Back To The Future: Il futuro, può sempre cambiare.

di Anonimous_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima Parte. ***
Capitolo 3: *** Seconda parte: Time Travel ***
Capitolo 4: *** Terza Parte ***
Capitolo 5: *** Quarta Parte ***
Capitolo 6: *** Quinta Parte ***
Capitolo 7: *** Sesta Parte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao ragazze/i! Eccomi qui con questa nuova storia, già interamente scritta. Voglio solo dirvi che, come storia, è nata (oltre che dalla mia follia) dall'unione di twilight, a uno dei film che amo di più: Ritorno al Futuro. Capirete più in là il perché! Vi lascio al prologo! Alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate, se volete! 

----BACK TO THE FUTURE----
Il futuro, può sempre cambiare.

.Prologo.


La vista le si annebbiò improvvisamente. Non c’era più la bara bianca di fronte a lei.  Le rose, le orchidee, il pastore, la gente in lacrime ed il prato verde del piccolo cimitero erano tutti scomparsi in una nebbia fitta che, però, pian piano andò diradandosi.

Si ritrovò in una cittadina medioevale. O, almeno, era quello che le sembrava. Non era stata catapultata nel passato ma tutto, di quella città, apparteneva a quell’epoca così lontana.
La piazza era rotonda, costernata di palazzi alti tre o quattro piani, ricoperti interamente di laterizi.  Al centro esatto della piazza assolata, ricolma di gente, qualcosa risplendeva di luce propria, riflettendo nell’acqua di una fontana di marmo bianco sfere di luce di mille colori.
Tutt’attorno, la gente urlava, in preda al terrore.
Nessuno aveva mai visto niente di simile.

Le ci volle tutta la sua concentrazione per riuscire a capire che quello sconsiderato, altri non era che suo fratello. Edward stava dando mostra di sé in quella piazza ricolma di gente.
Niente avrebbe potuto salvarlo dalla loro ira.
I Volturi non avrebbero potuto giustificare un simile comportamento per nulla al mondo, a maggior ragione se fatto esattamente ai piedi della loro dimora.
Volterra doveva rimanere il luogo più macabro e, per certi versi, più tranquillo dell’intero pianeta. Nessuno doveva avere il minimo dubbio che, quel posto, fosse impestato dagli esseri più malvagi che si possano anche solo immaginare.

Succhia sangue. Freddi. Vampiri.

Adesso, la verità risplendeva alla luce del sole scuotendo fin nel profondo la vita della gente di quella tranquilla cittadina nel cuore della Toscana. 

Terrore, paura, incredulità il loro presente.

Morte. Il solo futuro possibile.

La visione la abbandonò così come era arrivata. I suoi occhi erano diventati vitrei, specchio di come, quanto aveva visto, l’avesse sconvolta.
Ciò che sarebbe successo dopo, non era difficile da prevedere. Non c’era bisogno del suo dono per capire che i Volturi avrebbero fatto, letteralmente, piazza pulita.
Ogni umano che avesse assistito a quella drammatica apparizione, avrebbe dovuto smettere di respirare per sempre.
Quanto a quel pazzo vampiro, la fine, sarebbe arrivata prima ancora di esalare l’ultimo respiro.

La terra sembrò mancarle sotto i piedi, mollò la presa sul giglio bianco che aveva stretto fino a poco prima. Le ginocchia le cedettero e, senza neppure accorgersene, si ritrovò in ginocchio, ancora con lo sguardo perso nel vuoto.
Non seppe mai quanto tempo era passato. Probabilmente delle ore. Se ne accorse solo quando qualcosa iniziò a bagnarle il viso: aveva iniziato a piovere.
Di fronte a lei, la gente era tutta andata via. La bara bianca era stata interrata e, al suo posto, sul cumolo di terra fresca appena posata, i fiori bianchi risplendevano, lucidi, bagnati da quella pioggia fitta.  Ma non era a questo che aveva incatenato il suo sguardo. A due metri di distanza da lei, una piccola lapide, in marmo bianco, portava l’incisione:

Isabella Marie Swan
✯13-9-1987       ✟13-3-2005


A due metri di profondità, riposava quella che aveva considerato da subito una sorella. Dall’altra parte del mondo, in Italia, Edward si apprestava a raggiungerla. 





Ringrazio chi è arrivato fin qui nella lettura! Come ho detto questa storia è gia tutta scritta, ho scritto la fine proprio oggi. Probabilmente scriverò anche un epilogo  ma ci sarà tempo. Comunque, il punto è, che gli aggiornamente arriveranno regolari, se volete, ditemi pure voi ogni quanto vorreste il nuovo capitolo! Non so bene di quanti capitoli sarà visto che non ho ancora deciso il punto in cui suddividerli! Non sarà sicuramente lunghissima... Vedremo! =)

Ultima cosa, veniamo ad un po' di credits:

*I luoghi e i personaggi di questa storia appartengono a Stephanie Meyer. Questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro.
**Il titolo della storia, "Back to the Future" si riferisce alla nota trilogia diretta da Steven Spielberg. 

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Capitolo 2
*** Prima Parte. ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il futuro può sempre cambiare.


.Prima Parte.



[Anno: 2085.]

Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Che per andare avanti, basti riacquistare quel briciolo di routine che sembra essersi infranta con le perdite subite. Il solo problema era… come riacquistare una routine che sembrava appartenere ad un mondo totalmente diverso da quello in cui erano costretti a vivere?

Tutto ebbe inizio ottanta anni prima, dopo il gesto suicida che suo fratello aveva compiuto.

Aro, sembrò essere impazzito del tutto. Tramite Alec, fece piombare una nebbia fitta sulla cittadina toscana rendendo tutti fermi, immobili, apatici a qualunque fosse la loro sorte. Lui stesso, poi, con il suo potere controllò la mente di ogni singolo umano. Chiunque, uomo o donna, anziano o bambino, che mostrasse nei pensieri anche il minimo sospetto, non arrivò alla fine di quella maledetta giornata.
La conta delle vittime fu straziante. Quattro mila persone, radunate nella grande piazza per la festa di San Marco, smisero di esistere per sempre.

Il tutto fu camuffato con l’esplosione a catena di una decina di auto così che nessuno sospettasse nulla. La notizia, tuttavia, non passò di certo inosservata ai vertici ed ai servizi segreti Italiani, Europei ed Americani che, essendo a conoscenza del segreto celato nelle antiche mura di Volterra, sapevano bene cosa fosse effettivamente accaduto nella piccola cittadina della Toscana.

Ciò che successe dopo, fu qualcosa che nessuno - neppure Aro - avrebbe potuto prevedere. Da quel giorno, infatti, le istituzioni di quei paesi, iniziarono a cercare un’alternativa al suo potere incontrastato.
Fu l’occasione d’oro dei Rumeni, che da più di duemila anni aspettavano la grande rivincita contro i Volturi.
La "casata reale" aveva nella sua guardia molti dei vampiri più forti del mondo, tra cui Alec e Jane. I Rumeni, però, passarono anni interi nel creare una vera e propria macchina da guerra in grado di abbattere le difese del clan nemico. In ogni parte del mondo furono reclutati vampiri con particolari abilità e, nel caso in cui un umano avesse mostrato doti psico-fisiche fuori dalla norma, quest’ultimo sarebbe stato trasformato senza battere ciglio.

La terza guerra mondiale, era stata una guerra soprannaturale.
Praticamente ogni Stato appoggiò i Rumeni, mettendo a tacere ogni più piccolo rumor su un possibile evento oltre natura. Televisioni, radio, giornali erano stati tutti addestrati a camuffare la situazione con notizie false così che quella guerra potesse svolgersi nel più totale anonimato.
E la guerra fu aspra e violenta. Alla fine di tutto, però, Aro privato dei suoi eletti, dovette arrendersi al ritorno dei Rumeni al potere. Caius e Marcus erano morti lottando. Ad Aro, non rimaneva nient’altro che il ricordo. Ricordo che lo portò alla pazzia e, infine, alla morte.

Il regno impostato dai Rumeni era profondamente diverso da quanto tutti avevano conosciuto. I vampiri della guardia, liberi dal vincolo di Chelsea che li teneva legati ad Aro, nutrivano una profonda gratitudine per i loro liberatori.
I nuovi sovrani, però, nonostante non fossero dediti al protagonismo, alle manie e alle aberrazioni che si consumavano nel palazzo comunale di Volterra, non riuscirono mai del tutto ad imporre il loro potere. Le lotte tra clan nell’Almerica centrale ricominciarono e da lì si espansero a macchia d’olio. La gente, tornò a temere quegli esseri soprannaturali che dalle sale cinematografiche, sembravano aver invaso il loro mondo. Il terrore, si fece largo tra la gente; i passaparola e le leggende ebbero la meglio sui mass media e il caos, imperversò.
Fu l’inizio della fine. 
Il popolo, impaurito, divenne conservatore.* Diverso, divenne sinonimo di pericoloso. Razzismo e xenofobia furono la risposta più semplice al panico che imperversava.
Migliaia di innocenti morirono in quei decenni oscuri.
Alcuni vennero impalati vivi, dopo che una maxi perizia li aveva dichiarati, tutti, immondi vampiri. Per altri, la fine arrivò per dissanguamento, ad opera di quei mostri che, nessun esercito umano avrebbe potuto, mai, abbattere.

Fu quella assurda guerra tra umani e vampiri la vera rovina. Una guerra senza fine, che continuava a consumarsi giorno dopo giorno, anno dopo anno, decennio dopo decennio.

Nel 2085, nessuno sembrava avere più un barlume di speranza. Il mondo andava alla deriva, nonosante il progresso, la scienza e le tecnologie facessero apparire il contrario.

Il futuro poteva ancora cambiare?
No, non era possibile. Non dopo tutte quelle morti. Non senza interferire con il passato.

Anche loro, razionalmente, sapevano che il passato era l’unica cosa ad essere certa. Immutata ed immutabile, per l’eternità.

Lo sapevano, eppure erano già passati quaranta anni da quando avevano sperato, per la prima volta, di rendere in qualche modo possibile l’impossibile.

[flash back:40 anni prima]

A quei tempi, le giornate trascorrevano ancora monotone, tutti fingevano di aver recuperato un briciolo di loro stessi senza che, nessuno, fosse realmente rimasto quello di un tempo.
Esme, non era più riuscita ad avvicinarsi ad un essere umano, rinchiudendosi in casa, incolpandosi, seppur assurdamente, per la morte del suo figlio vampiro e della sua fragile ragazza dal cuore palpitante.
Carlisle, aveva smesso di operare come medico. Non aveva inventato nessuna scusa, semplicemente, aveva deciso di ritirarsi dalla professione.
E poi c’erano loro, che avrebbero dovuto frequentare la scuola e che, invece, erano totalmente sollevati da ogni messa in scena negli istituti superiori.
Eppure, proprio come una vera famiglia, tentavano ancora di mantenere quel briciolo di umanità che li aveva sempre distinti da ciò che, in realtà, il destino aveva voluto per loro. Totalmente disinteressati a quell’assurda guerra di sangue e di potere, vivevano la loro vita nel più totale anonimato. Esme, costantemente alle prese con nuovi progetti architettonici. Carlisle di nuovo chino su grandi tomi medici. Jasper ed Emmet destreggiandosi ai motori. Lei e Rosalie, fingendo ancora d’interessarsi all’alta moda.
Non mancavano i momenti in cui, ognuno, si isolava dagli altri così come non mancavano i momenti in cui tutti e sei i vampiri, si ritrovavano uniti, proprio come un tempo.

