Back to London

di ermete
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home, Sweet Home ***
Capitolo 2: *** Dog Tags ***
Capitolo 3: *** La cosa ***
Capitolo 4: *** La mia firma sul tuo corpo ***
Capitolo 5: *** The Meltdown ***
Capitolo 6: *** L'appartamento vuoto ***
Capitolo 7: *** The Promise ***
Capitolo 8: *** Il palcoscenico ***
Capitolo 9: *** L'ultima colazione ***
Capitolo 10: *** Questione di numeri ***
Capitolo 11: *** Fotoricordo ***



Capitolo 1
*** Home, Sweet Home ***


***Ciaooo! Bon, alla fine mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di "Back to London" dopo averlo modificato un pochino! Io ragazze, non so che dirvi °_° mi avete dato così tante gioie con i vostri commenti su Back to Afghanistan che non vorrei deludervi con questo seguito ç_ç non so, infatti, se pubblicherò velocemente come con BTA! Oh, magari poi succede che una volta pubblicato un capitolo mi viene la mega ispirazione per quello dopo e pubblico a manetta, ma non credo XD così come per quanto è successo con BTA, non so ancora quanto durerà questa long, lo scoprirete solo leggendo XD ora, ho messo rating giallo, magari se poi sarò ispirata e tiro fuori qualcosa di soft-hot, o di pseudo violento lo sposterò in arancione! E poi i tag vari... è veramente un tema abbastanza generale, ma siccome ci saranno scene sicuramente fluff (perchè mi conosco!), sapete già se volete leggere o no XD metto di nuovo OOC perchè non si sa mai, al massimo cambio più avanti! Che dire... spero DAVVERO che vi piaccia. Non voglio deludervi <3 buona lettura! ***

Home, Sweet Home
Mancava mezzora all’arrivo a Londra: l’aereo militare che stava riportando a casa i Mastini e Sherlock, infatti, era in perfetto orario e John potè riconoscere il profilo delle coste britanniche dal finestrino.

Si voltò verso Sherlock, rimasto in silenzio per tutto il viaggio, sprofondato all’interno del suo Palazzo Mentale nella speranza di riuscire a ignorare il continuo vociare dei componenti dei Mastini, decisamente troppo logorroici per i gusti del detective.
“Pronto per tornare in vita?” gli domandò John, provando ad attirare la sua attenzione sgomitandolo appena.
Sherlock rispose con un mugolio, e quando John sembrava rassegnato all’idea che non gli rispondesse, si voltò mettendo a fuoco il viso dell’amico “Sono già stufo all’idea di quelli che vorranno farmi domande, chiedere spiegazioni e magari pure abbracciarmi. E’ una fortuna che io non abbia amici.” si corresse in fretta poi, spostando lo sguardo altrove “O quanto meno, l’unico al quale mi importasse veramente spiegare com’è andata, è già sistemato.”
John sorrise per quell’affermazione, d’altronde per Sherlock era già un enorme passo avanti fargli sapere che lo considerava al di sopra degli altri, mentre prima lo dava sempre per scontato, quindi non gli importava che giro di parole usasse per dirlo.
“Qualcuno c’è, Sherlock. La signora Hudson, Greg, Molly... Angelo...” si sforzò qualche istante per cercare qualche altro nome, ma venne fermato dall’altro.
“Allora è una fortuna che si possano contare sulle dita di una mano.” sbuffò, poggiando la nuca sul poggiatesta.
John non potè fare a meno di notare il broncio persistente sul volto di Sherlock “Ma è l’aria di casa che ti mette il malumore? Potremmo trasferirci da qualche altra parte se può farti e farmi stare meglio.” disse in tono scherzoso, ma non vedendo alcuna reazione nel detective, gli si avvicinò un poco col volto, abbassando il tono di voce “Sherlock, seriamente, che c’è?”
“Niente.”
“Non è vero, non c’è bisogno di essere te per capirlo.”
“Mycroft mi ha mandato un sms.” ammise quindi, sbuffando per l’ennesima volta.
“E’ successo qualcosa di grave?” si preoccupò John, posandogli istintivamente la mano sinistra sul polso.
“Ma no... o meglio sì.” a quel punto Sherlock si voltò verso John, scontrandogli delicatamente la fronte con la propria, in quello che sembrava voler essere un gesto affettuoso “Mi ha detto che è pieno di giornalisti, che fanno milioni di domande...” usò altri cinque o sei giri di parole per ripetere lo stesso concetto, sottolineando con quella ridondanza la drammaticità della cosa.
“Beh, non te l’aspettavi? Dovremmo solo evitarli, lasceremo che sia Mycroft a spiegare tutto, è lui il diplomatico della famiglia.” finita la frase ricambiò il gesto di Sherlock, sorridendogli pacificamente.
“Sanno dove abitiamo.”
“Fortuna che abbiamo non una, ma due porte prima che ci entrino in casa.”
Sherlock sorrise di fronte al velo di ironia usato da John, sulla mano del quale posò la propria “E poi, come dicono nei film, dovranno passare prima sul tuo cadavere per poter arrivare a me, vero?”
John rise, piegando appena il capo all’indietro “Sì, ma in teoria dovrei essere io a dirlo, non tu a proporlo.” probabilmente stava per aggiungere qualcosa, ma la voce entusiasta di Matt che annunciava a tutti che stavano per atterrare montò l’entusiasmo dei Mastini e raggelò le mani di Sherlock: John non potè fare a meno di stringergliene almeno una.

Allo stesso centro di reclutamento dal quale John e gli altri Mastini erano partiti, erano presenti i parenti e gli amici dei soldati rientrati in patria, nella fattispecie tra i presenti si potevano riconoscere una commossa Signora Hudson, quindi Molly Hooper, Greg Lestrade e Mycroft Holmes. Al di là dei cancelli, invece, un gruppetto di giornalisti e fotografi veniva tenuto a bada dagli uomini di Mycroft.
I diversi gruppi presenti nell’ampio piazzale si divisero uno ad uno andando incontro ai soldati che via via spuntavano dall’interno dell’hangar. Georgia, una bellissima ragazza bionda dal sorriso innocente, corse incontro a David che, appena la vide, buttò il borsone a terra, prendendola in braccio e facendola roteare almeno due volte prima di fermarsi e stringerla commosso, memore della paura provata nell’ultima missione di non riuscire a rivederla.
Rose e Amelia, due gemelline di sette anni vestite con abiti di stile vittoriano riadattati in chiave moderna, piansero nel vedere Matt ferito ad una gamba, ma quando s’accorsero che il loro fratellone sembrava stare tutt’altro che male, gli saltarono al collo, sbilanciando il giovane all’indietro che nella caduta riuscì ad evitare che tutti e tre si facessero male solo grazie alla sua agilità e alle dimensioni considerevoli del borsone che aveva con sè.
John e Sherlock si videro arrivare incontro una furente Mrs Hudson che quando li raggiunse si mise a schiaffeggiare entrambi sulle braccia e sulle mani, piagnucolando improperi che non si sarebbero mai sognati di sentir uscire dalla bocca della loro padrona di casa.
“Siete due disgraziati! Volete farmi morire di infarto! Ve le farò scontare tutte! Dovrei cacciarvi di casa! Piccoli monelli che non siete altro! Sareste da prendere e appendere per le orecchie finchè non vi entra nel cervello che non dovete fare morire di paura le persone che vi vogliono bene!”
John e Sherlock non ebbero il coraggio di contraddire Mrs Hudson, si limitarono a prendere la loro dose di punizione e le ramanzine continue non osando in alcun modo fermare quell’innocente sfogo: persino il detective sorrise alla sua padrona di casa.
“Le chiedo scusa, Signora Hudson. Non volevo farla preoccupare.” iniziò John, provando a toccarle la spalla con delicatezza, quindi sgomitò Sherlock, che lo seguì non senza aver fatto prima una smorfia svogliata.
“Le chiedo scusa Signora Hudson, non volevo farla preoccupare.” fece da pappagallo a John, cambiando solamente l’intonazione della frase.
La signora Hudson annuì energicamente, asciugandosi il volto con un fazzolettino ricamato, quindi si scostò facendo spazio a Lestrade che osservò Sherlock a lungo, come per sincerarsi che fosse effettivamente lui e non un’impostore.
“Sherlock, maledetto, me l’hai fatta anche stavolta!” gli battè due pacche sulle spalle per poi fare lo stesso con John “Meno male che hai la pelle dura! Mentre aspettavamo che l’aereo atterrasse, ci hanno raccontato che l’ultima missione che hai affrontato è stata particolarmente tosta! Non osare lasciare Londra mai più!”
Molly, che se stava timidamente di lato, si scusò con John non appena ebbe finito di salutare Lestrade, dispiaciuta di non aver potuto condividere il piano di Sherlock con lui: chiese perdono molte volte, smettendo di piangere solo dopo che John l’ebbe rassicurata di non preoccuparsi e di aver compreso le sue motivazioni.
Mycroft si fece avanti per ultimo rivolgendo un sorrisetto malizioso a Sherlock, il quale fece finta di non notarlo tornando a parlare a Molly e Mrs Hudson, mentre a John dedicò una lunga e silenziosa occhiata.
“Sono contento di vedere che sta bene, Dottor Watson.” sciolse l’espressione in uno dei suoi sorrisi diplomatici, celando emozioni che John non riuscì ad intuire “Posso chiederle se è ancora arrabbiato con me?”
John riflettè sulla risposta da dare, lasciando Mycroft sulle spine così come gli Holmes amano far stare gli altri “L’importante è che sia finito tutto bene.” replicò in modo neutro, non dando una vera e propria risposta specifica a quella domanda.
Mycroft ovviamente lo notò “Si sta facendo furbo, John. Com’è che si dice? A star con lo zoppo... ops, modo di dire sbagliato.” lo provocò sarcasticamente.
“Beati gli orbi in un mondo di ciechi, Mycroft.” rispose altrettanto tagliente, divertito almeno in parte da quello scambio, contento di avergli tenuto testa.
Mycroft rise, buttando la testa all’indietro: era una risata corta e secca, ma non per questo falsa “Si è nascosto molto bene, John. Gliene devo dare atto.”
“Voi Holmes sottovalutate troppo gli altri. Che vi serva da lezione.”
“Non succederà mai più.” assicurò Mycroft con tono più rigido, inarcando le sopracciglia “Un giorno vorrei parlarle in privato.”
“Quando vedrò una macchina nera, allora, inizierò a correre.” John si soffermò su Mycroft, rimanendo qualche secondo in silenzio dopo quell’ultima risposta. Anche l’Holmes ricambiò l’occhiata, indugiando per qualche istante finchè entrambi non alzarono la mano stringendosela reciprocamente.
John poi si guardò attorno, sorridendo nel vedere i diversi gruppi familiari riuniti: vide Alec tenere in braccio tutti e tre i figli insieme e fu contento nel ricordare che anche lui s’era congedato definitivamente, desideroso di passare più tempo con le persone che amava.
Bruce e Logan furono accolti da un gruppetto di ragazze che a John ricordavano molto le groupie degli anni ‘80 e per qualche istante si chiese come aveva fatto a non pensare di sfruttare il fascino della divisa anche lui, almeno in passato.
E mentre Christopher si divideva tra la moglie, il figlio e il resto della sua famiglia, David rivolgeva tutte le proprie attenzioni a Georgia: erano ancora abbracciati, nello stesso posto, nello stesso modo, da più di dieci minuti e fu contento del fatto che nessuno fosse andato a disturbarli.
Matt era ancora a terra, coccolato dalle sorelline e circordato da quelli che John individuò come genitori, amici e altri parenti.
Poi si voltò in diverse direzioni, cercando più volte Zach, che finì col trovare semi nascosto, in un punto aperto dell’hangar, metà irradiato dal sole e metà nascosto dall’ombra, in disparte: il dottore si ricordò in quel momento che il giovane cecchino non aveva famiglia e gli si strinse il cuore nel guardarlo mentre osservava il suo compagno circondato da persone. Decise di andarlo a chiamare ed invitarlo a Baker Street quando sentì Matt urlare il suo nome.
Il cecchino infatti, in un momento di respiro concessogli dalle sorelline, si alzò a cercarlo quando non lo vide dietro di sè “Zach! Dove sei Zach?” domandò a gran voce, saltellando su una sola gamba, avendo lasciato le stampelle per terra.
A Zach prese un colpo, non sapeva cosa sarebbe stato giusto fare in quel momento, ma quando vide Matt avvicinarglisi dopo aver scoperto dove si era nascosto, uscì fuori dall’hangar andandogli incontro “Matt, torna dalla tua famiglia.”
“Eh, sì! Ma vieni anche tu!” gli sorrise Matt mentre gli si appoggiava addosso, avendo perso l’equilibrio a forza di saltellare su una gamba sola “Cosa credevi? Pensavi che ti avrei lasciato da solo?”
Zach passò il braccio destro attorno alla vita di Matt, permettendo al compagno di camminare un pochino meglio rispetto al suo saltellare frenetico “Ti ringrazio Matt, ma è la tua famiglia, torni da una missione pericolosa, li hai fatti preoccupare e vorranno stare con te.” sussurrò mentre lo accompagnava vicino al punto in cui erano cadute le stampelle.
“Tu sei importante per me, quindi se loro vogliono stare con me, dovranno stare anche con te.” Matt si fermò, osservando Zach negli occhi: era determinato, non si sarebbe mosso da lì senza il suo compagno “Anche se fossimo solo amici non ti lascerei mai solo di rientro dalla guerra, stupidone.” lo osservava con le sopracciglia inarcate in un’espressione quanto mai seria, espressione che mutò presto, lasciando spazio al solito temperamento giocoso che lo contraddistingueva “Ma per fortuna non siamo solo amici, ehhh?”
Zach scoppiò a ridere e, dimenticando qualsiasi formalità, abbracciò Matt con riconoscenza e affetto “Grazie, Matt. Però, per favore, un pochino di discrez...”
“Ehiii! Venite a conoscere il mio ragazzo!” urlò Matt verso la propria famiglia, suscitando l’entusiasmo delle sorelline e la sorpresa dei genitori “Scusa, dicevi?” rise all’indirizzo di Zach, verso il quale ammiccò “Ho già parlato di te alla mia famiglia, sanno che senza di te non sarei sopravvissuto all’ultima missione, e che senza di te non sopravviverei ogni singolo giorno della mia vita.”
“Non mi avevi detto che ne avevi parlato alla tua famiglia...” Zach scosse il capo dallo stupore, deglutendo un poco di imbarazzo.
“Perchè volevo farti una sorpresa.” sussurrò Matt, per poi chinarsi a prendere le stampelle “Sii te stesso e piacerai a tutti.” ammiccò rialzandosi, sorridendo alla schiera di parenti che si stava avvicinando.
John si gustò la scena da lontano, intenerito dalla dolcezza di Matt e dalla commozione di Zach verso i quali sorrise, alzando un braccio in segno di saluto; anche Sherlock aveva buttato un’occhio sui due cecchini, alternando lo sguardo tra loro e John sul volto del quale lesse uno sguardo piacevole, ridente e felice che fece sentire meglio anche lui.
Lestrade richiamò l’attenzione del piccolo gruppetto battendo due volte le mani e alzando un poco la voce “Forza! Ci stanno aspettando, andiamo!”
John e Sherlock si voltarono all’unisono: la loro mimica mutò percettibilmente, le labbra si arricciarono, le sopracciglia si inarcarono disegnando rughe d’espressione che indicavano un certo grado di fastidio.

John e Sherlock furono praticamente costretti ad andare ad una festa in loro onore organizzata a Scotland Yard: si festeggiavano il rientro di John dall’Afghanistan e il ritorno alla vita di Sherlock, ma entrambi avrebbero preferito affrontare un’altra missione in medioriente piuttosto che partecipare ad una festa piena di persone che reputavano false e a tratti penose. C’erano molti poliziotti, compresi quelli che erano presenti la sera dell’arresto di Sherlock, persino Anderson e Donovan, anche se in disparte.
John e Sherlock, dopo due ore di convenevoli, si erano ritrovati davanti al tavolo delle vivande: il primo stava affogando il malumore nell’alcool, il secondo contando in maniera autistica quante noccioline ci fossero nella ciotola di fronte a sè.
“John...” era la decima volta che Sherlock lo chiamava e il tono stava diventando decisamente lamentoso “Jaaawn...” undicesima.
“Sherlock...” rispose pazientemente John che alternava lo sguardo tra i diversi presenti, divertendosi solo quando vedeva Lestrade che, palesemente sbronzo, ci provava con Molly.
“Ripetimi ancora una volta perchè siamo qui.”
“Perchè è una festa in nostro onore.”
“Davvero? A me sembra solo un pretesto per questi sedicenti uomini di giustizia per bere.” borbottò Sherlock e quando vide John fare spallucce si spazientì, levandogli il bicchiere dalle mani.
“Ehi!” John sbuffò e dopo essersi guardato attorno per l’ennesima volta, prese la sua decisione “Senti, lo sai che ti dico? Hai ragione. Ce ne andiamo.”
“Davvero?” domandò stupito Sherlock che iniziò a seguirlo verso l’ingresso “Finalmente John! Vedo che hai abbandonato quel tuo essere politicamente corretto e fare quello che ti senti. Bene!”
“Quando hai ragione, hai ragione. A loro non frega niente di noi e a noi non frega niente di loro. Molly e Greg li abbiamo salutati, gli altri mi fanno solo arrabbiare.” John raccolse il proprio borsone ed uscì dall’ufficio che era stato riservato per la festa.
Sherlock seguì l’amico, osservandone la postura, registrando il tono di voce e le parole usate “John.”
“Mh?” mugugnò John, mentre cercava di fermare un taxi.
“Stai bene? Mi sembri agitato.”
“Sto bene Sherlock, voglio solo posare questa roba e farmi un doccia.” John si guardò attorno, spostando lo sguardo ovunque, verso i rumori della City: gli stimoli visivi e uditivi erano decisamente troppo luminosi e acuti rispetto al nulla del deserto Afghano.
“Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che sei tornato dalla guerra, vero?” chiese Sherlock mentre seguiva John dentro il taxi.
“Intendi lo stress post traumatico? Beh, non mi hanno sparato stavolta.” fece spallucce, mentre dava l’indirizzo al tassista.
“No ma hai dovuto affrontare tante missioni pericolose, mentre ora sei qui, in città, senza nessun pericolo da affrontare.” Sherlock gli si sedette di fronte e si chinò in avanti, verso John, osservando le sue reazioni.
“E allora? Dove vuoi andare a parare, Sherlock?” rispose rapidamente, quasi senza dargli il tempo di finire la frase.
“Sindrome del soldato. Nevrosi da guerra, chiama come ti pare.”
“Sindrome del... ma che scemenza.” John tamburellò le dita sulla propria gamba, spostando lo sguardo da Sherlock a fuori dal finestrino.
Sherlock si indispettì di fronte a quella reazione che tuttavia lo preoccupò, anche se scelse di non darlo a vedere: decise che avrebbe riaffrontato l’argomento in un altro momento, quindi stette zitto per tutto il resto del tragitto.

Quando John e Sherlock scesero dal taxi, l’ex soldato era decisamente più calmo rispetto a prima: inspirò a pieni polmoni l’aria familiare di Baker Street, alzando lo sguardo verso la via, lo Speedy’s ed i palazzi, verso uno dei quali lasciò cadere la propria attenzione.
“Oh, guarda. Hanno finalmente ricostruito l’appartamento in cui era esplosa la prima bomba di Moriarty.” fece notare John, soffermandosi su quel particolare condominio.
“Mh? Cosa cambia ora che l’hanno riparato?” replicò Sherlock, facendo spallucce.
“Beh, ne va della bellezza della via.” rispose John, mentre veniva trascinato dall'altro verso il 221B.
“Appunto, ripeto, che cosa cambia? Noioso.” sbuffò Sherlock, mentre estraeva le chiavi dal cappotto.
“Chissà se ci abita qualcuno ora. Ma chi vorrebbe abitare in un appartamento dove è esplosa una bomba?”
“John? Da quando ti importa conoscere i vicini?” si spazientì Sherlock, che evidentemente aveva fretta di entrare di nuovo nel loro appartamento, nel posto più ricco di ricordi che li riguardava.
“Hai ragione, Sherlock. Non è importante.” s’arrese John, che poi incoraggiò l’altro a girare la chiave nella serratura, carezzandolo con lo sguardo quando sentì il rumore metallico del chiavistello, l’ultimo confine da sorpassare prima di tornare definitivamente a casa.
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Salirono le scale facendo il minor rumore possibile per evitare che la Signora Hudson si accorgesse del loro arrivo: ne avevano avuto abbastanza di incontri per quel giorno.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.
Sherlock alzò istintivamente gli occhi verso lo smile giallo, salutandolo con un cenno del capo, per poi sospendere lo sguardo in tacita contemplazione: il suo, il loro appartamento. E di nuovo con John “Sai, sono stato qua, di nascosto, a Natale scorso.”
“Sì? A fare cosa?” domandò John per poi avvicinarsi al tavolino del salotto sul quale era posato un vassoio di biscotti “Che gentile Mrs Hudson.”
“Un regalo di Mycroft: ha pensato che mi mancasse questo posto, ed era vero.” seguì John con lo sguardo, sorridendo nel vedere che il nervosismo era sparito, felice di sapere che fosse contento quanto lui di essere di nuovo insieme nell’appartamento dove era cominciato tutto.
“Hai suonato il violino?” espresse il suo gradimento verso i biscotti con un mugolio che, seppur piccolo, raggiunse le orecchie di Sherlock che decise di avvicinarglisi alle spalle.
“No, non ho avuto tempo, sono rimasto solo due ore...” gli sussurrò direttamente all’orecchio provando ad insinuare le braccia tra quelle di John, mentre strofinava il mento sulla sua tempia destra.
All’iniziò John si irrigidì a quel contatto: gli sembrava ancora strano che Sherlock potesse dedicargli delle attenzioni di quel tipo, ma lo lasciò fare, posando le proprie mani sopra quelle di lui che erano finite all’altezza dell’addome “E cosa hai fatto in quelle due ore?”
Sherlock non sapeva bene come muoversi in quel campo, ma quanto sentì la schiena di John poggiarsi su di lui si rilassò, stringendolo a sè mentre con la punta del naso scendeva sul suo profilo: c’era qualcosa di delizioso nel respirare il profumo di John direttamente dal suo viso, dai capelli, dall’orecchio fino a scendere sulla guancia. Dovette deglutire per riuscire a muovere nuovamene la lingua, per poter parlare “Mi sono fatto abbracciare dalla tua poltrona e dal tuo maglione, quello orribile, il più brutto di tutti, quello di Natale. Ma era pur sempre tuo e tu mi mancavi.”
John confermò con un sorriso l’intuizione che aveva già avuto in Afghanistan, ovvero che quando Sherlock si concedeva dei momenti di intimità, anche se pura ed innocente, diventava assolutamente sincero e la cosa, a seconda dell’argomento, lo divertiva o lo lusingava “Beato il maglione, allora.” percepì una leggera scossa di piacere nel sentire il respiro di Sherlock dietro l’orecchio, ruotando istintivamente il volto quando sentì le sue labbra vicine alla guancia.
“John...” mugolò Sherlock che a quel punto non sapeva come andare oltre, tanto che si bloccò di fronte alle labbra dell’altro, deglutendo nuovamente, in cerca d’aiuto.
John sorrise di fronte a quell’innocenza, posando sulle labbra di Sherlock un bacio veloce prima di girarsi e prendergli il volto tra le mani “L’abbiamo detto, faremo con calma.”
“Ma io voglio...” protestò Sherlock che in un impeto di coraggio prese a sua volta il viso di John tra le mani, stampandogli sulle labbra un bacio goffo e maldestro ma che sembrò soddisfarlo molto “Oh! Fatto!”
John a quel punto capì che a Sherlock premeva molto l’idea di riuscire a baciarlo per primo, di sbloccare quel nuovo passaggio di intimità, o semplicemente non ammetteva l’idea di non riuscire a fare qualcosa che gli interessasse, quindi rise divertito ed al tempo stesso intenerito: subito dopo vide il detective allontanarsi soddisfatto e con un sorriso stampato sul volto.
Sistemata quella questione di vitale importanza, Sherlock potè finalmente avvicinarsi alla custodia nera, aprirla con una lentezza maniacale ed estrarne fuori il suo adorato violino “Sono quasi tre anni che non ti suono...” disse a voce bassa, per poi sistemarlo sotto la propria guancia e iniziare a pizzicarlo e carezzarlo con l’archetto.
Era una visione paradisiaca che John volle godersi appieno: si sedette sul divano e osservò il sorriso disegnato sul volto di Sherlock, gli occhi chiusi e le braccia che si muovevano disegnando arabeschi che l’aria traduceva in suoni sublimi paragonabili ai cori degli Angeli.
Chiuse gli occhi a sua volta, lasciandosi cullare dalle note suonate da Sherlock, riascoltandole dopo quasi tre anni, quando credeva che non le avrebbe più sentite, estasiato dalla bellezza di quel momento, commosso dalla consapevolezza di vivere di nuovo il presente con lui.

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Capitolo 2
*** Dog Tags ***


***Ciau! Allora, vi propongo il secondo capitolo XD è stato un parto trovare il titolo perchè con "Dog" ci sarebbero potuti stare diversi giochi di parole, visto che si parla delle piastrine militari(dog tags per l'appunto), e nelle stesse piastrine c'è il riferimento agli hounds (e giù cagnoni), e poi c'è il Caso del Signor Ford dove c'entra un cane XD vabbè, titolo a parte, il caso del signor Ford è ispirato ad una di quelle avventure sceme della settimana enigmistica XD io ci ho ricamato su i moventi, le dipendenze e i personaggi XD spero sia tutto plausibile. Poi il resto è incentrato sui nostri Johnlock e io vorrei chiedere un favore a chi mi commenterà il capitolo, ovvero datemi un parere sulla loro relationship, ovvero se vi sembra coerente, esagerata, ooc, ic... insomma, mi interesserebbe saperlo per regolarmi coi prossimi capitoli :D mi importa il vostro parere, belle figliole *_* BACI!***


Dog Tags

Sherlock si svegliò abbracciato al proprio violino, rannicchiato sulla sua poltrona con una coperta sulle spalle: mugugnò qualcosa con la bocca ancora impastata dal sonno mentre si alzava posando lo strumento musicale dentro la custodia, a terra. Si guardò attorno frastornato: sorrise nel constatare di essersi svegliato nel proprio appartamento dopo molto tempo, ma c’era qualcosa che gli sfuggiva: dov’era John?

Si avvicinò al tavolo, leggendo l’ora sul cellulare “Mh... le 10 e mezza.” posò la mano destra sul collo e lo piegò di lato facendo scricchiolare le ossa sotto la pelle bianca. Quando riaddrizzò la testa però la domanda rimase: sul serio, dov’era John?
Provò a chiamare il suo nome e non ottenendo alcuna risposta salì in camera sua, arricciando le labbra nel constatare quanto tutto fosse completamente in ordine: il letto rifatto, i vestiti riposti nell’armadio spolverato, la divisa appesa ad una gruccia sopra una delle ante. Sul comodino giacevano silenti le piastrine militari: Sherlock si avvicinò e le prese in mano, leggendo nella prima il nome e il numero di matricola, nella seconda l’appartenenza agli Hounds.
Mise le piastrine di John al collo e tornò in salotto, e dopo aver preso il cellulare in mano digitò velocemente un messaggio.
-Dove sei? SH-
Giocherellò con le piastrine mentre aspettava la risposta di John, facendole scorrere avanti e indietro sui pallini della catena, spostando poi lo sguardo sullo smile giallo e sul teschio “E voi due? Sapete dov’è andato?”
Si avvicinò alla finestra, sbirciando lungo le vie laterali, attendendo qualche minuto nella speranza di vederlo arrivare: annoiato dall’attesa, alzò lo sguardo sull’appartamento del condominio di fronte, quello che, come John gli aveva fatto notare, era stato ricostruito da poco. Vide gli infissi chiusi, notò che non c’erano panni appesi ad asciugare, e nessuna pianta ornava il balcone: nonostante pensasse che fosse semplicemente disabitato, inviò un messaggio a Mycroft, specificando solo l’indirizzo e il numero civico dell’appartamento in questione.
Sbuffò dunque, allontanandosi dalla finestra e buttandosi sul divano con ben poca eleganza, le piastrine nella mano destra, il cellulare nella sinistra.
Dove diavolo era John?

John rientrò a casa mezzora dopo, correndo velocemente sù per le scale pieno di borse della spesa: quandò entrò nell’appartamento lasciò spaziare subito lo sguardo per la sala alla ricerca di Sherlock che trovò sdraiato sul divano, in pigiama e vestaglia, intento a leggere un vecchio libro che gli aveva visto spesso tra le mani.
“Sei sveglio! Buongiorno!” salutò cordialmente, per poi posare le borse sul tavolo della cucina ed iniziare a mettere a posto la spesa: ci mise molti minuti poichè aveva comprato davvero molta roba. Dal cibo ai giornali e dai saponi ai detersivi, si era premurato di rifornire la casa di tutto ciò che aveva bisogno: quando ebbe finito si avvicinò a Sherlock che era stato silenzioso per tutto il tempo, non si era neanche preoccupato di rispondere al saluto.
“Cosa leggi?” si sedette sulla punta del divano, all’altezza dell’anca di Sherlock che, ancora, non si degnò di rispondere: posò dunque la mano destra sul ventre del detective, scuotendolo delicatamente “Che c’è, Sherlock?”
“C’è che ti ho mandato un messaggio. Non usa più rispondere?” non ci voleva il suo cervello per intuire la stizza che coloriva il suo tono di voce.
“Mh? Davvero?” John si infilò la mano sinistra in tasca e dopo aver recuperato il cellulare sospirò abbondantemente “Si vede che si è scaricato. Mi sa che è stato spento per troppo tempo, la batteria è andata.” fece spallucce, buttando il telefono sul tavolino vicino al divano “Beh? Cosa mi avevi scritto?”
“Ti avevo chiesto dove fossi andato.” il tono di Sherlock continuava ad essere acido, il volto ancora nascosto dietro al libro.
“Oh... ho fatto un po’ di giri.” rispose John, posando poi la mano sul libro che Sherlock stava leggendo, provando ad abbassarlo, ma trovò la resistenza dell’altro a contrastarlo “Sono andato in caserma a firmare dei documenti per la pensione, in ospedale a lasciare il mio nome per le emergenze e a fare la spesa.”
A quel punto fu Sherlock ad abbassare il libro, posandolo sul proprio torace “Hai fatto tutte queste cose? E prima di uscire hai pulito casa?”
John fece spallucce sorridendo nell’incontrare finalmente lo sguardo di Sherlock “Se aspettavo che la pulissi tu...”
“John, tu non stai bene. Senti già la mancanza dell’azione. Non sai come sfogare l’adrenalina in eccesso e fidati, devi stare attento a non avere un crollo, da troppa adrelina a zero adrenalina e...”
Fu fermato da John che decise di interrompere il fiume di parole di Sherlock battendogli due dita sulle labbra, divertendosi nel sentire quello che sembrava un urlo di guerra dei pellerossa “Non preoccuparti, è impossibile avere un crollo di adrenalina con te: sta a vedere che presto Lestrade ci sottoporrà un caso e dovremo correre sù e giù per Londra.”
“Ma!” protestò Sherlock, cercando di spostare la propria bocca dalle sue dita.
“Niente ma, sono un dottore, lo saprò no?”
Sherlock decise di fermarsi e rimandare il discorso, di nuovo: non era nel suo carattere pregare qualcuno, soprattutto per un problema che non lo riguardasse personalmente, quindi lasciò cadere il libro di lato, sbuffando leggermente.
John reclinò il capo, accorgendosi solo in quel momento delle piastrine al collo di Sherlock “Cosa ci fai con queste?” non sembrava molto contento di quella sottrazione: alzò la mano che prima era sul ventre dell’uomo fino a posarla su quegli oggetti metallici.
Sherlock colse il fastidio provato da John e si sentì un po’ ferito da quella reazione “Quando questa mattina mi sono svegliato e non ti ho trovato a casa mi è preso... un attimo di panico.” esagerò volutamente con quell’ultima definizione, quindi accompagnò il tutto con un’espressione un po’ intristita “Così sono entrato nella tua stanza e...”
“Però le piastrine sono una cosa molto personale per un soldato.” John non sembrò cadere nel tentativo di Sherlock di arruffianarselo.
Sherlock sospirò “La verità è che ho pensato che finchè tu non avessi più queste... beh non saresti più andato via.” ammise alla fine, spostando lo sguardo altrove: quando confessava a John qualcosa riguardante i propri sentimenti per lui, non sempre riusciva a guardarlo negli occhi. Non era ancora del tutto pronto a fare in modo che qualcuno gli raggiungesse l’anima più profonda, e temeva quel potere che John riusciva ad avere su di lui “Non voglio mica tornare in Afghanistan a salvarti di nuovo.” aggiunse, nella speranza di togliere almeno un po’ di melodrammaticità alla sua precedente confessione.
“Non vado da nessuna parte, Sherlock.” John sospirò, provando a girargli il viso con una leggera pressione sul mento, ma non andando a buon fine con quell’intenzione, si chinò sull’altro fino a posargli le labbra sulla tempia in un leggerissimo bacio.
Per John non era strano baciare qualcuno, aveva avuto diverse storie, ma mai con qualcuno che fosse neanche lontanamente simile a Sherlock, che, d’altra parte stava appena entrando nel mondo dei ‘normali’, almeno dal punto di vista sentimentale e doveva ancora abituarsi a quei gesti: avrebbe voluto renderli a sua volta spontanei, ma senza che perdessero il tocco magico di ogni sua prima volta. Quindi ci fu un momento in cui entrambi rimasero in silenzio, perdendo il filo del discorso, concentrandosi altrove: il gesto che aveva appena fatto John era venuto spontaneamente, senza alcuna forzatura, eppure elettrizzò entrambi, facendoli bloccare in una bolla temporale per qualche istante.
“E se un giorno decidessi di farlo?” Sherlock riprese il discorso, continuando ad opporre resistenza al tentativo di John, mantenendo lo sguardo altrove, imbarazzato.
“Dovresti farla proprio grossa.” John liberò una piccola risata, soffermandosi qualche istante sul profilo dell’altro, desiderando di toccarlo molto più di quanto si sarebbe aspettato di volere “Ma più grossa di fingerti morto per due anni e mezzo la vedo dura.” provò nuovamente a far voltare Sherlock “Dai, guardami.”
Fu l’ultimo sussurro di John a farlo arrendere: Sherlock si girò mostrandogli un sorriso che sembrava sinceramente dispiaciuto. Quando poi alzò la mano verso le piastrine con l’intento di togliersele, venne fermato da John.
“No, tienile se ti fa piacere.” il dottore sorrise con una dolcezza tale da disarmare lo sguardo intristito di Sherlock “Te l’ho detto, no? Sono una cosa molto personale, quindi chi può custodire le mie meglio di te?”
Sherlock alzò entrambe le mani verso le spalle dell’altro, attirandolo verso di sè con gentilezza “John.” gli fece poggiare il volto sul bracciolo del divano, accanto al proprio, cingendolo con ambedue gli arti superiori: ecco che aveva appena reso spontaneo uno di quei gesti che nella sua mente aveva ripetuto più e più volte, e che solo ultimamente era riuscito a concretizzare.
“Mh?” John si sistemò sul divano sul fianco sinistro, accanto a Sherlock, aggiustandosi al meglio per riuscire a stargli comodamente vicino.
“Niente.” gli sussurrò sulle labbra, sfiorandogli il naso col proprio “Tra le cose che mi piacciono di te c’è anche il tuo nome.”
John si tirò un po' indietro, spalancando gli occhi per la sorpresa “Sherlock Holmes ha appena fatto un complimento ad un’altra persona?”
“Analisi corretta, dottor Watson. Che dice, dovrei preoccuparmi per la mia salute?”
“Fortuna che vivi con un medico.” John strinse Sherlock a sè, incastrando le gambe tra quelle di lui: poi si fermò a riflettere. La bellezza che ora riusciva ad ammirare sul volto di Sherlock, gli fece chiedere se sarebbero andati oltre ai baci a stampo dei bambini delle medie, il cuore che gli sentiva battere sotto l’azzurrina maglietta di cotone, invece, gli fece domandare se sarebbe durato quel clima affettuoso, ma soprattutto, il tocco della propria mano destra sopra il suo volto lo estasiò sfrenatamente, perchè stava davvero coccolando Sherlock Holmes.
Anche Sherlock si lasciò andare a delle silenziose riflessioni: si chiese se si stesse comportando bene, perchè, se ne rendeva conto ogni giorno di più, la sua unica preoccupazione era che John stesse bene, fuori da ogni pericolo, ma soprattutto voleva renderlo felice, ripagarlo per tutto quello che aveva fatto per lui e sorrise nell’accettare che quella sua volontà avrebbe giovato ad entrambi. Voleva farlo, doveva riuscirci: si rese conto che se non ci fosse stato John, non avrebbe fatto differenza per lui vivere o morire dopo la caduta dal Bart’s. E invece no, aveva pianificato tutto per sopravvivere, per poter vivere altre avventure con lui: altre cene, altre corse, altri battibecchi, altri insegnamenti, altri esperimenti, altra gioia, altri giorni passati insieme. Con quel pensiero in testa, strofinò la fronte su quella di John “Fortuna che vivo con te.” e lo baciò, per primo, a stampo come fanno i bambini, ma con la consapevolezza che solo un adulto innamorato è in grado di avere.

Passarono due settimane di assoluta, continua, snervante tranquillità prima che Lestrade chiamasse Sherlock e John per un consulto investigativo.
Quando raggiunsero la scena del crimine, si trovarono di fronte ad una villa imponente, davanti alla quale John rimase a bocca aperta: non era mai stato in quella zona di Londra poichè anche solo l’idea di poter camminare per quei viali lussuosi ti svuotava il portafoglio.
Sherlock invece sembrava a suo agio, anzi, era particolarmente sù di giri, felice di poter nuovamente impegnare il proprio cervello in qualcosa che non fosse il cruciverba del Times.
Passarono tra i diversi poliziotti della scientifica che rivolsero loro occhiate di diverso tipo, che variavano dal curioso allo scettico, dallo spazientito all’indignato: John classificò tutti gli sguardi con perizia mentre Sherlock, pur notandoli tutti, non dava loro alcun peso, finchè non si trovò di fronte Anderson a sbarrargli l’ingresso della stanza verso la quale erano diretti.
“La penso ancora come tre anni fa’.” tenne a precisare il tecnico forense, intrecciando le braccia al petto.
“Un enorme passo avanti, Anderson! Ora riesci pure a pensare!” Sherlock reagì come al suo solito, dando l’impressione, o meglio la certezza, di non accusare il parere di quello che considerava come il più inetto tra i poliziotti di Scotland Yard.
John si limitò a squadrarlo mentre gli passava davanti sorridendo di sottecchi nel vederlo ancora intento a cercare una buona frase per ribattere a Sherlock, quindi entrò nella stanza preceduto dal consulente investigativo.
“Pensavo avessimo un cadavere.” borbottò Sherlock, non preoccupandosi di avere di fronte la vittima dell’aggressione: il signor Ford, un ricco e blasonato anziano che reggeva il patrimonio di una delle famiglie più ricche di Inghilterra, il quale, odendo le parole pronunciate dal redivivo Holmes, si indignò sfogando il proprio risentimento su Lestrade.
“Commissario Lestrade! Mi aveva assicurato dei professionisti!”
Mentre Greg cominciava a scusarsi e John sgomitava un impenitente Sherlock in un silente rimprovero, la Donovan bisbigliò parole di scherno e tutto sembrava tornato come ai vecchi tempi, se non fosse che il dottor Watson sembrava accusare ogni piccola provocazione fosse rivolta al proprio amico. Ingoiò il rospo, limitandosi a seguire Donovan con gli occhi finchè lei non abbassò lo sguardo.
“Lestrade. Hai parlato di tre sospettati.” Sherlock fece il giro della stanza, prendendo nella mano guantata una statua di giada macchiata di sangue, ovvero l’oggetto contundente che aveva colpito il signor Ford la notte precedente.
“Sì, sono gli unici che sarebbero potuti entrare, poichè sono i soli a conoscere il codice di sicurezza del cancello che come avrai visto...”
“...non mostra segni di effrazione. Sì, ovvio che l’ho visto.” rispose velocemente, per poi voltarsi verso l’uscita della stanza “Non si può far smettere di abbaiare questo cane? Mi dà sui nervi!”
Da quando erano entrati nella tenuta, infatti, un grosso pastore tedesco non aveva fatto altro che abbaiare a loro e a tutti i poliziotti presenti.
“Portatelo da Corinne, la badante, lei sa tenerlo buono.” consigliò il vecchio signor Ford che poi si alzò, diretto verso la stanza dove sedevano i tre sospettati.
“Signor Ford, non si ricorda niente di quanto avvenuto stanotte?” domandò John, offrendo all’anziano un braccio a cui appoggiarsi.
Il Signor Ford accettò l’aiuto di John con un fiero cenno del capo “Non ho sentito niente, giovanotto. Dormivo tranquillamente, nessun rumore, poi ad un tratto ho visto tutto bianco, mi sono svegliato con un gran dolore alla testa, ma a quel punto nella stanza non c’era più nessuno e la cassaforte era aperta.”
John annuì, mentre Sherlock e Lestrade facevano strada davanti a loro “Complimenti per l’ottima costituzione fisica, quella statuetta non era per nulla leggera eppure lei se l’è cavata egregiamente.”
“Non era poi così forte, sono stato in guerra, ho preso delle sventole ben peggiori!” borbottò orgogliosamente il vecchio signor Ford.
Quando entrarono nella stanza, si ritrovarono di fronte due dei tre sospettati: l’avvocato ed il nipote del signor Ford. La terza indagata entrò subito dopo, scortata da un agente: era la badante che s’era preoccupata di portare il cane fuori dalla casa, giù in giardino, dove aveva la sua cuccia.
Sherlock sbuffò vistosamente, scosse il capo e iniziò a borbottare qualcosa sottovoce, attirando l’attenzione di tutti: si mosse poi, fermandosi davanti ai tre sospettati, nel centro preciso della stanza, come se avesse calcolato l’equidistanza tra i quattro vertici del pavimento.
“Davvero mi avete convocato per un caso del genere? Davvero non ce la fate da soli?” domandò Sherlock, riprendendo poi a muoversi: anche se aveva già individuato il colpevole, si divertì comunque a leggere la vita degli altri due sospettati.
Lestrade sbuffò mentre Donovan imprecava sottovoce: John invece sorrise, non potendosi aspettare di meno da Sherlock Holmes, sorriso che scomparve quando vide il consulente investigativo voltarsi verso di lui, di scatto.
“John, prova tu, sono sicuro che la farai.” lo chiamò a sè con un cenno della mano destra, sorridendogli furbescamente “Dimostra che sei meglio di questi poliziotti... oh, senza offesa per te, Lestrade. Gli altri... beh che si offendano pure.”
“Sherlock, per l’amor del cielo!” Lestrade fece un passo avanti, ma venne fermato dal consulente investigativo che alzò una mano verso di lui.
“Hai qui il colpevole, io saprei già dirti anche il movente, quindi perchè non far esercitare qualcuno che valga la pena ascoltare?”
“Sono curioso.” intervenne il signor Ford, che nel frattempo si era seduto, osservando i tre sospettati con aria accusatoria “Vediamo come se la cava il tizio gentile. Poi sentiremo cosa ha da dire quello impertinente.”
Lestrade allargò le braccia verso l’esterno, chiedendosi se la sua autorità contasse ancora qualcosa in mezzo alle indagini in cui coinvolgeva Sherlock.
A quel punto John si fece avanti un po’ incerto: sapeva che Sherlock non avrebbe mai voluto metterlo in difficoltà proprio davanti ai poliziotti di Lestrade, quindi capì che la soluzione poteva davvero essere a portata di mano.
Sherlock decise di dargli un unico aiuto “Ripensa a tutto quello che sappiamo. Ci si può arrivare anche senza interrogare i tre sospettati.”
John annuì, quindi iniziò a ripetere a voce alta tutti i dettagli che gli sembravano importanti “Allora, sappiamo che il signor Ford è stato aggredito questa notte mentre stava dormendo: non ci sono segni di scasso sul cancello quindi il colpevole conosceva il codice dell’allarme e questo ci porta a voi tre. Il signor Ford non ha sentito alcun rumore...” alternò lo sguardo sulle tre persone che aveva di fronte, iniziando a dubitare della convinzione di Sherlock, ma quando sentì i latrati del cane raggiungere il proprio udito nonostante le finestre fossero chiuse ebbe l’intuizione “E’ stata la domestica!”
Sherlock sorrise, mentre gli altri spalancarono la bocca dallo stupore, soprattutto il signor Ford “Corinne? Non è possibile, è sempre stata gentile e affidabile.”
La domestica non si impegnò molto a negare, limitandosi ad abbassare il capo: il suo sguardo era colpevole e mortificato.
“Me l’ha suggerito il suo cane, Signor Ford, mi dispiace che sia deluso.” John sorrise, di circostanza, quindi procedette con la spiegazione “Vede, il suo cane abbaia a tutti, che Dio ce ne scampi e liberi, non ha mai smesso finchè la sua domestica non se ne è presa cura, d’altronde l’ha detto anche lei, è l’unica che riesce a tenerlo a bada. Quindi se nel cuore della notte suo nipote o il suo avvocato fossero entrati dal cancello, il suo cane avrebbe abbaiato e lei lo avrebbe sentito, ma proprio prima di entrare in questa stanza, Signor Ford, lei ha dichiarato di non aver sentito alcun rumore, quindi l’unica persona che sarebbe potuta entrare senza far abbaiare il cane è proprio la signora Corinne.” John incrociò le braccia quando finì di parlare, provando una sensazione di fierezza nell’essere arrivato alla soluzione del caso ancora prima dei poliziotti presenti.
“Corinne...” piagnucolò il vecchio signor Ford “Ma perchè? Ti ho sempre trattata con riguardo.”
“Questo posso spiegarlo io.” intervenne Sherlock, ma solo dopo aver guardato John con una certa soddisfazione “Per pura coincidenza, ognuno dei tre sospettati ha un problema di dipendenza e questo renderà ancora più interessante la spiegazione. Partiamo dal nipote: ha lo sguardo perennemente perso nel vuoto, occhi rossi, un gradevole odore addosso che per voi comuni mortali potrà sembrare rosmarino, ha appena mangiato un sandwich le cui salsine gli macchiano ancora il viso ed è la persona più tranquilla del mondo nonostante sia stato accusato di aver aggredito il suo ricchissimo parente che morendo avrebbe potuto lasciargli una buona fetta di eredità, quindi tutto sommato avrebbe avuto anche un ottimo alibi. Ma fumare marjuana non è costoso come altre dipendenze ed inoltre non ti rende disperato al punto da provare ad uccidere una persona, tanto meno un parente stretto, vero?”
Il ragazzo, giusto per confermare il proprio stato morboso, alzò il braccio verso Sherlock, biascicando un gergale “Bella zio! L’avevo detto che non c’entravo niente.”
“La dipendenza dell’avvocato è un po’ più costosa: le donne.” riprese Sherlock, fermandosi davanti al legale del signor Ford “Il segno dell’abbronzatura sul dito della fede suggerisce che o se l’è sfilata perchè ha divorziato da poco o perchè tradisce regolarmente la moglie, cosa altamente più probabile visti i segni sul collo che non è riuscito a nascondere, non a me quanto meno. Quindi cosa potrebbe succedere? La sua amante la sta ricattando? O ne ha più di una e sono difficili da mantenere? Non lo so e non mi interessa, tuttavia i vestiti che indossa, l’orologio e il modello del cellulare suggeriscono un alto tenore di vita, quindi non avrebbe avuto bisogno di rischiare la galera per riuscire a mantenere il suo vizietto.”
L’avvocato si limitò ad alzare il colletto della camicia cercando di nascondere il succhiotto di una delle sue amanti e a infilarsi nuovamente la fede nell’anulare sinistro.
Era musica per le orecchie di John: quelle deduzioni pronunciate con una rapidità disumana, la velocità con cui aveva intuito tutto con un solo sguardo, lo sorprendevano sempre, come il primo giorno in cui l'aveva conosciuto. Se possibile, questa volta a John sembrava che Sherlock lo stesse facendo apposta per mettersi in mostra davanti a lui.
“E infine arriviamo alla domestica. Da quanto tempo gioca d’azzardo, Corinne? Come faccio a saperlo? Ha buchi per le orecchie ma non porta orecchini, indossa della brutta bigiotteria per mantenere le apparenze, ma la realtà è che ha impegnato tutto per pagare i debiti del gioco. Controlla il cellulare ad intervalli regolari che suppongo corrispondano ai risultati delle corse dei cavalli(1). Ha delle profonde occhiaie come se stesse sveglia tutte le notti, per fare cosa visto che non ha un marito, non più quanto meno, magari resta in piedi davanti al pc a giocare a poker on line? Tutto questo per dire che lei, tra tutti, aveva il miglior movente per derubare il suo ricchissimo datore di lavoro che per inciso non ha ucciso per un finale ripensamento o perchè non aveva abbastanza forza per infliggere un colpo mortale?” sembrava una domanda, questa, che rivolse proprio alla domestica.
“Non... non ne ho avuto il coraggio, alla fine.” ammise Corinne che tenne per tutto il tempo lo sguardo sui propri piedi, manifestando una gran dose di vergogna ed imbarazzo.
“Ecco Lestrade. Hai il tuo colpevole.” concluse Sherlock, ricongiungendo poi le mani dietro la schiena, aspettando le parole che sentì giungere poco dopo.
“Fantastico! Sei stato incredibile!” John scrollò il capo, stupito per l’ennesima volta dal computer che lavorava nel cranio di Sherlock, il quale inspirò a fondo, godendo del complimento che gli era appena stato fatto “Come hai fatto a capire che passa la notte giocando al poker on line?”
“La signora Corinne usa un correttore economico, vista la mancanza di soldi, e questo non basta a coprire le occhiaie ed il rossore attorno alle pupille. Inoltre ha un piccolo callo nell’attaccatura tra la mano ed il polso, un punto molto particolare, un callo tipico di chi sta molto al computer perchè è quello il punto in cui ci si appoggia alla scrivania per usare il mouse o alla tastiera per scrivere.” replicò Sherlock con un'alzata di spalle, come se stesse spiegando la cosa più banale del mondo.
“Ma come hai fatto a notarlo?” John provò ad osservare il polso destro della domestica dove, effettivamente, c’era il callo di cui parlava il Consulente Investigativo “Geniale.”
Sherlock gongolò all’ennesimo complimento, nascondendo l’euforia dietro ad un piccolo sorriso “E’ il mio lavoro smascherare i criminali, John.”
“Ehi, freak.” Donovan ruppe la magia “Potresti anche usare un po’ di tatto, la signora è già abbastanza sconvolta.”
Sherlock fece spallucce, osservando Lestrade che ammanettava Corinne, mentre John fece un passo verso la poliziotta, alzando un dito verso di lei “E tu, invece, lo sai che se non dici la tua ogni volta stiamo bene lo stesso?”
Donovan indietreggiò di un passo, stupita dalla reazione del solitamente pacifico dottor Watson “Come ti permetti?”
“No, come ti permetti tu. Devi parlare per forza?” John avanzò, coprendo lo spazio che Sally aveva compiuto all’indietro “Non sei stufa di avere sempre torto? Vi siete proprio trovati tu e Anderson.”
“Dottor Watson!” Lestrade dovette intervenire, ponendosi tra John e Sally: guardò il primo negli occhi, scuotendo il capo impercettibilmente, quindi sussurrò “John, siamo amici, ti capisco, ma non puoi trattare così i miei poliziotti in pubblico.”
Sherlock prese John per la spalla, facendolo indietreggiare verso di sè, cercando di dissimulare quanto accaduto “Scusateci, colpa mia, l’ho fatto spazientire tutta la mattina ed ecco i risultati. Ce ne andiamo, Ispettore.” lanciò un’occhiata d’intesa che Lestrade contraccambiò, quindi fece passare John davanti a sè, spingendolo verso i corridoi, iniziando a parlare ad alta voce di quanto fosse bella quella casa e di quanto fosse stato fortunato il signor Ford a non morire finchè l’abbaiare del cane non potè coprire i loro dialoghi. A quel punto Sherlock si fermò e prese John per le spalle, abbassando lo sguardo su di lui “Che ti è preso, John? E’ solo Donovan, cosa ti aspettavi, che si sarebbe fatta furba?”
John si fermò, lasciando spaziare lo sguardo attorno a sè, dal cane alla fontana, dalle panchine al laghetto artificiale: poi alzò gli occhi su Sherlock e capì quanto fosse stato strano da parte sua inscenare quella pantomima per non fargli passare dei guai, quindi riprese a parlare.
“Non ti ricordi come ti hanno trattato? Hanno avuto torto marcio e nonostante tutto continuano a trattarti come un alieno.”
“A me non importa di come mi trattano, John.” Sherlock allentò la stretta sulle spalle dell’altro, avvicinandogli invece le mani al collo che iniziò a carezzargli con i pollici.
“A me sì.” sbuffò John, alzando le mani fin sulle braccia di Sherlock, facendole scivolare fino ai polsi.
“Non dovrebbe! Non dare loro tutta questa importanza!” Sherlock sorrise a quel punto, scontrando la fronte di John con la propria “E comunque sei stato davvero in gamba prima.”
A quel punto John non potè non sorridere, contagiato da Sherlock “Sei fiero del tuo assistente?”
“Mi hai eccitato!” ammise Sherlock di getto, alzando appena il timbro vocale, per poi imbarazzarsi subito, istantaneamente, di quella confessione, tanto che si allontanò da John, mettendosi le mani in tasca “Nel senso che... cioè non nel senso che, come si poteva fraintere..." tergiversò un po', cercando aiuto nella natura che lo circondava, aiuto che, ovviamente, non arrivò "Ecco, sì, mi hai reso fiero. Bravo.”
John rimase interdetto, tossicchiando appena, abbassando lo sguardo verso le punte delle proprie scarpe “Beh... era facile...”
Rimasero qualche istante in completo silenzio, avviandosi verso l’uscita di quell’enorme tenuta: quando oltrepassarono il cancello videro le volanti della polizia che via via si riempivano, ripartendo verso la centrale. John e Sally Donovan si scambiarono una lunga ed ostile occhiataccia, che fece decidere all’ex soldato di farsi una lunga passeggiata.
“Ti accompagno.” si propose Sherlock, ma John scosse il capo con un sorriso.
“No Sherlock, non preoccuparti, tornatene a casa. Io ho bisogno... di fare due passi per far sbollire la rabbia.” John strinse la mano di Sherlock quando vide la sua espressione contrariata di fronte al rifiuto “Torno presto.”
“John...” Sherlock si avvicinò un po’ col volto “...non è per quello che ho detto prima, vero?”
“No Sherlock, anzi. Quello che hai detto prima... beh... mi ha fatto molto piacere.” sorrise per poi sfiorargli il mento con il naso, approfittando dell’ombra del viale alberato per concedersi quella tenerezza in pubblico “Ci vediamo dopo.”
Sherlock fece sfumare la stretta con la mano di John, chiudendo la propria a pugno nel momento in cui non aveva più nulla da stringere “Torna presto.” sussurrò, osservandolo incamminarsi nella direzione opposta alla propria: sentì una sensazione di vuoto dentro di sè fino a quando non lo vide girarsi e sorridergli di nuovo. La sicurezza di essere importante per John almeno quanto lui lo era per sè, fece rallegrare Sherlock, che quindi si tranquillizzò, potendo così a sua volta incamminarsi tranquillamente per la propria strada.

