Vincitrice per Sbaglio. di puntoeacapo (/viewuser.php?uid=140957)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ho già detto che è un genio? {Prologo} ***
Capitolo 2: *** Ka-boom! Breaking News! ***
Capitolo 3: *** Benvenuta in famiglia, Annie. ***
Capitolo 4: *** Marie's. ***
Capitolo 5: *** Marie's - Seconda parte. ***
Capitolo 6: *** Secrets by Moonlight. ***
Capitolo 7: *** In un chicco di Caffè ***
Capitolo 8: *** Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali. ***
Capitolo 1 *** L'ho già detto che è un genio? {Prologo} ***
Premessa:
Eccoci qui con un
nuovo esperimento da parte mia..
Premetto nel dire che non ho la più pallida idea di dove
mi porterà questa prima Fanfiction sul Cast di TVD,
l'ispirazione è arrivata e
io l'ho semplicemente abbracciata :)
E' una storia collegata a Custodi del Cuore - Fic terminata da poco
sul telefilm vero e proprio di The vampire Diaries.
Nonostante questo è possibilissimo leggerla anche a parte.
*Nell'asterisco
si parla di Season Two, perché Custodi del Cuore
è ambientata
da quelle parti nonostante alcune modifiche apportate per la storia.
Dato che questo
è solo il Prologo è un po' corto ma lo posto solo
per
vedere che effetto fa, per sapere - insomma- se è bene
continuare questa pazzia
oppure no.
Se andrà bene i prossimi capitoli saranno più
lunghi.
Buona lettura :)
Baci,
-Eyes.
PS:
Cercherò di rendere la storia più realistica
possibile,
sono un tipo che punta molto sulle emozioni - quelle vere, che ogni
ragazza o
ragazzo potrebbero provare-
quindi non troverete , come protagonista, una ragazza che conquista
l'America
grazie al suo essere brava in tutto o temeraria o spavalda.
Non perché non vada bene, anzi, ma semplicemente
perché io non riuscirei
a renderla al meglio perché non saprei
cosa scrivere,
dato che non sono affatto così :P
Spero piaccia e
intrighi lo stesso.
Prologo.
L’ho già detto
che è un genio?
Aprii la porta di casa lasciandomi cullare dalla sensazione di
tranquillità che
le giornate di sole riuscivano a portarmi, faceva caldo e non
c’era un filo di
vento ma a me piaceva lo stesso. Gridai
il solito “Sono
tornata!” seguendo la
mia routine e mi diedi subito dopo dell’imbecille da sola
– anche questo,
seguendo la famosa routine; vivevo per conto mio da poco più
di un anno ma
l’abitudine di avvertire del mio arrivo non l’avevo
ancora lasciata alle
spalle.
Non ero del tutto sola però. Ridacchiai vedendo Puck venirmi
incontro: il mio
meraviglioso Golden Retriver, cucciolo di appena dieci mesi –
preso appena una
settimana dopo il mio trasferimento - mi corse incontro abbaiando
vivace e
dandomi il suo personale bentornato. Capitava poche volte che lo
lasciassi solo
a casa, in effetti lo facevo solo per emergenze dell’ultimo
secondo o
commissioni che si potevano sbrigare velocemente
all’angolo della strada.
A quanto si diceva
in giro ero una ragazza affidabile ma a volte troppo seria, matura ma
ancora
una volta fin troppo e questo restringeva di molto la mia cerchia di
amici.
Dal mio punto di vista ero una ragazza sempre allegra e non mi
importava se
prendevo certi argomenti ‘fin troppo’ seriamente
perché ero fatta così e di
cambiare non avevo voglia: ero Anastasia Di Marco, punto.
“Ciao bello!”
Salutai la piccola palla di pelo con una carezza sul muso e mi avviai in soggiorno velocemente.
Afferrai il
portatile sul tavolo e mi buttai a pesce sul divano, sdraiandomi
comodamente
mentre poggiavo il computer sulle gambe e mi accingevo ad accenderlo.
Vidi Puck
scodinzolare ai piedi del sofà gli indirizzai un sorriso di
scuse “Ti prometto
un’uscita al parco fra venti minuti.” Lo accarezzai
nuovamente facendolo
abbaiare e mi connettei su Skype alzando
gli occhi al cielo al suono dell’imminente chiamata in
arrivo. Non avevo
neanche fatto in
tempo a passare
‘online’ che quella pazza furiosa mi
aveva trillato. Accettai la chiamata e le grida dall’altra
parte dello schermo
mi fecero sobbalzare spaventata.
“Kristine!”
La situazione
era al limite. Ero abituata agli scatti da matta della mia migliore
amica, ma
questa rasentava il ridicolo (e, francamente, era anche abbastanza
preoccupante); non riuscivo a guardarla in volto, il PC probabilmente
era sul
letto e l’unica cosa che potevo sentire erano le sue grida
estasiate mentre
saltava davanti alla webcam.
Anche Puck abbaiò e io la richiamai
nuovamente”Kris, per l’amor del Cielo!”
Quando lei si
lanciò verso il computer, per un momento ebbi davvero paura
che attraversasse
lo schermo facendo un volo cibernetico dalla Georgia in Italia.
Scrollai il
capo cercando di cancellare anche il tremito di terrore al pensiero di
una
simile possibilità.
Kristine aveva
il fiatone e le guance arrossate, i capelli – abitualmente
liscissimi e
biondissimi e perfettissimi- erano scompigliati e ricadevano malamente
sui suoi
brillanti occhi verdi. “Non ci crederai mai!”
Strepitò, ovviamente in americano,
talmente veloce che ebbi qualche difficoltà a capire le
parole esatte. Non che
servisse, comunque: che era eccitata all’inverosimile lo
avevo capito appena
aperta la finestra di conversazione.
“Che ne dici di
prendere fiato e fare capire anche a me, povera comune mortale quale
sono?” Era
strano sentire me stessa parlare in americano così
facilmente e sapevo che gran
parte era merito di quella ragazza: se non fosse stato per lo scambio
culturale
che l’aveva portata da me, in casa dei miei genitori quando
avevamo solo sedici
anni, probabilmente sarei ancora a guardare film in lingua originale
sognando
ad occhi aperti di avere una conversazione extralinguistica senza
problemi. E,
sicuramente, quel tornado biondo non sarebbe mai diventata la mia
migliore
amica.
Scossi la testa
mentalmente e provai ad ascoltarla, cercando di comprendere. Come
previsto, il
primo tentativo fallì miseramente, bombardato dalla
mitraglietta eccitata che
era la voce di Kristine; dovetti minacciarla di chiudere la connessione
se non
avesse parlato con più calma, prima di convincerla
quantomeno a respirare tra
una frase e l’altra. Lei aveva sbuffato mettendosi comoda sul
letto, il suo
broncio durò qualche misero istante e –
nuovamente- i suoi occhi assunsero quel
particolare brillio, a mio avviso molto inquietante.
“Julie Plec è
un genio.” Esordì e, così facendo, non
poté che non attirare la mia attenzione.
A quanto pareva, si era esaltata grazie alla nostra passione comune:The
Vampire Diaries - lo show più popolare del
momento, con trama, attori e
produttori fantastici. Una delle series
migliori che si trovavano sul mercato.
Corrugai la
fronte, ma sorrisi curiosa “Dimmi tutto.”
Kristine mi rispose con il fervore di prima, ma stavolta più
comprensibilmente “Quella
santissima donna ha avuto un’idea brillante.
Non che io sia stupita: ho sempre saputo che è un genio! Non
te l’ho mai detto
che è un genio? Non importa, il punto fondamentale riguarda
la seconda stagione!”
Fece un paio di gridolini che scelsi di ignorare per il bene dei miei
nervi e
l’ascoltai continuare “Praticamente è
uscito un articolo dove Julie era
entusiasta del calore dei Fan e ha annunciato un’idea per
entrare un contatto
con noi!”
“Non capisco.
Cos’è che ha detto? Che idea?”
“Un concorso.”
Fu la solenne risposta che, comunque, non illuminò di molto
l’antro buio che
era la mia testa. Si creò uno strano silenzio che fu
interrotto dopo un paio di
minuti dal mio italianissimo “Embè?”
il quale
sapevo avrebbe fatto innervosire
l’Americana.
Anche Kristine
capiva l’italiano, non lo parlava perché era
pigra, ma lo capiva; questo spiegò
la sua faccia indignata “Embè?
Io sgancio la bomba e tu rispondi Embè!?”
Scossi la testa,
cercando di recuperare qualche altro indizio “In cosa
consisterebbe questo
concorso?”
Nonostante il
primo impulso di lanciarmi un’occhiataccia micidiale,
Kristine si arrese alla
mia espressione perplessa e mi sorrise con affetto “ Un
concorso per diventare
assistente sceneggiatore.” -
ehi, quello è il mio
cuore, fatelo
ripartire! - “L’articolo diceva che avevano
già iniziato a spulciare nel nostro
fandom, e che hanno avuto una così bella impressione che si
sono buttati in
questa iniziativa. Una roba assurda! Non era mai successo!”
Beh, dovevo
ammetterlo: ero sconvolta. Che idea.. pazza. Lavoro
di professionisti
buttato al vento, affidamento a mani sconosciute e del tutto inesperte.
Era
folle.. e per questo, soprattutto per questo, credevo
potesse funzionare;
insomma perché non avrebbe dovuto?
L’incremento degli ascolti sarebbe schizzato alle stelle,
un’idea del genere
avrebbe puntato l’occhio di bue solo su di loro.
Probabilmente c’era da prendere
in considerazione anche che a fine concorso, i partecipanti mandati a
casa
avrebbero potuto avere chissà quale reazione negativa. Le facce della medaglia
erano due, ed
entrambe portate agli estremi. Come diavolo si faceva a rischiare
così tanto?
Chiesi a
Kristine di farmi leggere l'articolo e me lo inviò per
posta. Quando lo lessi
lo feci con il massimo dell'attenzione.
Nuove idee,
nuove situazioni, nuovi desideri.
-Aveva scritto la Plec- Metterci
in contatto con i nostri Fan è un desiderio non solo mio
ma di tutti i
ragazzi; soprattutto Ian Somerhalder { plays Damon Salvatore}
mi ha
appoggiato in quest'idea che ha definito pazza e pericolosa.
Ha persino detto che la ama solo per questo [Ride] senza
dimenticarci
dell'appoggio di Kevin e di altri attori come la favolosa Nina Dobrev e
Paul
Wesley.
Chissà chi entrerà nelle porte dei nostri studi ,
io sono impaziente di
scoprirlo tanto quanto voi.
“Porca
puttana..” Mormorai persa nei miei pensieri,
scioccata. Kristine rise
“Sapevo avresti reagito così! E’ un
genio, l’ho detto!” Ripeté allegra.
Io la guardai sorridente “Non vedo l’ora di vedere
la prossima stagione! Chissà
chi sarà la fortunata! E pensare che ci lasceranno quasi un
anno in balìa della
curiosità..” Ridacchiai.
“Ehm.. a
proposito di questo..”
Mi voltai di
scatto verso di lei. Kristine non faceva mai Ehm.
Lei era la sicurezza
fatta persona, possedeva una sfacciataggine da far paura anche a me,
quindi non
poteva fare Ehm.
La guardai con circospetto. “Che hai fatto?”
L’accusai avvertendo una strana
sensazione al basso ventre. Paura.
“Ti ricordi la
versione con la traduzione americana della tua favolosa e
magnifica
storia che mi hai inviato qualche mese fa?”
“No, no,
no,no.” La guardai sbigottita “Non puoi averlo
fatto! No!”
“Ma perché no?”
Si difese lei “Perché non tentare,
Annie?”
Ero a bocca
aperta, non credevo al senso delle parole della mia amica
“Dimmi che l’hai solo
stampata. Dimmi che è ancora a casa tua e che aspetta il mio
permesso
per partire per gli studi cinematografici o da qualunque parte
finiscano certe
cose!”
Kristine
abbassò lo sguardo.
Senza controllo
imprecai in modo prettamente Made in Italy, condendo il tutto con
occhiatacce e
minacce di morti lente e dolorose, alzando abbastanza il tono di voce
– il
qualche apparentemente disturbò Puck che se ne
andò in balcone, indignato
da quel frastuono.
La biondina mi
bloccò dopo qualche minuto, indispettita
“Piantala, Anastasia. Stai esagerando,
non credi?”
“No.” Risposi
arrabbiata “Non credo. Dovevi chiedermelo.”
“Ah si?” Fece
lei ironica “E tu mi avresti risposto no,
o peggio che ci avresti pensato
aspettando la fine di tutto magari uscendone con un ‘Ops,
il tempo è scaduto.’
O roba simile. E non negare, ragazza.”
Io mi
imbronciai borbottando “E dove sta’ il
problema?”
Lei alzò gli
occhi al cielo “Il problema è che la tua paura
ti frena e ti bloccherà
sempre in quel paesino sperduto di periferia dove ti trovi. So che
scrivere storie
è la tua passione, nonché punto di forza; so
anche che hai fantasticato non so
quante volte di vedere i tuoi nuovi personaggi in una produzione sul
grande
schermo , allora perché non lanciarsi allo
sbaraglio?”
“Sbaraglio. E’
proprio dove potrei finire. Qui ho la mia casa, la mia
università, i miei
amici.. come credi possa lasciare tutto e andarmene?
C’è anche Puck, per la
miseria!”
“Non creare
problemi dove non ci sono. La tua bella casetta puoi anche lasciarla
stare,
venire qui in America non sarebbe un problema. Ci sono io e verresti a
stare da
me: un letto per farti dormire ce l’ho, dato che vivo da
sola. E ti vorrei
anche ricordare che hai terminato i tuoi corsi universitari e che sei
ormai
bella che diplomata con un punteggio di ottantotto su cento. Per non
contare
della tua laurea – presa così ..pff..
per hobby – in scrittura
creativa. Non hai scusanti: i soldi per il viaggio li chiedi a papino e
a
mammina o te li invio io per posta. L’importante è
che non ti blocchi tremante
a casa tua come una fifona di prima classe.”
Il suo sfogo
era stato del tutto inaspettato, tagliente e vero. Schietto come
lei e
reale, talmente reale che mi sconvolse “Stai dimenticando una
cosa, comunque.”
Brontolai rossa di vergogna, distogliendo lo sguardo come una bambina
delle
elementari, anziché una ragazza di ventiquattro anni.
Lei corrugò la
fronte “Ovvero?” Domandò ancora con fare
altezzoso.
“Probabilmente
a partecipare a questo concorso saremo milioni.” La guardai
scettica “Ti
aspetti davvero che io vinca?”
Kristine fece
un gesto veloce con la mano, come a voler scacciare le mie parole
“Povera
illusa.” Esclamò solenne “Sono certa che
la tua Fan fiction sarà la
prima della pila che controlleranno. Di conseguenza tutte le altre
finiranno
nel cestino e Puff! Ti ritroverai sul primo volo per Atlanta, Virginia!
Lascia
fare al destino, su.”
Ci guardammo un
attimo entrambe serissime e poi, poi scoppiammo a ridere come due
stupide. Più
che altro, per sciogliere la tensione.
“Allora non
sei.. arrabbiata?”
“Dipende. Com’è che tu mi hai chiamata? Fifona
?”
TBC
|
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Capitolo 2 *** Ka-boom! Breaking News! ***
A/N: Allora,
sto
ingranando xD Piano piano, anche questa Fic mi sta
catturando… nonostante
l'insicurezza (perchè davvero non so dove mi
porterà questa Long ed è una
situazione un po' nuova).
Quindi se avete consigli, son tutt’orecchie!
Forse è
meglio premettere subito che sono un tipo
che quando scrive vuole prendersela con comoda con quello che accade
nelle sue
storie,
nel senso che sto cercando di far diventare tutto più realistico
possibile.
In Primis il personaggio di Anastasia, poi tutto il resto.
Noterete che tengo molto a snocciolare - quà e
là - qualche notizia, o qualche
aggettivo che lentamente formeranno il puzzle della nostra protagonista
facendoci scoprire qualità, spregi, ambizioni, affetti e
modi di fare.
Probabilmente ci sarà un altro capitolo di "Stasi."
perchè credo sia
nel terzo quello in cui Annie entrerà in
contatto con il Cast e tutto il
resto.
Spero non dispiaccia troppo, questo mio modo di fare :P
Beh,
comunque questo è il mio inizio.. Speriamo bene,
allora!
Baci,
-Eyes.
Ka-boom!
Breaking News!
Era una
passeggiata tranquilla, il sole dei primi
giorni di giugno poteva mettere di buon’umore anche la
persona più triste e
mogia del pianeta. O almeno secondo me.
Con la mano sinistra tenevo il guinzaglio a Puck mentre con la destra
il mio
gustosissimo cono gelato che mangiavo canticchiando qualcosa in testa;
ero
quasi arrivata a casa quando vidi la signora Emilia – una
vecchietta eccentrica
che era al contempo la mia adorabile vicina dagli occhiali tondi e i
riccioli
bianchissimi.
“Anastasia,
cara.” Mi salutò con un largo sorriso.
Ricambiai, fermandomi “Buongiorno, signora. Perché
così di buon’umore?”
“Oh, nulla di importante! Mio nipote Francesco mi ha mandato
una cartolina
dalla Sicilia, salutandomi con delle ‘x’ e delle
‘o’…”
“Suo nipote la bacia e l’abbraccia, si vede che la
bella isola del Sud gli
piace molto!” Ridacchiai ripensando a quel ragazzo tanto
burbero che avevo conosciuto
appena arrivata; avevamo fatto amicizia grazie alla signora Emilia che
mi aveva
poi raccontato che era così con tutti e quindi di non
preoccuparmi. Tutto
sommato mi stava simpatico e aveva solo un paio di anni in
più di me.
“Voi giovani e i vostri strani codici.”
Rimbrottò la mia vicina scuotendo la
testa.
Io risi e la salutai, sentendo Puck tirare il guinzaglio per tornare a
casa.
Probabilmente aveva fame. Onestamente ancora non avevo capito come un
cucciolo
così piccolo poteva avere una tale forza da sbilanciarmi;
ero convinta che
sarei rimasta col dubbio di aver in casa un cucciolo di dinosauro
anziché di
Golden Retriver.
Aprii il
cancelletto della casa lasciando
immediatamente il mio cagnolino libero per quel piccolo spazio verde,
davvero
piccolo ma per lui forse abbastanza grande, e percorsi il piccolo
vialetto di
ciottoli fino ad arrivare alla porta di ingresso. L’aprii
entrando e cacciando
il saluto al nulla “Sono tornata!” e scuotendo la
testa – ormai rassegnata a
quell’abitudine ormai radicata in me- mentre versavo un
po’ d’acqua e
croccantini nelle ciotole di Puck.
Uscii fuori e lo vidi giocare con una pallina che gli aveva regalato
mia madre
– sebbene contraria agli animali domestici- dopo che le avevo
detto che lo
avevo preso nonostante mi avesse consigliato di no.
La storia di Puck era un po’ complicata e non era certo il
momento di andarla a
ripescare, con un breve fischio lo chiamai e lui si fiondò
su acqua e cibo.
Alzai gli occhi al cielo, ripensando al fatto del dinosauro e del cane
scambiati
al momento della nascita.
Involontariamente
lo sguardo mi cadde sul cancello di
metallo verniciato, rimasto socchiuso. La buca delle lettere era
lì vicino e si
vedeva che il postino aveva fatto un salto anche a casa Di Marco.
Erano passate tre settimane dalla notizia scioccante di Kristine che
aveva
mandato la mia storia al concorso della Plec e – con sollievo
ma nonostante
tutto un pizzico di delusione- a me non era arrivata alcuna risposta.
Presi
quello che c’era nella cassetta –
pubblicità, bolletta, pubblicità,
pubblicità,
promozione negozio all’angolo, bolletta e
pubblicità.
Nella norma. Nessun mittente oltreoceano.
Richiusi per bene il cancelletto e feci per rientrare in casa, quando
Puck mi
passò tra le gambe facendomi cascare come un sacco di
patate. “Puck, per la
miseria!” lo rimproverai ma lui non aveva fatto altro che
alzare la coda e
sparire da qualche parte dove non potessi trovarlo e sgridarlo a
dovere. Certo
che avevo trovato un bel tipetto, eh? Scossi la testa alzandomi e
bofonchiando
qualcosa sulla dubbia lealtà che i cani potevano avere verso
i loro padroni. Mentre
pensavo a come poter rimettere in riga
quel musetto sfacciato, sentii il computer trillare in modo insistente
dall’altra
stanza.
