L'inseparabile me di Belt4 (/viewuser.php?uid=193259)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni. ***
Capitolo 2: *** Incubi. ***
Capitolo 3: *** Realtà? ***
Capitolo 1 *** Sogni. ***
Sogni
Era coperta
di sangue, sentiva una strana sensazione di freddo fino alle ossa, la testa le
girava e le doleva tutto il corpo. In modo inspiegabile, però, lo sentiva
lontano da se stessa, assorta com’era, con gli occhi fissi su quel corpo che
aveva esalato il suo ultimo respiro in un grido. “ Mamma…” Incapace di parlare
continuava a ripeterlo all’infinito nella sua testa. “Mamma, mamma, mamma,
mamma, mamma!” Non una lacrima, non una parola, non un tremito. Era
completamente incapace di far niente se non sperare che si svegliasse, aprisse
gli occhi e la portasse via tra le sue braccia. Lei, di rimando, la fissava con
uno sguardo gelido e il viso rigato dalle lacrime era immerso in una pozza di
sangue che usciva dal foro al centro della tempia destra. Mentre continuava a
chiamarla intensamente con la mente, percepì un tremore lontano che si faceva
sempre più forte, come un terremoto. Il viso della sua mamma iniziò ad
offuscarsi e, per la prima volta dallo sparo, si guardò intorno. La stanza pure
iniziava ad offuscarsi, le pareti a muoversi e le persone pian piano si
allontanavano, come risucchiate da un vortice, fino a sparire. Di nuovo il
tremore e poi aprì gli occhi. Il cellulare stava squillando. Di colpo Anita
ritornò alla realtà e ricordò che era sabato pomeriggio e che si era
addormentata profondamente subito dopo pranzo. Sarebbe dovuta uscire con
Margherita che le aveva chiesto compagnia per andare a fare shopping quel
pomeriggio, ma guardando fuori dalla finestra si rese conto che era già buio e
quindi troppo tardi per le compere e che forse aveva appena il tempo di
prepararsi per incontrarsi con le amiche per la serata. Il cellulare aveva
smesso di suonare quasi subito dopo il brusco risveglio e così non era arrivata
a rispondere e quasi se ne dimenticò, presa dal pensiero di essersi dimenticata
di tutti e tutto per l’ennesima volta, ma passò meno di un minuto prima che
ricominciasse a squillare. Rispose subito e fece per alzarsi dal letto.
< Sì,
scusami tanto, mi sono addormentata di sasso! Allora che si fa stasera?> Era
ancora troppo avvolta dal mondo dei sogni per capire che non erano né Luisa né
Margherita, due delle sue migliori amiche, al telefono. Dall’altra parte sentì
un sospiro di sollievo.
Solo allora si rese conto che non aveva idea di chi
fosse e che era persino una voce maschile, dal tono un po’ perplesso. Dopo un
breve silenzio, ingoiò la figuraccia che aveva fatto e rispose allo
sconosciuto.
< Sì, sono
io. Con chi parlo, scusi?>
< Sono un
tuo vecchio amico, ma non ti puoi ricordare. Ti ho chiamata perché è molto
probabile che tu faccia un incontro non gradito. Cerca di non uscire, o se
proprio devi resta sempre in posti affollati e non ti isolare mai, mi raccomando.
Ciao.>
Non le aveva
dato il tempo di replicare, di fargli neanche una domanda o semplicemente
rispondere al saluto e non si era presentato. La sua voce, però, le era
familiare, molto calda, grave, sicura e soprattutto ferma, al limite tra
educazione e autorevolezza. Aveva parlato molto chiaramente, ma senza spazi,
tutto d’un fiato, come se fossero parole scritte su un copione e ripetute in
fretta per togliersi il pensiero. L’irritazione iniziale passò dopo aver
realizzato che probabilmente era solo uno dei soliti scherzi telefonici, anche
se un po’ fuori dal comune. Cercò di concentrarsi sulla voce, per riconoscerla,
ma la portava solo al ricordo del sogno che aveva fatto. Spezzoni di quella
tragedia inventata dalla sua mente ingegnosa, che rendevano Anita molto
orgogliosa di se stessa, continuavano a susseguirsi nella sua testa. Pensava
sempre che avrebbe potuto ricamarci sopra una storia e scriverci un libro,
tanto era chiaro e forte che non sembrava neanche un sogno, ma la pura realtà.
Era l’unico, inoltre, che faceva ormai da due anni. All’inizio la spaventava,
perché era troppo realistico, persino nei luoghi e colori, ma soprattutto per
l’intensità dell’affetto che lei provava per quella donna morta. Spesso, una
volta sveglia, si ritrovava a piangere, per riaversi subito dopo aver
realizzato che la sua vera madre era tranquilla, viva e vegeta che dormiva al
fianco di suo padre, a due camere di distanza. Superata una prima fase di
profondo shock, il sogno la gasò a tal punto che iniziò a fantasticarci una
storia abbastanza intricante. Sì stupì parecchio della sua fantasia,
considerato che non era una ragazza particolarmente fantasiosa, e se ne vantava
ogni volta che ne aveva la possibilità. Tornò per un istante al mondo reale e pensando
a Margherita, a cui aveva dato buca e che probabilmente era furiosa, guardò il
cellulare, chiedendosi che ora fosse. Notò che aveva sei chiamate perse e si
agitò ancora di più. Erano tutte di uno stesso numero sconosciuto, ma non
anonimo. Al giorno d’oggi la gente non sa
proprio come si fanno gli scherzi telefonici, pensò. C’era anche un
messaggio di Luisa, ma per fortuna niente da parte di Margherita, perciò non le
aveva propriamente dato buca: era lei che non si era fatta sentire. Era
comunque in ritardo per l’appuntamento serale. Il messaggio di Luisa diceva che
si erano organizzate per vedersi in piazza alle 9, erano già le 8.30 e doveva
ancora svegliarsi, farsi la doccia e raggiungere le altre. Si alzò troppo
velocemente, il che le provoco un giramento di testa, per poi infilarsi in
fretta e furia sotto la doccia. Sapeva che se fosse arrivata tardi anche quella
sera non l’avrebbero aspettata, ma era lo stesso convinta che non fosse colpa
sua. In fondo lei ce l’aveva messa tutta per essere puntuale! Appena arrivata
Margherita e Luisa se avessero potuto l’avrebbero uccisa e le sue misere difese
erano del tutto inutili. Le aveva fatte aspettare per una buona mezz’ora, e
nonostante per lei fosse un record, loro non erano dello stesso avviso.