Fu in uno di quei giorni, che accadde.

Erano radunati nel grande salotto. Emmet, annoiato, faceva zapping alla tv. Passò decine di canali, da quelli sportivi a quelli d’informazione, di moda e, in fine, arrivò a quelli dedicati al cinema.
Aveva appena cambiato canale e stava per premere nuovamente il pulsante sul telecomando, quando, sullo schermo, comparve un film vecchio ormai di decenni.
Ognuno di loro trattenne il respiro, ricordando il titolo della pellicola.

Sullo schermo, in quello che sembrava un parcheggio, due personaggi conversavano tra loro.
Uno di loro, il più esagitato, aveva lunghi capelli bianchi sparati in aria, il volto raggrinzito ma ancora energico. Indossava una tuta bianca, antiradiazioni, e stringeva tra le mani una specie di telecomando gigante, con su un tachimetro digitale.
«Che cosa ti dicevo... 88 miglia all'ora! Lo spostamento temporale è avvenuto esattamente all'1.20 antimeridiane e 0 secondi.» Rivelò, fissando un punto, dritto dinanzi a se, dove, sull’asfalto, vi erano ancora delle linee di fuoco, incandescenti.
Il ragazzo, accanto, era, se possibile, ancora più sconvolto.
«Ah! Mio dio! – esclamò scottandosi, raccogliendo la targa incandescente di un’auto con su scritto: “OUTATIME” – mio Dio Doc, hai disintegrato Einstein!»
«Calma Marty, non ho disintegrato niente. Le strutture molecolari di Einstein e della macchina sono completamente intatte.»
«Ma allora dove diavolo sono?»
«La domanda giusta è: 'Quando diavolo sono?'. Capisci? Einstein è il primo essere vivente che abbia viaggiato nel tempo. L'ho mandato dentro al futuro. Un minuto nel futuro per essere esatti e, precisamente, all'1.21 e 0 secondi re-incontreremo lui e la macchina del tempo.»
«Un momento... un momento Doc. Mi stai dicendo che hai costruito una macchina del tempo... con una DeLorean?»**


Lei ed Edward avevano una cosa che li accomunava. Insieme, riuscivano a conversare senza neppure muovere le labbra. Lui, le leggeva il pensiero, lei, invece, vedeva, nell’esatto istante in cui lui decideva cosa rispondere, quello che le avrebbe detto.
Se Edward fosse stato in vita, avrebbe sentito sei menti urlargli in testa:

“Se solo fosse possibile”

 Ma Edward non c’era e non poteva sentire che, ognuno di loro, stava pensando ad un modo per poter rendere possibile ciò che, in quel film, altro non era che… fantascienza.
Ne era certa perché, proprio in quel momento, una serie di visioni le attraversò la mente.
In successione, vide Rosalie, la migliore meccanica della casa, adattare un’automobile per l’impresa. Emmet e Jasper, specializzarsi uno nella fisica nuclerare, l’altro in ogni branchia dell’ingegneria. Allo stesso modo, Carlisle ed Esme, studiavano tomi su tomi, formule su formule di materie che ancora non riusciva a riconoscere.
Tutti, con un unico, solo, obiettivo.

«È deciso» affermò convinta, seria come non era mai stata. «Torneremo… nel passato». Di nuovo, nessuno dei cinque vampiri osò fiatare.
«Alice, ma… ma è impossibile!» provò Rosalie, titubante.
«Come… come possiamo Alice?» domandò Esme. E di nuovo, tutti rimasero in attesa. Non le rimase che sbuffare.
«Non so ancora come. Ma ti ho vista chiaramente Rosalie, metterai in pratica ogni tua conoscenza sui motori per questo progetto. Tutti noi, applicheremo le varie conoscenze che assimileremo negli anni. So bene che non siamo in un film. E di certo non ci metteremo pochi anni. Dubito che basti un unico decennio. Ma, ho visto chiaramente cosa faremo. Emmet, a te la fisica nucleare. Jazz, tu l’ingegneria. Carlisle, Esme voi non so ancora in quale ambito vi specializzerete. Ma vi ho visti circondati da grossi libri e tante, tante formule.»

Alla fine del suo sermone, nessuno osò controbattere. Erano a dir poco sconvolti. I loro, in fondo, erano stati dei semplici pensieri. Del tutto ipotetici perché nessuno aveva la certezza matematica che l’esperimento sarebbe riuscito. Eppure, ognuno di loro, aveva creduto fermamente in quella speranza e, questo, aveva scatenato in Alice tutte quelle visioni.
«Siamo sicuri?» Chiese Carlisle. Nessuno si stupì di quella affermazione. Lui, come capostipite, aveva il compito di vagliare ogni alternativa. Ogni scenario.
«Diamine Sì!» Esultò Emmet. «Era ora che tornassimo a combattere per qualcosa, dovessimo anche metterci dei secoli, dobbiamo farlo!»
«Ma questo, ammesso e non concesso che funzioni, potrebbe portare delle grosse conseguenze» Alice sorrise comprensiva, conscia del fatto che, era stato il sergente Withlock, questa volta, a parlare. Riconosceva bene quando il suo Jazz rientrava nel ruolo che aveva assunto secoli prima.
«Cosa vuoi che accada, Jazz? Il mondo, dietro la nebbia fitta del nuovo che avanza e di tecnologie degne della nasa, è già distrutto. Probabilmente, se tutto andasse come speriamo, i Volturi rimarrebbero al potere… almeno, però, la terra tornerebbe ad essere quella che noi tutti conoscevamo» era stata Rosalie, a parlare. Nessuno sapeva - probabilmente eccetto Jasper - quanto avesse sofferto e quanto si biasimasse per quella telefonata fatta a suo fratello, quaranta anni prima.
«Probabilmente siamo impazziti del tutto, ma se davvero esiste qualcosa per salvare Edward e Bella, allora sono pronta a rischiare il tutto per tutto - annuì convinta anche Esme – rivoglio la mia famiglia unita»
Alice si alzò in piedi, non riuscendo a contenere la gioia. Il suo piano stava per iniziare.
«Allora, siamo tutti d’accordo?» domandò ancora. E questa volta tutti si alzarono con lei, stringendo le loro mani una con l’altra.




Spero che, di tutta questa follia, si sia capito qualcosa! XD
*frase presente in una canzone di J.ax: dentro me.
**tratto dal film "Ritorno al futuro-parte 1"
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va.

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Capitolo 3
*** Seconda parte: Time Travel ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il futuro può sempre cambiare.


.Seconda parte.




Da quel giorno, erano passati quaranta anni. Proprio come le aveva mostrato la visione, tutti si erano specializzati in ogni branchia scientifico-tecnologica che, con il passare del tempo, si era fatta largo negli atenei. Il mondo e la tecnologia, avevano fatto passi da gigante. Tutto ciò che solo qualche decennio prima era stata una mera ipotesi, adesso, costituiva la loro quotidianità.

Perché - accanto a quella assurda lotta tra vampiri ed umani – l’evoluzione, la ricerca continuava, l’uomo era arrivato su Marte, le automobili, in speciali “autostrade aeree” sfrecciavano alla soglia dei cinquecento km/orari facendo sì che la distanza tra i continenti diventasse pressoché inesistente. I computer erano ovunque tanto che spesso si chiedevano se non fossero finiti in un film futuristico dei primi anni ottanta. L’unica differenza era, appunto, il fatto che quella era la realtà. Con i suoi pro ed i suoi contro. Era proprio per questi ultimi che, non senza fatica, avevano intrapreso la loro opera.

Ed ora erano tutti lì, di fronte a quella Porche giallo canarino che nessuno, avrebbe mai immaginato essere… una macchina del tempo. Erano proprio lì, tutti e sei i vampiri, questa volta ,non era la visione che l’aveva accompagnata in quei quattro lunghi decenni. Questa volta, era la realtà.
«Ce l’abbiamo fatta?» Era stata Esme, incredula quanto gli altri, a porre la domanda. Nessuno mosse un muscolo. L’emozione era più che palpabile. Scorreva in ogni fibra dei loro corpi, li scuoteva fin nel profondo, di fronte a quella che tutti, fino a quel giorno, avevano considerato un’utopia. Tutto era iniziato dal nulla più assoluto e nessuno di loro, si sarebbe mai immaginato di riuscire a portare a compimento la più assurda delle opere mai immaginata.

«Bé, non ci resta che provarla» il vocione di Emmet squarciò il silenzio.
«Funzionerà.» Esclamò allegra Alice.
Ognuno di loro era tornato ad essere quello di un tempo. In ognuno di loro, infatti, la speranza si era riaccesa man mano che le scoperte andavano avanti e li avvicinavano, millimetro dopo millimetro, al bolide che avevano creato.

«Emmet, procedi al rifornimento. Jasper, imposta anno, mese, data ed ora. Non tralasciare il luogo. Rosalie, Esme, nel mio studio, ho raccolto alcuni giornali.» Man mano che Carlisle procedeva ad elencare le cose da fare, ciascuno dei vampiri si dileguava, alla velocità della luce, preso dal proprio compito. Era sempre stato così, lungo tutti quegli anni, ed ora, ancora per una volta, si ritrovarono a lavorare di squadra.
«Alice, sei sicura di voler andare da sola?» Si ritrovò ad annuire, guardando il suo Jazz che dall’auto le rivolgeva uno sguardo indagatore. Non che non si fidasse di lei, sentiva i suoi sentimenti del tutto tranquilli ma, aveva bisogno di farle capire, anche solo con un’occhiata, che lui aveva acconsentito a lasciarla partire solo perché, appunto, si fidava ciecamente del suo intuito. Si fidava del fatto che, chissà come, dove e quando, si sarebbero rivisti. In quel futuro? In uno diverso? Nel passato? Questo non era importante. Ma sarebbero rimasti loro due. Sempre, comunque.

«Va bene, allora. Credo che sia arrivato il momento di salutarci. – anche lui, adesso, era rotto dall’emozione. – Alice, siamo con te, figlia mia. Mi fido di te.» E l’abbracciò forte. Come forse non avevano mai fatto. A quell’abbraccio, seguì quello di Esme, di Rosalie ed Emmet e, per ultimo, di suo marito.

«Non c’è bisogno che ti dica cosa provo - gli disse posando una mano dove avrebbe dovuto battere il suo cuore – lo sai già»
Il vampiro sorrise «Questa volta sarò io ad aspettare lei, Madam»
«Spero di non metterci troppo, allora» e, alzandosi sulle punte sigillò con un bacio quell’arrivederci.

