L'amore ai tempi dell'odio

di Hiraedd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Corrispondenze ***
Capitolo 3: *** ricatti e lavori ***
Capitolo 4: *** litigi ***
Capitolo 5: *** mostro dagli occhi verdi ***
Capitolo 6: *** reazioni ***
Capitolo 7: *** Nella Crisalide ***
Capitolo 8: *** amici e nemici ***
Capitolo 9: *** tramando nell'ombra ***
Capitolo 10: *** come soli e fiori ***
Capitolo 11: *** Approcci ***
Capitolo 12: *** speranze e timori ***
Capitolo 13: *** gli ultimi pezzi del puzzle ***
Capitolo 14: *** ritorni e ritrovi ***
Capitolo 15: *** di luci in fondo al tunnel e ritorni a casa ***
Capitolo 16: *** Quattro voci al femminile (prima parte) ***
Capitolo 17: *** Quattro voci al femminile (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


seguito di "L'amore ai Tempi del Caos", non credo possiate comprenderla se non avete letto tutto ciò che sta prima

LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
MARY
FRANK
ALICE
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA





LONDRA, THE TUBE, STAZIONE DI CHARING CROSS
ORE 16.20 DEL 14 LUGLIO 1978
 
Il treno della Northern Line arriva puntuale come annunciato, apre le porte e lascia scendere una fiumana di gente che, inconsapevole, lascia il proprio posto ad altrettante persone con una vita ben definita. All’interno di quel torrente di coscienze c’è sicuramente una gran varietà di persone. Ci sono madri che, guardando l’orologio con ansia, pensano a come incastrare i lavori casalinghi tra l’andare a prendere il primo figlio alla piscina in cui fa nuoto e il passare dal supermercato sotto casa per preparare qualcosa di decente per cena, magari fermandosi ad una cabina telefonica per dare un colpo di telefono a casa, alla baby sitter di cui è sempre meglio non fidarsi intenta a cambiare pannolini e pappette al secondogenito appena svezzato. Ci sono padri e uomini d’affari, ragazzine con in testa il loro primo ed eterno amore e bambini capricciosi che, se continuano a piangere, lo sanno benissimo che convinceranno la nonna a passare dal parco per giocare con gli amichetti.
 
Scremando questo primo strato di persone, possiamo trovare quello che nessuno nota mai: il senzatetto in cerca di un luogo asciutto –perché nonostante l’estate sia appena iniziata, le piogge, inclementi, non smettono di cadere sulle fredda Londra grigia-, l’addetto alla manutenzione del treno che sbuffa e borbotta e borbotta e sbuffa, in attesa della fine del turno e della paga a fine mese, la vecchina con le borse della spesa che attende con il bagaglio appoggiato alla panchina e il bastone da passeggio impugnato come un’arma.
 
I maghi si aggirano tra la prima e la seconda categoria.
 
Se li conosci, se studi i loro metodi, se presti un po’ più di attenzione, non trovi difficile individuarli… nemmeno, e soprattutto, in luoghi affollati come una delle stazioni più famose della Metropolitana della Londra Babbana.
 
Se affini lo sguardo forse riesci a scorgere un mantello, magari nero, o verdone scuro, svolazzare sulle spalle di una ragazza alta e con corti capelli scuri, o magari adocchi quello strano ometto con quel capello stupido, accompagnato da un venerando mago dall’età imprecisata ma sempre ben ritto sulle gambe. È anche possibile sentire in sottofondo  -tra i pianti dei bambini e gli strilli delle nonnette- lo sbatacchiare delle scatolette per gatti che Arabella Figg si porta sempre dietro, o vedere quei due strani gemelli con i capelli rosso carota accecanti come un pugno in un occhio.
 
Ma, si sa, i babbani non sono particolarmente attenti o aperti all’esistenza dei maghi, quindi nessuno nota queste figure, nemmeno quando con atteggiamento talvolta furtivo, talvolta menefreghista, esse si dirigono a quella porta infondo alla banchina, quella destinata solo al personale.
 
La ragazza con il mantello verdone e i capelli scuri si muove velocemente, lo sguardo puntato alla meta, scansando gente di ogni età e di ogni tipo, bambini che piangono e cani al guinzaglio, la mano tesa ad afferrare la maniglia in ottone brunito della piccola porta. La richiude alle proprie spalle percorrendo in fretta il corridoio, una mano a lisciare i capelli castani, un sorriso naturale dipinto negli occhi allegri senza un motivo in particolare.
 
Alla fine del corridoio buio la porta rossa appare chiusa, come sempre, e lei non deve far altro che battere le nocche sulla superficie verniciata ed attendere.
 
C’è sempre qualcuno, al quartier generale.
 
-identificati- le risponde infatti una voce allegra.
 
-Colibrì- esclama senza tentennare, iniziando a slacciare con dita abili gli alamari d’argento del mantello. La porta rossa si apre, lasciando intravedere gli occhi verdi del ragazzo che prima le ha intimato l’altolà.
 
-ehi, Stur, sei solo?-.
 
-ciao, Mary!- la saluta amichevolmente facendole cenno verso l’interno –no, c’è Docco in sala-.
 
 
*
 
 
Appendo il mantello alla leva della velocità della metropolitana, ovviamente ormai disattivata, occhieggiando la sala macchine oltre la piccola stanzetta in cui mi trovo.
 
Il quartier generale dell’Ordine della Fenice è cambiato, perché secondo Silente ormai siamo in troppi per stiparci tutti in una piccola stanzetta di qualche catapecchia scozzese. Non volendo attirare l’attenzione del Ministero praticando eccessivamente la magia, abbiamo tutti concordato di ritrovarci in questa sala macchine ormai inutilizzata nel bel mezzo della Londra babbana… quale Mangiamorte mai potrebbe pensarci?
 
Lo reputo geniale, sul serio.
 
Il nuovo quartier generale è composto di un piccolo ingresso  -quello in cui mi trovo ora, tanto per intenderci-, di una grande sala macchine in cui possono entrare comodamente una trentina e più di persone e di un piccolo sgabuzzino in cui custodire pergamene e piccoli generi di prima necessità, più un camino incantato collegato ai camini di tutti i membri dell’ordine –perlomeno quelli annunciati, ad esempio i coniugi Potter e i gemelli Prewett. Casa mia, ad esempio, no, perché i miei genitori non hanno mai avuto sentore del fatto che mi sono unita all’Ordine della Fenice-.
 
Sono piuttosto convinta che questo camino sia fuorilegge, e assolutamente non controllato dall’ufficio preposto al Ministero.
 
-Stur, è finito il tè-.
 
Sorrido, sentendo l’indolente tono di Caradoc Dearborn levarsi in un lamento viziato dall’altra stanza.
 
-mettine su un altro po’ se ne vuoi ancora- gli risponde Sturgis soffocando un sorriso divertito. Penso che dopo tanti anni abbia imparato a conoscere a menadito quel genio che è il suo migliore amico.
 
Uno sbuffo si leva dall’altra stanza, poi il grattare di una sedia che si sposta sul pavimento e il borbottio indistinto di un ragazzo irritato. Basta poco per irritare Dearborn, ormai lo conosco piuttosto bene.
 
-ehilà, Caradoc, costretto ad abbassarti a lavori degradanti quali fare bollire l’acqua?- gli chiedo divertita entrando in sala e vedendolo accanto al caminetto.
 
Il ragazzo si volta verso di me, con un sorriso sarcastico e una luce divertita nello sguardo.
 
-và, Mac, non dirmi niente!- sospira teatralmente –alla mia età costretto a preparare il tè-.
 
Seriamente, ha un talento particolare per la recitazione, questo ragazzo.
 
-oh, taci e metti su quel paiolo d’acqua, Docco- lo zittisce Sturgis entrando in sala –hai solo venticinque anni, per l’amor di Merlino-.
 
Sorrido appena, sedendomi sulla sedia che fino a qualche attimo fa doveva essere di Caradoc –lo si evince dalla smorfia che mi indirizza- e scuotendo la testa divertita.
 
In questi ultimi mesi ho avuto modo di conoscere meglio questo gruppo di persone che fino a qualche tempo fa neppure conoscevo. Sono strani, divertenti, qualcuno elegante e indolente –Caradoc- qualcun altro allegro e vivace –Hestia- qualche bonaccione –Edgar- e qualcuno posato e silenzioso –Benjy-.
Merlino, così diversi eppure così uniti, da un’amicizia che tiene testa anche alla guerra. Amicizia e amore, in alcuni casi. Mi chiedo se anche noi ragazze e i malandrini dall’esterno appariremo così, fra qualche anno.
 
-ma la riunione non era fissata per le quattro e mezza?- chiedo scrutandomi attorno.
 
-e quando mai c’è qualcuno di puntuale, qui dentro?- mi chiede in risposta Caradoc –tu e Sturgis siete i primi-.
 
-ti sei annoiato, da solo qua dentro?- chiedo incuriosita.
 
Quando il turno di guardia all’ordine tocca a me non so mai che combinare, e mi ritrovo sempre a leggere o a pregare Marlene e Lily di passare un po’ di tempo con me. Per fortuna, essendo tutto sommato tante persone, non capita spesso di dover fare la guardia al quartier generale.
 
-tsk, avevo del lavoro da sbrigare- scuote la testa lui.
 
-si, chissà mai che lavoro potrà dover fare il Portiere delle Vespe, mi chiedo io- gli risponde a tono Sturgis, divertito.
 
-vai al diavolo, Stur- lo liquida velocemente Caradoc.
 
-dove lavori tu, Stur?- gli chiedo io gentilmente. Poche giornate a Hogsmeade e la corrispondenza fitta che ho tenuto con Gid e Dorcas mi hanno permesso di conoscere meglio questo gruppo di amici, ma non so certo tutto di loro.
 
-Sturgis crede di essere uno spezza incantesimi, Mac- mi risponde Caradoc ironico.
 
Non posso non ridere, seguita dal bel Dearborn e da Sturgis, alla fine, che tira un pezzo di pergamena accartocciata al suo migliore amico in segno di monito.
 
-a volte mi chiedo per quale motivo spreco il mio tempo con gente come te-
.
 
 
*
 
 
Due ragazzi e una ragazza s’infiltrano velocemente giù per le scale che dalla strada portano alla banchina del treno alla stazione della Charing Cross, i primi due vicini, l’ultima un passo più indietro. Alle sue spalle, più alta e distinta, una donna li segue con sguardo un po’ materno e un po’ preoccupato, come è sempre quando con i suoi figli percorre le strade della Londra babbana.
 
-zia, hai detto a James l’ora esatta?- chiede Sirius, uno dei due ragazzi in testa alla fila, voltandosi verso la donna.
 
-si che l’ho fatto, Sir- risponde la donna annuendo.
 
-sai, non mi stupirei se ritardasse, con la testa che ha- mormora allora il ragazzo all’indirizzo del suo amico.
 
-c’è Lily con lui, non ritarderanno di certo. Anzi, non mi stupirei se fossero già lì- s’intromette la ragazza, fino ad ora silente –andare in giro con Lily equivale a portarsi a spasso una sveglia-.
 
-sbrigatevi, che sono già i trentacinque, siamo in ritardo- li avvisa Dorea guardando l’orologio da taschino che si porta sempre appresso.
 
-sai, Zia, a volte sei inquietantemente simile alla Evans- esclama divertito Sirius –alla Evans e alla McGrannitt-.
 
Il ragazzo e la ragazza scoppiano a ridere alle parole dell’amico, che si avvia a passo ancora più spedito verso la porta in fondo alla banchina. C’è talmente tanta gente, a quell’ora, che si perdono di vista per un attimo ritrovandosi poi davanti alla porticina.
 
Sirius è il primo a varcarne la soglia, diretto senza esitazione alla porta rossa sul fondo del corridoio buio. Dietro di lui, il ragazzo e la ragazza ora per mano e la donna, sempre ultima, a chiudere la fila.
 
-identificatevi- è tutto ciò che dice la voce ringhiante oltre la porta.
 
-cane, gatto, rospo e lupa a rapporto- esclama allegramente Sirius che, appena la porta si apre, lascia passare Frank e Alice dietro di lui.
 
-Dorea, come mai questo ritardo?- abbaia Alastor Moody scrutandoli minacciosi e soffermandosi di più su Sirius –e fai poco lo spiritoso, ragazzo. Ora forza, di là vi aspettano-.
 
 
*
 
 
Il ringhio di Moody mi fa temere d’essere arrivata per ultima come al solito. Quell’uomo certe cose non le dimentica…
 
…solo perché sono arrivata in ritardo qualche volta alle scorse riunioni.
 
Cercando di sottrarmi dalle grinfie di Alastor Moody –che comunque ora pare avercela con Sirius- mi muovo in direzione della sala, sentendo un tiepido chiacchiericcio provenire proprio da lì.
 
-ah, ma allora non siamo gli ultimi- saluto guardandomi attorno e constatando che mancano ancora molte, troppe persone. Se Moody se l’è presa così con noi, mi viene da chiedere cosa mai farà a chi arriverà dopo.
 
-Ali, sempre in ritardo, tu- mi saluta in risposta Mary, seduta tra Caradoc e Emmeline.
 
-senti chi parla, se va bene te è la prima volta che arrivi puntuale ad un appuntamento- ribatto con un sorriso, sporgendomi per lasciarle un bacio sulla guancia, e poi andando a salutare Emme.
 
Oltre alle mie due amiche e Caradoc, in stanza ci sono anche Sturgis, Peter e mio cugino Fabian.
 
-com’è andato il corso con Dorea?- mi chiede lui appena mi siedo, un sorriso sulle labbra –hai visto Gideon?-.
 
-si, Gideon era in ufficio con quella ragazza, quella giovane con gli occhi chiari…- dico tentennando. Non mi ricordo il nome della ragazza -…forse, Dory?-.
 
-Daisy- mi corregge pazientemente –ha un debole per Gideon, ma anche per me quando non riesce a riconoscerci-.
 
Ridacchio, spostando lo sguardo su Mary, che d’istinto abbassa il suo.
 
Già, mi chiedo quanto siano andate avanti le cose tra lei e mio cugino, in questi ultimi sette mesi.
 

 
*
 
 
-Merlino, io proprio non so come fai ad orientarti così facilmente in questo marasma di gente-.
-James, non imprecare in questo modo, chi ti sente invocare Merlino ti prende per pazzo-.
-ah, babbani-.
-James, muoviti, siamo in ritardo-
-solo di dieci minuti, chi vuoi che ci dia peso e…-
-la volta scorsa Alice è arrivata in ritardo di dieci minuti, e ti ricordi Moody che testa che le ha fatto? Si è trattenuta a stento dall’alzare gli occhi al cielo-.
-oh, ma tu non avrai problemi del genere, tesoro, tutti sanno che Moody ti adora-
-James…-
-se non fosse Moody, e cioè brutto e ringhiante, sarei quasi geloso-.
-James… oh, guarda, c’è Remus-.
 
Un ragazzo alto, piuttosto magro e con sottili capelli castano chiaro affianca una figura slanciata, anch’egli un ragazzo, ben più grande però del primo.
 
-c’è anche Benjy, vuol dire che non siamo terribilmente in ritardo-.
-e poi, se siamo in ritardo, è tutta colpa dei tuoi letali babbani-
-legali, James, si dice legali. Sono come i magiavvocati, e poi non è colpa loro. È Tunia che è arrivata in ritardo-.
 
Il ragazzo alto è fermo sulla banchina, intendo a parlare con il suo compagno in attesa che la banchina si liberi quel tanto da permettergli di aprire la porta.
È incredibile quanta gente ci sia, in metropolitana, alle cinque meno venti del pomeriggio.
 
-ciao Remus-
-oh, James, Lily-
-Benjy, hai finito prima di lavorare? Avevo capito che ci avresti raggiunto dopo e…-
-si, sono riuscito ad ottenere un permesso. E, anzi, poi dovrei parlarti di una cosa, Lily-
-parliamo dopo la riunione? Hai tempo?-
-certamente, dopo la riunione va benissimo-.
 
Finalmente Remus apre la porta, permettendo ai suoi amici di passare prima di lui. Richiudendosi la porta alle spalle, li segue lungo il corridoio fino ad una porta verniciata di un rosso quasi accecante.
 
-identificatevi- è quello che dice la voce gentile dall’altra parte.
 
-lupo, cervo, cerva e scorpione-.
 
 
*
 
 
Credo proprio di essere uno degli ultimi a varcare la soglia del quartier generale dell’ordine della fenice.
 
Dorcas attende pazientemente trattenendo l’anta rossa, poi la richiude alle spalle di Benjy e si sporge per salutarci con un sorriso dolce ed un abbraccio.
 
Ha fatto amicizia soprattutto con le ragazze, e la cosa non può che farmi piacere, conoscendone la dolcezza e l’assoluta timidezza che a volte quasi la opprime. So che durante questi mesi, da Natale fino alla fine della scuola, ha intrattenuto una corrispondenza piuttosto fitta con Mary, che è diventata per lei un’amica molto stretta.
 
Le cose sono cambiate ancora, da Natale in poi, e non posso fare a meno di chiedermi quanto cambieranno da ora in poi.
 
-ehi, Jam, vieni qui così ti racconto com’è andato il corso!- mi richiama Frank appena entro in sala macchine, indicandomi una sedia tra lui e Sirius.
 
-oh, si, è stato fantastico, l’esame d’ingresso è previsto per il ventotto di agosto- gli da manforte Sirius, smettendo per un attimo di parlare con Gideon –o è Fabian?- per voltarsi verso di me.
 
-bene, e altri corsi preparatori a cui possa partecipare anche io?- chiedo interessato.
 
Oggi non sono potuta andare al corso, benchè a tenerlo fosse mia madre. Ho accompagnato Lily dai legali dei suoi genitori, da cui è stata convocata insieme a sua sorella. A quanto mi è dato di capire, adesso Petunia vive nel Surrey con suo marito –un certo Pernon con una fabbrica di Rapani, aggeggi babbani per fare i buchi-, quindi mentre Lily era ad Hogwarts ha fatto in modo di vendere la casa che era dei loro genitori. Oggi si sono divise l’eredità e ciò che deriva dalla vendita della loro graziosa villetta.
 
-i corsi sono fino a fine luglio, poi c’è il silenzio fino all’esame- mi sta intanto spiegando Frank, gesticolando –ti devi iscrivere, io, Sir e Ali ci siamo iscritti oggi-.
 
-bene, allora perché…-
 
Vengo interrotto dal silenzio che si diffonde a macchia d’olio nella stanza. Mi volto, giusto in tempo per vedere entrare nella stanza la Professoressa McGrannitt e il Professor Silente, tutti computi come sempre, la prima severa e il secondo benevolo.
 
-bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare la riunione-.
 

 
 
 
 
NOTE:
 
si, so bene che questo prologo inizia ben sei mesi e mezzo dopo la fine dell’ultimo capitolo della ff precedente, e no, non è uno sbaglio.
I prossimi capitoli saranno composti di molti Flashback, che descriveranno i sei mesi di buco, e in ogni capitolo parleranno massimo tre persone. Ho deciso di cambiare un po’ metodo di narrazione perché l’altro stava iniziando a stufarmi.
Nel prossimo capitolo vedremo quasi sicuramente i PoV di James, Lily e Mary, e conto di aggiornare entro sabato sera prossimo –che può essere anche sabato notte, per inciso-.
Per fortuna, questa pubblicazione coincide con la fine di un impegno di lavoro molto gravoso, che mi ha occupato i mesi precedenti, quindi conto di essere molto più presente d’ora in poi.
Grazie mille come al solito per le recensioni che… sono certa mi lascerete (ho un tono intimidatorio, in caso non si capisse abbastanza) … e per quelle che mi avete lasciato in tutta l’altra parte di ff.
Una precisazione:
ho scoperto dopo aver scritto tutto il capitolo che la stazione della metro londinese di Charing Cross era chiusa nel 1977-78-79, spero non me ne vogliate per averne scritto comunque. L’idea del quartier generale alla stazione della metropolitana l’ho presa dalla serie tv Alias, serie fantastica partorita dal genio di JJ Abrams, che Dio l’abbia in gloria.
Grazie a tutti,
buona lettura,
Hir
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** Corrispondenze ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMME
REMUS
FRANK
ALICE
PETER
MARY
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA



LONDRA, MINISTERO DELLA MAGIA
ORE 16.45 DEL 14 LUGLIO 1978
 
-e qui ci sono quelle riguardanti l'attacco a S. James tre anni fa a marzo, da archiviare-.
 
La mano affusolata dalle unghie lunghe si tende a porgere al ragazzo una cartella di pergamene ordinatamente contrassegnate, portando con se una scia di debole profumo nell'aria stantia dell'archivio del Ministero. La ragazza ha lunghi capelli ramati trattenuti in una crocchia elegante e pulita sulla nuca, e grandi occhi grigi e innocenti come quelli di una bambina.
 
Tutto sommato è una bella ragazza, Daisy, con le curve giuste al posto giusto e un cervello niente male nella testa.
 
-sono le ultime?- le chiede il ragazzo afferrando l'ultimo fascicolo e rimpicciolendolo con un tocco di bacchetta.
 
-per oggi, pare proprio di si- risponde la ragazza con un tiepido sorriso.
 
Se proprio le si deve trovare un difetto, potrebbe essere la timidezza... o anche il vizio di fare esattamente quello che le viene detto. Beh, si capisce, tutto sommato è ancora abbastanza nuova nel giro, è naturale che si affanni a seguire percorsi già tracciati.
 
-Gideon, allora va bene?- chiede Daisy leggermente corrucciata, probabilmente smarrita dallo sguardo offuscato del mago.
 
-eh? oh, scusami Daisy- replica il ragazzo gentilmente, un sorriso amichevole sulle belle labbra -ho la testa da un'altra parte, stasera, puoi mica ripetere?-.
 
Gideon vede la ragazza arrossire velocemente, e per un secondo teme di sapere perfettamente cosa sta per chiedergli.
Un attimo, e il suo sospetto trova conferma nelle parole gentili ma imbarazzate della giovane.
 
-ehm... mi stavo chiedendo se... se ti andasse magari di prendere qualcosa insieme, magari un caffè...-.
 
Il sorriso sul volto del ragazzo si congela per appena un secondo, quel tanto che impiega per cancellarsi lo stupore dal viso.
Come ragazza, Daisy è davvero carina, e in più è molto gentile.
Assomiglia molto ad Amelia, è la prima cosa che viene in mente a Gideon.
Amelia... carina, morbida e piena come una pesca... decisamente più una sorella che qualcosa di più.
 
-mi... mi spiace, Daisy, questa sera sono di fretta, devo vedermi con alcuni amici- mormora quindi in risposta con un tono a metà tra il lusingato e il dispiaciuto -sai, Fabian, Stur... una specie di rimpatriata-.
 
Per un attimo appena la ragazza pare dispiaciuta, poi maschera la tristezza con un sorriso di circostanza.
 
-beh, certo, capisco- sussurra un po' a disagio scuotendo la mano come a liquidare il tutto.
 
Una cappa pesante di silenzio si posa tra i due, che restano per un attimo nell'archivio, vicini ad un passo l'uno dall'altra, cercando disperatamente qualcosa da guardare per non incrociare lo sguardo del compagno.
 
Gli occhi azzurri di Gideon si fissano sul fascicolo tra le proprie mani, quelli di Daisy sulla finestra incantata.
 
-beh, noi, allora ci... ci vediamo, ok?- cerca di congedarsi alla fine la ragazza, spostando lo sguardo sulla porta -buona serata, a domani-.
 
Prima di sorridere di un sorriso amaro, Gideon riesce quasi a sentire la voce di suo fratello, a metà tra una presa in giro e un tono di consolazione.
 
Merlino, Gid, proprio con le donne non ci sai fare! Va già bene che ti sei innamorato di Mary, è tanto sveglia che farà tutto da sola senza che tu te ne accorga nemmeno.
 
 
*
 
 
Quello che hanno di bello queste riunioni, è che non ci si annoia mai.
 
Spesso esco di qui con il mal di testa, qualche volta con il fegato ingrossato o il sangue marcio, ma mai, e dico mai, annoiata.
 
Prendete questa riunione in particolare, ad esempio: è bastata qualche parola per mandare all’aria la calma placida in cui ci cullavamo fino a venti minuti.
 
-non si può mandare in avanscoperta un solo ragazzo, Alastor- sta esclamando a viva voce la McGrannitt, sorretta da Dorea.
 
-nemmeno un solo adulto, il covo potrebbe essere pieno di mangiamorte- si insinua Caradoc, serio.
 
-sarebbe più prudente effettuare turni di due persone, è più facile chiamare aiuto in caso servisse- aggiunge pensieroso Benjy, annuendo con sguardo computo a quello che dice Caradoc.
 
-credo che questi turni debbano essere composti da…-
 
-e così avete iniziato senza di me, eh?- chiede una voce dalla saletta d’ingresso. Voltandomi, posso vedere Gideon con quel suo sorriso sereno accompagnato da Dorcas, che probabilmente, ragionevolmente attenta ai rumori, ha distinto il suo bussare dal caos che regna sovrano nella stanza.
 
-Prewett, siediti e taci, sei in ritardo, e noi stavamo parlando di qualcosa di importante prima che arrivassi tu-.
 
Tutt’altro che offeso dal comportamento brusco di Moody, Gideon sorride ancora ai presenti in segno di saluto e si siede a qualche sedia da me. Gli sorrido in risposta, salutandolo con un cenno della mano, quando vedo il suo sorriso fermarsi un po’ più a lungo su di me.
 
Poi vedo Alice sorridere saputa con quello sguardo un po’ troppo malizioso, e –non per la prima volta in questi ultimi mesi- arrossisco e distolgo il mio.
 
Merlino benedetto, proprio io che dell’amore non sapevo niente, dovevo andarmi ad innamorare di un Prewett?
 
 
Flashback-> ore 21.30 del 20 gennaio 1978
 
La serata non è certo tra le migliori, devo ammettere.
 
Oltre ad essere sovraccariche di compiti –che ovviamente, nemmeno a dirlo, non ho alcuna intenzione di fare se non quando mi accorgerò di essere con l’acqua alla gola- la tempesta, o forse è meglio dire diluvio, che infuria da diverse ore non accenna a smettere.
 
-bella la Scozia, non c’è che dire- asserisce Alice tetra, dal suo posto accanto ad una delle grandi finestre della sala comune –brughiere, fiordi, fate e gnomi. Certo, quando riesci a vederli oltre questa cappa di pioggia perenne!-.
 
Le labbra di Lène, seduta davanti a me e con il libro aperto –a malincuore- sulle ginocchia, si arricciano appena in un sorriso trattenuto, mentre con gli occhi scuri continua a leggere qualcosa che sicuramente tra un minuto e mezzo non ricorderà nemmeno più.
 
La vita ad Hogwarts non è ripresa esattamente come si era interrotta con le vacanze di Natale.
D’altronde, come avrebbe potuto?
Con tutto quello che è successo.
 
-beh, fino a duecento anni fa non doveva essere niente male- ribatto io ridendo  verso Alice -con tutti quegli uomini in kilt-.
 
Se ci fosse Emmeline, qui con noi, mi scoccherebbe una di quelle occhiate a metà tra il pudico e l’irritato che fanno tanto “Vance”, per fortuna è probabilmente da qualche parte con Remus, visto che non si vedono entrambi da prima di cena.
 
-Mary, gli scozzesi portano il kilt ancora adesso- mi fa notare Alice spostando lo sguardo dalla vetrata a me.
 
-non più con lo stesso stile di una volta, ora è solo un abito da cerimonia- la correggo.
 
-non è…- prova a dire lei.
 
-Ali, è fiato sprecato discutere di una cosa del genere con Mary, lo sai benissimo- la interrompe Lène con il sorriso ora sguaiato sulle labbra –se c’è al mondo un’usanza che le permette di vedere le gambe di un bell’uomo, puoi stare sicura che Mary Abigail McDonald ne conoscerà ogni singolo punto. Magari non sa nulla riguardo alla pozione invecchiante, ma di bei polpacci se ne intende eccome-.
 
Tutte e due scoppiano a ridere divertite, risate a cui io non posso che unirmi, visto il tono con cui Lène si è espressa.
 
-sentila, adesso, la sposina tutta casa e famiglia- la rimbrotto –come se a te non fossero mai interessati altri ragazzi fuorchè quel pallone gonfiato di Black-.
 
Uno scappellotto leggero ma secco mi raggiunge la nuca non appena chiudo la bocca.
 
-ma dai, Mac, non essere così gentile con me, sono certo di non meritare tanti complimenti- mi risponde il suddetto pallone gonfiato accomodandosi con nonchalance sul bracciolo della poltrona di Marlene, e rivolgendo alla propria ragazza uno sguardo tutt’altro che dolce.
 
Merlino ha un senso dell’umorismo davvero strano, su questo non c’è dubbio. Quando ha deciso di farli mettere assieme, doveva essere in vene di risate.
 
Quei due passano i due terzi del loro tempo a litigare, e il terzo rimanente a fare pace.
 
Ora, in questo stesso momento, hanno iniziato a fare pace.
 
-Merlino, salite in dormitorio o andate nella foresta proibita!- esclamo sdegnata lanciando loro il primo libro che mi capita a tiro, quello che fino a poco tempo fa Marlene stava leggendo –qui ci sono delle fanciulle caste e pure che vorrebbero rimanere tali fino al matrimonio-.
 
Marlene si scosta da Sirius con il preciso intento di inarcare un sopracciglio –Morgana, è una cosa che le riesce sempre dannatamente bene, il farti capire quando e quanto è scettica- al mio indirizzo.
 
-senti Mac, non hai di meglio da fare che startene qui a gufare?- mi chiede invece il suo “ragazzo” in tono spiccio –chessò io, andare a fare qualche ronda, visto che sei un Prefetto, contare le gocce d’acqua sulla torre di astronomia, andare a vedere se trovi il gramo in qualcuna delle sfere di divinazione…-
 
Con un sorrisetto sarcastico, mi alzo dalla poltrona in cui mi sono accomodata un’ora fa –in teoria per studiare- e, dopo un veloce saluto, asserisco che forse è meglio che io vada a dormire, sono stanca.
 
Da quando Sirius e Marlene stanno insieme, l’aria intorno a noi del settimo anno è un po’ cambiata. Fintanto che sono durate le vacanze di Natale, la notizia non mi sconvolgeva più di tanto. È con il nostro arrivo ad Hogwarts, e il conseguente fluire della voce, che le cose hanno iniziato a mutare.
 
Non sono esattamente diverse, ma non sono più le stesse. Non sono cambiate in peggio, ma dobbiamo ancora tutti abituarci a questo meglio. Con Lily che ci sbatte fuori dal suo mondo personale –tutti, con l’esclusione di James, che ha quel particolare diritto di stare dentro ad una stanza fatta di cristallo e dolore-, Emmeline e Remus che dopo tanto hanno trovato il coraggio di stare insieme, Marlene e Sirius intenti a combattere una delle loro numerose battaglie –qualche volta tra le lenzuola, qualche volta bisticciando teatralmente-, Alice e Frank sempre occupati a pianificare il proprio futuro insieme… beh, Peter non è mai troppo di compagnia, e io finisco con il rimanere spesso tagliata fuori.
 
Le mie migliori amiche per me ci sono sempre, ma è strano sapere che adesso per loro c’è anche qualcos’altro.
 
Qualche volta mi rifugio da Paul, che pur non essendo nulla più che un amico, è pur sempre una spalla su cui appoggiarsi.
 
In dormitorio, noto che il bagno è occupato.
 
-Lils, c’è qualcosa che non va? Stai bene?- chiedo lievemente allarmata.
 
Lily è arrabbiata. Glielo leggo in viso ogni volta che mi guarda, negli occhi ad ogni occhiata, sulle labbra ad ogni verso di stizza, sulle gote ad ogni arrossamento.
 
Sono quindici giorni che è arrabbiata. Quindici giorni che fa finta di nulla, quindici giorni che non parla e non ride –o meglio, parla e ride, ma come se fosse di vetro e ad ogni gesto sbagliato potesse rompersi-, quindici giorni che si tiene sotto uno stretto controllo quando è in compagnia mia o di chiunque altro.
 
Forse con James ritrova un po’ di se stessa, ma non mi è dato saperlo con certezza.
 
-si, certo- mi risponde uscendo dal bagno e lasciandosi la porta aperta alle spalle –non avevo voglia di studiare pozioni, è solo per questo motivo che sono venuta su prima-.
 
Si è resa conto di quanto la teniamo sotto controllo ultimamente. Non lo facciamo per cattiveria, di certo lei questo lo sa, né per pietà.
 
È la mia migliore amica, e qualcosa mi si spezza dentro ogni volta che la vedo sbattere le palpebre velocemente per trattenere le lacrime.
 
-lo immaginavo, tesoro- la rassicuro con un sorrisone, largo il doppio del normale per comprendere quello che lei non riesce più a dispensare –ma non ti preoccupare, io non studio da sei anni e me la cavo egregiamente così-.
 
Finalmente riesco a farla ridere, anche se forse ridere non è la parola giusta. È più uno sbuffo che sa di divertimento, in fondo.
 
-ah, mentre eri giù è arrivata quella per te- mi dice poi avviandosi al suo letto ed indicandomi il mio, su cui fa bella mostra di se una busta di pergamena chiusa con un sigillo rosso fiamma –l’ha portata un gufo circa venti minuti fa-.
 
Rimango a fissare per un attimo la busta, poi sposto lo sguardo alla finestra che da sull’esterno, sulla pioggia, sul cielo plumbeo e il buio assoluto.
 
-era ancora vivo?- chiedo ironica indicando a Lils il clima esterno.
 
Lei scrolla le spalle in risposta.
 
-gli ho dato uno dei biscotti che Alice tiene per la civetta, ed è tornato da dove è venuto. Non mi sembrava troppo malconcio, tutto sommato, deve essere abituato a girare con questo tempo-.
 
Scrollo le spalle, prendo la lettera e mi accomodo sul letto, incuriosita.
 
Che io sappia, quella con cui è stato scritto il mio nome non è la grafia di mamma o papà. È tondeggiante, un po’ esitante sull’iniziale del mio cognome e in fin dei conti molto chiaramente leggibile.
 
-vado a portare questo a Rem, nel loro dormitorio, torno subito- mi dice Lils infilandosi la vestaglia di flanella verde pallido e imbucando la porta con un libro in mano.
 
Di nuovo sola.
La voce dei miei pensieri, inizio a credere in questi giorni, non è poi una compagna tanto male, nelle solitarie ore che mi tocca passare a tu per tu con me stessa.
 
Soffocata dalla curiosità rompo il sigillo che chiude la busta, aprendone i lembi con entusiasmo.
 
Quando vedo la firma, sgrano gli occhi stupita;
quando inizio a leggere, devo lottare per trattenere un sorriso.
 

“so che quindici giorni non sono certo duemila anni, ma d’altronde non mi parevi molto propensa a rimanere ferma nel tuo proposito di non parlarmi mai più… e comunque, a voler proprio essere pignoli, scrivere non è parlare, quindi non ci vedo nulla di male.
Come è andato il vostro ritorno ad Hogwarts?
Ho saputo da Dorcas che avete vinto la partita contro Corvonero, e non posso che esserne contento”.

 
Alla fine il sorriso fugge lo stesso, mentre leggo quelle parole che una dopo l’altra fluiscono con la facilità di un fiume nel mare.
Dorcas Meadowes è, probabilmente, la persona più lontana da me come pensieri e carattere sulla faccia della terra, eppure, quando ho ricevuto una sua lettera dai toni gentili e affettuosi con la posta del mattino, non ho avuto la minima intenzione di tirarmi indietro da quella corrispondenza un po’ strana, ma decisamente più che gradita. È una persona estremamente particolare, la Meadowes, e dietro ad un sorriso e a due occhi forse banali, nasconde una vivace intelligenza e modi tutt’altro che scontati.
 

“Stai tranquilla, Dorcas non racconta in giro il contenuto della vostra corrispondenza con leggerezza. Ho dovuto torturarla per ore, e se non è più appesa per i pollici nella nostra cantina è solo perché quel tenerone di Fabian insiste nel dire che è la donna della sua vita e cose simili”.
 

Povera Dorcas, riesco a pensare solo questo mentre rido alle parole della lettera.
 

“tu come stai?
Mettendo da parte gli scherzi, ti posso giurare che Dorcas non ha fatto assolutamente parola su ciò che vi scrivete, non vorrei te la prendessi con lei solo perché io parlo troppo. Ci ha solo detto che avete vinto a quidditch, e che una parte del merito è stato tuo.
Volevo complimentarmi, con te e con gli altri.
Gideon”

 
Per un attimo, solo un secondo, una piccola fitta strana –di qualcosa che non ho mai provato- mi prende alla gola. Merlino, perché?
 
Poi la voce di Lily interrompe ogni pensiero, facendomi arrossire furiosamente.
 
-ma dai, allora c’è davvero qualcuno che riesce a far sorridere Mary McDonald come una scema davanti ad un pezzo di carta!-.
 
Fine Flashback

 
 

*
 
 
-Prewett, siediti e taci- lo rimbrotta Moody non appena Gideon, con un sorriso sicuro e amichevole sulle labbra, si affaccia dalla porta della sala macchine per salutare –sei in ritardo, e noi stavamo parlando di qualcosa di importante prima che arrivassi tu-.
 
Per nulla offeso, il giovane Prewett da in un sorriso ancora più sfrontato, avanzando nella sala con il passo dinoccolato e calmo di chi non si sente per nulla in soggezione davanti al proprio caso.
 
-tranquillo capo, il mio ritardo non ha nulla a che vedere con il compito che mi hai assegnato oggi, di revisionare tutte le copie dei fascicoli in archivio sui casi degli ultimi nove anni-.
 
Alle sue parole, un discreto numero di persone nella stanza scoppia a ridere. La maggior parte tra loro, si blocca non appena Alastor Moody affila lo sguardo. Qualcuna, più temeraria, continua imperterrita. Un vecchio dalla lunga barba, da in un sorriso divertito senza però prendersi gioco in alcun modo ne di uno ne dell’altro dei propri compari.
 
-a quanto ho sentito- riprende quindi il capo degli auror, con un ringhio feroce –il giovane Prewett si è appena offerto di fare il turno di guardia fuori dal Malfoy Manor per la cena di gala data in onore del compleanno di Lucius-.
 
Gideon Prewett scrolla le spalle, gliene devono essere capitate di peggio, e finalmente si accomoda su una delle poche sedie rimaste vuote attorno al tavolo principale di metallo.
 
Tutti, nella sala, riportano la propria attenzione sul vecchio auror.
 
 
*
 
 
Moody ha il suo fascino, quello che è vero è vero.
 
È una personalità di spicco nella Londra magica di questo e degli ultimi cinque o sei anni.
Da che ho memoria, ne sento parlare da mamma o da papà, o da altri membri altolocati al ministero.
 
È piuttosto burbero, è vero, ma è anche vero che tra i suoi pregi c’è quello di saper inquadrare alla prima una persona.
 
Per questo non si ribella affatto quando mi offro per fare compagnia a Gideon nel suo turno di guardia a Malfoy Manor. Capisce, probabilmente, che voglio sentirmi utile e coinvolto.
 
-perfetto, allora- ringhia non appena mi offro volontario –tutto quello che dovrete fare sarà appuntarvi chi arriva e chi parte, l’ora ed eventuali cose sospette. Ci saranno personalità legate al Ministero, i Malfoy rivestono un ruolo importante come donatori. E anche per quel che riguarda il San Mungo e la Gringott-.
 
Al mio fianco, sento Fabian irrigidirsi, e voltandomi lo vedo indirizzare uno sguardo a Dorcas.
 
-vorrei andare anche io- esordisce pacato, senza scostare lo sguardo dalla propria ragazza.
 
Se Dorcas fosse una qualsiasi altra persona, forse alzerebbe gli occhi al cielo. Ma Dorcas è Dorcas, è gentile, pacata, sorridente e rassegnata.
 
Ed è la più giovane Medimaga degli ultimi cinquant’anni, la più dotata degli ultimi venti ed è innegabilmente una personalità di spicco del San Mungo.
 
In quanto tale, è invitata ufficialmente alla cena di gala in onore del galletto Malfoy.
 
Tanto più che, timida e silenziosa com’è, non la si sospetterebbe mai in combutta con quei brutti ceffi dell’Ordine della Fenice.
 
Se fossi nei panni di Fabian, anche io punterei i piedi.
 
 
Flashback->  ore 16.30 del 21 gennaio 1978
 
Camminare al fianco di Lily, per i corridoi di una Hogwarts che per anni l’ha vista resistere ai miei tentativi di conquista, è per me una vittoria personale.
 
Ormai, da un pezzo Lily non è più solo una sfida da vincere –cosa che è stata fino a circa due anni fa- ma una ragazza da amare.
 
Ultimamente Lily mi preoccupa. Non è il dolore, non è l’isolamento, nemmeno la freddezza.
 
Posso capirlo. Sento ogni sua fitta come uno strappo nella carne, ogni lacrima repressa come un pugno in faccia.
 
È la rabbia, che non capisco.
 
Lei non parla, io ascolto il silenzio, ma esso non dice nulla di lei o di me.
 
Ci sono volte, le volte in cui siamo soli, le volte in cui con una battuta riesco a riportare la Lily di prima a galla nei suoi occhi, volte in cui riesco a farla ridere, a farla parlare. In quei momenti lì, nel suo sguardo, vedo un pozzo con sul fondo la Lily di prima. Mi tende la mano, forse chiede aiuto, ma c’è. È lì, spaventata e dolorante, intenta a tenersi insieme alla bell’e meglio.
 
Poi ci sono volte in cui non vedo assolutamente nulla, nei suoi occhi. Vedo il verde, quel verde che mi ha ossessionato per anni, che ho ricercato ovunque –tra le foglie, nelle serre, sulla superficie del Lago nero, quella con il fondale basso-. Verde e rabbia.
 
-Lily, sei sicura di…-
 
-non posso continuare a rimandare in eterno, James- mi risponde indicandomi la porta davanti a noi –sono solo prefetti, Mulciber e Avery non mi spaventano-.
 
Per un attimo mi fermo, davanti a quella porta che nei giorni precedenti ho attraversato da solo. Mi ha chiesto lei di prendersi un attimo di pausa dal compito di caposcuola, e io non ho detto di no. Non avrei mai potuto, non avrei mai voluto.
 
Quello che non dice, è quello che penso anche io.
 
Lène ha detto che Regulus doveva ricevere il marchio nero. Quanti altri mangiamorte sono in questa scuola? E quanti mangiamorte l’1 gennaio erano in casa sua?.
 
Fine Flashback.

 
 

*
 
 
-no, direi che un Prewett basta e avanza- brontola Moody in risposta alla richiesta di Fabian.
 
Questo sospira, gli occhi normalmente sereni ora decisamente cupi, ancora puntati su Dorcas. La ragazza, in risposta, scuote piano la testa e da in un sorriso talmente sincero e disarmante –e rivolto unicamente  a Fabian- da costringermi a distogliere lo sguardo. Mi pare quasi di infiltrarmi in qualcosa di cui io non dovrei fare parte, un momento d’intimità tra amanti breve ma intenso.
 
È da quando li conosco che è così, tra loro.
 
Raramente li ho visti dar prova l’un l’altro del proprio amore, per quel che ricordo non li ho mai visti nemmeno abbracciati, eppure esiste una strana alchimia, tra loro, per cui se uno dei due entra in una stanza, l’altro si volta. Se lei mormora il suo nome ad una folla di distanza da lui, Fabian se ne accorge e risponde; e quando Fabian ancora sta tendendo la mano per sfiorarle una spalla, lei già si protende a ricevere la carezza, come se sapesse del suo arrivo.
 
-credo di poter decidere che…-
 
-Fabian, Dorcas sarà al sicuro-.
 
È Zia Dorea che gli risponde, con quel suo tono materno che usa con me e James solo quando non vede le nostre camere in disordine.
 
-si ma…-
 
-Dorcas è brava a fingere- sussurra zia Doree al suo indirizzo –e poi, se non andasse alla cena farebbe sorgere sospetti. Ci serve un’infiltrata al San Mungo, e Dorcas è molto competente sia come medimaga che come combattente-.
 
Fabian, alla fine, appare rassegnato.
 
Lo si vede da come si tortura le mani che non è d’accordo, e da come tiene lo sguardo basso per quel che resta della riunione.
 
Alla fine, quando Moody scioglie l’assemblea con parole spiccie, Dorcas gli si avvicina e gli posa, delicata, una mano su una spalla, stringendolo lievemente in una sorta di abbraccio tutto loro. In mezzo al momentaneo caos della stanza, il loro è come un punto di luce.
 
-ehi, Black, che ne dici di un caffè nella Londra babbana, solo io e te?- mi sussurra invitante la voce di Marlene all’orecchio, quando le sue mani, delicate, mi sorprendono da dietro in un abbraccio sui fianchi.
 
Mi volto, con un sorriso che va da orecchio ad orecchio, e annuisco piacevolmente sorpreso da una richiesta del genere. Da quando ha fatto pace con la sua famiglia, cerchiamo di non farci vedere troppo assieme: i suoi non vedono di buon occhio questa mia relazione con lei.
 
