli che potessero farti. Sono tanto felice per te.”
“Ho paura.”
“Lo so, tesoro. È normale. Ti stai scontrando con una porta che cambierà per sempre la tua vita. Ora devi solo vedere se ti hanno concesso la chiave.” Terminò guardando poi verso la testata del letto.
“Resti con me?” domandò il moro con voce rotta, mentre lo spirito prendeva in mano una seconda lettera sigillata, con sopra il timbro ufficiale dell’università.
“Ovvio.” Gli rispose porgendogli la busta.
Blaine osservò per una manciata di interminabili secondi la carta che teneva tra le mani.
“Kurt io… non ci riesco. Mi sudano le mani, tremano, non-non riesco ad aprirla. Proverò più tardi magari-”
Zittendolo lo spettro gli prese il volto tra le mani, facendo scontrare quasi violentemente le loro bocche. Lo baciò energicamente, cercando di trasmettergli tutto il coraggio che possedeva. Contemporaneamente, Blaine percepì anche la paura che Kurt provava insieme a lui e ciò gli riempì il cuore di un calore morbido e avvolgente che lo portò a credere di poter fare qualsiasi cosa.
Quando le energie del fantasma vennero meno, questo si staccò all’improvviso da Blaine, poggiandosi con le mani sul pavimento.
“Non rimandare.” Lo rimproverò Kurt con affanno, tornando a guardarlo deciso negli occhi, “Devi farlo adesso. Apri la busta.”
Come in un sogno, le dita di Blaine si mossero per strappare la carta, aprire i lati della busta e tirarne fuori il foglio perfettamente piegato.
Tremando, andò subito alla ricerca della mano di Kurt per stringerla tanto che, se il ragazzo fosse stato ancora vivo, gli avrebbe sicuramente fatto del male.
 
“Stammi vicino.”
“Certo.”
“Non ti vedranno, vero?”
“No. Solo tu puoi.”
“Dopo dovrai spiegarmi anche-”
“Non cambiare discorso e cammina!”
Nonostante cercasse di sembrare calmo, Blaine tremava dall’agitazione mentre la sua presa sulla mano di Kurt si faceva sempre più forte ad ogni passo.
Quando si ritrovò nuovamente faccia a faccia con suo padre, l’unica cosa che sentì furono le orecchie chiudersi e i sudori freddi procurargli la nausea.
“Blaine, stai bene?” gli chiese l’uomo, spostando il computer portatile dalle proprie gambe alla poltrona accanto.
“Nonfaròmedicinapapà.”
“Figliolo,” riprese il signor Anderson, prendendo il figlio per un braccio e facendolo gentilmente sedere al suo fianco sul divano, “te lo dicevamo sempre da piccolo: respira, conta fino a tre, poi parla lentamente. Ripeti che non ho capito nulla.”
Chiudendo gli occhi e traendo un profondo respiro, Blaine prese nuovamente il coraggio a due mani e, con voce ferma e decisa ripeté: “Non farò medicina.”
L’uomo annuì piano, congiungendo le mani sulle gambe.
“Quale sarebbe la tua alternativa?”
“Musica.”
Il signor Anderson respirò pesantemente, poggiando la schiena allo schienale del sofà, “Pensavo ne avessimo già discusso.”
“Tu parlavi ed io ascoltavo passivamente. Non era certo discutere.”
“E quali sarebbero i tuoi piani per il futuro? Cosa farai una volta laureato?”
“Sarò un musicista. O un cantante o insegnerò, qualsiasi cosa che abbia a che fare con la musica. Quello è il mio mondo papà.
So che mi scontrerò con miliardi di porte chiuse e difficoltà ma non mi importa. È ciò che voglio fare è nulla potrà fermarmi.”
Mentre il padre di Blaine lo guardava negli occhi, come alla ricerca di un qualsiasi segno di incertezza nel figlio, la signora Anderson fece capolino dalla porta. Accanto a Blaine, Kurt lo guardava fiero e orgoglioso di poter dire di essere innamorato di lui.
“Hai pensato all’iscrizione? È un po’ tardi-”
Prima che potesse scrivere la frase, Blaine gli mise sotto gli occhi la lettera da Yale dove, con lettere freddamente stampate, gli annunciavano la sua ammissione al dipartimento di Musica.
“I miei amici hanno mandato la domanda per me. E mi hanno accettato.”
L’uomo si poggiò nuovamente con le braccia alle ginocchia, tenendo le mani giunte ed abbassando il capo.
“Papà, per favore. So di averti deluso ma-”
“Ti renderà felice?”
La domanda lo colpì come una sferzata d’aria gelida. Gli occhi dell’uomo tornarono a scrutarlo intensamente. Blaine non ebbe problemi a rispondere senza esitazioni.
“Sì.”
“Allora non potrai deludermi. Sono… felice, che tu mi abbia parlato in questo modo. Deciso. Mi sarebbe piaciuto che tu frequentassi medicina, è vero. E spero tu ti renda veramente conto di quanto difficile sarà la strada che hai scelto. Ma ormai sei un uomo, anche se sarai sempre il mio bambino. E so che sei in grado di fare le tue scelte.
Io… Continuavo a spingerti verso ciò che io e tua madre avevamo scelto per te perché non vedevo in te alcuna spinta. Nessuna convinzione.
Ora che me l’hai mostrata, sono veramente fiero di te.”
Prendendo Blaine di sorpresa, la signora Anderson si avvicinò lentamente per stritolarlo in un umido abbraccio, baciandogli ripetutamente la fronte. Appena la donna si staccò da lui, suo padre lo trasse a se per un breve ma intenso abbraccio.
Tra loro non si erano mai dilungati in effusioni, sua madre era più il tipo emotivo. Tra Blaine e suo padre c’era sempre stata una sottile complicità che solo negli ultimi anni era stata lievemente scalfita.
 
Per Richard Anderson era stato faticoso accettare l’omosessualità del figlio. Quando Blaine si era rivelato, il suo primo pensiero era andato al suo futuro, al parere che la gente si sarebbe fatto di lui e come l’avrebbe trattato.
Non gli importava se al ‘suo ometto’ non piacevano le ragazze o se, un domani, avrebbe presentato a lui e sua moglie il proprio compagno; l’importante era la sua felicità. Ma l’avrebbe mai raggiunta nel mondo in cui vivevano? Con l’omofobia che impregnava l’aria che respiravano?
Erano domande a cui, lo sapeva, non poteva trovare risposta. Solo Blaine, con le sue azioni, avrebbe potuto dissipare i suoi dubbi. Doveva solo fidarsi di lui e guardandolo in quel momento, mentre sorrideva rivolto a solo-lui-sapeva-cosa, capì che poteva farlo.
Lo avrebbe sostenuto, come quella volta che, da bambino, era caduto dalla bicicletta. Perché era questo che, secondo lui, distingueva un buon genitore. 





NdA:


Sono una persona orribile!! Merito di essere arsa viva per questo ennesimo ritardo gigantesco!
Tra Lucca e tutto il lavoro che ho dovuto fare in fretta e furia per le scadenze della mia scuola (l'Accademia internazionale di Comics, massì facciamo un po' di pubblicità!XP), è stato un miracolo trovare un minuto per chiedere alla sempre fantastica Grè (Elfo Mikey) di betarmi questo capitolo! 

Ditemi... che ve ne è parso? 
Alla fine papà Anderson non è tanto male, no? 
Fatemi sapere. 

Un abbraccio.
Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. ***



18.

 
 
