L'alba di un nuovo giorno

di loryl84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Al di fuori dal mondo ***
Capitolo 3: *** 2. La nuova Kaori ***
Capitolo 4: *** 3. Una triste scoperta ***
Capitolo 5: *** 4. Sensi di colpa ***
Capitolo 6: *** 5. Arrivo a Shinjuku ***
Capitolo 7: *** 6. Avvertimento ***
Capitolo 8: *** 7. Un giorno come tanti ***
Capitolo 9: *** 8. I tuoi occhi ***
Capitolo 10: *** 9. Il sapore di un bacio ***
Capitolo 11: *** 10. Pensieri ***
Capitolo 12: *** 11. Il rapimento ***
Capitolo 13: *** 12. Corsa contro il tempo ***
Capitolo 14: *** 13. L'agguato ***
Capitolo 15: *** 14. Come te nessuno mai ***
Capitolo 16: *** 15. Un dolce risveglio ***
Capitolo 17: *** 16. Tempo di spiegazioni ***
Capitolo 18: *** 17. Il ritorno di El Diablo ***
Capitolo 19: *** 18. Salvare Ryo ***
Capitolo 20: *** 19. Lo scontro ***
Capitolo 21: *** 20. La strada per l'Inferno ***
Capitolo 22: *** 21. Ritorno dall'Inferno ***
Capitolo 23: *** 22. Il senso della vita ***
Capitolo 24: *** 23. L'alba di un nuovo giorno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Anni ’70 – Un punto imprecisato dell’America centrale


Stava calando la sera.

Il cielo si andava tingendo di rosso. Tutto era immobile, statico.

In lontananza, il rumore di un ruscello che seguiva il suo corso.

Gli uccelli, dopo un ultimo volo, si andavano a ritirare nei loro nidi. Gli insetti e le mosche ronzavano intorno, si attaccavano addosso con fastidiosa insistenza.

Il ragazzo diede uno sguardo sul paesaggio di fronte a sé. Il panorama era bellissimo, superbo, ma lui sapeva bene quanto potesse essere insidiosa la giungla.

Alle sue orecchie arrivava il sommesso frastuono dei suoi compagni. Stavano festeggiando, l’ultimo attacco all’esercito governativo era stato un vero successo. E adesso si ritrovavano insieme, a bere e a cantare sguaiate canzoni, accompagnati dalle procaci ragazze che avevano fatto venire dalla città.

Come se non fosse successo niente. Come se non avessero ammazzato uomini come loro, che combattevano come loro.

Il ragazzo si guardò le mani. Anche lui ce le aveva sporche di sangue. Anche lui aveva ucciso. Aveva solo sedici anni, ma già la lista degli uomini a cui aveva tolto la vita era molto lunga. Infinita.

Un guizzo di rabbia contrasse i tratti del suo bel viso.

Alzò lo sguardo sulla valle davanti a sé, stringendo i pugni. Se tutto andava come aveva previsto, quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto quel paesaggio.


 
La sera aveva lasciato il posto ad una notte stellata. La luna, pallida e silenziosa, rifletteva i suoi deboli raggi sulla fitta boscaglia.

Il ragazzo osservò lo spettacolo che aveva di fronte. I suoi compagni erano quasi tutti stesi al suolo, ubriachi fradici, alcuni sonnecchiavano, altri si erano ritirati nelle loro tende con le ragazze, altri ancora russavano rumorosamente.

I falò, che avevano acceso nel tardo pomeriggio, si andavano via via spegnendo. Intorno, bottiglie di rhum vuote, avanzi di carne arrostita sparsi qua e là, armi, lasciate incustodite, contornavano la scena.

Scavalcò uno dei suoi compagni, che si era addormentato con una bottiglia tra le mani, bloccando il passaggio. Silenziosamente prese la sacca con i pochi effetti personali, che aveva preparato, all’insaputa degli altri. Gettò uno sguardo sulla tenda più grande, quella del capo. Quella di suo padre.

Anche lui si era ritirato presto, stanco dalle fatiche del combattimento, ma non aveva tralasciato di portare con sé una giovane ragazza per fargli compagnia. Gli aveva lanciato uno sguardo significativo e ammiccando, era scomparso dietro la tenda. I gemiti soffocati che giungevano dall’interno, non lasciavano adito a dubbi.

Certo, non si sarebbe mai aspettato che al risveglio, lui non ci sarebbe più stato.

Un lampo di odio balenò nel suo sguardo. Quel bastardo, quel traditore, voleva utilizzarlo per i suoi luridi scopi. Ancora.

Sapeva bene che, pur essendo giovane, lui era molto più forte e più astuto della maggior parte dei suoi uomini messi insieme.

Lo aveva sentito mentre parlava con Pedro. Voleva fargli assaggiare ancora il suo “gioiellino”. Come se non fosse già stato abbastanza, tre anni prima. Per la miseria, era solo un bambino! Eppure non aveva esitato a drogarlo, a renderlo debole, alla sua mercè, per fargli fare quello che voleva.

Era sopravvissuto per miracolo. E adesso voleva ritentare la sorte. Ma questa volta non glielo avrebbe permesso. Aveva giocato già abbastanza con la sua vita.

Aprì la sacca, prese la pistola che era diventata la sua muta e silenziosa compagna. Una Phiton 357 Magnum. Apparteneva al primo uomo che aveva ucciso. Suo padre gli aveva permesso di tenerla. D’altronde erano quelle le regole del gioco, in guerra.

La sistemò nella cintola dei pantaloni, poi furtivamente, si inoltrò nella giungla.

Incominciò a correre, per mettere più distanza possibile, tra lui e quello che, fino ad allora era stato il suo mondo. Correva, nonostante i rami degli alberi gli graffiassero il volto. Ad un certo punto si fermò, per riprendere fiato. Si appoggiò al tronco di un albero, con i sensi all’erta. Gli era sembrato di aver udito un rumore, non voleva che avessero già scoperto la sua assenza. Ascoltò più attentamente.

Era un rumore strano, debole, sommesso.

Indeciso se accertarsi di che si trattava o continuare la sua corsa verso la salvezza, optò per la prima ipotesi. Piano si avvicinò al luogo da cui proveniva il lamento.

Districandosi tra le fronde degli alberi, cercando tuttavia di essere il più silenzioso possibile, arrivò in una zona dove la vegetazione era più fitta.

Sbattè le palpebre diverse volte, per abituarsi all’oscurità. Grazie all’aiuto dei fiochi raggi lunari, intravide qualcosa. Sembrava una carcassa. Un esame più accurato, gli fece capire che si trovava di fronte ai resti di un aereo.

Si ricordò che il giorno prima, Pedro aveva parlato di un aereo che era caduto nei dintorni. Aveva pensato di fare un giretto, ma i preparativi per la guerriglia non gliene avevano dato il tempo. In seguito, aveva completamente dimenticato quell’incidente.

Dal groviglio di lamiera, usciva ancora un piccolissimo filo di fumo. Era palese che l’impatto era stato duro, non aveva lasciato superstiti.

Cautamente, si avvicinò. Udiva chiaramente un debole lamento, un pianto sommesso.

Alzò le fronde degli alberi, che gli impedivano una chiara visuale. Mosse pochi passi, fino a trovarsi davanti allo sportellone principale. Infilò la testa all’interno, notando subito i corpi esanimi dei passeggeri.

Il pianto era sempre più vicino. Con un balzo, entrò in quello che era stato il corridoio. Il movimento causò un cigolìo, che fece cessare il pianto.

Il ragazzo avanzò piano, guardando tra i sedili. L’aereo era stato distrutto per metà, i comandi erano andati in tilt, dal motore colava un denso liquido ambrato. Sembrava incredibile che non avesse ancora preso fuoco.

All’improvviso si fermò. Aveva notato un leggero movimento alla sua destra, un fruscio impercettibile. Si chinò per osservare meglio sotto il sedile, stendendo la mano per afferrare ciò che aveva causato il rumore.

Un piccolo grido si levò nell’aria.

Con sorpresa, il ragazzo mollò la presa. Ciò che aveva davanti lo lasciò senza fiato.

Un bambino, di cinque o sei anni, lo fissava con gli occhi sbarrati. Gli occhi erano umidi, le guance bagnate dalle lacrime. Indossava una salopette di jeans, scarpe da ginnastica e in testa aveva un cappellino. Teneva tra le sue, la mano di una giovane donna, visibilmente morta.

Il ragazzo capì al volo. Doveva essere sicuramente sua madre.

Nonostante la drammaticità della situazione, non potevano rimanere lì.

Se non si fosse sbrigato, la sua fuga sarebbe stata scoperta, e la sua possibilità di rifarsi una vita altrove sarebbe sfumata.

Con un sorriso, porse la mano al bambino, che, esitante, l’afferrò.

Il ragazzo lo prese in braccio, uscendo velocemente da quel groviglio di macerie.

Doveva pensare. Se avesse deciso di portare con sé il bambino, questo gli avrebbe rallentato la fuga. Senza contare che non sapeva ancora se sarebbe riuscito a scappare e giungere sano e salvo al confine. Non poteva rischiare di mettere in pericolo la vita di quell’innocente.

D’altra parte, se tornava indietro avrebbe perso un sacco di tempo. Tempo prezioso per la sua fuga. Alzò gli occhi al cielo. Ancora poche ore, e al campo la sua assenza sarebbe stata notata.

Diede uno sguardo al bambino, non sapendo cosa fare. Lo guardava con gli enormi occhi spalancati, comprensibilmente terrorizzato.

Lanciò un’imprecazione, poi con un sospiro, si voltò e rifece il percorso a ritroso.

Il bambino era appoggiato sulla sua schiena, le piccole braccia gli cingevano il collo.

Quando arrivò ad un paio di centinaia di metri dall’accampamento, si fermò, ansimando.

Posò il bambino a terra, che ancora non aveva detto una parola.

Si abbassò alla sua altezza, mettendogli le mani sulle spalle.

“Allora, ragazzino, adesso farai come ti dico, d’accordo?”

Il bambino lo guardò, muto.

“Le vedi quelle tende?” disse, indicando il campo. Vedendolo annuire, continuò. “Bene, quando io te lo dirò, tu comincerai a correre e andrai laggiù, intesi? Troverai alcuni uomini, non ti spaventare, non ti faranno del male”

Il bambino continuava a rimanere in silenzio.

“Dì un po’ Sugar Boy, non ti avranno forse tagliato la lingua?”

Non ricevendo risposta, il ragazzo alzò le spalle.

“Fa un po’ come ti pare, io adesso devo andare”

E si girò per andarsene.

Ma una debole presa intorno al braccio lo bloccò. Si girò e vide che il bambino lo stava fissando.

“Posso venire con te?” chiese con una vocina, rotta dai singhiozzi.

Il cuore del ragazzo si strinse. Accidenti, no che non poteva andare!

Si inginocchiò accanto a lui.

“Non mi hai ancora detto come ti chiami”

Il bambino fece un sorriso dolcissimo, poi si tolse il cappello, e, una cascata di lunghi capelli color mogano, fece capolino.

“Io sono Kaori” disse, tendendogli la mano educatamente.

Il ragazzo moro fece un sorriso, sorpreso, poi gli arruffò delicatamente i capelli.

“Piacere Kaori, io sono Ryo” disse stringendogli la mano “Ora ascoltami. Non puoi venire con me, è troppo pericoloso. Laggiù starai più al sicuro” disse deciso.

Sperava che fosse così. Probabilmente suo padre avrebbe fatto in modo di lasciarla da qualche parte in città, e qualcuno si sarebbe preso cura di lei.

“Devi farmi una promessa. Promettimi che non dirai a nessuno che mi hai visto, dirai che sei arrivata qui da sola. Hai capito?”

La bimba aveva gli occhi colmi di lacrime, ma annuì.

Il ragazzo sorrise, soddisfatto.

“Bene, Sugar. Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui” disse solennemente.

Poi, mosso da un improvviso senso di tenerezza e protezione, si chinò e le diede un leggero bacio sulla guancia.

“Vai ora” le intimò.

Kaori lo guardò ancora una volta, poi le lacrime lasciarono il posto ad un’espressione fiduciosa.

Annuì e cominciò a correre verso il campo.

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Capitolo 2
*** 1. Al di fuori dal mondo ***


Anni ’90 – Un punto imprecisato dell’America centrale


Il proiettile sibilò con un fischio vicino alle sue orecchie.

Kaori si spostò da quello che fino a quel momento era stato il suo riparo, un attimo prima che una cascata di proiettili gli piombasse addosso.

Lanciando un’imprecazione, caricò la sua mitraglietta. Contemporaneamente afferrò una delle bombe a mano che teneva nelle tasche dei pantaloni. Guardò in direzione dei suoi compagni. Erano tutti impegnati nel combattimento. Bene, avrebbe creato un diversivo.

Con un balzo, uscì dal nascondiglio, lanciando la bomba in direzione dei nemici. Ruzzolò a terra con una capriola, andandosi a riparare in un’insenatura naturale del terreno.

Il boato fu tremendo. Le urla dei nemici si mescolavano al rumore assordante dell’esplosione.

La ragazza si lasciò sfuggire un sorriso di trionfo. Attese ancora qualche istante che la situazione si calmasse. Poi avvertì un fischio. Il segnale. Via libera.

Uscì dal suo riparo; vide Josè e Carlos avanzare verso di lei, sorridendo.

Bene, per il momento, avevano vinto loro.


 
Il ritorno all’accampamento fu accolto con grida di gioia. I suoi compagni si congratularono con lei, per la prontezza di riflessi e il suo sangue freddo.

Kaori li lasciò a festeggiare, mentre si ritirava nella casupola in legno che era la sua “dimora” e quella di suo padre. Sentiva proprio il bisogno di lavarsi, il sudore, l’umidità della giungla, la polvere, gli insetti, gli si erano attaccati addosso come una seconda pelle.

In altri casi, avrebbe fatto un bel bagno lungo la riva del fiume, ma non era il momento adatto. Era molto meglio una lunga doccia rilassante.

Quello era uno dei vantaggi di vivere nella casupola.

Non era grande, era molto spartana, ma per lo meno poteva usufruire di un minuscolo bagno, e, in casi come quelli, dell’ancor più minuscola doccia.

Si chiuse la porta alle spalle, facendo scivolare via gli abiti sporchi di fango e terra. Osservò l’immagine che lo specchio le rimandava.

Fissò con insistenza i suoi occhi, grandi, nocciola, luminosi. Le labbra, piene e carnose. Il corpo snello, e le gambe lunghe. La pelle leggermente abbronzata. Sciolse i lunghissimi capelli, che le arrivavano fino alla schiena, facendo ricadere le ciocche davanti al viso. Si passò una mano tra i capelli, ponendosi la solita domanda che si faceva da quando aveva dieci anni. Da chi aveva preso quel colore dei capelli? Da sua madre o da suo padre? E quegli occhi?

Scosse la testa, scacciando quei pensieri. Si infilò rapidamente sotto il getto dell’acqua calda, sfregandosi bene il corpo con la spugna. Non doveva più pensare a simili sciocchezze. Ormai era una donna adulta, non era più una bambina. Che gliene importava dei suoi genitori? Lei un padre ce lo aveva già, che le voleva un gran bene.

Chiuse il rubinetto, e si asciugò con il grande accappatoio che suo padre gli aveva procurato. Si passò il pettine tra i lunghi capelli, cercando di districare i nodi che si erano formati. Sorrise, suo malgrado.

Nessuno avrebbe creduto che il grande combattente, il capo indiscusso, Shin Kaibara, si potesse rivelare un padre affettuoso. Ma con lei lo era stato. Certo, ciò non voleva dire che si lasciava andare a gesti estremi, come baci e abbracci. Bastava uno sguardo, un sorriso, e le si scaldava il cuore. Se voleva, sapeva essere anche molto severo e autoritario; in quei casi lei capiva bene che non era il caso di contraddirlo, e perciò gli ubbidiva.

Quando, quella notte di vent’anni addietro, era entrata per la prima volta nell’accampamento, Kaibara l’aveva accolta con indifferenza. Lei era impaurita, infreddolita e affamata. Le avevano dato di che mangiare e l’avevano coperta. Poi si era addormentata. Quando si era svegliata, aveva sentito quegli uomini discutere su di lei. Era meglio abbandonarla? Certo non la potevano tenere con loro.

La voce di Kaibara si era levata alta e decisa. Al momento non potevano andare in città, perciò sarebbe rimasta con loro per un po’. E così era stato. Solo che, a mano a mano che il tempo passava, tutti si erano affezionati a quella bimba dagli occhi grandi. E nessuno se l’era più sentita di mandarla via.

Ogni tanto veniva una donna, Concita. Non era molto giovane, era di corporatura robusta, con i capelli neri raccolti a treccia. Le faceva il bagno, la cambiava, le pettinava i suoi lunghi capelli, raccontandole storie divertenti con la sua voce cristallina. La sua risata era contagiosa, e Kaori non aspettava altro che vederla arrivare.

Concita era stata la sola presenza femminile che l’aveva accompagnata in quegli anni. Era stata lei a spiegarle, intorno ai dodici anni, che presto sarebbe diventata donna. E sempre lei a spiegarle come ci si doveva comportare in quei casi.

Ad un certo punto, le sue visite erano cessate. Ne aveva chiesto il motivo a Kaibara, e aveva notato un lampo attraversare i suoi occhi neri. Senza tanti giri di parole, le aveva spiegato che Concita era morta, trafitta da un proiettile mentre cercava di venire al campo.

Davanti a suo padre, non aveva pianto. Perché così gli aveva insegnato. Doveva imparare a contenere le proprie emozioni. Aveva accolto la notizia con uno sguardo serio e imperturbabile per i suoi quindici anni. Ma, una volta sola, senza gli occhi indiscreti di Shin e degli altri uomini, aveva pianto, dando libero sfogo a tutto il suo immenso dolore.

Una lacrima scese lentamente sulla sua guancia. Con un gesto nervoso, Kaori la scacciò con il dorso della mano. Non sarebbe servito a nulla rimuginare su queste cose. Aveva ragione suo padre. Doveva essere forte. Se si fosse dimostrata debole, il nemico l’avrebbe attaccata e per lei sarebbe stata la fine.

Quei tristi pensieri la riportavano solitamente alla ferita più grande, che non si era ancora rimarginata.

Chiuse gli occhi, e subito un altro paio di occhi occuparono la sua mente. Ecco, lo sapeva, andava sempre a finire così!

Li riaprì, in collera con se stessa. Prese un asciugamano e cominciò ad asciugarsi i capelli con forza.

Aveva mantenuto la promessa. Quel giorno, quando era arrivata al campo, aveva raccontato di aver camminato da sola ed essere giunta lì. Anche in seguito, aveva sempre sostenuto questa tesi. Non lo aveva mai tradito, aspettando fiduciosa.

Ma il tempo passava, e lui non era venuto a prenderla. Nonostante tutto, continuava ad avere una fiducia cieca. Anche nei momenti di sconforto, le bastava chiudere gli occhi per avere davanti il volto di quel giovane, e allora la sottile fiammella della speranza si riaccendeva in lei.

A mano a mano che lei cresceva, però, questa speranza si affievoliva. Fin quando un giorno, più o meno verso i sedici anni, capì finalmente che lui non sarebbe mai venuto.

Quella consapevolezza fu come una doccia fredda. Aveva vissuto sperando che prima o poi la sua vita sarebbe cambiata, ma nulla era successo.

Voleva bene a suo padre, lo amava e lo stimava. Ma non sempre era d’accordo sulle sue scelte.

Molte volte si svegliava, la notte, in preda a un profondo senso di smarrimento. Nella sua testa ronzavano dei volti, dei pianti sommessi, delle urla disperate, e lei non sapeva come uscirne. Si prendeva la testa fra le mani, rannicchiando le ginocchia sotto il mento, in attesa che quell’ansia passasse.

Sapeva di chi erano quelle urla. Le sentiva continuamente, quando attaccavano i guerriglieri. Gente come loro, che combattevano come loro, ma con scopi diversi.

Dopo tutto questo tempo, non era ancora riuscita a comprendere il motivo per cui sostenevano queste inutili lotte. Perché dovevano uccidere, sterminare interi villaggi, opporsi con violenza alle leggi.

Quando aveva tentato debolmente di chiedere spiegazioni, Kaibara l’aveva trafitta con uno sguardo talmente penetrante e pungente, che aveva sentito dei brividi di terrore percuoterla. Con voce glaciale, gli aveva risposto che, se le cose non le andavano bene in quel modo, era libera di andarsene.

Ma Kaori non era una stupida. Aveva compreso che, se solo avesse osato prendere in considerazione quella possibilità, avrebbe firmato la sua condanna a morte. Perciò si era chinata al suo volere.

Che lo volesse o no, doveva accettare le scelte di suo padre. Con tutto ciò che esse comportavano.

Era per questo che oggi serbava un profondo rancore per quel ragazzo.

Ryo.

Quante volte aveva implorato quel nome nella sua mente, pregando che venisse a salvarla da quell’inferno!

Quante volte, dopo aver visto sangue e dolore negli occhi delle sue vittime, si era addormentata pensando al suo sorriso. Sincero e rassicurante. Fiducioso.

Lei aveva mantenuto la sua promessa. Non l’aveva tradito.

Lui invece no. L’aveva lasciata sola, nella disperazione.

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Capitolo 3
*** 2. La nuova Kaori ***


Anni ’90 – Un punto imprecisato dell’America centrale


Un colpo alla porta la riportò bruscamente alla realtà.

“Kaori?”

Velocemente, si vestì con un jeans e una canotta, raccogliendo i lunghissimi capelli, ancora umidi, in una coda di cavallo.

“Si, Josè?” disse aprendo la porta.

Josè aveva qualche anno in più di lei. Era il figlio del braccio destro di suo padre, Pedro. Era lui che gli aveva insegnato piccoli trucchi per sopravvivere nella giungla.

Era un bel ragazzo, moro, gli occhi verdi, con una spiccata parlantina e una solare vivacità.

“Il capo ti vuole parlare”

Con un cenno della testa, gli indicò il punto in cui si trovava. Kaori lo ringraziò con un sorriso, poi uscì di casa, dirigendosi verso una zona riparata da due alberi frondosi.

Kaibara era lì, una canottiera bianca faceva risaltare il suo fisico asciutto e tuttavia possente, malgrado l’età non più giovanissima. Piccole rughe solcavano la sua fronte, ma ciò non toglieva nulla al suo fascino, anzi, se possibile, lo rendevano ancora più interessante. Aveva le guance ricoperte di schiuma da barba ed era impegnato nella meticolosa operazione di radersi.

Prese il rasoio, tirando la guancia il più possibile, e, osservandosi attraverso un piccolo specchio appoggiato al tronco di un albero, cominciò a rasarsi.

Kaori lo fissava affascinata. Anche la più piccola sciocchezza fatta da Kaibara aveva un non so che di carismatico che calamitava l’attenzione.

“Mi avete fatto chiamare?” chiese

Kaibara la guardò attraverso lo specchio.

“Mi hanno detto che oggi te la sei cavata in maniera eccellente” disse con la sua inconfondibile voce roca e profonda, mentre levava la schiuma da barba, passando il rasoio su un asciugamano appoggiato sulla sua spalla.

“Ho imparato dal migliore”

L’uomo fece un piccolo sorriso al velato complimento. Finì di radersi, asciugò il rasoio e lo poggiò lì vicino.

Si girò verso la ragazza, poggiando le mani sulle sue spalle. A quel gesto lei trasalì.

“Oggi mi hai confermato quello che già sapevo da tempo. Tu sarai la mia erede, Kaori. Hai la forza e la determinazione adatti per questo compito così gravoso. Ed è per questo che ho deciso di mandarti in missione, da sola”

Kaori sentì il suo cuore tamburellare più forte, ma non perse il suo sangue freddo.

“Ditemi ciò che devo fare, padre”

Kaibara la soppesò con lo sguardo, poi mollò la presa.

“Come tu ben sai, l’Unione Teope, è un’organizzazione molto vasta. Sono riuscito ad estendere i miei affari anche fuori dal continente. L’Europa e la Cina sono sotto il mio potere. Ma voglio di più, molto di più. Voglio che anche il Giappone mi appartenga. Ed è lì che dovrai andare”

Kaori lo guardò, aspettando che proseguisse.

“Il Giappone è uno dei pochi Paesi al mondo più avanzato. È un vasto impero economico, con un florido mercato, indispensabile per i miei affari. Tokio è la capitale degli affari illeciti. Diverse famiglie della yakuza controllano i mercati. Ho parlato con degli amici, ti stanno aspettando”

Kaori continuava a fissarlo, mille domande si ponevano nella sua mente.

“Cosa Vi impedisce di espandervi anche lì?”

Lo sguardo di Kaibara divenne duro.

“Nonostante Tokio sia il punto di riferimento della malavita, molte famiglie preferiscono evitare di mettersi in affari, temono la presenza di qualcuno”

“Yakuza?”

“No. Pare che in uno dei quartieri più malfamati ma più redditizi di Tokio, si stia spargendo piano piano il nome di un tale che mette i bastoni tra le ruote. Come puoi ben capire, non posso rischiare che i miei affari vadano in fumo per colpa sua”

Kaori era sbalordita.

“Come può un uomo solo mettere paura alla yakuza stessa?”

Shin fece un sorriso, bieco.

“Tsè, è quello che mi sono chiesto anche io. Si fa chiamare con il nome di City Hunter, dicono sia imbattibile e molto astuto. Tutti lo temono, e preferiscono rimanere nell’ombra, anziché affrontare la sua ira”

La donna non riusciva a capacitarsi di una cosa del genere. Affrontò lo sguardo di Kaibara, che era diventato terribilmente serio.

“Tu dovrai andare a Shinjuku. Parlerai con i miei amici e farai in modo che la Unione Teope prenda il controllo. Siamo intesi?”

La giovane annuì.

“E come devo comportarmi con questo fantomatico City Hunter?”

L’uomo sorrise.

“Lo troverai e lo ucciderai”

Aveva parlato piano, eppure il tono di voce era tagliente, e lo sguardo non aveva nulla di umano. D’improvviso, capì perché Kaibara era nominato El Diablo.

Il cuore di Kaori accelerò i suoi battiti, tuttavia chinò il capo, in segno di accettazione.

Kaibara avanzò nuovamente verso di lei. Le alzò il mento, affinché potesse affondare gli occhi nei suoi.

“Devi essere molto forte e astuta, figlia mia. Ricorda, tutto ciò che faccio, lo faccio per te. Un giorno il mio impero sarà il tuo. Per allora dovrai essere in grado di portare il peso di questa incombenza, e ci riuscirai. È finito il tempo di giocare. Da oggi sarai una Kaori nuova, devi lasciarti alle spalle la vecchia Kaori. Pensi di riuscire a farlo?”

Una semplice domanda, carica di aspettative, a cui, sinceramente, lei non sapeva dare una risposta. Era veramente disposta a fare ciò che lui le chiedeva? Ancora morti, ancora sangue e violenza. Non sarebbe finito mai tutto questo?

Guardò suo padre, l’unico che avesse conosciuto. La fissava con uno sguardo speranzoso, in cui riusciva a percepire tracce di affetto. All’improvviso le tornò alla mente un episodio che risaliva ai primi tempi della sua vita al campo. Era notte, aveva avuto un terribile incubo, e si era svegliata urlando, cercando di sua madre. Kaibara l’aveva presa tra le braccia, cullandola fino a quando i singhiozzi erano cessati.

