Il mare del silenzio

di kiara_star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mare del silenzio ***
Capitolo 2: *** Passi pesanti ***
Capitolo 3: *** Una nuova vita ***
Capitolo 4: *** Emozioni di un tempo ***
Capitolo 5: *** Occhi spenti ***
Capitolo 6: *** Il mio cuore nel palmo della tua mano ***
Capitolo 7: *** Egoismo ***
Capitolo 8: *** Danza di lacrime ***
Capitolo 9: *** La forza di una rosa nella neve ***
Capitolo 10: *** Grazie ***



Capitolo 1
*** Il mare del silenzio ***


Ho pubblicato questa fic prima di Natale, ma siccome non mi soddisfaceva proprio, ho deciso di cancellarla e risistemarla approfittando delle vacanze ^^

E’ una future-fic, (non so neanche se esista questa parola XD ) cioè è ambientata nel futuro di One Piece e naturalmente verterà sulla mia coppia del cuore ^///^  Spero vi piaccia così da poterla continuare.

Questo è il primo cap. Ditemi che ve ne pare ^^

PS. Naturalmente è tutto inventato e non ci sono spoiler tranquilli ^.* (almeno che non abbia anticipato qualche idea di Oda, ma la vedo dura XDDD)

 

 

Il mare del Silenzio

Un leggero vento ed un cielo rossastro, annunciavano l’arrivo imminente della notte, come se il sole fosse stato ucciso ed il suo sangue si fosse riversato nel volta celeste così da sporcarla con quel color scarlatto.

Con un balzo Zoro saltò giù dalla piccola imbarcazione, atterrando sul legno umido del molo.

- Grazie per il passaggio – alzò una mano verso il vecchio sulla barca, che si limitò ad un cenno della testa prima di iniziare a sistemare le cime.

Con una sacca su una spalla e le fedeli katane ad un fianco, il giovane prese a camminare nella speranza di trovare una locanda dove poter riposare un po’. Il viaggio era stato terribile e per poco, quella merda di barca non aveva rischiato di rovesciarsi. Per fortuna il vecchio se l’era cavata egregiamente, ma non così tanto da non far rimpiangere a Zoro di ritornare il prima possibile sulla Prince. Si toccò il piccolo lumacofono che aveva nella tasca ricordandosi le parole di Rufy: “Basta che ci chiami e siamo da te “. Sapeva che era così, ma se l’avesse fatto ora, non avrebbe avuto senso decidere di starsene da solo per un po’, anche se quel po’ durava ormai da qualche mese. Dopo la vittoria su Mihawk aveva creduto di veder realizzato ogni suo sogno, eppure passata l’euforia iniziale, quello che gli era rimasto era un‘altra cicatrice sul petto, che si incrociava con quella vecchia, ed una taglia sulla testa lievitata a dismisura. Il titolo di miglior spadaccino che tanto aveva bramato, sembrava non aver cambiato di una virgola la sua vita, ne era riuscito a farlo sentire realizzato.

Si sistemò il cappuccio della maglia sulla testa in modo da tener fuori da occhi curiosi, i suoi fin troppo riconoscibili capelli verdi. Voleva starsene tranquillo, e preoccuparsi di qualche cacciatore di taglie, o peggio, di qualche insulso agente della marina, non rientrava nei suoi piani. Anche se avere qualche grattacapo, gli avrebbe tenuto occupata per un po’ la testa, che in quei giorni girava più del solito, sempre sullo stesso pensiero.

Tre anni, tre lunghi anni erano passati da allora eppure tutto era ancora nitido nei suoi ricordi.

La spallata di qualcuno lo riportò a terra e subito l’uomo si tolse il cappello scusandosi gentilmente con lui e riprendendo a camminare. Zoro aveva notato che quella era una cittadina molto tranquilla e se qualcuno si interessava a lui, era solo per come era vestito. Tutti quelli che aveva incontrato per strada erano stretti in begli abiti che sembravano appena usciti da una sartoria. Donne, uomini, perfino i bambini erano vestiti di tutto punto. Nulla di ricco o sfarzoso, ma neppure uno come Zoro poteva negare che quella gente aveva un certo gusto nel vestire. Cercò di darsi una pulita per evitare altri sguardi indiscreti e ad occhiata una locanda, entrò senza troppi indugi. Era poco affollata e vista le modeste condizioni, pensò che fosse anche accessibile per le sue ristrette finanze. Arrivato al bancone chiese una stanza e qualcosa da mangiare. Subito una donna di mezza età molto appariscente e con una biondissima cotonatura ai capelli, gli porse la chiave esigendo però un pagamento anticipato. La somma chiesta non era troppo elevata, ma comunque Zoro aveva sperato che fosse molto inferiore.

- Non saremo l’ Elisir, ma dobbiamo campare anche noi – ridacchiò la donna notando il disappunto sul volto del ragazzo.

- Posso stare tranquillo? – mugugnò Zoro senza dar peso alle sue parole mentre le porgeva i soldi. La locandiera li prese dando un occhio alle sue grosse spade ed alzò un sopracciglio.

- Se paghi e non ammazzi i clienti, nessuno ti darà rogne figliolo – sospirò. Zoro fece un mezzo sorriso e presa la chiave, si diresse verso le scale.

- Ehi aspetta ragazzo, non volevi mangiare? – chiese la donna. Senza voltarsi lo spadaccino scosse la testa dicendole che non aveva più fame.

 

Si gettò sul letto potendo finalmente abbassare il cappuccio, e lasciò le spade poggiate contro la testata della branda. Era stanco e sporco, ma per quanto l’idea di un bel bagno caldo lo allettasse, la stanchezza ed il bisogno di dormire ebbero la meglio. Chiuse gli occhi per qualche ora quando fu costretto a svegliarsi.

Il mio posto non è più qui “ ... aprì le palpebre sospirando.

Erano passati tre anni e ancora riusciva a ricordarsi alla perfezione le sue parole, anzi poteva udirle così come le aveva pronunciate, con ogni singola vibrazione della sua voce. Con quel tono amaro a tratti disperato, ma allo stesso tempo pacato, come solo lui sapeva essere. In ogni situazione sapeva sfoggiare una tranquillità e una non curanza che più di una volta gli aveva invidiato. Se n’era andato così, senza aggiungere altro se non quel “Mi spiace, dovete trovarvi un altro cuoco” che lo riportò come un flashback alla battaglia contro Kuma, a Thriller Back. Allora era riuscito a fermarlo, ma quella volta non aveva fatto, né detto nulla per trattenerlo. Non era il suo compito,  e se Rufy aveva accettato la sua decisione, lui non poteva fare altro che rispettare gli ordini del suo capitano guardando quella testa bionda che si allontanava con una piccola sacca sulla spalla.

Eppure non era passato un singolo giorno da allora, in cui Zoro non si era chiesto che sarebbe successo se avesse provato a fermarlo. Per come era fatto Sanji, di certo gli avrebbe tirato un calcio intimandogli “gentilmente” di farsi gli affari propri. Sorrise a quel pensiero, come quando ci si ricorda di un vecchio gioco da bambini, che per quanto stupido e ripetitivo, non smettevi di giocarci.

E così da quel giorno, per tre lunghi anni, nessuno aveva più pronunciato il suo nome, e tutte le volte che Chopper o Usopp avevano provato ad aprire il discorso, si erano sempre scontrati con sguardi di richiamo o, nel peggiore dei casi, con dei muri di silenzio e di cinica indifferenza, per lo più forzata. Non che nessuno della ciurma non ci pensasse.

Quando avevano trovato il One Piece, e Rufy aveva pianto e urlato un singhiozzato “Grazie a tutti amici” nessuno di loro ebbe il minimo dubbio che in quel amici non ci fosse anche lui e che quelle lacrime del capitano, non fossero miste di gioia e di rimpianto per non aver potuto condividere la sua vittoria anche con lui. E che dire di quando dopo la battaglia, alla fine vinta, contro i pirati di Jack Forceville, la Sunny era andata distrutta e Franky aveva costruito una nuova imbarcazione, se possibile ancora più bella della Sunny stessa e Rufy aveva deciso di chiamarla Lovely Prince. Non servirono domande per spiegare quella scelta. Era un po’ come riaverlo a bordo ed illudersi di essere di nuovo uniti. La Prince... una nave davvero stupenda.

Si rigirò nel letto guardando verso la finestra. Il chiarore del cielo, lasciava intendere che stava per albeggiare. Ecco un'altra notte insonne che andava ad aggiungersi alla lunga lista di notti in bianco che lo spadaccino stava collezionando da un po’ di tempo.

Si passò nervosamente la mano sul viso e si alzò avvicinandosi alla finestra. L’aprì e sentì l’aria umida posarsi sul suo viso stanco, come una gelida carezza. Si poggiò con i gomiti sul davanzale lasciando che lo sguardo si perdesse in quelle acque blu, che da un po’ non sentiva più come casa propria e che non riuscivano a dargli più alcuno stimolo, alcuna ragione per continuare a salparle, né da solo, né con la sua ciurma.

Quella sensazione di vuoto lo accompagnava in ogni suo respiro, in ogni suo passo, come la sua stessa ombra. Ma quando la luce si spegneva e nell’oscurità la sua ombra svaniva, quella sensazione restava e anzi si ampliava, avvolgendolo in un soffocato abbraccio dal quale non riusciva mai a sottrarsi.

 

 

 

To Be Continued...

 

 

Questo è un capitolo per lo più introduttivo, già dal prossimo la storia si movimenterà, anche se resterà quella vena di tristezza o per meglio dire di malinconia, che ho deciso spontaneamente di dare a tutta la storia ^-^

Sperando in un riscontro positivo da parte vostra vi do appuntamento alla prossima

Kiss kiss  Chiara

 

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Capitolo 2
*** Passi pesanti ***


Passi pesanti

Qualcuno bussò alla porta e Zoro si legò un asciugamano attorno alla vita prima di andare ad aprire

- La sua colazione signore – la voce flebile di un ragazzo gracilino gli spuntò davanti. Lo spadaccino guardò il vassoio con un caffè e qualche brioche che dall’aspetto, non era di sicuro fresca.

- Non ho ordinato nulla – borbottò. Il ragazzo inghiottì più volte quando i suoi occhi percorsero il corpo del pirata e le numerose cicatrici che lo ricoprivano. Abbassò poi la testa rispondendo che era stata la locandiera a mandargliela, e che naturalmente era gratis. A quella parola Zoro alzò le spalle e gli disse di metterla sul tavolo. Il cameriere poggiò con molta cura il vassoio, temendo forse che quello strano tipo potesse ucciderlo se lasciava cadere a terra una sola goccia di caffè. Quando ebbe finito il suo delicato compito, uscì dalla stanza accompagnando la porta così che non sbattesse. Zoro fissò il vassoio pensando che di sicuro quella donna voleva tenerselo buono. Non ce n’era bisogno, ma se il suo aspetto burbero poteva fargli risparmiare qualche Berry, allora tanto meglio. Si vestì grattandosi il tatuaggio sul braccio destro. Ancora non riusciva a credere che Rufy l’avesse convinto a farsi tatuare il suo simbolo e che lui era stato così idiota da accettare. Forse era stato un altro modo per avere ancora qualcosa di cui pentirsi, giacché i suoi rimorsi non fossero già abbastanza.

Si rialzò il cappuccio della maglia con riluttanza, decidendo infine di trovare il prima possibile un barbiere così da eliminare qualsiasi intralcio. Non era mai stato uno che si interessava del suo aspetto, e se avesse i capelli lunghi o corti non importava, l’importante era che potesse camminare per strada senza doversi guardare attorno ogni cinque secondi, anche se lo faceva lo stesso. Ormai era un gesto fisiologico.

Scese le scale tenendo con la mano le spade sul fianco sinistro per non farle tintinnare, e quando passò davanti la locandiera, questa gli sorrise chiedendogli se avesse gradito la colazione. Falsamente rispose di sì, anche se aveva lasciato il tutto sul tavolo senza neanche assaggiarlo. 

 

Camminare per le strade a quell’ora era davvero fantastico. Non era mai stato un mattiniero, anzi, però da un po’ aveva iniziato a svegliarsi di buon ora, o per meglio dire, ad alzarsi, perché svegliarsi voleva dire che aveva dormito, una cosa che ormai non faceva più.

Per le strade non si vedeva nessuno e le uniche voci che poteva udire, erano quelle dei pescatori al porto. Si fermò a guardarli tirare le reti con i pesci senza riuscire a non sorridere. Sembravano felici di quello che facevano, dei semplici uomini con un semplice lavoro, che però avevano negli occhi la luce di chi non ha nulla da chiedere alla vita, perché si sente già abbastanza fortunato. Prima di ricadere in quell’aspirale di autocommiserazione che non gli apparteneva, riprese a camminare per le strade riuscendo finalmente a intravedere l’insegna di un barbiere. Entrò sentendo il suono di una campanella sulla porta

- Un attimo e sono da lei – disse qualcuno da dietro ad una porta. Zoro si guardò in giro prima di fermare gli occhi sul riflesso allo specchio. Si abbassò il cappuccio arruffandosi i capelli.

Marimo...  quel nomignolo odioso gli risuonò nella testa. Odiava quando lo chiamava così, così come odiava il modo con cui si divertiva a tirare fuori un soprannome dietro l’altro per criticare i suoi capelli. Tagliarli era un po’ come dargliela vinta e fra di loro la partita non era ancora chiusa.

In un moto di orgoglio e capriccio, si rimise il cappuccio e uscì dal locale pochi secondi prima che il barbiere entrasse per accogliere il nuovo cliente, lasciando sul volto dell’uomo un’espressione infastidita.

Ormai le sue giornate erano così uguali l’una con le altre: passava da un isola all’altra, dormiva in qualche locanda quando gli andava bene, oppure si buttava nella stiva di qualche nave nella speranza di non dover tagliare alcuna testa  se fosse stato scoperto. Eppure quando era partito con Rufy non immaginava che sarebbe finito così, come una specie di nomade senza alcun sogno né alcuna aspettativa. Si fermò su un muretto sentendo lo stomaco brontolare, e si maledì per non aver approfittato della gentilezza di quella donna. Vide poi alcune ragazze che si avvicinavano ridacchiando

- Se ci vai di mattina non serve prenotare perché puoi trovare un tavolo libero – diceva una mentre l’altra l’ascoltava rapita. Le udì pronuncia un nome familiare: Elisir... Sì era quello che aveva nominato ieri la locandiera. Da come stavano parlando quelle tipe, a Zoro parve di capire che era una specie di posto abbastanza rinomato.

- Ma ci sarà anche lui? – chiese una di loro. L’altra annuì e questo fece urlare di gioia la ragazza. Zoro scosse la testa disgustato da quell’atteggiamento. Che diavolo c’era da agitarsi tanto?! Senza degnarlo di uno sguardo le due ragazze si fermarono sedendosi accanto a lui. Una iniziò a tirare fuori il portafogli cercando forse di contare quanto le restava.

- E’più facile trovarlo di sera, ma se ci va bene magari lo becchiamo anche questa mattina – ridacchiava l’altra mentre l’amica tirava un sospiro di sollievo

- Dovrebbero bastare – sussurrò. Una di loro si voltò verso di Zoro notando lo sguardo insistente del giovane.

- Ti serve qualcosa? – chiese cortesemente. Lui alzò un sopracciglio sorridendo, non era abituato a simili cortesie.

- Che posto è questo Elisir? – quella domanda gli venne spontanea, forse aiutata dall’atteggiamento gentile della ragazza. La giovane si girò verso di lui raggiante.

- E’ l’hotel più bello dell’intera regione. Cioè è qualcosa di strepitoso!!! Ma se vuoi puoi anche solo andare a mangiare lì, perché c’è un ristorante fantastico! Un po’ caro, ma ne vale la pena credimi – spiegò. Zoro annuì decidendo di buttarci un occhio giusto per vedere di cosa si trattava, e poi aveva anche piuttosto fame. Non aveva nulla da fare, e di certo in un posto simile, non avrebbe incontrato cacciatori di taglie o gentaglia della stessa pasta. Allo stesso modo, era anche sicuro che non lo avrebbero neanche fatto entrare, ma valeva la pena tentare. Le due ragazze si alzarono spiegandogli come arrivarci e scusandosi se non lo potevano accompagnare, ma dovevano tornare a casa per cambiarsi d’abito. Questo fece sorridere Zoro che si convinse ancora di più di quanto quella gente fosse fissata con il vestiario. Sperando di non perdersi come il suo solito, iniziò a incamminarsi nella direzione che gli era stata indicata. Non dovette girare molto, che una grossa insegna gli spuntò davanti; non poteva non notarla tanto era vistosa.

Delle colonne bianche accostavano l’entrata dove un tappeto rosso si stendeva su pochi gradini. Esitò un po’ prima di salire, cercando di vedere all’interno attraverso i vetri. Ma le lastre erano come degli specchi che non permettevano altro se non di fissare il proprio riflesso, chissà forse per qualche stupida questione di privacy. Scosse la testa ed entrò ugualmente.

Un cameriere gli aprì la porta notando subito l’inusuale abbigliamento del ragazzo e le tre spade che portava con se. Zoro era già pronto a girare i tacchi quando con un sorriso il cameriere gli chiese se volesse una stanza o volesse solo pranzare. Sorpreso e anche un po’ soddisfatto, il pirata chiese uno tavolo per due, anche se stava da solo. Il cameriere gli fece strada attraverso la sala portandolo verso un piccolo tavolo appartato e Zoro non poteva che apprezzare quella scelta. Si sedette mentre gli veniva allungato un menù. Il giovane cameriere si allontanò con un inchinò dicendo che sarebbe passato quando avrebbe voluto ordinare. Zoro abbassò il menù scrutando il resto della sala. Non era molto affollata ma dato l’orario, era anche plausibile. I muri erano rosa salmone che vari disegni orientali e su di essi erano sparsi diversi quadri colorati con fantasie surreali e di dubbio gusto, almeno per quello che ne capiva lo spadaccino. Un enorme acquario rotondo regnava al centro della sala, e questo non poté che ricordargli la sua amata Sunny. C’era anche un pianista, o meglio una pianista con una lunga treccia bionda poggiata sulla spalla. L’esile copro stretto in un bianco tubino, mentre con gli occhi chiusi picchiava soavemente le dita sui tasti. Sembrava un angelo, e l’atmosfera che regalava a quel ristorante era davvero paradisiaca. Stranamente non si sentì a disagio, eppure non era il posto che faceva per lui. Ma né i clienti né i camerieri, che camminavano rapidi fra i tavoli, lo avevano guardato con sospetto, o con preoccupazione. Stava iniziando ad apprezzare quella cittadina, e decise che avrebbe potuto allungare la sua sosta per qualche altro giorno. Non era costretto a partire subito, non aveva alcuna meta da raggiungere se non la prossima isola sconosciuta. 

Riprese il menù sgranando gli occhi alla vista dei prezzi. Cavolo, era stata una cazzata andare lì, eppure quelle due gli avevano assicurato che non era molto caro: un solo caffè costava anche più della stanza che aveva preso in affitto alla locanda! Forse se quel posto non era così affollato, non era certo solo per l’orario.  Sarebbe stato meglio andarsene prima di essere costretto a dare fondo a tutte le sue finanze. Stava per alzarsi dal tavolo quando una strana conversazione raggiunse le sue orecchie. Un uomo grassottello in doppio petto si stava lamentando con un cameriere per qualcosa che aveva a che fare con la zuppa di riso.

- Mi scusi non so come sia potuto accadere – rispose umilmente il cameriere inchinandosi più volte,  senza riuscire però a frenare le lamentele del cliente.

