Wherever I Go...

di Calipso__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia macchina è distrutta da degli uccelli ***
Capitolo 2: *** Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade ***
Capitolo 3: *** La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto ***
Capitolo 4: *** Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa ***
Capitolo 5: *** Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente. ***
Capitolo 6: *** Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadenti ***
Capitolo 7: *** Visioni & sogni ***
Capitolo 8: *** Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri ***
Capitolo 9: *** Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra ***
Capitolo 10: *** Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell’Ade ***
Capitolo 11: *** Finalmente veniamo a conoscenza della verità ***
Capitolo 12: *** Vado incontro alla morte con un sorriso ***
Capitolo 13: *** E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio ***
Capitolo 14: *** Ovunque saremo ***



Capitolo 1
*** La mia macchina è distrutta da degli uccelli ***


Wherever I Go 1

 

 

 

 

 

1

La mia macchina

è distrutta da degli uccelli

 

I

 
mmaginatevi di trovarvi in una piovosa notte di aprile: l’acqua scende dal cielo scuro e voi con la vostra automobile state tornando a casa dopo una serata tranquilla con gli amici, radio moderata, occhi fissi sulla strada, dita che picchiettano sul volante al ritmo di musica. Era proprio quello che stava succedendo a me, niente di strano fino a qui. Spostai gli occhi verso il cielo nero e tempestoso, e sospirai: quella notte per l’ennesima volta avevo sognato quella ragazza dai corti capelli castani e dagli occhi azzurri; era da parecchio tempo che la sognavo, e l’immagine di lei imprigionata in quella stanza buia non voleva uscire dalla mia testa neppure quando ero sveglia. Era quasi come se mi ci fossi affezionata, anche se non avevo la benché minima idea di chi fosse.

Ero immersa nei miei pensieri, quando all’improvviso accadde l’impensabile; provate a immaginare di sentire un forte tonfo e il rumore di un vetro rotto provenire da dietro di voi. Vedendo dallo specchietto il vetro posteriore dell’auto distrutto, qualunque persona con un briciolo di cervello, fermerebbe l’auto sul ciglio della strada per vedere i danni e per capire se si tratta di un qualche atto di vandalismo. Immaginatevi invece di vedere da quello specchietto non solo il vetro distrutto, ma un enorme uccello dal becco affilato volare seguendo la vostra auto. Pazzia? Ebbene, che ci crediate o meno, queste cose sono da sempre state parte della mia vita, ed è proprio da questo episodio che finalmente le mie disavventure iniziarono ad avere un senso.

Chi sono io? Mi chiamo Roberta, ho 20 anni e abito in Italia. Cosa c’è di strano in me? Beh, saranno forse i numerosi anni passati in terapia con gente che mi prendeva per un’indemoniata perché vedevo delle strane creature attaccarmi di tanto in tanto... la gente inoltre prendeva le mie ferite per semplice autolesionismo. Ho sofferto molto per questo. Io sono da sempre stata convinta che quello che mi succedeva fosse reale, ma dopo una vita che continuano a ripetere ai tuoi genitori “vostra figlia non solo soffre di un deficit dell’attenzione, non solo è dislessica, ma ha dei problemi mentali”, finisci per crederci pure te.

Potevano darmi della pazza quanto volevano ma, mentre guidavo con le lacrime agli occhi, pigiando l’acceleratore fino in fondo, mi dissi che era impossibile che i medici e i miei genitori potessero trovare una scusa a quello che era successo all’automobile. Dietro di me notai che non c’era solo un uccello, ma ce n’erano addirittura tre: erano enormi, di un rosso molto scuro e gli occhi quasi incandescenti; avevano un becco di un arancio sporco, molto lungo e acuminato, e un’apertura alare veramente impressionante, per non parlare delle piume, che sembravano brillare sotto la luce dei lampioni. La pioggia non sembrava turbare minimamente il loro volo. La strada di fronte a me era tutta libera, non c’erano auto in circolazione, il che era da una parte una fortuna, perché così potevo andare di gas senza preoccuparmi, ma dall’altra un problema, perché nessuno poteva accorgersi che io in quel momento ero in pericolo; forse però la cosa non faceva differenza: mai nessuno riusciva a vedere i mostri che vedevo io. Improvvisamente l’auto sbandò, a causa dell’acqua planning, e ribaltai in un fosso alla mia destra. Chiusi gli occhi terrorizzata mentre ribaltavo, e sentii gli air-bag aprirsi. Quando aprii gli occhi mi ritrovai praticamente al contrario, con la testa in basso e le gambe per aria; avevo parecchie ferite sulle braccia, sulle gambe e sul viso, ero circondata da pezzi di vetro, sanguinavo, ma per lo meno ero ancora viva. Non sapevo cosa fare: una parte di me avrebbe voluto uscire da quella carcassa il prima possibile, ma l’altra parte di me sapeva benissimo che, se fossi uscita, avrei reso le cose più semplici a quegli uccelli perché, io lo sapevo, loro cercavano me. Non so perché lo facessero, ma era inevitabile: da sempre mi ritrovavo in situazioni inspiegabili con serpenti a due teste e capre troppo feroci.

Incrociai le dita e sperai che quei dannati uccelli se ne andassero, ma dovetti subito ricredermi, quando sentii i loro becchi affilati infilarsi letteralmente nella carcassa dell’automobile. Non potevo starmene lì senza via di scampo a farmi sbranare. Nello schianto, il freno a mano si era staccato e vedendolo decisi di fare qualcosa: lo presi, lo infilai nell’apertura che si era creata nella mia portiera e, con i piedi, cercai in tutti i modi di fare leva, come se fosse un piede di porco, il che non era per nulla semplice.

Dopo parecchie spinte con i piedi, la portiera si staccò letteralmente ed io pensai che sarebbe stato da stupidi uscire dall’auto e mettersi a correre con degli stupidi uccelli maledetti alle calcagna. Presi la portiera staccata, e la trascinai con me, di modo che potesse farmi da scudo da quelle creature, ma sapevo bene che se si fossero alzate sopra di me, sarebbe stata la fine. Probabilmente non erano creature molto intelligenti, perché non lo fecero. I tre enormi uccelli se ne stavano di fronte a me, e vidi dai loro corpi uscire delle lame metalliche. Riuscii a coprirmi dietro la portiera in tempo, ma rimasi ancora più terrorizzata quando notai che era successo: le cose metalliche che erano schizzate fuori dal loro corpi erano le loro piume, ed avevano perforato la portiera.

Ok, se devo morire in questo modo, speriamo almeno che siano veloci a farmi fuori! Pensai terrorizzata con le lacrime agli occhi, e chiusi gli occhi, accucciandomi su me stessa dietro la portiera mezza distrutta mentre quegli enormi uccelli si preparavano ad un attacco diretto.

Poi accadde una cosa che non mi aspettavo proprio: sentii un botto e gli uccelli lamentarsi. Alzai lo sguardo e vidi che di fronte alla portiera c’era un ragazzo alto, dai capelli nero corvino che mi dava le spalle. Teneva qualcosa di fronte a sé, una specie di scudo, che aveva fermato i tre mostri: stranamente quell’aggeggio a differenza della portiera dell’automobile non si era distrutto. Mentre i tre uccellacci si stavano riprendendo dal dolore, il ragazzo si girò verso di me preoccupato e, restando in posizione di difesa, mi domandò: - Are you ok? –

Non capii perché stesse parlando in inglese, ma annuii debolmente, tremando e non sapendo né cosa fare né se mi potessi fidare di quel ragazzo… poi mi resi conto della realtà: quel ragazzo mi aveva salvata! Anche lui vedeva quei giganteschi mostri! Allora non ero io ad essere pazza! Dopo anni passati con gente che cercavano di convincermi che avevo dei problemi, ora avevo la certezza di essere sana di mente! Non ebbi tempo di fare delle domande, perché i tre uccellacci stavano per riattaccare. Solo in quel momento notai che il ragazzo non solo teneva uno scudo con una mano, ma nell’altra aveva… una spada.

Il ragazzo tentò parecchie volte di colpire le creature, ma quelle si alzavano e si abbassavano in volo e passavano subito all’attacco con le loro piume micidiali, i loro becchi affilati e i loro artigli. Il ragazzo se la stava cavando comunque benissimo, e ad un certo punto finalmente la sua spada riuscì a trapassare il corpo metallico di una delle creature che, con uno strillo raccapricciante, si dissolse in polvere. Gli altri due mostri non sembravano felici della scomparsa del loro compare, e i loro occhi lampeggiarono rabbiosi verso il ragazzo, che dovette mettercela tutta per difendersi. Ormai i due esseri malefici erano concentrati solo sul ragazzo, come se si fossero dimenticati di me; mi sentivo impotente di fronte a quella scena, avrei voluto aiutarlo anch’io a far fuori quei cosi, anche se non sapevo come. Ad un certo punto uno dei due uccelli, nel tentativo di beccare in pieno il ragazzo, stava per planare dritto con il suo becco addosso a me, ma lo sconosciuto con un salto mi fece abbassare e mi protesse con il suo scudo. Nel momento stesso in cui lo fece mi lanciò un accendino rosso fuoco dicendomi in inglese: - Prendi Exusía! – e tornò alla lotta. Guardai l’accendino senza capire: cosa dovevo farci con un accendino?! Accendermi l’ultima sigaretta prima di lasciarci le penne?! Vedendo con la coda nell’occhio che fissavo l’accendino senza capire, mentre parava l’ennesimo doppio attacco dei due mostri, il ragazzo urlò: - Accendi! -

Non riuscivo proprio a capire a cosa potesse servire, ma lui sembrava saperne molto più di me, quindi gli diedi ascolto; con il pollice feci scattare l’accendino, che si accese, ma la fiamma si allugò di almeno sessanta centimetri, e sentii nella mia mano destra l’accendino allungarsi. Quando aprii gli occhi mi ritrovai in mano anch’io una spada, e rimasi a bocca aperta: era lucida, aveva il pomolo incastonato di piccoli smeraldi rossi e sull’impugnatura vidi una scritta, ma non ebbi tempo di  leggere che uno dei due mostri mi attaccò.

Senza pensarci un secondo di più, sferrai un colpo al mostro, tranciandogli la testa di netto: questo si dissolse immediatamente in polvere con un verso dolorante. Mi stupii della mia bravura visto che in vita mia non avevo mai tenuto in mano una spada. Mi avvicinai al ragazzo affiancandolo, ed entrambi ci mettemmo in posizione di difesa di fronte all’ultimo mostro rimasto, che sembrava scrutarci come a valutare quale fosse il modo più doloroso possibile per ucciderci.

- Non appena scende in volo su di noi, tu buttati da parte – mi sussurrò piano il ragazzo. – e quando mi sta per colpire, sferragli un fendente da dietro dritto nel collo. -

Annuii agitata, tenendo entrambe le mani sull’impugnatura della spada, e presi un grosso respiro: dovevo concentrarmi e stare tranquilla, quel ragazzo sapeva come cavarsela, potevo farcela pure io. Come aveva previsto, il mostro planò in picchiata su di noi; io mi buttai a sinistra, la spada ben stretta tra le mie mani, ma mi alzai in piedi subito: il mostro era praticamente a poca distanza dal ragazzo, e questo se ne stava immobile, lo scudo alzato e la spada pronta a difendersi. Non mi feci attendere un secondo di più: con un coraggio che nemmeno io credevo di avere, mi buttai sulla schiena dell’uccellaccio, alzai la spada con entrambe le mani, la lama rivolta verso il basso e glie la conficcai dritta nel collo. Il mostro sorpreso urlò e si dileguò sotto di me, facendomi cadere a terra con le ginocchia, mentre la spada si conficcava nel terreno, a un paio di centimetri di distanza dal ragazzo.

Rimasi inginocchiata per terra ancora per un paio di secondi, le mani intorno all’elsa della spada: ero troppo traumatizzata per dire qualcosa, e non sapevo se scoppiare a piangere dal sollievo o urlare di gioia. Mi lasciai andare indietro e mi appoggiai a terra con le mani, osservando dal basso il ragazzo che stava finalmente lasciando la posizione di difesa e mi osservava con un sorriso soddisfatto.

- Te la sei cavata proprio bene! – si complimentò mentre il suo scudo si rimpiccioliva fino a diventare un polsino di borchie e pelle nera attorno al suo polso sinistro. – Non tutti alla prima occasione riuscirebbero a fare fuori due Stinfalidi in quel modo…! -

Riportai le mani sull’elsa della spada, per aiutarmi ad alzarmi, visto che le gambe mi cedevano dall'emozione per quello che era appena capitato.

- Stinfalidi? Si chiamano così quei cosi? – domandai in inglese, togliendo la spada dal terreno. Lui annuì e spiegò: - Sono dei mostri carnivori. –

Beh, su questo non avevo alcun dubbio… pensai ironica, dopo di che continuando a guardare il ragazzo, finalmente gli posi la domanda che avrei voluto porgli già all’inizio: - Perché posso vedere questi mostri? E perché sino ad ora tu sei l’unico oltre a me che può vederli? –

Il ragazzo ripose la spada nel fodero e senza rispondermi mi suggerì: - Spingi verso il centro due estremità opposte della guardia. –

Scoprii quindi che la guardia era quella parte tra l’impugnatura e la lama, ma prima di fare quello che mi aveva detto, osservai meglio la spada, per leggere quella scritta che poco prima non avevo avuto il tempo di leggere: c’era scritto χιλλεύς. Non avevo studiato greco al liceo, ma lo riconoscevo e mi stupii di riuscire a leggere e a capire chiaramente quella scrittura: c’era scritto Achille.

- M-ma… qui c’è scritto… - balbettai e il ragazzo annuì.

- Quella si chiama Exusía, un tempo era la spada del prode Achille – mi spiegò.

Scossi la testa sconvolta e dissi: - No, scusa… non credo di essere così pessima in inglese… ma hai veramente detto che questa era veramente la spada di Achille?! –

Il ragazzo annuì; io strinsi sconvolta le due estremità opposte della guardia verso il centro, come mi aveva detto lui e la spada sembrò rimpicciolirsi fino a tornare un comune accendino.

- No! – esclamai mettendomi le mani tra i capelli e camminando avanti e indietro agitata come non lo ero da molto tempo. – Com’è possibile tutto questo?! Sono anni che me lo domando, ma nessuno a parte me crede in quello che vedo… nessuno mai ha mai visto quello che vedo io, tu sei l’unica eccezione! -

- E’ colpa della foschia. – spiegò lui calmo. – La foschia è una magia che copre gli occhi dei mortali facendo loro sembrare normale qualcosa che normale non è. Per questo loro non possono capire cosa ti accade realmente. –

Mi voltai ferma verso di lui, e osservando quei suoi occhi scuri, neri e così profondi, riuscii leggermente a calmarmi: lui era così quieto che non potevo non esserlo pure io.

- Parli di mortali come se tu non lo fossi… - gli feci notare.

- Come se noi non lo fossimo – mi corresse, e vedendo la mia espressione accigliata, sorrise e mi disse: - Che ne dici di dirigerci a piedi verso casa tua? Io e te dobbiamo parlare, e poi ovviamente dobbiamo parlarne con il tuo genitore… ti spiegherò dopo – aggiunse vedendo la mia faccia straniata dal fatto che io e lui dovevamo parlare con i miei. Fortunatamente non eravamo tanto distanti da casa mia, e ci incamminammo nel buio della notte, bagnati fradici dalla pioggia che era appena finita.

- Cavoli, che scemo! – esclamò lui all’improvviso. – Le circostanze mi hanno impedito di presentarmi…- allungò la mano verso di me e si presentò: - Io mi chiamo Nico Di Angelo. – gli strinsi la mano sorridendogli e mi presentai: - Roberta, ma chiamami Robby… –

Notai subito che aveva un cognome italiano, nonostante parlasse inglese. Però non avevo tempo di chiedergli vita, morte e miracoli sulle sue origini: quello che interessava a me era sapere il motivo per cui mi succedevano sempre quelle cose assurde.

- Tu… stavi dicendo che non siamo mortali? – ripresi il discorso continuando a camminare, scrocchiandomi le dita nervosa.

- Lo siamo in parte. – mi corresse. – Tu vivi sola con un tuo genitore, vero? –

Scossi la testa, e abbassai lo sguardo: tra i tanti problemi che avevo, avrei dovuto raccontargli anche quello…

- Io… sono stata adottata. – raccontai con una voce fine. – Vivo con i miei… beh, in pratica sono loro i miei genitori. Ho così tanti problemi che non mi sono mai chiesta chi fossero realmente i miei genitori, e non ho nemmeno voglia di saperlo… -

Nico sospirò e annuì.

- E’ un po’ più complicato di quello che accade di solito, ma… sappi solo che la causa dei tuoi problemi è proprio uno dei tuoi veri genitori. - Lo guardai accigliato, ma lui continuò: - Sei dislessica, vero? E iperattiva, esatto? -

Ancora una volta non potevo crederci: come faceva a sapere tutte quelle cose di me?!

- Sì, ma… come fai a saperlo?! – gli domandai. Non era mai facile raccontarlo alla gente, specialmente con dei quasi sconosciuti. Era come ammettere di valere meno di una persona normale, cosa che in terapia mi facevano sempre pesare involontariamente e, credetemi, se non è bello quando la gente vi dice che non siete normali, lo è ancora di meno quando siete voi a doverlo ammettere. Ma Nico lo sapeva già, sembrava sapere tutto di me, il che aveva dell’incredibile, ma nell’ultima ora cosa c’era stato di non incredibile?

Lui sorrise e continuò: - Tu non sei dislessica, e meno che meno iperattiva, Roberta! Ricordi poco fa? Sei riuscita a leggere quella scritta anche se era in greco: il tuo cervello è impostato sul greco antico, per questo quando tenti di leggere nella tua lingua le lettere iniziano a roteare – rimasi ad ascoltarlo a bocca aperta: era tutto così assurdo…

- E l’iperattività? – domandai.

- Sono i tuoi riflessi da guerriera. – mi spiegò lui.

- Guerriera? E perché dovrei essere una guerriera? E cosa centrano i miei genitori naturali in tutto questo? – chiesi senza capire.

Nico sospirò, poi mi domandò: - Tra tutte le situazioni assurde che hai vissuto… ti è mai capitato di sentire una forte sensazione di calore dritta nello stomaco? –

Rimasi in silenzio: sì, mi era capitato. Non stavo facendo nulla di strano quando mi era successo: mi ero semplicemente svegliata da un sogno strano con quella sensazione calore di cui parlava Nico…

- Io… sono andata a vedermi allo specchio in quel momento, mi sentivo strana… - gli confidai; lui annuì e mi chiese: - E ti è apparso un simbolo, vero? -

Lui, per qualche strano motivo, sapeva tutto. Mi tirai su la manica destra e gli mostrai la parte interna del polso, dove avevo tatuato un fulmine.

- Quel giorno ho visto un simbolo come questo – gli dissi. – So che può sembrare assurdo, ma quando mi sono vista allo specchio l’ho visto proprio brillare proprio sopra di me, e dopo quel momento… non so… è come se fosse stato più forte di me, appena ho potuto sono andata e me lo sono fatta tatuare qui. -

Nico rimase basito per un attimo, poi si portò una mano tra i capelli e commentò: - La cosa è sempre più complicata di quanto credevo che fosse… -

- Allora?! – lo interruppi esasperata. – Mi vuoi dire che c’è che non va?! -

- Mi sembra ovvio, no? – mi chiese guardandomi cauto. Il suo sorriso si era forse un po’ spento, sembrava un po’ più intimorito di prima. – Tu sei figlia del divino Zeus. –

Ci eravamo fermati di fronte alla porta di casa mia, ma ancora non avevo preso le chiavi dalle tasche. Era veramente troppo incredibile. Impossibile. Ma Nico continuava a fissarmi serio come non mai.

- Zeus?! – domandai dopo parecchi secondi, o forse minuti, di totale silenzio. Lui annuì, ed io continuai: - Ma gli dei dell’Olimpo non esist… - lui mi mise una mano sulla bocca per impedire che finissi la frase, e mi disse: - Se non vuoi morire fulminata dal tuo stesso padre evita di pronunciare quella frase, ok? -

Gli tolsi la sua mano dalla mia bocca, ed esclamai: - E’ semplicemente assurdo! –

- C’è forse qualcosa nella tua vita che non lo è stato?! – mi fece notare lui, e allora mi zittii: tutto quello che mi aveva detto avere un senso, era incredibile, ma dopo anni ero riuscita a darmi una ragione alternativa al fatto che fossi da manicomio. - Ti sei tatuata sulla pelle un simbolo che hai visto apparire sulla tua testa: sai che è importante, è per questo che l’hai fatto anche se all’inizio non avevi capito per quale motivo. -

Rimasi ancora parecchio tempo in silenzio, sconvolta.

- E cosa dovrei fare allora? – chiesi tristemente.

- Vieni con me. – disse lui tranquillo, e finalmente sul suo volto tornò un sorriso. – Al Campo Mezzosangue. E’ un campo per ragazzi che hanno un genitore divino e uno umano, ragazzi ‘mezzosangue’, appunto: ci si allena a combattere i mostri che sono attratti dal nostro odore e a sopravvivere senza problemi. Io sono al Campo da quattro anni. –

Un campo per persone come me? Sentii il cuore battermi forte nel petto: per la prima volta mi stavano proponendo di andare in un posto che non era il manicomio, un posto nel quale certamente, mi sarei sentita a mio agio con persone che sapevano cosa voleva dire ‘essere diversi’. Una parte di me però esitava ad accettare; non dubitavo delle parole di Nico, lui aveva indovinato troppe cose di me, questo non poteva essere un caso e mi aveva salvato la vita… quello che mi faceva esitare era l’idea di lasciare i miei genitori. Sì, la mia vita non era mai stata normale, non lo sarebbe mai stata, ma senza i miei genitori, senza la mia piccola sorellina, avrei azzerato la mia normalità: erano una parte importante della mia vita.

Ero così presa dai miei pensieri che mi ricordai solo dopo di chiedergli: - Ma quindi anche tu sei un figlio… hem… di Zeus? –

Dal cielo partì un fulmine, e sia io che Nico alzammo lo sguardo spaventati, poi lui tornò a me, come se una reazione simile da parte del cielo fosse nella normalità.

- Credo che Zeus non abbia gradito questo tuo commento – disse lui con un sorriso ironico e un sopracciglio alzato. – Non tutti quelli al Campo Mezzosangue sono figli di Zeus: esistono anche altri dei e dee, sappilo. -

Io allora gli posi quella fatidica domanda che vorticava da un bel po’ nella mia testa senza trovare risposta: - Allora tu di chi sei figlio? –

Mi sorrise tetro e i suoi occhi neri sembrarono accendersi, diventando ancora più profondi.

- Io sono figlio di Ade, il dio dei morti -

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Capitolo 2
*** Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade ***


Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade

 

 

 

 

 

2

Mi ritrovo al Campo Mezzosangue

a fare da infermiera al figlio di Ade

 

F

 
 
eci poco caso a quello che successe dopo. Entrai in casa con uno sconosciuto dicendo che la macchina era distrutta e i miei iniziarono a bombardarmi di domande. Nico cercava di spiegare quello che stava succedendo, ma né mio padre né mia madre sapevano una briciola di inglese, quindi mi ritrovai non solo al centro dell’attenzione, ma pure a fare da traduttrice. Io però traducevo senza intromettermi troppo nel discorso: normalmente avrei tentato di giustificarmi, ma non ce la facevo, tutte quelle rivelazioni mi avevano traumatizzata troppo.

- Vostra figlia deve venire con me al Campo – insisteva Nico serio.

- Questa storia degli dei… è tutta una cosa ridicola! – esclamò mio padre rosso come un peperone dalla rabbia. 

Nico allora, vedendo che i miei genitori ancora non gli credevano, disse: - Se non credete agli dei posso mostrarvi i miei poteri: al Campo ho imparato a manipolare la foschia, posso mostrarvi che ciò che dico è reale. –

- Cosa sta dicendo? – domandò mia madre nervosa, e io le tradussi: - Sta semplicemente dicendo che se volete può dimostrarvi che tutte queste cose sugli dei sono vere. -

- Devo però avvertirvi – intervenne Nico – Non è uno spettacolo per deboli di cuore. –

Alzai un sopracciglio.

- Cosa? – chiese mio padre fissandomi insistentemente per ricevere una traduzione istantanea.

- Ha detto di rimanere seduti e allacciare le cinture di sicurezza: non vuole prendersi alcuna responsabilità in caso di svenimenti. – tradussi; avevo fatto quella battuta per rompere un po’ la tensione, ma in realtà ero nervosa pure io come loro: insomma, Nico stava per dimostrare i suoi poteri, e lui era il figlio del dio dei morti… la cosa era inquietante.

Nico portò le mani davanti a sé, la sinistra davanti agli occhi di mia madre e la destra davanti a quelli di mio padre. La scena era abbastanza divertente e trattenni una risata vedendo una vena fuoriuscire dalla tempia di mio padre, che sicuramente stava pensando a quanto fosse ridicolo prestarsi a una simile sciocchezza.

Dopo di che, Nico appoggiò le mani sul pavimento, e tutti noi sentimmo dei rumori provenire dal giardino alle nostre spalle; io, mamma e papà corremmo alla porta finestra, e vedemmo dei corpi uscire dal terreno, alzarsi e camminare. Era buio per vedere le loro facce, ma la cosa era reale e nessuno poteva negarlo. Mamma e papà stavano per dare di matto, erano talmente sconvolti che non riuscivano nemmeno ad urlare.

- Potete andare… - disse Nico rivolgendosi agli zombie. Anche se la porta era chiusa, i cadaveri colsero il messaggio e tornarono da dove erano arrivati, da sotto terra.

- Ci sono dei cadaveri sotto il nostro giardino?! – domandai terrorizzata rivolta a Nico, interrompendo quel tetro silenzio.

Lui alzò le spalle. – Pensi che dopo tutti questi secoli, sotto strati e strati di terra non ci siano dei morti un po’ ovunque? –

Inquietante, ma non faceva una piega.

- Non ci posso credere… - disse mamma lasciandosi andare sulla sedia, pallida dalla paura.

- Tutto quello di cui ci raccontavi, i mostri e i sogni… era tutto vero. –

Io annuii: una parte di me avrebbe voluto ricordare loro che come minimo mi dovevano delle scuse per gli anni passati in terapia a farmi dare della pazza dagli altri, ma pensai che al loro posto anch’io mi sarei comportata così.

- Credo che Nico abbia ragione – dissi lentamente. – Devo andare a questo Campo: se voglio tornare da voi e vivere nel limite del possibile una vita normale, non posso fare altro. -

Mamma annuì, ma papà sembrava ancora troppo scioccato per dire qualcosa.

- Hey, starò bene! – esclamai, più per convincere me stessa che per loro.

- Ci dobbiamo pensare, Robby… - disse papà all’improvviso.

- Che ha detto? – mi chiese Nico; gli tradussi quello che aveva detto papà e Nico sembrò diventare di tutti i colori.

- Forse non capiscono la gravità della situazione... più tempo passi qui, più mostri potresti incontrare! Già sono stupito che tu sia ancora viva... –

- Molto gentile a sottovalutarmi così… - commentai ironica, ma lui scosse la testa.

- No, tu non capisci… è veramente complicato vivere da Mezzosangue – spiegò. - la gran parte di noi se non trovato e addestrato al Campo non arriva ai 13 anni. Solitamente solo i Mezzosangue di dei minori riescono a cavarsela senza il Campo, perché il loro odore non è forte… ma tu, sei figlia di Zeus! I figli di Zeus, Ade e Poseidone sono quelli più in pericolo di tutti. Però è possibile che tu te la sia cavata semplicemente perché vivi in Europa. –

Lo guardai accigliato, prendendola un po’ come un’offesa.

- Scusa, e cosa c’è di male nel vivere in Europa?! – gli domandai incrociando le braccia e aspettando una risposta.

- Non te la devi prendere – mi disse subito. – Devi sapere che gli dei e l’Olimpo si spostano a seconda del paese più avanzato in un dato periodo storico: Grecia, Roma, Gran Bretagna fino ad arrivare in America. –

- Ma... se gli dei sono in America ora come ora, perchè io sono italiana? – chiesi; era una domanda stupida da fare in effetti, ma era lecita. 

- Probabilmente tua madre naturale deve essere una donna veramente speciale per aver attratto Zeus così lontano. - spiegò pazientemente Nico. - Il fatto è che nessuno al Campo si aspettava di trovare una Mezzosangue così potente. -

- Io… sarei potente? – domandai in un sussurro.

Nico annuì. – Sono venuto qui da te apposta per questo. Chirone, il nostro mentore al Campo, si è reso conto che qualcosa sta cambiando, è stato registrato un aumento della presenza di mostri proprio in questa zona, e ha mandato me in ricognizione. Sono settimane che piove, noi credevamo che ci fosse l’intervento di qualche mostro in particolare, non avevamo pensato all’eventualità che ci fosse qualche potente Mezzosangue proprio qui. –

- Quindi tutta questa pioggia… è colpa mia? – domandai con un filo di voce.

Nico alzò le spalle. – A quanto pare sì. Ma è strano: un Mezzosangue perde raramente il controllo dei suoi poteri, solitamente accade quando si trova in pericolo, eppure questa situazione continua da oltre un mese… –

Avrei voluto raccontargli dei sogni che facevo, della ragazza imprigionata, sentivo che in qualche modo aveva qualcosa a che fare con quello che stava succedendo… poi vidi le facce di mamma e papà. Solo una mia occhiata ed entrambi annuirono debolmente. Mamma si alzò e mi strinse in un abbraccio.

- Mi fido di te, quindi fai la brava e fatti sentire di tanto in tanto. – mi sussurrò piano, e annuii, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

Papà invece si alzò e mi mise una mano sulla spalla: si vedeva chiaramente che pure lui non voleva lasciarmi andare e che se lo faceva era solo per il mio bene, ma non è mai stata una persona che ama mostrare la propria emotività, così si limitò a quel semplice gesto. Gli sorrisi cercando di incoraggiarlo.

Prima di andare chissà dove e per chissà quanto tempo, andai in punta di piedi in camera, e l’osservai nostalgica a luce spenta: il mio letto era ancora fatto dall'altra parte della stanza, mentre nel letto vicino alla porta, mia sorella dormiva beata senza sapere cosa stava per succedere. Avrei voluto svegliarla per salutarla, ma sapevo che di fronte a lei avrei ceduto e sarei scoppiata a piangere, quindi mi limitai a sedermi sul suo letto e ad accarezzarla. Intanto guardai sulla scrivania le foto che immortalavano i momenti più belli passati con gli amici e per un attimo mi persi nei ricordi: quella grigliata a casa mia, quante risate! Per non parlare delle emozioni vissute a quel concerto… poi il mio sguardo si soffermò sui biglietti aerei che avevo attaccato sull’armadio; altri splendidi ricordi entrarono di prepotenza nella mia mente, e sentii lo stomaco contorcersi all’idea di dovermene andare senza neppure salutare i miei amici.

Mi voltai e vidi Nico sul ciglio della porta, che mi fissava, imbarazzato da essere un estraneo in quel momento così intimo e personale.

- Bella camera – si limitò a dire.

Io annuii e mi alzai in piedi, salutando mia sorella con un’ultima carezza.

- Devo prendere qualcosa? – domandai a Nico. Lui scosse la testa.

- Tutto ciò che ti serve sarà al Campo. – mi rassicurò. Presi solo con me il mio iPod, ci tenevo a sentire ovunque la mia musica preferita. Tornai all’ingresso e salutai ancora una volta i miei genitori, promettendo loro di farmi sentire il prima possibile, ed uscii da casa mia con Nico.

- Ed ora? – domandai. – Dove si trova questo Campo? –

Nico rispose allegro: - Beh, a Long Island, in America. –

Lo guardai un po’ accigliata e borbottai: - Hem… quindi dobbiamo andare in aereo? –

Lui scoppiò a ridere e rispose: - Non mi sembra il caso: non sono un figlio di Zeus, mi fulminerebbe subito se solo provassi a invadere il suo regno. -

- Allora cosa si fa? – domandai.

- Dopo gli scheletri in giardino ti farò provare un’altra chicca di un figlio di Ade. Si chiama viaggio nell’ombra. – disse con un sorriso.

Deglutii e commentai: - Beh, un nome confortante direi! –

Mi fece l’occhiolino e aggiunse: - Non devi avere paura delle ombre se sei con me. – poi mi diede le spalle e mi ordinò: - Su, forza: sali sulla mia schiena e attaccati forte a me. –

Lo guardai cercando di capire se stesse scherzando o meno, ma quando notai il suo volto serio, obbedii senza discutere.

- Mi raccomando non ti staccare mai e poi mai da me, ok? – mi raccomandò Nico prudente.

Non mi lasciò tempo di ribattere che sentii un freddo gelido entrarmi nelle vene, e fui circondata dal buio più profondo. Viaggiare nell’ombra è una cosa veramente orribile: non si riesce a vedere nulla, non si ha la cognizione di luogo e tempo e non solo ci si sente congelare dall’angolo più profondo del cuore, ma il vento è così forte che sembra volerti fare le ossa a pezzi. Mi strinsi ancora più forte a Nico: non riuscivo a vederlo, ma lui era l’unica fonte di calore che mi rimaneva, l'unica cosa che mi permetteva di non perdere i sensi. Sembrava che corresse ad una velocità atomica, era una cosa incredibile.

Improvvisamente, dopo non so quanto tempo, riuscii a sentire qualcos’altro oltre a Nico: il terreno. Io e lui infatti facemmo un atterraggio non molto morbido sull’erba fresca, e fummo circondati da un tramonto rosso sangue. Ero ancora in preda ai brividi, ma mi alzai per vedere dove ci trovavamo: eravamo all’aperto, in una zona collinare, e riuscivo a scorgere parecchi edifici in stile greco vicino a un lago. Mi voltai per congratularmi con Nico per quello che aveva fatto, ma lui giaceva in terra ad occhi chiusi: ero così entusiasta per essere arrivata al Campo, che davo per scontato che Nico stesse bene. Corsi da lui, e cercai di farlo rinvenire, ma invano; il cuore batteva, quindi era ancora vivo, ma il suo stato mi preoccupava comunque. Mi guardai intorno, ma non c’era anima viva: avrei dovuto andare fino al centro del Campo dove sorgevano quegli strani edifici per farmi aiutare, sicuramente lì conoscevano Nico.

Lo alzai e me lo portai praticamente sulla schiena, incamminandomi piano verso il centro del Campo; non era  pesante per la sua età, ma era comunque difficile trasportarlo in giro. Camminavo piano per non rischiare di inciampare e cadere insieme a lui.

Ad un certo punto vidi due figure correre verso di me dal lago: probabilmente mi avevano visto trasportare un’altra persona e stavano accorrendo in aiuto; solo quando si avvicinarono di più vidi che erano un ragazzo e una ragazza, ed entrambi si accorsero di conoscere il ragazzo che avevo sulla schiena.

- Nico! – esclamò il ragazzo, e mi aiutò subito a sostenerlo.

- Cos’è successo? – chiese nervosa la ragazza.

Raccontai loro del viaggio nell’ombra, ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo.

- E’ una cosa normale – mi spiegò il ragazzo. – Un viaggio nell’ombra è molto faticoso… Nico è molto allenato, ma non ha mai portato con sé una persona. Ora sta solo dormendo, è esausto e ha bisogno di riprendere forze. -

- Dobbiamo portarlo in infermeria. – continuò la ragazza annuendo, e ci fece strada.

Arrivammo molto velocemente in infermeria e la ragazza portò indietro le lenzuola di un letto vuoto, così che io e il ragazzo potessimo adagiarci sopra Nico.

Finalmente potei vedere in volto i due che mi avevano aiutata; la ragazza era molto bassa, anche se probabilmente aveva un paio d’anni in più di me, capelli neri, corti e ben pettinati, e mi osservava incuriosita con degli occhi neri e profondi. Il ragazzo invece era alto, slanciato e atletico, anche lui capelli neri ma occhi verdi, d’un verde intenso, forte e impetuoso… sentii un brivido percorrermi la schiena: quel ragazzo aveva qualcosa di strano, me lo sentivo per qualche strano motivo… mi fissava accigliato e sedendosi in fondo al letto di Nico disse: - Non abbiamo fatto le presentazioni: io mi chiamo Percy, e lei è Helénia. –

La ragazza alzò la mano per salutarmi, e lo fece con un enorme sorriso, mentre Percy sembrava continuare a studiarmi, il che era abbastanza irritante.

- Io sono Roberta, ma chiamatemi Robby. – mi presentai. – A quanto pare sono la ragione per cui in Italia c’erano tanti problemi. -

- Allora Nico ha completato con successo la sua impresa in Europa! – esclamò Helénia allegra, andando verso il comodino di Nico e tirando fuori una strana sostanza che sembrava succo di mela.

Solo in quel momento mi accorsi che Percy, Helénia e tutti i pochi ragazzi che avevo incontrato sul percorso verso l’infermeria, indossavano una maglia arancio a mezze maniche con la scritta Campo Mezzosangue.

Sentendo caldo, mi tolsi la felpa e non appena lo feci, Percy m’apostrofò: - Cos’è quel simbolo sul polso? – Alzai il braccio, gli mostrai il tatuaggio del fulmine e gli spiegai: - A quanto pare sono figlia di Zeus. Quando ancora non sapevo cosa potesse significare quel simbolo che mi è apparso sopra la testa, sentivo di dovermelo tatuare sul corpo. –

Percy sospirò e borbottò: - Ecco perché ho questa strana sensazione con te… -

- Come? – domandai io senza capire cosa volesse dire.

Il ragazzo mi osservò in una maniera strana: i suoi occhi verdi sembravano quasi volere attraversare i miei.

- Io sono figlio di Poseidone. – disse. – Sai… uno dei tre pezzi grossi insieme a Zeus e Ade. Spesso loro sono in competizione e litigano, anche per delle stupidaggini… per questo sentivo una strana sensazione allo stomaco non appena ti ho vista. -

Quindi gli stavo già antipatica a pelle. Probabilmente era la stessa sensazione che provavo io con lui. Fantastico. Vedendo la mia faccia, Percy si affrettò a chiarire: - Ma non è detto che non possiamo essere amici; conosco un’altra ragazza che è figlia di Zeus esattamente come te ed è mia amica. Semplicemente, beh… credo che ci sia un senso di rivalità intrinseco, ma questo non vuol dire che non si possa andare d’accordo, no? –

Beh, quel ragionamento non faceva una piega. Annuii nervosa, poi guardai Helénia e le domandai: - Tu invece di chi sei figlia? –

Con un sorriso mi lanciò una maglia arancione esattamente come le loro, che era appena andata a prendere in un armadio nella stanza.

- Sono figlia della dea Philotes. – rispose e vedendo che ancora non avevo capito, aggiunse: - E’ una dea minore, è figlia della Notte. Se Poseidone regna sul mare, Ade negli Inferi e Zeus sul cielo, mia madre regna nei sentimenti dell’affetto, della passione e dell’amicizia. Sai, fino a poco tempo fa nel Campo c’era posto solo per i figli di dei maggiori, ma ora dopo l’accordo stipulato nell’ultima guerra, ogni mezzosangue ha un suo posto qui. -

Sebbene non sapessi a quale guerra facesse riferimento, io annuii e Percy si alzò in piedi dicendo: - Beh, credo che sia tempo per te di andare a parlare con il nostro mentore, Chirone. Ti spiegherà come funzionano le cose qui al Campo. –

Io però non mi mossi, e commentai solo: - Io da qui non mi muovo. –

Percy si voltò nuovamente verso di me e mi guardò accigliato senza capire.

- Come, prego? – chiese, e io ripetei: - Non mi muovo da qui; per lo meno non lo farò fino a quando Nico non si sveglia. Non lo lascio da solo, ok? -

- Ma lui non sarà da solo – mi spiegò con calma Percy. – Al Campo siamo in tanti, inoltre lui non sta male, sta solo dormendo, e potrebbe continuare a farlo per un paio di giorni… -

- Non m’importa – lo interruppi. – Io rimango qui con lui, ok? –

Percy sospirò e con passo pesante, forse un po’ arrabbiato borbottò: - Un’altra testarda al campo, come se Annabeth non bastasse… -

Mi voltai verso Helénia che sorrideva divertita dalla reazione di Percy.

- E’ troppo forte quel ragazzo – commentò ridacchiando.

- Chi è Annabeth? – le domandai.

- La sua ragazza. – mi spiegò. – E’ figlia di Atena, la dea della saggezza. –

La dea della saggezza?! Ok, dovevo farci ancora l’abitudine a tutte quelle stranezze. Helénia si avvicinò a me porgendomi un panno bagnato e un bicchiere di quella sostanza che sembrava succo di mela.

- Cos’è? – le domandai.

- Nettare. – spiegò gentilmente. – E’ il cibo degli dei. Essendo mezzosangue possiamo berlo anche noi, ma in quantità ridotte, altrimenti prendiamo fuoco. –

- Sì, ci manca solo di prendere fuoco per concludere in bellezza questa giornata… - commentai sarcastica. Lei sorrise e disse: - E’ per Nico: il nettare, se preso in quantità ridotte, aiuta la guarigione di noi mezzosangue. –

Ok, ora aveva un senso. Appoggiai il panno bagnato sulla fronte di Nico, e gli aprii la bocca, facendogli scorrere giù per la gola un sorso di quella strana bevanda.

Passai in infermeria tre giorni e tre notti, e Nico sembrava immerso nel più profondo dei sogni. Ogni tanto borbottava qualcosa di incomprensibile, ma non mi preoccupavo poi molto: se si agitava nel sonno e parlava addirittura, voleva dire che era ancora vivo, e ciò non poteva che rasserenarmi.

Helénia era una persona molto gentile: ogni giorno passava tre volte in infermeria a portarmi qualcosa da mangiare e da bere; nonostante io e lei non conoscessimo praticamente nulla l’una dell’altra, era come se fossi stata da sempre una parte importante della sua famiglia: stare in sua compagnia mi si scaldava il cuore. Percy invece veniva da me un paio di volte al giorno per dirmi che avrei dovuto recarmi a parlare con Chirone e che avrei dovuto iniziare le attività e la normale vita del Campo, ma io non demordevo: nessuno mi avrebbe smossa da più di un paio di metri da quel letto fino a quando Nico non avesse ripreso i sensi.

Presto conobbi anche Annabeth, la ragazza di Percy: aveva i capelli ricci e biondi e degli occhi di un grigio intenso che, quando incontravano miei, sembravano volermi leggere dentro. All’inizio anche lei spalleggiava il suo ragazzo nel tentativo di convincermi ad andare a parlare con questo Chitone, ma quando vide che ero irremovibile, ci mise una pietra sopra.

- La vuoi smettere, Testa d’Alghe?! – sbottò finalmente seccata rivolta a Percy. – Capisco perché voglia stare vicino a Nico: è stato lui a portarla qua, e anch’io quando sono arrivata qua… sì, insomma, ho passato molto tempo all’albero di Thalia senza voler andarmene da là. -

Non sapevo di che stessero parlando né meno che meno chi fosse Thalia, ma rivolsi un sorriso riconoscente ad Annabeth che sembrava essere l’unica in grado di tenere testa a Percy. Lei mi ricambiò il sorriso con complicità.

Passarono altri due giorni, e sentivo un certo nervosismo passarmi per tutto il corpo: anche se Nico continuava a parlare nel sonno e ad agitarsi di tanto in tanto, mi preoccupava che non si fosse ancora svegliato. Sempre più spesso, toccando cose o persone, lanciavo delle scintille, ma non lo facevo apposta.

Stavo mangiando un pezzo di pizza che Helénia mi aveva portato gentilmente dal pranzo di quel giorno anche se ormai era pomeriggio inoltrato, quando Nico iniziò a borbottare qualcosa; inizialmente non capii cosa stesse dicendo, ma poi, per la prima volta, capii quella parola incomprensibile che da giorni ormai ripeteva nel sonno: - Bianca…! Bianca! –

Chissà chi era Bianca… forse la sua ragazza o forse una sua amica. Magari era una ragazza del campo che io non conoscevo: a parte Nico, Percy, Annabeth e Helénia, non avevo conosciuto nessuno… lo fissai agitarsi nel sonno. Dopo di che i suoi occhi neri si spalancarono, terrorizzati e agitati.

- Hey, Nico! – esclamai preoccupata. – Stai bene? -

Mi guardò ancora sconvolto, e per un attimo sembrò non riconoscermi nemmeno; dopo un paio di secondi passati ad osservarmi, scosse la testa e scendendo dal letto disse: - Ho fatto un sogno e… io stavo per… è successo qualcosa nell’Ade, lo so. –

Erano frasi scollegate, ma l’agitazione stava prendendo il sopravvento su di lui.

- Ascolta, calmati un secondo! – esclamai io, e con uno spintone lo feci tornare a letto; spingendolo via, lo colpii con una scarica di elettricità, e i capelli gli si rizzarono sulla testa.

- Scusami! – feci subito io, portandomi desolata una mano davanti alla bocca.

- Non fa niente… - borbottò lui appiattendosi i capelli.

- Quello che volevo dire è che… io devo ancora parlare con Chirone del mio arrivo e a quanto pare hai qualcosa da raccontargli pure tu. – dissi. – Ma non farti prendere dal panico, d’accordo? Non sono rimasta qui in infermeria per cinque giorni a vegliarti per vederti risvegliarti in panico, chiaro?! Devi stare un po’ calmo…! Prendi un po’ di Nettare che ti fa bene… – gli piantai il bicchiere di Nettare in mano e mi alzai in piedi con l’intento di uscire a cercare qualcuno con cui parlare.

- Sei rimasta qui per cinque giorni?! – domandò Nico incredulo, sdraiato a letto.

Io annuii. – Cinque giorni e sei notti per la precisione. – chiarii e mi avviai fuori. Prima che potessi allontanarmi troppo, sentii la sua voce chiamarmi: - Robby! – Tornai indietro di un paio di passi, fino ad arrivare sulla soglia della porta. Lo vidi sorridermi riconoscente e dire solo: - Grazie… -

Gli sorrisi alzando le spalle come a dire ‘non è niente di che’ e mi incamminai nel Campo alla ricerca di qualcuno.

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Capitolo 3
*** La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto ***


La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto

Ciao a tutti! 

Mi dispiace pubblicare questo capitolo dopo così tanto tempo, ma tra il volontariato, l'università e il fatto che sto leggendo Heroes of Olympus (sono a circa metà di The Son of Neptune) ho avuto poco tempo per scrivere fan fiction. Però ora eccomi qui con il terzo capitolo! Il prossimo non so quando riuscirò a scriverlo: ho mille idee e la trama già fissa nel cervello, quello che devo fare è decidere fino a che punto scrivere nel prossimo capitolo. Spero di riuscire a farlo il prima possibile. Ad ogni modo sappiate che Robby è ancora viva e vegeta e pronta a raccontarvi la sua storia!

A presto!