-dico che è una splendida idea, McKinnon- le rispondo quindi. Dopotutto, la Londra babbana è la Londra babbana.
 
Salutiamo tutti e ci accingiamo ad uscire.
 
Al centro della sala macchine, Dorcas e Fabian parlano tra loro.
 
Quei due, mi dico, sono la prova di tutto ciò che il mondo sarebbe senza questa guerra insensata. Non si può certo dire che tra me e Lène sia proprio così: con il carattere che abbiamo ci facciamo guerra un giorno si e l’altro pure.
 
Prendendo per mano la mia ragazza, penso che comunque va bene così. Purchè si continui a fare la pace.
 
 
 
 
 

 
NOTE:
Se avessi saputo che basta usare un po’ di tono intimidatorio per farsi lasciare due o tre recensioni in più, l’avrei usato mesi e mesi fa! Dunque, ragazzi miei, che dire?
Il primo capitolo è questo, spero vi piaccia leggerlo come a me è piaciuto scriverlo!
Una sola domanda, vorrei farvi: secondo voi la storia tra Mary e Gideon sta andando troppo veloce? Volete che rallenti? Non so, mi piace molto la piega che sta prendendo, ma non vorrei correre troppo, come mi succede qualche volta quando ho qualcosa di interessante su cui scrivere…
Ditemi voi come vi sembra, io vi posso solo dire che per la prossima settimana aggiornerò entro sabato –mattina, pomeriggio, sera o notte non so dirlo- e i P.o.V saranno quelli di Emmeline, Lène e Lily. Un capitoletto tutto al femminile, visto che come personaggi non si sentono più da un bel po’.
Due piccole precisazioni, due cose che mi sono state dette nelle recensioni:
no, non ci sarà un punto di vista da parte di nessuno dei due gemelli Prewett. Per un motivo particolare, direi, perchè questa storia è narrata dalla generazione "malandrina", quindi sono tutti a scuola, parlano solo i "giovani".
Gideon e Fabian fanno parte per prima cosa di un'altra storia, e qui si arriva alla seconda precisazione.
Si, sono stata una stronza epocale a non aggiornare più la ff su Fabian e Dorcas, prometto di farlo appena ho un attimo di tempo per rivedere quel capitolo. No, non ho alcuna intenzione di lasciar incompiuto alcunché, soprattutto perchè io adoro quella ff!
Un Grazie enorme per ogni recensione meravigliosa, le ho adorate tutte, dalla prima all’ultima, risponderò domani sera, non più tardi, prometto. Vedere così tante recensioni per me è una novità, sono splendide. E un grazie tinto di commozione a chi mi ha segnalato per le scelte, ne sono davvero lusingata!
Un bacio
Buona lettura,
Hir

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Capitolo 3
*** ricatti e lavori ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
MARY
PETER
FRANK
ALICE
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
STAZIONE DI CHARING CROSS, THE TUBE, LONDRA
14 LUGLIO 1978
 
-dunque, ti dicevo che c’è questo locale in centro che…-
 
-non mi convincerai a venire in questo locale che dici essere meraviglioso-.
 
-perché no, Docco?-.
 
-perché di solito il tuo concetto di meraviglia implica troppa gente, troppe luci cangianti e troppo caos per le mie nobili orecchie. E poi sono convinto che Ben voglia andare a casa, ha lavorato tutto il giorno-.
 
Io sono una di quelle persone che di certo non adora il quidditch: insomma, mi piace, ma non mi ci vedo per niente con la faccia dipinta coi colori della mia squadra intenta a saltare su e giù come un ossessa per tifare poveri disperati che rincorrono una palla dura e rossa e che sono a loro volta rincorsi da due palle molto più dure e possedute da spiriti maligni.
 
Eppure ho imparato a venerare Caradoc Dearborn perché, potete starne certi, è la persona più esilarante che io abbia mai conosciuto.
 
Non solo per quell’aria di nobile altezzosità mista a permalosità che ha sempre dipinta in volto, che ad una prima occhiata può anche dare fastidio, o per quel sorriso e quelle battutine ironiche che sfodera come fossero una bacchetta sempre pronta all’uso. Stimo molto il modo in cui ha difeso la sua vita privata quando –com’era prevedibile- è uscita alla luce del sole.
 
-a volte mi chiedo se Ben è il tuo compagno o la tua scusa perenne quando non hai voglia di fare qualcosa- sento Sturgis ribattere in direzione del migliore amico con espressione annoiata.
 
Caradoc da in un sorriso saputo.
 
-essere l’uno implica insindacabilmente essere anche l’altro- annuncia indicando Benjy intento a parlare con Lily, all’altro capo del tavolo –e comunque, non è una scusa. Nei locali ci sono caos e disordine, e Ben è l’ultima persona al mondo a cui piaccia il caos e il disordine -.
 
-già, mi chiedo proprio cosa ci trovi in te- lo interrompe Sturgis con un’occhiata divertita al giovane compassato –dillo che lo stai ricattando da sette anni abbondanti-.
 
Sorrido, e il mio sorriso si allarga quando incrocio lo sguardo di Caradoc. Un tempo, mesi e mesi fa, mi avrebbe fatto arrossire come un pomodoro l’esser sorpresa ad ascoltare una simile conversazione tra amici, avrei balbettato qualcosa e mi sarei allontanata il più in fretta possibile.
 
Svegliati, Emmeline. Me lo ripetevo spesso, e anche Mary lo faceva quando mi vedeva arrossire per un nonnulla.
 
 
 
Flashback-> ore 16.30 del 10 febbraio 1978

-beccati!- esclama una voce dietro di me, facendomi sussultare tra le braccia di Remus –a quanto pare in questa scuola si divertono tutti tranne me, credo di dovermi dare da fare… o, non vi preoccupate, farò come se non avessi appena visto nulla di quanto in realtà ho visto e non mi venisse da vomitare come in effetti sta…-
 
-Mary, taci un po’- la metto a tacere sistemandomi il maglioncino con una dignità tutta mia, nonostante senta la faccia in fiamme e le orecchie ronzare dalla vergogna.
 
Appoggiato al muro della guferia, la testa reclinata lievemente all’indietro e un sorrisetto a metà tra il divertito e l’imbarazzato sulle labbra, Remus socchiude gli occhi, rivolgendosi alla nuova giunta.
 
-Mary, non lo dirai a Sirius e James, vero?- chiede tentando un tono indifferente, che non inganna ne me, ne Mary, e nemmeno uno dei gufi qui presenti.
 
Mary si ferma, una pergamena ripiegata ben salda tra due dita, e rivolge un lungo sguardo inquisitore a me e a lui.
 
-sai, Remus, ormai hai quasi diciotto anni, credo tu possa appartarti con la tua ragazza senza dover chiedere il permesso a Sirius e…- gli dice alla fine.
 
Lo sguardo fermo che le viene rivolto in risposta ha quasi il potere di farla tacere.
 
Quasi, per l’appunto.
 
-se io sto zitta, cosa ci guadagno esattamente?- chiede con sguardo furbo raggiungendo un trespolo con un gufo accomodato sopra.
 
Vedo Remus inarcare un sopracciglio.
 
-diciamo che potrei fare finta di non sapere nulla su questa tua assidua corrispondenza con…- si protende verso di lei, inclinando appena la testa per poter leggere il nome del mittente sulla busta –Gideon Prewett-.
 
Mary da in un sorriso beffardo.
 
-non mi da particolarmente fastidio che si sappia in giro che scrivo e ricevo lettere da Gideon, è un amico…-
 
-sai- decido di intervenire a supporto di Remus –non so perché, ma credo che invece potrebbe darti fastidio che si sappia in giro che le lettere di Gideon Prewett sono quelle che ti fanno arrossire tanto e sorridere come un’ ebete davanti a fogli di pergamena scritti fittamente-.
 
Eh, si. Sei anni e mezzo accanto a Mary, ecco quanto ho dovuto aspettare per vederla arrossire.
 
Lei, sempre maliziosa e sfrontata, irriverente con qualunque essere di sesso maschile dai due ai novant’anni, arrossisce esattamente come me quando parlo con Remus. La sola differenza è che lei con Rem ci parla tranquillamente, ma alle lettere di quel gemello Prewett proprio non sa restare indifferente.
 
Mary, ora lievemente irritata, mi guarda in cagnesco assottigliando lo sguardo in due pericolose fessure scure.
 
-chi sei tu, e che ne hai fatto di Emmeline Vance, quella tenera?- mi chiede con fare da cospiratrice. Poi, teatralmente, scuote una mano e la porta davanti agli occhi, in un gesto da palcoscenico –come volete, per quel che mi riguarda stasera Emmeline è ad accarezzare unicorni nella foresta proibita e Remus a raccogliere bucaneve al chiaro di luna-.
 
Sorrido vittoriosa, decisamente contenta di non dovermi sorbire le battutine di Sirius e James rivolte a Remus. Ammetto che qualche volta –molto spesso, in effetti- sono anche divertenti, ma non mi piace molto sentirmi tirata in causa così.
 
-devo andare- mi mormora Remus all’orecchio –avevo promesso a Pete che ci saremmo incontrati in biblioteca per quel tema sul bezoar che ci ha assegnato Lumacorno per la prossima settimana, devo almeno rileggergli il testo per correggerlo dagli errori grammaticali. Ah, e poi devo correggere il trattato di Erbologia a Sirius e…-
 
-buona fortuna, allora- si intromette Mary, tutta intenta a legare alla zampa sinistra del piccolo gufo che ha scelto la sua pergamena indirizzata, a quanto pare, a Gideon Prewett –lui e Lène hanno di nuovo litigato, c’entra qualcosa Patrick Midgen, ma in realtà non mi interessa davvero sapere il motivo per cui sono di nuovo in lotta-.
 
Sorrido appena, vivere accanto a una Marlene innamorata è ben più difficile di quanto pensassi.
 
-nemmeno a me importa particolarmente il motivo del loro litigio, tanto tra cinque minuti ne troveranno un altro valido- risponde Remus con un sorriso stanco, lasciandomi un ultimo bacio leggero all’angolo tra le labbra e la guancia –ci vediamo a cena, Emme. Mary, io e te non ci siamo mai visti in guferia-.
 
-non ti vedo da così tanto tempo che mi sono dimenticata perfino il tuo nome, raccoglitore di bucaneve- ribatte Mary alzando il pollice in un segno convinto.
 
Divertito, Remus si volta ed esce dalla guferia, diretto in Biblioteca con quell’aria  tranquilla e quieta che lo caratterizza da che lo conosco.
 
Quando anche il suono dei passi viene inghiottito dalla distanza, mi volto verso Mary incuriosita.
 
Dieci giorni fa, all’incirca, a colazione è arrivato un gufo per Mary. Fin qui, nulla di strano. Sono anni che Mary riceve lettere da, più o meno, chiunque. I suoi genitori, i suoi parenti in Irlanda, adesso anche Dorcas Meadowes, e diversi ammiratori sparsi per tutta Hogwarts troppo timidi per parlarle a tu per tu –perché, onestamente, ci vuole un sacco di coraggio per parlare a Mary davanti a tutti, se sei un ragazzo. Lei, da sempre, li tratta come prede-.
 
Di per sé, quindi, il fatto che Mary abbia ricevuto una lettera non è parso tanto strano a nessuno. La busta era una busta come tante altre, con un sigillo privo di qualsiasi simbolo, e il suo nome scritto in bella  grafia sul dorso.
 
È il fatto che abbia infilato velocemente la busta nella borsa che ci ha fatto insospettire. Insomma, chiunque conosce la proverbiale curiosità di Mary Abigail McDonald. lei, a Hogwarts, tutto sa e tutto osserva.
 
Da James a Frank, chiunque nel raggio di tre metri da lei si è accorto che quella lettera rappresentava qualcosa di strano. E allora sono iniziate le domande.
 
Io devo dire di non essermene troppo preoccupata.
 
Mary è fatta in un modo tutto particolare, e so che quando avrà voglia di parlarne, mi prenderà da parte e me ne parlerà. Forzarla, in questi casi, non serve a nulla.
 
Solo, mi ha incuriosito il commento di Lily, che ultimamente spreca ben pochi commenti con noi, riservandosi la stragrande maggioranza di pensieri in testa.
 
-è una di quelle lettere che ti fanno ridere come una scema- ha semplicemente commentato, con un sorriso decisamente più convinto di tutti quelli che le ho visto elargire nell’ultimo mese. E poi non c’è più stato verso, da parte di Marlene o Alice, di far sputare il rospo a nessuna delle due. Mary si è limitata a sorridere sbarazzina e Lily a scrollare le spalle.
 
Ora, però, la curiosità mi sta uccidendo.
 
Insomma, Gideon Prewett.
 
-Gideon vi saluta- è lei la prima a parlare, e il sollievo mi fa quasi tremare.
 
-che simpatico, salutalo da parte nostra, sono sicura che nessuno si opporrà a mandargli un saluto- annuisco verso Mary, che adesso si sta guardando le unghie mangiucchiate aspettando che il gufo sparisca oltre le prime montagne.
 
Alla fine è solo un punto tra due creste.
 
-mi aveva scritto dopo la partita contro Corvonero, per congratularsi della vittoria, e da lì abbiamo iniziato a scriverci- mi spiega spigliata come al solito –è simpatico e gentile, le sue lettere sono buffe e interessanti-.
 
Ne sono certa, mi dico mentre annuisco computa. L’unica cosa che mi chiedo è perché mai non ci abbia fatto parola di questa loro corrispondenza, anche perché la partita è stata più di venti giorni fa, ormai.
 
Di Dorcas ci ha raccontato subito, non appena ha ricevuto la prima lettera.
 
-ah, quindi parlate di quidditch- rispondo –e di che altro, il suo lavoro?-.
 
-si, anche se non tantissimo perché non può parlare dei dettagli che passano per l’ufficio auror. Parliamo più che altro della richiesta dei Magpies che ho ricevuto a inizio anno, mi vuole convincere che non c’è posto di lavoro migliore, anche se non so bene perché si dia tanto da fare per me-.
 
Sorrido appena.
 
Non che io sia una grande esperta di questo genere di cose, anzi… dal momento che il primo ragazzo che ho avuto in vita è lo stesso che pochi minuti fa è uscito da questa guferia, e che stiamo insieme da poco più di un mese, non mi ritengo certo una grande esperta negli affari uomo-donna.
 
Tuttavia, questo interesse fa squillare un campanellino di avvertimento anche in me, digiuna nel modo quasi più totale di relazioni ed interessamenti.
 
-forse perché gli stai simpatica, e non vuole vederti buttare all’aria una carriera e una vita felice solo per i motivi stupidi che ti costringerebbero a rinunciare...- butto lì gentilmente –e Dorcas, invece? Come sta?-.
 
Sorride anche con gli occhi, Mary, credo che questa sia la sua più grande qualità. Sorride tutta, quando sorride, e fa sentire felice per riflesso.
 
-sta bene, lavora molto ma non se ne lamenta. Ama molto il suo lavoro- risponde con un’ultima occhiata alla guferia –è una persona proprio particolare, sai, Dorcas… non avrei mai pensato di poterci entrare così in sintonia. È anche molto simpatica, ha uno squisito gusto dell’umorismo-.
 
Annuisco, sebbene non possa dire di averlo notato con altrettanta chiarezza.
 
È sempre gentile con noi, Dorcas, e deve essere una brava persona, l’ho notato da come ha gestito il fatto dei genitori di Lily, scivolando dentro e fuori dalla camera della mia migliore amica con la sua comprensione e il suo sostegno.
 
Ma non ci ho mai veramente parlato, quindi non posso permettermi di giudicare fino in fondo.
 
-e Remus, come sta?- chiede lei a sorpresa, un sorrisetto ironico sulle labbra.
 
-non lo hai visto tu stessa?- domando in risposta.
 
E intanto inizio a diventare sempre più rossa. Merlino benedetto, odio questa brutta abitudine che ho di arrossire, soprattutto quando lo faccio davanti a Mary, che tutto è tranne discreta.
 
-stai arrossendo, per caso?- mi chiede impietosa, ottenendo il solo risultato di accentuare il mio imbarazzo –per Circe, Emme, a volte sei più pudica della McGrannitt! Ho solo nominato Remus, e tu sei del colore del sangue di drago-.
 
Già, mi dico, cara Emmeline devi darti una svegliata.
 
Fine flashback
 

 

*

 
 
-Emme, tu e Remus venite con noi?-.
 
Una ragazza con vaporosi capelli biondi trattenuti indietro da una fascia azzurra scuote il capo rivolta al giovane che le ha appena posto la domanda.
 
-nah, dopocena con tutti i sacrosanti parenti per il compleanno della mamma…- risponde liquidando la faccenda con un gesto della mano –e il mio ragazzo, visto che mi ama da morire, sopporterà la tortura con me-.
 
È un’occhiata ammonitrice quella che il giovane Lupin si sente rivolgere e, tra l’intimorito e il divertito, sorride annuendo.
 
-sarà per la prossima volta, Jam- si scusa con il proprio amico –il compleanno di Christabel è sacro, sai… e ho come l’idea che il Signor Vance la potrebbe prendere male, in caso non mi presentassi a scortare la figlia come un ragazzo per bene quale sono-.
 
Sirius, accanto a Lène e quasi completamente voltato verso l’uscita , non può fare a meno di sorridere e pensare a quanto tutti loro sono cambiati da nove mesi a quella parte. Fra tutti, due persone in particolare sono mutate al punto che, rincontrandone le vecchie versioni, si potrebbe quasi non riconoscerle.
 
Lily Evans, per validi e ovvi motivi.
Ed Emmeline Vance, per motivi altrettanto validi, seppur non più di tanto ovvi.
 
Certo, c’è la paura della guerra, di cui tener conto, l’ansia costante a cui ognuno di loro –e lei in particolare, visto lo stato di sangue suo e della sua famiglia- viene regolarmente sottoposto, il fatto di essere stati gentilmente lanciati nel mondo alla fine della scuola, che per molti è stata una casa ancora più familiare di quella abituale.
 
Ma su Emmeline, Remus Lupin ha influito moltissimo.
 
La ragazza che solo nove mesi prima si rifugiava dietro ad un libro per poter osservare il placido e tranquillo Prefetto grifondoro è evaporata come neve al sole, soprattutto da Natale in poi. La loro storia, così lenta negli ultimi sei anni e così veloce negli ultimi sei mesi, è entrata nell’ottica e nella visuale dell’intera Hogwarts con una scioltezza della quale ci si rende conto solo a posteriori.
 
Sembra quasi, vedendoli ora, che fosse scritto da sempre che doveva andare così. Eppure non è sempre stato quello, il loro rapporto.
 
Emmeline arrossiva –o meglio, arrostiva- decisamente troppo spesso fino a qualche mese fa, al solo nominare Remus… non che adesso sia immune dal fenomeno che le rende le guance e le orecchie molto simili a quelle di un ubriaco non appena una delle ragazze più smaliziate –magari Mary- fa una qualunque battuta sui due, ma per lo meno ora difende strenuamente se stessa e il suo lupo, rispondendo per le rime con una sfacciataggine che fino a poco tempo fa non ti saresti certo aspettato.
 
Ha raccolto i suoi cocci, Emmeline, e tutti attorno a lei ci hanno guadagnato. Ora è consapevole del potere del suo sorriso, dolce senza essere svenevole, e nei suoi occhi morbidi e ridenti si affaccia spesso quel pizzico di malizia che di certo non stona, ma la rende più interessante.
 
Mantiene comunque quel nonsoché di nobile, etereo. Come fosse al di sopra di qualsiasi cosa e, al contempo, vi fosse immersa fino al collo.
 
-magari un’altra sera- fa eco la voce della ragazza a quella di Remus, mentre quest’ultimo le allaccia con fare quasi paterno il mantello sotto al mento –papà ha insistito tanto perché fossimo presenti-.
 
Un’altra cosa che diverte tanto Sirius –eterno ragazzino, forse, ma gli basta poco per divertirsi- è vedere il suo migliore amico così spaventato dal padre della propria ragazza.
 
Per i primi mesi dopo capodanno, Sirius e James hanno conosciuto il padre di Emmeline unicamente grazie alle pochissime parole spese in merito da Remus, con un’espressione tanto traumatizzata da far immaginare ai due ragazzi un incrocio tra un gigante e un dissennatore.
 
-bene, signori, io e Marlene vi lasciamo alle vostre avventure- esclama alla fine con quel sorriso sardonico che sempre si ritrova sul viso. Un gran bel sorriso sardonico, che va sempre in coppia con quello sulle labbra della propria ragazza –ci si vede alla prossima-.
 
 

*

 
 
-sai, ho fatto domanda per uno stage estivo al Ministero-.
 
Siamo in metropolitana, il treno è abbastanza vuoto e siamo seduti vicini. Quando decido di metterlo al corrente del fatto che lavorerò, Sirius mi guarda inarcando un sopracciglio.
 
-Dipartimento Ufficio per la Cooperazione Internazionale, è uno stage che fanno ad anni alterni. Pagano piuttosto bene per essere uno stage estivo, e mi hanno detto che ci sono nove possibilità su dieci che alla fine dell’estate decidano di tenermi. Non ci vogliono particolari capacità, dal momento che parlo tre lingue tutto quello che mi serve l’ho già imparato in passato-.
 
Sirius continua a guardarmi impassibile, sfiorandomi il dorso della mano destra –saldamente tenuta dalla sua sinistra- con movimenti circolari delle dita.
 
-fatto domanda… quindi ti hanno preso?- mi chiede alla fine del mio piccolo discorso, un guizzo interessato negli occhi scuri.
 
Annuisco con un sorriso tremulo.
 
Mia madre non l’ha presa molto bene, quando glielo ho detto. In realtà, non so precisamente cosa non le sia andato a genio, se il fatto di aver fatto domanda senza farne parola con nessuno o il fatto che lavorerò. Forse è perché d’ora in poi sarò economicamente piuttosto indipendente, ad andarle di traverso.
 
-vuoi per caso andartene da casa tua?- mi chiede alla fine, raddrizzandosi sullo schienale del sedile.
 
Perdo qualche istante per guardarlo, esito e alla fine annuisco.
 
-beh, l’idea finale è questa, si- ammetto controvoglia scuotendo il capo –è che… Merlino, è difficile continuare a vivere sotto il loro stesso tetto. Mia madre è sospettosa, mi guarda male ogni volta che esco, e quando rientro devo sopportare il terzo grado di mio padre. Ora che Max non è più a casa, possono concentrarsi meglio su di me, e anche se cercano di comportarsi normalmente… beh, quello che è successo a natale ha creato una crepa tra me e loro che piano piano si allarga sempre di più-.
 
-e con Max, invece, come va?-.
 
Sbuffo, scuotendo il capo.
 
-non lo so, non lo vedo più molto… e meno male, visto che si porta dietro sempre quell’arpia della Rosier… o, dovrei dire, dalla nuova signora McKinnon. È tanto bella quanto stronza, quella, non so proprio come Max abbia potuto sposarla-.
 
-si, non ho mai sentito molti commenti lusinghieri su Cinthia Rosier- risponde annuendo.
 
-beh, non è stupida. È bella e malvagia, ma non è stupida. È solo senza scrupoli, immagino. Di tanto in tanto vengono a cena a casa nostra, sai? Credo sia Max ad insistere, Cinthia e papà non si sopportano molto, o almeno… lui fa sempre in modo di non esserci, le volte in cui loro vengono a cena-.
 
-quindi- riprende riportando la conversazione sul punto originario –hai deciso di lavorare e andartene di casa-.
 
-il piano è questo, si- commento alla fine, scostando la mano dalla sua e alzandomi dal mio posto sul sedile –alzati, la prossima è la nostra. Mi sembrava una buona opportunità, e poi ho visto che a tra Diagon e Notturn Alley affittano a buoni prezzi monolocali e bilocali. Se trovassi qualc…-
 
-non ci pensare neanche, non andrai a vivere a Notturn Alley- esclama sdegnato non appena le porte del treno della metro si aprono, per lasciarci uscire e lasciar entrare un'altra piccola fiumana di gente.
 
-non è proprio Notturn, è piuttosto…-
 
-Lène, Notturn Alley non è uno scherzo! Prova ad Hogsmeade, piuttosto, o nella Londra babbana, a malaparata, ma non pensare minimamente a Notturn. Merlino, una ragazza sola e come te a Notturn Alley sarebbe un invito ai peggiori bast…-
 
-non ci andrei da sola, ovviamente!- ribatto iniziando ad irritarmi –sicuramente qualche altra persona che cerca una stanza a poco prezzo la trovo e…-
 
-ma certo, magari una vecchia megera o lo scagnozzo di Magie Sinister cercano una coinquilina!- risponde lui a tono.
 
Iniziano sempre così, le discussioni, tre noi.
 
Benchè adesso siano decisamente meno di quelle di alcuni mesi fa, non si può certo dire che la nostra storia scorra liscia come l’olio: sono anche troppe le volte in cui ci ritroviamo immancabilmente ad urlarci contro, per poi richiuderci in silenzi ermetici che solo si stemprano quando uno dei due, mettendo da parte l’orgoglio, decide di chiedere scusa.
 
-intendevo qualcuno di affidabile. Magari qualcuno uscito da Hogwarts da poco, no? Ho sentito che Mary Elizabeth Griffiths… sai, Corvonero, era Caposcuola lo scorso anno… ecco, lei sta cercando una coinquilina. Non sarà la mia migliore amica ma, sai, sempre meglio che…-
 
-non puoi chiedere… chessò io, a Lily? Da come parlava con James, ha intenzione di non approfittare ancora tanto dell’ospitalità di Doree e Char, e magari potreste…-
 
Sospiro. Lily non mi ha accennato nulla, ma c’è da dire che io non ho ancora detto a nessuno del mio nuovo progetto.
 
-potrei provare- ammetto controvoglia tentando un piccolo sorriso.
 
Vedo Sirius sorridere in risposta vittorioso e, giuro, se non fosse così esteticamente piacevole quel sorrisetto saputo sulle sue labbra, non saprei proprio come trattenermi dal prenderlo a pugni ogni tre per due.
 
Mi mantengo rigida per i successivi tre secondi, fino a quando, sbucando nel traffico della Londra serale, non mi sento afferrare dolcemente per la vita.
 
-non mi va di litigare, stasera- mi sussurra a fior di labbra mentre, fermi in piedi in mezzo alle scale del sottopassaggio, ci becchiamo ogni genere di brutte occhiate e insulti nemmeno troppo velati. Soffocando sul nascere una mia risposta mi bacia lentamente –pensa, solo tu, io, e Londra di sera. L’unico limite che abbiamo è la nostra fantasia-.
 

 

*

 
 
-Benjy, possiamo parlare, adesso?- domando rivolta a Ben non appena Silente smette di parlare e un gran strusciare di sedie sul pavimento annunciano il ritiro di gran parte dei membri dell’Ordine.
 
In poco tempo la sala si libera, e rimangono a peregrinare in giro solo James, Fabian, Sturgis e pochi altri. alcuni si fermano per organizzare una serata tutti insieme, altri –come Emme e Remus- escono salutando tutti con un gran saluto ad alta voce.
 
-Lily!- risponde con un sorriso gentile l’ex Serpeverde –si, ho una proposta da farti. Ho sentito che ne parlavano stamani al lavoro e mi è venuto in mente di quando ad una riunione James ha detto che sei appassionata di alchimia-.
 
Annuisco in risposta, prestando particolare attenzione alle sue parole.
 
-si, è vero, alla festa dello scorso Natale, Lumacorno mi ha fatto conoscere un alchimista famoso, un suo amico, Abelus Von Hohenheim, erede del noto Paracelso-.
 
-i Von Hohenheim sono un’autorità, in materia. Secondi solo a Nicholas Flamel e a sua moglie Peronella, ma sono talmente gelosi della propria arte da rifiutarsi in maniera più categorica di trasmetterla a qualcuno che non sia della famiglia- conviene Ben sorridendo appena –il mio datore di lavoro, Sir Edward Glen Richard Cavendish, è anch’egli un personaggio di spicco in materia di alchimia. È giustappunto di lui, che volevo parlarti. Cerca un secondo assistente a tempo pieno dal momento che Bradley Stevenson, che prima occupava quel posto, si è trasferito in America per continuare gli studi in maniera più approfondita. Potrei presentarvi, se ti interessa-.
 
Mi coglie un po’ di sorpresa la proposta di Benjy, poiché da mesi ormai ho abbandonato l’idea di lavorare come alchimista.
 
-e cosa farebbe, esattamente, il secondo assistente? Intendo dire, io sono brava in Pozioni, ma non ho altre basi specifiche sull’alchimia, e quindi non so quanto potrei essere…-
 
-beh, Brad si occupava più che altro di tenere l’agenda di Cavendish e di seguirlo per convegni e riunioni. Gli esperimenti li dirige il primo assistente, Aaron Chapman, Brad assisteva e stendeva le relazioni quando serviva- mi spiega con un sorriso gentile –so che non è moltissimo, per adesso, però è…-
 
-beh, sarebbe veramente un’opzione interessante, in realtà- gli dico scuotendo il capo –avevo abbandonato l’alchimia con il pensiero perché mi ero informata tramite Lumacorno e mi era sembrato di capire che in realtà è un ambiente molto chiuso che raramente lascia spazio a nuove entrate-.
 
Benjy scuote il capo, dissentendo.
 
-è vero che non è facile entrare nel giro, ma per le persone più dotate e talentuose c’è sempre posto, e ci sono sempre opportunità. Da quanto mi è dato di capire, tu sei una delle migliori studentesse diplomate a scuola negli ultimi anni, e non vedo perché non dovresti tentare-.
 
-certamente, non vedo alcun motivo neppure io per rifiutare- annuisco convinta.
 
-perfetto, allora parlo di te a Cavendish domani, tanto lavoro tutto il giorno, e poi ti faccio sapere, ok?- mi dice annuendo in risposta –sicuramente vorrà incontrarti, non è tipo da farsi scappare giovani promesse-.
 
Sorrido piacevolmente stupita in direzione di Benjy e dei suoi occhi blu, poi alle spalle sento James avvicinarsi.
 
-Lils, ti va di uscire con gli altri stasera o preferisci andare a casa?- mi chiede con un sorriso luminoso –ci sono Fabian, Dorcas, Pete, Mary, Gideon e Sturgis. E forse Ali e Frank, devono ancora decidere. La mamma ha detto che per lei possiamo andare, basta tornare piuttosto presto a casa-.
 
-tu e Caradoc non…?- chiedo rivolta a Benjy, che scuote la testa in risposta.
 
-no, io sono troppo stanco, ho lavorato tutto il giorno e Caradoc ha fatto la guardia al quartier generale, credo sia meglio riposarsi- dice con un sorriso stanco –e poi, non sono esattamente il tipo che anela di passare le serate nei locali londinesi babbani-.
 
Già, non sembra molto il tipo da locali notturni, anzi. Sembra piuttosto il tipo da tomo voluminoso a letto, alla calda luce di una abat-jour.
 
Alla fine, tra strepiti più o meno accentuati, ci decidiamo ad uscire. Il turno di sorveglianza tocca a Moody, che ci guarda in cagnesco sibilando un “vigilanza costante” tra i denti come saluto.
 
 
 
 
 
 
 

 
NOTE:
ehilà! Si, sono in ritardo.
Dai, spero almeno che il capitolo vi piaccia, era un po’ che non sentivamo parlare Emmeline, Lily e Lène. Le risentiremo presto, comunque.
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, sarà incentrato sulla serata di gala per il compleanno di Lucius Malfoy nominata nello scorso capitolo, e i punti di vista presenti saranno quello di Mary, James e Alice o Frank, devo ancora decidere chi dei due fare parlare… preferenze?
Ah, una precisazione su Caradoc e Ben. Pur avendo fatto lievi accenni al fatto che Caradoc fosse occupato, non avevo ancora specificato la loro relazione. Il motivo per cui me ne sono stata zitta è che speravo di introdurla prima nella ff in cui loro sono co-protagonisti “per il mio cuore basta il tuo petto, per la mia libertà bastano le tue ali”, ma non ce l’ho fatta, e non potevo rimandare la pubblicazione del capitolo qui. Mi scuso con chi segue l’altra ff, ho rovinato l’effetto sorpresa, lo so.
Ringrazio un sacco per le recensioni, strabellissime come al solito, rispondo stasera stessa, tra qualche ora.
Un grazie grazzissimo (mi perdonate la doppia z?) a tutti, per recensioni, scelte, preferite, seguite, ricordate, lette e chi più ne ha più ne metta.
Buona lettura,
Hir
 
p.s. dovrei studiare gemmologia perché ho un esame la prossima settimana, quindi non prometto nulla. Ma dico che potrei, e aggiungo potrei, pubblicare il prossimo capitolo entro domenica pomeriggio.



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Capitolo 4
*** litigi ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
MARY
EMME
REMUS
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA



La verità è cosa molto complessa, e la politica è un affare molto complicato. Vi sono giri e rigiri. Si può essere legati ad alcune persone da certi obblighi che bisogna soddisfare: presto o tardi nella vita politica è obbligatorio il compromesso. Tutti ci si piegano.

 
 


DIAGON ALLEY,
18 LUGLIO 1978
 
 
-ti dirò- esclama una ragazza proprio nel mezzo della via, gesticolando all’indirizzo della sua compagna –sono contenta che tu abbia già un vestito per domani sera. Non sono esattamente il tipo di persona giusta a cui chiedere un consiglio per un evento del genere, la più indicata in questi casi è Emmeline-.
 
L’amica, una ragazza bionda e di qualche anno più grande di lei, sorride dolcemente.
 
-ma tu non sei una purosangue? Sono certa di aver sentito dire che i coniugi McDonald saranno presenti- le chiede in risposta con uno sguardo un po’ stupito –credevo che il gusto e l’eleganza vi venissero serviti con il latte materno, fin da neonati-.
 
Mary, la ragazza con i capelli corti e il sorriso sbarazzino che per prima ha parlato, scuote il capo, sorridendo.
 
-devo essere l’eccezione che conferma la regola, in questo campo. Il massimo dell’eleganza che percepisco consiste in un paio di ginocchiere ed una mazza da battitore- dichiara allora con un sorriso divertito –e si, i miei non possono scampare eventi del genere. Io si. Lo faccio da quando ho imparato a smaterializzarmi fuori da quei vestitini tutti pizzi e merletti che cercava di infilarmi la mamma e a rimaterializzarmi nei miei jeans, l’anno scorso. Mica per nulla che mi sono impegnata tanto, al corso di materializzazione-.
 
Dorcas storce appena le labbra in una smorfia di disapprovazione.
 
-speravo che almeno te fossi presente- le rivela quindi sconsolata –odio queste feste, sono false ed ipocrite-
 
-la falsità e l’ipocrisia sono le rotaie su cui viaggia il perbenismo della gente, Dorcas- ribatte con un sorriso simpatico l’amica –persone come i Malfoy sono quelle che non esiterebbero ad ucciderti in un duello faccia a faccia, ma resterebbero scandalizzati se il loro elfo domestico in livrea si rifiutasse pubblicamente di prendere in custodia il tuo soprabito. La maggior parte delle volte, tutto quello che conta è l’apparenza-.
 
Sull’eco delle parole della ragazza più giovane, Dorcas si ritrova a scuotere il capo.
 
-comunque speravo che tu ci saresti stata. Dorea e Charlus hanno rifiutato l’invito, Fabian… beh, hai visto, alla riunione…-
 
-non capisco, però, perché non può accompagnarti come tuo cavaliere- insiste la ragazza –insomma, chiunque sa che state insieme da più di otto anni, ormai. Non vedo perché nascondersi-.
 
Dorcas, per qualche attimo appena, non replica nulla. I capelli chiari, legati in una coda bassa dall’aria piuttosto anonima eppure in qualche modo elegante, vengono accarezzati lievemente dal vento, mentre con lo sguardo la ragazza segue il profilo delle vetrine più in vista della via.
 
-non è questione di nascondersi, Mary- le dice alla fine con un sorriso gentile –ma in sua presenza le persone si comportano in modo diverso. Tacciono più cose, se capisci che voglio dire. Fabian è un auror, un auror chiaramente schierato dalla parte di Silente… la gente sa che io e lui stiamo insieme, ma sapere una cosa non è vederla sbandierata davanti ai propri occhi-.
 
-voi non sbandierate nulla- la corregge Mary, ridendo appena –comunque ho capito che vuoi dire, e devo ammettere di non averla mai vista in quest’ottica. Fabian comunque non sembrava averla presa molto bene, alla riunione-.
 
Dorcas scuote il capo, uno sguardo rassegnato dipinto negli occhi.
 
-è protettivo, ma posso capirlo- mormora alla fine –anche a me darebbe fastidio saperlo a quella festa. Ci saranno un sacco di quelle persone che lui non ha mai sopportato, o per cui ha motivo di serbare rancore… io sono più brava a gestire il risentimento-.
 
Un breve silenzio cala tra le due mentre, sempre camminando l’una al fianco dell’altra, si avvicinano alla vetrina di Madama McClan. Mary segue con lo sguardo il profilo di una delle divise in mostra su un manichino, la nuova divisa regolamentare di Hogwarts. Con un sospiro, le viene da pensare a quanto sia strano il fatto che tra nemmeno due mesi, un’altra matricola grifondoro prenderà il suo letto, troverà amiche con cui passare i successivi sette anni della propria vita e imparerà ad usare con coscienza la magia.
 
 

*

 
 
-sai, ieri Alice è passata da casa di Fabian e Gideon- mormora di punto in bianco Dorcas, come se un discorso del genere potesse spuntare dal nulla –sembra molto stressata per tutta la faccenda del matrimonio-.
 
Ti conosco, Dorcas, mi dico lasciando vagare lo sguardo dalla vetrina della sartoria alla mia amica, in piedi accanto a me e con lo sguardo voltato verso la via, quasi non volesse fare pesare le proprie parole.
 
So benissimo dove vuole arrivare, e non ho alcuna intenzione di facilitarle la questione.
 
-ah, si?- chiedo infatti con il miglior tono ingenuo che riesco a tirare fuori –credo che Augusta Paciock le dia filo da torcere. Dicono sia una dura, quella-.
 
Dorcas annuisce e poi fa una di quelle cose che le riescono benissimo: mi guarda con quei suoi occhi assolutamente normali ma con uno sguardo dentro che non è assolutamente normale. Quegli sguardi che ti trapassano arrivando a toccarti l’ipofisi, che ti smascherano con un battito di ciglia.
 
Merlino, anche se da sei mesi intrattengo con lei un’amicizia che si destreggia tra epistole e conversazioni a cuore aperto, non ho ancora capito come sfuggirle quando fa così.
 
-non sono sicura di riuscire a capirvi, o a capire il vostro disaccordo - esclama lei alla fine, con la disinvoltura di chi è abituato a scrutare nell’animo della gente e rivestire il ruolo di mediatrice. Già, avere a che fare con Fabian e Gideon per otto anni deve averla temprata –se non teniamo conto di Hes e Melia, non ho mai avuto un’amica femmina. Ma quando vorrai un consiglio su tutta la faccenda, Mary, io sarò qui a dartelo-.
 
-io non…- tento di rispondere anche se in realtà non ho ben chiaro cosa intenda dirle. Che non ho bisogno di consigli? Che non mi reputo colpevole? Che i litigi sempre più frequenti con Alice non mi segnano in alcun modo? O forse, che il motivo dei litigi con Alice non mi segna in alcun modo?
 
Comunque non mi lascia fornirle alcuna risposta. Vedo il suo sguardo schiarirsi, le labbra aprirsi in un sorriso che è insieme dolce e luminoso, e noto come il suo braccio scatti in alto quasi senza che lei se ne renda conto, con il solo obbiettivo di farsi vedere da una persona all’altro lato della via che ora –anche se non lo vedo, lo percepisco- la guarda esattamente con gli stessi occhi innamorati.
 
Voltandomi verso il punto in cui Dorcas sta guardando, riesco infatti ad individuare due figure quasi del tutto identiche farsi strada verso di noi. Diagon Alley non è piena di gente, anzi, quindi i gemelli impiegano poco più di due secondi per raggiungerci.
 
Fabian, ovviamente, non ha occhi che per Dorcas.
 
Non riesco a trattenere un sorriso, nonostante io non sia una persona precisamente romantica.
 
Sembra che veda solo lei, in queste occasioni, e che al contempo veda tutte le bellezze del mondo, racchiuse in due occhi di un verde troppo banale per far tirare un fiato a chiunque non sia lui.
 
Accanto a lui, un sorriso amichevole e un guizzo simpatico nello sguardo, Gideon non perde nemmeno tempo a salutare Dorcas –tanto sa che la ragazza non lo vedrebbe neanche, troppo impegnata a guardare Fab-, affiancandomi e lasciandomi un bacio sulla guancia in segno di saluto.
 
-come è andato il lavoro?- chiedo per stemperare l’imbarazzo che, da qualche tempo a questa parte, sento assaltarmi la gola ogni volta che ci ritroviamo da soli.
 
Lui mi guarda con gli occhi chiari stretti a fessura e poi scuote la testa, come a voler liquidare la domanda.
 
-come al solito- mi risponde con lo stesso tono di sempre –Moody ringhia, io e Fab eseguiamo, Doree urla, Daisy trema, Charlus scuote la testa… una pacchia, insomma. E adesso devo passare da Molly per tenere Billy, Charlie, Fred e George mentre lei porta Perce ad un controllo al San Mungo-.
 
-è successo qualcosa?- chiedo ripensando ai figli di Molly Prewett in Weasley, che pur non avendo mai incontrato mi pare quasi di conoscere da sempre.
 
Sono il suo orgoglio, sua sorella e quei bambini.
 
 
Flashback-> ore 10.45 del 13 febbraio 1978
 
-sai, dovresti stare alla larga dai sotterranei, soprattutto dalla zona tassorosso- mi mette in guardia Paul, brandendo la forchetta con fare ammonitore.
 
-tassorosso?- chiedo restando per un attimo appena a guardarlo stupita –essì che non sembrate così pericolosi, a un primo impatto-.
 
Le cose tra me e Paul potrebbero sembrare strane, se viste dall’esterno. Insomma, siamo stati assieme per sei mesi, poi ci siamo lasciati e abbiamo iniziato ad andare d’accordo come due amici di vecchia data. Non che prima litigassimo a tutto spiano, però…
 
…adesso abbiamo quel qualcosa in più che prima mancava.
 
-divertente, McDonald, davvero divertente- ribatte lui serrando tra le labbra un sorriso divertito –sottovaluti sempre tutti, tu. Ma vedrai come ti faremo cambiare idea, quando questi tassorosso che ti diverti a sfottere vinceranno la partita, tra due domeniche-.
 
Sorrido indulgente.
 
-ma non mi prendere in giro, Sanders- lo ammonisco io in risposta, chiedendo poi delucidazioni –e che pericolo costituirebbero, per me, questi intrepidi tassorosso di cui parli?-.
 
Lui ghigna appena.
 
-si è sparsa la voce che sei single, Mary- mi dice riprendendo con gusto a mangiare le proprie uova –e domani, è San Valentino-.
 
Merlino, me ne ero dimenticata.
 
Lo rendo noto a Paul portandomi teatralmente una mano alla fronte: dal momento che San Valentino quest’anno cade di domenica, e che per tradizione le gite ad Hogsmeade sono il sabato, oggi c’è la grande uscita di tutte le coppie –la maggior parte dirette da Madama Piediburro-, e domani una semplice giornata di festa che, già so, sarà coronata di tanti fiori e cuoricini alla Alice e Frank.
 
Per questo motivo ora sto facendo colazione al tavolo dei tassorosso: le mie migliori amiche sono tutte felicemente accoppiate, e tutte felicemente a Hogsmeade. Che poi, dico io, dopo tanti anni ad Hogsmeade, che mania sarà mai quella di arrivarci sempre alle otto del mattino. Non potrebbero dormire fino ad un orario decente e andarci con calma, più tardi?
 
Guardo l’orologio con un’occhiata sdegnata. Questa è un’ora decente: sono le dieci e quarantacinque!
 
-spero che tu abbia sparso la voce che non ho alcuna intenzione di passare San Valentino con MacMillan!- replico guardandolo indignata.
 
Il suo volto colpevole è un segnale più che sufficiente.
 
-oh, no, Paul! Dimmi che non hai davvero consigliato a MacMillan di farmi una sorpresa per il giorno di San Valentino!-.
 
-beh, io…- risponde lui cercando di evitare il mio cucchiaino da tè, che vola a nemmeno un palmo dalla sua tempia destra –è che ti ho vista spesso da sola, Mary, da quando non stiamo più insieme non sei più uscita con un ragazzo, e questo non è da te, e MacMillan sa essere di comagnia!-.
 
-MacMillan parla per il semplice piacere di ascoltare la propria voce, Paul!- lo rimprovero abbassando la voce e guardandomi attorno, per paura che il suddetto MacMillan mi possa sentire. Sarà pure noioso, ma non credo sia sordo –ora mi toccherà inventarmi una scusa decente per rifiutare le sue attenzioni e una vendetta abbastanza appagante verso di te, per sentirmi soddisfatta di me stessa -.
 