Poco dopo, si ritrovò alla guida della Porche che avevano quasi del tutto modificato. Il motore, attraverso una serie di fusibili e di processi di combustione nucleare, era in grado di ricreare, da semplici scarti organici, l’energia sufficiente affinché l’auto viaggiasse nel tempo. Purtroppo, a differenza del film, 1.21 gigawatt non erano abbastanza. Avevano dovuto quadruplicare la potenza, per rendere possibile il miracolo. Tutto questo processo, proprio in onore del film che aveva cambiato le loro vite, lo avevano chiamato “Flusso canalizzatore”.

Davanti a lei, accanto al volante, quello che sembrava un comunissimo navigatore satellitare. Solo che era un po’ diverso. Su quel piccolo schermo, che mandava i comandi al Flusso canalizzatore, Jasper aveva impostato luogo, ora e data:

Forks, Washington, USA – 9.30am 10/03/2005


Quella stringa di caratteri, l’avrebbe riportata a casa. Tre giorni prima che Bella si gettasse dalla scarpata. Giusto in tempo per cambiare il futuro di sua sorella.

Aveva aspettato quel momento per decenni ed ora, finalmente, poteva azionare il motore che le avrebbe permesso di cambiare tutto, ogni cosa. Niente più rimpianti. Niente più dolore. Niente più morti. Guidata da quel pensiero, era riuscita a controllare l’ansia, scaricando tutta la sua tensione, sull’acceleratore.

150 km/h
180 km/h
200 km/h
250 km/h
300 km/h

Aveva raggiunto il limite e, infatti, proprio come avevano stabilito, sullo schermo del navigatore iniziò a lampeggiare la scritta:

TIME TRAVEL


«Sto arrivando, Bella»

In quel momento, sentì una scossa potente, tanto che le sembrò di non riuscire più a controllare l'auto, come se stesse uscendo fuori strada. Aumentò la presa sul volante, tanto da farsi venire le nocche bianche e, per un solo istante, ebbe paura di aver sbagliato tutto, di aver perso ogni cosa che le era rimasta. Serrò le palpebre, trattenendo il respiro e pregando che, in qualche modo, finisse.
Poi, proprio come se qualcuno avesse esaudito il suo desiderio, sentì la macchina perdere di potenza, rallentare e fermarsi.

Era rimasta nel 2085? Era tornata al 2005?

Sapeva bene che l’unico modo per scoprirlo era aprire gli occhi ed andare in contro al destino eppure, quella paura, la bloccava ancora. Non riusciva ad avere alcuna visione e questo la rendeva oltremodo irrequieta. Rimase immobile ancora per qualche secondo. Poi, si rese conto che se fosse rimasta nel presente, Jasper l’avrebbe già raggiunta. Tutti, l’avrebbero raggiunta. Quindi, doveva aver funzionato. Non poteva esserci altra spiegazione a tanto silenzio.
Solo un’altra volta, nella sua lunga esistenza, si era trovata in una situazione simile. Ricordava ancora il momento in cui aveva provato quella stessa paura d’aprire gli occhi.
Quella volta, si era svegliata nel bel mezzo di una foresta, con una forza disumana ed un bruciore straziante alla gola. Anche quella volta, uscire dal buio della sua mente non era stato semplice. Eppure, quella volta il suo futuro non era stato poi così brutto: aveva incontrato Jasper, prima nelle sue visioni, poi, nella realtà. Con lui avevano raggiunto i Cullen e la loro vita era iniziata davvero.
Sicuramente diversa da quella di ogni altra persona ma, non per questo meno importante.
Loro erano la sua famiglia. Ed era per loro che, adesso, doveva trovare la forza.

Di scatto, aprì gli occhi, e, prima ancora che riuscisse a formulare un qualunque pensiero, un sorriso le comparve agli angoli delle labbra.
Era a casa.
La macchina si era fermata proprio all’entrata del centro abitato:
“Benvenuti a Forks”, recitava il cartello, identico a come lo aveva visto l'ultima volta, ottanta anni prima.



Non ho molto da dire... non ho nessun dubbio da chiarire, nessun grazie da fare per una bella recensione o per un consiglio su come migliorare... Mi dispiace che non sia di vostro interesse. Probabilmente, se non avessi i capitoli pronti, smetterei persino di pubblicarla... 
Grazie comunque a chi è arrivato fin qui nella lettura.

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Capitolo 4
*** Terza Parte ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il futuro può sempre cambiare.


.Terza Parte.



Fuori dalla piccola abitazione del capo Swan, il pick-up rosso era l’unica macchina appostata. Charlie doveva essere già in centrale. Sapeva, dai suoi ricordi lontani, che Bella aveva del tutto abbandonato la scuola, negli ultimi mesi della sua vita. Charlie le aveva provate tutte ma, niente era riuscito a smuoverla.
Pensarci la faceva stare ancora male. Per decenni si era chiesta cosa sarebbe successo se solo fosse tornata da lei. Se solo le fosse stata vicino. Se l’avesse aiutata. Adesso, era arrivato il momento di scoprirlo.
Salì le scale, fermandosi ad un passo dall’uscio della porta, pregando che tutto andasse per il meglio. Prese un respiro profondo, e suonò il campanello.

Dopo qualche istante, la porta si aprì.
Difficile dire chi delle due fosse più sconvolta. Lei lo era perché, quella che era stata la sua migliore amica, adesso, era lo spettro di se stessa. Era magra. Molto magra. Troppo. Doveva aver perso una decina di chili. La pelle era grigia, priva di luce. E gli occhi... Gli occhi erano smorti, scuri e infossati, cerchiati da profonde occhiaie.
«A-A-A-li-ce» balbettò.
Sentire la sua voce, la scosse fin nel profondo, e temette di non avere tempo per spiegarle. Per chiederle scusa, per dirle quanto, tutti loro, l’amassero. L'ansia, la portò a muovere le braccia, stringendo le dita sulle esili spalle della ragazza che aveva di fronte.
«Bella! Oh Bella, ti prego, devi ascoltarmi! Scusami! Scusaci tutti! Noi non dovevamo. Quel cocciuto di mio fratello… lui non voleva destinarti alla nostra misera vita! Non ha mai finto, Bella, eccetto quel giorno, nella foresta. Lui ti ha amato tanto. E continuerà a farlo per il resto della sua esistenza. Voi siete legati bella, lo sai bene. E lo sa anche lui…  è solo troppo stupido per accettare che l’amore prevalga su tutto. Su ogni condizione… e… »

«Basta Alice - le rispose scostandosi. Fu come un colpo dritto al cuore. – se davvero mi avesse amata, non avrebbe avuto la forza di lasciarmi. Se davvero mi amasse, ci sarebbe lui qui, adesso, e non tu. Io sono solo una stupida umana Alice. Non mi vedi? Non valgo niente. Non conto niente. Non sono abbastanza. Mi vedi? Sono uno straccio. A chi dovrebbe interessare della mia vita?»

«Cosa… cosa stai dicendo?» era pronta a tutto. Aveva pensato ad ogni possibile scenario. Da quelli migliori a quelli peggiori, ma non si sarebbe mai, mai aspettata una simile risposta.
«La verità… Solo la verità. Cos’altro può esserci?» Le sue parole, i suoi gesti... tutto di lei urlava quanto ormai la sua autostima l'avesse abbandonata. Ogni volta che parlava, Bella non la guardava in faccia o, se lo faceva, lo sguardo non rimaneva incollato al suo per più di una manciata di secondi. Cosa ne era stato della sua migliore amica?
Non ci vide più. Non poteva sentirla mentre diceva simili assurdità.

«Vuoi la verità, Bella? Davvero, vuoi sapere cosa sta accadendo e cosa accadrà?» Urlò, arrabbiata. Di una rabbia che poche volte, nella sua vita, aveva provato.
Con Bella che credeva di non essere abbastanza per Edward.
Con Edward che, al contrario, credeva di non essere abbastanza per Bella.
E con se stessa, che non avrebbe dovuto andarsene.
Ma ora era lì, con lei, e le aveva chiaramente detto quanto tutti avessero sbagliato. Forse, però, per Bella quelle scuse erano arrivate troppo tardi. Forse, niente e nessuno avrebbe potuto fermarla.
«Tu.. non hai alcuni diritto di tornare qui, sbucando dal nulla, dicendomi "Scusa Bella, scherzavamo!" e poi, permetterti anche urlare in casa mia!» 
«No, infatti. Ma ho tutto il diritto di dirti che stai per fare una follia. Come puoi pensare di non essere abbastanza? Come puoi pensare di essere tu, quella sbagliata? Bella siamo noi gli sbagliati. Siamo noi, a non avere un cuore che batte ed una vera vita. Tu, una vita ce l’hai e non la puoi sprecare!» 
«Non so di cosa tu stia parlando»
«Oh, lo sai eccome, invece. E fra tre giorni lo saprà anche Charlie. E Reneè. Lo saprà tutta Forks. I tuoi compagni di scuola. Lo saprà E..»

«Smettila, basta, non voglio sentirti Alice! Lui ha preso la sua decisione mesi fa. Mi ha presa, usata, e poi gettata via come carta straccia. Come una bambola di cui non si ha più bisogno. Bè, sai una cosa? Nemmeno io, ho bisogno di vivere così. Non ce la faccio, non capisci? Non riesco ad andare avanti. Non riesco a far finta che tutti voi non siate mai esistiti, che lui, non sia mai esistito.»
«Lo so. Ed è per questo che sono qui» Per un attimo, Alice rivide una scintilla, nei suoi occhi. Forse, allora, non era tutto completamente perduto.
«Come?»
«So che non c’è altro modo per convincerti di quello che ti dirò se non facendotelo vedere. Per questo, sto infrangendo tutte le regole. Io non dovrei essere qui, Bella. Tutto sarebbe dovuto andare come è andato, ma non posso, non possiamo vivere con questo rimpianto. E non possiamo vivere senza voi» ammise, desolata.
«V-voi? Di cosa parli, Alice?»

A quel punto, non c’era altro da fare. Doveva raccontarle tutto, farle sapere la verità. Farle vedere con i suoi occhi quello che sarebbe accaduto, in seguito alla sua morte. Non poteva dire tutto così, però. Doveva farla sedere e, probabilmente, le sarebbe servita un bel po’ d’acqua per riprendersi dalla notizia, così, le prese le mani e la portò all’interno dell’abitazione, nella piccola cucina. Senza che Bella dicesse più una parola, prese un bicchiere d’acqua e glielo riempì, prima di sedersi accanto a lei.

«Bella, so bene che tra tre giorni ti saresti buttata da una scogliera…» iniziò.

