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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scoperta e consapevolezze ***
Capitolo 2: *** Perdite e nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Prove ***
Capitolo 4: *** Inizio del lavoro ***
Capitolo 5: *** Problemi ***
Capitolo 6: *** Dolorosa soluzione ***
Capitolo 1 *** Scoperta e consapevolezze ***
Albert possedeva un
dono davvero speciale.
Tutto iniziò il 22 dicembre, quando frequentava ancora la
quarta liceo.
Albert era un ragazzo solitario, non aveva molti amici,
poiché, come sosteneva lui, -Gli uomini sono una razza
stupida: senza molte
persone il mondo sarebbe migliore.- In questa categoria aveva posto il
90%
della sua classe. Ciò nonostante c’era Mary, una
ragazza semplice,
intelligente, che aveva molte opinioni in comune con Albert. I due,
così,
avevano stretto fin dal primo incontro un profondo legame che andava
oltre alla
semplice amicizia: era la completa fiducia di uno nei confronti
dell’altro.
Se si vuole essere precisi ad Albert piaceva Mary, e a
Mary piaceva Albert, ma nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di
fare il
primo passo, perpetuando così il loro gioco senza sconfinare
nella sfera
amorosa.
In quel 22 dicembre era nevicato molto, lasciando tutti
gli edifici e le vie della città ricoperti da un soffice e
candido strato di neve
fresca. Nonostante molti odiassero la neve, sostenendo la sua
pericolosità per
le strade e le difficoltà che creava per i viaggi, ad Albert
e Mary piaceva
molto: i due ragazzi adoravano il manto bianco che si posava su ogni
cosa e che
rendeva meno monotono il grigio paesaggio quotidiano.
La campanella suonò alla una di pomeriggio. –Buone
vacanze ragazzi, e non dimenticatevi di fare i compiti!- disse la prof
di
italiano nel caos di urla e grida di gioia di quando tutti si
precipitano fuori
dall’aula in preda all’euforia vacanziera.
–Sono convinta che metà non mi ha
neanche sentito.-
I due ragazzi uscirono insieme e, mentre Mary stava per
attraversare la strada, Albert la chiamò: non voleva
più passare due settimane
senza rivederla come negli anni precedenti.
–Volevo…- cominciò
–Volevo…
augurarti buone feste.- Come successe anche in altre occasioni, gli
mancò il
coraggio di chiederle un semplice incontro, uno sciocco appuntamento.
Lei lo guardò
con i suoi occhi verde acqua, speranzosa che aggiungesse
qualcos’altro: sicuramente
Mary si aspettava che lui le proponesse qualcosa; tuttavia subito si
convinse
che se non lo aveva fatto stava a significare che lei per lui non era
che una
semplice amica. –Grazie, e altrettanto!- delusa, la ragazza
si voltò e
attraversò la strada. Albert si arrabbiò
moltissimo con sé stesso: -Sono un
codardo.- pensò, -Altre vacanze da schifo.-
Improvvisamente si sentì un rumore assordante di freni;
Albert guardò verso la strada e vide un SUV nero tentare di
frenare in
prossimità delle strisce pedonali. La velocità
della vettura era troppo elevata
per arrestarsi e così il ragazzo vide Mary venire colpita
frontalmente dal
cofano della macchina, sbattere sul parabrezza ed essere lanciata in
aria di
qualche metro, per atterrare poi sul gelido asfalto come una bambola di
pezza.
Immediatamente l’aria si riempì di urla di ragazzi
e
ragazze che accorrevano vicino al luogo dell’incidente, tutti
con il volto
segnato dall’orrore. Il corpo di Mary giaceva immobile in
mezzo alla strada
immerso in una pozza rossa; l’autista si trascinò
fuori lentamente dalla
vettura, sconvolto per ciò che aveva appena fatto.
Il sangue scorreva giù, sulla candida neve, e seguiva
tutti quei piccoli solchi che la bianca coltre formava con i suoi
cristalli,
disegnando un enorme albero scarlatto con mille rami, da ognuno dei
quali ne
nascevano altrettanti sempre più sottili: l’enorme
figura impressa sullo sfondo
bianco offriva uno spettacolo tanto bello quanto inquietante.
Albert rimase paralizzato a osservare la tragedia da
lontano: gli sembrava tutto assurdo, il suo cervello non era in grado
di
rendere reale ciò che vedeva: la scena era una sorta un film
che gli scorreva
davanti agli occhi, un effetto speciale per impressionare il pubblico
pagante.
Dopo una decina di secondi il sogno divenne realtà, e Albert
si rannicchiò
sulle ginocchia, piangendo come un bambino: -Se solo le avessi chiesto
un
appuntamento lei sarebbe ancora qui, accanto a me. Avrebbe tardato
alcuni
secondi prima di attraversare, e sarebbe ancora qui, accanto a me.- Il
ragazzo
chiuse gli occhi gonfi, strinse i denti e i pugni e si
abbandonò alla sua
sofferenza.
-Ehi, cosa fai lì? Stai bene?- Era la voce di Mary.
Alberti si alzò, si asciugò gli occhi e riconobbe
immediatamente la ragazza che
amava, accanto a lui. D’istinto si allontanò di
qualche passo da lei. –Sei vera?-
Mary scosse la testa, stupita: -Ma cosa?!- Gli toccò un
braccio, e lui lo
ritrasse subito, come schifato dal gesto. –Scusami tanto! Non
volevo toccarti.-
disse sarcasticamente la ragazza. Solo in quel momento Albert comprese
che
tutto ciò era davvero reale: lei era tornata in qualche
modo.
Il ragazzo la prese per un braccio prima che attraversasse
la strada, e lei lo guardò attentamente, pronta per una
spiegazione. –Scusa se
mi sono comportato così. È che ho avuto
un… non lo so che cos’era, ma ti ho
vista morire investita da un SUV nero, proprio su queste strisce.- Mary
sgranò
gli occhi e si mise a ridere: -Io che muoio qui? Dai, è
davvero ridi…- In quel
momento un grosso SUV nero passò sulla strada ghiacciata a
una velocità folle,
molto oltre i limiti consentiti. Subito dopo l’autista si
prese un bel po’ di
insulti da parte di alcuni uomini sul marciapiede, facendo ridere di
gusto
tutti i ragazzi davanti al liceo. Gli unici che non si divertivano
erano Albert
e Mary: impietriti, si guardavano l’un l’altro, in
cerca di una spiegazione
razionale nel volto dell’amico. Fu Mary a rompere il
ghiaccio: -Sicuramente è
stata una coincidenza. Sai quanti SUV neri ci sono in città?
È stato un colpo
di fortuna aver indovinato.- -Non è vero.- rispose lui, -Io
ti ho visto morta
sulla strada! Penso che in qualche modo siamo tornati indietro
e…- -Basta!-
Mary si arrabbiò sentendo quei discorsi: -Credevo che fossi
una persona concreta.
Come puoi credere a certe stronzate? Ti sembra possibile tornare
indietro nel
tempo? Eh?!- Il ragazzo era imbarazzato, poiché tutto quello
che aveva detto
l’amica era vero; allo stesso tempo, però, era
sicurissimo di averla vista
morta con l’orribile albero rosso che le usciva dal corpo
privo di vita. Senza
dire una parola in più, Mary attraversò la strada
e si diresse verso casa sua.
Una volta tornato a casa, Albert si preparò una bistecca
veloce con delle patate come contorno, e cercò di non
pensare più all’orribile
scena a cui aveva assistito pochi minuti prima.
Alle 14.57 suonarono alla porta. –Ciao Albert. Oggi
è
venerdì e hai appuntamento col mio bambino. Alle 16.00 da
me. Ciao.- L’uomo si
dileguò per la strada e Albert maledisse il giorno in cui
sua madre lo aveva
raccomandato come baby-sitter di Toby: una vera peste. Il ragazzo
tornò in casa
e si sedette sul divano: -Se solo non avessi aperto la porta, magari
adesso
avrei avuto il pomeriggio libero. Mia mamma non lo sarebbe mai venuto a
sapere.
Adesso che ci penso, è strano che non sia ancora tornata.-
Chiuse gli occhi per un momento, e desiderò intensamente
che accadesse ciò che era successo quella mattina: Albert
voleva una seconda
occasione. Chiuse gli occhi e percepì un leggero fastidio
all’addome, dopodiché
il citofono suonò di nuovo. –Ancora?! Che due
palle!- Questa volta guardò prima
dalla finestra e vide Jim, il padre di Toby, che aspettava davanti al
suo
cancello. Albert, meravigliato, guardò l’ora, e
notò che erano ancora le 14.57.
Pian piano si abbassò per non farsi vedere
dall’uomo e cominciò a ridere: -L’ho
fatto davvero! Io posso tornare in dietro, posso avere tutte le
occasioni che
voglio.-
Andò in cucina e fece cadere per terra un prezioso bicchiere
di cristallo: -Questa è la prova del nove. Se non funziona i
miei mi ammazzano.-
Chiuse gli occhi e sentì nuovamente un piccolo solletico
all’addome. Come per
magia era di nuovo seduto sul divano; si recò in cucina e
vide che il bicchiere
era ancora al suo posto, intatto, perfetto come sempre. Sorrise e si
precipitò
fuori dalla porta tutto eccitato: –È arrivato il
momento di osare.-
Prese il primo autobus che passava per Pintel senza,
naturalmente, pagare il biglietto: -Se arriva il controllore- pensava
–basta
che torno indietro e scendo alla fermata precedente.-
Dopo circa dieci minuti di viaggio in bus, Albert prese
la metropolitana e scese dopo due fermate; camminò lungo
tutta via Berkley e
finalmente arrivò al numero 49, la casa di Mary. Nei tre
anni in cui conosceva
la ragazza non era mai stato a casa sua nonostante conoscesse
perfettamente
l’indirizzo. Albert
era ugualmente
agitato, il cuore gli batteva forte: -Calmati,- si ripeteva, -se
qualcosa va
storto puoi sempre tornare indietro e rimediare.-
Inquieto come se avesse dovuto sostenere un
importantissimo esame, Albert suonò alla porta e subito
apparve Mary ad
aprigli: in quel contesto lei sembrava ancora più bella del
solito. –Ciao, sono
Albert, volevo chiederti se… ma dai!?
