Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Ho
pubblicato questa fic prima di Natale, ma siccome non
mi soddisfaceva proprio, ho deciso di cancellarla e risistemarla approfittando
delle vacanze ^^
E’
una future-fic, (non so neanche se esista questa
parola XD ) cioè è ambientata nel futuro di One Piece e naturalmente verterà sulla mia coppia del cuore ^///^ Spero vi piaccia così da poterla continuare.
Questo
è il primo cap. Ditemi che ve ne pare ^^
PS. Naturalmente è tutto inventato e non ci sono
spoiler tranquilli ^.*(almeno che non abbia anticipato qualche idea di Oda, ma la vedo dura XDDD)
Il
mare del Silenzio
Un
leggero vento ed un cielo rossastro, annunciavano l’arrivo imminente della
notte, come se il sole fosse stato ucciso ed il suo sangue si fosse riversato
nel volta celeste così da sporcarla con
quel color scarlatto.
Con
un balzo Zoro saltò giù dalla piccola imbarcazione, atterrando sul legno umido
del molo.
-
Grazie per il passaggio – alzò una mano verso il vecchio sulla barca, che si
limitò ad un cenno della testa prima di iniziare a sistemare le cime.
Con
una sacca su una spalla e le fedeli katane ad un fianco, il giovane prese a
camminare nella speranza di trovare una locanda dove poter riposare un po’. Il
viaggio era stato terribile e per poco, quella merda di barca non aveva
rischiato di rovesciarsi. Per fortuna il vecchio se l’era cavata egregiamente,
ma non così tanto da non far rimpiangere a Zoro di ritornare il prima possibile
sulla Prince. Si toccò il piccolo lumacofono che aveva nella tasca ricordandosi
le parole di Rufy: “Basta che ci chiami e siamo da te “. Sapeva che era così,
ma se l’avesse fatto ora, non avrebbe avuto senso decidere di starsene da solo
per un po’, anche se quel po’ durava
ormai da qualche mese. Dopo la vittoria su Mihawk aveva creduto di veder
realizzato ogni suo sogno, eppure passata l’euforia iniziale, quello che gli
era rimasto era un‘altra cicatrice sul petto, che si incrociava con quella
vecchia, ed una taglia sulla testa lievitata a dismisura. Il titolo di miglior
spadaccino che tanto aveva bramato, sembrava non aver cambiato di una virgola
la sua vita, ne era riuscito a farlo sentire realizzato.
Si sistemò il cappuccio della maglia sulla testa in
modo da tener fuori da occhi curiosi, i suoi fin troppo riconoscibili capelli
verdi. Voleva starsene tranquillo, e preoccuparsi di qualche cacciatore di
taglie, o peggio, di qualche insulso agente della marina, non rientrava nei
suoi piani. Anche se avere qualche grattacapo, gli avrebbe tenuto occupata per
un po’ la testa, che in quei giorni girava più del solito, sempre sullo stesso
pensiero.
Tre anni, tre lunghi anni erano passati da allora
eppure tutto era ancora nitido nei suoi ricordi.
La spallata di qualcuno lo riportò a terra e subito
l’uomo si tolse il cappello scusandosi gentilmente con lui e riprendendo a
camminare. Zoro aveva notato che quella era una cittadina molto tranquilla e se
qualcuno si interessava a lui, era solo per come era vestito. Tutti quelli che
aveva incontrato per strada erano stretti in begli abiti che sembravano appena
usciti da una sartoria. Donne, uomini, perfino i bambini erano vestiti di tutto
punto. Nulla di ricco o sfarzoso, ma neppure uno come Zoro poteva negare che
quella gente aveva un certo gusto nel vestire. Cercò di darsi una pulita per
evitare altri sguardi indiscreti e ad occhiata una locanda, entrò senza troppi
indugi. Era poco affollata e vista le modeste condizioni, pensò che fosse anche
accessibile per le sue ristrette finanze. Arrivato al bancone chiese una stanza
e qualcosa da mangiare. Subito una donna di mezza età molto appariscente e con
una biondissima cotonatura ai capelli, gli porse la chiave esigendo però un
pagamento anticipato. La somma chiesta non era troppo elevata, ma comunque Zoro
aveva sperato che fosse molto inferiore.
- Non saremo l’ Elisir,
ma dobbiamo campare anche noi – ridacchiò la donna notando il disappunto sul
volto del ragazzo.
- Posso stare tranquillo? – mugugnò Zoro senza dar
peso alle sue parole mentre le porgeva i soldi. La locandiera li prese dando un
occhio alle sue grosse spade ed alzò un sopracciglio.
- Se paghi e non ammazzi i clienti, nessuno ti darà
rogne figliolo – sospirò. Zoro fece un mezzo sorriso e presa la chiave, si
diresse verso le scale.
- Ehi aspetta ragazzo, non volevi mangiare? – chiese
la donna. Senza voltarsi lo spadaccino scosse la testa dicendole che non aveva
più fame.
Si gettò sul letto potendo finalmente abbassare il
cappuccio, e lasciò le spade poggiate contro la testata della branda. Era
stanco e sporco, ma per quanto l’idea di un bel bagno caldo lo allettasse, la
stanchezza ed il bisogno di dormire ebbero la meglio. Chiuse gli occhi per
qualche ora quando fu costretto a svegliarsi.
“ Il mio posto
non è più qui “ ... aprì le palpebre sospirando.
Erano passati tre anni e ancora riusciva a
ricordarsi alla perfezione le sue parole, anzi poteva udirle così come le aveva
pronunciate, con ogni singola vibrazione della sua voce. Con quel tono amaro a
tratti disperato, ma allo stesso tempo pacato, come solo lui sapeva essere. In
ogni situazione sapeva sfoggiare una tranquillità e una non curanza che più di
una volta gli aveva invidiato. Se n’era andato così, senza aggiungere altro se
non quel “Mi spiace, dovete trovarvi un
altro cuoco” che lo riportò come un flashback alla battaglia contro Kuma, a Thriller Back. Allora era riuscito a fermarlo, ma
quella volta non aveva fatto, né detto nulla per trattenerlo. Non era il suo
compito,e se Rufy aveva accettato la
sua decisione, lui non poteva fare altro che rispettare gli ordini del suo capitano
guardando quella testa bionda che si allontanava con una piccola sacca sulla
spalla.
Eppure non era passato un singolo giorno da allora, in
cui Zoro non si era chiesto che sarebbe successo se avesse provato a fermarlo.
Per come era fatto Sanji, di certo gli avrebbe tirato un calcio intimandogli
“gentilmente” di farsi gli affari propri. Sorrise a quel pensiero, come quando
ci si ricorda di un vecchio gioco da bambini, che per quanto stupido e
ripetitivo, non smettevi di giocarci.
E così da quel giorno, per tre lunghi anni, nessuno
aveva più pronunciato il suo nome, e tutte le volte che Chopper o Usopp avevano
provato ad aprire il discorso, si erano sempre scontrati con sguardi di richiamo
o, nel peggiore dei casi, con dei muri di silenzio e di cinica indifferenza,
per lo più forzata. Non che nessuno della ciurma non ci pensasse.
Quando avevano trovato il OnePiece, e Rufy aveva pianto e urlato un
singhiozzato “Grazie a tutti amici” nessuno di loro ebbe il minimo dubbio che in
quel amici non ci fosse anche lui e
che quelle lacrime del capitano, non fossero miste di gioia e di rimpianto per
non aver potuto condividere la sua vittoria anche con lui. E che dire di quando
dopo la battaglia, alla fine vinta, contro i pirati di Jack Forceville,
la Sunny era andata distrutta e
Franky aveva costruito una nuova imbarcazione, se possibile ancora più bella
della Sunny stessa e Rufy aveva
deciso di chiamarla Lovely Prince. Non servirono domande per
spiegare quella scelta. Era un po’ come riaverlo a bordo ed illudersi di essere
di nuovo uniti. La Prince... una nave
davvero stupenda.
Si rigirò nel letto guardando verso la finestra. Il
chiarore del cielo, lasciava intendere che stava per albeggiare. Ecco un'altra
notte insonne che andava ad aggiungersi alla lunga lista di notti in bianco che
lo spadaccino stava collezionando da un po’ di tempo.
Si passò nervosamente la mano sul viso e si alzò
avvicinandosi alla finestra. L’aprì e sentì l’aria umida posarsi sul suo viso
stanco, come una gelida carezza. Si poggiò con i gomiti sul davanzale lasciando
che lo sguardo si perdesse in quelle acque blu, che da un po’ non sentiva più
come casa propria e che non riuscivano a dargli più alcuno stimolo, alcuna
ragione per continuare a salparle, né da solo, né con la sua ciurma.
Quella sensazione di vuoto lo accompagnava in ogni
suo respiro, in ogni suo passo, come la sua stessa ombra. Ma quando la luce si
spegneva e nell’oscurità la sua ombra svaniva, quella sensazione restava e anzi
si ampliava, avvolgendolo in un soffocato abbraccio dal quale non riusciva mai
a sottrarsi.
To Be Continued...
Questo
è un capitolo per lo più introduttivo, già dal prossimo la storia si
movimenterà, anche se resterà quella vena di tristezza o per meglio dire di
malinconia, che ho deciso spontaneamente di dare a tutta la storia ^-^
Sperando
in un riscontro positivo da parte vostra vi do appuntamento alla prossima
Qualcuno
bussò alla porta e Zoro si legò un asciugamano attorno alla vita prima di
andare ad aprire
-
La sua colazione signore – la voce flebile di un ragazzo gracilino gli spuntò
davanti. Lo spadaccino guardò il vassoio con un caffè e qualche brioche che
dall’aspetto, non era di sicuro fresca.
-
Non ho ordinato nulla – borbottò. Il ragazzo inghiottì più volte quando i suoi
occhi percorsero il corpo del pirata e le numerose cicatrici che lo ricoprivano.
Abbassò poi la testa rispondendo che era stata la locandiera a mandargliela, e
che naturalmente era gratis. A quella parola Zoro alzò le spalle e gli disse di
metterla sul tavolo. Il cameriere poggiò con molta cura il vassoio, temendo
forse che quello strano tipo potesse ucciderlo se lasciava cadere a terra una
sola goccia di caffè. Quando ebbe finito il suo delicato compito, uscì dalla
stanza accompagnando la porta così che non sbattesse. Zoro fissò il vassoio
pensando che di sicuro quella donna voleva tenerselo buono. Non ce n’era
bisogno, ma se il suo aspetto burbero poteva fargli risparmiare qualche Berry,
allora tanto meglio. Si vestì grattandosi il tatuaggio sul braccio destro.
Ancora non riusciva a credere che Rufy l’avesse convinto a farsi tatuare il suo
simbolo e che lui era stato così idiota da accettare. Forse era stato un altro
modo per avere ancora qualcosa di cui pentirsi, giacché i suoi rimorsi non
fossero già abbastanza.
Si rialzò il cappuccio della maglia con riluttanza,
decidendo infine di trovare il prima possibile un barbiere così da eliminare
qualsiasi intralcio. Non era mai stato uno che si interessava del suo aspetto,
e se avesse i capelli lunghi o corti non importava, l’importante era che
potesse camminare per strada senza doversi guardare attorno ogni cinque secondi,
anche se lo faceva lo stesso. Ormai era un gesto fisiologico.
Scese le scale tenendo con la mano le spade sul
fianco sinistro per non farle tintinnare, e quando passò davanti la locandiera,
questa gli sorrise chiedendogli se avesse gradito la colazione. Falsamente
rispose di sì, anche se aveva lasciato il tutto sul tavolo senza neanche
assaggiarlo.
Camminare per le strade a quell’ora era davvero
fantastico. Non era mai stato un mattiniero, anzi, però da un po’ aveva
iniziato a svegliarsi di buon ora, o per meglio dire, ad alzarsi, perché svegliarsi voleva dire che aveva
dormito, una cosa che ormai non faceva più.
Per le strade non si vedeva nessuno e le uniche voci
che poteva udire, erano quelle dei pescatori al porto. Si fermò a guardarli
tirare le reti con i pesci senza riuscire a non sorridere. Sembravano felici di
quello che facevano, dei semplici uomini con un semplice lavoro, che però
avevano negli occhi la luce di chi non ha nulla da chiedere alla vita, perché
si sente già abbastanza fortunato. Prima di ricadere in quell’aspirale di
autocommiserazione che non gli apparteneva, riprese a camminare per le strade
riuscendo finalmente a intravedere l’insegna di un barbiere. Entrò sentendo il suono
di una campanella sulla porta
- Un attimo e sono da lei – disse qualcuno da dietro
ad una porta. Zoro si guardò in giro prima di fermare gli occhi sul riflesso
allo specchio. Si abbassò il cappuccio arruffandosi i capelli.
Marimo...quel nomignolo odioso gli risuonò nella
testa. Odiava quando lo chiamava così, così come odiava il modo con cui si
divertiva a tirare fuori un soprannome dietro l’altro per criticare i suoi
capelli. Tagliarli era un po’ come dargliela vinta e fra di loro la partita non
era ancora chiusa.
In un moto di orgoglio e capriccio, si rimise il
cappuccio e uscì dal locale pochi secondi prima che il barbiere entrasse per
accogliere il nuovo cliente, lasciando sul volto dell’uomo un’espressione
infastidita.
Ormai le sue giornate erano così uguali l’una con le
altre: passava da un isola all’altra, dormiva in qualche locanda quando gli
andava bene, oppure si buttava nella stiva di qualche nave nella speranza di
non dover tagliare alcuna testase fosse
stato scoperto. Eppure quando era partito con Rufy non immaginava che sarebbe
finito così, come una specie di nomade senza alcun sogno né alcuna aspettativa.
Si fermò su un muretto sentendo lo stomaco brontolare, e si maledì per non aver
approfittato della gentilezza di quella donna. Vide poi alcune ragazze che si
avvicinavano ridacchiando
- Se ci vai di mattina non serve prenotare perché
puoi trovare un tavolo libero – diceva una mentre l’altra l’ascoltava rapita.
Le udì pronuncia un nome familiare: Elisir...
Sì era quello che aveva nominato ieri la locandiera. Da come stavano parlando
quelle tipe, a Zoro parve di capire che era una specie di posto abbastanza
rinomato.
- Ma ci sarà anche lui? – chiese una di loro.
L’altra annuì e questo fece urlare di gioia la ragazza. Zoro scosse la testa
disgustato da quell’atteggiamento. Che diavolo c’era da agitarsi tanto?! Senza
degnarlo di uno sguardo le due ragazze si fermarono sedendosi accanto a lui.
Una iniziò a tirare fuori il portafogli cercando forse di contare quanto le
restava.
- E’più facile trovarlo di sera, ma se ci va bene
magari lo becchiamo anche questa mattina – ridacchiava l’altra mentre l’amica
tirava un sospiro di sollievo
- Dovrebbero bastare – sussurrò. Una di loro si
voltò verso di Zoro notando lo sguardo insistente del giovane.
- Ti serve qualcosa? – chiese cortesemente. Lui alzò
un sopracciglio sorridendo, non era abituato a simili cortesie.
- Che posto è questo Elisir? – quella domanda gli venne spontanea, forse aiutata
dall’atteggiamento gentile della ragazza. La giovane si girò verso di lui
raggiante.
- E’ l’hotel più bello dell’intera regione. Cioè è
qualcosa di strepitoso!!! Ma se vuoi puoi anche solo andare a mangiare lì,
perché c’è un ristorante fantastico! Un po’ caro, ma ne vale la pena credimi –
spiegò. Zoro annuì decidendo di buttarci un occhio giusto per vedere di cosa si
trattava, e poi aveva anche piuttosto fame. Non aveva nulla da fare, e di certo
in un posto simile, non avrebbe incontrato cacciatori di taglie o gentaglia della
stessa pasta. Allo stesso modo, era anche sicuro che non lo avrebbero neanche
fatto entrare, ma valeva la pena tentare. Le due ragazze si alzarono
spiegandogli come arrivarci e scusandosi se non lo potevano accompagnare, ma
dovevano tornare a casa per cambiarsi d’abito. Questo fece sorridere Zoro che
si convinse ancora di più di quanto quella gente fosse fissata con il
vestiario. Sperando di non perdersi come il suo solito, iniziò a incamminarsi
nella direzione che gli era stata indicata. Non dovette girare molto, che una
grossa insegna gli spuntò davanti; non poteva non notarla tanto era vistosa.
Delle colonne bianche accostavano l’entrata dove un
tappeto rosso si stendeva su pochi gradini. Esitò un po’ prima di salire,
cercando di vedere all’interno attraverso i vetri. Ma le lastre erano come
degli specchi che non permettevano altro se non di fissare il proprio riflesso,
chissà forse per qualche stupida questione di privacy. Scosse la testa ed entrò
ugualmente.
Un cameriere gli aprì la porta notando subito l’inusuale abbigliamento del ragazzo e
le tre spade che portava con se. Zoro era già pronto a girare i tacchi quando
con un sorriso il cameriere gli chiese se volesse una stanza o volesse solo
pranzare. Sorpreso e anche un po’ soddisfatto, il pirata chiese uno tavolo per
due, anche se stava da solo. Il cameriere gli fece strada attraverso la sala
portandolo verso un piccolo tavolo appartato e Zoro non poteva che apprezzare
quella scelta. Si sedette mentre gli veniva allungato un menù. Il giovane
cameriere si allontanò con un inchinò dicendo che sarebbe passato quando
avrebbe voluto ordinare. Zoro abbassò il menù scrutando il resto della sala.
Non era molto affollata ma dato l’orario, era anche plausibile. I muri erano
rosa salmone che vari disegni orientali e su di essi erano sparsi diversi
quadri colorati con fantasie surreali e di dubbio gusto, almeno per quello che
ne capiva lo spadaccino. Un enorme acquario rotondo regnava al centro della
sala, e questo non poté che ricordargli la sua amata Sunny. C’era anche un pianista, o meglio una pianista con una lunga
treccia bionda poggiata sulla spalla. L’esile copro stretto in un bianco
tubino, mentre con gli occhi chiusi picchiava soavemente le dita sui tasti.
Sembrava un angelo, e l’atmosfera che regalava a quel ristorante era davvero
paradisiaca. Stranamente non si sentì a disagio, eppure non era il posto che
faceva per lui. Ma né i clienti né i camerieri, che camminavano rapidi fra i
tavoli, lo avevano guardato con sospetto, o con preoccupazione. Stava iniziando
ad apprezzare quella cittadina, e decise che avrebbe potuto allungare la sua sosta
per qualche altro giorno. Non era costretto a partire subito, non aveva alcuna
meta da raggiungere se non la prossima isola sconosciuta.
Riprese il menù sgranando gli occhi alla vista dei
prezzi. Cavolo, era stata una cazzata andare lì, eppure quelle due gli avevano
assicurato che non era molto caro: un solo caffè costava anche più della stanza
che aveva preso in affitto alla locanda! Forse se quel posto non era così
affollato, non era certo solo per l’orario. Sarebbe stato meglio andarsene prima di essere
costretto a dare fondo a tutte le sue finanze. Stava per alzarsi dal tavolo
quando una strana conversazione raggiunse le sue orecchie. Un uomo grassottello
in doppio petto si stava lamentando con un cameriere per qualcosa che aveva a
che fare con la zuppa di riso.
- Mi scusi non so come sia potuto accadere – rispose
umilmente il cameriere inchinandosi più volte,senza riuscire però a frenare le lamentele del cliente.
- E’ assurdo che sia stato trattato in questo
modo!Esigo di parlare con il direttore
– insisteva l’uomo. Zoro provò la voglia di andare da quel grassone e
tranciargli quella lingua biforcuta in due. Non sopportava quell’atteggiamento
arrogante di chi ha un sacco di soldi ma zero rispetto per gli altri. Ma la sua
filosofia di “non intrometterti negli affari che non ti riguardano” ebbe la
meglio su quella epidermica avversione, lasciandolo fermo lì a guardare la
scena.
