A spring day

di cauilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno di primavera ***
Capitolo 2: *** Drawings ***



Capitolo 1
*** Giorno di primavera ***


Spring:




Entra luce dalla finestra sul soffitto. È gentile, è quasi meglio essere svegliati da lei che da quel petulante di mio zio Claude. Mi giro verso l’orologio, mancano cinque minuti alla sveglia così scendo dal letto e mi trascino al bagno. Apro l’acqua e mi sciacquo la faccia, mi lavo i denti e quando esco attacco l’i-pod allo stereo , per un po’ di atmosfera mentre mi vesto. Jeans maglietta e Converse, mentre mi allaccio le scarpe sul letto si spalanca la porta ed entra un ragazzino coi capelli rossi. Luca, il mio fratellino. Dio se lo adoro. Se non lascio la città per andare a studiare arte in Europa è solo perché dovrei lasciare lui che è la mia sola gioia. Mi si getta addosso mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia
“Buongiorno Alois!”
“Buongiorno folletto, come va?” dico mentre lo sollevo e lo appoggio a terra
“Tutto bene! Oggi zio Claude ha fatto le frittelle per colazione. Ne ho mangiate due di nascosto e sono super super buone!” fa una piroetta
Ridacchio “Bene, bene. Ora scendi, io arrivo subito” Gli do una leggiera spinta sul sedere e lui esce.
Stacco l’i-pod e lo metto in tasca, prendo il cellulare e lo zaino e scendo le scale. Giro a destra e dopo aver attraversato la sala entro in cucina.
“Giorno zio …”
“Buongiorno Alois. Hanno chiamato i tuoi genitori, magari quando torni potresti chiamarli … inoltre oggi la lezione di disegno con Hanna inizierà mezz’ora dopo oggi.”
Ascolto passivo mentre ingurgito un paio di frittelle. Non vedo il perché dovrei chiamarli. I miei sono “persone impegnate”. Mia madre è la manager di un famoso artista e sta più con lui che con la sua famiglia tra, concerti, tour, album, film e così via, invece mio padre è proprietario di una casa di produzione e praticamente vive in ufficio. Ambedue vivono a New York e anche io e Luca abbiamo vissuto lì per un po’, ma Luca soffriva perché non vedeva mai mamma e papà e non avevamo la stessa baby sitter per più di due settimane. Così all’incirca cinque anni fa ci inviarono da zio Claude, che di zio ha ben poco dato che non siamo davvero imparentati, per avere un po’ di stabilità.
“Okay. Buona giornata.”
Mi alzo e mi avvicino al mio fratellino che è concentrato solo sulle frittelle, gli passo una mano tra i capelli . Esco sul portico, afferro lo skate e parto attraversando il viale sul quale cadono i petali di ciliegio cullati dal vento.
In meno di un quarto d’ora sono a scuola, alzo la parte anteriore dello skate facendo leva con quella posteriore; l’attrito crea delle scintille. Mi guardano tutti, i fighetti con invidia, le ragazze con bramosia. Poi ci sono quelli come me. Il mio gruppo. Li saluto da lontano e mi catapulto al loro tavolo più in la nel cortile. Le ragazze hanno tutti gli occhi puntati su di me. Poverette. Non capiscono proprio che in realtà non mi interessano affatto le ragazze. Cioè, insomma, si dovrebbe capire; come mi vesto, come parlo, come mi atteggio, il fatto che ogni giorno nel bel mezzo delle lezioni io mi intrattenga in bagno con un ragazzo diverso per delle ore. In questo periodo sto con uno che si chiama Ronald. Cioè, non è che si sto insieme. Scopiamo e basta. Lo sanno tutti, anche perché appena arrivato mi avvicina a se mettendomi le mani sul sedere.
“Giorno belli …”
“Giorno Aloisia!” Esclama un ragazzo coi capelli biancastri mentre fuma una sigaretta
“Oh, taci Charles Grey! Sei la checcha più checca di tutte qui!” gli grida Ronald che poi si morde il labbro guardandomi.
“Touché!” dice Charles riprendendo a pulire il fioretto.