Che scoperta che sono Albert, mi stai vedendo! Che figura
di merda che
ho fatto. Questa la rifaccio, ma dato che sono qui ti dico che una
notte ti ho
sognato mentre noi due eravamo a letto insieme e facevamo…
va beh, hai capito.
- La ragazza arrossì di colpo, diventando bordò
per l’imbarazzo: -Cosa… cosa
hai detto? O mio Dio, non credo alle…-
Il ragazzo suonò alla porta e subito apparve Mary ad
aprirgli: -Ciao Mary, mi chiedevo se in queste vacanze potremmo, non
so,
organizzare qualcosa… un’uscita al cinema, una
semplice passeggiata…- La
ragazza lo guardò intensamente negli occhi, e poi sorrise:
-Perché no? Decidi
un film e questa domenica andiamo a vederlo. Chiamami!-
Quel pomeriggio fu uno dei più felici per Albert,
poiché
aveva ottenuto il primo appuntamento con Mary (anche se la prima volta
aveva
fallito miseramente).
La domenica, che era anche la vigilia di Natale, i due
ragazzi andarono al cinema a vedere un film di fantascienza che narrava
la
storia di un uomo che si ritrovò a combattere una guerra tra
il suo mondo e un
altro parallelo. –Se fossi stato io il protagonista, la
storia sarebbe durata
poco più di dieci minuti.-
Da quel momento il tarlo dell’onnipotenza cominciò
a
insinuarsi silenziosamente nel cervello di Albert, facendolo sentire
come un
dio in terra, capace di compiere ogni cosa.
Una volta a casa, ripercorse con la mente le avventure
dell’eroe e cominciò a trarre delle conclusioni
riguardanti sé stesso: -Con il
mio dono non sarò mai più vittima di alcuno
scherzo o raggiro; avrò sempre
ottimi voti a scuola; anticiperò le
mosse di qualsiasi avversario; sarò immune da qualunque
danno fisico purché non
mi sia fatale, ma soprattutto potrò salvare molte vite,
proprio come ho fatto
con Mary: basta stragi di innocenti, avvertirò tutti in
tempo prima che possano
morire!-
Tuttavia si rese immediatamente conto che nella sua
attuale posizione nessuno gli avrebbe dato retta: in fin dei conti era
solo un
ragazzo come tanti altri e non una figura importante a cui prestare
ascolto.
Da quel giorno Albert si impegnò a diventare una persona
sempre più potente e influente, e decise che avrebbe
cominciato con la carriera
militare appena finito il liceo. –Ora- ripeteva spesso,
-posso fare qualsiasi
cosa: chi può vantarsi di avere mille seconde occasioni?-
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Capitolo 2 *** Perdite e nuovo inizio ***
Ormai Albert aveva cambiato modo
di vivere e di
comportarsi dal momento in cui comprese perfettamente il funzionamento
del suo
dono.
A scuola aveva i voti migliori della classe: durante le
verifiche, se non conosceva una risposta, semplicemente si alzava dal
banco,
rubava le prove a tutti i compagni e scappava fuori dalla classe per
leggersele
con comodo; una volta risolti tutti i suoi dubbi, tornava indietro nel
tempo e
compilava correttamente il compito. I professori e i suoi genitori
erano
stupiti: -Ma come è possibile?- solevano ripetergli
–Non studi praticamente mai
e riesci a prendere sempre il massimo.-
Cambiò rapporto anche con gli amici: ormai sapeva
comportarsi in qualsiasi situazione, togliendosi sempre dai guai e
mettendoci
dentro chi più desiderava.
Nel mondo dello sport la situazione non era affatto differente: se
sbagliava un gol, un canestro, o non parava un rigore, la soluzione era
sempre
la stessa.
Con Mary, però, evitava quasi sempre di usare i suoi
poteri, in quanto credeva che se lo avesse fatto avrebbe trasformato la
loro
relazione in qualcosa di artificiale, già programmato, di
irreale: si pentì
moltissimo di averlo fatto quel 22 dicembre quando le chiese il primo
appuntamento. A causa di questa decisione, però, la loro
relazione non superò
mai quella fase di amicizia profonda.
La vita di Albert migliorò vertiginosamente
poiché poteva
letteralmente plasmarla a suo piacimento: dal 22 dicembre non ebbe
più nessun
litigio, nessuna contusione fisica e non ricevette mai più
un brutto voto.
Nonostante ciò, il chiodo fisso nella testa di Albert era
quello di riuscire un
giorno a salvare sempre più vite umane: -Prometto al mondo
che con questo dono
riuscirò a miglioralo, costi quel che costi: farò
cessare tutte le guerre e
sarò l’artefice dell’era della pace
terrestre.-
Arrivò il giorno dell’esame di
maturità, il giorno in cui
Albert avrebbe cominciato a dare vita al suo sogno.
Naturalmente il ragazzo superò brillantemente tutte le
prove, diplomandosi con 100 e lode tra gli applausi di tutto
l’istituto.
–Adesso cosa farai? È vero che hai intenzione di
partire e ad andare a uccidere
la gente?- Mary odiava profondamente la scelta di Albert di proseguire
la sua
vita con la carriera militare. –Non posso dirti
perché.- le rispose, -Ma devi
credermi: io non ucciderò mai nessuno, mi arruolo
perché così un giorno potrò
porre fine ai conflitti e salvare molte persone.- La ragazza scosse la
testa:
-Forse hai dimenticato che per sedare le guerre bisogna farne delle
altre…-
Albert si infuriò vedendo demolite in quel modo le sue
convinzioni: -Tu non
puoi capire! Questa è la mia missione, sono destinato a
farlo, io posso,
nessun’altro può!- Mary divenne triste: -E come
hai intenzione di fare?- Quando
il ragazzo aprì la bocca per rispondere, lei lo
bruciò sul tempo: -Non
rispondere, per favore. Sei cambiato. Negli ultimi tempi non ti
riconosco più,
sei diventato ‘perfetto’: non ti ho mai visto
discutere con nessuno, non ti fai
più male, prendi voti altissimi e non mi tieni
più compagnia con le tue
disavventure, e mi viene da pensare che tu non ne abbia più.
Sembra che vivi in
una vita artificiale, in un film dove tutto è già
stato programmato. Non
capisci che io ero innamorata di te?- Il cuore di Albert ebbe un
sussulto. –Ero
innamorata di ‘te’ che sei pregi e difetti insieme:
oggi, però, questo ‘te’ non
c’è più; sembra che i tuoi difetti
siano spariti. Mi dispiace, ma se una parte
di te se ne è andata, io non posso continuare a nutrire gli
stessi sentimenti
di prima. Ti chiedo scusa.-
Mary se ne andò, lasciando Albert solo in mezzo al
corridoio deserto immerso nei suoi pensieri. –Posso tornare
indietro ed
evitarla, così questo discorso non avverrà
mai… Ma no! Lei mi è stata accanto
tutto il giorno, come faccio? Ci siamo, rincomincio tutto da
stamattina.-
Albert chiuse gli occhi e iniziò a concentrarsi per
riportare tutto a com’era
cinque ore prima. –Merda!- Prima che cominciasse il suo
viaggio gli venne in
mente un particolare a cui non aveva mai pensato - Fino ad ora non mi
sono mai
spostato per più di una decina di minuti e soprattutto da
quando mi sono
svegliato ho cominciato a riavvolgere il tempo anche per ogni singola
sciocchezza: cosa succede se ora, tornando indietro, capitassi in un
momento in
cui stavo, a mia volta, tornando indietro? Mi troverei in una
situazione
temporale in cui non esisto… magari i due rewind si sommano,
e mi ritroverei
più indietro di quello che ho programmato… oppure
rimarrei intrappolato da
qualche parte. Meglio lasciar stare.-
-Che cos’hai oggi Albert? L’esame non è
andato come
avrebbe dovuto?- chiese la madre appena tornò dal lavoro
vedendo che il figlio
non era come suo solito a guardare la tv. –No, no, ho preso
cento con lode.-
Susan si precipitò in camera del ragazzo per ricoprirlo di
baci: -Aspetta che
torni papà… poi organizzeremo una grande festa!
Un risultato così deve essere
celebrato.- Poi divenne di nuovo seria: -Ma allora cosa ti turba? La
tua vita
negli ultimi tempi è perfetta.- Qualche lacrima solitaria
scese sulle guance
del ragazzo: -È proprio perché la mia vita
è perfetta… oggi ho perso l’amicizia
di una persona molto importante per me, non immagino la mia vita senza
di lei.-
La madre iniziò ad accarezzargli i capelli: -Succede,
l’importante è che tu vada
avanti. È la vita, nessuno può tornare indietro
per cambiare gli avvenimenti: d'altronde
non è proprio questo il bello di vivere, di non sapere mai
cosa accadrà tra
cinque minuti? Non abbatterti, prosegui e consegui i tuoi obiettivi,
fino in
fondo.- Susan si alzò dal letto di Albert e andò
in cucina a preparare la cena
per tutta la famiglia.