Il cameriere si precipitò a chiamare il direttore
riuscendo così almeno a far abbassare al cliente il tono di voce, che aveva
fatto girare l’intera sala e aveva spezzato la magia di poco prima. Zoro notò una crescente agitazione vibrare fra
i tavoli e tutti i clienti sembravano non aspettare altro che vedere il tanto
richiesto uomo fare il suo ingresso. Qualche minuto dopo il cameriere ritornò
al tavolo informando il ciccione dell’imminente arrivo del direttore. Una porta
di legno si aprì e dei pesati passi risuonarono nel salone. Incuriosito e anche
basito da tutto quel inspiegabile interesse verso un semplice uomo, Zoro si
voltò verso il suono di quei passi che venivano accompagnati dalla musica del
piano.
Un ragazzo si avvicinò lentamente al tavolo dell’uomo.
Dei pantaloni neri si poggiavano sulle rumorose
scarpe mentre il petto era avvolto da una leggera camicia bianca sbottonata in
parte, così da lasciar intravedere una sottile catena d’oro con una piccola
croce. Le maniche della camicia erano arrotolate poco sotto i gomiti e, mentre
il polso destro era fasciato da un bracciale di cuoio, la mano sinistra era avvolta
da un guanto nero di pelle che lasciava scoperte le pallide dita. I capelli
biondi raccolti in una piccola coda, ricadevano sul volto solo da una parte,
mentre su un viso pulito si stendeva un sorriso gentile.
Il silenzio che era piombato nella stanza fece temere
a Zoro che tutti potessero sentire il battito impazzito del suo cuore; come un
martello d’acciaio che ricadeva su un’altrettanto pesante incudine. Un battito
dopo l’altro si susseguiva violento nella sua testa, mentre lo vedeva parlare educatamente
con quell’uomo. Neanche si era reso conto del cameriere che gli si era
avvicinato
- Signore, signore – quando la cantilena del giovane
fu così insistente Zoro si voltò a guardarlo scuotendo la testa
- Ha deciso cosa ordinare? – lo spadaccino ascoltò
le sue parole senza davvero udirle e tornò silenziosamente con gli occhi su di lui.
Mai avrebbe creduto di poterlo rivedere. Non su
quell’isola, non in quel posto, non dopo tre lunghi anni.
To Be Continued...
Che
dire, immagino abbiate capito chi è il direttore dell’Elisirche, aparte la coda (che è sempre stata una
mia piccola fantasia lo ammetto U////U) è abbastanza riconoscibile XD
Chiedo
scusa se nel primo capitolo sono stata un po’ “casinista” XDDD ma tranquilli
non è importante sapere chi è Kuma o dov’è ThrillerBark, era
solo un introduzione nulla di più. I pirati di JackForceville,
naturalmente non esistono né tanto meno esiste la LovelyPrince ^^ forse avrei dovuto chiarirlo prima. per questo mi scuso
U__U.... molte cose verranno spiegate nel corso della storia: i rapporti fra i
due, il perché dell’abbandono ecc, quindi basta pazientare ^-^
Grazie a tutti e grazie per i complimenti da parte di chi non ama lo yaoi. A
volte quando si ha qualche “pregiudizio” non si riesce ad essere obiettivi e
quindi ringrazio Butler per la sua recensione ^^
-
Il pranzo è offerto dal Elisire mi scuso ancora a nome della direzione –
con queste parole il biondo si congedò dall’uomo che sembrava soddisfatto di
come si era risolta la faccenda. Zoro lo vide camminare lentamente per la sala
tenendo una mano in tasca mentre con l’altra si scostò pigramente la ciocca di
capelli dalla fronte. Quasi sperò di non essere visto, non sapeva cosa dirgli,
e a dire la verità, non sapeva se avesse anche solo voluto parlargli. Ma il
destino, si sa, ha un crudele modo di giocare, e quindi bastò poco che gli
occhi del biondo si poggiassero su di lui. I suoi passi si arrestarono mentre
interminabili secondi presero a susseguirsi uno dietro l’altro. Nessuno dei due
sembrava lasciar trapelare alcuna emozione, come se non fossero passati anni
dall’ultima volta che i loro occhi si erano incrociati. Il pianoforte
continuava a suonare mentre Zoro sentiva solo quel rumore sordo, quel battito
che lentamente si stava regolarizzando. Non scostò lo sguardo, non fece un solo
gesto e quando l’altro si mosse continuando a camminare per scomparire
nuovamente dietro quella porta di legno, si limitò ad abbassare lo sguardo sul
menù, mentre un lungo sospiro lasciava le sue labbra.
Si
portò una mano al petto dove teneva il lumacofono ed ebbe l’istinto di chiamare
Rufy. Se gli avesse detto che l’aveva visto di certo lui... no, non poteva
farlo. Poggiò la testa fra le mani stringendo forte i denti per impedire a
qualsiasi imprecazione di venire fuori, quasi per impedire all’aria stessa di
entrare nei suoi polmoni. Ingoiò più volte cercando di decidere cosa fare, ma non
riusciva a mettere un solo pensiero in fila. L’unico concetto ben chiaro era
uno: Sanji era lì.
L’arrivo
di un grosso piatto gli fece alzare di colpo la testa mentre il cameriere gli sistemò
la pietanza augurandogli buon appetito.
-
Aspetti io non ho...- non riuscì a terminare la frase che ebbe come
l’impressione che quello che era successo quella mattina alla locanda stesse
per ripetersi.
Il
cameriere sorrise.
-
Il direttore ha detto di offrirle il pranzo. Anzi qualsiasi cosa voglia, ordini
pure senza problemi. È nostro ospite – gentilmente con un inchino anche il
ragazzo in divisa si congedò. Zoro picchiò un pugno sul tavolo non riuscendo
stavolta a impedire ad un ringhiato “merda” di uscire dalle sue labbra.
La
finestra era aperta e Sanji era seduto sul davanzale guardando fuori il vento
che smuoveva le foglie degli alberi. Foglie verdi, come i capelli di quello
stupido marimo. Qualcuno bussò alla porta e dopo aver ricevuto un sospirato avanti, entrò.
-
Mi scusi direttore... ma c’è un cliente che vorrebbe parlarle – senza spostare
lo sguardo Sanji gli fece un gesto annoiato con la mano.
- Ne
parliamo dopo – sospirò
-
Eh no, ne parliamo adesso – a quella frase non poté che voltarsi trovandosi di
fronte uno Zoro visibilmente alterato. Fissò per qualche istante il suo viso
irato senza dire nulla. I lineamenti così come l’espressione erano gli stessi
che ricordava, solo un po’ più segnati: dalle varie battaglie, dalla fatica,
forse anche da un po’ di inquietudine. Da qualcosa che lui non poteva sapere,
qualcosa che faceva parte di un pezzo della sua vita, in cui lui non c’era
stato.
-
Lasciaci soli – ordinò poi, ed il cameriere uscì dalla stanza chiudendo la
porta. Scendendo dal davanzale Sanji si sedette sulla poltrona di velluto
dietro una grossa scrivania di legno
-
Sei venuto a lamentarti per il pranzo? Cos’è, forse non era di tuo gradimento?
– ridacchiò. Zoro si avvicinò con pochi passi alla scrivania sbattendo entrambe
le mani sul legno. Sanji alzò gli occhi verso di lui.
-
Ehi vacci piano marimo, questa roba costa – ringhiò serio. Ad una simile frase,
un tempo gli avrebbe risposto “Non darmi ordini stupido cuoco”, ma il sentirgli
pronunciare quel nomignolo dopo tutti quegli anni, ebbe come la forza di
bloccargli la lingua e l’ira. Lentamente alzò le mani facendo un passo
indietro.
-
Non ho bisogno che tu mi offra niente – esclamò. Perché mai avrebbe dovuto
accettare il cibo di qualcuno che era stato così codardo da scappare davanti ad un ostacolo, senza
neanche provare a combattere... Sanji sorrise scuotendo la testa.
-
Sono sicuro che l’erede di Mihawk può permettersi tranquillamente un pranzo
qui... il mio era solo un modo per essere gentile – affermò il biondo, poi girò
la sedia di lato e si alzò dirigendosi nuovamente verso la finestra. Zoro
guardò quella coda bionda muoversi sinuosa ad ogni suo passo finché Sanji non
si voltò tornando nuovamente ad incrociare i suoi occhi.
-
Della tua gentilezza non so che farmene – mormorò lo spadaccino. L’ex cuoco
sorrise ancora. Certo che non era cambiato di una virgola, come se avesse mai
creduto che Roronoa Zoro potesse cambiare. Un tempo l’aveva sperato, ma poi
aveva capito che la sua forza era anche quella di restare così nonostante
tutto, nonostante le ferite, nonostante le gioie, nonostante le delusioni. Zoro
non cambiava perché lui non ne aveva bisogno, a differenza sua, che era
cambiato tante di quelle volte, che neanche riusciva a ricordare un unico
momento in tutta la sua vita in cui era stato davvero se stesso, il vero Sanji.
Troppo occupato a cercare di apparire forte e perfetto davanti agli occhi degli
altri, per preoccuparsi di essere solo se stesso. Le sue debolezze le aveva
sempre nascoste senza mai affrontarle, le sue paure, tutto era rimasto
gelosamente celato dentro di sé. Ma poi arrivò quel giorno e il suo castello di
carte, che aveva costruito su maschere e finte sicurezze, crollò. Sarebbe
rimasto scoperto e tutti avrebbero visto dentro di lui e avrebbero letto quello
che era in realtà: un debole. Non avrebbe potuto sopportare i loro sguardi delusi,
ne tanto meno compassionevoli. Aveva chiesto a Rufy di lasciarlo andare prima
che questo accadesse, aveva preferito fuggire a priori e non aver fiducia nei
suoi compagni. Già, non aveva avuto fiducia.
-
Ho saputo di Rufy... Alla fine ce l’ha fatta, sono contento per lui -sospirò.
-
Avresti potuto esserci anche tu – le parole dure di Zoro erano come sale su una
ferita aperta. Bruciavano e pungevano senza che riuscisse a impedirlo. Eppure
Zoro doveva sapere quello che provava, ma continuava a guardarlo con quel
accento di rimprovero, che in cuor suo Sanji sentiva di meritare.
-
Lo sai che non è così. Le cose non andavano più bene ed io... beh io ero
diventato solo un intralcio – la vena di tranquillità che aveva accompagnato le
parole di prima, era stata sostituita con una leggera amarezza, quasi un
fastidio. Zoro scosse la testa ridacchiando.
-
Ho sempre creduto che fossi uno con un minimo di fegato... si vede che mi
sbagliavo – lo schernì non riuscendo a sopportare la rassegnazione della sua
voce. Sapeva quando aveva sofferto nel fare quella scelta, ma non riusciva a
non detestarlo. Di tutta risposta il biondo sorrise abbassando la testa
-
Zoro... io ero un cuoco. Dal momento in cui non potevo più fare il mio lavoro,
non aveva senso restare con voi... sono sicuro che Rufy stesso mi avrebbe
allontanato prima o poi. Gli ho solo evitato la seccatura di farlo – a quelle
parole Zoro scattò come una molla.
-
Tu eri un compagno! Cazzo come facevi a non capirlo!? Come hai fatto a non
capire che a Rufy non importava se fossi un cuoco, un carpentiere o un
fottutissimo spadaccino. Lui non ti avrebbe mai abbandonato e tu lo sai – Sanji
alzò la testa quando Zoro quasi urlò quella frase.
-
Lo dici come se ne fossi sicuro –
-
Ma io lo sono! – il biondo guardò ancora una volta quegli occhi colmi di
determinazione che non poteva non ammirare. Lo aveva sempre ammirato nonostante
non glielo avesse mai detto.
-
Beh ormai non importa più – sospirando si sistemò il guanto della mano sinistra
e la rimise in tasca. Qualcuno bussò ancora alla porta, ma stavolta entrò senza
spettare che gli fosse permesso.
-
Ehilà disturbo?– una sorridente ragazza sbucò dalla porta e si avvicinò al
biondo porgendogli una cartellina. Sanji sorrise scuotendo la testa.
-
Lo sai che non disturbi mai – le sussurrò. La ragazza sorrise ancora
spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Castagne.
Fu questo quello che pensò Zoro quando guardò i capelli della giovane. Bruni
come una castagna, con dei profondi riflessi color rubino che facevano
risplendere ancora di più i suoi occhi verdi.
-
Mio padre dice che devi occupartene tu – la ragazza alzò le spalle sedendosi
sulla scrivania. Sanji le si avvicinò e lanciò la cartellina su delle altre
carte
-
Tuo padre mi odia, lo sai questo? – lei ridacchiò dandogli un bacio sulla
guancia
-
L’importante è che non ti odi io – Sanji sorrise e la giovane si avviò verso la
porta.
-
Scusate se vi ho disturbato - e sorrise verso Zoro che non si preoccupò neanche
di ricambiare quella gentilezza quando poi la ragazza uscì chiudendo la porta.
Sanji
sospirò passandosi una mano fra i capelli mentre prendeva visione di alcune
carte. Zoro lo guardò pensando che non gli importava davvero nulla che lui
fosse lì davanti a lui dopo tre anni, e che gli stesse inutilmente spiegando
quando il loro capitano avesse sofferto nel vederlo andare via.
-
E’ la tua ragazza? – chiese sapendo che era l’unico argomento che poteva
interessargli. Il biondo scosse la testa
- Keira?
No, è la mia fidanzata – lo spadaccino alzò un sopracciglio. Una simile
puntualizzazione era tipica di quel cuoco. Se gli avesse chiesto se era la sua
fidanzata, di sicuro avrebbe risposto che era la sua donna e viceversa. La
logica non aveva mai fatto parte del suo modo di pensare.
Mentre
Sanji continuava a leggere quei documenti, Zoro diede uno sguardo a quella
specie di studio. Sembrava quello di un medico o giù di lì, nulla che avesse
neanche la minima affinità con una cucina. Al muro un grande numero di foto che
ritraevano il suo ex compagno di avventure nelle pose più disparate. Il biondo
alzò la testa dalle carte e sorrise nel vedere la faccia di Zoro contrariata
davanti a quello spreco di pellicola
-
Beh sono fotogenico non trovi? – ridacchiò. Zoro ghignò voltandosi verso di lui
-
Sì, come in quell’avviso di taglia. Lì eri perfetto – anche Sanji sorrise
lasciando cadere i documenti nuovamente sulla scrivania.
-
E dire che oggi devo ringraziare quel fotografo... se non fosse stato per lui
non avrei avuto modo di potermi rifare una vita – infatti nessuno sapeva del suo
passato da pirata, né della sua militanza nella ciurma di quello che ora era il
re dei pirati. Nessuno sapeva che Sanji, il raffinato direttore del Elisir, era
in realtà un ex cuoco di bordo capace di frantumare un muro con un solo calcio,
e che aveva sulla testa una taglia da 77.000.000 di Berry.
D’un
tratto il sorriso sulle sua labbra si spense d’improvviso come se il biondo si
fosse appena ricordato di qualcosa di importante. Si catapultò alla finestra
guardando al di fuori
-
Cazzo – mormorò.
-
Che succede? – chiese Zoro confuso da quel cambio improvviso di atteggiamento.
Sanji lo guardò sospirando e gli fece un segno con la mano
-
Meglio se te ne vai – a quella frase lo spadaccino si avviò verso la finestra decidendo
di vedere ciò che aveva tanto colpito il cuoco. Dovette sgranare gli occhi
quando vide un grosso numero di marines riempire l’ingresso del giardino
-
E questi che cazzo vogliono? – Sanji non riuscì a non ridere alla sua
espressione sconvolta, tanto che Zoro lo guardò chiedendosi che cavolo ci
trovasse di così divertente
-
Il padre di Keira è un ex generale dei marines in pensione, e oggi è qui per
una specie di picchetto d’onore, non so per chi di preciso – spiegò il biondo
continuando a guardare dalla finestra. Lo spadaccino guardò il suo profilo
convincendosi sempre più di quando quel tizio
gli procurasse solo guai. Sanji si voltò verso di lui
-
Non è colpa mia. Sei tu che sei venuto nel momento sbagliato – sospirò con un
alzata di spalle. Ringhiando Zoro si apprestava ad avviarsi verso la porta,
anche se avrebbe dovuto combattere contro tutti quei marines la cosa che più lo
impensieriva era di uscire immediatamente da quella stanza.
-
Aspetta idiota,non puoi farti vedere da
loro. Sarebbe una pazzia! – esclamò Sanji. Lo spadaccino si fermò voltandosi
incredulo verso di lui
-
Non credi che possa battere quei quattro perdenti? – chiese ironico. Sanji scosse
la testa avvicinandosi ad una delle tante fotografie che coprivano la parete
-
Non è questo. Solo non voglio che tu faccia fuori il mio futuro suocero né alcuno
dei suoi uomini – mormorò spostando una cornice verso destra
-
E poi... tutti si chiederebbero perché il direttore del Elisir aveva come
conoscenza un pericoloso ricercato – ridacchiò ancora. Nel frattempo come una
piccola magia, dalla parete si aprì una porta.
-
E questo cos’è una specie di passaggio segreto? – ghignò lo spadaccino
avvicinandosi a quell’insospettata via di fuga. Sanji sorrise
-
Beh io ho sempre i miei assi nella manica – affermò sicuro. Zoro ridacchiò sentendo come in qualche modo di tornare ai
vecchi tempi, quando quel diavolo di un cuoco, riusciva a inventarsi qualche
stramberia per tirarli fuori dai guai. La marina ancora stava piangendo per
quel bustercall fallito ad
Enies Lobbie quel famoso giorno...
Sanji
iniziò a scendere le scale facendo segno a Zoro di seguirlo, dopo qualche piolo
si accese una luce fioca che mostrava uno serie di piccoli gradini che
scendevano per non più di qualche decina di metri.
-
Qui si passa da dietro, diciamo che è una specie di uscita d’emergenza – ridacchiò
ancora il ragazzo. Lo spadaccino ebbe come il desiderio che quei pochi pioli si
moltiplicassero ad ogni passo.
Per
qualche strano motivo non voleva andarsene proprio ora. Sentiva che quando sarebbe
uscito di lì, la sensazione di “familiarità” che lo aveva pervaso pochi attimi
prima sarebbe svanita, e si sarebbe ritrovato ancora una volta preda di quel
soffocante vuoto.
To Be Continued...
Forse
vi ho solo confuso ulteriormente le idee, ma tranquilli presto tutto sarà più
chiaro (almeno spero XD)
Sono contenta che Sanji con la coda piaccia anche a te Helenuccia
(noi due siamo davvero troppo in sintonia ^-*) io lo trovo troppo affascinante
così *-*
Spero che abbiate notato anche un altro particolare del suo nuovo look, che non è messo lì a caso...
Lo so ho il vizio di mettere la pulce nelle orecchie U__U’... sto cercando di curare questa mia patologica
abitudine, ma per ora sopportatemicosì XDDD
Al prossimo capitolo gente ^^
Kiss kiss Chiara
Dopo
aver sceso tutte le scale, i due arrivarono ad un piccolo corridoio che
terminava con un vecchio portone di legno, alquanto malridotto. Sanji si
avvicinò e guardò attraverso lo spioncino sulla destra della porta.
-
C’è qualche marines. Ti conviene aspettare qualche altro minuto – sentenziò
allontanandosi, quando Zoro prese il suo posto guardando anche lui attraverso
l’occhiello di vetro.
-
Merda – mormorò accertandosi di ciò che gli era stato detto. Sanji intanto si
era seduto su alcuni pioli delle scale e aveva iniziato ad accendersi una
sigaretta. Essendo di spalle, lo spadaccino non ebbe modo di notare la
difficoltà con cui l’ex cuoco effettuava quel gesto, un tempo così rapido. Le
dita scoperte dal guanto reggevano a stento la sigaretta, mentre l’altra mano
le dava fuoco approfittando di qualche secondo in cui la stecca non tremava. Una prima boccata e poi Sanji soffiò via il
fumo quasi con un moto di vittoria. La piccola nube grigia arrivò a solleticare
le narici di Zoro, che infastidito da quello strano odore fin troppo familiare,
si voltò contrariato verso di lui.
