Wherever I Go... di Calipso__ (/viewuser.php?uid=189311)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia macchina è distrutta da degli uccelli ***
Capitolo 2: *** Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade ***
Capitolo 3: *** La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto ***
Capitolo 4: *** Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa ***
Capitolo 5: *** Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente. ***
Capitolo 6: *** Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadenti ***
Capitolo 7: *** Visioni & sogni ***
Capitolo 8: *** Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri ***
Capitolo 9: *** Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra ***
Capitolo 10: *** Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell’Ade ***
Capitolo 11: *** Finalmente veniamo a conoscenza della verità ***
Capitolo 12: *** Vado incontro alla morte con un sorriso ***
Capitolo 13: *** E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio ***
Capitolo 14: *** Ovunque saremo ***
Capitolo 1 *** La mia macchina è distrutta da degli uccelli ***
Wherever I Go 1
1
La
mia macchina
è
distrutta da degli uccelli
mmaginatevi di
trovarvi in una piovosa notte di aprile: l’acqua scende dal cielo scuro e voi
con la vostra automobile state tornando a casa dopo una serata tranquilla con gli
amici, radio moderata, occhi fissi sulla strada, dita che picchiettano sul
volante al ritmo di musica. Era proprio quello che stava succedendo a me,
niente di strano fino a qui. Spostai gli occhi verso il cielo nero e
tempestoso, e sospirai: quella notte per l’ennesima volta avevo sognato quella
ragazza dai corti capelli castani e dagli occhi azzurri; era da parecchio tempo
che la sognavo, e l’immagine di lei imprigionata in quella stanza buia non
voleva uscire dalla mia testa neppure quando ero sveglia. Era quasi come se mi
ci fossi affezionata, anche se non avevo la benché minima idea di chi fosse.
Ero
immersa nei miei pensieri, quando all’improvviso accadde l’impensabile; provate
a immaginare di sentire un forte tonfo e il rumore di un vetro rotto provenire
da dietro di voi. Vedendo dallo specchietto il vetro posteriore dell’auto
distrutto, qualunque persona con un briciolo di cervello, fermerebbe l’auto sul
ciglio della strada per vedere i danni e per capire se si tratta di un qualche
atto di vandalismo. Immaginatevi invece di vedere da quello specchietto non
solo il vetro distrutto, ma un enorme uccello dal becco affilato volare
seguendo la vostra auto. Pazzia? Ebbene, che ci crediate o meno, queste cose
sono da sempre state parte della mia vita, ed è proprio da questo episodio che
finalmente le mie disavventure iniziarono ad avere un senso.
Chi
sono io? Mi chiamo Roberta, ho 20 anni e abito in Italia. Cosa c’è di strano in
me? Beh, saranno forse i numerosi anni passati in terapia con gente che mi
prendeva per un’indemoniata perché vedevo delle strane creature attaccarmi di tanto in tanto... la gente inoltre prendeva le mie ferite per
semplice autolesionismo. Ho sofferto molto per questo. Io sono da sempre stata
convinta che quello che mi succedeva fosse reale, ma dopo una vita che
continuano a ripetere ai tuoi genitori “vostra figlia non solo soffre di un
deficit dell’attenzione, non solo è dislessica, ma ha dei problemi mentali”,
finisci per crederci pure te.
Potevano
darmi della pazza quanto volevano ma, mentre guidavo con le lacrime agli occhi,
pigiando l’acceleratore fino in fondo, mi dissi che era impossibile che i
medici e i miei genitori potessero trovare una scusa a quello che era successo
all’automobile. Dietro di me notai che non c’era solo un uccello, ma ce n’erano
addirittura tre: erano enormi, di un rosso molto scuro e gli occhi quasi
incandescenti; avevano un becco di un arancio sporco, molto lungo e acuminato,
e un’apertura alare veramente impressionante, per non parlare delle piume, che
sembravano brillare sotto la luce dei lampioni. La pioggia non sembrava turbare
minimamente il loro volo. La strada di fronte a me era tutta libera, non
c’erano auto in circolazione, il che era da una parte una fortuna, perché così
potevo andare di gas senza preoccuparmi, ma dall’altra un problema, perché
nessuno poteva accorgersi che io in quel momento ero in pericolo; forse però la
cosa non faceva differenza: mai nessuno riusciva a vedere i mostri che vedevo
io. Improvvisamente l’auto sbandò, a causa dell’acqua planning, e ribaltai in
un fosso alla mia destra. Chiusi gli occhi terrorizzata mentre ribaltavo, e
sentii gli air-bag aprirsi. Quando aprii gli occhi mi ritrovai praticamente al
contrario, con la testa in basso e le gambe per aria; avevo parecchie ferite
sulle braccia, sulle gambe e sul viso, ero circondata da pezzi di vetro, sanguinavo,
ma per lo meno ero ancora viva. Non sapevo cosa fare: una parte di me avrebbe
voluto uscire da quella carcassa il prima possibile, ma l’altra parte di me
sapeva benissimo che, se fossi uscita, avrei reso le cose più semplici a quegli
uccelli perché, io lo sapevo, loro cercavano me. Non so perché lo facessero, ma
era inevitabile: da sempre mi ritrovavo in situazioni inspiegabili con serpenti
a due teste e capre troppo feroci.
Incrociai
le dita e sperai che quei dannati uccelli se ne andassero, ma dovetti subito
ricredermi, quando sentii i loro becchi affilati infilarsi letteralmente nella
carcassa dell’automobile. Non potevo starmene lì senza via di scampo a farmi
sbranare. Nello schianto, il freno a mano si era staccato e vedendolo decisi di fare qualcosa: lo presi, lo
infilai nell’apertura che si era creata nella mia portiera e, con i piedi,
cercai in tutti i modi di fare leva, come se fosse un piede di porco, il che
non era per nulla semplice.
Dopo
parecchie spinte con i piedi, la portiera si staccò letteralmente ed io pensai
che sarebbe stato da stupidi uscire dall’auto e mettersi a correre con degli
stupidi uccelli maledetti alle calcagna. Presi la portiera staccata, e la
trascinai con me, di modo che potesse farmi da scudo da quelle creature, ma
sapevo bene che se si fossero alzate sopra di me, sarebbe stata la fine.
Probabilmente non erano creature molto intelligenti, perché non lo fecero. I
tre enormi uccelli se ne stavano di fronte a me, e vidi dai loro corpi uscire
delle lame metalliche. Riuscii a coprirmi dietro la portiera in tempo, ma
rimasi ancora più terrorizzata quando notai che era successo: le cose
metalliche che erano schizzate fuori dal loro corpi erano le loro piume, ed
avevano perforato la portiera.
Ok, se devo morire in questo modo,
speriamo almeno che siano veloci a farmi fuori! Pensai terrorizzata con le lacrime
agli occhi, e chiusi gli occhi, accucciandomi su me stessa dietro la portiera
mezza distrutta mentre quegli enormi uccelli si preparavano ad un attacco
diretto.
Poi
accadde una cosa che non mi aspettavo proprio: sentii un botto e gli uccelli
lamentarsi. Alzai lo sguardo e vidi che di fronte alla portiera c’era un
ragazzo alto, dai capelli nero corvino che mi dava le spalle. Teneva qualcosa
di fronte a sé, una specie di scudo, che aveva fermato i tre mostri:
stranamente quell’aggeggio a differenza della portiera dell’automobile non si
era distrutto. Mentre i tre uccellacci si stavano riprendendo dal dolore, il
ragazzo si girò verso di me preoccupato e, restando in posizione di difesa, mi
domandò: - Are you ok? –
Non
capii perché stesse parlando in inglese, ma annuii debolmente, tremando e non
sapendo né cosa fare né se mi potessi fidare di quel ragazzo… poi mi resi conto
della realtà: quel ragazzo mi aveva salvata! Anche lui vedeva quei giganteschi
mostri! Allora non ero io ad essere pazza! Dopo anni passati con gente che
cercavano di convincermi che avevo dei problemi, ora avevo la certezza di
essere sana di mente! Non ebbi tempo di fare delle domande, perché i tre
uccellacci stavano per riattaccare. Solo in quel momento notai che il ragazzo
non solo teneva uno scudo con una mano, ma nell’altra aveva… una spada.
Il
ragazzo tentò parecchie volte di colpire le creature, ma quelle si alzavano e
si abbassavano in volo e passavano subito all’attacco con le loro piume
micidiali, i loro becchi affilati e i loro artigli. Il ragazzo se la stava
cavando comunque benissimo, e ad un certo punto finalmente la sua spada riuscì
a trapassare il corpo metallico di una delle creature che, con uno strillo raccapricciante,
si dissolse in polvere. Gli altri due mostri non sembravano felici della
scomparsa del loro compare, e i loro occhi lampeggiarono rabbiosi verso il
ragazzo, che dovette mettercela tutta per difendersi. Ormai i due esseri malefici erano
concentrati solo sul ragazzo, come se si fossero dimenticati di me; mi
sentivo impotente di fronte a quella scena, avrei voluto aiutarlo anch’io a far
fuori quei cosi, anche se non sapevo come. Ad un certo punto uno dei due
uccelli, nel tentativo di beccare in pieno il ragazzo, stava per planare dritto
con il suo becco addosso a me, ma lo sconosciuto con un salto
mi fece abbassare e mi protesse con il suo scudo. Nel momento stesso in cui lo
fece mi lanciò un accendino rosso fuoco dicendomi in inglese: - Prendi Exusía!
– e tornò alla lotta. Guardai l’accendino senza capire: cosa dovevo farci con
un accendino?! Accendermi l’ultima sigaretta prima di lasciarci le penne?!
Vedendo con la coda nell’occhio che fissavo l’accendino senza capire, mentre
parava l’ennesimo doppio attacco dei due mostri, il ragazzo urlò: - Accendi! -
Non
riuscivo proprio a capire a cosa potesse servire, ma lui sembrava saperne molto
più di me, quindi gli diedi ascolto; con il pollice feci scattare l’accendino,
che si accese, ma la fiamma si allugò di almeno sessanta centimetri, e sentii
nella mia mano destra l’accendino allungarsi. Quando aprii gli occhi mi
ritrovai in mano anch’io una spada, e rimasi a bocca aperta: era lucida, aveva
il pomolo incastonato di piccoli smeraldi rossi e sull’impugnatura vidi una
scritta, ma non ebbi tempo di leggere
che uno dei due mostri mi attaccò.
Senza
pensarci un secondo di più, sferrai un colpo al mostro, tranciandogli la testa
di netto: questo si dissolse immediatamente in polvere con un verso dolorante.
Mi stupii della mia bravura visto che in vita mia non avevo mai tenuto in mano
una spada. Mi avvicinai al ragazzo affiancandolo, ed entrambi ci mettemmo in
posizione di difesa di fronte all’ultimo mostro rimasto, che sembrava scrutarci
come a valutare quale fosse il modo più doloroso possibile per ucciderci.
-
Non appena scende in volo su di noi, tu buttati da parte – mi sussurrò piano il
ragazzo. – e quando mi sta per colpire, sferragli un fendente da dietro dritto
nel collo. -
Annuii
agitata, tenendo entrambe le mani sull’impugnatura della spada, e presi un
grosso respiro: dovevo concentrarmi e stare tranquilla, quel ragazzo sapeva
come cavarsela, potevo farcela pure io. Come aveva previsto, il mostro planò in
picchiata su di noi; io mi buttai a sinistra, la spada ben stretta tra le mie
mani, ma mi alzai in piedi subito: il mostro era praticamente a poca distanza
dal ragazzo, e questo se ne stava immobile, lo scudo alzato e la spada pronta a
difendersi. Non mi feci attendere un secondo di più: con un coraggio che
nemmeno io credevo di avere, mi buttai sulla schiena dell’uccellaccio, alzai la
spada con entrambe le mani, la lama rivolta verso il basso e glie la conficcai
dritta nel collo. Il mostro sorpreso urlò e si dileguò sotto di me, facendomi
cadere a terra con le ginocchia, mentre la spada si conficcava nel terreno, a
un paio di centimetri di distanza dal ragazzo.
Rimasi
inginocchiata per terra ancora per un paio di
secondi, le mani intorno all’elsa della spada: ero troppo traumatizzata per dire qualcosa, e non sapevo se scoppiare
a piangere dal sollievo o urlare di gioia. Mi lasciai andare indietro e mi
appoggiai a terra con le mani, osservando dal basso il ragazzo che stava
finalmente lasciando la posizione di difesa e mi osservava con un sorriso
soddisfatto.
-
Te la sei cavata proprio bene! – si complimentò mentre il suo scudo si
rimpiccioliva fino a diventare un polsino di borchie e pelle nera attorno al
suo polso sinistro. – Non tutti alla prima occasione riuscirebbero a fare fuori
due Stinfalidi in quel modo…! -
Riportai
le mani sull’elsa della spada, per aiutarmi ad alzarmi, visto che le gambe mi
cedevano dall'emozione per quello che era appena capitato.
-
Stinfalidi? Si chiamano così quei cosi? – domandai in inglese, togliendo la
spada dal terreno. Lui annuì e spiegò: - Sono dei mostri carnivori. –
Beh, su questo non avevo alcun dubbio… pensai ironica, dopo di che
continuando a guardare il ragazzo, finalmente gli posi la domanda che avrei
voluto porgli già all’inizio: - Perché posso vedere questi mostri? E perché
sino ad ora tu sei l’unico oltre a me che può vederli? –
Il
ragazzo ripose la spada nel fodero e senza rispondermi mi suggerì: - Spingi
verso il centro due estremità opposte della guardia. –
Scoprii
quindi che la guardia era quella parte tra l’impugnatura e la lama, ma prima di
fare quello che mi aveva detto, osservai meglio la spada, per leggere quella
scritta che poco prima non avevo avuto il tempo di leggere: c’era scritto Ἀχιλλεύς. Non avevo studiato greco al liceo, ma lo riconoscevo e mi
stupii di riuscire a leggere e a capire chiaramente quella scrittura: c’era
scritto Achille.
- M-ma… qui c’è
scritto… - balbettai e il ragazzo annuì.
-
Quella si chiama Exusía, un tempo era la spada del prode Achille – mi spiegò.
Scossi
la testa sconvolta e dissi: - No, scusa… non credo di essere così pessima in
inglese… ma hai veramente detto che questa era
veramente la spada di Achille?! –
Il
ragazzo annuì; io strinsi sconvolta le due estremità opposte della guardia
verso il centro, come mi aveva detto lui e la spada sembrò rimpicciolirsi fino
a tornare un comune accendino.
-
No! – esclamai mettendomi le mani tra i capelli e camminando avanti e indietro
agitata come non lo ero da molto tempo. – Com’è possibile tutto questo?! Sono
anni che me lo domando, ma nessuno a parte me crede in quello che vedo… nessuno
mai ha mai visto quello che vedo io, tu sei l’unica eccezione! -
-
E’ colpa della foschia. – spiegò lui calmo. – La foschia è una magia che copre
gli occhi dei mortali facendo loro sembrare normale qualcosa che normale non è.
Per questo loro non possono capire cosa ti accade realmente. –
Mi
voltai ferma verso di lui, e osservando quei suoi occhi scuri, neri e così
profondi, riuscii leggermente a calmarmi: lui era così quieto che non potevo
non esserlo pure io.
-
Parli di mortali come se tu non lo fossi… - gli feci notare.
-
Come se noi non lo fossimo – mi
corresse, e vedendo la mia espressione accigliata, sorrise e mi disse: - Che ne
dici di dirigerci a piedi verso casa tua? Io e te dobbiamo parlare, e poi ovviamente
dobbiamo parlarne con il tuo genitore… ti spiegherò dopo – aggiunse vedendo la
mia faccia straniata dal fatto che io e lui dovevamo parlare con i miei.
Fortunatamente non eravamo tanto distanti da casa mia, e ci incamminammo nel
buio della notte, bagnati fradici dalla pioggia che era appena finita.
-
Cavoli, che scemo! – esclamò lui all’improvviso. – Le circostanze mi hanno
impedito di presentarmi…- allungò la mano verso di me e si presentò: - Io mi
chiamo Nico Di Angelo. – gli strinsi la mano sorridendogli e mi presentai: -
Roberta, ma chiamami Robby… –
Notai
subito che aveva un cognome italiano, nonostante parlasse inglese. Però non
avevo tempo di chiedergli vita, morte e miracoli sulle sue origini: quello che
interessava a me era sapere il motivo per cui mi succedevano sempre quelle cose
assurde.
-
Tu… stavi dicendo che non siamo mortali? – ripresi il discorso continuando a
camminare, scrocchiandomi le dita nervosa.
-
Lo siamo in parte. – mi corresse. – Tu vivi sola con un tuo genitore, vero? –
Scossi
la testa, e abbassai lo sguardo: tra i tanti problemi che avevo, avrei dovuto
raccontargli anche quello…
-
Io… sono stata adottata. – raccontai con una voce fine. – Vivo con i miei… beh,
in pratica sono loro i miei genitori. Ho così tanti problemi che non mi sono
mai chiesta chi fossero realmente i miei genitori, e non ho nemmeno voglia di
saperlo… -
Nico
sospirò e annuì.
-
E’ un po’ più complicato di quello che accade di solito, ma… sappi solo che la
causa dei tuoi problemi è proprio uno dei tuoi veri genitori. - Lo guardai
accigliato, ma lui continuò: - Sei dislessica, vero? E iperattiva, esatto? -
Ancora
una volta non potevo crederci: come faceva a sapere tutte quelle cose di me?!
-
Sì, ma… come fai a saperlo?! – gli domandai. Non era mai facile raccontarlo
alla gente, specialmente con dei quasi sconosciuti. Era come ammettere di
valere meno di una persona normale, cosa che in terapia mi facevano sempre
pesare involontariamente e, credetemi, se non è bello quando la gente vi dice
che non siete normali, lo è ancora di meno quando siete voi a doverlo
ammettere. Ma Nico lo sapeva già, sembrava sapere tutto di me, il che aveva
dell’incredibile, ma nell’ultima ora cosa c’era stato di non incredibile?
Lui
sorrise e continuò: - Tu non sei dislessica, e meno che meno iperattiva,
Roberta! Ricordi poco fa? Sei riuscita a leggere quella scritta anche se era in
greco: il tuo cervello è impostato sul greco antico, per questo quando tenti di
leggere nella tua lingua le lettere iniziano a roteare – rimasi ad ascoltarlo a
bocca aperta: era tutto così assurdo…
-
E l’iperattività? – domandai.
-
Sono i tuoi riflessi da guerriera. – mi spiegò lui.
-
Guerriera? E perché dovrei essere una guerriera? E cosa centrano i miei
genitori naturali in tutto questo? – chiesi senza capire.
Nico
sospirò, poi mi domandò: - Tra tutte le situazioni assurde che hai vissuto… ti
è mai capitato di sentire una forte sensazione di calore dritta nello stomaco?
–
Rimasi
in silenzio: sì, mi era capitato. Non stavo facendo nulla di strano quando mi era successo: mi ero semplicemente svegliata da un sogno strano con quella sensazione calore di
cui parlava Nico…
-
Io… sono andata a vedermi allo specchio in quel momento, mi sentivo strana… -
gli confidai; lui annuì e mi chiese: - E ti è apparso un simbolo, vero? -
Lui,
per qualche strano motivo, sapeva tutto. Mi tirai su la manica destra e gli
mostrai la parte interna del polso, dove avevo tatuato un fulmine.
-
Quel giorno ho visto un simbolo come questo – gli dissi. – So che può sembrare
assurdo, ma quando mi sono vista allo specchio l’ho visto proprio brillare
proprio sopra di me, e dopo quel momento… non so… è come se fosse stato più
forte di me, appena ho potuto sono andata e me lo sono fatta tatuare qui. -
Nico
rimase basito per un attimo, poi si portò una mano tra i capelli e commentò: -
La cosa è sempre più complicata di quanto credevo che fosse… -
-
Allora?! – lo interruppi esasperata. – Mi vuoi dire che c’è che non va?! -
-
Mi sembra ovvio, no? – mi chiese guardandomi cauto. Il suo sorriso si era forse
un po’ spento, sembrava un po’ più intimorito di prima. – Tu sei figlia del
divino Zeus. –
Ci
eravamo fermati di fronte alla porta di casa mia, ma ancora non avevo preso le
chiavi dalle tasche. Era veramente troppo incredibile. Impossibile. Ma Nico
continuava a fissarmi serio come non mai.
-
Zeus?! – domandai dopo parecchi secondi, o forse minuti, di totale silenzio.
Lui annuì, ed io continuai: - Ma gli dei dell’Olimpo non esist… - lui mi mise
una mano sulla bocca per impedire che finissi la frase, e mi disse: - Se non vuoi
morire fulminata dal tuo stesso padre evita di pronunciare quella frase, ok? -
Gli
tolsi la sua mano dalla mia bocca, ed esclamai: - E’ semplicemente assurdo! –
-
C’è forse qualcosa nella tua vita che non lo è stato?! – mi fece notare lui, e
allora mi zittii: tutto quello che mi aveva detto avere un senso, era
incredibile, ma dopo anni ero riuscita a darmi una ragione alternativa al fatto
che fossi da manicomio. - Ti sei tatuata sulla pelle un simbolo che hai visto
apparire sulla tua testa: sai che è importante, è per questo che l’hai fatto
anche se all’inizio non avevi capito per quale motivo. -
Rimasi
ancora parecchio tempo in silenzio, sconvolta.
-
E cosa dovrei fare allora? – chiesi tristemente.
-
Vieni con me. – disse lui tranquillo, e finalmente sul suo volto tornò un
sorriso. – Al Campo Mezzosangue. E’ un campo per ragazzi che hanno un genitore
divino e uno umano, ragazzi ‘mezzosangue’, appunto: ci si allena a combattere i
mostri che sono attratti dal nostro odore e a sopravvivere senza problemi. Io
sono al Campo da quattro anni. –
Un campo per persone come me? Sentii il cuore battermi forte nel
petto: per la prima volta mi stavano proponendo di andare in un posto che non
era il manicomio, un posto nel quale certamente, mi sarei sentita a mio agio
con persone che sapevano cosa voleva dire ‘essere diversi’. Una parte di me
però esitava ad accettare; non dubitavo delle parole di Nico, lui aveva
indovinato troppe cose di me, questo non poteva essere un caso e mi aveva
salvato la vita… quello che mi faceva esitare era l’idea di lasciare i miei
genitori. Sì, la mia vita non era mai stata normale, non lo sarebbe mai stata,
ma senza i miei genitori, senza la mia piccola sorellina, avrei azzerato la mia
normalità: erano una parte importante della mia vita.
Ero
così presa dai miei pensieri che mi ricordai solo dopo di chiedergli: - Ma
quindi anche tu sei un figlio… hem… di Zeus? –
Dal
cielo partì un fulmine, e sia io che Nico alzammo lo sguardo spaventati, poi
lui tornò a me, come se una reazione simile da parte del cielo fosse nella
normalità.
-
Credo che Zeus non abbia gradito questo tuo commento – disse lui con un sorriso
ironico e un sopracciglio alzato. – Non tutti quelli al Campo Mezzosangue sono
figli di Zeus: esistono anche altri dei e dee, sappilo. -
Io
allora gli posi quella fatidica domanda che vorticava da un bel po’ nella mia
testa senza trovare risposta: - Allora tu di chi sei figlio? –
Mi
sorrise tetro e i suoi occhi neri sembrarono accendersi, diventando ancora più
profondi.
-
Io sono figlio di Ade, il dio dei morti -
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Capitolo 2 *** Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade ***
Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade
2
Mi
ritrovo al Campo Mezzosangue
a
fare da infermiera al figlio di Ade
eci
poco caso a quello che successe dopo. Entrai in casa con uno sconosciuto
dicendo che la macchina era distrutta e i miei iniziarono a bombardarmi di
domande. Nico cercava di spiegare quello che stava succedendo, ma né mio padre
né mia madre sapevano una briciola di inglese, quindi mi ritrovai non solo al
centro dell’attenzione, ma pure a fare da traduttrice. Io però traducevo senza
intromettermi troppo nel discorso: normalmente avrei tentato di giustificarmi,
ma non ce la facevo, tutte quelle rivelazioni mi avevano traumatizzata troppo.
-
Vostra figlia deve venire con me al Campo – insisteva Nico serio.
-
Questa storia degli dei… è tutta una cosa ridicola! – esclamò mio padre rosso
come un peperone dalla rabbia.
Nico
allora, vedendo che i miei genitori ancora non gli credevano, disse: -
Se non credete agli dei posso mostrarvi i miei poteri: al Campo ho
imparato a manipolare la foschia, posso
mostrarvi che ciò che dico è reale. –
-
Cosa sta dicendo? – domandò mia madre nervosa, e io le tradussi: - Sta
semplicemente dicendo che se volete può dimostrarvi che tutte queste cose sugli
dei sono vere. -
-
Devo però avvertirvi – intervenne Nico – Non è uno spettacolo per
deboli di cuore. –
Alzai
un sopracciglio.
-
Cosa? – chiese mio padre fissandomi insistentemente per ricevere una traduzione
istantanea.
-
Ha detto di rimanere seduti e allacciare le cinture di sicurezza: non vuole
prendersi alcuna responsabilità in caso di svenimenti. – tradussi; avevo fatto
quella battuta per rompere un po’ la tensione, ma in realtà ero nervosa pure io
come loro: insomma, Nico stava per dimostrare i suoi poteri, e lui era il
figlio del dio dei morti… la cosa era inquietante.
Nico
portò le mani davanti a sé, la sinistra davanti agli occhi di mia madre e la
destra davanti a quelli di mio padre. La scena era abbastanza divertente e
trattenni una risata vedendo una vena fuoriuscire dalla tempia di mio padre,
che sicuramente stava pensando a quanto fosse ridicolo prestarsi a una simile
sciocchezza.
Dopo
di che, Nico appoggiò le mani sul pavimento, e tutti noi sentimmo dei rumori
provenire dal giardino alle nostre spalle; io, mamma e papà corremmo alla porta
finestra, e vedemmo dei corpi uscire dal terreno, alzarsi e camminare. Era
buio per vedere le loro facce, ma la cosa era reale e nessuno poteva negarlo.
Mamma e papà stavano per dare di matto, erano talmente sconvolti che non
riuscivano nemmeno ad urlare.
-
Potete andare… - disse Nico rivolgendosi agli zombie. Anche se la porta era
chiusa, i cadaveri colsero il messaggio e tornarono da dove erano arrivati, da
sotto terra.
-
Ci sono dei cadaveri sotto il nostro giardino?! – domandai terrorizzata rivolta
a Nico, interrompendo quel tetro silenzio.
Lui
alzò le spalle. – Pensi che dopo tutti questi secoli, sotto strati e strati di
terra non ci siano dei morti un po’ ovunque? –
Inquietante,
ma non faceva una piega.
-
Non ci posso credere… - disse mamma lasciandosi andare sulla sedia, pallida
dalla paura.
-
Tutto quello di cui ci raccontavi, i mostri e i sogni… era tutto vero. –
Io
annuii: una parte di me avrebbe voluto ricordare loro che come minimo mi
dovevano delle scuse per gli anni passati in terapia a farmi dare della pazza dagli
altri, ma pensai che al loro posto anch’io mi sarei comportata così.
-
Credo che Nico abbia ragione – dissi lentamente. – Devo andare a questo Campo:
se voglio tornare da voi e vivere nel limite del possibile una vita normale,
non posso fare altro. -
Mamma
annuì, ma papà sembrava ancora troppo scioccato per dire qualcosa.
-
Hey, starò bene! – esclamai, più per convincere me stessa che per loro.
-
Ci dobbiamo pensare, Robby… - disse papà all’improvviso.
-
Che ha detto? – mi chiese Nico; gli tradussi quello che aveva detto papà e
Nico sembrò diventare di tutti i colori.
-
Forse non capiscono la gravità della situazione... più
tempo passi qui, più mostri potresti incontrare! Già sono
stupito che tu sia ancora
viva... –
-
Molto gentile a sottovalutarmi così… - commentai ironica, ma lui scosse la
testa.
-
No, tu non capisci… è veramente complicato vivere da Mezzosangue – spiegò. - la
gran parte di noi se non trovato e addestrato al Campo non arriva ai 13 anni.
Solitamente solo i Mezzosangue di dei minori riescono a cavarsela senza il
Campo, perché il loro odore non è forte… ma tu, sei figlia di Zeus! I figli di
Zeus, Ade e Poseidone sono quelli più in pericolo di tutti. Però è possibile
che tu te la sia cavata semplicemente perché vivi in Europa. –
Lo
guardai accigliato, prendendola un po’ come un’offesa.
-
Scusa, e cosa c’è di male nel vivere in Europa?! – gli domandai incrociando le
braccia e aspettando una risposta.
-
Non te la devi prendere – mi disse subito. – Devi sapere
che gli dei e l’Olimpo
si spostano a seconda del paese più avanzato in un dato periodo
storico: Grecia, Roma, Gran Bretagna fino ad arrivare in America.
–
-
Ma... se gli dei sono in America ora come ora, perchè io sono
italiana? – chiesi; era una domanda stupida da fare in effetti,
ma era lecita.
- Probabilmente tua madre naturale deve essere una donna veramente speciale per aver attratto Zeus così lontano. - spiegò pazientemente Nico. -
Il fatto è che nessuno al Campo si aspettava di trovare una Mezzosangue così
potente. -
-
Io… sarei potente? – domandai in un sussurro.
Nico
annuì. – Sono venuto qui da te apposta per questo. Chirone, il nostro mentore
al Campo, si è reso conto che qualcosa sta cambiando, è stato registrato un
aumento della presenza di mostri proprio in questa zona, e ha mandato me in
ricognizione. Sono settimane che piove, noi credevamo che ci fosse l’intervento
di qualche mostro in particolare, non avevamo pensato all’eventualità che ci fosse qualche
potente Mezzosangue proprio qui. –
-
Quindi tutta questa pioggia… è colpa mia? – domandai con un filo di voce.
Nico
alzò le spalle. – A quanto pare sì. Ma è strano: un Mezzosangue
perde raramente il controllo dei suoi poteri, solitamente accade quando si trova in pericolo, eppure questa
situazione continua da oltre un mese… –
Avrei
voluto raccontargli dei sogni che facevo, della ragazza imprigionata, sentivo
che in qualche modo aveva qualcosa a che fare con quello che stava succedendo…
poi vidi le facce di mamma e papà. Solo una mia occhiata ed entrambi annuirono
debolmente. Mamma si alzò e mi strinse in un abbraccio.
-
Mi fido di te, quindi fai la brava e fatti sentire di tanto in tanto. – mi
sussurrò piano, e annuii, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Papà
invece si alzò e mi mise una mano sulla spalla: si vedeva
chiaramente che pure lui
non voleva lasciarmi andare e che se lo faceva era solo per il mio
bene, ma non
è mai stata una persona che ama mostrare la propria
emotività, così si limitò a quel semplice gesto.
Gli sorrisi
cercando di incoraggiarlo.
Prima
di andare chissà dove e per chissà quanto tempo, andai in punta di piedi in
camera, e l’osservai nostalgica a luce spenta: il mio letto era ancora fatto dall'altra parte della stanza,
mentre nel letto vicino alla porta, mia sorella dormiva beata senza sapere
cosa stava per succedere. Avrei voluto svegliarla per salutarla, ma sapevo che
di fronte a lei avrei ceduto e sarei scoppiata a piangere, quindi mi limitai a
sedermi sul suo letto e ad accarezzarla. Intanto guardai sulla scrivania le
foto che immortalavano i momenti più belli passati con gli amici e per un
attimo mi persi nei ricordi: quella grigliata a casa mia, quante risate! Per
non parlare delle emozioni vissute a quel concerto… poi il mio sguardo si
soffermò sui biglietti aerei che avevo attaccato sull’armadio; altri splendidi
ricordi entrarono di prepotenza nella mia mente, e sentii lo stomaco
contorcersi all’idea di dovermene andare senza neppure salutare i miei amici.
Mi
voltai e vidi Nico sul ciglio della porta, che mi fissava, imbarazzato da essere
un estraneo in quel momento così intimo e personale.
-
Bella camera – si limitò a dire.
Io
annuii e mi alzai in piedi, salutando mia sorella con un’ultima carezza.
-
Devo prendere qualcosa? – domandai a Nico. Lui scosse la testa.
-
Tutto ciò che ti serve sarà al Campo. – mi rassicurò. Presi solo con me il mio
iPod, ci tenevo a sentire ovunque la mia musica preferita. Tornai all’ingresso
e salutai ancora una volta i miei genitori, promettendo loro di farmi sentire
il prima possibile, ed uscii da casa mia con Nico.
-
Ed ora? – domandai. – Dove si trova questo Campo? –
Nico
rispose allegro: - Beh, a Long Island, in America. –
Lo
guardai un po’ accigliata e borbottai: - Hem… quindi dobbiamo andare in aereo?
–
Lui
scoppiò a ridere e rispose: - Non mi sembra il caso: non sono un figlio di
Zeus, mi fulminerebbe subito se solo provassi a invadere il suo regno. -
-
Allora cosa si fa? – domandai.
-
Dopo gli scheletri in giardino ti farò provare un’altra chicca di un figlio di
Ade. Si chiama viaggio nell’ombra. – disse con un sorriso.
Deglutii
e commentai: - Beh, un nome confortante direi! –
Mi
fece l’occhiolino e aggiunse: - Non devi avere paura delle ombre se sei con me.
– poi mi diede le spalle e mi ordinò: - Su, forza: sali sulla mia schiena e
attaccati forte a me. –
Lo
guardai cercando di capire se stesse scherzando o meno, ma quando notai il suo volto
serio, obbedii senza discutere.
-
Mi raccomando non ti staccare mai e poi mai da me, ok? – mi raccomandò Nico
prudente.
Non
mi lasciò tempo di ribattere che sentii un freddo gelido entrarmi nelle vene, e
fui circondata dal buio più profondo. Viaggiare nell’ombra è una cosa veramente
orribile: non si riesce a vedere nulla, non si ha la cognizione di luogo e
tempo e non solo ci si sente congelare dall’angolo più profondo del cuore, ma il
vento è così forte che sembra volerti fare le ossa a pezzi. Mi strinsi ancora
più forte a Nico: non riuscivo a vederlo, ma lui era l’unica fonte di calore
che mi rimaneva, l'unica cosa che mi permetteva di non perdere i sensi. Sembrava che
corresse ad una velocità atomica, era una cosa incredibile.
Improvvisamente,
dopo non so quanto tempo, riuscii a sentire qualcos’altro oltre a
Nico: il
terreno. Io e lui infatti facemmo un atterraggio non molto morbido
sull’erba
fresca, e fummo circondati da un tramonto rosso sangue. Ero ancora in
preda ai
brividi, ma mi alzai per vedere dove ci trovavamo: eravamo
all’aperto, in una
zona collinare, e riuscivo a scorgere parecchi edifici in stile greco
vicino a un lago. Mi voltai per congratularmi con Nico per quello che
aveva fatto,
ma lui giaceva in terra ad occhi chiusi: ero così entusiasta per
essere
arrivata al Campo, che davo per scontato che Nico stesse bene. Corsi da
lui, e
cercai di farlo rinvenire, ma invano; il cuore batteva, quindi era
ancora vivo,
ma il suo stato mi preoccupava comunque. Mi guardai intorno, ma non
c’era anima
viva: avrei dovuto andare fino al centro del Campo dove sorgevano
quegli strani
edifici per farmi aiutare, sicuramente lì conoscevano Nico.
Lo
alzai e me lo portai praticamente sulla schiena, incamminandomi piano verso il
centro del Campo; non era pesante per la sua età, ma era comunque
difficile trasportarlo in giro. Camminavo piano per non rischiare di
inciampare e cadere insieme a lui.
Ad
un certo punto vidi due figure correre verso di me dal lago: probabilmente mi
avevano visto trasportare un’altra persona e stavano accorrendo in aiuto; solo
quando si avvicinarono di più vidi che erano un ragazzo e una ragazza, ed
entrambi si accorsero di conoscere il ragazzo che avevo sulla schiena.
-
Nico! – esclamò il ragazzo, e mi aiutò subito a sostenerlo.
-
Cos’è successo? – chiese nervosa la ragazza.
Raccontai loro del viaggio nell’ombra, ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
-
E’ una cosa normale – mi spiegò il ragazzo. – Un viaggio nell’ombra è molto
faticoso… Nico è molto allenato, ma non ha mai portato con sé una persona. Ora
sta solo dormendo, è esausto e ha bisogno di riprendere forze. -
-
Dobbiamo portarlo in infermeria. – continuò la ragazza annuendo, e ci fece
strada.
Arrivammo
molto velocemente in infermeria e la ragazza portò indietro
le lenzuola di un letto vuoto, così che io e il ragazzo potessimo adagiarci
sopra Nico.
Finalmente
potei vedere in volto i due che mi avevano aiutata; la ragazza era molto bassa,
anche se probabilmente aveva un paio d’anni in più di me, capelli neri, corti e
ben pettinati, e mi osservava incuriosita con degli occhi neri e profondi. Il
ragazzo invece era alto, slanciato e atletico, anche lui capelli neri ma occhi
verdi, d’un verde intenso, forte e impetuoso… sentii un brivido percorrermi la
schiena: quel ragazzo aveva qualcosa di strano, me lo sentivo per qualche
strano motivo… mi fissava accigliato e sedendosi in fondo al letto di Nico
disse: - Non abbiamo fatto le presentazioni: io mi chiamo Percy, e lei è
Helénia. –
La
ragazza alzò la mano per salutarmi, e lo fece con un enorme sorriso, mentre
Percy sembrava continuare a studiarmi, il che era abbastanza irritante.
-
Io sono Roberta, ma chiamatemi Robby. – mi presentai. – A quanto pare sono la ragione per cui in
Italia c’erano tanti problemi. -
-
Allora Nico ha completato con successo la sua impresa in Europa! – esclamò
Helénia allegra, andando verso il comodino di Nico e tirando fuori una strana
sostanza che sembrava succo di mela.
Solo
in quel momento mi accorsi che Percy, Helénia e tutti i pochi ragazzi che avevo
incontrato sul percorso verso l’infermeria, indossavano una maglia arancio a
mezze maniche con la scritta Campo
Mezzosangue.
Sentendo
caldo, mi tolsi la felpa e non appena lo feci, Percy m’apostrofò: - Cos’è quel
simbolo sul polso? – Alzai il braccio, gli mostrai il tatuaggio del fulmine e
gli spiegai: - A quanto pare sono figlia di Zeus. Quando ancora non sapevo cosa
potesse significare quel simbolo che mi è apparso sopra la testa, sentivo di
dovermelo tatuare sul corpo. –
Percy
sospirò e borbottò: - Ecco perché ho questa strana sensazione con te… -
-
Come? – domandai io senza capire cosa volesse dire.
Il
ragazzo mi osservò in una maniera strana: i suoi occhi verdi sembravano quasi
volere attraversare i miei.
-
Io sono figlio di Poseidone. – disse. – Sai… uno dei tre pezzi grossi insieme a
Zeus e Ade. Spesso loro sono in competizione e litigano, anche per delle
stupidaggini… per questo sentivo una strana sensazione allo stomaco non appena
ti ho vista. -
Quindi
gli stavo già antipatica a pelle. Probabilmente era la stessa sensazione che
provavo io con lui. Fantastico. Vedendo la mia faccia, Percy si affrettò a
chiarire: - Ma non è detto che non possiamo essere amici; conosco un’altra
ragazza che è figlia di Zeus esattamente come te ed è mia amica. Semplicemente,
beh… credo che ci sia un senso di rivalità intrinseco, ma questo non vuol dire
che non si possa andare d’accordo, no? –
Beh,
quel ragionamento non faceva una piega. Annuii nervosa, poi guardai Helénia e
le domandai: - Tu invece di chi sei figlia? –
Con
un sorriso mi lanciò una maglia arancione esattamente come le loro, che era
appena andata a prendere in un armadio nella stanza.
-
Sono figlia della dea Philotes. – rispose e vedendo che ancora non avevo
capito, aggiunse: - E’ una dea minore, è figlia della Notte. Se Poseidone regna
sul mare, Ade negli Inferi e Zeus sul cielo, mia madre regna nei sentimenti
dell’affetto, della passione e dell’amicizia. Sai, fino a poco tempo fa nel
Campo c’era posto solo per i figli di dei maggiori, ma ora dopo l’accordo
stipulato nell’ultima guerra, ogni mezzosangue ha un suo posto qui. -
Sebbene
non sapessi a quale guerra facesse riferimento, io annuii e Percy si alzò in
piedi dicendo: - Beh, credo che sia tempo per te di andare a parlare con il
nostro mentore, Chirone. Ti spiegherà come funzionano le cose qui al Campo. –
Io
però non mi mossi, e commentai solo: - Io da qui non mi muovo. –
Percy
si voltò nuovamente verso di me e mi guardò accigliato senza capire.
-
Come, prego? – chiese, e io ripetei: - Non mi muovo da qui; per lo meno non lo
farò fino a quando Nico non si sveglia. Non lo lascio da solo, ok? -
-
Ma lui non sarà da solo – mi spiegò con calma Percy. – Al Campo siamo in tanti,
inoltre lui non sta male, sta solo dormendo, e potrebbe continuare a farlo per
un paio di giorni… -
-
Non m’importa – lo interruppi. – Io rimango qui con lui, ok? –
Percy
sospirò e con passo pesante, forse un po’ arrabbiato borbottò: - Un’altra
testarda al campo, come se Annabeth non bastasse… -
Mi
voltai verso Helénia che sorrideva divertita dalla reazione di Percy.
-
E’ troppo forte quel ragazzo – commentò ridacchiando.
-
Chi è Annabeth? – le domandai.
-
La sua ragazza. – mi spiegò. – E’ figlia di Atena, la dea della saggezza. –
La
dea della saggezza?! Ok, dovevo farci ancora l’abitudine a tutte quelle
stranezze. Helénia si avvicinò a me porgendomi un panno bagnato e un bicchiere di quella
sostanza che sembrava succo di mela.
-
Cos’è? – le domandai.
-
Nettare. – spiegò gentilmente. – E’ il cibo degli dei. Essendo mezzosangue
possiamo berlo anche noi, ma in quantità ridotte, altrimenti prendiamo fuoco. –
-
Sì, ci manca solo di prendere fuoco per concludere in bellezza questa giornata…
- commentai sarcastica. Lei sorrise e disse: - E’ per Nico: il nettare, se
preso in quantità ridotte, aiuta la guarigione di noi mezzosangue. –
Ok,
ora aveva un senso. Appoggiai il panno bagnato sulla fronte di Nico, e gli
aprii la bocca, facendogli scorrere giù per la gola un sorso di quella strana
bevanda.
Passai
in infermeria tre giorni e tre notti, e Nico sembrava immerso nel più profondo
dei sogni. Ogni tanto borbottava qualcosa di incomprensibile, ma non mi
preoccupavo poi molto: se si agitava nel sonno e parlava addirittura, voleva
dire che era ancora vivo, e ciò non poteva che rasserenarmi.
Helénia
era una persona molto gentile: ogni giorno passava tre volte in infermeria a
portarmi qualcosa da mangiare e da bere; nonostante io e lei non conoscessimo praticamente
nulla l’una dell’altra, era come se fossi stata da sempre una parte importante
della sua famiglia: stare in sua compagnia mi si scaldava il cuore. Percy
invece veniva da me un paio di volte al giorno per dirmi che avrei dovuto
recarmi a parlare con Chirone e che avrei dovuto iniziare le attività e la
normale vita del Campo, ma io non demordevo: nessuno mi avrebbe smossa da più
di un paio di metri da quel letto fino a quando Nico non avesse ripreso i
sensi.
Presto
conobbi anche Annabeth, la ragazza di Percy: aveva i capelli ricci e biondi e
degli occhi di un grigio intenso che, quando incontravano miei, sembravano volermi leggere
dentro. All’inizio anche lei spalleggiava il suo
ragazzo nel tentativo di convincermi ad andare a parlare con questo Chitone, ma
quando vide che ero irremovibile, ci mise una pietra sopra.
-
La vuoi smettere, Testa d’Alghe?! – sbottò finalmente seccata rivolta a Percy.
– Capisco perché voglia stare vicino a Nico: è stato lui a portarla qua, e
anch’io quando sono arrivata qua… sì, insomma, ho passato molto tempo
all’albero di Thalia senza voler andarmene da là. -
Non
sapevo di che stessero parlando né meno che meno chi fosse Thalia, ma rivolsi
un sorriso riconoscente ad Annabeth che sembrava essere l’unica in grado di tenere testa a Percy. Lei mi
ricambiò il sorriso con complicità.
Passarono
altri due giorni, e sentivo un certo nervosismo passarmi per tutto il corpo:
anche se Nico continuava a parlare nel sonno e ad agitarsi di tanto in tanto,
mi preoccupava che non si fosse ancora svegliato. Sempre più spesso, toccando
cose o persone, lanciavo delle scintille, ma non lo facevo apposta.
Stavo
mangiando un pezzo di pizza che Helénia mi aveva portato gentilmente dal pranzo
di quel giorno anche se ormai era pomeriggio inoltrato, quando Nico iniziò a borbottare qualcosa; inizialmente non
capii cosa stesse dicendo, ma poi, per la prima volta, capii quella parola
incomprensibile che da giorni ormai ripeteva nel sonno: - Bianca…! Bianca! –
Chissà
chi era Bianca… forse la sua ragazza o forse una sua amica. Magari era una
ragazza del campo che io non conoscevo: a parte Nico, Percy, Annabeth e
Helénia, non avevo conosciuto nessuno… lo fissai agitarsi nel sonno. Dopo di
che i suoi occhi neri si spalancarono, terrorizzati e agitati.
-
Hey, Nico! – esclamai preoccupata. – Stai bene? -
Mi
guardò ancora sconvolto, e per un attimo sembrò non riconoscermi nemmeno; dopo
un paio di secondi passati ad osservarmi, scosse la testa e scendendo dal
letto disse: - Ho fatto un sogno e… io stavo per… è successo qualcosa nell’Ade, lo
so. –
Erano
frasi scollegate, ma l’agitazione stava prendendo il sopravvento su di lui.
-
Ascolta, calmati un secondo! – esclamai io, e con uno spintone lo feci tornare
a letto; spingendolo via, lo colpii con una scarica di elettricità, e i capelli
gli si rizzarono sulla testa.
-
Scusami! – feci subito io, portandomi desolata una mano davanti alla bocca.
-
Non fa niente… - borbottò lui appiattendosi i capelli.
-
Quello che volevo dire è che… io devo ancora parlare con Chirone del mio arrivo e a
quanto pare hai qualcosa da raccontargli pure tu. – dissi. – Ma non farti
prendere dal panico, d’accordo? Non sono rimasta qui in infermeria per cinque
giorni a vegliarti per vederti risvegliarti in panico, chiaro?! Devi stare un
po’ calmo…! Prendi un po’ di Nettare che ti fa bene… – gli piantai il bicchiere
di Nettare in mano e mi alzai in piedi con l’intento di uscire a cercare
qualcuno con cui parlare.
-
Sei rimasta qui per cinque giorni?! – domandò Nico incredulo, sdraiato a letto.
Io
annuii. – Cinque giorni e sei notti per la precisione. – chiarii e mi avviai
fuori. Prima che potessi allontanarmi troppo, sentii la sua voce chiamarmi: -
Robby! – Tornai indietro di un paio di passi, fino ad arrivare sulla soglia
della porta. Lo vidi sorridermi riconoscente e dire solo: - Grazie… -
Gli
sorrisi alzando le spalle come a dire ‘non è niente di
che’ e mi incamminai nel Campo alla ricerca di qualcuno.
|
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Capitolo 3 *** La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto ***
La mia permanenza al Campo Mezzosangue sarà più breve del previsto
Ciao a tutti!
Mi
dispiace pubblicare questo capitolo dopo così tanto tempo,
ma tra il volontariato, l'università e il fatto che sto leggendo
Heroes of Olympus (sono a circa metà di The Son of Neptune) ho
avuto poco tempo per scrivere fan fiction. Però ora eccomi qui
con il terzo capitolo! Il prossimo non so quando riuscirò a
scriverlo: ho mille idee e la trama già fissa nel cervello,
quello che devo fare è decidere fino a che punto scrivere nel
prossimo capitolo. Spero di riuscire a farlo il prima possibile. Ad
ogni modo sappiate che Robby è ancora viva e vegeta e pronta a
raccontarvi la sua storia!
A presto!