< Se
evitaste di mettervi i tacchi e portaste delle scarpe comode e basse, come me,
non avreste problemi nell’aspettare per un po’ un’amica ritardataria e vi
godreste di più la serata.> Dopo essersi sfogata, Luisa aveva rinunciato, ma
Margherita non aveva nessuna intenzione di smettere di discutere e così Anita era
passata al contrattacco. L’attacco è la miglior difesa infondo!
< Se TU
evitassi di farci aspettare almeno mezz’ora all’in piedi TUTTI i sabati sera,
noi eviteremmo di soffrire.> Niente da fare, era troppo dalla parte del
torto per poter uscire illesa da quella situazione, l’unica via di scampo che
aveva era porre la discussione su un tono più scherzoso che Margherita prese
subito al volo. Anita non amava litigare con le sue amiche, ma a volte le
capitava di uscire completamente dal mondo e si dimenticava di qualunque cosa,
facendole infuriare. Per sua fortuna, però, quella sera c’era una certa
atmosfera elettrica intorno a lei, e le ragazze iniziarono a parlare della
grande novità, dimenticandosi di quanto era appena successo.
< Insomma,
abbiamo capito che questo tipo è un gran figo, ma se non mi sbaglio è un
casanova bello e buono!> Luisa ormai da quando si era fatta fidanzata vedeva
tutti gli altri ragazzi con occhi diversi e nessuno era ormai degno di essere
chiamato ragazzo se non il suo francesino. In effetti era stata piuttosto
fortunata a trovare un ragazzo come lui: ogni sua singola cellula era presa da
lei e, nonostante questo, riusciva a non essere assillante. Poi era simpatico,
carino (anche se Anita non riusciva a trovarlo molto affascinante), faceva
stare bene Luisa e lei era felice. Anita non chiedeva altro, e anche Margherita
e Celeste, una loro compagna di classe, erano contente di vedere Luisa così, ma
ciò non toglieva che anche loro cercassero qualcuno che assomigliasse al loro
principe azzurro.
< Tu trovi
sempre qualche difetto a tutti, ma non ti illudere perché anche il tuo
cavaliere ha i suoi difetti!> Anita cercava sempre di andare contro di lui.
Non era gelosia, era proprio una questione di possessività. Vedeva la sua dolce
Luisa in preda al lupo cattivo e cercava di difenderla, nonostante il lupo poi
si fosse rivelato un semplice cucciolo in cerca di coccole.
<
Naturalmente, ma con un casanova tu non riusciresti a stare per più di cinque
secondi prima di sbroccare.> Disse Luisa alzando gli occhi al cielo. Anita
fece spallucce.
< Mmmm…
può darsi. Fatto sta che non l’ho neanche visto io sto tipo!> Celeste
scoppiò a ridere, Luisa si passò una mano sul volto e Margherita fissava Anita
con la bocca spalancata.
< Chiudi
la bocca o ti entreranno i moscerini Marghe.> Disse Anita con una certa aria di sufficienza.
< Non
riesco a credere che non l’hai visto!> Ma lei rimaneva ferma, e fissava
Margherita con l’aria di chi cade dalle nuvole.
< Dai!! È
il nuovo ragazzo che si allena nella nostra palestra. Lapo mi ha detto che è
addirittura più forte di lui. Dovresti vedere che fisico, ma soprattutto il
fascino che emana dalle labbra… è qualcosa di magnetico.> Stavolta era Anita
ad essere rimasta senza parole, aveva sempre chiamato Lapo “Mr. Muscolo”,
convinta che in pochi potessero vantare di essere più forti di lui. Non
riusciva a immaginare qualcuno più forte di lui. Mentre Margherita continuava a
parlare di Mr. Fascino, lei si convinse che Lapo era comunque imbattibile: la
sua forza risiedeva anche nel suo carattere.
< Lo
stomaco inizia a reclamare ciò che gli spetta, qual è il menu di stasera?
Crepes, pizza o panino?> Disse Celeste, per niente interessata ai nostri
discorsi.
< Quando
lo stomaco chiama, Celeste risponde!> Luisa mise un braccio sulle spalle di
Celeste, ridendo e iniziò a camminare in direzione della pizzeria più costosa
della città, che, famosa per la grandezza delle sue pizze, era stata denominata
“La Pizzeria Spaziale”.
< Ho
chiamato l’altro ieri sera per trovare un tavolo per quattro libero e l’ho prenotato
al volo. Siamo state fortunate che una famiglia alla fine non è potuta venire e
si è liberato quel tavolo.>
< Ma sei
matta Luisa? Va bene che avete fame, ma non sarà un po’ troppo? E poi ho
portato solo quindici euro e rimarrei completamente senza soldi.> Anita non
aveva molta fame dopo il sonno agitato che aveva fatto nel pomeriggio e non le
attirava molto l’idea di spendere tutti quei soldi per poi lasciare più di metà
pizza. Margherita però con un sorriso malizioso, le lanciò uno sguardo con la
quale le fece capire che non erano lì né per la pizza né per i soldi, e la
prese sottobraccio.
< Indovina
indovinello chi lavora qui?>
< Non ci
credo. Siete qui per rimorchiare!!> Ridendo entrarono nella pizzeria che,
doveva ammetterlo, era molto accogliente e l’arredamento moderno e un po’
“spaziale” rendeva quel posto unico. Le pareti, infatti, erano tutte blu e un
lampadario a forma di sole girava al centro del tetto. I tavoli inoltre erano
di diversi colori e avevano tutti delle forme strane, alcuni rotondi, altri ad
“s” e pochi quadrati o rettangolari, e persino di altezze diverse, alcuni erano
altissimi e con loro anche le sedie lo erano, altri erano normali e altri
ancora erano bassi e le sedie erano dei divani senza piedi. Quelli erano i loro
preferiti, anche se stare a gambe incrociate faceva addormentare i piedi e si
alzavano sempre con le gambe un po’ indolenzite. Quella volta però in loro
tavolo era uno dei più alti e in un certo senso ne furono sollevate. Una volta
sistemate, un cameriere le raggiunse, ma si poteva dire tutto di lui tranne che
fosse carino. Le ragazze ne rimasero deluse, e iniziarono a scrutare l’intero
locale, in cerca della loro preda.