Sbuffai e
accettai la conversazione con Kristine
sedendomi e posando il portatile acceso sul tavolo della cucina, ancora
una
volta la prima cosa che sentii fu il grido esultante della mia amica
che
rischiava di essere vittima di un omicidio a distanza.
Alzai gli occhi al cielo “Sto pensando di assumere un
sicario, uno bravo però.”
Annunciai facendola fermare, mi guardò trattenendo a stento
l’eccitazione.
“Cos’è successo?” Mi arresi e
posi la domanda che lei voleva che le facessi,
però prima che potesse rispondere misi in atto una piccola
vendetta “Ti sei
decisa a fare un passo avanti e Joe ha detto sì?”
Joe era il ragazzo per
cui la cara biondina aveva un debole ed era l’unico fronte su
cui non riusciva
ad essere spavalda e sfrontata come lo era per tutto il resto, quindi
mi
divertivo a prenderla in giro perché anche lei era un essere
umano come tutti –
suo malgrado.
Lei si
imbronciò e “Non era questo che volevo
dirti.”
“E
cosa, sentiamo.”
Stropicciò
qualcosa davanti alla Webcam che non
riuscii a identificare – era un foglio di carta ma
perché la rendesse tanto
euforica non lo avevo ancora capito.
“Tienilo
fermo.” Sbottai infastidita, credendo che se
avesse continuato così probabilmente mi sarebbe venuto il
mal di testa.
Lei
sbuffò e, estremista com’era, decise di ritirarlo
precludendomi la possibilità di leggerlo sul serio. Kristine
mi guardò truce
per qualche secondo “Certo che a distruggere i veri
momenti sei proprio
brava,eh!” poi prese un profondo e
teatrale sospiro e continuò con voce pimpante e
solenne “ Gentile signorina
Di Marco, la ringraziamo per aver partecipato al concorso indetto dalla
produzione di The Vampire Diaries e siamo lieti di annunciarle
– no, no, no.
Oh cazzo- che è tra i cinque finalisti per il
posto di aiutante
sceneggiatore del cast. La preghiamo dunque di presentarsi
lunedì sette
giugno alle ore quattordici alla sede cinematografica in Atlanta,
Georgia. Bla,
bla,bla. Cordiali saluti e arrivederci.”
Kristine
mi guardò speranzosa e tutta allegra ma
cambiò subito la sua espressione vedendo la mia
“No. Anastasia, no. Non
provarci neanche a farti venire un attacco di panico proprio
ora!”
Il mio
sguardo era smarrito, confuso e impaurito,
proprio come me in quell’istante “Kri..”
La voce
di Kristine mi arrivava lontana, come fosse
irreale, ma era calma, con un accento quasi soffice e ipnotizzante
“Respira,
ok? Respira.”
Cercai di
seguire il suo consiglio ma non ci riuscivo,
l’aria sembrava essersi solidificata nei polmoni e la testa
non ragionava.
“Impossibile..” sussurrai in italiano, incoerente.
Vidi il
bianco sorriso della mia amica allargarsi, il
tono di voce immutato “Io non sono così sorpresa.
Sapevo che potevi farcela.”
In
risposta le lanciai un’occhiata terrorizzata che
non poteva essere fraintesa “Kristine, lunedì
è fra due giorni! Non posso
venire in America in soli due giorni! Non ho fatto il biglietto
né le valigie,
non ho avvertito nessuno… Dio, è impossibile, del
tutto impossibile… non così
velocemente, non può accadere così in
fretta!”
“Ehi,
ehi.” Kristine provò a placcare subito il mio
attacco di panico “Calma, ok? Non farti prendere dal terrore,
ricordi? Non sei
una fifona, me lo hai detto tu. Mi hai dato la tua parola che ci
avresti provato
ad uscire dal tuo guscio. Devi mantenere la promessa Annie.”
“Ma…
come faccio?”
“Andiamo
per gradi. I soldi cono un problema?”
Scossi la
testa “Ho fatto dei lavoretti appena
terminata l’università. Ho qualcosa da
parte.”
“Sappi
che non ho mai amato, tanto quanto adesso, il
tuo lato da risparmiatrice incallita.” Riuscì a
strapparmi un sorriso teso “Per
quanto riguarda la valigia, conoscendoti ficcherai lo stretto
necessario in un
unico trolley quindi siamo a posto. Puoi avvertire i tuoi genitori
stasera
mentre cerchi su Internet un biglietto Last Minute per la
Georgia.”
“Non
posso farcela...” mormorai, per nulla convinta “E
Puck? E la casa? Ho delle responsabilità che-”
“Per
l’amor di Dio!” Kristine esclamò,
perdendo di
colpo tutta la pazienza e lasciando libera una frustrazione ben
più che
giustificata “Anastasia Di Marco piantala di cercare scuse.
Puck lo porti con
te, tanto è piccolo e rimane nel trasportino senza problemi.
La casa la chiudi
a chiave e sei a posto! Sbarra porte e finestre e avvolgi il
divano con il
cellofan, che so io!”
“Tu
sei matta…” Scossi la testa in disaccordo
“Io non
sono così.. come faccio a mollare tutto per una decisione
presa così all’improvviso?
Non ha senso..”
“E’
una decisione che probabilmente cambierà la tua
vita, in meglio. Stai per realizzare il tuo sogno,
cara amica mia.
Domattina all’alba sarai su un volo per l’America e
domani sera dormirai nella
stanza degli ospiti di casa mia. Non sei
eccitata!?”
La
guardai nascondendo un sorriso “Un po’.”
Ammisi.
Incontrare di nuovo – e di persona-
Kristine Gordon era una delle
cose che volevo fare prima di morire.
“Vedi?”
Fece lei, con un pizzico di superbia ben
controllata “Ho sempre ragione
io.”
“Mi
sto davvero buttando in questa avventura..”
Mormorai incredula, all’indirizzo di nessuno in particolare.
“Sì.”
Annuì lei facendo muovere la sua perfetta chioma
bionda “E sono orgogliosa di te, bimba.”
La
guardai con un sopracciglio inarcato e feci un
gesto con la mano “Ma piantala, idiota!”
Poi
ridemmo insieme ma io mi fermai dopo qualche
istante “Kris..” La chiamai attirando la sua
attenzione “Ma come mai la lettera
è arrivata a te e con
così poco
preavviso?”
Lei
divenne tutta rossa e cominciò a balbettare un “Ti
posso spiegare, Annie!”
***
Alla fine
era saltato fuori che la cara Kristine aveva
dato – quando aveva spedito la mia storia
alla Plec - il suo indirizzo
di casa come riferimento e che alla fine la produzione aveva mandato il
responso da lei perché era l’unico recapito che
avevano.
Per quanto il ritardo era stata ancora una volta colpa della mia
cosiddetta
migliore amica che aveva avuto la fantastica idea di fare un viaggetto
a inizio
settimana, dal lunedì precedente quindi,e che era tornata a
casa trovando la
lettera solo quando mi aveva dato la grande notizia,
cioè oggi –sabato.
Io non ne sapevo nulla perché il genio
si era portata dietro il
portatile con la chiavetta Internet e avevamo continuato a sentirci
tutte le
sere; quando le chiesi perché non me lo aveva detto lei
aveva risposto che si
vergognava perché la sua gita era ad un luogo dove
c’erano delle cascate ed era
una cosa romantica doveva l’aveva portata
una certa Elizabeth.
Elizabeth era un’amica di Joe, il che voleva dire uscire in
una comitiva in cui
il ragazzo rientrava, quindi non aveva potuto rifiutare.
Quando me
lo raccontò la presi in giro per un bella
mezz’oretta, per ripicca, infastidita più dal
fatto che non me lo avesse detto
che altro.
Mentre la prendevo in giro ero alla ricerca del mio biglietto solo
andata
per Atlanta.
Mi
tremavano le gambe, sentivo le ginocchia molli e le
mani mi sudavano in maniera assurda. Ero terrorizzata
all’idea di quello che
stavo per fare; era un salto nel vuoto e io non ero abituata a buttarmi
in
qualcosa senza essere sicura di avere un paracadute stabile.
Ero una delle finaliste ma probabilmente le altre quattro scrittrici ,o
altri
quattro scrittori chissà, erano bravi molto più
di me. Se non avessi vinto
sarei dovuta tornare in Italia, ma ce l’avrei fatta? Dopo
essere stata in
America, dopo aver sfiorato il cielo con un dito?
Il mio
più grande desiderio era quello: vedere un mio sogno
su carta diventare reale sotto i miei occhi, attraverso una
recita,
un’interpretazione .. attraverso una serie TV.
Non riuscivo a credere che esisteva la semplice possibilità
di
riuscirci.
Ma se non
ce l’avessi fatta? Cos’avrei
fatto dopo aver constatato di non essere abbastanza in
gamba?
Scossi la
testa, sentendomi appesantita da tutti quei
dubbi e quelle paure. Avevo già messo il pigiama nonostante
fossero soltanto le
sei del pomeriggio; il mio volo per la Georgia era previsto per le
quattro e
quarantacinque del mattino e – conoscendomi- se non avevo
almeno otto ore di
sonno alle spalle non sarei riuscita a svegliarmi.
Contando anche il tempo che ci avrei messo ad addormentarmi era meglio
andarsi
a riposare subito.
Guardai
il trolley sulla sedia vicino alla scrivania
dall’altra parte della camera. Battei due volte la mano sul
letto sorridendo
vedendo il mio Puck salire sull’altra parte del letto
matrimoniale.
“Ci
aspetta una nuova avventura, palla di pelo.”
Mormorai sdraiandomi sotto le coperte nonostante fuori facesse
abbastanza caldo
– in fondo dormivo solo con una canotta e un pantaloncino
leggeri, e anche
questa era una delle abitudini che non sarei riuscita più a
staccarmi di dosso.
Dormire quasi nuda anche d’inverno ma con le coperte anche in
estate era una
cosa che adoravo: il
contatto della
pelle con le coperte morbide era una cosa che mi aveva sempre
tranquillizzato,
fin da quando ero piccolina.
Mi chiesi
se l’America sarebbe riuscita a cambiare tutte
le cose, se davvero tutte le mie sicurezze sarebbero state distrutte.
Se cose semplici come il mio saluto inutile alla casa quando tornavo
dopo
scuola, o dopo lavoro, o come il mio modo di dormire o vestire,
sarebbero
cambiate con il Grande Continente oppure no.
Mi
addormentai così, dopo chissà quanto, guardando
la
mezzaluna brillante d’argento fuori dalla porta finestra e
sentendo l’unico
amico che mi avrebbe seguito in questa pazzia
appallottolato ai piedi
del letto, già ronfante.
Quella
notte sognai due occhi azzurri e un sorriso che
avevo visto solo attraverso lo schermo, ma fu uno di quei sogni che
alla fine
non puoi ricordare quando ti svegli, uno di quei sogni troppo belli e
piacevoli,
rilassanti, che dovrebbero rimanere nell’oscurità
dell’inconscio perché troppo
pericolosi.
Chi
avrebbe mai detto che, quello della sceneggiatura,
non sarebbe stato l’unico sogno da sfiorare con un dito a
sconvolgermi?
TBC
|
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Capitolo 3 *** Benvenuta in famiglia, Annie. ***
A/N: Eccoci
qui
con questo capitoletto.
1 Note
nel
testo E' la protagonista in Custodi del Cuore, storia
scritta da
Anastasia da cui prende spunto 'Vincitrice per sbaglio'. Come avrete
ben
capito, la nostra Anastasia ha finalmente ricevuto la bella notizia.
Sinceramente
non vedevo l'ora.
L'avventura,
in poche parole, inizia solo ora.
Spero di
aver scritto di emozioni e situazioni più
realistiche possibili perché era quello il mio intento.
Accetto molto volentieri consigli su qualunque cosa ;)
A presto
allora!
Baci,
{-Eyes
Benvenuta
in famiglia, Annie.
Mi ero
svegliata alle due del mattino.
Dico io, alle due! Poteva essere il primo segno della fine, davvero.
Avevo seriamente avuto l’input di scagliare il cellulare
contro la parete e di
rimettermi sotto le coperte –non sarebbe stata la prima
volta, certo- ma
poi Puck aveva abbaiato.
Lo aveva fatto perché anche lui avrebbe continuato a dormire
volentieri – tale
cane, tale padrone – e
si era
stizzito a livelli che avrei potuto considerare olimpici senza molta
fatica. Ad
ogni modo, aveva avuto il potere di svegliarmi completamente -
e
quando dico ‘completamente’
intendo anche
i ricordi.
Tutto
quello che era successo durante la giornata di
ieri, tutto quello che sarebbe successo in poche ore.
Sentii
improvvisamente la gola secca.
Avevo fatto bene a mettere la sveglia così in anticipo,
allora. Sì, perché
prima che mi alzassi dal letto passarono trenta minuti buoni, durante i
quali
non ero riuscita a muovere le gambe neanche di un centimetro ed ero
rimasta a guardare
il soffitto nella camera ancora buia.
Avevo
bisogno del mio tempo per scrollarmi di dosso il
panico.
Il lato positivo? Non ero svenuta, non ancora almeno. (In ogni caso
avevo
programmato una sveglia di riserva. Tanto per smentire le voci sulla
mia paranoia,
ovvio.)
Alla fine
ero riuscita ad alzarmi, cercando d’ignorare
la rigidità dei miei muscoli che – apparentemente-
non avevano proprio una
voglia matta di collaborare e rendere, magari, le cose un po’
più semplici.
Non potei fare a meno di sospirare, seduta sul bordo del letto,
stropicciandomi
gli occhi con due dita; in questo genere di situazioni, c’era
solo una cosa che
una ragazza come me poteva fare: buttarsi sotto la doccia, abbastanza a
lungo
da rinsecchire sotto il getto freddo.
Era un bene che conoscessi me stessa così bene: mettere la
sveglia anticipata
era stata un ottima precauzione per evitare di perdere
l’aereo delle cinque
meno un quarto. Dovevo essere all’aeroporto minimo
un’ora prima per il
check-in, in più quando viaggiavo amavo prendermela con
comodo per evitare
stress.
Ovvero,
evitare altri stress.
Alle tre
meno dieci ero di fronte allo specchio
incorporato all’anta esterna dell’armadio, vestita
in maniera molto semplice
con pantaloni stretti e chiari, una canotta a spalline larghe nera e
delle
Sneakers fuori stagione. Mi stavo asciugando il lunghi capelli bruni,
cercando
di far diventare quei boccoli qualcosa che non somigliasse ad un
incrocio tra
un cespuglio e una strada drittissima.
Mi piacevano i miei capelli naturali, con semplici boccoli che mi
cascavano
sulle spalle, il problema era sempre dopo la doccia, quando erano
bagnati e
quindi i riccioli non erano mai definiti. Né
lisci, né ricci.. un mistero
che mai avrei tentato davvero di comprendere.
Ecco,
pensare a qualcosa come i miei capelli mi aveva
aiutato. Strano, vero?
Misi la giacchetta nera e decisi di legarmi la chioma –
completamente asciutta
ormai- in un’alta coda. La frangia era a posto.
Nonostante le lamentele e i bronci indignati del principe, feci entrare
Puck
nel trasportino mentre afferravo il trolley e uscivo di casa.
Per farmi
accompagnare all’aeroporto avevo chiesto un
passaggio a mio padre che – dopo la sua ramanzina unita a
combo con quella di
mia madre mezz’ora dopo, solo
perché non li avevo avvertiti- aveva
deciso di accontentarmi solo per assicurarsi che arrivassi sana e salva
sull’aereo.
Forse aveva letto la disperazione nella mia voce quando gli avevo detto
che non
avevo avvertito neanche me stessa di quello che stava per accadere;
sta’ di
fatto che dovetti subire raccomandazioni – anche dalla mamma,
via cellulare-
almeno fin quando non arrivai a destinazione.
Avevano il numero di Kristine, sapevano dove andavo, con chi ero e
anche perché
. Tutte le cose di livello standard che i genitori dovevano
sempre sapere,
anche quando la figlia aveva la bellezza di ventiquattro anni.
E lo fecero, mi lasciarono andare, dicendomi che ero diventata
grande
ormai e che lo capivano.
Per qualche istante avevo provato l’impulso di battere i
piedi a terra e
imbronciarmi tanto per strepitare che non era vero, che ero ancora
piccola e
che preferivo andare in castigo piuttosto che volare in America.
Sorrisi e
scossi la testa, abbracciai mio padre
sussurrandogli all’orecchio
un ‘grazie’ e un
‘mi farò sentire appena
arrivata’.
Stavo per
andarmene oltre i metal detector quando papà
mi chiamò nel silenzio dell’aeroporto; era
talmente presto che non c’era quasi
nessuno, oltre me e qualche uomo d’affari piuttosto impettito
nel suo vestito
elegante.
“Annie!”
Mi voltai
verso di lui con un sorriso e uno sguardo
interrogativo.
“Ti
voglio bene!”
Io risi
apertamente, sentendo l’ansia scivolare via
sulla pelle come acqua rinfrescante. Alzai la mano per salutarlo e gli
mimai
con le labbra un “Anch’io.”
***
Viaggiare
in aereo non era mai stato un problema.
L’eccitazione per il mio primo viaggio con Puck mi aveva
fatto scordare, almeno
momentaneamente, il motivo della mia ansia. E quella palla di pelo era
esaltata
tanto quanto me e mi stava rendendo il lavoro oltremodo più
semplice.
Mi resi ancora una volta conto di quanto quel cane fosse importante per
me guardandolo
del suo piccolo box – immaginandolo sorridente- e sapendo che
poteva succedere
di tutto là dove stavo andando ma lui mi sarebbe
rimasto… fedele.
Chiusi
gli occhi e forse dormii per un paio di ore.
***
L’aeroporto
di Atlanta era affollato, e molto anche.
Il confronto con quello che avevo lasciato a Milano era venuto
automatico e ne
stavo uscendo un po’ traumatizzata.
Il mio orologio segnava l’una meno un quarto del pomeriggio e
il viaggio era
durato la bellezza di nove ore filate; sentivo la schiena tutta rotta e
volevo sgranchirmi
le gambe, quindi camminare un po’ tra la folla mi fece bene.
Il fuso
orario di sei ore mi aveva lasciato spossata e
un po’ frastornata; ma andava bene anche così, era
il mio primo viaggio
all’estero dopo tutto. Mi aspettavo quel tipo di effetti
collaterali, non mi
preoccupavano più di tanto – non sarei morta per
un po’ di stanchezza in più.
Guardai
la folla di persone che aspettava agli arrivi
e divenni all’istante rossa come un peperone. Impossibile non
notarlo il mega
cartellone gigante di quella psicotica di Kristine che su uno sfondo
nero aveva
dipinto con vernice rosso sangue -Welcome to Mystic Falls, Khloe. 1
-
L’avevo raggiunta immediatamente abbassando quel cartellone
sibilandole contro
“Tu. Sei. Pazza.”
Lei sorrise e trillò contenta un
“Benvenuta!!” Avvolgendomi in un abbraccio
stritolatore, forse con l’intento di uccidermi.
Puck venne sballottato nel trasportino– povera
bestia- e al suo verso di
disapprovazione mi staccai sorridente dalla furia bionda. Sorrisi
“Avremo tempo
per dirci quanto ci siamo mancate a vicenda. Adesso però
prendiamo la mia
valigia su quel coso che gira e filiamocela, sono esausta.”
Kristine
mi aveva afferrato per un braccio
trascinandomi al recupero valige e, neanche il tempo di capire cosa
stava
succedendo, aveva iniziato a parlare di tutto e di più, di
quanto fosse
entusiasta del mio arrivo e di quanto io fossi fortunata ad avere
un’amica come
lei che mi stava cambiando la vita.
Mi
limitai ad ascoltare sorridente e – anche se non
l’avrei mai ammesso- completamente d’accordo con
lei.
***
La casa
di Kristine era assolutamente stupenda. Enorme
ma anche molto accogliente; era una villa di tre piani con giardino e
piscina
incorporata sul retro, tanto lussuosa che non mi sarei stupita
d’incontrare qualche
cameriere o maggiordomo.
I genitori della mia cara amichetta erano ricchi sfondati, inutile
dirlo, e teoricamente
quella era la loro casa delle vacanze; la biondina aveva solo avuto
occhi
abbastanza dolci e coccolosi da lasciarsela regalare.
Scossi la
testa buttando il trolley sul letto
matrimoniale di quella che sarebbe stata la mia stanza; mi guardai in
giro e
sorrisi.