John, infatti, tornò a casa due ore più tardi con un’espressione rilassata sul volto: ordinarono cinese d’asporto che mangiarono seduti sul divano, davanti alla televisione che guardarono per buona parte della serata, finchè non decisero che la Signora Fletcher era una terribile menagramo e la spensero. Quindi Sherlock suonò il violino per John finchè non lo vide addormentarsi sotto le dolci note che aveva composto per lui: gli si avvicinò, sistemandolo meglio sul divano, sentendolo mugugnare nel sonno sotto il suo tocco. Sherlock sorrise, quindi, dopo averlo coperto con un plaid a trama scozzese, si sedette nella propria poltrona, immergendosi nella lettura di un nuovo testo di Chimica che John gli aveva comprato nel pomeriggio.
La loro routine si era quindi riavviata, ma con un po’ di sapore in più.

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(1) Ho preso spunto da una puntata di Criminal Minds dove Hotch sgama il vizio del gioco ad un avvocato proprio per il fatto che controllasse il blackberry ad intervalli regolari °.°

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Capitolo 3
*** La cosa ***


***Ciao ragaaaaazze! Ecco il terzo capito, che sì, ha un titolo abbastanza anonimo, ma in realtà leggendo assumerà il suo giusto senso XD Dunque, questo capitolo ed il prossimo saranno all'insegna del fluff quindi... non dico inutili, ma il tema centrale della storia (che si scoprirà nel 6, penso) è un altro, qui abbiamo solo dei momenti di coppia (che a me piacciono, poi oh, per carità, devono piacere anche a voi che leggete ^_^) e ci sono MATT e ZACH! Per la gioia di grandi e piccini, gay e etero XD bonci, per il resto grazie davvero per tutte le recensioni che mi avete lasciato <3 spero continuerete ad apprezzare questa fanfiction ^_^ BACIO!***

La cosa

Era un pomeriggio caldo che annunciava l’inizio dell’estate e Sherlock stava studiando un vetrino al microscopio in assoluto silenzio: stava lavorando ad un caso, quindi era completamente immerso nelle analisi delle prove. La gamba destra accavallata sul ginocchio sinistro tamburellava leggermente contro il tavolo, dando un ritmo ai propri pensieri.

In quel momento John aprì il portone del 221B di Baker Street, avviandosi su per gli scalini dell’appartamento borbottando qualche impercettibile lamento: l’udito di Sherlock non si attivò a quell’input, ma non fu lo stesso per l’olfatto che registrò un odore ferriginoso provenire dall’ingresso.
“Perchè odori di sangue?” domandò senza neanche alzare lo sguardo dal microscopio.
“Mh?” John provò a far finta di non sentire, recandosi direttamente in cucina: aprì il congelatore dal quale estrasse una busta di piselli che si posò sul volto. Si incamminò verso il divano sul quale si sedette, poggiando la nuca sullo schienale, il volto verso l’alto, la busta gelata sul viso.
“Ho chiesto perchè odori di sangue.” Sherlock odiava ripetersi, soprattutto nel bel mezzo di un caso: si alzò di scatto andando davanti a John, dal viso del quale alzò l’improvvisata borsa del ghiaccio.
John fece una smorfia e la contrazione dei muscoli portata da quella stessa smorfia gli causò ulteriore dolore al viso: aveva un occhio nero e due piccoli tagli, uno sul labbro inferiore e uno sullo zigomo destro “Sherlock ridammi il mio ghiaccio!” alzò le braccia, annaspando alla ricerca della busta dei surgelati, ma si arrese quando l’altro l’alzò per aria, in un punto dove, da seduto, non poteva arrivare.
“Con chi ti sei azzuffato? Hanno tentato di derubarti?” Sherlock posò la busta sul tavolino, quindi si sedette sul bracciolo del divano, le ginocchia a martello e i piedi sui cuscini, infilati sotto la gamba di John “Poi dici che non sei nervoso, eh?”
“Posso spiegare tutto, Sherlock, non è brutto come può sembrare.” assicurò John che alzò la mano destra verso l’altro.
Sherlock schiaffeggiò la mano di John “Che cosa hai fatto?” lasciò passare una lunga ed inesorabile pausa tra ogni parola, assottigliando lo sguardo sul compagno, scandagliandolo da cima a piedi.
“No, non farlo. Avevi promesso che non l’avresti più fatto con me!”
“Tu non mi dici cosa è successo, quindi devo.” schioccò la lingua sul palato, quindi iniziò “Tu sei un soldato quindi non è facile prenderti a pugni, non così tanto da procurarti queste ferite, quindi almeno tre pugni andati a segno. Quindi o ti hanno aggredito e sottolineo hanno, perchè era più di uno, sicuro, o era un professionista.”
John corrugò le sopracciglia in un’espressione infastidita: detestava quando Sherlock lo rivoltava come un calzino, chissà quante altre volte lo aveva fatto e non se ne era accorto.
“John!” Sherlock lo richiamò alla realtà: aveva un’espressione furente, avrebbe scoperto cosa era successo anche se avesse dovuto costringerlo.
“Ok. Te l’avrei spiegato comunque, Genio.” sbuffò John, che vide nuovamente rifiutare il proprio tocco dall’altro “Ho fatto da sparring partner a dei pugili. Ho incontrato Bruce, lui ha ancora problemi con le costole incrinate quindi mi ha raccontato di non poter fare allenare i ragazzi della palestra dove andava lui di solito e visto che... come dici tu...” fu costretto ad ammettere “...ho dell’adrenalina da sfogare, mi sono offerto come punching ball.”
Sherlock scosse il capo, alzando lo sguardo verso il soffitto “Ho sempre ragione. Su tutto. Ci voleva tanto a dirlo?”
“Non mi facevi parlare! Come pensavi che avrei potuto nascondertelo? E perchè avrei dovuto farlo?” ruotò il capo verso Sherlock, sospirando di fronte alle sue intuizioni domandandosi se sarebbe mai riuscito a nascondergli qualcosa “Ora posso riavere le mie verdure surgelate?”
Sherlock negò la richiesta di John scuotendo il capo e, deliziato dall’idea di sperimentare qualcosa di nuovo su quella che sarebbe diventata la sua cavia preferita, lo scavalcò, sedendoglisi sulle gambe a cavalcioni “Sei uno stupido John Watson.” abbassò il volto su quello dell’altro, posandogli delicatamente le labbra sull’occhio ferito “Se hai bisogno di sfogare l’adrenalina...” gli prese il viso tra le mani, lasciando scendere il sorriso fin sullo zigomo “...basta che me lo dici, e ti porto a correre finchè non ricominci a zoppicare.” quando stava per posargli un soffice bacio sulle labbra però, fu colto di sorpresa dalla reazione dell'ex soldato.
John gli allacciò le braccia attorno alla schiena, scivolando più in basso col bacino per annullare le distanze col torace di Sherlock e premerlo su di sè: sicuramente aveva in mente un altro modo che non fosse la corsa per sfogare l’adrenalina, poichè il bacio che posò sulle labbra dell’altro era diverso da tutti quelli che c’erano stati fino in quel momento. Non era casto, pulito e innocente, ma affamato, insaziabile e sembrava urlare il desiderio della passione repressa fino a quel momento.
Nonostante l’idea di sperimentare qualcosa di nuovo, Sherlock si ritrovò completamente spiazzato dall’impeto di John, ed era combattuto tra l’istinto di ritrarsi indietro e la paura di deludere le sue aspettative: non riuscì tuttavia a partecipare a quel bacio, e per quanto cercasse di rimanere impassibile, l’altro notò il suo disagio. John, infatti, si staccò da lui, spostandolo di lato in un gesto brusco che contrastava con il dispiacere che stava provando.
“Scusami. Non dovevo.” sospirò grattandosi nervosamente la nuca “Scusa, davvero.” si alzò velocemente, facendo avanti e indietro di fronte al divano.
Il cervello di Sherlock intanto lavorava molto rapidamente: aveva avuto un attimo di black out mentre John l’aveva travolto, ma era andato tutto troppo velocemente e non aveva avuto il tempo per analizzare la situazione. Annaspò per pochi secondi, semi sdraiato sul divano, imponendo al proprio cervello di far rallentare il proprio battito cardiaco, ma per quanto Sherlock fosse cerebralmente dotato, non poteva certamente controllare i messaggi che i neurotrasmettitori consegnavano ai nervi passando per le fitte reti sinaptiche. Dopo qualche altro secondo di silenzio, si mise seduto e alzò la mano destra verso l’altro, tentando di fermare il moto continuo in cui John si era incagliato.
“John, calmati.” provò a sorridergli, ma s’accorse di non aver placato il tormento dell’altro “Penso sia...” schioccò la lingua sul palato, cercando la parola adatta “...normale?” ipotizzò, aspettando la risposta dal compagno. Potè leggere un genuino dispiacere nel volto di John e quello fu uno di quei momenti in cui avrebbe voluto essere un po’ più umano e capace di pronunciare parole più rincuoranti. Ma solo per lui, solo per John.
John si fermò, poichè temette di fare un buco nel pavimento “Normale? Beh sì, è abbastanza normale provare delle pulsioni verso la persona che... oh ma che dico!” si armò di molta pazienza, quindi si sedette sul tavolino, di fronte al divano, davanti a Sherlock “Sì, ovvio che è normale. Ma io non volevo comunque che andasse così, non volevo spaventarti.”
“Non mi sono spaventato.” replicò in tono neutro il consulente investigativo “Mi hai solo colto di sorpresa.”
“No Sherlock, non volevo andasse così. Che ricordo avrai ora del tuo, del nostro primo...” John si interruppe, arrossendo violentemente.
“Del primo...?” domandò Sherlock, provando nel frattempo a cercare la risposta nel comportamento dell’altro.
“Nulla, lascia perdere. Non ha importanza.”
“Invece ce l’ha John, ne ha sicuramente per te. E se scoprissi di cosa stai parlando, magari potrebbe averne anche per me.” Sherlock assottigliò lo sguardo su John e non ci mise molto a capire di cosa stesse parlando “Oh ma certo, il primo bacio. Giusto, le persone normali danno importanza a cose di questo tipo.”
John abbassò lo sguardo verso le proprie scarpe, scuotendo il capo, ricordandosi di chi aveva davanti e di quanto debba essergli sembrato stupido in quel momento.
“Il nostro primo bacio è stato in infermeria. Ed è stato stupendo.” sorrise Sherlock provando a smontare l’imbarazzo di John con quell’affermazione così tanto ‘non da lui’, ma quanto mai sincera, quindi allungò entrambe le mani verso quelle dell’altro, cercando un contatto, un cenno di dolcezza.
John accolse le mani dell’altro, intrecciandole con le dita delle proprie in un tacito ringraziamento “Comunque non volevo metterti fretta, è che ero ancora su di giri per il pugilato e... è venuta fuori questa cosa.”
“Questa cosa dobbiamo riprovare a farla.” bisbigliò Sherlock, avvicinandosi anche col volto “Non dispiacerti, John. Anche io fossi in te mi salterei addosso” provò ad alleggerire la tensione per poi prendersi una piccola pausa, dopo la quale riprese a parlare “Io non sono bravo in queste cose, lo so. Ma imparerò. Sono bravo ad imparare.”
John rise, piacevolmente stupito, di fronte alla battuta di Sherlock “Non voglio che ti sforzi, per questo abbiamo deciso di andare con calma. Non ti voglio diverso da prima.” approfittò della vicinanza al volto di Sherlock per perdersi nel suo sguardo di ghiaccio che per lui era sempre meno freddo “Prima... beh, ero un po’ su di giri.”
“Immagino che dovrei ritenermi lusingato.” gongolò Sherlock, esibendosi in un sorriso, la cui dolcezza era così delicata che contrastava enormemente con i tratti rigidi del viso, in un mite paradosso che aveva una nota poetica e surreale “Oltre che fortunato.”
John sorrise e chiuse gli occhi, inspirando a pieni polmoni l’odore di Sherlock: lo shampoo, il the e persino i reagenti chimici urlavano il suo nome, lo cullavano in quella dolce sensazione di appartenenza che solo lui riusciva a dargli “Come fa il resto del mondo a non vedere cosa c’è in te?”
Sherlock sorrise, felice di essere riuscito a tranquillizzarlo, stupito di se stesso, perchè per la prima volta nella vita gli importava il benessere di qualcun’altro arrivando addirittura a impegnarsi emotivamente fino a modificare, almeno in un piccola parte, alcuni dei suoi schemi mentali di comportamento, scoprendone di nuovi, molti dei quali più interessanti. Che sensazione, incredibilmente, splendida. Solo grazie a John, solo per John.
“Semplicemente, il resto del mondo non è te.” si avvicinò fino a sfiorargli le labbra, una, due, tre volte in piccoli ma ripetuti baci, ad ognuno dei quali incollò un particolare speciale, un dettaglio peculiare, un ricordo indimenticabile.
John sorrise davanti a quella dolcezza, stupendosi ogni volta che Sherlock gliela riservava, rimproverandosi mentalmente per tutte quelle volte che aveva pensato che non ne sarebbe stato capace.
“Bene. Ti ho dedicato anche troppe attenzioni. Ho un caso da risolvere.”Sherlock si staccò da John con la stessa velocità che avrebbe usato per dedurre la vita criminale di un serial killer, passò oltre il tavolino, quindi tornò al microscopio, concentrandosi sul vetrino.
John sorrise divertito: non lo avrebbe voluto diverso per nulla al mondo. Riaveva indietro il suo eccentrico, sociopatico e geniale amico ed in più aveva avuto accesso al lato umano di lui, quello più nascosto, quello che usciva fuori nei modi più esagerati, quello che lui stesso diceva di non accettare. Si sentì speciale, ma non in modo egocentrico, bensì come colui che aveva la fortuna e l’onore di avere l’accesso alla chiave che avrebbe districato tutti i segreti del mondo. Aveva la formula alchemica per trasmutare il piombo in oro, la vista per rintracciare la fitta trama dell’universo: sperava solo di riuscire a raggiungere l’equilibrio interiore per non lasciarsi sfuggire il dono da cui era stato toccato.
Si alzò dunque, diretto verso il bagno, in cerca del relax che una doccia sa dare: John non lo potè vedere, ma Sherlock alzò lo sguardo dal vetrino per osservarlo in quel brevissimo tragitto che nella mente dell’investigatore si divise in centinaia di fotogrammi, tutti archiviati in diversi cassetti della memoria.
Sherlock sorrise dietro al proprio microscopio, e lo fece per l’aver acquisito due certezze, una nuova che lo incuriosiva ed una di cui era già consapevole e che lo spaventava: mentre da una parte c’era la bella novità di appartenere ad un’altra persona, dall’altra c’era la già assodata cognizione di non avere mezze misure. Doveva stare attento, non voleva in alcun modo rovinare quanto aveva costruito fino a quel momento per colpa dei suoi eccessi caratteriali, doveva farlo per se stesso, e voleva farlo anche per John.

Un pomeriggio, qualche giorno più tardi, John ricevette la visita di Matt e Zach, direttamente al 221B di Baker Street.
C’era stato un lungo abbraccio tra i tre: John infatti, non appena aprì la porta dell’appartamento, fu preso d’assalto da Matt che quasi si arrampicò su di lui, allacciandogli le gambe attorno alla vita con un agilissimo salto. Zach invece, divertito dalla scenetta, aspettò che il compagno scese, letteralmente, da John per stringerlo a sua volta, donandogli un abbraccio che gli facesse capire quanto gli fosse mancato in quelle settimane in cui non si erano visti.
John li aveva dunque invitati a salire: Matt e Zach si stavano sedendo sul divano quando il dottor Watson posò sul tavolino un vassoio contenente tre tazze di the ed un piatto di biscotti che fu subito preso di mira da Zach.
“Allora? Come state ragazzi? E la gamba Matt? Anche se, a giudicare da come mi sei saltato addosso direi che va meglio.” John prese in mano la tazza fumante, inalando l’aroma della bevanda ambrata che poi si apprestò a bere.
“Bene! Tu? Dov’è Sherlock? Come mai hai un occhio nero? Ma siete sempre a litigare!” Matt lo mitragliò di domande, per poi voltarsi verso Zach che era uno spettacolo quando si ritrovava davanti a dei dolci “Buoni?” domandò divertito.
Zach annuì battendo il proprio ginocchio su quello di Matt “Non prendermi in giro. Per due anni e mezzo non ne ho mangiati.”
“Tranquillo, ti stai rifacendo alla grande.” lo sgomitò il compagno, tornando poi su John “Però, capo, the e biscotti... la prossima volta porto sei birre eh, non voglio avere la sensazione di essere in un reparto di geriatria.”
John rimase in silenzio per qualche istante, godendosi la scenetta tra i due giovani, scuotendo appena il capo, divertito “No, non abbiamo litigato. Sto aiutando Bruce ad allenare i suoi pugili finchè non avrà più problemi con le costole.”
“Mh, a proposito...” intervenne Zach, dopo aver ingoiato un sostanzioso boccone “Dov’è Sherlock?” rinnovò la domanda fatta in precedenza da Matt.
“Ah, non lo so. Stava lavorando ad un caso, quindi forse è in laboratorio.”
“Ma non lo aiutavi anche tu con i casi?” domandò Matt, che poi alzò lo sguardo fino a voltarsi, osservando lo smile giallo bersagliato da colpi di pistola “Uh, non vi annoiate mai qui, eh?”
“Veramente quello è... proprio perchè si annoia...” John lasciò sfumare il tono di voce, scacciando via una parvenza di spiegazione plausibile dalla mente “Sì, di solito lo accompagno, ma se non mi ha chiesto di andare con lui, si vede che non ne aveva bisogno.”
Matt e Zach si guardarono, poi sbirciarono verso l’ingresso, quindi tornarono su John “Allora, come va tra di voi?” domandarono all’unisono, con gli occhi luccicanti di curiosità.
John arricciò le sopracciglia come solo Sherlock era riuscito a fargli fare finora “Ragazzi non fate i pettegoli.”
Zach si schiarì la voce “Dai John, siamo curiosi! Vogliamo sapere se finalmente questa passione, questo amore, che per due anni e mezzo non è stato alimentato dalla vostra presenza reciproca si è finalmente potuto librare in alto sulle soavi note del...”
“Insomma, ci date dentro?” Matt interruppe il panegirico di Zach, arrivando al sodo, stringendo le mani a pugno, come per indicare la praticità della questione.
“Come sei romantico, Matt.” Zach arricciò il naso.
“Come sei prolisso, Zach.” Matt gli fece la linguaccia.
John, d’altro canto, mentre al principio si immobilizzò in una postura quanto mai rigida, poi si alzò, camminando avanti e indietro, con la tazza in mano, il the che trasbordava.
“Ragazzi...” dopo aver scavato l’ennesima fossetta sul pavimento davanti al divano, tolse il vassoio dal tavolino e lo scavalcò sedendovici sopra, proprio di fronte alla coppia, il volto sporto un poco in avanti, come se dovesse comunicare il più grande dei segreti.
Matt e Zach, mentre prima seguivano l’andirivieni del dottore come se stessero assistendo ad una partita di tennis, poi si guardarono per l’ennesima volta, nuovamente con quell’aria interrogativa che poi spostarono su John, facendosi a loro volta in avanti, cercando di cogliere quel mistero.
“Come...” intrecciò le dita delle mani sulle quali posò il mento “...si fa a trattenersi? Come avete fatto voi due, giù in Afghanistan?”
“Trattenersi?” Matt pronunciò quella parola come se John avesse detto qualcosa di impensabile “Perchè dovreste trattenervi?”
“Abbassa la voce!” lo redarguì John, che quindi si affidò a Zach per un commento più saggio, ma non ebbe più successo.
“Cioè voi siete insieme da due mesi e non avete mai...?” poi Zach scosse il capo, avvicinandosi maggiormente a John “No scusa, ricominciamo. Perchè dovreste trattenervi?”
John mutò nuovamente la propria postura, alzando le gambe da terra per intrecciarle sul tavolino “Zach io te lo dico ma non una parola con nessuno. E anche tu Matt.” quando poi fu sicuro di poter parlare nuovamente, riprese il proprio discorso “Beh lui non ha mai avuto... cose di questo tipo.”
“Mai? Eppure è un bel ragazzo.” commentò Matt, in tralice.
“Si, non è quello il motivo. E’ che lui non si è mai concesso di provare qualcosa per qualcuno.” John era imbarazzato, nonchè dispiaciuto di parlare di Sherlock in quel modo, di quella che potrebbe essere considerata una debolezza anche se, e ne era sicuro, il detective l’aveva invece considerato il suo punto di forza.
“Ok, quindi tu...” Zach si grattò la testa nel punto in cui ha ancora la cicatrice piuttosto recente “...vuoi trattenerti per non creargli...” neanche il giovane però seppe trovare  la parola giusta.
“E’ come quando sei adolescente, e tu maschio hai gli ormoni a mille ma non puoi pucciare il biscotto finchè la femmina non è più abbastanza complessata per dartela.” intervenne Matt, riassumendo il concetto a modo suo che, col suo linguaggio più che formale, centrò completamente la questione.
John e Zach alzarono lo sguardo su Matt che poi si alzò, andando a recuperare uno dei biscotti avanzati sul piattino.
“Smettetela di guardarmi in quel modo! E’ così! Senza tanti giri di parole, se lui non ha mai fatto queste cose con nessuno prima d’ora, allora vuol dire che è in piena adolescenza.”
“Ha ragione.” annuì Zach, in tono sorpreso, seguito anche da John.
“Come mai quel tono così stupito?” Matt si finse offeso, quindi si voltò, iniziando a curiosare per l’appartamento. Passando davanti alla finestra e sbirciandone al di fuori, ci fu un momento in cui si ritrasse istintivamente di lato, come allarmato da qualcosa.
“Matt?” domandò Zach, cogliendo il riflesso del compagno.
“Eh? No, niente... mi era sembrato di vedere...” Matt si riaffacciò dalla finestra, osservando il palazzo di fronte di sè, ma mentre prima gli sembrava di aver scorto un luccichio familiare, ora non vi riscontrava nulla di strano “Niente, niente. Non c’è niente.”
John si alzò, affacciandosi a sua volta, osservando il punto indicato dallo sguardo di Matt “Uh? Che c’è? Guardi quell’appartamento con le finestre chiuse? Sembrerebbe vuoto, volete trasferirvi qui vicino a me?” ridacchiò, per poi tornare a sedersi sul tavolo, che sembrava ormai essere diventato più comodo della sedia.
Zach, nel vedere Matt tornare a vagare per il salotto con la sua consueta tranquillità, riprese il discorso con John “Comunque, dicevamo, praticamente, a che punto siete arrivati?” domandò seguendo con lo sguardo il proprio compagno, per qualche istante.
“Quasi... prima base.” ammise John e questo fece urlare Matt che nel frattempo si era infilato nella cucina.
“...quasi?”
“L’altro giorno mi sono partiti gli ormoni e ho provato a baciarlo un po’ più seriamente ma non è andata bene. E mi sono sentito uno stronzo, perchè non voglio rischiare di allontanarlo perchè... hai capito perchè.”
Zach annuì “Beh capisco il punto di vista di entrambi. Anche io col mio primo ragazzo fui molto... beh, ce ne volle di tempo prima che io mi lasciassi andare. Ma capisco anche te, perchè con Matt i ruoli erano invertiti.” sorrise per poi arricciare il naso nel sentire il proprio compagno urlare nuovamente.
“Oddio. Cosa c’è nel frigo stavolta?” domandò John quando vide tornare in salotto Matt bianco come un lenzuolo.
“Una testa... ma è normale che tu abbia una testa nel frigo?” domandò, per poi nascondere il volto sul torace di Zach che lo avvolse con un braccio.
“No, o meglio, a quanto pare in questa casa sì. Ma cavolo le teste gli avevo detto di non mettercele più!” borbottò John, per poi provare ad attirare l’attenzione del più giovane tra i due “Tra l'altro... Matt, ascolta. A te prima piacevano le donne, come l’hai vissuto questo cambiamento?”
Il giovane interpellato rialzò il viso, seppur rimanendo appoggiato a Zach, in un dolce quadretto amoroso “Beh, prima che tu mi facessi quel discorso illuminante, sai, la partita di freccette, il mio dubbio era quello. Ero convinto che mi piacessero le donne, ma allora perchè mi piaceva anche Zach? E allora prima ha ceduto il lato mentale della cosa, poi il lato fisico.” Matt si prese una piccola pausa, vedendosi arrivare un bacio di Zach sulla fronte “Beh il lato fisico poi è venuto... diciamo sperimentando. Zach ha fatto di tutto per provocarmi e poi all’inizio chiudevo gli occhi e lasciavo lavorare gli altri sensi. Poi li riaprivo e vedevo che c’era lui ed era l’unica cosa che mi importasse.”
“Lo senti? Con le parole più semplici riesce a dire le cose più belle che qualcuno mi abbia mai dedicato.” disse Zach, stringendo l’altro a sè, dandogli un altro bacio, questa volta sul naso.
John annuì, intenerito dalla visione della giovane coppia “Effettivamente, direi che ‘sperimentare’ è la parola giusta da usare con Sherlock.”
“Per il resto come va? Riuscite a convivere di nuovo?” chiese Zach, che con un braccio continuava a cingere la vita di Matt.
“Oh sì. E’ stupendo. E poi Sherlock a volte riesce a tirare fuori una dolcezza... non pensavo che avrebbe potuto esserlo ed invece io, tra tutti, ho la fortuna di vedere quel lato di lui.” John sorrise, felice di poter dire quelle cose ad alta voce, perchè era la conferma che erano vere “E’ cambiato rispetto a prima: probabilmente tutto quello che è successo... la caduta, l’Afghanistan, la lontananza... gli hanno fatto capire di provare dei sentimenti, e soprattutto si è reso conto che questi stessi sentimenti non sono solo una cosa negativa. Mi sembra molto più sereno e questo mi rende veramente felice.”
Matt e Zach sorrisero al dottore, comunicandogli tutta la gioia di cui disponevano: erano contenti di poter vedere il loro più grande amico finalmente felice.
“Ma ditemi di voi. Cosa state facendo?” domandò John per poi interrompersi, sentendo il portone richiudersi, al piano di sotto: dopo pochi secondi infatti, dall’ultimo gradino spuntò Sherlock.
Matt balzò in piedi facendoglisi incontro a braccia aperte: Sherlock sospirò facendo roteare lo sguardo all’indietro, ma si fece abbracciare, rispondendo solo dando qualche pacca sulla schiena del giovane che sembrò ritenersi soddisfatto della risposta a quel suo peculiare saluto.
Zach si limitò ad alzare il braccio, per poi riaccogliere Matt vicino a sè “Ciao, Sherlock.”
John gli sorrise “Caso risolto?”
“Certo, era appena un tre e mezzo.” Sherlock si tolse la giacca che buttò su una delle sedie del salotto, quindi si avvicinò a John, osservando la sua strana seduta sul tavolino da salotto “Come mai sei seduto lì?” assottigliò lo sguardo sull’altro che alzò l’indice verso di lui, proibendogli tacitamente di scannerizzarlo.
“Come mai c’è di nuovo una testa nel frigo?” chiese John, provando a evitare il discorso del tavolino dal quale si alzò, recandosi poi in cucina a prendere una quarta tazza entro la quale versò il the che poi passò a Sherlock.
“Lo sai, è un esperimento.” rispose tranquillamente, con una leggera alzata di spalle, per poi accogliere tra le mani la tazza: osservò John da cima a piedi, alzando uno degli angoli della bocca in un sorriso.
“Un esperimento, già.” John passò con lo sguardo da Sherlock ai due ragazzi, lanciando loro un’occhiata complice “Ah, quando siete arrivati mi dovevate parlare di una cosa importante.”
“Sì!” squillò Matt, che nel frattempo si era messo a giocherellare con una delle mani di Zach “Apriremo un bar!”
Anche Zach si unì all’entusiasmo “Sì! Abbiamo trovato una buona offerta su un locale che sì, è tutto da ristrutturare, ma tanto noi non abbiamo fretta.”
“Posso venire ad aiutarvi? Quando non lavoro con Sherlock sui casi mi annoio molto e comunque mi farebbe molto piacere darvi una mano.”
Sherlock osservava tutti e tre a turno da dietro la tazzina, fermandosi su Zach e Matt quando si scambiavano dei piccoli gesti affettuosi, per poi tornare su John, facendo il pieno dei sorrisi che elargiva “In che zona lo aprirete?” stupì tutti e tre con quella domanda.
“A Regent’s Park, vicino alle scuole.” rispose Zach con un sorriso.
“Sì, vienici a trovare eh! Metteremo anche una piccola cucina, i gelati...” Matt iniziò ad elencare tutti i piani che avevano per l’apertura della loro futura impresa: spiegò che la sua famiglia era benestante e che, avendo dato loro una mano, non avrebbero avuto i problemi iniziali dei costi della licenza e dell’affitto in quanto avevano acquistato il locale e tutti i guadagni sarebbero stati netti.
Dopo aver ricordato qualche episodio divertente dell’Afghanistan, e fortunatamente c’erano stati, i due giovani si congedarono, lasciando John e Sherlock soli nel loro appartamento.

“Sei contento, John?” Sherlock gli arrivò alle spalle, avvicinando le lunga dita sottili alle braccia dell’altro: la destra scese alla ricerca della sua mano, mentre la sinistra salì più lentamente fino al collo.
“Di averli visti? Certo, mi mancavano. Mi mettono sempre allegria.” piegò il collo verso la spalla destra, seguendo il percorso che la mano di Sherlock gli suggeriva “E tu sei contento per il caso?” venne percorso da un brivido che si palesò con un accenno di pelle d’oca che contrastava con la pelle liscia delle dita dell’altro.
“Di cosa avete parlato?” glissò la domanda, trovando più interessante la propria: si piegò con le spalle avvicinando il viso al collo di John sul quale posò il proprio caldo respiro, quindi le labbra appena inumidite dalla saliva “Oltre che di me, ovvio.” aggiunse alla fine, narcisisticamente, a situazione già compromessa.
“Sherlock...” sussurrò John che con un enorme sforzo di volontà decise di muoversi per allontanarsi dall’altro, ma fu trattenuto dalla sua mano stretta attorno al polso: si girò dunque, ritrovandoselo nuovamente addosso “Che ti prende?”
“Voglio un bacio.” ordinò il detective, indietreggiando fino al divano, portando con sè John che sorrise di fronte al suo fare “Allora, cosa avete detto di me?” quando toccò il divano col polpaccio, si sedette, portando l’altro sopra di sè, a cavalcioni: era ovvio cosa avrebbe voluto replicare.
John si abbassò, avvicinando le labbra all’orecchio di Sherlock “Non te lo dico.” sussurrò vittorioso seguendo con dei piccoli morsetti il contorno del suo volto, passando per il mento “Essere a conoscenza di qualcosa che tu non puoi scoprire è... sì, dà i brividi.”
Sherlock ringhiò di fronte a quella sfida, come una tigre di fronte al suo domatore “Gli hai sicuramente chiesto come fare con me.” gli cinse le mani attorno alla vita, spingendolo verso di sè più di quanto non lo fosse già.
“Come fare cosa?” John si immedesimò in quel gioco, eccitato e divertito da come si erano messe le cose: continuò quindi a tormentarlo con quei piccoli morsi che scesero fino alla giugulare, lusingato dal sentire l’altro reagire sotto di sè.
Respiro accellerato, pelle che s’arrossava, temperatura in aumento: questi erano i sintomi che Sherlock potè registrare su di sè, stimolato a sua volta dal gioco che aveva iniziato e che John sapeva portare avanti in modo eccellente “La nostra cosa.” sussurrò l’ultima parola poichè l’ultimo di morso di John lo fece trasalire.
“Non sappiamo proprio dare un nome a questa cosa.”
John rise e Sherlock si riempì di quella risata chiudendo gli occhi, stringendo le proprie mani attorno i fianchi dell’altro, in segno di possessione e desiderio. “Oh John. Non sai a cosa stai andando incontro.”
John rise ancora, quindi posò le mani sulle guance di Sherlock, alzando il suo viso verso di sè “E’ una minaccia?” avvicinò le labbra su quelle dell’altro, iniziando a mordicchiare pure quelle, diventate ormai turgide dall’eccitazione.
“Io ti divorerò.” la voce di Sherlock era ormai un sussurro, ma il tono era quanto mai deciso “Sarai mio e mio soltanto.”
John si interruppe, osservando quegli occhi di ghiaccio che solo per lui avevano quelle note dolci ed ora, inaspettatamente, bramose di un piacere primordiale “Che cosa ti prende stasera?" "E' colpa tua." gli ringhiò Sherlock sulle labbra "Scateni le endorfine sepolte nel mio ipotalamo da più di trent'anni." "Non è la cosa più eccitante da dire in momenti come questi sai?" ghignò John, immergendogli le mani nei riccioli neri "Ne hai ancora di cose da imparare.”
“Insegnamele se hai il coraggio.” Sherlock non resisteva più, voleva le labbra di John: avvicinò le proprie a quelle di lui, iniziando a baciarle insistentemente, provando a ricordare il bacio che c’era stato giorni prima, ma non riusciva a collegare la mente all’istinto.
John si scostò leggermente, causando il disappunto di Sherlock che lo manifestò con l’ennesimo ringhio “Sherlock, stacca il cervello. Lasciati andare a me.” e lo baciò, dandogli quello che cercava, alternando attimi di languida dolcezza a momenti di palese desiderio e attrazione.
Sherlock riuscì a lasciarsi andare quando i movimenti di labbra e lingua divennero più istintivi: sentiva il cuore scoppiare, percepiva una nuova dimensione di sè. Aveva le mani di John addosso, la destra dietro al collo, la sinistra tra i ricci come se fosse alla ricerca di un interruttore che però era già spento. Non poteva esserci raziocinio in quel momento: era nelle mani di John, si era lasciato andare come l’altro gli aveva chiesto. Ecco la fiducia, ecco il grigio.
John si sciolse in quel bacio: non si dovette impegnare, era tutto così stupendo, così illogicamente bello che era impossibile pensare al modo giusto per farlo, per insegnarlo.
Quel bacio durò così a lungo che non si accorsero del calare del buio fuori dalla finestra, divenne così armonioso che smorzò quel desiderio incontrollabile che li attanagliava all’inizio, lasciando spazio ad una profonda tenerezza che li avrebbe accompagnati per tutto il resto della serata.
Quando John si staccò da Sherlock, gli carezzò le labbra con le punte di indice e medio “Ecco, questo è stato un signor bacio. Prima base completata.”
Sherlock sembrava in pace dei sensi: poggiò la nuca sullo schienale del divano, provò anche a biascicare qualche parola, ma morì nell’aria.
John rise piano, ripensando a quello che si era detto nel pomeriggio e concordò col fatto che anche lui, in fondo, quando da adolescente baciò per la prima volta una ragazza, alla fine si fosse sentito parecchio stordito.
“Ti preparo qualcosa? Ordino cinese?” domandò John, inorgoglito da quel potere che riusciva ad avere su Sherlock: si alzò dunque, sgranchendosi dopo aver tenuto la stessa posizione per ore.
“Ho sete.” ordinò Sherlock, che poi si sdraiò sul divano con un sorriso estasiato sul volto. “Prendi da bere e torna qui.” precisò.
“Signorsì.” annuì un divertitissimo John che dopo essere sparito in cucina pochi istanti, tornò in sala con una bottiglia d’acqua e qualche snack.
Sherlock gli fece spazio, facendogli capire chiaramente che avrebbe dovuto sedersi in modo che lui potesse poggiargli la testa sulle gambe: poi alzò la mano in cerca della bottiglia d’acqua.
John lo accontentò: prese il telecomando prima di sedersi, sintonizzando la televisione su un documentario della BBC.
Passarono la serata così: John che abbandonava la propria mano sinistra nei suoi riccioli neri e con le gambe a far da cuscino a Sherlock, il quale viaggiava in un sottile stato di dormiveglia, con le braccia avvinghiate al ginocchio del suo dottore. Il sonno di Sherlock non fu mai così tranquillo.

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Capitolo 4
*** La mia firma sul tuo corpo ***


***Ciao ragazze! Ecco il secondo capitolo inutile xD due di fila? Mamma mia, legatemi *_* 5mila e passa parole di fluff che non portano avanti la storia, se non dal punto di vista della relazione dei nostri Johnlock, unici protagonisti del capitolo! Nel prossimo giuro che ci sarà un po' di azione e soprattutto inizieranno i drammi XD mica può essere tutto rosa e fiori, per quello ci sono gli Harmony (oddio, sti capitoli 3 e 4 ci si avvicinavano! Perdonatemi! XD)! Ragazze, seriamente, grazie per tutti i commenti ed il supporto, quindi proprio perchè mi supportate sinceramente, se sentite che questo capitolo scricchiola ditemelo *__* vi lovvo, lo sapete, soprattutto le due Sister :D baci bacilli e vi prego, di nuovo, non trucidatemi per questo capitolo!***

La mia firma sul tuo corpo

Era stata una giornata intensa: Lestrade aveva chiamato John e Sherlock per scovare il nascondiglio di un rapinatore di gioiellerie e ovviamente c’erano riusciti in poco più di dodici ore.

Quindi erano tornati a casa e John aveva subito ordinato a Sherlock di sedersi sul divano: mentre andava in bagno a recuperare il necessario per bendarlo, stava continuando un’infinita ramanzina che era iniziata da quando avevano lasciato Scotland Yard e che non sembrava voler finire molto presto.
“Sei uno stupido sconsiderato.” continuò John, il respiro era affannoso e i movimenti nervosi: bagnò un asciugamano col quale iniziò a tamponare una ferita sul petto di Sherlock, il quale, nel frattempo, si era sbottonato la camicia per permettere al dottore di medicarlo.
“Hai finito?” domandò Sherlock quando finalmente ebbe sentito il dolce suono del silenzio “E poi anche tu avresti dovuto stare più attento.” alzò la mano destra, picchiettando con l’indice sulla tempia del soldato, il quale si scansò scontroso.
“Quello non è niente.” rispose John a denti stretti. Con modi stranamente maldestri finì di pulire il petto del consulente investigativo, quindi prese ago e filo, posizionandoli poi sopra la ferita: non era oggettivamente nulla di che preoccuparsi, era un taglio orizzontale non troppo profondo, ma il fatto che fosse posizionato proprio all’altezza del cuore aveva agitato John a dismisura.
“Anche questo non è niente John, sei il solito esagerato.” sbuffò, per poi ritrarsi alla vista di ago e filo “Ehi, che ne dici di un po’ di anestesia, Dottore?” Sherlock aveva capito che John era agitato e quella era la conferma. Sospirò nuovamente: non amava gli eccessi da parte degli altri tanto quanto era lui stesso il primo ad esagerare ogni cosa.
John sbuffò, strofinandosi il volto con la mano, quindi anestetizzò la parte ferita di Sherlock appena il necessario affinchè non sentisse i punti: riavvicinò l’ago al taglio e fu in quel momento che la sua mano sinistra, dopo più di un anno e mezzo, cominciò a tremare. Scosse il capo “Non ci riesco. Ti porto in ospedale.”
Il mondo di Sherlock di fermò per qualche istante: aveva davanti a sè l’espressione abbattuta e rassegnata di John, gli lesse addosso alcune delle mimiche facciali che caratterizzavano le foto del suo vecchio collage ed il tremore alla mano che non vedeva manifestarsi dal primo giorno in cui si erano conosciuti. Riscontrò tutte quelle anomalie nel corpo di John e la testa gli dolse per cinque, lunghissimi, secondi: non doveva e non voleva fargli più del male, se l’era promesso. Gli afferrò i polsi saldamente ma senza fargli alcun male, puntandogli gli occhi addosso, scavando dentro quelli di lui, come se cercasse di entrare nella sua mente, costruirci un Palazzo Mentale identico al proprio e riempire l’aria di note urlanti ‘Sono vivo, non ti lascerò mai più’ e possibilmente viverci. Sì, vivere nella testa di John, dentro John, per sempre.
“Se non ti avesse...” John scosse il capo, palpitando di fronte allo sguardo di Sherlock dal quale si sentì consumato, come se gli avesse risucchiato le energie “Se non ti avesse colpito di taglio, ma se avesse affondato il colpo, il tuo cuore ora...” chiuse gli occhi inspirando profondamente più volte, scacciando via il panico che lo stava assalendo “E non dire cavolate come che tu non hai il cuore perchè...”
“Perchè non è vero.” lo anticipò Sherlock che liberò i polsi di John dalla sua presa, facendo salire le mani sul volto del dottore, posandogliele sulle guance “Chi meglio del suo Custode potrebbe sapere che ce l’ho?” gli regalò uno dei suoi rari sorrisi che s’accorse andare a segno, poichè vide John rilassarsi un poco. Avvicinò le labbra alla tempia ferita del dottore, cingendogli il capo con tutto il braccio destro, mentre lasciò la mano sinistra sulla guancia: contatto costante, rincuorante. Gli baciò la ferita, prima lievemente, assicurandosi che non gli dolesse, quindi imprimendo maggiore pressione, assaggiando il sangue di John, pulendolo dal dolore in quel gesto simbolico che aveva letto in qualche libro i cui ricordi erano in un cassetto della sua memoria. Gli leccò quella ferita fisica come avrebbe voluto curargli quella dell’animo, quello stato di inquietudine che non aveva ancora abbandonato John del tutto. Sherlock lo sapeva: poteva averlo perdonato, ma il dolore del ricordo di quanto accaduto tre anni prima era ancora vivido in lui. Sentì una leggera fitta al cuore, ma non aveva saputo riconoscerne la natura: sarebbe stato naturale dire dolore, ma quando si staccò dalla tempia di John alla ricerca dei suoi occhi, non ne fu più tanto sicuro. Quegli occhi tanto particolari quanto i suoi, seppur in modo completamente diverso: nei suoi c’era il ghiaccio, in quelli di John c’era il fuoco. Sherlock pensò che fosse la conferma di quanto fossero fatti l’uno per l’altro, la fusione di due opposti: era meraviglioso. Quella fitta al cuore non era dolore, decisamente.
“Scusami.” sussurrò a John, sfiorandogli la fronte con la propria “Non volevo farti preoccupare.” aveva detto solo quelle parole, solo quelle se paragonate al mondo di allegorie e metafore che gli passavano ogni istante per la mente, quando si trattava di John.
Per John invece furono parole più che apprezzabili, considerato il temperamento abituale di Sherlock, considerato che era arrivato a scusarsi per qualcosa di cui non era neanche il diretto responsabile: quel suo modo di fare, quello sguardo, tutto di lui gli fece recuperare la tempra e la calma necessari “Non devi scusarti. Mi sono comportato come un allievo di medicina che vede del sangue per la prima volta.”
“Per non parlare del fatto che non ci sarei andato comunque in ospedale.” Sherlock si ritirò un poco indietro, poggiandosi allo schienale del divano “Solo tu puoi toccarmi così intimamente.”
“Spero davvero che tu non abbia mai bisogno di altri dottori oltre a me.” inspirò a lungo, quindi avvicinò le mani alla ferita di Sherlock che tamponò nuovamente prima di cucire il primo punto “Punto croce le va bene, signore?” scherzò poi, potendoselo nuovamente permettere: la mano era ferma, e la lucidità riacquisita gli suggeriva l’entità effettiva del danno.
“Non scherzare, sono molto più vanitoso di quanto possa sembrare.” inarcò appena l’angolo destro della bocca, osservando il suo dottore al lavoro.
“Oh, credimi, lo so.” sbuffò John divertito.
“Mh, sarà una cicatrice lasciata da te, avrò qualcosa di tuo addosso per sempre. Indescrivibile. Sublime.” bisbigliò roteando gli occhi all’indietro come se fosse sotto effetto di qualche sostanza stupefacente, provando un piacere indefinibile all’idea di avere la firma di John sul proprio corpo.
John sussultò impercettibilmente di fronte a quella dichiarazione, umettandosi le labbra che si erano seccate di fronte alla visione di Sherlock in visibilio “A volte dici certe cose...” gli sfuggì.
“Non andava bene?” Sherlock si risollevò e pose la domanda che più volte ed in svariate situazioni era solito fare a John, domandando se il proprio comportamento fosse adatto in quella determinata circostanza.
“Oh, Dio, sì.” lo rincuorò John, abbassando inconsciamente la propria voce: sorrise, scuotendo il capo divertito, concludendo in quel momento la propria medicazione.
Sherlock storse il naso nel momento in cui John cucì l’ultimo punto, sentendo chiaramente sia il foro che il filo che scorreva nella carne creando una curiosa ma al contempo fastidiosa sensazione di sfregamento “Sempre tirato con l’anestesia eh, come ai vecchi tempi.”
“Non vorrei viziarti troppo.” John rise, quindi si rialzò, posandosi le mani sui fianchi e inarcando la schiena all’indietro “Che stanchezza! Me ne vado a letto.” si voltò poi, osservando Sherlock, ma la domanda che voleva porgli gli morì sulle labbra.
“Che c’è?” a Sherlock non sfuggì quel tentennamento.
“Niente.” abbassò una mano affondandogliela nella folta foresta di ricci, ritirandola dopo un lasso di tempo che definì mentalmente accettabile “Buona notte, Sherlock. Cerca di riposare anche tu.”
Sherlock non rispose, si limitò a seguire con lo sguardo John che prima andò in cucina a bere un po’ d’acqua per poi risalire le scale che l’avrebbero portato nella sua camera da letto.

