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di Dem_One
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scoperta e consapevolezze ***
Capitolo 2: *** Perdite e nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Prove ***
Capitolo 4: *** Inizio del lavoro ***
Capitolo 5: *** Problemi ***
Capitolo 6: *** Dolorosa soluzione ***



Capitolo 1
*** Scoperta e consapevolezze ***


Albert possedeva un dono davvero speciale.
Tutto iniziò il 22 dicembre, quando frequentava ancora la quarta liceo.
Albert era un ragazzo solitario, non aveva molti amici, poiché, come sosteneva lui, -Gli uomini sono una razza stupida: senza molte persone il mondo sarebbe migliore.- In questa categoria aveva posto il 90% della sua classe. Ciò nonostante c’era Mary, una ragazza semplice, intelligente, che aveva molte opinioni in comune con Albert. I due, così, avevano stretto fin dal primo incontro un profondo legame che andava oltre alla semplice amicizia: era la completa fiducia di uno nei confronti dell’altro.
Se si vuole essere precisi ad Albert piaceva Mary, e a Mary piaceva Albert, ma nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di fare il primo passo, perpetuando così il loro gioco senza sconfinare nella sfera amorosa.
In quel 22 dicembre era nevicato molto, lasciando tutti gli edifici e le vie della città ricoperti da un soffice e candido strato di neve fresca. Nonostante molti odiassero la neve, sostenendo la sua pericolosità per le strade e le difficoltà che creava per i viaggi, ad Albert e Mary piaceva molto: i due ragazzi adoravano il manto bianco che si posava su ogni cosa e che rendeva meno monotono il grigio paesaggio quotidiano.
La campanella suonò alla una di pomeriggio. –Buone vacanze ragazzi, e non dimenticatevi di fare i compiti!- disse la prof di italiano nel caos di urla e grida di gioia di quando tutti si precipitano fuori dall’aula in preda all’euforia vacanziera. –Sono convinta che metà non mi ha neanche sentito.-
I due ragazzi uscirono insieme e, mentre Mary stava per attraversare la strada, Albert la chiamò: non voleva più passare due settimane senza rivederla come negli anni precedenti. –Volevo…- cominciò –Volevo… augurarti buone feste.- Come successe anche in altre occasioni, gli mancò il coraggio di chiederle un semplice incontro, uno sciocco appuntamento. Lei lo guardò con i suoi occhi verde acqua, speranzosa che aggiungesse qualcos’altro: sicuramente Mary si aspettava che lui le proponesse qualcosa; tuttavia subito si convinse che se non lo aveva fatto stava a significare che lei per lui non era che una semplice amica. –Grazie, e altrettanto!- delusa, la ragazza si voltò e attraversò la strada. Albert si arrabbiò moltissimo con sé stesso: -Sono un codardo.- pensò, -Altre vacanze da schifo.-
Improvvisamente si sentì un rumore assordante di freni; Albert guardò verso la strada e vide un SUV nero tentare di frenare in prossimità delle strisce pedonali. La velocità della vettura era troppo elevata per arrestarsi e così il ragazzo vide Mary venire colpita frontalmente dal cofano della macchina, sbattere sul parabrezza ed essere lanciata in aria di qualche metro, per atterrare poi sul gelido asfalto come una bambola di pezza.
Immediatamente l’aria si riempì di urla di ragazzi e ragazze che accorrevano vicino al luogo dell’incidente, tutti con il volto segnato dall’orrore. Il corpo di Mary giaceva immobile in mezzo alla strada immerso in una pozza rossa; l’autista si trascinò fuori lentamente dalla vettura, sconvolto per ciò che aveva appena fatto.
Il sangue scorreva giù, sulla candida neve, e seguiva tutti quei piccoli solchi che la bianca coltre formava con i suoi cristalli, disegnando un enorme albero scarlatto con mille rami, da ognuno dei quali ne nascevano altrettanti sempre più sottili: l’enorme figura impressa sullo sfondo bianco offriva uno spettacolo tanto bello quanto inquietante.
Albert rimase paralizzato a osservare la tragedia da lontano: gli sembrava tutto assurdo, il suo cervello non era in grado di rendere reale ciò che vedeva: la scena era una sorta un film che gli scorreva davanti agli occhi, un effetto speciale per impressionare il pubblico pagante. Dopo una decina di secondi il sogno divenne realtà, e Albert si rannicchiò sulle ginocchia, piangendo come un bambino: -Se solo le avessi chiesto un appuntamento lei sarebbe ancora qui, accanto a me. Avrebbe tardato alcuni secondi prima di attraversare, e sarebbe ancora qui, accanto a me.- Il ragazzo chiuse gli occhi gonfi, strinse i denti e i pugni e si abbandonò alla sua sofferenza.
-Ehi, cosa fai lì? Stai bene?- Era la voce di Mary. Alberti si alzò, si asciugò gli occhi e riconobbe immediatamente la ragazza che amava, accanto a lui. D’istinto si allontanò di qualche passo da lei. –Sei vera?- Mary scosse la testa, stupita: -Ma cosa?!- Gli toccò un braccio, e lui lo ritrasse subito, come schifato dal gesto. –Scusami tanto! Non volevo toccarti.- disse sarcasticamente la ragazza. Solo in quel momento Albert comprese che tutto ciò era davvero reale: lei era tornata in qualche modo.
Il ragazzo la prese per un braccio prima che attraversasse la strada, e lei lo guardò attentamente, pronta per una spiegazione. –Scusa se mi sono comportato così. È che ho avuto un… non lo so che cos’era, ma ti ho vista morire investita da un SUV nero, proprio su queste strisce.- Mary sgranò gli occhi e si mise a ridere: -Io che muoio qui? Dai, è davvero ridi…- In quel momento un grosso SUV nero passò sulla strada ghiacciata a una velocità folle, molto oltre i limiti consentiti. Subito dopo l’autista si prese un bel po’ di insulti da parte di alcuni uomini sul marciapiede, facendo ridere di gusto tutti i ragazzi davanti al liceo. Gli unici che non si divertivano erano Albert e Mary: impietriti, si guardavano l’un l’altro, in cerca di una spiegazione razionale nel volto dell’amico. Fu Mary a rompere il ghiaccio: -Sicuramente è stata una coincidenza. Sai quanti SUV neri ci sono in città? È stato un colpo di fortuna aver indovinato.- -Non è vero.- rispose lui, -Io ti ho visto morta sulla strada! Penso che in qualche modo siamo tornati indietro e…- -Basta!- Mary si arrabbiò sentendo quei discorsi: -Credevo che fossi una persona concreta. Come puoi credere a certe stronzate? Ti sembra possibile tornare indietro nel tempo? Eh?!- Il ragazzo era imbarazzato, poiché tutto quello che aveva detto l’amica era vero; allo stesso tempo, però, era sicurissimo di averla vista morta con l’orribile albero rosso che le usciva dal corpo privo di vita. Senza dire una parola in più, Mary attraversò la strada e si diresse verso casa sua.
Una volta tornato a casa, Albert si preparò una bistecca veloce con delle patate come contorno, e cercò di non pensare più all’orribile scena a cui aveva assistito pochi minuti prima.
Alle 14.57 suonarono alla porta. –Ciao Albert. Oggi è venerdì e hai appuntamento col mio bambino. Alle 16.00 da me. Ciao.- L’uomo si dileguò per la strada e Albert maledisse il giorno in cui sua madre lo aveva raccomandato come baby-sitter di Toby: una vera peste. Il ragazzo tornò in casa e si sedette sul divano: -Se solo non avessi aperto la porta, magari adesso avrei avuto il pomeriggio libero. Mia mamma non lo sarebbe mai venuto a sapere. Adesso che ci penso, è strano che non sia ancora tornata.-
Chiuse gli occhi per un momento, e desiderò intensamente che accadesse ciò che era successo quella mattina: Albert voleva una seconda occasione. Chiuse gli occhi e percepì un leggero fastidio all’addome, dopodiché il citofono suonò di nuovo. –Ancora?! Che due palle!- Questa volta guardò prima dalla finestra e vide Jim, il padre di Toby, che aspettava davanti al suo cancello. Albert, meravigliato, guardò l’ora, e notò che erano ancora le 14.57. Pian piano si abbassò per non farsi vedere dall’uomo e cominciò a ridere: -L’ho fatto davvero! Io posso tornare in dietro, posso avere tutte le occasioni che voglio.-
Andò in cucina e fece cadere per terra un prezioso bicchiere di cristallo: -Questa è la prova del nove. Se non funziona i miei mi ammazzano.- Chiuse gli occhi e sentì nuovamente un piccolo solletico all’addome. Come per magia era di nuovo seduto sul divano; si recò in cucina e vide che il bicchiere era ancora al suo posto, intatto, perfetto come sempre. Sorrise e si precipitò fuori dalla porta tutto eccitato: –È arrivato il momento di osare.-
Prese il primo autobus che passava per Pintel senza, naturalmente, pagare il biglietto: -Se arriva il controllore- pensava –basta che torno indietro e scendo alla fermata precedente.-
Dopo circa dieci minuti di viaggio in bus, Albert prese la metropolitana e scese dopo due fermate; camminò lungo tutta via Berkley e finalmente arrivò al numero 49, la casa di Mary. Nei tre anni in cui conosceva la ragazza non era mai stato a casa sua nonostante conoscesse perfettamente l’indirizzo.  Albert era ugualmente agitato, il cuore gli batteva forte: -Calmati,- si ripeteva, -se qualcosa va storto puoi sempre tornare indietro e rimediare.-
Inquieto come se avesse dovuto sostenere un importantissimo esame, Albert suonò alla porta e subito apparve Mary ad aprigli: in quel contesto lei sembrava ancora più bella del solito. –Ciao, sono Albert, volevo chiederti se… ma dai!?  Che scoperta che sono Albert, mi stai vedendo! Che figura di merda che ho fatto. Questa la rifaccio, ma dato che sono qui ti dico che una notte ti ho sognato mentre noi due eravamo a letto insieme e facevamo… va beh, hai capito. - La ragazza arrossì di colpo, diventando bordò per l’imbarazzo: -Cosa… cosa hai detto? O mio Dio, non credo alle…-
Il ragazzo suonò alla porta e subito apparve Mary ad aprirgli: -Ciao Mary, mi chiedevo se in queste vacanze potremmo, non so, organizzare qualcosa… un’uscita al cinema, una semplice passeggiata…- La ragazza lo guardò intensamente negli occhi, e poi sorrise: -Perché no? Decidi un film e questa domenica andiamo a vederlo. Chiamami!-
Quel pomeriggio fu uno dei più felici per Albert, poiché aveva ottenuto il primo appuntamento con Mary (anche se la prima volta aveva fallito miseramente).
La domenica, che era anche la vigilia di Natale, i due ragazzi andarono al cinema a vedere un film di fantascienza che narrava la storia di un uomo che si ritrovò a combattere una guerra tra il suo mondo e un altro parallelo. –Se fossi stato io il protagonista, la storia sarebbe durata poco più di dieci minuti.-
Da quel momento il tarlo dell’onnipotenza cominciò a insinuarsi silenziosamente nel cervello di Albert, facendolo sentire come un dio in terra, capace di compiere ogni cosa.
Una volta a casa, ripercorse con la mente le avventure dell’eroe e cominciò a trarre delle conclusioni riguardanti sé stesso: -Con il mio dono non sarò mai più vittima di alcuno scherzo o raggiro; avrò sempre ottimi voti a scuola; anticiperò  le mosse di qualsiasi avversario; sarò immune da qualunque danno fisico purché non mi sia fatale, ma soprattutto potrò salvare molte vite, proprio come ho fatto con Mary: basta stragi di innocenti, avvertirò tutti in tempo prima che possano morire!-
Tuttavia si rese immediatamente conto che nella sua attuale posizione nessuno gli avrebbe dato retta: in fin dei conti era solo un ragazzo come tanti altri e non una figura importante a cui prestare ascolto.
Da quel giorno Albert si impegnò a diventare una persona sempre più potente e influente, e decise che avrebbe cominciato con la carriera militare appena finito il liceo. –Ora- ripeteva spesso, -posso fare qualsiasi cosa: chi può vantarsi di avere mille seconde occasioni?-