 

 

 

 

3

La mia permanenza al Campo Mezzosangue

 sarà più breve del previsto

 

D

 

opo tutti quei giorni che avevo passato reclusa in infermeria, finalmente ebbi modo di girare per il Campo Mezzosangue. C’erano ragazzi di tutte le età che si allenavano con la spada, altri che si allenavano al poligono del tiro con l’arco, altri ancora che giocavano a pallavolo e di tanto in tanto incrociavo addirittura dei satiri e delle ninfe. Solo in quel momento iniziai a rendermi conto della realtà in cui sarei vissuta d’ora in avanti: quello sarebbe stato il mio mondo.

Più camminavo, più mi sentivo sperduta: non riuscivo a trovare Percy, Annabeth o Helénia da nessuna parte, e mi sentivo a disagio sotto gli sguardi di tutti quegli sconosciuti.

- Hey, ciao! – fece una voce alle mie spalle. Mi voltai e vidi un ragazzo avvicinarsi a me; il ragazzo aveva all’incirca la mia età, era alto, abbronzato, con un’ombra di barba, capelli di un castano chiaro e occhi di un azzurro intenso. Aveva un enorme sorriso amichevole e solare sul volto e un arco sulla spalla.

- Tu sei la figlia di Zeus che Nico ha portato in salvo? Il signor D ha accennato a te giorni fa… - non avevo idea di chi fosse il signor D, ma io annuii e mi presentai.

- Io mi chiamo Paul, sono figlio di Apollo. – Per poco non scoppiai a ridergli in faccia: insomma, un figlio di Apollo che si chiama Paul… abbastanza onomatopeico e contando che Apollo oltre ad essere il dio del sole era il dio della poesia, era un nome che calzava a pennello.

- Hem… sai dirmi dove posso trovare… Percy, Annabeth o Helénia? – gli domandai.

- Dov’è Percy lo so di certo! – esclamò lui allegro. – Adesso sarà con Chirone nella Casa Grande, è sempre lì in questi ultimi giorni… ti ci accompagno io se vuoi! –

Annuii e mi lasciai condurre per il Campo verso questa Casa Grande. Mentre camminavamo in riva al lago, di tanto in tanto Paul lanciava un’occhiata al suo riflesso nell’acqua e si sistemava il ciuffo con attenzione.

- Hem… sei sicuro di essere figlio di Apollo e non… che ne so… di Afrodite? – domandai ironica. Lui rise di fronte alla mia domanda e rispose: - Hey, un figlio di Apollo non ha il diritto di essere sempre splendente come il sole? -

Sì. Pensai. E’ proprio un figlio di Apollo.

Durante il percorso, ebbi modo di parlare con Paul: mi raccontò di come era arrivato al Campo cinque anni prima grazie a Vera, una Mezzosangue figlia di Nemesi, e di come i due fossero diventati sin da subito amici per la pelle.

- Le devo la vita. – mi raccontò. – Mi ha salvato dall’Idra e mi ha portato sino al Campo. -

Nonostante fosse all’apparenza abbastanza narcisista, era un bravo ragazzo in fondo, e mi fece rimpiangere un po’ di non aver salutato i miei di amici prima di partire.

- E’ una ragazza testarda e caparbia, si lascia spesso trascinare dagli eventi, ma è una persona magnifica, lo capirai quando la incontrerai… -

- Sei mai uscito dal Campo da quando sei arrivato? – gli domandai. Lui s’intristì improvvisamente e scosse la testa.

- Io… no, non sono mai uscito da qui. – disse con un sospiro. - La situazione con mia madre… diciamo che è complicata. Non avendo un posto dove andare sono sempre rimasto qui, anche durante le vacanze. –

- Sei rimasto in questo posto per ben cinque anni senza mai uscirvi?! – commentai a bocca aperta. Ok, la cosa iniziava a terrorizzarmi: non mettevo in dubbio che quel Campo fosse un posto perfetto per noi, se dovevamo combattere mostri assurdi come quelli che avevo incontrato io nella mia vita, ma ora iniziavo a vederlo più come una prigione che come un campo vero e proprio…

- Sai, a noi Mezzosangue di tanto in tanto vengono date delle possibilità per uscire nel mondo e dimostrare il nostro valore. – mi spiegò Paul. – Se il consiglio è d’accordo, viene accordato il permesso di chiedere una Profezia all’Oracolo e dopo di che potrebbe essere approvata un’Impresa. –

- E tu ne hai mai avuta una? – chiesi. Lui fece di no con la testa; vedendo che mi stavo rattristando per lui, si affrettò ad aggiungere: – Ma hey! Prima o poi avrò la mia occasione, e allora, se sono certo, troverò la mia parte nel mondo. –

- In che senso ‘la tua parte nel mondo’…? – domandai senza capire.

- Beh… il fatto è che qui al Campo tutto è fantastico: siamo praticamente una grande famiglia, ci alleniamo tutti i giorni, ma… c’è qualcosa che non va secondo me. Non sono tanti i mezzosangue che sopravvivono fino all’età adulta, ma ultimamente ce ne sono parecchi; io ho 20 anni e in qualche modo sento la necessità di farmi una vita fuori dal Campo, di trovare una mia aspirazione. – tentò di spiegarmi. – Non dico che voglio trovare la normalità, non credo che ci possa essere normalità nella vita di un Mezzosangue. Quello che voglio è scoprire a cosa destinare la mia vita e vivere per quello. Non voglio essere un semplice eroe di turno che mostra il suo coraggio solo quando è chiamato dagli dei: io voglio essere l’eroe della mia vita e rendere il mondo un posto migliore per tutta la mia esistenza. –

Parlava con trasporto, gli occhi azzurri spalancati, sognanti e decisi. Non avevo mai sentito qualcuno credere così tanto in qualcosa. Gli sorrisi dicendo: - Sono certa che ce la farai e troverai qualcosa per cui lottare. –

In lontananza vidi un edificio diverso dagli altri e sotto il portico notai Percy parlare con una strana creatura… e rimasi a bocca aperta quando capii con chi. Stava parlando con un centauro.

- Ah, quindi è questa la ragazza di cui tanto mi hai parlato in questi giorni! – commentò il centauro quando arrivai da loro.

- No, aspetta… questo è Chirone?! – feci sbalordita, guardando Percy e Paul.

Percy mi guardò incredulo e mi chiese: - Veramente non hai mai sentito parlare di Chirone? E’ stato allenatore di famosi eroi come Eracle, Giasone, Enea, Achille… -

Mi voltai verso Chirone, che ancora mi stava studiando e mi accorsi di essere stata una colossale maleducata, così abbassai il capo dispiaciuta. - Io… mi dispiace di essere stata così maleducata da non essermi presentata… sono Roberta, meglio se mi chiama Robby. –

Il centauro annuì.

- Sì, in questi giorni Percy mi ha parlato di te fino allo sfinimento. – disse. – Aveva ragione a dire che abbiamo tanto di cui parlare, ma allo stesso tempo ho ritenuto giusto rispettare certe tue scelte. -

Con quelle parole Chirone si stava indiscutibilmente conquistando la mia simpatia.

- Nico si è svegliato – gli dissi – non appena si sarà totalmente ripreso, anche lui avrà qualcosa da dirle, ma per ora sono qui a raccontare la mia storia. –

Chirone annuì e ascoltò paziente tutto quello che avevo da dire: raccontai della mia famiglia, delle difficoltà che avevo trovato per anni ad essere una Mezzosangue isolata dal resto del mio nuovo mondo, raccontai di quando Nico mi aveva trovata e di come eravamo arrivati al Campo… poi mi bloccai: avrei voluto raccontargli della ragazza imprigionata che da oltre un mese infestava i miei sogni, sentivo che era importante… ma come poteva essere importante un dettaglio così stupido? Decisi di tacere a questo proposito, avrei finito solo per farmi dare della pazza anche dalle uniche persone che non mi ritenevano tale.

- E’ tutto molto strano. – commentò finalmente Chirone. – Avevo mandato Nico in ricognizione perché credevamo che la ragione di tutta quella pioggia in Europa fosse un qualche mostro, sentivo che c’era qualcosa di strano e che non era una semplice pioggia… ma mai avrei pensato di trovare una figlia di Zeus così lontano dall’America. Come potrebbe fare una cosa simile una figlia di Zeus che ancora non sapeva di esserlo?-

Mi osservò incuriosito, e vidi con la coda nell’occhio che Percy e Paul si stavano scambiando uno sguardo preoccupato: probabilmente se nemmeno Chirone sapeva come ero stata in grado di far scendere tutta quella pioggia, la cosa era preoccupante.

- Fino a quando Nico non ti ha resa partecipe di tuo padre, la pioggia ha continuato a scendere, provocando parecchi danni per i mortali… questa non è una capacità da mezzosangue, Robby. – mi avvisò Chirone.

 - Quindi… forse non è colpa mia? – ipotizzai speranzosa. – Forse era colpa di qualche dio…? –

Chirone incrociò le braccia pensieroso e commentò: - Può essere. Forse di Zeus stesso. Forse voleva che tu fossi trovata. –

- I-io non capisco… - commentai. – Perché Zeus avrebbe voluto che mi trovassero proprio adesso? Io ho visto il marchio di Zeus sulla mia testa a sedici anni, quattro anni fa! Cosa dovrebbe volere da me proprio in questo momento? -

- Robby, sono tutte ipotesi – mi ricordò Percy. – Nessuno di noi lo sa con certezza. –

- Certo, il suo è un caso isolato e di una certa importanza. – commentò Paul. – Insomma, Zeus, Poseidone e Ade si erano promessi di non avere figli dopo il casino della seconda guerra mondiale. Eppure da allora all’ultima guerra, durante la quale questo patto è stato revocato, Poseidone ha avuto te, Percy, Ade ha mantenuto in vita Nico, mentre Zeus ha avuto Thalia ed ora pure Robby. Sebbene il patto ora come ora non sia valido, ci sarà un motivo se Robby è stata trovata: vorrebbe dire scatenare l’ennesima lite tra gli dei visto che è anche lei la dimostrazione di come Zeus ha tradito i fratelli; non so, tutto questo non ha alcun senso… - commentò infine, passandosi nervoso una mano tra i capelli.

Dopo parecchio tempo passato in silenzio, Chirone disse: - Beh, ogni cosa al suo tempo! Inutile tormentarsi in attesa di risposte che ora non ci sono: l’importante è che tu Robby sia sana e salva qui al Campo. Percy, che ne dici di accompagnarla alla sua cabina e spiegarle come funziona la cena visto che ormai è quasi ora? -

Percy annuì, così io, lui e Paul ci allontanammo dalla Casa Grande.

- Mi dispiace di essere stato così scontroso con te in questi giorni. – disse Percy all’improvviso. – Solo che… da quando Nico è partito sono sempre un po’ in ansia; già la Profezia che ha ricevuto lui prima di partire per l’Italia non era il massimo, ma ora che sei arrivata tu qui non so cosa aspettarmi. –

- Sei preoccupato. – dissi solo alzando le spalle. – Ti capisco. Loro sono la tua famiglia, no? E’ normale che tu ti preoccupi per il Campo. Ma toglimi una curiosità… cosa diceva la Profezia? –

Paul e Percy si scambiarono uno strano sguardo, e Paul sembrò d’improvviso cercare di trattenere un sorriso.

- Nella terra di Roma un figlio d’Ade si troverà / quando d’improvviso qualcosa di più grande scoprirà: / questo è solo il primo passo per fermare / il Grande Risveglio che il mondo potrebbe annientare. - recitò Percy, come se su quei versi ci avesse meditato per intere nottate. Paul però continuò la profezia con un sorrisetto: - Con la spada di Achille l’eroe partirà… -

- Taci Paul! – esclamò Percy secco, ma Paul scoppiò solo a ridere.

Incrociai le braccia e li guardai tentando di interpretare i loro comportamenti.

- E il resto della Profezia? – domandai. Mentre Paul continuava a ridere, Percy si fece sfuggire un sorrisetto senza volerlo e disse: - Beh, diciamo che questa parte della Profezia potrà rivelartela Nico a tempo debito. -

Decisi di non fare altre domande: Percy non era intenzionato a rivelarmi l’intera Profezia, ma mi ripromisi che prima o poi sarei stata in grado di farmela dire da Nico stesso.

Arrivammo finalmente in un punto del Campo dove c’erano le cosiddette cabine: erano veramente molte, alcune ancora in costruzione ed erano disposte come un’ellisse.

- Eccoci qua! – esclamò Percy. – Queste sono le cabine, ovvero i nostri dormitori, chiamiamoli così: ogni cabina è destinata a un dio, quindi siamo divisi a seconda di chi sia il nostro genitore divino. La cabina numero uno, quella là in centro, è la tua, quella di Zeus. -

Tra tutte le cabine, quella di Zeus era sicuramente quella più celebrativa di tutte: la struttura era enorme, tutta di marmo bianco, con delle grandi colonne che la sostenevano; le porte erano di bronzo con fulmini incisi sopra che scintillavano quasi fossero degli ologrammi.

- Posso entrare? – domandai a Percy e Paul.

I due annuirono.

- Certo che puoi – mi disse subito Paul. – Solo che noi non possiamo entrarci, non essendo figli di Zeus non siamo autorizzati; tu entra e visita con comodo la tua cabina: noi ti aspettiamo qui. –

Mi avvicinai titubante alle porte di bronzo, e quando le aprii mi trovai di fronte a una sala unica, enorme che sembrava più un tempio che un luogo dove vivere.

Al centro si ergeva un’enorme statua di Zeus, alta poco meno di dieci metri, e solo allora sentii una fitta allo stomaco: per la prima volta stavo guardando una statua di Zeus con la consapevolezza che fosse mio padre. In realtà osservandolo bene, non aveva nulla in comune non me: lui aveva capelli neri, sguardo severo e braccia muscolose, io invece capelli biondi, sguardo… beh, di sicuro non severo, insicuro, direi… e braccia di una persona che si è solo allenata a fare zapping sul divano.

Guardai in alto e vidi il soffitto: la cupola era fatta di mosaico e ritraeva un cielo… in movimento. Esatto, le nuvole e la luce del mosaico si muovevano, e io sorrisi trovando l’unica cosa che mi piacesse in quel posto così spento e freddo sentendomi improvvisamente quasi come Harry Potter nella Sala Grande di Hogwarts.

Continuai a guardarmi intorno, ma non c’erano mobili: c’era un letto sotto la statua di Zeus che sembrava essere messo lì da qualcuno del Campo sapendo della mia presenza, poi per il resto c’erano solo nicchie con al centro dei bracieri di bronzo o delle aquile su dei piedistalli. Come potevano anche solo pensare di far vivere qualcuno in un posto come quello?!

Eppure qualcuno già c’era stato: in un angolo della stanza, notai che uno dei bracieri di bronzo era stato spostato. Mi avvicinai e vidi che al posto del braciere c’erano delle foto attaccate alla parete e uno zaino e un sacco a pelo appoggiati per terra. Quelle cose dovevano essere lì da tanto tempo visto che erano coperte di polvere. Mi avvicinai alle foto e con una mano levai lo strato di polvere e potei riconoscere qualcuno: era Annabeth da piccola, avrà avuto otto anni circa, ma dai capelli, dagli occhi e dai lineamenti ero certa che fosse lei; era in compagnia di un ragazzo carino di circa quindici anni dai capelli biondo cenere. C’erano parecchie foto di quei due che ridevano e si divertivano davanti al falò. Poi vidi in una foto un’altra persona: una ragazza di circa quindici anni, con corti capelli neri e vestita in stile gotico; la cosa strana erano i suoi occhi: grandi e blu… identici ai miei. Doveva essere Thalia, la ragazza che Paul aveva citato mentre parlavamo con Chirone: lei era mia sorella di sangue. Continuai a fissarla con il cuore in gola.

Chissà se mai la incontrerò… pensai mordendomi un labbro pensierosa: l’idea di conoscere una mia sorella mi rendeva molto più felice che il pensiero di incontrare mio padre in persona. Lui mi aveva lasciata senza risposte e senza una guida, solo con un segno sulla testa come a dire: Ti riconosco come mia figlia solo perché sono obbligato. Nulla di più. Nei suoi confronti non riuscivo a sentire nessun genere di legame: io un padre vero già ce l’avevo e si trovava in Italia. Mentre per quella ragazza, per Thalia, era diverso: avevamo lo stesso padre ma ero certa che a differenza di lui, lei non mi avrebbe abbandonata, se solo avesse saputo di avere una sorella. Lei sapeva sicuramente cosa voleva dire sentirsi… come me. Presi la foto e me la misi nella tasca dei jeans. Dopo di che uscii e trovai ancora ad aspettarmi Percy e Paul.

Arrivò subito l’ora di cena: andammo alla mensa, un padiglione senza tetto contornato da bianche colonne greche, affacciato sul mare, con una dozzina di tavoli da picnic in pietra e con un enorme braciere ardente al centro.

Percy mi spiegò che anche durante i pasti, così come nelle cabine, eravamo divisi per genitore divino; così Paul si sedette con i figli di Apollo, mentre io e Percy ci trovammo ad essere gli unici due seduti soli in due differenti tavoli. Tra la folla riuscii a distinguere Annabeth, che mi sorrise, circondata da ragazzi e ragazze con i suoi stessi lineamenti, ed Helénia, seduta ad un tavolo con solo due altri ragazzi oltre a lei.

Improvvisamente tutti quanti si zittirono e solo dopo un po’ capii il perché: al tavolo principale, dove stava Chirone, un ometto si era alzato, ma era talmente basso che anche quando si era alzato sembrava essere seduto. L’uomo aveva un viso paffuto, un naso rosso, i capelli scuri e ricci e gli occhi grandi, blu e iniettati di sangue. Indossava una camicia hawaiana e delle scarpe da ginnastica viola, e guardava tutti noi con aria di superiorità.

- Bene, mocciosi, prima di farvi cenare devo annunciare un paio di cose visto che qualcuno ci tiene ancora a queste formalità. – lanciò a Chirone uno sguardo contrariato, dopo di che si rivolse ancora a noi annoiato. – Bene, stavo dicendo? Ah sì: formalità… come già vi avevo annunciato, è arrivato al Campo un nuovo ragazzo, Bobby… -

Mi sentii ardere il viso: oltre al fatto che improvvisamente mi trovavo al centro dell’attenzione, quell’uomo mi aveva chiamata Bobby e mi aveva dato del ragazzo.

- Robby… - lo corresse subito Chirone. – Ed è una ragazza. -

- Sì, beh… fa lo stesso. – borbottò l’uomo - Ad ogni modo accogliamo la nuova figlia di Zeus e iniziamo a mangiare che io ho fame. –

Tutti applaudirono educatamente fissandomi, ma nessuno degli altri mezzosangue sembravano veramente felici del mio arrivo, ad eccezione di Helénia, Percy, Paul e Annabeth. Nico ancora non c’era, doveva essere ancora in infermeria. Annabeth incrociò il mio sguardo e guardò prima l’uomo vicino a Chirone e poi me e lessi il labbiale: Dioniso. Quell’ometto al tavolo principale era Dioniso, il dio del vino.

- Ah già… - esclamò Dioniso all’improvviso. – Sono stato chiamato sull’Olimpo per discutere con gli altri dei, in particolare con Zeus, riguardo Bobby… - mi morsi il labbro: avrei voluto mettermi a gridare di smetterla di chiamarmi con il nome di un cane, ma ora che sapevo che quello era un dio, decisi di trattenermi.

- Domani sera l’Oracolo tornerà al Campo, e Bobby dovrà incontrarlo: Zeus l’ha condotta qua apposta per questo, e a quanto pare è certo che avrà qualcosa d’interessante da dirle… una nuova Profezia a suo parere. -

Nella mensa si alzò un chiacchiericcio conciso e, ancora una volta, mi sentii sprofondare dall’imbarazzo; anche se non sapevo chi fosse l’Oracolo, sapevo cosa probabilmente voleva significare tutto questo: forse era come mi aveva raccontato Paul quel pomeriggio, avrei assistito ad una Profezia e mi sarebbe stata affidata un’impresa. Mi sentii morire: molti di quei ragazzi erano lì da anni nella speranza di ricevere un’impresa, mentre io ero praticamente appena arrivata e già ne avevo una. I privilegi ad essere figlia di Zeus, probabilmente pensavano gli altri, vedevo il modo in cui mi guardavano; eppure io non volevo niente di tutto ciò, non volevo nemmeno essere figlia di Zeus! Era successo e non potevo farci nulla.

Chirone all’improvviso battè uno zoccolo per terra per richiamare il silenzio, alzò un bicchiere ed esclamò: - Agli dei! –

Guardai il mio bicchiere che era vuoto, e lanciai un’occhiata alle poche persone che conoscevo; vidi Helénia che mi fece un’occhiolino, disse: - Coca cola! – e alzò il bicchiere pieno di un liquido marrone. Ok, era una cosa pazzesca. Guardai il bicchiere e borbottai: - Hem… the al limone? – e subito si riempì di quello che avevo chiesto, e brindai agli dei con un sorriso sulle labbra, entusiasta di questa piccola magia.

Delle ninfe dei boschi stavano passando con vassoi pieni di cibo, ed io presi una porzione di tutto quello che avevano: dopo tutto quel tempo passato in infermeria a mangiare avanzi di cibo, il mio stomaco era contento di pregustare una cena vera e propria. Stavo già per mangiare il primo boccone di carne, quando vidi che tutti gli altri si stavano alzando, e decisi saggiamente di imitarli. Vidi che tutti sceglievano con attenzione il pezzo più buono e succulento di ogni portata che avevano nel piatto e… lo gettavano nel fuoco.

- E’ un offerta per gli dei… - mi bisbigliò Percy passandomi di fianco e vedendo il mio volto sbalordito.

Ok, dovevo crederci. Presi il pezzo di carne più grande e ben cotta, lo buttai nel fuoco e mi sentii investire da un profumo particolare: era violetta, sicuramente. Quel profumo mi era noto, ma nessuno in famiglia o tra i miei amici aveva profumi alla violetta. Era una fragranza intensa, forte e decisa, molto femminile, e fece risvegliare qualcosa dentro di me: quella sensazione di dejà-vu, di famigliarità, che è così vicino e allo stesso tempo così lontano dal tuo cuore. Dove potevo aver sentito quel profumo? E perché lo sentivo tanto vicino a me?

Misi da parte tutte quelle domande, e chiusi gli occhi.

Perché mi hai voluta qui? Pensai trattenendo le lacrime e rivolgendomi a Zeus. Per vent’anni mi hai ignorata, ed ora mi hai voluta qui perché ti servo… fulminami all’istante se sbaglio, ma avresti dovuto essere presente nella mia vita anche quando non eri tu ad avere dei problemi. Scusa se non riesco proprio a chiamarti Padre.

Ero insolente? Sì, lo ero, ma anche il cielo lo è: instabile e incontrollabile. Alzai lo sguardo verso l’alto e vidi un lampo senza tuono nel cielo sereno ed ebbi la certezza che Zeus mi aveva ascoltata e che era rimasto turbato dai miei pensieri; fortunatamente non era arrabbiato seriamente, altrimenti mi avrebbe fulminata all’istante per la mia insolenza.

Finito di cenare finalmente potei riunirmi con le uniche persone che conoscevo e che mi venivano incontro con un sorriso.

- Quindi domani vedrai Rachel! – esclamò Helénia allegra.

- E chi è? – domandai.

- Il nostro Oracolo. – spiegò Percy.

- Zeus comunque mi è sembrato molto… incauto… - commentò Annabeth, pensando attentamente alle parole da dire per non provocare l’ira di Zeus.

- Cosa intendi? – chiesi senza capire.

- Sì, insomma… ti ha condotta qui dall’Italia all’età di vent’anni, ed ora ti lascia solo un giorno di allenamento prima di concederti un’impresa. – spiegò. – Avresti dovuto sottoporti ad un allenamento più intenso… ora come ora a malapena sai utilizzare una spada… -

Tolsi dalla tasca Exusía, la spada-accendino che mi aveva lasciato Nico.

- Dovevate vederla annientare gli stinfalidi in Italia… - commentò una voce alle loro spalle. Tutti e cinque ci girammo.

- Nico! – esclamammo all’unisono. Lui sorrise ancora pallido.

- Come stai? – gli domandò Helénia preoccupata.

- Bene. – disse Nico. – Tanto bene da reggermi in piedi. Comunque ho raccontato tutto a Chirone… anche del mio ultimo sogno. – e mi lanciò un’occhiata. Gli altri sembravano non capire, ma io domandai: - Il sogno che riguardava qualcosa dell’Ade e di una certa Bianca? –

Lui annuì.

- Come hai detto, Bianca ti ha parlato? – domandò subito Percy agitato. A quanto pare gli altri conoscevano Bianca, ma non mi sembrava il momento di domandare chi fosse: la situazione sembrava molto seria.

- Sì – rispose Nico. – e qualcosa non va nell’Oltretomba. Non so se è mio padre, non ne ho idea. Fatto sta che Bianca è disperata, esattamente come tutte le anime dei defunti: sono tutte inquiete, da un po’ di tempo a questa parte. Bianca è riuscita a dirmi il perchè: nell’Ade c’è un essere umano. -

Rimanemmo in silenzio.

- Un essere umano… vivente? – domandò con un filo di voce Paul.

Nico annuì. – Nessun umano si era mai fermato in modo permanente nell’Ade, ma pare che questo uomo sia lì da parecchio tempo, ed è ancora vivo. –

- Tuo padre non può fare nulla? – chiese Annabeth.

Nico alzò le spalle. – Non lo so… Bianca era così agitata, il sogno era così confuso… ne ho parlato con Chirone e secondo lui la Profezia che Rachel dirà a Robby domani sera e la conseguente impresa, hanno qualcosa a che vedere con questa situazione. –

Rimanemmo tutti in silenzio.

- Io dovrei… andare nell’Oltretomba? – feci con un filo di terrore nella voce.

- Il problema non è andare nell’Oltretomba – disse Percy. – Io, Nico ed Annabeth ci siamo stati in passato. E’ il perché dovresti andarci il problema, secondo me… -

Rimanemmo tutti in silenzio per parecchio tempo, fino a quando finalmente Annabeth ruppe la tensione dicendo: - Ragazzi, Rachel arriverà domani sera: è inutile fasciarsi la testa prima di rompersela. –

- Ha ragione Annabeth! – esclamò subito Paul. – Io propongo di fare dei bei canti attorno al falò per spezzare la tensione, e non accetto un no come risposta. – e ci spinse tutti attorno ad un falò.

Per tutta sera cantammo, ridemmo, ci divertimmo e per la prima volta da quando ero arrivata al Campo, mi sentii a casa.

Helénia era una persona semplice e ottimista, Annabeth riflessiva e sorridente, Percy deciso e divertente, Paul solare e allegro… e solo Nico mi sembrava un po’ riservato rispetto agli altri, ma si lasciava comunque scappare un sorriso di tanto in tanto.

Per la prima volta dal mio arrivo al Campo, ringraziai veramente gli dei per avermi portata lì e avermi fatto conoscere delle persone così speciali.

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Capitolo 4
*** Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa ***


Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa

 

 

 

 

 

4

Mi alleno un solo giorno prima

di partire per un’Impresa

 

A

 

vevo solo un giorno per allenarmi, e volevo sfruttarlo per il meglio, anche se probabilmente non sarebbe servito a un granché.

La mattina Percy aveva programmato di darmi lezioni di combattimento con la spada, così ci dirigemmo verso l’arena, ma la trovammo già occupata: due ragazze e due ragazzi si stavano allenando con le spade. In realtà, una ragazza e un ragazzo attaccavano con tutte le loro forze il ragazzo più robusto, mentre l’altra ragazza se ne stava seduta a gambe incrociate ad osservare la scena. Quando la ragazza seduta a gambe incrociate notò me e Percy, si alzò in piedi con un sorriso, e anche gli altri tre amici si fermarono, voltandosi verso di noi.

- Hey, Percy! Buongiorno! Quindi tu sei Robby, la nuova arrivata? – domandò la ragazza che non partecipava all’allenamento.

Io annuii.

- Ragazzi, lei è Robby – ci presentò Percy - Robby, loro sono… -

- Sappiamo anche presentarci da soli, sai?! – ribattè il ragazzo robusto avvicinandosi. Aveva dei corti capelli castani, della barba appena accennata, gli occhi azzurri, i lineamenti duri, la mascella squadrata e un sorriso che non prometteva niente di buono sul volto.

- Io sono Simon – si presentò prendendomi la mano senza nemmeno che io l’avessi allungata verso di lui. – Sono figlio di Ares, il dio della guerra. –

- Non mi dire… - bisbigliai ironica.

- Come? – fece subito Simon.

- Niente! – mi affrettai a rispondere.

La sua stretta era talmente forte che iniziava a mancarmi la sensibilità della mano, ma io mantenni alto lo sguardo e non cedetti: sapevo che stava solo cercando di dimostrarsi più forte di me, e probabilmente lo era veramente, ma io non volevo dargliela vinta così.

- Lasciala stare! – esclamò la ragazza che poco prima se ne stava seduta in disparte, mettendosi tra me e Simon e rivolgendomi un sorriso gentile.

- Io sono Delilah, figlia di Astrea, la dea della giustizia. Sono la ragazza di Simon. – aggiunse poi quasi come a ripensarci, lanciando a Simon un’occhiata di avvertimento.

Delilah era abbronzata, aveva degli occhi di un azzurro limpido, i capelli biondi e ricci e un sorriso sincero. Non capivo come la figlia della dea della giustizia potesse stare con il figlio del dio della guerra. Guardai Simon che sembrava volermi incenerire con lo sguardo, e decisi di tenere per me questo mio dubbio.

- Io sono Vera – si presentò l’altra ragazza. – e sono… -

- Figlia di Nemesi, sì lo so. – la interruppi. – Ho conosciuto Paul ieri e mi ha parlato di te. –

Vera sorrise e incrociò le braccia soddisfatta.

- Paul ha parlato di me, eh? Spero per lo meno che ne abbia parlato bene… -

Annuii; per essere figlia della dea della vendetta non mi sembrava male: capelli lunghi e neri e occhi color nocciola.

- Io invece sono Micah – si presentò il ragazzo rimasto con un sorriso. – E sono figlio di Ermes. -

Micah aveva i capelli neri e gli occhi scuri, era altissimo e allo stesso tempo spallato, di corporatura tutt’altro che esile.

 - Tu quindi… sei figlio del dio dei ladri? – domandai incerta, non sapendo come classificare quel ragazzo.

- Diamine, no! – esclamò Micah, fingendosi offeso. – Detta così sembra una cosa veramente brutta…! Questi luoghi comuni su di lui proprio non li sopporto… Mio padre è il patrono di tutti i viandanti e di coloro che devono trovare la retta via! Ma se hai ancora dei pregiudizi pensa a cosa ha in mano Ermes… -

Rimasi un attimo a pensarci: che cosa aveva in mano Ermes?

- Hem… quella specie di bastone alato con i serpenti? – dissi non sapendo il nome esatto del bastone.

Micah annuì. – Il caduceo, infatti. – disse. – E di cosa è simbolo il caduceo? –

- Dei… hem… farmacisti? – domandai incerta.

- Farmacisti? – fece Micah spiazzato dalla mia risposta. – Beh, magari in Italia… comunque ci sei quasi: qui in America è semplicemente simbolo della medicina, quindi pensa all’importanza che ha! E tieni conto del fatto che quel bastone non simboleggia solo l’integrità fisica, ma anche quella morale… –

- Micah vorrebbe avere un futuro in ambito medico. – mi confidò Vera. – Per ora sta facendo degli esperimenti in ambito farmaceutico per creare medicinali utili per guarire mezzosangue… qualcosa come il nettare e l’ambrosia ma meno letale in caso di overdose. –

- Ma vorrebbe anche tentare di diventare un neurochirurgo nel mondo dei mortali. – continuò Delilah.

- Beh, allora che c’è di male? – fece Micah. – Secondo te un mezzosangue dislessico non può frequentare l’università? Un mio amico mortale mi sta già traducendo tutti i libri di testo in greco antico, vedrai che ce la posso fare… -

Tutti sospirarono: a quanto pare sapevano che quando Micah si metteva in testa una cosa non c’era modo di fargli cambiare idea; ma io non ci trovavo assolutamente nulla di male: mi è sempre piaciuto incontrare persone determinate che hanno degli obiettivi nella vita, e quando puntano così in alto, la mia stima verso di loro aumenta.

- Basta blaterare, sono stanco di questi due qua – disse Simon indicando Vera e Micah. – E’ da mezz’ora che tentano di colpirmi e non sono riusciti nemmeno a farmi un graffio. Ti va di fare un corpo a corpo con me? – chiese fissandomi. – Ogni mossa è possibile, ma niente armi. -

Per un paio di secondi rimasi spiazzata: io fare un corpo a corpo con un armadio come lui?! Deglutii agitata.

- Hem… sinceramente non saprei nemmeno come muovermi… - borbottai nervosa.

Simon scoppiò a ridere e mi sbeffeggiò dicendo: - Che c’è? La figlia di Zeus ha troppa paura per affrontarmi? –

Non sapevo cosa rispondere; beh, in effetti avevo paura, e non poca, ma non avrei mai avuto il coraggio di dirlo apertamente, anche se probabilmente il mio sguardo mi tradiva da principio.

- Non ti preoccupare. – mi disse Delilah con un sorriso. – Se la situazione si complica ci penso io a fermarlo. -

Pency annuì, e io lo imitai rivolgendo il mio sguardo a Simon, che lanciò la spada in mano a Vera e iniziò a prepararsi. Il suo sguardo era duro, i suoi occhi si erano ridotti a due piccole fessure, quasi come stesse tentando di inglobare a sé tutta la rabbia del mondo, pronto a scatenarlo nel momento opportuno; vidi i muscoli delle sue braccia contrarsi. Strinsi i pugni ma rimasi in piedi come uno stoccafisso: iniziavo a rimpiangere di aver accettato la sfida.

Improvvisamente lo vidi caricare e correre verso di me, e il panico prese possesso del mio corpo: all’ultimo secondo scattai alla mia sinistra correndo per tutta l’arena, e Simon continuò a corrermi dietro.

- Si può sapere che stai facendo?! – ringhiò Simon a gran voce dietro di me.

- Si chiama sfiancare e depistare la preda, dovresti imparare questa tecnica! – esclamai di rimando, e sentii Percy, Delilah, Vera e Micah scoppiare a ridere alla mia battuta. Riuscivo a tenere testa a Simon, ma sapevo che non avrei resistito per sempre: lui chissà da quanto tempo si allenava al Campo, mentre io era dall’ultimo anno di liceo che non facevo dell’attività fisica decente.

All’improvviso mi decisi: non potevo scappare per sempre; mi bloccai voltandomi verso di lui, lasciai che si avvicinasse ancora, poi mi scansai a destra e gli saltai letteralmente sulla schiena, serrando le mie braccia attorno al suo collo di modo che non gli fosse possibile scrollarmi di dosso facilmente.

- Ma che tecniche balorde stai usando, si può sapere?! – urlò Simon infuriato, nei suoi vani tentativi di farmi cadere.

- Questa invece si chiama la tecnica del koala… - esclamai, ma dovetti stringere i denti per tenere dura la presa su di lui. Dovevo distrarlo e farlo desistere, altrimenti di lì a poco sarei caduta. Mi sentii stupida, ma mi veniva in mente solo una cosa da fare: aprii la bocca e gli ficcai i denti nel collo.

Molti di voi ora diranno che questo gesto è stato stupido. Sì, avete ragione, è stata la mossa più stupida che abbia mai fatto in vita mia... ma che altro potevo fare?! Altri invece diranno che questo gesto faceva molto stile vampiro e, visto il riscontro positivo di Twilight in quest’epoca, alcuni potrebbero pure trovare la cosa romantica, ma credetemi: stringere i denti così forte attorno a della pelle fino a sentire il sangue in bocca è tutt’altro che romantico e sicuramente Simon vi potrebbe confermare che è tutt’altro che piacevole.

Simon si era messo ad urlare e con un’enorme fatica mi lanciò per terra, e si tastò velocemente il collo; quando vide la mano insanguinata, mi guardò digrignando i denti. Mi alzai subito da terra pronta a un suo ennesimo attacco.

- Sei finita, italiana dei miei stivali! – e allargò le braccia fino a bloccarmi le spalle, e io feci lo stesso con lui. Ognuno di noi cercava di far retrocedere l’altro, ma nessuno si muoveva più di tanto avanti o indietro: mi sembrava improvvisamente di essere finita su un ring di sumo. Avendo le braccia occupate, trovammo velocemente un’altra alternativa  per finire l’incontro: iniziare una lotta di sgambetti. Sapevo di non avere la forza per far inciampare lui, ma ero sicura del fatto che se fosse riuscito a farmi cadere, per me sarebbe finita. Così con le braccia sulle sue spalle, iniziai a scansare i miei piedi di modo che non fosse in grado di farmi cadere. Più andavamo avanti, più mi sembrava che tutti quei passi avessero un loro ritmo, tanto che ad un certo punto iniziai a canticchiare la tarantella, e ci scoprimmo pure andare a tempo; nel frattempo, Percy, Delilah, Vera e Micah si stavano facendo delle grosse risate per come stavo affrontando Simon, e iniziarono anche loro a cantare la tarantella battendo le mani a ritmo.

Ad un certo punto Simon mi lasciò le spalle, alzò lo sguardo e con il fiatone e un sorriso disse: - Ma si può?! Volevo un corpo a corpo e ho finito per ballare la tarantella! –

Non era per niente arrabbiato, il suo era un sorriso che probabilmente aveva da tanto ma che non era stato in grado di trattenere; non glie ne facevo una colpa: in fin dei conti una scena che avrebbe dovuto essere cruenta si era trasformata in una scena comica degna di Stanlio e Olio.

Improvvisamente mi resi conto che la prima impressione che avevo avuto di Simon era stata del tutto sbagliata: me l’ero immaginato come una persona che porta risentimento verso tutti, che vuole mettersi costantemente alla prova e che non accetta la sconfitta, invece era un ragazzo simpatico e ironico; ecco che ora l’idea che la figlia della dea della giustizia stesse con un figlio del dio della guerra non mi sembrava poi così assurda.

Tutti e sei stavamo ridendo da un bel pezzo in mezzo all’arena, Vera era piegata in due dalle risate e Micah si era appoggiato al muretto per non cadere; finalmente Percy riuscì a riprendersi e chiese: - Ragazzi… io e Robby eravamo venuti qui per allenarci con la spada, quindi potreste lasciarci l’arena? –

- Certo! – esclamò Vera. – Oggi ci siamo esercitati fin troppo… -

Mi rivolsi a Simon con un piccolo sorriso colpevole e dissi: - Mi dispiace per il morso, non so cosa mi sia saltato in mente… -

- Non fa niente… - rispose lui bonario, toccandosi la ferita sul collo. – Non sanguina nemmeno più… e poi credimi, ho affrontato di peggio di un morso sul collo e un balletto.  -

I quattro ragazzi se ne andarono salutando e ridendosela ancora per la mia brillante performance da ballerina, e finalmente Percy ed io iniziammo ad allenarci con la spada.

 Mi allenai per parecchie ore, e se all’inizio Percy riusciva a disarmarmi con una facilità incredibile, dopo un po’ ci avevo preso la mano e l’allenamento sembrava solo una serie di attacchi prestabiliti che io dovevo capire come e quando usare per il meglio: affondo, schiva, attacca, avanza, para e indietreggia… mi tornava in mente quando ero salita per la prima volta alla guida di un’automobile e l’istruttore mi aveva fatto allenare con le marce a macchina spenta: prima, quinta, terza, quarta, seconda… all’inizio era complicato, ma è stato grazie a quello che ho imparato a guidare. Mi accorsi che lottare non era difficile come credevo: mi accorgevo di prevedere gli attacchi osservando attentamente i movimenti di Percy e quasi inconsapevolmente reagivo di conseguenza; non ero sicuramente ai livelli di Percy ma, rischiando di peccare di modestia, non me la cavavo affatto male. Riuscii anche a colpirlo un paio di volte, ma la lama mi rimbalzò indietro senza che io riuscissi a capirne il motivo: era umanamente impossibile…

- Scusami… perché quando ti colpivo la spada mi rimbalzava indietro? – domandai curiosa con il fiatone durante la pausa, prendendo la bottiglia di acqua gelata che Percy mi offriva.

- Quattro anni fa mi sono immerso nello Stige. – mi raccontò e bevve l’acqua dalla bottiglietta. – Hai presente Achille e il suo tallone? Ecco, per me è una cosa simile… -

Improvvisamente Percy mi sembrò ancora più forte di quando già non fosse: Troy era uno dei miei film preferiti, e improvvisamente mi immaginai Achille con il volto di Percy al posto di Brad Pitt. Trattenni un sorriso.

- E dimmi… quale sarebbe il tuo ‘tallone d’Achille’? – gli domandai innocentemente. Lui ridacchiò e disse: - Non te lo dirò mai… -

- Scommetto che Annabeth lo sa… - feci io con un sorrisetto. Lui annuì arrossendo. – Lo sa, ma non c’era nemmeno stato bisogno di dirglielo: era come se lei già lo sapesse… -

- Wow, questa è la forza dell’amore… - commentai ridacchiando, ma sapevo che non era una battuta; avevo visto la sera prima gli sguardi che lui e Annabeth si scambiavano di tanto in tanto quando ce ne stavamo tutti attorno al fuoco, e il modo in cui i due si abbracciavano… erano veramente fatti l’uno per l’altra.

Miei dei, quanto sono sdolcinata… pensai.

Dopo la fatica di quella mattinata, mi aspettava un pomeriggio di tiro con l’arco insieme a Paul, cosa che mi terrorizzava quasi più che lottare con la spada; avevo già provato al liceo tiro con l’arco, ma dire che me la cavavo male era un eufemismo: quella volta per poco non avevo centrato la professoressa dritta nella schiena, e se si vuole puntare alla promozione, tentare di uccidere la docente non è una buona mossa. Con Paul la cosa non fu più semplice di allora: la freccia continuava a cadere sfiorando il terreno e cadendo in orizzontale sull’erba. A quanto pare i pomeriggi passati con la mia sorellina a giocare a tiro con l’arco alla wii non avevano portato i loro frutti.

- Il fatto è che punti troppo in basso – mi spiegò Paul pazientemente. – Prova a puntare più in alto rispetto a dove vuoi che la freccia finisca… inoltre tenta di tenere ferme le braccia, pensa a qualcosa di rilassante se ti può servire… -

Rilassante?! Quella sera un’indovina avrebbe predetto il mio futuro, che probabilmente prevedeva un viaggetto nell’Oltretomba, e io dovevo starmene tranquilla?!

Ok, Robby, rilassati… pensai respirando con calma. Ce la puoi fare se solo lo vuoi…

Presi la freccia e la incoccai, dopo di che mi preparai al tiro; già sentivo il braccio destro tremarmi, ma dovevo farcela questa volta… dovevo pensare a qualcosa di rilassante? Pensai immediatamente alla serata precedente, tutti attorno al falò, e mi scappò un sorriso. Alzai il braccio sinistro, mirando sopra il bersagio e lasciai andare la freccia: questa seguì una traiettoria ad ellisse, andando inizialmente in alto per poi scendere e… infilarsi sul bordo del bersaglio. Non era nel centro, ma era una gran cosa per me.

Mi voltai entusiasta verso Paul.

- Ce l’ho fatta! – esclamai saltando e lanciando in aria l’arco.

- Eheh, sì, ce l’hai fatta! – fece Paul ridendo del mio eccessivo entusiasmo – Cosa ti avevo detto? –

Così come la giornata era iniziata, arrivò presto sera, e la mia agitazione iniziò a farsi sentire: Chirone mi aveva detto di aspettare insieme a lui l’arrivo di Rachel nella Casa Grande.

- Non devi preoccuparti – mi avvertì Chirone. – Quando arriverà dovrò lasciarvi sole: Zeus vuole che l’Oracolo incontri te. Sicuramente mentre proclamerà la sua Profezia non sarà in sé e quando finirà di parlare non ricorderà nulla… ma tu non farti prendere dal panico, ok? Appena avrà proclamato questa Profezia, ne potremo discuterne insieme con calma. -

In realtà non ero preoccupata per il fatto di assistere ad una Profezia quanto per la Profezia stessa e per il mio futuro, ma ora che Chirone mi parlava così, iniziavo ad aver timore pure per quello.

- Ho soccorso gente con crisi epilettiche, assistere ad una Profezia è peggio di quello? – domandai nervosa.

In quel momento Annabeth bussò alla porta e guardò Chirone con aria di avvertimento. – E’ arrivata. – disse solo.

Deglutii nervosa, mentre Chirone usciva dalla Casa Grande sorridendomi incoraggiante.

Mi aspettavo di vedermi apparire davanti un mutante con squame e artigli affilati, invece ciò che vidi fu una normale ragazza con dei capelli rossi e ricci.

- Quindi tu sei, hem… l’Oracolo? – domandai incerta avvicinandomi.

- E tu sei Robby, giusto? Io sono Rachel, piacere… scommetto che da come mi avevano descritta ti aspettavi un mostro, vero? – fece lei con una risata allungando la mano; io gliela tesi un po’ più tranquilla annuendo. Non appena lei toccò la mia mano, la sua stretta si fece forte. Inspirò in una maniera sovrannaturale e si piegò in due, senza lasciarmi la mano, poi si drizzò e vidi che i suoi occhi erano diventati di un verde smeraldo. Avrei voluto scappare a gambe levate, ma la sua presa era troppo forte. Quando iniziò a parlare, la sua voce sembrava essere amplificata e modificata con qualche strano apparecchio, il che mi fece venire ancora di più i brividi.

 

- In tre per questo viaggio partiranno / e verso la patria della Morte si dirigeranno. /Vittoria o disfatta segnare potrà / quella parte che il discendente di Zeus nel cuore da una vita ha. / Terra, Morte e Amore verranno riuniti / dei, umani e Mezzosangue dalla fine saran colpiti. / Dei e immortali un aiuto vorranno dare / ma alla fine solo quattro mezzosangue la differenza potranno fare -

 

Non appena concluse, si piegò nuovamente in due con il respiro pesante e la fronte grondante di sudore, come se avesse fatto un immenso sforzo simile.

In quel momento nella stanza entrò subito Chirone seguito da Annabeth, che guardarono preoccupati prima me e poi Rachel; io non ero in grado di proferire parola dal tanto che ero sconvolta.

In poco tempo Chirone riunì una specie di consiglio attorno ad un tavolo da ping-pong. Annabeth mi spiegò che in casi come questi doveva esserci per lo meno un rappresentante per cabina ma che ultimamente, con la presenza dei figli degli dei minori, trovarsi attorno a un tavolo da ping-pong non era l’ideale. Percy, Nico, Annabeth, Paul, Delilah, Helénia e Vera erano presenti, ma gli altri mezzosangue che avevo conosciuto non c’erano. Annabeth mi presentò velocemente gli altri, ma erano talmente tanti che faticavo a ricordare tutti i loro nomi.