3
La mia permanenza al Campo Mezzosangue
sarà più breve del previsto
opo
tutti quei giorni che avevo passato reclusa in infermeria, finalmente ebbi modo
di girare per il Campo Mezzosangue. C’erano ragazzi di tutte le età che si
allenavano con la spada, altri che si allenavano al poligono del tiro con
l’arco, altri ancora che giocavano a pallavolo e di tanto in tanto incrociavo
addirittura dei satiri e delle ninfe. Solo in quel momento iniziai a rendermi
conto della realtà in cui sarei vissuta d’ora in avanti: quello sarebbe stato
il mio mondo.
Più
camminavo, più mi sentivo sperduta: non riuscivo a trovare Percy, Annabeth o
Helénia da nessuna parte, e mi sentivo a disagio sotto gli sguardi di tutti
quegli sconosciuti.
-
Hey, ciao! – fece una voce alle mie spalle. Mi voltai e vidi un ragazzo
avvicinarsi a me; il ragazzo aveva all’incirca la mia età, era alto,
abbronzato, con un’ombra di barba, capelli di un castano chiaro e occhi di un
azzurro intenso. Aveva un enorme sorriso amichevole e solare sul volto e un
arco sulla spalla.
-
Tu sei la figlia di Zeus che Nico ha portato in salvo? Il signor D ha accennato
a te giorni fa… - non avevo idea di chi fosse il signor D, ma io annuii e mi
presentai.
-
Io mi chiamo Paul, sono figlio di Apollo. – Per poco non scoppiai a ridergli in
faccia: insomma, un figlio di Apollo che si chiama Paul… abbastanza
onomatopeico e contando che Apollo oltre ad essere il dio del sole era il dio
della poesia, era un nome che calzava a pennello.
-
Hem… sai dirmi dove posso trovare… Percy, Annabeth o Helénia? – gli domandai.
-
Dov’è Percy lo so di certo! – esclamò lui allegro. – Adesso sarà con Chirone
nella Casa Grande, è sempre lì in questi ultimi giorni… ti ci accompagno io se
vuoi! –
Annuii
e mi lasciai condurre per il Campo verso questa Casa Grande. Mentre camminavamo
in riva al lago, di tanto in tanto Paul lanciava un’occhiata al suo riflesso
nell’acqua e si sistemava il ciuffo con attenzione.
-
Hem… sei sicuro di essere figlio di Apollo e non… che ne so… di Afrodite? –
domandai ironica. Lui rise di fronte alla mia domanda e rispose: - Hey, un
figlio di Apollo non ha il diritto di essere sempre splendente come il sole? -
Sì. Pensai. E’ proprio
un figlio di Apollo.
Durante
il percorso, ebbi modo di parlare con Paul: mi raccontò di come era arrivato al
Campo cinque anni prima grazie a Vera, una Mezzosangue figlia di Nemesi, e di
come i due fossero diventati sin da subito amici per la pelle.
-
Le devo la vita. – mi raccontò. – Mi ha salvato dall’Idra e mi ha portato sino
al Campo. -
Nonostante
fosse all’apparenza abbastanza narcisista, era un bravo ragazzo in fondo, e mi
fece rimpiangere un po’ di non aver salutato i miei di amici prima di partire.
-
E’ una ragazza testarda e caparbia, si lascia spesso trascinare dagli eventi,
ma è una persona magnifica, lo capirai quando la incontrerai… -
-
Sei mai uscito dal Campo da quando sei arrivato? – gli domandai. Lui s’intristì
improvvisamente e scosse la testa.
-
Io… no, non sono mai uscito da qui. – disse con un sospiro. - La situazione con
mia madre… diciamo che è complicata. Non avendo un posto dove andare sono
sempre rimasto qui, anche durante le vacanze. –
-
Sei rimasto in questo posto per ben cinque anni senza mai uscirvi?! – commentai
a bocca aperta. Ok, la cosa iniziava a terrorizzarmi: non mettevo in dubbio che
quel Campo fosse un posto perfetto per noi, se dovevamo combattere mostri
assurdi come quelli che avevo incontrato io nella mia vita, ma ora iniziavo a
vederlo più come una prigione che come un campo vero e proprio…
-
Sai, a noi Mezzosangue di tanto in tanto vengono date delle possibilità per
uscire nel mondo e dimostrare il nostro valore. – mi spiegò Paul. – Se il
consiglio è d’accordo, viene accordato il permesso di chiedere una Profezia
all’Oracolo e dopo di che potrebbe essere approvata un’Impresa. –
-
E tu ne hai mai avuta una? – chiesi. Lui fece di no con la testa; vedendo che
mi stavo rattristando per lui, si affrettò ad aggiungere: – Ma hey! Prima o poi
avrò la mia occasione, e allora, se sono certo, troverò la mia parte nel mondo.
–
-
In che senso ‘la tua parte nel mondo’…? – domandai senza capire.
-
Beh… il fatto è che qui al Campo tutto è fantastico: siamo praticamente una
grande famiglia, ci alleniamo tutti i giorni, ma… c’è qualcosa che non va
secondo me. Non sono tanti i mezzosangue che sopravvivono fino all’età adulta,
ma ultimamente ce ne sono parecchi; io ho 20 anni e in qualche modo sento la
necessità di farmi una vita fuori dal Campo, di trovare una mia aspirazione. –
tentò di spiegarmi. – Non dico che voglio trovare la normalità, non credo che
ci possa essere normalità nella vita di un Mezzosangue. Quello che voglio è
scoprire a cosa destinare la mia vita e vivere per quello. Non voglio essere un
semplice eroe di turno che mostra il suo coraggio solo quando è chiamato dagli dei:
io voglio essere l’eroe della mia vita e rendere il mondo un posto migliore per
tutta la mia esistenza. –
Parlava
con trasporto, gli occhi azzurri spalancati, sognanti e decisi. Non avevo mai
sentito qualcuno credere così tanto in qualcosa. Gli sorrisi dicendo: - Sono
certa che ce la farai e troverai qualcosa per cui lottare. –
In
lontananza vidi un edificio diverso dagli altri e sotto il portico notai Percy
parlare con una strana creatura… e rimasi a bocca aperta quando capii con chi.
Stava parlando con un centauro.
-
Ah, quindi è questa la ragazza di cui tanto mi hai parlato in questi giorni! –
commentò il centauro quando arrivai da loro.
-
No, aspetta… questo è Chirone?! – feci sbalordita, guardando Percy e Paul.
Percy
mi guardò incredulo e mi chiese: - Veramente non hai mai sentito parlare di
Chirone? E’ stato allenatore di famosi eroi come Eracle, Giasone, Enea,
Achille… -
Mi
voltai verso Chirone, che ancora mi stava studiando e mi accorsi di essere
stata una colossale maleducata, così abbassai il capo dispiaciuta. - Io… mi
dispiace di essere stata così maleducata da non essermi presentata… sono
Roberta, meglio se mi chiama Robby. –
Il
centauro annuì.
-
Sì, in questi giorni Percy mi ha parlato di te fino allo sfinimento. – disse. –
Aveva ragione a dire che abbiamo tanto di cui parlare, ma allo stesso tempo ho
ritenuto giusto rispettare certe tue scelte. -
Con
quelle parole Chirone si stava indiscutibilmente conquistando la mia simpatia.
-
Nico si è svegliato – gli dissi – non appena si sarà totalmente ripreso, anche
lui avrà qualcosa da dirle, ma per ora sono qui a raccontare la mia storia. –
Chirone
annuì e ascoltò paziente tutto quello che avevo da dire: raccontai della mia
famiglia, delle difficoltà che avevo trovato per anni ad essere una Mezzosangue
isolata dal resto del mio nuovo mondo, raccontai di quando Nico mi aveva
trovata e di come eravamo arrivati al Campo… poi mi bloccai: avrei voluto
raccontargli della ragazza imprigionata che da oltre un mese infestava i miei
sogni, sentivo che era importante… ma come poteva essere importante un
dettaglio così stupido? Decisi di tacere a questo proposito, avrei finito solo
per farmi dare della pazza anche dalle uniche persone che non mi ritenevano
tale.
-
E’ tutto molto strano. – commentò finalmente Chirone. – Avevo mandato Nico in
ricognizione perché credevamo che la ragione di tutta quella pioggia in Europa
fosse un qualche mostro, sentivo che c’era qualcosa di strano e che non era una
semplice pioggia… ma mai avrei pensato di trovare una figlia di Zeus così
lontano dall’America. Come potrebbe fare una cosa simile una figlia di Zeus che
ancora non sapeva di esserlo?-
Mi
osservò incuriosito, e vidi con la coda nell’occhio che Percy e Paul si stavano
scambiando uno sguardo preoccupato: probabilmente se nemmeno Chirone sapeva
come ero stata in grado di far scendere tutta quella pioggia, la cosa era
preoccupante.
-
Fino a quando Nico non ti ha resa partecipe di tuo padre, la pioggia ha
continuato a scendere, provocando parecchi danni per i mortali… questa non è
una capacità da mezzosangue, Robby. – mi avvisò Chirone.
- Quindi… forse non è colpa mia? – ipotizzai
speranzosa. – Forse era colpa di qualche dio…? –
Chirone
incrociò le braccia pensieroso e commentò: - Può essere. Forse di Zeus stesso.
Forse voleva che tu fossi trovata. –
-
I-io non capisco… - commentai. – Perché Zeus avrebbe voluto che mi trovassero proprio
adesso? Io ho visto il marchio di Zeus sulla mia testa a sedici anni, quattro
anni fa! Cosa dovrebbe volere da me proprio in questo momento? -
-
Robby, sono tutte ipotesi – mi ricordò Percy. – Nessuno di noi lo sa con
certezza. –
-
Certo, il suo è un caso isolato e di una certa importanza. – commentò Paul. –
Insomma, Zeus, Poseidone e Ade si erano promessi di non avere figli dopo il
casino della seconda guerra mondiale. Eppure da allora all’ultima guerra,
durante la quale questo patto è stato revocato, Poseidone ha avuto te, Percy,
Ade ha mantenuto in vita Nico, mentre Zeus ha avuto Thalia ed ora pure Robby.
Sebbene il patto ora come ora non sia valido, ci sarà un motivo se Robby è
stata trovata: vorrebbe dire scatenare l’ennesima lite tra gli dei visto che è
anche lei la dimostrazione di come Zeus ha tradito i fratelli; non so, tutto
questo non ha alcun senso… - commentò infine, passandosi nervoso una mano tra i
capelli.
Dopo
parecchio tempo passato in silenzio, Chirone disse: - Beh, ogni cosa al suo
tempo! Inutile tormentarsi in attesa di risposte che ora non ci sono:
l’importante è che tu Robby sia sana e salva qui al Campo. Percy, che ne dici
di accompagnarla alla sua cabina e spiegarle come funziona la cena visto che
ormai è quasi ora? -
Percy
annuì, così io, lui e Paul ci allontanammo dalla Casa Grande.
-
Mi dispiace di essere stato così scontroso con te in questi giorni. – disse
Percy all’improvviso. – Solo che… da quando Nico è partito sono sempre un po’
in ansia; già la Profezia
che ha ricevuto lui prima di partire per l’Italia non era il massimo, ma ora
che sei arrivata tu qui non so cosa aspettarmi. –
-
Sei preoccupato. – dissi solo alzando le spalle. – Ti capisco. Loro sono la tua
famiglia, no? E’ normale che tu ti preoccupi per il Campo. Ma toglimi una
curiosità… cosa diceva la Profezia?
–
Paul
e Percy si scambiarono uno strano sguardo, e Paul sembrò d’improvviso cercare
di trattenere un sorriso.
-
Nella terra di Roma un figlio d’Ade si
troverà / quando d’improvviso qualcosa di più grande scoprirà: / questo è solo
il primo passo per fermare / il Grande Risveglio che il mondo potrebbe
annientare. - recitò Percy, come se su quei versi ci avesse meditato per
intere nottate. Paul però continuò la profezia con un sorrisetto: - Con la spada di Achille l’eroe partirà…
-
-
Taci Paul! – esclamò Percy secco, ma Paul scoppiò solo a ridere.
Incrociai
le braccia e li guardai tentando di interpretare i loro comportamenti.
-
E il resto della Profezia? – domandai. Mentre Paul continuava a ridere, Percy
si fece sfuggire un sorrisetto senza volerlo e disse: - Beh, diciamo che questa
parte della Profezia potrà rivelartela Nico a tempo debito. -
Decisi
di non fare altre domande: Percy non era intenzionato a rivelarmi l’intera
Profezia, ma mi ripromisi che prima o poi sarei stata in grado di farmela dire
da Nico stesso.
Arrivammo
finalmente in un punto del Campo dove c’erano le cosiddette cabine: erano
veramente molte, alcune ancora in costruzione ed erano disposte come un’ellisse.
-
Eccoci qua! – esclamò Percy. – Queste sono le cabine, ovvero i nostri
dormitori, chiamiamoli così: ogni cabina è destinata a un dio, quindi siamo
divisi a seconda di chi sia il nostro genitore divino. La cabina numero uno,
quella là in centro, è la tua, quella di Zeus. -
Tra
tutte le cabine, quella di Zeus era sicuramente quella più celebrativa di
tutte: la struttura era enorme, tutta di marmo bianco, con delle grandi colonne
che la sostenevano; le porte erano di bronzo con fulmini incisi sopra che
scintillavano quasi fossero degli ologrammi.
-
Posso entrare? – domandai a Percy e Paul.
I
due annuirono.
-
Certo che puoi – mi disse subito Paul. – Solo che noi non possiamo entrarci,
non essendo figli di Zeus non siamo autorizzati; tu entra e visita con comodo
la tua cabina: noi ti aspettiamo qui. –
Mi
avvicinai titubante alle porte di bronzo, e quando le aprii mi trovai di fronte
a una sala unica, enorme che sembrava più un tempio che un luogo dove vivere.
Al
centro si ergeva un’enorme statua di Zeus, alta poco meno di dieci metri, e
solo allora sentii una fitta allo stomaco: per la prima volta stavo guardando
una statua di Zeus con la consapevolezza che fosse mio padre. In realtà
osservandolo bene, non aveva nulla in comune non me: lui aveva capelli neri,
sguardo severo e braccia muscolose, io invece capelli biondi, sguardo… beh, di
sicuro non severo, insicuro, direi… e braccia di una persona che si è solo
allenata a fare zapping sul divano.
Guardai
in alto e vidi il soffitto: la cupola era fatta di mosaico e ritraeva un cielo…
in movimento. Esatto, le nuvole e la luce del mosaico si muovevano, e io
sorrisi trovando l’unica cosa che mi piacesse in quel posto così spento e
freddo sentendomi improvvisamente quasi come Harry Potter nella Sala Grande di
Hogwarts.
Continuai
a guardarmi intorno, ma non c’erano mobili: c’era un letto sotto la statua di
Zeus che sembrava essere messo lì da qualcuno del Campo sapendo della mia
presenza, poi per il resto c’erano solo nicchie con al centro dei bracieri di
bronzo o delle aquile su dei piedistalli. Come potevano anche solo pensare di
far vivere qualcuno in un posto come quello?!
Eppure
qualcuno già c’era stato: in un angolo della stanza, notai che uno dei bracieri
di bronzo era stato spostato. Mi avvicinai e vidi che al posto del braciere
c’erano delle foto attaccate alla parete e uno zaino e un sacco a pelo
appoggiati per terra. Quelle cose dovevano essere lì da tanto tempo visto che
erano coperte di polvere. Mi avvicinai alle foto e con una mano levai lo strato
di polvere e potei riconoscere qualcuno: era Annabeth da piccola, avrà avuto
otto anni circa, ma dai capelli, dagli occhi e dai lineamenti ero certa che
fosse lei; era in compagnia di un ragazzo carino di circa quindici anni dai
capelli biondo cenere. C’erano parecchie foto di quei due che ridevano e si
divertivano davanti al falò. Poi vidi in una foto un’altra persona: una ragazza
di circa quindici anni, con corti capelli neri e vestita in stile gotico; la
cosa strana erano i suoi occhi: grandi e blu… identici ai miei. Doveva essere
Thalia, la ragazza che Paul aveva citato mentre parlavamo con Chirone: lei era
mia sorella di sangue. Continuai a fissarla con il cuore in gola.
Chissà se mai la incontrerò… pensai mordendomi un labbro pensierosa:
l’idea di conoscere una mia sorella mi rendeva molto più felice che il pensiero
di incontrare mio padre in persona. Lui mi aveva lasciata senza risposte e
senza una guida, solo con un segno sulla testa come a dire: Ti riconosco come mia figlia solo perché
sono obbligato. Nulla di più. Nei suoi confronti non riuscivo a sentire
nessun genere di legame: io un padre vero già ce l’avevo e si trovava in
Italia. Mentre per quella ragazza, per Thalia, era diverso: avevamo lo stesso
padre ma ero certa che a differenza di lui, lei non mi avrebbe abbandonata, se
solo avesse saputo di avere una sorella. Lei sapeva sicuramente cosa voleva
dire sentirsi… come me. Presi la foto e me la misi nella tasca dei jeans. Dopo
di che uscii e trovai ancora ad aspettarmi Percy e Paul.
Arrivò
subito l’ora di cena: andammo alla mensa, un padiglione senza tetto contornato
da bianche colonne greche, affacciato sul mare, con una dozzina di tavoli da
picnic in pietra e con un enorme braciere ardente al centro.
Percy
mi spiegò che anche durante i pasti, così come nelle cabine, eravamo divisi per
genitore divino; così Paul si sedette con i figli di Apollo, mentre io e Percy
ci trovammo ad essere gli unici due seduti soli in due differenti tavoli. Tra
la folla riuscii a distinguere Annabeth, che mi sorrise, circondata da ragazzi
e ragazze con i suoi stessi lineamenti, ed Helénia, seduta ad un tavolo con
solo due altri ragazzi oltre a lei.
Improvvisamente
tutti quanti si zittirono e solo dopo un po’ capii il perché: al tavolo
principale, dove stava Chirone, un ometto si era alzato, ma era talmente basso
che anche quando si era alzato sembrava essere seduto. L’uomo aveva un viso
paffuto, un naso rosso, i capelli scuri e ricci e gli occhi grandi, blu e iniettati
di sangue. Indossava una camicia hawaiana e delle scarpe da ginnastica viola, e
guardava tutti noi con aria di superiorità.
-
Bene, mocciosi, prima di farvi cenare devo annunciare un paio di cose visto che
qualcuno ci tiene ancora a queste formalità. – lanciò a Chirone uno sguardo
contrariato, dopo di che si rivolse ancora a noi annoiato. – Bene, stavo
dicendo? Ah sì: formalità… come già vi avevo annunciato, è arrivato al Campo un
nuovo ragazzo, Bobby… -
Mi
sentii ardere il viso: oltre al fatto che improvvisamente mi trovavo al centro
dell’attenzione, quell’uomo mi aveva chiamata Bobby e mi aveva dato del ragazzo.
-
Robby… - lo corresse subito Chirone. – Ed è una ragazza. -
-
Sì, beh… fa lo stesso. – borbottò l’uomo - Ad ogni modo accogliamo la nuova
figlia di Zeus e iniziamo a mangiare che io ho fame. –
Tutti
applaudirono educatamente fissandomi, ma nessuno degli altri mezzosangue
sembravano veramente felici del mio arrivo, ad eccezione di Helénia, Percy,
Paul e Annabeth. Nico ancora non c’era, doveva essere ancora in infermeria. Annabeth
incrociò il mio sguardo e guardò prima l’uomo vicino a Chirone e poi me e lessi
il labbiale: Dioniso. Quell’ometto al
tavolo principale era Dioniso, il dio del vino.
-
Ah già… - esclamò Dioniso all’improvviso. – Sono stato chiamato sull’Olimpo per
discutere con gli altri dei, in particolare con Zeus, riguardo Bobby… - mi
morsi il labbro: avrei voluto mettermi a gridare di smetterla di chiamarmi con
il nome di un cane, ma ora che sapevo che quello era un dio, decisi di
trattenermi.
-
Domani sera l’Oracolo tornerà al Campo, e Bobby dovrà incontrarlo: Zeus l’ha
condotta qua apposta per questo, e a quanto pare è certo che avrà qualcosa
d’interessante da dirle… una nuova Profezia a suo parere. -
Nella
mensa si alzò un chiacchiericcio conciso e, ancora una volta, mi sentii sprofondare
dall’imbarazzo; anche se non sapevo chi fosse l’Oracolo, sapevo cosa
probabilmente voleva significare tutto questo: forse era come mi aveva
raccontato Paul quel pomeriggio, avrei assistito ad una Profezia e mi sarebbe stata
affidata un’impresa. Mi sentii morire: molti di quei ragazzi erano lì da anni nella
speranza di ricevere un’impresa, mentre io ero praticamente appena arrivata e
già ne avevo una. I privilegi ad essere figlia di Zeus, probabilmente pensavano
gli altri, vedevo il modo in cui mi guardavano; eppure io non volevo niente di
tutto ciò, non volevo nemmeno essere figlia di Zeus! Era successo e non potevo
farci nulla.
Chirone
all’improvviso battè uno zoccolo per terra per richiamare il silenzio, alzò un
bicchiere ed esclamò: - Agli dei! –
Guardai
il mio bicchiere che era vuoto, e lanciai un’occhiata alle poche persone che
conoscevo; vidi Helénia che mi fece un’occhiolino, disse: - Coca cola! – e alzò
il bicchiere pieno di un liquido marrone. Ok, era una cosa pazzesca. Guardai il
bicchiere e borbottai: - Hem… the al limone? – e subito si riempì di quello che
avevo chiesto, e brindai agli dei con un sorriso sulle labbra, entusiasta di
questa piccola magia.
Delle
ninfe dei boschi stavano passando con vassoi pieni di cibo, ed io presi una
porzione di tutto quello che avevano: dopo tutto quel tempo passato in
infermeria a mangiare avanzi di cibo, il mio stomaco era contento di pregustare
una cena vera e propria. Stavo già per mangiare il primo boccone di carne,
quando vidi che tutti gli altri si stavano alzando, e decisi saggiamente di
imitarli. Vidi che tutti sceglievano con attenzione il pezzo più buono e
succulento di ogni portata che avevano nel piatto e… lo gettavano nel fuoco.
-
E’ un offerta per gli dei… - mi bisbigliò Percy passandomi di fianco e vedendo
il mio volto sbalordito.
Ok,
dovevo crederci. Presi il pezzo di carne più grande e ben cotta, lo buttai nel
fuoco e mi sentii investire da un profumo particolare: era violetta,
sicuramente. Quel profumo mi era noto, ma nessuno in famiglia o tra i miei
amici aveva profumi alla violetta. Era una fragranza intensa, forte e decisa,
molto femminile, e fece risvegliare qualcosa dentro di me: quella sensazione di
dejà-vu, di famigliarità, che è così vicino e allo stesso tempo così lontano
dal tuo cuore. Dove potevo aver sentito quel profumo? E perché lo sentivo tanto
vicino a me?
Misi
da parte tutte quelle domande, e chiusi gli occhi.
Perché mi hai voluta qui? Pensai trattenendo le lacrime e
rivolgendomi a Zeus. Per vent’anni mi hai
ignorata, ed ora mi hai voluta qui perché ti servo… fulminami all’istante se
sbaglio, ma avresti dovuto essere presente nella mia vita anche quando non eri
tu ad avere dei problemi. Scusa se non riesco proprio a chiamarti Padre.
Ero
insolente? Sì, lo ero, ma anche il cielo lo è: instabile e incontrollabile.
Alzai lo sguardo verso l’alto e vidi un lampo senza tuono nel cielo sereno ed
ebbi la certezza che Zeus mi aveva ascoltata e che era rimasto turbato dai miei
pensieri; fortunatamente non era arrabbiato seriamente, altrimenti mi avrebbe
fulminata all’istante per la mia insolenza.
Finito
di cenare finalmente potei riunirmi con le uniche persone che conoscevo e che
mi venivano incontro con un sorriso.
-
Quindi domani vedrai Rachel! – esclamò Helénia allegra.
-
E chi è? – domandai.
-
Il nostro Oracolo. – spiegò Percy.
-
Zeus comunque mi è sembrato molto… incauto… - commentò Annabeth, pensando
attentamente alle parole da dire per non provocare l’ira di Zeus.
-
Cosa intendi? – chiesi senza capire.
-
Sì, insomma… ti ha condotta qui dall’Italia all’età di vent’anni, ed ora ti
lascia solo un giorno di allenamento prima di concederti un’impresa. – spiegò.
– Avresti dovuto sottoporti ad un allenamento più intenso… ora come ora a
malapena sai utilizzare una spada… -
Tolsi
dalla tasca Exusía, la spada-accendino che mi aveva lasciato Nico.
-
Dovevate vederla annientare gli stinfalidi in Italia… - commentò una voce alle
loro spalle. Tutti e cinque ci girammo.
-
Nico! – esclamammo all’unisono. Lui sorrise ancora pallido.
-
Come stai? – gli domandò Helénia preoccupata.
-
Bene. – disse Nico. – Tanto bene da reggermi in piedi. Comunque ho raccontato
tutto a Chirone… anche del mio ultimo sogno. – e mi lanciò un’occhiata. Gli
altri sembravano non capire, ma io domandai: - Il sogno che riguardava qualcosa
dell’Ade e di una certa Bianca? –
Lui
annuì.
-
Come hai detto, Bianca ti ha parlato? – domandò subito Percy agitato. A quanto
pare gli altri conoscevano Bianca, ma non mi sembrava il momento di domandare
chi fosse: la situazione sembrava molto seria.
-
Sì – rispose Nico. – e qualcosa non va nell’Oltretomba. Non so se è mio padre,
non ne ho idea. Fatto sta che Bianca è disperata, esattamente come tutte le
anime dei defunti: sono tutte inquiete, da un po’ di tempo a questa parte.
Bianca è riuscita a dirmi il perchè: nell’Ade c’è un essere umano. -
Rimanemmo
in silenzio.
-
Un essere umano… vivente? – domandò con un filo di voce Paul.
Nico
annuì. – Nessun umano si era mai fermato in modo permanente nell’Ade, ma pare
che questo uomo sia lì da parecchio tempo, ed è ancora vivo. –
-
Tuo padre non può fare nulla? – chiese Annabeth.
Nico
alzò le spalle. – Non lo so… Bianca era così agitata, il sogno era così
confuso… ne ho parlato con Chirone e secondo lui la Profezia che Rachel dirà
a Robby domani sera e la conseguente impresa, hanno qualcosa a che vedere con
questa situazione. –
Rimanemmo
tutti in silenzio.
-
Io dovrei… andare nell’Oltretomba? – feci con un filo di terrore nella voce.
-
Il problema non è andare nell’Oltretomba – disse Percy. – Io, Nico ed Annabeth
ci siamo stati in passato. E’ il perché dovresti andarci il problema, secondo
me… -
Rimanemmo
tutti in silenzio per parecchio tempo, fino a quando finalmente Annabeth ruppe
la tensione dicendo: - Ragazzi, Rachel arriverà domani sera: è inutile
fasciarsi la testa prima di rompersela. –
-
Ha ragione Annabeth! – esclamò subito Paul. – Io propongo di fare dei bei canti
attorno al falò per spezzare la tensione, e non accetto un no come risposta. –
e ci spinse tutti attorno ad un falò.
Per
tutta sera cantammo, ridemmo, ci divertimmo e per la prima volta da quando ero
arrivata al Campo, mi sentii a casa.
Helénia
era una persona semplice e ottimista, Annabeth riflessiva e sorridente,
Percy deciso e divertente, Paul solare e allegro… e solo Nico mi sembrava un
po’ riservato rispetto agli altri, ma si lasciava comunque scappare un sorriso di
tanto in tanto.
Per
la prima volta dal mio arrivo al Campo, ringraziai veramente gli dei per avermi
portata lì e avermi fatto conoscere delle persone così speciali.
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Capitolo 4 *** Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa ***
Mi alleno un solo giorno prima di partire per un'Impresa
4
Mi
alleno un solo giorno prima
di
partire per un’Impresa
vevo
solo un giorno per allenarmi, e volevo sfruttarlo per il meglio, anche se probabilmente
non sarebbe servito a un granché.
La
mattina Percy aveva programmato di darmi lezioni di combattimento con la spada,
così ci dirigemmo verso l’arena, ma la trovammo già occupata: due ragazze e due
ragazzi si stavano allenando con le spade. In realtà, una ragazza e un ragazzo
attaccavano con tutte le loro forze il ragazzo più robusto, mentre l’altra
ragazza se ne stava seduta a gambe incrociate ad osservare la scena. Quando la
ragazza seduta a gambe incrociate notò me e Percy, si alzò in piedi con un
sorriso, e anche gli altri tre amici si fermarono, voltandosi verso di noi.
-
Hey, Percy! Buongiorno! Quindi tu sei Robby, la nuova arrivata? – domandò la
ragazza che non partecipava all’allenamento.
Io
annuii.
-
Ragazzi, lei è Robby – ci presentò Percy - Robby, loro sono… -
-
Sappiamo anche presentarci da soli, sai?! – ribattè il ragazzo robusto
avvicinandosi. Aveva dei corti capelli castani, della barba appena accennata,
gli occhi azzurri, i lineamenti duri, la mascella squadrata e un sorriso che
non prometteva niente di buono sul volto.
-
Io sono Simon – si presentò prendendomi la mano senza nemmeno che io l’avessi
allungata verso di lui. – Sono figlio di Ares, il dio della guerra. –
-
Non mi dire… - bisbigliai ironica.
-
Come? – fece subito Simon.
-
Niente! – mi affrettai a rispondere.
La
sua stretta era talmente forte che iniziava a mancarmi la sensibilità della
mano, ma io mantenni alto lo sguardo e non cedetti: sapevo che stava solo
cercando di dimostrarsi più forte di me, e probabilmente lo era veramente, ma
io non volevo dargliela vinta così.
-
Lasciala stare! – esclamò la ragazza che poco prima se ne stava seduta in
disparte, mettendosi tra me e Simon e rivolgendomi un sorriso gentile.
-
Io sono Delilah, figlia di Astrea, la dea della giustizia. Sono la ragazza di
Simon. – aggiunse poi quasi come a ripensarci, lanciando a Simon un’occhiata di
avvertimento.
Delilah
era abbronzata, aveva degli occhi di un azzurro limpido, i capelli biondi e
ricci e un sorriso sincero. Non capivo come la figlia della dea della giustizia
potesse stare con il figlio del dio della guerra. Guardai Simon che sembrava
volermi incenerire con lo sguardo, e decisi di tenere per me questo mio dubbio.
-
Io sono Vera – si presentò l’altra ragazza. – e sono… -
-
Figlia di Nemesi, sì lo so. – la interruppi. – Ho conosciuto Paul ieri e mi ha
parlato di te. –
Vera
sorrise e incrociò le braccia soddisfatta.
-
Paul ha parlato di me, eh? Spero per lo meno che ne abbia parlato bene… -
Annuii;
per essere figlia della dea della vendetta non mi sembrava male: capelli lunghi
e neri e occhi color nocciola.
-
Io invece sono Micah – si presentò il ragazzo rimasto con un sorriso. – E sono
figlio di Ermes. -
Micah
aveva i capelli neri e gli occhi scuri, era altissimo e allo stesso tempo
spallato, di corporatura tutt’altro che esile.
- Tu quindi… sei figlio del dio dei ladri? –
domandai incerta, non sapendo come classificare quel ragazzo.
-
Diamine, no! – esclamò Micah, fingendosi offeso. – Detta così sembra una cosa
veramente brutta…! Questi luoghi comuni su di lui proprio non li sopporto… Mio
padre è il patrono di tutti i viandanti e di coloro che devono trovare la retta
via! Ma se hai ancora dei pregiudizi pensa a cosa ha in mano Ermes… -
Rimasi
un attimo a pensarci: che cosa aveva in mano Ermes?
-
Hem… quella specie di bastone alato con i serpenti? – dissi non sapendo il nome
esatto del bastone.
Micah
annuì. – Il caduceo, infatti. – disse. – E di cosa è simbolo il caduceo? –
-
Dei… hem… farmacisti? – domandai incerta.
-
Farmacisti? – fece Micah spiazzato dalla mia risposta. – Beh, magari in Italia…
comunque ci sei quasi: qui in America è semplicemente simbolo della medicina,
quindi pensa all’importanza che ha! E tieni conto del fatto che quel bastone
non simboleggia solo l’integrità fisica, ma anche quella morale… –
-
Micah vorrebbe avere un futuro in ambito medico. – mi confidò Vera. – Per ora
sta facendo degli esperimenti in ambito farmaceutico per creare medicinali
utili per guarire mezzosangue… qualcosa come il nettare e l’ambrosia ma meno letale
in caso di overdose. –
-
Ma vorrebbe anche tentare di diventare un neurochirurgo nel mondo dei mortali.
– continuò Delilah.
-
Beh, allora che c’è di male? – fece Micah. – Secondo te un mezzosangue
dislessico non può frequentare l’università? Un mio amico mortale mi sta già
traducendo tutti i libri di testo in greco antico, vedrai che ce la posso fare…
-
Tutti
sospirarono: a quanto pare sapevano che quando Micah si metteva in testa una
cosa non c’era modo di fargli cambiare idea; ma io non ci trovavo assolutamente
nulla di male: mi è sempre piaciuto incontrare persone determinate che hanno
degli obiettivi nella vita, e quando puntano così in alto, la mia stima verso
di loro aumenta.
-
Basta blaterare, sono stanco di questi due qua – disse Simon indicando Vera e
Micah. – E’ da mezz’ora che tentano di colpirmi e non sono riusciti nemmeno a
farmi un graffio. Ti va di fare un corpo a corpo con me? – chiese fissandomi. –
Ogni mossa è possibile, ma niente armi. -
Per
un paio di secondi rimasi spiazzata: io fare un corpo a corpo con un armadio
come lui?! Deglutii agitata.
-
Hem… sinceramente non saprei nemmeno come muovermi… - borbottai nervosa.
Simon
scoppiò a ridere e mi sbeffeggiò dicendo: - Che c’è? La figlia di Zeus ha
troppa paura per affrontarmi? –
Non
sapevo cosa rispondere; beh, in effetti avevo paura, e non poca, ma non avrei
mai avuto il coraggio di dirlo apertamente, anche se probabilmente il mio
sguardo mi tradiva da principio.
-
Non ti preoccupare. – mi disse Delilah con un sorriso. – Se la situazione si
complica ci penso io a fermarlo. -
Pency
annuì, e io lo imitai rivolgendo il mio sguardo a Simon, che lanciò la spada in
mano a Vera e iniziò a prepararsi. Il suo sguardo era duro, i suoi occhi si
erano ridotti a due piccole fessure, quasi come stesse tentando di inglobare a
sé tutta la rabbia del mondo, pronto a scatenarlo nel momento opportuno; vidi i
muscoli delle sue braccia contrarsi. Strinsi i pugni ma rimasi in piedi come
uno stoccafisso: iniziavo a rimpiangere di aver accettato la sfida.
Improvvisamente
lo vidi caricare e correre verso di me, e il panico prese possesso del mio
corpo: all’ultimo secondo scattai alla mia sinistra correndo per tutta l’arena,
e Simon continuò a corrermi dietro.
-
Si può sapere che stai facendo?! – ringhiò Simon a gran voce dietro di me.
-
Si chiama sfiancare e depistare la preda, dovresti imparare questa tecnica! –
esclamai di rimando, e sentii Percy, Delilah, Vera e Micah scoppiare a ridere
alla mia battuta. Riuscivo a tenere testa a Simon, ma sapevo che non avrei
resistito per sempre: lui chissà da quanto tempo si allenava al Campo, mentre
io era dall’ultimo anno di liceo che non facevo dell’attività fisica decente.
All’improvviso
mi decisi: non potevo scappare per sempre; mi bloccai voltandomi verso di lui,
lasciai che si avvicinasse ancora, poi mi scansai a destra e gli saltai
letteralmente sulla schiena, serrando le mie braccia attorno al suo collo di
modo che non gli fosse possibile scrollarmi di dosso facilmente.
-
Ma che tecniche balorde stai usando, si può sapere?! – urlò Simon infuriato,
nei suoi vani tentativi di farmi cadere.
-
Questa invece si chiama la tecnica del koala… - esclamai, ma dovetti stringere
i denti per tenere dura la presa su di lui. Dovevo distrarlo e farlo desistere,
altrimenti di lì a poco sarei caduta. Mi sentii stupida, ma mi veniva in mente
solo una cosa da fare: aprii la bocca e gli ficcai i denti nel collo.
Molti
di voi ora diranno che questo gesto è stato stupido. Sì, avete ragione, è stata
la mossa più stupida che abbia mai fatto in vita mia... ma che altro potevo
fare?! Altri invece diranno che questo gesto faceva molto stile vampiro e,
visto il riscontro positivo di Twilight in quest’epoca, alcuni potrebbero pure
trovare la cosa romantica, ma credetemi: stringere i denti così forte attorno a
della pelle fino a sentire il sangue in bocca è tutt’altro che romantico e
sicuramente Simon vi potrebbe confermare che è tutt’altro che piacevole.
Simon
si era messo ad urlare e con un’enorme fatica mi lanciò per terra, e si tastò
velocemente il collo; quando vide la mano insanguinata, mi guardò digrignando i
denti. Mi alzai subito da terra pronta a un suo ennesimo attacco.
-
Sei finita, italiana dei miei stivali! – e allargò le
braccia fino a bloccarmi
le spalle, e io feci lo stesso con lui. Ognuno di noi cercava di far
retrocedere l’altro, ma nessuno si muoveva più di tanto
avanti o indietro: mi sembrava improvvisamente di essere finita su un
ring di sumo.
Avendo le braccia occupate, trovammo velocemente un’altra
alternativa per finire l’incontro: iniziare una lotta di
sgambetti. Sapevo di non avere la forza per far inciampare lui, ma ero sicura
del fatto che se fosse riuscito a farmi cadere, per me sarebbe finita. Così con
le braccia sulle sue spalle, iniziai a scansare i miei piedi di modo che non
fosse in grado di farmi cadere. Più andavamo avanti, più mi sembrava che tutti
quei passi avessero un loro ritmo, tanto che ad un certo punto iniziai a
canticchiare la tarantella, e ci scoprimmo pure andare a tempo; nel frattempo,
Percy, Delilah, Vera e Micah si stavano facendo delle grosse risate per come
stavo affrontando Simon, e iniziarono anche loro a cantare la tarantella
battendo le mani a ritmo.
Ad
un certo punto Simon mi lasciò le spalle, alzò lo sguardo e con il fiatone e un
sorriso disse: - Ma si può?! Volevo un corpo a corpo e ho finito per ballare la
tarantella! –
Non
era per niente arrabbiato, il suo era un sorriso che probabilmente aveva da
tanto ma che non era stato in grado di trattenere; non glie ne facevo una
colpa: in fin dei conti una scena che avrebbe dovuto essere cruenta si era
trasformata in una scena comica degna di Stanlio e Olio.
Improvvisamente
mi resi conto che la prima impressione che avevo avuto di Simon era stata del
tutto sbagliata: me l’ero immaginato come una persona che porta risentimento
verso tutti, che vuole mettersi costantemente alla prova e che non accetta la
sconfitta, invece era un ragazzo simpatico e ironico; ecco che ora l’idea che
la figlia della dea della giustizia stesse con un figlio del dio della guerra
non mi sembrava poi così assurda.
Tutti
e sei stavamo ridendo da un bel pezzo in mezzo all’arena, Vera era piegata in
due dalle risate e Micah si era appoggiato al muretto per non cadere;
finalmente Percy riuscì a riprendersi e chiese: - Ragazzi… io e Robby eravamo
venuti qui per allenarci con la spada, quindi potreste lasciarci l’arena? –
-
Certo! – esclamò Vera. – Oggi ci siamo esercitati fin troppo… -
Mi
rivolsi a Simon con un piccolo sorriso colpevole e dissi: - Mi dispiace per il
morso, non so cosa mi sia saltato in mente… -
-
Non fa niente… - rispose lui bonario, toccandosi la ferita sul collo. – Non
sanguina nemmeno più… e poi credimi, ho affrontato di peggio di un morso sul
collo e un balletto. -
I
quattro ragazzi se ne andarono salutando e ridendosela ancora per la mia
brillante performance da ballerina, e finalmente Percy ed io iniziammo ad
allenarci con la spada.
Mi
allenai per parecchie ore, e se all’inizio Percy riusciva a disarmarmi con una
facilità incredibile, dopo un po’ ci avevo preso la mano e l’allenamento
sembrava solo una serie di attacchi prestabiliti che io dovevo capire come e
quando usare per il meglio: affondo, schiva, attacca, avanza, para e
indietreggia… mi tornava in mente quando ero salita per la prima volta alla
guida di un’automobile e l’istruttore mi aveva fatto allenare con le marce a
macchina spenta: prima, quinta, terza, quarta, seconda… all’inizio era
complicato, ma è stato grazie a quello che ho imparato a guidare. Mi accorsi
che lottare non era difficile come credevo: mi accorgevo di prevedere gli
attacchi osservando attentamente i movimenti di Percy e quasi inconsapevolmente
reagivo di conseguenza; non ero sicuramente ai livelli di Percy ma, rischiando
di peccare di modestia, non me la cavavo affatto male. Riuscii anche a colpirlo
un paio di volte, ma la lama mi rimbalzò indietro senza che io riuscissi a
capirne il motivo: era umanamente impossibile…
-
Scusami… perché quando ti colpivo la spada mi rimbalzava indietro? – domandai
curiosa con il fiatone durante la pausa, prendendo la bottiglia di acqua gelata
che Percy mi offriva.
-
Quattro anni fa mi sono immerso nello Stige. – mi raccontò e bevve l’acqua
dalla bottiglietta. – Hai presente Achille e il suo tallone? Ecco, per me è una
cosa simile… -
Improvvisamente
Percy mi sembrò ancora più forte di quando già non fosse: Troy era uno dei miei
film preferiti, e improvvisamente mi immaginai Achille con il volto di Percy al
posto di Brad Pitt. Trattenni un sorriso.
-
E dimmi… quale sarebbe il tuo ‘tallone d’Achille’? – gli domandai
innocentemente. Lui ridacchiò e disse: - Non te lo dirò mai… -
-
Scommetto che Annabeth lo sa… - feci io con un sorrisetto. Lui annuì arrossendo.
– Lo sa, ma non c’era nemmeno stato bisogno di dirglielo: era come se lei già
lo sapesse… -
-
Wow, questa è la forza dell’amore… - commentai ridacchiando, ma sapevo che non
era una battuta; avevo visto la sera prima gli sguardi che lui e Annabeth si
scambiavano di tanto in tanto quando ce ne stavamo tutti attorno al fuoco, e il
modo in cui i due si abbracciavano… erano veramente fatti l’uno per l’altra.
Miei dei, quanto sono sdolcinata… pensai.
Dopo
la fatica di quella mattinata, mi aspettava un pomeriggio di tiro con l’arco
insieme a Paul, cosa che mi terrorizzava quasi più che lottare con la spada;
avevo già provato al liceo tiro con l’arco, ma dire che me la cavavo male era
un eufemismo: quella volta per poco non avevo centrato la professoressa dritta
nella schiena, e se si vuole puntare alla promozione, tentare di uccidere la
docente non è una buona mossa. Con Paul la cosa non fu più semplice di allora:
la freccia continuava a cadere sfiorando il terreno e cadendo in orizzontale
sull’erba. A quanto pare i pomeriggi passati con la mia sorellina a giocare a
tiro con l’arco alla wii non avevano portato i loro frutti.
-
Il fatto è che punti troppo in basso – mi spiegò Paul pazientemente. – Prova a
puntare più in alto rispetto a dove vuoi che la freccia finisca… inoltre tenta
di tenere ferme le braccia, pensa a qualcosa di rilassante se ti può servire… -
Rilassante?!
Quella sera un’indovina avrebbe predetto il mio futuro, che probabilmente
prevedeva un viaggetto nell’Oltretomba, e io dovevo starmene tranquilla?!
Ok, Robby, rilassati… pensai respirando con calma. Ce la puoi fare se solo lo vuoi…
Presi
la freccia e la incoccai, dopo di che mi preparai al tiro; già sentivo il
braccio destro tremarmi, ma dovevo farcela questa volta… dovevo pensare a qualcosa
di rilassante? Pensai immediatamente alla serata precedente, tutti attorno al
falò, e mi scappò un sorriso. Alzai il braccio sinistro, mirando sopra il
bersagio e lasciai andare la freccia: questa seguì una traiettoria ad ellisse,
andando inizialmente in alto per poi scendere e… infilarsi sul bordo del
bersaglio. Non era nel centro, ma era una gran cosa per me.
Mi
voltai entusiasta verso Paul.
-
Ce l’ho fatta! – esclamai saltando e lanciando in aria l’arco.
-
Eheh, sì, ce l’hai fatta! – fece Paul ridendo del mio eccessivo entusiasmo –
Cosa ti avevo detto? –
Così
come la giornata era iniziata, arrivò presto sera, e la mia agitazione iniziò a
farsi sentire: Chirone mi aveva detto di aspettare insieme a lui l’arrivo di
Rachel nella Casa Grande.
-
Non devi preoccuparti – mi avvertì Chirone. – Quando arriverà dovrò lasciarvi
sole: Zeus vuole che l’Oracolo incontri te. Sicuramente mentre proclamerà la
sua Profezia non sarà in sé e quando finirà di parlare non ricorderà nulla… ma
tu non farti prendere dal panico, ok? Appena avrà proclamato questa Profezia, ne potremo
discuterne insieme con calma. -
In
realtà non ero preoccupata per il fatto di assistere ad una Profezia quanto per
la Profezia
stessa e per il mio futuro, ma ora che Chirone mi parlava così, iniziavo ad
aver timore pure per quello.
-
Ho soccorso gente con crisi epilettiche, assistere ad una Profezia è peggio di quello? – domandai nervosa.
In
quel momento Annabeth bussò alla porta e guardò Chirone con aria di
avvertimento. – E’ arrivata. – disse solo.
Deglutii
nervosa, mentre Chirone usciva dalla Casa Grande sorridendomi incoraggiante.
Mi
aspettavo di vedermi apparire davanti un mutante con squame e artigli affilati,
invece ciò che vidi fu una normale ragazza con dei capelli rossi e ricci.
-
Quindi tu sei, hem… l’Oracolo? – domandai incerta avvicinandomi.
- E tu sei Robby, giusto? Io sono Rachel, piacere… scommetto che da come mi
avevano descritta ti aspettavi un mostro, vero? – fece lei con una risata
allungando la mano; io gliela tesi un po’ più tranquilla annuendo. Non appena
lei toccò la mia mano, la sua stretta si fece forte. Inspirò in una maniera
sovrannaturale e si piegò in due, senza lasciarmi la mano, poi si drizzò e vidi
che i suoi occhi erano diventati di un verde smeraldo. Avrei voluto scappare a
gambe levate, ma la sua presa era troppo forte. Quando iniziò a parlare, la sua
voce sembrava essere amplificata e modificata con qualche strano apparecchio,
il che mi fece venire ancora di più i brividi.
-
In tre per questo viaggio partiranno / e
verso la patria della Morte si dirigeranno. /Vittoria o disfatta segnare potrà
/ quella parte che il discendente di Zeus nel cuore da una vita ha. / Terra,
Morte e Amore verranno riuniti / dei, umani e Mezzosangue dalla fine saran
colpiti. / Dei e immortali un aiuto vorranno dare / ma alla fine solo quattro mezzosangue
la differenza potranno fare -
Non
appena concluse, si piegò nuovamente in due con il respiro pesante e la fronte
grondante di sudore, come se avesse fatto un immenso sforzo simile.
In
quel momento nella stanza entrò subito Chirone seguito da Annabeth, che
guardarono preoccupati prima me e poi Rachel; io non ero in grado di proferire
parola dal tanto che ero sconvolta.
In
poco tempo Chirone riunì una specie di consiglio attorno ad un tavolo da
ping-pong. Annabeth mi spiegò che in casi come questi doveva esserci per lo
meno un rappresentante per cabina ma che ultimamente, con la presenza dei figli
degli dei minori, trovarsi attorno a un tavolo da ping-pong non era l’ideale.
Percy, Nico, Annabeth, Paul, Delilah, Helénia
e Vera erano presenti, ma gli altri mezzosangue che avevo conosciuto non
c’erano. Annabeth mi presentò velocemente gli altri, ma erano talmente tanti
che faticavo a ricordare tutti i loro nomi.