< Luisa
meno male che il tuo ragazzo è quello perfetto!> Anita cercava sempre di
sfoggiare un aria di superiorità, perché lei non cercava mai i ragazzi, era più
una da attrazione al primo sguardo. Se poi il ragazzo si rivelava abbastanza
affascinante, lei si scioglieva.
< Il fatto
che il mio lui sia assolutamente perfetto per me non mi impedisce di guardare,
ammirare o complimentarmi con la madre di altri ragazzi.> Scoppiarono tutte
in una sonora risata, catturando lo sguardo di tutti. In quel momento Anita
scorse uno dei camerieri correre verso le cucine, ma non riuscì a vederlo in
volto. Venne poi distratta da Celeste che iniziò a raccontarle di un libro che
aveva appena finito di leggere.
< Lunedì
te lo porto a scuola, così lo leggi anche tu. È assolutamente fantastico, io ne
sono rimasta incantata. Devi leggerlo!> Le ripeté la stessa frase una decina
di volte, interrompendosi con alcune descrizioni del libro, anche se poi si
fermava dicendo: < Però non vado oltre o ti rovinerò la storia.> Ma ormai
era arrivata a raccontare tutta la parte iniziale e forse anche di più. La voce
di Celeste era così entusiasta, il tono così acuto e le sue parole così
ripetitive che cominciarono a ronzare nella testa di Anita, come a formare un
turbine. A quelle di Celeste si univano altre voci, tante, troppe, troppo
confusionarie e troppo alte. Tutto ciò le provocò una sensazione stranissima e
inspiegabile, come se la sua vista, il suo udito e tutti i suoi sensi insieme
si dividessero in tante parti, in ogni angolo del locale. Poi una fitta. Un
dolore così forte che Anita fu costretta a tenersi la testa con le mani, mentre
tutto tornava al suo posto. Non aveva mai provato niente di simile. Che confusione!
< Troppa
matematica. Ascoltami è meglio se ti prendi una pausa di riflessione con la
scuola. Il vostro rapporto è troppo teso in questo periodo. Vedi cosa ti fa
starle troppo dietro? Dai che non si offende!> Margherita non era fatta per
le situazioni troppo serie e cercare di sdrammatizzare per lei era un bisogno.
< Questo è
da vedere.> Disse Luisa dopo essersi schiarita la voce.
< Guai a
chi ti tocca la scuola!> Disse Margherita mostrando le mani in segno di
resa.
< E
comunque non mi sembra il momento di fare battute del genere Marghe. Non vedi
che Anita è davvero sconvolta?> La voce di Luisa indicava che si era
spaventata molto, ma Margherita si girò verso di me, trattenendo a stento le
risate, e portandosi una mano davanti alla bocca, aggiunse: < Non ti
preoccupare Anita, tornerete insieme!> Per l’ennesima volta risero a
crepapelle e ciò provocò ad Anita una nuova fitta, ma meno dolorosa della
prima. Si riprese pian piano, ma non riusciva a comprendere cosa fosse successo
esattamente. Andò al bagno per sciacquarsi la faccia. Era spossata, come se
avesse appena fatto uno sforzo più grande di se stessa. Inoltre non era la
prima volta che le succedeva, e questo la disturbava un po’. Meglio non pensarci, si disse. Forse
aveva dormito troppo, oppure si era preparata troppo velocemente, accumulando
stress. Tornò quindi al tavolo, e continuò a godersi la serata senza pensare
più a nulla. Non ebbe più problemi e appena si fece mezzanotte si avviò con
Margherita verso la macchina dei suoi genitori. Alla fine non erano riuscite ad
incontrare Mr. Fascino. Poco male. La città non era tanto grande, l’avrebbe
incontrato prima o poi. Dopo una serata intera in cui le sue amiche l’avevano
tartassata con quel tipo, la curiosità l’aveva presa completamente. Mentre
pensava alle possibili cose a cui si sarebbe potuta dedicare una volta a casa,
dato che si era resa conto che
era sveglia da poco meno di quattro ore e non sarebbe riuscita a prendere sonno
facilmente, le squillò il cellulare.
< Chi ti
chiama a quest’ora?> Margherita era come sempre molto curiosa.
< Sarà mia
madre che mi dice che è tardi e devo muovermi a tornare a casa… o forse no.
Pronto?> Il numero sconosciuto non le era nuovo, ma di sicuro non era sua
madre.
< Anita
non tornare a casa, fatti accompagnare ovunque tu voglia, ma…> Era la stessa
voce di quel pomeriggio. Che faccia
tosta!
< Senti
smettila di chiamare o sarò costretta a denunciarti alla polizia!> Questa
volta fu lei a non lasciargli spazio e chiuse subito la chiamata. Non aveva
nessuna voglia di stare dietro a degli stupidi scherzi. Si voltò e si accorse
che Margherita teneva gli occhi puntati su di lei.
< Chi
era?>
<
Nessuno> Ma lei non era affatto soddisfatta di quella risposta così evasiva,
così Anita fece un sospiro e le raccontò il resto.
< Oggi mi
hanno fatto uno scherzo telefonico e ora stavano continuando. Sai che non
sopporto certe cose, perciò ho cercato di chiuderla lì.> Margherita non
sembrava molto convinta della versione dei fatti di Anita, nonostante fosse la
verità. Aggrottò la fronte e rimase pensierosa per pochi minuti.
< Be’
sembra che stia funzionando. Non ha richiamato.>
< Sì,
meglio per lui. O loro, non so in realtà.>
< Nessun
amante notturno, vero?> Anita pregò che i genitori di Margherita non
l’avessero sentita.