- E’ assurdo che sia stato trattato in questo modo!  Esigo di parlare con il direttore – insisteva l’uomo. Zoro provò la voglia di andare da quel grassone e tranciargli quella lingua biforcuta in due. Non sopportava quell’atteggiamento arrogante di chi ha un sacco di soldi ma zero rispetto per gli altri. Ma la sua filosofia di “non intrometterti negli affari che non ti riguardano” ebbe la meglio su quella epidermica avversione, lasciandolo fermo lì a guardare la scena.

Il cameriere si precipitò a chiamare il direttore riuscendo così almeno a far abbassare al cliente il tono di voce, che aveva fatto girare l’intera sala e aveva spezzato la magia di poco prima. Zoro notò una crescente agitazione vibrare fra i tavoli e tutti i clienti sembravano non aspettare altro che vedere il tanto richiesto uomo fare il suo ingresso. Qualche minuto dopo il cameriere ritornò al tavolo informando il ciccione dell’imminente arrivo del direttore. Una porta di legno si aprì e dei pesati passi risuonarono nel salone. Incuriosito e anche basito da tutto quel inspiegabile interesse verso un semplice uomo, Zoro si voltò verso il suono di quei passi che venivano accompagnati dalla musica del piano.

Un ragazzo si avvicinò lentamente al tavolo dell’uomo.

Dei pantaloni neri si poggiavano sulle rumorose scarpe mentre il petto era avvolto da una leggera camicia bianca sbottonata in parte, così da lasciar intravedere una sottile catena d’oro con una piccola croce. Le maniche della camicia erano arrotolate poco sotto i gomiti e, mentre il polso destro era fasciato da un bracciale di cuoio, la mano sinistra era avvolta da un guanto nero di pelle che lasciava scoperte le pallide dita. I capelli biondi raccolti in una piccola coda, ricadevano sul volto solo da una parte, mentre su un viso pulito si stendeva un sorriso gentile.

Il silenzio che era piombato nella stanza fece temere a Zoro che tutti potessero sentire il battito impazzito del suo cuore; come un martello d’acciaio che ricadeva su un’altrettanto pesante incudine. Un battito dopo l’altro si susseguiva violento nella sua testa, mentre lo vedeva parlare educatamente con quell’uomo. Neanche si era reso conto del cameriere che gli si era avvicinato

- Signore, signore – quando la cantilena del giovane fu così insistente Zoro si voltò a guardarlo scuotendo la testa

- Ha deciso cosa ordinare? – lo spadaccino ascoltò le sue parole senza davvero udirle e tornò silenziosamente con gli occhi su di lui.

Mai avrebbe creduto di poterlo rivedere. Non su quell’isola, non in quel posto, non dopo tre lunghi anni.

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

Che dire, immagino abbiate capito chi è il direttore dell’Elisir  che, a parte la coda (che è sempre stata una mia piccola fantasia lo ammetto U////U) è abbastanza riconoscibile XD

 

Chiedo scusa se nel primo capitolo sono stata un po’ “casinista” XDDD ma tranquilli non è importante sapere chi è Kuma o dov’è Thriller Bark, era solo un introduzione nulla di più. I pirati di Jack Forceville, naturalmente non esistono né tanto meno esiste la Lovely Prince ^^ forse avrei dovuto chiarirlo prima. per questo mi scuso U__U.... molte cose verranno spiegate nel corso della storia: i rapporti fra i due, il perché dell’abbandono ecc, quindi basta pazientare ^-^
Grazie a tutti e grazie per i complimenti da parte di chi non ama lo yaoi. A volte quando si ha qualche “pregiudizio” non si riesce ad essere obiettivi e quindi ringrazio Butler per la sua recensione ^^

 

Vi lovvo tutti e al prossimo capitolo >.<

Kiss kiss Chiara

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Capitolo 3
*** Una nuova vita ***


Una nuova vita

- Il pranzo è offerto dal Elisir  e mi scuso ancora a nome della direzione – con queste parole il biondo si congedò dall’uomo che sembrava soddisfatto di come si era risolta la faccenda. Zoro lo vide camminare lentamente per la sala tenendo una mano in tasca mentre con l’altra si scostò pigramente la ciocca di capelli dalla fronte. Quasi sperò di non essere visto, non sapeva cosa dirgli, e a dire la verità, non sapeva se avesse anche solo voluto parlargli. Ma il destino, si sa, ha un crudele modo di giocare, e quindi bastò poco che gli occhi del biondo si poggiassero su di lui. I suoi passi si arrestarono mentre interminabili secondi presero a susseguirsi uno dietro l’altro. Nessuno dei due sembrava lasciar trapelare alcuna emozione, come se non fossero passati anni dall’ultima volta che i loro occhi si erano incrociati. Il pianoforte continuava a suonare mentre Zoro sentiva solo quel rumore sordo, quel battito che lentamente si stava regolarizzando. Non scostò lo sguardo, non fece un solo gesto e quando l’altro si mosse continuando a camminare per scomparire nuovamente dietro quella porta di legno, si limitò ad abbassare lo sguardo sul menù, mentre un lungo sospiro lasciava le sue labbra.

Si portò una mano al petto dove teneva il lumacofono ed ebbe l’istinto di chiamare Rufy. Se gli avesse detto che l’aveva visto di certo lui... no, non poteva farlo. Poggiò la testa fra le mani stringendo forte i denti per impedire a qualsiasi imprecazione di venire fuori, quasi per impedire all’aria stessa di entrare nei suoi polmoni. Ingoiò più volte cercando di decidere cosa fare, ma non riusciva a mettere un solo pensiero in fila. L’unico concetto ben chiaro era uno: Sanji era lì.

L’arrivo di un grosso piatto gli fece alzare di colpo la testa mentre il cameriere gli sistemò la pietanza augurandogli buon appetito.

- Aspetti io non ho...- non riuscì a terminare la frase che ebbe come l’impressione che quello che era successo quella mattina alla locanda stesse per ripetersi.

Il cameriere sorrise.

- Il direttore ha detto di offrirle il pranzo. Anzi qualsiasi cosa voglia, ordini pure senza problemi. È nostro ospite – gentilmente con un inchino anche il ragazzo in divisa si congedò. Zoro picchiò un pugno sul tavolo non riuscendo stavolta a impedire ad un ringhiato “merda” di uscire dalle sue labbra.

 

La finestra era aperta e Sanji era seduto sul davanzale guardando fuori il vento che smuoveva le foglie degli alberi. Foglie verdi, come i capelli di quello stupido marimo. Qualcuno bussò alla porta e dopo aver ricevuto un sospirato avanti, entrò.

- Mi scusi direttore... ma c’è un cliente che vorrebbe parlarle – senza spostare lo sguardo Sanji gli fece un gesto annoiato con la mano.

- Ne parliamo dopo – sospirò

- Eh no, ne parliamo adesso – a quella frase non poté che voltarsi trovandosi di fronte uno Zoro visibilmente alterato. Fissò per qualche istante il suo viso irato senza dire nulla. I lineamenti così come l’espressione erano gli stessi che ricordava, solo un po’ più segnati: dalle varie battaglie, dalla fatica, forse anche da un po’ di inquietudine. Da qualcosa che lui non poteva sapere, qualcosa che faceva parte di un pezzo della sua vita, in cui lui non c’era stato.

- Lasciaci soli – ordinò poi, ed il cameriere uscì dalla stanza chiudendo la porta. Scendendo dal davanzale Sanji si sedette sulla poltrona di velluto dietro una grossa scrivania di legno

- Sei venuto a lamentarti per il pranzo? Cos’è, forse non era di tuo gradimento? – ridacchiò. Zoro si avvicinò con pochi passi alla scrivania sbattendo entrambe le mani sul legno. Sanji alzò gli occhi verso di lui.

- Ehi vacci piano marimo, questa roba costa – ringhiò serio. Ad una simile frase, un tempo gli avrebbe risposto “Non darmi ordini stupido cuoco”, ma il sentirgli pronunciare quel nomignolo dopo tutti quegli anni, ebbe come la forza di bloccargli la lingua e l’ira. Lentamente alzò le mani facendo un passo indietro.

- Non ho bisogno che tu mi offra niente – esclamò. Perché mai avrebbe dovuto accettare il cibo di qualcuno che era stato così codardo da scappare davanti ad un ostacolo, senza neanche provare a combattere... Sanji sorrise scuotendo la testa.

- Sono sicuro che l’erede di Mihawk può permettersi tranquillamente un pranzo qui... il mio era solo un modo per essere gentile – affermò il biondo, poi girò la sedia di lato e si alzò dirigendosi nuovamente verso la finestra. Zoro guardò quella coda bionda muoversi sinuosa ad ogni suo passo finché Sanji non si voltò tornando nuovamente ad incrociare i suoi occhi.

- Della tua gentilezza non so che farmene – mormorò lo spadaccino. L’ex cuoco sorrise ancora. Certo che non era cambiato di una virgola, come se avesse mai creduto che Roronoa Zoro potesse cambiare. Un tempo l’aveva sperato, ma poi aveva capito che la sua forza era anche quella di restare così nonostante tutto, nonostante le ferite, nonostante le gioie, nonostante le delusioni. Zoro non cambiava perché lui non ne aveva bisogno, a differenza sua, che era cambiato tante di quelle volte, che neanche riusciva a ricordare un unico momento in tutta la sua vita in cui era stato davvero se stesso, il vero Sanji. Troppo occupato a cercare di apparire forte e perfetto davanti agli occhi degli altri, per preoccuparsi di essere solo se stesso. Le sue debolezze le aveva sempre nascoste senza mai affrontarle, le sue paure, tutto era rimasto gelosamente celato dentro di sé. Ma poi arrivò quel giorno e il suo castello di carte, che aveva costruito su maschere e finte sicurezze, crollò. Sarebbe rimasto scoperto e tutti avrebbero visto dentro di lui e avrebbero letto quello che era in realtà: un debole. Non avrebbe potuto sopportare i loro sguardi delusi, ne tanto meno compassionevoli. Aveva chiesto a Rufy di lasciarlo andare prima che questo accadesse, aveva preferito fuggire a priori e non aver fiducia nei suoi compagni. Già, non aveva avuto fiducia.

- Ho saputo di Rufy... Alla fine ce l’ha fatta, sono contento per lui -  sospirò.

- Avresti potuto esserci anche tu – le parole dure di Zoro erano come sale su una ferita aperta. Bruciavano e pungevano senza che riuscisse a impedirlo. Eppure Zoro doveva sapere quello che provava, ma continuava a guardarlo con quel accento di rimprovero, che in cuor suo Sanji sentiva di meritare.

- Lo sai che non è così. Le cose non andavano più bene ed io... beh io ero diventato solo un intralcio – la vena di tranquillità che aveva accompagnato le parole di prima, era stata sostituita con una leggera amarezza, quasi un fastidio. Zoro scosse la testa ridacchiando.

- Ho sempre creduto che fossi uno con un minimo di fegato... si vede che mi sbagliavo – lo schernì non riuscendo a sopportare la rassegnazione della sua voce. Sapeva quando aveva sofferto nel fare quella scelta, ma non riusciva a non detestarlo. Di tutta risposta il biondo sorrise abbassando la testa

- Zoro... io ero un cuoco. Dal momento in cui non potevo più fare il mio lavoro, non aveva senso restare con voi... sono sicuro che Rufy stesso mi avrebbe allontanato prima o poi. Gli ho solo evitato la seccatura di farlo – a quelle parole Zoro scattò come una molla.

- Tu eri un compagno! Cazzo come facevi a non capirlo!? Come hai fatto a non capire che a Rufy non importava se fossi un cuoco, un carpentiere o un fottutissimo spadaccino. Lui non ti avrebbe mai abbandonato e tu lo sai – Sanji alzò la testa quando Zoro quasi urlò quella frase.  

- Lo dici come se ne fossi sicuro –

- Ma io lo sono! – il biondo guardò ancora una volta quegli occhi colmi di determinazione che non poteva non ammirare. Lo aveva sempre ammirato nonostante non glielo avesse mai detto.

- Beh ormai non importa più – sospirando si sistemò il guanto della mano sinistra e la rimise in tasca. Qualcuno bussò ancora alla porta, ma stavolta entrò senza spettare che gli fosse permesso.

 

- Ehilà disturbo?– una sorridente ragazza sbucò dalla porta e si avvicinò al biondo porgendogli una cartellina. Sanji sorrise scuotendo la testa.

- Lo sai che non disturbi mai – le sussurrò. La ragazza sorrise ancora spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Castagne. Fu questo quello che pensò Zoro quando guardò i capelli della giovane. Bruni come una castagna, con dei profondi riflessi color rubino che facevano risplendere ancora di più i suoi occhi verdi.

- Mio padre dice che devi occupartene tu – la ragazza alzò le spalle sedendosi sulla scrivania. Sanji le si avvicinò e lanciò la cartellina su delle altre carte

- Tuo padre mi odia, lo sai questo? – lei ridacchiò dandogli un bacio sulla guancia

- L’importante è che non ti odi io – Sanji sorrise e la giovane si avviò verso la porta.

- Scusate se vi ho disturbato - e sorrise verso Zoro che non si preoccupò neanche di ricambiare quella gentilezza quando poi la ragazza uscì chiudendo la porta.

Sanji sospirò passandosi una mano fra i capelli mentre prendeva visione di alcune carte. Zoro lo guardò pensando che non gli importava davvero nulla che lui fosse lì davanti a lui dopo tre anni, e che gli stesse inutilmente spiegando quando il loro capitano avesse sofferto nel vederlo andare via.

- E’ la tua ragazza? – chiese sapendo che era l’unico argomento che poteva interessargli. Il biondo scosse la testa

- Keira? No, è la mia fidanzata – lo spadaccino alzò un sopracciglio. Una simile puntualizzazione era tipica di quel cuoco. Se gli avesse chiesto se era la sua fidanzata, di sicuro avrebbe risposto che era la sua donna e viceversa. La logica non aveva mai fatto parte del suo modo di pensare.

Mentre Sanji continuava a leggere quei documenti, Zoro diede uno sguardo a quella specie di studio. Sembrava quello di un medico o giù di lì, nulla che avesse neanche la minima affinità con una cucina. Al muro un grande numero di foto che ritraevano il suo ex compagno di avventure nelle pose più disparate. Il biondo alzò la testa dalle carte e sorrise nel vedere la faccia di Zoro contrariata davanti a quello spreco di pellicola

- Beh sono fotogenico non trovi? – ridacchiò. Zoro ghignò voltandosi verso di lui

- Sì, come in quell’avviso di taglia. Lì eri perfetto – anche Sanji sorrise lasciando cadere i documenti nuovamente sulla scrivania.

- E dire che oggi devo ringraziare quel fotografo... se non fosse stato per lui non avrei avuto modo di potermi rifare una vita – infatti nessuno sapeva del suo passato da pirata, né della sua militanza nella ciurma di quello che ora era il re dei pirati. Nessuno sapeva che Sanji, il raffinato direttore del Elisir, era in realtà un ex cuoco di bordo capace di frantumare un muro con un solo calcio, e che aveva sulla testa una taglia da 77.000.000 di Berry.

D’un tratto il sorriso sulle sua labbra si spense d’improvviso come se il biondo si fosse appena ricordato di qualcosa di importante. Si catapultò alla finestra guardando al di fuori

- Cazzo – mormorò.

- Che succede? – chiese Zoro confuso da quel cambio improvviso di atteggiamento. Sanji lo guardò sospirando e gli fece un segno con la mano

- Meglio se te ne vai – a quella frase lo spadaccino si avviò verso la finestra decidendo di vedere ciò che aveva tanto colpito il cuoco. Dovette sgranare gli occhi quando vide un grosso numero di marines riempire l’ingresso del giardino

- E questi che cazzo vogliono? – Sanji non riuscì a non ridere alla sua espressione sconvolta, tanto che Zoro lo guardò chiedendosi che cavolo ci trovasse di così divertente

- Il padre di Keira è un ex generale dei marines in pensione, e oggi è qui per una specie di picchetto d’onore, non so per chi di preciso – spiegò il biondo continuando a guardare dalla finestra. Lo spadaccino guardò il suo profilo convincendosi sempre più di quando quel tizio gli procurasse solo guai. Sanji si voltò verso di lui

- Non è colpa mia. Sei tu che sei venuto nel momento sbagliato – sospirò con un alzata di spalle. Ringhiando Zoro si apprestava ad avviarsi verso la porta, anche se avrebbe dovuto combattere contro tutti quei marines la cosa che più lo impensieriva era di uscire immediatamente da quella stanza.

- Aspetta idiota,  non puoi farti vedere da loro. Sarebbe una pazzia! – esclamò Sanji. Lo spadaccino si fermò voltandosi incredulo verso di lui

- Non credi che possa battere quei quattro perdenti? – chiese ironico. Sanji scosse la testa avvicinandosi ad una delle tante fotografie che coprivano la parete

- Non è questo. Solo non voglio che tu faccia fuori il mio futuro suocero né alcuno dei suoi uomini – mormorò spostando una cornice verso destra

- E poi... tutti si chiederebbero perché il direttore del Elisir aveva come conoscenza un pericoloso ricercato – ridacchiò ancora. Nel frattempo come una piccola magia, dalla parete si aprì una porta.

- E questo cos’è una specie di passaggio segreto? – ghignò lo spadaccino avvicinandosi a quell’insospettata via di fuga. Sanji sorrise

- Beh io ho sempre i miei assi nella manica – affermò sicuro. Zoro ridacchiò  sentendo come in qualche modo di tornare ai vecchi tempi, quando quel diavolo di un cuoco, riusciva a inventarsi qualche stramberia per tirarli fuori dai guai. La marina ancora stava piangendo per quel buster call fallito ad Enies Lobbie quel famoso giorno...

Sanji iniziò a scendere le scale facendo segno a Zoro di seguirlo, dopo qualche piolo si accese una luce fioca che mostrava uno serie di piccoli gradini che scendevano per non più di qualche decina di metri.

- Qui si passa da dietro, diciamo che è una specie di uscita d’emergenza – ridacchiò ancora il ragazzo. Lo spadaccino ebbe come il desiderio che quei pochi pioli si moltiplicassero ad ogni passo.

Per qualche strano motivo non voleva andarsene proprio ora. Sentiva che quando sarebbe uscito di lì, la sensazione di “familiarità” che lo aveva pervaso pochi attimi prima sarebbe svanita, e si sarebbe ritrovato ancora una volta preda di quel soffocante vuoto.

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

Forse vi ho solo confuso ulteriormente le idee, ma tranquilli presto tutto sarà più chiaro (almeno spero XD)
Sono contenta che Sanji con la coda piaccia anche a te Helenuccia (noi due siamo davvero troppo in sintonia ^-*) io lo trovo troppo affascinante così
*-*  
Spero che abbiate notato anche un altro particolare del suo nuovo look, che non è messo lì a caso...
Lo so ho il vizio di mettere la pulce nelle orecchie U__U’...  sto cercando di curare questa mia patologica abitudine, ma per ora sopportatemi  così XDDD
Al prossimo capitolo gente ^^
Kiss kiss Chiara

 

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Capitolo 4
*** Emozioni di un tempo ***


Emozioni di un tempo

Dopo aver sceso tutte le scale, i due arrivarono ad un piccolo corridoio che terminava con un vecchio portone di legno, alquanto malridotto. Sanji si avvicinò e guardò attraverso lo spioncino sulla destra della porta.