 

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Capitolo 2
*** Perdite e nuovo inizio ***


Ormai Albert aveva cambiato modo di vivere e di comportarsi dal momento in cui comprese perfettamente il funzionamento del suo dono.
A scuola aveva i voti migliori della classe: durante le verifiche, se non conosceva una risposta, semplicemente si alzava dal banco, rubava le prove a tutti i compagni e scappava fuori dalla classe per leggersele con comodo; una volta risolti tutti i suoi dubbi, tornava indietro nel tempo e compilava correttamente il compito. I professori e i suoi genitori erano stupiti: -Ma come è possibile?- solevano ripetergli –Non studi praticamente mai e riesci a prendere sempre il massimo.-
Cambiò rapporto anche con gli amici: ormai sapeva comportarsi in qualsiasi situazione, togliendosi sempre dai guai e mettendoci dentro chi più desiderava.
Nel mondo dello sport la situazione non era affatto differente: se sbagliava un gol, un canestro, o non parava un rigore, la soluzione era sempre la stessa.
Con Mary, però, evitava quasi sempre di usare i suoi poteri, in quanto credeva che se lo avesse fatto avrebbe trasformato la loro relazione in qualcosa di artificiale, già programmato, di irreale: si pentì moltissimo di averlo fatto quel 22 dicembre quando le chiese il primo appuntamento. A causa di questa decisione, però, la loro relazione non superò mai quella fase di amicizia profonda.
La vita di Albert migliorò vertiginosamente poiché poteva letteralmente plasmarla a suo piacimento: dal 22 dicembre non ebbe più nessun litigio, nessuna contusione fisica e non ricevette mai più un brutto voto. Nonostante ciò, il chiodo fisso nella testa di Albert era quello di riuscire un giorno a salvare sempre più vite umane: -Prometto al mondo che con questo dono riuscirò a miglioralo, costi quel che costi: farò cessare tutte le guerre e sarò l’artefice dell’era della pace terrestre.-
Arrivò il giorno dell’esame di maturità, il giorno in cui Albert avrebbe cominciato a dare vita al suo sogno.
Naturalmente il ragazzo superò brillantemente tutte le prove, diplomandosi con 100 e lode tra gli applausi di tutto l’istituto. –Adesso cosa farai? È vero che hai intenzione di partire e ad andare a uccidere la gente?- Mary odiava profondamente la scelta di Albert di proseguire la sua vita con la carriera militare. –Non posso dirti perché.- le rispose, -Ma devi credermi: io non ucciderò mai nessuno, mi arruolo perché così un giorno potrò porre fine ai conflitti e salvare molte persone.- La ragazza scosse la testa: -Forse hai dimenticato che per sedare le guerre bisogna farne delle altre…- Albert si infuriò vedendo demolite in quel modo le sue convinzioni: -Tu non puoi capire! Questa è la mia missione, sono destinato a farlo, io posso, nessun’altro può!- Mary divenne triste: -E come hai intenzione di fare?- Quando il ragazzo aprì la bocca per rispondere, lei lo bruciò sul tempo: -Non rispondere, per favore. Sei cambiato. Negli ultimi tempi non ti riconosco più, sei diventato ‘perfetto’: non ti ho mai visto discutere con nessuno, non ti fai più male, prendi voti altissimi e non mi tieni più compagnia con le tue disavventure, e mi viene da pensare che tu non ne abbia più. Sembra che vivi in una vita artificiale, in un film dove tutto è già stato programmato. Non capisci che io ero innamorata di te?- Il cuore di Albert ebbe un sussulto. –Ero innamorata di ‘te’ che sei pregi e difetti insieme: oggi, però, questo ‘te’ non c’è più; sembra che i tuoi difetti siano spariti. Mi dispiace, ma se una parte di te se ne è andata, io non posso continuare a nutrire gli stessi sentimenti di prima. Ti chiedo scusa.-
Mary se ne andò, lasciando Albert solo in mezzo al corridoio deserto immerso nei suoi pensieri. –Posso tornare indietro ed evitarla, così questo discorso non avverrà mai… Ma no! Lei mi è stata accanto tutto il giorno, come faccio? Ci siamo, rincomincio tutto da stamattina.- Albert chiuse gli occhi e iniziò a concentrarsi per riportare tutto a com’era cinque ore prima. –Merda!- Prima che cominciasse il suo viaggio gli venne in mente un particolare a cui non aveva mai pensato - Fino ad ora non mi sono mai spostato per più di una decina di minuti e soprattutto da quando mi sono svegliato ho cominciato a riavvolgere il tempo anche per ogni singola sciocchezza: cosa succede se ora, tornando indietro, capitassi in un momento in cui stavo, a mia volta, tornando indietro? Mi troverei in una situazione temporale in cui non esisto… magari i due rewind si sommano, e mi ritroverei più indietro di quello che ho programmato… oppure rimarrei intrappolato da qualche parte. Meglio lasciar stare.-
-Che cos’hai oggi Albert? L’esame non è andato come avrebbe dovuto?- chiese la madre appena tornò dal lavoro vedendo che il figlio non era come suo solito a guardare la tv. –No, no, ho preso cento con lode.- Susan si precipitò in camera del ragazzo per ricoprirlo di baci: -Aspetta che torni papà… poi organizzeremo una grande festa! Un risultato così deve essere celebrato.- Poi divenne di nuovo seria: -Ma allora cosa ti turba? La tua vita negli ultimi tempi è perfetta.- Qualche lacrima solitaria scese sulle guance del ragazzo: -È proprio perché la mia vita è perfetta… oggi ho perso l’amicizia di una persona molto importante per me, non immagino la mia vita senza di lei.- La madre iniziò ad accarezzargli i capelli: -Succede, l’importante è che tu vada avanti. È la vita, nessuno può tornare indietro per cambiare gli avvenimenti: d'altronde non è proprio questo il bello di vivere, di non sapere mai cosa accadrà tra cinque minuti? Non abbatterti, prosegui e consegui i tuoi obiettivi, fino in fondo.- Susan si alzò dal letto di Albert e andò in cucina a preparare la cena per tutta la famiglia.
-Ha ragione.- pensò –Io devo continuare, con o senza Mary. In fin dei conti è una persona sola, se mollo ora chissà quanta gente morirà ingiustamente senza il mio intervento.- Si asciugò le lacrime e con una nuova energia cominciò a navigare in internet in cerca dell’accademia militare più vicina.
 -Papà, mamma, devo dirvi una cosa.- Susan e Jacob posarono sul tavolo le posate e guardarono Albert negli occhi: -Iniziamo dal principio.- Il ragazzo era più determinato che mai. –Avete notato che da circa sei mesi non ho più avuto nessun infortunio? Nemmeno un graffietto al dito?- I genitori erano allibiti. -Sì, ma cosa vuoi dire con…- -Io ho il potere di salvare le persone dalla morte e preservare me stesso da qualsiasi danno.- -Albert- disse Jacob –come fai ad aspettarti che noi crediamo a una cosa simile? Ti rendi conto di quello che stai dicendo?- -Certo, ma io posso. Se adesso vi do una dimostrazione dovete promettere di non dirlo a nessuno, intesi?- Ormai la faccia dei genitori si era tramutata in un punto interrogativo: -D’accordo, come vuoi.- rispose la madre. –Allora pensate a un numero, da zero a un miliardo, con anche cifre decimali se volete.- Il padre rise: -Fatto!- -Hai pensato al numero uno e tu, mamma, hai pensato allo zero.- La cucina esplose in una fragorosa risata: -Albert, se questo è uno scherzo è stato divertente, dico davvero! Eri davvero convincente.- -Allora sentiamo, papà, così, per curiosità, a che numero hai pensato?- - A 134.352,212.- -E tu mamma?- -A 101,1.- Albert sorrise e chiuse gli occhi, mentre il fastidio all’addome gli sembrò essere diventato un po’ più doloroso del solito.
–Allora pensate a un numero, da zero a un miliardo, con anche cifre decimali se volete.- Il padre rise: -Fatto!- -Signor Jacob, lei ha pensato al numero 134.352,212.- Il padre dovette tenersi alla sedia per non cadere dallo sconcerto. –Bello scherzo, davvero, bravi! Mi avete quasi convinto, ma…- -E lei signora Susan- continuò Albert come se fosse un prestigiatore –ha pensato al numero 101,1- Susan sbatté i pugni sul tavolo: -Ora basta! Smettila Albert, il gioco è durato fin troppo. Dimmi come hai fatto, subito.- -Te l’ho già detto, io posso.- Susan abbassò la testa vistosamente arrabbiata. –D’accordo, riproviamo. A cosa ho pensato?-
-A oggi che quasi stavi facendo un incedente con l’auto. Una donna ti ha tagliato la strada mentre eri al centro commerciale.- Susan divenne pallida come un fantasma: -O mio Dio, come… come fai a saperlo? Non l’ho detto a nessuno.- Tremante si diresse verso l’armadietto dei medicinali: -Ho bisogno assolutamente di un po’ di questo, e di questo.- In pochi secondi trangugiò una decina di pastiglie. Jacob era incora seduto a tavola impietrito, fermo a guardare nel vuoto.
-Lo sapevo, sono impazziti tutti!- La madre telefonò al suo medico: -…sì, è come l’altra volta, ma molto peggio! Non so se riuscirò a sopportare questa crisi…- Sconsolato, Albert si rivolse ad entrambi i genitori: -Non è possibile. Io vi dico che posso salvare vite umane e voi reagite in questo modo. Ho deciso, la prossima volta non vi dirò nulla di tutto ciò, mi avete deluso.- Jacob lo squadrò: -Cosa vuol dire la prossima volta?-
-Papà, mamma, devo dirvi una cosa.- Susan e Jacob posarono sul tavolo le posate e guardarono Albert negli occhi: - Ho deciso che voglio arruolarmi nell’esercito. Non potete più fermarmi.- -Stai scherzando vero?- gli chiese il padre. –Assolutamente no.- -Ma è una vita schifosa, e se ci sarà qualche guerra ti farai ammazzare!- intervenne la madre preoccupata e spaventata. –Vi prometto che la mia vita sarà al sicuro, anzi, la salverò a moltissime altre persone.- Jacob sbatté i pugni sul tavolo e si alzò: -Certo, e come farai? Hai un superpotere? Sei l’uomo ragno per dire queste cose?- -Non posso dirvi nulla. Se lo facessi voi…- Si interruppe per la paura di dover dare di nuovo troppe informazioni. –Voi?- lo esortò la madre. –Niente. Non posso dirvi più nulla. La decisone è presa. Parto domattina.- Detto ciò andò in camera sua a preparare i bagagli. –Se domani parti puoi anche non tornare più in questa casa!- urlò Jacob con voce tremolante ricca di dolore. –Credo che meglio di così non possa andare.- pensò rassegnato il ragazzo.
-E così mi sono giocato anche i miei. Non m’importa, questo e altro per un bene superiore. Oggi inizio una nuova vita. Mondo, sto arrivando!- Albert scese dal pullman dopo un viaggio di più di un’ora: ora si trovava nella caserma militare di Turancy.
Ad accogliere Albert e un’altra quarantina di ragazzi come lui giunse il colonnello Leviatan: -Qua non siamo in un campeggio estivo: voi lavorerete, suderete, vi spaccherete le ossa e sputerete sangue. Qua non c’è la vostra mammina che vi prepara la pappa che volete, che vi stira le camicette e vi consola. Non mi interessa la vostra età, per me siete tutti dei vermi schifosi che strisciano nella merda. Non mi obbedite? Bene, sarete processati e la vostra vita sarà rovinata. È tutto chiaro soldati?- -Sì signor colonnello!- risposero in coro tutti i ragazzi.
-Alla fine vedremo chi sarà il verme di chi.-

   

 

