Third Star

di chaska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bir ***
Capitolo 2: *** Du ***



Capitolo 1
*** Bir ***





 

Third Star





{-What do you fear, my Lady?
-A cage. To stay behind bars until use and old age accept them,
and all chance of valor has gone beyond recall or desire.}
The Lord of the Rings



















Elizaveta trattenne a stento il respiro per qualche istante, istanti durante i quali il mondo intero si fermò: il sole sospese il suo impercettibile movimento, i corvi il loro gracchiare, le spade la loro reciproca collisione. Persino la ferita al ventre ebbe la compiacenza di interrompere quel suo doloroso pulsare.
Poi l’ungherese, costretta dalle sue membra ormai fin troppo deboli, riprese pesantemente fiato, e lo fece con un sibilo distorto dal dolore nascente.
In quel frangente strizzò gli occhi e il sole l’accecò inesorabile, impedendole così la vista del cielo.
No, ci doveva essere qualcosa di sbagliato. Qualcosa non tornava.
Aveva sempre immaginato quel momento in maniera totalmente diversa. I neri monaci incappucciati della sua infanzia l’avevano sempre dipinto in maniera oscura e terrificante. Le delicate parole di innumerevoli bardi l’avevano tinto delle gesta più eroiche e affascinanti.
Ma ora che stava costretta al suolo, con la lama nemica a violare la pelle del suo collo e a minacciarla d’affondare nelle sue carni da un momento all’altro, ora che il momento della sua morte era infine giunto, non poteva fare a meno di pensare quanto fosse tutto sbagliato.
Dov’era il cielo oscurato dalle nubi, la pioggia a disperare sul suo ultimo saluto terreno?
E dov’era quell’eroicità che doveva impregnare ogni suo gesto prima della sua fine, dove la consapevolezza d’aver fatto tutto il possibile prima di perire?
 Scomparso come fumo al vento.
Il sole splendeva come se volesse bruciare il corpo dei soldati dentro le pesanti armature ungheresi, quasi volesse sbeffeggiare la sua intera esistenza in quell’unico frangente.
E l’eroicità non era mai esistita. Dove poteva ricercarla altrimenti? Nei dolori atroci delle ferite inferte dal nemico, le stesse che non le permettevano d’alzarsi sulle sue gambe? O forse in quelle sua stessa morte arrivata fin troppo presto, quando aveva ancora così tanto da fare per il proprio popolo?
No, non v’era un singolo particolare che potesse consolarla. Nulla.
Elizavate deglutì a vuoto, per poi porre lo sguardo sul volto del nemico.
In quel momento il grande cappello dell’arabo oscurava il disco dorato del sole, donandole così un inutile attimo di refrigerio, la lunga tunica colorata era adesso sporca di sangue e polvere e il suo volto…dio, il suo volto! Se solo ne avesse avuto le forze necessarie si sarebbe messa a ridere amaramente.
Era stato tutto veramente così inutile? Quella guerra tanto futile?
Lei era stata talmente debole da non riuscire a sfiorare nemmeno la sua maschera?
Elizaveta scosse il volto in un movimento involontario, e Sadiq mosse la spada d’istinto, affondandola di poco, provocando così una piccola ferita sulla sua pelle.
L’ungherese trattenne con dolore il respiro ancora una volta, colta alla sprovvista dalla mossa dell’arabo.
«Cosa aspetti ancora, török? »
Avrebbe voluto sputare quanto più disprezzo nell’ultima parola, ma tutto ciò che Sadiq riuscì a comprendere fu uno stanco sussurro.
«Ungheria. »
E anch’esso fu un sussurro, nient’altro.
Poté sentire il gracchiare dei corvi e degli avvoltoi e le grida dei soldati, mentre Sadiq alzava l’affilata lama che luceva al sole come il fuoco stesso.
Guardò per l’ultima volta la maschera candida che ne copriva gli occhi- non li aveva mai visti in vita sua, curioso no? Sfiorò con lo sguardo le labbra strette in maniera impassibile mentre socchiudeva d’istinto le lunghe ciglia, e aspettò il colpo.
L’urlo del turco, selvaggio come le sue terre sconfinate, fu tutto ciò che udì, poi fu silenzio.
La spada tentennava per la forza del colpo, mentre le mani di Sadiq ne stringevano l’elsa scura, e l’aria fu invasa per qualche secondo dalla polvere che impediva la vista sul corpo dell’ungherese.
L’arabo si raddrizzò dalla sua posizione e voltò le spalle.
«L’Ungheria, da questo momento, è ufficialmente una provincia ottomana. »
Non una parola si levò dal campo di battaglia, anche le ultime resistenze dei soldati ungheresi dovevano essere state sterminate.
«Tu, Elizaveta Héderváry, sei di mia proprietà. Verrai con il mio seguito verso la tua nuova capitale. »
Elizaveta non riuscì a pronunciare una singola parola, così come facevano il resto delle sue truppe.
Con i verdi occhi sgranati verso il sole, l’ungherese anelò la morte a quella gabbia.

