- Quindi secondo la profezia in tre dovranno partire per l’impresa – iniziò Chirone. Dioniso sembrava troppo occupato a sbadigliare per dagli retta. – E mi sembra ovvio che sarà Robby a guidarla per volere del divino Zeus – continuò il centauro. Nessuno osò obiettare.

- Ora dobbiamo pensare quali altri due mezzosangue potrebbero accompagnarla… -

- Per una buona volta vorremmo che l’impresa venga assegnata a qualcuno della casa di Ermes. – disse quello che Annabeth mi aveva presentato come Connor Stoll, figlio di Ermes. – E’ dai tempi dell’impresa di Luke del Giardino delle Esperidi che i figli di Ermes non partono per un’impresa… -

- Vogliamo parlare di imprese e gloria? – lo interruppe una ragazza dall’altra parte del tavolo da ping-pong, Miranda Gardiner, irritata dal commento di Connor. – Noi figlie di Demetra non abbiamo ancora avuto il nostro momento di gloria personale nel Campo, quando in realtà abbiamo molto da dare… -

- Sì, come no… avete da dare crusca e pastinaca…! - commentò con una risata il fratello di Connor, Travis, dando una gomitata scherzosa al fratello.

La ragazza di fianco a Miranda, Katie Gardner, fissò i fratelli Stoll con disprezzo senza dire nulla. Improvvisamente i due fratelli si ritrovarono appesi per la caviglia da una radice che pendeva dal soffitto: doveva essere certamente opera di Katie.

- Secondo me quest’impresa deve essere affidata a qualcuno che ha già dell’esperienza – disse improvvisamente una ragazza alta, grande e con un’aria decisa, che Annabeth mi aveva detto essere Clarisse La Rue, figlia di Ares. – Io mi propongo. –

Nessuno dava più retta ai fratelli Stoll che se ne stavano appesi a testa in giù sul tavolo da ping-pong o a Miranda e Katie che se la ridevano come non mai.

- Basta che l’impresa non venga affidata a me – disse una ragazza dai lineamenti asiatici, Drew Tanaka, figlia di Afrodite; la ragazza continuava a fissare il proprio riflesso nello specchio sistemandosi l’eyeliner. – Troppo faticoso… -

- Secondo me dovrebbe essere Robby a scegliere. – intervenne finalmente Annabeth. – E tenendo conto che la Profezia dice di andare nella ‘patria della Morte’, uno dei mezzosangue che deve partecipare all’impresa penso che sia già ovvio… - e lanciò uno sguardo a Nico.

- Hai assolutamente ragione, Annabeth. – disse Chirone annuendo favorevole. – Certo, se Nico è d’accordo per partire subito per un’altra impresa e se anche a Robby va bene… -

Nico annuì subito.

- Bianca mi ha parlato in sogno e potrebbe rifarlo: potrei essere utile per l’impresa, quindi accetto sicuramente. – disse.

Io annuii sollevata: era lui che mi aveva trovata, e non pensavo di poter essere accompagnata in un impresa simile da persona migliore.

- Bene, Robby, chi credi che dovrebbe accompagnarti in quest’impresa oltre a Nico? – mi chiese Chirone. Il mio sguardo vagò su tutti i miei nuovi amici, ma non avevo dubbi su chi volevo con me.

- Paul. – dissi secca. Lui strabuzzò gli occhi incredulo.

- Tu… vorresti che ti accompagnassi io per quest’impresa? Proprio io? – domandò lui.

Io annuii con un sorriso.

- Certo che sì: una persona che è riuscita a farmi centrare un bersaglio con l’arco merita un’occasione. – dissi. Lui mi sorrise entusiasta.

- Ora che abbiamo scelto chi partirà, dobbiamo pensare alla Profezia. – disse Annabeth.

- “Vittoria o disfatta segnare potrà quella parte che il discendente di Zeus nel cuore da una vita ha”… - recitò Percy, e all’improvviso mi ritrovai puntati addosso gli occhi di tutti.

- Hey, io vi giuro che non ho idea di cosa parli! – dissi alzando le mani sulla difensiva.

- “Terra, Morte e Amore verranno riuniti, dei, umani e Mezzosangue dalla fine saran colpiti.” – continuò Vera pensierosa. – Chirone, sai di cosa potrebbe trattarsi? Ha qualcosa a che fare con il “Grande Risveglio” della Profezia di Nico, non è vero? –

Chirone sospirò. – Penso che abbia tutto a che fare con il "Grande Risveglio" della profezia di Nico... - commentò lui pensieroso. – Ma se solo lo sapessi a cosa si riferisce… Tutto ciò sembra essere qualcosa fuori persino dalla mia portata… -

- Terra, Morte e Amore… Terra, Morte e Amore... non ha senso… - continuava a ripetere quasi convulsamente Annabeth tra sé e sé.

- “Dei e immortali un aiuto vorranno dare ma alla fine solo quattro mezzosangue la differenza potranno fare”… perché questo a senso? – domandò Delilah. – Partono in tre e possono vincere solo se sono in quattro… c’è assolutamente qualcosa che non va. Forse dovrebbero partire subito in quattro…-

- No – disse Chirone secco. – La prima parte della profezia è chiara: “In tre per questo viaggio partiranno”. Andare contro una Profezia significherebbe perdere qualcuno. –

- Ok, basta pianificare. – disse Nico alzandosi in piedi. - E’ tardi, e non potremmo far altro che arrovellarci il cervello in eterno qui. –

- Hai ragione… - disse Chirone con un sospiro, e guardò me, Nico e Paul. – Partirete domani mattina. Preparate le vostre cose e mi raccomando, riposatevi questa notte. –

- Finalmente è finita questa noia! – esclamò Dioniso ed uscì dalla stanza per primo.

Lasciai uscire la maggior parte degli altri mezzosangue perchè le gambe ancora mi tremavano per le forti emozioni di quella sera; prima di oltrepassare la porta però mi voltai indietro, e non riuscii a non sorridere di fronte alla scena di Katie e Miranda che erano ancora piegate in due dalle risate di fronte ai fratelli Stoll che inveivano in greco a testa in giù.

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Capitolo 5
*** Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente. ***


Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente.

Ciao a tutti di nuovo!

So di avervi lasciati per parecchio tempo ma credetemi, è un'estate un po' difficile: se per molti di voi estate significa ferie dal lavoro e vacanze estive per chi frequenta medie e superiori, per noi universitari significa solo una cosa: sessione estiva di esami. E credetemi, sono un pochetto indietro. Inoltre per parecchie settimane non ho avuto la connessione internet perchè sono venuti a pitturare casa e una volta finito c'erano dei problemi di connessione... in pratica: un casino. E' da parecchio tempo che ho pronto questo capitolo e finalmente posso postarvelo, sempre che vogliate continuare a leggere quest'avventura.  Avrei voluto portarmi avanti scrivendo altri capitoli da postare, ma senza internet sinceramente non ho la facoltà di inventarmi mostri dal nulla, per non parlare della geografia Americana... Ad ogni modo posso annunciarvi che in totale vorrei scrivere in totale 16 capitoli di questa storia: sì, sono lunghi, ma ho già programmato la trama.

Detto questo vi lascio sperando che non mi abbiate abbandonata e che anche questo capitolo vi piaccia! 

A presto!

 

 

 

 

 

5

Prima tappa: Cleveland;

affrontiamo un enorme serpente.

 

Q

 

uella notte non riuscii affatto a dormire bene: l’idea di partire per un’impresa verso l’Oltretomba mi terrorizzava. Feci uno strano sogno. Mi ritrovavo nel buio più assoluto, e sentivo una voce femminile chiamarmi.

- Roberta! Roberta! – Non avevo idea di chi fosse o come facesse a sapere il mio nome, sentivo solo disperazione in quella voce. – Non devi partire per l’impresa! Non avvicinarti all’Oltretomba, sarà la fine comunque… -

Chi sei? Avrei voluto urlarle, ma per qualche motivo non riuscivo a rispondere.

Mi svegliai con il fiatone, come se avessi appena fatto una lunga corsa. Sentivo il cuore in gola e ripensai alle parole di quella voce. Non andare nell’Oltretomba? Quanto mi sarebbe piaciuto! Purtroppo non avevo altra scelta… e cosa significava che sarà comunque la fine? La fine di cosa? Decisi di lasciare da parte queste mie domande: era inutile arrovellarsi tanto il cervello, intanto sarei partita lo stesso; mi alzai, rifeci il letto e prendesi lo zaino che la sera prima avevo già preparato. Guardando per l’ultima volta il mio letto pensai che di sicuro una cosa del Campo non mi sarebbe affatto mancata: la mia Cabina triste e desolata.

Uscii dalla Cabina, e gran parte dei miei nuovi amici mi corse incontro per salutarmi.

- Mi raccomando, non usare la mossa del koala con Caronte e ricordati di non ballare la tarantella con Ade: non credo che la prenderebbero tanto bene… - commentò Simon, dandomi una pacca sulla schiena in segno di incoraggiamento.

- Lo terrò presente, grazie Simon. – risposi con un sorriso, tentando di nascondere la tensione.

- Sei stata molto gentile a portare Paul con te. – mi disse Vera. – Era da tanto che aspettava questa occasione. –

- Paul mi sembra un bravo ragazzo – dissi – è molto più allenato di me, e sono sicura che se la caverà meglio della sottoscritta. –

Vera mi sorrise. Micah e Delilah mi salutarono con un abbraccio.

– Mi raccomando metticela tutta… - mi disse Micah, ed io annuii semplicemente.

Ad un certo punto vidi anche Helénia sola in un angolo che mi fissava con aria un po’ triste. Mentre tutti si affrettavano a salutare anche Paul e Nico, io andai da lei.

- Hey! – feci io. – C’è qualcosa che non va? -

Lei scosse la testa e con un sospiro disse solo: - Sono felice che tu abbia avuto un’impresa… ma avrei voluto passare più tempo con te. Sei una brava persona e ora che iniziavo a vedere in te una buona amica già te ne devi andare. Non te ne faccio una colpa. – si affrettò a chiarire – Ma avrei voluto passare molto più tempo con te. –

Mi dispiaceva molto vederla così. Era stata molto gentile con me già da quando mi ero ripromessa di rimanere in infermeria a far compagnia a Nico durante la sua guarigione: era lei che si ricordava sempre di portarmi dei pasti e di farmi compagnia per la maggior parte del tempo. Mi sentivo un po’ in colpa, ma sapevo che non poteva essere altrimenti. Non potevo promettere chissà cosa: non sapevo se sarei uscita viva da quell’impresa, e non sapevo nemmeno se, una volta tornata, sarei rimasta al Campo per sempre o sarei tornata a casa. Sì, durante l’impresa tutti i miei nuovi amici mi sarebbero mancati, ma in realtà mi mancavano pure i vecchi amici e la mia famiglia, mio padre, mia madre e la mia adorabile e pestifera sorellina.

- Credimi, non cambierà nulla – le promisi. – L’amicizia non ha nulla a che vedere con la distanza: ovunque io vada resterai una delle mie migliori amiche, Hel. -

Helénia iniziò a sorridere poi, quasi come a ripensarci, frugò nella sua borsa.

- Tempo fa, quando sono andata sull’Olimpo per una gita insieme agli altri, ho incontrato mia madre e mi ha dato questo… - disse, tirò fuori un libricino e me lo diede in mano. Era rilegato in pelle nera, e le pagine erano tutte bianche.

- Vedi, io ne ho un altro… - mi spiegò tirandone fuori uno identico a quello che mi aveva dato. – Questi due diari sono collegati l’uno con l’altro: quello che scrivi su uno appare anche sull’altro. Voglio che quello lo tenga tu: se avrai dei problemi durante l’impresa o se solo vorrai raccontarmi quello che succede, scrivimi e io potrò risponderti. E ti prego di farlo perché voglio sapere per filo e per segno quello che succede. – concluse seria.

Era una cosa stupenda, e il pensiero che lei volesse condividere quel regalo di sua madre con me, mi fece un po’ commuovere, lo ammetto. L’abbracciai e le dissi: - Non ti preoccupare, ti scriverò tutto quanto… -

Paul arrivò ad avvisarmi che dovevamo partire, perciò salutai un’ultima volta Helénia e m’incamminai con lui e Nico verso l’uscita del Campo. Chirone ci mostrò un regalo per la nostra impresa: un’automobile. Avevamo tutti la patente di guida, e non sarebbe stato un problema muoverci con quella.

- Wow, una Cadillac Esalade di ultimo modello! – esclamò Paul fissando la macchina con occhi adoranti.

- Non lasciarti ingannare – disse Chirone ridendo. – I ragazzi di Efesto si sono divertiti a costruire questa imitazione, ma credetemi: in quanto velocità è anche migliore di una comune Cadillac Esalade, e ha pure qualche chicca in più che una comune auto mortale non ha… -

Fissai prima lui poi l’auto: non me ne intendevo affatto di auto, l’unica cosa che sapevo era che quell’enorme ammasso di latta era grigio metallizzato, esattamente come l’auto che quegli uccellacci mi avevano distrutto giorni prima.

Paul si tuffò alla guida, Nico si mise dietro al centro con il volto pensieroso, e io mi sedetti di fianco al conducente.

- Mi raccomando fate attenzione e buona fortuna. – disse semplicemente Chirone prima di lasciarci andare.

Mentre ci allontanavamo, riuscii a scorgere in lontananza in riva al lago Percy e Annabeth, che ci salutavano con un sorriso, tenendosi la mano. Beati loro.

- Certo che potevano anche metterci almeno il navigatore satellitare! – borbottò Paul contrariato.

- Sì, non possiamo permetterci di tenere con noi un cellulare e dobbiamo usare un navigatore? – fece ironico Nico, tirò fuori dallo zaino una cartina e me la lanciò in mano. – Mi sa che questa volta per viaggiare dobbiamo usare i trucchetti di una volta… -

- Bene, hem… dove stiamo andando? – domandai io.

- Beh, l’Ade si trova a Hollywood, quindi dovremo andare in California. – disse Nico da dietro. Solo in quel momento mi rendevo conto di quello che avremmo dovuto fare: dovevamo attraversare l’intera America in automobile.

– Dobbiamo mantenere un buon ritmo, altrimenti arriveremo là tra un paio di mesi – disse Paul - io proporrei di attraversare la Pennsylvania e arrivare in Ohio oggi: forse sono troppo ottimista, ma dobbiamo tentare. –

Non avevo la benché minima idea di cosa stesse parlando: a malapena conoscevo la geografia dell’Europa, figuriamoci quella degli Stati Uniti.

- Qua, fino a Cleveland – mi suggerì da dietro Nico, vedendo la mia espressione sconcertata e segnando con un pennarello il percorso da New York a Cleveland.

Passammo parecchie ore in automobile e in men che non si dica eravamo già usciti dallo stato di New York, dal New Jersey e stavamo attraversando la Pennsylvania senza aver ancora incontrato nessun mostro. Era un record probabilmente.

- Neppure della musica… - borbottò Paul.

- Anche le frequenze radio possono crearci problemi… - rispose Nico. Mi resi conto che essere un mezzosangue era una vera rottura: niente cellulare, niente radio…

- Ma c’è una presa USB! – esclamai indicando proprio davanti alle marce, e mi affrettai a collegarvi il mio iPod.

- Ha il gps? – di domandò Nico preoccupato. – Sai, tramite il gps, beh… è la stessa storia dei cellulari. - Io scossi la testa.

- No, non ti preoccupare: è un iPod, non un iPhone. – dissi, e feci passare velocemente tutti i miei album: prima di quel momento non mi ero mai accorta che la maggior parte delle canzoni che avevo sul mio iPod erano italiane o giapponesi. Il primo disco che trovai in inglese era RIOT! dei Paramore, e feci partire Ignorance.

- Questa canzone mi piace… - fece Paul allegro picchiettando le dita sul volante; io mi misi a canticchiare, ma presto vidi Paul scoppiare a ridere. – Si può sapere che c’è da ridere?! – domandai un po’ offesa. Lui si scusò ancora con le lacrime agli occhi, guardando la strada e dicendo che quando cantavo il mio accento italiano si sentiva ancora di più del solito.

- E’ già tanto se riesco a cantare senza inventarmi a caso delle parole! – esclamai incrociando le braccia. Dallo specchietto vidi che pure Nico dietro di noi riusciva a malapena a trattenere una risata. Mi lasciai andare pure io, cercando di non prendermela troppa, e quando mi fecero notare che stavo iniziando a inventarmi delle parole inesistenti mi ritrovai pure io a ridere a crepapelle.

Il tempo in auto passò molto velocemente, e la compagnia di Paul era più che piacevole: come avevo immaginato nei giorni precedenti, era davvero un bravo ragazzo, simpatico e allegro. Mi dispiaceva per Nico che, dietro di noi, s’intrometteva nelle discussioni solo lo stretto necessario: sembrava preferire la solitudine alla nostra compagnia. La cosa mi stupiva non poco: quando l’avevo incontrato per la prima volta in Italia, mi era sembrato molto sorridente ed estroverso e non capivo perché ora facesse così. Nico si appisolò dietro di noi dopo parecchie ore di viaggio e in quel momento decisi di confidare i miei dubbi al riguardo a Paul e lui alzò le spalle.

- Nico solitamente non è un ragazzo molto socievole. – mi raccontò. – Con questo non intendo dire che non è un bravo ragazzo, tutt’altro… è solamente una persona che preferisce la solitudine; non te la devi prendere se fa l’associale di tanto in tanto, non ce l’ha con te, è semplicemente fatto così. -

Nel tardo pomeriggio finalmente uscimmo dalla Pennsylvania, arrivammo nell’Ohio e in poco tempo raggiungemmo Cleveland.

- Quali sono quindi i piani per oggi? – domandò Nico, che nel frattempo si era svegliato. Entrambi mi guardavano.

- Hem… perché guardate me? – chiesi io agitata.

- Sei tu che guidi l’impresa. – mi ricordò Paul.

Già, era vero. Ma non avevo la minima idea di cosa fare.

- Hem… Chirone ci ha lasciato dei soldi per l’impresa, ma visto che abbiamo la macchina direi di sfruttarla, no? – proposi. – Visto che è tutto il giorno che non mangiamo, possiamo andare a rifocillarci un po’ e poi passare la notte qui in macchina. So che non è il massimo, ma sinceramente non mi va di spendere troppi soldi, potrebbero servire per qualcosa di più importante, no? - domandai chiedendo conferma.

- Per me va bene. – disse Paul scendendo dalla macchina e Nico ed io lo imitammo.

- Oh, lì ci sono fish and chips! – esclamai entusiasta. Paul batté le mani. – Perfetto! Tre fish and chips, offro io con i soldi di Chirone…! – esclamò e andò verso il botteghino lasciando me e Nico soli su una panchina.

Avevo già sentito parlare di Cleveland, ma non sapevo cosa aspettarmi. Era un’enorme città, forse non grande come New York, ma per una ragazza proveniente dalle campagne del nord Italia era comunque abbastanza impressionante. Al botteghino c’era un po’ di fila, e io e Nico continuammo ad aspettare senza proferire parola; quel silenzio snervante mi stava uccidendo. All’improvviso mi rivolsi a lui dicendo: - Ascolta, so che forse sono una persona invadente e rompi scatole, ma sinceramente durante il viaggio mi sei sembrato molto silenzioso… se ce l’hai con me per qualsiasi motivo devi solo dirlo, ok? –

- Non ce l’ho con te. – rispose subito Nico stupito. – Perché ti è venuta in mente una cosa simile? -

- Beh… - feci io un po’ imbarazzata. – Non so, quando ci siamo incontrati in Italia eri sorridente e non ti facevi problemi a parlarmi, mentre ora per tutto il viaggio non abbiamo fatto altro che parlare solo io e Paul… -

Lui abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli, senza sapere probabilmente cosa dire.

- Non prenderla sul personale, davvero. – disse lui rialzando lo sguardo. – Sono felice di partecipare a quest’impresa con te e Paul: se così non fosse stato avrei rifiutato già all’inizio. Solo che… io sono un figlio di Ade, delle tenebre, non sono abituato a stare troppo tra la gente e la conversazione solitamente non è il mio forte. -

- Dovresti per lo meno provarci a fare conversazione – gli dissi io – Credimi, quando non ti chiudi nel tuo guscio, sei molto gentile e disponibile e sono certa che queste non sono caratteristiche che si attribuiscono a Ade, no? Sono tutti stereotipi e tu sei diverso da come ti mostri alla gente, ne sono più che certa. –

Lui mi sorrise riconoscente: non vedevo quel sorriso sul suo volto da quando mi aveva ringraziata per aver vegliato su di lui dopo essere arrivati al Campo. Volsi lo sguardo altrove: quei suoi occhi scuri e quel suo sorriso così sincero mi intimorivano e non riuscivo proprio a reggerne il peso per troppo tempo; quando distolsi lo sguardo da Nico guardando alla mia destra, impallidii di colpo e il mio corpo agì prima ancora che il cervello avesse avuto il tempo di elaborare l’informazione.

- Attento! – esclamai e gli diedi uno spintone, estraendo Exusía e facendola scattare: prima ancora che le fiamme si ritraessero mostrando la spada, avevo mollato un fendente a quell’enorme cosa che stava per mangiare in un boccone sia me che Nico.

Portai a me Exusía, e Nico mi prese per un braccio facendomi indietreggiare in posizione di difesa, con scudo e spada già in mano. Osservammo quell’enorme creatura: era un pitone, ma non era uno normale, era delle dimensioni di una casa di due piani e aveva delle zampe. Aveva la pelle smeraldo, squamosa e dura come l’acciaio: il fendente che avevo lanciato l’aveva beccato sulla guancia, che sembrava solo appena sfregiata, non usciva nemmeno del sangue. Ci guardava dall’alto sibilando con la lingua, pronto ad attaccare in qualsiasi momento, attorno a noi nessuno sembrava accorgersi di quello che stava succedendo. Avrei voluto cercare Paul per vedere se si era accorto di quello che stava succedendo, ma una sola distrazione mi sarebbe stata fatale.

- Cosa facciamo? – domandai agitata a Nico a voce bassa.

- Credo… di ricordarmi qualche leggenda su questo pitone. – disse Nico senza distogliere un secondo gli occhi dall’enorme mostro. – Se solo mi venisse in mente sapremmo come annientarlo: ha una pelle impenetrabile dalle lame… -

Io non avevo avuto tempo di studiare i miti al Campo: tutto quello che sapevo lo avevo appreso nel corso degli anni a scuola. Un pitone gigante… riflettei; qualcosa affiorò alla mia memoria: non era nuovo neppure per me quel mostro, ma non avevo la minima idea di dove potessi aver letto di una creatura simile.

Il pitone tornò ad attaccare, ed io e Nico non potemmo far altro che schivare un attacco dopo l’altro, buttandoci per terra e rotolando; persi di vista Nico, e tentai da sola di colpire la pelle del serpente, ma ogni volta la spada mi rimbalzava indietro: era come colpire una corazza indistruttibile.

- Hey! – esclamò una voce alle mie spalle, e con la coda nell’occhio, vidi Paul che mirava dritto al serpente con arco e frecce, ma anche queste sembravano rimbalzare contro la pelle dura del serpente.

- Ben arrivato! – esclamai ironica, fiancheggiandolo alla sua destra mentre Nico faceva lo stesso alla sua sinistra.

- Scusa, c’era fila al chiosco del fish and chips… - commentò lui tentando ancora una volta di colpire l’enorme pitone che ora ci scrutava con attenzione, la testa alta pronta a colpire. I suoi occhi erano gialli intensi, la pupilla nera allungata al centro come quelli di un gatto o come quelli di…

- Ho un’idea. – dissi loro agitata. – E’ folle, ma potrebbe farci prendere tempo e diminuire le possibilità che ci faccia fuori facilmente. –

- Qualunque cosa sia, io sto con te. – disse Paul convinto.

- Che dobbiamo fare? – domandò Nico.

- Voi attirate solo la sua attenzione e non fatelo muovere troppo, ok? – dissi loro, e senza aspettare una risposta corsi via da lì. Nico e Paul attaccarono l’enorme serpente, e questo alzò ancora di più la sua testa, semplicemente infastidito. Corsi in fondo alla coda, e iniziai ad arrampicarmi lungo tutto il suo corpo; fortunatamente non era viscido, le sue squame sembravano vero e proprio metallo ancora caldo per aver preso il sole di tutta la giornata passata. Mi arrampicai senza troppe difficoltà fino alla testa e il pitone per fortuna non sembrava avvertire minimamente la mia presenza; una volta arrivata in cima, vidi dall’alto Paul e Nico tentare di tenere a freno il mostro, ma io sapevo di avere poco tempo prima che con uno scatto mi facesse cadere: posizionai Exusía verso il basso e gli conficcai la lama velocemente prima in un solo occhio poi anche nell’altro. L’enorme serpente alzò il capo dolorante, e io scivolai a testa in giù lungo il suo corpo, quasi come su uno scivolo, e mi sentii subito schizzare addosso uno strano liquido melmoso… quando arrivai a terra, mi toccai la faccia e mi guardai la mano: era sangue scuro, lo stesso sangue che sporcava la lama della mia spada, quindi era quello del serpente.

Nico e Paul accorsero subito da me per aiutarmi a rimettermi in piedi.

- Stai bene? – mi domandò Nico preoccupato. Io annuii. – Sì, sto benissimo… ora dobbiamo stare attenti, le uniche cose su cui può contare sono l’olfatto e l’udito… - bisbigliai mentre il serpente ancora si dimenava dal dolore. – Ora facciamo piano, e non appena a qualcuno viene in mente come farlo fuori, agiamo subito… -

- E’ stato un dio… - borbottò Nico. – Sono certo che sia stato un dio a fare fuori il pitone, ma non ricordo chi… -

- Io proprio non me lo ricordo. – confessò Paul. – Sono negato con queste storie… -

Il serpente sembrava soffrire molto, ma non aveva intenzione di morire. Iniziammo piano, piano a separarci tutti e tre in posizione di difesa: il serpente sembrava voler mettere da parte il dolore per farci fuori, ma doveva prima localizzare la nostra posizione.

Un dio… un pitone… dannazione, sapevo che la risposta era così vicina a me. Prima di tutto però dovevamo pensare a come ucciderlo. La pelle era impenetrabile, ma… io ero riuscita a renderlo cieco. Quindi solo la pelle era indistruttibile, dentro no, le fauci del serpente erano il suo punto debole. Alzai lo sguardo e la prima cosa che vidi era Paul con l’arco e la freccia puntati dritti verso il pitone: ebbi un’illuminazione.

- Paul è stato tuo padre a farlo fuori! – esclamai agitata fregandomene del serpente che subito si voltò verso di me; Paul e Nico mi guardarono come se fossi impazzita: urlare in quel modo attirando l’attenzione del mostro! – Mira alla bocca non appena la apre! -

Il mostro scattò verso di me ed attaccò; aprì le fauci, ed io vidi la scena come a rallentatore: Paul corse verso di me, con l’arco e la freccia pronti verso la bocca del pitone. Io chiusi solo gli occhi pregando a mani conserte.

Ti prego divino Apollo, dai una mano a tuo figlio perché possa essere in grado di portare a termine una missione nella quale solo tu sei riuscito: in questo momento ne ha bisogno più che mai. Pensai solamente.

Quando aprii gli occhi, Paul se ne stava di fronte a me, l’arco abbassato, osservando le enormi fauci del mostro: sul palato c’era la freccia che Paul aveva appena tirato. Il mostro si dissolse in polvere esattamente come avevano fatto i Stinfalidi in Italia.

Rimanemmo un attimo in silenzio, poi tutti e tre ci lasciammo andare per terra, sfiniti e spaventati.

- Robby sei stata grandiosa… - commentò Nico col fiato corto. – Dove ti è venuta in mente l’idea degli occhi? E quella di puntare in bocca? -

- Harry Potter docet. – risposi prendendo fiato. – Come credi che abbia fatto Harry a difendersi dal basilisco nella Camera dei Segreti? E comunque qui l’eroina non sono io: Paul, sei stato eccezionale… –

Lui scrollò le spalle come a dire che non era niente.

- Smettila di fare il modesto – lo rimproverai – Sarò pure una schiappa con l’arco, ma correre e mirare con precisione nel palato di quel mostro è stato incredibile… -

- Sì, incredibile veramente… - commentò una voce alle nostre spalle. Subito noi ci girammo e ci alzammo: dietro di noi c’era un ragazzo e non un normale ragazzo… era stupendo, lineamenti e muscoli scolpiti, capelli scuri, pelle abbronzata, occhi grandi, verdi e sorriso malizioso sul volto. Era un modello, non poteva essere altrimenti: in vita mia non avevo visto ragazzo più bello di quello e se avessi dovuto indovinare il suo nome, l’avrei chiamato certamente Perfezione. Indossava blue jeans e una maglia a mezze maniche verdina con lo scollo a v che gli risaltava i muscoli del petto. Rimasi con la bocca aperta per un paio di secondi, troppo imbambolata dalla sua bellezza per dire qualcosa.

– Credevo che non ce l’avreste fatta a scampare al pitone, ma a quanto pare mi sbagliavo. –

- Sei stato tu a sguinzagliarci quel mostro addosso, allora! – esclamò furibondo Nico.

- Certo – rispose Perfezione. – Ma io sono solo una pedina di questo enorme gioco del destino, e penso che ne incontrerete tanti altri… -

- Quindi tu ti fai usare per impedirci di arrivare nell’Ade! – fece Paul infuriato tanto quanto Nico. Io non ero in grado di rispondergli per le rime: Perfezione e la sua bellezza mi avevano completamente resettato il cervello. Perfezione rise.

- Sono sempre stato usato nella mia lunghissima vita! – fece lui con un sorriso malizioso che fece fare una piroetta al mio cuore; lui rideva, ma si sentiva dell’amarezza nella sua splendida voce. – Sono stato talmente usato che hanno finito per rendermi immortale! E chi ha mai voluto l’immortalità, dico io! – sbottò irritato. – Afrodite e Persefone: quelle due arpie… a causa loro sono ricordato nella storia dell’umanità come il fesso più grande mai esistito noto solo per la sua bellezza… il più grande forse dopo Narciso direi: so riconoscere posizioni peggiori delle mie. -

- S-sei Adone? – domandai ricordando il libro di miti che avevo letto alle scuole medie. Perfezione mi sorrise e i suoi denti sembrarono scintillare alle tiepide luci della sera come se si trovasse improvvisamente nella pubblicità di un dentifricio.

- Esatto dolcezza… - disse Adone facendomi l’occhiolino. - pensa un po’, io ero un eroe vero, avrei avuto molto da dare al mondo e agli dei: coraggio, valore, addirittura la mia vita… ma quelle due erano troppo affascinate da me e dalla mia bellezza da trattarmi solo come un semplice oggetto del loro desiderio… ed io sono più modesto di come le leggende mi dipingono! – esclamò irato.

- Ma non eri morto? – domandò Nico. – Ucciso da un cinghiale? –

Adone a quel punto scoppiò a ridere. – Io, il grande Adone ucciso da un cinghiale?! Quelle due arpie di Afrodite e Persefone l’hanno fatto credere al resto del mondo per tenermi con loro: non volevano che nessun altra donna potesse venire a cercarmi anche solo per curiosità; hanno tormentato Zeus affinché mi venisse dato il dono dell’immortalità, metà anno lo passo con Afrodite e metà con Persefone… ma ora che l’Ade è entrato nel caos più totale non rendo conto a nessuno, e farò pagare a tutti gli dei di avermi donato questa maledizione che è l’immortalità! –

- Ma l’immortalità non dev’essere male… - commentò Paul incerto.

- Non dev’essere male?! – sbraitò Adone adirato: pure quando si arrabbiava era stupendo. – Pensa a una schiavitù eterna: la morte sarebbe l’unica cosa in grado di liberarti. Inoltre ogni sventura capita a causa degli dei: pensate a tutti i miti, si basano per la maggior parte su capricci e pretese divine. Hanno rovinato il mio nome e la mia esistenza così come quella di tante altre persone e pagheranno per questo. –

- Per chi lavori, e cosa hai intenzione di fare? Distruggere il Monte Olimpo? Dall’Ade non riuscirai a fare molto… - lo avvertì Nico che non si lasciava sottomettere dalle parole di Adone.

-Non riuscirò a fare molto nell’Ade?! – fece Adone ridendo. – Figlio di Ade, tu non hai la benché minima idea di quello che potrebbe accadere là sotto… non ci sarebbe nemmeno bisogno di attaccare il Monte Olimpo per disintegrare gli dei. Inoltre non sono così ingenuo da dirti per nome di chi lavoro… -

Adone mi si avvicinò e mi appoggiò l’indice sotto il labbro inferiore, facendomi chiudere la bocca; dopo di che mi fece l’occhiolino e mi disse: - Non si fissano i bei ragazzi in modo così spudorato… - mi fece notare. Ok, tutto quel fascino e quell’incantevole atmosfera si dileguarono in un istante e la rabbia prese il loro posto: senza pensarci due secondi gli sferrai un pugno dritto in faccia. Per un attimo Adone rimase con il volto girato verso la sua destra, poi si toccò la guancia sinistra e mi guardò con gli occhi infuocati.

- Questa me la paghi, figlia di Zeus. – dopo di che svanì senza un’altra parola.

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Capitolo 6
*** Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadenti ***


Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadent

 

 

 

 

 

 

 

6

Seconda tappa: Chicago;

incontriamo delle modelle

un po’ troppo invadenti.

 

-H

 

ai dato un pugno ad Adone, te ne rendi conto? – fece Nico guardandomi con gli occhi spalancati dallo stupore. – L’uomo più conteso nella storia del mondo… -

- E sei rimasta pure imbambolata come una scema di fronte a lui… - aggiunse Paul ridendo. Io gli diedi una gomitata, irritata. – Torniamo in macchina, per favore… - borbottai.

Mi sedetti dietro io questa volta, e guardai la mia maglia sporca di sangue.

- Bleah, che schifo, ho la maglia sporca di sangue di pitone, e puzza di putrefatto… - commentai disgustata.

- Ci conviene spostarci da qui – commentò Paul accendendo l’auto. – Se rimaniamo in zona, Adone potrebbe tornare con qualche altro mostro da sguinzagliarci… Arriviamo per lo meno in Indiana, poi ci accampiamo là e avrai tempo di cambiarti la maglia. -

Arrivammo sul confine dell’Indiana in un paio d’ore e l’odore di putrefatto aveva ormai impregnato la mia pelle così come l’auto; tutti e tre scendemmo dalla vettura tirando un respiro di sollievo.

- Vado laggiù e ne approfitto per andare in bagno a cambiarmi… - borbottai indicando un Mc Donald in lontananza e infilandomi lo zaino sulle spalle.

- Aspetta! – esclamò Paul, e mi lanciò un portafoglio. – Prendi qualcosa di mangiare già che ci sei… -

- E tieni anche questo… - aggiunse Nico lanciandomi il suo giubbotto di pelle nera. – Almeno non vedranno quelle macchie di sangue sulla maglia… -

Annuii e mi incamminai verso il Mc Donald infilandomi quel giubbotto. Entrai nell’edificio praticamente vuoto (a quell’ora di notte era più che normale che non ci fosse quasi nessuno) e corsi subito verso il bagno. Una volta entrata, aprii il giubbotto e mi guardai allo specchio: la maglia era sporca di sangue scuro asciugato ormai da un bel pezzo. Mi accertai che in bagno non ci fosse nessuno, dopo di che bloccai la porta utilizzando uno spazzolone per pavimenti che probabilmente la donna delle pulizie aveva dimenticato lì e finalmente mi tolsi maglietta, l’arrotolai e la buttai senza troppe riserve nel cestino. Mi infilai una delle magliette che avevo nello zaino, il giubbotto di pelle di Nico e uscii come se nulla fosse. Alla cassa ordinai tre big mc con patatine e coca cola: probabilmente a quell’ora di notte ci sarebbero rimasti indigesti, ma era da quasi ventiquattrore che non mangiavamo nulla e dovevamo riempire per lo meno i nostri stomaci. Arrivai da loro esultante alzando la borsa con le nostre cibarie; loro nel frattempo avevano lasciato la macchina al parcheggio del Mc Donald aprendo tutte le portiere e addirittura il baule per fare uscire il tanfo di mostro che avevo portato. Mi tolsi il giubbotto e feci per restituirlo al proprietario, ma Nico scosse la testa dicendo: - Tienilo tu, stasera fa particolarmente freddo. –

Gli sorrisi grata e tutti e tre addentammo contemporaneamente i nostri hamburger con avidità.

- Avete delle idee su chi possa impartire ordini ad Adone? – domandò Paul con la bocca piena di pane, carne, insalata e cetrioli.

Io scossi la testa, e Nico continuò a sorseggiare pensieroso la sua coca cola.

- La cosa che mi sorprende più di tutte è mio padre – commentò finalmente Nico. – C’è veramente qualcosa che non va se lui non reagisce… inoltre com’è possibile disintegrare gli dei da laggiù? E Adone? Come ha fatto a liberarsi? -

- Adone passava metà del suo tempo con Afrodite e metà con Persefone… - commentai - probabilmente deve essere riuscito a scappare quando  passava il suo tempo con Persefone nell’Oltretomba: se c’è veramente qualcosa che non va laggiù non gli dev’essere stato difficile riuscire ad andarsene… -

- E poi c’è Bianca – continuò Nico. – Ha detto che da tempo c’è un umano nell’Ade. Che sia questa persona a tenere sotto controllo mio padre? E come potrebbe un comune mortale avere potere su un dio? –

Nessuno di noi riusciva a darsi una risposta.

- Credo che dovremmo dormire almeno un po’… - propose all’improvviso Paul. – Punterei la sveglia per le sei e chiuderei a chiave la macchina durante la notte: non si sa mai cosa può succedere… ah, al massimo se domani mattina voi dormite io posso partire comunque… -

- Lascia perdere – dissi subito io. – Tu dormi, hai fatto tante ore di viaggio… domani mattina guido io, ok? –

- Va bene – annuì Paul. - Direi che domani dovremmo affrontare quanti più chilometri siamo in grado di fare. Per ora direi che partendo alle sei di mattina, potremmo andare nell’Illinois e fare pausa a Chicago, che ne dite? -

Ci accordammo dunque così e visto che Paul sembrava sfinito, io e Nico lo lasciammo dormire sdraiato nei posti dietro, mentre io e lui ci accontentammo di tirare indietro solo di un po’ lo schienale del sedile.

Il giorno dopo alle sei la sveglia dell’iPod suonò, ed io ancora mezza addormentata e con un alito probabilmente pessimo che ancora sapeva di hamburger e di fritto, accesi la macchina e, controllando la cartina, mi diressi verso Chicago. Era diverso viaggiare per le strade americane e sentivo una certa nostalgia della mia patria: le mie strade, la mia lingua, il mio paese… se fosse stata una vacanza sarebbe stato diverso, mi sarei goduta il periodo in America tranquillamente, mentre ora, beh… non sapevo nemmeno se sarei tornata al Campo viva, figuriamoci tornare nel mio paese.

Non pensarci… continuavo a ripetermi.

Sentii uno sbadiglio di fianco a me, e vidi Nico passarsi una mano sugli occhi.

- Buongiorno… - disse lui con la voce ancora assonnata.

- Salve! – lo salutai allegramente io, che avevo ormai avuto il tempo necessario per riprendermi dal sonno.

- Da quanto tempo siamo partiti? – domandò.

- Da quasi due ore, sono un quarto alle otto. – gli risposi.

Lui sbadigliò un’altra volta e si voltò indietro per vedere Paul che continuava a ronfare, comodamente sdraiato.

- Questa storia mi sta facendo impazzire… - borbottò all’improvviso Nico. – Non ho idea di cosa stia succedendo a mio padre, all’anima di mia sorella, all’Ade… non capisco nemmeno la Profezia… -

- Io credo che sia meglio non farsi domande –dissi guardando la strada. – Non credo che troveremo una risposta da soli ed è inutile arrovellarsi il cervello per niente… il nostro obiettivo per ora è di arrivare nell’Ade evitando il maggior numero di mostri possibili. –

- Forse hai ragione tu… - commentò ancora pensieroso.

- Certo che ho ragione io… - dissi annuendo, cercando di mostrarmi convinta. La verità era che non ero sicura di nulla, ma dovevo rasserenare i miei compagni di viaggio.

Paul si svegliò poco dopo con un sonoro sbadiglio, iniziò subito a cercare qualche canzone sull’iPod per svegliarsi e finimmo per cantare a gran voce Raise Your Glass di Pink.

Paul era veramente un toccasana per la nostra impresa: con la sua carica era in grado di farci dimenticare che stavamo praticamente andando incontro alla morte per chissà quale motivo; sembravamo semplicemente tre amici che, tanto per passare il tempo, avevano deciso di attraversare l’America in auto. Aveva tirato giù i finestrini, alzato la musica al massimo e di tanto in tanto usciva dal finestrino con testa e braccia cantando a squarciagola e salutando gli altri automobilisti che lo mandavano a quel paese a gesti. Era talmente contagioso che persino Nico finì per unirsi al nostro coro con un sorriso che troppo poco spesso concedeva alla gente. In quel momento mi dimenticai dell’impresa, mi dimenticai degli dei e della nostalgia per la mia Italia: in quel momento ero perfettamente serena.

Percorremmo tutta l’Indiana, arrivammo finalmente in tarda mattinata nell’Illinois e parcheggiai l’auto in centro Chicago.

- Eccoci arrivati! – esclamò Paul uscendo dalla macchina e scrocchiandosi le dita.

- Chicago. – disse Nico guardandosi intorno soddisfatto e incamminandosi con la cartina in mano. Io chiusi la macchina e li seguii senza sapere dove avevamo intenzione di andare.

Camminammo per un paio di minuti ed entrammo in un parco. Io rimasi praticamente estasiata di fronte a quella vista: gli edifici enormi e i grattacieli che già avevo visto guidando, erano ora tutte alle nostre spalle, mentre di fronte a noi si estendeva un enorme lago azzurro.

- E’ fantastico! – dissi con il cuore in gola di fronte a quello spettacolo.

- Questo è il Grant Park – mi disse Nico. – E quello è il lago Michigan –

- Altro che lago, questo sembra un oceano…! – esclamai avvicinandomi all’acqua e cercando di scrutare della terra all’orizzonte, ma mi resi presto conto che la cosa era praticamente impossibile.

- Hey, là alla fontana c’è un po’ di gente. – ci avvertì Paul. – Andiamo a dare un’occhiata, magari c’è qualche negozietto di alimentari. –

Andammo verso l’enorme fontana al centro del parco e trovammo allestito tutto intorno una passerella e un palcoscenico di color nero e fucsia. Nico si avvicinò a uno dei cartelli affissi in giro e lesse: - Avril Lavigne presenta oggi alle sedici una sfilata della sua nuova collezione d’abbigliamento Abbey Dawn. Evento gratuito aperto al pubblico. –

Quasi all’unisono, io e Paul esclamammo: - Cosa?! Ci sarà Avril Lavigne?! -

Guardai Paul trovando subito in lui un degno alleato e con un sorriso dissi: - Che ne dici di fermarci anche a vedere la sfilata? –

Lui subito annuì gioioso e corse via esclamando: - Vado a prendere da mangiare, andate a tenere occupati dei posti a sedere! -

Nico mi guardò accigliato e chiese: - Siete sicuri che sia prudente perdere un intero pomeriggio qui a vedere una sfilata di moda? –

Io allora lo guardai implorante pregandolo: - Ti prego, si tratta di Avril Lavigne! Sono riuscita a vederla da sotto il palco per miracolo allo scorso concerto che ha fatto a Milano il giorno del mio compleanno: ha fatto appena un’ora di concerto, è stato scandaloso! Ti prego, lasciamela vedere un altro po’ questa volta, è un’occasione d’oro…! –

Prima che Nico potesse ribattere o darmela vinta, una voce alle mie spalle domandò: - Siete qui per Avril Lavigne? –

Io mi girai di scatto e vidi che una ragazza si avvicinava a noi con un sorriso amichevole. Era magra, slanciata, abbronzata, bionda, con dei ricci assolutamente perfetti e gli occhi verdi. Mi sentivo una nullità vicino a lei.

- Mi chiamo Katie e sono una delle modelle che sfilerà – disse gentilmente. – Da dove venite? –

- Io e un altro nostro amico che sta per arrivare veniamo da New York – rispose Nico – e lei dall’Italia. –

La ragazza mi squadrò dall’alto al basso con una strana espressione sul volto, poi tornò a sorridere.

- Addirittura dall’Italia?! – chiese stupita.

Io arrossii sotto il suo sguardo, senza capire se mi stesse prendendo in giro o meno.

- Io… ero venuta a trovare loro e abbiamo programmato, hem… da molto questo viaggio per l’America, ecco… - borbottai. Ok, sono una pessima bugiarda: da sempre i miei amici ripetono che sono un libro aperto e solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse vero.

- Eccomi qua con dei panini! – esclamò Paul arrivando, e rallentò il passo quando ci vide in compagnia di quella ragazza.

- Katie! – la chiamò qualcuno da dietro: era un’altra ragazza, probabilmente anche lei una modella, dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri a mandorla.

- Lei è Himeko, una mia collega. – la presentò Katie.

Dopo aver fatto le opportune presentazioni, Himeko ci sorrise gentilmente e ci domandò: - Che ne dite di fare un giro dietro le quinte? Manca ancora un’ora alla sfilata e ci farebbe piacere mostrarvi qualcosa in anticipo… –

- Beh, perché no? – commentò Paul con un sorriso. Himeko ammiccò in sua direzione e sbatté le ciglia: si vedeva che ci provava spudoratamente con lui. Avevo una strana sensazione in merito a quelle due ragazze, ma non si trattava di gelosia: non mi faceva né caldo né freddo che Paul si ritrovasse a rimorchiare per un pomeriggio; in fin dei conti c’era sempre Nico che non mi avrebbe lasciata a fare il candelino… mi voltai a cercarlo con lo sguardo e vidi che Katie gli aveva prepotentemente messo una mano attorno alla vita e lo trascinava nel dietro le quinte. Mi sentii infuocare dentro: da Paul potevo aspettarmelo, ma pure Nico?! Corsi per raggiungerli e non essere lasciata indietro, ma continuavo a sentirmi sola ed inutile come non mai. Sia Paul che Nico sembravano apprezzare le moine delle due modelle.

- Che ne dici, Robby, ti andrebbe di provare uno dei vestiti? – domandò improvvisamente Katie guardandomi quasi con aria di superiorità e ridacchiando, circondando Nico in un abbraccio. Mi sentivo ribollire di rabbia: avrei voluto prendere lei, quel suo comportamento civettuolo e quella sua perfezione, ficcarle dritte dentro nel water e schiacciare l’acqua.

- Non potrei mai starci nei vostri vestiti… - commentai dura tra i denti, trattenendo l’istinto di strangolarla: loro erano modelle, io invece ero una semplice ragazza italiana di campagna che non diceva mai di no ad un piatto di pasta al ragù.