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Capitolo 3
*** Prove ***


La prima settimana fu solamente corsa, percorsi ad ostacoli, lavori umilianti e poco più, senza contare il cibo che era davvero pessimo. –Devo assolutamente fare qualcosa per farmi notare.- pensava Albert –Altrimenti non combinerò mai nulla di decente.-
Il destino del ragazzo prese una piega inaspettata proprio all’inizio della seconda settimana. Il colonnello Leviatan entrò nel camerone, dove tutti i soldati avevano le brande, e urlò: -Domani sosterrete un percorso ad ostacoli con graduatoria. Chi otterrà il punteggio migliore sarà promosso immediatamente di grado. Gli altri dovranno aspettare un’altra occasione che non si ripeterà tanto presto.- rise. -Tutto chiaro?- -Sì signore!- risposero tutti in coro. Levietan uscì dalla stanza con aria altezzosa e distaccata, accorandosi l’odio dei soldati presenti; i commenti che nacquero furono del tipo ‘se mi capita a tiro lo ammazzo’, oppure, ‘se diventerò suo superiore gli farò pulire tutti i cessi della accademia’ e altri molto più volgari.
Ventiquattro ore trascorsero molto velocemente.
Il percorso era diviso in diverse parti: nel primo tratto si doveva correre con un manichino sulle spalle di peso uguale a quello di un uomo per duecento metri; in seguito bisognava strisciare nel fango sotto una rete di filo spinato per venti metri; poi superare un muro liscio altro due metri; nella penultima parte bisognava procedere senza cadere restando attaccati con le braccia ai pioli di una scala posta orizzontalmente per dieci metri; infine i soldati dovevano avanzare rimanendo in equilibrio sopra un’asta di quindici metri fino al traguardo.
Come era prevedibile, Albert superò senza difficoltà il percorso senza, però, ottenere un buon tempo: arrivò undicesimo quando solamente i primi dieci venivano promossi di grado. Arrabbiato come non era mai stato prima, tornò nel camerone a cambiarsi gli abiti sporchi di fango putrido. –E adesso?- pensava –Come faccio a farmi notare? Certo non salverò mai nessuno restando un soldato semplice a vita. Forse ho sbagliato tutto e magari farò meglio a tornarmene a casa e tentare qualche altra strada.-
-O mio Dio!- urlò il soldato vicino ad Albert con la bocca aperta e gli occhi spalancati mentre lo osservava. –Non hai mai visto un uomo in mutande?- rispose il ragazzo infastidito. Il soldato si mise in piedi sul letto e cominciò a gridare, come se si trovasse a un mercato all’aperto mentre cercava di convincere i clienti a comprare la sua merce: -Guardate, guardate gente! Ecco l’uomo di ferro! L’uomo inscalfibile!- Tutti i soldati presenti, attirati dalle parole convincenti, si avvicinarono ad Albert osservando il suo corpo. Improvvisamente si sollevò un ‘ooooh’ generale, seguito da moltissimi commenti confusi. –Che cosa avete da guardare? Eh? Si può sapere?- urlò il ragazzo infuriato –Il tuo corpo- disse qualcuno tra la folla, -è perfetto, non ha un graffio o un livido. Com’è possibile? Come hai fatto a finire il percorso senza ferirti?-  -E adesso che me lo fai notare,- aggiunse qualcun altro –non ti ho mai visto cadere o rifare un ostacolo più di una volta.-
-E adesso come lo spiego?- Albert era in uno stato di panico profondo. Pensò di tornare indietro, evitando di mostrarsi nudo, ma abbandonò immediatamente l’idea, perché era impossibile cambiarsi senza essere notati, o tantomeno non cambiarsi affatto. –Io, io… sono stato attento a non farmi male, ci tengo al mio corpo.- -Bugiardo!- -Infatti, dicci come ci sei riuscito!- -Vogliamo saperlo anche noi!- -Non dire balle, e dicci il tuo segreto!- Pian piano i soldati strinsero Albert in un cerchio sempre più stretto fino a metterlo con le spalle al muro. –Ve l’ho detto, sono stato attento e…- Improvvisamente la voce del colonnello sovrastò tutte le altre, come un rombo di tuono che colpisce senza preavviso: -Cos’è tutto questo casino? Tornatevene tutti sulle vostre brande, altrimenti vi metto in punizione per tre mesi schifosi vermi.- Proprio come un gregge di pecore, i soldati tornarono silenziosi ognuno nel suo letto, senza proferire parola (Albert, intanto, si vestì velocemente). Leviatan afferrò con veemenza il braccio di un ragazzo, e gli ordinò di spiegare il motivo di tale confusione: -Ecco, signore… quello là!- distese repentinamente il braccio in direzione di Albert. –Lui… il suo corpo non ha nemmeno un livido dopo aver fatto il percorso di stamattina e non è mai caduto… e non ha ripetuto mai un ostacolo. Noi volevamo sapere come ha fatto. Tutto qui signore.- Il colonnello spinse via il sodato e si avvicinò ad Albert: -Spogliati!- gli ordinò. Il ragazzo obbedì, mostrandogli il suo corpo completamente illeso. Leviatan sgranò gli occhi: -Molto bene, rivestiti e seguimi senza fare storie. Sbrigati!-
Albert, mentre camminava col colonnello in mezzo al corridoio, fulminò con lo sguardo il soldato-spia, e con il labiale gli disse ‘me la paghi’; in risposta l’altro ragazzo gli alzò contro il dito medio. –Una volta tanto il mio potere è inutile.- pensò.
Il colonnello condusse Albert a un elicottero che stava sopra il tetto dell’accademia: -Sali.- disse –Il pilota sa dove portarti, e una volta là dì che sono stato io a mandarti.-
Dopo circa venti minuti di volo (Albert ebbe una paura folle), atterrarono al centro di un complesso circolare, una specie di Pentagono, ma rotondo. Ad attendere il ragazzo c’era un uomo vestito in giacca e cravatta e una ragazza più o meno della stessa età di Albert, forse un paio di anni in meno; lei portava una bandana intorno ai capelli che però, essendo molto lunghi, erano comunque visibili lungo la schiena. –Mi ha mandato…- -Tu devi essere Albert.- disse la ragazza. –Sì, ti ha avvertito Leviatan del mio arrivo?- Lei scosse la testa con aria di superiorità. –Lo so.- Albert rise: -Davvero? E come fai a saperlo?- La ragazza protese le braccia e aprì i palmi: -Se ti va, potresti anche cancellare questa scena, mentre noi non ce ne accorgeremmo nemmeno.-
Albert impallidì; pensò che la ragazza avesse i suoi stessi poteri, ma subito scartò l’ipotesi, in quanto lui non avrebbe mai rivelato la loro esistenza nemmeno in caso di tortura. –Cos’è, predici il futuro?- la stuzzicò cercando di farle abbassare la guardia. Lei sorrise, abbassò le braccia e chiuse gli occhi: -Devi sapere- disse –che non sei l’unico capace di gesti che vanno oltre la sfera del razionale. Esattamente non so come funziona il tuo potere, ma so che puoi cancellare gli eventi a tuo piacimento senza che nessuno se ne accorga. Ritengo che tu possa in qualche modo modificare la linea temporale ma, ripeto, è solo un’ipotesi. Magari puoi controllare le menti umane e farci credere quello che vuoi. Non lo so.-
Albert non sapeva più cosa pensare o cosa dire, così decise di tenersi sulla difensiva: -Comunque non hai risposto alla mia domanda. Poi, vorrei sapere chi sei.- La ragazza riaprì gli occhi, e il ragazzo dovette fare un piccolo passo all’indietro per non cadere dallo stupore: il colore delle iridi era cambiato da giallo ad azzurro. La ragazza si lasciò sfuggire un risolino: -Io mi chiamo Lucinda, e sono una sensitiva.- -Sì, come no!- la aggredì il ragazzo –Non mi faccio stupire da simili giochetti. Poi i sensitivi sono tutti bugiardi, non guardi la tv? È contro ogni logica essere…- -Perché tu invece segui la logica. No?- Albert si ammutolì di colpo. –Quindi, se vuoi…- lui fece cenno affermativo con la testa, –continuo il mio discorso.- Lucinda fece una piccola pausa prima di continuare, come se stesse aspettando che un pubblico invisibile facesse silenzio. –Io lavoro nel reparto investigativo come tante altre ragazze come me.- Albert aprì la bocca per porle una domanda, ma lei lo bruciò sul tempo: -Se vuoi sapere perché ho detto ‘come tante altre ragazze’, ti rispondo che questo dono possono riceverlo soltanto le persone di sesso femminile.- Silenzio. Albert continuava a fissarla immobile come una statua di cera. –Dicevo- continuò, -che io lavoro per risolvere i delitti. Io trovo il colpevole, poi è compito loro- indicò l’uomo che aveva accanto, -raccogliere le prove necessarie che incastrino l’assassino o il ladro. È dall’inizio dei tempi che il governo lavora con noi, nonostante nessuno lo sappia; la gente non è pronta per questo. Come hai detto tu, ci sono troppe persone che dicono di possedere questi poteri, e sono tutti dei bugiardi. Un vero sensitivo non sbandiererebbe mai la sua verità, si recherebbe immediatamente qui, poiché sa che è qui che ha la possibilità di rendere il maggior servigio alla comunità; non certo facendosi pubblicità con promesse del tipo ‘ti faccio parlare con tua mamma che è morta’ oppure ‘ti predico il futuro’.- Lucinda si avvicinò ad Albert e gli mise una mano sulla spalla; lui, in verità, ebbe un po’ di paura. –Se ti trovi qui è perché io ho ‘sentito’ che un giorno verrà un ragazzo con un potere talmente grande, che l’esercito non sprecherà più nessuna risorsa umana per risolvere i conflitti. Quel ragazzo sei tu.-
Albert era davvero eccitato: finalmente lo avevano riconosciuto per quello che valeva.
L’uomo in giacca e cravatta portò i due ragazzi all’interno del complesso, in una stanza dove alcune piastrelle erano contornate con una spessa linea nera, formando una specie di tabella con due colonne e dieci righe. –Hanno insistito molto che non lo facessi, ma io sono stata irremovibile, perché mi fido cecamente dei miei poteri, e quindi anche di te.- Detto ciò, Lucinda si spostò davanti alla piastrella sinistra della prima riga. –Devi sapere- disse l’uomo, -che sotto una piastrella delle due è nascosta una mina a pressione. Se Lucinda dovesse calpestarla salterebbe in aria in mille pezzi. Se hai davvero dei poteri, allora devi condurla fino alla fine indenne; la sola fortuna non ti basterà. Intesi?- -Hanno usato lo stesso metodo con me.- aggiunse la ragazza. –Dovevo scoprire sotto quale casella c’era la mina ed evitarla. Un po’ crudele, ma necessario suppongo. Se loro non vedono non ci credono. Io ce l’ho fatta, ora tocca a te, sono nelle tue mani.-
Albert cominciò a sudare e a essere agitato, nonostante sapesse che poteva benissimo cavarsela facilmente. L’uomo rise: -Ti vedo un po’ turbato. Sei sicuro di farcela caro mio?- Il ragazzo annuì. –Bene, cominciamo!-
-Destra.- disse Albert. Lucinda, con grazia, si spostò sulla casella ordinatale. Nulla. –Ottimo.- pensò il ragazzo. –Sinistra.- Ancora nulla. –Destra.- Appena la ragazza appoggiò il secondo piede sulla piastrella, un enorme boato riempì la stanza: il suolo si riempì di chiazze rosse, e vari pezzi del corpo di Lucinda si sparsero dappertutto. -Ops! Scusa!- sussurrò Albert.  –Maledetto impostore bastardo!- urlò l’uomo tentando di estrarre la pistola dalla fondina. –Adesso ti ammazzo!- Il ragazzo chiuse gli occhi, si concentrò, e dopo aver avuto il solito dolore all’addome, li riaprì.
-Sinistra.- Lucinda obbedì. –Destra.- Boom! –Maledetto impostore bastardo! Adesso ti…-
-Sinistra.- Silenzio. –Sinistra?- Nulla. –Destra!- Boom! –Maledetto…- -Che palle!- urlò Albert.
-Allora sinistra.- -Perché hai detto ‘allora’?- chiese l’uomo alle sue spalle. –Perché… non importa.- disse Albert ormai rassegnato. –Destra. Sinistra. Destra. Mamma mia che fortuna! E per concludere… destra!- Boom! –Maledetto impostore bastardo! Io ti…- -Ma cambia frase, dai su!-
-E per concludere… sinistra!– Boom! -Maledetto impostore bastardo! Io…- -Ma qui c’è qualcosa che non va!-
-Allora, dove vado?- chiese Lucinda. Albert sorrise: -Da nessuna parte, ci sono due mine.- Sia l’uomo che la ragazza applaudirono: -Per curiosità- chiese quest’ultima, -quante volte mi hai visto morire? E come è stato?- Albert abbassò lo sguardo e divenne improvvisamente triste: -Sei morta quattro volte, ma non ho provato nulla. Devi sapere che non sei la prima che vedo morire.-
-Non importa!- urlò l’uomo allegramente, –Quello che conta è che adesso abbiamo la prova che tu puoi salvare vite preziose. Non abbatterti, da oggi incomincia la tua avventura!-