Blaine se ne stava sdraiato sul suo letto guadando il soffitto incredulo.
Era riuscito a parlare cuore a cuore con suo padre e dirgli cosa voleva fare del suo futuro. Scoprire di non aver deluso i genitori ma che, anzi, lo appoggiavano, gli aveva riempito il cuore di gioia.
Accanto al letto, Kurt sfamava l’uccellino col mangime che Blaine aveva fatto comprare a sua madre, qualche giorno prima.
Era felice che tutto si fosse sistemato; che ora potesse fare ciò che veramente desiderava ma una piccola crepa continuava ad infastidirlo: Kurt sembrava talmente felice di questa sua conquista che quasi gli faceva sorgere la domanda se davvero tenesse a lui.
Ogni volta che tale dubbio si faceva largo nella sua mente si dava dell’idiota pensando a tutte le volte che lo spirito gli aveva dimostrato i suoi sentimenti. E, puntuale come un orologio svizzero assemblato da operai giapponesi altamente selezionati, quella piccola stupida parte di sé tornava alla carica con: ‘Perché sorride a quel modo al pensiero che me ne andrò?’
Egoisticamente, Blaine si ritrovò a pensare che lui non sarebbe riuscito a essere felice. Si sarebbe disperato alla ricerca di una soluzione, avrebbe sì lasciato andare Kurt ma di certo non sorridendogli incoraggiante!
Attirando la sua attenzione, dopo qualche istante, Kurt gli si sdraiò accanto, prendendogli la mano e sporgendosi per posargli un bacio a fior di labbra.
“Non sai quanto sono felice.”
Non riuscendo a zittire quella piccola, egoista, fastidiosa vocetta che lo tormentava, Blaine semplicemente volse lo sguardo altrove, evitando gli occhi del ragazzo.
“Stai bene?” chiese lo spirito sfiorandogli un braccio in pensiero.
“Sì. Bene.”
“Blaine? Così mi fai preoccupare.” Accennò un sorriso nervoso, carezzandogli nuovamente l’avambraccio.
Tornando a guardarlo, Blaine non poté fare a meno di sciogliersi di fronte a quel suo sguardo angustiato. Deglutendo, cercò di trattenere le lacrime.
“Blaine, ti prego parlami.”
“Perché sei così tranquillo? Ti fa piacere che me ne vada?”
“Stai delirando?”
“Tu… Dici di essere felice ma… io me ne andrò, Kurt. E credevo che, almeno un minimo… ti sarebbe dispiaciuto e invece…”
“Spero che tu stia scherzando.” Si allontanò da lui lo spirito, alzandosi in piedi, “Blaine, il pensare alla tua partenza mi uccide! Mi uccide anche se sono morto! Tu- sospirò- sei il primo e unico che mi abbia mai fatto provare certe sensazioni. Non sai che darei per poterti seguire! Ma non posso. Quindi ho pensato: ‘perché mettere in pena anche lui? Perché non godersi questi ultimi tempi come se il futuro non esistesse, almeno per lui?’
Perché è questa la verità.” Riprese dopo un singhiozzo, “Quello che resterà solo sarò io. Qui, in questa schifosa casa da cui non sono mai uscito! Tu avrai una nuova vita, ma io? Dovrò riabituarmi alla solitudine come prima che arrivassi e… preferirei morire di nuovo piuttosto che tornare da dove vengo!”
Gli occhi dello spettro si riempirono di lacrime, mentre quelli di Blaine restavano incollati al suo viso. In un attimo tutti i sensi di colpa lo colpirono peggio di un terremoto.
Vedere gli occhi di Kurt in quel modo lo faceva sentire peggio di un verme. Ogni sua lacrima scavava un profondo solco nel suo cuore, come grandine sulla neve, provocava profonde ferite impossibili da rimarginare.
“Io non sono niente senza di te, Blaine; sono solo… un fantasma.I fantasmi non esistono.”
“Tu esisti Kurt!”
“Può chiamarsi esistenza la mia? La solitudine totale? Per sentirsi vivi si deve aver qualcuno che ci ricordi, che ci dia una conferma del nostro esistere. Oltre te… chi ho?”
Interrompendoli, la voce della signora Anderson riprese Blaine:
Smettila di leggere e dormi, sono quasi le due!
Cercando di calmarsi, asciugandosi le lacrime, Kurt raggiunse nuovamente Blaine sul letto. Con un sospiro poggiò la fronte contro quella del moro.
“Ora addormentati. Ti raggiungo e ne parliamo, va bene?”
Annuendo, Blaine si sdraiò nuovamente sul guanciale, aspettando poi Kurt, che gli si poggiò di fianco, forzando un sorriso, in contrasto con gli occhi rossi che fremevano e i segni umidi delle lacrime sulle gote.
Quando aprì gli occhi, subito dopo essere caduto tra le braccia di Morfeo, si ritrovò nella camera di Kurt, come il ragazzo la ricordava nella sua infanzia. Era luminosa e i raggi del sole al tramonto si infrangevano contro tutti gli oggetti del proprietario della stanza.
Perdendosi a guardare i riflessi prodotti dai fasci di luce arrossati contro le tende bianche e le lenzuola candide, venne poi richiamato dalla pressione della mano, ora morbida, dello spirito tra le scapole. A Blaine bastò solo il tempo per volgere poco il volto verso di lui, che Kurt posò la fronte sulla sua spalla, cingendolo per la vita ed allacciando le dita tra loro, poggiandogliele sul ventre.
In quell’abbraccio, Blaine si sentì come invaso dal sole. Come seduto su una zattera in balia delle onde ma senza il panico e l’angoscia tipica dei naufraghi. 
Kurt era lì. Era caldo e poteva sentirlo e ogni volta che ciò accadeva, Blaine, semplicemente, si sentiva in paradiso. Ogni problema sfumava, ogni cosa che non fosse Kurt o loro due insieme, perdeva importanza e l’unica cosa che desiderava era solo stringerlo per quanto restava della propria vita.
“Scusami.” Sussurrò voltandosi verso lo spirito, senza districare il loro abbraccio, baciandogli la punta del naso e passando, subito dopo alle labbra.
Restarono in quel modo per minuti interi. Blaine cingendogli il volto con le mani e baciando ogni centimetro disponibile, alternando i baci a scuse appena sussurrate con voce calda e commossa. Kurt, restando con le braccia attorno ai suoi fianchi, si beava di quei piccoli vezzeggiamenti che il compagno dedicava al suo viso rilassatosi in un sorriso angelico.
In quel momento, non importava che fossero solo in un sogno, che nella realtà non avrebbero mai potuto veramente toccarsi o che mancasse solo un mese alla partenza di Blaine per Yale.
Nulla era più importante degli sguardi che si lanciavano l’un l’altro.
Dell’azzurro cristallino e puro degli occhi di Kurt che si colorava di leggerissimi riflessi verdi oceano e grigio quasi trasparente, luminosi e brillanti.
Del miele caldo e dolce di quelli di Blaine, che si scurivano nei contorni dell’iride per risplendere di mille sfumature accanto alla pupilla.
Ponendo le proprie mani su quelle del moro, Kurt fermò le sue labbra in un profondo bacio che fece quasi tremare le ginocchia al compagno.
Tornando a guardarlo negli occhi, dopo quel bacio perfetto, Blaine vide quel dolore che il ragazzo aveva già provato troppe volte.
“Dillo.” Gli bisbigliò in un sospiro, “Sii egoista almeno una volta in vita tua.”
Kurt si lasciò sfuggire un fiato tremante, cercando di esprimere quelle parole che mai in vita sua aveva pronunciato, quelle che, in un secondo momento, non avrebbe mai detto, tornando a baciare Blaine come fosse l’unica cosa a separarlo dalla morte.
“Resta.” Singhiozzò nascondendo il volto contro il collo del moro, “Resta con me. Non partire.”
Blaine gli sollevò il viso mentre anche dai suoi occhi le lacrime cominciavano a scorrere.
“Non mi lasciare.”
Ricongiungendo le proprie labbra con quelle di Kurt, non si accorse neanche del materasso che toccava contro le sue ginocchia e che, piano, piano, si avvicinava sempre più ai loro corpi.
Non sentì la sensazione del cuscino contro il capo ma soltanto la mano dello spirito che lo teneva stretto, mentre le loro lacrime diventavano un solo pianto.
Non si pose domande scomode mentre entrambi si toglievano a vicenda maglia e camicia, o mentre il contatto tra loro si faceva sempre più intenso.
Volevano solo essere l’uno il più vicino possibile all’altro, senza nessun ostacolo, in ogni modo possibile. Volevano essere una cosa sola per non essere mai più separati. Volevano costruire un qualcosa che nemmeno il tempo, nemmeno la morte avrebbe potuto scalfire.
Quando Blaine si trovò dentro Kurt, traendo un profondo respiro, si sentì completo. Il sole era ormai calato e la luna sorvegliava quel cielo passato; ma non era il suo chiarore ad illuminarli. La luce che li circondava partiva da loro. Dai loro cuori.
Guardando il ragazzo in quel momento, steso sotto di lui, con le lacrime che non accennavano a quietarsi e il suo nome tra le labbra, Blaine desiderò morire.
Morire per vivere.
Vivere per sempre con Kurt. Condividere tutto con lui: gioia, dolore, noia, passato, futuro. Oblio.
Nel momento in cui si trovarono stesi l’uno di fianco all’altro, stretti in un abbraccio caldo e ancora scossi da ciò che avevano appena condiviso, la voce affannata ma comunque cristallina dello spettro fece sprofondare il cuore del compagno nello stomaco, per poi farlo piombare in gola e, solo dopo qualche istante, tornare al suo posto nel petto.
“Ti amo.”
Sollevando il volto dal suo torace candido, su cui stava comodamente appoggiato, Blaine venne riempito dalla gioia e luminosità del suo sorriso.
Nonostante il fiato ancora corto, i capelli spettinati, le labbra e il volto arrossati e l’aspetto di chi si è appena svegliato da una lunga notte insonne agitata, la lucentezza e l’elettricità di quegli occhi cerulei furono solo un particolare tra tanti, il più evidente, che permise a Blaine di pensare senza ombra di dubbio, di non aver mai visto nulla di più meraviglioso.
Percependo l’intorpidimento del risveglio pizzicargli le ossa, si sporse per baciare il suo amore finché aveva tempo; finché quella splendida ‘realtà’ aveva vita.
Kurt prese a stringere i ricci e carezzargli la linea della mascella, mentre col suo bacio cercava di tenerlo stretto.
Blaine gli si stringeva contro come un bambino, aggrappandosi al suo collo e alle spalle.
Il formicolio dello svanimento del sogno si confuse con l’insoddisfazione del risveglio, quando Blaine si alzò di scatto a sedere guardandosi confuso intorno.
Subito, Kurt gli carezzò il volto, richiamandolo a stendersi acanto a lui.
“Non è giusto.” Languì Blaine dopo qualche istante, mentre lo spirito gli disegnava i contorni delle labbra con un dito, guardandolo rapito e innamorato; cercando di scolpirsi nella mente ogni sfumatura di quei lucidi occhi di miele, ogni angolo di quel volto perfetto, ogni emozione che quell'essenza così unica che solo Blaine emanava gli evocava, fino in fondo all'anima.






NdA: 


Buonsalve! 

Direi che in questo capitolo e capitato qualcosa... 
Gggià... 
E mo'? Manca un mese alla partenza di Blaine e quei due sono più innamorati di prima. Hehehe... il livello di sadicità di questa FF sale sempre più!

Dato che è stata una delle prime volte che mi cimento in una scena... diciamo d'amore fisico... mi farebbe molto piacere sapere cosa ve ne è parso... per sapermi migliorare in futuro.^^

Grazie mille a tutti voi che leggete, a chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite, invio a tutti quanti un enorme abbraccio soffocante!
Come sempre un ringraziamento coccoloso speciale a Grè (Elfo Mikey) per il betaggio straordinario! <3

Alla prossima.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. ***


19.
 