- Pensavo avessi smesso – mormorò poggiandosi spalle
alla porta. Sanji ridacchiando prese un’altra leggera boccata.
- E’ quello che pensa anche Keira – ghignò.
- Ma ogni tanto, non posso farne a meno...- Zoro
pensò allora che quella specie di passaggio segreto, altro non era che un
rifugio che quello stupido cuoco usava per fumare in santa pace.
- Un tempo non avresti avuto bisogno di nasconderti
– borbottò quasi deluso dal suo modo di fare. Sanji non era uno che faceva
quello che volevano gli altri, neanche se era una donna a chiederglielo. Più di
una volta la “sua” Nami, lo aveva invitato a non fumare, ma il cuoco le aveva
sempre risposto che non poteva soddisfare quella sua richiesta. Era l’unica
cosa che non avrebbe mai fatto, piuttosto si sarebbe fatto ammazzare, ma
smettere quel suo “dolce vizio”, come lo chiamava lui, era fuori discussione.
Sanji sorrise ancora
- Un tempo... ero anche innamorato di te – sospirò prendendo
subito dopo un’altra piccola boccata di fumo. Il corpo di Zoro si irrigidì a
quelle parole e non ebbe la forza di rispondergli nulla. Guardando con quanta
fatica lo spadaccino stava cercando di mantenere la sua espressione il più
distaccata possibile, Sanji non poté che sorridere.
- Sapevo che era meglio non dirtelo – scosse la
testa ciccando un po’ di cenere sui gradini.
- Avresti dovuto dirlo allora – Zoro indurì anche il suo sguardo, che ora si
posava sul biondo con un ché di accusatorio. Sanji scosse nuovamente la testa.
- E che sarebbe cambiato? Dimmelo Zoro, che sarebbe cambiato... Tu non hai mai
voluto sentirti dire certe cose... non vedo perché avrei dovuto farlo – gettò
via la sigaretta ancora a metà, che prese a bruciare da sola sul pavimento. Lo
spadaccino abbassò lo sguardo. Sanji aveva ragione, quelle cose le aveva sempre
odiate, forse perché ne aveva sempre avuto un po’ timore.
- Cosa ti fa credere che io... non volessi sentirtele dire? Anche se non lo
dicevo avresti anche potuto...- la frase che timidamente Zoro cercò di dire fu
spezzata a metà.
- Cosa? Avrei dovuto capirlo ugualmente? È questo
che vuoi dire?...Cazzo Zoro io ho
passato una vita a cercare di capirti. Tu non hai mai parlato chiaro, e io
dovevo leggere fra le righe le quattro parole che dicevi.. interpretate i tuoi
silenzi, e quelle maledette occhiate... hai mai pensato una sola volta a quello
che invece provavo io? – gli occhi di Sanji costrinsero lo spadaccino al
silenzio. La voce del biondo iniziava a tremare leggermente, e si poteva
intuire la fatica che stava facendo per non lasciarsi andare del tutto.
- Tanto non importa più... è anche per questo che era finita – sospirò. Un
brivido percorse la spina dorsale di Zoro. L’unico che era sempre stato capace
di metterlo in quella condizione di impotenza era Sanji. Forse anche per questo
quando se n ‘era andato, un po’ aveva sperato di tornare lo Zoro di un tempo,
anche se poi quello che aveva ottenuto era tutt’altro. Provò a reagire dal blocco
in cui era caduto in quel momento, nel solo modo che conosceva per farlo.
- Non ti ho mai chiesto di amarmi, non l’ho mai
voluto, lo sai... era solo, era solo sesso. Punto – mentire, ferirlo. Era
quella l’unica cosa di cui era capace. Sanji sorrise mordendosi un labbro. Dopo
tre anni ancora riusciva a fargli del male con le sue parole.
- Già... infatti il coglione sono stato io che invece c’avevo messo un po’ di
cuore – il biondo si alzò e si diresse verso lo spioncino passando accanto al
compagno che pareva avere le spalle incollate al legno della porta.
- Via libera – esclamò tornandosene dietro. Una mano
lo bloccò per un polso costringendolo ad arrestarsi e a voltarsi verso di Zoro.
- Voglio solo sapere una cosa... – Sanji sapeva di
cosa si trattava e in parte era contento che gli facesse quella domanda. Almeno
gli avrebbe dato l’illusione che a Zoro un po’ di lui gli importava. Un po’, ma
abbastanza per non farlo sentire come si era sentito per anni al suo fianco. Un
completo pupazzo senza volontà.
- Avanti – sorrise mentre il ragazzo gli lasciava andare il polso.
- E’ per questo che te ne sei andato? – lo guardò per qualche attimo in quegli
occhi neri che poche volte aveva visto così. Poi spostò lo sguardo sulla parete
indugiando nel parlare.
- Rispondimi Sanji! – la voce spazientita, o forse solo irrequieta dello
spadaccino piegò gli occhi di Sanji ancora una volta a indirizzarsi sui suoi.
- No... no, Zoro non è per questo... ma questa? Te ne ricordi vero – il cuoco
mostrò al ragazzo la mano sinistra coperta dal guanto e lo vide inghiottire.
Come al solito aveva pensato di essere il centro del mondo, il centro del suo
mondo. Forse lo era stato, un tempo, ma ora le cose erano cambiate e non
avrebbe permesso a Roronoa Zoro di poter condizionare la sua vita.
- E ora vattene.. i marines potrebbero tornare – i passi del biondo presero a
salire le scale, mentre la voce roca dello spadaccino riprese a parlare.
- Resto in città per un po’ – neanche sapeva perché glielo avesse detto. Non
gli aveva lasciato né il nome della locanda presso la quale alloggiava, né
alcun tipo di informazione con cui potesse rintracciarlo. La città era
abbastanza grande, e senza alcun indizio, era alquanto difficile,se non impossibile, poterlo trovare. Ma lo
spadaccino in cuor suo, forse non voleva essere trovato e, anche se gli aveva
detto che sarebbe rimasto per un po’, la verità era che aveva già intenzione di
lasciare quel posto l’indomani mattina. Una serie di contraddizioni che erano
tipiche di tutto ciò che faceva o pensava quando c’era di mezzo Sanji.
Chiuse la porta e velocemente si dileguò prima che
anche un solo gabbiano potesse avvistarlo.
Quando si allontanò di una distanza abbastanza
sufficiente, si fermò poggiando le mani contro un albero. Un pugno, poi un altro,
finché lo scricchiolio del legno, non lo costrinse a smettere prima che abbattesse
la povera pianta. Si lasciò poi cadere a terra con la testa fra le mani. Tre
anni, tre anni di silenzio in cui non aveva saputo se fosse vivo, o se era
morto in quale vicolo all’uscita di uno squallido bordello. Tre anni in cui
aveva vissuto in una specie di inspiegabile
coma emotivo, e ora quel bastardo gli rispuntava davanti e come niente fosse
gli spiattellava in faccia i suoi sentimenti di allora! Perché non glielo aveva
detto allora invece di aspettare di rincontrarlo per puro caso dopo tre
fottutissimi anni? Perché non era stato capace di capirlo lui stesso... ma
forse la verità era che non aveva mai voluto capirlo davvero.
Decise che in quel momento l’unica cosa che voleva, era
scaricare la sua rabbia nel solo modo che conoscesse.
Rientrato nel suo studio, Sanji si sedette sul
velluto rosso della poltrona, piegando la testa all’indietro con lo sguardo al
soffitto. Un lungo sospiro abbandonò le sue labbra mentre iniziava a mettere a
fuoco quello che era successo. Se qualcuno gli avesse detto che quella mattina
Roronoa Zoro sarebbe entrato in quel locale, forse Sanji gli avrebbe riso in
faccia. Non poteva essere possibile.
Qualcuno bussò alla porta e anche stavolta fu solo
per cortesia, visto che entrò ugualmente.
- Allora gli hai dato uno sguardo? – chiese Keira.
Sanji la guardò come se non sapesse di che diavolo stesse parlando. Per fortuna
notò la cartellina sulla sua scrivania e prontamente si riprese
- Ah si... di’ a tuo padre me ne occupo la settimana
prossima – la ragazza si avvicinò sedendosi sulle sue ginocchia.
- Grazie – sussurrò avvolgendogli le braccia attorno
al collo e lasciandogli un timbro rosa pesca sulle labbra. Sanji le regalò un
sorriso spento
- Ehi cos’hai? – dolcemente Keira gli pulì il
rossetto con le dita constatando che il ragazzo aveva uno strano atteggiamento.
- Nulla, sono solo stanco – mentì lui mentre le dita
della giovane scorrevano fra i biondi capelli, stretti nella piccola coda.
- Spero non sia colpa di quel cliente. Aveva dei
buffi capelli... anzi dov’è finito non l’ho visto uscire – Keira iniziò a
guardarsi in giro e Sanji avvertì una strana stretta allo stomaco.
- No va tutto bene, è andato via. Senti vorrei
finire di sistemare alcune carte... ti spiace se...- sorridente lei scosse la
testa e si alzò
- Per stavolta ti lascio in pace – scherzò e si
diresse verso la porta, ma prima di uscire gli soffiò un bacio con una mano.
Quando la porta si chiuse, Sanji girò la sedia verso
la finestra alle sue spalle. Il cielo sembrava iniziare ad annuvolarsi, e lo
stesso stava accadendo dentro di lui.
Dopo un’ intera giornata passata a lanciare fendenti
che si perdevano nel mare creando delle onde di mostruosa altezza, Zoro decise
che poteva bastare. Non era certo stanco, anzi avrebbe potuto continuare per
altre ore, anche per tutta la notte, ma non poteva rischiare di causare uno
tsunami o roba simile, che avrebbe distrutto l’intera isola! Si infilò la maglia e riprese le spade
avviandosi verso la locanda. Non si preoccupò di alzarsi il cappello sul capo,
se qualcuno lo avesse “scoperto” tanto meglio, magari poteva far assaggiare
alle sue lame un po’ di sangue, e non la semplice acqua salata del mare.
Stavolta decise di rimanere a mangiare un boccone
prima di salire in camera, era tutto il giorno che non toccava cibo, e anche se
odiava essere fissato mentre si rifocillava, restò comunque seduto al bancone.
- Mi sembri affamato ragazzo – ridacchiò la bionda
locandiera. Senza rispondere Zoro continuò a mangiare. La donna aveva
riconosciuto chi fosse davvero il ragazzo di fronte, non tanto per le tre
vistose spade al fianco, quanto per quei buffi capelli verdi. La marina aveva distribuito
il suo identikit sul quale c’era scritto che era un tipo pericoloso e molto
aggressivo. Alla donna però non parve proprio così, anzi. Quel ragazzo era solo
molto diffidente tutto qui. Tutte le persone aggressive erano in realtà solo
paurose di avvicinarsi agli altri, o di farsi avvicinare. Sapeva che la taglia
sulla sua testa era molto alta, anche se non conosceva di preciso la somma, ma
non aveva intenzione di venderlo per “quattro
soldi”, almeno non prima di aver capito qualcosa di più su quel giovane pirata.
- Vuoi qualcos’altro? – Zoro scosse la testa e buttò
giù un po’ di vino.
- Grazie, ma non ho più fame – lo spadaccino si alzò
e iniziò a salire in camera. La donna sorrise e chiamò un ragazzo affinché
portasse in cucina i piatti sporchi mentre la sua curiosità aumentava
repentinamente.
Dopo un bagno ristoratore, Zoro si rivestì sedendosi
sul letto, mentre si passava svogliatamente un asciugamano sulla testa. Buttò
un occhio alla sua sacca. Forse era arrivato il momento di fare quella chiamata.
Rivedere Sanji gli aveva fatto capire che le cose non potevano tornare più
quelle di una volta. Tutto era cambiato, a partire dai suoi stessi compagni, e
che ora Usopp era padre, l’avrebbe già dovuto far riflettere...
Combattere testardamente contro quella realtà,
cercando di ritrovare l’emozioni di un tempo, era inutile, e forse era l’unica
battaglia in cui sarebbe di certo uscito da perdente. Tanto valeva mettersi il
cuore in pace e vivere senza restare inchiodato al passato. Il suo capitano e
la sua ciurma lo stavano aspettando, quindi era meglio tornare da loro, prima
di doversi pentire anche di quella scelta. Gettò l’asciugamano a terra e si
lasciò cadere sul letto. Prima che potesse anche solo chiudere gli occhi, un
leggero rumore lo fece voltare verso la porta. Se non fosse stato per il suo
udito così sviluppato, non si sarebbe certo accorto che qualcuno avesse
bussato, tanto era stato labile quel gesto. Fissò per qualche altro istante la
porta, dicendosi che non valeva la pena andare ad aprire a qualcuno che non si
degnava neanche di picchiare con decenza le sue nocche sul legno. Un rumore più
deciso, l’obbligò ad alzarsi.
La testa bionda che si trovò davanti, era poggiata
contro la trave della porta, con le mani sprofondate nelle tasche ed un mezzo
sorriso sulle labbra, fin troppo dolce.
To Be Continued...
Spero
che ora le cose siano più chiare ^^
10 e lode alla mia vampiruccia
Helena che ha beccato il dettaglio del look di Sanji (anche se era scontato
visto la nostra innata sintonia XDDD)
Al prossimo appuntamento miei prodi, e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto anche se è un po' breve
>.<
kiss kiss Chiara
Non
credeva che l’avesse potuto trovare, o meglio che l’avrebbe anche solo cercato.
Ma d'altronde perché stupirsi, si trattava pur sempre di Sanji.
-
Che ci fai qui? – chiese. Il biondo alzò le spalle
-
Non lo so a dire il vero – girò poi la testa verso le scale, e Zoro pensò che
si fosse già pentito di essere andato lì. Si allontanò dalla porta riprendendo
l’asciugamano da terra, e gettandola su un tavolo. Sanji interpretò quel gesto,
come il suo modo di dire “entra”, e così fece un passo nella stanza chiudendosi
la porta alle spalle.
-
Beh è carino qui – mormorò guardandosi attorno. Zoro si stropicciò gli occhi
con una mano sedendosi sul letto.
-
Sono un po’ stanco. Se devi dirmi qualcosa fallo alla svelta – Sanji si tolse
il lungo cappotto e lo poggiò su una sedia, sulla quale si sedette. Poi si
fermò a guardare lo spadaccino che continuava a passarsi la mano sugli occhi. Era
solo stanco, oppure non sopportava neanche di guardarlo?
Tentò
a quel punto di prendere una sigaretta, ma come una specie di punizione divina
per essere stato così idiota da andare lì, la sottile cartina gli cadde dalle
mani.
Al
“merda” che il biondo ringhiò fra i denti, fu Zoro a guardarlo in silenzio. Un
nodo strinse la gola dello spadaccino, quando vide le dita di Sanji cercare di
riprendere senza successo la piccola stecca dal pavimento. Avrebbe potuto
prenderne un’altra, oppure usare l’altra mano, invece no; testardamente
continuava a muovere in modo visibilmente faticoso le dita della mano sinistra.
Non riuscendo più a sopportare quel suo inutile gesto, Zoro si alzò e raccolse
la sigaretta per poi porgergliela. Sanji si morse un labbro e voltò la testa
dall’altra parte. Lo spadaccino sapeva che non avrebbe mai dovuto farlo, ma era
stato più forte di lui, eppure conosceva bene di quale orgoglio era munito
quello stupido cuoco, che a volte si era chiesto chi dei due fossi più
testardo.
Si
sedette nuovamente sul letto, mentre nella stanza risuonava solo il verso dei
gabbiani che volavano al porto. Rigirò la sigaretta fra le dita e poi si voltò
verso Sanji, che ancora aveva la testa girata dall’altra parte. La sua mano
destra era chiusa in un pugno così forte, da far temere che il cuoco si potesse
lacerare il palmo della mano con le unghie, mentre l’altra mano pendeva della
ginocchio tremante.Zoro fissò quel
guanto nero non riuscendo a capire perché Sanji volesse a tutti i costi
nascondere le sue cicatrici. Insisteva a portare quello stupido guanto, così
come insisteva a tenere quella dannata ciocca sull’occhio. Eppure non erano
altro che cicatrici. Avrebbe dovuto esserne orgoglioso e non nasconderle come
se se ne vergognasse. Un cicatrice era il segno di una ferita che era ormai
richiusa, che non sanguinava più, che era stata vinta. Ma forse Zoro non sapeva
che per Sanji, quelle non erano cicatrici,
ma solo tagli ancora aperti...
D’un tratto il biondo si alzò.
- Meglio che vada – esclamò riprendendo il cappotto
dalla sedia.
- Aspetta – lo spadaccino, che era balzato in piedi,
lo costrinse a fermarsi. Sanji si voltò verso di lui, non riuscendo però a
sostenere il suo sguardo, che si perse sulla parete a fianco.
- E’ stato un errore venire qui – sospirò mordendosi
nuovamente il labbro.
Quasi da sole, le gambe di Zoro si mossero verso il
ragazzo, e le sue braccia lo avvolsero tirandolo contro il suo petto.
- Mi sei mancato – sussurrò stringendo i denti,
mentre sentiva gli occhi bruciare. Come immerso in un caldo che non ricordava
più, Sanji lasciò cadere il cappotto a terra, e alzò lentamente le braccia per
stringere forte la maglia dello spadaccino. Zoro sentiva solo una mano premere
con forza contro la sua schiena, mentre l’altra pareva solo poggiata. Ma la
cosa che gli fece battere il cuore all’impazzata, fu sentire le lacrime calde di
Sanji bagnare il suo collo.
- Sei un maledetto bastardo – singhiozzò il biondo,
mentre Zoro lo strinse più forte a sé.
- Mi sei mancato – ripeté come se volesse ammetterlo
più a sé stesso che a qualcun altro.
Sentire il cuore di Sanjibattere forte contro il suo petto, era un
qualcosa quasi magico, un qualcosaper
cui avrebbe dato anche la vita. Solo in quel momento si rese conto che il vuoto
che sentiva da tutto quel tempo, altro non era che il suo cuore che aveva
smesso di battere nell’attimo in cui quel dannato cuoco, era sceso dalla Sunny per non farvi più ritorno. E ora,
come colpito da una forte scarica elettrica quel muscolo, l’unico che non era
mai riuscito a controllare, aveva ripreso a battere. Batteva contro il petto
dell’unica persona per la quale valesse la pena battere, l’unica che gli avesse
mai fatto provare una simile emozione. Tre anni, tre anni sembravano un battito
di ciglia, ora che lo aveva fra le braccia e che poteva finalmente respirare il
suo profumo che gli era mancato come l’ossigeno stesso.
La mano dello spadaccino salì ad accarezzare i suoi
capelli biondi, e quella piccola coda alla quale non era abituato.
- Ti ho odiato da morire quando te ne sei andato –
sospirò stringendolo sempre più forte. Le parole che Sanji avrebbe voluto
dirgli, rimanevano sotterrate da quei continui singhiozzi. Come un bambino,
come uno stupido moccioso senza spina dorsale, se ne stava stretto fra le sue
braccia a piangere. Lui che non si ricordava più neanche che sapore avessero le
lacrime.
Rimasero così per un tempo indefinito, con i
gabbiani che volavano nel cielo rossastro e le voci dei pescatori che tornavano
al porto. Quando il rumore dei singhiozzi cessò, quello che risuonava nella
stanza era solo un respiro profondo, anzi due respiri che si perdevano l’uno
nell’altro. Le braccia di Zoro si allentarono e Sanji alzò la testa per
guardarlo negli occhi.