Dopo dieci minuti che si era infilato a letto, John sentì la porta della propria camera aprirsi, sorridendo a quello scricchiolio che accompagnava i passi di Sherlock, il quale si infilò sotto le coperte, attaccandoglisi alla schiena col proprio corpo, allacciandogli il braccio destro attorno al torace.
Quando Sherlock si fu sistemato comodamente, John interruppe il silenzio “Riuscirò mai a nasconderti un mio pensiero?” domandò per poi iniziare a giocherellare con la mano che lo stava cingendo.
“No, e comunque non dovresti. Fiducia, ricordi?” gli sussurrò all’orecchio, affondando poi il viso nei capelli di John, strofinandoli col naso, con gli zigomi ed infine con la fronte.
John sorrise e non potè resistere oltremodo: ruotò sul fianco opposto trovandosi faccia a faccia con Sherlock che baciò sulle labbra per poi attirare il suo volto verso di sè, sentendo il proprio respiro riflesso sulla pelle dell’altro “Grazie.”
Sherlock avvicinò la mano destra al volto di John, segnandone il profilo con la punta dell’indice, come per studiarlo, memorizzarlo ancor meglio di quanto non lo conoscesse già “Dormi ora. Ne hai bisogno.”
“Resta qua con me.” mugugnò John con la voce resa roca dalla stanchezza: cinse la vita di Sherlock sistemando meglio la testa sul cuscino, a contatto con la fronte dell’altro.
Sherlock acconsentì alla sua richiesta. Era fatto così: poteva far trascorrere delle ore senza rivolgergli la parola, passare dei giorni senza cercare alcun contatto fisico, e chissà per quanto tempo non gli aveva espresso i propri sentimenti in maniera esplicita; poi invece c’erano quei giorni, quelle ore, quei momenti in cui, con pochi gesti e ancor meno parole, riusciva ad esprimere una dolcezza infinita, una premura costante ed un amore tangibile.
“Sempre, John.”

John si risvegliò verso le sei del mattino: la sera precedente si era dimenticato di chiudere al meglio le persiane e un raggio di sole aveva deciso di colpirlo proprio in pieno volto: mugugnò un piccolo lamento che scemò solo alla vista di Sherlock accanto a sè, un braccio attorno al suo fianco, l’altro appoggiato al petto.
Si ricordò in quel momento che Sherlock aveva acconsentito alla sua tacita richiesta di fargli compagnia quella notte, constatando con un sorriso che quella era la prima volta che dormivano insieme e forse John, pensò in quel momento, avrebbe preferito restare sveglio per osservare il compagno accanto a sè in quel surrreale stato di pace e quiete.
Adagiò la guancia sul propio pugno chiuso, appoggiato col gomito sul cuscino, ringraziando lo stesso raggio di sole che lo aveva svegliato per lo spettacolo a cui gli stava concedendo di assistere: Sherlock stava mugugnando qualcosa di incomprensibile, probabilmente stava sognando e doveva essere un sogno interessante o quanto meno molto strano, poichè il dottore lo vide mutare espressione più volte, tanto che dovette trattenersi dal ridere per non rischiare di svegliarlo.
Quando poi lo sentì chiamare il suo nome, sperò che il sogno non si fosse trasformato in un incubo, proprio come quando accadeva a lui stesso poco dopo la morte di Sherlock, quando il suo inconscio gli faceva rivivere la caduta centinaia e centinaia di volte. Assottigliò lo sguardo e tese bene le orecchie, cercando di intuire quanto meno la natura di quell’intervento onirico: Sherlock continuava a mutare espressione e John tirò un sospiro di sollievo quando vide che nessuna di quelle poteva suggerire uno stato di malessere. Anzi, il tono gutturale imposto dal sonno ed i lunghi sospiri che Sherlock esalava tra un richiamo e l’altro suggerivano pensieri di natura lussuriosa.
Il dottore sentì nuovamente invocare il suo nome e percepì le mani di Sherlock provare ad agguantare ciò che si ritrovavano sotto i polpastrelli, ovvero il fianco ed il petto di John il quale ringraziò di indossare il proprio pigiama perchè in quel momento non avrebbe proprio saputo come reagire, d’altronde si era appena svegliato e l’alzabandiera a cui stava pensando non era propriamente quello militare.
John adorava sentire Sherlock pronunciare il suo nome, soprattutto quando si concedeva a momenti di dolcezza, e non pensava ci sarebbe stato un suono più piacevole di quello finchè non si sentì chiamare in quel momento, durante quello che sembrava essere un vero sogno erotico in cui lui era l’oggetto del suo desiderio: deglutì, stropicciandosi il volto con la mano, scrollando il capo a metà tra l’eccitato e il disperato. Avrebbe voluto svegliarlo e dare sostanza ai suoi sogni, ma d’altro canto pensò che se finora Sherlock non si era ancora fatto avanti da quel punto di vista, era giusto che aspettasse ancora. Quanto meno finchè la forza di volontà lo concedeva.
“Ma com’è possibile che tu mi faccia questo effetto...” bisbigliò mordendosi un labbro, avvicinandosi al viso di Sherlock col proprio, sfiorandolo con il dorso della mano “Sherlock...” : l’altro sembrò reagire al tocco, ma ancor di più alla voce di John che chiamava il suo nome tanto che sorrise, in estasi, rinvigorendo la stretta delle proprie mani sul corpo del dottore che tuttavia rimase fermo, per nulla intenzionato a svegliarlo.
Sherlock ansimò il nome di John ancora una volta e il dottore fu realmente tentato di scappare da quel letto prima che accadesse l’irreparabile, ma poi tutto finì con un lungo sospiro da parte di entrambi: il detective espirò tutta l’aria che aveva nei polmoni, rilassando anche il resto dei muscoli e dei nervi, mentre John, almeno in parte, fu contento di non dover più assistere a quello spettacolo la cui fine intuì facilmente.
Sorrise infatti, ripensando alle parole di Matt “Piena adolescenza. Già.”sussurrò, posando un leggerissimo bacio sulle labbra di Sherlock dalle braccia del quale riuscì a sfilarsi, ora che gli arti non erano più contratti dal piacere. Quando si alzò dal letto indugiò ancora qualche istante su Sherlock che nel frattempo l’aveva sostuito con un cuscino -il suo- trovando il vuoto nelle proprie braccia oltremodo scomodo: osservò l’espressione beata sul suo viso, le lunghe braccia che lo cingevano fino a poco tempo prima e non riuscì proprio a non pensare al tono di voce provocante che aveva durante il sogno. Sospirò rassegnato per poi dirigersi verso il bagno, al piano di sotto.

Quando Sherlock scese nel salotto, John era seduto al tavolo intento a far colazione e a leggere un quotidiano: a parte i riccioli spettinati e lo sguardo leggermente annebbiato, nulla poteva suggerire che si fosse appena alzato. Il suo cervello iniziava a lavorare subito, non appena apriva gli occhi, e qualsiasi essere umano avrebbe invidiato quel talento che lo rendeva subito vigile a dispetto del torpore che colpisce ogni persona almeno nei primi minuti dopo il risveglio.
John abbassò il giornale salutandolo, ma non ricevette alcuna risposta verbale giacchè il detective si mise a trafficare in cucina finchè non reperì una tazza di caffè con la quale tornò in sala: la poggiò sul tavolo per poi allacciare le braccia attorno al collo del dottore, posizionandosi alle sue spalle, il capo ciondolante, lo sguardo che s’alternava tra il giornale e il volto del compagno.
“Visto che ti avevo fatto la premura di dormire con te, mi aspettavo di trovarti a letto appena sveglio.” mugugnò Sherlock, sprofondando con le dita nei capelli di John, mentre gli annusava il profumo di sapone e caffè direttamente dal collo.
John sorrise abbassando il giornale sul tavolo, quindi alzò le mani fino a raggiungere il braccio di Sherlock che ancora lo cingeva: era intenzionato a non svelargli nulla del sogno, non voleva metterlo in imbarazzo, quindi sarebbe dovuto stare attento anche a non farlo intuire dal perspicace detective “Scusami. La natura chiamava. E a quel punto mi avevi già tradito col cuscino e non c’era più posto per me.” sorrise perchè, in fondo, non aveva detto una bugia vera e propria “Grazie per la concessione, comunque.”
Sherlock rise, quindi, dopo aver velocemente baciato John sulle labbra, gli rubò il giornale, andando a sedersi al suo posto, di fronte a lui: nell’accavallare le gambe fece in modo di incastrare il piede destro dietro il polpaccio del dottore “Non capisco perchè non l’abbiamo fatto prima. Anzi, sì, lo capisco, ma volevo essere colloquiale una volta tanto.”
John imburrò due fettine di pane tostato, tenendone una per sè ed allungando l’altra verso Sherlock “Dovremmo dormire insieme più spesso se ti mette così di buon umore.” pensò qualche istante a quanto accaduto poche ore prima e preso da un momento di imbarazzo, raccolse la prima rivista che gli capitò a tiro e la aprì davanti a sè, immergendovi il viso in una lettura di copertura “Non l’abbiamo mai fatto prima perchè tu, le rare volte che lo fai, dormi sempre sul divano. Non ti ho mai vietato di venire a dormire con me.”
“No, John. Non abbiamo mai dormito assieme per non rischiare di offendere gli ultimi rimasugli della tua eterosessualità.” sibilò Sherlock, tingendo il tono con una velo d’ironia.
“Quella ormai è andata a farsi benedire, direi.”
“Cioè? Non ti piacciono più le donne?” Sherlock rimase basito.
“Non ho detto questo. Mi piacciono ancora le donne e continuano a non piacermi gli uomini.”
Sherlock stava già aprendo la bocca per protestare, ma John lo anticipò.
“Semplicemente, mi piaci tu.”
“Io sono un uomo.”
“Ovviamente, Sherlock.” e prim’ancora che l’altro potesse replicare, John riprese a parlare “Ma mentre l’idea di toccare qualsiasi altro uomo mi dà ribrezzo, l’idea di stare con te non mi disturba. Anzi.” alzò gli occhi sull’altro, riscoprendolo piacevolmente sorpreso.
“Un enorme passo avanti. Meglio tardi che mai.”
“Pensavo l’avessi capito, ormai.” John fece spallucce, prendendo tra le mani la tazza di caffè che aveva di fronte “Insomma, non so te, ma io non mi metto a baciare chiunque.”
“Ah, figurati io, è già tanto se bacio te.”
“Questa ti è uscita proprio male.”
“Hai capito cosa intendo, John.” si giustificò Sherlock, alzando gli occhi verso il soffitto “Quindi non ti darebbe fastidio ammetterlo in giro?”
“Che cosa?”
“Che abbiamo...” Sherlock inspirò profondamente “...una...” il piede incastrato dietro il polpaccio di John iniziò a ballare “...relazione?” riuscì a concludere dopo un lungo sospiro.
“Ah! Abbiamo finalmente un nome per questa cosa?” John sorrise, divertito dall’evidente sforzo comportato dal pronunciare quella parola.
“Non glissare John.” lo rimbeccò Sherlock “Lo ammetteresti in giro? A Lestrade, Mycroft, Mrs Hudson?”
“Non amo sbandierare le mie cose in giro, lo sai, non lo facevo prima con le donne e non inizierò ora.”
“Le tue relazioni.” lo corresse Sherlock “Non parlo di sbandierarlo. Semplicemente dirlo.”
“Sarebbe importante per te?” domandò John, capendo bene che quello sarebbe stato uno degli argomenti su cui Sherlock avrebbe insistito fino a che non avesse ottenuto quello che voleva.
“Capirebbero tutti che sei impegnato sentimentalmente.” Sherlock si esibì in un sorrisetto inquietante che palesava tutta la sua possessività “Che sei mio.” aggiunse “E quindi che non sei disponibile per nessun’altro.” concluse non senza una vena trionfale nel tono di voce.
“Geloso, Sherlock?” ridacchiò John.
“Quel che è giusto è giusto.” si giustificò Sherlock, ponendosi sulla difensiva “Non so come facevi con le donne, John, ma se hai una relazione con me, non puoi averla con nessun’altro.”
“Come se prima che avessimo una relazione, fossi potuto uscire veramente con qualcuno. Me le boicottavi tutte.”
“Ti salvavo dall’irreparabile, John. Non è colpa mia se te le sceglievi tutte noiose, oche e insopportabili.” Sherlock iniziò a sciorinare i numerosi difetti delle malcapitate ex di John per poi concludere in bellezza “Fortunatamente i tuoi gusti sono notevolmente migliorati.”
“Modestia a parte, eh?” rise, a metà tra la rassegnazione e il divertimento “Comunque non ho mai tradito nessuna delle mie ex, Sherlock. Non sono proprio il tipo che fa queste cose.” lo rassicurò John, che per tutta la durata della conversazione non aveva mai smesso di guardarlo “E lo stesso vale per te, caro compagno di relazione.” l’apostrofò maliziosamente il dottore.
“John, mi conosci, è già tanto se sto con te.”
“L’hai detto di nuovo, Sherlock.” sospirò pazientemente, per poi fare spallucce, sempre più rassegnato “Non si sa mai, meglio specificare.”
Sherlock lesse un qualcosa di sospeso nella mente di John, intuì anche il riferimento al quale si stava aggrappando e fu tentato di stuzzicarlo, ma la giornata era iniziata troppo bene per rischiare di rovinare l’umore di entrambi.
“Tornando alla questione del dormire assieme...”
“Mi piacerebbe dormire di nuovo insieme a te.” rispose John, anticipando Sherlock almeno per una volta.
“Interessante.” bisbigliò Sherlock mentre, dopo aver appoggiato il giornale sul tavolo, recuperò la fettina di pane “Quindi possiamo dormire insieme tutte le volte che voglio?”
“Certo. Non hai mica bisogno del mio permesso.” John arricciò le labbra, riportando lo sguardo sull’altro.
“Anche se dovesse venirmi sonno a metà notte?”
“Sì.”
“Anche se volessi semplicemente venire ad osservarti mentre dormi?”
“Anche se avessi solo bisogno di un abbraccio.” assicurò John.
Sherlock annuì con un mugolio soddisfatto, intento a leggere un articolo, leccandosi le dita quando ebbe finito la propria colazione “John?”
“Mh?”
“Sto davvero bene.” confessò il detective: non alzò lo sguardo, probabilmente imbarazzato, ma allungò una mano verso il dottore.
“Anche io, Sherlock.” John intrecciò le dita della mano con quelle dell’altro, coccolandolo con la dolcezza incontrollabile del proprio sguardo.
Quella domenica di giugno non poteva sicuramente cominciare meglio.

Qualche ora più tardi, John era seduto sul divano a guardare un film-documentario sulla guerra in Afghanistan, scuotendo più volte il capo, contrariato, commentando più o meno aspramente i reportage che accompagnavano le immagini televisive. Seduto affianco a lui, con la testa appoggiata sulla sua spalla ed un braccio intrecciato al suo, c’era un silente Sherlock che di tanto in tanto pescava una ciliegia da una bacinella posata sulle gambe di John.
Fu proprio il detective a rompere il silenzio “Non hai ancora messo a posto la divisa.” non era una domanda, ma una constatazione pura e semplice.
“Mh? Ah, no, è lì attaccata all’armadio, non dà fastidio a nessuno dove sta.” recuperò a sua volta una ciliegia, il cui nocciolo andò poi a buttare in un bicchiere inutilizzato, adibito in quel momento a raccoglitore della spazzatura.
“A me sì, a dire il vero.” dichiarò Sherlock, colui la cui roba era sparsa per tutto l’appartamento, i cui esperimenti che variavano dalle teste alle dita umane riempivano il frigorifero, i cui libri occupavano tutto lo spazio disponibile sulla libreria, i cui vestiti erano spesso in giro per casa o dentro la vasca da bagno.
“Come potrebbe darti fastidio la mia divisa, appesa sull’anta del mio armadio, nella mia camera da letto?” con la voce marcò volontariamente gli aggettivi possessivi presenti in quella frase.
“Ti fa pensare all’Afghanistan e ai tuoi adorati Mastini. Basta guardare indietro, John. Vivi il tuo presente.” Sherlock avrebbe voluto aggiungere che era lui il suo presente, che non doveva avere bisogno d’altro, ma preferì non scoprirsi troppo.
“Ti ricordo che l’Afghanistan mi ha aiutato a non impazzire per la tua finta morte.” dovette rispondere John: non che volesse rinfacciargli il dolore provato a causa sua, ma era la verità, l’unica risposta plausibile a quella domanda. Provò quindi a spostare l’attenzione ponendogli una domanda che pensò l’avrebbe fatto sorridere “Sei geloso dei Mastini, Sherlock?”
“Potrei.” Sherlock rispose in modo telegrafico, senza cambiare postura, senza rivolgere lo sguardo a John, nonostante il dottore avesse provato più volte a fargli sollevare il capo. Prese un’altra ciliegia, giocandoci coi denti, spellandola per gustarsi l’amaro della sottile buccia prima di dedicarsi al gusto dolce della polpa.
John rise mentre sceglieva la ciliegia più matura tra quelle rimaste “Ma dai. Sono dei fratelli per me. Anzi, Matt e Zach sono come dei figli. E vorrei che anche tu li trattassi bene, sappi che affiderei la mia vita nelle loro mani, tanto mi fido di loro.”
Ma mentre John sperava di riuscire a dire qualcosa che tranquillizzasse Sherlock, la reazione del detective a quelle parole fu oltremodo burbera: si scostò da lui, quindi gli prese il mento nella mano destra girandolo verso di sè con ben poca delicatezza, le sopracciglia inarcate rigidamente, lo sguardo severo.
“La tua vita nelle loro mani? Non dirlo neanche per scherzo.”
John sospirò di fronte alla reazione di Sherlock. Un tempo si sarebbe arrabbiato, ma in quel momento si rese conto del punto debole del detective: avendo da poco permesso alle emozioni di caratterizzarlo, non sapeva ancora controllarle e di conseguenza non riusciva a misurarne le conseguenti manifestazioni. Avrebbe dovuto, con molta pazienza, educarlo, o si sarebbe trovato al fianco l’incarnazione della gelosia unita al cervello più brillante del mondo, quindi chissà di cosa sarebbe stato capace. Tuttavia non avrebbe neanche potuto negare le proprie convinzioni, quindi avrebbe dovuto trovare un modo, ogni volta, per spiegargli come funzionava l’arcano mondo dei sentimenti.
“Non ti ho mai raccontato le mie missioni in Afghanistan, Sherlock, ma sappi che proprio loro due, una volta, mi hanno salvato la vita.” spostò la bacinella sul tavolino, alzandosi l’angolo destro della maglietta fino all’altezza del fegato, sopra il quale spiccava una vistosa cicatrice dai bordi irregolari “Non avrei più il fegato se non fosse stato per il loro coraggio.”
Sherlock lasciò il mento di John, posando la mano sulla cicatrice appena mostratagli dall’altro: non replicò a parole, impegnato a scendere dal divano fino ad inginocchiarsi davanti al dottore, il cui addome iniziò a scandagliare e analizzare.
“Si sono buttati addosso a quell’energumeno nonostante fossero molto più esili di lui riuscendo a spostarlo e a immobilizzarlo. E poi Zach mi ha prestato le prime cure mentre Matt, poverino, tremava perchè non sapeva come fare per aiutarmi. E allora ha cominciato a raccontarmi tutte le barzellette che conosceva: sono stati molto preziosi per me, Sherlock, vorrei che tu lo capissi.” John posò la mano sinistra sulla testa dell’altro, ma non riuscì a distoglierlo dal suo studio approfondito.
Il detective infatti, passò delicatamente le mani su ogni cicatrice, piccola o grande che fosse, deducendone via via la causa, l’arma utilizzata, riuscendo quasi a datarle approssimativamente.
“Sono stati importanti per me, Sherlock, tutti loro, mi hanno aiutato, mi hanno fatto sentire di nuovo vivo quando ero morto dentro. Mi hanno salvato e io ho salvato loro. E’ vero, per Matt e Zach provo un affetto particolare, ma non devi assolutamente preoccuparti. Insomma, li hai visti? Sono più innamorati di Biancaneve e del Principe Azzurro!” John si abbassò, posando un leggero bacio sulla fronte di Sherlock, che sembrò finalmente risvegliarsi da quella profonda analisi.
“Tutte queste ferite te le sei fatte negli ultimi tre anni, John, prima non le avevi.” Sherlock sospirò continuando a passare le proprie scheletriche dita sulle diverse cicatrici visibili, causando una leggera pelle d’oca al dottore.
John infatti rabbrividì riabbassando la maglietta, e lo fece per nascondere quelle cicatrici che lo deturpavano, ma non perchè se ne vergognasse, bensì per celarle a Sherlock e fare in modo che gli sparisse dal viso quell’espressione colpevole che lo feriva oltremodo.
“L’hai detto anche tu, è passato ormai.” John provò a catturare il viso di Sherlock tra le mani, ma fu fermato dall’altro che gli rialzò la maglia, tornando sulle sue cicatrici.
“Mi farò perdonare per ognuna di queste.”
“Non devi. Non sei stato tu a farmele. E poi sono fiero di ogni cicatrice.”
Ma Sherlock era ancora con lo sguardo fisso sull’addome di John, e sarebbe anche stata una situazione interessante se non fosse che il detective era più propenso a studiare l’anatomia del dottore in maniera professionale e non emotiva. John decise di stuzzicarlo, e sapeva esattamente come farlo.
“...tornando a parlare dei Mastini, un’altro a cui sono molto affezionato è David, un vero genio.”
Come previsto da John, Sherlock bloccò la propria ricerca alzando lo sguardo che assottigliò sul volto del dottore “Quello? Un genio? Ma per favore.” si alzò in piedi sbuffando sonoramente, andando a sbirciare dalla finestra “Solo perchè ha inventato quegli stupidi orologi non vuol dire che sia geniale.”
“Le sue conoscenze ci hanno salvato la vita più volte. E’ davvero in gamba.” continuò John ridacchiando sotto i baffi, quindi si alzò, raggiungendo lentamente Sherlock alle spalle.
“Pfff, in gamba. Quando l’ho trovato in quella grotta stava tremando come una foglia.”
“Eravamo sotto bombardamento, Sherlock! Ed è un ragazzo giovane, ci stava che avesse paura.”
“Tu non ne avevi.”
A John sembrò che Sherlock l’avesse detto con una punta di orgoglio: sorrise, quindi gli prese la mano nella propria, tirandolo per farsi seguire “Vieni, andiamo a mettere l’Afghanistan nell’armadio.”
Sherlock accompagnò John al piano di sopra, lasciandosi guidare dalla sua mano che era come sempre calda e confortante e gli veniva sempre naturale intrecciare le dita della sua con quella dell’altro in un legame fisico oltre che simbolico.
“Ah, e tra parentesi, ho fatto modificare a David il mio laptop, in caso riuscissi a scoprire la mia nuova password.” ridacchiò John mentre apriva la porta della propria stanza.
“Chi ti dice che non l’abbia già scoperta?” domandò Sherlock mentre prendeva anche l’altra mano di John nella propria, accostandosi alla sua schiena.
“Oh, credimi, lo so.” sorrise John, fermandosi di fronte alla propria divisa: per Sherlock fu facile poggiare il mento sopra la spalla del dottore data la differenza di statura.
“Mf, odio quel Mastino.”
“Lo odi perchè sai che, tra tutti gli altri, è quello che ti somiglia di più.”
“Non mi somiglia.”
“Un pochino.”
“Io sono meglio.”
John rise, strusciando la guancia su quella del detective “Non hai motivo di essere geloso. Prima di mettere la divisa a posto... guarda nel taschino.”
Sherlock non se lo fece ripetere e, mosso da innata curiosità, lasciò una delle mani di John, alzandola verso il taschino indicatogli dall’altro: estrasse la foto, ormai logora, che li ritraeva, la foto che John aveva sempre portato con sè ad ogni missione. Sherlock liberò completamente John dalla sua stretta, prendendo poi la foto con entrambe le mani, sfiorando i volti con i polpastrelli, annusando il recondito odore di sangue, la sottile percezione della sabbia, il sapore dei ricordi.
“Ti ho sempre portato con me. Nel cuore.” John non amava essere melenso, non a parole quanto meno, ma quelle gli uscirono spontanee in quella circostanza.
“Curioso.” sorrise Sherlock ripiegando con cura la foto e rimettendola a posto, nel taschino della divisa.
“Cosa è curioso?”
“Anche io avevo delle foto di te, negli anni in cui non ci siamo visti.”
“E ora dove sono?”
“Non ha importanza. Ora sei qui, in carne ed ossa.” bisbigliò Sherlock, per poi prendere la mano sinistra di John e posarla sopra la gruccia che teneva ordinatamente la divisa: una chiara richiesta che non poteva essere rimandata oltremodo.
John acconsentì alla richiesta, riponendo con cura la divisa nell’armadio, passando la mano sopra il taschino prima di richiudere le ante: quindi si voltò verso Sherlock, e quasi non fece in tempo a farlo perchè il detective si era già abbassato raggiungendo le labbra del dottore, allacciandogli le braccia in vita per salvarlo dalla foga con cui l’aveva derubato del respiro. Lo spinse sul letto dove l’avrebbe consumato di baci: sapeva di ciliegia, ed era, letteralmente, buono.

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Capitolo 5
*** The Meltdown ***


***Ciao ragazze!!! Sono contenta di essere riuscita a pubblicare ora questo capitolo perchè poi non so quando riuscirò a darvi il 6 *_* perchè sono fuori, torno a casa domenica ma domenica sera ci sono i BAFTA quindi non so quando riuscirò ad iniziarlo °_° spero presto perchè mi sto appassionando ed inoltre vi lascio in sospeso! vi anticipo solo che in questo capitolo odierete Mycroft XD soprattutto Fusterya *_* sister, non odiarmi <3 e vi dico che ci son state 30 righe d'angst che sono state veramente difficili per me XD spero apprezzerete lo sforzo e che perdonerete l'angst... (il fluff è sempre dietro l'angolo, tranquille!!!) BACI!!! e grazie per le vostre amatissime recensioni <3 vi amo!***

The Meltdown

I due giovani che John e Sherlock stavano inseguendo erano stati accusati di furto ai danni di alcune delle opere d’arte esposte alla National Gallery: il più alto dei due, la mente, era un abile hacker che si occupava di bypassare i sistemi informatici, mentre il complice, più basso e dai capelli chiari, era il braccio della coppia. Gli Yarder si erano divertiti a paragonarli proprio a Sherlock e a John una volta individuate le loro identità, che furono scoperte grazie all’aiuto di David con sommo e malcelato fastidio da parte del Consulente Investigativo.

Sherlock, inoltre, era di umore altalenante da quando nell’unità di Lestrade era entrato a far parte un giovane poliziotto, Tom, un ragazzo sulla trentina, che si dimostrò subito intraprendente, intuitivo e, o almeno così gli urlava il suo infallibile cervello, interessato a John.
John dovette inevitabilmente sorbirsi uno Sherlock quanto mai lunatico: felice e giocoso a casa, sgarbato e inacidito quando venivano convocati da Lestrade.
In quella mattinata, quindi, tra l’aiuto fornito da David e la presenza di Tom, Sherlock risultava ancora più petulante e irritabile del solito, quindi John, per quanto paziente fosse, si ritrovò a sfogare tutta la stizza in quella lunga corsa in cui riusciva tranquillamente a tener testa alle lunghe gambe del proprio compagno.
“Sherlock! Ti sembra il momento ideale per parlarne?!” John gli stava correndo al fianco mentre inseguivano la coppia di criminali che li precedevano ormai di pochi metri.
“Sì! Visto che stiamo aiutando Lestrade e lo Yarder che ti corteggia spudoratamente ogni volta che ti vede!” sbraitò Sherlock, mentre saltava oltre un bidone della spazzatura che uno dei due criminali aveva fatto cadere a terra nel tentativo di ostacolarli.
“Ma sei fissato con questa storia!” era ormai piena estate e il viso di John era madido di sudore, il respiro ed il battito cardiaco accellerati, ma non dava alcun segno di voler rallentare “Si dividono!”
“Chi prendi?” chiese Sherlock con enfasi, pronto a scattare da una parte all’altra a seconda della scelta di John.
“Quello che somiglia a te, così gli dò un pugno in faccia pensandoti!” urlò John svoltando a destra, continuando a correre dietro allo spilungone.
“Bene! Allora io prendo il nanerottolo! Sarà facile raggiungerlo con quelle gambette corte che si ritrova! Tu lo sai bene vero?!” gli strillò Sherlock per poi afferrare un palo al quale si aggrappò per svoltare a sinistra, nel tentativo di non perdere troppa velocità in quella curva a gomito.

Dopo altre due svolte in quelle stradine che si facevano sempre più stretti e umidi di muffa, John raggiunse il giovane criminale che stava inseguendo: l’hacker infatti, si era infilato in un vicolo cieco sul muro del quale provò ad arrampicarsi seppur con scarsi risultati.
“Fermo. Basta così.” ansimò John, ben attento a bloccare la via di fuga al giovane “Se non vuoi prenderle ti conviene alzare le mani e appoggiarti al muro.”
“Voi... stupidi!” sbottò il criminale in un moto di rabbia in cui non dette segno di voler rispettare gli ordini di John “Non sapete apprezzare veramente le opere d’arte! Non avevate alcun diritto di vederle esposte! Dovevano essere solo mie!”
“Oh, perfetto, un altro spilungone che si crede di essere al di sopra degli altri.” sbuffò John, asciugandosi un po’ del sudore che aveva sulla fronte con il braccio sinistro.
“Io sono al di sopra degli altri!” ringhiò l’altro che, dalla tasca dei jeans estrasse un coltello a serramanico che aprì rapidamente, in un ultimo disperato tentativodi fuga.
“Oh, sì, ti prego, dammi un pretesto...” ghignò John, allargando il baricentro del proprio corpo, alzando i pugni in posizione di difesa: tra il recente ritorno dalla guerra, la lunga corsa e la discussione avuta con Sherlock, stava trasudando adrenalina. Lo aspettava pronto a scattare, il respiro accellerato, un sorrisetto indecente disegnato sul volto.
Il ragazzo l’accolse come una provocazione, e John l’accolse a sua volta come una benedizione: l’hacker, seppur molto agile, era inesperto nel combattimento, mentre John, abile nella lotta, decise di divertirsi un po’, atterrando e immobilizzando il giovane solo dopo aver subito un piccolo taglio all’altezza della guancia. Lo scontro era iniziato ed era finito esattamente quando aveva voluto John, che si sedette sopra il giovane criminale sdraiato a terra in posizione prona, disarmato e umiliato dalla forza del soldato.
Fu raggiunto pochi minuti dopo dall’agente Tom Stone che, dopo aver ammanettato il giovane criminale, si avvicinò a John, preoccupato per il taglio che gli vide sul volto.
“John, sei ferito.” sospirò Tom, alzando la mano destra verso la guancia ferita del dottore.
“Sto bene, Agente.” replicò John, indietreggiando abbastanza per far sì che la mano dello Yarder non lo toccasse “Dov’è Lestrade?”
“Penso sia andato andato dietro all’altro sospettato.” Tom lo osservò di sottecchi, seguendolo di qualche passo.
John estrasse dalla tasca il coltellino che l’hacker gli puntò contro, porgendolo a Tom “Tieni. L’ha usato contro di me. Non so come sia la procedura, lo dovete tenere come prova, se non sbaglio.”
Lo Yarder prese il coltello in mano, indugiando sulla mano di John qualche secondo di troppo “Senti, John...”
“No. Sentimi tu. Smettila. Qualunque cosa tu stia facendo.” John indietreggiò nuovamente scontrando contro qualcosa, o meglio qualcuno.
Sherlock era appena entrato nel vicolo, spostando John di lato quando lo sentì cozzare contro di sè: alternò lo sguardo tra lui e Tom, sul quale poi posò il proprio sguardo furente “Tu.” gli si avvicinò a grandi falcate, alzando l’indice destro che gli puntò al centro del petto “Per te, lui è ‘Dottor Watson’, capito?”
“Eh? A dire il vero, mi sento libero di chiamarlo come mi pare e piace.” rispose Tom, scrollandosi il dito di Sherlock di dosso.
“Sherlock...” sbuffò John, avvicinandoglisi e provando a tirarlo via “Tutto bene? Che fine ha fatto il complice?”
“No. Non hai capito.” Sherlock ignorò John, avanzando verso l’agente Stone ancora un’altro passo “Tu non gli dai confidenza, tu non lo guardi e soprattutto tu non lo tocchi.”
“Altrimenti?” rispose Tom, con un sorrisetto provocatorio disegnato sul volto, mostrando un temperamento che in quel mese di collaborazione non si era mai palesato in lui.
John dovette ringraziare i propri riflessi, grazie ai quali riuscì a fermare Sherlock che stava per raggiungere il volto dello Yarder con un pugno “Sherlock! Adesso basta!”
Sherlock si bloccò addosso a John, ringhiando all’indirizzo dello Yarder che ghignava beatamente, reazione che nascose istantaneamente all’arrivo di Lestrade e degli altri agenti.
“Agente Stone? Ragazzi?” sospirò Greg, avvicinandosi poi al Consulente Investigativo e al suo assistente, verso i quali bisbigliò “Ragazzi, che diavolo succede? Se succedono altri casini dovrò smettere di chiamarvi.”
“Greg, scusa. Ce ne andiamo” sussurrò John, ancora intento a tenere Sherlock che sembrava stesse ancora, letteralmente, ringhiando all’indirizzo dell’agente Stone che non aveva perso di vista neanche per un istante “Sherlock, non fare l’idiota. Basta così.”
“Oh, John, ma sei ferito?” notò Greg, smettendo ormai di farsi domande sul comportamento di Sherlock “Ti mando dei paramedici?”
“Ma figurati, è un graffietto, non si sente neanche.” gli sorrise John che finalmente sentì Sherlock rilassarsi attorno alla sua presa.
“Cosa? Sei ferito, John?” domandò Sherlock, prendendogli il viso tra le mani con una premura nei gesti e nel tono che cozzava con la prepotente gelosia sfociata in aggressività dimostrata fino a pochi istanti prima.
John sbuffò, scostandosi da Sherlock,  salutando Lestrade distrattamente “Forza Sherlock, andiamo a casa.”
Sherlock lo seguì mestamente, rendendosi conto solo in quel momento di aver esagerato per l’ennesima volta.