-Ha ragione.- pensò –Io devo continuare, con o
senza
Mary. In fin dei conti è una persona sola, se mollo ora
chissà quanta gente
morirà ingiustamente senza il mio intervento.- Si
asciugò le lacrime e con una
nuova energia cominciò a navigare in internet in cerca
dell’accademia militare
più vicina.
-Papà,
mamma, devo
dirvi una cosa.- Susan e Jacob posarono sul tavolo le posate e
guardarono
Albert negli occhi: -Iniziamo dal principio.- Il ragazzo era
più determinato
che mai. –Avete notato che da circa sei mesi non ho
più avuto nessun
infortunio? Nemmeno un graffietto al dito?- I genitori erano allibiti.
-Sì, ma
cosa vuoi dire con…- -Io ho il potere di salvare le persone
dalla morte e
preservare me stesso da qualsiasi danno.- -Albert- disse Jacob
–come fai ad
aspettarti che noi crediamo a una cosa simile? Ti rendi conto di quello
che
stai dicendo?- -Certo, ma io posso. Se adesso vi do una dimostrazione
dovete
promettere di non dirlo a nessuno, intesi?- Ormai la faccia dei
genitori si era
tramutata in un punto interrogativo: -D’accordo, come vuoi.-
rispose la madre.
–Allora pensate a un numero, da zero a un miliardo, con anche
cifre decimali se
volete.- Il padre rise: -Fatto!- -Hai pensato al numero uno e tu,
mamma, hai
pensato allo zero.- La cucina esplose in una fragorosa risata: -Albert,
se
questo è uno scherzo è stato divertente, dico
davvero! Eri davvero convincente.-
-Allora sentiamo, papà, così, per
curiosità, a che numero hai pensato?- - A
134.352,212.- -E tu mamma?- -A 101,1.- Albert sorrise e chiuse gli
occhi,
mentre il fastidio all’addome gli sembrò essere
diventato un po’ più doloroso
del solito.
–Allora pensate a un numero, da zero a un miliardo, con
anche cifre decimali se volete.- Il padre rise: -Fatto!- -Signor Jacob,
lei ha
pensato al numero 134.352,212.- Il padre dovette tenersi alla sedia per
non
cadere dallo sconcerto. –Bello scherzo, davvero, bravi! Mi
avete quasi
convinto, ma…- -E lei signora Susan- continuò
Albert come se fosse un
prestigiatore –ha pensato al numero 101,1- Susan
sbatté i pugni sul tavolo:
-Ora basta! Smettila Albert, il gioco è durato fin troppo.
Dimmi come hai
fatto, subito.- -Te l’ho già detto, io posso.-
Susan abbassò la testa
vistosamente arrabbiata. –D’accordo, riproviamo. A
cosa ho pensato?-
-A oggi che quasi stavi facendo un incedente con l’auto.
Una donna ti ha tagliato la strada mentre eri al centro commerciale.-
Susan
divenne pallida come un fantasma: -O mio Dio, come… come fai
a saperlo? Non
l’ho detto a nessuno.- Tremante si diresse verso
l’armadietto dei medicinali:
-Ho bisogno assolutamente di un po’ di questo, e di questo.-
In pochi secondi
trangugiò una decina di pastiglie. Jacob era incora seduto a
tavola impietrito,
fermo a guardare nel vuoto.
-Lo sapevo, sono impazziti tutti!- La madre telefonò al
suo medico: -…sì, è come
l’altra volta, ma molto peggio! Non so se riuscirò
a
sopportare questa crisi…- Sconsolato, Albert si rivolse ad
entrambi i genitori:
-Non è possibile. Io vi dico che posso salvare vite umane e
voi reagite in
questo modo. Ho deciso, la prossima volta non vi dirò nulla
di tutto ciò, mi
avete deluso.- Jacob lo squadrò: -Cosa vuol dire la prossima
volta?-
-Papà, mamma, devo dirvi una cosa.- Susan e Jacob
posarono sul tavolo le posate e guardarono Albert negli occhi: - Ho
deciso che
voglio arruolarmi nell’esercito. Non potete più
fermarmi.- -Stai scherzando
vero?- gli chiese il padre. –Assolutamente no.- -Ma
è una vita schifosa, e se
ci sarà qualche guerra ti farai ammazzare!- intervenne la
madre preoccupata e
spaventata. –Vi prometto che la mia vita sarà al
sicuro, anzi, la salverò a
moltissime altre persone.- Jacob sbatté i pugni sul tavolo e
si alzò: -Certo, e
come farai? Hai un superpotere? Sei l’uomo ragno per dire
queste cose?- -Non
posso dirvi nulla. Se lo facessi voi…- Si interruppe per la
paura di dover dare
di nuovo troppe informazioni. –Voi?- lo esortò la
madre. –Niente. Non posso
dirvi più nulla. La decisone è presa. Parto
domattina.- Detto ciò andò in
camera sua a preparare i bagagli. –Se domani parti puoi anche
non tornare più
in questa casa!- urlò Jacob con voce tremolante ricca di
dolore. –Credo che
meglio di così non possa andare.- pensò
rassegnato il ragazzo.
-E così mi sono giocato anche i miei. Non
m’importa,
questo e altro per un bene superiore. Oggi inizio una nuova vita.
Mondo, sto arrivando!-
Albert scese dal pullman dopo un viaggio di più di
un’ora: ora si trovava nella
caserma militare di Turancy.
Ad accogliere Albert e un’altra quarantina di ragazzi
come lui giunse il colonnello Leviatan: -Qua non siamo in un campeggio
estivo:
voi lavorerete, suderete, vi spaccherete le ossa e sputerete sangue.
Qua non
c’è la vostra mammina che vi prepara la pappa che
volete, che vi stira le
camicette e vi consola. Non mi interessa la vostra età, per
me siete tutti dei
vermi schifosi che strisciano nella merda. Non mi obbedite? Bene,
sarete
processati e la vostra vita sarà rovinata. È
tutto chiaro soldati?- -Sì signor
colonnello!- risposero in coro tutti i ragazzi.
-Alla fine vedremo chi sarà il verme di chi.-
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Capitolo 3 *** Prove ***
La prima settimana fu solamente
corsa, percorsi ad
ostacoli, lavori umilianti e poco più, senza contare il cibo
che era davvero
pessimo. –Devo assolutamente fare qualcosa per farmi notare.-
pensava Albert
–Altrimenti non combinerò mai nulla di decente.-
Il destino del ragazzo prese una piega inaspettata
proprio all’inizio della seconda settimana. Il colonnello
Leviatan entrò nel
camerone, dove tutti i soldati avevano le brande, e urlò:
-Domani sosterrete un
percorso ad ostacoli con graduatoria. Chi otterrà il
punteggio migliore sarà
promosso immediatamente di grado. Gli altri dovranno aspettare
un’altra
occasione che non si ripeterà tanto presto.- rise. -Tutto
chiaro?- -Sì
signore!- risposero tutti in coro. Levietan uscì dalla
stanza con aria
altezzosa e distaccata, accorandosi l’odio dei soldati
presenti; i commenti che
nacquero furono del tipo ‘se mi capita a tiro lo
ammazzo’, oppure, ‘se
diventerò suo superiore gli farò pulire tutti i
cessi della accademia’ e altri
molto più volgari.
Ventiquattro ore trascorsero molto velocemente.
Il percorso era diviso in diverse parti: nel primo tratto
si doveva correre con un manichino sulle spalle di peso uguale a quello
di un
uomo per duecento metri; in seguito bisognava strisciare nel fango
sotto una
rete di filo spinato per venti metri; poi superare un muro liscio altro
due
metri; nella penultima parte bisognava procedere senza cadere restando
attaccati con le braccia ai pioli di una scala posta orizzontalmente
per dieci
metri; infine i soldati dovevano avanzare rimanendo in equilibrio sopra
un’asta
di quindici metri fino al traguardo.
Come era prevedibile, Albert superò senza
difficoltà il
percorso senza, però, ottenere un buon tempo:
arrivò undicesimo quando
solamente i primi dieci venivano promossi di grado. Arrabbiato come non
era mai
stato prima, tornò nel camerone a cambiarsi gli abiti
sporchi di fango putrido.
–E adesso?- pensava –Come faccio a farmi notare?
Certo non salverò mai nessuno
restando un soldato semplice a vita. Forse ho sbagliato tutto e magari
farò
meglio a tornarmene a casa e tentare qualche altra strada.-
-O mio Dio!- urlò il soldato vicino ad Albert con la
bocca aperta e gli occhi spalancati mentre lo osservava. –Non
hai mai visto un
uomo in mutande?- rispose il ragazzo infastidito. Il soldato si mise in
piedi
sul letto e cominciò a gridare, come se si trovasse a un
mercato all’aperto
mentre cercava di convincere i clienti a comprare la sua merce:
-Guardate,
guardate gente! Ecco l’uomo di ferro! L’uomo
inscalfibile!- Tutti i soldati
presenti, attirati dalle parole convincenti, si avvicinarono ad Albert
osservando il suo corpo. Improvvisamente si sollevò un
‘ooooh’ generale,
seguito da moltissimi commenti confusi. –Che cosa avete da
guardare? Eh? Si può
sapere?- urlò il ragazzo infuriato –Il tuo corpo-
disse qualcuno tra la folla,
-è perfetto, non ha un graffio o un livido.