 
La signora Anderson aveva già da qualche giorno notato un cambiamento nel figlio. Il modo in cui aveva sempre la testa tra le nuvole, quella strana calma che lo accompagnava ovunque andasse, mista ad un'insensata malinconia.
Lo vedeva girare per la casa come un'anima in pena, strimpellare note lente e cadenzate al pianoforte, chiudersi in camera per ore e uscirne, alcune volte, con gli occhi arrossati.
Riconosceva ognuno di quei sintomi, perché di quello si trattavano, ma non capiva il fattore scatenante. Insomma, se suo figlio si fosse innamorato gliel'avrebbe detto; vero?
Sospirando davanti allo specchio della propria camera, Meredith Anderson cercò nei propri occhi una qualsiasi spiegazione per il comportamento del suo Blaine.
Senza distogliere lo sguardo, cercò con la mano il rossetto sul tavolo della toletta, senza trovarlo. Abbassando allora gli occhi, notò l'effettiva assenza dell'oggetto e guardandosi poi intorno, lo notò poggiato sul proprio cuscino.
Dopo essersi alzata con un sospiro, si mise il rossetto con nonchalance, senza nemmeno guardare il proprio riflesso. Voltandosi nuovamente contro la toletta, si inquietò vedendo il cofanetto dei gioielli aperto e la boccetta dello smalto rovesciata, lasciando che quel liquido rosso porpora scivolasse sul legno e sulla sedia sottostante, per poi macchiare il tappeto comprato pochi mesi prima.
Guardandosi intorno cercò un qualsiasi segno che potesse rendere comprensibile l’accaduto.
Sopra la sua testa, il lampadario prese ad oscillare, disegnando cerchi nell’aria.
Senza pensarci su due volte, corse fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Il signor Anderson non era una persona arida ed esageratamente seria come potevano pensare molti suoi colleghi. Certo, da giovane era più spensierato e più divertente ma certo non storceva il naso davanti ad una battuta ben congegnata.
Dopo la chiacchierata cuore a cuore con suo figlio, tra loro era tornata, almeno un po’, quella vecchia complicità che non condividevano da quando Blaine era bambino.
Gli sfuggì quindi una risata divertita quando la moglie, quella sera a cena, gli annunciò di aver preso appuntamento col prete della parrocchia più vicina, quel pomeriggio.
“Cara,” disse, “Da quando ti interessi di religione?”
“Non si tratta di religione, Richard. C’è qualcosa in questa casa e voglio che se ne vada.”
“Non penso che il prete possa fare molto per i topi.” Ragionò lui tornando ad occuparsi della propria cena. Odiava essere interrotto nel bel mezzo di una bistecca. 
“Non parlo dei topi.”
“Nemmeno per gli scarafaggi.”
“Neppure di quelli. Credi che ce ne siano?”
“Non saprei, dopotutto il giardino non è piccolo.”
“Chiamerò anche la disinfestazione. Comunque parlavo di altro. Questa mattina un… qualcosa era nella mia camera e mi ha rovesciato la boccetta dello smalto.”
“No!”
Nonostante l’aria preoccupata che aleggiava sul volto di Blaine, il ragazzo soffocò una risata con un boccone di carne, di fronte all’espressione fintamente shockata del padre.
“Sì!” continuò la donna noncurante, “Si è rovesciato e il lampadario oscillava!”
“Sarà stato il vento.” Soppesò il ragazzo razionalmente.
“’Sta mattina non c’era vento, Blaine.”
“Fammi capire.” Riprese il signor Anderson poggiando una volta per tutte la forchetta sul tavolo, “Hai chiamato il prete… perché ti si è rovesciato lo smalto?”
“Non cogli il punto, Richard!”
Tra di loro, Blaine cercava di nascondere la sempre più crescente agitazione.
“C’è qualcosa in casa. Qualcosa o… qualcuno che… non è in pace. Voglio che se ne vada.”
“Ma mamma, ” tentò Blaine con un falso sorriso, “se davvero c’è qualcosa… si è poi trattato di un caso isolato. Non mi pare necessario farne una tragedia.”
“Abbiamo comprato questa casa come vuota e voglio che lo sia. È casa nostra. Non di qualche ospite indesiderato.”
Il signor Anderson roteò gli occhi con fare esasperato, guardando poi Blaine scuotendo piano il capo.
 
“Tua madre vuole chiamare chi?!? Perché?!?
Kurt se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto di Blaine, giocherellando con l’uccellino, mentre il moro girava in tondo sulla sedia girevole, con aria stanca nonostante fosse solo tardo pomeriggio.
“Si è spaventata da quello che è successo in camera sua. Perché l’hai fatto? Che cosa ti ha detto il cervello?”
“Pensi sia stato io?” si pose una mano sul petto indignato, “Sono morto non stupido!”
“Allora chi?” domandò brusco fermandosi di scatto con la sedia di fronte a lui, “Ci sei solo tu qui, no?”
Kurt distolse lo sguardo, tornando ad occuparsi della bestiolina che zampettava timidamente sul materasso.
“Vero?” domandò nuovamente Blaine, alzandosi dalla sedia per sedersi accanto a lui.
Kurt?” chiese nuovamente con uno scatto, facendo sobbalzare lo spirito che, dopo un sospiro combattuto, ammise:
“No! Non… non sono… ‘esattamente’ solo, c’è Helena.”
“Helena? L-la tua governante?”
Kurt annuì, prendendo dolcemente in mano l’uccellino per posarlo nella scatola da scarpe, “Non voleva… lasciarmi solo. È rimasta con me per tutto il tempo. Solo che… è da tempo che non…”
Blaine continuò a guardarlo incoraggiante, posando la mano laddove avrebbe dovuto trovare quella dello spettro.
“Abbiamo litigato.” Esalò in un solo respiro, come se dirlo gli costasse uno sforzo immenso.
“Lei… non vedeva di buon occhio… questo.” Spiegò prendendolo per mano, baciandogliene poi il dorso, “Non ha mai accettato veramente questo aspetto di me. Ha cercato di tenermi lontano da te. È stata la più grande litigata che abbiamo mai avuto. Entrambi ci siamo detti cose orribili e…” cominciò a tremargli la voce, “Le ho detto cose davvero… insensibili e lei… mi ha ferito.”
Lentamente si sdraiarono sul letto, Kurt stretto alla sua maglietta e Blaine che cercava di carezzargli i capelli con la speranza di calmarlo.
“Ha detto che quelli… quelli come me sono sbagliati che… si vergognava di avermi cresciuto ed io ho risposto-” si asciugò una lacrima, “che lei non era mia madre e che non aveva il diritto di parlarmi così.”
“Kurt-” un grido agghiacciante squarciò il silenzio del caldo pomeriggio. Con uno scatto, entrambi corsero alla porta della stanza dei signori Anderson, dove la madre di Blaine se ne stava rannicchiata accanto al letto coprendosi il volto con le mani e tremando.
Blaine subito le fu accanto, cercando di toglierle le mani da davanti la faccia.
“Che è successo mamma? Cos’è successo?”
“La pelle di stava sfaldando!  Gli occhi erano diventati rossi…”
Helena!” la voce di Kurt era diventata talmente autoritaria da fare paura mentre chiamava la governante sovrastando la voce della signora Anderson. Blaine, infatti, continuava a stringere la madre senza però riuscire a sentirla. Davanti ai suoi occhi increduli, Kurt non era più il ragazzo dolce e delicato che era stato fino a qualche istante prima ma un uomo sicuro e autoritario e, sebbene fosse uno spettacolo strano e inquietante, Blaine non poteva fare a meno di esserne terribilmente affascinato.
Tu non hai il diritto di spaventare queste persone. Stai lontana.
In un lampo l’espressione di Kurt mutò. Dal guardare il nulla prese a fissare un punto preciso di fronte  a lui.
“Perché?” chiese, indicando lievemente con la mano Blaine e sua madre, “Perché te la prendi con loro? E’ con me che ce l’hai!” Dopo qualche secondo di silenzio, Kurt sbottò nuovamente, spaventando persino Blaine che d’istinto, strinse sua madre sempre più mentre, dalle scale, proveniva il rumore della corsa del signor Anderson.
Non ti permetto di parlare di lui in questo modo! Puoi dire ciò che vuoi di me, ma non-osare-dire-nulla-su-di-lui!”
Nell’istante preciso in cui l’uomo entrò in camera, dal nulla un vaso colpì il muro, costringendo i presenti a coprirsi il volto. Quando Blaine riaprì gli occhi, Kurt era sparito mentre sua madre continuava a tremargli tra le braccia.
 
Il prete si aggirava per il salotto seguito a ruota da una fin troppo apprensiva signora Anderson e, poco distante, Mr. Anderson che teneva sotto controllo i due.
Blaine se ne stava appoggiato alla porta della stanza guardando il quadretto stranito.
“Ha chiamato seriamente un sacerdote?” Gli sussurrò all’orecchio Kurt con un misto di incredulità e divertimento nella voce.
Blaine annuì, restando poi a guardare il ragazzo avvicinarsi al gruppetto che aveva davanti.
Kurt osservò da vicino il prete e ascoltò le sue parole: “Se qualcuno in questa casa è in ascolto, ci dia un segno.”
“Dovrei fare qualcosa secondo te?” domandò incuriosito, mentre il riccio tentava di trattenere le risate. Quando il celebrante prese a benedire la stanza, Kurt spalancò gli occhi scioccato: “Ma…? Sta bagnando tutto quanto! Perché?!?!”
Intanto, il signor Anderson si avvicinò al figlio e, in un borbotto divertito disse: “Almeno dopo non dovremmo preoccuparci di pulire i pavimenti.”
A quel punto Blaine non riuscì più a trattenersi e si strinse alla spalla del padre per soffocare le risa.
“Richard! Blaine!” li riprese la donna, mentre alle sue spalle il prete li guardava indignato, “Un minimo di rispetto.”
“Sì, scusa cara.” Replicò subdolamente l’uomo, rifilando un leggero schiaffo sul collo al figlio, per poi tornare al fianco della moglie che rimaneva pienamente convinta dell’efficacia di quella specie di esorcismo.
“Ti avverto che se comincia a spargere sale o… qualsiasi altra cosa che può insozzare il pavimento, gli faccio lo sgambetto sulle scale.” Brontolò o spirito affiancandolo.
“Sei sparito ieri.” lo interruppe guardandolo negli occhi, senza comunque giudicarlo.
“Sì… sai… problemi ‘di famiglia’…”
Sorridendo, Blaine aprì le dita della mano, invitando lo spirito a intrecciarle con le sue. Purtroppo vennero subito interrotti dalla voce della signora Anderson che richiamava il figlio.
Appena Blaine, seguito a Kurt, entrò nella stanza da pranzo, il sacerdote sussultò:
“È qui! Percepisco qualcosa…” subito la mano dello spettro si strinse su quella del ragazzo, “Essere immondo!” con uno scatto Kurt si strinse attorno al braccio di Blaine, “Abbandona questo luogo protetto dal signore e lascia queste persone!”
“Ma è casa mia!” continuò a rispondere alle provocazioni, incurante del fatto che solo il ragazzo al suo fianco potesse sentirlo.
“Blaine, digli qualcosa.”
“Sai, ” sussurrò il moro coprendosi la bocca con una mano, “è quasi un peccato che non ti possano sentire, sei qualcosa di comico.” 
 




NdA:


Ed eco un nuovo capitolo. Neanche tanto in ritardo questa volta!

Ce ve ne è parso? Fatemi sapere!^^

Come sempre grazie mille a Grè, ormai non ho più parole per dire quanto le sono grata, e a tutti voi che leggete.

Alla prossima.
Un abbraccio.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. ***



20.
 