- C’è qualche marines. Ti conviene aspettare qualche altro minuto – sentenziò allontanandosi, quando Zoro prese il suo posto guardando anche lui attraverso l’occhiello di vetro.

- Merda – mormorò accertandosi di ciò che gli era stato detto. Sanji intanto si era seduto su alcuni pioli delle scale e aveva iniziato ad accendersi una sigaretta. Essendo di spalle, lo spadaccino non ebbe modo di notare la difficoltà con cui l’ex cuoco effettuava quel gesto, un tempo così rapido. Le dita scoperte dal guanto reggevano a stento la sigaretta, mentre l’altra mano le dava fuoco approfittando di qualche secondo in cui la stecca non tremava. Una prima boccata e poi Sanji soffiò via il fumo quasi con un moto di vittoria. La piccola nube grigia arrivò a solleticare le narici di Zoro, che infastidito da quello strano odore fin troppo familiare, si voltò contrariato verso di lui.

- Pensavo avessi smesso – mormorò poggiandosi spalle alla porta. Sanji ridacchiando prese un’altra leggera boccata.

- E’ quello che pensa anche Keira – ghignò.

- Ma ogni tanto, non posso farne a meno...- Zoro pensò allora che quella specie di passaggio segreto, altro non era che un rifugio che quello stupido cuoco usava per fumare in santa pace.

- Un tempo non avresti avuto bisogno di nasconderti – borbottò quasi deluso dal suo modo di fare. Sanji non era uno che faceva quello che volevano gli altri, neanche se era una donna a chiederglielo. Più di una volta la “sua” Nami, lo aveva invitato a non fumare, ma il cuoco le aveva sempre risposto che non poteva soddisfare quella sua richiesta. Era l’unica cosa che non avrebbe mai fatto, piuttosto si sarebbe fatto ammazzare, ma smettere quel suo “dolce vizio”, come lo chiamava lui, era fuori discussione. Sanji sorrise ancora

- Un tempo... ero anche innamorato di te – sospirò prendendo subito dopo un’altra piccola boccata di fumo. Il corpo di Zoro si irrigidì a quelle parole e non ebbe la forza di rispondergli nulla. Guardando con quanta fatica lo spadaccino stava cercando di mantenere la sua espressione il più distaccata possibile, Sanji non poté che sorridere.

- Sapevo che era meglio non dirtelo – scosse la testa ciccando un po’ di cenere sui gradini.
- Avresti dovuto dirlo allora – Zoro indurì anche il suo sguardo, che ora si posava sul biondo con un ché di accusatorio. Sanji scosse nuovamente la testa.
- E che sarebbe cambiato? Dimmelo Zoro, che sarebbe cambiato... Tu non hai mai voluto sentirti dire certe cose... non vedo perché avrei dovuto farlo – gettò via la sigaretta ancora a metà, che prese a bruciare da sola sul pavimento. Lo spadaccino abbassò lo sguardo. Sanji aveva ragione, quelle cose le aveva sempre odiate, forse perché ne aveva sempre avuto un po’ timore.
- Cosa ti fa credere che io... non volessi sentirtele dire? Anche se non lo dicevo avresti anche potuto...- la frase che timidamente Zoro cercò di dire fu spezzata a metà.

- Cosa? Avrei dovuto capirlo ugualmente? È questo che vuoi dire?...  Cazzo Zoro io ho passato una vita a cercare di capirti. Tu non hai mai parlato chiaro, e io dovevo leggere fra le righe le quattro parole che dicevi.. interpretate i tuoi silenzi, e quelle maledette occhiate... hai mai pensato una sola volta a quello che invece provavo io? – gli occhi di Sanji costrinsero lo spadaccino al silenzio. La voce del biondo iniziava a tremare leggermente, e si poteva intuire la fatica che stava facendo per non lasciarsi andare del tutto.
- Tanto non importa più... è anche per questo che era finita – sospirò. Un brivido percorse la spina dorsale di Zoro. L’unico che era sempre stato capace di metterlo in quella condizione di impotenza era Sanji. Forse anche per questo quando se n ‘era andato, un po’ aveva sperato di tornare lo Zoro di un tempo, anche se poi quello che aveva ottenuto era tutt’altro. Provò a reagire dal blocco in cui era caduto in quel momento, nel solo modo che conosceva per farlo.

- Non ti ho mai chiesto di amarmi, non l’ho mai voluto, lo sai... era solo, era solo sesso. Punto – mentire, ferirlo. Era quella l’unica cosa di cui era capace. Sanji sorrise mordendosi un labbro. Dopo tre anni ancora riusciva a fargli del male con le sue parole.
- Già... infatti il coglione sono stato io che invece c’avevo messo un po’ di cuore – il biondo si alzò e si diresse verso lo spioncino passando accanto al compagno che pareva avere le spalle incollate al legno della porta.

- Via libera – esclamò tornandosene dietro. Una mano lo bloccò per un polso costringendolo ad arrestarsi e a voltarsi verso di Zoro.

- Voglio solo sapere una cosa... – Sanji sapeva di cosa si trattava e in parte era contento che gli facesse quella domanda. Almeno gli avrebbe dato l’illusione che a Zoro un po’ di lui gli importava. Un po’, ma abbastanza per non farlo sentire come si era sentito per anni al suo fianco. Un completo pupazzo senza volontà.
- Avanti – sorrise mentre il ragazzo gli lasciava andare il polso.
- E’ per questo che te ne sei andato? – lo guardò per qualche attimo in quegli occhi neri che poche volte aveva visto così. Poi spostò lo sguardo sulla parete indugiando nel parlare.
- Rispondimi Sanji! – la voce spazientita, o forse solo irrequieta dello spadaccino piegò gli occhi di Sanji ancora una volta a indirizzarsi sui suoi.
- No... no, Zoro non è per questo... ma questa? Te ne ricordi vero – il cuoco mostrò al ragazzo la mano sinistra coperta dal guanto e lo vide inghiottire. Come al solito aveva pensato di essere il centro del mondo, il centro del suo mondo. Forse lo era stato, un tempo, ma ora le cose erano cambiate e non avrebbe permesso a Roronoa Zoro di poter condizionare la sua vita.  
- E ora vattene.. i marines potrebbero tornare – i passi del biondo presero a salire le scale, mentre la voce roca dello spadaccino riprese a parlare.
- Resto in città per un po’ – neanche sapeva perché glielo avesse detto. Non gli aveva lasciato né il nome della locanda presso la quale alloggiava, né alcun tipo di informazione con cui potesse rintracciarlo. La città era abbastanza grande, e senza alcun indizio, era alquanto difficile,  se non impossibile, poterlo trovare. Ma lo spadaccino in cuor suo, forse non voleva essere trovato e, anche se gli aveva detto che sarebbe rimasto per un po’, la verità era che aveva già intenzione di lasciare quel posto l’indomani mattina. Una serie di contraddizioni che erano tipiche di tutto ciò che faceva o pensava quando c’era di mezzo Sanji.

Chiuse la porta e velocemente si dileguò prima che anche un solo gabbiano potesse avvistarlo.

Quando si allontanò di una distanza abbastanza sufficiente, si fermò poggiando le mani contro un albero. Un pugno, poi un altro, finché lo scricchiolio del legno, non lo costrinse a smettere prima che abbattesse la povera pianta. Si lasciò poi cadere a terra con la testa fra le mani. Tre anni, tre anni di silenzio in cui non aveva saputo se fosse vivo, o se era morto in quale vicolo all’uscita di uno squallido bordello. Tre anni in cui aveva vissuto in una specie di inspiegabile coma emotivo, e ora quel bastardo gli rispuntava davanti e come niente fosse gli spiattellava in faccia i suoi sentimenti di allora! Perché non glielo aveva detto allora invece di aspettare di rincontrarlo per puro caso dopo tre fottutissimi anni? Perché non era stato capace di capirlo lui stesso... ma forse la verità era che non aveva mai voluto capirlo davvero.

Decise che in quel momento l’unica cosa che voleva, era scaricare la sua rabbia nel solo modo che conoscesse.

 

Rientrato nel suo studio, Sanji si sedette sul velluto rosso della poltrona, piegando la testa all’indietro con lo sguardo al soffitto. Un lungo sospiro abbandonò le sue labbra mentre iniziava a mettere a fuoco quello che era successo. Se qualcuno gli avesse detto che quella mattina Roronoa Zoro sarebbe entrato in quel locale, forse Sanji gli avrebbe riso in faccia. Non poteva essere possibile.

Qualcuno bussò alla porta e anche stavolta fu solo per cortesia, visto che entrò ugualmente.

- Allora gli hai dato uno sguardo? – chiese Keira. Sanji la guardò come se non sapesse di che diavolo stesse parlando. Per fortuna notò la cartellina sulla sua scrivania e prontamente si riprese

- Ah si... di’ a tuo padre me ne occupo la settimana prossima – la ragazza si avvicinò sedendosi sulle sue ginocchia.

- Grazie – sussurrò avvolgendogli le braccia attorno al collo e lasciandogli un timbro rosa pesca sulle labbra. Sanji le regalò un sorriso spento

- Ehi cos’hai? – dolcemente Keira gli pulì il rossetto con le dita constatando che il ragazzo aveva uno strano atteggiamento.

- Nulla, sono solo stanco – mentì lui mentre le dita della giovane scorrevano fra i biondi capelli, stretti nella piccola coda.

- Spero non sia colpa di quel cliente. Aveva dei buffi capelli... anzi dov’è finito non l’ho visto uscire – Keira iniziò a guardarsi in giro e Sanji avvertì una strana stretta allo stomaco.

- No va tutto bene, è andato via. Senti vorrei finire di sistemare alcune carte... ti spiace se...- sorridente lei scosse la testa e si alzò

- Per stavolta ti lascio in pace – scherzò e si diresse verso la porta, ma prima di uscire gli soffiò un bacio con una mano.

Quando la porta si chiuse, Sanji girò la sedia verso la finestra alle sue spalle. Il cielo sembrava iniziare ad annuvolarsi, e lo stesso stava accadendo dentro di lui.

 

 

Dopo un’ intera giornata passata a lanciare fendenti che si perdevano nel mare creando delle onde di mostruosa altezza, Zoro decise che poteva bastare. Non era certo stanco, anzi avrebbe potuto continuare per altre ore, anche per tutta la notte, ma non poteva rischiare di causare uno tsunami o roba simile, che avrebbe distrutto l’intera isola!  Si infilò la maglia e riprese le spade avviandosi verso la locanda. Non si preoccupò di alzarsi il cappello sul capo, se qualcuno lo avesse “scoperto” tanto meglio, magari poteva far assaggiare alle sue lame un po’ di sangue, e non la semplice acqua salata del mare.

Stavolta decise di rimanere a mangiare un boccone prima di salire in camera, era tutto il giorno che non toccava cibo, e anche se odiava essere fissato mentre si rifocillava, restò comunque seduto al bancone.

- Mi sembri affamato ragazzo – ridacchiò la bionda locandiera. Senza rispondere Zoro continuò a mangiare. La donna aveva riconosciuto chi fosse davvero il ragazzo di fronte, non tanto per le tre vistose spade al fianco, quanto per quei buffi capelli verdi. La marina aveva distribuito il suo identikit sul quale c’era scritto che era un tipo pericoloso e molto aggressivo. Alla donna però non parve proprio così, anzi. Quel ragazzo era solo molto diffidente tutto qui. Tutte le persone aggressive erano in realtà solo paurose di avvicinarsi agli altri, o di farsi avvicinare. Sapeva che la taglia sulla sua testa era molto alta, anche se non conosceva di preciso la somma, ma non aveva intenzione di venderlo per “quattro soldi”, almeno non prima di aver capito qualcosa di più su quel giovane pirata.

- Vuoi qualcos’altro? – Zoro scosse la testa e buttò giù un po’ di vino.

- Grazie, ma non ho più fame – lo spadaccino si alzò e iniziò a salire in camera. La donna sorrise e chiamò un ragazzo affinché portasse in cucina i piatti sporchi mentre la sua curiosità aumentava repentinamente.

 

Dopo un bagno ristoratore, Zoro si rivestì sedendosi sul letto, mentre si passava svogliatamente un asciugamano sulla testa. Buttò un occhio alla sua sacca. Forse era arrivato il momento di fare quella chiamata. Rivedere Sanji gli aveva fatto capire che le cose non potevano tornare più quelle di una volta. Tutto era cambiato, a partire dai suoi stessi compagni, e che ora Usopp era padre, l’avrebbe già dovuto far riflettere...

Combattere testardamente contro quella realtà, cercando di ritrovare l’emozioni di un tempo, era inutile, e forse era l’unica battaglia in cui sarebbe di certo uscito da perdente. Tanto valeva mettersi il cuore in pace e vivere senza restare inchiodato al passato. Il suo capitano e la sua ciurma lo stavano aspettando, quindi era meglio tornare da loro, prima di doversi pentire anche di quella scelta. Gettò l’asciugamano a terra e si lasciò cadere sul letto. Prima che potesse anche solo chiudere gli occhi, un leggero rumore lo fece voltare verso la porta. Se non fosse stato per il suo udito così sviluppato, non si sarebbe certo accorto che qualcuno avesse bussato, tanto era stato labile quel gesto. Fissò per qualche altro istante la porta, dicendosi che non valeva la pena andare ad aprire a qualcuno che non si degnava neanche di picchiare con decenza le sue nocche sul legno. Un rumore più deciso, l’obbligò ad alzarsi.

La testa bionda che si trovò davanti, era poggiata contro la trave della porta, con le mani sprofondate nelle tasche ed un mezzo sorriso sulle labbra, fin troppo dolce.

 

 

  

 

 

To Be Continued...

 

 

 

Spero che ora le cose siano più chiare ^^
10 e lode alla mia vampiruccia Helena che ha beccato il dettaglio del look di Sanji (anche se era scontato visto la nostra innata sintonia XDDD)

Al prossimo appuntamento miei prodi, e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto anche se è un po' breve >.<
kiss kiss Chiara

 

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Capitolo 5
*** Occhi spenti ***


Occhi spenti

Non credeva che l’avesse potuto trovare, o meglio che l’avrebbe anche solo cercato. Ma d'altronde perché stupirsi, si trattava pur sempre di Sanji.

- Che ci fai qui? – chiese. Il biondo alzò le spalle

- Non lo so a dire il vero – girò poi la testa verso le scale, e Zoro pensò che si fosse già pentito di essere andato lì. Si allontanò dalla porta riprendendo l’asciugamano da terra, e gettandola su un tavolo. Sanji interpretò quel gesto, come il suo modo di dire “entra”, e così fece un passo nella stanza chiudendosi la porta alle spalle.

- Beh è carino qui – mormorò guardandosi attorno. Zoro si stropicciò gli occhi con una mano sedendosi sul letto.

- Sono un po’ stanco. Se devi dirmi qualcosa fallo alla svelta – Sanji si tolse il lungo cappotto e lo poggiò su una sedia, sulla quale si sedette. Poi si fermò a guardare lo spadaccino che continuava a passarsi la mano sugli occhi. Era solo stanco, oppure non sopportava neanche di guardarlo?

Tentò a quel punto di prendere una sigaretta, ma come una specie di punizione divina per essere stato così idiota da andare lì, la sottile cartina gli cadde dalle mani.

Al “merda” che il biondo ringhiò fra i denti, fu Zoro a guardarlo in silenzio. Un nodo strinse la gola dello spadaccino, quando vide le dita di Sanji cercare di riprendere senza successo la piccola stecca dal pavimento. Avrebbe potuto prenderne un’altra, oppure usare l’altra mano, invece no; testardamente continuava a muovere in modo visibilmente faticoso le dita della mano sinistra. Non riuscendo più a sopportare quel suo inutile gesto, Zoro si alzò e raccolse la sigaretta per poi porgergliela. Sanji si morse un labbro e voltò la testa dall’altra parte. Lo spadaccino sapeva che non avrebbe mai dovuto farlo, ma era stato più forte di lui, eppure conosceva bene di quale orgoglio era munito quello stupido cuoco, che a volte si era chiesto chi dei due fossi più testardo.

Si sedette nuovamente sul letto, mentre nella stanza risuonava solo il verso dei gabbiani che volavano al porto. Rigirò la sigaretta fra le dita e poi si voltò verso Sanji, che ancora aveva la testa girata dall’altra parte. La sua mano destra era chiusa in un pugno così forte, da far temere che il cuoco si potesse lacerare il palmo della mano con le unghie, mentre l’altra mano pendeva della ginocchio tremante.  Zoro fissò quel guanto nero non riuscendo a capire perché Sanji volesse a tutti i costi nascondere le sue cicatrici. Insisteva a portare quello stupido guanto, così come insisteva a tenere quella dannata ciocca sull’occhio. Eppure non erano altro che cicatrici. Avrebbe dovuto esserne orgoglioso e non nasconderle come se se ne vergognasse. Un cicatrice era il segno di una ferita che era ormai richiusa, che non sanguinava più, che era stata vinta. Ma forse Zoro non sapeva che per Sanji, quelle non erano cicatrici, ma solo tagli ancora aperti...

D’un tratto il biondo si alzò.

- Meglio che vada – esclamò riprendendo il cappotto dalla sedia.

- Aspetta – lo spadaccino, che era balzato in piedi, lo costrinse a fermarsi. Sanji si voltò verso di lui, non riuscendo però a sostenere il suo sguardo, che si perse sulla parete a fianco.

- E’ stato un errore venire qui – sospirò mordendosi nuovamente il labbro.

Quasi da sole, le gambe di Zoro si mossero verso il ragazzo, e le sue braccia lo avvolsero tirandolo contro il suo petto.

- Mi sei mancato – sussurrò stringendo i denti, mentre sentiva gli occhi bruciare. Come immerso in un caldo che non ricordava più, Sanji lasciò cadere il cappotto a terra, e alzò lentamente le braccia per stringere forte la maglia dello spadaccino. Zoro sentiva solo una mano premere con forza contro la sua schiena, mentre l’altra pareva solo poggiata. Ma la cosa che gli fece battere il cuore all’impazzata, fu sentire le lacrime calde di Sanji bagnare il suo collo.

- Sei un maledetto bastardo – singhiozzò il biondo, mentre Zoro lo strinse più forte a sé.

- Mi sei mancato – ripeté come se volesse ammetterlo più a sé stesso che a qualcun altro.

Sentire il cuore di Sanji  battere forte contro il suo petto, era un qualcosa quasi magico, un qualcosa  per cui avrebbe dato anche la vita. Solo in quel momento si rese conto che il vuoto che sentiva da tutto quel tempo, altro non era che il suo cuore che aveva smesso di battere nell’attimo in cui quel dannato cuoco, era sceso dalla Sunny per non farvi più ritorno. E ora, come colpito da una forte scarica elettrica quel muscolo, l’unico che non era mai riuscito a controllare, aveva ripreso a battere. Batteva contro il petto dell’unica persona per la quale valesse la pena battere, l’unica che gli avesse mai fatto provare una simile emozione. Tre anni, tre anni sembravano un battito di ciglia, ora che lo aveva fra le braccia e che poteva finalmente respirare il suo profumo che gli era mancato come l’ossigeno stesso.

La mano dello spadaccino salì ad accarezzare i suoi capelli biondi, e quella piccola coda alla quale non era abituato.

- Ti ho odiato da morire quando te ne sei andato – sospirò stringendolo sempre più forte. Le parole che Sanji avrebbe voluto dirgli, rimanevano sotterrate da quei continui singhiozzi. Come un bambino, come uno stupido moccioso senza spina dorsale, se ne stava stretto fra le sue braccia a piangere. Lui che non si ricordava più neanche che sapore avessero le lacrime.