Com’è possibile? Come hai fatto a
finire il percorso senza ferirti?- -E
adesso che me lo fai notare,- aggiunse qualcun altro –non ti
ho mai visto
cadere o rifare un ostacolo più di una volta.-
-E adesso come lo spiego?- Albert era in uno stato di
panico profondo. Pensò di tornare indietro, evitando di
mostrarsi nudo, ma
abbandonò immediatamente l’idea, perché
era impossibile cambiarsi senza essere notati,
o tantomeno non cambiarsi affatto. –Io, io… sono
stato attento a non farmi
male, ci tengo al mio corpo.- -Bugiardo!- -Infatti, dicci come ci sei
riuscito!- -Vogliamo saperlo anche noi!- -Non dire balle, e dicci il
tuo
segreto!- Pian piano i soldati strinsero Albert in un cerchio sempre
più
stretto fino a metterlo con le spalle al muro. –Ve
l’ho detto, sono stato
attento e…- Improvvisamente la voce del colonnello
sovrastò tutte le altre,
come un rombo di tuono che colpisce senza preavviso:
-Cos’è tutto questo
casino? Tornatevene tutti sulle vostre brande, altrimenti vi metto in
punizione
per tre mesi schifosi vermi.- Proprio come un gregge di pecore, i
soldati
tornarono silenziosi ognuno nel suo letto, senza proferire parola
(Albert,
intanto, si vestì velocemente). Leviatan afferrò
con veemenza il braccio di un
ragazzo, e gli ordinò di spiegare il motivo di tale
confusione: -Ecco, signore…
quello là!- distese repentinamente il braccio in direzione
di Albert. –Lui… il
suo corpo non ha nemmeno un livido dopo aver fatto il percorso di
stamattina e
non è mai caduto… e non ha ripetuto mai un
ostacolo. Noi volevamo sapere come
ha fatto. Tutto qui signore.- Il colonnello spinse via il sodato e si
avvicinò
ad Albert: -Spogliati!- gli ordinò. Il ragazzo
obbedì, mostrandogli il suo
corpo completamente illeso. Leviatan sgranò gli occhi:
-Molto bene, rivestiti e
seguimi senza fare storie. Sbrigati!-
Albert, mentre camminava col colonnello in mezzo al
corridoio, fulminò con lo sguardo il soldato-spia, e con il
labiale gli disse
‘me la paghi’; in risposta l’altro
ragazzo gli alzò contro il dito medio. –Una
volta tanto il mio potere è inutile.- pensò.
Il colonnello condusse Albert a un elicottero che stava
sopra il tetto dell’accademia: -Sali.- disse –Il
pilota sa dove portarti, e una
volta là dì che sono stato io a mandarti.-
Dopo circa venti minuti di volo (Albert ebbe una paura
folle), atterrarono al centro di un complesso circolare, una specie di
Pentagono, ma rotondo. Ad attendere il ragazzo c’era un uomo
vestito in giacca
e cravatta e una ragazza più o meno della stessa
età di Albert, forse un paio
di anni in meno; lei portava una bandana intorno ai capelli che
però, essendo
molto lunghi, erano comunque visibili lungo la schiena. –Mi
ha mandato…- -Tu
devi essere Albert.- disse la ragazza. –Sì, ti ha
avvertito Leviatan del mio
arrivo?- Lei scosse la testa con aria di superiorità.
–Lo so.- Albert rise:
-Davvero? E come fai a saperlo?- La ragazza protese le braccia e
aprì i palmi:
-Se ti va, potresti anche cancellare questa scena, mentre noi non ce ne
accorgeremmo nemmeno.-
Albert impallidì; pensò che la ragazza avesse i
suoi
stessi poteri, ma subito scartò l’ipotesi, in
quanto lui non avrebbe mai
rivelato la loro esistenza nemmeno in caso di tortura.
–Cos’è, predici il
futuro?- la stuzzicò cercando di farle abbassare la guardia.
Lei sorrise,
abbassò le braccia e chiuse gli occhi: -Devi sapere- disse
–che non sei l’unico
capace di gesti che vanno oltre la sfera del razionale. Esattamente non
so come
funziona il tuo potere, ma so che puoi cancellare gli eventi a tuo
piacimento senza
che nessuno se ne accorga. Ritengo che tu possa in qualche modo
modificare la
linea temporale ma, ripeto, è solo un’ipotesi.
Magari puoi controllare le menti
umane e farci credere quello che vuoi. Non lo so.-
Albert non sapeva più cosa pensare o cosa dire,
così
decise di tenersi sulla difensiva: -Comunque non hai risposto alla mia
domanda.
Poi, vorrei sapere chi sei.- La ragazza riaprì gli occhi, e
il ragazzo dovette
fare un piccolo passo all’indietro per non cadere dallo
stupore: il colore
delle iridi era cambiato da giallo ad azzurro. La ragazza si
lasciò sfuggire un
risolino: -Io mi chiamo Lucinda, e sono una sensitiva.- -Sì,
come no!- la
aggredì il ragazzo –Non mi faccio stupire da
simili giochetti. Poi i sensitivi
sono tutti bugiardi, non guardi la tv? È contro ogni logica
essere…- -Perché tu
invece segui la logica. No?- Albert si ammutolì di colpo.
–Quindi, se vuoi…-
lui fece cenno affermativo con la testa, –continuo il mio
discorso.- Lucinda
fece una piccola pausa prima di continuare, come se stesse aspettando
che un
pubblico invisibile facesse silenzio. –Io lavoro nel reparto
investigativo come
tante altre ragazze come me.- Albert aprì la bocca per porle
una domanda, ma
lei lo bruciò sul tempo: -Se vuoi sapere perché
ho detto ‘come tante altre
ragazze’, ti rispondo che questo dono possono riceverlo
soltanto le persone di
sesso femminile.- Silenzio. Albert continuava a fissarla immobile come
una
statua di cera. –Dicevo- continuò, -che io lavoro
per risolvere i delitti. Io
trovo il colpevole, poi è compito loro- indicò
l’uomo che aveva accanto,
-raccogliere le prove necessarie che incastrino l’assassino o
il ladro. È
dall’inizio dei tempi che il governo lavora con noi,
nonostante nessuno lo sappia;
la gente non è pronta per questo. Come hai detto tu, ci sono
troppe persone che
dicono di possedere questi poteri, e sono tutti dei bugiardi. Un vero
sensitivo
non sbandiererebbe mai la sua verità, si recherebbe
immediatamente qui, poiché
sa che è qui che ha la possibilità di rendere il
maggior servigio alla
comunità; non certo facendosi pubblicità con
promesse del tipo ‘ti faccio
parlare con tua mamma che è morta’ oppure
‘ti predico il futuro’.- Lucinda si
avvicinò ad Albert e gli mise una mano sulla spalla; lui, in
verità, ebbe un
po’ di paura. –Se ti trovi qui è
perché io ho ‘sentito’ che un giorno
verrà un
ragazzo con un potere talmente grande, che l’esercito non
sprecherà più nessuna
risorsa umana per risolvere i conflitti. Quel ragazzo sei tu.-
Albert era davvero eccitato: finalmente lo avevano
riconosciuto per quello che valeva.
L’uomo in giacca e cravatta portò i due ragazzi
all’interno del complesso, in una stanza dove alcune
piastrelle erano
contornate con una spessa linea nera, formando una specie di tabella
con due
colonne e dieci righe. –Hanno insistito molto che non lo
facessi, ma io sono
stata irremovibile, perché mi fido cecamente dei miei
poteri, e quindi anche di
te.- Detto ciò, Lucinda si spostò davanti alla
piastrella sinistra della prima
riga. –Devi sapere- disse l’uomo, -che sotto una
piastrella delle due è
nascosta una mina a pressione. Se Lucinda dovesse calpestarla
salterebbe in
aria in mille pezzi. Se hai davvero dei poteri, allora devi condurla
fino alla
fine indenne; la sola fortuna non ti basterà. Intesi?-
-Hanno usato lo stesso
metodo con me.- aggiunse la ragazza. –Dovevo scoprire sotto
quale casella c’era
la mina ed evitarla. Un po’ crudele, ma necessario suppongo.
Se loro non vedono
non ci credono. Io ce l’ho fatta, ora tocca a te, sono nelle
tue mani.-
Albert cominciò a sudare e a essere agitato, nonostante
sapesse che poteva benissimo cavarsela facilmente. L’uomo
rise: -Ti vedo un po’
turbato. Sei sicuro di farcela caro mio?- Il ragazzo annuì.
–Bene, cominciamo!-
-Destra.- disse Albert. Lucinda, con grazia, si spostò
sulla casella ordinatale. Nulla. –Ottimo.- pensò
il ragazzo. –Sinistra.- Ancora
nulla. –Destra.- Appena la ragazza appoggiò il
secondo piede sulla piastrella,
un enorme boato riempì la stanza: il suolo si
riempì di chiazze rosse, e vari
pezzi del corpo di Lucinda si sparsero dappertutto. -Ops! Scusa!-
sussurrò
Albert. –Maledetto
impostore bastardo!-
urlò l’uomo tentando di estrarre la pistola dalla
fondina. –Adesso ti ammazzo!-
Il ragazzo chiuse gli occhi, si concentrò, e dopo aver avuto
il solito dolore
all’addome, li riaprì.
