Vincitrice per Sbaglio.

di puntoeacapo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ho già detto che è un genio? {Prologo} ***
Capitolo 2: *** Ka-boom! Breaking News! ***
Capitolo 3: *** Benvenuta in famiglia, Annie. ***
Capitolo 4: *** Marie's. ***
Capitolo 5: *** Marie's - Seconda parte. ***
Capitolo 6: *** Secrets by Moonlight. ***
Capitolo 7: *** In un chicco di Caffè ***
Capitolo 8: *** Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali. ***



Capitolo 1
*** L'ho già detto che è un genio? {Prologo} ***


Premessa:

Eccoci qui con un nuovo esperimento da parte mia..
Premetto nel dire che non ho la più pallida idea di dove
mi porterà questa prima Fanfiction sul Cast di TVD, l'ispirazione è arrivata e io l'ho semplicemente abbracciata :)
E' una storia collegata a
Custodi del Cuore - Fic terminata da poco
sul telefilm vero e proprio di The vampire Diaries.
Nonostante questo è possibilissimo leggerla anche a parte.

*Nell'asterisco si parla di Season Two, perché Custodi del Cuore è ambientata
da quelle parti nonostante alcune modifiche apportate per la storia.

Dato che questo è solo il Prologo è un po' corto ma lo posto solo per vedere che effetto fa, per sapere - insomma- se è bene continuare questa pazzia oppure no.
Se andrà bene i prossimi capitoli saranno più lunghi.

Buona lettura :)
Baci,
-Eyes.

PS: Cercherò di rendere la storia più realistica possibile,
sono un tipo che punta molto sulle emozioni - quelle vere, che ogni ragazza o ragazzo potrebbero provare-
quindi non troverete , come protagonista, una ragazza che conquista l'America grazie al suo essere brava in tutto o temeraria o spavalda.
Non perché non vada bene, anzi, ma semplicemente perché io non riuscirei a renderla al meglio perché non saprei cosa scrivere,
dato che non sono affatto così :P

Spero piaccia e intrighi lo stesso.





Prologo.

L’ho già detto che è un genio?



Aprii la porta di casa lasciandomi cullare dalla sensazione di tranquillità che le giornate di sole riuscivano a portarmi, faceva caldo e non c’era un filo di vento ma a me piaceva lo stesso.  Gridai il solito  “Sono tornata!” seguendo la mia routine e mi diedi subito dopo dell’imbecille da sola – anche questo, seguendo la famosa routine; vivevo per conto mio da poco più di un anno ma l’abitudine di avvertire del mio arrivo non l’avevo ancora lasciata alle spalle.
Non ero del tutto sola però. Ridacchiai vedendo Puck venirmi incontro: il mio meraviglioso Golden Retriver, cucciolo di appena dieci mesi – preso appena una settimana dopo il mio trasferimento - mi corse incontro abbaiando vivace e dandomi il suo personale bentornato. Capitava poche volte che lo lasciassi solo a casa, in effetti lo facevo solo per emergenze dell’ultimo secondo o commissioni che si potevano sbrigare velocemente  all’angolo della strada.

A quanto si diceva in giro ero una ragazza affidabile ma a volte troppo seria, matura ma ancora una volta fin troppo e questo restringeva di molto la mia cerchia di amici.
Dal mio punto di vista ero una ragazza sempre allegra e non mi importava se prendevo certi argomenti ‘fin troppo’ seriamente perché ero fatta così e di cambiare non avevo voglia: ero Anastasia Di Marco, punto.

“Ciao bello!” Salutai la piccola palla di pelo con una carezza sul muso e mi avviai  in soggiorno velocemente. Afferrai il portatile sul tavolo e mi buttai a pesce sul divano, sdraiandomi comodamente mentre poggiavo il computer sulle gambe e mi accingevo ad accenderlo. Vidi Puck scodinzolare ai piedi del sofà gli indirizzai un sorriso di scuse “Ti prometto un’uscita al parco fra venti minuti.” Lo accarezzai nuovamente facendolo abbaiare e mi connettei su Skype  alzando gli occhi al cielo al suono dell’imminente chiamata in arrivo. Non avevo neanche  fatto in tempo  a passare ‘online’ che quella pazza furiosa mi aveva trillato. Accettai la chiamata e le grida dall’altra parte dello schermo mi fecero sobbalzare spaventata.

 “Kristine!”

La situazione era al limite. Ero abituata agli scatti da matta della mia migliore amica, ma questa rasentava il ridicolo (e, francamente, era anche abbastanza preoccupante); non riuscivo a guardarla in volto, il PC probabilmente era sul letto e l’unica cosa che potevo sentire erano le sue grida estasiate mentre saltava davanti alla webcam.
Anche Puck abbaiò e io la richiamai nuovamente”Kris, per l’amor del Cielo!”

Quando lei si lanciò verso il computer, per un momento ebbi davvero paura che attraversasse lo schermo facendo un volo cibernetico dalla Georgia in Italia. Scrollai il capo cercando di cancellare anche il tremito di terrore al pensiero di una simile possibilità.

Kristine aveva il fiatone e le guance arrossate, i capelli – abitualmente liscissimi e biondissimi e perfettissimi- erano scompigliati e ricadevano malamente sui suoi brillanti occhi verdi. “Non ci crederai mai!” Strepitò, ovviamente in americano, talmente veloce che ebbi qualche difficoltà a capire le parole esatte. Non che servisse, comunque: che era eccitata all’inverosimile lo avevo capito appena aperta la finestra di conversazione.

“Che ne dici di prendere fiato e fare capire anche a me, povera comune mortale quale sono?” Era strano sentire me stessa parlare in americano così facilmente e sapevo che gran parte era merito di quella ragazza: se non fosse stato per lo scambio culturale che l’aveva portata da me, in casa dei miei genitori quando avevamo solo sedici anni, probabilmente sarei ancora a guardare film in lingua originale sognando ad occhi aperti di avere una conversazione extralinguistica senza problemi. E, sicuramente, quel tornado biondo non sarebbe mai diventata la mia migliore amica.

Scossi la testa mentalmente e provai ad ascoltarla, cercando di comprendere. Come previsto, il primo tentativo fallì miseramente, bombardato dalla mitraglietta eccitata che era la voce di Kristine; dovetti minacciarla di chiudere la connessione se non avesse parlato con più calma, prima di convincerla quantomeno a respirare tra una frase e l’altra. Lei aveva sbuffato mettendosi comoda sul letto, il suo broncio durò qualche misero istante e – nuovamente- i suoi occhi assunsero quel particolare brillio, a mio avviso molto inquietante.

“Julie Plec è un genio.” Esordì e, così facendo, non poté che non attirare la mia attenzione. A quanto pareva, si era esaltata grazie alla nostra passione comune:The Vampire Diaries - lo show più popolare del momento, con trama, attori e produttori fantastici. Una delle series migliori che si trovavano sul mercato.

Corrugai la fronte, ma sorrisi curiosa “Dimmi tutto.”

Kristine mi rispose con il fervore di prima, ma stavolta più comprensibilmente  “Quella santissima donna ha avuto un’idea brillante. Non che io sia stupita: ho sempre saputo che è un genio! Non te l’ho mai detto che è un genio? Non importa, il punto fondamentale riguarda la seconda stagione!” Fece un paio di gridolini che scelsi di ignorare per il bene dei miei nervi e l’ascoltai continuare “Praticamente è uscito un articolo dove Julie era entusiasta del calore dei Fan e ha annunciato un’idea per entrare un contatto con noi!”

“Non capisco. Cos’è che ha detto? Che idea?”

“Un concorso.” Fu la solenne risposta che, comunque, non illuminò di molto l’antro buio che era la mia testa. Si creò uno strano silenzio che fu interrotto dopo un paio di minuti dal mio italianissimo “Embè?”  il quale sapevo avrebbe fatto innervosire l’Americana.

Anche Kristine capiva l’italiano, non lo parlava perché era pigra, ma lo capiva; questo spiegò la sua faccia indignata “Embè? Io sgancio la bomba e tu rispondi Embè!?”

Scossi la testa, cercando di recuperare qualche altro indizio “In cosa consisterebbe questo concorso?”

Nonostante il primo impulso di lanciarmi un’occhiataccia micidiale, Kristine si arrese alla mia espressione perplessa e mi sorrise con affetto “ Un concorso per diventare assistente sceneggiatore.”  - ehi, quello è il mio cuore, fatelo ripartire! - “L’articolo diceva che avevano già iniziato a spulciare nel nostro fandom, e che hanno avuto una così bella impressione che si sono buttati in questa iniziativa. Una roba assurda! Non era mai successo!”

Beh, dovevo ammetterlo: ero sconvolta. Che idea.. pazza. Lavoro di professionisti buttato al vento, affidamento a mani sconosciute e del tutto inesperte. Era folle.. e per questo, soprattutto per questo, credevo potesse funzionare; insomma perché non avrebbe dovuto?
L’incremento degli ascolti sarebbe schizzato alle stelle, un’idea del genere avrebbe puntato l’occhio di bue solo su di loro. Probabilmente c’era da prendere in considerazione anche che a fine concorso, i partecipanti mandati a casa avrebbero potuto avere chissà quale reazione negativa.  Le facce della medaglia erano due, ed entrambe portate agli estremi. Come diavolo si faceva a rischiare così tanto?

Chiesi a Kristine di farmi leggere l'articolo e me lo inviò per posta. Quando lo lessi lo feci con il massimo dell'attenzione.

Nuove idee, nuove situazioni, nuovi desideri. -Aveva scritto la Plec-  Metterci in contatto con i nostri Fan è un desiderio non solo mio  ma di tutti i ragazzi; soprattutto Ian Somerhalder { plays Damon Salvatore} mi ha appoggiato in quest'idea che ha definito pazza e pericolosa.
Ha persino detto che la ama solo per questo [Ride]
senza dimenticarci dell'appoggio di Kevin e di altri attori come la favolosa Nina Dobrev e Paul Wesley.
Chissà chi entrerà nelle porte dei nostri studi , io sono impaziente di scoprirlo tanto quanto voi.

Porca puttana..” Mormorai persa nei miei pensieri, scioccata. Kristine rise “Sapevo avresti reagito così! E’ un genio, l’ho detto!” Ripeté allegra.
Io la guardai sorridente “Non vedo l’ora di vedere la prossima stagione! Chissà chi sarà la fortunata! E pensare che ci lasceranno quasi un anno in balìa della curiosità..”  Ridacchiai.

“Ehm.. a proposito di questo..”

Mi voltai di scatto verso di lei. Kristine non faceva mai Ehm. Lei era la sicurezza fatta persona, possedeva una sfacciataggine da far paura anche a me, quindi non poteva fare Ehm.
La guardai con circospetto. “Che hai fatto?” L’accusai avvertendo una strana sensazione al basso ventre. Paura.

“Ti ricordi la versione con la traduzione americana della tua favolosa  e magnifica storia che mi hai inviato qualche mese fa?”

“No, no, no,no.” La guardai sbigottita “Non puoi averlo fatto! No!”

“Ma perché no?” Si difese lei “Perché non tentare, Annie?”

Ero a bocca aperta, non credevo al senso delle parole della mia amica “Dimmi che l’hai solo stampata. Dimmi che è ancora a casa tua e che aspetta il mio permesso per partire per gli studi cinematografici o da qualunque parte finiscano certe cose!”

Kristine abbassò lo sguardo.

Senza controllo imprecai in modo prettamente Made in Italy, condendo il tutto con occhiatacce e minacce di morti lente e dolorose, alzando abbastanza il tono di voce – il qualche apparentemente disturbò Puck che se ne andò in balcone, indignato da quel frastuono.

La biondina mi bloccò dopo qualche minuto, indispettita “Piantala, Anastasia. Stai esagerando, non credi?”

“No.” Risposi arrabbiata “Non credo. Dovevi chiedermelo.”

“Ah si?” Fece lei ironica “E tu mi avresti risposto no, o peggio che ci avresti pensato aspettando la fine di tutto magari uscendone con un ‘Ops, il tempo è scaduto.’ O roba simile. E non negare, ragazza.”

Io mi imbronciai borbottando “E dove sta’ il problema?”

Lei alzò gli occhi al cielo “Il problema è che la tua paura ti frena e ti bloccherà sempre in quel paesino sperduto di periferia dove ti trovi. So che scrivere storie è la tua passione, nonché punto di forza; so anche che hai fantasticato non so quante volte di vedere i tuoi nuovi personaggi in una produzione sul grande schermo , allora perché non lanciarsi allo sbaraglio?”

“Sbaraglio. E’ proprio dove potrei finire. Qui ho la mia casa, la mia università, i miei amici.. come credi possa lasciare tutto e andarmene? C’è anche Puck, per la miseria!”

“Non creare problemi dove non ci sono. La tua bella casetta puoi anche lasciarla stare, venire qui in America non sarebbe un problema. Ci sono io e verresti a stare da me: un letto per farti dormire ce l’ho, dato che vivo da sola. E ti vorrei anche ricordare che hai terminato i tuoi corsi universitari e che sei ormai bella che diplomata con un punteggio di ottantotto su cento. Per non contare della tua laurea – presa così ..pff.. per hobby – in scrittura creativa. Non hai scusanti: i soldi per il viaggio li chiedi a papino e a mammina o te li invio io per posta. L’importante è che non ti blocchi tremante a casa tua come una fifona di prima classe.”

Il suo sfogo era stato del tutto inaspettato, tagliente e vero. Schietto come lei  e reale, talmente reale che mi sconvolse “Stai dimenticando una cosa, comunque.” Brontolai rossa di vergogna, distogliendo lo sguardo come una bambina delle elementari, anziché una ragazza di ventiquattro anni.

Lei corrugò la fronte “Ovvero?” Domandò ancora con fare altezzoso.

“Probabilmente a partecipare a questo concorso saremo milioni.” La guardai scettica “Ti aspetti davvero che io vinca?”

Kristine fece un gesto veloce con la mano, come a voler scacciare le mie parole “Povera illusa.” Esclamò solenne “Sono certa che la tua Fan fiction sarà la prima della pila che controlleranno. Di conseguenza tutte le altre finiranno nel cestino e Puff! Ti ritroverai sul primo volo per Atlanta, Virginia! Lascia fare al destino, su.”

Ci guardammo un attimo entrambe serissime e poi, poi scoppiammo a ridere come due stupide. Più che altro, per sciogliere la tensione.

“Allora non sei.. arrabbiata?”
“Dipende. Com’è che tu mi hai chiamata? Fifona ?”

TBC

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Capitolo 2
*** Ka-boom! Breaking News! ***


A/N: Allora, sto ingranando xD Piano piano, anche questa Fic mi sta catturando… nonostante l'insicurezza (perchè davvero non so dove mi porterà questa Long ed è una situazione un po' nuova).
Quindi se avete consigli, son tutt’orecchie!

Forse è meglio premettere subito che sono un tipo che quando scrive vuole prendersela con comoda con quello che accade nelle sue storie,
nel senso che sto cercando di far diventare tutto più realistico possibile.
In Primis il personaggio di Anastasia, poi tutto il resto.
Noterete che tengo molto a snocciolare - quà e là - qualche notizia, o qualche aggettivo che lentamente formeranno il puzzle della nostra protagonista facendoci scoprire qualità, spregi, ambizioni, affetti e modi di fare.

Probabilmente ci sarà un altro capitolo di "Stasi." perchè credo sia nel terzo quello in cui Annie entrerà in contatto con il Cast e tutto il resto.
Spero non dispiaccia troppo, questo mio modo di fare :P

Beh, comunque questo è il mio inizio.. Speriamo bene, allora!

Baci,
-Eyes.

 

Ka-boom! Breaking News!


Era una passeggiata tranquilla, il sole dei primi giorni di giugno poteva mettere di buon’umore anche la persona più triste e mogia del pianeta. O almeno secondo me.
Con la mano sinistra tenevo il guinzaglio a Puck mentre con la destra il mio gustosissimo cono gelato che mangiavo canticchiando qualcosa in testa; ero quasi arrivata a casa quando vidi la signora Emilia – una vecchietta eccentrica che era al contempo la mia adorabile vicina dagli occhiali tondi e i riccioli bianchissimi.

“Anastasia, cara.” Mi salutò con un largo sorriso.
Ricambiai, fermandomi “Buongiorno, signora. Perché così di buon’umore?”
“Oh, nulla di importante! Mio nipote Francesco mi ha mandato una cartolina dalla Sicilia, salutandomi con delle ‘x’ e delle ‘o’…”
“Suo nipote la bacia e l’abbraccia, si vede che la bella isola del Sud gli piace molto!” Ridacchiai ripensando a quel ragazzo tanto burbero che avevo conosciuto appena arrivata; avevamo fatto amicizia grazie alla signora Emilia che mi aveva poi raccontato che era così con tutti e quindi di non preoccuparmi. Tutto sommato mi stava simpatico e aveva solo un paio di anni in più di me.
“Voi giovani e i vostri strani codici.” Rimbrottò la mia vicina scuotendo la testa.
Io risi e la salutai, sentendo Puck tirare il guinzaglio per tornare a casa. Probabilmente aveva fame. Onestamente ancora non avevo capito come un cucciolo così piccolo poteva avere una tale forza da sbilanciarmi; ero convinta che sarei rimasta col dubbio di aver in casa un cucciolo di dinosauro anziché di Golden Retriver.

Aprii il cancelletto della casa lasciando immediatamente il mio cagnolino libero per quel piccolo spazio verde, davvero piccolo ma per lui forse abbastanza grande, e percorsi il piccolo vialetto di ciottoli fino ad arrivare alla porta di ingresso. L’aprii entrando e cacciando il saluto al nulla “Sono tornata!” e scuotendo la testa – ormai rassegnata a quell’abitudine ormai radicata in me- mentre versavo un po’ d’acqua e croccantini nelle ciotole di Puck.
Uscii fuori e lo vidi giocare con una pallina che gli aveva regalato mia madre – sebbene contraria agli animali domestici- dopo che le avevo detto che lo avevo preso nonostante mi avesse consigliato di no.
La storia di Puck era un po’ complicata e non era certo il momento di andarla a ripescare, con un breve fischio lo chiamai e lui si fiondò su acqua e cibo.
Alzai gli occhi al cielo, ripensando al fatto del dinosauro e del cane scambiati al momento della nascita.

Involontariamente lo sguardo mi cadde sul cancello di metallo verniciato, rimasto socchiuso. La buca delle lettere era lì vicino e si vedeva che il postino aveva fatto un salto anche a casa Di Marco.
Erano passate tre settimane dalla notizia scioccante di Kristine che aveva mandato la mia storia al concorso della Plec e – con sollievo ma nonostante tutto un pizzico di delusione- a me non era arrivata alcuna risposta. Presi quello che c’era nella cassetta – pubblicità, bolletta, pubblicità, pubblicità, promozione negozio all’angolo, bolletta e pubblicità.
Nella norma. Nessun mittente oltreoceano.
Richiusi per bene il cancelletto e feci per rientrare in casa, quando Puck mi passò tra le gambe facendomi cascare come un sacco di patate. “Puck, per la miseria!” lo rimproverai ma lui non aveva fatto altro che alzare la coda e sparire da qualche parte dove non potessi trovarlo e sgridarlo a dovere. Certo che avevo trovato un bel tipetto, eh? Scossi la testa alzandomi e bofonchiando qualcosa sulla dubbia lealtà che i cani potevano avere verso i loro padroni.  Mentre pensavo a come poter rimettere in riga quel musetto sfacciato, sentii il computer trillare in modo insistente dall’altra stanza.