Si ricordò anche di quando aveva preso la malaria, e sempre Kaibara era rimasto al suo fianco mentre aveva la febbre e delirava. Piccoli episodi, che le erano rimasti dentro lasciando tracce indelebili.

Shin Kaibara era sempre rimasto accanto a lei, donandogli il suo affetto, anche se a modo suo. Era stato il padre che non aveva mai avuto, l’amico, il confidente, il capo. Le aveva dato tanto, ora toccava a lei ripagarlo.

Lo fissò e allora seppe cosa rispondere.

Alzò la testa, risoluta. Con un gesto determinato, prese il rasoio che suo padre aveva poggiato poc’anzi.

Si avvicinò allo specchio, in modo da incrociare i suoi occhi attraverso il riflesso. Lentamente, sciolse i lunghi capelli, il suo cuore tamburellava forte. Li sollevò un poco e poi…

Zac!

Con uno scatto deciso, li recise con un taglio netto.

I suoi occhi rimanevano incatenati a quelli di suo padre, nelle mani teneva ancora i resti della sua chioma. Quel gesto raccoglieva mille significati, ed entrambi lo sapevano.

Si voltò piano verso di lui, la determinazione nello sguardo.

“Si, ce la farò” mormorò, mollando la presa intorno ai capelli che scivolarono a terra.


 
Quando Kaori si fu allontanata, un’ombra si avvicinò.

Kaibara gli dava le spalle, lo sguardo era assorto.

“Seguila”

Il tono di voce non ammetteva repliche. L’ombra chinò il capo, poi si dileguò.

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Capitolo 4
*** 3. Una triste scoperta ***


Anni ’90 – Tokio, quartiere di Shinjuku



Il sole si ergeva forte e luminoso nel cielo sereno, senza l’ombra di una nuvola.

I passanti camminavano frettolosamente, ognuno intento a raggiungere il prima possibile la propria meta. Il traffico era intenso, vista l’ora.

Un uomo dai capelli neri, camminava svogliatamente sul marciapiede, le spalle ricurve, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Uno sbadiglio sfuggì al suo controllo.
Era rientrato stanco all’alba dopo una nottata di bagordi (al solo pensiero la sua faccia si trasformava in quella di un maniaco depravato) con il solo ed unico pensiero di andarsene a letto e rimanerci per tutto il giorno. Ma c’era chi, evidentemente, non la pensava come lui. Il suo socio, nonché migliore amico, lo aveva svegliato, senza tanta delicatezza per la verità, per ordinargli, senza molti giri di parole, di andare a controllare la lavagna, alla ricerca di qualche incarico.

Lui aveva mugugnato qualcosa di incomprensibile, ma il socio, che evidentemente lo conosceva bene, gli aveva risposto che non poteva andare lui, aveva qualcosa di urgente da sbrigare.

E così Ryo si era alzato di malavoglia, aveva fatto una scarsa colazione, ed era andato a controllare quella benedetta lavagna, solo per constatare, ancora una volta, che di lavoro, per quel giorno, neanche a parlarne.

Adesso si accingeva a rincasare, chiedendosi cosa diavolo avesse di così urgente da fare il suo amico, per lasciare a lui quella che di solito era una sua incombenza.

Guardò distrattamente una vetrina di elettrodomestici, dove erano esposti dei televisori. Alcuni trasmettevano delle pubblicità, sponsorizzate da donne formose che con sorrisi accattivanti, invitavano all’acquisto dei prodotti. La sua attenzione venne subito calamitata da quelle immagini, e si ritrovò così spiaccicato con la faccia nella vetrina, la bava alla bocca e i cuoricini negli occhi, mentre i passanti osservavano disgustati quella scena. Il gestore del negozio si ritrovò così costretto a rimuovere quell’enorme ventosa umana dalla sua vetrina, facendolo gentilmente sbattere con la faccia sull’asfalto.

Il tonfo gli causò un tremendo dolore, e mentre si rialzava faticosamente, il suo sguardo cadde sui restanti televisori, che stavano invece trasmettendo un tg. Più precisamente, ciò che catturò la sua attenzione fu l’enorme scritta posta dietro il cronista. 31 Marzo.

Il suo sguardo divenne serio e freddo, tutto d’un tratto.

Ecco spiegato il motivo della fretta di Makimura. Quello era il giorno. Adesso tutto aveva un senso.

Perso tra i suoi pensieri, si ritrovò davanti al palazzo in cui abitava. Si fermò, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta. Poi entrò, salendo lentamente i gradini che lo portavano al suo appartamento.

Aprì la porta, sapendo già che il suo amico era all’interno. Aveva percepito la sua presenza dal momento stesso in cui aveva varcato la soglia del portone.

Chiuse la porta con uno scatto, ma il socio sembrò non accorgersi di niente.

Era seduto sul divano del soggiorno, il suo eterno impermeabile giaceva disordinatamente sulla spalliera, il nodo della cravatta era allentato. Gli enormi occhiali erano poggiati sul tavolino davanti a sé, si teneva la testa tra le mani.

Ryo immaginò che stesse piangendo, ma in realtà non era così. Ormai aveva versato tutte le sue lacrime, non sarebbe valso a niente continuare a commiserarsi.

Ryo avanzò piano al centro del salotto.

“Hide…” lo chiamò.

Makimura sembrò riprendersi, lo guardò come se vedesse un marziano, poi sorrise. Infilò nuovamente gli occhiali, guardando la foto che teneva tra le mani.

“Scusami” disse “Oggi era il suo compleanno. Avrebbe compiuto ventisei anni se fosse vissuta”

Ryo capì che alludeva alla sorella, venuta a mancare quando era piccola. Non sapeva esattamente come si erano svolti i fatti, Hideyuki non gliene aveva mai parlato apertamente, e lui non aveva mai chiesto niente al riguardo.

Si diresse verso il mobile-bar, versando un po’ di whisky in due bicchieri e porgendogliene uno.

Makimura sembrò sorpreso, ma accettò ugualmente il bicchiere.

“Non ti ho mai detto come si sono svolti i fatti” mormorò, facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere.

“Non te l’ho mai chiesto” rispose semplicemente.

Maki si lasciò sfuggire un sorriso triste.

“E’ vero, ma avresti potuto. Sono vent’anni che non ci sono più, che mi porto dietro il dolore per la loro morte”

“Non è stata colpa tua”

Tipica frase che immaginava si dovesse dire in questi casi.

Makimura sospirò, alzandosi dal divano. Teneva sempre con sé la foto, come se fosse un appiglio a cui aggrapparsi.

“Non doveva andare così. Loro non c’entravano niente” cominciò. Altro sospiro.

“Sai che anche mio padre era un poliziotto? Era molto bravo nel suo lavoro. Un giorno il prefetto, suo amico, gli chiese un favore a cui non avrebbe potuto rifiutare. Doveva fare da scorta all’ambasciatore giapponese in Messico per una durata di due mesi. Mio padre, ovviamente, fu costretto ad accettare. In fondo non sembrava un incarico molto pericoloso e decise di portare con sé anche la sua famiglia. Mia madre amava viaggiare, sarebbe stato un piccolo regalo in vista del suo compleanno. Fu così deciso che saremmo partiti insieme. Ma, una settimana prima della partenza, mia sorella si ammalò. Mia madre era decisa a rinunciare al suo viaggio, ma mio padre non ne volle sapere. Allora si stabilì che io sarei partito con lui come era stato previsto, e mia madre e mia sorella sarebbero partite qualche giorno più tardi, non appena si fosse ripresa. Sembrava la soluzione più comoda per tutti. E così fu.”

Hideyuki si fermò, mentre una miriade di emozioni si scatenavano in lui. Sorseggiò un sorso del suo whisky. Il liquido ambrato scendeva giù velocemente, bruciandogli la gola.

“In quel periodo il Messico viveva in una guerra continua. Piccoli guerriglieri che si rivoltavano contro l’esercito governativo”

Lo sguardo di Ryo divenne duro e tagliente come l’acciaio.

“Purtroppo molti aerei venivano dirottati o fatti cadere. Le statistiche parlano chiaro. In quel periodo si verificò il più alto tasso di morti degli ultimi trent’anni. Mia madre e mia sorella viaggiavano su uno di quegli aerei” concluse, con voce roca.

Il cuore di Ryo tamburellava sempre più forte.

Immagini di un’altra vita gli passavano davanti, una vita che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare, di confinare in un angolo remoto del suo cuore e della sua mente.

Makimura si voltò verso di lui, i lineamenti del volto tirati e sofferenti. Gli porse la fotografia che teneva stretta tra le mani.

Lui sembrò uscire da quello stato di torpore, lo guardò, poi afferrò la foto che gli tendeva. Fissò ancora un istante il suo volto disperato, poi chinò la testa e…

“Kaori aveva solo sei anni. Era solo una bambina, Cristo! Perché, perché?!?”

Il volto sorridente, i lunghi capelli ramati raccolti in due adorabili trecce, gli occhi grandi e profondi. La foto la ritraeva all’impiedi, accanto ad un ragazzetto alto e filiforme, che immaginò essere Hideyuki. Al loro fianco, una giovane donna seduta elegantemente, mentre un uomo bruno, con dei simpatici baffetti, li avvolgeva in un abbraccio.

Tum-tum-tum-tum

Il cuore di Ryo batteva all’impazzata, sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello di quella bimba, Kaori. E allora, come per un segno involontario del destino, la sua mente ritornò indietro di vent’anni, al piccolo Sugar Boy che aveva trovato nella giungla. E, insieme a questo, il ricordo di una promessa fatta e dimenticata.

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Quella frase… quella promessa….

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Dio…cosa aveva fatto!... come aveva potuto!...

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Signore, perché?! Perché?!

Nella sua mente, lo stesso interrogativo che si poneva Makimura, e a cui non sapeva dare una risposta.

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Capitolo 5
*** 4. Sensi di colpa ***


Ryo era nella sua stanza, steso sul letto, le braccia dietro la testa, fissava il soffitto, assorto nei suoi pensieri.

Hideyuki era uscito, aveva appuntamento con Saeko, sua ex collega di lavoro, nonché attuale fidanzata.

I deboli raggi solari filtravano attraverso le tapparelle socchiuse. Ryo sospirò, passandosi un braccio sugli occhi.

Ancora non riusciva a crederci, a capacitarsi della sconvolgente notizia che aveva appena scoperto.

Non sapeva se ridere o piangere.

Rivide lo sguardo desolato e triste del suo amico mentre gli porgeva la foto, unico cimelio di una famiglia distrutta.

Quella bimba che aveva trovato viva tanto tempo fa nella giungla, non era altri che Kaori.

E Kaori era la sorella di Hideyuki. Che lui credeva morta.

Dio, che situazione….

I pensieri si rincorrevano nella sua mente, causandogli fitte lancinanti alla testa.

Non poteva essere vero, adesso si sarebbe svegliato e quell’incubo sarebbe finito.

Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto informare Hide sul fatto che sua sorella non era morta in quell’incidente? Che, per qualche caso fortuito, era stata l’unica sopravvissuta? Che lui l’aveva salvata per poi abbandonarla a chissà quale destino?

No, non poteva dirglielo. Così facendo, avrebbe dovuto raccontargli di sé, di quello che era, di che mostro era diventato. E lui non voleva. E poi, se lo avesse saputo, molto probabilmente, non gli avrebbe più rivolto la parola.

Si soffermò a ragionare. Naaa… si trattava di Hideyuki, un uomo buono ed onesto, incapace di provare odio e rancore.

Le sue sopracciglia si aggrottarono. Già, ma se si trattava del destino di sua sorella, era davvero incapace di provare odio e rancore? Non ne era poi così sicuro…

Ryo si lasciò andare ad un sospiro profondo. Chiuse gli occhi, e subito, davanti a sé, comparve l’immagine di quei grandi occhi nocciola, pieni di terrore e di fiducia. Rivide quel sorriso dolcissimo, quei capelli arruffati, nascosti dal cappellino, e un’ondata di emozioni lo pervase.

Aveva fatto bene a lasciarla?

La risposta era solo una. Si.

La sua fuga per la salvezza era stata piena di difficoltà. Se l’era immaginato, certo, ma la realtà era stata di gran lunga peggiore di ogni sua aspettativa.


*Flashback*

Ryo correva veloce, nonostante i rami degli alberi gli graffiassero la pelle e rallentavano la sua corsa. Cercava di mettere più distanza possibile tra lui e l’accampamento. Il sole era ormai alto nel cielo, la sua fuga a quest’ora era stata scoperta e lui aveva poco tempo. Aveva poche ore di vantaggio rispetto ai suoi compagni. Per un attimo il suo pensiero volò al piccolo Sugar Boy che aveva trovato, e, a sorpresa, un sorriso gli comparve sul volto teso e affaticato. Sperava solo che l’avrebbero portata al sicuro.

Era certo che Kaibara non gli avrebbe fatto del male. Nonostante fosse un capo severo e autoritario, aveva una sua strana idea dell’onore, per cui i bambini non andavano toccati. Certo, ciò non gli impediva di somministrargli delle droghe, pensò con un ringhio. Ma sperava che con Kaori si sarebbe comportato diversamente. Molto probabilmente l’avrebbe mandata in città, e avrebbe fatto in modo che qualche famiglia si occupasse di lei. Sperava solo che non sarebbe andata ad aumentare la fila delle ragazze che lavoravano al saloon. A quel pensiero rabbrividì. No, non sarebbe successo. Lui avrebbe impedito che ciò accadesse. Se fosse uscito vivo da quella situazione, sarebbe ritornato e l’avrebbe portata via di lì. Parola sua.

Era ancora immerso in quei pensieri, quando avvertì, troppo tardi, una pioggia di proiettili che gli cadevano addosso. Cercò di ripararsi, ma due proiettili vaganti lo colpirono al braccio e alla coscia destra.

Ryo si morse le labbra per non urlare, e si accasciò a terra. Tenendosi il braccio ferito con quello sano, strisciò fino ad un’insenatura del terreno, per ripararsi. Il sangue sgorgava a fiotti dalle ferite. Raccogliendo tutte le sue forze, strappò un lembo della sua t-shirt e la legò intorno alla coscia e al braccio, per cercare di fermare l’emorragia. Si passò una mano sul volto. Era stanco, accaldato, minuscoli moscerini ed insetti insidiosi si attaccavano alla sua pelle, infettandogli ulteriormente le ferite. Sentiva le forze abbandonarlo.

Ad un tratto i colpi cessarono. Rimase nascosto ancora per qualche tempo, aveva i sensi all’erta, nonostante fossero annebbiati dal dolore e dallo sforzo. Quando intuì che il silenzio regnava attorno a lui, uscì dal nascondiglio. Piano, senza fare rumore, si voltò attorno, ma non riuscì a scorgere nessuna presenza nemica. Si guardò ancora intorno, poi sospirò di sollievo. Il pericolo sembrava essere passato. Avanzò piano, ricominciando il suo viaggio verso la salvezza. Mancava ormai poco per raggiungere il confine.

Un rumore impercettibile, un rametto che si spezzava sotto il peso del piede, si voltò e…poi il buio lo avvolse….

*fine flashback*


Ryo aprì gli occhi di scatto. Il suo mal di testa si era acuito, ripensando a quei fatti.

Lo avevano colpito e lui aveva perso i sensi. Si era svegliato poco tempo dopo in una prigione umida e buia. Le ferite erano state curate alla bell’è meglio, il sangue si era rappreso. Non gli ci era voluto molto per capire che era caduto nelle mani dell’esercito governativo. Avevano cercato di farlo parlare, alle parole erano seguite le torture. Ma lui non aveva ceduto. Era rimasto sotto le loro mani un anno, o forse più. Non lo sapeva con certezza. La sua vita era cadenzata dall’arrivo delle guardie, che si divertivano ad infierire sul suo corpo già martoriato. Ma lui cercava di non mostrare la sua debolezza, non gli dava soddisfazione. Una cosa di buono l’aveva imparata da Kaibara.

Mai arrendersi. Mai dimostrarsi debole.

Il tempo trascorreva lento ed infinito in quella cella buia, con l’unica presenza dei topi a tenergli compagnia.

Infine, un giorno come tanti, un soldato era venuto e l’aveva liberato. Sembrava che la guerra fosse finita. Doveva andarsene da quel paese e non metterci più piede, era stato espulso.

Si era ritrovato a diciassette anni, senza sapere cosa fare né tanto meno da dove cominciare per rifarsi una vita. Aveva preso le sue quattro cose ed era andato a Los Angeles.

Un ragazzino solo, stanco e  in un paese straniero. Senza nessuno su cui contare.

Per uno strano caso della vita, incontrò Kenny, che aveva combattuto con lui nell’esercito di Kaibara. Kenny lo prese con sé, lo aiutò a riprendersi e lo aiutò a diventare uno sweeper, proprio come lui.

Il resto era tutta un’altra storia.

Ripensando a quegli avvenimenti della sua vita, si ritrovò a riflettere sulla domanda insidiosa che gli martellava nella testa.

Allora aveva fatto veramente bene ad abbandonare Kaori?

Si, si e mille volte si.

E allora perché provava un inspiegabile tuffo al cuore e un nodo che gli stringeva la gola ogni qual volta ripensava a quei grandi occhioni pieni di lacrime che lo fissavano con incredibile fiducia e speranza?!? 

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Capitolo 6
*** 5. Arrivo a Shinjuku ***


Era notte.

Una notte buia e fredda, il cielo senza stelle. La via era semideserta, pochi ubriaconi intonavano stonati canzoni, prima di perdersi nell’oblio provocato dall’alcool.

I vicoli erano stretti e umidi, i gatti e i cani randagi perlustravano i bidoni della spazzatura, alla ricerca di cibo.

Dai tombini si innalzavano densi vapori, che si mescolavano con la nebbia che si stava abbassando.

In uno di quei vicoli, una persona attendeva impaziente.

Lo spazio era angusto e ridotto ancor più dalla pila di cassette mezze marce situate su un lato del muro, così come gli scatoloni contenenti cibo avariato, che i ristoratori abbandonavano qua e là, troppo negligenti per buttarli nell’immondizia. Nuvole di mosche roteavano sulle pattumiere già stracolme, e un odore nauseabondo arrivava alle narici.

L’uomo guardò l’orologio, sbuffando impaziente.

Alla fine, un rumore di tacchi lo mise in all’erta. La figura si avvicinava lentamente, scansando senza troppa fatica ciò che ostruiva il passaggio. Infine si fermò, proprio davanti a lui, squadrandolo dall’alto della sua altezza.

In effetti, l’uomo era decisamente basso, con un pancione prominente, la testa pelata e i modi affettati di chi è abituato ad accomodare ogni situazione.

Guardò il suo interlocutore, rivolgendo un sorriso falso.

“La stavamo aspettando” pronunciò, inchinandosi ossequiosamente.

“Vedo” fu la laconica risposta.

La mancanza di reazione da parte dell’interlocutore, mise l’uomo a disagio.

“Non mi aspettavo un comitato di accoglienza, ma neanche questo trattamento” disse, la voce dura.

L’uomo deglutì.

“Ecco, vede, lei ha perfettamente ragione, ma ho pensato che questo fosse il modo migliore per non destare sospetti”

“Mi vuoi forse dire che due persone che parlano in un vicolo buio e disgustoso non destano sospetti?”

Le sue parole grondavano sarcasmo, ma l’uomo non si lasciò intimorire.

“Lei forse non è abituata a questo ambiente…”

“Ha ragione, sono abituata anche a peggio” lo interruppe, ma l’uomo continuò.

“Come le dicevo, forse non è abituata, ma non è strano che persone come noi facciano affari in posti come questi”

La donna lo guardò, lo scetticismo dipinto sul suo volto. Aspettò che l’uomo finisse di parlare.

“Conosco suo padre da molto tempo, non ho problemi a fidarmi di lui”

“Com’è la situazione?”

“Diciamo che non è proprio tranquilla. Io e alcuni miei amici siamo molto contenti della decisione che ha preso Kaibara, siamo lieti di offrirgli il nostro appoggio incondizionato”

“Ma…”

Era chiaro che la frase contenesse questa parola, lo si capiva da come si era espresso.

L’uomo fissò i suoi occhi piccoli e annacquati in quelli della donna che aveva di fronte. Era giovane, molto giovane, ma qualcosa nel suo sguardo la portava ad avere un’espressione molto più matura e vissuta per la sua età. Osservandola attentamente, l’uomo avvertì un brivido di paura corrergli lungo la schiena.

Tossicchiò prima di continuare.

“Ma abbiamo due problemi. In primo luogo la potente famiglia Misahichi non ammette l’espandersi di Kaibara qui a Shinjuku”

La donna sorrise, scostandosi una ciocca di corti capelli rossi dal viso. Fece cenno all’uomo di proseguire, per lei quella non era una faccenda insormontabile.

“E l’altro problema?”

“L’altro problema è molto più serio. Non riusciremo a fare niente, con City Hunter alle calcagna”

L’uomo chinò la testa. Era evidente che temeva molto l’ira del giustiziere di Shinjuku.

Ma la donna non si lasciava intimidire così facilmente. Se Shin aveva mandato lei, era perché si fidava, e non aveva alcuna intenzione di deluderlo.

Guardò l’uomo, che attendeva un suo ordine.

Il suo sguardo si fece duro e determinato. Quando parlò, la sua voce era glaciale.

“Tu occupati di Misahichi”

L’uomo deglutì, ma annuì.

Improvvisamente aveva una insana voglia di allontanarsi da quel posto, da quella donna, che giudicava temibile alla stregua di suo padre. Tuttavia non poté fare a meno di chiedere “E di City Hunter?”

Kaori sorrise, mentre gli dava le spalle.

“Di lui, mi occuperò io”

Poi infilò le mani nelle tasche del suo impermeabile, e si perse nella notte.

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Capitolo 7
*** 6. Avvertimento ***


Hideyuki si lasciò cadere sulla panchina del parco di Shinjuku, stanco.

Doveva incontrarsi con Saeko, a quanto pareva aveva qualcosa di importante da comunicargli. Si passò una mano sugli occhi, scostando gli occhiali, e aggiustandoli subito dopo. Aveva un gran mal di testa, quel giorno era stato duro, aveva setacciato la città in cerca di un incarico, ma sembrava che tutti i malviventi fossero andati in vacanza.

Per carità era contento che nessuno fosse in pericolo, ma ciò significava anche che per quel mese avrebbero dovuto tirare la cinghia.

Come al solito, si ritrovò a sbuffare.

Era ancora immerso in quei pensieri, le spalle ricurve, quando si sentì chiamare.

“Hideyuki!”

Si voltò, e la sua espressone corrucciata si distese in un sorriso dolcissimo.

Eccola lì, la donna della sua vita. La sua donna.

Si sentì invadere da un’emozione fortissima, mentre constatava, ancora una volta la sua bellezza.

Saeko arrivò di corsa, ansimando per lo sforzo. Si fermò a pochi passi da lui, sorridendo.

Era davvero molto bella e sexy, fasciata in quel semplice tubino color prugna, con un’aderente giacchetta bianca che le copriva le spalle. I capelli neri, che le ricadevano in ciocche disordinate sul viso, erano mossi dalla leggera brezza serale.

Si avvicinò all’uomo, sfoderando uno dei suoi sorrisi seducenti.

Makimura non seppe resistere, gli tese la mano che lei prontamente afferrò, e la trascinò tra le sue braccia. Delicatamente le sistemò i ciuffi ribelli dietro le orecchie, poi chinò il capo e si impossessò di quelle morbide labbra che lo facevano impazzire.

Quando il bacio terminò, si scostò da lei, leggermente imbarazzato. Non era suo solito comportarsi in quel modo, soprattutto in un luogo pubblico, ma quella donna lo aveva stregato. Letteralmente.

Saeko capì la sua improvvisa timidezza, ma ciò non le impedì di sentirsi ugualmente lusingata. Si sedette sulla panchina, e l’uomo si accomodò al suo fianco.

“Ryo non è con te?” chiese, giusto per rompere il ghiaccio.

Makimura si irrigidì lievemente, poi rilassò le spalle. Era inutile, ogni volta che la sentiva pronunciare il suo nome, una inspiegabile fitta di gelosia gli stringeva il cuore. Eppure lo sapeva che tra loro non c’era più niente, avevano avuto una breve relazione in passato, ma niente di più. Il fatto che dopo fossero rimasti amici, e che lui non perdeva occasione per saltarle addosso, lo infastidiva parecchio. Anche se Ryo saltava addosso a tutte le donne. E Saeko non aveva mai approfittato di questa situazione. O per lo meno, ne approfittava per mollargli casi sempre difficili e complicati, a cui Ryo non sapeva dire di no, se come ricompensa c’era un colpo con la bella poliziotta.
Sapeva che questo era il modo di comportarsi di Ryo, era una prassi che seguiva con tutte le donne. Ma quando c’era di mezzo Saeko, lui si imbufaliva.

I suoi pensieri dovettero essere evidenti, a giudicare dalla smorfia di disappunto di Saeko. Poggiò la sua mano su quella dell’uomo, in una presa sicura. Poi si avvicinò al suo orecchio bisbigliando “Quando capirai che tra me e lui non c’è più niente? È te che amo, lo vuoi capire, stupido testone?”

La donna voltò la testa imbarazzata. Maki la guardò stupito, poi lentamente le fece girare la testa.

“Anche io ti amo, Saeko” mormorò con gli occhi lucidi.

Si guardarono intensamente negli occhi, Saeko abbassò le palpebre mentre Hideyuki metteva la mano dietro la sua nuca, per avvicinarla a sé, quando percepirono di non essere più soli.

Un oggetto volante stava planando sulla bella poliziotta all’urlo di “Saeko, amore miooo, lascia perdere quell’imbecille e mettitiii con meeee!!!!” , ma Saeko fu molto più veloce e gli lanciò i suoi affilatissimi pugnali, inchiodandolo al tronco di un albero.

Makimura scuoteva la testa, desolato. Non sarebbe mai cambiato, quello stupido!!!

Intanto Saeko si era avvicinata, per riprendere i suoi coltelli e riporli nell’abituale custodia.

“Eh, eh, stavo scherzando…” mormorò Ryo con la sua faccia da idiota.

“Non crescerai mai, eh Saeba?” fu la risposta.

Dopo che la calma si fu ristabilita, tutti e tre tornarono seri.

Makimura e Saeko erano seduti sulla panchina, Ryo stava all’impiedi, una gamba appoggiata ad un albero, una sigaretta tra le labbra. Sembrava assorto in chissà quali pensieri.

“Allora Saeko, come mai hai voluto incontrarci?” esordì Ryo.

La poliziotta si schiarì la voce.

“Ecco, non so se ne siete a corrente, per questo ho preferito parlarvi di persona. Girano strane voci in commissariato. È arrivata gente nuova, qui a Tokio. Gente che vuole espandere i propri affari illeciti e che è disposta a tutto per riuscirvi”

“In poche parole hanno messo una nuova taglia sulla nostra testa, non è così?”

“Già. I tempi stanno cambiando, il nostro Paese fa gola a molti. Shinjuku è un’ottima base dove piazzare gli affari. Droga, prostituzione, raket. Sono all’ordine del giorno, voi lo sapete meglio di me. Ma qui si rischia molto di più. C’è la possibilità che scoppi una vera e propria guerra tra yakuza.”

“Questo già succede. Dov’è la novità?” chiese Maki.

“Hai ragione, ma in genere le faide scoppiavano tra gente del posto. Una famiglia contro un’altra. Tutto rimaneva circoscritto nell’ambito della stessa zona. Adesso non è più così. Pare che sia venuto uno straniero, che voglia impiantarsi qui ed allargare i suoi mercati.”