 

 

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Capitolo 4
*** Inizio del lavoro ***


-Ti faccio vedere la tua stanza. Ah, io sono Manuel, piacere.- disse l’uomo in giacca e cravatta, stringendo la mano ad Albert.
L’uomo lo accompagnò in una camera enorme, con un letto, un mobile per la tv e svariati armadi lungo il perimetro; il pavimento era coperto da due giganteschi tappeti finemente lavorati. -Trattate così beni tutti i vostri ospiti?- Manuel rise: -No, solo quelli speciali. Il mio alloggio è di gran lunga peggiore di questo. Ti invidio. Pranzo alla una, colazione alle otto e cena alle sette e mezza.- Allargò le braccia: -Fai come se fossi a casa tua. Esplora il posto, se ti va. Ormai qui ti conoscono già tutti. Quando avremo bisogno di te ti chiamerò.-
Albert scoprì che gli armadi erano pieni di vestiti per ogni occasione: dai cappotti pesanti alle magliette leggere, dai jeans ai costumi da bagno; inoltre c’era anche uno scaffale con più di cinquanta paia di scarpe. Di certo il ragazzo non rimpianse mai il bagaglio che aveva abbandonato all’accademia.
Dopo aver fatto una doccia veloce, cominciò a esplorare la struttura. Entrò in una stanza ricolma di computer e pezzi per i computer, senza contare le decine di cuffie che vi erano ammassate sopra. –Tu devi essere Albert!- Il ragazzo sobbalzò non capendo da dove provenisse quella voce; poi notò un ometto con gli occhiali dietro una fila di monitor pieni di dati in continuo movimento. –Piacere, io sono Ricky, ma chiamami pure CD, come fanno tutti.- -CD?- ripeté il ragazzo stupito. –Sì, CD! Io sono la mente di questo posto, sono l’informatico, colui che sa, o meglio, che sa trovare tutto. Vuoi sapere cosa ha mangiato ieri a colazione il presidente? Presto fatto!- Digitò un paio di stringhe sulla tastiera e girò il monitor verso Albert: sullo schermo c’era raffigurato il menù di un ristorante. –Ieri il nostro presidente ha fatto colazione lì, al Madison restaurant, prendendo quel menù.- Albert rimase allibito. –Davvero puoi sapere qualsiasi cosa?- -Più o meno sì, se è registrata da qualche parte io la trovo.- -Dimmi qualcosa… sul colonnello Leviatan.- In meno di dieci secondi CD ebbe tutte le risposte: -‘Colonnello Arthur Joseph Leviatan, nato nel 2018 a Resistance, in questo Stato. A diciotto anni intraprese la carriera militare proprio nella tua stessa accademia con brillanti risultati. A ventinove anni partecipò alla sua prima missione completandola con successo, salvando la vita a dodici soldati tenuti in ostaggio da dei terroristi. A trentadue, invece, ricevette la medaglia…’- -Basta così, grazie.- disse il ragazzo ormai annoiato a morte. –Ma ci sono altre trenta pagine…- -Grazie, basta così, grazie davvero.- Un po’ sconsolato e deluso, CD tornò tra i suoi mille schermi a cercare chissà quali informazioni.
Uscito dalla stanza, Albert si trovò davanti Manuel: -Abbiamo bisogno di te. La tua prima missione.- -Come facevi a sapere che ero qui?- -Sono un sensitivo.- Il ragazzo rimase a bocca aperta: -Anche tu sei un… ma Lucinda mi ha detto che…- L’uomo si piegò in due dalle risate: -Avresti dovuto vedere la tua faccia! Troppo divertente.- Albert, al contrario, non si stava divertendo per nulla, e aveva già in mente di tornare indietro per evitare l’umiliazione. –Scusa.- Tornò serio. –Questo posto è pieno di telecamere. È stato facile trovarti.-
-Questa è la situazione.- Manuel portò Albert davanti a uno schermo in cui c’era una casa vista dall’esterno. –Dentro- continuò l’uomo –c’è una persona che ha detto aver addosso delle cariche esplosive, ed è pronto a farsi saltare appena qualcuno entra nella casa. L’unico contatto che abbiamo è il telefono all’interno dell’abitazione, ma lui non collabora.- -E io cosa dovrei fare?- chiese il ragazzo incuriosito, anche se in realtà aveva dei sospetti. –Tu devi dirci se è vero che ha addosso della dinamite. Dimenticavo che nella casa c’è minimo un ostaggio, forse due o tre.- -Ma non avete provato a infiltrare qualche microcamera per vedere la situazione all’interno?- -Certo!- rispose CD che intanto si era unito si due. –Le mie spie sono le migliori. Il problema è che il pazzo indossa un grosso cappotto e non possiamo sapere se bluffa o no, il detonatore potrebbe averlo addosso. Poi lui dice che gli ostaggi sono chiusi in bagno, e arrivare fino a quella stanza senza essere visti è impossibile. Non ho ancora la vista a raggi X.-
-Allora Albert, se irrompiamo farà saltare tutto il quartiere?- chiese Manuel fiducioso. –No, andate pure. Non ha niente addosso.- disse Albert, e poi sottovoce: -Almeno spero.-
-Squadra Alfa, dalla porta sul retro. Squadre Beta e Charlie, dalle finestre. Go go go!- urlò il maggiore nella sua auricolare; il ragazzo poteva giurare che godeva nel dare ordini.
Albert osservava  attentamente le manovre: le tre squadre erano formate da cinque soldati ciascuna; essi erano armati con un fucile d’assalto, un M4A1 per essere precisi, delle granate fumogene e stordenti, e indossavano casco e giubbotto antiproiettile blu scuro.
Il primo uomo sfondò la porta sul retro, nello stesso istante in cui i vetri delle finestre andavano in frantumi. Il malvivente fece una smorfia di disappunto, si afferrò la caviglia e si fece saltare in aria.
-Ora sono entrati, e… o mio Dio!- Il volto di Manuel divenne pallido e pieno d’orrore. –Che cosa hai fatto?- disse con voce roca e tremante. –Hai ucciso quindici dei migliori uomini della SWAT.- -Stia tranquillo maggiore!- replicò Albert -Uno, due, tre…-
-Allora Albert, se irrompiamo farà saltare tutto il quartiere?- chiese Manuel fiducioso. –Sì, ha una bomba, e credo che il telecomando d’innesco l’abbia addosso, o nelle sue immediate vicinanze.- Manuel lo guardò incuriosito: -E come fai a saperlo? Cioè, le squadre non hanno mosso nemmeno un muscolo… Ora mi spiegheresti il tuo potere?- Il ragazzo sbuffò: -E va bene. Io posso tornare indietro nel tempo di quanto mi pare, da pochi secondi a delle ore. Tuttavia posso scegliere più accuratamente quando fermare il rewind per lassi di tempo piccoli: diciamo che sono più preciso sui minuti piuttosto che sulle ore.- Il maggiore lo fissava con la bocca e gli occhi spalancati: -Allora sai che il tizio non bluffa perché…- -Perché ha già visto che farà esplodere la bomba se entrerete.- Sia Albert che Manuel si girarono, e videro che Lucinda li aveva raggiunti silenziosamente nella stanza.