< Ma che
dici!! Non ho idea di chi fosse al telefono!> Margherita fece spallucce.
< Tanto
per essere sicuri> Anita posò una mano sulla fronte e scosse la testa,
mentre Margherita dopo una breve pausa aggiunse:
< Di
solito continuano fino a tarda serata, perciò stanotte ti conviene tenere il
cellulare spento se non vuoi che ti disturbino ancora.> Finalmente erano
arrivate a destinazione. Casa dolce casa.
< Grazie
mille del consiglio, e anche del passaggio. Ci sentiamo domani per studiare
insieme, ok?>
< Sì, a
domani. Buonanotte.>
<
Buonanotte Marghe, arrivederci signora.>
Detto ciò
Anita si voltò e si diresse verso casa. Cominciò quindi a cercare le chiavi di
casa nella borsa ma quando svoltò l’angolo le arrivò un improvviso pugno,
diritto in faccia, seguito subito dopo da una ginocchiata in pancia che la
costrinse a piegarsi su se stessa. Altri calci e ginocchiate la stesero
completamente. Non ebbe la possibilità di difendersi, così si ritrovò, una
volta rinvenuta, legata, sia mani che piedi, e stesa per terra.
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Capitolo 2 *** Incubi. ***
Incubi
Appena i suoi
occhi si abituarono al buio riuscì a distinguere un paio di figure, alte più di
due metri e abbastanza robuste davanti ad una porta blindata. La stanza in cui
si trovava le risultava assolutamente nuova ed era interamente vuota, neanche
un mobile o una finestra. Per la prima volta in vita sua, Anita soffrì di
claustrofobia e andò in iperventilazione. Uno dei due uomini appena si accorse
che era sveglia accese una debole luce e prese un cellulare iniziando a parlare
in un inglese poco chiaro, con un accento olandese e qualche spruzzo di
americano. Anita riuscì solo a capire che qualcuno stava per arrivare da lei.
Le faceva male tutto, ma soprattutto la pancia. Lo stomaco si era completamente
rivoltato e arrivò un primo conato di vomito, seguito a ruota da vero e proprio
vomito. Probabilmente era stato proprio quello a svegliarla. Adesso si sentiva
un po’ più sollevata, ma la puzza era terribile e non le permettevano di
sciacquarsi o ripulire, né persino di alzarsi. Anche col loro permesso, però,
non era sicura che ci sarebbe riuscita. Si spostò dalla puzza, appoggiando la
schiena al muro e facendo innervosire le guardie. Dopo essersi sistemata loro
si calmarono e così anche lei si calmò un po’ e cercò di essere razionale. Per
prima cosa ricollegò ciò che era successo, ricordandosi il fine serata e tutti
i colpi che aveva subito fino a svenire. Forse allora non era stato uno scherzo
telefonico, o era stata una coincidenza? Tante domande diverse iniziarono a
travolgerla, senza riuscire a trovare nessuna risposta. Perché era lì? Perché
l’avevano rapita? Cercavano soldi? Di certo no, perché nonostante non fosse
povera non era di certo in una famiglia ricchissima, se erano i soldi ciò che
volevano non avrebbe avuto molto senso prendere proprio lei. La spiegazione più
ragionevole che riuscì a trovare era, quindi, che avevano sbagliato persona.
Dopo di che arrivò al punto cruciale. Cosa ne avrebbero fatto di lei una volta
scoperto che avevano sbagliato? Di certo non si era mai sentito di una ragazza
rapita “per sbaglio” e riportata a casa dai genitori mentre i rapitori
dicevano: “Scusate, vostra figlia è la ragazza sbagliata!” La paura cominciò ad
attanagliarla. Implorò i due colossi di riportarla a casa fino alla svenimento,
fino ad urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. Loro, però non
rispondevano, sembrava quasi che non l’ascoltassero. Provò quindi a parlare un
po’ in inglese, ma non la degnarono neanche di uno sguardo. Passarono un paio
di ore e Anita iniziava a disperarsi davvero. La solitudine in compagnia la
faceva uscire di testa e inoltre iniziava a chiedersi da quanto tempo mancava
ormai da casa, dato che non sapeva quanto tempo fosse rimasta priva di sensi,
ma soprattutto contava i minuti mancanti a quando loro avrebbero compreso il
malinteso e si sarebbero liberati di lei. Un brivido le percorse la schiena. Un
piccolo barlume di speranza ogni tanto si accendeva in lei quando l’uno o
l’altro dei due colossi la guardava. Pensava, o meglio sperava, che avessero
deciso di ascoltarla, ma guardandoli in viso era costretta a ricredersi. Il
loro sguardo sembrava vuoto, a volte spaventato. Chi poteva spaventare due
giganti come quelli doveva essere una persona molto potente. Avevano parlato
altre due volte al telefono ma non era riuscita a capire molto quello che
dicevano e ogni volta, anche se cercavano di non darlo a vedere, erano sempre
più terrorizzati. Passò un’altra oretta e infine la stanchezza ebbe la meglio
sulla paura, facendo sprofondare Anita in un sonno agitato e piuttosto scomodo.
Poi un grosso rumore metallico la svegliò, spaventandola. Aprì gli occhi
incerta, sperando che tutto fosse stato un semplice brutto sogno, nonostante il
suo corpo le diceva il contrario, e quel rumore non era per niente di buon
auspicio.
<
Cominciavo a seccarmi. Ben svegliata, dolcezza.> Un uomo brizzolato, sulla
cinquantina, alto, un po’ muscoloso e dai bei lineamenti le stava di fronte e
la scrutava con un paio di occhi blu dallo sguardo tanto spaventoso che fecero
tremare Anita al solo guardarli. Era completamente paralizzata, non riusciva
neanche a pensare, né tantomeno a parlare. I due colossi di prima si erano
raddoppiati e circondavano la porta da cui probabilmente era arrivato il rumore
che l’aveva svegliata, anche perché nella stanza continuava a non esserci
niente. Nell’aria l’atmosfera tesa era palpabile e Anita era ad un passo dallo
scoppiare in una crisi isterica, il che era abbastanza evidente. L’uomo
continuò a parlare, incurante dello stato d’animo di Anita.