-non è che tu sia proprio obbligata a…- si interrompe quando un gufo dal piumaggio bruno e scarmigliato attenta alla brocca di succo di zucca posata tra me e lui, sul tavolo tassorosso. Il gufo, forse leggermente sfasato, rischia di finirci dentro con il becco e per qualche attimo resta tramortito sulla tavola, al posto della brocca che Paul ha preventivamente spostato –ehi, piccolo, chi cerchi?-.
 
-ah, guarda, cerca me- esclamo io notando il nome scritto sulla lettera legata alla zampina del gufetto. La scrittura, noto con un sorriso genuino, è di Gideon. Prendo la lettera e la imbosco nella borsa, trattenendomi dalla voglia di rompere il sigillo e leggerla all’istante.
 
Alla fine, richiudendo la borsa, torno a guardare Paul che adesso mi sta guardando in risposta.
 
-mhmph- è l’unica cosa che dice fissandomi con quei suoi occhi penetranti –che cosa hai da sorridere tanto?-.
 
Con disappunto mi accorgo che sto ancora sorridendo.
 
-pensavo alla vendetta, caro- lo rimbecco con tono saputo, mentre il mio sorrido assume una piega sadica –a quando invocherai la morte e io riderò, guardandoti incollato a MacMillan con un incantesimo di adesione permanente!-.
 
Lui mi smonta che è un piacere.
 
-ah, allora quel sorriso scemo non ha nulla a che fare con la lettera e il gufo senza equilibrio- risponde scrollando le spalle davanti ai miei propositi di vendetta.
 
Per qualche attimo penso a cosa rispondere, poi, con tutta la dignità che possiedo, mi alzo orgogliosamente.
 
-inizia a tremare, Sanders- lo avviso con puntiglio –e vedi di passare il tuo ultimo San Valentino, nonché il tuo ultimo giorno in generale, tra le braccia di qualche bella ragazza, perché domani sarai morto… e, il mio sorriso non ha niente di scemo-.
 
Mi lascio alle spalle la Sala Grande giusto in tempo per vederci entrare uno speranzoso William McMillan. In pochi minuti raggiungo la signora grassa, alla quale faccio i miei complimenti per l’acconciatura elaborata e il bellissimo fiore appuntato sul vestito.
 
-me lo ha regalato Sir Cadogan, sai?- mi dice per la trentesima volta, questa mattina, dimostrando come il San Valentino dia alla testa anche ai maghi.
 
-ma davvero?- chiedo gentile, come se non avessi già ascoltato la storia ben due volte stamani, una raccontata da nientemeno che il cavaliere senza macchia e senza paura –che pensiero cortese ha avuto Sir Cadogan. Madama, mi lascerebbe entrare, adesso? Puntaspilli-.
 
La Sala Grande è quasi vuota, restano solo le bambine del primo e del secondo a far la guardia al caminetto.
 
Con attenzione, mi accomodo su una delle poltrone più isolate, quelle in cui è più difficile essere disturbata, poi estraggo la lettera e, con mani ansiose, spezzo il sigillo.
 
Non mi soffermo mai a chiedermi per quale motivo leggere le lettere di Gideon mi procuri un tale piacere: sono buffe, divertenti, mi fanno sentire al centro dell’attenzione e mi permettono di mantenere i rapporti con il mondo fuori da questa scuola. Ogni volta, mi accingo a leggerle come farei con i migliori romanzi babbani, sapendo che non mi deluderanno. E ogni volta, non mi deludono.
 

Stracciate i tassorosso anche per me, ti prego! Non vedo l’ora di potermi vantare con Edgar del fatto che siamo decisamente superiori a loro!
 
Scoppio a ridere leggendo appena le prime righe della lettera. Due ragazze, lontane da me appena due metri, sobbalzano e mi rivolgono uno sguardo stranito. Arrossendo appena, mi scuso con un sorriso prima di riprendere la lettura.
 

Scusa, mi accorgo solo ora di non averti salutata come meriti.
È un piacere sentirti, Mary, le tue lettere sono molto coinvolgenti e buffe, non so se ne sei consapevole, ma scrivi in un modo tale da farmi quasi credere di averti davanti, quando leggo le tue missive. Spero con tutto cuore che batterete i tassorosso, e a quanto dice lo spera anche Caradoc, sai, deve prendersi una rivincita su Bagman –quella era la sua casa, non so se lo sai-.

 
Passo con lo sguardo su quelle morbide lettere, senza riuscire a cancellarmi il sorriso dal volto.
 

Al lavoro non succede niente di entusiasmante… oserei dire per fortuna, dal momento che quando succede qualcosa di entusiasmante è perché qualcuno muore o viene rapito.
Moody è sempre il solito, non cambia mai. Hai saputo della nuova riunione? Se no, te lo diranno presto, immagino.
Dovrebbe essere martedì nel dopocena, a quanto ho capito, ma le mie notizie mi giungono da Fabian, quindi non ho voci di prima mano da spacciarti per assolutamente vere.

 
Ancora tre giorni, conto. Tre giorni, e ci sarà una riunione dell’ordine.
Questo mi fa sospirare, e getto uno sguardo fuori dalla finestra prima di tornare a leggere.
 

Ultimamente la mia vita ha preso il giro di una routine; piuttosto noioso, a dire il vero.
Gli unici momenti di divertimento li passo con i figli di mia sorella. Non hai ancora conosciuto Molly e Arthur, vero? Ma li hai visti, erano in molte delle foto a casa mia e di Fab, e come loro anche i piccoli Billy, Charlie e Perce. Inoltre, Molly è di nuovo incinta, e questa volta crediamo che siano due gemelli. Tutti confidiamo che almeno una dei due sia femmina.
Saranno ottimi grifondoro, quando cresceranno, ne sono sicuro.
A questo proposito mi sento in dovere di ricordarti –ricordalo anche agli altri, ti dispiace? Delle tue capacità di gioco mi fido, ma non altrettanto di James e Frank. Un po’ di più di Lily- che ho davvero scommesso con Ed di fare una cosa imbarazzantissima, in caso il Grifondoro dovesse perdere.

 
Ridendo tra me penso che quasi quasi, si potrebbe anche perdere pur di divertirsi guardandolo fare una “cosa imbarazzantissima”. Se ci fosse qualcos’altro, qualsiasi altra cosa, in gioco… ma non si scherza con il quidditch.
Peccato.
 

E non provate nemmeno a perdere apposta, sia chiaro.
 
Come non detto.
 

Fabian si unisce a me nell’augurarti un buon San Valentino –qualunque sia il mascalzone con cui lo passerai-, e considerati fortunata a non doverti sorbire tutti i particolari su come intende passarlo lui, con Dorcas. Dubito che nella vostra corrispondenza Dorcas vi indugi sopra più di tanto, non mi pare tipo di persona da farsi venire le carie ai denti per il romanticismo, ma se per caso ti interessasse, ti farò avere un resoconto compreso di sospiri sognanti e sbattimento di palpebre.
 
Con affetto,
Gid

 
Per un attimo richiudo la lettera, piegandola di nuovo in quattro. Sorrido appena, le lettere di Gid mi lasciano sempre con questo senso di aspettativa, come quando si finisce il capitolo di un libro e non si vede l’ora di cominciare quello dopo.
 
Dopo qualche secondo riapro la lettera, intenzionata a rileggerla da capo e a spendere il resto della mattinata a rispondervi.
 
Qualunque sia il mascalzone con cui lo passerai, ah. Non ho alcuna intenzione di farmi ingabbiare da quell’ameba noiosa di MacMillan.
 
Riguardando la lettera penso solo che non dovrei farmi irretire così tanto. Forse sono una stupida ad affezionarmi così a qualcuno che non mi guarderà mai.
 
 
Fine flashback
 
Scuoto la testa ritrovandomi davanti Gideon, gli occhi chiari splendenti nel parlare dei propri nipoti.
Mi perdo fin troppo spesso nei miei pensieri, ormai, soprattutto quando sono con lui. Credo sia stato questo, in primis, ad allarmare Alice. Se vogliamo escludere tutte le discussioni avute fin da quando ha annunciato il suo matrimonio con Frank.
 
-…coliche, ne soffre molto, povero piccolo- sta intento raccontando Gideon –ma questa volta proprio non accennano a smettere, e gestire Perce che piange insieme a Billy e Charl che si rincorrono, urlano, strepitano e giocano non è certo una cosa facile… se in più ci aggiungi Freddie e George, allora...-
 
-merlino, cinque figli- gli do ragione annuendo –i miei rischiavano un crollo nervoso solo con me, posso immaginare con cinque. Tua sorella e tuo cognato sono persone da ammirare, davvero-.
 
Gideon scuote il capo.
 
-ci sono sempre piaciute le famiglie numerose- dice voltandosi verso Dorcas e Fabian e richiamando il fratello, intento a parlare con la propria ragazza –Fab, andiamo da Molly? Dor, vieni anche tu?-.
 
-mi dispiace, ho il turno di notte, oggi- si rammarica la ragazza stringendosi nella spalle –ma magari Mary vi può fare compagnia, i bambini la adorano. Ci sarà anche Alice, non dovete chiarire?-.
 
Dorcas Meadowes è un lupo travestito da agnello, state bene attenti. Quel sorriso gentile e trascurabile sa diventare un terribile ghigno sadico, quando vuole. Non credo che all’inizio fosse così, ma stare con Fabian per otto anni deve averla in un qualche modo cambiata.
 
-io credo che…- esito ripensando ai miei rapporti con Alice, soprattutto da qualche giorno fa a questa parte. Non avevo mai litigato con le mie migliori amiche, non in questo modo, per lo meno –anzi, non credo di voler chiarire alcunchè, Dor. Io… scusatemi, devo andare, adesso-.
 
Ha tanto il sapore di una fuga, quest’ultima parte d’incontro.
 
Scuoto la testa, mentre sento due sguardi interdetti e uno scrutatore che mi seguono per la via.
 
Sapevo di essere una stupida, ad affezionarmi così.

 
 

*

 CASA PACIOCK,
19 LUGLIO 1978

 
Una ragazza con un corto caschetto scuro si affaccia dalla porta della camera. È in lungo, stoffa chiara drappeggiata semplicemente all’altezza delle spalle e un lieve velo di pizzo nero che le ricopre una spalla e un lato della gonna, passando sotto al sottile cinturino d’argento che porta allacciato in vita.
 
-e io che pensavo che fosse una prerogativa tutta femminile, quella di farsi attendere- scherza rivolta al proprio ragazzo che, in abito da cerimonia, si sistema i polsini della tunica.
 
-Alice, amore, sei bellissima- le risponde con un sorriso dolce percorrendone il profilo con lo sguardo.
 
Alice, stringendosi nelle spalle, non può fare a meno di sorridere in risposta. È così da anni, ormai: lo sguardo di Frank la costringe a credere alle sue parole, e a sentirsi la ragazza più bella sulla faccia della terra.
 
-anche tu sei bellissimo- gli dice andandogli vicino e iniziando ad armeggiare con il vestito –e sei anche in ritardo. Muoviamoci, prima che tua madre ci venga a prendere per la collottola… non vorrei ti rovinasse il colletto inamidato. Merlino, devo iniziare a preoccuparmi? Forse hai intenzione di sedurre Lucius Malfoy sotto il mio naso?-.
 
-nah, mi piacciono le more, lo sai da sempre- scherza lui attirandola a se per la vita con un braccio e lasciandole un bacio sulla guancia.
 
 

*

 
 
Ali ride di quel suo riso spettacolare, voltandosi verso di me e spalancando gli occhi grandi e scuri.
 
-lo sapevo, quella cagna della Black!- esclama fintamente sdegnata.
 
Rido divertito scuotendo la testa alle sue parole.
 
-dico io, ma ti pare che ci proverei con Sirius 2 la vendetta? Mi sono bastati sette anni di felice convivenza con l’unico ed inimitabile, grazie tante- le spiego sospingendola delicatamente verso le scale –Merlino, Lène non sa cosa le aspetta, credimi… non ha ancora visto il meglio di Black-.
 
Lei storce il naso mentre, arrivati all’ingresso, mi sporgo per prendere il suo mantello di pelliccia.
 
-beh, nemmeno lui conosce lei così bene. Direi che si sono meritati a vicenda- mi dice in risposta aprendo la porta di casa e facendosi da parte, per far passare mia madre con il suo cappello a falda larga e il vestito con le piume –Signora Augusta, ha visto com’è bello suo figlio stasera? Infrangerà un sacco di cuori Serpeverde-.
 
-oh, cara, Frank non ha occhi che per te- le risponde seria mia madre, ammiccando però con lo sguardo. In questi ultimi mesi, la mia futura moglie e mia madre hanno stretto tra loro una strana sorta di amicizia, rapporto che ha reso meno dura la mia augusta genitrice e dolce più del solito Alice –dovremo discutere, poi, la disposizione dei fiori per il giorno di matrimonio. Cara, sei davvero sicura di volere così tanto glicine? Puzza, e in grandi quantità è di poca classe-.
 
Vedo Alice trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, mentre si accomoda in carrozza accanto a mia madre, così decido di intervenire.
 
-mamma, possiamo accantonare per una sera il discorso dei fiori e delle disposizioni dei tavoli?- chiedo gentilmente, fungendo da mediatore –solo a sentirne parlare mi viene il mal di capo-.
 
-certo, caro, ma ricorda, ti prego, che la classe non è acqua- mi risponde con quel suo tono bacchettone che spesso usa per far valere la propria opinione. Poi, affinando lo sguardo e percependo che non ci stiamo muovendo affatto, alza la voce rivolta al cocchiere –allora, ci muoviamo? Quella bastardella di Acantide Malfoy non aspetta altro che poter spettegolare insieme alle sue amiche di quei rinnegati dei Paciock! Non vorremo darle un motivo in più, spero-.*
 
Sorrido appena, nascondendo la piega rivelatrice delle labbra dietro il palmo. Nonostante i Paciock siano ancora una delle stirpi magiche più famose e facoltose, la nostra fama si è ridotta mano a mano ogni qualvolta un membro della famiglia entrava in Grifondoro… cioè, all’incirca per tutte le venti generazioni precedenti alla mia. Alla fama di grifondoro, ultimamente, si è aggiunta pure quella di babbanofili.
 
Una vera spina nel fianco, ma per l’alta società, che pensa alle apparenze sicuramente più che alla sostanza, una spina inevitabile.
 
Il viaggio è veloce, abitiamo a soli trecento metri in linea d’aria dalla residenza di città dei Malfoy, e tutti sanno che Materializzarsi ad una serata di gala è considerato disdicevole.
 
-Frank, comportati bene e non attaccar briga con Lucius e i suoi amici- sento mia madre dirmi mentre, dopo essere sceso dalla carrozza, mi guardo attorno cercando un qualche segno della presenza di James e Fabian –andiamo a porgere i nostri omaggi ai padroni di casa-.
 
Per me è un mistero perché mia madre si ostini ad accettare questi inviti nonostante chiunque a questa festa –partendo da quella bastardella di Acantide Malfoy, come ama chiamarla lei, alla perfetta ed algida Druella Black- sappia quanto odia ogni singolo componente di queste barbose famiglie purosangue.
 
Black, Avery, Lestrange, Corner, Malfoy, Nott, Tiger, Goyle, Caramell, Prewett, Paciock, Bulstrode, Flint, Davies, Burke, Yaxley, Dolohov, McDonald, McKinnon, Crouch, MacMillan, Gamp, Rosier, Crabbe.
 
La crema dei purosangue, il meglio del meglio. Poco importa che poi tra loro questi esseri non si sopportino.
 
La presentazione degli omaggi, come la chiama la mamma, è tediosa e dura addirittura dieci minuti, minuti che passano lenti sotto lo sguardo di Lucius Malfoy e moglie. La madre di Malfoy, Lady Acantide –anche detta “la bastardella”, in modo meno gentile ma sicuramente più divertente- è una donna bella come lo sono tutte le donne dei Malfoy, con gli occhi di un pallidissimo grigio e i capelli ramati che vertono sul biondo. Sembra una di quelle donne di cui non sai: la pelle è di porcellana o di petali di rosa bianca? Seta, e sotto il nerbo d’acciaio che solo alcuni fiori hanno, quell’anima di metallo che li fa avvizzire con grazia. Sempre accompagnata dal marito, Abraxas, che è il ritratto del figlio sia per i capelli che per i tratti affilati del viso.
 
Alla fine, con un cenno del capo, riusciamo a congedarci e a dirigerci in direzione del tavolo del rinfresco. Alice, accanto a me, è tesa come una corda d’arpa, con lo sguardo che guizza per la sala come farebbe quello di un pesciolino nell’Oceano.
 
-stai tranquilla, amore- le mormoro all’orecchio, portandole una mano al fianco per tranquillizzarla. I Prewett non sono mai stati avvezzi a ricevimenti del genere –staremo il minimo indispensabile e poi andremo via-.
 
-si, ma non… insomma, io non conosco nessuno, qui. Nessuno che ci stia simpatico, intendo dire- spiega sottovoce mentre, al tavolo dei cocktail, richiede un’acquaviola –non capisco perché Marlene non sia venuta con la sua famiglia. Ci sono sia Max che sua madre e suo padre… insomma, poteva stare con noi due, mica doveva per forza seguire loro-.
 
Scuoto il capo, indicando con un cenno del mento l’altro lato della sala.
 
-ho sentito che i McKinnon sono stati dissuasi dal portare la loro figlia più piccola. Sembra che Walburga covi un forte rancore, sebbene io non sappia più dire con certezza da che parte stia Regulus. Tra un po’ arriverà Dorcas, e Moody, per quanto non sia una compagnia molto loquace. E guarda, poi ci sono i McDonald! magari c’è anche Mary, no?-.
 
La reazione della mia ragazza non si fa certo attendere. Dal memorabile litigio avvenuto ad Hogwarts tre settimane fa, tra la mia ragazza e Mary intercorrono momenti di calma piatta a momenti di sfuriate come non ne avevo mai viste. Non avevo mai pensato a Mary come a qualcuna capace di intestardirsi tanto, ne a Alice come a qualcuna capace di far del male a parole. Si stanno ferendo a vicenda e nessuno –se non loro due- riesce a capirci molto.
 
-no, Mary non c’è- cerca di tagliar corto con un’occhiata truce.
 
-Amore, cosa sta succ…-
 
-niente che ci riguardi, a quanto pare-.

 

*

 

-perché dobbiamo starci noi, qui?- chiede un ragazzo ad un altro ragazzo, al margine opposto della strada rispetto alla residenza di città della famiglia Malfoy.
 
I ragazzi, in tutto, sono tre, seduti ai piedi di una siepe, nascosti dietro ad un muretto.
 
-perché qualcuno deve prendere appunti, lo hai sentito, Moody- mormora il terzo ragazzo, come se fosse abituato da anni a domande così stupide.
 
-si, ok, ma dentro ci sono almeno quattro membri dell’ordine, perché non possono…-
 
-Gideon, Alice e Frank non possono andare in giro con il blocchetto per prendere appunti, risulterebbero sospetti- lo anticipa ancora il ragazzo, sempre con il tono di una madre che spieghi qualcosa ad un bimbo impaziente.
 
-lo sai, Benjy, saresti una mamma fantastica- lo prende in giro infatti il primo ragazzo, ridendo tra se.
 
Forse, un tempo, Benjy Fenwick avrebbe maledetto qualunque idiota si fosse permesso di prenderlo in giro, anche Gideon Prewett… anzi, soprattutto Gideon Prewett. Poi erano entrati in ballo un sacco di sentimenti, amicizia, fratellanza, eccetera, e quel tempo era scappato come un serpeverde davanti ad una situazione che richiedeva coraggio.
 
-anche tu, Gideon- gli risponde quindi a tono, scherzandoci su.
 
Il primo ragazzo tace, rabbuiandosi un attimo e rivolgendosi al secondo ragazzo.
 
 

*

 
 
Assisto divertito al dibattito in corso tra Ben e Gideon. Stimo sempre di più Benjy Fenwick, nonostante la piccola pecca di essere stato un Serpeverde. O forse, proprio per questo.
 
Ah, anche per il fatto di sorbirsi Caradoc Dearborn da otto anni del tutto volontariamente.
 
-James, sai cosa sta succedendo tra Alice e Mary?- mi chiede alla fine del  piccolo scambio di battute tra lui e Ben.
 
-oh, è già un po’ che va avanti… dalla fine di Hogwarts, giorno più giorno meno-.
 
Vedo Gideon arricciare la fronte, perplesso.
 
-mi sembravano in ottimi rapporti, alla scorsa riunione- risponde dopo averci pensato un attimo.
 
Scuoto le spalle, d’altronde non ne so molto.
 
-si, vanno a sprazzi di serenità. Tutto deve essere iniziato quando Ali e Frank hanno annunciato il loro matrimonio, ma non so dirti il perché… cioè, Mary non è mai stata contraria al fatto che uscissero insieme, eppure deve aver reagito male. Lily ha detto che sono arrivate ad urlarsi contro e… insomma, Ali non è tipo da urlare contro nessuno, specialmente contro Mary. E Mary… beh, lei di solito le liti cerca di buttarle sul ridere-.
 
Benjy si volta verso di me, dopo aver scritto il nome di un nuovo arrivato sulla lista.
 
-Dorcas mi ha detto di aver cercato di parlarne con Mary, con cui ha abbastanza confidenza, ma…-.
 
Sorrido appena.
 
-Mary è fatta in un modo tutto suo. Preferisce parlare di quidditch piuttosto che di matrimoni, e non puoi forzarla a parlare di qualcosa di serio a meno che non voglia anche lei- scuoto la testa –di solito va a cercare Emmeline, o qualche volta anche Alice, quando vuole parlare seriamente. Non so perché questa volta è andata così. Litigano a giorni alterni, a quanto dice Lily- alla fine guardo Gideon arriccio le labbra come a scusarmi –mi dispiace, non ne so molto. L’unica cosa che resta è lasciare che se la risolvano da sole-.
 
Benjy mi squadra e poi annuisce, tornando con lo sguardo alla sede della festa.
 
-sono arrivati ora, Gillian e Fergus McDonald- indica la carrozza appena giunta.
 
-certo che potrebbero anche smaterializzarsi, dico io, intasano tutta la via con le loro carrozze- mormora Gideon.
 
-materializzarsi è ritenuto di cattivo gusto, ai gala- gli risponde Fenwick scuotendo il capo –e poi partecipano anche i figli minorenni dei purosangue, che non hanno la licenza per smaterializzarsi-.
 
Scuote il capo e poi si affretta a scrivere il nome dei Lestrange.
 
-comunque, se ti può far stare tranquillo- dico rivolto a Gideon, che ormai è palese essere di parte quando si tratta di Mary –i litigi tra le ragazze non durano mai troppo. Anche Lène e Lils, quest’inverno, si sono riappacificate molto più in fretta rispetto a me e Sirius… o a me e Lils… beh, capito che voglio dire?-.
 
-siamo spie in missione o l’angolo del pettegolezzo del Profeta della Domenica?- ci chiede Benjy con un sorriso ironico sulle labbra.
 
Io e Gideon, presi alla sprovvista, fatichiamo a restare seri.
 
-tu fai la parte di Rita Skeeter, Ben, ok?-.
 
 
Flashback-> ore 18.15 del 13 febbraio 1978
 
Lily si sta riprendendo dalla morte dei suoi genitori. Non so cosa stia affrontando, nella sua mente e nel suo cuore, ma so che qualunque cosa sia la sta vincendo.
 
Di tanto in tanto sembra ricercare una qualche sordida vendetta. La vedo guardare Lestrange e Regulus e irrigidire la mandibola, come digrignando i denti.
 
Ma sta risalendo, un po’ per volta.
 
Oggi ad Hogsmeade è andato tutto benissimo. Siamo rimasti ai tre manici per gran parte del giorno, dopo aver compiuto il solito giro rituale da mielandia e Zonko. Abbiamo scherzato e riso, non proprio come prima ma comunque in modo più rilassato rispetto all’ultimo mese e mezzo. Abbiamo visto Sirius e Lène, da lontano, che litigavano –ma che novità- e Emmeline e Remus impegnati a trascorrere un San Valentino normale, orgogliosi di essere una coppia normale. Alice e Frank erano ovviamente da Madama Piediburro –posto a cui non mi avvicinerò mai più, Merlino lo giuro- e Peter dal negozio specializzato in quidditch con il suo nuovo interesse amoroso, Amber Boot, sorella di Gregory Boot, e con questo ho detto tutto.
 
Siamo tornati solo con il sopraggiungere del tardo pomeriggio, tutti insieme dopo un’ultima burrobirra ai tre manici di scopa, dove ci ha raggiunto anche Mary.
 
Insomma, una giornata splendida. Una di quelle che vorresti non finissero mai, soprattutto dopo gli ultimi due mesi.
 
Tornando ad Hogwarts, sono stato richiamato dalla McGrannitt per incongruenze con le prenotazioni del campo di quidditch, ovviamente colpa di quei dannati Serpeverde, e mi sono dovuto intrattenere con Avery per l’ultima mezz’ora per fargli capire che se c’è scritto che il campo l’ho prenotato io, non può semplicemente tirarci una riga sopra e scriverci che lo vuole lui.
 
Alla fine, vincitore, sto tornando in sala comune per riposarmi un po’… è incredibile quanta energia riescano a strapparti i serpeverde, mettendoci un po’ di impegno.
 
La sala comune è piena di bimbetti urlanti del primo anno e ragazzine del secondo che si sono messe attorno al caminetto per copiare i compiti le une delle altre.
 
Remus e Pete non si vedono, e nemmeno Sirius, cosa strana perché mi aveva detto che mi aspettava qui per parlare.
 
Quando mio fratello vuole parlare c’è sempre qualcosa che non va, l’ho imparato a mie spese. Anche due anni fa, a natale, quando ha detto che doveva parlare, davanti alla soglia di casa mia, si è rivelato un casino epico, con lui senza una casa, intirizzito dal freddo e dal dolore.
 
Spero che non sia una cosa del genere.
 
Salgo quindi in camera, forse mi aspetta lì, ma mi blocco fuori dalla porta non appena sento all’interno la voce di Lily.
 
-non credo sia ancora il momento giusto- stà dicendo, e dalla voce capisco che è vicina alla porta. Riesco a sentirla benissimo, anche senza appoggiarmi al legno dell’anta con l’orecchio.
 
-e quando sarebbe il momento giusto, Evans?- questo è Sirius, ed è freddo come la morte, tono che per lui è la variante della preoccupazione –non l’hai ancora detto a nessuno, vero? Nemmeno a Emmeline-.
 
-ne ho parlato a Silente- mormora Lily –e credo che questo basti, per ora-.
 
-no che non basta, Lily. Ho detto a James che volevo parlargli, e lo farò. Ma preferirei lo facessi tu, sarebbe più giusto nei suoi confronti e…-.
 
-Sirius, sai cosa farà quando lo scoprirà?-.
 
-mi ucciderà?- sento Sirius rispondere –è probabile. Litigherete? Sicuramente. Poi darà di matto ed andrà ad uccidere quello stronzo-.
 
-non mi interessa nulla dei primi due punti ma…-
 
-James, perché non entri?- dietro di me, Frank è puntuale come un orologio. Mi volto e gli lancio un’occhiataccia, alla quale risponde con sgomento, ma quando mi protendo per ascoltare all’interno sento ormai il silenzio.
 
Pochi secondi dopo la porta si apre, e Lily mi guarda incredibilmente pallida e ad occhi sgranati.
 
-dunque- non riesco a pensare ad altro da fare, se non passare lo sguardo da mio fratello alla mia ragazza. Lui è pietrificato, lei è pallida come un cadavere –chi parla per primo?-.
 
Fine flashback
 
 

 
*Acantide Malfoy è inventata da me, visto che nella saga abbiamo notizie sono di Abraxas, che è il padre di Lucius. Per quello che riguarda i Paciock, io li ho sempre immaginati come una di quelle famiglie nobili ormai in decadenza, ma ancora con tutto il rigore dell’aristocrazia. Quest’idea ha contribuito a formarmela in mente Augusta Paciock, personaggio formidabile.
 
L'aforisma iniziale è di Oscar Wilde
 
NOTE:
prometto solennemente che nel prossimo capitolo Lily parlerà più di quanto non abbia fatto negli scorsi. Se non capite nulla di quello che sta succedendo tra Mary e Alice, state tranquilli, tra un po’ capirete!
Nel prossimo capitolo i punti di vista saranno quello di Alice, Lily e Sirius.
Grazie mille per le recensioni, risponderò appena possibile,
spero di risentirvi alla fine di questo capitolo!
Buona lettura,
Hir
 
 
P.S. se c’è qualcuno a cui interessa, ho cambiato il titolo della mia ff su Dorcas, Fabian, Benjy e compagnia bella. Ora si intitola “Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura”.
 
 

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Capitolo 5
*** mostro dagli occhi verdi ***


 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
MARY
PETER
FRANK
ALICE
RABASTAN
REGULUS
CORRISPONDENZA
 
 
 

Gelosia è un mostro dagli occhi verdi che dileggia le carni di cui si nutre*
 

 
 
LONDRA, THE TUBE, CHARING CROSS STATION
22 luglio 1978
 
 
Una ragazza dagli occhi verdi siede su una sedia, il capo chino verso il tavolo. È intenta a vergare con una bella grafia appena inclinata verso destra una lettera che rimarrà piuttosto corta, la mano sinistra posata sulla busta di spessa carta bianca, su cui sono già attaccati due francobolli.
 
Ha passato la mattinata a leggere gli argomenti del test per accedere all’Accademia Auror, argomenti gentilmente elencati da Dorea, e a vergare tre lettere che andranno rispettivamente a sua sorella –da cui non attende risposta- al suo avvocato e alla banca babbana in cui risiede la sua parte del lascito dei genitori.
 
È sua intenzione spostare il tutto –adeguatamente convertito in zellini, falci e galeoni- alla Gringott, così da non dover barcamenarsi tra il mondo magico e quello babbano, in futuro.
 
Facendo un rapido calcolo, ha stabilito che il suo conto in banca contiene abbastanza da farla stare in affitto per i successivi cinque anni, lasciandole però poi il conto in rosso.
 
Ovviamente, se tutto va bene e riesce ad entrare all’Accademia, la ragazza conta di iniziare a lavorare piuttosto presto. Tanto più che gli anni di apprendistato auror sono stati ridotti a uno, nell’ultimo anno.
 
Sente bussare alla porta, nella stanzina delle leve che costituisce l’ingresso del quartier generale.
 
Gettando un’occhiata all’orologio, inarca appena le sopracciglia fulve.
 
Mancano più di due ore alla riunione dell’Ordine.
 
 
*
 
 
-chi è?- chiedo con voce decisa alla porta.
 
Possibile che qualche babbano abbia varcato la porta sulla banchina? Credevo Silente l’avesse incantata con un Repello Babbanum.
 
Mah, non si può mai dire con certezza cosa può fare quell’uomo e cosa no.
 
-gatta- esclama la voce gentile di Alice, dall’altra parte della porticina rossa.
 
-e tu che ci fai qui?- chiedo ancora, sempre più sorpresa –si possono contare sulle dita di una mano le volte in cui sei puntuale. Figuriamoci in anticipo!-.
 
Lei mi scruta con gli occhi brillanti e dolci e mi sorride fintamente offesa, un broncio falso come una moneta da due galeoni sulle labbra.
 
-non avevo nulla da fare, mi ricordavo che eri di turno qui, e così sono passata a farti compagnia- esclama giuliva –tanto più che di sentir mia madre e Augusta parlare ininterrottamente per ore del mio matrimonio non ne ho tanta voglia-.
 
-devono essere in fibrillazione, ormai manca meno di un mese- rispondo con un sorriso, indicandole l’interno del quartier generale –stavo finendo di scrivere una lettera alla banca babbana che teneva i conti dei miei genitori, ti spiace? Sono quasi alla fine-.
 
Alice scuote la testa, come a dire che non le da nessun fastidio.
 
-Augusta non ne vuole proprio sentir parlare, di glicini. Dice che puzzano e sono poco di classe. Vuole accompagnarmi dal sarto per il vestito e…-
 
-come, non le hai ancora detto che lo hai già preso?- chiedo divertita. Ci sarà da ridere quando lo scoprirà.
 
-è che le piacerebbe essere presente in tutte le questioni, e io non vorrei offenderla! Se la prende tanto per questioni del genere…-
 
-ha l’aria di tenerci molto, in effetti- rispondo annuendo –beh, trova il modo per dirglielo, non puoi comprare due abiti da cerimonia!-.
 
Ali scrolla le spalle e si siede davanti a me, oltre il tavolo.
 
-si, poi li metto uno sopra all’altro- scherza ridacchiando. Alla fine, impensierita, tira un sospiro –a volte ti invidio, se penso che avrai una suocera come Dorea-.
 
Questa volta tocca a me ridacchiare.
 
-suocera, ora… sono piuttosto giovane, mi vuoi già vedere accasata?- chiedo divertita.
 
-io ho la tua età!- protesta Ali indignata.
 
-e stai con Frank da anni, ormai. Io e James non siamo nemmeno a uno!- scuoto la testa io –e nemmeno intero, con tutti i casini che sono successi-.
 
Per un attimo fisso lo sguardo sulle screpolature della tovaglia da quattro soldi che copre il tavolo rustico, perdendo la parola.
 
-vuoi dire che ancora…-
 
-no, no- la tranquillizzo io con un sorriso sicuro –ogni ascia di guerra è sottoterra, puoi star tranquilla. È che…-
 
Mi interrompo un attimo, come spiegarlo a voce?
 
-che?-.
 
Non c’è persona migliore di Ali per parlare di cose del genere. Lène mi riderebbe in faccia, scrollando il capo davanti a tanta smielosità. Con Mary discorsi seri su un solo ragazzo non se ne possono fare, al massimo si può parlare di ragazzi al plurale. Con Emmeline non parlerei mai di una cosa del genere, non sono proprio certa che mi abbia perdonata del tutto.
 
-è come se avessi incrinato qualcosa, quest’inverno. Prima andava tutto bene, poi qualcosa si è rotto e, nonostante si sia cercato di aggiustarlo, non ci siamo riusciti del tutto. È di nuovo integro, ma non è più nuovo. James non me lo fa notare, ovvio, è il ragazzo migliore del mondo, ma io non riesco a smettere di pensarci-.
 
-è normale, Lils- mi conforta lei con un sorriso dolce –non si può far tornare nuovo nulla, nemmeno se c’è la forza di volontà. Ma si può sopravvivere, rimettere insieme i cocci e superarlo imparando qualcosa. Tu sai che non devi nascondere più nulla a James, e James sa che sei umana, ben diversa dall’essere perfetto che lui prima idolatrava-.
 
-si, ma…- esito io, sentendo le lacrime pungermi gli occhi. Dio, odio piangere per cose così stupide. Insomma, sto piangendo per James Potter! –ho paura, Ali. La scuola è finita, io troverò un nuovo posto in cui vivere che non sia casa sua, e non avremo più motivo per frequentarci così assiduamente! Non ci vedremo più tutti i giorni, non passeremo più tanto tempo assieme. E prima o poi finirà per ricordarselo, cosa ho fatto, quanto ne ha sofferto, troverà qualcun’altra e addio Lily. Non l’ho più sentito fare alcun tipo di progetto, e anche quando gli ho detto che sarei andata via da casa sua… non ha detto niente, capisci? Niente. Ha annuito e ha detto che gli sembrava una buona idea, sebbene ai suoi non pesi avermi in casa capiva che avevo bisogno dei miei spazi, dei miei tempi… e altre cose del genere. Insomma, ha reagito peggio Dorea, che ha cercato di convincermi a restare da loro! Sembra quasi che interessi più alla madre del mio ragazzo che a James stesso-.
 
Stoica, cerco di ignorare le poche lacrime a cui concedo di rigarmi le guance.
 
-Lily, secondo me ti stai immaginando tutto. Dovresti affrontare James, capiresti quanto ti ama!-.
 
Scrollando le spalle, cerco di non pensarci, come faccio negli ultimi giorni.
 
E ovviamente, non ci riesco.
 
 
Flashback-> ore 19.45 del 13 febbraio 1978
 
Le spalle ingobbite di Sirius, normalmente ben ritte sotto il peso dell’orgoglio, mi fanno realmente capire la portata dell’errore e della catastrofe che, tempo cinque secondi, ci travolgerà tutti.
 
Non ho il coraggio di guardare James negli occhi, di leggerci tutto quello che potrei leggerci in un momento del genere. La pesantezza degli ultimi mesi è più forte che mai, grava come un’incudine schiacciandomi il petto e la testa, il cuore batte come non lo avevo mai sentito e le orecchie mi ronzano in maniera incontrollabile.
 
Non era il momento giusto, e sicuramente non era il modo giusto. Ma forse, un momento giusto non si trova in circostanze del genere, e in quanto al modo…
 
James guarda ora fuori dalla finestra, si sente tradito e disgustato. Sirius non parla da quando James si è chiuso la porta alle spalle, si è preso gli insulti e gli sguardi truci di quello che per lui, a conti fatti, è più di un fratello. È la sua ancora all’idea di famiglia, la coscienza che a volte si dimentica di avere.
 
È il legame tra se stesso e il tutto che ha attorno, il filtro dei suoi pensieri e dei suoi sguardi.
 
Vedendoli così, mi rendo conto solo ora di quello che ho fatto. Riesco quasi a leggere il biasimo di Sirius, il disgusto che deve provare all’idea di me, che placida e tranquilla mi sono infilata tra di loro per dividerli dall’interno.
 
-James, ti prego, di qualcosa- mormoro avvicinandomi a lui, lo sguardo puntato su quel punto del suo petto che si alza e si abbassa, segno che, nonostante sembri un’algida statua, in realtà vive davvero.
 
Lo vedo tendersi, poi volta la testa verso di me e mi guarda senza alcuna espressione negli occhi.
 
Quasi non vedesse niente.
 
Penso che forse sarebbe meglio se mi guardasse con odio, come se fossi il più grande sbaglio della sua vita. Nonostante tutto, rivestirei un ruolo importante.
 
Così mi sento più trasparente di Sir Nicholas.
 
-James, non è solo colpa di Lily, noi abbiamo deciso insieme di…-
 
-lo so- lo ferma James in un tono che non ha alcuna cadenza.
 
Non lo guarda neanche, suo fratello, tornando con lo sguardo alla finestra e poi alla porta.
 
Sirius si accascia sul letto come se con quelle parole James avesse sancito la propria condanna a morte. Non hanno mai litigato, per quanto ne so io. Non così, per lo meno.
 
-pensavo che…-
 
Entrambi, io e Sirius, dipendiamo dalle parole che usciranno dalla bocca di James. Un James che non ci degna di un’occhiata e si dirige alla porta, fermandosi poi proprio sulla soglia.
 
-in realtà non lo so nemmeno io cosa pensavo. Forse di potermi fidare delle persone più importanti della mia vita-.
 
Fine Flashback.
 
 

*

 
 
-pensi di parlare da sola o devo tirarti fuori le sillabe di bocca, Alice?-
 
Una ragazza dai capelli rossi si ferma a metà del proprio percorso, diretta probabilmente al magazzino delle scorte del quartier generale, guardando con due luminosi occhi verdi la ragazza seduta al tavolo. 
 
Corti capelli scuri e viso paffuto, dolce nello sguardo e nelle parole, Alice Prewett è arrivata in serio anticipo sugli altri per la riunione fissata per le cinque di quel pomeriggio. Erano appena le tre, quando aveva varcato la soglia di quell’anonima porticina verniciata di rosso sulla banchina della stazione di Charing Cross della metropolitana di Londra. Un ora e mezza dopo, i discorsi si sono spostati su argomenti più frivoli.
 
-quanto hai bevuto, Lily?- domanda scettica e un po’ divertita in risposta alla domanda della sua amica –non ho smesso di parlare da quando sono entrata qui, mezz’ora fa. L’unica cosa che non ti ho riferito di quella festa, probabilmente, è l’avvoltoio impagliato sul cappello di Augusta. Se volevi sapere anche quello, bastava chiedere-.
 
Lily, continuando il suo percorso fino alle scorte, sbuffa alzando gli occhi al cielo. Arrivata al magazzino piccolo e strapieno di generi di prima necessità, afferra un pacchetto di biscotti con cui accompagnare il tè ancora in fase di preparazione e, brandendolo come un’arma, lo punta contro l’amica.
 
-credo tu sappia che cosa intendo io, chiedendoti di parlare-.
 
-oh, guarda, quei biscotti sono gli stessi che comprava la mamma qualche volta quand’ero piccola! Vengono dalla pasticceria buona di Diagon Alley, vero? Scommetto che li hanno presi Gideon e Fab, quando eravamo piccoli li adoravamo- esclama in un vistoso tentativo di cambiare discorso.
 
-per quanto interesse io possa provare per tutti e due i gemelli tuoi cugini, direi che mi interessa di più una delle nostre comuni migliori amiche- cede Lily con sguardo rassegnato –hai presente Mary McDonald? alta
più o meno così, gioca a quidditch…-
 
-fin troppo presente, direi- mormora alla fine Alice, scuotendo appena il capo.
 
Lily rivolge uno sguardo interessato all’amica.
 
-James dice che ultimamente Mary è di cattivo umore, distante, un po’ persa nei suoi pensieri-.
 
-nel giro di tre giorni abbiamo discusso due volte- annuisce Alice soprappensiero.
 
-e di cosa, scusa?- chiede Lily corrugando la fronte.
 
Più che plausibile, il suo sconcerto. Alice e Mary non hanno mai litigato tra di loro. In generale, Mary non è persona che litighi facilmente con chicchessia, e di solito se si scatenano baruffe cerca di buttarla sul ridere. Allo stesso modo, ha un modo di fare che non invita granchè all’insulto. Semplicemente, se fa qualcosa di sbagliato, non si riesce a farglielo notare, contagiati dai suoi modi scherzosi e sempre allegri.
 
-Mary deve crescere- sussurra Alice infilandosi in bocca un biscotto come a concludere un grande discorso.
 
E questo fa capire a Lily che la conversazione è chiusa.
 
 

*

 
 
Mary deve crescere.
 
La maggior parte delle migliaia sfumature che compongono Mary, io le adoro. È veramente una grandissima amica, la conosco da moltissimo tempo e ormai so riconoscere di lei quasi ogni singolo volto: è istintiva e impetuosa, giocosa e allegra. Per lei la vita è un gioco, ed è questo che maggiormente stimo, in lei.
 
Ha diciotto anni suonati, vive in un mondo in guerra che qualche volta l’ha colpita direttamente, e nonostante tutto si accosta ad ogni nuovo giorno con il sorriso sulle labbra e la speranza dipinta negli occhi, ingenua come solo un bimbo può essere.
 
Ma è anche quello che più non sopporto. Non ho mai condiviso appieno il modo che ha Mary per ritagliarsi le proprie relazioni con gli altri. Non mi hanno mai convinta i metodi con cui si avvicina ai ragazzi, come se lei fosse il predatore e loro la preda del giorno. Non si è mai fatta scrupoli guardando chi si lasciava alle spalle, è empatica a livello zero e anche piuttosto egocentrica.
 
Quando ho annunciato la data del matrimonio mio e di Frank, l’ho vista esitare.
 
Mi ha ferito in profondità, e non solo nell’esitazione. Nelle repliche, nelle risposte, e quel suo modo di fare…
 
Nemmeno lei ci crede più, eppure è testarda, orgogliosa, non vuole dipendere da nessuno.
 
E nega. Nega tutto con una fermezza che sa decisamente di ostinazione. Odio quando fa così.
 
-Mary deve crescere- ripeto con una veemenza che mi appartiene di rado.
 
E non deve avvicinarsi a mio cugino.
 
 
Flashback-> ore 18.15 del 16 febbraio 1978
 
Entro nel caminetto al fianco di Mary rilasciando un sospiro.
 
La tensione nell’aria, il continuo evitarsi di sguardi incenerenti, i sibili e le offese che si riversano nell’aria, paiono quasi una lenta danza mortale, ballata a ritmo di parole grosse.
 
James evita del tutto la nostra compagnia. Il fulgore di quello che per lui è quasi un tradimento, si riflette con il bagliore di mille soli dalle persone di Lily e Sirius a noi poveri mortali la cui unica colpa è stargli attorno. Non ci rivolge più la parola, non ci guarda.
 
Emmeline, dura come l’acciaio, non lascia trasparire nulla. La gentilezza nei suoi occhi è sfumata, non si lascia avvicinare. A lezione si siede lontana, a pranzo e cena si isola, a colazione non si fa vedere. Per due sere su tre è rincasata più tardi del solito, quando ormai tutte dormivamo, e la terza volta ha finto di dormire dalle sette in poi.
 
È come una faglia che ci divide, e si allarga di più ad ogni sguardo.
 
-passerà, Ali, vero?-.
 
Mary ha la voce di una bambina e il sorriso di un angioletto. Non aveva previsto che le cose si evolvessero così.
 