-Non sarà
più come prima, lo sai questo – sospirò. Zoro lo fissò per qualche attimo e poi
annuì. Non poteva essere come prima, troppe cose erano cambiate, loro stessi
non erano più quelli di un tempo. Con il dorso delle dita,lo spadaccino gli
accarezzò dolcemente una guancia e Sanji quasi istantaneamente socchiuse gli
occhi. lo faceva sempre, ogni volta che lo carezzava in quel modo. Forse perché
era così raro che lo facesse, e perché ora era stranamente triste sentirlo.
- Sanji...- alla flebile voce di Zoro, il biondo
riaprì lentamente gli occhi.
- Ti amo – quanto aveva sperato un tempo di
sentirgli dire quelle parole, ma ora suonavano in modo così strano. Avrebbe
voluto dirgli che ormai era tardi, che non serviva più, che il male che gli
aveva fatto non si poteva cancellare con due parole. Ma l’unica cosa che riuscì
a fare fu premere le labbra contro le sue, abbracciarlo forte, lasciarsi
spogliare e accarezzare fra quelle lenzuola. Come sempre, anche quella volta in
completa balia di quello spadaccino senza la forza né il coraggio di opporsi.
Un bacio e un altro ancora, mentre pregava i suoi occhi di trattenere ancora le
lacrime. Lacrime salate, amare, che si contrapponevano con la dolce sensazione
di averlo ancora una volta fra le braccia. Le sue mani, i suoi sguardi, il modo
con cui sospirava il suo nome. Tutto come un tempo, tutto con la stessa
sofferenza che provava quando sapeva che subito dopo sarebbe cambiato, e si
sarebbe trasformato nello spadaccino acido e scontroso che era. Anche ora,
anche ora che non c’era più la Sunny, non c’era più Rufy, anche ora sapeva che
dopo l’avrebbe dovuto lasciare andare, e stavolta per sempre. Si lasciò baciare
e amare ancora una volta, finché le palpebre non cedettero, finché il sonno non
lo colse, mentre lacrime amare rimanevano celate nei suoi occhi.
La pallida luce della luna attraversava la finestra
e illuminava il viso ambrato e sveglio dello spadaccino. Guardò la luna e poi
il corpo fra le sue braccia, e poi ancora la luna. Poteva fermare il tempo in
quel momento? Se per una sola volta in vita sua, si fosse affidato alle
preghiere verso un dio, questi gli avrebbe concesso quel miracolo?
Forse la sua ragazza lo stava aspettando, forse era
preoccupata perché quella notte non era tornato a casa. Non voleva pensarci, il
pensiero del suo Sanji fra le braccia
di quella donna, faceva male come una spada nello stomaco. Ora era lì, era con
lui, e il resto non aveva più alcuna importanza. Accarezzò ancora una volta
quei fili d’oro ora troppo lunghi per i suoi gusti, ma che non poteva non
trovare perfetti quando scivolavano fra le sue dita. Lentamente gli occhi di
Sanji si aprirono
- Non volevo svegliarti – bisbigliò lo spadaccino.
Il biondo scosse la testa. A quel punto Zoro lo baciò sulle labbra mentre la
mano di Sanji percorreva la sua schiena. Ancora il nero guanto a coprirla. Zoro
se ne accorse e la prese fra le mani.
- No Zoro – sospirò Sanji mentre lo spadaccino
faceva scivolare via la stoffa nera.
- Non avere paura – un sorriso dolce in modo
disarmante piegò le sue labbra. Quando la bianca mano uscì alla luce, Zoro la
baciò dolcemente mentre Sanji sorrise.
- E’ inutile, ho perso la maggior parte della
sensibilità... – i suoi occhi tornarono ad intristirsi, mentre Zoro stringeva
quella pallida mano nella sua. Senza dire nulla, l’avvicinò nuovamente alle sue
labbra, e iniziò a baciarla in ogni centimetro. Dalle punta delle dita, al
palmo attraversato dalla profonda cicatrice. Piccoli baci che non risparmiarono
nessun dettaglio di quella mano ferita, piccoli baci che riempirono ancora una
volta di lacrime gli occhi di Sanji.
- Shhh... non piangere –
bisbigliò ancora Zoro sulle sue labbra. Il biondo lo tirò a sé stringendolo
forte, mentre un sole stanco andava a sostituire la luna.
- Ehi dove stai andando? – la bionda locandiera
fermò il piccolo cameriere prima che potesse salire le scale. Il ragazzino si
voltò verso di lei mostrandole il vassoio con caffè e biscotti
- Mi ha detto lei di portare la colazione a quel
signore con le spade tutte le mattine – rispose timidamente mentre la donna gli
faceva segno di avvicinarsi al bancone.
- Vatti a fare un giro stamattina, ti do la giornata
libera – sorrise mentre il ragazzino annuiva. Posò sul banco il vassoio e,
liberatosi del grembiule uscì dalla porta. La donna guardò le scale e ghignò. E
così quel pirata conosceva il direttore dell’ Elisir... chissà se il vecchio generale sapeva che sua figlia stava
per sposarsi con un tizio con simili amicizie. Il fatto che avesse passato la
notte con quel pirata poi, avrebbe fatto venire qualche dubbio anche alla
persona meno maliziosa. Se erano amici, compagni, o qualcosa di più, non le
importava, però qualcosa le diceva che era quel biondino la causa
dell’atteggiamento strano di quel pirata. Un biondino interessante, l’aveva
capito dal primo giorno in cui era sbarcato su quell’isola, ormai circa qualche
anno fa. Aveva alloggiato presso la sua locanda per qualche giorno. Aveva un
aspetto alquanto malridotto, molto magro e soprattutto una spaventosa luce
spenta negli occhi. Portava sempre una mano fasciata e quando beveva il caffè o
mangiava qualcosa, faceva delle strane smorfie. Lei gli chiese se fosse un
cuoco o qualcosa del genere ma lui negò. La donna si ricordò poi di quando
salvò Keira da alcuni malviventi, e il generale, padre della ragazza, lo
ringraziò organizzando una grande festa nel suo hotel. Tutta la città fu
invitata, tutti volevano vedere il coraggioso ragazzo che aveva salvato la vita
alla bella Keira. Non passò molto che la gratitudine della ragazza si trasformò
in amore. Non era facile resistere alla galanteria di quel biondino, e la
locandiera lo sapeva bene. Era passato qualche anno e Sanji, sapeva il suo
nome, era cambiato. Forse per il suo lavoro, per la vita che ora faceva, per
Keira. Sembrava essere felice, ma non lo era. La luce spenta nei suoi occhi era
rimasta la stessa di quel giorno in cui lo vide entrare nella sua locanda. Solo
una volta, una sola volta lo vide sorridere davvero. Era una mattina d’estate e
sul giornale era riportata la notizia che Monkey D.
Rufy e la sua ciurma, avevano trovato il tanto agognato OnePiece. Il nuovo re dei pirati era stato eletto, e
questo aveva portato grande caos in tutto il mondo. Tutti sembravano agitati e
preoccupati; “Cosa accadrà ora?”, “Siamo in pericolo?” erano queste le domande
cheavevano affollato le strade per
giorni e giorni. Ma Sanji non diceva nulla, sul suo viso c’era solo un sorriso
mal celato e un luccichio nei suoi occhi. La bionda locandiera ricordò quando
lo incontrò per la spiaggia in quel periodo.
- Cappello di paglia ce l’ha fatta – esclamò e lui annuì.
- Era solo questione di tempo – fu l’unica cosa che disse.
Da allora poi era tornato il solito direttore dell’Elisir,
pieno di impegni, pieno di belle cose, pieno di vuoto negli occhi. Ma quella
sera, quando l’aveva visto entrare con il lungo cappotto senza neanche cercare
di nascondere la sua identità, aveva rivisto quel luccichio. L’aveva
riconosciuto subito, e quando gli aveva chiesto in che camera fosse quello
strano spadaccino aveva capito. Era un membro della ciurma di cappello di
paglia quel pirata, Roronoa Zoro. In qualche modo ancora poco chiaro, Sanji
aveva un legame profondo con quella ciurma, con quel pirata, con il re dei
pirati.
- Se non è un problema, posso pagare io la tua
permanenza qui – sospirò Sanji mentre spalle a Zoro si rivestiva. Lo spadaccino
ancora allungato nel letto, era coperto solo da un lenzuolo, mentre seguiva i
gesti del suo compagno.
- Lascia stare, non serve – mormorò. Sanji finì di
rivestirsi e si avvicinò alla porta. Non si voltò e impugnò la maniglia per
qualche secondo.
- Domenica mi sposo – Zoro guardò fuori dalla finestra
mentre ingoiò il nodo che gli si era formato alla gola. Perché doveva provare quella
sensazione, in fondo sapeva che ora la sua vita era cambiata, e che non si
poteva tornare indietro.
- Auguri allora – Sanji strinse più forte la
maniglia avvertendo l’istinto, anzi il bisogno di voltarsi e guardarlo. Se l’avesse
fatto non sarebbe più uscito da quella stanza, se l’avesse fatto tutto sarebbe
cambiato. Lui non gli avrebbe mai chiesto di non farlo. Zoro non era capace di
certe cose. L’aveva lasciato andare allora, e lo stava lasciando andare anche
adesso.
- Zoro – non si voltò e lo spadaccino continuò a
guardare la finestra
- Mi ha fatto piacere rivederti – non aspettò
nessuna risposta e uscì chiudendosi la porta.
Il cielo mattutino era più sereno di quello del giorno prima, eppure agli occhi
di Zoro appariva come se fosse imperversato da un tremendo nubifragio. Forse
era solo il suo cuore che lo era, piovevano lacrime, tuonavano urla. Tutto nel
silenzio, come ogni cosa che faceva parte della sua vita.
- Anche a me ha fatto piacere – sospirò nella stanza
vuota.
To Be Continued...
Non è facile tornare indietro, forse è impossibile, e questo
i nostri pirati lo sanno bene *^*.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e scusate se è così triste, ma
sono una dannata masochista XD
Graziea tutti
kiss kiss Chiara
Capitolo 6 *** Il mio cuore nel palmo della tua mano ***
Il
mio cuore nel palmo della tua mano
-
Ti sta d’incanto – esclamò la sarta mentre guardava soddisfatta il suo
capolavoro. Keira si guardò attraverso lo specchio girando su se stessa un paio
di volte.
-
Dici che a Sanji piacerà? – chiese alla donna. La sarta annuì aggiustandosi gli
occhiali sul naso. Poi le disse di stare ferma perché doveva sistemare l’orlo.
-
Sarebbe un pazzo se non gli piacesse – sospirò infilando l’ago nella bianca
stoffa. Gli occhi di Keira si specchiarono ancora nello specchio davanti a se,
mentre guardava il suo abito da sposa. Era bellissimo, semplice ed elegante
come amava essere lei. Dio, non vedeva l’ora di poterlo indossare davanti a
Sanji. Lui le avrebbe detto che era bellissima con quel suo sorriso così dolce,
e lei lo avrebbe baciato avvolgendogli le braccia al collo. Aveva sognato quel
giorno da così tanto tempo, che ora non credeva possibile che stesse per
arrivare.
-
Loren, secondo te... sarò una brava moglie? – chiese guardando la donna
inginocchiata che continuava a cucire. Loren alzò gli occhi facendo una piccola
smorfia.
-
Ti prego Keira, piantala una buona volta. Sarai una moglie fantastica, e anche
una madre fantastica – essere una madre... anche quello lo aveva sognato tanto.
Portare in grembo e poi cullare fra le braccia il frutto del loro amore... come
poteva essere così felice? La sua vita era perfetta, non avrebbe potuto
chiedere di meglio, ed era sicura che sarebbe stata sempre così. Sanji non
l’avrebbe mai fatta soffrire, perché lui l’amava più della sua vita. Anche se
non poteva fare a meno di pensare che in quei giorni era un po’ strano. Forse
era a causa del matrimonio, in fondo per quanto fosse un ragazzo sicuro di sé,
anche lui poteva provare ansia per quel giorno. Ma qualcosa nella sua testa le
stava dicendo che non era quello il motivo. Era assente, rimaneva sempre chiuso
nel suo ufficio sommerso da carte e vari documenti, e quando la sera tornava a
casa, non parlava mai se non fosse stata lei a chiedergli qualcosa. Non era mai
stato un tipo troppo loquace, ma a quei continui silenzi, non c’era abituata.
- Ehi a che pensi? – chiese Loren vedendo l’immagine persa nei suoi occhi.
Keira scosse la testa sorridendo.
-
A niente, solo non vedo l’ora che arrivi domenica – sospirò spostandosi una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non doveva farsi altre stupide
preoccupazioni, tutto sarebbe andato bene, non c’era nessuna ragione ad
impedire che fosse così, basta con i brutti pensieri, doveva solo farsi bella per
il suo ragazzo e organizzare un matrimonio da sogno. La sarta si alzò e le si
mise alle spalle.
-
Che ne dici se li alzi per la cerimonia? – sorrise mentre le sollevava i
capelli in una coda alta. Gli occhi di Keira si illuminarono.
-
Si, direi che così sono perfetti – si accorse di arrossire e iniziò a ridere
nervosamente come faceva ogni volta che era imbarazzata.
-
Sanji non sa quanto è fortunato – esclamò ancora la sarta accarezzandole le
spalle. La conosceva da quando era bambina, e mai l’aveva vista così felice come
da quando era entrato quel ragazzo nella sua vita. Non si era mai fidata
ciecamente di lui però, ma se Keira era contenta e serena, allora anche lei lo
era.
-
Bene, ora basta perdere tempo, togliti il vestito così finisco di cucirlo e domani
te lo riporto - C’erano ancora tanti preparativi da fare, ealla
cerimonia mancavano solo pochi giorni.
Sanji si tolse gli occhiali e si passò una mani
sugli occhi stanchi, avrebbe di certo dovuto fare una pausa, erano ore che
stava dietro quelle carte. Gettò le lenti sulla scrivania alzandosi dalla
poltrona. Quello che ci voleva era una boccata d’aria di mare. Adorava
passeggiare a piedi nudi sulla sabbia umida, lo riportava indietro nel tempo,
quando da bambino si divertiva a pescare i pesci con le mani. Mai che ne
beccasse uno poi...
Indossò la giaccia appesa all’attaccapanni, e uscì dallo
studio. Prima però dovette risolvere una piccola inerzia con un cliente.
Nonostante l’elevato status del locale, girava anche gente poco raccomandabile,
come in quel caso.
- Le chiedo di non alzare la voce – insistette il
biondo, ma l’uomo seduto al tavolo continuavaa fare di testa propria.
- Voi siete pazzi! Tutti questi Berry per una misera
porzione di sashimi? Siete dei ladri, ecco cosa siete! Ladri! – all’ennesimo
insulto, Sanji si avvicinò a muso duro al cliente.
- Stammi a sentire, ora ti siedi e mangi in
silenzio. Se solo provi a fiatare un’altra volta, ti prendo a calci in culo
finché non mi si spezza una gamba... ci siamo intesi – bisbigliò in modo da
essere udito solo dall’’uomo. Gli occhi del cliente si sgranarono mentre
piccole gocce di sudore andarono a ricoprire la sua fronte. Sembrava spaventato
da morire, ed erano bastate solo poche parole. Si sedette continuando a
guardare il direttore biondo che indietreggiò sorridendogli.
- Sono felice che abbia capito... le farò portare il
miglior sakè che abbiamo, per scusarci per il piccolo equivoco – l’uomo inghiottì
la sua agitazione mentre annuiva alle parole del biondo.
- Perfetto – e finalmente Sanji poté uscire da
quella piccola “prigione”.
Era grato al generale Edward, il padre di Keira, per
avergli concesso di lavorare per lui, non poteva chiedere di meglio di un posto
così prestigioso come quello, ma finire la sua vita dietro ad una scrivania non
era quello che aveva sognato. Ma ormai i suoi sogni li aveva dovuti abbandonare
da tempo. Li avevi lasciati sulla Sunny, insieme alla sua vita da pirata, e al
suo lavoro di cuoco.
L’aria calda della sera, gli concesse di poter
camminare senza indossare la giacca. Era bello sentire la brezza marina che
soffiava sul viso eattraverso la seta
della sua camicia celeste. Il mare era calmo, e aveva sulla sua superficie
piatta, le stesse sfumature del cielo al tramonto. Rossastro con pennellate di
viola e blu, che avrebbero finito con il coprire l’intero cielo quando sarebbe
giunta la notte. Scese per la scaletta di legno che portava alla spiaggia. Non
c’era nessuno a parte una coppia di anziani che stavano giocando a carte su uno
soglio. Nei suoi pensieri aveva sempre creduto che un giorno sarebbe finito
anche lui a giocare a carte sullo scoglio di qualche isola, magari con Usopp e
Nami,mentre una lo spennava e l’altro
litigava perché insinuava che lei imbrogliasse. Poi sarebbe intervenuto un
vecchio Franky a dire di fare meno casino, mentre Rufy se la rideva pescando
con Brook e Chopper. Robin avrebbe riso, con qualche ruga in più sul suo
splendido viso e Zoro... lui avrebbe scosso la testa pensando che nonostante
fossero invecchiati, erano rimasti gli stessi idioti di sempre. Un nodo gli
strinse la gola. Si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni poco sopra le
caviglie. Lasciò sia le scarpe che la giacca sulla ringhiera della scaletta,
mentre si avviava verso il bagnasciuga. Qualche gabbiano sfiorare con le sue
bianche ali la superficie dell’acqua, libero di volare e andare via. Ciò che
invece non poteva fare lui. Prese a passeggiare con le mani nelle tasche per la
sabbia bagnata, mentre le piccole onde si infrangevano sulle sue sottili
caviglie. Una carezza, quasi una dolce carezza che pareva volerlo rassicurare.
Era inutile fingere che quello che era successo con
Zoro non fosse niente. Era stato invece tutto. Era bastata qualche ora per far
sgretolare la sua vita. Quella vita che aveva costruito con tanti sacrifici,
giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, finché non era riuscito a trovare una
ragione diversa per vivere. Era Keira, era la vita che avrebbe diviso con lei.
Era qualcosa che ora sembrava così fragile, troppo fragile, e si era frantumata
con un solo sguardo. Con poche parole e pochi gesti, aveva capito che nel suo
cuore nulla era mutato. I suoi sentimenti, i suoi sogni, le sue speranze. Tutto
era rimasto solo fermo, fermo ad aspettare qualcuno che soffiasse via la
polvere per riportarli alla luce. E ora non sapeva cosa fare. Fra pochi giorni
si sarebbe sposato, avrebbe sigillato il legame con lei, e questo avrebbe
dovuto mettere la parola fine ad ogni altro pensiero, mettere la parola fine a
Zoro.
Sprofondò con le mani nelle tasche dei pantaloni
cercando una sigaretta. Si ricordava di averla portata con se. Sorrise quando
però si accorse di non aver preso neanche un fiammifero. La portò lo stesso
alle labbra, lasciandola spenta. Così come faceva parecchie volte, o meglio
aveva fatto.
- Buona sera direttore – alzò lo sguardo a quella
voce.
- Buona sera Giselle – la donna gli sorrise.
- Ti spiace se passeggio con te? – Sanji guardò per
qualche istante gli occhi incorniciati dal trucco pesante della donna e annuì
sorridendole. I due iniziarono a passeggiare in silenzio, lasciando che fosse
il mare a dar voce ai loro pensieri.
- Non sei più venuto a trovare il tuo amico – Sanji
non fermò i suoi passi stringendo forte fra i denti la sigaretta.
- Non avevamo altro da dirci – rispose. La donna
annuì mentre portava lo sguardo sull’acqua ora un po’ più scura.
- Non è più uscito dalla sua stanza, a parte per
mangiare... il ragazzo che gli porta la colazione dice che è sempre occupato a
fare esercizi – Sanji rise.