Dopo quell’unico episodio la pace tornò nella villa, con gioia della signora Anderson e, soprattutto, dei suoi nervi.
A detta di Kurt, Helena si era arresa. Più che altro era svanita dalla circolazione dopo la litigata con lui.
Il ragazzo, però, decise di non lasciarla comunque sola. Quella donna si era presa cura di lui per tutta la vita e, nonostante le sue azioni e convinzioni, non poteva abbandonarla così.
Contemporaneamente, Mrs. Anderson divento paranoica anche riguardo ai viventi.
Udendo la storia della sua collega, cui avevano da poco fatto irruzione dei ladri in casa, le era presa la convinzione che potesse succedere anche a loro da un giorno all’altro. Costrinse quindi il marito, corrompendolo con una bistecca da primato, a comprare una pistola.
“È legittima difesa.” Continuava a dire, sotto lo sguardo preoccupato di Blaine. La goffaggine naturale di quella donna era preoccupante a livelli sconosciuti all’essere umano; non osava immaginare quanto potesse diventare pericolosa con un arma da fuoco nelle vicinanze! 
Fortunatamente suo padre le aveva prontamente tolto la rivoltella di mano, chiudendola in un cassetto di un tavolo dello studio.
Tutto era quindi tornato alla calma e a Blaine pareva di vivere un sogno. Di giorno i suoi genitori andavano al lavoro, lasciandolo così solo con Kurt; nel pomeriggio inoltrato tornavano e trascorrevano insieme piacevoli momenti familiari e la sera, dopo cena, si rintanava nella propria camera per trascorrere altro tempo con lo spirito fin quando non si addormentava, passando tutta la notte in compagnia del ragazzo che amava, parlando, viaggiando, facendo l’amore. Semplicemente donandosi l’uno all’altro in ogni modo possibile.
Una mattina Kurt guidò Blaine fino all’angolo più lontano del giardino. Accanto ad un cespuglio di pungitopo, qualcosa rifletteva i raggi limpidi del sole. Avvicinandosi e scostando i rami del cespuglio, Blaine si trovò davanti ad una piccola lapide che una volta doveva essere stata candida, ora ingrigita dal tempo e sciupata dalle intemperie di più di cento anni.
Con un sorriso, Kurt si inginocchiò accanto alla roccia col suo nome scritto in nero, un po’ scrostato in alcuni punti. Blaine rimase un attimo sconcertato, inginocchiandosi poi accanto allo spirito.
“Non è strano?” domandò il fantasma con lo sguardo perso nei propri pensieri, “È come se fossi in due posti allo stesso tempo. Quaggiù,” indicò il terreno con lo sguardo, “e qua accanto a te. Meglio di Hudini!” aggiunse poi con una piccola risata.
“Grazie per avermi portato qui è… significa molto per te, vero?” chiese scioccamente Blaine, non sapendo che altro dire.
“’Significa molto’?” gli domandò divertito Kurt, “Blaine, il mio corpo è qua sotto, a due metri e mezzo di profondità.
È stata Meredith a trovarmi, sai?” prese a raccontare sedendosi sull’erba morbida, “Dopo un mese dalla mia dipartita, la vidi entrare nella mia camera. Rimasi sbalordito perché non pensavo che avrebbe veramente mantenuto la sua promessa, quella di non abbandonarmi.
Vedendo il mio corpo morto pianse, col suo fidanzato accanto. Volevo stringerla… come facevamo prima che partisse; ma non potevo fare niente. Era come essere fatti d’aria.
Quasi impazzii. Non fosse stato per Helena, non so cosa sarei diventato. Lei mi restò accanto, mi spiegò ogni cosa, mi insegnò a convivere con la nuova situazione.
Più avanti mi domandai, come avesse fatto lei, da sola. Senza nessuno a guidarla. Quando glielo chiesi, disse che non era impazzita per me. Perché avevo bisogno di lei e… –si asciugò una piccola lacrima- e io ero il suo bambino.
A seppellirmi erano presenti solo Meredith, il suo fidanzato e mio zio. Prima che chiudessero la bara, mia cugina mi posò sul petto il ciondolo che avevo ereditato da mia madre. È ancora lì sotto con me.”
Dopo qualche istante in cui Blaine si sedette per terra con Kurt, il moro cercò di alleggerire la tensione: “Vuoi che te lo recuperi? Per me non ci sarebbero problemi, ho sempre sognato un’avventura all’Indiana Jones, non ti assicuro niente per la riuscita dell’impresa. Inoltre non so come reagirebbero i miei nel vedermi scavare una buca in giardino e riesumandone un corpo.”
Ridendo Kurt si stese sul prato. Sorridendo, Blaine si sporse sopra di lui, ponendo le braccia ai lati del suo volto, “Un corpo meravigliosamente perfetto.”
Senza che il sorriso che gli illuminava il volto e gli occhi si spegnesse, Kurt raggiunse le labbra del moro per un bacio.
“Decomposto vorrai dire.” Aggiunse poi tornando a posare il capo sull’erba, “Ormai non ci sarà che polvere la dentro. Forse qualche verme.”
“Ma che schifo!”
Le risate si diffondevano contagiose in quelle giornate limpide che si susseguivano l’un l’altra tranquillamente, come in una smielata commedia per adolescenti.
Qualcosa si incrinò quando una sera a cena, Mr. Anderson annunciò con nonchalance al figlio di aver già prenotato il suo biglietto aereo per il Connecticut.
Per il ragazzo fu come svegliarsi all’improvviso da un sogno perfetto.
Mancava una settimana. Una settimana alla sua partenza.
Una settimana alla fine di tutto.
 
“Che fai con questa?” chiese Kurt porgendogli una cornice vuota.
“La lascio.” Rispose lapidario Blaine, dopo aver spostato la valigia dal per coricarsi, “Grazie per l’aiuto. Fare le valigie è più snervante di quanto pensassi.”
Lo spirito sorrise, posandogli un casto bacio sulla bocca.
“Dove mi porti ‘sta volta?” domandò il moro sistemandosi meglio sotto le coperte.
Kurt lo guardò dispiaciuto, “Mi dispiace ma questa notte non sarò con te. Devo occuparmi di una cosa. Sai, Helena ha comunque bisogno di me.”
Blaine annuì poco convinto, salutandolo con un sorriso tirato.
Dopo tutte le discussioni avute al riguardo e nonostante le tante volte Kurt gli avesse spiegato la situazione, gli dava ancora fastidio che lo spirito sembrasse così a suo agio riguardo la sua partenza.
Kurt continuava a ripetergli che sarebbe stato lui a rimanere solo in quella casa. Lui, a Yale, sarebbe stato circondato dai suoi amici, dal suo mondo, da ciò che desiderava; dal suo futuro.
Allora perché si sentiva come se, una volta uscito da quella porta per il college, la sua vita sarebbe finita. Senza Kurt che vita sarebbe stata?
Senza la sua voce a cullarlo dopo i loro sogni insieme?
Senza i suoi occhi a permettergli di perdersi in quell’universo che apparteneva solo a lui?
Senza il suo sorriso a illuminargli le giornate, a dargli il buongiorno e la buonanotte?
Senza le sue carezze, i suoi baci leggeri mentre facevano l’amore? Quando i loro mondi diventavano uno solo. Quando la vita e la morte non esistevano più e l’unica cosa al mondo era il presente e le loro labbra che si cercavano.
Forse Kurt sarebbe rimasto nuovamente solo ma lo sarebbe stato anche lui, in modo diverso.
Di sicuro non sarebbe mai più stato felice.
E se anche fosse riuscito ad andare avanti, che futuro mai gli si prospettava? Non sarebbe mai stato in grado di amare nessun’altro, ne era sicuro.
Che vita poteva essere un’esistenza che progrediva per inerzia?
Una vita senza Kurt… che vita era?
Nei giorni successivi la testa di Blaine fu concentrata su questo aspetto del suo futuro: l’assenza.
Kurt si faceva vedere più di rado, dicendo di avere affari familiari da sistemare.
Sto partendo! Voleva urlare Blaine ogni volta che erano insieme, Me se sto andando e non mi vedrai più! Dimmi di restare con te! Dimmelo!
“Dimmi di non partire.” Gli sussurrò una notte mentre se ne stavano abbracciati sulla riva di un fiume, sul quale Kurt andava a pescare coi genitori una domenica di tanto in tanto.
Lo spirito gli sorrise, carezzandogli il volto col dorso delle dita, “Non potrei mai farlo, lo sai.”
“Perché?” chiese, mentre una lacrima gli solcava la guancia. Subito Kurt posò le labbra su quella goccia di dolore, restando poi col volto accanto a quello del moro.
“Perché ti amo.”
Svegliatosi da qual sogno, si trovò solo nel letto.
Mancavano due giorni alla partenza e Kurt non era lì con lui in quelle ultime ore notturne che, per lui, erano preziose quanto l’ossigeno che respirava.
In un istante, una strana consapevolezza si fece largo in lui: Senza Kurt, per lui vivere era impossibile; ma se diventavano uguali nulla li avrebbe più divisi.
Con questa certezza non si accorse nemmeno di essersi alzato dal letto.
Non si accorse nemmeno del metallo freddo tra le sue mani.
 