Rimasero così per un tempo indefinito, con i gabbiani che volavano nel cielo rossastro e le voci dei pescatori che tornavano al porto. Quando il rumore dei singhiozzi cessò, quello che risuonava nella stanza era solo un respiro profondo, anzi due respiri che si perdevano l’uno nell’altro. Le braccia di Zoro si allentarono e Sanji alzò la testa per guardarlo negli occhi.

-  Non sarà più come prima, lo sai questo – sospirò. Zoro lo fissò per qualche attimo e poi annuì. Non poteva essere come prima, troppe cose erano cambiate, loro stessi non erano più quelli di un tempo. Con il dorso delle dita,lo spadaccino gli accarezzò dolcemente una guancia e Sanji quasi istantaneamente socchiuse gli occhi. lo faceva sempre, ogni volta che lo carezzava in quel modo. Forse perché era così raro che lo facesse, e perché ora era stranamente triste sentirlo.

- Sanji...- alla flebile voce di Zoro, il biondo riaprì lentamente gli occhi.

- Ti amo – quanto aveva sperato un tempo di sentirgli dire quelle parole, ma ora suonavano in modo così strano. Avrebbe voluto dirgli che ormai era tardi, che non serviva più, che il male che gli aveva fatto non si poteva cancellare con due parole. Ma l’unica cosa che riuscì a fare fu premere le labbra contro le sue, abbracciarlo forte, lasciarsi spogliare e accarezzare fra quelle lenzuola. Come sempre, anche quella volta in completa balia di quello spadaccino senza la forza né il coraggio di opporsi. Un bacio e un altro ancora, mentre pregava i suoi occhi di trattenere ancora le lacrime. Lacrime salate, amare, che si contrapponevano con la dolce sensazione di averlo ancora una volta fra le braccia. Le sue mani, i suoi sguardi, il modo con cui sospirava il suo nome. Tutto come un tempo, tutto con la stessa sofferenza che provava quando sapeva che subito dopo sarebbe cambiato, e si sarebbe trasformato nello spadaccino acido e scontroso che era. Anche ora, anche ora che non c’era più la Sunny, non c’era più Rufy, anche ora sapeva che dopo l’avrebbe dovuto lasciare andare, e stavolta per sempre. Si lasciò baciare e amare ancora una volta, finché le palpebre non cedettero, finché il sonno non lo colse, mentre lacrime amare rimanevano celate nei suoi occhi.

 

La pallida luce della luna attraversava la finestra e illuminava il viso ambrato e sveglio dello spadaccino. Guardò la luna e poi il corpo fra le sue braccia, e poi ancora la luna. Poteva fermare il tempo in quel momento? Se per una sola volta in vita sua, si fosse affidato alle preghiere verso un dio, questi gli avrebbe concesso quel miracolo?

Forse la sua ragazza lo stava aspettando, forse era preoccupata perché quella notte non era tornato a casa. Non voleva pensarci, il pensiero del suo Sanji fra le braccia di quella donna, faceva male come una spada nello stomaco. Ora era lì, era con lui, e il resto non aveva più alcuna importanza. Accarezzò ancora una volta quei fili d’oro ora troppo lunghi per i suoi gusti, ma che non poteva non trovare perfetti quando scivolavano fra le sue dita. Lentamente gli occhi di Sanji si aprirono

- Non volevo svegliarti – bisbigliò lo spadaccino. Il biondo scosse la testa. A quel punto Zoro lo baciò sulle labbra mentre la mano di Sanji percorreva la sua schiena. Ancora il nero guanto a coprirla. Zoro se ne accorse e la prese fra le mani.

- No Zoro – sospirò Sanji mentre lo spadaccino faceva scivolare via la stoffa nera.

- Non avere paura – un sorriso dolce in modo disarmante piegò le sue labbra. Quando la bianca mano uscì alla luce, Zoro la baciò dolcemente mentre Sanji sorrise.

- E’ inutile, ho perso la maggior parte della sensibilità... – i suoi occhi tornarono ad intristirsi, mentre Zoro stringeva quella pallida mano nella sua. Senza dire nulla, l’avvicinò nuovamente alle sue labbra, e iniziò a baciarla in ogni centimetro. Dalle punta delle dita, al palmo attraversato dalla profonda cicatrice. Piccoli baci che non risparmiarono nessun dettaglio di quella mano ferita, piccoli baci che riempirono ancora una volta di lacrime gli occhi di Sanji.    

- Shhh... non piangere – bisbigliò ancora Zoro sulle sue labbra. Il biondo lo tirò a sé stringendolo forte, mentre un sole stanco andava a sostituire la luna.

 

 

- Ehi dove stai andando? – la bionda locandiera fermò il piccolo cameriere prima che potesse salire le scale. Il ragazzino si voltò verso di lei mostrandole il vassoio con caffè e biscotti

- Mi ha detto lei di portare la colazione a quel signore con le spade tutte le mattine – rispose timidamente mentre la donna gli faceva segno di avvicinarsi al bancone.

- Vatti a fare un giro stamattina, ti do la giornata libera – sorrise mentre il ragazzino annuiva. Posò sul banco il vassoio e, liberatosi del grembiule uscì dalla porta. La donna guardò le scale e ghignò. E così quel pirata conosceva il direttore dell’ Elisir... chissà se il vecchio generale sapeva che sua figlia stava per sposarsi con un tizio con simili amicizie. Il fatto che avesse passato la notte con quel pirata poi, avrebbe fatto venire qualche dubbio anche alla persona meno maliziosa. Se erano amici, compagni, o qualcosa di più, non le importava, però qualcosa le diceva che era quel biondino la causa dell’atteggiamento strano di quel pirata. Un biondino interessante, l’aveva capito dal primo giorno in cui era sbarcato su quell’isola, ormai circa qualche anno fa. Aveva alloggiato presso la sua locanda per qualche giorno. Aveva un aspetto alquanto malridotto, molto magro e soprattutto una spaventosa luce spenta negli occhi. Portava sempre una mano fasciata e quando beveva il caffè o mangiava qualcosa, faceva delle strane smorfie. Lei gli chiese se fosse un cuoco o qualcosa del genere ma lui negò. La donna si ricordò poi di quando salvò Keira da alcuni malviventi, e il generale, padre della ragazza, lo ringraziò organizzando una grande festa nel suo hotel. Tutta la città fu invitata, tutti volevano vedere il coraggioso ragazzo che aveva salvato la vita alla bella Keira. Non passò molto che la gratitudine della ragazza si trasformò in amore. Non era facile resistere alla galanteria di quel biondino, e la locandiera lo sapeva bene. Era passato qualche anno e Sanji, sapeva il suo nome, era cambiato. Forse per il suo lavoro, per la vita che ora faceva, per Keira. Sembrava essere felice, ma non lo era. La luce spenta nei suoi occhi era rimasta la stessa di quel giorno in cui lo vide entrare nella sua locanda. Solo una volta, una sola volta lo vide sorridere davvero. Era una mattina d’estate e sul giornale era riportata la notizia che Monkey D. Rufy e la sua ciurma, avevano trovato il tanto agognato One Piece. Il nuovo re dei pirati era stato eletto, e questo aveva portato grande caos in tutto il mondo. Tutti sembravano agitati e preoccupati; “Cosa accadrà ora?”, “Siamo in pericolo?” erano queste le domande che  avevano affollato le strade per giorni e giorni. Ma Sanji non diceva nulla, sul suo viso c’era solo un sorriso mal celato e un luccichio nei suoi occhi. La bionda locandiera ricordò quando lo incontrò per la spiaggia in quel periodo.
- Cappello di paglia ce l’ha fatta – esclamò e lui annuì.
- Era solo questione di tempo – fu l’unica cosa che disse.

Da allora poi era tornato il solito direttore dell’Elisir, pieno di impegni, pieno di belle cose, pieno di vuoto negli occhi. Ma quella sera, quando l’aveva visto entrare con il lungo cappotto senza neanche cercare di nascondere la sua identità, aveva rivisto quel luccichio. L’aveva riconosciuto subito, e quando gli aveva chiesto in che camera fosse quello strano spadaccino aveva capito. Era un membro della ciurma di cappello di paglia quel pirata, Roronoa Zoro. In qualche modo ancora poco chiaro, Sanji aveva un legame profondo con quella ciurma, con quel pirata, con il re dei pirati.

 

 

- Se non è un problema, posso pagare io la tua permanenza qui – sospirò Sanji mentre spalle a Zoro si rivestiva. Lo spadaccino ancora allungato nel letto, era coperto solo da un lenzuolo, mentre seguiva i gesti del suo compagno.

- Lascia stare, non serve – mormorò. Sanji finì di rivestirsi e si avvicinò alla porta. Non si voltò e impugnò la maniglia per qualche secondo.

- Domenica mi sposo – Zoro guardò fuori dalla finestra mentre ingoiò il nodo che gli si era formato alla gola. Perché doveva provare quella sensazione, in fondo sapeva che ora la sua vita era cambiata, e che non si poteva tornare indietro.

- Auguri allora – Sanji strinse più forte la maniglia avvertendo l’istinto, anzi il bisogno di voltarsi e guardarlo. Se l’avesse fatto non sarebbe più uscito da quella stanza, se l’avesse fatto tutto sarebbe cambiato. Lui non gli avrebbe mai chiesto di non farlo. Zoro non era capace di certe cose. L’aveva lasciato andare allora, e lo stava lasciando andare anche adesso.

- Zoro – non si voltò e lo spadaccino continuò a guardare la finestra

- Mi ha fatto piacere rivederti – non aspettò nessuna risposta e uscì chiudendosi la porta.
Il cielo mattutino era più sereno di quello del giorno prima, eppure agli occhi di Zoro appariva come se fosse imperversato da un tremendo nubifragio. Forse era solo il suo cuore che lo era, piovevano lacrime, tuonavano urla. Tutto nel silenzio, come ogni cosa che faceva parte della sua vita.

- Anche a me ha fatto piacere – sospirò nella stanza vuota.

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

Non è facile tornare indietro, forse è impossibile, e questo i nostri pirati lo sanno bene *^*.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e scusate se è così triste, ma sono una dannata masochista XD
Grazie  a tutti
kiss kiss Chiara

 

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Capitolo 6
*** Il mio cuore nel palmo della tua mano ***


Il mio cuore nel palmo della tua mano

- Ti sta d’incanto – esclamò la sarta mentre guardava soddisfatta il suo capolavoro. Keira si guardò attraverso lo specchio girando su se stessa un paio di volte.

- Dici che a Sanji piacerà? – chiese alla donna. La sarta annuì aggiustandosi gli occhiali sul naso. Poi le disse di stare ferma perché doveva sistemare l’orlo.

- Sarebbe un pazzo se non gli piacesse – sospirò infilando l’ago nella bianca stoffa. Gli occhi di Keira si specchiarono ancora nello specchio davanti a se, mentre guardava il suo abito da sposa. Era bellissimo, semplice ed elegante come amava essere lei. Dio, non vedeva l’ora di poterlo indossare davanti a Sanji. Lui le avrebbe detto che era bellissima con quel suo sorriso così dolce, e lei lo avrebbe baciato avvolgendogli le braccia al collo. Aveva sognato quel giorno da così tanto tempo, che ora non credeva possibile che stesse per arrivare.

- Loren, secondo te... sarò una brava moglie? – chiese guardando la donna inginocchiata che continuava a cucire. Loren alzò gli occhi facendo una piccola smorfia.

- Ti prego Keira, piantala una buona volta. Sarai una moglie fantastica, e anche una madre fantastica – essere una madre... anche quello lo aveva sognato tanto. Portare in grembo e poi cullare fra le braccia il frutto del loro amore... come poteva essere così felice? La sua vita era perfetta, non avrebbe potuto chiedere di meglio, ed era sicura che sarebbe stata sempre così. Sanji non l’avrebbe mai fatta soffrire, perché lui l’amava più della sua vita. Anche se non poteva fare a meno di pensare che in quei giorni era un po’ strano. Forse era a causa del matrimonio, in fondo per quanto fosse un ragazzo sicuro di sé, anche lui poteva provare ansia per quel giorno. Ma qualcosa nella sua testa le stava dicendo che non era quello il motivo. Era assente, rimaneva sempre chiuso nel suo ufficio sommerso da carte e vari documenti, e quando la sera tornava a casa, non parlava mai se non fosse stata lei a chiedergli qualcosa. Non era mai stato un tipo troppo loquace, ma a quei continui silenzi, non c’era abituata.
- Ehi a che pensi? – chiese Loren vedendo l’immagine persa nei suoi occhi. Keira scosse la testa sorridendo.

- A niente, solo non vedo l’ora che arrivi domenica – sospirò spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non doveva farsi altre stupide preoccupazioni, tutto sarebbe andato bene, non c’era nessuna ragione ad impedire che fosse così, basta con i brutti pensieri, doveva solo farsi bella per il suo ragazzo e organizzare un matrimonio da sogno. La sarta si alzò e le si mise alle spalle.

- Che ne dici se li alzi per la cerimonia? – sorrise mentre le sollevava i capelli in una coda alta. Gli occhi di Keira si illuminarono.

- Si, direi che così sono perfetti – si accorse di arrossire e iniziò a ridere nervosamente come faceva ogni volta che era imbarazzata.

- Sanji non sa quanto è fortunato – esclamò ancora la sarta accarezzandole le spalle. La conosceva da quando era bambina, e mai l’aveva vista così felice come da quando era entrato quel ragazzo nella sua vita. Non si era mai fidata ciecamente di lui però, ma se Keira era contenta e serena, allora anche lei lo era.

- Bene, ora basta perdere tempo, togliti il vestito così finisco di cucirlo e domani te lo riporto - C’erano ancora tanti preparativi da fare,  e  alla cerimonia mancavano solo pochi giorni.

 

 

Sanji si tolse gli occhiali e si passò una mani sugli occhi stanchi, avrebbe di certo dovuto fare una pausa, erano ore che stava dietro quelle carte. Gettò le lenti sulla scrivania alzandosi dalla poltrona. Quello che ci voleva era una boccata d’aria di mare. Adorava passeggiare a piedi nudi sulla sabbia umida, lo riportava indietro nel tempo, quando da bambino si divertiva a pescare i pesci con le mani. Mai che ne beccasse uno poi...

Indossò la giaccia appesa all’attaccapanni, e uscì dallo studio. Prima però dovette risolvere una piccola inerzia con un cliente. Nonostante l’elevato status del locale, girava anche gente poco raccomandabile, come in quel caso.

- Le chiedo di non alzare la voce – insistette il biondo, ma l’uomo seduto al tavolo continuava  a fare di testa propria.

- Voi siete pazzi! Tutti questi Berry per una misera porzione di sashimi? Siete dei ladri, ecco cosa siete! Ladri! – all’ennesimo insulto, Sanji si avvicinò a muso duro al cliente.

- Stammi a sentire, ora ti siedi e mangi in silenzio. Se solo provi a fiatare un’altra volta, ti prendo a calci in culo finché non mi si spezza una gamba... ci siamo intesi – bisbigliò in modo da essere udito solo dall’’uomo. Gli occhi del cliente si sgranarono mentre piccole gocce di sudore andarono a ricoprire la sua fronte. Sembrava spaventato da morire, ed erano bastate solo poche parole. Si sedette continuando a guardare il direttore biondo che indietreggiò sorridendogli.

- Sono felice che abbia capito... le farò portare il miglior sakè che abbiamo, per scusarci per il piccolo equivoco – l’uomo inghiottì la sua agitazione mentre annuiva alle parole del biondo.

- Perfetto – e finalmente Sanji poté uscire da quella piccola “prigione”.

Era grato al generale Edward, il padre di Keira, per avergli concesso di lavorare per lui, non poteva chiedere di meglio di un posto così prestigioso come quello, ma finire la sua vita dietro ad una scrivania non era quello che aveva sognato. Ma ormai i suoi sogni li aveva dovuti abbandonare da tempo. Li avevi lasciati sulla Sunny, insieme alla sua vita da pirata, e al suo lavoro di cuoco.

L’aria calda della sera, gli concesse di poter camminare senza indossare la giacca. Era bello sentire la brezza marina che soffiava sul viso e  attraverso la seta della sua camicia celeste. Il mare era calmo, e aveva sulla sua superficie piatta, le stesse sfumature del cielo al tramonto. Rossastro con pennellate di viola e blu, che avrebbero finito con il coprire l’intero cielo quando sarebbe giunta la notte. Scese per la scaletta di legno che portava alla spiaggia. Non c’era nessuno a parte una coppia di anziani che stavano giocando a carte su uno soglio. Nei suoi pensieri aveva sempre creduto che un giorno sarebbe finito anche lui a giocare a carte sullo scoglio di qualche isola, magari con Usopp e Nami,  mentre una lo spennava e l’altro litigava perché insinuava che lei imbrogliasse. Poi sarebbe intervenuto un vecchio Franky a dire di fare meno casino, mentre Rufy se la rideva pescando con Brook e Chopper. Robin avrebbe riso, con qualche ruga in più sul suo splendido viso e Zoro... lui avrebbe scosso la testa pensando che nonostante fossero invecchiati, erano rimasti gli stessi idioti di sempre. Un nodo gli strinse la gola. Si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni poco sopra le caviglie. Lasciò sia le scarpe che la giacca sulla ringhiera della scaletta, mentre si avviava verso il bagnasciuga. Qualche gabbiano sfiorare con le sue bianche ali la superficie dell’acqua, libero di volare e andare via. Ciò che invece non poteva fare lui. Prese a passeggiare con le mani nelle tasche per la sabbia bagnata, mentre le piccole onde si infrangevano sulle sue sottili caviglie. Una carezza, quasi una dolce carezza che pareva volerlo rassicurare.

Era inutile fingere che quello che era successo con Zoro non fosse niente. Era stato invece tutto. Era bastata qualche ora per far sgretolare la sua vita. Quella vita che aveva costruito con tanti sacrifici, giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, finché non era riuscito a trovare una ragione diversa per vivere. Era Keira, era la vita che avrebbe diviso con lei. Era qualcosa che ora sembrava così fragile, troppo fragile, e si era frantumata con un solo sguardo. Con poche parole e pochi gesti, aveva capito che nel suo cuore nulla era mutato. I suoi sentimenti, i suoi sogni, le sue speranze. Tutto era rimasto solo fermo, fermo ad aspettare qualcuno che soffiasse via la polvere per riportarli alla luce. E ora non sapeva cosa fare. Fra pochi giorni si sarebbe sposato, avrebbe sigillato il legame con lei, e questo avrebbe dovuto mettere la parola fine ad ogni altro pensiero, mettere la parola fine a Zoro.

Sprofondò con le mani nelle tasche dei pantaloni cercando una sigaretta. Si ricordava di averla portata con se. Sorrise quando però si accorse di non aver preso neanche un fiammifero. La portò lo stesso alle labbra, lasciandola spenta. Così come faceva parecchie volte, o meglio aveva fatto.

- Buona sera direttore – alzò lo sguardo a quella voce.

- Buona sera Giselle – la donna gli sorrise.

- Ti spiace se passeggio con te? – Sanji guardò per qualche istante gli occhi incorniciati dal trucco pesante della donna e annuì sorridendole. I due iniziarono a passeggiare in silenzio, lasciando che fosse il mare a dar voce ai loro pensieri.

- Non sei più venuto a trovare il tuo amico – Sanji non fermò i suoi passi stringendo forte fra i denti la sigaretta.

- Non avevamo altro da dirci – rispose. La donna annuì mentre portava lo sguardo sull’acqua ora un po’ più scura.