Sbuffai e accettai la conversazione con Kristine sedendomi e posando il portatile acceso sul tavolo della cucina, ancora una volta la prima cosa che sentii fu il grido esultante della mia amica che rischiava di essere vittima di un omicidio a distanza.
Alzai gli occhi al cielo “Sto pensando di assumere un sicario, uno bravo però.” Annunciai facendola fermare, mi guardò trattenendo a stento l’eccitazione.
“Cos’è successo?” Mi arresi e posi la domanda che lei voleva che le facessi, però prima che potesse rispondere misi in atto una piccola vendetta “Ti sei decisa a fare un passo avanti e Joe ha detto ?” Joe era il ragazzo per cui la cara biondina aveva un debole ed era l’unico fronte su cui non riusciva ad essere spavalda e sfrontata come lo era per tutto il resto, quindi mi divertivo a prenderla in giro perché anche lei era un essere umano come tutti – suo malgrado.

Lei si imbronciò e “Non era questo che volevo dirti.”

“E cosa, sentiamo.”

Stropicciò qualcosa davanti alla Webcam che non riuscii a identificare – era un foglio di carta ma perché la rendesse tanto euforica non lo avevo ancora capito.

“Tienilo fermo.” Sbottai infastidita, credendo che se avesse continuato così probabilmente mi sarebbe venuto il mal di testa.

Lei sbuffò e, estremista com’era, decise di ritirarlo precludendomi la possibilità di leggerlo sul serio. Kristine mi guardò truce per qualche secondo “Certo che a distruggere i veri momenti sei proprio brava,eh!” poi prese un profondo e teatrale sospiro e continuò con voce pimpante e solenne “ Gentile signorina Di Marco, la ringraziamo per aver partecipato al concorso indetto dalla produzione di The Vampire Diaries e siamo lieti di annunciarle – no, no, no. Oh cazzo- che è tra i cinque finalisti per il posto di aiutante sceneggiatore del cast. La preghiamo dunque di presentarsi  lunedì sette giugno alle ore quattordici alla sede cinematografica in Atlanta, Georgia. Bla, bla,bla. Cordiali saluti e arrivederci.”

Kristine mi guardò speranzosa e tutta allegra ma cambiò subito la sua espressione vedendo la mia “No. Anastasia, no. Non provarci neanche a farti venire un attacco di panico proprio ora!”

Il mio sguardo era smarrito, confuso e impaurito, proprio come me in quell’istante “Kri..”

La voce di Kristine mi arrivava lontana, come fosse irreale, ma era calma, con un accento quasi soffice e ipnotizzante “Respira, ok? Respira.”

Cercai di seguire il suo consiglio ma non ci riuscivo, l’aria sembrava essersi solidificata nei polmoni e la testa non ragionava. “Impossibile..” sussurrai in italiano, incoerente.

Vidi il bianco sorriso della mia amica allargarsi, il tono di voce immutato “Io non sono così sorpresa. Sapevo che potevi farcela.”

In risposta le lanciai un’occhiata terrorizzata che non poteva essere fraintesa “Kristine, lunedì è fra due giorni! Non posso venire in America in soli due giorni! Non ho fatto il biglietto né le valigie, non ho avvertito nessuno… Dio, è impossibile, del tutto impossibile… non così velocemente, non può accadere così in fretta!”

“Ehi, ehi.” Kristine provò a placcare subito il mio attacco di panico “Calma, ok? Non farti prendere dal terrore, ricordi? Non sei una fifona, me lo hai detto tu. Mi hai dato la tua parola che ci avresti provato ad uscire dal tuo guscio. Devi mantenere la promessa Annie.”

“Ma… come faccio?”

“Andiamo per gradi. I soldi cono un problema?”

Scossi la testa “Ho fatto dei lavoretti appena terminata l’università. Ho qualcosa da parte.”

“Sappi che non ho mai amato, tanto quanto adesso, il tuo lato da risparmiatrice incallita.” Riuscì a strapparmi un sorriso teso “Per quanto riguarda la valigia, conoscendoti ficcherai lo stretto necessario in un unico trolley quindi siamo a posto. Puoi avvertire i tuoi genitori stasera mentre cerchi su Internet un biglietto Last Minute per la Georgia.”

“Non posso farcela...” mormorai, per nulla convinta “E Puck? E la casa? Ho delle responsabilità che-”

“Per l’amor di Dio!” Kristine esclamò, perdendo di colpo tutta la pazienza e lasciando libera una frustrazione ben più che giustificata “Anastasia Di Marco piantala di cercare scuse. Puck lo porti con te, tanto è piccolo e rimane nel trasportino senza problemi. La casa la chiudi a chiave e sei a posto! Sbarra porte e finestre e avvolgi il divano con il cellofan, che so io!”

“Tu sei matta…” Scossi la testa in disaccordo “Io non sono così.. come faccio a mollare tutto per una decisione presa così all’improvviso? Non ha senso..”

“E’ una decisione che probabilmente cambierà la tua vita, in meglio. Stai per realizzare il tuo sogno, cara amica mia. Domattina all’alba sarai su un volo per l’America e domani sera dormirai nella stanza degli ospiti di casa mia. Non sei eccitata!?”

La guardai nascondendo un sorriso “Un po’.” Ammisi. Incontrare di nuovo – e di persona- Kristine Gordon  era una delle cose che volevo fare prima di morire.

“Vedi?” Fece lei, con un pizzico di superbia ben controllata “Ho sempre ragione io.”

“Mi sto davvero buttando in questa avventura..” Mormorai incredula, all’indirizzo di nessuno in particolare.

“Sì.” Annuì lei facendo muovere la sua perfetta chioma bionda “E sono orgogliosa di te, bimba.”

La guardai con un sopracciglio inarcato e feci un gesto con la mano “Ma piantala, idiota!”

Poi ridemmo insieme ma io mi fermai dopo qualche istante “Kris..” La chiamai attirando la sua attenzione “Ma come mai la lettera è arrivata a te e con così poco preavviso?”

Lei divenne tutta rossa e cominciò a balbettare un “Ti posso spiegare, Annie!”

***

Alla fine era saltato fuori che la cara Kristine aveva dato – quando aveva spedito la mia storia alla Plec - il suo indirizzo di casa come riferimento e che alla fine la produzione aveva mandato il responso da lei perché era l’unico recapito che avevano.
Per quanto il ritardo era stata ancora una volta colpa della mia cosiddetta migliore amica che aveva avuto la fantastica idea di fare un viaggetto a inizio settimana, dal lunedì precedente quindi,e che era tornata a casa trovando la lettera solo quando mi aveva dato la grande notizia, cioè oggi –sabato.
Io non ne sapevo nulla perché il genio si era portata dietro il portatile con la chiavetta Internet e avevamo continuato a sentirci tutte le sere; quando le chiesi perché non me lo aveva detto lei aveva risposto che si vergognava perché la sua gita era ad un luogo dove c’erano delle cascate ed era una cosa romantica doveva l’aveva portata una certa Elizabeth.
Elizabeth era un’amica di Joe, il che voleva dire uscire in una comitiva in cui il ragazzo rientrava, quindi non aveva potuto rifiutare.

Quando me lo raccontò la presi in giro per un bella mezz’oretta, per ripicca, infastidita più dal fatto che non me lo avesse detto che altro.
Mentre la prendevo in giro ero alla ricerca del mio biglietto solo andata per Atlanta.

Mi tremavano le gambe, sentivo le ginocchia molli e le mani mi sudavano in maniera assurda. Ero terrorizzata all’idea di quello che stavo per fare; era un salto nel vuoto e io non ero abituata a buttarmi in qualcosa senza essere sicura di avere un paracadute stabile.
Ero una delle finaliste ma probabilmente le altre quattro scrittrici ,o altri quattro scrittori chissà, erano bravi molto più di me. Se non avessi vinto sarei dovuta tornare in Italia, ma ce l’avrei fatta? Dopo essere stata in America, dopo aver sfiorato il cielo con un dito?

Il mio più grande desiderio era quello: vedere un mio sogno su carta diventare reale sotto i miei occhi, attraverso una recita, un’interpretazione .. attraverso una serie TV.
Non riuscivo a credere che esisteva la semplice possibilità di riuscirci.

Ma se non ce l’avessi fatta?  Cos’avrei fatto dopo aver constatato di non essere abbastanza in gamba?

Scossi la testa, sentendomi appesantita da tutti quei dubbi e quelle paure. Avevo già messo il pigiama nonostante fossero soltanto le sei del pomeriggio; il mio volo per la Georgia era previsto per le quattro e quarantacinque del mattino e – conoscendomi- se non avevo almeno otto ore di sonno alle spalle non sarei riuscita a svegliarmi.
Contando anche il tempo che ci avrei messo ad addormentarmi era meglio andarsi a riposare subito.

Guardai il trolley sulla sedia vicino alla scrivania dall’altra parte della camera. Battei due volte la mano sul letto sorridendo vedendo il mio Puck salire sull’altra parte del letto matrimoniale.

“Ci aspetta una nuova avventura, palla di pelo.” Mormorai sdraiandomi sotto le coperte nonostante fuori facesse abbastanza caldo – in fondo dormivo solo con una canotta e un pantaloncino leggeri, e anche questa era una delle abitudini che non sarei riuscita più a staccarmi di dosso. Dormire quasi nuda anche d’inverno ma con le coperte anche in estate era una cosa che adoravo:  il contatto della pelle con le coperte morbide era una cosa che mi aveva sempre tranquillizzato, fin da quando ero piccolina.

Mi chiesi se l’America sarebbe riuscita a cambiare tutte le cose, se davvero tutte le mie sicurezze sarebbero state distrutte.
Se cose semplici come il mio saluto inutile alla casa quando tornavo dopo scuola, o dopo lavoro, o come il mio modo di dormire o vestire, sarebbero cambiate con il Grande Continente oppure no.

Mi addormentai così, dopo chissà quanto, guardando la mezzaluna brillante d’argento fuori dalla porta finestra e sentendo l’unico amico che mi avrebbe seguito in questa pazzia appallottolato ai piedi del letto, già ronfante.

Quella notte sognai due occhi azzurri e un sorriso che avevo visto solo attraverso lo schermo, ma fu uno di quei sogni che alla fine non puoi ricordare quando ti svegli, uno di quei sogni troppo belli e piacevoli, rilassanti, che dovrebbero rimanere nell’oscurità dell’inconscio perché troppo pericolosi.

Chi avrebbe mai detto che, quello della sceneggiatura, non sarebbe stato l’unico sogno da sfiorare con un dito a sconvolgermi?

TBC

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Capitolo 3
*** Benvenuta in famiglia, Annie. ***


A/N: Eccoci qui con questo capitoletto.

1 Note nel testo E' la protagonista in Custodi del Cuore, storia scritta da Anastasia da cui prende spunto 'Vincitrice per sbaglio'. Come avrete ben capito, la nostra Anastasia ha finalmente ricevuto la bella notizia. Sinceramente non vedevo l'ora.

L'avventura, in poche parole, inizia solo ora.

Spero di aver scritto di emozioni e situazioni più realistiche possibili perché era quello il mio intento.
Accetto molto volentieri consigli su qualunque cosa ;)

A presto allora!
Baci,
{-Eyes

 

Benvenuta in famiglia, Annie.

Mi ero svegliata alle due del mattino.
Dico io, alle due! Poteva essere il primo segno della fine, davvero.
Avevo seriamente avuto l’input di scagliare il cellulare contro la parete e di rimettermi sotto le coperte –non sarebbe stata la prima volta, certo-  ma poi Puck aveva abbaiato.
Lo aveva fatto perché anche lui avrebbe continuato a dormire volentieri – tale cane, tale padrone e si era stizzito a livelli che avrei potuto considerare olimpici senza molta fatica. Ad ogni modo, aveva avuto il potere di svegliarmi completamente  -  e quando dico ‘completamente’  intendo anche i ricordi.

Tutto quello che era successo durante la giornata di ieri, tutto quello che sarebbe successo in poche ore.

Sentii improvvisamente la gola secca.
Avevo fatto bene a mettere la sveglia così in anticipo, allora. Sì, perché prima che mi alzassi dal letto passarono trenta minuti buoni, durante i quali non ero riuscita a muovere le gambe neanche di un centimetro ed ero rimasta a guardare il soffitto nella camera ancora buia.

Avevo bisogno del mio tempo per scrollarmi di dosso il panico.
Il lato positivo? Non ero svenuta, non ancora almeno. (In ogni caso avevo programmato una sveglia di riserva. Tanto per smentire le voci sulla mia paranoia, ovvio.)

Alla fine ero riuscita ad alzarmi, cercando d’ignorare la rigidità dei miei muscoli che – apparentemente- non avevano proprio una voglia matta di collaborare e rendere, magari, le cose un po’ più semplici.
Non potei fare a meno di sospirare, seduta sul bordo del letto, stropicciandomi gli occhi con due dita; in questo genere di situazioni, c’era solo una cosa che una ragazza come me poteva fare: buttarsi sotto la doccia, abbastanza a lungo da rinsecchire sotto il getto freddo.
Era un bene che conoscessi me stessa così bene: mettere la sveglia anticipata era stata un ottima precauzione per evitare di perdere l’aereo delle cinque meno un quarto. Dovevo essere all’aeroporto minimo un’ora prima per il check-in, in più quando viaggiavo amavo prendermela con comodo per evitare stress.

Ovvero, evitare altri stress.

Alle tre meno dieci ero di fronte allo specchio incorporato all’anta esterna dell’armadio, vestita in maniera molto semplice con pantaloni stretti e chiari, una canotta a spalline larghe nera e delle Sneakers fuori stagione. Mi stavo asciugando il lunghi capelli bruni, cercando di far diventare quei boccoli qualcosa che non somigliasse ad un incrocio tra un cespuglio e una strada drittissima.
Mi piacevano i miei capelli naturali, con semplici boccoli che mi cascavano sulle spalle, il problema era sempre dopo la doccia, quando erano bagnati e quindi  i riccioli non erano mai definiti. Né lisci, né ricci.. un mistero che mai avrei tentato davvero di comprendere.

Ecco, pensare a qualcosa come i miei capelli mi aveva aiutato. Strano, vero?
Misi la giacchetta nera e decisi di legarmi la chioma – completamente asciutta ormai- in un’alta coda. La frangia era a posto.
Nonostante le lamentele e i bronci indignati del principe, feci entrare Puck nel trasportino mentre afferravo il trolley e uscivo di casa.

Per farmi accompagnare all’aeroporto avevo chiesto un passaggio a mio padre che – dopo la sua ramanzina unita a combo con quella di mia madre mezz’ora dopo, solo perché non li avevo avvertiti- aveva deciso di accontentarmi solo per assicurarsi che arrivassi sana e salva sull’aereo.
Forse aveva letto la disperazione nella mia voce quando gli avevo detto che non avevo avvertito neanche me stessa di quello che stava per accadere; sta’ di fatto che dovetti subire raccomandazioni – anche dalla mamma, via cellulare- almeno fin quando non arrivai a destinazione.
Avevano il numero di Kristine, sapevano dove andavo, con chi ero e anche perché . Tutte le cose di livello standard che i genitori dovevano sempre sapere, anche quando la figlia aveva la bellezza di ventiquattro anni.
 E lo fecero, mi lasciarono andare, dicendomi che ero diventata grande ormai e che lo capivano.
Per qualche istante avevo provato l’impulso di battere i piedi a terra e imbronciarmi tanto per strepitare che non era vero, che ero ancora piccola e che preferivo andare in castigo piuttosto che volare in America.

Sorrisi e scossi la testa, abbracciai mio padre sussurrandogli  all’orecchio un ‘grazie’ e un ‘mi farò sentire appena arrivata’.

Stavo per andarmene oltre i metal detector quando papà mi chiamò nel silenzio dell’aeroporto; era talmente presto che non c’era quasi nessuno, oltre me e qualche uomo d’affari piuttosto impettito nel suo vestito elegante.

“Annie!”

Mi voltai verso di lui con un sorriso e uno sguardo interrogativo.

“Ti voglio bene!”

Io risi apertamente, sentendo l’ansia scivolare via sulla pelle come acqua rinfrescante. Alzai la mano per salutarlo e gli mimai con le labbra un “Anch’io.”

***

Viaggiare in aereo non era mai stato un problema. L’eccitazione per il mio primo viaggio con Puck mi aveva fatto scordare, almeno momentaneamente, il motivo della mia ansia. E quella palla di pelo era esaltata tanto quanto me e mi stava rendendo il lavoro oltremodo più semplice.
Mi resi ancora una volta conto di quanto quel cane fosse importante per me guardandolo del suo piccolo box – immaginandolo sorridente- e sapendo che poteva succedere di tutto là dove stavo andando ma lui mi sarebbe rimasto… fedele.

Chiusi gli occhi e forse dormii per un paio di ore.

***

L’aeroporto di Atlanta era affollato, e molto anche. Il confronto con quello che avevo lasciato a Milano era venuto automatico e ne stavo uscendo un po’ traumatizzata.
Il mio orologio segnava l’una meno un quarto del pomeriggio e il viaggio era durato la bellezza di nove ore filate; sentivo la schiena tutta rotta e volevo sgranchirmi le gambe, quindi camminare un po’ tra la folla mi fece bene.

Il fuso orario di sei ore mi aveva lasciato spossata e un po’ frastornata; ma andava bene anche così, era il mio primo viaggio all’estero dopo tutto. Mi aspettavo quel tipo di effetti collaterali, non mi preoccupavano più di tanto – non sarei morta per un po’ di stanchezza in più.

Guardai la folla di persone che aspettava agli arrivi e divenni all’istante rossa come un peperone. Impossibile non notarlo il mega cartellone gigante di quella psicotica di Kristine che su uno sfondo nero aveva dipinto con vernice rosso sangue -Welcome to Mystic Falls, Khloe. 1 -
L’avevo raggiunta immediatamente abbassando quel cartellone sibilandole contro  “Tu. Sei. Pazza.”
Lei sorrise e trillò contenta un “Benvenuta!!” Avvolgendomi in un abbraccio stritolatore, forse con l’intento di uccidermi.
Puck venne sballottato nel trasportino– povera bestia-  e al suo verso di disapprovazione mi staccai sorridente dalla furia bionda. Sorrisi “Avremo tempo per dirci quanto ci siamo mancate a vicenda. Adesso però prendiamo la mia valigia su quel coso che gira e filiamocela, sono esausta.”

Kristine mi aveva afferrato per un braccio trascinandomi al recupero valige e, neanche il tempo di capire cosa stava succedendo, aveva iniziato a parlare di tutto e di più, di quanto fosse entusiasta del mio arrivo e di quanto io fossi fortunata ad avere un’amica come lei che mi stava cambiando la vita.

Mi limitai ad ascoltare sorridente e – anche se non l’avrei mai ammesso- completamente d’accordo con lei.

***

La casa di Kristine era assolutamente stupenda. Enorme ma anche molto accogliente; era una villa di tre piani con giardino e piscina incorporata sul retro, tanto lussuosa che non mi sarei stupita d’incontrare qualche cameriere o maggiordomo.
I genitori della mia cara amichetta erano ricchi sfondati, inutile dirlo, e teoricamente quella era la loro casa delle vacanze; la biondina aveva solo avuto occhi abbastanza dolci e coccolosi da lasciarsela regalare.