-
Quindi secondo la profezia in tre dovranno partire per l’impresa – iniziò
Chirone. Dioniso sembrava troppo occupato a sbadigliare per dagli retta. – E mi
sembra ovvio che sarà Robby a guidarla per volere del divino Zeus – continuò il
centauro. Nessuno osò obiettare.
-
Ora dobbiamo pensare quali altri due mezzosangue potrebbero accompagnarla… -
-
Per una buona volta vorremmo che l’impresa venga assegnata a qualcuno della
casa di Ermes. – disse quello che Annabeth mi aveva presentato come
Connor Stoll, figlio di Ermes. – E’ dai tempi dell’impresa di Luke del Giardino
delle Esperidi che i figli di Ermes non partono per un’impresa… -
-
Vogliamo parlare di imprese e gloria? – lo interruppe una ragazza
dall’altra
parte del tavolo da ping-pong, Miranda Gardiner, irritata dal commento
di Connor. – Noi figlie di Demetra non abbiamo ancora avuto il
nostro
momento di gloria personale nel Campo, quando in realtà abbiamo
molto da dare…
-
-
Sì, come no… avete da dare crusca e pastinaca…! - commentò con una risata il fratello di
Connor, Travis, dando una gomitata scherzosa al fratello.
La
ragazza di fianco a Miranda, Katie
Gardner, fissò i fratelli Stoll con disprezzo senza dire nulla. Improvvisamente
i due fratelli si ritrovarono appesi per la caviglia da una radice che pendeva
dal soffitto: doveva essere certamente opera di Katie.
- Secondo me quest’impresa deve essere affidata a
qualcuno che ha già dell’esperienza – disse improvvisamente una ragazza alta,
grande e con un’aria decisa, che Annabeth mi aveva detto essere Clarisse La Rue, figlia di Ares. – Io mi
propongo. –
Nessuno dava più retta ai fratelli Stoll che se ne
stavano appesi a testa in giù sul tavolo da ping-pong o a Miranda e Katie che
se la ridevano come non mai.
- Basta che l’impresa non venga affidata a me –
disse una ragazza dai lineamenti asiatici, Drew Tanaka, figlia di Afrodite; la
ragazza continuava a fissare il proprio riflesso nello specchio sistemandosi
l’eyeliner. – Troppo faticoso… -
- Secondo me dovrebbe essere Robby a scegliere. –
intervenne finalmente Annabeth. – E tenendo conto che la Profezia dice di andare nella
‘patria della Morte’, uno dei mezzosangue che deve partecipare all’impresa
penso che sia già ovvio… - e lanciò uno sguardo a Nico.
- Hai assolutamente ragione, Annabeth. – disse
Chirone annuendo favorevole. – Certo, se Nico è d’accordo per partire subito
per un’altra impresa e se anche a Robby va bene… -
Nico annuì subito.
- Bianca mi ha parlato in sogno e potrebbe rifarlo:
potrei essere utile per l’impresa, quindi accetto sicuramente. – disse.
Io annuii sollevata: era lui che mi aveva trovata, e
non pensavo di poter essere accompagnata in un impresa simile da persona
migliore.
- Bene, Robby, chi credi che dovrebbe accompagnarti
in quest’impresa oltre a Nico? – mi chiese Chirone. Il mio sguardo vagò su
tutti i miei nuovi amici, ma non avevo dubbi su chi volevo con me.
- Paul. – dissi secca. Lui strabuzzò gli occhi
incredulo.
- Tu… vorresti che ti accompagnassi io per
quest’impresa? Proprio io? – domandò lui.
Io annuii con un sorriso.
- Certo che sì: una persona che è riuscita a farmi
centrare un bersaglio con l’arco merita un’occasione. – dissi. Lui mi sorrise
entusiasta.
- Ora che abbiamo scelto chi partirà, dobbiamo
pensare alla Profezia. – disse Annabeth.
- “Vittoria
o disfatta segnare potrà quella parte che il discendente di Zeus nel cuore da
una vita ha”… - recitò Percy, e all’improvviso
mi ritrovai puntati addosso gli occhi di tutti.
- Hey, io vi giuro che non ho idea di cosa parli! –
dissi alzando le mani sulla difensiva.
- “Terra,
Morte e Amore verranno riuniti, dei, umani e Mezzosangue dalla fine saran
colpiti.” – continuò Vera pensierosa. – Chirone, sai di cosa potrebbe trattarsi?
Ha qualcosa a che fare con il “Grande Risveglio” della Profezia di Nico, non è
vero? –
Chirone
sospirò. – Penso che abbia tutto a che fare con il "Grande
Risveglio" della profezia di Nico... - commentò lui pensieroso.
– Ma se solo lo sapessi a cosa si riferisce… Tutto ciò sembra essere qualcosa fuori
persino dalla mia portata… -
-
Terra, Morte e Amore… Terra, Morte e Amore... non ha senso… - continuava a ripetere quasi convulsamente
Annabeth tra sé e sé.
- “Dei e immortali un aiuto vorranno dare ma alla fine solo
quattro mezzosangue la differenza potranno fare”… perché questo a senso? –
domandò Delilah. – Partono in tre e possono
vincere solo se sono in quattro… c’è assolutamente qualcosa che non va. Forse dovrebbero
partire subito in quattro…-
- No – disse Chirone secco. – La prima parte della
profezia è chiara: “In tre per questo viaggio partiranno”. Andare contro una
Profezia significherebbe perdere qualcuno. –
- Ok, basta pianificare. – disse Nico alzandosi in
piedi. - E’ tardi, e non potremmo far altro che arrovellarci il cervello in
eterno qui. –
- Hai ragione… - disse Chirone con un sospiro, e
guardò me, Nico e Paul. – Partirete domani mattina. Preparate le vostre cose e
mi raccomando, riposatevi questa notte. –
- Finalmente è finita questa noia! – esclamò Dioniso
ed uscì dalla stanza per primo.
Lasciai uscire la maggior parte degli altri
mezzosangue perchè le gambe ancora mi tremavano per le forti emozioni di quella
sera; prima di oltrepassare la porta però mi voltai indietro, e non riuscii a
non sorridere di fronte alla scena di Katie e Miranda che erano ancora piegate
in due dalle risate di fronte ai fratelli Stoll che inveivano in greco a testa
in giù.
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Capitolo 5 *** Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente. ***
Prima tappa: Cleveland; affrontiamo un enorme serpente.
Ciao a tutti di nuovo!
So
di avervi lasciati per parecchio tempo ma credetemi, è un'estate
un po' difficile: se per molti di voi estate significa ferie dal lavoro
e vacanze estive per chi frequenta medie e superiori, per noi
universitari significa solo una cosa: sessione estiva di esami. E
credetemi, sono un pochetto indietro. Inoltre per parecchie settimane
non ho avuto la connessione internet perchè sono venuti a
pitturare casa e una volta finito c'erano dei problemi di
connessione... in pratica: un casino. E' da parecchio tempo che ho
pronto questo capitolo e finalmente posso postarvelo, sempre che
vogliate continuare a leggere quest'avventura. Avrei
voluto portarmi avanti scrivendo altri capitoli da postare, ma senza
internet sinceramente non ho la facoltà di inventarmi mostri dal
nulla, per non parlare della geografia Americana... Ad ogni modo posso
annunciarvi che in totale vorrei scrivere in totale 16 capitoli di
questa storia: sì, sono lunghi, ma ho già programmato la
trama.
Detto questo vi lascio sperando che non mi abbiate abbandonata e che anche questo capitolo vi piaccia!
A presto!
5
Prima
tappa: Cleveland;
affrontiamo
un enorme serpente.
uella
notte non riuscii affatto a dormire bene: l’idea di partire per un’impresa
verso l’Oltretomba mi terrorizzava. Feci uno strano sogno. Mi ritrovavo nel
buio più assoluto, e sentivo una voce femminile chiamarmi.
-
Roberta! Roberta! – Non avevo idea di
chi fosse o come facesse a sapere il mio nome, sentivo solo disperazione in
quella voce. – Non devi partire per
l’impresa! Non avvicinarti all’Oltretomba, sarà la fine comunque… -
Chi sei? Avrei voluto
urlarle, ma per qualche motivo non riuscivo a rispondere.
Mi svegliai con il fiatone, come se avessi appena
fatto una lunga corsa. Sentivo il cuore in gola e ripensai alle parole di
quella voce. Non andare nell’Oltretomba? Quanto mi sarebbe piaciuto! Purtroppo
non avevo altra scelta… e cosa significava che sarà comunque la fine? La fine
di cosa? Decisi di lasciare da parte queste mie domande: era inutile
arrovellarsi tanto il cervello, intanto sarei partita lo stesso; mi alzai,
rifeci il letto e prendesi lo zaino che la sera prima avevo già preparato. Guardando
per l’ultima volta il mio letto pensai che di sicuro una cosa del Campo non mi
sarebbe affatto mancata: la mia Cabina triste e desolata.
Uscii dalla Cabina, e gran parte dei miei nuovi
amici mi corse incontro per salutarmi.
- Mi raccomando, non usare la mossa del koala con
Caronte e ricordati di non ballare la tarantella con Ade: non credo che la
prenderebbero tanto bene… - commentò Simon, dandomi una pacca sulla schiena in
segno di incoraggiamento.
- Lo terrò presente, grazie Simon. – risposi con un
sorriso, tentando di nascondere la tensione.
- Sei stata molto gentile a portare Paul con te. – mi
disse Vera. – Era da tanto che aspettava questa occasione. –
- Paul mi sembra un bravo ragazzo – dissi – è molto
più allenato di me, e sono sicura che se la caverà meglio della sottoscritta. –
Vera mi sorrise. Micah e Delilah mi salutarono
con un abbraccio.
– Mi raccomando metticela tutta… - mi disse Micah,
ed io annuii semplicemente.
Ad un certo punto vidi anche Helénia sola in un angolo che mi
fissava con aria un po’ triste. Mentre tutti si affrettavano a salutare anche
Paul e Nico, io andai da lei.
-
Hey! – feci io. – C’è qualcosa che non va? -
Lei scosse la testa e con un sospiro disse solo: -
Sono felice che tu abbia avuto un’impresa… ma avrei voluto passare più tempo
con te. Sei una brava persona e ora che iniziavo a vedere in te una buona amica
già te ne devi andare. Non te ne faccio una colpa. – si affrettò a chiarire –
Ma avrei voluto passare molto più tempo con te. –
Mi dispiaceva molto vederla così. Era stata molto
gentile con me già da quando mi ero ripromessa di rimanere in infermeria a far
compagnia a Nico durante la sua guarigione: era lei che si ricordava sempre di
portarmi dei pasti e di farmi compagnia per la maggior parte del tempo. Mi
sentivo un po’ in colpa, ma sapevo che non poteva essere altrimenti. Non potevo
promettere chissà cosa: non sapevo se sarei uscita viva da quell’impresa, e non
sapevo nemmeno se, una volta tornata, sarei rimasta al Campo per sempre o sarei
tornata a casa. Sì, durante l’impresa tutti i miei nuovi amici mi sarebbero
mancati, ma in realtà mi mancavano pure i vecchi amici e la mia famiglia, mio
padre, mia madre e la mia adorabile e pestifera sorellina.
- Credimi, non cambierà nulla – le promisi. –
L’amicizia non ha nulla a che vedere con la distanza: ovunque io vada resterai
una delle mie migliori amiche, Hel. -
Helénia iniziò a sorridere poi, quasi come a
ripensarci, frugò nella sua borsa.
- Tempo fa, quando sono andata sull’Olimpo per una gita
insieme agli altri, ho incontrato mia madre e mi ha dato questo… - disse, tirò
fuori un libricino e me lo diede in mano. Era rilegato in pelle nera, e le
pagine erano tutte bianche.
- Vedi, io ne ho un altro… - mi spiegò tirandone
fuori uno identico a quello che mi aveva dato. – Questi due diari sono
collegati l’uno con l’altro: quello che scrivi su uno appare anche sull’altro.
Voglio che quello lo tenga tu: se avrai dei problemi durante l’impresa o se
solo vorrai raccontarmi quello che succede, scrivimi e io potrò risponderti. E
ti prego di farlo perché voglio sapere per filo e per segno quello che succede.
– concluse seria.
Era una cosa stupenda, e il pensiero che lei volesse
condividere quel regalo di sua madre con me, mi fece un po’ commuovere, lo ammetto.
L’abbracciai e le dissi: - Non ti preoccupare, ti scriverò tutto quanto… -
Paul arrivò ad avvisarmi che dovevamo partire,
perciò salutai un’ultima volta Helénia
e m’incamminai con lui e Nico verso l’uscita del Campo. Chirone ci mostrò un
regalo per la nostra impresa: un’automobile. Avevamo tutti la patente di guida,
e non sarebbe stato un problema muoverci con quella.
-
Wow, una Cadillac Esalade di ultimo modello! – esclamò Paul fissando la
macchina con occhi adoranti.
- Non lasciarti ingannare – disse Chirone ridendo. –
I ragazzi di Efesto si sono divertiti a costruire questa imitazione, ma
credetemi: in quanto velocità è anche migliore di una comune Cadillac Esalade, e ha pure qualche
chicca in più che una comune auto mortale non ha… -
Fissai
prima lui poi l’auto: non me ne intendevo affatto di auto, l’unica cosa che
sapevo era che quell’enorme ammasso di latta era grigio metallizzato,
esattamente come l’auto che quegli uccellacci mi avevano distrutto giorni
prima.
Paul
si tuffò alla guida, Nico si mise dietro al centro con il volto pensieroso, e
io mi sedetti di fianco al conducente.
-
Mi raccomando fate attenzione e buona fortuna. – disse semplicemente Chirone
prima di lasciarci andare.
Mentre ci allontanavamo, riuscii a scorgere in
lontananza in riva al lago Percy e Annabeth, che ci salutavano con un sorriso,
tenendosi la mano. Beati loro.
- Certo che potevano anche metterci almeno il
navigatore satellitare! – borbottò Paul contrariato.
- Sì, non possiamo permetterci di tenere con noi un
cellulare e dobbiamo usare un navigatore? – fece ironico Nico, tirò fuori dallo
zaino una cartina e me la lanciò in mano. – Mi sa che questa volta per
viaggiare dobbiamo usare i trucchetti di una volta… -
- Bene, hem… dove stiamo andando? – domandai io.
- Beh, l’Ade si trova a Hollywood, quindi dovremo
andare in California. – disse Nico da dietro. Solo in quel momento mi rendevo
conto di quello che avremmo dovuto fare: dovevamo attraversare l’intera America
in automobile.
– Dobbiamo mantenere un buon ritmo, altrimenti
arriveremo là tra un paio di mesi – disse Paul - io proporrei di attraversare la Pennsylvania e arrivare in Ohio oggi: forse sono troppo ottimista, ma dobbiamo
tentare. –
Non
avevo la benché minima idea di cosa stesse parlando: a malapena conoscevo la
geografia dell’Europa, figuriamoci quella degli Stati Uniti.
-
Qua, fino a Cleveland – mi suggerì da dietro Nico, vedendo la mia espressione
sconcertata e segnando con un pennarello il percorso da New York a Cleveland.
Passammo parecchie ore in automobile e in men che
non si dica eravamo già usciti dallo stato di New York, dal New Jersey e
stavamo attraversando la Pennsylvania senza aver ancora incontrato nessun
mostro. Era un record probabilmente.
- Neppure della musica… - borbottò Paul.
- Anche le frequenze radio possono crearci problemi…
- rispose Nico. Mi resi conto che essere un mezzosangue era una vera rottura:
niente cellulare, niente radio…
- Ma c’è una presa USB! – esclamai indicando proprio
davanti alle marce, e mi affrettai a collegarvi il mio iPod.
- Ha il gps? – di domandò Nico preoccupato. – Sai,
tramite il gps, beh… è la stessa storia dei cellulari. - Io scossi la testa.
- No, non ti preoccupare: è un iPod, non un iPhone.
– dissi, e feci passare velocemente tutti i miei album: prima di quel momento
non mi ero mai accorta che la maggior parte delle canzoni che avevo sul mio
iPod erano italiane o giapponesi. Il primo disco che trovai in inglese era RIOT! dei Paramore, e feci partire
Ignorance.
- Questa canzone mi piace… - fece Paul allegro picchiettando
le dita sul volante; io mi misi a canticchiare, ma presto vidi Paul scoppiare a
ridere. – Si può sapere che c’è da ridere?! – domandai un po’ offesa. Lui si
scusò ancora con le lacrime agli occhi, guardando la strada e dicendo che
quando cantavo il mio accento italiano si sentiva ancora di più del solito.
- E’ già tanto se riesco a cantare senza inventarmi
a caso delle parole! – esclamai incrociando le braccia. Dallo specchietto vidi
che pure Nico dietro di noi riusciva a malapena a trattenere una risata. Mi
lasciai andare pure io, cercando di non prendermela troppa, e quando mi fecero
notare che stavo iniziando a inventarmi delle parole inesistenti mi ritrovai
pure io a ridere a crepapelle.
Il tempo in auto passò molto velocemente, e la
compagnia di Paul era più che piacevole: come avevo immaginato nei giorni
precedenti, era davvero un bravo ragazzo, simpatico e allegro. Mi dispiaceva per
Nico che, dietro di noi, s’intrometteva nelle discussioni solo lo stretto
necessario: sembrava preferire la solitudine alla nostra compagnia. La cosa mi
stupiva non poco: quando l’avevo incontrato per la prima volta in Italia, mi
era sembrato molto sorridente ed estroverso e non capivo perché ora facesse
così. Nico si appisolò dietro di noi dopo parecchie ore di viaggio e in quel
momento decisi di confidare i miei dubbi al riguardo a Paul e lui alzò le
spalle.
- Nico solitamente non è un ragazzo molto socievole.
– mi raccontò. – Con questo non intendo dire che non è un bravo ragazzo,
tutt’altro… è solamente una persona che preferisce la solitudine; non te la
devi prendere se fa l’associale di tanto in tanto, non ce l’ha con te, è
semplicemente fatto così. -
Nel tardo pomeriggio finalmente uscimmo dalla
Pennsylvania, arrivammo nell’Ohio e in poco tempo raggiungemmo Cleveland.
- Quali sono quindi i piani per oggi? – domandò
Nico, che nel frattempo si era svegliato. Entrambi mi guardavano.
- Hem… perché guardate me? – chiesi io agitata.
- Sei tu che guidi l’impresa. – mi ricordò Paul.
Già, era vero. Ma non avevo la minima idea di cosa
fare.
- Hem… Chirone ci ha lasciato dei soldi per
l’impresa, ma visto che abbiamo la macchina direi di sfruttarla, no? – proposi.
– Visto che è tutto il giorno che non mangiamo, possiamo andare a rifocillarci
un po’ e poi passare la notte qui in macchina. So che non è il massimo, ma
sinceramente non mi va di spendere troppi soldi, potrebbero servire per
qualcosa di più importante, no? - domandai chiedendo conferma.
- Per me va bene. – disse Paul scendendo dalla
macchina e Nico ed io lo imitammo.
- Oh, lì ci sono fish and chips! – esclamai
entusiasta. Paul batté le mani. – Perfetto! Tre fish and chips, offro io con i
soldi di Chirone…! – esclamò e andò verso il botteghino lasciando me e Nico
soli su una panchina.
Avevo già sentito parlare di Cleveland, ma non
sapevo cosa aspettarmi. Era un’enorme città, forse non grande come New York, ma
per una ragazza proveniente dalle campagne del nord Italia era comunque
abbastanza impressionante. Al botteghino c’era un po’ di fila, e io e Nico
continuammo ad aspettare senza proferire parola; quel silenzio snervante mi
stava uccidendo. All’improvviso mi rivolsi a lui dicendo: - Ascolta, so che
forse sono una persona invadente e rompi scatole, ma sinceramente durante il
viaggio mi sei sembrato molto silenzioso… se ce l’hai con me per qualsiasi
motivo devi solo dirlo, ok? –
- Non ce l’ho con te. – rispose subito Nico stupito.
– Perché ti è venuta in mente una cosa simile? -
- Beh… - feci io un po’ imbarazzata. – Non so,
quando ci siamo incontrati in Italia eri sorridente e non ti facevi problemi a
parlarmi, mentre ora per tutto il viaggio non abbiamo fatto altro che parlare
solo io e Paul… -
Lui abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i
capelli, senza sapere probabilmente cosa dire.
- Non prenderla sul personale, davvero. – disse lui
rialzando lo sguardo. – Sono felice di partecipare a quest’impresa con te e
Paul: se così non fosse stato avrei rifiutato già all’inizio. Solo che… io sono
un figlio di Ade, delle tenebre, non sono abituato a stare troppo tra la gente
e la conversazione solitamente non è il mio forte. -
- Dovresti per lo meno provarci a fare conversazione
– gli dissi io – Credimi, quando non ti chiudi nel tuo guscio, sei molto
gentile e disponibile e sono certa che queste non sono caratteristiche che si
attribuiscono a Ade, no? Sono tutti stereotipi e tu sei diverso da come ti
mostri alla gente, ne sono più che certa. –
Lui mi sorrise riconoscente: non vedevo quel sorriso
sul suo volto da quando mi aveva ringraziata per aver vegliato su di lui dopo
essere arrivati al Campo. Volsi lo sguardo altrove: quei suoi occhi scuri e
quel suo sorriso così sincero mi intimorivano e non riuscivo proprio a reggerne
il peso per troppo tempo; quando distolsi lo sguardo da Nico guardando alla mia
destra, impallidii di colpo e il mio corpo agì prima ancora che il cervello
avesse avuto il tempo di elaborare l’informazione.
- Attento! – esclamai e gli diedi uno spintone,
estraendo Exusía e
facendola scattare: prima ancora che le fiamme si ritraessero mostrando la
spada, avevo mollato un fendente a quell’enorme cosa che stava per mangiare in
un boccone sia me che Nico.
Portai a me Exusía,
e Nico mi prese per un braccio facendomi indietreggiare in posizione di difesa,
con scudo e spada già in mano. Osservammo quell’enorme creatura: era un pitone,
ma non era uno normale, era delle dimensioni di una casa di due piani e aveva
delle zampe. Aveva la pelle smeraldo, squamosa e dura come l’acciaio: il
fendente che avevo lanciato l’aveva beccato sulla guancia, che sembrava solo appena
sfregiata, non usciva nemmeno del sangue. Ci guardava dall’alto sibilando con
la lingua, pronto ad attaccare in qualsiasi momento, attorno a noi nessuno
sembrava accorgersi di quello che stava succedendo. Avrei voluto cercare Paul
per vedere se si era accorto di quello che stava succedendo, ma una sola
distrazione mi sarebbe stata fatale.
-
Cosa facciamo? – domandai agitata a Nico a voce bassa.
- Credo… di ricordarmi qualche leggenda su questo
pitone. – disse Nico senza distogliere un secondo gli occhi dall’enorme mostro.
– Se solo mi venisse in mente sapremmo come annientarlo: ha una pelle
impenetrabile dalle lame… -
Io non avevo avuto tempo di studiare i miti al
Campo: tutto quello che sapevo lo avevo appreso nel corso degli anni a scuola. Un pitone gigante… riflettei; qualcosa
affiorò alla mia memoria: non era nuovo neppure per me quel mostro, ma non
avevo la minima idea di dove potessi aver letto di una creatura simile.
Il pitone tornò ad attaccare, ed io e Nico non
potemmo far altro che schivare un attacco dopo l’altro, buttandoci per terra e
rotolando; persi di vista Nico, e tentai da sola di colpire la pelle del
serpente, ma ogni volta la spada mi rimbalzava indietro: era come colpire una
corazza indistruttibile.
- Hey! – esclamò una voce alle mie spalle, e con la
coda nell’occhio, vidi Paul che mirava dritto al serpente con arco e frecce, ma
anche queste sembravano rimbalzare contro la pelle dura del serpente.
- Ben arrivato! – esclamai ironica, fiancheggiandolo
alla sua destra mentre Nico faceva lo stesso alla sua sinistra.
- Scusa, c’era fila al chiosco del fish and chips… -
commentò lui tentando ancora una volta di colpire l’enorme pitone che ora ci
scrutava con attenzione, la testa alta pronta a colpire. I suoi occhi erano
gialli intensi, la pupilla nera allungata al centro come quelli di un gatto o
come quelli di…
- Ho un’idea. – dissi loro agitata. – E’ folle, ma
potrebbe farci prendere tempo e diminuire le possibilità che ci faccia fuori
facilmente. –
- Qualunque cosa sia, io sto con te. – disse Paul
convinto.
- Che dobbiamo fare? – domandò Nico.
- Voi attirate solo la sua attenzione e non fatelo
muovere troppo, ok? – dissi loro, e senza aspettare una risposta corsi via da
lì. Nico e Paul attaccarono l’enorme serpente, e questo alzò ancora di più la
sua testa, semplicemente infastidito. Corsi in fondo alla coda, e iniziai ad
arrampicarmi lungo tutto il suo corpo; fortunatamente non era viscido, le sue
squame sembravano vero e proprio metallo ancora caldo per aver preso il sole di
tutta la giornata passata. Mi arrampicai senza troppe difficoltà fino alla
testa e il pitone per fortuna non sembrava avvertire minimamente la mia
presenza; una volta arrivata in cima, vidi dall’alto Paul e Nico tentare di
tenere a freno il mostro, ma io sapevo di avere poco tempo prima che con uno
scatto mi facesse cadere: posizionai Exusía
verso il basso e gli conficcai la lama velocemente prima in un solo occhio poi
anche nell’altro. L’enorme serpente alzò il capo dolorante, e io scivolai a testa
in giù lungo il suo corpo, quasi come su uno scivolo, e mi sentii subito
schizzare addosso uno strano liquido melmoso… quando arrivai a terra, mi toccai
la faccia e mi guardai la mano: era sangue scuro, lo stesso sangue che sporcava
la lama della mia spada, quindi era quello del serpente.
Nico
e Paul accorsero subito da me per aiutarmi a rimettermi in piedi.
-
Stai bene? – mi domandò Nico preoccupato. Io annuii. – Sì, sto benissimo… ora
dobbiamo stare attenti, le uniche cose su cui può contare sono l’olfatto e
l’udito… - bisbigliai mentre il serpente ancora si dimenava dal dolore. – Ora
facciamo piano, e non appena a qualcuno viene in mente come farlo fuori, agiamo
subito… -
-
E’ stato un dio… - borbottò Nico. – Sono certo che sia stato un dio a fare
fuori il pitone, ma non ricordo chi… -
-
Io proprio non me lo ricordo. – confessò Paul. – Sono negato con queste storie…
-
Il
serpente sembrava soffrire molto, ma non aveva intenzione di morire. Iniziammo
piano, piano a separarci tutti e tre in posizione di difesa: il serpente
sembrava voler mettere da parte il dolore per farci fuori, ma doveva prima
localizzare la nostra posizione.
Un dio… un pitone… dannazione, sapevo che la risposta era
così vicina a me. Prima di tutto però dovevamo pensare a come ucciderlo. La
pelle era impenetrabile, ma… io ero riuscita a renderlo cieco. Quindi solo la
pelle era indistruttibile, dentro no, le fauci del serpente erano il suo punto
debole. Alzai lo sguardo e la prima cosa che vidi era Paul con l’arco e la
freccia puntati dritti verso il pitone: ebbi un’illuminazione.
-
Paul è stato tuo padre a farlo fuori! – esclamai agitata fregandomene del
serpente che subito si voltò verso di me; Paul e Nico mi guardarono come se
fossi impazzita: urlare in quel modo attirando l’attenzione del mostro! – Mira
alla bocca non appena la apre! -
Il
mostro scattò verso di me ed attaccò; aprì le fauci, ed io vidi la scena come a
rallentatore: Paul corse verso di me, con l’arco e la freccia pronti verso la
bocca del pitone. Io chiusi solo gli occhi pregando a mani conserte.
Ti prego divino Apollo, dai una mano a
tuo figlio perché possa essere in grado di portare a termine una missione nella
quale solo tu sei riuscito: in questo momento ne ha bisogno più che mai. Pensai solamente.
Quando
aprii gli occhi, Paul se ne stava di fronte a me, l’arco abbassato, osservando
le enormi fauci del mostro: sul palato c’era la freccia che Paul aveva appena
tirato. Il mostro si dissolse in polvere esattamente come avevano fatto i
Stinfalidi in Italia.
Rimanemmo
un attimo in silenzio, poi tutti e tre ci lasciammo andare per terra, sfiniti e
spaventati.
-
Robby sei stata grandiosa… - commentò Nico col fiato corto. – Dove ti è venuta
in mente l’idea degli occhi? E quella di puntare in bocca? -
-
Harry Potter docet. – risposi prendendo fiato. – Come credi che abbia fatto Harry
a difendersi dal basilisco nella Camera dei Segreti? E comunque qui l’eroina
non sono io: Paul, sei stato eccezionale… –
Lui
scrollò le spalle come a dire che non era niente.
-
Smettila di fare il modesto – lo rimproverai – Sarò pure una schiappa con
l’arco, ma correre e mirare con precisione nel palato di quel mostro è stato
incredibile… -
-
Sì, incredibile veramente… - commentò una voce alle nostre spalle. Subito noi
ci girammo e ci alzammo: dietro di noi c’era un ragazzo e non un normale
ragazzo… era stupendo, lineamenti e muscoli scolpiti, capelli scuri, pelle
abbronzata, occhi grandi, verdi e sorriso malizioso sul volto. Era un modello,
non poteva essere altrimenti: in vita mia non avevo visto ragazzo più bello di
quello e se avessi dovuto indovinare il suo nome, l’avrei chiamato certamente
Perfezione. Indossava blue jeans e una maglia a mezze maniche verdina con lo
scollo a v che gli risaltava i muscoli del petto. Rimasi con la bocca aperta
per un paio di secondi, troppo imbambolata dalla sua bellezza per dire
qualcosa.
–
Credevo che non ce l’avreste fatta a scampare al pitone, ma a quanto pare mi
sbagliavo. –
-
Sei stato tu a sguinzagliarci quel mostro addosso, allora! – esclamò furibondo
Nico.
-
Certo – rispose Perfezione. – Ma io sono solo una pedina di questo enorme gioco
del destino, e penso che ne incontrerete tanti altri… -
-
Quindi tu ti fai usare per impedirci di arrivare nell’Ade! – fece Paul
infuriato tanto quanto Nico. Io non ero in grado di rispondergli per le rime:
Perfezione e la sua bellezza mi avevano completamente resettato il cervello. Perfezione
rise.
-
Sono sempre stato usato nella mia lunghissima vita! – fece lui con un sorriso
malizioso che fece fare una piroetta al mio cuore; lui rideva, ma si sentiva
dell’amarezza nella sua splendida voce. – Sono stato talmente usato che hanno
finito per rendermi immortale! E chi ha mai voluto l’immortalità, dico io! –
sbottò irritato. – Afrodite e Persefone: quelle due arpie… a causa loro sono
ricordato nella storia dell’umanità come il fesso più grande mai esistito noto
solo per la sua bellezza… il più grande forse dopo Narciso direi: so
riconoscere posizioni peggiori delle mie. -
-
S-sei Adone? – domandai ricordando il libro di miti che avevo letto alle scuole
medie. Perfezione mi sorrise e i suoi denti sembrarono scintillare alle tiepide
luci della sera come se si trovasse improvvisamente nella pubblicità di un
dentifricio.
-
Esatto dolcezza… - disse Adone facendomi l’occhiolino. - pensa un po’, io ero
un eroe vero, avrei avuto molto da
dare al mondo e agli dei: coraggio, valore, addirittura la mia vita… ma quelle
due erano troppo affascinate da me e dalla mia bellezza da trattarmi solo come
un semplice oggetto del loro desiderio… ed io sono più modesto di come le
leggende mi dipingono! – esclamò irato.
-
Ma non eri morto? – domandò Nico. – Ucciso da un cinghiale? –
Adone
a quel punto scoppiò a ridere. – Io, il grande Adone ucciso da un cinghiale?!
Quelle due arpie di Afrodite e Persefone l’hanno fatto credere al resto del
mondo per tenermi con loro: non volevano che nessun altra donna potesse venire
a cercarmi anche solo per curiosità; hanno tormentato Zeus affinché mi venisse
dato il dono dell’immortalità, metà anno lo passo con Afrodite e metà con
Persefone… ma ora che l’Ade è entrato nel caos più totale non rendo conto a
nessuno, e farò pagare a tutti gli dei di avermi donato questa maledizione che
è l’immortalità! –
-
Ma l’immortalità non dev’essere male… - commentò Paul incerto.
-
Non dev’essere male?! – sbraitò Adone adirato: pure quando si arrabbiava era
stupendo. – Pensa a una schiavitù eterna: la morte sarebbe l’unica cosa in
grado di liberarti. Inoltre ogni sventura capita a causa degli dei: pensate a
tutti i miti, si basano per la maggior parte su capricci e pretese divine.
Hanno rovinato il mio nome e la mia esistenza così come quella di tante altre
persone e pagheranno per questo. –
-
Per chi lavori, e cosa hai intenzione di fare? Distruggere il Monte Olimpo?
Dall’Ade non riuscirai a fare molto… - lo avvertì Nico che non si lasciava
sottomettere dalle parole di Adone.
-Non
riuscirò a fare molto nell’Ade?! – fece Adone ridendo. – Figlio di Ade, tu non
hai la benché minima idea di quello che potrebbe accadere là sotto… non ci sarebbe
nemmeno bisogno di attaccare il Monte Olimpo per disintegrare gli dei. Inoltre
non sono così ingenuo da dirti per nome di chi lavoro… -
Adone
mi si avvicinò e mi appoggiò l’indice sotto il labbro inferiore, facendomi
chiudere la bocca; dopo di che mi fece l’occhiolino e mi disse: - Non si
fissano i bei ragazzi in modo così spudorato… - mi fece notare. Ok, tutto quel
fascino e quell’incantevole atmosfera si dileguarono in un istante e la rabbia
prese il loro posto: senza pensarci due secondi gli sferrai un pugno dritto in
faccia. Per un attimo Adone rimase con il volto girato verso la sua destra, poi
si toccò la guancia sinistra e mi guardò con gli occhi infuocati.
-
Questa me la paghi, figlia di Zeus. – dopo di che svanì senza un’altra parola.
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Capitolo 6 *** Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadenti ***
Seconda tappa: Chicago; incontriamo delle modelle un po' troppo invadent
6
Seconda tappa: Chicago;
incontriamo delle modelle
un po’ troppo invadenti.
ai
dato un pugno ad Adone, te ne rendi conto? – fece Nico guardandomi con gli
occhi spalancati dallo stupore. – L’uomo più conteso nella storia del mondo… -
-
E sei rimasta pure imbambolata come una scema di fronte a lui… - aggiunse Paul
ridendo. Io gli diedi una gomitata, irritata. – Torniamo in macchina, per
favore… - borbottai.
Mi
sedetti dietro io questa volta, e guardai la mia maglia sporca di sangue.
-
Bleah, che schifo, ho la maglia sporca di sangue di pitone, e puzza di
putrefatto… - commentai disgustata.
-
Ci conviene spostarci da qui – commentò Paul accendendo l’auto. – Se rimaniamo
in zona, Adone potrebbe tornare con qualche altro mostro da sguinzagliarci…
Arriviamo per lo meno in Indiana, poi ci accampiamo là e avrai tempo di
cambiarti la maglia. -
Arrivammo
sul confine dell’Indiana in un paio d’ore e l’odore di putrefatto aveva ormai
impregnato la mia pelle così come l’auto; tutti e tre scendemmo dalla vettura
tirando un respiro di sollievo.
-
Vado laggiù e ne approfitto per andare in bagno a cambiarmi… - borbottai
indicando un Mc Donald in lontananza e infilandomi lo zaino sulle spalle.
-
Aspetta! – esclamò Paul, e mi lanciò un portafoglio. – Prendi qualcosa di
mangiare già che ci sei… -
-
E tieni anche questo… - aggiunse Nico lanciandomi il suo giubbotto di pelle
nera. – Almeno non vedranno quelle macchie di sangue sulla maglia… -
Annuii
e mi incamminai verso il Mc Donald infilandomi quel giubbotto. Entrai
nell’edificio praticamente vuoto (a quell’ora di notte era più che normale che
non ci fosse quasi nessuno) e corsi subito verso il bagno. Una volta entrata,
aprii il giubbotto e mi guardai allo specchio: la maglia era sporca di sangue scuro
asciugato ormai da un bel pezzo. Mi accertai che in bagno non ci fosse nessuno,
dopo di che bloccai la porta utilizzando uno spazzolone per pavimenti che
probabilmente la donna delle pulizie aveva dimenticato lì e finalmente mi tolsi
maglietta, l’arrotolai e la buttai senza troppe riserve nel cestino. Mi infilai
una delle magliette che avevo nello zaino, il giubbotto di pelle di Nico e
uscii come se nulla fosse. Alla cassa ordinai tre big mc con patatine e coca
cola: probabilmente a quell’ora di notte ci sarebbero rimasti indigesti, ma era
da quasi ventiquattrore che non mangiavamo nulla e dovevamo riempire per lo
meno i nostri stomaci. Arrivai da loro esultante alzando la borsa con le nostre
cibarie; loro nel frattempo avevano lasciato la macchina al parcheggio del Mc
Donald aprendo tutte le portiere e addirittura il baule per fare uscire il
tanfo di mostro che avevo portato. Mi tolsi il giubbotto e feci per restituirlo
al proprietario, ma Nico scosse la testa dicendo: - Tienilo tu, stasera fa
particolarmente freddo. –
Gli
sorrisi grata e tutti e tre addentammo contemporaneamente i nostri hamburger
con avidità.
-
Avete delle idee su chi possa impartire ordini ad Adone? – domandò Paul con la
bocca piena di pane, carne, insalata e cetrioli.
Io
scossi la testa, e Nico continuò a sorseggiare pensieroso la sua coca cola.
-
La cosa che mi sorprende più di tutte è mio padre – commentò finalmente Nico. –
C’è veramente qualcosa che non va se lui non reagisce… inoltre com’è possibile disintegrare
gli dei da laggiù? E Adone? Come ha fatto a liberarsi? -
-
Adone passava metà del suo tempo con Afrodite e metà con Persefone… - commentai
- probabilmente deve essere riuscito a scappare quando passava il suo tempo con Persefone nell’Oltretomba:
se c’è veramente qualcosa che non va laggiù non gli dev’essere stato difficile
riuscire ad andarsene… -
-
E poi c’è Bianca – continuò Nico. – Ha detto che da tempo c’è un umano
nell’Ade. Che sia questa persona a tenere sotto controllo mio padre? E come
potrebbe un comune mortale avere potere su un dio? –
Nessuno
di noi riusciva a darsi una risposta.
-
Credo che dovremmo dormire almeno un po’… - propose all’improvviso Paul. –
Punterei la sveglia per le sei e chiuderei a chiave la macchina durante la notte:
non si sa mai cosa può succedere… ah, al massimo se domani mattina voi dormite
io posso partire comunque… -
-
Lascia perdere – dissi subito io. – Tu dormi, hai fatto tante ore di viaggio…
domani mattina guido io, ok? –
-
Va bene – annuì Paul. - Direi che domani dovremmo affrontare quanti più
chilometri siamo in grado di fare. Per ora direi che partendo alle sei di
mattina, potremmo andare nell’Illinois e fare pausa a Chicago, che ne dite? -
Ci
accordammo dunque così e visto che Paul sembrava sfinito, io e Nico lo
lasciammo dormire sdraiato nei posti dietro, mentre io e lui ci accontentammo
di tirare indietro solo di un po’ lo schienale del sedile.
Il
giorno dopo alle sei la sveglia dell’iPod suonò, ed io ancora mezza
addormentata e con un alito probabilmente pessimo che ancora sapeva di
hamburger e di fritto, accesi la macchina e, controllando la cartina, mi
diressi verso Chicago. Era diverso viaggiare per le strade americane e sentivo
una certa nostalgia della mia patria: le mie strade, la mia lingua, il mio
paese… se fosse stata una vacanza sarebbe stato diverso, mi sarei goduta il
periodo in America tranquillamente, mentre ora, beh… non sapevo nemmeno se
sarei tornata al Campo viva, figuriamoci tornare nel mio paese.
Non pensarci… continuavo a ripetermi.
Sentii
uno sbadiglio di fianco a me, e vidi Nico passarsi una mano sugli occhi.
-
Buongiorno… - disse lui con la voce ancora assonnata.
-
Salve! – lo salutai allegramente io, che avevo ormai avuto il tempo necessario
per riprendermi dal sonno.
-
Da quanto tempo siamo partiti? – domandò.
-
Da quasi due ore, sono un quarto alle otto. – gli risposi.
Lui
sbadigliò un’altra volta e si voltò indietro per vedere Paul che continuava a
ronfare, comodamente sdraiato.
-
Questa storia mi sta facendo impazzire… - borbottò all’improvviso Nico. – Non
ho idea di cosa stia succedendo a mio padre, all’anima di mia sorella, all’Ade…
non capisco nemmeno la
Profezia… -
-
Io credo che sia meglio non farsi domande –dissi guardando la strada. – Non
credo che troveremo una risposta da soli ed è inutile arrovellarsi il cervello
per niente… il nostro obiettivo per ora è di arrivare nell’Ade evitando il
maggior numero di mostri possibili. –
-
Forse hai ragione tu… - commentò ancora pensieroso.
-
Certo che ho ragione io… - dissi annuendo, cercando di mostrarmi convinta. La
verità era che non ero sicura di nulla, ma dovevo rasserenare i miei compagni
di viaggio.
Paul
si svegliò poco dopo con un sonoro sbadiglio, iniziò subito a cercare qualche
canzone sull’iPod per svegliarsi e finimmo per cantare a gran voce Raise Your
Glass di Pink.
Paul
era veramente un toccasana per la nostra impresa: con la sua carica era in
grado di farci dimenticare che stavamo praticamente andando incontro alla morte
per chissà quale motivo; sembravamo semplicemente tre amici che, tanto per
passare il tempo, avevano deciso di attraversare l’America in auto. Aveva
tirato giù i finestrini, alzato la musica al massimo e di tanto in tanto usciva
dal finestrino con testa e braccia cantando a squarciagola e salutando gli
altri automobilisti che lo mandavano a quel paese a gesti. Era talmente contagioso
che persino Nico finì per unirsi al nostro coro con un sorriso che troppo poco
spesso concedeva alla gente. In quel momento mi dimenticai dell’impresa, mi
dimenticai degli dei e della nostalgia per la mia Italia: in quel momento ero
perfettamente serena.
Percorremmo
tutta l’Indiana, arrivammo finalmente in tarda mattinata nell’Illinois e parcheggiai
l’auto in centro Chicago.
-
Eccoci arrivati! – esclamò Paul uscendo dalla macchina e scrocchiandosi le dita.
-
Chicago. – disse Nico guardandosi intorno soddisfatto e incamminandosi con la
cartina in mano. Io chiusi la macchina e li seguii senza sapere dove avevamo
intenzione di andare.
Camminammo
per un paio di minuti ed entrammo in un parco. Io rimasi praticamente estasiata
di fronte a quella vista: gli edifici enormi e i grattacieli che già avevo
visto guidando, erano ora tutte alle nostre spalle, mentre di fronte a noi si
estendeva un enorme lago azzurro.
-
E’ fantastico! – dissi con il cuore in gola di fronte a quello spettacolo.
-
Questo è il Grant Park – mi disse Nico. – E quello è il lago Michigan –
-
Altro che lago, questo sembra un oceano…! – esclamai avvicinandomi all’acqua e
cercando di scrutare della terra all’orizzonte, ma mi resi presto conto che la
cosa era praticamente impossibile.
-
Hey, là alla fontana c’è un po’ di gente. – ci avvertì Paul. – Andiamo a dare
un’occhiata, magari c’è qualche negozietto di alimentari. –
Andammo
verso l’enorme fontana al centro del parco e trovammo allestito tutto intorno
una passerella e un palcoscenico di color nero e fucsia. Nico si avvicinò a uno
dei cartelli affissi in giro e lesse: - Avril Lavigne presenta oggi alle sedici
una sfilata della sua nuova collezione d’abbigliamento Abbey Dawn. Evento gratuito
aperto al pubblico. –
Quasi
all’unisono, io e Paul esclamammo: - Cosa?! Ci sarà Avril Lavigne?! -
Guardai
Paul trovando subito in lui un degno alleato e con un sorriso dissi: - Che ne
dici di fermarci anche a vedere la sfilata? –
Lui
subito annuì gioioso e corse via esclamando: - Vado a prendere da mangiare,
andate a tenere occupati dei posti a sedere! -
Nico
mi guardò accigliato e chiese: - Siete sicuri che sia prudente perdere un
intero pomeriggio qui a vedere una sfilata di moda? –
Io
allora lo guardai implorante pregandolo: - Ti prego, si tratta di Avril
Lavigne! Sono riuscita a vederla da sotto il palco per miracolo allo scorso
concerto che ha fatto a Milano il giorno del mio compleanno: ha fatto appena
un’ora di concerto, è stato scandaloso! Ti prego, lasciamela vedere un altro
po’ questa volta, è un’occasione d’oro…! –
Prima
che Nico potesse ribattere o darmela vinta, una voce alle mie spalle domandò: -
Siete qui per Avril Lavigne? –
Io
mi girai di scatto e vidi che una ragazza si avvicinava a noi con un sorriso
amichevole. Era magra, slanciata, abbronzata, bionda, con dei ricci
assolutamente perfetti e gli occhi verdi. Mi sentivo una nullità vicino a lei.
-
Mi chiamo Katie e sono una delle modelle che sfilerà – disse gentilmente. – Da
dove venite? –
-
Io e un altro nostro amico che sta per arrivare veniamo da New York – rispose
Nico – e lei dall’Italia. –
La
ragazza mi squadrò dall’alto al basso con una strana espressione sul volto, poi
tornò a sorridere.
-
Addirittura dall’Italia?! – chiese stupita.
Io
arrossii sotto il suo sguardo, senza capire se mi stesse prendendo in giro o
meno.
-
Io… ero venuta a trovare loro e abbiamo programmato, hem… da molto questo
viaggio per l’America, ecco… - borbottai. Ok, sono una pessima bugiarda: da
sempre i miei amici ripetono che sono un libro aperto e solo in quel momento mi
resi conto di quanto fosse vero.
-
Eccomi qua con dei panini! – esclamò Paul arrivando, e rallentò il passo quando
ci vide in compagnia di quella ragazza.
-
Katie! – la chiamò qualcuno da dietro: era un’altra ragazza, probabilmente anche
lei una modella, dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri a mandorla.
-
Lei è Himeko, una mia collega. – la presentò Katie.
Dopo
aver fatto le opportune presentazioni, Himeko ci sorrise gentilmente e ci
domandò: - Che ne dite di fare un giro dietro le quinte? Manca ancora un’ora alla
sfilata e ci farebbe piacere mostrarvi qualcosa in anticipo… –
-
Beh, perché no? – commentò Paul con un sorriso. Himeko ammiccò in sua direzione
e sbatté le ciglia: si vedeva che ci provava spudoratamente con lui. Avevo una
strana sensazione in merito a quelle due ragazze, ma non si trattava di
gelosia: non mi faceva né caldo né freddo che Paul si ritrovasse a rimorchiare
per un pomeriggio; in fin dei conti c’era sempre Nico che non mi avrebbe lasciata
a fare il candelino… mi voltai a cercarlo con lo sguardo e vidi che Katie gli
aveva prepotentemente messo una mano attorno alla vita e lo trascinava nel
dietro le quinte. Mi sentii infuocare dentro: da Paul potevo aspettarmelo, ma
pure Nico?! Corsi per raggiungerli e non essere lasciata indietro, ma continuavo
a sentirmi sola ed inutile come non mai. Sia Paul che Nico sembravano
apprezzare le moine delle due modelle.
-
Che ne dici, Robby, ti andrebbe di provare uno dei vestiti? – domandò
improvvisamente Katie guardandomi quasi con aria di superiorità e ridacchiando,
circondando Nico in un abbraccio. Mi sentivo ribollire di rabbia: avrei voluto
prendere lei, quel suo comportamento civettuolo e quella sua perfezione,
ficcarle dritte dentro nel water e schiacciare l’acqua.
-
Non potrei mai starci nei vostri vestiti… - commentai dura tra i denti,
trattenendo l’istinto di strangolarla: loro erano modelle, io invece ero una
semplice ragazza italiana di campagna che non diceva mai di no ad un piatto di
pasta al ragù.
-
Oh, beh, ma ci sono anche altre misure più abbordabili per te… - disse subito
Himeko con una risata.