Blaine fermo!
In un attimo, la mano che stringeva la pistola lanciò l’arma il più lontano possibile mentre il suo cervello registrava ciò che stava per fare.
Di fronte a lui Kurt lo fissava con un’espressione che gli dilaniò letteralmente l’anima.
Nella penombra dello studio, con alle spalle il corridoio illuminato, le spalle del fantasma parevano tremare mentre, con la poca luce presente, Blaine poteva vederlo come mai prima: le pupille dilatate quasi nascondevano quelle splendide iridi, resa più chiare dalle lacrime che cominciavano ad inumidirgli gli occhi. L’espressione straziata sul suo volto, il modo in cui una mano gli copriva la bocca, quasi come faticasse a respirare, tutto ciò terrorizzò e lacerò Blaine nel profondo.
“K-Kurt…”
“Cosa stavi facendo?” la voce dello spettro, ridotta ad un flebile sussurro, carezzò gelidamente la pelle di Blaine, riportandolo ulteriormente alla realtà.
“Io non… non lo so.”
“Perché avevi una pistola in mano, eh?!” domandò con le lacrime che iniziavano a rigargli il volto.
“N-non lo so…”
In un lampo, la gota di Blaine pulsò di dolore mentre Kurt, scioccato, teneva ancora la mano con cui aveva colpito il ragazzo a mezz’aria.
“Mi ami così poco, Blaine? Valgo così poco per te?” quelle parole lo ferirono più dello schiaffo.
“Pensavo… fosse l’unico modo per stare insieme.”
“Pensi accetterei una condizione simile?! Pensi accetterei che tu ti possa privare della cosa più importante al mondo?! Come puoi farlo?!”
“I-io…”
“Sei la cosa più importante della mia intera esistenza, Blaine. La cosa più bella che mi sia mai capitata. Come può la tua morte portarmi del bene? Se muori tu, muoio di nuovo anch’io. –singhiozzò- Come fai a non capirlo?”
Il vedere quelle lacrime, il dolore su quel volto nato per sorridere fece sentire Blaine come se qualcuno gli stesse squarciando il petto per mangiargli il cuore senza nemmeno preoccuparsi di strapparglielo. Un dolore tale da annebbiargli la vista, da pungergli gli occhi, da graffiargli la gola.
In un gesto involontario allungò le braccia per sfiorarlo ma trovò solamente freddo pungente.
Cadendo in ginocchio non poté fare altro che scoppiare in lacrime, chiedendo scusa al ragazzo che, davanti a lui, continuava a guardarlo con quello sguardo tradito e straziato, in attesa solo di una risposta che entrambi sapevano non sarebbe mai arrivata.
“Non ce la faccio, Kurt.” Ammise tra i singhiozzi “Senza di te non so come-”
“Non parlare a me di solitudine insostenibile! Di malinconia, afflizione, desolazione e dolore, non osare!”
“Ti amo così tanto.”
“Come faccio a crederti?” lo soffocò con quella sua splendida voce divenuta ruvida e sottile, “Quando volevi distruggere l’unica cosa che mi fa esistere?”
“No, ti prego…”
“Te lo ripeterò quest’ultima volta, quindi ascoltami bene perché non lo dirò mai più: tira fuori il coraggio di vivere.
Vattene da qui, studia musica, diventa qualcuno e fai ciò per cui sei nato. Solo quando sarai vecchio e stanco potrai permetterti di lasciarti andare. –sospirò- Fino ad allora, sii uomo.” 
Blaine si sentì come un bambino.
Un bambino all’entrata di un parco giochi per la prima volta, con una scelta da fare: nuovi amici o l’orsacchiotto che coccolava dalla nascita. Una scelta impossibile e inevitabile perché non poteva avere l’uno, senza perdere l’altro. Voleva solo stringersi al pupazzo e dimenticarsi di crescere, ma la vita gli imponeva di continuare e accettare la mano di quel bambino che lo invitava a giocare.
Era arrivato al capolinea. Loro, erano arrivati al capolinea.
Un capolinea che nessuno dei due voleva veramente ma che dovevano accettare come una medicina, come il destino, come la morte. 









NdA:


Benritrovati! 

Eccoci arrivati al ventesimo capitolo. Alquanto tragico non trovate? Che novità!XD 
Spero che vi sia comunque piaciuto. 
Ormai manca poco alla fine che, spero, troverete di vostro gusto. 

Se vi va fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, se invece non ne avete voglia, grazia mille comunque per aver letto.

Alla prossima.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21. ***



21.


Non si ricordò come tornò a letto quella sera. Né di come avesse fatto ad addormentarsi. 
La mattina della partenza Blaine si rifiutava di svegliarsi. Teneva gli occhi ermeticamente chiusi per paura, per fuggire da quella realtà che, tempo qualche altro minuto, gli sarebbe piombata addosso come una frana. 
Sorprendendolo, un dolce e fresco profumo di ribes, rosa e vaniglia lo avvolse, facendolo sentire terribilmente bene. Al suo orecchio, quella voce cristallina e fievole, soffiò poche parole che gli spezzarono ulteriormente il cuore: 
“Parti. Vivi. Dimentica. Ti amo.”
Aprendo gli occhi di scatto fece solo in tempo ad avvertire il sentore di una bacio sulle labbra, poi più nulla. 
“Kurt.” Sussurrò tremante al nulla. 
“Kurt!” urlò al mattino, al futuro, all’amore, al nulla. 
Subito la signora Anderson irruppe nella stanza in pensiero, come quando, molti anni prima, il suo bambino la chiamava per colpa di un incubo.
Il suo tesoro era inginocchiato sul letto, con gli occhi colmi di lacrime, somigliante ad un girasole senza petali. 
“Blainey” lo chiamò carezzevole, col soprannome che usava quando era piccolo, “Che succede, amore?”
Avvicinandosi gli sfiorò piano i boccoli, affondando poi la mano in quella nuvola nera. 
Il suo ragazzo le cinse la vita, affondando il volto nel suo grembo, singhiozzando come non lo sentiva fare da anni. Sedendosi sul materasso, cinse di rimando le spalle del figlio, carezzandogli piano la schiena e le spalle. 
Non era difficile capire cosa fosse successo. Il suo ometto si era innamorato ma non era finita bene. 
“Va tutto bene, tesoro” lo rassicurò baciandogli il capo, correggendosi poi, “Andrà tutto bene. Passerà.” 
“Crisi d’infantilismo pre-partenza?” chiese bonario Mr. Anderson, affacciandosi alla porta, rendendosi poi conto dell’insensibilità detta. 
“Non sta bene?”
La donna scosse il capo tirando le labbra in un sorriso dispiaciuto, “Problemi di cuore.”
“Oh.” Constatò l’uomo a disagio, muovendosi poi sui talloni, “Allora io vado a –tossì– vestirmi e preparare la macchina. Sì.”
Un paio d’ore dopo, voltandosi per l’ultima volta verso la villa, uscendo dal cancello, Blaine vide la finestra della propria stanza aprirsi, e l’uccellino che aveva curato insieme a Kurt, spiccare il volo verso l’albero più vicino. Kurt l’aveva liberato. Aveva dato a quella creaturina e a Blaine quella libertà che lui non avrebbe mai avuto. 
Blaine, però, non la voleva quella libertà. Non l’aveva chiesta! L’unica cosa che desiderava era stare col ragazzo che amava per tutta la vita e anche di più. 
Per tutto il viaggio rimase in silenzio. 
Quando all’aeroporto salutò i genitori per imbarcarsi insieme agli amici, sua madre, preoccupata, lo strinse a se sussurrandogli dolci incoraggiamenti mentre suo padre si dilungava nelle solite raccomandazioni: “Ricordati che parti per studiare, chiamaci almeno una volta la settimana, tienici aggiornati” e altre cose che Blaine non ascoltò minimamente. 
Sull’aereo si perse nel guardare le nuvole e il paesaggio che scorreva paradossalmente lento sotto di lui. Seduto al suo fianco, David lo osservava. 
Non aveva mai visto l’amico in quello stato e non sapeva cosa fare. Era sempre stato bravo a tirare su il morale alle persone grazie a quella che suo padre chiamava la ‘vena comica Thompson’ ma in quel momento, accanto al suo migliore amico che pareva appena uscito da una centrifuga, non sapeva da che parte andare a parare. 
“Allora…” Iniziò battendo le mani, richiamando così l’attenzione del ragazzo seduto al suo fianco che, lentamente, volse verso di lui gli occhi arrossati. 
“Si va a Yale. Figo!” 
Il moro annuì. 
“I tuoi l’hanno presa bene. Bene.” annuì, cercando di ripiegare su discorsi più maliziosi che, magari, avrebbero distratto l’amico, “Immagino avrai passato una nottata niente male. Il tuo ‘amico’ ti ha augurato ‘buon viaggio’?”
Subito gli occhi di Blaine tornarono a riempirsi di lacrime mentre, portandosi una mano alla bocca, cercava di soffocare i singhiozzi imminenti. 
“Cristo, Blaine, ho toccato una nota dolente? Non ti avrà mollato?!”
“Non credo questo sia il modo giusto per consolarlo, David.” Gli rifilò uno schiaffo sulla nuca Thad, seduto sul sedile alla sua destra.
“Sei tremendo Thompson, l’avevo capito pure io che era stato scaricato.” Aggiunse Jeff dal sedile davanti a quello del Depresso che si era nuovamente isolato cercando di ingoiare il magone che lo opprimeva. 
“Potremmo evitare di parlarne direttamente? Guardatelo poveraccio!” propose Nick, di fianco al biondo. 
Una volta fermate le lacrime che, di sicuro, non sarebbero state le ultime, Blaine guardò gli amici che viaggiavano con lui e sorrise amaramente. Senza di loro, davvero non avrebbe saputo che fare.
 