Era molto spaziosa e aveva anche un bagno privato –
cosa che mi avrebbe
risparmiato scene imbarazzanti con la mia migliore amica o con chiunque
lei
invitasse a casa sua. Personalmente mi definivo una ragazza
abbastanza
riservata, soprattutto da quel punto di vista, e Kristine era stata
carina a
ricordarlo.
Il letto era molto grande, accostato al muro opposto di quello della
porta
d’ingresso e perfettamente posizionato all’angolo
facendo così in modo da aver
il lato della testata e quello sinistro attaccati alla parete.
Se mi
sedevo sul letto, davanti a me potevo anche
vedere una scrivania con un posto perfetto dove mettere il
laptop che mi
ero portata dall’Italia e dei fogli bianchi
all’angolo del tavolo con sopra
qualche penna colorata, vicino ad un quaderno ad anelli e ad un
quaderno
normalissimo.
Alzai gli
occhi al cielo, non trattenendo il sorriso.
“Toc,
toc”
Rivolsi
lo sguardo a Kristine che era entrata
sorridente e ricambiai l’allegria gratuita. “Come
va?” Mi chiese raggiungendomi
sul letto dove mi ero sdraiata di schiena, allungandosi accanto a me.
Io
ridacchiai “Non so.” Mi voltai verso di lei
guardandola: aveva le mani intrecciate dietro la testa e fissava il
soffitto, ghignando.
Tramontai gli occhi e mi decisi a domandare con finta innocenza
“Da quanto
tempo, esattamente, questa stanza
è
pronta per me?”
“Non
so di cosa tu stia parlando.” Fece lei senza
convincermi neanche un po’.
“Diciamo
che il materiale per scrivere, il posto
perfetto per un portatile e il copriletto blu, mi hanno suggerito
questa pazza
idea…”
Lei rise
puntando i suoi occhi verdi nei miei
“Beccata.” Poi mi fece la linguaccia.
“Hai fame?”
“Da
matti.”
“Bene.
Ho ordinato la pizza, dato che so che l’adori.
Oggi è dedicato a te e non m’importa se sei
stanca: hai avuto il viaggio in
aereo per dormire, questo pomeriggio è mio.
Non vedo l’ora!” Trillò
saltellando mentre usciva dalla mia nuova stanza.
Mi
gridò un “Muoviti!!” che aveva il
retrogusto
terrificante di una minaccia e che, quindi, mi esortò
facilmente ad alzarmi dal
letto.
Kristine
aveva pensato proprio a tutto quello che mi
piaceva e che – nel corso degli anni- era rimasto tale e
quale a quando ne
avevamo entrambi sedici.
Qualcosa mi diceva che il copriletto del mio colore preferito
– il blu- e
il necessario per buttarmi nella mia passione – la scrittura-
erano solo
l’inizio.
Mentre
chiudevo al porta della mia stanza e sentivo
abbaiare Puck al piano di sotto, scossi la testa.
Per essere un nuovo capitolo della mia
vita, tutto mi pareva abbastanza .. familiare.
---
Avevo
passato il pomeriggio precedente e quella stessa
mattina con la Gordon, cosa che – a dire il vero- mi aveva
rilassato molto –
nonostante l’unica cosa che avessimo fatto era stata quella
di straparlare su
gli argomenti più disparati e anche futili.
Avevo liberato la mente ed ero uscita dall’auto di
Kristine – che mi
aveva accompagnato- abbastanza tranquilla. Quello che accadde
dopo invece
fu molto veloce: arrivata a destinazione rimasi semplicemente
paralizzata
davanti all’entrata di quell’immenso edificio dove
si trovavano gli studi.
Potevo sentire il mio cuore distruggere dall’interno la
gabbia toracica, da
quanto forte batteva e pulsava. Nelle orecchie solo il tum-tum
frenetico
che diede ritmo ai miei passi incerti e lenti.
Quando
vidi le porte degli studi all’improvviso mi
sentii due differenti persone: la prima, la stessa Anastasia che non
aveva
voluto mandare la sua storia al concorso, voleva scappare via senza mai
più
tornare; la seconda invece provava il fortissimo desiderio di entrare e
far
vedere a tutti di cos’era realmente capace.
Con
inqualificabile sorpresa fu la seconda a prevalere
e a infondermi un’effimera sicurezza che mai avevo provato.
Non sapevo quanto
sarebbe durata e, onestamente, me ne importava poco:
l’importante era provarci
e affrontare quel colloquio con il massimo della determinazione.
Era un’occasione unica nella vita, che diavolo!
Ancora
non lo sapevo ma, andando avanti nel tempo,
avrei dato a quel momento un importanza strettamente significativa. Fu
così che
l’America, che quella nuova avventura non ancora iniziata,
cominciò a cambiarmi
l’anima.
***
L’ambiente in cui mi trovavo era parecchio confortevole: il
salottino non aveva
grandi pretese in grandezza ed io ero comodamente seduta su una delle
due
poltroncine nere. La simpatica ragazza della Hall mi aveva detto di
aspettare
tranquilla l’arrivo dei produttori, che avrei poi incontrato
di persona, per
parlare di quanto stava accadendo, e quindi cercavo di calmarmi
osservando ciò
che mi circondava.
Le pareti bianche erano ornate da qualche quadro di pittura moderna che
donava colore e
vitalità e all’angolo vicino alla
porta c’era una pianta verde, perfettamente tenuta e curata.
Nella parete opposta – alla sinistra di dov’ero io
seduta- la parete era
vetrata e vantava una meravigliosa vista sulla città
Americana della Georgia,
in cui il mio sguardo si perse completamente affascinato.
Mi chiesi come potesse essere di sera, con la luce della luna
anziché con
quella del sole del pomeriggio; il mio lato romantico ogni tanto usciva
fuori
facendomi volare con la testa fra le nuvole e questo riusciva
a rendermi
oltremodo sbadata e goffa in parecchie situazioni.
Sperai che chiunque dovesse arrivare arrivasse in fretta e cercai di
trovare
somiglianze confortanti e familiari lì dove mi trovavo.
Sembrava il salotto di una normale casa moderna, le due poltrone
– su una delle
quali ero seduta io- erano disposte in modo semplice rivolte ad un
ulteriore
divanetto color panna per tre persone .
Tra me e il divanetto c’era un tavolino di cristallo disposto
ordinatamente su
un tappeto bianco dall’aria pelosa e morbida.
Se da una
parte ero timorosa di stonare in tutto
quello, dall’altra ne ero tremendamente ammaliata.
Era
questa l’America?
Il rumore
della porta che si apriva mi fece scattare
in piedi con il cuore a mille, ormai dimentica dei miei pensieri
pensosi e con
il cuore a mille alla vista delle persone davanti a me.
Erano Julie Plec e Kevin Williamson in persona.
Beh, ovvio,
proprio nessun motivo per andare nel panico. Proprio nessuno.
Cazzo.
“Tu
devi essere Anastasia.” Iniziò la donna con un
sorriso dolce, guardandomi solo un attimo, prima di rivolgere
nuovamente la sua
attenzione ai fogli che teneva in mano. “Anastasia Di Marco,
dico bene?”
L’unica
cosa che riuscii a fare fu annuire poco
convinta. Ero io? Ne eravamo sicuri? Scossi la testa mentalmente e
cercai di
far valere l’educazione che mi avevano inculcato i miei
genitori dalla culla;
tesi la mano “E’
un vero onore per me
conoscervi.” E, nonostante tutta la nonchalance, non potei evitare di
sentirmi le guance andare
in fiamme.
Kevin mi strinse la mano, formale tanto quanto me, mentre Julie mi
concesse un
tenero sorriso materno invitandomi a tornare seduta così da
poter cominciare a
parlare.
“Sarò
schietta con te.” Annunciò sedendosi accanto
all’altro produttore sul divanetto, mentre io cercavo di
rilassarmi sulla
poltrona di prima “Il tuo lavoro ci piace, e anche parecchio.
L’intreccio è
intrigante e ci sono talmente tante idee dentro da perdersi.”
“Ma..?”
Azzardai timorosa e scettica di tutti quei
complimenti; in fondo sembrava proprio ci volesse un terribile ma
alla
fine di quel discorsetto tanto positivo.
Julie mi sorrise e si rivolse a Kevin che cominciò a parlare
con fare tecnico
“Hai inserito molti nuovi personaggi e per ora hai scritto
solo la prima parte di quello che
potrebbe
essere un buon lavoro. Non vorremmo ritrovarci con un Cast troppo
numeroso e
non aver il tempo di dare la giusta importanza a tutti gli
ambiti.”
Arricciai
le labbra inconsciamente, cosa che facevo
sempre quando cominciavo a pensare in modo mostruosamente serio.
“Mh.” Iniziai “Vero. Per il momento i
nuovi personaggi sono quattro contando
anche Khloe..” poi però feci spallucce
sorprendendo anche me “Non vedo perché
non ci debbano stare tutti anche nella tempistica. Comunque quello che
avete
letto non è stato certo scritto per essere un copione,
è naturale che alcune
cose vengano cambiate. Migliorate per
l’occasione.. No?” Il mio tono si
fece ingenuo verso la fine ma credo che fosse stato proprio quello a
far sorridere
dolcemente Julie.
“E’ quello che pensavamo anche noi,”
Iniziò “ma hai dato origine tu
a
questi personaggi. Prima di fare alcunché volevamo chiederti
se saresti stata
in grado di svolgere questo lavoro; in fondo è quello che
andresti a fare ed è
il motivo per cui sei qui, ma non è facile come sembra.
Possiamo entrambi
assicurartelo: sarà dura.”
Deglutì nervosa ma con cipiglio combattivo “So di
potercela fare, soprattutto
perché lo voglio.” La mia
determinazione nella voce stupì in primis me
che, dentro, mi sentivo tremare come una foglia. Stavo parlando con
autori di
fama mondiale e stavo pure facendo la presuntuosa. Non era da me,
decisamente.
“E’ il mio sogno più grande e non
c’è cosa al mondo che desideri di più.
Non
getterò la spugna tanto facilmente.”
Ero sincera, ora che ero lì davanti a
loro non potevo certo gettare al
vento quell’opportunità di realizzazione.
Quello
che accadde dopo mi lasciò a bocca aperta e ad
occhi sgranati. Sia Julie che Kevin si alzarono rilassati e fu la
produttrice a
sorridermi “Bene. Era quello che volevamo sentirci dire. Hai
quello che
cercavamo.”
La
facciata che avevo messo in piedi pochi istanti fa
crollò miseramente, facendomi balbettare un
“C-come?” molto patetico.
Julie
ridacchiò per poi farsi subito sera “Le basi di
una buona storia sono facili da trovare, soprattutto se si cerca nel mondo come abbiamo fatto
noi.” Stiracchiò
un sorriso orgoglioso e continuò
“Quello che serve, oltre
i requisiti
base, è altro. E’ la passione perché
è quella che ti farà andare avanti quando
le cose si metteranno male.”
Tremai
leggermente a quella previsione così
terrificante. La Plec mi stava già avvisando che era
totalmente impossibile per me
evitare i guai e le
situazioni complicate; probabilmente era l’esperienza della
donna a parlare e,
in quei pochi secondi, non riuscii ad evitare di sentirmi fin troppo
piccola in
confronto.
Contenni un sospiro e la lasciai finire, dandole tutta la mia
attenzione.
“Ci
sarà molto
lavoro da fare ma siamo qui apposta, no?”
Boccheggiai
guardandoli, ancora da seduta. Non risposi
perché altrimenti avrei balbettato ancora e fortunatamente ci pensò Kevin a
togliermi dall’impiccio di
qualsiasi domanda ovvia “Sei dei nostri, Anastasia.”
Se fossi
stata un personaggio dei Looney Tunes
probabilmente la mia mascella sarebbe cascata fino al pavimento e lo
avrebbe
anche sfondato, andando ancora più giù. Mi alzai
automaticamente ma senza
fiatare, mi sentivo gli occhi lucidi e il mio sguardo rimbalzava
freneticamente
dalla figura di Julie a quella di Kevin.
In qualche modo non riuscivo ad accettare le implicazioni – meravigliose, terrificanti –
delle loro
parole e stavo facendo la figura dello stoccafisso.
Non potei
fare altro che paragonare quella donna al
lato affettuoso di mia madre che non avevo mai visto; posò
una mano sulla mia
spalla e sorrise “Ti abbiamo tenuto sulle spine per essere
certi della nostra
decisione ma, adesso, sei entrata a far parte della nostra grande famiglia.”
“..Grazie.” Non riuscii a dire
altro, con la voce rotta per l’emozione,
e mi pulii freneticamente con la manica della T-shirt quella lacrima
che era
sfuggita al mio controllo.
Lei mi abbracciò, e fu strano perché era
più bassa di me ma tanto calorosa e
gentile che me ne stavo letteralmente innamorando. Era molto meglio di
come la
descrivevano sulle News.
“Andiamo
ragazze!” Fece divertito Kevin, che ci
aspettava alla soglia della porta “Dobbiamo andare!”
Io mi
lasciai andare ad un sorriso sincero e “Dove?”
Chiesi accettando la mano di Julie e seguendola fuori da quel salottino.
“Ad
ufficializzare tutto, cara.” Mi rispose allegra
“Si va a conoscere il Cast, stanno aspettando solo te in
fondo!”
…Ok.
Porca di quella -
TBC
|
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Capitolo 4 *** Marie's. ***
Marie’s.
Se
possibile, mi sentivo più agitata di prima. Avrei
conosciuto il Cast del telefilm più in voga del momento,
avrei conosciuto gli
attori che apprezzavo di più e facevo ancora troppa fatica a
crederci.
Ma dovevo
calmarmi.
Insomma, non
volevo certo essere presa come un possibile, futuro e psicotico
problema
vagante in giro per gli Studi. O peggio: come una delle tante Fan in
agguato –
forse più pericolosa. (Non che non lo fossi ma la prima
impressione era
abbastanza importante, no?)
Cercai di
inspirare ed espirare profondamente senza
dare troppo nell’occhio ma Julie – cara, dolce
Julie – intercettò la mia ansia
perché mi prese per mano e la strinse.
Mi rivolse un sorriso che mi sciolse completamente.
Sapevo che potevo stare tranquilla.
Si,
tranquilla come una bambina dal dentista per la
prima volta.
Eravamo
arrivati in sala relax e la mia coscienza di
certo non aiutava ad accettare razionalmente il fatto che seduti su
quel
divanetto ci fossero Nina Dobrev e Paul Wesley che ridevano e
scherzavano.
Non mi avevano ancora visto ma sentivo già le guance
arrossarsi.
“Ragazzi..?”
La voce di Julie era rassicurante, in
effetti era Julie in sé a rappresentare il perfetto emblema
della calma.
Beata
lei!
Scossi
lievemente la testa e cercai di sorridere
quando i due attori ci diedero attenzione; si alzarono entrambi
velocemente –
improvvisamente raggianti ed allegri.
Chissà perché la cosa mi preoccupava…
“E’
lei?” Domandò cauto Paul e io sentì il
viso
bollente, forse era più rosso della camicetta della Dobrev
che – per inciso-
non aveva perso tempo a studiarmi con curiosità.
Bene..
Adesso sono la nuova mascotte del Team. Fantastico.
La vocina
che
avevo in testa non smetteva di fare ironia – segno lampante
di quanto agitata
fossi.
Sentii la
mano di Kevin poggiarsi sulla mia spalla ed
esclamare “Esatto: finalmente abbiamo trovato
l’anello mancante!”
Davvero,
mancava poco che si mettessero tutti a
saltellare battendo le mani – magari lanciando qualche
gridolino estasiato. Ero
in tremendo imbarazzo, cavoli. In quel momento mi sentivo tanto
un’artista
circense al primo spettacolo.
Kevin batté un paio di volte la mano sulla mia spalla
– che cominciava a
risentirne: poteva non sembrare ma quell’uomo possedeva una
gran forza – e
continuò “Per i prossimi mesi dipenderemo dalla
sua penna!”
Sgranai
gli occhi. E quello doveva rassicurarmi !?
Sarei
andata sicuramente in iperventilazione, a causa
di una delle mie crisi di panico, ma non ne ebbi il tempo
perché Nina – grazie
ad un movimento che non riuscii a vedere – mi aveva preso
entrambe le mani tra
le sue stringendole e abbagliandomi con un sorriso assolutamente
magnifico “E’
un piacere conoscerti! Non vedevo l’ora!”
Sorrisi imbarazzata, abbassando lo sguardo ma non potei
evitare di
risollevarlo quando fece “ Io sono Nina!”
Come se
non lo sapessi!
“An..-.”
Mi schiarii la voce “Anastasia.”
Mi
abbracciò. Semplicemente. Con talmente tanto
entusiasmo che mi mancò il respiro.
“Io
Paul.”
Nina,
alla voce del collega, mi lasciò andare senza
tuttavia smettere di sorridere al mio indirizzo. Paul intanto mi stava
tendendo
la mano aspettando – da normale persona qual’era
– che ricambiassi il saluto.
Come da manuale feci la figura della fessa: aprii la bocca, guardandolo
sconcertata.
Lo misi in imbarazzo e, fosse stato un tizio qualunque, mi sarei anche
permessa
di ridacchiare – peccato che non
era un
tizio qualunque. Fece un sorrisetto impacciato e si
portò la mano che non
avevo stretto dietro la nuca.
Non feci
in tempo a balbettare qualche scusa –
rendendomi conto della mia maleducazione- che una risata proruppe nella
stanza.
La mia
reazione fu istantanea. Chiusi la bocca
raddrizzando subito la schiena irrigidita e intanto cercavo di calmare
il cuore
che mi stava sfracellando la gabbia toracica dall’interno.
Oh porca-
“Andiamo
ragazzi!” Sentivo che si stava avvicinando a
noi e questo non aiutava la mia parte controllata e razionale a vincere
la
voglia di non esistere “Cosa, esattamente,
non avete capito del concorso
per fan?” Subito dopo sentii il peso del
suo braccio muscoloso
avvolgermi le spalle, in una presa amichevole ma fin troppo intima per
salvaguardare il mio povero animo.
Mi voltai
verso di lui, credendo che non sarei
riuscita a fare in tempo a vederlo perché sentivo le gambe
molli e
probabilmente sarei svenuta.
Eccolo: Ian Somerhalder, con la faccia ad un centimetro dalla mia che
mi
guardava divertito e presuntuoso.
Inutile dirlo. Andai in fiamme, ancora.
“Allora,
bel visino.” Mi scosse leggermente sfruttando
la presa che aveva sulle mie spalle “Ti hanno sconvolto
così tanto che non
riesci più a parlare?”
E,
nonostante il tono ingenuo che aveva usato, covavo
lo strano presentimento che mi stesse semplicemente prendendo in giro.
Probabilmente era così ma ugualmente non riuscivo ad aprire
bocca. Cosa avrei
dovuto dire? Di quali argomenti potevo parlare, per rompere il giaccio
con
attori di fama internazionale?
Non credevo di potermene uscire con un: Ehi, sai che
– nonostante la
bellezza discutibile dei miei ventiquattro anni-
c’è la tua faccia appesa in
camera mia, in Italia?
“Senti
Smolder, non ti viene il minimo dubbio che
forse anche tu stai facendo la tua bella parte, nello
sconvolgerla?”
Che Julie
Plec sia fatta Santa. Subito.
Ian
ridacchiò – e quelle vibrazioni mandarono in tilt
quel poco di materia grigia che mi era rimasta intatta. Mi
lasciò andare
divertito, mettendosi davanti a me.
Mi sentivo tanto una bambola senza vita, immobile e senza
capacità logico
sintattiche. Lo vidi alzare gli occhi al cielo – e, Wow.
Poi
sbuffò leggermente e “Sono Ian, ovviamente.
Ma lo sai già.”
Cercai di
scuotermi. Non potevo rimanere inerme ancora
a lungo! Scossi la testa e lui alzò un sopracciglio
incuriosito – perché
diamine notavo tutti i suoi movimenti? Così riusciva solo a
farmi andare ancora
di più in cortocircuito e non era valido. Uffa.
“Sono Anastasia. Piacere.” Tesi la mano,
sorridendo imbarazzata.
Che passo
avanti! Kristine sarebbe orgogliosa di te,
ragazza mia.
Parlare
con la propria testa non è mai segno di
benessere mentale ma, in quel caso, se riusciva a tranquillizzarmi non
potevo
che essere grata alla parte psicotica che c’era in me.
Tutto
l’arduo lavoro appena fatto – avevo detto ben
tre parole senza balbettare, diamine – andò in
fumo quando il Signor Sorriso
Abbagliante prese la mia mano e se la portò alla bocca
facendo uno di quei
romanticissimi baciamano.