- Oh, beh, ma ci sono anche altre misure più abbordabili per te… - disse subito Himeko con una risata.

Il premio di miss simpatia va proprio a queste due… pensai acidamente, serrando i pugni dalla rabbia.

Ci portarono nel loro camerino e mi mostrarono un vestito a mezze maniche corto fin sopra il ginocchio con la trama della bandiera americana in bianco e nero, ma era troppo scollato per me e, forse un po’ sgarbatamente, mi rifiutai d’indossarlo. Cercai tra i vestiti qualcosa che mi piacesse, ma con la coda nell’occhio continuavo a tenere sotto controllo Katie: Nico non sembrava affatto dispiaciuto delle due attenzioni e la cosa mi irritava parecchio. C’era qualcosa che non andava assolutamente in quelle due ragazze, ma Katie m’innervosiva molto di più di Himeko.

Avevo appena trovato una maglietta con la scritta Smile che mi piaceva, quando vidi Katie avventarsi sul collo di Nico con uno strano luccichio. Lasciai perdere la maglietta e, senza nemmeno pensarci, mi voltai facendo scattare subito Exusía e puntandole la spada alla gola. Avrei voluto subito intimarle di arretrare, ma la voce mi si bloccò in gola: Katie era diventata bianca cadaverica, aveva gli occhi rossi e mi mostrava dei canini affilati come rasoi, per non parlare del fatto che al posto delle normali gambe aveva una zampa d’asino e una gamba di bronzo. Improvvisamente mi sentii la ragazza più splendida della stanza, ma la cosa non sembrava più avere quella grande importanza per me.

- Che c’è, hai perso la voce, figlia di Zeus? – disse Kate con un sorriso beffardo. – Era tanto che vi stavamo aspettando… -

- Lascia stare Nico! – feci riprendendo il controllo.

- Beh, allora potrei provare io ad assaggiare l’altro tuo amico… - commentò Himeko, che come Kate, si era trasformata in quello strano mostro.

- No! – strillai disperata, e con la spada continuavo a puntare prima ad una e poi all’altra: non riuscivo a fronteggiarne due, un solo passo falso da parte mia e avrebbero fatto fuori i miei amici.

- Nico, Paul riprendetevi, dannazione! – esclamai implorante con le lacrime agli occhi. – Non vedete che sono dei mostri? –

- Ma cosa dici? – disse Paul con voce assonnata. – Queste ragazze sono la fine del mondo… -

- Sono stupende… - concordò Nico.

Entrambi avevano lo sguardo vacuo e perso nel vuoto, era ovvio che erano quei due mostri a far loro quell’effetto.

- Cosa siete voi? – domandai ai due mostri tentando di prendere tempo per pensare a cosa fare.

- Noi siamo le empuse! – esclamò Himeko mostrandomi le zanne. – Siamo state inviate dall’Oltretomba: non serviamo più Ecate! –

- Zitta stupida! – esclamò Kate. – Non vedi che sta solo temporeggiando? –

- E perché? – chiesi continuando a muovere la spada prima verso un’empusa e poi verso l’altra. – Perché avete tradito Ecate? –

- Siamo mai state ricompensate per i nostri servigi nei suoi confronti? – rispose adirata Himeko senza riuscire a trattenersi. – Queste due gambe orribili avrebbe potuto togliercele già da un pezzo, proprio lei che è la dea degli incantesimi! In questo mondo gli dei non danno giustizia a nessuno se non a loro stessi! Inizierà una nuova era…! –

- Basta! – esclamò Kate secca. – Hai detto fin troppo, idiota! – Dopo di che mi sorrise maliziosa e con un dito sfiorò il collo di Nico, che sembrava un assetato nel deserto.

- Chissà come sarà nutrirmi del sangue di un figlio d’Ade… - e avvicinò le labbra al collo di Nico…

- No! – esclamai nel panico, e vedendo che non si fermava aggiunsi: - Prendi me! –

Kate finalmente alzò lo sguardo verso di me.

- Si può sapere che stai farneticando? – fece lei gelida. – Noi non ci nutriamo di femmine. -

- Ma io sono figlia di Zeus! – esclamai disperata senza sapere nemmeno io che cosa volessi ottenere. – Quando mai vi capiterà di assaggiare del sangue che discende dal padre degli dei? E’ come uno zero negativo per i vampiri, no? – In effetti sono anche zero negativo, quindi probabilmente sarei piaciuta loro il doppio visto che erano mezze vampire… deglutii nervosa, vedendola cedere.

- Non hai tutti i torti – proferì Kate infine.

- Ma anch’io allora voglio nutrirmi del sangue di una figlia di Zeus! – brontolò Himeko.

- Tu non meriti assolutamente nulla, hai già spifferato troppo a questa mezzosangue! – la rimproverò subito Kate gelida. Himeko rimase in disparte delusa e arrabbiata.

- Riponi la spada e appoggiala per terra lentamente. –mi intimò Kate.

- Mentre lo faccio però voi dovete allontanarvi lentamente da loro e avvicinarvi a me. – dissi io. – A loro due non dovete fare nulla, chiaro? -

Kate annuì e Himeko la imitò. Non potevo fare altro: feci scattare la spada che tornò ad essere un semplice accendino e mi abbassai per appoggiarlo a terra. Alzai lo sguardo e vedi che piano, piano, le due empuse si stavano allontanando dai miei amici e si stavano avvicinando a me, leccandosi le labbra. Appoggiai l’accendino per terra, allontanai la mano e il mio pensiero fu uno solo: ormai è finita.

Avevo una sola speranza, ed era di far risvegliare uno dei miei due amici, così agì d’istinto: quando i due mostri si furono allontanati abbastanza dai miei amici, ripresti l’accendino che avevo appena lasciato per terra, lo ritrasformai in una spada e la lanciai, di modo che l’elsa andasse a colpire Nico proprio in fronte.

- Ahi! – esclamò lui piegando la testa in avanti, dolorante: ce l’avevo fatta, almeno lui era tornato in sé.

- Cos’avevi intenzione di fare? – chiese Kate ridendo: lei e la sua amica erano scoppiate a ridere pensando che io avessi tentato di attaccarle con la spada dalla parte del manico e non avevano sentito il lamento di Nico. – Ora è il momento di finirla… -

Chiusi gli occhi terrorizzata vedendo le loro zanne avvicinarsi al mio collo: Nico probabilmente si stava ancora riprendendo, e quando l’avrebbe fatto, sarebbe ormai stato troppo tardi per me…

Quando tutto sembrava perduto, sentii un urlo e fui sommersa da un’ondata di polvere. Avevo paura ad aprire gli occhi: ero ancora viva? Eppure il dolore non era arrivato… sbirciai cautamente e vidi che Nico con un solo colpo netto di Exusía aveva fatto fuori le due empuse.

- Sì, aveva proprio ragione – commentò Nico. – Era proprio il momento di finirla. -

Mi lasciai cadere per terra con gli occhi ancora lucidi dal terrore e Nico corse subito da me preoccupato, lasciando cadere la spada.

- Hey, stai male? – mi chiese subito abbassandosi per vedere come stavo.

- Sì, cioè, no… sto bene… - risposi con voce tremante. – Solo che… credevo veramente di morire questa volta… mi tremano ancora le gambe… - Lui mi sorrise e mi sentii improvvisamente calda in viso.

- Vuoi un po’ di ambrosia? – mi disse gentilmente togliendola dal suo zaino e offrendomela. Io scossi la testa e guardai da un’altra parte, senza riuscire a sostenere il suo sguardo. – Un po’ d’acqua… - dissi solo, e lui mi offrì subito una bottiglietta che aveva con sé.

- Hey, si può sapere che è successo qui dentro?! – esclamò Paul all’improvviso, riprendendosi.

- Forse è meglio tornare subito in macchina e spiegarti tutto mentre ci allontaniamo da qui; questa volta guido io. – disse Nico. Mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi, ma io mi alzai da sola, sentendomi le gambe quasi più tremanti di prima.

- E Avril Lavigne?! – fece Paul mortificato.

- Lascia perdere Avril e andiamocene subito…! – dissi io sfinita.

Una volta arrivati in auto raccontammo tutto quello che era successo a Paul, e lui sembrò scurirsi in viso. – Cavoli, e io che non ho fatto nulla per aiutarvi… - commentò.

- Hey, può capitare a tutti… sei stato sotto effetto delle empuse. – lo consolò Nico. – Se Robby non mi avesse lanciato l’elsa della spada in fronte, anch’io non avrei fatto nulla… -

 Mentre loro continuavano a parlare, io mi ritrovai a scrivere sul libro che mi aveva dato Helénia: le raccontai del pitone, di Adone e delle empuse. Fortunatamente Helénia aveva il suo quaderno a portata di mano, e commentava subito tutto quello che le raccontavo. Mordicchiai la penna e rimasi a pensare: dovevo dirle il dubbio che mi attanagliava? Decisi che non potevo tenermi tutto dentro, così iniziai a scrivere.

Sai, Hel, quando ho visto quel mostro appiccicarsi a Nico non ci ho più visto. 

E’ stato diverso da come mi sono sentita quando ho visto Paul con l’altra… non saprei dirti perché.

La risposta non si fece attendere troppo, infatti Helénia rispose subito.

Ti sei innamorata! Wow, che dolce!

Innamorata?! Rilessi quella frase almeno una decina di volte: avrei voluto mettermi a ridere sguaiatamente, ma non era il caso in presenza di Paul e Nico.

Ma smettila… che stupidaggini vai dicendo...! 

Io innamorata di Nico… Ma fammi il piacere…

Hèlènia non rispose subito, e per un attimo temetti di essere stata troppo rude con lei; poi però la sua risposta apparve nitida sul piccolo quadernetto.

Puoi negarlo quanto vuoi a me, 

ma al tuo cuore non puoi mentire in eterno…

Rilessi la sua risposta, e sentii il mio cuore battere più velocemente. Quindi era gelosia quella sensazione di fastidio che avevo sentito nel petto vedendo l’empusa stringersi a Nico e lui cedere di fronte alla sua bellezza? Scossi la testa e chiusi il quadernetto: era una stupidaggine, dovevo saperlo che Helénia aveva preso da sua madre e trovava ovunque emotività e sentimenti che non stavano né in cielo né in terra... incrociai le braccia sbuffando con mille pensieri nella testa e convincendomi che l’unica cosa che mi aveva veramente dato fastidio quel giorno era di non aver potuto vedere dal vivo Avril Lavigne.

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Capitolo 7
*** Visioni & sogni ***


Visioni & Sogni

 

 

 

 

 

 

 

7

Visioni

&

sogni

I

 

l pomeriggio lo passammo in viaggio, tutti troppo preoccupati per il nostro ultimo incontro ravvicinato con dei mostri: pure a noi sembrava troppo facile metterci nel sacco e più ci avvicinavamo a Los Angeles, più le cose si sarebbero complicate. Di tanto in tanto lanciavo dallo specchietto retrovisore uno sguardo a Nico, troppo impegnato a guidare per vedermi. Cavoli, dannata Helénia! Ora che mi aveva detto quella cosa, non riuscivo più a togliermela dalla testa! Ragionando oggettivamente l’avevo ammesso pure io che mi aveva dato più fastidio l’atteggiamento di Kate che quello di Himeko, ma, diamine! No, io non ero innamorata e non volevo innamorarmi, era una cosa stupida e insensata. Di Nico poi… per giunta durante un’impresa. No, non doveva accadere, non volevo che accadesse.

- Si può sapere perché sei così taciturna da quando abbiamo lasciato Chicago? – mi chiese Paul ad un certo punto.

Io sbuffai e sdraiandomi sui sedili dietro borbottai: - Sono solo un po’ stanca… e ho fame. –

- Sto vedendo i cartelli di un posto per campeggiatori qui in zona – disse Nico continuando a guardare la strada. – Almeno per una volta possiamo dormire fuori dalla macchina, no? -

Ci accordammo quindi di andare in questa zona da campeggio chiamata Oasi Paradiso. In cinque minuti arrivammo a destinazione in quello sperduto paesino nello Iowa e, dopo aver pagato la nostra permanenza su quel terreno per una notte, il parcheggio dell’auto e il noleggio di una tenda e tre sacchi a pelo, finalmente iniziammo a sistemarci in una zona appartata nel boschetto, proprio vicino ad un piccolo laghetto.

- Io e Paul andiamo al negozietto all’ingresso per prendere  da mangiare. – annunciò Nico. – Vieni con noi? -

Scossi la testa.

- Voi andate, io rimango qui a montare la tenda. -

I due s’incamminarono, ed io mi armai di pazienza per riuscire a stendere il telo della tenda per terra, dopo di che fu una passeggiata montare la tenda e bloccarla per terra con martello e picchetti. Tutta quella fatica mi aiutò a non pensare a quella cosa assurda che Helénia mi aveva messo in testa. Mi sedetti appoggiandomi ad una roccia: ero veramente stanca, anche se il sole stava tramontando in quel momento, gli occhi mi si chiudevano da soli…

Era buio ed ero seduta. Tentai di alzarmi, ma qualcosa me lo impediva. Nella luce spettrale che di tanto in tanto appariva in tutto quel buio, vidi che ero incatenata per le braccia e per i piedi. Una voce alla mia destra disse ironica: - Fatto dei bei sogni? -

Mi voltai a destra con il cuore in gola, per vedere se ero sola o meno, e scoprii di avere i capelli corti fino alle orecchie. Non era possibile, non ero io, io avevo i capelli lunghi fino a sotto le spalle… ma la cosa mi stupì solamente nella mia testa.

In tutto quel buio ancora non riuscivo a vedere la figura alla mia destra, ma la mia bocca si aprì e pronunciò la frase: - I sogni sono sempre migliori della realtà da un paio di mesi a questa parte… -

La voce non era la mia, e io non avevo mai pensato di dire una cosa simile. Eppure era il mio corpo a parlare: era come essere intrappolati passivamente nel corpo di qualcun altro.

Iniziai finalmente ad abituarmi a quel buio, e scrutai la figura alla mia destra: era un uomo bianco cadaverico con degli occhi scurissimi e delle vesti lunghe e nere.

- Sarebbe strano il contrario, Chiara… - disse una voce femminile alla mia sinistra, e mi voltai. Chiara? Io non mi chiamavo Chiara, eppure mi ero voltata.

Chi aveva parlato era una donna stupenda, con una tunica greca bianca candida, il volto candido e i capelli neri e ricci: anche se era evidentemente priva di forze, rimaneva stupenda.

- Credo che voi siate l’unica fonte di vita per una mortale come me qui dentro, Persefone – dissi. – Senza la vostra presenza sarei probabilmente già morta. -

Persefone sorrise. – Mi dispiace che non sia tu ad essere lusingato da tali parole, Ade caro… - disse rivolgendosi all’uomo alla mia destra. La figura maschile alzò le spalle tentando di portare avanti le braccia, ma le catene glie lo impedivano.

– Tenere in vita un mezzosangue che non sia figlio mio non mi aggrada, e meno che meno m’importa di ricevere lusinghe proprio da lei. – rispose burbero Ade.

- Allora, sei riuscita a metterti in contatto con Roberta? – domandò Persefone seria.

Scossi la testa. – E’ partita per l’impresa, non mi ha ascoltata, ed ora che è in viaggio mi è sempre più difficile attivare il legame empatico. Anche se non fosse partita comunque non vedo che differenza avrebbe fatto… -

- Quegli stupidi degli altri dei se ne fregano della mia situazione! – sbottò Ade.

- Chi può dirlo? – fece Persefone con un sospiro. Dopo di che proferì con occhi chiusi e la voce stanca: - Non so per quanto ancora potrò andare avanti… io ora dovrei essere sulla terra e sono qua imprigionata… mi sento debole, molto debole, sento che non passerà molto tempo prima che le forze mi abbandonino ed io sparisca… -

- Gli dei non possono sparire – dissi come se la cosa fosse ovvia. – O no? – domandai rivolgendomi ad Ade, che sembrava un pezzo più duro da sconfiggere della moglie.

- Se un dio non ha più la volontà o la forza per esistere sì, può capitare, anche se non è successo quasi mai nella storia… - disse Ade, ma questa volta con un tono di voce basso e con uno sguardo preoccupato fermo verso sua moglie.

- Sono certa che con la vostra forza, Ade, vostra moglie resisterà fino all’arrivo di qualcuno che ci tiri fuori da qui… - dissi tentando di usare una voce sicura, ma tremai: sentivo di non essere affatto sicura di nulla.

Lui sbuffò scettico. – Scusami se ti contraddico, ma non ripongo fiducia in voi mezzosangue, in particolare in un gruppo campeggiato dalla progenie del mio peggior fratello… -

- Dovrebbe esserne convinto invece – lo contestai a bassa voce per non farmi sentire da Persefone. – Perché in quel gruppo di mezzosangue c’è anche un vostro figlio a quanto pare. -

- Nico? – fece Ade con un filo di speranza nella voce. – Quel ragazzino l’ultima volta mi ha veramente aiutato a riscattarmi agli occhi di quegli stolti su all’Olimpo. Che non lo venga mai a sapere (odio fare complimenti), ma se c’è anche lui, potremmo anche cavarcela, anche se non so come… - si bloccò.

- Cosa c’è? – domandai ansiosa.

- C’è una presenza. – disse Ade attento, guardandosi intorno. – Sono talmente indebolito da non averci fatto caso, ma c’è un chiaro legame empatico in atto in questo preciso istante. –

- Robby, mi senti? – esclamai guardandomi intorno. – Qui nell’Ade è il caos totale, un umano ha preso il controllo del posto: non sappiamo ancora come, ma ha tolto i poteri sia ad Ade che a Persefone e per gli dei è impossibile proseguire… chiunque sia ha in mente qualcosa di distruttivo per tutti gli dei e… -

Aprii gli occhi di scatto.

- Robby! – esclamò Paul bianco pallido.

- Parlavi nel sonno! – fece Nico, agitato come lui, ma mostrandosi più calmo ora che avevo aperto gli occhi. – Parlavi dell’Ade, è successo qualcosa? –

Tentai di respirare, ma avevo ancora il cuore in gola: era come essere svegliati durante una fase di sonnambulismo. Io l’ho provato e credetemi, è una cosa tremenda. Raccontai loro tutto quello che avevo visto, di Ade, di Persefone e dell’essere umano che li teneva prigionieri senza poteri.

- Io poi… temo di non aver raccontato tutto al campo. – dissi, e raccontai ormai di quel collegamento che ora, a mente fredda, era ovvio: io nel mio sogno ero quella ragazza che avevo sognato per tanto tempo in Italia, quella ragazza che ora sapevo chiamarsi Chiara. – Non l’ho raccontato al Campo e a Chirone perché mi sembrava un dettaglio irrilevante. – dissi alzando le spalle. – Invece ora, col senno di poi, mi rendo conto che l’inizio dei miei sogni di Chiara incatenata coincidono con l’inizio della pioggia in Italia, forse non è affatto una coincidenza… -

- No che non lo è – disse Nico agitato. – Si chiama legame empatico. E’ un collegamento tra due persone che anche se lontane possono comunicare diciamo mentalmente. E’ un legame importantissimo, se una delle due muore, muore anche l’altra. –

- Bene, ho più possibilità di andare nell’Oltretomba senza viaggiare per tutta l’America… - borbottai ironica.

- Credo che sia stata una giornata impegnativa per tutti. – disse Paul ad un certo punto. – Forse è meglio andare a dormire così da essere svegli e pronti alla partenza domani mattina, non trovate? – Nico annuì, e debolmente lo imitai.

Dormire per terra in un sacco a pelo, anche se in una tenda, è sempre stato per me a dir poco insopportabile; mi addormentavo solo se ero veramente stanca, e dopo quel collegamento mentale con Chiara, il sonno era scappato. Ricordai l’ultima volta che avevo dormito in tenda in montagna in Italia: ero andata a dormire alle quattro passate di mattina, allietata, per così dire, dallo spettacolo di un mio amico ubriaco che cadeva per terra raccogliendo la legna per il fuoco. Sorrisi a quel ricordo, e pensare alla mia vita da persona normale mi aiutò a prendere sonno...

Era tutto bianco intorno, non vedevo nulla: era impossibile che si trattasse ancora del legame empatico, là nell’oltretomba era tutto nero. All’improvviso mi accorsi di un particolare: indossavo una tunica greca bianca candida, e i miei capelli biondi erano raccolti in una treccia ornata di fiori che cadeva sulla mia spalla destra.

 - Ti piace? – domandò una voce alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, il cuore a mille, e quando vidi da chi proveniva la voce, il cuore sembrò quasi fermarsi: era un ragazzo di circa la mia età, capelli corti, biondi e ben tenuti, fisico atletico, veste greca e occhiali da sole.

- Scusa – disse con un sorriso vedendo che lo fissavo. – La tunica è la mia veste per le occasioni ufficiali, e questa lo è, ma non potevo mancare di aggiungere un tocco di classe con i miei rey ban. – Si tirò su gli occhiali e vidi per la prima volta i suoi occhi: verdi così intensi da brillare come uno smeraldo vero, quegli occhi non potevano essere umani. – In caso non l’avessi capito, io sono Apollo. – disse sfoggiando il suo ennesimo sorriso.

Il cuore sembrò veramente smettere di battere: Apollo era il mio dio preferito da sempre, e reincarnava esattamente quello che era il mio ragazzo ideale, biondo, atletico con gli occhi verdi.

- So che ti piace il Giappone, vuoi che ti dedichi un haiku? – domandò lui facendomi l’occhiolino.

- Dove mi trovo? – chiesi senza rispondere alla sua domanda. – Perché sono qui, e perché indosso questa tunica? –

Lui mi guardò aggrottando le sopraciglia.

- Beh, la veste era semplicemente un regalo per te da parte mia – commentò lui come se la cosa fosse ovvia. Qualcosa nel suo tono di voce intendeva ricevere un ringraziamento, ma io domandai solo: - Perché? -

Lui sbuffò.

- Mamma mia, ma quanto è difficile trattare con una mezzosangue figlia di Zeus! Non capisci quando qualcuno ti sta corteggiando? -

Arrossii praticamente fino alla punta dei capelli: avrei voluto scomparire o per lo meno avere l’abilità di fingere che la cosa non m’importasse, ma come al solito il mio volto era un libro aperto. Non era possibile che Apollo mi facesse il filo, il dio che mi piaceva più di tutti da quando alle elementari avevamo parlato degli dei dell’antica Grecia. Poi mi ricordai dei miti su di lui, e tornai con i piedi per terra.

- Sì, corteggiare me… un po’ come con Daphne, o sbaglio? – commentai amaramente, ma mi morsi subito un labbro: non potevo permettermi di parlare così male ad un dio.

Lui ridacchiò e disse solo: - Hey, se vuoi tirare in ballo tutte le donne che ho provato a sedurre da quando esisto, non credo che finirai mai… -

- Perché io allora? – chiesi imperterrita.

Lui camminò avanti e indietro un paio di volte, poi incrociò le braccia e disse: - In realtà tutto è iniziato quando il consiglio degli dei ha ascoltato la profezia. Non posso rivelare a voi mortali perché, ma mi è stato chiesto di tenerti d’occhio, e più lo facevo, più mi sei sembrata una persona interessante: sei stata la prima a dare a Paul una possibilità di riscattarsi, gli hai suggerito che sono stato io a sconfiggere Pitone quando lui non si ricordava di me… -

- Quindi… state dicendo che v’interessate a me solo perché sono gentile con un mio amico che, per caso è vostro figlio? L’amore vero non è riconoscenza… - dissi tentando di essere distaccata, ma non ne ero molto capace: ricevere simili attenzioni da Apollo mi lusingava e non poco.

- Se vuoi sentirmi dire ad alta voce la lista dei pregi che io vedo in te, allora non siamo poi molto diversi… - disse lui con un sorriso che mi paralizzò dal tanto che m’incantava. – Sei una buona amica, non ti fermi di fronte a nulla, sei leale, coraggiosa e credi nei sentimenti umani… detta così potresti sembrare una tra le mille eroine che questa terra ha visto, ma credimi se ti dico che quello che il cuore vede, le parole e la poesia a volte non riescono a spiegarlo. Sei diversa dalle altre, è questo che sento. –

Abbassai lo sguardo: trattenerlo di fronte a tutte quelle lusinghe per me era impossibile.

- Ti dico solo una cosa: le mie non sono mai state storie serie, forse perché io in primo luogo non sono mai stato serio. Io sono sempre stato solo il fratello irritante di Artemide: sono il sole, la musica e la poesia: tutto parole e niente fatti.  Ma credo che anche gli dei siano in grado di cambiare, e io voglio farlo. - mi prese le mani e fui così costretta a guardarlo in quegli occhi così profondi da sembrare irreali. - Quello che ti sto proponendo è di diventare mia sposa sull’Olimpo. –

Ci impiegai parecchio per capire di cosa stesse parlando; probabilmente il mio cuore aveva veramente smesso di funzionare, forse il cervello riceveva sempre meno ossigeno, per questo i miei tempi di reazione erano così tardi.

- Io… s-sposa sull’Olimpo? – balbettai.

Lui annuì, sembrava veramente serio; tutte le storie sulla superficialità di Apollo, il modo superficiale in cui si era presentato… tutto era svanito, improvvisamente sembrava un’altra persona. Dicono che l’amore vero cambia le persone. Poteva forse cambiare anche gli dei? Gli dei potevano cambiare?

- Io non ho una compagna nell’Olimpo – continuò lui. – E vedo in te mia moglie, insieme a tutti gli altri dei. Dopo tutti questi secoli voglio una compagna per tutta la mia esistenza, e il mio cuore mi dice che questa compagna sei tu, Robby. -

Oddio, che cosa imbarazzante… volevo dirgli di no: non lo conoscevo veramente, ma non potevo dire di non sapere nulla di lui in realtà, poi lui era perfetto, praticamente quello che, da piccola, era il mio Principe Azzurro… improvvisamente mi si attanagliarono altri pensieri, quelli più importanti forse.

- Ma… vostro padre è Zeus che è anche mio padre. Inolte io non potrei starvi vicino sull’Olimpo – dissi.

- Le parentele tra dei funzionano diversamente… - mi spiegò. – Poi non potresti starmi vicino come una mezzosangue comune, ma come dea sì. – disse lui, e capii quello che voleva intendere. – Tu completa la missione che ti è stata assegnata nell’Ade, e quando tornerai chiederò io agli dei di renderti immortale, di renderti una dea. -

 Io… immortale. Io… una dea. Sarebbe stato un happy ending delle fiabe: l’eroina impavida sconfigge il mostro cattivo, il bel principe le chiede di sposarla e i due vivono per sempre felici e contenti. E sarebbe stato veramente per sempre. Eppure la cosa di per sé mi sembrava così falsa e inverosimile…

- Io… non credo che potrei… non so… - balbettai agitata senza sapere cosa rispondergli.

- Facciamo così – disse lui. - per ora ti lascio con un altro piccolo regalo – il suo viso si avvicinò sempre di più al mio, le sue labbra praticamente sfioravano le mie, ed io mi sentii pietrificata, col fiato corto, catturata dai suoi occhi. - così potrai pensarci su e sarai pronta a rispondermi quando ci rivedremo finita la tua impresa, perché sono certo che tu, mio figlio e l’altro ragazzo ce la farete, e non ci vogliono profezie per saperlo: mi fido di voi e riporrei nelle tue mani la mia stessa esistenza… -

A quel punto mi baciò. Credo che il mio cuore smise veramente di battere. O forse batteva troppo. O forse avevo la febbre. Avevo caldo. Eccome se avevo caldo. Il tempo sembrava non passare più, come se si fosse fermato tutto all’improvviso, probabilmente era quella la sensazione di essere immortali… il caldo si fece sempre più intenso. Sentivo le vene nel mio corpo pulsare forte, non mi sarei sorpresa se stessero bollendo. Caldo, veramente troppo caldo. Stavo andando a fuoco…

- AAAAAAHHHHH!!! – urlai mettendomi a sedere di scatto, e tutta agitata e con il fiato corto, tentai di togliermi il più velocemente possibile il mio sacco a pelo, e cercai di uscire dalla tenda senza prima averla aperta, con il risultato che per poco non si ribaltava, nonostante fosse stata assicurata a terra dai picchetti.

- Robby, che ti succede?! – domandò alle mie spalle la voce di Paul preoccupata e ancora mezza addormentata.

- E perché indossi quella veste greca? – chiese Nico, ma io ignorai tutti e due e quando finalmente riuscii ad aprire la tenda, mi misi a correre e, senza pensarci troppo, mi buttai nel laghetto che c’era vicino alle nostre tende. Non appena mi immersi nell’acqua, dalla superficie salì del fumo. Mi sommersi in acqua fino a sopra la testa: volevo solo acqua, acqua fresca…

- Robby, non annegarti…! – sentii l’eco della voce di Nico provenire da sopra di me, fuori dall’acqua. Uscii dal laghetto e ripresi il respiro: aria ai polmoni e corpo rinfrescato, stavo veramente meglio, anche se il cuore non riusciva a trovare il normale ritmo.

- N-non… non mi stavo uccidendo… - balbettai ancora col fiato corto per assicurare loro che stessi bene.

- Si può sapere che è successo? – chiese Paul allarmato. – Ti sei svegliata urlando e sei scappata dalla tenda come una pazza, vestita con una tunica greca, e non appena ti sei immersa nel lago è salito un vapore assurdo… -

Mi veniva quasi da piangere dall’imbarazzo e dalla confusione, ma mi avrebbe messo ancora più in imbarazzo mostrare le mie lacrime e le mie debolezze. Rimasi in acqua, le braccia incrociate sul bordo del laghetto, mentre sia Nico che Paul se ne stavano seduti sul bordo fissandomi in attesa di una risposta.

- Io non… - non riuscivo a parlare. Almeno non con loro. Incrociai lo sguardo di Paul: come potevo dirgli che suo padre mi aveva appena baciata? Come potevo dirgli che suo padre mi voleva sposare? Era una cosa assurda. Poi guardai quello di Nico, e mi sentii nuovamente ardere il volto.

- Potremmo… non parlarne per favore? – balbettai evitando il loro sguardo.

- Ma… e se è qualcosa di fondamentale per la missione? – chiese Paul imperterrito.

- Credimi, non lo è – risposi subito. – Preferisco non parlarne… è… una… questione privata… - borbottai.

- Ma ora stai bene? – mi domandò Nico. Io annuii continuando ad evitare i loro sguardi.

Paul e Nico ancora non sembravano convinti, ma si alzarono.

- Andate a dormire… - suggerii loro. – Io me ne sto qui ancora un po’, poi rientro, promesso. -

Fu difficile convincerli che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, ma quando finalmente i due entrarono, tirai un sospiro di sollievo.

Ripensai a quello che era successo con Apollo: perché doveva complicarmi la vita? Perchè gli dei gli avevano chiesto di tenermi d’occhio? Mi sfiorai le labbra con le dita, e le sentii ancora calde, quasi incandescenti. Nonostante avessi rischiato di andare a fuoco, dovevo ammettere che il bacio non era stato male, e sorrisi a malincuore. Sentivo ancora quello strano sapore di miele in bocca, non avrei veramente mai pensato che Apollo potesse sapere di miele… dovevo raccontarlo a qualcuno, immediatamente. Uscii dall’acqua fradicia, e corsi ad aprire il mio zaino: i vestiti che avevo addosso prima di incontrare Apollo erano lì dentro, ben piegati. Mi tolsi velocemente quella veste, mi misi i miei normali vestiti e iniziai a scrivere sul diario mio e di Helénia. Le raccontai del mio incontro con Apollo, e mentre rileggevo quello che avevo scritto, mi detestai: sembravo una scolaretta delle scuole medie. Era questo che odiavo dell’Amore: il fatto che ti rende la persona più vulnerabile di tutte. Non che fossi innamorata, chiariamoci. Ma tutta quella storia era così assurda che mi metteva in totale agitazione… Poi ripensai all’ultima volta che io ed Helénia ci eravamo scritte: avrebbe sicuramente tirato in ballo Nico. Sbuffai irritata: forse era meglio tenermi tutto per me e non dirle nulla. Ma ormai era tardi, le avevo già scritto.

Basta, dovevo ragionare oggettivamente, come sempre facevo: Apollo non lo conoscevo per niente di persona, e Nico era solo un amico. Punto.

Credo che mi convenga non pensarci più di tanto. Scrissi infine. Ci sono problemi più gravi di questo: devo arrivare nell’Oltretomba il prima possibile per salvare Ade, Persefone e quella ragazza che sognavo in Italia. Non ho tempo da perdere in simili sciocchezze. Domani puntiamo di arrivare a Denver e di arrivare a Los Angeles tra tre giorni. Dobbiamo farcela.

 

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Ho pensato questa volta di scrivere il mio commento in fondo per non fare spoiler.
Prima di tutto ciao a tutti e scusate il ritardo, ma sono sommersa dallo studio: il prossimo capitolo credo che riuscirò a scriverlo e postarlo tra un mesetto, perchè a fine settembre ho un esame veramente tosto e non posso permettermi di non passarlo. Dopo di che, passiamo a parlare del capitolo.
Ecco, sta storia di Apollo praticamente l'ho sognata di notte: lui è veramente il mio dio preferito. Non mi piaceva presentarlo solo come è stato presentato da zio Rick nella saga (irritante e basta) mi piace pensare che gli dei, annoiati dalla solita routine, di tanto in tanto vogliano cambiare e tentino di diventare persona diverse. Se poi Apollo ce la farà o meno, credo che si scoprirà alla fine della storia. Forse questa storia di Apollo può sembrare un po' fuori dal contesto della storia, ma credetemi che ha TUTTO a che fare con la storia e con la profezia. Non dico altro a proposito, altrimenti vi rovino tutto!
Dopo di che Chiara. Ecco, finalmente sono riuscita a presentarla con un nome nella storia. Ci tenevo proprio a farlo, ma ci vorranno ancora quattro o cinque capitoli prima di incontrarla faccia a faccia.
Sulla storia di Persefone e Ade incatenati nell'Oltreromba senza poteri a causa di un mortale, lascio a voi le ipotesi di come possa essere avvenuta, non credo che ci arriverete tanto facilmente! C:
Per ora vi lascio sperando che non sarete delusi dalla mia storia!
Al prossimo capitolo!
Calipso

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Capitolo 8
*** Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri ***


8 Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri

 

 

 

 

 

 

 

8

Terza tappa: Denver;

scopro di avere dei fantastici poteri

I

 

l mattino dopo non appena mi svegliai, rimasi immobile nel mio sacco a pelo: cosa avrei detto a Paul e Nico di quello che mi era successo il giorno prima e di come mi ero comportata?! Al loro posto, avrei voluto delle spiegazioni al riguardo… Aprii piano gli occhi e vidi che fuori dalla tenda c’era un’ombra che fischettiava allegramente, e solo quando dopo un po' capii che si trattava di Paul. Alle mie spalle mi accorsi che c’era qualcuno che russava, e quello doveva essere di conseguenza Nico. Arrossii, ma poi mi ripetei mentalmente che dovevo smetterla e che avevo cose più importanti da fare, come per esempio andare a farmi ammazzare negli inferi. Mi misi a sedere e, ancora tutta indolenzita, aprii a fatica la cerniera della tenda, e uscii, ancora avvolta nel sacco a pelo, strisciando per terra come un lombrico.

- Buon giorno! – esclamò Paul, e scoppiò a ridere vedendomi per terra ancora nel sacco a pelo. – Perché sei ancora nel sacco a pelo?! –

- Ho freddo… - borbottai, e lui si limitò a ridacchiare continuando a bersi il suo succo d’arancia. Dopo un paio di secondi, vedendo che me ne stavo ancora per terra mezza addormentata, prese in mano il cartone di succo d’arancia e mi chiese: - Ne vuoi un po’? L’ho preso prima al negozio… - Io annuii, e lui subito me ne versò un po’ in un bicchiere di plastica. – Tu però metti un po’ di musica – suggerì. – Almeno ci svegliamo tutti, anche il bello addormentato dentro la tenda… - aggiunse indicando con la testa la tenda nella quale Nico continuava a russare pesantemente.

Presi il succo e impostai l’iPod su riproduzione casuale: capitò Tickets dei Maroon 5, e io mi ritrovai subito a cantarla. Ad un certo punto però Paul scoppiò a ridere.

- Scusami…! – fece lui, ancora piegato in due dalle risate. – Ma come al solito è stupendo sentirti cantare in inglese, hai una pronuncia italiana al cento percento e ogni tanto inventi pure delle parole…! -

Incrociai le braccia e lo guardai alzando le sopracciglia con un sorriso ironico sulle labbra.

- Beh, allora perché non mi insegni tu a cantarla? – gli proposi.

Lui non se lo fece ripetere due volte, si sedette per terra di fianco a me.

- Abbi pazienza perché in realtà la canzone non la conosco, non seguo i Maroon 5… - mi disse.

- E tu abbi pazienza e ricordati che sono italiana! – gli ricordai io.

Ascoltammo prima tutta la canzone una volta, poi cercammo di cantarla con le parole sullo schermo. Io sbagliavo di tanto in tanto la pronuncia delle varie parole e, altre volte, non riuscivo a cantare certe frasi perchè venivano cantate troppo velocemente. Paul invece sbagliava a cantare perché non aveva ancora bene a mente il ritmo della canzone. Dopo una decina di minuti sentendo la stessa canzone tre o quattro volte, eravamo tutti e due per terra a sbellicarci dalle risate.

- Però la parte in cui fa “la, la, la, la, la, la, la, la” la sai cantare! – fece lui asciugandosi le lacrime con la mano.

- Tu invece finalmente ce l’hai fatta a impararla, ormai! – dissi io ridacchiando. – E preparati perché la prossima volta sceglierò una canzone italiana, e allora sì che mi divertirò io a prenderti in giro! –

- Ne avete ancora per molto di fare questo casino? – fece una voce assonnata alle nostre spalle: Nico si era svegliato.

- Beh, buongiorno bell’addormentato! – esclamò Paul alzandosi in piedi scattante. – Colazione veloce per te e partiamo? –

- No, non importa… possiamo anche partire subito… - disse con un enorme sbadiglio.

Disfammo la tenda, la restituimmo insieme ai sacchi a pelo e salimmo in macchina.

- Dai, dobbiamo arrivare a Denver oggi. – dissi alla guida dell’auto.

Fortunatamente la mattina stava trascorrendo anche meglio di quello che credevo: né Nico né Paul mi fecero domande, anzi, si comportavano proprio come se nulla fosse successo, e io facevo lo stesso; un’altra cosa bella della giornata era che non avevamo ancora incontrato nessun essere strano che volesse metterci i piedi tra le ruote. Almeno, così è stato fino al tardo pomeriggio, quando eravamo arrivati circa sul confine tra il Nebraska e il Colorado.

- Vuoi che ti dia il cambio, Robby? – mi chiese Nico ad un certo punto. – E’ tutto il giorno che guidi, non ci siamo neppure fermati per pranzo… -

Scossi la testa. – Figurati, sto benissimo… e poi meno ci fermiamo, prima arriviamo. Magari visto che il signorino qui dietro ha passato tutto il pomeriggio a dormire, potremmo darci il cambio a fine serata così da non doverci fermare tutti la notte… - proposi guardando dallo specchietto Paul che dormiva spaparanzato nei sedili posteriori. Dallo specchietto però non vidi solo Paul, purtroppo…

- Cazzo! – esclamai in italiano senza troppi giri di parole, e accellerai come una pazza, sorpassando quando potevo senza la minima prudenza.

Sentii un “ouch” provenire da dietro, e capii che Paul era caduto dai sedili e si era svegliato.

- Si può sapere che ti sta succedendo?! – fece Nico preoccupato, attaccandosi alla portiera dell’auto.

- Ho un dejà-vu di quando ci siamo incontrati in Italia, Nico! – esclamai sorpassando a tutta velocità l’ennesima macchina. – Ogni volta che vado in macchina ci devono essere dei mostri che mi inseguono! –

- Ancora stinfalidi? – domandò Nico preoccupando voltandosi.

- Non credo! – esclamò Paul guardando dietro l’auto. – Sono delle ombre lontane, ma camminano, o meglio, corrono… tra poco ci raggiungono, accelera! –

- O ci schiantiamo o il motore si fonde!! – strillai disperata, con le mani tremanti sul volante e gli occhi che continuavano a spostarsi dalla strada allo specchietto e viceversa.

- Sono in tantissimi, e corrono tra le macchine ad una velocità spaventosa! Sembrano delle pantere! – esclamò Paul.

- Ma hanno delle piume vicino alla testa! – fece Nico, guardandoli bene.

- Grazie mille, sinceramente non me ne frega nulla di cosa sono, voglio sapere se ce la faremo a scappare! – gridai disperata.

- Basta, non ce la faremo mai a seminarli, si stanno avvicinando a noi troppo rapidamente, dobbiamo uscire da quest’auto, e i ragazzi di Efesto hanno provveduto a questo! – esclamò Paul che, senza lasciarci dire una parola in più, si sporse verso il cruscotto ci slacciò le cinture di sicurezza e premette un bottone rosso di fianco alle quattro frecce. Non riuscii nemmeno a rendermi conto che il tettuccio si era aperto ed ero stata sbalzata fuori dal veicolo, per aria.

Urlavo come non avevo mai urlato in vita mia: non sapevo che fine avevano fatto gli altri, avevo paura ad aprire gli occhi, e sentivo solo che ero stata sbalzata fuori dal veicolo finendo molto, ma molto in alto... poi all’improvviso, la discesa: l’aria fredda e gelida mi perforò la pelle, mi sentivo totalmente circondata, e l’unica cosa che pensavo era: “Oddio, non voglio cadere, non voglio cadere…”

Avevo paura per me e per i miei amici, i mostri erano spariti nella mia testa, l’importante era non cadere, eravamo finiti così in alto che l’impatto sarebbe stato sicuramente fatale…

- Robby! – esclamò la voce di Nico di fianco a me. Io trasalii.

- Non voglio guardare! – feci terrorizzata.

- Apri gli occhi! – mi ordinò.

Era strano: perché non eravamo ancora caduti? Aprii un occhio e, incredibilmente, scoprii che stavo volando. Sì, me ne stavo sdraiata a pancia in giù a mezz’aria, le mani sul volto e l’espressione, molto probabilmente, terrorizzata. Nico se ne stava sorridente alla mia destra, anche lui a mezz’aria, mentre Paul se ne stava a sinistra, gli occhi ancora chiusi e le mani sulle orecchie, forse ancora più terrorizzato di me.

- Noi… stiamo volando?! – feci incredula.

- Credo sia una tua capacità come figlia di Zeus, non c’è altra ragione. – disse Nico. – Credo che la paura di cadere ha controllato l’aria… non solo attorno a te, ma pure attorno a noi. -

Controllare l’aria… sì, ora che lo diceva mi sembrava possibile. Non ci avevo mai pensato. Mi sentivo avvolta proprio perché ero avvolta d’aria, un’aria che potevo muovere e plasmare a mio piacimento.

- Ti prego Robby fammi scendere che soffro di vertigini! – esclamò Paul tremante di fianco a me.

- M-ma… i mostri! – esclamai tornando in me.

- Non possiamo viaggiare per aria. – disse Nico. – Tu non reggeresti il tragitto fino a Los Angeles così, trasportandoti dietro noi, per lo più. Lascia giù me e Paul, ce la caveremo… anche io per di più ho i miei assi nella manica in quanto figlio di Ade… - commentò fiducioso.

- Non vi lascio scendere a combattere i mostri da soli! – esclamai contrariata.

- Invece credo proprio che dovrai farlo – rispose Nico velocemente. – Perché a quanto pare ci stanno per raggiungere per aria i cugini dei mostri qui sotto, solo che questi hanno le ali. –

Dietro di noi, a mezz’aria, stavano arrivando cinque mostri come quelli che prima ci inseguivano via terra, solo che sembravano più grossi ed avevano le ali. Deglutii e annii. Mi concentrai sull’aria, e piano, piano, feci scendere Nico e Paul verso terra.

- Buona fortuna! – mi disse Nico, sfoderando la spada mentre toccava terra.

Deglutii nervosa, ma non mi feci scrupoli a sguainare Exusía e a far fuori con un fendente il primo dei mostri che, di fronte al branco, aveva pensato di attaccarmi senza aspettare i compagni: si disintegrò all’istante, diventando una massa di polvere nera nell’aria.

- Questa l’ha fatto fuori in un secondo! – esclamò terrorizzato uno dei due mostri dietro; ora potevo osservarli meglio: avevano il corpo da leone e il volto di un aquila.

- Smettila! Sei un idiota se questa figlia di Zeus ti terrorizza! – fece uno dei mostri che stava davanti, digrignando i denti nel becco verso di me.

- Si può sapere voi cosa siete?! – domandai tenendo stranamente fermo il mio tono di voce.

- Chi siamo, ragazzina?! – ringhiò l’altro mostro in prima fila. – Siamo grifoni, stupida! –

- E perché quelli là sotto sono senza ali? – chiesi tentando di prendere tempo per farmi venire un’idea.

- Loro sono la specie più antica, i grifoni in principio avevano corpo felino, faccia da aquila ma niente ali, mentre noi siamo più evoluti con il classico corpo da leone e… - disse uno dei due dietro, ma venne subito interrotto da quello davanti a lui.

- Basta fare il sapientino! Facciamola fuori subito! – ringhiò e tentò subito di attaccarmi: schivai l'attacco ma feci cadere a terra la mia spada. La mia mente stava viaggiando alla ricerca di una soluzione: se tutti e quattro quei grifoni mi avessero attaccata, io non ce l’avrei mai fatta a sopravvivere. Che poteri potevo avere come figlia di Zeus? Non ebbi tempo di riflettere che i due grifoni in prima fila mi attaccarono di nuovo; fortunatamente mi venne automatico manipolare l’aria attorno a me e spostarmi all'improvviso, deviando il loro attacco. Questo era un mio vantaggio: loro avevano delle ali ingombranti, mentre io potevo sfruttare l’elemento in cui stavo… ripensai a un modo per sconfiggerli, a un potere che potevo avere oltre volare… avevo sperimentato qualcosa di strano? Sì…! Mi era successo! Quando avevo lanciato una scossa a Nico in infermeria! Non era stata una coincidenza o una semplice scossa di elettricità statica… ma come potevo fare a ricreare una scossa simile, anche più potente? Mentre pensavo volteggiavo per aria avanti a indietro schivando rapidamente ogni attacco dei due grifoni, mentre gli altri due sembravano ridersela parecchio per la situazione.

- Tu smettila di fuggire e affrontaci! – esclamò uno dei due che cercava di attaccarmi.

- E voi due smettetela di ridere! – continuò l’altro rivolto agli altri due, ma questi li ignorarono totalmente.