- Lui è fatto così... mi stupisce che non sia ancora
andato via – non voleva parlarne, o forse lo voleva, ma nessuno avrebbe potuto
capire ciò che aveva da dire, e forse nessuno avrebbe anche solo voluto
ascoltarlo. Ma Giselle era diversa, era stata la prima persona che l’aveva
accolto quando era arrivato in città. Gli aveva dato un tetto, da mangiare, e
anche un sostegno. In fondo era l’unica che forse sapesse chi era davvero.
- Il suo nome è Zoro vero? – Sanji annuì.
- E’ un ragazzo interessante – ghignò la donna
provocando un’altra risata del biondo direttore. Già Zoro era un tipo davvero
interessante. Anche se era sempre silenzioso e poco loquace, sapeva trasmettere
molto solo con la sua presenza. Era l’unica persona che conoscesse in grado di
farlo.
- Immagino che tu l’abbia invitato al matrimonio...
sbaglio? – i passi di Sanji si arrestarono mentre la sigaretta si tranciò fra i
denti. Giselle sapeva che era la cosa sbagliata da dire, ma era proprio per
questo che l’aveva fatto. Non erano fatti suoi in fondo, ma non riusciva a
capire perché quei due preferissero soffrire in quel modo, quando sarebbe bastato
davvero poco per essere un po’ più felici.
- Giselle...- la flebile voce di Sanji si perse
nella brezza della sera, mentre i capelli biondi della donna rimanevano
perfettamente immobili nonostante il vento.
- Non è poi così difficile figliolo... basterebbe
solo essere un po’ più sciocchi – sorrise la donna mentre gli occhi di Sanji la
guardavano silenti.
- Sciocchi dici? – lei annuì. Poi si voltò verso il
mare lasciando che le piccole onde bagnassero l’orlo della sua lunga gonna
rossa.
- Già sciocchi... non farsi troppe domande, troppi
problemi. Bisognerebbe vivere così, con la testa di uno sciocco, che sorride
sempre e che non ammette tristezza... non credi sarebbe più semplice la vita
così? – quelle parole disegnarono nella mente di Sanji il sorriso del suo
capitano. Rufy era sciocco, nel senso buono della parola. Era sciocco quando
mangiava, quando rideva, perfino quando parlava. Era uno sciocco che però non
aveva mai avuto paura di nulla , e mai si era tirato indietro davanti a qualche
ostacolo. Essere sciocchi significava anche essere più coraggiosi? Allora lui
non era mai stato così sciocco.
- Io amo Keira e voglio sposarla davvero... –
Giselle sorrise.
- Sanji ci sono tanti tipi di amore, ma solo uno è
quello che da senso ad ogni cosa... puoi amare mille persone in mille modi
diversi, ma solo una di queste riuscirà a stringere il tuo cuore nel palmo
della mano – Sanji rimase confuso da quell’ultima affermazione e Giselle
ridacchiò.
- E’ una vecchia leggenda... si dice che il cuore di
un uomo sia grande come il pugno della sua mano e quindi è impossibile
stringere un cuore senza romperlo – la bionda donna si avvicinò a Sanji e gli
prese la mano sinistra.
- Ma nel mondo c’è qualcuno che può farlo... l’unica
persona che puoi stringere il tuo cuore senza romperlo, ma facendolo battere
sempre più forte ... è quella la persona che dà senso alla tua vita, come tu
dai senso alla sua – lentamente Giselle piegò le dita di Sanji in un pugno e
poi gli sorrise.
- Forse sono solo dicerie di una vecchia, ma in
fondo ogni leggenda nasconde un po’ di verità, no – ridacchiando si allontanò
mentre Sanji continuava a fissare il suo pugno così debole.
Stringere il cuore di qualcuno nel palmo della
mano... era un qualcosa di assurdo, talmente assurdo che forse proprio per
questo pareva così dannatamente possibile. Pensò alla piccola mano di Keira,
forse davvero troppo piccola...
Qualcuno bussò alla porta e Zoro si alzò pigramente
dal pavimento sul quale era piegato per fare i suoi addominali, andando ad
aprire.
- Figliolo tutto bene? – chiese la bionda
locandiera. Zoro annuì.
- Sì mi sto allenando... non volevo fare troppo
rumore, mi scusi – mormorò. La donna scosse la testa mentre buttava un occhio
alla stanza. C’erano dei pesi a terra e qualche asciugamano buttata qui e lì sul
letto.
- Le serve altro? – Zoro si accorse degli occhi
curiosi della donna, e la cosa lo infastidiva. Odiava che qualcuno ficcasse il
naso nelle sue cose.
- No tranquillo, anzi ora devo anche andare a
cambiarmi che sono tutta fradicia – ridacchiando la donna mostrò al ragazzo
l’orlo zuppo di acqua della sua gonnae
Zoro alzò un sopracciglio. Cosa poteva importare a lui del fatto che si fosse
bagnata la sua gonna. Sorridendo la donna si allontanò dalla porta, ma mentre
il ragazzo stava per chiuderla lo chiamò.
- Sai che sulla spiaggia ho incontrato il tuo
amico– beh “il suo amico” era solo uno
in quel momento, e quella donna sapeva benissimo chi fosse.
- Bene – mormorò Zoro cercando di chiudere la porta
- Mi è sembrato triste – sospirò ancora la bionda.
Zoro ingoiò un grosso nodo che gli si era formato alla gola mentre chiudeva il
legno della porta. Triste... non era colpa sua se Sanji era triste. Era lui che
aveva deciso di andarsene, era lui che aveva mollato tutto per fare il damerino
ad un generale del cazzo e sposarsi sua figlia! Era stato lui che l’aveva
voluto, e non era colpa sua!
Continuò imperterrito a fare i suoi addominali
mentre sentiva il cuore battere sempre più forte, ma non era lo sforzo fisico,
non era nulla di tutto ciò. Era solo qualcosa che non gli era facile ammettere.
Era stato dannatamente bello averlo accanto quella notte. Era stato quasi un
sogno stringerlo fra le braccia e sentirlo respirare sul suo petto. In fondo
avrebbe potuto andarsene via da quell’isola in qualsiasi momento, eppure era
ancora lì...
Dio perché allora non l’aveva fermato? Era anche
riuscito a dirgli quello che provava e per qualche ora il tempo era tornato
indietro lasciandoli illudere che le cose potessero cambiare. Ma forse era
stato solo lui a illudersi. Sanji non ci aveva messo molto a sbattergli in
faccia la notizia del suo matrimonio. E ora che si aspettava da lui?
Si fermò con la nuca contro le assi del pavimento, a
fissare le travi del soffitto. Avrebbe preferito morire piuttosto che vederlo
sposarsi con quella lì. Ma che poteva fare lui? Lui che ci aveva impiegato tre
dannatissimi anni a dirgli che lo amava, lui che non era stato capace di dargli
altro che silenzi e frasi a metà, lui che quando Sanji aveva perso la
possibilità di cucinare, non aveva avuto neanche la capacità di dirgli che gli
dispiaceva, lui che quando era arrivato il momento di fermarlo, di non farlo
scendere dalla Sunny, aveva chiuso gli occhi incrociando le braccia sul petto e
l’aveva lasciato andare via... che poteva fare Zoro...
Si portò una mano sugli occhi quando li sentì
bruciare. La notte era giunta e nella piccola stanza illuminata dal bagliore
stanco di un lume, solo il rumore dei suoi singhiozzi, malamente celati.
To Be Continued...
Della serie “Tristezza a palate” XDDD... beh vi aveva avvisato che era una fic ad alto contenuto di lacrime ç__ç
Grazie per continuare ad apprezzare questa storia, che devo ammetterlo adoro
particolarmente ^^e non temete però, io
adoro i lieto fine ^-*
Kiss Kiss Chiara
Quanto
tempo era passato? Quante erano state le notti insonni che si erano susseguite
da allora? Due, tre, forse quattro... dio, perché era così difficile
ricordarle?! Si alzò dalla branda guardando fuori dalla finestra. Il cielo
sembrava più nero del solito, né una nuvola, né un gabbiano. Come se l’intera
città fosse stata inghiottita dalle tenebre.
Non lo aveva più visto. Era stato tutto il tempo chiuso in quella stanza. Non
lo aveva più cercato, eppure continuava a chiedersi quale insana forza gli
impedisse di andarsene via, di chiudere una volta per tutte quella pagina della
sua vita che tanto lo stava logorando.
-
Cazzo – si ritrovò a ringhiare fra i denti mentre con la testa fra le mani
cercava di dare un senso a tutto. Forse era davvero così masochista da voler
restare fino alla fine. Nella sua testa c’era l’assurda convinzione che solo
quando l’avesse visto lì davanti, vestito di tutto punto mentre l’aspettava,
solo quando l’avesse visto baciarle la mano avvolta in un guanto bianco, solo quando
le campane avessero suonato a festa sotto una pioggia di riso, solo allora
avrebbe potuto dirgli addio. Eppure qualcosa dentro non riusciva a smettere di
pulsare. Un desiderio, forse un assurdo sogno che stavolta non avrebbe trovato
una realizzazione.
Un
calore insopportabile iniziò a avvampargli il volto. Mise la testa sotto il
getto freddo dell’acqua ma fu tutto inutile. Il suo stesso petto stava andando
in fiamme e lui non riusciva a far nulla per impedirlo. Spalancò la finestra
venendo schiaffeggiando dalle raffiche violente che imperversavano nella notte.
Urlò, urlò più forte di quanto avesse mai fatto, più forte di quando credesse
di esserne capace. Urlò ancora e ancora, incurante delle luci della locanda che
si andavano accendendo, ignorando le grida e gli insulti che gli venivano
lanciati contro. Ancora il vento, ancora insulti. Quelle grida che forse aveva
celato per troppo tempo venivano gettate nell’aria gelida della notte come la
lava di un vulcano. Quel calore insopportabile andava via via
svanendo mentre la gola paradossalmente iniziava a bruciare. Perché si sentiva
così? Perché tutto ad un tratto era diventato difficile anche solo respirare?
Strinse forte con le dita il legno del davanzale, così forte che alcune schegge
gli si conficcarono sotto le unghie, ma non sentiva alcun dolore, come poteva
visto che una sofferenza più grande gli stava lacerando l’anima.
Il
vento soffiava forte facendo sbattere le mandate dell’imponente finestra. Sanji
si alzò dalla sua poltrona chiudendola nuovamente. Era davvero un tempo da
cani. Perfino le luci del porto parevano essersi offuscate, e il mare si era
unito alla pece del cielo dove la luna stessa era sprofondata. Un cattivo
presagio? No, lui non aveva mai creduto a queste stupidaggini. Sarebbe andato
tutto bene, il suo matrimonio sarebbe andato bene. L’avrebbe amata come
meritava di essere amata, e ogni giorno avrebbe ringraziato il cielo per averla
al suo fianco. Avrebbe sacrificato tutto per lei, anche la sua stessa anima per
non farle mancare il sorriso sulle labbra. La felicità di Keira veniva prima di
ogni cosa, e non si sarebbe mai perdonato di farla soffrire o deluderla. Mai,
mai più una donna avrebbe pianto per
lui. Era una promessa che si era fatto anni addietro, e riusciva a ricordare perfettamente quando. Quella
promessa era l’unica cosa che ancora sentiva di poter mantenere. Nella sua vita
aveva fallito in tutto, nel suo lavoro, nel suo sogno, nella sua stessa
felicità. Ma non avrebbe fatto nulla per infrangere quella permessa, non
avrebbe mai permesso a una sola lacrima di rigarle il viso, anche se lui ne avesse
versate mille e poi mille ancora.
Mentre
tornava alla sua poltrona una nuova folata di vento riaprì la finestra. Forte
come un soffio divino il vetro sbatté contro il muro e un vento possente lo
colpì. Si voltò verso la tempesta che imperversava all’esterno quando un
brivido gli percosse la schiena.
Un
grido. Come poteva averlo sentito? Si precipitò a guardar fuori. Nulla, solo i
rami e le insegne mosse dal vento. Non c’era nessuno per le strade e le case
erano chiuse. Eppure cos’era stato? Cos’era quel flebile brivido che gli aveva
fatto vibrare il cuore? Si portò una mano al petto, quella mano che tanto aveva
maledetto come per domare quel battito improvvisamente accelerato. No, non
poteva avere cedimenti proprio adesso, non la vigilia del suo matrimonio.
Lasciò lo studio velocemente incurante del vento che continuava a far sbattere
la finestra e che stava portando sulla sua scrivania una miriade di foglie
morte.
-
Signore, esce con questo tempo? – la voce di un giovinetto gli arrivò alle
orecchie. Neanche si preoccupò di rispondergli, aprì il grande portone e uscì
in strada. Quando la sua pallida pelle incontro la furia del vento si strinse
nel lungo cappotto senza perdere il ritmo dei suoi passi. Lunghi , veloci passi
che lo riportarono al molo, dove qualche giorno prima aveva incontrato Giselle.
Era difficile riuscire anche solo tenere gli occhi aperti con il vento che
tagliava neanche una lama affilata. E fu quel pensiero che lo fece bloccare,
che gli fece abbassare il capo e digrignare i denti. Il semplice pensiero di
una lama.
Stava cedendo, stava cedendo ancora una volta a quel desidero di fuggire, di
lasciare dietro i suoi pensieri, le sue sofferenze, e gli specchi che
riflettevano i suoi errori.
- Non ci provare, non te lo permetterò – gli aveva urlato tenendo le braccia spalancate
per impedirgli di passare. Lui aveva scosso la testa tenendo stretta fra i
denti la sua sigaretta.
- Piantala Rufy, ormai ho deciso –
sospirò senza lasciar trapelare alcun’emozione. D’un tratto la sua camicia
venne stretta nel pugno del suo capitano mentre veniva sbattuto contro la
parete di legno.
- Non ti lascerò andare. Mettitelo in
testa! Sei un mio compagno e io non ti voglio perdere – gli occhi sicuri e in
quel momento colmi di collera si specchiavano in quelli spenti del biondo.
Perché non capiva che per lui non c’era più posto su quella nave?
- Sanji-kun...- la voce di Nami vibrava
come poche volte l’aveva sentita. Il suo cuore si strinse in una morsa che
pareva volerlo uccidere. La stava facendo piangere, stava permettendo alle
lacrime di bagnarle il suo bel viso. Non riusciva neanche a guardarla.
Staccò le mani del suo capitano, quelle
mani forti alle quali in quel momento non accettava di aggrapparsi.
- Perdonatemi se potete – aveva
sussurrato appena saltando giù dalla Sunny. Le urla di Usopp e i pianti di
Chopper, neanche le suppliche di Robin e né quella di nessun altro riuscirono a
dissuaderlo. Ma forse l’unica voce che aveva bisogno di sentire in quel
momento, era l’unica che non riusciva ad udire. Se ne stava fermo, immobile,
con le palpebre serrate e il respiro regolare. Come se non fosse affar suo,
come aveva sempre fatto in fondo. Sanji lo guardò un’ ultima volta pregando che
riuscisse a sentire il suo cuore sussurrargli di girarsi, di guardarlo, di
impedirgli di andare via. Ma nulla. Come una roccia fredda e dura che rimane
indifferenze ad ogni onda che le arriva addosso, lasciando che si schianti e si
infranga sulla sua superficie impenetrabile senza alcun effetto apparente. Ma
ogni roccia ne rimane colpita, anche la più forte. Ogni roccia assorbe
l’effetto di ogni piccola onda, la sopporta, la resiste, l’assorbe, finché non
è ha abbastanza, finché le onde che le si sono abbattute contro non iniziano a
sgretolare la sua superficie, facendo cadere piccole polveri in mare. Uno, due,
poi un’altra onda e alla fine la stessa roccia è costretta a spaccarsi. Ma Zoro
non era neanche una rocca, era qualcosa di più duro, forse duro come la lama
delle sue stesse spade che scalfivano tutto , ma non venivano mai scalfite.
Rimanevano affilate, nonostante il numero di gole e di cuori che andavano a infrangere,
pulite e lucide, nonostante il sangue che le sporcava di continuo.
E così andò via.
Quel giorno il sole era abbagliante,
come se stesse anche lui chiedendogli di non abbandonarlo, di restare a
guardarlo e lasciare che facesse splendere i suoi capelli dorati, così come quel
mare calmo che gli sussurrava con il suo suono malinconico di non lasciarlo
solo, che il suo sogno lo stava ancora aspettando. Ma aveva voltato le spalle a
tutto, non poteva fare altro che fuggire via, via dalla sua sconfitta con la
speranza di riuscire a sopportarla senza più quella sofferenza che gli annegava
il cuore. Non si voltò più indietro, finché le urla di Usopp non scomparvero e
finché le lacrime di Nami non si fossero asciugate. Era stata la decisione più dura che
avesse mai preso. Aveva detto addio a tutto, al suo sogno, alla sua famiglia,
alla sua stessa vita.
Iniziò
ad inebriarsi del sapore amarognolo della sigaretta. Era riuscito ad accenderla
nonostante il vento, e nonostante la sua mano. Era stato forse un piccolo
regalo da parte del cielo, o forse solo un modo per beffarsi di lui, ancora una
volta. La bufera pareva essersi calmata, come se si fosse improvvisamente
accorta che c’era qualcosa che lo stava scuotendo anche più ferocemente delle
sue raffiche di vento. Si poggiò contro la staccionata di legno e sospirò. Quella
volta non sarebbe scappato, se l’era ripromesso. Era la sua seconda vita e non
le avrebbe detto addio. Le strade vuote e desolate come giusto che fossero in
quel momento, a notte inoltrata con una tempesta in corso. Chissà se domani ci
sarebbe stato il sole. Keira amava il sole anche se aveva sempre voluto
sposarsi con la pioggia. Era più romantica, diceva. Sanji sorrise a quel
pensiero. Alzò il capo verso l’oscurità che governava il cielo, pregando le
nuvole di comparire dalle tenebre che le avevano inghiottite e di bagnarlo.
Chiuse gli occhi facendo salire al cielo il fumo della sigaretta e la sua
preghiera, sperando di essere udito, almeno quella volta. Il vento riprese a
soffiare e lui riaprì gli occhi. Sarebbe stato esaudito?
Afferrò la cicca fra le dita e la guardò un’ ultima volta prima di spegnerla
sulla balaustra. Si fece una promessa: sarebbe stata l’ultima. Non avrebbe più
fumato e avrebbe così evitato di mentirle. Era il suo pegno d’amore. Poggiò il
pacchetto che aveva nella tasca sul legno della ringhiera e decise di affidare
al vento la sua sorte. Come le dita abbandonarono la presa, lo vide volare giù
e cadere sulla sabbia, poi iniziò a rotolare. Chissà dove sarebbe arrivato. Lo
guardò allontanarsi e poi si strinse ancora nel suo cappotto. Doveva tornare a
casa, era la vigilia del suo matrimonio e il suo posto era lì.
- Non
ce l’ho con te, solo evita di metterti ad urlare e svegliare tutti – sorrise
Giselle davanti alla porta semi aperta. La testa verde avvolta dal buio che
invadeva la stanza annuì lentamente.
-
Scusi – sospirò poi. La donna sentì il cuore restringersi all’espressione sul
viso di quel giovane. Ma dannazione, perché ridursi in quello stato? No, non
erano affari suoi, ma doveva fare qualcosa.
-
Vieni con me – esclamò sicura afferrando il polso del ragazzo. Due passi. Solo
quello gli fu concesso prima di essere costretta ad arrestarsi perché sembrava
stesse trasportando del piombo.
