Mother Of All

di Theredcrest
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Bosco ***
Capitolo 2: *** Arrivo alla villetta ***
Capitolo 3: *** Sveglia, sveglia ***
Capitolo 4: *** L'ingrato ***
Capitolo 5: *** Stetson ***
Capitolo 6: *** Tracce ***
Capitolo 7: *** La Madre ***
Capitolo 8: *** Imbarazzo ***
Capitolo 9: *** Ambris ***
Capitolo 10: *** Diverbi interni ***



Capitolo 1
*** Il Bosco ***


IL BOSCO


Questa notte vago svogliatamente nel tentativo di occupare del tempo.
È buio. Fa freddo.
Durante queste nottate invernali la temperatura è sempre rigida, sopratutto in montagna, se così si può definire l'altura ai piedi della città in cui vivo. Affondo i piedi nella neve sentendone lo scricchiolio ad ogni passo, pregustandomi un po' di sana solitudine notturna nei boschi dietro casa. Non c'è niente di cui avere paura in questa zona, niente sconosciuti in giro, nessuna macchina fracassatimpani e niente modernità, solo qualche albero e cespugli verde scuro che sorpasso a gambe strette. Qua e là i rami del sottobosco diventano fastidiosi e insistenti facendo impigliare il mio vestito e il mantello slavato che mi è stato regalato, decisamente più caldo di un banale cappotto di piumino, così ogni tanto mi tocca fermarmi a liberarli. Diversamente da come vogliono farvi credere i libri fantasy, i boschi sono tutt'altro che liberi, ben tagliati e curati. Più spesso, e specialmente in inverno, sono un intrico infernale di neve, fanghiglia e foglie marce cadute in autunno.
Quasi dimenticavo di presentarmi: mi chiamo Rachele, un nome perfetto per una tappa mora eccessivamente pallida e scorbutica. E tanto per chiarire, non vivo in un castello del medioevo come potrebbe farvi pensare la presunta posizione della mia abitazione, ma in una simpatica villetta di montagna in vero legno per veri vampiri.
Sembra tutto uno scherzo, me ne rendo conto: freddo, gelo, camminata in lande sperdute, il luogo perfetto per iniziare un racconto della paura su come l'ennesima ventenne rincretinita sia caduta nelle grinfie di un qualche mostro mangiadonzelle. Il classico clichè americano che finirà probabilmente con una qualche storiella d'amore insensata.
Lasciate che vi dica una parola: scordatevelo. Non sono mai stata umana per cominciare, e non ci tengo ad esserlo: essere un Vampiro porta già tanti problemi e, vi assicuro, quelli che ho mi bastano per dieci delle vostre vite.

Sto aspettando la mia sire, mia Madre, una versione della strega di Raperonzolo un po' più buona e frivola. Preferisce io viva lontano dal mondo urbano e dai luoghi di caccia, lontano da tutto ciò che è presente per tenermi rinchiusa in questo territorio desolato in cui lei ha deciso io sono al sicuro. Tra i tanti aspetti che la caratterizzano, questo è quello che più di tutti mi urta.
Quando lei è via per stupide riunioni o per lavoro, come in questo momento, tutto ciò che mi è permesso fare è uscire la notte a cacciare animali nei dintorni. Ci sono altre volte in cui mi porta con lei a fare un po' di sana pratica sugli umani, ma questo mese sono state più rare che mai ed io mi sento miserevolmente sola, e decisamente abbandonata in favore della preparazione di 'prestigiosi' festini e di vittime da dessert. Quando non sono nella villetta, ci sono solo distese di vegetazione, rami spezzati e le luci della città in lontananza, giù dal pendio. Ogni tanto qualche fruscio mi fa voltare. Saremo pure in alto nella catena alimentare come mi hanno detto, ma della sana preoccupazione non fa mai male.
Finisco per trovare un passaggio tra i rami, ne scosto alcuni con le mani appesantite da guanti di pelle cuciti a mano. L'accumulo di neve in bilico sulle fronde cade e l'ultimo ostacolo scompare, liberandomi la vista su una minuscola radura disseminata di pietre e con un po' di spazio libero dagli alberi che si infittiscono poco oltre.
Faccio per spostarmi e prendere posto su di un masso, decisa a spaparanzarmi in appostamento, quando il mio stivale si incastra da qualche parte ed io inciampo e scivolo indietro con poca grazia. Una degna figura per la sottoscritta gentile donzella, che di gentile ha meno che niente. Quasi mi aspetto di dare una bella craniata al terreno gelato quando qualcosa dalla consistenza diversa, che non è suolo, neve né un ammasso di rami, mi attutisce la caduta. Ci finisco seduta sopra.
È molle, ma non troppo, e deve avere delle ossa da qualche parte. Pensando si tratti della carcassa di un animale morto, mi piego giusto per la curiosità di sapere di quale si tratta. Avessi posto un po' più d'attenzione sulle dimensioni, prima, avrei capito cosa mi sarei trovata a riscoprire sotto un lucido strato di fiocchi di ghiaccio.
Un corpo umano. Logico, no? Tutti non fanno altro che andare in giro per zone desolate di notte, in inverno, sperando di buscare una polmonite. Sarà un cacciatore sbadato, penso scrollando la neve dall'ammasso di carne, oppure uno sbadato e basta.
È un maschio, rannicchiato su un fianco, vestito troppo leggero: jeans, una maglietta e una giacca di pelle potrebbero riparare dal freddo in città, ma non qui. Si, probabilmente è un cittadino.
Ha il collo scoperto, gli do un'occhiata disinteressata. Il sangue freddo non mi piace.
Mi sovviene che potrei lasciarlo lì alla mercè dei predatori, oppure chiamare la guardia forestale per segnalare una violazione del territorio lasciando siano loro a trovare il cadavere. Comunque, giusto per potergli frugare in tasca, lo giro verso di me.
È livido come tutti i cadaveri morti di assideramento, ma almeno ha avuto la decenza di chiudere gli occhi prima di morire. Un vero peccato, perchè da vivo avrebbe fatto la sua figura: ha un bel viso, un filo di barba sulle guance e un buon fisico.
Sollevo le spalle, mi allontano decisa a chiamare la guardia forestale. Non faccio in tempo a fare una decina di passi che un colpo di tosse improvviso alle mie spalle mi fa sussultare.
È vivo.
Credo.
Sospiro, portandomi una mano alla fronte. A questo punto dovrei ucciderlo, sarebbe la cosa più logica. Non siamo né buoni, né bravi né belli come ci descrivono nei romanzi.
Tuttavia, se c'è una cosa che effettivamente siamo, è il nostro essere creature senzienti costantemente alla ricerca di contatti sociali. Tante informazioni su di noi fanno intuire il contrario, ma siamo fondamentalmente dei morti col cervello dotati di istinti più o meno bestiali: cacciamo, ringhiamo o sibiliamo contro eventuali minacce, utilizziamo unghie e denti e quando non manteniamo una facciata di eleganza e decenza abbiamo decisamente bisogno di un branco. Si potrebbe parlare di necessità di socializzazione. Se così non fosse, i fratelli non organizzerebbero continuamente balli e galà, ed eventi in cui incontrarci tra noi e anche con i pochi umani a cui è concesso sapere qualcosa. La Madre non si affannerebbe tanto a inseguire l'organizzazione e gli eventi dei nostri simili se così non fosse, ed io non ne sono esente.
E nonostante questo, ha ancora il coraggio di fare orecchie da mercante quando le dico avremmo bisogno di spostarci in zone più abitate, o di tenere un servo di compagnia.
Pensarci mi fa cambiare idee sul futuro del povero miserabile a terra. Al momento sono da sola, e come non bastasse mi scoccia l'essere stata abbandonata in casa per farmi, al massimo, un giro nella foresta. Quale motivo avrei per non godere di un nuovo passatempo?
Allargo un sorriso, tornando indietro.
La Madre non tornerà prima dell'alba, è meglio che arrivi a casa prima di quel tempo.



Note dell'autore
Premetto che questa è la mia prima pubblicazione seria di una fanfiction, per cui non so se e quanto piacerà a chi si troverà a leggerla xD sono stata spinta dalla mia migliore amica Verichan (tra l'altro iscritta anche lei in questo sito e mooooolto più brava di me) a combinare questa pazzia e qualche volta la vedrete farmi da beta reader (come in questo caso) per correggermi con assoluta pignoleria "e" accentate e altri vari orrori prodotti dalla mia sbadataggine.
Per il resto, durante i suoi periodi di assenza divina c'é Open Office xD
Tutta la storia è stata ispirata dall'ambientazione del forum Anderville GDR, creato da un gruppo di menti fervide che mi comprende. L'ho segnata nel gruppo soprannaturale e non vampiri perchè più avanti, se la continuerò con costanza senza fermarmi a metà come mio solito, ci saranno delle piacevoli introduzioni.
Per il resto non credo manchi niente, spero piaccia, spero di ricevere un qualche commento costruttivo e di migliorare il più possibile! Detto questo, un saluto a tutti xD

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Capitolo 2
*** Arrivo alla villetta ***