Il contatto con la barba appena accennata mi fece il solletico alla
mano e il
battere del cuore era talmente indiavolato che faceva male.
Quando si
staccò e tornò in posizione eretta sorrise
diabolico “Scusa, volevo ricreare il primo incontro tra il
tuo personaggio e il
mio per vedere cosa succedeva. Divertente, vero?”
In
effetti quella situazione mi era sembrata uno
strano dejà-vù come qualcosa di già
accaduto prima, solo non mi ero resa conto
che era successo… nella
mia testa.
Dio che confusione! Troppe emozioni tutte in una volta, troppo tutto
in
troppo poco tempo.
“A-
avete già letto..?” Corrugai la fronte confusa,
senza sapere bene come continuare: letto cosa? Una fan fiction?
“Oh,
certo!” Julie parlò nuovamente, con tono allegro
affiancandomi sorridente. “Per la nostra scelta, io e Kevin,
abbiamo consultato
anche le nostre star. Quello che sappiamo noi, sanno loro.”
“Mi
sembra.. giusto.” Mormorai, cercando di
capire tutte quelle informazioni e di crederci .
“Allora
Anastasia!” Nina, con la sua voce squillante
mi riscosse bruscamente dal groviglio di pensieri in cui stavo cadendo
“Prima
di parlare di lavoro, c’è una tradizione da
rispettare!”
La
guardai confusa ma quando domandai “E
cioè?” lo
feci in maniera abbastanza naturale – senza accorgermene mi
stavo già abituando
a stare accanto a quelle che, in effetti, erano persone come me e non
alieni
venuti da chissà dove.
Sorrisi internamente a quel pensiero.
“Beh..”
Ian stava facendo il vago e forse perché
era semplicemente lui a parlare, io arrossii quasi
fosse una reazione
spontanea alla sua voce.
La spiegazione però la continuò Paul –
che non sembrava essersela presa per il
fatto della stretta di mano mancata di poco prima “.. .ogni
volta che si
aggiunge un membro al Cast, tutta la famiglia
và a divertirsi al Marie’s.”
La cara
Dobrev intercettò la mia domanda
“E’ un
locale qui vicino, non troppo chiassoso e con buone
possibilità di non essere
assaliti da fan in momenti inopportuni. Che ne dici?”
Ogni
singola volta che Nina parlava la sua eccitazione
e vivacità non poteva far a meno di trasparire e contagiare
tutti.
Ian, non
ci pensò due secondi prima di appoggiare
l’iniziativa “Così ci racconterai la tua
storia e sarai ufficialmente membro
della squadra. Non puoi dire di no.”
Sorrisi.
Ero dannatamente sollevata di essere stata accettata
così ampiamente e senza riserve, ne ero felice e forse avrei
anche potuto
seppellire dentro il cuore l’ansia che covavo perennemente
dentro di me. “Posso
portare un’amica?”
Speravo
solo che quel buon inizio, si sarebbe potuto
trasformare in un viaggio ancora più bello.
***
Con
cortesia avevo chiesto di recarmi da qualche parte
tranquilla per poter parlare con Kristine e invitarla alla serata.
Senza di lei non avrei retto alla tensione.
Quindi Nina mi accompagnò nel suo camerino. Quella ragazza
era di una
gentilezza quasi ultraterrena e questo la rendeva ancora più
bella e luminosa;
un po’ la invidiavo: io non riuscivo ad essere
così spontanea, il panico mi
coglieva sempre nelle situazioni più banali e mi
condizionava in quelle – come
quella che stavo vivendo- più intense. Era il mio
più grande difetto e lo
odiavo nel profondo.
Inspirai ed espirai forte. La Dobrev mi aveva assicurato che mi avrebbe
aspettato fuori e io l’avevo ringraziata con un sorriso per
avermi lasciato la
privacy necessaria.
Cercai di
non pensare a nulla di troppo oscuro e
complicato, anche se di solito erano principalmente quelli i pensieri e
ornavano la mia mente.
Forse potevo dare la colpa all’aria Americana ma ero stufa
della vecchia me
stessa, quella troppo rigida e pensierosa, quella ansiosa e fifona.
Adesso
volevo solo divertirmi e godermi quella stupenda opportunità.
Quando la
mia migliore amica alzò la cornetta non le
diedi neanche il tempo di parlare che esclamai
“Kris!”
Lei rise
“ Ciao anche a te Anns.”
Mi chiesi
come potesse essere così tranquilla ma
scossi la testa “In questo momento sono nel camerino di Nina
Dobrev e il trio
al completo è fuori dalla porta che mi aspetta.”
Kristine
ridacchiò “Sono felice che tu mi abbia
chiamato perché vuol dire che non sei svenuta dalla troppa
tensione.” Sapevo
che mi stava prendendo in giro e che, probabilmente, in
quell’istante stava
sorridendo in un ghigno malefico “Avresti fatto una
figuraccia al tuo primo
giorno di lavoro, cara.” Concluse, fingendo un tono
professionale.
Alzai gli
occhi al cielo per poi corrugare la fronte
“Come fai a sapere che sono stata accettata?”
“Che
ingenua che sei Annie! L’ho capito quando ho
visto il nome su display del mio telefonino. Però devo
ammetterlo: c’èuna cosa
non ho afferrato molto dall’alto della mia
onniscienza…”
Sospirai,
cosciente che non mi sarei mai abituata al
caratterino di Kristine – ma non mi dispiaceva, le volevo
bene soprattutto per
questo suo modo di essere.. vulcanica e finta-superba.
“E
cosa sarebbe, sentiamo?” Domandai scuotendo la testa,
rassegnata.
“Si
può sapere, razza di idiota che non sei
altro, cosa ci fai al telefono con me quando a pochi metri di
distanza hai a
disposizione quel ben di Dio di Cast televisivo!?”
D’impulso
avevo allontanato il cellulare dall’orecchio
dato che la biondina, dall’altra parte della cornetta, aveva
gridato. Non c’era
che dire: Kris aveva dei polmoni d’acciaio.
Quando riappoggiai l’orecchio al display del telefono la mia
cosiddetta amica
non mi diede il tempo di parlare “Allora, vuoi rispondermi
razza di scema?”
“Dovresti
pagarti un corso di yoga per calmarti, lo
sai vero?” Mi lamentai senza ripianti “Ti ho
chiamato solo per informarti
che questa sera sei impegnata, tutto qui.”
“Impegnata?”
“Sì.
Sei ufficialmente invitata a venire con me e con i
miei nuovi colleghi al Marie’s, per una serata di
divertimento pre-lavoro.”
Silenzio.
La cosa un po’ mi preoccupava. “Sei
svenuta?”
“Non
essere stupida, non sono te.” Sentii un
sospiro “Dammi solo il tempo di incamerare la notizia, santo
cielo!”
Ridacchiai.
“Quando tornerò a casa sarò
completamente
nelle tue mani. Mi farai da Fata Madrina: non ho la più
pallida idea di cosa
indossare.” Sorrisi alla sua risata e continuai
“Inoltre mi serve una spalla..
non credo di poter resistere in un locale notturno, da sola con
quel
ben di Dio di Cast televisivo..”
“Sai
che ti dovrai abituare, non è vero?”
“Sì..”
Inspirai ed espirai profondamente “Ma per
stasera.. per favore.”
“Non
c’è bisogno di chiederlo per favore, non vedo
l’ora di venire!”
C’era
da aspettarselo ma, in ogni caso, mi sentii di
colpo molto più sollevata. Poi mi accesi “E
Puck?”
“Posso
chiedere a Joe… va’ matto per gli animali ed
è talmente
gentile: non credo mi dirà di
no.”
Sorrisi.
Kristine era il mio salvagente.
***
Quando
uscii dal camerino trovai in corridoio solo
Nina ed Ian che stavano parlando, forse di lavoro. Sorrisi al loro
indirizzo ed
annunciai “Per stasera è andata.”
Si
voltarono verso di me e subito l’attrice trillò
“Fantastico!”
Non
sapevo il motivo ma avevo la netta sensazione che
stare con quella ragazza potesse risultarmi più semplice di
quanto avessi mai
immaginato, in fondo era molto simile a Kristine. Per questo
ridacchiare mi
venne naturale “Già. Credo andrai
d’accordo con la mia amica, sai?”
“Nina
va d’accordo con tutte.” Ian sorrise gentile e
io ricambiai, poi lui continuò “Quindi devo
presupporre che questa serata sarà
ricca di sorprese, giusto?”
Nessuno
poté rispondere perché ci fu un Bip
che
fece subito diventare seria l’espressione della Dobrev, che
afferrò il
cercapersone che aveva attaccato alla cintura. “E’
Paul. Abbiamo un’intervista
tra un paio d’ore e devo raggiungerlo alla
macchina.” Mi rivolse un ultimo sorriso
“Devo proprio andare, ci vediamo stasera allora?”
“Certo.”
Ricambiai con serenità e la salutai con un
gesto della mano mentre correva chissà dove.
Mi voltai
verso Ian un po’ in imbarazzo mentre lui
sembrava guardarmi con curiosità. “Per oggi io ho
terminato. Se vuoi ti posso
offrire un passaggio a casa.”
Riflettei
velocemente.
Mi ero completamente scordata di chiedere a Kris a che ora
sarebbe venuta
a prendermi e – nonostante il probabile imbarazzo che avrei
provato- ero decisa
a comportarmi in maniera più naturale possibile.
E poi, nonostante le apparenze, in quell’istante Ian sembrava
il ragazzo più
gentile e alla mano che avessi mai incontrato.
Accennai
un sorriso e “Mi farebbe piacere, grazie.”
TBC
A/N: Eccoci
qua :)
Innanzitutto mi scuso per aver lasciato così tanto tempo
prima di aggiornare,
solo che sono stata sommersa da impegni di tutti i tipo.
Frustrante.
Never mind.. inizia l'estate e con questo molto più relax. E
poi le vostre
recensioni mi hanno davvero invogliato a scrivere
e ne sono
contentissima.
Ma passiamo al capitolo,
All'inizio vediamo una Annie completamente passiva e troppo
scioccata e
con la testa incasinata per poter pensare razionalmente alla strana
avventura
che sta vivendo.
Non voglio mentire: è così che probabilmente io
reagirei ad una simile
situazione. Proprio non riuscirei ad essere spavalda a primo impatto.
Nonostante questo, la nostra cara protagonista decide di voler provare
ad
essere il più naturale possibile.. ci riuscirà?
La serata al Marie's le aprirà gli occhi
in qualche modo? Acquisterà
fiducia o non potrà evitare di farsi cogliere dal panico?
Tutto da vedere, insomma.
Non so se faccio bene ma vi lascio una frase/spoiler riguardante la fic
in
generale: questa faccenda dell'ansia, in realtà, nasconde
molto dietro.
Anastasia non è ancora uscita allo scoperto del tutto.
Diciamo che come autrice
io sono parecchio fissata con misteri e segreti ( chi ha letto Custodi,
potrà
confermare xD) Quindi aspettatevi qualche colpo di scena xD
Sinceramente non vedo l'ora di addentrarmi nella coppia Ian/Annie. Sono
davvero
scalpitante.
Quindi, a presto!
Baci,
{-Eyes
|
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Capitolo 5 *** Marie's - Seconda parte. ***
Marie’s.
Seconda parte.
“Per
l’amore del
cielo, Anastasia Di Marco esci da quel bagno o faremo tardi!”
Con
grande coraggio decisi d’ignorare Kristine – anche
se sapevo avrebbe portato gravi conseguenze- e provai a concentrarmi su
tutt’altro; il getto d’acqua della doccia era
bollente, mi bruciava le spalle e
lasciava mille brividi in tutto il corpo
e, nonostante rischiassi un’ustione di primo
grado, trovavo la
sensazione parecchio gradevole.
Mi voltai per ricevere lo spruzzo caldo in viso, cercando di calmare
l’onda dei
pensieri che stava travolgendo la mia povera testolina bacata.
Avevo
appena passato un quarto d’ora buono a chiacchierare
con Ian Somerhalder come se nulla fosse, in maniera talmente naturale
che ne
ero ancora stordita. Non potevo fare a meno di trovare la faccenda
bizzarra:
ero stata a mio agio per tutto il tragitto, dagli studi fino a casa di
Kristine, mi ero rilassata e avevamo conversato senza nessun impiccio.
Come poteva essere accaduto realmente? In un sogno, forse, lo avrei
trovato
accettabile – in un sogno, non certo nella realtà.
E, cavoli, non era perché
pensavo che lui fosse un attore snob o antipatico, ma perché
avevo sempre avuto
la convinzione che sarei svenuta dopo soli pochi secondi in sua
presenza.
Invece,
no. Era filato tutto liscio. Come se fosse la
cosa più normale dell’universo.
Lui mi
aveva domandato se avevo fatto in tempo a
visitare la città e io mi ero persa a sproloquiare sul fatto
che ero arrivata
da solo un giorno per colpa di una certa amica e in risposta Ian aveva
ridacchiato. Quella risatina mi aveva fatto aumentare il battito
cardiaco in
maniera spropositata ma fu proprio lui a non darmi il tempo necessario
per
rintanarmi nella pseudo forma di catalessi che avevo avuto neanche
un’ora
prima: aveva spostato l’argomento con domande semplici, quasi
futili, come da
programma per conoscersi meglio.
Ian aveva scoperto che avevo un’adorabile cucciolo di Golden
Retriver e io,
invece, ero stata ammaliata da una delle sue tantissime sfaccettature
caratteriali che mi aveva concesso di conoscere in
quell’istante. Mi era
sembrato un ragazzo completamente diverso da quello che avevo
incontrato agli
sudi; era gentile, simpatico, divertente e dolce oltre ad essere
malizioso,
furbo e altezzoso. Tutto questo era dannatamente affascinante,sapere
che c’era
molto altro dentro Ian oltre a quello che faceva vedere era
estremamente.. intrigante.
Eravamo giunti a casa di Kristine ma non avevamo ancora finto di
parlare; per
quanto riguardava me ero stata rapita da un suo particolare discorso
sulla ISF
– e non m’ero manco accorta che la macchina fosse
ferma davanti casa Gordon. A
mia discolpa potevo sempre dire che lui, comunque, non aveva fatto
nulla per
farmelo notare.
Mi ero permessa anch’io di fargli qualche domanda, in maniera
totalmente
naturale e spontanea, e avevo sentito una strana sensazione alla bocca
dello
stomaco quando avevo visto la più intensa delle luci
illuminare quei diamanti
blu che erano i suoi occhi, mentre mi accennava di qualche suo progetto
agli
inizi.
Mi accorsi realmente di quello che stava accadendo solo quando, con un
sorrisetto malizioso molto simile a quello che avevo già
visto sul suo volto quel
pomeriggio, mi disse che se non volevamo fare tardi
all’appuntamento con il
resto dei ragazzi sarebbe stato meglio andarci a preparare.
Ero diventata praticamente bordeaux, accorgendomi solo in
quell’istante che
eravamo nella sua auto – ferma - a
parlare da chissà quanto; avevo provato a balbettare
qualcosa sul fatto che
aveva ragione che sarebbe stato meglio se mi fossi andata a preparare
immediatamente.
Alla
fine, non avevo fatto neanche in tempo ad aprire
lo sportello dell’auto, che lui mi aveva richiamato
semplicemente per farmi
girare e per vederlo mentre mi salutava con un gesto della mano e un
‘Ci
vediamo dopo, Annie.’
Praticamente
accadde così. Rimasi stordita e immobile
davanti al cancello di villa Gordon, con il viso accaldato e il cuore a
mille,
mentre cercavo di rendermi conto di cosa era appena successo.
E ancora,
mentre cercavo di rilassarmi sotto il getto
d’acqua bollente, non ero del tutto certa che quello che
stessi vivendo fosse
un semplice sogno.
Quando mi
decisi a chiudere la manovella ed uscire dal
quadrato doccia, sentii le urla di Kristine che intimavano di uccidermi
in modi
particolarmente lenti e dolorosi.
Alzai gli occhi al cielo avvolgendomi in un asciugamano e osservai il
contorno
sfocato del mio viso sul vetro appannato davanti a me. Aprii il
rubinetto del
lavandino che c’era sotto e – nonostante la doccia
appena fatta – mi buttai dell’acqua,
stavolta ghiacciata, sul viso.
Era ora
di smetterla di pensare e di andare a
divertirsi. Speravo con tutto il cuore che quello fosse il primo passo
per
eliminare tutte le insicurezze e le paure. Non volevo rovinare
quell’avventura.
Uscii dal
bagno trovando l’imperiale figura della mia
migliore amica che mi guardava con occhi di fuoco e con entrambe le
mani
impuntate sui fianchi.
“Finalmente!”
Sbottò “Hai idea di che ore sono?”
Sbuffai
divertita “Sono solo le sei e qualche secondo,
Kris. L’appuntamento al Marie’s è per le
sette: siamo in orario.” La guardai e
non potei evitare di alzare un sopracciglio, divertita “Ma tu
sei già pronta!”
Era a dir
poco bellissima: indossava un vestitino
lungo fino alle ginocchia di un color verde pastello, che faceva
risaltare in
maniera incredibile i suoi occhi smeraldini e, a vederla
così, potevi quasi
percepire la freschezza di una brezza estiva. Era stretto solo dalla
fascia al
petto, che le copriva il seno, mentre dalla vita in giù
scendeva in diversi
fronzoli con tutte le tonalità di verde più
belle. Molto suggestivo, senza
dubbio.
Nonostante tutto non era troppo elegante, cosa che si addiceva
perfettamente ad
una cena con colleghi di lavoro.
Aveva raccolto i lunghissimi capelli biondo dorato in una treccia che
le
ricadeva sulla spalla destra e si era moderata con il trucco. Era una
meravigliosa bellezza acqua sapone che poteva ammaliare chiunque.
Kristine mi rispose facendo spallucce “Ho avuto tutto il
tempo del mondo mentre
tu cercavi di affogarti sotto la doccia.”
“Sei
stupenda.” Feci sincera.
Lei
ammiccò “Lo so”
Mentre mi
mettevo davanti allo specchio sull’anta
dell’armadio e accendevo il Phon per asciugarmi i capelli,
Kristine si mise a
frugare tra le mie cose in valigia.
Appena si mosse notai che si era messa dei sandali argentati con tacchi
non
troppo alti, decorati con qualche brillante sulla fibbia che li legava
alla
caviglia. Alzai gli occhi al cielo: quello era il suo stile e sempre lo
sarebbe
stato, ormai conoscevo i suoi gusti quasi alla perfezione.
Nel frattempo che lei faceva non sapevo cosa – e per favore,
non ditemelo, che
è meglio- io
mi ero asciugata
completamente nel giro di dieci minuti ed ero andata in bagno per
metter via
l’asciugamano e indossare l’intimo.
“Non
ci posso credere!” Gridò lei
all’improvviso,
facendomi sobbalzare. Corsi spedita in quella che ormai era camera mia
e
sgranai gli occhi vedendo che aveva letteralmente rovesciato la valigia
con tutti
i miei vestiti sul letto.
“Kris!
Ma sei impazzita?”
“Io
no, tu si!”
Mi
avvicinai corrugando la fronte “Di che parli?”
“Si
può sapere perché non hai messo un vestito per le
occasioni importanti in valigia?” Il suo tono sfiorava
l’esasperazione.
Io mi
rilassai di botto e sorrisi “Semplice. Io non indosso vestiti, lo
sai.”
“Vuoi
davvero dirmi che hai intenzione di andare a
questa serata in felpa e jeans?”
Feci una
smorfia: nonostante fosse quello lo stile con
cui mi sentivo più a mio agio, un po’ mi scocciava
perché volevo rendere quella
serata davvero speciale e felpa e jeans erano
il perfetto emblema della normalità. In
fin dei conti, se tutto andava bene, avrebbe segnato l’inizio
di qualcosa di
meraviglioso; ci voleva un tocco per dare un pizzico di
straordinarietà al
tutto.
Lei,
forse notando il mio sguardo e comprendendo il
mio stato d’animo, annunciò con fare solenne
“In quanto tua Fata Madrina, ho
intenzione di risolvere la faccenda. A modo mio.”
“Ma-!”
“Tranquilla,
non voglio travolgere il tuo stile.
Troverò un qualche compromesso.” Corse in camera
sua borbottando qualcosa come
– anche se essere travolta da qualcosa le servirebbe,
accidenti se le
servirebbe!
Io
ridacchiai e cominciai a pettinarmi i capelli,
cercando di decidere cosa fare con quella massa informe di chioma.