< È stato
difficile trovarti. Immaginavo avessi cambiato nome e volto e così ho cercato
di seguire le vostre tracce, che però si rivelarono ben presto meri sviamenti.
Tu e il tuo caro papà siete stati molto furbi, eh? Sono passati sedici anni.
Sedici anni di disperate ricerche in cui ho tentato di allargarmi per essere
ovunque nel mondo e poterti prendere al minimo errore che avessi commesso. E
poi cosa trovo? Alla fine trovo una ragazzina superficiale che va a sbandierare
la sua tragica storia ai quattro venti. Ti immaginavo più scaltra, Anita.>
Il suo tono aveva degli alti e dei bassi, e sentendo pronunciare il suo nome
Anita ebbe un fremito e fu sul punto di scoppiare a piangere, ma non era ancora
in grado di parlare, così il suo interlocutore ricominciò il monologo per
essere subito interrotto da un uomo più giovane. Portava un lungo camice bianco
e in mano aveva una siringa, piena di un liquido nero. L’uomo brizzolato si
rivolse a lui chiamandolo dottore.
< Siamo
sicuri questa volta? Potrebbe essere l’ennesimo buco nell’acqua.> Disse il
dottore mentre si metteva dei guanti in lattice.
< Sono
piuttosto sicuro che sia lei, a meno che i nostri cari amici non sono più
spregevoli ed egoisti di come li avevamo immaginati e non abbiano ideato un
piano per distrarci con quest’altra ragazza.>
< Se così
fosse allora non avremmo nessuna possibilità di trovarla.>
< Fidati,
è lei.> In quel momento Anita si riprese dallo stato di shock per cadere in
una crisi senza dignità, con il sangue congelato dalla paura e le lacrime agli
occhi.
< Non sono
io! Chiunque voi stiate cercando, non sono io. Lo posso giurare, non sono io
chi voi state cercando, lasciatemi andare!> Le parole le erano uscire come
fulmini. Il terrore le saliva fino alle punte dei capelli. Il signore più
anziano le si avvicino e prendendole il volto dal mento la costrinse a
guardarlo negli occhi.
< Parli
come se sapessi chi noi stiamo cercando.>
< No,
ma…> Nel frattempo il dottore aveva finito di prepararsi. Anita tremava come
una foglia e aveva la fronte imperlata di sudore.
< E allora
ci spieghi il sogno di cui vai tanto vantandoti?>
<È… è solo
un sogno. Quante persone al mondo fanno sogni strani come quello?> Ormai la
poverina piangeva a dirotto.
< Come
quello?!> Il brizzolato scoppiò in una risata amara. < Nessuno, mia cara,
sogna la morte di tua madre, a parte te, e forse tuo padre, dato che nessun
altro presente quel giorno a parte noi tre è ancora vivo.> Un ghigno malefico gli dipinse la faccia.
Quindi voleva ucciderla? Era lì per farla fuori così come aveva fatto con gli
altri? Ma tutto ciò presupponeva il fatto che il sogno descriveva una fatto
realmente accaduto. Com’era possibile? Quella donna… non era sua madre.
< Non può
essere vero… non è vero. Ti stai sbagliando!> Un colpo da parte di uno dei
colossi, diritto allo stomaco, la buttò a terra dopo che con tanta fatica era
riuscita a trovare le forze per alzarsi in piedi.
< Con
gentilezza signori, su!> Questa volta era stato il dottore a parlare. Anita
imprecava sottovoce che la smettessero e il finto cavallerismo del dottore la
infastidiva parecchio.
< Quella ci fa saltare tutti in aria se non la
teniamo buona.> Era la prima volta che uno dei colossi parlava e ora Anita
capiva il perché. Avevano paura di lei,
non del tipo brizzolato e nemmeno di quello in camice dall’aria da scienziato
pazzo dato il tono usato rivolgendosi a loro. Ma perché?
< Quella come dici tu, non sarà in grado
di fare granché appena le avrò iniettato questo siero, perciò non ti
preoccupare e stai al tuo posto.> Lo scienziato pazzo aveva appena
dichiarato la morte di Anita, la cui mente si svuotò completamente, lasciando
spazio ad un solo pensiero: chiedere aiuto. Urlò quanto più forte poteva e
continuò anche dopo che i colossi l’avevano strattonata e poi colpita. Iniziò a
farle male la gola, ma continuò a dimenarsi e ad urlare perché era l’unica cosa
che poteva fare. Smise solo quando il brizzolato le diede uno schiaffo di
rovescio in piena faccia.
< Capo
anche lei non la colpisca, tanto non la può sentire nessuno. La lasci sfogare,
guardi com’è terrorizzata.>
< Mi dava
fastidio, è stato piuttosto istintivo.> Una volta arresasi, Anita sentiva
tutti i colpi ricevuti, e di sicuro l’ultimo le aveva rotto il naso. In quel
momento desiderò solo essere a casa e continuò a piangere.
< Dottor
Frederic, è pronto?> Il capo iniziava a spazientirsi e il dottor “Frederic”
iniziò subito quanto aveva da fare. Iniziò a parlare direttamente con lei solo
quando le tastò il braccio. Prima di quel momento l’aveva semplicemente
guardata con aria di grande disprezzo.
< Quanto
ti sto facendo è un semplice test. Se il siero ti creerà solo qualche fastidio
o al massimo un paio di spasmi, allora non sei davvero tu quella che cerchiamo.
Se invece dovesse farti talmente tanto male da non farti quasi respirare,
allora significa che sei tu.> Anita non aveva la forza di ribellarsi e
continuava a tremare. All’improvviso si sentirono deli spari e dei passi veloci
che si facevano sempre più vicini.
<
Dannazione a loro! Se sono venuti fin qui significa che è lei. Prendiamola e
andiamo!> Il brizzolato sembrava molto più nervoso di quanto dava a vedere.