Bella trattenne il fiato. In fondo, dalla prima volta che ci aveva pensato, aveva sempre immaginato - e sperato - che Alice vedesse a cosa l’avevano portata. Perché la rabbia le scorreva dentro, nonostante la voglia di rivederli, tutti.
Proprio come in quel momento.
Alice le era accanto, poteva finalmente rivederla. Avrebbe voluto buttarsi tra le sue braccia, piangere e chiederle, implorandola se necessario, di non lasciarla più. Ma il dolore, la rabbia e la consapevolezza - che le si era insinuata fin dentro l’anima – di non essere per loro nient’altro che un diversivo alla noia, le impediva di fare ciò che più di tutto aveva desiderato ed atteso in quei mesi. Era convinta delle parole di Edward. Avevano tutte, dannatamente, senso. Lei, lo aveva sempre saputo di non essere abbastanza. E quei mesi erano stati troppo insignificanti, per pensare di continuare quella sorta di vita ancora per molto.

«Immagino che tu abbia avuto una visione» sussurrò. Vide Alice serrare le labbra, fissandola come se nei suoi occhi potesse trovare una sorta di risposta ad una sua muta domanda. Poi, la vampira prese un respiro profondo, e si decise a risponderle.

«No.» Dritta, coincisa. Una sola sillaba, che, adesso, le vorticava nella mente.
No. Le aveva detto No.
No. Ma come era possibile? Per un attimo, ripensò alla loro conversazione, credendo di non avere capito. Ma, cosa c’era da capire? Aveva assunto che sapesse del suo piano grazie ad una sua visione. Cosa poteva significare quel no? Non aveva alcun senso!

Alice doveva avere intuito i suoi pensieri perché riprese a parlare prima ancora che potesse chiederle nulla. «Bella, devi vedere una cosa» le disse, mentre iniziava a cercare qualcosa nella sua tracolla.
Ne estrasse un plico di… «Giornali?» domandò, incerta.
«Sì. E per favore, leggi le date.»

Era tutto così strano. Perché Alice era tornata con dei vecchi giornali? Che significava la sua risposta negativa, poco prima? L’unico modo per capirci qualcosa era fare come lei le aveva chiesto, così, prese il primo giornale, la Forks Gazette, e rimase, letteralmente, senza fiato.

Tutti, presto o tardi, nella vita, si sarebbero chiesti chi ci sarebbe stato a piangere per una loro ipotetica morte. Nessuno, avrebbe mai avuto una risposta. Come se fosse scritto in una delle leggi supreme dell’universo. Nessuno, avrebbe mai dovuto sapere cosa avrebbero comportato le proprie azioni, le proprie scelte. Per lei, tutto questo non doveva valere, perché, a caratteri cubitali, al centro esatto del giornale del 14 marzo 2005, il titolo, in prima pagina, diceva:

“Ciao, Isabella”

Sotto quel titolo, grande quasi quanto l'intera pagina, la foto di una lapide bianca. Una lapide, con sopra il suo nome.
Come era possibile? A che gioco stava giocando, Alice? Perché le faceva questo, cosa voleva da lei? Un milione di domande le si riversarono nella mente. Dire che era rimasta shockata era un semplice eufemismo.
«Mi stai prendendo in giro?» Disse infine, acida. Si aspettò di tutto eccetto, l’espressione di Alice. Perché, era quel tipo di espressione contratta e torva tipica delle situazioni in cui ormai tutto è perduto.
«Non è finito. Ci sono altri giornali» rispose solo, atona.

Per un attimo, aveva avuto voglia di prendere e strappare via tutto. Cosa poteva essere successo di così catastrofico? Charlie? Reneè? O forse…
No.
Scartò quell’ipotesi prima ancora che si formasse nel suo cervello. Non era possibile. Lui aveva scelto mesi prima. E poi… quei giornali… quelle date... Nulla aveva senso, eppure, tutto le appariva perfettamente logico. Possibile ed impossibile si equivalevano e lei, temette di essere impazzita veramente.

Il secondo giornale, al contrario del primo non era un giornale locale. Era il New York Times. In prima pagina, le foto di una cittadina italiana, arsa dalle fiamme.

“Il cuore della toscana in fiamme, è tragedia” la data riportava il sedici marzo, due giorni dopo la sua presunta morte.

«Che vuol dire?»domandò, non capendo.
«Temo che questo dovrai leggerlo» le rispose ancora Alice, seria, senza alcuna inflessione nel tono della voce.

Il sottotitolo parlava dello scoppio a catena di una serie di macchine proprio nel giorno della festa patronale di una piccola cittadina della toscana. Sicuramente una tragedia, visto il numero delle vittime ma, cosa poteva farci, lei? Poi, finalmente, abbassando lo sguardo sul testo dell'articolo lesse il nome del paese, Volterra.

Le si gelò il sangue nelle vene.

Solo un’altra volta aveva sentito parlare di quella cittadina. Era stato lui, a spiegarle tutto. Dei Volturi, del loro potere e della loro influenza. Cosa poteva essere successo?
Di nuovo, quella terribile sensazione, si fece largo in lei.  Non voleva crederci. Non poteva.
«Dimmi che non è vero». Sussurrò.
Ma Alice non rispose.
«Dimmi che ho capito male. Che questo disastro non è avvenuto perché… » non riuscì a continuare. Un singhiozzo le spezzò ogni parola. Il pianto arrivò presto, con tutto il suo carico di terrore.
Edward…
Possibile, che avesse cercato la morte? Possibile, che avesse dato mostra di sé? Possibile, che si fosse fatto… un altro singhiozzo, più forte.
Non riusciva neppure a pensarci. Perché, nonostante tutta la rabbia, il rancore, il dolore… Anche solo pensare ad Edward, provocava qualcosa, all’interno del suo petto e, per un attimo, solo per un millesimo di secondo, prima che la coscienza dell’abbandono la sconvolgesse, riusciva a stare bene. In quel millisecondo, l’amore che provava per lui, vinceva ogni battaglia, la riportava in quella bolla di felicità che era solo loro e di nessun altro.
Per questo, non poteva crederci. Ed il pianto continuava a scuoterla, prepotente. Sentì un braccio posarsi sulla sua spalla.

«So che non è semplice. Anzi, è atroce» la voce di Alice continuava a parlarle, cercando di rincuorarla. Le sue parole, però, sembravano attraversarla senza riuscire ad attirare la sua attenzione. Edward sarebbe morto. Cos’altro poteva interessarle, ancora?
 «…ma tu puoi ancora salvarlo, cambiare tutto. Ed io sono qui per questo, Bella.» A quelle parole, il pianto, riuscì a placarsi. Distrutta dalla disperazione, aveva tralasciato il punto più importante. Quei giornali… riportavano eventi non ancora avvenuti!

«Come fai ad avere questi giornali, Alice?»

«Io… vengo dal futuro, Bella»

E fu il buio.



Voglio ringraziare ancora tutte le ragazze che mi hanno lasciato una recensione! Come ho già detto ad ognuna di voi, ero davvero convinta che a nessuno interessasse questa storia... e ci ero davvero rimasta male per questo! Poi, leggere le vostre parole mi ha risollevato, siete state tutte carinissime con me. Mi avete scritto veramente delle belle frasi ed io spero tanto che con questo capitolo non vi abbia deluso!

Finalmente Alice arriva da Bella! È la parte con più dialoghi in assoluto, infatti, sarò scema, ma sono stata almeno un'ora a pensare in quale punto mettere un 'a capo', tra i loro discorsi! Secondo me, ogni tanto ci vuole, per dare un po' d'aria nella lettura... speriamo di non aver fatto un macello!
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, se vi va! Io, come sempre, vi ringrazio ancora per essere arrivati fino a questo punto nella lettura.
Un abbraccio, Miky.

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Capitolo 5
*** Quarta Parte ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il Futuro Può Sempre Cambiare.


.Quarta Parte.


 

Quanto tempo era passato? Un secondo, un minuto, un’ora?
Ricordava solo che Alice era comparsa alla sua porta. Avevano discusso e le aveva mostrato dei giornali. Dei giornali… che sarebbero stati stampati solo tra qualche giorno ma che sembravano già vecchi e consunti di anni, se non decenni.
Poi, ricordò le parole della sua migliore amica: Veniva dal futuro! Come era possibile? Niente più era normale, in quel mondo?  Vampiri, licantropi…. Ed ora anche il viaggio nel tempo. Si chiese se non fosse impazzita. Era probabile. Chiusa nel suo mutismo aveva immaginato tutto, ogni cosa. Doveva essere così, eppure…
Si domandò se invece fosse stato tutto vero, cosa avrebbe fatto?
Quella mattina, si era alzata intenzionata a lasciar passare la giornata come tutte le altre. Non era sicura di voler mettere la parola fine alla sua esistenza, ma doveva ammettere di averci pensato. A quel punto, i rimorsi ed i rimpianti non sarebbero più esistiti, no? Quando uno muore, finisce tutto. O, almeno, era quello che sperava.
E se invece non fosse stato così?
Forse era sempre la pazzia a procurarle quei pensieri, eppure, non poteva fare a meno che considerare quell’alternativa. Se davvero, in un futuro mediamente lontano, Alice avesse fatto di tutto per tornare da lei? Per avvisarla di tutto ciò che sarebbe seguito alla sua morte?
Se davvero ci fosse stata una possibilità, una su un miliardo, di poter salvare la vita di tutte quelle persone e, soprattutto, quella di Edward… sarebbe stata in grado di sprecarla?
La razionalità, quel briciolo che ancora possedeva, le diceva di non dar retta a tutti quei presentimenti: Edward non la voleva. Non l’amava e lei doveva smetterla di preoccuparsi. Poi tutto sarebbe finito, avrebbe smesso di soffrire, per sempre.
Tutto questo, stranamente, non riusciva a rassicurarla. Forse era pazza. Forse lo era sempre stata. Fin dal giorno in cui aveva posato i suoi occhi su quelli di Edward.

Fu in quel preciso istante, che riuscì ad aprire le palpebre. Aveva scelto, ancora una volta, di andare contro tutto e tutti, per lui.
C’era un solo motivo. Uno - come la probabilità su un milione - di riuscire in quel piano. E non aveva intenzione di sprecarlo: Amava Edward.
Se l’amore era la sua follia, era ben felice d’essere considerata pazza.

Alice, di fronte a lei, la guardava, finalmente sorridente. Un raggio di luce sembrava uscirle direttamente dagli occhi, per quanto erano pieni di…. Felicità?
Le sorrise, di rimando, e, prima ancora che potesse dire o fare qualcosa, si sentì stringere da un abbraccio. Gelido, eppure più caloroso di come avesse mai immaginato. Tra quelle braccia, si senti di nuovo lei stessa.
«Mi sei mancata tanto» Sentì dire dalla voce allegra di Alice. Sorrise, sulla sua spalla.
«Anche tu, Alice!»