Il premio di miss simpatia va proprio a
queste due… pensai
acidamente, serrando i pugni dalla rabbia.
Ci
portarono nel loro camerino e mi mostrarono un vestito a mezze maniche corto
fin sopra il ginocchio con la trama della bandiera americana in bianco e nero,
ma era troppo scollato per me e, forse un po’ sgarbatamente, mi rifiutai
d’indossarlo. Cercai tra i vestiti qualcosa che mi piacesse, ma con la coda
nell’occhio continuavo a tenere sotto controllo Katie: Nico non sembrava
affatto dispiaciuto delle due attenzioni e la cosa mi irritava parecchio. C’era
qualcosa che non andava assolutamente in quelle due ragazze, ma Katie
m’innervosiva molto di più di Himeko.
Avevo
appena trovato una maglietta con la scritta Smile che mi piaceva, quando vidi
Katie avventarsi sul collo di Nico con uno strano luccichio. Lasciai perdere la
maglietta e, senza nemmeno pensarci, mi voltai facendo scattare subito Exusía e
puntandole la spada alla gola. Avrei voluto subito intimarle di arretrare, ma
la voce mi si bloccò in gola: Katie era diventata bianca cadaverica, aveva gli
occhi rossi e mi mostrava dei canini affilati come rasoi, per non parlare del
fatto che al posto delle normali gambe aveva una zampa d’asino e una gamba di
bronzo. Improvvisamente mi sentii la ragazza più splendida della stanza, ma la
cosa non sembrava più avere quella grande importanza per me.
-
Che c’è, hai perso la voce, figlia di Zeus? – disse Kate con un sorriso
beffardo. – Era tanto che vi stavamo aspettando… -
-
Lascia stare Nico! – feci riprendendo il controllo.
-
Beh, allora potrei provare io ad assaggiare l’altro tuo amico… - commentò
Himeko, che come Kate, si era trasformata in quello strano mostro.
-
No! – strillai disperata, e con la spada continuavo a puntare prima ad una e
poi all’altra: non riuscivo a fronteggiarne due, un solo passo falso da parte
mia e avrebbero fatto fuori i miei amici.
-
Nico, Paul riprendetevi, dannazione! – esclamai implorante con le lacrime agli
occhi. – Non vedete che sono dei mostri? –
-
Ma cosa dici? – disse Paul con voce assonnata. – Queste ragazze sono la fine
del mondo… -
-
Sono stupende… - concordò Nico.
Entrambi
avevano lo sguardo vacuo e perso nel vuoto, era ovvio che erano quei due mostri
a far loro quell’effetto.
-
Cosa siete voi? – domandai ai due mostri tentando di prendere tempo per pensare
a cosa fare.
-
Noi siamo le empuse! – esclamò Himeko mostrandomi le zanne. – Siamo state
inviate dall’Oltretomba: non serviamo più Ecate! –
-
Zitta stupida! – esclamò Kate. – Non vedi che sta solo temporeggiando? –
-
E perché? – chiesi continuando a muovere la spada prima verso un’empusa e poi
verso l’altra. – Perché avete tradito Ecate? –
-
Siamo mai state ricompensate per i nostri servigi nei suoi confronti? – rispose
adirata Himeko senza riuscire a trattenersi. – Queste due gambe orribili
avrebbe potuto togliercele già da un pezzo, proprio lei che è la dea degli
incantesimi! In questo mondo gli dei non danno giustizia a nessuno se non a
loro stessi! Inizierà una nuova era…! –
-
Basta! – esclamò Kate secca. – Hai detto fin troppo, idiota! – Dopo di che mi
sorrise maliziosa e con un dito sfiorò il collo di Nico, che sembrava un
assetato nel deserto.
-
Chissà come sarà nutrirmi del sangue di un figlio d’Ade… - e avvicinò le labbra
al collo di Nico…
-
No! – esclamai nel panico, e vedendo che non si fermava aggiunsi: - Prendi me!
–
Kate
finalmente alzò lo sguardo verso di me.
-
Si può sapere che stai farneticando? – fece lei gelida. – Noi non ci nutriamo
di femmine. -
-
Ma io sono figlia di Zeus! – esclamai disperata senza sapere nemmeno io che
cosa volessi ottenere. – Quando mai vi capiterà di assaggiare del sangue che
discende dal padre degli dei? E’ come uno zero negativo per i vampiri, no? – In
effetti sono anche zero negativo, quindi probabilmente sarei piaciuta loro il
doppio visto che erano mezze vampire… deglutii nervosa, vedendola cedere.
-
Non hai tutti i torti – proferì Kate infine.
-
Ma anch’io allora voglio nutrirmi del sangue di una figlia di Zeus! – brontolò
Himeko.
-
Tu non meriti assolutamente nulla, hai già spifferato troppo a questa mezzosangue!
– la rimproverò subito Kate gelida. Himeko rimase in disparte delusa e
arrabbiata.
-
Riponi la spada e appoggiala per terra lentamente. –mi intimò Kate.
-
Mentre lo faccio però voi dovete allontanarvi lentamente da loro e avvicinarvi
a me. – dissi io. – A loro due non dovete fare nulla, chiaro? -
Kate
annuì e Himeko la imitò. Non potevo fare altro: feci scattare la spada che
tornò ad essere un semplice accendino e mi abbassai per appoggiarlo a terra.
Alzai lo sguardo e vedi che piano, piano, le due empuse si stavano allontanando
dai miei amici e si stavano avvicinando a me, leccandosi le labbra. Appoggiai
l’accendino per terra, allontanai la mano e il mio pensiero fu uno solo: ormai
è finita.
Avevo
una sola speranza, ed era di far risvegliare uno dei miei due amici, così agì
d’istinto: quando i due mostri si furono allontanati abbastanza dai miei amici,
ripresti l’accendino che avevo appena lasciato per terra, lo ritrasformai in
una spada e la lanciai, di modo che l’elsa andasse a colpire Nico proprio in
fronte.
-
Ahi! – esclamò lui piegando la testa in avanti, dolorante: ce l’avevo fatta,
almeno lui era tornato in sé.
-
Cos’avevi intenzione di fare? – chiese Kate ridendo: lei e la sua amica erano
scoppiate a ridere pensando che io avessi tentato di attaccarle con la spada
dalla parte del manico e non avevano sentito il lamento di Nico. – Ora è il
momento di finirla… -
Chiusi
gli occhi terrorizzata vedendo le loro zanne avvicinarsi al mio collo: Nico
probabilmente si stava ancora riprendendo, e quando l’avrebbe fatto, sarebbe
ormai stato troppo tardi per me…
Quando
tutto sembrava perduto, sentii un urlo e fui sommersa da un’ondata di polvere. Avevo
paura ad aprire gli occhi: ero ancora viva? Eppure il dolore non era arrivato…
sbirciai cautamente e vidi che Nico con un solo colpo netto di Exusía aveva
fatto fuori le due empuse.
-
Sì, aveva proprio ragione – commentò Nico. – Era proprio il momento di finirla.
-
Mi
lasciai cadere per terra con gli occhi ancora lucidi dal terrore e Nico corse
subito da me preoccupato, lasciando cadere la spada.
-
Hey, stai male? – mi chiese subito abbassandosi per vedere come stavo.
-
Sì, cioè, no… sto bene… - risposi con voce tremante. – Solo che… credevo
veramente di morire questa volta… mi tremano ancora le gambe… - Lui mi sorrise
e mi sentii improvvisamente calda in viso.
-
Vuoi un po’ di ambrosia? – mi disse gentilmente togliendola dal suo zaino e
offrendomela. Io scossi la testa e guardai da un’altra parte, senza riuscire a
sostenere il suo sguardo. – Un po’ d’acqua… - dissi solo, e lui mi offrì subito
una bottiglietta che aveva con sé.
-
Hey, si può sapere che è successo qui dentro?! – esclamò Paul all’improvviso,
riprendendosi.
-
Forse è meglio tornare subito in macchina e spiegarti tutto mentre ci
allontaniamo da qui; questa volta guido io. – disse Nico. Mi tese una mano per
aiutarmi ad alzarmi, ma io mi alzai da sola, sentendomi le gambe quasi più
tremanti di prima.
-
E Avril Lavigne?! – fece Paul mortificato.
-
Lascia perdere Avril e andiamocene subito…! – dissi io sfinita.
Una
volta arrivati in auto raccontammo tutto quello che era successo a Paul, e lui
sembrò scurirsi in viso. – Cavoli, e io che non ho fatto nulla per aiutarvi… -
commentò.
-
Hey, può capitare a tutti… sei stato sotto effetto delle empuse. – lo consolò
Nico. – Se Robby non mi avesse lanciato l’elsa della spada in fronte, anch’io
non avrei fatto nulla… -
Mentre loro continuavano a parlare, io mi
ritrovai a scrivere sul libro che mi aveva dato Helénia: le raccontai del
pitone, di Adone e delle empuse. Fortunatamente Helénia aveva il suo quaderno a
portata di mano, e commentava subito tutto quello che le raccontavo. Mordicchiai
la penna e rimasi a pensare: dovevo dirle il dubbio che mi attanagliava? Decisi
che non potevo tenermi tutto dentro, così iniziai a scrivere.
Sai,
Hel, quando ho visto quel mostro appiccicarsi a Nico non ci ho più visto.
E’
stato diverso da come mi sono sentita quando ho visto Paul con l’altra… non
saprei dirti perché.
La
risposta non si fece attendere troppo, infatti Helénia rispose subito.
Ti
sei innamorata! Wow, che dolce!
Innamorata?!
Rilessi quella frase almeno una decina di volte: avrei voluto mettermi a ridere
sguaiatamente, ma non era il caso in presenza di Paul e Nico.
Ma
smettila… che stupidaggini vai dicendo...!
Io innamorata di Nico… Ma fammi il piacere…
Hèlènia
non rispose subito, e per un attimo temetti di essere stata troppo rude con
lei; poi però la sua risposta apparve nitida sul piccolo quadernetto.
Puoi
negarlo quanto vuoi a me,
ma al tuo cuore non puoi mentire in eterno…
Rilessi
la sua risposta, e sentii il mio cuore battere più velocemente. Quindi era gelosia
quella sensazione di fastidio che avevo sentito nel petto vedendo l’empusa stringersi
a Nico e lui cedere di fronte alla sua bellezza? Scossi la testa e chiusi il
quadernetto: era una stupidaggine, dovevo saperlo che Helénia aveva preso da
sua madre e trovava ovunque emotività e sentimenti che non stavano né in cielo né
in terra... incrociai le braccia sbuffando con mille pensieri nella testa e
convincendomi che l’unica cosa che mi aveva veramente dato fastidio quel giorno
era di non aver potuto vedere dal vivo Avril Lavigne.
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Capitolo 7 *** Visioni & sogni ***
Visioni & Sogni
7
Visioni
&
sogni
l
pomeriggio lo passammo in viaggio, tutti troppo preoccupati per il nostro
ultimo incontro ravvicinato con dei mostri: pure a noi sembrava troppo facile
metterci nel sacco e più ci avvicinavamo a Los Angeles, più le cose si
sarebbero complicate. Di tanto in tanto lanciavo dallo specchietto retrovisore
uno sguardo a Nico, troppo impegnato a guidare per vedermi. Cavoli, dannata
Helénia! Ora che mi aveva detto quella cosa, non riuscivo più a togliermela
dalla testa! Ragionando oggettivamente l’avevo ammesso pure io che mi aveva
dato più fastidio l’atteggiamento di Kate che quello di Himeko, ma, diamine!
No, io non ero innamorata e non volevo innamorarmi, era una cosa stupida e
insensata. Di Nico poi… per giunta durante un’impresa. No, non doveva accadere,
non volevo che accadesse.
-
Si può sapere perché sei così taciturna da quando abbiamo lasciato Chicago? –
mi chiese Paul ad un certo punto.
Io
sbuffai e sdraiandomi sui sedili dietro borbottai: - Sono solo un po’ stanca… e
ho fame. –
-
Sto vedendo i cartelli di un posto per campeggiatori qui in zona – disse Nico
continuando a guardare la strada. – Almeno per una volta possiamo dormire fuori
dalla macchina, no? -
Ci
accordammo quindi di andare in questa zona da campeggio chiamata Oasi Paradiso.
In cinque minuti arrivammo a destinazione in quello sperduto paesino nello Iowa
e, dopo aver pagato la nostra permanenza su quel terreno per una notte, il
parcheggio dell’auto e il noleggio di una tenda e tre sacchi a pelo, finalmente
iniziammo a sistemarci in una zona appartata nel boschetto, proprio vicino ad
un piccolo laghetto.
-
Io e Paul andiamo al negozietto all’ingresso per prendere da mangiare. – annunciò Nico. – Vieni con
noi? -
Scossi
la testa.
-
Voi andate, io rimango qui a montare la tenda. -
I
due s’incamminarono, ed io mi armai di pazienza per riuscire a stendere il telo
della tenda per terra, dopo di che fu una passeggiata montare la tenda e
bloccarla per terra con martello e picchetti. Tutta quella fatica mi aiutò a
non pensare a quella cosa assurda che Helénia mi aveva messo in testa. Mi
sedetti appoggiandomi ad una roccia: ero veramente stanca, anche se il sole
stava tramontando in quel momento, gli occhi mi si chiudevano da soli…
Era buio ed ero seduta. Tentai di
alzarmi, ma qualcosa me lo impediva. Nella luce spettrale che di tanto in tanto
appariva in tutto quel buio, vidi che ero incatenata per le braccia e per i
piedi. Una voce alla mia destra disse ironica: - Fatto dei bei sogni? -
Mi voltai a destra con il cuore in
gola, per vedere se ero sola o meno, e scoprii di avere i capelli corti fino alle
orecchie. Non era possibile, non ero io, io avevo i capelli lunghi fino a sotto
le spalle… ma la cosa mi stupì solamente nella mia testa.
In tutto quel buio ancora non riuscivo
a vedere la figura alla mia destra, ma la mia bocca si aprì e pronunciò la frase:
- I sogni sono sempre migliori della realtà da un paio di mesi a questa parte…
-
La voce non era la mia, e io non avevo
mai pensato di dire una cosa simile. Eppure era il mio corpo a parlare: era
come essere intrappolati passivamente nel corpo di qualcun altro.
Iniziai finalmente ad abituarmi a quel
buio, e scrutai la figura alla mia destra: era un uomo bianco cadaverico con
degli occhi scurissimi e delle vesti lunghe e nere.
- Sarebbe strano il contrario, Chiara…
- disse una voce femminile alla mia sinistra, e mi voltai. Chiara? Io non mi
chiamavo Chiara, eppure mi ero voltata.
Chi aveva parlato era una donna
stupenda, con una tunica greca bianca candida, il volto candido e i capelli
neri e ricci: anche se era evidentemente priva di forze, rimaneva stupenda.
- Credo che voi siate l’unica fonte di
vita per una mortale come me qui dentro, Persefone – dissi. – Senza la vostra
presenza sarei probabilmente già morta. -
Persefone sorrise. – Mi dispiace che
non sia tu ad essere lusingato da tali parole, Ade caro… - disse rivolgendosi
all’uomo alla mia destra. La figura maschile alzò le spalle tentando di portare
avanti le braccia, ma le catene glie lo impedivano.
– Tenere in vita un mezzosangue che non
sia figlio mio non mi aggrada, e meno che meno m’importa di ricevere lusinghe
proprio da lei. – rispose burbero Ade.
- Allora, sei riuscita a metterti in
contatto con Roberta? – domandò Persefone seria.
Scossi la testa. – E’ partita per
l’impresa, non mi ha ascoltata, ed ora che è in viaggio mi è sempre più difficile
attivare il legame empatico. Anche se non fosse partita comunque non vedo che
differenza avrebbe fatto… -
- Quegli stupidi degli altri dei se ne
fregano della mia situazione! – sbottò Ade.
- Chi può dirlo? – fece Persefone con
un sospiro. Dopo di che proferì con occhi chiusi e la voce stanca: - Non so per
quanto ancora potrò andare avanti… io ora dovrei essere sulla terra e sono qua
imprigionata… mi sento debole, molto debole, sento che non passerà molto tempo
prima che le forze mi abbandonino ed io sparisca… -
- Gli dei non possono sparire – dissi
come se la cosa fosse ovvia. – O no? – domandai rivolgendomi ad Ade, che
sembrava un pezzo più duro da sconfiggere della moglie.
- Se un dio non ha più la volontà o la
forza per esistere sì, può capitare, anche se non è successo quasi mai nella
storia… - disse Ade, ma questa volta con un tono di voce basso e con uno
sguardo preoccupato fermo verso sua moglie.
- Sono certa che con la vostra forza,
Ade, vostra moglie resisterà fino all’arrivo di qualcuno che ci tiri fuori da
qui… - dissi tentando di usare una voce sicura, ma tremai: sentivo di non
essere affatto sicura di nulla.
Lui sbuffò scettico. – Scusami se ti
contraddico, ma non ripongo fiducia in voi mezzosangue, in particolare in un
gruppo campeggiato dalla progenie del mio peggior fratello… -
- Dovrebbe esserne convinto invece – lo
contestai a bassa voce per non farmi sentire da Persefone. – Perché in quel
gruppo di mezzosangue c’è anche un vostro figlio a quanto pare. -
- Nico? – fece Ade con un filo di
speranza nella voce. – Quel ragazzino l’ultima volta mi ha veramente aiutato a
riscattarmi agli occhi di quegli stolti su all’Olimpo. Che non lo venga mai a
sapere (odio fare complimenti), ma se c’è anche lui, potremmo anche cavarcela,
anche se non so come… - si bloccò.
- Cosa c’è? – domandai ansiosa.
- C’è una presenza. – disse Ade
attento, guardandosi intorno. – Sono talmente indebolito da non averci fatto
caso, ma c’è un chiaro legame empatico in atto in questo preciso istante. –
- Robby, mi senti? – esclamai
guardandomi intorno. – Qui nell’Ade è il caos totale, un umano ha preso il
controllo del posto: non sappiamo ancora come, ma ha tolto i poteri sia ad Ade
che a Persefone e per gli dei è impossibile proseguire… chiunque sia ha in
mente qualcosa di distruttivo per tutti gli dei e… -
Aprii
gli occhi di scatto.
-
Robby! – esclamò Paul bianco pallido.
-
Parlavi nel sonno! – fece Nico, agitato come lui, ma mostrandosi più calmo ora
che avevo aperto gli occhi. – Parlavi dell’Ade, è successo qualcosa? –
Tentai
di respirare, ma avevo ancora il cuore in gola: era come essere svegliati
durante una fase di sonnambulismo. Io l’ho provato e credetemi, è una cosa
tremenda. Raccontai loro tutto quello che avevo visto, di Ade, di Persefone e
dell’essere umano che li teneva prigionieri senza poteri.
-
Io poi… temo di non aver raccontato tutto al campo. – dissi, e raccontai ormai
di quel collegamento che ora, a mente fredda, era ovvio: io nel mio sogno ero
quella ragazza che avevo sognato per tanto tempo in Italia, quella ragazza che
ora sapevo chiamarsi Chiara. – Non l’ho raccontato al Campo e a Chirone perché
mi sembrava un dettaglio irrilevante. – dissi alzando le spalle. – Invece ora,
col senno di poi, mi rendo conto che l’inizio dei miei sogni di Chiara incatenata
coincidono con l’inizio della pioggia in Italia, forse non è affatto una
coincidenza… -
-
No che non lo è – disse Nico agitato. – Si chiama legame empatico. E’ un
collegamento tra due persone che anche se lontane possono comunicare diciamo
mentalmente. E’ un legame importantissimo, se una delle due muore, muore anche
l’altra. –
-
Bene, ho più possibilità di andare nell’Oltretomba senza viaggiare per tutta
l’America… - borbottai ironica.
-
Credo che sia stata una giornata impegnativa per tutti. – disse Paul ad un
certo punto. – Forse è meglio andare a dormire così da essere svegli e pronti
alla partenza domani mattina, non trovate? – Nico annuì, e debolmente lo
imitai.
Dormire
per terra in un sacco a pelo, anche se in una tenda, è sempre stato per me a
dir poco insopportabile; mi addormentavo solo se ero veramente stanca, e dopo
quel collegamento mentale con Chiara, il sonno era scappato. Ricordai l’ultima
volta che avevo dormito in tenda in montagna in Italia: ero andata a dormire
alle quattro passate di mattina, allietata, per così dire, dallo spettacolo di
un mio amico ubriaco che cadeva per terra raccogliendo la legna per il fuoco.
Sorrisi a quel ricordo, e pensare alla mia vita da persona normale mi aiutò a
prendere sonno...
Era tutto bianco intorno, non vedevo
nulla: era impossibile che si trattasse ancora del legame empatico, là
nell’oltretomba era tutto nero. All’improvviso mi accorsi di un particolare:
indossavo una tunica greca bianca candida, e i miei capelli biondi erano
raccolti in una treccia ornata di fiori che cadeva sulla mia spalla destra.
-
Ti piace? – domandò una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, il cuore a mille,
e quando vidi da chi proveniva la voce, il cuore sembrò quasi fermarsi: era un
ragazzo di circa la mia età, capelli corti, biondi e ben tenuti, fisico
atletico, veste greca e occhiali da sole.
- Scusa – disse con un sorriso vedendo
che lo fissavo. – La tunica è la mia veste per le occasioni ufficiali, e questa
lo è, ma non potevo mancare di aggiungere un tocco di classe con i miei rey
ban. – Si tirò su gli occhiali e vidi per la prima volta i suoi occhi: verdi
così intensi da brillare come uno smeraldo vero, quegli occhi non potevano
essere umani. – In caso non l’avessi capito, io sono Apollo. – disse sfoggiando
il suo ennesimo sorriso.
Il cuore sembrò veramente smettere di
battere: Apollo era il mio dio preferito da sempre, e reincarnava esattamente
quello che era il mio ragazzo ideale, biondo, atletico con gli occhi verdi.
- So che ti piace il Giappone, vuoi che
ti dedichi un haiku? – domandò lui facendomi l’occhiolino.
- Dove mi trovo? – chiesi senza
rispondere alla sua domanda. – Perché sono qui, e perché indosso questa tunica?
–
Lui mi guardò aggrottando le
sopraciglia.
- Beh, la veste era semplicemente un
regalo per te da parte mia – commentò lui come se la cosa fosse ovvia. Qualcosa
nel suo tono di voce intendeva ricevere un ringraziamento, ma io domandai solo:
- Perché? -
Lui sbuffò.
- Mamma mia, ma quanto è difficile
trattare con una mezzosangue figlia di Zeus! Non capisci quando qualcuno ti sta
corteggiando? -
Arrossii praticamente fino alla punta
dei capelli: avrei voluto scomparire o per lo meno avere l’abilità di fingere
che la cosa non m’importasse, ma come al solito il mio volto era un libro
aperto. Non era possibile che Apollo mi facesse il filo, il dio che mi piaceva
più di tutti da quando alle elementari avevamo parlato degli dei dell’antica
Grecia. Poi mi ricordai dei miti su di lui, e tornai con i piedi per terra.
- Sì, corteggiare me… un po’ come con
Daphne, o sbaglio? – commentai amaramente, ma mi morsi subito un labbro: non
potevo permettermi di parlare così male ad un dio.
Lui ridacchiò e disse solo: - Hey, se
vuoi tirare in ballo tutte le donne che ho provato a sedurre da quando esisto,
non credo che finirai mai… -
- Perché io allora? – chiesi
imperterrita.
Lui camminò avanti e indietro un paio
di volte, poi incrociò le braccia e disse: - In realtà tutto è iniziato quando
il consiglio degli dei ha ascoltato la profezia. Non posso rivelare a voi
mortali perché, ma mi è stato chiesto di tenerti d’occhio, e più lo facevo, più
mi sei sembrata una persona interessante: sei stata la prima a dare a Paul una
possibilità di riscattarsi, gli hai suggerito che sono stato io a sconfiggere
Pitone quando lui non si ricordava di me… -
- Quindi… state dicendo che
v’interessate a me solo perché sono gentile con un mio amico che, per caso è
vostro figlio? L’amore vero non è riconoscenza… - dissi tentando di essere
distaccata, ma non ne ero molto capace: ricevere simili attenzioni da Apollo mi
lusingava e non poco.
- Se vuoi sentirmi dire ad alta voce la
lista dei pregi che io vedo in te, allora non siamo poi molto diversi… - disse
lui con un sorriso che mi paralizzò dal tanto che m’incantava. – Sei una buona
amica, non ti fermi di fronte a nulla, sei leale, coraggiosa e credi nei
sentimenti umani… detta così potresti sembrare una tra le mille eroine che
questa terra ha visto, ma credimi se ti dico che quello che il cuore vede, le
parole e la poesia a volte non riescono a spiegarlo. Sei diversa dalle altre, è
questo che sento. –
Abbassai lo sguardo: trattenerlo di
fronte a tutte quelle lusinghe per me era impossibile.
- Ti dico solo una cosa: le mie non
sono mai state storie serie, forse perché io in primo luogo non sono mai stato
serio. Io sono sempre stato solo il fratello irritante di Artemide: sono il
sole, la musica e la poesia: tutto parole e niente fatti. Ma credo che anche gli dei siano in grado di
cambiare, e io voglio farlo. - mi prese le mani e fui così costretta a
guardarlo in quegli occhi così profondi da sembrare irreali. - Quello che ti
sto proponendo è di diventare mia sposa sull’Olimpo. –
Ci impiegai parecchio per capire di
cosa stesse parlando; probabilmente il mio cuore aveva veramente smesso di
funzionare, forse il cervello riceveva sempre meno ossigeno, per questo i miei
tempi di reazione erano così tardi.
- Io… s-sposa sull’Olimpo? – balbettai.
Lui annuì, sembrava veramente serio;
tutte le storie sulla superficialità di Apollo, il modo superficiale in cui si
era presentato… tutto era svanito, improvvisamente sembrava un’altra persona.
Dicono che l’amore vero cambia le persone. Poteva forse cambiare anche gli dei?
Gli dei potevano cambiare?
- Io non ho una compagna nell’Olimpo –
continuò lui. – E vedo in te mia moglie, insieme a tutti gli altri dei. Dopo
tutti questi secoli voglio una compagna per tutta la mia esistenza, e il mio
cuore mi dice che questa compagna sei tu, Robby. -
Oddio, che cosa imbarazzante… volevo
dirgli di no: non lo conoscevo veramente, ma non potevo dire di non sapere
nulla di lui in realtà, poi lui era perfetto, praticamente quello che, da
piccola, era il mio Principe Azzurro… improvvisamente mi si attanagliarono
altri pensieri, quelli più importanti forse.
- Ma… vostro padre è Zeus che è anche
mio padre. Inolte io non potrei starvi vicino sull’Olimpo – dissi.
- Le parentele tra dei funzionano
diversamente… - mi spiegò. – Poi non potresti starmi vicino come una
mezzosangue comune, ma come dea sì. – disse lui, e capii quello che voleva
intendere. – Tu completa la missione che ti è stata assegnata nell’Ade, e
quando tornerai chiederò io agli dei di renderti immortale, di renderti una
dea. -
Io…
immortale. Io… una dea. Sarebbe stato un happy ending delle fiabe: l’eroina
impavida sconfigge il mostro cattivo, il bel principe le chiede di sposarla e i
due vivono per sempre felici e contenti. E sarebbe stato veramente per sempre.
Eppure la cosa di per sé mi sembrava così falsa e inverosimile…
- Io… non credo che potrei… non so… -
balbettai agitata senza sapere cosa rispondergli.
- Facciamo così – disse lui. - per ora
ti lascio con un altro piccolo regalo – il suo viso si avvicinò sempre di più
al mio, le sue labbra praticamente sfioravano le mie, ed io mi sentii
pietrificata, col fiato corto, catturata dai suoi occhi. - così potrai pensarci
su e sarai pronta a rispondermi quando ci rivedremo finita la tua impresa,
perché sono certo che tu, mio figlio e l’altro ragazzo ce la farete, e non ci
vogliono profezie per saperlo: mi fido di voi e riporrei nelle tue mani la mia
stessa esistenza… -
A quel punto mi baciò. Credo che il mio
cuore smise veramente di battere. O forse batteva troppo. O forse avevo la
febbre. Avevo caldo. Eccome se avevo caldo. Il tempo sembrava non passare più,
come se si fosse fermato tutto all’improvviso, probabilmente era quella la
sensazione di essere immortali… il caldo si fece sempre più intenso. Sentivo le
vene nel mio corpo pulsare forte, non mi sarei sorpresa se stessero bollendo.
Caldo, veramente troppo caldo. Stavo andando a fuoco…
-
AAAAAAHHHHH!!! – urlai mettendomi a sedere di scatto, e tutta agitata e con il
fiato corto, tentai di togliermi il più velocemente possibile il mio sacco a
pelo, e cercai di uscire dalla tenda senza prima averla aperta, con il
risultato che per poco non si ribaltava, nonostante fosse stata assicurata a terra
dai picchetti.
-
Robby, che ti succede?! – domandò alle mie spalle la voce di Paul preoccupata e
ancora mezza addormentata.
-
E perché indossi quella veste greca? – chiese Nico, ma io ignorai tutti e due e
quando finalmente riuscii ad aprire la tenda, mi misi a correre e, senza
pensarci troppo, mi buttai nel laghetto che c’era vicino alle nostre tende. Non
appena mi immersi nell’acqua, dalla superficie salì del fumo. Mi sommersi in
acqua fino a sopra la testa: volevo solo acqua, acqua fresca…
-
Robby, non annegarti…! – sentii l’eco della voce di Nico provenire da sopra di
me, fuori dall’acqua. Uscii dal laghetto e ripresi il respiro: aria ai polmoni
e corpo rinfrescato, stavo veramente meglio, anche se il cuore non riusciva a
trovare il normale ritmo.
-
N-non… non mi stavo uccidendo… - balbettai ancora col fiato corto per
assicurare loro che stessi bene.
-
Si può sapere che è successo? – chiese Paul allarmato. – Ti sei svegliata
urlando e sei scappata dalla tenda come una pazza, vestita con una tunica
greca, e non appena ti sei immersa nel lago è salito un vapore assurdo… -
Mi
veniva quasi da piangere dall’imbarazzo e dalla confusione, ma mi avrebbe messo
ancora più in imbarazzo mostrare le mie lacrime e le mie debolezze. Rimasi in
acqua, le braccia incrociate sul bordo del laghetto, mentre sia Nico che Paul
se ne stavano seduti sul bordo fissandomi in attesa di una risposta.
-
Io non… - non riuscivo a parlare. Almeno non con loro. Incrociai lo sguardo di
Paul: come potevo dirgli che suo padre mi aveva appena baciata? Come potevo
dirgli che suo padre mi voleva sposare? Era una cosa assurda. Poi guardai
quello di Nico, e mi sentii nuovamente ardere il volto.
-
Potremmo… non parlarne per favore? – balbettai evitando il loro sguardo.
-
Ma… e se è qualcosa di fondamentale per la missione? – chiese Paul
imperterrito.
-
Credimi, non lo è – risposi subito. – Preferisco non parlarne… è… una…
questione privata… - borbottai.
-
Ma ora stai bene? – mi domandò Nico. Io annuii continuando ad evitare i loro
sguardi.
Paul
e Nico ancora non sembravano convinti, ma si alzarono.
-
Andate a dormire… - suggerii loro. – Io me ne sto qui ancora un po’, poi
rientro, promesso. -
Fu
difficile convincerli che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, ma quando
finalmente i due entrarono, tirai un sospiro di sollievo.
Ripensai
a quello che era successo con Apollo: perché doveva complicarmi la vita? Perchè
gli dei gli avevano chiesto di tenermi d’occhio? Mi sfiorai le labbra con le
dita, e le sentii ancora calde, quasi incandescenti. Nonostante avessi
rischiato di andare a fuoco, dovevo ammettere che il bacio non era stato male,
e sorrisi a malincuore. Sentivo ancora quello strano sapore di miele in bocca,
non avrei veramente mai pensato che Apollo potesse sapere di miele… dovevo
raccontarlo a qualcuno, immediatamente. Uscii dall’acqua fradicia, e corsi ad
aprire il mio zaino: i vestiti che avevo addosso prima di incontrare Apollo
erano lì dentro, ben piegati. Mi tolsi velocemente quella veste, mi misi i miei
normali vestiti e iniziai a scrivere sul diario mio e di Helénia. Le raccontai
del mio incontro con Apollo, e mentre rileggevo quello che avevo scritto, mi
detestai: sembravo una scolaretta delle scuole medie. Era questo che odiavo
dell’Amore: il fatto che ti rende la persona più vulnerabile di tutte. Non che
fossi innamorata, chiariamoci. Ma tutta quella storia era così assurda che mi
metteva in totale agitazione… Poi ripensai all’ultima volta che io ed Helénia ci
eravamo scritte: avrebbe sicuramente tirato in ballo Nico. Sbuffai irritata:
forse era meglio tenermi tutto per me e non dirle nulla. Ma ormai era tardi, le
avevo già scritto.
Basta,
dovevo ragionare oggettivamente, come sempre facevo: Apollo non lo conoscevo
per niente di persona, e Nico era solo un amico. Punto.
Credo
che mi convenga non pensarci più di tanto. Scrissi infine. Ci
sono problemi più gravi di questo: devo arrivare nell’Oltretomba il prima
possibile per salvare Ade, Persefone e quella ragazza che sognavo in Italia. Non
ho tempo da perdere in simili sciocchezze. Domani puntiamo di arrivare a Denver
e di arrivare a Los Angeles tra tre giorni. Dobbiamo farcela.
Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!
Ho pensato questa volta di scrivere il mio commento in fondo per non fare spoiler.
Prima di tutto ciao a tutti e scusate
il ritardo, ma sono sommersa dallo studio: il prossimo capitolo credo
che riuscirò a scriverlo e postarlo tra un mesetto,
perchè a fine settembre ho un esame veramente tosto e non posso
permettermi di non passarlo. Dopo di che, passiamo a parlare del
capitolo.
Ecco, sta storia di Apollo
praticamente l'ho sognata di notte: lui è veramente il mio dio
preferito. Non mi piaceva presentarlo solo come è stato
presentato da zio Rick nella saga (irritante e basta) mi piace pensare
che gli dei, annoiati dalla solita routine, di tanto in tanto vogliano
cambiare e tentino di diventare persona diverse. Se poi Apollo ce la
farà o meno, credo che si scoprirà alla fine della
storia. Forse questa storia di Apollo può sembrare un po' fuori
dal contesto della storia, ma credetemi che ha TUTTO a che fare con la
storia e con la profezia. Non dico altro a proposito, altrimenti vi
rovino tutto!
Dopo di che Chiara. Ecco, finalmente sono riuscita a presentarla con un
nome nella storia. Ci tenevo proprio a farlo, ma ci vorranno ancora
quattro o cinque capitoli prima di incontrarla faccia a faccia.
Sulla storia di Persefone e Ade incatenati nell'Oltreromba senza poteri
a causa di un mortale, lascio a voi le ipotesi di come possa essere
avvenuta, non credo che ci arriverete tanto facilmente! C:
Per ora vi lascio sperando che non sarete delusi dalla mia storia!
Al prossimo capitolo!
Calipso
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Capitolo 8 *** Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri ***
8 Terza tappa: Denver; scopro di avere dei fantastici poteri
8
Terza tappa: Denver;
scopro di avere dei fantastici poteri
l
mattino dopo non appena mi svegliai, rimasi immobile nel mio sacco a pelo: cosa
avrei detto a Paul e Nico di quello che mi era successo il giorno prima e di
come mi ero comportata?! Al loro posto, avrei voluto delle spiegazioni
al riguardo… Aprii piano gli occhi e vidi che fuori dalla tenda c’era un’ombra
che fischettiava allegramente, e solo quando dopo un po' capii che si
trattava di Paul. Alle mie spalle mi accorsi che c’era qualcuno che russava,
e quello doveva essere di conseguenza Nico. Arrossii, ma poi mi ripetei mentalmente che dovevo
smetterla e che avevo cose più importanti da fare, come per esempio andare a farmi
ammazzare negli inferi. Mi misi a sedere e, ancora tutta indolenzita, aprii a
fatica la cerniera della tenda, e uscii, ancora avvolta nel sacco a pelo,
strisciando per terra come un lombrico.
-
Buon giorno! – esclamò Paul, e scoppiò a ridere vedendomi per terra ancora nel
sacco a pelo. – Perché sei ancora nel sacco a pelo?! –
-
Ho freddo… - borbottai, e lui si limitò a ridacchiare continuando a bersi il
suo succo d’arancia. Dopo un paio di secondi, vedendo che me ne stavo ancora
per terra mezza addormentata, prese in mano il cartone di succo d’arancia e mi
chiese: - Ne vuoi un po’? L’ho preso prima al negozio… - Io annuii, e lui
subito me ne versò un po’ in un bicchiere di plastica. – Tu però metti un po’
di musica – suggerì. – Almeno ci svegliamo tutti, anche il bello addormentato
dentro la tenda… - aggiunse indicando con la testa la tenda nella quale Nico
continuava a russare pesantemente.
Presi
il succo e impostai l’iPod su riproduzione casuale: capitò Tickets dei Maroon
5, e io mi ritrovai subito a cantarla. Ad un certo punto però
Paul scoppiò a ridere.
-
Scusami…! – fece lui, ancora piegato in due dalle risate. – Ma come al solito è
stupendo sentirti cantare in inglese, hai una pronuncia italiana al cento
percento e ogni tanto inventi pure delle parole…! -
Incrociai
le braccia e lo guardai alzando le sopracciglia con un sorriso ironico sulle
labbra.
-
Beh, allora perché non mi insegni tu a cantarla? – gli proposi.
Lui
non se lo fece ripetere due volte, si sedette per terra di fianco a me.
-
Abbi pazienza perché in realtà la canzone non la conosco, non seguo i Maroon 5…
- mi disse.
-
E tu abbi pazienza e ricordati che sono italiana! – gli ricordai io.
Ascoltammo
prima tutta la canzone una volta, poi cercammo di cantarla con le
parole sullo
schermo. Io sbagliavo di tanto in tanto la pronuncia delle varie parole
e, altre
volte, non riuscivo a cantare certe frasi perchè venivano
cantate troppo velocemente. Paul invece sbagliava a cantare
perché non aveva ancora
bene a mente il ritmo della canzone. Dopo una decina di minuti sentendo
la
stessa canzone tre o quattro volte, eravamo tutti e due per terra a
sbellicarci
dalle risate.
-
Però la parte in cui fa “la, la, la, la, la, la, la, la” la sai cantare! – fece
lui asciugandosi le lacrime con la mano.
-
Tu invece finalmente ce l’hai fatta a impararla, ormai! – dissi io ridacchiando.
– E preparati perché la prossima volta sceglierò una canzone italiana, e allora
sì che mi divertirò io a prenderti in giro! –
-
Ne avete ancora per molto di fare questo casino? – fece una voce assonnata alle nostre spalle:
Nico si era svegliato.
-
Beh, buongiorno bell’addormentato! – esclamò Paul alzandosi in piedi scattante. –
Colazione veloce per te e partiamo? –
-
No, non importa… possiamo anche partire subito… - disse con un enorme sbadiglio.
Disfammo
la tenda, la restituimmo insieme ai sacchi a pelo e salimmo in macchina.
-
Dai, dobbiamo arrivare a Denver oggi. – dissi alla guida dell’auto.
Fortunatamente
la mattina stava trascorrendo anche meglio di quello che credevo: né Nico né
Paul mi fecero domande, anzi, si comportavano proprio come se nulla fosse
successo, e io facevo lo stesso; un’altra cosa bella della giornata era che non
avevamo ancora incontrato nessun essere strano che volesse metterci i piedi tra
le ruote. Almeno, così è stato fino al tardo pomeriggio, quando eravamo
arrivati circa sul confine tra il Nebraska e il Colorado.
-
Vuoi che ti dia il cambio, Robby? – mi chiese Nico ad un certo punto. – E’
tutto il giorno che guidi, non ci siamo neppure fermati per pranzo… -
Scossi
la testa. – Figurati, sto benissimo… e poi meno ci fermiamo, prima arriviamo.
Magari visto che il signorino qui dietro ha passato tutto il pomeriggio a
dormire, potremmo darci il cambio a fine serata così da non doverci fermare
tutti la notte… - proposi guardando dallo specchietto Paul che dormiva
spaparanzato nei sedili posteriori. Dallo specchietto però non vidi solo Paul,
purtroppo…
-
Cazzo! – esclamai in italiano senza troppi giri di parole, e accellerai come
una pazza, sorpassando quando potevo senza la minima prudenza.
Sentii
un “ouch” provenire da dietro, e capii che Paul era caduto dai sedili e si era
svegliato.
-
Si può sapere che ti sta succedendo?! – fece Nico preoccupato, attaccandosi
alla portiera dell’auto.
-
Ho un dejà-vu di quando ci siamo incontrati in Italia, Nico! – esclamai
sorpassando a tutta velocità l’ennesima macchina. – Ogni volta che vado in
macchina ci devono essere dei mostri che mi inseguono! –
-
Ancora stinfalidi? – domandò Nico preoccupando voltandosi.
-
Non credo! – esclamò Paul guardando dietro l’auto. – Sono delle ombre lontane,
ma camminano, o meglio, corrono… tra poco ci raggiungono, accelera! –
-
O ci schiantiamo o il motore si fonde!! – strillai disperata, con le mani
tremanti sul volante e gli occhi che continuavano a spostarsi dalla strada allo
specchietto e viceversa.
-
Sono in tantissimi, e corrono tra le macchine ad una velocità spaventosa!
Sembrano delle pantere! – esclamò Paul.
-
Ma hanno delle piume vicino alla testa! – fece Nico, guardandoli bene.
-
Grazie mille, sinceramente non me ne frega nulla di cosa sono, voglio
sapere se ce la faremo a scappare! – gridai disperata.
-
Basta, non ce la faremo mai a seminarli, si stanno avvicinando a noi troppo
rapidamente, dobbiamo uscire da quest’auto, e i ragazzi di Efesto hanno
provveduto a questo! – esclamò Paul che, senza lasciarci dire una parola in
più, si sporse verso il cruscotto ci slacciò le cinture di sicurezza e premette
un bottone rosso di fianco alle quattro frecce. Non riuscii nemmeno a rendermi
conto che il tettuccio si era aperto ed ero stata sbalzata fuori dal veicolo,
per aria.
Urlavo
come non avevo mai urlato in vita mia: non sapevo che fine avevano fatto gli
altri, avevo paura ad aprire gli occhi, e sentivo solo che ero stata sbalzata
fuori dal veicolo finendo molto, ma molto in alto... poi all’improvviso, la
discesa: l’aria fredda e gelida mi perforò la pelle, mi sentivo totalmente
circondata, e l’unica cosa che pensavo era: “Oddio, non voglio cadere, non
voglio cadere…”
Avevo
paura per me e per i miei amici, i mostri erano spariti nella mia testa,
l’importante era non cadere, eravamo finiti così in alto che l’impatto sarebbe
stato sicuramente fatale…
-
Robby! – esclamò la voce di Nico di fianco a me. Io trasalii.
-
Non voglio guardare! – feci terrorizzata.
-
Apri gli occhi! – mi ordinò.
Era
strano: perché non eravamo ancora caduti? Aprii un occhio e, incredibilmente,
scoprii che stavo volando. Sì, me ne stavo sdraiata a pancia in giù a
mezz’aria, le mani sul volto e l’espressione, molto probabilmente,
terrorizzata. Nico se ne stava sorridente alla mia destra, anche lui a
mezz’aria, mentre Paul se ne stava a sinistra, gli occhi ancora chiusi e le
mani sulle orecchie, forse ancora più terrorizzato di me.
-
Noi… stiamo volando?! – feci incredula.
-
Credo sia una tua capacità come figlia di Zeus, non
c’è altra ragione. – disse
Nico. – Credo che la paura di cadere ha controllato
l’aria… non solo attorno a te, ma pure attorno a noi.
-
Controllare
l’aria… sì, ora che lo diceva mi sembrava possibile. Non ci avevo mai pensato.
Mi sentivo avvolta proprio perché ero avvolta d’aria, un’aria che potevo
muovere e plasmare a mio piacimento.
-
Ti prego Robby fammi scendere che soffro di vertigini! – esclamò Paul tremante
di fianco a me.
-
M-ma… i mostri! – esclamai tornando in me.
-
Non possiamo viaggiare per aria. – disse Nico. – Tu non reggeresti il tragitto
fino a Los Angeles così, trasportandoti dietro noi, per lo più. Lascia giù me e
Paul, ce la caveremo… anche io per di più ho i miei assi nella manica in quanto
figlio di Ade… - commentò fiducioso.
-
Non vi lascio scendere a combattere i mostri da soli! – esclamai contrariata.
-
Invece credo proprio che dovrai farlo – rispose Nico velocemente. – Perché a
quanto pare ci stanno per raggiungere per aria i cugini dei mostri qui sotto,
solo che questi hanno le ali. –
Dietro
di noi, a mezz’aria, stavano arrivando cinque mostri come quelli che prima ci
inseguivano via terra, solo che sembravano più grossi ed avevano le ali. Deglutii
e annii. Mi concentrai sull’aria, e piano, piano, feci scendere Nico e Paul verso terra.
-
Buona fortuna! – mi disse Nico, sfoderando la spada mentre toccava terra.
Deglutii
nervosa, ma non mi feci scrupoli a sguainare Exusía e a far fuori con un
fendente il primo dei mostri che, di fronte al branco, aveva pensato di
attaccarmi senza aspettare i compagni: si disintegrò all’istante, diventando
una massa di polvere nera nell’aria.
-
Questa l’ha fatto fuori in un secondo! – esclamò terrorizzato uno dei due mostri
dietro; ora potevo osservarli meglio: avevano il corpo da leone e il volto di un aquila.
-
Smettila! Sei un idiota se questa figlia di Zeus ti terrorizza! – fece uno dei
mostri che stava davanti, digrignando i denti nel becco verso di me.
-
Si può sapere voi cosa siete?! – domandai tenendo stranamente fermo il mio tono
di voce.
-
Chi siamo, ragazzina?! – ringhiò l’altro mostro in prima fila. – Siamo grifoni,
stupida! –
-
E perché quelli là sotto sono senza ali? – chiesi tentando di prendere tempo
per farmi venire un’idea.
-
Loro sono la specie più antica, i grifoni in principio avevano
corpo felino,
faccia da aquila ma niente ali, mentre noi siamo più evoluti con
il classico corpo da leone e… - disse uno dei due dietro, ma
venne subito interrotto da quello davanti a lui.
-
Basta fare il sapientino! Facciamola fuori subito! –
ringhiò e tentò subito di attaccarmi: schivai l'attacco
ma feci cadere a terra la mia spada.
La
mia mente stava viaggiando alla ricerca di una soluzione: se tutti e
quattro
quei grifoni mi avessero attaccata, io non ce l’avrei mai fatta a
sopravvivere.
Che poteri potevo avere come figlia di Zeus? Non ebbi tempo di
riflettere che i
due grifoni in prima fila mi attaccarono di nuovo; fortunatamente mi
venne automatico manipolare l’aria attorno a me e spostarmi
all'improvviso, deviando il loro attacco. Questo era
un mio vantaggio: loro avevano delle ali ingombranti, mentre io potevo
sfruttare
l’elemento in cui stavo… ripensai a un modo per
sconfiggerli, a un potere che
potevo avere oltre volare… avevo sperimentato qualcosa di
strano? Sì…! Mi era
successo! Quando avevo lanciato una scossa a Nico in infermeria! Non
era stata
una coincidenza o una semplice scossa di elettricità
statica… ma come potevo
fare a ricreare una scossa simile, anche più potente? Mentre
pensavo
volteggiavo per aria avanti a indietro schivando rapidamente ogni
attacco dei
due grifoni, mentre gli altri due sembravano ridersela parecchio per la
situazione.
-
Tu smettila di fuggire e affrontaci! – esclamò uno dei due che cercava di
attaccarmi.
-
E voi due smettetela di ridere! – continuò l’altro rivolto agli altri due, ma
questi li ignorarono totalmente.
Ad
un certo punto uno dei due grifoni alzò una zampa e riuscì a graffiarmi sul
volto: sentivo bruciare e mi portai immediatamente la mano sulla guancia
sinistra. Quando rivolsi nuovamente
lo sguardo verso i due grifoni che mi attaccavano, vidi che quello che mi aveva
graffiato aveva le piume strane, mentre l’altro lo fissava con il becco aperto.