Il maggiore prese l’auricolare: -Ritirare le squadre Beta e Charlie, e chiamatemi la squadra dei tiratori scelti.- Poi si rivolse ai ragazzi, e disse, come per giustificarsi: -Avrei potuto chiamarli dall’inizio, ma avrei preferito non uccidere l’obiettivo.-
In meno di dieci minuti, sul campo di battaglia giunse un furgone blindato, grigio, con la scritta ‘SWAT’ in grande e sotto, in più piccolo ‘Squadra speciale’. Dalla vettura scesero tre uomini vestiti come gli altri soldati, soltanto che impugnavano un lungo fucile da cecchino, un M24 per l’esattezza; in una manciata di secondi, gli SWAT si disposero intorno al perimetro della casa pronti a far fuoco, come leoni nella savana che attendono i movimenti della preda prima di sferrare il loro mortale attacco.
-Ora entri in gioco ancora tu, caro Albert.- Manuel afferrò con rabbia il telefono: -Intorno all’abitazione c’è una squadra di tiratori scelti pronti a far fuoco. Se vuole salvare la pellaccia, le consiglio di…- Dall’auricolare sulla scrivania si sentì la voce di un soldato urlare: -Signore, si sta facendo…- Sullo schermo Albert rivide la stessa scena di pochi istanti prima: la grossa esplosione coinvolse altre due case confinanti, facendo emergere una gigantesca coltre di fumo nero carica di detriti e di morte. Il maggiore guardò negli occhi il ragazzo, e con voce tremante disse: -Tu… Tu puoi salvare i miei uomini, no?- -Cosa devo fare?- -Impediscimi di comunicare all’assassino l’arrivo dei tiratori scelti.- -Ma come?- -Dimmi: ‘non farlo, o la pecora scappa dal recinto’.- Albert era davvero confuso, ma accettò le condizioni impostegli. Chiuse gli occhi e si concentrò. Quando li riaprì lanciò un piccolo gemito di dolore.
-Ehi, stai bene?- chiese il maggiore. Il ragazzo annuì: -Quando giungeranno i tiratori scelti non deve assolutamente comunicare al criminale il loro arrivo, altrimenti si farà saltare in aria.- Manuel scosse la testa: -Non posso non comunicarlo, è il protocollo. Devo farlo a tutti i costi, verrò licenziato se non eseguo…- -Non farlo, o la pecora scappa dal recinto.- Il maggiore rimase impietrito, come se qualcuno gli avesse puntato una pistola alla schiena.
Appena la squadra speciale circondò l’edificio, Manuel prese l’auricolare: -Appena avete chiaro il bersaglio fate fuoco.- -Ma signore…- -Niente storie!- urlò –Obbedite ai miei ordini!-
Dopo circa un quarto d’ora, si sentì uno sparo provenire dal retro della casa: -Bersaglio a terra.- disse l’auricolare. –Squadra Alfa, entrate dalla porta principale.- proseguì Manuel. Dopo pochi secondi, un soldato espose la situazione: -Bersaglio abbattuto, ripeto, bersaglio abbattuto. Gli ostaggi sono tutti illesi.-
Lucinda fissava il ragazzo così insistentemente da metterlo a disagio: -Cosa vuoi?- sbraitò Albert. –So cosa ti tormenta.- rispose la ragazza con voce sottile e calma. –Davvero? E cosa sarebbe?- -Credi che noi possiamo usare i nostri doni liberamente senza pagare nessun prezzo?- -Non… non so di cosa tu stia parlando.- disse Albert mentendo platealmente. –Per esempio io- continuò lei –sono destinata a diventare cieca. Ogniqualvolta faccio ricorso alla mia abilità, la vista mi si annebbia sempre più. Tu devi avere qualcosa di simile, che si consuma piano piano.- Albert rammentò la prima volta che era tornato indietro: quella che prima era stata una dolorosa fitta all’addome, allora era un piccolo solletico. Infastidito, si alzò e andò nella sua stanza a guardare il notiziario.
-Oggi la squadra speciale della SWAT ha abbattuto un pericoloso criminale che teneva in ostaggio due persone. Il malvivente, inoltre, era imbottito di numerosi candelotti di dinamite. Nulla sono servite le intimazioni ad arrendersi della polizia.- Il ragazzo spense la TV –Intimazioni?- pensò –Se non avessi detto al maggiore di stare zitto, ora tutto non sarebbe altro che inutile polvere grigia.-
Manuel bussò, e poco dopo entrò nella camera: -Mi sembra opportuno che tu sappia che quell’uomo faceva parte dei Black Orango, un’organizzazione criminale immensa, che traffica armi, persone e droga. Saranno anni che diamo la caccia ai loro membri.- -Perché dovrei saperlo?- chiese il ragazzo incuriosito da quella frase tanto strana. –Perché dieci minuti fa hanno concluso un affare di milioni di dollari in traffico di armi molto pericolose. Se tu potessi, come dire…- -Tornare indietro e ordinarvi di attendere il carico e così di impedire lo scambio?- Manuel fece un salto dalla gioia: -Esatto! Il posto è il porto Cerry, mollo 5 scalo 2. Ok?- -Nessuna strana frase per farti… - -No, basta solo che dici che sono i Black Orango. Io saprò che non stai mentendo, dato che questa informazione tu non la possiederai ancora.-
La fitta fu dolorosa tanto quanto la precedente, forse anche un po’ di più. Albert si trovò nell’istante in cui era appena uscito dalla stanza dove poco prima coordinava le operazioni della SWAT. Rientrò immediatamente: -Maggiore, i Black Orango stanno per compiere uno scambio di armi al porto Cerry, molo 5 scalo 2.- Manuel  assunse un’aria confusa e stupita, ma subito dopo sorrise: -Ti ho detto tutto io, giusto?- Anche il ragazzo sorrise, e annuì con la testa. Come un lampo, il maggiore si alzò dalla sedia, prese il suo telefono e, mentre correva fuori dalla stanza, continuò a dare ordini minacciosi a ripetizione al povero soldato che era all’altro capo della linea.
Dopo un paio d’ore, Manuel si ripresentò nella camera di Albert con in mano una medaglia d’oro con inciso: ‘Sum Veritas’. –Questa medaglia significa che tu sei il portatore della verità; d’ora in poi, perfino il generale in persona, ha l’obbligo di ascoltarti e obbedirti nei limiti possibili.- Il ragazzo accettò il dono con le mani tremanti per l’emozione. – Con questa- aggiunse il maggiore –fai ufficialmente parte del reparto ‘occulto’ dell’esercito, riconosciuto in tutto il mondo. Con questa possiedi un enorme potere; con questa non sarai più obbligato a eseguire tutti gli ordini che ti verranno dati; con questa sei un uomo libero e autorevole.-
Appena Manuel uscì dalla stanza, Albert prese la medaglia e se la strinse al petto: -Sempre più potente, sempre più potente!-