-
Che diavolo vuole da me? – ringhiò Zoro staccandosi senza mezzi termini da
quella presa indesiderata. Era stanco, stanco e distrutto e senza alcuna voglia
di stare dietro alle pazzie di quella vecchia. Giselle si voltò sospirando. Beh
lui era un po’ più difficile da trattate dell’altro, anzi un bel po’ di più. Ma voleva rivedere quella luce negli
occhi di Sanji, come voleva rivedere la determinazione in quelli dello strano
pirata. Cosa importava a lei della felicità di due perfetti sconosciuti? Nulla, ma forse era l’età che la stava
portando ad una lenta e irrefrenabile pazzia senile, o forse quella vena di
romanticismo che le aveva sempre bagnato l’anima, o sarà stato quell’affetto che
le era mancato sempre, l’affetto di una madre che l’aveva abbandonata e di un
padre sempre assente, l’affetto di un marito violento e di un figlio che non
era mai arrivato. Forse era solo per quell’amore che in tutta la sua vita aveva
sempre così disperatamente cercato e che le era sempre stato negato, che ora
voleva riuscire a regalare a quei due perfetti
sconosciuti la felicità che era davanti a loro, ma che sembravano non
vedere.
-
Mi spiace dirtelo figliolo, ma sei un codardo – una frase diretta, schietta,
senza cedimenti uscì dalle labbra incorniciate dal rosso di un rossetto della
donna.
-
Come? – Zoro guardò con sguardo truce la bionda davanti a lui. La sua
espressione sicura quella strafottenza che non si poteva permettere.
- Ho detto che sei un codardo. Cos’è hai l’udito difettoso per caso? -un freddo colpì violentemente il collo rugoso
di Giselle, ma lei si accorse solo dopo della presenza di una lama alla sua
gola.
-
E così che risolvi le cose tu? – aveva chiesto come se non fosse tenuta sotto
la minaccia di un’arma così pericolosa, ancor più se a tenerne l’impugnatura
era Roronoa Zoro. Il ragazzo inghiottì non aspettandosi una simile freddezza.
Ma che diavolo voleva da lui? Prima si impicciava di fatti che non le
appartavano, e ora si metteva a sputare sentenze e giudizi. Lui codardo? Non
sapeva di cosa stesse parlando. Non sapeva nulla di lui, della sua vita,né
dell’angoscia che era costretto ad affrontare giorno dopo giorno.
-
Che cosa vuoi da me? – sibilò il giovane fra i denti. La bionda sorrise. Un
sorriso materno? Zoro non sapeva definirlo, infondo di materno non conosceva
nulla.
-
Figliuolo, metti via questa cosa e scendi a bere qualcosa. Ti preparo un po’ di
te – la donna si voltò e si avviò per le scale che scendevano in cucina. Zoro
vide la lunga gonna sparire dietro l’angolo e abbassò la sua katana insieme al
capo. Si lasciò cadere con le spalle contro il muro.
Era
possibile che un cuore umano potesse sopportare quel dolore? Era come chiedere
ad una foglia di reggere il corso di un fiume. Si rannicchiò come un bambino
stringendosi le ginocchia con le braccia. Era così che si sentiva. In tutta la
sua vita, fin da quanto si allenava con Kuina, a quando aveva tagliato il collo
di Mihawk, in ogni sfida, aveva affrontato tutto come un uomo, e ora era lì
come un ragazzino impaurito.
-
Sapevo che non saresti sceso – alzò la testa a quelle parole incrociando lo
sguardo di Giselle attraverso il fumo che saliva da una tazza calda.
-
Avanti prendi – la donna si sedette di fronte, sulle assi ammaccate e
scricchiolanti del pavimento e gli allungò la tazza. La mano di Zoro l’afferrò
e la strinse incurante del calore che gli bruciava nel palmo.
-
Non è ancora finita – gli occhi neri del pirata si posarono sulle labbra rosse
della donna per poi tornare ad osservare la tazza.
-
Ha fatto la sua scelta – perché le stava rispondendo? Perché stava aprendo il
suo cuore con quella donna? Si odiò un po’ per questo, ma tutto quell’odio
ormai non faceva altro che ribollirgli dentro e disperdersi nelle sue vene,
attraverso ogni fibra del suo corpo per poi sciogliersi nella sua stessa anima.
- E
tu, hai fatto la tua? – gli chiese Giselle sorridendo. Zoro la guardò di
sfuggita ma non riusciva a permettere ai suoi occhi di lasciare il bordo
fumante della tazza
-
Che vuoi dire? – ormai non aveva nulla da perdere. Se ne sarebbe andato via
l’indomani, avrebbe detto addio a quel posto e a quella donna e mai ci avrebbe
messo più piede. Quella domanda sarebbe morta lì, con la notte, con la tempesta
che faceva sbattere le finestre e nulla sarebbe cambiato.
-
Ah figlio mio, non ti hanno mai detto che bisogna essere egoisti nella vita? –
un sorriso increspò le labbra della donna.
Essere
egoisti... un sapore amaro salì dallo stomaco del giovane. Era stato proprio
per il suo egoismo se ora era in quello stato, se aveva allontanato e perduto
l’amore della sua vita. E ora quella lì gli diceva di essere egoista?
- Grazie
ma non credo siano affari tuoi – come svegliatosi da un incantesimo, Zoro si
alzò abbandonando a terra la tazza fumante e intatta, e lasciando che lo
sguardo di Giselle si perdesse sulla sua schiena. Si avviò verso la sua camera
deciso a non sentire più nulla della baggianate di quella vecchia.
-
Se lo vuoi, riprenditelo – si bloccò a quelle parole.
Giselle
si alzò e raccolse la tazza di tè
-
Se lo vuoi, riprenditelo – ripeté stavolta con un sorriso prima di sparire di
nuovo.
Zoro
rimase immobile sulla soglia della porta. Era questa la soluzione ai suoi
problemi? Andare lì riempirlo di pugni, caricarselo sulle spalle e portarlo
via? Questo avrebbe risolto tutto? Avrebbe sciolto quel nodo che gli legava il
cuore e l’avrebbe lasciato finalmente respirare?
Risentì
il suo profumo solleticargli le narici e le dita strinsero l’aria come fossero
i fili dorati dei suoi capelli. Riprenderselo.. ma quanto era stato davvero
suo? Non aveva mai avvertito quel sentimento che ti tiene legato a qualcuno,
quella sensazione di appartenenza. Come poteva quindi riprendersi qualcosa che
non gli era mai appartenuta. Eppure quella notte, quando l’aveva stretto fra le
braccia l’aveva sentito, aveva sentito che il suo cuore gli apparteneva, e
allora perché l’aveva lasciato andare via, ancora una volta... Erano troppo
tempo che il suo cervello si contorceva sulla stessa domanda e ancora non era
riuscito a darle una risposta che non fosse la sua codardia.
“Riprenditelo”...a quella parola il suo cuore saltò un
battito.
To Be Continued...
Penultimo
capitolo di questa fic. Spero vi faccia piacere che
sia ritornata ^-*
Kiss Kiss Chiara
La
tempesta che aveva imperversato per tutta la notte, sembrava essersi arrestata
con l’arrivo dell’alba. Il sole ancora pallido si specchiava sulle acque
tranquille che lievemente dondolavano la piccola imbarcazione. Il vecchio pescatore
soffiò un po’ di fumo dalla sua pipa ghignando sotto la folta barba bianca e
facendo tintinnare le monete nella sua mano, un bel po’ di monete. Guardò il
cielo chiedendosi se avesse retto qualche ora, ma quelle nuvole cariche di
pioggia che si stavano avvicinando da est non erano certo un buon segno.
Ricontrollò le monete prima di mettersele nella tasca dei suoi calzoni usurati
ripensando alle parole di quel giovane
- A che ora vuoi levare l'ancora? – gli aveva chiesto. Lui non aveva detto
nulla, aveva sorriso deciso sotto la bandana che aveva legato alla nuca e aveva
ridacchiato beffardo
-
Te ne accorgerai da solo, resta qui e tieniti pronto a salpare – fu la sua
risposta prima di sparire per le vie della città.
Bert era uomo di mondo e sapeva quando non era il caso di
fare domande. Quel ragazzo gli aveva solo chiesto se potesse dargli un
passaggio e poi aveva pagato in anticipo. Questo bastava, anche se il vecchio lupo
di mare dopo una vita passata a solcare gli oceani, sapeva riconoscere la puzza
di pirati da miglia di distanza, e quel giovane non era certo un pesce piccolo.
Sistemò le vele e le funi e si sedette sul bordo della barca. Il fumo bigio
continuava a salire dall’alto e anche se sembrava essere tornato il sereno,
quelle nuvole e soprattutto quel ragazzo, non promettevano nulla di buono.
Il
campanile della piazza rintoccava lento. Uno, due, tre, fino ad arrivare a sette
lunghi rintocchi che segnavano l’inizio di quella nuova giornata. La città era
silenziosa, falsamente silenziosa perché in realtà ogni casa stava ribollendo
di curiosità. Era giunto, il giorno che quasi tutti avevo atteso era giunto.
Era l’evento dell’anno, ma sicuramente sarebbe stato “L’evento” anche per gli
anni a venire. Il generale Edward era un eroe, uno di quelli che sembrano solo
leggenda. Aveva acciuffato criminali di ogni tipo, aveva comandato flotte e
flotte senza mai un minimo di esitazione, ma non era questo ciò che faceva di
lui un grande uomo. Era uno pulito. La
Marina invece si era rivelata qualcosa di sporco, qualcosa che nascondeva
crimini peggiori di quelli che si impegnava a combattere, e Edward era forse
uno dei pochi che erano rimasti integri, che non si erano lasciati sporcare.
Era andato in pensione, o meglio era stato costretto ad andarci, ma lui non
aveva avuto nulla di ridire. Aveva ringraziato per quella medaglia ed era
tornato nella sua cittadina natale, era rimasto lo stesso uomo di sempre, mai
una parola storta contro chi aveva servito per anni. Una mosca bianca che tutti
ammiravano e rispettavano. Il generale Edward era quello che si definisce un
bravo uomo e sua figlia Keira era anche lei una brava ragazza. Come si poteva
quindi restare indifferenti al matrimonio di quella giovane, figlia di un tale
grande uomo? Tutti erano curiosi, eccitati, ma c’era anche chi aveva storto il
naso. Lo sposo era un tipo di cui si sapeva poco, che era apparso così
all’improvvisoin quella cittadina,
senza un motivo, senza un passato. Ma se il generale Edward si fidava di lui,
allora tutti si potevano fidare, perché Edward era uno pulito.
-
Allora piccola come ti senti? – chiese sorridendo sotto i suoi grossi baffi grigi.
Keira rise nervosamente e strinse forte le mani del padre.
-
Papà sono agitatissima. Ho il cuore che sta per scoppiarmi – ridacchiò sempre
più agitata. Aveva atteso quel momento così a lungo che ora pareva quasi un
sogno. Tutto era surreale, a tratti intangibile, come fosse solo sospeso in
aria. I fiori che addobbavano la camera, l’odore del suo profumo alla lavanda,
le luci chiare del mattino. Era tutto così perfetto, quasi troppo perfetto per
essere reale. Il padre le accarezzò una guancia e le posò un bacio sulla nuca.
-
Sii felice figlia mia – Keira si morse un labbro senza riuscire però a
trattenere una lacrima che il generale asciugò con le sue grandi dita
-
Ehi così farai piangere anche me – la voce un po’ scossa, perché sua figlia era
tutta la sua vita. Ancora non sapeva perché si era fidato, ma quel ragazzo
sembrava sincero, seppure il suo fosse un passato per lo più buio, costellato
di segreti e verità mai dette. Si era fidato della sua gentilezza, del modo in
cui la trattava, come una principessa. Era così, per lui. Per il vecchio
generale, Keira era una principessa che non avrebbe dovuto fare altro nella sua
vita se non essere felice.Qualche voce
gli aveva suggerito di non fidarsi, di fare attenzione, gli aveva consigliato
di indagare, e lui l’aveva fatto. Niente, non era mai riuscito a trovare nulla
su quel giovane, sembrava non essere mai esistito, e tutte le volte che l’aveva
messo al muro chiedendogli di raccontare tutto, di dirgli chi fosse in realtà,
lui aveva abbassato il capo e aveva scosso la testa. “Sono solo Sanji “
rispondeva ogni volta. Ma non era così, non era solo Sanji, era il ragazzo che
aveva salvato sua figlia da quei malviventi, che l’aveva protetta a costo della
sua stessa vita, e questo gli bastava. No, non era solo Sanji, era anche l’uomo
che avrebbe saputo rendere felice la sua piccola principessa.
-
Scusi generale, ma ora dovrebbe prepararsi – la servile voce della cameriera
fece muovere l’uomo che abbracciata la figlia si diresse nelle sue camere. Il
lumacofono squillò mentre percorreva il corridoio.
- Qui siamo ponti, generale – dall’altro capo un soldato, uno dei tanti sparsi
per la villa.
- Bene, tenete gli occhi aperti, e per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi-
tutto doveva essere perfetto, non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quel
giorno così importante.
Nella
vecchia cucina illuminata solo da una piccola luce appesa al soffitto, l’odore
di caffè e di dolce si sperdeva solleticando l’acquolina del piccolo aiutante
- Non fare strani pensieri Bip, questa roba è per i
clienti - Gli occhi del ragazzino si soffermarono delusi sull’enorme piatto di
frittelle che sostava sul tavolo.
- Ma Giselle, solo una, ti prego – la donna cercò di mantenere il suo
atteggiamento ferreo e irreprensibile, ma quegli occhi da cucciolo furono
fatali.
- Va bene, ma solo una – sorrise allungando al ragazzino una frittella che il
piccolo aiutante addentò con foga
- Potresti almeno ringraziare – brontolò la bionda ricevendo come risposta un grazie impastato fra i denti di Bip. Scosse la testa accarezzandogli il capo. Quel mocciosetto era capace di strappare un sorriso anche
all’uomo più serio della terra. Lo chiamavano Bip
perché era un nome buffo, perfetto per quel faccino da furbetto con quegli
occhioni nocciola.
- Giselle, dici che il pirata dai capelli verdi ce la farà? – fra un morso e
l’altro il piccolo aiutante cercò di porre quella domanda senza strozzarsi.
Giselle alzò un sopracciglio avvicinandosi al viso pasticciato di cibo del
piccolo.
- Tu che dici? – quella mattina l’aveva mandato a portare la colazione al
pirata perché era certa che non sarebbe sceso, ma Bip
era tornato poco dopo in cucina con il piatto intero, dicendo che quel tipo non
aveva voluto mangiare niente. Diceva che non aveva fame, che aveva una
questione importante da risolvere
-
Io credo di sì. Ha delle spade enormi – le braccia del piccolo si allargarono
finché poterono facendo ridere la vecchia Giselle. Sì, erano delle grandi spade
pesanti, ma per quello che doveva fare serviva qualcosa di più piccolo, più
piccolo e molto più caldo. A volte non serviva alcuna arma per vincere una
guerra.
-
Noi tifiamo per lui. Giusto? – Bip annuì mandando giù
l’ultimo pezzo di dolce. Si leccò poi le dita finché non ci fu neanche più una
briciola a ricoprirle. Giselle gli accarezzò nuovamente la nuca sorridendo. Era
sicura che ce l’avrebbe fatta, doveva farcela. Era un po’ una specie di
riscatto per lei, un riscatto per tutte le sofferenze che aveva dovuto subire.
Così come ci si sente liberi guardando il volo di un uccello, così come si
prova quel senso di libertà attraverso le ali di qualcun altro, così lei sarebbe
stata felice, attraverso la felicità di quei due giovani pirati.
-
Ora basta Bip, o ti mangerai anche le unghie – il
piccolo sorrise facendo scivolare via dalle labbra l’ultimo dito.
-
Me ne dai un’altra? – la donna sospirò
-
Va bene, ma solo una – la felicità in fondo non era poi così lontana.
Il
nastro di raso scivolava fra le sue dita. Lo lisciò e poi lo strinse finché non
ne uscì fuori un piccolo fiocco giallo. Prese un lungo respiro mentre fissava
l’immagine riflessa alla specchio. Inghiottì respirando ancora una volta. Non
stava sbagliando, non era un errore, era la cosa giusta. Sistemò ancora la coda
dei capelli legata con un elastico bianco, così come il suo smoking, la camicia
anch’essa pallida spezzata solo da quel piccolo papillon giallo. Il solito
guanto alla mano, quella dannata mano, e nel taschino della giacca un piccolo
fiore color del sole. Come piaceva a lei. Era perfetto, così come Keira aveva
sempre voluto vederlo. Si sforzò di sorridere ma quel sorriso spento nello
specchio non gli procurò altro che una forte stretta allo stomaco. Abbassò il
capo stringendo forte i denti. Era la cosa giusta, non doveva tentennare o
avrebbe fallito.
Fallito nuovamente.
Nella stanza risuonava il rumore degli stivali dei soldati che marciavano in
giardino. Una miriade di soldati che rendeva il tutto ancora più difficile,
quasi claustrofobico. Sentiva come se la sua gola si fosse rimpicciolita, fosse
diventata troppo piccola per far passare l’aria. Decise così di allentare
ancora quel papillon.
“Non ti lascerò andare. Mettitelo in testa!
Sei un mio compagno e io non ti voglio perdere” ... I ricordi affollarono la sua mente velocemente e in modo caotico.
“ Sarò il Re dei Pirati”....
Perché
tutto ad un tratto non vedeva davanti a se nulla che non fosse un buco nero?
“Coraggio Sanji, ci siamo quasi”...
In
bilico, come in un sogno, un incubo in cui non riesci a parlare e hai le gambe
paralizzate. Vedi il mondo girarti intorno e tu non riesci a fare nulla se non
restare fermo a soffocare
“ Sanji-kun mi daresti una mano a portare queste buste?”...
I
giorni che erano passati velocemente, troppo velocemente ma non abbastanza da
sparire, da essere dimenticati, da perdersi in qualche parte del suo cervello e
ammuffire senza recar danno.
“Vuoi essere il cuoco della mia nave?”
Un
altro respiro allargò i suoi polmoni e decise di dire basta a tutto. Non era
più il tempo dei dubbi, delle domande, non poteva permettere ad alcun pensiero
di portarlo in qualche posto che non fosse quella casa, quella giornata, che
non fosse la sua futura moglie.
Avrebbe voluto avere una sigaretta da fumare, ma non poteva, aveva promesso.
Chiuse gli occhi per rilassarsi e scacciar via tutto, voleva essere sereno e
affrontare quell’evento come avrebbe dovuto. Con la felicità di chi sta per
unire la sua vita a quella della persona che ama, come chi sta per compiere il
passo finale verso una nuova esistenza.
Riaprì gli occhi sentendosi un po’ più sollevato, con una piuma in meno sulle
spalle.
Poi una scossa, forte e rumorosa fece vibrare le pareti della stanza. Non ebbe
neanche il tempo per chiedersi cosa fosse che ne arrivò un’altra e quasi perse
l’equilibrio. Che diavolo stava succedendo?
Si
catapultò alla finestra e sgranò gli occhi. Una gigantesca nube di polvere
avvolgeva l’aria. Urla e grida. Si voltò poi verso la porta quando la sentì
aprire di scatto.
- Signore, tutto bene? – si sentì chiedere da un giovane marine.
- Ma che diamine succede?- chiese annullando la domanda che gli era stata
appena rivolta, ma il soldato non ebbe il tempo di dire nulla che fu raggiunto
da altri tre marines.
-
Andiamo, è in giardino! – Sanji li vide correre via e li seguì in corridoio.
Poi un flash: Keira!
Corse come il vento verso la sua stanza e la spalancò. Non poteva permetterle
che le succedesse qualcosa.
-
Keira! - Chiamò a gran voce ma non sentì risposta. Cercò con gli occhi nella
stanza e la chiamò ancora. Dopo qualche eterno attimo vide una figura avvolta
in seta uscire da una stanza accompagnata da due uomini in divisa.
- Sanji - le corse incontro e l’abbraccio. Le chiese come stava, le accarezzò
il viso e l’abbracciò di nuovo.
- Qualcuno è entrato nella villa – una voce si udì alle spalle.
- Qualcuno? – chiese, ma bastò poco che un alone di agitazione invadesse il suo
corpo. No, non poteva essere. Non avrebbe mai osato farlo. Quel maledetto
idiota avrebbe dovuto morire prima di poter compiere un simile gesto.