Scossi la testa buttando il trolley sul letto matrimoniale di quella che sarebbe stata la mia stanza; mi guardai in giro e sorrisi.
Era molto spaziosa e aveva anche un bagno privato – cosa che mi avrebbe risparmiato scene imbarazzanti con la mia migliore amica o con chiunque lei invitasse a casa sua. Personalmente mi definivo  una ragazza abbastanza riservata, soprattutto da quel punto di vista, e Kristine era stata carina a ricordarlo.
Il letto era molto grande, accostato al muro opposto di quello della porta d’ingresso e perfettamente posizionato all’angolo facendo così in modo da aver il lato della testata e quello sinistro attaccati alla parete.

Se mi sedevo sul letto, davanti a me potevo anche vedere una scrivania con un posto perfetto dove mettere il laptop che mi ero portata dall’Italia e dei fogli bianchi all’angolo del tavolo con sopra qualche penna colorata, vicino ad un quaderno ad anelli e ad un quaderno normalissimo.

Alzai gli occhi al cielo, non trattenendo il sorriso.

“Toc, toc”

Rivolsi lo sguardo a Kristine che era entrata sorridente e ricambiai l’allegria gratuita. “Come va?” Mi chiese raggiungendomi sul letto dove mi ero sdraiata di schiena, allungandosi accanto a me.

Io ridacchiai “Non so.” Mi voltai verso di lei guardandola: aveva le mani intrecciate dietro la testa e fissava il soffitto, ghignando. Tramontai gli occhi e mi decisi a domandare con finta innocenza “Da quanto tempo, esattamente, questa stanza è pronta per me?”

“Non so di cosa tu stia parlando.” Fece lei senza convincermi neanche un po’.

“Diciamo che il materiale per scrivere, il posto perfetto per un portatile e il copriletto blu, mi hanno suggerito questa pazza idea…”

Lei rise puntando i suoi occhi verdi nei miei “Beccata.” Poi mi fece la linguaccia. “Hai fame?”

“Da matti.”

“Bene. Ho ordinato la pizza, dato che so che l’adori. Oggi è dedicato a te e non m’importa se sei stanca: hai avuto il viaggio in aereo per dormire, questo pomeriggio è mio. Non vedo l’ora!” Trillò saltellando mentre usciva dalla mia nuova stanza.

Mi gridò un “Muoviti!!” che aveva il retrogusto terrificante di una minaccia e che, quindi, mi esortò facilmente ad alzarmi dal letto.

Kristine aveva pensato proprio a tutto quello che mi piaceva e che – nel corso degli anni- era rimasto tale e quale a quando ne avevamo entrambi sedici.
Qualcosa mi diceva che il copriletto del  mio colore preferito – il blu- e il necessario per buttarmi nella mia passione – la scrittura- erano solo l’inizio.

Mentre chiudevo al porta della mia stanza e sentivo abbaiare Puck al piano di sotto, scossi la testa.
Per essere un nuovo capitolo della mia vita, tutto mi pareva abbastanza .. familiare.

---

Avevo passato il pomeriggio precedente e quella stessa mattina con la Gordon, cosa che – a dire il vero- mi aveva rilassato molto – nonostante l’unica cosa che avessimo fatto era stata quella di straparlare su gli argomenti più disparati e anche futili.
Avevo  liberato la mente ed ero uscita dall’auto di Kristine – che mi aveva accompagnato- abbastanza tranquilla.  Quello che accadde dopo invece fu molto veloce: arrivata a destinazione rimasi semplicemente paralizzata davanti all’entrata di quell’immenso edificio dove si trovavano gli studi.
Potevo sentire il mio cuore distruggere dall’interno la gabbia toracica, da quanto forte batteva e pulsava. Nelle orecchie solo il tum-tum frenetico che diede ritmo ai miei passi incerti e lenti.

Quando vidi le porte degli studi all’improvviso mi sentii due differenti persone: la prima, la stessa Anastasia che non aveva voluto mandare la sua storia al concorso, voleva scappare via senza mai più tornare; la seconda invece provava il fortissimo desiderio di entrare e far vedere a tutti di cos’era realmente capace.

Con inqualificabile sorpresa fu la seconda a prevalere e a infondermi un’effimera sicurezza che mai avevo provato. Non sapevo quanto sarebbe durata e, onestamente, me ne importava poco: l’importante era provarci e affrontare quel colloquio con il massimo della determinazione.
Era un’occasione unica nella vita, che diavolo!

Ancora non lo sapevo ma, andando avanti nel tempo, avrei dato a quel momento un importanza strettamente significativa. Fu così che l’America, che quella nuova avventura non ancora iniziata, cominciò a cambiarmi l’anima.

***


L’ambiente in cui mi trovavo era parecchio confortevole: il salottino non aveva grandi pretese in grandezza ed io ero comodamente seduta su una delle due poltroncine nere. La simpatica ragazza della Hall mi aveva detto di aspettare tranquilla l’arrivo dei produttori, che avrei poi incontrato di persona, per parlare di quanto stava accadendo, e quindi cercavo di calmarmi osservando ciò che mi circondava.

Le pareti bianche erano ornate da qualche quadro di pittura moderna che donava  colore e vitalità e all’angolo vicino alla porta c’era una pianta verde, perfettamente tenuta e curata.
Nella parete opposta – alla sinistra di dov’ero io seduta- la parete era vetrata e vantava una meravigliosa vista sulla città Americana della Georgia, in cui il mio sguardo si perse completamente affascinato.
Mi chiesi come potesse essere di sera, con la luce della luna anziché con quella del sole del pomeriggio; il mio lato romantico ogni tanto usciva fuori facendomi volare con la testa fra le nuvole e questo riusciva a rendermi oltremodo sbadata e goffa in parecchie situazioni.
Sperai che chiunque dovesse arrivare arrivasse in fretta e cercai di trovare somiglianze confortanti e familiari lì dove mi trovavo.
Sembrava il salotto di una normale casa moderna, le due poltrone – su una delle quali ero seduta io- erano disposte in modo semplice rivolte ad un ulteriore divanetto color panna per tre persone .
Tra me e il divanetto c’era un tavolino di cristallo disposto ordinatamente su un tappeto bianco dall’aria pelosa e morbida.

Se da una parte ero timorosa di stonare in tutto quello, dall’altra ne ero tremendamente ammaliata.

Era questa l’America?

Il rumore della porta che si apriva mi fece scattare in piedi con il cuore a mille, ormai dimentica dei miei pensieri pensosi e con il cuore a mille alla vista delle persone davanti a me.
Erano Julie Plec e Kevin Williamson in persona.

Beh, ovvio, proprio nessun motivo per andare nel panico. Proprio nessuno.
Cazzo.

“Tu devi essere Anastasia.” Iniziò la donna con un sorriso dolce, guardandomi solo un attimo, prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione ai fogli che teneva in mano. “Anastasia Di Marco, dico bene?”

L’unica cosa che riuscii a fare fu annuire poco convinta. Ero io? Ne eravamo sicuri? Scossi la testa mentalmente e cercai di far valere l’educazione che mi avevano inculcato i miei genitori dalla culla; tesi la mano  “E’ un vero onore per me conoscervi.”  E, nonostante tutta la nonchalance,  non potei evitare di sentirmi le guance andare in fiamme.
Kevin mi strinse la mano, formale tanto quanto me, mentre Julie mi concesse un tenero sorriso materno invitandomi a tornare seduta così da poter cominciare a parlare.

“Sarò schietta con te.” Annunciò sedendosi accanto all’altro produttore sul divanetto, mentre io cercavo di rilassarmi sulla poltrona di prima “Il tuo lavoro ci piace, e anche parecchio. L’intreccio è intrigante e ci sono talmente tante idee dentro da perdersi.”

“Ma..?” Azzardai timorosa e scettica di tutti quei complimenti; in fondo sembrava proprio ci volesse un terribile ma alla fine di quel discorsetto tanto positivo.

Julie mi sorrise e si rivolse a Kevin che cominciò a parlare con fare tecnico “Hai inserito molti nuovi personaggi e per ora hai scritto solo la prima parte di quello che potrebbe essere un buon lavoro. Non vorremmo ritrovarci con un Cast troppo numeroso e non aver il tempo di dare la giusta importanza a tutti gli ambiti.”

Arricciai le labbra inconsciamente, cosa che facevo sempre quando cominciavo a pensare in modo mostruosamente serio.

“Mh.” Iniziai “Vero. Per il momento i nuovi personaggi sono quattro contando anche Khloe..” poi però feci spallucce sorprendendo anche me “Non vedo perché non ci debbano stare tutti anche nella tempistica. Comunque quello che avete letto non è stato certo scritto per essere un copione, è naturale che alcune cose vengano cambiate. Migliorate per l’occasione.. No?” Il mio tono si fece ingenuo verso la fine ma credo che fosse stato proprio quello a far sorridere dolcemente Julie.

“E’ quello che pensavamo anche noi,” Iniziò “ma hai dato origine tu a questi personaggi. Prima di fare alcunché volevamo chiederti se saresti stata in grado di svolgere questo lavoro; in fondo è quello che andresti a fare ed è il motivo per cui sei qui, ma non è facile come sembra. Possiamo entrambi assicurartelo: sarà dura.”

Deglutì nervosa ma con cipiglio combattivo “So di potercela fare, soprattutto perché lo voglio.” La mia determinazione nella voce stupì in primis me che, dentro, mi sentivo tremare come una foglia. Stavo parlando con autori di fama mondiale e stavo pure facendo la presuntuosa. Non era da me, decisamente. “E’ il mio sogno più grande e non c’è cosa al mondo che desideri di più. Non getterò la spugna tanto facilmente.”
Ero sincera, ora che ero lì davanti a loro non potevo certo gettare al vento quell’opportunità di realizzazione.

Quello che accadde dopo mi lasciò a bocca aperta e ad occhi sgranati. Sia Julie che Kevin si alzarono rilassati e fu la produttrice a sorridermi “Bene. Era quello che volevamo sentirci dire. Hai quello che cercavamo.”

La facciata che avevo messo in piedi pochi istanti fa crollò miseramente, facendomi balbettare un “C-come?” molto patetico.

Julie ridacchiò per poi farsi subito sera “Le basi di una buona storia sono facili da trovare, soprattutto se si cerca nel mondo come abbiamo fatto noi.”  Stiracchiò un sorriso orgoglioso e continuò “Quello che serve, oltre i requisiti base, è altro. E’ la passione perché è quella che ti farà andare avanti quando le cose si metteranno male.”

Tremai leggermente a quella previsione così terrificante. La Plec mi stava già avvisando che era totalmente impossibile per me evitare i guai e le situazioni complicate; probabilmente era l’esperienza della donna a parlare e, in quei pochi secondi, non riuscii ad evitare di sentirmi fin troppo piccola in confronto.
Contenni un sospiro e la lasciai finire, dandole tutta la mia attenzione.

 “Ci sarà molto lavoro da fare ma siamo qui apposta, no?”

Boccheggiai guardandoli, ancora da seduta. Non risposi perché altrimenti avrei balbettato ancora e fortunatamente  ci pensò Kevin a togliermi dall’impiccio di qualsiasi domanda ovvia “Sei dei nostri, Anastasia.”

Se fossi stata un personaggio dei Looney Tunes probabilmente la mia mascella sarebbe cascata fino al pavimento e lo avrebbe anche sfondato, andando ancora più giù. Mi alzai automaticamente ma senza fiatare, mi sentivo gli occhi lucidi e il mio sguardo rimbalzava freneticamente dalla figura di Julie a quella di Kevin.
In qualche modo non riuscivo ad accettare le implicazioni – meravigliose, terrificanti – delle loro parole e stavo facendo la figura dello stoccafisso.

Non potei fare altro che paragonare quella donna al lato affettuoso di mia madre che non avevo mai visto; posò una mano sulla mia spalla e sorrise “Ti abbiamo tenuto sulle spine per essere certi della nostra decisione ma, adesso, sei entrata a far parte della nostra grande famiglia.”

“..Grazie.” Non riuscii a dire altro, con la voce rotta per l’emozione, e mi pulii freneticamente con la manica della T-shirt quella lacrima che era sfuggita al mio controllo.
Lei mi abbracciò, e fu strano perché era più bassa di me ma tanto calorosa e gentile che me ne stavo letteralmente innamorando. Era molto meglio di come la descrivevano sulle News.

“Andiamo ragazze!” Fece divertito Kevin, che ci aspettava alla soglia della porta “Dobbiamo andare!”

Io mi lasciai andare ad un sorriso sincero e “Dove?” Chiesi accettando la mano di Julie e seguendola fuori da quel salottino.

“Ad ufficializzare tutto, cara.” Mi rispose allegra “Si va a conoscere il Cast, stanno aspettando solo te in fondo!”

…Ok.
Porca di quella -

TBC

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Capitolo 4
*** Marie's. ***


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Marie’s.

Se possibile, mi sentivo più agitata di prima. Avrei conosciuto il Cast del telefilm più in voga del momento, avrei conosciuto gli attori che apprezzavo di più e facevo ancora troppa fatica a crederci.

Ma dovevo calmarmi.

 Insomma, non volevo certo essere presa come un possibile, futuro e psicotico problema vagante in giro per gli Studi. O peggio: come una delle tante Fan in agguato – forse più pericolosa. (Non che non lo fossi ma la prima impressione era abbastanza importante, no?)

Cercai di inspirare ed espirare profondamente senza dare troppo nell’occhio ma Julie – cara, dolce Julie – intercettò la mia ansia perché mi prese per mano e la strinse.
Mi rivolse un sorriso che mi sciolse completamente.
Sapevo che potevo stare tranquilla.

Si, tranquilla come una bambina dal dentista per la prima volta.

Eravamo arrivati in sala relax e la mia coscienza di certo non aiutava ad accettare razionalmente il fatto che seduti su quel divanetto ci fossero Nina Dobrev e Paul Wesley che ridevano e scherzavano.
Non mi avevano ancora visto ma sentivo già le guance arrossarsi.

“Ragazzi..?” La voce di Julie era rassicurante, in effetti era Julie in sé a rappresentare il perfetto emblema della calma.

Beata lei!                                   

Scossi lievemente la testa e cercai di sorridere quando i due attori ci diedero attenzione; si alzarono entrambi velocemente – improvvisamente raggianti ed allegri.
Chissà perché la cosa mi preoccupava…

“E’ lei?” Domandò cauto Paul e io sentì il viso bollente, forse era più rosso della camicetta della Dobrev che – per inciso- non aveva perso tempo a studiarmi con curiosità.

Bene.. Adesso sono la nuova mascotte del Team. Fantastico.

 La vocina che avevo in testa non smetteva di fare ironia – segno lampante di quanto agitata fossi.

Sentii la mano di Kevin poggiarsi sulla mia spalla ed esclamare “Esatto: finalmente abbiamo trovato l’anello mancante!”

Davvero, mancava poco che si mettessero tutti a saltellare battendo le mani – magari lanciando qualche gridolino estasiato. Ero in tremendo imbarazzo, cavoli. In quel momento mi sentivo tanto un’artista circense al primo spettacolo.
Kevin batté un paio di volte la mano sulla mia spalla – che cominciava a risentirne: poteva non sembrare ma quell’uomo possedeva una gran forza – e continuò “Per i prossimi mesi dipenderemo dalla sua penna!”

Sgranai gli occhi. E quello doveva rassicurarmi !?

Sarei andata sicuramente in iperventilazione, a causa di una delle mie crisi di panico, ma non ne ebbi il tempo perché Nina – grazie ad un movimento che non riuscii a vedere – mi aveva preso entrambe le mani tra le sue stringendole e abbagliandomi con un sorriso assolutamente magnifico “E’ un piacere conoscerti! Non vedevo l’ora!”
Sorrisi imbarazzata, abbassando  lo sguardo ma non potei evitare di risollevarlo quando fece “ Io sono Nina!”

Come se non lo sapessi!  

“An..-.” Mi schiarii la voce “Anastasia.”

Mi abbracciò. Semplicemente. Con talmente tanto entusiasmo che mi mancò il respiro.

“Io Paul.”

Nina, alla voce del collega, mi lasciò andare senza tuttavia smettere di sorridere al mio indirizzo. Paul intanto mi stava tendendo la mano aspettando – da normale persona qual’era – che ricambiassi il saluto. Come da manuale feci la figura della fessa: aprii la bocca, guardandolo sconcertata.
Lo misi in imbarazzo e, fosse stato un tizio qualunque, mi sarei anche permessa di ridacchiare – peccato che non era un tizio qualunque. Fece un sorrisetto impacciato e si portò la mano che non avevo stretto dietro la nuca.

Non feci in tempo a balbettare qualche scusa – rendendomi conto della mia maleducazione- che una risata proruppe nella stanza.

La mia reazione fu istantanea. Chiusi la bocca raddrizzando subito la schiena irrigidita e intanto cercavo di calmare il cuore che mi stava sfracellando la gabbia toracica dall’interno.

Oh porca-

“Andiamo ragazzi!” Sentivo che si stava avvicinando a noi e questo non aiutava la mia parte controllata e razionale a vincere la voglia di non esistere “Cosa, esattamente, non avete capito del concorso per fan?” Subito dopo sentii il peso del suo braccio muscoloso avvolgermi le spalle, in una presa amichevole ma fin troppo intima per  salvaguardare  il mio povero animo.

Mi voltai verso di lui, credendo che non sarei riuscita a fare in tempo a vederlo perché sentivo le gambe molli e probabilmente sarei svenuta.
Eccolo: Ian Somerhalder, con la faccia ad un centimetro dalla mia che mi guardava divertito e presuntuoso.
Inutile dirlo. Andai in fiamme, ancora.

“Allora, bel visino.” Mi scosse leggermente sfruttando la presa che aveva sulle mie spalle “Ti hanno sconvolto così tanto che non riesci più a parlare?”

E, nonostante il tono ingenuo che aveva usato, covavo lo strano presentimento che mi stesse semplicemente prendendo in giro.
Probabilmente era così ma ugualmente non riuscivo ad aprire bocca. Cosa avrei dovuto dire? Di quali argomenti potevo parlare, per rompere il giaccio con attori di fama internazionale?
Non credevo di potermene uscire con un: Ehi, sai che – nonostante la bellezza discutibile dei miei ventiquattro anni- c’è la tua faccia appesa in camera mia, in Italia?

“Senti Smolder, non ti viene il minimo dubbio che forse anche tu stai facendo la tua bella parte, nello sconvolgerla?”

Che Julie Plec sia fatta Santa. Subito.

Ian ridacchiò – e quelle vibrazioni mandarono in tilt quel poco di materia grigia che mi era rimasta intatta. Mi lasciò andare divertito, mettendosi davanti a me.
Mi sentivo tanto una bambola senza vita, immobile e senza capacità logico sintattiche. Lo vidi alzare gli occhi al cielo – e, Wow.

Poi sbuffò leggermente e “Sono Ian, ovviamente. Ma lo sai già.”

Cercai di scuotermi. Non potevo rimanere inerme ancora a lungo! Scossi la testa e lui alzò un sopracciglio incuriosito – perché diamine notavo tutti i suoi movimenti? Così riusciva solo a farmi andare ancora di più in cortocircuito e non era valido. Uffa.
“Sono Anastasia. Piacere.”  Tesi la mano, sorridendo imbarazzata.

Che passo avanti! Kristine sarebbe orgogliosa di te, ragazza mia.

Parlare con la propria testa non è mai segno di benessere mentale ma, in quel caso, se riusciva a tranquillizzarmi non potevo che essere grata alla parte psicotica che c’era in me.

Tutto l’arduo lavoro appena fatto – avevo detto ben tre parole senza balbettare, diamine – andò in fumo quando il Signor Sorriso Abbagliante prese la mia mano e se la portò alla bocca facendo uno di quei romanticissimi baciamano.
Il contatto con la barba appena accennata mi fece il solletico alla mano e il battere del cuore era talmente indiavolato che faceva male.