Ad un certo punto uno dei due grifoni alzò una zampa e riuscì a graffiarmi sul volto: sentivo bruciare e mi portai immediatamente la mano sulla guancia sinistra. Quando rivolsi nuovamente lo sguardo verso i due grifoni che mi attaccavano, vidi che quello che mi aveva graffiato aveva le piume strane, mentre l’altro lo fissava con il becco aperto.

- Mi ha dato una scossa! – esclamò quello.

Forse… erano le forti emozioni che mi facevano dare scosse a chi mi toccava… Serrai i pugni e tentai di incanalare nello stomaco tutto quello che provavo in quel momento: il bruciore della ferita, la voglia di farla pagare a quei due mostri, la voglia di farli fuori subito… iniziai a sentire delle scosse potenti per il corpo: dal petto passarono dritte alle spalle, alle braccia, per finire tra le mani, fino alla punta delle dita. Quando guardai, vidi che tra le mani avevo due palle di elettricità. Guardai con un sorriso i due grifoni sconvolti.

- Dai, che ne dite di giocare un po’ a palla avvelenata? – proposi, e lanciai la palla elettrica che avevo nella mano destra; cercai di fare la supereroina, ma feci subito una figura a dir poco mediocre davanti ai mostri: la palla mi cadde di mano e finì per distruggere in un colpo solo almeno quattro grifoni di terra sotto di me. Paul stava lottando con il suo arco, mentre Nico aveva sguinzagliato il suo esercito di zombie, ma quando videro che in un colpo ne avevo fatti fuori così tanti, Paul mi sorrise, Nico mi mostrò il pollice e tornarono a lottare. Spostai lo sguardo verso i due grifoni che dovevo affrontare, e feci finta di aver lasciato cadere la palla apposta per intimidirli.

- Ne volete un po’ anche voi? – domandai ironica. I due ora sembravano più restii a battersi con me. I due grifoni dietro invece stavano facendo delle scommesse sull’esito dell’incontro: uno scommetteva che i due loro compagni se la sarebbero data a gambe, l’altro invece che io li avrei polverizzati in un istante. Non aspettai un secondo di più: ora che avevo capito come funzionava la storia dell’elettricità mi conveniva farli fuori subito. Unii le due palle di elettricità, e ne uscì una grande come una palla da calcio… guardai i due grifoni e tirai quella palla più forte che potevo.

Ancora incredulo, uno dei due non ebbe i riflessi pronti per scappare, e si polverizzò immediatamente.

- Sì! – esclamai esultante alzando le braccia: forse non era il momento giusto, ma non riuscivo a contenere la mia eccitazione. Mi sentivo come Goku dopo aver fatto l'onda energetica.

L’altro grifone mi guardò con la rabbia nello sguardo e disse solo: - Per ora te la sei cavata, figlia di Zeus, ma credimi, ci rivedremo, e nell’Ade non avrai possibilità di scampo… - E fuggì via, portandosi dietro la mandria rimasta di grifoni di terra. Se solo non avessi scaricato tutta l’energia che avevo in una volta sola, forse ce l’avrei fatta a fare fuori l’altro grifone prima che scappasse.

Guardai i due grifoni che erano rimasti, incerta sul da farsi.

- Hey, non vorrai fare fuori pure noi! – esclamò uno dei due. – Non abbiamo cercato di attaccarti in tutto questo tempo, e se non fossimo stati costretti, ci saremmo anche risparmiati questo viaggetto spiacevole. -

- Hem… - borbottai io: non ero per niente sicura.

- Eddai, dacci il beneficio del dubbio! – m’implorò l’altro. – Possiamo anche darvi un passaggio fino dove volete visto che quei cretini vi hanno praticamente distrutto l’auto… E hai il diritto di polverizzarci se solo proviamo a imbrogliarvi! –

- Da chi siete stati mandati? – domandai ancora sospetta.

- Una ragazza. – disse uno dei due. – Una mezzosangue, crediamo… Ma sappiamo per certo che non è stata lei a prendere possesso dell’Ade: chi sta facendo tutto questo probabilmente non vuole rivelarsi… -

- Venite giù – ordinai loro. – Vi concedo fiducia, potreste tornarci utili in fin dei conti… -

- Grazie, figlia di Zeus! – esclamarono in coro.

- Per favore, chiamatemi Robby – sbottai innervosita. – Io ho già un padre e quello è mortale e si trova in Italia… - era la prima volta che esprimevo ad alta voce i miei pensieri su Zeus, e mi stupii quando scoprii che non mi aveva ancora fulminata.

Scesi dal cielo e quando appoggiai i piedi a terra mi resi conto che mi tremavano le gambe. Paul e Nico mi vennero incontro, anche loro sfiniti.

- E loro due? – mi domandò Paul incerto, indicando i due grifoni.

- Potrebbero tornarci utili… - dissi asciugandomi il sudore dalla fronte: solo in quel momento mi rendevo conto di quanta fatica ci avevo messo per controllare l’aria e l’elettricità.

- E comunque, dì ai tuoi amici che abbiamo dei nomi! – sbottò uno dei due grifoni irritati.

- Io mi chiamo Buckbeak e lui è Godric –

Li guardai con un sorriso enorme ed esclamai: - Buckbeak come l’ippogrifo di Harry Potter e Godric come il fondatore di Grifondoro?! –

- Certo! – esclamò fiero Godric. – Siamo fratelli, mamma è ancora fissata con Harry Potter, io sono il fratello maggiore, lui è il minore. -

- Non capisco che è saltato in testa a mamma di darmi il nome di un ippogrifo! – sbottò Buckbeak. – Dannazione, noi siamo razza pura, gli ippogrifi sono solo un incrocio assurdo di uno stupido grifone che ha avuto la brillante idea di provare ad accoppiarsi con una cavalla…! –

- Hem… che stai facendo, Robby? – mi chiese Nico guardandomi come se fossi pazza.

- Secondo te che faccio?! Parlo con i grifoni! – risposi.

- Non possono capirci loro – mi spiegò Godric. – Noi siamo creature per lo più d’aria, tu puoi capirci perché sei figlia di… hem… come non detto, hai capito… - fece alla fine, ricordandosi che non volevo che parlassero di Zeus.

- La donna che sussurrava ai grifoni…! – ridacchiò Paul, e anch’io non riuscii a trattenermi dal ridere, scuotendo la testa rassegnata alle sue battute idiote.

- Come facciamo ad arrivare a Denver ora? – chiese dopo un po’ Nico, riportandoci alla realtà.

- Godric e Buckbeak si sono proposti prima di darci un passaggio. – dissi loro.

- Pff, hanno anche dei nomi della saga di Harry Potter?! Ok, ora si capisce perché c’è un certo feeling tra di voi… - commentò Paul, e io alzai le spalle con un sorriso.

Salii su Buckbeak, mentre Paul e Nico salirono su Godric, e ci alzammo in volo verso Denver. Buckbeak era a dir poco logorroico: non stava mai zitto, durante tutto il viaggio continuava a parlarmi di sua madre, della sua famiglia e di un sacco di altre cose. Non gli dissi quello che pensavo semplicemente per non urtare i suoi sentimenti, ma rimpiansi di non aver scelto di andarmene in volo per i fatti miei fino a Denver.

- Siamo arrivati a Denver! – esclamò Godric che volava di fianco a Buckbeak con ancora in groppa Nico e Paul.

- Dove avete intenzione di parcheggiarvi? – domandai a Godric, visto che sembrava lui quello che sapeva in che direzione stavamo andando.

- Laggiù tra i grattacieli vedo un hotel. – disse Nico. – Intanto i soldi ce li abbiamo, una notte in un hotel mi sembra l’unica soluzione. –

- Ed è pure fighissimo da fuori! – esclamò soddisfatto Paul mentre i nostri grifoni scendevano di quota. – Dopo tutti questi giorni senza doccia ho proprio bisogno di qualche comfort… -

Non appena scendemmo dai grifoni, chiesi per gentilezza se volessero raggiungerci in stanza dalla finestra; Buckbeak stava per rispondere di sì, ma Godric lo fermò e disse con un sorriso sul suo becco: - Non ti preoccupare, noi grifoni siamo abituati a dormire all’aperto… poi al chiuso distruggeremmo metà stanza… -

Buckbeak si voltò contrariato senza dire una parola, ma Godric mi fece l’occhiolino e mi sussurrò: - So che mio fratello è un po’… come dire… loquace e pesante. Ma credimi che è un bravo grifone, è solo giovane e un po’ ingenuo. –

Gli sorrisi e lo accarezzai sul becco: nonostante gli animali con le piume e il becco non mi piacessero affatto, quei due grifoni non erano per niente male.

- Vi aspettiamo nel parco qui accanto domani mattina, intanto i mortali non possono vederci…! – disse Godric allontanandosi.

Paul andò ad ordinare una stanza e l’uomo alla reception sembrava non vedere di buon occhio l'idea di consegnare una stanza nelle mani di tre ragazzi che sembravano non lavarsi da parecchi giorni, ma non ebbe nulla da ridire quando Paul lo pagò. Il tipo alla reception ad un certo punto incrociò il mio sguardo, e sembrò impallidire: ma avevo forse qualcosa di strano?! Nico all’improvviso mi mise una mano attorno alla vita e mi fece voltare dando le spalle alla reception. Io mi sentii improvvisamente accaldata e, per qualche strano motivo, trattenei il respiro.

- Hai un graffio di artigli enorme sulla guancia, credo che il tipo alla reception si stia chiedendo che tipo di delinquente sei… – mi sussurrò in un orecchio.

Oh, cavoli, è vero… pensai io, ma quello non mi sembrava il problema più serio al momento: Nico continuava a tenermi una mano alla vita.

- Puoi, hem… darmi un po’ di ambrosia? – gli chiesi, e lui subito mi lasciò andare e trafficò nel suo zaino. Io tirai un sospiro di sollievo e ripresi a respirare quando mi lasciò; dopo di che guardai il mio riflesso allo specchio: era davvero un graffio enorme e profondo, ancora sanguinava un po’… ringraziai il cielo che gli artigli avessero mancato di poco l’occhio.

- Ecco… - disse Nico porgendomene un po’. La mangiucchiai piano, piano, osservando la mia ferita allo specchio: si stava rimarginando velocemente.

- Ecco le chiavi! – fece allegramente Paul arrivando alle nostre spalle. Prendemmo l’ascensore, scendemmo al ventitreesimo piano, e non appena Paul aprì la porta della nostra camera, rimanemmo a bocca aperta: c’era un’incredibile e lunga vetrata che dava su una Denver notturna, con i suoi grandi edifici illuminati e le strade ancora vive anche se era tardi.

C’erano due letti matrimoniali enormi, con una marea di cuscini sopra, e non resistetti alla tentazione di prendere la rincorsa e buttarmici sopra.

- Questo posto è la fine del mondo! – esclamai entusiasta.

- A chi lo dici! – fece Nico guardandosi intorno.

- E non avete visto il meglio! Venite a vedere – disse la voce di Paul da un’altra stanza.

Mi alzai dal mega letto e andai a vedere dove era andato a finire Paul; era nel bagno, ma non un bagno normale: era un bagno enorme, tutto fatto con mosaici sull’azzurro, con uno specchio che occupava praticamente tutta una parete e, attenzione, attenzione… un’enorme vasca idromassaggio.

- La vasca idromassaggio! – esclamai.

- Vi prego, possiamo farci un bagno tutti insieme?! – propose Paul. – Alla reception mi hanno detto che c’è un negozio aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, possiamo andare a prenderci dei costumi! –

- Direi che un po’ di relax ce lo siamo meritato. – fece Nico, guardando la vasca idromassaggio con occhi adoranti.

- Allora vado a prendere i soldi nello zaino! – esclamò Paul uscendo dal bagno.

- E io vado a lasciare giù lo zaino! – disse Nico seguendolo.

 Rimasi in bagno e mi guardai allo specchio: l'idea di mostrarmi in costume da bagno mi metteva in imbarazzo. Mi sedetti sul bordo della vasca idromassaggio e la contemplai: era stupenda, chissà quanti getti aveva… come potevo rinunciare a un bagno in una vasca simile per puro imbarazzo?!

- Che fai, vieni? – mi chiese Paul affacciandosi al bagno. Mi voltai verso di lui e dissi: - Io… stavo pensando di iniziare a riempire la vasca… -

Paul sorrise malizioso e disse: - Bene, allora ci pensiamo noi al tuo costume… che taglia di reggiseno porti? – mi domandò, dopo di che i suoi occhi caddero sul mio seno e pensieroso disse: - Mmm, ad occhio e croce una quarta? –

Mi alzai e senza il minimo tatto gli mollai un ceffone sulla nuca.

- Ahi, ma sei manesca! – esclamò lui toccandosi la testa dolorante.

- Scusa, non era mia intenzione… - dissi io per niente dispiaciuta, con un sorrisetto compiaciuto per aver avuto la mia piccola vendetta.

Quando tornammo in camera con i costumi ci cambiammo a turni in bagno, dopo di che entrammo nella vasca con un sospiro di sollievo. Non appena facemmo partire i getti ci ritrovammo come tre mongoli con il viso rivolto verso il soffitto e gli occhi chiusi assaporando un po’ di comfort dopo il tempo passato in auto e in campeggio. Al diavolo l'imbarazzo del rimanere in costume: quei getti di acuqa calda erano a dir poco paradisiaci.

- Quindi ti hanno detto che è stata una ragazza a mandare i grifoni? – chiese ad un certo punto Nico. Annuii.

- Sì, ma dicono che secondo loro non è lei la vera artefice di quello che sta succedendo nell’Ade… - riferii loro.

- Credi che possa essere Chiara quella ragazza di cui parlano? – ipotizzò Paul mettendosi a sedere meglio nell’acqua.

Scossi la testa.

- Non credo… era imprigionata insieme ad Ade e Persefone… -

- Forse finge – disse Paul alzando le spalle.

- Quindi pensi che mio padre è tanto fesso da farsi mettere nel sacco da una mezzosangue?! – fece Nico un po’ alterato.

- No, certo che no… - borbottò Paul imbarazzato: di certo non voleva dare dello stupido al signore dei morti.

Beh, pensai senza il coraggio di esprimere il mio pensiero ad alta voce. Se l’Ade è in questo casino, suo padre deve essere stato fregato da qualcuno, anche se non glie ne farei una colpa…

 - Come fa ad importarti tanto di tuo padre? – gli chiesi, probabilmente senza il minimo tatto.

Nico mi sorrise in modo quasi compassionevole, ed io mi sentii bruciare in viso.

- Credo che sia qualcosa impossibile da spiegare… - rispose lui. – Me lo sento e basta. -

- Mia madre diceva sempre che il rapporto di noi umani con gli dei è semplicemente onirico: i sogni hanno un senso e un significato, ma spesso sono così intimi che spiegarli viene difficile… - raccontò Paul.

- Che fine ha fatto tua madre? – gli domandai con un filo di voce: ricordavo che quando l’avevo conosciuto mi aveva detto che aveva un rapporto complicato con la madre, ma fino a questo momento non avevo mai avuto né l’occasione né il coraggio di domandargli che cosa era successo di preciso.

- Lei è… ha messo su un’altra famiglia. – disse Paul serio e triste allo stesso tempo: non ero abituata a vederlo così fragile, e rimpiansi di avergli domandato dei dettagli sulla sua storia. – Se la prima volta si è fatta affascinare da Apollo, la seconda è stato Dioniso… nonostante sapesse come sarebbe andata a finire, nonostante sapesse che Dioniso l’avrebbe lasciata esattamente come aveva fatto mio padre, ci è ricascata, ed ha avuto un bambino. E pretendeva che io per lui fossi come un padre… ma io allora ero solo un adolescente, e vedevo quel bambino con disprezzo. Col senno di poi so di essere stato egoista nei confronti del bambino – aggiunse. – Ma non mi pento di essere fuggito e di essere stato egoista per una volta nei confronti di mia madre che, a quarant’anni, si comportava ancora come una ragazzina incosciente… fortunatamente poi incontrai Vera, e fu lei a portarmi al Campo Mezzosangue… - concluse poi con un tenue sorriso.

Wow… ok, stavo iniziando a capire che c’erano persone che avevano avuto una storia peggiore della mia: sì, mi avevano dato della pazza psicopatica con le visioni, ma almeno avevo sempre avuto una famiglia che mi amava.

- Ok, non mi lamenterò più di aver passato una vita a sentirmi dare della psicopatica perché vedevo dei mostri… - scherzai io tanto per rompere un po’ quel senso di tristezza.

- E i miei settant’anni a Las Vegas senza invecchiare a confronto sono una bazzecola… - commentò Nico, a io per poco non scivolai dalla vasca.

- Settant’anni senza invecchiare?! – feci io incredula. – Ma quanti anni hai?! –

Lui alzò le spalle.

- Beh, secondo il mondo ho sedici anni… secondo la mia data di nascita invece dovrei averne ottantasei. -

Spalancai gli occhi per lo stupore: questa notizia mi aveva shockata non poco.

- Ah, ah, ah, ma guardala, poverina, è sconvolta! – se la rise allegramente Paul, tornando allegro come sempre.

Nascosi l’imbarazzo e sorrisi piano vedendo che Paul aveva ritrovato il buonumore.

Lì, in quella vasca idromassaggio, senza mostri, né dei, mi sembrava finalmente di aver trovato il mio angolo di paradiso, con degli amici che conoscevo da poco, ma con i quali mi sembrava di condividere la mia intera esistenza.

 

 


Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Prima di iniziare, anche se avevo preannunciato la mia assenza in anticipo... scusatemi! So di avervi fatto penare un sacco non scrivendo per un mese intero, ma chi frequenta l'università come me può capire la necessità di fare quanti più esami possibili, e la sessione estiva è quella più odiata dagli studenti! xD
Detto questo, eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo! Bene, che dovrei dire ora? Beh, un paio di cose da dire ce le ho.
Prima di tutto la storia di me e Paul che ci mettiamo a cantare e di lui che mi prende in giro per la pronuncia potrà sembrarvi ripetitiva, ma io la trovo uno straordinario gesto d'intesa tra me e lui (chiariamoci: sempre e solo amicizia): suo padre poi è il dio della musica, perciò sta cosa casca a pennello! xD
La storia del volo e di controllare l'elettricità poi non è una mia invenzione: se avete letto Heroes of Olympus sapete di cosa parlo, altrimenti prendete la cosa per buona e basta. :)
Dopo di che la storia della vasca idromassaggio. So che non è apparentemente rilevante ai fini della storia in sè, ma volevo dare un attimo di intimità ai nostri amici, di modo che potessero parlare con calma senza mostri e senza corse: era un momento semplicemente da prendere in quanto tale; quest'estate per il mio compleanno sono andata alle terme con gli amici, e mi sono ritrovata a pensare che dovevo scrivere nella storia un momento in cui i tre eroi (chiamiamoli così) se ne stanno in pace senza mostri tra i getti caldi di una bellissima vasca come me e i miei amici quel giorno! (dalla serie: Hakuna Matata!)
In questo mio periodo di pausa mi sono accorta di due errori miei che ritengo giusto esporvi:
1. qualcuno mi aveva chiesto se Robby sapeva che Bianca era solo la sorella di Nico, e credevo di averlo scritto da qualche parte. In questa pausa mi sono accorto che non l'ho fatto. (che scema, e pensare che ne ero convinta!)
2. Delilah l'ho definita figlia di Astrea, la dea della giustizia. Il fatto è che in questa pausa ho scoperto che Astrea era una dea vergine esattamente come Artemide. Devo trovare una soluzione a questo disguido. Potrei correggere e metterle come figlia di Temi, madre di Astrea e personificazione della giustizia e dell'ordine. Solo che Temi è una titanide, mi suona strano che una titanide si accoppi con un umano, e poi il figlio sarebbe comunque mezzosangue? O è meglio chiamarlo mezzo-titano?! xD Troppo complicato, ci devo ancora riflettere!

Non appena finirò tutta questa storia farò le opportune correzioni e ve le scriverò nello spazio dell'autrice dell'ultimo capitolo: per ora mi sembra più importante portare a termine la storia visto che mancano ancora otto capitoli (siamo a metà ormai!).
Nel prossimo capitolo ci saranno nuovi personaggi e qualcuno che già avete conosciuto nella saga di Percy Jackson...
dopo avervi lanciato questa piccola anticipazione vi saluto!
Alla prossima,
Calipso

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Capitolo 9
*** Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra ***


9. Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra

 

 

 

 

 

 

 

 

9

Non siamo gli unici a tentare

un’impresa simile:

la situazione è più grave

di quello che sembra

A

 

prii gli occhi il giorno dopo, e mi sentii ancora più stanca di quando ero andata a letto: questa cosa dell’idromassaggio era stata distruttiva quanto mille allenamenti. Mi passai una mano sugli occhi con un enorme sbadiglio, e mi misi a sedere: nell’altro letto c’erano Paul e Nico che ancora dormivano beati. Paul all’improvviso si mise a sedere e, indicando di fronte a sé esclamò: - Metti le spade in armeria, Vera, che dopo gli diamo una lucidata… - dopo di che si lasciò andare indietro tornando a dormire.

Ridacchiai tra me e me, ma mi bloccai vedendo Nico borbottare un lamento per il chiacchericcio di Paul, girarsi con il volto rivolto verso di me e tornare a dormire beatamente. Osservai Nico attentamente: era rannicchiato in posizione fetale e dormiva profondamente, con le mani giunte sotto il cuscino. Sorrisi senza volerlo: faceva tenerezza in effetti, con quel suo russare appena accennato con la bocca semiaperta. Mi scoprii arrossire, ma non me ne importava, perché non riuscivo proprio a staccare gli occhi da lui. Mi morsi il labbro pensierosa: in quel momento ammetto che mi sarebbe piaciuto baciarlo. Ero intenta ad osservarlo, quando partì ad alto volume Hold It Against Me di Britney Spears, e quasi mi venne un infarto: era la sveglia di Paul.

- La sveglia… dobbiamo andare… - bonficchiò Paul nel sonno, dopo di che lanciò una manata a Nico, che sbuffò e si mise a sedere con gli occhi ancora chiusi.

Paul, ancora mezzo addormentato, si alzò dal letto e si diresse verso il bagno senza una parola di più; Nico invece rimase seduto nel letto per un paio di minuti, immobile come una statua. Ridacchiai, e solo allora lui si voltò verso di me, fissandomi con gli occhi piccoli e ancora impastati dal sonno.

- Il ritorno degli zombie viventi! – commentai ironica, alzandomi.

Dopo pochi minuti ci avviammo per un’abbondante colazione e nel giro di mezz’ora già ci trovavamo in volo, pronti a lasciare il Colorado.

- Fino dove potreste arrivare oggi? – domandai a Godric: questa volta erano Nico e Paul a doversi sorbire Buckbeak, ma contando che i due non capivano una parola di quello che Buckbeak stava dicendo, eravamo tutti felici.

- Beh, non per essere ottimista, ma potremmo anche farcela ad arrivare in California. – rispose lui. – Magari non proprio a Los Angeles, ma una volta attraversato lo Utah, è un attimo attraversare il Nevada… -

Sebbene non avessi la benché minima idea della geografia americana, annuii con un sorriso: mancava poco tempo per arrivare nell’Ade e per salvare Ade, Persefone e quella mezzosangue, Chiara…

Per tutta la giornata mi riscoprii abbastanza taciturna: a meno che non mi venissero poste delle domande, me ne stavo in silenzio a pensare a tutto quello che stava per succedere, e a tutti quei quesiti a cui non sapevamo dare una risposta. Solo verso il tardo pomeriggio, Godric disse una parola che non mi sembra il caso di ripetere.

- Dire parolacce simili all’improvviso è normale per voi grifoni? – gli chiesi.

- Quel tonto di Buckbeak sta scendendo! – rispose Godric agitato. – L’ho sentito dire che ha visto qualcosa, e non riesco a raggiungerlo! –

Buckbeak stava volando verso una foresta, ed ignorava le proteste di Paul e Nico.

- Dobbiamo raggiungerlo!! – esclamai e, non appena Godric partì in picchiata, mi sentii in grado di controllare il vento, di modo che fosse in nostro favore e ci consentisse di  raggiungerlo più velocemente; Buckbeak però sembrava aver perso il controllo di sé stesso, tanto che ad un certo punto, Paul e Nico non riuscirono più a reggersi, e caddero. Non ci pensai un secondo di più: mi buttai, raggiunsi a mezz’aria Paul e Nico, e non appena li presi per mano, fu molto più semplice attutire la caduta, quasi avessimo un paracadute d’aria sulle nostre spalle.

- Ho creduto veramente di morire… - borbottò Paul, sdraiato per terra, bianco cadaverico, con una mano sopra il cuore. Anche Nico sembrava aver perso parecchi anni di vita dopo quella caduta.

- Grazie Robby… - disse solo quest’ultimo. Scossi la testa ancora agitata come per dire che non era niente di che, e in quel momento Godric atterrò di fianco a noi.

- E’ terribile! – esclamò il grifone. – Ho visto da lontano che è stato ad attirarlo là: c’è una mandragola! –

- Una mandragola?! – ripetei io come una stupida. – Ma non è una pianta? –

- No che non lo è! – fece Godric agitato. – E’ un mostro in grado di attrarre gli individui di sesso maschile prima di mangiarli! L’ho vista da lontano e per fortuna sono stato in grado di andarmene prima che l’istinto prendesse il sopravvento sul mio volere, ma Buckbeak… te l’ho detto, è giovane e ingenuo! – vidi delle lacrime spuntare dai suoi occhi neri come la pece. – Se non interveniamo morirà di sicuro! –

- Ok, diamoci una calmata! – esclamai più per me che per gli altri. Spiegai velocemente la situazione a Nico e Paul, e subito Nico disse: - Veniamo con te. –

- Niente affatto! – esclamai io contrariata. – Quel mostro mangia gli uomini, ed io non lo sono. Questa volta se non volete farvi ammazzare statevene qua e lasciate fare a me: non possiamo contare nella fortuna come è successo con le empuse! –

E poi pensai Figurati se voglio vedere nuovamente Nico cadere ai piedi di una splendida ragazza: col cavolo che li lascio andare questi due!

- Anche tu, Godric, stai qua, ok? – dissi al grifone, dopo di che sfoderai la spada e corsi dove Buckbeak si era fermato.

Mi ci vollero parecchi minuti prima di trovare Buckbeak: era in una piccola radura, e fissava incantato una figura vicino ad un laghetto. Aguzzai la vista e vidi una mandragola per la prima volta: era veramente orribile, piccola, marrone, raggrinzita, con dei lunghi capelli verdi; capii perché poi era diventata una pianta secondo la normale tradizione.

- Vieni qui… - diceva con una vocina tremolante e per niente affascinante: sembrava la voce di una vecchia signora. Buckbeak però sembrava estasiato da quella visione: piano, piano si avvicinò a lei, con gli occhi sgranati e la bocca aperta.

- Non farlo, Buckbeak! – esclamai venendo allo scoperto. La mandragola si mise a strillare, e io mi misi subito le mani sulle orecchie, sentendomi piano, piano, perdere le forze. Quando finii per terra, priva di forze e con la vista offuscata, sentii la mandragola ridacchiare.

- Giovane mezzosangue… questo è il potere delle mandragole! – mi disse. – Pensa che quelle più vecchie sono in grado di fare morire la gente… io purtroppo sono ancora giovane e sono solo in grado di indebolire i nemici con la mia voce soave… -

Se non fossi stata così stanca, mi sarei messa a ridere: voce soave?! Lei giovane?! Non riuscivo a immaginarmi quanto potessero essere brutte le vecchie mandragole…

- Non ti preoccupare… dopo questo piccolo grifoncello penserò pure a te: solitamente non mangio donne, ma non posso lasciarmi sfuggire una mezzosangue! -

Vidi Buckbeak procedere praticamente strisciando per terra: l’urlo della mandragola aveva indebolito pure lui, ma l’attrazione che quel mostro aveva su di lui era più forte di ogni fatica…

E’ finita… pensai disperata giacendo per terra come un pupazzo di pezza, la spada in mano ma il corpo troppo afflitto per poter reagire. Ho deluso Godric… ho deluso Nico e Paul… non ho salvato Buckbeak… sto per morire… e nessuno di loro potrà venire in mio aiuto…

Vidi Buckbeak praticamente naso contro naso alla mandragola, e trattenni il fiato; quella spalancò la bocca, mostrando delle fauci che non mi aspettavo, si avvicinò a Buckbeak e… non appena infilò i suoi denti aguzzi nella sua carne, una freccia si conficcò nella testa del mostro, che imprecò. Un’altra ondata di frecce apparvero dalla foresta e si conficcarono nel corpo raggrinzito della mandragola, ma questa si lamentava solamente senza dar segni di una ferita letale.

Improvvisamente mi ricordai che in tasca avevo un pezzo di ambrosia: se solo fossi riuscita a prenderne un pezzo e a portarmelo alla bocca, avrei ancora potuto fare qualcosa. Mentre le frecce, scagliate da chissà chi, continuavano a trafiggere la mandragola, tentai di prendere il controllo della mia mano sinistra, ma me la sentii pesante come non mai: i muscoli sembravano essere troppo irrigiditi anche solo per muoversi di un paio di millimetri.

Hey! Esclamò una voce nella mia testa. Era una voce femminile, ma non riuscivo a capire di chi fosse. Vuoi veramente finire sbranata da una mandragola?! Datti una mossa e mangia quell’ambrosia! Era la voce di Chiara, ora riuscivo a riconoscerla. Per qualche motivo quella sua voce così calda mi diede forza, e riuscii a sconfiggere piano, piano l’immobilità del mio corpo: muovere il braccio verso la tasca, togliere l’ambrosia e portarla alla bocca sembrava quasi come alzare un enorme peso, ma Chiara mi aveva ricordato che nulla era impossibile. Non appena staccai con i denti un pezzo di ambrosia, mi sentii immediatamente meglio: era come aver fatto un bel sonnellino e svegliarsi riposati e in forma.

Non avevo altro tempo da perdere: dovevo fare qualcosa, perché quelle frecce non avevano nessun effetto sulla mandragola, se non quello di distrarla momentaneamente. Corsi verso la mandragola e le staccai la testa; questa cadde per terra rotolando verso il corpo di Buckbeak che giaceva ai suoi piedi, tremante, insanguinato, ma ancora vivo. Dopo pochi secondi, sulle spalle della mandragola, riapparve un’altra testa più piccola, che piano, piano, prese le dimensioni della testa di prima. Ma che era, la sorella di un'idra?! A quel punto, quasi come una pazza furiosa, le saltai addosso, tentando di tenere le distanze da quella sua bocca completa di denti affilati; toccarla fu peggio che vederla da lontano: era tutta rugosa e sembrava ricoperta da una specie di orribile gelatina verde, ma non la lasciai andare. Scoprii che non poteva muoversi da dove si trovava: i suoi piedi erano ancorati per terra da delle radici. Certo! Dovevo sradicarla per distruggerla! La spinsi verso l’alto, e la mandragola iniziò a lamentarsi come se iniziasse solo in quel momento a sentire del vero dolore. Fu difficile, ma quando tolsi tutte le radici dal terreno, cadendo all’indietro, la mandragola si dileguò come polvere tra le mie braccia. Respirai pesantemente, agitata e ancora incredula che fossi riuscita a cavarmela; dopo di che mi affrettai a controllare come stesse Buckbeak: era sdraiato per terra, continuava a tremare, e sul collo aveva il segno dei denti di quella pianta demoniaca.

- Aiuto!! – strillai guardandomi intorno. – Sta per morire! – Ero in lacrime e non sapevo cosa fare: non me la sentivo di dargli dell’ambrosia, non sapevo se sugli animali funzionava o se potesse far loro del male.

Sentii dei passi e vidi due ragazzine di circa quindici anni correre verso di me e abbassarsi verso Buckbeak.

- E’ ferito gravemente? – domandò preoccupata la ragazza con i capelli neri, lunghi e mossi.

- Temo di sì. – rispose l’altra con i capelli corti e castani.

- Robby! – esclamò una voce alla mia destra: Nico, Paul e Godric stavano venendo verso di me. Le due ragazze di fianco a me si voltarono a vedere chi aveva parlato, e quando videro i miei amici, lanciarono loro un’occhiata schifiata.

- Ragazzi! – feci quasi in lacrime.

- Ti abbiamo sentita urlare e non ce l’abbiamo fatta a starcene là con le mani in mano! – disse Nico preoccupato.

- Io… mi dispiace! – feci tremante. – Ho fatto fuori la mandragola, ma… ha azzannato Buckbeak, non so cosa gli può succedere, non riprende i sensi! –

- Non abbiamo con noi ciò che occorre per farlo guarire. – disse la ragazza con i capelli corti, alzandosi in piedi. – Il morso della mandragola è letale: 24 ore senza una cura e potrebbe morire. –

Io, Paul, Nico e Godric sbiancammo visibilmente.

- Ho… ho un’idea. – disse Paul. – Potrebbero andare al Campo: sicuramente lì qualcuno li potrà aiutare. -

- Ma è lontano da qui! – esclamai io.

- Posso trasportarlo io! – m’interruppe Godric preoccupato. - Non me ne starò con le zampe in zampa, anche se sarà difficile, devo farcela! –

Dissi agli altri quello che voleva fare Godric.

- Mando immediatamente un messaggio Iride al Campo – disse subito Nico. – se li avviso, qualcuno del Campo vi può venire incontro… -

Godric lo guardò riconoscente.

Con l’aiuto di Paul e delle due ragazze, riuscimmo a posare il corpo esanime di Buckbeak sul dorso di Godric, e con delle corde le due ragazze lo legarono per bene.

- Almeno non c’è il rischio che possa cadere in volo. – disse la ragazza con i capelli corti.

- Ho avvisato il Campo. – disse Nico. – Hanno detto che Simon, Vera e Delilah si stanno già preparando per partire. –

- Ma non potrebbe venire Micah? – domandai incerta. – Lui che sicuramente ci sa fare con medicine e cose simili sarebbe il più indicato, no? -

- Micah non c’è – rispose Nico. – Sta facendo delle ricerche nella foresta; lo fa spesso: ci sono talmente tante piante da studiare che si perde lì dentro per giorni… -

- Ma non ti preoccupare – disse Paul. – Chirone ne sa abbastanza per dare a Simon, Vera e Delilah il necessario… -

- Grazie di tutto, ragazzi… - fece Godric riconoscente. – Mi dispiace solo di non essere riuscito a portarvi fino in California… -

- Non devi nemmeno dirlo – dissi io. – L’importante è che Buckbeak se la cavi, noi ci arrangeremo, non preoccuparti. –

- I ragazzi hanno detto che vi raggiungono il prima possibile a Chicago. – spiegò Nico a Godric. Quest’ultimo annuì e partì subito, barcollando all’inizio a mezz’aria, ma trovando subito un equilibrio, rimanendo comunque a bassa quota.

- Bene… - disse la ragazza dai capelli corti, ancora un po’ scossa. – Ora che questa storia si è risolta, credo che dovremmo chiamare la nostra signora… -

- La vostra signora? – ripetei io senza capire. La ragazza con i capelli lunghi suonò un corno: il suono rimbombò per la radura fino per tutta la foresta. Per un attimo ci fu il silenzio assoluto, dopo di che si sentirono accorrere dei passi veloci. Io, Paul e Nico ci mettemmo in posizione di difesa, ma abbassammo le armi quando vedemmo che erano arrivate una quindicina di ragazze, tutte dai dieci ai quindici anni, con addosso jeans e t-shirt argentate, esattamente come le due ragazze che ci avevano aiutate prima. Tutte quelle ragazze erano campeggiate da una ragazzina di circa undici, dodici anni: questa aveva dei capelli ramati, tenuti su in una coda di cavallo, e degli occhi di un colore intenso, che mi ricordava tanto la luna. Era sicuramente la ragazzina più bella che avessi mai visto, ma nel suo viso si leggeva una preoccupazione da adulta.

- Artemide… - fece Nico digrignando i denti.

- Aspetta… queste sono cacciatrici?! – esclamò Paul sorpreso. Nico annuì.

- Che succede? – domandò la ragazzina che a quanto pare era Artemide in persona.

- Una mandragola aveva attaccato un grifone e questa mezzosangue, mia signora… - disse prontamente la ragazza con i capelli lunghi. – Questa mezzosangue è riuscita a estirpare la mandragola, e abbiamo aiutato un altro grifone a trasportare il compare ferito verso est, dove degli altri mezzosangue del Campo di Chirone li aspetteranno con le cure adeguate. –

- Avete fatto una cosa giusta. – disse Artemide. – A quanto pare questa ragazza ci teneva all’incolumità del grifone, e noi ci teniamo ad avere delle foreste senza esseri immondi, metà piante, metà animali: avete agito nobilmente aiutando a salvare il grifone come ricompensa per il gesto della ragazza. –

Gli occhi della dea incontrarono i miei, e io sentii un brivido lungo la schiena.

- Luogotenente, fatti avanti – ordinò Artemide.

Dal gruppo di ragazze, una di circa quindici anni si fece avanti; la ragazza in questione aveva dei capelli nerissimi, corti e dritti sulla testa e portava un diadema argenteo che non si addiceva affatto a come era vestita: al contrario delle sue amiche, la ragazza indossava una t-shirt nera con scritto a caratteri grandi e rossi “Don’t Wanna Be An American Idiot” e una giacca di pelle nera. Quella ragazza l’avevo già vista, anche se non sapevo dove…

- Sì, mia signora – disse la ragazza, e i suoi occhi azzurri finirono su Nico, e sorrise. – Hey! Tu sei il figlio di Ade! Beh, si può proprio dire che chi non muore si rivede! -

- Non potrei comunque dire lo stesso di te visto che sei immortale… - rispose Nico, tornando a rilassarsi e trattenendo una risata.

- Si può sapere che sta succedendo? – chiese Paul nervoso.

Artemide fece un passo avanti, e mi rivolse un sorriso.

- Talia, questa ragazza che vedi è arrivata al campo da poco tempo: si chiama Robby, ed è tua sorella. – disse.

Tutti rimasero in silenzio, e gli occhi miei e della ragazza punk s’incrociarono, spalancati dallo stupore. Lei era mia sorella?! Talia poi sorrise, mi corse incontro e mi abbracciò. Io mi sentii arrossire: non era una cosa del tutto normale essere abbracciata da una perfetta sconosciuta che in realtà è tua sorella. Improvvisamente mi ricordai: avevo trovato una sua foto nella cabina di Zeus!

- Sono felice di avere una sorella! – esclamò Talia sciogliendo l’abbraccio e osservandomi. – Io mi chiamo Talia e sono figlia di Zeus, come te, a quanto pare! -

Nico mi spiegò velocemente tutto sulle Cacciatrici: loro erano le ancelle di Artemide, la dea della caccia, e la seguivano ovunque nelle sue imprese.

- Beh, direi che oramai è tardi per proseguire. – proferì Artemide. – Ragazze, montate l’accampamento: questa radura è il posto ideale per passare la notte. Credo che abbiamo molto di cui parlare con Robby e questi due altri ragazzi… -

Le ragazze montarono il campo nel giro di pochi minuti, il che mi ferì nell'orgoglio ripensando al tempo che avevo passato io a montare una misera tenda all’Oasi Paradiso. Montarono una decina di tende e al centro disposero un fuoco. Dopo di che la ragazza con i capelli corti suonò un fischietto ed arrivarono subito dei lupi, bianchi come la neve, che giravano attorno all’accampamento pronti a fare la guardia.

Fissai due ragazze del gruppo che vestivano in modo diverso dalle altre: una dai capelli mossi e castani indossava un vestito di fiori, mentre l’altra dal capelli anche lei mossi ma di un castano più scuro, indossava dei pantaloncini corti e una canottiera verde aderente. La prima si guardava attorno, l’altra invece se ne stava con le braccia incrociate e l’aria scocciata.

- La prima si chiama Maureen ed è figlia di Ebe, la seconda è Alexa, figlia di Afrodite. – mi spiegò Talia. – Sono delle mezzosangue che abbiamo trovato venendo qua. Non sono cacciatrici, subito dopo la nostra impresa le porteremo al Campo Mezzosangue, dove potranno addestrarsi nel modo giusto. -

Annuii e osservai le due ragazze: erano in evidente disagio, si vedeva che quello non era il posto per loro.

- Bene, ora direi che possiamo andare ad accomodarci… - disse Artemide con un sorriso sforzato, e ci fece strada verso la tenda che probabilmente era sua. Una volta entrati, rimasi sbalordita nel vedere che in realtà era molto più spaziosa di quello che sembrava: dentro c’era caldo, il pavimento era cosparso di tappeti e cuscini rossi, e al centro c’era un braciere che sembrava quasi artificiale, perché non emetteva né fuoco né fumo. Le pareti erano ricoperte da pelli di animali, il che era abbastanza inquietante: mi venivano i brividi di terrore solo a pensare di toccare quelle pellicce vere. La prima cosa che pensai fu: Wow! Anche meglio della tenda di Harry Potter alla Coppa del Mondo di Quiddich nel Calice di Fuoco! Sì, sono ossessionata. Artemide si sedette, alla sua destra si mise Talia, alla sua sinistra le due ragazze che ci avevano dato una mano con Buckbeak, e Talia, con un sorriso, mi invitò a sedermi di fianco a lei, mentre Nico e Paul si sedettero nervosi alla mia destra.

- Prima le presentazioni – disse Artemide. – Per Talia e Robby ormai non sono necessaria, ma forse per voialtri… -

- Beh, io mi chiamo Luna, e sono figlia di Selene, la dea della luna piena. – si presentò la ragazza dal capelli lunghi. Beh, Luna figlia della Luna. Non faceva una piega, specialmente per un'italiana, visto che in inglese il collegamento tra 'luna' e 'moon' forse non era così immediato.

- Io invece sono Martha, figlia di Atena. – disse con un sorriso la ragazza dai capelli corti. Aveva un volto amichevole, ma sempre vigile e attento.

- Nico, figlio di Ade… - si presentò Nico rigido: probabilmente stare in mezzo alle cacciatrici lo innervosiva, e potevo anche capirlo visto che tutte ad eccezione di Talia sembravano restie nei confronti dei ragazzi.

- I-io… sono Paul… mio padre è Apollo… - disse infine Paul.

Gli occhi di Artemide volarono attenti da Paul a Nico, dopo di che disse a quest'ultimo: - Sai che il risentimento è il vostro peggiore difetto, vero? –

- Hem… come, prego? – rispose Nico preso alla sprovvista.

- Porti ancora risentimento verso di me per la morte di tua sorella? – domandò la dea, osservandolo curiosa. Non sapevo di cosa stessero parlando, ma seguii attentamente la conversazione.

Nico volse lo sguardo a terra. – Preferirei non parlarne… - disse freddo.

- Non credo che questa conversazione possa continuare se non risolviamo questo punto. – insistette Artemide.

- Sì, il risentimento è il difetto fatale di noi figli di Ade. – sbottò Nico, senza il minimo rispetto per la dea, che lo ascoltò attentamente. – Ma so anche quando fermarmi. So quando devo agire per risentimento e so quando c’è qualcosa di ancora più importante di esso. Ed ora c’è qualcosa di più importante, ed è mio padre, lo sappiamo benissimo tutti. –

La dea non proferì parola per parecchio. Osservò curiosa Nico, e quando aprì bocca disse solo: - Sei veramente particolare, figlio di Ade… - Dopo di che si rivolse a tutti noi e disse: - Sì, il ragazzo ha ragione. Questi tre mezzosangue del Campo di Chirone stanno andando a Los Angeles per capire che succede nell’Ade, lo stesso che stiamo facendo noi. –

- Quindi anche voi dei non sapete che è successo ad Ade e Persefone? – domandai, ed arrossii quando gli occhi di Artemide incrociarono i miei: forse ero un po’ troppo impertinente.

- No, non lo sappiamo. – rispose. – Ogni contatto con l’Ade è interrotto da parecchio tempo. Già altri dei hanno tentato di entrare nell’Ade, ma nessuno di noi ha avuto successo. La cosa strana è che le anime dei morti continuano a viaggiare nell’aldilà come se nulla fosse successo negli Inferi. Quindi, se gli dei non possono entrare, l’unica soluzione è tentare di mandare dei mezzosangue a controllare la situazione. –

- Ma al Campo ci è stata data una profezia al riguardo. – disse Paul incerto. – Perché venire anche voi? –

- Mai sentito il detto: “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”? – gli rispose aggressiva Luna.

- Lasciala perdere… il fatto è che tutti gli dei stanno tentando di dare una risposta a quello che sta succedendo. – spiegò Martha. – Apollo vi sta tenendo d’occhio per conto del consiglio… -

- Mio padre ci sta osservando?! – fece Paul immobilizzandosi immediatamente.

Artemide annuì.

- In quanto dio del Sole gli è facile tenervi d’occhio. Atena nel frattempo sta tentando di scoprire chi sia a tenere prigioniero Ade nel proprio regno, ma non riesce a trovarne una risposta… io sono l’unica dea che ha la possibilità di viaggiare sulla terra e stare a contatto perenne con dei mezzosangue. Forse non potrò entrare nell’Ade, ma le mia cacciatrici possono, e una mano in più a voi farà di certo comodo: avevo pensato che Luna, Martha e Talia potessero darvi una mano; inoltre, se le cose dovessero complicarsi, io e il resto delle mie cacciatrici ce ne staremo a sorvegliare Los Angeles pronte ad intervenire. -

Io, Paul e Nico ci guardammo negli occhi e annuimmo insieme.

- Credo sia una buona idea, divina Artemide… - disse Paul abbassando la testa in segno di rispetto.

- Bene. – disse la dea con un sorriso. – Domani troveremo degli animali disposti a farci viaggiare velocemente verso Los Angeles: non manca molto per arrivare, ormai. Ora direi che è tempo di congedarci. Luna, Martha, accompagnate Nico e Paul nella loro tenda: io vorrei conferire in privato con Robby, sua sorella Talia può assistere se vuole. –

Martha, Luna e Paul si alzarono all’istante, ma Nico rimase immobile, a fissare Artemide.

- Non può farlo… - disse con voce tremante.

- Posso parlare con chi voglio. – disse tranquillamente Artemide.

- Non glie lo permetterò. Non ancora una volta! – Nico alzò la voce, e vidi gli occhi di Artemide spalancarsi e il suo volto scurirsi: tutto d’un tratto, quella ragazzina di undici anni riuscì ad incutermi timore. Luna prese subito Nico per il braccio e lo costrinse ad alzarsi in piedi.

- Non osare più parlare così alla divina Artemide, figlio di Ade! – gli intimò Luna.

- Io parlo come mi pare e piace! – esclamò lui scocciato. Era la prima volta che lo vedevo così arrabbiato, non sembrava nemmeno lui, e non capivo nemmeno perché si stesse arrabbiando tanto: in fin dei conti la dea voleva solo parlarmi, nulla di più.

- Dai, Nico, non ti preoccupare e vai – gli dissi con un sorriso. – Me la sono sempre cavata fino ad ora, e sono certa che Artemide sia una dea gentile: vuole solamente parlare, non c’è niente di cui preoccuparsi… -

Il suo sguardo s’inclinò incrociando il mio, e vi lessi dell’incertezza.