“Si conosce il nome di questa persona?” chiese Ryo, aspirando una profonda boccata di nicotina e rilasciando un denso fumo nero.

Saeko scosse la testa.

“No. I miei informatori non hanno saputo dirmi niente di più. Capirete che la tensione è molto alta. Vi chiedo solo di fare molta attenzione. Se è vero ciò che si dice, questa è gente senza scrupoli” concluse Saeko, appoggiando la sua mano su quella di Hideyuki, lasciando così trapelare una grande apprensione.

Ryo sorrise, poi si staccò dalla sua posizione, gettando a terra il mozzicone di sigaretta. Si sgranchì le gambe, poi infilò una mano nella tasca dei pantaloni.

“Non preoccuparti, farò in modo che il tuo fidanzato non corra nessun rischio. Vi saluto” disse, voltando le spalle agli amici e allontanandosi.

I due rimasero ancora assorti per molto tempo, ad osservare la figura di Ryo che piano piano diventava un puntino lontano. Nell’animo di entrambi uno strano presentimento si faceva largo, ma cercarono tuttavia di ignorarlo.

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Capitolo 8
*** 7. Un giorno come tanti ***


“Aiutooo!!!”

“Mi lasci in pace, maniaco!”

“Signorina, perché non vuole venire a prendere un the con me? Il piccolo Ryo si sente solo…”

“Ho detto di no! Mi lasci!”

La donna osservò quella triste scenetta, che si ripeteva in maniera allarmante, mentre una grossa goccia pendeva dalla sua testa. Era da due giorni che aveva individuato City Hunter, e il copione non era mai cambiato.

L’uomo si catapultava su ogni donna che incontrava, e queste, rigorosamente, evitavano i suoi inviti lascivi, tra urla e schiamazzi.

Kaori stentava a credere che quell’essere fosse il tanto temuto City Hunter, colui che tutte le famiglie di yakuza presenti a Shinjuku temevano.

Sospirò, riprendendo la sua postazione. Aveva lasciato un messaggio sulla lavagna della stazione Est, così come il suo informatore gli aveva suggerito, ma sembrava che quell’idiota avesse tutt’altro per la testa, che andare a controllare quella benedetta lavagna.

Sperava solo che il messaggio non fosse letto dalla persona sbagliata. Aveva capito subito che City Hunter non era un’unica persona, bensì un duo. Aveva pedinato l’altro uomo, un tipo prevedibile, a tratti banale, ma non aveva riscontrato gravi pericoli. Non si era neppure accorto di essere pedinato!!!

Veramente anche il maniaco non sembrava essersi accorto di niente, pensò tra sé sorridendo. Inquadrò meglio il suo obiettivo nel binocolo, notando, ahimè, come non si perdesse mai d’animo, nonostante i molti rifiuti che aveva ricevuto quella mattina. Anche in  quel preciso momento, una donna gli stava assestando una borsettata in testa, e lui aveva le spalle ricurve, due lacrime che scendevano dagli occhi. Che comportamento pietoso, sarebbe stato un gioco da ragazzi eliminarlo!!!

Era sul punto di spostare l’inquadratura, quando notò che l’uomo si era voltato verso l’obiettivo. Fu un gesto veloce, ma lei fu sicura che stava guardando proprio nella sua direzione. Anche se era una cosa totalmente impossibile, come accidenti aveva fatto ad individuarla? Si era mimetizzata bene, si era concentrata al massimo per nascondere la sua aura, nessuno avrebbe potuto accorgersi della sua presenza. Nessuno, eccetto City Hunter.

Tornò a guardare l’obiettivo, ma di lui non c’era più nessuna traccia. Scosse la testa, mentre un sorriso saliva alle sue labbra. Bene, sarebbe stato un osso duro da battere, ma a lei piacevano le sfide.

Raccolse la sua apparecchiatura, e silenziosamente si dileguò.


 
Ryo era intento a riprendersi dall’ultimo colpo ricevuto quella mattina da una donna che non ci stava ad essere corteggiata, quando percepì una strana aura. Era una sensazione strana, era durata solo un istante, ma aveva capito subito che c’era qualcuno che lo stava osservando. Istintivamente si era girato verso il punto da cui aveva avvertito la tensione. Era strano, in genere sentiva subito una possibile minaccia, ma questa volta era stato diverso. Era durato tutto troppo poco, il tempo di un batter di palpebra, e quella sensazione era scemata. Tanto che si chiedeva se davvero aveva percepito qualcosa o se era stata solo una sua impressione.

Ma dal discorso che aveva fatto Saeko, la minaccia c’era eccome, ed era reale, pensò, giungendo davanti alla lavagna. Lesse con attenzione ciò che c’era scritto:

“Saeba, ti aspetto questa sera alla zona prosciugata del Golfo di Tokio”

Si passò una mano sul mento, pensieroso. Dunque, l’ora era giunta…

Proprio in quel momento passò davanti a lui una bella ragazza bionda, che si muoveva ancheggiando. La sua faccia seria si tramutò subito nella solita maschera da maniaco e depravato. Spiccò subito il volo verso la povera malcapitata.

“Mio angelo biondo, vieni qui da me, ti farò aprire le porte del Paradisooo!!” urlò, mentre la poveretta si allontanava strillando.


 
Poco lontano da lì, in una villa appena fuori città, un uomo era concentrato in una difficilissima partita a biliardo.

Era un uomo giovane, distinto, vestito con uno smoking impeccabile. Il papillon era slacciato, stringeva tra le mani un sigaro di ottima qualità, da cui si alzava un denso fumo grigiastro. Sul bordo del tavolo, era poggiato un bicchiere di whisky semivuoto.

Alcune persone circondavano il tavolo, immerse in un continuo chiacchiericcio, argomenti vacui e privi di importanza, mentre gettavano ogni tanto uno sguardo sulla partita.

L’uomo prese la sua stecca, pulì per bene la punta, si mise in posizione, e con un abile colpo, centrò le palline, che andarono a finire nelle buche. Un mormorio di approvazione si levò nell’aria, e lui si voltò, compiaciuto, accogliendo con un sorriso i complimenti.

Il suo sguardo fu attirato da un uomo, seminascosto dalle ricche tende di broccato. Con un gesto di scusa verso i suoi ospiti, interruppe la partita, e, facendo un cenno d’intesa all’uomo, si diresse verso una saletta appartata, lontano da orecchi indiscreti.

“Allora, che notizie mi porti?”

“Abbiamo scovato la preda”

Un sorriso di compiacimento apparve sulle labbra dell’uomo.

“Bene. Sai cosa devi fare”

“Veramente… ci sarebbe un problema”

Lo sguardo dell’uomo divenne cupo. L’altro continuò.

“Il tirapiedi che Kaibara ha mandato, in realtà è una donna”

Ci fu un attimo di silenzio.

“Non ha importanza. Che sia un uomo o una donna, attenetevi al piano”

L’altro uomo chinò il capo, annuendo.

“Come desidera, signor Misahichi”


 
N.d.A.: Come sicuramente avrete riconosciuto, il luogo utilizzato da Kaori per lo scontro con Ryo, è lo stesso di quello utilizzato nel manga nella sfida contro Volpe Argentata. Ho pensato di sfruttarlo, già che c’ero! ^__- 

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Capitolo 9
*** 8. I tuoi occhi ***


Il cielo era ricoperto di stelle.

Il mare, calmo come una tavola, era una distesa infinita di acqua. Le onde andavano a sbattere dolcemente sulla battigia, producendo quel lento va e vieni tipico della risacca.

Era una serata calma, bellissima.

I dolci raggi lunari, si riflettevano sulla distesa bluastra, creando un incantevole scintillio, come se il mare fosse ricoperto da sottili fili luminosi.

Kaori osservò affascinata quel paesaggio. Era la prima volta che vedeva il mare, aveva visto solo qualche immagine sbiadita di qualche rivista, ma non aveva nulla a che fare con quello che aveva davanti. Chiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare dalla piacevole brezza marina, che le solleticava i capelli. Inspirò a fondo, imprimendosi l’odore di salsedine nella mente.

Ascoltò il silenzio della notte, rotto solo dallo sciabordio dell’acqua. In lontananza si udiva suonare qualche sirena, ma era solo frazione di secondi, poi tornava la calma.

Ad un tratto però aprì gli occhi di scatto. Aveva udito dei passi sulla ghiaia.

Guardò meglio, e sorrise compiaciuta, notando la figura che si avvicinava.

L’uomo avanzava con il suo passo sicuro, una mano infilata nella tasca dei pantaloni, lo sguardo serio e determinato. Arrivò fino al bordo del precipizio, osservando le onde infrangersi sugli scogli. Appoggiò il ginocchio su uno di essi, scrutando l’orizzonte. Il vento giocava con i suoi capelli neri, scompigliandoli.

Kaori dovette ammettere che era proprio un bell’uomo. Sebbene la sua esperienza con l’altro sesso fosse più che limitata, poteva certamente dire che l’esemplare maschile che aveva dinanzi era molto affascinante. Non appena ebbe formulato quel pensiero, si maledì. Tutto sommato era l’uomo che doveva uccidere, ora si metteva pure a giudicarne la bellezza…

Scosse la testa, cercando di concentrarsi. Lui sembrava non averla notata, era nascosta nella radura poco vicina.

Ad un tratto l’uomo si rizzò all’impiedi. 

“Avanti, fatti vedere”

La voce era potente, alta, non aveva gridato, eppure Kaori avvertì un brivido lungo la schiena.

Ryo si girò, fece alcuni passi guardandosi intorno.

“Tsè, prima mi sfidi e poi ti nascondi. Non sei che un codardo!”

Kaori caricò la sua pistola. Mirò al cuore, poi sparò.

Ryo avvertì il clik del grilletto, sfoderò la sua Phiton 357 Magnum e sparò verso il punto esatto in cui era partito il colpo.

“Porc…”

Si lasciò sfuggire un’imprecazione. Cosa diamine stava succedendo? Non solo non aveva disarmato il nemico, ma questo continuava pure a sparargli addosso!!

Con una capriola, Ryo rotolò andandosi a riparare dietro uno scoglio. C’era qualcosa che gli sfuggiva in tutta quella storia!

Sparò un altro colpo, ma niente. Sembrava che volutamente cercasse di mancare l’obiettivo. Ma, merda, non era così!!

I suoi colpi andavano a vuoto. Si spostò dal suo nascondiglio, un attimo prima che una pallottola gli sfiorasse il viso. Eh no, dannazione, così non andava proprio bene!! C’era un tizio che gli stava per fare la pelle, e lui non riusciva neanche a disarmarlo!!

Kaori si lasciò sfuggire un sorriso. Era persino più semplice di ciò che credeva!!

Finalmente decise di uscire allo scoperto. Ryo era nascosto dietro una roccia, quando avvertì il rumore di passi che si avvicinavano.

Sbirciò la figura che avanzava, non riuscendo tuttavia a scorgere molto per via dell’oscurità. Infine i passi si fermarono.

Fissò meglio la sagoma che aveva di fronte, non riuscendo a nascondere un lampo di stupore. La figura era avvolta da un’aderente tuta nera da combattimento, che metteva in risalto le sue forme generose.

“E così tu saresti il famoso City Hunter!! Mi avevano raccontato meraviglie su di te, invece non sei altro che un coniglio!” lo schernì, la voce vibrante e derisoria.

Ryo trattenne a stento la sua rabbia.

Una donna! Cristo, doveva combattere con una donna! Ora capiva il motivo per cui non riusciva a centrare il bersaglio. Il suo codice d’onore gli vietava espressamente di sparare a qualsiasi donna, era normale che, anche se la sua mente ordinava di colpire, il suo corpo non obbedisse a tale richiesta.

Sorrise, un sorriso beffardo. Si aggiustò la giacca, uscendo anche lui allo scoperto.

“Che piacevole sorpresa! Devo dire che non mi aspettavo che a volermi ammazzare fosse una donna! Avrei in mente un sacco di altre cose più piacevoli da fare, che perdere tempo in questo modo” disse, imprimendo volutamente un tocco più sensuale alla sua voce.

Ma Kaori non si lasciò trarre in inganno, sebbene un involontario batticuore l’avesse pervasa.

Impugnò saldamente la sua arma, puntandola contro Ryo.

“Tu mi sottovaluti”

E sparò.

Ma anche questa volta, Ryo fu rapido, e con un colpo secco della sua Phiton, colpì la pistola, che andò a cadere poco più lontano. Kaori si lanciò, cercando di afferrarla, ma con un balzo Ryo la inchiodò a terra, immobilizzandola con il suo corpo, prendendole i polsi e portandoli sopra la testa.

“Credo che per ora possa bast….”

Le parole gli morirono in gola non appena incontrò gli occhi di Kaori.

Per un attimo senza fine, si fissarono ammutoliti.

Due iridi scuri che si perdevano in due pozze nocciola.

Sbalordimento.

Stupore.

Rabbia.

Frustrazione.

Dolore.

Una miriade di sentimenti attraversarono i loro occhi.

Ryo avvertì il sangue affluirgli al cervello e annebbiargli la vista, il cuore battere fino a scoppiare.

“Kaori…”

Riuscì solo a mormorare.

Dal canto suo, Kaori lo fissò sgomenta. Quante, troppe volte aveva sperato in gioventù di incontrarlo di nuovo, di chiedergli perché, PERCHE’, l’avesse lasciata al suo destino!!

Ed ora ce lo aveva davanti. E doveva ucciderlo.

Anche se il suo cuore traditore continuava a tamburellare come un forsennato, DOVEVA ucciderlo!!

Deglutì, cercando di recuperare le parole, e di trovare quel coraggio necessario per compiere la sua missione. Aveva intenzione di sferzarlo con una voce tagliente e sicura, ma si rese conto di non riuscirci.

“Ryo…”

Le parole risuonarono deboli persino al suo stesso orecchio.

Ryo non riusciva ancora a crederci. Kaori non era morta, NON era morta!! Dio, allora era vero che esisteva qualcuno lassù che non l’aveva abbandonata.

Osservò attentamente quel volto, bellissimo, in cui riconosceva soltanto quei grandi e profondi occhi. Non c’era più nulla dei tratti di bambina che ricordava, adesso aveva davanti una donna.

In quel momento, un piccolo puntino rosso centrò la fronte di Kaori. Ryo capì subito, la spinse lontano da sé, e sparò nella direzione da cui proveniva il fascio di luce.

Un grido soffocato mise fine alla vita del sicario.

Ryo si alzò, avanzando verso l’uomo esanime. Lo perquisì, sperando di trovare qualche indizio, sebbene non vi facesse molto affidamento. In genere non è che i killer si portino dietro la carta d’identità sul lavoro!

“A quanto pare, non sono solo io in pericolo” disse voltandosi.

Ma di Kaori non c’era più nessuna traccia.

Era svanita, effimera visione della realtà.


 
L’ombra si mosse velocemente, nascondendosi tra gli alberi. Sorrise, soddisfatto.

Prese il cellulare e compose un numero. Attese pazientemente che il suo interlocutore rispondesse. Quando avvertì il clic, parlò.

“Sono io”

“…”

“Non immaginerai mai cosa ho scoperto”

“…”

“City Hunter è una nostra vecchia conoscenza”

“…”

“Ryo Saeba”

Ci fu un momento di silenzio.

“D’accordo”

L’uomo chiuse la comunicazione, mentre un bagliore machiavellico attraversava i suoi occhi. Poi si allontanò, perdendosi nel silenzio della notte. 

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Capitolo 10
*** 9. Il sapore di un bacio ***


Kaori si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi.

Era sfinita, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. La sua mente si arrovellava in mille pensieri, senza riuscire a districarsi. Con un sospiro si diresse verso la piccola stanza da letto del piccolo e modesto appartamento che le avevano procurato.

Si sfilò la tuta, indossando una canottiera e un paio di short. Si sdraiò sul letto, anche se immaginava che non sarebbe riuscita a chiudere occhio. Invece, contrariamente ad ogni previsione, si abbandonò ad un sonno profondo.


 
Fu svegliata da un’inspiegabile sensazione di essere osservata.

Nel sonno si era girata, e ora dava le spalle alla finestra. Quella sensazione si tramutò presto in certezza. E non furono i suoi sensi a dargli ragione, bensì quel continuo ed opprimente tamburellare del suo cuore. Sembrava che non facesse altro, da quando lo aveva incontrato. Stupido organo, pensò.

Si chiese come accidenti avesse fatto a trovarla, ma poi si diede della sciocca. Lui era City Hunter, dopotutto!

Lui la stava fissando, un’espressione indecifrabile sul volto. Poteva avvertire il suo sguardo posarsi sul suo corpo, partire dalla punta dei capelli fino ad arrivare ai piedi, in una lenta e deliberata perlustrazione.

Kaori fece scivolare lentamente la mano sotto il cuscino, dove teneva la pistola, ma il tono di voce di lui, la fermò.

“Non hai già sparato abbastanza per oggi?”

Una voce bassa e roca, sensualmente intrigante, che le procurò un leggero fremito.

Kaori rimase in silenzio, non sapendo se voltarsi o meno.

Lui continuò a parlare.

“Perché mi vuoi uccidere?”

Un lampo di rabbia passò negli occhi di Kaori.

“Ne avrei tutto il diritto” disse carica di risentimento, voltandosi a guardarlo.

Così facendo potè notare uno strano bagliore attraversare gli occhi di Ryo.

L’uomo era seduto su una poltroncina, sistemata vicino alla finestra. Kaori si mise a sedere, sul bordo del letto, in modo da fronteggiarlo.

“Non è come pensi”

Ryo la fissava, senza riuscire a capacitarsi di averla di fronte. Osservò i suoi corti capelli, che le davano un tocco sbarazzino e sensuale allo stesso tempo, il suo corpo snello e perfetto, le sue forme generose ed invitanti. C’era qualcosa in lei che lo attirava in modo forte, prorompente, come mai gli era successo. Forse erano solo i suoi sensi di colpa che volevano essere tacciati, anche se quello strano sfarfallio che provava al cuore gli suggeriva qualcos’altro.

“Ah no?” rispose lei, sarcastica.

Non aveva potuto fare a meno di constatare che lui la stava divorando con gli occhi, e, anche se la cosa la infastidiva, doveva ammettere di provare un pizzico di piacere. Diciamo forse più di un pizzico. Cielo, sembrava quasi che volesse prenderla lì, in quel momento!!!

Cercando di scacciare quegli assurdi pensieri dalla testa, si concentrò sulla conversazione, che, era inevitabile, si sarebbe tenuta. Voleva gridargli, urlargli in faccia il suo dolore, e allo stesso tempo non voleva. Non gli interessavano le sue patetiche giustificazioni, non sapeva che farsene di scuse arrivate con vent’anni di ritardo.

La realtà era quella, punto e basta. Nessuno avrebbe potuto cambiarla. Lei era venuta con l’intento di ucciderlo, e così sarebbe stato.

Il suo sguardo divenne freddo. Non doveva farsi trascinare dalle emozioni, doveva seppellire i suoi sentimenti. Così gli aveva insegnato Shin. Altrimenti Ryo se ne sarebbe approfittato, per indebolirla.

Ryo osservò lo sguardo di Kaori divenire glaciale e capì cosa stava facendo. Lui era un maestro in quel campo. Si stava alienando, chiudendo al mondo le sue emozioni, impedendo a chicchessia di entrare nella profondità della sua anima.

Si sollevò dalla poltrona, portando il busto in avanti, in modo da incontrare i suoi occhi. Freddi e imperscrutabili. Proprio come i suoi.

“Ti ripeto che non è come pensi”

“E io ti ripeto che non me ne importa niente delle tue scuse. È troppo tardi ormai”

“Non è mai troppo tardi”

Kaori scoppiò a ridere.

“Certo, come no. Il grande City Hunter viene a farmi lezioni di psicologia e filosofia. Il killer più spietato dell’universo, viene a dirmi che esiste una possibilità di redenzione per tutti. Ah, non ti facevo così romantico”

“Non è questo che ho detto”

Kaori lo fissò, tornando seria. Lo sguardo di Ryo era talmente deciso, la voce così tagliente, che non riuscì a controbattere.

Spostò lo sguardo verso la finestra, da cui si intravedevano, in lontananza, le luci intermittenti dell’insegna di un locale a luci rossi. Poi tornò a guardarlo.

“Perché”

La sua non era una domanda, e forse anche per questo faceva più male.

“Non avevo altra scelta”

“Tutti abbiamo una scelta”

“Non io”

I suoi occhi incontrarono quelli di lei, e a lui sembrò di cogliere un lampo di dolore.

“Te lo giuro Kaori, non avrei potuto portarti con me. Anche se avrei voluto farlo”

“Perché”

Ancora quella richiesta, sempre quel tono di voce, triste.

“Pensavo fosse meglio per te rimanere con loro”

Kaori alzò gli occhi al cielo, cercando di impedire alle lacrime di scendere. Lei era forte, avrebbe superato anche questo.

“Mi sa che pensavi male”

Ryo si irrigidì.

“Cosa ti hanno fatto?”

Kaori tornò ad incrociare i suoi occhi, ogni traccia di debolezza era passata.

“Niente, sono solo diventata un’assassina”

Un guizzo attraversò il volto dell’uomo.

“Che diavolo stai dicendo? Kaibara ti avrà sicuramente mandato in città, una famiglia si sarà occupata di te. Non è forse così?” disse, balzando dalla poltrona e afferrandola per le braccia, facendola alzare.

Una scarica elettrica attraversò entrambi, non appena le mani di Ryo sfiorarono la pelle calda di Kaori.

“Non è forse così?” ripetè, scuotendola.

Kaori scosse la testa.

“In principio, forse. Questa era l’idea. Ma Shin disse che era troppo pericoloso, e allora restai lì. Doveva essere una situazione provvisoria, invece…”

Ryo mollò la presa, passandosi una mano tra i capelli corvini. Kaori lo osservò, sembrava devastato.

Poi tornò a fissarla.

“Credimi Kaori, non è così che doveva andare, non era questo che avevo immaginato per te”

“Non ha importanza ormai, le cose stanno così” rispose lei, improvvisamente stanca.

“Io…io… se avessi saputo”

Ryo cominciò a camminare nervosamente per la stanza. Come accidenti era possibile? Sembrava di aver vissuto un dejà-vu. E così era, in effetti. Kaori aveva vissuto la sua stessa vita, quella da cui era scappato. Anche lui era rimasto orfano, in mezzo alla giungla, e anche lui aveva vissuto con Shin fin quando non era andato via.

Kaori lo osservava e un groviglio di sentimenti si alternavano in lei. Avrebbe voluto chiedergli tante di quelle cose, ma inspiegabilmente non ci riusciva. D’altronde poi cosa avrebbe potuto rispondergli? Che se l’era spassata mentre lei imparava ad ammazzare? No, si disse. Non doveva essere andata proprio così, se era diventato un killer. Ma più ci pensava, più non riusciva a trovare delle scuse per lui. Aveva serbato tanto di quel rancore, che le faceva male solo a pensarlo.

Lo vide tornare a sedersi nella poltrona e prendersi la testa tra le mani.

“Sono stato catturato” cominciò, con voce priva di qualsiasi inflessione.

“Cosa?”

Ryo sollevò la testa.

“La fuga. Non è andata come aveva sperato. Mi hanno sparato addosso. Ero ferito, e loro mi hanno catturato. Sono rimasto prigioniero dell’esercito per più di un anno. Poi la guerra finì e mi espulsero dal paese”

Kaori guardò l’uomo che aveva davanti. Sentiva un nodo alla gola, un fastidioso magone che le impediva di articolare qualsiasi parola. Perché la vita era stata così ingiusta con loro?

Sentiva le gambe diventare deboli, aveva bisogno di un appoggio. Si avvicinò alla finestra, aggrappandosi al davanzale e stringendo i pugni.

“Perché non sei venuto a prendermi, dopo?!”

Aveva bisogno di sapere, altrimenti sarebbe impazzita.

Ryo si alzò, avvicinandosi a lei. Si aggrappò alla tenda, osservando anche lui il paesaggio.

La donna poteva avvertire la sua vicinanza, il suo profumo muschiato, il suo fiato sul collo.

“Sono tornato. Tre anni dopo, sono tornato, ma dell’accampamento non c’era più nessuna traccia. Ho chiesto notizie a Pablo, un mio vecchio amico, ma lui mi disse che, con ogni probabilità, eri morta. La guerra aveva distrutto ogni cosa, i villaggi erano stati distrutti, le città attaccate. Molte persone morirono, soprattutto donne, bambini e anziani. C’era veramente poca speranza che tu fossi viva. Nessuno mi disse che Kaibara ti aveva tenuto con sé”

Kaori lottava contro la voglia di piangere, ma aveva imparato così tanto a trattenere le proprie emozioni, che quasi ci riusciva benissimo.

Ryo la prese per le braccia, facendola voltare. Lei si irrigidì a quel contatto, ma lui finse di non accorgersene. La guardò negli occhi, intensamente.

“Mi dispiace, mi dispiace davvero per come sono andate le cose, non potrò mai perdonarmelo. Mi credi, Kaori?”

Lei si morse le labbra, deviando lo sguardo. Credergli? Leggeva la sincerità nei suoi occhi, ma poteva fidarsi di lui? di nuovo? L’aveva fatto una volta, e lui l’aveva tradita.

Sentì di non poter sopportare oltre la sua presa sulle sue spalle, si divincolò, facendo un passo indietro. Poi lo fissò, ferita.

“No, non ti credo e non ti crederò mai. Sei solo un ipocrita. Vuoi ottenere il mio perdono per avere pulita la coscienza, non è così? Bhe, hai sbagliato i tuoi calcoli. Non sono più quella bambina ingenua, Ryo. Sono cresciuta, il mio mondo non è stato tappezzato di bambole e giochi, ma di armi e guerra. Vuoi che mi fidi di te? Non è possibile, mi spiace. Tu sei il nemico da abbattere Ryo, ed è quello che farò. Anche a costo della mia vita”

Ryo si stupì di quanto rancore leggeva in quegli occhi. Kaori sembrava un cucciolo ferito, ed era stato lui a procurargli quelle ferite. Ma la sfiducia nel mondo, l’odio verso la propria vita, quelle erano cicatrici indelebili che anche lui conosceva. Ed era stato il mondo in cui avevano vissuto a procurargliele.

Era dunque davvero finita? Non avrebbe potuto fare nulla per convincerla che si sbagliava?

Fece un passo verso di lei, che rimase ferma a fissarlo.

Quegli occhi… Dio, quante volte erano apparsi nei suoi sogni…

Si avvicinò, sfiorandole il volto con un dito. Le alzò il mento, in modo  da incontrare il suo sguardo.

Poi chiuse gli occhi, e poggiò delicatamente le labbra sulle sue, tremanti. Fu un semplice sfiorarsi, un flebile contatto, un soffio leggerissimo, ma fu sufficiente per far schizzare il cuore in gola ad entrambi.

“Mi spiace” sussurrò, staccandosi da lei.

Rimase immobile a fissarla per quello che sembrò un istante interminabile. Poi, così come era venuto, se ne andò.

Kaori rimase sola, una lacrima solitaria scendeva finalmente sulla sua guancia.

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Capitolo 11
*** 10. Pensieri ***


Una volta rimasta sola, Kaori si sdraiò sul letto.

Una miriade di sensazioni la pervadevano. Si toccò le labbra con mani tremanti, poi si accarezzò la guancia.