Quando si staccò e tornò in posizione eretta sorrise diabolico “Scusa, volevo ricreare il primo incontro tra il tuo personaggio e il mio per vedere cosa succedeva. Divertente, vero?”

In effetti quella situazione mi era sembrata uno strano dejà-vù come qualcosa di già accaduto prima, solo non mi ero resa conto che era successo…  nella mia testa.
Dio che confusione! Troppe emozioni tutte in una volta, troppo tutto in troppo poco tempo.

“A- avete già letto..?” Corrugai la fronte confusa, senza sapere bene come continuare: letto cosa? Una fan fiction?

“Oh, certo!” Julie parlò nuovamente, con tono allegro affiancandomi sorridente. “Per la nostra scelta, io e Kevin, abbiamo consultato anche le nostre star. Quello che sappiamo noi, sanno loro.”

“Mi sembra.. giusto.” Mormorai, cercando di capire tutte quelle informazioni e di crederci .

“Allora Anastasia!” Nina, con la sua voce squillante mi riscosse bruscamente dal groviglio di pensieri in cui stavo cadendo “Prima di parlare di lavoro, c’è una tradizione da rispettare!”

La guardai confusa ma quando domandai “E cioè?” lo feci in maniera abbastanza naturale – senza accorgermene mi stavo già abituando a stare accanto a quelle che, in effetti, erano persone come me e non alieni venuti da chissà dove.
Sorrisi internamente a quel pensiero.

“Beh..”  Ian stava facendo il vago e forse perché era semplicemente lui a parlare, io arrossii quasi fosse una reazione spontanea alla sua voce.
La spiegazione però la continuò Paul – che non sembrava essersela presa per il fatto della stretta di mano mancata di poco prima “.. .ogni volta che si aggiunge un membro al Cast, tutta la famiglia và a divertirsi al Marie’s.”

La cara Dobrev intercettò la mia domanda  “E’ un locale qui vicino, non troppo chiassoso e con buone possibilità di non essere assaliti da fan in momenti inopportuni. Che ne dici?”

Ogni singola volta che Nina parlava la sua eccitazione e vivacità non poteva far a meno di trasparire e contagiare tutti.

Ian, non ci pensò due secondi prima di appoggiare l’iniziativa “Così ci racconterai la tua storia e sarai ufficialmente membro della squadra. Non puoi dire di no.”

Sorrisi. Ero dannatamente sollevata di essere stata accettata così ampiamente e senza riserve, ne ero felice e forse avrei anche potuto seppellire dentro il cuore l’ansia che covavo perennemente dentro di me. “Posso portare un’amica?”

Speravo solo che quel buon inizio, si sarebbe potuto trasformare in un viaggio ancora più bello.

***

Con cortesia avevo chiesto di recarmi da qualche parte tranquilla per poter parlare con Kristine e invitarla alla serata.
Senza di lei non avrei retto alla tensione.
Quindi Nina mi accompagnò nel suo camerino. Quella ragazza era di una gentilezza quasi ultraterrena e questo la rendeva ancora più bella e luminosa; un po’ la invidiavo: io non riuscivo ad essere così spontanea, il panico mi coglieva sempre nelle situazioni più banali e mi condizionava in quelle – come quella che stavo vivendo- più intense. Era il mio più grande difetto e lo odiavo nel profondo.
Inspirai ed espirai forte. La Dobrev mi aveva assicurato che mi avrebbe aspettato fuori e io l’avevo ringraziata con un sorriso per avermi lasciato la privacy necessaria.

Cercai di non pensare a nulla di troppo oscuro e complicato, anche se di solito erano principalmente quelli i pensieri e ornavano la mia mente.
Forse potevo dare la colpa all’aria Americana ma ero stufa della vecchia me stessa, quella troppo rigida e pensierosa, quella ansiosa e fifona. Adesso volevo solo divertirmi e godermi quella stupenda opportunità.

Quando la mia migliore amica alzò la cornetta non le diedi neanche il tempo di parlare che esclamai “Kris!”

Lei rise “ Ciao anche a te Anns.”

Mi chiesi come potesse essere così tranquilla ma scossi la testa “In questo momento sono nel camerino di Nina Dobrev e il trio al completo è fuori dalla porta che mi aspetta.”

Kristine ridacchiò “Sono felice che tu mi abbia chiamato perché vuol dire che non sei svenuta dalla troppa tensione.” Sapevo che mi stava prendendo in giro e che, probabilmente, in quell’istante stava sorridendo in un ghigno malefico “Avresti fatto una figuraccia al tuo primo giorno di lavoro, cara.” Concluse, fingendo un tono professionale.

Alzai gli occhi al cielo per poi corrugare la fronte “Come fai a sapere che sono stata accettata?”

“Che ingenua che sei Annie! L’ho capito quando ho visto il nome su display del mio telefonino. Però devo ammetterlo: c’èuna cosa non ho afferrato molto dall’alto della mia onniscienza…”

Sospirai, cosciente che non mi sarei mai abituata al caratterino di Kristine – ma non mi dispiaceva, le volevo bene soprattutto per questo suo modo di essere.. vulcanica e finta-superba.  “E cosa sarebbe, sentiamo?” Domandai scuotendo la testa, rassegnata.

Si può sapere, razza di idiota che non sei altro, cosa ci fai al telefono con me quando a pochi metri di distanza hai a disposizione quel ben di Dio di Cast televisivo!?”

D’impulso avevo allontanato il cellulare dall’orecchio dato che la biondina, dall’altra parte della cornetta, aveva gridato. Non c’era che dire: Kris aveva dei polmoni d’acciaio.
Quando riappoggiai l’orecchio al display del telefono la mia cosiddetta amica non mi diede il tempo di parlare “Allora, vuoi rispondermi razza di scema?”

“Dovresti pagarti un corso di yoga per calmarti, lo sai vero?” Mi lamentai senza ripianti “Ti ho chiamato solo per  informarti che questa sera sei impegnata, tutto qui.”

“Impegnata?”

“Sì. Sei ufficialmente invitata a venire con me e con i miei nuovi colleghi al Marie’s, per una serata di divertimento pre-lavoro.”
Silenzio.
La cosa un po’ mi preoccupava. “Sei svenuta?”

“Non essere stupida, non sono te.” Sentii un sospiro “Dammi solo il tempo di incamerare la notizia, santo cielo!”

Ridacchiai. “Quando tornerò a casa sarò completamente nelle tue mani. Mi farai da Fata Madrina: non ho la più pallida idea di cosa indossare.” Sorrisi alla sua risata e continuai “Inoltre mi serve una spalla.. non credo di poter resistere in un locale notturno, da sola  con quel ben di Dio di Cast televisivo..”

“Sai che ti dovrai abituare, non è vero?”

“Sì..” Inspirai ed espirai profondamente “Ma per stasera.. per favore.”

“Non c’è bisogno di chiederlo per favore, non vedo l’ora di venire!”

C’era da aspettarselo ma, in ogni caso, mi sentii di colpo molto più sollevata. Poi mi accesi “E Puck?”

“Posso chiedere a Joe… va’ matto per gli animali ed è talmente  gentile: non credo mi dirà di no.”

Sorrisi.
Kristine era il mio salvagente.

***

Quando uscii dal camerino trovai in corridoio solo Nina ed Ian che stavano parlando, forse di lavoro. Sorrisi al loro indirizzo ed annunciai “Per stasera è andata.”

Si voltarono verso di me e subito l’attrice trillò “Fantastico!”

Non sapevo il motivo ma avevo la netta sensazione che stare con quella ragazza potesse risultarmi più semplice di quanto avessi mai immaginato, in fondo era molto simile a Kristine. Per questo ridacchiare mi venne naturale “Già. Credo andrai d’accordo con la mia amica, sai?”

“Nina va d’accordo con tutte.” Ian sorrise gentile e io ricambiai, poi lui continuò “Quindi devo presupporre che questa serata sarà ricca di sorprese, giusto?”

Nessuno poté rispondere perché ci fu un Bip che fece subito diventare seria l’espressione della Dobrev, che afferrò il cercapersone che aveva attaccato alla cintura. “E’ Paul. Abbiamo un’intervista tra un paio d’ore e devo raggiungerlo alla macchina.” Mi rivolse un ultimo sorriso “Devo proprio andare, ci vediamo stasera allora?”

“Certo.” Ricambiai con serenità e la salutai con un gesto della mano mentre correva chissà dove.

Mi voltai verso Ian un po’ in imbarazzo mentre lui sembrava guardarmi con curiosità. “Per oggi io ho terminato. Se vuoi ti posso offrire un passaggio a casa.”

Riflettei velocemente.
Mi ero completamente scordata di  chiedere a Kris a che ora sarebbe venuta a prendermi e – nonostante il probabile imbarazzo che avrei provato- ero decisa a comportarmi in maniera più naturale possibile.
E poi, nonostante le apparenze, in quell’istante Ian sembrava il ragazzo più gentile e alla mano che avessi mai incontrato.

Accennai un sorriso e “Mi farebbe piacere, grazie.”

TBC

 


A/N:
Eccoci qua :)
Innanzitutto mi scuso per aver lasciato così tanto tempo prima di aggiornare, solo che sono stata sommersa da impegni di tutti i tipo.
Frustrante.
Never mind.. inizia l'estate e con questo molto più relax. E poi le vostre recensioni mi hanno davvero invogliato a scrivere e ne sono contentissima.

Ma passiamo al capitolo,
All'inizio vediamo una Annie completamente passiva e troppo scioccata e con la testa incasinata per poter pensare razionalmente alla strana avventura che sta vivendo.
Non voglio mentire: è così che probabilmente io reagirei ad una simile situazione. Proprio non riuscirei ad essere spavalda a primo impatto.
Nonostante questo, la nostra cara protagonista decide di voler provare ad essere il più naturale possibile.. ci riuscirà?
La serata al Marie's le aprirà gli occhi in qualche modo? Acquisterà fiducia o non potrà evitare di farsi cogliere dal panico?
Tutto da vedere, insomma.

Non so se faccio bene ma vi lascio una frase/spoiler riguardante la fic in generale: questa faccenda dell'ansia, in realtà, nasconde molto dietro.
Anastasia non è ancora uscita allo scoperto del tutto. Diciamo che come autrice io sono parecchio fissata con misteri e segreti ( chi ha letto Custodi, potrà confermare xD) Quindi aspettatevi qualche colpo di scena xD

Sinceramente non vedo l'ora di addentrarmi nella coppia Ian/Annie. Sono davvero scalpitante.
Quindi, a presto!

Baci,
{-Eyes

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Capitolo 5
*** Marie's - Seconda parte. ***


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Marie’s.
Seconda parte.

Per l’amore del cielo, Anastasia Di Marco esci da quel bagno o faremo tardi!”

Con grande coraggio decisi d’ignorare Kristine – anche se sapevo avrebbe portato gravi conseguenze- e provai a concentrarmi su tutt’altro; il getto d’acqua della doccia era bollente, mi bruciava le spalle e lasciava mille brividi in tutto il corpo  e, nonostante rischiassi un’ustione di primo grado, trovavo la sensazione parecchio gradevole.
Mi voltai per ricevere lo spruzzo caldo in viso, cercando di calmare l’onda dei pensieri che stava travolgendo la mia povera testolina bacata.

Avevo appena passato un quarto d’ora buono a chiacchierare con Ian Somerhalder come se nulla fosse, in maniera talmente naturale che ne ero ancora stordita. Non potevo fare a meno di trovare la faccenda bizzarra: ero stata a mio agio per tutto il tragitto, dagli studi fino a casa di Kristine, mi ero rilassata e avevamo conversato senza nessun impiccio.
Come poteva essere accaduto realmente? In un sogno, forse, lo avrei trovato accettabile – in un sogno, non certo nella realtà. E, cavoli, non era perché pensavo che lui fosse un attore snob o antipatico, ma perché avevo sempre avuto la convinzione che sarei svenuta dopo soli pochi secondi in sua presenza.

Invece, no. Era filato tutto liscio. Come se fosse la cosa più normale dell’universo.

Lui mi aveva domandato se avevo fatto in tempo a visitare la città e io mi ero persa a sproloquiare sul fatto che ero arrivata da solo un giorno per colpa di una certa amica e in risposta Ian aveva ridacchiato. Quella risatina mi aveva fatto aumentare il battito cardiaco in maniera spropositata ma fu proprio lui a non darmi il tempo necessario per rintanarmi nella pseudo forma di catalessi che avevo avuto neanche un’ora prima: aveva spostato l’argomento con domande semplici, quasi futili, come da programma per conoscersi meglio.
Ian aveva scoperto che avevo un’adorabile cucciolo di Golden Retriver e io, invece, ero stata ammaliata da una delle sue tantissime sfaccettature caratteriali che mi aveva concesso di conoscere in quell’istante. Mi era sembrato un ragazzo completamente diverso da quello che avevo incontrato agli sudi; era gentile, simpatico, divertente e dolce oltre ad essere malizioso, furbo e altezzoso. Tutto questo era dannatamente affascinante,sapere che c’era molto altro dentro Ian oltre a quello che faceva vedere era estremamente.. intrigante. 
Eravamo giunti a casa di Kristine ma non avevamo ancora finto di parlare; per quanto riguardava me ero stata rapita da un suo particolare discorso sulla ISF – e non m’ero manco accorta che la macchina fosse ferma davanti casa Gordon. A mia discolpa potevo sempre dire che lui, comunque, non aveva fatto nulla per farmelo notare.
Mi ero permessa anch’io di fargli qualche domanda, in maniera totalmente naturale e spontanea, e avevo sentito una strana sensazione alla bocca dello stomaco quando avevo visto la più intensa delle luci illuminare quei diamanti blu che erano i suoi occhi, mentre mi accennava di qualche suo progetto agli inizi.
Mi accorsi realmente di quello che stava accadendo solo quando, con un sorrisetto malizioso molto simile a quello che avevo già visto sul suo volto quel pomeriggio, mi disse che se non volevamo fare tardi all’appuntamento con il resto dei ragazzi sarebbe stato meglio andarci a preparare.
Ero diventata praticamente bordeaux, accorgendomi solo in quell’istante che eravamo nella sua auto – ferma -  a parlare da chissà quanto; avevo provato a balbettare qualcosa sul fatto che aveva ragione che sarebbe stato meglio se mi fossi andata a preparare immediatamente.

Alla fine, non avevo fatto neanche in tempo ad aprire lo sportello dell’auto, che lui mi aveva richiamato semplicemente per farmi girare e per vederlo mentre mi salutava con un gesto della mano e un ‘Ci vediamo dopo, Annie.’

Praticamente accadde così. Rimasi stordita e immobile davanti al cancello di villa Gordon, con il viso accaldato e il cuore a mille, mentre cercavo di rendermi conto di cosa era appena successo.

E ancora, mentre cercavo di rilassarmi sotto il getto d’acqua bollente, non ero del tutto certa che quello che stessi vivendo fosse un semplice sogno.

Quando mi decisi a chiudere la manovella ed uscire dal quadrato doccia, sentii le urla di Kristine che intimavano di uccidermi in modi particolarmente lenti e dolorosi.
Alzai gli occhi al cielo avvolgendomi in un asciugamano e osservai il contorno sfocato del mio viso sul vetro appannato davanti a me. Aprii il rubinetto del lavandino che c’era sotto e – nonostante la doccia appena fatta – mi buttai dell’acqua, stavolta ghiacciata, sul viso.

Era ora di smetterla di pensare e di andare a divertirsi. Speravo con tutto il cuore che quello fosse il primo passo per eliminare tutte le insicurezze e le paure. Non volevo rovinare quell’avventura.

Uscii dal bagno trovando l’imperiale figura della mia migliore amica che mi guardava con occhi di fuoco e con entrambe le mani impuntate sui fianchi.

“Finalmente!” Sbottò “Hai idea di che ore sono?”

Sbuffai divertita “Sono solo le sei e qualche secondo, Kris. L’appuntamento al Marie’s è per le sette: siamo in orario.” La guardai e non potei evitare di alzare un sopracciglio, divertita “Ma tu sei già pronta!”

Era a dir poco bellissima: indossava un vestitino lungo fino alle ginocchia di un color verde pastello, che faceva risaltare in maniera incredibile i suoi occhi smeraldini e, a vederla così, potevi quasi percepire la freschezza di una brezza estiva. Era stretto solo dalla fascia al petto, che le copriva il seno, mentre dalla vita in giù scendeva in diversi fronzoli con tutte le tonalità di verde più belle. Molto suggestivo, senza dubbio.
Nonostante tutto non era troppo elegante, cosa che si addiceva perfettamente ad una cena con colleghi di lavoro.
Aveva raccolto i lunghissimi capelli biondo dorato in una treccia che le ricadeva sulla spalla destra e si era moderata con il trucco. Era una meravigliosa bellezza acqua sapone che poteva ammaliare chiunque.

Kristine mi rispose facendo spallucce “Ho avuto tutto il tempo del mondo mentre tu cercavi di affogarti sotto la doccia.”

“Sei stupenda.” Feci sincera.

Lei ammiccò “Lo so”

Mentre mi mettevo davanti allo specchio sull’anta dell’armadio e accendevo il Phon per asciugarmi i capelli, Kristine si mise a frugare tra le mie cose in valigia.
Appena si mosse notai che si era messa dei sandali argentati con tacchi non troppo alti, decorati con qualche brillante sulla fibbia che li legava alla caviglia. Alzai gli occhi al cielo: quello era il suo stile e sempre lo sarebbe stato, ormai conoscevo i suoi gusti quasi alla perfezione.
Nel frattempo che lei faceva non sapevo cosa – e per favore, non ditemelo, che è meglio-  io mi ero asciugata completamente nel giro di dieci minuti ed ero andata in bagno per metter via l’asciugamano e indossare l’intimo.

“Non ci posso credere!” Gridò lei all’improvviso, facendomi sobbalzare. Corsi spedita in quella che ormai era camera mia e sgranai gli occhi vedendo che aveva letteralmente rovesciato la valigia con tutti i miei vestiti sul letto.

“Kris! Ma sei impazzita?”

“Io no, tu si!”

Mi avvicinai corrugando la fronte “Di che parli?”

“Si può sapere perché non hai messo un vestito per le occasioni importanti in valigia?” Il suo tono sfiorava l’esasperazione.

Io mi rilassai di botto e sorrisi “Semplice. Io non  indosso vestiti, lo sai.”

“Vuoi davvero dirmi che hai intenzione di andare a questa serata in felpa e jeans?”

Feci una smorfia: nonostante fosse quello lo stile con cui mi sentivo più a mio agio, un po’ mi scocciava perché volevo rendere quella serata davvero speciale e felpa e jeans  erano il perfetto emblema della normalità. In fin dei conti, se tutto andava bene, avrebbe segnato l’inizio di qualcosa di meraviglioso; ci voleva un tocco per dare un pizzico di straordinarietà al tutto.

Lei, forse notando il mio sguardo e comprendendo il mio stato d’animo, annunciò con fare solenne “In quanto tua Fata Madrina, ho intenzione di risolvere la faccenda. A modo mio.”

“Ma-!”

“Tranquilla, non voglio travolgere il tuo stile. Troverò un qualche compromesso.” Corse in camera sua borbottando qualcosa come – anche se essere travolta da qualcosa le servirebbe, accidenti se le servirebbe!