-credo che Lily abbia sbagliato a nasconderlo a tutti, ma ha sbagliato sicuramente a nasconderlo a Emme- rispondo io stranamente critica.
 
Normalmente cerco di non esprimermi con giudizi affrettati o decisivi. Lascio sempre uno spiraglio, una fessura per la luce.
 
Ma sono troppo amareggiata, da Lily, dalla situazione. Lène lo è addirittura più di me.
 
Non ho sentito litigare James e Sirius, e la cosa mi pare strana. Sono tipi fisici, emotivi, c’era da aspettarsi chissà cosa, non certo la calma assoluta.
 
Lène, invece, non si è sprecata. Né contro Lils, né contro Sirius.
 
Con il suo particolare modo di farti sentire un verme, si è avventata a male parole su entrambi, strattonandoli con il tono e ferendoli con il contenuto.
 
-non ne aveva neanche la certezza, magari pensava che…-
 
Le parole di Mary mi fanno quasi sorridere. Qualsiasi cosa si possa dire su Mary McDonald, di certo non si può dar contro la sua lealtà. Cerca con le parole e con i sorrisi di andare incontro sia a Lily che a Emme, amalgamando i neri e i bianchi in una commistione di grigi differenti.
 
-sapeva che era stato lui, e non lo ha detto a nessuno. Non lo ha detto a Emme, che più di chiunque altro sulla faccia della terra aveva il diritto di saperlo-.
 
-magari questa riunione farà bene a tutti- esclama lei senza un vero nesso nella conversazione –ci saranno Dorea e Charlus, e anche Gideon e Fabian. Vedere qualcuno di esterno, comunicare con qualcuno di esterno, farà sbollire la rabbia di tutti-.
 
Non ne sono poi così convinta, ma evito di farlo presente a Mary per non spezzarle ogni speranza bruscamente.
 
-come sta James?- chiedo piuttosto, dal momento che Mary è l’unica che sia riuscita ad avvicinarlo.
 
-ce l’ha con Sirius, con Lily, con il mondo- risponde lei scrollando le spalle ed esitando un attimo –con Lily specialmente. Ce l’avete tutti con Lily-.
 
Lène, Emmeline, io. Anche Remus, anche se non si è esposto più di tanto. E ho notato le occhiate di Frank, come tutti gli altri.
 
-Lily ha sbagliato-.
 
-Emmeline era in quel corridoio, hai ragione- mormora Mary –ma c’era anche Lily, e questo è quello che state dimenticando un po’ tutti. La giudicate, ma non potete sapere cosa avreste fatto voi al suo posto. Perché in situazioni come queste, si può giudicare solamente se ci si trova nella condizione adatta a farlo, Ali. E noi non lo siamo-.
 
Chi avrebbe mai potuto pensare che la voce della ragione sarebbe arrivata proprio da Mary?
 
Preferisco tacere, ad ogni modo, piuttosto che darle ragione.
 
-come facevi a sapere della data della riunione prima che ce lo comunicasse la McGrannitt?- chiedo cambiando platealmente discorso, ricordando di come ce lo avesse accennato ai “Tre manici di Scopa”, sabato pomeriggio, alludendo alle sue “fonti segrete”.
 
-Gideon mi ha scritto chiedendo di battere i tassorosso alla prossima partita di quidditch, e lo ha accennato nella lettera-.
 
All’inizio annuisco, seguendo il filo delle sue parole. Poi torno indietro fino alle prime sillabe della frase.
 
-Gideon? Mio cugino?- domando un po’ sorpresa –ha scritto a te?-.
 
Le mie parole, su Mary, non hanno alcun effetto, se non quello di farle strizzare lievemente le labbra, facendole assumere un’espressione puntigliosa che mal si adagia sul suo viso.
 
-è un po’ che ci sentiamo per lettera, in  realtà. Gli avevo accennato la proposta delle Magpies, e da allora cerca di convincermi ad accettare-.
 
Le rivolgo uno sguardo di sottecchi, poi, siccome la conosco fin troppo bene, sospiro mettendola in guardia.
 
-Gideon non è il tuo tipo, Mary-.
 
Vedo i suoi occhi sgranati, le sopracciglia quasi all’attaccatura della fronte tanto è stupita, e un po’ mi rassereno.
 
-ha sette anni più di noi, Ali, ci deve considerare poco più che bambine- esclama poi con quella voce carica di divertimento che usa sempre per prendere in esame situazioni che ritiene impossibili –non credo tu ti debba… mhmph, preoccupare- esita sulle ultime parole.
 
Le rivolgo ancora un’occhiata, ma il tutto si interrompe quando veniamo sbalzate via dal camino.
 
Avendo effettuato questi atterraggi solo poche volte, fatico a rimanere in piedi senza finire lunga distesa per terra come invece succede a Mary. Traballo per qualche attimo, più instabile delle bocce di cristallo nell’aula della Cooman, ma non so come riesco a rimanere in piedi.
 
-no, seriamente- esclama Mary tossendo e cercando di rialzarsi. Si sfrega le ginocchia contuse e il gomito destro, che deve aver picchiato sul pavimento –dico io, con tutti i maghi celebri che fanno parte dell’Ordine, escogitare un incantesimo più innocuo per uscire dal camino è troppo difficile?-.
 
Alcune risate fanno da contorno alle parole di Mary.
 
Voltandomi, riesco a vedere i miei cugini e Dorcas aspettare ai lati della porta, accompagnati da Ben e Caradoc, che conosco più o meno da una vita.
 
La prima volta che siamo venuti all’ordine, mi ha stupito trovare tante facce conosciute. Insomma, a causa della vicinanza di Ben e Dorcas, dello strano rapporto di amicizia che li lega, sono cresciuta conoscendoli piuttosto bene. Fermandomi a pensarci, effettivamente, riconosco la matassa di fili che lega gli uni agli altri e, infondo, tutti a tutti. Dorcas e Fabian stanno insieme da una vita, quindi per me Dorcas è come una cugina acquisita. Dorcas e Ben sono come fratello e sorella, per cui conosco piuttosto bene pure Fenwick, che a sua volta sta con Dearborn da più o meno l’alba dei tempi –si, devo ammetterlo, la loro storia ha molto a che fare con l’idea di romanticismo che mi contraddistingue, da anni-. Sturgis ed Hestia, li ho visti più volte, sebbene non possa proprio dire di conoscerli, e i Bones sono miei cugini di primo grado, dal momento che mi madre è sorella del padre di Meli e Ed.
 
E guardandoci insieme a loro, non posso non pensare che infondo Mary ha ragione. Siamo bambine a loro confronto.
 
Fine Flashback.

 
 

*

 
 
-smettila di sfregare la testa sul mio cuscino, Sir, altrimenti stanotte sarà ancora bagnato, e saprà di cane. E poi, cosa ci fai in camera mia? Mi chiedo cosa te la sei comprata a fare, una casa tua, se poi sei sempre qua a fare casino- esclama James sbuffando, puntiglioso come solo Remus e Lily sanno essere. Stare con la Evans ha già fatto dei danni, e stanno insieme da pochi mesi.
 
-Marlene vuole trovarsi una casa da sola- lo ignoro io, lo sguardo rivolto al soffitto, i capelli ancora umidi allargati sul cuscino di James. Tanto lo so che se non capito in casa Potter ogni due per tre mi viene a cercare lui. Gli manco, al cucciolotto!
 
Mio fratello si sporge verso di me e mi tira via il cuscino da sotto la testa, mettendolo in salvo nell’armadio, poi si volta verso di me pensieroso.
 
-beh, è così tanto un male? Potrete vedervi di più, senza dover pensare a non farvi vedere da Zia Fidelma e compagnia bella-.
 
-dice che non ce la fa più a ritrovarsi tra i piedi la Rosier. Dice che ci sono in affitto appartamenti a buon prezzo tra Nocturne e Diagon-.
 
James scrolla la testa, interdetto.
 
-aspetta, fammi capire per bene questa cosa di mia cugina che vuole andare a vivere nel quartiere delle megere… ma è matta?-.
 
Sorrido appena. Si, è matta. Se c’è qualcosa che so per certo, dopo esserci stato insieme per più di sei mesi, è che senz’altro è matta.
 
-che vuoi che ti dica, dice che non ha soldi per prendere qualcosa di più. Anche se inizierà a lavorare- mormoro ancora, scrollando le spalle.
 
-a lavorare? Mia cugina?-.
 
Lo scetticismo di James è palese, e sorprende anche me il fatto che mi dia abbastanza fastidio.
 
-si, tua cugina, bella e slanciata, occhi neri e tutto il resto. Proprio lei- replico infastidito –lei che se ne va a vivere da sola e a lavorare al ministero per una stage estivo, all’ufficio di Cooperazione Internazionale, proprio lei, guarda un po’!-.
 
Non lo vedo, e per un po’ sta zitto. Poi irrompe in una grande risata che mi costringe ad alzarmi dal suo letto e a guardarlo di sottecchi, chiedendomi cosa mai potrebbe esserci di così divertente in quello che ho detto.
 
-sei geloso!- esclama impietoso puntandomi addosso un dito –Sirius Black è geloso!-.
 
Arrossisco, a metà tra rabbia e… vergogna.
 
-non sono…-
 
-ah, certo, non sei geloso. Sei solo ossessionato dall’idea che rendendosi indipendente da tutto il resto, prima o poi, ritorni ad essere indipendente anche da te-.
 
Ringhio poco amichevolmente.
 
-invece di dire cazzate, muoviti a vestirti che dobbiamo andare alla riunione- taglio corto alla fine, scrollando la testa e buttandomi ancora una volta con la schiena sul suo letto.
 
-interessante, tattica del cambio di discorso- commenta lui, e ora, lo sento, è davanti allo specchio. Probabile che, oltre ad infierire, si stia davvero vestendo –Merlino, credevo di non vivere abbastanza da vedere Sirius Black così possessivo nei confronti di una donna-.
 
-non sono possessivo- lo zittisco subito bruscamente –due giorni fa l’ho accompagnata al Ministero. Quei pezzenti se la mangiavano con gli occhi. Quando abiterà da sola…-
 
-se ti irrita così tanto che vada ad abitare da sola, proponigli di vivere a casa tua. Hai un sacco di stanze in più, Sirius, potresti proporglielo come un compromesso, un affitto della camera. Nel mondo babbano, moltissimi affittano camere-.
 
Non aspetto nemmeno che finisca il discorso, e scoppio a ridere con timbro rauco, seriamente terrorizzato dalla possibile reazione di Marlene –anzi, dalla sicura reazione di Marlene- ad una proposta del genere.
 
-per Godric, mi sbranerebbe al solo accennarglielo. Non vuole fare progetti, non vuole neanche sentire parlare del futuro, e le dovrei proporre di vivere insieme? Mi ucciderebbe, ne sono sicuro. Lei e la sua voglia di autonomia. Odia sentirsi programmare anche solo il pranzo del giorno successivo, immaginati una decisione di questa portata-.
 
Dalle parti di James, solo silenzio.
 
-quindi, fammi capire, per lei è un problema fare programmi?-.
 
Sembra stranito.
 
-si, non vuole avere legami che le “tarpino le ali”, a quanto dice. Non so cosa le sia preso, credo che i suoi le facciano pressioni in casa per conoscere qualche altro giovane rampollo da appioppargli per tutta la vita. Credo che in questo momento si senta leggermente sotto pressione-.
 
Alla fine, James sbuffa.
 
-boh, per quello che vedo allora puoi soltanto aspettare, e vedere che succede. Lily cerca un appartamento, magari possiamo convincerle a cercare qualcosa insieme. Sarei più tranquillo per loro, se vivessero insieme-.
 
Sorrido, contento che il mio migliore amico abbia capito cosa intendevo dire, con precisione.
 
-l’ho proposto io stesso a Marlene, ha detto che ne parlerà con la tua bella-.
 
-ecco, a proposito della mia bella, muoviamoci. Sarà tutta sola al quartier generale, e magari le manco- esclama tutto affaccendato James, infilandosi i pantaloni.
 
-o magari no- rispondo io con un sorriso divertito –a quando il matrimonio?- scherzo poi con un sorriso.
 
-prima passiamo per quello di Ali e Frank, poi pensiamo al nostro- risponde lui tutto serio.
 
Rimango bloccato nell’atto di alzarmi dal letto, con quella che –ne sono sicuro- potrebbe sembrare una faccia da ebete convinto.
 
-cosa? Sei serio?- chiedo stralunato.
 
James mi guarda come se fossi un idiota.
 
-Sirius, pronto! Amo Lily da più di un terzo della mia vita, è ovvio che le chiederò di sposarmi. Ti ricordi i miei progetti, sette figli, due cani, un gatto e il fuoco di un camino?-
.
 
 
 
 
 
*Da Otello di William Shakespeare
 
 
NOTE:
 
si, sono in ritardo di un sacchissimo di tempo. Si, non ho scuse per non aver ancora risposto alle recensioni del capitolo precedente al capitolo precedente. Si, ho il coraggio di ripresentarmi come se nulla fosse.
Chiedo scusa per il ritardo, ovviamente! Questo capitolo non mi ispirava per niente, poi mi sono messa a scriverlo e mi è piaciuto un sacco.
Sono giorni che dico “scrivo la parte di Sirius e poi aggiorno”. Poi il tempo passa e io non scrivo.
Oggi ho scritto, e mi sono divertita a farlo.
So che mi odierete perché in questo capitolo, effettivamente, non è che si spieghi proprio tutto, anzi. A voler ben vedere non si risolve proprio nulla… però…
Il prossimo arriverà non proprio prestissimo, mi spiace.
Tra una settimana parto per la magica Scozia, e non credo di riuscire ad aggiornare in tempo…
Ora vado a rispondere alle bellissime recensioni che ho lasciato indietro, spero di risentirvi in questo capitolo!
I prossimi punti di vista saranno di Remus, James e Rabastan Lestrange, credo.
Buona lettura,
Hir

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Capitolo 6
*** reazioni ***


LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
MARY
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
 
-ehi, avete un’idea di cosa stia succedendo a Mary?-.
 
A chiederlo è uno dei ragazzi seduti al bar, con capelli impossibili in testa e gli occhiali lievemente storti sul naso dritto.
 
-Mac? Effettivamente, dopo la riunione è praticamente volata via- gli risponde il suo vicino di destra, la mano gelosamente stretta alla vita della sua ragazza, che gli è accomodata sulle gambe.
 
-si, e con Ali non se ne può parlare- gli da manforte una giovane dai capelli rossi, la schiena abbandonata sul comodo schienale e la mano alla tempia, come a reprimere un feroce mal di testa –ti assalta ogni volta che ci provi. Oppure fa finta di non capire-.
 
I loro compagni, tutti di qualche anno più grandi, scrollano a turno la testa e le spalle, mostrandosi interessati ma senza eccessiva morbosità. Solo tre fra tutti, due gemelli e una ragazza, tradiscono con uno sguardo più lungo l’interesse nella faccenda.
 
Alla fine della favola, Mary è giunta a ricoprire un ruolo piuttosto importante nella vita di ciascuno dei tre personaggi. La ragazza non ha mai avuto un’amica tanto stretta, quasi una sorella, e per uno dei due giovani Mary è diventata quanto di più simile ad un’ossessione si possa trovare. Il terzo, per riflesso, si è ritrovato spesso tra i piedi la suddetta ragazza ed ha dovuto, volente o nolente, farle spazio nella propria vita. E poi, poche palle, ha sempre trovato simpatica la McDonald!
 
-ho provato a parlarne con lei, ma…-
 
La ragazza bionda, seduta tra i due gemelli, scuote il capo con fare rassegnato.
 
-con Mary non puoi fare un discorso serio- dichiara il primo ragazzo che ha parlato, guadagnandosi dalla ragazza con i capelli rossi un’occhiataccia.
 
 

*

 
 
–a meno che non sia lei a volerlo, intendo- cerco di aggiustare il tiro rivolto a Lily -E mi pare più che ovvio che no, non lo vuole-.
 
Più passa il tempo, più Mary è strana.
 
-dovrebbe parlarci Emme- esclama ad un certo punto Lène –è sempre stata brava a farci ragionare. Cioè, intendo… da quel poco che ne lascia intendere Ali, Mary si sta mostrando irragionevole su qualcosa. Oltre alla reazione che ha avuto all’annuncio del matrimonio di Ali e Frank…-
 
-che reazione?-.
 
È Caradoc a chiederlo, facendosi serio. Dopo il primo incontro a Hogsmeade che abbiamo avuto con loro –la patria dei Bellocci, così la chiama Benjy storcendo il naso- abbiamo avuto modo di conoscerci sempre di più. Dopo le prime reazioni scatenate dalla rivelazione della relazione amorosa tra Fenwick e Caradoc –nel nostro gruppo, in parecchi sono rimasti senza parole-, le varie divergenze sono state appianate. E in quel preciso momento dell’anno, di divergenze ne avevamo parecchie, fra tutti.
 
-diciamo che Mary non ha reagito esattamente come ci si sarebbe aspettati da lei, alla notizia- mormoro sentendomi lievemente in colpa nei confronti della mia migliore amica. Forse era meglio non tirare in ballo una discussione come questa, soprattutto non davanti agli altri, che potrebbero giudicare male Mary, non conoscendola come la conosciamo noi.
 
-in che senso?- chiede Fabian, curioso.
 
Benjy, seduto vicino a Caradoc e zitto da praticamente tutta la sera –ha parlato solo per ordinare- assottiglia lo sguardo e sembra capire la mia reticenza a parlarne. Lène si deve essere accorta della stessa cosa, perché volta lo sguardo al pavimento e non dice una parola.
 
Lo sguardo di Fabian spinge in qualche modo Benjy ad esporsi.
 
-potrebbe essere solo questo, il problema?- chiede rivolto a noi quattro –magari Alice se l’è presa per…-
 
-no, assolutamente no- interviene Lily scrollando il capo –quella è stata la causa scatenante. È da li che è partito tutto, ma…-
 
-che reazione ha…?- questa volta è Dorcas che pone la domanda, con quel tono serio che usa solo quando vuole farsi obbedire senza lasciare alcuna via di fuga.
 
-non è stata proprio… insomma, ti sarai accorta che Mary è un tipo di ragazza molto… fisico? Noi ci siamo abituati tempo fa, a questo lato del suo carattere- spiego io indicando Marlene, me e Sirius e alla fine Lily –chi da sempre, chi da sette anni. Se è contenta lo mostra senza problemi. Sempre. E anche se non lo è-.
 
-in pratica non era contenta- tira le somme Caradoc con un sospiro e un sorriso –posso capire perché abbiano litigato-.
 
Io scuoto la testa, in risposta.
 
-non si è mostrata contraria, ma nemmeno a favore. Alice si aspettava una reazione alla Mary, che avrebbe cementato il suo entusiasmo accompagnandola all’altare con la convinzione di avere felici tutte le sue migliori amiche. Alla fine Ali è una di quei tipi di persone che vogliono la felicità di tutti quelli che le stanno accanto. Ma Mary è una persona schietta, e alla seconda volta in cui Ali le ha chiesto cosa c’era che non andava… Mary ha semplicemente detto la sua verità-.
 
-che è innamorata di Frank?-.
 
Alla domanda di Caradoc, io quasi mi strozzo con il caffè babbano che sto sorseggiando. Merlino benedetto, solo Dearborn poteva fare una domanda del genere.
 
-Mary e Frank? Oddio, no- ride Lène.
 
-Mary odia le cose romantiche- annuisco io –e Frank è l’apoteosi del romanticismo, credetemi-.
 
-ecco, appunto, non ti farebbe male prendere qualche idea da lui, sai?- mi rimbrotta Lily tirandomi un calcio nemmeno troppo piano nello stinco da sotto il tavolo –ma no, decisamente Mary non è innamorata di Frank. È che ritiene che siano troppo giovani, per sposarsi-.
 
Marlene storce il naso.
 
-secondo lei, si sarebbe troppo giovani anche a quarant’anni, per sposarsi-.
 
Lily le rivolge un’occhiataccia in risposta.
 
-ti devo ricordare che fino ad un anno fa eri la sua copia?- chiede scettica –sembravate gemelle, allergiche ai rapporti stabili com’eravate-.
 
-beh, le cose cambiano- si discolpa Lène con una scrollata di spalle –solo che lei questo ancora non lo sa-.
 
 

*

 
 
-sai, avevo… pensato una cosa- inizia il giovane, tenendo per mano la ragazza a cui indirizza quelle parole. Vedendo la curva beffarda che prende il suo sorriso, le si rivolge in tono ammonitore –non fare qualche stupida battuta del genere “perché, tu pensi?”-.
 
Questa volta, Marlene scoppia a ridere.
 
-ecco, lo sapevo, sto con la versione femminile di James- borbotta il ragazzo senza farla parlare.
 
-ora sono io che dovrei offendermi- lo consola con una pacca sulla spalla in risposta –i miei capelli sono molto meglio di quelli di James-.
 
Sirius scrolla il capo, indeciso se mettersi a ridere o no, forse nervoso dal corso che da qui a poco prenderà il discorso. Parlare con Marlene è sempre come stare seduto su una scatola di dinamite con in mano una bacchetta accesa.
 
Non sai mai quando scoppierà, ma sai che prima o poi…
 
BOOM.
 
-allora, che cosa è che avresti pensato?- chiede la ragazza fermandosi nel bel mezzo del parco, di notte.
 
Stanno camminando diretti chissà dove –è importante, quando sono insieme?-, gli sguardi incatenati e il cielo, sopra alle teste, decisamente cupo. Sta per piovere, non ci vuole certo una sfera di cristallo per dirlo, e la brezza che soffia è curiosamente fredda nonostante l’estate piena.
 
Il ragazzo continua per qualche passo, lasciando la mano di lei e portandosi sotto un lampione acceso sul vialetto, nervoso. È strano, Sirius, da qualche giorno parla con più attenzione e cerca di comportarsi in modo meno irruento.
 
Sembra quasi si sia stancato di litigare con la propria ragazza per qualsiasi scemenza. È quello che pensa Marlene in un lampo, mentre lo guarda stagliarsi contro la luce, le braccia strette al petto quasi a premersi addosso quella felpa e il poco calore che riesce a tenersi dentro.
 
-mi stai lasciando?- gli chiede in un attimo di inquietudine.
 
Il ragazzo alza lo sguardo, sembra confuso.
 
-e perché dovrei? Non sono mica scemo-.
 
La ragazza allora da in un sorriso molto più spontaneo dei precedenti, e con un gesto lieve delle spalle si scrolla di dosso quella sensazione, quasi paura.
 
Quando hanno lasciato gli altri al bar, precedendoli nel tornare a casa, lo hanno fatto su insistenza di Sirius. Pareva quasi smanioso di restare da solo con lei, come a volerle parlare seriamente.
 
-e allora che c’è?- gli domanda andandogli vicino e prendendogli una mano tra le sue.
 
Ha delle belle mani, Sirius, con le dita lunghe da pianista e le unghie ovali quasi femminee. Normalmente gli uomini le hanno più quadrate, e in genere meno curate.
 
Beh, un po’ tutto è bello, in lui, soprattutto quando è così serio e ha negli occhi quell’espressione lontana. Sembra quasi un dipinto, con i suoi tratti eleganti e i capelli di un nero quasi vibrante.
 
-James ha intenzione di chiedere a Lily di sposarlo, sai? Una volta passato il matrimonio di Alice e Frank, intendo-.
 
 

*

 
 
Ultimamente, le persone con cui parlo discutono solo di matrimoni.
 
Alice, con il suo matrimonio da favola. Mia madre, con i suoi mille buoni partiti da presentarmi all’ora del tè, che per fortuna ormai trascorro al lavoro. Max, deciso a farmi capire che lui e la Rosier non stanno insieme per convenzione, ora. Mary, per niente d’accordo con la questione, ma comunque decisa a parlarne. Adesso anche Sirius.
 
È una parola che ha il potere di gettarmi nel caos nel modo più assoluto.
 
Preferisco non esprimermi, in genere. È vero, nel mio futuro vedo un marito e dei figli, ma sono così lontani che la sola idea mi fa ridere. Insomma, non ho nemmeno vent’anni! Verso i trenta, o già di lì, l’idea si fa già più plausibile.
 
Mia madre dice sempre che dopo i diciotto anni, i giorni sembrano volare. Ti addormenti una sera con una vita davanti da programmare, e il mattino dopo ti risvegli accanto a tuo marito, con il volto già con qualche ruga, i figli a cui pensare e una casa da mandare avanti.
 
A sentire lei non c’è gioia maggiore.
 
Eppure mi inquieta, tutto questo ragionamento. Voglio viverla, la mia vita. Voglio sentirmi ogni istante passarmi addosso, voglio vestire i miei anni e godermeli appieno.
 
In un mondo in guerra è tutto relativo, e il domani può scomparire con un gesto di spugna.
 
-lo immaginavo, si- annuisco soprappensiero, chiedendomi dove mai voglia andare a parare.
 
-e per… per la casa? Ne hai già parlato con Lily? Come avete intenzione di fare?- chiede curioso gettandomi uno sguardo stranito.
 
-no, non… non ne ho ancora parlato, con Lily. Immagino che Lily non sappia ancora delle intenzioni di James- butto lì scrollando le spalle –se le chiedessi cosa ha intenzione di fare dopo il matrimonio, probabilmente mi chiederebbe a che matrimonio mi riferisco-.
 
Sirius sorride appena, e non mi sembra per niente strano essere qui, con lui, di notte, a vagliare le possibilità della vita futura nostra e dei nostri migliori amici, considerando certa la risposta affermativa di Lily ad un’eventuale proposta di matrimonio da parte di James.
 
Anche se solo un anno fa sarebbe stato impensabile, ormai non riesco più –né io, né tantomeno tutti gli altri-a figurarmela senza James al fianco. È come se piano piano, non fossero più James Potter e Lily Evans. Ma James e Lily, due figure inscindibili separate solo da una singola, esile lettera.
 
-beh, in effetti- ammette lui con un sorrisino divertito –però mi stavo chiedendo, insomma… noi lo sappiamo, della proposta di James-.
 
Annuisco aggrottando la fronte, chiedendomi dove mai può voler andare a parare.
 
-e sappiamo che Lily accetterà-.
 
-probabile- cedo.
 
-sicuro- rimarca lui, esitando.
 
-Sirius, dove vuoi andare a parare?- domando a questo punto, stanca. Sono le undici e mezza anche per me, ormai.
 
-non credo che dovresti chiedere a Lily di vivere insieme a te, sai?- mi dice a sorpresa.
 
E per sorprendermi, mi sorprende davvero. Ma non era lui quello che insisteva tanto perché chiedessi alla Evans di cercare casa insieme?
 
-cosa? Ma… come…?-.
 
-non dovresti, perché alla fine lei se ne andrebbe e ti lascerebbe sola con un affitto intero da pagare- mi fa notare ragionevolmente.
 
Effettivamente, a questo non avevo pensato. Certo, c’è anche da dire che non è che mi abbia lasciato molto tempo per riflettere. Non capisco però perché me lo stia facendo notare con così profonda soddisfazione, quando nemmeno dieci giorni fa era assolutamente contrario all’idea che pensassi di andare a vivere per qualche tempo vicino a Notturne Alley.
 
-non penserai di nuovo a Notturne Alley, spero- interrompe i miei pensieri con un tono colmo di riprovazione, scuotendo il capo.
 
-hai già pensato anche a questo?- chiedo lanciandogli uno sguardo inquisitore. Cosa mai…
 
-in effetti, avevo pensato che potresti venire a vivere da me- butta lì con disinvoltura –ho cinque camere libere in casa, te ne posso affittare una e…-
 
Prima che riesca anche solo a strappare una sorta di significato dal suo blaterare, veniamo raggiunti da un alone argenteo che, per esperienza, so non portare mai buone notizie. Nello sguardo di Sirius, intento ad osservare con cura quasi maniacale il patronus a forma di ermellino di Emme, vedo la stessa traccia di acuta speranza che sento nel mio.
 
E adesso cosa può essere successo?
 

 

*

 
 
Gideon Prewett cammina a passo svelto per la Londra babbana, diretto al lavoro nel bel mezzo della notte. il ministero, di notte, non è mai totalmente vuoto, al contrario di quanto si potrebbe credere.
 
Più di una volta, negli ultimi mesi, ha trovato difficile prendere sonno. Per ingannare il tempo in modo costruttivo, quindi, si chiude nell’archivio per riordinarlo, come gli ha chiesto di fare poco gentilmente Moody.
 
Alla luce dell’ultima riunione, e degli ultimi discorsi con James e gli altri, sente sempre più impellente il desiderio di riflettere, e l’’assoluta convinzione di non doverlo fare, a meno di non incasinarsi la vita ancora di più.
 
L’atrium del ministero è effettivamente vuoto, e sembra quasi strano così grande e lucido, senza nessuno tranne lui in giro e con le fiamme dei camini spente. Di solito c’è una tale confusione.
 
-Prewett!-.
 
Gideon si ferma voltandosi verso l’unico camino ora illuminato da fiamme verdi. Proprio nell’atto di entrarvi, Daisy si ferma guardando il ragazzo curiosa.
 
-Daisy- la saluta, soffocando un sorrisetto irritato davanti all’occhiata curiosa della ragazza. Trasparente, il fatto che non abbia idea chi dei due Prewett lui sia –Gideon- decide quindi di aiutarla, cancellandosi l’irritazione dal viso velocemente.
 
Sono anni che, sotto sotto, l’essere confuso con il fratello lo irrita. Essere considerati la stessa persona dalla maggior parte della gente è snervante.
 
-naturalmente- glissa la ragazza con un sorriso timido –hai dimenticato qualcosa al quartier-generale? Sono solo le undic…-
 
-no, non ho dimenticato nulla- taglia corto lui, scrollando le spalle e indicando l’ascensore. Quando si accorge di essere stato troppo brusco, grazie allo sguardo stupito negli occhi della ragazza, cerca di correggere il tiro –non riuscirei comunque a dormire, quindi mi porto avanti con il lavoro, giù in archivio-.
 
La ragazza annuisce, sorridendo appena.
 
-vuoi un aiuto?- gli chiede poi gentilmente –domani sono di riposo, e posso dormire fino a tardi-.
 
La risposta sale spontanea tra le labbra del ragazzo, prima ancora che Daisy abbia concluso la sua proposta. Di tutto, ha voglia, fuorchè di avere qualcuno tra i piedi. Se avesse davvero voluto compagnia, avrebbe stressato Caradoc e Benjy, facendosi offrire un tè a casa loro.
 
-no, io non…- scuote il capo volgendosi verso il corridoio.
 
-che cosa è?- domanda Daisy inclinando il capo, distinguendo il patronus –è successo qualcosa?-.
 
Il patronus si rivela essere la lupa di Dorea.
 
-si sospetta la natura magica dell’esplosione avvenuta venti minuti fa in Chamberlain Square, nella città di Birmingham. Richiesta la presenza di tutti gli Auror disponibili, accertate trentatré vittime e ventidue feriti. Quartiere isolato, obliviatori sul posto-.
 
 

*

 
 
Mi guardo attorno incrociando con lo sguardo più di un volto conosciuto.
 
È una squadra compatta, la nostra. Bella, Rodolphus, Macnair, Nott, Rookwood e io. Il Signore Oscuro ci ha selezionati personalmente, tenendosi accanto solo Dolohov, dal quale non si separa quasi mai, e il vecchio Avery. Ha mandato perfino Bella, che nell’ultimo mese ha scalato i gradini di questa gerarchia quasi immobile. L’unico a stonare in tutto il consesso è Mulciber, non è mai stato adatto ad operazioni del genere.
 
È diventata la più letale, e lui lo sa.
 
-quale è?- mi chiede Rookwood con quello sguardo talmente pallido da sembrare morto.
 
Mi mettono a disagio, i suoi occhi.
 
-le vedi le due donne vicino alla fontana? La bionda, con la sciarpa rossa. Quella incinta- mormoro indicandogli la giovane, intenta a parlare con l’amica. Sono le undici e cinque di una notte senza luna e, a causa di questi lampioni, anche senza stelle. La piazza è mediamente affollata, farà scalpore.
 
-è la figlia di Jeffrey Robertson*? La più grande?- domanda Nott, con quella sua espressione truce dipinta negli occhi scuri.
 
-Anita Elsa Robertson Jordan- rispondo annuendo, prendendo in mano la bacchetta dalla tasca interna del mantello di velluto –figlia del ministro della magia e moglie del capo della squadra degli obliviatori-.
 
-le facciamo fare un bel saltino, alla mammina- sibila dall’altro mio fianco Bella, la luce folle negli occhi e quel tono ancora più folle che pare aver maturato nel corso dell’ultimo anno –pensa al maritino, sarà chiamato a cancellare qualcosa che non vorrebbe mai vedere-.
 
Bella mette i brividi, esattamente come me. Forse è per questo che ultimamente mi piace tanto. È la compagna di squadra che preferisco.
 
-Lestrange donna, tu vai vicino alla fontana, proteggiti dall’esplosione. Così avremo la certezza che il colpo è andato a segno, con qualcuno così vicina alla donna- inizia a coordinare Nott, in quanto più anziano del gruppo, e a capo delle operazioni –Rookwood, tu dietro a quella ringhiera, mira alla pavimentazione. Rabastan e Mulciber, dietro alle colonne di quel museo, mirate alla fontana. Rodolphus, con me vicino a quella statua. Macnair, tu resterai qui vicino, c’è un’ottima visuale. Ci assicureremo che tutto sia andato secondo i piani, il fallimento non è contemplato-.

 
 

*

 
 
Quando la ragazza si smaterializza fuori dal perimetro della piazza, quello che vede la lascia sconvolta.
 
Nella fredda aria serale –Merlino, ma l’estate se la sono portata via?- il respiro della giovane si condensa in piccole nubi ghiacciate, mentre i suoi occhi, grandi e spalancati come piattini, vagliano la piazza come a prendere atto, semplicemente, della portata del disastro.
 
Il patronus di Emme l’ha raggiunta mentre stava passeggiando per Godric’s Hollow, con qualsiasi scusa in testa pur di non tornare a casa. Alle spalle, l’ha avvicinata Dorea, diretta nel luogo della tragedia, e insieme a lei e a Charlus si è materializzata in Chamberlain Square.
 
O in quello che ne rimane.
 
La fontana centrale è completamente sventrata, così come la pavimentazione completamente distrutta. Venti minuti dopo l’esplosione, il luogo brulica di sopravvissuti urlanti e feriti gementi. E di corpi. Sangue.
 
-Benedetta Circe, perché?- domanda la ragazza davanti a tanto orrore.
 
Non è per nulla abituata a tutto quello che vede. La donna accanto a lei, Dorea Potter, la sorregge con negli occhi uno sguardo rassegnato, indice che, di questi tempi, di spettacoli simili se ne vedono in abbondanza.
 
 

*

 
 
Il monumento centrale accorpato alla fontana è completamente divelto. Esploso in tremila piccoli pezzi, inonda la piazza di piccole parti di marmo bianco, talvolta segnato di macchie scarlatte. La polvere, nell’aria, impedisce di vedere con chiarezza.
 
-perché?- chiedo a Dorea scrollando il capo, turbata.
 
Charlus, accanto alla moglie, si stringe nel martello e si fa strada verso il centro della piazza. La fontana è distrutta, l’acqua sprizza ovunque e allaga lo spazio immediatamente vicino. Un frammento di qualcosa, riesco a vederlo, macchia di sangue una piccola pozza stagnante.
 
Mi avvicino quel tanto che basta per capire che è un piede, rivestito da un collant. La donna calzava decolté verniciate di rosso, simile a quelle che Marlene si è comprata non più di una settimana fa in un negozietto della Londra Babbana.
 
-il luogo è stato isolato magicamente, stanno arrivando gli obliviatori per rimettere tutto in ordine- mi dice Dorea colpendomi con una mano all’altezza del gomito, per attirare la mia attenzione e farmi smettere di guardare quella scarpa con sguardo tanto turbato.
 
-è possibile farlo? Rimettere tutto in ordine, intendo- mormoro. Certo di mostrare un sangue freddo che non pensavo di avere.
 
-ogni volta sembra più difficile, ma poi ci si riesce- mi rincuora lei con quello sguardo rassegnato. Chissà quanti ne ha visti.
 
-anche alle altre…?- anche gli altri lo sanno?
 
Dorea mi indica due figure che avanzano tra le macerie. Marlene è pallida come un foglio di carta babbana, e Sirius sfoggia un colorito verdastro che riesce, miracolosamente, a sbattere un po’ i suoi tratti da augusto Lord.
 
-per Godric, chi ha fatto…?- Marlene ha gli occhi sgranati, e avvicinandomi posso sentire il suo respiro accelerato. Abbassa gli occhi sulle sue scarpe, e si porta una mano alla gola quando si accorge del sangue che sta calpestando. Poi alza gli occhi su sua zia, che la guarda dubbiosa, e deglutisce.
 
-che cosa possiamo fare?- chiede poi facendosi forza, prendendo la mano a Sirius e stringendola piuttosto forte.
 
-Merlino, è ridotta perfino peggio di quanto sospettassi- mormora una voce alle mie spalle. La riconoscerei più o meno ovunque.
 
Gli occhi di Gideon, anche in mezzo alla morte, sanno di vita e chiarezza.
 
In volto è piuttosto pallido ma cerca con un sorriso di sdrammatizzare. Mi ritrovo a pensare che niente è più fuori luogo di quel sorriso, in mezzo a macerie e cadaveri, e al contempo più apprezzato da tutti. La tensione si scioglie di un poco.
 
-Signora Potter, si sa qual era l’obbiettivo centrale?- con voce efficiente e decisa, la compagna di Gideon si affaccia sulla scena. Ha davvero gli occhi più grandi e grigi che io abbia mai visto.
 
-no, Daisy, credo che prima si debba stilare una lista delle vittime e dei presenti in generale- le risponde Dorea, indicando la piazza –poi bisogna concordare una versione con gli obliviatori, informare i parenti dei… delle vittime. Portare al San Mungo i feriti-.
 
-noi ci occupiamo degli obliviatori… voi cercate le vittime?- chiede Gideon sfiorando un braccio a Daisy, e indicandole il capo degli obliviatori, appena giunto sulla scena. Poi si rivolge a Dorea e ci indica con un cenno –più informale, per loro-.
 
Per un attimo mi fermo a guardare la sua mano sul braccio di lei. Non è il momento, mi dico. Mi volto verso la piazza per iniziare a togliere macerie e…
 
Un urlo disumano da parte di un gruppo di uomini. Ci voltiamo tutti verso la fonte dell’urlo.
 
È un uomo di colore inginocchiato nel bel mezzo della piazza, le mani e la camicia bianca sporca di sangue.
 
 

 
 
 
*Jeffrey Robertson: ministro della magia fino al 1980, anno in cui sale “al potere” Millicent Bagnold, secondo la Rowling. Robertson non è dell’universo di Harry Potter, ma un personaggio inventato da me, poiché la Rowling non ha specificato il nome del predecessore della Bagnold.
 
 
NOTE:
 
sono in un ritardo spaventosissimo, lo so.
Prometto che aggiornerò entro e non oltre giovedì prossimo, l’estate ormai è finita. In realtà, non ho moltissime cose da dire, solo un grazie per le recensioni e la promessa di rispondere a tutti entro e non oltre stasera stessa. Ah, chiedo scusa se nella lettura avete per caso trovato errori-erroracci-orrori d’italiano, non so che mi sia preso negli ultimi due giorni, non riesco a restare concentrata per più di due minuti. Questo capitolo è un po’ spuntato per caso, so che avevo promesso il punto di vista di Remus e non dovevano esserci ne Lène ne Mary. In più non ci sono i flashback. Avevo bisogno di reintrodurre i mangiamorte, nel prossimo tornano sia Remus che i flashback. Nel prossimo, direi Remus, Alice e Sirius. Per il prossimo capitolo di Dorcas/Fabian aggiornerò tra qualche giorno.
 
Non credo di dover dire altro, quindi vi saluto e vi ringrazio, sperando di risentirvi.
Buona lettura,
Hir
 
P.S. No, non sono mai stata a Birmingham, ragion per cui mi sono affidata a internet per la descrizione della piazza sopraccitata. Se qualcuno c'è stato e ritiene che io abbia detto qualche enorme castroneria -possibilissimo, trattandosi di me- sono ben disposta a correggere.

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Capitolo 7
*** Nella Crisalide ***


NOTE:
avevo promesso che avrei pubblicato entro giovedì, e mantengo la mia promessa.
In questo capitolo, avevo promesso un PoV di Sirius. Beh, non c’è. Ma mi faccio perdonare perché ho scritto una One-shot dal suo punto di vista di questo capitolo che pubblicherò tra dieci minuti, tempo di mettere questa. È una storia un po’ triste, in realtà, un piccolo saltello avanti nel tempo. È un ricordo che Sirius si ritrova nella mente quando è in cella ad Azkaban, ma se vi va leggetela, sarà tra un po’ sul mio profilo con il nome “Ti sbagli, McKinnon, il dolore non ti uccide”.
Comunque, ci rivediamo in fondo, buona lettura!
 
 
 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMME
REMUS
FRANK
ALICE
PETER
MARY
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
Due ragazzi entrano in casa. L’ultima si sbatte la porta alle spalle.
 
-è mia, quella, sai? Ed è abbastanza importante, insomma, è una porta. Un portone. Un portone di casa, la mia casa. Potresti cercare di non romperla?-.
 
Il ragazzo, che ha mosso la lamentela in tono tetro, sbuffa infastidito alla fine della frase.
 
La ragazza, dal viso stravolto dalla stanchezza e lo sguardo decisamente buio, gli rivolge a malapena un’occhiataccia, prima di dirigersi verso il bagno.
 
-mi faccio una doccia- taglia corto bruscamente, iniziando a sfilarsi la maglia cercando di toccarla il meno possibile.
 
A Birmingham, in piazza, è riuscita a lavarsi via il sangue dalle mani alla bell’e meglio con il getto della fontana che, nonostante l’esplosione, continuava a buttar acqua nella piazza, sebbene con intensità minore. Tra le unghie, comunque, la giovane ha ancora linee rosse incrostate.
 
Bloccando un conato di vomito, e riprendendo a camminare, arriva a due passi dal bagno.
 
-Marlene, vogliamo parlare?- le chiede stancamente Sirius allargando le braccia in un gesto di arrendevolezza.
 
-parlare?- si volta la ragazza gettando la maglia dove capita, e guardandolo con gli occhi scuri infuocati di rabbia –di che diavolo dobbiamo parlare, Sirius? Non mi sembra il caso di parlare adesso di noi e di quello che hai chiesto prima. Ti ho già detto di no-.
 
-non volevo parlare della tua risposta- mormora il ragazzo in risposta, deglutendo forte –non ora. Volevo solo…-
 
-che cosa?- chiede la ragazza esasperata, i capelli sconvolti raccolti velocemente in una coda raffazzonata e gli occhi, scuri e intensi, grandi come piattini –volevi solo cosa? Parlare dello schifo epico di questa nottata? O del fatto che domani potremmo anche esserci noi, tra quelle macerie, sbriciolati in così tanti pezzetti da non saperci nemmeno più riconoscere?-.
 
-hai paura di questo, di morire?- le risponde allora a tono Sirius, raggiungendola nel tempo di due falcate, e prendendola per le spalle –anche io ho una fottuta paura che tu muoia. Vieni a vivere con me, Lène. Ti posso proteggere, io posso…-
 
-non abbiamo nemmeno diciannove anni, Sirius!- gli fa notare lei con un tono di voce decisamente scocciato, scostandosi verso la porta del bagno, pochi passi dietro di lei –con cosa diavolo vuoi proteggermi, un protego sfilacciato? Non voglio venire a vivere con te, non voglio andare a vivere con nessuno. Voglio vivere da sola, pensare con la mia testa, e godermi la mia vita fino a quando qualcuno non mi farà saltare in aria e…-
 
-non…- il ragazzo le si avventa contro, bloccandosi poi quando sente il corpo della ragazza teso tra il suo e la porta del bagno. Mordendosi la lingua tra i denti, nella speranza di bloccare quell’assurdo istinto all’omicidio che lo assalta ogni volta che Marlene parla in modo così cinico, abbassa il tono di voce -…non dirlo-.
 
La risata della ragazza, cupa e folle, è tutto fuorchè divertita.
 
-che cosa? Che morirò?- domanda guardandolo negli occhi –che ci prenderà tutti come topi in trappola, il bastardo? Ha già iniziato, ha iniziato mesi fa. Hanno provato con Emme e Lily, i genitori di Lily, persone che bruciano, persone che saltano in aria, persone che muoiono. Perché mai noi dovremmo essere diversi?-.
 
Il ragazzo sospira, chinandosi con il capo nell’incavo del collo di Marlene, che in risposta sospira pesantemente.
 
-ti va di fare la doccia insieme?- domanda poi con le labbra appena sotto all’orecchio sinistro di lei –mi concedi almeno quello?-.
 
Non ha una risposta, Sirius, e preferisce cambiare discorso piuttosto che ammettere la possibilità di fare la fine del topo.
 