La prima volta che lui l’aveva baciata aveva poggiato le labbra sulle sue gote fresche di bambina. Le sembrava ancora di sentire il contatto umido delle sue labbra sulla pelle. Chiuse gli occhi, mentre un senso di angoscia le attanagliava lo stomaco. Si raggomitolò in posizione fetale, cingendo le gambe con le braccia in un gesto di conforto.

Poi, improvvisamente, dai suoi occhi cominciarono a scendere lacrime silenziose. Da quanto non piangeva? Non lo ricordava più. Il suo corpo si era talmente tanto abituato a trattenere le emozioni, che le risultava difficile anche compiere quel gesto elementare. Piano piano il suo pianto silenzioso si tramutò, i singhiozzi le scotevano il petto. Si abbandonò a quel pianto liberatorio, come se fosse l’ultima cosa  che avesse fatto in vita sua. Pianse tutte le lacrime che non aveva mai pianto in vent’anni, pianse per sé, per quello che era diventata, per quello che avrebbe potuto essere. Pianse per Ryo, per ciò che le aveva fatto, per la promessa tradita, per ciò che gli avevano fatto. Nonostante tutto, anche se la ragione gli intimava di odiarlo, sapeva, nel profondo del suo cuore, che diceva la verità. Lo immaginò giovane ragazzo ferito, torturato e impaurito, alla mercè del nemico.

E il dolore che provava dentro, aumentava a dismisura. Così come la disperazione sul futuro che l’attendeva.

Nascose il viso sotto il cuscino, mentre avvertiva la stanchezza prendere il sopravvento. Prima di addormentarsi, in un lampo di lucidità, ricordò come Ryo l’avesse salvata. Qualcuno la voleva morta. Ma di questo ci avrebbe pensato più tardi.


 
Ryo camminava pensieroso.

Gli avvenimenti di quella notte avevano aperto delle cicatrici che pensava si fossero emarginate. Già il fatto stesso che Kaori fosse viva, gli aveva fatto provare un inspiegabile tuffo al cuore, un senso di sollievo inimmaginabile. Scoprire poi che aveva vissuto tutto quel tempo a fianco di Kaibara, lo aveva gettato nella disperazione più tetra.

Ripensò a Kaori, a come era diventata, e un senso di tenerezza lo assalì, facendogli nascere un sorriso sulle labbra. Gli era sembrata un cucciolo smarrito, quando l’aveva guardato con quei grandi occhi colmi di tristezza, e aveva provato l’istinto di abbracciarla e di proteggerla da tutte le cattiverie e le ingiustizie del mondo.

Scosse la testa. Non ci si poteva pensare a un Ryo Saeba sdolcinato. Da dove gli erano uscite quelle parole? Lui, che non aveva provato tenerezza per nessuno, lui che era stato un guerrigliero prima e un killer spietato dopo, adesso si metteva a parlare come una di quelle patetiche donniciole da rivista femminile.

Blha… era semplicemente disgustoso.

Si fermò di colpo, mentre un altro pensiero gli passava per la testa. Un pensiero molto più importante.

Avrebbe dovuto parlare con Maki della sua scoperta. Avrebbe dovuto parlargli di tante cose, in effetti. E se lui, dopo, non gli avesse voluto più rivolgere la parola…bhe…pazienza, se ne sarebbe fatto una ragione. Sospirò, mentre pensava alle parole giuste che avrebbe dovuto utilizzare. Già, ma lui non era mai stato bravo con le parole, in effetti non si ricordava di aver mai fatto un discorso che lo avesse tenuto serio per più di cinque minuti.

Si grattò la testa. Era forse il caso di informare anche Saeko? Forse lei avrebbe saputo come fare… no era un compito che spettava solo a lui.

Ora la cosa più importante però era scoprire chi è che la voleva uccidere.

Mentre questi pensieri roteavano nella sua testa, il sole era sorto, manifestandosi con tutta la sua irruenza. Ryo pensò di andare al Cats’Eye, prima di tornare a casa.

Il campanellino del grazioso locale tintinnò allegramente, mentre entrava e si accomodava al suo solito posto. Miki, l’affascinante proprietaria, rimase perplessa nel constatare come quel giorno Ryo non le fosse praticamente saltato addosso, come suo solito.

L’osservò attentamente, doveva avere qualche pensiero per la testa, per essere così serio. Ancora titubante, lasciò andare il vassoio che teneva per le mani, che utilizzava per difendersi dai suoi attacchi. Ma quel gesto le fu fatale.

Ryo planò su di lei praticamente in mutande mentre gridava “Mikiii tesoro, vieni dal tuo Ryuccio!!!”

Rapidamente, Miki prese il vassoio e lo sbattè contro la faccia del povero malcapitato, il quale andrò a sbattere con la testa contro il bancone.

“Ahia…mpfa perchfè fe l’afete con mpfe” mormorò Ryo, cercando di districarsi dal vassoio, che aveva assunto curiosamente la forma della sua faccia.

“E tu perché non la pianti di comportarti in questo modo!! Accidenti a te Saeba, non sei più un bambino!!” urlò Miki, fuori di sé dalla rabbia.

Si slacciò il grembiule, sbattendolo con forza sul bancone.

“Umi, pensaci tu al locale! Io esco!” borbottò, prima di scomparire dalla porta, che si chiuse con il suo solito scampanellìo.

Finalmente libero, Ryo si accomodò sullo sgabello.

“Bene, è andata via. Ho un favore da chiederti” disse Ryo, lo sguardo incredibilmente serio.

Umibozu lo fissò in silenzio, mentre asciugava meticolosamente i bicchieri. Un bagliore attraversò i suoi occhi, celati dietro gli occhiali scuri. Poi annuì.


 
Il sole era bello alto nel cielo, quando Kaori si svegliò. Si passò stancamente un braccio sugli occhi, per proteggersi da un raggio solare che sbatteva insistentemente su di essi. Il mal di testa con il quale si era addormentata non era cessato, anzi se possibile era acuito. Si tirò a sedere sul letto, cercando di rammentare i fatti della sera prima, poi improvvisamente l’immagine di un paio di occhi neri passò nella sua mente.

Si passò una mano sul viso. Certo. Ora ricordava. Ryo. Il bacio. Il pianto.

Cos’avrebbe dovuto fare ora? Sarebbe stata in grado di ucciderlo? La sua razionalità avrebbe avuto la meglio sui suoi sentimenti?

Scosse la testa, mentre sentiva una forte fitta alla testa. Forse una bella doccia calda le avrebbe schiarito le idee.

Si affrettò a prendere un cambio di abiti puliti. Passando accanto al comò intravide il suo riflesso nello specchio. Si fermò, colta da un’improvvisa illuminazione.

Aveva sempre dato per scontato che il suo compito era uccidere Ryo Saeba. Ma City Hunter non era solo Ryo. C’era anche quell’altro… si, quell’uomo banale…accidenti, come si chiamava?

Rovistò nel cassetto, finché non trovò ciò che cercava. Prese la foto e l’attaccò con una puntina al bordo dello specchio del comò. L’immagine ritraeva un uomo con un impermeabile informe che sorrideva, mentre si aggiustava un paio di occhiali troppo grandi.

Prese un pennarello e ci scrisse sopra il nome: Hideyuki Makimura.

Kaori sorrise, mentre il suo sguardo diventava glaciale. Se non sarebbe stata in grado di uccidere Saeba, poteva sempre far fuori l’altra metà di City Hunter.

Ed è quello che avrebbe fatto.

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Capitolo 12
*** 11. Il rapimento ***


Hideyuki non riuscì a trattenere uno sbadiglio, mentre si avviava a passi stanchi verso l’abitazione del suo socio. La sera prima aveva fatto tardi, era uscito con Saeko e avevano fatto le ore piccole. Doveva decisamente smetterla, non era più quello di una volta, non riusciva più a sostenere quei ritmi ed essere poi lucido il giorno dopo.

Guardò verso la palazzina dai mattoni rossi. Sembrava non ci fosse nessuno. Sebbene ognuno avesse il suo appartamento, lui e Ryo avevano tacitamente stabilito che la sede della loro attività fosse proprio l’appartamento di quest’ultimo. In effetti era proprio lì che passavano la maggior parte del tempo, quando non lavoravano. A volte Hideyuki si fermava anche a dormire, ma questo succedeva raramente. Non gli andava proprio di essere il terzo incomodo, visto il sostanzioso numero di donne che il suo socio soleva portarsi a casa. Né tanto meno gli faceva piacere la presenza di Ryo, quando si trovava con Saeko.

Mentre pensava a queste cose, si accorse di essere arrivato davanti all’appartamento di Ryo. Suonò il campanello un paio di volte, senza ricevere risposta. Infine, si decide ad utilizzare la copia della chiavi che teneva sempre con sé.

Il salotto era vuoto, oltre che tremendamente in disordine. Ma Hideyuki preferì non attardarsi a pensare alle pessime abitudini di Ryo, e andò dritto verso la sua stanza. Anche qui bussò, ma nessuno gli rispose. Titubante all’idea di trovasi  davanti uno spettacolo particolarmente osè con la donna di turno, si decise finalmente ad entrare.

Il letto era in ordine, e la stanza era vuota. Segno che Ryo non aveva dormito lì.

Makimura si passò le dita sul mento, riflettendo.

Mhmm… dove poteva essersi mai cacciato quell’idiota?


 
Kaori si aggiustò gli occhiali da sole, mentre sorseggiava pigramente un caffè. Era appoggiata con le spalle alla parete di un edificio, che si trovava proprio di fronte alla palazzina di Saeba.

Aveva visto arrivare la sua preda, che avanzava con la sua andatura ciondolante e la testa tra le nuvole. Lo aveva visto entrare nel palazzo, ma sapeva che Ryo non c’era. Non aveva avvertito la sua aura quella mattina, quando aveva fatto un giro di perlustrazione.

Ritornò momentaneamente alla realtà, quando vide l’uomo uscire dal palazzo. Sorrise tra sé. Con uno scatto accartocciò il bicchiere di plastica che teneva tra le mani, lanciandolo con precisione nel bidone dell’immondizia, senza tuttavia abbandonare l’uomo con lo sguardo.

Si drizzò, aggiustandosi l’impermeabile e infilando le mani in tasca. Poi avanzò decisa verso l’uomo.


 
Hideyuki uscì dal palazzo, girandosi a guardare pensieroso le finestre del quinto piano. Era strano, davvero molto strano che il suo amico non fosse in casa.

Sospirando, si voltò per avviarsi alla sua macchina, una Fiat Panda di un’orribile colore verde. Nel farlo, urtò contro una donna.

“Oh, mi scusi, signorina… Ero distratto e non l’ho vista. Si è fatta male?” chiese con premura, inchinandosi per porgerle le scuse.

Kaori sorrise.

“Non si preoccupi. Non sono io ad essermi fatta male”

“Eh?”

Hideyuki alzò la testa, non riuscendo a capire il significato delle parole della giovane donna, e si trovò davanti la canna lucida di una pistola.

“Sali in macchina e non fare storie” gli intimò Kaori, spingendolo verso la vettura.

Hideyuki la guardò come in trance. Che diavolo…?

Possibile che lui si era fatto rapire? Da una donna poi…

Bhe, sembrava proprio di si, a giudicare dallo sguardo minaccioso della donna, che continuava a spingere la pistola contro il suo stomaco.

Hideyuki sospirò, poi decise di assecondare la richiesta della donna. Doveva essere una povera pazza, oppure affetta da qualche particolare patologia nervosa, per effettuare un rapimento in pieno giorno. Anche se, a dir la verità, non c’era neanche l’ombra di un cane in quel momento.

Prima di salire in macchina, Hide lanciò uno sguardo intorno.

La strada era quasi deserta, le poche persone che si vedevano, camminavano frettolosamente, ognuna immersa nei propri pensieri.
Mise in moto e partì, sempre tenuto sotto il mirino della pistola che la donna impugnava saldamente.

Le diede un’occhiata di sfuggita, e per un attimo gli parve di intravedere la figura di una bambina. Quei corti capelli rossi, quella carnagione chiara, segnata tuttavia da un’adorabile abbronzatura le portarono in mente immagini talmente familiari, che gli ci volle uno sforzo non indifferente per trattenere una lacrima.

Chissà se lei sarebbe diventata così, crescendo…

“Gira a destra”

Il suo tono di voce autoritario, lo riportò alla realtà.

No, quella donna così fredda e glaciale, non aveva nulla a che vedere con la sua dolce sorellina.

“Dove stiamo andando?” chiese, accorgendosi che le sue indicazioni lo portavano fuori città, nella periferia, laddove si trovava la lunga schiera di vecchi magazzini fatiscenti e stabilimenti in disuso.

Kaori si girò verso di lui, osservandolo con aria critica.

Era un tipo molto tranquillo, non c’era niente da dire. Aveva affrontato il “rapimento” con stoica tranquillità, come se la cosa non lo riguardasse minimamente. Guidava con metodica precisione e seguiva letteralmente le sue indicazioni, senza fare una piega. Lo squadrò attentamente, soffermandosi sul suo profilo serio e concentrato. I suoi capelli neri erano un po’ arruffati, gli occhiali troppo grandi scendevano sul suo naso, leggermente pronunciato. Le labbra erano sottili e, in quel momento, serrate.

Il suo sguardo volò sulla sua figura. Era alto quasi quanto lei, le sue mani grandi erano serrate sul volante. Pensò che, tutto sommato, poteva anche essere considerato un bell’uomo, ma la cosa la lasciò indifferente. Solo un leggero turbamento, nulla a che vedere però con ciò che provava ogni qual volta incrociava Ryo.

Ryo… dannazione, ancora lui!

Volse lo sguardo verso il finestrino, scacciando il suo pensiero dalla testa. Cosa si metteva a pensare ora! Lei non era una donna qualunque, lei era spietata, fredda ed insensibile. Non sarebbe bastato un paio di occhi neri a dissuaderla dal suo compito. Certo, un paio di straordinari occhi neri, per la verità…

Si sentì osservata, perciò tornò a guardare nella direzione di Hideyuki che attendeva una risposta.

“Fermati. Siamo arrivati” disse, sperando che il tono della sua voce non la tradisse.

Makimura scese dalla macchina, guardandosi attorno, poi infilò le mani nelle tasche del soprabito e seguì la donna, che lo teneva sempre sotto stretto controllo, nell’edificio che avevano di fronte.

Si trattava di una vecchia fabbrica di mattoni, ormai abbandonata. Kaori sparò al lucchetto arrugginito con il quale era chiuso il cancello d’ingresso, unico patetico ostacolo contro l’intrusione di terzi. Con una spinta, il cancello si aprì.

Kaori fece un cenno con la testa a Makimura, ordinandogli di entrare per primo. Lei lo spinse per il braccio, la fredda canna della pistola sempre puntata alla schiena.

“Hai intenzione di uccidermi?” si decise a chiedere Hideyuki.

Kaori non rispose, guardandosi attorno con aria circospetta. Il secondo cancello si aprì con altrettanta facilità. Con uno strattone, lo spinse all’interno dell’edificio.

Makimura si guardò intorno, uno strano nervosismo cominciava ad invaderlo. Perché non gli rispondeva? Non aveva forse il diritto ad una spiegazione?

Lo stabilimento era polveroso e abbandonato. I macchinari, un tempo utilizzati con regolarità, erano palesemente arrugginiti e inutilizzabili. Qua e là si trovavano pile di mattoni smussati e inservibili, che il tempo aveva ricoperto di polvere.

Finalmente Kaori si decise ad affrontare lo sguardo dell’uomo.

“Mi dispiace, non è nulla di personale” disse, alzando lentamente il braccio e mirando al cuore.

“Dimmi solo perché” chiese Hideyuki, nessuna traccia di paura nella voce.

La donna fece spallucce.

“Non eri tu il mio obiettivo. Ma mi è stato ordinato di mettere fine a City Hunter. Ed è quello che ho intenzione di fare” disse, sorridendo. Un sorriso dolce, che strideva quasi con l’atteggiamento duro che aveva ostentato fino a quel momento.

Divaricò le gambe, il busto leggermente voltato, il braccio sinistro penzolante lungo il fianco, quello destro che impugnava saldamente la sua arma. Come al rallentatore, armò il cane della pistola, puntando dritto al cuore.

“Un giorno ci rivedremo all’inferno”

E sparò.

 

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Capitolo 13
*** 12. Corsa contro il tempo ***


Dopo essere andato via dal Cats’Eye, Ryo si decise finalmente a tornare a casa.

Aveva parlato con Umibozu, il quale gli aveva fornito delle notizie che i suoi informatori gli avevano spifferato. Aveva capito subito, che l’arrivo di Kaori non era stato casuale. Sembrava infatti che Kaibara si fosse deciso a tornare in Giappone ed espandere così i suoi loschi traffici. Si era servito di Kaori per far sì che ciò avvenisse senza troppi intoppi. Naturalmente la cosa non aveva lasciato indifferenti le potenti famiglie della yakuza che fino a quel momento avevano agito più o meno indisturbati. Ed era quindi logico pensare che volessero sbarazzarsi di Kaori, e di conseguenza, di Kaibara.

Tra le tante informazioni che aveva assimilato, sembrava che la famiglia più influente, e che avesse quindi tutte le ragioni per meditare vendetta, fosse quella dei Misahichi. Era anche evidente che Kaori non fosse al corrente di ciò che stava succedendo alle sue spalle.

Si fermò bruscamente, causando non poco scompiglio tra le altre vetture che erano dietro di lui, e che cominciarono a manifestare il proprio disappunto a colpi di clacson.

Doveva avvertirla immediatamente, prima che fosse troppo tardi. Non aveva altra scelta.

Con uno scatto improvviso, fece una versione ad U che gli costò non pochi improperi e gestacci da parte degli ignari automobilisti. Ma lui, incurante di tutto ciò, partì sgommando, lasciando solo una densa scia di fumo alle sue spalle.

Aveva uno strano presentimento, una specie di angoscia che gli attanagliava le viscere. In meno di dieci minuti, arrivò al piccolo appartamento di Kaori. Guardò in alto, verso la finestra che aveva già utilizzato una volta per entrare. Ma questa era chiusa, come tutte le altre imposte.

Approfittò del fatto che il portone d’ingresso del palazzo fosse aperto per entrare senza suonare il citofono. Quando arrivò sul pianerottolo capì subito che Kaori non si trovava in casa. Non percepiva nessuna presenza all’interno. Nonostante ciò, entrò ugualmente, poteva sempre scoprire qualcosa di più sull’arrivo di Kaibara a Tokio.

L’appartamento era immerso nel silenzio, sembrava quasi disabitato. Solo una flebile scia di profumo, confermava il passaggio della donna. Inconsciamente Ryo si ritrovò a inspirare profondamente quel profumo, per imprimersi meglio quella fragranza nella mente.

Una rapida occhiata al soggiorno e alla cucina, gli fecero capire che non avrebbe cavato un ragno dal buco da quella intrusione. A passi lenti, si diresse verso la camera da letto. Qui il profumo di lei era ancora più forte, e a lui sembrò quasi di percepire la sua presenza. Ma anche questa camera era vuota, immersa nella penombra e, insolitamente disordinata. Il letto era sfatto, alcuni vestiti erano sparsi a terra insieme a delle scarpe da ginnastica, altri penzolavano dai cassetti del comò, rimasti aperti. Fu proprio qui che si fermò lo sguardo di Ryo.

Sperando che la sua mente gli avesse giocato un brutto scherzo, si diresse a passi decisi verso il comò. L’immagine di un Hideyuki sorridente era parzialmente nascosta da un cerchio rosso intorno alla testa, e dalla scritta che confermava il suo nome.

L’angoscia che aveva provato fino a quel momento, ben presto si tramutò in qualcosa di più simile al panico. Sapeva che Makimura era bravo, non si sarebbe lasciato fregare così facilmente, ma aveva assaggiato di persona la bravura della donna, e temeva ciò che sarebbe potuto succedere. Doveva fermarla immediatamente, non poteva permettere che facesse qualcosa di così ignobile e mostruoso. Doveva arrivare in tempo, prima che uccidesse suo fratello.

Estrasse il cellulare dall’impermeabile, componendo il numero di Maki.

Niente. Era spento.

Stessa cosa con il numero di casa sua e di quella del socio. Non rispondeva nessuno.

Con un’imprecazione, fece volare per aria i pochi oggetti che erano poggiati sul ripiano del comò. Merda, non aveva proprio idea di dove cercarli! Tokio era immensamente grande, non sarebbe riuscito a trovarli in tempo, prima che succedesse l’irreparabile.

Gettò uno sguardo alla camera, sperando in un’idea o in un piano di emergenza. Infine i suoi occhi si posarono su alcune fotografie che erano cadute per terra nel suo precedente attacco d’ira. Una in particolare catturò la sua attenzione. Ritraeva quella parte della città situata in periferia, dove si trovava la vecchia zona industriale. E, in particolar modo, la fabbrica di mattoni abbandonata evidenziata in rosso.

Rapidamente, si precipitò nella sua Mini, partendo a tutto gas.

La corsa contro il tempo era cominciata.  


 
L’uomo semi-nascosto dalle fronde d’albero sorrise quando vide arrivare il suo obiettivo. Aspettò che entrasse nell’edificio insieme con la sua vittima, prima di inquadrarlo nel mirino. Un fischio sommesso catturò la sua attenzione.

Il segnale.

Fece un gesto di ok con la mano, e i suoi compagni si appostarono, circondando l’edificio. Presto ci sarebbe stato un bello spettacolo. Sogghignò compiaciuto, tornando ad inquadrare la donna nel mirino. Si muoveva decisa, non sospettava minimamente che presto sarebbe stata la sua fine.

Il dito si avvicinò al grilletto, pronto per essere premuto, ma i suoi sensi gli suggerirono che non era ancora il momento. Un intruso si stava avvicinando, acquattandosi tra la fitta vegetazione.

L’uomo guardò nel binocolo, immaginando chi fosse la figura che si muoveva silenziosamente. Un rapido sguardo gli confermò la presenza di Ryo Saeba. Bene, avrebbe preso due piccioni con una fava. D’altronde il capo era stato chiaro. Eliminare la donna e chi si sarebbe intromesso nei suoi piani.

Avvicinò la trasmittente alla bocca.

“Non ancora. Abbiamo compagnia” gracchiò all’orecchio di uno dei suoi compari. Quello annuì, dimostrando di aver capito.



Ryo era arrivato, trovando senza molta difficoltà, l’edificio in cui Kaori aveva portato Hideyuki.

Scivolò silenziosamente all’interno, estraendo la sua inseparabile Phiton dalla fondina. I suoi sensi erano all’erta, pronti ad intervenire. Si nascose in mezzo alle pile di mattoni, sporgendosi per vedere meglio. Fece pochi passi, e finalmente notò le due figure.

Hideyuki, lo sguardo fiero puntato dritto su di lei, Kaori.

Poche parole.

“Un giorno ci rivedremo all’inferno”

Uno sparo.

Un urlo.

Un altro sparo.

Poi il silenzio.

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Capitolo 14
*** 13. L'agguato ***


L’aria era intrisa di tensione. Il tempo sembrava essersi fermato, scandito solo dal ritmo frenetico dei loro cuori.

L’eco di due spari ancora rimbombava nelle orecchie della donna. Ma, gli anni trascorsi a guardarsi costantemente le spalle, sempre pronta ad attaccare e attenta ad ogni più piccola mossa del proprio avversario, non potevano scivolare così su di lei, senza lasciare alcun segno. Ed infatti, il suo sangue freddo ebbe la meglio sull’effetto sorpresa.

Con un rapido balzo, afferrò Hideyuki per un braccio, mettendogli la lama di un pugnale sotto la gola. Poi, lentamente, si voltò, fronteggiando lo sguardo impenetrabile di Ryo.

“Fermati Ryo, se non vuoi vedere il tuo amico sgozzato”

Ryo rimase immobile, il suo viso non tradiva alcuna emozione. Aveva imparato a nascondere qualsiasi sentimento, a non tradire la sua agitazione. Chi lo osservava, non poteva che rimanere affascinato dalla sua imperturbabilità, a volte anche snervante.

Nonostante l’ammonimento della donna, fece un passo in avanti.

“Non era me che volevi uccidere?” replicò.

Kaori fece spallucce.

“Non è stata messa una taglia solo sulla tua testa, Ryo. Se non mi sbaglio, entrambi siete City Hunter, perciò uno vale l’altro” disse, mentre rinforzava la morsa intorno al collo di Maki. Appoggiò il pugnale vicino alla gola dell’uomo, facendo una leggera pressione. Un piccolo rivolo di sangue cominciò a fuoriuscire.

Ryo si arrestò.

“Non puoi uccidere Makimura”

Il suo tono di voce era serio e glaciale. Teneva ancora la Phiton impugnata, ma aveva abbassato il braccio.

Kaori scoppiò in una risata.

“Ah no? Vorresti forse impedirmelo tu?”

Lo sguardo di Ryo si incupì.

“Anche a costo della vita, se necessario”

Hideyuki sussultò. Che diavolo voleva dire? E perché il suo amico aveva quello sguardo?

Dal canto suo, anche Kaori smise di sorridere. Aleggiava una strana tensione, una leggera elettricità. C’era qualcosa che non andava.
 


L’uomo guardava la scena dal suo binocolo. Non era ancora arrivato il momento di agire. Prese la trasmittente.

“Siete in posizione?” gracchiò.

Dopo pochi istanti arrivò la risposta affermativa da parte di uno dei suoi sottoposti.

“Bene. Aspettate un mio segnale” e chiuse la comunicazione.
 


Kaori fronteggiò lo sguardo di Ryo.

“Non potrai fare niente, Saeba. Se non ci riuscirò io, Kaibara non fallirà”

“Quello che a me interessa, è che TU lasci andare Hideyuki. Non devi ucciderlo”

Kaori avvertiva il proprio cuore battere ad una velocità incontrollabile. Il tono di Ryo aveva una sfumatura particolare, come se volesse farle capire qualcosa di incomprensibile.

“Perché?” chiese, l’arma puntata sempre contro la gola di Hide.

Ryo deglutì, nervoso. Si passò una mano tra i capelli, poi incrociò lo sguardo del socio, che lo fissava palesemente confuso.

“Mi spiace Hide” mormorò

“Ryo… non capisco…”

“Ti ho fatto una domanda” si spazientì Kaori.

Ryo spostò lo sguardo su di lei, così fiera e bella, dannatamente affascinante.

“Perché Hideyuki è tuo fratello”

Bum. Bum. Bum.

La bomba era scoppiata. Kaori avvertì uno strano ronzio nella testa, mille luci offuscavano la sua vista. La mano tremò leggermente. Ma fu questione di un attimo. Subito riprese la situazione sotto controllo.

“Non c’è male, veramente, complimenti Ryo. Mi avevano avvertito che eri molto furbo, ma questo giochetto non funziona con me”

“Non ti sto mentendo”

Le parole di Ryo trasudavano sincerità, ma Kaori non volle comunque credergli. Ryo continuò a parlare, rivolgendosi a Hideyuki, che, pallido, sembrava aver perso l’uso della parola.

“Davvero, Maki, credimi. Lei è Kaori. Tua sorella. È viva”

“Ma… come è possibile…” balbettò.

Ryo sospirò.

“E’ una storia molto lunga. Sappi solo che nell’incidente lei si è salvata. E adesso è qui” disse, spostando lo sguardo su di lei.


 
L’uomo posò il binocolo e imbracciò il fucile ad alta precisione. Afferrò la trasmittente.

“Squadra 1 in posizione. Squadra 2 attenetevi al piano”

Gli uomini vestiti di nero circondarono l’edificio.

 “Pronti?”

“Si, capo”

“Bene. Allora TRE….”