-Sinistra.- Lucinda obbedì. –Destra.- Boom!
–Maledetto
impostore bastardo! Adesso ti…-
-Sinistra.- Silenzio. –Sinistra?- Nulla. –Destra!-
Boom!
–Maledetto…- -Che palle!- urlò Albert.
-Allora sinistra.- -Perché hai detto
‘allora’?- chiese
l’uomo alle sue spalle.
–Perché… non importa.- disse Albert
ormai rassegnato.
–Destra. Sinistra. Destra. Mamma mia che fortuna! E per
concludere… destra!-
Boom! –Maledetto impostore bastardo! Io ti…- -Ma
cambia frase, dai su!-
-E per concludere… sinistra!– Boom! -Maledetto
impostore
bastardo! Io…- -Ma qui c’è qualcosa che
non va!-
-Allora, dove vado?- chiese Lucinda. Albert sorrise: -Da
nessuna parte, ci sono due mine.- Sia l’uomo che la ragazza
applaudirono: -Per
curiosità- chiese quest’ultima, -quante volte mi
hai visto morire? E come è
stato?- Albert abbassò lo sguardo e divenne improvvisamente
triste: -Sei morta
quattro volte, ma non ho provato nulla. Devi sapere che non sei la
prima che
vedo morire.-
-Non importa!- urlò l’uomo allegramente,
–Quello che
conta è che adesso abbiamo la prova che tu puoi salvare vite
preziose. Non
abbatterti, da oggi incomincia la tua avventura!-
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Capitolo 4 *** Inizio del lavoro ***
-Ti faccio vedere la tua stanza.
Ah, io sono Manuel,
piacere.- disse l’uomo in giacca e cravatta, stringendo la
mano ad Albert.
L’uomo lo accompagnò in una camera enorme, con un
letto,
un mobile per la tv e svariati armadi lungo il perimetro; il pavimento
era
coperto da due giganteschi tappeti finemente lavorati. -Trattate
così beni
tutti i vostri ospiti?- Manuel rise: -No, solo quelli speciali. Il mio
alloggio
è di gran lunga peggiore di questo. Ti invidio. Pranzo alla
una, colazione alle
otto e cena alle sette e mezza.- Allargò le braccia: -Fai
come se fossi a casa
tua. Esplora il posto, se ti va. Ormai qui ti conoscono già
tutti. Quando avremo
bisogno di te ti chiamerò.-
Albert scoprì che gli armadi erano pieni di vestiti per
ogni occasione: dai cappotti pesanti alle magliette leggere, dai jeans
ai
costumi da bagno; inoltre c’era anche uno scaffale con
più di cinquanta paia di
scarpe. Di certo il ragazzo non rimpianse mai il bagaglio che aveva
abbandonato
all’accademia.
Dopo aver fatto una doccia veloce, cominciò a esplorare
la struttura. Entrò in una stanza ricolma di computer e
pezzi per i computer,
senza contare le decine di cuffie che vi erano ammassate sopra.
–Tu devi essere
Albert!- Il ragazzo sobbalzò non capendo da dove provenisse
quella voce; poi
notò un ometto con gli occhiali dietro una fila di monitor
pieni di dati in
continuo movimento. –Piacere, io sono Ricky, ma chiamami pure
CD, come fanno
tutti.- -CD?- ripeté il ragazzo stupito.
–Sì, CD! Io sono la mente di questo
posto, sono l’informatico, colui che sa, o meglio, che sa
trovare tutto. Vuoi
sapere cosa ha mangiato ieri a colazione il presidente? Presto fatto!-
Digitò
un paio di stringhe sulla tastiera e girò il monitor verso
Albert: sullo
schermo c’era raffigurato il menù di un
ristorante. –Ieri il nostro presidente
ha fatto colazione lì, al Madison restaurant, prendendo quel
menù.- Albert
rimase allibito. –Davvero puoi sapere qualsiasi cosa?-
-Più o meno sì, se è
registrata da qualche parte io la trovo.- -Dimmi qualcosa…
sul colonnello
Leviatan.- In meno di dieci secondi CD ebbe tutte le risposte:
-‘Colonnello
Arthur Joseph Leviatan, nato nel 2018 a Resistance, in questo Stato. A
diciotto
anni intraprese la carriera militare proprio nella tua stessa accademia
con
brillanti risultati. A ventinove anni partecipò alla sua
prima missione
completandola con successo, salvando la vita a dodici soldati tenuti in
ostaggio da dei terroristi. A trentadue, invece, ricevette la
medaglia…’-
-Basta così, grazie.- disse il ragazzo ormai annoiato a
morte. –Ma ci sono
altre trenta pagine…- -Grazie, basta così, grazie
davvero.- Un po’ sconsolato e
deluso, CD tornò tra i suoi mille schermi a cercare
chissà quali informazioni.
Uscito dalla stanza, Albert si trovò davanti Manuel:
-Abbiamo bisogno di te. La tua prima missione.- -Come facevi a sapere
che ero
qui?- -Sono un sensitivo.- Il ragazzo rimase a bocca aperta: -Anche tu
sei un…
ma Lucinda mi ha detto che…- L’uomo si
piegò in due dalle risate: -Avresti
dovuto vedere la tua faccia! Troppo divertente.- Albert, al contrario,
non si
stava divertendo per nulla, e aveva già in mente di tornare
indietro per
evitare l’umiliazione. –Scusa.- Tornò
serio. –Questo posto è pieno di
telecamere. È stato facile trovarti.-
-Questa è la situazione.- Manuel portò Albert
davanti a
uno schermo in cui c’era una casa vista
dall’esterno. –Dentro- continuò
l’uomo
–c’è una persona che ha detto aver
addosso delle cariche esplosive, ed è pronto
a farsi saltare appena qualcuno entra nella casa. L’unico
contatto che abbiamo
è il telefono all’interno
dell’abitazione, ma lui non collabora.- -E io cosa
dovrei fare?- chiese il ragazzo incuriosito, anche se in
realtà aveva dei
sospetti. –Tu devi dirci se è vero che ha addosso
della dinamite. Dimenticavo
che nella casa c’è minimo un ostaggio, forse due o
tre.- -Ma non avete provato
a infiltrare qualche microcamera per vedere la situazione
all’interno?-
-Certo!- rispose CD che intanto si era unito si due. –Le mie
spie sono le
migliori. Il problema è che il pazzo indossa un grosso
cappotto e non possiamo
sapere se bluffa o no, il detonatore potrebbe averlo addosso. Poi lui
dice che
gli ostaggi sono chiusi in bagno, e arrivare fino a quella stanza senza
essere
visti è impossibile. Non ho ancora la vista a raggi X.-
-Allora Albert, se irrompiamo farà saltare tutto il
quartiere?- chiese Manuel fiducioso. –No, andate pure. Non ha
niente addosso.-
disse Albert, e poi sottovoce: -Almeno spero.-
-Squadra Alfa, dalla porta sul retro. Squadre Beta e
Charlie, dalle finestre. Go go go!- urlò il maggiore nella
sua auricolare; il
ragazzo poteva giurare che godeva nel dare ordini.
Albert osservava
attentamente le manovre: le tre squadre erano formate da
cinque soldati
ciascuna; essi erano armati con un fucile d’assalto, un M4A1
per essere
precisi, delle granate fumogene e stordenti, e indossavano casco e
giubbotto
antiproiettile blu scuro.
Il primo uomo sfondò la porta sul retro, nello stesso
istante in cui i vetri delle finestre andavano in frantumi. Il
malvivente fece
una smorfia di disappunto, si afferrò la caviglia e si fece
saltare in aria.
-Ora sono entrati, e… o mio Dio!- Il volto di Manuel
divenne pallido e pieno d’orrore. –Che cosa hai
fatto?- disse con voce roca e
tremante. –Hai ucciso quindici dei migliori uomini della
SWAT.- -Stia
tranquillo maggiore!- replicò Albert -Uno, due,
tre…-
-Allora Albert, se irrompiamo farà saltare tutto il
quartiere?- chiese Manuel fiducioso. –Sì, ha una
bomba, e credo che il
telecomando d’innesco l’abbia addosso, o nelle sue
immediate vicinanze.- Manuel
lo guardò incuriosito: -E come fai a saperlo?
Cioè, le squadre non hanno mosso
nemmeno un muscolo… Ora mi spiegheresti il tuo potere?- Il
ragazzo sbuffò: -E
va bene. Io posso tornare indietro nel tempo di quanto mi pare, da
pochi
secondi a delle ore. Tuttavia posso scegliere più
accuratamente quando fermare
il rewind per lassi di tempo piccoli: diciamo che sono più
preciso sui minuti
piuttosto che sulle ore.- Il maggiore lo fissava con la bocca e gli
occhi
spalancati: -Allora sai che il tizio non bluffa
perché…- -Perché ha già
visto
che farà esplodere la bomba se entrerete.- Sia Albert che
Manuel si girarono, e
videro che Lucinda li aveva raggiunti silenziosamente nella stanza.
Il maggiore prese l’auricolare: -Ritirare le squadre Beta
e Charlie, e chiamatemi la squadra dei tiratori scelti.- Poi si rivolse
ai
ragazzi, e disse, come per giustificarsi: -Avrei potuto chiamarli
dall’inizio,
ma avrei preferito non uccidere l’obiettivo.-
In meno di dieci minuti, sul campo di battaglia giunse un
furgone blindato, grigio, con la scritta ‘SWAT’ in
grande e sotto, in più
piccolo ‘Squadra speciale’. Dalla vettura scesero
tre uomini vestiti come gli
altri soldati, soltanto che impugnavano un lungo fucile da cecchino, un
M24 per
l’esattezza; in una manciata di secondi, gli SWAT si
disposero intorno al
perimetro della casa pronti a far fuoco, come leoni nella savana che
attendono
i movimenti della preda prima di sferrare il loro mortale attacco.