Kristine, in velocità da record, tornò quasi
subito nella stanza – talmente
trafelata che sperai non si rovinasse nulla del suo look o mi sarei
sentita in
colpa.
Gettò
sul letto varie magliette – dall’aria
costosissima e stupenda- e qualche jeans.
“Allora..” Cominciò a riflettere al
alta voce mentre io la osservavo quasi impaurita “Proviamo
questo.”
Mi lanciò letteralmente addosso un abbinamento che aveva
appena fatto e “Se
sono riuscita a fare centro al primo tentativo, dovrai costruirmi una
statua.”
Alla fine
non dovetti mettere in programma nessun
progetto di costruzione. Eravamo al sesto tentativo, Kristine stava
andando
fuori dai gangheri e l’orologio segnava le sette meno un
quarto. E, proprio
quando pensavo che non avremmo mai fatto in tempo, il miracolo avvenne
e Kristine
riuscì ad evitare per un soffio che le venisse
l’ulcera.
Finalmente
indossavo il mio completo: Kris mi aveva
fatto mettere dei jeans neri e attillati che, parole sue, mettevano in
risalto
le mie forme. ( Io proprio per questo avevo protestato ma nulla si
può fare
contro la furia di Kristine Gordon.)
Abbinata, dopo mille peripezie, avevo indossato una maglietta bianca
– soffice al
tocco- con le spalline che venivano legate dietro il collo, lasciando
scoperta
la parte delle spalle e delle scapole dietro la schiena. Davanti mi
fasciava il
seno ma ricadeva sulla pancia senza costrizioni.
Supplicai la mia amica di non farmi mettere tacchi troppo alti e fui
accontentata
con dei sandali simile ai suoi ma neri e sempre con brillanti sulla
fibbia della
caviglia.
“Io
non so se...”
“Sei
bellissima, Annie.” La mia amica mi portò davanti
allo specchio sorridente “Adesso pensiamo ai capelli,
tesoro.”
E io non
potei fare altro perché lei cominciò a
parlare con fare professionale “Ho deciso: questa tua bella
frangia sarà piastrata
e lisciata, mentre lasceremo i tuoi boccoli al naturale …
magari mettendo un
po’ di schiuma. Adoro i tuoi occhi da cerbiatta, amica mia, e
stasera li voglio
renderli ancora
più provocanti e sexy:
un ombretto scuro potrà di sicuro aumentare la
profondità del tuo color castano
e non ci sarà neanche bisogno del mascara ... hai
già le ciglia lunghissime!”
Avevo
provato a fermarla appena aveva osato
pronunciare le parole provocanti e sexy ma mi aveva liquidato
completamente con
un “Su, su che è tardi. Niente storie.”
E non potevo
fare altro, ormai, se non aspettare di vedere cosa avrebbe fatto la
magia della
mia Fata Madrina – nascondendo il terrore, altrimenti sarei
dovuta correre ai
ripari dalle sue minacce di morte e dintorni.
Alle
sette bollate il campanello di villa Gordon
trillò facendomi sobbalzare. Kristine aveva appena finito e
si era irrigidita.
Io la guardai interrogativa.
“E’
Joe! E’ venuto per Puck!”
Io le
sorrisi “Và ad aprire allora, io scendo in
cucina per vedere cosa combina la mia palla di pelo.”
Avevo
coccolato un po’ il mio cucciolo prima di vedere
il famosissimo Joe sulla soglia della cucina e di conoscerlo.
Senza dubbio era molto dolce e simpatico, solo che eravamo in ritardo e
non ci
fu molto tempo per chiacchierare che Kristine – rossa come un
peperone- mi
aveva trascinato nella sua lussuosissima Audi argentata.
Divertita
da quella situazione le chiesi con finta
innocenza “Contenta? Stasera incontrerai i tuoi attori
preferiti e hai anche visto
il tuo adorato Joe. Devi essere al settimo
cielo, amica mia.”
Lei mi
guardò con aria saputa “Sarò davvero
felice
quando riuscirò a farti indossare una gonna, tesoro
mio.”
Io le
feci la linguaccia e lei accese la radio
mettendo la musica a tutto volume. Destinazione? Divertilandia!
Con
piacere notai che potevo dare ragione a quello che
Nina mi aveva detto
quel pomeriggio: il
Marie’s – sebbene un po’ isolato dal
centro della città- era un locale
meraviglioso. Non era eccessivamente sfarzoso e sembrava di respirare
anche
aria di casa – o forse ero solo io che stavo volando, ancora,
con la testa tra
le nuvole fingendomi chissà quale poetessa.
Ad ogni
modo, fu Kristine a parlare con il tizio
dall’aria rigida all’entrata “Siamo
Gordon e Di Marco, saremmo qui con-“
“Si,
assolutamente.” La interruppe l’omone
“Seguitemi.”
Ci
portò in una zona privata dove era già stato
organizzato un lungo tavolo e intravidi subito la figura di Julie che
mi dava
le spalle, seduta.
Stavo per raggiungerla spedita – cercando sicurezza- quando
la voce di
quell’uomo mi bloccò all’istante
“Se volete darmi anche le vostre giacche,signorine.”
Mi chiesi
in un lampo il perché di tutta quella
formalità ma ci badai poco, lo vidi mentre sorrideva in base
all’etichetta a
Kristine e si affaccendava ad aiutarla a sfilarsi il copri spalle
bianco
candido; io – che volevo evitare quella fase di imbarazzo
– decisi di far da
sola, e cominciai a togliermi il mio giacchetto nero lucido di pelle
finta.
L’avevo
appena slacciato che sentii delle mani
aiutarmi da dietro. Non sapevo perché ma quella sensazione
allo stomaco si
ripresentò senza preavviso. Sapevo chi era, non avevo idea
di come avessi
potuto riconoscerlo così all’istante, ma sapevo
che era lui. Mi voltai
immediatamente e lo vidi con la mia giacca in mano e uno di quei
sguardi che ti
fanno sentire troppe emozioni in una volta sola, che ti fanno impazzire
e venir
voglia di scappare ma allo stesso tempo non vorresti muoverti di un
solo
millimetro.
Sentii il
viso in fiamme e balbettai un “Grazie.” poco
udibile.
Ian si
rivolse al tizio di prima “Jean, prendi anche
questo.” Gli diede la giacchetta mentre io cercavo con lo
sguardo Kristine.
Nel
frattempo Ian incrociò le braccia al petto e mi
scannerizzò, io diventai di fuoco e lui ridacchiò
“Andiamo dai, aspettano solo
noi.” Indicò con lo sguardo il tavolo e io mi
voltai vedendo la mia
adoratissima migliore amica già seduta. Volli strozzarla. Mi
aveva lasciata
sola perché mi aveva visto con Ian; chissà cosa
pensava adesso!
Mentre ci incamminavamo Ian posò una mano sulla mia spalla
scoperta – e mille
brividi sulla pelle, quella sensazione sempre più prepotente
alla bocca dello stomaco
come fossi su un altalena ad occhi chiusi.
Prima di lasciare la presa mormorò un “Buona
serata allora, novellina.”
E
,nonostante il tono divertito,tradì la dolcezza e la
gentilezza che mi aveva mostrato in macchina poche ore prima. Senza
controllarlo
gli sorrisi sincera e spontanea, lui ricambiò e prese posto.
Kevin era
a capotavola mentre alla sua sinistra c’era
Paul, poi Ian – appena seduto- e Nina; alla sua destra
c’era Julie, un posto
vuoto quindi probabilmente il mio e Kristine che era affiancata da
Steven.
Quando mi sedetti tra la sceneggiatrice e la mia migliore amica,
salutai e mi
scusai per il ritardo. La Plec mi sorrise bonaria
“Tranquilla, non siete le
ultime. Devono ancora arrivare Matt, Candice e Michael.”
“I
soliti ritardatari.” Aggiunse Ian, divertito,
mentre mi guardava con quegli occhi che mi facevano perdere la testa
–
accidenti, proprio davanti a lui dovevo sedermi?
“Si
perché tu, Ian, sei sempre in orario. Giusto?”
Fece sarcastico Paul scatenando l’ilarità di tutti
e strappando un sorriso
anche a me e a Kristine.
La mia
amica lasciò libera la sua intraprendenza
“Allora anche un dio del sesso come te ha qualche
difettuccio, eh Ian?”
Diventai
rossissima girandomi verso di lei ad occhi
sgranati. Gli altri risero.
Ian forse s’imbarazzò un po’ ma
sghignazzò anche lui, divertito da quell’uscita,
e solo a quel punto riuscii a rilassarmi anch’io.
Chissà
come mai, proprio lui, stava dimostrando di
aver quel potere calmante su di me.
“Eccoli,
sono arrivati!” Annunciò Kevin, indicando
l’entrata. Io e Kris ci alzammo in contemporanea pronte a
presentarci con una
stretta di mano o un bacio, a seconda dei casi.
Liberati di tutte le formalità anche il resto del Cast prese
posto: Michael e
Candice accanto a Nina e Matt vicino a Steven.
Non ci
volle molto per capire che la biondina avrebbe
fatto scintille se accoppiata con Nina o Kristine. Al pensiero alzai
gli occhi
al cielo – poi il mio sguardo si scontrò con
quello azzurrissimo di Ian e lo
abbassai, improvvisamente tesa dagli strani pensieri che mi travolsero
la mente.
Paul era
un divertimento assurdo, il ragazzo più
simpatico mai conosciuto, se poi unito a Nina e a Ian si poteva anche
morire
dalle risate.
Ci raccontò un paio di aneddoti , durante la cena, che
– oltre ad essere
inediti - erano talmente assurdi che non ridere era impossibile anche
per me
che provavo a contenermi il più possibile.
Nina fece lo stesso, la sua vitalità era impressionante.
Quella ragazza era una
bomba e sicuramente non solo sul piano fisico; era gentile e sempre
allegra,
scherzava con me e Kris esattamente come lo faceva con Paul o Candice.
Scoprii Michael essere in perfetta sintonia con Ian per quanto
riguardava
l’essere maliziosi, e Steven e Matt adoravano prendere in
giro il trio –
facendo battute su errori sul set che principalmente Kris
trovò particolarmente
interessanti.
Julie e Kevin sembravano per lo più dei genitori in perfetta
sintonia con i
figli e l’atmosfera che si era creata era
a dir poco stupenda.
E, cosa
ancor più bella e completamente folle, io mi
sentivo a mio agio con tutti loro. Totalmente.
La cena
stava procedendo alla grande e anche io mi ero
gradualmente inserita in quel gruppo di scalmanati; tutto sembrava
perfetto,
almeno fin quando non sentii un forte dolore al petto dannatamente
familiare.
Il cuore stava accelerando la sua corsa e cominciavo ad avere
difficoltà a
respirare; non riuscivo più a mettere coerenza nei pensieri,
i rumori si
stavano facendo ovattati e lontani.
Gli altri
stavano ridendo ma non avevo capito il
motivo.
No, non
ora. Maledizione.
Respira Annie, respira.
Mi alzai
di scatto dalla sedia mormorando un
“Scusate.” e corsi rapidissima in bagno.
Mi fiondai su uno dei lavandini e mi buttai sul viso un po’
acqua gelata,
provando a tranquillizzarmi e a riprendere fiato lentamente, ma la
situazione
non cambiava; il respiro era ancora affannato e cominciavo a provare
una paura
bestiale.
Sentii
una presa alle spalle, dolce e rassicurante, e
la voce spaventata di Kristine ordinarmi di calmarmi e che tutto andava
bene.
Non
riuscii a rispondere e tutto divenne nero.
TBC
A/N:
La
storia comincia a farsi finalmente un po' intrigante?
Annie e
Ian hanno un paio di occasioni da soli e
qualcosa comincia a diventare strano nella testa della nostra
scrittrice.
Anastasia scopre, sebbene solo superficialmente, altre caratteristiche
riguardanti il bel attore e ne rimane affascinata ( beh, non
poteva essere
porprio altrimenti, no?)
Vediamo
la scena con Kristene che, oltre a
sottolineare il legame che ha con l'amica, alleggerisce un po' la
situazione e
- spero- renda il tutto un po' più realistico. Per il
momento Joe non è preso
molto in considerazione ( non ho voluto allungare troppo il capitolo)
ma in
futuro - se le cose vanno come progettate- anche lui
avrà la sua
bell'importanza.
Ed eccosi
arrivati al Marie's! Scenetta con Ian,
scombussolamento di Annie e battuta imbarazzante di Kris.
Tutto procede nella norma.
Paul, Nina e tutti gli altri si mostrano simpatici e divertenti,
nonchè gentili
e tutto va bene. Anche Annie si sente inserita nel gruppo e ormai si
sta
ambientando senza problemi.
Beh, i
problemi arrivano giusto giusto alla fine.
Non credo
di poter dire altro senza spolierizzare
qualcosa xD Quindi spero sinceramente che l'aggiornamento sia piaciuto
e faccio
un ringraziamento speciale ad Iansom Dato
che probabilmente senza di lei questa storia sarebbe rimasta bloccata
al
Prologo.
Graaaaazie mille <3
Spero a
presto :)
Baci,
{-Eyes.
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Capitolo 6 *** Secrets by Moonlight. ***
Secrets
by Moonlight.
Mi
sentivo stordita.
La
testa mi
pulsava forte e dovetti strizzare gli occhi per cercare di alleviare il
fastidio. Ci volle molto per riacquistare un’ombra di
coscienza della realtà, o
almeno così parve a me.
Mi resi conto che avevo la schiena a contatto con qualcosa di duro,
freddo e
fastidioso – in netto contrasto con il calore morbido che
sentivo vicino alla
nuca e sulla fronte.
Cercai di
non andare in panico – era come essere sotto
sedativi e quel senso d’impotenza nel sapere cosa
fosse accaduto intorno
a me era orribile.
Stavo per andare in iperventilazione, non riuscivo più a
controllare il
respiro.
“Oh,
Dio mio.” Una voce preoccupata e familiare,
all’inizio ovattata, mi raggiunse velocemente
“Annie dimmi qualcosa, stai bene?
Ti ricordi cos’è successo?”
Non ero
sola. Era... Kristine.
Dovevo tranquillizzarmi, maledizione. Provai a trattenere il fiato per
qualche
secondo per poi rilasciarlo tutto insieme – e ricominciare
a respirare,
profondamente, contando il numero di volte il cui il diaframma si
abbassava.
Il mal di
testa non passava e sentivo la gola secca;
inoltre la luce al neon sopra di me riuscì ad accecarmi non
appena provai a
socchiudere gli occhi. Mugugnai qualcosa, facendo stringere la presa
della mia
amica sul mio corpo.
Ci misi qualche secondo per ricordare e capire:
probabilmente ero
sdraiata sul pavimento del bagno del Marie’s, con la testa
poggiata sulle
ginocchia di una Kristine spaventata e decisamente ansiosa. Mi
accarezzava la
fronte imperlata di sudore con l’affetto di una madre
sollevata ma ancora
sconvolta.
Non ci fu
bisogno di parole; mi aiutò a mettermi
seduta senza intaccare la parte di me che si vergognava di quello che
era
successo o di accentuare quell’altra che ne era terrorizzata.
“Mh.”
Strizzai gli occhi tenendomi le tempie con le
dita.
“Che
posso fare?” Domandò dolce come non mai, la mia
migliore amica.
Sorrisi
mesta “Sto bene...” Mi schiarii la voce,
scuotendo lievemente la testa “… Da quanto tempo
sono rimasta in questo stato?”
“Non
troppo, un paio di minuti.” Rispose lei
pragmatica e aggiunse “Ma hai stupito un po’ tutti
con la tua uscita plateale.
Il tempo del ‘lasciamole la sua privacy’
credo sia dimezzato da quello
per la preoccupazione.”
Imprecai
alzandomi con molta calma. Kristine era
sempre vicino a me, rimanendo più indietro per lasciarmi il
mio spazio e il mio
orgoglio. Mi aggrappai al marmo freddo di uno dei lavabi di quel bagno
e
obbligai me stessa a non guardarmi allo specchio; la consapevolezza era
sempre
la parte più dura da accettare, quando tutto finiva.
Aprii l’acqua e la guardai scorrere, come ipnotizzata. Poi
mormorai “Torna al
tavolo e non fare preoccupare nessuno. Inventati qualcosa, per
favore.”
“Tu
non vieni con me?” Nella sua voce calma e decisa
c’era una nota di tristezza e tormento che mi fece sentire in
colpa.
Scossi la
testa “Ho solo bisogno di un po’ d’aria.
Andrò
a prendermi una sana boccata d’ossigeno ma, tranquilla
– Alleggerii il tono e
lo feci diventare divertito - tornerò per il
dessert.” Sorrisi grata,
guardandola negli occhi attraverso il riflesso dello specchio
“Grazie, Kris.”
Mormorai.
Lei
alzò gli occhi al cielo, capendo che per il
momento andava tutto bene “Sì,
sì.” Rispose in fretta con un gesto della mano
–
i sentimentalismi non erano per lei- “Tu riprenditi in fretta
che il
bianco-pallido ti dona poco.” E una nota dolce nella sua
voce, la tradì nella
sua impassibilità.
Ridacchiai.
Un minuto
dopo, un paio di sberle più tardi e un ‘Datti
una regolata, Annie!’ di rimprovero, ero uscita
dal locale.
Avevo sorriso vedendo una scena a dir poco romantica sul mio cammino:
un uomo
stava porgendo un mazzo di rose rosse ad una donna sotto una serenata
accompagnata dal dolce suono di un violino. La guardai una attimo,
riprendendo
il buon’umore – non c’era bisogno di
pensare ai lati negativi, necessitavano
fin troppa attenzione già quando si presentavano prepotenti.
Nel momento in cui
passavano non volevo che rimanessero nella mia testa. Sarebbe stata
troppo dura
– e, probabilmente, da sola, non ce l’avrei mai
fatta.
Uscii dal
locale più serena, determinata a non
rovinare quella magnifica serata che segnava l’inizio del mio
sogno.
Camminai
un po’ fino a ritrovarmi nel parcheggio. Non
c’erano molte auto ed era tutto tranquillo. Me ne sentii
sollevata; un po’ di
tranquillità per sistemare i pensieri era tutto
ciò di cui avevo bisogno.
Fu una
figura, appoggiata al cofano di una macchina
davanti a me, a farmi dimenticare persino il motivo per cui mi serviva
quell’aria fresca.
Mi avvicinai cauta. Lo avevo riconosciuto subito e avevo anche pensato
alla
possibilità di lasciarlo solo – che sembrava
ciò che voleva- poi però avevo
visto una nuvoletta di fumo e avevo corrugato la fronte.
Ian non
impiegò molto tempo a capire che c’era qualcun
altro lì con lui. Quando si voltò, io sorrisi
automaticamente.
“Oh,
Anastasia.” Fece lui “Ciao.”
Forse era
la calma che ci circondava, forse era per
colpa di quello che era successo prima. Forse era solo la luce della
luna che
rischiarava l’oscurità di quella serata ma non
potevo essere più tranquilla
mentre mi appoggiavo accanto a lui al cofano della sua auto scura.
“Stai
bene?” Mi chiese mentre io alzavo il viso per
guardare il cielo.
Feci
spallucce “Sì, avevo solo bisogno di una boccata
d’aria credo.” Non lo guardai e mi concentrai sulle
stelle che riuscivo a
vedere “E tu?”
Lo sentii
ridacchiare “Sei tu quella che è scappata
dal tavolo.”
Mi voltai
verso di lui, scontrandomi con l’azzurro
luminoso dei suoi occhi “Non sono stata l’unica a
quanto pare.” Sorrisi un po’
impacciata mentre quegli occhi imprigionavano ogni mio pensiero e
facevano
aumentare il mio battito cardiaco.
Ian fece
uno sbuffo di risata mentre prendeva un
ultima boccata di fumo dalla sigaretta e la lanciava per terra per poi
spegnerla.
Si sedette completamente sul baule della sua macchina per poi sdraiarsi
appoggiando la schiena al vetro e incrociando le braccia dietro la
testa. I
suoi magnifici occhi si persero a guardare la luna in pochi secondi,
proprio
come avevo fatto io poco prima.
Lo guardai. Non potevo fare nient’altro. Era bellissimo,
più affascinante di un
Dio e stupendo con quell’aria persa
nell’oscurità.
Sembrava tormentato da qualcosa e, nonostante quella luce nei suoi
occhi mi
metteva tristezza e senso di impotenza – perché
volevo aiutarlo ma non sapevo
come- questo lo rendeva terribilmente umano e semplice. Proprio come
me, e
ancora più bello.