 

*

 
 
-dovreste andare a casa anche voi, ora- mormora una donna dallo sguardo stanco rivolto a due ragazze e due giovani –ora che la situazione si è chetata un po’, arriverà la stampa e potrebbero iniziare a fare domande scomode da mettere a tacere-.
 
-ma, mamma…-
 
-no, James- lo mette a tacere con un cenno del capo, indicando il marito e i gemelli Prewett, poco distanti intenti a parlare con due uomini vestiti in abiti eleganti –quelli, sono del Personale di Supporto, direttamente delegati dal Ministro della Magia. Sono morte quarantasette persone di cui trentanove babbani. Siamo praticamente certi che il bersaglio principale dell’offensiva fosse la figlia del Ministro. L’uomo di colore con la camicia bianca che hanno portato via tre ore fa era il marito della ragazza, che era incinta di sette mesi e mezzo. Era anche il capo della squadra Obliviatori-.
 
-quindi?- chiede il ragazzo non afferrando totalmente il punto. È sveglio da ventitré ore e troppo stanco anche solo per pensare.
 
-James, era una persona importante. Vuol dire che la stampa ci marcerà sopra, non hanno scrupoli, quelli. E che probabilmente le indagini e le ricerche per il colpevole saranno svolte più minuziosamente del solito- replica sbrigativa Lily, una delle due ragazze accanto a lei. L’altro ragazzo, allampanato e con le occhiaie marcate, annuisce comprensivo –e guardati, non ti reggi in piedi-.
 
-si, Dorea ha ragione- cede anche l’ultima ragazza, i capelli corti raccolti sommariamente in una codina sulla nuca, e il volto pallido sporco di terra e polvere –è meglio andare a riposarsi. Ed è anche meglio che non ci vedano, smaltita la sorpresa e l’indignazione per l’attentato potrebbero iniziare a fare domande scomode. E noi non vogliamo che Dorea e Charlus passino guai per questo, no?-.
 
Alla fine anche James capitola e, salutata la madre con un bacio sulla guancia, segue gli altri tre verso il centro della piazza. Proprio vicino alla fontana, due gemelli e una ragazza stanno parlando.
 
-l’ultimo è Hamish Douglas, che è stato ricoverato d’urgenza al San Mungo un quarto d’ora fa. È un babbano, quindi gli verrà poi modificata alla memoria, ma a quanto pare se la caverà piuttosto bene per essere stato sepolto sotto due quintali di marmo per sei ore e mezza- sta dicendo la ragazza guardandosi attorno, sul chi vive.
 
Sembra piuttosto riposata, nonostante sia immersa da più di sette ore fino ai gomiti in sangue e macerie.
 
-Fabian- si intromette James attirando sul piccolo gruppetto gli sguardi dei tre Auror. Uno dei due gemelli sorride lievemente, mentre quello chiamato fa un lieve cenno del capo –la mamma ha la lista delle vittime e adesso a quanto dice cercherà di localizzare i punti esatti da cui è scaturito l’attacco. Pare che fossero sparpagliati per la piazza, forse con l’intento di portare a termine come si deve questo… massacro-.
 
Il suo sangue freddo è invidiabile. Sembra nato apposta per fare l’auror, con quello sguardo sicuro e quei capelli impossibili in testa sporchi di polvere bianca.
 
-perfetto, James, anche noi abbiamo finito, i feriti sono stati tutti portati via. Voi andate a casa?- chiede facendo volare lo sguardo sui quattro, esaminando il colorito terreo di Lily e le occhiaie profonde di Remus. Anche Mary non sembra stare benissimo, e ha uno sguardo tormentato che non le si addice per nulla.
 
-Mary, va tutto bene?- domanda sentendo il fratello irrigidirsi con la stessa chiarezza con cui avvertirebbe il proprio braccio piegarsi.
 
La ragazza alza gli occhi, scuri e decisamente arrossati, quasi fosse stupita di sentirsi tirare in causa. Alla fine, quando vede che tutti la stanno osservando, scuote il capo.
 
-sono solo stanca- mormora scrollando le spalle, e puntando lo sguardo alla fontana distrutta –e questo posto non è certo il migliore per risollevare il buon umore, no?-.
 
L’auror non può non darle ragione con un cenno del capo. Alla fine, con un saluto, si allontana in direzione di Dorea.
 
-ma non siete stanchi? Non c’è nessuno che vi dia il cambio, dall’ufficio?- domanda Lily curiosa, prendendo la mano di James.
 
-dovrebbero arrivare tra mezz’ora, i turni esterni durano otto ore per noi- le risponde la ragazza, accennando un sorrisetto –io sono Daisy, a proposito. Tu sei il figlio dei Potter?-.
 
James annuisce, stancamente.
 
-lei è Lily, la mia ragazza- mormora gentilmente, senza nascondere una traccia d’orgoglio che non può non far sorridere Remus –è meglio se torniamo a casa, è stato un piacere conoscerti. Ciao, Gid-.
 
Dopo averli salutati, i ragazzi si scostano pronti per smaterializzarsi.
 
-Rem, torni da Emme al quartier generale?- chiede Lily curiosa –perché lei è rimasta lì, vero?-.
 
-si, era il suo turno, e il suo compito era quello di rimanere lì ad aspettare notizie. Credo che il suo turno finisca fra un’oretta, la raggiungo e poi me ne vado a dormire- mormora il ragazzo con negli occhi l’idea di un comodo letto in cui riposare, magari insieme alla propria ragazza.
 
-ci sentiamo via gufo, allora- lo saluta con un sorriso-.
 
 

*

 
 
-chi…?-
 
-lupo- rispondo stancamente verso la porta di vernice rossa. L’anta si apre, e dalla fessura di luce intravedo gli occhi scuri di Emmeline, che mi guarda incredibilmente sollevata.
 
-Godric santissimo, per fortuna stai bene- esclama gettandomi le braccia al collo e facendomi barcollare. Con la sua solita gentilezza, fa per scostarsi e scusarsi per l’irruenza, ma con le braccia le circondo i fianchi perché non si possa allontanare.
 
La luna, che era piena appena qualche giorno fa, mi ha lasciato un po’ spossato e il non dormire per ventiquattro ore di fila non mi ha aiutato a recuperare la forma fisica. Ma sono così contento di vederla che sono disposto a dimenticare la stanchezza, pur di poterla riabbracciare con calma.
 
-ehi, sarai stanco e…-
 
-non mi importa, resta con me- le mormoro con il naso sepolto tra i suoi capelli. Sanno di pulito, di quello shampoo all’ambra reale che usa lei di solito –oh, scusami, non pensavo al fatto che sono sudicio di polvere e terra, ti sporco tutta-.
 
-non mi importa- sorride lei alzandosi sulle punte dei piedi per baciarmi con quella sua gentilezza particolare –era tanto brutto?-.
 
Deglutisco, non so se sono pronto a ripensare a tutto quello.
 
-in effetti…- scosto lo sguardo e, tenendola per mano, mi avvio nella stanza accanto, sedendomi sulla panca –l’obbiettivo era la figlia del Ministro della Magia. A quanto ho capito, stanno lavorando ad una legge sulla protezione dei nati babbani, una misura precauzionale in più per tutti i nati babbani del Regno Unito. A quanto pare, il Ministro della Magia era più che favorevole a questa legge, e si è detto più che d’accordo a sponsorizzarla. A quanto pare stanno cercando di fargli cambiare idea. Lo avevano già minacciato, e aveva fatto mettere sia la moglie che le due figlie sotto sorveglianza. La più grande, si trovava a Birmingham dalla suocera, gli Auror che l’avevano in custodia si sono allontanati un attimo e…-.
 
Mi mordo la lingua, il racconto per intero sarebbe troppo agghiacciante.
 
-la ragazza era incinta. Hanno completamente smantellato una delle piazze più famose di Inghilterra, capisci?- le domando con le lacrime agli occhi, sentendomi pesante di sporcizia e pensieri –hanno fatto saltare in aria una folla di gente. Quarantasette persone, quarantasei più il bambino, intendo, sono morte fatte a pezzi. Chi può essere così malato da…-
 
Emme deglutisce, portandosi una mano al volto.
 
-beh, un pazzo inneggia alla supremazia dei purosangue. Immagino che i matti che lo seguono siano disposti più o meno a tutto- mormora pallida come un lenzuolo –tra un quarto d’ora dovrebbe arrivare Caradoc, se vuoi possiamo andare a casa mia a riposare, i miei sono in vacanza-.
 
Annuisco, chinando la testa sul tavolo.
 
-è stato orribile. Ho raccolto mani, gambe e…- serro gli occhi, ma ho ancora quelle immagini davanti -…e ad ogni parte del corpo pensavo che i prossimi potremmo essere noi. Potresti essere tu, Emme. Ti prego, tirati indietro-.
 
Con un sorriso placido, lei scuote la testa. Sa che sono orgoglioso della sua tempra, e sa che le mie parole sono dettate dall’affetto che provo per lei. Non se la prende sicuramente, quindi, quando capisce che voglio solo proteggerla.
 
-sai che non lo farò, Rem- mi sussurra all’orecchio, chinandosi per darmi un altro bacio –non ti lascio da solo-.
 
Emme è cambiata. Il giorno esatto in cui ha iniziato a mutare è stato quello in cui mi ha spaventato di più.
 
 
Flashback-> ore 19.00 del 13 febbraio 1978
 
Non faccio in tempo a rientrare in Sala Comune che vengo travolto dagli sguardi preoccupati di Sirius e Lily. Lui è serio come non lo vedo da un po’, Lily ha le lacrime agli occhi e sembra mordersi le labbra nel tentativo di bloccarle.
 
-è successo…?- domando stranito.
 
Quando sono andato in biblioteca, poco più di un’ora fa, erano tutti contenti della giornata appena trascorsa, chi intento a giocare a scacchi chi a leggere o a scrivere lettere.
 
-un casino, ecco cos’è successo- esclama Mary con la sua solita verve, mettendo a tacere un sorrisetto e scoccando uno sguardo guardingo a Sirius e Lily.
 
-James dov’è?- chiedo incuriosito.
 
-in guferia- mi risponde Sirius indicandomi la mappa del malandrino, aperta spalancata sul tavolo.
 
-ma siete matti?- domando preoccupato –se qualcuno la vede…-
 
-è solo una vecchia pergamena, Moony, nessuno ci farà caso- mi blocca Sirius con un tono glaciale –io e Lily… abbiamo fatto un casino-.
 
Il sospiro affranto di Sirius, alla fine della frase, mi mette in allarme.
 
-James lo sa?- mi viene naturale chiedere.
 
Lily annuisce, scostandosi una ciocca di capelli dal volto ed asciugandosi una guancia. Una di quelle lacrime dev’essere caduta.
 
-perché stai piangendo, Lils?- mi preoccupo di più –qualunque cosa sia, immagino si possa risolvere-.
 
Cerco di essere conciliante, ma solo in questo momento mi accorgo dell’occhiata di Frank e Alice, che sembrano tutto fuorchè ottimiste. Mary distoglie lo sguardo e si alza dalla poltrona.
 
-vado a cercare James, magari gli va di parlarne- mormora passandomi accanto e sfiorandomi la spalla –tu dovresti cercare Emmeline, Remus-.
 
-Emm… che c’entra Emmeline?-.
 
Sirius sbuffa, avvicinandosi alla mappa del Malandrino e gettandoci un’occhiata.
 
-è arrabbiata con noi- mormora scostando lo sguardo da una parte all’altra della pergamena –e noi nemmeno ci pensavamo, alla sua reazione. Temevamo la reazione di James, pensavamo che…-
 
-reazione? Cosa c’entra Emmeline in tutto questo?- chiedo un po’ alterato invitandoli bruscamente ad essere chiari.
 
-sapevo chi…- sussurra Lily guardando la mappa, gli occhi vitrei –io sapevo chi è stato a torturarci. A novembre, sapevo chi era stato e…-
 
-cosa? Sapevi chi era stato e non lo hai detto a nessuno?- domando sbalordito.
 
-pensavo che se Jamie lo avesse saputo…- esclama punta sul vivo –insomma, sarebbe finito nei guai. È una testa calda, reagisce d’istinto e non pensa prima di buttarsi a capofitto su qualcosa. O qualcuno. Emmeline, invece, non…-
 
-fammi capire, Lily- la invito di nuovo, un po’ inquieto –tu sapevi chi era stato e non lo hai detto a Emmeline?-.
 
Il suo silenzio colpevole è una risposta più che sufficiente.
 
-come… perché?- domando sconvolto –sai quanto lei sia rimasta segnata da quello che vi è successo? Sai quanto ha lottato per…-
 
-basta, Remus- mi ammonisce Sirius, prendendo sorprendentemente le difese di Lily.
 
-tu lo sapevi?-.
 
Chi diavolo ha girato il mondo in questo modo?
 
-si, lo sapevo. Ed è vero, abbiamo sbagliato a non dire niente a nessuno. Lily lo ha detto a Silente, ma avevamo pensato che…-
 
-Sirius, ti rendi conto di cosa avete ta…-
 
-Remus, vai da Emmeline- mormora Lily alzandosi dalla poltrona e sporgendosi sul tavolino.
 
-non sei nella posizione migliore per dirmi cosa devo fare, Lily- ribatto decisamente arrabbiato.
 
-no, devi andare da Emmeline- insiste lei asciugandosi ancora le guance –è nei sotterranei, a due corridoi di distanza da Lestrange-.
 
-cosa c’entra…- domando interdetto.
 
-è stato Rabastan Lestrange, nel corridoio del quarto piano, a novembre-.
 
Fine flashback

 

*

 
 
Era rimasto affascinato dalla McDonald fin da quando, quel tardo pomeriggio ad Hogwarts, non l’aveva mandata a gambe all’aria per sbaglio girando un angolo e travolgendola con il suo passo deciso.
 
Con il passare del tempo, poi, anche a causa dell’aumento delle loro frequentazioni, dal momento che entrambi facevano parte dell’ordine, si è informato mano a mano sempre di più circa la ragazza e la sua famiglia. La madre e il padre, in particolare, ricoprono ruoli importanti all’interno del Ministero della Magia.
 
Essendo, poi, sua cugina una delle migliori amiche di Mary, non era stata affatto difficile seminare domande discrete qua e là per saperne un po’ di più. In otto mesi abbondanti, quindi, era venuto a sapere giusto due o tre cose dall’aria interessante.
 
Oltre al fatto che Mary sembra la versione femminile di Caradoc Dearborn a Hogwarts, è venuto a sapere che il suo colore preferito è l’amaranto, che il 17 marzo si veste di verde per il giorno di San Patrizio e che la sua famiglia, per quanto illustre, è composta da persone dalla mente aperta e facili al sorriso.
 
A quanto ha capito, i McDonald sono particolarmente ben visti a Godric’s Hollow per la gentilezza e la simpatia, mentre la figlia rappresenta una sorta di spina nel fianco per la Signora Remsy, vicina rompiscatole dei Potter.
 
Per questo, Gideon Prewett si sorprende assai poco alla vista del campanello di casa McDonald, del tutto babbano. Nemmeno i Potter hanno un campanello, per quanto babbanofili possano essere.
 
Il suono è lieve, come la risata di Mary.
 
-chi è?-.
 
La voce, dall’interno, suona burbera e severa. Per un istante, uno solo, Gideon prova la maledetta voglia di girare i tacchi e portare via l’anima da quello che sicuramente è il padre di Mary.
 
-Gideon Prewett- si fa forza a rispondere, alla fine.
 
Non può andarsene.
 
Visto da vicino, quando apre la porta, il Signor McDonald è… enorme. E intenso. Ha gli occhi del colore di quelli di sua figlia, e i capelli ramati ormai radi.
 
Non ha motivo di avere paura, Gideon.
 
A parte un’immaginazione molto fervida e pensieri assai poco casti su sua figlia, ma questo non è certo necessario che lo sappia anche il padre di Mary.
 
-posso fare…-
 
-cercavo Mary- esclama recuperando il contegno e i modi allegri che da sempre contraddistinguono lui e il fratello –James mi ha detto che abita qui, e ultimamente…-
 
-chi hai detto di essere, scusa?- domanda l’uomo mettendosi una mano sul fianco.
 
L’unica cosa che Gideon riesce a pensare è che quell’uomo ha braccia grandi come rami di quercia.
 
-Gideon Prewett-.
 
Ha per fortuna ancora abbastanza cervello da ricordarsi il proprio nome.
 
-e perché vuoi mia figlia?- gli chiede incuriosito ancora il signor McDonald, occupando maggiormente la porta così da impedirgli di vedere dentro.
 
Perché è fantastica, bellissima e non conosco qualcuno al mondo che abbia un sorriso nemmeno vagamente paragonabile al suo.
 
No, forse il Signor McDonald non intende la domanda in quel senso.
 
-emh… per… parlare!- esclama alla fine riappropriandosi per l’ennesima volta dei propri pensieri. È dai tempi in cui ha fatto amicizia con Dorcas che qualcuno non lo mette tanto in soggezione –ultimamente l’ho vista un po’ giù, e mi chiedevo se ci fosse qualcosa che…-
 
-avete sette anni di differenza, ragazzo, non può essere nel tuo circolo di amici- lo blandisce l’uomo, guardandolo truce –è troppo piccola-.
 
Obbiezione ragionevole.
 
Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Dov’è che l’ha già sentita, questa? Forse l’ha detta Dorcas.
 
-oh… io…-.
 
-Fergus, razza di animale, si tratta così chi suona alla tua porta!?- esclama una voce alle spalle dell’uomo. Quando Fergus alza gli occhi al cielo e si scosta, Gideon riesce a vedere Gillian McDonald, straordinariamente simile a Mary, stessa aura positiva e stesso sorriso a metà tra il canzonatorio e l’autoironico.
 
-scusalo… Gideon, vero?... si gonfia tutto come un galletto ma ti posso garantire che mio marito è innocuo- sorride la donna nella sua direzione, blandendo l’uomo con una mano –guardati, sei davvero un bel ragazzo! Non vedo spesso te e tuo fratello, ma devo dire che le parole di Mary ti descrivono decisamente bene-.
 
Mary? Davvero parla di lui a casa?
 
-è in casa?- chiede alla fine soffocando un singulto stupito –Mary, intendo. Volevo parlarle e…-
 
La donna lo guarda straordinariamente benevola, poi, dopo una lieve esitazione, scuote il capo.
 
-è partita stamattina verso le sette per la Scozia, sta un paio di giorni dai nonni e poi torna con una Passaporta, mi spiace- gli spiega Gillian voltandosi verso il marito –se vuoi, quando la sento le dico di farsi viva-.
 
-non…- deglutisce, deluso, prima di riprendere –non ce n’è bisogno, grazie, Signora McDonald-.
 
-vuoi entrare, Gideon?- gli chiede alla fine, intenerita, Gillian.
 
-no, grazie, devo andare al lavoro- mormora scrollando il capo, già pronto ad abbandonare il vialetto della villa. Alla fine si volta ed esita un attimo –signori McDonald, potreste dire una cosa a Mary da parte mia quando la… sentirete?-.
 
L’ironia sull’ultima parola è parecchio accentuata. Mary non è partita per la Scozia alle sette quella mattina, ne è certo. Alle sei e cinquanta era ancora a Birmingham, e lui l’ha vista.
 
-certamente- si limita a rispondere la donna.
 
-ditele che…- esita un solo istante Gideon –che si può risolvere. Qualsiasi problema abbia, qualsiasi cosa sia successa o qualsiasi cosa la spaventi, sicuramente c’è una soluzione. Ditele che c’è chi tiene a lei, e non vuole vederla infelice-.
 
-certo, Gideon, glielo diremo. Quando la… sentiremo- annuisce sull’ultima parola la signora McDonald, accentuando il tutto con uno sguardo pensieroso verso la finestra di quella che, immagina Gideon, sia la camera della figlia.
 
-grazie, buona giornata- li saluta con un sorriso, prima di voltarsi e allontanarsi in direzione del piccolo vicoletto riparata che ha utilizzato prima per la materializzazione.
 
Sono solo le nove e mezza e deve essere al lavoro solo alle due del pomeriggio, ma questo i McDonald non lo sanno. Non sa perché Mary abbia iniziato di punto in bianco ad evitare chiunque faccia parte dell’Ordine della Fenice, e lui con maggiore attenzione, ma sa che si è stufato di giochetti simili e vuole vederci chiaro.
 
La meta, quindi, della sua prossima smaterializzazione è una casetta come tutte le altre in un piccolo paesino del Devon, vicino a Torquay.
 
La porta della casa a cui si ritrova a bussare è assai diversa da quella dei McDonald, e non ha alcun campanello.
 
-Gid, è successo qualcosa a Molly e i bambini?- gli domanda suo zio aprendo la porta mezzo addormentato.
 
-buongiorno, zio- lo saluta lui lievemente divertito dalla faccia addormentata di cui suo zio fa mostra. Deve essersi appena alzato –no, assolutamente. Cercavo Alice-.
 
Lo zio si fa da parte, probabilmente con l’intento di tornarsene a dormire il prima possibile. E dire che sono già le nove e mezza, e la zia, che è mattiniera, dev’essere già dietro a pulire la casa.
 
-è in camera sua, credo stia ancora dormendo. C’è qualcosa che non va?-.
 
-no, assolutamente- gli risponde entrando e lasciando nell’ingresso il soprabito. Da quando la madre di Fabian, Gideon e Molly è morta, non è raro vederli arrivare con qualche quesito o qualche problema da risolvere sulla porta di casa, trafelati, alla ricerca di una risposta o qualche volta di un miracolo.
 
-ehi, Gid, c’è qualche problema?- gli domanda infatti la zia, facendo coda alla domanda del marito, intento a risalire le scale. Si volta un attimo per bloccare il coniuge con un dito ammonitore –no, non ci pensare neanche, Ed, tra cinque minuti salgo a rifare il letto, e se ci sei tu dentro mi arrabbio-.
 
-no, zia, nessun problema. Devo solo parlare con Alice-.
 
-si è appena svegliata- lo informa con un sorriso, andando alla finestra per sbattere con forza uno dei cuscini del divano –dille che la colazione è pronta, per favore-.
 
Antea Bones in Prewett, madre di Alice e zia paterna di Amelia e Edgar, ha lo stesso sorriso fanciullesco dei nipoti, e la stessa identica ossessione per l’ordine. Salendo le scale, si lascia alle spalle sia la zia intenta a riordinare che lo zio occupato a borbottare e sbuffare.
 
-Ali, sono Gid- esclama arrivato davanti alla porta della camera della cugina –posso entrare?-.
 
 

*

 
 
-Gid, il perché abbiamo litigato sono affari miei e di Mary, spero che tu non te la prenda a causa di questo tono brusco, ma sono stufa di queste domande da parte di tutti- gli dico rifacendo il letto alla bell’e meglio.
 
-lo sono, invece. Affari miei, intendo- mi risponde lui incrociando le braccia al petto. Quando Gideon si arrabbia di solito lo mostra apertamente, ma questa volta pare voler trattenersi. Riesco a capire che è scocciato dal modo in cui stringe gli occhi, però, e dalla linea dura delle labbra –sono andato a casa sua, poco fa-.
 
-a casa di Mary?- chiedo sorpresa. Allora la cosa è più grave di quanto temessi.
 
-si, ho parlato con i suoi genitori. Lei, ufficialmente, è in Scozia dai nonni. Probabilmente è in camera sua- sbuffa con lo sguardo affranto.
 
-abbiamo litigato per il mio matrimonio, in parte. Non so nemmeno se ci sarà, da come si stanno mettendo le ultime cose…- storco il naso, delusa. Delusa da Mary, e dispiaciuta per Gideon. Perché è evidente il coinvolgimento da parte sua, e Mary è una cretina, oltre ad essere probabilmente l’unica a non capire quello che mio cugino prova per lei.
 
Gideon tace, per qualche istante, poi si siede sul mio letto e alza gli occhi chiari e un po’ sbattuti su di me.
 
-mi sono innamorato di lei- mormora, e non l’ho mai visto così giù per un motivo tanto semplice.
 
-magari lei è… in Scozia veramente- tento di sollevarlo un po’ di morale, perché non c’è niente di peggio che essere innamorati di una persona e sentirsi completamente ignorati da lei. Anzi, addirittura evitati.
 
-lei non è in Scozia più di quanto lo sia io, Alice- borbotta tetro –fino a dieci giorni fa andava tutto bene, insomma, eravamo amici, ci vedevamo. Non spariva senza un motivo salutandomi a stento. Due giorni fa ero a Diagon Alley, e l’ho vista con quel suo ex ragazzo, Paul? Non mi ha nemmeno salutato-.
 
Queste, sono le cose che mi fanno davvero imbestialire. Mary è un’idiota, e sta facendo del male a Gideon e a se stessa.
 
Sospiro, e poi alzo di nuovo lo sguardo su Gideon.
 
-io e lei siamo in rotta, ultimamente. Se ne sono accorti più o meno tutti, lo so. Proverò a parlarle di nuovo, ma non posso assicurarti che non ci ritroveremo ad urlarci contro le peggiori cose come nelle ultime due volte. Credo che abbia paura-.
 
-paura?- mi domanda.
 
-paura di sentirsi legata a qualcuno o a qualcosa. È soprattutto per questo che non è d’accordo con il mio matrimonio. Anche Lène sta affrontando qualcosa di simile, a quanto dicono Lily e Sirius. Sono sempre state molto simili, ma affrontano le cose con un carattere assolutamente diverso. Lène è più malleabile, è disposta ad ascoltare. Mary no, se ne deve rendere conto da sola, che avere diciotto anni e fare programmi sul futuro, che sia lavorativo, affettivo o qualcos’altro, non è chiudersi in gabbia. Non lo capisce, ma forse un giorno ci arriverà-.
 
Gid annuisce, poi sospira, stendendosi sul mio letto come se io non lo avessi appena rifatto.
 
-il Signor McDonald mi odia- mormora –e poi, ha ragione. Ho sette anni in più di sua figlia, sono vecchio-.
 
-e io che pensavo fossero le donne le prima a preoccuparsi per le rughe- scherzo sedendomi accanto a lui e battendogli una pacca gentile sulla gamba –prima di iniziare a preoccuparmi della vecchiaia io arriverei almeno ai trenta-.
 
Ride in risposta.
 
-lo sapevo, sai?- mormoro poi guardando il muro davanti a me –che sei innamorato di lei, intendo-.
 
Non sembra troppo scioccato dall’ammissione, forse da che quasi tutti ce ne siamo accorti. Sicuramente sia io che Fabian, Dorcas –a lei non scappa mai niente- e Caradoc. Anche Ben, credo, ma è difficile capire quello che sa Benjy.
 
-da quando?- mi chiede alla fine.
 
Sorrido appena, scrollando il capo.
 
-da quel giorno ad Hogsmeade, in cui ci avete raggiunto durante l’uscita- mento prontamente. In realtà, la prima volta che ho pensato a mio cugino e alla mia migliore amica insieme è stato appena uscita dal camino del quartier generale, alla riunione vicina a San Valentino.
 
 
Flashback-> ore 18.20 del 16 febbraio 1978
 
Cinque minuti dopo il nostro tragicomico arrivo al quartier generale prendiamo posto nella piccola stanza che ormai pare un po’ troppo piccola per accoglierci tutti.
 
Questa volta anche Hestia, che la scorsa riunione non era presente a causa di motivi di lavoro, è seduta in quello che deve essere il suo posto ormai secolare, cioè accanto a Sturigs. Sono quasi dieci anni che quei due stanno insieme, possibile che non pensino al matrimonio, loro?
 
Mi basta uno sguardo in giro per la stanza, per valutare la presenza di tutti. James è seduto tra sua madre e suo padre, con quello sguardo lontano che ha negli ultimi giorni e la ferma intenzione scritta in fronte di non rivolgere né a Lily né a Sirius il minimo sguardo.
 
Questi due, insospettabilmente, sono invece seduti vicini. Con la bufera in arrivo hanno seppellito l’ascia di guerra che da anni brandivano e si sono fatti schermo l’uno con l’altra, in un modo che se va bene ha amareggiato James ancora più di quanto non avesse già fatto la rivelazione di Lily.
 
Gideon e Mary sono seduti vicini. Sarò anche fissata, ma sono cinque minuti buoni che li guardo. Quantoesattamente si sono scritti in questi due mesi? Mary ha detto che hanno parlato di quidditch, eppure sembrano amici da molto più che una manciata di mesi. Sono molto in sintonia, li vedo ridacchiare ad una battuta quasi si conoscessero da sempre. in effetti, il loro lato è l’unico da cui provenga qualche suono allegro.
 
-perfetto, ci siamo tutti e…-
 
-Professor Silente- esclama Emmeline interrompendo Moody, che le scocca uno sguardo stupito.
 
Tutti, nella stanza, ci voltiamo verso di lei, seduta tra Fabian e Caradoc con le braccia incrociate, sbalorditi da tanta intraprendenza. Insomma, non è propriamente un mistero la timidezza quasi patologica di Emmeline, che si vergogna anche di parlare in classe per fornire la risposta alla domanda di un professore. E ora, nel bel mezzo di un consesso formato da gente che quasi conosce soltanto per nome, alza addirittura la voce rivolta ad un professore.
 
Il Professor Silente, ben lungi dal mostrarsi scandalizzato, gli sorride con quell’aria compassata che ti fa andare il sangue al cervello se solo sei un poco irritata, e la invita a parlare con un cenno del capo.
 
-signorina Vance, prego-.
 
Emmeline assottiglia pericolosamente gli occhi. non so tutti i dettagli, ma so che giusto il giorno prima ha minacciato in un modo decisamente poco da Emmeline Rabastan Lestrange, puntandogli alla gola la bacchetta. Solo l’intervento di Remus l’ha distolta dall’affatturare gravemente quell’idiota di un serpeverde.
 
-mi può spiegare per quale motivo Rabastan Lestrange è ancora ad Hogwarts?- chiede lentamente, lo sguardo carico di rabbia e, probabilmente, lacrime represse.
 
-Signorina Vance, non credo che…-
 
La replica della Professoressa McGrannitt, decisamente stupita, viene interrotta da Lène.
 
-credo che sia diritto di Emme sapere perché dopo essere stata torturata e quasi uccisa, sia obbligata a vedere quell’essere a scuola ogni giorno, quando non meriterebbe solo l’espulsione, ma addirittura Azkaban-.
 
-non abbiamo la certezza, signorina McKinnon, della colpevolezza del ragazzo. Sebbene io…-
 
-la certezza? A quanto ha detto Lily- sottolinea le sue parole con un’occhiata a Lily che la dice lunga su quello che pensa in questo esatto momento –Lestrange ha nominato precisamente la sua sottoveste verde e…-
 
-Sebbene io- riprende il Professore, questa volta con un tono più duro –condivida in parte l’opinione della signorina Evans e della signorina Vance, ossia che uno dei responsabili dell’attacco sia stato Rabastan Lestrange, non posso provarlo davanti a nessuno, se non portando come prova qualche parola che la signorina Evans avrebbe afferrato in volo poco prima di precipitare a terra dopo una picchiata sul campo di quidditch-.
 
-Professore, condivido in parte il suo punto di vista- si intromette Mary con un sorriso condiscendente nello sguardo, seduta tra Gideon e Sturgis –tuttavia bisogna tener conto del fatto che se davvero il colpevole di quello che è successo a novembre nel corridoio del quarto piano è Rabastan Lestrange, probabilmente è anche il colpevole dell’omicidio di Grainne, accaduto pochi giorni prima-.
 
-è proprio per questo, signorina McDonald, che è necessario consentire a Rabastan Lestrange di rimanere a Hogwarts- le da ragione Silente, aggiustandosi gli occhiali dalle lenti a mezzaluna sul lungo naso –per poterlo tenere d’occhio più facilmente. Alla prima riunione dell’ordine, se non mi sbaglio, proprio tu, Marlene, avevi azzardato l’ipotesi che Regulus Black si potesse far marchiare nelle vacanze di Natale. Non sappiamo per certo se è andato così, ma fino a che terremo in considerazione quest’idea, potremo controllarlo. Se io mandassi via dalla scuola entrambi, sarebbero solo nemici incontrollati uniti ad altri Mangiamorte. È un controllo ridotto, quello che abbiamo su di loro, ma lo abbiamo comunque. Quando si è ragazzi così giovani, e si è portati per convizione o per forza ad esercitare azioni oscure di tali portata, non si ha mai la mente totalmente sgombra-.
 
-non avevate alcun diritto di deciderlo da soli- si intromette di nuovo a sorpresa, Emmeline. Questa volta, attira sguardi apertamente discordanti da parte della McGrannitt, che con gli occhi sembra invitarla a tacere. Emmeline la ignora, arrossendo un poco sulle guance –io e Lily siamo state torturate, io e Lily abbiamo rischiato la morte. E a dire la verità, nessuno tra voi mi sembra tanto sconvolto dalla rivelazione del nome della persona che pare essere la colpevole dell’omicidio di una studentessa e di svariate torture-.
 
-Signorina Vance, dovrebbe sedersi- la invita poco gentilmente Moody, ma si vede che è stupito dalla reazione di Emmeline. Non si aspettava una reazione del genere.
 
Emmeline ignora anche lui.
 
-quello che mi chiedo è perché, se davvero eravate già a conoscenza della cosa…- esclama non facendo caso all’interruzione- immagino ve lo abbia detto Lily dopo quella partita. Se già, quindi, eravate tutti a conoscenza della cosa, perché noi non ne sapevamo niente? Io e James siamo caduti dalle nuvole, non ne sapevano niente né Remus, né Frank, né Alice, Lène o Mary, oppure Peter. Gli unici a saperlo erano Lily e Sirius, di noi-.
 
-siete solo ragazzi e…-
 
-e facciamo parte di quest’ordine oppure no?- Emmeline dà in una risata aspra che non le appartiene per niente –non capisco. Pensate di averci dato il contentino, facendoci entrare in questo gruppo, e di prenderci in giro quanto volete, per usarci come marionette come e quando se ne presenta la necessità. Bene, siete liberissimi di giocare a scacchi con gli altri per quanto riterrete opportuno farlo, io torno a Hogwarts. Non mi interessa conoscere altra gente che si diverte a prendermi in giro, a quanto pare lo fanno già abbastanza i miei amici-.
 
Lo sfogo di Emmeline ha lasciato basiti tutti. Da Moody, alla McGrannitt, a Silente. Caradoc cerca di frenare un sorrisetto, e al contempo di soffocare un sussulto di dolore al probabile calcio che Ben gli ha appena tirato sotto al tavolo, per impedirgli di scoppiare a ridere ad alta voce. Tempo che la sala si riscuota, ed Emmeline è già scomparsa nell’altra stanza, sicuramente diretta al camino che la riporterà nell’ufficio di Silente.
 
Fine Flashback
 
 

*

 
 
-Mary, tesoro, posso entrare?-.
 
La voce, oltre la porta, costringe la ragazza ad alzarsi dal letto, su cui sta sdraiata. Ora, seduta, si passa una mano in viso pronta ad ascoltare quel che ha da dire il padre.
 
-certo- borbotta di malumore.
 
Tutta quella nottata ha fatto schifo. Anche la mattinata farà schifo, immagina. Ultimamente è la sua intera vita, persino i suoi pensieri, a fare schifo.
 
La porta si apre, lentamente, e il padre della ragazza entra nella stanza puntando lo sguardo dove sa già che troverà la figlia. Seduta in fondo al letto, raggomitolata su se stessa, come faceva da piccola quando qualcosa non andava bene.
 
Con calma, va a sedersi a metà letto.
 
-lo sai, mi piace quel ragazzo- brontola il padre di malavoglia.
 
La ragazza ridacchia.
 
-ma se te lo stavi per mangiare vivo- ribatte inarcando un sopracciglio.
 
Il padre è costretto ad ammettere che la figlia potrebbe avere ragione.
 
-certo, quel ragazzo faceva pensieri lussuriosi su di te, Mary- le dice con un sorriso –e nessuno si può permettere di pensare certe cose sulla mia bambina-.
 
Scrollandosi dalle spalle tutti gli sciocchi problemi di adolescente che si ritrova tra le mani, la ragazza vola con un sorriso tra le bracci del padre, lasciandosi abbracciare.
 
-papà, Gideon non ci pensa nemmeno a me. Abbiamo sette anni di differenza, e lui ha già una che gli svolazza intorno- lo rabbonisce con un sospiro stanco.
 
-una che gli svolazza intorno?- chiede in cambio il padre –e lui?-.
 
-boh, non lo so proprio- ammette la ragazza, scrollando il capo –non mi importa. Lei è bellissima, io non reggerei il confronto. E poi, lui nemmeno mi guarda-.
 
Qui, il padre scoppia a ridere.
 
-spero per lui che non vada a trovare a casa preoccupato tutte le ragazze che non gli interessano, perché sennò è sempre in giro-.
 
-che vuoi dire?- domanda la ragazza scostandosi un po’ dall’abbraccio del padre.
 
-Mary, nessuno con la testa a posto andrebbe a casa di qualcuna se non tenesse veramente a lei. È vero quello che ho detto, mi piace quel ragazzo. Più degli ultimi sette, per lo meno- la sgrida bonariamente –insomma, l’essersi preoccupato per te gli fa onore. È chiaro come un Patronus che ti voglia bene. E ha ragione. Non si scappa dai problemi, si risolvono. Non è quello che ti abbiamo insegnato io e tua madre?-.
 
-papà, io…-
 
-Mary, sai bene di essere la cosa più preziosa che ho al mondo, e che qualunque scelta tu farai io l’appoggerò incondizionatamente. Ma stai sbagliando, questa volta- la avverte gentile, guardandola in quegli occhi che hanno lo stesso colore dei suoi e il taglio di quelli di Gillian –ora vieni giù a fare colazione, bimba, prima che si freddino le uova-.
 
 






 
 
NOTE 2 IL RITORNO:
 
questo capitolo è stralungo, e direi anche bello pieno. Ritornano i flashback, e si spiegano in parte i vari cambiamenti di Emme.
In caso ve lo foste già dimenticato, vi ricordo la one-shot del pov di Sirius per questo capitolo, in onda tra una decina di minuti, la trovate sul mio profilo.
Sul capitolo non ho molto da dire, solo che adoro Gideon ma credo che dal finale del capitolo si capisca.
Stasera rispondo alle recensioni, ora devo postare la one-shot e poi uscire!
Per il prossimo capitolo, avete preferenze sui PoV? Di sicura c'è solo Emmeline.
Sperando che vi sia piaciuto,
Hir
 
 

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Capitolo 8
*** amici e nemici ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMME
REMUS
PETER
FRANK
MARY
ALICE
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 

“Per strada tante facce 
non hanno un bel colore, 
qui chi non terrorizza 
si ammala di terrore, 
c'è chi aspetta la pioggia 
per non piangere da solo[…]”*

 
 
 
 
Giusto in fondo a Diagon Alley, in un negozio stretto quasi quanto un corridoio tra la pasticceria più buona del mondo magico e il negozio di oggetti per il quidditch, un ragazzo e la madre stanno sistemando alcuni libri con esperti colpi di bacchetta.
 
La donna, una signora pallida ed esile con i capelli biondi e sottili, è in piedi su una scaletta dall’aspetto traballante; il giovane, un tizio alto e smilzo, dal volto piuttosto provato e occhi cerchiati di scuro, tiene d’occhio la signora stando ben attento a non farla cadere scontrando per sbaglio la scala.
 
-la sezione dei gialli babbani è a posto- mormora la donna tenendo una mano sul fianco, e voltandosi attentamente verso lo scaffale alle sue spalle –i saggi sulle pozioni che ho ordinato tre giorni fa arrivano domani, mentre quelli sull’erbologia e la storia impiegheranno almeno altri tre giorni-.
 
-così tanto?- chiede il ragazzo sorpreso –sono babbani?-.
 
-no- smentisce la signora, tendendo una mano al figlio affinchè l’aiuti a scendere dall’ultimo piolo di legno –ma arrivano dal continente, e devono passare non so che controlli per la dogana magica. Soprattutto quelli dell’erbologia, dovrebbero arrivare dalla Cina o dall’India, non ricordo, quindi impiegheranno più tempo del solito. Lunedì mattina prossima puoi aprire tu la libreria? Io devo passare dalla Gringott-.
 
Il ragazzo fa rapidamente due calcoli, poi annuisce.
 
-certo, mamma. Se Emme non ha impegni, le chiedo se mi viene a dare una mano. Lei qui dentro si orienta che è un piacere, io invece so a malapena dove trovare i libri più famosi- sorride il giovane scrollando il capo –la scorsa volta mi hanno chiesto un libretto di poesia e ho passato così tanto tempo a cercarlo che quasi temevo che la ragazza se ne sarebbe andata maledicendomi. Invece ha avuto la buona grazia di aspettare-.
 
-povera Emmeline, probabilmente se sapeva che uscire con te avrebbe comportato restare chiusi nella libreria di tua madre avrebbe deciso di uscire con qualcun altro-.
 
-assolutamente no, Ethel, anzi- esclama la ragazza in questione comparendo sulla soglia del negozio, come evocata dalle parole della donna –a Remus non l’ho detto, ma ho iniziato ad uscire con lui proprio perché questo era il negozio che io e Mary preferivamo in tutta Diagon Alley. È per caso passata di qui?-.
 
-intendi Mary, cara? No, non la vedo da un sacco di tempo, veramente- le risponde Ethel Lupin, lasciandole una lieve pacca sulla spalla e dirigendosi al bancone in fondo al negozio, letteralmente sommerso dai libri. Prendendone uno a caso, alza lo sguardo sulla giovane e le scocca un’occhiata sbarazzina –d’altronde, si è fatta così carina che dubito abbia tempo per leggere i nostri libri, tra tutti gli spasimanti che deve avere tra i piedi. Quel ragazzo così carino con cui è venuta qui due settimane fa, ad esempio…-
 
-mamma, Paul è solo un amico per Mary, a quando mi ha detto James adesso Mary è in Scozia da sua nonna, dovrebbe tornare tra qualche giorno- la ragguaglia il figlio voltandosi poi verso la propria ragazza –hai mica comprato la Gazzetta del Profeta, Emme? Ho sentito dire da un cliente che il figlio del sottosegretario anziano del Ministro è sparito-.
 
-cosa?- la ragazza pare proprio cadere dalle nuvole –non ne sapevo nulla-.
 
Uno sguardo, alle spalle di Ethel che ora è voltata verso lo scaffare dietro al bancone, colmo di preoccupazione.
 
-Emmett Morgan, figlio del sottosegretario anziano Patricia Baker Morgan- rivela la madre di Remus alzando a malapena uno sguardo tetro sul figlio e la di lui ragazza –Patty era una mia compagna di casa, a Hogwarts. Non ci stavamo troppo simpatiche, ma devo ammettere che alla luce degli ultimi avvenimenti la cosa potrebbe non essere più molto importante. Sembra proprio che prendano di mira i figli degli agenti del ministero, ultimamente. Avete saputo, no, della figlia di Robertson? Ma certo che lo hai saputo, Rem, non eri a dormire dai Potter, quella notte? Ho saputo che Dorea era nella squadra Auror incaricata di andare sul posto, come anche Charlus, ovviamente-.
 
 

*

 
 
Naturalmente parla dell’attentato di Birmingham, avvenuto tre notti fa, ormai.
 
Dal racconto che me ne ha fatto Remus, deve essere stata una notte orribile. Guardo Ethel passarsi una mano sulla fronte e poi sul viso, e mi sorprendo di vederla così stanca e provata.
 
-ma non pensateci- mormora poi con il sorriso tirato di chi cerca di risollevare un po’ il morale non riuscendoci pienamente –siete giovani, queste cose non vi dovrebbero toccare. Non a diciott’anni. Fate così, ora, uscite un po’. Andate, che so, a mangiarvi un gelato da Florian. A chiudere tra un po’ ci penso io-.
 
Con un sorriso tendo la mano a Remus, che me la prende grato.
 
-mamma, un gelato prima di cena?- chiede divertito. Sua madre, a quanto ho capito, fa raramente concessioni del genere alle rigide regole che il mio ragazzo deve seguire in casa.
 
-ah!- con uno sbuffo e un buffo cenno della mano Ethel ci liquida, indicandoci la porta in favore di un uomo dall’aria distinta, sicuramente un cliente, appena entrato nel negozio.
 
Mano nella mano, camminiamo per qualche metro in silenzio, diretti effettivamente alla gelateria di Florian, dalla parte opposta di Diagon Alley rispetto a dove si trova la libreria di Ethel.
 
-credi che…- mormoro un po’ soprappensiero, abbassando lo sguardo fino a trovare l’acciottolato del pavimento –credi che sia morto?-.
 
-Emmett Morgan?- domanda Remus stringendomi la mano, forse dispiaciuto per quella che sarà la sua risposta –se non lo è ancora, probabilmente…-
 
-Merlino, chi ha rigirato il mondo in questo modo?- chiedo con il morale decisamente sotto ai tacchi. Alzo lo sguardo al cielo, notando dalle nubi che probabilmente tra un po’ pioverà, e poi mi volto verso Remus –solo un anno fa la morte era così lontana che nemmeno ci pensavo. Ora è diventata…-
 
-una costante? Si, è terribile- sussurra lui –per lo meno, nessuno di noi è così in alto al Ministero da temere, per ora, per la propria vita. Dicono che il Ministro voglia dare le dimissioni, dev’essere stato un duro colpo quello di Birmingham-.
 