Io ridacchiai e cominciai a pettinarmi i capelli, cercando di decidere cosa fare con quella massa informe di chioma.
Kristine, in velocità da record, tornò quasi subito nella stanza – talmente trafelata che sperai non si rovinasse nulla del suo look o mi sarei sentita in colpa.

Gettò sul letto varie magliette – dall’aria costosissima e stupenda- e qualche jeans. “Allora..” Cominciò a riflettere al alta voce mentre io la osservavo quasi impaurita “Proviamo questo.”
Mi lanciò letteralmente addosso un abbinamento che aveva appena fatto e “Se sono riuscita a fare centro al primo tentativo, dovrai costruirmi una statua.”

Alla fine non dovetti mettere in programma nessun progetto di costruzione. Eravamo al sesto tentativo, Kristine stava andando fuori dai gangheri e l’orologio segnava le sette meno un quarto. E, proprio quando pensavo che non avremmo mai fatto in tempo, il miracolo avvenne e Kristine riuscì ad evitare per un soffio che le venisse l’ulcera.

Finalmente indossavo il mio completo: Kris mi aveva fatto mettere dei jeans neri e attillati che, parole sue, mettevano in risalto le mie forme. ( Io proprio per questo avevo protestato ma nulla si può fare contro la furia di Kristine Gordon.)
Abbinata, dopo mille peripezie, avevo indossato una maglietta bianca – soffice al tocco- con le spalline che venivano legate dietro il collo, lasciando scoperta la parte delle spalle e delle scapole dietro la schiena. Davanti mi fasciava il seno ma ricadeva sulla pancia senza costrizioni.
Supplicai la mia amica di non farmi mettere tacchi troppo alti e fui accontentata con dei sandali simile ai suoi ma neri e sempre con brillanti sulla fibbia della caviglia.

“Io non so se...”

“Sei bellissima, Annie.” La mia amica mi portò davanti allo specchio sorridente “Adesso pensiamo ai capelli, tesoro.”

E io non potei fare altro perché lei cominciò a parlare con fare professionale “Ho deciso: questa tua bella frangia sarà piastrata e lisciata, mentre lasceremo i tuoi boccoli al naturale … magari mettendo un po’ di schiuma. Adoro i tuoi occhi da cerbiatta, amica mia, e stasera li voglio renderli  ancora più provocanti e sexy: un ombretto scuro potrà di sicuro aumentare la profondità del tuo color castano e non ci sarà neanche bisogno del mascara ... hai già le ciglia lunghissime!”

Avevo provato a fermarla appena aveva osato pronunciare le parole provocanti e sexy ma mi aveva liquidato completamente con un “Su, su che è tardi. Niente storie.”

E  non potevo fare altro, ormai, se non aspettare di vedere cosa avrebbe fatto la magia della mia Fata Madrina – nascondendo il terrore, altrimenti sarei dovuta correre ai ripari dalle sue minacce di morte e dintorni.

Alle sette bollate il campanello di villa Gordon trillò facendomi sobbalzare. Kristine aveva appena finito e si era irrigidita. Io la guardai interrogativa.

“E’ Joe! E’ venuto per Puck!”

Io le sorrisi “Và ad aprire allora, io scendo in cucina per vedere cosa combina la mia palla di pelo.”

Avevo coccolato un po’ il mio cucciolo prima di vedere il famosissimo Joe sulla soglia della cucina e di conoscerlo.
Senza dubbio era molto dolce e simpatico, solo che eravamo in ritardo e non ci fu molto tempo per chiacchierare che Kristine – rossa come un peperone- mi aveva trascinato nella sua lussuosissima Audi argentata.

Divertita da quella situazione le chiesi con finta innocenza “Contenta? Stasera incontrerai i tuoi attori preferiti e hai anche  visto il tuo adorato Joe. Devi essere al settimo cielo, amica mia.”

Lei mi guardò con aria saputa “Sarò davvero felice quando riuscirò a farti indossare una gonna, tesoro mio.”

Io le feci la linguaccia e lei accese la radio mettendo la musica a tutto volume. Destinazione? Divertilandia!

Con piacere notai che potevo dare ragione a quello che Nina  mi aveva detto quel pomeriggio: il Marie’s – sebbene un po’ isolato dal centro della città- era un locale meraviglioso. Non era eccessivamente sfarzoso e sembrava di respirare anche aria di casa – o forse ero solo io che stavo volando, ancora, con la testa tra le nuvole fingendomi chissà quale poetessa.

Ad ogni modo, fu Kristine a parlare con il tizio dall’aria rigida all’entrata “Siamo Gordon e Di Marco, saremmo qui con-“

“Si, assolutamente.” La interruppe l’omone “Seguitemi.”

Ci portò in una zona privata dove era già stato organizzato un lungo tavolo e intravidi subito la figura di Julie che mi dava le spalle, seduta.
Stavo per raggiungerla spedita – cercando sicurezza- quando la voce di quell’uomo mi bloccò all’istante “Se volete darmi anche le vostre giacche,signorine.”

Mi chiesi in un lampo il perché di tutta quella formalità ma ci badai poco, lo vidi mentre sorrideva in base all’etichetta a Kristine e si affaccendava ad aiutarla a sfilarsi il copri spalle bianco candido; io – che volevo evitare quella fase di imbarazzo – decisi di far da sola, e cominciai a togliermi il mio giacchetto nero lucido di pelle finta.

L’avevo appena slacciato che sentii delle mani aiutarmi da dietro. Non sapevo perché ma quella sensazione allo stomaco si ripresentò senza preavviso. Sapevo chi era, non avevo idea di come avessi potuto riconoscerlo così all’istante, ma sapevo che era lui. Mi voltai immediatamente e lo vidi con la mia giacca in mano e uno di quei sguardi che ti fanno sentire troppe emozioni in una volta sola, che ti fanno impazzire e venir voglia di scappare ma allo stesso tempo non vorresti muoverti di un solo millimetro.

Sentii il viso in fiamme e balbettai un “Grazie.” poco udibile.

Ian si rivolse al tizio di prima “Jean, prendi anche questo.” Gli diede la giacchetta mentre io cercavo con lo sguardo Kristine.

Nel frattempo Ian incrociò le braccia al petto e mi scannerizzò, io diventai di fuoco e lui ridacchiò “Andiamo dai, aspettano solo noi.” Indicò con lo sguardo il tavolo e io mi voltai vedendo la mia adoratissima migliore amica già seduta. Volli strozzarla. Mi aveva lasciata sola perché mi aveva visto con Ian; chissà cosa pensava adesso!
Mentre ci incamminavamo Ian posò una mano sulla mia spalla scoperta – e mille brividi sulla pelle, quella sensazione sempre più prepotente alla bocca dello stomaco come fossi su un altalena ad occhi chiusi.
Prima di lasciare la presa mormorò un “Buona serata allora, novellina.”

E ,nonostante il tono divertito,tradì la dolcezza e la gentilezza che mi aveva mostrato in macchina poche ore prima. Senza controllarlo gli sorrisi sincera e spontanea, lui ricambiò e prese posto.

Kevin era a capotavola mentre alla sua sinistra c’era Paul, poi Ian – appena seduto- e Nina; alla sua destra c’era Julie, un posto vuoto quindi probabilmente il mio e Kristine che era affiancata da Steven.
Quando mi sedetti tra la sceneggiatrice e la mia migliore amica, salutai e mi scusai per il ritardo. La Plec mi sorrise bonaria “Tranquilla, non siete le ultime. Devono ancora arrivare Matt, Candice e Michael.”

“I soliti ritardatari.” Aggiunse Ian, divertito, mentre mi guardava con quegli occhi che mi facevano perdere la testa – accidenti, proprio davanti a lui dovevo sedermi?

“Si perché tu, Ian, sei sempre in orario. Giusto?” Fece sarcastico Paul scatenando l’ilarità di tutti e strappando un sorriso anche a me e a Kristine.

La mia amica lasciò libera la sua intraprendenza “Allora anche un dio del sesso come te ha qualche difettuccio, eh Ian?”

Diventai rossissima girandomi verso di lei ad occhi sgranati. Gli altri risero.
Ian forse s’imbarazzò un po’ ma sghignazzò anche lui, divertito da quell’uscita, e solo a quel punto riuscii a rilassarmi anch’io.

Chissà come mai, proprio lui, stava dimostrando di aver quel potere calmante su di me.

“Eccoli, sono arrivati!” Annunciò Kevin, indicando l’entrata. Io e Kris ci alzammo in contemporanea pronte a presentarci con una stretta di mano o un bacio, a seconda dei casi.
Liberati di tutte le formalità anche il resto del Cast prese posto: Michael e Candice accanto a Nina e Matt vicino a Steven.

Non ci volle molto per capire che la biondina avrebbe fatto scintille se accoppiata con Nina o Kristine. Al pensiero alzai gli occhi al cielo – poi il mio sguardo si scontrò con quello azzurrissimo di Ian e lo abbassai, improvvisamente tesa dagli strani pensieri che mi travolsero la mente.

Paul era un divertimento assurdo, il ragazzo più simpatico mai conosciuto, se poi unito a Nina e a Ian si poteva anche morire dalle risate.
Ci raccontò un paio di aneddoti , durante la cena, che – oltre ad essere inediti - erano talmente assurdi che non ridere era impossibile anche per me che provavo a contenermi il più possibile.
Nina fece lo stesso, la sua vitalità era impressionante. Quella ragazza era una bomba e sicuramente non solo sul piano fisico; era gentile e sempre allegra, scherzava con me e Kris esattamente come lo faceva con Paul o Candice.
Scoprii Michael essere in perfetta sintonia con Ian per quanto riguardava l’essere maliziosi, e Steven e Matt adoravano prendere in giro il trio – facendo battute su errori sul set che principalmente Kris trovò particolarmente interessanti.
Julie e Kevin sembravano per lo più dei genitori in perfetta sintonia con i figli e l’atmosfera che si era creata  era a dir poco stupenda.

E, cosa ancor più bella e completamente folle, io mi sentivo a mio agio con tutti loro. Totalmente.

La cena stava procedendo alla grande e anche io mi ero gradualmente inserita in quel gruppo di scalmanati; tutto sembrava perfetto, almeno fin quando non sentii un forte dolore al petto dannatamente familiare.
Il cuore stava accelerando la sua corsa e cominciavo ad avere difficoltà a respirare; non riuscivo più a mettere coerenza nei pensieri, i rumori si stavano facendo ovattati e lontani.

Gli altri stavano ridendo ma non avevo capito il motivo.

No, non ora. Maledizione.
Respira Annie, respira.

Mi alzai di scatto dalla sedia mormorando un “Scusate.” e corsi rapidissima in bagno.
Mi fiondai su uno dei lavandini e mi buttai sul viso un po’ acqua gelata, provando a tranquillizzarmi e a riprendere fiato lentamente, ma la situazione non cambiava; il respiro era ancora affannato e cominciavo a provare una paura bestiale.

Sentii una presa alle spalle, dolce e rassicurante, e la voce spaventata di Kristine ordinarmi di calmarmi e che tutto andava bene.

Non riuscii a rispondere e tutto divenne nero.

 

TBC

 

A/N:  La storia comincia a farsi finalmente un po' intrigante? 

Annie e Ian hanno un paio di occasioni da soli e qualcosa comincia a diventare strano nella testa della nostra scrittrice.
Anastasia scopre, sebbene solo superficialmente, altre caratteristiche riguardanti il bel  attore e ne rimane affascinata ( beh, non poteva essere porprio altrimenti, no?)

Vediamo la scena con Kristene che, oltre a sottolineare il legame che ha con l'amica, alleggerisce un po' la situazione e - spero- renda il tutto un po' più realistico. Per il momento Joe non è preso molto in considerazione ( non ho voluto allungare troppo il capitolo) ma in futuro - se le cose vanno come progettate-  anche lui avrà la sua bell'importanza.

Ed eccosi arrivati al Marie's! Scenetta con Ian, scombussolamento di Annie e battuta imbarazzante di Kris.
Tutto procede nella norma.
Paul, Nina e tutti gli altri si mostrano simpatici e divertenti, nonchè gentili e tutto va bene. Anche Annie si sente inserita nel gruppo e ormai si sta ambientando senza problemi.

Beh, i problemi arrivano giusto giusto alla fine.

Non credo di poter dire altro senza spolierizzare qualcosa xD Quindi spero sinceramente che l'aggiornamento sia piaciuto e faccio un ringraziamento speciale ad Iansom  Dato che probabilmente senza di lei questa storia sarebbe rimasta bloccata al Prologo.
Graaaaazie mille <3

Spero a presto :)
Baci,
{-Eyes.

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Capitolo 6
*** Secrets by Moonlight. ***


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Secrets by Moonlight.

 

Mi sentivo stordita. La testa mi pulsava forte e dovetti strizzare gli occhi per cercare di alleviare il fastidio. Ci volle molto per riacquistare un’ombra di coscienza della realtà, o almeno così parve a me.
Mi resi conto che avevo la schiena a contatto con qualcosa di duro, freddo e fastidioso – in netto contrasto con il calore morbido che sentivo vicino alla nuca e sulla fronte.

Cercai di non andare in panico – era come essere sotto sedativi e quel senso d’impotenza nel sapere cosa fosse accaduto intorno a me era orribile.
Stavo per andare in iperventilazione, non riuscivo più a controllare il respiro.

“Oh, Dio mio.” Una voce preoccupata e familiare, all’inizio ovattata, mi raggiunse velocemente “Annie dimmi qualcosa, stai bene? Ti ricordi cos’è successo?”

Non ero sola. Era... Kristine.
Dovevo tranquillizzarmi, maledizione. Provai a trattenere il fiato per qualche secondo per poi rilasciarlo tutto insieme – e ricominciare a respirare, profondamente, contando il numero di volte il cui il diaframma si abbassava.

Il mal di testa non passava e sentivo la gola secca; inoltre la luce al neon sopra di me riuscì ad accecarmi non appena provai a socchiudere gli occhi. Mugugnai qualcosa, facendo stringere la presa della mia amica sul mio corpo.
Ci misi qualche secondo per ricordare e capire: probabilmente ero sdraiata sul pavimento del bagno del Marie’s, con la testa poggiata sulle ginocchia di una Kristine spaventata e decisamente ansiosa. Mi accarezzava la fronte imperlata di sudore con l’affetto di una madre sollevata ma ancora sconvolta.

Non ci fu bisogno di parole; mi aiutò a mettermi seduta senza intaccare la parte di me che si vergognava di quello che era successo o di accentuare quell’altra che ne era terrorizzata.

“Mh.” Strizzai gli occhi tenendomi le tempie con le dita.

“Che posso fare?” Domandò dolce come non mai, la mia migliore amica.

Sorrisi mesta “Sto bene...” Mi schiarii la voce, scuotendo lievemente la testa “… Da quanto tempo sono rimasta in questo stato?”

“Non troppo, un paio di minuti.” Rispose lei pragmatica e aggiunse “Ma hai stupito un po’ tutti con la tua uscita plateale. Il tempo del ‘lasciamole la sua privacy’ credo sia dimezzato da quello per la preoccupazione.”

Imprecai alzandomi con molta calma. Kristine era sempre vicino a me, rimanendo più indietro per lasciarmi il mio spazio e il mio orgoglio. Mi aggrappai al marmo freddo di uno dei lavabi di quel bagno e obbligai me stessa a non guardarmi allo specchio; la consapevolezza era sempre la parte più dura da accettare, quando tutto finiva.
Aprii l’acqua e la guardai scorrere, come ipnotizzata. Poi mormorai “Torna al tavolo e non fare preoccupare nessuno. Inventati qualcosa, per favore.”

“Tu non vieni con me?” Nella sua voce calma e decisa c’era una nota di tristezza e tormento che mi fece sentire in colpa.

Scossi la testa “Ho solo bisogno di un po’ d’aria. Andrò a prendermi una sana boccata d’ossigeno ma, tranquilla – Alleggerii il tono e lo feci diventare divertito - tornerò per il dessert.” Sorrisi grata, guardandola negli occhi attraverso il riflesso dello specchio “Grazie, Kris.” Mormorai.

Lei alzò gli occhi al cielo, capendo che per il momento andava tutto bene “Sì, sì.” Rispose in fretta con un gesto della mano – i sentimentalismi non erano per lei- “Tu riprenditi in fretta che il bianco-pallido ti dona poco.” E una nota dolce nella sua voce, la tradì nella sua impassibilità.

Ridacchiai.

Un minuto dopo, un paio di sberle più tardi e un ‘Datti una regolata, Annie!’ di rimprovero, ero uscita dal locale.
Avevo sorriso vedendo una scena a dir poco romantica sul mio cammino: un uomo stava porgendo un mazzo di rose rosse ad una donna sotto una serenata accompagnata dal dolce suono di un violino. La guardai una attimo, riprendendo il buon’umore – non c’era bisogno di pensare ai lati negativi, necessitavano fin troppa attenzione già quando si presentavano prepotenti. Nel momento in cui passavano non volevo che rimanessero nella mia testa. Sarebbe stata troppo dura – e, probabilmente, da sola, non ce l’avrei mai fatta.

Uscii dal locale più serena, determinata a non rovinare quella magnifica serata che segnava l’inizio del mio sogno.

Camminai un po’ fino a ritrovarmi nel parcheggio. Non c’erano molte auto ed era tutto tranquillo. Me ne sentii sollevata; un po’ di tranquillità per sistemare i pensieri era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Fu una figura, appoggiata al cofano di una macchina davanti a me, a farmi dimenticare persino il motivo per cui mi serviva quell’aria fresca.
Mi avvicinai cauta. Lo avevo riconosciuto subito e avevo anche pensato alla possibilità di lasciarlo solo – che sembrava ciò che voleva- poi però avevo visto una nuvoletta di fumo e avevo corrugato la fronte.

Ian non impiegò molto tempo a capire che c’era qualcun altro lì con lui. Quando si voltò, io sorrisi automaticamente.

“Oh, Anastasia.” Fece lui “Ciao.”

Forse era la calma che ci circondava, forse era per colpa di quello che era successo prima. Forse era solo la luce della luna che rischiarava l’oscurità di quella serata ma non potevo essere più tranquilla mentre mi appoggiavo accanto a lui al cofano della sua auto scura.

“Stai bene?” Mi chiese mentre io alzavo il viso per guardare il cielo.

Feci spallucce “Sì, avevo solo bisogno di una boccata d’aria credo.” Non lo guardai e mi concentrai sulle stelle che riuscivo a vedere “E tu?”

Lo sentii ridacchiare “Sei tu quella che è scappata dal tavolo.”

Mi voltai verso di lui, scontrandomi con l’azzurro luminoso dei suoi occhi “Non sono stata l’unica a quanto pare.” Sorrisi un po’ impacciata mentre quegli occhi imprigionavano ogni mio pensiero e facevano aumentare il mio battito cardiaco.

Ian fece uno sbuffo di risata mentre prendeva un ultima boccata di fumo dalla sigaretta e la lanciava per terra per poi spegnerla.
Si sedette completamente sul baule della sua macchina per poi sdraiarsi appoggiando la schiena al vetro e incrociando le braccia dietro la testa. I suoi magnifici occhi si persero a guardare la luna in pochi secondi, proprio come avevo fatto io poco prima.
Lo guardai. Non potevo fare nient’altro. Era bellissimo, più affascinante di un Dio e stupendo con quell’aria persa nell’oscurità.
Sembrava tormentato da qualcosa e, nonostante quella luce nei suoi occhi mi metteva tristezza e senso di impotenza – perché volevo aiutarlo ma non sapevo come- questo lo rendeva terribilmente umano e semplice. Proprio come me, e ancora più bello.