Ronald si alza e mi trascina per un braccio dentro la scuola. Entrambi sappiamo cosa vogliamo. Prima di entrare a scuola però entrambi notiamo che tutti gli occhi sono puntati su uno nuovo, un ragazzo coi capelli scuri e occhi azzurri, di cui uno è coperto da una benda. Vorrei, ma non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Mi sento una di quelle ragazzine che mi fissano dalla mattina alla sera. Ronald mi trascina dentro scuola e poi ci chiude dentro a uno dei bagni. Si slaccia i pantaloni e poi fa lo stesso coi miei.
“Quanto abbiamo?” Dico io
“Un dieci minuti.” Risponde ansante
“Non c’è abbastanza tempo”
“Ti voglio comunque.” Mi gira e mi penetra tutto di un colpo. Non reagisco, ormai ci sono abituato. Mentre lui continua ritmicamente, io non riesco a non pensare al ragazzo con l’occhio bendato. Ronald viene pochi secondi prima del suono della campana. Mi bacia con passione ed entrambi usciamo dal bagno. Ci sono quelli della squadra di rugby che sono a farsi di steroidi, e dei metallari che escono di corsa lasciando lì la canna che stavano fumando. Entrambi i gruppi ci tirano una brutta occhiata, ma non ci danno contro ne insultano.
Nessuno da contro ai gay del nostro gruppo. È perché tutti noi sappiamo difenderci, Charles sa maneggiare ogni arma bianca al mondo. Ronald fa Jujutsu, e io Kickboxing, quindi non conviene a nessuno dare contro a me o agli altri. Prendo la canna e faccio un paio di tiri per poi uscire e andare in classe. Il prof, un tipo mingherlini con capelli pazzi castano grigiastri e baffi dello stesso colore entra con noi e io e Ronald ci sediamo ai nostri posti in fondo alla classe vicino alla finestra.
“Bene ragazzi, buongiorno buongiorno. Oggi c’è una gran bella novità, sì! Abbiamo un nuovo compagno, viene dall’Inghilterra! Siate carini con lui, si chiama … oh, diamine, dove ho messo il foglietto …”
“Ciel Phantomhive.” Dice entrando il ragazzo del cortile.
La luce primaverile lo illumina creando dei giochi di luce coi suoi capelli. Noto solo ora i pantaloni stretti che mettono in risalto le gambe magrissime la maglietta aderente dei Ramones e gli anfibi.
“Bene, Ciel, grazie del promemoria” dice il prof ridacchiando “Bene, dicci qualcosa di te prima di prendere posto
“Be’, io sono Ciel Phantomhive, vengo da Londra e sono qui perché mio padre ha insistito perché facessi un’esperienza all’estero quindi mi sono trasferito da mia zia Angelina, amministratore delegato della Funtom in questo paese, con quello che era il mio precettore in Inghilterra e che qui sarà come un consulente, Sebastian. Vivo nella villa alla fine di Black Chapel Street e questo è tutto”
Con quella cortissima presentazione aveva colto l’interesse di tutta la classe, soprattutto il mio che già pensavo a quale fosse la strada più corta per raggiungere Black Chapel Street in skate, e quella delle ochette capitanate da Elizabeth Middleford. Ciel prese posto e iniziò la lezione. Ciel è bellissimo. È quello che io considero il ragazzo perfetto. E forse non sono il solo a considerarlo tale. È uno di quelli che mette su la facciata arrogante, ma che visibilmente non lo è. Le prime tre ore di lezione trascorrono veloci e io studio ogni singolo movimento. Da come muove la mano per prendere appunti a come stende le gambe sotto al tavolo, persino come si scosta i capelli dal viso e come respira. Suona l’intervallo e Ronald mi sì catapulta davanti con Charles e il resto della banda. Vorrei continuare a guardarmi il novellino, studiarmelo per trovare un valido sostituto a Ronald che scopa in modo pessimo e sta diventando più appiccicoso dei lecca lecca. Mi chiama, mi manda messaggi con millemila cuoricini ; ci manca solo che voglia tenermi per mano nei corridoi, eppure credo sia chiaro che io voglio solo una cosa; in ogni caso penso che Ciel non sarebbe un semplice sostituto. È qualcosa di più. Sento che c’è qualcosa in lui. Ogni tanto capita: vedere una persona, e sapere, sentire che accadrà qualcosa, anche se non sai cosa. Ronald e Charles mi stanno parlando di qualcosa, ma non li ascolto. Continuo a pensare alla sensazione che ho addosso e guardare Ciel che è stato abbordato dalla Middleford da uno spiraglio tra le teste dei miei amici. Ciel a un certo punto mette una mano sulla spalla della biondina che spalanca la bocca e se ne va. Ciel si risiede al suo banco con le gambe sopra. Lo fisso qualcosa non mi riporta di botto alla realtà. Edward Middleford, una classe più avanti a noi, fratello di Elizabeth, la biondina ha preso ciel per i lembi della maglietta e ha cominciato a dargli addosso
“Inglese di merda, hai fatto piangere mia sorella?? Nessuno le dice di no, chiaro?? Chi cazzo sei te per rifiutarla?? Sei un frocio, ecco cosa sei”
Non so nemmeno come in due secondi mi trovo davanti a Edward a cui ho tirato un gancio destro, prendo Ciel e lo bacio in bocca.