Scuoto il capo, un po’ rassegnata.
 
-la politica è così, non c’è nessuno di intoccabile. I segreti, gli affetti. Tutti hanno un punto debole- borbotto mentre raggiungiamo Florian ed entriamo nella gelateria –e di solito c’è anche chi non ha scrupoli nel colpire proprio lì-.
 
-beh, obbiettivamente parlando, è una buona tecnica- ammette Remus seguendomi all’interno –si capisce, più persone spariscono o muoiono più la paura cresce. Laddove non arriva il potere della corruzione, arriva il terrore. Costa molto meno ed è più difficile essere accusati-.
 
-io vaniglia e fragola, grazie- ordino in direzione del gelataio, aspettando che anche Remus dia le proprie ordinazioni.
 
Con calma, aspetto di raggiungere insieme a lui un tavolo libero all’interno del locale per riprendere a parlare.
 
-pensi quindi che l’attentato abbia sortito l’effetto sperato? Il progetto per la protezione dei babbani verrà ritirato?- domando incuriosita.
 
-beh, immagino che non abbia esattamente sortito l’effetto desiderato, se hanno avuto bisogno anche di rapire il figlio della Morgan. No, per quanto ne so il progetto rimane, ma adesso alcuni dei più eminenti maghi del Ministero stanno iniziando a tirarsi indietro e a far mancare il proprio appoggio. Non posso dire di non capirli, tra le altre cose. Insomma, se ad essere minacciato fossi io in prima persona sarebbe un conto, ma rischiare il senso di colpa per la morte dei propri figli…-
 
-chi non si è ancora tirato indietro?- chiedo alzando lo sguardo quando la ragazza che lavora con Florian ci porta due coppe di gelato semplici, lasciandoci anche alcuni tovagliolini sul tavolo –sai per caso i nomi? Secondo me, se isolassimo i nomi di chi non vuole cedere, potremmo avere un quadro più completo delle persone più a rischio. E poi, non so, fare qualcosa per proteggerle non sarebbe il nostro… compito?-.
 
Remus mi guarda con una traccia di gentilezza sul volto stanco.
 
-non possiamo proteggerli tutti, Emme- mormora alla fine scrollando il capo –riusciamo a malapena a occupare tutti i posti di guardia al quartier generale. Se uno solo si tira indietro scoppiano un sacco di guai. Anche se immagino che l’idea, per lo meno, di compilare una lista come hai detto tu delle persone più a rischio non sia da buttare via, no?-.
 
Sorrido, felice che almeno un minimo la mia idea lo abbia colpito.
 
-magari ne conosciamo qualcuno. A Hogwarts ci sono molti ragazzi figli di pezzi grossi del Ministero-.
 
-si, e la maggior parte di quelli sono anche figli di Mangiamorte. Credo che quella fetta sia ben protetta e, per di più, non corra alcun pericolo- storce il naso Remus, in una smorfia buffa che mi costringe a sorridere –però lo puoi proporre alla prossima riunione, magari-.
 
-anche James e Mary sono figli di pezzi grossi del Ministero, Remus. E se fossero in pericolo pure loro?- domando con una certa ansia nella voce. Questi ultimi colpi di scena non mi piacciono assolutamente, e mi gettano nello sconforto più totale –farò due ricerche, i giornali parlano spesso del Progetto e vari sostenitori forniscono interviste, soprattutto al Profeta. Magari riesco a carpire i nomi più in vista. Sapere è meglio che restare nell’ignoranza e cadere dalle nuvole come è successo in questi ultimi tre giorni-.
 
L’ultima frase, che ho appena sussurrato, pesa particolarmente sul silenzio che si viene a creare, mentre con il cucchiaino raccolgo un intero pezzo di fragola e me lo porto alla bocca.
 
 
Flashback-> 14 febbraio 1978 ore 19.05
 
Emmeline la buona, Emmeline la cara. Quella che ha il cuore grande. La timida, la gentile, quella che fa copiare i compiti.
 
Quanto mi hanno preso in giro, tutti?
 
E Lily. Lily.
 
Lily che era con me in quel corridoio, che mi teneva la mano; Lily, le cui unghie, conficcate nella pelle del polso, mi hanno aiutato a rimanere a galla, in tutto quel dolore, in tutta quella voglia di morire.
 
Lily che mi ha guardato soffrire.
 
Non mi sono mai sentita così. Ho una tale rabbia, in corpo, da non riconoscermi. Non è solo rabbia, ma umiliazione, delusione –oh, quanto brucia quella!-, rancore, stupore e un centinaio di altre emozioni che mi infiammano il cervello.
 
Non sono mai stata una persona così impulsiva. Tra tutte le persone che credevo di poter essere, questa proprio non l’avevo contata. Mi sembro una sorta di James Potter quando fino a qualche tempo fa torturava Severus Piton con ogni singolo respiro.
 
Ormai sono piena fino all’orlo: di cattiverie, di bugie, di gente che decide cosa farmi e non farmi sapere.
 
Remus che si prende la libertà di cancellarmi la memoria, due figure incappucciate che mi tolgono la voce e lasciano che a gridare siano i miei occhi, una delle mie migliori amiche che decide all’improvviso di tacermi una cosa così importante, qualcosa per cui non dormo la notte.
 
Dal momento che ogni volta che entro in sala grande posso vedere tranquillamente la figura di Lestrange occuparmi la visuale, e considerando che Lily fra un mozzicone e l’altro di parole sussurrate mi ha rivelato di aver già parlato con Silente, devo arrivare alla conclusione che anche sapendo l’identità del responsabile dei nostri attacchi il Preside non ha ritenuto necessario sbattere Rabastan Lestrange esattamente dove dovrebbe stare: a marcire con i topi in mezzo al mare del nord.
 
Sono sempre stata la più gentile, la più timida.
 
Per Alice un diario segreto, su cui scaricare incertezze e buon’umori. Per Mary un quaderno pieni di appunti, da cui copiare i compiti e riparare prima degli esami. Similmente per Lène, che ride della mia timidezza. Per Lily sono sempre stata la più normale delle cinque, quella più simile a lei, che non perde tempo in sciocchezze, quella mediamente più ordinata.
 
Merlino, forse è proprio ora che mi dia una svegliata. E mi viene da ridere se penso che non mi è bastato rotolarmi su un pavimento in preda al tormento più forte che io abbia mai provato, per scollarmi da questa mia ingenuità.
 
Ma non è forse a forza di bastonate che si impara a reagire?
 
Mi riscuoto quando capisco che sto quasi correndo. Mi fermo all’improvviso, ed ho il fiatone. Per un attimo non capisco nemmeno in quale parte del castello sono capitata, poi, guardandomi attorno, capisco dalle mura più spesse e dalla penombra più accentuata di trovarmi nei sotterranei.
 
Se mi vedesse qualcuno, forse sembrerei nient’altro che una pazza. Una povera pazza isterica in cerca di quei quattro cocci malconci che ha perso, per l’ennesima volta, quasi fosse troppo stupida per saperli tenere insieme per un tempo sufficiente.
 
-sei finita nella tana del lupo, ragazzina?- mormora strisciante una voce alle mie spalle.
 
So che è lui ancora prima di sentire la sua voce, ancora prima di sentire la sua sola presenza. È lui perché io desidero che sia lui, come non ho mai desiderato nient’altro in vita mia, nemmeno quella morte che ho così tanto agognato quella notte di tre mesi e mezzo fa in un corridoio non molto diverso da questo.
 
Stringo la mano sulla bacchetta, la impugno così forte da farle emettere, forse in segno di protesta, qualche scintilla rossa.
 
Mi volto con lentezza, e quando raggiungo i suoi occhi con il mio sguardo –occhi totalmente folli, come quelli di una belva in gabbia- riesco a vedere solo uno scintillio sorpreso.
 
Non mi aveva riconosciuto.
 
E come diavolo fai a non riconoscermi ancora, dannato bastardo, dopo avermi usato come un feticcio torturandomi per il tuo divertimento?
 
-oh, mettila giù, Vance- brontola con voce divertita, il pazzo, indicandomi quella che ha tutta l’aria di essere una bacchetta.
 
Passa solo qualche istante, prima che riprenda a parlare, Lestrange, ma è qualche istante che mi serve solamente per tornare in me.
 
La bacchetta, puntata alla sua gola tra me e lui, è mia. E mia è la mano che la regge.
 
Tuttavia, mi accorgo con rammarico, non è una presa migliore di quella che avrebbe un bimbo di due anni.
 
-suvvia, Vance, si impugna così una bacchetta?- mi chiede beffardo, senza la minima traccia di paura negli occhi –è proprio vero che a vuoi sanguesporco non dovrebbe essere permesso possederne una. Basta vedere come la tieni per constatare quanto poco tu sia portata alla magia-.
 
-senti da che pulpito- mi viene naturale rispondere. In me, la paura, è percepibile in ogni singola sillaba. Ho occhi umani, io, ed umane emozioni. Non come la bestia che mi ritrovo davanti –muta e legata, nemmeno a uccidermi sei riuscito-.
 
La stizza di disappunto svanisce così com’è arrivata, mentre le sue labbra si deformano in un ghigno quasi fanciullesco. Incredibile come quest’essere passi da irreale a familiare.
 
-non c’è gusto, Vance, a divertirsi con un bocconcino morto. Il gatto gioca prima di cenare- sibila facendosi più vicino –o ti posso chiamare Emmeline? Emme, come ti chiamano le tue amichette del cuore? Emmi? Meline? Non ne hai il coraggio, ragazza. Popolo i tuoi sogni più di quanto non faccia il tuo ragazzetto malaticcio, quel Lupin. Non è forse vero, che rivedi i miei occhi, quando ti addormenti?-.
 
Tremo al punto –non so se per il freddo, per l’umidità, i ricordi o l’umiliazione- da non riuscire più a dissimularlo.
 
Sento che con due dita mi raggiunge una spalla.
 
-la vendetta è un piatto che non ti appartiene, sciocca- sibila allontanandosi di qualche palmo, mentre il rumore dei passi sulle scale ad un corridoio di distanza interrompe questo stato di trance in cui sono caduta al ritmo cadenzato e viscido delle sue parole.
 
È dal momento esatto in cui le sue dita si scostano dalla mia spalla, e lui si volta per andarsene dal corridoio lasciandomi con una bacchetta puntata ridicolmente in aria, che capisco di aver incontrato qualcuno che non posso abbattere.
 
Rabastan Lestrange è talmente pazzo da spezzare ogni difesa. Talmente pazzo da terrorizzarmi.
 
Fine flashback
 

 

*

 
 
-bella la scozia, vero?- esclama il ragazzo aprendo la porta della camera della propria migliore amica –un panorama fantastico-.
 
La giovane, i capelli corti scomposti quasi al pari di quelli del ragazzo –impossibili da imitare alla perfezione-, sta sdraiata sul letto dando la schiena all’entrata, vestita di una maglia slargata che ha sicuramente visto tempi migliori e di un buffo paio di pantaloncini rosa shocking.
 
Il ragazzo non si scompone, l’ha vista conciata in modi anche peggiori.
 
-sparisci, Potter- si limita a rispondere Mary in tono tetro, affondando la testa tra il cuscino e le coperte.
 
-suona strano detto da te- dichiara tutto garrulo James, scuotendo la testa e sedendosi sul letto –normalmente a intimarlo era Lily-.
 
Da parte della giovane, solo un sospiro.
 
-sai, Mac? Non ha mai funzionato con lei, che è la donna della mia vita, non vedo perché dovrebbe funzionare con te- le rivela con quel tono allegro che usa di solito per risollevare un po’ il morale a tutti.
 
-io non ho alcun problema ad affatturarti, James- brontola rigirandosi e dedicandogli uno sguardo decisamente –al contrario di Lily, non ho bisogno di te per divertirmi tra le lenzuola-.
 
-già, a quanto vedo ti diverti abbastanza con lo zio Aengus- la prende in giro il ragazzo afferrando velocemente il povero orsacchiotto di pezza, rovinato e scolorito, e rigirandoselo tra le mani con attenzione –Merlino, ormai questo orsacchiotto versa in uno stato deplorevole-.
 
Mary, per la prima volta in due giorni, da in una risata che, davvero, sembra divertita. James la guarda confuso.
 
-deplorevole? Hai imparato una parola nuova, Jam?-.
 
Lo zio Aengus finisce dritto dritto in testa a Mary, che sbuffa maledicendo la dannata buona mira dei cacciatori di Quidditch.
 
-la dice sempre Lily, in genere riferita a qualche lato del mio carattere- commenta James scrollando la testa e guardando, dritto negli occhi, la propria migliore amica –senti un po’, hai intenzione di dirmi perché hai mentito a Gideon tre giorni fa o vuoi davvero farmi credere di trovarti in Scozia?-.
 
-tecnicamente, a mentire è stata mia madre- puntualizza Mary con quel tono da maestrina che ha imparato così bene da Emmeline –tre giorni fa, io Gideon l’ho visto solo dalla finestra-.
 
-quindi ammetti di non essere mai stata in Scozia!- esclama tutto giulivo con quel tono da Auror che sta provando e riprovando da anni, cercando di imitare sua madre.
 
In tutta risposta, Mary inarca delicatamente un sopracciglio.
 
-seriamente, Mac, sta diventando snervante- continua, questa volta più seriamente, James, mentre con le mani tortura lo zio Aengus –tra te e Alice non vi sbottonate di una virgola, stiamo iniziando a preoccuparci. Insomma, Gideon è venuto fino a qua solo per parlarti, perché è seriamente preoccupato. Sei sfuggente, con la testa tra le nuvole quando ci sei, a stento lo saluti. Ha detto di averti visto un giorno a Diagon Alley quando eri con Paul, e non lo hai nemmeno salutato. Ti sembra che…-
 
-da quando Gideon parla così tanto?- lo sconcerto, nella voce della ragazza, è palese.
 
-basta farlo bere un goccio, sai- le confida con un tono da cospiratore James, tornando serio in un attimo –comunque, non mi piace. Non mi piace per niente vederti così e…-
 
-James?- lo richiama all’ordine Mary mettendosi a sedere sul letto, faccia a faccia con l’amico –non è niente di grave, lo giuro, solo un paio di litigi con Ali. È un po’ strano, tutto qui, ma presto tornerà tutto normale. Sai com’è, il periodo, il matrimonio, la fine della scuola… è un po’ tutto sommato insieme, che mi destabilizza. Ma ti posso giurare che non c’è niente di cui preoccuparsi, con il tempo tutto si risolverà. E ora smetti di torturare lo zio Aengus, non ti ha fatto nulla- lo rimprovera bonaria strappandogli il pupazzo dalle mani e riappoggiandolo sul letto, tra il guanciale e la coperta un po’ stropicciata.
 
-e allora che cosa c’entra Gideon? Perché te la prendi con lui?- chiede un po’ spaesato.
 
Mary sbuffa.
 
-non c’entra nulla Gideon in particolare- mente con l’abilità di un’attrice provetta –è solo che non ho molta voglia di parlare, tutto qui. Davvero, Jamie, vi preoccupate per cose inutili-.
 
-sono due giorni che Lily scalpita- mormora decisamente più tranquillo James, dopo qualche attimo di silenzio –dice che quando eravamo in lite noi, parlare con te mi è servito molto. Quindi, in pratica, secondo lei devo ricambiare il favore-.
 
Questa volta è Mary a raggiungere con uno scatto lo zio Aengus e a tirarlo in testa a James, che si ritrae stupito.
 
-ah, quindi fammi bene capire- esclama fintamente oltraggiata Mary –tu sei qui perché sennò la tua ragazza non ti lascia in pace, non perché sei preoccupato per me!-.
 
James, con un’occhiata beffarda, scoppia a ridere.
 
-sai, Mac, come mi hai gentilmente ricordato te, io non ho lo zio Aengus con cui divertirmi tra le lenzuola. E con Lily che brontola è tutto meno…-
 
La ragazza, in risposta, si chiude le orecchie con le dita.
 
-non voglio saperlo, non voglio saperlo- esclama canticchiando. Quando James risponde con un sorrisetto, Mary lascia cadere le mani di nuovo in grembo –insomma, parlarne con Lily è un cosa, insomma, spettegoliamo, ma…-
 
-parlarne con Lily?- chiede perplesso Potter con quello sguardo da gufo strampalato che si ritrova in quelle condizioni –ti prego, dimmi che voi due non parlate di…-
 
-la maggior parte delle ragazze lo fa, James, se ha un’amica come me!- lo prende in giro divertita la ragazza, impietosa davanti al rossore lieve sulle guance dell’amico –vuoi sapere qualcosa di Remus o Sirius? Per il giusto prezzo, potrei parlarti anche di Fr…-
 
-chiudi quella bocca, McDonald!- abbaia ridendo James davanti alla sfacciataggine dell’amica. Davvero, può capire che cosa Gideon trovi in Mary, e non può non pensare –da bravo fratellone-, che tutto sommato Gideon è uno dei ragazzi più fortunati della terra. Escluso lui, ovvio.
 
Se solo i due fossero più svegli, non farebbero penare l’intera combriccola in questo modo!
 
 

*

 
 
-senti…- mi dice Mary dopo qualche minuto di silenzio, ancora con il sorriso sulle labbra –Caradoc mi ha chiesto se dopodomani mi alleno con lui a Quidditch, poco lontano da casa sua e di Benjy. Ti va di venire con noi? Non penso che per lui sia un problema-.
 
Seriamente sorpreso dalla richiesta, accetto con un movimento della testa.
 
-ti piace, vero? Caradoc, intendo- le chiedo appena appena divertito.
 
Caradoc, nel nostro gruppo, piace a tutti, chi più chi meno. Emmeline lo ammira, Lily e Remus ne sono divertiti, Alice ne è ispirata, Lène e Frank lo stimano, Peter ne ha una soggezione mista a idolatria, io e Sirius lo veneriamo… e, ben pensandoci, Mary non può che adorarlo, essendo più o meno la sua copia in versione femminile.
 
Mac sospira, teatralmente affranta.
 
-a quanto pare sono arrivata tardi, e per di più sembra pescare dalla mia stessa riva- scherza divertita alla fine, portandosi una mano alla fronte e scoppiando in una risata quasi cristallina. Alla fine mi rassicura –in ogni caso non mi avvicinerei a lui nemmeno se avessi qualche speranza. Ben, con una bacchetta in mano, incute terrore-.
 
Rido appena, un po’ rassicurato dal suo ritrovato buon umore.
 
-sei sicura di non volermi parlare della tua lite con Ali?- chiedo, così, tanto per avere qualche conferma. Così Lily non potrà dire che non ci ho provato abbastanza.
 
-dì alla tua ragazza che si preoccupa troppo, Potter- scherza lei dando in un leggero sorriso –insomma, ho diciott’anni, i capricci posso farli ancora per poco. Tanto vale approfittarne, no?-.
 
Alla fine, quando esco da casa McDonald, sono un po’ più tranquillo. Forse ha ragione, Mac, ormai gli avvenimenti ci portano a dimenticare che abbiamo solo diciotto anni. A diciott’anni non si dovrebbe combattere una guerra. Forse è giusto impelagarsi nei capricci più che nei Mangiamorte.
 
 
Flashback-> ore 06.50 del 17 febbraio 1978
 
-secondo me è ridicolo, tutto questo- esclama Mary sedendosi tra me e un ragazzetto del primo anno che mi guarda fin da che mi sono seduto al tavolo –intendo scendere a fare colazione in anticipo per evitare il tuo migliore amico, in caso non lo avessi capito-.
 
-non ti ho mai chiesto di venire con me a fare colazione presto, Mac- borbotto di malumore sbocconcellando appena una delle fette di bacon che mi ritrovo nel piatto –hai visto Emme? Quella ragazza mi piace sempre di più. Ieri alla riunione ha fatto vedere i sorci verdi a tutti, perfino Silente era colpito-.
 
Mary storce le labbra in una smorfia divertita.
 
-non l’avevo mai pensata così, ma effettivamente quello che ha fatto notare lei ha un certo senso. Ci hanno preso in giro, in pratica- borbotta un po’ infastidita –si servono di noi per tenere gli occhi aperti in questa scuola, e in cambio non ci dicono niente. E quello che è peggio è che nessuno di noi se ne è accorto, se non Emmeline-.
 
-non guardare me- ribatto alzando le mani al cielo in segno di resa –a quanto pare io qui sono uno dei deficienti che viene preso in giro dal proprio migliore amico e dalla propria ragazza. Anzi, sono IL deficiente. Il re dei deficienti, l’imperatore dei…-
 
-ti sei spiegato bene, Jam- ironizza davanti a me, mordendo una fetta di pane quasi fosse viva. Alla fine scrolla le spalle, mandando giù il boccone e sventolandomi davanti quello che rimane del toast –tuttavia dovresti tenere in conto il motivo per cui Sirius e Lils hanno taciu…-
 
-ti pare che io abbia reagito impulsivamente?- rispondo a tono posando con un gran fracasso la forchetta sul tavolo –ti sembra che io sia andato da Lestrange per fargli la pelle? Non che non ne abbia una voglia pazzesca, beninteso, ma sono cresciuto. Tengo in conto l’opinione di Silente, che è il più grande mago eccetera eccetera, e se dice che è meglio non reagire credo abbia un motivo per farlo. Sono maturo, e né Lily né Sirius se ne sono accorti, e si sono presi la libertà di decidere alle mie spalle cosa farmi o non farmi sapere. Come con un bambino, capisci?-.
 
-James, tu…-
 
-certo, io sono James Potter, l’idiota. E qualsiasi cosa io faccia non basta a mostrare alla mia perfetta ragazza che no, non sono un cretino. Due mesi e mezzo, Mary- sottolineo alzando la voce –lo sapevano da due mesi e mezzo. Potrei anche capire Lily, ma Sirius? Non l’ha mai nemmeno sopportata, la Evans. E ora, all’improvviso, sono amiconi? Ma certo, prendi un deficiente qualunque e pugnalalo alle spalle, è il modo migliore per fare amicizia-.
 
La mia sfuriata, tra le mura vuote della Sala Grande, risuona decisamente più tonante di come mi aspettavo facesse. Guardandomi attorno, mi accorgo che le uniche tre persone nella sala sono un corvonero del sesto e due tassorosso del primo, che guardano me e Mac con gli occhi sgranati.
 
Mary da in un sorriso minaccioso all’indirizzo delle due, che si voltano velocemente nel silenzio più totale, praticamente terrorizzate, e poi si volta verso di me.
 
-ti fai troppi problemi, Potter- mi dice a sorpresa, con un sorrisetto –vai da Sirius e tiragli un pugno, non fate così di solito voi uomini? Perfino Lène ha reagito più fisicamente di te. Lo sai che ha tirato a Sirius un ceffone? Passi che Marlene è una psicopatica, ci può anche stare, ma non è a me che dovresti dire queste cose. Sfogati con loro, picchiali e insultali quanto vuoi , ma risolvete i vostri problemi. C’è chi ne ha di peggiori, al mondo, e con la vostra aria da funerale state guastando l’atmosfera di tutti-.
 
-Mary, è un problema ser…-
 
-no, noi abbiamo un problema serio- mi risponde bloccandomi ed alzandosi in piedi. Con una mano, lievemente, si spolvera la gonna della divisa dalle briciole, poi mi rivolge uno sguardo truce –tra un po’ c’è la partita contro Tassorosso, e se solo la perdiamo per colpa delle vostre turbe mentali, James, non mi darò pace fino a quando non avrò appesi alla testiera del letto gli scalpi di tutti, nessuno escluso-.
 
Scrollandosi di dosso ogni parola, mi rivolge uno sguardo saputo e si dirige alla porta, mentre ancora la guardo sbalordito.
 
 Io ho un problema esistenziale, e lei pensa alla coppa?
 
Fine flashback
 

 

*

 
 
Fergus McDonald non ha mai visto il Ministero in un tale stato, e sì che ci lavora dentro, ogni giorno, da più di vent’anni.
 
Nell’ufficio dei Servizi Amministrativi Wizengamot non vola una mosca, ma solo occhiate poco meno che spiritate e lunghi sospiri che spezzano di quando in quando la tensione.  Uomini e donne vestiti del tetro color prugna –che, davvero, fa a pugni con il rame nei radi capelli di McDonald- si aggirano silenti sedendosi ogni tanto ad una delle scrivanie. Nemmeno la piccola Amelia Bones, sempre con il sorriso sulle labbra, sembra avere tanta voglia di parlare, e tiene i grandi occhi da bambola fissi sulle carte che sta leggendo.
 
-Bones, di là dagli Auror i Prewett sono in missione?- chiede Fergus avvicinandosi alla ragazza, che alza lo sguardo su di lui per niente intimorita. In fondo, basta conoscerlo un poco per imparare a ritenerlo completamente innocuo. È un uomo dal cuore grande, Fergus McDonald.
 
Soffocando un sorrisetto saputo, Amelia smentisce divertita.
 
-veramente fino a due minuti fa erano nel corridoio a parlare con Hestia, che deve essere appena tornata nel suo ufficio- cinguetta lieve indicando la porta –a quanto ho capito erano andati a prendersi un caffè-.
 
McDonald sbuffa, scrollando la testa esasperato.
 
-ecco dove vanno a finire i soldi delle nostre tasse! Nelle tasche di marmocchi che, invece di difenderci e fare il proprio dovere, bevono caffè!- esclama alleviando un po’ la tensione e dirigendosi verso la porta –se mi cercate, sono un attimo al quartier generale degli Auror-.
 
Con il caratteristico sorriso scanzonato sulle labbra, Amelia riporta l’attenzione alle proprie carte, sporgendosi sulla scrivania per afferrare la piuma ed effettuare alcune correzioni.  Il Signor McDonald, quindi, lascia la stanza nella sua spiegazzata tunica color prugna del Wizengamot, che su di lui sembra tutto fuorché una veste pomposa, e tempo quattro o cinque secondi arriva all’ufficio accanto.
 
Ovviamente, vederlo entrare al quartier generale degli Auror non è cosa strana, dopotutto. D’altronde, si sa, Fergus McDonald e Charlus Potter non erano solo compagni di casa, ad Hogwarts, ma anche e soprattutto migliori amici, caratteristica che hanno lasciato in eredità ai rispettivi figli, molto legati tra loro.
 
Quello che non è normale, tuttavia, è vedere Fergus McDonald dirigersi con il suo solito passo sicuro dritto ai cubicoli in fondo, ossia quelli occupati dalle reclute più giovani. In particolare, si ferma davanti a quelli su cui la scritta “Prewett”, campeggia un po’ malconcia.
 
-Gideon, giusto?- chiede ad uno dei due, mentre entrambi, uno davanti all’altro, alzano lo sguardo stralunato sull’uomo. Quello a cui si è rivolto, in particolare, deglutisce nel bel mezzo del silenzio che si è venuto a creare nella stanza.
 
Basta un solo sguardo stupito al resto delle facce, da parte del signor McDonald, per riportare un tiepido chiacchiericcio imbarazzato nell’aria.
 
-si?- domanda l’interpellato in risposta.
 
Il signor McDonald torna a puntare lo sguardo sul ragazzo, osservandolo per qualche attimo dall’alto in basso. Alla fine della valutazione, tutta la figura di McDonald si smonta un po’, scrollandosi di dosso quell’aria importante.
 
-dunque, io non ti ho mai detto niente, sia chiaro- spiega con fare cameratesco abbassando di un tono la voce, indicando con un cenno Fabian –ma stamattina in casa mi pare di aver capito tra un discorso e l’altro che Mary, domani sera, sarà ospite a cena dalla Meadowes, la Medimaga, che se non sbaglio è anche la ragazza di tuo fratello, per una serata tra sole donne. In caso poi tu non fossi abbastanza furbo da cogliere questa occasione, tra due giorni andrà ad allenarsi a Quidditch con il tuo amico Portiere, quel Dearborn-.
 
-capisco- risponde seriamente Gideon, meditando qualche istante in silenzio.
 
-lo spero proprio- asserisce in risposta McDonald, volgendosi verso la porta –devo andare, è una delle mattinate peggiori degli ultimi tempi. Buon lavoro-.
 
I due fratelli, con le fronti aggrottate in due identiche espressioni sorprese, tornano a guardarsi non appena la figura imponente di Fergus McDonald si avvia verso Charlus Potter, seduto alla propria scrivania e intento a scrivere un rapporto.
 
-non ne sapevo niente, della cena da Dorcas- chiarisce Fabian alzando le mani in segno di resa verso il fratello, che lo guarda truce –è una cosa fra donne, lo hai sentito, e io non sono una donna. Chissà se hanno invitato anche Caradoc. Dovresti prendertela con lui. Comunque, sia, sai…- mormora tornando alla propria lettura, con una mano a sorreggergli la testa e un gomito appoggiato al tavolo -…in fondo al cuore sono piuttosto contento di non avere un suocero. Quando vuole, McDonald terrorizza, anche se credo che questa sia stata una specie di benedizione. Auguri-.
 
E in cuor suo Gideon non può non pensare di averne seriamente bisogno.
 
 
 
 
 
*dalla canzone “Il bombarolo” di Fabrizio De Andrè, unico ed inimitabile.
 



NOTE:
 
allora, qui solo due PoV. Questo è un capitolo un po’ di passaggio, e a dire la verità non mi piace più di tanto. La cosa che mi piace di più, però, è Emmeline, che sta iniziando il suo periodo di rivalsa. Spero di aver spiegato coerentemente il suo punto di vista, e la prima fase del suo cambiamento.
Prossimo capitolo, tutto al femminile. Di nuovo Emmeline, per necessità di copione, poi Alice e Mary.
 
Per almeno il prossimo mese, direi di poter affermare che i giorni di “aggiornamento delle storie” saranno questi:
 
Per l’amore ai tempi dell’odio direi giovedì o venerdì, a seconda della settimana.
 
Per Primavera non bussa, lei entra sicura, o la domenica o il lunedì a seconda della settimana, anche qui.
 
Vi ringrazio un sacco per le recensioni, vado a rispondere subito!
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto,
Hir.





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Capitolo 9
*** tramando nell'ombra ***


Allora, innanzitutto questo capitolo è stato un parto. Santo cielo, non finiva mai, dovevo sempre scrivere qualcos’altro, e infatti è veramente lunghissimo. È un capitolo forse un po’ lento, ma necessario per fare andare avanti la storia. Ora, ovviamente, vi lascio alla lettura, per i pomodori ci vediamo in fondo.
 
 
 
LILY
JAMES
EMMELINE
SIRIUS
LèNE
REMUS
ALICE
FRANK
MARY
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 

Voglio raccontarle una cosa, Florence.
Mio padre era un uomo molto ricco, molto più di me.
Si mangiò quasi tutto inseguendo un sogno assurdo, una faccenda di ferrovie, una bestialità.
Gli piacevano i treni.
 Quando incominciò a vendere le proprietà io andai da mia madre e le chiesi:
"Perché non lo fermi?"
Avevo sedici anni. Mia madre mi diede un ceffone.
Poi mi disse una frase che adesso, lei, Florence, deve imparare a memoria.
Mi disse:

"Se ami qualcuno che ti ama, non smascherare mai i suoi sogni.
Il più grande e illogico sei tu"*
 
 

26 LUGLIO 1978, ORE 23.50, PERIFERIA DI BRISTOL
 
-Emme, non è meglio se vai a letto?-.
 
Sulla soglia della porta di quella che con molta fantasia potrebbe sembrare una camera da letto, un ragazzo alto e allampanato dai capelli biondo cenere fissa la sorella con aria assonnata.
 
La stanza, più che una camera da letto, ha l’aspetto di un archivio piuttosto disordinato.
 
Ogni superficie piana che abbia l’aria di poter sorreggere il peso di qualche foglio di carta è letteralmente sommersa di pezzi sparsi di giornali: il letto, il comodino, la scrivania, il piccolo pouf nell’angolo, la parte superiore della cassettiera fino ad arrivare, addirittura, al ripiano vuoto della scarpiera. Perfino la ragazza, vestita di un brutto pigiama di cotone con disegnate alcune pecore di dubbio gusto, regge in mano più di un giornale e porta la matita incastrata dietro all’orecchio.
 
Vedendosi totalmente ignorato, il ragazzo sulla porta non desiste.
 
-Emme, è tardi- insiste mettendosi una mano sul fianco, e appoggiandosi allo stipite della porta con la classica aria che mette su ogni volta che vuole intavolare una discussione in cui, lo sa, uscirà vincitore –devi andare a dormire-.
 
-sto controllando una cosa importante, Paul- borbotta infastidita storcendo il naso –quando ho finito ci vado-.
 
Il ragazzo da in un sospiro.
 
-Emme, quei fogli saranno lì anche domani. E dopodomani. E… ti dispiacerebbe dirmi dove li hai presi, tutti quanti? La mamma legge a stento la Gazzetta del Profeta!- esclama stupito entrando nella stanza e afferrando dalla scrivania uno stralcio del Quali Nuove da Circe?, settimanale di talmente bassa lega da costringerlo a riporlo con espressione schifata esattamente da dove lo ha preso –da quanto leggi questa roba? Credo sia la prima volta che entra in questa casa, e spero anche l’ultima-.
 
La ragazza scrolla le spalle, ma continua a leggere il ritaglio che ha tra le mani esattamente con la stessa attenzione di prima.
 
-sono stata al Ministero, stamattina- risponde alla fine della lettura, scartando il pezzo di carta su una pila più grossa e appuntandosi qualcosa su un foglio sottomano. Nel parlare, soffoca uno sbadiglio, tornando con gli occhi ben aperti a scorrere ora questo ora quel foglio di giornale –mi passeresti quello sul letto? Quello con la pubblicità della nuova Nimbus 1003, grazie. Ho accompagnato Lène, è in stage all’ufficio cooperazione internazionale. Non crederesti mai a quanti soldi i maghi spendono per comprare giornali che poi abbandonano da qualche parte. Ne ho raccolti alcuni. Per gli altri ho mandato un paio di gufi-.
 
Facendo vagare per l’ennesima volta lo sguardo nella stanza, il ragazzo aggrotta la fronte.
 
-e perché lo avresti fatto? No, dimmi che quello non è un ritaglio di Strega Oggi, ti prego- borbotta poi serrando gli occhi convintio–da quando in qua ti interessa il gossip?-.
 
Emmeline scuote ancora la testa, appuntandosi qualcos’altro.
 
-sto facendo un paio di ricerche sulle sparizioni, gli attentati e… tutto, insomma, quello che sta succedendo- fa un gesto vago a comprendere il tutto universale, compresa la sua stanza e tutti i fogli di giornali –voglio fare il punto della situazione-.
 
Il ragazzo, ora nuovamente sulla soglia, scoppia a ridere.
 
-oh, la signorina Vance vuole vederci più chiaro- la scimmiotta gentilmente –non è compito tuo, Emme! Tu sei solo una studentessa nuova di diploma che muove i suoi… primi passi in tutto ciò che non è scuola-.
 
La ragazza, in risposta, arriccia lievemente le labbra, quasi a trovare un qualche divertente sottinteso nelle parole del fratello.
 
-Paul, vai a dormire, d’accordo?- propone alla fine, bonaria, scrollando il capo –mi serve solo per stare più tranquilla, ecco tutto. Di cosa hai paura, che oltrepassata la mezzanotte io mi trasformi in una zucca? Non ti preoccupare, al massimo domattina sarò ancora qua. Arancione, ma ancora qua-.
 
Il ragazzo, per niente rassicurato sulle stranezze della sorella, sorride vagamente divertito.
 
-vuoi che ti aiuti?- domanda, più per gentilezza che per altro.
 
La ragazza scuote la testa per l’ennesima volta, liquidandolo con fermezza.
 
Alla fine, quando la porta si chiude, Emmeline prende l’ennesimo taglio di giornale. Da una foto quasi al centro del foglio, una donna sulla sessantina guarda il lettore con sguardo severo, vestita di una tunica giallo ocra e di un mantello verde smeraldo.
 

Marie Beckett ritratta
Volgiamo ad altro le nostre attenzioni
 
-I babbani sono protetti- risponde a viva voce il Vice Ministro Beckett, davanti agli inviati di tutti i più importanti giornali magici –le stime più recenti danno le perdite magiche in aumento, rispetto a quelle babbane. Secondo i dati raccolti ad oggi, non c’è alcun motivo di allarmarsi per la comunità non magica. Ogni babbano morto, tre sono i maghi vittime di circostanze misteriose. Non focalizziamoci sui Babbani, volgiamo a noi stessi le attenzioni del mondo della magia, del ministero e del dipartimento che ha come compito quello di garantire la nostra sicurezza-.
Secondo il Vice Ministro, infatti, il P.P.S.B. sarebbe una questione da accantonare. Il Progetto Protezione e Sicurezza Babbani porterebbe, infatti, ad uno spreco di energia e fondi senza alcun motivo certificato.
 
Intanto, nella tarda mattinata di ieri, 25 luglio, un pacco è stato recapitato nell’Ufficio del Personale di Supporto del Ministro della Magia. L’involucro, indirizzato al Sottosegretario Anziano del Ministro Patricia Baker Morgan, conteneva secondo fonti molto vicine alla donna la mano mozzata del figlio ventitreenne di Mrs Morgan. Esami di circostanza hanno stabilito che con ogni probabilità il ragazzo, Emmett Morgan, era già morto al momento dell’amputazione.

 
 
Ha già letto e riletto la storia raccontata da ben cinque giornali differenti, Emmeline. Emmett Morgan è morto, è quello che riportano tutti.
 
Soffocando un sospiro si porta due dita alle tempie, iniziando a massaggiarle, prima di accantonare su una pila di fogli già scrupolosamente controllata l’ennesimo taglio di giornale. Afferrando la bacchetta, alla fine, ne fa evanescere un plico con attenzione, cercando di non danneggiare gli altri.
 
In due giorni si è fatta inviare tutto ciò che le è venuto in mente. Numeri vecchi di due o tre giorni di ogni quotidiano, anche i più scadenti, gli ultimi settimanali che trattavano come argomento il P.P.S.B. e chi secondo loro era a favore di cosa.
 
Chinandosi di nuovo verso il foglio che tiene malamente posato su altri ritagli di giornali, depenna il nome di Marie Beckett, Vice Ministro.
 
Negli ultimi due giorni, la capisce un po’ di più, tutta questa paura. Come le aveva detto Remus, forse non si ha alcuna remora a rischiare la propria vita, ma su quella delle persone a cui teniamo di più pensiamo con il doppio del riguardo. Marie Beckett deve averla pensata proprio così, decidendo di ritrattare sul P.P.S.B.
 
Nel suo foglio, oltre ad essere presenti scritti in bella calligrafia i nomi di qualche pezzo grosso piuttosto irrilevanti, sono sottolineati quello del Ministro della Magia in persona e del Sottosegretario Anziano, già colpiti da perdite in prima persona. Poco sotto il loro nome.
 
 
UFFICIO DEL MINISTRO E PERSONALE DI SUPPORTO:
-Jeffrey Robertson
-Millicent Bagnold
-Marie Beckett
-Patricia Baker Morgan
-Edmund Collins
 
UFFICI WIZENGAMOT e APPLICAZIONE LEGGE SULLA MAGIA:
-Fergus McDonald
-Elijah Adams
-Addy Rachel Smith
-Barty Crouch
-Griselda Marchbancks
-Ferdie Davis
 
UFFICI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE:
-Hestia Jones
-Julian Edwards
-Tricia MacFadyen
-Ralf Thompson
 
 

*

 
 
Scruto la lista con sguardo critico, prima di sottolineare anche il nome Julian Edwards. È infatti sulla Gazzetta del Profeta del 26 luglio che leggo, addolorata, del ritrovamento del corpo di Betty Claire Edwards, moglie del rappresentate britannico alla Confederazione Internazionale dei maghi, Julian Edwards.
 
Nei due ritagli successivi trovo l’intervista concessa dal giudice del Wizengamot Ferdie Davis, che ritratta la sua posizione sul Progetto incriminante assicurando la mancanza del suo appoggio ad una tale iniziativa. Con un colpo veloce di piuma, cancello anche Davis, che subisce la stessa sorte che giusto pochi minuti fa è toccata a Marie Beckett.
 
Sospirando, alla fine, getto un’occhiata distratta all’orologio attaccato al muro, poco sopra alla porta.
 
È già l’una, e ci sono talmente tanti giornali da controllare, ancora.
A quanto pare, non conosco troppe persone che potrebbero restare coinvolte in questa storia. Pensavo ce ne fossero di più. Alla fine, solo il nome dei McDonald e quello di Hestia, appartenente all’ordine, sono venuti fuori.
 
Devo dire che i McDonald me li aspettavo: il padre di Mary è uno dei più rispettati membri del Wizengamot, e la maggior parte del Ministero della Magia tiene conto delle sue idee e dei suoi pareri. Ha molto ascendente sulle persone giuste, e questo è quello che mi preoccupa di più, perché lo posiziona esattamente al centro del mirino, e con lui anche Mary e Gillian potrebbero rischiare.
 
Hestia, invece, non me lo aspettavo per niente. È estremamente giovane, se si tiene conto dell’età media di tutti gli altri presenti sulla lista, e non sapevo occupasse un posto così in vista all’interno del Ministero. Cioè, per avere quasi ventisei anni è piuttosto in alto nella gerarchia.
 
Con un movimento della bacchetta, ripongo i ritagli di giornale che invadono la stanza nell’unico angolo in cui non mi daranno fastidio, ai piedi della cassettiera, e si prepara per andare a dormire.
 
Ha intenzione di portare la lista alla prossima riunione dell’ordine, per mostrarla a Silente. Probabilmente, anzi, è praticamente certa, non se ne farà niente, ma lei ha intenzione di dare il suo contributo fino in fondo. D’altronde non è così, che è entrata a far parte dell’Ordine a tutti gli effetti?
 
 
Flashback-> ore 18.15 del 19 febbraio 1978
 
-sei stata grande, davvero- esclama Marlene comparendomi davanti all’improvviso, proprio mentre sto lasciando la sala grande per tornare in dormitorio –ma adesso dovresti smetterla di tenere il muso anche a chi non c’entra niente, dico sul serio-.
 
Alzo appena gli occhi per incrociare quelli scuri ed estremamente sinceri di Marlene. Sistemandomi appena la borsa, non posso reprimere uno sbuffo.
 
-non sto tenendo il muso, Lène- rispondo vagamente infastidita, mentre con lei al seguito decido di andare in biblioteca. Non mi va di ritornare in stanza, e in realtà non mi va nemmeno di parlare con Marlene, per sentirmi dire quelle tiepide frasi che Alice cerca di snocciolarmi ogni volta che mi vede.
 
-non parli più con nessuno, fai finta di non sentire o vedere Lily, te ne sei andata da una stanza piena di maghi più grandi, più intelligenti e più potenti dopo aver urlato loro in faccia che “ho scoperto il vostro gioco e no, non ci sto a farmi trattare come una marionetta”. Si, tesoro, stai tenendo il muso-.
 
Vedendomi ferma all’improvviso, nel bel mezzo del corridoio, mi guarda con occhi sgranati mettendo le mani avanti.
 
-no, dico sul serio, sei stata davvero grande. Gliele hai cantate per bene, alla fine nemmeno Moody riusciva più ad articolare una frase di senso compiuto, e Dearborn è scoppiato a ridere e ti ha lodato a gran voce-.
 
Vedendo l’aria fanatica che ha impresso in volto mi viene quasi da ridere.
 
Me? Ha lodato a gran voce me?
 
Io non sono il tipo di ragazza che viene osannata perché rimette i cattivi al proprio posto: Mary è quella dalla lingua sempre pronta, Lène è quella talmente bella da mettere in soggezione ogni essere anche solo vagamente maschile nelle vicinanze, Lily è quella che mette in punizione, il prefetto perfetto, Alice è quella che si distingue per la dolcezza, la mamma della comitiva. Io sono solo Emmeline, quella buona e gentile che nessuno fila più di tanto.
 
-e credimi, non c’è davvero niente di male nel tirare fuori un po’ di grinta- mi dice leggendo la mia espressione meglio quanto non legga le istruzioni di pozioni –di tanto in tanto, perdere la bussola da qualche soddisfazione. Ma bisogna dosarsi, tesoro-.
 
-cosa…?-
 
-signorina Vance?-.
 
La voce che mi interrompe è talmente flebile da arrivarmi a stento all’orecchio. Quando mi volto, il corridoio sembra vuoto. Solo ad un secondo sguardo mi accorge che Marlene ha gli occhi puntati su qualcosa ad un livello più basso del normale.
 
-si?- chiedo al ragazzino, quasi un bambino, che mi ha chiamato.
 
-la Professoressa McGrannitt ha detto che il Professor Silente vuole vedere la Signorina Vance nel ufficio del preside-.
 