ARRIVO ALLA VILLETTA



Spalanco la porta della nostra baita di montagna con forza, facendo penetrare nel calore di casa una folata di vento gelido. Con un gesto stizzito, mi limito a scrollarmi di dosso l'acqua che mi cola dai capelli a causa della neve dell'esterno; mi metto meglio in spalla il mio bottino e poi supero l'uscio richiudendo col piede la porta, sbattendola con fare definitivo. Inizio ad avere un po' di sete.
Il mio stomaco brontola e si lamenta, ma lo zittisco convincendolo che tra poco troverà tutto quello che cerca nella ghiacciaia al piano di sotto, una cantina adibita a enorme freezer dove teniamo le nostre provvigioni. Non tutti sono così fortunati o abbienti da avere un piano apposito dove conservare il sangue, in particolare i vampiri più giovani creati da un sire poco importante, ma la nostra famiglia è ricca e da generazioni il capitale non fa che aumentare: secondo la Madre i soldi non bastano mai, anche perché, dice, sta investendo sul mio futuro.
Mi dirigo al tavolo della sala da pranzo all'entrata e strattono il copritavolo da un lato, facendo cadere le poche cose posate lì sopra: una bacinella d'argento riempita di frutta finta, qualche soprammobile insignificante in plastica che cade sul parquet dell'interno. Guardo il danno fatto, ma poco importa.
Il passaggio dal freddo di fuori al calore interno è  tanto insignificante per me quanto esasperante per l'umano congelato che tengo a spalle, quindi mi affretto a mollare il malloppo lungo e disteso sul banco spoglio, calciando via gli elementi di disturbo lì attorno. Sedie? Non ci servono. Centrini di pizzo? Gettati sul divano poco distante.
Lo sistemo faccia in alto e lo spoglio di maglietta e giacca senza fare una piega. Credete non abbia già visto un uomo in mutande? Ce ne sono a bizzeffe sulle copertine patinate dei giornali di casa che pubblicizzano intimo, profumi e orologi in tutte le salse, non ho motivi di scandalizzarmi. Lui invece ne avrebbe più di uno, perché si dà il caso mi abbia infradiciato dalla testa ai piedi di neve.
Almeno respira ancora e sembra aver ripreso un po' di colore, mi dico, perché sarebbe stato un peccato buttare via tanta fatica per nulla. Vado a prendere una coperta di pelo in un angolo della stanza e gliela butto addosso nel dubbio abbia freddo; già che ci sono, spingo il tavolo più vicino al camino della sala facendo volare anche i pantaloni intrisi d'acqua che indossa, affatto affascinata dall'effetto del freddo sulla fisiologia maschile.
Sembra piuttosto giovane, avrà forse la mia età o qualcosa di più.
Concentrandomi sui dettagli intravedo un occhio chiaro, quindi sposto la mia attenzione sulla dentatura e gli sollevo un lato del labbro.
Una fila di denti dritti e regolari da copertina. Il dentista dev'essere stato il suo migliore amico d'infanzia e probabilmente sua madre lo voleva in televisione come modello, ma  niente a che vedere coi nostri canini iper-sviluppati di serie, retrattili e non.
Sì, ci sono delle differenze tra succhiasangue e succhiasangue, non siamo tutti fatti con lo stampino. Diciamo che alcuni di noi sanno respirare, mangiare normalmente, generare calore, sognare o dormire e fare molte altre cose, ma siccome siamo divisi in parecchie razze nessuno sa fare tutta questa roba insieme, non per davvero, ma solo una ed una soltanto. Le altre caratteristiche sono un'illusione di un'ora o due, riprodotte utilizzando il sangue dei nostri corpi e limitate nel tempo, mentre il vero dono è unico e trasmesso da sire a infante.
Tutti i membri di una determinata razza, meglio chiamata Clan, possiedono un determinato dono ed è questo che ci distingue gli uni dagli altri, principalmente.
Per via della mia razza, io e mia madre siamo un po' più rare della massa, motivo per il quale siamo quasi costrette all'isolamento: una volta a stagione possiamo riprodurci con un umano e dare vita ad un altro del nostro clan, solo come noi. Non c'è una spiegazione esatta al perché possiamo farlo, sappiamo solo che gli altri trasformano e per contro noi ci riproduciamo, a volte diventando oggetti d'invidia per chi ha perso la capacità di figliare da tempo. Questo non vale per tutti, fortunatamente, ma è abbastanza da spingerci a fare accordi con il resto dei Clan, certe volte anche sfavorevoli come quello in vigore da quattro secoli a questa parte. Ecco perché non vorrei essere nei panni della Madre, non vorrei mai la responsabilità di prendere decisioni così grandi o di farmi amici importanti che non mi piacciono, ma vanno tenuti per forza in considerazione.
A proposito dell'accordo, presto o tardi inizierò anch'io con questa specie di girandola della maternità vampirica, ma lei continua a dirmi non è ancora il momento, e che non ho l'età o la capacità di fare questa cosa per cui ci vuole un rito piuttosto complicato. Per fortuna i doni dovrebbero essere innati.
I miei pensieri vengono interrotti da un colpo di tosse alle mie spalle. Mi volto a zanne scoperte, irritata, ma scopro subito che è solo la sardina umana lasciata a scongelare sul tavolo: sono stata abituata a rimanere da sola per talmente tanto tempo, grandi eventi esclusi, che qualsiasi rumore estraneo mi fa schizzare come una trottola impazzita pronta ad azzannare il malcapitato. Di norma non sono io la paranoica della famiglia, ma l'abitudine gioca brutti scherzi. Per di più, se la Madre tornasse non credo approverebbe molto la presenza dell'ospite, quindi mi toccherà stare all'erta nel caso rientri prima del tempo. Fosse per lei, non dovrei nemmeno toccarlo, un umano.
Con molta probabilità, penso, non vale comunque la pena di preoccuparsi ora. Piuttosto avrei intenzione di accontentare lo stomaco, dato l'idea di saltare alla gola dello sconosciuto davanti al fuoco inizia a non indignarmi più così tanto. Sospiro e mi dirigo giù per gli scalini bui del seminterrato fino alla ghiacciaia dotata di freezer e frigoriferi, strappando sacche di sangue agli scaffali più freschi.




Note dell'autore
Questa volta la mancanza del mio beta reader divino si è fatta sentire, ma non ho desistito ed ecco qua un nuovo capitolo! Lo so, mi rendo conto è piuttosto corto ma, sarò sincera, secondo me è più comodo per i lettori (io non riuscirei a leggere ventitrè pagine di fila senza una pausa). Poi c'è la questione per cui non riesco a fare pagine lunghe senza perderne in fluidità del testo, ma quella è un'altra storia xD
Scherzi a parte, spero che anche questo noiossissimo secondo capitolo piaccia! Per me sarebbe molto importante ricevere dei commenti per poter migliorare, quindi spero qualcuno voglia accontentare le mie lagne x°D
Grazie a tutti e al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Sveglia, sveglia ***


SVEGLIA, SVEGLIA



«Sporcarsi dalla testa ai piedi bevendo è poco dignitoso, Rachele!» mi rimbrotterebbe mia Madre se potesse guardarmi adesso.
Di solito mi attengo rigidamente all'etichetta, specialmente in pubblico dove una simile volgarità varrebbe a dire non sono stata educata adeguatamente, ma per questa volta ho fatto un'eccezione uscendone... beh, sconfitta. Non che evitare di sbrodolarmi mi interessi particolarmente al momento, le dannate sacche di sangue sono difficili da addentare senza fare danni; penso solo a quando, più tardi, dovrò gettare i vestiti in lavatrice assieme alla biancheria di mamma prima di beccarmi una bella ramanzina. Detesto quando mi tratta da neonata solo perché noi dovremmo essere le ipotetiche regine della festa, sempre perfette, acconciate, sistemate e mai con un capello fuori posto.
Risalgo la scalinata quindici minuti più tardi, sfregandomi uno straccio bagnato sul mento e sulle braccia. Do solo un'occhiata veloce all'uomo ancora disteso sul tavolo, del tutto decisa a fare i miei comodi, così mi dirigo al divano e mi spoglio velocemente di tutto il superfluo. Guanti, stivali e mantello volano sul pavimento accanto al divano e per un momento ho la tentazione di gettare nel camino il vestito sporco: risparmierei sui lavaggi. Poi però mi ricordo che non è mio, e che se lo eliminassi mamma si potrebbe ricordare alla PERFEZIONE di cosa gli è sparito dall'armadio. Meglio non incattivirla, nel caso se ne accorgesse nel luogo sbagliato al momento sbagliato potrebbe andare su tutte le furie. Lo porto al piano di sopra, in lavanderia.
Ridiscendo in tuta, tranquillamente scalza. Mi dirigo dal belloccio e già che ci sono lo scuoto malamente. Niente, dorme ancora.
Mi chino a braccia conserte sul tavolo mentre rantola qualcosa del tipo "lasciami stare". Ridacchio, ho conosciuto fratelli che possono dormire in modo naturale e che si lamentano allo stesso modo, con le stesse mezze frasi quando vengono molestati. Sul serio, non ci crederete ma a me piace terribilmente molestare la gente.
Non è malaccio. Ho visto ragazzi più piacenti di lui dal momento la Madre preferisce i modelli muscolosi dei locali notturni agli uomini da strada, ma anche senza la tipica perfezione di quei Big Jim di plastica supergonfiati questo sembra avere i suoi lati positivi sotto il punto di vista fisico. Dev'essere uno sportivo, vedendo com'è messo a muscolatura, quindi dovrò prendere la mia dose di precauzioni.
Non resto a fare altre ipotesi campate in aria, non l'ho portato lì per dormire della grossa a spese mie e del mio riscaldamento. L'ho portato lì per farmi compagnia e volente o nolente, compagnia mi farà. Altrimenti peggio per lui.
Vado a prendere un coltello da cucina e recupero il telefono tornando al tavolo, pronta a svegliarlo e a chiamare la polizia nel caso mi trovi davanti qualcuno di violento. Capisco sembri strano vedere un vampiro che si difende con un utensile quando in realtà dovremmo avere tutti superforza e vista a raggi laser; diciamo solo che... io non sono brava quanto mia Madre ad usarla e rischio solo di combinare disastri. E poi non credo i soccorsi crederebbero ad un'aggressione trovandomi illesa accanto ad una testa spappolata.

Rifilo un calcione al tavolo, tenendomi a debita distanza. A parte spostarsi di qualche centimetro, l'ospite continua a ronfare e non si sveglia nemmeno quando alzo la voce chiamandolo "tizio", ma io non mi arrendo.
Sbuffando, allungo solo il braccio toccandolo appena con la punta del coltello, pronta a ritrarmi.
Niente.
Decido di ritentare allora, più decisa, pungendogli un braccio.
Ancora niente.
La terza volta i miei nervi iniziano a ballare la samba, quindi per pura stronzeria gli infilzo una chiappa come si deve. Stavolta, finalmente, Begli Occhi spalanca le palpebre e fa un salto da record sul posto, tanto da finire quasi ribaltato giù dal tavolo.
«AHIA!»
Io balzo all'indietro tenendo il coltello puntato in sua direzione, temendo chissà quale reazione, ma quello cade giù dal tavolo tirandosi dietro la coperta e fa il botto a terra, lamentandosi ancora. Il tempo di massaggiarsi il sedere e si accorge della mia presenza, ma solo perché parlo. Scommetto che crede ancora nel sesso debole, poveretto.
«Ho un telefono!»
Lo metto in mostra mentre quello si gira, sorpreso.
«E non ho paura di usarlo!»
In realtà la frase doveva essere "ho un coltello e non ho paura di usarlo", ma immagino chiamare le forze dell'ordine sia una minaccia peggiore per qualcuno che non vuole finire in galera per infrazione di proprietà e aggressione.
Lo sento tossire, dev'essere ancora stordito per il freddo. Balbetta qualcosa di rauco, poi si schiarisce la voce.
«Dove sono? Chi sei?»
«Non credo sia tu quello che deve farle, le domande.»
Improvvisamente mi sembra di essere stata catapultata in uno di quei film americani pieni di battute scadenti. Sicuramente, la mia lo era.
«Ma...»
«Zitto o chiamo la polizia!»
Inaspettatamente si zittisce, invece di recriminare, e mi guarda un po' più sveglio di prima. Alza le mani in segno di resa smettendo di massaggiarsi il punto in cui l'ho infilzato come un maiale allo spiedo, ma comunque non mi fido e continuo a tenere la punta della lama in sua direzione. E' il massimo che possa fare, la legislazione sulle armi qui è molto rigida e non è consentito tenere pistole senza licenza.
«Allora» cerco di sembrare una che sa quello che sta facendo. Lo ero fino a poco fa, ma non posso assicurare di esserlo ancora.
«Dimmi cosa ci facevi nella mia proprietà.»
«E tu dimmi perché sei sporca di sangue.» Deve averlo notato. In effetti, non mi sono pulita un granché bene, ma non intendo distrarmi.
«Non credere ti toglierò gli occhi di dosso per così poco.»
Deglutisce. Mi sta guardando, è preoccupato e la cosa mi disinteressa totalmente.
«Vuoi uccidermi?»
«No.»
«Però ho un coltello puntato alla gola!»
«La cosa ti preoccupa?»
«Tu cosa ne dici?»
All'improvviso fa un gesto stizzito, e balzo in avanti con l'arma, spaventata. Gliela punto al torace, non riuscirei mai a prendere la mira alla gola se mi afferrasse.
«Fermo!»
«Vacci piano, tesoro!»
«Non sono il tuo tesoro. E ora te lo ripeto, cosa ci facevi nella mia proprietà?»
«Non ci posso credere, ancora! Basta! La vuoi smettere?»
«Perché?»
«Perché sei fastidiosa!»
«Ti trovo nel bosco mezzo assiderato, ti porto a casa mia e poi sarei io quella fastidiosa?!»
Dieci minuti prima sei steso a terra, minacciato da una che sembra Dexter reincarnato in donna e dieci minuti dopo vieni a sapere che ti ha salvato da morte certa per non sai quale motivo. Lo shock dev'essere stato notevole considerando si è zittito, ma fossi in lui mi sarei già fatto un paio di domandine su come stanno le cose. Evidentemente è un po' tonto, e ho l'impressione non sia nemmeno così pericoloso.
«Ti faccio paura?»
«Perché, do questa impressione?» Lo sfotto goffamente, ma il braccio destro non smette di tremarmi. Devo proprio sembrare una D.I.D., Donzella In Difficoltà, perché il momento dopo allunga una mano e io mi ritraggo. Ma come si permette?
«Non toccarmi!» Torno alla carica con l'arma e stavolta è lui a ritrarsi.
«Va bene, va bene! Ma smettila di agitarmi quel coso in faccia.»
«E chi mi assicura tu sia innocuo, se smetto?»
«Ma mi hai guardato?! Sono senza vestiti, disarmato!»
«Credo ci vogliano più dei vestiti per ridarti la dignità, e poi potresti... lasciamo perdere.» Finalmente mi convinco è abbastanza innocuo, e decido di togliergli l'arma da sotto il naso con un sospiro.
«Va bene, mettiti almeno la coperta addosso, ma prova a toccarmi e io chiamo.»
«Sai, grazie mille per l'offerta ma non credo di voler finire in Centrale» risponde sarcastico. Ancora un po' di questa 'simpatia' e potrei finire per cambiare idea sulla cena.