-Ora entri in gioco ancora tu, caro Albert.- Manuel afferrò
con rabbia il telefono: -Intorno all’abitazione
c’è una squadra di tiratori
scelti pronti a far fuoco. Se vuole salvare la pellaccia, le consiglio
di…- Dall’auricolare
sulla scrivania si sentì la voce di un soldato urlare:
-Signore, si sta
facendo…- Sullo schermo Albert rivide la stessa scena di
pochi istanti prima:
la grossa esplosione coinvolse altre due case confinanti, facendo
emergere una
gigantesca coltre di fumo nero carica di detriti e di morte. Il
maggiore guardò
negli occhi il ragazzo, e con voce tremante disse: -Tu… Tu
puoi salvare i miei
uomini, no?- -Cosa devo fare?- -Impediscimi di comunicare
all’assassino
l’arrivo dei tiratori scelti.- -Ma come?- -Dimmi:
‘non farlo, o la pecora
scappa dal recinto’.- Albert era davvero confuso, ma
accettò le condizioni
impostegli. Chiuse gli occhi e si concentrò. Quando li
riaprì lanciò un piccolo
gemito di dolore.
-Ehi, stai bene?- chiese il maggiore. Il ragazzo annuì:
-Quando giungeranno i tiratori scelti non deve assolutamente comunicare
al criminale
il loro arrivo, altrimenti si farà saltare in aria.- Manuel
scosse la testa:
-Non posso non comunicarlo, è il protocollo. Devo farlo a
tutti i costi, verrò
licenziato se non eseguo…- -Non farlo, o la pecora scappa
dal recinto.- Il maggiore
rimase impietrito, come se qualcuno gli avesse puntato una pistola alla
schiena.
Appena la squadra speciale circondò l’edificio,
Manuel prese
l’auricolare: -Appena avete chiaro il bersaglio fate fuoco.-
-Ma signore…-
-Niente storie!- urlò –Obbedite ai miei ordini!-
Dopo circa un quarto d’ora, si sentì uno sparo
provenire dal
retro della casa: -Bersaglio a terra.- disse l’auricolare.
–Squadra Alfa,
entrate dalla porta principale.- proseguì Manuel. Dopo pochi
secondi, un
soldato espose la situazione: -Bersaglio abbattuto, ripeto, bersaglio
abbattuto. Gli ostaggi sono tutti illesi.-
Lucinda fissava il ragazzo così insistentemente da
metterlo a disagio: -Cosa vuoi?- sbraitò Albert.
–So cosa ti tormenta.- rispose
la ragazza con voce sottile e calma. –Davvero? E cosa
sarebbe?- -Credi che noi
possiamo usare i nostri doni liberamente senza pagare nessun prezzo?-
-Non… non
so di cosa tu stia parlando.- disse Albert mentendo platealmente.
–Per esempio
io- continuò lei –sono destinata a diventare
cieca. Ogniqualvolta faccio
ricorso alla mia abilità, la vista mi si annebbia sempre
più. Tu devi avere
qualcosa di simile, che si consuma piano piano.- Albert
rammentò la prima volta
che era tornato indietro: quella che prima era stata una dolorosa fitta
all’addome, allora era un piccolo solletico. Infastidito, si
alzò e andò nella
sua stanza a guardare il notiziario.
-Oggi la squadra speciale della SWAT ha abbattuto un
pericoloso criminale che teneva in ostaggio due persone. Il malvivente,
inoltre, era imbottito di numerosi candelotti di dinamite. Nulla sono
servite
le intimazioni ad arrendersi della polizia.- Il ragazzo spense la TV
–Intimazioni?- pensò –Se non avessi
detto al maggiore di stare zitto, ora tutto
non sarebbe altro che inutile polvere grigia.-
Manuel bussò, e poco dopo entrò nella camera: -Mi
sembra
opportuno che tu sappia che quell’uomo faceva parte dei Black
Orango,
un’organizzazione criminale immensa, che traffica armi,
persone e droga.
Saranno anni che diamo la caccia ai loro membri.- -Perché
dovrei saperlo?-
chiese il ragazzo incuriosito da quella frase tanto strana.
–Perché dieci
minuti fa hanno concluso un affare di milioni di dollari in traffico di
armi
molto pericolose. Se tu potessi, come dire…- -Tornare
indietro e ordinarvi di
attendere il carico e così di impedire lo scambio?- Manuel
fece un salto dalla
gioia: -Esatto! Il posto è il porto Cerry, mollo 5 scalo 2.
Ok?- -Nessuna
strana frase per farti… - -No, basta solo che dici che sono
i Black Orango. Io
saprò che non stai mentendo, dato che questa informazione tu
non la possiederai
ancora.-
La fitta fu dolorosa tanto quanto la precedente, forse
anche un po’ di più. Albert si trovò
nell’istante in cui era appena uscito
dalla stanza dove poco prima coordinava le operazioni della SWAT.
Rientrò
immediatamente: -Maggiore, i Black Orango stanno per compiere uno
scambio di
armi al porto Cerry, molo 5 scalo 2.- Manuel
assunse un’aria confusa e stupita, ma subito
dopo sorrise: -Ti ho detto
tutto io, giusto?- Anche il ragazzo sorrise, e annuì con la
testa. Come un
lampo, il maggiore si alzò dalla sedia, prese il suo
telefono e, mentre correva
fuori dalla stanza, continuò a dare ordini minacciosi a
ripetizione al povero
soldato che era all’altro capo della linea.
Dopo un paio d’ore, Manuel si ripresentò nella
camera di
Albert con in mano una medaglia d’oro con inciso:
‘Sum Veritas’. –Questa
medaglia significa che tu sei il portatore della verità;
d’ora in poi, perfino
il generale in persona, ha l’obbligo di ascoltarti e
obbedirti nei limiti
possibili.- Il ragazzo accettò il dono con le mani tremanti
per l’emozione. –
Con questa- aggiunse il maggiore –fai ufficialmente parte del
reparto ‘occulto’
dell’esercito, riconosciuto in tutto il mondo. Con questa
possiedi un enorme
potere; con questa non sarai più obbligato a eseguire tutti
gli ordini che ti
verranno dati; con questa sei un uomo libero e autorevole.-
Appena Manuel uscì dalla stanza, Albert prese la medaglia
e se la strinse al petto: -Sempre più potente, sempre
più potente!-
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Capitolo 5 *** Problemi ***
Il tempo passò
velocemente, mentre Albert, unito alle
capacità di Lucinda, risolveva e sventava casi sempre
più complicati, finché non
arrivò il giorno della sua ultima missione.
-Secondo Lucinda, il capo dei Black Orango si trova
dentro quella fabbrica tessile abbandonata. Albert, dai istruzioni alla
squadra.-
Manuel era stato promosso a colonnello dopo aver fatto fallire
più di una
decina di colpi ai trafficanti.
-Squadra Alfa, entrate all’interno
dell’edifi…- Un lampo
abbagliante accecò momentaneamente Albert, sebbene si
trovasse a osservare la
scena da uno schermo lontano dall’azione; subito la luce fu
seguita da un enorme
boato, mentre tutti i soldati venivano spazzati via
dall’esplosione. –Merda!-
urlò Manuel –Ci stavano aspettando quei bastardi,
ma come facevano a saperlo?
Fai qualcosa o giuro che sarò io ad ammazzarti.- Albert
sbuffò e chiuse gli
occhi.
Il dolore si era esteso anche al torace, facendogli
soffrire pene infernali.
-Squadra Alfa, fermi!- urlò il ragazzo. Prese una seconda
auricolare: -CD, ci sei?- -Forte e chiaro signore!- -Ottimo, dammi
un’altra
entrata dell’edificio, che non sia quella principale e
nemmeno quella sul
retro.- -Fatto. Alfa potrebbe irrompere dal canale di scolo,
è sufficientemente
grande.- -Entrate dal canale di scolo, CD vi fornirà le
coordinate esatte.-
Una volta all’interno dell’edificio sgominare tutte
le
trappole fu un gioco da ragazzi: -Granata stordente dietro alle
barricate che
avete davanti, sono appostati tre nemici.- suggerì Albert
osservando l’azione
dalla telecamera posizionata sull’elmetto di un soldato. Dopo
una piccola
esplosione, tre uomini uscirono da dietro degli scaffali barcollando e
tenendosi la testa come ubriachi. –Avanzate!-
ordinò il ragazzo.
Dopo circa mezz’ora, il primo piano dei tre era sgombero.
Il secondo fu molto più difficile da ripulire: Albert
dovette tornare indietro cinque volte; tre per agguati, una per un
cecchino, e
infine per evitare un missile nemico sparato da un bazooka.
–Siamo pronti per irrompere al terzo piano. È
incredibile
signore! Non abbiamo perso nessun soldato grazie alle indicazioni di
Albert,
nonostante ci fossero più di cinquanta nemici.-
esclamò il capo della squadra
Alfa all’auricolare di Manuel e di Albert. Dopo quella frase
il ragazzo si
sentì realizzato: finalmente stava vivendo il suo sogno,
stava salvando vite
umane e la sua di vita non poteva andare meglio; si sentiva
onnipotente, capo
del mondo e sovrano del tempo, nulla e nessuno poteva contrastarlo.