Quando entrambe misero fine a quell’abbraccio, ricominciarono a parlare. C’erano tante cose che ancora doveva sapere, Bella. Ed Alice gliele raccontò tutte. Della macchina del tempo. Di quel futuro oscuro anche se iper-tecnologico. Di Esme e Carlisle, Rosalie ed Emmet e del suo Jazz. Vide la ragazza trattenere il respiro più volte, cosciente che, la scintilla di quel tremendo incendio, fossero state le scelte sbagliate che sia lei che Edward avevano compiuto, in quello che, ormai, considerava un mondo parallelo.
Man mano che parlavano, infatti, la consapevolezza di essere stata ad un passo dal fare un tremendo errore si impossessò di Bella.
Alice vide la voglia di vivere tornare sul volto di quella che aveva da sempre e per sempre considerato sua sorella. Sembrava rinvigorirla come linfa vitale.
Ad un certo punto, lo stomaco della ragazza iniziò a brontolare. Risero entrambe. Come non accadeva da ormai troppo tempo. Mesi per Bella. Interi decenni per Alice.

Una pizza ed una cola più tardi, Bella si rese conto che c’era ancora un punto, nel piano che avevano tracciato, che non avevano considerato.
«Charlie» sussurrò, proprio mentre, da dietro l’angolo, l’auto della polizia faceva la sua comparsa nel viale. Si stava ancora domandando cosa potesse dire a suo padre per giustificare la presenza della sua migliore amica, scomparsa del tutto sette mesi prima, quando si rese conto che, se davvero, come avevano deciso poco prima, volevano ritrovare Edward, avrebbero dovuto inventare una qualche scusa per Charlie.
Non che suo padre sarebbe riuscito a dissuaderla, ma, bisognava pur dirgli qualcosa. Non ebbe il tempo di formulare alcuna domanda all’amica, che la porta di casa si aprì per poi richiudersi. Sentì chiaramente la camminata di suo padre lungo il corridoio. Lo sentì togliersi la cintura con la pistola ed il distintivo e, poi, sentì di nuovo i suoi passi, che si avvicinavano alla cucina, per poi arrestarsi, di colpo. Alzò lo sguardo, posandolo su quello di suo padre, fermo, sull’uscio della porta. Incredulo.
«A-Alice?»
«Capo Swan! Buona sera! Mi scusi per questa intrusione io…»
Non la lasciò finire. Annullò la distanza da lei e la strinse in un abbraccio. Aveva sempre saputo che Charlie considerava Alice una seconda figlia, eppure, non si sarebbe mai aspettata un tale slancio.
«Scusa – le disse – io… sono solo felice di vederti!»
Alice sorrise, «Anche io, Charlie»  

Quella notte, per Bella, rimase del tutto un mistero. Si erano spostati in salotto e avevano appena iniziato a parlare quando il sonno la investì e cedette alle braccia di Morfeo.
Alice, vedendo la sua migliore amica addormentata, le posò una coperta, addosso. Era così indifesa, Bella.
«Scusaci, Charlie, noi non avremmo dovuto lasciarla»
Charlie rimase impassibile.
«Alice, sai bene quanto lei si sia legata a tutti voi… ma se lei è ridotta in questo stato… - lo vide stringere i pugni, le nocche bianche – non sei tu a doverti scusare, lo sai»
Lo sapeva. Ma come poteva spiegare all’uomo che le era di fronte il motivo per cui quel folle di suo fratello aveva preso quell’assurda decisione?
«Lo so» ammise lasciando cadere la frase.
«È stato tremendo – dal tono con cui parlava, capì che Charlie avesse un urgente bisogno di sfogarsi – Non riesco ancora a farmene una ragione, sai. Andava tutto così bene e poi, da un giorno all’altro, lui se ne va e porta con se mia figlia.
Dovevi vederla, Alice, era un’altra. Non parlava, non mangiava e dormiva a stento. Era chiusa in se stessa, come se non le importasse più di niente e di nessuno. Ho temuto di perderla davvero. Ho temuto che potesse fare una pazzia… Poi, le cose iniziarono a migliorare, aveva conosciuto Jacob, giù alla riserva, e sembrava essere tornata un po’ in sé. Ma anche lui, da un giorno all’altro, decide di sparire dalla sua vita. Ed ora eccola. Oggi mi ha parlato dopo settimane di mutismo… Alice, non voglio che tu creda che tu non sia la benvenuta, ma per favore, non illuderla anche tu. Non farlo perché temo che la prossima volta non reggerebbe. Ed io non posso perdere mia figlia. È tutto ciò che ho.» finì, chinando il capo. Sapeva bene quanto Charlie le fosse legato. Ricordava ancora perfettamente la maschera di dolore che gli si era impressa addosso durante quel funerale ed era anche per questo che era lì. Tanto dolore non era giusto. Non era giustificabile, se dovuto ad uno stupido errore.
«Non lo farò mai, Charlie. Fosse anche l’ultima cosa che faccio, ma lei tornerà la Bella che era. Te lo prometto.»
Le sorrise, rassicurato. Sapeva di potersi fidare di quella ragazza. Il bene che provava per Bella era palpabile, quasi.
«Mi fido di te, Alice!» le disse alzandosi dalla poltrona su cui era seduto. «Sarà meglio andare tutti a letto… anche se mi dispiace svegliarla»
«Va pure Charlie, rimango io con lei, se si sveglia, saliremo entrambe in camera»
«Sicura?» Alice annuì, semplicemente, sorridendogli. C’erano tante cose a cui doveva pensare, una tra tutte, cosa dire a Charlie per convincerlo a lasciare partire Bella.

Il giorno dopo, lo passarono a parlare del più e del meno, raccontandosi tutte le piccole e grandi cose che con la lontananza si erano perse. Non mancò una seduta di benessere tutta dedicata a Bella, che come una piccola cavia, sottostava alle mani esperte di Alice, decisa a rimetterla a nuovo.
Tutto questo fino a quando Charlie non rientrò dalla centrale. Alice aveva pensato bene di inscenare una gita fuori porta, tra ragazze. Una sorta di viaggio benessere, sotto il sole del Brasile. Era una mezza verità, secondo la vampira, infatti, era proprio a Rio De Janeiro che Edward aveva passato il periodo di lontananza da Bella. Rintanato in un sotto-tetto buio e umido, abbandonandosi del tutto alla sua natura.

Stavano appunto scendendo le scale, ridendo entrambe, quando Charlie comparve dalla porta. Le guardò di sottecchi, mal celando un sorriso beffardo sotto i baffi neri.
«Cos’avete da ridere voi due?»
«Oh… nulla, nulla! Papà, ti devo chiedere una cosa» Esclamò Bella. Non avrebbe mai pensato di riuscire a tornare quella che era stata. Né di poter affrontare tutto con un sorriso e, una forza, che sembrava non appartenerle. Le bastava voltare lo sguardo verso la sua migliore amica, per comprendere il motivo.
«Dimmi tutto, Bells»
«Ecco, Alice, oggi mi ha sottoposto ad una giornata intere di torture…»
Vide suo padre aggrottare le sopracciglia. «Torture?»
«Si… sai, creme, cremine, maschere, ceretta… ed alla fine, non contenta… ha decretato che…»
La curiosità sul volto di Charlie era alle stelle. Non sapeva se ridere o se rimanere all’erta.
«Che Bella ha un estremo bisogno di sole e di mare… e magari anche di qualche bel brasiliano»
«Alice!» la sgridò scherzosamente, Bella. Dovevano fare tutto il possibile per convincere Charlie che quella, altro non era che una bella vacanza tra amiche.
«b-b-brasiliano?» balbettò Charlie, sull’orlo di una risata.
«Si… No… cioè…»
«Con calma, a parole tue Bells» prese a prenderla in giro. Perfetto, ci mancava solo quello!
«Era una sottile allusione al Brasile, ecco.»
«Sì… brasile! Con i suoi ritmi caotici e allegri… le spiagge, il caldo…Ti prego Charlie, Ti prego!» prese a fargli gli occhioni Alice.
«Va bene allora! Ma dovrete farvi sentire, entrambe! Non pensate di uscire da quella porta e tornare dopo… bè non so quanto, senza nemmeno una telefonata!»
«Ma certo! E avrai anche il nome del nostro albergo e tutto il resto! Non devi preoccuparti, ho pensato a tutto io» esclamò euforica Alice.
«E allora… non mi resta che augurarvi una buona vacanza, mi pare!... oh.. ma… quand’è che partireste?»
«Bè… abbiamo trovato un last minute per domani… se per te va bene… potremmo prenotare subito e iniziare a fare le valige…» Spiegò speranzosa Bella… senza avere il coraggio di guardare il suo vecchio negli occhi.
«D-Domani? » chiese retoricamente, pensandoci su… Stava per controbattere quando alzò gli occhi e vide Alice, speranzosa e risoluta. In fondo, che problema c’era? Sua figlia era entrata in una crisi nera da cui sembrava non poterne più uscire… poi, Alice era comparsa alla loro porta e come una ventata d’aria fresca, aveva spazzato via la coltre di nubi dalle loro vite.
«Domani!» Acconsentì sereno. Non fece in tempo a dire nient’altro, che due pazze scalmanate gli saltarono al collo, urlanti di felicità.



Finalmente sono tornata! Scusatemi, ci ho messo una settimana buona per aggiornare! Purtroppo questa settimana non è stata delle più felici, per me, a livello personale. E poi, si sono susseguite un sacco di vicende che tutti ben conosciamo dai Telegiornali per cui il mio umore era davvero sotto le scarpe.
Non c'è bisogno che vi dica che sono vicina a tutti coloro che sono alle prese con quel terribile terremoto. Io, complice il non riuscire a dormire, quella notte ho sentito chiaramente il letto muoversi. Ed io, per studiare, sono a Siena, quindi ben distante dall'epicentro. Non oso pensare cosa significhi svegliarsi nel cuore della notte con tutti i mobili che traballano. 
E sono vicina ai parenti, agli amici e anche ai soli conoscenti della ragazza morta nell'attentato, a Brindisi. Così come lo sono a tutte le ragazze rimaste ferite. Non si può morire così, a sedici anni, per la follia di qualcuno a cui non sta bene il mondo in cui viviamo. Non si può.
Certe volte mi chiedo dove andremo a finire... E, forse, è meglio che questa domanda rimanga senza risposta.

Chiudo così, come dicevo questa settimana è stata troppo colma di eventi negativi... ed il mio morale è sotto terra. Vi ringrazio comunque tutte, e ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Quinta Parte ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il Futuro Può Sempre Cambiare.

.Quinta Parte.



L’aereo per Rio de Janeiro era in volo da ormai sette ore. Secondo le hostess, il capitano era ora impegnato nella manovra d’atterraggio motivo per cui, avrebbero dovuto riallacciare le cinture di sicurezza.