Mi resi conto che lo stavo fissando – e che forse era anche maleducazione- e quando lui si rese conto della stessa cosa e ricambiò lo sguardo io m’infiammai e corsi letteralmente con gli occhi a guardare la luna piena di quella notte.

Lui rise e io mi beai di quel suono leggero, in netto contrasto con lo sguardo che avevo visto sul suo volto pochi secondi prima.

“Arrossirai ogni volta che ci incroceremo, d’ora in avanti?” Domandò divertito ma senza ombra di malizia.

Io se possibile arrossii ancora di più ma gli risposi con un mezzo sorriso “Guarda che non è certo facile, sai?”

“Ah no?” Poggiò gli avambracci sul cofano e fece leva, rimanendo così mentre ci guardavamo – lui con la fronte corrugata e un sorriso ghignante e io rossa come una fragola a metà tra l’essere rilassata e sul punto di aver un attacco di cuore.

“Se tu fossi al mio posto, saresti completamente a tuo agio già dal primo momento?”

Fece una strana smorfia che definii subito buffa e chiese con finto tono ingenuo “Intendi se mi sentirei a mio agio a stare con me e a guardarmi in uno specchio?”

Sembrava una conversazione tanto normale nella sua stranezza che per cinque secondi dimenticai che fosse l’attore famoso per cui avevo una cotta segreta e decisamente infantile, paragonabile a quelle che si hanno per cantanti o stilisti – impossibili da raggiungere.

Con un balzo leggero mi sedetti girata verso di lui incrociando le gambe, chiedendo subito “Si può sapere quante personalità hai?” Alla sua faccia confusa e curiosa continuai “Ti conosco da meno di un giorno ho già intravisto l’Ian presuntuoso ma simpatico nella sua superbia, quello semplice e normale che mi ha accompagnato a casa e che è anche generoso e altruista, quello galante che mi ha aiutato a togliere la giacca come fosse un uomo d’altri tempi e quello misterioso e tormentato da pensieri personali di cui non ha voglia di parlare e finisce in un banale tentativo di cambiare discorso che ho accettato per il semplice fatto che siamo appena conoscenti e in fin dei conti non sono fatti miei.”

Mi accorsi di aver fatto il conteggio sulle dita e di aver detto quello che avevo detto solo dopo, quando guardai la sua faccia stupita e basita.
Quel mio parlare a mitraglietta così maleducato probabilmente lo aveva indisposto.

Mi passai una mano tra i capelli mormorando più lentamente “Ok, l’ultima stoccata potevo anche risparmiarmela.”

Scesi dall’auto, con l’intento di andarmene per evitare di fare altri pasticci, quando sentii una presa al polso che mi fece girare automaticamente.
Mi scontrai con Ian che, una volta visto che mi ero fermata, mi lasciò andare.

A dire il vero non gli diedi molto tempo per parlare che fui assalita dai sensi di colpa e ricominciai con la mia veloce dialettica, purtroppo instancabile “Scusa. Non l’ho fatto a posta, è che quando inizio con la mia parlantina non ho più il filtro che divide parole e quelli che dovrebbero rimanere pensieri, così finisco sempre col dire quello che le persone non vogliono sentirsi dire e rovino sempre tutto e-“

Mi bloccai immediatamente quando Ian poggiò un dito sulla mia bocca. Rimasi immobile con il cervello completamente fuso e il cuore impazzito a causa di quella vicinanza elettrica.

Il sguardo cadde sulle sue labbra dischiuse e dovetti fare uno sforzo enorme per non alzarmi sulle punte e baciarlo.
Sapevo che dovevo tenere sotto controllo gli ormoni; ero grande e vaccinata e non potevo farmi attrarre in quel modo da un paio di labbra. Da un paio di labbra troppo vicine che –

Scossi la testa mentalmente dandomi dell’idiota. Provai a respirare profondamente mentre cercavo di concentrarmi sui suoi occhi che – nel lasso di quei secondi- non avevano smesso di guardarmi indagatori.

Sì, brava Annie. Passa dalla padella alla brace, ottima idea. Dannazione, quegli occhi dovrebbero essere illegali, altro che.

Ancora così vicini, ancora a contatto – troppo intimo – lui mormorò serio “Sono abbastanza sicuro di non essere l’unico che nasconde pensieri o tormenti.”

Il mio cuore era ormai impazzito. In quell’istante lui mi aveva confermato il fatto che io avevo capito qualcosa in più, ma mi aveva anche fatto intendere che non ero la sola a saper leggere negli sguardi della gente.
Improvvisamente mi sentii nuda di fronte alla luminosità di quell’azzurro, adesso così intenso da sembrare zaffiro liquido.

Ian sorrise sghembo senza tuttavia cambiare nulla in quella situazione. Sentivo il suo respiro – caldo, pacato... rassicurante- e sentii la testa farsi sempre più leggera, facendomi ricordare in maniera assurda quella sensazione stordente che avevo provato quando ci eravamo incontrati per la prima volta, quello stesso pomeriggio.

Dio, non era passato neanche un giorno..

L’incantesimo del silenzio in cui ci trovavamo fu spezzato dal suono di un violino che ci aveva raggiunto insieme a quello di alcune risate divertite.

Sbattei le palpebre come se mi stessi svegliando dopo un sogno e indietreggiai all’istante di un passo; volevo mettere quanta più distanza possibile tra il mio corpo e quello dell’attore.
Guardai subito alla mia sinistra riconoscendo la coppia che avevo visto prima di uscire, poi posai il mio sguardo di nuovo su Ian, come spaesata.

“Sarà meglio andare prima di essere presi per dispersi.” Mormorò lui lanciando un occhiata ai due fidanzati che si stavano appropriando del silenzio di quel parcheggio – ormai andato perso.

Feci una smorfia e fui grata a quel paio di macchine che ci nascondevano, poi mormorai piano “E soprattutto prima di rovinare la catarsi alla giovane coppia; non vorrei avere sulla coscienza un momento del genere.”

Lui ridacchiò,mi afferrò un polso facendomi girare su me stessa e mi trascinò subito dopo all’entrata del locale.

Stavamo soffocando entrambi una risata divertita mentre camminavamo accucciati, dietro le automobili parcheggiate, per non farci scoprire dalla coppia che adesso stava ballando un lento al chiaro di luna appena fuori dal locare.

Ero ancora stordita ma, ora, l’unica cosa che volevo era quella di sentirmi a mio agio. Non importava altro, per me.

Ian mi teneva il polso in una presa forte ma gentile e, nonostante mi sembrava di bruciare a contatto con lui, non riuscivo a far a meno di apprezzare ogni singolo istante di quel momento.

Forse avevo trovato il mio posto nel mondo.
Lo speravo con tutto il cuore.

Tornammo al tavolo e ormai stavano servendo il dolce ma fu solo quando fummo abbastanza vicini da essere notati che lui lasciò andare la presa sul mio polso.

Non che mi stessi lamentando, ovvio.

Ian sembrava completamente a suo agio, era tornato a scherzare con i suoi amici e io non riuscii ad evitare un sorriso a trentadue denti guardandolo mentre faceva un commento divertito sul dessert colorato che aveva ordinato Nina.
Quando mi sedetti al mio tavolo fui grata a qualunque cosa avesse detto Kristine, perché nessuno mi chiese cosa fosse successo o perché fossi scappata.
Solo Julie, con una dolcezza disarmante, volle essere rassicurata sul fatto che io stessi bene.

Solo quello.
Una materna preoccupazione sulla mia salute; la tranquillizzai con un sorriso e un cenno del capo.

Guardando la donna rispondere poi ad una domanda di Paul, mi avvicinai alla mia amica mormorandole un “Grazie.” all’orecchio.

Lei fece spallucce e mi lanciò una brevissima occhiata – che mi mise i brividi- e, prima di prendere un boccone dalla fetta di torta che aveva ordinato, fece completamente tranquilla “Ti sdebiterai raccontandomi cosa c’è tra te e il bel vampiro dagli occhi di ghiaccio.”

“C-come scusa?”

“Oh, andiamo Anns! Chi vuoi prendere in giro, eh? L’ho notato subito.” Ridacchiò furba, mantenendo il tono di voce basso e malizioso  “Da come ti ha tolto la giacca, fino al fatto che vi tenevate per mano fino a cinque secondi fa.”
Si voltò verso di me battendomi una mano sulla spalla mentre io ero rimasta a bocca aperta, completamente sconcertata. “Sai, non ti facevo così precoce, cara amica mia. Sono orgogliosa di te.”

La guardai sconvolta mentre si voltava verso Candice per dire la sua riguardo ad un abbinamento che andava in voga quell’estate.

Non potei fare altro che scuotere la testa abbassando lo sguardo sul gelato che qualcuno aveva ordinato per me, sentendo – come se fosse una novità- le guance in fiamme.

Sperai solo che nessun’altro l’avesse sentita e mi ripromisi di spiegarle i fatti, una volta tornate a casa. Pregando quante più divinità possibili che mi credesse.

Perché tra me e Ian Somerhalder non c’era nulla se non un bel principio d’amicizia. Già.

Quando smetterò di avere pensieri poco amichevoli su quelle labbra o su quei occhi, forse.

 

TBC

 

 

A/N: Ok, ragazze, chi non muore si rivede a quanto pare :P

Come magari avrete intuito, ho avuto qualche problema d’ispirazione. Più che altro dovuta allo scarso entusiasmo con cui ho seguito la maggior parte della quarta serie, credo.
Però l’ultima puntata è stata fenomenale e, no, non vi faccio spoiler tranquilli.. comunque fatto sta’ che mi è tornata la voglia di scrivere da queste parti :)

Quindi ho revisionato quest’ultimo capitolo, aggiungendo qualcosa – correggendo obbrobri ortografici (sul serio, avevo tipo seminato virgole a caso nella prima parte! xD)
Nonostante questo non cambia molto.. la serata al Marie’s è comunque conclusa.

E sì, per ora vediamo Anastasia che sta ingranando.
Stiamo puntando sull’amicizia, gente. Si conoscono da a malapena un giorno e la nostra Annie è ovviamente convinta che la sua sia solo una cotta – o come la chiamano in America: Starstruck!
E non è che abbia torto: in effetti è proprio questo. (Per il momento?)

Sta di fatto che da adesso dovranno lavorare insieme per ancora non si sa quanto tempo. Ci saranno tante avventure e tante azioni che - come dice il caro Newton- faranno scattare delle reazioni ( uguali e contrarie e via dicendo xD).

Fatemi sapere che ne pensate.  Se avete consigli sul come evolvere la storia ( Tipo velocizzare o rallentare i fatti, descrivere meglio o lasciare spazio ad altri personaggi..) sono tutt'orecchie per migliorare :) Non aspetto altro.

Spero l'aggiornamento  vi sia piaciuto.

PS: Per il fatto dei discorsi in “lingua originale”; adesso mi sembra una cavolata colossale xD Non è che se io mi immagino le scene in lingua madre, dovete sorbirvi anche voi lo stesso supplizio.
Comunque ammetto che certe espressioni stanno meglio in americano, so aspettatevi qualcosa nel bel mezzo dei capitoli.
(Ad esempio tradurre un formidabile “Right back at ya!”  in italiano mi farebbe piangere il cuore, quindi Hasta la vista e bom. xD)

You know I love you,
Spero di postare il prossimo (vero, non ‘revisione’) capitolo presto.

Besos,
Eyes :)

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Capitolo 7
*** In un chicco di Caffè ***


In un chicco di Caffè.

Nelle ultime tre settimane erano successe un sacco di cose. Il mese di giugno era quasi finito ed eravamo agli sgoccioli.
La prima puntata della seconda stagione non sarebbe andata in onda prima di metà settembre ma, nonostante questo, l’intrusione della fan fiction nella Storyline aveva comportato un bel po’ di lavoro in più.
Era più faticoso di quanto avessi mai potuto anche solo immaginare ma – di pari passo- era anche incredibilmente gratificante.

Sorrisi cliccando l’icona ‘Salva’ per il documento Word che era sotto le mie mani in quel momento.

Julie mi aveva affidato un compito preciso: trasformare una semplice fiction in un vero e proprio copione, con la struttura corretta, la terminologia esatta e così via. Mi aveva aiutato molto rileggere quelli della prima stagione, ma ero comunque agli inizi.
E no, non era così facile: quasi ogni giorno c’era la riunione degli scrittori e sceneggiatori del cast dove proponevamo milioni e milioni di idee e, farle incastrare tra loro alla perfezione, era arduo.
Però non c’era nulla di scoraggiante nello stare seduta a quel tavolo circolare con dei fogli davanti, il cercapersone legato alla vita, una penna sempre carica in mano e uno sguardo attento alla ‘lavagna- storm’[1].
Mi sentivo a mio agio: eravamo in cinque nella crew di scrittori – senza contare Julie e Kevin che facevano di tutto per presenziare ad ogni riunione.
Il lavoro di squadra era qualcosa di fenomenale e ne ero rimasta completamente abbagliata. Era incredibile.

E me la stavo cavando. Ci stavo riuscendo – non mi sentivo più un pesce fuori d’acqua; tempo due giorni e mi avevano accolta tutti in maniera talmente calorosa da farmi commuovere come una sciocca davanti ad un film romantico.

E – tutto questo- era molto più di quanto avessi mai desiderato.
Amavo far parte di quella grande famiglia; era speciale, ed io ero la ragazza più fortunata al mondo che era entrata a farne parte quasi senz’accorgersene. Era stato naturale e sorprendente, in un mix di emozioni che mi aveva travolto senza preavviso.

E avevo anche un ufficio!

Mi piaceva chiamarlo ufficio, soprattutto perché  gli dava un’aria pomposa che faceva ridere. In realtà era solo una stanza, con una scrivania e due poltrone davanti, neanche troppo grande, che usavo quando – dopo qualche riunione del cast, o in qualche sprazzo d’ispirazione- dovevo buttare giù qualche idea o qualche pezzo di copione, e mi serviva un po’  di silenzio.
Avevo una portafinestra dietro di me, che potevo aprire quando volevo accedere alla terrazza enorme che faceva da comunicante con le stanze dall’altra ala degli Studios. Niente di troppo naturale, molto cemento e poco verde, ma da lì mi piaceva guardare il cielo quando c’era bel tempo –era particolarmente suggestivo, poi, di sera,  in quell’esatto istante in cui sentivo la giornata finire.
Comunque non me l’avevano affidato da tanto tempo –  otto giorni, al massimo- ma io avevo già sistemato qualche foto sulla scrivania e ci avevo infilato dentro il ficus che mi aveva regalato Nina – perché era fashion avere un ficus in ufficio- prendendomi clamorosamente in giro.

Adesso quel ficus si chiamava Eddie e, anche lui come me, faceva parte della squadra.

Ridacchiai al ricordo ma fui bloccata all’istante quando sentii bussare alla porta.

Esclamai un “Avanti!” mentre mi sfilavo gli occhiali da vista e mi massaggiavo per qualche secondo le palpebre.

“Non è che stai lavorando troppo, genius?”

Alzai lo sguardo con uno scatto e Ian - che mi fissava a metà fra il divertito e il perplesso, con una spalla appoggiata alla porta e le braccia incrociate al petto- mi fece un cenno di saluto con la testa e un sorrisino sghembo.
Nonostante il cuore impazzì nel giro di due secondi, non ero realmente sorpresa di vederlo lì. Ormai era diventata una specie di tradizione, pensai, dato che durante le ultime due settimane ci incontravamo sempre a metà giornata per fare pausa.

Gli sorrisi all’istante “In realtà ho appena finito.” Lo informai “Giusto in tempo per il caffè. Visto come sono puntuale?”

Mi alzai andando ad afferrare la borsa che avevo lanciato sul divanetto nero accostato alla parete destra, e lo raggiunsi in poche falcate - sempre con quel sorriso ebete stampato in volto. Probabilmente mi sarebbe venuta una paresi a furia di tenermelo lì, in faccia, con i muscoli che quasi facevano male.

Scossi leggermente la testa, quasi rassegnata.

Non posso evitarlo. Non quando c’è lui nei paraggi.

Lui mi lanciò uno sguardo di disapprovazione “Sei una caffeinomane, per questo sei sempre così esaltata!”

Io risi apertamente chiudendomi la porta alle spalle “Ehi, non sono esaltata! Sono solo molto vivace.”

“Ti metti a saltare strepitando-”

“-solo quando succede qualcosa di bello!”

“C’è qualcuno che non hai abbracciato in uno slancio d’improvvisa felicità, da quando sei arrivata?”

Scoppiai a ridere “E’colpa vostra che mi avete accolto con così tanto amooore.” Gli spiegai divertita, marcando il mio accento italiano sull’ultima parola.

Lui borbottò un “Ragazzina” ma ormai eravamo arrivati nella sala relax – e mi stupii, come sempre, allargando gli occhi come una bambina, constatando il calore che arrivava da qualcosa di così familiare.

“Ragazzi!” Ad uno dei tavoli c’era seduto Paul che – appena ci vide- fece un cenno di saluto con  la mano.

Ian lo raggiunse all’istante, mentre io andavo al bancone in ceramica color rame e mettevo l’acqua per prepararmi il mio super-concentrato di caffè quotidiano alla macchinetta di lusso di cui non riuscivo ancora a pronunciare il nome.
Intanto che aspettavo fosse pronto, raggiunsi i ragazzi che avevano cominciato a parlare di questa o di quella novità; Paul mi salutò ancora con il solito sorriso “Ehi, Annie. C’era del caffè appena fatto, non hai visto?”

Aprii la bocca per rispondere, ma Ian fu più veloce e m’intercettò “Ohi, man. Non hai ancora imparato? Questa qui beve solo esplosivo.”

Gli lanciai un’occhiata piccata ma fui costretta ad annuire, sovrastata dall’evidenza “Il segreto è: tanta miscela e niente acqua. Ed ecco il vero caffè.”

“Voi Italiani..”

Alzai gli occhi al cielo e, con quel gesto, vidi la figura della Dobrev all’entrata della sala “Ehi Nina!” Mi sbracciai in maniera esagerata, dato che la stanza era deserta e neanche troppo grande, ma ormai era diventata un’abitudine quindi ci feci poco caso.

“Ragazzi, cercavo proprio voi!” Salutò tutti con un bacio sulla guancia ma non diede il tempo a nessuno di ricambiare il buongiorno, che cominciò a parlare a raffica “Ho una notizia sensazionale! Non ci crederete ma ho incontrato Julie mentre venivo qui e mi ha dato l’ok! Insomma, è meraviglioso-”

“Caffè, caffè, caffè!” Mio malgrado interruppi l’esaltazione dell’attrice nell’esatto momento in cui sentii il forte profumo di caffè nell’aria – e praticamente mi lanciai ad afferrare una tazza per potermene versare un po’.
Già che ero lì, presi anche una ciambella e ritornai al tavolo più in fretta che potei.

Mi dovetti scontrare con gli sguardi dei miei nuovi colleghi e arrossii all’istante. Mormorai uno “Scusa.” soffocato, dato che avevo in bocca già il primo morso della brioche.
Tirai una gomitata ad Ian quando lo sentii ridacchiare e deglutii con forza – rischiando di strozzarmi- e spronai l’altra ragazza a continuare “So, what’s up?

Mi lanciò un’occhiataccia, ma riuscii comunque ad intravedere il sorriso sulle sue labbra quindi mi tranquillizzai all’istante perché non si era arrabbiata. Non sul serio, almeno.

“Quindi.. come stavo dicendo prima, ho avuto l’ok.”

Ok, per cosa?” Chiese Paul, corrugando la fronte,perplesso come me e Ian.