 
“Smettila con queste sciocchezze. Faresti di tutto pur di risparmiargli la vita” disse Kaori, la voce fattasi dura.

“Ti dico che è la verità!!” urlò Ryo, avanzando di un passo.

“Ti ho detto di fermarti!”

La tensione era palpabile.

I cuori battevano forte, i respiri erano affannosi, era una dura lotta tra la vita e la morte.


 
“…DUE…”


 
Occhi negli occhi.

Mille parole attraversavano quegli sguardi.

Verità o menzogna?

Fiducia o vendetta?

Credere o no?

La lama affondava pericolosamente nella carne. Hideyuki si lasciò sfuggire un gemito.


 
“…UNO….”


 
Ryo percepì un’aura omicida intorno a lui. Troppo intento a salvare Hideyuki, non si era accorto che li avevano circondati.

Tornò a fissare il volto della donna.

“Non farlo. Un giorno te ne pentirai”

Kaori avvertiva, forse per la prima volta, l’indecisione impossessarsi del suo corpo. E se Ryo avesse avuto ragione? Se quell’uomo fosse stato veramente suo fratello? Poteva realmente fidarsi di Ryo?

Un rumore soffocato catturò la sua attenzione.

Incrociò lo sguardo di Ryo, un attimo prima che questi urlasse.

“Giù, a terra!!”


 
“ORA!!”


 
Una raffica di bombe esplosero contemporaneamente. Istintivamente Kaori spinse Hideyuki lontano da sé, gettandosi a terra e coprendosi la testa con le braccia.

Dal soffitto cadevano travi e calcinacci, le pile di mattoni erano esplose in miliardi di frammenti che cadevano addosso, conficcandosi nella pelle, dense nuvole di polvere offuscavano la vista.

Dalle porte laterali sbucarono una ventina di uomini armati che cominciarono a sparare.

Ryo rispondeva al fuoco, cercando con lo sguardo Kaori e Hideyuki. L’uomo si era ripreso, e aveva cominciato a sparare, riparandosi dietro un vecchio macchinario.

Kaori aveva recuperato la sua pistola, e rispondeva anche lei al fuoco. Ansimante, si riparò dietro una parete per riprendere fiato e ricaricare l’arma.

Fu un attimo.

Ryo avvertì il clic di un grilletto in lontananza, girò lo sguardo e vide Kaori accasciarsi a terra, tenendosi il braccio sinistro.

Eliminò due malcapitati e si precipitò da lei. La sollevò per la vita, scrutando il suo volto, pallido.

“Pensi di riuscire a farcela?” chiese preoccupato.

Lei annuì, cercando di tenersi all’impiedi.

“Non è niente” sussurrò.

Intorno a loro, i pochi uomini che ancora resistevano, continuavano a sparare. Ryo intravide Hideyuki, che in quel momento aveva messo KO un tizio che lo aveva preso di mira.

“Hide!” urlò. L’amico si voltò, sbiancando non appena vide che sorreggeva Kaori.

“Credi di riuscire a farcela senza di me? Saeko sta arrivando”

Hideyuki alzò il pollice in segno di OK.

“Portala via di qui” gli urlò di rimando.


 
L’uomo continuava a tenere la donna sotto il mirino. Saeba la sosteneva, e, insieme, cercavano una via di fuga. Caricò nuovamente il fucile, pronto a colpire. In lontananza si udivano le sirene della polizia.

Merda! Doveva affrettarsi, se non voleva rischiare di rimetterci lui la pelle.

Guardò nel mirino, avvicinando il dito al grilletto, ma qualcosa non andava. Dove accidenti erano finiti?!

Osservò meglio la situazione. Le sirene delle autocivette erano sempre più vicine. Un rivolo di sudore colò dalla sua fronte. Se avesse perso l’obiettivo, sarebbe stata la sua fine.

Scrutò con attenzione, e finalmente li vide. Erano usciti da una porta di servizio che dava sul retro, e adesso si stavano allontanando.

L’uomo ghignò malignamente. Focalizzò nuovamente la sua vittima, la croce nel mirino contornava la testa della donna, un solo gesto, ed era fatta.

In quel frangente, Ryo si voltò, puntò l’arma contro un punto indefinito tra le fronde degli alberi e sparò.

L’uomo non ebbe neanche il tempo di realizzare che era lui l’obiettivo. Cadde a terra, un rivolo di sangue colava dal foro al centro della fronte.

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Capitolo 15
*** 14. Come te nessuno mai ***


I raggi del sole stavano lentamente declinando, creando un tramonto da mozzare il fiato.

Ryo si affrettò a nascondere la sua Mini tra la fitta vegetazione. In quel modo, il colore rosso acceso della macchina non dava tanto nell’occhio.

Guardò la donna che si era abbandonata esausta sul sedile. La ferita al braccio non era molto profonda, tuttavia doveva essere medicata.

Gentilmente, la chiamò, scostando una ciocca di capelli che le ricadeva, impertinente, sul volto.

“Kaori…”

La donna aprì gli occhi, sbattendoli più volte. Si voltò e fissò il volto dell’uomo che era pericolosamente vicino al suo. Si irrigidì, quando immagini di ciò che era successo, tornarono nella sua mente.

“Dove siamo?” chiese, scendendo dalla macchina.

“Al sicuro”

Kaori si guardò intorno, scettica.

Sembrava che non avesse mai abbandonato la giungla, a giudicare dall’ambiente che la circondava. Intorno a lei alberi e boscaglia, contornati da alte vette rocciose. Il suo orecchio allenato riusciva persino ad udire il rumore degli insetti e degli animali che strisciavano nell’erba.

Fece pochi passi, soffermandosi sull’imponente struttura che aveva di fronte. Era una casa a tre piani, in legno, con un tetto a spiovente e un ampio porticato su cui si affacciavano grandi vetrate.

“Vieni, quella ferita deve essere medicata”

Kaori seguì Ryo all’interno della casa. L’interno era abbastanza confortevole, anche se un po’ spartano. Al centro del soggiorno c’era un grande camino, circondato da morbidi divani, e da un mobile basso, che conteneva una quantità più o meno moderata di alcolici.

Poco distante, una tavola con annesse panche, dava sul porticato. La cucina era spaziosa e comunicava direttamente nel soggiorno. Immaginò che al piano di sopra si trovassero le stanze da letto, a giudicare dalla scala che si vedeva in un angolo.

“E’ tua?” non potè fare a meno di chiedere.

Ryo sorrise, mentre si accingeva ad accendere il fuoco. La sera stava scendendo, e con essa, anche la temperatura.

“No, è di un amico”

“Sembri a tuo agio, qui”

“Lo sono, infatti”

Ryo uscì dal soggiorno, per tornare subito dopo con una valigetta dei medicinali. Fece sedere Kaori sulla panca e cominciò a disinfettare la ferita.

Il silenzio si instaurò tra di loro, rotto soltanto dal crepitio delle fiamme.

Kaori avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma tutti i suoi pensieri vennero spazzati via dal contatto lieve delle sue mani sulla sua pelle. Volse lo sguardo altrove, per impedire che notasse il rossore che le imporporava le guance. Nessuno l’aveva mai toccata così delicatamente, come se fosse fatta di cristallo.

Infine, non riuscendo più a sopportare quel silenzio imbarazzante, si decise ad affrontare l’argomento.

“Ryo…” si schiarì la voce “Prima… quello che hai detto…”

“E’ tutto vero, Kaori, è tutto vero. Tu hai un fratello, ed è Hideyuki”

La donna alzò la testa, ed incrociò i suoi occhi, neri come la notte.

“Come fai ad esserne certo?”

“Ci sono tutti gli indizi. Maki mi ha fatto vedere una tua foto, e io ho visto subito la bambina che ho salvato tanti anni fa”

“Quindi tu lo sapevi” mormorò, dura, voltando la testa di scatto.

“No, l’ho saputo solo pochi giorni fa. Sapevo che la famiglia di Maki era morta in un incidente, ma non pensavo fossi coinvolta anche tu” disse, costringendola a guardarlo.

Kaori intuì dal suo tono di voce, che non stava mentendo.

“Come hai fatto a scoprire dove eravamo?”

“Ero venuto da te per avvisarti che gli uomini di Misahichi ti volevano morta, e ho trovato la foto di Hideyuki. Mi sono precipitato subito, cercando di impedirti di commettere un errore imperdonabile” disse, addolcendo il tono di voce.

Disinfettò la ferita, poi applicò delle garze. Infine, richiuse la valigetta con un colpo secco.

“Ecco, ora ti darà meno fastidio”

Kaori annuì.

“Immagino di doverti ringraziare per avermi salvato la vita” mormorò, abbassando lo sguardo. Ma subito si maledì di quel gesto. Dove diavolo era finita la cara, vecchia Kaori? Possibile che ogni volta che si trovava vicino a Ryo dovesse sentirsi come una timida fanciulla dell’ottocento? Non era da lei comportarsi in quel modo. Assolutamente.

Alzò di scatto la testa, solo per incontrare lo sguardo divertito di Ryo, che gli stava rivolgendo un sorriso da mozzare il fiato. Il suo cuore prese a battere violentemente, mentre avvertiva la consueta morsa allo stomaco.

“Bene, ora ci si mette pure questo stupido organo… Maledetto!!”pensò.

“Non è necessario, sai?”

Lei lo guardò senza capire, la testa in subbuglio. Lui si avvicinò, prendendole il volto tra le mani.

“Co… cosa?”

“Fingere di non provare quello che provi quando stiamo insieme” disse, incatenando lo sguardo nei suoi occhi, che si spalancarono per lo stupore.

“Ma cosa diavolo stai dicendo?” balbettò, cercando di divincolarsi. Ma la presa di Ryo era ferma, e ogni suo maldestro tentativo di liberarsi, risultò vano.

“Niente… solo questo” disse.

E, come un falco che si fionda sulla sua preda, chinò la testa e s’impossessò delle sue labbra. Fu come se una scarica elettrica attraversasse i loro corpi. Ryo fece scivolare la mano lungo il fianco di Kaori, attirandola a sé. Dal canto suo Kaori, si arrese presto a quell’assalto, passandogli le braccia intorno al collo, e accarezzandogli i capelli corvini.

L’uomo si lasciò sfuggire un gemito, mentre avvertiva il corpo della donna sposarsi armoniosamente con il suo. Lentamente, la fece adagiare sul morbido tappeto di pelliccia, davanti al camino.

La sua parte razionale gli suggeriva di andarci piano, di non accelerare i tempi, ma il suo cuore e il suo corpo, gli urlavano il contrario. Non aveva mai desiderato una donna con la stessa intensità con la quale desiderava lei. Sin dal primo istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, sapeva di essere perso. Irrimediabilmente perso. Ciò che provava, andava oltre il semplice bisogno fisico. Lui voleva lei, voleva essere un tutt’uno con lei. E questa era una cosa che non gli era mai capitata.

Si staccò un attimo da lei, solo per togliersi la maglietta e aiutarla a fare altrettanto. Si aspettava da un momento all’altro che lei lo interrompesse, ma il suo sguardo arrendevole gli suggeriva tutt’altro. Anche lei anelava dal desiderio di fondersi con lui.

La guardò intensamente negli occhi, prima di baciarla nuovamente. Questa volta il bacio fu più dolce, delicato, come se volesse prendersi tutto il tempo per gustarla senza fretta. Ma quando lei insinuò maliziosamente la punta della lingua nelle sua bocca, lui non resistette e ricominciò con l’assalto. In un momento di lucidità, prima di abbandonarsi completamente al desiderio che lo stava sopraffacendo, fu consapevole della donna con la quale stava per fare l’amore.

Lei era Kaori. Kaori Makimura. La sorella di Hideyuki.

Il pensiero gli arrivò come un fulmine che squarcia l’oscurità. Dannazione, non poteva veramente farlo con la sorella di Maki!!!! Se lo avesse scoperto, lo avrebbe scuoiato vivo e lo avrebbe mandato direttamente all’Inferno!!!

Si irrigidì, staccandosi da lei e sollevando la testa.

Kaori ansimava, ma lo guardò palesemente confusa. Non aveva forse intenzione di fermarsi?! Non adesso!

“Kaori, scusa, ma io… non posso” disse, cercando di rialzarsi, e sfuggendo il suo sguardo. Ma lei gli prese il volto tra le mani, cercando i suoi occhi.

“Perché?” chiese, la voce roca.

Ryo avvertì un brivido di eccitazione, ma si costrinse ad ignorarlo.

“Sei la sorella di Maki, non posso fargli questo” disse.

Lei scosse la testa. “No, Ryo, io sono Kaori. Solo Kaori. Makimura non c’entra niente con questo” disse, attirandolo a sé “E poi… non puoi baciarmi in quel modo e lasciarmi così. Non te lo permetto” disse. Poi lo baciò con tutta la passione che aveva in corpo.

Ryo si arrese, senza troppa difficoltà. Continuò la perlustrazione del suo corpo, da dove l’aveva lasciata. Con le mani, carezzava ogni centimetro della sua pelle vellutata e morbida. Con la bocca percorreva scie infuocate, che lasciavano Kaori desiderosa di volere di più. Le mani della donna carezzavano il suo ampio torace e le sue spalle larghe, soffermandosi sui piccoli tagli e sulle cicatrici che il tempo aveva lasciato su di lui.

Kaori avvertiva un piacere senza eguali. Le mani di Ryo su di sé le procuravano delle sensazioni che mai, neanche nei suoi sogni più arditi, aveva mai sperato di provare. Il suo tocco, a tratti gentile, si tramutava in sensuale e accattivante, quando si scopriva voglioso di lei. E lei si sentiva fluttuare in una nuvola di piacere, che mai nessun altro uomo le aveva fatto provare. Non si rese conto di quando entrambi si trovarono completamente nudi. Avvertiva l’eccitazione di Ryo premere insistentemente sulla sua coscia, ma, per qualche strano motivo, lui cercava di ritardare il più possibile quel momento. In compenso le sue mani la toccavano in ogni anfratto, anche quello più nascosto, lasciandola vogliosa quanto lui. Quando si rese conto che lui stava prolungando intenzionalmente la sua agonia, riaprì gli occhi.

“Ryo…” lo supplicò con voce resa roca dal desiderio che aveva di lui.

Lui sorrise, sfiorandole il seno con una sensuale carezza, si sollevò un poco, perdendosi nei suoi occhi, accecati dal desiderio, poi, finalmente, mise fine all’agonia di entrambi, penetrandola con una spinta decisa. Kaori gemette di piacere, avvinghiandosi a lui, cingendogli la vita con le gambe, implorandolo di continuare. Le spinte divennero sempre più intense, la stanza si riempì di sospiri e ansiti, fin quando il piacere scoppiò violento in entrambi.

“Non è mai stato così bello” mormorò Kaori, abbandonandosi sfinita tra le braccia di Ryo.

L’uomo sorrise, sfiorandole il braccio con un dito e cullandola fin quando non si addormentò. Le accarezzò i capelli bagnati di sudore, poi depositò un lieve bacio sulla sua tempia.

“Neanche per me” bisbigliò, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. 

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Capitolo 16
*** 15. Un dolce risveglio ***


L’uomo guardò fuori dalla finestra, osservando il sole che lentamente stava sorgendo, dando inizio così ad un nuovo giorno. Teneva una tazza di caffé bollente tra le mani, mentre i suoi pensieri andavano a ciò che era successo la notte prima.

Quella notte, aveva condiviso con Kaori qualcosa di unico e irripetibile. Qualcosa che andava al di là di ogni logica e di ogni buon senso. Si era lasciato trasportare da quel sentimento che sentiva crescere dentro di sé, selvaggio e primitivo, che lo coinvolgeva nel corpo e nell’anima. Perché ciò che aveva provato quella notte, non era stato solo sesso. Non era stata solo l’unione di due corpi, ma anche di due cuori. Perché non aveva dubbi che le stesse, sconvolgenti sensazioni che aveva provato lui, non le avesse provate anche Kaori.

Kaori. Una donna piccola e infinitamente fragile, che dentro di sé racchiudeva una passionalità fuori dal comune. Era entrata come un uragano nella sua vita, e come un uragano l’aveva spiazzato. Non sapeva dire se ciò che provava per lei era amore. Non era mai stato innamorato nella sua vita. Ma indubbiamente, c’era qualcosa che lo legava a lei. Qualcosa a cui lui non voleva rinunciare. Anche se la sua parte razionale lo costringeva a porsi degli interrogativi, ma al momento non aveva alcuna intenzione di dargli retta.

Sin dal primo istante in cui aveva incrociato il suo sguardo, aveva avvertito un tremito incontrollabile al cuore. Non aveva mai sperimentato nulla di anche lontanamente paragonabile. Una sensazione strana e invadente al tempo stesso, che si era piano piano impossessata di lui. Anche contro la sua volontà, ogni volta che il suo pensiero andava a lei, sentiva il proprio cuore galoppare furiosamente. Era forse quello l’amore? La gente parlava di uno sfarfallio in fondo allo stomaco, di un’agitazione permanente, sudore incontrollabile… Tutti sintomi che, purtroppo, o per fortuna, aveva riscoperto in se stesso. E che lo facevano sentire immensamente felice.

E la notte prima era stata un’esperienza… devastante. Era stato con un numero considerevole di donne, ma mai con nessuna aveva provato quella sensazione di completezza che aveva avvertito nell’attimo stesso in cui si era fuso con lei. Delle altre donne non ricordava nulla, era sempre stato una sorta di ginnastica notturna, allenamento fisico per mantenere in vigore il suo mokkori. Non ricordava il colore degli occhi di nessuna in particolare, o quello dei capelli… In genere, al mattino, non si ricordava neanche il nome della donna con cui era stato.

Invece con Kaori era stato tutto diverso. Aveva bene impresso nella mente ogni centimetro della sua pelle, la sfumatura dei suoi occhi quando ardeva di desiderio, il riflesso dei suoi capelli ramati, la sua bocca carnosa ed invitante… Dio, al solo pensiero veniva assalito dalla voglia di ricominciare di nuovo. Si era scoperto insaziabile di lei. E, soprattutto, si era scoperto suo. Irrazionalmente suo. E di nessun altra.

E voleva che anche per lei fosse lo stesso. Voleva sentirla ancora gemere e contorcersi sotto di lui, voleva che lo implorasse di fondersi con lei come aveva fatto quella notte, voleva che lo stringesse a sé e lo abbracciasse quando si sentiva sommergere dall’ansia, voleva condividere con lei ogni istante della giornata. Voleva che fosse sua. E di nessun altro.


 
Kaori sbattè le palpebre, avvertendo una fastidioso senso di vuoto accanto a sé. Girò la testa, e lo vide. Il suo cure accelerò i battiti e un sorriso comparve sul suo volto. Era bellissimo. Le dava le spalle, guardava fuori dalla finestra, assorto nei suoi pensieri, con una tazza di caffè tra le mani. Indossava i jeans neri, ma il torso era nudo. La donna si sentì percorrere da un fremito mentre ripercorreva mentalmente i muscoli di quelle possenti spalle che aveva accarezzato.

Se pensava a ciò che aveva fatto quella notte, un senso di vergogna l’assaliva. Gesù, l’aveva praticamente implorato di fare l’amore con lei!!!!

Ma non se ne pentiva. Era stato tutto stupendo. Meraviglioso. Sublime.

Chiuse gli occhi, ripensando a come si era sentita incredibilmente bene quando si era unita a lui. “Non è mai stato così bello” gli aveva detto. Ed era vero. Mai, con nessuno, aveva provato ciò che aveva provato quella notte. Era stata veramente la sua prima volta.

Naturalmente non era vergine, non lo era più da quando aveva sedici anni. Da quando si era presentata davanti a Josè, il suo migliore amico, e gli aveva chiesto, senza mezzi termini, di “sbarazzarla della sua verginità”. Come se fosse un peso, o un pacco postale. Josè l’aveva fissata perplesso, chiedendole se ne era sicura, ma lei era stata irremovibile. Voleva capire cosa provavano le ragazze quando venivano a tenere compagnia agli uomini, al campo. Sentiva sempre degli strani versi provenire dalle tende, uniti a risolini, provenienti da entrambi. Josè l’aveva portata in un luogo appartato, lontano dalla vista degli altri, una piccola cavità naturale vicino al fiume. L’aveva spogliata un po’ imbarazzato, e lì, tra la polvere, l’odore opprimente di qualche animale, le mosche e gli insetti, l’aveva fatto per la prima volta. Era stato tutto incredibilmente breve. Era durato si e no dieci minuti, compreso il tempo che ci era voluto per denudarla. Aveva avvertito solo un tremendo dolore, e una terribile sensazione di frustrazione quando tutto era terminato. Poco dopo, avevano avvertito il richiamo dei loro compagni, stavano per essere attaccati. Si erano vestiti velocemente, senza una parola avevano imbracciato le armi, come se nulla fosse successo.

Anche in seguito, quando era cresciuta, le cose non erano cambiate. Aveva avuto dei sporadici rapporti con qualche ragazzo che si intratteneva poco con loro, ma mai aveva provato un sentimento che la coinvolgesse. Aveva deciso che avrebbe volentieri rinunciato al sesso, finché non avesse trovato qualcuno in grado di regalarle anche una piccola emozione.

Aprì gli occhi, incrociando lo sguardo di Ryo che in quel momento si era voltato. Era magnifico, il suo profilo che si stagliava perfetto alla finestra, mentre il sole sorgeva dietro di sé. Il suo cuore rimbalzò nel petto. Forse aveva già trovato qualcuno che sapeva regalarle delle emozioni.


Ryo si avvicinò a lei con la sua camminata fluida e sicura. Sorrideva, mentre si inginocchiava davanti al divano. In qualche modo, quella notte si erano portati sul divano, e avevano dormito avvolti da un morbido plaid. Le scostò una ciocca di capelli dal volto, posandole un lieve bacio sulla fronte.

“Dormito bene?” chiese.

“Magnificamente” rispose lei, cingendogli il collo con le braccia.

Ryo sorrise divertito, poi le scompigliò i capelli.

“Forza dormigliona, alzati, la colazione è pronta” disse, facendo per alzarsi.

Ma Kaori lo trattenne, tirandolo verso di sé. Incrociò il suo sguardo sorpreso, poi, maliziosamente, si avvicinò e si impossessò delle sue labbra. Insinuò la punta della lingua nella sua bocca e Ryo si lasciò sfuggire un gemito. Intrecciò le mani nei suoi capelli, approfondendo il bacio, mentre Kaori gli accarezzava sensualmente le spalle nude.

“Mi fai impazzire…” gli bisbigliò roco, mordicchiandole un orecchio.

“Lo so” ridacchiò lei, mentre lui scivolava sopra di lei.

“Adesso vedrai cosa ti aspetta per avermi provocato” mormorò Ryo baciandola lungo il collo, mentre con le mani percorreva il suo corpo.

“Non vedo l’ora” sussurrò lei, nello stesso momento in cui lui entrò in lei. Kaori si lasciò sfuggire un urlo, ma lui prontamente coprì la sua bocca con la sua in un bacio lento e sconvolgente, mentre si spingeva più in fondo dentro di lei. Ryo le afferrò i polsi, portandoli sopra la sua testa, mentre, con un’ultima poderosa spinta, raggiunsero insieme il piacere.

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Capitolo 17
*** 16. Tempo di spiegazioni ***


“Ryo?”

“Mhmm…”

Kaori osservò le sue mani intrecciate a quelle dell’uomo, il quale aveva il volto affondato nel suo collo.

“Posso farti una domanda?”

Ryo riemerse da quel torpore, sistemandosi meglio sul divano e abbracciandola.

“Avanti, spara”

Kaori si girò ad incrociare il suo sguardo.

“Come sei diventato un killer?”

Il volto di Ryo assunse un’espressione dura. Eccola lì, la domanda insidiosa. Aveva sperato che non sarebbe mai arrivato il momento in cui gliel’avrebbe posta, ed invece era giunto, forse un po’ troppo presto per i suoi gusti.

Kaori notò la sua espressione accigliata, e allungò una mano per fargli una carezza.

“Non sei obbligato a rispondermi” mormorò.

Ma lui afferrò la sua mano, e depositò un piccolo bacio, mantenendo sempre lo sguardo fisso su di lei.

“Non importa. È una storia lunga… vediamo…”

Chiuse gli occhi, cercando di riordinare le idee. Kaori spostò una ciocca di capelli corvini che gli ricadevano sulla fronte, e lui aprì gli occhi, cominciando il suo racconto.

“Dopo essere stato espulso dal Messico, mi ritrovai solo, senza un posto in cui andare, senza nessuno che conoscessi, senza sapere cosa fare della mia vita. Avevo sentito dire da alcuni ex prigionieri come me, che a Los Angeles la vita era diversa, che lì si poteva sperare in qualcosa di buono, anche per i reietti come me. E fu la disperazione che mi portò a Los Angeles. Una terra straniera, con gente che non conoscevo, e con una lingua totalmente diversa dalla mia. Fino a quel momento avevo parlato solo messicano, spagnolo   e qualche volta in giapponese con Shin, il mio inglese era abbastanza stentato. Non riuscivo a farmi capire, o forse era solo la gente che non voleva capirmi. Quando arrivai in quella grande città, non avevo niente. Solo i vestiti che indossavo, e un ricambio in una sacca. E la mia pistola. La mia fedele Phiton. Potevo contare solo su di lei. Mi ritrovai a girovagare per i vicoli bui e malfamati della periferia, e fu proprio lì che, per caso, m’imbattei in Kenny. Kenny Field aveva combattuto per un po’ di tempo nell’esercito di Kaibara, ma era andato via quando io ero poco più che un bambino. Era diventato uno sweeper, ma da quando era rimasto solo con una bimba piccola, aveva cambiato mestiere. Faceva il gunsmith, una specie di armaiolo, in pratica si occupava di mettere a posto o modificare le armi. Era molto bravo nel suo lavoro. Kenny mi accolse a casa sua con entusiasmo, occupandosi di rimettere a nuovo la mia Phiton che necessitava di urgenti riparazioni, ma non solo. In me, intravide un suo degno successore. Così diceva. Mi insegnò il mestiere di sweeper, come combattere e come affinare i miei sensi. Diceva che avevo un talento naturale, che presto l’allievo avrebbe battuto il maestro. Era contento di me, ed io ero orgoglioso di me stesso. A vent’anni avevo l’esperienza di un uomo di quaranta. In seguito conobbi un altro sweeper come me, Mick Angel. Divenne il mio partner, ed insieme creammo la società City Hunter”

Kaori ascoltava attentamente, lo sguardo velato di tristezza.

“Come sei finito in Giappone?”

Ryo si riscosse dai suoi pensieri, tornando a guardarla.

“Avevo ricevuto un incarico. Dovevo eliminare un ex mercenario che operava qui a Shinjuku. Perciò partì alla volta di Tokio. Non sapevo che mi sarei trasferito qui” disse, quasi parlando a sé stesso.

“E poi cosa è successo?” lo incalzò Kaori.

“Niente. Ho incontrato Umibozu, l’uomo che avrei dovuto uccidere e mi sono ricordato di lui. Una volta, quando eravamo nella giungla ed io era un ragazzetto di più o meno dodici anni, lui mi salvò la vita, nonostante fossimo nemici. E allora decisi che non l’avrei ucciso”

Kaori gli rivolse un sorriso radioso.

“Siete diventati amici?” chiese incuriosita.

“Pff…amici proprio no, ma neanche nemici. Comunque è sua questa casa” disse, mascherando il suo imbarazzo con una finta indifferenza.