“E anche se lo fosse?? Torna in classe Middleford, o finisce che ti trovi col culo tra le orecchie.”
Edward se ne torna in classe con la coda tra le gambe. Fa tanto il grosso ma in realtà non è nessuno. Elizabeth che molto probabilmente aveva assistito orgogliosa da un angolo adesso ci fissava rossa in viso per la rabbia.
“Vieni Phantomhive, ti porto in infermeria”
Gli tendo la mano e insieme ci avviamo.

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Da quanto tempo che non scrivevo Fanfiction! Be', la primavera mi ha ispirato, quindi godetevi questa nuova storia che personalmente a me piace molto. Fatemi sapere che ne pensate :3

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Capitolo 2
*** Drawings ***


Drawings:





Siamo in infermeria da un quarto d’ora e ancora non mi ha rivolto la parola, esattamente come ha fatto per tutto il percorso in corridoio. Forse ho sbagliato ad agire così. Avrei dovuto soltanto mollare un cazzotto a quel fighetto montato di Edward Middleford e andarmene: sono stato troppo frettoloso e impulsivo, come mio solito. Faccio sempre così, sbatto giù le mie idee senza badare a niente, spinto solo dalla foga. Me lo dice sempre anche Hanna, la mia insegnante di disegno: “Alois, i dettagli sono la cosa che permette di capire fino in fondo ciò che abbiamo dentro, ciò che fa la differenza in tutte le cose”. Non sono proprio capace. Forse è anche per questo che la gente non mi conosce mai fino in fondo: perché i dettagli del vero me non li conosce nessuno. Tuttavia, credo di amare guardarli, questi dettagli, soprattutto in questo momento. Non mi perdo nemmeno una sfumatura, nemmeno un riflesso della luce che ricade su Ciel. Vorrei fargli un disegno così coglierei solo quello che mi piace di più; un disegno da tenermi in camera e guardarmi tutte le volte che voglio. Con la luce del mezzogiorno che spunta dalla vetrata dell’infermeria orientata in questo modo i suoi capelli arrivano ad essere di un blu molto intenso e i suoi occhi diventano di un azzurro ancora più chiaro del normale. Ha il viso corrucciato in una smorfia di dolore quando l’anziana infermiera della scuola, gli appoggia una borsa contenente del ghiaccio sulla fronte e per un attimo finalmente i nostri sguardi si incrociano di nuovo. Sì, vorrei proprio fargli un disegno.
“Trancy, non devi andare in classe?”
“Ah, no, il prof. Dice che devo restare con lui. Sa, è nuovo e non vorrebbe si perdesse.” Mento.
“Fa’ come ti pare, io però me ne vado che ho finito per oggi. Vedete di non rompere niente e magari accompagnalo a casa alla fine delle lezioni.” La vecchia infermiera si toglie il camice e dopo averlo appoggiato alla sedia girevole nera esce dalla porta sboffonchiando qualcosa di incomprensibile.