-Dentro la stanza c’è il capo
dell’organizzazione Black
Orango.- disse improvvisamente Lucinda. Manuel si alzò dalla
sedia: -Lo voglio
vivo, ripeto, vivo a tutti i costi!- -Ricevuto signore. Pronti?
Entriamo!-
Albert cominciò a ridere. Appena la porta si
spalancò,
un’enorme pioggia di proiettili (anche attraverso le spesse
pareti) investì
Alfa uccidendo tutti i soldati. Il colonnello sbatté
l’auricolare per terra e
cominciò a urlare in faccia ad Albert, il quale continuava
divertirsi: -Che
cazzo hai da ridere, si può sapere, eh?- -Rido
perché hai sempre la stessa
reazione ogni volta che muore qualcuno della tua squadra.- Ora fu
Albert ad
alzarsi, e mise sfrontatamente il suo viso a pochi centimetri da quello
del
colonnello con aria di sfida: -Non hai ancora capito che sono io qui il
capo?
Se voglio, potrei ucciderti, e tu tra pochi secondi non lo sapresti
nemmeno.
Senza di me tu non sei nulla, per cui abbassa i toni quando parli con
me; mi
sono stancato.- Manuel estrasse la pistola dalla sua fondina e la mise
sul tavolo
davanti al ragazzo: -Potresti uccidermi? Bene, fallo!- -Non mi
sfidare…-
-Fallo!- urlò. Albert con un movimento rapido prese
l’arma e gli sparò in pieno
petto.
Nella stanza calò il silenzio, mentre in lontananza si
sentivano dei passi avvicinarsi sempre più. Albert aveva
ancora impressa sul
viso un’espressione cinica, malvagia: quell’azione
lo aveva fatto sentire
meglio; era proprio un gesto del genere la prova definitiva della sua
onnipotenza, e questo il ragazzo lo sapeva.
Lucinda gli si avvicinò lentamente, come se nulla fosse
accaduto in quella stanza: -Ora che hai capito che puoi fare quello che
vuoi,
torna indietro e concludi l’operazione.-
-Non entrate!- urlò nell’auricolare Albert.
–Dall’altra
parte vi aspettano con mitragliatrici pesanti, se irrompete morirete
tutti.-
-D’accordo squadra- disse Manuel –allontanatevi e
fate saltare la porta, poi
fumo a volontà, non devono vedervi, non devono sapere che
siete lì. Usate i proiettili
di gomma, voglio il capo vivo.-
L’operazione fu un successo: i criminali furono presi in
contropiede dall’esplosione e dalla nebbia, e in pochi minuti
furono tutti a
terra in arresto.
Dalla sala di controllo risuonarono le grida di gioia di
Albert, Manuel e di CD nell’auricolare: -Ce
l’abbiamo fatta, i Black Orango sono
finiti!- Poi il colonnello abbracciò il ragazzo: -Senza di
te tutto ciò non
sarebbe stato possibile. Grazie davvero.- -Ok, questo bilancia il fatto
che ti
abbia sparato.- Il colonnello tornò serio: -Hai fatto cosa?-
-Niente,
assolutamente niente!- si affrettò a dire il ragazzo.
–Avevo capito che tu… ma
non importa. Tra due ore ti voglio nella sala interrogatori: la squadra
porta
qui il capo dei Black Orango. Magari mi potrebbe servire ancora il tuo
aiuto.-
Così, con un’altra pacca sulla spalla,
congedò Albert e Lucinda.
Due ore più tardi Albert vide entrare il capo dei Black
Orango nella sala interrogatori: l’uomo era scortato da due
guardie ed era
ammanettato alle gambe e ai polsi; era vestito con una camicia nera
strappata
in più punti e indossava un paio di pantaloni bucati sulle
ginocchia; aveva un
viso bianco e affilato, con una lunga coda di capelli nera che gli
scorreva
lungo tutta la schiena tenuta insieme da molti elastici colorati.
Quando il criminale entrò nella stanza, alzò la
testa, e
infilò la mano destra nella coda di capelli. Una guardia gli
afferrò il braccio
e l’uomo lo colpì nel petto con una piccola asta
di ferro arrugginita. La
seconda guardia tentò di estrarre la pistola, ma fu troppo
lenta: il criminale la
trafisse in piena gola, tappezzando le pareti della camera di rosso.
–Tanto
morirete tutti!- urlò a squarcia gola, mentre tentava
inutilmente di uscire
tirando calci alla porta blindata, come una bestia impazzita in gabbia.
-Potevano perquisirlo meglio.- commentò Lucinda che
intanto aveva raggiunto Albert. –Sai cosa fare.- gli
sussurrò all’orecchio. Il
ragazzo chiuse gli occhi, e, quando li riaprì,
sentì all’interno del suo corpo
un dolore lancinante che era diffuso dal petto al bacino; mise le mani
davanti
bocca e tossì un paio di volte.
Prima che il criminale fosse portato dentro la sala
interrogatori, il ragazzo informò le guardie del pezzo di
ferro tra i capelli
del criminale. –Figlio di una cagna!- disse uno dei due.
–Che cosa volevi fare?
Adesso prima di interrogarti ti portiamo a fare un bel
giretto…-
-Secondo me dovresti andare a farti visitare.- disse
Lucinda con la sua solita calma. –E perché mai?-
rispose il ragazzo stizzito.
–Guardati le mani.- Albert osservò i palmi delle
sue mani: erano coperti di
sangue. –Co…cosa mi succede?! Cosa mi sta
succedendo?!- Il ragazzo era in preda
a un terrore che mai aveva sperimentato in vita sua; gli occhi erano
spalancati, e il respiro era corto e affannoso, mentre, senza che se
rendesse
conto, stava tremando. L’onnipotente Albert era stato
corrotto.
-Tra poco, appena il computer li elabora, ti do i
risultati.- Albert era davvero stufo di stare sdraiato su quel lettino
bianco,
in quella stanza dove tutto odorava di disinfettante, e di sentire
sempre
quella voce tanto fastidiosa. –Ecco che arrivano…-
Il dottore stette un paio di
secondi in silenzio; guardò il ragazzo, e poi
abbassò lo sguardo sullo schermo
del computer per la seconda volta; il ragazzo, e lo schermo, di nuovo.
–Mio
caro- disse –hai partecipato per caso a una rissa in questi
giorni?- Albert rimase
stupito da quella assurda frase. –Non mi interessa cosa hai
fatto- proseguì il
dottore –ma devi smettere immediatamente. Non ho mai visto
una cosa del genere:
sembra che i tuoi organi abbiano subito una forte pressione sia
dall’esterno
che dall’interno, come se… in parole povere sembra
che tu li stia spremendo.-
Albert era perfettamente consapevole di ciò che gli stava
accadendo, ma nel suo
inconscio non era ancora pronto ad accettarlo definitivamente. Prima
che il
ragazzo uscisse dallo studio, sentì il dottore che gli disse
che se non avesse
preso delle precauzioni, molto presto il danno sarebbe stato
irreversibile.
Per ‘distrarsi’, Albert andò ad
ascoltare
l’interrogatorio nella stanza accanto a quella del criminale,
in cui,
attraverso un vetro, poteva osservarlo senza essere visto.
–Sappiamo entrambi che i Black Orango non sono stati
definitivamente sconfitti. Bruce, se mi dici qual è il
piano, sicuramente tenterò
di fare qualcosa per te.- disse Manuel, serio e irremovibile, seduto
davanti al
malvivente. Bruce rise: -D’accordo, se vuoi ti spiego tutto.-
Il colonnello
rimase tanto sorpreso quanto sospettoso: gli sembrava davvero
impossibile che
un criminale del suo calibro si fosse arreso tanto facilmente.
–Credi che non
me ne sia accorto che tutti i nostri tentativi di traffico
d’armi e droga siano
falliti miseramente? E quando dico ‘tutti’, intendo
proprio tutti.- -Siamo
diventati sempre più bravi.- rispose Manuel inorgoglito. -
Poi vi conosciamo da
tanto tempo, ormai siete un libro aperto per noi.- Bruce scosse la
testa:
-Credi anche che la nostra organizzazione non abbia delle spie
infiltrate
dappertutto?- Ora il colonnello impallidì.
–Esatto, ne abbiamo anche ‘un paio’
qui da voi.- Fece una breve pausa, come per far piombare ancora di
più nello
sconforto il suo interrogatore. –Da un paio di anni non
riusciamo più a
concludere un affare, e guarda il caso, proprio da quando in questo
posto è
arrivato un nuovo ragazzino, un certo Albert. I nostri informatori mi
hanno
detto che è capace di cose straordinarie, e la prova
è che nessuno dei vostri
soldati sia stato mai ferito.- Schifoso bugiardo!- urlò
Manuel –Nulla di ciò
che hai detto è vero!- Bruce rise di nuovo: -Davvero?
Scommetto che il ragazzo adesso
si trova dietro quello specchio.- Il sangue di Albert gelò
di colpo.
–D’accordo, allora il tuo piano quale sarebbe?-
chiese il colonnello sicuro di
sé –Se credi che abbiamo un’arma
così potente, come farai a batterla?- Bruce
allargò
le gambe e si mise a suo agio sulla sedia metallica, come se si
trovasse in un
locale pubblico: -So che Albert può tornare indietro nel
tempo e cancellare ciò
che è avvenuto.-
Il ragazzo cominciò a passeggiare per lo stanzino,
nervoso più che mai: non gli sembrava possibile che il suo
più intimo segreto
fosse tra le mani dell’organizzazione.