Ambientarsi alla vita nel campus, alle lezioni, alle nuove regole, alla confusione che Thad spargeva per la loro camera, fu difficile. Gli orari erano stressanti, le cose da studiare pesanti anche se interessanti.
Condivideva il modesto alloggio nel campus con Thad e un altro paio di ragazzi.
Josh e Clark erano ragazzi a posto anche se leggermente complicati da gestire. Il primo era un artista e, in meno di un paio di giorni, aveva sparso colori e fogli accartocciati in ogni dove –Thad ne trovò uno persino dietro il water!–
Il secondo, invece, era fissato con lo sport. Qualsiasi tipo di sport. Dal parapendio al tiro al bersaglio, dalla marcia alla zumba. Per fortuna né Blaine né Harwood dovevano condividere la camera con lui! L’unico che pareva sopportarlo era Josh che, essenzialmente, non ascoltava una parola di ciò che gli veniva detto, isolato com’era nel proprio mondo (o per via di qualche canna di troppo).
Inizialmente Blaine era felice di dividere piccola camera da letto con Harwood, lo conosceva da anni e si erano sempre trovati bene insieme. La prima volta che era entrato nella stanza gli era persino parsa spaziosa. Non aveva ovviamente fatto i conti con la vena casinista del coinquilino e all’incredibile quantità di roba che quest’ultimo aveva deciso di portarsi da casa! 
Due chitarre, un violino, un clarinetto, un basso e una cornamusa.-“Sai suonare quella cosa?”
“No, ma non è mai troppo tardi!”
A Blaine rimaneva poco spazio per la sua roba ma, nonostante tutto, poteva considerarsi soddisfatto. 
Una sera, durante la prima settimana di convivenza, tutti e quattro gli occupanti del piccolo appartamento, si sedettero intorno al tavolino accanto al divanetto e presero a stilare una lista di semplice regole di convivenza civile. Inizialmente presero tutti, chi più chi meno –vedi Thad–, seriamente la cosa, degenerando poi nel ridicolo dopo qualche birra è un film con Queen Latifah alla televisione, accesa senza apparente motivo da Josh, ad un certo punto.   
Era tutto partito nel migliore dei modi con la trascrizione dei turni per la pulizia del bagno ma poi, senza che nessuno se ne accorgesse veramente, erano arrivati a sparare le regole più assurde possibili. Capirono di aver toccato il fondo quando Thad, abbracciato alle 5 bottiglie di birra scura vuote, esclamò convinto: 
“Vietato cavalcare cammelli dopo le 22!”
Seguito subito da Clark: “I cammelli puzzano! Meglio degli alpaca.”
Scatenando così la più lunga ed inutile disquisizione sull’utilizzo degli alpaca come bestie da soma in America da che Anderson avesse memoria.
Le cose stavano, quindi, prendendo una buona piega nella vita di Blaine. 
Ogni notte, però, sognava Kurt. Erano sogni semplici, senza pretese. Stavano insieme, si tenevano per mano, si baciavano ma non era la stessa cosa. Non lo era per niente. 
Kurt non era lì con lui, non poteva veramente toccarlo e la voce che sognava non era minimamente comparabile a quella dello spirito. 
Spesso si svegliava piangendo, soffocando le lacrime contro il cuscino. Le prime volte Thad gli stava vicino, non faceva nulla, semplicemente stava sveglio con lui. Dopo il primo mese, però, perfino l’amico cominciò a spazientirsi.
“Devi trovarti un ragazzo, Anderson. Lo dico per il tuo bene.” 
“Non voglio un altro ragazzo. Sei scemo per caso?” 
“Blainey, tesoro.” Si sedette sul letto appena rifatto alla perfezione, vanificando il lavoro che aveva tenuto l’amico occupato per cinque minuti buoni, “chiodo, scaccia chiodo.”
“Insomma devo chiamare un cretino più cretino di te per farti stare zitto?”
“Ingrato.” Se ne era poi andato indignato il ragazzo, con un’uscita di scena da fare invidia ad una prima donna.







NdA:



Ooooh! Eccoci!

Come è andato il natale? Tutti felici e soddisfatti? A parte la stanchezza per i festeggiamenti è andato tutto bene? 
Personalmente non mi lamento.^^

Che ne pensate del capitolo?
Blaine è partito, non poteva certo evitare un passo tanto importante per la sua vita! Per lui è difficile ma almeno ha gli amici su cui contare...
Al contrario di Kurt che,ora, e di nuovo solo... 

Come andrà a finire? Vi ricordo che la fine è sempre più vicina. (Diavolo, così sembro uno di quei pazzi che gridano insensatezze sulla fine del mondo nei parchi o nelle stazioni...)

Ok, ora vi lascio. 
Alla prossima. Un abbraccio.

Fede

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22 ***



22

 
 
Era da settimane che Blaine aveva un’idea per la testa. Un’idea stupida e folle.
Un’idea che gli ispirò un piano tale che, se qualcosa non fosse andata esattamente come calcolato, sarebbe stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico per il resto della sua vita. In quel momento, però, nulla riuscì a trattenerlo.
“Thad,” disse la sera X, “dovrei stare un momento da solo, devo chiamare una persona, potresti… evaporare per una buona mezz’ora?”
“Chi?” domandò il coinquilino senza degnarsi di alzarsi dal letto, sul quale stava guardando una serie tv al computer, trangugiando schifezze.
“Affari miei. Fuori, Harwood.”
Una volta rimasto solo, chiamò casa, consapevole dell’assenza dei genitori, occupati ad una cena coi colleghi di lavoro della signora Anderson. Come calcolato, rispose la segreteria telefonica:
“Kurt, so che sei in casa e… tu o Helena potete prendere su la cornetta? Non vorrei che i miei sentissero il messaggio… Ti prego.”
Con un tuffo al cuore, sentì il rumore del ricevitore sollevarsi e venire poi appoggiata.
“Grazie. –sospirò- Kurt, mi manchi. Ogni giorno, ogni minuto. Questa settimana ho preparato una cosa per te. Devi solo ascoltare.”
Con le mani che gli sudavano dall’agitazione, afferrò la chitarra e si preparò a suonare.
 
And I'd give up forever to touch you 
'Cause I know that you feel me somehow 
You're the closest to heaven that I'll ever be 
And I don't want to go home right now 

And all I can taste is this moment 
And all I can breathe is your life 
'Cause sooner or later it's over 
I just don't want to miss you tonight 

And I don't want the world to see me 
'Cause I don't think that they'd understand 
When everything's made to be broken 
I just want you to know who I am 

And you can't fight the tears that ain't coming 
Or the moment of truth in your lies 
When everything feels like the movies 
Yeah you bleed just to know you're alive 

And I don't want the world to see me 
'Cause I don't think that they'd understand 
When everything's made to be broken 
I just want you to know who I am 

La voce gli venne meno nell’ultima strofa. Il groppo che gli si era bloccato in gola gli impedì di continuare mentre l’ennesima lacrima gli solcava il volto.
“Sai i miei amici…” riprese cercando di controllare l’emozione, “continuano a dirmi che devo trovarmi un nuovo ragazzo. Non ci riesco. Io… per me ci sei solo tu. Prima che me ne andassi mi hai detto ‘Parti. Vivi. Dimentica.’
Sono partito. Ti ho lasciato solo e per questo non posso fare a meno di odiarmi.
Sto vivendo. Continuo a fare tutto ciò che ci si aspetta da me ma… senza di te non ne vedo la ragione.
Non potrei mai dimenticarti, Kurt. Ti amo, non potrei mai smettere.
Non sai che darei per sentire la tua voce –attese inutilmente qualche istante– ma non dirai nulla, non è vero?” sorrise amaramente poggiando la chitarra sul letto alle sue spalle.
“Le lezioni mi piacciono, sai? Faticose e piene ma… mi ci trovo. Tornerò per il ringraziamento, fra un mese. Non vedo l’ora. Così ti racconterò tutto quello che mi succede e le cavolate che fanno quei deficienti dei ragazzi.
L’altro giorno Thad si è portato in camera una ragazza e ho dovuto passare la notte in stanza con gli altri miei coinquilini. Dormire è stata un’impresa, Clark corre anche mentre dorme, non sta fermo un attimo e Josh parla nel sonno, un vero incubo.  
Mi sento stupido. Come le prime volte che ti parlavo, solo che… non mi rispondi in alcun modo.
Ora è meglio che vada. Non voglio che Thad mi veda parlare al telefono da solo… non così.
Solo… –sospirò frustrato– dammi un segno! Soffia nella cornetta, dai un colpo col dito, schiaccia un tasto… un segno qualunque per farmi capire che mi hai ascoltato.”
Dopo qualche istante, un piccolo ticchettio arrivò all’orecchio di Blaine. Era come se Kurt, lentamente, picchiettasse l’unghia contro il ricevitore. Ciò bastò per far crescere un enorme sorriso sul volto del moro.
“Grazie. Ti amo tanto, Kurt. –trasse un profondo respiro– A presto.”
Ponendo fine alla chiamata, sentì il peso della malinconia piombargli nuovamente sulle spalle e sullo stomaco.
Meno di un mese al giorno del Ringraziamento. Solo altre poche settimane e avrebbe rivisto Kurt. O almeno lo sperava.  
 

***

 
Il giorno della partenza, Blaine sembrava sotto l’effetto di una qualche sostanza stupefacente. Era iperattivo, nervoso e col viso perennemente illuminato da un enorme sorriso.
“Mi raccomando, chiamateci non appena arrivate a casa.” Continuava a ripetersi Wess all’aeroporto. Lui e Thad, infatti, non sarebbero tornati dalle loro famiglie per la festività, al contrario degli amici.
“Vuoi stare tranquillo, amico?” sbottò alla ventesima raccomandazione David, “Non avrei mai pensato di poterlo dire ma prendi esempio da Harwood. Guardalo, non gliene frega niente!”
“Come potrebbe importarmene di voi, quando penso che avrò l’appartamento tutta per me per una settimana?!” Thad, infatti, gongolava soddisfatto tenendo le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.
“Trasformerai il nostro alloggio in un bordello con biglietto d’entrata?” chiese Blaine.
“Per chi mi hai preso?! In un club privato magari!”
Il volo fu stranamente lungo per Blaine, si ritrovò a desiderare mai come prima l’esistenza del teletrasporto.
“Ti vengono a prendere i tuoi?” chiese Nick, al suo fianco.
“No, prendo un taxi. Mia madre è troppo impegnata a preparare il pranzo e papà deve controllare che non incendi casa accendendo il forno.”
Appena scesi dall’aereo, vennero accecati dal sole limpido che splendeva quella mattina. La temperatura era incredibilmente mite per essere in novembre e le poche nuvole candide ricordavano a Blaine quei pomeriggi estivi passati in giardino con Kurt.
Salutati gli amici e salito sul primo taxi disponibile, chiamò casa per avvertirli del suo arrivo.
Si sentiva stupido a pensarlo ma l’aria dell’Ohio era diversa. Sapeva di estate, di casa e d’amore.
In un lampo lo colpì un dubbio: Kurt avrebbe voluto rivederlo?
Avrebbe accettato di passare del tempo insieme per poi separarsi di nuovo? E lui? Sarebbe stato capace di abbandonarlo una seconda volta, alla fine di quella settimana?
Facendosi violenza per tornare a pensare positivo ed a tutte le cose che gli avrebbe raccontato, al tempo che avrebbero sicuramente trascorso insieme, tornò a fissare il cielo fuori dal finestrino.
Nel vedere il suo riflesso nel vetro, si domandò come avrebbero reagito i suoi genitori nel vedere quanto gli fossero cresciuti i capelli. Probabilmente sua madre l’avrebbe sgridato, proponendogli di tagliarglieli come faceva quando era bambino.
Mancava poco all’arrivo, già il paesaggio cittadino in cui era cresciuto aveva lasciato largo alle campagne. I campi spogli avevano un non so che di malinconico, in netto contrasto con la gioia che albergava nel suo petto al momento. Bastò una piccola lepre a distrarlo e farlo tornare a sorridere, prima che l’auto sbandasse.
 
Il flash di un camion di fronte alla macchina.
Uno schianto, poi più nulla. 
 
Un telefono squillava ma non era il suo cellulare.