< Non
senza averle fatto il test, ci aiuterà anche a capire come ragiona. Lo possiamo
fare solo qua, ci vorrebbero mesi prima di rendere un’altra stanza priva di
contaminazioni come abbiamo fatto con questa.>
< Non c’è
tempo, sono dentro la struttura!>
< E se non
fosse lei?>
<
Pazienza, la…> La porta si spalancò e sei uomini armati fino ai denti
entrarono nella stanza. Anita iniziò a gridare più forte che poteva, poi,
mentre tre dei quattro colossi si avventavano sui nuovi arrivati, il quarto la
prese al volo e cercò di portarla via. Uno sparo, una botta in testa e tutto si
fece buio.
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Capitolo 3 *** Realtà? ***
Realtà.
< Sono
ormai quattro giorni che non dà nessun segno. Io sono molto preoccupata.>
Era la voce della madre di Anita, Clelia, la sua dolcissima mamma.
< Vedrai
che si riprende, è più forte di quanto credi.> Anita rimase bloccata. La
seconda voce, nonostante fosse maschile non era né di suo padre né di suo
fratello, ma la sentiva terribilmente familiare e faceva parte del terribile
incubo che aveva cercato di negare con tutta se stessa.
< E se
stesse per…> La voce di Clelia si spezzò e poi Anita la sentì singhiozzare.
< Sono
sicuro di no. Dai, fatti forza. Non può essere come dici tu. Sarebbe morta
prima. Lei è perfetta Clelia, perfetta.> Anita si rifiutava di aprire gli
occhi. Aveva paura che avrebbero smesso di parlare e sentiva che c’era qualcosa
che invece avrebbe dovuto sapere. Sentendo, però, i singhiozzi di sua madre
continuare, Anita si decise a farle capire che era sveglia. La luce le fece
male gli occhi.
<
Mamma…>
< Tesoro
mio, finalmente ti sei svegliata! Io, tuo padre e Phil eravamo molto preoccupati.>
Clelia tratteneva a stento la felicità e la commozione. Quando finalmente Anita
riuscì a mettere a fuoco ciò che le stava intorno, si voltò verso l’ospite
sconosciuto che stava alla destra di sua madre. Eccolo, il suo incubo era
realtà. Poteva mai essere vero? No, stava continuando a sognare. Anita aveva
visto quel volto due volte, in due sogni diversi, anche se solo per pochi
attimi entrambe le volte. Uno era l’incubo che la tormentava da due anni,
l’altro era più recente. Gettò un urlo e presa dalla paura prese sua madre per
mano e cercò di scappare. Scese al primo piano e trovò suo padre Paolo in
cucina, il quale al primo sguardo le rivolse un bel sorriso smagliante, poi
aggrottò la fronte preoccupato.
< C’è un
uomo in casa, papà. Dobbiamo scappare e chiamare la polizia al più presto!>
< Ma di
chi stai parlando?> Paolo si affacciò dalla porta da cui erano arrivate
Anita e Clelia e cercò di armarsi con la prima cosa che trovò, ovvero un
cucchiaio da cucina.
< Non lo
so chi è, so che è pericoloso.>
< Anita
credo tu stia fraintendendo qualcosa. Paolo posa quella cosa, Anita si è
spaventata vedendo Phil.> Poi si rivolse verso Anita, che in preda al panico
stava cercando il telefono per chiamare il 991. < Phillip non è un tuo
nemico tesoro, lui non ti farebbe mai del male. Fidati di me.>
< Mamma tu
non puoi capire, quell’uomo era…> Silenzio. Per proseguire la frase si
trovava davanti tre strade. Ammettere che il sogno dell’omicidio era realtà,
con tante conseguenze che non aveva intenzione di accettare mai e poi mai,
oppure che il rapimento non era stato un sogno, o addirittura che erano
entrambi veri. Perché lui c’era. Era in entrambe le occasioni presente, e ora
c’era anche nella sua realtà. Le tre condizioni non si sposavano affatto bene
con il volere di Anita, ma la quarta via era considerare irreale tutto,
compresa la reale presenza di quel tipo in casa sua. Paolo e Clelia la
guardavano con un misto di preoccupazione e compassione.
< Era
presente nel tuo sogno, quella della donna morta.> Clelia si fermò a
guardarla.
< Il fatto
che fossi presente non fa di me uno dei cattivi.> Anita si bloccò, non aveva
ancora deciso niente ma attorno a lei la verità cercava di abbattere le sue
difese. La voce dell’uomo che le stava davanti le era familiare ma non era un
ricordo dei suoi incubi. Era la stessa voce che l’aveva chiamata qualche giorno
prima e che lei aveva pensato le stesse facendo uno scherzo. Le girò la testa e
si fermò a contemplare le persone che le stavano attorno. Il loro sguardo
ansioso e impaurito insieme le ricordò quello dei colossi. Il loro ricordo la
fece spaventare. Perché tutti la guardavano così? Era forse lei la cattiva?
Cadde priva di sensi tra le braccia di Clelia che continuava a invocare il suo
nome.
< Anita!
Che hai, Anita?>
< Clelia,
la piccola è semplicemente stanca. Non ti preoccupare si rimetterà presto.
Questo improvviso risveglio è stato troppo carico di emozioni e non è riuscita
a reggerle. Mettiamola a letto, per adesso credo sia troppo confusa per poter
reggere.>
< Sì,
Clelia. Phillip ha ragione, lasciamola riposare per adesso, e non ti abbattere
così. Dobbiamo essere forti anche per lei.> Poi le due forti mani di Phil
presero in braccio Anita e la riportarono al piano di sopra, al sicuro.
Anita si
svegliò e guardò subito il cellulare per vedere che ore fossero. Erano già le
otto meno venti! Di sicuro aveva continuato a dormire dopo che i suoi avevano
tentato di svegliarla. Si alzò in fretta, felice di aver finito di sognare. Si
preparò il più velocemente possibile e cercò di non pensare a nulla. Una volta
finito tutto scese in cucina per fare colazione.
<
Buongiorno.> Anita si aspettava che i suoi la rimproverassero per aver fatto
tardi, come sempre d’altronde.
<
Buongiorno.> La loro voce era pesante, ma non aggiunsero altro quindi Anita
si rasserenò. Paolo e Clelia invece continuavano a guardarla, anzi a fissarla,
immobili.