-Ora ti dico cosa faremo.- continuò Bruce –Non
importa
quante volte il ragazzo torni indietro nel tempo, (magari lo ha fatto
in questo
momento) ma non potrà mai cancellare la sua morte.-
-Touché, mon amie, touchè!- disse scherzosamente
Lucinda
alle spalle del ragazzo. Albert voleva spaccare il mondo: non solo il
suo dono,
ma adesso anche il suo punto debole; si sentiva totalmente impotente, e
ciò lo
faceva stare male più di qualsiasi altra cosa.
-Il mio piano è questo. Domani, 31 maggio, un mio
complice entrerà qui, in questo edificio; naturalmente
nessuno di voi sospetta
minimamente chi sia. Nella sua valigetta avrà tanto
esplosivo da far saltare
tutta la baracca. Potete trasferire il ragazzo da qualche altra parte,
ma noi
lo verremmo a scoprire comunque in breve tempo. Se decidi di
controllare tutte
le valigette, accomodati pure: c’è troppa gente
che lavora qui, ed è
impossibile per te controllare ogni singola persona. Dovrai delegare
l’incarico
ad altri e… il gioco è fatto. Chiudi la baracca
per il 31? Nessun problema! Il
tutto avverrà il giorno successivo, o quello ancora dopo.
Hai perso: Albert
potrà tornare indietro quante volte vorrà,
comunque è impossibile che il 31
maggio non giunga. Puoi tentare di tutto, se vuoi, ma ci sono troppi
miei
uomini qui dentro.- Poi col sorriso sulle labbra: -Sarà una
strage! E se quel
giorno il ragazzo volesse fare l’eroe, e consegnarsi, sappi
che non lo
accetterò: insieme a lui devono morire altre persone.- -Se
siete così
organizzati, perché non fate saltare in aria tutte le nostre
basi operative,
così da toglierci di mezzo tutti?- chiese Manuel.
–Semplice! Perché fino ad
oggi ci abbiamo guadagnato. Non hai idea di quanti colpi abbiamo messo
a segno
grazie alle nostre spie. Se voi non ci foste più,
un’altra agenzia prenderebbe
il vostro posto, e io dovrei ricominciare il lavoro da capo.-
Il colonnello guardò lo specchio dietro il quale
c’era Albert,
e con l’espressione del suo volto gli chiedeva disperatamente
aiuto.
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Capitolo 6 *** Dolorosa soluzione ***
Albert continuava ad arrovellarsi
per trovare una
soluzione al problema, rendendosi conto che comunque non avrebbe
più potuto
usare troppe volte il suo potere: -Non posso tornare indietro quando la
bomba è
già scoppiata; ma nemmeno prima, perché non
saprò mai quando la piazzano. Se
tornassi indietro adesso, spiegassi la situazione…-
Batté un pugno sul tavolo.
–Bruce ha detto che saprebbero dove mi trovo, e progetterebbe
un altro
attentato, uccidendo ancora più persone.- Si sedette di
fianco a Lucinda, mise
la testa sul tavolo e iniziò a piangere: -Io volevo solo
salvare delle vite
innocenti.- disse –E ora mi trovo con la condanna a morte
appesa al collo.-
In quel preciso istante entrò anche Manuel. Il ragazzo
alzò la testa e si asciugò gli occhi ancora
umidi; appena il colonnello notò il
gesto, cadde a terra in ginocchio: -Siamo fottuti. Non
c’è più nulla da fare,
ha ragione, ha troppi uomini qui dentro per poter tentare qualcosa.-
Qualche
solitaria lacrima cominciava a bagnare il ruvido pavimento.
–Possibile che io
non mi sia accorto della corruzione dei miei uomini? Che razza di uomo
sono
diventato?-
Il silenzio era sovrano nella piccola stanza: tutti non
riuscivano a capacitarsi di ciò che li attendeva il giorno
successivo, e più
cercavano di sbrogliare la gigantesca matassa, più si
rendevano conto che era
impossibile.
Manuel si alzò da terra e diventò di nuovo serio:
-Penso
che sia la cosa più brutta al mondo da dire, specialmente a
un ragazzo giovane
come te. Quando hai deciso di arruolarti nell’esercito hai
accettato di servire
il tuo paese con la vita. Il giorno è giunto. Ora vado a
trasferire in un’altra
sede gli uomini più importanti, purtroppo non tutti: se i
Black Orango si
dovessero accorgere, Bruce ha detto che l’attentato sarebbe
rimandato. Non
posso tenere funzionante questa struttura solamente con una decina di
uomini…-
Non riuscì a trattenere le lacrime: -Con ciò ho
condannato a morte centinaia di
persone, compreso te Albert. Mi potrai mai perdonare?- -Sì,
signore!- rispose
deciso –Sono consapevole che questa è la scelta
migliore. Ma mi deve promettere
che da oggi in poi farà una caccia spietata a tutti i
traditori.- Il colonnello
annuì: -Puoi scommetterci. Lucinda, vieni con me,
l’elicottero ti sta
aspettando.- La ragazza guardò negli occhi
un’ultima vota Albert, e lui sentì
come un brivido pervadergli il corpo; poi lei, appena prima di uscire,
fece
scattare lo sguardo sul tavolo dietro al ragazzo.
Albert lesse il biglietto che Lucinda aveva lasciato
apposta per lui: -‘Vuoi salvare tutte quelle persone
innocenti? Basta che tu
rifletta un minuto. Chi è che ha ultimamente intralciato i
piani dei Black
Orango? Chi è il loro principale obiettivo? Chi è
la causa di questo problema?
Tu.’- Il ragazzo lasciò cadere il biglietto a
terra, come una foglia che si
stacca dall’albero ormai morto. –Sono io la causa
di tutto.- pensò –Se io scomparissi
dalla scena tutto si risolverebbe. Scappare?- Il briciolo di speranza
si spense
immediatamente: -Lo verrebbero a sapere, e dopo mi cercheranno
sicuramente. Poi
non è detto che non facciano ugualmente
l‘attentato per compensare la mia non-morte.
Allora devo suicidarmi?- Uno scarafaggio passò furtivo sul
pavimento. –No, è la
stessa storia: nessuno mi garantisce che dopo non muoia più
nessuno. Ma allora
Lucinda cosa voleva dire…- Improvvisamente, come la
scintilla che accende il
fuoco del naufrago in fin di vita, giunse alla soluzione. Trasse un
lunghissimo
respiro e chiuse gli occhi. Era la prima volta che tentava.
Inizialmente sentì il solito forte dolore
all’addome e al
petto, ma subito dopo si trasformò in un’agonia;
tossì forte, molto
probabilmente sangue, e sentì come se una mano invisibile
gli stesse
stritolando tutti gli organi del corpo, dal primo all’ultimo.
Poi freddo, le
membra non rispondevano più ai comandi del cervello;
sentì che il calore della
vita lo stava lentamente abbandonando.
Aprì gli occhi e sentì una dolce e flebile voce
in
lontananza che lo stava chiamando: -Albert! Albert! Cosa ti succede?
Alzati!-
Si trovava a scuola, sdraiato nel corridoio, con tutte le labbra e il
mento
sporchi di sangue. Accanto a lui, che gli teneva la mano,
c’era Mary in
lacrime, che muoveva le labbra senza emettere più alcun
suono. Albert fu
felice, felice di aver salvato centinaia di persone, felice per aver
districato
l’orribile matassa, ma soprattutto era felice di aver visto
per l’ultima volta
il viso della ragazza che aveva sempre amato.
-Scusami Manuel, ma prima devo andare un momento in
bagno. Ti raggiungo tra poco sull’elicottero.- -Come vuoi
Lucinda, ti aspetto
là.
-Master?- -Piacere di sentirti Lucy.- -Volevo informarvi
che tutto è andato secondo il mio piano.- -Davvero Lucy?
Ottimo. Quindi tutti
hanno creduto alle parole di Bruce?- -Dalla prima
all’ultima.- -La tua idea…
davvero fantastica. Sei sicura che il ragazzo seguirà il tuo
consiglio?-
-Certo, ne sono sicura. È troppo preso dal
‘salvare le persone’. Presto si
renderà conto, se non lo ha già fatto, che
l’unico modo per uscire dalla
situazione è quello di tornare indietro prima che si
arruolasse.- -E tu dici
che questo lo ucciderà?- -Sicuramente. Così noi
avremo il campo libero. Tutti i
colpi falliti saranno un successo senza di lui.- -Devo proprio
complimentarmi
con te, Lucy. Hai detto che il capo della nostra organizzazione era in
quella
fabbrica abbandonata, e infatti l’hanno catturato.- -Certo
Master, ho fatto un
ottimo lavoro, nessuno ha mai sospettato di me. Poi Bruce ha raccontato
che
abbiamo tantissimi infiltrati e che uno di questi avrebbe fatto saltare
in aria
l’intero edificio per eliminare Albert; dopodiché
gli ho scritto un biglietto,
dove proponevo la soluzione a tutto.- -Già che sono davvero
degli idioti a
pensare che avessimo sprecato così tanti uomini per
infiltrarci tra di loro.
Basti tu: continua a risolvere casi, tienili impegnati mentre noi
concludiamo i
nostri affari.- -Come sempre Master!-
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