 



NdA:


Ciao!! (Hey!! by Beta Chià)

Ed eco il nuovo capitolo. Tragico come al solito... ma ormai vi siete rassegnati no?
Giuro che mi farò perdonare! 

-2! Vi sentite pronti alla fine?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Anche se in ritardo BUON ANNO A TUTTI!! 

Fede

P.S.: Se vi può interessare pubblicherò tra pochi minuti una piccola oneshot Klaine natalizia. Questa-è-allegra. O, almeno, non triste. Così... magari... fateci un salto mh?

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23. ***



23.




 
Un telefono squillava ma non era il suo cellulare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Vederlo con la pistola in mano lo aveva ucciso.
Dirgli addio lo aveva distrutto.
Sentire la sua voce chiamarlo in quel modo per poi piangere, l’aveva semplicemente spezzato.
Tornando in quella stanza, mentre Blaine se ne andava, vide il passerotto che avevano curato insieme zampettare impaziente davanti alla finestra chiusa.
In quegli occhietti neri e vispi rivide sé stesso. Il bambino che era stato e l’uomo che non gli avevano mai dato l’opportunità di diventare.
Prendendo l’esserino tra le mani, gli carezzò lievemente le piume, permettendogli poi di librarsi fuori dalla finestra appena aperta.
Accanto a quella voragine che gli devastava il petto, quella che si era formata alla morta di sua madre, resa sempre più profonda dalla perdita di Burt e da tutto quello che aveva dovuto sopportare, si fece largo un secondo squarcio. Ogni centimetro di quella ferita gli urlava il nome di Blaine. Ogni suo muscolo gli urlava di uscire da quella casa, fermare l’auto prima che uscisse dalla proprietà, e stringere il ragazzo a se, rifiutandosi di lasciarlo andare, agendo egoisticamente come faceva da bambino.
Da quella finestra, dalla quale aveva osservato il suo arrivo, invece, guardava il suo unico amore allontanarsi verso il proprio futuro.
Era orgoglioso di lui. Fiero di poter dire di amarlo.
Di poterlo dire a chi?
La solitudine gli piombò nuovamente addosso opprimendogli il cuore, facendoglielo dolere come se qualcuno glielo stritolasse.
Desiderò scomparire. Volatilizzarsi, farsi fumo, così come era sicuramente successo a tutti gli altri. Perché lui era rimasto? Perché non poteva andarsene da li? Perché non poteva vivere la morte in pace come tutti?
Tutto ciò era solo servito a fargli incontrare Blaine? Per donare al ragazzo la forza e la caparbietà di inseguire i propri sogni?
E lui allora? La sua felicità non contava nulla?
Tutte quelle domande gli affollavano la mente scontrandosi le une con le altre violentemente, intersecandosi tra loro come catene senza fine. Nessuna di loro aveva una risposta e ciò lo faceva impazzire.
Riportandolo alla realtà, la voce ferma di Helena lo chiamò dalla porta della camera. Se ne stava composta accanto allo stipite di legno, guardandolo freddamente, incuriosita.
“Se ne è andato.” Sospirò, voltandosi verso di lei con un sorriso amaro, “Sei contenta?”
“Se devo essere sincera, sì.”
“Allora perché? Perché gli hai aperto la porta della mia camera quella volta?” domandò cercando di mantenere quella dolorosa calma che gli impediva di sgretolarsi come sabbia, “Sapevi che mi piaceva, che provavo qualcosa per lui. L’avevi capito. Cosa volevi ottenere?”
“I tuoi ricordi. Speravo che riacquistandoli ti saresti reso conto del tuo errore. I tuoi sentimenti verso un ragazzo ti hanno portato a una morte in solitudine e il tuo amore per quest’altro ti distrugge. Non avrai mai pace finché non ammetterai i tuoi errori e non chiederai perdono al signore.”
“Io non devo chiedere perdono di nulla. Ho amato e amo una persona meravigliosa e l’amore è il sentimento più puro che esista. Non eravate tu e la mamma a dirmi che l’amore mi avrebbe avvicinato a Dio?”
“Sì. Ma un amore sano.”
Percependo il senso di nausea farsi strada in lui, Kurt si distanziò dalla finestra, avvicinandosi alla porta.
“Chi decide se qualcosa è sano o meno? Solo il Signore può. Io mi rimetto al suo giudizio, quando vorrà chiamarmi a sé.”
 Dopo essersi chiuso la porta della propria camera alle spalle, si lasciò scivolare contro di essa, liberandosi da tutto quel peso che lo opprimeva, lasciando le lacrime libere di rigargli il volto e i singhiozzi di scuotergli le spalle.
Voleva Blaine e lo voleva subito.
Come da bambino esigeva l’abbraccio caldo di sua madre, mentre ne rimirava la lapide, o la mano di suo padre sul capo quando leggeva un libro rannicchiato sul letto matrimoniale, vuoto e freddo.
A cosa serviva esistere, se non aveva nessuno?
 
Le settimane passarono, trasformandosi in mesi.
Le uniche cose che Kurt faceva nelle sue giornate erano spostarsi dalla propria camera a quella di Blaine e sfogliare fino a consumare le pagine del libro di musica, regalatogli dal ragazzo.
Ogni tanto udiva la signora Anderson ridacchiare allegra al telefono, passando poi la comunicazione al marito che, con un semplice saluto, dissipava ogni dubbio riguardo alla persona dalla parte opposta della cornetta.
Blaine era solo dall’altra parte di quell’aggeggio. La sua voce calda così vicina.
Quando riuscì a risentirla per la prima volta in un mese, quasi credette fosse possibile per lui morire nuovamente; il dolore al cuore era così acuto che dovette sedersi sulla prima superficie piana disponibile. Su quello scalino, ascoltò tutta la conversazione tra Blaine e i suoi genitori.
Era felice. A tratti rideva raccontando della convivenza coi suoi amici. Ad un certo punto il signor Anderson andò in salotto, lasciando la moglie sola in cucina.
“Come va con quel discorso?” domandò la donna con timbro dolce, quasi carezzando con la voce la plastica del telefono.
“Quale discorso?” replicò Blaine dopo qualche istante.
“Hai fatto pace con quel tuo amico? Vi siete chiariti?”
“N-no. Noi… no.”
Dolore. In quelle tre piccole parole Kurt rivisse la separazione, la stessa agonia, la stessa sensazione di lacerazione .
“Oh.” Rispose la donna facendosi più triste, riprendendo poi con tono preoccupato e disponibile, “Stai bene tesoro?”
“No. Ma…” udì un respiro lungo e tremante, “Non voglio parlarne. Anche perché Thad mi ucciderebbe.” Cercò di sdrammatizzare, probabilmente per rassicurare la madre che si concesse un piccolo sorriso infelice.
Dopo che anche la signora Anderson ebbe raggiunto il marito in salotto, Kurt si avvicinò al telefono, carezzandone la plastica dura come avrebbe fatto con la mano di Blaine.
Quella nuova normalità era peggio di un perenne coltello che lacerava la pelle e le vene. Ogni cosa, ogni ora, girava intorno a quel momento della giornata in cui Kurt avrebbe potuto sentire la voce di Blaine. Sentirlo ridere, raccontare, battibeccare con suo padre e i suoi amici contemporaneamente, semplicemente sentirlo parlare, diventava il momento più importante della sua routine.
Una sera particolarmente silenziosa, dato che i signori Anderson erano usciti per cena, il telefono squillò insistentemente fino allo scattare della segreteria telefonica. Subito Kurt non ci badò, steso sul proprio letto aspettando una qualsiasi cosa che desse un senso al tempo. Quando però udì l’inizio del messaggio un tuffo al cuore lo fece alzare di scatto, facendolo ritrovare di fronte al telefono in un battito di ciglia.
“Kurt, so che sei in casa e… tu o Helena potete prendere su la cornetta? Non vorrei che i miei sentissero il messaggio… Ti prego.”
La voce del suo Blaine chiamare il suo nome. Era un suono talmente dolce che sarebbe potuto restare ad ascoltarlo per sempre. Non potendo farne a meno sollevò il ricevitore del telefono, portandoselo all’ orecchio.
“Grazie.” sospirò facendogli perdere parte di quel fiato inesistente, “Kurt, mi manchi. Ogni giorno, ogni minuto. In questi giorni ho preparato una cosa per te. Devi solo ascoltare.”
Ogni verso, parola, ogni lettera di quella canzone che pareva scritta per loro, cantata dalla voce di Blaine era come una carezza calda sulla sua pelle fredda e inconsistente.
Il modo in cui pronunciava le lettere, come restava su alcune vocali armonizzandole, pensava potessero spedirlo in paradiso. La voce che amava e che aveva origliato per così tanto tempo era lì, si stava rivolgendo a lui, ripetendogli quanto lo amasse, nonostante ciò che gli aveva detto la mattina della partenza.
Udì la voce di Blaine incrinarsi, interrompendo la canzone.
“Sai i miei amici…” riprese con la voce incrinata, “continuano a dirmi che devo trovarmi un nuovo ragazzo. Non ci riesco. Io… per me ci sei solo tu.”
Una lacrima scese sulla gota dello spirito, mentre cercava di trattenere i singhiozzi che cercavano di farsi largo nella sua gola. 
“Prima che me ne andassi mi hai detto ‘Parti. Vivi. Dimentica.’ ” ricordò Blaine, “Sono partito. Ti ho lasciato solo e per questo non posso fare a meno di odiarmi.
Sto vivendo. Continuo a fare tutto ciò che ci si aspetta da me ma… senza di te non ne vedo la ragione.
Non potrei mai dimenticarti Kurt. Perché ti amo. Non potrei mai smettere.”
Nemmeno Kurt avrebbe mai potuto smettere di amarlo. Sarebbe stato come annegare all’infinito, col dolore al petto causato dall’assenza d’aria, sempre più pungente e incisivo.
“Non sai che darei per sentire la tua voce. Ma non dirai nulla, non è vero?”
Avrebbe voluto con tutto se stesso parlargli, dirgli qualsiasi cosa. Ma rivolgergli la parola avrebbe fatto diventare tutto ancora più insostenibile. Non sarebbe riuscito a trattenere il pianto e, lo sapeva, avrebbe solo fatto preoccupare Blaine inutilmente.
Rimase ad ascoltare la voce del ragazzo che amava come un bambino che ascolta una ninna nanna.
Blaine gli disse che sarebbe tornato per il giorno del ringraziamento e che non vedeva l’ora di rivederlo.
Come si sarebbe comportato? Avrebbe accettato di riaverlo per il poco tempo che avevano a disposizione, per poi vederlo partire nuovamente?
Gli aveva detto di dimenticarlo, di andare avanti. Come poteva pretenderlo da Blaine, se nemmeno lui poteva nemmeno pensare una cosa simile.
Un sospiro frustrato del ragazzo dalla parte opposta del telefono richiamò la sua attenzione.
“Dammi un segno! Soffia nella cornetta, dai un colpo col dito, schiaccia un tasto… un segno qualunque per farmi capire che mi hai ascoltato.”
Con la mano che tremava, avvicinò le dita al ricevitore, prendendo poi a picchiettare l’unghia su di esso, prima piano, poi sempre più forte. Blaine lo sentiva, poteva quasi immaginarsi la sua espressione in quel momento. In un breve istante che non durò più di un battito d’ali, Kurt sorrise, sentendosi felice e, quasi, completo.
“Grazie. Ti amo tanto Kurt.” trasse un profondo respiro prima di chiudere la telefonata, “A presto.”
Lo spirito rimase attaccato alla cornetta per qualche altro istante, stretto a quel piccolo oggetto che gli aveva permesso di sentire nuovamente la voce del suo amore.
Solo dopo un paio di minuti riuscì a trovare la voce per rispondere a Blaine, continuando a carezzare la plastica, immaginando le labbra del moro.
“Ti amo anch’io.”
 