- Si sa chi è? – chiese serio tendendo stretta fra le bracca la ragazza. Il marine
si avvicinò di qualche passo.
- Sì, è il pirata Roronoa Zoro, vicecapitano del Re dei pirati – inghiottì abbassando
il capo. Un vortice nero si aprì sotto i suoi piedi e quasi si sentì trascinare
via. Maledetto bastardo...
- E’ un uomo pericoloso, state qui e non vi succederà nulla. Il generale ha
detto ....- un nuovo boato interruppe le parole del soldato mentre Sanji sostenne
Keira.
Era andato lì, era entrato in quella casa il giorno del suo matrimonio, stava
rovinando il giorno più bello di Keira e osava pretendere di restare vivo?
- Portatemi da lui – fece qualche passo ma la piccola mano della ragazza lo
afferrò ad un polso.
- Dove vuoi andare Sanji, resta qui... è pericoloso – si perse in quello
sguardo di paura, nel terrore e nella preoccupazione che le ricoprivano il
viso. Si perse in quell’ amore così forte che sentiva di non meritare.
- La signorina Keira ha ragione, resti qui, andiamo noi – i tre uomini uscirono
velocemente dalla stanza e si unirono al rumoroso suono di passi che percorreva
il corridoio.
-
Keira – quasi furono sussurrate quelle brevi sillabe. Le strinse la mano
spostando lo sguardo al pavimento
- Non avrei dovuto vederti ancora... così ho rotto la tradizione – sospirò
sorridendo amaramente. La giovane guardò quelle labbra piegarsi in modo
innaturale.
- Che sta succedendo Sanji? Chi è quest’uomo? – non poteva incrociare i suoi
occhi verdi. Non poteva volontariamente mentirle ancora. Si sentiva bruciare
dentro, si era ripromesso di non farla soffrire mai e invece... invece sapeva
che non poteva più mantenere fede a quel giuramento. Avrebbe dovuto capirlo
quando l’aveva visto al ristorante, quando era andato da lui e aveva lasciato
che il desiderio e i ricordi lo trasportassero via. Quando lo aveva sentito
pronunciare quelle parole e aveva pianto come una ragazzina... avrebbe dovuto
capire che Keira ne avrebbe sofferto.
- Lui è... – non riusciva a staccare lo sguardo dal pavimento, ma quando una
piccola mano lo raggiunse al viso fu costretto a farlo.
- Dimmi la verità... – come poteva farlo?
- E’ il ragazzo dai capelli verdi che era nel tuo studio giorni fa? – dovette
ingoiare un rovo di spine ma non riuscì a dire nulla. La guardava silente negli
occhi e capì che nessuna delle sue maschere avrebbe più retto.
- Si – ammise. Dall’esterno si udivano rumori di lotta e caotiche grida, ma
nella stanza regnava il silenzio più assordante. Keira lasciò il viso di Sanji
e il suo polso.
-
Se è un tuo amico perché sta facendo questo? – la risposta fu immediata
- Lui non è un mio amico! Non siamo mai stati amici! Noi... – ferme e fredde
quelle parole uscirono dalla sua bocca per poi spegnersi, mentre pregava che
quelle iridi verdi non capissero. Pregava che Keira dimenticasse di averlo
incontrato, di averlo amato, di essersi fidata di lui. Di aver sbagliato a
credere nel suo affetto.
- Voi allora.. eravate... – lo sguardo della giovane cadde sull’abito bianco
che indossava Sanji.
- Perché non mi stai dicendo la verità? – ora di nuovo occhi negli occhi mentre
calde lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
No, no, no, no!!! Non poteva riaccadere!
Non ebbe il coraggio di avvicinarsi, di stringerla fra le braccia e... e
mentirle, dicendo che tutto sarebbe andato bene.
- Noi eravamo nella stessa ciurma – almeno quella era una verità, ma pesava
come una sporca menzogna.
Keira si asciugò le lacrime con la mano e singhiozzando fece qualche passo
verso di lui.
- Eri nella ciurma di cappello di paglia? – chiese dolcemente. Il biondo annuì
e si sentì afferrare nuovamente la mani. Le sentì strette fra le sue e vide un
lieve sorriso disegnarsi sulle labbra rosse.
- O Sanji, va bene... allora vorrà dire che diremo a papà che lui è...- non
riuscì a reggere ancora il suo sguardo. La tirò a sé e la strinse forte.
Aveva perso ancora, stava perdendo nuovamente e stavolta non avrebbe sopportato
di guardarsi più in faccia.
- Perdonami Keira...- la ragazza sentì i suoi singhiozzi e non poté che
riprendere a piangere.
-
Perdonami – quei due pianti si persero l’uno nell’altro. Nella stanza una danza
di lacrime si librava nell’aria e nessuno dei due aveva la forza di smettere.
Keira sprofondò il viso nel suo petto credendo così di assordare il suo pianto,
la tristezza che si stava facendo così velocemente spazio nel suo cuore. La
felicità...
Era
una cosa davvero effimera....
L’ultimo fendente vibrò nell’aria. Zoro si guardò attorno. Non c’era più un
solo marines nel raggio di decine di metri. Rifoderò la katana e si sciolse la
bandana dal capo legandola al braccio.
Era deciso, non sarebbe più tornato indietro.
Fece qualche passo in direzione del portone quando udì un ringhio soffocato
alle sue spalle. Si voltò: un uomosi
stava alzando a fatica facendo appoggio su una katana. Si mise in piedi affannando
mentre un rivolo di sangue gli scivolava dalla fronte.
-
Non ti permetterò di fare del male a mia figlia – annaspò. Il pirata guardò
l’uomo negli occhi e si avvicinò lentamente.
- Tua figlia non la toccherò. Voglio solo il cuoco – l’anziano marine
respirando ancora a fatica si mosse verso il fuorilegge. Il cuoco... non
riusciva a capire. Perché un pirata del calibro di Roronoa era piombato nella
sia isola, nella sua città, nella sua casa? In cerca di chi?...
Spalancò gli occhi quando fu così palese il tutto
- Sanji...- sospirò incredulo. Vide conferma nel silenzio che circondava il
giovane e si sentì così responsabile di tutto.
- Maledetto – ringhiò sotto i grigi baffi. Come aveva potuto permettere che
accadesse? Come poteva un marine come lui non accorgersi del serpente che si
era insinuato nella sua vita, nella vita di sua figlia...
- Lui era il cuoco... il cuoco di cappello di paglia? – non servì una risposta
alla sua domanda.
- Mi prendo il cuoco e me ne vado. Se non vi foste messi in mezzo non sarebbe
successo nulla – L’uomo non riuscì a credere a ciò che stava accadendo. Il
pirata si mise un braccio del militare attorno al collo e lo trasportò fin
sotto un albero, dove lo lasciò sedere.
- Non volevo creare tutto questo casino – sentì ancora dalle sue labbra. Sembravano
fredde scuse, un cortese mi dispiace
che aveva un sapore fin troppo amaro.
Strinse forte la katana, non per usarla, non avrebbe avuto una sola
possibilità, ma solo per scaricare tutta la rabbia che sentiva crescere nel
cuore.
- Portalo via... Portalo lontano da mia figlia – bofonchiò con collera. Il
giovane si alzò e si diresse verso la casa ma dovette arrestarsi dopo qualche
passo.
Una figura si stagliava in cima al gradini di marmo per metà distrutti. Una
figura bianca che lo puntava con un indice. Una sagoma che trasudava rabbia e
rancore.
- Tu! Maledetto spadaccino! - la coda bionda si muoveva scossa dal venti mentre
i denti erano digrignati con forza.
- Ti ammazzerò con le mie stesse mani – a quelle parole un sorriso increspò le
labbra di Zoro.
- Fatti sotto... e preparati a perdere -
To Be Continued...
Ebbene sì, dopo
ben 2 anni... questa fic sta per avere una fine....
Kiss kiss Chiara
Capitolo 9 *** La forza di una rosa nella neve ***
Laforza di una rosa nella neve
Le lacrime le rigavano il volto mentre
quelle mani la tenevano ferma contro il muro.
- Avanti dacci tutto quello che hai, dolcezza- la voce roca e la puzza d’alcol.
Le risate cattive che sentiva vicine. Non aveva la forza di urlare né di
chiedere aiuto, non aveva la forza di far nulla, se no piangere.
- Ti prego – riuscì solo a singhiozzare mentre sentiva mani sporche alzarle la
gonna.
- Se non ci dai niente dobbiamo divertirci in qualche altro modo – credeva di
morire, avrebbe voluto che suo padre fosse lì, a proteggerla, ma era lontano.
Impegnato in chissà quale missione, contro gentaglia come quella. Era sola e
nessuno avrebbe potuto salvarla. E la sua unica colpa, era stata quella di
voler passeggiare alla luce della luna.
Poi era stato un fulmine. Quelle mani
che la lasciavano andare, il rumore sordo di un corpo che cadeva a terra con un
tonfo
- E tu chi diavolo sei? – si era voltata ancora tremante a quelle parole
incrociando il viso di un ragazzo biondo. Una sigaretta fra le labbra e le mani
sprofondate nelle tasche.
- Brutti bastardi, che pensavate di fare?! – erano parole sicure e cariche di
rabbia. In pochi attimi vide quel giovane correre verso i suoi aggressori e
metterli a tappeto con pochi calci.
Non era ancora riuscita a spostare le spalle da quel muro. Vi era scivolata a
terra, stringendo le braccia contro il suo stesso petto.
- Signorina – ora era a lei che si stava rivolgendo. Continuava a tremare e non
era capace di proferire parola.
- Va tutto bene... ti hanno fatto del male? – lo vide inginocchiarsi davanti a
lei e metterle una mano sulla testa. Era sussultata a quel tocco.
Ma era caldo e amico.
Era la mano del ragazzo che l’aveva salvata.
- N-no... – ma era ancora difficile per lei
riprendersi. Si sentì sollevare e si ritrovò avvolta fra le sue braccia.
L’odore intenso del tabacco misto a quello di un buon dopobarba.
La cravatta azzurra di seta.
Si fece piccola piccola contro il suo corpo
sentendosi finalmente protetta.
- Ora
ti porto a casa, principessa – come il suo adorato papà... anche lui, la
chiamava così.
Rimase a fissare la
porta aperta, la porta dalla quale l’aveva visto uscire.
- Sa-Sanji – singhiozzò portandosi una mano alle
labbra.
Quella volta sotto
la luna, fra le sue braccia, mentre le diceva che andava tutto bene, mentre le
prometteva che non le sarebbe più successo nulla di brutto... gli aveva
creduto.
Quel ragazzo dal sorriso triste che aveva imparato ad amare così facilmente che
neanche se ne era resa conto. Il giovane venuto dal nulla che aveva portato
quella ventata d’aria buona nella sua vita. Il gentiluomo che aveva conquistato
anche la fiducia di suo padre.
Un pirata, un fuorilegge, un bugiardo.
Chi era stato davvero? Quando le aveva sospirato di amarla... almeno li, era
stato sincero?
Il dubbio, l’amara
realtà, faceva male. Sentiva il suo corpo vibrare in ogni singola cellula, mille
lacrime nascere da dentro e non esser capaci di venire fuori tutte.
Le gote calde e i
singhiozzi che risuonavano nella stanza.
Ma ora, prima di sparire via, prima di giurarle per l’ennesima volta che
sarebbe andato tutto bene... le aveva detto la verità? E allora perché sentiva
di averlo perso, perché si stava chiedendo se fosse mai stato realmente suo... Almeno una sola volta...
Si ritrovò seduta sul letto a stringere fra le dita le lenzuola. A mordersi le
labbra quasi a lacerarle mentre il bianco del suo abito era ormai sporco di
lacrime e mascara...
Quella giornata da sogno, il suo sogno, era svanito velocemente. Così veloce da
non permetterle di respirare. Così veloce da averle estirpato il cuore dal
petto e lei, non lo sentiva più battere.
Eppure l’aveva capito subito.
Nel suo animo ora in frantumi l’aveva sempre saputo.
Quegli occhi azzurri avevano sempre guardato il mare con malinconia, c’era una
vita di cui lei non sapeva nulla che però lui continuava ancora ad amare. Una
vita lontano da lei, in cui Keira, ora ne era certa, non sarebbe mai potuta
entrare.
Guardò al di là della finestra.
Le nubi grigie, le piccole gocce che iniziavano a picchiettare contro un vetro
ancora integro.
Il frusciare del vento.
La pioggia che tanto aveva bramato scendere sulle sue nozze, era una tempesta
che la stava schiacciando. Una tormenta di fuoco che le stava bruciando la
carne e l’anima.
Il suo principe... quale crudele menzogna.
- Signorina – da
quella porta una figura esile. Un soldato coperto di ferite che barcollava
verso di lei.
- Signorina Keira, come sta? – le afferrò la mano ma lei non seppe dire niente.
Come quella notte contro il muro.
Scosse solo la testa mentre lacrime dense continuavano a sporcarle il viso.
- Dobbiamo andare via, quel pirata... potrebbe farle del male – quel pirata...
il giovane dai capelli di smeraldo che aveva trovato così buffo.
Si pulì con il dorso della mano una guancia e si alzò
- Io... devo parlare con lui – cercò di essere il più forte possibile. Cercò di
non far spezzare le parole fra i denti ma il soldato la guardava senza capire.
- Signorina dobbiamo andare via – provò a tirarla ma lei si sottrasse alla
presa.
- Ho detto che gli voglio parlare! – urlò stringendo i pugni.
Rabbia, dolore, angoscia.
Quando da bambina lo faceva per capriccio, ora era un bisogno quasi fisico.
Aspettò che il marine si capacitasse. Che le porgesse una mano e la portasse
attraverso il corridoio mezzo sfasciato. Attraverso le porte di legno che erano
finite in mille schegge a ricoprire il pavimento. Poi lo vide frenarsi davanti
alla porta e farle un gesto.
- E’ fuori, ma... signorina... mi permetta di dirle...- non glielo permise.
Fece un passo e poi un altro.
La pioggia era divenuta impetuosa. Il prato era zuppo di acqua e sangue. Cercò
la chioma verde e la vide.
L’uno contro l’altro.
Amici, compagni, alleati... qualsiasi cosa fossero stati o erano, ora non aveva
più importanza.
- Tu... pirata – inghiottì quando lui la guardò, quando Sanji le urlò di
rientrare, quando la voce di suo padre risuonò fra il picchiare della pioggia.
I suoi occhi erano colmi di determinazione, la fissavano silenti e lei si sentì
ancora più piccola e impotente.
- Pirata.... voglio che tu sappia che... che Sanji... lui è l’uomo che amo –
quanto male facevano quelle parole, quanta sofferenza provocava quello sguardo
freddo. Lo sguardo di un guerriero. Sentì nuovamente la voce di suo padre ma
non ebbe il coraggio di guardarlo.
- Perciò... ora tu...- quante lacrime poteva ancora versare? Quelle che il
cielo le stava lanciando contro, quelle che il suo cuore spento non aveva più
forza di produrre. Le lacrime che solo un amore folle e disperato può
provocare.
- Ti chiedo... di.. di portarlo via con te... te ne prego – quegli occhi ora
parevano esprimere qualcosa di diverso, che lei non avrebbe mai compreso. Non
lei. Una giovane donzella innamorata dell’uomo sbagliato che ne sapeva della
lotta? Che ne sapeva del rispetto di un avversario?
Lei ormai, non voleva sapere più nulla.
Era li. Con il fiato ancora corto. Con l’acqua che aveva appesantito la sua
coda bionda e la guardava. Come fosse una fragile rosa che si ergeva in un
campo innevato. La sua piccola Keira...
Nel suo bel vestito bianco. Con il viso arrossato e grondate di lacrime, con i
pugni stretti e con un amore così forte, che neanche lui, che d’amore aveva
finto di viverne, era stato mai in grado di provare.
- Keira – avrebbe potuto si sarebbe odiato di più, più di quanto non facesse
già, più di quanto meritasse. E poi guardò lui, a pochi metri da sé. Fermo con
le katane strette fra le dita che la fissava. Come una tigre che fissa una
delicata gazzella ferita.
La pioggia che aveva chiesto la sera prima, era ora divenuta una tempesta. Mentre
il cielo veniva tagliato da lampi e fulmini, mentre poteva vedere anche il
generale con le lacrime agli occhi, mentre il mare urlava sputando alte onde.
A che era valsa la sua recita? Perché aveva visto il crollare di ogni possibile
speranza con un batter di ciglia? Si era portato dietro il dolore di quella
perdita, la sua mano ferita aveva provocato più sofferenza agli altri di quanta
ne avesse provocata a lui.
Rufy... Nami...i suoi compagni, la sua
ciurma, la sua famiglia.... quello stupido spadaccino..... e ora lei, Keira.
Ognuno di loro aveva sofferto e tutto a causa sua. Tutto per colpa di quella
ferita che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare, per colpa di un sogno
che si era trasformato in un incubo...
Quegli occhi verdi li ricordava bene, li aveva incrociati per la prima volta
nel suo studio e poi li aveva odiati. Odiati per ciò che lasciavano trapelare,
li aveva odiati perché avevano avuto la sua
immagine riflessa per tre lunghissimi anni. E ricordava la sua chioma color
castagna, ora stretta in una coda non più perfetta.
Una fragile donna che in quel momento non aveva nulla da invidiare ad alcun
soldato. Una donna che in lacrime gli stava chiedendo di portare l’uomo che
amava lontano la lei. Una donna che stava mettendo il suo amore davanti a
tutto, davanti alla sua stessa felicità, alla sua stessa dignità... al suo
orgoglio. Ciò che lui a suo tempo, non era stato capace di fare. Mettere da
parte l’orgoglio e dirgli di non andare. Ora lì, di fronte a sé, vedeva una
ragazza tremante che l’aveva messo davanti alla sua stessa incapacità, alla sua
sconfitta più dolorosa. Come la sua Kuina... forti come nessun altro. Ne era
certo, solo una donna era capace di tanta forza.
- Keira non dire
stupidaggini – lo vide correre verso di lei schizzando gocce d’acqua ad ogni
falcata.
- Io non ti lascerò – l’aveva stretta a sé e Zoro aveva sentito un enorme vuoto
dentro.
Stava davvero facendo la cosa più giusta?
In ogni scontro, in ogni guerra, ci sono sempre due desideri a contrapporsi.
Per realizzare il suo, avrebbe dovuto schiacciare quello del suo avversario.
Non si era mai fatto alcuno scrupolo, eppure ora davanti alle lacrime di quella
ragazza, il suo egoistico scopo pareva avere meno senso.
- Sanji, ti prego – ma lei lo allontanò. Vide il suo cuoco fare qualche passo
indietro e tenere le bracciaa mezz’aria
con lo sguardo confuso.
- Io voglio che tu sia felice... e non importa se per esserlo devo lasciarti
andare... – un tenero sorriso le aveva
piegato le labbra.
- Ma io non...- bella, bellissima. Dolce come non l’aveva mai vista. Con il
viso sporco di trucco e i capelli in disordine. Con l’acqua che le bagnava
l’orlo dell’ampio abito e le dita tremanti.
- La tua felicità, Sanji... lo sai bene non sarà mai con me – e quei gli occhi verdi
come un prato guardavano lui, quel testardo spadaccino.
La sua felicità... come quella notte alla taverna, così come la prima volta a CoconutVillage. Non aveva mai
preteso di essere felice, non sentiva di meritarlo in fondo. Era stato egoista
e meschino, aveva riempito l’aria che respirava di rabbia e rimpianti, i
frammenti del suo sogno sfasciato avevano continuato a torturarlo per tutte le
notti che aveva vissuto da allora.
Triste, angosciante, disperato... il suo animo pareva spezzarsi a metà. Fra la
strada giusta e quella sbagliata, fra la sua nuova vita e quella che si era
lasciato alle spalle ma che in quel momento gli stava dando la possibilità di
ritornare.