Kaori si rannicchiò ancora di più contro il suo petto.

“Come hai conosciuto Makimura?”

Non riusciva ancora ad accettare l’idea di avere un fratello, né tantomeno a pensare di nominarlo.

“E’ stata Saeko” fece lui, pensieroso.

Kaori avvertì una fitta di gelosia al sentirlo pronunciare il nome di quella donna. Era una sua impressione o la sua voce aveva assunto una sfumatura particolare? Si irrigidì un poco.

“Sarebbe?”

Ryo le lanciò un’occhiata sorpresa. Aveva avvertito la tensione nella sua voce.

“Saeko è un’ispettrice di polizia. È la fidanzata di tuo fratello. Sapevi che Hideyuki era un poliziotto prima?”

Kaori spalancò gli occhi per lo stupore.

“Un poliziotto? Com’è che è diventato un killer?”

Lo sguardo di Ryo s’indurì.

“Hideyuki non è un killer, ha sempre evitato di uccidere”

“Ma tu hai detto che…”

“Lui è City Hunter, come me. Ma la parte sporca del lavoro sono io che la faccio. Lui si occupa per lo più di fare indagini, raccogliere informazioni, sbrigare la parte organizzativa”

Kaori accarezzò lievemente il suo braccio. Non gli piaceva quando parlava di se stesso in quel modo, come se fosse la feccia della società.

“Mi stavi dicendo di Saeko…”

“Ah, si. Saeko. Una volta l’ho aiutata a risolvere un caso. Pur essendo una poliziotta, si affidava qualche volta a me, anche se ciò non era proprio legale, ma avendo le mani legate dalla burocrazia, spesso si trovava in difficoltà. Fu durante uno di questi casi che mi fece conoscere Maki. Si doveva sgominare un traffico di droga e prostituzione. Makimura era esasperato dai continui divieti che la legge gli imponeva. Perciò dette le dimissioni e si aggregò a me. Da quel giorno formiamo una squadra imbattibile” concluse, con una punta di orgoglio.

Kaori si girò verso di lui, sollevandosi un poco e poggiando un lieve bacio sulla sua bocca.

“Anche la tua vita non è stata molto tranquilla. Mi dispiace” sussurrò.

Ryo la guardò intensamente, una morsa indicibile gli attanagliava lo stomaco.

“Non è nulla in confronto a ciò che hai dovuto passare tu. Kaori guardami” disse, prendendole il volto tra le mani “Potrai mai perdonarmi per ciò che ti ho costretto a vivere?” chiese, una punta di angoscia nella voce. Il senso di colpa premeva dentro di lui, insidioso e strisciante come un serpente a sonagli.

Due lacrime minacciavano di uscire dagli occhi della donna, ma lei scosse il capo con forza.

“Shhhh… non dire niente. Non hai nulla da farti perdonare” mormorò, poggiando la testa sul suo petto. Ryo la circondò con le sue braccia, stringendola forte, come se non volesse più lasciarla andare.
 


Poco lontano da lì, un uomo teneva la baita sotto controllo. Era piuttosto piccolo di statura, robusto ma non grasso, con folti capelli neri. Guardò attraverso il binocolo, mentre un sorriso bieco gli increspava il volto. Un rumore di passi catturò la sua attenzione, ma non si girò, conoscendone perfettamente la provenienza.

“E’ quello il posto?” sibilò una voce profonda alle sue spalle.

L’altro si voltò annuendo, porgendogli il binocolo, ma l’uomo lo respinse con una smorfia.

“Non è necessario, mi fido di te”

L’uomo abbassò il capo, ossequioso.

“Cosa facciamo adesso?”

L’altro uomo osservò il rifugio per qualche istante, passandosi la lunga mano sul mento pronunciato, pensieroso. Infine, sorrise. Un sorriso che non aveva nulla a che vedere con la freddezza dello sguardo.

“Aspettiamo. Non è ancora il momento”

L’altro annuì, riponendo il binocolo nella sua custodia. Appoggiò le spalle al tronco di un albero, mantenendo sempre lo sguardo sull’edificio. Sarebbe arrivato presto il momento di agire.


 
“Dove vai?”

Kaori si avvicinò silenziosamente a Ryo, cingendogli la vita e poggiando la testa sulle sue spalle. L’uomo aveva appena finito di farsi una doccia veloce, ed aveva ancora i capelli umidi. Sorrise al gesto della donna, che aveva cominciato a carezzargli il petto da quella posizione. Stoppò la sua carezza, che stava diventando fin troppo ardita, e lei fece una piccola smorfia che lui colse perfettamente dal suo riflesso nello specchio.

“Non fraintendermi, mia cara, ma adesso non posso soddisfare le tue richieste. Devo andare in città a controllare la situazione”

“Aspettami allora, vengo anche io”

“No”

La voce di Ryo era autoritaria. Kaori lo guardò palesemente confusa. Lui le sfiorò il volto con un dito.

“Devo parlare con Hideyuki, scoprire se ci sono novità. Là fuori c’è gente che ti vuole morta, preferisco che tu rimanga qui, al sicuro. Almeno fin quando non tornerò”

Kaori sbuffò spazientita, non le andava proprio l’idea di rimanere da sola, ma doveva ammettere che l’atteggiamento protettivo di Ryo la riempiva di gioia.

“Ti prometto che non tarderò” cercò di ammansirla lui “E poi, abbiamo ancora quel discorso in sospeso…”

Le guance di Kaori s’imporporano, mentre si lasciava abbracciare da lui. Alzò il viso in una tacita richiesta, e Ryo obbedì prontamente, catturando la sua bocca in un lungo e sensuale bacio, che lasciò entrambi senza fiato.

“Sbrigati a tornare” mormorò la donna, con voce arrochita dal desiderio.

Lui le strizzò l’occhio, poi uscì di casa. Destinazione: Shinjuku.

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Capitolo 18
*** 17. Il ritorno di El Diablo ***


Kaori guardò fuori dalla finestra per l’ennesima volta, in quelle due ore. Ryo era andato via e lei, dopo aver gironzolato un po’ nella casa, non sapeva più come passare il tempo. Con un sospiro si lasciò cadere sul morbido divano, portandosi le ginocchia sotto il mento. Le fiamme nel camino continuavano a crepitare e lei seguiva silenziosamente il gioco di ombre che si creavano. La mente immersa in mille pensieri.

Per la prima volta in vita sua, si sentiva felice. Non aveva mai sperimentato questo sentimento nella sua vita. Le era capitato di essere serena, soddisfatta quando le cose in battaglia andavano bene, orgogliosa quando tutto filava per il verso giusto, ma felice… no, pensava di non esserlo mai stata.

Aveva voglia di gridare al mondo intero quanto si sentisse bene, era felice perché esisteva, era felice perché c’era il sole, la luna, le stelle. Era felice perché c’era Ryo. Con lei. E con nessun altra. Lo voleva tutto per sé. In poco tempo, era diventato la sua droga. Non poteva più farne a meno. E non voleva fare a meno di lui. Del suo sguardo profondo ed enigmatico, del suo viso, del suo sorriso, del suo corpo, delle sue mani che sapevano farla impazzire. No, decisamente non sarebbe riuscita a rinunciare a tutto questo.

Sospirò, mentre un sorriso beato compariva sul suo volto. E pensare che era arrivata a Tokio con l’intenzione di ucciderlo… Per un istante si rabbuiò. Ora le cose erano cambiate drasticamente, non avrebbe più potuto ucciderlo. Non voleva. Era una cosa che andava al di là della sua volontà. Lei voleva passare ogni istante con lui, non ucciderlo. Né tanto meno poteva pensare di far fuori Hideyuki. Suo fratello. Il solo pensare che là fuori c’era qualcuno in cui scorreva il suo stesso sangue, le procurava un brivido lungo la schiena.

Un fratello. Aveva un fratello. Quante notti, sola nel suo letto, aveva immaginato come poteva essere diversa la sua vita; quante volte, guardandosi allo specchio, si era chiesta se qualcuno pensasse mai a lei… Ora sapeva che era così. Che mentre lei cresceva con la convinzione di essere sola al mondo, qualcuno, lontano da lei e dal suo mondo, si chiedeva che fine avesse fatto. Si alzò dal divano, camminando meccanicamente su e giù, davanti al camino. Doveva elaborare una strategia. Presto Shin si sarebbe fatto sentire, avrebbe chiesto spiegazioni. E lei, cosa avrebbe risposto? E soprattutto, lui come avrebbe reagito? L’avrebbe uccisa? In un lampo le balenò in mente lo sguardo vitreo e privo di sentimenti che Kaibara soleva rivolgere ai suoi nemici, prima di dar loro il colpo mortale. Si, pensò. Non avrebbe avuto alcuna pietà, l’avrebbe uccisa.

Un lieve bussare alla porta, la riportò al presente. Avvertì il suo cuore battere forsennatamente. Chi mai poteva essere? Poi si ricordò che Ryo le aveva detto che quello era un posto sicuro. Probabilmente era lui che si era dimenticato le chiavi. Sorridendo tra sé per la propria insicurezza, andò ad aprire.

“Non dirmi che ti sei dimenticato le chiav…” le parole le morirono in bocca, mentre impallidiva.

“Non mi fai entrare?” chiese una inequivocabile voce roca e profonda.


 
La Mini di Ryo sfrecciava veloce. Lo sweeper aveva parlato con Hideyuki, che lo aveva messo al corrente dell’arresto di alcuni degli uomini di Misahichi, ma, come Umibozu gli aveva suggerito, non c’era di che rimanere tranquilli. Probabilmente, la potente famiglia della yakuza, aveva assoldato qualcun altro per eliminare Kaori. La donna costituiva un pericolo che doveva essere assolutamente eliminato, prima che Kaibara stesso mettesse piede a Shinjuku. Makimura aveva voluto essere informato sulle condizioni di Kaori, e lui l’aveva tranquillizzato. Certo, aveva omesso di dirgli della notte bollente che avevano trascorso, ma non era il caso di farlo preoccupare inutilmente. E poi, lui ci teneva alla sua adorabile testolina.

Il pensiero che presto avrebbe rivisto Kaori scacciò via ogni altro pensiero. Non riusciva a rimanere un secondo lontano da lei, la mente era sempre orientata a lei, proiettata su ciò che avrebbero potuto fare assieme. Anche prima, quando era al Cats’Eye, c’era stato un istante in cui aveva avvertito una strana inquietudine, come se lei fosse in pericolo. Si era detto che era impossibile, che era il suo istinto di protezione nei suoi confronti che lo faceva ragionare in quel modo, ma quell’ansia non era riuscito a scrollarsela di dosso. Aveva frettolosamente salutato gli altri, ed era sfrecciato via con la sua auto.

Mano a mano che si avvicinava al rifugio di Umibozu, anziché scemare, la sua preoccupazione aumentava. E con questa anche il ritmo frenetico del suo cuore. Lo avvertiva, c’era qualcosa che non andava. Il suo istinto non falliva quasi mai. Pigiò il piede sull’acceleratore, sperando di arrivare in tempo.


 
Kaori fece un passo indietro.

“Padre…” mormorò.

La figura alta ed asciutta si stagliava sulla porta. L’espressione del viso era indecifrabile. Avanzò di un passo, seguito dalla silenziosa presenza del suo fidato braccio destro, Pedro.

“Che ci fai tu qui?” riuscì ad articolare Kaori, sperando che la sua voce non suonasse tremula.

Kaibara squadrò attentamente l’abitazione, con calma deliberata. Infine, il suo sguardo si posò sulla donna, che avvertì un brivido di terrore.

“Non sei contenta di vedermi?”

“Certo, ma…”

“Sai” l’interruppe Shin, dirigendosi tranquillamente verso il mobile bar e versandosi un bicchiere di un ottimo scotch Irlandese “Sono venuto a chiederti di persona quale parte del piano non ti è stata particolarmente chiara” disse, rivolgendole un lungo sguardo glaciale.

Kaori sussultò, ma cercò di riprendersi.

“Mai mostrarsi debole di fronte al nemico, Kaori. Te l’ha insegnato lui”si impose.

Raddrizzò le spalle, schiarendosi la voce.

“Nessuna, padre. E’ tutto chiaro”

“Mhmm… Tu dici?”

“Certo”

“Non credo, sai? Io ti avevo ordinato di uccidere City Hunter” disse Shin, avvicinandosi a Kaori, fino a trovarsi occhi negli occhi “Non di portartelo a letto” concluse, la voce dura.

Kaori spalancò gli occhi per lo stupore.

“Mi hai fatto seguire?” chiese, mentre il suo viso diventava rosso per la collera e la vergogna.

Kaibara scoppiò a ridere.

“Credevi sul serio che ti avrei lasciato gestire un affare come questo senza prendere le mie precauzioni? Non potevo permettere che una pivellina mandasse a monte anni di lavoro”

“Avevi detto che ti fidavi di me” disse Kaori, delusa.

L’uomo la soppesò con lo sguardo.

“E ho fatto male. Tu me l’hai dimostrato. Non sei riuscita a portare a termine l’incarico che ti avevo assegnato, nonostante le molte occasioni che ti si sono presentate. Vuoi spiegarmene il motivo?”domandò, sorseggiando il suo whisky.

Kaori si morse il labbro inferiore, deviando lo sguardo.

“Ma guardati!” fece Kaibara, girando lentamente intorno a lei “Sembri una di quelle patetiche verginelle che vengono scoperte a rotolarsi nel letto del loro amante!! Sei caduta proprio in basso, mia cara, non meriti neanche il mio disprezzo!”

Kaori chiuse gli occhi, deglutendo di fronte a quell’insulto.

“Cosa vuoi fare adesso?”

Kaibara finì di bere il suo liquore, poi si lasciò cadere sul divano, accavallando le gambe e passando le mani sullo schienale.

“Niente” disse, fissando i suoi freddi occhi neri nei suoi “Finirò io ciò che tu non hai neanche iniziato”

Il cuore di Kaori fece una capriola. Questo voleva dire che…

“No, ti prego, non farlo!” implorò.

Kaibara la fissò ancora per un istante.

“Mi fai schifo” disse, poi fece un gesto con la mano.

Kaori non capì, ma avvertì subito la presa di Pedro dietro le sue spalle. Le afferrò le braccia, legandole i polsi dietro la schiena. Poi la fece sedere, passando una corda che le legava mani e piedi ad una sedia. Infine, le mise del nastro adesivo a tapparle la bocca.

Kaori cercò di divincolarsi, ma ogni sforzo per liberarsi risultava vano.

“Stà buona” la ammonì Pedro, dandole uno schiaffo sul volto.

Kaori gli lanciò uno sguardo carico di odio, ma quello non dette segno di risentirne. Poi fissò Kaibara, mentre sentiva ribollire la rabbia dentro di sé. Quel bastardo! Aveva intenzione di usarla come esca per colpire Ryo. Il pensiero dell’uomo e del pericolo che correva la mise in agitazione. Non poteva permettere che l’uccidesse. Ryo non doveva morire per colpa sua. Avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché ciò non avvenisse.


 
Ryo parcheggiò l’auto nello stesso posto in cui l’aveva lasciata la sera prima. Cautamente scese dalla Mini, impugnando la sua pistola. Avvertiva una strana tensione nell’aria, che aumentava mano a mano che si avvicinava alla baita. Nonostante regnasse un silenzio quasi irreale, lui sapeva che Kaori era in pericolo.

Si avvicinava il crepuscolo, i raggi del sole che lentamente declinavano proiettavano fulvi riflessi sulla vegetazione circostante. Il cielo si tingeva di sfumature rossastre, piccoli stormi di uccelli si allontanavano all’orizzonte. A terra, le gialle foglie degli alberi, cadevano al sospiro di un tiepido venticello, creando un morbido tappeto. Ogni tanto, il silenzio veniva interrotto solo dall’urlo prolungato di un’upupa di passaggio. Il paesaggio era molto suggestivo, sembrava ricavato dalla tela di un pittore.

Ryo si avvicinò piano ad una finestra che dava sul patio, osservando l’interno. Sembrava tutto come l’aveva lasciato, con l’unica eccezione dell’assenza di Kaori. Un’altra rapida occhiata, e qualcosa catturò la sua attenzione. Un bicchiere di whisky, lasciato sul bordo di un tavolo. Ora, non conosceva perfettamente Kaori, ma dubitava che si fosse messa a bere in sua assenza.

Mosse pochi passi in direzione della porta. Si mise in posizione, impugnando la Phiton con la mano sinistra e aprendo la porta con la destra. Un respiro profondo, ed irruppe nella stanza con un’abile capriola.

Clap. Clap. Clap.

Un applauso partì dal fondo della stanza.

“Ed ecco l’eroe che arriva con un’entrata trionfale”

La voce di Kaibara si levò carica di scherno.

Ryo si rialzò, aggiustandosi la giacca con fare indolente.

“Quando si tratta di te, non si sa mai cosa ci si può aspettare”

Il tono era sarcastico, ma lo sguardo era impenetrabile. Con la coda dell’occhio, vide Kaori, legata ed imbavagliata, dietro di lui. Notò subito il livido che si era formato sulla sua guancia, e una collera cieca lo invase. Pedro era al suo fianco, una pistola puntata alla tempia della donna.

Ryo riportò lo sguardo su quello che, da giovane, aveva considerato come un padre.

“Cosa vuoi da lei? Lasciala andare”

Kaibara scoppiò in una risata.

“Ti piacerebbe, eh? Ti è piaciuto il servizio? Guarda che di sgualdrine come lei, ne trovi quante vuoi”

Un guizzo di collera attraversò il volto di Ryo, ma s’impose comunque di non reagire. Aveva intuito a che gioco stava giocando, voleva adottare la tattica dello sfinimento psicologico. Ma non avrebbe abboccato, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.

Kaibara si alzò dalla poltrona in cui era seduto, estraendo dalla tasca dei suoi pantaloni verde militare, un piccolo coltello a serramanico. Lo aprì, cominciando a giocherellare con la punta affilata, mentre si avvicinava alla donna.

“Sai Ryo, la tua amichetta qui”disse, affondando la lama sulla guancia di Kaori, e lasciandone un piccolo segno rosso “mi ha giocato un brutto scherzo. Non è forse vero Kaori?” disse, piantandogli addosso uno sguardo carico di risentimento.

“Non toccarla bastardo!” fece Ryo, muovendo pochi passi verso di lei.

“Uh, come siamo permalosi! Fermati Ryo, se non vuoi che del suo bel visino non rimanga più niente!” lo ammonì, afferrando Kaori per i capelli e mettendo la lama del coltello sotto la sua gola.

Suo malgrado, Ryo fu costretto a fermarsi. Incrociò lo sguardo spaventato di Kaori, e il suo cuore si strinse in una morsa.

“Cosa vuoi?”

Una fiammella d’interesse si accese negli occhi di Kaibara.

“Vedo che sei disposto a trattare. Deve essere molto più brava a letto di quanto non lo sia nel combattimento. Bene, dunque. Tu vuoi la sua vita, io voglio la tua” scoprì le sue carte Kaibara.

Lo sguardo di Ryo passò velocemente da quello di Kaori a quello di Kaibara.

“Spiegati meglio”

Il suo tono di voce era privo di inflessione. Né i suoi occhi tradivano il suo stato d’animo.

“Voglio che tu faccia quello per cui sei scappato tanto tempo fa”

Bum.

Kaibara aveva gettato la sua bomba. Ryo avvertì il sangue rimescolarsi nel corpo, la bocca divenire improvvisamente arida.

Kaori osservava quello scambio di battute senza riuscire ad interpretarne il senso. Percepì la tensione aleggiare intorno al corpo di Ryo, e seppe che Kaibara lo aveva messo in difficoltà. La sua vita in cambio di qualcosa, di qualcosa di estremamente importante.

“Per quale motivo?”

Kaibara ricominciò a passeggiare su e giù, tenendo sempre il coltello a portata di mano.

“E’ semplice. Hai visto la gente che voleva ammazzare la tua amichetta? Bhe, a quanto pare, quegli inetti non hanno capito molto bene l’antifona. Serve una dimostrazione, che sia di esempio per tutti. Tutti devono sapere a cosa vanno incontro mettendosi contro Shin Kaibara”

Aveva parlato con un tono di voce che diventava via via più alterato.

Ryo avvertì l’odio represso in quelle parole, e comprese che Kaibara aveva assunto uno stato di esaltazione difficile da controllare.

Ciò che gli proponeva andava contro ogni logica e ogni più razionale ragionamento. Ci era già passato una volta, e difficilmente ne era uscito. La sua mente gli diceva di no, che mai, per nessun motivo, si sarebbe trasformato in una macchina da guerra solo per soddisfare le sue pazzie. Ma il suo cuore, bhe, a quello non sapeva cosa rispondere.

Incrociò lo sguardo di Kaori. Anche se era spaventata, manteneva un autocontrollo e una forza che difficilmente qualsiasi altra donna avrebbe dimostrato. Con quegli occhi, quegli splendidi occhi che lo avevano ammaliato, sembrava volesse comunicargli qualcosa di importante. La vide scuotere la testa, e lui sorrise. Non voleva che accettasse le condizioni di Kaibara. Un calore mai provato prima si propagò dal suo cuore, riscaldando il suo corpo. Mai, nella sua vita, aveva avvertito quella sensazione così profonda eppure così effimera.

Raddrizzò le spalle, conscio di aver preso la sua decisione. Kaori continuava a scuotere violentemente il capo, degli incomprensibili mugolii si facevano largo attraverso la voce soffocata dal nastro adesivo.

Ryo ignorò il suo sguardo supplichevole, cercando di mantenersi calmo.

“Accetto”

Un sorriso radioso illuminò il volto di Kaibara.

“Bene, hai fatto la scelta più ragionevole, ragazzo”

“Prima libera Kaori”

Kaibara fece una faccia scioccata.

“Mi deludi, ragazzo mio. Credi che non sia in grado di mantenere una promessa? Alla tua bella non verrà torto un capello, non preoccuparti. Ah, un’ultima cosa. Getta la pistola”

Ryo obbedì, lanciando la sua Phiton davanti ai piedi di Pedro.

“Anche quella che tieni nascosta vicino alla caviglia. E i pugnali”

Ryo digrignò mentalmente i denti, mentre si disarmava.

Kaibara fece un cenno d’intesa a Pedro. Quello capì, lasciò la sua postazione dirigendosi verso Ryo. Estrasse dalla tasca una piccola siringa, che provvide a preparare velocemente. Poi, con un colpo secco, la conficcò nel collo di Ryo.

Lo sweeper gettò un urlo, prima di cadere a terra, svenuto.

Kaori si dimenava sulla sedia, cercando di urlare tanto quanto quello stupido scotch glielo impediva.

“E’ inutile che strepiti come una gatta in calore, il tuo amante non potrà sentirti. E adesso veniamo a noi” disse Shin, ruotando la sedia, in modo da incrociare i suoi occhi.

“Ti ho allevato come una figlia, e questo è il tuo modo di ripagarmi. Hai sbagliato a metterti contro di me. Al mio paese, il tuo comportamento ha un solo nome: diserzione. Meriteresti che ti tagliassi la gola, per questo” disse, avvicinando la lama del coltello al suo volto. Kaori non deglutì, né abbassò lo sguardo. Era così fiera e bella in quel momento. Non voleva dargli questa soddisfazione. Kaibara studiò il suo comportamento, e per un attimo uno sguardo ammirato balenò nei suoi occhi.

Ma fu questione di un istante. Ritornò subito freddo ed impassibile come al solito.

“Ma sono un uomo d’onore. Quando faccio una promessa, la mantengo” disse, avvicinando la mano alla testa della donna.

“Sogni d’oro, Kaori”

Così dicendo, le diede una stoccata di traverso. Kaori reclinò il capo. L’immagine di Ryo, steso a terra, incosciente, fu l’ultima cosa che vide prima di svenire.

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Capitolo 19
*** 18. Salvare Ryo ***


Hideyuki picchiettava nervosamente con le dita sul bancone del Cats’Eye, gettando ogni tanto uno sguardo alla pendola che scandiva il tempo con un fastidioso ticchettio.

Umibozu era intento a pulire i bicchieri ma con gli occhi celati dietro un paio di enormi occhiali scuri, seguiva il monotono tamburellare delle sue dita. Miki seguiva la scena in un penoso silenzio.

“Ora basta!” sbottò Hideyuki, alzandosi dallo sgabello su cui era seduto, con tanta foga da farlo cadere “Non ce la faccio più ad aspettare! Io vado a cercarli!”

Così dicendo si diresse a passo spedito verso l’uscita, quando la potente voce di Umi lo costrinse a voltarsi.

“Fermati! Torna a sederti. Se Ryo ha detto di aspettare, noi aspetteremo”

Hideyuki ingaggiò una lunga battaglia interna per sostenere lo sguardo dell’uomo, mentre Falcon lo fissava con la sua tipica espressione granitica. Infine, emise un sospiro e tornò a sedersi, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Circa un’ora prima, Ryo li aveva frettolosamente lasciati nel bel mezzo di una discussione sul piano che dovevano attuare. Sembrava fosse stato morso da una tarantola. Se l’era svignata dicendo unicamente che se entro un’ora non si fosse fatto sentire, dovevano andare a cercarli al rifugio di Umibozu.

E adesso erano lì che aspettavano, senza sapere cosa accidenti fosse successo. Per quel che ne sapeva, lui e sua sorella potevano essere stati vittime di un attentato, oppure potevano essere in fuga, lontano dal paese, o peggio ancora…

“La peggiore delle ipotesi può essere che Ryo si sia intrufolato nel letto di Kaori”

Che faceva, ora gli leggeva nel pensiero?

Hideyuki trafisse con lo sguardo il povero Umi, che aveva avuto l’ardire di formulare una tale considerazione. Rendendosi conto del significato delle sue parole, arrossì così tanto da fargli uscire fumo dalle orecchie.

Tossicchiò, a disagio, continuando nella sua meticolosa quanto inutile pulizia dei bicchieri.

In quel momento la porta si aprì, con un grazioso scampanellìo che accompagnava l’entrata di Saeko.

“Ci sono novità?” chiese, andandosi a sedere a fianco di Makimura, che scosse la testa avvilito.

Saeko guardò l’orologio. Mancavano solo dieci minuti, prima che l’ultimatum di Ryo scadesse.

Si ritrovò così anche lei a tamburellare con le lunghe dita curate sul bancone, guadagnandosi così l’occhiata torva di Umibozu. Miki scosse la testa, porgendole una tazza di caffè.

Il silenzio fendeva l’aria. C’era una tensione così palpabile, da potersi tagliare con il coltello.

Gli sguardi correvano dalla pendola al telefono, in un susseguirsi di ansia e preoccupazione.

Meno cinque minuti.

Hideyuki avvertiva piccole gocce di sudore scorrere sul suo viso.

“Suona, maledizione, suona!”

Si aggiustò gli occhiali sul naso, controllò il cellulare, sperando di veder lampeggiare il nome del suo socio. Infilò la mano nella tasca interna del suo soprabito, estraendo la pistola. Fece roteare il tamburo, controllando i proiettili. Con uno scatto secco, la rimise a posto. Alzò il viso, incrociando lo sguardo serio di Falcon.

Quest’ultimo si tolse il grembiule, poi, con un movimento fluido nonostante la mole imponente, saltò dal bancone.

“Andiamo!”
 


Le prime luci della sera facevano capolino.

L’aria era tranquilla, la sera silenziosa.

Il molo era praticamente deserto a quell’ora. In lontananza, il fischio prolungato, annunciava l’arrivo di un mercantile. Vari container di un deprimente color verde bottiglia, erano accatastati in quella zona del porto, sistemati a schiera lungo un lato dell’ampio piazzale.