- Non è più uscito dalla sua stanza, a parte per mangiare... il ragazzo che gli porta la colazione dice che è sempre occupato a fare esercizi – Sanji rise.

- Lui è fatto così... mi stupisce che non sia ancora andato via – non voleva parlarne, o forse lo voleva, ma nessuno avrebbe potuto capire ciò che aveva da dire, e forse nessuno avrebbe anche solo voluto ascoltarlo. Ma Giselle era diversa, era stata la prima persona che l’aveva accolto quando era arrivato in città. Gli aveva dato un tetto, da mangiare, e anche un sostegno. In fondo era l’unica che forse sapesse chi era davvero.

- Il suo nome è Zoro vero? – Sanji annuì.

- E’ un ragazzo interessante – ghignò la donna provocando un’altra risata del biondo direttore. Già Zoro era un tipo davvero interessante. Anche se era sempre silenzioso e poco loquace, sapeva trasmettere molto solo con la sua presenza. Era l’unica persona che conoscesse in grado di farlo.

- Immagino che tu l’abbia invitato al matrimonio... sbaglio? – i passi di Sanji si arrestarono mentre la sigaretta si tranciò fra i denti. Giselle sapeva che era la cosa sbagliata da dire, ma era proprio per questo che l’aveva fatto. Non erano fatti suoi in fondo, ma non riusciva a capire perché quei due preferissero soffrire in quel modo, quando sarebbe bastato davvero poco per essere un po’ più felici.

- Giselle...- la flebile voce di Sanji si perse nella brezza della sera, mentre i capelli biondi della donna rimanevano perfettamente immobili nonostante il vento.

- Non è poi così difficile figliolo... basterebbe solo essere un po’ più sciocchi – sorrise la donna mentre gli occhi di Sanji la guardavano silenti.

- Sciocchi dici? – lei annuì. Poi si voltò verso il mare lasciando che le piccole onde bagnassero l’orlo della sua lunga gonna rossa.

- Già sciocchi... non farsi troppe domande, troppi problemi. Bisognerebbe vivere così, con la testa di uno sciocco, che sorride sempre e che non ammette tristezza... non credi sarebbe più semplice la vita così? – quelle parole disegnarono nella mente di Sanji il sorriso del suo capitano. Rufy era sciocco, nel senso buono della parola. Era sciocco quando mangiava, quando rideva, perfino quando parlava. Era uno sciocco che però non aveva mai avuto paura di nulla , e mai si era tirato indietro davanti a qualche ostacolo. Essere sciocchi significava anche essere più coraggiosi? Allora lui non era mai stato così sciocco.

- Io amo Keira e voglio sposarla davvero... – Giselle sorrise.

- Sanji ci sono tanti tipi di amore, ma solo uno è quello che da senso ad ogni cosa... puoi amare mille persone in mille modi diversi, ma solo una di queste riuscirà a stringere il tuo cuore nel palmo della mano – Sanji rimase confuso da quell’ultima affermazione e Giselle ridacchiò.

- E’ una vecchia leggenda... si dice che il cuore di un uomo sia grande come il pugno della sua mano e quindi è impossibile stringere un cuore senza romperlo – la bionda donna si avvicinò a Sanji e gli prese la mano sinistra.

- Ma nel mondo c’è qualcuno che può farlo... l’unica persona che puoi stringere il tuo cuore senza romperlo, ma facendolo battere sempre più forte ... è quella la persona che dà senso alla tua vita, come tu dai senso alla sua – lentamente Giselle piegò le dita di Sanji in un pugno e poi gli sorrise.

- Forse sono solo dicerie di una vecchia, ma in fondo ogni leggenda nasconde un po’ di verità, no – ridacchiando si allontanò mentre Sanji continuava a fissare il suo pugno così debole.

Stringere il cuore di qualcuno nel palmo della mano... era un qualcosa di assurdo, talmente assurdo che forse proprio per questo pareva così dannatamente possibile. Pensò alla piccola mano di Keira, forse davvero troppo piccola...

 

 

Qualcuno bussò alla porta e Zoro si alzò pigramente dal pavimento sul quale era piegato per fare i suoi addominali, andando ad aprire.

- Figliolo tutto bene? – chiese la bionda locandiera. Zoro annuì.

- Sì mi sto allenando... non volevo fare troppo rumore, mi scusi – mormorò. La donna scosse la testa mentre buttava un occhio alla stanza. C’erano dei pesi a terra e qualche asciugamano buttata qui e lì sul letto.

- Le serve altro? – Zoro si accorse degli occhi curiosi della donna, e la cosa lo infastidiva. Odiava che qualcuno ficcasse il naso nelle sue cose.

- No tranquillo, anzi ora devo anche andare a cambiarmi che sono tutta fradicia – ridacchiando la donna mostrò al ragazzo l’orlo zuppo di acqua della sua gonna  e Zoro alzò un sopracciglio. Cosa poteva importare a lui del fatto che si fosse bagnata la sua gonna. Sorridendo la donna si allontanò dalla porta, ma mentre il ragazzo stava per chiuderla lo chiamò.

- Sai che sulla spiaggia ho incontrato il tuo amico  – beh “il suo amico” era solo uno in quel momento, e quella donna sapeva benissimo chi fosse.

- Bene – mormorò Zoro cercando di chiudere la porta

- Mi è sembrato triste – sospirò ancora la bionda. Zoro ingoiò un grosso nodo che gli si era formato alla gola mentre chiudeva il legno della porta. Triste... non era colpa sua se Sanji era triste. Era lui che aveva deciso di andarsene, era lui che aveva mollato tutto per fare il damerino ad un generale del cazzo e sposarsi sua figlia! Era stato lui che l’aveva voluto, e non era colpa sua!

Continuò imperterrito a fare i suoi addominali mentre sentiva il cuore battere sempre più forte, ma non era lo sforzo fisico, non era nulla di tutto ciò. Era solo qualcosa che non gli era facile ammettere. Era stato dannatamente bello averlo accanto quella notte. Era stato quasi un sogno stringerlo fra le braccia e sentirlo respirare sul suo petto. In fondo avrebbe potuto andarsene via da quell’isola in qualsiasi momento, eppure era ancora lì...

Dio perché allora non l’aveva fermato? Era anche riuscito a dirgli quello che provava e per qualche ora il tempo era tornato indietro lasciandoli illudere che le cose potessero cambiare. Ma forse era stato solo lui a illudersi. Sanji non ci aveva messo molto a sbattergli in faccia la notizia del suo matrimonio. E ora che si aspettava da lui?

Si fermò con la nuca contro le assi del pavimento, a fissare le travi del soffitto. Avrebbe preferito morire piuttosto che vederlo sposarsi con quella lì. Ma che poteva fare lui? Lui che ci aveva impiegato tre dannatissimi anni a dirgli che lo amava, lui che non era stato capace di dargli altro che silenzi e frasi a metà, lui che quando Sanji aveva perso la possibilità di cucinare, non aveva avuto neanche la capacità di dirgli che gli dispiaceva, lui che quando era arrivato il momento di fermarlo, di non farlo scendere dalla Sunny, aveva chiuso gli occhi incrociando le braccia sul petto e l’aveva lasciato andare via... che poteva fare Zoro...

Si portò una mano sugli occhi quando li sentì bruciare. La notte era giunta e nella piccola stanza illuminata dal bagliore stanco di un lume, solo il rumore dei suoi singhiozzi, malamente celati.

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

Della serie “Tristezza a palate” XDDD...  beh vi aveva avvisato che era una fic ad alto contenuto di lacrime ç__ç
Grazie per continuare ad apprezzare questa storia, che devo ammetterlo adoro particolarmente ^^  e non temete però, io adoro i lieto fine ^-*
Kiss Kiss Chiara

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Capitolo 7
*** Egoismo ***


Egoismo

Quanto tempo era passato? Quante erano state le notti insonni che si erano susseguite da allora? Due, tre, forse quattro... dio, perché era così difficile ricordarle?! Si alzò dalla branda guardando fuori dalla finestra. Il cielo sembrava più nero del solito, né una nuvola, né un gabbiano. Come se l’intera città fosse stata inghiottita dalle tenebre.
Non lo aveva più visto. Era stato tutto il tempo chiuso in quella stanza. Non lo aveva più cercato, eppure continuava a chiedersi quale insana forza gli impedisse di andarsene via, di chiudere una volta per tutte quella pagina della sua vita che tanto lo stava logorando.

- Cazzo – si ritrovò a ringhiare fra i denti mentre con la testa fra le mani cercava di dare un senso a tutto. Forse era davvero così masochista da voler restare fino alla fine. Nella sua testa c’era l’assurda convinzione che solo quando l’avesse visto lì davanti, vestito di tutto punto mentre l’aspettava, solo quando l’avesse visto baciarle la mano avvolta in un guanto bianco, solo quando le campane avessero suonato a festa sotto una pioggia di riso, solo allora avrebbe potuto dirgli addio. Eppure qualcosa dentro non riusciva a smettere di pulsare. Un desiderio, forse un assurdo sogno che stavolta non avrebbe trovato una realizzazione.

Un calore insopportabile iniziò a avvampargli il volto. Mise la testa sotto il getto freddo dell’acqua ma fu tutto inutile. Il suo stesso petto stava andando in fiamme e lui non riusciva a far nulla per impedirlo. Spalancò la finestra venendo schiaffeggiando dalle raffiche violente che imperversavano nella notte. Urlò, urlò più forte di quanto avesse mai fatto, più forte di quando credesse di esserne capace. Urlò ancora e ancora, incurante delle luci della locanda che si andavano accendendo, ignorando le grida e gli insulti che gli venivano lanciati contro. Ancora il vento, ancora insulti. Quelle grida che forse aveva celato per troppo tempo venivano gettate nell’aria gelida della notte come la lava di un vulcano. Quel calore insopportabile andava via via svanendo mentre la gola paradossalmente iniziava a bruciare. Perché si sentiva così? Perché tutto ad un tratto era diventato difficile anche solo respirare? Strinse forte con le dita il legno del davanzale, così forte che alcune schegge gli si conficcarono sotto le unghie, ma non sentiva alcun dolore, come poteva visto che una sofferenza più grande gli stava lacerando l’anima.

 

 

Il vento soffiava forte facendo sbattere le mandate dell’imponente finestra. Sanji si alzò dalla sua poltrona chiudendola nuovamente. Era davvero un tempo da cani. Perfino le luci del porto parevano essersi offuscate, e il mare si era unito alla pece del cielo dove la luna stessa era sprofondata. Un cattivo presagio? No, lui non aveva mai creduto a queste stupidaggini. Sarebbe andato tutto bene, il suo matrimonio sarebbe andato bene. L’avrebbe amata come meritava di essere amata, e ogni giorno avrebbe ringraziato il cielo per averla al suo fianco. Avrebbe sacrificato tutto per lei, anche la sua stessa anima per non farle mancare il sorriso sulle labbra. La felicità di Keira veniva prima di ogni cosa, e non si sarebbe mai perdonato di farla soffrire o deluderla. Mai, mai più una donna avrebbe pianto per lui. Era una promessa che si era fatto anni addietro, e  riusciva a ricordare perfettamente quando. Quella promessa era l’unica cosa che ancora sentiva di poter mantenere. Nella sua vita aveva fallito in tutto, nel suo lavoro, nel suo sogno, nella sua stessa felicità. Ma non avrebbe fatto nulla per infrangere quella permessa, non avrebbe mai permesso a una sola lacrima di rigarle il viso, anche se lui ne avesse versate mille e poi mille ancora.

Mentre tornava alla sua poltrona una nuova folata di vento riaprì la finestra. Forte come un soffio divino il vetro sbatté contro il muro e un vento possente lo colpì. Si voltò verso la tempesta che imperversava all’esterno quando un brivido gli percosse la schiena.

Un grido. Come poteva averlo sentito? Si precipitò a guardar fuori. Nulla, solo i rami e le insegne mosse dal vento. Non c’era nessuno per le strade e le case erano chiuse. Eppure cos’era stato? Cos’era quel flebile brivido che gli aveva fatto vibrare il cuore? Si portò una mano al petto, quella mano che tanto aveva maledetto come per domare quel battito improvvisamente accelerato. No, non poteva avere cedimenti proprio adesso, non la vigilia del suo matrimonio. Lasciò lo studio velocemente incurante del vento che continuava a far sbattere la finestra e che stava portando sulla sua scrivania una miriade di foglie morte.

- Signore, esce con questo tempo? – la voce di un giovinetto gli arrivò alle orecchie. Neanche si preoccupò di rispondergli, aprì il grande portone e uscì in strada. Quando la sua pallida pelle incontro la furia del vento si strinse nel lungo cappotto senza perdere il ritmo dei suoi passi. Lunghi , veloci passi che lo riportarono al molo, dove qualche giorno prima aveva incontrato Giselle. Era difficile riuscire anche solo tenere gli occhi aperti con il vento che tagliava neanche una lama affilata. E fu quel pensiero che lo fece bloccare, che gli fece abbassare il capo e digrignare i denti. Il semplice pensiero di una lama.
Stava cedendo, stava cedendo ancora una volta a quel desidero di fuggire, di lasciare dietro i suoi pensieri, le sue sofferenze, e gli specchi che riflettevano i suoi errori.

 

- Non ci provare, non te lo permetterò  – gli aveva urlato tenendo le braccia spalancate per impedirgli di passare. Lui aveva scosso la testa tenendo stretta fra i denti la sua sigaretta.

- Piantala Rufy, ormai ho deciso – sospirò senza lasciar trapelare alcun’emozione. D’un tratto la sua camicia venne stretta nel pugno del suo capitano mentre veniva sbattuto contro la parete di legno.

- Non ti lascerò andare. Mettitelo in testa! Sei un mio compagno e io non ti voglio perdere – gli occhi sicuri e in quel momento colmi di collera si specchiavano in quelli spenti del biondo. Perché non capiva che per lui non c’era più posto su quella nave?

- Sanji-kun...- la voce di Nami vibrava come poche volte l’aveva sentita. Il suo cuore si strinse in una morsa che pareva volerlo uccidere. La stava facendo piangere, stava permettendo alle lacrime di bagnarle il suo bel viso. Non riusciva neanche a guardarla.

Staccò le mani del suo capitano, quelle mani forti alle quali in quel momento non accettava di aggrapparsi.

- Perdonatemi se potete – aveva sussurrato appena saltando giù dalla Sunny. Le urla di Usopp e i pianti di Chopper, neanche le suppliche di Robin e né quella di nessun altro riuscirono a dissuaderlo. Ma forse l’unica voce che aveva bisogno di sentire in quel momento, era l’unica che non riusciva ad udire. Se ne stava fermo, immobile, con le palpebre serrate e il respiro regolare. Come se non fosse affar suo, come aveva sempre fatto in fondo. Sanji lo guardò un’ ultima volta pregando che riuscisse a sentire il suo cuore sussurrargli di girarsi, di guardarlo, di impedirgli di andare via. Ma nulla. Come una roccia fredda e dura che rimane indifferenze ad ogni onda che le arriva addosso, lasciando che si schianti e si infranga sulla sua superficie impenetrabile senza alcun effetto apparente. Ma ogni roccia ne rimane colpita, anche la più forte. Ogni roccia assorbe l’effetto di ogni piccola onda, la sopporta, la resiste, l’assorbe, finché non è ha abbastanza, finché le onde che le si sono abbattute contro non iniziano a sgretolare la sua superficie, facendo cadere piccole polveri in mare. Uno, due, poi un’altra onda e alla fine la stessa roccia è costretta a spaccarsi. Ma Zoro non era neanche una rocca, era qualcosa di più duro, forse duro come la lama delle sue stesse spade che scalfivano tutto , ma non venivano mai scalfite. Rimanevano affilate, nonostante il numero di gole e di cuori che andavano a infrangere, pulite e lucide, nonostante il sangue che le sporcava di continuo.

E così andò via.

Quel giorno il sole era abbagliante, come se stesse anche lui chiedendogli di non abbandonarlo, di restare a guardarlo e lasciare che facesse splendere i suoi capelli dorati, così come quel mare calmo che gli sussurrava con il suo suono malinconico di non lasciarlo solo, che il suo sogno lo stava ancora aspettando. Ma aveva voltato le spalle a tutto, non poteva fare altro che fuggire via, via dalla sua sconfitta con la speranza di riuscire a sopportarla senza più quella sofferenza che gli annegava il cuore. Non si voltò più indietro, finché le urla di Usopp non scomparvero e finché le lacrime di Nami non si fossero asciugate. Era stata la decisione più dura che avesse mai preso. Aveva detto addio a tutto, al suo sogno, alla sua famiglia, alla sua stessa vita.

 

Iniziò ad inebriarsi del sapore amarognolo della sigaretta. Era riuscito ad accenderla nonostante il vento, e nonostante la sua mano. Era stato forse un piccolo regalo da parte del cielo, o forse solo un modo per beffarsi di lui, ancora una volta. La bufera pareva essersi calmata, come se si fosse improvvisamente accorta che c’era qualcosa che lo stava scuotendo anche più ferocemente delle sue raffiche di vento. Si poggiò contro la staccionata di legno e sospirò. Quella volta non sarebbe scappato, se l’era ripromesso. Era la sua seconda vita e non le avrebbe detto addio. Le strade vuote e desolate come giusto che fossero in quel momento, a notte inoltrata con una tempesta in corso. Chissà se domani ci sarebbe stato il sole. Keira amava il sole anche se aveva sempre voluto sposarsi con la pioggia. Era più romantica, diceva. Sanji sorrise a quel pensiero. Alzò il capo verso l’oscurità che governava il cielo, pregando le nuvole di comparire dalle tenebre che le avevano inghiottite e di bagnarlo. Chiuse gli occhi facendo salire al cielo il fumo della sigaretta e la sua preghiera, sperando di essere udito, almeno quella volta. Il vento riprese a soffiare e lui riaprì gli occhi. Sarebbe stato esaudito?
Afferrò la cicca fra le dita e la guardò un’ ultima volta prima di spegnerla sulla balaustra. Si fece una promessa: sarebbe stata l’ultima. Non avrebbe più fumato e avrebbe così evitato di mentirle. Era il suo pegno d’amore. Poggiò il pacchetto che aveva nella tasca sul legno della ringhiera e decise di affidare al vento la sua sorte. Come le dita abbandonarono la presa, lo vide volare giù e cadere sulla sabbia, poi iniziò a rotolare. Chissà dove sarebbe arrivato. Lo guardò allontanarsi e poi si strinse ancora nel suo cappotto. Doveva tornare a casa, era la vigilia del suo matrimonio e il suo posto era lì.



- Non ce l’ho con te, solo evita di metterti ad urlare e svegliare tutti – sorrise Giselle davanti alla porta semi aperta. La testa verde avvolta dal buio che invadeva la stanza annuì lentamente.

- Scusi – sospirò poi. La donna sentì il cuore restringersi all’espressione sul viso di quel giovane. Ma dannazione, perché ridursi in quello stato? No, non erano affari suoi, ma doveva fare qualcosa.

- Vieni con me – esclamò sicura afferrando il polso del ragazzo. Due passi. Solo quello gli fu concesso prima di essere costretta ad arrestarsi perché sembrava stesse trasportando del piombo.