“Non so se dovrei ringraziarti o tirarti un pugno dritto nello stomaco.”
Ciel mi ha parlato. A me. È la prima volta che parla a me direttamente. Mi fa’ strano, ma non posso fare a meno di essere felice.
“E come mai dovresti tirarmi un pugno nello stomaco?” mi decido a rispondergli lanciandogli il mio sorriso più malizioso
“Magari perché ora più o meno tutta la scuola si sarà fatta una strana idea su di me?!”
“Allora direi che dovresti ringraziarmi dato che ti ho salvato il posteriore da qui fino all’eternità.”
“Salvato il posteriore? Starai scherzando?! Da domani come minimo passerò tutti gli intervalli con la testa nel gabinetto e quel MiddleQualcosa che tira ripetutamente lo sciacquone!”
“Invece no, caro mio. Si da il caso che ciò che ho fatto garantisce la tua incolumità fino a che starai in questa scuola. Né Middleford né nessun’altro si vuole mettere contro al campione di Kickboxing della scuola.”
“E chi sarebbe costui?”
“Io, idiota.”
Suona la campana. Cavolo, proprio al momento giusto. Fa’ estremamente scena che sia suonata adesso, mi fa sembrare più figo del dovuto, e di fatti Ciel non ribatte nulla, ma si limita a fissarmi con gli occhi sgranati. Potrei sciogliermi seduta stante se non che devo fare la parte del tipo tosto e non posso permettermi di non sostenere il suo sguardo, infatti il primo a cedere è lui che scosta il viso e cerca di nascondersi mentre è palesassimo che è arrossito.
“Vado a prenderti lo zaino.” Dico ridacchiando mentre mi dirigo verso l’uscita.
Chiudo la porta con estrema cautela e poi comincio a correre per i corridoi della scuola scontrandomi e spostando chiunque si presenti sulla mia strada, scontrandomi con gente alla quale nemmeno chiedo scusa,  molto probabilmente c’è qualcuno che mi chiama, ma chi se ne frega, io ho roba più importante a cui pensare. Incappo nei miei amici Charles mi chiede se esco a mangiare con loro e gli rispondo “No” urlando mentre continuo a correre vero l’aula e quasi inciampando. Entrato percorro la percorro tutta, afferro il mio skate e il mio zaino e poi uscendo tiro su anche quello di Ciel. Per tornare verso l’infermeria, siccome l’orda di “Galline in Fuga” dalla scuola è finita, percorro i corridoi in skate e in un attimo mi ritrovo in infermeria dove entro con furia. Ciel è nella stessa identica posizione in cui l’ho lasciato aspetto per qualche secondo immobile sull’uscio per poi chiudere la porta e appoggiarmici; Ciel si volta dopo avere constatato che sono io appoggia la borsa sul letto e si rimette le scarpe. Una volta usciti dall’infermeria e giunti all’uscita della scuola, ci fermiamo un secondo sotto il portico, gli pongo il suo zaino e finalmente si decide a parlarmi
“Sai, non è necessario che tu mi riaccompagni a casa …” dice con tono quasi timido
“Assolutamente no, ti ci riaccompagno eccome. Pensa se poi quella dell’infermeria viene a sapere che non l’ho fatto! Non mi lascia più andare lì per marinare le lezioni!”
Ciel sbuffa e scende i tre gradini che dal portico conducono al giardino indicando la direzione che dobbiamo prendere. Noto che per la strada molti lo guardano. È come se avesse un’ aura o qualcosa così … non saprei come spiegarlo, so solo che, sarà per il colore di capelli inusuale, la benda sull’occhio che gli da’ un’aura di mistero, tutti rimangono a dir poco ipnotizzati da questo ragazzo. Per la maggior parte del tragitto non parla, finché non passiamo davanti al negozio di dolci più buono della città dove ogni tanto mi fermo a comprare la merenda andando a scuola; lì Ciel si incolla alla vetrina e comincia a mangiare con gli occhi tutto quello che gli si presenta davanti e non c’è da biasimarlo: torte decorate con rose di zucchero che sembrano vere, biscotti dorati, pasticcini  che farebbero gola anche a chi ha già consumato due pranzi di Natale.