Note dell'autore
Ecco il terzo capitolo! Spero vi sia piaciuto, come vedete è un po' più corposo degli altri grazie ai dialoghi, altrimenti col cavolo che sarebbe così lungo xD e se ne prospettano molti altri belli rimpolpati, in futuro! Passando al resto, come sempre spero di ricevere dei commenti, lo so la storia ha appena iniziato ad ingranare ed è poco interessante... purtroppo non sono una grande esperta T_T A presto col prossimo capitolo, un saluto!

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Capitolo 4
*** L'ingrato ***


L'INGRATO



Vado a darmi una pulita al lavandino in cucina mentre “tizio” si riprende dallo shock dell'essersi trovato un coltello puntato alla gola da una ragazzina. E' rimasto a tremare fissando il vuoto come un pesce lesso poco dopo la fine della nostra conversazione, immagino sia perché prima era troppo confuso per capire la realtà della situazione.
Tra una passata di sapone e una di acqua per lavare via i residui della cena, tengo a portata di mano la lama e il telefono di casa i cui cavi chiedono ormai pietà. Non esiste che mi fidi di una persona sulla parola; sono stata cresciuta tra vampiri bugiardi e approfittatori che un tempo erano umani bugiardi e approfittatori dello stesso stampo, e a quanto ho visto le tendenze non sono cambiate col passaggio alla non-vita. Anzi, se possibile, peggiorano: le persone che erano buone in passato tendono a diventare più realiste o cattive, e quelle cattive arrivano a livelli di crudeltà insopportabili per la società umana. Non per noi, dal momento c'è un Clan intero che accetta abomini, reietti e rifiuti di questo tipo.
«M-mi hai portato qui da sola?» La voce del ragazzo arriva dalla sala. Mi scivola la saponetta tra le mani, la riacchiappo e riprendo a strofinarmi gli avambracci tirando su le maniche della tuta che continuano a cadere.
«Sì, e forse avrei fatto meglio a lasciarti dov'eri.»
«Cosa... ?»
«Niente.»
Sbuffo, ma a parte questo non aggiungo altro. Se si è fatto un'idea sbagliata sul mio conto e crede non l'avrei mai abbandonato nelle condizioni in cui era, si sbaglia di grosso. Ma chi sono io per fargli credere il contrario? Conosco abbastanza la gente comune per sapere che vede solo ciò che vuole vedere, e sente solo quello che vuole sentire.
«E tu cosa ci facevi, fuori?»
Lancio un'occhiata stizzita al pezzo di muro separatore che divide la sala dalla cucina e mi impedisce di vederlo.
«Non credo ti riguardi.» Se c'è una cosa che non faccio è raccontare agli sconosciuti dei fatti miei. Fin troppe persone già se ne occupano, specialmente nell'ultimo periodo, ci manca un'altra che questioni su quello che faccio o non faccio, per giunta vivo.
«Però ti ho trovato, un po' di riconoscenza sarebbe gradita.»
Silenzio. Finirò per offendermi, prima o poi.
«Troppo difficile dire grazie, vero? Lo sapevo, ho trovato una capra e non un uomo.»
Abbandono il sapone nel lavabo e mi asciugo, assicurandomi il coltello nell'elastico dei pantaloni della tuta e mettendomi sottobraccio l'apparecchio.  Lo straccio umido e sporco glielo getto addosso appallottolato, una volta superato l'arco della cucina. Se crede di farmi dispetto rimanendo zitto, beh, ha trovato qualcuno che sa essere fastidioso oltre la sopportazione umana.

Rimango in piedi a qualche metro, arrabbiata e con una mano puntata al fianco. Mi guarda giusto con la coda dell'occhio per un momento, poi fa finta di niente e si stringe nella coperta che gli ho dato, l'ingrato, snobbandomi per continuare a frugare tra i vestiti bagnati a terra.
«Cosa stai facendo?» gli chiedo senza ottenere risposta. Quando lo vedo sollevare tra le mani i jeans fradici poggio il telefono e mi avvicino.
«Guarda che sono bagnati.»
Cerco di prenderglieli e in risposta lui li trattiene. Con uno strattone glieli strappo di mano, innervosita da quel comportamento infantile, e glieli stendo sul ripiano in marmo del camino. Le storie sulla nostra enorme paura del fuoco sono perlopiù frottole, al contrario di quelle sulla nostra volubilità. E' vero, possiamo rimanerne inceneriti perché ci consuma più velocemente di quanto la nostra capacità di guarigione arrivi a sopportare; c'è però da dire che non siamo fatti di zolfo e non facciamo fiammate pirotecniche come nei film se anche ci scottiamo. Nei pressi di una fiamma controllata come quella di un camino, una stufa o del gas non abbiamo grossi problemi, mentre le fiamme libere.. quelle sono un'altra storia, ma vorrei vedere chi non andrebbe in panico se le tende iniziassero a bruciare.
«Stavo cercando qualcosa di asciutto, voglio andarmene» mi dice in tono piatto.
«Scordatelo» replico malamente. «La vedi la porta? Uscirai da lì solo quando te lo dirò io.»
Infatti è chiusa. Prendo a raccogliere e stendere il resto del vestiario, tenendomi occupata.
«Potrei denunciarti per sequestro di persona.»
«Se fossi legato ad una sedia, ammanettato e imbavagliato forse funzionerebbe. Saresti molto furbo, sul serio.»
«Mi hai minacciato.»
A quel punto incrocio le braccia, spazientita.
«E potrei farlo di nuovo! Gettandoti fuori da casa così come sei, ad esempio. Ma dimenticavo, tu vuoi uscire da solo, vero signorino?» Sarcastica, gli indico la direzione. «Prego, vai e prenditi una polmonite, crepa! Ma non pretendere qualcuno ti venga a salvare se stai male a due metri da qui. Io fuori non vengo a prenderti. Fine del discorso.»
Attendo che tornino indietro repliche e imprecazioni di un qualche tipo, ma stavolta ha la buona decenza di tenere quella cloaca che ha per bocca ben chiusa. Annuisco convinta, avendo avuto l'ultima parola, finendo di accomodare anche la giacca. Finalmente sta iniziando a utilizzare il cervello...
«Bene.» Faccio dietrofront e mi incammino verso la cucina.
«Se ora hai finito di fare il ragazzino, puoi seguirmi e sederti. Ti preparo qualcosa di caldo.»




Note dell'autore
E ancora una volta ci troviamo con la Rachele che si indispettisce nei confronti dell'insopportabile e cocciutissimo sconosciuto. Scommetto che tra un po' lo getterà davvero fuori di casa xD e vorrei ben vedere, io uno così lo defenestrerei in uno virgola cinque secondi, non so nemmeno come faccio a descriverlo (N.B.Raven - forse sono io, crudele parte del tuo "io" interiore? N.B.Reddy: No, direi che questa è tutta mia, caro, pura e genuina insofferenza verso gli idioti al 100%)
Purtroppo questo capitolo è infinitamente corto rispetto al precedente, nonostante i dialoghi *sigh* purtroppo su OpenOffice sembrano più lunghi di quanto siano effettivamente su efp!
Ringrazio ancora una volta chi mi segue e legge, sentitevi liberi di commentare se qualcosa non vi piace, non va o anche solo per darmi la vostra opinione!
Un saluto, al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Stetson ***


STETSON



«Devi stare a questionare su tutto o è solo una tua abitudine?»
Mi affaccendo ai fornelli, accendendo il gas e girando attorno a vari scaffali alla ricerca del contenitore di latta dove solitamente teniamo le bustine di Tè. In realtà non abbiamo molto, solo un po' di scatolette e roba secca, mai cibo fresco, ma anche se non mangiamo la Madre esige qualcosa ci sia nel caso arrivino ospiti inaspettati. Trovo la latta, la poso vicino allo zucchero sugli scaffali inferiori. Ogni tanto invita a casa uno dei suoi partner, quindi si spiega questa necessità.
«No, veramente dico. Un minimo di sale in zucca...»
«Anche tu non scherzi» mi risponde divertito. «Sei così acida che non ti si può stare accanto!»
«Zitto, altrimenti l'acido te lo infilo so io dove...» gli faccio sbattendo con poca grazia il pentolino dell'acqua sul fornello acceso. Sghignazza, evidentemente divertito dai miei rimbrotti mentre faccio avanti e indietro dalla cucina alla sala, risistemando il tavolo e la coperta per metà fradicia. Gliene ho lasciata una pulita, in modo non mi goccioli in giro. Poso l'ultimo soprammobile sul centrino del tavolo prima di passare al telefono che viene di nuovo messo al suo posto. Ho bistrattato fin troppo quel povero apparecchio e ho deciso di concedergli pietà all'ennesimo tour per tutta casa, ma il coltello, quello me lo sono tenuto alla cintola per sicurezza. Ho nascosto in un cassetto quelli disponibili in cucina, così non dovrò preoccuparmi del tizio a meno non si metta a frugare in giro.
«Come ti chiami, acidella?» Alla buon'ora! Il ragazzo ha finalmente deciso di fare conversazione, anche se gli spaccherei volentieri il muso per il nomignolo. Sembra gli piaccia indispettire il suo prossimo e se così fosse almeno in questo saremmo piuttosto simili. Sto al gioco, gli rispondo tornando a controllare l'acqua lasciata sul fuoco.
«Rachele. E tu, arrogantone?»
«Sirius.»
«Carino.»
Alzo le spalle con noncuranza, facendo capire che glie l'avrei detto anche se si fosse chiamato Ermenigildo, e verso l'acqua bollente in una tazza venendo investita dal vapore caldo. Solo quando gliela poso davanti mi accorgo mi sta porgendo la mano per una stretta, ma evito elegantemente di curarmene e faccio finta di essere troppo occupata con altro per rispondere al suo saluto.
«Sei gentile, eh» commenta a mezza voce, infastidito.
«È solo una formalità come tante altre.»
Non li capisco gli umani: se conoscono già il mio nome, perché vogliono anche la mia mano? Ho letto in un qualche libro che la loro è una tradizione, e che la mano aperta significa mostrare all'altro di non avere armi. Io sono armata e, anche se toccare la gente altrui non fosse così off-limits per me, comunque non apprezzerei il contatto fisico.
Con un sorrisetto, me ne torno a controllare i panni stesi sul camino che fumano di vapore, asciugandosi senza fretta. Alcuni sono ancora zeppi come i jeans, mentre la maglietta è appena umida. La rigiro per controllare sia indossabile, poi gliela riporto.
«Hai trovato uno Stetson, per caso?»
Gli consegno la maglia con uno sguardo interrogativo.
«Cos'è?»
«Lo Stetson?» Mi guarda indignato, come se dovessi conoscere ogni singola cosa su questa terra. «Un cappello da cowboy.»
«Visto niente del genere» replico semplicemente. «Ho fatto fatica a notare te sotto la neve, figuriamoci un cappello. Non bevi?»
Mi sembra non abbia ancora toccato la tazza.
« Non mi hai dato le bustine.»
«Ah... già... »
Purtroppo ha ragione: bere un Tè senza Tè è un po' difficile. Gli passo la latta e lo zucchero, vagamente a disagio.
«Non sono abituata ad avere ospiti» mi giustifico, incrociando le braccia. Lui mi lancia un'occhiata sarcastica, un sopracciglio sollevato.
«E fai spesso la governante?»
Se la circolazione di un vampiro lo permettesse, arrossirei di vergogna e rabbia.
«Ma come-» faccio per sbottare, poi mi mordo la lingua. Vorrei fargli ingoiare a forza qualcosa, qualunque cosa, fosse anche un mestolo, ma se rispondessi alle sue stupide insinuazioni non farei che dargli soddisfazione e basta.
“Maschi...” penso esasperata. Quelli del nostro Clan sono decisamente meglio, zitti e buoni ai margini del vivere quotidiano o imbottigliati come sangue pregiato in una qualche cantina dei nobili. Di solito nell'ambito della società vampirica non vi è alcuna differenza gerarchica e sociale in base al sesso perché i vampiri trasformano altri umani in vampiri, quindi non c'è differenza. Dico di solito, perché da noi le cose vanno un po' diversamente, tant'è che ci chiamano “Clan delle Madri” o più comunemente “genitrici”.
Non è che non nascano individui di sesso maschile, intendiamoci, anzi; quelli che vengono al mondo però sono sterili e incapaci di trasformare, inutili e imperfetti. In una società fervida come la nostra questo è considerato ben peggio di qualsiasi difetto fisico e mentale, e non è raro che questi poveretti finiscano dimenticati dal resto del mondo o si suicidino per disperazione. Se volevate sapere da dove vengono i vampiri emo di tanti e tanti romanzi, ora avete la risposta.
Comunque, il mio attuale coinquilino non ha ancora risposto alla mia vecchia domanda.
«Non mi hai ancora detto cosa ci facevi nella mia proprietà.»
Il Tè che stava sorseggiando gli va quasi di traverso alla domanda improvvisa. Ridacchio mentre tossisce, ma quando si riprende non sembra molto disposto a parlarne.
«Era una domanda amichevole, non ho intenzione di farti arrestare, anche se dovrei.»
«Davvero?» Mi guarda poco convinto e sospira.
«Davvero» affermo io, convincente.
Tace per un po', lo lascio bere la sua tazza in tranquillità mentre io mi appoggio ad un ripiano, le braccia conserte. Per perdere tempo gioco con un piccolo timer a forma di mucca, del tutto inutile dato non cuciniamo. Anche se sapessi farlo, temo sarei una frana.
Dopo un po', finalmente, Sirius si decide a parlare.