Mi resi
conto che lo stavo fissando – e che forse era
anche maleducazione- e quando lui si rese conto della stessa cosa e
ricambiò lo
sguardo io m’infiammai e corsi letteralmente con gli occhi a
guardare la luna
piena di quella notte.
Lui rise
e io mi beai di quel suono leggero, in netto
contrasto con lo sguardo che avevo visto sul suo volto pochi secondi
prima.
“Arrossirai
ogni volta che ci incroceremo, d’ora in
avanti?” Domandò divertito ma senza ombra di
malizia.
Io se
possibile arrossii ancora di più ma gli risposi
con un mezzo sorriso “Guarda che non è certo
facile, sai?”
“Ah
no?” Poggiò gli avambracci sul cofano e fece leva,
rimanendo così mentre ci guardavamo – lui con la
fronte corrugata e un sorriso
ghignante e io rossa come una fragola a metà tra
l’essere rilassata e sul punto
di aver un attacco di cuore.
“Se
tu fossi al mio posto, saresti completamente a tuo
agio già dal primo momento?”
Fece una
strana smorfia che definii subito buffa e
chiese con finto tono ingenuo “Intendi se mi sentirei a mio
agio a stare con me
e a guardarmi in uno specchio?”
Sembrava
una conversazione tanto normale nella sua
stranezza che per cinque secondi dimenticai che fosse
l’attore famoso per cui
avevo una cotta segreta e decisamente infantile, paragonabile a quelle
che si
hanno per cantanti o stilisti – impossibili da raggiungere.
Con un
balzo leggero mi sedetti girata verso di lui
incrociando le gambe, chiedendo subito “Si può
sapere quante personalità hai?”
Alla sua faccia confusa e curiosa continuai “Ti conosco da
meno di un giorno ho
già intravisto l’Ian
presuntuoso ma simpatico nella sua superbia, quello
semplice e normale che mi ha accompagnato a casa e che è
anche generoso e
altruista, quello galante che mi ha aiutato a togliere la giacca come
fosse un
uomo d’altri tempi e quello misterioso e tormentato da
pensieri personali di
cui non ha voglia di parlare e finisce in un banale tentativo di
cambiare
discorso che ho accettato per il semplice fatto che siamo appena
conoscenti e
in fin dei conti non sono fatti miei.”
Mi
accorsi di aver fatto il conteggio sulle dita e di
aver detto quello che avevo detto solo dopo, quando guardai la sua
faccia
stupita e basita.
Quel mio parlare a mitraglietta così maleducato
probabilmente lo aveva
indisposto.
Mi passai
una mano tra i capelli mormorando più lentamente
“Ok, l’ultima stoccata potevo anche
risparmiarmela.”
Scesi
dall’auto, con l’intento di andarmene per
evitare di fare altri pasticci, quando sentii una presa al polso che mi
fece
girare automaticamente.
Mi scontrai con Ian che, una volta visto che mi ero fermata, mi
lasciò andare.
A dire il
vero non gli diedi molto tempo per parlare
che fui assalita dai sensi di colpa e ricominciai con la mia veloce
dialettica,
purtroppo instancabile “Scusa. Non l’ho fatto a
posta, è che quando inizio con
la mia parlantina non ho più il filtro che divide parole e
quelli che
dovrebbero rimanere pensieri, così finisco sempre col dire
quello che le
persone non vogliono sentirsi dire e rovino sempre tutto e-“
Mi
bloccai immediatamente quando Ian poggiò un dito
sulla mia bocca. Rimasi immobile con il cervello completamente fuso e
il cuore
impazzito a causa di quella vicinanza elettrica.
Il
sguardo cadde sulle sue labbra dischiuse e dovetti
fare uno sforzo enorme per non alzarmi sulle punte e baciarlo.
Sapevo che dovevo tenere sotto controllo gli ormoni; ero grande e
vaccinata e
non potevo farmi attrarre in quel modo da un paio
di labbra. Da un paio
di labbra troppo vicine che –
Scossi la
testa mentalmente dandomi dell’idiota.
Provai a respirare profondamente mentre cercavo di concentrarmi sui
suoi occhi
che – nel lasso di quei secondi- non avevano smesso di
guardarmi indagatori.
Sì,
brava Annie. Passa dalla padella alla brace,
ottima idea. Dannazione, quegli occhi dovrebbero essere illegali, altro
che.
Ancora
così vicini, ancora a contatto – troppo
intimo – lui mormorò serio
“Sono abbastanza sicuro di non essere l’unico
che nasconde pensieri o tormenti.”
Il mio
cuore era ormai impazzito. In quell’istante lui
mi aveva confermato il fatto che io avevo capito qualcosa in
più, ma mi aveva
anche fatto intendere che non ero la sola a saper leggere negli sguardi
della
gente.
Improvvisamente mi sentii nuda di fronte alla luminosità di
quell’azzurro,
adesso così intenso da sembrare zaffiro liquido.
Ian
sorrise sghembo senza tuttavia cambiare nulla in
quella situazione. Sentivo il suo respiro – caldo,
pacato...
rassicurante- e sentii la testa farsi sempre più leggera,
facendomi ricordare
in maniera assurda quella sensazione stordente che avevo provato quando
ci
eravamo incontrati per la prima volta, quello stesso pomeriggio.
Dio, non
era passato neanche un giorno..
L’incantesimo
del silenzio in cui ci trovavamo fu
spezzato dal suono di un violino che ci aveva raggiunto insieme a
quello di
alcune risate divertite.
Sbattei
le palpebre come se mi stessi svegliando dopo
un sogno e indietreggiai all’istante di un passo; volevo
mettere quanta più
distanza possibile tra il mio corpo e quello dell’attore.
Guardai subito alla mia sinistra riconoscendo la coppia che avevo visto
prima
di uscire, poi posai il mio sguardo di nuovo su Ian, come spaesata.
“Sarà
meglio andare prima di essere presi per
dispersi.” Mormorò lui lanciando un occhiata ai
due fidanzati che si stavano
appropriando del silenzio di quel parcheggio – ormai andato
perso.
Feci una
smorfia e fui grata a quel paio di macchine
che ci nascondevano, poi mormorai piano “E soprattutto prima
di rovinare la
catarsi alla giovane coppia; non vorrei avere sulla coscienza un
momento del
genere.”
Lui
ridacchiò,mi afferrò un polso facendomi girare su
me stessa e mi trascinò subito dopo all’entrata
del locale.
Stavamo
soffocando entrambi una risata divertita
mentre camminavamo accucciati, dietro le automobili parcheggiate, per
non farci
scoprire dalla coppia che adesso stava ballando un lento al chiaro di
luna
appena fuori dal locare.
Ero
ancora stordita ma, ora, l’unica cosa che volevo
era quella di sentirmi a mio agio. Non importava altro, per me.
Ian mi
teneva il polso in una presa forte ma gentile
e, nonostante mi sembrava di bruciare a contatto con lui, non riuscivo
a far a
meno di apprezzare ogni singolo istante di quel momento.
Forse
avevo trovato il mio posto nel mondo.
Lo speravo con tutto il cuore.
Tornammo
al tavolo e ormai stavano servendo il dolce
ma fu solo quando fummo abbastanza vicini da essere notati che lui
lasciò
andare la presa sul mio polso.
Non che
mi stessi lamentando, ovvio.
Ian
sembrava completamente a suo agio, era tornato a
scherzare con i suoi amici e io non riuscii ad evitare un sorriso a
trentadue
denti guardandolo mentre faceva un commento divertito sul dessert colorato
che aveva ordinato Nina.
Quando mi sedetti al mio tavolo fui grata a qualunque cosa avesse detto
Kristine, perché nessuno mi chiese cosa fosse successo o
perché fossi scappata.
Solo Julie, con una dolcezza disarmante, volle essere rassicurata sul
fatto che
io stessi bene.
Solo
quello.
Una materna preoccupazione sulla mia salute; la tranquillizzai con un
sorriso e
un cenno del capo.
Guardando
la donna rispondere poi ad una domanda di
Paul, mi avvicinai alla mia amica mormorandole un
“Grazie.” all’orecchio.
Lei fece
spallucce e mi lanciò una brevissima occhiata
– che mi mise i brividi- e, prima di prendere un boccone
dalla fetta di torta
che aveva ordinato, fece completamente tranquilla “Ti
sdebiterai raccontandomi
cosa c’è tra te e il bel vampiro dagli occhi di
ghiaccio.”
“C-come
scusa?”
“Oh,
andiamo Anns! Chi vuoi prendere in giro, eh? L’ho
notato subito.” Ridacchiò furba, mantenendo il
tono di voce basso e malizioso
“Da come ti ha tolto la giacca, fino al
fatto che vi tenevate per
mano fino a cinque secondi fa.”
Si voltò verso di me battendomi una mano sulla spalla mentre
io ero rimasta a
bocca aperta, completamente sconcertata. “Sai, non ti facevo
così precoce, cara
amica mia. Sono orgogliosa di te.”
La
guardai sconvolta mentre si voltava verso Candice
per dire la sua riguardo ad un abbinamento che andava in voga
quell’estate.
Non potei
fare altro che scuotere la testa abbassando
lo sguardo sul gelato che qualcuno aveva ordinato per me, sentendo
– come se fosse
una novità- le guance in fiamme.
Sperai
solo che nessun’altro l’avesse sentita e mi
ripromisi di spiegarle i fatti, una volta tornate a casa. Pregando
quante più
divinità possibili che mi credesse.
Perché
tra me e Ian Somerhalder non c’era nulla se non
un bel principio d’amicizia. Già.
Quando
smetterò di avere pensieri poco amichevoli su
quelle labbra o su quei occhi, forse.
TBC
A/N: Ok,
ragazze,
chi non muore si rivede a quanto pare :P
Come
magari avrete intuito, ho avuto qualche problema
d’ispirazione. Più che altro dovuta allo scarso
entusiasmo con cui ho seguito
la maggior parte della quarta serie, credo.
Però l’ultima puntata è stata
fenomenale e, no, non vi faccio spoiler
tranquilli.. comunque fatto sta’ che mi è tornata
la voglia di scrivere da
queste parti :)
Quindi ho
revisionato quest’ultimo capitolo,
aggiungendo qualcosa – correggendo obbrobri ortografici (sul
serio, avevo tipo
seminato virgole a caso nella prima parte! xD)
Nonostante questo non cambia molto.. la serata al Marie’s
è comunque conclusa.
E
sì, per ora vediamo Anastasia che sta ingranando.
Stiamo puntando sull’amicizia, gente. Si conoscono da a
malapena un giorno e la
nostra Annie è ovviamente convinta che la sua sia solo una cotta
– o
come la chiamano in America: Starstruck!
E non è che abbia torto: in effetti è proprio
questo. (Per il momento?)
Sta di
fatto che da adesso dovranno lavorare insieme
per ancora non si sa quanto tempo. Ci saranno tante avventure e tante
azioni
che - come dice il caro Newton- faranno scattare delle reazioni
( uguali e
contrarie e via dicendo xD).
Fatemi
sapere che ne pensate. Se avete consigli
sul come evolvere la storia ( Tipo velocizzare o rallentare i fatti,
descrivere
meglio o lasciare spazio ad altri personaggi..) sono tutt'orecchie per
migliorare
:) Non aspetto altro.
Spero
l'aggiornamento vi sia piaciuto.
PS: Per
il fatto dei discorsi in “lingua originale”;
adesso mi sembra una cavolata colossale xD Non è che se io
mi immagino le scene
in lingua madre, dovete sorbirvi anche voi lo stesso supplizio.
Comunque ammetto che certe espressioni stanno meglio in americano, so
aspettatevi
qualcosa nel bel mezzo dei capitoli.
(Ad esempio tradurre un formidabile “Right back at
ya!” in
italiano mi farebbe piangere il cuore, quindi Hasta la vista e bom. xD)
You know
I love you,
Spero di postare il prossimo (vero, non
‘revisione’) capitolo presto.
Besos,
Eyes :)
|
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Capitolo 7 *** In un chicco di Caffè ***
In
un chicco di Caffè.
Nelle ultime tre settimane erano successe un sacco
di cose. Il
mese di giugno era quasi finito ed eravamo agli sgoccioli.
La prima puntata della seconda stagione non sarebbe andata in onda
prima di
metà settembre ma, nonostante questo, l’intrusione
della fan fiction nella
Storyline aveva comportato un bel po’ di lavoro in
più.
Era più faticoso di quanto avessi mai potuto anche solo
immaginare ma – di pari
passo- era anche incredibilmente gratificante.
Sorrisi cliccando l’icona ‘Salva’
per il documento Word che era sotto le mie mani in quel momento.
Julie mi aveva affidato un compito preciso:
trasformare una
semplice fiction in un vero e proprio copione, con la struttura
corretta, la
terminologia esatta e così via. Mi aveva aiutato molto
rileggere quelli della
prima stagione, ma ero comunque agli inizi.
E no, non era così facile: quasi ogni giorno c’era
la riunione degli scrittori
e sceneggiatori del cast dove proponevamo milioni e milioni di idee e,
farle
incastrare tra loro alla perfezione, era arduo.
Però non c’era nulla di scoraggiante nello stare
seduta a quel tavolo circolare
con dei fogli davanti, il cercapersone legato alla vita, una penna
sempre
carica in mano e uno sguardo attento alla ‘lavagna-
storm’[1].
Mi sentivo a mio agio: eravamo in cinque nella crew di scrittori
– senza
contare Julie e Kevin che facevano di tutto per presenziare ad ogni
riunione.
Il lavoro di squadra era qualcosa di fenomenale e ne ero rimasta
completamente
abbagliata. Era incredibile.
E me la stavo cavando. Ci stavo riuscendo
– non mi sentivo più un pesce fuori
d’acqua; tempo due
giorni e mi avevano accolta tutti in maniera talmente calorosa da farmi
commuovere come una sciocca davanti ad un film romantico.
E – tutto questo-
era
molto più di quanto avessi mai desiderato.
Amavo far parte di quella grande famiglia; era speciale,
ed io ero la ragazza più fortunata al mondo che era
entrata a farne parte quasi senz’accorgersene. Era stato
naturale e
sorprendente, in un mix di emozioni che mi aveva travolto senza
preavviso.
E avevo anche un ufficio!
Mi piaceva chiamarlo ufficio,
soprattutto perché gli
dava un’aria
pomposa che faceva ridere. In realtà era solo una stanza,
con una scrivania e
due poltrone davanti, neanche troppo grande, che usavo quando
– dopo qualche
riunione del cast, o in qualche sprazzo d’ispirazione- dovevo
buttare giù
qualche idea o qualche pezzo di copione, e mi serviva un po’ di silenzio.
Avevo una portafinestra dietro di me, che potevo aprire quando volevo
accedere
alla terrazza enorme che faceva da comunicante con le stanze
dall’altra ala
degli Studios. Niente di troppo naturale,
molto cemento e poco verde, ma da lì mi piaceva guardare il
cielo quando c’era
bel tempo –era particolarmente suggestivo, poi, di sera, in quell’esatto
istante in cui sentivo la giornata
finire.
Comunque non me l’avevano affidato da tanto tempo – otto giorni, al massimo-
ma io avevo già
sistemato qualche foto sulla scrivania e ci avevo infilato dentro il ficus che mi aveva regalato Nina
–
perché era fashion avere
un ficus in
ufficio- prendendomi clamorosamente in giro.
Adesso quel ficus si chiamava Eddie e, anche lui
come me, faceva
parte della squadra.
Ridacchiai al ricordo ma fui bloccata
all’istante quando sentii
bussare alla porta.
Esclamai un “Avanti!” mentre mi
sfilavo gli occhiali da vista e mi
massaggiavo per qualche secondo le palpebre.
“Non è che stai lavorando
troppo, genius?”
Alzai lo sguardo con uno scatto e Ian - che mi
fissava a metà fra
il divertito e il perplesso, con una spalla appoggiata alla porta e le
braccia
incrociate al petto- mi fece un cenno di saluto con la testa e un
sorrisino
sghembo.
Nonostante il cuore impazzì nel giro di due secondi, non ero
realmente sorpresa
di vederlo lì. Ormai era diventata una specie di tradizione,
pensai, dato che
durante le ultime due settimane ci incontravamo sempre a
metà giornata per fare
pausa.
Gli sorrisi all’istante “In
realtà ho appena finito.” Lo informai
“Giusto in tempo per il caffè. Visto come sono
puntuale?”
Mi alzai andando ad afferrare la borsa che avevo
lanciato sul
divanetto nero accostato alla parete destra, e lo raggiunsi in poche
falcate - sempre
con quel sorriso ebete stampato in volto. Probabilmente mi sarebbe
venuta una
paresi a furia di tenermelo lì, in faccia, con i muscoli che
quasi facevano
male.
Scossi leggermente la testa, quasi rassegnata.
Non posso
evitarlo. Non quando c’è lui nei paraggi.
Lui mi lanciò
uno sguardo di disapprovazione “Sei una caffeinomane, per
questo sei sempre
così esaltata!”
Io risi apertamente chiudendomi la porta alle
spalle “Ehi, non
sono esaltata! Sono solo molto vivace.”
“Ti metti a saltare
strepitando-”
“-solo quando succede qualcosa di
bello!”
“C’è qualcuno che non
hai abbracciato in uno slancio
d’improvvisa
felicità, da quando sei arrivata?”
Scoppiai a ridere “E’colpa
vostra che mi avete accolto con così
tanto amooore.” Gli
spiegai
divertita, marcando il mio accento italiano sull’ultima
parola.
Lui borbottò un
“Ragazzina” ma ormai eravamo arrivati nella sala
relax – e mi stupii, come sempre, allargando gli occhi come
una bambina,
constatando il calore che arrivava
da
qualcosa di così familiare.
“Ragazzi!” Ad uno dei tavoli
c’era seduto Paul che – appena ci
vide- fece un cenno di saluto con
la
mano.
Ian lo raggiunse all’istante, mentre io
andavo al bancone in
ceramica color rame e mettevo l’acqua per prepararmi il mio
super-concentrato
di caffè quotidiano alla macchinetta di lusso di cui non
riuscivo ancora a
pronunciare il nome.
Intanto che aspettavo fosse pronto, raggiunsi i ragazzi che avevano
cominciato
a parlare di questa o di quella novità; Paul mi
salutò ancora con il solito
sorriso “Ehi, Annie. C’era del caffè
appena fatto, non hai visto?”
Aprii la bocca per rispondere, ma Ian fu
più veloce e m’intercettò
“Ohi, man. Non hai ancora
imparato?
Questa qui beve solo esplosivo.”
Gli lanciai un’occhiata piccata ma fui
costretta ad annuire,
sovrastata dall’evidenza “Il segreto è: tanta
miscela e niente acqua. Ed ecco il vero
caffè.”
“Voi Italiani..”
Alzai gli occhi al cielo e, con quel gesto, vidi la
figura della
Dobrev all’entrata della sala “Ehi Nina!”
Mi sbracciai in maniera esagerata,
dato che la stanza era deserta e neanche troppo grande, ma ormai era
diventata
un’abitudine quindi ci feci poco caso.
“Ragazzi, cercavo proprio voi!”
Salutò tutti con un bacio sulla
guancia ma non diede il tempo a nessuno di ricambiare il buongiorno,
che
cominciò a parlare a raffica “Ho una notizia
sensazionale! Non ci crederete ma
ho incontrato Julie mentre venivo qui e mi ha dato l’ok! Insomma, è
meraviglioso-”
“Caffè, caffè,
caffè!” Mio malgrado interruppi
l’esaltazione
dell’attrice nell’esatto momento in cui sentii il
forte profumo di caffè
nell’aria – e praticamente mi lanciai
ad afferrare una tazza per potermene versare un po’.
Già che ero lì, presi anche una ciambella e
ritornai al tavolo più in fretta
che potei.
Mi dovetti scontrare con gli sguardi dei miei nuovi
colleghi e
arrossii all’istante. Mormorai uno
“Scusa.” soffocato, dato che avevo in bocca
già il primo morso della brioche.
Tirai una gomitata ad Ian quando lo sentii ridacchiare e deglutii con
forza –
rischiando di strozzarmi- e spronai l’altra ragazza a
continuare “So, what’s up?”
Mi lanciò un’occhiataccia, ma
riuscii comunque ad intravedere il
sorriso sulle sue labbra quindi mi tranquillizzai all’istante
perché non si era
arrabbiata. Non sul serio, almeno.
“Quindi.. come stavo dicendo prima, ho
avuto l’ok.”
“Ok,
per cosa?” Chiese
Paul, corrugando la fronte,perplesso come me e Ian.