“Fame?” dico con tono divertito
“Qui non c’entra la fame o meno. Queste cose si mangiano sia se si ha fame sia se non la si ha!”
Ridacchio e poi gli prendo la mano portandolo dentro la pasticceria e facendo tintinnare il campanello che avvisa dell’entrata di un cliente.
“Che cosa vuoi?”
“Eh?” risponde mentre si aggira osservando la pasticceria che all’interno presenta arredo settecentesco e pareti dipinte di blu.
“Vuoi qualcosa di particolare?” Gli rispondo “Non mi dirai mica che ti sei fermato lì davanti con l’intenzione di guardare e basta!”
Ciel smette di osservare la pasticceria e mi guarda con tono serio, ma cordiale dicendo “Effettivamente ti avrei chiesto di entrare … comunque, data la tua gentilezza, concedo a te di scegliere”
“Che tono da damerino” dico ridendo “Va bene che sei inglese, ma abbiamo la stessa età, ci manca solo che tu mi dia del Lei!”
Ciel arrossisce e si volta di scatto andando verso un robusto scaffale in mogano dove dono riposte caramelle mentre io mi avvicino al bancone e chiedo alla commessa, Maria, la donna  coi capelli rosso chiaro che mi serve di solito, una torta con le fragole. Mentre Maria la chiude in una scatola azzurra come i muri e un fiocco d’oro come le decorazioni, mi volto a osservare divertito Ciel: ha uno sguardo estremamente concentrato mentre guarda le caramelle, corruccia le sopracciglia e apre leggermente la bocca,  esattamente come un bambino, il che è alquanto divertente dato che ha 16 anni, così, però cresce in me quella voglia di fargli un ritratto, uno fatto bene con anche il carboncino e le ombreggiature.
La signora della pasticceria mi riporta alla realtà porgendomi il pacchetto, pago e mi dirigo verso l’uscita affianco alla quale Ciel è intento a contemplare lo scaffale dei cioccolatini, gli prendo il braccio con grazia e gli dico all’orecchio:
“Vieni?”
Ciel si scansa e mi guarda arrossendo, io rido mentre esco dalla porta che aprendosi fa suonare una campanella posizionata in cima a questa. Ciel mi segue a ruota e percorriamo i pochi metri che ci separano da casa sua con solo il fruscio del vento tra gli alberi di ciliegio.
Ci fermiamo davanti ad un enorme cancello nero al cui centro c’è uno stemma che probabilmente è quello dei Phantomhive. Ciel compone un codice al citofono e mentre recupera la scatola con la torta, il cancello si spalanca  e rimango a dir poco stupito dalla grandezza di quella casa, anche se, dato che so che suo padre è proprietario di un’importante azienda, non dovrei. È in cima ad una collinetta di erba verdissima, alla quale si arriva tramite un vialetto di ghiaia ai cui lati si trovano dei cespugli, l’entrata sostenuta da colonne con capitello ionico è orientata leggermente verso la nostra destra. È di stile Liberty. Lo so perché l’ho appena studiato per le lezioni di disegno con Hannah, e se devo essere sincero, solo ora che ne vedo un esempio dal vivo posso coglierne a pieno la bellezza; saranno almeno quattro piani di casa, con la mansarda e presumo la cantina. Ai lati del vialetto un ragazzino biondo che sta potando i cespugli appena vede Ciel lo saluta calorosamente e lui risponde con un cenno con la testa. Lasciate le cesoie a terra, il ragazzo corre all’interno della villa probabilmente ad avvisare dell’avviso del signorino.
“Bene, io sono arrivato. Sono felice che il mio primo giorno sia anche l’ultimo della settimana, per lo meno potrò incassare il colpo con calma. Be’, ti ringrazio ancora per …”
Lo interrompo prendendolo per i polsi e spingendolo contro il muro del cancello. Una volta che è lì appoggiato senza possibilità di fuga, lo bacio di nuovo, ma non come prima, non come a scuola. Sta volta non devo provare nulla a nessuno, posso gustare a pieno il sapore delle sue labbra, respirare il suo odore, odore di pulito, di buono e disegnare con la lingua ciò che più mi piace, senza pudore. Allargo leggermente la presa attorno ai suoi polsi e quando lo faccio le sue mani vanno sul mio petto. Improvvisamente sentiamo dei passi sulla ghiaia del vialetto e lui si stacca velocemente.