- Che diavolo vuole da me? – ringhiò Zoro staccandosi senza mezzi termini da quella presa indesiderata. Era stanco, stanco e distrutto e senza alcuna voglia di stare dietro alle pazzie di quella vecchia. Giselle si voltò sospirando. Beh lui era un po’ più difficile da trattate dell’altro, anzi un bel po’ di più. Ma voleva rivedere quella luce negli occhi di Sanji, come voleva rivedere la determinazione in quelli dello strano pirata. Cosa importava a lei della felicità di due perfetti sconosciuti? Nulla, ma forse era l’età che la stava portando ad una lenta e irrefrenabile pazzia senile, o forse quella vena di romanticismo che le aveva sempre bagnato l’anima, o sarà stato quell’affetto che le era mancato sempre, l’affetto di una madre che l’aveva abbandonata e di un padre sempre assente, l’affetto di un marito violento e di un figlio che non era mai arrivato. Forse era solo per quell’amore che in tutta la sua vita aveva sempre così disperatamente cercato e che le era sempre stato negato, che ora voleva riuscire a regalare a quei due perfetti sconosciuti la felicità che era davanti a loro, ma che sembravano non vedere.

- Mi spiace dirtelo figliolo, ma sei un codardo – una frase diretta, schietta, senza cedimenti uscì dalle labbra incorniciate dal rosso di un rossetto della donna.

- Come? – Zoro guardò con sguardo truce la bionda davanti a lui. La sua espressione sicura quella strafottenza che non si poteva permettere.
- Ho detto che sei un codardo. Cos’è hai l’udito difettoso per caso? -  un freddo colpì violentemente il collo rugoso di Giselle, ma lei si accorse solo dopo della presenza di una lama alla sua gola.

- E così che risolvi le cose tu? – aveva chiesto come se non fosse tenuta sotto la minaccia di un’arma così pericolosa, ancor più se a tenerne l’impugnatura era Roronoa Zoro. Il ragazzo inghiottì non aspettandosi una simile freddezza. Ma che diavolo voleva da lui? Prima si impicciava di fatti che non le appartavano, e ora si metteva a sputare sentenze e giudizi. Lui codardo? Non sapeva di cosa stesse parlando. Non sapeva nulla di lui, della sua vita,né dell’angoscia che era costretto ad affrontare giorno dopo giorno.

- Che cosa vuoi da me? – sibilò il giovane fra i denti. La bionda sorrise. Un sorriso materno? Zoro non sapeva definirlo, infondo di materno non conosceva nulla.

- Figliuolo, metti via questa cosa e scendi a bere qualcosa. Ti preparo un po’ di te – la donna si voltò e si avviò per le scale che scendevano in cucina. Zoro vide la lunga gonna sparire dietro l’angolo e abbassò la sua katana insieme al capo. Si lasciò cadere con le spalle contro il muro.

Era possibile che un cuore umano potesse sopportare quel dolore? Era come chiedere ad una foglia di reggere il corso di un fiume. Si rannicchiò come un bambino stringendosi le ginocchia con le braccia. Era così che si sentiva. In tutta la sua vita, fin da quanto si allenava con Kuina, a quando aveva tagliato il collo di Mihawk, in ogni sfida, aveva affrontato tutto come un uomo, e ora era lì come un ragazzino impaurito.

- Sapevo che non saresti sceso – alzò la testa a quelle parole incrociando lo sguardo di Giselle attraverso il fumo che saliva da una tazza calda.

- Avanti prendi – la donna si sedette di fronte, sulle assi ammaccate e scricchiolanti del pavimento e gli allungò la tazza. La mano di Zoro l’afferrò e la strinse incurante del calore che gli bruciava nel palmo.

- Non è ancora finita – gli occhi neri del pirata si posarono sulle labbra rosse della donna per poi tornare ad osservare la tazza.

- Ha fatto la sua scelta – perché le stava rispondendo? Perché stava aprendo il suo cuore con quella donna? Si odiò un po’ per questo, ma tutto quell’odio ormai non faceva altro che ribollirgli dentro e disperdersi nelle sue vene, attraverso ogni fibra del suo corpo per poi sciogliersi nella sua stessa anima.

- E tu, hai fatto la tua? – gli chiese Giselle sorridendo. Zoro la guardò di sfuggita ma non riusciva a permettere ai suoi occhi di lasciare il bordo fumante della tazza

- Che vuoi dire? – ormai non aveva nulla da perdere. Se ne sarebbe andato via l’indomani, avrebbe detto addio a quel posto e a quella donna e mai ci avrebbe messo più piede. Quella domanda sarebbe morta lì, con la notte, con la tempesta che faceva sbattere le finestre e nulla sarebbe cambiato.

- Ah figlio mio, non ti hanno mai detto che bisogna essere egoisti nella vita? – un sorriso increspò le labbra della donna.

Essere egoisti... un sapore amaro salì dallo stomaco del giovane. Era stato proprio per il suo egoismo se ora era in quello stato, se aveva allontanato e perduto l’amore della sua vita. E ora quella lì gli diceva di essere egoista?

- Grazie ma non credo siano affari tuoi – come svegliatosi da un incantesimo, Zoro si alzò abbandonando a terra la tazza fumante e intatta, e lasciando che lo sguardo di Giselle si perdesse sulla sua schiena. Si avviò verso la sua camera deciso a non sentire più nulla della baggianate di quella vecchia.

- Se lo vuoi, riprenditelo – si bloccò a quelle parole.

Giselle si alzò e raccolse la tazza di tè

- Se lo vuoi, riprenditelo – ripeté stavolta con un sorriso prima di sparire di nuovo.

Zoro rimase immobile sulla soglia della porta. Era questa la soluzione ai suoi problemi? Andare lì riempirlo di pugni, caricarselo sulle spalle e portarlo via? Questo avrebbe risolto tutto? Avrebbe sciolto quel nodo che gli legava il cuore e l’avrebbe lasciato finalmente respirare?

Risentì il suo profumo solleticargli le narici e le dita strinsero l’aria come fossero i fili dorati dei suoi capelli. Riprenderselo.. ma quanto era stato davvero suo? Non aveva mai avvertito quel sentimento che ti tiene legato a qualcuno, quella sensazione di appartenenza. Come poteva quindi riprendersi qualcosa che non gli era mai appartenuta. Eppure quella notte, quando l’aveva stretto fra le braccia l’aveva sentito, aveva sentito che il suo cuore gli apparteneva, e allora perché l’aveva lasciato andare via, ancora una volta... Erano troppo tempo che il suo cervello si contorceva sulla stessa domanda e ancora non era riuscito a darle una risposta che non fosse la sua codardia.

“Riprenditelo”...  a quella parola il suo cuore saltò un battito.

 

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

Penultimo capitolo di questa fic. Spero vi faccia piacere che sia ritornata  ^-*
Kiss Kiss Chiara

 

 

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Capitolo 8
*** Danza di lacrime ***


Danza di lacrime

La tempesta che aveva imperversato per tutta la notte, sembrava essersi arrestata con l’arrivo dell’alba. Il sole ancora pallido si specchiava sulle acque tranquille che lievemente dondolavano la piccola imbarcazione. Il vecchio pescatore soffiò un po’ di fumo dalla sua pipa ghignando sotto la folta barba bianca e facendo tintinnare le monete nella sua mano, un bel po’ di monete. Guardò il cielo chiedendosi se avesse retto qualche ora, ma quelle nuvole cariche di pioggia che si stavano avvicinando da est non erano certo un buon segno. Ricontrollò le monete prima di mettersele nella tasca dei suoi calzoni usurati ripensando alle parole di quel giovane
- A che ora vuoi levare l'ancora? – gli aveva chiesto. Lui non aveva detto nulla, aveva sorriso deciso sotto la bandana che aveva legato alla nuca e aveva ridacchiato beffardo

- Te ne accorgerai da solo, resta qui e tieniti pronto a salpare – fu la sua risposta prima di sparire per le vie della città.

Bert era uomo di mondo e sapeva quando non era il caso di fare domande. Quel ragazzo gli aveva solo chiesto se potesse dargli un passaggio e poi aveva pagato in anticipo. Questo bastava, anche se il vecchio lupo di mare dopo una vita passata a solcare gli oceani, sapeva riconoscere la puzza di pirati da miglia di distanza, e quel giovane non era certo un pesce piccolo. Sistemò le vele e le funi e si sedette sul bordo della barca. Il fumo bigio continuava a salire dall’alto e anche se sembrava essere tornato il sereno, quelle nuvole e soprattutto quel ragazzo, non promettevano nulla di buono.

 

 

Il campanile della piazza rintoccava lento. Uno, due, tre, fino ad arrivare a sette lunghi rintocchi che segnavano l’inizio di quella nuova giornata. La città era silenziosa, falsamente silenziosa perché in realtà ogni casa stava ribollendo di curiosità. Era giunto, il giorno che quasi tutti avevo atteso era giunto. Era l’evento dell’anno, ma sicuramente sarebbe stato “L’evento” anche per gli anni a venire. Il generale Edward era un eroe, uno di quelli che sembrano solo leggenda. Aveva acciuffato criminali di ogni tipo, aveva comandato flotte e flotte senza mai un minimo di esitazione, ma non era questo ciò che faceva di lui un grande uomo. Era uno pulito. La Marina invece si era rivelata qualcosa di sporco, qualcosa che nascondeva crimini peggiori di quelli che si impegnava a combattere, e Edward era forse uno dei pochi che erano rimasti integri, che non si erano lasciati sporcare. Era andato in pensione, o meglio era stato costretto ad andarci, ma lui non aveva avuto nulla di ridire. Aveva ringraziato per quella medaglia ed era tornato nella sua cittadina natale, era rimasto lo stesso uomo di sempre, mai una parola storta contro chi aveva servito per anni. Una mosca bianca che tutti ammiravano e rispettavano. Il generale Edward era quello che si definisce un bravo uomo e sua figlia Keira era anche lei una brava ragazza. Come si poteva quindi restare indifferenti al matrimonio di quella giovane, figlia di un tale grande uomo? Tutti erano curiosi, eccitati, ma c’era anche chi aveva storto il naso. Lo sposo era un tipo di cui si sapeva poco, che era apparso così all’improvviso  in quella cittadina, senza un motivo, senza un passato. Ma se il generale Edward si fidava di lui, allora tutti si potevano fidare, perché Edward era uno pulito.

- Allora piccola come ti senti? – chiese sorridendo sotto i suoi grossi baffi grigi. Keira rise nervosamente e strinse forte le mani del padre.

- Papà sono agitatissima. Ho il cuore che sta per scoppiarmi – ridacchiò sempre più agitata. Aveva atteso quel momento così a lungo che ora pareva quasi un sogno. Tutto era surreale, a tratti intangibile, come fosse solo sospeso in aria. I fiori che addobbavano la camera, l’odore del suo profumo alla lavanda, le luci chiare del mattino. Era tutto così perfetto, quasi troppo perfetto per essere reale. Il padre le accarezzò una guancia e le posò un bacio sulla nuca.

- Sii felice figlia mia – Keira si morse un labbro senza riuscire però a trattenere una lacrima che il generale asciugò con le sue grandi dita

- Ehi così farai piangere anche me – la voce un po’ scossa, perché sua figlia era tutta la sua vita. Ancora non sapeva perché si era fidato, ma quel ragazzo sembrava sincero, seppure il suo fosse un passato per lo più buio, costellato di segreti e verità mai dette. Si era fidato della sua gentilezza, del modo in cui la trattava, come una principessa. Era così, per lui. Per il vecchio generale, Keira era una principessa che non avrebbe dovuto fare altro nella sua vita se non essere felice.  Qualche voce gli aveva suggerito di non fidarsi, di fare attenzione, gli aveva consigliato di indagare, e lui l’aveva fatto. Niente, non era mai riuscito a trovare nulla su quel giovane, sembrava non essere mai esistito, e tutte le volte che l’aveva messo al muro chiedendogli di raccontare tutto, di dirgli chi fosse in realtà, lui aveva abbassato il capo e aveva scosso la testa. “Sono solo Sanji “ rispondeva ogni volta. Ma non era così, non era solo Sanji, era il ragazzo che aveva salvato sua figlia da quei malviventi, che l’aveva protetta a costo della sua stessa vita, e questo gli bastava. No, non era solo Sanji, era anche l’uomo che avrebbe saputo rendere felice la sua piccola principessa. 

- Scusi generale, ma ora dovrebbe prepararsi – la servile voce della cameriera fece muovere l’uomo che abbracciata la figlia si diresse nelle sue camere. Il lumacofono squillò mentre percorreva il corridoio.
- Qui siamo ponti, generale – dall’altro capo un soldato, uno dei tanti sparsi per la villa.
- Bene, tenete gli occhi aperti, e per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi- tutto doveva essere perfetto, non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quel giorno così importante. 

 

Nella vecchia cucina illuminata solo da una piccola luce appesa al soffitto, l’odore di caffè e di dolce si sperdeva solleticando l’acquolina del piccolo aiutante
- Non fare strani pensieri Bip, questa roba è per i clienti - Gli occhi del ragazzino si soffermarono delusi sull’enorme piatto di frittelle che sostava sul tavolo.
- Ma Giselle, solo una, ti prego – la donna cercò di mantenere il suo atteggiamento ferreo e irreprensibile, ma quegli occhi da cucciolo furono fatali.
- Va bene, ma solo una – sorrise allungando al ragazzino una frittella che il piccolo aiutante addentò con foga
- Potresti almeno ringraziare – brontolò la bionda ricevendo come risposta un grazie impastato fra i denti di Bip. Scosse la testa accarezzandogli il capo. Quel mocciosetto era capace di strappare un sorriso anche all’uomo più serio della terra. Lo chiamavano Bip perché era un nome buffo, perfetto per quel faccino da furbetto con quegli occhioni nocciola.
- Giselle, dici che il pirata dai capelli verdi ce la farà? – fra un morso e l’altro il piccolo aiutante cercò di porre quella domanda senza strozzarsi. Giselle alzò un sopracciglio avvicinandosi al viso pasticciato di cibo del piccolo.
- Tu che dici? – quella mattina l’aveva mandato a portare la colazione al pirata perché era certa che non sarebbe sceso, ma Bip era tornato poco dopo in cucina con il piatto intero, dicendo che quel tipo non aveva voluto mangiare niente. Diceva che non aveva fame, che aveva una questione importante da risolvere

- Io credo di sì. Ha delle spade enormi – le braccia del piccolo si allargarono finché poterono facendo ridere la vecchia Giselle. Sì, erano delle grandi spade pesanti, ma per quello che doveva fare serviva qualcosa di più piccolo, più piccolo e molto più caldo. A volte non serviva alcuna arma per vincere una guerra.

- Noi tifiamo per lui. Giusto? – Bip annuì mandando giù l’ultimo pezzo di dolce. Si leccò poi le dita finché non ci fu neanche più una briciola a ricoprirle. Giselle gli accarezzò nuovamente la nuca sorridendo. Era sicura che ce l’avrebbe fatta, doveva farcela. Era un po’ una specie di riscatto per lei, un riscatto per tutte le sofferenze che aveva dovuto subire. Così come ci si sente liberi guardando il volo di un uccello, così come si prova quel senso di libertà attraverso le ali di qualcun altro, così lei sarebbe stata felice, attraverso la felicità di quei due giovani pirati.

- Ora basta Bip, o ti mangerai anche le unghie – il piccolo sorrise facendo scivolare via dalle labbra l’ultimo dito.

- Me ne dai un’altra? – la donna sospirò

- Va bene, ma solo una – la felicità in fondo non era poi così lontana.

 

 

Il nastro di raso scivolava fra le sue dita. Lo lisciò e poi lo strinse finché non ne uscì fuori un piccolo fiocco giallo. Prese un lungo respiro mentre fissava l’immagine riflessa alla specchio. Inghiottì respirando ancora una volta. Non stava sbagliando, non era un errore, era la cosa giusta. Sistemò ancora la coda dei capelli legata con un elastico bianco, così come il suo smoking, la camicia anch’essa pallida spezzata solo da quel piccolo papillon giallo. Il solito guanto alla mano, quella dannata mano, e nel taschino della giacca un piccolo fiore color del sole. Come piaceva a lei. Era perfetto, così come Keira aveva sempre voluto vederlo. Si sforzò di sorridere ma quel sorriso spento nello specchio non gli procurò altro che una forte stretta allo stomaco. Abbassò il capo stringendo forte i denti. Era la cosa giusta, non doveva tentennare o avrebbe fallito.
Fallito nuovamente.
Nella stanza risuonava il rumore degli stivali dei soldati che marciavano in giardino. Una miriade di soldati che rendeva il tutto ancora più difficile, quasi claustrofobico. Sentiva come se la sua gola si fosse rimpicciolita, fosse diventata troppo piccola per far passare l’aria. Decise così di allentare ancora quel papillon.

Non ti lascerò andare. Mettitelo in testa! Sei un mio compagno e io non ti voglio perdere” ...
I ricordi affollarono la sua mente velocemente e in modo caotico.


“ Sarò il Re dei Pirati”....

 

Perché tutto ad un tratto non vedeva davanti a se nulla che non fosse un buco nero?

 

Coraggio Sanji, ci siamo quasi”...

 

In bilico, come in un sogno, un incubo in cui non riesci a parlare e hai le gambe paralizzate. Vedi il mondo girarti intorno e tu non riesci a fare nulla se non restare fermo a soffocare

 

“ Sanji-kun mi daresti una mano a portare queste buste?”...

 

I giorni che erano passati velocemente, troppo velocemente ma non abbastanza da sparire, da essere dimenticati, da perdersi in qualche parte del suo cervello e ammuffire senza recar danno.

 

Vuoi essere il cuoco della mia nave?”

 

Un altro respiro allargò i suoi polmoni e decise di dire basta a tutto. Non era più il tempo dei dubbi, delle domande, non poteva permettere ad alcun pensiero di portarlo in qualche posto che non fosse quella casa, quella giornata, che non fosse la sua futura moglie.
Avrebbe voluto avere una sigaretta da fumare, ma non poteva, aveva promesso. Chiuse gli occhi per rilassarsi e scacciar via tutto, voleva essere sereno e affrontare quell’evento come avrebbe dovuto. Con la felicità di chi sta per unire la sua vita a quella della persona che ama, come chi sta per compiere il passo finale verso una nuova esistenza.
Riaprì gli occhi sentendosi un po’ più sollevato, con una piuma in meno sulle spalle.
Poi una scossa, forte e rumorosa fece vibrare le pareti della stanza. Non ebbe neanche il tempo per chiedersi cosa fosse che ne arrivò un’altra e quasi perse l’equilibrio. Che diavolo stava succedendo?

Si catapultò alla finestra e sgranò gli occhi. Una gigantesca nube di polvere avvolgeva l’aria. Urla e grida. Si voltò poi verso la porta quando la sentì aprire di scatto.
- Signore, tutto bene? – si sentì chiedere da un giovane marine.
- Ma che diamine succede?- chiese annullando la domanda che gli era stata appena rivolta, ma il soldato non ebbe il tempo di dire nulla che fu raggiunto da altri tre marines.

- Andiamo, è in giardino! – Sanji li vide correre via e li seguì in corridoio. Poi un flash: Keira!
Corse come il vento verso la sua stanza e la spalancò. Non poteva permetterle che le succedesse qualcosa.