La stanza fu improvvisamente abbagliata  dal sorriso della ragazza che annunciò alzando la mano a pugno “Per la nostra vacanza!”

Io - che avevo scelto proprio quel momento per bermi il primo sorso di caffè bollente- cominciai a tossire con violenza dato che mi era andato tutto di traverso. Ringraziai con gli occhi Paul che prese e battermi una mano sulla schiena e finalmente riuscì ad esalare un “ V-vacanza?”

“Oh, andiamo.” Ci spronò lei “E’ estate! L’unico momento all’anno in cui abbiamo un po’ di tempo libero, non possiamo sprecarlo!”

E tutto fu chiarito. Sentii una bolla di calore esplodermi in faccia e sgranai gli occhi, con un piccolo ‘oh’ sulle labbra.
Era ovvio: loro erano attori – durante le riprese erano super impegnati ed era logico che volessero godersi le loro ferie.  

“E dove andrete?” Chiesi curiosa, solo un po’ delusa perché non avrei pensato di passare i successivi due mesi senza nessun’altro con cui avere la pausa caffè. Ma alla fine potevo essere contenta per loro, senza problemi.

Nina mi guardò confusa, corrugando la fronte “Dove andremo, semmai. Non dirmi che hai già altri impegni?”

“N-no certo che no, ma pensavo-”

“Non pensare, ti fa male.” Mi consigliò Ian, con un sorrisetto scanzonato che mi fece venir voglia di prenderlo a sberle. O baciarlo, a seconda dei casi.

Le mie guance raggiunsero lo stato ‘peperone’ e bofonchiai un “Ah-ah. Divertente.” osservando la tazza che avevo tra le mani come se fosse la cosa più interessante nell’universo.
Poi Paul s’intromise e io lo guardai recuperando la ciambella “In realtà avevo già organizzato qualcosa con Torres.”

La Dobrev a quel punto sgranò gli occhi “Quando?” Pretese di sapere, all’istante. In quel netto secondo.
O si sarebbe trovato senza gel per il resto della stagione.

“Oh, take it easy.” Non seppi come Paul riuscì a rimanere tranquillo sotto quello sguardo, e mi appuntai un tanto di cappello nei suoi riguardi “La casa è grande, ci staremo tutti.”

Ci fu un momento di silenzio in cui potei giurare di sentire il cervello di Nina assimilare la notizia, per poi sorridere di nuovo e abbracciare il collega con rinnovato entusiasmo, esclamando nell’orecchio del povero attore un “Che bello! Grazie, grazie!”

Ridacchiai a quella scena ma la mia attenzione fu presto attirata dalla figura di Ian – come succedeva spesso da quando lo conoscevo- che aveva dipinto sul volto un sorriso morbido e dolce, dal quale non riuscii a distogliere lo sguardo. Ancora non avevo scoperto quante diverse pieghe potesse prendere la sua personalità, ma mi ero ritrovata a cercarne ogni sfumatura con – forse-  più interesse di quanto fosse lecito.
Poi lui si voltò verso di me e i miei occhi viaggiarono nei suoi come da protocollo.

Tutto questo è molto controproducente.

Cercai di riscuotermi e gli  indirizzai una domanda, per provare a distrarmi “Tu non avevi impegni?”

Nina lasciò libero il povero Paul all’istante, e puntò i suoi occhi da cerbiatta sul corvino “E’ vero. Non dovevi andare dalla tua famiglia?”

Ian fece spallucce “Nop. Cambio piani: I miei genitori sono in crociera nel Mediterraneo, mentre Robyn e Robert hanno il loro da fare con la loro prole; probabilmente mi rapiranno a Natale.”

“Quindi sta accadendo seriamente?” Fece lei, cercando un’ultima rassicurazione “Andremo in vacanza insieme?”

Feci per aprire bocca ma mi tagliò sul nascere “Non provare ad obbiettare Di Marco!”

Io ridacchiai “Vorrà dire che chiederò  a Julie se posso lavorare a distanza quindi.”

“Certo che lo farai.” Annuì lei “E mi aspetto che inviti anche Kris e Puck. Senza fare storie.”

Sorrisi annuendo. Ormai – con tutte le volte che mi erano venuti a trovare- erano di casa almeno quanto me.

“Però avrei lo stesso una domanda.”

“Spara.”

Mi voltai verso Paul, curiosa “Dov’è che andiamo?”

 

***

Quattro giorni più tardi avevo la valigia alla mano, pronta già da mezz’ora a partire ma irrimediabilmente bloccata sulla soglia di casa, per colpa di un leggero ritardo.

Kristine Clara Gordon!” Urlai esasperata “Sbrigati o perderemo l’aereo!”

Sentii un “Sì, sì. Sono pronta!” tutto in altre faccende affaccendato.

La vidi praticamente volare già dalle scale con due bagaglioni rosa acceso, e arrivare sana e salva sul pianerottolo del soggiorno – anche se ancora in precario equilibrio per il peso delle due valige.

Inarcai un sopracciglio “Ti serve davvero tutta quella roba?”

Lei, nonostante avesse quasi il fiatone, riuscì a guardarmi male  “Stiamo andando nella Città degli Angeli, Annie. Mi serve davvero tutta questa roba, sì.”

Risi “ Ok, ok. Non ti scaldare tanto!”

“Io non riesco a crederci!” Sbottò lei “E’ Los Angeles!  E tu sei così fredda; certe volte mi chiedo come fai ad essere tanto insensibile.”

“Non sono insensibile.” Replicai a tono “Sei tu che sei andata a L.A mille volte e ancora non riesci a preparare una valigia.”

“Io riesco a-”

“Ho detto una valigia, Kris.”

Lei sbuffò “Antipatica.”

“Dai andiamo, ci aspettano.”

“Chi, il tuo principe azzurro?”

“No, ma ti do un paio d’indizi: è enorme, ha permesso all’umanità di volare e – se non ci sbrighiamo- ci lascerà in Georgia per il resto dell’estate.”

“Il tuo senso dell’umorismo fa’ schifo.”

“Il tuo tempismo è ancora peggio.”

Poi Puck abbaiò con tanta forza da zittirci entrambe e costringerci a guardare il trasportino in contemporanea. Poi ci fissammo nuovamente negli occhi e durammo, sì e no, quattro secondi, prima di scoppiare a ridere come due deficienti.

“Dai andiamo!”

***

L’abitacolo della macchina era riempito da allegria e canzoni che davano il benvenuto all’estate, cercando di creare nuovi tormentoni ma mandando in radio quelli più storici – come l’intramontabile soundtrack di Grease.
Io e Kris non eravamo così moralmente forti da non seguire la massa e, quindi, era strettamente logico il fatto che stessimo cantando a squarciagola dal momento in cui aveva messo in moto.

Era passato un quarto d’ora buono dalla nostra partenza e avevo già mandato un messaggio a Ian, avvisandolo che stavamo per arrivare.

Poi Kris si zittì, mancando l’attacco al ritornello e aggrottando la fronte “Ehi, Anns?”

“Mh?”

“Io non mi sono mai chiamata Clara..”

Non mi scomposi più di tanto. Mi voltai verso di lei completamente seria, e la ragguagliai “Quando si urla il nome di una persona, in determinate circostante, è più artistico aggiungere un secondo nome.”

“E quindi te lo sei inventato?”

“Già.”

Passarono alcuni secondi.

“..mh. Mica tutti i torti.”

Risi apertamente, continuando a cantare “Ramma lamma lamma ka dingity ding da dong!”

E lei mi seguì subito dopo, senza sbagliare un accento “Shoo bop shoo wadda wadda yippity boom da boom!”

***

 

Grazie alla guida spericolata di Kristine arrivammo all’Hartsfield-Jackson  con mezz’ora di anticipo – e lo fece apposta, così da rinfacciarmi come fossimo perfettamente in orar-issimo.

“Wow. Quante persone..” Mormorai sbalordita, sentendo tutta confusione intorno a me.

“Stai bene?”

Mi voltai verso la mia migliore amica con il miglior sorriso rassicurante “Ovvio. Mi sono preparata a tutto questo.”

Con cipiglio serio mi mise una mano su una spalla e mormorò con tono di scusa “Prima ti ho chiamato insensibile-”

“Kris, per favore dai-”

“No, voglio solo sapere se hai tutto sotto controllo. Questa.. – fece un gesto veloce con l’altra mano – questa cosa.. è ok?”

Sorrisi, rincuorata e in qualche modo commossa da quella preoccupazione, e annuii con il capo “Ho avuto ben quattro giorni per organizzarmi. Ho studiato la struttura di quest’aeroporto e tutta la cartina di Los Angeles!”

Provai a farla ridere e ci riuscii, “Adesso basta preoccupazioni.” Dissi poi “Ora chiamo Ian e ci facciamo raggiungere.”

Lei scoppiò a ridere “Sì, sì. Chiamiamo OcchiBlu e facciamoci venire a prendere. Di sicuro già sentite la reciproca mancanza!”

A quella scoccata sentì il cuore cadermi nello stomaco senza preavviso , e dovetti darle immediatamente le spalle - cercando di non pensare a quanto avrei desiderato fosse realmente una cosa reciproca.

***

Dopo  sette ore di volo salimmo sull’utilitaria che Paul aveva messo a disposizione, ma ero talmente distrutta che non feci caso al viaggio in macchina.

L’unica cosa che sapevo era che alla mia sinistra c’era Kristine che teneva Puck sulle gambe e alla mia destra avevo Ian che guardava fuori dal finestrino oscurato.
Sentivo lontanamente anche il vociare leggero di Nina e Paul, seduti davanti che armeggiavano con chissà quale stazione radiofonica, ma era chiaro che stavo per addormentarmi.

L’ultima cosa che percepii fu una voce divertita che mi chiamava “Ragazzina.” e la presenza di un braccio rassicurante intorno le mie spalle.
Mi addormentai con la testa poggiata sul petto di Ian, contando il numero dei suoi respiri nella più completa calma. Non avevo bisogno di tener sotto controllo il mio problema – per quanto fosse improbabile, mi bastava sentirmi lui accanto e tutto quello di cui avevo paura svaniva all’istante.

Forse, con quella vacanza, avrei scoperto anche perché proprio lui, ma, in realtà.. in realtà non m’importava.

E la cosa mi andava bene.

 



 

 

 

 

 

 

[1] Lavagna-storm xD In pratica ho recuperato gli argomenti di psicologia che ho studiato l’anno scorso e ho usato il brainstorming:  è una tecnica di creatività di gruppo per far emergere idee volte alla risoluzione di un problema. Tutti i partecipanti lanciano le proprie idee – scritte sulla lavagna- e alla fine di ogni riunione si sfoltiscono sempre di più – fino ad arrivare ad un episodio completo.
Ammetto che non è farina del mio sacco:  In una delle tante convention che ho guardato sul Tubo, ho scoperto che è davvero così che funziona la faccenda!
Spero che vada bene, anche perché mantenere il realismo rimane uno dei miei obbiettivi principali!

Seconda cosa: il Ramma lamma lamma ka dingity ding da dong!”   e “Shoo bop shoo wadda wadda yippity boom da boom!” Non sono frutti della mia schizofrenia, ma parti del testo We go together del sopra-nominato musical Grease.

Ok, che altro dire?
Per tornare in carreggiata ho usato un capitolo di passaggio – che ho voluto tenere leggero, provando a lasciare un’atmosfera serena all’interno dell’arco narrativo.
In un chicco di caffè’ anche per cercare di trasmettere le abitudini, la familiarità che Annie è riuscita a conquistare in questo mese di lavoro in Georgia.
Essere amica della crew è quasi naturale per lei e, lentamente, questo legame si sta approfondendo sempre di più. Nonostante tutto sembra non aver smesso di fangirleggiare ogni volta che sta’ con Ian – nei prossimi capitoli vedremo cosa vorrà fare riguardo la situazione, stay tuned!

Spero di non essere caduta troppo nel banale (o troppo nello zucchero xD) e che comunque vi sia piaciuto.
Per i consigli sono disposta a tutto! Fatevi sotto, gente :)

Ah, un ringraziamento super-speciale  a quelle meravigliose ragazze che mi hanno spronato a continuare questa fic , via messaggio personale.
E’ una cosa che mi ha sciolto come un cubetto di ghiaccio al sole di ferragosto; se ho ripreso in mano Vincitrice molto lo devo a voi.
Grazie di cuore. Siete state fantastiche :)

A presto, folks!
LoveYouSoMuch <3

PS: Ho revisionato il capitolo precedente, prima di scrivere questo. Quindi ho aggiunto delle cose e sistemato delle altre, se non avete proprio nulla da fare potete andare a lanciare un occhio e dirmi se magari devo riportarlo allo stato ‘originale’ :P

 

Besos,
-{Eyes

 

 

 

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Capitolo 8
*** Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali. ***


Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali.

 

 “Accidenti, Annie.”

All’imprecazione di Kristine non potei fare a meno di chiudere immediatamente la bocca alzando di scatto la testa e puntando gli occhi sulla sua figura decisamente arruffata, ancora tra le lenzuola fresche del letto, mentre cercava di sotterrare la propria testa sotto il cuscino. Nonostante stesse continuando a lanciarmi improperi e recriminazioni, tutto quello che io riuscivo davvero a sentire era una serie di mugugni soffocati difficili da comprendere... Purtroppo per me,  conoscevo abbastanza la mia migliore amica da intuire il corpo delle lamentele e tradurlo così in lingua umana senza troppe difficoltà.

Anche se non mi stava neanche guardando – impegnata com’era nell’affondare la faccia nel materasso- abbozzai un sorriso e gli mimai con le labbra uno “Scusa.” mentre riportavo lo sguardo sullo schermo del computer, attenta a non perdere nuovamente la concentrazione e pronta a ricominciare da dove avevo interrotto.

La vidi solo con la coda dell’occhio mentre sbuffava e si rifugiava dietro la porta del bagno privato che avevamo a disposizione. Kris era fatta così: odiava svegliarsi presto ma una volta che prendeva anche solo un minimo contatto con la realtà poi non riusciva a riaddormentarsi – suo malgrado, nonostante i grugniti e i versi di frustrazione-  e si sentiva obbligata a spendere ore in bagno per rendersi presentabile anche se doveva rimanere in camera a poltrire.
 Non alzai gli occhi al cielo solo perché non sarebbe stato professionale e cercai di trattenermi dal ridacchiare per lo stesso motivo – in fondo stavo lavorando e dovevo mantenere un certo contegno di fronte agli altri ragazzi della crew.

Non ripensai alla mia amica fino allo scoccare dell’ora seguente ma, quando alzai lo sguardo dopo aver spento il PC e non la vidi da nessuna parte, non riuscii a fare a meno di corrugare la fronte perplessa.

Possibile che fossi stata talmente focalizzata sul lavoro, dal non essermi resa conto che era uscita dalla stanza?

Mi alzai dalla scrivania stiracchiandomi verso l’alto, posai con cura la biro nell’astuccio e misi il quaderno nella borsa tracolla che di solito portavo in giro sul set.
Nonostante sentissi tutto il corpo indolenzito non potevo essere più felice di così; avevamo fatto un buon lavoro e l’intera faccenda delle “conferenze a distanza” era iniziata con risultati più che positivi: una webcam e una buona ricezione per il portatile erano stati più che sufficienti per rispettare il patto che avevo stretto con Julie e grazie al quale mi aveva accordato il permesso per la vacanza. Quindi ero abbastanza contenta, sì.

Andai in bagno solo per sciacquarmi il volto e rimettermi a posto i capelli con la solita coda alta, ma non resistetti oltre: dovevo volare fuori di lì. Avevo bisogno del mio caffè, accidenti.

Scesi le scale a due a due per arrivare il prima possibile al piano di sotto – dove si trovavano cucina e soggiorno (enorme, gigantesco soggiorno), più un bagno e le altre due camere che al momento erano state occupate rispettivamente da Nina e Ian.
Subito dopo il viaggio in macchina - e prima di mandarci di filata a letto-  Paul aveva ufficialmente presentato a tutti sua moglie e, con una Torrey estremamente sorridente e amichevole, ci aveva fatto fare il tour completo della casa – camere già assegnate e tutto, manco fossimo stati in gita sotto la responsabilità del prof di turno.
L’immagine di Paul come professore, poi, era stata talmente esilarante che mi ero messa a ridacchiare sotto lo sguardo allibito di Kristine che – con tutta probabilità- cercava di capire fino a che punto potevo sostenere quel viaggio.

Scossi leggermente la testa mentre mi guardavo in giro, cercando di capire come organizzarmi in quella cucina estranea; il mio primo obbiettivo era scoprire al più presto dove i Wesley tenevano il caffè – cercando anche di mantenere un minimo di contegno senza mandare all’aria ventotto anni di buona educazione in casa altrui.

Fui inevitabilmente distratta dall’arrivo di uno zombie dal salotto e non riuscii a fare a meno di sobbalzare spaventata, poi la mandai direttamente al diavolo portandomi una mano all’altezza del cuore provando a regolarizzare il respiro “Accidenti, Kris! Ti pare il modo di apparire dietro le persone?”

Di tutta risposta lei mugugnò qualcosa d’incomprensibile trascinandosi verso uno degli sgabelli vicino all’alto bancone che divideva la cucina, quindi incrociò le braccia sul ripiano e ci cadde sopra con la testa – mugugnando qualcos’altro al limite fra “troppo presto” e “uccidetemi”.

Incrociai le braccia al petto guardando con aria scettica la zazzera bionda accasciatasi sul tavolo, cercando di nascondere il divertimento “Sono le otto del mattino, Kris. Non è così presto.”

L’unica risposta che riuscii ad ottenere fu l’ennesimo borbottio soffocato di cui distinsi l’unica parola poco incoraggiante “..morte..” e quindi non potei fare a meno di sospirare, nonostante tutto confortata perché per lo meno riuscii ad adocchiare la macchinetta del caffè e vidi la mia disperazione mattutina diradarsi a poco a poco mentre constatavo che era dall’uso gestibile e non rischiavo di rompere o far esplodere niente.

Mentre mi davo da fare per prepararmi la mia dose di felicità giornaliera, cercai in Kristine qualche segno di vita “Ehi, tu vuoi qualcosa? .. Caffè?”

Nonostante il mio tentativo di darle un’esistenza più allegra lei scosse energicamente la testa, provando ad alzare il capo – apparentemente ancora troppo pesante perché dovette mettere il gomito sul ripiano e poggiare la guancia nel palmo della mano con più forza del dovuto – e io non riuscii ad evitare di ridacchiare guardandole la faccia deformata in quella maniera tanto infantile.

“Molto divertente, Annie. Sul serio.”

In risposta al suo tono piccato, tramontai semplicemente gli occhi al cielo“Oh, andiamo. Non è colpa mia se di prima mattina hai la reattività di un bradipo in coma.”

“Ma è colpa tua se sono in queste condizioni.” Borbottò lei, chiudendo leggermente gli occhi – stanchissima e frustrata perché sapeva che non sarebbe più potuta tornare a letto.

Le lanciai un sorriso di scuse mentre mi versavo il caffè in una mug pulita che avevo trovato sul bancone vicino al lavello “Non volevo svegliarti, mi spiace.”

Kris si limitò a sbuffare “Si può sapere che diavolo stavi facendo al computer alle sette del mattino? Parlavi ad uno schermo e io non credo alla tecnologia animata quindi.. Sei diventata matta?”

Ridacchiai “Sei tu che mi hai trovato il lavoro, dolcezza.” Le feci cenno con la tazza, come a voler brindare “E’ solo merito tuo.”