***

 
“Kurt?”
Helena lo guardava stranita alle sue spalle, colpita dall’improvvisa vitalità del ragazzo.
“Ti senti meglio caro?”
“Domani è il giorno del ringraziamento.” Spiegò lo spirito continuando a tenere gli occhi fissi sull’orizzonte, fuori dalla finestra della propria camera.
“Sono lieta tu rammenti questa ricorrenza ma-?”
“Tornerà. Oggi.”
La poca gioia della governante nel vedere il ragazzo che aveva cresciuto così vivace, dopo giorni di apatia e languore, vacillò, così come il piccolo sorriso che le aveva illuminato le gote fino a quel momento.
“Avevo capito che non intendevi più vederlo o, comunque, averci a che fare.”
“Lo so ma… non ci riesco. Agirò egoisticamente ma devo vederlo, parlargli, almeno per questi pochi giorni che ci sono concessi.”
“Sai che non approvo.”
“Sai che non mi interessa.” Rispose repentino disarmandola con un sorriso che rasentava la radiosità.
Al piano inferiore della villa, la signora Anderson si dava un gran da fare in cucina e il signor Anderson con gli addobbi. Il ritorno di Blaine era vissuto con grande agitazione da tutti e a Kurt quell’atmosfera ricordava i natali della sua infanzia. Quando la cosa più bella non erano i regali o il tacchino ripieno ma il calore della famiglia riunita, la voce di sua madre che cantava le carole al pianoforte mentre lui se ne stava sulle ginocchia di suo padre a sorseggiare cioccolata calda.
Lo squillo del telefono lo fece sobbalzare di tensione, prima che qualcosa lo colpisse in pieno petto. Qualcosa era cambiato nella casa, nell’aria che lo circondava. C’era qualcosa di diverso ma non riusciva a capire cosa.
Una sensazione strana e familiare lo avvolse come una coperta, costringendolo a correre alla stanza di Blaine, dove la luce del sole limpido che entrava dalla finestra veniva interrotta da una figura incerta.

 







NdA: 




Eccoci! 
Penultimo capitolo.... 
Siete pronti per il prossimo? 

Spero che questo aggiornamento sia stato di vostro gradimento... 

AH! Nel commento a fine capitolo della scorsa settimana mi sono accorta che non ho specificato qual'era la bellissima canzone cantata da Blaine a Kurt durante la telefonata, vista una seconda volta in questo capitolo, anche se sono sicura che la conosciete già. 
E' "Iris" dei Goo Goo Dolls ( http://www.youtube.com/watch?v=NdYWuo9OFAw )

Il prossimo e ultimo aggiornamento ci sarà prima di una settimana (come solito... esclusi i soliti ritardi cronici :P) dato che sarà un capitolino più breve del solito. 

Un abbraccio.

Fede (e beta Chià ["Hey, ciao gente!"])

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24-Fine ***



24.

 
Un attimo prima era tranquillo sul taxi che lo stava portando a casa e quello dopo, all’improvviso, si ritrovava già alla villa, nella propria camera, incantato dall’erba resa lucente dai raggi del sole, fuori dalla finestra.
Come uno schiaffo in pieno volto, il profumo dolce di Kurt lo fece voltare di scatto con un tuffo al cuore.
Lo spirito se ne stava davanti a lui, all’entrata della camera ma non come Blaine se lo aspettava.
Immaginava che per quel loro primo incontro, dopo tutto quel tempo, Kurt gli avrebbe almeno sorriso. Invece il ragazzo stava fermo davanti a lui come orripilato, col panico dipinto negli occhi.
Prima che entrambi potessero anche solo pensare a qualcosa da dire, la voce della signora Anderson li raggiunse in un urlo disperato e agghiacciante che fece sobbalzare il moro facendo crescere un inizio di panico in lui.
“Cos’hai fatto?” chiese Kurt  in un sussurro nervoso e minaccioso, mentre una lacrima gli rigava la guancia.
“Io…” rispose subito Blaine, intimidito dal tono del ragazzo, “Sono tornato per il ringraziamento, come ti avevo detto.”
“Perché così?!” chiese con enfasi indicandolo con le mani.
A quella domanda Blaine rimase interdetto. Così come? Cosa intendeva? Non aveva tagliato i capelli da un po’ e si era dimenticato di mettersi il gel quella mattina, ma non pensava che la situazione potesse essere così disperata.
In un impeto di rabbia, Kurt lo raggiunse, colpendolo violentemente con un pugno ben assestato in pieno volto.
“Ahi! Mi hai rotto il naso!” si lamentò tenendosi stretta la parte colpita.
“Non puoi più romperti nulla, stupido!” rispose continuando a colpirlo fin dove riusciva, velocemente ma senza la forza che aveva messo prima in quel pugno, “Non potrai più fare niente di niente!”
Cercando di calmarlo e di dare un senso alle sue parole, Blaine gli afferrò i polsi, fermandoli ai lati del corpo dello spirito. In quel momento si accorse di quanto gli occhi di Kurt fossero più brillanti, come durante i loro sogni. Riusciva a vedervi dentro stelle, pianeti e galassie intere, mare e cielo insieme. Le sue labbra erano più rosee e la sua pelle, sebbene sempre pallida, più concreta e reale sotto le sue dita. Strinse le mani attorno ai suoi polsi aspettandosi che questi si dissolvessero come nebbia da un momento all’altro, ma non successe.
Kurt era li davanti a lui, reale e bellissimo, splendente sotto i raggi del sole. Concreto come mai prima.
“Non dovevi.” Riprese lo spettro singhiozzando, “Non è giusto. Perché?”
“Un incidente d’auto.” Rispose Blaine atono, continuando a rimirare il ragazzo che aveva davanti, memorizzandone per l’ennesima volta ogni sua perfetta sfaccettatura.
“E tu ti fai fermare da una cosa del genere? Torna da dove sei venuto, subito! Hai una vita da vi-” Blaine non gli diede tempo di finire la frase, zittendolo con le proprie labbra, in quel bacio che aveva desiderato dargli da quando l’aveva visto sulla porta della camera.  
Kurt si strinse subito a lui come affamato, mentre le sue lacrime si confondevano con quelle appena nate di Blaine. In quel bacio si unirono nuovamente l’uno all’altro in una promessa eterna.
Blaine era morto ma, in quel momento contava solo la bocca di Kurt sulla sua, i loro respiri che diventavano uno solo, quel dolce profumo di rose, ribes e vaniglia a impregnargli i polmoni e l’eternità che avrebbero trascorso insieme.
Nel giardino, l’auto dei signori Anderson usciva di corsa dal cancello.
 

 ***
 

“Tutto bene figliolo?” chiese il signor Anderson scuotendolo piano ad una spalla, preoccupato di fronte al respiro affannato del figlio e al suo sguardo incerto, perso nel nulla.
Blaine annuì, guardandosi per un attimo intorno. Non poteva essere stato solo un sogno ad occhi aperti. Non poteva semplicemente accettarlo. Di scatto iniziò a correre a perdifiato verso la madre, appena riuscita nell’impresa di aprire il grande portone d’entrata dalla serratura leggermente arrugginita, superandola velocemente.
Non fece caso alla magnificenza dell’arredamento o alla grandezza delle stanze di quella enorme villa vittoriana in cui i suoi genitori lo avevano costretto a trasferirsi. Conosceva quel luogo bene come la propria mano nonostante fosse la prima volta che ci metteva piede.
Una cosa sola lo interessava. Una persona che, ne era sicuro, lo stava guardando dalla finestra di quella che sarebbe presto diventata la sua camera da letto.
Appena entrato nella stanza infatti, la figura lo stava aspettando, rivolgendogli il più solare e splendente dei sorrisi, tornando a illuminargli il mondo con quegli occhi che riassumevano la sua intera esistenza, porgendogli gentilmente una mano nivea che Blaine afferrò senza farsi pregare.
“Ciao Blaine.”
“Eccomi Kurt.”
 
 
 
 

FINE.







NdA: 




Buonasera!!

Ecco l'ultimo capitolo. Lo avevo detto che lo caricavo prima del normale. Per una volta sono puntuale YEEE!!! 

Non riesco ancora a crederci... è finita... Mi sembra ieri che me ne stavo in camera della mia socia Chià e, ascoltando la colonna sonora di Casper e alte canzoni non poco deprimenti, mi è venuta l'idea di questa FF... 

Spero davvero che la storia vi sia piaciuta e ringrazio con tutto il cuore quelli che sono arrivati fino alla fine. 
Un mare di grazie anche alle mie fantastiche beta Chià e Grè ( Elfo Mikey) che si sono alternate nelle correzione delle mie tante strafalcionerie e alla "setta dei sette" -che sette non sono (non è una qualche specie di setta satanica, tranquilli!XD). 

Che altro dire... 

Un abbraccio a tutti. Alla prossima.

Fede


PS: Dato che la fine non era molto chiara l'ho modificata. Spero che ora sia più comprensibile^^

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1058983