 

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Capitolo 5
*** Problemi ***


Il tempo passò velocemente, mentre Albert, unito alle capacità di Lucinda, risolveva e sventava casi sempre più complicati, finché non arrivò il giorno della sua ultima missione.
-Secondo Lucinda, il capo dei Black Orango si trova dentro quella fabbrica tessile abbandonata. Albert, dai istruzioni alla squadra.- Manuel era stato promosso a colonnello dopo aver fatto fallire più di una decina di colpi ai trafficanti.
-Squadra Alfa, entrate all’interno dell’edifi…- Un lampo abbagliante accecò momentaneamente Albert, sebbene si trovasse a osservare la scena da uno schermo lontano dall’azione; subito la luce fu seguita da un enorme boato, mentre tutti i soldati venivano spazzati via dall’esplosione. –Merda!- urlò Manuel –Ci stavano aspettando quei bastardi, ma come facevano a saperlo? Fai qualcosa o giuro che sarò io ad ammazzarti.- Albert sbuffò e chiuse gli occhi.
Il dolore si era esteso anche al torace, facendogli soffrire pene infernali.
-Squadra Alfa, fermi!- urlò il ragazzo. Prese una seconda auricolare: -CD, ci sei?- -Forte e chiaro signore!- -Ottimo, dammi un’altra entrata dell’edificio, che non sia quella principale e nemmeno quella sul retro.- -Fatto. Alfa potrebbe irrompere dal canale di scolo, è sufficientemente grande.- -Entrate dal canale di scolo, CD vi fornirà le coordinate esatte.-
Una volta all’interno dell’edificio sgominare tutte le trappole fu un gioco da ragazzi: -Granata stordente dietro alle barricate che avete davanti, sono appostati tre nemici.- suggerì Albert osservando l’azione dalla telecamera posizionata sull’elmetto di un soldato. Dopo una piccola esplosione, tre uomini uscirono da dietro degli scaffali barcollando e tenendosi la testa come ubriachi. –Avanzate!- ordinò il ragazzo.
Dopo circa mezz’ora, il primo piano dei tre era sgombero.
Il secondo fu molto più difficile da ripulire: Albert dovette tornare indietro cinque volte; tre per agguati, una per un cecchino, e infine per evitare un missile nemico sparato da un bazooka.
–Siamo pronti per irrompere al terzo piano. È incredibile signore! Non abbiamo perso nessun soldato grazie alle indicazioni di Albert, nonostante ci fossero più di cinquanta nemici.- esclamò il capo della squadra Alfa all’auricolare di Manuel e di Albert. Dopo quella frase il ragazzo si sentì realizzato: finalmente stava vivendo il suo sogno, stava salvando vite umane e la sua di vita non poteva andare meglio; si sentiva onnipotente, capo del mondo e sovrano del tempo, nulla e nessuno poteva contrastarlo.
-Dentro la stanza c’è il capo dell’organizzazione Black Orango.- disse improvvisamente Lucinda. Manuel si alzò dalla sedia: -Lo voglio vivo, ripeto, vivo a tutti i costi!- -Ricevuto signore. Pronti? Entriamo!-
Albert cominciò a ridere. Appena la porta si spalancò, un’enorme pioggia di proiettili (anche attraverso le spesse pareti) investì Alfa uccidendo tutti i soldati. Il colonnello sbatté l’auricolare per terra e cominciò a urlare in faccia ad Albert, il quale continuava divertirsi: -Che cazzo hai da ridere, si può sapere, eh?- -Rido perché hai sempre la stessa reazione ogni volta che muore qualcuno della tua squadra.- Ora fu Albert ad alzarsi, e mise sfrontatamente il suo viso a pochi centimetri da quello del colonnello con aria di sfida: -Non hai ancora capito che sono io qui il capo? Se voglio, potrei ucciderti, e tu tra pochi secondi non lo sapresti nemmeno. Senza di me tu non sei nulla, per cui abbassa i toni quando parli con me; mi sono stancato.- Manuel estrasse la pistola dalla sua fondina e la mise sul tavolo davanti al ragazzo: -Potresti uccidermi? Bene, fallo!- -Non mi sfidare…- -Fallo!- urlò. Albert con un movimento rapido prese l’arma e gli sparò in pieno petto.
Nella stanza calò il silenzio, mentre in lontananza si sentivano dei passi avvicinarsi sempre più. Albert aveva ancora impressa sul viso un’espressione cinica, malvagia: quell’azione lo aveva fatto sentire meglio; era proprio un gesto del genere la prova definitiva della sua onnipotenza, e questo il ragazzo lo sapeva.
Lucinda gli si avvicinò lentamente, come se nulla fosse accaduto in quella stanza: -Ora che hai capito che puoi fare quello che vuoi, torna indietro e concludi l’operazione.-
-Non entrate!- urlò nell’auricolare Albert. –Dall’altra parte vi aspettano con mitragliatrici pesanti, se irrompete morirete tutti.- -D’accordo squadra- disse Manuel –allontanatevi e fate saltare la porta, poi fumo a volontà, non devono vedervi, non devono sapere che siete lì. Usate i proiettili di gomma, voglio il capo vivo.-
L’operazione fu un successo: i criminali furono presi in contropiede dall’esplosione e dalla nebbia, e in pochi minuti furono tutti a terra in arresto.
Dalla sala di controllo risuonarono le grida di gioia di Albert, Manuel e di CD nell’auricolare: -Ce l’abbiamo fatta, i Black Orango sono finiti!- Poi il colonnello abbracciò il ragazzo: -Senza di te tutto ciò non sarebbe stato possibile. Grazie davvero.- -Ok, questo bilancia il fatto che ti abbia sparato.- Il colonnello tornò serio: -Hai fatto cosa?- -Niente, assolutamente niente!- si affrettò a dire il ragazzo. –Avevo capito che tu… ma non importa. Tra due ore ti voglio nella sala interrogatori: la squadra porta qui il capo dei Black Orango. Magari mi potrebbe servire ancora il tuo aiuto.- Così, con un’altra pacca sulla spalla, congedò Albert e Lucinda.
Due ore più tardi Albert vide entrare il capo dei Black Orango nella sala interrogatori: l’uomo era scortato da due guardie ed era ammanettato alle gambe e ai polsi; era vestito con una camicia nera strappata in più punti e indossava un paio di pantaloni bucati sulle ginocchia; aveva un viso bianco e affilato, con una lunga coda di capelli nera che gli scorreva lungo tutta la schiena tenuta insieme da molti elastici colorati.
Quando il criminale entrò nella stanza, alzò la testa, e infilò la mano destra nella coda di capelli. Una guardia gli afferrò il braccio e l’uomo lo colpì nel petto con una piccola asta di ferro arrugginita. La seconda guardia tentò di estrarre la pistola, ma fu troppo lenta: il criminale la trafisse in piena gola, tappezzando le pareti della camera di rosso. –Tanto morirete tutti!- urlò a squarcia gola, mentre tentava inutilmente di uscire tirando calci alla porta blindata, come una bestia impazzita in gabbia.