- Sicura che non mi devo preoccupare? – mi domandò ancora inquieto.

- Ma certo! Vai, vi raggiungo tra poco… - gli risposi con un sorriso.

Nico sospirò e, continuando a guardare dentro la tenda uscì e seguì Martha e Luna insieme a Paul.

- Devi scusarlo, divina Artemide… - disse Talia alzando le spalle. Artemide sembrò rilassarsi.

- Capisco il motivo della sua impudenza… - rispose lei.

- Io no, qualcuno mi può spiegare? – chiesi guardando prima Artemide e poi Talia. Artemide sorrise enigmatica e disse: - Non credo che sia il caso. Ora, ho voluto parlare con te in privato per proporti una cosa. –

- Cosa? – domandai nervosa.

- Non devi preoccuparti! – fece Talia appoggiandomi una mano sulla spalla, come se ci conoscessimo da sempre.

- Voglio chiederti se t’interesserebbe diventare una cacciatrice come tua sorella. – disse Artemide con un sorriso.

Rimasi in silenzio per parecchio tempo: non sapevo cosa rispondere.

- Io… cacciatrice? – chiesi.

- Certamente! – disse Talia seria. – Essere cacciatrice significa viaggiare insieme ad Artemide. Essere cacciatrice significa essere fanciulle in eterno… -

- Certo, sei un po’ più grande della media d’età delle mie ragazze, ma in qualche modo sento che prima o poi farai parte delle mie cacciatrici. – disse convinta Artemide. – Dovrai solo fare un giuramento: dovrai giurare fedeltà a me e ripudiare l’amore per sempre. -

Ok, nel giro di pochi giorni due dei mi stavano offrendo in qualche modo l’immortalità: prima Apollo e poi Artemide. La cosa non mi metteva ansia: di più.

Artemide mi proponeva di diventare una delle sue ancelle, rinunciando all’amore. Diceva che era certa che prima o poi sarei diventata una cacciatrice. Forse era vero che avrei dovuto diventare una cacciatrice: non mi ero mai innamorata veramente di qualcuno, credevo che l’amore fosse per rammolliti, che confondesse gli animi della gente la quale poi finiva per smettere di pensare con il cervello… mi morsi un labbro e automaticamente mi voltai verso l’ingresso della tenda, dove Nico se n’era andato poco prima. Avrei potuto accettare di diventare una cacciatrice e rinunciare così a lui?

- Credo che le serva tempo per riflettere, divina Artemide. – disse Talia, interrompendo i miei pensieri.

- Certo… - disse Artemide fissandomi per qualche motivo incerta. – Credo che tu debba dormirci sopra, Robby… mi potrai dare con calma una risposta quando avremo risolto questa storia di Ade… -

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Potreste uccidermi, e lo capirei. Se ho ritardato a pubblicare è colpa del mio modem che ho dovuto cambiare: funzionava solo tramite wifi da un mese, perciò non riuscivo a connettermi dal computer e a pubblicare il seguito. Detto questo, siate pronti perchè nel frattempo ho scritto praticamente tutta la storia: devo solo rileggerla e pubblicarla, mi manca un capitolo e mezzo per concludere. Ah già: sarà meno di 16 capitoli come avevo previsto, ora saranno 14 mi pare, ma secondo me va bene pure così. Che c'è da aggiungere in questo capitolo? Non credo di aver nulla da dire, ma non potevo rinunciare a questo mio spazio. Sappiate che ogni giorno vedrò di postare un nuovo capitolo, quindi state pronti perchè avrete molto da leggere.
Oltretutto, visto che ormai ho quasi finito di scrivere questa storia, stavo pensando di farne un seguito, aggiungendo alla storia una persona che è importante nella mia vita ma che non ho introdotto in questa storia.  
Bene, ora vado a dormire, e domani posterò il prossimo capitolo che ho già pronto. A domani!! :)
Calypso

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Capitolo 10
*** Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell’Ade ***


Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell'Ade

 

 

 

 

 

 

 

 

10

Quarta ed ultima tappa: Los Angeles;

arriviamo finalmente

nell’Ade

I

 

l giorno dopo ci svegliammo all’alba e le cacciatrici smontarono l’accampamento tanto velocemente quanto l’avevano montato. Non appena incontrai per la prima volta quella mattina Nico, lui si bloccò e mi fissò in modo strano.

- Buongiorno…! - gli dissi allegra per spezzare l’atmosfera tetra.

- Tutto bene? – mi domandò lui in risposta al buongiorno.

- Hem… benissimo… ma sei sicuro di stare bene? – gli chiesi incerta. – Mi sembri strano… -

- No, è che… ieri sera… tu... - borbottò lui.

- Buongiorno… - sbottò Paul apparendo all’improvviso di malumore.

- Hey, che c’è?! – domandi io ridacchiando. – E’ la giornata del malumore, questa?! –

- No, è che… queste cacciatrici mi mettono a disagio… - commentò Paul a bassa voce. - Ad eccezione di Talia, tutte quelle odiano i ragazzi, e non si danno la pena di nasconderlo... -

Artemide arrivò, e annunciò di aver ormai trovato abbastanza animali da trasporto per quasi tutti: dagli enormi lupi bianchi, a addirittura dei cavalli e ancora altri animali.

- Io posso volare – dissi ad Artemide. – Se non ci sono abbastanza animali posso muovermi via aria, intanto siamo già nel Nevada… -

- Puoi volare?! – fece Talia sorpresa.

- Sì… perché, te no? – le domandai altrettanto sorpresa: se anche lei era figlia di Zeus, mi sembrava normale che potesse farlo. Lei si guardò i piedi e trovò più interessante lisciarsi la maglietta. – Lasciamo perdere… - borbottò.

Quando tutti si trovarono a bordo di un animale, partimmo, e Artemide si trasformò in una stupenda cerva, che campeggiava il branco di animali. Io viaggiavo per aria subito dietro ad Artemide, e mi accorsi che stavamo andando molto più velocemente di quanto non potessimo fare con un comunque mezzo di trasporto: probabilmente la vicinanza di Artemide rendeva tutti gli animali più veloci e più forti del normale. Verso mezzogiorno Artemide ci annunciò che oramai eravamo arrivati a Los Angeles. Sebbene fossi stanca per aver volato così tanto, non potei non meravigliarmi per la bellezza di quell’enorme città: il sole splendeva alto nel cielo, e si rifletteva nelle mille finestre dei grattacieli… Artemide si fermò all’improvviso e tornò ad essere una ragazzina, quindi io atterrai. Cercai di atterrare con grazia, ma quando toccai terra mi accorsi di essere talmente stanca che le gambe cedettero ed io caddi per terra di faccia come una totale idiota.

- Hey, stai bene?! – esclamò Nico preoccupato, scendendo dal lupo e correndo subito in mio soccorso, dandomi una mano per alzarmi da terra.

- Mmm… sì, certo, come no… - commentai con la faccia contrita dal dolore e una mano sul naso.

- Siamo fin troppo in centro, è meglio proseguire a piedi da qui – annunciò Artemide. –

Tutte le cacciatrici annuirono attente, ma non sembravano trovarsi a loro agio in mezzo a quella vivace confusione della città.

- Dove si trova l’Ade? – chiese Paul ad un certo punto.

- Valencia Boulevard – disse Nico serio, indicando una via di fronte a noi. Arrivammo di fronte a un edificio altissimo di marmo nero con molte vetrate.

- E’ questo. – disse Nico. Lessi quello che c’era scritto a lettere d’oro sul marmo: “Studio di Registrazione R.I.P.”

- Nulla di più appropriato… - commentai ironica.

- Perché, questo cartello invece? – chiese Paul con un sopracciglio alzato, indicando un cartello sulle porte di vetro con scritto “No venditori, no perditempo, no vivi”.

- Mmm, direi che siamo arrivati nel posto esatto, non c’è ombra di dubbio… - fece Talia.

Artemide allungò la mano verso la maniglia, e riuscì ad aprire la porta, ma quando tentò di fare un passo in avanti per entrare nell’edificio, sembrò trovarsi di fronte ad una barriera invisibile.

- Come pensavo: non mi è concesso entrare. – disse Artemide con voce irritata: per un dio non poter mettere piede in un posto doveva essere veramente snervante.

- Ci provo io. – si propose subito Luna. Afferrò la maniglia, aprì la porta e con un passo entrò nell’edificio senza alcun problema. La dea sospirò.

- Credo che sia ora di dividerci. – dichiarò Artemide. – Talia, Luna e Martha: siete le mie migliori cacciatrici, confido che sarete in grado di dare una mano a Robby, Nico e Paul per portare a termine l’impresa e portare l’Ade al suo ordine naturale. –

- Certamente, mia signora… - assentirono all’unisono Talia, Martha e Luna.

- Io e le altre cacciatrici resteremo in zona in caso di bisogno. Le figlie di Ebe e Afrodite saranno controllate da due mie cacciatrici di modo che non possano mettersi in pericolo, inesperte come sono… – disse Artemide guardando Talia, Martha e Luna con uno sguardo preoccupato. – Mi raccomando, conto su di voi… -

Annuimmo tutti e sei, ed entrammo nell’atrio buio e tetro dei R.I.P.

Sembrava un salone d’attesa, ma senza musica e a luci spente: in effetti, se non avessimo provato ad aprire e non avessimo trovato aperto, avremmo giustamente pensato che il posto fosse chiuso. Quando i miei occhi si abituarono al buio, potei scorgere delle figure nella sala, ma erano strane, quasi eteree e trasparenti. Se ne stavano in silenzio, immobili, in attesa di chissà quale cosa.

- Sono spiriti. – spiegò Nico con un filo di voce; dopo di che si voltò verso il bancone della reception, che in realtà era un podio rialzato, e rimase a bocca aperta.

- Dov’è finito?! – esclamò Nico correndo verso il bancone.

- Dov’è chi? – domandò Luna.

- Come chi?! Caronte! – rispose Nico, iniziando a farsi prendere dal panico. – Non è mai successo che Caronte non fosse presente. Chi ce l’ha di voi il pass dell’ascensore?! –

Pensare di dovere andare negli Inferi grazie ad un pass per l’ascensore faceva un po’ ridere, ma non credo che quello fosse il momento adatto per le risate. Mi avvicinai a lui e gli appoggiai una mano sul braccio, come a dirgli di rilassarsi e di non farsi prendere dal panico.

- Nico… sei figlio di Ade… - gli dissi con calma. – Vedrai che puoi trovare un modo di andare negli inferi senza Caronte. -

Lui mi guardò negli occhi e riuscii a strappargli un sorriso di ringraziamento.

- Ragazzi, guardate! – esclamò Paul, e si mise di fronte a una delle anime, che iniziò a borbottare: - Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore, sedici minuti e quattordici secondi… Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore, sedici minuti e dieci secondi… - Ci metteva un po’ ad arrivare ai secondi, perciò non li pronunciava proprio tutti.

- Perché stai contando, spirito? – domandò in tono autoritario Talia allo spirito, mettendosi di fianco a Paul.

- Il tempo che mi rimane da attendere prima di andarmene nell’Oltretomba… - commentò con lo sguardo fisso nel vuoto l’anima in questione, e tornò a contare: - Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore, quindici minuti e ventiquattro secondi… -

- A quanto pare anche senza Caronte, chiunque abbia imprigionato Ade è riuscito a trovare un nuovo metodo di gestione delle anime… - commentò ironica Martha.

- E’ tutto così assurdo… - commentò Nico pensieroso. – Le anime non sono così quiete e facili da gestire… -

- Non importa come facciano. – disse Talia impaziente. – L’importante è riuscire ad andare negli Inferi. –

Io strinsi ancora più forte la mano sul braccio di Nico, per fargli coraggio. – Dai, so che ce la puoi fare… - gli dissi. Lui continuò ad osservare l’ascensore, con lo sguardo preoccupato; dopo di che afferrò la mia mano e chiuse gli occhi. Mi piaceva il calore della sua mano nella mia… forse però quello non era il momento adatto per pensare a una cosa simile. Nico si abbassò per terra e, con una mano nella mia e una sul pavimento, vidi la sua fronte corrugarsi dalla concentrazione. Le porte dell’ascensore tremarono e le luci iniziarono ad accendersi e spegnersi ad intermittenza, come se ci fosse stato un corto circuito; dopo di che le porte si aprirono del tutto, e corremmo tutti e sei nell’ascensore, prima che Nico perdesse la concentrazione. Entrammo tutti appena in tempo per vedere le porte chiudersi e gli spiriti rimanere immobili di fronte all’ascensore. L’ascensore tremò e si spostò in avanti, e mi ritrovai a stringere ancora più forte la mano a Nico. Chiusi gli occhi, e quando li riaprii, non eravamo più in un ascensore ma su una chiatta di legno. Tutti e sei ci sedemmo a gambe incrociate e Nico, continuando a tenere la mia mano, osservava il fiume nero di fronte a sé.

- Che roba è?! – fece Paul inorridito guardando il fiume e osservando delle ossa e dei pesci morti che galleggiavano sull’acqua.

- E’ lo Stige – disse Martha prontamente.

- E che cosa sono tutti questi oggetti? – domandò Luna preoccupata.

- Rappresentano tutte le cose mai realizzate dai morti nella loro vita: sogni, desideri, speranze… - raccontò Talia, poi aggiunse: - Annabeth e Percy ci sono stati e mi hanno raccontato… -

Guardai con bramosia tutti quegli oggetti: notai un libro ingiallito e scritto a mano, la foto rovinata di un uomo in divisa militare col fucile in mano, una chitarra con le corde rotte… mi avvicinai alla superficie: trovavo ingiusto che i sogni della gente facessero quella fine, dovevo trovare un modo per riportarli in vita… all’improvviso però Nico mi tirò verso di sé e, continuando a fissare il fiume davanti disse: - Non avvicinarti troppo… il fiume ti potrebbe distruggere bruciando anima e corpo. – 

- Bello… - commentò Paul ironico.

Io deglutii nervosa e all’improvviso mi ricordai di cosa poteva fare lo Stige: dare l’invulnerabilità in battaglia così come un proprio punto debole, come Achille…

- E Achille come ce l’ha fatta? – chiesi curiosa. – Sì, insomma… si sarà pure fatto uccidere per quel suo dannato tallone, ma ha avuto l’invulnerabilità, no? -

- Certo… - rispose Martha. – Ma a quale prezzo? L’invulnerabilità fisica sotto molti aspetti richiede di aumentare un’altra invulnerabilità… il proprio difetto fatale. –

- Achille ha peccato di presunzione. – continuò Luna. – E’ stato quello il suo punto debole, ancora più del suo tallone… -

- Immergersi solo nel fiume non basta. – aggiunse Nico. – Ma non ha importanza ora. Solo tre persone sono riuscite a immergersi nello Stige senza morire, e solo una su tre è ancora viva, quindi non credo sia la strategia giusta per affrontare il problema che ci aspetta… -

Rimanemmo in silenzio fino a quando la barca attraccò lungo una spiaggia di sabbia vulcanica nera. Ci trovammo di fronte a un altro edificio con tre entrate, sopra le quali stava la scritta “State entrando nell’Erebo”.

- Non c’è nemmeno Cerbero… - notò Nico, sospirando per lo sforzo fatto per controllare l’imbarcazione.

- Beh, l'assenza di Cerbero secondo me è un punto a nostro vantaggio... - borbottò Paul.

Entrammo senza problemi: nessuno sembrava volerci fermare. C’erano sì delle anime, ma sembravano farsi gli affari loro. Nico ci portò da una parte all’altra, sicuro di dove stesse andando. Nessuno di noi altri osava parlare. Ad un certo punto ci trovammo davanti ad una fortezza con disegnate sopra scene di morte. Era raccapricciante. Strinsi la mano che Nico ancora mi teneva, e lui strinse la mia ancora più forte, come a dire che non dovevamo preoccuparci e che sapeva cosa stava facendo. Entrammo, e ci trovammo in un giardino, o meglio, sarebbe stato un giardino se tutte le piante non fossero morte, nere e raggrinzite.

- E’ il giardino di Persefone. – sussurrò Martha.

- Si sta lasciando andare esattamente come sta succedendo a Persefone… - commentò Paul preoccupato.

- Proseguiamo. – disse Talia senza ulteriori indugi.

Arrivammo nel palazzo vero e proprio, ma le porte erano già spalancate, e all’interno della sala c’era un trono fatto d’ossa.

- Mio padre non è qua… - commentò Nico amaramente. Tutti noi ci sentivamo a terra: dove potevano essere Ade, Persefone e Chiara?

- Ovvio che non sono qua! – disse una voce femminile, e da dietro il trono, praticamente dal nulla sbucò una ragazza…

- Alexa! – esclamò Paul. – Cosa ci fai qua? –

- Stupidi! – fece lei ridendo. – Secondo voi chi è che ha convinto tutti quei mostri ad attaccarvi? Pitone, Adone, le empuse, i grifoni… -

- La ragazza di cui avevano parlato i grifoni… - feci in un sussurro. – Eri tu! –

- Certo che ero io! – rispose con una risata impertinente. - Sapevo che se non avessi fatto qualcosa quei due grifoni incompetenti mi avrebbero vista e riconosciuta… così ho piantato una mandragola nella radura, in modo che dall’alto e con un po’ di fortuna potesse essere ben visibile… inoltre era un modo come un altro per tentare di farvi fuori. Da giorni mi sono unita al gruppo delle cacciatrici fingendo di conoscere per la prima volta tutta la storia di avere dei genitori divini… sapevo che Artemide stava andando come voi verso l’Ade, ed io dovevo tornare qui per concludere il mio compito. –

- Che compito? – domandò Paul. – Chi ti ha chiamata qui? –

- Come se lo volessi dire a voi! – esclamò lei beffarda. – Sono anni che mi alleno: a dispetto di tutto quello che raccontano sui figli di Afrodite, posso ridurvi a pezzetti in un solo istante! Ho qualcuno che mi aiuterà di certo nell’impresa… –

Dietro di lei apparve il grifone che era fuggito un paio di giorni prima, che mi guardò con un sorriso inquietante, e uno dei grifoni di terra che si erano salvati allora.

- Fatti sotto, allora! – esclamò Talia agguerrita, sguainando uno scudo; era veramente uno scudo terribile, per qualche strana ragione non riuscivo proprio a guardarlo, e spostai lo sguardo altrove.

Il grifone di terra raccolse il coraggio e saltò verso Talia, mentre quello d’aria volò verso di me. Luna e Matha centrarono i due grifoni con le loro frecce, e questi caddero per un attimo.

- Lasciate fare a noi cacciatrici! – esclamò Talia sicura. – Luna, occupati di quello di terra! Martha, tu quello d’aria. Io invece mi occuperò della signorina sono-bella-solo-io… -

Alexa sorrise beffarda e passò subito all’attacco, sfoderando una spada.

Non volevo lasciare lì le cacciatrici sole a combattere, ma Nico mi spinse via per la mano insieme a Paul.

- Dove possiamo cercare ancora?! – fece Nico agitato, guardandosi intorno e camminando a passo veloce.

- Non ci sono delle prigioni?! – domandai.

Nico allora si mise una mano sulla fronte.

- Le prigioni dell’Ade! Come ho fatto a non pensarci prima?! – e si mise a correre, tanto che faticavo a correre e continuare a tenergli la mano. Ci dirigemmo in una serie di labirinti, e sembrava che fosse Nico stesso a crearli. Ad un certo punto puntò la mano libera sul muro e si aprì una stanza più grande, o meglio, una caverna più grande…

- Padre! – esclamò Nico e, lasciandomi la mano corse dentro.

- Nico! – fece una voce dentro; era una voce dura, affaticata, che avevo già sentito in sogno: era la voce di Ade. Anche Paul ed io ci affrettammo ad entrare.

Finalmente, dopo tanto tempo, mi ritrovavo di fronte alla ragazza che aveva infestato i miei sogni: ero di fronte a Chiara. Era pallida, cadaverica, tutta sporca, con delle enormi occhiaie e l’aria di chi non mangiava da tempo. Nonostante ciò, non appena mi vide, sorrise.

- Ciao Robby… - riuscì a sussurrare.

Rimasi immobile di fronte ai tre prigionieri, legati da delle catene metalliche alla parete opposta. Cosa dovevo dire? Cosa dovevo fare? Finalmente avevo di fronte a me chi poteva darmi delle risposte… come faceva quella ragazza a conoscermi? Chi aveva fatto loro quello? E perché?

- Robby! – esclamò Paul riportandomi alla realtà. – Dobbiamo liberarli dalle catene! Persefone sembra messa male! -

Persefone infatti sembrava svenuta, e giaceva con la testa appoggiata alla spalla del marito.

- E’ patetico… - sbottò quest’ultimo contrariato. – Essere salvati da degli eroi… -

- Ti voglio ricordare che uno di questi eroi è tuo figlio! – gli feci notare senza il minimo tatto, prima che qualcun altro potesse rispondere alla sua affermazione. – Dovresti andarne fiero, Ade! –

Forse ero troppo impertinente, ma non sarebbe stata la prima volta. Nico, che se ne stava inginocchiato di fronte alla figura di suo padre, mi sorrise, dopo di che tornò ad armeggiare con le catene che legavano Ade.

- Paul, dai del nettare a Persefone. – gli ordinai. – Anche se è una divinità, credo che un po’ di cibo non possa farle altro che bene… -

Paul annuì, e io feci lo stesso con Chiara.

- Grazie… - disse solo lei, abbassando la testa in segno di ringraziamento.

- Di niente, ma ora dovete dirci tutto, e in fretta! – dissi, prendendo Exusía e spezzando le catene; la guardai negli occhi e le chiesi: - Chi sei? Come avete fatto voi tre a finire qui? –

Ade sbuffò, toccandosi i polsi ora liberi e aiutando la sua sposa, ancora stordita, ad alzarsi in piedi.

- Chi è lei?! Parte del più grande scandalo della storia! – esclamò il dio; dopo di che i suoi occhi pieni di morte e odio, incontrarono i miei e continuò: - Insieme a te, è ovvio! -

- Non vi capisco, potete spiegarvi?! – feci io esasperata.

Chiara mi guardò negli occhi, sospirò e disse: - Io e te siamo gemelle, Robby. -

M’immobilizzai. Ok, questo non me l’aspettavo. Voglio dire… non avevo la benché minima idea di cosa aspettarmi, ma se incontrare Talia era stato shockante, questo lo era ancora di più: voleva dire che io e quella ragazza che stava di fronte a me condividevamo lo stesso padre e la stessa madre, ovunque ella fosse. 

- Ma se non siete neanche uguali! - esclamò Paul. 

- Mai sentito parlare di gemelli eterozigoti? - rispose Chiara incrociando le braccia. - Ti sei mai chiesta perchè io, che per te sono una sconosciuta, ho un collegamento empatico con te?! L'ho scoperto involontariamente passando del tempo imprigionata qui, ma questo è un collegamento che io e te abbiamo dalla nascita. -

- E’ impossibile… - boccheggiai.

- Purtroppo no! – esclamò Ade. – Anche se ora che il patto tra me e i miei due fratelli di non procreare figli non è più valido, dà fastidio sapere che Zeus l’ha infranto non una volta con quella ragazzina che è diventata cacciatrice… ma ha avuto la faccia tosta di mantenere in vita due gemelle! –

- Devi sapere che due gemelli mezzosangue sono più unici che rari. – mi spiegò Chiara. – Zeus ci ha separate alla nascita perché sapeva che insieme avremmo avuto un potere che andava ben oltre alla media… anche perché siamo figlie di un dio potente. Questo complica ancora di più le cose. –

- E come avete fatto a farvi incatenare? – chiese Paul. Ade gli lanciò uno sguardo di fuoco.

- Credi che voglia farmi umiliare ulteriormente rivelandovi i dettagli?! – esclamò.

- Padre, smettila! – fece Nico scocciato. – Non per mettere il dito nella piaga, ma anche se sei libero, non sembri in grado di risolvere questo problema…! –

- Quello stupido…! – sbottò Ade, guardando altrove. – E’ stato un ragazzo! Crede di cambiare il mondo, ma è solo un pazzo! –

- Un ragazzo? – domandai agitata. – Non è stata Alexa? -

- La figlia di Afrodite? – chiese Chiara. – No, quella è solo una sua complice… lui è… oddio! – si mise una mano sulla bocca.

- Dobbiamo fermarlo! – gridò agitata. – Siamo in questa prigione da così tanto tempo che stavamo per dimenticare… il Tartaro, dobbiamo correre là! Lui sarà già là! –

- Lui chi?! – domandai in ansia.

- Non ho idea se lo conosciate o meno, ma dobbiamo correre! – esclamò lei in ansia.

- Vi guido io… - disse Nico, dopo di che guardò suo padre e lanciandogli dell’ambrosia disse: - Prenditi cura di tua moglie e non appena ti riprendi vieni a darci una mano, sarebbe una cosa gradita. –

Il dio rise ironico e anche un po' sprezzante, troppo infastidito di prendere ordini da dei mezzosangue.

- E’ una specie d’incantesimo: solo quando quell’insulso mezzosangue se ne andrà dall’Ade potrò riprendere il controllo dei miei poteri! – spiegò il dio amaramente. - Ora sono solo un inutile immortale senza forza… E’ così disonorevole… giuro sullo Stige che quando tornerò ad avere il controllo dell’Oltretomba e dei miei poteri andrò a prendere la vita di quello stolto, fosse l’ultima cosa che faccio! -

Si udì un rombo da fuori: lo Stige aveva preso sul serio il giuramento del suo re.

- Dobbiamo affrettarci! – ci ricordò Paul, così io, lui, Nico e Chiara corremmo via, lasciando Ade con sua moglie.

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Come promesso eccomi qui subito con un nuovo capitolo! Ve l'avevo detto o no che ce li avevo quasi tutti pronti? ;) Ecco dunque svelata l'identità di Chiara! Qualcuno ci aveva già in parte azzeccato, ma questa storia dell'essere gemelle è diverso dal solito... insomma, nella saga non si è mai parlato di mezzosangue gemelli. Gli Stoll erano sì fratelli, ma di età differenti (wikipedia italiana dice che sono gemelli, ma io sono certa di aver letto da qualche parte che non lo sono). Il legame tra gemelli è unico, secondo me, e visto che Chiara nella realtà è la mia migliore amica dall'asilo, è come se fosse la mia gemella 'diversa'. Non abbiamo caratteri uguali: lei è sensibile, ci tiene a tutto e a tutti, secondo lei tutti meritano delle seconde opportunità. Io invece sono molto più testarda e anche un pochetto cinica. E nonostante tutto, nonostante ormai ci vediamo al massimo tre volte all'anno, lei rimane sempre la mia migliore amica. Sì, lo so, quando voglio sono tenera!
Poi Alexa. Ecco, quando avevo iniziato a progettare la storia, questo non l'avevo proprio preso in considerazione. Tanto per rendere breve il tutto: nella realtà è stata per oltre un anno nostra amica, ora invece le cose sono cambiate. Cioè, ci salutiamo ancora, ma i rapporti sono cambiati molto, e il modo in cui sono cambiati mi ha dato molto fastidio. Perchè se si è in un gruppo si decide per maggioranza, ma questo a quanto pare, qualcuno non lo voleva capire proprio. Al di là dei particolari, dopo questa discussione impossibile da risolvere, ho voluto che lei fosse una dei 'cattivi', chiamiamoli così.
Vorrei vedere le facce di voi che mi avete seguito fin dall'inizio: piano, piano, i pezzi si stanno ricomponendo, e ci stiamo avvicinando alla verità. Chi è l'altro 'cattivo'? Lo conoscete già o no? Cosa vuole fare? Perchè io e gli altri dobbiamo correre verso il Tartaro? Che cosa deve succedere là? E perchè Ade non ha più giurisdizione e poteri nel suo stesso regno? Nel prossimo capitolo ci saranno le risposte a tutte queste domande. Spero veramente di sorprendervi, perchè questa mente bacata aspetta di postare il prossimo capitolo già da mesi e mesi...
Prima di postare il prossimo capitolo però aspetterò che commentiate questo e quello prima ancora, se no mi gioco tutto nel giro di troppo poco tempo.
Alla prossima!
Calipso

PS: ah già! Io sono stata veramente a Los Angeles! Peccato che la situazione nella storia non sia adeguata per un tour: avrei voluto descrivervi quella magnifica città in modo migliore! <3

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Capitolo 11
*** Finalmente veniamo a conoscenza della verità ***


Finalmente veniamo a conoscenza della verità

 

 

 

 

 

 

 

 

11

Finalmente veniamo a conoscenza della verità

 

T

 

utti e quattro stavamo correndo più forte che potevamo seguendo Nico: lui sapeva dove si trovava il Tartaro. Ci ritrovammo in un tunnel di roccia, illuminato appena e con delle stalattiti sul soffitto. Sentii qualcosa di pesante nel petto: sentivo che ci stavamo avvicinando a qualcosa di veramente orribile, qualcosa di pulsante… più correvo, più il posto si faceva buio e freddo. Nico nella corsa aveva ripreso la mia mano, e di cuor mio lo ringraziai: senza il suo calore non ce l’avrei fatta a continuare a correre verso il pericolo. Più proseguivamo, più potevamo sentire chiaramente un rumore: come l’acqua che bolle e un cuore che batte. Era un rumore sempre più forte, nulla di umano, certamente. Era inquietante. Ad un certo punto il tunnel si aprì su un’enorme caverna buia, nel centro della quale appariva una voragine: era da lì che proveniva il rumore.

- Questo è il Tartaro – disse Nico con il fiatone, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendersi dalla corsa.

- Ce ne avete messo per arrivare qui…! – disse una voce alle nostre spalle. Ci voltammo tutti, ed io mi sentii sprofondare vedendo di chi si trattava.

- Micah! – esclamammo all’unisono io, Paul e Nico.

Era proprio Micah, alto, spallato come sempre e con un sorriso malefico sul volto.

- Al Campo avevano detto che eri nella foresta! – esclamò Paul.

- E’ la scusa che utilizzavo ogni volta che volevo andarmene dal Campo per fare delle ricerche e mettere a punto il piano che oggi si avvererà. – i suoi occhi si allargarono compiaciuti. – All’inizio non era così, andavo realmente per la foresta, e pensate un po’? Ho trovato delle erbe per creare aromi e medicinali, come dire? Speciali… tanto che ho voluto venire nell’Ade a provarli. –

- Tutto questo è colpa tua! – esclamò Paul infuriato.

- Certo! – disse Micah, e i suoi occhi si rimpicciolirono fissando Paul. – E sai cosa ti dico? Sono veramente felice che tu sia tra i primi ad assistere a questo evento: ti ho sempre odiato, sin dal principio. Posso capire l’ammirazione che al Campo si provi ammirazione per gente come Jackson e quella Chase, loro hanno dimostrato il loro coraggio, per quanto non approvi ciò che hanno fatto… ma non capisco affatto perché la gente ti prenda tanto in simpatia. Sei solo un buffone presuntuoso e pieno di sé… -

- Senti chi parla, ipocrita che non sei altro! – urlò Paul irato come non mai.

- Mi fai schifo… - commentò Nico fissandolo pieno di odio. – Mi dispiace che ogni volta debba essere un figlio di Ermes a disonorare l’Olimpo… Prima lo sbaglio di Luke, ed ora tu… -

- Dei vostri giudizi non me ne faccio proprio nulla. – rispose Micah beffardo. – Io do retta solo alla mia coscienza. –

- Ed è questo che la coscienza ti chiede?! – feci io. – Isolare l’Oltretomba e rendere Ade impotente e prigioniero del suo stesso regno?! –

- No. – rispose lui sorridendo malvagio. – Più di questo: tutto questo mondo finirà, inizierà una nuova era… un’era dove gli dei non esisteranno più… -

- Si può sapere di cosa stai parlando?! – chiese Nico irritato.

Micah indicò il Tartaro.

- Non lo vedete anche voi con i vostri occhi? Il Tartaro è più vivo che mai… tutto merito tuo, casanova. – disse indicando Nico. Quest’ultimo sembrò spiazzato dalla definizione che gli era stata affibiata.

- Come, non ricordi? – disse in tono ironico Micah. – Devo ricordarti la famosa profezia che ti ha portato in Italia? –

Nico sembrò cambiare colore in viso, da bianco a rosso acceso. Non avevo mai sentito quella profezia dall’inizio alla fine, e mi maledii per non avere insistito a conoscerla da cima a fondo: probabilmente era un dettaglio importante…

Nonostante l’evidente nervosismo, Nico deglutì e con voce ferma proclamò la profezia: - Nella terra di Roma un figlio d’Ade si troverà quando d’improvviso qualcosa di più grande scoprirà: questo è solo il primo passo per fermare il Grande Risveglio che il mondo potrebbe annientare. Con la spada di Achille l’eroe partirà e questa la prima di un’altra grande impresa sarà… -

- …ciò che incontrerà cambierà il cuore del nostro eroe e gli farà veramente scoprire cos’è l’Amore. – concluse Micah incrociando le braccia con una risata maliziosa. - Una profezia da carie ai denti, non c’è che dire… -

E gli farà veramente scoprire cos’è l’Amore… ripetei a mente. Amore? Che amore? Sentii il mio cuore battere a mille nel petto, e notai che Nico non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi. Oddio, stava parlando di me?!

- Fatto sta che questa profezia sdolcinata mi è stata utile – continuò Micah. - quando sei ritornato con una figlia di Zeus sapevo già cosa fare: un amore, corrisposto o meno, da due figli dei pezzi grossi è uno dei pochi modi esistenti per richiamare l’ultima entità che mi serviva… Eros! –

- Eros è un’entità praticamente introvabile! – ribatté Paul arrabbiato.

- Invece no! Sentite il Tartaro! – esclamò trionfante Micah. – Eros si è unito ai suoi fratelli dopo tanto tempo: Tartaro e Gea, che è ovunque nella terra… tra poco il loro creatore si risveglierà… -

Nico tornò a sbiancare ed esclamò: - Eros… Tartaro… Gea… Li hai riuniti per riportare in vita Caos! Si può sapere che diamine ti salta in mente?! –

- Chi è Caos? – domandò Paul, questa volta confuso.

- Sei un idiota, ma questo lo sapevo… - commentò beffardo Micah. – Caos è l’entità primordiale per eccellenza… è il nulla più assoluto. Quando si risveglierà tutto finirà: non ci saranno più titani, il mondo non esisterà più, non ci saranno più animali, uomini e mezzosangue, ma soprattutto non ci saranno più gli dei! Dopo la guerra avranno pure iniziato a riconoscere i loro figli, ma per loro non ci sono mai! Vogliamo inoltre parlare della loro giustizia?! Vogliamo parlare della giustizia che ha ricevuto Adone? O che ricevono le empuse? Con gli dei non esiste una vera giustizia, esiste solo un mondo plasmato sul loro egoismo… Solo dalla fine il Caos potrà creare un nuovo inizio, un inizio migliore di quello che abbiamo dovuto sopportare noi uomini dai primordi! –

Improvvisamente capii tutto: quello che Micah voleva era la fine del mondo. Voleva la fine di tutto. Era come ritrovarsi davanti ad un kamikaze, era una cosa del tutto priva di senso.

- Tu sei pazzo! – urlai con una voce quasi isterica. – Odi gli dei, non accetti la giustizia divina, ma sei pronto a farti saltare in aria! -

- Lo diceva anche Macchiavelli, no? Il fine giustifica i mezzi: si tratta di costruire un futuro migliore di questo! – rispose Micah. – E se questo vuol dire morire, sono pronto a farlo: non ho paura della morte. –

- Con che coraggio decidi il destino dell’umanità, idiota! – gridò Paul. – Puoi fare saltare in aria te stesso, di questo non m’interessa… ma chi ti dà il diritto di decidere per il resto del mondo?! –

- Invece il diritto degli dei di punire chiunque vogliano, di abbandonare i propri figli e di infliggere all’umanità il loro egoismo va bene, vero?! – rispose Micah con un tono di voce ancora più alto di quello di Paul.

- Se uno si comporta in modo sbagliato devi farlo anche tu?! – risposi io senza mezzi termini. – Critichi tanto gli dei, ma tu sei anche peggio di loro! Non sei ipocrita solo nei confronti del Campo e di quelli che chiamavi amici, ma pure nei confronti di te stesso! –

Micah mi guardò dall’alto al basso altezzoso, ma non rispose.

- Si può sapere a cosa ti serviva Chiara?! – domandò Paul. Chiara, che fino a quel momento se n’era stata seria, vigile e in silenzio, sobbalzò: ancora non la conoscevo, ma sembrava una persona che non amava discutere o insultare la gente.

- L’ho incontrata per caso, dopo di che l'ho convinta con l’inganno che avevo bisogno di arrivare nell’Oltretomba: per un solo mezzosangue portare a termine questo piano sarebbe stato quasi impossibile, e allora ancora non conoscevo Alexa… - rispose Micah. - Zeus voleva che Chiara andasse al Campo, lì avrebbe trovato protezione, ma è bastato farle suscitare un po’ di pietà per convincerla a fare quello che volevo… lasciatelo dire, Chiara, sei una persona incredibilmente debole di carattere e quindi facilmente influenzabile… - non mi piaceva affatto il modo in cui Micah si rivolgeva a mia sorella, avrei voluto dargli un pugno in faccia all'istante, ma mi trattenni per sentire quello che aveva da dire. – Una volta arrivato nell’Oltretomba con il suo aiuto, sono riuscito a nascondere nell’ambrosia di Ade e Persefone il mio ultimo ritrovato: è stato talmente forte che ha la capacità di togliere qualunque forma di capacità non umana a chiunque, persino ad un dio. E’ stato facile poi imprigionare Ade e Persefone senza poteri nelle loro prigioni, e me la sono cavata abbastanza bene pure con una figlia di Zeus che sapeva poco sulle sue vere origini e sulle sue capacità. La mia formula per indebolire Ade è stata così forte che ha influito anche su tutto l’Oltretombra, rendendolo inaccessibile dagli altri dei. Per non creare sospetti, appena ho potuto sono tornato al Campo Mezzosangue come se nulla fosse successo. –

Avrei voluto sparare parolacce non-stop. Mi sentivo tradita. E delusa. Tanto delusa. Non avevo avuto molto tempo di approfondire la mia amicizia con Micah, ma sentivo questo tradimento come un pugno nel petto.

Alle nostre spalle sentimmo all'improvviso dei rumori di lotta: Talia stava arrivando verso di noi, lottando ancora contro Alexa. Le due continuarono a lottare sotto i nostri occhi, mentre di Matha, di Luna o dei grifoni non c'era alcuna traccia.

- Credo che sia finito il tempo delle chiacchere. – commentò Micah. – Intanto tra poco tutto finirà, quindi tanto vale vedervi affrontare e perdere la vostra battaglia finale… -

- Non ci riuscirai mai! – esclamò Paul, e tirò fuori dalla tasca un piccolo pugnale, nel tentativo di combattere contro Micah. Quest’ultimo sorrise e parò il colpo con una spada apparsa quasi nel nulla dalla sua mano.

- Perfetto, quello che ci voleva: sconfiggerti una volta per tutte prima di dare l’inizio ad una nuova era! – disse Micah con un sorriso soddisfatto, e i due iniziarono a combattere sul serio. Anche se Paul aveva come unica arma un pugnale e le sue frecce mentre Micah aveva un’enorme spada, Paul se la stava cavando egregiamente: si vedeva che moriva dalla voglia di farla pagare a Micah e che lui, ancora più di me o Nico, era rimasto ferito dall’atteggiamento di quello che un tempo credeva una brava persona.

- Cosa facciamo? – domandò agitata Chiara, guardando prima me e poi Nico. Io e lui ci guardammo: non era tempo di pensare a quello che ognuno di noi provava, dovevamo trovare una soluzione.

- Non ne ho idea… - disse Nico con aria disperata. – Non è mai successa una cosa simile, non so come si potrebbe risolvere… il Tartaro è sempre più agitato, Caos si sta per svegliare… -

- Io vado a dare una mano a Paul, voi aiutate Talia! – esclamai: non vedevo altro da fare se non combattere fino alla fine.

Mi unì a Paul nel combattimento, sfoderando la mia spada e parando un attacco di Micah che per Paul sarebbe stato fatale.

- Grazie…! – disse Paul rialzandosi da terra e preparandosi ad attaccare nuovamente. Micah era in evidente difficoltà: doveva stare attento a non dare le spalle né a me né a Paul, così come a non cadere nel baratro del Tartaro. Ce la stavamo cavando bene, ma Micah non era un avversario facile: non demordeva, schivava i nostri attacchi molto agilmente, attaccava quando meno ce lo aspettavamo e si muoveva con destrezza. Vidi sulla sua fronte scendergli delle gocce di sudore: forse era questo che dovevamo fare, dovevamo affaticarlo. Non appena Paul attaccava e Micah schivava, era il mio turno di attaccare, e quando Micah schivava il mio di attacco, Paul ricominciava… Non poteva andare avanti a lungo così, aveva già il fiatone, e non riusciva a far altro che schivare senza avere l'opportunità di attaccarre. Ad un certo punto Micah perse l’equilibrio, cadde all’indietro e Paul ne approfittò per scoccare una freccia; questa sfiorò la mano di Micah che, dolorante, lasciò cadere la spada. Con un calcio Paul buttò l'arma caduta dritta nel Tartaro, mentre io colpii Micah in testa con l’elsa della spada senza tante cerimonie, e questo svenne. L’avevo ferito, da dove l’avevo colpito usciva del sangue, ma non sembrava nulla di veramente grave.

- Hem… non l’ho ucciso, vero? – domandai a Paul. Questo mi guardò sgranando gli occhi. – Ti preoccupi di non aver ucciso questo traditore?! – fece lui.

- E’ che… io non sono come lui, non credo che potrei sopportare di uccidere una persona… - borbottai, ma mi ricordai che quello non era il momento adatto per queste cose: Caos si stava risvegliando. Ci voltammo, e vedemmo Alexa per terra a dimenarsi, legata e imbavagliata da degli scheletri.

- Grande, Nico! – esclamò Paul.

- Vorrei che l’avesse fatto prima: Talia è svenuta… - disse Chiara preoccupata.

Talia giaceva per terra, priva di conoscenza e con numerose ferite su tutto il corpo.

- Non voglio fare l’insensibile, ma non ha senso pensare a Talia quando tra poco moriremo tutti. – ci ricordò Paul.

- Sì, ma cosa possiamo fare?! – feci io, disperata.

- Riflettiamo con calma… - fece Chiara, prendendo un enorme respiro per farsi coraggio. – Cosa sappiamo di Caos? -

Io, lei e Paul spostammo il nostro sguardo su Nico, che alzò le spalle dicendo: - Non molto in realtà. E’ l’entità creatrice di tutto, e per tutto intendo Gea, Tartaro ed Eros, solo dopo dal Caos sono nati il Buio e la Notte. Queste tre entità sono esattamente tre forze di pari potenza, e da quanto ha detto Micah, la loro unione sta per risvegliare il suo creatore. –

- Di pari potenza, eh? – borbottò Paul pensieroso, la voce coperta dal rumore del Tartaro che si faceva sempre più irrequieto.

- A che stai pensando? – gli domandai nervosa e anche un po’ speranzosa: forse aveva un’idea per uscirne.

- Se sono forze di pari potenza questo vuol dire che al contrario del nome, il Caos si basa su un equilibrio, un equilibrio tra Tartaro, Gea e Eros. – disse lui velocemente. – Forse rompere questo equilibrio potrebbe essere una soluzione. Pensateci: è come se il Caos fosse una torta divisa in tre enormi fette. Se all’improvviso una di queste tre fette fosse più grande delle altre, sarebbe impossibile ricomporre le torta. Dato che è impossibile per noi eliminare una di queste tre entità, visto che si sono già unite sotto i nostri piedi, l’unica soluzione è che una di queste forze sia in grado di sopraffare le altre. –

L’esempio della torta era stupido, certo, ma il ragionamento non faceva una piega: si trattava di semplice logica. Tutti quanti capimmo che probabilmente c’era una speranza, ed eravamo sulla strada giusta.

- Mi sembra ragionevole. – assentì Chiara agitata. – Ma come si può spezzare questo equilibrio? Siamo solo dei mezzosangue, non possiamo comunque fare molto contro queste forze… richiederà di sicuro un enorme sacrificio… -

- Se il Tartaro è il luogo dei dannati, perché non buttiamo dentro quest’infame traditore? –propose arrabbiato Paul, guardando il corpo privo di conoscenza di Micah. – Sono certo che l’equilibrio si spezzerà. –

- Non credo sia una buona idea far sì che sia il Tartaro a prendere il sopravvento – commentò Chiara. – Cosa accadrebbe se una volta risolto il risveglio di Caos fosse il Tartaro ad espandersi nel mondo? I dannati avrebbero piede libero sulla terra… -

- Peccato – commentò Paul amaramente, continuando a fissare Micah. - speravo proprio di farlo fuori in questo modo… -

- Di far sopraffare Gaia non se ne parla affatto – commentò Nico - è una potenza troppo malvagia, forse ancora più del Tartaro stesso, almeno quello prevede un certo tipo di giustizia… -

- Eros! – esclamò all’improvviso Paul convinto.

- Come? – feci io. Lui mi fissò dritta negli occhi annuendo e disse: - L’Eros è il sentimento primordiale per eccellenza. Tutto lo identificano con l’Amore, ma non è solo quello: Afrodite è Amore, Philotes è Amicizia, Era è Famiglia… sono tutti sentimenti influenzati da Eros! –

- Scusa, ma Eros non è… sì, insomma… la divinità dell’attrazione sessuale? – domandò Chiara incerta. Paul scosse la testa. – Diciamo che è conosciuto come tale, ma Eros è molto di più: Eros è attrazione, e l’attrazione non è solo un fatto fisico o di sesso, l’attrazione è alla base di un qualsiasi sentimento, è anche attrazione intellettuale e di personalità. –

- Un sentimento forte come un collegamento empatico tra le uniche due gemelle figlie di Zeus… - commentai con un filo di voce.

Silenzio. Paul e Nico osservavano prima me poi Chiara sotto i rombi sempre più insistenti del Tartaro. Avevamo tutti capito cosa volessi dire: l’unico modo per salvare il mondo era buttarmi nel Tartaro insieme a mia sorella.