-
Mi ha dato una scossa! – esclamò quello.
Forse…
erano le forti emozioni che mi facevano dare scosse a chi mi
toccava… Serrai i pugni e tentai di incanalare nello
stomaco tutto quello che
provavo in quel momento: il bruciore della ferita, la voglia di farla
pagare a
quei due mostri, la voglia di farli fuori subito… iniziai a
sentire delle
scosse potenti per il corpo: dal petto passarono dritte alle spalle,
alle
braccia, per finire tra le mani, fino alla punta delle dita. Quando
guardai,
vidi che tra le mani avevo due palle di elettricità. Guardai con
un sorriso i due grifoni sconvolti.
-
Dai, che ne dite di giocare un po’ a palla avvelenata? –
proposi, e lanciai la
palla elettrica che avevo nella mano destra; cercai di fare la
supereroina, ma feci subito una figura a dir poco mediocre davanti
ai mostri: la palla mi cadde di
mano e finì per distruggere in un colpo solo almeno quattro
grifoni di terra sotto di
me. Paul stava lottando con il suo arco, mentre Nico aveva
sguinzagliato il suo
esercito di zombie, ma quando videro che in un colpo ne avevo fatti
fuori così
tanti, Paul mi sorrise, Nico mi mostrò il pollice e tornarono a
lottare.
Spostai lo sguardo verso i due grifoni che dovevo affrontare, e feci
finta di
aver lasciato cadere la palla apposta per intimidirli.
-
Ne volete un po’ anche voi? – domandai ironica. I due ora sembravano più restii
a battersi con me. I due grifoni dietro invece stavano facendo delle scommesse
sull’esito dell’incontro: uno scommetteva che i due loro compagni se la
sarebbero data a gambe, l’altro invece che io li avrei polverizzati in un
istante. Non aspettai un secondo di più: ora che avevo capito come funzionava
la storia dell’elettricità mi conveniva farli fuori subito. Unii le due palle
di elettricità, e ne uscì una grande come una palla da calcio… guardai i due
grifoni e tirai quella palla più forte che potevo.
Ancora
incredulo, uno dei due non ebbe i riflessi pronti per scappare, e si polverizzò
immediatamente.
-
Sì! – esclamai esultante alzando le braccia: forse non era il momento giusto,
ma non riuscivo a contenere la mia eccitazione. Mi sentivo come Goku dopo aver fatto l'onda energetica.
L’altro
grifone mi guardò con la rabbia nello sguardo e disse solo: - Per ora te la sei cavata,
figlia di Zeus, ma credimi, ci rivedremo, e nell’Ade non avrai possibilità di scampo… - E
fuggì via, portandosi dietro la mandria rimasta di grifoni di terra. Se solo
non avessi scaricato tutta l’energia che avevo in una volta sola, forse ce
l’avrei fatta a fare fuori l’altro grifone prima che scappasse.
Guardai
i due grifoni che erano rimasti, incerta sul da farsi.
-
Hey, non vorrai fare fuori pure noi! – esclamò uno dei due. – Non abbiamo
cercato di attaccarti in tutto questo tempo, e se non fossimo stati costretti,
ci saremmo anche risparmiati questo viaggetto spiacevole. -
-
Hem… - borbottai io: non ero per niente sicura.
-
Eddai, dacci il beneficio del dubbio! – m’implorò l’altro. – Possiamo anche
darvi un passaggio fino dove volete visto che quei cretini vi hanno
praticamente distrutto l’auto… E hai il diritto di polverizzarci se solo
proviamo a imbrogliarvi! –
-
Da chi siete stati mandati? – domandai ancora sospetta.
-
Una ragazza. – disse uno dei due. – Una mezzosangue, crediamo… Ma sappiamo per
certo che non è stata lei a prendere possesso dell’Ade: chi sta facendo tutto
questo probabilmente non vuole rivelarsi… -
-
Venite giù – ordinai loro. – Vi concedo fiducia, potreste tornarci utili in
fin dei conti… -
-
Grazie, figlia di Zeus! – esclamarono in coro.
-
Per favore, chiamatemi Robby – sbottai innervosita. – Io ho già un padre e
quello è mortale e si trova in Italia… - era la prima volta che esprimevo ad
alta voce i miei pensieri su Zeus, e mi stupii quando scoprii che non mi aveva
ancora fulminata.
Scesi
dal cielo e quando appoggiai i piedi a terra mi resi conto che mi tremavano le
gambe. Paul e Nico mi vennero incontro, anche loro sfiniti.
-
E loro due? – mi domandò Paul incerto, indicando i due grifoni.
-
Potrebbero tornarci utili… - dissi asciugandomi il sudore dalla fronte: solo in
quel momento mi rendevo conto di quanta fatica ci avevo messo per controllare
l’aria e l’elettricità.
-
E comunque, dì ai tuoi amici che abbiamo dei nomi! – sbottò uno dei due grifoni
irritati.
-
Io mi chiamo Buckbeak e lui è Godric –
Li
guardai con un sorriso enorme ed esclamai: - Buckbeak come l’ippogrifo di
Harry Potter e Godric come il fondatore di Grifondoro?! –
-
Certo! – esclamò fiero Godric. – Siamo fratelli, mamma è ancora fissata con
Harry Potter, io sono il fratello maggiore, lui è il minore. -
-
Non capisco che è saltato in testa a mamma di darmi il nome di un ippogrifo! –
sbottò Buckbeak. – Dannazione, noi siamo razza pura, gli ippogrifi sono solo
un incrocio assurdo di uno stupido grifone che ha avuto la brillante idea di
provare ad accoppiarsi con una cavalla…! –
-
Hem… che stai facendo, Robby? – mi chiese Nico guardandomi come se fossi pazza.
-
Secondo te che faccio?! Parlo con i grifoni! – risposi.
-
Non possono capirci loro – mi spiegò Godric. – Noi siamo creature per lo più
d’aria, tu puoi capirci perché sei figlia di… hem… come non detto, hai capito…
- fece alla fine, ricordandosi che non volevo che parlassero di Zeus.
-
La donna che sussurrava ai grifoni…! – ridacchiò Paul, e anch’io non riuscii a
trattenermi dal ridere, scuotendo la testa rassegnata alle sue battute idiote.
-
Come facciamo ad arrivare a Denver ora? – chiese dopo un po’ Nico, riportandoci
alla realtà.
-
Godric e Buckbeak si sono proposti prima di darci un passaggio. – dissi loro.
-
Pff, hanno anche dei nomi della saga di Harry Potter?! Ok, ora si capisce
perché c’è un certo feeling tra di voi… - commentò Paul, e io alzai le spalle
con un sorriso.
Salii
su Buckbeak, mentre Paul e Nico salirono su Godric, e ci alzammo in volo verso
Denver. Buckbeak era a dir poco logorroico: non stava mai zitto, durante tutto
il viaggio continuava a parlarmi di sua madre, della sua famiglia e di un sacco
di altre cose. Non gli dissi quello che pensavo semplicemente per non urtare i
suoi sentimenti, ma rimpiansi di non aver scelto di andarmene in volo per i
fatti miei fino a Denver.
-
Siamo arrivati a Denver! – esclamò Godric che volava di fianco a Buckbeak con
ancora in groppa Nico e Paul.
-
Dove avete intenzione di parcheggiarvi? – domandai a Godric, visto che sembrava
lui quello che sapeva in che direzione stavamo andando.
-
Laggiù tra i grattacieli vedo un hotel. – disse Nico. – Intanto i soldi ce li
abbiamo, una notte in un hotel mi sembra l’unica soluzione. –
-
Ed è pure fighissimo da fuori! – esclamò soddisfatto Paul mentre i nostri
grifoni scendevano di quota. – Dopo tutti questi giorni senza doccia ho proprio
bisogno di qualche comfort… -
Non
appena scendemmo dai grifoni, chiesi per gentilezza se volessero raggiungerci
in stanza dalla finestra; Buckbeak stava per rispondere di sì, ma Godric lo
fermò e disse con un sorriso sul suo becco: - Non ti preoccupare, noi grifoni
siamo abituati a dormire all’aperto… poi al chiuso distruggeremmo metà stanza…
-
Buckbeak
si voltò contrariato senza dire una parola, ma Godric mi fece l’occhiolino e mi
sussurrò: - So che mio fratello è un po’… come dire… loquace e pesante. Ma credimi
che è un bravo grifone, è solo giovane e un po’ ingenuo. –
Gli
sorrisi e lo accarezzai sul becco: nonostante gli animali con le piume e il
becco non mi piacessero affatto, quei due grifoni non erano per niente male.
-
Vi aspettiamo nel parco qui accanto domani mattina, intanto i mortali non
possono vederci…! – disse Godric allontanandosi.
Paul
andò ad ordinare una stanza e l’uomo alla
reception sembrava non vedere di buon occhio l'idea di consegnare una
stanza nelle mani di tre ragazzi che sembravano non lavarsi
da parecchi giorni, ma non ebbe nulla da ridire quando Paul lo
pagò. Il tipo alla reception ad un certo punto incrociò
il mio sguardo, e sembrò impallidire: ma
avevo forse qualcosa di strano?! Nico all’improvviso mi mise una
mano attorno alla
vita e mi fece voltare dando le spalle alla reception. Io mi sentii
improvvisamente accaldata e, per qualche strano motivo, trattenei il
respiro.
-
Hai un graffio di artigli enorme sulla guancia, credo che il tipo alla
reception si stia chiedendo che tipo di delinquente sei… –
mi sussurrò in un orecchio.
Oh, cavoli, è vero… pensai io, ma quello non mi sembrava il problema più serio al momento: Nico continuava a tenermi una mano alla vita.
-
Puoi, hem… darmi un po’ di ambrosia? – gli chiesi, e
lui subito mi lasciò
andare e trafficò nel suo zaino. Io tirai un sospiro di sollievo
e ripresi a respirare quando mi lasciò; dopo di che guardai il
mio riflesso allo specchio: era davvero un graffio enorme e profondo,
ancora
sanguinava un po’… ringraziai il cielo che gli artigli
avessero mancato di poco
l’occhio.
-
Ecco… - disse Nico porgendomene un po’. La mangiucchiai piano, piano,
osservando la mia ferita allo specchio: si stava rimarginando velocemente.
-
Ecco le chiavi! – fece allegramente Paul arrivando alle nostre spalle.
Prendemmo l’ascensore, scendemmo al ventitreesimo piano, e non appena Paul aprì
la porta della nostra camera, rimanemmo a bocca aperta: c’era un’incredibile e
lunga vetrata che dava su una Denver notturna, con i suoi grandi edifici
illuminati e le strade ancora vive anche se era tardi.
C’erano
due letti matrimoniali enormi, con una marea di cuscini sopra, e non resistetti
alla tentazione di prendere la rincorsa e buttarmici sopra.
-
Questo posto è la fine del mondo! – esclamai entusiasta.
-
A chi lo dici! – fece Nico guardandosi intorno.
-
E non avete visto il meglio! Venite a vedere – disse la voce di Paul da
un’altra stanza.
Mi
alzai dal mega letto e andai a vedere dove era andato a finire Paul; era nel
bagno, ma non un bagno normale: era un bagno enorme, tutto fatto con mosaici
sull’azzurro, con uno specchio che occupava praticamente tutta una parete e,
attenzione, attenzione… un’enorme vasca idromassaggio.
-
La vasca idromassaggio! – esclamai.
-
Vi prego, possiamo farci un bagno tutti insieme?! – propose Paul. – Alla
reception mi hanno detto che c’è un negozio aperto ventiquattr’ore su
ventiquattro, possiamo andare a prenderci dei costumi! –
-
Direi che un po’ di relax ce lo siamo meritato. – fece Nico, guardando la vasca
idromassaggio con occhi adoranti.
-
Allora vado a prendere i soldi nello zaino! – esclamò Paul uscendo dal bagno.
-
E io vado a lasciare giù lo zaino! – disse Nico seguendolo.
Rimasi in bagno e mi guardai allo specchio: l'idea di mostrarmi in costume da bagno mi metteva
in imbarazzo. Mi sedetti sul bordo della vasca idromassaggio e la contemplai: era stupenda,
chissà quanti getti aveva… come potevo rinunciare a un bagno in una vasca simile per puro imbarazzo?!
-
Che fai, vieni? – mi chiese Paul affacciandosi al bagno. Mi voltai verso di lui
e dissi: - Io… stavo pensando di iniziare a riempire la vasca… -
Paul
sorrise malizioso e disse: - Bene, allora ci pensiamo noi al tuo costume… che
taglia di reggiseno porti? – mi domandò, dopo di che i suoi occhi caddero sul
mio seno e pensieroso disse: - Mmm, ad occhio e croce una quarta? –
Mi
alzai e senza il minimo tatto gli mollai un ceffone sulla nuca.
-
Ahi, ma sei manesca! – esclamò lui toccandosi la testa dolorante.
-
Scusa, non era mia intenzione… - dissi io per niente dispiaciuta, con un
sorrisetto compiaciuto per aver avuto la mia piccola vendetta.
Quando
tornammo in camera con i costumi ci cambiammo a turni in
bagno, dopo di che entrammo nella vasca con un sospiro di sollievo. Non
appena
facemmo partire i getti ci ritrovammo come tre mongoli con il viso
rivolto
verso il soffitto e gli occhi chiusi assaporando un po’ di
comfort dopo il
tempo passato in auto e in campeggio. Al diavolo l'imbarazzo del
rimanere in costume: quei getti di acuqa calda erano a dir poco
paradisiaci.
-
Quindi ti hanno detto che è stata una ragazza a mandare i grifoni? – chiese ad un certo
punto Nico. Annuii.
-
Sì, ma dicono che secondo loro non è lei la vera artefice di quello che sta
succedendo nell’Ade… - riferii loro.
-
Credi che possa essere Chiara quella ragazza di cui parlano? – ipotizzò Paul mettendosi a
sedere meglio nell’acqua.
Scossi
la testa.
-
Non credo… era imprigionata insieme ad Ade e Persefone… -
-
Forse finge – disse Paul alzando le spalle.
- Quindi pensi che mio padre è tanto fesso da farsi mettere nel sacco da una mezzosangue?!
– fece Nico un po’ alterato.
-
No, certo che no… - borbottò Paul imbarazzato: di certo non voleva dare dello
stupido al signore dei morti.
Beh, pensai senza il coraggio di esprimere il mio pensiero ad alta voce. Se l’Ade è
in questo casino, suo padre deve essere stato fregato da qualcuno, anche se non
glie ne farei una colpa…
- Come fa ad importarti tanto di tuo padre? –
gli chiesi, probabilmente senza il minimo tatto.
Nico mi
sorrise in modo quasi compassionevole, ed io mi sentii bruciare in viso.
-
Credo che sia qualcosa impossibile da spiegare… - rispose lui. – Me lo sento e
basta. -
-
Mia madre diceva sempre che il rapporto di noi umani con gli dei è semplicemente
onirico: i sogni hanno un senso e un significato, ma spesso sono così intimi
che spiegarli viene difficile… - raccontò Paul.
-
Che fine ha fatto tua madre? – gli domandai con un filo di voce: ricordavo che
quando l’avevo conosciuto mi aveva detto che aveva un rapporto complicato con
la madre, ma fino a questo momento non avevo mai avuto né l’occasione né il
coraggio di domandargli che cosa era successo di preciso.
-
Lei è… ha messo su un’altra famiglia. – disse Paul serio e triste allo stesso
tempo: non ero abituata a vederlo così fragile, e rimpiansi di avergli
domandato dei dettagli sulla sua storia. – Se la prima volta si è fatta affascinare da Apollo, la
seconda è stato Dioniso… nonostante sapesse come sarebbe andata a finire,
nonostante sapesse che Dioniso l’avrebbe lasciata esattamente come
aveva fatto mio padre, ci è ricascata, ed ha avuto un bambino. E pretendeva che
io per lui fossi come un padre… ma io allora ero solo un adolescente, e vedevo
quel bambino con disprezzo. Col senno di poi so di essere stato egoista nei
confronti del bambino – aggiunse. – Ma non mi pento di essere fuggito e di
essere stato egoista per una volta nei confronti di mia madre che, a quarant’anni,
si comportava ancora come una ragazzina incosciente… fortunatamente poi
incontrai Vera, e fu lei a portarmi al Campo Mezzosangue… - concluse poi con un
tenue sorriso.
Wow…
ok, stavo iniziando a capire che c’erano persone che avevano avuto una storia
peggiore della mia: sì, mi avevano dato della pazza psicopatica con le visioni,
ma almeno avevo sempre avuto una famiglia che mi amava.
-
Ok, non mi lamenterò più di aver passato una vita a sentirmi dare della
psicopatica perché vedevo dei mostri… - scherzai io tanto per rompere un po’
quel senso di tristezza.
-
E i miei settant’anni a Las Vegas senza invecchiare a confronto sono una bazzecola…
- commentò Nico, a io per poco non scivolai dalla vasca.
-
Settant’anni senza invecchiare?! – feci io incredula. – Ma quanti anni hai?! –
Lui
alzò le spalle.
-
Beh, secondo il mondo ho sedici anni… secondo la mia data di nascita invece
dovrei averne ottantasei. -
Spalancai
gli occhi per lo stupore: questa notizia mi aveva shockata non poco.
-
Ah, ah, ah, ma guardala, poverina, è sconvolta! – se la rise allegramente Paul,
tornando allegro come sempre.
Nascosi
l’imbarazzo e sorrisi piano vedendo che Paul aveva ritrovato il buonumore.
Lì,
in quella vasca idromassaggio, senza mostri, né dei, mi
sembrava finalmente di aver trovato il mio angolo di paradiso, con degli amici
che conoscevo da poco, ma con i quali mi sembrava di condividere la mia intera
esistenza.
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Prima
di iniziare, anche se avevo preannunciato la mia assenza in anticipo...
scusatemi! So di avervi fatto penare un sacco non scrivendo per un mese
intero, ma chi frequenta l'università come me può capire
la necessità di fare quanti più esami possibili, e la
sessione estiva è quella più odiata dagli studenti! xD
Detto questo, eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo! Bene, che dovrei dire ora? Beh, un paio di cose da dire ce le ho.
Prima di tutto la storia di me e Paul
che ci mettiamo a cantare e di lui che mi prende in giro per la
pronuncia potrà sembrarvi ripetitiva, ma io la trovo uno straordinario
gesto d'intesa tra me e lui (chiariamoci: sempre e solo amicizia): suo
padre poi è il dio della musica, perciò sta cosa casca a pennello! xD
La storia del volo e di controllare
l'elettricità poi non è una mia invenzione: se avete
letto Heroes of Olympus sapete di cosa parlo, altrimenti prendete la
cosa per buona e basta. :)
Dopo di che la storia della vasca idromassaggio. So che non è
apparentemente rilevante ai fini della storia in sè, ma volevo
dare un attimo di intimità ai nostri amici, di modo che
potessero parlare con calma senza mostri e senza corse: era un momento
semplicemente da prendere in quanto tale; quest'estate per
il mio compleanno sono andata alle terme con gli amici, e mi sono ritrovata a pensare che dovevo scrivere nella storia un
momento in cui i tre eroi (chiamiamoli così) se ne stanno in
pace senza mostri tra i getti caldi di una bellissima vasca come me e i miei amici quel giorno! (dalla serie: Hakuna Matata!)
In questo mio periodo di pausa mi sono accorta di due errori miei che ritengo giusto esporvi:
1. qualcuno mi aveva chiesto se Robby sapeva che Bianca era solo la
sorella di Nico, e credevo di averlo scritto da qualche parte. In
questa pausa mi sono accorto che non l'ho fatto. (che scema, e pensare
che ne ero convinta!)
2. Delilah l'ho definita figlia di Astrea, la dea della giustizia. Il
fatto è che in questa pausa ho scoperto che Astrea era una dea
vergine esattamente come Artemide. Devo trovare una soluzione a
questo disguido. Potrei correggere e metterle come figlia di Temi,
madre di Astrea e personificazione della giustizia e dell'ordine. Solo
che Temi è una titanide, mi suona strano che una titanide si
accoppi con un umano, e poi il figlio sarebbe comunque mezzosangue? O
è meglio chiamarlo mezzo-titano?! xD Troppo complicato, ci devo
ancora riflettere!
Non appena finirò tutta questa
storia farò le opportune correzioni e ve le scriverò
nello spazio dell'autrice dell'ultimo capitolo: per ora mi sembra
più importante portare a termine la storia visto che mancano
ancora otto capitoli (siamo a metà ormai!).
Nel prossimo capitolo ci saranno nuovi personaggi e qualcuno che già avete conosciuto nella saga di Percy Jackson...
dopo avervi lanciato questa piccola anticipazione vi saluto!
Alla prossima,
Calipso
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Capitolo 9 *** Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra ***
9. Non siamo gli unici a tentare un'impresa simile: la situazione è più grave di quello che sembra
9
Non siamo gli unici a tentare
un’impresa simile:
la situazione è più grave
di quello che sembra
prii
gli occhi il giorno dopo, e mi sentii ancora più stanca di quando ero andata a
letto: questa cosa dell’idromassaggio era stata distruttiva quanto mille
allenamenti. Mi passai una mano sugli occhi con un enorme sbadiglio, e mi misi
a sedere: nell’altro letto c’erano Paul e Nico che ancora dormivano beati. Paul
all’improvviso si mise a sedere e, indicando di fronte a sé esclamò: - Metti le
spade in armeria, Vera, che dopo gli diamo una lucidata… - dopo di che si
lasciò andare indietro tornando a dormire.
Ridacchiai
tra me e me, ma mi bloccai vedendo Nico borbottare un lamento per il chiacchericcio di Paul,
girarsi con il volto rivolto verso di me e tornare a dormire beatamente.
Osservai Nico attentamente: era rannicchiato in posizione fetale e dormiva
profondamente, con le mani giunte sotto il cuscino. Sorrisi senza volerlo:
faceva tenerezza in effetti, con quel suo russare appena accennato con la bocca
semiaperta. Mi scoprii arrossire, ma non me ne importava, perché non riuscivo
proprio a staccare gli occhi da lui. Mi morsi il labbro pensierosa: in quel
momento ammetto che mi sarebbe piaciuto baciarlo. Ero intenta ad osservarlo,
quando partì ad alto volume Hold It
Against Me di Britney Spears, e quasi mi venne un infarto: era la sveglia
di Paul.
-
La sveglia… dobbiamo andare… - bonficchiò Paul nel sonno, dopo di che lanciò una
manata a Nico, che sbuffò e si mise a sedere con gli occhi ancora chiusi.
Paul,
ancora mezzo addormentato, si alzò dal letto e si diresse verso il bagno senza
una parola di più; Nico invece rimase seduto nel letto per un paio di minuti,
immobile come una statua. Ridacchiai, e solo allora lui si voltò verso di me,
fissandomi con gli occhi piccoli e ancora impastati dal sonno.
-
Il ritorno degli zombie viventi! – commentai ironica, alzandomi.
Dopo
pochi minuti ci avviammo per un’abbondante colazione e nel giro di mezz’ora già
ci trovavamo in volo, pronti a lasciare il Colorado.
-
Fino dove potreste arrivare oggi? – domandai a Godric: questa volta erano Nico
e Paul a doversi sorbire Buckbeak, ma contando che i due non capivano una
parola di quello che Buckbeak stava dicendo, eravamo tutti felici.
-
Beh, non per essere ottimista, ma potremmo anche farcela ad arrivare in
California. – rispose lui. – Magari non proprio a Los Angeles, ma una volta
attraversato lo Utah, è un attimo attraversare il Nevada… -
Sebbene
non avessi la benché minima idea della geografia americana, annuii con un
sorriso: mancava poco tempo per arrivare nell’Ade e per salvare Ade, Persefone
e quella mezzosangue, Chiara…
Per
tutta la giornata mi riscoprii abbastanza taciturna: a meno che non mi
venissero poste delle domande, me ne stavo in silenzio a pensare a tutto quello
che stava per succedere, e a tutti quei quesiti a cui non sapevamo dare una
risposta. Solo verso il tardo pomeriggio, Godric disse una parola che non mi
sembra il caso di ripetere.
-
Dire parolacce simili all’improvviso è normale per voi grifoni? – gli chiesi.
-
Quel tonto di Buckbeak sta scendendo! – rispose Godric agitato. – L’ho sentito
dire che ha visto qualcosa, e non riesco a raggiungerlo! –
Buckbeak
stava volando verso una foresta, ed ignorava le proteste di Paul e Nico.
-
Dobbiamo raggiungerlo!! – esclamai e, non appena Godric partì in picchiata, mi
sentii in grado di controllare il vento, di modo che fosse in nostro favore e
ci consentisse di raggiungerlo più
velocemente; Buckbeak però sembrava aver perso il controllo di sé stesso, tanto
che ad un certo punto, Paul e Nico non riuscirono più a reggersi, e caddero.
Non ci pensai un secondo di più: mi buttai, raggiunsi a mezz’aria Paul e Nico,
e non appena li presi per mano, fu molto più semplice attutire la caduta, quasi
avessimo un paracadute d’aria sulle nostre spalle.
-
Ho creduto veramente di morire… - borbottò Paul, sdraiato per terra, bianco
cadaverico, con una mano sopra il cuore. Anche Nico sembrava aver perso
parecchi anni di vita dopo quella caduta.
-
Grazie Robby… - disse solo quest’ultimo. Scossi la testa ancora agitata come
per dire che non era niente di che, e in quel momento Godric atterrò di fianco
a noi.
-
E’ terribile! – esclamò il grifone. – Ho visto
da lontano che è stato ad attirarlo là: c’è
una mandragola! –
-
Una mandragola?! – ripetei io come una stupida. – Ma non è una pianta? –
-
No che non lo è! – fece Godric agitato. – E’ un mostro in grado di attrarre gli
individui di sesso maschile prima di mangiarli! L’ho vista da lontano e per
fortuna sono stato in grado di andarmene prima che l’istinto prendesse il
sopravvento sul mio volere, ma Buckbeak… te l’ho detto, è giovane e ingenuo! –
vidi delle lacrime spuntare dai suoi occhi neri come la pece. – Se non
interveniamo morirà di sicuro! –
-
Ok, diamoci una calmata! – esclamai più per me che per gli altri. Spiegai
velocemente la situazione a Nico e Paul, e subito Nico disse: - Veniamo con te.
–
-
Niente affatto! – esclamai io contrariata. – Quel mostro
mangia gli uomini, ed io non lo sono. Questa volta se non volete farvi
ammazzare statevene qua e
lasciate fare a me: non possiamo contare nella fortuna come è
successo con le
empuse! –
E poi pensai Figurati se
voglio vedere nuovamente Nico cadere ai piedi di una splendida ragazza: col
cavolo che li lascio andare questi due!
-
Anche tu, Godric, stai qua, ok? – dissi al grifone, dopo di che sfoderai la
spada e corsi dove Buckbeak si era fermato.
Mi
ci vollero parecchi minuti prima di trovare Buckbeak: era in una piccola
radura, e fissava incantato una figura vicino ad un laghetto. Aguzzai la vista
e vidi una mandragola per la prima volta: era veramente orribile, piccola,
marrone, raggrinzita, con dei lunghi capelli verdi; capii perché poi era
diventata una pianta secondo la normale tradizione.
-
Vieni qui… - diceva con una vocina tremolante e per niente affascinante:
sembrava la voce di una vecchia signora. Buckbeak però sembrava estasiato da
quella visione: piano, piano si avvicinò a lei, con gli occhi sgranati e la
bocca aperta.
-
Non farlo, Buckbeak! – esclamai venendo allo scoperto. La mandragola si mise a
strillare, e io mi misi subito le mani sulle orecchie, sentendomi piano, piano,
perdere le forze. Quando finii per terra, priva di forze e con la vista
offuscata, sentii la mandragola ridacchiare.
-
Giovane mezzosangue… questo è il potere delle mandragole! – mi disse. – Pensa
che quelle più vecchie sono in grado di fare morire la gente… io purtroppo sono
ancora giovane e sono solo in grado di indebolire i nemici con la mia voce
soave… -
Se
non fossi stata così stanca, mi sarei messa a ridere: voce soave?! Lei
giovane?! Non riuscivo a immaginarmi quanto potessero essere brutte le vecchie
mandragole…
-
Non ti preoccupare… dopo questo piccolo grifoncello penserò pure a te:
solitamente non mangio donne, ma non posso lasciarmi sfuggire una mezzosangue!
-
Vidi
Buckbeak procedere praticamente strisciando per terra: l’urlo della mandragola
aveva indebolito pure lui, ma l’attrazione che quel mostro aveva su di lui era
più forte di ogni fatica…
E’ finita… pensai disperata giacendo per terra
come un pupazzo di pezza, la spada in mano ma il corpo troppo afflitto per
poter reagire. Ho deluso Godric… ho
deluso Nico e Paul… non ho salvato Buckbeak… sto per morire… e nessuno di loro
potrà venire in mio aiuto…
Vidi
Buckbeak praticamente naso contro naso alla mandragola, e trattenni il fiato;
quella spalancò la bocca, mostrando delle fauci che non mi aspettavo, si
avvicinò a Buckbeak e… non appena infilò i suoi denti aguzzi nella sua carne,
una freccia si conficcò nella testa del mostro, che imprecò. Un’altra ondata di
frecce apparvero dalla foresta e si conficcarono nel corpo raggrinzito della
mandragola, ma questa si lamentava solamente senza dar segni di una ferita
letale.
Improvvisamente
mi ricordai che in tasca avevo un pezzo di ambrosia: se solo fossi riuscita a
prenderne un pezzo e a portarmelo alla bocca, avrei ancora potuto fare
qualcosa. Mentre le frecce, scagliate da chissà chi, continuavano a trafiggere
la mandragola, tentai di prendere il controllo della mia mano sinistra, ma me
la sentii pesante come non mai: i muscoli sembravano essere troppo irrigiditi
anche solo per muoversi di un paio di millimetri.
Hey! Esclamò una voce nella mia testa. Era una voce femminile,
ma non riuscivo a capire di chi fosse. Vuoi
veramente finire sbranata da una mandragola?! Datti una mossa e mangia
quell’ambrosia! Era la voce di Chiara, ora riuscivo a riconoscerla. Per
qualche motivo quella sua voce così calda mi diede forza, e riuscii a
sconfiggere piano, piano l’immobilità del mio corpo: muovere il braccio verso
la tasca, togliere l’ambrosia e portarla alla bocca sembrava quasi come alzare
un enorme peso, ma Chiara mi aveva ricordato che nulla era impossibile. Non
appena staccai con i denti un pezzo di ambrosia, mi sentii immediatamente
meglio: era come aver fatto un bel sonnellino e svegliarsi riposati e in forma.
Non
avevo altro tempo da perdere: dovevo fare qualcosa, perché quelle frecce non
avevano nessun effetto sulla mandragola, se non quello di distrarla
momentaneamente. Corsi verso la mandragola e le staccai la testa; questa cadde
per terra rotolando verso il corpo di Buckbeak che giaceva ai suoi piedi,
tremante, insanguinato, ma ancora vivo. Dopo pochi secondi, sulle spalle della
mandragola, riapparve un’altra testa più piccola, che piano, piano, prese le
dimensioni della testa di prima. Ma che era, la sorella di un'idra?! A quel
punto, quasi come una pazza furiosa, le saltai addosso, tentando di tenere le
distanze da quella sua bocca completa di denti affilati; toccarla fu peggio che
vederla da lontano: era tutta rugosa e sembrava ricoperta da una specie di
orribile gelatina verde, ma non la lasciai andare. Scoprii che non poteva
muoversi da dove si trovava: i suoi piedi erano ancorati per terra da delle
radici. Certo! Dovevo sradicarla per distruggerla! La spinsi verso l’alto, e la
mandragola iniziò a lamentarsi come se iniziasse solo in quel momento a sentire
del vero dolore. Fu difficile, ma quando tolsi tutte le radici dal terreno,
cadendo all’indietro, la mandragola si dileguò come polvere tra le mie braccia. Respirai
pesantemente, agitata e ancora incredula che fossi riuscita a cavarmela; dopo
di che mi affrettai a controllare come stesse Buckbeak: era sdraiato per terra,
continuava a tremare, e sul collo aveva il segno dei denti di quella pianta
demoniaca.
-
Aiuto!! – strillai guardandomi intorno. – Sta per morire! – Ero in lacrime e
non sapevo cosa fare: non me la sentivo di dargli dell’ambrosia, non sapevo se
sugli animali funzionava o se potesse far loro del male.
Sentii
dei passi e vidi due ragazzine di circa quindici anni correre verso di me e
abbassarsi verso Buckbeak.
-
E’ ferito gravemente? – domandò preoccupata la ragazza con i capelli neri,
lunghi e mossi.
-
Temo di sì. – rispose l’altra con i capelli corti e castani.
-
Robby! – esclamò una voce alla mia destra: Nico, Paul e Godric stavano venendo
verso di me. Le due ragazze di fianco a me si voltarono a vedere chi aveva
parlato, e quando videro i miei amici, lanciarono loro un’occhiata schifiata.
-
Ragazzi! – feci quasi in lacrime.
-
Ti abbiamo sentita urlare e non ce l’abbiamo fatta a starcene là con le mani in
mano! – disse Nico preoccupato.
-
Io… mi dispiace! – feci tremante. – Ho fatto fuori la mandragola, ma… ha
azzannato Buckbeak, non so cosa gli può succedere, non riprende i sensi! –
-
Non abbiamo con noi ciò che occorre per farlo guarire. – disse la ragazza con i
capelli corti, alzandosi in piedi. – Il morso della mandragola è letale: 24 ore
senza una cura e potrebbe morire. –
Io,
Paul, Nico e Godric sbiancammo visibilmente.
-
Ho… ho un’idea. – disse Paul. – Potrebbero andare al Campo: sicuramente lì
qualcuno li potrà aiutare. -
-
Ma è lontano da qui! – esclamai io.
-
Posso trasportarlo io! – m’interruppe Godric preoccupato. - Non me ne starò con
le zampe in zampa, anche se sarà difficile, devo farcela! –
Dissi
agli altri quello che voleva fare Godric.
-
Mando immediatamente un messaggio Iride al Campo – disse subito Nico. – se li
avviso, qualcuno del Campo vi può venire incontro… -
Godric
lo guardò riconoscente.
Con
l’aiuto di Paul e delle due ragazze, riuscimmo a posare il corpo esanime di
Buckbeak sul dorso di Godric, e con delle corde le due ragazze lo legarono per
bene.
-
Almeno non c’è il rischio che possa cadere in volo. – disse la ragazza con i capelli
corti.
-
Ho avvisato il Campo. – disse Nico. – Hanno detto che Simon, Vera e Delilah si
stanno già preparando per partire. –
-
Ma non potrebbe venire Micah? – domandai incerta. – Lui che sicuramente ci sa
fare con medicine e cose simili sarebbe il più indicato, no? -
-
Micah non c’è – rispose Nico. – Sta facendo delle ricerche nella foresta; lo fa
spesso: ci sono talmente tante piante da studiare che si perde lì dentro per
giorni… -
-
Ma non ti preoccupare – disse Paul. – Chirone ne sa abbastanza per dare a
Simon, Vera e Delilah il necessario… -
-
Grazie di tutto, ragazzi… - fece Godric riconoscente. – Mi dispiace solo di non
essere riuscito a portarvi fino in California… -
-
Non devi nemmeno dirlo – dissi io. – L’importante è che Buckbeak se la cavi,
noi ci arrangeremo, non preoccuparti. –
-
I ragazzi hanno detto che vi raggiungono il prima possibile a Chicago. – spiegò
Nico a Godric. Quest’ultimo annuì e partì subito, barcollando all’inizio a
mezz’aria, ma trovando subito un equilibrio, rimanendo comunque a bassa quota.
-
Bene… - disse la ragazza dai capelli corti, ancora un po’ scossa. – Ora che
questa storia si è risolta, credo che dovremmo chiamare la nostra signora… -
-
La vostra signora? – ripetei io senza capire. La ragazza con i capelli lunghi
suonò un corno: il suono rimbombò per la radura fino per tutta la foresta. Per
un attimo ci fu il silenzio assoluto, dopo di che si sentirono accorrere dei
passi veloci. Io, Paul e Nico ci mettemmo in posizione di difesa, ma abbassammo
le armi quando vedemmo che erano arrivate una quindicina di ragazze, tutte dai
dieci ai quindici anni, con addosso jeans e t-shirt argentate, esattamente come
le due ragazze che ci avevano aiutate prima. Tutte quelle ragazze erano
campeggiate da una ragazzina di circa undici, dodici anni: questa aveva dei
capelli ramati, tenuti su in una coda di cavallo, e degli occhi di un colore
intenso, che mi ricordava tanto la luna. Era sicuramente la ragazzina più bella
che avessi mai visto, ma nel suo viso si leggeva una preoccupazione da adulta.
-
Artemide… - fece Nico digrignando i denti.
-
Aspetta… queste sono cacciatrici?! – esclamò Paul sorpreso. Nico annuì.
-
Che succede? – domandò la ragazzina che a quanto pare era Artemide in persona.
-
Una mandragola aveva attaccato un grifone e questa mezzosangue, mia signora… -
disse prontamente la ragazza con i capelli lunghi. – Questa mezzosangue è
riuscita a estirpare la mandragola, e abbiamo aiutato un altro grifone a
trasportare il compare ferito verso est, dove degli altri mezzosangue del Campo
di Chirone li aspetteranno con le cure adeguate. –
-
Avete fatto una cosa giusta. – disse Artemide. – A quanto pare questa ragazza
ci teneva all’incolumità del grifone, e noi ci teniamo ad avere delle foreste senza
esseri immondi, metà piante, metà animali: avete agito nobilmente aiutando a
salvare il grifone come ricompensa per il gesto della ragazza. –
Gli
occhi della dea incontrarono i miei, e io sentii un brivido lungo la schiena.
-
Luogotenente, fatti avanti – ordinò Artemide.
Dal
gruppo di ragazze, una di circa quindici anni si fece avanti; la ragazza in questione
aveva dei capelli nerissimi, corti e dritti sulla testa e portava un diadema
argenteo che non si addiceva affatto a come era vestita: al contrario delle sue
amiche, la ragazza indossava una t-shirt nera con scritto a caratteri grandi e rossi “Don’t
Wanna Be An American Idiot” e una giacca di pelle nera. Quella ragazza l’avevo
già vista, anche se non sapevo dove…
-
Sì, mia signora – disse la ragazza, e i suoi occhi azzurri finirono su Nico, e
sorrise. – Hey! Tu sei il figlio di Ade! Beh, si può proprio dire che chi non
muore si rivede! -
- Non potrei comunque dire lo stesso di te visto che sei immortale… - rispose Nico,
tornando a rilassarsi e trattenendo una risata.
-
Si può sapere che sta succedendo? – chiese Paul nervoso.
Artemide
fece un passo avanti, e mi rivolse un sorriso.
-
Talia, questa ragazza che vedi è arrivata al campo da poco tempo: si chiama
Robby, ed è tua sorella. – disse.
Tutti
rimasero in silenzio, e gli occhi miei e della ragazza punk s’incrociarono,
spalancati dallo stupore. Lei era mia sorella?! Talia poi sorrise, mi corse
incontro e mi abbracciò. Io mi sentii arrossire: non era una cosa del tutto
normale essere abbracciata da una perfetta sconosciuta che in realtà è tua
sorella. Improvvisamente mi ricordai: avevo trovato una sua foto nella cabina
di Zeus!
-
Sono felice di avere una sorella! – esclamò Talia sciogliendo l’abbraccio e
osservandomi. – Io mi chiamo Talia e sono figlia di Zeus, come te, a quanto
pare! -
Nico
mi spiegò velocemente tutto sulle Cacciatrici: loro erano le ancelle di Artemide,
la dea della caccia, e la seguivano ovunque nelle sue imprese.
-
Beh, direi che oramai è tardi per proseguire. – proferì Artemide. – Ragazze,
montate l’accampamento: questa radura è il posto ideale per passare la notte.
Credo che abbiamo molto di cui parlare con Robby e questi due altri ragazzi… -
Le
ragazze montarono il campo nel giro di pochi minuti, il che mi ferì nell'orgoglio ripensando al
tempo che avevo passato io a montare una misera tenda all’Oasi Paradiso. Montarono
una decina di tende e al centro disposero un fuoco. Dopo di che la ragazza con
i capelli corti suonò un fischietto ed arrivarono subito dei lupi, bianchi come
la neve, che giravano attorno all’accampamento pronti a fare la guardia.
Fissai
due ragazze del gruppo che vestivano in modo diverso dalle altre: una dai capelli mossi e
castani indossava un vestito di fiori, mentre l’altra dal capelli anche lei
mossi ma di un castano più scuro, indossava dei pantaloncini corti e una
canottiera verde aderente. La prima si guardava attorno, l’altra invece se ne
stava con le braccia incrociate e l’aria scocciata.
-
La prima si chiama Maureen ed è figlia di Ebe, la seconda è Alexa, figlia di
Afrodite. – mi spiegò Talia. – Sono delle mezzosangue che abbiamo trovato
venendo qua. Non sono cacciatrici, subito dopo la nostra impresa le porteremo
al Campo Mezzosangue, dove potranno addestrarsi nel modo giusto. -
Annuii
e osservai le due ragazze: erano in evidente disagio, si vedeva che quello non
era il posto per loro.
-
Bene, ora direi che possiamo andare ad accomodarci… - disse Artemide con un
sorriso sforzato, e ci fece strada verso la tenda che probabilmente era sua.
Una volta entrati, rimasi sbalordita nel vedere che in realtà era molto più
spaziosa di quello che sembrava: dentro c’era caldo, il pavimento era cosparso
di tappeti e cuscini rossi, e al centro c’era un braciere che sembrava quasi
artificiale, perché non emetteva né fuoco né fumo. Le pareti erano ricoperte da
pelli di animali, il che era abbastanza inquietante: mi venivano i brividi di
terrore solo a pensare di toccare quelle pellicce vere. La prima cosa che pensai fu: Wow! Anche meglio della tenda di Harry Potter alla Coppa del Mondo di Quiddich nel Calice di Fuoco! Sì, sono ossessionata. Artemide si sedette,
alla sua destra si mise Talia, alla sua sinistra le due ragazze che ci avevano
dato una mano con Buckbeak, e Talia, con un sorriso, mi invitò a sedermi di
fianco a lei, mentre Nico e Paul si sedettero nervosi alla mia destra.
-
Prima le presentazioni – disse Artemide. – Per Talia e Robby ormai non sono
necessaria, ma forse per voialtri… -
-
Beh, io mi chiamo Luna, e sono figlia di Selene, la dea della luna
piena. – si
presentò la ragazza dal capelli lunghi. Beh, Luna figlia della
Luna. Non faceva
una piega, specialmente per un'italiana, visto che in inglese il
collegamento tra 'luna' e 'moon' forse non era così immediato.
-
Io invece sono Martha, figlia di Atena. – disse con un sorriso la ragazza dai
capelli corti. Aveva un volto amichevole, ma sempre vigile e attento.
-
Nico, figlio di Ade… - si presentò Nico rigido: probabilmente stare in mezzo alle
cacciatrici lo innervosiva, e potevo anche capirlo visto che tutte ad eccezione
di Talia sembravano restie nei confronti dei ragazzi.
-
I-io… sono Paul… mio padre è Apollo… - disse infine Paul.
Gli
occhi di Artemide volarono attenti da Paul a Nico, dopo di che disse a quest'ultimo: - Sai che
il risentimento è il vostro peggiore difetto, vero? –
-
Hem… come, prego? – rispose Nico preso alla sprovvista.
-
Porti ancora risentimento verso di me per la morte di tua sorella? – domandò la
dea, osservandolo curiosa. Non sapevo di cosa stessero parlando, ma seguii
attentamente la conversazione.
Nico
volse lo sguardo a terra. – Preferirei non parlarne… - disse freddo.
-
Non credo che questa conversazione possa continuare se non risolviamo questo
punto. – insistette Artemide.
-
Sì, il risentimento è il difetto fatale di noi figli di
Ade. – sbottò Nico,
senza il minimo rispetto per la dea, che lo ascoltò
attentamente. – Ma so anche
quando fermarmi. So quando devo agire per risentimento e so quando
c’è qualcosa
di ancora più importante di esso. Ed ora c’è
qualcosa di più importante, ed è mio padre, lo
sappiamo
benissimo tutti. –
La
dea non proferì parola per parecchio. Osservò curiosa Nico, e quando aprì bocca
disse solo: - Sei veramente particolare, figlio di Ade… - Dopo di che si rivolse
a tutti noi e disse: - Sì, il ragazzo ha ragione. Questi tre mezzosangue del
Campo di Chirone stanno andando a Los Angeles per capire che succede nell’Ade,
lo stesso che stiamo facendo noi. –
-
Quindi anche voi dei non sapete che è successo ad Ade e Persefone? – domandai,
ed arrossii quando gli occhi di Artemide incrociarono i miei: forse ero un po’
troppo impertinente.
-
No, non lo sappiamo. – rispose. – Ogni contatto con l’Ade è interrotto da
parecchio tempo. Già altri dei hanno tentato di entrare nell’Ade, ma nessuno di
noi ha avuto successo. La cosa strana è che le anime dei morti continuano a
viaggiare nell’aldilà come se nulla fosse successo negli Inferi. Quindi, se gli
dei non possono entrare, l’unica soluzione è tentare di mandare dei mezzosangue
a controllare la situazione. –
-
Ma al Campo ci è stata data una profezia al riguardo. – disse Paul incerto. –
Perché venire anche voi? –
-
Mai sentito il detto: “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”? – gli rispose
aggressiva Luna.
-
Lasciala perdere… il fatto è che tutti gli dei stanno tentando di dare una
risposta a quello che sta succedendo. – spiegò Martha. – Apollo vi sta tenendo
d’occhio per conto del consiglio… -
-
Mio padre ci sta osservando?! – fece Paul immobilizzandosi immediatamente.
Artemide
annuì.
-
In quanto dio del Sole gli è facile tenervi d’occhio.
Atena nel frattempo sta
tentando di scoprire chi sia a tenere prigioniero Ade nel proprio
regno, ma non
riesce a trovarne una risposta… io sono l’unica dea che ha
la possibilità di
viaggiare sulla terra e stare a contatto perenne con dei mezzosangue.
Forse non potrò entrare nell’Ade, ma le mia cacciatrici
possono, e
una mano in più a voi farà di certo comodo: avevo pensato
che Luna, Martha e
Talia potessero darvi una mano; inoltre, se le cose dovessero
complicarsi, io e
il resto delle mie cacciatrici ce ne staremo a sorvegliare Los Angeles
pronte
ad intervenire. -
Io,
Paul e Nico ci guardammo negli occhi e annuimmo insieme.
-
Credo sia una buona idea, divina Artemide… - disse Paul abbassando la testa in
segno di rispetto.
-
Bene. – disse la dea con un sorriso. – Domani troveremo degli animali disposti
a farci viaggiare velocemente verso Los Angeles: non manca molto per arrivare,
ormai. Ora direi che è tempo di congedarci. Luna, Martha, accompagnate Nico e
Paul nella loro tenda: io vorrei conferire in privato con Robby, sua sorella
Talia può assistere se vuole. –
Martha,
Luna e Paul si alzarono all’istante, ma Nico rimase immobile, a fissare
Artemide.
-
Non può farlo… - disse con voce tremante.
-
Posso parlare con chi voglio. – disse tranquillamente Artemide.
-
Non glie lo permetterò. Non ancora una volta! – Nico alzò la voce, e vidi gli
occhi di Artemide spalancarsi e il suo volto scurirsi: tutto d’un tratto,
quella ragazzina di undici anni riuscì ad incutermi timore. Luna prese subito
Nico per il braccio e lo costrinse ad alzarsi in piedi.
-
Non osare più parlare così alla divina Artemide, figlio di Ade! – gli intimò Luna.
-
Io parlo come mi pare e piace! – esclamò lui scocciato. Era la prima volta che
lo vedevo così arrabbiato, non sembrava nemmeno lui, e non capivo nemmeno
perché si stesse arrabbiando tanto: in fin dei conti la dea voleva solo
parlarmi, nulla di più.
-
Dai, Nico, non ti preoccupare e vai – gli dissi con un sorriso. – Me la sono
sempre cavata fino ad ora, e sono certa che Artemide sia una dea gentile: vuole
solamente parlare, non c’è niente di cui preoccuparsi… -
Il
suo sguardo s’inclinò incrociando il mio, e vi lessi dell’incertezza.