- Keira! - Chiamò a gran voce ma non sentì risposta. Cercò con gli occhi nella stanza e la chiamò ancora. Dopo qualche eterno attimo vide una figura avvolta in seta uscire da una stanza accompagnata da due uomini in divisa.
- Sanji - le corse incontro e l’abbraccio. Le chiese come stava, le accarezzò il viso e l’abbracciò di nuovo.
- Qualcuno è entrato nella villa – una voce si udì alle spalle.
- Qualcuno? – chiese, ma bastò poco che un alone di agitazione invadesse il suo corpo. No, non poteva essere. Non avrebbe mai osato farlo. Quel maledetto idiota avrebbe dovuto morire prima di poter compiere un simile gesto.
- Si sa chi è? – chiese serio tendendo stretta fra le bracca la ragazza. Il marine si avvicinò di qualche passo.
- Sì, è il pirata Roronoa Zoro, vicecapitano del Re dei pirati – inghiottì abbassando il capo. Un vortice nero si aprì sotto i suoi piedi e quasi si sentì trascinare via. Maledetto bastardo...
- E’ un uomo pericoloso, state qui e non vi succederà nulla. Il generale ha detto ....- un nuovo boato interruppe le parole del soldato mentre Sanji sostenne Keira.
Era andato lì, era entrato in quella casa il giorno del suo matrimonio, stava rovinando il giorno più bello di Keira e osava pretendere di restare vivo?
- Portatemi da lui – fece qualche passo ma la piccola mano della ragazza lo afferrò ad un polso.
- Dove vuoi andare Sanji, resta qui... è pericoloso – si perse in quello sguardo di paura, nel terrore e nella preoccupazione che le ricoprivano il viso. Si perse in quell’ amore così forte che sentiva di non meritare.
- La signorina Keira ha ragione, resti qui, andiamo noi – i tre uomini uscirono velocemente dalla stanza e si unirono al rumoroso suono di passi che percorreva il corridoio.

- Keira – quasi furono sussurrate quelle brevi sillabe. Le strinse la mano spostando lo sguardo al pavimento
- Non avrei dovuto vederti ancora... così ho rotto la tradizione – sospirò sorridendo amaramente. La giovane guardò quelle labbra piegarsi in modo innaturale.
- Che sta succedendo Sanji? Chi è quest’uomo? – non poteva incrociare i suoi occhi verdi. Non poteva volontariamente mentirle ancora. Si sentiva bruciare dentro, si era ripromesso di non farla soffrire mai e invece... invece sapeva che non poteva più mantenere fede a quel giuramento. Avrebbe dovuto capirlo quando l’aveva visto al ristorante, quando era andato da lui e aveva lasciato che il desiderio e i ricordi lo trasportassero via. Quando lo aveva sentito pronunciare quelle parole e aveva pianto come una ragazzina... avrebbe dovuto capire che Keira ne avrebbe sofferto.
- Lui è... – non riusciva a staccare lo sguardo dal pavimento, ma quando una piccola mano lo raggiunse al viso fu costretto a farlo.
- Dimmi la verità... – come poteva farlo?
- E’ il ragazzo dai capelli verdi che era nel tuo studio giorni fa? – dovette ingoiare un rovo di spine ma non riuscì a dire nulla. La guardava silente negli occhi e capì che nessuna delle sue maschere avrebbe più retto.
- Si – ammise. Dall’esterno si udivano rumori di lotta e caotiche grida, ma nella stanza regnava il silenzio più assordante. Keira lasciò il viso di Sanji e il suo polso.

- Se è un tuo amico perché sta facendo questo? – la risposta fu immediata
- Lui non è un mio amico! Non siamo mai stati amici! Noi... – ferme e fredde quelle parole uscirono dalla sua bocca per poi spegnersi, mentre pregava che quelle iridi verdi non capissero. Pregava che Keira dimenticasse di averlo incontrato, di averlo amato, di essersi fidata di lui. Di aver sbagliato a credere nel suo affetto.
- Voi allora.. eravate... – lo sguardo della giovane cadde sull’abito bianco che indossava Sanji.
- Perché non mi stai dicendo la verità? – ora di nuovo occhi negli occhi mentre calde lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
No, no, no, no!!! Non poteva riaccadere!
Non ebbe il coraggio di avvicinarsi, di stringerla fra le braccia e... e mentirle, dicendo che tutto sarebbe andato bene.
- Noi eravamo nella stessa ciurma – almeno quella era una verità, ma pesava come una sporca menzogna.
Keira si asciugò le lacrime con la mano e singhiozzando fece qualche passo verso di lui.
- Eri nella ciurma di cappello di paglia? – chiese dolcemente. Il biondo annuì e si sentì afferrare nuovamente la mani. Le sentì strette fra le sue e vide un lieve sorriso disegnarsi sulle labbra rosse.
- O Sanji, va bene... allora vorrà dire che diremo a papà che lui è...- non riuscì a reggere ancora il suo sguardo. La tirò a sé e la strinse forte.
Aveva perso ancora, stava perdendo nuovamente e stavolta non avrebbe sopportato di guardarsi più in faccia.
- Perdonami Keira...- la ragazza sentì i suoi singhiozzi e non poté che riprendere a piangere.

- Perdonami – quei due pianti si persero l’uno nell’altro. Nella stanza una danza di lacrime si librava nell’aria e nessuno dei due aveva la forza di smettere.
Keira sprofondò il viso nel suo petto credendo così di assordare il suo pianto, la tristezza che si stava facendo così velocemente spazio nel suo cuore. La felicità...

Era una cosa davvero effimera....


L’ultimo fendente vibrò nell’aria. Zoro si guardò attorno. Non c’era più un solo marines nel raggio di decine di metri. Rifoderò la katana e si sciolse la bandana dal capo legandola al braccio.
Era deciso, non sarebbe più tornato indietro.
Fece qualche passo in direzione del portone quando udì un ringhio soffocato alle sue spalle. Si voltò: un uomo  si stava alzando a fatica facendo appoggio su una katana. Si mise in piedi affannando mentre un rivolo di sangue gli scivolava dalla fronte.

- Non ti permetterò di fare del male a mia figlia – annaspò. Il pirata guardò l’uomo negli occhi e si avvicinò lentamente.
- Tua figlia non la toccherò. Voglio solo il cuoco – l’anziano marine respirando ancora a fatica si mosse verso il fuorilegge. Il cuoco... non riusciva a capire. Perché un pirata del calibro di Roronoa era piombato nella sia isola, nella sua città, nella sua casa? In cerca di chi?...
Spalancò gli occhi quando fu così palese il tutto
- Sanji...- sospirò incredulo. Vide conferma nel silenzio che circondava il giovane e si sentì così responsabile di tutto.
- Maledetto – ringhiò sotto i grigi baffi. Come aveva potuto permettere che accadesse? Come poteva un marine come lui non accorgersi del serpente che si era insinuato nella sua vita, nella vita di sua figlia...
- Lui era il cuoco... il cuoco di cappello di paglia? – non servì una risposta alla sua domanda.
- Mi prendo il cuoco e me ne vado. Se non vi foste messi in mezzo non sarebbe successo nulla – L’uomo non riuscì a credere a ciò che stava accadendo. Il pirata si mise un braccio del militare attorno al collo e lo trasportò fin sotto un albero, dove lo lasciò sedere.
- Non volevo creare tutto questo casino – sentì ancora dalle sue labbra. Sembravano fredde scuse, un cortese mi dispiace che aveva un sapore fin troppo amaro.
Strinse forte la katana, non per usarla, non avrebbe avuto una sola possibilità, ma solo per scaricare tutta la rabbia che sentiva crescere nel cuore.
- Portalo via... Portalo lontano da mia figlia – bofonchiò con collera. Il giovane si alzò e si diresse verso la casa ma dovette arrestarsi dopo qualche passo.
Una figura si stagliava in cima al gradini di marmo per metà distrutti. Una figura bianca che lo puntava con un indice. Una sagoma che trasudava rabbia e rancore.
- Tu! Maledetto spadaccino! - la coda bionda si muoveva scossa dal venti mentre i denti erano digrignati con forza.
- Ti ammazzerò con le mie stesse mani – a quelle parole un sorriso increspò le labbra di Zoro.
- Fatti sotto... e preparati a perdere -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

 

 

Ebbene sì, dopo ben 2 anni... questa fic sta per avere una fine....
Kiss kiss Chiara

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Capitolo 9
*** La forza di una rosa nella neve ***


La  forza di una rosa nella neve  

Le lacrime le rigavano il volto mentre quelle mani la tenevano ferma contro il muro.
- Avanti dacci tutto quello che hai, dolcezza- la voce roca e la puzza d’alcol. Le risate cattive che sentiva vicine. Non aveva la forza di urlare né di chiedere aiuto, non aveva la forza di far nulla, se no piangere.
- Ti prego – riuscì solo a singhiozzare mentre sentiva mani sporche alzarle la gonna.
- Se non ci dai niente dobbiamo divertirci in qualche altro modo – credeva di morire, avrebbe voluto che suo padre fosse lì, a proteggerla, ma era lontano. Impegnato in chissà quale missione, contro gentaglia come quella. Era sola e nessuno avrebbe potuto salvarla. E la sua unica colpa, era stata quella di voler passeggiare alla luce della luna.

Poi era stato un fulmine. Quelle mani che la lasciavano andare, il rumore sordo di un corpo che cadeva a terra con un tonfo
- E tu chi diavolo sei? – si era voltata ancora tremante a quelle parole incrociando il viso di un ragazzo biondo. Una sigaretta fra le labbra e le mani sprofondate nelle tasche.
- Brutti bastardi, che pensavate di fare?! – erano parole sicure e cariche di rabbia. In pochi attimi vide quel giovane correre verso i suoi aggressori e metterli a tappeto con pochi calci.
Non era ancora riuscita a spostare le spalle da quel muro. Vi era scivolata a terra, stringendo le braccia contro il suo stesso petto.
- Signorina – ora era a lei che si stava rivolgendo. Continuava a tremare e non era capace di proferire parola.
- Va tutto bene... ti hanno fatto del male? – lo vide inginocchiarsi davanti a lei e metterle una mano sulla testa. Era sussultata a quel tocco.
Ma era caldo e amico.
Era la mano del ragazzo che l’aveva salvata.
- N-no... – ma era ancora difficile per lei riprendersi. Si sentì sollevare e si ritrovò avvolta fra le sue braccia.
L’odore intenso del tabacco misto a quello di un buon dopobarba.
La cravatta azzurra di seta.
Si fece piccola piccola contro il suo corpo sentendosi finalmente protetta.

- Ora ti porto a casa, principessa – come il suo adorato papà... anche lui, la chiamava così.

 

 

Rimase a fissare la porta aperta, la porta dalla quale l’aveva visto uscire.
- Sa-Sanji – singhiozzò portandosi una mano alle labbra.

Quella volta sotto la luna, fra le sue braccia, mentre le diceva che andava tutto bene, mentre le prometteva che non le sarebbe più successo nulla di brutto... gli aveva creduto.
Quel ragazzo dal sorriso triste che aveva imparato ad amare così facilmente che neanche se ne era resa conto. Il giovane venuto dal nulla che aveva portato quella ventata d’aria buona nella sua vita. Il gentiluomo che aveva conquistato anche la fiducia di suo padre.
Un pirata, un fuorilegge, un bugiardo.
Chi era stato davvero? Quando le aveva sospirato di amarla... almeno li, era stato sincero?

Il dubbio, l’amara realtà, faceva male. Sentiva il suo corpo vibrare in ogni singola cellula, mille lacrime nascere da dentro e non esser capaci di venire fuori tutte.

Le gote calde e i singhiozzi che risuonavano nella stanza.
Ma ora, prima di sparire via, prima di giurarle per l’ennesima volta che sarebbe andato tutto bene... le aveva detto la verità? E allora perché sentiva di averlo perso, perché si stava chiedendo se fosse mai stato realmente suo... Almeno una sola volta...

Si ritrovò seduta sul letto a stringere fra le dita le lenzuola. A mordersi le labbra quasi a lacerarle mentre il bianco del suo abito era ormai sporco di lacrime e mascara...
Quella giornata da sogno, il suo sogno, era svanito velocemente. Così veloce da non permetterle di respirare. Così veloce da averle estirpato il cuore dal petto e lei, non lo sentiva più battere.
Eppure l’aveva capito subito.
Nel suo animo ora in frantumi l’aveva sempre saputo.
Quegli occhi azzurri avevano sempre guardato il mare con malinconia, c’era una vita di cui lei non sapeva nulla che però lui continuava ancora ad amare. Una vita lontano da lei, in cui Keira, ora ne era certa, non sarebbe mai potuta entrare.
Guardò al di là della finestra.
Le nubi grigie, le piccole gocce che iniziavano a picchiettare contro un vetro ancora integro.
Il frusciare del vento.
La pioggia che tanto aveva bramato scendere sulle sue nozze, era una tempesta che la stava schiacciando. Una tormenta di fuoco che le stava bruciando la carne e l’anima.
Il suo principe... quale crudele menzogna.

- Signorina – da quella porta una figura esile. Un soldato coperto di ferite che barcollava verso di lei.
- Signorina Keira, come sta? – le afferrò la mano ma lei non seppe dire niente. Come quella notte contro il muro.
Scosse solo la testa mentre lacrime dense continuavano a sporcarle il viso.
- Dobbiamo andare via, quel pirata... potrebbe farle del male – quel pirata... il giovane dai capelli di smeraldo che aveva trovato così buffo.
Si pulì con il dorso della mano una guancia e si alzò
- Io... devo parlare con lui – cercò di essere il più forte possibile. Cercò di non far spezzare le parole fra i denti ma il soldato la guardava senza capire.
- Signorina dobbiamo andare via – provò a tirarla ma lei si sottrasse alla presa.
- Ho detto che gli voglio parlare! – urlò stringendo i pugni.
Rabbia, dolore, angoscia.
Quando da bambina lo faceva per capriccio, ora era un bisogno quasi fisico.
Aspettò che il marine si capacitasse. Che le porgesse una mano e la portasse attraverso il corridoio mezzo sfasciato. Attraverso le porte di legno che erano finite in mille schegge a ricoprire il pavimento. Poi lo vide frenarsi davanti alla porta e farle un gesto.
- E’ fuori, ma... signorina... mi permetta di dirle...- non glielo permise. Fece un passo e poi un altro.
La pioggia era divenuta impetuosa. Il prato era zuppo di acqua e sangue. Cercò la chioma verde e la vide.
L’uno contro l’altro.
Amici, compagni, alleati... qualsiasi cosa fossero stati o erano, ora non aveva più importanza.
- Tu... pirata – inghiottì quando lui la guardò, quando Sanji le urlò di rientrare, quando la voce di suo padre risuonò fra il picchiare della pioggia.
I suoi occhi erano colmi di determinazione, la fissavano silenti e lei si sentì ancora più piccola e impotente.
- Pirata.... voglio che tu sappia che... che Sanji... lui è l’uomo che amo – quanto male facevano quelle parole, quanta sofferenza provocava quello sguardo freddo. Lo sguardo di un guerriero. Sentì nuovamente la voce di suo padre ma non ebbe il coraggio di guardarlo.
- Perciò... ora tu...- quante lacrime poteva ancora versare? Quelle che il cielo le stava lanciando contro, quelle che il suo cuore spento non aveva più forza di produrre. Le lacrime che solo un amore folle e disperato può provocare.
- Ti chiedo... di.. di portarlo via con te... te ne prego – quegli occhi ora parevano esprimere qualcosa di diverso, che lei non avrebbe mai compreso. Non lei. Una giovane donzella innamorata dell’uomo sbagliato che ne sapeva della lotta? Che ne sapeva del rispetto di un avversario?
Lei ormai, non voleva sapere più nulla.


Era li. Con il fiato ancora corto. Con l’acqua che aveva appesantito la sua coda bionda e la guardava. Come fosse una fragile rosa che si ergeva in un campo innevato. La sua piccola Keira...
Nel suo bel vestito bianco. Con il viso arrossato e grondate di lacrime, con i pugni stretti e con un amore così forte, che neanche lui, che d’amore aveva finto di viverne, era stato mai in grado di provare.
- Keira – avrebbe potuto si sarebbe odiato di più, più di quanto non facesse già, più di quanto meritasse. E poi guardò lui, a pochi metri da sé. Fermo con le katane strette fra le dita che la fissava. Come una tigre che fissa una delicata gazzella ferita.
La pioggia che aveva chiesto la sera prima, era ora divenuta una tempesta. Mentre il cielo veniva tagliato da lampi e fulmini, mentre poteva vedere anche il generale con le lacrime agli occhi, mentre il mare urlava sputando alte onde.
A che era valsa la sua recita? Perché aveva visto il crollare di ogni possibile speranza con un batter di ciglia? Si era portato dietro il dolore di quella perdita, la sua mano ferita aveva provocato più sofferenza agli altri di quanta ne avesse provocata a lui.
Rufy... Nami...  i suoi compagni, la sua ciurma, la sua famiglia.... quello stupido spadaccino..... e ora lei, Keira. Ognuno di loro aveva sofferto e tutto a causa sua. Tutto per colpa di quella ferita che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare, per colpa di un sogno che si era trasformato in un incubo...


Quegli occhi verdi li ricordava bene, li aveva incrociati per la prima volta nel suo studio e poi li aveva odiati. Odiati per ciò che lasciavano trapelare, li aveva odiati perché avevano avuto la sua immagine riflessa per tre lunghissimi anni. E ricordava la sua chioma color castagna, ora stretta in una coda non più perfetta.
Una fragile donna che in quel momento non aveva nulla da invidiare ad alcun soldato. Una donna che in lacrime gli stava chiedendo di portare l’uomo che amava lontano la lei. Una donna che stava mettendo il suo amore davanti a tutto, davanti alla sua stessa felicità, alla sua stessa dignità... al suo orgoglio. Ciò che lui a suo tempo, non era stato capace di fare. Mettere da parte l’orgoglio e dirgli di non andare. Ora lì, di fronte a sé, vedeva una ragazza tremante che l’aveva messo davanti alla sua stessa incapacità, alla sua sconfitta più dolorosa. Come la sua Kuina... forti come nessun altro. Ne era certo, solo una donna era capace di tanta forza.  

- Keira non dire stupidaggini – lo vide correre verso di lei schizzando gocce d’acqua ad ogni falcata.
- Io non ti lascerò – l’aveva stretta a sé e Zoro aveva sentito un enorme vuoto dentro.
Stava davvero facendo la cosa più giusta?
In ogni scontro, in ogni guerra, ci sono sempre due desideri a contrapporsi. Per realizzare il suo, avrebbe dovuto schiacciare quello del suo avversario. Non si era mai fatto alcuno scrupolo, eppure ora davanti alle lacrime di quella ragazza, il suo egoistico scopo pareva avere meno senso.
- Sanji, ti prego – ma lei lo allontanò. Vide il suo cuoco fare qualche passo indietro e tenere le braccia  a mezz’aria con lo sguardo confuso.
- Io voglio che tu sia felice... e non importa se per esserlo devo lasciarti andare... – un tenero sorriso  le aveva piegato le labbra.

- Ma io non...- bella, bellissima. Dolce come non l’aveva mai vista. Con il viso sporco di trucco e i capelli in disordine. Con l’acqua che le bagnava l’orlo dell’ampio abito e le dita tremanti.
- La tua felicità, Sanji... lo sai bene non sarà mai con me – e quei gli occhi verdi come un prato guardavano lui, quel testardo spadaccino.
La sua felicità... come quella notte alla taverna, così come la prima volta a Coconut Village. Non aveva mai preteso di essere felice, non sentiva di meritarlo in fondo. Era stato egoista e meschino, aveva riempito l’aria che respirava di rabbia e rimpianti, i frammenti del suo sogno sfasciato avevano continuato a torturarlo per tutte le notti che aveva vissuto da allora.
Triste, angosciante, disperato... il suo animo pareva spezzarsi a metà. Fra la strada giusta e quella sbagliata, fra la sua nuova vita e quella che si era lasciato alle spalle ma che in quel momento gli stava dando la possibilità di ritornare.
La sua ciurma... la sua sola, vera famiglia...
Abbassò il capo. Indegno di guardarla, indegno delle sue lacrime e più che mai indegno del suo amore.
- Sparisci dalla vita di mia figlia! – il generale Edward era traballante sulle sue stesse gambe. Un padre che stringeva fra le braccia sua figlia, la sua principessa. Un padre che lo stava guardando con odio e con rabbia, che avesse potuto, gli avrebbe strappato il cuore dal petto.
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Le sue forti gambe lo stavano abbandonando. L’acqua che scendeva dal cielo pesava come un macigno sulla sua testa.
Avrebbe ceduto.
Sarebbe crollato e questa volta non ci sarebbe stata maschera a risollevarlo da terra.