Bella guardava fuori dal finestrino, immaginando, oltre il buio della sera, ormai calata, il panorama mozza fiato del Brasile. Il mare, la terra ferma, le foreste e le spiagge… In qualche punto, sotto di loro, Edward era rintanato a fare chissà cosa. Secondo Alice, aveva impiegato la maggior parte del suo tempo a compiangere il loro amore impossibile. Si rese conto, in quel momento, che non le aveva più chiesto cosa sarebbe successo a quella visione mostruosa con cui l’aveva vista gettarsi dalla scogliera. Né, a tutte le sue conseguenze.
«Pensi… pensi che la Alice del presente avrà ancora quella mia visione?» le chiese titubante e sottovoce, per non farsi sentire dagli altri passeggeri. Ma Alice era tranquilla.
«Non ricordi, Bella? Il futuro, può sempre cambiare» le rispose sicura, mostrandole i vecchi giornali che le aveva riportato dal futuro. Bella prese la Forks Gazette tra le mani… rimanendo stupita, nel vedere il titolo di testa diverso.
«È cambiato poco prima che riprendessi conoscenza» continuò a spiegarle Alice, senza ricevere però nessuna risposta. Era troppo intenta a leggere quella nuova notizia, Bella: in prima pagina, svettava la notizia di un enorme Grizzly sulla statale per Seattle. Niente di preoccupante, solo qualche turista impaurito.
Sorrise.
«Grazie» disse solo. Non c’era bisogno di altre parole, tra loro.
 
«Sì, sì papà, siamo atterrate dieci minuti fa, adesso ci rechiamo in albergo. Ricordi come si chiama no?» Alice aveva fatto le cose in grande, per quel viaggio. Aveva prenotato per entrambe una suit in un grand albergo con tanto di spa annessa.
«Sì certo, ho tutto segnato. Allora, buon divertimento tesoro, ci sentiamo presto»
Charlie non era stato poi un grande problema. Per fortuna, era sera tardi ed Alice non correva il rischio di farsi scoprire. Arrivate nella loro camera d’albergo, vide la vampira tirare fuori da uno zaino quello che sembrava un palmare.
«Cosa vuoi farci?»
«Con questo? Oh, nulla è solo un piccolo gadget che mi sono portata indietro dal 2085… ricordi che nessuno di noi sapeva bene dove Edward si fosse rifugiato?»
Annuì, mesta. Purtroppo, ricordava bene quella parte della storia, ed ancora si chiedeva come avrebbero fatto a trovare una persona in una città con milioni di abitanti. Senza nemmeno avere uno straccio di indizio.
«Bè, - continuò Alice – ricorda anche, che l’unica cosa che ci teneva in contatto con Edward era un telefono…» Anche questo, purtroppo, lo ricordava. Era stata Rosalie, a chiamare Edward avvertendolo della sua morte.
«Ok… ma tutto questo cosa c’entra con quell’aggeggio?» domandò, esasperata.
«Semplice! Questo “aggeggio”, come lo chiami tu, una volta inseritovi il numero di cellulare di Edward, capterà le radiazioni elettromagnetiche dell’apparecchio, indicandoci il punto preciso di Rio, in cui si trova il nostro Romeo!»
Non ebbe il tempo di alzare lo sguardo verso quello di Bella, che quest’ultima le si era già gettata addosso «Ohhh Alice, Alice, Alice, tu sei un genio! Grazie, grazie, grazie!»
La risata cristallina della vampira si espanse per tutta la camera d’albergo in cui si erano sistemate. «Ad onor del vero, per questo, devi ringraziare il mio Jazz» esclamò, gongolante di felicità.
«Sarà fatto!» promise la ragazza.
«Bando alle ciance adesso, è ora di andare, la nostra macchina ci aspetta nel parcheggio dell’hotel»
«Abbiamo una macchina?» Le chiese Bella uscendo dalla camera guadagnandosi un’occhiataccia dalla vampira.

«Pensavi davvero che saremmo andate in giro su un taxi? Mentre ti rifocillavi, ho provveduto a noleggiare questa meraviglia. – le disse entrando in un’enorme Mercedes nera dai vetri oscurati -. Anche il giorno non sarà un problema!» finì soddisfatta.
All’interno dell’abitacolo, la tensione iniziò a farsi largo tra loro.
«Bella, c’è una cosa che devo dirti. Da quando sono tornata dal futuro, non ho più avuto visioni. Per questo, non ti so dire se Edward riuscirà a leggermi nella mente o se invece avremo l’effetto sorpresa dalla nostra parte. Per lo stesso motivo… non so dirti come prenderà la cosa, mi dispiace.»
Vide la ragazza, sul sedile del passeggero trattenere il fiato.
«Qualunque cosa ti dica, però, ricordati che lui ti ama. Ti ama di un amore matto e sconclusionato. Non vorrebbe mai vederti soffrire e tutto ciò che ha fatto, lo ha fatto perché pensava davvero che saresti stata in grado di rifarti una vita… con qualcuno migliore di lui»
Bella girò il viso dal lato del finestrino. Non voleva far vedere ad Alice la lacrima solitaria che aveva preso a scorrerle sulla guancia.
Pensare ad Edward non poteva che farle questo effetto.
«Lo so, Alice. So che Edward mi ama. In realtà io… credo di averlo sempre saputo».
Il viaggio proseguì silenzioso fino a quando Alice non accostò la macchina in un vicolo buio.

«Ci siamo. Il segnale porta proprio a questo palazzo.» Disse indicando un edificio di una decina di piani, sulla loro destra. «Ti accompagnerò fino ad Edward, poi, tu entrerai ed io rimarrò fuori. È inutile che ti dica che sei l’unica in grado di farlo ragionare, Bella. È sempre stato così, noi non avevamo alcun potere nemmeno allora. Credimi, ci abbiamo provato!»
Lo sguardo di Alice era tormentato. Bella dubitava che il senso di colpa l’avrebbe mai abbandonata così, fece l’unica cosa che le venne in mente: l’abbracciò, stretta.
«Comunque vada, Alice, ti voglio bene»
«Anche io, sorellina, per sempre»
 
Erano rimaste lei, ed un porta di legno, piccola e scura: la scena di un incubo o di un film dell'orrore. In quei film, varcare quella soglia significava andare in contro al nulla, all'oscurità, alla paura. Eppure, al contrario, quello che adesso la rendeva incapace di muoversi, era la consapevolezza. Era assolutamente certa che dietro quella porta ci fosse Edward.
Si chiese se lui riuscisse a sentire il suo cuore che batteva, frenetico. Si chiese se sentisse già il suo odore. Lei, aveva le mani ghiacciate, nonostante la temperatura tropicale. Tremavano e l’atmosfera, tutto attorno, era elettrica.

Migliaia di volte aveva immaginato di poter ritrovare Edward. Per dirgli quanto l’avesse fatta arrabbiare. Quanto lo detestasse per questo. Probabilmente non sarebbe riuscita a guardarlo in faccia senza evitare di piangere.
Probabilmente non sarebbe riuscita a non correre tra le sue braccia. Nel suo porto sicuro, per risentire ancora una volta il calore che solo a contatto con lui riusciva a raggiungerla fin dentro il cuore.
Aveva immaginato tutto così perfettamente che, adesso, vivere davvero quella situazione, le sembrava del tutto irreale.
Edward le aveva detto che avrebbe cercato delle consolazioni. Dei diversivi. Che l’avrebbe dimenticata. Invece, era rintanato in quel palazzo che assomigliava in tutto e per tutto ad una bettola. Era lì, Edward. Lo sapeva. Lo sentiva.
Fece ancora un passo, verso quella porticina. Dietro di essa, il suo destino. Sarebbe andata bene? Sarebbe andata male?
Non restava nient’altro da fare che, trovare tutto il coraggio che ancora aveva in corpo e bussare.
Il suono delle sue nocche sulla porta di legno fu debole, incerto, timoroso. Proprio come lei, in quel momento. Temette che neppure un vampiro sarebbe stato in grado di sentirlo quando, all’improvviso, la porta, di fronte a lei, si spalancò.