-
Sicura che non mi devo preoccupare? – mi domandò ancora inquieto.
-
Ma certo! Vai, vi raggiungo tra poco… - gli risposi con un sorriso.
Nico
sospirò e, continuando a guardare dentro la tenda uscì e seguì Martha e Luna
insieme a Paul.
-
Devi scusarlo, divina Artemide… - disse Talia alzando le spalle. Artemide
sembrò rilassarsi.
-
Capisco il motivo della sua impudenza… - rispose lei.
-
Io no, qualcuno mi può spiegare? – chiesi guardando prima Artemide e poi Talia.
Artemide sorrise enigmatica e disse: - Non credo che sia il caso. Ora, ho
voluto parlare con te in privato per proporti una cosa. –
-
Cosa? – domandai nervosa.
-
Non devi preoccuparti! – fece Talia appoggiandomi una mano sulla spalla, come
se ci conoscessimo da sempre.
-
Voglio chiederti se t’interesserebbe diventare una cacciatrice come tua
sorella. – disse Artemide con un sorriso.
Rimasi
in silenzio per parecchio tempo: non sapevo cosa rispondere.
-
Io… cacciatrice? – chiesi.
-
Certamente! – disse Talia seria. – Essere cacciatrice significa viaggiare
insieme ad Artemide. Essere cacciatrice significa essere fanciulle in eterno… -
-
Certo, sei un po’ più grande della media d’età delle mie ragazze, ma in qualche
modo sento che prima o poi farai parte delle mie cacciatrici. – disse convinta
Artemide. – Dovrai solo fare un giuramento: dovrai giurare fedeltà a me e
ripudiare l’amore per sempre. -
Ok,
nel giro di pochi giorni due dei mi stavano offrendo in qualche modo
l’immortalità: prima Apollo e poi Artemide. La cosa non mi metteva ansia: di più.
Artemide mi proponeva di diventare una delle sue ancelle, rinunciando
all’amore. Diceva che era certa che prima o poi sarei diventata una
cacciatrice. Forse era vero che avrei dovuto diventare una cacciatrice: non mi
ero mai innamorata veramente di qualcuno, credevo che l’amore fosse per
rammolliti, che confondesse gli animi della gente la quale poi finiva per
smettere di pensare con il cervello… mi morsi un labbro e automaticamente mi
voltai verso l’ingresso della tenda, dove Nico se n’era andato poco prima.
Avrei potuto accettare di diventare una cacciatrice e rinunciare così a lui?
-
Credo che le serva tempo per riflettere, divina Artemide. – disse Talia, interrompendo
i miei pensieri.
-
Certo… - disse Artemide fissandomi per qualche motivo incerta. – Credo che tu
debba dormirci sopra, Robby… mi potrai dare con calma una risposta quando
avremo risolto questa storia di Ade… -
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Potreste
uccidermi, e lo capirei. Se ho ritardato a pubblicare è colpa
del mio modem che ho dovuto cambiare: funzionava solo tramite wifi da
un mese, perciò non riuscivo a connettermi dal computer e a
pubblicare il seguito. Detto questo, siate pronti perchè nel
frattempo ho scritto praticamente tutta la storia: devo solo rileggerla
e pubblicarla, mi manca un capitolo e mezzo per concludere. Ah
già: sarà meno di 16 capitoli come avevo previsto, ora
saranno 14 mi pare, ma secondo me va bene pure così. Che
c'è da aggiungere in questo capitolo? Non credo di aver nulla da
dire, ma non potevo rinunciare a questo mio spazio. Sappiate che
ogni giorno vedrò di postare un nuovo capitolo, quindi state
pronti perchè avrete molto da leggere.
Oltretutto, visto che ormai ho quasi finito di scrivere questa storia,
stavo pensando di farne un seguito, aggiungendo alla storia una persona
che è importante nella mia vita ma che non ho introdotto in
questa storia.
Bene, ora vado a dormire, e domani posterò il prossimo capitolo che ho già pronto. A domani!! :)
Calypso
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Capitolo 10 *** Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell’Ade ***
Quarta ed ultima tappa: Los Angeles; arriviamo finalmente nell'Ade
10
Quarta ed ultima tappa: Los Angeles;
arriviamo finalmente
nell’Ade
l
giorno dopo ci svegliammo all’alba e le cacciatrici smontarono l’accampamento
tanto velocemente quanto l’avevano montato. Non appena incontrai per la prima
volta quella mattina Nico, lui si bloccò e mi fissò in modo strano.
-
Buongiorno…! - gli dissi allegra per spezzare l’atmosfera tetra.
-
Tutto bene? – mi domandò lui in risposta al buongiorno.
-
Hem… benissimo… ma sei sicuro di stare bene? – gli chiesi incerta. – Mi sembri
strano… -
-
No, è che… ieri sera… tu... - borbottò lui.
-
Buongiorno… - sbottò Paul apparendo all’improvviso di malumore.
-
Hey, che c’è?! – domandi io ridacchiando. – E’ la giornata del malumore,
questa?! –
-
No, è che… queste cacciatrici mi mettono a disagio… - commentò Paul a bassa
voce. - Ad eccezione di Talia, tutte quelle odiano i ragazzi, e non si danno la pena di nasconderlo... -
Artemide
arrivò, e annunciò di aver ormai trovato abbastanza animali da trasporto per
quasi tutti: dagli enormi lupi bianchi, a addirittura dei cavalli e ancora
altri animali.
-
Io posso volare – dissi ad Artemide. – Se non ci sono abbastanza animali posso
muovermi via aria, intanto siamo già nel Nevada… -
-
Puoi volare?! – fece Talia sorpresa.
-
Sì… perché, te no? – le domandai altrettanto
sorpresa: se anche lei era figlia di Zeus, mi sembrava normale che
potesse farlo. Lei si guardò i piedi e
trovò più interessante lisciarsi la maglietta. –
Lasciamo perdere… - borbottò.
Quando
tutti si trovarono a bordo di un animale, partimmo, e Artemide si trasformò in
una stupenda cerva, che campeggiava il branco di animali. Io viaggiavo per aria
subito dietro ad Artemide, e mi accorsi che stavamo andando molto più
velocemente di quanto non potessimo fare con un comunque mezzo di trasporto:
probabilmente la vicinanza di Artemide rendeva tutti gli animali più veloci e più forti del
normale. Verso mezzogiorno Artemide ci annunciò che oramai eravamo
arrivati a Los Angeles. Sebbene fossi stanca per aver volato così tanto, non
potei non meravigliarmi per la bellezza di quell’enorme città: il sole
splendeva alto nel cielo, e si rifletteva nelle mille finestre dei grattacieli…
Artemide si fermò all’improvviso e tornò ad essere una ragazzina, quindi io
atterrai. Cercai di atterrare con grazia, ma quando toccai terra mi accorsi di
essere talmente stanca che le gambe cedettero ed io caddi per terra di faccia
come una totale idiota.
-
Hey, stai bene?! – esclamò Nico preoccupato, scendendo dal lupo e correndo subito
in mio soccorso, dandomi una mano per alzarmi da terra.
-
Mmm… sì, certo, come no… - commentai con la faccia contrita dal dolore e una
mano sul naso.
-
Siamo fin troppo in centro, è meglio proseguire a piedi da qui – annunciò
Artemide. –
Tutte
le cacciatrici annuirono attente, ma non sembravano trovarsi a loro agio in
mezzo a quella vivace confusione della città.
-
Dove si trova l’Ade? – chiese Paul ad un certo punto.
-
Valencia Boulevard – disse Nico serio, indicando una via di fronte a noi. Arrivammo
di fronte a un edificio altissimo di marmo nero con molte vetrate.
-
E’ questo. – disse Nico. Lessi quello che c’era scritto a lettere d’oro sul
marmo: “Studio di Registrazione R.I.P.”
-
Nulla di più appropriato… - commentai ironica.
-
Perché, questo cartello invece? – chiese Paul con un sopracciglio alzato, indicando un cartello
sulle porte di vetro con scritto “No venditori, no perditempo, no vivi”.
-
Mmm, direi che siamo arrivati nel posto esatto, non c’è ombra di dubbio… - fece
Talia.
Artemide
allungò la mano verso la maniglia, e riuscì ad aprire la porta, ma quando tentò
di fare un passo in avanti per entrare nell’edificio, sembrò trovarsi di fronte
ad una barriera invisibile.
-
Come pensavo: non mi è concesso entrare. – disse Artemide
con voce irritata: per un dio non poter mettere piede in un posto
doveva essere veramente snervante.
-
Ci provo io. – si propose subito Luna. Afferrò la maniglia, aprì la porta e con
un passo entrò nell’edificio senza alcun problema. La dea sospirò.
-
Credo che sia ora di dividerci. – dichiarò Artemide. – Talia, Luna e Martha:
siete le mie migliori cacciatrici, confido che sarete in grado di dare una mano
a Robby, Nico e Paul per portare a termine l’impresa e portare l’Ade al suo
ordine naturale. –
-
Certamente, mia signora… - assentirono all’unisono Talia, Martha e Luna.
-
Io e le altre cacciatrici resteremo in zona in caso di bisogno. Le figlie di
Ebe e Afrodite saranno controllate da due mie cacciatrici di modo che non
possano mettersi in pericolo, inesperte come sono… – disse Artemide guardando
Talia, Martha e Luna con uno sguardo preoccupato. – Mi raccomando, conto su di voi… -
Annuimmo
tutti e sei, ed entrammo nell’atrio buio e tetro dei R.I.P.
Sembrava
un salone d’attesa, ma senza musica e a luci spente: in effetti, se non
avessimo provato ad aprire e non avessimo trovato aperto, avremmo giustamente
pensato che il posto fosse chiuso. Quando i miei occhi si abituarono al buio,
potei scorgere delle figure nella sala, ma erano strane, quasi eteree e
trasparenti. Se ne stavano in silenzio, immobili, in attesa di chissà quale
cosa.
-
Sono spiriti. – spiegò Nico con un filo di voce; dopo di che si voltò verso il
bancone della reception, che in realtà era un podio rialzato, e rimase a bocca
aperta.
-
Dov’è finito?! – esclamò Nico correndo verso il bancone.
-
Dov’è chi? – domandò Luna.
-
Come chi?! Caronte! – rispose Nico, iniziando a farsi prendere dal panico. –
Non è mai successo che Caronte non fosse presente. Chi ce l’ha di voi il pass
dell’ascensore?! –
Pensare
di dovere andare negli Inferi grazie ad un pass per l’ascensore faceva un po’
ridere, ma non credo che quello fosse il momento adatto per le risate. Mi
avvicinai a lui e gli appoggiai una mano sul braccio, come a dirgli di
rilassarsi e di non farsi prendere dal panico.
-
Nico… sei figlio di Ade… - gli dissi con calma. – Vedrai che puoi
trovare un modo di andare negli inferi senza Caronte. -
Lui
mi guardò negli occhi e riuscii a strappargli un sorriso di ringraziamento.
-
Ragazzi, guardate! – esclamò Paul, e si mise di fronte a una delle anime, che
iniziò a borbottare: - Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore, sedici
minuti e quattordici secondi… Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore,
sedici minuti e dieci secondi… - Ci metteva un po’ ad arrivare ai secondi,
perciò non li pronunciava proprio tutti.
-
Perché stai contando, spirito? – domandò in tono autoritario Talia allo spirito, mettendosi
di fianco a Paul.
-
Il tempo che mi rimane da attendere prima di andarmene nell’Oltretomba… -
commentò con lo sguardo fisso nel vuoto l’anima in questione, e tornò a
contare: - Duemilatrecentoquarantasette giorni, dieci ore, quindici minuti e
ventiquattro secondi… -
-
A quanto pare anche senza Caronte, chiunque abbia imprigionato Ade è riuscito a
trovare un nuovo metodo di gestione delle anime… - commentò ironica Martha.
-
E’ tutto così assurdo… - commentò Nico pensieroso. – Le anime non sono così
quiete e facili da gestire… -
-
Non importa come facciano. – disse Talia impaziente. – L’importante è riuscire
ad andare negli Inferi. –
Io
strinsi ancora più forte la mano sul braccio di Nico, per fargli
coraggio. – Dai,
so che ce la puoi fare… - gli dissi. Lui continuò ad
osservare l’ascensore, con lo sguardo preoccupato; dopo di
che afferrò la mia mano e
chiuse gli occhi. Mi piaceva il calore della sua mano nella mia…
forse però
quello non era il momento adatto per pensare a una cosa simile. Nico si
abbassò
per terra e, con una mano nella mia e una sul pavimento, vidi la sua
fronte
corrugarsi dalla concentrazione. Le porte dell’ascensore
tremarono e le luci
iniziarono ad accendersi e spegnersi ad intermittenza, come se ci fosse
stato
un corto circuito; dopo di che le porte si aprirono del tutto, e
corremmo tutti
e sei nell’ascensore, prima che Nico perdesse la concentrazione.
Entrammo tutti
appena in tempo per vedere le porte chiudersi e gli spiriti rimanere
immobili
di fronte all’ascensore. L’ascensore tremò e si
spostò in avanti, e mi ritrovai
a stringere ancora più forte la mano a Nico. Chiusi gli occhi, e
quando li
riaprii, non eravamo più in un ascensore ma su una chiatta di
legno. Tutti e
sei ci sedemmo a gambe incrociate e Nico, continuando a tenere la mia
mano,
osservava il fiume nero di fronte a sé.
-
Che roba è?! – fece Paul inorridito guardando il fiume e osservando delle ossa
e dei pesci morti che galleggiavano sull’acqua.
-
E’ lo Stige – disse Martha prontamente.
-
E che cosa sono tutti questi oggetti? – domandò Luna preoccupata.
-
Rappresentano tutte le cose mai realizzate dai morti nella loro vita: sogni,
desideri, speranze… - raccontò Talia, poi aggiunse: - Annabeth e Percy ci sono
stati e mi hanno raccontato… -
Guardai
con bramosia tutti quegli oggetti: notai un libro ingiallito e scritto a mano,
la foto rovinata di un uomo in divisa militare col fucile in mano, una chitarra
con le corde rotte… mi avvicinai alla superficie: trovavo ingiusto che i sogni
della gente facessero quella fine, dovevo trovare un modo per riportarli in
vita… all’improvviso però Nico mi tirò verso di sé e, continuando a fissare il
fiume davanti disse: - Non avvicinarti troppo… il fiume ti potrebbe
distruggere bruciando anima e corpo. –
-
Bello… - commentò Paul ironico.
Io deglutii nervosa e all’improvviso
mi ricordai di cosa poteva fare lo Stige: dare l’invulnerabilità in battaglia
così come un proprio punto debole, come Achille…
-
E Achille come ce l’ha fatta? – chiesi curiosa. – Sì, insomma… si sarà pure
fatto uccidere per quel suo dannato tallone, ma ha avuto l’invulnerabilità, no?
-
-
Certo… - rispose Martha. – Ma a quale prezzo? L’invulnerabilità fisica sotto
molti aspetti richiede di aumentare un’altra invulnerabilità… il proprio difetto
fatale. –
-
Achille ha peccato di presunzione. – continuò Luna. – E’ stato quello il suo
punto debole, ancora più del suo tallone… -
-
Immergersi solo nel fiume non basta. – aggiunse Nico. – Ma non ha importanza
ora. Solo tre persone sono riuscite a immergersi nello Stige senza morire, e solo
una su tre è ancora viva, quindi non credo sia la strategia giusta per
affrontare il problema che ci aspetta… -
Rimanemmo
in silenzio fino a quando la barca attraccò lungo una spiaggia di sabbia
vulcanica nera. Ci trovammo di fronte a un altro edificio con tre entrate,
sopra le quali stava la scritta “State entrando nell’Erebo”.
-
Non c’è nemmeno Cerbero… - notò Nico, sospirando per lo sforzo fatto per
controllare l’imbarcazione.
- Beh, l'assenza di Cerbero secondo me è un punto a nostro vantaggio... - borbottò Paul.
Entrammo
senza problemi: nessuno sembrava volerci fermare. C’erano sì delle anime, ma
sembravano farsi gli affari loro. Nico ci portò da una parte all’altra, sicuro
di dove stesse andando. Nessuno di noi altri osava parlare. Ad un certo punto
ci trovammo davanti ad una fortezza con disegnate sopra scene di morte. Era
raccapricciante. Strinsi la mano che Nico ancora mi teneva, e lui strinse la
mia ancora più forte, come a dire che non dovevamo preoccuparci e che sapeva
cosa stava facendo. Entrammo, e ci trovammo in un giardino, o meglio, sarebbe
stato un giardino se tutte le piante non fossero morte, nere e raggrinzite.
-
E’ il giardino di Persefone. – sussurrò Martha.
-
Si sta lasciando andare esattamente come sta succedendo a Persefone… - commentò
Paul preoccupato.
-
Proseguiamo. – disse Talia senza ulteriori indugi.
Arrivammo
nel palazzo vero e proprio, ma le porte erano già spalancate, e all’interno
della sala c’era un trono fatto d’ossa.
-
Mio padre non è qua… - commentò Nico amaramente. Tutti noi ci sentivamo a
terra: dove potevano essere Ade, Persefone e Chiara?
-
Ovvio che non sono qua! – disse una voce femminile, e da dietro il trono,
praticamente dal nulla sbucò una ragazza…
-
Alexa! – esclamò Paul. – Cosa ci fai qua? –
-
Stupidi! – fece lei ridendo. – Secondo voi chi è che ha convinto tutti quei
mostri ad attaccarvi? Pitone, Adone, le empuse, i grifoni… -
-
La ragazza di cui avevano parlato i grifoni… - feci in un sussurro. – Eri tu! –
-
Certo che ero io! – rispose con una risata impertinente. - Sapevo che se non
avessi fatto qualcosa quei due grifoni incompetenti mi avrebbero vista e
riconosciuta… così ho piantato una mandragola nella radura, in modo che
dall’alto e con un po’ di fortuna potesse essere ben visibile… inoltre era un
modo come un altro per tentare di farvi fuori. Da giorni mi sono unita al
gruppo delle cacciatrici fingendo di conoscere per la prima volta tutta la
storia di avere dei genitori divini… sapevo che Artemide stava andando come voi
verso l’Ade, ed io dovevo tornare qui per concludere il mio compito. –
-
Che compito? – domandò Paul. – Chi ti ha chiamata qui? –
-
Come se lo volessi dire a voi! – esclamò lei beffarda. – Sono anni che mi
alleno: a dispetto di tutto quello che raccontano sui figli di Afrodite, posso
ridurvi a pezzetti in un solo istante! Ho qualcuno che mi aiuterà di certo
nell’impresa… –
Dietro
di lei apparve il grifone che era fuggito un paio di giorni prima, che mi
guardò con un sorriso inquietante, e uno dei grifoni di terra che si erano
salvati allora.
-
Fatti sotto, allora! – esclamò Talia agguerrita, sguainando uno scudo; era
veramente uno scudo terribile, per qualche strana ragione non riuscivo proprio
a guardarlo, e spostai lo sguardo altrove.
Il
grifone di terra raccolse il coraggio e saltò verso Talia, mentre quello d’aria
volò verso di me. Luna e Matha centrarono i due grifoni con le loro frecce, e
questi caddero per un attimo.
-
Lasciate fare a noi cacciatrici! – esclamò Talia sicura. – Luna, occupati di
quello di terra! Martha, tu quello d’aria. Io invece mi occuperò della
signorina sono-bella-solo-io… -
Alexa
sorrise beffarda e passò subito all’attacco, sfoderando una spada.
Non
volevo lasciare lì le cacciatrici sole a combattere, ma Nico mi spinse via per
la mano insieme a Paul.
-
Dove possiamo cercare ancora?! – fece Nico agitato, guardandosi intorno e
camminando a passo veloce.
-
Non ci sono delle prigioni?! – domandai.
Nico
allora si mise una mano sulla fronte.
-
Le prigioni dell’Ade! Come ho fatto a non pensarci prima?! – e si mise a
correre, tanto che faticavo a correre e continuare a tenergli la mano. Ci
dirigemmo in una serie di labirinti, e sembrava che fosse Nico stesso a
crearli. Ad un certo punto puntò la mano libera sul muro e si aprì una stanza
più grande, o meglio, una caverna più grande…
-
Padre! – esclamò Nico e, lasciandomi la mano corse dentro.
-
Nico! – fece una voce dentro; era una voce dura, affaticata, che avevo già
sentito in sogno: era la voce di Ade. Anche Paul ed io ci affrettammo ad
entrare.
Finalmente,
dopo tanto tempo, mi ritrovavo di fronte alla ragazza che aveva infestato i
miei sogni: ero di fronte a Chiara. Era pallida, cadaverica, tutta sporca, con
delle enormi occhiaie e l’aria di chi non mangiava da tempo. Nonostante ciò,
non appena mi vide, sorrise.
-
Ciao Robby… - riuscì a sussurrare.
Rimasi
immobile di fronte ai tre prigionieri, legati da delle catene metalliche alla
parete opposta. Cosa dovevo dire? Cosa dovevo fare? Finalmente avevo di fronte
a me chi poteva darmi delle risposte… come faceva quella ragazza a conoscermi?
Chi aveva fatto loro quello? E perché?
-
Robby! – esclamò Paul riportandomi alla realtà. – Dobbiamo liberarli dalle
catene! Persefone sembra messa male! -
Persefone
infatti sembrava svenuta, e giaceva con la testa appoggiata alla spalla del
marito.
-
E’ patetico… - sbottò quest’ultimo contrariato. – Essere salvati da degli eroi…
-
-
Ti voglio ricordare che uno di questi eroi è tuo figlio! – gli feci notare
senza il minimo tatto, prima che qualcun altro potesse rispondere alla sua
affermazione. – Dovresti andarne fiero, Ade! –
Forse
ero troppo impertinente, ma non sarebbe stata la prima volta. Nico, che se ne
stava inginocchiato di fronte alla figura di suo padre, mi sorrise, dopo di che
tornò ad armeggiare con le catene che legavano Ade.
-
Paul, dai del nettare a Persefone. – gli ordinai. – Anche se è una divinità,
credo che un po’ di cibo non possa farle altro che bene… -
Paul
annuì, e io feci lo stesso con Chiara.
-
Grazie… - disse solo lei, abbassando la testa in segno di ringraziamento.
-
Di niente, ma ora dovete dirci tutto, e in fretta! – dissi, prendendo Exusía e
spezzando le catene; la guardai negli occhi e le chiesi: - Chi sei? Come avete
fatto voi tre a finire qui? –
Ade
sbuffò, toccandosi i polsi ora liberi e aiutando la sua sposa, ancora stordita,
ad alzarsi in piedi.
-
Chi è lei?! Parte del più grande scandalo della storia! – esclamò il dio; dopo
di che i suoi occhi pieni di morte e odio, incontrarono i miei e continuò: -
Insieme a te, è ovvio! -
-
Non vi capisco, potete spiegarvi?! – feci io esasperata.
Chiara
mi guardò negli occhi, sospirò e disse: - Io e te siamo gemelle, Robby. -
M’immobilizzai.
Ok, questo non me l’aspettavo. Voglio dire… non avevo la benché minima idea di
cosa aspettarmi, ma se incontrare Talia era stato shockante, questo lo era
ancora di più: voleva dire che io e quella ragazza che stava di fronte a me
condividevamo lo stesso padre e la stessa madre, ovunque ella fosse.
- Ma se non siete neanche uguali! - esclamò Paul.
-
Mai sentito parlare di gemelli eterozigoti? - rispose Chiara
incrociando le braccia. - Ti sei mai chiesta perchè io, che per
te sono una sconosciuta, ho un collegamento empatico con te?! L'ho
scoperto involontariamente passando del tempo imprigionata qui, ma
questo è un collegamento che io e te abbiamo dalla nascita. -
-
E’ impossibile… - boccheggiai.
-
Purtroppo no! – esclamò Ade. – Anche se ora che il patto tra me e i miei due
fratelli di non procreare figli non è più valido, dà fastidio sapere che Zeus
l’ha infranto non una volta con quella ragazzina che è diventata cacciatrice…
ma ha avuto la faccia tosta di mantenere in vita due gemelle! –
-
Devi sapere che due gemelli mezzosangue sono più unici che rari. – mi spiegò
Chiara. – Zeus ci ha separate alla nascita perché sapeva che insieme avremmo
avuto un potere che andava ben oltre alla media… anche perché siamo figlie di
un dio potente. Questo complica ancora di più le cose. –
-
E come avete fatto a farvi incatenare? – chiese Paul. Ade gli lanciò uno
sguardo di fuoco.
-
Credi che voglia farmi umiliare ulteriormente rivelandovi i dettagli?! –
esclamò.
-
Padre, smettila! – fece Nico scocciato. – Non per mettere il dito nella piaga,
ma anche se sei libero, non sembri in grado di risolvere questo problema…! –
-
Quello stupido…! – sbottò Ade, guardando altrove. – E’ stato un ragazzo! Crede
di cambiare il mondo, ma è solo un pazzo! –
-
Un ragazzo? – domandai agitata. – Non è stata Alexa? -
-
La figlia di Afrodite? – chiese Chiara. – No, quella è solo una sua complice…
lui è… oddio! – si mise una mano sulla bocca.
-
Dobbiamo fermarlo! – gridò agitata. – Siamo in questa prigione da così tanto
tempo che stavamo per dimenticare… il Tartaro, dobbiamo correre là! Lui sarà
già là! –
-
Lui chi?! – domandai in ansia.
-
Non ho idea se lo conosciate o meno, ma dobbiamo correre! – esclamò lei in
ansia.
-
Vi guido io… - disse Nico, dopo di che guardò suo padre e lanciandogli
dell’ambrosia disse: - Prenditi cura di tua moglie e non appena ti riprendi
vieni a darci una mano, sarebbe una cosa gradita. –
Il dio rise ironico e anche un po' sprezzante, troppo infastidito di prendere ordini da dei mezzosangue.
-
E’ una specie d’incantesimo: solo quando quell’insulso mezzosangue se ne andrà
dall’Ade potrò riprendere il controllo dei miei poteri! – spiegò il dio
amaramente. - Ora sono solo un inutile immortale senza forza… E’ così
disonorevole… giuro sullo Stige che quando tornerò ad avere il controllo
dell’Oltretomba e dei miei poteri andrò a prendere la vita di quello stolto,
fosse l’ultima cosa che faccio! -
Si
udì un rombo da fuori: lo Stige aveva preso sul serio il giuramento del suo re.
-
Dobbiamo affrettarci! – ci ricordò Paul, così io, lui, Nico e Chiara corremmo
via, lasciando Ade con sua moglie.
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Come
promesso eccomi qui subito con un nuovo capitolo! Ve l'avevo detto o no
che ce li avevo quasi tutti pronti? ;) Ecco dunque svelata
l'identità di Chiara! Qualcuno ci aveva già in parte
azzeccato, ma questa storia dell'essere gemelle è diverso dal
solito... insomma, nella saga non si è mai parlato di
mezzosangue gemelli. Gli Stoll erano sì fratelli, ma di
età differenti (wikipedia italiana dice che sono gemelli, ma io sono certa di aver letto da qualche parte che non lo sono). Il legame tra gemelli è unico, secondo
me, e visto che Chiara nella realtà è la mia migliore
amica dall'asilo, è come se fosse la mia gemella 'diversa'. Non
abbiamo caratteri uguali: lei è sensibile, ci tiene a tutto e a
tutti, secondo lei tutti meritano delle seconde opportunità. Io
invece sono molto più testarda e anche un pochetto cinica. E
nonostante tutto, nonostante ormai ci vediamo al massimo tre volte
all'anno, lei rimane sempre la mia migliore amica. Sì, lo so,
quando voglio sono tenera!
Poi Alexa. Ecco, quando avevo iniziato a progettare la storia, questo
non l'avevo proprio preso in considerazione. Tanto per rendere breve il
tutto: nella realtà è stata per oltre un anno nostra
amica, ora invece le cose sono cambiate. Cioè, ci salutiamo
ancora, ma i rapporti sono cambiati molto, e il modo in cui sono
cambiati mi ha dato molto fastidio. Perchè se si è in un
gruppo si decide per maggioranza, ma questo a quanto pare, qualcuno non
lo voleva capire proprio. Al di là dei particolari, dopo questa
discussione impossibile da risolvere, ho voluto che lei fosse una dei
'cattivi', chiamiamoli così.
Vorrei vedere le facce di voi che mi avete seguito fin dall'inizio:
piano, piano, i pezzi si stanno ricomponendo, e ci stiamo avvicinando
alla verità. Chi è l'altro 'cattivo'? Lo conoscete
già o no? Cosa vuole fare? Perchè io e gli altri dobbiamo
correre verso il Tartaro? Che cosa deve succedere là? E
perchè Ade non ha più giurisdizione e poteri nel suo
stesso regno? Nel prossimo capitolo ci saranno le risposte a tutte
queste domande. Spero veramente di sorprendervi, perchè questa
mente bacata aspetta di postare il prossimo capitolo già da mesi
e mesi...
Prima di postare il prossimo capitolo però aspetterò che
commentiate questo e quello prima ancora, se no mi gioco tutto nel giro
di troppo poco tempo.
Alla prossima!
Calipso
PS: ah già! Io sono stata veramente a Los Angeles! Peccato che la situazione nella storia non sia adeguata per un tour: avrei voluto descrivervi quella magnifica città in modo migliore! <3
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Capitolo 11 *** Finalmente veniamo a conoscenza della verità ***
Finalmente veniamo a conoscenza della verità
11
Finalmente veniamo a conoscenza della verità
utti
e quattro stavamo correndo più forte che potevamo seguendo Nico: lui sapeva
dove si trovava il Tartaro. Ci ritrovammo in un tunnel di roccia, illuminato
appena e con delle stalattiti sul soffitto. Sentii qualcosa di pesante nel
petto: sentivo che ci stavamo avvicinando a qualcosa di veramente orribile,
qualcosa di pulsante… più correvo, più il posto si faceva buio e freddo. Nico
nella corsa aveva ripreso la mia mano, e di cuor mio lo ringraziai: senza il
suo calore non ce l’avrei fatta a continuare a correre verso il pericolo. Più
proseguivamo, più potevamo sentire chiaramente un rumore: come l’acqua che
bolle e un cuore che batte. Era un rumore sempre più forte, nulla di umano,
certamente. Era inquietante. Ad un certo punto il tunnel si aprì su un’enorme
caverna buia, nel centro della quale appariva una voragine: era da lì che
proveniva il rumore.
-
Questo è il Tartaro – disse Nico con il fiatone, appoggiando le mani sulle
ginocchia per riprendersi dalla corsa.
-
Ce ne avete messo per arrivare qui…! – disse una voce alle nostre spalle. Ci
voltammo tutti, ed io mi sentii sprofondare vedendo di chi si trattava.
-
Micah! – esclamammo all’unisono io, Paul e Nico.
Era
proprio Micah, alto, spallato come sempre e con un sorriso malefico sul volto.
-
Al Campo avevano detto che eri nella foresta! – esclamò Paul.
-
E’ la scusa che utilizzavo ogni volta che volevo andarmene dal Campo per fare
delle ricerche e mettere a punto il piano che oggi si avvererà. – i suoi occhi
si allargarono compiaciuti. – All’inizio non era così, andavo realmente per la
foresta, e pensate un po’? Ho trovato delle erbe per creare aromi e medicinali,
come dire? Speciali… tanto che ho voluto venire nell’Ade a provarli. –
-
Tutto questo è colpa tua! – esclamò Paul infuriato.
-
Certo! – disse Micah, e i suoi occhi si rimpicciolirono fissando
Paul. – E sai
cosa ti dico? Sono veramente felice che tu sia tra i primi ad assistere
a
questo evento: ti ho sempre odiato, sin dal principio. Posso capire
l’ammirazione che al Campo si provi ammirazione per gente come
Jackson e quella Chase, loro hanno dimostrato il loro coraggio, per
quanto non approvi ciò
che hanno fatto… ma non capisco affatto perché la gente
ti prenda tanto in
simpatia. Sei solo un buffone presuntuoso e pieno di sé… -
-
Senti chi parla, ipocrita che non sei altro! – urlò Paul irato come non mai.
-
Mi fai schifo… - commentò Nico fissandolo pieno di odio. – Mi dispiace che ogni
volta debba essere un figlio di Ermes a disonorare l’Olimpo… Prima lo sbaglio
di Luke, ed ora tu… -
-
Dei vostri giudizi non me ne faccio proprio nulla. – rispose Micah beffardo. –
Io do retta solo alla mia coscienza. –
-
Ed è questo che la coscienza ti chiede?! – feci io. – Isolare l’Oltretomba e
rendere Ade impotente e prigioniero del suo stesso regno?! –
-
No. – rispose lui sorridendo malvagio. – Più di questo: tutto questo mondo
finirà, inizierà una nuova era… un’era dove gli dei non esisteranno più… -
-
Si può sapere di cosa stai parlando?! – chiese Nico irritato.
Micah
indicò il Tartaro.
-
Non lo vedete anche voi con i vostri occhi? Il Tartaro è più vivo che mai…
tutto merito tuo, casanova. – disse indicando Nico. Quest’ultimo sembrò
spiazzato dalla definizione che gli era stata affibiata.
-
Come, non ricordi? – disse in tono ironico Micah. – Devo ricordarti la famosa
profezia che ti ha portato in Italia? –
Nico
sembrò cambiare colore in viso, da bianco a rosso acceso. Non avevo mai sentito
quella profezia dall’inizio alla fine, e mi maledii per non avere insistito a
conoscerla da cima a fondo: probabilmente era un dettaglio importante…
Nonostante
l’evidente nervosismo, Nico deglutì e con voce ferma proclamò la profezia: - Nella terra di Roma un figlio d’Ade si
troverà quando d’improvviso qualcosa di più grande scoprirà: questo è solo il
primo passo per fermare il Grande Risveglio che il mondo potrebbe annientare.
Con la spada di Achille l’eroe partirà e
questa la prima di un’altra grande impresa sarà… -
- …ciò che incontrerà cambierà il cuore
del nostro eroe e gli farà veramente scoprire cos’è l’Amore. – concluse Micah incrociando le braccia
con una risata maliziosa. - Una
profezia da carie ai denti, non c’è che dire… -
E gli farà veramente scoprire cos’è
l’Amore… ripetei a
mente. Amore? Che amore? Sentii il mio cuore battere a mille nel petto, e notai
che Nico non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi. Oddio, stava parlando
di me?!
-
Fatto sta che questa profezia sdolcinata mi è stata utile – continuò Micah. -
quando sei ritornato con una figlia di Zeus sapevo già cosa fare: un amore,
corrisposto o meno, da due figli dei pezzi grossi è uno dei pochi modi
esistenti per richiamare l’ultima entità che mi serviva… Eros! –
-
Eros è un’entità praticamente introvabile! – ribatté Paul arrabbiato.
-
Invece no! Sentite il Tartaro! – esclamò trionfante Micah. – Eros si è unito ai
suoi fratelli dopo tanto tempo: Tartaro e Gea, che è ovunque nella terra… tra poco il loro
creatore si risveglierà… -
Nico
tornò a sbiancare ed esclamò: - Eros… Tartaro… Gea… Li hai riuniti per
riportare in vita Caos! Si può sapere che diamine ti salta in mente?! –
-
Chi è Caos? – domandò Paul, questa volta confuso.
-
Sei un idiota, ma questo lo sapevo… - commentò beffardo Micah. – Caos è
l’entità primordiale per eccellenza… è il nulla più assoluto. Quando si
risveglierà tutto finirà: non ci saranno più titani, il mondo non esisterà più,
non ci saranno più animali, uomini e mezzosangue, ma soprattutto non ci saranno
più gli dei! Dopo la guerra avranno pure iniziato a riconoscere i loro figli, ma per
loro non ci sono mai! Vogliamo inoltre parlare della loro giustizia?! Vogliamo
parlare della giustizia che ha ricevuto Adone? O che ricevono le empuse? Con
gli dei non esiste una vera giustizia, esiste solo un mondo plasmato sul loro
egoismo… Solo dalla fine il Caos potrà creare un nuovo inizio, un inizio
migliore di quello che abbiamo dovuto sopportare noi uomini dai primordi! –
Improvvisamente
capii tutto: quello che Micah voleva era la fine del mondo. Voleva la fine di
tutto. Era come ritrovarsi davanti ad un kamikaze, era una cosa del tutto priva
di senso.
-
Tu sei pazzo! – urlai con una voce quasi isterica. – Odi gli dei, non accetti
la giustizia divina, ma sei pronto a farti saltare in aria! -
- Lo diceva anche Macchiavelli, no? Il fine giustifica i mezzi: si tratta di costruire un futuro migliore di questo!
– rispose Micah. – E se questo vuol dire morire, sono pronto a farlo: non ho
paura della morte. –
-
Con che coraggio decidi il destino dell’umanità, idiota! – gridò Paul. – Puoi
fare saltare in aria te stesso, di questo non m’interessa… ma chi ti dà il
diritto di decidere per il resto del mondo?! –
-
Invece il diritto degli dei di punire chiunque vogliano, di abbandonare i
propri figli e di infliggere all’umanità il loro egoismo va bene, vero?! –
rispose Micah con un tono di voce ancora più alto di quello di Paul.
-
Se uno si comporta in modo sbagliato devi farlo anche tu?! – risposi io senza
mezzi termini. – Critichi tanto gli dei, ma tu sei anche peggio di loro! Non
sei ipocrita solo nei confronti del Campo e di quelli che chiamavi amici, ma
pure nei confronti di te stesso! –
Micah
mi guardò dall’alto al basso altezzoso, ma non rispose.
-
Si può sapere a cosa ti serviva Chiara?! – domandò Paul. Chiara, che fino a
quel momento se n’era stata seria, vigile e in silenzio, sobbalzò: ancora non
la conoscevo, ma sembrava una persona che non amava discutere o insultare la
gente.
-
L’ho incontrata per caso, dopo di che l'ho convinta con
l’inganno che avevo bisogno di
arrivare nell’Oltretomba: per un solo mezzosangue portare a
termine questo piano sarebbe stato quasi impossibile, e allora ancora
non conoscevo Alexa… - rispose Micah. - Zeus voleva
che Chiara andasse al Campo, lì avrebbe trovato
protezione, ma è bastato farle suscitare un po’ di
pietà per convincerla a fare
quello che volevo… lasciatelo dire, Chiara, sei una persona
incredibilmente
debole di carattere e quindi facilmente influenzabile… - non mi
piaceva affatto
il modo in cui Micah si rivolgeva a mia sorella, avrei voluto dargli un
pugno in faccia all'istante, ma mi trattenni per sentire quello che
aveva da dire. – Una volta arrivato
nell’Oltretomba con il suo aiuto, sono riuscito a nascondere
nell’ambrosia di
Ade e Persefone il mio ultimo ritrovato: è stato talmente forte
che ha la
capacità di togliere qualunque forma di capacità non
umana a chiunque, persino
ad un dio. E’ stato facile poi imprigionare Ade e Persefone senza
poteri nelle
loro prigioni, e me la sono cavata abbastanza bene pure con una figlia
di Zeus
che sapeva poco sulle sue vere origini e sulle sue capacità. La
mia formula per
indebolire Ade è stata così forte che ha influito anche
su tutto l’Oltretombra,
rendendolo inaccessibile dagli altri dei. Per non creare sospetti,
appena ho
potuto sono tornato al Campo Mezzosangue come se nulla fosse successo.
–
Avrei
voluto sparare parolacce non-stop. Mi sentivo tradita. E delusa. Tanto delusa.
Non avevo avuto molto tempo di approfondire la mia amicizia con Micah, ma
sentivo questo tradimento come un pugno nel petto.
Alle
nostre spalle sentimmo all'improvviso dei rumori di lotta: Talia stava
arrivando verso di noi, lottando
ancora contro Alexa. Le due continuarono a lottare sotto i nostri
occhi, mentre di Matha, di Luna o dei grifoni non c'era alcuna traccia.
-
Credo che sia finito il tempo delle chiacchere. – commentò Micah. – Intanto tra
poco tutto finirà, quindi tanto vale vedervi affrontare e perdere la vostra
battaglia finale… -
-
Non ci riuscirai mai! – esclamò Paul, e tirò fuori dalla tasca un piccolo
pugnale, nel tentativo di combattere contro Micah. Quest’ultimo sorrise e parò
il colpo con una spada apparsa quasi nel nulla dalla sua mano.
-
Perfetto, quello che ci voleva: sconfiggerti una volta per tutte prima di dare
l’inizio ad una nuova era! – disse Micah con un sorriso soddisfatto, e i due
iniziarono a combattere sul serio. Anche se Paul aveva come unica arma un
pugnale e le sue frecce mentre Micah aveva un’enorme spada, Paul se la stava
cavando egregiamente: si vedeva che moriva dalla voglia di farla pagare a Micah
e che lui, ancora più di me o Nico, era rimasto ferito dall’atteggiamento di
quello che un tempo credeva una brava persona.
-
Cosa facciamo? – domandò agitata Chiara, guardando prima me e poi Nico. Io e
lui ci guardammo: non era tempo di pensare a quello che ognuno di noi provava,
dovevamo trovare una soluzione.
-
Non ne ho idea… - disse Nico con aria disperata. – Non è mai successa una cosa
simile, non so come si potrebbe risolvere… il Tartaro è sempre più agitato,
Caos si sta per svegliare… -
-
Io vado a dare una mano a Paul, voi aiutate Talia! – esclamai: non vedevo altro
da fare se non combattere fino alla fine.
Mi
unì a Paul nel combattimento, sfoderando la mia spada e parando un attacco di
Micah che per Paul sarebbe stato fatale.
-
Grazie…! – disse Paul rialzandosi da terra e preparandosi
ad attaccare
nuovamente. Micah era in evidente difficoltà: doveva stare
attento a non dare
le spalle né a me né a Paul, così come a non
cadere nel baratro del Tartaro. Ce
la stavamo cavando bene, ma Micah non era un avversario facile: non
demordeva,
schivava i nostri attacchi molto agilmente, attaccava quando meno ce lo
aspettavamo
e si muoveva con destrezza. Vidi sulla sua fronte scendergli delle
gocce di
sudore: forse era questo che dovevamo fare, dovevamo affaticarlo. Non
appena
Paul attaccava e Micah schivava, era il mio turno di attaccare, e
quando Micah
schivava il mio di attacco, Paul ricominciava… Non poteva andare
avanti a lungo
così, aveva già il fiatone, e non riusciva a far altro
che schivare senza avere l'opportunità di attaccarre. Ad un
certo punto Micah perse l’equilibrio,
cadde all’indietro e Paul ne approfittò per scoccare una
freccia; questa sfiorò
la mano di Micah che, dolorante, lasciò cadere la spada. Con un
calcio Paul buttò l'arma caduta dritta nel Tartaro, mentre
io colpii Micah in testa con l’elsa della
spada senza tante cerimonie, e questo svenne. L’avevo ferito, da
dove l’avevo
colpito usciva del sangue, ma non sembrava nulla di veramente grave.
-
Hem… non l’ho ucciso, vero? – domandai a Paul. Questo mi guardò sgranando gli
occhi. – Ti preoccupi di non aver ucciso questo traditore?! – fece lui.
-
E’ che… io non sono come lui, non credo che potrei
sopportare di uccidere una persona… - borbottai, ma mi ricordai
che quello non era il momento
adatto per queste cose: Caos si stava risvegliando. Ci voltammo, e
vedemmo
Alexa per terra a dimenarsi, legata e imbavagliata da degli scheletri.
-
Grande, Nico! – esclamò Paul.
-
Vorrei che l’avesse fatto prima: Talia è svenuta… - disse Chiara preoccupata.
Talia
giaceva per terra, priva di conoscenza e con numerose ferite su tutto il corpo.
-
Non voglio fare l’insensibile, ma non ha senso pensare a Talia quando tra poco
moriremo tutti. – ci ricordò Paul.
-
Sì, ma cosa possiamo fare?! – feci io, disperata.
-
Riflettiamo con calma… - fece Chiara, prendendo un enorme respiro per farsi
coraggio. – Cosa sappiamo di Caos? -
Io,
lei e Paul spostammo il nostro sguardo su Nico, che alzò le spalle dicendo: -
Non molto in realtà. E’ l’entità creatrice di tutto, e per tutto intendo Gea,
Tartaro ed Eros, solo dopo dal Caos sono nati il Buio e la Notte. Queste tre entità sono esattamente tre forze di pari
potenza, e da quanto ha detto Micah, la loro unione sta per risvegliare il suo
creatore. –
-
Di pari potenza, eh? – borbottò Paul pensieroso, la voce coperta dal rumore del
Tartaro che si faceva sempre più irrequieto.
-
A che stai pensando? – gli domandai nervosa e anche un po’ speranzosa: forse
aveva un’idea per uscirne.
-
Se sono forze di pari potenza questo vuol dire che al contrario del nome, il Caos si
basa su un equilibrio, un equilibrio tra Tartaro, Gea e Eros. – disse lui
velocemente. – Forse rompere questo equilibrio potrebbe essere una soluzione.
Pensateci: è come se il Caos fosse una torta divisa in tre enormi fette. Se
all’improvviso una di queste tre fette fosse più grande delle altre, sarebbe
impossibile ricomporre le torta. Dato che è impossibile per noi eliminare una
di queste tre entità, visto che si sono già unite sotto i nostri piedi, l’unica
soluzione è che una di queste forze sia in grado di sopraffare le altre. –
L’esempio
della torta era stupido, certo, ma il ragionamento non faceva una piega: si
trattava di semplice logica. Tutti quanti capimmo che probabilmente c’era una
speranza, ed eravamo sulla strada giusta.
-
Mi sembra ragionevole. – assentì Chiara agitata. – Ma come si può spezzare
questo equilibrio? Siamo solo dei mezzosangue, non possiamo comunque fare molto
contro queste forze… richiederà di sicuro un enorme sacrificio… -
-
Se il Tartaro è il luogo dei dannati, perché non buttiamo dentro quest’infame
traditore? –propose arrabbiato Paul, guardando il corpo privo di conoscenza di
Micah. – Sono certo che l’equilibrio si spezzerà. –
-
Non credo sia una buona idea far sì che sia il Tartaro a prendere il
sopravvento – commentò Chiara. – Cosa accadrebbe se una volta risolto il
risveglio di Caos fosse il Tartaro ad espandersi nel mondo? I dannati avrebbero
piede libero sulla terra… -
-
Peccato – commentò Paul amaramente, continuando a fissare Micah. - speravo proprio
di farlo fuori in questo modo… -
-
Di far sopraffare Gaia non se ne parla affatto – commentò Nico - è una potenza
troppo malvagia, forse ancora più del Tartaro stesso, almeno quello prevede un
certo tipo di giustizia… -
-
Eros! – esclamò all’improvviso Paul convinto.
-
Come? – feci io. Lui mi fissò dritta negli occhi annuendo e disse: - L’Eros è
il sentimento primordiale per eccellenza. Tutto lo identificano con l’Amore, ma
non è solo quello: Afrodite è Amore, Philotes è Amicizia, Era è Famiglia… sono
tutti sentimenti influenzati da Eros! –
-
Scusa, ma Eros non è… sì, insomma… la divinità dell’attrazione sessuale? –
domandò Chiara incerta. Paul scosse la testa. – Diciamo che è conosciuto come
tale, ma Eros è molto di più: Eros è attrazione, e l’attrazione non è solo un
fatto fisico o di sesso, l’attrazione è alla base di un qualsiasi sentimento, è
anche attrazione intellettuale e di personalità. –
-
Un sentimento forte come un collegamento empatico tra le uniche due
gemelle figlie di Zeus… - commentai con un filo di voce.
Silenzio.
Paul e Nico osservavano prima me poi Chiara sotto i rombi sempre più insistenti
del Tartaro. Avevamo tutti capito cosa volessi dire: l’unico modo per salvare
il mondo era buttarmi nel Tartaro insieme a mia sorella.
Paul
ad un certo punto si fece coraggio e disse: - Io… in realtà non era quello che
intendevo… credevo che… sapete… i sentimenti puri vincono sempre in ogni poema
e in ogni racconto. Non dovete per forza sacrificarvi voi due. –
-
Nostro Padre ci ha separate alla nascita perché sapeva quanto eravamo potenti
insieme, ma voleva che ci riunissimo dopo vent’anni per un motivo – disse
Chiara con voce ferma fissandomi. – Sapeva che qualcosa di orribile stava per
accadere, anche se forse non sapeva cosa, e sapeva che io e Robby insieme
avremmo potuto fare qualcosa per salvare la situazione. -
Tutto
aveva un senso… ripensai velocemente alla profezia che avevo sentito. Terra, Morte e Amore verranno riuniti, dei, umani e Mezzosangue dalla
fine saran colpiti. Ecco
cosa voleva dire: Gea, Tartaro ed Eros saranno riuniti... e la loro
unione avrebbe dato inizio alla fine di tutto: niente dei, niente
umani, niente mezzosangue... Sentivo
il mio corpo formicolare: di lì a poco sarei morta.