Ma forse non serviva.
Ora, mentre sentiva le dita rudi di Zoro cingergli il polso, mentre vedeva i suoi occhi guardarlo senza più accusare. Mentre la pioggia cadeva su quei capelli assurdamente verdi, ora forse non sarebbe servita alcuna maschera.

Stavolta non ti lascio andare via” pareva sussurrargli quel sorriso, che se avesse potuto, avrebbe definito dolce. Di una dolcezza disarmante, di quella stessa dolcezza di cui non lo credeva capace, che gli aveva regalato un numero di volte così infimo che le poteva ricordare tutte.

- Zoro... – e come mai si era sentito prima di quel momento, ora era certo. Certo della sua decisione, certo dei suoi sbagli, certo della serena vita a cui stava rinunciando, ma più che mai, certo di quel folle sentimento che aveva odiato e di cui era stato passivamente vittima per così tanto tempo.
Strinse i pugni facendo scivolare via da quelle forti dita il suo polso e la guardò, per chiederle scusa, per chiedere un perdono impossibile da essere concesso, ma ancor più forte, per dirle grazie. Ringraziarla per l’amore in cui l’aveva cullato in quegli anni, e che ora lo stava spingendo lontano da lei, solo e unicamente per vederlo felice.

- Non ti odio... Sanji... non potrei mai farlo – e quelle labbra rosse ora bagnate di lacrime gli sorridevano e rendevano la sua scelta crudelmente semplice.
- Io... – ma le parole erano difficili da pronunciare. Sospirarle un grazie non sarebbe bastato, urlarle uno perdonami ancora meno. Non gli restava null’altro che sorriderle, chiudere gli occhi e regalarle il suo ultimo inchino.
Ma non sarebbe passato giorno senza averla nel cuore, senza che il suo dolce ricordo riempisse i momenti di tristezza. La forza della sua fragilità sarebbe stata la sua coperta per proteggersi dalle difficoltà che avrebbe incontrato d’ora in avanti. I suoi occhi dolci e i suoi capelli color castagna gli sarebbero apparsi in sogno e gli avrebbero ricordato sempre che anche lui era degno di essere amato, che in un tempo lontano una dolce fanciulla aveva rinunciato alla sua felicità per la sua, per la felicità di un cuoco sciocco ed egoista. Che quella stessa felicità in cui non aveva mai realmente creduto era lì, ad un battito di ciglia e a lui bastava solo allungare la mano e avere il coraggio di afferrarla. Il suo dolce sacrificio sarebbe stato un monito per non arrendersi mai, perché l’avesse fatto, avrebbe ferito anche il suo delicato ricordo. L’avrebbe sempre amata in fondo, perché come gli aveva detto quella pazza di Giselle, si può amare in mille modi diversi, e quell’amore puro come una piuma d’angelo gli avrebbe sempre riscaldato il cuore.
- Forza, ci stanno aspettando – non aveva ascoltato realmente quelle parole, ma aveva iniziato a correre dietro quella testa verde, aveva spinto le sue gambe a muoversi velocemente per non potersi voltare indietro. L’acqua che scoppiettava ad ogni ampia falcata e quella che invece gli versavano le nuvole dal cielo  parevano purificarlo da ogni peccato, da ogni immonda colpa di cui si era forse ingiustamente fatto carico. Ogni cosa scivolava via da lui.
Davanti a sé solo la schiena di Zoro e lo scintillio di quegli orecchini d’oro. Sorrise appena, conscio della follia in cui stava cadendo, ma che voleva vivere fino alla fine, insieme alle lacrime che avrebbe versato e a quelle che sarebbero rimaste celate nel cuore.
Di dolore e di gioia.

Le strade erano deserte, quel temporale le aveva svuotate tutte, e forse il casino che aveva combinato lo spadaccino avevano dato una mano. Riconobbe alla destra l’insegna della locanda.
Giselle, l’avrebbe voluta salutare, avrebbe voluto dire grazie anche a lei, che senza che se ne rendesse conto, era stata un po’ una mamma per entrambi. Per entrambi, che di un amore materno erano sempre stati orfani.
- Giselle! – urlò facendo voltare lo spadaccino. Facendo arrestare anche la sua corsa.
- Giselle! Sono io, vieni fuori! – prese profondi respiri e aspettò che la porta si aprisse, che la donna si affacciasse sulla soglia.
- Ce l’hai fatta, ragazzo – sorrise verso Zoro e lo vide annuire appena.
- Grazie di tutto, Giselle – le parole di Sanji, il suo sguardo che aveva riacquistato luce, che brillava anche sotto la pioggia le riempirono gli occhi di lacrime. Si portò una mano sulla bocca facendo loro segno di andare.
- Coraggio, andiamo – alle parole di Zoro ripresero la corsa, verso il molo, verso la sua rinascita.
Ripresero la corsa, benché il temporale non dava cenno di diminuire.
- Eccolo – urlò Zoro indicando una piccola imbarcazione. Sanji si sentì ancora più strano quando la mano di lui si avvolse attorno al suo polso e iniziarono a scendere insieme verso la barca.
- Sei stato tu a fare tutto quel trambusto, figliolo? – borbottò
Bert mentre sistemava le funi. Il marinaio non ricevette risposta, vide il ragazzo sedersi e accanto a lui...
- Santi numi, ma tu non sei il direttore dell’Elisir? – rimase leggermente spiazzato. Che diamine ci faceva con un tipo poco raccomandabile come quello?! Neanche stavolta ricevette risposta, ma solo un intimazione a muoversi, perché era già tardi.
- Queste sono le coordinazioni, portaci lì e muoviti – comandò ancora lo spadaccino consegnandosi un foglietto. Gli occhi dell’uomo si mossero a richiamo ma il pirata non parve accusarlo minimamente.
- Giovani d’oggi... senza più rispetto – borbottò ancora mentre la barca iniziava ad uscire dal molo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

 

 

Anche se in ritardo sulla tabella di marcia (e vi chiedo scusa per questo >.<), questa è la prima parte dell’ultimo capitolo, pubblicherò la seconda prossimamente. PROMESSO! ^-^
Ne approfitto quindi per fare ora i ringraziamenti a tutti voi, che mi avete seguito e incoraggiato nella stesura di questa storia.
Ho letteralmente adorato scriverla. È di sicuro una delle mie preferite e ammetto, che la concludo con una profonda tristezza. Nel bene e nel male mi ha fatto sognare ed emozionare scriverla, ho immaginato ogni singola scena che ho descritto e spero che anche a voi siano arrivate le stesse emozioni che provavo io. Sono molto orgogliosa della storia che ne è venuta fuori e di questo devo anche, e soprattutto ringraziare voi. Le vostre parole e le vostre dimostrazioni d’affetto hanno reso la stesura de Il mare del Silenzio una bellissima avventura  XD
Era nata da un’idea ispirata dalla canzone  La voce del silenzio cantata dal magico Andrea Bocelli. Sarebbe dovuta durare un paio di capitoli ed invece è arrivata fino a 10!
Grazie quindi ancora a tutti! ^_^

Spero crediate alla mie parole perché sono sincere e vengono dal cuore.  Ho capito quanto scrivere mi dia e quanto sia importante per me, anche se è solo una stupida fanfic che verrà dimenticata fra le pagine del forum, ed è giusto così ^_^
E dopo questo strambo ringraziamento pre-finale vi saluto XD
e vi do appuntamento fra un paio di giorni con l’ultimo aggiornamento ^.*

kiss kiss Chiara

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Capitolo 10
*** Grazie ***


Grazie  

L’isola si faceva via via più lontana. Le sagome delle case, la grande insegna dell’Elisir... tutto stava diventando così piccolo, che Sanji si chiese se mai quella vita l’avesse vissuta sul serio. La pioggia era insistente, ma il profilo dell’isola era ancora perfettamente nitido, così che lui potesse dirle addio. Addio al suo posto di direttore, addio a Keira, addio a Giselle... addio a quel limbo in cui aveva deciso tre anni addietro di restare.  Sentì il cuore saltare un battito, come a chiedergli se quello che stava facendo fosse davvero la cosa giusta.
- Ehi, tutto ok? – si sentì chiedere. Guardò verso lo spadaccino e annuì.
- Non hai ancora detto una parola – era vero. Non aveva avuto ancora la forza di pronunciare una sola sillaba. Come se la sua voce l’avesse lasciata alla villa del generale Edward insieme alla sua richiesta di perdono. Abbassò il capo fissando il legno dell’imbarcazione.
- Zoro – sospirò appena attirando l’attenzione dello spadaccino. Passò qualche altro attimo di silenzio infranto dal rumore del mare che veniva tagliato dalla barca.
- Tre anni fa... quando me ne andai... ti ho odiato davvero – la voce era ferma e le parole non tradivano incertezza. Gli occhi dello spadaccino fissavano il suo viso silenti.
- Ma ho odiato di più me stesso – ora poteva vedere quelli di Sanji specchiarsi nei suoi e trapelare una sincerità che pareva rasserenare il cuore del cuoco.
- E’ passato, cuoco... non ha più importanza – sibilò stancamente scivolando contro le assi di legno e chiudendo gli occhi. Il biondo lo fissò disegnando un leggero sorriso sulle labbra... quello stupido marimo, allora era vero che non sarebbe mai cambiato.
Bert continuò a guidare la barca per qualche ora finché non giunsero in un punto indefinito del mare. Spense i motori.
La pioggia era cessata e il cielo era ormai sgombro da nuvole che avevano lasciato il posto ad un sole pallido. All’orizzonte non vi era nulla.
- Siamo arrivati? – bofonchiò Zoro. L’uomo affermò che era quello il punto in cui le coordinate portavano. Non c’era possibilità di errore.
Sanji si affacciò dall’imbarcazione per scrutate il mare.
- Pensavo avremmo attraccato alla prossima isola – guardò Zoro che non diede cenno di risposta.
- Il tuo amico mi ha detto di portarvi qui. E’ quello che ho fatto – mormorò ancora il marinaio sistemando le corde e le vele. Sanji ebbe una strana sensazione. Una morsa lo prese allo stomaco e quando le labbra di Zoro si dischiusero ebbe conferma dei propri timori.
- Stanno venendo a prenderci – stavano venendo a prenderli.
Chiedere chi non era necessario, sapeva benissimo di chi si trattava ma lui... era davvero pronto? Era già stato uno shock quello che era successo, poteva ancora sentire le lacrime di Keira bagnargli la camicia... il suo cuore avrebbe retto nel rivederli? Avrebbe potuto guardare gli occhi di Rufy? E quelli di Nami? Sentì su di sé lo sguardo dello spadaccino e di istinto gli diede le spalle. Fece lunghi respiri portandosi una mano sul petto. Li aveva lasciati tre anni addietro ed ora li stava ritrovando. Il suo capitano era divenuto il re, la sua ciurma la più temuta dei mari. Le loro vite erano ricche di avventure che lui... non aveva potuto o meglio, voluto vivere.
Forse doveva aspettare... Sì, avrebbe dovuto prima far chiarezza e poi rivederli. Poteva sempre chiedere a Bert di portarlo su un'altra isola e poi...
E poi sarebbe scappato nuovamente, come era accaduto tre anni prima.
Stava per scivolare in una nuova tristezza quando il suono di un lumacofono interruppe i suoi pensieri. Si voltò verso Zoro e lo vide prendere qualcosa dalla tasca, un baby lumacofono per l’appunto.
Avrebbe voluto dirgli di non farlo ma la sua gola lo stava tradendo di nuovo.
-
Ehi Zoro tutto bene? – quella voce... Ebbe un sussulto nel sentirla.
- Si tutto ok, siamo... – le labbra si discussero e lasciarono uscire un leggero sospiro.
- Rufy...- Zoro lo guardò interrompendo la sua frase mentre dall’altro capo del lumacofono si udì un mormorio e poi...
-
Ohi Sanji, sei tu?... Sei davvero tu?... SAANJIIIII!!!!! – sentirgli pronunciare il suo nome, sentirglielo urlare a quel modo. Era come se il tempo non fosse mai passato, come se quei tre anni non fossero mai esistiti e tutto il dolore potesse svanire come una bolla di sapone.
- Sì, Rufy – sorrise sedendosi accanto allo spadaccino, prendendo dalle sue mani il piccolo lumacofono e guardandolo come fosse la cosa più preziosa del mondo.
Un vociare si unì alle urla che Rufy stava ruggendo dall’altra parte.
-
Ohi Sanji come stai? Noi qui...  Usopp stavo parlando io!... Ehi anche io voglio parlare con Sanji, Sanji mi senti?.... Chopper tu dopo, prima io, sono il capitano... Yohohohoho ehi cook-san come va la vita?.... piantatela IO devo parlare con Sanji! – rimase immobile mentre quel fiume gli si riversava nelle orecchie riempiendogli il cuore di gioia e mentre Zoro se la rideva.
- Non sono cambiati molto – ghignò e Sanji sorrise a sua volta
-
Ehi Sanji lo sai che il One Piece era.... Sanji ci sei mancatoooo... Stavo parlando io Chopper!... Robin tappagli la bocca!.... No Usopp tocca a me!... Ehi fratello sopracciglio, tutto bene?... Basta Franky io sono il re dei... ADESSO BASTA! Parlo io: Sanji-kun, mi senti? – la voce della sua dolce Nami. Rimase in silenzio senza dire nulla in lunghi attimi che parvero eterni
- Nami-san... – non seppe aggiungere altro ma poté sentire distintamente il suono di alcuni singhiozzi dall’altra parte
-
Sanji-kun...- la sua voce rotta dal pianto così come quel giorno, che però stavolta non era altro che di gioia.
-
Abbiamo avuto dei problemi con la marina, ma stiamo venendo – chiarì Usopp mentre spiegava che non era niente di grave, gli aveva solo portato via del tempo.
- Ok, allora vi aspettiamo – Sanji fece un lungo sospiro mentre Zoro spegneva il lumacofono e rimase a fissarlo per qualche istante.

I suoi nakama, la sua sola vera famiglia. Li avrebbe riabbracciati dopo così tanto tempo che si chiedeva se non fosse solo un sogno. Uno dei quei sogni agrodolci che spezzavano le sue notti. Quando la malinconia si faceva largo dentro di lui e nel silenzio della stanza gli pareva di poterli sentire ridere accanto a sé. Le notti in cui affondava il viso nel cuscino e si faceva forza per non crollare.
- Se ti azzardi a piangere di nuovo, ti getto in mare – la voce di Zoro intimava quell’ordine con una strana dolcezza. Gli aveva letto dentro, lo aveva capito senza che lui avesse anche solo parlato. Un tempo non avrebbe creduto possibile un tale miracolo.
- Ok spadaccino, ma solo se tu la smetti di fare lo sdolcinato – si ritrovarono a sorridere entrambi.
Come se la felicità fosse un qualcosa che ognuno merita prima o poi, non contano gli sbagli commessi, non contano più le lacrime versate e quelle che invece si è fatto versare. Come un dono che un giorno o l’altro tutti scartiamo, eppure quanta sofferenza c’era stata dietro... ma ora non aveva più importanza.
Si guardò la mano, l’eterno emblema di quel vile dolore.
- Chopper... lui dice che può guarirla – le parole di Zoro odoravano di bugia e si ritrovò a scuotere la testa.
- Dico sul serio... lui e Franky... non so bene di che si tratta – agli occhi di Sanji, Zoro sembrava un bambino che cerca di spiegare un concetto che neanche lui aveva ben afferrato. Impacciato e quasi imbarazzato.
- Insomma c’hanno lavorato tanto e ora... potresti tornare a cucinare, se volessi– stavolta era ancora più difficile ricacciare le lacrime e se fosse vero o meno, se avesse potuto rincorrere ancora il suo sogno non era poi così importante. Ma pensare che nonostante se ne fosse andato, nonostante non avesse avuto fiducia loro aveva continuato a lavorare per aiutarlo, avessero anche solo disegnato un’ utopia nella certezza che si sarebbero rincontrati, solo questo gli riempiva il cuore di gioia.
- Chi lo sa... – sospirò fissando quel guanto che da mille giorni gli ricordava la sua sconfitta. Uno strano tepore si impossessò del suo corpo e lui ci mise un po’ a capire cosa fosse. Per troppo tempo non ne aveva sentito la presenza sulla sua pelle: speranza. Dolce invenzione degli dei.
- Rufy ultimamente è ingordo di nuove avventure... gli interesserebbe di sicuro cercare un certo mare – sibilò lo spadaccino scivolando con gli occhi chiusi contro il legno dell’imbarcazione. Sanji sorrise e si alzò.
Lentamente come fosse un rito, fece scivolare via il guanto nero portando alla luce del sole il pallore di quella mano.
- L’all blue – sentì dei brevi tremori percorrere le sue dita ma scosse la testa per cacciarli via. Un semplice slancio e il nero della stoffa cadde in mare, galleggiando silente sullo specchio d’acqua.
- Ohi, marimo -
- Che vuoi? – aspettò qualche attimo fissando quel verde assurdo dei suoi capelli.
- Grazie – non avrebbe mai creduto di poterlo dire. Di poterglielo dire.
Lo aveva odiato e maledetto ogni singolo giorno trascorso lontano da lui. Si era maledetto e si era odiato per quella scelta. Mai avrebbe creduto che un giorno gli sarebbe stato grato. Per non averlo lasciato solo, per aver combattuto per riprenderselo, per avergli fatto capire che non era passato un singolo attimo che lui non lo avesse nel cuore. Tenace e testardo come sempre. In quei pochi giorni lo aveva riempito di un amore così grande che non era paragonabile a quello che si può provare in una vita intera. Un amore che aveva superato le sue paure e sbriciolato le sue insicurezze, incenerito i sensi di colpa come una fiamma ardente. Forse neanche quello stupido marino si rendeva conto di quale imprese avesse compiuto, la più grande di tutte.
- Smettila di blaterare – e le sue forti braccia lo aveva avvolto e tirato a se. Poteva vedere nell’orizzonte davanti una nuova luce brillare, la sua luce.
- Non provare più ad andartene, chiaro? La prossima volta non ti verrò a prendere – ghignò contro il suo viso.
- Sì che lo farai – ora era Zoro a sorridere annuendo. Sconfitto, felicemente sconfitto.
Sì, l’avrebbe cercato e ripreso ovunque fosse scappato, anche in capo al mondo. Aveva solcato i fondali marini, il cielo stesso, perfino gli inferi. Non poteva scappare da lui, ma forse mentre sentiva il suo profumo inebriarlo, mentre quelle labbra sottili si avvicinavano alle sue, mentre in lontananza poteva vedere il vessillo della sua ciurma e il ricordo di qui giorni si faceva largo nel suo cuore, forse sì, ne era quasi convinto, non sarebbe più scappato. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**The End **

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie infinite anche a voi u///u
kiss kiss Chiara

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