«B-Bella» le parole gli erano uscite come un sussurro. Erano troppi mesi, ormai, che non ne proferiva una tanto che non era nemmeno sicuro di averle pronunciate davvero. Forse, erano solo le allucinazioni del suo cervello a fargli sentire quell’odore così maledettamente buono e familiare. Quella stessa follia, gli aveva fatto sentire quel richiamo flebile, insicuro, incerto. Ed ora, meschine come solo delle allcinazioni possono essere, ecco che la presentavano a lui, bella come sempre. Bella come solo lei poteva essere.
Bella.
Chiuse gli occhi. Aveva paura che quella visione scomparisse da un momento all’altro.
Era impazzito del tutto, ne era certo. Perché, adesso, sentiva anche i palpiti del suo cuore, a contatto con la sua pelle fredda. Proprio all’altezza del suo petto, rimbombava deciso il suono di un martello lì, dove anche il suo, di cuore, avrebbe dovuto battere allo stesso modo.
«Se sono impazzito, se sei solo una visione, ti prego, non te ne andare» si ritrovò a pregarla, ad occhi chiusi. Gli bastava sentire il suo cuore. Il suo profumo. Le sue braccia, che lo stringevano come se fosse la cosa più importante al mondo.
«Sei un pazzo, Edward Cullen. Un pazzo. Ma io sono reale. Apri gli occhi, guardami!» lo esortò Bella. Come aveva immaginato, l’onda di emozioni provata nell’averlo di fronte era stata troppa. Non aveva potuto trattenersi e, non appena gli occhi lo avevano messo a fuoco, così bello, in tutto il suo dannato dolore, gli si era gettata addosso, stringendolo a lei così forte da farsi male. Petto contro petto, il suo cuore batteva forte, sembrava volesse battere anche per quello di Edward, immobile, in fondo al suo torace.
«Apri gli occhi, Edward. Sono qui. Sono io.» gli disse, ancora.
A quel punto, il vampiro aprì gli occhi e lei, poté di nuovo specchiarsi in quelle pozze… scure. Nere come la pece. Solo in quel momento, si rese conto delle condizioni del ragazzo. Gli occhi erano contornati da profonde occhiaie violacee. La pelle era bianca, diafana più del solito. E sembrava fragile, come se da un momento all’altro potesse sbriciolarsi.
«Cosa hai fatto, Edward?» gli chiese.
Già, cosa aveva fatto?
Se lo era chiesto più e più volte. E mai, mai aveva trovato una risposta. Era uno stupido, ecco cosa era. Aveva pensato che lei avrebbe potuto continuare la sua vita umana, senza di lui. Aveva sempre saputo di non essere abbastanza per lei e l’aveva allontanata. Come se fosse possibile, per lui, andare avanti. Lasciare Bella era stato difficile, mesi prima. Lottare contro la disperazione e la voglia di tornare implorante da lei, era stato ancora peggio. Non sapeva come aveva fatto a resistere tutto quel tempo. Ma ora, avendola di nuovo accanto, sotto i suoi occhi… piccola, fragile, eppure tanto determinata e risoluta, ora, era come se tutto il peso della sua mancanza gli fosse ripiombato addosso tanto da farlo crollare al pavimento, in ginocchio, con il volto premuto sul suo ventre, mentre l’abbracciava, stretta. «Scusa. Scusa. Scusa. Scusa. Scusa» Iniziò a implorare come una nenia, senza sosta.
L’avrebbe mai perdonato? Sarebbe mai riuscita a capire il motivo per cui l’aveva lasciata?
«Smettila, Edward».
No. La risposta era semplice. Come avrebbe potuto, mai, perdonarlo? E se anche l’avesse fatto, solo una stupida gli avrebbe riaffidato il suo cuore, dopo che lui l’aveva preso e stritolato, come se nulla fosse.
«Basta! Edward, smettila di tormentarti. Hai sbagliato. Lo so. Nessuno saprà mai quanto ti ho detestato. E quanto avrei voluto fartela pagare, per tutto il dolore che ho provato. Ma non è per questo che, ora, sono qui.» Fu in quel momento che lui alzò lo sguardo, incrociandolo ancora negli occhi color cioccolato della donna che da sempre e per sempre avrebbe amato. Non disse una parola. In attesa che lei continuasse.
«Se sono qui, adesso, è perché io non posso vivere senza di te. Ed avrei fatto una follia, non te lo nego. – Bella vide Edward serrare le mascelle, i nervi tesi in uno spasmo. – Ma, a volte, il destino ci concede un’altra opportunità. A me è stata concessa. A te, è stata concessa. Qualcuno, non deve aver accettato la miserabile fine che avremmo fatto. Se sono qui, adesso, è perché non accetto altre menzogne. È perché ho sempre saputo la verità. Sempre. Nonostante facesse troppo male pensarti, ogni volta, ogni singola volta che accadeva, prima che la consapevolezza della tua assenza mi spezzasse il fiato, nel cuore, sentivo ancora un briciolo di quel qualcosa che ci ha sempre unito.
Se sono qui, Edward, è perché non posso credere che l’amore non basti. Perché non posso credere che esista qualcosa di migliore. Perché so cosa voglio e sono determinata ad andare contro tutto e contro tutti, anche contro la tua testardaggine. Perché, tutto ciò che voglio, tutto ciò che mi basta per sorridere ancora, per andare avanti, per dimenticare quel dolore, sei tu» Non ebbe il tempo di riprendere il fiato da quel suo lungo discorso. Né di chiedersi se fosse riuscita a scalfire la testa dura che si ritrovava di fronte che, si ritrovò le sue labbra sulle sue.
Era un bacio devastato dal dolore. Era un bacio arrabbiato e calmo, prepotente e docile, sconfitto e vittorioso. Tutto allo stesso tempo. Era anche dolce e passionale. Ma, soprattutto, era diverso, tremendamente diverso da quel bacio d’addio che le aveva dato mesi prima.
Era un ricongiungersi. Con il corpo, con l’anima, con il cuore.
«Ho capito di amarti il giorno in cui ho temuto di perderti, schiacciata da quel furgone. Ho coltivato quell’amore, egoisticamente, per tutti i mesi in cui mi hai donato te stessa. Poi, gli sono andato contro, meschino, pensando di poter essere più forte anche di quel sentimento così puro. Ho devastato entrambi con la scusa di averlo fatto per te, per amore, per il tuo futuro. Ho peccato contro quel sentimento ed ho peccato contro di te. Probabilmente non saprò mai il motivo per cui tu mi abbia perdonato ma credimi, Bella, il solo motivo che mi ha tenuto ancorato a questa terra è stato il fatto di saperti parte di essa. Non posso vivere senza di te. Non conosco il modo e non ne sono capace. Perché la vita va onorata in ogni suo giorno, ed io non posso onorare la mia, se tu non sei con me. Non posso perché la mia vita è tua, ti appartiene e sempre ti apparterrà.»
Non riuscì a fermare le lacrime, che premevano per uscire, appannandole la vista.
Rimasero così, uno tra le braccia dell’altro, ancora increduli di essere finalmente dove avrebbero voluto. Non seppero mai quanto tempo passarono in ginocchio, su quel pavimento. Probabilmente sarebbero rimasti così per ancora molto tempo, se, da dietro la porta, un folletto scalpitante dalla gioia, non avesse fatto il suo ingresso.
«Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo! Certo che siete di una smanceria quando vi ci mettete! Ok, ok, avete ragione! Avete da recuperare mesi e mesi di arretrati ma, per favore, muoviamoci!»
«Alice!» urlarono entrambi. Bella scocciata, Edward incredulo.
«Prima che tu dica niente, Edward: Sì, sono stata io a portare qui Bella. No, non ho disobbedito perché tecnicamente la me del 2005 è ancora ad Itacha. E... Ah giusto sì, prego, non ce di che!»

Forse una delle conseguenze all’interferire con il continuo spazio/temporale era che, da quel momento, il mondo avrebbe cominciato a girare al contrario. Non c’era altra spiegazione al fatto che, senza neppure sbiascicare mezza parola, Edward si fosse alzato e l’avesse abbracciata stretta, segno di tutta la sua riconoscenza.
Qualunque cosa fosse successa, non le importò: In quel momento, in quella stanza lugubre di Rio, Alice aveva finalmente realizzato il suo sogno, la sua missione: Edward e Bella erano vivi, salvi e, soprattutto, uniti più che mai.
Poteva tornare indietro, nel futuro.




Eccomi qui, finalmente i nostri piccioncini si sono riuniti! E bè, ve l'ho sempre detto che non sarebbe stata una storia molto lunga. Infatti, siamo arrivati alla fine... o, meglio, a quella che sento come tale.
Il "vissero tutti felici e contenti" delle fiabe. Che lascia spazio alla fantasia di immaginare ogni altro possibile scenario. Ed infatti, è qui che si aprono tutte le varie domande.
Che succedera adesso? 
Torneranno tutti a forks, naturalmente.
Alice incontrerà la se stessa del presente?
Come faranno i Cullen a scoprire tutti questi avvenimenti?
Sveleranno loro del viaggio nel tempo? 
Edward? Sarà sempre il solito zuccone? O davvero è cambiato profondamente? 
Come continuerà la loro storia? 
Tutto e lecito e tutto è possibile...E dal momento che non ho alcuna voglia di abbandonare così la mia storia e i miei ragazzi, a questo aspettato lieto fine seguirà un extra... o più extra. Se volete, potete anche darmi qualche spunto... cosa vorreste scoprire, più di tutto? 
Da qui in poi, è tutto ancora da scrivere.. anche se ho già più di un'idea!

Fatemi concludere ringraziando ancora tutte le stupende ragazze che mi hanno accompagnata in questo (breve) viaggio, incoraggiandomi ogni volta a proseguire. Spero davvero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, almeno un poco! Io, non avrei potuto immaginarlo diversamente... nella mia testa, il loro ricongiungersi non poteva avvenire che in questo modo. 
Per me, Edward e Bella sono l'emblema dell'amore. Che sia folle, stupido, masochista.. ma, Amore. 
Ok, la smetto di parlare, vi ringrazio ancora per essere arrivati fin qui,
bacioni,
Miky.
 

 

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Capitolo 7
*** Sesta Parte ***


----BACK TO THE FUTURE----
.Il futuro può sempre cambiare.

.Sesta Parte.


Da quel giorno, era ormai passata una settimana.
Avevano deciso di rimanere in Brasile, gustandosi appieno la loro vacanza ma, il loro soggiorno si era spostato a largo delle coste di Rio. A quanto pareva, quell’isola era un dono di Carlisle alla sua compagna, visto che si chiamava “Isola Esme”.
I giorni passarono veloci, ognuno recuperando un po’ di ciò che aveva creduto perso per sempre: L’amore per la propria metà. L’affetto di un fratello. La complicità di un’amica.
La speranza nel futuro.

Dopo dieci giorni fatti di sole, mare e tanto relax, erano di nuovo su un aereo che, questa volta, li riportava a casa. Alice sarebbe ripartita di lì a poco anche se le dispiaceva, non aveva più senso restare in quel passato.
Avevano stabilito che, non appena avessero toccato il suolo dello stato di Washington, avrebbero richiamato i Cullen. Era giusto che tutto tornasse alla normalità.

C’era solo una cosa che tormentava Edward e Bella e, sfortunatamente, Alice non aveva potuto aiutarli: Charlie.
Sapevano entrambi che suo padre non avrebbe perdonato Edward tanto facilmente, anzi. Bella ricordava fin troppo bene la rabbia che provava nei suoi confronti. Per non parlare di quando voleva andare a cercarlo in capo al mondo, solo per dargli una lezione…
Cosa avrebbe fatto, adesso?
Sarebbe riuscito a comprendere? L’avrebbe fatto, per lei? Perché lei sapeva fin troppo bene che non avrebbe potuto vivere, senza Edward. Per questo, non poteva nemmeno immaginare che suo padre la obbligasse ad una scelta.

Edward, non era in condizioni migliori. Per tutto il tempo del viaggio, era stato assorto nei suoi pensieri. Conosceva bene Charlie, grazie al suo dono. Sapeva quanto ci tenesse a sua figlia e comprendeva la rabbia che provava nei suoi riguardi.
Quando anche lui era stato umano, una ragazza sarebbe stata disonorata per molto meno rispetto a quanto c’era stato tra loro, mesi prima. Fare in modo che questo non accadesse era compito del padre della ragazza. Educarla e crescerla con la dovuta compostezza, scegliere per lei un buon compagno, un buon marito e un buon padre per i suoi futuri figli erano tutti compiti e doveri che spettavano al buon padre di famiglia. Se un ragazzo nutriva particolari interessi verso una fanciulla, era al padre della stessa che doveva chiedere la mano. Solo se questo avesse acconsentito, avrebbe potuto avvicinarsi alla giovane.
Era così che andava. E, per certi versi, era giusto. Adesso le cose erano cambiate. Il mondo era diventato molto più libertino ma, Charlie… Lui teneva a sua figlia quanto e più avrebbe fatto un genitore, nel lontano 1918. L’aveva sempre lasciata libera, ma non avrebbe mai sopportato che qualcuno ferisse la sua bambina. Non avrebbe mai potuto perdonarlo.
Era normale e non avrebbe potuto biasimare Charlie se avesse deciso di allontanarlo da Bella. D’altro canto, però, non avrebbe più potuto rinunciare a lei.

Persi nei loro pensieri, entrambi non si resero conto che l’aereo era ormai atterrato e che la gente si apprestava a scendere dal velivolo.
«Iuuuuuh piccioncini? Terra chiama Edward e Bella! Avanti! È ora di scendere!» Alice non doveva avere le loro stesse preoccupazioni, a quanto pareva. Per un attimo, entrambi la invidiarono. Sembrava irrorare tranquillità da ogni poro, mentre loro erano un fascio di nervi.
Edward fu il primo ad alzarsi, porgendo una mano a Bella, al suo fianco.
«Andiamo» disse solo, serio come non lo era da giorni, ormai.

«È possibile che siate entrambi così fifoni? Avanti! Bella, è tuo padre! Qualunque cosa dirà o farà, sarà dettata dalla sorpresa… poi gli passerà e non potrà che essere felice, vedendoti felice a tua volta. Certo, lo zuccone qui presente si sorbirà una bella strigliata ma, diciamocelo, se la merita tutta» finì strizzandole l’occhietto vispo e riservando a Edward - che le mandava occhiate dallo specchietto retrovisore - una linguaccia.
Il viaggio in auto, grazie alla guida del tutto folle del ragazzo, era durato solo mezz’ora tanto che erano già arrivati a Forks. Alice, si sarebbe fermata nella loro vecchia casa, per dare loro il tempo di chiarirsi con Charlie. Li avrebbe raggiunti più tardi, per poterli salutare, prima di partire.