Note: Ci speravate che non scrivessi mai più long fiction, eh? E invece non è così, ta-da! COFF, cioè sì, ehm. Again i capitoli saranno pochi e piccoli suppongo, nonnesonotantocerta, e la storia è qualcosa di fondamentalmente stupido, e come al solito le citazioni (che stavolta sono ben tre! Vediamo chi ha la mente sclerata quanto la mia per riconoscerli tutti! x°) dicevo, le citazioni sono l'unica parte decente di tutto questo capitolo xD.
E boh, non so che dirvi. Uhm, sì, credo che posterò un capitolo a settimana sempre se ci riesco. E poi solite cose, se leggete e avete cinque secondi da perdere recensite, oppure se proprio mi volete lapidare my body is ready (?) e sto sclerando e questa cosa non va bene. Ah, e török è turco in ungherese.
Unico appunto degno di nota, questa fic partecipa all’iniziativa “Ci sono anch’io!” di Hetalia non è ---> the forum.

Va boh, e dopo questo banner troppo figo vi saluto con un cià (?).

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Capitolo 2
*** Du ***





Third Star





{-What do we say to the god of death?
-Not today.}
A Game of Thrones

















«Mano saldus mergaitė, hai mai visto Kostantiniyye? »

Elizaveta rimaneva sempre incantata dalle loro parole. Seduti attorno al fuoco a guardarli col volto all'insù a causa di quella spanna d'altezza che ancora non aveva raggiunto, ne ammirava i baffi curati, che brillavano alla forte luce del focolare. Ne ammirava le dita tozze e cariche d'anelli d'oro finemente lavorati. Ma soprattutto ammirava i loro racconti, carichi di parole provenienti da dovunque le loro mercanzie fossero state esposte e vendute.
Le loro parole dal suono così lontano e sconosciuto, l'incantavano come i maghi facevano con i serpenti, là nell'arabia.

«Mergautinė, Kostantiniyye è un sogno, ti dico io. S'innalza dal mare come una visione, e lì brilla. La città d'oro la chiamano i fortunati che l'abitano, ed hanno ragione. »

Ne guardava gli occhi brillare di nostalgia e posarsi lontani, oltre il fuoco e l'Ungheria stessa, verso le stelle e ciò che esse illuminvano lontano da lì.

«Se mai la vedrai, fà attenzione. Sporgiti dal ponte e fatti guidare dal vento. Lascia che la luce del tramonto ti indichi la direzione, e ammirala. Non vedrai mai più tanto splendore, mano mergina. »

E la giovane guerriera aveva creduto a quelle parole. Aveva sognato per tanto tempo le cupole dorate che si stagliavano sulle fredde acque su cui si affacciava. Aveva immaginato di sentire sulla pelle il calore del tramonto che ne faceva risplendere le mura e le guglie che le sovrastavano. Aveva immaginato di amarla dal ponte di una nave, senza mai posarvi piede. Solo uno sguardo lontano, nulla più.
E alla fine, eccola lì, Elizaveta, su una nave a solcare le acque che l'avrebbero portata in quel suo sogno, a maledire ogni mercante che le aveva riempito la testa di quegli stupidi pensieri.
Perchè nulla vedeva di dorato in quel giorno, nulla di caldo ed accogliente.
L'unica cosa che l'avvolgeva fino a spezzarle il fiato era la ferita all'addome che le pulsava, ma nulla era lei in confronto al suo vero dolore. Poteva ancora sentire la freccia squarciarle il petto, laddove nessuna ferita evidente poteva essere notata. La stessa freccia che aveva ucciso il suo pusillanime re in fuga, quella che aveva distrutto ogni traccia del suo regno, rendendola ancor più schiava dell'impero ottomano, ora le straziava la carne facendola bruciare.
E cadeva in un oblio fatto di nere fiamme senza alcuna speranza di un risveglio, in quella buia stiva, piena dei suoi gemiti e dei suoi lamenti spezzati.
E mentre si abbandonava a quell'inferno, non potè che odiare ancora quella città dorata.


Pare strano, ma la giovane sognò.
Sognò il riposo, fra sete fresche dal colore caldo. Sognò un dolore sordo che non l'opprimeva. Sognò la luce delle candele tremolare al soffio del vento, e sognò un angelo dalla pelle di sabbia e dagli occhi d'oro.

«النوم، يا عزيزي. ليس من الليل للعودة إلى هذا العالم.»


Sognò.
Ma fu solo un momento.

















Note: HAHAHA. Ok, questa è pazzia pura. Perchè yep, non tocco questa fic da più di un anno, e , è la quarta volta che riscrivo questo capitolo (capite, la guerra fra raccontare e mostrare è stata ardua come non mai). Ma aehm. Spero di aggiornare, se a voi compiace, e magari non distanziare di tredici mesi un aggiornamento dall'altro, manco fossi DeValier. Okay, ora mi defilo, lasciando alle vostre mani questo più che mediocre capitoletto. Au revoir :'D

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