La stanza fu improvvisamente abbagliata dal sorriso della ragazza
che annunciò
alzando la mano a pugno “Per la nostra vacanza!”
Io - che avevo scelto proprio quel momento per
bermi il primo
sorso di caffè bollente- cominciai a tossire con violenza
dato che mi era
andato tutto di traverso. Ringraziai con gli occhi Paul che prese e
battermi
una mano sulla schiena e finalmente riuscì ad esalare un
“ V-vacanza?”
“Oh, andiamo.”
Ci spronò
lei “E’ estate! L’unico momento
all’anno in cui abbiamo un po’ di tempo libero,
non possiamo sprecarlo!”
E tutto fu chiarito. Sentii una bolla di calore
esplodermi in
faccia e sgranai gli occhi, con un piccolo ‘oh’
sulle labbra.
Era ovvio: loro erano attori – durante le riprese erano super
impegnati ed era
logico che volessero godersi le loro ferie.
“E dove andrete?” Chiesi
curiosa, solo un po’ delusa perché non
avrei pensato di passare i successivi due mesi senza
nessun’altro con cui avere
la pausa caffè. Ma alla fine potevo essere contenta per
loro, senza problemi.
Nina mi guardò confusa, corrugando la
fronte “Dove andremo,
semmai. Non dirmi che hai già altri
impegni?”
“N-no certo che no, ma pensavo-”
“Non pensare, ti fa male.” Mi
consigliò Ian, con un sorrisetto
scanzonato che mi fece venir voglia di prenderlo a sberle. O baciarlo,
a
seconda dei casi.
Le mie guance raggiunsero lo stato
‘peperone’ e bofonchiai un
“Ah-ah. Divertente.” osservando la tazza che avevo
tra le mani come se fosse la
cosa più interessante nell’universo.
Poi Paul s’intromise e io lo guardai recuperando la ciambella
“In realtà avevo
già organizzato qualcosa con Torres.”
La Dobrev a quel punto sgranò gli occhi
“Quando?”
Pretese di sapere, all’istante. In quel netto secondo.
O si sarebbe trovato senza gel per il resto della stagione.
“Oh, take it
easy.” Non
seppi come Paul riuscì a rimanere tranquillo sotto quello
sguardo, e mi
appuntai un tanto di cappello nei suoi riguardi “La casa
è grande, ci staremo
tutti.”
Ci fu un momento di silenzio in cui potei giurare
di sentire il
cervello di Nina assimilare la notizia, per poi sorridere di nuovo e
abbracciare
il collega con rinnovato entusiasmo, esclamando nell’orecchio
del povero attore
un “Che bello! Grazie, grazie!”
Ridacchiai a quella scena ma la mia attenzione fu
presto attirata
dalla figura di Ian – come succedeva spesso da quando lo
conoscevo- che aveva
dipinto sul volto un sorriso morbido e dolce, dal quale non riuscii a
distogliere lo sguardo. Ancora non avevo scoperto quante diverse pieghe
potesse
prendere la sua personalità, ma mi ero ritrovata a cercarne
ogni sfumatura con
– forse- più
interesse di quanto fosse
lecito.
Poi lui si voltò verso di me e i miei occhi viaggiarono nei
suoi come da
protocollo.
Tutto
questo è molto controproducente.
Cercai di riscuotermi e gli
indirizzai una domanda, per provare a distrarmi
“Tu non avevi impegni?”
Nina lasciò libero il povero Paul
all’istante, e puntò i suoi
occhi da cerbiatta sul corvino “E’ vero. Non dovevi
andare dalla tua famiglia?”
Ian fece spallucce “Nop.
Cambio piani: I miei genitori sono in crociera nel Mediterraneo, mentre
Robyn e
Robert hanno il loro da fare con la loro prole; probabilmente mi
rapiranno a
Natale.”
“Quindi sta accadendo seriamente?”
Fece lei, cercando un’ultima rassicurazione
“Andremo in vacanza insieme?”
Feci per aprire bocca ma mi tagliò sul
nascere “Non provare ad
obbiettare Di Marco!”
Io ridacchiai “Vorrà dire che
chiederò a
Julie se posso lavorare a distanza quindi.”
“Certo che lo farai.”
Annuì lei “E mi aspetto che inviti anche
Kris e Puck. Senza fare storie.”
Sorrisi annuendo. Ormai – con tutte le
volte che mi erano venuti a
trovare- erano di casa almeno quanto me.
“Però avrei lo stesso una
domanda.”
“Spara.”
Mi voltai verso Paul, curiosa “Dov’è
che andiamo?”
***
Quattro giorni più tardi avevo la
valigia alla mano, pronta già da
mezz’ora a partire ma irrimediabilmente bloccata
sulla soglia di casa, per colpa di un leggero ritardo.
“Kristine Clara
Gordon!”
Urlai esasperata “Sbrigati o perderemo
l’aereo!”
Sentii un “Sì, sì.
Sono pronta!” tutto in altre faccende
affaccendato.
La vidi praticamente volare già dalle
scale con due bagaglioni
rosa acceso, e arrivare sana e salva sul pianerottolo del soggiorno
– anche se
ancora in precario equilibrio per il peso delle due valige.
Inarcai un sopracciglio “Ti serve davvero
tutta quella roba?”
Lei, nonostante avesse quasi il fiatone,
riuscì a guardarmi
male “Stiamo
andando nella Città degli
Angeli, Annie. Mi serve davvero
tutta
questa roba, sì.”
Risi “ Ok,
ok. Non ti
scaldare tanto!”
“Io non riesco a crederci!”
Sbottò lei “E’ Los
Angeles! E
tu sei così
fredda; certe volte mi chiedo come fai ad essere tanto
insensibile.”
“Non sono insensibile.”
Replicai a tono “Sei tu che sei andata a
L.A mille volte e ancora non riesci a preparare una valigia.”
“Io riesco a-”
“Ho detto una
valigia,
Kris.”
Lei sbuffò
“Antipatica.”
“Dai andiamo, ci aspettano.”
“Chi, il tuo principe azzurro?”
“No, ma ti do un paio d’indizi:
è enorme, ha permesso all’umanità
di volare e – se non ci sbrighiamo- ci lascerà in
Georgia per il resto
dell’estate.”
“Il tuo senso dell’umorismo
fa’ schifo.”
“Il tuo tempismo è ancora
peggio.”
Poi Puck abbaiò con tanta forza da
zittirci entrambe e
costringerci a guardare il trasportino in contemporanea. Poi ci
fissammo
nuovamente negli occhi e durammo, sì e no, quattro secondi,
prima di scoppiare
a ridere come due deficienti.
“Dai andiamo!”
***
L’abitacolo della macchina era riempito
da allegria e canzoni che
davano il benvenuto all’estate, cercando di creare nuovi
tormentoni ma mandando
in radio quelli più storici – come
l’intramontabile soundtrack di Grease.
Io e Kris non eravamo così moralmente forti da non seguire
la massa e, quindi, era
strettamente logico il fatto
che stessimo cantando a squarciagola dal momento in cui aveva messo in
moto.
Era passato un quarto d’ora buono dalla
nostra partenza e avevo
già mandato un messaggio a Ian, avvisandolo che stavamo per
arrivare.
Poi Kris si zittì, mancando
l’attacco al ritornello e aggrottando
la fronte “Ehi, Anns?”
“Mh?”
“Io non mi sono mai chiamata Clara..”
Non mi scomposi più di tanto. Mi voltai
verso di lei completamente
seria, e la ragguagliai “Quando si urla il nome di una
persona, in determinate
circostante, è più artistico
aggiungere un secondo nome.”
“E quindi te lo sei inventato?”
“Già.”
Passarono alcuni secondi.
“..mh. Mica tutti i torti.”
Risi apertamente, continuando a cantare “Ramma lamma lamma ka dingity ding da
dong!”
E
lei mi seguì subito dopo, senza sbagliare un accento
“Shoo bop shoo wadda wadda yippity
boom da
boom!”
***
Grazie
alla guida spericolata di Kristine arrivammo
all’Hartsfield-Jackson con
mezz’ora di
anticipo – e lo fece apposta, così da rinfacciarmi
come fossimo perfettamente in
orar-issimo.
“Wow.
Quante persone..” Mormorai sbalordita, sentendo tutta
confusione intorno a me.
“Stai
bene?”
Mi
voltai verso la mia migliore amica con il miglior sorriso
rassicurante “Ovvio. Mi sono
preparata
a tutto questo.”
Con
cipiglio serio mi mise una mano su una spalla e mormorò
con tono di scusa “Prima ti ho chiamato insensibile-”
“Kris,
per favore dai-”
“No,
voglio solo sapere se hai tutto sotto controllo.
Questa.. – fece un gesto veloce con l’altra mano
– questa cosa..
è ok?”
Sorrisi,
rincuorata e in qualche modo commossa da quella
preoccupazione, e annuii con il capo “Ho avuto ben quattro
giorni per
organizzarmi. Ho studiato la struttura di quest’aeroporto e
tutta la cartina di
Los Angeles!”
Provai
a farla ridere e ci riuscii, “Adesso basta
preoccupazioni.” Dissi poi “Ora chiamo Ian e ci
facciamo raggiungere.”
Lei
scoppiò a ridere “Sì, sì.
Chiamiamo OcchiBlu e facciamoci
venire a prendere. Di sicuro già sentite la reciproca
mancanza!”
A
quella scoccata sentì il cuore cadermi nello stomaco senza
preavviso , e dovetti darle immediatamente le spalle - cercando di non
pensare
a quanto avrei desiderato fosse realmente
una cosa reciproca.
***
Dopo sette ore di
volo salimmo sull’utilitaria che Paul aveva messo a
disposizione, ma ero
talmente distrutta che non feci caso al viaggio in macchina.
L’unica
cosa che sapevo era che alla mia sinistra c’era
Kristine che teneva Puck sulle gambe e alla mia destra avevo Ian che
guardava
fuori dal finestrino oscurato.
Sentivo lontanamente anche il vociare leggero di Nina e Paul, seduti
davanti
che armeggiavano con chissà quale stazione radiofonica, ma
era chiaro che stavo
per addormentarmi.
L’ultima
cosa che percepii fu una voce divertita che mi
chiamava “Ragazzina.” e la presenza di un braccio
rassicurante intorno le mie
spalle.
Mi addormentai con la testa poggiata sul petto di Ian, contando il
numero dei
suoi respiri nella più completa calma. Non avevo bisogno di
tener sotto
controllo il mio problema – per quanto fosse improbabile, mi
bastava sentirmi
lui accanto e tutto quello di cui avevo paura svaniva
all’istante.
Forse,
con quella vacanza, avrei scoperto anche perché
proprio lui, ma, in realtà.. in
realtà non m’importava.
E
la cosa mi andava bene.
[1]
Lavagna-storm xD In pratica ho recuperato gli
argomenti di psicologia che ho studiato l’anno scorso e ho
usato il brainstorming: è
una tecnica di creatività di gruppo per far
emergere idee volte alla
risoluzione di un problema. Tutti i partecipanti lanciano le proprie
idee –
scritte sulla lavagna- e alla fine di ogni riunione si sfoltiscono
sempre di
più – fino ad arrivare ad un episodio completo.
Ammetto che non è farina del mio
sacco: In
una delle tante convention che ho guardato
sul Tubo, ho scoperto che è davvero così che
funziona la faccenda!
Spero che vada bene, anche perché mantenere il realismo
rimane uno dei miei
obbiettivi principali!
Seconda
cosa: il “Ramma lamma lamma ka dingity ding da
dong!” e “Shoo bop
shoo wadda wadda yippity boom da boom!” Non
sono
frutti della mia schizofrenia, ma parti del testo We
go together del sopra-nominato musical Grease.
Ok,
che altro dire?
Per tornare in carreggiata ho usato un capitolo di passaggio
– che ho voluto
tenere leggero, provando a lasciare un’atmosfera serena
all’interno dell’arco
narrativo.
‘In un chicco di caffè’
anche per
cercare di trasmettere le abitudini, la familiarità che
Annie è riuscita a conquistare
in questo mese di lavoro in Georgia.
Essere amica della crew è quasi naturale per lei e,
lentamente, questo legame
si sta approfondendo sempre di più. Nonostante tutto sembra
non aver smesso di fangirleggiare
ogni volta che sta’ con
Ian – nei prossimi capitoli vedremo cosa vorrà
fare riguardo la situazione, stay tuned!
Spero
di non essere caduta troppo nel banale (o troppo nello
zucchero xD) e che comunque vi sia piaciuto.
Per i consigli sono disposta a tutto! Fatevi sotto, gente :)
Ah,
un ringraziamento
super-speciale a
quelle meravigliose ragazze che mi
hanno spronato a continuare questa fic , via messaggio personale.
E’ una cosa che mi ha sciolto come un cubetto di ghiaccio al
sole di ferragosto;
se ho ripreso in mano Vincitrice molto lo devo a voi.
Grazie di cuore. Siete state
fantastiche :)
A presto, folks!
LoveYouSoMuch <3
PS: Ho
revisionato il capitolo precedente, prima di scrivere questo. Quindi ho
aggiunto delle cose e sistemato delle altre, se non avete proprio nulla
da fare
potete andare a lanciare un occhio e dirmi se magari devo riportarlo
allo stato
‘originale’ :P
Besos,
-{Eyes
|
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Capitolo 8 *** Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali. ***
Di
zombie, prime colazioni e complotti accidentali.
“Accidenti, Annie.”
All’imprecazione di Kristine non potei
fare a meno di chiudere
immediatamente la bocca alzando di scatto la testa e puntando gli occhi
sulla
sua figura decisamente arruffata, ancora tra le lenzuola fresche del
letto,
mentre cercava di sotterrare la propria testa sotto il cuscino.
Nonostante
stesse continuando a lanciarmi improperi e recriminazioni, tutto quello
che io
riuscivo davvero a sentire era una serie di mugugni soffocati difficili
da
comprendere...
Purtroppo per me, conoscevo
abbastanza la mia migliore amica da
intuire il corpo delle lamentele e tradurlo così in lingua umana senza troppe difficoltà.
Anche se non mi stava neanche guardando –
impegnata com’era
nell’affondare la faccia nel materasso- abbozzai un sorriso e
gli mimai con le
labbra uno “Scusa.” mentre riportavo lo sguardo
sullo schermo del computer,
attenta a non perdere nuovamente la concentrazione e pronta a
ricominciare da
dove avevo interrotto.
La vidi solo con la coda dell’occhio
mentre sbuffava e si
rifugiava dietro la porta del bagno privato che avevamo a disposizione.
Kris
era fatta così: odiava svegliarsi presto ma una volta che
prendeva anche solo
un minimo contatto con la realtà poi non riusciva a
riaddormentarsi – suo
malgrado, nonostante i grugniti e i versi di frustrazione- e si sentiva obbligata a
spendere ore in
bagno per rendersi presentabile
anche
se doveva rimanere in camera a poltrire.
Non alzai gli occhi
al cielo solo perché
non sarebbe stato professionale e cercai di trattenermi dal ridacchiare
per lo
stesso motivo – in fondo stavo lavorando e dovevo mantenere
un certo contegno
di fronte agli altri ragazzi della crew.
Non ripensai alla mia amica fino allo scoccare
dell’ora seguente
ma, quando alzai lo sguardo dopo aver spento il PC e non la vidi da
nessuna
parte, non riuscii a fare a meno di corrugare la fronte perplessa.
Possibile che fossi stata
talmente focalizzata sul lavoro,
dal non essermi resa conto che era uscita dalla stanza?
Mi alzai dalla scrivania stiracchiandomi verso
l’alto, posai con
cura la biro nell’astuccio e misi il quaderno nella borsa
tracolla che di
solito portavo in giro sul set.
Nonostante sentissi tutto il corpo indolenzito non potevo essere
più felice di
così; avevamo fatto un buon lavoro e l’intera
faccenda delle “conferenze a
distanza” era iniziata con risultati più che
positivi: una webcam e una buona
ricezione per il portatile erano stati più che sufficienti
per rispettare il patto
che avevo stretto con Julie e grazie al quale mi aveva accordato il
permesso
per la vacanza. Quindi ero abbastanza contenta, sì.
Andai in bagno solo per sciacquarmi il volto e
rimettermi a posto
i capelli con la solita coda alta, ma non resistetti oltre: dovevo volare
fuori di lì. Avevo bisogno del mio
caffè, accidenti.
Scesi le scale a due a due per arrivare il prima
possibile al
piano di sotto – dove si trovavano cucina e soggiorno
(enorme, gigantesco
soggiorno), più un bagno e le altre due camere che al
momento erano state
occupate rispettivamente da Nina e Ian.
Subito dopo il viaggio in macchina - e prima di mandarci di filata a
letto- Paul aveva
ufficialmente presentato a tutti
sua moglie e, con una Torrey estremamente sorridente e amichevole, ci
aveva
fatto fare il tour completo della casa – camere
già assegnate e tutto, manco
fossimo stati in gita sotto la responsabilità del prof di
turno.
L’immagine di Paul come
professore,
poi, era stata talmente esilarante che mi ero messa a ridacchiare sotto
lo
sguardo allibito di Kristine che – con tutta
probabilità- cercava di capire
fino a che punto potevo sostenere quel viaggio.
Scossi leggermente la testa mentre mi guardavo in
giro, cercando
di capire come organizzarmi in quella cucina estranea; il mio primo
obbiettivo
era scoprire al più presto dove i Wesley tenevano il
caffè – cercando anche di
mantenere un minimo di contegno senza mandare all’aria
ventotto anni di buona
educazione in casa altrui.
Fui inevitabilmente distratta dall’arrivo
di uno zombie dal salotto
e non riuscii a fare a meno di sobbalzare spaventata, poi la mandai
direttamente al diavolo portandomi una mano all’altezza del
cuore provando a
regolarizzare il respiro “Accidenti, Kris! Ti pare il modo di
apparire dietro
le persone?”
Di tutta risposta lei mugugnò qualcosa
d’incomprensibile trascinandosi
verso uno degli sgabelli
vicino all’alto bancone che divideva la cucina, quindi
incrociò le braccia sul
ripiano e ci cadde sopra con la testa – mugugnando
qualcos’altro al limite fra
“troppo presto”
e “uccidetemi”.
Incrociai le braccia al petto guardando con aria
scettica la
zazzera bionda accasciatasi sul tavolo, cercando di nascondere il
divertimento
“Sono le otto del mattino, Kris. Non è così
presto.”
L’unica risposta che riuscii ad ottenere
fu l’ennesimo borbottio
soffocato di cui distinsi l’unica parola poco incoraggiante
“..morte..” e
quindi non potei fare a meno
di sospirare, nonostante tutto confortata perché per lo meno
riuscii ad
adocchiare la macchinetta del caffè e vidi la mia
disperazione mattutina
diradarsi a poco a poco mentre constatavo che era dall’uso
gestibile e non
rischiavo di rompere o far esplodere niente.
Mentre mi davo da fare per prepararmi la mia dose
di felicità giornaliera,
cercai in Kristine qualche segno di vita “Ehi, tu vuoi
qualcosa? .. Caffè?”
Nonostante il mio tentativo di darle
un’esistenza più allegra lei
scosse energicamente la testa, provando ad alzare il capo –
apparentemente
ancora troppo pesante perché dovette mettere il gomito sul
ripiano e poggiare
la guancia nel palmo della mano con più forza del dovuto
– e io non riuscii ad
evitare di ridacchiare guardandole la faccia deformata in quella
maniera tanto infantile.
“Molto divertente, Annie. Sul
serio.”
In risposta al suo tono piccato, tramontai
semplicemente gli occhi
al cielo“Oh, andiamo. Non è colpa mia se di prima
mattina hai la reattività di
un bradipo in coma.”
“Ma è
colpa tua se sono
in queste condizioni.” Borbottò lei, chiudendo
leggermente gli occhi –
stanchissima e frustrata perché sapeva che non sarebbe
più potuta tornare a
letto.
Le lanciai un sorriso di scuse mentre mi versavo il
caffè in una mug pulita che avevo trovato sul bancone vicino
al lavello “Non volevo
svegliarti, mi spiace.”
Kris si limitò a sbuffare “Si
può sapere che diavolo stavi facendo
al computer alle sette del mattino? Parlavi ad uno schermo e io non
credo alla tecnologia
animata quindi.. Sei diventata matta?”
Ridacchiai “Sei tu che mi hai trovato il
lavoro, dolcezza.” Le
feci cenno con la tazza, come a voler brindare “E’
solo merito tuo.”