< Avrei bisogno
almeno di 5 euro per la benzina oppure ho paura che non arriverò a scuola.> Entrambi
si sbloccarono come di colpo e ricominciarono a mangiare.
<
Preferirei accompagnarti io.> Disse Paolo senza alzare gli occhi da ciò che
stava mangiando.
< Perché?
Piove di nuovo? Ditemi di no, vi prego. Oggi pomeriggio avevo intenzione di
uscire con le ragazze per un giro di negozi.>
< Non
credo sia una buona idea che tu esca oggi pomeriggio. Anzi, credo che non
dovresti neanche andare a scuola.> Disse Clelia, non molto sicura di cosa
stesse succedendo. Tutta quella normalità per lei era fuori luogo.
< Perché mamma?
È successo qualcosa?> Clelia rimase impietrita, e con uno sguardo torvo si
girò verso Anita. Paolo, invece, era quasi rasserenato e, nonostante fosse
anche lui alquanto incredulo, fece cenno a Clelia di lasciarla fare.
< Non ci
penso neanche. Credo sia invece il caso di parlarne, senza fare finta di
niente!>
< Ma non
vedi che Anita sta meglio? Lasciamo perdere quanto è successo, no?> Paolo
avrebbe preferito che niente fosse accaduto, non solo per il fatto in se, ma perché
sapeva che il futuro che attendeva Anita dopo quell’episodio era tutt’altro che
gradevole.
< E
intendi lasciarla andare in giro da sola? Non penso sia la scelta migliore.>
I toni si erano leggermente alzati, ma Anita era assolutamente fuori da tutti quei
discorsi.
< Mi state
facendo preoccupare. Ripeto, è successo qualcosa?> I suoi genitori si
girarono verso di lei e la fissarono intensamente senza dire una parola. I loro
sguardi erano pieni di emozioni diverse, dallo stupore, all’incredulità, alla
preoccupazione.
< Lo
yogurt era avariato per caso? Voi due non avete una bella cera. Comunque io
vado perché sono già parecchio in ritardo. Ciao!> Anita si diresse verso la
sua camera a prendere il casco e la borsa per poi dirigersi verso la porta d’ingresso
quando dalla porta del salone uscì un uomo.
< Phillip
la accompagni tu, per favore?> Anche Clelia e Paolo ora erano nell’ingresso.
<
Phillip?> Ad Anita quel nome non era totalmente estraneo, ma non riusciva a
ricordare niente.
< Sì, te l’abbiamo
presentato ieri, ricordi? Prima che tu svenissi di nuovo.>
< Prima
che io svenissi?> Qualcosa si accese in lei per un periodo di un nanosecondo.
Poi qualcosa la bloccò. < No mamma, ti sbagli non l’ho mai visto. Sei sicura
di star bene? Dovresti andare dal dottore, mi sa proprio di sì…> Detto ciò,
girò i tacchi e uscì. Era però abbastanza sicura di aver già visto quell’uomo e
di aver anche sentito quel nome.
<
Impossibile.> Disse fra sé e sé. < E poi proprio ieri io ho studiato
tutto il giorno… oppure sono uscita? Mmmm… Non me lo ricordo in effetti… Comunque
sia non è detto che io debba per forza conoscere tutti gli amici dei miei. Quel
tipo, ad esempio, non lo conosco affatto.>
< Il fatto
che tu non voglia ricordare è molto diverso dal non ricordare e, cosa più
importante, non ti da il diritto di farlo. Torna subito qua. Non sei in
condizioni di uscire di casa, per tanti motivi.> Quella voce era così
fastidiosa per Anita che si scaldò al solo sentirla.
< Così
come il fatto che tu non voglia tenere la bocca chiusa, non ti dà il diritto di
parlare.>
< Allora
ammetti di ricordare?> Anita diventava sempre più irritabile. Quel Phil
osava troppo.
< Non
ricordo niente, perché non c’è niente da ricordare.>
< Non mi
prendere in giro, non serve a niente, né a me né a te.>
< Inizi a
diventare una scocciatura, lo sai? Dovresti andartene il più velocemente
possibile via da qui e lasciarmi in pace una buona volta. Stare vicino a te non
porta a niente di buono.>
< Davvero
hai intenzione di andare avanti ignorando quanto è successo?>
< Non ho
la minima idea di cosa tu stia parlando e ribadisco meglio il concetto, nel
caso non l’avessi capito: mi dai ai nervi!>
< È una
cosa che possiamo sistemare poi, intanto se vieni dentro ti spiego meglio ciò
di cui stiamo parlando.>
< Devo
andare a scuola. Magari un’altra volta, eh?> Convinta di aver finalmente
chiuso il discorso, Anita continuò per la sua strada.
< A scuola
ci saranno i “colossi”, come li chiami tu, ad aspettarti. Preferisci affrontare
loro?>
< I
colossi…> Tutto ciò che la mente di Anita stava cercando di bloccare con
tutte le sue forze, ora volava davanti ai suoi occhi.
< …erano
due, no erano quattro… Mi hanno tenuta dentro una stanza chiusa e buia, mi
hanno picchiata… no. Era un sogno. Avrei dovuto avere il naso rotto e il corpo
come minimo pieno di lividi.>
< Vieni
dentro e ne parliamo meglio> Phil tirò un sospiro di sollievo, ma cercò di
non darlo a vedere. Temeva profondamente che Anita non avrebbe accettato la
situazione, mai. Ma aveva cantato vittoria troppo presto. Dopo un breve periodo
di silenzio, infatti, Anita ritornò a parlare con gli stessi toni di prima.
< Va via.
Farai spaventare mia madre con tutte queste storie assurde.> Anita, però,
non si mosse ancora. Phil prese fiato e coraggio e usò l’ultimo espediente che
gli restava.
< Amanda.
Questo era il nome di tua madre. Di lei ti ricordi?> Tutto le tornò alla
mente. Improvvisamente tutta la verità era esplosa dentro la testa di Anita e
Phil sperò che ciò non comportasse danni collaterali. Tutto ciò di cui Phil
stava parlando era vero e Anita lo sapeva perfettamente. Tutti i sogni che
avevano popolato le sue notti, lo scienziato pazzo, i colossi e, più importante
di tutti, Amanda, sua madre. Quel nome era stato come una campanella, che aveva
svegliato una parte di lei assopita da tempo, e con lei aveva portato a galla
tutto ciò che Anita aveva sempre classificato come irreale per pura comodità.