-Potevano perquisirlo meglio.- commentò Lucinda che intanto aveva raggiunto Albert. –Sai cosa fare.- gli sussurrò all’orecchio. Il ragazzo chiuse gli occhi, e, quando li riaprì, sentì all’interno del suo corpo un dolore lancinante che era diffuso dal petto al bacino; mise le mani davanti bocca e tossì un paio di volte.
Prima che il criminale fosse portato dentro la sala interrogatori, il ragazzo informò le guardie del pezzo di ferro tra i capelli del criminale. –Figlio di una cagna!- disse uno dei due. –Che cosa volevi fare? Adesso prima di interrogarti ti portiamo a fare un bel giretto…-
-Secondo me dovresti andare a farti visitare.- disse Lucinda con la sua solita calma. –E perché mai?- rispose il ragazzo stizzito. –Guardati le mani.- Albert osservò i palmi delle sue mani: erano coperti di sangue. –Co…cosa mi succede?! Cosa mi sta succedendo?!- Il ragazzo era in preda a un terrore che mai aveva sperimentato in vita sua; gli occhi erano spalancati, e il respiro era corto e affannoso, mentre, senza che se rendesse conto, stava tremando. L’onnipotente Albert era stato corrotto.
-Tra poco, appena il computer li elabora, ti do i risultati.- Albert era davvero stufo di stare sdraiato su quel lettino bianco, in quella stanza dove tutto odorava di disinfettante, e di sentire sempre quella voce tanto fastidiosa. –Ecco che arrivano…- Il dottore stette un paio di secondi in silenzio; guardò il ragazzo, e poi abbassò lo sguardo sullo schermo del computer per la seconda volta; il ragazzo, e lo schermo, di nuovo. –Mio caro- disse –hai partecipato per caso a una rissa in questi giorni?- Albert rimase stupito da quella assurda frase. –Non mi interessa cosa hai fatto- proseguì il dottore –ma devi smettere immediatamente. Non ho mai visto una cosa del genere: sembra che i tuoi organi abbiano subito una forte pressione sia dall’esterno che dall’interno, come se… in parole povere sembra che tu li stia spremendo.- Albert era perfettamente consapevole di ciò che gli stava accadendo, ma nel suo inconscio non era ancora pronto ad accettarlo definitivamente. Prima che il ragazzo uscisse dallo studio, sentì il dottore che gli disse che se non avesse preso delle precauzioni, molto presto il danno sarebbe stato irreversibile.
Per ‘distrarsi’, Albert andò ad ascoltare l’interrogatorio nella stanza accanto a quella del criminale, in cui, attraverso un vetro, poteva osservarlo senza essere visto.
–Sappiamo entrambi che i Black Orango non sono stati definitivamente sconfitti. Bruce, se mi dici qual è il piano, sicuramente tenterò di fare qualcosa per te.- disse Manuel, serio e irremovibile, seduto davanti al malvivente. Bruce rise: -D’accordo, se vuoi ti spiego tutto.- Il colonnello rimase tanto sorpreso quanto sospettoso: gli sembrava davvero impossibile che un criminale del suo calibro si fosse arreso tanto facilmente. –Credi che non me ne sia accorto che tutti i nostri tentativi di traffico d’armi e droga siano falliti miseramente? E quando dico ‘tutti’, intendo proprio tutti.- -Siamo diventati sempre più bravi.- rispose Manuel inorgoglito. - Poi vi conosciamo da tanto tempo, ormai siete un libro aperto per noi.- Bruce scosse la testa: -Credi anche che la nostra organizzazione non abbia delle spie infiltrate dappertutto?- Ora il colonnello impallidì. –Esatto, ne abbiamo anche ‘un paio’ qui da voi.- Fece una breve pausa, come per far piombare ancora di più nello sconforto il suo interrogatore. –Da un paio di anni non riusciamo più a concludere un affare, e guarda il caso, proprio da quando in questo posto è arrivato un nuovo ragazzino, un certo Albert. I nostri informatori mi hanno detto che è capace di cose straordinarie, e la prova è che nessuno dei vostri soldati sia stato mai ferito.- Schifoso bugiardo!- urlò Manuel –Nulla di ciò che hai detto è vero!- Bruce rise di nuovo: -Davvero? Scommetto che il ragazzo adesso si trova dietro quello specchio.- Il sangue di Albert gelò di colpo. –D’accordo, allora il tuo piano quale sarebbe?- chiese il colonnello sicuro di sé –Se credi che abbiamo un’arma così potente, come farai a batterla?- Bruce allargò le gambe e si mise a suo agio sulla sedia metallica, come se si trovasse in un locale pubblico: -So che Albert può tornare indietro nel tempo e cancellare ciò che è avvenuto.-
Il ragazzo cominciò a passeggiare per lo stanzino, nervoso più che mai: non gli sembrava possibile che il suo più intimo segreto fosse tra le mani dell’organizzazione.
-Ora ti dico cosa faremo.- continuò Bruce –Non importa quante volte il ragazzo torni indietro nel tempo, (magari lo ha fatto in questo momento) ma non potrà mai cancellare la sua morte.-
-Touché, mon amie, touchè!- disse scherzosamente Lucinda alle spalle del ragazzo. Albert voleva spaccare il mondo: non solo il suo dono, ma adesso anche il suo punto debole; si sentiva totalmente impotente, e ciò lo faceva stare male più di qualsiasi altra cosa.
-Il mio piano è questo. Domani, 31 maggio, un mio complice entrerà qui, in questo edificio; naturalmente nessuno di voi sospetta minimamente chi sia. Nella sua valigetta avrà tanto esplosivo da far saltare tutta la baracca. Potete trasferire il ragazzo da qualche altra parte, ma noi lo verremmo a scoprire comunque in breve tempo. Se decidi di controllare tutte le valigette, accomodati pure: c’è troppa gente che lavora qui, ed è impossibile per te controllare ogni singola persona. Dovrai delegare l’incarico ad altri e… il gioco è fatto. Chiudi la baracca per il 31? Nessun problema! Il tutto avverrà il giorno successivo, o quello ancora dopo. Hai perso: Albert potrà tornare indietro quante volte vorrà, comunque è impossibile che il 31 maggio non giunga. Puoi tentare di tutto, se vuoi, ma ci sono troppi miei uomini qui dentro.- Poi col sorriso sulle labbra: -Sarà una strage! E se quel giorno il ragazzo volesse fare l’eroe, e consegnarsi, sappi che non lo accetterò: insieme a lui devono morire altre persone.- -Se siete così organizzati, perché non fate saltare in aria tutte le nostre basi operative, così da toglierci di mezzo tutti?- chiese Manuel. –Semplice! Perché fino ad oggi ci abbiamo guadagnato. Non hai idea di quanti colpi abbiamo messo a segno grazie alle nostre spie. Se voi non ci foste più, un’altra agenzia prenderebbe il vostro posto, e io dovrei ricominciare il lavoro da capo.-
Il colonnello guardò lo specchio dietro il quale c’era Albert, e con l’espressione del suo volto gli chiedeva disperatamente aiuto.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Dolorosa soluzione ***