La testa le cadde nuovamente sul bancone
– e probabilmente si fece
pure male dato che stavolta non c’erano braccia ad attutire
il colpo- e
bofonchiò esasperata “Pensavo dovessi sgobbare nel
pomeriggio, tipo quando mi
posso alzare io dal letto.”
Per quanto riguardava me, mi limitai a sorridere
accondiscendente, annuendo, mentre mi andavo a sedere di
fronte a lei “Infatti i meeting sono alle tre del pomeriggio
ad Atlanta.”
Anche da quella posizione Kristine
riuscì a trafiggermi con lo
sguardo, obbligandomi quasi ad
articolare una spiegazione nel modo più sensibile e comprensivo
possibile
“Abbiamo un fuso orario di sette ore,
genio.”
Lei nascose ancora una volta la testa tra le
braccia borbottando
un “ti odio.”
mentre io la lasciavo
alla sua disperazione sorseggiando il mio super concentrato di
caffeina,
mantenendo il buon’umore di sempre.
Dopo qualche minuto, una risata aperta ci fece
voltare il capo
verso Nina che – allegra e sudata nella sua tuta sportiva
dell’estate- era
entrata dalla porta sul retro che dava alla spiaggia e ci stava
guardando
divertita “Che mi sono persa?”
Le feci un cenno di saluto con la mano e le dedicai
un sorriso
“Oh, niente. Solo Kris che prova ad entrare nel cast di
‘The Walking Dead.’”
Nina si sedette al mio fianco asciugandosi il collo
bagnato con un
asciugamano bianco, rivolgendosi nel mentre alla biondina davanti a noi
“Tifi
per la concorrenza quindi?”
Finalmente Kristine alzò la testa e si
mise a sedere composta,
senza appoggiarsi più a nulla e dandosi un certo contegno -
nonostante la chiazza rossa che sfoggiava in bella vista proprio in
mezzo alla fronte “Si può sapere che
facevi tu in spiaggia a
quest’ora?”
L’attrice si limitò a
ridacchiare mentre si rialzava per dirigersi
al frigo “Yoga.” Rispose poi, prendendosi una
bottiglietta d’acqua tornando ad
adocchiare la faccia orripilata dell’altra ragazza
“Il mare è stupendo, di
mattina il caldo non è troppo afoso ed è
rilassante.. se vuoi domani ti sveglio
prima e lo facciamo assieme.”
Kristine balzò in piedi allontanandosi
di scatto e puntandole
contro un dito “Lontano da me, Satana!”
Quando Paul e Torrey arrivarono sulla soglia della
cucina –
entrando dalla porta principale, già vestiti di tutto punto-
la cucina era
ancora avvolta da una bolla d’ilarità e prese in
giro di un’amicizia sempre più
profonda.
“oookay.”
Vidi Paul
rivolgersi a sua moglie con un
sorriso affezionato e due
occhi
fintamente atterriti “Fai le valige e scappiamo, non siamo
più al sicuro da
queste parti.”
Torrey si limitò ad alzarsi leggermente
sulle punte e dargli un
piccolo bacetto sulle labbra, pattandogli amorevolmente il braccio
“Non
possiamo, rassegnati tesoro.”
Kristine li fissò terrorizzata
“ Che ci fate anche voi già
svegli!?” per poi borbottare un “Oh
mio Dio, sono circondata.”
“Abbiamo portato la colazione.”
Esclamò Torrey, avvicinandosi con
il marito e sedendosi al bancone con noi.
Kristine li guardò entrambi con fare
circospetto, tornando a
sedersi con cautela “Che tipo
di
colazione?”
Per tutta risposta Paul si schiarì la
voce con la mano a pugno
davanti alle labbra, come a fare un annuncio di particolare importanza
“Muffin
e ciambelle. Senza dimenticare il chilo di gelato con cui riempire le
brioche,
ovvio.”
Sapevo che l’ultima frase avrebbe avuto
un effetto più che
positivo su Kristine, quindi non mi scomposi più di tanto
vedendola illuminarsi
e saltellare ringraziando i
gentilissimi-issimi signori Wesley semplicemente per esistere e per
averla
salvata da una mattina traumatizzante.
Tuttavia non potei fare a meno di prenderla in giro
“La tua
fissazione per il gelato è alquanto sospetta, sai
Kris?” e il riferimento a Joe
e al suo lavoro in gelateria era per niente celato e ben in vista anche
a chi
non sapeva nulla della sua cotta.
Lei ricambiò la scoccata con un sorriso
completamente
fraintendibile (e maledii immediatamente la mia boccaccia larga)
“Ehi, non essere gelosa.
Anche se io mi
prendo il ‘Salvatore’ della mattina, tu
hai l’altro.”
Paul rise ma io continuavo a guardare Kris ad occhi
spalancati,
cercando di nascondere il rossore sulle guance. Dannata amicizia
telepatica.
“A proposito!” Fu Nina ad
interrompere il momento d’imbarazzo “Forse
non sei l’unica dormigliona, Kris ... Chi va a svegliare Smolder, gente?”
***
Ok, mi ero offerta senza pensarci. Sì,
lo avevo fatto, ma solo
perché gli altri volevano fare colazione e a me di solito
bastava un caffè. Sul serio.
Non è che morissi dalla voglia di vederlo o stare un
po’ con lui, no.
Figuriamoci.
Mi diedi dell’idiota per la quinta volta
nel giro di due minuti e
sospirai. Ero ridicola. Stavo davanti alla sua porta con il pugno
alzato,
pronta a bussare ed entrare, ma senza il coraggio per farlo veramente.
Non ne
sapevo il motivo ma avevo un pessimo presentimento riguardo a
ciò che stavo per
fare.
Oh,
andiamo.
Cercai di scuotermi alla bell’e meglio.
Mi stavo comportando da
stupida e la parte peggiore era che lo sapevo perfettamente.
E’ Ian!
L’attore per cui mi sono presa una sbandata mostruosa, certo,
ma … è
Ian. Lo stesso ragazzo con cui ho stretto
amicizia nelle ultime quattro settimane. Non mi ha mai mangiato, no?
Certo che
no. Lui non mangia le persone. A lui piacciono gli hamburger, giusto?
Perché mai
dovrebbe iniziare la sua antropofagia con me, poi?
Seriamente, stavo arrivando ad un livello di
demenza preoccupante
con i miei ragionamenti contorti – e , ovviamente, la mia
ansia ingiustificata
non aiutava proprio la situazione, ecco. Avevo davvero pensato al cannibalismo? Oh, Dio. Stavo degenerando
e la cosa era preoccupante.
“Sono un’idiota.”
Mormorai sconfitta ma –
ehi!
sesta volta in due minuti e mezzo!
Dalla cucina si sentiva ancora il vociare della
compagnia, quindi
provai a darmi una svegliata. Non volevo che venissero a controllare se
andava
tutto bene.
Non avevo idea del perché ma volevo che fosse un momento mio, solo
mio –
almeno per quella mattina. Non era troppo da chiedere, no?
Smettila
di pensarci e bussa, deficiente!
La voce che mi rimbombò in testa era
vagamente – e
inquietantemente – assomigliante a quella di Kris, ma almeno
riuscii a darmi
una regolata.
Bussai svelta due volte e non mi presi neanche la briga di aspettare
una
risposta – tanto, teoricamente, nove possibilità
su dieci, stava ancora
dormendo e non avrebbe potuto rispondere in ogni caso.
Spalancai la porta con rinnovato entusiasmo, ma il
sorriso mi morì
sulla faccia lasciando spazio ad un’espressione al limite tra
lo scioccato e
terrorizzato.
Evidentemente quella era la fatidica decima volta.
Porca di
quella-
Ian era decisamente
sveglio; il letto sfatto e vuoto, la stanza già pienamente
illuminata dal sole
grazie alla portafinestra alla destra e lui in piedi, glorioso e
bellissimo in
mezzo alla camera, con solo un
dannatissimo asciugamano legato alla vita.
Si era appena voltato verso di me, con la faccia a
punto
interrogativo – o beata innocenza- e un’altra
salvietta in mano mentre si
asciugava il petto bagnato di doccia mattutina.
Per farmi scattare ci vollero tre secondi e mezzo
spaccati, la
strigliata di un cuore sull’orlo di un infarto epocale e la
scossa elettrica
dei poveri neuroni-superstiti che mi rimanevano – ormai
arrivati al limite
anche loro, poveretti. Il tutto armonicamente condensato in una bolla
di calore
che mi esplose in faccia – facendomi raggiungere lo stato di
calore di una
super nova- e in un gridolino decisamente acuto che mi sarei
risparmiata
volentieri se fossi
stata in possesso di
tutte le mie facoltà celebrali.
“Oh mio Dio!”
Mi girai all’istante, cercando di
scappare dalla stanza e
rifugiarmi in corridoio ma fui inevitabilmente bloccata dalla porta che
– infida
bastarda- si era chiusa da sola in un momento indeterminato
della situazione – facendomi così scapicollare al
pessimo risultato di una
botta allucinante al naso e una caduta all’indietro di sedere
a causa
dell’impatto improvviso.
Ma che
cazzo!
Ian scoppiò a ridere senza ritegno e io
mi pietrificai. Fosse
stato un momento qualunque mi sarei goduta quel suono piacevole ma,
sfortunatamente, non era un momento
qualunque.
Somerhalder era dietro di me praticamente nudo e io non riuscivo a
ragionare
(né a respirare, se era questo il problema); in un secondo
pensai ad un
tribunale con dei giurati: se qualcuno avrebbe mai voluto farmi causa
per un
comportamento del genere, l’umanità
nei
cuori della gente mi avrebbe assolta.
Avrei avuto l’appoggio di tutti, sarebbe stata legittima
difesa!
Accidenti,
in che diavolo di situazione mi sono cacciata?
E lui non aveva nessun problema, lui se la rideva
– perché era uno
stronzo sicuro di sé, senza la più pallida idea
di che effetto potesse mai
avere sulla gente e se lo poteva permettere. Strizzai le palpebre con
più forza
del dovuto e probabilmente usai un tono più acido del
necessario “Credi sia
divertente, Somerhalder?”
“Oh
sì!” Rise lui,
ancora più forte, facendomi imbarazzare e – di
netta conseguenza- incazzare
ancora di più.
Strinsi la mascella con forza e decisi di diventare
una statua.
Una statua che non stava arrossendo, che non avrebbe ricordato quel
momento per
tutta la sua miserabile non-vita e che, ovviamente,
non stava cercando qualcosa – una vanga, un cucchiaio.. un
cane ben addestrato?-
per poter cominciare a scavare nel pavimento nella speranza di arrivare
in Cina
per mezzanotte.
Dopo qualche istante, le grasse e grosse risate di
quell’infame
d’un attore s’acquietarono
ma io non
feci neanche in tempo a commentare il lasso di tempo –
incredibilmente
lungo- che aveva
usato per placarsi, che
sentii la sua voce arrivarmi fin troppo vicina
“Ehi, dai. Tirati su.”
Era bassa e calma – decisamente
troppo vicina- e non potei evitare di sentir una cascata di
brividi colar
giù per tutta la schiena.
Poi Ian ebbe la geniale idea di poggiarmi una mano sulla spalla e il
contatto
non fece che aggravare ancor di più il mio stato
psico-fisico – mancava poco
che diventassi una cosetta raggomitolata e balbettante sul pavimento,
senza più
traccia di capacità logico sintattiche e razionali.
“Annie, guarda che è tutto
ok.” Probabilmente stava cercando di
farmi aprire gli occhi ma, a quanto pareva, non era ancora a conoscenza
nella
mia recente evoluzione in un blocco di marmo modellato. Per quanto
riguardava
me, dovevo semplicemente resistere e imparare a non respirare per il
resto
della mia esistenza (quantomeno stare con Ian era stato un ottimo
allenamento
per quest’ultima parte del piano.)
“Dai, alzati.”
Come previsto da programma giornaliero cedetti dopo
circa quattro
secondi e tre quarti – complimenti
ragazza, non c’è che dire- e aprii
con uno scatto solo la palpebra destra, muovendo poi unicamente la
pupilla così
da scorgere il braccio dell’attore teso verso di me in muto
invito a farmi
aiutare per tirarmi in piedi.
Deglutii nervosa, la gola completamente secca. Poi
richiusi anche
quell’occhio, ostinata “Prima vestiti.”
Ian sospirò ma non sembrava turbato,
anzi. Sbuffò una risata e la
voce mi giunse leggermente più lontana di prima
“Paura di saltarmi addosso, Anastasia?”
Che
bastardo.
Usare il mio nome per esteso con un tono di voce
del genere era
proprio una cattiveria bella e buona. Registrando il fatto che i miei
neuroni
si collegarono efficientemente per qualche secondo, riuscii a capire
che no, accidenti, Somerhalder
sapeva
esattamente che effetto aveva sulla gente ed era anche abbastanza furbo
da
rigirarsi la situazione come più gli piaceva.
Non potei fare a meno di sorridere e rispondere
ostentando una
calma che non avevo, manco a cercarla con una sessione no-stop di
meditazione
intensiva; o forse era il sollievo di scoprire che non dovevo
necessariamente
subire un trapianto di cervello, dato che il mio scapicollava ma
resisteva ancora alle forze nemiche.
“Oh, non ne hai idea. Potrei aggrapparmi
a te stile scimmia-ragno
e non mollarti più.”
Lui rise ancora e lo sentii armeggiare con qualcosa
– sperai
ardentemente in vestiti. O una tenda. Sul serio, mi andava bene anche
lo stile
spartano, ma doveva coprirsi. Ne
andava della mia salute.
Passò
forse meno di un
minuto e Ian disse d’esser pronto.
“Mi posso fidare?”
Non lo vidi, ma me lo immaginai mentre alzava gli
occhi al cielo.
Ridacchiai mentre lui sbuffava “Vuoi davvero una risposta o
posso mandarti a
quel paese già da adesso?”
Ridendo aprii entrambi gli occhi guardandomi in
giro – evitando accuratamente
la figura del ragazzo- e scoprii che in qualche modo avevo fatto cadere
la
chiave dalla serratura, dato che stava in bella mostra di sé
sul pavimento poco
più avanti di me. Guardai la porta con aria di sfida
– ti odio. Tutta colpa di quel
pezzo di legno.
Mentre mi alzavo e mi chinavo per prendere la
chiave e
re-infilarla nella toppa, non potei fare a meno di pensare –
e borbottare- su
quanto, l’intera faccenda, sembrasse un complotto. Magari
accidentale, ma pur
sempre un complotto.
Quando mi girai per confidare a Ian le mie nuove
delucidazioni su
ciò che era appena accaduto, non potei fare a meno di aprire
la bocca con fare
indignato.
Il suo essere ‘pronto’
consisteva in un pantalone-costume che gli
arrivava al ginocchio, un paio di infradito e una camicia bianca sbottonata.
Incrociai le braccia al petto, inarcando le
sopracciglia e
obbligandomi a non chiudere nuovamente gli occhi “Mi stai
provocando, Ian?”
Lui ridacchiò – ma stavolta
percepii nella
risata qualcosa di malvagio
“Può darsi.”
Ormai la mia gola era più secca del
Sahara, cercai di portarmi un
po’ di saliva almeno sulle labbra leccandomele velocemente ma
la lingua mi
pareva esser fatta di carta vetrata.
Nonostante questo non volevo dargliela vinta “Beh, non ci
stai riuscendo.”
Mentii clamorosamente, cercando di mostrarmi più
indifferente possibile – davvero:
impresa semplicissima, soprattutto
dopo il fantastico siparietto che avevo messo in piedi neanche due
minuti
prima.
“Sarà..”
Sospirò lui, con fare rassegnato e divertito insieme
“Ma
ancora non mi hai guardato negli occhi, Annie.”
Sentii la mia faccia tornare allo stato peperone, ancora.
Ma che diamine! Non volevo mi facesse quell’effetto; lui non poteva farmi quell’effetto.
Vinta da un’ondata di sicurezza che non
avevo idea da dove
provenisse – forse dal fastidio, nei confronti di chi dei due
non avrei saputo
dirlo- mi avvicinai
a passi decisi verso
di lui.
Mi ci parai davanti e cominciai ad abbottonargli la camicia –
concentrandomi
principalmente sulle mani per non farle tremare - e una volta arrivata
all’ultimo bottone in cima alzai la testa per guardarlo
dritto nei bulbi
oculari; così imparava, il babbeo, ad attentare a quel
povero cuore che avevo
in petto.
Che
diavolo-?
Quello che mi prese alla sprovvista fu il
sorrisetto affezionato
che gli ritrovai sulle labbra – e non potei evitare di
sentirmi le guance
andarmi a fuoco, imbarazzata in maniera più dolce rispetto a
prima ma comunque
incredibilmente rossa
in viso.
“Sei una scimmietta-ragno molto
controllata, te l’ha mai detto
nessuno?”
Seh.
Questo perché non sei mai entrato nella mia testa.
Inaspettatamente risi senza problemi. Era
incredibile: aveva su di
me un effetto totalmente destabilizzante ma, al contempo, era comunque in grado di farmi ridere,
sentire felice – e un po’ idiota, sì, ma
questo lui non lo avrebbe mai saputo.
Era una sensazione strana stargli accanto, che ancora non era riuscita
a catalogare
– ma andava bene lo stesso, perché non era
negativa e quindi non era neanche
pericolosa. O almeno così speravo.
Nonostante l’ilarità del
momento, Ian riuscì a mandare tutto allo
scatafascio nell’arco di un istante.
“E’ sempre divertente fare i
giochetti da fan su di te,” ridacchiò
lui “Abbocchi sempre, poi cerchi di mantenere un certo
contegno ma
l’espressione che hai negli occhi è sempre
adorabilmente in poltiglia.”
Sentii il cuore cadermi nello stomaco, torturato
dagli acidi
gastrici e rinchiuso in un sacchetto soffocante, nella più
perfetta delle
torture mai provate.
Fantastico. Un giochetto da fan.
Quanto sei stupida da
uno a mille, Anastasia?
Cercai di scuotermi velocemente, provando ad
ignorare la
sensazione che avevo ricevuto alla sua minimizzazione di tutto quanto
– o forse
ero io ad ingigantire ogni momento passato con lui?
“Ah - ah, divertente Smolder, sul
serio.” Provai a ironizzare
“Adesso perché non andiamo a fare colazione,mh?
Era questo il motivo principale
per cui sono finita qui, sai?”
Aprii la porta e gli feci cenno con
l’altra mano di circolare ed
uscire, sorridendo e allargando gli occhi in una smorfia infantile per
la quale
non potei evitare di dar la colpa allo stress e alla leggera ansia che
comunque
mi rimaneva sotto pelle.
Ian non sembrò accorgersi di niente e
uscì in corridoio
continuando a blaterare su quanto mi avrebbe ancora preso in giro per
quello
che era successo – “Entrata
così
all’improvviso in camera mia mentre mi cambiavo.. pff,
ammettilo che volevi
approfittarti di me!”
Alzai gli occhi al cielo, nonostante tutto
sorridendo.
Lo affiancai velocemente e risposi alla
provocazione tutto sommato
abbastanza tranquilla “Se avessi davvero voluto approfittarmi
di te, caro il
mio attore da strapazzo, anziché abbottonarti quella camicia
te l’avrei
strappata via. A morsi. Non so se
mi
spiego.”
E continuai a camminare lungo il corridoio con un
sorrisetto
vittorioso sulle labbra, girandomi per adocchiarlo senza neanche
fermarmi, solo
per godermi la sua faccia stupita e gli occhi azzurri leggermente
sgranati.
Risi apertamente mentre tornavo in cucina, cercando
di ricordarmi
che avrei dovuto tenere i piedi per terra anche se questo non
significava di
per sé che non mi sarei potuta divertire nel frattempo.
Adesso mi dovevo solo godere quell’estate
al massimo, cotta o non
cotta.
Ehilà,
gentaglia!
Niente,
solo un capitoletto leggero per augurarvi un buon
inizio vacanze :)
Anche nella storia è inizio Luglio e anche nella storia le
future parole chiave
saranno: caldo, mare e l’aMMoreh.
Non
so quando pubblicherò il prossimo capitolo (dato che
è
ancora tutto da scrivere) ma quantomeno ce l’ho ben
organizzato in testa,
quindi vi posso solo dire che – se va come dovrebbe- ci
saranno ancora scene
Ian/Annie simili a quella di questo capitolo ma, soprattutto,
finalmente si va in spiaggia! Olè!
Spero,
a presto :)
Hasta!
Tess
<3
PS:
... già, il mio rapporto con i titoli
è sempre più complicato. #Shame.
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