La testa le cadde nuovamente sul bancone – e probabilmente si fece pure male dato che stavolta non c’erano braccia ad attutire il colpo- e bofonchiò esasperata “Pensavo dovessi sgobbare nel pomeriggio, tipo quando mi posso alzare io dal letto.”

Per quanto riguardava me, mi limitai a sorridere accondiscendente, annuendo, mentre mi andavo a sedere di fronte a lei “Infatti i meeting sono alle tre del pomeriggio ad Atlanta.”

Anche da quella posizione Kristine riuscì a trafiggermi con lo sguardo, obbligandomi quasi ad  articolare una spiegazione nel modo più sensibile e comprensivo possibile

“Abbiamo un fuso orario di sette ore, genio.”

Lei nascose ancora una volta la testa tra le braccia borbottando un “ti odio.” mentre io la lasciavo alla sua disperazione sorseggiando il mio super concentrato di caffeina, mantenendo il buon’umore di sempre.

Dopo qualche minuto, una risata aperta ci fece voltare il capo verso Nina che – allegra e sudata nella sua tuta sportiva dell’estate- era entrata dalla porta sul retro che dava alla spiaggia e ci stava guardando divertita “Che mi sono persa?”

Le feci un cenno di saluto con la mano e le dedicai un sorriso “Oh, niente. Solo Kris che prova ad entrare nel cast di ‘The Walking Dead.’”

Nina si sedette al mio fianco asciugandosi il collo bagnato con un asciugamano bianco, rivolgendosi nel mentre alla biondina davanti a noi “Tifi per la concorrenza quindi?”

Finalmente Kristine alzò la testa e si mise a sedere composta, senza appoggiarsi più a nulla e dandosi un certo contegno - nonostante la chiazza rossa che sfoggiava in bella vista proprio in mezzo alla fronte “Si può sapere che facevi tu in spiaggia a quest’ora?”

L’attrice si limitò a ridacchiare mentre si rialzava per dirigersi al frigo “Yoga.” Rispose poi, prendendosi una bottiglietta d’acqua tornando ad adocchiare la faccia orripilata dell’altra ragazza “Il mare è stupendo, di mattina il caldo non è troppo afoso ed è rilassante.. se vuoi domani ti sveglio prima e lo facciamo assieme.”

Kristine balzò in piedi allontanandosi di scatto e puntandole contro un dito “Lontano da me, Satana!”

Quando Paul e Torrey arrivarono sulla soglia della cucina – entrando dalla porta principale, già vestiti di tutto punto- la cucina era ancora avvolta da una bolla d’ilarità e prese in giro di un’amicizia sempre più profonda.

oookay.”  Vidi Paul rivolgersi a sua moglie con un sorriso affezionato e  due occhi fintamente atterriti “Fai le valige e scappiamo, non siamo più al sicuro da queste parti.”

Torrey si limitò ad alzarsi leggermente sulle punte e dargli un piccolo bacetto sulle labbra, pattandogli amorevolmente il braccio “Non possiamo, rassegnati tesoro.”

Kristine li fissò terrorizzata “ Che ci fate anche voi già svegli!?” per poi borbottare un “Oh mio Dio, sono circondata.”

“Abbiamo portato la colazione.” Esclamò Torrey, avvicinandosi con il marito e sedendosi al bancone con noi.

Kristine li guardò entrambi con fare circospetto, tornando a sedersi con cautela “Che tipo di colazione?”

Per tutta risposta Paul si schiarì la voce con la mano a pugno davanti alle labbra, come a fare un annuncio di particolare importanza “Muffin e ciambelle. Senza dimenticare il chilo di gelato con cui riempire le brioche, ovvio.”

Sapevo che l’ultima frase avrebbe avuto un effetto più che positivo su Kristine, quindi non mi scomposi più di tanto vedendola illuminarsi e saltellare ringraziando i gentilissimi-issimi signori Wesley semplicemente per esistere e per averla salvata da una mattina traumatizzante.

Tuttavia non potei fare a meno di prenderla in giro “La tua fissazione per il gelato è alquanto sospetta, sai Kris?” e il riferimento a Joe e al suo lavoro in gelateria era per niente celato e ben in vista anche a chi non sapeva nulla della sua cotta.

Lei ricambiò la scoccata con un sorriso completamente fraintendibile (e maledii immediatamente la mia boccaccia larga) “Ehi, non essere gelosa. Anche se io mi prendo il ‘Salvatore’ della mattina, tu hai l’altro.

Paul rise ma io continuavo a guardare Kris ad occhi spalancati, cercando di nascondere il rossore sulle guance. Dannata amicizia telepatica.

“A proposito!” Fu Nina ad interrompere il momento d’imbarazzo “Forse non sei l’unica dormigliona, Kris ... Chi va a svegliare Smolder, gente?”

***

Ok, mi ero offerta senza pensarci. Sì, lo avevo fatto, ma solo perché gli altri volevano fare colazione e a me di solito bastava un caffè. Sul serio.
Non è che morissi dalla voglia di vederlo o stare un po’ con lui, no. Figuriamoci.

Mi diedi dell’idiota per la quinta volta nel giro di due minuti e sospirai. Ero ridicola. Stavo davanti alla sua porta con il pugno alzato, pronta a bussare ed entrare, ma senza il coraggio per farlo veramente. Non ne sapevo il motivo ma avevo un pessimo presentimento riguardo a ciò che stavo per fare.

Oh, andiamo.

Cercai di scuotermi alla bell’e meglio. Mi stavo comportando da stupida e la parte peggiore era che lo sapevo perfettamente.

E’ Ian! L’attore per cui mi sono presa una sbandata mostruosa, certo, ma … è Ian. Lo stesso ragazzo con cui ho stretto amicizia nelle ultime quattro settimane. Non mi ha mai mangiato, no? Certo che no. Lui non mangia le persone. A lui piacciono gli hamburger, giusto?

Perché mai dovrebbe iniziare la sua antropofagia con me, poi?

Seriamente, stavo arrivando ad un livello di demenza preoccupante con i miei ragionamenti contorti – e , ovviamente, la mia ansia ingiustificata non aiutava proprio la situazione, ecco. Avevo davvero pensato al cannibalismo? Oh, Dio. Stavo degenerando e la cosa era preoccupante.

“Sono un’idiota.” Mormorai sconfitta ma  ehi! sesta volta in due minuti e mezzo!

Dalla cucina si sentiva ancora il vociare della compagnia, quindi provai a darmi una svegliata. Non volevo che venissero a controllare se andava tutto bene.
Non avevo idea del perché ma volevo che fosse un momento mio, solo mio – almeno per quella mattina. Non era troppo da chiedere, no?

Smettila di pensarci e bussa, deficiente!

La voce che mi rimbombò in testa era vagamente – e inquietantemente – assomigliante a quella di Kris, ma almeno riuscii a darmi una regolata.
Bussai svelta due volte e non mi presi neanche la briga di aspettare una risposta – tanto, teoricamente, nove possibilità su dieci, stava ancora dormendo e non avrebbe potuto rispondere in ogni caso.

Spalancai la porta con rinnovato entusiasmo, ma il sorriso mi morì sulla faccia lasciando spazio ad un’espressione al limite tra lo scioccato e terrorizzato.

Evidentemente quella era la fatidica decima volta.

Porca di quella-

Ian era decisamente sveglio; il letto sfatto e vuoto, la stanza già pienamente illuminata dal sole grazie alla portafinestra alla destra e lui in piedi, glorioso e bellissimo in mezzo alla camera, con solo un dannatissimo asciugamano legato alla vita.

Si era appena voltato verso di me, con la faccia a punto interrogativo – o beata innocenza- e un’altra salvietta in mano mentre si asciugava il petto bagnato di doccia mattutina.

Per farmi scattare ci vollero tre secondi e mezzo spaccati, la strigliata di un cuore sull’orlo di un infarto epocale e la scossa elettrica dei poveri neuroni-superstiti che mi rimanevano – ormai arrivati al limite anche loro, poveretti. Il tutto armonicamente condensato in una bolla di calore che mi esplose in faccia – facendomi raggiungere lo stato di calore di una super nova- e in un gridolino decisamente acuto che mi sarei risparmiata volentieri se  fossi stata in possesso di tutte le mie facoltà celebrali.

“Oh mio Dio!”

Mi girai all’istante, cercando di scappare dalla stanza e rifugiarmi in corridoio ma fui inevitabilmente bloccata dalla porta che – infida bastarda- si era chiusa da sola in un momento indeterminato della situazione – facendomi così scapicollare al pessimo risultato di una botta allucinante al naso e una caduta all’indietro di sedere a causa dell’impatto improvviso.

Ma che cazzo!

Ian scoppiò a ridere senza ritegno e io mi pietrificai. Fosse stato un momento qualunque mi sarei goduta quel suono piacevole ma, sfortunatamente, non era un momento qualunque.
Somerhalder era dietro di me praticamente nudo e io non riuscivo a ragionare (né a respirare, se era questo il problema); in un secondo pensai ad un tribunale con dei giurati: se qualcuno avrebbe mai voluto farmi causa per un comportamento del genere, l’umanità nei cuori della gente mi avrebbe assolta.
Avrei avuto l’appoggio di tutti, sarebbe stata legittima difesa!

Accidenti, in che diavolo di situazione mi sono cacciata?

E lui non aveva nessun problema, lui se la rideva – perché era uno stronzo sicuro di sé, senza la più pallida idea di che effetto potesse mai avere sulla gente e se lo poteva permettere. Strizzai le palpebre con più forza del dovuto e probabilmente usai un tono più acido del necessario “Credi sia divertente, Somerhalder?”

Oh sì!” Rise lui, ancora più forte, facendomi imbarazzare e – di netta conseguenza- incazzare ancora di più.

Strinsi la mascella con forza e decisi di diventare una statua. Una statua che non stava arrossendo, che non avrebbe ricordato quel momento per tutta la sua miserabile non-vita e che, ovviamente, non stava cercando qualcosa – una vanga, un cucchiaio.. un cane ben addestrato?- per poter cominciare a scavare nel pavimento nella speranza di arrivare in Cina per mezzanotte.

Dopo qualche istante, le grasse e grosse risate di quell’infame d’un attore  s’acquietarono ma io non feci neanche in tempo a commentare il lasso di tempo – incredibilmente lungo-  che aveva usato per placarsi, che sentii la sua voce arrivarmi fin troppo vicina

“Ehi, dai. Tirati su.”

Era bassa e calma – decisamente troppo vicina- e non potei evitare di sentir una cascata di brividi colar giù per tutta la schiena.
Poi Ian ebbe la geniale idea di poggiarmi una mano sulla spalla e il contatto non fece che aggravare ancor di più il mio stato psico-fisico – mancava poco che diventassi una cosetta raggomitolata e balbettante sul pavimento, senza più traccia di capacità logico sintattiche e razionali.

“Annie, guarda che è tutto ok.” Probabilmente stava cercando di farmi aprire gli occhi ma, a quanto pareva, non era ancora a conoscenza nella mia recente evoluzione in un blocco di marmo modellato. Per quanto riguardava me, dovevo semplicemente resistere e imparare a non respirare per il resto della mia esistenza (quantomeno stare con Ian era stato un ottimo allenamento per quest’ultima parte del piano.)

“Dai, alzati.”

Come previsto da programma giornaliero cedetti dopo circa quattro secondi e tre quarti – complimenti ragazza, non c’è che dire- e  aprii con uno scatto solo la palpebra destra, muovendo poi unicamente la pupilla così da scorgere il braccio dell’attore teso verso di me in muto invito a farmi aiutare per tirarmi in piedi.

Deglutii nervosa, la gola completamente secca. Poi richiusi anche quell’occhio, ostinata “Prima vestiti.”

Ian sospirò ma non sembrava turbato, anzi. Sbuffò una risata e la voce mi giunse leggermente più lontana di prima “Paura di saltarmi addosso, Anastasia?”

Che bastardo.

Usare il mio nome per esteso con un tono di voce del genere era proprio una cattiveria bella e buona. Registrando il fatto che i miei neuroni si collegarono efficientemente per qualche secondo, riuscii a capire che no, accidenti, Somerhalder sapeva esattamente che effetto aveva sulla gente ed era anche abbastanza furbo da rigirarsi la situazione come più gli piaceva.

Non potei fare a meno di sorridere e rispondere ostentando una calma che non avevo, manco a cercarla con una sessione no-stop di meditazione intensiva; o forse era il sollievo di scoprire che non dovevo necessariamente subire un trapianto di cervello, dato che il mio scapicollava ma resisteva ancora alle forze nemiche. 

“Oh, non ne hai idea. Potrei aggrapparmi a te stile scimmia-ragno e non mollarti più.”

Lui rise ancora e lo sentii armeggiare con qualcosa – sperai ardentemente in vestiti. O una tenda. Sul serio, mi andava bene anche lo stile spartano, ma doveva coprirsi. Ne andava della mia salute.

 Passò forse meno di un minuto e Ian disse d’esser pronto.

“Mi posso fidare?”

Non lo vidi, ma me lo immaginai mentre alzava gli occhi al cielo. Ridacchiai mentre lui sbuffava “Vuoi davvero una risposta o posso mandarti a quel paese già da adesso?”

Ridendo aprii entrambi gli occhi guardandomi in giro – evitando accuratamente la figura del ragazzo- e scoprii che in qualche modo avevo fatto cadere la chiave dalla serratura, dato che stava in bella mostra di sé sul pavimento poco più avanti di me. Guardai la porta con aria di sfida – ti odio.  Tutta colpa di quel pezzo di legno.

Mentre mi alzavo e mi chinavo per prendere la chiave e re-infilarla nella toppa, non potei fare a meno di pensare – e borbottare- su quanto, l’intera faccenda, sembrasse un complotto. Magari accidentale, ma pur sempre un complotto.

Quando mi girai per confidare a Ian le mie nuove delucidazioni su ciò che era appena accaduto, non potei fare a meno di aprire la bocca con fare indignato.

Il suo essere ‘pronto’ consisteva in un pantalone-costume che gli arrivava al ginocchio, un paio di infradito e una camicia bianca sbottonata.

Incrociai le braccia al petto, inarcando le sopracciglia e obbligandomi a non chiudere nuovamente gli occhi “Mi stai provocando, Ian?”

Lui ridacchiò – ma stavolta percepii  nella risata qualcosa di malvagio “Può darsi.”

Ormai la mia gola era più secca del Sahara, cercai di portarmi un po’ di saliva almeno sulle labbra leccandomele velocemente ma la lingua mi pareva esser fatta di carta vetrata.
Nonostante questo non volevo dargliela vinta “Beh, non ci stai riuscendo.” Mentii clamorosamente, cercando di mostrarmi più indifferente possibile – davvero: impresa semplicissima, soprattutto dopo il fantastico siparietto che avevo messo in piedi neanche due minuti prima.

“Sarà..” Sospirò lui, con fare rassegnato e divertito insieme “Ma ancora non mi hai guardato negli occhi, Annie.”

Sentii la mia faccia tornare allo stato peperone, ancora.
Ma che diamine! Non volevo mi facesse quell’effetto; lui non poteva farmi quell’effetto.

Vinta da un’ondata di sicurezza che non avevo idea da dove provenisse – forse dal fastidio, nei confronti di chi dei due non avrei saputo dirlo-  mi avvicinai a passi decisi verso di lui.
Mi ci parai davanti e cominciai ad abbottonargli la camicia – concentrandomi principalmente sulle mani per non farle tremare - e una volta arrivata all’ultimo bottone in cima alzai la testa per guardarlo dritto nei bulbi oculari; così imparava, il babbeo, ad attentare a quel povero cuore che avevo in petto.

Che diavolo-?

Quello che mi prese alla sprovvista fu il sorrisetto affezionato che gli ritrovai sulle labbra – e non potei evitare di sentirmi le guance andarmi a fuoco, imbarazzata in maniera più dolce rispetto a prima ma comunque incredibilmente  rossa in viso.

“Sei una scimmietta-ragno molto controllata, te l’ha mai detto nessuno?”

Seh. Questo perché non sei mai entrato nella mia testa.

Inaspettatamente risi senza problemi. Era incredibile: aveva su di me un effetto totalmente destabilizzante ma, al contempo, era comunque in grado di farmi ridere, sentire felice – e un po’ idiota, sì, ma questo lui non lo avrebbe mai saputo.
Era una sensazione strana stargli accanto, che ancora non era riuscita a catalogare – ma andava bene lo stesso, perché non era negativa e quindi non era neanche pericolosa. O almeno così speravo.

Nonostante l’ilarità del momento, Ian riuscì a mandare tutto allo scatafascio nell’arco di un istante.

“E’ sempre divertente fare i giochetti da fan su di te,” ridacchiò lui “Abbocchi sempre, poi cerchi di mantenere un certo contegno ma l’espressione che hai negli occhi è sempre adorabilmente in poltiglia.”

Sentii il cuore cadermi nello stomaco, torturato dagli acidi gastrici e rinchiuso in un sacchetto soffocante, nella più perfetta delle torture mai provate.

Fantastico. Un giochetto da fan. Quanto sei stupida da uno a mille, Anastasia?

Cercai di scuotermi velocemente, provando ad ignorare la sensazione che avevo ricevuto alla sua minimizzazione di tutto quanto – o forse ero io ad ingigantire ogni momento passato con lui?

“Ah - ah, divertente Smolder, sul serio.” Provai a ironizzare “Adesso perché non andiamo a fare colazione,mh? Era questo il motivo principale per cui sono finita qui, sai?”

Aprii la porta e gli feci cenno con l’altra mano di circolare ed uscire, sorridendo e allargando gli occhi in una smorfia infantile per la quale non potei evitare di dar la colpa allo stress e alla leggera ansia che comunque mi rimaneva sotto pelle.

Ian non sembrò accorgersi di niente e uscì in corridoio continuando a blaterare su quanto mi avrebbe ancora preso in giro per quello che era successo – “Entrata così all’improvviso in camera mia mentre mi cambiavo.. pff, ammettilo che volevi approfittarti di me!”

Alzai gli occhi al cielo, nonostante tutto sorridendo.

Lo affiancai velocemente e risposi alla provocazione tutto sommato abbastanza tranquilla “Se avessi davvero voluto approfittarmi di te, caro il mio attore da strapazzo, anziché abbottonarti quella camicia te l’avrei strappata via. A morsi. Non so se mi spiego.”

E continuai a camminare lungo il corridoio con un sorrisetto vittorioso sulle labbra, girandomi per adocchiarlo senza neanche fermarmi, solo per godermi la sua faccia stupita e gli occhi azzurri leggermente sgranati.

Risi apertamente mentre tornavo in cucina, cercando di ricordarmi che avrei dovuto tenere i piedi per terra anche se questo non significava di per sé che non mi sarei potuta divertire nel frattempo.

Adesso mi dovevo solo godere quell’estate al massimo, cotta o non cotta.

 

 

Ehilà, gentaglia!

Niente, solo un capitoletto leggero per augurarvi un buon inizio vacanze :)
Anche nella storia è inizio Luglio e anche nella storia le future parole chiave saranno: caldo, mare e l’aMMoreh.

Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo (dato che è ancora tutto da scrivere) ma quantomeno ce l’ho ben organizzato in testa, quindi vi posso solo dire che – se va come dovrebbe- ci saranno ancora scene Ian/Annie simili a quella di questo capitolo ma, soprattutto, finalmente si va in spiaggia! Olè!

Spero, a presto :)

Hasta!

Tess <3

PS: ... già, il mio rapporto con i titoli è sempre più complicato. #Shame.

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