La ragazzina è talmente piccola e talmente intimorita da farmi tenerezza. Benché il timore, lo so perfettamente, sia causato ben più da Marlene che da me, non riesco proprio a frenare un sorriso rassicurante.
 
-ti ringrazio…?-.
 
Non mi da nemmeno il tempo di finire, che già scompare oltre l’angolo più vicino dopo appena un timido saluto.
 
-Silente ti vuole vedere?- chiede Marlene vagamente divertita, dirigendosi esattamente  –si, questa è la parte brutta del tirare fuori gli attributi, cara Vance. Non si sfida l’autorità costituita senza guadagnarsi anche una bella punizione. Ti aspetto in Sala Comune, ok? E non provare ad ecclissarti senza salutare-.
 
Mentre la guardo sparire, in lontananza, penso solo che l’Ufficio di Silente è decisamente all’altro capo del castello, e che di tutto ho voglia fuorché pagare le mie colpe.
 
Ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma non di evitarne le conseguenze. La frase tipo di mio padre, quella che ripete con l’aria di qualcuno che stia regalando una grandissima perla a qualcuno di decisamente indegno. Forse avrei dovuto ricordarla un po’ di tempo fa, tipo quando sono saltata in piedi nel bel mezzo dell’ultima riunione dell’Ordine.
 
Forse.
 
-ehi, ragazza, non si piange sulla pozione versata- mi sorprende la voce di un quadro, un tale con un lungo naso e capelli impossibili, probabilmente vedendomi andare in giro con quell’aria che assumo sempre quando rifletto. Devo sembrare un poco pazza.
 
Quando arrivo davanti all’ufficio, la gargolla si scosta senza alcun bisogno che io dica nulla. Sicuramente Silente l’ha avvisata, non può mica fornire la parola d’ordine ad ogni studente che convoca nel suo ufficio.
 
Quando entro nel suo ufficio, Silente è intento a sfogliare un giornaletto che, sulla sua grande scrivania ingombra di strani aggeggi, appare straordinariamente fuori posto. Vedendomi varcare la soglia, probabilmente, chiude il giornaletto e mi guarda seriamente.
 
-signorina Vance, si accomodi, prego-mi dice bonario, come sempre, curvando le labbra in un sorriso vagamente divertito.
 
Sembra sempre che quest’uomo, con la sua lunga barba, veda un sacco di altre cose che a noi sono invece precluse.
 
-Professore, io dovrei scusarmi, forse, per…- scrollo il capo inciampando su tutto ciò che mi si affolla nella mente. Non sono del tutto convinta di dovermi scusare di qualcosa, ma quello sguardo così azzurro, quel modo che ha di guardarmi, come se mi vedesse attraverso, e dentro.
 
-o forse, a scusarmi dovrei essere io- mi interrompe lui facendomi cenno alla sedia davanti alla sua scrivania, alla quale già prima mi ha invitato. Con circospezione mi siedo, rivolgendogli poi uno sguardo indeciso. Si, anche io trovo che si debba scusare lui, ma, insomma, è Albus Silente, quindi non posso mica pretendere le sue scuse!
 
-non viziare i ragazzi, Albus!- interviene uno dei ritratti alle mie spalle, con voce querula e petulante –un preside non deve mai fare le sue scuse a nessuno, può fare quello che gli…-
 
-grazie, Phineas- lo interrompe Silente con uno sguardo condiscendente verso quello che deve essere il quadro incriminato. Poi, con lo sguardo chiaro, torna su di me –signorina Vance, ammetto di essere rimasto molto colpito dalle sue parole, qualche giorno fa. Sai, Emmeline, ripensandoci credo fermamente che tu avessi ogni diritto di sapere che eravamo a conoscenza dell’identità di uno dei tuoi due torturatori. Tuttavia, essendo io un vecchio romantico che crede ancora nel potere dell’amicizia, ho preferito aspettare che fosse la signorina Evans, a parlartene-.
 
A sentir nominare Lily non posso trattenere una smorfia, ritrovandomi poi scrutata con più attenzione dal vecchio professore.
 
-è magnifico e terribile, il potere dell’amicizia- mormora con quello sguardo gentile che mette i brividi –a volte, le sue catene sono più forti di qualunque altra cosa. E spesso, ci si ritorcono contro. Vedi, sono fermamente convinto che Lily non intendesse farti del male, non raccontandoti del nostro amico Lestrange. In quel corridoio, voi due avete affrontato qualcosa di terribile, che ha ucciso più di un mago capace. Entrambe ne portate ancora i segni addosso, e dentro. Lily, aveva bisogno di rimettere al proprio posto ogni pezzo, e necessitava di tempo per farlo-.
 
-e io?- mi viene spontaneo chiedere. Tuttavia, l’impeto della risposta non è più quello di prima. Mi chiedo se Albus Silente sia cosciente di questo assurdo modo che ha di parlare, e di come riesca a manipolare la rabbia altrui con un semplice sguardo.
 
Sicuramente lo sa.
 
-non sto dicendo che non abbia sbagliato. Ma, sai, Emmeline, quando arrivi alla mia età tendi a non catalogare ogni emozione, ogni azione, come giusta o sbagliata. Ci sono così tanti riflessi, se ti soffermi a guardarli. Si è più inclini al perdono, o forse solo più stanchi di serbare rancore-.
 
Per un attimo appena, la sua frase mi fa sorridere. Non so il perché, ma per un attimo mi sento meno costretta, meno invasa dalla rabbia che negli ultimi giorni mi tiene bloccata sulle mie posizioni.
 
-per quanto riguarda l’altra questione, invece, non credo che mi scuserò. La mia più grande colpa è di vedervi come ragazzi, e se è vero che ho avanzato io per primo l’idea di farvi entrare nell’ordine, è anche vero che da voi non posso pretendere quello che chiedo agli altri componenti. È un tipo di impegno diverso, loro hanno una vita diversa-.
 
-quindi continueremo ad essere usati, come marionette?- chiedo con una punta di acidità che fino a qualche giorno fa non avrei nemmeno saputo dove prendere –non avete intenzione di…-
 
-non ho detto questo. Tuttavia immagino si debba giungere ad un compromesso- annuisce Silente con un pizzico di ironia –smetteremo di tenervi… all’oscuro di alcune cose. In cambio, il vostro impegno e l’azione saranno molto limitati. Fino a quando, per lo meno, non uscirete tutti da questa scuola diplomati. Siete studenti, Emmeline, e avete diciassette anni-.
 
Devo ammettere di non aver mai pensato di essere una mediatrice. Non mi ci sono mai vista a fare l’avvocato delle cause perse, proprio io, che spesso non ho nemmeno la forza per far valere il mio punto di vista.
 
-sai, Emmeline, il tuo intervento ha suscitato numerose simpatie, all’interno dell’Ordine- mi rivela Silente e, questa volta, sembra seriamente divertito –in pochi avrebbero avuto il coraggio e l’intelligenza per fare una mossa del genere davanti a tante persone più grandi, senza però offuscare la propria credibilità. Quando ha guadagnato te, l’Ordine ha acquisito un’ottima persona-.
 
Non sono proprio del tutto sicura che abbia tutta questa ragione, tuttavia sorrido e auguro la buona notte, alzandomi dalla sedia. Il professore, con lo stesso pacato sorriso di prima, mi congeda con tranquillità.

 
Fine Flashback
 

*

 
 
DIAGON ALLEY, ORE 15.30 DEL 27 LUGLIO 1978
 
Seduta composta sull’elegante sedia di ferro battuto, mentre due arzille signore la guardano con occhi attenti, Alice Prewett –tra meno di un mese felicemente in Paciock- scruta attentamente i segnaposti.
 
Il primo, una piccola boule di vetro contenente un mazzetto di margherite, stona decisamente con gli arredi dei centrotavola e i ricami nei tovaglioli al tavolo. Il secondo, un mazzetto di lavanda raccolto da un nastro di un viola più scuro, è decisamente troppo semplice.
 
-allora, cara, non trovi che questo sia assolutamente splendido?- le chiede la futura suocera scrollando elegantemente il capo e facendo così scrollare la testa anche all’avvoltoio impagliato.
 
Alice guarda con un sorrisetto il biglietto di pergamena bianca, deliziosamente dipinto con fiori stilizzati d’inchiostro nero.
 
-mi sembra un po’ informale- media poi arricciando lievemente le labbra.
 
-quindi, ricapitolando, questo non si accorda con le decorazioni, questo sta male con il colore della tovaglia, quest’altro è troppo semplice e questo troppo informale- sintetizza la madre, dal lato opposto rispetto ad Augusta, alzando gli occhi al cielo.
 
-e questi? Guarda, hanno tutti per tema il mare e…-
 
-io e Frank non ci sposiamo in riva al mare, mamma!- esclama ridacchiando ed indicandone due in particolare –ecco, questi secondo me sono quelli che potremmo prendere in considerazione-.
 
Augusta rivolge uno sguardo interessato ai due segnaposto.
 
Il primo, un cuscinetto bianco con tre gigli di stoffa sulle tonalità del rosso, ben si intona con la sotto tovaglia e il centro tavola. Il secondo, una sculturina astratta di vetro soffiato, è un tripudio di blu e viola, estremamente vivace e colorato.
 
-questo qui- interviene sua madre, indicando il piccolo oggetto di vetro soffiato –si accorda particolarmente bene con il tuo vestito, Alice-.
 
Augusta, sentendo nominare il vestito della discordia, fa orecchie da mercante e annuisce appena. Non le è andata proprio del tutto giù l’aver saputo che in realtà la nuora ha scelto il vestito senza di lei.
 
-ha bei colori, e il viola si intonerà al glicine che hai voluto mettere nel centro tavola- mormora arricciando le labbra e mostrando così quanto poco fosse d’accordo con la folle idea di mettere il glicine nel centro tavola.
 
-beh, allora vada per il vetro soffiato, è molto elegante e anche… giovanile, direi- sussurra Alice iniziando a riporre gli altri nella scatola di cartone da cui sono stati tirati fuori almeno un’ora prima, sospirando.
 
A questo punto deve solamente mettere a punto la disposizione degli invitati per la cena, scegliere definitivamente la composizione dei fiori e decidere quale giarrettiera esattamente indossare –chiederà aiuto a Lène, di certo non ad Augusta- sotto al vestito.
 
E chiedere a Mary che cosa ha intenzione di fare, se partecipare o no al matrimonio in qualità di damigella.
 
Sospira per la seconda volta, Alice, mentre Augusta e sua madre aprono in bellezza la discussione sulla disposizione degli invitati.
 
-alla fine hai deciso dove mettere la figlia dei McDonald?- chiede Augusta interessata. Tutti i tavoli, disegnati con precisione sotto le sue dita, hanno sei posti.
 
-in realtà no- risponde lievemente infastidita –anche se penso che la metterò al tavolo con Caradoc e Ben. Gli altri due occupanti sono Remus e Emmeline, quindi immagino che Mary e Paul si sentirebbero a…-
 
-dunque viene accompagnata, Mary?- chiede la madre stupita –avevo capito che Paul fosse solo un suo…-
 
-amico, si. Ma è anche un amico mio e di Frank, e Mary non può venire al mio matrimonio da sola. Nel tavolo affianco mettiamo Lily, James e i due figli della rivoluzione, Sirius e Lène- mormora distratta –e… Sturgis e Hestia? A Caradoc farà piacere avere piuttosto vicino il proprio migliore amico-.
 
-tesoro, non dimenticarti di aggiungere la zia Joey, mi ha mandato un gufo giusto ieri mattina per assicurarmi che ci saranno lei e Emerald- bisbiglia la madre con voce tragica –e ricordati che non parla con praticamente nessuno dei nostri parenti-.
 
-oh, guarda, c’è giusto posto per due persone al tavolo di mia madre e di Archie, con loro non avranno problemi- interviene Augusta per risolvere il problema –e i tuoi cugini? Gideon e Fabian vengono, non è vero?-.
 
-Fabian e Dorcas, naturalmente, vengono insieme- borbotta Alice indicando un tavolo opposto, nel foglio, rispetto al posto occupato da Mary McDonald –Gideon non mi ha detto se viene accompagnato, glielo chiederò appena lo vedrò. Anche se ne dubito. Se non venisse accompagnato potremmo metterlo al tavolo con il fratello, vicino a Edgar, Miranda e il piccolo Michael. In caso fosse in compagnia di qualcuna, immagino che potremmo trovargli un altr…-
 
-Signorina Prewett?- domanda cortese un cameriere, spezzando la conversazione.
 
La piccola e confortevole sala da tè in cui si sono date appuntamento mamma e figlia con Augusta è quasi vuota, tranne che per loro e un altro paio di coppie che riposano.
 
-si?-.
 
-è arrivata questa per lei- risponde il cameriere porgendole, dal vassoio, una busta di pergamena malandata. Sul retro, in una calligrafia tonda e perfettamente leggibile, è scritto il suo nome.
 
-cosa vuole tuo cugino da te?- chiede sorpresa Antea, guardando la busta come guarderebbe un ricciocorno schiattoso se mai lo incontrasse per strada.
 
-oh, io…- mormora Alice spezzando il sigillo e leggendo in fretta quelle due righe che sono scarabocchiate di gran fretta –vuole dirmi che al matrimonio verrà accompagnato, non è magnifico? Forse si è trovato una ragazza, e sarebbe anche l’ora. Abbiamo finito, non è vero, per oggi? Stasera devo passare a casa di Dorcas per sentire un parere su… sui fiori. Volevo sapere cosa pensava dei fiori-.
 
 

*

 
 
Alla fine, quando riesco a scrollarmi di dosso sia mia madre che Augusta, sono da poco passate le sei e mezza. Abbiamo alla fine spostato tutti i posti per far spazio a Gideon e alla sua cosiddetta nuova fiamma –che devo ricordarmi di fargli invitare, dal momento che ho inventato su due piedi che sarà accompagnato- e lo abbiamo, alla fine, piazzato con Peter, Amelia, Dorea e Charlus.
 
Merlino benedetto, sono stanca e la prospettiva dell’ennesima lite con Mary non mitiga il mio umore.
 
-ehi, Ali, sembra ti sia passato sopra un tappeto volante formato famiglia- ironizza Fabian quando mi vede trascinarmi verso lui e Gideon, con l’aria probabilmente stravolta.
 
-tutto sommato non è una brutta idea. Hosolamente incontrato mia madre e Augusta per gli ultimi dettagli del matrimonio, siamo rimaste a discutere tutto il pomeriggio della disposizione dei tavoli. Ah, giusto- esclamo poi in direzione di Gideon, che mi guarda stupito –vedi di invitare qualcuno per il matrimonio, perché ho detto ad Augusta che verrai accompagnato, per giustificare la lettera che mi hai mandato oggi-.
 
-come? E chi…?-
 
-non è un problema mio. Quindi, fatemi capire- chiarisco scrollando una mano per accantonare la questione precedente –ci stiamo autoinvitando a cena da Dorcas, che aveva invitato a cena solo Mary-.
 
-esatto- annuisce Fabian come se non fosse un segno di maleducazione universale invitarsi a cena da qualcuno che non solo non ti aspetta, ma probabilmente non ti ha invitato apposta per far fronte ad un problema con qualcun altro.
 
Probabilmente, l’intento di Dorcas era quello di tirare fuori qualche parola a Mary sul motivo di questo suo malumore generale senza l’impiccio di un fidanzato che è la copia sputata del più grande problema odierno di McDonald.
 
-sei certo che Dorcas non se la prenderà?- chiedo confusa. Insomma, Dorcas non è certo il tipo di persona che si arrabbia facilmente, ma credo scoccerebbe a chiunque vedersi piombare in casa qualcuno di non invitato mentre cerchi di estorcere, con le buone o con le cattive, una confessione ad una cara amica.
 
-Dorcas non è tipo di persona da arrabbiarsi così facilmente- scrolla le spalle Gideon mentre, insieme a Fabian, ci lasciamo alle spalle Diagon Alley. La casa di Dorcas è situata nella Londra Babbana, a pochi minuti dall’entrata del San Mungo.
 
-com’è che siete così informati sulla vita di Mary, comunque?- chiedo incuriosita. La McDonald in genere è una di quelle persone che tendono a farsi gli affari propri. Insomma, certo, si mostra gentile e affabile, talvolta anche sfacciata, ma sempre piuttosto incline a non parlare della sua sfera privata.
 
-abbiamo ricevuto una soffiata anonima- borbotta Gideon arrossendo in zona orecchie in modo preoccupante.
 
Gli rivolgo un’occhiata decisamente intrigata proprio un attimo prima di avere la forte sensazione di venir infilata in un tubo con la forza. Quando il senso di compressione svanisce, assaporo l’aria fresca serale con minuziosa cura, cercando di trattenerne nei polmoni il più possibile.
 
Non mi sono mai abituata alla materializzazione, è qualcosa che trovo assolutamente odioso. Quando sono io ad effettuarla, ancora ancora posso sopportarla di buon grado, ma nelle materializzazioni congiunte sono tutto fuorché un asso.
 
-se anche Dorcas non si arrabbierà, lo farà Mary- avviso Gideon passandogli davanti e dirigendomi alla porta dell’appartamento di Dorcas, a cui si accede dal piano terra. Busso leggermente, e attendiamo.
 

 

*

 
 
LONDRA, ORE 18.15 DEL 27 LUGLIO 1978
 
-quindi domani ti alleni con Caradoc?- chiede Dorcas alla ragazza più piccola, seduta all’altro lato del tavolo rispetto a lei e intenta a gustare la salsa d’accompagnamento della porzione di stufato che si ritrova nel piatto.
 
-si, viene anche James. E credo anche Ben- annuisce la ragazza rivolgendo uno sguardo al proprio piatto dopo essersi messa un pezzo di carne in bocca –è buono questo manzo, sei davvero brava in cucina-.
 
Dorcas ride, divertita da qualcosa che dapprima la ragazza non capisce. Vedendo lo sguardo stupito della giovane, la Medimaga scrolla il capo.
 
-in realtà, il manzo stufato nella birra è l’unica cosa che so fare. Quando vivevo con mio padre, cucinava lui- rivela con leggerezza –e anche adesso, quando Fabian si ferma a cena non mi fa cucinare-.
 
Mary sorride intenerita.
 
-è carino da parte sua, non vuole che ti stanchi per…-
 
-no- scuote il capo Dorcas, arricciando le labbra –credo lo faccia più per la sua incolumità. Non che sia così privo di tatto da farmelo notare, ma è decisamente più bravo lui a cucinare-.
 
-io cucino solo dolci- borbotta Mary sventolando la forchetta con poca importanza –tutto il resto mi da fastidio. Anche perché il salato, in casa mia, finisce subito. Prendi un arrosto, ad esempio. Lo cucini, impieghi tutto il pomeriggio, poi lo metti in tavola davanti a mio padre, e tutto il pomeriggio va in fumo quando ti giri e vedi che se ne è mangiato quattro fette nel tempo che ti è servito per riporre le presine-.
 
-l’ultima volta che ho cucinato un arrosto perfino Ben si è rifiutato di mangiarlo. E, credimi, Ben mangia veramente qualsiasi cosa. È stato… quando, cinque anni fa? No, sei. Ero stata accettata all’Istituto di Medimagia per aspiranti Guaritori. In realtà, l’avevamo cucinato insieme io e Fabian, ma lui non ricordo cosa aveva da fare e mi aveva lasciato sola con il forno per l’ultimo quarto d’ora di cottura. Sai, non ha molta dimestichezza con i forni babbani, quindi deve aver calcolato male qualcosa e… credo mi abbia lasciata troppo tempo in cucina da sola. Però hai ragione, il manzo è buono-.
 
Mary annuisce sull’onda delle ultime parole di Dorcas, inghiottendo una delle patate stufate che contornano il manzo.
 
-hai sentito del nuovo omicidio?- chiede poi interessata rivolta alla ragazza più grande –la moglie di Edwards, dico. Mio padre la conosceva, era una signora di mezz’età simpatica, ha detto. È spaventoso il solo pensiero di quanto potere hanno acquisito in così poco tempo. Riescono ad arrivare ovunque-.
 
Dorcas annuisce, un po’ soprappensiero.
 
-anche tuo padre è nell’occhio del mirino, Mary- fa notare con uno sguardo incolore la Medimaga –e anche Dorea e Charlus, secondo me. Insomma, non hanno niente a che vedere con il progetto, loro, e nemmeno in pubblico hanno mai espresso una vera e propria opinione. Però sono molto ben visti al Ministero, secondo me potrebbero essere…-
 
-rischiamo tutti, Dorcas- mormora Mary in risposta, scrollando la testa e puntando lo sguardo in quello verde della ragazza –per quello che mi riguarda, non ho paura. Chi non rischia per una vita migliore non ha il diritto di lamentarsi del mondo in cui vive e, sai una cosa? Io adoro lamentarmi. È uno dei miei passatemi preferiti-.
 
Con una risata lievemente più sciolta, la tensione delle prime parole si allenta un po’.
 
Mary è esattamente tutto quello che Dorcas non sarà mai, ed è proprio per questo che la ragazza più grande le si è tanto affezionata. E perché Gideon, che dopo più di sette anni è ormai praticamente un fratello, prima o poi troverà il coraggio di dichiararsi. Dorcas spera più prima che poi.
 
-sembri James, quando parli così, sai?- chiede poi scostandosi una ciocca di capelli dal viso, e sorridendo appena –anche Fabian parla così. Forse è una buona caratteristica dei Grifondoro, pronti a tutto pur di salvare il mondo-.
 
-beh, anche se non sei una Grifondoro anche tu fai parte dell’Ordine. Combatti per la libertà, combatti in prima fila- le fa notare Mary, inarcando le sopracciglia come a sottolineare un’ovvietà.
 
Il sorriso di Dorcas si schiarisce un po’, mentre la ragazza scuote la testa.
 
-la libertà? Forse, Mary. Forse combatto anche per la libertà- puntualizza esitando, sicuramente per scegliere al meglio le parole –sai, quando i Mangiamorte uccisero mio padre, io non avevo più niente per cui vivere. Mia madre sparì quando la mia lettera per Hogwarts arrivò. Non avevo amici, solo Ben. Allora mi misi in testa di… beh, in realtà non so esattamente che cosa mi misi in testa. So che volevo far vedere a chiunque avesse ucciso mio padre che io ero comunque più forte. Versata negli incantesimi, dotata per l’erbologia e la trasfigurazione, non avevo bisogno di passare molte ore sui libri-.
 
-vendetta, forse?- domanda Mary decisamente interessata. Dallo sguardo di Dorcas, capisce che per la ragazza aprirsi in questo modo non è facile per niente. Ma è come se Dorcas volesse trasmetterle un messaggio con il suo tipico modo, parlandoti di tante cose senza mai nominare quella che davvero gli interessa. Eppure, alla fine, nel bel mezzo dello sconcerto più totale, ti accorgi che l’unica cosa che tu hai sentito è proprio quello che voleva farti capire.
 
Dorcas scuote la testa.
 
-no. Più che vendetta, era il semplice bisogno di far capire loro che non avevano la minima idea della persona che si erano messi contro. Non ho mai voluto riprendermi la vita di mio padre. Volevo solo che sapessero, che capissero che anche se mi avevano portato via una delle persone più importanti della mia vita, non mi sarei certo inchinata davanti a loro. Se consideravano il mio sangue sporcizia, allora che sapessero cosa ero capace di fare. Io ero più brava di ogni singola goccia del loro purissimo sangue, solo questo. Mi bastava che lo capissero, e mi bastava per continuare a vivere anche senza un senso-.
 
La ragazza tace per qualche secondo, raccogliendo con scrupolo l’ultimo pezzo di carne.
 
-io combatto anche per la libertà, è vero. Perché quella che nutrono quei pazzi è un’utopia folle senza alcun fondamento, ed è dannosa. Ma sono nell’Ordine più che altro per Fabian. Voglio proteggere quello che abbiamo, perché lui ci crede e io ho il dovere di proteggerlo dalle sue idee. E di farne parte, in un certo senso. Non mi interessa, ora, dimostrare di essere più brava di qualcun altro. Ma se c’è qualcosa che mi permette di vivere, e di vivere veramente, è il mio amore per lui-.
 
È incredibile, Dorcas Meadowes. Il tono non è quello di una confessione, di una professione d’amore, o di cieca fede. È una constatazione, come a dipingere qualcosa che non può che essere così.
 
Non è romantica, non fa palpitare il cuore. Fa paura.
 
-forse, all’inizio, cercavo un ideale per cui morire- mormora Dorcas alla fine, sorridendo alla più giovane con negli occhi qualcosa di molto dolce e molto doloroso –adesso combatto perché ho qualcosa per cui vivere. Ti va se mangiamo un po’ del dolce che hai portato? Ha un aspetto delizioso-.
 
Con una scioltezza che ha quasi dell’anormale, Dorcas sorride e prende tra le mani il piatto ormai pulito di Mary. La McDonald invece, nel tempo che la ragazza più grande impiega per raggiungere la cucina e tirare fuori il dolce dal frigorifero, resta seduta al tavolo nemmeno ci fosse inchiodata.
 
Ha sempre questo modo di stupirti, Dorcas. Dopo mesi di corrispondenza non si è ancora abituata.
 
-hai più sentito Gideon?- le chiede la Medimaga alzando la voce, mentre dalla cucina è intenta a tagliare la torta al cioccolato –mi ha detto che è venuto a cercarti a casa, ma che ha parlato solo con tuo padre e tua madre-.
 
Un mugugno indistinto dalle parti della sala da pranzo le fa intuire la riluttanza, su quel fronte, di sostenere un discorso che abbia Gideon come protagonista.
 
-ha anche detto che tuo padre lo terrorizza- le confessa raggiungendola con due piattini di fine porcellana in mano –non era mai… cosa…?-.
 
Alcuni piccoli tonfi sordi riducono la ragazza al silenzio. Ci mette qualche secondo per capire che probabilmente qualcuno sta bussando alla porta, e con uno sguardo a Mary si alza in piedi.
 
-non aspetto nessuno, prendi la bacchetta e aspettami qui- mormora dedicando uno sguardo infastidito al dolce, che aveva appena cominciato a mangiare.
 
Dopo qualche piccolo rumore, si sente dall’ingresso un sospiro decisamente esasperato.
 
-e voi che cosa ci fate, qui?-.
 
 

*

 
 
Ripongo la bacchetta nel medesimo istante in cui sento la calma e la rassegnazione nella voce di Dorcas, a due camere di distanza. Non avrebbe mai usato quel tono con dei mangiamorte.
 
-stavamo facendo due passi nelle vicinanze, abbiamo pensato di venire a trovarti, amore- esclama tutto gioioso Fabian Prewett, comparendo dopo qualche istante sulla soglia della sala da pranzo –guarda un po’, c’è anche Mary-.
 
E quel guarda un po’ suona esattamente come la mia palla della Scozia: non ci crede nessuno.
 
-Fabian- saluto con un sorriso tirato, pregando qualunque tipo di presenza superiore per un miracolo. Stavamo facendo due passi nelle vicinanze. Merlino, fa che il plurale comprenda lui e Caradoc, o lui e chiunque altro sulla faccia della terra tranne…
 
-Mary ha fatto una torta al cioccolato buonissima, ne volete un po’?- chiede Dorcas comparendo alle spalle del proprio ragazzo. Dietro di lei, Gideon e Alice annuiscono appena. Il primo fa di tutto pur di non guardare dalla mia parte, mentre la seconda mi rivolge quello sguardo che ormai è abituale da dieci giorni a questa parte.
 
Merlino, con sette miliardi di anime al mondo proprio le uniche due che chiedo la grazia di incrociare il meno possibile, ultimamente?
 
Gideon, in particolare, vorrei vederlo sempre e non vederlo mai. Ed è una cosa che mi terrorizza, perché non l’ho mai provata, e perché non sono il tipo di persona che sa affezionarsi a qualcuno e non rovinare tutto dopo due settimane appena. Non sono il tipo che si affeziona, punto. Ma con Gideon è tardi, e se solo sapesse dei pensieri che mi girano per la testa si metterebbe a ridere per non finire più.
 
Non mi dispiace far ridere, sono il bersaglio preferito delle battute della combriccola, e in particolare di James. Ma non credo che questa volta mi farebbe piacere.
 
-la vado a prendere io- mi offro volontaria alzandomi velocemente e abbandonando la mia torta, solo appena sbocconcellata, sul piatto. All’improvviso, quel dolce che prima mi attirava tanto non mi ispira più neanche un po’.
 
Senza aspettare la replica di nessuno mi dirigo in cucina.
 
Dopo qualche minuto, in cui sto davanti ai fornelli senza fare assolutamente nulla, mi accorgo che nella stanza accanto hanno iniziato a parlare. No, non ho voglio di ascoltare, perché quello che potrei sentire magari non mi piacerebbe. Le uniche voci che sento sono quelle di Fabian e di Dorcas, che parlano tra loro di cose assolutamente normali, e lo fanno escludendo tutto il resto da quel loro piccolo mondo dorato a cui non mi sono mai abituata.
 
-i piattini sono nella credenza sopra al forno, e i cucchiaini sono…-
 
-nella cassettiera accanto alla lavatrice, lo so- borbotto in risposta alla puntualizzazione di Alice, che è comparsa sulla soglia della cucina con quello sguardo grave che ormai le vedo in volto ogni volta che m’incontra.
 
Chissà, magari questa volta riusciremo a parlare civilmente.
 
-sai, sapevamo che eri a cena qui- mi dice con un sospiro appoggiandosi allo stipite della porta e guardandomi. Dal mio posto accanto ai fornelli sbuffo.
 
-non l’avrei mai sospettato, se non mi avessi fatto la grazia di dirmelo- sbotto voltandomi verso la credenza e afferrando una pila di tre piattini. Sul tavolo, la torta aspetta solo di essere tagliata.
 
È più forte di me, non ci riesco a rispondere educatamente. Odio essere braccata, e queste quattro pareti, con lei sulla soglia dell’unica porta della cucina, non mi consentono alcuna via di fuga.
 
-si, sei esperta di palle, mi hanno riferito- ribatte lei con lo stesso tono di sempre e, in un lampo che tutto fa fuorché schiarirmi le idee, so già come andrà a finire questa discussione. Esattamente come tutte le altre –era bella la Scozia?-.
 
Alzo gli occhi al cielo, scrollando le spalle.
 
-non sono affari che ti riguardino, Alice- rispondo schiva sporgendomi verso la cassettiera.
 
-ti sbagli Mary. Per quale motivo fai così? Sembra che far male alle persone sia diventato il passatempo che preferisci- borbotta lei voltandosi appena in direzione della sala, e poi guardandomi con occhi lucenti di rabbia –fino a che l’unica vittima resti tu, puoi fare quello che vuoi, ma la cosa si sta allargando troppo e…-
 
-per fortuna c’è Alice Prewett, allora, paladina della anime innocenti. Quella che si sbaglia sei tu, Ali, io posso fare quello che voglio della mia vita. Non devo renderne conto a nessuno, e di certo non a te-.
 
-fai quello che vuoi, allora!- esclama lei esasperata. Lo sappiamo entrambe che è lei quella che ha motivi validi per parlare, e che io sono quella che si arrampica sugli specchi per mantenere una posizione che in realtà nemmeno capisce troppo bene. Forse è meglio trincerarsi nelle questioni di principio, perché se solo provassi a guardare dentro e ad esporre i fatti così come sono potrei farmi parecchio più male di quanto non me ne stia già facendo.
 
E non è che adesso io sia proprio al massimo della forma, come dolore mi pare già abbastanza.
 
-è quello che ho intenzione di fare- sbotto di riflesso. Nel silenzio che segue, mi accorgo che in sala da pranzo le chiacchiere sono cessate, e quasi me li immagino, i Prewett e Dorcas, intenti a scambiarsi occhiate e a capirci qualcosa, in quel litigio da bambine recalcitranti.
 
-bene, ma immagino tu non abbia alcuna intenzione di fermarti a raccogliere i cocci di tutto quello che ti lasci dietro- riprende Alice dopo un po’, perché, davvero, lei ha questa mania assurda di volerti fare entrare in testa la sua visione delle cose in ogni modo possibile, quando invece a me basterebbe che ognuno si facesse gli affari propri per andare avanti tranquillamente per la nostra strada.
 
A questo punto, perché tanto è inutile restare in cucina e continuare a sbraitarci contro cose che comunque ci siamo già dette, afferro due dei piattini e le indico il terzo con un secco cenno del capo.
 
-non mi pare il luogo più adatto per parlarne-
 
Entro in sala quasi sussurrando. Fabian, Gideon e Dorcas sono seduti al tavolo, i primi due l’uno accanto all’altro e l’ultima esattamente nello stesso posto che ha occupato per tutta la sera. Alice sbuffa, teatrale, e poi scoppia in una risata che di comico non ha assolutamente nulla.
 
-eccolo, l’espediente che ti permetterà di scappare un’altra volta, vero?-.
 
-Alice!- la rimprovera Fabian sgranando gli occhi, ed effettivamente è qualcosa di astruso, il tono che ha usato. È il classico tono che Marlene usa per litigare con Sirius, completamente disincantata.
 
-una volta è il luogo a non essere adatto, quella dopo non è il momento, o la compagnia- sibila indispettita ignorando completamente Fabian e gli altri due –c’è sempre qualcosa di sbagliato, vero, Mary?-.
 
-forse ad essere sbagliato è il fatto che infili il naso in fatti che non ti competono, Miss tutto-deve-essere-perfetto!-.
 
-lo sarebbe, se i fatti non mi competessero!- esclama alzando le mani come ad implorare qualcuno, e poi riabbassandole in uno scatto di ragionevolezza –con calma, ti prego, parliamo con calma-.
 
Questa volta, a ridere sono io.
 
-ma io non ho alcuna voglia di parlarne, Alice! Sei tu quella per cui niente è apposto fino a che non riuscirai a farmi capire che la tua versione è quella giusta. Per me potremmo anche far tornare tutto come prima, io non…-
 
-in poche parole, per te potremmo anche ignorare il fatto che sei una bambina viziata e codarda-.
 
Da quando siamo passati ad insultarci, io e Alice Prewett? Cosa è andato storto, nel nostro rapporto, per arrivare a questo punto? I nostri tre spettatori, uno più stupito dell’altro, ci guardano chi a bocca aperta chi a occhi sgranati. Dorcas arriccia appena la labbra.
 
-sentite, ragazze, vi va di sedervi e…- prova a mediare.
 
-e restare qui a farmi insultare? No, grazie- sbotto rivolgendo ad Alice, che mi guarda accusatoria, uno sguardo a metà tra lo stupore e la delusione più totale. Mi conosce da sette anni, è da sette anni che pensa a me come ad una bambina viziata e codarda?
 
-Mary, ti prego, non…-
 
Non sto ad ascoltare la replica di Dorcas, e arrivata nell’ingresso raccatto il mantello con mani tremanti di rabbia.
 
-sei una delle mie migliori amiche, davvero- mormora dietro di me Alice, e solo sentendola mi accorgo di essere stata seguita anche da lei, oltre che da Dorcas. Sembra essersi sgonfiata, Alice, e ora mi guarda con una stanchezza e una rassegnazione che non ho mai visto sul suo volto –e so che questi litigi fanno male a te quanto ne fanno a me, Mary. Io fra meno di un mese mi sposo, e se tu sarai tra le mie damigelle io sarò felice. Se non ci sarai, mi sposerò lo stesso, ma sarò meno felice. E saranno meno felici anche le persone che ami e che ti amano, quelle che tu cerchi così disperatamente di allontanare da te-.
 
-stai cercando di…-
 
-no, non ho finito. Sei una delle persone più intelligenti che conosca, quindi immagino che tu capisca che a questo punto devi fare una scelta. E smettere di scappare. C’è chi ti ama e davvero non si merita di essere trattato cosi, sta come un cane per questa tua assurda battaglia con l’orgoglio. Se deciderai di affrontare tutto, di smettere di avere paura di una cosa così inconsistente, allora sarò con te. Altrimenti, lui è la mia famiglia, e tu non sei assolutamente nessuno-.
 
Non so se c’è solo Dorcas, nell’ingresso insieme a noi, o se Gideon, forse presente, abbia colto il riferimento di Alice. In realtà, non sono nemmeno sicura di aver capito appieno le parole di Alice, che si è limitata a sussurrarle.
 
Esco da casa velocemente perché forse ho troppa paura di ammettere che si, la mia migliore amica ha ragione e io sono un’idiota. Mi richiudo la porta alle spalle con forza e inizio a camminare diretta non so dove, perché non conosco la zona e ho decisamente troppi pensieri in testa per badare a dove metto i piedi.
 
Mi è capitato un’unica altra volta di fare una cosa del genere, quando io e Paul ci siamo lasciati, e proprio come allora sento le guance umide e mi accorgo che sto piangendo perché, diamine santo, io sono una ragazzina di diciotto anni con gli ormoni in subbuglio e una supercotta per uno fantastico e più grande di me, checché ne dica Alice con la sua teoria del comportarmi da adulta.
 
Ho diciotto anni e voglio averli fino in fondo, anche se la parte delle paturnie e di questo dolore martellante ora come ora non è che mi piaccia esattamente un casino.
 
-ehi, ragazza, guarda chi si rivede- mi chiama una voce familiare, rauca e disgustosa.
 
Ha il potere di bloccarmi sul posto, dopo tanto girovagare. Sfilo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e mi volto, per incrociare il brutto muso di quell’idiota di Mulciber, e non so se mi fa più ribrezzo o paura.
 
Sono proprio una bambina, e me ne accorgo quando lui, guardandomi dall’altro lato di una strada che non conosco, richiama a se la mia bacchetta con un incantesimo non verbale.
 
Non è giusto, non ero pronta.
 
-tu vieni con noi- mi mormora all’orecchio una voce fin troppo conosciuta, quasi uguale a quella di Sirius.
 
Faccio in tempo a vedere Mulciber spezzare in due la mia bacchetta, poi tutto diventa nero.
 
 

 
 
 
 
 
*Questa storia, Baricco. In realtà, non c’entra moltissimo, ma non so per quale motivo questo dialogo secondo me sta molto bene accostato al dialogo tra Mary e Dorcas, quindi l’ho aggiunto sopra al testo.
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
non sparate sull’autrice!
Il capitolo si commenta da se, forse si forse no, non lo so. In realtà, sono talmente fusa che adesso farò Jigai per dimenticare ogni cosa, dal momento che ormai stento a sentire i polpastrelli.
Cooomunque…
 
Volevo chiedervi una cosa.
Io ho un problema, il mio problema sono Caradoc e Benjy. Nel senso che mi piace scrivere su di loro, anche momenti non indispensabili allo svolgersi della trama, tuttavia so che ci sono persone a cui lo Slash non piace. Non lo aggiungo agli avvertimenti, perché sono personaggi secondarissimi e mi sembrerebbe stupido. A qualcuno darebbe seriamente fastidio? Perché in tal caso mi accontenterei di strapazzarli per bene nella ff “primavera non bussa” e qui li nominerei soltanto… a voi l’ardua sentenza, dunque.
 
Seconda cosa all’ordine del giorno.
La splendidissima lizzy_93 ha realizzato un bellissimo disegno in cui ci presenta le giovini donzelle di Grifondoro, settimo anno nel 77/78
Il link è questo:
http://lilspotter.deviantart.com/art/Gryffindor-Female-Class-1977-329079146?ga_submit=10%3A1348544594
e spero davvero di averlo inserito bene perché io e i computer ci capiamo come un asino e una balena, quindi in genere non riesco mai a fare quello che mi propongo. Coooomunque, le adoro, sono bellissime, e questo è quanto.
 
Detto questo, direi che devo uscire. Stasera, quando torno, giuro che rispondo alle recensioni! Un bacio a tutti, belli e brutti.
Hir

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Capitolo 10
*** come soli e fiori ***


LILY
JAMES
LèNE
SIRIUS
REMUS
EMMELINE
ALICE
FRANK
PETER
MARY
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 

Siamo tutti folli in amore*

 
 
 
 
VILLA SELWYN, ORE 00.23 DEL 28 LUGLIO 1978
 
La tenuta ufficiale della famiglia Selwyn –una grande magione di stampo chiaramente medievale-domina la piccola frazione di John O’Groats, affacciata sul mare del nord.
 
Il podere, incantato al solo scopo di scoraggiare ogni babbano nel raggio di chilometri, appare ad occhi non magici come un mucchio di rovine sgretolate dalle intemperie. Sembra quasi si regga in piedi per caso.
 
Al piano terreno della dimora, in corrispondenza dell’angolo a nord ovest della costruzione principale, la porta di quella che sembra una piccola cella buia viene aperta con un gran cigolio di cardini. È una stanzina piuttosto angusta, di appena quattro metri per due, corredata semplicemente di quello che ha tutta l’aria di essere un pagliericcio marcio.
 
Non ci sono finestre, solo strette fessure ad un metro di distanza l’una dall’altra, grandi abbastanza da lasciar passare una freccia, forse, ma di certo non un braccio, o una persona intera. La porta è una semplice tavola di legno ornata di cardini arrugginiti e rinforzata dalla magia, che le permette con ogni probabilità di fungere anche da separatore acustico.
 
Un uomo sui trent’anni, dal volto pallido e smunto, trascina quello che sembra un sacco. Un sacco con i piedi.
 
-di questa che dobbiamo farne, invece?- domanda fermandosi nell’angusto corridoio fuori dalla porta, quando si scontra con due ragazzi che trasportano un corpo femminile.
 
Dall’involucro levitante, una ragazza avvolta malamente in un mantello ormai sgualcito, si levano alcuni gemiti ribelli, segno inequivocabile del risveglio ormai prossimo.
 
-non so che piani abbia per lei- borbotta il ragazzo più incupito, un giovane di bell’aspetto dai capelli scuri piuttosto lunghi –ma ha il sangue quasi più puro del mio, dubito voglia ucciderla-.
 
L’uomo grugnisce riprendendo i piedi del sacco che stava trascinando giusto qualche secondo prima, scostandosi un poco per far passare i due ragazzi e poi dirigersi alla fine del corridoio, verso una luce debole e serale.
 
-questo qua lo butto a mare, mi hanno detto- si lamenta zoppicando via –lo butto a mare-.
 
Dalle fessure della cella non passa luce, ma passa il rumore del mare, del lamento costante e irregolare dell’acqua in tempesta. Si diventa pazzi, lì dentro, se non si muore.
 
-magari ci divertiamo un po’, alla fine, è sempre stata un tipo niente male, la McDonald- ghigna il più grande dei due, quello più scemo, sotto lo sguardo pensoso dell’altro –Salazar, che schifo di posto! Puzza peggio di una fogna-.
 
-hai per caso idea di dove sia Rabastan?- lo ignora il più piccolo, lasciando cadere la ragazza sul giaciglio di paglia maleodorante e tornando a conquistare la porta –andiamocene da qui, è nauseante. E lei si sta risvegliando-.
 
 

*

 
 
Piano piano le voci si allontanano e, benchè stessero quasi sussurrando, mi trovo a ringraziare Merlino per il ritorno del silenzio.
 
Per Merlino, mi scoppia la testa. Il silenzio non accenna a tornare, però, a causa del rumore del mare incessante fuori da questo strano posto. Con un borbottio sconnesso mi ritrovo costretta a portarmi le mani alle tempie.
 
Una zaffata sgradevole mi investe in pieno non appena muovo le braccia. Sa di marcio, di sangue e un fetore particolare a cui proprio non so dare un nome. Sotto alla guancia destra, alcuni tralci di paglia ammuffita mi accarezzano la pelle.
 
Ok, una parte dell’odore proviene da loro. Decisamente, poi, un secondo odore pungente è quello ferroso tipico del sangue, deve essercene parecchio da qualche parte vicino a me. Rabbrividisco istantaneamente, un po’ per il freddo ma di più per la paura.
 
Dove diavolo mi hanno portato?
 
La testa mi duole come se mi avessero preso a schiaffi dall’interno, e non riesco a tenere gli occhi aperti anche se la luce all’interno di questa sottospecie di sgabuzzino è fioca. È una cella, ed è fredda.
 
-cosa…?- mormoro stralunata spostando lo sguardo verso l’estremità ormai lisa del mantello. È un’ombra, niente di più, poi un veloce squittio e una minuscola creaturina si allontana spaventata verso il buio dell’angolo della porta.
 
Che schifo, un topo. Cos’è, questo posto, una fogna?
 
Un mattatoio, mi correggo.
 
Alzandomi, mi scrollo lievemente la sporcizia di dosso, dandomi subito dopo dell’idiota. Chiusa in una cella, nella sporcizia più totale, io penso al mantello.
 
È un mattatoio, questo fottuto posto. Mi bastano due passi per arrivare dov’è sparito il topo, e anche alla fioca luce proveniente dalle fessure degli arcieri riesco a distinguere un baluginio sinistro. L’odore è decisamente quello del sangue.
 
-per Godric, che diavolo…- non riesco nemmeno ad imprecare, l’odore è talmente penetrante da costringermi a portare le mani alle labbra e a tirare un sospiro, con gli occhi rivolti al soffitto, per placare l’attacco di nausea che mi ha colpito lo stomaco.
 