Paul ad un certo punto si fece coraggio e disse: - Io… in realtà non era quello che intendevo… credevo che… sapete… i sentimenti puri vincono sempre in ogni poema e in ogni racconto. Non dovete per forza sacrificarvi voi due. –

- Nostro Padre ci ha separate alla nascita perché sapeva quanto eravamo potenti insieme, ma voleva che ci riunissimo dopo vent’anni per un motivo – disse Chiara con voce ferma fissandomi. – Sapeva che qualcosa di orribile stava per accadere, anche se forse non sapeva cosa, e sapeva che io e Robby insieme avremmo potuto fare qualcosa per salvare la situazione. -

Tutto aveva un senso… ripensai velocemente alla profezia che avevo sentito. Terra, Morte e Amore verranno riuniti, dei, umani e Mezzosangue dalla fine saran colpiti. Ecco cosa voleva dire: Gea, Tartaro ed Eros saranno riuniti... e la loro unione avrebbe dato inizio alla fine di tutto: niente dei, niente umani, niente mezzosangue... Sentivo il mio corpo formicolare: di lì a poco sarei morta. Avrei voluto piangere, ma la paura m’impediva di farlo. All'improvviso ogni mio respiro diventava sempre più importante: erano gli ultimi respiri che sarei stata in grado di fare, mi sentivo la pelle d'oca. Se prima all'improvviso tutto trovava un senso, ora tutto sembrava senza senso: la mia vita stava per finire, non c'era più un senso.Chiara mi strinse la mano e il suo sguardo mi fece forza. Annuii: entrambe sapevamo cosa fare.

Il tempo era poco: Caos si stava risvegliando e di lì a poco il mondo come lo conoscevamo sarebbe finito. Non c’era tempo da perdere. Guardai Nico e Paul: entrambi mi fissavano con le lacrime agli occhi. Corsi verso di loro e con un unico abbraccio, strinsi forte entrambi. Ricambiarono l’abbraccio, e mi diedero un calore che non avevo mai sentito in vita mia, ancora più forte del bacio di Apollo. Sentivo le loro lacrime sulle mie spalle e le mie rigarmi le guance. Credo che fu anche quel loro abbraccio a darmi la forza di continuare nella mia inevitabile scelta.

- Grazie per essermi stati sempre accanto… - dissi tentando di mantenere il mio tono di voce il più calmo possibile. – Siete dei veri amici… - Paul singhiozzava con il respiro affannato sulla mia spalla sinistra, Nico invece tremava in silenzio sulla mia spalla destra.

Prima di andarmene via, guardai Nico: il suo sguardo era abbattuto e pieno di paura, forse anche più del mio. Sentii una fitta al cuore: era difficile andare verso la morte, era difficile lasciare la mia vita, senza nemmeno aver salutato per l'ultima volta la mia famiglia, la mia sorellina, tutti i miei amici in Italia e al Campo... ma era ancora più difficile allontanarmi da quei suoi occhi scuri e bagnati dalle lacrime. No, non volevo lasciarlo andare, non ora che avevo capito quello che provavo, non ora che avevo finalmente accettato quello che da tempo sapevo di provare. Allungai la mano verso Nico, e lui me la strinse forte: non era come Paul o come Chiara, che volevano darmi forza, Nico non voleva propio lasciarmi andare a morire. Ti prego, non fare così... pensai continuando a guardarlo negli occhi senza riuscire a trattenere le lacrime. Quel suo sguardo addolorato e la sua mano che stringeva forte la mia mi rendevano ancora più difficile andarmene. Ripensai velocemente a quello che avevo scoperto: alla profezia del figlio d’Ade che avrebbe incontrato l’Amore, il modo in cui una volta rivelata la profezia lui era arrossito ed evitava di guardarmi negli occhi…

- Se devo morire tanto vale farlo senza alcun rimpianto – dissi solo e senza aspettare un secondo di più lo baciai. Il tempo sembrò fermarsi, e la sensazione d’angoscia all’idea di morire si placò improvvisamente. Il panico svanì: quello che importava in quel momento era lui, erano le sue labbra morbide, le sue braccia che mi stringevano disperatamente a sé... Sentii il mio cuore alleggerirsi, sentivo il suo respiro e le sue labbra che continuavano a cercare le mie… Quando ci lasciammo, lo guardai negli occhi e ne ebbi la certezza: in quel momento di disperazione, entrambi ancora con il fiato corto, ci sorridemmo imbarazzati. Non sapevo che facce avessero Chiara e Paul: tutto quello che mi importava era Nico. Sì, stavo per andare incontro al suicidio, eppure mi sentivo felice. Felice come non lo ero mai stata in vita mia.

- Giuro che se ne esco viva ne voglio altri mille così – esclamai con un sorriso e senza dargli tempo di rispondere gli diedi le spalle, corsi via, presi la mano di Chiara e mi buttai con lei nell’abisso del Tartaro.

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Da daaaan!!! Sorpresi? Spero di sì. Finalmente il capitolo tanto atteso... sono stra emozionata di poterlo finalmente postare! Però prima devo fare un paio di chiarimenti.
Prima di tutto il fatto che Micah sia traditore. Adesso, non volevo che un altro figlio di Ermes facesse lo stronzo come è già successo nella saga di zio Rick. Però Micah, nella vita reale era un nostro amico e si è realmente comportato come uno stronzo nei confronti di tutti noi. Anzi, per la verità lo è sempre stato, e io lo sapevo anche se volevo pensare il contrario. Per questo volevo fare in modo che tradisse tutti nella storia ma, quando ho iniziato a scriverla, ero veramente tentata a farlo redimere in conlusione: mi sarebbe piaciuto che, a questo punto, noi fossimo stati in grado di farlo ragionare e lui tornasse sui suoi passi, chiedendo scusa. Io in fin dei conti credo nel perdono. Ma dopo dei recenti avvenimenti non credo che potrò mai perdonarlo e non credo nemmeno che la nostra amicizia con lui possa mai tornare come prima. Non entro in ulteriori dettagli perchè non è importante ai fini della storia, ma volevo solo farvi capire il motivo della mia decisione, anche se fino ad ora non è che abbia parlato molto di lui... Ah, sì! Poi il  rancore di Micah nei confronti di Paul. Già da tempo lo pensavo, ma ora sono certa che, nella vita reale, Micah sia geloso marcio di Paul: Paul è una brava persona, è sincero, schietto, non è infantile e sa farsi ben volere molto facilmente, nonostante le malelingue. Micah invece deve fare i salti mortali per farsi notare da tutti, e finisce solo per ridicolizzarsi: se alla gente piace un simile comportamento, io sinceramente lo trovo a dir poco sgradevole, visto che ha 20 anni e non 15. Prima lo sopportavo perchè, beh, gli amici si accettano con i propri pregi e con i propri difetti, ma ultimamente dopo la rottura che tutti noi abbiamo avuto con lui, lo trovo ancora più insopportabile di prima, e questa storia della gelosia è sempre più evidente.

Detto questo, altro punto importante da chiarire: la storia di Caos. So che dal Caos nacquero Gea (la terra), l'Erebo (il buio) e Nyx (la notte). Per questa storia però mi sono adattata alla versione di wikipedia. Mi imamgino che dopo il Caos le prime entità siano state la Terra, il Tartaro e l'Eros, e che poi in seguito siano nati il Buio e la Notte. Quindi per risvegliare il Caos bisogna riunire i suoi primi figli: Terra, Tartaro ed Eros.
Se c'è qualcosa che non è chiaro, vi prego di dirmelo: ho una mente talmente contorta che ho fatto il possibile per spiegare in modo dettagliato e semplice il piano di Micah.
Ora aspetto le vostre recensioni e le vostre impressioni
prima di continuare (sul piano di Micah, sulla profezia che era stata fatta a Nico -eheheh...-, sul bacio -OLE'- e sull'idea per risolvere il tutto), anche perchè il prossimo capitolo è già pronto da postare! :)
A presto,
Calipso

PS:
SPOILER PER QUELLI CHE NON HANNO LETTO MARK OF ATHENA: giuro che mi sono infuriata un sacco quando ho letto che voi-sapete-chi si sono buttati nel Tartaro alla fine del libro. Ho pensato: "Zio Rick, ti uccido! Sono mesi che stavo pensando di far buttare i MIEI personaggi nel Tartaro e tu mi rubi l'idea?!" Quindi anche questo, non prendetelo come una copiatura della storia di zio Rick: E' STATO LUI A COPIARE ME!! *aimè, involontariamente... -.-'*

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Capitolo 12
*** Vado incontro alla morte con un sorriso ***


Vado incontro alla morte con un sorriso

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vado incontro alla morte

con un sorriso

 

M

 

i sono spesso chiesta come fosse morire e il solo pensiero mi toglieva il fiato: mi faceva terrore non essere più in grado di respirare, essere solo un’entità in decomposizione e, con un po’ di fortuna, un ricordo per una generazione di persone amate. La morte mi spaventava a tal punto che, qualsiasi cosa stessi facendo, il tempo sembrava fermarsi, che io fossi sdraiata sul letto a fissare il soffitto o in macchina a guidare.

Un giorno cara, smetterai di respirare diceva il mio cervello. Il tuo corpo si decomporrà e diventerà cenere. Non potrai più agire, non proverai più alcuna sensazione e non conserverai nemmeno i tuoi ricordi, perderai tutto. Ho sempre creduto nell’esistenza di un’anima, ma ero certa che fosse ben distante dall’idea che ne ha ogni essere umano. Anche dopo aver visto le anime dell’Ade, ero certa che provare ad essere come loro fosse tutt’altra cosa che vederli.

Credi di essere abbandonata dalle persone che ami, ogni tanto durante la tua vita? Pensa alla Morte: allora sì che sarai veramente sola, ci sarai solo tu a fare i conti con la tua coscienza terrena.

Immaginavo spesso me stessa da vecchia, la pelle raggrinzita e i capelli bianchi, sola in un letto a notte fonda: immaginavo di svegliarmi all’improvviso per un dolore al petto; tentavo di prendere un respiro per calmarmi, ma quel respiro proprio non riuscivo a farlo: era come se all’improvviso l’aria tentasse in tutti i modi di allontanarsi da me. Annaspavo nel letto senza forze, la vista iniziava a svanire e il color panna della mia stanza sarebbe stata l’ultima cosa che avrei visto… poi per un’ultima volta avrei espirato, e l’ultima cosa della mia vita che avrei sentito sarebbe stato il calore delle mie lacrime lungo le guance. Sola.

Quando sprofondai nel Tartaro tutti quei pensieri presero il sopravvento persino sul dolore fisico; mi sentivo come se mi stessero bruciando viva e allo stesso tempo stessero tentando di tirarmi per le braccia e le gambe in quattro direzioni differenti, ma il pensiero della morte era ancora più doloroso: ero sola nel buio, annaspavo nel vuoto e l’aria si faceva sempre più pesante…

Ricordati chi sei… diceva nella mia mente una voce maschile. Chi stava parlando? Io non ero nessuno, io non avevo una vita. Se non fossi stata così in preda al dolore, mi sarei sorpresa a sentire una voce nella mia testa: non avevo la benché minima idea di cosa fosse una voce. Non avevo idea di cosa fosse il passato, quello che contava realmente era il presente, quello che contava realmente era la morte. Ed era una cosa straziante.

Voglio morire pensai disperata tentando di respirare invano: i miei polmoni urlavano chiedendo ossigeno. Voglio morire ora e subito

Ricordati di me… ricordati della tua vita… continuava a ribadire quella voce, e all’improvviso mi sentii travolta da un altro genere di calore: era qualcosa di dolce, che non avevo mai provato in vita mia ma allo stesso tempo così famigliare. No, forse in realtà l’avevo già provato… forse avevo un passato, forse avevo avuto una vita.

Improvvisamente in tutto quel buio iniziai a vedere: vidi degli occhi scuri e profondi che mi scrutavano fino a leggermi dentro… e mi ricordai di quel sorriso stupido che una volta aveva avuto quel volto guardandomi. Poi mi ricordai che ci eravamo baciati: in pochi secondi rivissi tutta quella marea di emozioni che avevo provato baciandolo e il dolore del Tartaro sembrò nulla a confronto. Sì, mi trovavo nel Tartaro, e la voce maschile che mi aveva parlato era quella di Nico. Mi sembrò di salire, di alzarmi in volo. Dovevo farcela per lui, era lui la ragione che mi spingeva a lottare. Ma non era l’unica. C’era Chiara. Come avevo fatto a dimenticarmi di lei? Mi accorsi solo quando iniziai a riprendere la memoria che ancora ci tenevamo la mano: credevo di essere sola, ma in realtà non lo ero mai stata. Sorrisi, e sentii la sua presa farsi più forte e salda contro la mia: eravamo pronte.

Senza che nemmeno ci dicessimo qualcosa, iniziammo entrambe a trasmettere dal nostro corpo quante più scariche di energia potevamo. Mi sentivo bruciare quasi più di prima, ma questa volta sorridevo: avevo un motivo per non cedere. Grazie ai lampi iniziavo a vedere Chiara di fianco a me: anche lei sorrideva ed emanava scariche elettriche, e nel buio del tartaro illuminato solo dai nostri potenti sprazzi di elettricità, i suoi occhi sembravano essere diventati gialli. Abbassammo lo sguardo e vedemmo per la prima volta un fanciullo con i capelli ricci, con un arco e delle frecce, che teneva una caviglia mia e una di Chiara, come se qualcosa lo stesse tirando giù e noi fossimo la sua unica possibilità di salvarsi: quel putto era certamente Eros e ci sorrideva dal basso, fiducioso in noi. Io e Chiara ci guardammo e, continuando ad emanare scariche di elettricità, ci alzammo in verso l’alto.Era difficile: immaginate di essere in una piscina senza fondo, con una persona attaccata alle vostre caviglie. Questa persona ha dei pesi di almeno trenta chili su ognuna delle sue di caviglie, e immaginatevi se, nel frattempo, una forza invisibile spingesse la vostra testa sempre più sotto… strinsi più forte la mano di Chiara, e delle lacrime di disperazione sgorgarono dai miei occhi.

Puoi farcela! Diceva convinta la voce di Nico nella mia testa. Sono certo che ce la farai a tornare in superficie… tornerai da me, so che ne sei in grado.

Tornare da Nico. Sentire la sua voce calda e suadente con le mie orecchie, vedere il suo sguardo sincero e quelle simpatiche fossette che gli si formavano ogni qualvolta mi rivolgeva un sorriso… il pensiero sembrò darmi più forza, e sembrò veramente che sotto di noi fosse esploso un razzo. Fummo scaraventate letteralmente verso l’alto, e mi vennero i brividi di freddo quando attraversammo la barriera che divideva il Tartaro dal resto dell’Ade. Dopo il lancio, subimmo il pauroso atterraggio: mi misi ad urlare a squarciagola fino a quando non mi spiacciai letteralmente contro una fredda superficie di roccia, perdendo la mano di Chiara e rotolando un paio di volte su me stessa. Col senno di poi, pensai che avrei potuto rimanere sospesa a mezz'aria, ma in quel momento era l'ultimo dei miei pensieri.

- Robby! – gridò la voce di Nico, e sentii qualcuno correre. Rimasi a terra, dolorante, con gli occhi chiusi e il corpo che si muoveva senza volerlo, come dopo essere stati colpiti da una forte scarica elettrica, solo che a me non era quella che faceva male.

- Z-z-z-z… zto bee-ee-eene… - balbettai battendo i denti ad occhi ancora chiusi: la mascella mi si muoveva su e giù involontariamente, e il mio corpo teso sulla roccia tremava rigido senza volerlo.

- Siete vive! – esclamò la voce di Paul entusiasta.

Ci volle un bel po’ prima che potessi essere in grado di aprire gli occhi. Eravamo dove prima stavamo combattendo contro Micah e Alexa, io e Chiara eravamo sdraiate per terra, Nico teneva la mia mano, Paul quella di Chiara. Quando incontrai lo sguardo di mia sorella, entrambe sorridemmo: ce l’avevamo fatta. Nessuno delle due avrebbe creduto di sopravvivere ad un salto nel Tartaro. Eppure c’eravamo. E il bruciore che ci perforava il corpo non era nulla di fronte alla gioia di essere ancora vive, di non essere morte. Alzai lo sguardo verso il soffitto, e vidi per un’ultima volta Eros: il piccolo ragazzino alato ci fece l’occhiolino, dopo di che volò via e si dissolse, emanando per tutto il Tartaro un piacevole odore di rose e fiordaliso.

All’improvviso sentimmo un forte rumore, come qualcosa che scoppiava in tutto l’Ade, e l’ambiente si fece un po’ più luminoso.

- C-cheeee è su-uu-cc-cezz--zo?! – balbettò Chiara preoccupata: la sua mascella continuava a fare su e giù, nonostante il corpo non fosse più rigido come prima.

- Quei due sono scappati! – esclamò Paul. – Micah e Alexa! Devono essersi ripresi e essersela data a gambe mentre noi eravamo occupati con Robby e Chiara! –

Mi misi a sedere per vedere con i miei occhi, ma ebbi appena il tempo di constatare che non c’era veramente nessuno oltre a noi quattro prima di lasciarmi andare ancora indietro, troppo debole per  rimanere seduta. Nico si affrettò a sostenermi la testa e mi chiese preoccupato: - Hey! Come stai, tutto bene? –

Oddio, mi sorrideva. Quel sorriso che avevo tanto pregato di rivedere era di fronte a me. Gli sorrisi, sentendo il cuore in gola e le lacrime agli occhi, e annuii stringendogli ancora più forte la mano che mi teneva.

- Sì, se ne sono andati. – disse una voce gelida dal tunnel dal quale eravamo arrivati. Piegai la testa, e vidi Ade in piedi di fronte a noi: le sue vesti di seta nere emanavano un potere che non avrei mai potuto immaginarmi, e sul suo volto pallido e sicuro, ora si poteva leggere un ghigno soddisfatto. – Ho ripreso i miei poteri nel momento in cui hanno oltrepassato le porte dell’Ade. -

Di fianco a lui c’era Persefone: era quasi irriconoscibile ora, i capelli neri, lucidi, raccolti in un’elegante treccia sulla sua spalla sinistra, gli occhi grandi, castani e accesi, e un vestito colorato che le lasciava scoperte le spalle, mostrando una carnagione olivastra. Dietro di lei e attorno all’orlo del suo vestito che toccava terra, spuntavano mille fiori colorati.

- Che è successo? - domandò Chiara. - Come abbiamo fatto ad uscirne vive? -

Ade alzò le spalle. - Potrei darvi mille ipotesi, ma ad essere sincero non ne ho la minima idea: non è mai successo che qualcuno si buttasse nel Tartaro e ne uscisse vivo. -

- Marito mio, credo sia l’ora di andare per questi ragazzi… - lo interruppe dolcemente Persefone, sfiorando con una mano il braccio del marito. Questo guardò la moglie e sul suo volto apparve un sorriso. Era stranissimo vedere Ade sorridere: nonostante nei suoi occhi si vedessero ancora morte e dolore, le sue labbra si alzarono verso l’alto, mostrando delle fossette identiche a quelle di Nico. Trattenni un sorriso di fronte a quella scena: Ade poteva essere un dio crudele, ma si vedeva che amava la sua sposa ed era contento che lei ora stesse bene.

- E credo che sia l’ora di andare pure per me… - aggiunse Persefone. Il sorriso di Ade s’inclinò, e il dio dei morti sospirò.

- La primavera è iniziata già da parecchio in superficie, mia madre starà dando di matto non vedendomi arrivare, avrà già fatto appassire tutti i campi del Paese… -

Ade annuì e disse mestamente: - Ci pensi tu ad accompagnare i ragazzi nella terra dei vivi? –

Persefone annuì con un sorriso dicendo: - Le due cacciatrici che ho trovato prive di sensi di là le ho già riportate da Artemide… -

Dopo di che si avvicinò a me, Nico, Chiara, Paul e Talia, che ancora era a terra priva di sensi, s’inginocchiò in mezzo a noi, poi si rivolse al marito e disse accigliata: - Caro… non dimentichi qualcosa? –

Ade corrugò la fronte, preso alla sprovvista.

- Non credo… vuoi il bacio d’arrivederci al prossimo autunno? – domandò. Vidi Nico ridacchiare.

- No, tesoro… - ribatté Persefone pazientemente. – Dovresti ringraziare questi ragazzi per quello che hanno fatto… e anche se non mi piace avere a che fare con dei figli tuoi… - lanciò un’occhiata ostile a Nico. - …credo che tu debba ringraziare in particolare lui. E’ la seconda volta che ti aiuta, dovresti veramente dargli più credito: anche se non è figlio mio, è proprio un bravo ragazzo. –

Nico arrossì e abbassò la testa. Ade si guardò i piedi, scuro in volto.

- Non sono tanto un tipo da cerimonie… - borbottò il dio contrariato. – Beh… grazie a tutti. Ringraziate le cacciatrici da parte mia. Grazie a te, figlio di Apollo… e gra-grazie anche a voi figlie di Zeus. – si vedeva che gli costava molto ringraziare le figlie del fratello che odiava più di tutti. – Non vi farò fuori per essere entrati nel mio territorio perché mi siete stati molto utili… - aggiunse in un debole tentativo di elevare la propria autorità; dopo di che guardò Nico negli occhi e, lasciando da parte l’orgoglio e la testardaggine, disse sinceramente: - E grazie, figlio mio. Non ho mai abbastanza fiducia in te, eppure anche questa volta mi hai fatto ricredere. -

Nico sembrava imbarazzato come non mai, ma gli si leggeva in volto che i complimenti del padre gli facevano piacere.

- Ed ora è tempo di tornare a vedere la luce del sole! – disse allegramente Persefone; questa alzò lo sguardo, guardò il marito e sorridendogli dolcemente disse: - Ci vediamo in autunno, mio sposo… - dopo di che fummo tutti risucchiati in un vortice pieno di colori e forme che non si riuscivano a distinguere: sembrava di essere entrati in una dimensione psichedelica, tanto che dovetti chiudere gli occhi per non vomitare.

Finalmente sentii il vento sulla mia pelle e il caos della città attorno e capii che eravamo arrivati in superficie.

- Talia! – esclamò un mucchio di voci femminili. Aprii gli occhi e vidi che ci trovavamo il gruppo di cacciatrici correrci incontro, campeggiate da Artemide, che aveva il volto preoccupato. Eravamo su una spiaggia piccola e deserta, doveva essere tardo pomeriggio, e non sembravano esserci altre persone in zona.

- Dove sono Luna e Martha? – domandai ansiosa alla dea.

- Alcune mie cacciatrice si stanno prendendo cura di loro in questo momento… - rispose Artemide, inginocchiandosi e appoggiando il dorso della mano sulla fronte di Talia. Questa alzò il petto, come se fosse un riflesso involontario, dopo di che riaprì gli occhi.

- Mia signora… - balbettò lei.

- Sei stata molto coraggiosa, mia luogotenente. – le disse dolcemente Artemide. – Così come lo sono state anche Luna e Martha. Avete combattuto con tutte le vostre forze e mi avete reso onore. Ve ne sono grata. –

Sembrava di vedere una madre con la propria figlia, e sorrisi di fronte a quella scena.

Artemide poi guardò me e Chiara con uno sguardo a dir poco enigmatico, e ci domandò soltanto: - Riuscite ad alzarvi? –

Io e mia sorella annuimmo e, mentre Nico aiutò me ad alzarmi, Paul aiutò Chiara.

Artemide a questo punto alzò lo sguardo verso Persefone e disse: - Grazie, Persefone per aver riportato da me le mie cacciatrici. E grazie per aver accompagnato qui anche questi quattro ragazzi. –

Persefone scosse la testa con un sorriso.

- Nessun ringraziamento: mi fa sempre piacere avere a che fare con i vivi e aiutare degli eroi che si meritano di essere aiutati… - disse la regina dei morti.

- Figlia mia! – strillò una voce e, prima che potessimo prevederlo, s’iniziò ad intravedere una fortissima luce.

- Chiudete gli occhi, mezzosangue! – ci avvertì Artemide. Tutti quanti chiudemmo gli occhi, e quando sentimmo che la luce si era dissolta, li riaprimmo, e ritrovammo Persefone stretta in un abbraccio da una donna che le somigliava molto, solo più anziana: quella era sicuramente Demetra.

- Figliola mia! Finalmente sei tornata! – gridò Demetra in lacrime, continuando ad accarezzare la testa della figlia. – Quello sciagurato di mio fratello e genero ti ha costretta a rimanere giù più del previsto! Questi non erano i patti! Oh, tesoro mio, quanto mi sei mancata! Non tornerai più in quell’orrido posto, mi appellerò a Zeus stesso se è necessario… -

Persefone sospirò con un sorriso e, allontanando Demetra da sé, disse: - Madre, non è colpa di mio marito se sono stata nell’Oltretomba fino ad ora… avrò modo di raccontarti tutto con calma, credimi… ora è meglio che ce ne andiamo: non vorrai sprecare il tempo della primavera e dell’estate a discutere con me, spero! –

- No, no, certo che no! – fece la donna, asciugandosi le lacrime. – Bene, andiamo! -

Chiudemmo di nuovo gli occhi, apparve di nuovo un lampo di luce, e quando li riaprimmo, Demetra e Persefone se n’erano andate, e al posto loro di fronte a noi c’era una Maserati.

Dalla macchina uscì una figura bionda, alta, dal fisico atletico e dal sorriso sicuro…

Oddio… pensai, e sbiancai immediatamente vedendo che quella figura era Apollo.

- Sorellina! – esclamò rivolto ad Artemide. – Visto? Mi hai chiamato per un passaggio e sono subito arrivato! -

Artemide sospirò e disse: - Grazie, Apollo… credo che per le mie ragazze e per questi quattro eroi non sia il caso di andare fino all'Olimpo a piedi... - dal suo tono di voce sembrava che chiedere un passaggio al fratello le fosse costato molto, e che ne avrebbe fatto a meno volentieri.

- P-padre…! – esclamò Paul immobilizzandosi. Apollo sembrò accorgersi di lui solo in quel momento, o forse l’aveva fatto apposta per creare un po’ di suspense. Fatto sta che non appena Apollo e Paul si guardarono negli occhi, Apollo sorrise e avvicinandosi spavaldo al figlio, lo abbracciò.

- Figlio mio! – esclamò il dio, e Paul sembrò diventare di tutti i colori. – So che non è stato facile aspettare così tanto tempo per avere l’opportunità di mostrare la tua audacia, ma credimi, io sono fiero di te. –

- Hem… Apollo? – lo richiamò Artemide.

- Sì, sorellina? – rispose Apollo, con un enorme sorriso, guardando Artemide.

- Il sole qui dovrebbe tramontare, dovresti darti una mossa… e smetterla al più presto di chiamarmi sorellina! – rispose la dea minacciosa.

Apollo ridacchiò e dirigendosi verso l’auto commentò: - Certo… sorellina! –

Il dio tolse dalle tasche le chiavi, premette un pulsante e la macchina s’illuminò, trasformandosi in un minibus.

- Vi avviso però che anche se sarà più breve che utilizzare altri mezzi di trasporto, dovremo fare il giro lungo. – ci avvisò Apollo. – Qui si viaggia solo da est verso ovest. -

Le cacciatrici si sedettero tutte indietro, il più lontano possibile da Apollo, ma questo sembrò non prendersela troppo. Tra queste notai Martha e Luna, la prima con ferite profonde sul volto, la seconda con le stampelle ed entrambe con l’aria affaticata. Quando incrociarono il nostro sguardo, ci sorrisero e ci salutarono con la mano.

Talia e Artemide si sedettero in prima fila, di fronte alla porta d’uscita. Dietro di loro si sedettero Chiara e Paul, mentre io e Nico dovemmo sederci dietro al conducente. Per tutto il tempo avevo cercato di evitare di incrociare lo sguardo di Apollo, ma ora che poteva tenermi d’occhio dallo specchietto retrovisore, sentivo il suo sguardo pesante su di me.

- Robby, stai bene? – mi chiese Nico, stringendomi la mano mentre l’autobus si alzava in volo. – Sei sbiancata all’improvviso… -

- Un po’ come Talia… - commentò Paul. Mi voltai a guardare Talia, e vidi che anche lei era pallida come un cecio, ma oltre a quello sembrava stare male anche fisicamente: si teneva la testa con le mani e guardava le sue gambe con la faccia di una persona che stava per vomitare.

- Guarda che questa volta non ti faccio mica guidare… - disse Apollo rivolgendosi a Talia e alzandosi ancora di più.

- Che ha, sta ancora male? – chiese Chiara.

- Certo, ha paura delle altezze! – rispose subito Apollo.

- Una figlia di Zeus che ha paura delle altezze?! – fece Paul, e scoppiò a ridere. Talia, sebbene stesse male, lanciò a Paul un’occhiata malefica. 

- Non avevi paura pure te delle altezze, Paul? - gli domandò Nico, ricordandosi di quando avevamo volato a causa mia per la prima volta.

- Volare senza una protezione è un altro conto - specificò Paul. - Ma non ho paura dei grattacieli o degli aerei... -

Artemide sbatté furiosa una mano sul sedile dell’autobus e guardò furente suo fratello.

- Non hai il diritto di rivelare al mondo le debolezze delle mie cacciatrici! – sbottò la dea.

Apollo alzò le spalle e disse: - Scusami, dai! Per tutto questo tempo in cui l’Ade è stato inaccessibile, non sono riuscito a fare bene le mie profezie, non sai che disperazione… ora che non ho più la vista annebbiata lasciami parlare a ruota libera, per favore! –

- Sì, peccato che invece il cervello invece continui ad essere annebbiato… - borbottò Artemide tra i denti. Chiara e Nico ridacchiarono, io invece continuai a guardare le mie ginocchia, preoccupata. Ad un certo punto però commisi l’errore di alzare lo sguardo, e incrociai nello specchietto lo sguardo di Apollo, che mi fece subito l’occhiolino.

- Credevi che mi fossi dimenticato di te, Robby? Che dici, dall’ultima volta hai fatto un pensierino riguardo alla mia proposta? – mi domandò. Io tornai a guardare per terra, con il sangue che mi pulsava nelle orecchie, e lasciai andare la mano di Nico, senza avere il coraggio di guardare in faccia nemmeno lui.

- Ultima volta?! – ripeté Paul. – Voi due vi siete già incontrati?! –

Avrei voluto seppellirmi dalla vergogna. Mi coprì il volto con le mani pur di non vedere gli occhi di tutti su di me.

- Certo che ci siamo incontrati! – rispose Apollo allegro. – Anche se questa è la prima volta che ci incontriamo di persona… -

- Di cosa sta parlando? – chiese Nico rivolgendosi ad Apollo.

No! Pensai disperata. Ti prego, no, Nico non ne deve sapere nulla, ti prego, ti prego!

- Io… - iniziò Apollo, ma io presi il respiro e prima che dicesse altro lo interruppi e, guardandolo dallo specchietto gli dissi: - Che ne dice se ne parliamo dopo, divino Apollo? -

- Certo! – fece il dio allegramente. – Solo se inizi ad essere meno formale con me. –

Se fosse stato un ragazzo normale l’avrei fulminato con lo sguardo, ma in quel caso proprio non ci riuscivo.

- Come vuoi… Apollo… - borbottai tra i denti.

Apollo sorrise soddisfatto guardando il cielo, ed iniziò a canticchiare.

Con la coda nell’occhio, vidi Nico lanciare ad Apollo uno sguardo truce. No, non poteva aver capito quello che era successo…

- Vi conviene riposarvi, ragazzi… - disse Artemide. – Il viaggio è lungo, e avete faticato tanto oggi… -

Quasi come se le sue parole fossero sonnifero, i miei occhi iniziarono a chiudersi, e mi addormentai con uno sbadiglio, senza ulteriori pensieri.

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Beh, non c'è da sorprendersi che io non sia morta nella storia: figurati se faccio morire la protagonista, specialemente considerando che la protagonista sono io! xD
La risposta al perchè io e Chiara siamo sopravvissute la riceverete quando arriveremo all'Olimpo: dovrete pazientare ancora per poco.
Detto questo, forse una cosa vi risulterà chiara: Micah e Alexa se la sono data a gambe, quindi... ebbene sì, questa storia avrà un seguito! Non possiamo di certo lasciare quei due a ruota libera... E preparatevi perchè ci sarà l'entrata in scena di una nuova piccola ma potente mezzosangue... credo che mi divertirò a scrivere il seguito esattamente come mi sono divertita a scrivere questo racconto! Ma è ancora presto per parlarne visto che mancano ancora due capitoli alla conclusione di questa storia (un capitolo finale più uno a "sorpresa" se così vogliamo chiamarlo). Ormai ci siamo, è quasi finito!
Ne ho parlato con i miei amici e non vedono realmente l'ora di leggere questa storia! Mi vergognerò a morte, ma come ho già detto ad alcuni, credo che sarà il mio regalo di Natale per loro. Quindi per fine novembre al massimo questa storia sarà conclusa, e impiegherò i primi giorni di dicembre per dare le dovute correzioni (anche per una più facile comprensione visto che i miei amici non hanno letto Percy Jackson).
Alla prossima,
Calipso

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Capitolo 13
*** E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio ***


E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio

 

 

 

 

 

 

 

 

13

E’ tempo delle

decisioni difficili,

ma non è un addio.

 

F

 

ui svegliata parecchie ore dopo da delle voci. Però io non volevo aprire gli occhi: mi sentivo ancora così stanca…

- Robby… - fece una voce maschile. Aprii gli occhi e mi accorsi di essermi addormentata sulla spalla di Nico. Mi spostai di scatto, con il cuore in gola ed esclamai: - Scusa, non volevo…! -

- Perché ti devi scusare? – chiese lui ridendo, per niente infastidito. Presi un respiro e, vedendo che tutti stavano scendendo dall’autobus, mi alzai e scesi anch’io.

Ci trovavamo a New York, esattamente sotto l’Empire State Building.

- Metto il pilota automatico… - disse Apollo e, dopo aver premuto un pulsante sulle chiavi, l’auto si alzò in volo da sola. – Almeno posso stare al consiglio senza problemi… -

- Di che consiglio sta parlando? – domandai a bassa voce a Paul, che era quello più vicino a me.

- Del consiglio degli dei… - bisbigliò lui in riposta. – Durante il viaggio è stato contattato dall’Olimpo: anche se Artemide e Apollo già se l’aspettavano, gli altri dei vogliono un consiglio straordinario per parlare di tutto quello che è successo, e vogliono anche la nostra presenza. –

Deglutii nervosa: avremmo incontrato tutti gli dei al completo, e stavamo andando sull’Olimpo, anche se l’Empire State Building era l’ultimo edificio che mi sarei aspettata come Olimpo. Salimmo  nell’ascensore e, stranamente, ci stavamo tutti, anche se eravamo in un bel po’ di gente. Quando arrivammo in cima le porte si aprirono rimasi a bocca aperta: ci trovavamo davanti ad una città dell’Antica Grecia sospesa tra le nuvole sopra Manhattan. Portici e colonnati bianchi, ulivi rigogliosi e fuochi accesi abbellivano e illuminavano la strada verso il palazzo più  alto e più candido di tutta la città. Mentre ci incamminavamo verso quell’edificio, campeggiati da Apollo e Artemide, potei dare un’occhiata alla vita del posto, e mi resi subito conto che non solo gli dei abitavano lassù.

La prima cosa che vidi fu un mucchio di Ninfe del bosco, che uscirono allo scoperto, sospirando alla vista di Apollo; quando queste videro Paul e Nico, iniziarono a darsi a vicenda una gomitata e a scoppiare a ridere. Paul, inizialmente confuso, prese bene questo apprezzamento, tanto che lanciava occhiate ammiccanti a tutte le Ninfe, che si mettevano ad urlare come delle ragazzine al concerto del proprio cantante preferito. Le Ninfe avevano anche visto Nico, ed era certo che lo trovassero affascinante, glie lo leggevo chiaramente in faccia, ma lui andava avanti come se niente fosse: forse non si era accorto della reazione delle Ninfe, o forse non glie ne importava niente. Beh, meglio per me.

Vidi per i giardini dei satiri, degli ambulanti del mercato e delle Naiadi avvicinarsi al sentiero che stavamo percorrendo e inchinarsi ad Apollo e Artemide. Sapevo che l’inchino era per loro e non per noi, ma non potevo fare a meno di sentirmi un po’ vittoriosa, e a stento riuscii a trattenere un sorriso, che si spense subito al pensiero di quello che ci aspettava.

- Che hai? – chiese Nico, prendendomi la mano. – Ti vedo agitata… -

Scossi la testa alzando le spalle, con il risultato che sembrai ancora più agitata di quello che ero.

- E’ che… per la prima volta… incontrerò… Zeus… - dissi con un filo di voce. Ancora una volta non riuscivo a chiamarlo “padre”. Come potevo? Avevo sì combattuto contro Micah e il suo piano per risvegliare Caos, ma non potevo negare di condividere gran parte delle cose che pensava suoi nostri genitori divini.

- Credimi, non sarà peggio che gettarsi nel Tartaro… - mi assicurò lui. Non ne ero affatto convinta.

Ci ritrovammo in un’enorme sala dal soffitto a volta ornato da costellazioni in movimento che ricordavano un poco la mia cabina, solo che l’Olimpo era molto più grande  ed aveva ovviamente un aspetto mille volte più impressionante. Tutto intorno c’erano dodici troni enormi disposti a U, decorati ciascuno in maniera diversa e, quasi a completare un ovale, c’erano altri troni in fase di costruzione. Ogni trono era occupato dagli dei, giganti tanto quanto i loro troni. Solo guardando il braciere scoppiettante al centro della sala riuscii a trovare il coraggio di alzare lo sguardo e guardare gli dei negli occhi.

- Eccoci arrivati! – esclamò allegramente Apollo, mutandosi nelle dimensioni degli altri dei e sedendosi tranquillamente al suo trono.

Io e Chiara non riuscivamo a staccare gli occhi di dosso alla figura che stava davanti a noi: Zeus se ne stava seduto sul suo trono di platino, vestito di tutto punto con un completo gessato di un grigio che ricordava le nuvole piene di pioggia. Mi ero immaginata spesso l’aspetto di mio padre prima e dopo aver scoperto che fosse Zeus, ma nessuna delle mie fantasie si era minimamente avvicinata a com’era Zeus nella realtà. Capelli e barba erano corti, ben tenuti, di un nero appena brizzolato, mentre i suoi occhi erano grigi, e sul suo volto si leggeva un’immensa serietà. Mi sentii il cuore in gola.

- Padre… - disse Talia, facendosi avanti per prima e inchinandosi di fronte a Zeus. Chiara osservò nostra sorella e, preoccupata di aver sbagliato a non essersi inchinata prima, si avvicinò ulteriormente a Zeus e la imitò. Io mi accontentai di incrociare le braccia nervosa e abbassare il capo, in un inchino poco più che accennato.

- Vorrei ringraziare tutti voi mezzosangue per quello che avete fatto nell'Ade. – disse Zeus, e la sua voce spense tutti i sussurri e i borbottii della stanza. - Apollo e Artemide ci hanno già raccontato quello che è successo, ma tutti noi vogliamo sentire la versione dei diretti interessati… -

Io, Chiara, Paul e Nico raccontammo tutto quello che ci era successo (tralasciando la storia del bacio) fino a quando non raccontammo di essere state risputate fuori dal Tartaro.

- Com’è possibile? – domandò a questo punto una delle dee: dai suoi occhi grigi, riflessivi e duri come quelli di Annabeth, capii immediatamente che la dea doveva essere sua madre, Atena. – Tralasciando il fatto che mai nessuno si è buttato nel Tartaro per poi uscirne vivo… il Tartaro richiede un sacrificio e, scusatemi l’insolenza, anche un legame come quelle tra due gemelle figlie del Padre degli dei mi sembra alquanto debole: ricordiamoci che le due, nonostante il loro legame empatico, non si sono mai conosciute di persona fino a ieri. -

Atena aveva ragione, e nessuno degli dei sapeva dare una spiegazione ragionevole.

- Io… credo di avere un’idea. – disse Chiara all’improvviso. Tutti gli occhi si puntarono su di lei, ma questa non abbassò lo sguardo, anzi, lo tenne alto su tutti gli dei. – Credo che… sia solo un’ipotesi, non potrei dare delle certezze. Non so di preciso cosa abbia provato Robby, ma il legame che ci unisce ha iniziato ad esserci utile solo dopo aver superato il dolore mortale del Tartaro. C’è stato qualcosa di ancora più forte che ci ha dato la forza di continuare a vivere là dentro, ed è stato prima di tutto quello a salvarci. -

- Di cosa si tratta? – domandò Atena attenta.

- Io… parlo dal mio punto di vista. – continuò Chiara. - Quando mi sono buttata nel Tartaro, credevo veramente di morire, anzi no… io avrei voluto morire subito per dar fine alle mie sofferenze. Non avevo ricordi, non sapevo chi fossi o cosa significasse vivere… poi ho sentito come una voce nella mia testa… che poi è arrivata dritta al mio cuore, facendo diventare il dolore lancinante solo una sciocchezza. – alzò lo sguardo decisa verso Artemide e disse: - Io ho sentito la vostra voce, divina Artemide. So bene che a voi dei non era concesso entrare nell’Ade… ma vedendo Talia combattere contro Alexa, la figlia di Afrodite, è scattato qualcosa in me, come una fiamma, ed è stato quello che mi ha salvata nel Tartaro, riportandomi la lucidità di sfruttare il legame che ho con Robby. Anche se forse non è il momento adeguato, mi sento in dovere di chiedervelo subito… vorrei unirmi alla cacciatrici e diventare una vostra ancella, divina Artemide. -

Gli dei iniziarono a parlottare agitati di fronte a quella svolta, ma Artemide sorrise dolcemente verso Chiara, poi rivolse il suo sguardo verso di me dicendo: - La prima volta che ti ho incontrata, Robby, ero certa che saresti diventata una mia cacciatrice: me lo sentivo che c’era una parte di te che era destinata a seguirmi; devo ammettere che sono rimasta sbalordita quando ho notato che non eri molto convinta della mia proposta… ma ora so il perché: è sempre stata tua sorella ad essere destinata a diventare una mia ancella. Ovviamente, se vorrai far parte anche tu delle mie cacciatrici, non ho nulla da obbiettare. – aggiunse poi, evitando qualsiasi scortesia.

Sorrisi alla dea, scuotendo la testa.

- Vi ringrazio per la proposta, ma credo che rimanere per sempre una ventenne non sia il mio grande sogno… - le dissi gentilmente, e Artemide mi lanciò un sorriso del tipo “dovevo aspettarmelo”.

- Padre… - disse Chiara rivolgendosi a Zeus. – Prima di promettere fedeltà ad Artemide, chiedo la vostra benedizione per questa mia scelta. –

Zeus sospirò nostalgico e, rivolgendosi ad Artemide brontolò: - Prima Talia, poi Chiara… Mi stai rubando tutte le figlie, te ne rendi conto? – la dea si limitò a sorridere come se sapesse che alla fine Zeus non avrebbe avuto nulla in contrario. Il dio sospirò di nuovo e disse: - Se è una scelta consapevole, Chiara, certo che ti do la mia benedizione. –

Chiara allora si voltò con un sorriso verso di me; di certo ero felice che non fossi io a diventare cacciatrice, ma sapevo che questa scelta ci avrebbe separate.

- Ne sei sicura? – le chiesi mordendomi un labbro incerta. – Voglio dire… niente ragazzi per tutta la vita? -

Lei mi sorrise e alzando le spalle disse: - Sento che è questa la mia strada, e so per certo che è molto più quello che il mio cuore guadagna di quello che perdo. – poi continuando a leggere la preoccupazione nei miei occhi aggiunse: - Ascolta, so che questo non ci permetterà di stare vicine, ed è un peccato visto che ci siamo incontrate solo dopo vent’anni… ma so per certo che lo sai anche tu: ovunque andò, riuscirò ad essere sempre con te; essere lontane fisicamente non significa esserlo anche con il cuore, e sappi che il mio giuramento ad Artemide non m’impedirà di essere una buona amica, oltre che tua sorella. –

Di fronte a quelle parole mi sentii sciogliere: le lacrime fecero capolino e, senza pensarci un secondo di più, mi ritrovai ad abbracciarla forte. Era incredibile, anche se ci eravamo ritrovate da così poco, rendersi conto di quanto ognuna fosse importante per l’altra, ed era altrettanto incredibile come i nostri cuori fossero pronti ad accettare quella separazione.

Quando sciolsi l’abbraccio, ci guardammo in faccia, e scoppiammo a ridere vedendo che tutte e due stavamo piangendo. Ci asciugammo velocemente le lacrime, dopo di che Chiara si voltò decisa verso Artemide.

- Ripeti dopo di me… - le disse Artemide.

- Non c’è bisogno. – disse Chiara. – Dentro di me so già cosa devo fare… - si inginocchiò di fronte alla dea e recitò guardandola negli occhi: - Consacro me stessa alla dea Artemide. Volgo le spalle alla compagnia degli uomini, accetto la fanciullezza eterna e mi unisco alle Cacciatrici. –

Artemide sorrise e disse: - Accetto questo voto. –

Il braciere al centro della stanza tremò, e Chiara si alzò con un sorriso: sembrava la stessa di sempre, ma si vedeva che sul suo volto c’era una serenità incredibile e che quella era stata certamente la scelta giusta per lei.

- Rimane un altro problema… - prese parola nuovamente Atena. – Quei due ragazzi figli di Ermes e di Afrodite… converrete con me che sono pericolosi e vanno fermati: non possiamo lasciarli a piede libero… Se erano pronti a morire per risvegliare Caos, saranno pronti a ben altro pur di raggiungere i loro scopi. -

Tutti gli dei iniziarono a parlottare tra di loro, solamente due guardavano taciturni per terra, lo sguardo perso nel vuoto: erano Ermes e Afrodite che, probabilmente, stavano pensando ai loro figli.

- Certo che non possiamo lasciar cadere questa questione nel nulla – intervenne Zeus richiamando il silenzio. – Dirò a Chirone di dare ai mezzosangue del Campo il compito di ritrovare quei due e di portarli qui da noi sull’Olimpo. Per ora non credo che potremmo fare altro… -

L’assemblea si sciolse, e Apollo, dopo essere tornato di dimensioni umane, mi si avvicinò con un sorriso.

- Che ne dici di fare un giretto qua intorno da soli, così possiamo parlare un po’, eh? – mi chiese con aria complice. Tutti erano impegnati a parlare con qualcuno, quindi fu facile andare in un angolo della sala a parlare con Apollo.

- Ascolta, non credo che… - iniziai, ma lui subito m’interruppe: - Hey, sono il dio della profezia! Credi che non sappia che tu hai intenzione di scaricarmi? –

Rimasi a bocca aperta, sentendomi le guance leggermente accaldate.

- E a-allora perché non hai evitato di apparirmi in sogno?! – feci agitata. – Mi avresti risparmiato un sacco di problemi… -

Lui sorrise smagliante e facendomi l’occhiolino disse: - Per lo meno sono contento di averti fatto venire dei dubbi… vuol dire che in fin dei conti non sei del tutto indifferente al mio fascino… - quando vide che ero arrossita talmente tanto da non riuscire a rispondere, lui aggiunse: - Credo di aver agito in modo egoistico, e ora che ci penso lo faccio praticamente con tutte le ragazza… però che ti devo dire? Mi piaci, e quando tu ancora non avevi fatto una scelta, ho pensato di avere una possibilità… -

Spostò lo sguardo alle nuvole che si muovevano nel cielo calmo e azzurro.