La sua ciurma... la sua sola, vera famiglia...
Abbassò il capo. Indegno di guardarla, indegno delle sue lacrime e più che mai
indegno del suo amore.
- Sparisci dalla vita di mia figlia! – il generale Edward era traballante sulle
sue stesse gambe. Un padre che stringeva fra le braccia sua figlia, la sua
principessa. Un padre che lo stava guardando con odio e con rabbia, che avesse
potuto, gli avrebbe strappato il cuore dal petto.
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Le sue forti gambe lo stavano
abbandonando. L’acqua che scendeva dal cielo pesava come un macigno sulla sua
testa.
Avrebbe ceduto.
Sarebbe crollato e questa volta non ci sarebbe stata maschera a risollevarlo da
terra.
Ma forse non
serviva.
Ora, mentre sentiva le dita rudi di Zoro cingergli il polso, mentre vedeva i
suoi occhi guardarlo senza più accusare. Mentre la pioggia cadeva su quei
capelli assurdamente verdi, ora forse non sarebbe servita alcuna maschera.
“Stavolta non ti lascio andare via” pareva
sussurrargli quel sorriso, che se avesse potuto, avrebbe definito dolce. Di una
dolcezza disarmante, di quella stessa dolcezza di cui non lo credeva capace,
che gli aveva regalato un numero di volte così infimo che le poteva ricordare
tutte.
- Zoro... – e come
mai si era sentito prima di quel momento, ora era certo. Certo della sua
decisione, certo dei suoi sbagli, certo della serena vita a cui stava
rinunciando, ma più che mai, certo di quel folle sentimento che aveva odiato e
di cui era stato passivamente vittima per così tanto tempo.
Strinse i pugni facendo scivolare via da quelle forti dita il suo polso e la
guardò, per chiederle scusa, per chiedere un perdono impossibile da essere
concesso, ma ancor più forte, per dirle grazie. Ringraziarla per l’amore in cui
l’aveva cullato in quegli anni, e che ora lo stava spingendo lontano da lei,
solo e unicamente per vederlo felice.
- Non ti odio...
Sanji... non potrei mai farlo – e quelle labbra rosse ora bagnate di lacrime
gli sorridevano e rendevano la sua scelta crudelmente semplice.
- Io... – ma le parole erano difficili da pronunciare. Sospirarle un grazie non
sarebbe bastato, urlarle uno perdonami ancora meno. Non gli restava null’altro
che sorriderle, chiudere gli occhi e regalarle il suo ultimo inchino.
Ma non sarebbe passato giorno senza averla nel cuore, senza che il suo dolce
ricordo riempisse i momenti di tristezza. La forza della sua fragilità sarebbe
stata la sua coperta per proteggersi dalle difficoltà che avrebbe incontrato
d’ora in avanti. I suoi occhi dolci e i suoi capelli color castagna gli
sarebbero apparsi in sogno e gli avrebbero ricordato sempre che anche lui era
degno di essere amato, che in un tempo lontano una dolce fanciulla aveva
rinunciato alla sua felicità per la sua, per la felicità di un cuoco sciocco ed
egoista. Che quella stessa felicità in cui non aveva mai realmente creduto era
lì, ad un battito di ciglia e a lui bastava solo allungare la mano e avere il
coraggio di afferrarla. Il suo dolce sacrificio sarebbe stato un monito per non
arrendersi mai, perché l’avesse fatto, avrebbe ferito anche il suo delicato
ricordo. L’avrebbe sempre amata in fondo, perché come gli aveva detto quella
pazza di Giselle, si può amare in mille modi diversi, e quell’amore puro come
una piuma d’angelo gli avrebbe sempre riscaldato il cuore.
- Forza, ci stanno aspettando – non aveva ascoltato realmente quelle parole, ma
aveva iniziato a correre dietro quella testa verde, aveva spinto le sue gambe a
muoversi velocemente per non potersi voltare indietro. L’acqua che scoppiettava
ad ogni ampia falcata e quella che invece gli versavano le nuvole dal
cieloparevano purificarlo da ogni
peccato, da ogni immonda colpa di cui si era forse ingiustamente fatto carico.
Ogni cosa scivolava via da lui.
Davanti a sé solo la schiena di Zoro e lo scintillio di quegli orecchini d’oro.
Sorrise appena, conscio della follia in cui stava cadendo, ma che voleva vivere
fino alla fine, insieme alle lacrime che avrebbe versato e a quelle che sarebbero
rimaste celate nel cuore.
Di dolore e di gioia. Le strade erano deserte, quel
temporale le aveva svuotate tutte, e forse il casino che aveva combinato lo
spadaccino avevano dato una mano. Riconobbe alla destra l’insegna della
locanda.
Giselle, l’avrebbe voluta salutare, avrebbe voluto dire grazie anche a lei, che
senza che se ne rendesse conto, era stata un po’ una mamma per entrambi. Per
entrambi, che di un amore materno erano sempre stati orfani.
- Giselle! – urlò facendo voltare lo spadaccino. Facendo arrestare anche la sua
corsa.
- Giselle! Sono io, vieni fuori! – prese profondi respiri e aspettò che la
porta si aprisse, che la donna si affacciasse sulla soglia.
- Ce l’hai fatta, ragazzo – sorrise verso Zoro e lo vide annuire appena.
- Grazie di tutto, Giselle – le parole di Sanji, il suo sguardo che aveva
riacquistato luce, che brillava anche sotto la pioggia le riempirono gli occhi
di lacrime. Si portò una mano sulla bocca facendo loro segno di andare.
- Coraggio, andiamo – alle parole di Zoro ripresero la corsa, verso il molo,
verso la sua rinascita.
Ripresero la corsa, benché il temporale non dava cenno di diminuire.
- Eccolo – urlò Zoro indicando una piccola imbarcazione. Sanji si sentì ancora
più strano quando la mano di lui si avvolse attorno al suo polso e iniziarono a
scendere insieme verso la barca.
- Sei stato tu a fare tutto quel trambusto, figliolo? – borbottò Bert mentre sistemava le funi. Il
marinaio non ricevette risposta, vide il ragazzo sedersi e accanto a lui...
- Santi numi, ma tu non sei il direttore dell’Elisir? – rimase leggermente
spiazzato. Che diamine ci faceva con un tipo poco raccomandabile come quello?!
Neanche stavolta ricevette risposta, ma solo un intimazione a muoversi, perché
era già tardi.
- Queste sono le coordinazioni, portaci lì e muoviti – comandò ancora lo
spadaccino consegnandosi un foglietto. Gli occhi dell’uomo si mossero a
richiamo ma il pirata non parve accusarlo minimamente.
- Giovani d’oggi... senza più rispetto – borbottò ancora mentre la barca
iniziava ad uscire dal molo.
To Be Continued...
Anche se in ritardo sulla tabella di marcia (e vi chiedo
scusa per questo >.<), questa è la prima parte dell’ultimo capitolo,
pubblicherò la seconda prossimamente. PROMESSO! ^-^
Ne approfitto quindi per fare ora i ringraziamenti a tutti voi, che mi avete
seguito e incoraggiato nella stesura di questa storia.
Ho letteralmente adorato scriverla. È di sicuro una delle mie preferite e
ammetto, che la concludo con una profonda tristezza. Nel bene e nel male mi ha
fatto sognare ed emozionare scriverla, ho immaginato ogni singola scena che ho
descritto e spero che anche a voi siano arrivate le stesse emozioni che provavo
io. Sono molto orgogliosa della storia che ne è venuta fuori e di questo devo
anche, e soprattutto ringraziare voi. Le vostre parole e le vostre
dimostrazioni d’affetto hanno reso la stesura de Il mare del Silenzio una bellissima avventuraXD
Era nata da un’idea ispirata dalla canzone La voce del silenziocantata dal magico Andrea Bocelli.
Sarebbe dovuta durare un paio di capitoli ed invece è arrivata fino a 10!
Grazie quindi ancora a tutti! ^_^
Spero crediate alla mie parole perché sono sincere e
vengono dal cuore.Ho capito quanto
scrivere mi dia e quanto sia importante per me, anche se è solo una stupida
fanfic che verrà dimenticata fra le pagine del forum, ed è giusto così ^_^
E dopo questo strambo ringraziamento pre-finale vi saluto XD
e vi do appuntamento fra un paio di giorni con l’ultimo aggiornamento ^.*
L’isola
si faceva via via più lontana. Le sagome delle case,
la grande insegna dell’Elisir... tutto stava diventando così piccolo, che Sanji
si chiese se mai quella vita l’avesse vissuta sul serio. La pioggia era
insistente, ma il profilo dell’isola era ancora perfettamente nitido, così che
lui potesse dirle addio. Addio al suo posto di direttore, addio a Keira, addio
a Giselle... addio a quel limbo in cui aveva deciso tre anni addietro di
restare.Sentì il cuore saltare un
battito, come a chiedergli se quello che stava facendo fosse davvero la cosa
giusta.
- Ehi, tutto ok? – si sentì chiedere. Guardò verso lo spadaccino e annuì.
- Non hai ancora detto una parola – era vero. Non aveva avuto ancora la forza
di pronunciare una sola sillaba. Come se la sua voce l’avesse lasciata alla
villa del generale Edward insieme alla sua richiesta di perdono. Abbassò il
capo fissando il legno dell’imbarcazione.
- Zoro – sospirò appena attirando l’attenzione dello spadaccino. Passò qualche
altro attimo di silenzio infranto dal rumore del mare che veniva tagliato dalla
barca.
- Tre anni fa... quando me ne andai... ti ho odiato davvero – la voce era ferma
e le parole non tradivano incertezza. Gli occhi dello spadaccino fissavano il
suo viso silenti.
- Ma ho odiato di più me stesso – ora poteva vedere quelli di Sanji specchiarsi
nei suoi e trapelare una sincerità che pareva rasserenare il cuore del cuoco.
- E’ passato, cuoco... non ha più importanza – sibilò stancamente scivolando
contro le assi di legno e chiudendo gli occhi. Il biondo lo fissò disegnando un
leggero sorriso sulle labbra... quello stupido marimo, allora era vero che non
sarebbe mai cambiato. Bert continuò a guidare la barca per qualche ora
finché non giunsero in un punto indefinito del mare. Spense i motori.
La pioggia era cessata e il cielo era ormai sgombro da nuvole che avevano
lasciato il posto ad un sole pallido. All’orizzonte non vi era nulla.
- Siamo arrivati? – bofonchiò Zoro. L’uomo affermò che era quello il punto in
cui le coordinate portavano. Non c’era possibilità di errore.
Sanji si affacciò dall’imbarcazione per scrutate il mare.
- Pensavo avremmo attraccato alla prossima isola – guardò Zoro che non diede
cenno di risposta.
- Il tuo amico mi ha detto di portarvi qui. E’ quello che ho fatto – mormorò
ancora il marinaio sistemando le corde e le vele. Sanji ebbe una strana
sensazione. Una morsa lo prese allo stomaco e quando le labbra di Zoro si
dischiusero ebbe conferma dei propri timori.
- Stanno venendo a prenderci – stavano venendo a prenderli.
Chiedere chi non era necessario,
sapeva benissimo di chi si trattava ma lui... era davvero pronto? Era già stato
uno shock quello che era successo, poteva ancora sentire le lacrime di Keira
bagnargli la camicia... il suo cuore avrebbe retto nel rivederli? Avrebbe
potuto guardare gli occhi di Rufy? E quelli di Nami? Sentì su di sé lo sguardo
dello spadaccino e di istinto gli diede le spalle. Fece lunghi respiri
portandosi una mano sul petto. Li aveva lasciati tre anni addietro ed ora li
stava ritrovando. Il suo capitano era divenuto il re, la sua ciurma la più
temuta dei mari. Le loro vite erano ricche di avventure che lui... non aveva
potuto o meglio, voluto vivere.
Forse doveva aspettare... Sì, avrebbe dovuto prima far chiarezza e poi
rivederli. Poteva sempre chiedere a Bert di portarlo
su un'altra isola e poi...
E poi sarebbe scappato nuovamente, come era accaduto tre anni prima.
Stava per scivolare in una nuova tristezza quando il suono di un lumacofono
interruppe i suoi pensieri. Si voltò verso Zoro e lo vide prendere qualcosa dalla
tasca, un baby lumacofono per l’appunto.
Avrebbe voluto dirgli di non farlo ma la sua gola lo stava tradendo di nuovo.
- Ehi Zoro tutto bene?– quella voce... Ebbe un
sussulto nel sentirla.
- Si tutto ok, siamo... – le labbra si discussero e lasciarono uscire un
leggero sospiro.
- Rufy...- Zoro lo guardò interrompendo la sua frase mentre dall’altro capo del
lumacofono si udì un mormorio e poi...
- Ohi Sanji, sei tu?... Sei davvero
tu?... SAANJIIIII!!!!!– sentirgli pronunciare il suo
nome, sentirglielo urlare a quel modo. Era come se il tempo non fosse mai
passato, come se quei tre anni non fossero mai esistiti e tutto il dolore
potesse svanire come una bolla di sapone.
- Sì, Rufy – sorrise sedendosi accanto allo spadaccino, prendendo dalle sue
mani il piccolo lumacofono e guardandolo come fosse la cosa più preziosa del
mondo.
Un vociare si unì alle urla che Rufy stava ruggendo dall’altra parte.
- Ohi Sanji come stai? Noi qui...Usopp stavo parlando io!... Ehi anche io
voglio parlare con Sanji, Sanji mi senti?.... Chopper tu dopo, prima io, sono
il capitano... Yohohohoho ehi cook-san
come va la vita?.... piantatela IO devo parlare con Sanji! – rimase immobile mentre quel
fiume gli si riversava nelle orecchie riempiendogli il cuore di gioia e mentre
Zoro se la rideva.
- Non sono cambiati molto – ghignò e Sanji sorrise a sua volta
- Ehi Sanji lo sai che il OnePiece era.... Sanji ci sei mancatoooo... Stavo parlando io Chopper!... Robin tappagli
la bocca!.... No Usopp tocca a me!... Ehi fratello sopracciglio, tutto bene?...
Basta Franky io sono il re dei... ADESSO BASTA! Parlo io: Sanji-kun, mi senti?– la voce della sua dolce Nami.
Rimase in silenzio senza dire nulla in lunghi attimi che parvero eterni
- Nami-san... – non seppe aggiungere altro ma poté sentire distintamente il
suono di alcuni singhiozzi dall’altra parte
- Sanji-kun...- la sua voce rotta dal pianto
così come quel giorno, che però stavolta non era altro che di gioia.
- Abbiamo avuto dei problemi con la
marina, ma stiamo venendo – chiarì Usopp mentre spiegava che non era niente di
grave, gli aveva solo portato via del tempo.
- Ok, allora vi aspettiamo – Sanji fece un lungo sospiro mentre Zoro spegneva
il lumacofono e rimase a fissarlo per qualche istante.
I
suoi nakama, la sua sola vera famiglia. Li avrebbe
riabbracciati dopo così tanto tempo che si chiedeva se non fosse solo un sogno.
Uno dei quei sogni agrodolci che spezzavano le sue notti. Quando la malinconia
si faceva largo dentro di lui e nel silenzio della stanza gli pareva di poterli
sentire ridere accanto a sé. Le notti in cui affondava il viso nel cuscino e si
faceva forza per non crollare.
- Se ti azzardi a piangere di nuovo, ti getto in mare – la voce di Zoro
intimava quell’ordine con una strana dolcezza. Gli aveva letto dentro, lo aveva
capito senza che lui avesse anche solo parlato. Un tempo non avrebbe creduto
possibile un tale miracolo.
- Ok spadaccino, ma solo se tu la smetti di fare lo sdolcinato – si ritrovarono a sorridere entrambi.
Come se la felicità fosse un qualcosa che ognuno merita prima o poi, non
contano gli sbagli commessi, non contano più le lacrime versate e quelle che
invece si è fatto versare. Come un dono che un giorno o l’altro tutti
scartiamo, eppure quanta sofferenza c’era stata dietro... ma ora non aveva più
importanza.
Si guardò la mano, l’eterno emblema di quel vile dolore.
- Chopper... lui dice che può guarirla – le parole di Zoro odoravano di bugia e
si ritrovò a scuotere la testa.
- Dico sul serio... lui e Franky... non so bene di che si tratta – agli occhi
di Sanji, Zoro sembrava un bambino che cerca di spiegare un concetto che
neanche lui aveva ben afferrato. Impacciato e quasi imbarazzato.
- Insomma c’hanno lavorato tanto e ora... potresti tornare a cucinare, se
volessi– stavolta era ancora più difficile ricacciare le lacrime e se fosse
vero o meno, se avesse potuto rincorrere ancora il suo sogno non era poi così
importante. Ma pensare che nonostante se ne fosse andato, nonostante non avesse
avuto fiducia loro aveva continuato a lavorare per aiutarlo, avessero anche
solo disegnato un’ utopia nella certezza che si sarebbero rincontrati, solo
questo gli riempiva il cuore di gioia.
- Chi lo sa... – sospirò fissando quel guanto che da mille giorni gli ricordava
la sua sconfitta. Uno strano tepore si impossessò del suo corpo e lui ci mise
un po’ a capire cosa fosse. Per troppo tempo non ne aveva sentito la presenza
sulla sua pelle: speranza. Dolce invenzione degli dei.
- Rufy ultimamente è ingordo di nuove avventure... gli interesserebbe di sicuro
cercare un certo mare – sibilò lo spadaccino scivolando con gli occhi chiusi
contro il legno dell’imbarcazione. Sanji sorrise e si alzò.
Lentamente come fosse un rito, fece scivolare via il guanto nero portando alla
luce del sole il pallore di quella mano.
- L’allblue – sentì dei
brevi tremori percorrere le sue dita ma scosse la testa per cacciarli via. Un
semplice slancio e il nero della stoffa cadde in mare, galleggiando silente
sullo specchio d’acqua.
- Ohi, marimo -
- Che vuoi? – aspettò qualche attimo fissando quel verde assurdo dei suoi
capelli.
- Grazie – non avrebbe mai creduto di poterlo dire. Di poterglielo dire.
Lo aveva odiato e maledetto ogni singolo giorno trascorso lontano da lui. Si era
maledetto e si era odiato per quella scelta. Mai avrebbe creduto che un giorno
gli sarebbe stato grato. Per non averlo lasciato solo, per aver combattuto per
riprenderselo, per avergli fatto capire che non era passato un singolo attimo
che lui non lo avesse nel cuore. Tenace e testardo come sempre. In quei pochi
giorni lo aveva riempito di un amore così grande che non era paragonabile a
quello che si può provare in una vita intera. Un amore che aveva superato le
sue paure e sbriciolato le sue insicurezze, incenerito i sensi di colpa come
una fiamma ardente. Forse neanche quello stupido marino si rendeva conto di
quale imprese avesse compiuto, la più grande di tutte.
- Smettila di blaterare – e le sue forti braccia lo aveva avvolto e tirato a
se. Poteva vedere nell’orizzonte davanti una nuova luce brillare, la sua luce.
- Non provare più ad andartene, chiaro? La prossima volta non ti verrò a
prendere – ghignò contro il suo viso.
- Sì che lo farai – ora era Zoro a sorridere annuendo. Sconfitto, felicemente sconfitto.
Sì, l’avrebbe cercato e ripreso ovunque fosse scappato, anche in capo al mondo.
Aveva solcato i fondali marini, il cielo stesso, perfino gli inferi. Non poteva
scappare da lui, ma forse mentre sentiva il suo profumo inebriarlo, mentre quelle
labbra sottili si avvicinavano alle sue, mentre in lontananza poteva vedere il
vessillo della sua ciurma e il ricordo di qui giorni si faceva largo nel suo
cuore, forse sì, ne era quasi convinto, non sarebbe più scappato.
**The End **
Grazie infinite
anche a voi u///u
kiss kiss Chiara