Il mare era calmo, piatto come una tavola, interrotto ogni tanto solo da una leggera increspatura delle piccole onde, che lentamente, andavano a sbattere contro i piloni di cemento armato.

Da uno di quei container, si intravedeva una pallida luce provenire da sotto la porta. Avvicinandosi, un osservatore attento avrebbe notato una piccola lampadina appesa al soffitto di lamiera, che produceva un fioco bagliore. E sempre lo stesso osservatore avrebbe notato una sedia, posta proprio al centro dell’angusto cassone, su cui era seduto un uomo, legato mani e piedi con delle catene.

L’uomo in questione aveva il capo che ciondolava miseramente sul petto, nudo. Sembrava privo di vita, se non fosse per il lento ondeggiare ritmico del petto.

D’un tratto, come se fosse stato attraversato da una scarica elettrica, l’uomo alzò la testa, facendo cadere sul viso delle scomposte ciocche di capelli corvini. Gli occhi neri, erano adombrati da un velo, che li faceva apparire vuoti e spenti.

Con un unico gesto, spezzò le catene che lo imprigionavano, con la stessa facilità con la quale avrebbe spezzato un pezzo di carta.

Le sue labbra si mossero meccanicamente, un solo suono metallico uscì dalla sua bocca.

“U-c-c-i-d-e-r-e  i-l  n-e-m-i-c-o!”

 

“Kaori… ehi, Kaori… sveglia!”

Hideyuki diede un piccolo schiaffetto sul viso della donna. Kaori mugugnò, poi, lentamente, aprì le palpebre. Sbattè gli occhi un paio di volte, per riprendere contatto con la realtà. Quando fu completamente sveglia, Hideyuki le tolse il nastro adesivo che le tappava la bocca, mentre Umibozu provvedeva a liberarla.

“Cosa è successo?”

Kaori tossicchiò per introdurre aria nei polmoni. Si toccò la nuca, laddove era stata colpita, cercando di ricordare. Poi, l’immagine di Ryo, svenuto, le attraversò la mente.

“Ryo!” urlò.

Sentì una leggera pressione sul braccio, si voltò e vide una bellissima donna dai lunghi capelli neri che le sorrideva dolcemente. In qualche modo riuscì a calmare l’ansia che l’aveva assalita.

“Cara, spiegaci cosa è successo”

Kaori annuì, poi brevemente, spiegò cosa era accaduto.

A mano a mano che parlava lo sguardo di Umi s’induriva.

“E questo è tutto”  concluse Kaori.

“Hai detto che Kaibara ha chiesto a Ryo di fare quello per cui era scappato, non è così?”

Kaori si voltò verso quell’uomo enorme. A prima vista incuteva un terrore senza pari, ma lei riusciva a percepire che la sua aura non era pericolosa. Almeno in quel momento. Perché aveva la vaga sensazione che la gente che la circondava non era gente comune. E poi c’era un particolare che li accomunava tutti. Quelle persone odoravano di polvere da sparo. Come lei. E come Ryo.

“Si, ma non ho capito di cosa si trattava”

Umi cominciò a camminare su e giù per la stanza, passandosi la mano sul mento.

“Non è possibile!” sbottò all’improvviso.

Gli altri si voltarono a guardarlo, sorpresi.

“Dannazione, non può farlo davvero!”

“Cosa? Spiegati meglio” si spazientì Hideyuki.

Umi lanciò uno sguardo a Miki, poi tornò a fissare l’uomo.

“Ryo ha barattato la sua vita in cambio di quella di Kaori. Ha accettato di prendere di nuovo la Polvere degli Angeli”

Un silenzio carico di sgomento si instaurò tra di loro. 

Kaori scosse la testa energicamente.

“Che sciocchezze stai dicendo! Ryo non avrebbe mai fatto una cosa del genere!”

“Ne sei sicura?”

Lo sguardo pungente del gigante la mise a disagio.

“E poi, chi sei tu per dire una cosa del genere?”

Un tocco leggero sulla sua spalla la costrinse a voltarsi. Incrociò così lo sguardo pieno di affetto di Hideyuki. Suo fratello. Kaori provò subito un tuffo al cuore.

“Se Umibozu dice così, vuol dire che ne è sicuro. Lui è l’unico che conosce meglio Ryo”

Kaori si voltò verso Umi.

“Tu sei Umibozu?” chiese, sorpresa. Chissà perché se l’era immaginato diverso, l’amico di Ryo. Vedendolo annuire, proseguì.

“Ryo mi ha parlato di te”

“Visto che dobbiamo presentarci, ecco, io sono Miki, la compagna di Umi” disse la giovane donna dai capelli neri. Kaori la osservò meglio e un’inspiegabile calore si diffuse nel suo cuore. Ricambiò il sorriso che quella le rivolgeva.

“E io sono Saeko”

Una voce sensuale e leggermente roca la fece voltare, e d’istinto capì il motivo della sua gelosia. Quella donna era semplicemente uno schianto! Capelli neri che le arrivavano alle spalle, occhi color ametista, labbra piene e rosse che invitavano al bacio, fisico da mozzare il fiato. Davvero Ryo non provava niente per quella donna?

Saeko le sorrideva, ma lei non riusciva a fare altrettanto. Quella donna aveva un non so che di pericoloso. Forse era il suo fascino, considerò mestamente.

La donna si avvicinò a lei, tendendole la mano. Notando che lei rimaneva ferma nella sua posizione, si voltò, rivolgendo uno sguardo smarrito ad Hideyuki, che, prontamente, le afferrò l’altra mano, stringendola in una presa sicura. Saeko sorrise, intrecciando la sua mano a quella dell’uomo, e un leggero rossore imporporò le sue guance.

All’occhio attento di Kaori non sfuggì questo particolare, e d’improvviso, un senso di calma e di pace l’invase. Quella donna non avrebbe minato il suo possibile rapporto con Ryo, ne era sicura. Sempre che fosse ancora vivo.

Alzò il capo, fiera, allungando la sua mano e prendendo quella di Saeko in una presa sicura. L’altra ricambiò la stretta, mentre i loro occhi si incrociavano, cancellando ogni traccia di ostilità.

Un colpo di tosse riportò l’attenzione su Umi.

“Non ricordi nient’altro Kaori? Esattamente, cosa da detto Kaibara?”

Kaori cercò di ricordare, anche se la sua mente era ancora parzialmente annebbiata.

“Kaibara diceva che Ryo doveva fare qualcosa…” poi d’improvviso un flash “Ma certo! Doveva dare una lezione agli uomini di Misahichi, qualcosa che fosse d’esempio per tutti!”

Le persone presenti si guardarono negli occhi. Poi Umibozu prese in mano la situazione.

“D’accordo, vediamo di elaborare un piano. Dobbiamo riprenderci Ryo, possibilmente vivo, perciò dovremo attaccare, cercando di non colpirlo. Il problema è che, se Saeba ha preso la Polvere degli Angeli, la sua forza sarà aumentata a dismisura. Non potremo sperare di cavarcela senza attaccarlo. E non è detto che i nostri colpi riusciranno a scalfirlo”

“E allora cosa facciamo? Non possiamo lasciarlo lì” grido Kaori preoccupata.

“E non lo lasceremo. Ma è inutile precipitarsi senza avere un piano” cercò di tranquillizzarla Hideyuki. Aveva uno strano sentore, la veemenza che metteva Kaori nel difendere Ryo, gli faceva pensare che tra quei due fosse successo qualcosa. E subito in mente gli balenò lo stesso pensiero che aveva avuto Falco, poco tempo prima. Ma se quell’idiota del suo socio sperava di cavarsela così, sbagliava di grosso!! Avrebbe avuto un bel po’ di cose da spiegargli, al suo ritorno!

“Bhe, non sarà facile, ma penso che sia meglio attaccare adesso. Non si aspetteranno che interveniamo subito, e quindi, avremmo dalla nostra parte l’effetto sorpresa” ragionò Saeko.

Gli altri annuirono, l’espressione preoccupata chiaramente dipinta sul volto.

“Non credo ci sia molto da ragionare. Se è vero che Saeba ha già preso la PCP, nulla di ciò che faremmo potrà niente. Dobbiamo solo sperare che non abbia la mente così offuscata da non ricordarsi di noi” concluse Miki.

Umibozu rimase zitto, scettico su quel ragionamento; tuttavia non avevano altra scelta.

“Bene allora. Non abbiamo tempo da perdere, andiamo a riprenderci Ryo!” concluse in tono burbero.

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Capitolo 20
*** 19. Lo scontro ***


La notte era scesa.

Un gruppo di cinque persone si mosse furtivamente nell’ombra. Ad un segno del gigante, il gruppo si divise. Erano davanti alla villa della famiglia più influente di Tokio, quella dei Misahichi. 

L’ombra dell’edificio si stagliava imponente, nonostante l’oscurità. I cinque avevano studiato dettagliatamente la pianta della villa, così come quella del giardino, che si profilava davanti come un intricato dedalo di siepi.

Miki e Umi avevano provveduto a perlustrare l’ingresso della villa, e, ad un loro segnale, Hideyuki, Saeko e Kaori si erano introdotti, scavalcando il muro di cinta.

Non si udivano rumori, regnava un silenzio quasi irreale. Il giardino era stranamente deserto, nessuna traccia di guardie. Anche le telecamere di sorveglianza erano state disattivate.

Umi fece una smorfia di disappunto. L’esperienza gli suggeriva che tutta quella calma non portava a nulla di buono. La classica quiete prima della tempesta.

Un fischio leggero. Miki rilasciò il fiato che fino a quel momento aveva trattenuto.

Kaori era dentro. Aveva sfruttato una piccola porta di servizio che dava su un’ampia balconata per introdursi dentro alla villa.

Hideyuki si portò con le spalle al muro, guardando furtivamente all’interno attraverso una porta finestra. Fece un’incomprensibile serie di gesti verso Saeko, che annuì. La porta-finestra era solo accostata. Impugnando saldamente la pistola con entrambe le mani, Hideyuki diede una leggera spinta alla porta, che si aprì senza troppa difficoltà. Penetrò all’interno, mantenendo tutta la sua concentrazione. Con la pistola sempre puntata davanti a sé, fece il giro della stanza. Niente. Neanche l’ombra di qualche guardia. Tornò sui suoi passi, e fece cenno a Saeko di seguirlo.

Insieme, si infiltrarono attraverso un corridoio, giungendo davanti ad un ampio ingresso. Con la coda dell’occhio, Hideyuki intravide Kaori, nascosta dietro una colonna. Un impercettibile rumore al portone d’ingresso e i tre si girarono contemporaneamente con le armi puntate contro l’intruso.

La porta si aprì lentamente e Miki e Umi entrarono, chiudendosela silenziosamente alle spalle.

I tre rilasciarono le armi. Hideyuki mimò dei gesti, facendo capire che il piano terra era completamente deserto. Umi annuì, poi indicò l’indice verso il basso.

L’uomo capì e lanciando uno sguardo d’intesa a Saeko, si allontanò con l’incarico di controllare il piano di sotto.

Kaori guardò Umibozu, poi annuì.

Davanti a loro si profilava un’ampia scalinata che portava ad un pianerottolo intermezzo su cui si affacciavano due scale che conducevano direttamente al piano primo.

Umibozu e Miki si mossero su per la scalinata di sinistra, Kaori su quella di destra.

La donna saliva lentamente i gradini di marmo bianco e nero, mentre il cuore rimbombava furiosamente nella sua testa. Avvertì un leggero sudore sui palmi delle mani, ma s’impose di restare calma e di mantenere tutta la sua concentrazione. Non poteva permettersi sviste, se voleva rivedere Ryo.

Si ritrovò su un ampio ballatoio sul quale si allargavano due ali, che componevano gli appartamenti della villa.Kaori guardò Umibozu, il quale gli fece un impercettibile cenno col capo. Si divisero, cominciando così la perlustrazione delle stanze.

Kaori si mosse il più silenziosamente possibile, avanzando verso la prima camera. Aprì piano la porta, mantenendo sempre la pistola puntata davanti a sé. Ma l’interno era vuoto e in penombra.

Diede un’occhiata al corridoio, solo per constatare che anche Umi e Miki non avevano avuto fortuna.

Piano procedette verso la seconda porta, solo per trovarsi davanti un ripostiglio, deserto.

L’agitazione cominciava a farsi largo nella sua mente. Possibile che Ryo non fosse lì? O peggio ancora, che Kaibara l’avesse… Dio, non riusciva neanche a pronunciare quella parola, ad associarla a Ryo. Alzò gli occhi al cielo, ricacciando indietro una lacrima solitaria. Non avrebbe pianto. Non ora. Non adesso. Perché Ryo era vivo. Lo sentiva dentro, in fondo al suo cuore.


 
Hideyuki e Saeko si mossero furtivamente, giù per la lunga scala che portava alle cantine. Un vago odore di muffa e di chiuso arrivò alle loro narici, ma non se ne curarono, troppo concentrati sulla missione che dovevano portare avanti.

Il corridoio si profilava buio e angusto davanti a loro, cosicché dovettero rallentare la loro avanzata, ostacolati dall’oscurità. Hideyuki trovò una centralina dei comandi elettrici, e, aiutandosi con un accendino per fare luce, cercò di riattivare l’elettricità, azionando i pulsanti.

“Porc…”

Si lasciò sfuggire un’imprecazione, mentre Saeko lo guardava preoccupata. Si voltò verso di lei, con un’espressione stupita dipinta sul volto. Non riuscendo a capire cosa fosse successo, Saeko si avvicinò al quadro tecnico. In quel momento Hideyuki fece luce con l’accendino, scoprendo così la centralina i cui comandi erano completamente disintegrati. Una piccola scia di fumo si levava da essi.

“Dobbiamo stare attenti” bisbigliò Hideyuki.

Saeko annuì, e insieme, ricominciarono la loro avanzata.

Ben presto il corridoio terminò, e si trovarono di fronte una porta massiccia di legno. Hideyuki e Saeko si scambiarono una rapida occhiata, poi si posizionarono ai lati della porta.

Non avvertivano nessun rumore al di là di essa. Facendo un profondo respiro, Hideyuki spalancò la porta, avanzando con la pistola puntata, seguito a ruota dalla donna.

Solo il silenzio e un vago odore nauseabondo li accolse. Utilizzando sempre il famoso accendino, Hideyuki fece luce davanti a sé.

Saeko credeva di aver già visto abbastanza nella sua carriera di poliziotta. Tuttavia ciò che vide, le procurò un brivido di terrore lungo la schiena, che gli strappò un piccolo grido.

Ammucchiati al centro della stanza, i cadaveri di quelle che erano state le guardie della villa, costituivano un orripilante spettacolo. I loro corpi, sistemati scompostamente gli uni sugli altri, erano stati orrendamente mutilati, i visi erano macabre maschere di sangue esposti alla mercè delle mosche e degli insetti che ronzavano intorno con petulante entusiasmo.

La donna avvertì un conato di vomito partire dallo stomaco, e si affrettò ad uscire dalla stanza, seguita da Hideyuki, sul cui volto era dipinto lo stesso sconcerto.


 
Umibozu e Miki avanzavano a stretto contatto, proseguendo nella perlustrazione dell’ala di destra. Avevano già ispezionato un paio di stanze, senza trovare nulla. Umibozu si posizionò davanti all’ultima porta, quella più isolata, situata in fondo al lungo corridoio. I suoi muscoli erano rigidi, tesi al più piccolo movimento. I pensieri affluivano tutti in un’unica direzione, le energie erano orientate nel percepire l’aura del nemico. Essere ciò che era certamente lo aiutava. Aver combattuto a lungo nella giungla, e l’esperienza che aveva acquisito nel corso della sua lunga carriera di sweeper, costituivano un punto a suo vantaggio. Anche se il nemico che aveva di fronte era Ryo. E Ryo non era un uomo qualsiasi. Era dotato di un talento e di un intuito fuori dal normale, anche se questo non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura. Proprio perché aveva una grande esperienza, poteva affermare con certezza che al mondo non esisteva un uomo più forte di Ryo. La sua astuzia e la padronanza delle armi lo rendevano invincibile.

Ma doveva rammentare a se stesso, che ora Ryo era succube della Polvere degli Angeli. Questo voleva dire che la sua forza era quadruplicata, se non di più. Con gli altri aveva cercato di essere ragionevole, non aveva espresso fino in fondo il suo pensiero. Perché ciò di cui era pienamente consapevole, era che difficilmente sarebbero usciti vivi da quella situazione. Comunque fossero andate le cose, qualcuno ci avrebbe rimesso la vita. Non si poteva ragionare quando si era sotto l’effetto della PCP. Dubitava che Ryo si sarebbe ricordato di loro, avvolto nella nebbia della droga. Ed era logico che loro dovevano comportarsi come se si trovassero di fronte ad un nemico qualsiasi. Ciò voleva dire che dovevano attaccare senza remore, anche se significava colpire Ryo.

In un istante sbarazzò la sua mente dai pensieri. Aveva avvertito qualcosa, una tensione aleggiare nell’aria. Fece un cenno a Miki, che comprese subito. Voleva entrare da solo, era certo che dietro a quella porta ci fosse proprio Ryo. La sua aura era inconfondibile, non sarebbero bastate mille droghe a renderlo tale. Solo lui riusciva ad emanare quel senso opprimente di forza che ti annichiliva al primo sguardo.

Con una rapida mossa, entrò nella camera, totalmente avvolta nel buio. Avanzò di qualche passo, Miki lo seguiva rimanendo un po’ indietro. Lentamente, girò su se stesso, cercando di individuare da dove provenisse la minaccia.

Poi, all’improvviso, un urlo belluino e si ritrovò sospeso in aria, una mano gli stringeva il collo in una morsa d’acciaio. Miki lanciò un urlo, gettandosi su quella bestia umana, nel tentativo di fargli mollare la presa.

Ma l’uomo scacciò con una manata la donna che gli era arrivata alle spalle, lanciandola con forza contro il muro. Si avvertì un sordo rumore, e Falcon capì che si trattava delle ossa di Miki, che scricchiolarono sotto la violenza dell’urto.

Umibozu cercò di divincolarsi, afferrando i polsi di Ryo, che stringevano intorno al suo collo.

“Ryo! Non ti ricordi di me? Sono Falcon!! Maledizione Ryo, apri gli occhi!!”

Ryo sollevò il capo, fissando senza realmente vedere l’amico.

Un rantolo uscì dalla sua bocca, una fastidiosa cantilena meccanica.

“U-c-c-i-d-e-r-e  i-l  n-e-m-i-c-o!”

Umibozu spalancò gli occhi. Mio Dio, quello non era un uomo! Non c’era niente di umano in ciò che aveva di fronte! Quello sguardo… così assente… vacuo… Era come trovarsi di fronte un corpo senz’anima. Quanto odio poteva serbare Kaibara per ridurre uno come Ryo in quello stato!

La presa si fece più forte, Umibozu avvertiva la mancanza di ossigeno, presto la vista si sarebbe annebbiata. Nonostante cercasse di allentare la morsa intorno al suo collo, la forza di Ryo non poteva essere commisurata con la sua.

“Ryo, R-y-o!” articolò, ormai al limite.

Infine Ryo rallentò la presa, scaraventando per aria il corpo del gigante. Umibozu tossì, cercando di recuperare un minimo di lucidità.  Lentamente cercò di portarsi in piedi, mentre il respiro si faceva affannoso. Udì dei passi pesanti avvicinarsi a lui. Si preparò mentalmente ad un combattimento, anche se impari. Ryo avanzò di pochi passi, poi si lanciò su Umibozu, cercando di colpirlo. Falcon schivò il colpo, ma non fece i conti con l’agilità dello sweeper. Con un pugno violento, lo colpì allo stomaco, poi un gancio lo colpì al mento. Falcon avvertiva i colpi susseguirsi in rapida successione e non poteva fare nulla per evitarli. Ryo era troppo forte, anche per lui. Sentiva le forze abbandonarlo, la sua mente divenire meno lucida.

“U-c-c-i-d-e-r-e  i-l  n-e-m-i-c-o!”

Quella frase rintronava nella mente di Ryo, come unico imperativo.

Falcon ansimava, spossato per lo scontro. Guardò Ryo avanzare verso di lui con passi quasi meccanici, posizionarsi davanti e assestargli un ultimo micidiale colpo, che lo mandò steso sul pavimento, il sapore dolce del sangue gli riempiva la bocca.

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Capitolo 21
*** 20. La strada per l'Inferno ***


Un silenzio irreale aleggiava nell’aria.

Kaori deglutì, avvicinandosi all’ultima porta. Sentiva che quello era il momento decisivo, che comunque fossero andate le cose, il suo destino si decideva al di là di quella porta.

Respirò a fondo, poi mise la mano sulla maniglia. La porta si aprì con estrema facilità, come se qualcuno la stesse aspettando. Ed infatti qualcuno c’era.

Il cuore della donna tamburellò più forte.

Quelle spalle… quel corpo… quella postura…

Quando Shin Kaibara si voltò verso di lei, comprese in un solo istante il motivo per cui era soprannominato El Diablo. Se lo sguardo avesse potuto uccidere, a quest’ora lei sarebbe stata morta e sepolta, conficcata nei meandri più bassi e infimi della terra.

L’espressione seria e imperturbabile, gli occhi ridotti quasi a fessura, le labbra serrate in una smorfia innaturale, il corpo teso e rigido, Kaibara mosse pochi passi verso di lei.

“Ti stavo aspettando, mia cara”

La sua voce sembrava uscire direttamente dall’oltretomba, roca e minacciosa.

“Dov’è Ryo?”

Kaibara si lasciò sfuggire un ghigno.

“Ti preme parecchio la sua vita, eh Kaori? Non preoccuparti, a quest’ora deve aver già sistemato i suoi amici”

Un brivido di terrore attraversò la schiena di Kaori. Non voleva forse dire che…

“Esatto”

Kaibara lesse lo sgomento nel suo viso e intuì ciò che le passava per la testa.

“Un’accoglienza come si deve, per degli intrusi”

Una rabbia cieca invase l’animo di Kaori.

“Perché? Perché? Perché lo odi così tanto?!

Kaibara sorrise.

“Ti sbagli cara, io non lo odio affatto. Ryo è un uomo forte, il migliore allievo che abbia mai avuto. Chi se non lui poteva sperimentare la nuova Polvere degli Angeli? La sua tempra è forte, il suo occhio allenato, il suo intuito infallibile. È la persona migliore per diventare la mia personale macchina da guerra”

Kaori trasalì.

“Ti sbagli, Ryo non è così. È una persona buona e altruista, generosa e…”

Kaibara scoppiò a ridere. Poi tornò serio, il suo sguardo penetrante.

“Tu lo vedi con occhi da innamorata. Io lo conosco meglio di te. Può darsi che finga a giocare al buon samaritano con il suo amico, ma dentro di lui arde un fuoco difficile da spegnere. Non saranno i tuoi occhi svenevoli a convertirlo. Lui è nato per uccidere” concluse, la voce che trasudava orgoglio.

Kaori alzò il braccio, puntando la pistola contro Kaibara.

“Non te lo permetterò”

Un luccichio brillò negli occhi dell’uomo.

“Troppo tardi”

Si udirono dei passi strascicati avanzare nel lungo corridoio, poi fermarsi. Kaori si girò lentamente, mentre avvertiva il proprio cuore battere ad un ritmo frenetico.

Ryo era davanti a lei, il torso nudo esposto in bella vista, le ciocche scomposte gli ricadevano sul viso. Alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi, e il suo cuore perse un battito. Erano totalmente spenti, come se quello che aveva davanti a sé non fosse un corpo, ma piuttosto un robot. Il suo viso era una maschera irriconoscibile, privo di espressione.

Solo in un secondo momento, Kaori si rese conto che c’era qualcosa che non quadrava. Ryo teneva sulle spalle, senza alcuna difficoltà, il corpo inerme di Umi, mentre sotto il braccio, si intravedeva la lunga chioma di Miki.

“Ryo” articolò Kaori, muovendo pochi passi verso di lui.

Ma Ryo non la udì, avanzò nel centro della stanza, facendo cadere pesantemente il corpo di Falcon, e gettando quello di Miki contro un angolo della stanza. La donna si accasciò al muro come una marionetta a cui hanno tagliato i fili, un rivolo di sangue colava dall’angolo della bocca.

Lo sguardo di Kaori si soffermò prima sul corpo dell’amica, poi si attardò su quello di Umi, infine si posò su quello di Ryo.

“Cosa ti hanno fatto” mormorò debolmente.

Kaibara scoppiò a ridere.

“Quanto sei melodrammatica, figlia mia! E questa è solo la minima parte di ciò che sa fare. Ryo può fare molto di più”

Poi, con voce autoritaria, ordinò:

“Ryo, anche lei è il nemico

 Come un automa, Ryo si voltò verso di lei, avanzando con passi meccanici.

“U-c-c-i-d-e-r-e  i-l  n-e-m-i-c-o!”

Poi, con incredibile facilità, la sollevò per aria, artigliando le sue mani sul suo collo. Kaori cercò di divincolarsi.

“Ryo! Non mi riconosci? Ryo, sono io Kaori!” mormorò con voce strozzata.

Ma lo sguardo di Ryo era assente, la sua mente fluttuava in un’altra dimensione.

“Ryo, per favore, ricordati di me! Sono Kaori!”

Kaori non riusciva a credere che la droga avesse completamente cancellato i ricordi di Ryo. Non era possibile che un uomo come lui, vibrante di vita e che non aveva paura a sfidare il mondo, fosse ridotto in quel modo.

La presa intorno al suo collo si fece più stretta.

Era dunque questa la sua fine? Lei, che non aveva mai sperimentato la felicità, la gioia di vivere, e che aveva solamente intravisto la possibilità di riuscire ad amare in quei pochi attimi vissuti accanto a Ryo, sarebbe dunque morta proprio per mano sua.

Improvvisamente sentì le forze abbandonarla. Si sentì spossata, stanca di combattere contro i mulini a vento. Era questo che il destino aveva in serbo per lei? E sia…

Alzò lo sguardo su Ryo, e la sua mente non poté impedire alla sua mano di andare ad accarezzare i capelli dell’uomo. Sollevò una ciocca che gli ricadeva impertinente sul viso.

“Mh?”

Quel gesto, per un attimo sembrò calamitare l’attenzione dell’uomo.

“E’ dunque finito tutto, Ryo? Non ti ricordi più di me, del tuo Sugar Boy?” mormorò dolcemente, una lacrima che scendeva silenziosa a sfiorarle la gota.

Incredibilmente quelle parole sortirono un effetto inaspettato. Ryo rallentò la presa intorno al collo della donna, la quale sentì ricrescere in lei la speranza.

“Ryo, Ryo… ti ricordi vero? Ti ricordi del piccolo Sugar Boy che hai salvato tanto tempo fa? Ti ricordi di me?”

“Eh?”

Per un attimo le parole di Kaori rimbombarono nella testa di Ryo.

“S-u-g-a-r …. Ka-o-ri…” mormorò a fatica.

Lentamente, mise a terra Kaori, lasciando del tutto la presa dal suo collo. Poi si portò le mani alla testa, dove un fastidioso ronzio cominciava a farsi largo nel labirinto annebbiato dalla droga.

Kaibara osservò tutta la scena, rimanendo decisamente stupito.

“Com’è possibile? Nessuno torna indietro dopo aver assaggiato la Polvere degli Angeli” ripeté quasi a se stesso.