Il viaggio in taxi fu teso e silenzioso, con John e Sherlock che guardavano ciascuno in direzioni opposte: ognuno di loro stava pensando all’altro, e a come avrebbero affrontato la prossima discussione.
Quando arrivarono a casa, John si sedette stancamente sul divano, chiudendo gli occhi nel posare la nuca sullo schienale: fu raggiunto da Sherlock che, dopo aver bagnato un fazzoletto con dell’acqua ossignata, iniziò a pulirgli delicatamente il piccolo taglio sulla guancia.
“Sherlock...” iniziò John, ma fu subito interrotto.
“Scusa, John.” disse Sherlock, distrattamente, maggiormente impegnato a disinfettargli il taglio che ad impegnarsi affinchè le sue scuse sembrassero quanto meno credibili.
“No.” John scosse il capo e aprì gli occhi, puntandoli su Sherlock.
“...no? Cosa vuol dire no?” Sherlock sembrava veramente confuso: si era scusato, quindi si domandò cosa avrebbe dovuto fare, ancora.
“Vuol dire che non ti scuso.” il tono calmo di John, tradiva l’irrequietezza che stava realmente provando “Hai fatto l’ennesima scenata immotivata e ora chiedi scusa ma non lo pensi veramente. E’ solo una parola che hai imparato a dire quando sai di aver sbagliato, ma non sei veramente dispiaciuto.”
Sherlock sbuffò, ma non per questo smise di curare, a modo suo, la ferita di John.
“Perchè tu non sei dispiaciuto, Sherlock. Lo so.” John si scostò leggermente, negandogli le premure che gli stava elargendo.
Sherlock si offese per quel gesto “No che non lo sono, John!” sbottò, alzandosi in piedi e buttando il fazzoletto sul divano “Ci stava provando per l’ennesima volta con te. Mi dà fastidio, lo sai.”
“E pensi che metterti nei guai malmenando un poliziotto di Greg possa farti stare meglio? No! Ed inoltre faresti proprio la figura dello scemo. Sherlock Holmes passa una notte in galera per aver menato uno Yarder di cui è geloso.” John virgolettò l’ultima frase con indice e medio di entrambe le mani, come se stesse citando il titolo di un giornale.
“Avevo paura di perderti.” si giustificò Sherlock “Sono fatto così, John.”
“La devi smettere di usare questa frase come giustificazione. Non sei un bambino, o meglio, non dovresti comportarti come tale.” anche John si alzò in piedi, a tratti seguendo Sherlock, a tratti allontanandoglisi in una ballata nervosa che raccontava quel particolare episodio.
“Se tu avessi il coraggio di dire che sei impegnato con me, magari lui smetterebbe di provarci.” Sherlock si appoggiò al muro, intrecciando le braccia al petto, sferzando John con quella recriminazione già usata molte volte.
“Faresti lo stesso scenate come queste, Sherlock.” John sbuffò, scuotendo il capo “Lui magari ci prova con me, ma tu mi hai mai visto starci? E’ quello l’importante Sherlock, non lo capisci? Ci sarà sempre qualcuno che potrebbe interessarsi a me o a te, non possiamo impedirlo. L’unica cosa che conta è che non cederemo a nessun corteggiamento, quante volte te lo devo spiegare?” sospirò per l’ennesima volta “Si tratta di fiducia anche in questo caso, Sherlock.”
Sherlock analizzò il tono di John, oltre che le parole e potè cogliere una punta di delusione che gli fece male, colpendolo direttamente al cuore. Ma quella discussione non poteva finire in quel modo: Sherlock sapeva dei suoi eccessi caratteriali, non poteva negarli, ma non voleva concludere quella discussione finendo nel torto da solo.
“Tu parli così perchè sei sicuro che nessuno ci proverà mai con me. Tu non avrai mai occasione di essere geloso, sei al sicuro.” disse a bassa voce, senza perdere di vista John neanche per un istante: aveva lanciato l’amo, ora aspettava che il pesce abboccasse.
“Ah, beh, certo. Non te ne rendevi proprio conto allora.” John abboccò, totalmente inconsapevole della trappola piazzata da Sherlock “Credimi, se anche ci provassero cento Yarder con me, non basterebbero comunque a compensare quello che ho dovuto passare io con loro due.”
“Loro due?” Sherlock inarcò il sopracciglio destro in una genuina sorpresa: si aspettava che parlasse di Irene, ma non poteva in alcun modo credere che potesse esserci un’altra persona in grado di scatenare la gelosia di John. Come aveva fatto a non accorgersene?
John gli lesse un’espressione stupita sul viso e sorrise amaramente, d’altronde aveva imparato a conoscerlo “Ti aspettavi che parlassi solo di Irene, vero?”
“Sì. Perchè potrebbe essere stata l’unica a farti ingelosire, anche se, e te l’ho detto la prima volta che ci siamo conosciuti, non mi piacciono le donne. Quindi la tua gelosia era totalmente ingiustificata.” Sherlock si staccò dal muro, muovendo qualche passo nel soggiorno.
“Oh certo. Non ti vedevi, Sherlock. Sembrava che voleste scappare in Luna di Miele da un momento all’altro.” in contrapposizione ai movimenti di Sherlock, John si poggiò col fondoschiena sul bordo del tavolo, intrecciando nervosamente le braccia “Lei lesbica dichiarata e tu asessuale dichiarato, che flirtavate peggio di due adolescenti.” schioccò la lingua sul palato, guardando altrove “Se solo non avesse provato a fregarti, magari ora stareste insieme come una coppietta felice.”
Sherlock si pentì di aver lanciato quello stesso amo che ora rischiava di ritorcerglisi contro: non perse il controllo, tuttavia, sicuro di non aver colpe riguardanti Irene, o meglio, quasi “Ammetto che mi incuriosì molto, ma non vado oltre ad una profonda stima per la sua intelligenza.”
John rimase in silenzio, andando a grattarsi la pelle attorno al taglio che scoprì leggermente irritata “Tanto non ha più importanza ora.” bisbigliò stizzito.
“John...” Sherlock gli si avvicinò un poco, alzando la mano destra verso quella con cui John si stava torturando la pelle ferita “A proposito di fiducia, devo dirti una cosa.”
John alzò lo sguardo su Sherlock, facendo cenno di proseguire: si lasciò prendere la mano, inoltre, senza un motivo apparente o una reazione che accompagnasse il tutto.
“Irene non è in America.” iniziò a confessare, tenendo la mano di John con entrambe le proprie, dividendo tre dita per la destra e due per la sinistra, in una presa alquanto infantile.
John alzò lo sguardo su Sherlock, chiedendosi come avesse scoperto quell’informazione “Sì, Sherlock, lo so. Mi spiace ma lei è...”
“No.” lo interruppe il consulente investigativo “Non è morta come pensate tu e Mycroft.” deglutì leggermente, lasciando spaziare lo sguardo altrove prima di tornare su John “L’ho salvata io dall’esecuzione.”
“Cosa?” John era incredulo: scosse il capo e provò a ritirare la mano in possesso di Sherlock, ma scoprì che lui gliela stava stringendo proprio per non farselo scappare “Come diavolo hai fatto?”
“Quando ti ho mandato da tua sorella con la scusa dell’appartamento infestato da fumi tossici. Sono stati quei giorni lì.” spiegò brevemente, poichè non era quello il frutto della questione “Ma questo non vuol dire niente, John. Non tengo a lei in quel senso. Era solo un peccato che una persona così intelligente morisse in quel modo.”
“E perchè non me l’hai detto allora?” John sospirò, catalogando l’ennesima mancata verità da parte di Sherlock.
“Perchè so che non la sopporti, e non volevo che pensassi che io la ritenessi importante.” fece un piccola pausa mentre, con le mani, stritolava leggermente le dita di John, nervosamente “Scusa se non te l’ho detto finora. E questa volta sono veramente dispiaciuto.”
“Ti dispiace sempre, Sherlock. A volte potresti pensare prima di agire, pensare se facendo quella cosa potresti dispiacermi.” sospirò John che poi si staccò dal tavolo, tirando la mano per sottrarla dalla presa dell’altro.
Sherlock però lo trattenne “Di chi stavi parlando prima? Chi sarebbe l’altra persona?”
“Lascia perdere, Sherlock.” John provò ancora a liberarsi dalla presa del compagno, ma Sherlock sembrava determinato e, come sempre quando succedeva, l’aveva vinta lui.
“John. La fiducia.” gli ripetè Sherlock “Tu sei migliore di me, non sbagliare come ho fatto io. Risolviamo questa cosa una volta per tutte.”
A John pesava rivangare quella storia, ma ormai l’aveva accennata e non poteva più ritirare quella dichiarazione “Pensaci. Con chi, più di chiunque altro, ti sei messo in mostra?”
Le parole di John lo stupirono a tal punto da fargli aprire la bocca in un’espressione inebetita: gli lasciò la mano, infilandosela poi in tasca, giocherellando nervosamente con due monetine che tintinnarono tra loro “John. Come puoi dire di essere stato geloso di Moriarty?”
“Non è semplicemente una questione di gelosia.” John alzò le braccia in un gesto di stizza “Ma vedere quanto ti interessasse fare colpo su di lui... è stato frustrante e doloroso.”
Sherlock estrasse la mano destra dalla tasca, alzandola fin sulla fronte, strofinandola appena, in evidente difficoltà: stava guardando fuori dalla finestra, non riusciva a soffermarsi su John, nè tantomeno fu capace di rispondergli.
“Al di là di quello che ci ha fatto dopo, Sherlock, che non c’entra nulla. Tornassi indietro rifarei tutto con te. Tutti i guai e tutti i pericoli passati, perchè sono quelli che ci hanno unito.” John ingoiò parte della tensione che lo stava investendo, mentre si voltava a osservare la schiena di Sherlock di cui poteva percepire il disagio “Ma quando in piscina ti ho sentito dire quelle cose... eri arrivato lì col tuo regalo di benvenuto? Cosa?!” alzò inevitabilmente la voce “Potrei esserci stato io con quella giacca addosso, o qualsiasi altra persona, ma... cosa?! Tu sei andato lì, sapendo di incontrare uno psicopatico, e scherzavi, portavi regalini che tra parentesi erano dei progetti missilistici d’importanza nazionale... magari se non ci fossi stato io vi sareste pure fatti una nuotata assieme! E poi? In tribunale! Cos’è che hai detto? Ah sì... hai sentito che c’era un legame speciale tra di voi. E’ stato uno spasso sentirtelo dire, Sherlock, davvero. Mi stavo sbellicando dalle risate!”
“Perchè me lo dici ora?” Sherlock ruppe il silenzio in cui si era chiuso dopo le parole che aveva appena ascoltato, ma il tono di voce era spezzato da un dolore che non aveva mai provato. Per la prima volta dopo molto tempo si ricordò perchè aveva deciso di trascurare i sentimenti a favore della fredda logica: ritrovò il suo amato cervello collassato su se stesso, annichilito da una forza maggiore che lo sovrastava.
“Per farti capire che quelle sono le circostanze in cui uno può veramente temere di perdere la persona che ama.” John si mosse lentamente, verso Sherlock “E per farti capire che nonostante ci siano state circostanze come quelle, non ho la minima intenzione di scambiarti con nessun’altro.” ancora pochi, piccoli, ma enormi passi “Sei parte di me, Sherlock, e nessuno avrà mai la forza di separarci. E’ una promessa.” si fermò a pochi centimetri da lui e fu tentato di alzare la mano verso la sua schiena, il braccio, i capelli, ma decise di desistere: stava a Sherlock la prossima mossa.
Sherlock visse quelle parole in modo tutto suo: si immaginò John che, con la precisione chirurgica di cui disponeva e senza un grammo di anestesia, gli praticava una craniotomia con un bisturi quanto mai affilato; dopo lo immaginò rimpicciolirsi, districarsi nel tessuto spugnoso del cervello e dopo aver trovato una parete libera avrebbe chiuso la mano sinistra a pugno, lasciando spuntare solo l’indice col quale avrebbe poi inciso le parole che aveva appena pronunciato, su di lui, dentro di lui, nel cervello.
Era stato tanto doloroso quanto intenso: stava ancora titubando, indeciso se abbandonarsi ai sentimenti fosse stata la scelta giusta, ma poi quelle parole che avevano scalfito la superficie del suo cervello penetrarono a fondo, mandando segnali a tutto il resto del corpo e fu nel momento in cui si voltò per incrociare lo sguardo di John, che ebbe la prova definitiva che ne valeva la pena.
John gli lesse sul volto i segni di quella battaglia interiore, vide gli occhi lucidi, i tratti tirati e sofferenti, la mascella serrata: alzò le mani verso Sherlock, mani leggere che portarono con sè il desiderio di curare quelle ferite inferte con consapevolezza ma che mai avrebbero voluto recare volontariamente dolore. Ma John sapeva che per imparare a volte bisogna sbagliare, e sbagliare spesso comporta soffrire: era importante per lui che lo capisse anche Sherlock. Per poterlo amare e per mettere Sherlock in condizioni di poterlo fare a sua volta.
“John...” Sherlock soffiò il suo nome mentre gli si inginocchiava davanti avvolgendolo con le braccia, come un bimbo impaurito stringe il padre in un momento di paura, come un adolescente circonda le spalle del fratello maggiore che l’ha appena salvato da una rissa con dei coetanei, come un ragazzo abbraccia il suo migliore amico dopo aver vissuto una cocente sconfitta, come un uomo adulto avvinghia la persona di cui è innamorato. John sapeva essere tutte quelle persone per Sherlock: padre, fratello, amico e compagno di vita.
John abbassò le proprie braccia stringendole attorno alle spalle tremanti di Sherlock: sapeva che le sue parole gli avevano causato del dolore e si odiava per quello, e neanche l’idea che fosse necessario evitò di aggrovigliargli lo stomaco in un pesantissimo intreccio d’ansia e nervi. Quando si sentì nominare nuovamente da Sherlock si chinò a sua volta, chiamando il suo nome in un sussurro quasi impercettibile: provò a sollevargli il viso, ma l’altro lo stringeva così forte che non riuscì ad impedire che si nascondesse sul suo petto inumidito da poche ma preziossime lacrime.
“Sherlock.” lo chiamò nuovamente John, che, dopo avergli posato la mano destra sul capo, provò a staccarsi da lui, alla ricerca del suo viso “Mi dispiace che...” fece una pausa, trovando oltremodo problematico cercare le parole giuste in quella circostanza “I sentimenti a volte fanno soffrire...”. Era John ad essere in difficoltà ora, lui che tra i due era quello esperto nel campo delle emozioni, quello che aveva impostato le basi della loro relazione: gemette un debole sospiro prima di tuffarsi col viso nei ricci di Sherlock, sul quale bisbigliò un fievole desiderio “Ti prego, dimmi che non ho rovinato tutto.”
Sherlock rinvigorì la stretta attorno al torace di John alla disperata ricerca di un contatto costante mentre recitava una lunga sequenza di ‘no’ che si interruppe solo quando, finalmente, si scostò da John abbastanza da poterlo osservare in viso: il gelo del suo sguardo era definitivamente sciolto, facilmente penetrabile ora che la parete rigida era stata rimossa, umido di dolore misto ad amore.
John non aveva mai visto uno sguardo del genere e se ne preoccupò, tanto che trasalì nell’essere travolto dall’ondata di quel mare dipinto negli occhi di Sherlock “Dio mio... Sherlock...” si sentì colpevole come se avesse ucciso un innocente “Ho rotto... ho rotto qualcosa...”
“Hai rotto qualcosa dentro di me?” lo anticipò Sherlock, sciogliendo la presa attorno al torace di John per far salire le mani sulle sue guance “Sì. Decisamente." carezzò con i pollici le palpebre inferiori del viso del compagno, lavandogli via il dolore dal viso “Grazie per averlo fatto.” sussurrò infine, sfinito da quella lotta interiore che finalmente si era conclusa dopo lunghi anni di negazione, rabbia, contrattazione e depressione, sfociati in una combattutissima e anelata accettazione.
John, come ammaliato da un incantesimo, riusciva solo a ripetere il nome di Sherlock che, in tutta risposta, gli sorrise delicatamente, raggiungendogli le labbra con le proprie, unendole nel bacio più delicato e al tempo stesso intenso che si fossero mai scambiati.
“Sherlock.” provò a richiamarlo all’attenzione, John, staccandosi per primo da quel bacio “Tutto a posto? Come ti senti?” lo osservò negli occhi, scoprendoli diversi, eccezionali nei loro colori, ma mutati. Li riscoprì più umani.
“Come mi sento?” Sherlock ripetè la domanda, sorridendo mentre spingeva John a terra “Completo. Perchè mi hai fatto scoprire un lato di me che nessuno è mai riuscito a risvegliare.” si sdraiò sopra all’altro, ridendo nel vederlo palesemente stupito per quella sua iniziativa “Perchè mi hai fatto capire per cosa vale la pena vivere. E per cosa vale la pena gioire, combattere, vincere, perdere e anche soffrire.” gli disegnò il profilo con la punta dell’indice mentre gli soffiava le parole sul viso, studiandolo con quei nuovi occhi di cui disponeva “Mi sento fortunato. Semplicemente, per vivere ogni giorno con te.” gli cercò le mani, le cui dita intrecciò con le proprie “Grazie, perchè ci sei.”
John rimase senza parole e senza fiato: avrebbe veramente voluto bloccare quell’istante e incorniciarlo per poterlo rivivere all’infinito. Poi ci ripensò: la speciale magia di quel momento doveva essere unica e irripetibile, poichè nessuna tecnologia avrebbe saputo riprodurre quelle sensazioni, quegli sguardi, quelle parole. Avrebbe voluto dire qualcosa di altrettanto bello, ma l’alchimia di quel particolare momento aveva annullato tutte le sue facoltà di pensiero: nella sua mente, nel suo cuore, e attorno a tutta la sua persona c’era spazio solo per Sherlock. Gli vennero in mente solo due parole, due semplici parole, che lo fecero sorridere e tremare al contempo, ma la lingua era ancora impastata dallo stupore e sembrava non volersi muovere.
“Anch’io, John.” lo anticipò Sherlock, sempre più divertito dall’intontimento che le sue parole causavano al compagno “Il fatto che ora abbia accettato di provare dei sentimenti in maniera spontanea e volontaria, non vuol dire che abbia smesso di intuire quello che ti passa per la testa.” poggiò le labbra su quelle di John, lasciandovi scivolare provocatoriamente la lingua all’interno, per poi ritrarla subito “E la mia risposta a quello che stavi pensando è questa: anche io.”
John chiuse gli occhi allargandando le labbra in un sorriso che poi si aprì in una lieve risata liberatoria, dopo la quale tornò a guardare Sherlock la cui espressione rasentava sempre una costante gioia, mista ad eccitazione: si alzò con le spalle, facendo abbastanza forza per sollevarlo ed invertire i ruoli, finendogli sopra col peso scaricato in parte sui gomiti, a terra, ed in parte di lui.
“Non parli, John? Fai dire tutto a me oggi? Di solito sono io quello silenzioso.” domandò Sherlock, sdraiato supino sotto a John, verso il quale alzò le mani in timide ma curiose carezze “Mi piace la tua voce, dimmi qualcosa.”
“Cosa posso dire, Sherlock?” si abbassò, posandogli le labbra sul collo ed il profilo del naso sotto il mento, strusciandosi come farebbe un gatto in cerca di coccole “Le tue parole erano così belle che qualunque cosa io provassi a dire, sembrerebbe comunque una banalità.”
“John.” Sherlock lasciò vagare le proprie mani sulla camicia di John, alla discreta ricerca dei bottoni che cominciò a tormentare “E’ stata la tua semplicità a farmi migliorare. Quindi non avere mai timore di dire ciò che pensi. Perchè ciò che pensi è stupendo.”
“Chi sei tu e cosa ne hai fatto del mio Sherlock?” domandò John divertito, rimanendo un poco sollevato per permettere all’altro di sbottonarlo, qualora ne avesse avuta l’intenzione “Potrei provare a strapparti qualche promessa, già che sei così amabile.”
“Puoi provare, Dottore, finchè sono così di ottimo umore.” si decise a slacciargli i primi bottoni della camicia, soffermandosi con lo sguardo sulle clavicole e sulle sinuose linee del collo “Ma non ti assicuro niente.” il tono di voce andava via via abbassandosi, in contrapposizione alle mani che salivano fino al collo di John, stringendolo e attirandolo verso di sè “Sono pur sempre Sherlock Holmes.”
John sorrise mentre scendeva verso Sherlock, assecondando i suoi movimenti, lasciandosi baciare dalle sue labbra fameliche: appoggiò parte del peso su una sola mano, lasciando che l’altra raggiungesse a sua volta i bottoni di quella camicia color porpora che urlava il suo potere sensuale ogni volta che il detective la indossava ma che in quel momento era decisamente di troppo “In questo istante l’unico favore che mi verrebbe da chiederti, sarebbe quello di spostarci nella camera da letto.” pronunciò con un tono di voce così basso che fece rabbrividire l’uomo sdraiato sotto di sè.
Sherlock arrossì di piacere nel sentire le labbra di John che, una volta che la camicia fu sbottonata, si posarono nella parte più bassa del suo collo, lasciando piccole scie di autentico godimento via via che s’avvicinavano alle clavicole “Qui non va bene?” domandò esasperato, per nulla intenzionato ad interrompere quel momento: percepì le sapienti mani del compagno seguire le sue altrettanto provocanti labbra in quelle carezze che sembravano volerlo istruire verso qualcosa di nuovo, un piacere autentico e primordiale che gli fece inarcare la schiena in un’ulteriore e inconscio gesto in cui s’offriva a lui.
John si sentì appagato dalla visione di Sherlock, fremente e tremante di passione sotto le proprie cure “E se salisse Mrs Hudson? Cosa direbbe?” domandò tra un morso ed una leccata, mentre con le mani seguiva l’arco disegnato dalla schiena dell’altro, le dita che spingevano contro le costole, smuovendo muscoli e nervi che Sherlock sapeva di avere solo per motivi puramente accademici.
“Direbbe ‘Finalmente, miei cari’, ne sono sicuro.” ansimò poi il nome di John, quando lo sentì piegarsi nuovamente su di lui, coi loro toraci nudi che si sfregavano nel loro primo contatto carnale: gli infilò le dita nei capelli, tirandoli, quando sentì le loro labbra nuovamente a contatto, litigando per l’aria che l’uno sottraeva all’altro, mischiando i loro rispettivi sapori in una danza sinuosa e scatenata.
“Per la Regina!” sbottò una voce proveniente dall’ingresso, il cui proprietario stava assistendo alla scena che per metà era coperta dal tavolino da salotto mentre per l’altra risultava completamente in vista “Interessante. Quindi nonostante abbiate ben due camere da letto, preferite donarvi l’uno all’altro sul pavimento. Poco elegante, ma scommetto molto spontaneo.”
“Mycroft... ma vaffanculo!” sbottò John che, a malincuore, realizzò di dover rinviare nuovamente la realizzazione di ogni suo desiderio erotico riguardante Sherlock: si scostò leggermente, scendendo da sopra il suo uomo, iniziando a riallacciarsi la camicia con non poco fastidio.
“Mycroft!” ringhiò Sherlock, altrettanto contrariato dal vuoto creatosi tra le proprie braccia “Sai dove te lo metto quell’ombrello ora?!” urlò, letteralmente, mentre si alzava furente, strofinandosi nervosamente i capelli “Maledetti tu e i tuoi maledetti passe-par-tout! Non osare più entrare in casa nostra senza permesso!” le sue urla gridavano una fortissima reazione umana “Ma cosa diavolo c’è che non va in te?!”
Mycroft ridacchiò, compiendo qualche altro passo all’interno del soggiorno “The? Oh sì, grazie, ne prendo volentieri una tazza, fratello caro.” seguì i movimenti di Sherlock e John, verso i quali continuava a rivolgere quel suo sorrisetto fetente che in quella circostanza risultava ancora più fastidioso.
John sbuffò rassegnato, sedendosi sul divano “Cosa vuoi, Signor Tempismo Perfetto?”
“Qualunque cosa voglia...!” continuò ad urlare Sherlock, fuori di sè: avanzò a grandi passi fino a fermarsi davanti all’altro Holmes “Qualunque cosa tu voglia, scordatelo!” ringhiò a due centimetri dal suo viso.
Mycroft non si mosse di un millimetro, abituato al temperamento del fratello minore e a persone ben peggiori di lui: si soffermò però a guardarne il viso, cogliendo qualcosa di diverso in lui. Alternò lo sguardo tra lui e John, quindi sorrise, tornando su Sherlock “Ero solo passato a salutare.”
John colse l’occhiata di Mycroft, ma più ancora, trovò strana la motivazione di quella visita: Mycroft non passava mai solo per salutare.
“Eri solo passato a...” ripetè Sherlock, per poi esibirsi in una sequela di improperi più o meno dettagliati circa l’essenza più intima di Mycroft, in un insulto che sembrava non voler finire.
“Sherlock...” lo richiamò John con tono paziente, quando lo sentì pronunciare parolacce anche in lingue diverse dall’inglese, probabilmente imparate a forza di frequentare Angelo.
Mentre Mycroft continuava a ghignare apertamente, Sherlock recuperò la giacca di cotone leggero ed il cellulare, quindi si avviò verso l’ingresso, ma un attimo prima di incamminarsi verso le scale si fermò, voltandosi verso John “Torno presto. Sicuramente dopo che se n’è andato il maiale.”
John gli sorrise, rimanendo in silenzio finchè non sentì i passi rapidi sui diciassette gradini e la porta sbattersi in un sonoro tonfo. A quel punto portò lo sguardo su Mycroft, alzandosi per poi dirigersi verso la cucina “Bene, Mycroft, sei riuscito nell’impresa di mandare via Sherlock. Devi dirmi qualcosa che lui non poteva ascoltare?”
Mycroft seguì John con lo sguardo, per poi andare a sedersi nella poltrona di Sherlock “Dottore, noto con piacere che è diventato molto più intuitivo da quando sta con mio fratello. Non sapevo che nello scambio di fluidi corporei fosse compreso anche l’ingegno.”
John tornò in salotto con due birre stappate, una delle quale venne offerta all’Holmes “Mycroft, sei già abbastanza inquietante e morboso di tuo senza che ti metti a parlare degli scambi dei fluidi corporei miei e soprattutto di tuo fratello. A proposito, grazie per l’interruzione.” quando poi vide l’altro osservare la bevanda con una smorfia, ghignò deliberatamente “Niente the oggi, non te lo meriti.”
Mycroft accettò la birra con riluttanza “Non pensavo foste già arrivati a quei punti, John, ma francamente me ne rallegro. A Sherlock non può fare che bene.” accavallò elegantemente la gamba destra sul ginocchio sinistro “Ad ogni modo, vedo che ha fatto progressi con lui.”
John si sistemò sulla poltrona, quindi ingollò qualche sorso di birra fredda “Mycroft, non ho voglia di parlare di queste cose. Sono personali, piantala.”
“Parlavo del suo sguardo, John. Era diverso.”spiegò Mycroft, concedendosi qualche sorso di birra, nonostante la scarsa eleganza della bevanda “Lo sapevo che lei lo avrebbe aiutato. E...” si prese una pausa, inspirando profondamente.
“E?” domandò John che intuì che Mycroft stava per introdurre il vero motivo per cui s’era presentato in casa loro.
“E lo deve aiutare di nuovo, John.” l’espressione sul volto dell’Holmes divenne estremamente seria.
“Cosa succede, Mycroft? E se questa volta provi a nascondermi qualcosa, giuro che ti scuoio con le mie mani.” John posò la birra a terra, quindi si sporse in avanti con le mani intrecciate nervosamente tra di loro e con un brivido lungo la schiena che gli trasmise un terribile presentimento.
Mycroft inspirò a lungo, deglutendo con insofferenza: tutto della sua postura, della sua mimica, suggeriva una profonda preoccupazione. Posò a sua volta la birra a terra, iniziando a torturarsi le pellicine in un tic nervoso.
John non ricordò di aver mai visto Mycroft in quelle condizioni: si posò le mani sul viso, strofinandolo pesantemente “E’ così grave?”
Mycroft chiuse gli occhi per qualche istante e quando li riaprì sembrò aver recuperato buona parte del suo sangue freddo: si sistemò il fermacravatta in un gesto abituale atto a dar conforto e sicurezza. Quindi, finalmente, parlò “Lei conosce Sebastian Moran?”

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Capitolo 6
*** L'appartamento vuoto ***


***Ciao ragazze!!! Grazie mille per il vostro supporto e scusate se vi ho fatto aspettare per il 6, ma come vi avevo annunciato ero fuori casa e domenica sera ero troppo scazzata per i risultati dei BAFTA per poter scrivere XD anche questo capitolo è stato abbastanza ostico da scrivere, spero vi piaccia :( <3 ci saranno Matt e Zach, non siete contente? *_* è leggermente più corto degli altri (5mila parole, l'ultimo era 5500), ma per la "scenità" della faccenda ho interrotto il capitolo con la suspance °_° INOLTRE! Cosa importante! Spero si capisca la temporalità del capitolo, nel senso che gli avvenimenti avvengono tutti più o meno nello stesso (corto) lasso di tempo, in luoghi diversi, con Sherlock e John separati! Spero che il fattore tempo non vi incasini, ma se così fosse chiedetemi pure spiegazioni! Buona lettura e BACIO! Ps: in caso non si fosse ancora capito "L'appartamento vuoto" è l'ovvio riferimento a "The Empty House", il primo racconto de "Il ritorno di Sherlock Holmes" by Sir Arthur Conan Doyle :D ***

L'appartamento vuoto

John riportò la schiena in posizione eretta, per poi poggiarla delicatamente sulla poltrona “Sebastian Moran? Intendi il Colonnello Sebastian Moran?”

Mycroft annuì, senza perdere di vista John neanche per un secondo “Che cosa sa di lui?”
John fece spallucce, allargando le mani verso l'esterno in un gesto di circostanza “Colonnello dell'Esercito Inglese, ottimo cecchino, congedato con disonore per crimini verso l'umanità.” John recuperò la birra da terra, sorseggiandola appena mentre cercava informazioni nei cassetti della memoria “L'esercito avrebbe voluto catturarlo e imprigionarlo, ma non è più stato ritrovato, quindi l'hanno dato per morto. Si è ipotizzata una mina anti-uomo durante la sua ultima fuga.”
“Da quanto tempo è scomparso?” era una domanda retorica per Mycroft, che comunque espresse per sondare le conoscenze del proprio interlocutore.
John si morse l'interno del palato, scavando ancora nei propri ricordi “Se non ricordo male è stato sui cinque, sei anni fa.”
“Esatto, John.” annuì Mycroft, che riprese a torturare tra loro le proprie unghie “E chi è comparso più o meno in quel periodo?”
Per John fu spontaneo pensare a colui che più di ogni altro aveva causato le sue sofferenze “Moriarty?” deglutì pesantemente, bevendo altra birra, poiché la bocca gli si seccò solo pronunciado il suo nome “Cosa c'entra? Cosa hanno a che fare tra loro Moriarty e Moran?”
Mycroft estrasse dal taschino interno della giacca una busta leggermente rigonfia di quelle che potevano essere carte e foto “Come lei già sa, Dottore, quando lei è tornato in Afghanistan, Sherlock, i miei uomini dei Servizi Segreti ed io abbiamo effettuato molte ricerche per sgominare tutta l'organizzazione gestita da Moriarty: era necessario catturarli tutti prima che Sherlock potesse uscire nuovamente allo scoperto, altrimenti il suo sacrificio sarebbe stato inutile.” si prese una piccola pausa, durante la quale raccolse a sua volta la birra da terra: tra il caldo estivo e l'entità del discorso, Mycroft si trovò a rivalutare l'importanza dell'eleganza di quella bevanda in quella particolare circostanza “Quando Sherlock si sentì libero di raggiungerla in Afghanistan, fu perchè avevamo raggruppato tutti quelli che reputavamo i pezzi grossi dell'organizzazione, compresi i tre cecchini che erano stati destinati alla sua esecuzione, a quella di Mrs Hudson e dell'Ispettore Lestrade.”
John continuò ad ascoltare in silenzio, giocherellando nervosamente con l'etichetta posta sulla bottiglia della birra, iniziando a sbriciolarla in piccoli pezzetti che gli cadevano sui pantaloni.
“Ma la verità, è che dopo la partenza di Sherlock, io ho continuato a seguire quelle piste per cercare di arrivare ancora più a fondo alla questione. Un uomo così importante, nel senso più sbagliato del termine, come James Moriarty doveva per forza avere uno stretto collaboratore, uno di cui fidarsi ciecamente, uno a cui affidare tutto. Un John Watson del suo Sherlock Holmes, insomma.” porse la busta a John “Un'unica pista risalente agli inizi della loro collaborazione mi ha portato al Colonnello Sebastian Moran. Un uomo che noi non abbiamo mai catturato e che quindi si trova ancora in libertà.”
“E tu credi che ci stia cercando?” domandò John mentre prendeva in mano la busta, per poi aprirla con una calma nei modi che contrastava con l'agitazione che stava provando interiormente.
“Ci pensi, John. Moran è un uomo malvagio e disturbato tanto quanto lo era Moriarty e Sherlock gli ha tolto tutto. Non solo il suo capo ma anche tutta l'organizzazione alle sue spalle.” abbassò il tono di voce, sporgendosi in avanti “Se prima era un uomo malvagio e disturbato, ora sarà folle, pieno di rabbia e con le abilità pratiche per vendicarsi.”
John si alzò di scatto, lasciando cadere la busta e bottiglia che aveva nelle mani, puntando l'indice verso Mycroft “Ma allora perchè diavolo hai fatto in modo che Sherlock si innervosisse e l'hai fatto uscire da solo?! Potrebbe essere in pericolo ora!”
“Si sieda, John.” rispose Mycroft con flemma, quindi si chinò a recuperare la busta e i fogli che vi erano all'interno che nella caduta si erano in parte sparpagliati “Io non credo che l'obiettivo di Moran sia Sherlock.” porse nuovamente la busta a John, invitandolo ad aprirla “Conosce il gioco degli scacchi, John: per far crollare il Re, bisogna prima colpire la sua Regina.”
“Oh.” John capì, quindi si sedette, recuperando nuovamente la busta ormai aperta tra le mani “Tu pensi che per colpire Sherlock, farà perno su di me.” sfogliò le diverse foto che Mycroft aveva portato con sé, riconoscendo nelle stampe quello che poteva essere una persona qualunque, sempre ritratto di schiena, ed infine un palazzo che a John parve subito familiare “Ma questo è... il palazzo di fronte al nostro.”
“Esatto.” Mycroft rispose genericamente a tutte e due le affermazioni di John “Il giorno dopo che siete rientrati dall'Afghanistan, Sherlock, senza in realtà conoscerne l'importanza, mi ha inviato l'indirizzo di quell'appartamento, così ho fatto controllare: è stato ristrutturato da un giorno all'altro, molto rapidamente e non vi sono carte o documenti a testimoniare suddetti lavori. Quindi è stato fatto in nero: nessun nome sulle carte, al catasto, niente di niente.” Mycroft smontò la gamba destra, sgranchendosi appena “Così ho fatto controllare il tutto: l'appartamento è vuoto, apparentemente non ci vive nessuno, eppure, a giorni alterni, c'è sempre una persona diversa che vi fa un rapido salto, per poi sparire velocemente.”
“Cosa?” John era incredulo, quindi si ricordò di Matt e di quando trasalì nell'osservare proprio quell'appartamento “Che abbia visto un fucile? Un mirino? I cecchini hanno istinto per queste cose...” bisbigliò sottovoce per poi alzarsi ed avvicinarsi furtivamente alla finestra: come al solito le persiane erano completamente chiuse e nulla poteva suggerire che lì vi abitasse effettivamente qualcuno. C’era un’enorme punto interrogativo nella testa di John, domanda che venne espressa proprio da Mycroft, dopo averne intuito la natura.
“Si sta domandando perchè non vi abbia fatto fuori subito?” si alzò a sua volta, avvicinandosi al caminetto sopra il quale riposava silente il teschio “Certo, di possibilità ne avrà avute a bizzeffe. Ma io credo...” Mycroft si prese una strana pausa, durante la quale si voltò verso John “Credo che vi abbia osservato. Credo che stia aspettando un particolare momento, forse sta aspettando di vedervi felici insieme. E...” abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo velocemente “...a quanto ho visto prima ora lo siete davvero. E non sto parlando delle vostre performance sul pavimento. Sto parlando dello sguardo che ho visto negli occhi di Sherlock.”
John si voltò ad osservare Mycroft: sapeva che quell’Uomo di Ghiaccio amava il proprio fratello più di ogni altra cosa e sapeva che, se da una parte gli era grato per quanto aveva fatto per Sherlock, dall’altra nutriva una sorta di invidia e di gelosia nei suoi confronti. Era sicuro che Mycroft avrebbe voluto proteggere Sherlock, sapeva che, nonostante il modo più sbagliato che aveva per dimostrarglielo, avrebbe voluto instaurare un rapporto di complicità con il fratello, ma John conosceva gli Holmes e quanto fosse arduo per loro scendere a compromessi e dimostrare anche il benchè minimo affetto, soprattutto tra di loro. Poi avvenne qualcosa a cui John non si sarebbe aspettato di assistere tanto facilmente.
“La ringrazio, John.” Mycroft chinò umilmente il capo, in un gesto sincero ma ben poco spontaneo “Grazie a lei Sherlock è...”
John alzò la mano sinistra sulla spalla destra di Mycroft, interrompendo quella riverenza in cui l’Holmes si stava incastrando in maniera del tutto scomoda “Mycroft. Va bene così.” pronunciò senza alcuna pretesa e con assoluta semplicità.
Mycroft abbassò lo sguardo sull’altro, vedendo almeno in piccola parte quel che c’era dentro l’enorme cuore di John, una minuscola parte concessagli grazie al suo intuito, alla sua capacità di osservare. E, in un bizzarro ma perentorio contrasto, si ritrovò da una parte a ringraziare che lo scorcio di magnificenza che era riuscito a scorgere nel cuore di John fosse piccolo, poichè non aveva quel tipo di volontà capace a sopportare la percezione di tanta bontà, mentre dall’altra si scoprì a chiedersi se nel mondo esistesse un altro John Watson pronto ad operare il suo miracolo su di lui, l’Holmes Senior.
“Cosa pensa di fare ora che è a conoscenza di Sebastian Moran?” domandò poi, avvicinandosi alla finestra, sbirciando in direzione dell’appartamento vuoto “Lo dirà a Sherlock?”
John sospirò, quindi lo raggiunse, osservando nella stessa direzione dell’Holmes “Non lo so.” ammise in un sussurro “Non era preparato ad una notizia del genere. Francamente pensavo che il capitolo Moriarty e tutto ciò che ne derivava fosse chiuso.”
“I miei uomini hanno provato a seguirlo, ma riusciva sempre a sparire da qualche parte.”
“Un soldato sa nascondersi bene, in caso di necessità.” John schioccò la lingua sul palato, reclinando appena il capo verso la spalla sinistra.
“Sì, lo so, John.” sorrise con malizia Mycroft, che poi si scostò dalla finestra, avviandosi verso l’ingresso del salotto “Dirò ai miei uomini di continuare a tenerlo sott’occhio, in caso rispuntasse fuori. Ormai sono diversi giorni che non si ripresenta all’appartamento. Forse si è accorto di qualcosa e ha evitato di tornarvici.”
John annuì, appoggiato con la spalla destra sul muro affianco alla finestra “Ora che lo so starò più attento.”
“Decida lei se dirlo a Sherlock.” Mycroft sorrise amaramente col volto contratto da quella che John interpretò come genuina preoccupazione “Se avete bisogno di aiuto sapete dove trovarmi.” chinò il capo, in segno di congedo.
“Grazie per l’avvertimento, Mycroft.” fece a sua volta un cenno di saluto, quindi, dopo aver sentito i suoi passi sparire dietro il portone, si riaffacciò dalla finestra, seguendo prima i movimenti dell’Holmes verso la macchina nera che era solito accompagnarlo in giro, per poi rialzare lo sguardo sull’appartamento. Sospirò, quindi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, digitando velocemente un messagio.
-Tutto a posto? Dove sei? JW-

Dopo aver sbattuto il portone di casa dietro di sè, Sherlock imprecò fino a Northumberland Street, passando di fronte ad un pittoresco Angelo che si unì scherzosamente alla sequenza di improperi, colorando l’aria circostante con le note di una canzone d’osteria italiana. Il consulente investigativo passò davanti al vivandiere allacciandosi la camicia viola ancora slacciata, salutando con un borbottio sommesso Angelo, che rispose con un inchino, continuando a cantare la sua curiosa canzone “Osteria numero duuueee! Le mie gambe tra le tueee”
Dopo un lungo e frenetico camminare, Sherlock rilassò finalmente i propri passi e, trovandosi nei pressi di Regent’s Park, decise sorprendentemente di andare a trovare due dei migliori amici di John.
Individuò con facilità il locale che Matt e Zach avevano comprato e che stavano restaurando grazie ad una rapida sbirciata nelle zone di deposito di rifiuti ingombranti, trovando diversi scarti di materiale edilizio ed un vecchissimo lavandino macchiato di ruggine: seguì dunque la scia delle impronte bianche di calcinacci misto a stucco lasciate dai due ragazzi, che lo portò davanti ad una serranda semi abbassata, dentro la quale provenivano una luce fioca e due voci conosciute.
Aspettò qualche minuto di fronte a quella serranda, incerto su come esordire in quell’incontro puramente di piacere in cui andava barcamenandosi: sentiva distintamente le voci di Matt e Zach scherzare tra loro e sorrise spontaneamente, senza quasi accorgersene, e fu quell’allegria che percepì al di là della serranda che lo spinse ad alzare il pugno destro e a bussare due volte. Fece subito un passo indietro, mettendosi le mani in tasca, sentendo poi le voci dei due Mastini interrompersi per la sorpresa e dei passi avvicinarsi.
“Chi é?” domandò Matt, per poi alzare la serranda il tanto che bastava per sbirciare fuori dal locale. Si stupì nel vedere Sherlock, sbattendo quasi contro la serranda nella foga di farglisi incontro “Sherlock?! Vieni, vieni!” lo invitò a chinarsi e ad entrare muovendo la mano verso di sè.
Mentre Zach andava a pulirsi le mani con uno straccio umido, Sherlock fece il suo ingresso nel locale, piegandosi e rialzandosi in tempo per l’assalto di Matt che lo salutò col suo solito entusiasmo, avvolgendolo con le snelle e lunghe braccia in una presa che al Consulente Investigativo sembrava ormai familiare.
“Ciao, Matt.” sospirò Sherlock, fuggendo dalla sua presa non appena l’ebbe ricambiata con due sonore pacche tra le scapole “Zach.” salutò l’altro Mastino con un cenno per poi guardarsi intorno, studiando il locale e a che punto fossero i lavori. Si riscoprì spaesato, domandandosi perchè avesse compiuto un gesto del genere: finora solo con John si era concesso delle situazioni spontanee, degli incontri volontari che non portassero ad un fine, quindi si chiese per qualche istante cosa stesse facendo lì, con due ragazzi le cui vite conosceva solo attraverso qualche racconto di John e tramite le sue stesse intuizioni estemporanee. Poi però vide il collo di Matt illuminato dalle piastrine militari che portava con sè, e sorrise nell’accorgersi che appartenenvano a Zach, così come Zach portava quelle del compagno: grazie a quel particolare, la situazione gli parve leggermente più familiare, e si rilassò almeno in parte.
“Ciao, Sherlock. Come va?” Anche Zach gli si fece incontro, battendogli la mano destra sulla spalla: sembrava stupito di vederlo lì, incredulo ma non contrariato, e si domandò se fosse successo qualcosa di particolare.
Sherlock lesse quei dubbi sul volto del Mastino “Stai tranquillo, John sta bene.” si voltò poi, osservando il soffitto del locale, le diverse pareti, le prese ancora staccate “Vi conviene carteggiare nuovamente quel punto, non l’avete fatto bene. Lì avete lasciato dei chiodi sporgenti. E quei tubi sono terribili, dovete sostituirli o vi riempirete di muffa.” disse tutto d’un fiato.
“Ah! Ma sei fantastico! Aveva ragione John!” Matt esplose d’entusiasmo quindi prese Sherlock per il braccio sinistro, trascinandolo nel punto della stanza dove avevano allestito qualche temporanea seduta “Dai, dai, dai! Fallo con me!”
Sherlock si stupì per la reazione di Matt e non potè fare a meno di ricordare il suo primo viaggio in taxi con John: si fece trascinare dall’impeto del Mastino, quindi, dopo essersi seduto di fronte a lui, alzò lo sguardo su Zach, in un tacito permesso.
“Oh ti prego, fallo! Ci siamo sempre chiesti cosa intendesse John quando parlava delle tue intuizioni geniali.” si avvicinò loro, fermandosi dietro la sedia di Matt sulle spalle del quale posò le proprie mani, stringendo appena.
“Sicuro? Alla maggiorparte della gente dà fastidio quando lo faccio.” poi si corresse “Anzi, John è stato l’unico a sopportarlo.” aggiunse mentalmente che, inoltre, non avrebbe voluto fare un torto agli amici di John, ma si guardò bene dall’aggiungerlo alla propria frase.
“Beh! Io non ho niente da nascondere!” Matt balzò sulla sedia, agitando le lunghe gambe “Certo, capisco che se vai in giro a svelare i segreti della gente, questi si incavolano. Ma non è il mio caso!” fece spallucce, allargando le braccia verso l’esterno, col sorriso perennemente stampato sul viso “Dai!”
Sherlock alternò lo sguardo tra Zach e Matt, quindi si fermò sull’ultimo, piegando di pochi gradi il collo in avanti, l’espressione seria sul viso “Hai tra i 28 e i 30 anni. Da piccolo sei stato un calciatore, viste le tue gambe storte, tipico di chi pratica quello sport. Di recente sei tornato dalla guerra e fin qui nulla di eclatante, ma anche a te, come alla maggiorparte di coloro che rientrano in patria, manca l’azione ed in particolare ti manca sparare: hai rimediato iniziando a tirare con l’arco. Come so che non lo fai da molto tempo? Hai commesso un errore da novellino, ovvero ti sei dimenticato di mettere il para-braccio ed il risultato è quella riga rossa che hai sul braccio sinistro, segno che ti sei ferito con la corda dopo aver scoccato la freccia.” prese una piccolissima pausa, solo per prendere fiato “Hai una scottatura sul palato della bocca a giudicare dal modo in cui te lo tormenti con la lingua. E potrebbe essere stato del caffè: ho visto due contenitori nella spazzatura e a giudicare dal tuo temperamento frenetico non hai avuto la pazienza di aspettare per berlo e ti sei scottato creando una piccola ulcera nel palato. Non hai la patente: l’abbronzatura presente unicamente sul braccio sinistro suggerisce che sia Zach a guidare e tu, dal lato passeggero, tieni fuori dal finestrino solo il braccio sinistro ed ecco che si abbronza. Sì, sono sicuro che tu non abbia la patente, se tu l’avessi avresti anche una macchina viste le possibilità economiche della tua famiglia, ma no, guida Zach, è la macchina di Zach, quindi tu non hai patente.” sarebbe potuto andare avanti per almeno mezzora, ma la voce di Matt lo fermò.
“Ma sei un genio!” Matt spalancò la bocca, entusiasta “Sherlock ma sei un grande! E’ tutto vero!” osservò Zach col volto pieno di stupore prima di tornare sul consulente investigativo “Fantastico!”
Anche Zach si stupì di fronte al fiume di parole di Sherlock, spalancando a sua volta la bocca, ma non riuscì a pronunciare a parole tutta la sua sorpresa. Però si divertì molto ad ascoltare la reazione di Matt, accanto al quale poi si sedette.
Sherlock si bloccò, letteralmente, di fronte alla reazione di Matt ed intimamente si ritrovò a pensare che, in fondo, almeno questi due Mastini non erano poi così male “Era tutto addosso a te, io mi sono limitato ad osservare.”
“Ah sì! Com’è che diceva John, Zach?” rise Matt, che battè due o tre le mani, giocondo “John diceva che dici sempre una frase, guardare, osservare, vedere... com’è che è?”
“Ah, ho capito.” annuì Zach “Era tipo ‘Tu guardi ma non osservi’, giusto?” domandò a Sherlock.
“Sì.” Sherlock congiunse le dita delle due mani, posandole sotto il mento “John vi ha parlato molto di me? Quando eravate in Afghanistan, dico.”
“Ogni giorno.” rispose Matt, mentre si grattava la riga rossa lasciata dalla corda dell’arco “Da quando ha cominciato a farlo, dico.”
“Sì, non l’ha fatto subito.” annuì Zach “Ma dal momento in cui si è confidato, ci ha sempre parlato di te: ha raccontato anneddoti, i tuoi esperimenti più o meno strampalati... ma soprattutto parlava del tuo carattere e del fatto che gli faceva piacere che con lui eri diverso. L’ha sempre detto con una punta di orgoglio e di inevitabile tristezza, ma era normale.”
“Eh sì, pensava che tu fossi morto.” fece spallucce Matt, parlandone con tranquillità solo perchè sapeva di averlo davanti, vivo e vegeto “Meno male che non era vero!”
“Già.” annuì Sherlock, ritrovandosi a sospirare al pensiero di John: ricordò le ultime ore con lui e venne investito da una serie di sentimenti contrastanti a cui via via cercava di abituarsi. Passò il pollice sulle proprie labbra, poi, ricordando il suo sapore, la consistenza della sua lingua, la sofficità della sua pelle e si ritrovò a nascondere un po’ di rossore dietro alle proprie mani.
“A proposito, lui come sta?” chiese Zach, mentre scontrava il proprio ginocchio sinistro con il destro di Matt.
“Sì, davvero, perchè non siete mai insieme quando ci vediamo?” sbuffò Matt, intrecciando infantilmente le braccia al petto.
“Oh. Sta bene. E’ solo che è arrivato mio fratello a casa nostra e io me ne sono andato. Lui invece è più paziente ed è rimasto ad ascoltarlo.” sentì suonare il cellulare, quindi lo estrasse dalla tasca, leggendolo con un sorriso “E’ John.” digitò in fretta la risposta.
-Tutto a posto. Se n’è andato da casa nostra? SH-
“Digli di raggiungerci!” lo esortò Matt “Digli che mi sono allenato con le freccette e voglio la rivincita!” alzò il braccio destro verso una delle parete su cui era momentaneamente appeso un tabellone che richiamava il gioco appena citato.
“No.” Sherlock scosse il capo, scatenando il disappunto di Matt e Zach, sui quali alternò lo sguardo. Dopo aver indugiato per almeno un minuto, spostò lo sguardo altrove, riprendendo a parlare “Devo chiedervi delle cose.”
“Ohhh!” si emozionò Matt, portando entrambe le mani sopra le guance accaldate “Riguardano il sesso?”
“Matt!” sbottò Zach, scuotendo vigorosamente il capo, esibendosi in occhiatacce di rimprovero, cercando poi le parole giuste per giustificare quella ramanzina senza infrangere la promessa fatta a John di non svelare nulla sull’inesperienza di Sherlock “Non pensi mai che con queste tue uscite potresti mettere in imbarazzo la gente?”
“Ma Zach!” piagnucolò Matt, imbronciatosi dopo il rimprovero “Siamo tra amici!”
“Matt.” Sherlock richiamò a sè l’attenzione del giovane cecchino “La verità è che Zach vorrebbe consigliarti di avere un po’ più di riguardo nei miei confronti vista la mia scarsa se non del tutto manchevole attitudine verso i rapporti intimi. E pensa che chiedendomelo così apertamente potresti imbarazzarmi. Inoltre John potrebbe avervi già parlato di questo problema, anzi l'ha fatto sicuramente quando siete venuti a trovarci a Baker Street, e teme che io possa prendermela per questo motivo.” riassunse il pensiero implicito di Zach, che non potè fare altro che arrossire, celandosi dietro un sorriso imbarazzato.
Matt invece, dopo aver spalancato la bocca in una genuina sorpresa, annuì energicamente, intrecciando le braccia al petto “Oh. Scusa se ti ho imbarazzato, allora.”
“Non mi hai imbarazzato, in fondo è la verità.” Sherlock alternò lo sguardo tra i due cecchini, per poi fermarsi su Matt “Allora?”
“Allora cosa?” Matt si sporse in avanti, imitando la postura di Sherlock, comprese le mani congiunte sotto il mento: non voleva essere una presa in giro, bensì una curiosa imitazione.
“Consigli?” confermò Sherlock.
“Oh! Vuoi mica parlarne con Zach?” propose Matt, alzando la gamba destra per poi posarla sulle ginocchia del proprio compagno, spaparanzandosi al meglio sulla propria sedia “Lui è più bravo con le parole.”
Zach sorrise a Matt posandogli le mani sulla gamba che massaggiò distrattamente “Sei bravo anche tu, Matt. Hai solo un linguaggio diverso dal mio.” incollò gli occhi a quelli del compagno, regalandogli un dolcissimo sguardo che aggiunse un sottotesto alle parole appena pronunciate, una silenziosa ed implicita dichiarazione d’amore e di complicità.
“No, voglio sentire cosa hai da dire tu.” Sherlock sorrise all’indirizzo di Matt, lanciando un’occhiata in tralice anche a Zach “Il tuo modo di dire le cose è molto utile, per quanto riguarda sentimenti e cose simili.”
“Che figata, è come se mi avessi fatto un complimento!” Matt si girò verso Zach, muovendo la gambe sotto le sue carezze “Sentito Zach?” tornò gongolante ad osservare Sherlock, verso il quale gesticolò “Dunque, però... nel senso... cos’è che vorresti sapere?”
“Sono cose che solitamente vengono spontanee.” si intromise Zach “Come fa a non venirti spontaneo saltare addosso a John? Ha queste spalle solide, il torace ben strutturato... muscoloso ma non troppo... Ha anche un bel sedere, direi...” si fermò, poichè si sentì due paia d’occhi addosso: uno divertito di Matt ed uno decisamente più accigliato di Sherlock.
“Amore. Noto che l’hai guardato bene John, eh?” ridacchiò Matt “Com’è che era la frase di prima? Ah sì, si può dire che oltre ad averlo guardato l’hai anche osservato!”
“Zach. Non mettermi nella condizione di doverti odiare, perchè John ne soffirebbe.” precisò Sherlock con tono rigido e severo “John è mio. E sono molto, molto geloso.”
Zach tossicchiò “Era per dire che, insomma, l’attrazione dovrebbe esserci, no?” si sporse verso Matt, nel cui incavo tra spalla e collo infilò il viso, rosso per l’imbarazzo “Non volevo dire nulla di equivoco, scusatemi.” poi sorrise sul collo del proprio compagno nel sentirsi accarezzare la nuca.
“Dicevamo? Ah sì.” Matt lasciò la mano sopra il capo di Zach coccolandolo delicatamente, quindi riportò l’attenzione su Sherlock “Ecco, a quanto ho capito tu hai tipo... un blocco no? Non ti piace farti toccare o cose del genere.”
“Da John sì.” ammise Sherlock in un sussurro “John mi può toccare, eccome.”
“Eh, lo immaginavo!” ridacchiò Matt, indicando il collo di Sherlock “Dal bordo della camicia spunta un piccolo succhiotto! Non sei l’unico ad osservare! E poi con la pelle chiara che ti ritrovi queste cose si notano subito.”
Sherlock tossicchiò, alzando il colletto della camicia come farebbe col cappotto invernale “Matt. Consigli. Pratici.” sillabò quelle parole, in evidente imbarazzo, domandandosi perchè, mentre con altre persone si sarebbe alzato per andarsene spazientito, con quei due ragazzi riusciva a mantenere una parvenza di normalità. Soprattutto per Matt provava un sentimento che andava ben oltre la sopportazione: si convinse poi, ad accettare l’idea di poter considerare quei due Mastini come degli amici. O quanto meno individuò un’inizio, un accenno, un preludio di quella che poteva essere considerata un’amicizia. Probabilmente in entrambi vedeva parte di sè e parte di John, e nei loro gesti era palese la complicità che li univa: la loro fisicità nel dimostrarlo, infatti, era molto più esplicita di quella che sussisteva tra lui e John, il cui rapporto, vissuto per la maggiorparte del tempo con sguardi ambigui e parole non dette, stava lentamente sfociando in un contatto più ricercato. Ed era stata proprio l’esigenza di avere un contatto più costante con John che l’aveva portato a presentarsi a Matt e Zach, chiedendo loro qualche consiglio.
“Dunque! Tu sei intelligentissimo, vero, ma... sai come funziona un accoppiamento?” domandò Matt, come se stesse parlando ad un bambino: Zach rise leggermente, staccandosi un poco da lui, tornando dritto sulla sedia.
“Sì Matt, lo so.” sbuffò Sherlock che venne irrimediabilmente colto dal dubbio di essersi rivolto alla persona sbagliata.
“Eh, non si sa mai! Io finchè non l’ho fatto non lo sapevo mica!”
“Davvero?” domandarono Sherlock e Zach all’unisono.
“Sì! Ho perso la verginità con una mia cugina di secondo grado! A tredici anni!” urlò Matt tra una risata e l’altra “Volevo farlo, ma la verità è che neanche sapevo cosa volesse dire.” fece spallucce, per poi aggiungere “Me l’ha insegnato lei.”
“Matt, ma che schifo! Con tua cugina!” Zach rise talmente forte che la pancia gli ballava a ritmo col singhiozzo portato dalle risate “Ora che lo so ti prenderò in giro a vita!”
“In realtà l’incesto è molto gettonato tra le famiglie ricche. Per preservare il sangue. Stupida convenzione.” commentò Sherlock, in tralice, contagiato almeno in parte dalle risate dei due.
“Ma no! Lì non è stato fatto apposta!” spiegò Matt, gesticolando con le lunghe braccia “E’ stata lei a saltarmi addosso! Mi guarda ancora con strani occhi famelici quando la incontro!”
“Sarà per quello che ora ti piacciono gli uomini, sei stato traumatizzato!” Zach non riusciva a smettere di ridere, tanto che dovette alzarsi e recuperare qualcosa da bere per far cessare il singhiozzo: dopo sette sorsi ingeriti senza respirare si salvò da quella piccola tortura.
Persino Sherlock rise, divertito dal racconto, dalla situazione e dalle facce buffe di Matt, che continuava a raccontare dettagli tragicomici sulla sua prima volta, e si sentì incredibilmente libero: dopo anni e anni di emozioni represse, incatenato ai quattro angoli del suo cervello, poteva finalmente scatenare, almeno in piccola parte, una modesta dose di endorfine liberate grazie alla risata sincera che gli uscì dalle labbra. Si sentì così bene dopo quella risata che pensò di annotarsi mentalmente il racconto e di riproporlo a John, una volta arrivato a casa.
Le risate di tutti e tre furono interrotte dal cellulare di Sherlock che iniziò a squillare insistentemente: il consulente investigativo lesse sul display il nome di John e sorrise. Quindi rispose con un sorriso “John? Ti stai perdendo una scena davvero divertente.” Sherlock però, impallidì subito dopo, perchè la voce dall’altro capo del telefono non apparteneva a John.