Le ginocchia crollarono, insieme alla sua mente.
< Era
tutto così chiaro perché era tutto vero. Lo sparo, Phil, il laboratorio e tutti
quegli uomini in nero. Tutto vero.> Anita si sentì soffocare. Qualcosa la
stringeva, ma non dall’esterno. Era qualcosa che l’attanagliava da dentro.
< A-aiuto…
s-sof...foco> Anita respirava a stento, accasciata ai piedi delle scale. A
Phil, nel frattempo, occorsero qualche istanti per riprendersi dallo stupore
per la velocità della reazione.
< Anita,
ANITA!>
< Mi sta
soffocando…> Anita sussurrava così piano che a stento si sentiva lei stessa.
< Di cosa
stai parlando? Anita!>
< Non
respiro!!>
<
Maledizione! Non immaginavo succedesse così presto.> Phil iniziò a diventare
più operativo e lucido.
< Cosa
succede, Phil, Anita?> Clelia li aveva raggiunti.
< Chiama
Paolo, digli di aiutarmi a caricarla in macchina. Per lei è ora di andare.>
< Sì, l’avevamo
immaginato. Paolo, vieni presto!> Paolo lo raggiunse il più in fretta
possibile mentre invece Clelia cercava di preparare una specie di valigia dell’ultimo
minuto. Anita ansimava.
< Ho
installato una stanza in cui lei potrà stare tranquilla. Mi spiace dovercela
portare così presto. Pensavo avessimo ancora un po’ di tempo…>
< Prima inizia,
prima finisce, no?> Paolo cercava di essere il più positivo possibile così
come la sua natura gli consigliava, ma nel suo volto l’amarezza era stampata a
lettere cubitali.
< Spero di
sì.> Phil non era altrettanto ottimista. Appena Clelia arrivò con la borsa,
Anita e Phil partirono immediatamente. Anita non riusciva più a parlare, né a
muoversi. Tutto intorno a lei si offuscava, ma era stanca di essere incosciente
e sentiva il bisogno di dover prendere il controllo della situazione. La
macchina in cui l’avevano messa suo padre e Phil era molto grande e l’aria
condizionata l’aiutò un minimo a riprendersi anche se avrebbe preferito aprire
i finestrini. Questi però erano oscurati e in un certo senso davano l’idea di “meglio-non-toccare”.
Si sentì un minimo meglio e quindi cercò di capire meglio cosa stava
succedendo.
< Dove mi
stai portando?> Sentiva di essere completamente in balia di nessuno e meno
di tutti di se stessa, considerato che la sua mente era un puro caos e il suo
corpo uno straccio.
< In un
posto sicuro in cui potrai sfogarti. Appena starai meglio potrai tornare a
vivere con i tuoi genitori, forse.>
< Credi di
poter fare tutto quello che vuoi?> Sentiva che la sua voce aveva qualcosa di
profondamente diverso, persino la tonalità. Eppure era sicura di aver
pronunciato lei quelle parole. Notando il cambiamento repentino, Phil si portò
una mano alla testa. Il volto crucciato dall’ansia. Sembrava quasi triste, e
Anita provò un po’ pena. Poi però, lo sentì ridere, e la rabbia di prima si
quadruplicò, producendo, però, effetti positivi sul suo corpo che sentiva un
minimo più libero.
< È
incredibile il modo in cui ti stai difendendo! Non c’è niente che puoi fare, e
di sicuro non è scappando che la aiuterai.> La rabbia diminuì un po’, e per
un momento la testa tornò a vorticarle.
< E tu
invece come pensi di fare, sentiamo.> Quella che sentì era una voce lontana.
Non era la sua voce, non veniva dalla sua mente né dalla sua bocca e la sentiva
esterna sia a lei, che a Phil, che alla stessa macchina. Eppure l’aveva
sentita.
< Oltre ad
una buona dose di difesa personale, ha estremamente bisogno di essere informata
dei fatti, prima di cadere nella schizofrenia.>
< Posso occuparmi di lei da sola, grazie.> Ora
capiva cosa c’era di strano. Non la stava sentendo, la stava percependo.
Nessuno stava parlando, ma una voce esisteva tra loro due, ed era esterna ad
entrambi.
< Non
essere così orgogliosa. Hai bisogno di me, lo sappiamo entrambi.> Anita
prese un po’ di coraggio e ignorando ormai completamente le sue condizioni
fisiche si rivolse incredula a Phil.
< Ma con
chi stai parlando?> Chiese con un filo di voce, che tradiva il terrore che
le teneva bloccato tutto il corpo.
< Con
te.> Il cuore di Anita prese a battere all’impazzata. Aveva paura a
mostrarlo, però, perché sentiva che doveva restare impassibile: non si poteva
fidare di quell’uomo. Lui si girò piano per guardarla. Ormai l’aria divertita
era completamente svanita. Poi fermò la macchina. Anita non riusciva a capire
cosa le stesse succedendo. Si guardò intorno e si rese subito conto che non era
tanto lontano da casa e che nonostante non fosse stata attenta alla strada
sapeva come scappare.
< A
dimostrazione del fatto che non sono affatto un serial killer, o una spia o
roba simile, ti presento la Casa. Qui è dove vivo, e dove vivrai tu. Ti posso dare
l’indirizzo ma credo che tu già lo sappia e ti posso anche dire gli orari dei
bus che passano da qui e si fermano sotto casa tua. Ma sono sicuro che ti
renderai presto conto da sola che non è affatto un luogo pericoloso o con
persone pericolose.> La rabbia si ripresentò, ma questa volta Anita era sicura
che non la stesse provando lei, nonostante la percepisse come fosse sua.
< Che… che
cos’è?>
< Entra e
ti spiegherò tutto. Siamo qui per questo.> Quindi scese dalla macchina e
aiutò Anita a scendere.
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