“Alois, senti … ti ringrazio. Oggi a scuola mi hai letteralmente salvato, ma io … insomma … io … io non …”
“Zitto, so già cosa vorresti dirmi e risponderò solo un paio di cose: primo, che se davvero non volessi tutto questo avresti potuto respingermi adesso e secondo, io, in un modo o in un altro, ottengo sempre ciò che voglio e ciò che voglio ora sei tu. Fine della storia.”
Uscita trionfale: giro i tacchi e mi allontano per Black Chapel tra i fiori di ciliegio che hanno cominciato a cadere più copiosi a causa del vento che si è fatto più forte. È la verità, nessuno mi ha mai detto di no. E nemmeno sta volta. È come se in un altro tempo, in un altro mondo, in un'altra vita ci fossimo già conosciuti e avessimo già vissuto tutto questo. È come se avessi la sicurezza che lui sarà mio come niente e nessuno prima d’ora, è per questo che non intendo rinunciarci.
“Alois!”
Lo sento esclamare alle mie spalle e continuando a camminare con lo skate sottobraccio  e lo zaino su una spalla sola:
“Se cambi idea, stasera alle undici in Willow’s way 18 c’è una festa. Mi trovi lì dalle undici e mezza”
Che uscita ragazzi, non so, ma quando faccio questi exploit mi dico da solo che dovrei fare l’attore. Una volta girato l’angolo con Rose Boulevard riprendo lo skate e in un paio di minuti sono a casa. Salgo i gradini e infilo la chiave nella serratura. Sei giri per aprire. Mio zio non è tornato per pranzo, perfetto. Butto lo zaino sull’ uscio e mi levo velocemente le scarpe. Vado in cucina e prendo una pizza dal surgelatore che scaldo al microonde e mangio davanti alla televisione. Una volta finito raccatto il mio zaino, salgo in camera mia e faccio i compiti per lunedì finché alle quattro non sento il campanello suonare, allora prendo un astuccio il cui verde originario è coperto da un milione di spille, dei fogli e scendo velocemente, le lezioni di disegno sono l’unica cosa per la quale vale la pena andare bene a scuola. Apro la porta e mi trovo davanti una giovane donna con capelli chiarissimi legati in una coda, pantaloni neri aderentissimi, T-Shirt nera e Dr. Martens a fiori rossi.
“Ciao Hannah”
“Ciao stronzetto” dice lei entrando in casa e dirigendosi senza farsi problemi verso la sala “hai scelto la playlist e il tema di oggi?”
Le lezioni con Hannah sono così strutturate: il martedì due ore, una di storia dell’Arte che ouò sembrare estremamente pallosa, ma fatta da Hannah è uno spettacolo, e una di architettura e il venerdì disegno libero il cui tema viene scelto a settimane alterne o da me o da lei.
“Certo. Muse, Radiohead e A Day to Remember e come tema ritratto a memoria.” Dico mentre attacco l’Ipod alle casse dello stereo in sala e poi mi siedo sul divano e comincio a disegnare
“Mmm .. cose tranquille rispetto al solito … e anche il tema mi sembra inusuale … siamo innamorati Trancy?” dice Hannah cominciando anche lei a disegnare.