John sorrise leggermente quando lesse la risposta di Sherlock al proprio messaggio. Sorrise perchè era un messaggio da Sherlock, un altro piccolo scambio di parole in quella loro vita che poteva cadere nell’oblio da un momento all’altro, quindi apprezzò quell’attimo fino in fondo.
Quando stava per rispondergli però, venne assalito dalla paura e dal dubbio: l’aveva visto finalmente felice e consapevole di sè, quindi l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento sarebbe stato gettarlo nuovamente nel pericolo e nella circostanza di dover scegliere tra il suo cuore e il suo cervello. Sapeva che era cambiato, l’aveva visto, ma non sapeva ancora se i suoi due organi vitali erano ancora separati o uniti in un’unica macchina più potente, capace di contrastare tutto e tutti.
Mentre s’arrovellava tra quegli enormi dubbi, notò un uomo entrare nel palazzo di fronte al proprio: studiò la sua mimica, rapida e fin troppo cauta, ed il suo vestiario, scuro ed esageratamente anonimo, ed un’ossessione gli balenò nella mente.
Corse al piano di sopra, cercando in fretta la propria pistola in uno dei cassetti del comodino e, dopo essersela infilata tra la stoffa dei pantaloni e il fondo della schiena, si precipitò dal portone: inspirò a lungo prima di aprirlo, cercando la calma e la tempra necessari per affrontare la situazione, quindi uscì, attraversando la strada a passo svelto.
Dopo essersi fatto aprire il portone con la scusa della consegna di un pacco, salì le scale fino ad arrivare al pianerottolo corrispondente a quello del proprio appartamento: prese in mano la pistola, avanzando silenziosamente, con la schiena poggiata al muro del corridoio, strisciandovi sopra senza fare alcun rumore. Una volta che fu arrivato davanti alla porta dell’appartamento vuoto, non si stupì nel trovarla socchiusa: fu facile pensare che Moran lo stesse aspettando per confrontarsi con lui.
Quando John entrò nell’appartamento vuoto, richiuse silenziosamente la porta dietro di sè, per poi alzare il braccio armato ad altezza uomo, pronto a sparare: sentì una risata folle provenire da una delle stanze ristrutturate e seguì quella scia rumorosa finchè non si trovò di fronte ad un uomo vestito di nero, cappellino ed occhiali a nascondergli le generalità ed una pistola con silenziatore nella mano destra, abbandonata lungo un fianco.
“John. Sei arrivato finalmente.” pronunciò una voce che al dottore parve subito, stranamente, familiare.
“Ti tengo sotto tiro. Getta la pistola.” intimò John che, nonostante la sorpresa derivata dalla familiarità di quel tono di voce, mantenne il sangue freddo prendendo la mira verso gli organi vitali della persona che aveva di fronte.
L’altro rise sguaiatamente, quindi alzò la mano sinistra sul proprio volto liberandolo dal cappello e dagli occhiali: si tolse inoltre una finta barba e dei baffi posticci, segno che la persona che John aveva di fronte sapeva mascherare al meglio la propria fisionomia. Quindi alzò lo sguardo sul dottore, mostrando il proprio volto stravolto da un sorriso disumano, contratto da pazzia e malvagità.
John indietreggiò d’un passo, percorso da un brivido lungo la schiena causato dalla risata demoniaca di chi aveva di fronte e dall’identità che riconobbe in lui “Agente Stone?”
La risata dell’altro si interruppe seccamente, in un attimo “Non esiste nessun Agente Stone.” alzò rapidamente il braccio destro e, senza quasi prendere la mira, sparò.

“John? Ti stai perdendo una scena davvero divertente.”
“Curioso. Anche tu ti stai perdendo una scena davvero divertente.”
rispose Sebastian Moran con in mano il cellulare di John sporco del suo stesso sangue.

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Capitolo 7
*** The Promise ***


***Ciao ragazze!!! Mi sono affrettata a pubblicare il 7 così non mi odierete troppo per come ho fatto finire il 6 >__> Allora in questo capitolo abbiamo la presentazione di come mi immagino sia Sebastian Moran dopo la morte di Jim Moriarty, ovvero un pazzo furioso, lunatico, nevrotico e chi più ne ha più ne metta, quindi sarà OOC rispetto al Moran del canone, ve lo dico già *_* E bonci, non vi anticipo altro °_° Baci bacilli e grazie a chi continua a seguirmi e commentarmi <3 <3 <3 BACIO! Ps: nella prima scena i dialoghi sono tutti in corsivo perchè sono al telefono °_° ecco °_° bacio!***

The promise

“John? Ti stai perdendo una scena davvero divertente.” Sherlock però, impallidì subito dopo, perchè la voce dall’altro capo del telefono non apparteneva a John.
“Curioso. Anche tu ti stai perdendo una scena davvero divertente.” rispose Sebastian Moran con in mano il cellulare di John sporco del suo stesso sangue.
“Sei quell’odioso Yarder? Cosa ci fai col telefono di John?” ringhiò Sherlock, riconoscendo la voce dell’uomo.
“Oh, c’è cascato anche John, sai?” ridacchiò Moran, con la voce agitata dall’eccitazione del momento “Diciamo che sì, sono Tom Stone, ma allo stesso tempo non lo sono.”
“Un travestimento.” intuì Sherlock mentre con un scatto si alzava in piedi, allontanandosi da Matt e Zach di qualche passo “Chi diavolo sei?”
“Sebastian Moran, piacere.” spostò il telefono sulla mano sinistra, portando poi la destra vicino al volto, leccando famelicamente il sangue di John dalle proprie dita.
“Questo nome dovrebbe dirmi qualcosa, Sebastian Moran?” si passò la mano sinistra sulla fronte, sfregandola in un gesto nervoso: con la coda dell’occhio vide Matt e Zach reagire a quel nome, ma fece loro cenno di stare in silenzio.
“Sono il braccio destro di Jim. O forse è meglio dire ‘ero’? Ma io sono vivo, io sono ancora... è lui che non c’è più!” urlò le ultime parole, sfogando la rabbia con una risata nervosa che trasudava malvagità, fastidiosissima da ascoltare “Braccio destro, amico, amante. Ero il suo John Watson, non trovi?”
Sherlock si impegnò per tenere a freno la preoccupazione, impegnando il proprio cervello in una memorizzazione eidetica di tutte le parole pronunciate da Moran, provando a cogliere i rumori di sottofondo e tutti i particolari che sarebbero potuti tornare utili in quell’occasione “Dov’è John?”
“Qui.” rispose semplicemente “Aspetta, te lo faccio sentire.” disse con tono fintamente premuroso: continuando a tenere il telefono nella mano sinistra, abbassò l’indice della mano destra verso John, affondandolo nella ferita precedentemente procuratagli con lo sparo, rigirandoglielo nella carne della spalla destra finchè John, per quanto stoico fosse, non urlò di dolore “Uh, quante storie per un buco nella spalla.” si poteva sentire Moran ghignare come sottofondo a quei lamenti.
Sherlock chiuse gli occhi, appoggiandosi al muro con la fronte, battendo il pugno sinistro sulla parete polverosa del locale: ogni urlo tirato da John era una pugnalata, ogni secondo lontano da lui, sapendolo in pericolo, equivaleva ad un anno di torture.
“Cosa vuoi?” il tono di Sherlock continuava a rimanere impassibile, seccato nel timbro, basso nel volume.
“Non ci arrivi? Jim diceva che eri intelligente. Si vede che a forza di giocare agli innamorati col tuo Dottore ti sei rammollito.” Moran abbassò lo sguardo su John: era legato e la ferita alla spalla destra non perdeva troppo sangue, tranne quando si divertiva ad affondarvi dentro il dito per causargli maggiore sofferenza “Voglio distruggerti. Voglio farti assistere alla morte del tuo adorato John Watson, così come io ho assistito alla morte di Jim. Poi ci penserai da solo ad ammazzarti.” rise sadicamente, giocherellando con la ferita del suo prigioniero.
Più John cercava di trattenere qualsiasi manifestazione del dolore che stava provando e più Moran infieriva: poteva percepire chiaramente il dito che scavava nella sua spalla, liberandosi in qualche piccolo grido quando con l’unghia andava a grattargli l’osso. Si arrese: avrebbe gridato, ma mai e poi mai avrebbe implorato pietà.
“Cosa...” Sherlock si interruppe all’urlo di John, battendo un altro pugno sul muro “Cosa ti fa credere che andrà tutto secondo i tuoi piani?” sentì dei passi avvicinarsi e si voltò verso Matt e Zach, facendo loro l’ennesimo cenno, implorandoli tacitamente d’aspettare.
“Sono ancora in possesso dei codici di Jim.” Moran cominciò a spiegare parte del suo piano, smettendo di tormentare John almeno per qualche istante “Grazie a questi codici potrò controllare le tue telefonate, quindi se vedrò che chiamerai quegli stupidi Yarder o tuo fratello e i suoi uomini, io ucciderò John Watson e tu non vedrai mai più neanche il suo cadavere, o meglio, quel che ne resterà.” fece una pausa, durante la quale prese la propria pistola nella mano destra “Se invece farai come ti dico, ti invierò l’indirizzo del posto in cui porteremo il tuo caro Dottore, così tu potrai venire e dirgli addio. Visto come sono gentile? Te lo faccio vedere un’ultima volta. Ah, eh sì, ho detto ‘porteremo’. Non sono solo, ovviamente.”
“Sherlock.” lo chiamò John, fermandosi solo quando vide la canna della pistola di Moran sfiorare il proprio corpo.
Sherlock ignorò a malincuore la voce di John, ricordandosi tristemente quanto amasse sentire pronunciare il suo nome proprio da lui “Va bene, Moran. Farò come dici tu.”
“Ci sentiamo presto allora.” Moran si divertiva a far viaggiare la pistola sopra il corpo di John, fermandosi via via sopra i suoi punti vitali, in una perversa roulette russa “Guarda, sono proprio magnanimo. Ti concedo un minuto col tuo Dottore.” sfiorò lo schermo del cellulare, attivando l’opzione del vivavoce, quindi appoggiò l’apparecchio sulle gambe del proprio prigioniero.
“John?” s’affrettò a chiamarlo Sherlock, sciogliendo la durezza del tono di voce sostenuta fino in quel momento “Sei ferito gravemente? Ce la fai a resistere? Puoi farlo per me?”
“Sherlock...” John non si ricordò di aver mai usato in vita sua un tono di voce così mortificato: avrebbe voluto scusarsi per quell’azzardo che l’aveva messo nei guai, per essere l’arma prescelta da Moran per compiere la sua vendetta, ma soprattutto per averlo reso vulnerabile.
“John, non preoccuparti.” Sherlock si accovacciò, come se, facendosi più piccolo, avesse potuto diminuire anche la dimensione del problema.
“Scusami.” bisbigliò John, esalando un enorme sospiro ricco di tristezza “Io ho sbagliato, tu non...”
“Non dirmi che stai per chiedermi di non provare a salvarti.” lo anticipò Sherlock, sorridendo leggermente, chiudendo gli occhi per cercare di vedere il volto di John nella propria mente: non fu un’operazione impegnativa, poichè non appena le palpebre si toccarono tra loro lo vide, come se il viso del dottore fosse tatuato indelebilmente al di là dei propri occhi.
“Sherlock.” sorrise John, nonostante il dolore alla spalla, nonostante il volto di Moran disgustosamente vicino al proprio, nonostante le terribile situazione in cui s’era cacciato. Chiuse a sua volta gli occhi, combattuto tra le diverse sfaccettature della sua volontà: da un lato avrebbe voluto che Sherlock non provasse neanche a salvarlo, preferendo saperlo al sicuro, rassegnandosi alla propria morte; d’altra parte avrebbe voluto che Sherlock ci provasse se ci fosse stata anche una sola speranza di salvezza, perchè voleva vivere con lui altri giorni, mesi, anni, decenni. Ancora e ancora, sempre al suo fianco.
“John.” lo chiamò ancora, a bassa voce: la sfumatura dolce del tono di voce tradiva la sua enorme apprensione “Ti fidi di me?”
“Sì.” ammise sinceramente, alzando lo sguardo su Moran che, nel frattempo, aveva preso in mano il telefono, segno che la telefonata non sarebbe durata ancora molto “Mi fido di te, Sherlock.”
“Allora aspettami.” la voce di Sherlock tremò un poco “Ricordi? Me l’hai promesso. Niente e nessuno potrà più dividerci.”
Quando Moran vide che John stava per rispondere alle parole di Sherlock, premette il pulsante rosso del telefonino, ponendo fine a quella chiamata.

“Basta così, avete fatto i piccioncini anche per troppo.” Moran si infilò il cellulare di John nella tasca della giacca “Il suo tono di voce sembrava tranquillo, ma lo so che era preoccupato. Non è vero John?”
“Ti batterà.” rispose John, puntandogli addosso lo sguardo “Tu non sei intelligente come Moriarty. E Sherlock è anche più intelligente di quanto non fosse lui e l’ha battuto. Quindi, secondo una basilare inferenza logica, lui batterà anche te. E lo farà con estrema facilità. Ci arrivi o vuoi un disegnino?”
Moran colpì il volto di John col calcio della pistola “Smettila! Vuoi arrivarci intero al tuo incontro con Sherlock Holmes o tutto bucherellato?!”
John sputò un sorso di sangue misto a saliva vicino ai piedi di Moran “Se tu mi riempi di buchi, tutto il tuo piano andrà in fumo.”
“Hai ragione, ma posso farti soffrire lo stesso, anche tenendoti in vita.”alzò il piede sinistro fino a poggiarlo sulla spalla ferito di John, iniziando a premere con un po’ forza “Ci siamo capiti?”
Il volto di John si contrasse in una smorfia, ma decise di resistere: era convinto del fatto che più Moran si fosse innervosito, e più sarebbero aumentate le probabilità che commettesse qualche errore “Sherlock ti batterà.”
Moran imprimette un maggiore peso alla spinta sulla spalla di John “Vedremo.” estrasse il proprio cellulare, digitando un rapido messaggio “Per ora pensa a sentirti in colpa per aver messo nei guai l’uomo che ami. Di nuovo.” marcò con asprezza le ultime due parole “Sai, io so come ci si sente ad essere te.”
“No, tu non lo sai.” allungò l’ultima vocale, imprecando per il dolore “Perchè io e te non siamo uguali.”
“Il rapporto che c’era tra me e Jim era lo stesso del vostro.” Moran abbassò il piede, pulendo la suola sporca di sangue sul pavimento.
“No.” confermò John “Non esiste al mondo che fosse uguale.” si tirò sù con la schiena, aggiustando quanto meno la postura scomoda.
“E perchè no?” si accovacciò di fronte a John, alzando la mano libera verso il suo viso, pulendo col pollice il rivoletto di sangue che gli usciva dalla bocca “Io avrei fatto tutto per lui, e se fossi arrivato in tempo avrei impedito che si uccidesse anche a costo di sacrificare la mia stessa vita. Ero l’unico a comprendere fino in fondo la sua vera, bizzarra, natura e ad accettarlo per come era fatto. Lo amavo.” Moran poggiò il ginocchio destro a terra e si sporse in avanti, verso il viso di John, arrivando a sfiorargli l’orecchio con il proprio respiro in un leggerissimo sussurro “Cosa c’è di diverso tra me e te?”
John si scostò un poco, rifiutando quella morbosa vicinanza che Moran andava cercando: aveva ascoltato attentamente le sue parole e non potè negare che da un certo punto di vista si somigliassero “Noi non siamo come eravate voi.”
Moran seguiva i movimenti di John, continuando a cercare le pieghe del suo collo in un imbarazzante feticismo “Perchè no? Le persone malvagie non possono provare amore?”
“Amore e malvagità non possono stare nella stessa frase, così come non possono coesistere nella stessa persona.” John digrignò i denti, provando ad colpire il volto di Moran con la fronte “Smettila!”
Moran lasciò cadere la pistola a terra per poi prendere il volto di John tra le mani, tenendolo così fermo, sotto le proprie cure “Io e lui ci amavamo, ma sei libero di non crederci.” sorrise sulla carotide di John sfiorandola con le labbra “Quanto darebbe fastidio a Sherlock, se ci vedesse.” salì fin sull’orecchio dell’altro, mordendogli il lobo fino a lasciargli il segno “Mi sono divertito molto a provarci con te davanti a lui. Vederlo rosicare senza che potesse fare niente per impedirlo. E tu che lo sgridavi.” rise sfacciatamente, divertendosi davanti all’evidente impossibilità di John di ribaltare quella situazione.
John ringhiò, muovendosi quanto poteva per divincolarsi da quella presa “Te la faremo pagare per tutto.”
Moran si staccò da John con la stessa rapidità con cui raccolse la pistola da terra, lunatico nel cambiare umore più che repentinamente “No. Non ce la farete.”
In quel momento entrarono nell’appartamento due uomini che trascinavano un grosso baule su un carrellino provvisto di ruote: salutarono Moran con un cenno silenzioso, quindi si avvicinarono a John. Lo tirarono sù di peso e lo buttarono nel baule con ben poca delicatezza, causandogli un dolore alla spalla che gli fece digrignare i denti.
“Piano, piano.” esortò Moran, che poi s’avvicinò al baule con un fazzoletto di stoffa in mano “Forza, John. Lo sai che meno opponi resistenza e meno ti farò del male.” avvicinò il tessuto alla bocca del suo prigioniero, imbavagliandolo affinchè non urlasse durante lo spostamento verso la loro base segreta “Lo sai che voglio che Sherlock ti veda tutto intero prima del grande spettacolo.” pronunciò quelle parole fintamente premurose con la voce che tremava dall’impazienza e dall’eccitazione per la vendetta che avrebbe consumato.
John, non potendo fare altro, si fece imbavagliare e si sistemò al meglio dentro al baule che, fortunatamente, era abbastanza grande da contenerlo senza doversi esibire in contorsioni troppo estreme: quando finì di piegarsi e quindi di muoversi, Moran chiuse la cassapanca, assicurandola all’esterno con un lucchetto. Quando si fece tutto buio, John chiuse a sua volta gli occhi, inspirando l’odore della propria colpa, gustando l’amarezza della situazione dalle proprie labbra sporche di sangue, sudore e polvere. Per un attimo, un solo attimo, la sua mente volò nostalgicamente fino in Afghanistan.

Quando Sherlock riconobbe il tipico suono metallico che segnala il termine della telefonata, lasciò cadere il cellulare per terra, nascondendo il volto in un intreccio di braccia e mani: nelle orecchie poteva sentire il fastidiosissimo sibilo che ti assilla dopo l’esposizione ad un rumore troppo forte, e la bocca era più impastata di spugna usata fino allo sfinimento.
Il fischio nelle orecchie era così forte che non riuscì a sentire le prime parole che Matt e Zach gli rivolsero: rimase lì, accucciato, fermo, sacrificando la propria mobilità fisica per alimentare il cervello più che poteva, già in cerca di una possibile soluzione al problema.
“Zach, cosa facciamo? Non ci sente.” si allarmò Matt che, dopo essersi accucciato, non sapeva se fosse il caso toccare Sherlock per risvegliarlo da quello stato di inerzia.
“E’ sotto shock, Matt. Vado a prendere qualcosa da bere. Vado al distributore qua fuori.” Zach si allontanò, uscendo di corsa dal locale, raggiungendo la via più vicina.
“Sherlock?” provò a richiamarlo Matt “Sherlock, ti prego, cos’è successo a John?” alzò il braccio sinistro verso le spalle del Consulente Investigativo, stringendogliele appena.
Sherlock reagì più al nome che udì che al contatto approcciato da Matt: raccolse il telefono e si alzò, girovagando per la stanza, fermandosi solo quando vide rientrare Zach da sotto la serranda semi aperta “Voi due.” li indicò separatamente “Avete reagito quando ho pronunciato il nome ‘Sebastian Moran’. Io non lo conosco, voi invece sì, ditemi perchè.”
Matt sembrò ignorare la domanda di Sherlock, verso il quale si incamminò a grandi passi “Sherlock, cosa è successo a John?” la pacifica e mite espressione del giovane venne rimpiazzata da una più energica e febbrile.
Zach si avvicinò, frapponendo una delle due braccia tra i due, mentre l’altra si posava sulla schiena di Matt, come un balsamo calmante: infine si rivolse a Sherlock “Non sei l’unico a tenere a John. Spiegaci cos’è successo.”
Sherlock fu spiazzato dalla reazione e dallo sguardo determinato di Matt, riconoscendosi ancora una volta in lui: quando qualcosa o qualcuno a cui teneva era in pericolo, non controllava più le emozioni. L’aveva visto in Afghanistan e lo confermò a Londra: quella sua reazione, paradossalmente, servì a calmarlo un poco “John è stato rapito da questo Sebastian Moran. Incolpa me per la morte di Moriarty e vuole usare John per vendicarsi.” riassunse in quattro e quattr’otto, alternando lo sguardo tra i due cecchini “Ora mi dite chi diavolo è Sebastian Moran?”
Matt si allontanò scuotendo il capo, raggiungendo una sedia sulla quale crollò in una seduta scomoda e scomposta “Dannazione!” esplose poi, urlando verso l’alto, verso nessun particolare interlocutore “Me ne sono andato dall’Afghanistan per non vedere più queste cose! Per non rischiare di perdere i miei amici!”
Zach, dopo aver indicato una delle sedie a Sherlock, si avvicinò a Matt: lo conosceva più di ogni altro e sapeva che uno sfogo così sentito era tanto raro, per lui, quanto fortemente travolgente “Matt, dai calmati.” gli scompigliò i capelli, sussurrandogli leggermente “Sherlock è ancora più coinvolto di te.”
Sherlock serrò la mascella, avvicinandosi alle sedie con un lungo sospiro: fu tentato di andarsene in un primo momento, ma aveva bisogno di quelle informazioni “Per favore. Ditemi chi è questo Moran.”
“Il miglior cecchino che l’Esercito Britannico abbia mai avuto.” cominciò Matt che, dopo essersi calmato, iniziò a raccontare a Sherlock la storia del Colonnello Sebastian Moran.

Dopo un racconto piuttosto dettagliato da parte di Matt e Zach, Sherlock ricambiò quelle informazioni spiegando i dettagli della telefonata e le sue prime deduzioni su quella particolare circostanza.
“Che bastardo!” esplose nuovamente Matt, stritolando la lattina che aveva in mano “Praticamente ti tiene per le palle.” concluse, riacquistando il proprio tono colorito.
“Non sai di quanti uomini dispone?” domandò Zach, strofinandosi la fronte col polso destro, trasudante di preoccupazione.
“No.” sospirò Sherlock “Non dovrebbero essere molti, i Servizi Segreti di mio fratello pensavano di averli catturati tutti, quindi avrà assoldato qualcuno ultimamente. Non possono essere in tanti, non per una causa così personale.”
Sherlock si chiuse nel silenzio, con le mani congiunte posate sotto il mento: sospirò, pensando a centinaia di piani diversi, tutti con esito negativo. Era solo contro un cecchino di fama nazionale che puntava una pistola contro di lui e, peggio ancora, una contro John che, oltre ad essere sotto tiro era anche ferito. Inoltre c’erano degli altri uomini, almeno sette: un guidatore addetto ad una fuga improvvisa, almeno due per sollevare e tenere fermo un uomo combattivo come John durante gli spostamenti, uno a far da guardia all’ingresso principale, uno per l’ingresso secondario, due a darsi il cambio per fare da guardia al prigioniero.
Scrollò il capo, giungendo alla conclusione più ovvia: non ce l’avrebbe fatta da solo. Non si sarebbe comunque rivolto a Scotland Yard per una missione del genere: figurarsi, non avevano neanche controllato il passato del finto agente Stone prima di assumerlo, quindi non avrebbe affidato nelle loro mani nè la propria vita, nè tantomeno quella di John. Non poteva chiamare Mycroft che, una volta tanto, sarebbe stato utile con gli uomini dei suoi Servisi Segreti.
Doveva salvare John, e giurò a se stesso che sarebbe sceso a compromessi col proprio orgoglio pur di salvarlo, sarebbe arrivato persino a chiedere aiuto se solo avesse potuto, ma le chiamate verso qualsiasi forza dell’ordine erano controllate.
Il tintinnio delle piastrine militari di Matt lo riportò alla realtà. Sbarrò gli occhi verso Zach ed il compagno, e fece quello che il vecchio, orgoglioso e testardo Sherlock Holmes non avrebbe mai fatto: chiese aiuto.
“Ragazzi.” sciolse l’intreccio delle proprie mani, poggiandole sulle proprie ginocchia “Ho bisogno di tutti i Mastini.”
Matt e Zach alternarono tra loro lo sguardo, quindi sorrisero “Certo che per essere un Genio, ce ne hai messo di tempo per arrivarci.” lo schernì Zach, scherzosamente.
“Secondo te ti lasciavamo andare da solo? Furbo che sei.” lo rimbeccò anche Matt, alzandosi dalla sedia “Zach tu vai a casa a prendere i fucili, io chiamo gli altri.”
Sherlock abbassò il capo in segno di ringraziamento, alternando lo sguardo tra i due “Dì agli altri di fare un tam-tam telefonico, non fare partire tutte le chiamate da qui, non si sa mai.” suggerì a Matt, per poi spostare l’attenzione su Zach “Grazie.”
Zach gli sorrise ed uscì frettolosamente dal locale mentre Matt recuperava il cellulare in mano, effettuando la chiamata al primo Mastino.
“David? Ciao. Un accalappiacani bastardo ha preso un Mastino.” usò un linguaggio in codice tutto suo, che però fu intuito in fretta dall’hacker “Il papà.” annuì ad una domanda posta dall’altro capo del telefono “Sì, è grave.” un’ennesima pausa “Ci vediamo qui al locale.”
Sherlock ascoltò con un mezzo sorriso la telefonata di Matt e, nonostante riponesse un’inconscia fiducia verso i Mastini e la loro compattezza, si rabbuiò nel ricordare le urla di dolore che aveva sentito gridare da John, durante la telefonata con Moran.
Matt, che riconobbe in Sherlock la stessa apprensione che lui stesso provò per Zach durante le ultime missioni in Afghanistan, fece la cosa che gli riuscì più spontanea e che, chiunque lo conoscesse poteva affermare, gli riusciva meglio: gli si avvicinò e, in barba a qualsiasi protesta avesse potuto lanciare l’altro, lo abbracciò.
“Non ti preoccupare. Lo riportiamo a casa sano e salvo.” Matt strinse Sherlock ancor più forte quando sentì le sue spalle tremare sotto il suo tocco “Noi Mastini siamo forti, capito?”
Sherlock si rilassò un poco sotto il forte abbraccio di quel ragazzo che seppur così giovane, sembrava essere così tanto in gamba sotto diversi punti di vista: appoggiò la fronte nell’incavo tra spalla e collo, sentendosi quasi al sicuro in quel piccolo pezzo di pelle e stoffa “Ho messo John in pericolo. Di nuovo.”
“Non è colpa tua.” lo rassicurò Matt, sinceramente convinto di quanto appena affermato.
“E invece sì. E’ il prezzo dapagare per stare con me.” più Sherlock rispondeva a Matt e più si chiedeva perchè lo stesse facendo, perchè era così naturale parlare con quel ragazzo. Poi Sherlock lo capì: non solo vedeva parte di sè in Matt, ma anche parte dello stesso John. In lui c’erano la sua bontà, la sua schiettezza, la sua dolcezza: si domandò come fosse possibile che nel giro di così poco tempo e in uno spazio così ristretto di vie e quartieri esistessero due persone così speciali, quando in più di trent’anni di vita, girando tutta Londra, non avesse trovato nessuno disposto anche solo a provare a capirlo. Era la conferma di quanto John gli disse poco tempo addietro: poteva fidarsi dei Mastini, poteva affidare nelle loro mani la vita del suo compagno.
“Qualsiasi sia il prezzo da pagare per stare con la persona che più si ama, vale la pena spenderlo.” Matt si scostò per cercare lo sguardo di Sherlock, verso il quale allargò le labbra in un sorriso così pronunciato da fargli quasi chiudere gli occhi, tanto s’erano alzati gli zigomi “Fidati!”
“Mi fido di te.” annuì Sherlock, approfittando dello scostarsi di Matt per allontanarsi a sua volta, fuggendo dal suo abbraccio “Smettila d’abbracciarmi però, non sono il tuo orso di peluche.”
Matt ridacchiò, facendo scrocchiare le dita di ambedue le mani “Non ti fa mica male essere abbracciato un po’. Se vuoi ti insegno come si fa.”
Sherlock sbuffò, intrecciando le braccia al petto “Me lo farò insegnare da John, dopo che l’avremo salvato.”
“Ottima idea!” annuì Matt, controllando il cellulare di tanto in tanto “Aspettiamo gli altri e organizziamo il piano.”
Sherlock annuì con un cenno del capo per poi chiudere gli occhi, alla ricerca di un piano vincente che comprendesse l’utilizzo dei Mastini.

Dopo quelle che John riuscì a stimare come all’incirca due ore di tempo, vide finalmente il coperchio del baule aprirsi e due paia di braccia pescare il suo corpo fino ad estrarlo e posarlo malamente a terra: si guardò attorno e non trovò altro che una stanza bianca, senza alcun complemento d’arredo, senza finestre. Solo una porta da cui entrare e uscire.
Da quella stessa porta uscirono i due uomini ed entrò Moran con in mano una bottiglia d’acqua ed una cassetta del pronto soccorso: John vide l’uomo avvicinarglisi, inginocchiarsi a terra e prenderlo per le braccia fino a metterlo seduto in posizione composta, con la schiena poggiata al muro. Fece il tutto fischiettando, come una casalinga che rassetta la propria cucina: John non potè far altro che pensare che fosse pazzo ed era convinto che quella stessa follia avrebbe potuto giocare a proprio favore. Avrebbe solo dovuto capire quando gli conveniva assecondarlo e quando invece avrebbe potuto provare a premere sui suoi punti deboli per fargli perdere lucidità e sangue freddo.
“Vieni qui, John. Dobbiamo sistemarti.” sussurrò Moran, sedendoglisi a cavalcioni sulle gambe “Devo continuare a tenerti legato, sei pur sempre un soldato d’altronde.” gli sbottonò la camicia abbassandogliela finchè le manette glielo permisero “Oh, vero, hai una ferita anche alla spalla sinistra. Non sei contento? Ho creato una bella simmetria.”
“C’è qualcosa di autistico in questa tua compulsione di creare ordine e simmetria, lo sai vero?” sbuffò John, poggiando la nuca sul muro.
Moran alzò uno sguardo malizioso su John “Un’altra cosa in comune nelle nostre due coppie.” stappò il disinfettante che avvicinò alla spalla destra del suo prigioniero “Jim e Sherlock il caos, il disordine, l’eccesso. Io e te il loro ordine, l’equilibrio, la stabilità.” versò quasi tutto il contenuto del flacone sulla ferita di John, sterilizzandola “Il proiettile è uscito, ovviamente. Sono bravo a sparare, ma questo tu già lo sai.”
John grugnì nel trattenere un urlo, insipirando ed espirando rapidamente finchè il dolore non divenne intorpidimento “Ti fa stare meglio sapere questa cosa? Che secondo te Sherlock ed io saremmo uguali a voi?”
“Sì.” ammise Moran, con una semplicità che contrastava col tumulto che s’agitava nella sua anima “Perchè sapere che soffrirete entrambi tanto quanto ho sofferto io...”
“Pensi che possa farti stare meglio?” lo interruppe John, spostando lo sguardo negli occhi chiari del Colonnello Moran.
“Se Jim fosse riuscito ad uccidere Sherlock e tu avessi avuto l’occasione di vendicarti, non l’avresti fatto?” Moran evitò lo sguardo di John, studiando a fondo la sua ferita, valutando il da farsi.
“Sì. Ma non mi avrebbe fatto sentire meglio.” replicò John, secco, sicuro di quanto appena detto: osservò la propria ferita, domandandosi se Moran sapesse veramente cosa fare.
“Allora abbiamo trovato una cosa in cui siamo diversi.” Moran schioccò la lingua sul palato, quindi prese in mano la pistola, estraendone velocemente un proiettile.
“Oh no. Non mi dire che...” John sbiancò: l’idea di subire un cauterio dalle mani di un folle non lo entusiasmava per niente.
“Eh sì.” confermò Moran che, dopo aver stappato il proiettile, versò la polvere nera sul foro circolare della ferita “Io non so cucire, quando ero in guerra me le curavo così le ferite.”
“Tu sei malato! Farà un male cane!” protestò John che, tuttavia, non riuscì a spostarsi, gravato dal peso di Moran sulle gambe ed indebolito dalla ferita alla spalla.
“Traaanquillo.” lo canzonò Moran, per poi estrarre dal taschino della giacca una confezione di fiammiferi “Giuro che mi farò perdonare.” ghignò follemente, quindi accese il cerino: con una mano tenne il volto di John girato verso sinistra, poggiandosi con il braccio su di lui per tenerlo fermo. Con la mano destra si avvicinò inesorabilmente al foro finchè, sfiorando la polvere da sparo, non si sentì un crepitio simile ad un piccolo fuoco artificiale che sigillò rapidamente il foro sulla spalla di John.
L’urlo di John fu incontrollabile e straziante: il dolore causato dal cauterio lo scosse irrimediabilmente sotto il peso del suo aguzzino fino a farlo crollare sul pavimento ansimante e sudato, ma ancora cosciente.
“Oh, sei stupendo.” mugolò Moran che si premurò di rimettere John seduto, sostenendolo in quell’operazione “Non sei svenuto. La maggiorparte della gente sviene dopo una cosa del genere.” aveva il respiro accellerato, eccitato dal dolore causato all’altro e dalla sua stessa resistenza fisica “Ma tu sei speciale. Lo sanno tutti.”
Moran prese un rotolo di bende dalla cassetta del pronto soccorso, quindi avvicinò entrambe le mani sulle spalle di John, avvicinandolo a sè, facendolo poggiare con la fronte sul proprio torace in modo da tenerlo sollevato per far passare la fasciatura da una parte all’altra “Ma dove lo trovi un sequestratore che ti cura, che ti benda...” fischiettò il cecchino.
“Cosa speri?” ansimò John, ancora travolto dal dolore “Che mi venga la Sindrome di Stoccolma(1)?”
“Oh, John.” Moran lo adagiò con cura contro il muro, rialzandogli la camicia fin sopra le spalle “Lo so che sei follemente innamorato di Sherlock, così come lui lo è di te. Vi ho spiati.” si soffermò con le mani sul collo di John, carezzandoglielo avidamente “Però non lo so, magari se io non fossi ancora innamorato di Jim potrei fare un pensierino su di te. Mi piaci molto.”
“Un pensiero molto narcisistico ed egocentrico, considerato che ci ritieni molto simili.” il respirò di John riuscì a calmarsi e lo sguardo cadde alla bottiglia d’acqua sdraiata vicino alla sua gamba destra.
“Che vuoi che ti dica? Sì, sono un narcisista. Fammi indovinare, tu invece non lo sei.” colse lo sguardo di John, così allungò la mano verso la bottiglietta “Hai sete?” la aprì, ne bevve due sorsi per poi trattenerne un po’ nella bocca, le cui labbra avvicinò poi all’altro.
“Sei morboso.” John commentò così quel gesto, ruotando il capo affinchè le loro labbra non si toccassero.
Moran ingoiò l’acqua e rise di gusto “Mi piaci troppo. Te la prendi per niente.” si alzò dunque, avvicinandosi all’uscita della stanza “Vado a vedere come procedono i lavori per il palcoscenico. Dopo torno a trovarti. Ciao, John.” aprì la porta e se ne andò.
Non appena sentì la porta chiudersi, John rilassò le spalle: tirò un lungo sospiro, quindi scivolò pian piano sulla parete fino a sdraiarsi sul fianco sinistro. Era stanco, stravolto, ma aveva fatto una promessa a Sherlock che si ripetè più volte in un sussurro finchè non si addormentò stremato. Nella stanza vuota risuonava l’eco di quel sussurro ‘Niente e nessuno potrà più dividerci.’

________

(1) "La Sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all'innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore." da Wikipedia



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Capitolo 8
*** Il palcoscenico ***


***Hola gente! Scusate per il ritardo, ma i capitoli e le tematiche si fanno più toste, quindi devo rifletterci un po' di più eheheh :D in questo capitolo ho rispolverato alcune nozioni prese da Criminal Minds e poi approfondite un po' su wikipedia! Bonci, spero vi piaccia la direzione che ho fatto prendere a SebbaMor (sembra un medicinale così °_°) e come ho già detto a qualcuna delle Sherlockians Anonime (a proposito, ringrazio Jessie, Echelon e Simona che mi hanno betato una frase u__u''' ne avevo bisogno u__u) spero di stupirvi (sempre su Sebba)! Ma lo scoprirete solo leggendo! Quindi seguitemi! *fine promozione di marketing* ok, bon, basta cavolate. Vi ringrazio davvero <3 per i commenti e soprattutto perchè mi leggete <3 BACIO!***

Il palcoscenico

David fu il primo ad arrivare: parcheggiò un anonimo furgone davanti alla serranda semichiusa ed entrò nel locale portando con sè un computer portatile sotto il braccio destro ed una valigetta nera sotto il sinistro.

“Matt. Sherlock.” salutò entrambi con un veloce cenno del capo, facendo appena in tempo a poggiare la propria attrezzatura su uno scatolone prima di farsi assalire da Matt ed il suo solito saluto stringente “Sì. Ciao Matt, sono contento anche io di vederti, nonostante la situazione del cavolo.”
“Eccolo il nostro nerd preferito!” Matt strinse David finchè non gli fece scricchiolare qualche osso “Come sta Georgia?”
Sherlock gli si avvicinò osservandolo di sottecchi “Grazie per essere venuto.”
David si lasciò scappare un lamento soffocato, tossicchiando appena “Sta bene Matt, e vorrei tornare a casa da lei tutto intero, possibilmente.” non appena il giovane cecchino lo lasciò andare, aprì velocemente il laptop e la valigia. Quando Sherlock gli fu vicino, poi, alzò lo sguardo, ammiccando leggermente “Quando un Mastino è nei guai, tutto il branco si riunisce.”
Sherlock si accucciò accanto a David, osservando lo schermo del pc portatile accendersi “Pensi di poter localizzare il cellulare di John?”
“Se è acceso sì.” annuì David, mentre attaccava qualche cavo alle periferiche del computer portatile “Mi spieghereste la situazione, per favore?”
“Aspetto che arrivino tutti gli altri per spiegarvelo. Odio ripetermi.” Sherlock assottigliò lo sguardo sul desktop del portatile di David, scoprendolo completamente diverso dal proprio: non conosceva quel sistema operativo ed il Mastino immetteva qualsiasi comando in modo rapido e usando codici binari e funzioni algoritmiche che probabilmente avrebbero fatto invidia a qualsiasi informatico di fama mondiale.
“Capito.” David fece spallucce, arricciando poi il naso “No. Il cellulare di John è spento, ma posso dirti che la sua ultima chiamata è partita dal 220 di Baker Street(1).”
“Il 220 di Baker Street?” Sherlock scosse il capo incredulo “Ma è l’appartamento di fronte al nostro, quello appena ristrutturato.”
A quel punto Matt urlò, arrivando alle spalle di Sherlock con passo svelto: gli poggiò la mano destra sulla spalla, scuotendolo appena “Sherlock! Quando Zach ed io siamo venuti a trovarvi io ho visto qualcosa! Allora avevo ragione!”
Mentre David apriva le immagini satellitari della via in questione, Sherlock si voltò, facendo a Matt un eloquente cenno per invitarlo a continuare a parlare.
“Mi sembrava strano perchè non aveva senso, ma ora che mi dite così... il luccichio che avevo visto era davvero quello di un mirino!” il giovane cecchino si agitò inevitabilmente “L’ho visto, ma ho pensato di essermi sbagliato e non vi ho detto nulla!”
“Matt, non cominciare.” lo freddò bonariamente David che, conoscendo il carattere del più giovane dei Mastini, intuì i suoi pensieri “Non sentirti in colpa per qualcosa che non hai fatto.”
Sherlock riconobbe negli occhi di Matt un crescente senso di colpa e decise di intervenire: non solo era convinto che il Mastino non avesse effettivamente commesso alcun errore, ma gli premeva che rimanesse lucido per la missione “Matt. Non è colpa tua. Rimani concentrato.”
Sherlock non era sicuramente abituato a confortare gli altri, ma sebbene il tono e le parole che usò per tranquillizzare il Mastino non fossero propriamente rincuoranti, ebbero comunque il loro effetto calmante. Matt infatti, dopo un lungo sospiro, si inginocchiò tra David e Sherlock, appena un poco più indietro rispetto a loro.
“Questo però non è... strano?” domandò Matt, strofinandosi la mano destra sul viso “Appurato che Moran è un cecchino eccellente, perchè non vi ha uccisi finora? Di probabilità ne avrà avute a bizzeffe.”
“Moran? Abbiamo a che fare con Sebastian Moran?” domandò retoricamente David, in tralice, mentre continuava a digitare sulla tastiera un comando dietro all’altro.
“Hai ragione, Matt, è strano. Avrebbe potuto ucciderci la sera stessa che siamo tornati dall’Afghanistan, visto che ci controllava dall’appartamento di fronte al nostro.” annuì Sherlock, tormentandosi nervosamente un ciuffo di capelli con la mano destra “Però se ci pensiamo bene potrà aiutarci a capire lo stato psicologico di Moran. Vuol dire che ha in mente un particolare obbiettivo, e potremmo usare questa sua ossessione contro di lui.”
“Ho visto tante puntate di ‘Criminal Minds’ !” anche Matt si unì al tic di Sherlock, tormentando a sua volta un ciuffo dei propri capelli “E dicevano che uno psicopatico, pur di portare a termine la propria fantasia, può arrivare a commettere un errore.”
Sherlock annuì pazientemente “E’ proprio quello che intendevo.” abbandonò il ciuffo di capelli, tamburellando le dita per terra “Dio! Ho bisogno di una sigaretta!”
“Giratene una, ho il tabacco nella tasca dei pantaloni.” rispose David, distrattamente, mentre apriva un programma che dava la proiezione tridimensionale di tutti i palazzi e di tutte e vie di Londra “Appena sapremo dove hanno portato John, potremo avere una stima precisa del luogo in questione: piani, altezze, stanze, uscite... tutto.”
Sherlock estrasse la busta del tabacco dalla tasca posteriore dei jeans di David e la lanciò a Matt “Giramene una.” ordinò al giovane cecchino, osservando con molta attenzione il programma che l’altro Mastino stava utilizzando “Hai inventato tu il software?”
David digitò altri comandi, alcuni dei quali si allacciavano alle onde radio dei satelliti artificiali che vagavano attorno all’orbita terrestre “Ho inventato tutto ciò che gira dentro a questo portatile. I programmi inventati dagli altri sono troppo lenti per me.”
Mentre Matt valutava in modo del tutto sbagliato la giusta quantità di tabacco da mettere nella cartina, Sherlock si ritrovò a constatare mentalmente la dimensione del talento di David, almeno in campo informatico “Mi scoccia ammetterlo, ma sei bravo.”
“Guarda qua. Questa è la stanza dove siamo noi.” lo invitò David che riempì il desktop con la visuale del locale in cui si trovavano: sembrava una semplice proiezione ortogonale, una cartina, una mappa su sfondo nero, con le linee bianche ad accentuare i bordi del palazzo. Digitò un altro comando e nella cartina virtuale del locale apparvero tre punti rossi “Hai capito?”
“Una specie di mappa... termica?” domandò Matt, mentre, dopo aver leccato la colla della cartina, allungò verso Sherlock un cilindro irregolare, storto, dalla cui estremità inferiore uscì il filtrino mal posizionato.
David sospirò, quindi prese dalle mani di Matt quella parvenza di sigaretta, la ruppe per recuperare il tabacco, ed iniziò a girarne una nuova “Possiamo chiamarla così, Matt. Sfrutta le immagini di uno dei tanti satelliti meterologici che ci orbitano intorno e con una modifica ai vari parametri, usando un programma che ho progettato apposta per eventualità del genere, sono riuscito ad ottenere queste proiezioni in tempo reale.” spiegò alla bene e meglio, per far comprendere agli altri due di cosa si trattasse “Così quando avremo la posizione di John, potremo scoprire quanti uomini dovremo affrontare e i loro movimenti all’interno della struttura.”
Mentre prese in mano la sigaretta che David gli girò velocemente, Sherlock pensò che un uomo con abilità informatiche come quelle del Mastino che aveva di fronte sarebbe stato molto utile ai Servizi Segreti e a Mycroft, ma si guardò bene dal dirglielo, valutando l’idea che prima o poi suo fratello avrebbe potuto usare le sue stesse capacità per riuscire a spiarlo ancor più di quanto già facesse. Si limitò quindi ad accettare la sigaretta e l’accendino che gli porse “Grazie.”
David gli sorrise: non che s’aspettasse di sentirsi dire che fosse bravo, non aveva bisogno che qualcuno glielo dicesse per saperlo, tanto meno voleva ascoltare le forzate lusinghe di Sherlock Holmes, tuttavia apprezzò i suoi ringraziamenti come se glieli avesse fatti una persona normale.
Matt ruppe quegli istanti di silenzio allungando l’indice della mano destra verso lo schermo del computer portatile “Stanno arrivando tre persone!”
Effettivamente, pochi istanti dopo, Alec, Cristopher e Zach entrarono nel locale portando con sè un borsone ciascuno: furono accolti con entusiasmo da Matt e David, mentre Sherlock li raggiunse e li salutò per ultimo, senza tradire neanche per un secondo il proprio carattere schivo. Neanche dieci minuti dopo arrivarono anche Bruce e Logan.
Una volta riuniti i sette membri dei Mastini, Sherlock iniziò a spiegare la situazione, accennando anche un rapido riassunto delle passate vicende con Moriarty solo per inquadrare il profilo psicologico delle persone con cui avevano a che fare. Quando concluse la propria spiegazione, aggiunse una piccola nota personale.
“Chi mi conosce un po’ meglio sa che ho un caratteraccio, quindi mi scuso in anticipo se mi capiterà di rispondervi male. Mi scuso se potrò sembrarvi antipatico, anzi, non è che lo sembro, lo sono proprio.” Sherlock si prese una piccola pausa, mordendosi l’interno del labbro superiore “Quindi anche se sono un rompiscatole, uno scherzo della natura, un antipatico, un...” a quel punto Matt gli toccò il braccio con sorriso e Sherlock capì che l’elenco dei propri difetti poteva finire lì “John è la persona più importante della mia vita, e so che anche voi tenete a lui. Non quanto ci tengo io, ma... ops, ecco che esce fuori l’antipatia.” rise nervosamente, scuotendo il capo: trasudava preoccupazione e non era difficile intuirlo “Vi prego. Aiutatemi a salvarlo.”
Tutti i Mastini lo avevano ascoltato per mezzora senza mai interromperlo, dapprima facendo attenzione al racconto su Moriarty e Moran, per poi rispettare silenziosamente le sue note finali: il primo a muoversi verso di lui fu Christopher, il capo del gruppo. Fu seguito dagli altri che si mossero fino a formare un cerchio attorno a Sherlock, congiunti tra loro tramite le braccia che si posavano le une sulle altre in una circonferenza quasi perfetta.
Christopher, che in quel cerchio era il raggio dal cui centro proveniva lo sguardo di Sherlock, parlò a nome di tutti “Ti aiuteremo, perchè è importante per te, perchè è importante per noi e perchè nessuno deve permettersi di fare del male ad un Mastino.” poi chiuse gli occhi e poi urlò “MASTINI!”
A quel punto gli altri sei componenti del gruppo ringhiarono un latrato a cui lo stesso Christopher si unì: era il loro urlo di incoraggiamento e Sherlock l’aveva già udito in Afghanistan ma mai come in quel momento tremò di fronte alla forza e alla compattezza di quel gruppo. Trasalì un istante per la paura, poichè il terribile mastino che gli era parso di vedere a Dewer’s Hollow sotto i fumi della nebbia allucinogena divenne solo una pallida eco del reale terrore che i veri Mastini stavano emanando. Leali come lupi, spaventosi come Mastini.
Trasudavano forza e determinazione, e questo calmò almeno in parte la preoccupazione che albergava in Sherlock poichè finalmente vide aumentare le probabilità di salvare la preziosa vita di John.