Da quando avevano lasciato la vampira, la tensione era arrivata alle stelle tanto che l’aria sembrava elettrica all’interno dell’abitacolo. Sentì il suo cuore martellarle furioso nel petto per tutto il breve tragitto che la separava da casa. Edward non era in condizioni migliori, visto che stringeva il volante così forte da farsi venire le nocche bianche.
«Speriamo bene» sussurrò Bella mentre scendeva dall’auto che si era appena fermata. Sapeva che Charlie era in casa perché la macchina di servizio era al suo posto, nel vialetto. Pochi istanti dopo, infatti, la porta di casa si spalancò, rivelando un allegro Charlie, dall’altra parte dell’uscio.

Riusciva a vedere sul volto di suo padre ogni emozione nel momento esatto che lo attraversava.
Al sorriso allegro con cui aveva aperto la porta pronto ad accoglierla, era seguita un’occhiata incredula quando, allargando il campo visivo fino alla macchina, aveva visto Edward, in piedi, in attesa. I due si erano riservati una lunga occhiata. Edward sembrava una maschera di cera, tanto era immobile: Un condannato che aspetta la sua sentenza.
E suo padre… alle labbra spalancate in una “O” muta, era seguita la mascella contratta, con uno sguardo aggrottato e cupo. Il volto allegro e sorridente di poco prima era solo un ricordo, Charlie era diventato rosso dalla rabbia.
Non sapeva come risolvere la situazione… così, finì inevitabilmente per fare la cosa più stupida in assoluto: parlargli.
«Papà! Ciao! Ecco, scusami se non ti ho avvertito ma… in Brasile… ecco bé… abbiamo trovato Ed..» Pensava che non la stesse nemmeno ascoltando quando, proprio mentre stava per pronunciare il nome del suo ragazzo, Charlie si riscosse.
«NON. DIRE. UNA. PAROLA.» tuonò, imperioso, tanto da non riconoscere neppure la sua voce. Davvero aveva urlato a qual modo? Non aveva mai urlato così. Neppure quando Reneè se n’era andata, portando con sé sua figlia.
Ma ora? Come poteva non urlare ora, dopo che quel lurido verme che gli era di fronte aveva ancora il coraggio di farsi vedere, come se nulla fosse. Come poteva perdonarlo? Aveva visto sua figlia morire giorno dopo giorno. L’aveva vista apatica e dimagrita. Senza neppure la forza di alzarsi dal suo letto. L’aveva vista digiunare per giorni e urlare ogni singola notte, nel sonno. L’aveva vista ridursi lo spettro di se stessa.
Cosa credeva di fare, Bella? Tornare a casa, con lui, improvvisamente bene, improvvisamente sana… e dirgli “Scusa papà, è stato tutto uno scherzo!”?
«TU! NON OSARE METTERE ANCORA PIEDE IN CASA MIA, SONO STATO CHIARO?!?»
«Papà, ti prego, calmati!» tentò ancora, allarmata. Posandogli una mano su un braccio, come per calmarlo.
«CALMATI UN CORNO, BELLA! TU NON FREQUENTERAI DI NUOVO QUESTO RAGAZZO. TE LO PUOI SCORDARE. IO TE LO PROIBISCO».
Mollò di colpo la presa, abbassando la testa. «T-Tu me lo p-proibisci?» Balbettò.
Come poteva arrivare a tanto? Insomma, non lo vedeva? Non lo riusciva proprio a vedere quanto era felice, di nuovo? Era così difficile accettare e perdonare? Dimenticando tutto?
«Esatto. Hai capito bene. Non vedrai più questo ragazzo fintanto che starai sotto il mio stesso tetto. Come puoi fidarti ancora di Lui, eh? Se n’è andato Bella! Chi ti dice che non lo farà ancora?» Parlava come se Edward non fosse presente. Come se le sue fossero le uniche ragioni. E come se fosse scontato che lei avrebbe acconsentito a tutto.

«SAI COSA TI DICO, PAPÀ? CHE SONO STUFA! STUFA DI SENTIRMI DIRE COSA È MEGLIO PER ME. SAI UNA COSA? SEI COME LUI!» Charlie indietreggiò, colto nel segno. Come poteva anche solo paragonarlo a lui?
«Pensate davvero che io non sappia prendere le mie decisioni? – continuò abbassando il tono della voce – Bè, vi stupirò entrambi, io la mia decisione l’ho sempre saputa. Per me, il meglio era ed è Edward. Allora come adesso. Mesi fa, lui ha deciso per me, andandosene. Adesso, credi davvero che lascerò decidere te, papà, per la mia vita? Sai benissimo come mi ero ridotta. E sai benissimo cosa sceglierò».
«Bella – per la prima volta Edward s’intromise nella loro discussione – è tuo padre, non farlo» Aveva capito dove la ragazza stesse arrivando e non voleva. In qualche modo, la situazione si sarebbe risolta ma lei non doveva rinunciare all’affetto di un genitore. Non per lui.
«Sta zitto, Edward! Ce l’ho anche con te! Ti amo, e lo sai. Ma questa è la mia vita. Ed io, soltanto io posso decidere cosa farne. Se me la rovinerò, saranno problemi miei. Non dicerto tuoi. O suoi.» Finì ancora una volta rivolta a suo padre che adesso la guardava, basito, mentre si allontanava dentro casa.
«Dove credi di andare, ragazzina? Non abbiamo ancora finito!»
«Oh, abbiamo finito, invece. Hai detto che non posso vederlo fintanto che rimango in questa casa… Me ne vado. Faccio le valige e vado via».

Qualche istante dopo, mentre raccattava la sua roba, sentì due mani calde posarsi sulle sue, fermandola, e voltandola nella propria direzione.
«Non voglio più vederti in quello stato, lo capisci?» Sussurrò, questa volta con la voce calma e rassicurante che tante volte, in quei mesi, l’aveva aiutata a smettere di piangere.
«Lo so, papà. E proprio per questo, per favore, comprendimi. Tu lo sai… sai cosa si prova nel venire abbandonati. E credo che tu avresti perdonato Reneé sempre e comunque se solo lei fosse tornata». A quel punto, sentì le braccia di suo padre circondarle le spalle e stringerla al petto.
Non era semplice accettare tutto, per Charlie. Tuttavia, sarebbe stato molto peggio perdere sua figlia di nuovo. La sua unica famiglia. L’unica ragione per cui tutto aveva senso. Quando Reneè l’aveva lasciato, portandosela via, era stato come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Vederla solo due settimane l’anno, con la consapevolezza che lei avrebbe preferito essere al mare, con i suoi amici, piuttosto che nella fredda e piovosa Forks, era stato devastante. Poi, a diciassette anni, lei aveva deciso di trasferirsi… e lui, lui aveva giurato a se stesso che non l’avrebbe più lasciata andare via. Avrebbe fatto funzionare le cose. Era la sua opportunità di essere padre. La stessa che Reneé gli aveva strappato via diciotto anni prima.

«Sei sempre stata così saggia?» mormorò accarezzandole i capelli.
«Non sempre… ma rifarei tutto daccapo». Era felice che suo padre avesse finalmente capito. Per un attimo, nel loro litigio, aveva davvero temuto di aver incrinato per sempre il loro rapporto e c’era stata male, anche se aveva mostrato il contrario. Eppure, Charlie, chissà come o perché era riuscito a mettere al primo posto loro due, piuttosto che il rancore nei confronti di Edward.
«Scendiamo, quel ragazzo è ancora fuori, non mi sembra giusto farlo attendere ancora». Aveva davvero sentito quelle parole? Non ne era troppo sicura ma si fidò ugualmente del suo istinto.
«Oh papà! Grazie, grazie, grazie!» cantilenò stritolandolo in un abbraccio.
«Calma, calma Bells, devo parlare con lui e, sta pur certa, quello che gli dirò non gli piacerà!» Ma, il suo volto non era più la maschera di rancore di poco prima. Era tornato il suo vecchio brontolone… non poté che sorridere.
«Andiamo!»

Alla fine, dopo innumerevoli raccomandazioni, lei ed Edward erano riusciti a spuntare una sorta di tregua con Charlie. Edward avrebbe ancora dovuto dimostrare di non essere più il testone di qualche mese prima e, soprattutto, testuale: “invece di scappare, devi imparare a dialogare e ad ascoltare, ragazzo”.
E ancora: “Nessuno può sapere cosa ti passa nella testa, e non è giusto che, per questo, chi ti è accanto ne paghi le conseguenze.”
Piuttosto che un: “Che ti piaccia o meno, le decisioni vanno prese in due: È questo che rende due persone una coppia, non un bacio e chissà cos’altro”. Quest’ultima frase, era stata in grado di far diventare Bella color pomodoro. Bello maturo.
«Voglio essere chiaro – disse infine – falla soffrire ancora una volta e ti giuro, potrai andartene anche al polo nord… vengo, ti prendo, ti riporto di peso qui e trovo il modo per fartela pagare».
Edward, era diventato se possibile ancora più bianco. Il che era tutto dire.
«Le garantisco che non si presenterà un’altra volta tale occasione, Signore»
Charlie annuì, soddisfatto.
«Perfetto. Adesso, credo che sia l’ora della mia partita di Baseball in tv…. Ah un’ultima cosa, quasi dimenticavo!» iniziò serio, facendo trattenere il fiato ai due ragazzi.
«Bentornati a casa, figlioli». Edward si aprì in un sorriso. Bella urlò un “papà mi avevi fatto preoccupare!” prima di saltargli addosso. E lui, finalmente, diede libero sfogo alla sua allegria.

Proprio in quel momento, qualcuno suonò alla porta.
«Alice! Mi chiedevo che fine avessi fatto, ragazza!» Annunciò felice Charlie, dall’ingresso.
«Bè, a dire il vero Charlie, ero a fare le valigie… devo tornare ad Ithaca per annunciare a tutti del trasferimento!» Mentì la ragazza. In realtà, il suo viaggio sarebbe stato un tantino differente… ma questo Charlie non doveva saperlo.



Eccomi qui. Scusate se c'ho messo un po' ad aggiornare, ma vedete, sono in piena sessione estiva e, cosa non da poco, l'ispirazione tardava ad arrivare... Oggi, però, ho scritto tutto di getto questo "capitolo/1°extra". Spero che vi sia piaciuto! Nel prossimo, vediamo cosa combineranno con i Cullen... e magari ci spostiamo un po' nel futuro! Ho un'idea carina in testa... devo solo trovare il modo di renderla fattibile xD!
Ci tengo a ringraziare chi mi segue, chi legge la mia storia, e chi continua a recensire! Questa storia è soprattuto per voi, ragazze!
Un bacione, Miky.

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