Note dell'autore
Il traguardo del quinto capitolo è stato raggiunto!! *suona trombe a festa per la lunghezza apocalittica* Ed eccoci qua col proseguio della precedente scena, dopodichè forse capiremo le intenzioni dell'idiota sbarcato in casa Rachele... ma questo ovviamente, nella prossima puntata xD Slogan da fiction a parte, spero vi sia piaciuto, presto le cose si faranno un po' più movimentate e interessanti e magari incontreremo nuovi personaggi /hehehe/
Grazie a tutti quelli che mi leggono! Sentitevi liberi, come sempre, di lasciarmi un commento, per me è importante sapere i vostri pareri!
Un saluto e al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Tracce ***


TRACCE



«Stavo cercando delle tracce» mi risponde, sul vago.
«Tracce?» gli chiedo ironica. «Hai l'aria di uno che cerca funghi, non tracce.»
Sirius mi sorride sghembo, annuendo.
«In effetti è vero. Non sono un grande esperto, ma un po' me la cavo.»
Sento che dietro questa frase ci dev'essere una grande spiegazione sulla falsariga del nonno che lo portava a spasso per i boschi da piccolo, insegnandogli a riconoscere i segni di un cervo da quelli di un cinghiale. Il pensiero è quantomeno esilarante per me, ma invece di scoppiargli a ridere in faccia tengo le labbra ben strette in un sorrisetto divertito.
«Cercavi tracce, dicevi. Di che tipo?» proseguo curiosa.
«Non animali» risponde, temporeggiando. A quel punto mi scappa un'occhiata nervosa.
«Che intendi?»
«Cercavo tracce di persone che...» Lascia in sospeso la frase, interrompendosi. «Forse sarebbe meglio non dirtelo. Potresti prendermi per uno sciroccato.»
«Ormai hai iniziato. E poi tranquillo, di cose strane se ne sentono in giro» gli faccio con una discreta alzata di spalle. Sento una punta d'ansia che mi assale, ma cerco di non darlo a vedere.
«Ma-»
«Dai, finisci il discorso. Sembrava interessante.»
«Va bene...» si convince, dopo aver constatato che sono seria. «Cercavo tracce di persone che non sono... “persone” nel verso senso del termine. Ma dev'essere solo una sciocchezza» si affretta a precisare subito dopo, probabilmente per non passare dalla parte dello sciocco di turno. «E non mi avevano detto che il posto era abitato.»
«Avevano... chi?» In verità, ho già una mezza idea del “chi”, e la prospettiva non mi piace per nulla. Mi spaventa, in compenso. Mi spaventa davvero.
«Oh... un gruppo di uomini, non so esattamente» resta sul vago, ma chissà perché mi sembra già di sapere dove andrà a parare. «È da qualche settimana che girano nei locali in città parlando di stranezze, e promettono di dare prove credibili a chi ha del fegato. Probabilmente sono solo un branco di ubriaconi, ma mi erano sembrati credibili sul momento.»
Rimango in silenzio, vagamente stordita.
Cercate di capirmi, di solito è mamma quella che salta affrettatamente alle conclusioni, non io. Se dovessi fare come lei, a quest'ora avrei già preso il coltello e sgozzato il malcapitato davanti a me, e mi chiedo se non dovrei seguire il suo esempio stavolta. Non che mi importi che sia innocente per aver creduto a delle frottole, o colpevole di aver voluto provare la sua virilità con una ricerca del tutto campata per aria; il fatto è che è stato convinto da dei Cacciatori, e niente esclude sia in combutta con loro. Il fatto stesso che nessuno gli abbia detto la zona era abitata è preoccupante, perché significa che sanno c'è qualcosa e non lo ritengono umano.
Mi viene in mente che, sempre se le mie supposizioni sono esatte, potrebbero averlo mandato come carne da cannone nella speranza riportasse indietro delle informazioni utili. Forse ora cercano di convertirli così, i loro nuovi aspiranti allievi, anche se ero rimasta a metodi più vecchi e più cruenti. Quegli schifosi pazzi sono anche peggio di noi, disposti a sacrificare tutto e tutti per la loro eterna battaglia al male.
«Beh, andrò a dirgli che si sono sbagliati e che c'è gente che vive, qui. Magari la smetteranno di parlare a vanvera.» Visibilmente infastidito, cerca di alzarsi per riporre la tazza vuota, ma gliela rubo prima possa farlo.
«Lascia stare, faccio io» gli rispondo tesa, dandogli le spalle per portarla al lavandino e darle una sciacquata. Già che ci sono ne prendo una per me, versandoci quel che rimane dell'acqua calda, recuperando una bustina ed un cucchiaino. Andrà sprecata, ma non mi importa.
Apparenze. Devo pensare alle apparenze.
«Che t'importa?» gli dico. «Lasciali parlare, vedrai che prima o poi smetteranno, o la gente si stuferà di starli a sentire.» Coi nervi a fior di pelle pulisco il tavolo, poi vado di nuovo a controllare i vestiti stesi che forse, dopo la nostra chiacchierata, si saranno anche asciugati. Qualsiasi cosa torni a dire il ragazzo, temo prima o poi ci prenderanno comunque di mira e, anche se sarei tentata di farlo sparire, non credo una persona scomparsa qui nei dintorni risolverebbe il problema. Il massimo sarebbe convincerlo a non riferire nulla.
«Mi importa!» grida dalla cucina mentre raccolgo i pantaloni. «Mi hanno spinto a fare questa cazzata e per poco non ci lasciavo la pelle, qualcun'altro potrebbe cascarci!»
«Qualche altro credulone come te?» chiedo sarcastica, tornando a rendergli i jeans. Sono duemila volte più preoccupata di lui a proposito della questione, eppure non mi comporto in modo così immaturo. «Mi spiace dirtelo, ma non puoi incolpare nessuno a parte te stesso. Tu ci hai creduto e sempre tu, per poco, non ci hai rimesso. Non ti hanno costretto, no? E ovviamente non hai pensato che in montagna potesse fare freddo.»
Mi sforzo di essere gentile nonostante faccia lo scontroso con me. Alla fine abbassa lo sguardo, annuendo mentre gli consegno i pantaloni.
«Ecco, allora lascia stare. Ringrazia che qualcuno ti abbia trovato e la prossima volta evita i guai.»
Evidentemente non gli piace che gli si dica cosa deve fare o non fare, perché se ne sta ad osservare i particolari del tavolo in silenzio come fossero davvero interessanti. Sono però convinta in quel suo stupido cervello da gallina alla fine sia entrato qualcosa, quindi lo lascio lì dov'è a rimuginare e a rivestirsi, e intanto mi dirigo a prendere la giacca piantata su una sedia a sgocciolare. È di pelle e a parte l'interno appena umido, non mi sembra abbia bisogno di particolari cure.
Distrattamente vado alla finestra e do uno sguardo fuori. Secondo l'orologio sono le tre di notte e solo verso le otto dovrebbe far chiaro, il ché significa che la Madre tornerà più o meno alle cinque per sbrigare qualche altra faccenda prima di andare a letto.
Sto per tornare in cucina quando, invece di distogliere l'attenzione dal paesaggio dietro al vetro, noto che il garage è illuminato. È un semplice capannone aperto davanti a casa, è difficile non vederlo o non vedere che la macchina di mamma è lì coi fari ancora accesi.
Impreco a bassa voce chiedendomi cosa ci faccia già a casa, e con un dietrofront raccolgo gli stivali del ragazzo e sono in cucina. Gli metto tutto in mano, apro la finestra poco distante e gli faccio segno di smammare.
«Sei matta?» mi fa mentre gli strappo la coperta di dosso. Per fortuna è già vestito.
«Mia madre è qua» gli rispondo alla svelta, tirandolo per un braccio e spingendolo ad alzarsi.
«E allora? Non mi dispiacerebbe salutarla.»
«Sei un po' tardo, vero?» Scuoto la testa, lo trascino verso la finestra. «Probabilmente avevi le orecchie turate quando ti ho detto che non sono abituata a ricevere ospiti. Considera questo: se io non ho chiamato la polizia, lei non ci penserà due volte a farlo.»
Faccio appena in tempo a finire la frase che invece di trascinare, finisco per essere io quella trascinata. Immaginavo che tirare in ballo le forze dell'ordine potesse funzionare, ma non credevo gli avrebbe messo le ali ai piedi. Sirius scavalca la finestra e contemporaneamente la porta scatta diverse volte. Gli ho dato qualche giro di chiave per essere sicura e la cosa è tornata inaspettatamente utile.
«Hey» Mi bisbiglia da fuori, controllando che non ci sia nessuno in vista.
«Che c'è?» Mi volto, la penultima mandata scatta.
«Ci vediamo ancora?»
“Eh?!”
«No! E non tornare!» gli chiudo in faccia la finestra dandogli le spalle e mi precipito al lavello per buttare le bustine usate nel cestino. Quando la Madre entra, sto mettendo al loro posto le tazze e sciacquando il lavello.
«Tesorooooooo?» Cinguetta, facendo tintinnare le chiavi. «Sono a casa!»