Quando John si risvegliò dopo poco più di un’ora di sonno, trasalì nel ritrovarsi il viso di Sebastian Moran a pochi centimetri da sè: il cecchino infatti, era tornato nella stanza mezzora dopo averla abbandonata e vedendo il proprio prigioniero dormire, gli si sdraiò accanto, studiandogli il volto con attenzione.
“Non volevo spaventarti, John.” Moran si mise seduto, aiutando l’altro a fare lo stesso quando lo vide impegnato in quell’operazione “Hai dormito per almeno tre quarti d’ora, ma è comprensibile, il dolore causato da un cauterio stanca terribilmente.” gli scrollò di dosso un po’ di polvere, asciugando poi il sudore che gli imperlava la fronte con un fazzoletto di carta che poi gettò a terra, vicino alla cassetta del pronto soccorso.
John studiò il fare di Moran, ma soprattutto trovò significativi e bizzarri i suoi modi apparentemente gentili che contrastavano enormemente con la situazione in cui si trovavano: tuttavia, nonostante si sforzasse parecchio per riuscire ad inquadrarlo, gli riuscì molto difficile intuire i reali pensieri del suo sequestratore.
“Devi mangiare, non metti qualcosa nello stomaco da questa mattina, e per prendere gli antibiotici devi essere a stomaco pieno. Oh, ma tu sei un dottore e queste cose le sai meglio di me.” dopo aver sistemato John con lo schiena contro il muro, Moran recuperò un sacchetto di plastica dal quale estrasse un piatto usa e getta, una bottiglietta d’acqua ed una confezione di medicinali.
“Un antibiotico?” domandò John, incredulo “Mi hai comprato un antibiotico?” ripetè la domanda poichè quel dettaglio gli parve veramente assurdo.
“Certo.” annuì Moran, stranito a sua volta “Un cauterio può fermare l’emorragia, ma può farti venire un’infezione.” gli si avvicinò nuovamente, quindi gli si sedette a cavalcioni sulle gambe: era un ottimo metodo sia per tenerlo fermo, che per poterlo osservare continuamente da vicino.
“Sì, certo, lo so che può causare un’infezione.” John scosse il capo, sospirando, rassegnandosi all’idea di ritrovarsi Moran addosso “Ma se il tuo piano è quello di farmi morire, perchè ti preoccupi di un’infezione che comunque non mi ucciderebbe in tempi così brevi?”
Moran mutò espressione a quella domanda, abbandonando la gentilezza e la curiosità per pochi istanti “Mi danno fastidio le cose lasciate a metà! Voglio occuparmi interamente della tua spalla: prima l’ho ferita, poi l’ho torturata, quindi te l’ho fasciata e ora sto continuando a curartela!” alzò la voce muovendo di tanto in tanto gli angoli della bocca in un tic nervoso “Magari, dopo che sarai morto, la staccherò e la terrò per me. Ti sta bene?!” il respiro era accellerato e le spalle gli tremavano appena: tuttavia gli bastarono pochi secondi per riacquistare il proprio autocontrollo e per dipingere un nuovo sorriso premuroso sul proprio volto.
John registrò mentalmente la reazione di Sebastian Moran, analizzò la risposta e non credette a neanche un parola di quella giustificazione, anzi, fu maggiormente portato a pensare che se la fosse inventata sul momento: trattenne per sè quel pensiero, decidendo di assecondarlo nella speranza di riuscire a spillargli un po’ di informazioni e qualche dettaglio sul suo carattere.
Sebastian Moran, intanto, recuperò dal sacchetto una forchetta di plastica con la quale afferrò un po’ di insalata che poi avvicinò alla bocca di John “Insalata mista: un pizzico di sale e pepe, olio extravergine di oliva. Senza aceto. Come piace a te.”
John deglutì di fronte all’uomo sorridente che aveva di fronte e fu percorso da un brivido lungo la schiena nell’osservare quel volto che sembrava così realisticamente gentile e che cozzava terribilmente con lo sguardo smanioso che gli puntava addosso: era il ritratto della follia, l’incarnazione di un uomo innamorato che inseguiva il fantasma del suo amore perduto.
John si sforzò di mangiare almeno metà del piatto per accontentare Moran che, ritenutosi soddisfatto del risultato, finì gli avanzi con gusto, giocherellando con i rebbi della forchetta, coi quali iniziò a divertirsi punzecchiandosi il braccio sinistro.
“Vuoi un po’ di frutta? Fa bene alla salute, sai?” domandò Moran quando decise che giocare con la forchetta era diventato noioso “So che ti piacciono le ciliegie.” sussurrò per poi recuperare un piccolo sacchetto di cartone da quello più grande di plastica “Vi ho visti quel giorno. Sul divano e poi in camera. Ma quanto vi baciate! Sembrate due adolescenti.”
“Sono pieno, grazie.” sospirò John, abbandonandosi solo per un istante a quel ricordo: l’ultimo sapore di ciliegia che ricordava di aver sentito era quello che aveva percepito direttamente dalle labbra di Sherlock e non avrebbe voluto in alcun modo sostituirlo. Soprattutto in quella circostanza.
“Come sei noioso a volte.” sbuffò Moran, sputando i noccioli delle prime ciliegie che aveva mangiato: coi denti ne divise una a metà, tenendo per sè quella col nocciolo ed avvicinando l’altra alle labbra di John “Dai, senti come sono buone.”
John lo assecondò, mangiando una dozzina di mezze ciliegie, sforzandosi di non apparire infastidito quando il pollice dell’altro indugiava sul suo labbro inferiore “Ora sono davvero pieno.”
“L’ultima, dai.” questa volta però, Moran tenne in bocca il piccolo frutto e si avvicinò a John, prendendogli il volto tra le mani quando lo vide scostarsi, premendo la ciliegia sulle sue labbra per fargliele dischiudere. Trovando le labbra dell’altro ermeticamente chiuse, gli avvicinò la punta del pollice tra il labbro superiore e quello inferiore, provando a farglielo schiudere nello stesso modo in cui si cerca di dare una medicina ad un animale domestico.
John si ribellò a quel tentativo, risputandogli indietro la ciliegia, spappolandola sul viso di entrambi, lasciando cadere il nocciolo e la polpa rimastavi attaccata sul proprio torace “Smettila! Non voglio baciarti!”
Moran, in tutta risposta, gli mollò un sonoro schiaffo con il dorso della mano destra: lo guardava con odio misto a desiderio poichè i continui rifiuti da parte di John non fecero altro che stuzzicare il suo labile equilibrio mentale.
John, d’altro canto, non fece in tempo a pensare che avrebbe preferito cento schiaffi in confronto ad un bacio da uno psicopatico, che si sentì nuovamente prendere il volto tra le mani: percepì le labbra di Moran baciargli il viso con una foga che andava via via scemando, lasciando il posto ad un’incredibile delicatezza che andava a ripulirlo dal succo e dalla polpa con cui s’era sporcato.
Moran si soffermò sulle labbra chiuse dell’altro, sulle quali passò la propria lingua avida che finì tuttavia con l’arrendersi di fronte a quell’incrollabile muro di fedeltà “Ripeto. A volte sei noioso.”
Quando l’altro s’allontanò dal suo viso, John potè finalmente respirare: scoccò un’occhiataccia a Moran, per poi avvicinare il viso alla propria spalla sinistra e ripulirsi dalla sua saliva sulla stoffa della camicia “E’ il tuo modo tutto personale per onorare Jim questo? Baciare un altro?” non riuscì a trattenersi, ma era mentalmente pronto a prendersi un altro schiaffo.
“Eravamo una coppia aperta.” si giustificò Moran, che poi andò a recuperare da terra gli antibiotici e la bottiglietta d’acqua.
“Nel momento stesso in cui una coppia diventa aperta, non esiste più il concetto di coppia.” sibilò John, muovendo un poco le gambe sotto il peso dell’altro, sgranchendosi appena “Dimmi la verità. Tanto morirò presto, no?”
Moran avvicinò due pastiglie alle labbra di John che si schiusero il minimo indispensabile per accogliere i medicinali sulla lingua, per poi fare lo stesso con la bottiglietta dell’acqua che tenne appoggiata alla bocca del prigioniero finchè non ne ebbe abbastanza “La verità? Su cosa?”
John mugolò di piacere nel sentire la propria gola bagnata dall’acqua e ne bevve finchè la capienza del suo stomaco glielo consentì “Su te e Jim. Come vi siete incontrati, come avete vissuto... su cosa vuoi farne veramente, di me e di Sherlock.”
Moran valutò la richiesta di John: gli smontò da sopra le gambe e gli si sedette affianco, appoggiato al muro ma col volto rivolto verso di lui: sembrava non potesse fare a meno di guardarlo “Va bene. Ti parlerò di me. Ma prima fammi mandare un messaggio al tuo Sherlock.”
“Per dirgli cosa?” chiese John che, con un colpo di reni, si chinò in avanti, mutando la propria posizione, ormai intorpidito.
“Dove siamo e a che ora si deve presentare.”
“Davvero? Di già?” non che John non fosse felice di concludere quella vicenda, ma il suo pensiero principale rimaneva l’incolumità di Sherlock e temette che pur di provare a salvarlo avrebbe commesso delle imprudenze.
“Sì. Il palcoscenico è praticamente pronto. Cos’è? Hai paura che il tuo Sherlock non abbia avuto abbastanza tempo per pensare ad un piano per salvarti?” Moran digitò in fretta un indirizzo ed un’orario, quindi inviò il messaggio al numero di telefono di Sherlock. “Prima la finiamo e meglio è. Non voglio più vedervi insieme.” concluse, in tralice, dicendolo più a se stesso che a John. Si alzò, dunque, incamminandosi verso l’uscita della stanza: il suo umore era nuovamente cambiato.
“Ehi, avevi detto che mi avresti parlato di te. E di Moriarty.” provò a richiamarlo John, sempre più confuso dal disagio interiore che Sebastian Moran, a tratti, non riusciva neanche a nascondere.
“Sì, ma non ti ho detto quando l’avrei fatto.” Moran non lo guardò, si rifiutò di farlo: appoggiò velocemente la mano sulla maniglia della porta. Sembrava avere una certa urgenza di uscire da quella stanza.
“Sebastian.” John tentò quell’ultima mossa, usando un tono più intimo, nonchè una cosa personale come il nome di battesimo per provare ad attirare la sua attenzione “Mi piacerebbe molto sapere qualcosa di te.” provò a ricordare l’unico esame di Psicologia che fu costretto a sostenere, svogliatamente, durante i suoi studi a medicina, e pensò quindi che interessarsi alla vita personale di chi aveva di fronte potesse renderlo meno appetibile dal punto di vista sacrificale e vendicativo. Voleva provare ad umanizzarlo, quanto meno nei suoi confronti.
Moran si fermò, stimolato da quel richiamo uditivo che, palesemente, non recepiva da molto tempo: si voltò e mosse qualche passo verso lui, inginocchiandoglisi affianco “John.” gli prese il volto tra le mani non notando il fastidio ben dissimulato da John che rimase immobile sotto il suo tocco “Sei gentile, ma ora devo proprio andare. Devo rifinire gli ultimi dettagli. Per il palcoscenico, sai?”
John rabbrividì alla gentilezza di quel contatto non capacitandosene fino in fondo, ma portò avanti quella piccola recita “Non puoi proprio restare?” domandò, provando ad intuire i pensieri di Moran, cercando di offrirgli proprio le parole che avrebbe voluto sentirsi dire “Qui, con me?”
“Non posso proprio ora.” intervallò le parole con delle piccole pause, incerto sulla propria volontà “Sapevo che la mia compagnia ti sarebbe piaciuta.” affermò, non senza una punta d’egocentrismo “Cerca di dormire. Tornerò più tardi e ti dirò tutto quello che vuoi.”
Moran si tolse la giacca e dopo averla appallottolata e poggiata a terra, scostò John dal muro, facendolo sdraiare in modo che la testa coincidesse con quel cuscino improvvisato: gli portò poi la mano sulla guancia sinistra colpita in precedenza, carezzandogliela appena “Scusami per questo, a volte perdo il controllo.”
John rimase in silenzio, cogliendo il maggior numero di particolari che poteva immagazzinare, cercando di osservare al meglio, di ascoltare e di intuire quanto più potesse: per concludere la propria messa in scena, sorrise leggermente, fingendosi imbarazzato con un repentino spostamento di sguardo.
“Torno...” boccheggiò Moran, soggiogato da quella recita, conquistato da John in uno di quei particolari momenti di fragilità che andavano via via aumentando esponenzialmente, sia in quantità che in sostanza “Torno presto.” prima di andarsene gli carezzò le labbra col pollice, poichè avvicinarle alle proprie, in quel momento, sarebbe stato così bello da sembrare doloroso.
Dopo che Sebastian Moran si chiuse la porta dietro di sè, John tirò un lungo sospiro: rimase sdraiato sul fianco sinistro, ripensando a quegli ultimi minuti, completamente surreali. Per qualche istante si ritrovò addirittura a pensare che Sebastian Moran non fosse malvagio, ma solo una persona instabile che aveva avuto la sfortuna di incontrare sul suo cammino la persona peggiore del mondo, e questa persona era riuscito a manipolarlo e a distruggere pezzo per pezzo la sua integrità morale, fino a renderlo l’ombra di se stesso.
John non sapeva ancora cosa avrebbe ottenuto assecondando la psiche vulnerabile di Sebastian Moran, ma decise che valeva la pena cercare di umanizzarlo e scavare, seppur con molta attenzione, dentro di lui.
Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi fu per Sherlock e si ritrovò a pregare un Dio a cui non si rivolgeva più da anni, affinchè non trovasse una soluzione estrema e spaventosa come quella di tre anni prima.

Nel frattempo, dall’altra parte di Londra, nel locale di Matt e Zach gli animi si stavano surriscaldando parecchio.
“No, ora tu mi stai a sentire, enorme testa di cazzo!” urlò Christopher.
“No! Tu stai a sentire me! Enorme... soldatino di piombo!” gridò Sherlock a sua volta.
Il resto dei Mastini continuò ad assistere allo scambio, decisamente sopra le righe, tra Sherlock e Christopher, i quali stavano discutendo su chi dei due dovesse prendere il comando della situazione: tra i due si alternava un agitatissimo Matt che provava a calmare entrambi senza in realtà schierarsi da nessuna delle due parti. Certo, Christopher era stato il suo capo squadra nell’esercito, ma verso Sherlock provava una sorta di timore reverenziale misto ad affetto che non gli permetteva di dargli torto: era come guardare un bambino fortemente a disagio di fronte all’ennesimo litigio dei genitori.
“Questa squadra prenderà ordini da me, perchè io sono il loro stratega e soprattutto perchè io ho sempre portato a casa i loro culi tutti interi!”
Io non sono un tuo soldato! Io non prenderò ordini da te!”
“Adesso basta!” urlò Christopher per l’ennesima volta e persino Sherlock chiuse la bocca e aprì bene le orecchie “Adesso tu farai quello che deciderà tutta la squadra! Perchè è vero, tu non sei un mio soldato e non sei obbligato a prendere ordini da me, ma se siamo qui è perchè vogliamo tutti salvare John. Ti è chiaro questo?” non aveva mai abbassato il tono di voce: i Mastini attorno a lui lo guardavano con rispetto, abituati a sottostare alla sua autorità, consapevoli delle sue enormi abilità da stratega “Quindi signorino, se ti preme veramente salvare la vita del nostro John ora abbassi quella cazzo di cresta da galletto che ti ritrovi e ci ascolti!”
Sherlock deglutì e per la prima volta dopo quella lunga discussione non osò replicare. Christopher aveva ragione: la vita di John era più importante del suo orgoglio.
“Sono stato chiaro?!” urlò alla fine, impettendosi davanti a Sherlock.
“Sì, signore.” Sherlock si mangiò quelle parole mentre Matt lo strattonava un po’ verso di se “Ma voglio contribuire anche io alla pianificazione della strategia.”
“Non ho mai detto il contrario.” Christopher finalmente abbassò la voce “Ci servirà la tua intelligenza. Serviremo tutti. Hai presente il detto ‘Tutti utili, nessuno indispensabile’? Ecco, in questo caso è una cazzata, ognuno sarà indispensabile per qualcosa.”
Il capo squadra si allontanò, ricongiungendosi agli altri e Matt potè finalmente trascinare Sherlock da parte “Devi fidarti di Christopher perchè è uno dei migliori soldati ancora all’attivo, oltre ad essere uno dei più grandi strateghi. Pensa, molte volte lo chiamano proprio per discutere le strategie di rilascio degli ostaggi.” bisbigliò il giovane cecchino “Sì, magari dice tante parolacce, ma in realtà più ti insulta e più ti stima. Oddio magari prima era veramente arrabbiato con te... ma l’ha fatto perchè ci tiene a salvare John e lui ha l’esperienza necessaria per riuscirci.”
Sherlock mugolò in tutta risposta, ma annuì alle parole di Matt, credendogli pienamente “Se senti che alzo di nuovo i toni, fammi un cenno. Sarai il mio John provvisorio: di solito è lui che mi dice quando esagero.”
Matt gli annuì con un sorriso, per poi iniziare a muoversi verso il resto del gruppo “Va bene... galletto.” lo canzonò e proprio quando Sherlock stava per ribattergli, il cecchino udì un suono familiare provenire dal cellulare del Consulente Investigativo.
Sherlock estrasse in fretta il cellulare dalla tasca e lesse ad alta voce l’indirizzo e l’orario inviatogli da Sebastian Moran: sentì chiaramente David digitare in fretta sulla tastiera del computer portatile, alla ricerca di varie mappe e cartine e potessero aiutare nello sviluppo della strategia.
“Che cos’è, David?” Sherlock si mosse rapidamente per raggiungere il Mastino ed avere la visuale dello schermo “Un palazzo? Un appartamento? Una piscina abbandonata?” l’ultima ipotesi lo fece rabbrividire.
“Sulle carte ufficiali è una fabbrica abbandonata nella periferia di Londra, ma...” rispose David, per poi indicare a Bruce e Logan un apparecchio tondo che aveva nella valigia “Attaccatelo a quella prolunga USB e spegnete le luci.” tornò quindi a parlare al resto del gruppo “...la scansione dell’interno è totalmente diversa dalle mappe catastali. E’ come se l’avessero ristrutturato e non ci sono documenti ufficiali che riportino queste modifiche.”
Logan oscurò qualsiasi fonte di luce, compresa quella proveniente dalla serranda che abbassò del tutto, e Bruce collegò i fili indicatigli da David che posizionò l’apparecchio rotondo, che si rivelò essere un proiettore, al centro della stanza: non appena l’informatico lo accese, un cono di luce uscì dalla lampada centrale di quell’aggeggio, disegnando attorno e attraverso i corpi dei Mastini la proiezione approssimata della struttura interna della fabbrica.
Tutti i Mastini tranne David trasalirono alle immagini che si materializzarono improvvisamente attorno a loro, instintivi nei movimenti, tanto rapidi nel reagire ad una possibile minaccia, quanto svelti a rilassarsi nell’apprendere che non estiteva alcun motivo per preoccuparsi: la loro successiva reazione fu lo stupore portato dalla sensazione di ritrovarsi virtualmente in un altro luogo nello stesso momento. Alcuni alzarono un braccio, provando a toccare quelle proiezioni, sorridendo nel vedere l’immagine ovattata della propria mano nascosta dietro ad una colonna virtuale.
“Ehi, non siate così stupiti. E’ un proiettore, non l’ho mica inventato io.” borbottò David, per poi tornare alla propria postazione, davanti al portatile “Bene, proviamo a capire cosa diavolo hanno costruito qui dentro.”
Sherlock, nel momento stesso in cui la proiezione si materializzò nella stanza, puntò lo sguardo al centro di essa, alzando un poco il capo verso l’alto: rimase in silenzio, poichè la bocca gli si seccò all’istante.
“Praticamente è come se avessero costruito un palazzo di tre piani all’interno della struttura della fabbrica.” iniziò David, usando un laser rosso per indicare i diversi punti a cui si riferiva “Il palazzo dentro è vuoto, ci sono solo delle scale che portano in cima a questa struttura.” si prese una piccola pausa, osservando Sherlock: era arrivato alla sua stessa conclusione, tuttavia evitò di dirlo ad alta voce “Infine, in una posizione più alta rispetto al tetto di quella specie di palazzo ci sono quelli che si potrebbero definire corridoi e tanti ballatoi, presumibilmente tenuti in piedi per posizionare degli uomini armati. Infine, al piano terra ci sono delle stanze, le uniche rimaste fedeli alla mappa catastale: probabilmente sono gli alloggi di Moran e dei suoi uomini.”
“Ha ricostruito il tetto del Bart’s.” confermò Sherlock a voce alta “Anche l’orario è lo stesso: vuole che io sia lì alle 8 e mezza di domani mattina. Come quando mi sono scontrato con Moriarty.”
“Forza.” Christopher ruppe il silenzio nel quale erano sprofondati dopo la dichiarazione di Sherlock “David, vai con la mappa termica, poi evidenzia tutte le uscite e i corridoi: dobbiamo studiare la strategia.”
All’ordine di Christopher, David digitò il comando in questione, quindi, dopo pochi secondi, apparvero alcuni puntini rossi all’interno di quella mappa virtuale: Matt provò infantilmente a scrollarsene via uno di dosso, mentre Sherlock carezzò con lo sguardo due puntini rossi vicini situati negli alloggi, uno dei quali doveva sicuramente rappresentare il calore emanato da John, tenuto sott’occhio da Moran o uno dei suoi uomini.
“Mentre scansiono più che posso questo palazzo del cavolo, perchè non parlate un po’ di questo Moran?” domandò David, digitando sulla tastiera senza guardare le lettere che stava pigiando “Prima abbiamo detto che sembra stia vivendo una sua particolare psicosi, giusto?”
“Il problema è che non abbiamo di fronte un uomo con un semplice disturbo narcisistico.” cominciò Sherlock, mentre contava mentalmente i puntini rossi presenti nella mappa virtuale “Una personalità patologicamente narcisistica è attirata da impieghi rischiosi per dimostrare la sua superiorità, ed infatti ha scelto di diventare un soldato per dimostrare al resto del mondo quanto fosse forte e capace. Tuttavia, le persone affette da questo tipo di disturbo hanno una totale incapacità di legarsi agli altri, una totale assenza di empatia, ma non è il nostro caso.”
“Già, perchè non solo ha deciso di sottostare al comando di qualcuno, ma si è pure innamorato di lui.” commentò Zach, seguendo con lo sguardo due dei puntini rossi in movimento, presumibilmente un cambio di guardia “Ed inoltre, quando questa persona è morta, ha provato un forte desiderio di vendetta, facendo leva sui tuoi stessi sentimenti. Questa non è mancanza di empatia perchè nel momento stesso in cui una persona intuisce i sentimenti degli altri, ne prova a sua volta. Lui sente, ecco.”
“Moriarty era un manipolatore, quindi in qualche modo deve avere attirato l’attenzione di Moran, e probabilmente deve avergli anche fatto credere che lui non fosse un suo sottoposto ma un suo pari, collaborazione che, a quanto dice Moran, è addirittura sfociata in una relazione sentimentale.” Sherlock congiunse le mani sotto il mento, nella sua tipica posa riflessiva “E ora vorrebbe vendicarsi, certo, ovvio. Ma qualcosa mi sfugge lo stesso. Perchè tutta questa messa in scena?”
“Ci sta mettendo veramente molto impegno, effettivamente.” David si grattò la testa, interrompendo per qualche istante il suo digitare frenetico “Hai ragione Sherlock, non è più narcicismo questo. Se avesse voluto, avrebbe sparato alla prima occasione e ti avrebbe mandato la testa di John in un pacchetto. E scusate l’immagine terribile che vi ho proposto.”
“Pensi che voglia attirare lì Sherlock, con la scusa del sequestro di John, solo per sparargli?” domandò il finora silenzioso Alec.
“No, avrebbe potuto sparare anche a me. Ci spiava dall’appartamento di fronte al nostro.” sbuffò Sherlock “E’ come se stesse vivendo un suo delirio, come se dovesse mostrare a qualcuno che si sta vendicando.”
“Pensi che veda il fantasma di Moriarty? Se sta vivendo una sua personale psicosi è possibile.” commentò David che, dopo aver digitato l’ennesima formula logaritmica, evidenziò sulla mappa virtuale tutte le uscite ed i corridoi.
“E se in realtà...” provò Matt, timidamente, per poi zittirsi.
“Cosa?” domandarono Sherlock e Zach all’unisono.
“No, probabilmente è una scemata.”
“Sul mirino avevi ragione, Matt. Dai, dì quello che pensi.” lo esortò Zach, sgomitandolo appena.
Matt inspirò a lungo, quindi propose la propria idea “Voi avete detto che non è un narcisista perchè loro non provano sentimenti.” fu la sua premessa “Se invece... ne provasse troppi e non riuscisse a controllarli?” domandò, per poi continuare “Giustificherebbe tutta questa messa in scena, come se dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno... in questo caso al suo tipo morto.”
“Dici che arriverebbe a questi punti per un eccesso di sentimenti?” domandò Zach, incuriosito dalla teoria del suo compagno.
“Beh, oh, è pazzo d’altronde.” borbottò Matt in una risposta piuttosto semplicistica rispetto al suo precedente ragionamento.
“Disturbo istrionico della personalità.” disse David ad alta voce, leggendo direttamente dallo schermo del portatile “Il disturbo istrionico di personalità è caratterizzato da un tipico quadro pervasivo di emotività eccessiva e ricerca di attenzione, che include una seduttività inappropriata e un bisogno eccessivo di approvazione.(2)” pronunciò quelle parole prendendole direttamente da Wikipedia “Beh, la patologia di cui parlava Matt esiste sul serio.”
“E se ora si fosse innamorato di John?” impallidì Matt, sia per le proprie parole che per l’occhiataccia lanciatagli direttamente da Sherlock.
“Facciamo che terrò in considerazione tutte le possibili sfaccettature del suo carattere lì sul momento. Sono rapido a pensare.” alzò poi la mano, indicando la mappa virtuale a Christopher “Se però non pensiamo a come neutralizzare gli altri, non servirà comunque a niente sconfiggere Moran. Voi dovete occuparvi degli altri uomini mentre io andrò da Moran e John che presumibilmente si troveranno sul tetto del palazzo. E andrò senza armi, ovviamente.” si girò poi, di scatto, osservando Zach e Matt “Chi è più bravo tra voi due?”
Zach indicò Matt nel momento stesso in cui lui alzò il braccio “Io.”
“Bene, allora, Christopher.” Sherlock si voltò verso di lui, cercando le parole giuste ed impostando un tono di voce che fosse il più cordiale possibile “Devi pensare ad un piano sapendo che...” iniziò una piccola lista, contando i diversi punti con le dita della mano destra “...io non potrò aiutarvi perchè sarò sul tetto con John e Moran, Matt dovrà occuparsi di Moran, John è ferito e che...” la sue successive parole furono coperte dallo stridio di un camion dell’immondizia che depositava al suolo un cassonetto svuotato, ma i Mastini riuscirono comunque a cogliere quell’ultimo avvertimento.
Christopher annuì, quindi chiamò tutti a cerchio attorno a sè: alzò entrambe le mani verso la mappa virtuale, che David ruotava e ingrandiva a seconda dell’uso, ed iniziò ad ipotizzare una serie di strategie, discutendo con gli altri Mastini, valutando proposte e accettando suggerimenti.
Sherlock intanto, si allontanò di qualche passo, cercando sul motore di ricerca del proprio smartphone notizie riguardanti i disturbi della personalità che potrebbero riguardare Sebastian Moran, immagazzinando il maggior numero di informazioni possibili, preparandosi psicologicamente a ricalcare lo stesso palcoscenico su cui aveva recitato tre anni prima e che mai e poi mai avrebbe pensato di dover affrontare nuovamente.


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(1) Su googlemaps se si va al 221B di Baker Street e si gira "l'omino per strada"... ti trovi davanti un bel pulman!!! XD Quindi ho ipotizzato che il nero di fronte al 221, fosse il 220... passatemela per favore XD
(2) Definizione presa paro-paro sputata da Wikipedia 

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Capitolo 9
*** L'ultima colazione ***


***Ciao ragazze! Va' che ora ho fatto pur di pubblicare questo capitolo per il week end *_* mi scuso per il ritardo, ma anche questo è stato abbastanza tosto (persino un po' angst e chi mi conosce sa che è un evento da segnare rosso sul calendario XD ) Mi fa piacere sapere che a molte di voi sta piacendo il mio Sebba, sinceramente mi ci sto affezionando anche io XD bon, non vi anticipo altro! Ringrazio di nuovo jessie e Simona per il betaggio di un pezzetto importante e vi lascio alla lettura! grazie a chi continua a leggermi ancora a questo punto XD ormai resistete fino alla fine dai! BACIO!!!***

L'ultima colazione

Erano all’incirca le sei di mattina quando Moran rientrò nella stanza spoglia in cui riposava il suo prigioniero: l’effimera ed evanescente consistenza del sonno di John fu facilmente disciolta dal prepotente aroma del caffè che il cecchino portava con sè.

John riuscì a sedersi senza l’aiuto di Moran, dandosi una spinta sia col fianco che coi reni, appoggiandosi con la schiena contro il muro in quella che ormai era diventata la sua posizione standard in quella particolare circostanza.
Moran lo osservò in silenzio per qualche istante prima di avvicinarsi e sederglisi accanto, portando con sè un sacchetto ed cartone su cui erano poggiati due bicchieri di caffè: il suo viso non tradiva particolari emozioni, fin troppo tranquillo in uno di quei suoi repentini e numerosi cambi d’umore. John registrò con finta non curanza l’ennesima faccia del cecchino, stupendosi soprattutto di trovarlo stranamente silenzioso.
Moran poggiò le vivande a terra, a sinistra, vicino al prigioniero, quindi infilò la mano destra nel retro dei pantaloni estraendo la pistola la cui vista fece deglutire John: il tempo si dilatò nella mente del dottore, il quale si domandò se l’ennesima espressione letta sul volto del cecchino corrispondesse a rabbia, chiedendosi se quella tranquillità si sarebbe trasformata in una nuova forma di pazzia di cui sarebbe stato vittima. Ma così come il tempo si era ampliato, si riaccorciò nello stesso istante in cui vide Moran appoggiare l’arma a terra, abbastanza vicina per poterla impugnare di persona, quanto impossibile da raggiungere per John.
Con la stessa flemma ed in rigoroso silenzio, Moran estrasse una chiave dal taschino della giacca: fece scostare la schiena di John dal muro e con mano leggera lo liberò dalle manette. Poi, finalmente, parlò.
“Sarai indolenzito.” la voce atona s’accostava perfettamente all’attuale espressione disegnata sul viso “Non proverai ad alzare le mani su di me, perchè non sarebbe saggio: sei ferito, disarmato e fuori ci sono i miei uomini.” non una domanda, non un’ipotesi, una certezza “E poi il caffè...” iniziava a formarsi una piccola crepa nell’atteggiamento distaccato del cecchino “...non posso imboccarti, il caffè si gusta con calma.”
John piegò il collo in avanti, rilassando anche le clavicole e le spalle anchilosate dalla postura forzata: si stupì nel sentire le mani di Moran posargli un leggero massaggio tra il retro del collo e le scapole, si sbalordì anche perchè a differenza di come lo aveva trattato fino a quel momento, quel massaggio non risultò malizioso, ma quasi fraterno. L’unica costante che non era mai cambiata, qualsiasi fosse l’umore di Moran, era la continua ed imbarazzante ricerca del viso di John, come se la vita del cecchino dipendesse dai lineamenti, dagli occhi dal colore indefinibile e dalle guance del dottore.
“Qua vicino...” ricominciò Moran, dopo aver allontanato le mani dalla schiena di John “...c’è una pasticceria aperta tutta la notte. Sai, per i camionisti che scaricano la roba al mercato ortofrutticolo...” estrasse dal sacchetto un piccolo involucro contenente due brioche dal profumo appetitoso e dall’aria invitante “Quella con lo zucchero a velo sopra è alla marmellata di albicocche, come piace a te. E lì c’è il tuo caffè, nero, senza zucchero, nè latte.”
“Sei sempre molto preciso.” notò John, cogliendo l’imbarazzo nella voce di Moran “Come mai questo lusso?” poi scosse il capo, schioccando la lingua sul palato “Ah, vero, la mia ultima colazione.” sorrise amaramente per poi prendere in mano la brioche, annusandola con un enorme sospiro.
“Vi ho spiati per molto tempo. Per questo conosco i tuoi gusti.” ammise il cecchino, prendendo a sua volta la propria brioche "E poi, puoi sempre vederla come la nostra prima colazione assieme. E' meno melodrammatico così."
“Ci spiavi anche da prima della caduta?” John evitò di commentare il suggerimento di Moran, quindi morse il dolce al centro, proprio nel punto dove dovrebbe esserci la maggiore quantità di marmellata.
Caduta? Ah, giusto. Quella che per te è la caduta, per me è lo sparo. Curioso come un giorno o una particolare situazione possa assumere un diverso epiteto a seconda dei punti di vista.” sorrise amaramente, mordendo una delle due estremità della brioche, sorridendo per il modo in cui John mangiava il suo “La mangi così perchè adori la marmellata, così ne fai subito il pieno. Ma così come ti piace la confettura, non vuoi che ti rimanga in bocca un sapore troppo dolce, così lo sfumi tenendoti per ultime le estremità che ne sono prive. Così poi ti bevi il tuo caffè senza zucchero, completando la tua colazione con quel sapore amaro che risulta meno stucchevole e più persistente.” si girò completamente verso di lui, lanciandogli un’occhiata eloquente “Sì, vi spio da prima. Da quando Jim notò Sherlock.” e prima che John potesse commentare, aggiunse con una venatura più aspra nel tono “Da quando state insieme invece, se fate colazione nello stesso momento, la dividi a metà, perchè tanto sai che lui vorrà mangiarne un pezzo soltanto perchè è tua.”
John mangiò in fretta la propria brioche, provando a nascondere in quel modo lo stupore provato di fronte ai particolari dettagli descritti da Moran e non potè fare a meno di chiedersi come abbiano fatto, lui ma soprattutto Sherlock, a non accorgersi di essere spiati da così tanto tempo. Poi prese in mano il caffè perchè, proprio come aveva detto l’altro, adorava concludere la colazione col sapore forte e deciso del caffè non zuccherato “Hai voglia di parlarmi di te, ora?”
Moran leccò le punte delle dita che avevano toccato il dolce, ripulendole dallo zucchero che le aveva rese in parte appiccicose “Cosa vuoi sapere? Qualcosa nello specifico?” si voltò a guardarlo e subito alzò la mano destra verso il viso di John sulla cui guancia destra era rimasta un po’ di marmellata “Mangiandola in questo modo ti sporchi quasi sempre in questi punti. Prima che vi metteste insieme lui ti guardava senza fartelo notare, ma era ovvio che avrebbe voluto togliertela di dosso con le dita o chissà, con le labbra. Proprio come fa ora quando ti sporchi e non te ne accorgi.” carezzò col pollice il punto in cui la guancia era sporca soffermandosi qualche istante sulla sua pelle: lasciò scivolare il pollice posandoglielo sulle labbra in una lentissima carezza e John potè riconoscere il sapore di marmellata impresso sul dito che poi Moran dentro la propria bocca, pulendolo definitivamente con la propria lingua.
John rimase immobile, approfittando dell’umore apparentemente stabile di Moran: tuttavia non potè fare a meno di notare la vena di malinconia che incrinava il suo tono di voce quando raccontava scene riguardanti la sua vita con Sherlock. Questo, probabilmente, era ciò che più confondeva John in quel frangente “Hai voglia di raccontarmi come hai conosciuto Jim Moriarty?” domandò infine, iniziando a sorseggiare il suo caffè.
Moran recuperò in mano la scatola degli antibiotici lasciata precedentemente nella stanza, consegnando poi due pillole a John “Stavo scappando dall’Afghanistan. Suppongo che tu conosca la versione ufficiale di quella storia: io che sclero e ammazzo dei civili, scappo, pesto una mina antiuomo e salto in aria.” alzò lo sguardo verso John e confermò la propria tesi “In realtà non ho ucciso nessun civile. Come hanno già appurato in molti, sono un narcisista patologico. Il narcisismo fa parte della maggiorparte dei cecchini, lo sapevi? Ebbene, secondo te una persona come me avrebbe avuto bisogno di affermare il proprio potere sparando a delle persone disarmate ed indifese?”
“Quindi?” domandò John, prendendo in mano le due pastiglie che ingoiò con un sorso di caffè “Mi stai dicendo che eri innocente?”
“No.” rispose prontamente “Ho ucciso quel bastardo del mio capo squadra.” fece spallucce per poi abbandonare il bicchiere di caffè a terra, prendendo in mano la pistola, avvicinandola a sè, come se impugnando quell’arma trovasse un reale conforto.
John staccò lo sguardo dal volto di Moran, preferendo tenere gli occhi ben puntati sull’arma impugnata dall’altro “E perchè avrebbero dovuto mentire su questa cosa?”
“Quel bastardo praticava il nonnismo in continuazione e lo sapevano tutti e quando dico tutti intendo anche i grandi capi.” avvicinò il calcio della pistola alla propria fronte, posando dei piccoli e ritmati colpetti “Quando mi sono stufato di vedere cosa faceva ai soldati più giovani della squadra l’ho sfidato apertamente: eravamo al campo base e nonostante avessero provato a dividerci io sparai e lo colpii in fronte. Non ti dico che liberazione.” sorrise a quel ricordo, il respiro accellerò per qualche istante “Solo che, diamine, siamo inglesi, no? Secondo te era meglio accusarmi di crimini verso l’umanità o di aver ucciso un alto ufficiale che si approfittava dei giovani soldati impauriti? Mi avrebbero ucciso e avrebbero insabbiato tutto per non sputtanare il fatto che anche nel rispettabilissimo esercito inglese ci sono delle mele marce. Lo capii in quello stesso istante, quindi continuai a sparare per aprirmi una via di fuga e ce la feci quindi sparii nel deserto di Kabul.”
John non poteva credere a quel racconto, non riusciva a concepire l’idea che il nonnismo esistesse ancora: nel suo passato militare aveva visto delle prese in giro, delle risse, ma tutte a carattere motivazionale, mai come fonte di reale scherno o di predominio.
“Tu evidentemente sei stato fortunato, John. Nel tuo campo, nella tua divisione, nel tuo gruppo forse non c’era nulla di tutto questo, ma non è raro in ambiente militare. Neanche al giorno d’oggi.” poi un dubbio attraversò la mente del cecchino che, dopo aver posato la pistola nello stesso punto di prima, si sporse verso John “Non mi credi?”
“Perchè dovresti raccontarmi balle a questo punto?” John non esitò a rispondere, ed era vero, gli credeva, non aveva bisogno di fingere quella risposta “Certo, io mi sarei comportanto in modo diverso.”
“Perchè tu sei un uomo migliore di me.” gli rispose Moran e John provò una sensazione di deja-vu nell’udire quelle particolari parole e si chiese se il cecchino avesse spiato anche quel preciso scambio che ebbe con Sherlock.
“Quindi sei scappato nel deserto e lì hai incontrato Moriarty?” si affrettò a chiedere John, provando a scacciare quella sensazione di disagio che l’aveva attraversato.
“Dopo due giorni di deserto incontrai un piccola carovana di beduini: mi guadagnai la loro fiducia salvando una delle loro donne che stava per pestare una mina antiuomo, quindi mi portarono al loro villaggio.” prese una piccola pausa, durante la quale cercò lo sguardo di John “Dopo aver racimolato qualche provvista partii e fui costretto a viaggiare clandestinamente per cercare di tornare in Inghilterra finchè un giorno non salii nella stiva dell’aereo sbagliato, anzi, col senno di poi, dell’aereo giusto. Era un piccolo aereo da carico che, scoprii più tardi, consegnava armi e tecnologia di diverso tipo a trafficanti mediorientali: quando mi scoprirono iniziai a sparare alle guardie uscendone fuori senza neanche un graffio. Jim rimase impressionato: uscì fuori dal suo nascondiglio senza neanche imbracciare un’arma e camminò lentamente verso di me con quel suo sorriso ambiguo e fantastico.”
John ascoltò il racconto di Moran senza interromperlo, ricambiando lo sguardo che si sentì puntare addosso, immaginando via via il scenario che il cecchino gli proponeva, disegnando le figure nella propria mente.
“Camminò finchè col petto toccò la punta del fucile, poi abbassò lo sguardo verso gli otto uomini che avevo ucciso con facilità, quindi rialzò il viso verso di me. Sorrideva, aveva una particolare luce negli occhi: sembrava sorpreso ed eccitato. Quindi mi disse che aveva trovato l’uomo che faceva per lui. E io accettai la sua velata proposta.” Moran si prese una lunga pausa: aveva finito di rispondere alla prima domanda di John, ovvero come avesse conosciuto Jim Moriarty. Si abbassò verso il viso di John, sfiorando il suo profilo con la punta del naso fino a soffermarsi con le labbra sul suo orecchio “Ora tocca a me.”
John si sforzò di rimanere impassibile di fronte a quella che sembrava essere la personalità dominante tra le molte sfaccettature caratteriali assunte da Moran in quei giorni “Sai già tutto di me.”
“Non tutto. Avrei milioni di domande da farti, ma mi limiterò a quelle più importanti.” continuò a sussurrargli sull’orecchio, ripercorrendo a ritroso il profilo di John fino a staccarsi ed indietreggiare nuovamente “Quando ti sei reso conto d’amarlo? Dopo la caduta o lo sapevi già da prima?”
John sospirò a quella domanda, scuotendo leggermente il capo: non gliela aveva fatta Sherlock, perchè mai doveva fargliela una persona che gli aveva sparato, l’aveva sequestrato, ma verso la quale provava tuttavia almeno una miserrima parte di empatia?
Proprio quando Moran credette di dover incoraggiare John a rispondergli, finalmente sentì la sua voce “Credo dalla piscina.” esordì, finendo di bere il caffè ormai più che tiepido “Nonostante fossi arrabbiato con lui, capii che l’avrei seguito ovunque. Se lui avesse sparato al giaccone pieno di esplosivo e fossimo saltati in aria assieme, sarei stato comunque in pace, perchè avrebbe voluto dire... vivere con lui fino alla fine. Fino all’ultimo secondo.”
Moran stette in silenzio per almeno un minuto dopo la risposta di John, guardando ovunque, nella stanza, tranne che verso il prigioniero, verso colui il quale aveva quasi sempre tenuto lo sguardo incollato.
“Tu c’eri in piscina?” domandò John, più che altro per rompere il silenzio ed evitare che Moran cambiasse nuovamente umore “Eri uno di quelli che mirava verso di noi?”
“No.” s’affrettò a rispondere, riportando lo sguardo sull’altro “Jim non mi portava mai con sè quando doveva incontrare Sherlock.” si prese nuovamente una pausa, quindi domandò “Eri geloso di Jim?”
John esitò qualche istante, poi lo ammise “Sì.”
“Visto? Siamo simili anche in questo.” Moran rise nervosamente, inchiodando lo sguardo sulla pistola, come se ne sentisse la necessità “Anche io ero geloso di Sherlock. Da quando è comparso lui, Jim non faceva che pensare a come stupirlo.”
John sospirò profondamente, sgomento nel poter capire almeno in parte i sentimenti provati dal cecchino che aveva affianco, ma si affrettò a pensare a proporre un argomento diverso, o avrebbe rischiato di farlo infuriare ancora di più “Tocca di nuovo a me, Sebastian.”
Quando Moran sentì pronunciare il proprio nome, staccò lo sguardo dalla pistola riportandolo su John, verso il quale sorrise “Dimmi, John.” alzò la mano destra sul volto dell’altro, provando ad avvicinarlo a sè con gentilezza, respirandogli sulle labbra prima di lasciarlo andare, come se trattenersi dal baciarlo fosse il gioco più divertente in cui cimentarsi, la nuova prova da superare.
John perse il respiro per qualche istante, ma si impose di assecondarlo finchè la situazione fosse stata gestibile “Su cosa era basato il vostro rapporto? Come ti trattava?”
“Come vuoi che mi trattasse?” domandò a sua volta, facendo spallucce “Da quel giorno all’hangar ho iniziato a lavorare per lui.” poi si corresse “...con lui. Io il braccio, lui la mente, lui non si sporcava mai le mani e soprattutto i vestiti. Mi raccontava che avrebbe potuto far scoppiare la Terra, se solo avesse voluto, se solo una mattina si fosse svegliato col piede sbagliato.” rise a quel ricordo, evitando il volto di John per qualche istante “Sai, i codici? Con un comando sarebbero partite tutte le testate nucleari che gli americani nascondono nei posti più impensabili e boom!” si voltò, poi, verso John “Magari lo avesse fatto. Così anche io avrei potuto dire di aver passato la mia vita con lui fino alla fine.” ricordò le parole pronunciate poco prima dall’altro, ma non lo stava prendendo in giro, era sinceramente affascinato da quell’eventualità, nonchè dall'idea romantica di John.
Vedendo John attendere in silenzio, riprese a parlare “Poi ha iniziato ad interessarsi a Sherlock e quindi anche a te. E... si era ossessionato. Mi mandava a spiarvi e a volte non ci vedevamo per giorni. E quando stavamo insieme dovevo raccontargli tutto quello che avevo visto e quindi si trattava ancora di voi. Solo voi due, ormai esistevate solo voi due.” scosse il capo, per poi alzare uno sguardo frustrato verso John “Quando Sherlock era impegnato in qualche caso ti coinvolgeva in tutto. Magari era intrattabile, era snervante, ma dopo averlo risolto tu eri di nuovo tutto il suo mondo. Per Jim non c’era mai fine, non smetteva mai di lavorare al suo personalissimo caso. Non c’era più tempo per me.” lasciò sfumare il tono di voce, ritrovandosi a sperare che John non avesse sentito le sue ultime frasi.
John però aveva ascoltato tutto "Perchè hai continuato a stare con lui? Potevi andartene, scappare in un altro stato e rifarti una vita."
"Come hai fatto tu?" rispose Moran, prontamente, scostando la schiena dal muro per poterlo osservare meglio.
"Prego?" John seguiva ogni suo movimento, prestando sempre particolare attenzione alla pistola che riposava silenziosa sul pavimento, sempre troppo distante per poterla raggiungere.
"Te ne sei andato dopo la caduta." Moran estrasse una sigaretta dal taschino, di quelle girate a mano: la avvicinò alle labbra e, dopo averla accesa, aspirò le prime boccate con avidità.
"Sì e sono stato molto meglio." John si scosse in una sensazione che gli parve istintivamente familiare, ma non riuscì ad inquadrarla subito. Poi capì: l'odore di quel tabacco, così lontano da quello tipicamente occidentale, era quello che s'era abituato a respirare in camerata e tra una missione all'altra, proprio in Medioriente.
"L'Afghanistan rimane nel cuore degli uomini che sanno apprezzare il sapore salato del vento del deserto che ti si asciuga in faccia, del rumore del silenzio interrotto dalle bombe, dell'aroma aspro che solo il tabacco afghano possiede." il tono del cecchino era nostalgico, gli occhi appena languidi e malinconici di chi rimpiange alcune vecchie scelte.
"Il cielo stellato afghano..." John continuò quella che sembrava essere una poesia dedicata all'Afghanistan.
"...è il cielo più bello che abbia mai visto." concluse Moran, anticipando John in quello che era, palesemente, un pensiero comune.
"Potevi tornare in Afghanistan. Sarebbe stato meglio per te." sospirò incredulo, chiedendosi se stesse veramente dando consigli di vita ad un criminale nazionale che l'aveva ferito, sequestrato e che rischiava di rovinare per sempre la propria vita assieme a quella di Sherlock. Eppure lo sentiva, o meglio era chiaro che in qualcosa fossero davvero simili.
Il cecchino rimase in silenzio per qualche istante, poi si voltò di scatto verso il Dottore "Andiamoci ora, John. Io e te." lanciò lontano la sigaretta, poi, nella foga di quella proposta.
Proprio nei momenti in cui pensava di poterlo capire e di provare a ragionarci, John veniva spiazzato completamente dall'altro "Perchè... perchè ora ti sei fissato con me?"
"Per fare del male a Sherlock Holmes." Moran rispose così in fretta che qualsiasi persona avrebbe potuto pensare che fosse una menzogna.
"No. Lo faresti davanti a lui se fosse per quello. Ho forse qualcosa che, e fatico parecchio a dirlo, ti ricorda Jim?"
“Perchè lo vuoi sapere?” lo sguardo di Moran era nuovamente predatorio: la curiosità che John nutriva nei confronti della sua vita non fece altro che alimentare le sue fantasie “Mi piaci e basta.” confessò in un sussurro, avvicinandoglisi nuovamente “Te l’ho già detto.”
“Perchè fai così?” questa volta John si scostò, scivolando di qualche centimetro verso la direzione opposta “Mi hai rapito per vendicarti di Jim e ora non fai altro che provare a baciarmi. Io non bacerei nessuno che non fosse Sherlock.”
Moran non prese bene quel rifiuto: alzò infatti la mano verso la spalla destra di John e la chiuse in una stretta che provocò non poco dolore al Dottore “Jim non c’è più!”
John digrignò i denti per il dolore, ma si sforzò di rispondere “E vorresti farmi credere che stai vendicando Jim e facendo un dispetto a Sherlock provandoci con me?” scosse poi il capo e alzò la mano sinistra sul polso di Moran, stringendo a sua volta “Non è questo. No, non è per questo. Prima ammetterai a te stesso che non è così e prima tutta questa follia finirà.”
“Non capisci, John?!” Moran urlò e lo spinse a terra “Perchè nessuno mi capisce?! Pensavo che almeno tu l’avresti fatto!”
John rimase in silenzio qualche istante, chiuse gli occhi scacciando via la sensazione del dolore che provava, quindi provò a leggere lo sguardo del cecchino che ora lo sovrastava “Tu ci hai sempre spiati e hai sempre creduto che il nostro rapporto fosse uguale al vostro. Jim te l’ha sempre fatto credere. Ti ha convinto di questo. Perchè eri la sua arma più potente, il suo miglior sottoposto.”
Moran non rispose, cercando l’anima di John dentro a quegli occhi dal colore indefinibile, provando ad entrarvi dentro, come se cercasse l’interruttore per spegnerlo.
“Ma in verità hai sempre saputo che non era la stessa cosa. E da quando io e Sherlock ci siamo ritrovati dopo la caduta è stato lampante, è stata la conferma di questo tuo pensiero.”
“Perchè stai rovinando tutto?” ansimò disperato, scuotendo il capo con forza “Smettila, John, smettila.”
"Tu ora ce l'hai con me e con Sherlock perchè, essendo convinto del fatto che ci somigliamo, non puoi ammettere il fatto che mentre noi siamo complici, ci rispettiamo, siamo amici... voi non eravate altro che collaboratori." John sospirò stancamente, poichè aveva parte del peso di Moran schiacciato sulla spalla ferita “La verità è che tu non odi noi... non odi Sherlock. Tu...”
“Non dirlo!” urlò Moran, stringendogli la spalla con più forza per non farlo parlare “Non dirlo!” ripetè disperato, per poi spostare entrambe le mani sul collo di John, iniziando a stringere.
“Tu odi Jim, perchè lui non ha mai ricambiato veramente il tuo amore.” concluse John, senza mai smettere di guardarlo negli occhi, portando la mano sinistra sulla destra di Moran, provando a spostarla dal proprio collo.
“Perchè l’hai dovuto dire?” gridò nuovamente, distrutto, oltremodo addolorato: strinse la presa attorno al collo di John “Perchè?!” Moran si rese conto che, alla fine, John c’era riuscito: l’aveva capito. Ma non era più sicuro che fosse un bene.