- Essere il dio delle profezie non vuol dire necessariamente sapere tutto. – disse continuando ad osservare il cielo. - Il futuro è condizionato dalle scelte che ognuno percorre, e quando si tratta di ascoltare i propri sentimenti e il proprio cuore, il futuro è ancora più difficile da decifrare. – Spostò lo sguardo su di me e sorrise.

Sapevo dal principio che non avrei mai accettato la proposta di Apollo, sapevo per certo che diventare sua moglie non era quello che volevo, ma quel bacio mi aveva lasciata talmente interdetta da riempirmi di dubbi. Apollo nella mia testa era sempre stato il mio dio preferito: era sempre descritto in maniera affascinante, e di certo nella realtà non aveva distrutto le mie fantasie… era come quando, da adolescenti, si sogna di incontrare il proprio attore preferito, ma è ben diverso incontrarlo realmente. Inoltre una vita sull’Olimpo non era quello che desideravo. Non desideravo un “e vissero per sempre felici e contenti”, desideravo semplicemente vivere la vita come mi era stata data. Quello lo sapevo dall’inizio, ma credo di averlo capito veramente quando mi sono accorta di provare qualcosa di serio per Nico: il bacio che avevo dato a lui mi aveva fatto emozionare ancora di più del sapore di miele e d’ambrosia delle labbra di Apollo.

- So cosa ti ha schiarito le idee… - commentò Apollo facendomi l’occhiolino e indicando Nico con la testa. Mi sentii le guance di fuoco, e sperai che Nico fosse troppo impegnato a parlare con Talia per notare quello di cui io e Apollo stavamo discutendo. – Sai che ti dico? Anche se tu una scelta l’hai fatta, non credo che mi arrenderò tanto presto, con te… te l’ho detto che voglio diventare un dio serio, no? -

Evitai di dirgli in faccia che la parola dio e l’aggettivo serio non andavano proprio a braccetto, quando si trattava di relazioni d’amore. Potevo credere realmente che un dio fosse in grado di cambiare dopo tutti questi secoli? Non che la cosa mi interessasse troppo, visto che ormai avevo chiari i miei sentimenti…

- Beh, credo che papà voglia parlarti, quindi per ora ti lascio a lui… - disse appoggiando una mano sulla mia spalla con fare amichevole. Iniziò ad allontanarsi, ma prima che potesse essere troppo lontano si voltò nuovamente verso di me e, quasi si fosse scordato di dirmelo prima, mi disse: - E non preoccuparti per il futuro: qualsiasi scelta farai una volta scesa dall’Olimpo, sappi che tutti l’accetteranno… - dopo di che mi salutò ancora con un grande sorriso e si allontanò del tutto.

Sapevo a cosa si riferiva, ma non avevo ancora fatto una scelta… oltretutto, in quel momento avevo un problema ancora più importante: Zeus si stava avvicinando a me dopo aver finito di parlare con Chiara. Il dio era di dimensioni umane, e nel suo sguardo non c’era un sorriso paterno, il che da un certo punto era veramente una cosa positiva, perché se solo l’avessi visto avvicinarsi verso di me con un sorriso, avrei iniziato ad urlare il mio disprezzo nei suoi confronti.

- Roberta… - disse una volta che fummo l’uno di fronte all’altra.

Abbassai la testa in un inchino appena accennato, esattamente come avevo fatto quando eravamo entrati tutti nell’enorme sala.

- Divino Zeus… - dissi freddamente. Lo sentii sospirare.

- Tua sorella ha avuto una reazione del tutto diversa dalla tua… - disse con voce calma. Mi parlò in italiano, ma le mie emozioni non mi diedero modo di sorprendermi troppo. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi: sapevo che se l’avessi fatto avrei riversato su di lui tutta la mia rabbia.

- Beh, a quanto pare è una fortuna che almeno una delle vostre figlie non si senta usata per il vostro egoismo… - sbottai in italiano, ostinandomi a guardare per terra.

- Egoismo? Roberta, io ti ho riconosciuta anni fa… - mi ricordò.

- Sì, ma a quanto pare vostra altezza non si è dato la briga di spiegare che diamine era quel segno! – esclamai arrabbiata. – No, ho dovuto sentirmi dare della matta da tutti, mai una volta che abbia sentito la vostra presenza… solo quando servivo avete deciso di ricongiungermi a Chiara e di farmi quindi scoprire veramente le mie origini. –

Zeus sospirò.

- Non pretendo che tu capisca… - disse il dio. – Tenere lontani i miei figli dalla loro stessa realtà sarebbe la soluzione migliore… se tu fossi venuta in America molto prima, la tua vita sarebbe stata ancora più difficile, credimi… - incrociò le braccia e guardò il cielo nostalgico. – Noi dei siamo costretti ad abbandonare i nostri figli: se passiamo troppo tempo con gli umani finiremmo per cessare d’esistere… tu cosa faresti al posto mio? –

- Magari eviterei di mettere piede sulla terra per sfornare figli! – esclamai e per la prima volta da quando parlavamo insieme, lo guardai negli occhi: guardandoli da vicino notai che non erano solo grigi, ma raggiungevano delle sfumature di un azzurro scuro, esattamente come i miei.

- Credevo che quest’impresa ti avesse insegnato cosa vuol dire amare una persona… - mi disse Zeus.

- Peccato che io sia contro le relazioni extra coniugali... - ribattei senza pietà. Lessi in Zeus uno sguardo accusatorio nei miei confronti, e sentii i sensi di colpa divorarmi lo stomaco: forse stavo esagerando, potevo veramente capire come si sentivano gli dei?

- Se non fossi mia figlia, credo che piaceresti molto ad Era… - commentò lui, senza fare commenti negativi sulla mia impertinenza. – Forse anche perché somigli a me molto più di quanto non credi. Sei testarda, ostinata, caparbia e cerchi sempre di affrontare i problemi con le tue sole forze, anche quando non ti sembra di esserne in grado. Chiara invece sembra molto di più a vostra madre – improvvisamente ogni rancore nei suoi confronti si fece da parte: da quando avevo saputo chi fosse mio padre, mai avrei pensato di ritrovarmi a parlare con lui di mia madre. – Era una donna dolce, semplice e gentile con il prossimo. Quando prendeva una decisione, però, nessuno poteva fermarla, era irremovibile… -

Aprii la bocca, ma non riuscivo a pronunciare nemmeno una parola.

- Lei… c-che… fine a fatto? – domandai in un sussurro, con il cuore in gola. Il volto di Zeus si rabbuiò.

- E’ morta dandovi alla luce. – rispose. – Io… non ho idea di cosa si provi a morire, ma devi credermi quando dico che una parte di me è morta con lei, quella notte. – sembrava sincero mentre mi raccontava tutto questo.

- Quindi sei stato tu ad abbandonare me e Chiara in due differenti orfanotrofi? – gli chiesi. I suoi occhi incontrarono i miei, addolorati dalle mie parole e dai ricordi di mia madre.

- Credi veramente che vi abbia abbandonate? – chiese lui. – Pensa in che famiglia sei finita, pensa in che paese vivi la tua vita… -

- Beh, abito in un piccolo paese del nord Italia… - riflettei.

- Che al tempo dei romani… - continuò lui, facendomi cenno con la mano di andare avanti a ragionare.

- …ospitava uno dei più importanti templi di Giove del territorio. – continuai io con un filo di voce. Zeus annuì.

- Per noi dei stare vicino ai nostri figli è complicato, ma non impossibile come pensano persone come quel Micah… - disse Zeus. – Non possiamo starvi vicini fisicamente, ma siamo sempre con voi in ogni momento di difficoltà. Sai, ora la società ruota intorno agli Stati Uniti, perciò anche l’Olimpo si è stabilito qua; è quindi ancora più difficile stare vicino ai nostri figli che vivono lontano da qui e il legame che ha il luogo in cui vivi con la mia figura mi ha sempre dato modo di starti vicino nonostante tutto e, credimi, so che hai affrontato molti problemi… Ma so anche che hai una fantastica famiglia che ti vuole bene, ed è questo ciò che conta. – si schiarì la voce, per riprendersi da tutta quella valanga di emozioni che probabilmente non si addicevano al padre degli dei. – Con questo voglio dirti che non ho pretese su di te… sarei uno stupido a importi di chiamarmi “padre” se non te la senti, ma vorrei che ti soffermassi a riflettere sui pregiudizi che so che nutri verso tutti noi dei: credi veramente che siano giusti? O ti limiti a giudicare solamente i nostri errori? –

Non mi aspettavo un discorso così incredibilmente serio con Zeus. Non sapevo cosa dire. In effetti mi ero sempre limitata a guardare l’intera situazione esclusivamente dal mio punto di vista. Non mi ero mai abbassata al punto di tentare di comprendere le responsabilità di un dio, giudicavo con freddezza la loro lontananza… ma dopo aver sentito Zeus parlare in quel modo della donna che mi aveva messa al mondo, non potevo non pensare che anche gli dei avessero dei veri sentimenti e che quindi, di tanto in tanto, anche loro erano in qualche modo umani, al punto da commettere degli sbagli.

- Forse è vero… - dissi all’improvviso. - Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. -

Zeus sorrise soddisfatto.

- Sono felice che tu sia arrivata ad una simile conclusione… - disse solo.

Chiara ed io ci salutammo sul monte Olimpo: lei avrebbe seguito Artemide, ma mi promise che prima o poi ci saremmo riviste. Io, Paul e Nico ci incamminammo verso al Campo e mi resi conto di essere cambiata da quando ero partita per l’impresa: mi sentivo in pace con me stessa come non lo ero da secoli.

- Ah, ora che abbiamo risolto tutto, posso chiederti una cosa? – domandò Paul ad un certo punto, rivolgendosi a me.

- Cosa? Ah, certo, chiedi pure… - risposi io scendendo dalle nuvole, ancora immersa con la mente nel discorso con Zeus.

- Si può sapere quand’è che tu e mio padre vi sareste incontrati prima che ci accompagnasse sull’Olimpo? –

Inciampai in un sasso per strada, ma riuscii a restare in equilibrio; ok, quella domanda non me l’aspettavo, e non sapevo nemmeno come rispondergli dal tanto che m’imbarazzavo.

- Lui ha… hem… lui… - borbottai continuando a camminare come se nulla fosse, lo sguardo fisso per terra: non potevo continuare a tacere l’accaduto, anche perchè come attrice ero veramente pessima. – Qu-quando eravamo in campeggio mi è apparso in sogno… Lui, hem… m-mi aveva chiesto di diventare sua moglie sull’Olimpo… - balbettai.

- Cosa?! – esclamarono in coro Paul e Nico. Mi sentii in imbarazzo come non mai.

- Dovrei iniziare a chiamarti matrigna? – disse Paul mettendomi una mano sulla spalla, ancora sconvolto.

- Ma per favore! – mi affrettai a rispondergli. – Figurati se mi metto con il padre di un mio amico! – esclamai sforzandomi di ridere.

- Beh, meno male! Anche perché sarebbe proprio una cosa imbarazzante sapere che i miei due compagni d’impresa che finalmente si sono resi conto di quello che provano l’uno per l’altro sono stati separati da mio padre… - commentò Paul. Io e Nico ci guardammo e, dopo un attimo di esitazione, ci ritrovammo tutti a ridere: in effetti era una situazione assurda...

Quando mettemmo piede al Campo, tutti ci acclamarono come degli eroi: qualcuno sull’Olimpo doveva aver avvisato di quello che era successo, ma tutti volevano avere dei dettagli dai diretti interessati. Io riuscii ad allontanarmi dalla massa e guardandomi intorno sospirai: avevo preso una decisione e non era momento di rifletterci sopra.

- Robby! – esclamarono delle voci mentre uscivo dalla Casa Grande: mi voltai e vidi che erano Nico, Paul, Percy, Annabeth, Vera, Simon, Delilah ed Helénia.

- Hey, che c’è? – domandai loro vedendoli agitati.

- Che c’è?! Sei sparita senza dire una parola…! – esclamò Delilah.

- Scusate, dovevo parlare con Chirone… - dissi io.

- Cosa dovevi dirgli? – chiese Paul.

- Beh, ora che la mia impresa si è conclusa, credo che sia arrivato il momento per me di tornare in Italia… - rivelai loro.

- Come?! – fecero tutti in coro.

Abbassai lo sguardo titubante: speravo che Apollo avesse ragione e che tutti alla fine riuscissero a capire le ragioni della mia scelta.

- Sapete, nell’Ade, quando avevo capito di dover buttarmi nel Tartaro, ho pensato a tutti quelli che non avevo salutato… - spiegai loro. – Ovviamente voi del Campo siete importanti… ma lo è anche la mia vita in Italia. Gli amici che ho là, la mia famiglia adottiva… non posso lasciarli, e l’idea di dovermene andare senza averli salutati e ringraziati per tutto quello che hanno fatto per me era quasi peggiore della morte. Poi c’è anche la mia sorellina… anche se io e lei non abbiamo legami di sangue, le voglio stare vicino, voglio vederla crescere ancora... -

- Capisco perfettamente le tue ragioni… - prese la parola Percy. – Ma sei sicura di non voler rimanere qua ancora per un po’ di tempo? Sei rimasta qua appena un giorno, gli allenamenti del Campo sono fondamentali per riuscire a sopravvivere fuori da qui… -

Nonostante non avessi passato chissà quanto tempo con Percy, mi faceva piacere che si preoccupasse per me.

- Hey, stai parlando con colei che ha scongiurato il risveglio di Caos! – esclamai io, fingendomi offesa di fronte alla sua mancanza di fiducia. – So che ne ho di strada da fare, ma credo che quest’impresa mi sia stata d’aiuto a capire come affrontare dei mostri, se mai mi capitasse di incontrarne altri. Chirone ha detto che mi lascia Exusía, questo mi basta… -

Le loro facce erano scure e gli occhi di tutti erano pieni di lacrime.

- Eh, no, vi prego, non iniziate a piangere, altrimenti scoppio anch’io…! – dissi scherzosamente con una risata e un groppo in gola: nonostante avessi ormai deciso di ritornare in Italia, tenevo a tutti loro e mi dispiaceva lasciarli proprio ora che avevamo tempo per conoscerci meglio.

- Non ti preoccupare, non mi metterò a piangere… - disse Paul facendo un passo avanti.

- Beh, non è che mi dispiaccia, ma non potresti per lo meno dimostrarti un po’ dispiaciuto per la mia partenza? – feci ironica, incrociando le braccia e guardandolo fingendomi severa.

- Il fatto è che parto anch’io. – disse Paul con un sorriso. Mi guardò negli occhi e mi chiese: – Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? – Annuii, ricordandomi benissimo cosa mi aveva detto: voleva trovare qualcosa per cui destinare la sua vita. – Ecco, sapere di te, di Chiara e della vostra situazione mi ha fatto rendere conto che anche se i satiri si danno tanto da fare per cercare mezzosangue, non sempre sono in grado di rintracciare tutti i mezzosangue e di portarli qui al Campo. Voglio andare fuori dal continente, dove è più complicato rintracciare i mezzosangue, e voglio allenarli io stesso dove loro vivono, così che possano essere in grado di sopravvivere ai mostri senza per forza dover venire al Campo. –

- Wow, è un bel proposito! – esclamò Annabeth ammirata.

- Quindi sarai come una specie di insegnante per mezzosangue in giro per il mondo! – fece Vera.

Lui alzò le spalle con un sorriso. – Beh, così si direbbe. Finché non mi crescono gli zoccoli e non divento un centauro come Chirone credo che sia questa la mia aspirazione. Poi mi piace viaggiare… credo che realizzerò immediatamente il mio sogno di visitare la Francia cercando dei mezzosangue là. –

- Allora mi raccomando, se ti trovi nel sud della Francia, ricordati di fare una capatina in Italia a trovarmi… - gli dissi con una pacca sulla schiena.

- Certo! – mi promise lui. – E mi offrirai anche una bella pizza italiana! –

Stavo per tornare con Paul da Chirone per fare dei biglietti aerei, quando Nico mi prese per il braccio e tirandomi da parte mi disse: - Io… ti dispiace se ti accompagno io a casa tua? Con il viaggio nell’ombra… -

Non mi aveva fermata per chiedermi di non partire, mi aveva fermata per chiedermi se gli era possibile portarmi a casa: aveva accettato senza discussioni la mia decisone, e glie ne fui veramente grata. Sorrisi, annuii e dissi: - Se devo essere sincera, ci speravo che lo proponessi… -

Quella sera avevano tutti organizzato un grande falò per la partenza mia e di Paul: dopo aver mangiato una quantità industriale di cibo, eravamo pronti per andarcene, quando Helénia mi chiamò da parte.

- Ricordati del diario che ti ho dato… - mi ricordò lei con le lacrime agli occhi. – Non dimenticarti del Campo, ok? Pretendo che tu mi scriva ogni giorno quello che ti succede, anche se sarai in Italia. - e mi abbracciò forte.

- D’accordo! – feci ridacchiando.

Dopo di che mi voltai verso tutti gli altri e andai ad abbracciare in una volta sola Vera, Delilah e Simon.

- L’anno prossimo tornerò al Campo, d’accordo? – promisi loro, dopo di che abbracciai Percy ed Annabeth e dissi: - Quindi non crediate di esservi sbarazzati di me tanto facilmente! -

Tutti si misero a ridere, e Simon disse: - Certo! Anche perché io voglio una rivincita senza la mossa del koala: dovrebbero renderla illegale, sai? –

Mi voltai verso Paul e con una pacca sulla spalla gli dissi: - Spero veramente che tu possa riuscire in quello che ti sei prefissato… e ovviamente spero di vederti presto! –

Lui annuì con un sorriso.

- Grazie… mi raccomando, ricordati la pizza che mi hai promesso! – mi ricordò lui.

Mi voltai verso Nico con un sorriso e chiesi: - Beh… andiamo? –

Lui annuì con un sorriso. Salii sulla sua schiena, aggrappandomi forte a lui.

- Ci sentiamo, ragazzi…! – dissi solamente cacciando via la tristezza.

I volti dei miei amici e le loro voci che mi salutavano furono le ultime cose che vidi e che sentii prima di venire risucchiata da quella sensazione di freddo e buio del viaggio nell’ombra.


Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Che volete che vi dica? Ufficialmente la storia finisce qua, praticamente no. Diciamo che prima di concluderla del tutto (e prima di iniziare il sequel) vorrei offrirvi un capitolo extra che spero di finire di scrivere il prima possibile.
Ora passiamo alle precisazioni riguardo questo capitolo (che è un po' più lungo degli altri, ma non mi andava di dividerlo in due perchè volevo che questa storia avesse un numero pari di capitolo -è una mia fissa numerica, scusate-).
Ora credo che abbiate capito cosa ha salvato me e Chiara dal Tartaro: il nostro legame è stato utile a salvare Eros, ma ciò che ha reso "il pezzo di torta di Eros più grande" (come direbbe Paul) è stato il sentimento di Robby per Nico e quello di Chiara per Artemide. Certo, Chiara e Artemide non si sono mai incontrate, ma credo che nelle stesse cacciatrici è riuscita a capire che anche lei era destinata a seguire la dea. Questo perchè nella realtà Chiara (che è la mia migliore amica da sempre) si sta facendo suora, e in questa storia mi sembrava perfetto farla diventare una cacciatrice alla fine. E' stato un po' da carie ai denti quando ho fatto dire a Chiara la frase con "ovunque io vada" che richiama il titolo della storia, ma prendetela così! xD Riguardo al resto, beh... Paul nella realtà avrebbe il sogno di diventare insegnante, quindi per lui nella storia non vedevo prospettiva migliore. Nico e Robby non hanno avuto possibilità di parlare, aimè! Ma non vi preoccupate che anche se non adesso, prima o poi parleranno (e vi farò sapere cosa si diranno). Perchè sono tornata in Italia mi sembra chiaro... ok, tutti vorremmo starcene in America, ma nella realtà la mia vita è qua e, nonostante Percy Jackson sia un fantasy, voglio rendere tutto (anche le mie scelte) il più verosimili possibli. Anche se questo non vuol dire che io molli Nico, no? Questo è il senso del titolo, e non riguarda solo Chiara, ma tutti i rapporti con le persone: anche se si è distanti fisicamente, se i rapporti di amicizia, di amore etc sono veri, saranno anche duraturi. Poi, hey. è il mio punto di vista.
Detto questo vi lascio perchè vi sto solo annoiando.
A presto con l'ultimo capitolo extra e, a seguire, il sequel!
Robby

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Capitolo 14
*** Ovunque saremo ***


Ovunque saremo

 

 

 

 

 

 

 

 

14

Ovunque saremo

 

A

 

prii gli occhi all’improvviso. Avevo mal di testa, come mi succedeva sempre dopo un viaggio nell’ombra. Dove mi trovavo? Mi misi a sedere e notai che giacevo su un letto, le pareti della stanza in cui mi trovavo erano viola nella metà di sotto e verde acceso nella metà superiore: strano abbinamento, ma tutto sommato stava bene. Nella parte opposta della stanza, vidi un computer acceso e una figura piegata sulla scrivania: era Robby. Mi alzai ancora frastornato: quanto avevo dormito? Probabilmente parecchi giorni…

Mi avvicinai a Robby e sorrisi vedendo che sullo schermo continuavano ad apparire un’infinità di lettere, dato che si era addormentata con la testa appoggiata alla tastiera. Robby borbottò qualcosa nel sonno, e spostò la testa dalla tastiera alla scrivania. Curioso, presi il mouse e, dopo aver cancellato tutte quelle lettere senza senso, sbirciai quello che stava scrivendo prima di addormentarsi. Purtroppo non ci capii nulla: aveva scritto un mucchio di pagine in word, ma erano tutte in italiano. Non appena tolsi la mano dal mouse, quasi in uno scatto involontario, Robby alzò la mano e mi diede un potente schiaffone in faccia: improvvisamente si fece tutto nero intorno a me, riuscivo solamente a sentire il sapore del sangue in gola.

- Io… cosa… Oh, scusa, Nico! – esclamò Robby riprendendosi da sonno. - Ti giuro che non volevo…! Vieni che ti accompagno in bagno, così blocchiamo il sangue dal naso… -

- E’ incredibile sai? – le domandai con il naso tappato da dei fazzoletti di carta che Robby mi aveva dato. – Siamo sfuggiti ai mostri più terribili, e vengo steso da un tuo schiaffone… -

La sentii ridacchiare, ma non potei vederla visto che mi obbligava a tenere la testa piegata in avanti: così per lo meno non finivo per deglutire altro sangue.

- Ah, purtroppo non ho uno spazzolino per te, ma puoi usare il collutorio quando ti si è fermato l’afflusso di sangue… - di disse. – Da piccola soffrivo parecchio di epistassi, so che fa veramente schifo sentire il sapore del sangue caldo scorrere giù per la gola… -

Ok, non era né la situazione né l’argomento che avrei voluto affrontare con lei una volta ripresi i sensi a casa sua.

- Per quanto sono rimasto incosciente? – le domandai.

- Una settimana. – rispose asciugandomi con un fazzoletto pulito la faccia. – Ma non ti preoccupare… gli altri mi hanno insegnato a mandare un messaggio Iride prima di tornare, quindi ho già avvisato Chirone… -

Annuii e dopo essermi sciacquato la faccia, mi sciacquai la bocca con quel collutorio e finalmente il sapore forte della menta mandò via quello disgustoso del sangue.

- Che ore sono? – le chiesi.

- Sono le otto e un quarto di mattina. – mi rispose. – Mia mamma è appena andata a portare mia sorella a scuola… -

Tornammo in camera sua, e questa volta ne approfittai per dare meglio un’occhiata attorno e notai che i due letti che c’erano nella stanza erano disfatti.

- Ma… e tu dove hai dormito per tutto questo tempo? – feci preoccupato.

- Ho dormito nel letto con mia sorella… - rispose lei sedendosi sulla scrivania con uno sbadiglio. – Mi devi un enorme favore, sai? Detesto dormire compressa in un letto piccolo… -

- Scusami… - feci io abbassando la testa dispiaciuto.

- Ah, ma smettila, guarda che scherzavo! – disse lei con una risata.

- Cosa stavi scrivendo prima di addormentarti? – le chiesi avvicinandomi curioso allo schermo del computer.

Lei tossicchiò, e mi sembrò un po’ imbarazzata.

- Sai… mi piace scrivere, e ho pensato di scrivere una storia su tutto quello che mi è successo: degli dei, del Campo e di tutto il resto… - mi spiegò guardando altrove. – Pensavo pure di consegnarlo a un editore… in fin dei conti tentar non nuoce, e non credo che mai qualcuno potrebbe credere che tutto questo sia reale… -

Le sorrisi contento. – Sai, è stata una buona idea! Non avevo idea che ti piacesse scrivere… -

Lei alzò le spalle, imbarazzata dai miei complimenti. - Non c’è mai stata occasione di dirlo con quell’impresa… - disse, e all’improvviso sembrò illuminarsi,  mentre mi fissava.

- Che ne dici di scrivere tu la conclusione?! – mi propose entusiasta.

- Hem… io scrivere? – feci facendo un passo indietro. – Io non so scrivere… inoltre non so l’italiano… -

- E che problema c’è? Tu scrivi in inglese e io traduco! Ti prego, ti chiedo solo un paio di pagine!  Puoi scrivere quello che vuoi su quello che è successo, ti prego! – m’implorò lei.

Riuscì presto a farmi cedere: ormai stavo capendo che mettersi contro una sua decisione era praticamente inutile.

Quindi eccomi qua a scrivere la conclusione della storia di Robby da un computer preso in prestito da dei ragazzi della cabina Efesto (quei ragazzi sono dei geni, non mi sorprenderebbe se avessero una base nucleare sotto la loro cabina). Sì, sono tornato al Campo. No, non crediate che non abbia pensato di rimanere con lei in Italia. Ci ho pensato parecchie volte, lei si è resa disponibile a trovarmi un posto dove stare, ma non me la sono sentita: il mio posto per ora è ancora il Campo e, dopo tutto quello che è successo con Micah e Alexa, sentivo di dover tornare a dare una mano a tutti gli altri; ma questo solo perché, probabilmente, non ho più una famiglia. Sembrerò egoista, ma se Bianca non fosse diventata una Cacciatrice e se lei fosse ancora viva, avrei abbandonato tutto per stare vicino a lei, quindi capisco perché Robby abbia voluto ritornare in Italia: ha avuto una grande fortuna a trovarsi in una famiglia come quella che l’ha accolta, non è da tutti i mezzosangue.

- Ascolta… - disse improvvisamente Robby dopo avermi convinto a scrivere la conclusione della sua storia. – Io… non so cosa vuoi fare tu. Vorrei chiederti di restare, ma sono quasi certa che sceglierai di tornare al Campo, esatto? -

Annuii, nonostante la morsa al petto all’idea di dovermene andare.

- Io mi chiedevo… ormai è maggio e… ti andrebbe di rimanere qua per l’estate? Dopo torneresti al Campo senza problemi e ti prometto che il prima possibile ti raggiungerò. -

Ti raggiungerò, non vi raggiungerò. Era una piccola sottigliezza, ma mi faceva piacere. Inoltre un’estate in Italia con Robby… cavoli, ero tentato.

- Dai, intanto ci saranno già gli altri a cercare Micah e Alexa… potrai dare loro una mano quando torni… - cercava di convincermi Robby.

- Io però… non ho un posto dove stare, non ho soldi con me… - tentai di giustificarmi.

- Alt! Ho già una soluzione a tutto questo. – mi fermò subito lei. - Un’amica di famiglia, nonché mia vicina di casa,  ha posto per ospitarti in casa sua visto che suo figlio è partito per studiare negli Stati Uniti… le ho già chiesto e per lei va bene. Inoltre cosa credi? Dopo avermi portata al Campo e avermi riportato a casa sei come uno di famiglia… non siamo sommersi dai soldi, ma sfamare cinque bocche al posto di quattro non è un problema! –

Le sorrisi arrendendomi ancora una volta, e quando lesse la sconfitta sul mio volto, mi abbracciò felice. Ricambiai l’abbraccio nervoso, con il cuore in gola.

- Lo sapevo che ce l’avrei fatta a convincerti! – mi disse continuando ad abbracciarmi forte.

- E’ la seconda volta in pochi minuti, te ne rendi conto? – le feci notare. Ci trovammo faccia a faccia e mi sentivo il cuore scoppiarmi nel petto. La scorsa volta era successo tutto così velocemente… non me l’aspettavo. Questa volta ce l’aspettavamo entrambi. Le nostre labbra s’incontrarono e mi sentii improvvisamente e totalmente in un altro mondo. Si mise a sorridere trattenendo una risata quando portai la mano dietro al suo collo, facendole probabilmente solletico, ma non separò le sue labbra dalle mie. Improvvisamente sentimmo il rumore della porta che si apriva alla nostra sinistra: sua madre era tornata a casa ed era entrata in camera.

Mi allontanai da Robby imbarazzato, guardando per terra, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo verso di lei. Le due si misero a parlare in italiano, ma la madre non sembrava arrabbiata o infastidita. Ad un certo punto la madre di Robby mi appoggiò una mano sulla spalla richiamando la mia attenzione, dopo di che uscì dalla stanza lasciandoci da soli.

- Hem… cosa vi siete dette? – domandai imbarazzato.

- Ha detto che… hem… - Robby sembrò improvvisamente imbarazzata tanto quanto me. – Di non fare nulla di strano quando siamo qua… -

Entrambi ci guardammo negli occhi, ma l’imbarazzo non durò per molto, perché entrambi scoppiammo a ridere: era come se avessimo fatto crollare qualsiasi muro e insicurezza.

Quella sera Robby mi presentò la donna che mi avrebbe ospitato in casa in quel periodo. Si chiamava Rachele e, anche se la sua conoscenza dell’inglese non era molto alta, riuscivamo a capirci senza troppi problemi. Era una donna molto gentile e premurosa, non appena entrai in casa sua per la prima volta mi accolse con un sorriso, premurandosi che non mi facessi problemi a chiederle qualsiasi cosa, anche se poi mi ero accordata con Robby che avrei sempre passato i pasti e il resto della giornata da lei. Rachele mi mostrò la stanza dove avrei dormito, e mi diede anche la possibilità di usare i vestiti di suo figlio visto che quell’estate non sarebbe tornato e non gli sarebbero serviti. Tutto sommato i vestiti del figlio di Rachele mi stavano anche bene, anche se erano parecchio lunghi, specialmente i pantaloni: suo figlio doveva essere veramente molto alto.

- Bene, allora iniziamo a compilare un programma! – esclamò Robby seduta alla scrivania con un block notes e una biro, poche sere dopo il mio risveglio in Italia.

- Che programma? – chiesi io avvicinandomi.

- Come che programma?! Il nostro programma per l’estate, no? – rispose lei allegra. – Vedrai l’Italia da turista, devi vedere quanto possibile! –

- Io, però… non ho soldi… - le ricordai. Beh, questa era la cosa negativa di passare quei pochi mesi in Italia: dover dipendere economicamente da Robby e dalla sua famiglia.

- Hey, non credere che ti porto a Roma… - mi rimproverò lei scherzosamente. – Però un paio di mete qui al nord Italia sono economicamente fattibili. – prese la biro e iniziò a scrivere in grande “Programmi Per L’Estate”.

- Prima di tutto una giornata a Milano: d’estate con il bel tempo non c’è niente di meglio che scendere al Duomo e farsi una passeggiata con un bel gelato fino al Castello Sforzesco. Poi ho sentito i miei amici, vogliono andare in campeggio in montagna, vedrai che bello… ah, e ti devo fare assolutamente far vedere il lago di Garda! Non è nulla in confronto al Michigan, ma devi assolutamente vederlo… poi… -

Andava avanti a parlare tutta emozionata a fare progetti, prendendo ogni secondo il calendario attaccato alla parete per controllare quando fissare ogni cosa da fare. Avrei voluto dirle che non m’importava dove andavamo e che, finché ero con lei, a me andava bene, ma non riuscivo proprio a distruggere il suo incredibile entusiasmo, così l’assecondavo chiedendole di tanto in tanto di prendere l’atlante per capire di che posti stava parlando.

La sera dopo era un sabato, e uscii per la prima volta con Robby e i suoi amici.

- Robby! – esclamò un gruppo di persone nel parcheggio quando la videro scendere dalla macchina, e fu praticamente circondata. Tutte quelle persone iniziarono a farle mille domande ma, non sapendo l’italiano, non sapevo cosa si dicessero, riuscivo solo a capire che erano preoccupati che fosse sparita all’improvviso dalla circolazione. Ad un certo punto Robby mi presentò, il suo sorriso s’inclinò e mi guardò con aria interrogativa.

- Che c’è? – le domandai.

- Hem… niente… - disse solo, e mi presentò ai suoi amici: Pietro, Stefano, Delia, Ilaria e Viola.

Andammo tutti in macchina con Robby, che poteva portare sette persone.

- Ma la macchina che avevi quando ci siamo incontrati che fine ha fatto? – le domandai sedendomi di fianco a lei.

- Era da buttare… - commentò con amarezza. Gli altri seduti dietro di noi probabilmente non avevano capito di cosa stavamo parlando, o forse erano troppo intenti a chiacchierare tra di loro per far caso a noi: meglio così, per lo meno avremmo entrambi evitato di mentire.

Una ragazza con i capelli neri e un piercing ad anello al naso, di cui mi ero già dimenticato il nome, mi guardò dallo specchietto alzando il sopracciglio e, con un’inglese forzato mi domandò: - Quindi, Nico… sei il ragazzo di Robby? –

Robby sbandò per la strada, ma riprese subito il controllo della vettura ed esclamò imbarazzata: - Viola! –

Lanciai uno sguardo a Robby e vidi che il suo si spostava continuamente dalla strada a me.

- Beh, non è così? – chiesi a Robby. Lei continuò a guardare la strada, ma le vidi comparire sul volto un sorrisetto allegro.

- Oooh, Robby! Hai trovato un ragazzo in America e nemmeno ce lo dici! – esclamò Pietro allegro.

Iniziarono a parlare in italiano con Robby e purtroppo non riuscii a seguire la conversazione.

- Mi dispiace…- disse ad un certo punto Robby rivolta a me. – Purtroppo Stefano e Ilaria non sanno l’inglese, e non credo che Delia se la senta di intraprendere una conversazione… -

- Non ti preoccupare… - la rassicurai.

- Beh, allora che ci racconti, Nico? – mi chiese Pietro. – Come vi siete conosciuti? –

Ecco la fatidica domanda che sia io che Robby ci aspettavamo di sentire.

Beh, sapete, io sono figlio di Ade, Robby è figlia di Zeus e insieme abbiamo partecipato ad una pericolosissima impresa, scongiurando il risveglio di Caos… insomma, niente di che…

No, non credo che reggerebbero una risposta simile senza darmi del malato mentale. Fortunatamente io e Robby avevamo ideato una versione perfetta per la sua scomparsa improvvisa: un lontano zio di Robby che abitava in America era in fin di vita e aveva deciso di lasciare l’eredità proprio a lei. In America avrebbe poi conosciuto me, figlio di un amico di questo zio immaginario.

- Quindi è andata così! – esclamò Viola. – Hey, Nico, in America hai qualche ragazzo da far conoscere a me? -

Tutti ridevano e scherzavano, e mi sembrò improvvisamente assurdo vivere una situazione così normale: a sedici anni non avevo mai avuto una famiglia vera e propria, e nemmeno la possibilità di vivere una normale adolescenza uscendo con gli amici per locali come invece faceva Robby…

Arrivammo in una specie di Irish Pub dall’atmosfera calda e accogliente.

- Sei sicura che posso entrare? – chiesi preoccupato a Robby.

- E perché non dovresti? – mi rispose lei.

- Beh, sai, non che sia esperto in queste cose… ma spesso in America in posti simili i minorenni non possono nemmeno entrare… - le feci notare. – E in caso te ne fossi scordata, io ho ancora 16 anni per la società… -

- Nah, qui in Italia non ci sono divieti simili… - mi disse lei.

Ci sedemmo al tavolo, ordinammo da bere e mi sentii all’improvviso gli occhi di tutti puntati addosso. Robby si rivolse a Ilaria ridendo, poi Pietro mi guardò e disse: - Le ha detto che questa è l’occasione giusta per imparare un po’ d’inglese…! –

- Sarebbe anche l’occasione giusta per te per imparare un po’ d’italiano, no? – mi rimproverò scherzosamente Robby.

- Io imparare l’italiano?! – feci ridendo.

- No, dai, proviamo un po’… - passarono l’intera serata tentando di insegnarmi delle semplici frasi in italiano e ridendo di fronte alla mia pronuncia, ma sapevo che non lo facevano per cattiveria.

- Adesso mi sento proprio come Paul quando mi prendeva in giro per il mio accento italiano… - mi bisbigliò Robby.

Piano, piano, nonostante fosse difficile, imparai parecchie frasi in italiano, quindi riuscii a cavarmela nelle conversazioni con la gente.

- Certo che impari in fretta! – mi disse una mattina Rachele, portando in tavola del the per la colazione che ormai facevo sempre in sua compagnia.

- Insomma… - commentai non molto convinto.

- Credimi, stai facendo degli enormi progressi! – continuò. Si mise a sedere dall’altra parte del tavolo e mi guardò con un sorriso. – Sai, mi fa piacere che Robby abbia pensato di farti stare qui. Non sembra, ma da quando mio figlio è partito devo ammettere che mi sento un po’ sola… - mi confidò lei.

- Quindi è partito per studiare? – le domandai. Lei annuì.

- Sì, frequenta l’università di New York. Sai, Robby mi ha detto che vivi lì… quando andrò a trovare Riccardo mi piacerebbe rivedere pure te, sei proprio un bravo ragazzo… - mi disse.

Rachele era così: faceva quel tipo di complimenti imbarazzanti che sembravano fatti con lo stampino ma che, nel suo caso, si capiva immediatamente che erano sinceri e fatti col cuore.

In effetti sapevo benissimo che prima o poi sarei ritornato al Campo Mezzosangue, ma io e Robby cercavamo in tutti i modi di non parlarne: ci limitavamo a passare del tempo insieme, dimenticandoci degli dei, dei mostri e del fatto che Micah e Alexa erano ancora in circolazione… Era la prima volta in sedici anni che mi divertivo così tanto in compagnia della gente e non delle mie carte di Mitomania. Era la prima volta in sedici anni che mi sentivo un normale adolescente e non come un mezzosangue problematico.

Quell’estate feci mille cose: andai più volte in piscina con Robby e i suoi amici e una volta andammo pure in campeggio in montagna, accendendo un fuoco per farci da mangiare…

Il bello era che poi, in tutta quell’estate, io e Robby riuscivamo a divertirci in gruppo e, nel contempo, a ritagliarci del tempo per noi due: un giorno andammo da soli a Milano, un altro andammo al lago…

Il tempo sembrò scorrere più velocemente del solito, e settembre arrivò in un battibaleno. Decidemmo tutti insieme di andare alle terme in occasione del compleanno di Pietro e di Robby: i due infatti compivano entrambi gli anni a pochi giorni di distanza. Fu una giornata stupenda: l’acqua delle piscine all’aperto era caldissima, la più calda superava i quaranta gradi, poi c’erano tutti quei getti d’acqua fredda a bordo piscina e l’idromassaggio nella grotta…

Era ormai sera e tutti si divertivano nuotando da una parte all’altra, scherzando e tentando di annegarsi a vicenda. Io però avevo perso Robby di vista. Dovetti nuotare parecchio per riuscire a trovarla: se ne stava nella grotta con l’idromassaggio insieme a solo un paio di altre persone che erano rimaste alle terme anche la sera.

- Hey! Perché te ne sei andata? – le chiesi camminando nell’acqua bassa della grotta e sedendomi vicino a lei. – Ti stai perdendo tutto il divertimento, lo sai? -

Lei alzò le spalle con uno sguardo triste perso nel vuoto.

- Che c’è? – le domandai dolcemente.

- E’ che… - fece lei, ma si bloccò ancora incrociando il mio sguardo. Guardò altrove e disse: - Stasera tu te ne torni al Campo… -

Non c’era bisogno di dire altro. Anch’io mi rattristavo all’idea di andarmene, ma sapevo che se questo era il suo mondo, il Campo era il mio.

- Ascolta, Robby… - le dissi. – Lo sapevamo entrambi che prima o poi sarei dovuto tornare… -

- Sì, lo so, e non ti sto nemmeno chiedendo di restare, non me l’hai chiesto nemmeno tu… - disse continuando a guardare da un’altra parte.

- Non è un fatto di restare o andare via, ok? – la interruppi. - E’ come con Chiara, no? La distanza non ci dividerà ovunque saremo… -

Presi il suo viso tra le mani e solo guardandola bene negli occhi potei notare che erano pieni di lacrime.

- Non devi rattristarti, d’accordo? Stai festeggiando il tuo compleanno, è una bella cosa, non renderlo un evento triste… inoltre non voglio tornare a casa vedendoti piangere, chiaro? – le dissi serio. Le accarezzai il viso, asciugandole le lacrime, le sussurrai: - Sei la cosa più importante che mi sia mai capitata, non voglio perderti e non permetterò a nulla di dividerci, nemmeno alla distanza… - e la baciai.

- Hey, ragazzi! – ci chiamò in quel momento Viola. – Avete letto i cartelli? Niente effusioni in piscina! Se vi scoprono gli addetti vi buttano subito fuori… e non vogliamo che lo facciano prima della torta, giusto? -

Robby mi guardò con le guance ancora rigate dalle lacrime, e scoppiò a ridere, nuotando verso tutti gli altri. Ecco, preferivo vederla con un sorriso, anche se lontana da me.

- Tanti auguri a voi! Tanti auguri a voi! Tanti auguri Pietro e Robby! Tanti auguri a voi! – esclamammo una volta usciti dalla piscina, seduti attorno ad una torta con le candeline accese e delle stelle luminose in mano.

- Esprimete un desiderio! – esclamò Delia a Robby e Pietro.

I due rimasero un attimo a riflettere dopo di che chiusero gli occhi e spensero le due candeline: una rosa con il numero due e una blu con il numero uno.

Applaudimmo tutti con un sorriso, e mi augurai di tutto cuore che il desiderio di Robby si potesse avverare. Ritornammo a casa sulla macchina di Pietro e Robby si addormentò sulla mia spalla proprio com’era successo sull’autobus di Apollo…

Arrivammo a casa di Robby, tutti ancora mezzo assonnati.

- Beh, siete stati veramente simpatici a tenermi compagnia sulla strada del ritorno! – esclamò Pietro arrivato al solito parcheggio. – Vi avevo chiesto che qualcuno rimanesse sveglio a farmi compagnia mentre guidavo! Non sapete quanti pizzicotti mi sono dato per non addormentarmi alla guida! -

- Scusami, ti prego! – fece Robby desolata. – Ti giuro che non volevo, è stato più forte di me… -

- Beh, quindi noi ci salutiamo qui, vero? – mi chiese Ilaria. – Robby ha detto che domani mattina hai l’aereo… -

Io annuii; la versione ufficiale era che sarei partito la mattina dopo dall’aeroporto di Milano, mentre in realtà avevo avvisato Chirone che sarei partito per il Campo quando in Italia era notte: non avevo certo bisogno di aerei per tornare in America.

Tutti mi salutarono con abbracci e pacche sulle spalle, e mi avviai a casa di Robby insieme a lei. Avevo già salutato Rachele e la famiglia di Robby quindi, una volta arrivati di fronte a casa sua, ci limitammo a fissarci negli occhi.

- Credo che sia ora… - disse lei rompendo il silenzio con un sospiro. – Mi raccomando, salutami tutti e ricordati di mandarmi un messaggio iride non appena ti riprendi, capito bell’addormentato nel campo? -

Ridacchiai a quella sua stupida battuta.

- Certamente! – le promisi. Dopo di che la baciai di nuovo prima di andarmene e risvegliarmi otto giorni dopo nell’infermeria del Campo.

Quindi eccomi qua al Campo Mezzosangue a concludere quello che sarà il racconto di Robby. Di Micah e Alexa nemmeno l’ombra, ma non mi arrendo: non mi darò pace fino a quando non li troverò e non li porterò sull’Olimpo così che vengano giudicati per quello che hanno tentato di fare. Riguardo Robby, beh, ci sentiamo spesso tramite messaggi iride, a causa sua sto prosciugando le casse di dracme del Campo, e non sempre riusciamo a parlare da soli visto che anche il resto del Campo vuole sempre stare in contatto con lei. Non vedo l’ora che ritorni qui al Campo: dice che questa volta vuole pagarsi un normale biglietto aereo e sta risparmiando per comprarselo. Secondo lei dovrebbe riuscire a tornare qui tra un paio di mesi. Non sia mai che magari quando ritorna succeda ancora qualcosa che le dia ispirazione per scrivere un seguito di questa storia!

Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!

Oddio, non ci credo, ho veramente finito questa storia! Vorrei fare i ringraziamenti stile notte degli oscar, ma passo (che è meglio!)...
Questa è la prima storia lunga che sono riuscita a concludere. Non ho mai avuto mancanza di ispirazioni per continuare a scrivere, e questa è veramente una novità per me.
Cosa posso dire? Vi ringrazio per avermi seguita e recensita per tutto questo tempo, sia per i nuovi che per i vecchi recensori... *sta comunque facendo i ringraziamenti stile notte degli oscar... -.-'* ora ho un mesetto di tempo per fare delle ultime modifiche ai vari capitoli prima di stampare la storia e regalarla ai miei amici. *trattiene l'emozione*
Ok, torniamo a quest'ultimo capitolo, il quattordicesimo (tra l'altro il 14 è il mio numero preferito!).
I nomi dei miei amici li ho dovuti cambiare dalla realtà: non potevo certo dire che al Campo avevo degli amici di nome Paul, Vera, Simon etc... e in Italia avevo degli amici di nome Paolo, Veronica, Simone etc...! xD Però ho voluto trovare loro altri nomi che iniziassero con la stessa lettera, tanto per mantenere un collegamento.
Non mi sembra di avere mai detto dove vivo. Se volete potete tentare di indovinare regione e provincia, anche se credo che rovinerei la mia immagine da protagonista della storia, vista la ridicola cadenza che mi ritrovo! :P xD
E' stato complicato scrivere questo capitolo: niente mostri, niente dei... una noia! xD Per questo ve l'ho presentato come capitolo extra. Inoltre ho cambiato POV: spero di non avervi delusi nell'utilizzare il punto di vista di Nico, anche questa è stata una difficoltà per me! Inoltre scrivere scene troppo sdolcinate non è da me... ci ho provato, ma non so se ci sono riuscita (spero di sì).
Al più presto inizierò a scrivere il sequel, e spero che mi seguirete pure in quello, ci tengo molto, sappiatelo! Ah, se avete dei suggerimenti su nuovi mostri da far apparire nel sequel, sappiate che sono ben accetti: tra zio Rick e quelli che ho trovato io, mi sa che ormai non ce ne sono più di disponibili! xD
Spero che questa storia vi sia piaciuta!
Alla prossima,
Robby

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