Note dell'autore
Una nuova entrata in scena, la mammina di Rachele! Vi anticipo che questa donna è fantastica, almeno io l'ho trovata così, infinitamente perfetta sotto tutti i punti di vista o quasi xD temo sia solo orgoglio del narratore, qualcuno potrebbe non sopportarla ma pazienza - però sappiate che i tuoni del Dio vi colpiranno mentre dormite tranquillamente nel vostro lettuccio, a casa /hehehe/
Scherzi a parte, anche il sesto capitolo è concluso! Spero sia piaciuto e come sempre vi invito a darmi tutti i pareri che volete xD Ringrazio tutti i poveretti che mi leggono sorbendosi le mie menate!
Un saluto a tutti e al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** La Madre ***


LA MADRE



«Bentornata, Madre. Già a casa?»
Mentre mi asciugo le mani in uno strofinaccio, lei arriva dalla sala sui suoi vertiginosi tacchi, scuotendo i capelli mogano che le ricadono sulle spalle in folti boccoli. Il rimbombo dei suoi passi fa tremare il pavimento, ma solo perchè è fissata con quegli zatteroni che lei chiama scarpe e che sono umanamente impossibili da portare.
«Ma che brava la mia bimba che usa sempre i bicchieri per bere» mi si avvicina, dandomi un bacetto e strizzandomi una guancia. «Sei proprio brava, sai? Se Felicia fosse stata come te avrei avuto un sacco di problemi in meno!»
Se credete che io sia scorbutica, non avete ancora incontrato Felicia, la mia detestabile sorella platinata. In confronto io sono ancora buona, e gongolo perché questo mamma lo sa e non fa che ripetermelo. È bello essere migliori di qualcun'altro, una volta tanto.
«Mi raccomando cara, pulisci bene le tazze dal sangue, ci devono bere anche altre persone.» Annuisco e asciugo il lavabo mentre lei va a controllare la segreteria telefonica. Digita un paio di tasti sul telefono e intanto risponde alla domanda di prima.
«Stasera alla banca del sangue c'era un meeting, sai, per i dirigenti» Tiene la cornetta con una mano mentre segna qualcosa su un bloc notes lì accanto. «Hanno blaterato un po' e alla fine ci hanno concesso la serata libera, anche perchè Hames era malato e al banco rifornimenti non c'era nessuno che poteva sostituirlo. Ti ho parlato di Hames? È un ragazzo adorabile, si occupa di rifornire gli ospedali e...»
Bla, bla, bla. Non la ascolto, quando parte a macchinetta coi gossip della banca del sangue non lo faccio mai perché potrei cadere in torpore per la noia, ma apprezzo queste sue uscite normali e un po' frivole da madre in carriera. Se non sapessi chi è, dubito potrei riconoscerla come un vampiro e non come una semplice donna umana. È una capacità che le invidio, e che viene con l'esperienza.
«Tesorino, ho visto che hai gocciolato in giro. Sei uscita? Hai trovato qualcosina da mangiare?» È una delle ultime frasi che riesco a captare perchè più interessante del resto e direttamente rivolta a me. Annuisco, sospirando.
«Si, sono uscita, ma non ho trovato molto. Ho preso un paio di sacche dalla dispensa, non è un problema, vero?»
«Ma certo che no, sciocchina!» Mi sorride amabilmente. «Mi dispiace di averti lasciata sola in casa, la prossima volta ti porto in città a cenare decentemente. Sai, mi hanno parlato di quartiere molto pittoresco e...» si imbroncia improvvisamente. «Ma prima faccio chiamare il sindaco. Ne ho le scatole piene di trovare cacciatori di frodo in questa zona, non potrei sopportare di saperti di nuovo a digiuno se ti lascio a casa. E prima che ti lamenti...» solleva un dito proprio mentre stavo per farlo «...lo so che le sacche non sono molto saporite.»
Faccio finta di mettere il broncio, ma poi scoppiamo a ridere entrambe. Se vi chiedete come una donna con un simile carattere riesca ogni volta a separarsi dalle sue figlie, spedite come da accordi al migliore Clan offerente una volta passato il rito per l'età adulta, la risposta è semplice: non siamo umani. L'immortalità non è una passeggiata e a differenza delle persone normali o di altre creature per noi vampiri i legami durano, ma non per sempre. Siamo volubili, quindi sappiamo ogni cosa finisce, anche gli amori e le amicizie. Ci si stufa, oppure ci si allontana, e questo non ci crea alcun problema; l'importante è stare sempre in mezzo a tanta gente. Lo so io che ho vent'anni e che sono solo l'ultimo oggetto in vendita in tutta questa storia, figuriamoci chi vive da decenni o centinaia di anni.
Questo ovviamente non significa che non abbiamo emozioni, anzi; ma solo che sappiamo distaccarci maggiormente. Ad esempio mi spiace pensare di dovermi separare dalla Madre... di dover vivere in una casa diversa, in un Clan diverso mentre lei alleverà una nuova bimba che riceverà tutte le sue cure e il suo amore, ma so anche che non posso impedirlo e che così va la vita.
«Va bene, Madre. Niente lamentele, promesso.» Mi godo le sue ultime carezze prima torni ai suoi affari, accendendo la radio e la tv assieme e riempiendo la casa di suoni. Se ne va in cucina, poi fa capolino con la testa mentre io faccio per andare in camera mia.
«Tesorino?»
«Si, Madre?»
«Non credo di averti detto che quelli delle Rose si sono inventati un nuovo ballo per domani sera. Vestiti bene e trovati un servo da portare, sono sicura Leonard te ne presterà uno dei suoi se glielo chiedi.»
«Dici?»
«Oh, dico eccome...» mi fa l'occhiolino, maliziosa, e io mi ritiro nella mia stanza, davanti al computer. Non sono sicura di aver capito cosa voleva dire con quel tono, non sono affatto convinta Leonard sia interessato a me in “quel” senso. È il leader del Clan delle Ombre, nonché mio fidato amico da anni, come potrebbe? Ci siamo conosciuti ad uno dei tanti balli delle Rose, in passato, e quando si è dimostrato una persona matura e gentile, oltretutto rispettosa e dotata di un certo carisma, non ho potuto che approfondire la sua conoscenza. Da conoscenti ad amici il passo è stato breve, tant'è che è perfino diventato il contrattatore favorito di mia madre. Compravendite su armi, equipaggiamento medico, contatti e altro.. è un esperto della conoscenza in ogni sua forma. Non sarà fisicamente molto prestante e forse la sua dote più grande non è il combattimento, ma non importa: non perde mai, mai. È un pianificatore, un vincitore nato. Lo apprezzo molto per questo.
Inoltre ha un animo pratico, è discreto e sa parlare in modo squisito, e sempre e solo al momento giusto. Un miscuglio di doti personali ed esclusive date dal suo Clan, per cui anche i suoi pochi nemici lo ammirano. E poi, respira come un umano normale.
Le sue ultime visite mi riguardavano, da quello che ho potuto sbirciare dalle scale: ho quasi l'età giusta per essere data ad un Clan, è naturale che sia tra i primi a presentarsi se gradisce la mia compagnia. C'è anche da contare che la loro ultima genitrice è morta da anni e che non solo hanno bisogno di un rimpiazzo, ma di un elemento valido che si aggreghi bene ad una comunità di basso profilo come la loro.
Meglio che capitare al clan degli Scettri coi loro alti standard nobiliari, o agli Incubi dove non solo non avrei il minimo appoggio, ma la mia posizione sarebbe ridotta a quella di cavalcatura e basta. Loro hanno già Felicia per quello, non credo mia Madre voglia concedergli altro.
L'altra scelta che rimane oltre a Leonard, è quella di cedermi alle Rose o alle Bestie comandate da Ambris, una donna piccola, pallida e bellissima che incarna pienamente tutto quanto c'è di bestiale nella nostra natura. È la massima sacerdotessa del culto della creazione, ormai in disuso da quando l'accordo di quattro secoli fa ha reso le Madri uguali a tutti gli altri Vampiri,  e che lei ancora protegge assieme al suo Clan. Ambris, in effetti, mostra un particolare rispetto nei nostri confronti e ha contatti molto profondi con tutte noi, non solo per interesse puramente religioso. Ci ritiene la più alta espressione dell'evoluzione grazie al nostro dono di generare, ma purtroppo di lei so poco altro a parte questo.
Dalle voci che girano ai galà pare anche lei abbia fatto la sua offerta in previsione del mio rito. È comprensibile se si pensa che la genitrice assegnata al suo Clan è rimasta incenerita dal sole, intrappolata all'aperto per una sfortunata casualità, e che la povera vampira ne ha sofferto tremendamente per anni. Non riesco nemmeno a ricordare da quando tempo si assentava dai balli e dalle ricorrenze, prima di tornare alla carica pochi mesi fa per cercare una nuova componente al suo clan e accaparrarsi me.
Ora che so del ballo, prima di mettermi al computer  preparo i vestiti per l'indomani. Sono quasi certa il ballo durerà tutta la serata e non ci sarà tempo per stare a scegliere gli abiti, tra trucco e parrucco.
La voce di mamma mi arriva dalla porta socchiusa, è salita a portarmi un paio di elegantissime scarpe bianche.
«Tieni, tesoro, te le ho comprate giusto stasera. Ti raccomando, scegli un abito bianco.»
«Avrei preferito portare quello verde...»
«Quello di Leo?» Sbuffa intenerita. «Vedrai che capirà.»
Inutile mettere il broncio con lei. Lascia le scarpe sulla porta e si sporge appena.
«Domani prepara la piastra, le mollette e il fiore. Vedrai, sarai bellissima.»
«Va bene, Madre.»
Chiudo la porta dopo che se ne è andata, apro l'armadio e scorro gli ometti: avrei voluto mettermi l'abito verde foglia di seta e taffetà che tanto avrebbe fatto piacere a Leonard, uguale al colore dei miei occhi, o in alternativa qualcosa di rosso che sicuramente avrebbe attirato l'attenzione di Ambris, ma purtroppo non mi è ancora concesso. Posso portare quello che voglio durante la notte ma, durante i ritrovi formali, devo per forza indossare vestiti bianchi e il classico fiore blu.
Scelgo qualcosa di semplice che arrivi alle ginocchia e un cammeo da fermare alla gola con un nastro. Il bianco e il fiore blu indicano che non ho ancora passato il rito; a nessun vampiro oltre a noi è concesso indossare quei colori. Chi invece è già stato destinato ad un Clan porta quelli appropriati che lo identificano come appartenente.
Il tempo per fare una doccia calda, un toccasana per i non-morti, e sprango le finestre chiudendole con gli scuretti ermetici che abbiamo fatto installare ovunque in casa. Mi metto sulla sedia e il resto della notte scorre.




Note dell'autore
Finalmente, il settimo capitolo! Perdonate la piccola assenza ma adesso sto lavorando con più calma, quindi capiterà spesso di dover aspettare due o tre giorni prima metta quello nuovo! Spero che questo non sia un problema ç.ç sono pignola, ci tengo a mettere su qualcosa che non sembri un obrobrio ed inoltre sto lavorando ad un paio di cosette nuove che spero di mettere presto sul sito xD
Detto questo, spero la storia stia piacendo! Come sempre, lasciatemi i vostri commenti e pareri anche negativi, sono sempre apprezzati ;)
Un saluto a tutti e al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Imbarazzo ***