Kaori si avvicinò a Ryo, accarezzandogli la guancia. Lui riaprì gli occhi, e li piantò in quelli della donna.

“Ryo, finalmente…”

“Ka-o-r-i” sillabò a fatica, poi con un dito cancellò le lacrime che scendevano copiose dagli occhi della donna.

Ma quell’istante di magia, non era destinato a durare.

Un impercettibile clic riportò subito Kaori alla realtà. Con una spinta, fece cadere Ryo all’indietro, il quale, avendo i riflessi rallentati dall’effetto della droga, cadde a terra con un tonfo. Contemporaneamente si girò verso la porta, e sparò un colpo. Pedro, colto di sorpresa, non riuscì ad evitarlo. Si accasciò al suolo, un fiore rosso sangue si allargava al centro del suo petto.


 
N.d.A.: Credo che a questo punto sia d’obbligo un commento. Avrei voluto lasciare le considerazioni per l’ultimo capitolo, ma mi preme specificare alcune cose. Innanzitutto il titolo del capitolo, ha una similitudine con quello del manga, ma l’ho voluto inserire per associazione con il soprannome di Kaibara, El Diablo. Il titolo del capitolo successivo, invece, è tratto proprio dal manga, per lo stesso motivo, ma anche perché rendeva meglio la fine di tutto. Poi Kaori e Ryo. Come avete potuto appurare, la scena è molto simile (direi uguale ^^’’) a quella in cui Mick riemerge dalla Polvere degli Angeli. Bhe, è vero, ma non è tanto per mancanza di fantasia, quanto piuttosto ho voluto immaginare Ryo nelle vesti che furono di Mick. Nel manga, l’Americano riconosce Kaori nonostante la droga, e come simbolo del loro legame, c’è la catenina con il proiettile. Nella mia storia non avevo nulla di simile, Ryo e Kaori stanno insieme da poco per aver avuto tempo di farsi regali, per cui a cosa appigliarmi?! Allora mi è venuto in mente che Ryo ha riconosciuto il suo Sugar Boy dopo tanti anni, e mi è venuto un flash. Perché non far dire a Kaori quelle parole? È così è stato. Quella bambina dai grandi occhi color nocciola non poteva essere rimossa dalla sua mente, e allora ecco che Ryo riconosce Kaori e il suo amore per lei. Spero che questo non influisca negativamente sul vostro giudizio generale della storia. Un bacione grandissimo a tutte e grazie ancora. Loredana.

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Capitolo 22
*** 21. Ritorno dall'Inferno ***


“Cos’è stato?”

Il rumore di un colpo di pistola arrivò attutito nelle cantine, laddove si trovavano Hideyuki e Saeko. Per una frazione di secondo si guardarono, mentre i sensi tornavano all’erta. Da dove proveniva quello sparo? Sembrava giungesse dal primo piano, dove si trovavano Kaori, Miki e Umi.

Con un balzo, Hideyuki si precipitò verso le scale, il pensiero rivolto a Kaori. E se le avessero sparato? Dio, doveva sapere cosa fosse successo! Non poteva perderla proprio ora che l’aveva ritrovata!

I suoi passi frettolosi lo portarono dritto al piano primo, giusto in tempo per vedere il corpo di Pedro accasciarsi al suolo, privo di vita.

Acquattandosi contro la parete, si avvicinò alla stanza, mimando con dei gesti a Saeko di fare altrettanto. Con la coda dell’occhio, intravide Kaori vicino a Ryo, il quale rimaneva immobile al centro della stanza. Poco lontano da loro, Kaibara li teneva sotto tiro con la sua pistola.


 
“Ryo! Non dare retta a queste stupidaggini, lei è il nemico, devi ucciderla!”

Le parole di Kaibara risuonarono secche e decise. Aveva impugnato la sua arma, e la puntava verso Kaori.

L’ordine arrivò istantaneo nella mente di Ryo, come se fosse stato azionato un meccanismo a distanza. Alzò la testa di scatto, lo sguardo nuovamente vitreo, la solita cantilena nella bocca.

“U-c-c-i-d-e-r-e  i-l  n-e-m-i-c-o!

“NO! Ryo non ascoltarlo, ti prego, reagisci!”

Afferrò Kaori per il polso, costringendola a far cadere la pistola, poi la sollevò per aria, lanciandola contro il muro.

Kaori si lasciò sfuggire un gemito di dolore, tenendosi il braccio con il quale era andata a sbattere. Probabilmente se l’era rotto, ma non si sarebbe arresa.

Debolmente, si rimise in piedi. Se già una volta l’aveva riconosciuta, non era detto che non sarebbe successo di nuovo.


 
Makimura aveva assistito a tutta la scena, ma si impose comunque di mantenere il suo autocontrollo. Chiuse gli occhi quando avvertì il sordo rumore del corpo di Kaori sbattere contro il muro, ma li riaprì immediatamente. Non sarebbe mai voluto arrivare a quel punto, ma non aveva altra scelta. Ryo era succube della droga, avrebbe ammazzato senza pietà Kaori. Il ricordo dei corpi mutilati che aveva visto, lo spinse a reagire. Non glielo avrebbe lasciato fare.

Lanciò un’occhiata in direzione di Saeko, indicando l’interno, Kaibara e Ryo. Saeko annuì, poi fissò Hideyuki, mentre con le dita indicava prima il tre, poi il due, poi l’uno…

Al suo via, entrambi irruppero nella stanza.

“Fermati Ryo!”gridarono all’unisono.

Ryo avanzò meccanicamente verso Kaori, sordo ai richiami dell’amico.

“Ti ho detto di fermarti!”

Kaibara scoppiò a ridere.

“E’ tutto inutile, lui obbedisce solo a me!”

Hideyuki diede un’ultima occhiata a Ryo, caricò il tamburo della pistola, pronto a sparare.

“Mi dispiace Ryo” mormorò, sinceramente rattristato.

“No, fermati!”urlò Kaori un attimo prima che Makimura sparasse. Con un balzo si aggrappò al petto di Ryo, calde lacrime gli inondavano il viso.

“Ti scongiuro Ryo, ricordati di me! Non ascoltare le parole di Shin, lui ti odia, ti sta facendo del male… Ryo… ti prego… lo sai che io non ti farei mai del male” singhiozzò nel suo petto.

“Ka-o-ri” mormorò Ryo, alzando lentamente una mano per accarezzarle i capelli.

“Sei solo uno stupido Ryo! Me la pagherai molto cara” sbraitò Kaibara ormai al limite.

Fu un attimo. Con una velocità insospettabile, puntò la pistola contro di lui e sparò.


 
Nel momento in cui avevano fatto irruzione, Saeko e Hideyuki, si erano, inconsciamente, divisi i ruoli. Entrando con le pistole impugnate, avevano cercato di attirare l’attenzione di Ryo, senza riuscirci.

Intuendo che Hideyuki non aveva la lucidità giusta per far fronte a Kaibara, Saeko aveva piano piano spostato l’attenzione su di lui. Con la coda dell’occhio, aveva notato il momento in cui la sua espressione era cambiata, rendendosi conto che Ryo era riuscito a riemergere dalla nebbia della Polvere degli Angeli, grazie a Kaori. Il suo sorriso sornione si era trasformato in un ghigno malefico, la rabbia si era impossessata di lui.

E in un attimo comprese.

Vide Kaibara alzare il braccio e sparare. Nello stesso istante, fece fuoco, mirando al cuore dell’uomo.

Kaibara rimase una frazione di secondo in piedi, lo stupore dipinto sul suo volto. Poi le sue gambe cedettero, cadde in ginocchio, portandosi una mano al petto. Il sapore dolce del sangue gli riempiva la bocca, quando crollò a terra, privo di vita.

Era finita.

L’uomo che aveva fatto del male a tanta gente, rovinato la vita a molte persone, lasciato la sua impronta su tutto ciò che lo circondava, ora giaceva a terra, la fredda maschera della morte impressa sul viso.

Lo sguardo di Hideyuki andò a catturare quello di Saeko, la quale teneva impugnata ancora la pistola, fumante. Si avvicinò, circondandole le spalle in un gesto protettivo, mentre lei si lasciava andare ad un pianto silenzioso.

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Capitolo 23
*** 22. Il senso della vita ***


Tre settimane dopo

- Dimora del Doc

La stanza era in penombra.

Le tende erano leggermente tirate, in modo che i raggi del sole non andassero a disturbare il riposo del malato.

L’uomo era disteso sul letto, un leggero lenzuolo copriva il suo corpo, altrimenti nudo. Una piccola flebo, attaccata al suo braccio, stillava un liquido bianco nelle vene. I polsi, così come le caviglie, erano attaccati con delle robuste cinghia all’estremità del lettino. Nel sonno, il corpo dell’uomo veniva scosso da fremiti violenti, il sudore colava copioso dalla sua fronte.

Una mano gentile passò una salvietta umida sul suo viso.

“E’ proprio necessario tenerlo legato?” disse Kaori, sfiorando delicatamente i polsi dell’uomo, sul cui dorso si erano formate delle cicatrici.

“Mi dispiace ragazza mia, ma è per il suo bene” disse il Doc.

Kaori annuì, scacciando una lacrima che minacciava di cadere. Era vero, lo sapeva benissimo, ma non riusciva proprio a vedere Ryo in quello stato. Dopo che Hideyuki lo aveva portato lì, lo sweeper, in preda alle crisi di astinenza, era uscito fuori di sé, urlando e gettando per aria tutto ciò che era alla sua portata.

Ne era conseguito che Doc l’aveva dovuto sedare, e l’aveva legato per impedirgli di farsi e di fare del male. Da allora viveva in una sorta di limbo, da cui riemergeva ogni tanto solo per urlare il suo dolore e la voglia di avere dentro di sé ancora quella maledetta droga.

Kaori sperava che la forza di volontà di Ryo fosse ben salda, ma vederlo in quelle condizioni la riempiva di angoscia e di preoccupazione.

“Doc, lei pensa che ce la farà?”

Era questa la domanda che le ronzava nella testa senza tregua e che gli impediva di dormire la notte.

Doc sospirò, intrecciando le braccia dietro la schiena.

“E’ tutto nelle sue mani, Kaori. Tutto dipende dalla sua voglia di vivere” concluse, prendendola per un braccio e invitandola ad uscire dalla stanza.

Kaori si accasciò su una sedia, passandosi una mano tra i capelli. Lo sguardo volò al suo braccio fasciato, che testimoniava come si erano svolti i fatti. Infine, si lasciò sfuggire un singhiozzo.

Doc si avvicinò ad una delle finestre del corridoio che davano sull’ampio giardino. La clinica privata in cui si trovavano, di sua proprietà, era modesta, anche se confortevole. Ma il giardino, quello era tutto uno spettacolo. Siepi di diverse dimensioni circondavano l’abitazione, intervallate ogni tanto da cespugli di fiori multicolori; da qui si snodavano dei viottoli formati da ciottoli, che confluivano tutti in un’area circolare al centro della quale era disposta una grande fontana, i cui zampilli bagnavano lo spazio antistante. Qua e là, sistemate in punti strategici, delle comode panchine costituivano un punto di ristoro per quei pochi fortunati che potevano godere del tepore dei dolci raggi del sole.

Il Professore rimase in silenzio, assorto nei suoi pensieri. Poi scosse la testa, rivolgendosi a Kaori.

“Posso intuire come ti senti, ragazza mia, perciò voglio dirti una cosa. Ryo è un uomo molto forte, le sue crisi, anche se violente, sono normali, visto ciò che ha subito. Già una volta l’ho curato, ed allora era solo un bambino, senza famiglia e senza amici. Ma la sua tenacia l’ha ricompensato. Ora è un adulto, e ha un motivo in più per vivere” disse, voltandosi e facendole l’occhiolino.

Si girò nuovamente, osservando gli uccellini che si abbeveravano nella fontana.  

“Ryo non rimarrà qui ancora per molto. Non appena le crisi diminuiranno, e il suo stato fisico lo consentirà, lo spedirò nella mia casa al mare. Lì il riposo forzato e la calma lo rimetteranno in sesto. Ah dimenticavo” disse voltandosi e rivolgendole uno sguardo carico di sottintesi “Ovviamente sarà necessaria la giusta assistenza medica. Conto su di te, Kaori”

Kaori spalancò gli occhi, poi annuì, mentre le guance si imporporavano. Si passò una mano sul volto in fiamme, mentre osservava le spalle ricurve del Doc che si allontanava.

Un sospiro salì alla sua bocca. Certo, se Ryo fosse sopravvissuto alle crisi, però…

Una lieve pressione sul braccio la costrinse ad alzare lo sguardo.

Miki le sorrideva dolcemente, mentre si sedeva su una sedia accanto a lei.

“Non devi preoccuparti per Saeba, sai? È una persona molto forte, non si lascerà abbattere facilmente” disse, con un sorriso rassicurante.

Kaori la guardò dubbiosa, poi sorrise a sua volta.

“Tu, invece come stai?” chiese, indicando il collare che la giovane donna portava al collo.

Miki sbuffò.

“Oh, questo coso è una seccatura, ma tutto sommato sto abbastanza bene. Anche le fratture si stanno rimarginando, così in poco tempo tornerò quella di prima”

Kaori sospirò sollevata, poi non potè impedirsi di domandare di Umibozu. Sentendo il suo nome, lo sguardo di Miki si addolcì.

“Il mio Umibozu è fantastico. Si è rimesso quasi subito, gli è rimasto solo qualche livido, ma tra un po’ spariranno anche quelli. Certo che Ryo ci è andato giù pesante!” poi si interruppe notando lo sguardo rattristato dell’amica. Le posò una mano sulla sua, costringendola a guardarla negli occhi.

“Non temere, Kaori, Ryo non morirà”

“Come fai ad esserne così sicura?” esclamò, al limite della sopportazione.

“Perché non ho mai conosciuto un uomo come lui. Forte, coraggioso, a tratti quasi imbattibile. Ma anche generoso e buono. Oh, certo è anche un maniaco depravato, poco incline al lavoro e molto più propenso alle belle donne” affermò alzando gli occhi al cielo esasperata “Ma Saeba è così. E noi gli vogliamo bene anche per questo. Noi non siamo persone comuni, la nostra vita è stata segnata da fatti che non hanno niente di normale, però insieme, il nostro piccolo gruppo forma una famiglia. E quando uno di noi è in pericolo, facciamo di tutto pur di salvarlo. Lo abbiamo imparato nella giungla, forse anche tu ne sai qualcosa” mormorò, lanciandole un’occhiata “Laggiù la vita ci ha insegnato molte cose. La lotta per chi vince. La forza per la sopravvivenza. La voglia di essere i primi. Ma ci ha anche privato di molte altre cose” disse mestamente, alzandosi, e guardando il panorama dalla finestra “Quello per cui quasi tutta la gente si lamenta quotidianamente. Il traffico, il lavoro, i colleghi, gli amici… Tutte cose per le quali devi aver creato un legame in precedenza. Gratitudine, affetto, amicizia, amore. Tutti sentimenti che la guerra ci ha impedito di provare per la maggior parte della nostra vita”

Kaori percepì un’ondata di calore riscaldarle il cuore. Possibile che esistesse qualcuno in grado di capirla come faceva Miki?

La donna si voltò nuovamente, avvicinandosi a Kaori e prendendole la mano.

“Io so che Saeba non morirà. Non adesso, che anche lui sa cosa vuol dire vivere. E soprattutto, non ora che ha imparato ad amare”

Kaori arrossì, mentre una piccola lacrima rotolava giù dalla sua guancia.

“Grazie, Miki” sussurrò, abbracciandola forte.

La donna sorrise, poi la scostò da sé, asciugandole le lacrime.

“Vai a prendere una boccata d’aria, ne hai bisogno, sei molto pallida. Resto io qui. Se ci sono novità, ti chiamo subito” le raccomandò.

Kaori esitò per qualche istante, poi reclinò la testa, annuendo.


 
Il giardino che circondava la clinica era veramente un panorama degno della tela di un pittore. Kaori passeggiò lentamente, soffermandosi ogni tanto a guardare le variopinte tonalità dei fiori che coloravano le aiuole. Aspirò profondamente l’aria fresca, avvertendo una piacevole sensazione dentro di sé.

Si sentiva stanca, era da giorni che non riposava, la sua mente era sempre occupata a raccogliere notizie sullo stato di salute di Ryo. Aveva dimenticato cosa volesse dire camminare per ore tra la natura, godendo del calore dei raggi del sole sulla pelle.

Il fatto era che Ryo gli era entrato dentro in un modo che non credeva possibile. Anelava al momento in cui avrebbe riaperto gli occhi, e avrebbe potuto immergere i suoi occhi in quelle iridi nere che aveva imparato ad amare. Voleva sentire il suo nome pronunciato da quella voce roca e profonda, desiderava sentire il tocco delle sue dita sulla sua schiena, le sue braccia cingerla in un cerchio rassicurante. Voleva parlare, ridere, scherzare, arrabbiarsi con lui. Voleva condividere ogni istante della sua vita con Ryo.

Si avvicinò alla fontana, immergendo la mano nell’acqua fresca. Alzò lo sguardo e intravide la figura di un uomo seduto su una panchina. Il suo cuore accelerò i battiti.

Hideyuki.

Da quando Kaibara era morto e Ryo si trovava nella clinica, avevano scambiato si e no poche parole, per lo più frasi di circostanza sullo stato di salute dello sweeper, e sempre quando erano in compagnia degli amici. Non si erano mai ritrovati soli, non avevano mai parlato di ciò che era successo.

In realtà non sapeva neanche come affrontare l’argomento. Si sentiva persa, sperduta, senza Ryo che le desse il suo sostegno. Si voltò, decisa ad andarsene. Mosse pochi passi, poi si fermò. Si girò nuovamente e osservò le spalle ricurve di Hideyuki. I gomiti poggiati sulle ginocchia, si teneva la testa fra le mani, assorto nei suoi pensieri. Le ciocche nere dei capelli gli ricadevano sugli occhi, la cravatta era allentata, il primo bottone della camicia slacciato, sotto l’impermeabile sgualcito.

Senza neanche rendersene conto, si ritrovò davanti al fratello.

“Ciao” mormorò.

Hideyuki sollevò la testa di scatto, aggiustandosi gli occhiali.

“Ciao” rispose.

Un silenzio imbarazzato si interpose tra di loro.

Kaori si schiarì la voce, poi indicò la panchina.

“Posso sedermi?”

“Eh? Ah, si… si, certo!” esclamò Hideyuki, facendole posto.

La osservò sedersi al suo fianco, e all’improvviso un flash di quando erano bambini gli attraversò la mente. Avevano fatto una gita al parco con i genitori, e, dopo una giornata estenuante si erano seduti su una panchina come quella, a mangiare un gelato. Ricordava ancora come Kaori si fosse tutta impasticciata di cioccolata, poi gli faceva le boccacce e lui rispondeva tirandole le trecce.

Quel ricordo gli strappò un sorriso, e improvvisamente il nervosismo che lo aveva accompagnato in quei giorni si sciolse come neve al sole. Kaori era sua sorella, comunque fossero andate le cose.

La guardò mentre si tormentava le mani, colta da un senso di disagio. In preda ad un impulso, le afferrò, racchiudendole tra le sue. Kaori sollevò la testa, sorpresa, e incrociò il suo sguardo carico di affetto. Avvertì una morsa in fondo al cuore, emozioni del tutto nuove che la lasciavano senza fiato. Hideyuki l’attirò a sé, e si ritrovò così rannicchiata tra le sue braccia, con la testa appoggiata sul suo petto. Aspirò il forte profumo dell’uomo, mischiato all’odore di sigaretta, che mai, come in quel momento, trovò piacevole.

Le angosce degli ultimi giorni, le emozioni e le sensazioni inaspettate, le preoccupazioni per l’avvenire, ebbero il potere di una diga dirompente, e si ritrovò così a versare un fiume di lacrime. Hideyuki la lasciò sfogare, accarezzandole dolcemente i capelli. Non c’era bisogno di parlare, il tempo sarebbe stato il miglior balsamo per curare le vecchie ferite. Il futuro li attendeva, un futuro che avrebbero condiviso insieme. Perché questa volta niente li avrebbe più divisi.

Kaori pianse tanto, stretta nell’abbraccio protettivo di Hideyuki. Dio, che sensazione! Le sembrava di essere in Paradiso, e questo solo perché aveva scoperto di avere un fratello. Un fratello per cui sentiva già di volere un gran bene. Oh, certo, sapeva bene che ci sarebbe stato il tempo per le spiegazioni, ma in quel frangente, Kaori capì di non voler essere in nessun altro posto al mondo se non lì, in quel cerchio magico che le infondeva un calore mai provato prima. Piano piano, tutti i suoi dubbi, le ansie e i timori, si affievolirono, così come il suo pianto, che lasciò il posto a qualche sporadico singhiozzo, prima di cessare completamente. La stanchezza di quegli ultimi giorni prese il sopravvento, e si abbandonò ad un sonno calmo e senza sogni, cullata dalle dolci parole di Hideyuki. Per la prima volta si lasciò andare senza tentennamenti, incurante di tutto ciò che la circondava. Non aveva paura. Suo fratello avrebbe vegliato su di lei.

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Capitolo 24
*** 23. L'alba di un nuovo giorno ***


Sei mesi dopo…

Kaori guardò il mare, non riuscendo a capacitarsi quanto potesse essere magnifica quell’infinita distesa d’acqua davanti a sé.

Era seduta sulla spiaggia, le ginocchia rannicchiate sotto il mento, la brezza gentile giocava con i suoi capelli, mentre lei disegnava fantasiosi ghirigori con il dito sulla sabbia.

Ripensava agli avvenimenti di quegli ultimi mesi, al suo rapporto con Maki, che diventava via via più forte e sincero, alla sua amicizia con Miki, nella quale aveva scoperto una preziosa alleata nei suoi momenti più bui. E poi pensava a lui, Ryo. Alla sua disintossicazione dalla Polvere degli angeli, ai suoi momenti di crisi, nei quali solo la sua presenza riusciva a calmarlo, a ciò che provava per lui.

Il solo pensare a lui fece accelerare i battiti del suo cuore. Era sempre così, d’altronde. Bastava che pensasse al suo ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte, al suo modo seducente di parlare, allo sguardo intenso che le rivolgeva, perché il suo cuore corresse come un forsennato nel suo petto.

Sospirò, d’altronde era meglio così. Infinitamente meglio.

Avvertì due forti braccia cingerla, attirarla contro un petto muscoloso, e sorrise. Eccolo lì, il suo diavolo tentatore.

Ryo l’avvicinò a sé, avvolgendola in un caldo abbraccio, mentre posava il mento sul suo capo. Rimasero in quella posizione per un tempo infinito, osservando la lenta risacca causata dalle onde.

Entrambi non sentivano la necessità di parlare, i loro sentimenti, ciò che provavano, erano talmente forti e intensi, che solo uno stupido non li avrebbe percepiti. D’altronde entrambi sapevano che a volte il silenzio poteva essere più intenso di mille parole.

Kaori poteva avvertire il caldo alito dell’uomo che amava solleticarle il collo, procurandole brividi di piacere.

Ryo se ne accorse, e non potè fare a meno di sorridere. Intrecciò la sua mano con quella di Kaori.

“Credo di essermi innamorato di te”

Tum-tum-tum-tum

Kaori non riusciva a capire se quel rumore sordo provenisse dal suo cuore o da quello di Ryo. Era la prima volta che qualcuno le diceva una cosa del genere, e, dal tono rauco della voce di Ryo, aveva come la strana sensazione che anche lui le avesse pronunciate per la prima volta.

Si strinse di più a Ryo, poggiando la testa sul suo petto.

“Ho avuto paura di perderti” sussurrò, mentre una lacrima minacciava di sfuggire al suo controllo.

Ryo percepì la sua paura, e l’abbracciò più stretta.

“Non mi perderai”

“Non te lo permetterò” disse decisa.

Ryo sorrise dentro di sé. Dio, quanto amava quella donna!!! Non riusciva ancora a credere che al mondo potesse esistere una persona che lo capisse anche solo con uno sguardo. Eppure il Cielo gliel’aveva mandata, e lui non voleva assolutamente rinunciarne.

“Cosa pensi di fare adesso?” mormorò la donna, accarezzando la sua mano.

L’uomo sospirò.

“Ho parlato con Saeko. Credo sia arrivato il momento per City Hunter di sparire. Per sempre”

A Kaori non sfuggì il tono amaro della sua voce. Durante quei mesi, Ryo si era lentamente ristabilito dalla devastante esperienza della Polvere degli angeli. Il suo fisico aveva riacquistato tonicità, i muscoli intorpiditi avevano ripreso la loro agilità. La droga, fortunatamente non aveva lasciato danni permanenti al suo corpo. Vivere poi lontano dalla città, gli aveva consentito di recuperare la lucidità e la concentrazione necessari. Aveva provato anche a sparare qualche volta, e i risultati erano stati notevoli. Con un altro po’ di allenamento, sarebbe ritornato ad essere il City Hunter di una volta.

Perciò, fu senza l’ombra di alcun dubbio che gli rispose.

“Non penso che sia una scelta saggia”

“Che vuoi dire?”

“Shinjuku ha bisogno di City Hunter, per non essere risucchiata dalla feccia e dal marciume. Non puoi scomparire così” disse, decisa.

Era vero. Anche lui lo pensava d’altronde. Ma non poteva fare correre dei rischi assurdi alla donna che amava, non se lo sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa.

“Io potrei aiutarti”

Eccola lì, la sua piccola Sugar Boy dove voleva andare a parare!

“No”

Il suo tono di voce era categorico. Lei si irrigidì.

“Perché no? Ragiona Ryo. Io so combattere, so difendermi, saprei coprirti le spalle perfettamente. Siamo in sintonia, basta uno sguardo e ci capiamo al volo” disse Kaori, dando voce al suo pensiero di un attimo prima.

“Ho detto di no”

“Perché?” chiese, voltandosi, così da trovarsi occhi negli occhi.

Lui prese il suo viso tra le mani.

“Non voglio che tu sia costretta ancora a sporcarti le mani”

Lei sorrise, la lacrima imprigionata tra le sue palpebre cedette alla forza di gravità, rotolando sulla sua guancia. Ryo la scacciò con i pollici.

“Guarda che neanche io ci tengo ad uccidere ancora, Ryo. Voglio solo stare al tuo fianco” bisbigliò, la voce roca dall’emozione.

Lui scrutò dentro ai suoi occhi, leggendovi un amore incondizionato. Lo stesso che provava per lei.

“Ti amo, mio piccolo Sugar Boy”

Lei sorrise, un sorriso dolcissimo.

“Ti amo anche io, Ryo Saeba”

Kaori chiuse gli occhi, invitando tacitamente Ryo a baciarla. Lui la contemplò per un istante, voleva imprimersi nella sua mente il suo volto arrossato, i capelli scompigliati, le labbra rosse e perfette. Poi, non riuscendo a resistere oltre, si impossessò delle sue labbra, coinvolgendola in un bacio dolce e carico di passione, come per suggellare il loro amore.

Una lieve brezza si levò in quell’istante, scompigliando loro i capelli, mescolando insieme profumi e odori, imprimendoli per sempre nella loro mente.

Piano piano il mare cominciò a tingersi di sfumature rossastre,il sole stava sorgendo. L’alba portava con sé l’inizio di un nuovo giorno.

E di una nuova vita.


 
*** FINE***
 
I miei ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno letto la mia storia, l’hanno inserita tra i preferiti o tra le seguite e le ricordate.
Vi accolgo in un abbraccio virtuale. ^__^
Bacioni
Lory

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