Albert continuava ad arrovellarsi per trovare una soluzione al problema, rendendosi conto che comunque non avrebbe più potuto usare troppe volte il suo potere: -Non posso tornare indietro quando la bomba è già scoppiata; ma nemmeno prima, perché non saprò mai quando la piazzano. Se tornassi indietro adesso, spiegassi la situazione…- Batté un pugno sul tavolo. –Bruce ha detto che saprebbero dove mi trovo, e progetterebbe un altro attentato, uccidendo ancora più persone.- Si sedette di fianco a Lucinda, mise la testa sul tavolo e iniziò a piangere: -Io volevo solo salvare delle vite innocenti.- disse –E ora mi trovo con la condanna a morte appesa al collo.-
In quel preciso istante entrò anche Manuel. Il ragazzo alzò la testa e si asciugò gli occhi ancora umidi; appena il colonnello notò il gesto, cadde a terra in ginocchio: -Siamo fottuti. Non c’è più nulla da fare, ha ragione, ha troppi uomini qui dentro per poter tentare qualcosa.- Qualche solitaria lacrima cominciava a bagnare il ruvido pavimento. –Possibile che io non mi sia accorto della corruzione dei miei uomini? Che razza di uomo sono diventato?-
Il silenzio era sovrano nella piccola stanza: tutti non riuscivano a capacitarsi di ciò che li attendeva il giorno successivo, e più cercavano di sbrogliare la gigantesca matassa, più si rendevano conto che era impossibile.
Manuel si alzò da terra e diventò di nuovo serio: -Penso che sia la cosa più brutta al mondo da dire, specialmente a un ragazzo giovane come te. Quando hai deciso di arruolarti nell’esercito hai accettato di servire il tuo paese con la vita. Il giorno è giunto. Ora vado a trasferire in un’altra sede gli uomini più importanti, purtroppo non tutti: se i Black Orango si dovessero accorgere, Bruce ha detto che l’attentato sarebbe rimandato. Non posso tenere funzionante questa struttura solamente con una decina di uomini…- Non riuscì a trattenere le lacrime: -Con ciò ho condannato a morte centinaia di persone, compreso te Albert. Mi potrai mai perdonare?- -Sì, signore!- rispose deciso –Sono consapevole che questa è la scelta migliore. Ma mi deve promettere che da oggi in poi farà una caccia spietata a tutti i traditori.- Il colonnello annuì: -Puoi scommetterci. Lucinda, vieni con me, l’elicottero ti sta aspettando.- La ragazza guardò negli occhi un’ultima vota Albert, e lui sentì come un brivido pervadergli il corpo; poi lei, appena prima di uscire, fece scattare lo sguardo sul tavolo dietro al ragazzo.
Albert lesse il biglietto che Lucinda aveva lasciato apposta per lui: -‘Vuoi salvare tutte quelle persone innocenti? Basta che tu rifletta un minuto. Chi è che ha ultimamente intralciato i piani dei Black Orango? Chi è il loro principale obiettivo? Chi è la causa di questo problema? Tu.’- Il ragazzo lasciò cadere il biglietto a terra, come una foglia che si stacca dall’albero ormai morto. –Sono io la causa di tutto.- pensò –Se io scomparissi dalla scena tutto si risolverebbe. Scappare?- Il briciolo di speranza si spense immediatamente: -Lo verrebbero a sapere, e dopo mi cercheranno sicuramente. Poi non è detto che non facciano ugualmente l‘attentato per compensare la mia non-morte. Allora devo suicidarmi?- Uno scarafaggio passò furtivo sul pavimento. –No, è la stessa storia: nessuno mi garantisce che dopo non muoia più nessuno. Ma allora Lucinda cosa voleva dire…- Improvvisamente, come la scintilla che accende il fuoco del naufrago in fin di vita, giunse alla soluzione. Trasse un lunghissimo respiro e chiuse gli occhi. Era la prima volta che tentava.
Inizialmente sentì il solito forte dolore all’addome e al petto, ma subito dopo si trasformò in un’agonia; tossì forte, molto probabilmente sangue, e sentì come se una mano invisibile gli stesse stritolando tutti gli organi del corpo, dal primo all’ultimo. Poi freddo, le membra non rispondevano più ai comandi del cervello; sentì che il calore della vita lo stava lentamente abbandonando.
Aprì gli occhi e sentì una dolce e flebile voce in lontananza che lo stava chiamando: -Albert! Albert! Cosa ti succede? Alzati!- Si trovava a scuola, sdraiato nel corridoio, con tutte le labbra e il mento sporchi di sangue. Accanto a lui, che gli teneva la mano, c’era Mary in lacrime, che muoveva le labbra senza emettere più alcun suono. Albert fu felice, felice di aver salvato centinaia di persone, felice per aver districato l’orribile matassa, ma soprattutto era felice di aver visto per l’ultima volta il viso della ragazza che aveva sempre amato.

 

 
-Scusami Manuel, ma prima devo andare un momento in bagno. Ti raggiungo tra poco sull’elicottero.- -Come vuoi Lucinda, ti aspetto là.
-Master?- -Piacere di sentirti Lucy.- -Volevo informarvi che tutto è andato secondo il mio piano.- -Davvero Lucy? Ottimo. Quindi tutti hanno creduto alle parole di Bruce?- -Dalla prima all’ultima.- -La tua idea… davvero fantastica. Sei sicura che il ragazzo seguirà il tuo consiglio?- -Certo, ne sono sicura. È troppo preso dal ‘salvare le persone’. Presto si renderà conto, se non lo ha già fatto, che l’unico modo per uscire dalla situazione è quello di tornare indietro prima che si arruolasse.- -E tu dici che questo lo ucciderà?- -Sicuramente. Così noi avremo il campo libero. Tutti i colpi falliti saranno un successo senza di lui.- -Devo proprio complimentarmi con te, Lucy. Hai detto che il capo della nostra organizzazione era in quella fabbrica abbandonata, e infatti l’hanno catturato.- -Certo Master, ho fatto un ottimo lavoro, nessuno ha mai sospettato di me. Poi Bruce ha raccontato che abbiamo tantissimi infiltrati e che uno di questi avrebbe fatto saltare in aria l’intero edificio per eliminare Albert; dopodiché gli ho scritto un biglietto, dove proponevo la soluzione a tutto.- -Già che sono davvero degli idioti a pensare che avessimo sprecato così tanti uomini per infiltrarci tra di loro. Basti tu: continua a risolvere casi, tienili impegnati mentre noi concludiamo i nostri affari.- -Come sempre Master!-

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