IMBARAZZO



Risvegliarsi dal sonno dei vampiri, anche deliberatamente chiamato rigor mortis, è sempre un problema per quelli di noi che non hanno il dono di dormire come  comuni mortali. Ci vuole impegno, sciogliere ossa e muscoli irrigiditi è un grande sforzo di volontà e spesso questo ci fa venire una terribile sete. Ecco perché ci impiego un po' ad alzarmi, facendo scricchiolare le ossa e contraendo le dita, massaggiando poi i polsi, i muscoli delle braccia e così via come mi è stato insegnato a fare da una vita. Quest'operazione che solitamente ci impegna dai quindici minuti alla mezz'ora a nottata può essere accorciata di parecchio, a patto di buttarsi sotto la doccia prima e dopo aver dormito: il vapore e l'umidità aiutano a recuperare l'elasticità persa durante la notte, e non solo. Mi duole ammetterlo, ma la maggior parte dei vampiri sono dormiglioni irrecuperabili. Entro in doccia e ne esco poco dopo asciugandomi, dando una passata di mano allo specchio appannato posto sopra un fine lavello in ceramica lavorata. Non ho una gran faccia, pazienza.
Finisco di asciugarmi e indosso i vestiti preparati la sera prima, appuntandomi la rosa sul petto e prendendo un foulard come coprispalle in tono con l'abito. Mi sistemo a dovere aspettando l'intervento della Madre per gli ultimi ritocchi; i capelli, appena mossi, li stira velocemente lei quando ha finito col trucco.
Fin qui, niente di diverso da una banale adolescente. Mi avvio alle scale scendendole; mamma mi aspetta sul fondo, facendo girare sull'indice le chiavi della macchina: indossa uno splendido vestito nero che la fascia il collo e ha i capelli raccolti in boccoli mogano a lato del capo. Il nero è simbolo del nostro clan, rappresenta l'indipendenza,
«Te l'avevo detto saresti stata bellissima» mi dice regalandomi un bacio sulla guancia, quando arrivo in fondo. Annuisco sorridendo e attendo prenda la sua pochette prima di seguirla all'esterno, verso la macchina. Gli altri Clan utilizzano spesso dei servitori per queste incombenze ma noi non ne abbiamo, ci dobbiamo arrangiare e alla fine non ci dispiace nemmeno.
Un individuo vestito di tutto punto, un paio di occhiali neri sul naso, appare improvvisamente appostato accanto all'auto parcheggiata nella rimessa. Madre rimane in allerta in un primo momento, ma poi lo vede prostrarsi in un breve inchino e riconosce il fazzoletto verde che gli esce dal taschino della giacca nera.
«L'Ombra ha mandato una macchina alle vostre dipendenze, con tutti gli omaggi da parte di Sua Eccellenza Leonard.» Il servitore si prostra di nuovo prima di aprire le portiere dei passeggeri. «Io sono l'autista, potete chiamarmi Thomas. Mi curerò di qualsiasi vostro bisogno durante il viaggio e in serata.»
Una perfetta recitazione, davvero. Mamma sembra compiaciuta da questo improvviso regalo, nessuno ci aveva mai mandato a prendere prima d'ora. Significa che la nostra presenza è particolarmente gradita, o particolarmente attesa.
«Riporta i miei più sentiti ringraziamenti al tuo signore, Thomas. Siamo felici di godere del suo omaggio e della tua compagnia. Vero, tesoro?» ripone le chiavi in borsa mentre io annuisco in silenzio. In realtà l'autista non mi piace, ma non sono così schizzinosa da farlo notare.
«Bene, è ora di andare.» Detto questo, ci dirigiamo alla Volkswagen nera mentre lei ride cristallina, montando.

Facciamo un po' di conversazione mentre l'autista guida, o forse sarebbe meglio dire che mia Madre fa un po' di conversazione, ddando sfondo alla sua acuta parlantina cianciando del più e del meno. Come mio solito, non sopporto molto i pettegolezzi e così mi distraggo guardando l'autostrada e le macchine che passano fuori dal finestrino oscurato. Mamma ha un carattere che una donna degli anni venti le invidierebbe, e non perde mai occasione di mostrarlo: ha classe, contegno e destrezza, sa destreggiarsi tanto nelle chiacchiere quanto nelle discussioni filosofiche. Più di una volta l'ho immaginata a ballare il Charleston in piena ambientazione parigina, magari a braccetto con Picasso in un vestito pieno di strass, o a giocare a carte stuzzicando Hemingway con un bocchino per sigaretta che effettivamente tiene in borsa.
 «E così le Ombre ti hanno inviato da noi, Thomas» accavalla le gambe, tutta sorrisi e curiosità genuina «come mai tanto interesse?»
«Sono tempi difficili, madama. Le Ombre vi sono sempre state amiche, non rischierebbero la vostra sicurezza» risponde lui. La Madre sorride disinvolta, ma la dura verità è quanto di più complicato si possa pensare.
«Gli Incubi si stanno facendo beffe dell'autorità degli Scettri, e questo ha aperto sanguinose faide tra i due Clan. E' un bene non capitare nelle loro zone disarmati, madama, tanto meno viaggiare da soli nei loro territori.»
«Vai avanti, racconta» gli fa mamma, mentre fruga in borsa per un pacchetto di sigarette. Quando lo estrae fa per prendere una, poi si ferma. «Posso fumare?»
«Come desidera, madama» risponde l'autista, quindi la vedo armeggiare con cura l'accendino. Porge il pacchetto anche a me ma rifiuto, e stavolta è lei a riprendere il discorso.
«Gli Incubi prendono troppo a cuore l'arroganza tipica degli Scettri» commenta aspirando, affatto contenta. «Ho mandato due delle mie bambine da loro e spero le tengano ben lontane da questo conflitto da quattro soldi.»
«Parla di Sophia e Felicia, madama?»
«Si, proprio loro» annuisce. «Quando le chiamo, mi dicono che si trovano bene nonostante il fuoco che arde negli animi di quegli sciocchi. Credono di poter far andare i due fratelli d'accordo... ognuna alle proprie condizioni» scuote la testa, sospirando. «Dovremmo essere super-partes, non farci condizionare negli affari degli altri.»
«Capisco» commenta asciutto l'autista. Restio, decide di aggiungere dell'altro. «Madama, suppongo non sappia dell'attentato di questi giorni, a Point Grand?»
C'è un breve attimo di silenzio, tanto che si sente solo il motore della macchina. Mia Madre boccheggia senza sapere che dire, per poi lasciar cadere la cenere accumulata dalla sigaretta sul tappetino. Non l'avrebbe mai fatto se non fosse stata sconvolta.
«C-cosa?» Lo sgomento si trasforma, in breve, in uno sguardo omicida mentre affonda le unghie nel sedile. Si sporge verso l'autista. Point Grand è il centro di Anderville, l'area dove dimora principalmente il Clan Scettri, e con loro mia sorella Sophia. Immagino non appena scesa correrà a chiamarla col cellulare o usando qualsiasi mezzo le sia possibile.
«Alcuni edifici della zona sono esplosi. Delle chiese, alcuni condomini e altre abitazioni di lusso. Numerosi Scettri sono dispersi, e si stanno ancora contando i caduti.» Thomas pare impassibile, ma con la coda dell'occhio lo vedo deglutire. La vicinanza della mia sire è problematica in questi momenti: di solito è una persona calma e controllata a cui sembra non importi molto delle figlie, ma quando le riferiscono qualcosa di spiacevole nei riguardi di una o dell'altra diventa una furia.
Fortunatamente per l'autista, per ora è solo scossa. La vedo mentre si lascia andare sul sedile tirando una boccata al filtrino della sigaretta, dimezzandola in un attimo. Quanto a me, la cosa non mi tocca: conosco le mie sorelle giusto per nome e aspetto.
Dopo un po', la Madre apre di nuovo bocca.
«Non hanno più... nessuna di noi tra gli Scettri...» Non si capisce se sia un'affermazione o una domanda, ma a quanto ne so io, Sophia era l'unica tra di loro.
«No, madama.» L'espressione di Madre non appare più sollevata. Le Madri perseguono l'equilibrio nei Clan in cui vivono e fuori dagli stessi, la loro presenza è necessaria per evitare lotte interne e guerre civili devastanti. Purtroppo, quelli che screditano il nostro ruolo sono tanti quanti quelli che lo supportano, ed è una fortuna quando una genitrice non ci lascia la pelle dopo pochi anni per stupidi screzi. Fin'ora solo Felicia ha avuto fortuna di vivere abbastanza avendo prima un maschio, poi una figlia. Se è vero che gli stronzi vivono a lungo, allora Felicia sopravviverà per i prossimi millenni. Quanto alla Madre, lei è intoccabile: dona continuamente i propri neonati ai vari Clan e ne avrà ancora per secoli. Se dovessimo venire a mancare noi col nostro compito, ci penserebbe lei a rimpinguare le file della nostra genia.
«Quella con lei è la sua ultima figlia?» prosegue l'autista. Spostare l'argomento su altri lidi può essere un vantaggio, perlomeno per la sua gola, ma la Madre dà segno di riprendersi abbastanza perché questo “Thomas” non rischi la pellaccia.
«Si, la mia bellissima Rachele» risponde, guardandomi premurosa. «Ha preso tutto dal padre.»
«È davvero notevole, madama. È già promessa ad un Clan?»
Trattandosi di me, mi sembra doveroso partecipare alla discussione.
«No, non ancora» rispondo distrattamente. «E' troppo presto, sono ancora giovane rispetto alle mie sorelle.»
«Potremmo pur sempre avere un fenomeno in casa» mi dice, supponendo io vada sicuramente in promessa alle Ombre. Lo fa con leggerezza, senza cattive intenzioni, ma la Madre è già in collera per la questione di Sophia e non sopporta quello che dev'esserle sembrato un insulto. In fondo lei si fa in quattro per valutare obbiettivamente l'offerta di ogni clan, posso capirla se si incazza perché danno per scontata la sua decisione.
«Non. Ti. Permettere.» sibila, avvicinando in un attimo il mozzicone ancora acceso alla guancia del ragazzo. Una reazione un po' fuori scala, ma tutto sommato normale contando la notizia di prima.
«Mia figlia non è un fenomeno da baraccone.» L'autista non sa più se tenere sotto controllo la macchina o una delle sue occupanti. «E non andrà alle Ombre a meno IO non lo decida. Sono stata chiara?»
«Madre...» Vorrei dirle che questa scenata è imbarazzante e che saprei proteggermi da sola dai possibili insulti, ma mi mordo la lingua. Se mi chiedesse “come fai a saperlo?” potrei tirare in ballo come prova solo il come ho affrontato il ragazzo a casa, la sera prima, e non voglio lo venga a sapere. Data la mia autonomia è già pari a zero, meglio stia zitta.
L'uomo annuisce vigorosamente ma mia Madre gli preme comunque l'arma improvvisata sulla guancia, a tradimento. Thomas tira un urlo di sorpresa e dolore, portandosi la mano che sta sul cambio alla faccia, e lei gli blocca quella che stava per levare dal volante.
«Mantieni il controllo dell'auto, Thomas» gli dice suadente, mentre abbassa il finestrino e getta via il filtro ormai consumato.
«E la prossima volta taci invece di parlare a sproposito, o chiederò alle Rose che ti venga cucita la bocca con ago e filo per il resto della serata.»




Note dell'autore
Nuovo capitolo, yeeeeee xD Un miracolo! Ultimamente sono sommersa dagli impegni e ho un paio di altri progetti in cantiere da sviluppare a dovere prima di metterli qui. Nel frattempo, anche questo capitolo è stato concluso e... che dire, le mamme sono tutte uguali ovunque si vada xD Le scenate imbarazzanti possiamo subirle solo da loro (tanto sappiamo poi che è per il nostro bene, vero? Bero? Ah-ehm..).
Come sempre, spero vi sia piaciuto! Lasciatemi i vostri commenti e sarò felicissima di leggerli e rispondere a tutti *.*
Un saluto e al prossimo capitolo!