Le racconto tutto. Da sta mattina in cortile al bacio davanti a casa sua, senza dimenticare il pugno ad Edward, l’avere completamente ignorato i miei amici, la torta, la villa gigantesca, Ciel, i suoi occhi, i suoi capelli, il suo mezzo sorriso, il suo tono di voce e anche che gli ho detto di venire a quell’open house sta sera. Gliel’ho detto perché è tipo quel genere di adulto con cuoi parlare di tutto e, siccome è adulto, può capire meglio e darti consigli migliori. Hannah ascolta e commenta le mie uscite di scena con un “sei troppo teatrale, proprio una primadonna!” ma nessun commento negativo. Mentre disegniamo, rientra Luca da scuola e dopo essere venuto a darmi un bacio sulla guancia e salutato Hannah (per la quale ha una divertentissima cotta) sale in camera a giocare. Alle sei in punto rientra mio zio e Hannah dopo aver commentato i disegni, nel mio caso più un “dopo aver fatto attestare ad Hannah che Ciel è un figo” e aver compreso entrambi che, nonostante siano estremamente verosimili e ben fatti, manchi qualcosa, si catapulta fuori dove ad attenderla c’è il suo ragazzo storico, Bard, un americano biondo e palestrato, ex Marine, sempre con le magliette con la manica arrotolata, su una moto pazzesca e la sigaretta in bocca. Tra quei due è un continuo tira e molla, a causa dei continui tradimenti di lui (e di lei), ma finiscono sempre per rimettersi insieme per il dispiacere di Luca che “ama” Hannah dal momento in cui gli ha fatto un ritratto. Li saluto sull’uscio e rientro solo quando sono partiti; una volta rientrato comincio a prepararmi per la sera. Salgo al piano di sopra e mi faccio una doccia sotto la quale rimango una mezz’ora per poi mettere a posto in camera il mutande e farmi un pisolino fino alle otto, quando Luca comincia a saltare sul mio letto urlando “È pronto!” allo stesso tempo dei salti, al che una volta che mi sono svegliato lo afferro e facciamo un po’ di lotta finché Zio Claude non urla “Vi muovete o vi muovete?” Allora scendiamo e ci sediamo al tavolo dove io ingurgito senza spiccicare parola a parte una sola bugia: il “Sì, certo” che dico quando mio zio mi chiede se chiamato i miei oggi. Fortunatamente ho finito di mangiare e mi dirigo in camera mia dove finisco di prepararmi in mezz’ora: Jeans, Maglietta con sopra camicia a quadri, capelli spettinati. Scendo al piano di sotto e mi siedo a guardare un film con mio fratello mentre mio zio legge al tavolo della sala e ogni due secondi ci chiede di abbassare il volume. Finito il film, alle undici, porto in braccio Luca, sfinito, nella sua cameretta blu piena di giocattoli al piano di sopra. Gli metto il pigiamo, gli faccio lavare i denti, e gli rimbocco le coperte.
“Alois, a che ora torni?” mi dice nascondendosi sotto le coperte
“Non lo so folletto, ma tu dormi e quando ti sveglierai domani mattina sarò a casa, okay?”
“Va bene” dice uscendo dalle coperte.
“Buonanotte, piccolino” dico dandogli un bacio sulla guancia
“A domani fratellone”
Spengo la luce e lascio la porta in modo entri un pochino di Luce come piace a Luca. Scendo le scale ed esco direttamente di casa, senza nemmeno salutare zio Claude che è ancora intento a leggere il suo libro. Decido di non prendere il motorino per andare a willow’s way perché non si sa mai che io sia ubriaco al mio ritorno e vada a schiantarmi contro un albero e anche perché, nonostante sia in sogno di molti ragazzi della mia età, a me non è che piaccia molto andare in motorino e decido di non prendere nemmeno lo Skate perché non vedrei dove vado e sarebbe anche più rischioso che andare in motorino da ubriaco. Così cammino per le strade deserte e silenziose passando tra villette e condomini di lusso senza badare a ciò che mi sta attorno da solo finché a un certo punto non svolto a willow’s way e vengo avvolto da musica dubstep e circondato da praticamente tutta la scuola. Cerco il numero diciotto tra la folla, Quattordici, Sedici … il mio sguardo è rapito come la mattina a scuola. Davanti al cancelletto del numero 18, tra gente che si bacia e altra che fa’ a botte, con camicia nera e jeans chiari attillati c’è Ciel.







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Ciao a tutti!
Volevo ringraziare redseapearl e Milli66 che mi hanno recensito e coloro che mi hanno messo tra le seguite e addirittura le preferite! Vi ringrazio moltissimo!
Be', fatemi sapere e al prossimo capitolo!

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