Sherlock ed i Mastini stavano viaggiando nel furgone di David guidato da Alec, unico degli otto a sedere sui sedili anteriore della vettura: gli altri, infatti, erano erano nascosti nel retro, ripassando il piano ad alta voce, preparando le armi, ascoltando le informazioni che David forniva in tempo reale sugli spostamenti dei diversi puntini rossi all’interno della mappa virtuale che controllava costantemente sullo schermo del computer portatile.
“Ecco, tenete questi.” David consegnò nelle mani degli altri componenti del gruppo due piccoli cerchietti color carne “Alec a te li do dopo!” battè due pugni sulla grata che divideva il conducente con il retro del furgone, quindi spiegò a voce abbastanza alta affinchè tutti potessero sentire “Sono dei semplici auricolari: la cosa figa è che sono pressoché invisibili e sì, non hanno una portata troppo ampia, ma noi saremo in uno spazio ristretto, quindi saranno sufficenti per sentirci tra noi tutti.”
Sherlock e gli altri annuirono, quindi appiccicarono nella parete interna dell’orecchio quelle che sembravano delle semplici etichette, molto piccole, sotto le quali si poteva percepire solo una minuscola parte più rigida, ovvero un microfono infinitamente piccolo che serviva a convertire le onde radio e a tradurle in voce.
“Sherlock, perché mi hai detto di fare proprio questa strada? E’ a dir poco trafficata nonostante sia così presto e la stiamo allungando tantissimo.” borbottò Alec al di là della griglia, fermandosi all’ennesimo semaforo rosso “Se avessimo fatto la strada che avevo in mente a quest’ora saremmo già arrivati.”
“Siamo largamente in anticipo, Alec.” replicò Sherlock, mentre provava a scrollarsi di dosso la testa di Matt che si era poggiato con la tempia sulla sua spalla.
“Oh, e poi c’è un altro motivo.” intuì David, spuntando con gli occhi da dietro il pc “Sbaglio o stiamo seguendo il tragitto più bersagliato di telecamere a circuito chiuso? Ho notato che prima di salire sul furgone ti sei girato verso almeno due di esse.”
Sherlock scoccò un’occhiataccia verso David e dovette nuovamente ammettere a se stesso che quel ragazzo, oltre ad avere un’intelligenza al di sopra della media, era molto attento e sapeva osservare. Annuì, dunque, confermando la sua tesi “Il fatto che io non possa chiamare Mycroft, non vuol dire che non possa comunque provare ad attirare la sua attenzione in qualche modo.”
“Non devi nasconderci niente, Sherlock.” lo richiamò Zach, mentre montava l’ultimo pezzo del proprio fucile.
“Esatto.” Lo redarguì anche Christopher “Immagina se fossero intervenuti gli uomini di tuo fratello e noi gli avessimo sparato pensando che fossero altri nemici.”
“Non vi stavo nascondendo proprio niente.” Sherlock guardò altrove “Ve l’avrei detto. Come ora dico a David di chiamare Mycroft quando inizierà a sentire i colpi d'arma da fuoco. Pensate che non passereste dei guai per quello che andremo a fare? Ci penserà lui a coprire tutto, nel bene e nel male.” quindi si voltò verso l’informatico “Il numero di Mycroft è…”
“Lo so. Mi ha contattato qualche giorno fa. Vuole che vada a lavorare per lui.” rispose David, distrattamente, continuando a controllare lo schermo del portatile.
“Ma certo.” sbottò Sherlock, tamburellando con le dita sul proprio ginocchio “E’ il giorno più divertente della mia vita.”
“Non ho mica detto che ho accettato.” sussurrò David, staccando solo per un momento lo sguardo dalla mappa virtuale, posandolo su Sherlock verso il quale ammiccò amichevolmente.
“Ad ogni modo…” Christopher alzò un poco la voce, in modo da attirare su di sé l’attenzione di tutti “La strategia l’abbiamo definita. Ci manca da decidere il segnale per cominciare lo spettacolo.”
“Ehi! Facciamo un Vatican Cameos!” propose Matt che, dopo aver montato il mirino sul fucile, decise di smontarlo, quindi si voltò verso Sherlock, iniziando a spiegare di cosa si trattasse “Un Vatican Cameos è…”
“So cos’è ‘un’ Vatican Cameos, Matt. L’ho inventato io.” sospirò Sherlock “Fammi indovinare: scommetto che ve ne ha parlato John in Afghanistan.” assottigliò poi lo sguardo sul fare di Matt “Cosa ti salta in mente, perché lo smonti?”
“Punterò il fucile contro il miglior cecchino che l’esercito inglese abbia mai avuto, Sherlock.” una volta finito di smontare il pezzo, lo rimise a posto nella custodia “Se io sono riuscito a riconoscere il luccichio di un mirino dall’altra parte della strada attraverso una finestra, puoi stare certo che lui noterebbe il mio. Un cecchino ha l’occhio allenato per questo genere di cose.”
“Ma così la tua precisione calerà.”  obbiettò Sherlock, pur senza mutare tono di voce e espressione sul viso.
“Non sottovalutarlo, è molto bravo.” sorrise Zach, strofinando il palmo aperto dietro la nuca di Matt.
“Magari non lo colpirò mortalmente, ma puoi star certo che non sarà più in grado di nuocere a nessuno.” Matt sorrise alla carezza di Zach, sulla spalla del quale sfregò affettuosamente la fronte in un gesto rapido ma sentito.
“Matt ne sei sicuro? Ne va della vita di John.” Sherlock non potè fare a meno di chiederlo: aveva imparato a credere alle parole di Matt, ma la sua preoccupazione andava oltre la logica a cui era tanto affezionato.
“Secondo te io sarei così pazzo da rischiare la sua vita se non ne fossi sicuro?” nonostante potesse sembrare che Matt se la fosse presa, gli rivolse uno dei suoi sorrisi migliori “Fidati di me, Sherlock.”
Sherlock abbassò lo sguardo, rialzandolo solo quando sentì la mano di Matt posarsi sulla propria “Mi fido di te, Matt.”
“Allora, va bene per tutti il Vatican Cameos?” domandò Christopher.
“No.” sorrise Sherlock, per poi iniziare ad arrotolarsi le maniche della camicia fin sopra il gomito “Vorrei omaggiarvi, se permettete.”
Si guardarono tutti con curiosità, perfino Alec tolse gli occhi dalla strada per qualche istante, osservandoli attraverso lo specchietto retrovisore. Quando Sherlock comunicò al gruppo il segnale che avrebbe voluto usare per dare il via alla missione, tutti i Mastini sorrisero e annuirono silenziosamente.
Dopo altri sette isolati, Sherlock chiese ad Alec di fermare il furgone “Io scendo qui, il resto lo farò a piedi, non vorrei insospettirli.” si soffermò su ognuno di loro, affacciato dal portellone posteriore del furgone “Non ho bisogno di dirvi come avvicinarvi alla fabbrica, siete soldati, lo saprete anche meglio me.”
“Sherlock.” Matt uscì in fretta dal furgone e lo abbracciò, ignorando qualsivoglia protesta avrebbe potuto presentare “Stai attento, amico.”
Anche Zach scese dal furgone, ma limitò il proprio contatto fisico col Consulente Investigativo a qualche pacca sulla spalla “Sherlock, fai attenzione, tu entrerai dall’ingresso principale, noi lì non potremo esserci.”
Sherlock, a differenza delle rigide pacche battutegli le altre volte sulle spalle, strofinò la schiena di Matt in due piccole carezze prima di farlo staccare da sè “State attenti anche voi, o John non mi perdonerà mai di avervi coinvolto.”
“Lo fai un urlo con noi, Sherlock?” domandò Matt prima di tornare sul furgone.
“Dà veramente la carica!” aggiunse Zach, per poi spostare lo sguardo verso David e gli altri Mastini.
“Io non sono un Mastino.” sembrava incerto, ma Matt da un braccio e Zach dall’altro lo infilarono dentro al furgone fino a metà busto e quando Christopher urlò il nome del gruppo e gli altri iniziarono a ringhiare, Sherlock fu nuovamente rapito dall’energia e dall’unione che sprigionavano: pensò a John, chiuse gli occhi, e si unì al ringhio urlando più forte che potè.
In seguito all’urlo e dopo aver rassicurato Matt un'ultima volta, Sherlock chiuse il portellone del furgone e alzò lo sguardo verso la direzione che avrebbe dovuto intraprendere a piedi: seguì con gli occhi il furgone che lo soprassava e, dopo aver essersi fatto riprendere dall’ennesima telecamera a circuito chiuso, mise le mani in tasca e cominciò a camminare.

“Perchè John?” ripetè il cecchino, con le mani ancora strette attorno al collo dell’altro, tanto che lo vide diventare paonazzo sotto al proprio peso: il volto di Moran era una maschera di dolore e sconcerto, un concentrato di tutte le emozioni che lo trapassarono e che si trasferivano alle sue braccia, alle sue mani, traducendosi in una forza fisica devastante che rischiava di fermare la vita di John.
John boccheggiò alla ricerca di un’aria che faticava sempre più a trovare: provò a scalciare sotto il peso di Moran, posandogli anche la mano sinistra attorno ad uno dei polsi, cercando di alleggerire la presa, ma colui che lo stava sovrastando era un soldato ben allenato. Un soldato ben allenato, senza alcuna ferita fisica e mosso da sentimenti di violentissima entità, di tangibile sostanza, esasperati e a dir poco intensi.
La furia cieca di Moran iniziò a rimettere a fuoco la realtà nel momento in cui la resistenza opposta dal corpo di John iniziò a diminuire: tolse repentinamente le mani dal collo dell’altro, aiutandolo, anzi, ad inclinarlo in una posizione che permettesse un maggiore afflusso d’aria.
John tossì violentemente portandosi la mano sinistra al collo che piegò verso il lato destro, inspirando a pieni polmoni fino a graffiarsi la gola: quando si calmò almeno un poco e riuscì ad aprire gli occhi, vide  il volto del cecchino contratto da un’espressione colpevole e afflitta.
“Scusami...” sussurrò prima di piegarsi su di lui e con le stesse braccia che prima lo stavano aggredendo, gli circondò il collo in una presa tutt’altro che nociva “Tu sei l’ultima persona al mondo a cui vorrei fare del male.” la voce era ovattata poichè il volto era stretto e nascosto nell’incavo tra spalla e gola. Tremava per la forza di quell’abbraccio e per l’intensità delle emozioni provate: continuava a scusarsi, a chiedere perdono e a supplicarlo di non abbandonarlo.
John si lasciò abbracciare, lasciando che il respiro si normalizzasse, arrivando addirittura ad alzare il braccio sinistro sulla schiena di Moran: non rispose a nessuna delle sue suppliche, non verbalmente, poichè pur percependo il suo dolore non poteva alimentare nessuna speranza. Aveva davanti un uomo distrutto che si identificava in lui, che pensava di amarlo perchè, essendo simili, credeva che avrebbe potuto dargli quello che nessun’altro era stato capace di ricambiare.
“John.” Moran sollevò il capo dalla spalla dell’altro, posandogli la fronte sulla sua, circondandogli il viso con le mani “Te lo chiederò un’ultima volta.”
“Cosa?” John lasciò scivolare a terra il braccio che gli aveva posato sulla schiena, sospirando stancamente.
“Questa potrebbe non essere stata la tua ultima colazione...” gli carezzò gli zigomi con i pollici di entrambi di mani, la voce era poco più che un debole sussurro “Potremmo rifarla insieme domani mattina. A Kabul, a Kandahar, a Jalalabad... dove vuoi.” gli scese un’unica lacrima che cadde sul labbro inferiore di John “Scappiamo in Afghanistan, piace tanto anche a te.”
John deglutì amaramente e pur sapendo che un rifiuto avrebbe notevolmente diminuito, se non azzerato, le possibilità di salvarsi, scosse il capo “Io amo Sherlock, Sebastian.” non si stava certo scusando, ma pur essendo sinceramente dispiaciuto per il dolore che gli avrebbe causato, non avrebbe mai negato i suoi sentimenti per Sherlock “Tu sai cosa voglia dire amare una persona, quindi sai che non posso venir meno alla mia volontà. Anche se questo vorrà dire che morirò.”
Moran si bloccò per poi scuotere leggermente il capo “So cosa vuol dire amare,ma non saprò mai cosa voglia dire essere amati.” si abbassò e posò un leggerissimo bacio sulle labbra di John, raccogliendo la lacrima che lui stesso aveva versato poco prima “Era il bacio d’addio, non ti tedierò più.”si alzò infatti, andando a recuperare la pistola dal pavimento “Andiamo John, è quasi l’ora.” gli puntò contro l’arma e gli fece cenno d’alzarsi.
John si alzò lentamente, analizzando quanto accaduto negli ultimi istanti, evitando di rispondergli e di commentare ad alta voce quanto accaduto: non voleva mortificarlo oltremodo ed inoltre non voleva peggiorare una situazione già al limite del collasso.
Moran gli strinse il braccio sinistro abbastanza da guidarlo nel cammino, ma non troppo da fargli ulteriore male “Apri la porta.”
John potè registrare un cambio nel tono e nei modi di fare che lo intimorì appena: lo trovò calmo, o forse era rassegnato? Non lo riuscì a capire, e sicuramente la sua facoltà di pensiero si annullò quando vide il famigerato palcoscenico.
Moran sentì John bloccarsi alla vista del palazzo costruito all’interno della fabbrica, dovendolo spintonare leggermente per indurlo a proseguire il proprio cammino: quando poi si fermarono di fronte ad un borsone pieno d’armi, il cecchino lasciò andare il braccio di John e si chinò all’evidente ricerca di un’arma particolare.
John si guardò attorno e vide due degli uomini di Moran controllare che non facesse qualche movimento strano mentre il loro capo rovistava nel borsone: quando il cecchino sembrò trovare quello che cercava, ovvero una pistola a tamburo senza particolari effigi, riprese in mano la propria arma, infilando l’altra nella fondina nascosta all’interno della giacca.
“Andiamo, John.”gli indicò scale che li avrebbero portati sul tetto del palazzo, poggiandogli la canna della pistola sulla schiena per farlo muovere.
“Hai ricostruito quella situazione.” John dovette ricacciare indietro un rigurgito di caffè, sconvolto all’idea di dover rivivere quel giorno “Non farglielo fare, ti prego.”
“Non ti fidi di Sherlock?” domandò Moran e non c’era neanche un accenno di ironia in quella domanda “Se è geniale come dice di essere, avrà sicuramente trovato un modo per salvare entrambi da questa situazione.”
“Uccidi me, non costringermi a rivivere quella caduta.” ogni scalino che era costretto a salire diveniva sempre più simile ad una montagna da scalare, era faticoso e doloroso “Ti prego Sebastian, tu non sei come Jim, tu hai un cuore.”
“Dipende tutto da Sherlock, John.” lo spinse sul ballatoio del secondo piano, invitandolo a salire l’ultima rampa “Te lo assicuro, dipende tutto da lui.” scandì quelle parole lentamente, come se volesse realmente rassicurarlo.
Quando John raggiunse il tetto del palazzo, sentì le gambe tremare e dovette accucciarsi a terra per non perdere l’equilibrio “Cosa vuol dire che dipende tutto da lui?”
Moran camminò fino ad arrivare al centro del tetto, quindi si voltò, dando a John l’unica risposta possibile a quella domanda “Vuol dire che se avrà veramente imparato qualcosa dal passato, come dice di aver fatto, allora forse riuscirete a salvarvi entrambi.” poi udì uno scricchiolio non troppo lontano: era la porta della fabbrica che si apriva “Che lo spettacolo abbia inizio.” si voltò verso John e sorrise “Buona fortuna, John. Te la auguro davvero.”

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Capitolo 10
*** Questione di numeri ***


***Eccoci qui. Non dirò molto questa volta in queste anticipazioni XD anzi, mi limito a ringraziare coloro che continuano a leggermi e a sostenermi! Spero che vi piaccia! Ecco l'idea malata che avevo in mente fin dall'inizio XD Basta, non voglio condizionarvi xD a voi l'ardua sentenza! BACI!***

Questione di numeri

Le prime persone che Sherlock vide non appena entrò dalla porta principale della fabbrica, furono due degli uomini di Moran che gli puntavano addosso un fucile ciascuno: pochi secondi dopo uno dei due abbassò l’arma e lo perquisì assicurandosi che avesse alcuna pistola con sé.

Moran, che si era avvicinato al cornicione del tetto abbastanza da poterlo vedere, alzò la voce in modo da farsi sentire  “Ben arrivato, Sherlock Holmes.” i due uomini fecero un cenno al loro capo, quindi lui riprese a parlare “Vieni sù: John ed io ti stiamo aspettando. Troverai con facilità le scale, ma non chiedermi nulla riguardo alle uscite di sicurezza. Quelle non erano contemplate nei progetti.”
Sherlock non rispose, ma tirò mentalmente un sospiro di sollievo: tra i vari scenari che aveva ipotizzato, infatti, uno lo spaventava particolarmente, poiché se Moran avesse voluto fargli rivivere la sofferenza di quel giorno, in un tanto terribile quanto logico contrappasso, facendo in modo che John si buttasse da quel palazzo, neanche l’aiuto dei Mastini sarebbe servito a molto. Il fatto che Moran volesse un confronto diretto dava qualche chance in più all’attuazione del piano: fece una rapida analisi della situazione alzando lo sguardo verso la fabbrica, i diversi ballatoi al di sopra del tetto, le luci ed il numero di uomini che riusciva a controllare dalla propria posizione.
“Sherlock!” urlò John dall’alto, avvicinandosi così tanto al cornicione che lo stesso Moran fu costretto a fermarlo “Non salire! Vattene!”
Sherlock trasalì nel vederlo sporgersi in quel modo e solo in quel momento potè anche solo lontanamente intuire come si fosse sentito John, tre anni prima, vedendolo in piedi sul cornicione del palazzo da cui poi saltò: soffrì immensamente, perché intuì l’enorme paura che John stava provando, il terrore all’idea di dover ripetere gli orrori di quella giornata. Si detestò perché aveva promesso che non lo avrebbe più fatto soffrire ed invece eccolo lì, in balia del suo sequestratore che gli stava facendo rivivere il suo incubo peggiore.
“Piantala!” gli intimò Moran che, dopo averlo spinto tre metri più indietro, puntò la pistola in direzione di Sherlock “Tu sai bene che potrei colpirlo da qui. E potrei fare in modo che soffra parecchio, quindi stai fermo dove sei.”
“John. Non preoccuparti. Ora arrivo.” Sherlock scansò i due uomini armati e si avviò verso le scale: avrebbe voluto correre su quelle rampe, ma si frenò e percorse ogni singolo gradino con la solita flemma che lo contraddistingueva, imponendosi di mantenere il controllo e di dare quella stessa impressione anche a Moran, ma soprattutto a John.
Quando arrivò sul tetto del palazzo si fermò dopo due passi, osservando John: vedendo la spalla fasciata e i segni sul collo sentì ribollire il sangue e le viscere, ma si impose la calma ancora una volta. Poi tornò sulla spalla e la analizzò a distanza: non solo era stata fasciata, ma non vi erano macchie di sangue depositate sulle garze, quindi si chiese se Moran gliela avesse ricucita e curata, ma ancor di più si chiese perché l’avesse fatto. E cosa ben più importante, John è mancino e Moran ne era sicuramente a conoscenza, quindi perché non colpirlo al suo braccio dominante? Poi notò che John non era legato e anche lì fu assalito da un dubbio: era ferito, certo, ma John era pur sempre un soldato, quindi cos’era? Fiducia? O aveva intimorito John al punto da renderlo immune alla fuga? No, John non era tipo da spaventarsi facilmente.
“Sherlock…” John lo chiamò e quando fece per avvicinarglisi, Moran puntò nuovamente la pistola verso di lui, quindi si fermò.
“John, se permetti faccio io gli onori di casa.” continuando a puntare l’arma verso Sherlock, Moran gli fece cenno di avvicinarsi “Vedo che hai obbedito, non hai chiamato né tuo fratello né Scotland Yard.” prese una piccola pausa, quindi fece una domanda inaspettata “Perché non l’hai fatto?”
Sherlock carezzò  John con un piccolo sorriso, quindi avanzò finchè Moran glielo acconsentì: tenne gli occhi puntati sul proprio compagno finchè Moran non lo stupì con la sua domanda “Prego?” alternò lo sguardo tra i due, provando a leggere qualche indizio sullo sguardo di John.
“Perché non l’hai fatto?” ripetè Moran, tenendolo sempre sotto tiro “Ok, ti dò un indizio, ti sto mettendo alla prova.” ammiccò prima di avvicinarsi maggiormente a John.
Sherlock riflettè diversi istanti prima di rispondergli: era difficile pensare con John tenuto in ostaggio “Perché se lo avessi fatto tu avresti ucciso John.” registrò il suggerimento che Moran gli diede, ma non lo commentò: lo sguardo tornò su John e sui segni che aveva sul collo. Tirò un lievissimo sospiro, quindi tornò su Moran, attendendo le nuove domande: se quello era davvero un test, allora ce ne sarebbero state altre.
“Se io non ti avessi vietato di farlo, tu avresti chiesto aiuto?” fu la nuova domanda, che accompagnò con un movimento: spostò infatti la mira della propria arma, puntandola ora su John “Tu non parlare, John, per favore.”
Sherlock non potè fare a meno di notare la diversità nei modi e nei toni con cui si rivolgeva a lui e a John: rimase immobile quando lo vide la pistola puntare sull’altro, intuendo l’importanza della domanda e l’eventuale influenza che avrebbe avuto la sua risposta. Ripensò inevitabilmente all’ipotesi sollevata da Matt circa l’eventuale innamoramento di Moran nei confronti di John e decise di impostare il proprio dialogo cercando le parole giuste per la situazione pur senza sembrare strano ed incoerente “Gli Yarder mai, avrebbero peggiorato la situazione. Mio fratello sì.” ammise, in fondo, con sincerità.
L’angolo destro della bocca di Moran si inarcò in un sorrisetto “Certo, gli Yarder sono dei cani. Neanche io metterei la vita di una persona a cui tengo nelle loro mani.” alzò un attimo lo sguardo verso uno dei ballatoi, quindi tornò su Sherlock “Tu detesti tuo fratello. Infatti neanche il giorno della caduta non ti sei affidato a lui. Davvero vuoi farmi credere che avresti messo il tuo orgoglio da parte?”
“Per John? Certo.” rispose subito, e non c’era neanche bisogno di fingere per dare quella risposta: l’aveva fatto, d’altronde, senza che Moran lo sapesse. Quel che finse, tuttavia, fu di non dare importanza allo sguardo che Moran puntò verso i ballatoi, ma in realtà, in quel preciso istante, il suo cuore perse un battito.
“Certo.” ripetè Moran “Lo farei anche io per uno come John.” commentò, alzando su John uno sguardo di cui Sherlock si ritrovò ad essere geloso “Sei un pessimo compagno, Sherlock, te ne rendi conto? Hai messo John in pericolo, di nuovo. Se io ora vi lasciassi liberi, tra qualche mese verrebbe fuori qualche altro pazzo a minacciarvi per ottenere la tua attenzione. Non pensi che John meriti di meglio?”
“Hai appena ammesso che Jim era e che tu sei un pazzo. Te ne sei accorto?” rispose Sherlock, tagliente.
“Risposta sbagliata.”  Moran prese facilmente la mira e sparò a bruciapelo sull’avambraccio destro di John, il tanto che bastava per rompergli la benda e far fuoriuscire una sottilissima riga di sangue in una ferita pressoché trascurabile “Devi rispondere alle mie domande e basta. Le aggiunte saranno tutte considerate superflue, e il superfluo farà premere il grilletto.” passò con lo sguardo da Sherlock a John, sul quale si soffermò “Scusami, colpa del tuo fidanzato. Te l’ho detto, non ti merita.”
“Smettila, ti prego.” sussurrò John, incurante della nuova ferita, in parte perché era poco più di un graffio, ma soprattutto per l’enormità della situazione che stava diventando sempre più ingestibile.
“Non posso John. Finirà tutto oggi. Deve finire tutto oggi.” sussurrò a sua volta, mordendosi l’interno delle labbra: il braccio destro gli tremò qualche secondo, ma ritornò fermo nel momento in cui tornò a rivolgersi a Sherlock “Visto cosa mi hai fatto fare, bastardo? Allora, non pensi che John meriti di meglio?”
“Io non sono un esperto di sentimenti.” anticipò Sherlock, sforzandosi nuovamente, imponendosi di non essere veramente geloso di un cecchino malato, infastidito nel constatare il livello di confidenza sussistente tra Moran e John “E so che John meriterebbe un uomo migliore di me, che non lo metta costantemente in pericolo, che non sia così eclettico, così testardo. Un essere umano straordinario ma che al contempo sia abbastanza normale da tenerlo fuori dai guai, che non sia così geloso da farlo arrabbiare, che ogni tanto cucini o faccia la spesa o tutte le stupidaggini domestiche, noiose e superflue. Uno che sappia intrattenere relazioni normali, una persona che sappia donarsi anima e corpo, che non sia un narcisista egocentrico, orgoglioso ed intrattabile…” e anche in quel caso fu consapevole del fatto che la lista sarebbe potuta continuare notevolmente, ma si fermò da solo “Ma John è straordinario, eccezionale e buono. E sì, è troppo per me. Lui è veramente troppo in alto rispetto a me e devo ringraziarlo perché pur di stare con me ha deciso di scendere fino al mio livello insegnandomi che anche io sono capace a fare le cose che fanno le persone normali. Come amare.” Tirò un lungo sospiro, incollando il proprio sguardo in quello di John “Quindi non so se lo merito, ma io lo amo. E lui ama me. E nulla al mondo potrà mai dividerci.” recitò quella promessa per l’ennesima volta come se, così facendo, potesse acquisire il potere di una formula magica.
“...fanculo, Sherlock Holmes…” John bisbigliò totalmente in apnea, perché le parole di Sherlock lo avevano lasciato senza fiato “…è la dichiarazione d’amore più bella che qualcuno mi abbia mai fatto...” quasi si dimenticò di essere sotto sequestro perché gli venne istintivo muoversi per raggiungerlo, ma venne riportato alla realtà dal braccio di Moran che gli si parò davanti, proibendoglielo.
A parte il movimento effettuato per fermare John, che venne pressochè istintivo, Moran rimase a sua volta senza parole di fronte alla dichiarazione di Sherlock: si strofinò la fronte col calcio della pistola, confuso e avvilito. Guardò John con occhi lucidi, gli stessi occhi imploranti che l’avevano osservato  poco meno di mezzora prima, ma nessuna domanda poteva leggervisi dentro: erano occhi disperati e tristi, ma fini a stessi. Moran decise che non c’era più nulla da tentare, quindi lo fece: estrasse la seconda pistola dalla fondina, puntandone una verso Sherlock e una verso John.

Dopo aver parcheggiato il furgone in un vicolo cieco, i Mastini scesero dal veicolo: ognuno portava con sè uno zaino sulle spalle e, sotto le magliette, dei giubbotti antiproiettile in kevlar. A coppie, presero direzioni diverse, poichè uno degli obbiettivi era raggiungere la fabbrica abbandonata da almeno tre punti di ingresso differenti, aumentando così le probabilità di non concentrare il fuoco nemico verso un’unico punto.
“Dunque?” Christopher parlò apparentemente da solo, ma in realtà la sua voce fu captata dal piccolo microfono dell’auricolare che stava indossando.
“Non si sono mossi, sono nella stessa posizione di prima.” rispose David, l’unico ad essere rimasto all’interno del furgone, e tutti i Mastini ricevettero quel messaggio tramite gli auricolari.
“Quindi ci sono sempre due uomini ci sono sui ballatoi?” domandò Christopher mentre i sei Mastini si avvicinavano via via alla fabbrica abbandonata “E Moran, Sherlock e John? Sono sempre al centro del tetto?” “Sì, e poi state sentendo la discussione che stanno avendo. Sembrerebbe che siano troppo impegnati per vedere chi entra e chi esce dal basso. Ma dovrete comunque essere silenziosi, per la miseria!” David si stava mangiucchiando le unghie convulsivamente e neanche fumare una sigaretta dietro l’altra lo aiutava in quel momento.
“David, se non ti calmi, quando ti rivedo ti infilo il fucile dove non batte il sole.” dichiarò Alec, laconico, fermandosi dietro lo spigolo del palazzo più vicino alla fabbrica.
Mentre sentì una risatina provenire dai diversi auricolari, David riprese a digitare diversi comandi sulla tastiera “Matt? Zach? Mi confermate che ci sono delle scale nella parete esterna della fabbrica?”
“Sì, capo.” annuì Matt, mentre controllava rapidamente l’area circostante.
“Devono essere le vecchie scale d’emergenza. Potremo raggiungere i ballatoi da lì.” aggiunse Zach, fiancheggiando il proprio compagno.
“Ci sono anche nella parete ovest.” suggerì Christopher, per poi ordinare “Zach tu sali da quella parte. Matt invece a est.” prese una piccola pausa, quindi ricominciò a parlare “Ragazzi, fermatevi un attimo e statemi bene a sentire. Ripassiamo il piano un’ultima volta.”
Tutti i Mastini si fermarono e anche David smise di digitare per qualche istante, prestando attenzione alle parole del capo squadra.
“Matt, Zach. Voi due siete quelli che rischieranno di più perchè dovrete entrare in azione per primi. Dovrete inoltre agire singolarmente, quindi vi raccomando per l’ennesima volta di agire con estrema precauzione.” prese una piccola pausa, quindi continuò “Dovrete ammutolire il nemico che troverete sul vostro rispettivo ballatoio, trascinarlo fuori, neutralizzarlo silenziosamente e sostituirvi a lui nel minor tempo possibile. Quindi terrete i fucili pronti a sparare in attesa del segnale di Sherlock.”
“Sì, capo.” annuirono Matt e Zach all’unisono.
“Bene. Matt, lo sai già, il tuo uomo sarà Moran, quindi fai particolare attenzione. Zach tu invece dovrai occuparti di quello che fa la guardia alle scale: è lontano dagli altri uomini di Moran, quindi da noi, perciò non ti preoccupare, non rischierai di prenderci.” Christopher scartò una gomma da masticare, quindi, dopo aver giocherellato con la carta fino ad appallottolarla, si mise il chewingum in bocca “Bruce e Logan, voi vi occuperete dei due uomini nell’ingresso sud, mentre Alec ed io all’ingresso nord. Indossate tutti i piccoli led fluorescenti che ci ha dato David, così non rischieremo di colpirci tra di noi quando sarà tutto buio.” quando tirò un lungo sospiro sentì l’aria all’interno del palato gelarsi, grazie al chewingum che iniziò a masticare “David, quando avrò finito di parlare accendi l’auricolare di Sherlock anche in entrata, così capirà che saremo in posizione e mi raccomando, non parlate se non è strettamente necessario, non voglio distrazion. Quindi Matt, Zach, fateci sapere se sarete riusciti a sostituire i due bastardi sui ballatoi con un semplice ‘In posizione’. Infine, David, quando sentirai il segnale di Sherlock spegni le luci e chiama suo fratello. Avremo dalla nostra il fattore sorpresa, e se tutto andrà secondo il piano, finirà tutto in meno di un minuto. Tutti a posto, Mastini?”
Dopo aver risposto tutti con un perentorio “Sì, capo.” i Mastini iniziarono a muoversi, ognuno verso le proprie posizioni: Alec e Christopher si posizionarono al di fuori dell’ingresso nord, mentre Bruce e Logan fecero lo stesso all’ingresso sud.
David hackerò alcune delle telecamere a circuito chiuso presenti nella zona per indirizzarle verso la fabbrica abbandonata, controllando l’operato di Matt e Zach: vide i due solitamente pacifici cecchini salire rapidamente sulle scale anti incendio della struttura fino a raggiungere le porte corrispondenti ai ballatoi su cui erano presenti gli uomini di Moran. Grazie allo zoom delle telecamere, li vide estrarre due pistole dotate di silenziatore e attendere il miglior momento per cogliere i due uomini alle spalle. Prima Zach e poi Matt riuscirono a trascinare sul ballatoio esterno il proprio rispettivo avversario e, dopo essersi scambiati rapidamente i vestiti con quelli delle proprie vittime, li vide sparire dietro le porte. Quando Sherlock e tutti i Mastini, pochi secondi dopo, poterono sentire due flebili “In posizione” provenire dagli auricolari, un lungo sospiro di sollievo fu tirato non solo dall’apprensivo David, ma anche da Christopher, Alec, Bruce e Logan, che poterono in quel modo concentrarsi ancor meglio ed attendere il segnale.
Matt, dal proprio ballatoio, controllò solo per un istante la posizione di Zach e, come suggerito dal caposquadra, non disse nulla, ma fu felice di vedere che aveva superato la prima parte del piano: potè quindi concentrarsi sulla scena che si stava svolgendo sul tetto, deglutendo un pesantissimo groppone quando vide Moran estrarre una seconda pistola.
“Attieniti al piano.” sussurrò Zach intuendo la preoccupazione del proprio compagno, e la sua voce arrivò a tutti coloro che erano dotati di auricolare.
“Che succede?” domandò Christopher, mantenendo la propria posizione, seppur pronto a scattare come una molla.
“Li tiene entrambi sotto tiro.” rispose Matt, accarezzando il grilletto con un tocco vellutato.
“Attieniti al piano.” confermò Christopher “Se Sherlock pensasse che non c’è più niente da fare, darebbe il segnale.”
“Ok. Passo e chiudo.” Matt si risentì un poco, ma si fidava sia di Sherlock che di Christopher, quindi mise da parte quella preoccupazione mista ad orgoglio e focalizzò la propria attenzione su Moran ed il proprio fucile, perchè senza mirino non sarebbe stato semplice come al solito e non poteva in alcun modo sbagliare quel colpo.

Moran era in mezzo a John e Sherlock e puntava una pistola verso entrambi: se solo avesse voluto, sarebbe potuto finire tutto in un istante. Aspettò che il respiro si calmasse prima di tornare a parlare: chiuse gli occhi per un solo secondo, per poi riaprirli verso John che ricambiava il suo sguardo, alternandolo di tanto in tanto, posandolo su Sherlock.
Quando caricò il colpo della pistola che puntava verso il Consulente Investigativo, potè sentire John ansimare quindi si voltò verso di lui, regalandogli un sorriso ambiguo “Non gli sparerò per ora, ma è per farti capire che se non farai quello che dirò, mi ci vorrà un attimo a farlo fuori. CI siamo capiti, John?”
John annuì con non poca fatica, quindi attese istruzioni “Cosa vuoi che faccia?”
Sherlock rimase immobile: non lo spaventava l’idea di avere una pistola carica puntata verso di sè, ma l’idea di quello che Moran avrebbe potuto fare a John lo terrorizzava, e ancor di più, era spaventato all’idea di qualche gesto avventato che lo stesso John avrebbe potuto compiere pur di salvargli la vita. Erano lì, tutti e tre, e Moran non aveva ancora espresso chiaramente le sue reali intenzioni, quindi non potè fare a meno di chiedersi cosa avesse in mente. Lo rincuorò solo il fatto di aver sentito che Matt e Zach erano in posizione e che, quindi, Moran era attualmente sotto tiro.
“Bravo, John.” annuì Moran, per poi fare qualcosa che gli altri due non si sarebbero mai aspettati: tenendo costantemente Sherlock sotto tiro, consegnò la pistola a tamburo nelle mani del dottore “Prendila, John. Così il tuo uomo capirà come mi sono sentito io quando Jim ha fatto... quel che ha fatto.”
Sherlock buttò la testa all’indietro provando a scacciare il ricordo di quel giorno “No.” disse sforzandosi di deglutire la stessa saliva che gli si era seccata in gola “Non gli ho puntato io la pistola addosso, ha fatto tutto da solo.”
“Infatti.” annuì Moran “Non sarò io a sparargli, anche John farà tutto da solo.”
“Per quello non gli hai sparato al braccio sinistro.” constatò Sherlock, osservando la pistola che John stava per prendere nella mancina.
Moran annuì, fingendo un calma che in realtà non possedeva in quel preciso istante “Sono convinto che una cosa semplice come quella sarebbe riuscito a farla anche con la mano destra, ma non ho voluto rischiare.”
“Semplice?" a Sherlock sfuggì una risata breve e nervosa "Stai chiedendo ad un uomo di spararsi in bocca e tu dici che è una cosa semplice?”
“Jim ci ha messo un attimo, e non era neanche un bravo tiratore.”
“Jim era malato! Ha scelto lui di farlo!” Sherlock sentiva che la situazione stava per sfuggirgli di mano: avrebbe dovuto trattenere John dal fare qualsiasi sciocchezza e dare il segnale “John. Non lo fare.”
“Sherlock.” lo chiamò John, con un filo di voce “Sei venuto qui da solo, non potremmo comunque salvarci. Ha almeno altri sei uomini sparsi per l’edificio...”
Quando John, rassegnato, prese in mano la pistola che Moran gli porgeva, provò una strana sensazione: la guardò, poi alzò gli occhi sul cecchino che ricambiò la sua occhiata con un sorriso.
“Sentiamo.” Moran si affrettò nel voltarsi verso Sherlock, verso il quale continuava a puntare la propria arma “Prima che John lo faccia... hai qualcosa da dirgli?”
Sherlock annuì, quindi si schiarì la voce “John. Hai presente quando eravamo a Dartmoore?”
John lo guardò un po’ stranito, però annuì “Sì?”
Sherlock continuò “Ti dissi che avevo un solo amico. Non era vero.” osservò Moran per un brevissimo istante prima di tornare su John “Ne ho altri sette.”
Poi, di colpo, si spensero le luci.

L’ultima cosa che John vide prima che si spegnessero le luci, era Sherlock che gli buttava addosso per spingerlo a terra: la spalla gli dolse parecchio per colpa dell’urto, ma il buio e i numerosi colpi d’arma da fuoco che percepì distintamente subito dopo, gli fecero intuire che il suo compagno non era stato così sprovveduto da arrivare lì da solo.
Sentì Sherlock stringerlo e tenerlo al sicuro sotto di sè e non riuscì proprio, nonostante la drammaticità della situazione, a non ricambiare la stretta, tremolante per il dolore e per le forti emozioni provate in così poco tempo: lo sentì borbottare sommessamente, ma non riuscì a riconoscere le parole che gli stava rivolgendo, completamente assorbito da quell’abbraccio fatto di mani, braccia, gambe e respiri.
Durò tutto pochi secondi, forse mezzo minuto, e quando gli spari cessarono tornò anche la luce.
Sherlock e John poterono finalmente guardarsi negli occhi e ascoltare il delizioso suono prodotto dai loro battiti cardiaci accellerati ma sincronizzati, uno sopra l’altro: il mondo si era fermato per un giorno, ma ora aveva finalmente ripreso a girare.
Quando John sentì che Sherlock iniziava a scusarsi per la situazione di pericolo che l’aveva costretto a vivere, lo fermò premendogli le labbra sulle sue, possessivamente e disperatamente, riappropriandosi di quel sapore che temette di non poter più riassaggiare: Sherlock lo strinse a sè con la stessa foga, tirandogli sù almeno il busto, in modo da non fargli poggiare la spalla ferita a terra.
A quel punto John lo vide: Sebastian Moran era sdraiato a terra, ferito, che provava a parlare tra un colpo di tosse ed un gemito di dolore. John baciò Sherlock ancora una volta per poi scansarlo delicatamente con un braccio, quindi si avvicinò al cecchino: era stato colpito al petto e dalla bocca gli usciva un rivolo di sangue che scendeva fino a bagnargli il collo. Era grave e a meno che non l’avessero trasportato d’urgenza in sala operatoria, per lui non ci sarebbe stato niente da fare.
“John.” Moran lo chiamò debolmente e fu contento di vederlo, di perdersi ancora una volta nei suoi occhi calmi e buoni “Te l’avevo detto che oggi sarebbe finito tutto. Che non vi avrei più visti insieme.” tossì violentemente, ingoiando un po’ del suo stesso sangue.
“John, cosa fai? Lui ti ha sparato, ha rischiato di ucciderci.” Sherlock gli si avvicinò e, dopo aver allontanato la pistola di Moran, provò a tirare il dottore verso di sè, lontano dal cecchino.
“No Sherlock. Aspetta. Ho bisogno di... parlargli un’ultima volta.” John guardò il compagno negli occhi, stringendogli la mano che lo stava tirando, per poi indicargli la pistola con cui si sarebbe dovuto suicidare. Poi si voltò verso Moran, posandogli la mano sinistra sulla fronte “Perchè l’hai fatto? E’ stata una... missione suicida?”
“John...” il cecchino ripetè il suo nome socchiudendo gli occhi quando si sentì toccare da lui “All’inizio avevo intenzione di vendicare Jim, senza tanti giochetti.” alzò la mano destra, sporca di sangue, verso il dottore “Poi però ti ho conosciuto meglio e noi... è vero... in tante cose siamo diversi, ma...” roteò gli occhi all’indietro, prendendo un lungo respiro prima di continuare “...ma entrambi amiamo una persona...” le parole iniziavano ad essere sconnesse, ma fu rincuorato dal fatto che John sembrava prestargli molta attenzione “...e non era giusto che anche tu soffrissi come ho sofferto io...”
“E tutta questa messa in scena? Perchè l’hai portata avanti? Avresti potuto lasciarmi libero ed andartene.” si voltò verso Sherlock e confermò la propria tesi: la pistola che Moran gli aveva consegnato era priva di proiettili.
“No. Dovevo metterlo alla prova.” alzò lo sguardo, indicando Sherlock “Se lui non avesse superato la prova... vi avrei uccisi entrambi. Lui perchè non ti amava quanto meriti e tu perchè non soffrissi quello che ho sofferto io per colpa di Jim.”
“Perchè mi hai dato una pistola senza proiettili? Che senso aveva?” John mosse istintivamente il pollice sulla fronte del cecchino, provando a dargli un po’ di sollievo in quel suo rapido, ma pur sempre doloroso, calvario.
“Gli unici che Sherlock avrebbe potuto contattare per poterti salvare erano i Mastini, John. Se lui, pur di salvarti, avesse deciso di rinunciare all’orgoglio e farsi aiutare da qualcuno di cui è profondamente geloso, allora voleva dire che ti meritava.” alzò nuovamente lo sguardo verso il Consulente Investigativo, ridendo appena “Sì, certo che conosco i Mastini. Io so tutto di John... E ho visto quando un mio uomo, basso e tozzo, è stato rimpiazzato da uno alto e magro, lassù.” alzò lo sguardo verso il ballatoio in cui si era posizionato Matt “La pistola senza proiettili... non potevo rischiare che ti sparassi sul serio. Ma ho visto che te ne sei accorto, un soldato si accorge dal peso se una pistola è carica o scarica. Per quello, poi, ho tagliato corto.”
John scosse il capo, e fu felice di vedere Sherlock accucciarsi accanto a sè in quel particolare momento “Mi dispiace, Sebastian.”
“A me no.” tossì ancora, ma finalmente con la mano riuscì a raggiungere la destra del dottore “Non aveva più senso per me vivere. Io ho odiato Jim, e tu lo sai. Ma nonostante tutto lo amo ancora. E vivere senza di lui...” tossì violentemente, respirando sempre più faticosamente.
“Poteva andare diversamente.” John gli strinse la mano e sorrise di riflesso quando vide il cecchino fare lo stesso.
“John. Posso chiederti un favore?” ricambiò la stretta con le ultime forze che gli erano rimaste “Il mio ultimo desiderio.”
“Se posso, Sebastian.” annuì John, che poi fece scendere la mano sinistra dalla fronte alla guancia del cecchino.
“Portami in Afghanistan.” gli occhi, lucidi per il dolore, si illuminarono qualche istante “Lo puoi fare?”
John capì subito a cosa Moran si stesse riferendo, quindi annuì con sicurezza “Sì. In una notte stellata.”
“Grazie.” gli mostrò il suo ultimo sguardo ed era pieno di riconoscenza: poi chiuse lentamente gli occhi e anche la stretta alla mano di John si indebolì rapidamente “Scusami... per il dolore... che ti ho causato...”
Quando Sebastian Moran spirò, a John scesero due lacrime: tirò sù col naso, sistemando la postura del cadavere del cecchino con braccia tremanti finchè non si sentì stringere il fianco da Sherlock. Si voltò, quindi, allacciandogli il braccio sinistro attorno al collo, stringendolo con tutta la forza che i suoi nervi provati gli concedevano, mentre con il destro, ferito, gli si appoggiò alla vita.
“Se vorrai spiegarmi quello che è successo io ti starò a sentire, se non vorrai farlo non chiederò.” sussurrò Sherlock, stringendolo con una forza ed al contempo con una delicatezza tali che non sembrava possibile potesse esistere un abbraccio di quel tipo.
“Sebastian Moran è stata l’ultima vittima di Jim Moriarty.” riassunse John, brevemente, per poi staccarsi da Sherlock il tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi “Te ne parlerò, ma non ora.” poggiò la fronte su quella di lui, perdendosi nel suo sguardo  “Dio, sembra che non ti veda da una vita...”
“Perchè? Non è passata una vita?” replicò Sherlock ed entrambi risero: poi stettero in silenzio per molto tempo, guardandosi, senza concedersi altre parole perchè in quel momento sarebbero state superflue. Entrambi avevano temuto di non rivedersi più, tutti e due avevano creduto che avrebbero dovuto vivere il giorno peggiore della loro vita: John sapeva che Sherlock si sarebbe sentito in colpa ritenendosi responsabile di quel rapimento, così come Sherlock sapeva che John avrebbe pensato di essere il suo punto debole attraverso il quale puntare per arrivare a lui, ma ambedue erano piacevolmente consci del fatto che la loro promessa non era stata infranta, che loro erano ancora insieme e che nessuno era riuscito a dividerli. Questo bastava, quindi le parole, in quel momento così come per la maggior parte del tempo tra di loro, non erano necessarie.
Sherlock baciò John sulle labbra, tanto rapidamente quanto teneramente, quindi tornò ad osservarlo, carezzandogli con delicatezza i segni rossi sul collo “Com’è possibile che non riesca ad odiarlo, John? Dopo quello che ti ha fatto.”
“E’ difficile da spiegare, Sherlock.” John spostò lo sguardo, posandolo qualche istante sul cadavere di Sebastian Moran prima di tornare su di lui “Vuol dire che sei più empatico di quanto tu voglia far credere: hai capito la sua sofferenza, quindi non riesci ad odiarlo del tutto.”
“Sentimenti.” Sherlock scosse il capo “Non li capirò mai.”
“L’importante è che tu li prova.” John si alzò in piedi aiutato dal proprio compagno “Hai veramente chiamato i Mastini. Ecco, questo mi ha stupito, Sherlock Holmes.”
“L’avevi detto tu stesso che avresti messo la tua vita nelle loro mani.” si giustificò Sherlock, avviandosi verso le scale assieme a John “Sono in gamba, te lo concedo.”
“In gamba?” John inarcò un sopracciglio.
“Va bene. Più che in gamba. Sono bravi.” ammise Sherlock per poi tendere un orecchio verso il basso “Stanno arrivando anche gli uomini di Mycroft. Ma per il momento andiamo dai tuoi Mastini, anche loro erano in pensiero per te. Ma mai quanto lo fossi io eh.”
John sorrise afferrandolo per un braccio “Mai Sherlock. Tu sei il numero uno in tutto.”