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Capitolo 9
*** Ambris ***


AMBRIS



La macchina attraversa il cancello di una grande magione, per poi fermarsi piano nel piazzale di ghiaietto bianco, in mezzo a cui una fontana con tanto di sirena e puttini sprizza acqua quasi ovunque. Nonostante la bella fattura, l'insieme è un insulto agli occhi: la fine opulenza dell'intero posto lascia intravedere che razza di soggetti poco raccomandabili sono quelli delle Rose. Eppure mamma ci va d'accordo come se ci fosse nata a braccetto...
Quando le ruote della Volkswagen finalmente si fermano, mia Madre apre la portiera e ne esce con nonchalance, come non fosse successo assolutamente nulla. Le sue gambe scarpettano velocemente sul selciato quando viene ad aprirmi, e sono l'unico indizio della preoccupazione che la rode dopo la chiacchierata con Thomas, mollato a badare alla macchina e a leccarsi la bruciatura.
Ad accoglierci poco distante arriva l'eccentrica Isabel, leader del clan delle Rose, una stangona sensualissima e formosa dai capelli di un fucsia accecante, stretta in un abito di pizzo nero che sembra un body scosciato con strascico. È lei che ha scoperto la ruota, a livello estetico, dei vampiri, ed è lei che si avvicina ancheggiando con in mano una chiave e una rosa rossa, simbolo del clan che ha anche tatuato lungo il collo. Ci saluta con un breve inchino, lasciando a chi gli sta dietro la visione di un perizoma nero dal bordo incastonato di svarosky. Vorrei tanto dirle che è di cattivo gusto, ma poi rischierei di diventare come mamma.
«È un onore per noi delle Rose ospitarvi qui, Madri»
“Madri? Sul serio?” É la prima volta che la sento fare tante riverenze, sopratutto se ci sono di mezzo io: ho sempre l'impressione mi consideri troppo normale per i suoi gusti. Madre sorride, stringe le mani di Isabel e le risponde a suon di affettuosi baci sulle guance. Sono amiche di vecchia data, ma non per questo ho mai cambiato idea sulle Rose: Isabel sarà carina, ma il resto del Clan è un branco di montati, mitomani, erotomani e maniaci. Finire lì dentro significherebbe passare il resto della mia non-vita a seguire i pettegolezzi dal parrucchiere. No, grazie.
Troppo presa dalla sua amante preferita, la Madre non nota lo sguardo contrariato che le lancio quando ci mette un po' troppo a far sbollire l'entusiasmo: dopo urletti di sorpresa e una serie di stupidaggini da far cadere le braccia, la donna ci affianca e coi suoi modi affabili ci accompagna all'entrata della casa comune, praticamente un ex-bordello, un luogo di ritrovo perfetto per i suoi fratelli.
Passando le doppie porte in mogano della villa volto lo sguardo, riuscendo ad intravedere anche altri importanti invitati all'evento. Trevor tra tutti, leader degli Incubi, seguito da Felicia. Alzo gli occhi al cielo alla sua vista, sbuffando mentre lei si volta facendo finta di non vedermi: quella stupida zazzera bionda ed io ci scanniamo ad ogni occasione solo perchè lei è verde d'invidia. Non avrebbe voluto finire con Trevor, ma a mio parere è l'unico posto in cui si merita di vivere.
Guardando l'interno della sala, invece, cerco Leonard, sicuramente nascosto nel punto migliore dell'immensa stanza. Incredibile come riesca a passare inosservato in ogni occasione, perfino sotto gli occhi e gli sguardi di tutti: un momento c'è, il secondo dopo è sparito. Suppongo sia già arrivato, in ogni caso si farà vedere quando lo vorrà.
Lo spazio rettangolare della sala si allunga alla mia destra e sinistra in due corridoi, col pavimento nero che fa da contrasto alle vivide pareti rosse. Al centro, poco più avanti, è posizionato un magistrale colonnato nero d'ebano dove un'orchestra suona tranquille sinfonie da salotto. Qua e là sui banconi ovali coperti di tessuto nero, viene invece servito sangue per gli ospiti. Una misura precauzionale molto in voga tra i Clan più raffinati, fatta apposta per evitare qualcuno combini stupidaggini fuori portata: non fosse così, le Madri dovrebbero fare a turno per spaccare le ossa agli affamati contravventori di regole. Il resto è come ci si poteva aspettare da un ex-bordello di lusso: un susseguirsi di quadri alle pareti, cornici d'oro, paramenti preziosi e tendaggi sfarzosi.
I miei occhi cadono sul sangue dei tavoli.
«Madre, vorrei prendere da bere.»
Lei, che sta parlando con Isabel, si volta annuendo distrattamente. Isabel sorride in mia direzione.
«Stasera abbiamo stappato il nostro vino speciale. Provalo, vedrai che ti piacerà.»
Vino speciale, penso, mai sentito. So che alcuni mescolano sostanze e alcool al sangue per renderlo più piacevole del solito, ma le mie conoscenze di fermano a questo. Sia come sia, saluto con rispetto e mi stacco dal fianco della mia sire per andare a prendere un bicchiere. Nella stanza c'è un enorme dipinto di due gemelle bionde che si tengono per mano, decido per il bancone proprio sotto l'ambiguo quadro. Faccio il giro del colonnato con una certa fretta, lo raggiungo e prendo tra le mani una splendida coppa di cristallo riempita per metà di liquido cremisi, già pregustandone il sapore dall'odore. Faccio per portarmelo alla bocca quando una mano mi blocca, spingendomi a risalire con lo sguardo lungo il braccio e il busto sconosciuti prima di trovarmi davanti, sorpresa delle sorprese, il capo delle Bestie.
«Ambris?» Senza una parola, mi strattona la mano rovesciando il bicchiere che si ribalta sul tavolo, sbeccandosi. La guardo prima allibita, poi contrariata.
«Ma che diamine fai?!» Tiro, ma non mi lascia andare il polso. Mi osserva per un attimo con due occhi neri, acquosi e penetranti, e scuote la testa smuovendo i capelli mori legati in una mezza coda bassa. La bocca umida di sangue e rossetto rosso si storce. Mi annusa brevemente, arricciando il naso dritto e fine, poi allenta la presa.
«Attenta, Rachele» mi ammonisce severamente, la voce suadente nonostante il basso ringhio. «Non dovresti bere il vino delle Rose. Sai come si divertono coi loro invitati, quei vermi.»
Concentro per un attimo la mia attenzione sul suo vestito, un monospalla rosso e nero munito di stringivita damascato e decorato da intrichi di foglie d'oro che scendono seguendo lo spacco della gamba, e poi i miei occhi cadono di nuovo sul sangue. Ovviamente ricevo un nuovo, brusco strattone.
«Ascoltami, quando parlo» sibila. «Non bere.»
«Va bene, va bene» annuisco, confermandole ho più o meno inteso. Allora mi spinge da parte e molla la morsa piano, ancora poco sicura non mi getti sui bicchieri subito dopo. Cosa che non farei anche se volessi: se c'è una cosa che ho imparato nella mia breve vita da non morta, è che non bisogna mai contraddire Ambris, specialmente se sembra arrabbiata. E specialmente quando si trova davanti a del vino drogato, cosa che la fa letteralmente sclerare: per lei è solo uno stupido mezzuccio delle Rose per arrivare ai loro scopi. Si capisce che i due clan non se la intendono molto tra loro, vero?
«Perdonami» si scusa poco dopo, abbassando la testa. «Ho preferito essere brusca prima di vederti uscire di senno.»
«Non importa, ho capito. Grazie per essere intervenuta» le rispondo, e l'espressione severa di prima svanisce, sostituita da una seconda più raccolta e impostata. «É solo che ora non so dove andare a bere.»
Con sorpresa, vedo mi offre una mano laccata di unghie nere.
«Se vuoi, ti porto ai nostri tavoli. Sono sicuri.» Mentre parla, un piccolo cerchio rosso di sangue le luccica sulla fronte, il simbolo del culto della creazione. Non credo potrebbe mai mentirmi, data la sua posizione di massima sacerdotessa. E poi mi fido più a stare in sua compagnia che tra quella di Rose ed Incubi montati, quindi annuisco prendendola per mano e seguendola.
Mentre cammino al suo fianco, cerco di spezzare il ghiaccio.
«Non sapevo che il vino speciale delle rose fosse sangue drogato» asserisco. Lei mi guarda con un lieve sorriso, facendomi intuire sono ancora molte le cose di cui non sono informata.
«Non è esattamente drogato, Rachele, altrimenti non avrei fermato la tua mano.»
«Ah» rimango interdetta. «Allora cos'è?»
«Sangue mischiato ad estratto di cicuta e mandragola. Mortale per gli umani, equivale ad un potente narcotico per i vampiri.»
Rimango in silenzio. Alla faccia del "mezzuccio"! Ci sarebbe da far appendere per i piedi l'intero clan per questo. E la Madre lo sa? Mi viene il sospetto possa aver chiuso un occhio sulla faccenda, ma mi sembra impossibile.
«E tu come fai a saperlo, Ambris?» Lei sorride con lieve arroganza, mettendo in mostra una dentatura perfetta. Il fatto non abbia nemmeno il piccolissimo accenno di zanne che per noi è normale possedere la dice lunga su quanto sia vecchia. E no, non si tratta di canini consumati.
«Ti sembrerà che il clan di cui sono a capo sia solo un branco di Bestie senza cervello, Rachele, ma molto spesso le apparenze ingannano. Noi ascoltiamo l'istinto, e l'istinto viene a conoscenza di tutto. É l'istinto che ci dice ciò di cui è meglio nutrirci e ciò che non è buono per noi, qual'è l'alleato e quale l'avversario. L'istinto è naturale, ed è una nostra prerogativa.»
«Interessante prerogativa» rispondo io, concentrata sui tavoli che passiamo. Ogni banco a cui non ci fermiamo corrisponde al mio irrigidirmi e al suo scuotere la testa, i capelli neri acconciati con un fermaglio d'oro a forma di serpente. Infine ci blocchiamo davanti ad una porta da cui si sentono rumori indistinti: la guardo e lei, annuendo, tira la maniglia trascinandomi dentro.
Riconosco l'odore pungente e selvatico che quei vampiri si portano addosso mentre si avvicendano l'uno con l'altro davanti alle prede disposte a terra. Mi ha portato dai suoi consimili impegnati a decimare dei servi sani che mostrano le gole e si sottomettono a qualunque maltrattamento pur di ricevere una loro carezza.
«Bestie!» Ambris grida davanti a quello spettacolo, storcendo le labbra arrabbiata. «Che razza di spettacolo date a vedere alla Madre? Via dal pavimento, via dai corpi! Datevi del contegno almeno qui, che non si dica non abbiamo civiltà!» Quando all'improvviso batte le mani, tutti si ritirano davanti alla sua presenza predatoria e quasi asfissiante. Vedendoli finalmente tranquilli, sembra calmarsi. Sono tutti in ginocchio, impegnati a guardare il pavimento per rispetto.
«Bene» asserisce, soddisfatta. «Potete continuare civilmente. Portate un umano alla genitrice, lasciamo che festeggi assieme a noi.» Immediatamente, i vampiri riprendono i loro svaghi e i loro dissanguamenti reciproci, ma due di loro trascinano un ragazzo al centro della stanza lasciato vuoto come chiesto da Ambris, e lì lo abbandonano ritirandosi. Io mi rivolgo a lei.
«Ambris, forse non è il caso. Non voglio interrompervi, e poi non posso. Sai che-»
«Hai ragione» mi interrompe subito, rivolgendosi ai due. «Portatemi una coppa.»
Obbedienti, gliene porgono una incisa, evidentemente un cimelio. Strano che se lo sia portato dietro. Mentre le mie rotelle girano freneticamente per afferrare il senso di tutto questo, lei afferra il servo per i capelli, gli morde il collo staccandogli un pezzo di carne e lo lascia dissanguare sulla coppa argentata che poi mi porge, riempita fin quasi all'orlo. Gli altri dietro di lei si avventano sull'umano in maniera quasi inquietante, tirandolo a terra prima di assalirlo tra urla e gemiti vittoriosi: mi viene la pelle d'oca a vederli, c'è qualcosa di assolutamente animale e irresistibile nel modo in cui si comportano, lasciandosi andare al loro essere bestie fino al limite consentito.
Esito un momento prima di ingurgitare il sangue con foga, assaporandone il calore e il sapore. Purtroppo la coppa si svuota più velocemente del previsto, e mi sento tutto fuorché sazia. Ne chiedo un'altra e con un fervido sorriso, Ambris me la porge. Qualcuno mi chiede di unirmi alla gioia animale, di brindare, sprecare e farmi ricoprire di sangue, ma prima mi possa abbandonare a simili attrazioni è proprio la stessa leader che mi ferma, trattenendomi per un braccio.
«Riprendi il controllo» mi consiglia, e quasi le invidio la capacità di lasciarsi andare e riprendersi a comando. Un piccolo angolo del mio essere desidera diventare la loro Madre, e mi viene da pensare possa averlo fatto apposta, di avermi portato lì.
«Adesso che hai finito..» quando mi calmo, Ambris mi toglie il contenitore dalle mani «..sai cosa significa stare in mezzo a noi» mi dice eloquente.
«Torna quando vuoi, Rachele. Sei la benvenuta.»
Annuisco, sorridendo ebete. Una volta tanto nella mia non vita vorrei lasciarmi fregare dall'espressione dolce di Ambris, che mi riaccompagna fuori fino alla stanza centrale, pulendosi gli angoli della bocca in modo il rossetto resti lucido e fissato.
«Vai adesso, e cerca di divertirti. La serata è appena iniziata.»