Avrei voluto piangere, ma la paura m’impediva di farlo.
All'improvviso ogni mio respiro diventava sempre più importante:
erano gli ultimi respiri che sarei stata in grado di fare, mi sentivo
la pelle d'oca. Se prima all'improvviso tutto trovava un senso, ora
tutto sembrava senza senso: la mia vita stava per finire, non c'era
più un senso.Chiara mi strinse la
mano e il suo sguardo mi fece forza. Annuii: entrambe sapevamo cosa fare.
Il
tempo era poco: Caos si stava risvegliando e di lì a poco il
mondo come lo
conoscevamo sarebbe finito. Non c’era tempo da perdere. Guardai
Nico e Paul:
entrambi mi fissavano con le lacrime agli occhi. Corsi verso di loro e
con un
unico abbraccio, strinsi forte entrambi. Ricambiarono
l’abbraccio, e mi diedero
un calore che non avevo mai sentito in vita mia, ancora più
forte del bacio di
Apollo. Sentivo le loro lacrime sulle mie spalle e le mie rigarmi le
guance. Credo che fu anche quel loro abbraccio a darmi la forza di
continuare nella mia inevitabile scelta.
-
Grazie per essermi stati sempre accanto… - dissi tentando di mantenere il mio
tono di voce il più calmo possibile. – Siete dei veri amici… - Paul
singhiozzava con il respiro affannato sulla mia spalla sinistra, Nico invece
tremava in silenzio sulla mia spalla destra.
Prima
di andarmene via, guardai Nico: il suo sguardo era abbattuto e pieno di
paura,
forse anche più del mio. Sentii una fitta al cuore: era
difficile andare verso la morte, era difficile lasciare la mia vita,
senza nemmeno aver salutato per l'ultima volta la mia famiglia, la mia
sorellina, tutti i miei amici in Italia e al Campo... ma era ancora
più difficile allontanarmi da quei suoi occhi scuri e bagnati
dalle lacrime. No, non volevo lasciarlo andare, non ora che avevo
capito quello che provavo, non ora che avevo finalmente accettato
quello che da tempo sapevo di provare. Allungai la mano verso Nico, e
lui me la strinse forte: non era come Paul o come Chiara, che volevano
darmi forza, Nico non voleva propio lasciarmi andare a morire. Ti prego, non fare così... pensai
continuando a guardarlo negli occhi senza riuscire a trattenere le
lacrime. Quel suo sguardo addolorato e la sua mano che stringeva forte
la mia mi rendevano ancora più difficile andarmene. Ripensai velocemente a quello che avevo scoperto: alla
profezia del figlio d’Ade che avrebbe incontrato l’Amore, il modo in cui una
volta rivelata la profezia lui era arrossito ed evitava di guardarmi negli occhi…
-
Se devo morire tanto vale farlo senza alcun rimpianto – dissi solo e senza
aspettare un secondo di più lo baciai. Il tempo sembrò fermarsi, e la
sensazione d’angoscia all’idea di morire si placò improvvisamente. Il panico
svanì: quello che importava in quel momento era lui, erano le sue labbra
morbide, le sue braccia che mi stringevano disperatamente a sé... Sentii il mio
cuore alleggerirsi, sentivo il suo respiro e le sue labbra che continuavano a
cercare le mie… Quando ci lasciammo, lo guardai negli occhi e ne ebbi la
certezza: in quel momento di disperazione, entrambi ancora con il fiato corto,
ci sorridemmo imbarazzati. Non sapevo che facce avessero Chiara e Paul: tutto quello che mi importava era Nico. Sì, stavo per andare incontro al suicidio, eppure mi
sentivo felice. Felice come non lo
ero mai stata in vita mia.
-
Giuro che se ne esco viva ne voglio altri mille così – esclamai con un sorriso
e senza dargli tempo di rispondere gli diedi le spalle, corsi via, presi la
mano di Chiara e mi buttai con lei nell’abisso del Tartaro.
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Da
daaaan!!! Sorpresi? Spero di sì. Finalmente il capitolo tanto
atteso... sono stra emozionata di poterlo finalmente postare!
Però prima devo fare un paio di chiarimenti.
Prima di tutto il fatto che Micah sia traditore. Adesso, non volevo che
un altro figlio di Ermes facesse lo stronzo come è già
successo nella saga di zio Rick. Però Micah, nella vita reale
era un nostro amico e si è realmente comportato come uno stronzo
nei confronti di tutti noi. Anzi, per la verità lo è
sempre stato, e io lo sapevo anche se volevo pensare il contrario. Per
questo volevo fare in modo che tradisse tutti nella storia ma, quando
ho iniziato a scriverla, ero veramente tentata a farlo redimere in
conlusione: mi sarebbe piaciuto che, a questo punto, noi fossimo stati
in grado di farlo ragionare e lui tornasse sui suoi passi, chiedendo
scusa. Io in fin dei conti credo nel perdono. Ma dopo dei recenti
avvenimenti non credo che potrò mai perdonarlo e non credo
nemmeno che la nostra amicizia con lui possa mai tornare come prima.
Non entro in ulteriori dettagli perchè non è importante
ai fini della storia, ma volevo solo farvi capire il motivo della mia
decisione, anche se fino ad ora non è che abbia parlato molto di
lui... Ah, sì! Poi il rancore di Micah nei confronti di
Paul. Già da tempo lo pensavo, ma ora sono certa che, nella vita
reale, Micah sia geloso marcio di Paul: Paul è una brava
persona, è sincero, schietto, non è infantile e sa farsi
ben volere molto facilmente, nonostante le malelingue. Micah invece
deve fare i salti mortali per farsi notare da tutti, e finisce solo per
ridicolizzarsi: se alla gente piace un simile comportamento, io
sinceramente lo trovo a dir poco sgradevole, visto che ha 20 anni e non
15. Prima lo sopportavo perchè, beh, gli amici si accettano con
i propri pregi e con i propri difetti, ma ultimamente dopo la rottura
che tutti noi abbiamo avuto con lui, lo trovo ancora più
insopportabile di prima, e questa storia della gelosia è sempre
più evidente.
Detto questo, altro punto importante
da chiarire: la storia di Caos. So che dal Caos nacquero Gea (la
terra), l'Erebo (il buio) e Nyx (la notte). Per questa storia
però mi sono adattata alla versione di wikipedia. Mi imamgino
che dopo il Caos le prime entità siano state la Terra, il
Tartaro e l'Eros, e che poi in seguito siano nati il Buio e la Notte.
Quindi per risvegliare il Caos bisogna riunire i suoi primi figli:
Terra, Tartaro ed Eros.
Se c'è qualcosa che non
è chiaro, vi prego di dirmelo: ho una mente talmente contorta
che ho fatto il possibile per spiegare in modo dettagliato e semplice
il piano di Micah.
Ora aspetto le vostre recensioni e le vostre impressioni prima di continuare
(sul piano di Micah, sulla profezia che era stata fatta a Nico
-eheheh...-, sul bacio -OLE'- e sull'idea per risolvere il tutto),
anche perchè il prossimo capitolo è già pronto da
postare! :)
A presto,
Calipso
PS:
SPOILER PER QUELLI CHE NON HANNO LETTO MARK OF ATHENA: giuro che mi
sono infuriata un sacco quando ho letto che voi-sapete-chi si sono
buttati nel Tartaro alla fine del libro. Ho pensato: "Zio Rick, ti
uccido! Sono mesi che stavo pensando di far buttare i MIEI personaggi
nel Tartaro e tu mi rubi l'idea?!" Quindi anche questo, non prendetelo
come una copiatura della storia di zio Rick: E' STATO LUI A COPIARE
ME!! *aimè, involontariamente... -.-'*
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Capitolo 12 *** Vado incontro alla morte con un sorriso ***
Vado incontro alla morte con un sorriso
12
Vado incontro alla morte
con un sorriso
i
sono spesso chiesta come fosse morire e il solo pensiero mi toglieva il fiato:
mi faceva terrore non essere più in grado di respirare, essere solo un’entità
in decomposizione e, con un po’ di fortuna, un ricordo per una generazione di
persone amate. La morte mi spaventava a tal punto che, qualsiasi cosa stessi
facendo, il tempo sembrava fermarsi, che io fossi sdraiata sul letto a fissare
il soffitto o in macchina a guidare.
Un giorno cara, smetterai di respirare diceva il mio cervello. Il tuo corpo si decomporrà e diventerà
cenere. Non potrai più agire, non proverai più alcuna sensazione e non
conserverai nemmeno i tuoi ricordi, perderai tutto. Ho sempre creduto
nell’esistenza di un’anima, ma ero certa che fosse ben distante dall’idea che
ne ha ogni essere umano. Anche dopo aver visto le anime dell’Ade, ero certa che
provare ad essere come loro fosse tutt’altra cosa che vederli.
Credi di essere abbandonata dalle
persone che ami, ogni tanto durante la tua vita? Pensa alla Morte: allora sì
che sarai veramente sola, ci sarai solo tu a fare i conti con la tua coscienza
terrena.
Immaginavo
spesso me stessa da vecchia, la pelle raggrinzita e i capelli bianchi, sola in
un letto a notte fonda: immaginavo di svegliarmi all’improvviso per un dolore
al petto; tentavo di prendere un respiro per calmarmi, ma quel respiro proprio
non riuscivo a farlo: era come se all’improvviso l’aria tentasse in tutti i modi
di allontanarsi da me. Annaspavo nel letto senza forze, la vista iniziava a
svanire e il color panna della mia stanza sarebbe stata l’ultima cosa che avrei
visto… poi per un’ultima volta avrei espirato, e l’ultima cosa della mia vita
che avrei sentito sarebbe stato il calore delle mie lacrime lungo le guance.
Sola.
Quando
sprofondai nel Tartaro tutti quei pensieri presero il sopravvento persino sul
dolore fisico; mi sentivo come se mi stessero bruciando viva e allo stesso
tempo stessero tentando di tirarmi per le braccia e le gambe in quattro
direzioni differenti, ma il pensiero della morte era ancora più doloroso: ero
sola nel buio, annaspavo nel vuoto e l’aria si faceva sempre più pesante…
Ricordati chi sei… diceva nella mia mente una voce
maschile. Chi stava parlando? Io non ero nessuno, io non avevo una vita. Se non
fossi stata così in preda al dolore, mi sarei sorpresa a sentire una voce nella
mia testa: non avevo la benché minima idea di cosa fosse una voce. Non avevo
idea di cosa fosse il passato, quello che contava realmente era il presente,
quello che contava realmente era la morte. Ed era una cosa straziante.
Voglio morire pensai disperata tentando di respirare
invano: i miei polmoni urlavano chiedendo ossigeno. Voglio morire ora e subito
Ricordati di me… ricordati della tua
vita… continuava a
ribadire quella voce, e all’improvviso mi sentii travolta da un altro genere di
calore: era qualcosa di dolce, che non avevo mai provato in vita mia ma allo
stesso tempo così famigliare. No, forse in realtà l’avevo già provato… forse
avevo un passato, forse avevo avuto una vita.
Improvvisamente
in tutto quel buio iniziai a vedere: vidi degli occhi scuri e profondi che mi
scrutavano fino a leggermi dentro… e mi ricordai di quel sorriso stupido che
una volta aveva avuto quel volto guardandomi. Poi mi ricordai che ci eravamo
baciati: in pochi secondi rivissi tutta quella marea di emozioni che avevo
provato baciandolo e il dolore del Tartaro sembrò nulla a confronto. Sì, mi
trovavo nel Tartaro, e la voce maschile che mi aveva parlato era quella di
Nico. Mi sembrò di salire, di alzarmi in volo. Dovevo farcela per lui, era lui
la ragione che mi spingeva a lottare. Ma non era l’unica. C’era Chiara. Come
avevo fatto a dimenticarmi di lei? Mi accorsi solo quando iniziai a riprendere
la memoria che ancora ci tenevamo la mano: credevo di essere sola, ma in realtà
non lo ero mai stata. Sorrisi, e sentii la sua presa farsi più forte e salda
contro la mia: eravamo pronte.
Senza
che nemmeno ci dicessimo qualcosa, iniziammo entrambe a trasmettere dal
nostro
corpo quante più scariche di energia potevamo. Mi sentivo
bruciare quasi più di
prima, ma questa volta sorridevo: avevo un motivo per non cedere.
Grazie ai
lampi iniziavo a vedere Chiara di fianco a me: anche lei sorrideva ed
emanava
scariche elettriche, e nel buio del tartaro illuminato solo dai nostri
potenti sprazzi di elettricità, i suoi occhi sembravano essere
diventati gialli. Abbassammo lo sguardo e vedemmo per la prima volta un
fanciullo con i capelli ricci, con un arco e delle frecce,
che teneva una caviglia mia e una di Chiara, come se qualcosa lo
stesse tirando giù e noi fossimo la sua unica
possibilità di salvarsi: quel putto era certamente Eros e ci
sorrideva dal
basso, fiducioso in noi. Io e Chiara ci guardammo e, continuando ad
emanare
scariche di elettricità, ci alzammo in verso l’alto.Era difficile: immaginate
di essere in una piscina senza fondo, con una persona attaccata alle vostre
caviglie. Questa persona ha dei pesi di almeno trenta chili su ognuna
delle sue di caviglie, e immaginatevi se, nel frattempo, una forza invisibile spingesse la
vostra testa sempre più sotto… strinsi più forte la mano di Chiara, e delle
lacrime di disperazione sgorgarono dai miei occhi.
Puoi farcela! Diceva convinta la voce di Nico nella
mia testa. Sono certo che ce la farai a
tornare in superficie… tornerai da me, so che ne sei in grado.
Tornare
da Nico. Sentire la sua voce calda e suadente con le mie orecchie,
vedere il
suo sguardo sincero e quelle simpatiche fossette che gli si formavano
ogni
qualvolta mi rivolgeva un sorriso… il pensiero sembrò
darmi più forza, e sembrò
veramente che sotto di noi fosse esploso un razzo. Fummo scaraventate
letteralmente verso l’alto, e mi vennero i brividi di freddo
quando
attraversammo la barriera che divideva il Tartaro dal resto
dell’Ade. Dopo il
lancio, subimmo il pauroso atterraggio: mi misi ad urlare a
squarciagola fino a quando
non mi spiacciai letteralmente contro una fredda superficie di roccia,
perdendo
la mano di Chiara e rotolando un paio di volte su me stessa. Col senno
di poi, pensai che avrei potuto rimanere sospesa a mezz'aria, ma in
quel momento era l'ultimo dei miei pensieri.
-
Robby! – gridò la voce di Nico, e sentii qualcuno correre. Rimasi a terra,
dolorante, con gli occhi chiusi e il corpo che si muoveva senza volerlo, come
dopo essere stati colpiti da una forte scarica elettrica, solo che a me non era
quella che faceva male.
-
Z-z-z-z… zto bee-ee-eene… - balbettai battendo i denti ad
occhi ancora chiusi: la mascella mi si muoveva su e giù
involontariamente, e il mio corpo teso sulla roccia tremava rigido
senza volerlo.
-
Siete vive! – esclamò la voce di Paul entusiasta.
Ci
volle un bel po’ prima che potessi essere in grado di aprire gli occhi.
Eravamo dove prima stavamo combattendo contro Micah e Alexa, io e Chiara
eravamo sdraiate per terra, Nico teneva la mia mano, Paul quella di Chiara.
Quando incontrai lo sguardo di mia sorella, entrambe sorridemmo: ce l’avevamo
fatta. Nessuno delle due avrebbe creduto di sopravvivere ad un salto nel Tartaro.
Eppure c’eravamo. E il bruciore che ci perforava il corpo non era nulla di
fronte alla gioia di essere ancora vive, di non essere morte. Alzai lo sguardo
verso il soffitto, e vidi per un’ultima volta Eros: il piccolo ragazzino alato
ci fece l’occhiolino, dopo di che volò via e si dissolse, emanando per tutto il
Tartaro un piacevole odore di rose e fiordaliso.
All’improvviso
sentimmo un forte rumore, come qualcosa che scoppiava in tutto l’Ade, e
l’ambiente si fece un po’ più luminoso.
-
C-cheeee è su-uu-cc-cezz--zo?! – balbettò Chiara
preoccupata: la sua mascella continuava a fare su e giù,
nonostante il corpo non fosse più rigido come prima.
-
Quei due sono scappati! – esclamò Paul. – Micah e Alexa! Devono essersi ripresi
e essersela data a gambe mentre noi eravamo occupati con Robby e Chiara! –
Mi
misi a sedere per vedere con i miei occhi, ma ebbi appena il tempo di
constatare che non c’era veramente nessuno oltre a noi quattro prima di
lasciarmi andare ancora indietro, troppo debole per rimanere seduta. Nico si affrettò a
sostenermi la testa e mi chiese preoccupato: - Hey! Come stai, tutto bene? –
Oddio,
mi sorrideva. Quel sorriso che avevo tanto pregato di rivedere era di fronte a
me. Gli sorrisi, sentendo il cuore in gola e le lacrime agli occhi, e annuii
stringendogli ancora più forte la mano che mi teneva.
-
Sì, se ne sono andati. – disse una voce gelida dal tunnel dal quale eravamo
arrivati. Piegai la testa, e vidi Ade in piedi di fronte a noi: le sue vesti di
seta nere emanavano un potere che non avrei mai potuto immaginarmi, e sul suo
volto pallido e sicuro, ora si poteva leggere un ghigno soddisfatto. – Ho ripreso
i miei poteri nel momento in cui hanno oltrepassato le porte dell’Ade. -
Di
fianco a lui c’era Persefone: era quasi irriconoscibile ora, i capelli neri,
lucidi, raccolti in un’elegante treccia sulla sua spalla sinistra, gli occhi
grandi, castani e accesi, e un vestito colorato che le lasciava scoperte le
spalle, mostrando una carnagione olivastra. Dietro di lei e attorno all’orlo
del suo vestito che toccava terra, spuntavano mille fiori colorati.
- Che è successo? - domandò Chiara. - Come abbiamo fatto ad uscirne vive? -
Ade
alzò le spalle. - Potrei darvi mille ipotesi, ma ad essere
sincero non ne ho la minima idea: non è mai successo che
qualcuno si buttasse nel Tartaro e ne uscisse vivo. -
- Marito mio, credo sia l’ora di andare per questi ragazzi… - lo interruppe dolcemente
Persefone, sfiorando con una mano il braccio del marito. Questo guardò la
moglie e sul suo volto apparve un sorriso. Era stranissimo vedere Ade
sorridere: nonostante nei suoi occhi si vedessero ancora morte e dolore, le sue
labbra si alzarono verso l’alto, mostrando delle fossette identiche a quelle di
Nico. Trattenni un sorriso di fronte a quella scena: Ade poteva essere un dio
crudele, ma si vedeva che amava la sua sposa ed era contento che lei ora stesse
bene.
-
E credo che sia l’ora di andare pure per me… - aggiunse Persefone. Il sorriso
di Ade s’inclinò, e il dio dei morti sospirò.
-
La primavera è iniziata già da parecchio in superficie, mia madre starà dando
di matto non vedendomi arrivare, avrà già fatto appassire tutti i campi del Paese… -
Ade
annuì e disse mestamente: - Ci pensi tu ad accompagnare i ragazzi nella terra
dei vivi? –
Persefone
annuì con un sorriso dicendo: - Le due cacciatrici che ho
trovato prive di sensi di là le ho già riportate da
Artemide… -
Dopo
di che si avvicinò a me, Nico, Chiara, Paul e Talia, che ancora era a terra
priva di sensi, s’inginocchiò in mezzo a noi, poi si rivolse al marito e disse accigliata:
- Caro… non dimentichi qualcosa? –
Ade
corrugò la fronte, preso alla sprovvista.
-
Non credo… vuoi il bacio d’arrivederci al prossimo autunno? – domandò. Vidi
Nico ridacchiare.
-
No, tesoro… - ribatté Persefone pazientemente. – Dovresti ringraziare questi
ragazzi per quello che hanno fatto… e anche se non mi piace avere a che fare
con dei figli tuoi… - lanciò un’occhiata ostile a Nico. - …credo che tu debba
ringraziare in particolare lui. E’ la seconda volta che ti aiuta, dovresti
veramente dargli più credito: anche se non è figlio mio, è proprio un bravo
ragazzo. –
Nico
arrossì e abbassò la testa. Ade si guardò i piedi, scuro in volto.
-
Non sono tanto un tipo da cerimonie… - borbottò il dio contrariato. – Beh…
grazie a tutti. Ringraziate le cacciatrici da parte mia. Grazie a te, figlio di
Apollo… e gra-grazie anche a voi figlie di Zeus. – si vedeva che gli costava
molto ringraziare le figlie del fratello che odiava più di tutti. – Non vi farò
fuori per essere entrati nel mio territorio perché mi siete stati molto utili…
- aggiunse in un debole tentativo di elevare la propria autorità; dopo di che
guardò Nico negli occhi e, lasciando da parte l’orgoglio e la testardaggine,
disse sinceramente: - E grazie, figlio mio. Non ho mai abbastanza fiducia in
te, eppure anche questa volta mi hai fatto ricredere. -
Nico
sembrava imbarazzato come non mai, ma gli si leggeva in volto che i complimenti
del padre gli facevano piacere.
-
Ed ora è tempo di tornare a vedere la luce del sole! – disse allegramente
Persefone; questa alzò lo sguardo, guardò il marito e sorridendogli dolcemente
disse: - Ci vediamo in autunno, mio sposo… - dopo di che fummo tutti
risucchiati in un vortice pieno di colori e forme che non si riuscivano a
distinguere: sembrava di essere entrati in una dimensione psichedelica, tanto
che dovetti chiudere gli occhi per non vomitare.
Finalmente
sentii il vento sulla mia pelle e il caos della città attorno e capii che
eravamo arrivati in superficie.
-
Talia! – esclamò un mucchio di voci femminili. Aprii gli occhi e vidi che ci
trovavamo il gruppo di cacciatrici correrci incontro, campeggiate da Artemide,
che aveva il volto preoccupato. Eravamo su una spiaggia piccola e deserta,
doveva essere tardo pomeriggio, e non sembravano esserci altre persone in zona.
-
Dove sono Luna e Martha? – domandai ansiosa alla dea.
-
Alcune mie cacciatrice si stanno prendendo cura di loro in questo momento… -
rispose Artemide, inginocchiandosi e appoggiando il dorso della mano sulla
fronte di Talia. Questa alzò il petto, come se fosse un riflesso involontario,
dopo di che riaprì gli occhi.
-
Mia signora… - balbettò lei.
-
Sei stata molto coraggiosa, mia luogotenente. – le disse dolcemente Artemide. –
Così come lo sono state anche Luna e Martha. Avete combattuto con tutte le
vostre forze e mi avete reso onore. Ve ne sono grata. –
Sembrava
di vedere una madre con la propria figlia, e sorrisi di fronte a quella scena.
Artemide
poi guardò me e Chiara con uno sguardo a dir poco enigmatico, e ci domandò
soltanto: - Riuscite ad alzarvi? –
Io
e mia sorella annuimmo e, mentre Nico aiutò me ad alzarmi, Paul aiutò Chiara.
Artemide
a questo punto alzò lo sguardo verso Persefone e disse: - Grazie, Persefone per
aver riportato da me le mie cacciatrici. E grazie per aver accompagnato qui
anche questi quattro ragazzi. –
Persefone
scosse la testa con un sorriso.
- Nessun ringraziamento: mi fa sempre piacere avere a che fare con i vivi e aiutare degli eroi che si
meritano di essere aiutati… - disse la regina dei morti.
-
Figlia mia! – strillò una voce e, prima che potessimo prevederlo, s’iniziò ad
intravedere una fortissima luce.
-
Chiudete gli occhi, mezzosangue! – ci avvertì Artemide. Tutti quanti chiudemmo
gli occhi, e quando sentimmo che la luce si era dissolta, li riaprimmo, e
ritrovammo Persefone stretta in un abbraccio da una donna che le somigliava
molto, solo più anziana: quella era sicuramente Demetra.
-
Figliola mia! Finalmente sei tornata! – gridò Demetra in lacrime, continuando
ad accarezzare la testa della figlia. – Quello sciagurato di mio fratello e
genero ti ha costretta a rimanere giù più del previsto! Questi non erano i
patti! Oh, tesoro mio, quanto mi sei mancata! Non tornerai più in quell’orrido
posto, mi appellerò a Zeus stesso se è necessario… -
Persefone
sospirò con un sorriso e, allontanando Demetra da sé, disse: - Madre, non è
colpa di mio marito se sono stata nell’Oltretomba fino ad ora… avrò modo di
raccontarti tutto con calma, credimi… ora è meglio che ce ne andiamo: non
vorrai sprecare il tempo della primavera e dell’estate a discutere con me,
spero! –
-
No, no, certo che no! – fece la donna, asciugandosi le lacrime. – Bene,
andiamo! -
Chiudemmo
di nuovo gli occhi, apparve di nuovo un lampo di luce, e quando li riaprimmo,
Demetra e Persefone se n’erano andate, e al posto loro di fronte a noi c’era
una Maserati.
Dalla
macchina uscì una figura bionda, alta, dal fisico atletico e dal sorriso
sicuro…
Oddio… pensai, e sbiancai immediatamente
vedendo che quella figura era Apollo.
-
Sorellina! – esclamò rivolto ad Artemide. – Visto? Mi hai chiamato per un
passaggio e sono subito arrivato! -
Artemide
sospirò e disse: - Grazie, Apollo… credo che per le mie ragazze e per questi
quattro eroi non sia il caso di andare fino all'Olimpo a piedi... - dal suo tono di
voce sembrava che chiedere un passaggio al fratello le fosse costato molto, e
che ne avrebbe fatto a meno volentieri.
-
P-padre…! – esclamò Paul immobilizzandosi. Apollo sembrò accorgersi di lui solo
in quel momento, o forse l’aveva fatto apposta per creare un po’ di suspense.
Fatto sta che non appena Apollo e Paul si guardarono negli occhi, Apollo
sorrise e avvicinandosi spavaldo al figlio, lo abbracciò.
-
Figlio mio! – esclamò il dio, e Paul sembrò diventare di tutti i colori. – So
che non è stato facile aspettare così tanto tempo per avere l’opportunità di
mostrare la tua audacia, ma credimi, io sono fiero di te. –
-
Hem… Apollo? – lo richiamò Artemide.
-
Sì, sorellina? – rispose Apollo, con un enorme sorriso, guardando Artemide.
-
Il sole qui dovrebbe tramontare, dovresti darti una mossa… e smetterla al più
presto di chiamarmi sorellina! – rispose la dea minacciosa.
Apollo
ridacchiò e dirigendosi verso l’auto commentò: - Certo… sorellina! –
Il
dio tolse dalle tasche le chiavi, premette un pulsante e la macchina
s’illuminò, trasformandosi in un minibus.
-
Vi avviso però che anche se sarà più breve che utilizzare altri mezzi di
trasporto, dovremo fare il giro lungo. – ci avvisò Apollo. – Qui si viaggia
solo da est verso ovest. -
Le
cacciatrici si sedettero tutte indietro, il più lontano possibile da Apollo, ma
questo sembrò non prendersela troppo. Tra queste notai Martha e
Luna, la prima con ferite profonde sul volto, la seconda con le stampelle ed
entrambe con l’aria affaticata. Quando incrociarono il nostro sguardo, ci
sorrisero e ci salutarono con la mano.
Talia
e Artemide si sedettero in prima fila, di fronte alla porta d’uscita. Dietro di
loro si sedettero Chiara e Paul, mentre io e Nico dovemmo sederci dietro al
conducente. Per tutto il tempo avevo cercato di evitare di incrociare lo
sguardo di Apollo, ma ora che poteva tenermi d’occhio dallo specchietto retrovisore,
sentivo il suo sguardo pesante su di me.
-
Robby, stai bene? – mi chiese Nico, stringendomi la mano mentre l’autobus si
alzava in volo. – Sei sbiancata all’improvviso… -
-
Un po’ come Talia… - commentò Paul. Mi voltai a guardare Talia, e vidi che
anche lei era pallida come un cecio, ma oltre a quello sembrava stare male
anche fisicamente: si teneva la testa con le mani e guardava le sue gambe con
la faccia di una persona che stava per vomitare.
-
Guarda che questa volta non ti faccio mica guidare… - disse Apollo rivolgendosi
a Talia e alzandosi ancora di più.
-
Che ha, sta ancora male? – chiese Chiara.
-
Certo, ha paura delle altezze! – rispose subito Apollo.
-
Una figlia di Zeus che ha paura delle altezze?! – fece Paul, e scoppiò a
ridere. Talia, sebbene stesse male, lanciò a Paul un’occhiata malefica.
-
Non avevi paura pure te delle altezze, Paul? - gli domandò Nico,
ricordandosi di quando avevamo volato a causa mia per la prima volta.
-
Volare senza una protezione è un altro conto -
specificò Paul. - Ma non ho paura dei grattacieli o degli
aerei... -
Artemide
sbatté furiosa una mano sul sedile dell’autobus e guardò furente suo fratello.
- Non hai il diritto di rivelare al mondo le debolezze delle mie
cacciatrici! – sbottò la dea.
Apollo
alzò le spalle e disse: - Scusami, dai! Per tutto questo tempo in cui l’Ade è
stato inaccessibile, non sono riuscito a fare bene le mie profezie, non sai che disperazione… ora che non
ho più la vista annebbiata lasciami parlare a ruota libera, per favore! –
-
Sì, peccato che invece il cervello invece continui ad essere annebbiato… - borbottò
Artemide tra i denti. Chiara e Nico ridacchiarono, io invece continuai a
guardare le mie ginocchia, preoccupata. Ad un certo punto però commisi l’errore
di alzare lo sguardo, e incrociai nello specchietto lo sguardo di Apollo, che
mi fece subito l’occhiolino.
-
Credevi che mi fossi dimenticato di te, Robby? Che dici, dall’ultima volta hai
fatto un pensierino riguardo alla mia proposta? – mi domandò. Io tornai a guardare per
terra, con il sangue che mi pulsava nelle orecchie, e lasciai andare la mano di
Nico, senza avere il coraggio di guardare in faccia nemmeno lui.
-
Ultima volta?! – ripeté Paul. – Voi due vi siete già incontrati?! –
Avrei
voluto seppellirmi dalla vergogna. Mi coprì il volto con le mani pur di non
vedere gli occhi di tutti su di me.
-
Certo che ci siamo incontrati! – rispose Apollo allegro. – Anche se questa è la
prima volta che ci incontriamo di persona… -
-
Di cosa sta parlando? – chiese Nico rivolgendosi ad Apollo.
No! Pensai disperata. Ti
prego, no, Nico non ne deve sapere nulla, ti prego, ti prego!
-
Io… - iniziò Apollo, ma io presi il respiro e prima che dicesse altro lo
interruppi e, guardandolo dallo specchietto gli dissi: - Che ne dice se ne
parliamo dopo, divino Apollo? -
-
Certo! – fece il dio allegramente. – Solo se inizi ad essere meno formale con
me. –
Se
fosse stato un ragazzo normale l’avrei fulminato con lo sguardo, ma in quel
caso proprio non ci riuscivo.
-
Come vuoi… Apollo… - borbottai tra i denti.
Apollo
sorrise soddisfatto guardando il cielo, ed iniziò a canticchiare.
Con
la coda nell’occhio, vidi Nico lanciare ad Apollo uno sguardo truce. No, non
poteva aver capito quello che era successo…
-
Vi conviene riposarvi, ragazzi… - disse Artemide. – Il viaggio è lungo, e avete
faticato tanto oggi… -
Quasi
come se le sue parole fossero sonnifero, i miei occhi iniziarono a chiudersi, e
mi addormentai con uno sbadiglio, senza ulteriori pensieri.
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Beh, non c'è da sorprendersi che io non sia morta nella storia:
figurati se faccio morire la protagonista, specialemente considerando che la protagonista sono io! xD
La risposta al perchè io e Chiara siamo sopravvissute la
riceverete quando arriveremo all'Olimpo: dovrete pazientare ancora per
poco.
Detto questo, forse una cosa vi risulterà chiara: Micah e Alexa
se la sono data a gambe, quindi... ebbene sì, questa storia
avrà un seguito! Non possiamo di certo lasciare quei due a ruota
libera... E preparatevi perchè ci sarà l'entrata in scena
di una nuova piccola ma potente mezzosangue... credo che mi
divertirò a scrivere il seguito esattamente come mi sono
divertita a scrivere questo racconto! Ma è ancora presto per
parlarne visto che mancano ancora due capitoli alla conclusione di
questa storia (un capitolo finale più uno a "sorpresa" se
così vogliamo chiamarlo). Ormai ci siamo, è quasi finito!
Ne ho parlato con i miei amici e non vedono realmente l'ora di leggere
questa storia! Mi vergognerò a morte, ma come ho già
detto ad alcuni, credo che sarà il mio regalo di Natale per
loro. Quindi per fine novembre al massimo questa storia sarà
conclusa, e impiegherò i primi giorni di dicembre per dare le
dovute correzioni (anche per una più facile comprensione visto
che i miei amici non hanno letto Percy Jackson).
Alla prossima,
Calipso
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Capitolo 13 *** E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio ***
E' tempo delle decisioni difficili, ma non è un addio
13
E’ tempo delle
decisioni difficili,
ma non è un addio.
ui
svegliata parecchie ore dopo da delle voci. Però io non volevo aprire gli
occhi: mi sentivo ancora così stanca…
-
Robby… - fece una voce maschile. Aprii gli occhi e mi accorsi di essermi
addormentata sulla spalla di Nico. Mi spostai di scatto, con il cuore in gola
ed esclamai: - Scusa, non volevo…! -
-
Perché ti devi scusare? – chiese lui ridendo, per niente infastidito. Presi un
respiro e, vedendo che tutti stavano scendendo dall’autobus, mi alzai e scesi
anch’io.
Ci
trovavamo a New York, esattamente sotto l’Empire State Building.
-
Metto il pilota automatico… - disse Apollo e, dopo aver premuto un pulsante
sulle chiavi, l’auto si alzò in volo da sola. – Almeno posso stare al consiglio
senza problemi… -
-
Di che consiglio sta parlando? – domandai a bassa voce a Paul, che era quello
più vicino a me.
-
Del consiglio degli dei… - bisbigliò lui in riposta. – Durante il viaggio è
stato contattato dall’Olimpo: anche se Artemide e Apollo già se l’aspettavano,
gli altri dei vogliono un consiglio straordinario per parlare di tutto quello
che è successo, e vogliono anche la nostra presenza. –
Deglutii
nervosa: avremmo incontrato tutti gli dei al completo, e stavamo andando
sull’Olimpo, anche se l’Empire State Building era l’ultimo edificio che mi
sarei aspettata come Olimpo. Salimmo nell’ascensore e, stranamente, ci
stavamo tutti, anche se eravamo in un bel po’ di gente. Quando arrivammo in
cima le porte si aprirono rimasi a bocca aperta: ci trovavamo davanti ad una
città dell’Antica Grecia sospesa tra le nuvole sopra Manhattan. Portici e
colonnati bianchi, ulivi rigogliosi e fuochi accesi abbellivano e illuminavano
la strada verso il palazzo più alto e più candido di tutta la città. Mentre
ci incamminavamo verso quell’edificio, campeggiati da Apollo e Artemide, potei
dare un’occhiata alla vita del posto, e mi resi subito conto che non solo gli
dei abitavano lassù.
La
prima cosa che vidi fu un mucchio di Ninfe del bosco, che uscirono allo
scoperto, sospirando alla vista di Apollo; quando queste videro Paul e
Nico, iniziarono a darsi a vicenda una gomitata e a scoppiare a
ridere. Paul,
inizialmente confuso, prese bene questo apprezzamento, tanto che
lanciava
occhiate ammiccanti a tutte le Ninfe, che si mettevano ad urlare come
delle
ragazzine al concerto del proprio cantante preferito. Le Ninfe avevano
anche
visto Nico, ed era certo che lo trovassero affascinante, glie lo
leggevo
chiaramente in faccia, ma lui andava avanti come se niente fosse: forse
non si
era accorto della reazione delle Ninfe, o forse non glie ne importava
niente.
Beh, meglio per me.
Vidi
per i giardini dei satiri, degli ambulanti del mercato e delle Naiadi
avvicinarsi al sentiero che stavamo percorrendo e inchinarsi ad Apollo e
Artemide. Sapevo che l’inchino era per loro e non per noi, ma non potevo fare a
meno di sentirmi un po’ vittoriosa, e a stento riuscii a trattenere un sorriso,
che si spense subito al pensiero di quello che ci aspettava.
-
Che hai? – chiese Nico, prendendomi la mano. – Ti vedo agitata… -
Scossi
la testa alzando le spalle, con il risultato che sembrai ancora più agitata di
quello che ero.
-
E’ che… per la prima volta… incontrerò… Zeus… - dissi con un filo di voce.
Ancora una volta non riuscivo a chiamarlo “padre”. Come potevo? Avevo sì
combattuto contro Micah e il suo piano per risvegliare Caos, ma non potevo
negare di condividere gran parte delle cose che pensava suoi nostri genitori
divini.
-
Credimi, non sarà peggio che gettarsi nel Tartaro… - mi assicurò lui. Non ne
ero affatto convinta.
Ci
ritrovammo in un’enorme sala dal soffitto a volta ornato da costellazioni in
movimento che ricordavano un poco la mia cabina, solo che l’Olimpo era molto
più grande ed aveva ovviamente un aspetto mille volte più impressionante.
Tutto intorno c’erano dodici troni enormi disposti a U, decorati ciascuno in
maniera diversa e, quasi a completare un ovale, c’erano altri troni in fase di
costruzione. Ogni trono era occupato dagli dei, giganti tanto quanto i loro
troni. Solo guardando il braciere scoppiettante al centro della sala riuscii a
trovare il coraggio di alzare lo sguardo e guardare gli dei negli occhi.
-
Eccoci arrivati! – esclamò allegramente Apollo, mutandosi nelle dimensioni
degli altri dei e sedendosi tranquillamente al suo trono.
Io
e Chiara non riuscivamo a staccare gli occhi di dosso alla figura che stava
davanti a noi: Zeus se ne stava seduto sul suo trono di platino, vestito di
tutto punto con un completo gessato di un grigio che ricordava le nuvole piene
di pioggia. Mi ero immaginata spesso l’aspetto di mio padre prima e dopo aver
scoperto che fosse Zeus, ma nessuna delle mie fantasie si era minimamente
avvicinata a com’era Zeus nella realtà. Capelli e barba erano corti, ben
tenuti, di un nero appena brizzolato, mentre i suoi occhi erano grigi, e sul
suo volto si leggeva un’immensa serietà. Mi sentii il cuore in gola.
-
Padre… - disse Talia, facendosi avanti per prima e inchinandosi di fronte a
Zeus. Chiara osservò nostra sorella e, preoccupata di aver sbagliato a non
essersi inchinata prima, si avvicinò ulteriormente a Zeus e la imitò. Io mi
accontentai di incrociare le braccia nervosa e abbassare il capo, in un inchino
poco più che accennato.
-
Vorrei ringraziare tutti voi mezzosangue per quello che avete fatto nell'Ade. –
disse Zeus, e la sua voce spense tutti i sussurri e i borbottii della stanza. -
Apollo e Artemide ci hanno già raccontato quello che è successo, ma tutti
noi vogliamo sentire la versione dei diretti interessati… -
Io,
Chiara, Paul e Nico raccontammo tutto quello che ci era successo
(tralasciando la storia del bacio) fino a quando non raccontammo di
essere state risputate fuori dal
Tartaro.
-
Com’è possibile? – domandò a questo punto una delle dee: dai suoi occhi grigi,
riflessivi e duri come quelli di Annabeth, capii immediatamente che la dea
doveva essere sua madre, Atena. – Tralasciando il fatto che mai nessuno si è
buttato nel Tartaro per poi uscirne vivo… il Tartaro richiede un sacrificio e,
scusatemi l’insolenza, anche un legame come quelle tra due gemelle figlie del
Padre degli dei mi sembra alquanto debole: ricordiamoci che le due, nonostante
il loro legame empatico, non si sono mai conosciute di persona fino a ieri. -
Atena
aveva ragione, e nessuno degli dei sapeva dare una spiegazione ragionevole.
-
Io… credo di avere un’idea. – disse Chiara all’improvviso. Tutti gli occhi si
puntarono su di lei, ma questa non abbassò lo sguardo, anzi, lo tenne alto su
tutti gli dei. – Credo che… sia solo un’ipotesi, non potrei dare delle
certezze. Non so di preciso cosa abbia provato Robby, ma il legame che ci
unisce ha iniziato ad esserci utile solo dopo aver superato il dolore mortale
del Tartaro. C’è stato qualcosa di ancora più forte che ci ha dato la forza di
continuare a vivere là dentro, ed è stato prima di tutto quello a salvarci. -
-
Di cosa si tratta? – domandò Atena attenta.
-
Io… parlo dal mio punto di vista. – continuò Chiara. - Quando mi sono buttata
nel Tartaro, credevo veramente di morire, anzi no… io avrei voluto morire
subito per dar fine alle mie sofferenze. Non avevo ricordi, non sapevo chi
fossi o cosa significasse vivere… poi ho sentito come una voce nella mia testa…
che poi è arrivata dritta al mio cuore, facendo diventare il dolore lancinante
solo una sciocchezza. – alzò lo sguardo decisa verso Artemide e disse: - Io ho
sentito la vostra voce, divina Artemide. So bene che a voi dei non era concesso
entrare nell’Ade… ma vedendo Talia combattere contro Alexa, la figlia di
Afrodite, è scattato qualcosa in me, come una fiamma, ed è stato quello che mi
ha salvata nel Tartaro, riportandomi la lucidità di sfruttare il legame che ho
con Robby. Anche se forse non è il momento adeguato, mi sento in dovere di
chiedervelo subito… vorrei unirmi alla cacciatrici e diventare una vostra
ancella, divina Artemide. -
Gli
dei iniziarono a parlottare agitati di fronte a quella svolta, ma Artemide
sorrise dolcemente verso Chiara, poi rivolse il suo sguardo verso di me
dicendo: - La prima volta che ti ho incontrata, Robby, ero certa che saresti
diventata una mia cacciatrice: me lo sentivo che c’era una parte di te che era
destinata a seguirmi; devo ammettere che sono rimasta sbalordita quando ho
notato che non eri molto convinta della mia proposta… ma ora so il perché: è
sempre stata tua sorella ad essere destinata a diventare una mia ancella.
Ovviamente, se vorrai far parte anche tu delle mie cacciatrici, non ho nulla da
obbiettare. – aggiunse poi, evitando qualsiasi scortesia.
Sorrisi
alla dea, scuotendo la testa.
-
Vi ringrazio per la proposta, ma credo che rimanere per sempre una ventenne non
sia il mio grande sogno… - le dissi gentilmente, e Artemide mi lanciò un
sorriso del tipo “dovevo aspettarmelo”.
-
Padre… - disse Chiara rivolgendosi a Zeus. – Prima di promettere fedeltà ad
Artemide, chiedo la vostra benedizione per questa mia scelta. –
Zeus
sospirò nostalgico e, rivolgendosi ad Artemide brontolò: - Prima Talia, poi
Chiara… Mi stai rubando tutte le figlie, te ne rendi conto? – la dea si limitò
a sorridere come se sapesse che alla fine Zeus non avrebbe avuto nulla in
contrario. Il dio sospirò di nuovo e disse: - Se è una scelta consapevole, Chiara, certo
che ti do la mia benedizione. –
Chiara
allora si voltò con un sorriso verso di me; di certo ero felice che non fossi
io a diventare cacciatrice, ma sapevo che questa scelta ci avrebbe separate.
-
Ne sei sicura? – le chiesi mordendomi un labbro incerta. – Voglio dire… niente
ragazzi per tutta la vita? -
Lei
mi sorrise e alzando le spalle disse: - Sento che è questa la mia strada, e so
per certo che è molto più quello che il mio cuore guadagna di quello che perdo.
– poi continuando a leggere la preoccupazione nei miei occhi aggiunse: -
Ascolta, so che questo non ci permetterà di stare vicine, ed è un peccato
visto che ci siamo incontrate solo dopo vent’anni… ma so per certo che lo sai
anche tu: ovunque andò, riuscirò ad essere sempre con te; essere lontane
fisicamente non significa esserlo anche con il cuore, e sappi che il mio
giuramento ad Artemide non m’impedirà di essere una buona amica, oltre che tua sorella. –
Di
fronte a quelle parole mi sentii sciogliere: le lacrime fecero capolino e,
senza pensarci un secondo di più, mi ritrovai ad abbracciarla forte. Era
incredibile, anche se ci eravamo ritrovate da così poco, rendersi conto di
quanto ognuna fosse importante per l’altra, ed era altrettanto incredibile come
i nostri cuori fossero pronti ad accettare quella separazione.
Quando
sciolsi l’abbraccio, ci guardammo in faccia, e scoppiammo a ridere vedendo che
tutte e due stavamo piangendo. Ci asciugammo velocemente le lacrime,
dopo di che Chiara si voltò decisa verso Artemide.
-
Ripeti dopo di me… - le disse Artemide.
-
Non c’è bisogno. – disse Chiara. – Dentro di me so già cosa devo fare… - si
inginocchiò di fronte alla dea e recitò guardandola negli occhi: - Consacro me
stessa alla dea Artemide. Volgo le spalle alla compagnia degli uomini, accetto
la fanciullezza eterna e mi unisco alle Cacciatrici. –
Artemide
sorrise e disse: - Accetto questo voto. –
Il
braciere al centro della stanza tremò, e Chiara si alzò con un sorriso:
sembrava la stessa di sempre, ma si vedeva che sul suo volto c’era una serenità
incredibile e che quella era stata certamente la scelta giusta per lei.
-
Rimane un altro problema… - prese parola nuovamente Atena. – Quei due ragazzi
figli di Ermes e di Afrodite… converrete con me che sono pericolosi e vanno
fermati: non possiamo lasciarli a piede libero… Se erano pronti a morire per
risvegliare Caos, saranno pronti a ben altro pur di raggiungere i loro scopi. -
Tutti
gli dei iniziarono a parlottare tra di loro, solamente due guardavano taciturni
per terra, lo sguardo perso nel vuoto: erano Ermes e Afrodite che,
probabilmente, stavano pensando ai loro figli.
-
Certo che non possiamo lasciar cadere questa questione nel nulla – intervenne
Zeus richiamando il silenzio. – Dirò a Chirone di dare ai mezzosangue del Campo il compito di
ritrovare quei due e di portarli qui da noi sull’Olimpo. Per ora non credo che potremmo
fare altro… -
L’assemblea
si sciolse, e Apollo, dopo essere tornato di dimensioni umane, mi si avvicinò
con un sorriso.
-
Che ne dici di fare un giretto qua intorno da soli, così possiamo parlare un
po’, eh? – mi chiese con aria complice. Tutti erano impegnati a parlare con
qualcuno, quindi fu facile andare in un angolo della sala a parlare con Apollo.
-
Ascolta, non credo che… - iniziai, ma lui subito m’interruppe: - Hey, sono il
dio della profezia! Credi che non sappia che tu hai intenzione di scaricarmi? –
Rimasi
a bocca aperta, sentendomi le guance leggermente accaldate.
-
E a-allora perché non hai evitato di apparirmi in sogno?! – feci agitata. – Mi
avresti risparmiato un sacco di problemi… -
Lui
sorrise smagliante e facendomi l’occhiolino disse: - Per lo meno sono contento
di averti fatto venire dei dubbi… vuol dire che in fin dei conti non sei del
tutto indifferente al mio fascino… - quando vide che ero arrossita talmente
tanto da non riuscire a rispondere, lui aggiunse: - Credo di aver agito in modo
egoistico, e ora che ci penso lo faccio praticamente con tutte le ragazza… però
che ti devo dire? Mi piaci, e quando tu ancora non avevi fatto una
scelta, ho pensato di avere una possibilità… -
Spostò
lo sguardo alle nuvole che si muovevano nel cielo calmo e azzurro.