Quando John e Sherlock scesero gli ultimi scalini del palazzo, furono assaliti dai Mastini che nel frattempo furono raggiunti anche da David: ci fu un sentitissimo abbraccio di gruppo per la gioia di John e per il tedio di Sherlock che tuttavia non protestò, quanto meno per riconoscenza nei loro confronti.
“Ehi Sherlock!" gli si avvicinò David "Ad un certo punto, dopo la sparatoria, non ti sentivamo più attraverso gli auricolari. Come mai? Si sono rotti?”
“No. Ero stufo di sentirvi parlare.” Sherlock fece spallucce, quindi riconsegnò i due auricolari a David che rispose a quell’affermazione con una risata liberatoria.
Mentre John si faceva, letteralmente, stritolare da Zach ma soprattutto da Matt, controllò la situazione: vide gli uomini di Moran a terra, inerti, probabilmente esanimi, e fu ancor più felice di constatare lo stato di salute di tutti i Mastini.
“Ehi Sherlock!” chiamò Matt che, tuttavia, sembrava non volersi staccare da John “Hai visto? Il ringhio ha portato bene!” poi abbassò lo sguardo sul dottore “Lo sai? Ha fatto il ringhio con noi!”
“Davvero?” John provò a divincolarsi, seppur con scarsi risultati “Che carino, Sherlock. Ne faresti uno anche ora?” ridacchiò per poi cercare Zach con sguardo agognante “Ti prego, scollami il tuo ragazzo di dosso.”
Matt sfuggì alla presa di Zach, andando a prodigare tutto il proprio affetto verso Sherlock che, sconsolato e rassegnato si fece abbracciare e quasi alzare di peso “Sì! Dai, facciamo un ringhio tutti insieme!”
Tutti i Mastini risero per il modo quanto mai goffo in cui Matt portò l’altro vicino agli altri, e per le stesse espressioni spazientite che il Consulente Investigativo sfoggiò durante quell’operazione, ma mentre tutti si aspettavano una zuffa, seppur amichevole, tra i due, Sherlock li stupì, alzando la mano destra a scompigliare i capelli del giovane cecchino.
“Mastini.” disse poi “Grazie a voi John è salvo. Sono in debito.” alzò gli occhi guardando ciascuno di loro singolarmente, quindi, quando vide che gli altri non rispondevano, intrecciò le braccia al petto “Non vi aspetterete un discorso più lungo da me, vero?”
Scoppiarono nuovamente a ridere, dando a turno delle sonore pacche su spalle e schiena di Sherlock che si inarcò appena sotto i colpi più pesanti di Alec, Bruce e Logan, ma non protestò neanche una volta, andando invece ad osservare John che si stava preparando a parlare.
“Ragazzi vi devo ringraziare anche io. Senza il vostro aiuto non so proprio come sarebbe finita.” soffiò via un po’ d’aria dal petto, imbarazzato “Neanche io sono bravissimo con le parole, però sappiate che avete confermato l’impressione che ho avuto in Afghanistan: siete una famiglia, gli amici che qualsiasi persona vorrebbe al proprio fianco. Grazie per avere aiutato il mio Sherlock.”
“Hai detto ‘mio’.” gli fece notare Sherlock tempestivamente.
“Sì, l’ho detto.” riprese poi John “Grazie per averci aiutato. Sono anche io in debito con voi.”
“Ma quale debito e debito!” Christopher scosse il capo, quindi fece a tutti cenno di avvicinarsi “Tra membri del branco ci si protegge!”
Quando si riunirono in cerchio, fu tirato in mezzo anche Sherlock che in realtà non fece poi molto per protestare, quindi, quando Christopher urlò il nome della loro personalissima famiglia, tutti ringhiarono e l’urlo rimbombò all’interno di quella fabbrica abbandonata che, essendo praticamente vuota, amplificò ulteriormente il fragore emesso da quelle nove vite inconfutabilmente unite tra loro.

In quel momento, dall’ingresso principale della fabbrica, entrarono Mycroft, Anthea ed alcuni uomini dei servizi segreti: l’Holmes Senior, infatti, era stato informato da David circa l’accaduto non appena il piano era stato attuato e si era attivato per raggiungerli al più presto.
Mentre gli uomini di Mycroft iniziavano ad occuparsi dei cadaveri degli uomini di Moran, Anthea rivolse una domanda al proprio capo.
“Quante probabilità c’erano che un piano del genere funzionasse, Signore?”
Mycroft alzò lo sguardo verso il gruppo urlante e inarcò gli angoli della bocca in un sorriso “Nove su sei miliardi.”

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Capitolo 11
*** Fotoricordo ***


Fotoricordo

Quando il ringhio dei Mastini smise di rimbalzare sulle pareti della fabbrica animandola di un’energia poderosa, Mycroft avanzò verso i nove componenti del gruppo: il suo passo era elegante, il vestito impeccabile e, nonostante la stagione estiva e la giornata di sole, l’immancabile ombrello dava il ritmo al suo cammino. Si fermò a pochi passi dal gruppo esaminandoli rapidamente uno ad uno: li riconobbe tutti perchè dopo il loro ritorno dall’Afghanistan, quindi dopo aver finalmente scoperto tutte le identità dei Mastini, si era premurato di aggiornare i propri file riguardanti le persone collegate a Sherlock e a John.

A loro volta, i Mastini poterono intuire chi fosse Mycroft e, mentre alcuni di loro si limitarono a salutarlo con un cenno del capo, Matt e Zach dovettero nascondersi l’uno dietro all’altro ridacchiando deliberatamente alla vista dell’ombrello, memori delle infinite battute e barzellette inventate assieme a John sull’Holmes Senior durante la loro permanenza in Afghanistan.
“Vedo che non riuscite a resistere all’idea di mettervi nei guai.” esordì Mycroft alternando lo sguardo tra John e Sherlock “Fortunatamente avete degli amici in gamba.”
“Infatti, perchè se avessimo aspettato che tu capissi, a quest’ora saremmo tutti morti.” replicò Sherlock, tagliente, intrecciando le braccia al petto “Stai diventando lento, Mycroft. Non lo sai che il cibo rallenta il cervello?”
“Suonerà strano ad un egocentrico come te, Sherlock, ma non passo tutta la mia giornata a spiarti attraverso le telecamere a circuito chiuso sparse per tutta Londra.” replicò Mycroft con tutta calma, per nulla piccato dalle parole del fratello.
“Vorresti farmi credere che non hai un software dotato di riconoscimento facciale per il mio volto e per quello di John?” Sherlock inarcò il sopracciglio destro, notando uno sghignazzante David in tralice.
“Sei morboso, fratellino.” Mycroft lasciò svolazzare la mano destra a mezz’aria, quindi superò Sherlock per avvicinarsi a John, concentrando lo sguardo sulla spalla ferita e sul collo del dottore “Le faccio subito chiamare una squadra medica.”
John scosse il capo con forza “Non ce n’è bisogno, mi curerò da solo. L’ultima cosa che voglio in questo momento è farmi mettere le mani addosso da degli sconosciuti.” gli toccò poi il braccio destro, provando a portarlo un poco in disparte rispetto al gruppo.
Mycroft, tenuto d’occhio da Sherlock, accolse l’invito di John, quindi, dopo essersi allontanato di qualche passo dai Mastini che a loro volta tenevano d’occhio la squadra di pulizia dei Servizi Segreti, fece un cenno al dottore “Mi dispiace che abbia dovuto vedersela da solo con Moran, dottor Watson. Tuttavia, quando sono venuto da lei a parlarle di lui, non la stavo invitando ad andarlo a trovare e a farsi sequestrare.”
“Mi stai rimproverando, Mycroft?” sbuffò John per poi agitare la mano sinistra per aria “Aspetta, non voglio litigare con te, devo solo chiederti due favori.”
“John Watson che mi chiede non uno ma ben due favori? Nello stesso giorno?” Mycroft stava letteralmente gongolando e lo dimostrava inconsciamente facendo dondolare l’ombrello a destra e a manca.
“Sì, senti Gene Kelly(1), non eccitarti troppo.” lo apostrofò John, scuotendo il capo “Te li chiedo io, ma non sono proprio per me. Sono favori indiretti, ecco.”
Mycroft si irrigidì a quell’epiteto, puntellando saldamente l’ombrello a terra “Se posso, sarò lieto di accontentarla, John.”
“Per prima cosa vorrei che i Mastini non passassero dei guai. Hanno ucciso delle persone e... non avevano l’autorità per farlo.” si voltò ad osservare il gruppetto, in particolare Matt che tormentava Sherlock e sorrise amabilmente “Senza di loro non ce l’avremmo fatta.”
Mycroft annuì, alternando a sua volta lo sguardo tra il dottore e gli altri sette Mastini “Questo era scontato, John.” soffermò lo sguardo su alcuni di loro prima di tornare sul proprio interlocutore “Potrebbe aiutarmi a convincerli a lavorare per me. Se non tutti almeno l’informatico.”
“Convincere David a lavorare per te? No, grazie. La mia privacy è già abbastanza violata senza che quel genio inizi ad accontentare i tuoi sfizi.” gli scoccò un’occhiata eloquente, curiosamente inconsapevole del fatto di aver avuto lo stesso pensiero di Sherlock “L’altro favore... beh è più impegnativo, forse.”
“Mi dica, John.”lo incoraggiò Mycroft, stranito dall’imbarazzo che poteva leggere sul volto del dottore.
“Lassù...” alzò lo sguardo indicando il palazzo costruito all’interno della fabbrica abbandonata “...c’è il cadavere di Sebastian Moran. So che potrebbe sembrarti strano che proprio io voglia esaudire il suo ultimo desiderio, ma al momento sarebbe troppo lungo da spiegare e sinceramente sono un po’ stanco, quindi ti chiedo di fidarti di me.” compiuta la propria premessa, attese un cenno da parte di Mycroft prima di continuare “Vorrei che il suo corpo fosse cremato per poter spargere le sue ceneri in Afghanistan. Lui, se non ricordo male, era di istanza a Kabul. Ebbene vorrei portarlo lì. Ci teneva e...” prese una piccola pausa, alzando nuovamente lo sguardo verso l’alto “...vorrei concedergli almeno quello.”
Mycroft rimase in silenzio per qualche istante prima di parlare “Glielo concedo, John. Ma prima o poi dovrà spiegarmi il motivo.” sospirò lievemente, alzando la mano destra sulla spalla sinistra del dottore “Non ora, però. Vada a riposarsi, festeggiare, accoppiarsi, tutto quello che abbia voglia di fare.” concluse con un sorrisetto malizioso e divertito.
“Ah, sì, a proposito, c’è un terzo favore. La prossima volta, bussa prima di entrare. Lo dico per te eh, o Sherlock metterà in pratica la minaccia dell’ombrello. Te la ricordi vero?” John agitò l’indice della mancina verso Mycroft, il quale stava per replicare, ma si fermò quando vide Matt farglisi incontro.
“Salve, signor Mycroft!” esordì il giovane cecchino alto quanto l’Holmes Senior.
Mycroft tossicchiò, quindi salutò educatamente il cecchino “Buongiorno a lei, Matt.” guardò poi oltre la folta chioma del giovane e, pur vedendo Sherlock ridere di nascosto assieme a Zach, non riuscì ad intuire la minaccia che incombeva su di lui. Anche John rideva, ma non poteva davvero cogliere il motivo di tanta ilarità.
Matt sorrise raggiante “Ma è un piacere conoscere il fratellone di Sherlock!” scoppiò di felicità quindi strinse le braccia attorno a Mycroft, il quale si irrigidì attorno a quella presa, aggrappandosi saldamente all’ombrello, cercando un sostegno fisico di fronte all’impeto del Mastino.
Le risate scoppiarono attorno ai due uomini abbracciati e Sherlock riuscì addirittura ad immortalare il momento scattando una foto col proprio cellulare prima di tornare a ridere: tutto ciò era liberatorio. Tutta la tensione provocata dalla situazione, la paura, la tristezza, l’angoscia, l’ansia venivano sfogate in quelle risate che gorgheggiavano a perdifiato all’interno della fabbrica: gli uomini dei Servizi Segreti si fermarono qualche istante per osservarli e persino Anthea si sforzò di alzare lo sguardo dal cellulare, reclinando il capo di lato leggermente incuriosita prima di tornare a digitare pigramente sui tastini dell’apparecchio tecnologico.
“Fratello caro.” Sherlock si rivolse a Mycroft quando finalmente riuscì a smettere di ridere “Sappi solo che ho qualcosa con cui ricattarti. Regolati di conseguenza.” agitò un poco il cellulare sul cui display era ancora presente la foto dell’abbraccio tra l’Holmes Senior e Matt verso il quale ammiccò “Missione compiuta, soldato. Riposo.”
Quando Mycroft fu finalmente libero dalla presa di Matt, si sistemò la cravatta e la giacca del vestito al meglio, tossicchiando appena: abbassò poi lo sguardo su John, il quale si stava massaggiando le guance dal troppo ridere.
“Mycroft. Ora ti fai gabbare anche dagli amici di tuo fratello.” commentò John, mentre spostava lo sguardo su Sherlock, carezzando la figura sorridente con dolcezza.
“Amici e Sherlock.” appoggiò l’ombrello nella piega del gomito, osservando a sua volta nella stessa direzione di John “Due parole che non mi abituerò mai a sentir pronunciare nella stessa frase.”
“Non dirmi che preferivi com’era prima.” domandò John, tornando ad osservare Mycroft, dal basso della sua statura.
Mycroft sorrise nel vedere Sherlock a suo agio con Matt e Zach: vederlo felice non potè che scaldare il gelido cuore dell’Uomo di Ghiaccio “Per niente al mondo.”

I Mastini pensarono che la buona riuscita del piano fosse un’ottima scusa per festeggiare, quindi si riunirono tutti nel locale di Matt e Zach dopo aver fatto rifornimento di cibo e bevande: anche Sherlock, nonostante la sua istintiva avversione a quel tipo di eventi, decise di partecipare, un po’ per non perdere John di vista, un po’ per osservare quello speciale gruppo dal punto di vista antropologico e umano. Voleva studiarli al meglio, soprattutto in quel momento di rilassamento e gioia, provando a carpire i segreti di quell’unione, ma più di ogni altra cosa, voleva vedere John in un clima a lui familiare e accertarsi che la compagnia di quella che considerava come una famiglia potesse veramente tranquillizzarlo dopo la brutta esperienza che aveva passato. E poi, sì, in fondo, anche a Sherlock non dispiaceva approfondire quella conoscenza: li trovava interessanti e completamente differenti dal resto delle persone con cui aveva avuto a che fare prima di conoscerli e non potè fare a meno di chiedersi se fosse una caratteristica di tutti coloro che decidono di affrontare la carriera militare o se, più probabilmente, una casuale ed eccezionale serie di eventi abbia riunito otto individui particolarmente speciali in un’unica squadra decisamente fuori dall’ordinario.
John narrò qualche dettaglio sul rapimento e sulla storia militare di Sebastian Moran, traslasciando invece i particolari più intimi riguardanti il punto di vista sentimentale dell’ormai defunto Colonnello: non gli sembrava giusto raccontare qualcosa di così intimo e di così difficile da comprendere, per chi non avesse vissuto quella particolare situazione.
Gli altri Mastini, in particolare Christopher, Bruce e Logan, storsero il naso più di tutti quando udirono la versione che John raccontò, confermando l’esistenza dei “nonni”(2) anche nell’attuale esercito e nuovamente si ritennero tutti molto fortunati nell’esser capitati in un gruppo serio, compatto e dai saldi principici morali.
“E così ti ha chiesto di portare il suo cadavere in Afghanistan?” domandò Zach mentre, poggiato con la schiena al muro, teneva d’occhio Matt, pacificamente seduto tra John e Sherlock sui quali alternava uno sguardo fanciullesco e sornione “Matt, vieni qui dai. Lasciali quetare.” lo incoraggiò, ridacchiando per la giocosità del proprio compagno.
“Sì. In realtà porterò le ceneri, è molto meno complesso e poi credo che verrebbe fuori qualcosa di più... beh scenico. Lui avrebbe voluto così.” scrollò la spalla sinistra sul quale Matt si era posato con la tempia “E scrollati di dosso... polipo che non sei altro.” lo redarguì, seppur con un tono scherzoso.
“Non sei obbligato a farlo solo perchè lui te l’ha chiesto.” borbottò Sherlock, per poi vedersi arrivare addosso Matt: piegò gli occhi all’indietro sospirando appena. Era già migliorato molto, non si poteva quindi pretendere che da un giorno all’altro sopportasse un contatto fisico che col giovane cecchino era pressochè assicurato e costante “Matt, scrostati via da qui.”
I Mastini risero di fronte al picco d’affettuosità di Matt, che non se la prendeva mai quando gli altri si stufavano dei suoi eccessi, riconoscendo che potessero essere veramente estremi: rise a sua volta, quindi, gattonò tra le gambe di Zach tra le quali si girò, poggiandosi sul suo torace con la propria schiena. Zach, invece, non si stancava mai dell’eccessiva dolcezza di Matt: aveva un’infanzia di coccole negate da recuperare, e il giovane Mastino era il compagno ideale per lui che aveva tanto da dare, ma che sentiva comunque il bisogno di prendere in egual misura. Zach avvolse le braccia attorno alla vita di Matt, riallacciandogliele all’altezza dell’ombelico in una stretta semplice ma molto dolce.
Sherlock osservò i due giovani cecchini incastrarsi in quella posizione con una naturalezza che si ritrovò ad invidiare: le piastrine militari scambiate, il petto di uno che coincideva con la schiena dell’altro, le dita delle mani intrecciate, ed in generale apprezzò la semplicità e la disinvoltura di compiere quei gesti di fronte ad un pubblico, seppur fidato. La risposta di John lo riportò alla realtà.
“Non mi sento obbligato, Sherlock.” alzò la mano sinistra verso la spalla ferita, massaggiandola un poco: quell’operazione gli strappò via un mugolio di dolore “Lo voglio fare. E non perchè era un soldato come me. Lo faccio perchè quell’uomo ha sofferto troppo in vita sua e siccome l’Afghanistan è uno dei pochi ricordi positivi che aveva della sua vita, voglio portare lì quel che rimarrà di lui.” inarcò un poco la schiena, socchiudendo gli occhi: era evidente la stanchezza che lo accompagnava “Penso che l’avrei fatto anche se non me l’avesse chiesto. Ha un valore simbolico che voglio rispettate.”
Sherlock ascoltò con devozione le parole di John, crogiolandosi nella bontà delle sue parole, rallegrando il proprio udito col timbro della sua voce: quando poi lo vide compiere quel gesto portato dalla stanchezza, osservò ancora una volta Matt e Zach prima di allungare il braccio verso di lui, cingendolo e sospingendolo con delicatezza verso di sè “Ti accompagnerò in Afghanistan.”
John sorrise al contatto ricercato da Sherlock, sul quale si poggiò lievemente, scaricando parte del peso sulla spalla del Consulente Investigativo “Sarò molto felice se vorrai accompagnarmi.”
Sherlock lo strinse a sè con un solo braccio e quando stava abbassando le labbra sulla fronte di John per donargli un lievissimo bacio, si ricordò dove fosse: tossì lievemente, schiarendosi la voce di fronte ai Mastini “Certo. Non posso farti andare in giro da solo, sei un imbranato cronico. Saresti capace di farti rapire da qualche terrorista di Al Qaeda.” frenò altri cenni di dolcezza che avrebbe voluto regalargli, ma nulla in quel momento lo avrebbe dispensato da fargli da cuscino, quindi, quanto meno, lo tenne appoggiato a sè.
John rise a bassa voce, osservando uno Sherlock che sembrava un adolescente che si vergogna a mostrare il proprio lato più intimo di fronte agli amici per paura di risultare debole: un enorme passo avanti per il Consulente Investigativo, non poteva negarlo, ed il merito era anche delle diverse personalità dei Mastini, verso i quali rialzò lo sguardo “Cosa farete ora, ragazzi? Quali sono i vostri progretti per il futuro?”
Mentre Christopher, Bruce e Logan dichiararono che sarebbero tornati in Afghanistan nel giro di poche settimane e Alec fu felice di annunciare, usando il minor numero di parole possibile, di aver trovato un nuovo lavoro che riusciva a conciliare anche col proprio mestiere di padre, David alzò le spalle, ancora indeciso sul da farsi.
“Non saprei, ho avuto molte offerte di lavoro.” alzò lo sguardo, soffermandosi su Sherlock per qualche istante “Molte delle quali all’estero, ma non vorrei spostarmi. Vorrei solo avere un mega stipendio con cui viziare la mia adorata Georgia senza dover rischiare la vita un giorno sì ed uno no.”
Sherlock sbuffò ed inconsciamente strinse John un po’ più vicino a sè “Se prometti che non userai tutta la tua tecnologia per spiare me e John...” esordì, quasi incredulo di quello che stava per proporgli “...potresti andare a lavorare per Mycroft. Alle tue e alle mie condizioni.”
“David, approfittane e accetta ora, prima che cambi idea.” si affrettò ad aggiungere John, stiracchiandosi sotto la presa di Sherlock “Mycroft prima mi ha chiesto di convincerti ad andare a lavorare per lui. Io non l’avrei mai fatto, sei padrone della tua vita, ma visto che lui brama per averti tra i suoi uomini potresti sfruttare la situazione per ottenere tutte le clausole che vuoi.”
David alternò lo sguardo tra John e Sherlock, sul quale poi si fermò “Sicuro che non ti darebbe fastidio?”
“Te l’ho detto. Basta che non usi la tua tecnologia contro la nostra privacy.” rispose Sherlock con un mezzo sorriso “O te ne farò pentire.”
“Ricevuto.” annuì David tingendo il tono di voce con un accenno di sarcasmo “Beh, allora, io lavorerò per il fratello di Sherlock.” comunicò ufficialmente ad alta voce.
“Noi finiremo di ristrutturare il locale. Ma questo era scontato.” Zach fece spallucce, dando un’occhiata sommaria ai muri, il pavimento, la cucina e tutto il resto che c’era ancora da sistemare.
“Sì. E poi ci sposeremo.” disse Matt, a cuor leggero, zittendo tutti e congelando i movimenti di Zach. Quando s’accorse dell’effetto che le proprie parole causarono agli altri ed in particolare al proprio compagno, ruotò il capo per poterlo osservare meglio “Problemi?”
Zach si esibì in un lungo suono nasale che poi concluse con un “No. Nessun problema.”
“Non sembri convinto.” Matt si imbronciò, ma decise di non allontanarsi dal proprio compagno.
Zach strinse Matt a sè e gli dispiacque molto averlo fatto rabbuiare: fu l’istinto a fargli pronunciare le precedenti parole con un filino di dubbio. Matt era la sua prima relazione veramente significativa dopo una lunga serie di abbandoni e l’idea che modificare il loro ‘status’ potesse incrinare il loro rapporto lo colse impreparato a quella proposta “Mi hai solo colto di sorpresa. Pensavo fosse solo un po’... presto?”
“Ma che presto e presto!” sbottò Matt, scattando in piedi e camminandogli di fronte, avanti e indietro, in mezzo metro di pavimento “Zach! Siamo sopravvissuti in Afghanistan e non devo essere io a ricordarti quanto abbiamo rischiato l’ultima missione. Stiamo bene insieme e...” si fermò, alzando il braccio destro verso John e Sherlock “Guarda cosa può succedere da un giorno all’altro! Un giorno vai tranquillamente a trovare due amici ed ecco che ti sequestrano il tuo ragazzo!”
Tutti i presenti nel locale si inebetirono in un’espressione piuttosto sgomenta, stupiti dalla reazione del solitamente pacifico e scherzoso Matt: rimasero in silenzio ad ascoltare lo sfogo del giovane cecchino. Qualcuno avrebbe voluto intervenire con una battuta che sdrammatizzasse la situazione, ma la foga di Matt li superava.
“E’ un cacchio di mondo pericoloso, Zach! Se ti succedesse qualcosa e ti ricoverassero in ospedale, io non avrei neanche il diritto di sapere niente, neanche se sei vivo o se sei morto!” Matt sbattè un piede per terra, per poi inginocchiarsi davanti al proprio compagno: l’espressione rigida si ammorbidì fino a diventare uno dei suoi soliti sorrisi “Ci siamo scambiati le piastrine militari... scambiamoci anche due anelli.” allungò il viso verso quello di Zach, strusciando la punta del naso sotto il suo mento “Io ti amo, tu mi ami. Non voglio mica una cerimonia da gay-pride, voglio solo renderlo ufficiale.”
Zach sorrise e strinse a sè il giovane cecchino che aveva di fronte “Beh. E’ una fortuna che i ragazzi siano tutti qui, così possiamo già chiedere loro se vogliono farci da testimoni.”
“Allora è un sì?” trillò Matt, scuotendolo appena.
“Mille volte sì.” confermò Zach, regalandogli uno dei suoi sorrisi migliori.
Matt urlò di gioia schizzando in piedi come una molla, senza mai essere perso di vista dallo sguardo umido di Zach verso il quale si chinò per un bacio veloce prima di esplodere in salti e acrobazie che fecero alzare un gran polverone dal pavimento.
“Ci sposiamo!” ribadì per poi andare ad abbracciare i Mastini uno ad uno, fermandosi infine su Sherlock e John “Sherlock, tu mi farai da testimone! E tu, John, lo farai a Zach!” ordinò al volo prima di buttarsi nuovamente tra le braccia del proprio compagno “Amelia e Rose saranno le damigelline d’onore! Saranno felicissime!”
I Mastini che fino a quel momento erano stati zittiti dall’impeto di Matt, scoppiarono in risate e felicitazioni e David propose a tutti di fare un foto per immortalare il momento: si alzarono tutti, disponendosi nella posizione indicata dall’informatico che, dopo aver impostato l’autoscatto, si fiondò in mezzo agli altri, sorridendo alla macchinetta.
“Dite tutti ‘Mastini’!” esortò Christopher e tutti pronunciarono quella parola nel momento in cui videro il flash della fotocamera.
“Ehi, speriamo sia venuta bene!” disse Matt, per poi prelevare l’apparecchio fotografico e iniziare a fare foto ai Mastini, senza un preciso ordine “David, poi queste ce le devi passare tutte eh! Tappezzeremo il locale!”
Mentre Matt si divertiva a fare degli agguati a Sherlock pur di riuscire a fotografarlo, Zach si avvicinò a John, sulla nuca del quale posò una delicata carezza “Allora, John? Come stai?”
“Un po’ stanco.” sorrise John, per poi indicare a Matt il punto in cui Sherlock si era nascosto, divertito dal vederli giocare: non gli sembrava vero vederlo comportarsi come una persona normale, giocare come un ragazzino e, soprattutto, farlo con gusto e divertimento. Il fatto che per Sherlock, poi, quelle fossero esperienze eccezionali, rendeva tutto ancora più apprezzabile.
“Oh, giusto. Congratulazioni, Zach.” gli strinse la mano con la sinistra, sorridendo nel vederlo gongolare nei suoi stessi pensieri.
“Sono un ragazzo molto fortunato.” ammise, alternando lo sguardo tra Matt e John, sul quale poi tornò “Dovreste farlo anche voi.”
Prima John si bloccò, poi iniziò ad impappinarsi con le parole, tanto che non ne fuoriuscì nessuna di senso compiuto dalla sua bocca: a salvarlo fu il cellulare di Sherlock che si vide lanciare incontro dallo stesso proprietario.
Era Mycroft: ecco perchè Sherlock aveva lasciato a lui l’onore di rispondere.
“Mycroft?” rispose, schiarendosi la voce con un colpo di tosse “Di già? Va bene, arriviamo.”
Quando John riagganciò la telefonata, si congedò dai Mastini assieme a Sherlock, con la promessa di rivedersi presto e che avrebbero organizzato altre rimpatriate del genere.
Matt protestò perchè avrebbe voluto prolungare la festa per tutta la sera e tutta la notte, soprattutto dopo la mattina movimentata che avevano passato, ma John e Sherlock non potevano proprio rimanere: avevano un aereo da prendere.

Mycroft sbrigò in fretta i due favori che John gli chiese: avere il potere di insabbiare sette omicidi, far sparire i cadaveri, d’altronde, era stato l’unico modo in cui aveva potuto aiutare due delle persone più importanti della sua vita in quella particolare situazione in cui avrebbe voluto senz’altro fare di più.
Dopo aver consegnato a John le ceneri di Sebastian Moran chiuse in un’elegante scatola nera, riservò loro un piccolo jet militare che li avrebbe portati a Kabul, nel punto esatto in cui avrebbero preferito atterrare.
Da una parte John avrebbe gradito riposarsi, lavarsi via di dosso il sangue e il sudore di quel giorno infernale, tuttavia l’idea di chiudere definitivamente il capitolo di quella particolare e dolorosa storia, lo incoraggiò a salire in fretta su quel piccolo aereo, seguito a ruota da un silenzioso Sherlock.
La stanchezza prese il sopravvento e, nonostante il desiderio di John di raccontare a Sherlock i dettagli omessi di fronte ai Mastini, finì con l’addormentarsi con la testa appoggiata sul petto del proprio compagno che lo cullò in silenzio per tutta la durata del viaggio.
Sherlock svegliò John poco prima che il jet atterrasse in un punto del deserto afghano che fosse per certo lontano da scontri armati, da carovane e villaggi di beduini: desideravano una certa intimità per quel che s’apprestavano a fare.
Quando la coppia scese a terra, si allontanò dal velivolo di almeno mezzo chilometro: John cercò la mano di Sherlock durante quel breve tragito e lui non gliela negò, anzi, la strinse nella propria con una forza tale che dichiarava il loro legame d’appartenenza l’uno nei riguardi dell’altro.
Nel momento in cui John sembrò trovare un punto che gli piacesse in particolar modo, senza dune o sassi sporgenti, si sedette a terra, appoggiando la scatola nera davanti a sè. Sherlock si sedette a sua volta posizionandosi dietro di lui, imitando la posa che aveva visto assumere da Matt e Zach al locale: appoggiò il torace alla schiena di Sherlock, allacciandogli le braccia attorno alla vita per poi appoggiare il mento sulla spalla sinistra di John in un incastro più che perfetto.
John mugolò sotto quella stretta, voltandosi per baciare lo zigomo destro di Sherlock prima di tornare ad osservare il deserto che si estendeva, più o meno regolarmente, a perdita d’occhio: nonostante la complicità sussistente tra i due, tuttavia, non trovò semplice rompere quel silenzio, quindi stette in silenzio diversi minuti prima di aprire bocca “Non pensavo che sarei tornato in Afghanistan una terza volta.”
“Questa volta non è per restarci.” replicò Sherlock prontamente, rinvigorendo la stretta attorno alla vita di John, sul collo del quale nascose parte del viso, intento ad inspirare il suo odore e a tastare il suo sapore con un accenno di labbra.
John chiuse gli occhi, godendosi l’intensità di quell’attimo più che potè: era innegabile che l’Afghanistan gli fosse rimasto nel cuore, e sedersi su quel deserto in compagnia di Sherlock lo rendeva ancora più speciale.
“John.” lo richiamò Sherlock, quando lo riscoprì nuovamente silenzioso “Non puoi semplicemente aprire quella scatola?” domandò, impaziente di tornare a Baker Street, di riportarlo nella loro, unica casa.
“Aspetto solo che si alzi un po’ di vento.” spiegò John, posandogli le mani sulle sue, intrecciandole in una salda presa.
“Sai, l’avevo detto ai Mastini, li avevo avvertiti.” Sherlock fece una piccola pausa, poi riprese a parlare a bassa voce, come se temesse il potere mistico del deserto sul quale erano seduti “Che c’erano possibilità che fosse una missione suicida. Da parte di Moran, dico.” si leccò le labbra e già potè percepire un lieve sapore salino impresso su di esse “Una personalità narcisistica come la sua preferisce un’uscita col botto, piuttosto che farsi incarcerare o scappare.”
John annuì, e in quel leggero contrasto che li caratterizzava, dopo la spiegazione logica di Sherlock arrivò la sua, più emotiva “Non aveva più niente per cui vivere: ormai la sua anima era un mosaico composto da milioni e milioni di tassellini e non esisteva più alcun collante per poterli rimettere insieme. Ma era molto, molto più... umano di quanto si potesse credere.” scrollò il capo per poi fermarlo, rivolto verso Sherlock “Ho capito che non mi avrebbe ucciso nel momento in cui mi ha portato gli antibiotici per la spalla. Per quello avevo paura che potesse rifarsi su di te. Avevo il terrore... quando ho visto che aveva ricostruito il tetto del Bart’s ho temuto... Sherlock, ho temuto di rivivere quel maledetto giorno.”
“Lo so, John.” Sherlock fece scivolare la mano destra dalla vita di John e la alzò fino a cingergli le spalle, portando il volto di John più vicino al proprio “Mi dispiace che tu abbia dovuto rivivere quella paura. Avessi potuto evitarlo...”
John fermò le scuse di Sherlock rubandogli un leggerissimo bacio a fior di labbra “E’ di nuovo grazie a te se sono sopravvissuto.”
“Sì, ma...” Sherlock chiuse gli occhi, rubando il respiro di John direttamente dalle sue labbra, tanto gli era vicino “Ha voluto mettermi alla prova: se io non avessi risposto correttamente o fatto quello voleva...”
“Beh?” John si tirò un poco indietro col collo, ma solo per poterlo guardare meglio “Hai messo da parte l’orgoglio, Sherlock, e lo hai fatto per me. Ti sei fatto aiutare. E sai una cosa?” gli tornò vicino, strofinandogli il naso col proprio “L’hai fatto ancor prima di capire che lui ti stesse mettendo alla prova. Non hai idea di quanto questo sia importante per me.”
Sherlock sorrise e chiuse gli occhi mentre posava la propria fronte su quella di John “Sono diventato un bravo ragazzo senza accorgermene.”
“Lo sei sempre stato, in fondo.” John sorrise ed in quel momento sentì una leggera brezza alzarsi “Serviva solo il morso di un Mastino per fartene rendere conto.”
“Il morso del mio Mastino per rendermene conto, e le impronte degli altri sette a guidarmi nell’impresa.” ammise Sherlock che, persosi a lungo nel viso di John, si accorse solo in quel momento che si era fatto più buio.
Entrambi alzarono lo sguardo verso l’alto e rimasero ancora una volta stupiti dalla bellezza delle numerose stelle che illuminavano il cielo notturno afghano.
“Si è alzato il vento.” il dottore si alzò in piedi, seguito a ruota da Sherlock che gli tenne la scatola nera tra le mani, avendole entrambe funzionanti: John sospirò, quindi, quando sentì che le direzione del vento viaggiava per il loro stesso verso, aprì quell’urna improvvisata in un gesto lento che donava solennità a quel semplicissimo rito.
John e Sherlock videro le ceneri volare lontane, alzando lo sguardo quando videro un piccolo turbine librarsi nell'aria: secondo la loro prospettiva sembrava che le ceneri si stessero innalzando, andando proprio incontro alle stelle che, senza l’inquinamento luminoso tipico delle città, rischiaravano la zona rendendo il momento quasi magico.
Rimasero lì finchè la scatola non si svuotò del tutto e fintanto che i riccioli di cenere disegnati dal vento fossero visibili ad occhio nudo: John non disse nulla, neanche una parola d’addio, evitando qualsiasi clichè che la situazione avrebbe previsto, non volendo rovinare quello che trovò uno splendido modo di far unire l’anima di un uomo alla terra che più amava.
Strinse la mano di Sherlock quando si sentì pronto: si voltarono dunque, e dopo essere saliti sul piccolo jet militare, volarono nuovamente verso casa.

Quando John e Sherlock entrarono nel soggiorno del 221B di Baker Street, la prima cosa che cercarono fu, per entrambi, la propria poltrona: si sedettero, quindi, uno di fronte all’altro, stanchi fisicamente per il poco riposo e per gli avvenimenti degli ultimi due giorni. Quando riaprirono gli occhi e poterono vedersi nuovamente nella loro casa, entrambi al sicuro, parte della stanchezza svanì, lasciando spazio ad una piacevole sensazione di conforto.
“Devo assolutamente farmi un bagno: ho addosso sangue, polvere, sabbia... e questi vestiti stanno in pieni da soli.” sbuffò John alzandosi in piedi, togliendosi la camicia sporca e lacera per poi buttarla nel bidone della spazzatura.
Sherlock seguì il fare di John muovendo solo gli occhi, rimanendo immobile sulla poltrona: quando il compagno si tolse la camicia, però, emise un mugolio interessato ed anche le dita delle mani iniziarono a muoversi.
John andò in bagno ed aprì i rubinetti regolandoli alla giusta temperatura iniziando così a riempire la vasca, entro la quale versò una dose abbondante di sapone che iniziò a formare un po’ di schiuma quando il getto dell’acqua vi scrosciava sopra.
Tolse le scarpe, calzini e pantaloni e fu tentato di buttare anche quelli, ma un’idea più interessante gli passò per la mente: rimasto in boxer, tornò nel salotto e, fermandosi accanto alla propria poltrona, trovò Sherlock intento a seguire ogni suo movimento come un gatto che segue maniacalmente la luce di un led rosso su un muro.
Per avvalorare la propria tesi, John fece avanti e indietro due volte, dal divano alla poltrona e sorrise nel confermarla “Mi fai compagnia?” domandò dunque, alzando l’angolo destro della bocca in un sorrisetto malizioso.
“Beh.” Sherlock ruppe il silenzio alzandosi in piedi e fermandosi di fronte a John verso il quale alzò la propria mano curiosa e avida di toccarlo “Qualcuno dovrà pur controllare che non ti bagni la spalla ferita.”
“Oh, grazie.” ammiccò John che non si fece toccare per il puro gusto di farsi desiderare di più “Ti aspetto di là.”
Sherlock mugugnò per il mancato tocco ma la vista di John, quasi nudo, che stava preparando un bagno per loro due, non lo fece lamentare poi più di tanto: la mente volò al giorno precedente e a ciò che stavano per concludere sul pavimento e le mani si mossero da sole verso la camicia color porpora, così come i piedi che lo portarono sulla porta del bagno.
John era già nella vasca con un’espressione beata disegnata sul volto: sorrideva ad occhi chiusi con la testa appoggiata sul bordo, le braccia fuori, metà torso scoperto, mentre la parte inferiore era totalmente nascosta  dall’acqua e dalla schiuma.
“Tieni gli occhi chiusi.” chiese Sherlock mentre si spogliava, scoprendo finalmente cosa fossero il pudore e la vergogna solo in quel momento, di fronte a quell’uomo che desiderava così tanto, ma che di fronte al quale non voleva sfigurare in alcun modo.
John obbedì, intuendo l’imbarazzo dell’altro, tenendo le braccia al di fuori della vasca finchè non le sentì riempire col corpo di Sherlock che gli si posò addosso con la schiena nuda: istintivamente gli si avvicinò, stringendolo in un abbraccio morbido, per nulla costrittivo, posandogli piccoli e rassicuranti baci sulle spalle.
Sherlock si sentì a suo agio in quell’abbraccio, sorridendo di fronte alla delicatezza di John verso il quale ruotò il capo alla ricerca di un bacio che trovò facilmente e che approfondì abbastanza da disinibirlo un poco “Puoi aprire gli occhi, ora.”
John lo fece, perchè era impensabile avere vicino Sherlock e non poterlo osservare: sorrise al pensiero che probabilmente il Consulente Investigativo non si rendesse neanche conto dell’enorme fascino che aveva. Fece scorrere le mani sul torace di Sherlock avvicinandolo a sè più che poteva, riappropriandosi della piacevole situazione di toccare e di essere toccati esclusivamente dalla persona amata.
Sherlock si lasciò esplorare con calma, sicuro del fatto che John non avrebbe azzardato nulla che lui non avesse voluto, accoccolandosi su di lui con la schiena, posandogli il volto sulla clavicola sinistra per non gravare col peso sulla destra, ferita.
John si accorse in quel momento che Sherlock aveva sempre tenuto la mano destra fuori dalla vasca, quindi fermò le proprie mani, posando il mento sulla fronte dell’altro “Che hai lì?”
Sherlock si risvegliò da quello stato di quiete, immergendo poi il gomito destro in acqua, portando il cellulare di fronte ad entrambi “Abbiamo ricevuto una email.”
“Oh Sherlock, il cellulare mentre facciamo il bagno no, dai.” mugugnò John, strofinandosi il viso con la mano sinistra “Una email? Non vorrai accettare un caso proprio ora, spero.”
Sherlock glissò l’ultima velata domanda, ma scosse il capo per la prima “E’ da parte di David, mi ha mandato le foto di oggi.” aprì velocemente la cartella, iniziando a sfogliarle una ad una, mostrandole anche a John.
“Matt ha una vera e propria adorazione nei tuoi confronti.” ridacchiò John, mordicchiando la cartilagine dell’orecchio destro di Sherlock “E anche tu lo sopporti bene, devo essere geloso?” domandò retoricamente, non riuscendo proprio ad essere serio quando parlava del più giovane dei Mastini.
“Na. Troppo appiccicoso.” rise, poi, di fronte ad una foto in cui Matt tentava un assalto al gigantesco Alec “E poi si sta per sposare.” specificò, scorrendo ancora le diverse immagini.
“Già.” John si limitò ad annuire, sperando vivamente che non fosse uno di quei discorsi che Sherlock avrebbe portato avanti all’infinito.
“Beh, il discorso dell’ospedale, sai... che senza un legame civile uno non può...”
John ascoltò tutto il discorso di Sherlock senza mai interromperlo, commentando con un mentale ‘E ti pareva’, quindi quando il Consulente Investigativo concluse, si divertì a rispondergli con un semplice “Quindi?”
“Come ‘quindi’?” balbettò Sherlock, tirandosi un poco più in giù per osservarlo meglio “Io voglio avere dei diritti su di te!”
John scoppiò a ridere: ecco che tornava fuori il suo adorato, possessivo, Sherlock Holmes “Mi stai forse chiedendo di sposarti?”
Sherlock si bloccò, come se realizzasse solo in quel momento cosa volesse dire, effettivamente, ‘unirsi a John civilmente per poter avere dei diritti su di lui’. Tirò sù col naso, quindi si riappoggiò al torace del dottore, tornando a sfogliare foto “Tanto li esercito comunque i miei diritti su di te.”
“Ah ecco.” commentò John, divertito e al tempo stesso rassicurato: fermò poi Sherlock toccandogli il braccio “Aspetta, è la foto di gruppo, fammela vedere bene.”
Era una bellissima foto di gruppo, erano tutti sorridenti e rilassati per l’esito della missione e felici di essere tutti insieme per poterlo testimoniare.
In piedi, sul lato sinistro c’erano Bruce e Logan: due enormi ragazzi legati da un’amicizia nata sul campo di battaglia e rafforzata grazie a passatempi comuni nei mesi di riposo, donne e sport estremi. Una volta usciti dal locale, ancora vibranti di adrenalina, si sarebbero recati alla scuola di pugilato dove Logan allenava le giovani promesse del quartiere a scambiarsi cazzotti perchè di azione, di movimenti e di scatenare i muscoli non ne avevano mai abbastanza.
In piedi, sul lato destro, i due veterani del gruppo: Alec e Christopher.
Alec, silenzioso a dismisura: la somma delle sue parole in sei mesi di Afghanistan equivaleva a alla somma di quelle pronunciate da David nel giro di tre giorni. Se solo tutti gli altri Mastini avessero saputo che tutte le parole che non pronunciava con loro le teneva in serbo per i suoi tre figli, l’avrebbero preso meno in giro, evitando di dargli del musone. Alec, una roccia sul campo di battaglia, a fine giornata sarebbe tornato a casa dalla propria famiglia per poi giocare a calcio coi tre figli nel campetto dietro a casa.
Christopher, uomo dal sangue freddo che è riuscito a zittire persino Sherlock Holmes è un capo squadra ideale, uno che sa usare le parole giuste per incoraggiare un soldato impaurito o per zittirne uno insubordinato, ma che sa essere il migliore amico di tutti a missione conclusa. Poco prima di essere chiamato da David per la missione, aveva promesso al figlio e alla moglie di portarli al circo: avrebbe rimediato la sera stessa, incurante della fatica della missione svolta poche ore prima.
In basso, sdraiato davanti a tutti perchè aggiuntosi all’ultimo momento dopo aver impostato l’autoscatto, c’era un sorridente David: genio, logorroico, innamorato.
David forse non è il soldato più coraggioso e atletico tra tutti, ma nel campo di battaglia sono importanti anche la precisione tecnologica e la segretezza delle comunicazioni: è un autentico stanca cervelli, uno che parla tanto, troppo, perchè nella sua testa non c'è abbastanza spazio per tutte le sue idee e deve esternarle in qualche modo. E’ l’unico il cui quoziente intellettivo può competere con quello di Sherlock Holmes, seppur sviluppato in aree diverse di apprendimento. Appena riprese mano al proprio furgone, quella stessa sera, sarebbe tornato a casa da Georgia e, avendo la certezza di un lavoro ben pagato, le avrebbe amorevolmente chiesto di sposarlo con un’applicazione per IPhone inventata da lui e che lei avrebbe potuto aprire e rivedere ogni volta volesse digitando “ILOVEYOU” sulla tastiera.
In basso a sinistra erano accucciati Matt e Zach, abbracciati l’uno all’altro con i loro migliori sorrisi rivolti alla telecamera.
Zach, ragazzo dall’infanzia solitaria, abituato a non aspettarsi mai troppo dagli altri, ma ai quali invece donava comunque la propria gentilezza, che la meritassero o meno. Si stupì quando, in Afghanistan, s’accorse delle attenzioni che Matt gli rivolgeva, e non trovò parole, quello stesso giorno, quando lo stesso ragazzo che gli aveva fatto capire che anche lui meritava di essere amato, gli ha rivolto la proposta di matrimonio. Fu la fine dei dubbi: aveva la fortuna di amare e di essere ricambiato dal ragazzo migliore che potesse incontrare, non solo a Londra, ma addirittura in Afghanistan.
Matt, invece, è la conferma che non tutti i ragazzi ricchi, che hanno avuto tutto dalla vita con una famiglia eccellente alle spalle che non fa altro che viziarti, sono degli spocchiosi nullafacenti che aspettano di avere tutto servito su un piatto d’argento. Matt ha deciso di arruolarsi nell’esercito, è partito con la speranza di trovare il brivido che la vita agiata non gli ha mai dato ed è tornato a casa ricco di esperienza, di fratelli su cui contare e di un ragazzo da sposare che ha finalmente riempito l’unico vuoto che gli mancava.
Matt e Zach, quella sera, quando rimasero soli nel locale, abbassarono le serrande e, semplicemente, fecero l’amore, rinnovando l’un l’altro la promessa fatta nel pomeriggio.
In basso a destra c’erano John e Sherlock, accucciati in mezzo agli altri Mastini, gli stessi John e Sherlock che avevano trasformato l’ennesimo pericolo vissuto insieme in una collante che li unì maggiormente.
Quella notte, dopo aver temuto di non potersi più rivedere, dopo essersi salvati, dopo essere tornati dall’Afghanistan, John e Sherlock sono tornati a casa e sono ancora immersi nella tiepida acqua della vasca che li cullerà fino a farli addormentare, stanchi nel corpo, ritemprati nei cuori che battevano all'unisono uno sopra l'altro.

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(1)Gene Kelly è il tizio di "I'm singing in the rain" XD
(2)I "nonni" nell'esercito sono coloro che praticano nonnismo

***Ragazze, come per "Back to Afghanistan", le note le metto a fine capitolo. Che dire? Scusate l'attesa, ma i primi 2 giorni dopo la pubblicazione del 10 sono rimasta a guardare il foglio vuoto dicendo "No. Non la voglio finire, mi mancheranno i Mastini ç_ç" però poi, insomma, ho cominciato a scrivere! Che altro dire... ero timorosa di pubblicare questo sequel per paura di rovinare BTA, ma alla fine ne sono rimasta molto soddisfatta e questo anche grazie a voi che mi avete supportato con i vostri bellissimi commenti :D Non voglio dire altro... cioè, mi mancano già i Mastini! Quindi come qualcuno di voi saprà già, visto che rimango nel fandom, ho deciso che quando mi mancheranno troppo scriverò delle one-shot con protagonisti sempre John e Sherlock, ma che coinvolgano anche i Mastini! (tipo, non vorreste il matrimonio tra Matt e Zach? *_*) Se avete dei prompt da suggerire ditemeli pure eh XD Non so a cosa mi dedicherò ora, forse una AU!school(università più che school °_°), o magari qualche oneshot(sempre che ci riesca, scrivo troppo ò___ò), magari nel frattempo studio e dò anche qualche esame XD Che dire bimbe! Ditemi se vi è piaciuto il finale, se vi è piaciuta la ff in toto, se ho deluso rispetto a BTA... insomma, tutte le critiche servono! BACI!!! ç_ç ***

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