Note dell'autore
Nono capitolo! Da adesso in poi, oltre al continuo della storia, comincerà l'introduzione di alcuni personaggi che spero vi piaceranno. Ovviamente tutti riguardano l'universo di questa fan fiction, ma alcuni non specificatamente dal momento hanno all'attivo le loro storie a parte e il loro "mondo", ovviamente sempre all'interno della città di Anderville. Che dire, gli impegni si fanno sentire e un po' di ritardo ormai lo accumulo sempre xD anche perchè la mia mente malata è sempre alla ricerca di cavolate da scrivere *povera me.. çç*
Un grazie a chi mi segue, spero anche questo capitolo piaccia, e come sempre se volete lasciare dei commenti sarò più che felice di leggerli e rispondervi *ç*
Un saluto e al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Diverbi interni ***


DIVERBI INTERNI

 
Mi guardo attorno, stordita, senza vedere nessuno di mia conoscenza. Isabel dev'essersi appartata con mamma, degli incubi preferisco non curarmi e anche degli scettri. Da qualche parte, intravedo il lunghi capelli del loro capo che si sta dirigendo in mia direzione. Faccio per allontanarmi e cambiare strada, per così dire, quando mi rendo conto di una figura appostata accanto ad una colonna, vicino all'orchestra: Leonard. Come al solito è tranquillo, non beve nulla e sembra non fare nulla. Sembra, perché in realtà starà raccogliendo informazioni e qualsiasi frammento di conversazione possa fruttargli dei vantaggi. Mi dirigo da lui senza volerlo disturbare ma, quando si accorge della mia presenza, non faccio in tempo a rifiutare che lui si è già abbassato alla mia altezza per prestarsi in un abbraccio: vengo avvolta dalla sua camicia verde scuro e dal gilet nero che porta, piacevolmente sorpresa dall'odore della colonia che deve aver messo per l'occasione.
«Leonard» lo saluto con un cenno del capo, lasciandolo. Lui annuisce con la testa calva quasi lucida sotto le luci della stanza: ha fatto una scelta infelice prima della sua trasformazione e non può cambiarla.
«Rachele. Ti trovo bene.»
«Non più di te. Dimmi come va, sono curiosa» gli rispondo. Faccio scivolare il viso nell'incavo della spalla, contro la camicia di seta, e mi stringo a lui di nuovo. Per me è un piacere rivederlo. Lo lascio subito dopo.
«Come al solito: faccio uso di tanta pazienza e ascolto, fintanto non c'è nulla di meglio da fare qui. Le Rose non fanno mai feste come le vorrebbero e tutto finisce, al solito, in un disastro. A proposito, hai bevuto?»
Scuoto la testa, senza essere tenuta a specificare nulla.
«Bene. I nostri raffinatissimi fratelli si sono divertiti a riempirli di cazzate, le stesse che escono loro di bocca. C'è solo da sperare nessuno dia di matto.» Mi carezza la testa. «Tu, il vestito verde?»
Già, il vestito verde.
«Ringrazia mamma, altrimenti me lo sarei messo.» Rispondo scontenta. Lui sorride sghembo.
«Capisco. Non imbronciarti, lo sai com'è fatta. Ligia alle regole fino alla fine. Sai dov'è?»
«Dev'essere da qualche parte con Isabel, stavano chiacchierando allegramente l'ultima volta che le ho viste. Si saranno, sai... appartate.»
«Mhm.» Non è certo un segreto. «Tu dov'eri andata a finire? Non ti ho vista entrare.»
«È un miracolo che ci sia qualcosa che non riesci a vedere!» gli strizzo l'occhio. «Ho fatto un giro nei corridoi, a dare una sbirciatina.»
«Sempre curiosa. Non cambi proprio mai» sorride di nuovo, soddisfatto. «Resta nei dintorni, vado a cercare la tua sire e torno» mi dice, poi si allontana velocemente con un'andatura incredibilmente leggera. Ecco, a lui invidio il come si muove felpato e discreto tra la gente: chi l'ha trasformato deve aver catturato le sue doti migliori, anche se non vuole mai andare sull'argomento. E intanto io sono rimasta di nuovo sola.
Passo un quarto d'ora a gironzolare per le sale ascoltando musica d'ambiente, iniziando ad annoiarmi seriamente. Quella del chiacchiericcio occasionale è un'attività molto rilassante, ma per quanto mi riguarda mi interesso più ai fatti che alle parole, specialmente quelli che vado a sbirciare in un paio di camere nel corridoio il momento dopo. China sulla toppa di una serratura priva di chiave, mi diverto a guardare un paio di soggetti fare fervidi salti tra manette e corde di lino, quando sento qualcuno che mi prende dai fianchi, da dietro, e si appiccica al mio sedere in modo molto inappropriato.
«Alla principessina interessano gli scandali?» Con voce ironica, strofina percettibilmente il suo davanti sul retro del mio vestito. Come se gli fosse veramente permesso di farmi qualcosa... sorvolo anche sul fatto infili una mano sotto i veli di tessuto fino a tastarmi una coscia, palpando.
«Trevor, piantala.» È facile riconoscere l'Incubo dal tono di voce freddo e graffiante, strafottente ogni volta che mi incontra. Scrollo le spalle infastidita, mi dedico di nuovo ad osservare lo spettacolo da dietro la porta. In tutta risposta, la sua mano si alza dove non dovrebbe.
«Trevor!» Mi alzo di scatto, voltandomi e staccandogli a forza una mano dal mio sedere, spintonandolo, già che ci sono, per staccarmi di dosso anche lui. La voglia di rifilargli un ceffone è tanta, ma è meglio non andare a litigare con uno come lui.
«Piantala di toccare se non vuoi che dia un calcio a quel paio di coglioni vuoti, freddi e morti che ti porti appresso.» La sua risata rauca è indicativa, mentre incrocio le braccia contrariata. È uno a cui piace molestare la gente, un maniaco. Con la differenza che un maniaco può essere considerato innocuo se comparato a lui.
«Perché non mi lasci in pace e non te ne torni dalla tua Felicia? Scommetto che sarà contenta di soddisfare i tuoi appetiti.»
«Perché cambiare proprietà è più divertente.» Si sistema i capelli scuri e corti all'indietro, un taglio molto moderno che tradisce la sua anzianità.
«Io non sono una tua proprietà!» Sto per andare oltre quando mi fermo di botto e mi mordo la lingua: continuare vorrebbe dire solo dargli soddisfazione. Cerco di darmi una certa dignità allora, senza riuscire comunque a reprimere la rabbia. Se potessero farlo, mi fumerebbero le orecchie.
«E che fine hanno fatto i tuoi bei capelli, stasera?» lo stuzzico, ricordando come l'ultima volta li avesse decisamente più lunghi. Sembra stizzito dalla domanda, si morde un angolo della bocca attraversata da una delle numerose, profonde cicatrici bianche.
«Perché me lo chiedi? Non sto bene, principessina?»
«No, affatto. Il tuo aspetto è ottimo, se TU che stai male. Starai sempre male. E per me, staresti male anche se ti curassi tutte quelle cicatrici, per amor del vero.»
Trevor è l'Incubo fatto persona, basta guardarlo in faccia per capirne il perché: il volto squadrato, per quanto attraente, è pieno di cicatrici e sfregiato da due artigliate sull'occhio sinistro cieco, un regalo di Ambris di tanto tempo fa. Potrebbe curarselo senza problemi, così come potrebbe curare tutto il resto, ma per decisione personale non lo fa e ad ogni ricevimento è sempre più coperto di ferite rimarginate che porta come vanto personale.
«Ahia, principessina. Mi hai colpito profondamente.» Con un sorriso sghembo si avvicina, costringendomi a mia volta a premermi contro la porta alle mie spalle. Con una mano mi afferra il mento, premendo sulle articolazioni della mandibola e costringendomi così a stare zitta. «Con un caratterino così precoce saresti degna di noi, sai? Oh, io lo vorrei vedere il tuo bel faccino coperto di cicatrici. Avresti l'onore di fartele infliggere da me in persona.»
Ah, si? Non che la cosa mi importi. Sono solo parole, penso, anche se inizio a sentirmi un po' a disagio mentre si accosta e tenta di stamparmi un bacio sulle labbra. Mi rifiuto dimenandomi, frapponendo tra me e lui un gomito - accidenti alla superforza che non funziona quando dovrebbe - quindi lui ripiega sul collo, lasciandomi lievi tracce di morsi e saliva.
Un lieve rumore di tacchi risuona nella stanza, nello stesso momento.
«Che vergogna, l'Incubo con una verginella principiante e secca.»
Una zazzera di capelli biondo platino fa capolino dal fondo del corridoio, camminando lentamente. È Felicia, che si presenta con la sola compagnia delle proprie cicatrici, fasciata da una catsuit in latex nero bordato di arancio. Ma dov'è sua figlia Nora? Quell'arrogante disgraziata deve averla lasciata allo sbando, penso, magari a farsi seviziare dagli Incubi che non hanno partecipato alla festa.
Trevor le rifila un'occhiataccia appena la vede.
«Tornatene alla festa e lasciami divertire.»
«Non se ti devi divertire con lei.» L'Incubo mi spreme le guance, poi rilascia la presa sulla mia mandibola. Lei mette in mostra un sorriso malsano che le va da un orecchio all'altro. «Puoi sfregiarla, morderla e succhiarle via la cazzo di anima, ma non divertirti con lei.»
«E cosa me lo impedirebbe, vecchia cagna gelosa?» Alzando il mento, sorride in segno di sfida.
«Io.»
Trevor è schifoso tanto quanto suo fratello è viscido, ma dubito seriamente che si azzarderebbe ad ammazzarmi, rischiando poi di subire le ire della Madre. Felicia non è così accorta e potesse, metterebbe volentieri le mani attorno al mio collo per farlo a pezzi. Quando si dice della solidarietà femminile...
In un batter di ciglia, Felicia si lancia su di noi, con la chiara intenzione di sbattere al tappeto suo "marito" e, possibilmente, di schiacciarmi a suon di pugni lasciando solo un murales del mio sangue per terra. Trevor è abbastanza svelto (ma sopratutto abbastanza abituato agli scleri della sua donna) da reagire: prendendomi per una spalla mi lascia verso il muro opposto e si gira ad affrontarla. L'impatto contro la parete è così forte da rintronarmi, rendendomi impossibile seguire i due che se le danno di santa ragione. Quando finalmente mi riprendo, faccio appena in tempo ad alzarmi con tutta l'intenzione di andarmene e lasciarli a picchiarsi da soli quando un boato di voci scuote la sala centrale.
La scena è comica: ci fermiamo tutti, confusi, guardandoci in faccia. Quando realizziamo la possibile gravità della situazione, io sono la prima a fiondarmi nella sala, con tutta una serie di buoni motivi per partecipare e andarmene dal corridoio in fretta. Trevor è il secondo, seguito da una Felicia furibonda per avergliela data vinta, stavolta.


 

Note dell'autore
E così arriva anche il decimo capitolo di questa lunga storia, anche se con un bel po' di ritardo! Purtroppo in questo periodo mi sto dedicando molto ad altri progetti, ho in programma una storia che vedrete a breve (si spera, la mia pelandraggine non lascia scampo x°D) e quindi vado molto a rilento e temo sarà lo stesso nei prossimi tempi. Sappiate perdonarmi, vi prego >.< Ma tornaniamo alla ff, che è meglio xD Come avrete visto, anche questo capitolo è, come il precedente, un'introduzione ad alcuni personaggi principali che seguiranno Rachele nel bene e nel male. Non volete fare tutti una Ola per Trevor? No, vero? xD Povero cucciolo abbandonato (se, come no)!
Detto questo, spero vi sia piaciuto. Ringrazio ancora una volta tutti quelli che mi leggono e come sempre, sarò felice di ricevere i vostri commenti e rispondere a tuttituttitutti *.*
A presto col prossimo capitolo!

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