-
Essere il dio delle profezie non vuol dire necessariamente sapere tutto. –
disse continuando ad osservare il cielo. - Il futuro è condizionato
dalle scelte che ognuno percorre, e quando si tratta di ascoltare i propri
sentimenti e il proprio cuore, il futuro è ancora più difficile da decifrare. –
Spostò lo sguardo su di me e sorrise.
Sapevo
dal principio che non avrei mai accettato la proposta di Apollo, sapevo per
certo che diventare sua moglie non era quello che volevo, ma quel bacio mi
aveva lasciata talmente interdetta da riempirmi di dubbi. Apollo nella mia
testa era sempre stato il mio dio preferito: era sempre descritto in maniera
affascinante, e di certo nella realtà non aveva distrutto le mie fantasie… era
come quando, da adolescenti, si sogna di incontrare il proprio attore
preferito, ma è ben diverso incontrarlo realmente. Inoltre
una vita sull’Olimpo non era quello che desideravo. Non desideravo un “e
vissero per sempre felici e contenti”, desideravo semplicemente vivere la vita
come mi era stata data. Quello lo sapevo dall’inizio, ma credo di averlo capito
veramente quando mi sono accorta di provare qualcosa di serio per Nico: il
bacio che avevo dato a lui mi aveva fatto emozionare ancora di più del
sapore di miele e d’ambrosia delle labbra di Apollo.
-
So cosa ti ha schiarito le idee… - commentò Apollo facendomi l’occhiolino e
indicando Nico con la testa. Mi sentii le guance di fuoco, e sperai che Nico
fosse troppo impegnato a parlare con Talia per notare quello di cui io e Apollo
stavamo discutendo. – Sai che ti dico? Anche se tu una scelta l’hai fatta, non
credo che mi arrenderò tanto presto, con te… te l’ho detto che voglio diventare
un dio serio, no? -
Evitai
di dirgli in faccia che la parola dio e l’aggettivo serio non andavano proprio
a braccetto, quando si trattava di relazioni d’amore. Potevo credere realmente
che un dio fosse in grado di cambiare dopo tutti questi secoli? Non che la cosa
mi interessasse troppo, visto che ormai avevo chiari i miei sentimenti…
-
Beh, credo che papà voglia parlarti, quindi per ora ti lascio a lui… - disse
appoggiando una mano sulla mia spalla con fare amichevole. Iniziò ad
allontanarsi, ma prima che potesse essere troppo lontano si voltò nuovamente
verso di me e, quasi si fosse scordato di dirmelo prima, mi disse: - E non
preoccuparti per il futuro: qualsiasi scelta farai una volta scesa dall’Olimpo,
sappi che tutti l’accetteranno… - dopo di che mi salutò ancora con un grande sorriso
e si allontanò del tutto.
Sapevo
a cosa si riferiva, ma non avevo ancora fatto una scelta… oltretutto, in quel
momento avevo un problema ancora più importante: Zeus si stava avvicinando a me
dopo aver finito di parlare con Chiara. Il dio era di dimensioni umane, e nel
suo sguardo non c’era un sorriso paterno, il che da un certo punto era
veramente una cosa positiva, perché se solo l’avessi visto avvicinarsi verso di
me con un sorriso, avrei iniziato ad urlare il mio disprezzo nei suoi
confronti.
-
Roberta… - disse una volta che fummo l’uno di fronte all’altra.
Abbassai
la testa in un inchino appena accennato, esattamente come avevo fatto quando
eravamo entrati tutti nell’enorme sala.
-
Divino Zeus… - dissi freddamente. Lo sentii sospirare.
-
Tua sorella ha avuto una reazione del tutto diversa dalla tua… - disse con voce
calma. Mi parlò in italiano, ma le mie emozioni non mi diedero modo di
sorprendermi troppo. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi: sapevo che
se l’avessi fatto avrei riversato su di lui tutta la mia rabbia.
-
Beh, a quanto pare è una fortuna che almeno una delle vostre figlie non si
senta usata per il vostro egoismo… - sbottai in italiano, ostinandomi a
guardare per terra.
-
Egoismo? Roberta, io ti ho riconosciuta anni fa… - mi ricordò.
-
Sì, ma a quanto pare vostra altezza non si è dato la briga di spiegare che
diamine era quel segno! – esclamai arrabbiata. – No, ho dovuto sentirmi dare
della matta da tutti, mai una volta che abbia sentito la vostra presenza… solo
quando servivo avete deciso di ricongiungermi a Chiara e di farmi quindi
scoprire veramente le mie origini. –
Zeus
sospirò.
-
Non pretendo che tu capisca… - disse il dio. – Tenere lontani i miei figli
dalla loro stessa realtà sarebbe la soluzione migliore… se tu fossi venuta in America
molto prima, la tua vita sarebbe stata ancora più difficile, credimi… -
incrociò le braccia e guardò il cielo nostalgico. – Noi dei siamo costretti ad
abbandonare i nostri figli: se passiamo troppo tempo con gli umani finiremmo
per cessare d’esistere… tu cosa faresti al posto mio? –
-
Magari eviterei di mettere piede sulla terra per sfornare figli! – esclamai e
per la prima volta da quando parlavamo insieme, lo guardai negli occhi:
guardandoli da vicino notai che non erano solo grigi, ma raggiungevano delle
sfumature di un azzurro scuro, esattamente come i miei.
-
Credevo che quest’impresa ti avesse insegnato cosa vuol dire amare una persona…
- mi disse Zeus.
-
Peccato che io sia contro le relazioni extra coniugali... - ribattei senza pietà. Lessi in Zeus
uno sguardo accusatorio nei miei confronti, e sentii i sensi di colpa divorarmi
lo stomaco: forse stavo esagerando, potevo veramente capire come si sentivano
gli dei?
-
Se non fossi mia figlia, credo che piaceresti molto ad Era… - commentò lui,
senza fare commenti negativi sulla mia impertinenza. – Forse anche perché
somigli a me molto più di quanto non credi. Sei testarda, ostinata, caparbia e
cerchi sempre di affrontare i problemi con le tue sole forze, anche quando non
ti sembra di esserne in grado. Chiara invece sembra molto di più a vostra madre
– improvvisamente ogni rancore nei suoi confronti si fece da parte: da quando
avevo saputo chi fosse mio padre, mai avrei pensato di ritrovarmi a parlare con
lui di mia madre. – Era una donna dolce, semplice e gentile con il prossimo.
Quando prendeva una decisione, però, nessuno poteva fermarla, era irremovibile…
-
Aprii
la bocca, ma non riuscivo a pronunciare nemmeno una parola.
-
Lei… c-che… fine a fatto? – domandai in un sussurro, con il cuore in gola. Il
volto di Zeus si rabbuiò.
-
E’ morta dandovi alla luce. – rispose. – Io… non ho idea di cosa si provi a
morire, ma devi credermi quando dico che una parte di me è morta con lei,
quella notte. – sembrava sincero mentre mi raccontava tutto questo.
-
Quindi sei stato tu ad abbandonare me e Chiara in due differenti orfanotrofi? –
gli chiesi. I suoi occhi incontrarono i miei, addolorati dalle mie parole e dai
ricordi di mia madre.
-
Credi veramente che vi abbia abbandonate? – chiese lui. – Pensa in che famiglia
sei finita, pensa in che paese vivi la tua vita… -
-
Beh, abito in un piccolo paese del nord Italia… - riflettei.
-
Che al tempo dei romani… - continuò lui, facendomi cenno con la mano di andare
avanti a ragionare.
-
…ospitava uno dei più importanti templi di Giove del territorio. – continuai io
con un filo di voce. Zeus annuì.
-
Per noi dei stare vicino ai nostri figli è complicato, ma non impossibile come
pensano persone come quel Micah… - disse Zeus. – Non possiamo starvi vicini
fisicamente, ma siamo sempre con voi in ogni momento di difficoltà. Sai, ora la
società ruota intorno agli Stati Uniti, perciò anche l’Olimpo si è stabilito
qua; è quindi ancora più difficile stare vicino ai nostri figli che vivono lontano da qui e
il legame che ha il luogo in cui vivi con la mia figura mi ha sempre dato modo
di starti vicino nonostante tutto e, credimi, so che hai affrontato
molti problemi… Ma so anche che hai una fantastica famiglia che ti vuole bene, ed è
questo ciò che conta. – si schiarì la voce, per riprendersi da tutta quella
valanga di emozioni che probabilmente non si addicevano al padre degli dei. – Con
questo voglio dirti che non ho pretese su di te… sarei uno stupido a importi di
chiamarmi “padre” se non te la senti, ma vorrei che ti soffermassi a riflettere
sui pregiudizi che so che nutri verso tutti noi dei: credi veramente che siano
giusti? O ti limiti a giudicare solamente i nostri errori? –
Non
mi aspettavo un discorso così incredibilmente serio con Zeus. Non sapevo cosa
dire. In effetti mi ero sempre limitata a guardare l’intera situazione esclusivamente
dal mio punto di vista. Non mi ero mai abbassata al punto di tentare di
comprendere le responsabilità di un dio, giudicavo con freddezza la loro
lontananza… ma dopo aver sentito Zeus parlare in quel modo della donna che mi
aveva messa al mondo, non potevo non pensare che anche gli dei avessero dei
veri sentimenti e che quindi, di tanto in tanto, anche loro erano in qualche
modo umani, al punto da commettere degli sbagli.
-
Forse è vero… - dissi all’improvviso. - Fa
più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. -
Zeus
sorrise soddisfatto.
-
Sono felice che tu sia arrivata ad una simile conclusione… - disse solo.
Chiara
ed io ci salutammo sul monte Olimpo: lei avrebbe seguito Artemide, ma mi
promise che prima o poi ci saremmo riviste. Io, Paul e Nico ci incamminammo
verso al Campo e mi resi conto di essere cambiata da quando ero partita per
l’impresa: mi sentivo in pace con me stessa come non lo ero da secoli.
-
Ah, ora che abbiamo risolto tutto, posso chiederti una cosa? – domandò Paul ad
un certo punto, rivolgendosi a me.
-
Cosa? Ah, certo, chiedi pure… - risposi io scendendo dalle nuvole, ancora
immersa con la mente nel discorso con Zeus.
-
Si può sapere quand’è che tu e mio padre vi sareste incontrati prima che ci
accompagnasse sull’Olimpo? –
Inciampai
in un sasso per strada, ma riuscii a restare in equilibrio; ok, quella domanda
non me l’aspettavo, e non sapevo nemmeno come rispondergli dal tanto che
m’imbarazzavo.
-
Lui ha… hem… lui… - borbottai continuando a camminare come se nulla fosse, lo
sguardo fisso per terra: non potevo continuare a tacere l’accaduto, anche
perchè come attrice ero veramente pessima. – Qu-quando eravamo in campeggio mi è
apparso in sogno… Lui, hem… m-mi aveva chiesto di diventare sua moglie
sull’Olimpo… - balbettai.
-
Cosa?! – esclamarono in coro Paul e Nico. Mi sentii in imbarazzo come non mai.
-
Dovrei iniziare a chiamarti matrigna? – disse Paul mettendomi una mano sulla
spalla, ancora sconvolto.
- Ma per favore! – mi affrettai a rispondergli. – Figurati se mi metto con il
padre di un mio amico! – esclamai sforzandomi di ridere.
-
Beh, meno male! Anche perché sarebbe proprio una cosa imbarazzante sapere che i
miei due compagni d’impresa che finalmente si sono resi conto di quello che
provano l’uno per l’altro sono stati separati da mio padre… - commentò Paul. Io
e Nico ci guardammo e, dopo un attimo di esitazione, ci ritrovammo tutti a ridere: in effetti era una situazione assurda...
Quando
mettemmo piede al Campo, tutti ci acclamarono come degli eroi: qualcuno
sull’Olimpo doveva aver avvisato di quello che era successo, ma tutti volevano
avere dei dettagli dai diretti interessati. Io riuscii ad allontanarmi dalla
massa e guardandomi intorno sospirai: avevo preso una decisione e non era momento di rifletterci sopra.
-
Robby! – esclamarono delle voci mentre uscivo dalla Casa Grande: mi voltai e
vidi che erano Nico, Paul, Percy, Annabeth, Vera, Simon, Delilah ed Helénia.
-
Hey, che c’è? – domandai loro vedendoli agitati.
-
Che c’è?! Sei sparita senza dire una parola…! – esclamò Delilah.
- Scusate, dovevo parlare con Chirone… - dissi io.
- Cosa dovevi dirgli? – chiese Paul.
-
Beh, ora che la mia impresa si è conclusa, credo che sia arrivato il momento
per me di tornare in Italia… - rivelai loro.
-
Come?! – fecero tutti in coro.
Abbassai
lo sguardo titubante: speravo che Apollo avesse ragione e che tutti alla fine
riuscissero a capire le ragioni della mia scelta.
-
Sapete, nell’Ade, quando avevo capito di dover buttarmi nel Tartaro, ho pensato
a tutti quelli che non avevo salutato… - spiegai loro. – Ovviamente voi del
Campo siete importanti… ma lo è anche la mia vita in Italia. Gli amici che ho
là, la mia famiglia adottiva… non posso lasciarli, e l’idea di dovermene andare
senza averli salutati e ringraziati per tutto quello che hanno fatto per me era
quasi peggiore della morte. Poi c’è anche la mia sorellina… anche se io e lei
non abbiamo legami di sangue, le voglio stare vicino, voglio vederla crescere ancora...
-
-
Capisco perfettamente le tue ragioni… - prese la parola Percy. – Ma sei sicura
di non voler rimanere qua ancora per un po’ di tempo? Sei rimasta qua appena un
giorno, gli allenamenti del Campo sono fondamentali per riuscire a sopravvivere
fuori da qui… -
Nonostante
non avessi passato chissà quanto tempo con Percy, mi faceva piacere che si
preoccupasse per me.
-
Hey, stai parlando con colei che ha scongiurato il risveglio di Caos! –
esclamai io, fingendomi offesa di fronte alla sua mancanza di fiducia. – So che
ne ho di strada da fare, ma credo che quest’impresa mi sia stata d’aiuto a capire
come affrontare dei mostri, se mai mi capitasse di incontrarne altri. Chirone
ha detto che mi lascia Exusía, questo mi basta… -
Le
loro facce erano scure e gli occhi di tutti erano pieni di lacrime.
-
Eh, no, vi prego, non iniziate a piangere, altrimenti scoppio anch’io…! – dissi
scherzosamente con una risata e un groppo in gola: nonostante avessi ormai
deciso di ritornare in Italia, tenevo a tutti loro e mi dispiaceva lasciarli
proprio ora che avevamo tempo per conoscerci meglio.
-
Non ti preoccupare, non mi metterò a piangere… - disse Paul facendo un passo
avanti.
-
Beh, non è che mi dispiaccia, ma non potresti per lo meno dimostrarti un po’
dispiaciuto per la mia partenza? – feci ironica, incrociando le braccia e
guardandolo fingendomi severa.
-
Il fatto è che parto anch’io. – disse Paul con un sorriso. Mi guardò negli
occhi e mi chiese: – Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? – Annuii,
ricordandomi benissimo cosa mi aveva detto: voleva trovare qualcosa per cui
destinare la sua vita. – Ecco, sapere di te, di Chiara e della vostra
situazione mi ha fatto rendere conto che anche se i satiri si danno tanto da
fare per cercare mezzosangue, non sempre sono in grado di rintracciare tutti i
mezzosangue e di portarli qui al Campo. Voglio andare fuori dal continente,
dove è più complicato rintracciare i mezzosangue, e voglio allenarli io stesso
dove loro vivono, così che possano essere in grado di sopravvivere ai mostri
senza per forza dover venire al Campo. –
-
Wow, è un bel proposito! – esclamò Annabeth ammirata.
-
Quindi sarai come una specie di insegnante per mezzosangue in giro per il
mondo! – fece Vera.
Lui
alzò le spalle con un sorriso. – Beh, così si
direbbe. Finché non mi crescono
gli zoccoli e non divento un centauro come Chirone credo che sia questa
la mia aspirazione. Poi mi piace viaggiare… credo che
realizzerò immediatamente il mio
sogno di visitare la Francia
cercando dei mezzosangue là. –
-
Allora mi raccomando, se ti trovi nel sud della Francia, ricordati di fare una
capatina in Italia a trovarmi… - gli dissi con una pacca sulla schiena.
-
Certo! – mi promise lui. – E mi offrirai anche una bella pizza italiana! –
Stavo
per tornare con Paul da Chirone per fare dei biglietti aerei, quando Nico mi
prese per il braccio e tirandomi da parte mi disse: - Io… ti dispiace se ti
accompagno io a casa tua? Con il viaggio nell’ombra… -
Non
mi aveva fermata per chiedermi di non partire, mi aveva fermata per chiedermi
se gli era possibile portarmi a casa: aveva accettato senza discussioni la mia
decisone, e glie ne fui veramente grata. Sorrisi, annuii e dissi: - Se devo
essere sincera, ci speravo che lo proponessi… -
Quella
sera avevano tutti organizzato un grande falò per la partenza mia e di Paul:
dopo aver mangiato una quantità industriale di cibo, eravamo pronti per
andarcene, quando Helénia mi chiamò da parte.
-
Ricordati del diario che ti ho dato… - mi ricordò lei con le lacrime agli
occhi. – Non dimenticarti del Campo, ok? Pretendo che tu mi scriva ogni giorno
quello che ti succede, anche se sarai in Italia. - e mi abbracciò forte.
-
D’accordo! – feci ridacchiando.
Dopo
di che mi voltai verso tutti gli altri e andai ad abbracciare in una volta sola
Vera, Delilah e Simon.
- L’anno prossimo tornerò al Campo, d’accordo? –
promisi loro, dopo di che abbracciai Percy ed Annabeth e dissi: - Quindi non
crediate di esservi sbarazzati di me tanto facilmente! -
Tutti si misero a ridere, e Simon disse: - Certo!
Anche perché io voglio una rivincita senza la mossa del koala: dovrebbero
renderla illegale, sai? –
Mi voltai verso Paul e con una pacca sulla spalla
gli dissi: - Spero veramente che tu possa riuscire in quello che ti sei
prefissato… e ovviamente spero di vederti presto! –
Lui annuì con un sorriso.
- Grazie… mi raccomando, ricordati la pizza che mi
hai promesso! – mi ricordò lui.
Mi voltai verso Nico con un sorriso e chiesi: -
Beh… andiamo? –
Lui annuì con un sorriso. Salii sulla sua schiena,
aggrappandomi forte a lui.
- Ci sentiamo, ragazzi…! – dissi solamente
cacciando via la tristezza.
I volti dei miei amici e le loro voci che mi
salutavano furono le ultime cose che vidi e che sentii prima di venire
risucchiata da quella sensazione di freddo e buio del viaggio nell’ombra.
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Che volete che vi dica? Ufficialmente
la storia finisce qua, praticamente no. Diciamo che prima di
concluderla del tutto (e prima di iniziare il sequel) vorrei offrirvi
un capitolo extra che spero di finire di scrivere il prima possibile.
Ora passiamo alle precisazioni riguardo questo capitolo (che è
un po' più lungo degli altri, ma non mi andava di dividerlo in
due perchè volevo che questa storia avesse un numero pari di
capitolo -è una mia fissa numerica, scusate-).
Ora credo che abbiate capito cosa ha salvato me e Chiara dal Tartaro:
il nostro legame è stato utile a salvare Eros, ma ciò che
ha reso "il pezzo di torta di Eros più grande" (come direbbe
Paul) è stato il sentimento di Robby per Nico e quello di Chiara
per Artemide. Certo, Chiara e Artemide non si sono mai incontrate, ma
credo che nelle stesse cacciatrici è riuscita a capire che anche
lei era destinata a seguire la dea. Questo perchè nella
realtà Chiara (che è la mia migliore amica da sempre) si
sta facendo suora, e in questa storia mi sembrava perfetto farla
diventare una cacciatrice alla fine. E' stato un po' da carie ai denti
quando ho fatto dire a Chiara la frase con "ovunque io vada" che
richiama il titolo della storia, ma prendetela così! xD Riguardo
al resto, beh... Paul nella realtà avrebbe il sogno di diventare
insegnante, quindi per lui nella storia non vedevo prospettiva
migliore. Nico e Robby non hanno avuto possibilità di
parlare, aimè! Ma non vi preoccupate che anche se non adesso,
prima o poi parleranno (e vi farò sapere cosa si diranno).
Perchè sono tornata in Italia mi sembra chiaro... ok, tutti
vorremmo starcene in America, ma nella realtà la mia vita
è qua e, nonostante Percy Jackson sia un fantasy, voglio rendere
tutto (anche le mie scelte) il più verosimili possibli. Anche se
questo non vuol dire che io molli Nico, no? Questo è il senso
del titolo, e non riguarda solo Chiara, ma tutti i rapporti con le
persone: anche se si è distanti fisicamente, se i rapporti di
amicizia, di amore etc sono veri, saranno anche duraturi. Poi, hey.
è il mio punto di vista.
Detto questo vi lascio perchè vi sto solo annoiando.
A presto con l'ultimo capitolo extra e, a seguire, il sequel!
Robby
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Capitolo 14 *** Ovunque saremo ***
Ovunque saremo
14
Ovunque saremo
prii
gli occhi all’improvviso. Avevo mal di testa, come mi succedeva sempre dopo un
viaggio nell’ombra. Dove mi trovavo? Mi misi a sedere e notai che giacevo su un
letto, le pareti della stanza in cui mi trovavo erano viola nella metà di sotto
e verde acceso nella metà superiore: strano abbinamento, ma tutto sommato stava
bene. Nella parte opposta della stanza, vidi un computer acceso e una figura
piegata sulla scrivania: era Robby. Mi alzai ancora frastornato: quanto avevo
dormito? Probabilmente parecchi giorni…
Mi
avvicinai a Robby e sorrisi vedendo che sullo schermo continuavano ad apparire
un’infinità di lettere, dato che si era addormentata con la testa appoggiata
alla tastiera. Robby borbottò qualcosa nel sonno, e spostò la testa dalla
tastiera alla scrivania. Curioso, presi il mouse e, dopo aver cancellato tutte
quelle lettere senza senso, sbirciai quello che stava scrivendo prima di
addormentarsi. Purtroppo non ci capii nulla: aveva scritto un mucchio di pagine
in word, ma erano tutte in italiano. Non appena tolsi la mano dal mouse, quasi
in uno scatto involontario, Robby alzò la mano e mi diede un potente schiaffone
in faccia: improvvisamente si fece tutto nero intorno a me, riuscivo solamente
a sentire il sapore del sangue in gola.
-
Io… cosa… Oh, scusa, Nico! – esclamò Robby riprendendosi da sonno. - Ti giuro
che non volevo…! Vieni che ti accompagno in bagno, così blocchiamo il sangue
dal naso… -
-
E’ incredibile sai? – le domandai con il naso tappato da dei fazzoletti di
carta che Robby mi aveva dato. – Siamo sfuggiti ai mostri più terribili, e
vengo steso da un tuo schiaffone… -
La
sentii ridacchiare, ma non potei vederla visto che mi obbligava a tenere la
testa piegata in avanti: così per lo meno non finivo per deglutire altro
sangue.
-
Ah, purtroppo non ho uno spazzolino per te, ma puoi usare il collutorio quando
ti si è fermato l’afflusso di sangue… - di disse. – Da piccola soffrivo
parecchio di epistassi, so che fa veramente schifo sentire il sapore del sangue
caldo scorrere giù per la gola… -
Ok,
non era né la situazione né l’argomento che avrei voluto affrontare con lei una
volta ripresi i sensi a casa sua.
-
Per quanto sono rimasto incosciente? – le domandai.
-
Una settimana. – rispose asciugandomi con un fazzoletto pulito la faccia. – Ma
non ti preoccupare… gli altri mi hanno insegnato a mandare un messaggio Iride
prima di tornare, quindi ho già avvisato Chirone… -
Annuii
e dopo essermi sciacquato la faccia, mi sciacquai la bocca con quel collutorio
e finalmente il sapore forte della menta mandò via quello disgustoso del
sangue.
-
Che ore sono? – le chiesi.
-
Sono le otto e un quarto di mattina. – mi rispose. – Mia mamma è appena andata
a portare mia sorella a scuola… -
Tornammo
in camera sua, e questa volta ne approfittai per dare meglio un’occhiata
attorno e notai che i due letti che c’erano nella stanza erano disfatti.
-
Ma… e tu dove hai dormito per tutto questo tempo? – feci preoccupato.
-
Ho dormito nel letto con mia sorella… - rispose lei sedendosi sulla scrivania
con uno sbadiglio. – Mi devi un enorme favore, sai? Detesto dormire compressa
in un letto piccolo… -
-
Scusami… - feci io abbassando la testa dispiaciuto.
-
Ah, ma smettila, guarda che scherzavo! – disse lei con una risata.
-
Cosa stavi scrivendo prima di addormentarti? – le chiesi avvicinandomi curioso
allo schermo del computer.
Lei
tossicchiò, e mi sembrò un po’ imbarazzata.
-
Sai… mi piace scrivere, e ho pensato di scrivere una storia su tutto quello che
mi è successo: degli dei, del Campo e di tutto il resto… - mi spiegò guardando
altrove. – Pensavo pure di consegnarlo a un editore… in fin dei conti tentar
non nuoce, e non credo che mai qualcuno potrebbe credere che tutto questo sia
reale… -
Le
sorrisi contento. – Sai, è stata una buona idea! Non avevo idea che ti piacesse
scrivere… -
Lei
alzò le spalle, imbarazzata dai miei complimenti. - Non c’è mai stata occasione
di dirlo con quell’impresa… - disse, e all’improvviso sembrò illuminarsi, mentre mi fissava.
-
Che ne dici di scrivere tu la conclusione?! – mi propose entusiasta.
-
Hem… io scrivere? – feci facendo un passo indietro. – Io non so scrivere…
inoltre non so l’italiano… -
-
E che problema c’è? Tu scrivi in inglese e io traduco! Ti prego, ti chiedo solo
un paio di pagine! Puoi scrivere quello
che vuoi su quello che è successo, ti prego! – m’implorò lei.
Riuscì
presto a farmi cedere: ormai stavo capendo che mettersi contro una sua
decisione era praticamente inutile.
Quindi
eccomi qua a scrivere la conclusione della storia di Robby da un computer preso
in prestito da dei ragazzi della cabina Efesto (quei ragazzi sono dei geni, non
mi sorprenderebbe se avessero una base nucleare sotto la loro cabina). Sì, sono
tornato al Campo. No, non crediate che non abbia pensato di rimanere con lei in
Italia. Ci ho pensato parecchie volte, lei si è resa disponibile a trovarmi un
posto dove stare, ma non me la sono sentita: il mio posto per ora è ancora il
Campo e, dopo tutto quello che è successo con Micah e Alexa, sentivo di dover
tornare a dare una mano a tutti gli altri; ma questo solo perché,
probabilmente, non ho più una famiglia. Sembrerò egoista, ma se Bianca non
fosse diventata una Cacciatrice e se lei fosse ancora viva, avrei abbandonato
tutto per stare vicino a lei, quindi capisco perché Robby abbia voluto
ritornare in Italia: ha avuto una grande fortuna a trovarsi in una famiglia
come quella che l’ha accolta, non è da tutti i mezzosangue.
-
Ascolta… - disse improvvisamente Robby dopo avermi convinto a scrivere la
conclusione della sua storia. – Io… non so cosa vuoi fare tu. Vorrei chiederti
di restare, ma sono quasi certa che sceglierai di tornare al Campo, esatto? -
Annuii,
nonostante la morsa al petto all’idea di dovermene andare.
-
Io mi chiedevo… ormai è maggio e… ti andrebbe di rimanere qua per l’estate?
Dopo torneresti al Campo senza problemi e ti prometto che il prima possibile ti
raggiungerò. -
Ti raggiungerò, non vi
raggiungerò. Era una piccola sottigliezza, ma mi faceva piacere. Inoltre
un’estate in Italia con Robby… cavoli, ero tentato.
-
Dai, intanto ci saranno già gli altri a cercare Micah e Alexa… potrai dare loro
una mano quando torni… - cercava di convincermi Robby.
-
Io però… non ho un posto dove stare, non ho soldi con me… - tentai di
giustificarmi.
-
Alt! Ho già una soluzione a tutto questo. – mi fermò subito lei. - Un’amica di
famiglia, nonché mia vicina di casa, ha
posto per ospitarti in casa sua visto che suo figlio è partito per studiare
negli Stati Uniti… le ho già chiesto e per lei va bene. Inoltre cosa credi?
Dopo avermi portata al Campo e avermi riportato a casa sei come uno di
famiglia… non siamo sommersi dai soldi, ma sfamare cinque bocche al posto di
quattro non è un problema! –
Le
sorrisi arrendendomi ancora una volta, e quando lesse la sconfitta sul mio
volto, mi abbracciò felice. Ricambiai l’abbraccio nervoso, con il cuore in
gola.
-
Lo sapevo che ce l’avrei fatta a convincerti! – mi disse continuando ad
abbracciarmi forte.
-
E’ la seconda volta in pochi minuti, te ne rendi conto? – le feci notare. Ci
trovammo faccia a faccia e mi sentivo il cuore scoppiarmi nel petto. La scorsa
volta era successo tutto così velocemente… non me l’aspettavo. Questa volta ce
l’aspettavamo entrambi. Le nostre labbra s’incontrarono e mi sentii
improvvisamente e totalmente in un altro mondo. Si mise a sorridere trattenendo
una risata quando portai la mano dietro al suo collo, facendole probabilmente
solletico, ma non separò le sue labbra dalle mie. Improvvisamente sentimmo il
rumore della porta che si apriva alla nostra sinistra: sua madre era tornata a
casa ed era entrata in camera.
Mi
allontanai da Robby imbarazzato, guardando per terra, senza avere il coraggio
di alzare lo sguardo verso di lei. Le due si misero a parlare in italiano, ma
la madre non sembrava arrabbiata o infastidita. Ad un certo punto la madre di
Robby mi appoggiò una mano sulla spalla richiamando la mia attenzione, dopo di
che uscì dalla stanza lasciandoci da soli.
-
Hem… cosa vi siete dette? – domandai imbarazzato.
-
Ha detto che… hem… - Robby sembrò improvvisamente imbarazzata tanto quanto me.
– Di non fare nulla di strano quando siamo qua… -
Entrambi
ci guardammo negli occhi, ma l’imbarazzo non durò per molto, perché entrambi
scoppiammo a ridere: era come se avessimo fatto crollare qualsiasi muro e
insicurezza.
Quella
sera Robby mi presentò la donna che mi avrebbe ospitato in casa in quel
periodo. Si chiamava Rachele e, anche se la sua conoscenza dell’inglese non era
molto alta, riuscivamo a capirci senza troppi problemi. Era una donna molto
gentile e premurosa, non appena entrai in casa sua per la prima volta mi
accolse con un sorriso, premurandosi che non mi facessi problemi a chiederle
qualsiasi cosa, anche se poi mi ero accordata con Robby che avrei sempre
passato i pasti e il resto della giornata da lei. Rachele mi mostrò la stanza dove
avrei dormito, e mi diede anche la possibilità di usare i vestiti di suo figlio
visto che quell’estate non sarebbe tornato e non gli sarebbero serviti. Tutto
sommato i vestiti del figlio di Rachele mi stavano anche bene, anche se erano
parecchio lunghi, specialmente i pantaloni: suo figlio doveva essere veramente
molto alto.
-
Bene, allora iniziamo a compilare un programma! – esclamò Robby seduta alla
scrivania con un block notes e una biro, poche sere dopo il mio risveglio in
Italia.
-
Che programma? – chiesi io avvicinandomi.
-
Come che programma?! Il nostro programma per l’estate, no? – rispose lei
allegra. – Vedrai l’Italia da turista, devi vedere quanto possibile! –
-
Io, però… non ho soldi… - le ricordai. Beh, questa era la cosa negativa di
passare quei pochi mesi in Italia: dover dipendere economicamente da Robby e dalla
sua famiglia.
-
Hey, non credere che ti porto a Roma… - mi rimproverò lei scherzosamente. –
Però un paio di mete qui al nord Italia sono economicamente fattibili. – prese
la biro e iniziò a scrivere in grande “Programmi Per L’Estate”.
-
Prima di tutto una giornata a Milano: d’estate con il bel tempo non c’è niente
di meglio che scendere al Duomo e farsi una passeggiata con un bel gelato fino
al Castello Sforzesco. Poi ho sentito i miei amici, vogliono andare in
campeggio in montagna, vedrai che bello… ah, e ti devo fare assolutamente far
vedere il lago di Garda! Non è nulla in confronto al Michigan, ma devi
assolutamente vederlo… poi… -
Andava
avanti a parlare tutta emozionata a fare progetti, prendendo ogni secondo il
calendario attaccato alla parete per controllare quando fissare ogni cosa da
fare. Avrei voluto dirle che non m’importava dove andavamo e che, finché ero
con lei, a me andava bene, ma non riuscivo proprio a distruggere il suo
incredibile entusiasmo, così l’assecondavo chiedendole di tanto in tanto di
prendere l’atlante per capire di che posti stava parlando.
La
sera dopo era un sabato, e uscii per la prima volta con Robby e i suoi amici.
-
Robby! – esclamò un gruppo di persone nel parcheggio quando la videro scendere
dalla macchina, e fu praticamente circondata. Tutte quelle persone iniziarono a
farle mille domande ma, non sapendo l’italiano, non sapevo cosa si dicessero,
riuscivo solo a capire che erano preoccupati che fosse sparita all’improvviso
dalla circolazione. Ad un certo punto Robby mi presentò, il suo sorriso
s’inclinò e mi guardò con aria interrogativa.
-
Che c’è? – le domandai.
-
Hem… niente… - disse solo, e mi presentò ai suoi amici: Pietro, Stefano, Delia,
Ilaria e Viola.
Andammo
tutti in macchina con Robby, che poteva portare sette persone.
-
Ma la macchina che avevi quando ci siamo incontrati che fine ha fatto? – le
domandai sedendomi di fianco a lei.
-
Era da buttare… - commentò con amarezza. Gli altri seduti dietro di noi
probabilmente non avevano capito di cosa stavamo parlando, o forse erano troppo
intenti a chiacchierare tra di loro per far caso a noi: meglio così, per lo
meno avremmo entrambi evitato di mentire.
Una
ragazza con i capelli neri e un piercing ad anello al naso, di cui mi ero già
dimenticato il nome, mi guardò dallo specchietto alzando il sopracciglio e, con
un’inglese forzato mi domandò: - Quindi, Nico… sei il ragazzo di Robby? –
Robby
sbandò per la strada, ma riprese subito il controllo della vettura ed esclamò imbarazzata:
- Viola! –
Lanciai
uno sguardo a Robby e vidi che il suo si spostava continuamente dalla strada a
me.
-
Beh, non è così? – chiesi a Robby. Lei continuò a guardare la strada, ma le
vidi comparire sul volto un sorrisetto allegro.
-
Oooh, Robby! Hai trovato un ragazzo in America e nemmeno ce lo dici! – esclamò
Pietro allegro.
Iniziarono
a parlare in italiano con Robby e purtroppo non riuscii a seguire la
conversazione.
-
Mi dispiace…- disse ad un certo punto Robby rivolta a me. – Purtroppo Stefano e
Ilaria non sanno l’inglese, e non credo che Delia se la senta di intraprendere
una conversazione… -
-
Non ti preoccupare… - la rassicurai.
-
Beh, allora che ci racconti, Nico? – mi chiese Pietro. – Come vi siete
conosciuti? –
Ecco
la fatidica domanda che sia io che Robby ci aspettavamo di sentire.
Beh, sapete, io sono figlio di Ade,
Robby è figlia di Zeus e insieme abbiamo partecipato ad una pericolosissima
impresa, scongiurando il risveglio di Caos… insomma, niente di che…
No,
non credo che reggerebbero una risposta simile senza darmi del malato mentale.
Fortunatamente io e Robby avevamo ideato una versione perfetta per la sua
scomparsa improvvisa: un lontano zio di Robby che abitava in America era in fin
di vita e aveva deciso di lasciare l’eredità proprio a lei. In America avrebbe
poi conosciuto me, figlio di un amico di questo zio immaginario.
-
Quindi è andata così! – esclamò Viola. – Hey, Nico, in America hai qualche
ragazzo da far conoscere a me? -
Tutti
ridevano e scherzavano, e mi sembrò improvvisamente assurdo vivere una
situazione così normale: a sedici anni non avevo mai avuto una famiglia vera e
propria, e nemmeno la possibilità di vivere una normale adolescenza uscendo con
gli amici per locali come invece faceva Robby…
Arrivammo
in una specie di Irish Pub dall’atmosfera calda e accogliente.
-
Sei sicura che posso entrare? – chiesi preoccupato a Robby.
-
E perché non dovresti? – mi rispose lei.
-
Beh, sai, non che sia esperto in queste cose… ma spesso in America in posti
simili i minorenni non possono nemmeno entrare… - le feci notare. – E in caso
te ne fossi scordata, io ho ancora 16 anni per la società… -
-
Nah, qui in Italia non ci sono divieti simili… - mi disse lei.
Ci
sedemmo al tavolo, ordinammo da bere e mi sentii all’improvviso gli occhi di
tutti puntati addosso. Robby si rivolse a Ilaria ridendo, poi Pietro mi guardò
e disse: - Le ha detto che questa è l’occasione giusta per imparare un po’
d’inglese…! –
-
Sarebbe anche l’occasione giusta per te per imparare un po’ d’italiano, no? –
mi rimproverò scherzosamente Robby.
-
Io imparare l’italiano?! – feci ridendo.
-
No, dai, proviamo un po’… - passarono l’intera serata tentando di insegnarmi
delle semplici frasi in italiano e ridendo di fronte alla mia pronuncia, ma
sapevo che non lo facevano per cattiveria.
-
Adesso mi sento proprio come Paul quando mi prendeva in giro per il mio accento
italiano… - mi bisbigliò Robby.
Piano,
piano, nonostante fosse difficile, imparai parecchie frasi in italiano, quindi
riuscii a cavarmela nelle conversazioni con la gente.
-
Certo che impari in fretta! – mi disse una mattina Rachele, portando in tavola
del the per la colazione che ormai facevo sempre in sua compagnia.
-
Insomma… - commentai non molto convinto.
-
Credimi, stai facendo degli enormi progressi! – continuò. Si mise a sedere
dall’altra parte del tavolo e mi guardò con un sorriso. – Sai, mi fa piacere
che Robby abbia pensato di farti stare qui. Non sembra, ma da quando mio figlio
è partito devo ammettere che mi sento un po’ sola… - mi confidò lei.
-
Quindi è partito per studiare? – le domandai. Lei annuì.
-
Sì, frequenta l’università di New York. Sai, Robby mi ha detto che vivi lì…
quando andrò a trovare Riccardo mi piacerebbe rivedere pure te, sei proprio un
bravo ragazzo… - mi disse.
Rachele
era così: faceva quel tipo di complimenti imbarazzanti che sembravano fatti con
lo stampino ma che, nel suo caso, si capiva immediatamente che erano sinceri e
fatti col cuore.
In
effetti sapevo benissimo che prima o poi sarei ritornato al Campo Mezzosangue,
ma io e Robby cercavamo in tutti i modi di non parlarne: ci limitavamo a
passare del tempo insieme, dimenticandoci degli dei, dei mostri e del fatto che
Micah e Alexa erano ancora in circolazione… Era la prima volta in sedici anni
che mi divertivo così tanto in compagnia della gente e non delle mie carte di Mitomania.
Era la prima volta in sedici anni che mi sentivo un normale adolescente e non
come un mezzosangue problematico.
Quell’estate
feci mille cose: andai più volte in piscina con Robby e i suoi amici e una
volta andammo pure in campeggio in montagna, accendendo un fuoco per farci da
mangiare…
Il
bello era che poi, in tutta quell’estate, io e Robby riuscivamo a divertirci in
gruppo e, nel contempo, a ritagliarci del tempo per noi due: un giorno andammo
da soli a Milano, un altro andammo al lago…
Il
tempo sembrò scorrere più velocemente del solito, e settembre arrivò in un
battibaleno. Decidemmo tutti insieme di andare alle terme in occasione del
compleanno di Pietro e di Robby: i due infatti compivano entrambi gli anni a
pochi giorni di distanza. Fu una giornata stupenda: l’acqua delle piscine
all’aperto era caldissima, la più calda superava i quaranta gradi, poi c’erano
tutti quei getti d’acqua fredda a bordo piscina e l’idromassaggio nella grotta…
Era
ormai sera e tutti si divertivano nuotando da una parte all’altra, scherzando e
tentando di annegarsi a vicenda. Io però avevo perso Robby di vista. Dovetti
nuotare parecchio per riuscire a trovarla: se ne stava nella grotta con
l’idromassaggio insieme a solo un paio di altre persone che erano rimaste alle
terme anche la sera.
-
Hey! Perché te ne sei andata? – le chiesi camminando nell’acqua bassa della
grotta e sedendomi vicino a lei. – Ti stai perdendo tutto il divertimento, lo
sai? -
Lei
alzò le spalle con uno sguardo triste perso nel vuoto.
-
Che c’è? – le domandai dolcemente.
-
E’ che… - fece lei, ma si bloccò ancora incrociando il mio sguardo. Guardò
altrove e disse: - Stasera tu te ne torni al Campo… -
Non
c’era bisogno di dire altro. Anch’io mi rattristavo all’idea di andarmene, ma
sapevo che se questo era il suo mondo, il Campo era il mio.
-
Ascolta, Robby… - le dissi. – Lo sapevamo entrambi che prima o poi sarei dovuto
tornare… -
-
Sì, lo so, e non ti sto nemmeno chiedendo di restare, non me l’hai chiesto
nemmeno tu… - disse continuando a guardare da un’altra parte.
-
Non è un fatto di restare o andare via, ok? – la interruppi. - E’ come con
Chiara, no? La distanza non ci dividerà ovunque saremo… -
Presi
il suo viso tra le mani e solo guardandola bene negli occhi potei notare che
erano pieni di lacrime.
-
Non devi rattristarti, d’accordo? Stai festeggiando il tuo compleanno, è una
bella cosa, non renderlo un evento triste… inoltre non voglio tornare a casa
vedendoti piangere, chiaro? – le dissi serio. Le accarezzai il viso,
asciugandole le lacrime, le sussurrai: - Sei la cosa più importante che mi sia
mai capitata, non voglio perderti e non permetterò a nulla di dividerci,
nemmeno alla distanza… - e la baciai.
-
Hey, ragazzi! – ci chiamò in quel momento Viola. – Avete letto i cartelli?
Niente effusioni in piscina! Se vi scoprono gli addetti vi buttano subito
fuori… e non vogliamo che lo facciano prima della torta, giusto? -
Robby
mi guardò con le guance ancora rigate dalle lacrime, e scoppiò a ridere,
nuotando verso tutti gli altri. Ecco, preferivo vederla con un sorriso, anche
se lontana da me.
-
Tanti auguri a voi! Tanti auguri a voi! Tanti auguri Pietro e Robby! Tanti
auguri a voi! – esclamammo una volta usciti dalla piscina, seduti attorno ad
una torta con le candeline accese e delle stelle luminose in mano.
-
Esprimete un desiderio! – esclamò Delia a Robby e Pietro.
I
due rimasero un attimo a riflettere dopo di che chiusero gli occhi e spensero
le due candeline: una rosa con il numero due e una blu con il numero uno.
Applaudimmo
tutti con un sorriso, e mi augurai di tutto cuore che il desiderio di Robby si
potesse avverare. Ritornammo a casa sulla macchina di Pietro e Robby si
addormentò sulla mia spalla proprio com’era successo sull’autobus di Apollo…
Arrivammo
a casa di Robby, tutti ancora mezzo assonnati.
-
Beh, siete stati veramente simpatici a tenermi compagnia sulla strada del
ritorno! – esclamò Pietro arrivato al solito parcheggio. – Vi avevo chiesto che
qualcuno rimanesse sveglio a farmi compagnia mentre guidavo! Non sapete quanti
pizzicotti mi sono dato per non addormentarmi alla guida! -
-
Scusami, ti prego! – fece Robby desolata. – Ti giuro che non volevo, è stato
più forte di me… -
-
Beh, quindi noi ci salutiamo qui, vero? – mi chiese Ilaria. – Robby ha detto
che domani mattina hai l’aereo… -
Io
annuii; la versione ufficiale era che sarei partito la mattina dopo
dall’aeroporto di Milano, mentre in realtà avevo avvisato Chirone che sarei
partito per il Campo quando in Italia era notte: non avevo certo bisogno di
aerei per tornare in America.
Tutti
mi salutarono con abbracci e pacche sulle spalle, e mi avviai a casa di Robby
insieme a lei. Avevo già salutato Rachele e la famiglia di Robby quindi, una
volta arrivati di fronte a casa sua, ci limitammo a fissarci negli occhi.
-
Credo che sia ora… - disse lei rompendo il silenzio con un sospiro. – Mi
raccomando, salutami tutti e ricordati di mandarmi un messaggio iride non
appena ti riprendi, capito bell’addormentato nel campo? -
Ridacchiai
a quella sua stupida battuta.
-
Certamente! – le promisi. Dopo di che la baciai di nuovo prima di andarmene e
risvegliarmi otto giorni dopo nell’infermeria del Campo.
Quindi
eccomi qua al Campo Mezzosangue a concludere quello che sarà il racconto di
Robby. Di Micah e Alexa nemmeno l’ombra, ma non mi arrendo: non mi darò pace
fino a quando non li troverò e non li porterò sull’Olimpo così che vengano
giudicati per quello che hanno tentato di fare. Riguardo Robby, beh, ci
sentiamo spesso tramite messaggi iride, a causa sua sto prosciugando le casse
di dracme del Campo, e non sempre riusciamo a parlare da soli visto che anche
il resto del Campo vuole sempre stare in contatto con lei. Non vedo l’ora che
ritorni qui al Campo: dice che questa volta vuole pagarsi un normale biglietto
aereo e sta risparmiando per comprarselo. Secondo lei dovrebbe riuscire a
tornare qui tra un paio di mesi. Non sia mai che magari quando ritorna succeda
ancora qualcosa che le dia ispirazione per scrivere un seguito di questa
storia!
Fulmini e saette, ecco lo spazio
dell'autrice!
Oddio, non ci credo, ho
veramente finito questa storia! Vorrei fare i ringraziamenti stile
notte degli oscar, ma passo (che è meglio!)...
Questa è la prima storia lunga che sono riuscita a concludere.
Non ho mai avuto mancanza di ispirazioni per continuare a scrivere, e
questa è veramente una novità per me.
Cosa posso dire? Vi ringrazio per avermi seguita e recensita per tutto
questo tempo, sia per i nuovi che per i vecchi recensori... *sta
comunque facendo i ringraziamenti stile notte degli oscar... -.-'* ora
ho un mesetto di tempo per fare delle ultime modifiche ai vari capitoli
prima di stampare la storia e regalarla ai miei amici. *trattiene
l'emozione*
Ok, torniamo a quest'ultimo capitolo, il quattordicesimo (tra l'altro il 14 è il mio numero preferito!).
I nomi dei miei amici li ho dovuti cambiare dalla realtà: non
potevo certo dire che al Campo avevo degli amici di nome Paul, Vera,
Simon etc... e in Italia avevo degli amici di nome Paolo, Veronica,
Simone etc...! xD Però ho voluto trovare loro altri nomi che
iniziassero con la stessa lettera, tanto per mantenere un collegamento.
Non mi sembra di avere mai detto dove vivo. Se volete potete tentare di
indovinare regione e provincia, anche se credo che rovinerei la mia
immagine da protagonista della storia, vista la ridicola cadenza che mi
ritrovo! :P xD
E' stato complicato scrivere questo capitolo: niente mostri, niente
dei... una noia! xD Per questo ve l'ho presentato come capitolo extra.
Inoltre ho cambiato POV: spero di non avervi delusi nell'utilizzare il
punto di vista di Nico, anche questa è stata una
difficoltà per me! Inoltre scrivere scene troppo sdolcinate non
è da me... ci ho provato, ma non so se ci sono riuscita (spero
di sì).
Al più presto inizierò a scrivere il sequel, e spero che
mi seguirete pure in quello, ci tengo molto, sappiatelo! Ah, se avete
dei suggerimenti su nuovi mostri da far apparire nel sequel, sappiate
che sono ben accetti: tra zio Rick e quelli che ho trovato io, mi sa
che ormai non ce ne sono più di disponibili! xD
Spero che questa storia vi sia piaciuta!
Alla prossima,
Robby
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