Con attenzione –non si sa mai cosa o chi potrei calpestare- mi avvicino alla parete che deve essere quella più esterna. La fessura non è molto ampia, ma mi permette di guardare un piccolo scorcio d’esterno.
 
È notte, ovviamente, ma quello lo sapevo già. Una luna estremamente luminosa, quasi troppo per essere ormai decisamente calante, illumina uno scenario che potrebbe anche essere bello se visto in un contesto diverso. Ora riesce solo a mettermi i brividi, penso con rammarico.
 
Di tanto in tanto, noto, la zona sembra essere illuminata anche da un fascio di luce artificiale, come un lumos particolarmente intenso. Siamo forse vicino ad un faro? L’aria è particolarmente fredda, quindi forse mi hanno portato in Scozia. Ammesso di essere ancora nel Regno Unito, si intende. L’aria salmastra, con una ventata particolarmente potente, mi investe provocandomi si un brivido di freddo, ma anche un sospiro grato, mentre con una folata cancella l’odore nauseabondo della cella.
 
Dove mi hanno…?
 
Ah, ricordo. Il litigio a casa di Dorcas. Poi la corsa, le lacrime, e questo.
 
Come posso esser stata così stupida da farmi prendere la bacchetta da sotto al naso?
 
Merlino benedetto, Mulciber è più lento di me! Avrei dovuto batterlo, avrei dovuto…
 
Presto si accorgeranno della mia assenza. Presto lo faranno, non è vero? Mia madre, mio padre. Magari Alice dopo il litigio è uscita a cercarmi, anche solo per darmi due ceffoni e dirmi che sono un’emerita deficiente. Magari Gideon.
 
O magari no. 
 
Magari sarò morta prima di domani mattina, e tutto quello che ricorderanno sarà un nome. E troveranno solo un corpo. O forse neppure quello.
 
Bene, calma e sangue freddo ragazza.
 
Com’è che James riesce sempre a mantenere il suo dannato autocontrollo e Sirius il suo maledetto sex appeal, e io non riesco nemmeno a fare due pensieri coerenti?
 
Il segreto è procedere con ordine.
 
Domani sera, alla riunione dell’Ordine, si accorgeranno sicuramente che non ci sono. O forse, se ne accorgeranno prima Caradoc e Ben, non vedendomi al campo di quidditch.
 
Vedi, Mary, non c’è bisogno di agitarsi tanto. Sono una persona conosciuta, ho attorno un sacco di persone. Se ne accorgeranno, presto.
 
E faranno qualcosa, ne sono certa.
 
Con un sospiro mi lascio cadere a terra, ben attaccata alla parete, sperando di non incappare in qualche pozza sinistra di sangue o in non meglio identificati resti.
 
Non posso fare niente, per ora, e sono maledettamente stanca. Devo solo chiudere gli occhi e riposare, e sperare che passi presto. Tutto. Nei sogni ci si può ancora rifugiare, forse. Nei sogni e nei ricordi.
 
 
Flashback-> ORE 10.37 DEL 27 FEBBRAIO 1978
 
-Lily, secondo te questo pullover verde come mi sta?- chiedo sporgendomi dalla porta del bagno verso la stanza per incrociare lo sguardo di Lily, che mi guarda divertita. Con un passo in avanti, le mostro il pullover verde smeraldo.
 
Lei scrolla le spalle ed inclina la testa, pensierosa.
 
-secondo me ti sta meglio quello azzurro- ghigna poi con quel fare decisamente malandrino che ha imparato sicuramente da James –si intona meglio con gli occhi di Prewett-.
 
Fintamente offesa, appena riesco a togliermi -senza gravi danni a me o a ciò che ho attorno- il maglione, glielo lancio raggiungendola dritta in volto. Solo alla fine mi accorgo che, più che zittirla, la mia risposta ha confermato ipotesi che non dovrebbero nemmeno esistere.
 
Nella stanza con me c’è solo Lily. Le altre, accompagnate da James, Remus e Frank, sono già partite per Hogsmeade, definendo così per bene gli schieramenti di quest’assurda guerra.
 
Da giorni non si muove nulla, ognuno resta sulle sue e io resto esattamente nel mezzo, tirata da entrambe le parti come un elastico.
 
-dovresti parlare con James, sai?- le dico vedendola rabbuiarsi guardando la finestra accanto al mio letto.
 
Lei sbuffa, mettendosi a sedere a gambe incrociate e alzando gli occhi al cielo.
 
-ogni volta che ci provo sparisce. Sul serio, secondo me ha trovato il modo di diventare invisibile- borbotta contrariata –non parla nemmeno più con Sirius. A proposito, svelta, che Sirius e Peter ci stanno aspettando in sala comune-.
 
Scrollo il capo, facendo cenno a Lily di non preoccuparsi né di Sirius né di Peter e di continuare a parlare di James. Certo, James ha il suo modo per diventare invisibile, e francamente credevo che ormai lo sapesse anche Lily. Ma a quanto pare, Lily non è l’unica ad avere i suoi segreti. Dovrei farlo presente a James.
 
-sono la festeggiata, oggi- ghigno divertita –mi è permesso anche il ritardo. Stavamo parlando di Jamie-.
 
Sbuffa ancora, e vedo che ha quasile lacrime agli occhi. Quasi, perché Lily Evans non è tipo da piangere per ogni sciocchezza.
 
-ehi, tesoro!- esclamo tuffandomi su di lei e ghermendola in uno dei miei abbracci più forti. Mi da fastidio vedere Lily così, e vorrei che anche gli altri lo capissero. Tutti pronti a puntare il dito, fermandosi alla carta di rivestimento, senza provare ad aprire il pacco –si risolverà tutto, te lo prometto-.
 
Lei sorride appena, sento la sua guancia sulla spalla, e poi mi abbraccia di riflesso.
 
-non posso perdere anche lui, Mary- mormora così fiocamente che mi risulta quasi difficile sentirla –non dopo i miei, dopo Petunia. Lui, Lène, Emmeline e Remus. Nemmeno Ali e Frank. Non… non mi ero resa conto di quanto pesasse tutto questo-.
 
-a tutti capita di sbagliare, Lily- la consolo io, alzandomi e guardandola dall’alto in basso con un sorrisetto tranquillo in volto –anche al Prefetto Perfetto Lily Evans. E James è troppo furbo per lasciarti. Ha speso gli ultimi anni della sua vita semplicemente a cercare di conquistarti. Va bene che è James Potter, e il nome non è garanzia d’intelligenza, però…-
 
Lei risponde al mio sorriso con un sorriso ancora più buffo, e con un sospiro mi dico che la catastrofe è scongiurata, anche stavolta.
 
-ha detto Gideon che ci raggiunge ad Hogsmeade, e…-
 
-oh, davvero? Non l’avevo capito, è solo la cinquecento trentesima volta che lo ripeti- mi fa notare con tono lievemente ironico, dando poi in un sorrisetto beffardo - ti vuole forse augurare un buon compleanno di persona? L’ho notato l’altra volta alla riunione, ha proprio un bel…-
 
-Lily!- esclamo sdegnata, spalancando gli occhi –da quando sei diventata la versione maliziosa di Marlene McKinnon?-.
 
-…paio di occhi, ma che capisci?- replica a tono con il volto di un bambinetto innocente.
 
-no, credo che mi voglia di persona schiantare per aver perso a Quidditch con i Tassorosso!- la rimprovero portandomi le mani ai capelli –Merlino, mi aveva scritto tre lettere in cui mi chiedeva di vincere! E voi avete montato su tutto questo casino proprio quando…-
 
-secondo me non dovresti angustiarti tanto per…-
 
-Lily, siamo ultimi in classifica a pari merito con i Tassorosso- borbotto di malumore, tornando in bagno –è una catastrofe! C’è Paul che non mi lascia in pace da domenica scorsa. E Gideon non mi ha più scritto, deve essersi offeso a morte!-.
 
Sento Lily sospirare.
 
-ma non hai detto che ti ha confermato che verrà ad Hogsmeade?- domanda stranita.
 
Scrollo il capo, ignorando che dalla camera non mi può vedere.
 
-me lo ha scritto Dorcas, in realtà, che lei, Gideon e Fabian sarebbero venuti a trovarci- mormoro controvoglia. Merlino, lo sapevo io che non dovevo affezionarmi tanto alle lettere di quel Prewett.
 
Proprio in un bel casino mi sono cacciata, penso guardandomi allo specchio.
 
Alla fine opto per un terzo pullover, beige. Il maglioncino azzurro proprio non si accorda con la gonna del Tartan dei MacDonald di Clanranald, ed ormai è diventata una tale tradizione portare il tartan della famiglia del padre di mio padre il giorno del mio compleanno, che mi sentirei una traditrice ad infilarmi semplicemente un paio di jeans. Certo, il rosso acceso, il blu, il verde scuro e il bianco non sono certo i miei colori preferiti, ma è un legame affettivo che mi costringe ad indossarli, ogni anno, per almeno questo singolo giorno. Posso quasi rivedere lo sguardo truce che mia nonna mi ha rivolto l’unica volta, a sei o sette anni, in cui mi sono lamentata perché non volevo indossarlo.
 
Sirius e Peter, in Sala Comune, sono intenti a scrutare il fuoco del camino con lo stesso sguardo un po’ appannato che io rivolgo ai compiti di Pozioni. Mi stimolano sonnolenza, non ci posso proprio fare niente.
 
Alla fine, raccolto Paul all’ingresso del castello, ci avviamo insieme e in silenzio ad Hogsmeade.
 
Fine flashback.
 

 

*

 
 
LONDRA, MINISTERO DELLA MAGIA, ORE 07.15 DEL 28 LUGLIO 1978
 
Una figura, nervosa già di primo mattino, cammina svelta per il corridoio del secondo livello del Ministero della Magia. Ha lo sguardo spento dalla stanchezza ed una tensione nuova in corpo.
 
Davvero, deve smetterla. È semplicemente ridicolo, le è pure corso dietro!
 
La sera prima ha raggiunto con il fratello l’ingresso dell’appartamento di Dorcas per sentire solamente le ultime parole di Alice, e per vedere Mary fuggire quasi avesse avuto il diavolo alle calcagna.
 
Alice gli ha intimato di lasciare perdere, che forse Mary nemmeno meritava tante attenzioni. Ma lui? Oh, lui è un dannato testardo, l’ha seguita e non l’ha trovata.
 
Questa volta però non ha la minima intenzione di tornare a chiedere un minimo d’ascolto a casa McDonald. E per sentirsi rispondere cosa, poi? Che è partita per l’Antartide e non tornerà se non nei prossimi giorni, mentre lei magari ride di lui dalla finestra della sua camera?
 
Oh, ha finito questa volta di farsi passare per scemo, parola sua. D’altronde, quanto mai potrà essere speciale la McDonald?
 
Certo, ho un sorriso niente male, e uno sguardo malizioso che sembra raccogliere tutte le monellerie del mondo. Ha lo sguardo di una bambina sul volto di una ragazza che è quasi adulta. Non è propriamente bella –non è nemmeno brutta, sia chiaro- ma ha quel qualcosa di accattivante che…
 
Ma non è questo il punto. Alice ha ragione, se la deve togliere dalla mente.
 
Come ogni volta, quando fa questo genere di pensieri, si ritrova ad elencare tutti i contro che si schierano, come un muro d’incantesimi, tra lui e quella ragazza dallo sguardo vispo.
 
È troppo piccola, punto primo. Se solo lei sapesse, lo prenderebbe per uno scherzo della natura. Lei, alle cose che considera lui –un futuro, una casa, qualcuno che sia per lui ciò che Dorcas è per Fabian- non ci pensa nemmeno in sogno.
 
E come fargliene un torto? Nemmeno lui pensava a niente di tutto quello, a diciotto anni. Fabian, ci pensava. Ma è sempre stato Fabian quello riflessivo, tra i due.
 
-mi sembra quasi di riuscire a sentire le rotelle del tuo cervello che girano impazzite- lo prende in giro il fratello non appena attraversa la soglia del quartier generale. All’interno, forse per l’ora, non c’è ancora nessuno –ieri sei riuscito a…-
 
-no- taglia corto andando a sedersi alla propria scrivania e prendendo tra le mani nervose il primo plico di fogli che gli consente di usarle per qualcosa di utile, invece di torturarsele a vicenda –Dorcas ti ha cacciato di casa, stamattina?-.
 
-doveva essere in ospedale prima, abbiamo fatto colazione a… oh, ma che te lo racconto a fare, non mi stai nemmeno ascoltando!- esclama sdegnato piazzandosi davanti alla scrivania del fratello con le mani sui fianchi –cosa hai fatto ieri sera, quindi? Sei andato dai McDonald?-.
 
Gideon fa una smorfia strana con le labbra, quasi rimpiangesse di non averlo fatto.
 
-non ho alcuna intenzione di fare più niente. Stamattina faccio colazione con Daisy- lo informa poi, posando di nuovo il plico sul tavolo ed alzandosi, sotto lo sguardo stupito del fratello gemello.
 
-Daisy? Che cosa c’entra Daisy?- domanda perplesso Fabian.
 
-è carina, no? È più grande di Mary, non è una bambina, e lei, a differenza della McDonald, non mi vede solo come un amico- borbotta il fratello con una smorfia tesa sulle labbra.
 
-ma Mary non ti vede solo come un amico, Gid- esclama il ragazzo scrollando il capo –se tu gli dicessi che…-
 
-Mary lo sa, Fabian!- ribatte Gideon alzando gli occhi al cielo –hai sentito Alice, ieri sera, mancava soltanto che facesse il mio nome e poi chiunque al mondo avrebbe capito che la persona di cui parlava ero io. Chiunque, e Mary non è stupida. Lo ha capito, e se ne è andata lo stesso. Quindi, io adesso faccio colazione con Daisy e tu ti togli dalla porta, altrimenti ti schianto-.
 
Bugia, non lo schianterebbe mai. Non alzerebbe la bacchetta contro di lui nemmeno se fosse costretto, e questo Fabian lo sa. Ma sa anche che probabilmente il fratello ha ragione. Mary lo sa. Solo un folle non avrebbe capito.
 
-Daisy lo sa che…-
 
-glielo vado a chiedere- risponde il fratello intuendo la fine della domanda, e lasciandosi alle spalle l’ufficio degli Auror.
 
Daisy è carina, su questo non ci piove. Ha gli occhi più grigi e grandi che abbia mai visto, più di quelli di Melia, che già assomiglia ad una bambola, ed i lineamenti molto avvenenti. Dolci, in qualche modo.
 
Ma non è decisamente il tipo di Gideon, che ancora una volta finirà per farsi del male.
 
E lui sarà lì a raccogliere i pezzi.
 
 

*

 
 
-devi dirmi cos’ha quella finestra più di me, Marlene- brontola un ragazzo, sdraiato sul letto, con gli occhi e la voce ancora impastati di sonno –sul serio, ogni volta che mi sveglio ti ritrovo lì davanti-.
 
La ragazza, seduta sul ripiano interno di marmo bianco, si volta di scatto, sorpresa dalla voce. Alla fine, con un sorrisetto, scuote la testa.
 
-invita a pensare- risponde con un sussurro, aggiungendo poi beffarda –attività che non pratichi molto, ne sono sicura, ma in caso ti venisse un giorno o l’altro l’ispirazione, provaci-.
 
Il ragazzo mugugna per metà infastidito e per metà divertito, ancora non troppo sveglio.
 
-che ci fai già sveglio? Non sono nemmeno le sette e mezza- gli fa infatti notare la ragazza, cacciando un’occhiata all’orologio appeso sul muro.
 
-c’è l’ultimo corso di preparazione all’esame, alle nove devo assolutamente essere al Ministero- mormora svogliato Sirius, alzandosi seduto sul letto con i capelli scompigliati e un’espressione tetra in volto –non potrebbero farli alle tre del pomeriggio, mi chiedo? Anzi, più riposato sono più efficiente. È Zia Doree che è una stacanovista-.
 
La ragazza ridacchia, alzandosi dal ripiano di marmo e raggiungendo il ragazzo sul letto. Con attenzione, passando tra i vestiti sparsi a terra e altri oggetti di natura non meglio identificata –davvero, Sirius dovrebbe mettersi in testa di essere più ordinato- si siede sul bordo del letto lasciando che le braccia del ragazzo le raggiungano la vita.
 
-Zia Doree non è una stacanovista, è solo un Auror diligente e molto preparato che capisce il ruolo fondamentale della puntualità e della professionalità- lo redarguisce attentamente, posandogli lieve la testa sulla spalla –e tu sei la persona più pigra sulla faccia della terra-.
 
-ti hanno fatto il lavaggio del cervello, al Ministero, parola mia- borbotta contrariato cercando di riacchiapparla con le braccia, quando la ragazza si alza con l’intento di arrivare per lo meno alla cucina. Schivandolo con abilità consumata, Marlene guadagna la porta con un balzo.
 
-preparo il tè- esclama allegramente.
 
Non è una persona romantica, Sirius, eppure non riesce davvero a non notare i tonfi attutiti dei passi lievi della ragazza sul parquet del corridoio senza sorriderne come un ebete.
 
-senti, Lène- commenta rivolto alla cucina perché, è ovvio, non può godersi un momento di quiete con la propria ragazza senza pensare che forse vorrebbe di più. Decisamente di più.
 
-…si?-.
 
La voce è attutita dalla distanza e dalle pareti che li separano, quindi rivestendosi in fretta e controllando un brivido di freddo Sirius si affretta a raggiungere la ragazza.
 
Arrivato sulla soglia della cucina, si sofferma a guardarla armeggiare in giro per la stanza, appoggiato allo stipite.
 
Quando le aveva proposto di venire a vivere con lui, in quella casa spaziosa che aveva talmente tante stanze in più da potervi formare un secondo appartamento, non credeva davvero che Marlene avrebbe risposto di si. Glielo aveva chiesto più che altro per soddisfare la sua stessa curiosità, per vedere cosa avrebbe risposto esattamente e saggiare esattamente i confini di quel rapporto.
 
Non credeva, sul serio, che la risposta lo avrebbe turbato tanto.
 
-Sirius, c’è qualcosa che non va?-.
 
La domanda di Lène, posta con quel tono lieve che pare quasi non voler turbare la quiete, lo riscuote un attimo dai suoi pensieri e lo costringe a guardarla negli occhi, ancora un po’ impastati dal sonno.
 
-mi piace, dormire con te- risponde un po’ sconnessamente scrollando il capo –e fare colazione insieme-.
 
Marlene si blocca, riponendo il colino a sfera che ha usato per immergere le foglie di tè nell’acqua. Sospira, scrolla le spalle e, con precisione quasi maniacale, guida la bacchetta in un movimento ordinato per far evanescere i resti della poltiglia.
 
-anche a me- ammette guardinga.
 
Sirius lo sa. Si rende perfettamente conto che Marlene ha capito dove vuole andare a parare.
 
-sai, non credo che tua madre creda realmente che tu sia ospite di Alice o Emmeline così spesso- continua Sirius facendo per un attimo mente locale –è già la seconda volta che ti fermi a dormire, questa settimana. E la scorsa settimana sono state tre-.
 
Marlene da in uno sbuffo divertito.
 
-stai cercando di dirmi che dovrei autoinvitarmi qui meno spesso, alla notte, così da non insospettire mia madre?- domanda alla fine, voltandosi e dando le spalle alle due tazze di tè, ormai pronte.
 
-sto cercando di dirti che dovresti venire a viverci, qui, così ufficializziamo la cosa e tua madre si mette il cuore in pace- risponde a tono Sirius, guardandola negli occhi e vedendo qualcosa congelarsi.
 
Ecco l’ennesima lite. Se non fosse così divertente fare la pace, dopo, si farebbe rimborsare tutto il fegato marcio che si è fatto negli ultimi mesi.
 
-non c’è niente da ufficializzare, per quel che mi riguarda- ribatte gelida la ragazza, guardandolo in risposta con un’occhiata di sfida.
 
Niente da…
 
-niente da ufficializzare?- ripete irrequieto il ragazzo –scusami, non stiamo insieme da più di sei mesi? Credo di essermi perso qualche pezzo-.
 
La ragazza sbuffa, ironica.
 
-stiamo insieme, Sirius, ma non verrò a vivere con te. No, ascoltami!- lo interrompe irritata quando lo vede aprire la bocca per rispondere a tono –adesso hai due scelte. Accantonare la discussione, fare colazione insieme a me, parlare, ridere, scherzare, essere noi… oppure parlare, litigare, fare colazione al caffè davanti all’entrata del Ministero da solo, mentre io la farò a casa dei miei, mantenere il gelo per le prossime ore, giorni o che so io. Scegli-.
 
-non…- il ragazzo, sbuffando, alza le braccia al cielo e ritorna in camera, per cambiarsi e vestirsi per uscire –non ci posso credere! Sul serio, Lène, non ti capisco proprio. Merlino, non ti ho chiesto di sposarmi. Ho cinque stanze, libere, tutto quello che ti ho proposto è di occuparle. E basta. Devi andare a vivere con qualcuno, non è forse vero? Vuoi lasciare la casa della tua famiglia e andartene a vivere da sola, ma da sola non puoi pagarti l’affitto di una casa decente e, no, Notturne Alley non deve entrare in questo discorso. Perché non con me? Stiamo bene insieme, siamo…-
 
La ragazza lo ha raggiunto in camera, e adesso si sta infilando il maglioncino di cachemire bianco panna che ieri indossava sopra la camicia.
 
-Sirius, io non voglio vivere con te- sussurra alla fine, con gli occhi scuri sgranati e le guance arrossate dall’irritazione e da qualcos’altro –non vorrei vivere con nessuno, ma in particolar modo non voglio vivere con te-.
 
-cosa… come…?-.
 
La ragazza lo guarda appena, poi si dirige alla porta afferrando una borsa nera e piuttosto voluminosa.
 
-scusami, non sono pronta-.
 
 

*

 
 
Quando, con una giravolta, mi materializzo nel solito vicoletto di Godric’s Hollow, quello che normalmente viene usato dalla popolazione magica per accedere al paese, ho ancora il respiro affannato.
 
Non sopporto quando Sirius tira fuori questo discorso. Merlino, come fa a non capire come mi sento?
 
Si rovinerebbe tutto, e non ho intenzione di lasciare che quello per cui ho tanto penato si sgretoli sotto la morsa dell’abitudine e della noia.
 
Quanto potrebbe durare? Vivere insieme a diciotto anni è da pazzi.
 
Godric’s Hollow, con le sue villette e la strada contornata di automobili babbane, è la tranquillità fatta paese. L’aria mattutina, addolcita da un cielo sorprendentemente chiaro e sereno, è piuttosto frizzante, ma la giornata si prospetta piuttosto calda, immagino. Appena la morsa della notte lascerà completamente il giorno, il sole inizierà a scaldare.
 
Passo davanti a Villa Potter senza fermarmi, non mi serve Lily. So già cosa mi direbbe, e so che non capirebbe. Forse sarebbe d’accordo con me, ma non capirebbe a fondo.
 
Qui serve Mary.
 
Di tutte le mie amiche, Mary è quella che mi assomiglia di più. Alice è troppo romantica, Lily troppo razionale, Emmeline troppo poco sfacciata. Mary è sfacciata al punto giusto, a volte persino troppo.
 
La villetta dei McDonald, più piccola di quella dei Potter, è lontana da casa di James non più di una decina di minuti. È bianca, senza tanti fronzoli e con ampie vetrate sulla sala e sulla cucina. Il piano di sopra, anch’esso con grandi finestre, è dedicato alla zona notte.
 
Quando la raggiungo, noto che la finestra di Mary, normalmente aperta già dalla mattina presto per arieggiare la camera –l’elfo domestico, il vecchio Tenky, ha una sorta di mania per l’aria aperta, e passa le proprie giornate chiudendo ed aprendo le finestre delle varie stanze-, quest’oggi è chiusa. Niente cuscini sul davanzale, niente piumone che spunta per prendere aria.
 
La seconda cosa che mi stupisce, quando suono alla porta, è il rumore dei passi veloci che accorrono.
 
-Mary?- mi domanda una voce agitata.
 
Guardo stralunata Gillian in risposta, cercando di capire lo scintillio deluso del suo sguardo.
 
-Jill, c’è qualche problema?- chiedo preoccupata.
 
La madre di Mary è decisamente l’essere umano adulto che preferisco, al mondo. Ha la stessa aura atletica e scanzonata della figlia, la stessa voglia di vivere impressa negli occhi. Di tanto in tanto, devo ricordarmi che in realtà non è Mary, perché si assomigliano al punto da sovrapporsi, quasi, nella mia mente.
 
-oh, Marlene, sei tu?- mi chiede spostandosi dalla soglia per farmi entrare. Con uno sguardo più approfondito noto, oltre alle rughe di preoccupazione che le segnano la fronte, la vestaglia.
 
-non… è successo qualcosa, Jill? Non dovresti essere al lavoro?-.
 
Si, è il capo dell’ufficio per la cancellazione della magia accidentale, e credo che essere a capo di un ufficio così importante possa anche avere dei privilegi. Però…
 
-Mary non è tornata a casa, stanotte- borbotta di malumore, facendomi cenno di seguirla in cucina –la cosa di per se non mi stupisce troppo, a volte si ferma a dormire da James o da Paul, ma almeno di solito avvisa. Quella ragazza mi farà morire di paura, un giorno di questi. Ti giuro che quando prendo mia figlia la…-.
 
Continua a borbottare più a bassa voce, mentre si da la pena di riempirmi una tazza di tè caldo.
 
-hai già fatto colazione, cara? Ho detto a Fergus che l’avrei aspettata io, ma è quasi un’ora che Gus è uscito, e lei non è ancora rientrata- continua di malumore, sventolando la bacchetta quasi fosse un fazzoletto in giro per la cucina e animando piatti e bicchieri che si dispongono in tavola da soli, e pentole e padelle che iniziano a friggere e tostare.
 
-no, non…- esito un attimo, scrollando poi il capo. Non mi sembra il momento di riprendere a pensare a Sirius –no, non l’ho ancora fatta. Stai tranquilla, Jill, si sarà solo dimenticata di avvisare-.
 
D’altronde, tutti sanno che Mary non è la persona più affidabile della terra, sotto questo punto di vista.
 
Vero?

 
 

*

 
 
WATTON-AT-STONE, ORE15.30 DEL 28B LUGLIO 1978
 
Ben poche anime, di cui solo due magiche, popolano la piccola frazione di Watton-at-stone, paese a circa trenta minuti di treno da Londra.
 
Quello che nota James, smaterializzandosi nella campagna poco fuori il paesello, è la tranquillità di una frazione inglese come tante altre, le classiche casupole in fila l’una poco distante dall’altra, e le strade –quelle poche che dalla sua posizione riesce a vedere- ingombre di qualche macchina. Niente di nuovo, in pratica, anzi, un posto come un altro piuttosto simile a Godric’s Hollow.
 
Voltando le spalle al conglomerato di case osserva con sguardo critico la piccola dimora un po’ isolata che è anche la sua meta. Non è mai stato a casa di Caradoc e Benjy, a malapena sapeva fino a qualche giorno fa che i due vivono assieme, ma guardandola non riesce a reprimere un sorriso.
 
Ha un’aria magica che non le permetterebbe di confondersi con le villette lì attorno, tutte colorate e dal tetto spiovente, se non fosse separata da esse da alcuni campi d’erba dal dolce pendio collinare. È più piccola, costituita da una costruzione centrale di pietra e intonaco color prugna, e alcune aggiunte che sembrano più recenti di vari altri colori.
 
Forse è incantata per restare nascosta agli occhi dei babbani –così rattoppata, attirerebbe parecchio l’attenzione altrimenti- anche se personalmente James non si è mai immaginato Caradoc come una persona ansiosa di nascondersi. Così strano e vistoso com’è, è come se volesse sempre spiccare.
 
Appoggiato alla staccionata di legno, ricontrollo l’orologio da taschino che per il diciassettesimo compleanno gli hanno regalato mamma e papà. Mary, neanche a dirlo, è in ritardo come al solito.
 
In casa sembra non esserci anima viva.
 
 

*

 
 
Flashback-> ore 19.30 del 27 febbraio 1978
 
La Guferia è particolarmente fredda, in questa stagione, ma ultimamente non trovo scomodo passarci intere ore a riflettere.
 
Il che, di per se, è già strano. Non mi sarei mai detto un tipo riflessivo. Quello che riflette, in genere, è Remus. Io e Sirius, per di più agiamo.
 
Il compleanno di Mary è stata una sorpresa un po’ per tutti. Ci aspettavamo semplicemente di bere qualcosa tutti insieme ai tre manici, ma certo non sospettavamo che il tutti insiemecomprendesse così tanti tutti. È stata una bella giornata, anche se raffreddata dalle momentanee tensioni.
 
Dopo i primi momenti, abbiamo persino abbandonato i due schieramenti per tornare a parlare più o meno civilmente. Certo, Emmeline si è seduta al capo opposto del tavolo rispetto a quello in cui si è seduta Lily, e devo ammettere che anche io l’ho seguita, per distanziare Sirius che invece di scusarsi continua ad ignorarmi palesemente. Come se nel torto ci fossi io!
 
-Jamie, non hai freddo?- mi sorprende alle spalle una voce flebile.
 
Lily, ancora ferma sulle scale, batte i denti guardandomi preoccupata.
 
Sentire la sua voce mi fa felice ma, diamine, dovrei impedirmi di gioirne così tanto! Sono riuscito ad evitarla per quasi due settimane, e dovrei esserne fiero, davvero. Perfino oggi, in mezzo a tante figure più o meno nuove, e con tanti spunti di conversazione, sono riuscito nell’intento di non parlarle, di non farle capire quanto Merlino bramo la sua sola attenzione.
 
Mi sembra profondamente ingiusto, tutto questo mio ruotare attorno a lei. Come se lei fosse il sole e io quello stupido fiore. Sono anni, ormai, che io le ruoto attorno giorno e notte. E lei nemmeno si fida di me, lei.
 
-Lily, che cosa ci fai qui?- domando tornando a voltarmi. So che se la guardassi ancora capitolerei e, davvero, non me lo posso permettere.
 
Ho il mio orgoglio anche io, gente.
 
-volevo parlarti- mormora muovendo ancora qualche passo e raggiungendomi, davanti alle arcate che danno sulle montagne. Deve capire, però, il mio desiderio di non starle troppo vicino. Più che desiderio, si tratta di un bisogno prettamente mentale –sparisci sempre, quando siamo da soli-.
 
Sbuffo, e davvero non so se vorrei ridere o…
 
-e non ti sei chiesta il perché?-.
 
A sbuffare, questa volta, è lei.
 
-non mi interessa, davvero- risponde risoluta. A stupirmi ci riesce senz’altro, tanto da costringermi a cercarla con lo sguardo –so che sei arrabbiato con me, e con Sirius. Posso capirlo, James, ma davvero, non mi interessa. Se tornassi indietro farei la stessa cosa-.
 
Aggrotto la fronte, stupito dalle sue parole.
 
-non sono un bambino, Lily- ribatto duramente, scrollando le spalle e allontanandomi un po’ quando lei cerca di riavvicinarsi –se lo avessi fatto io tu…-
 
-è per questo che dico che posso capirti. Mi avresti fatto arrabbiare da morire, non ti avrei rivolto la parola e mi sarei isolata. Lo so. Ma, James…- esita un attimo, alzando un poco la testa. Alla penombra della sera, il viso pallido risalta e gli occhi, normalmente vivaci, paiono quasi pezzi di vetro scuro e triste. Quando è così lontana non riesco a raggiungerla, ed è stata così lontana per quanto tempo? È da quando sono morti i suoi che non riesco a toccarla veramente –Jamie, non posso perdere anche te. Non posso perdere gli altri, ma soprattutto non posso perdere te. Quindi non mi interessa, resta arrabbiato per il tempo che ti serve. Io non mi muovo, e ti aspetto-.
 
Dalla voce, mi sembra così risoluta da costringermi, ancora una volta, a tornare con lo sguardo su di lei. Si può morire per delle semplici parole?
 
Lo ha detto come se la mia presenza fosse semplicemente necessaria. Non vuole essere un complimento, un modo per riportarmi da lei. Solo un’attestazione di qualcosa che non può che essere così.
 
Può essere il sole a girare attorno al fiore?
 
-mi serve tempo- mormoro alla fine, di malavoglia. Perché diavolo mi dispiace così tanto, non cedere adesso?
 
Non posso farlo, sarebbe troppo presto. Io voglio davvero stare con lei, per sempre e anche oltre. Ma lei lo deve capire, non può prendermi come un bambino e giocarmi come farebbe con un fantoccio. Dobbiamo viverlo insieme, quello che siamo.
 
-prenditelo- annuisce lei, scrollando appena il capo e allontanandosi di scatto verso la scala che la riporterà ai piedi della torre. Fermandosi sul primo scalino, mi guarda ed aggiunge –non prendertela con Sirius. Hai il migliore degli amici, al fianco-.
 
La guardo scendere le scale, un gradino dopo l’altro, senza smettere di battere i denti fino a quando non si perde oltre l’oscurità.
 
Può essere il sole a girare attorno al fiore?
 
Fine flashback.
 

-no, ti prego, non farmi venire a cena da Cavendish, l’ultima volta ho dovuto trattenermi per non uccidermi con la forchettina del dolce-.
 
La voce di Caradoc mi distrae dal pensiero di Lily, costringendomi a voltarmi per vedere lui e Ben venirmi incontro. Dearborn ha il tono indolente con cui normalmente si lamenta in presenza di Benjy. Fenwick ha quel sorriso strano con cui accoglie ogni singolo lamento del compagno, come se solo lui riuscisse a leggerci dietro tutt’altro.
 
-non ti ho chiesto di accompagnarmi, Caradoc- gli risponde serio Benjy, con quell’aria compassata che ho imparato a rispettare e, in parte, anche a temere –ho quasi venticinque anni, posso andarci da solo-.
 
Non so perché, ma in quelle parole riesco quasi a sentire un tono di sfida. Eppure Ben è sempre così rispettoso che…
 
-ah, che non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello, Fenwick. L’ho visto come ti guarda quell’assistente, Arash come-si-chiama- borbotta in tono saputo Dearborn, accorgendosi di me e alzando una mano per salutarmi. Con lo sguardo, attorno, cerca Mary. Io scuoto la testa.
 
-intendi Aaron?- domanda vagamente divertito Benjy, salutandomi in coda al compagno.
 
-non mi importa come si chiama- lo mette a tacere vagamente isterico Caradoc, chiudendo poi la discussione con un broncio da manuale –e va bene, ho capito, venerdì alle sette alla Bettola d’Oro. Ma sappi che mi devi un favore di proporzioni epiche. Mastodontiche. Hagrid, confrontato al favore che mi devi, è un nano da giardino-.
 
Ridacchio divertito vedendo Ben serbare tra le labbra un sorriso che sa vagamente di vittoria. Scrollo la testa, ripensando al primo vero incontro che abbiamo avuto con quei due, al compleanno di Mary. Nonostante ciò che può sembrare ad un primo sguardo, deve essere Benjy a tenere le redini di quella relazione. O forse se le spartiscono a momenti, non so. Mi riesce comunque difficile immaginarmeli lontani.
 
-Mary è in ritardo- li informo guardando l’orologio perplesso –solo un quarto d’ora? Come minimo ci fa aspettare ancora mezz’ora-.
 
Benjy sorride francamente divertito, trovando chissà cosa di allegro nella mia frase.
 
-mi ricorda qualcuno- mormora quando vede che lo sguardo stranito, rivolgendo un cenno verso Caradoc.
 
-a me no- lo secca bruscamente Dearborn, precedendoci verso la casa. Quando torna a parlare con me, è la gentilezza fatta a persona –la tua scopa, James?-.
 
-dovrebbe portarla con se Mary- spiego pregando che si ricordi di passare a prenderla –dovrebbe essere stata a casa tutto il giorno, io ero al corso di preparazione per il test d’ammissione. Con Sirius e gli altri, sai-.
 
Caradoc annuisce, facendomi cenno di entrare in casa dopo averla aperta con un movimento veloce della bacchetta. Per ultimo, Ben se la richiude alle spalle.
 
All’interno, la casa è piuttosto spartana, senza ghirigori inutili. Assomiglia un po’ a quella di Sirius, anche se è decisamente più ordinata.
 
-hai visto Mary stamattina?- mi chiede Ben andando verso quella che deve essere la sala –perché, sai, ho incrociato Dorcas al San Mungo, ci ho dovuto accompagnare un mio collega che si è rovesciato un intero paiolo pieno di infuso di Fagiolo Sopoforoso addosso e non riusciva a rimanere sveglio per più di tre minuti di seguito. Comunque mi ha detto che ieri a casa sua c’è stato un mezzo litigio tra Mary e Alice, e che quando Mary se ne è andata era molto scossa-.
 
Stupito, scrollo il capo.
 
-non ne so nulla, non ho visto Mary stamani. Cosa… che litigio?- domando stranito –è strano che litighino tanto. Hanno litigato più nelle ultime due settimane che in sette anni di conoscenza e amicizia-.
 
Ben scrolla il capo.
 
-non so cosa…-
 
-Ben! Benjy, Caradoc!- urla una voce fuori dalla porta. I pugni che picchiano l’anta, ripetutamente, ci fanno sgranare gli occhi. Sembra la voce di Dorcas, ma non riuscirei mai a immaginarmi Dorcas urlare in un tale modo.
 
-Caradoc, siete in casa?-.
 
Dearborn, serio in volto come mi è capitato di vederlo davvero poche volte, si alza dal divano su cui si è appena seduto e si avvia veloce alla porta. Tempo mezzo minuto, ed è di ritorno in sala con gli occhi sgranati e Dorcas e Emmeline al seguito.
 
-cosa…?-
 
-Mary è qui?- chiede Emmeline decisamente sconvolta, guardandosi attorno come se Mary dovesse comparire da un momento all’altro, con un enorme sorriso sul volto e la parola “scherzetto” tatuata in fronte.
 
-cosa? No, è in ritardo- rispondo scrollando il capo.
 
Dorcas si porta le mani alla fronte, ed Emmeline si morde un labbro.
 
-non è tornata a casa, stanotte. È sparita da ieri sera, non è da Paul e non è nemmeno qui- mormora Dorcas guardando alternativamente Ben e Caradoc, quasi sperasse in una qualche mistica rivelazione.
 
-cosa vuoi dire, D…-
 
-andiamo, gli altri ci aspettano al quartier generale- taglia corto Emmeline uscendo veloce dalla stanza.
 
Mai come adesso ho avvertito la mancanza di qualcosa.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Charlotte Lucas nel film “Orgoglio e Pregiudizio” del 2005.
 
 
NOTE:
 
wella! Giuro che domani sera rispondo alle recensioni, adesso devo andare a dormire e domani sono fuori tutto il giorno. Pubblico stasera, sennò avrei dovuto ritardare il tutto di un giorno e non mi sembrava carino.
 
Che dire? Il punto di vista di Mary doveva essere molto più lungo, per questo ho deciso di dividerlo in due. Tra due capitoli il secondo pezzo, prometto... e, sempre fra due capitoli, il grande ritorno di Regulus Black, l'eterno secondo. Fatevi sentire, se vi va, e ditemi che ne pensate! Sono davvero stanca, quindi vi auguro una buona notte! nel prossimo capitolo Lily/Alice/Remus. E giuro, giuro solennemente, torneranno James e Lily. Giuro. Perdonatemi gli orrori grammaticali che sicuramente saranno presenti a manciate. 
Spero che il capitolo vi piaccia,
Hir

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Capitolo 11
*** Approcci ***


LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMME
REMUS
MARY
PETER
ALICE
FRANK
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Gideon Prewett è quasi sicuro di aver preso la strada giusta.
 
Per tutto il tempo in cui ha atteso Daisy nell’atrium del ministero, e anche per la colazione, ne è stato più che sicuro. Daisy ha un bel sorriso, e gli occhi luminosissimi. Le ciglia, scure sulla punta, si schiariscono di rame appena prima della radice. Sta attenta a quello che dice, ha i capelli lisci e accesi di riflessi bronzei. Ascolta quello che le dici tu, con interesse e una ruga d’attenzione proprio in mezzo alla fronte. Ha mani nervose, dalle dita lunghe e dalle unghie ovali e curate. Ha una marea di graziose lentiggini sulle guance e sulla punta del piccolo naso e le labbra piene e gentili, dischiuse come a regalarti un sorriso istintivo, quasi naturale.
 
Per tutto il tempo ci ha pensato, e alla fine è arrivato ad una quiete di pensieri che quasi sembrerebbe la calma che precede il caos più totale.
 
Daisy. Più che un uragano la definirebbe una pioggia sottile, e se dovesse essere un colore non sarebbe un rosso, o un giallo, ma un rosa pallido, antico. Se non un vento, per lo meno una brezza; forse non il calore di un fuoco, ma sicuramente quello di un respiro sulla pelle.
 
Alla fine della colazione l’ha invitata a cena –perché è così che si dovrebbe fare- e, mettendo a tacere la voce della propria coscienza –che, guarda caso, ha proprio il tono di Fabian-, l’ha riaccompagnata in ufficio.
 
A metà mattinata lui e Fabian hanno accompagnato Charlus in un’esplorazione nella Londra Babbana, poco lontano dall’ingresso visitatori del Ministero, tornando in ufficio giusto per godersi metà pausa pranzo e uno dei tanti scleri di Alastor, sempre all’ordine del giorno.
 
Il quasi si infiltra tra un pensiero e l’altro mano a mano che le ore fuggono. Se è vero quello che dicono, ossia che la lontananza chiarifica i pensieri, allora forse non dovrebbe comportarsi così. Quel pensiero, ancora, ha la voce di suo fratello. E un nome ben preciso che non è quello di Daisy.
 
 

*

 
 
-quindi adesso cosa facciamo?-.
 
A chiederlo è James, con lo sguardo perso nelle fiamme verdognole del caminetto che tardano a spegnersi dopo l’entrata di sua madre nella sala. La stanza è talmente piena che, se ancora la porta rossa dell’ingresso dovesse vomitare dentro qualcuno, forse non ci staremmo più.
 
Nemmeno alle riunioni, normalmente, si è tutti presenti. D’altronde, con più di trentacinque persone nell’ordine, i vari lavori e i vari impegni di tutti, non ci si riesce mai a coordinare e normalmente i gruppi non contano più di venti persone.
 
Invece adesso ci siamo quasi tutti, ed è incredibile. Ci sono Edgar Bones e sua moglie Miranda, che io ho visto solo un paio di volte ma che sembra essere amica di Amelia fin dai tempi di Hogwarts; ci sono Hestia, Sturgis, Caradoc, Amelia e Dorcas seduti attorno ad un’estremità del tavolo, i due fratelli Prewett appoggiati al muro e Frank che tenta di consolare una Alice in singhiozzi. Lène e Lily hanno gli occhi sgranati e grandi come piattini, James fissa senza vederlo il caminetto e Sirius e Peter che borbottano l’uno contro l’altro in preda alla tensione. Dorea e Charlus dall’altro lato del tavolo spostano lo sguardo da Albus Silente a Alastor Moody, entrambi zitti fin da quando hanno varcato la soglia. Minerva McGrannitt, per la prima volta da quando la conosco, mi sembra fragile, con gli occhi spalancati e il volto magro e severo tirato in un’espressione un po’ persa. Arabella Figgs è entrata in coda a Silente e, con i suoi due sacchetti di cibo per gatti, se ne sta rintanata su una poltrona dall’aria malmessa. Mundungus Fletcher, Hagrid, Benjy e Emmeline sono seduti vicini, poco distanti da me, mentre Dedalus Lux guarda tutto e tutti mettendosi e togliendosi nervosamente quel buffo cilindro dalla testa, in preda al nervosismo più assoluto. Perfino Aberforth Silente, il fratello del Preside, percorre a passi quasi furiosi la stanza, guardato di sottecchi più volte da Elphias Doge, che a quanto pare conosce bene sia lui che il Professore.*
 
-non abbiamo la certezza che la McDonald sia…-
 
-non è da Mary sparire nel nulla, soprattutto in un periodo come questo- puntualizza Sirius voltandosi verso Alastor Moody e interrompendo la discussione nervosa che aveva intrapreso a forza di sussurri con Peter –le persone saltano in aria, vengono uccise e rapite… soprattutto le persone vicine ai membri più importanti del Ministero. E guarda caso, la figlia di Fergus McDonald sparisce proprio pochi giorni prima della decisione ufficiale circa i P.P.S.B, Progetto che Fergus sostiene a piena voce-.
 
Le parole di Sirius scendono nel silenzio più teso che questa stanza abbia mai accolto, probabilmente. Vedo un paio di persone scambiarsi sguardi foschi, e Emmeline poco distante da me alzarsi in piedi ed allungarsi verso la borsa che si porta sempre dietro.
 
-lo sapevo- mormora con voce grave, rialzandosi e ponendo sul tavolo, poco distante da Amelia e Dorcas, un ritaglio di pergamena e un piccolo plico di toppe di giornale –in realtà, sospettavo che anche Mary fosse al centro del mirino di quei pazzi. Ho fatto qualche ricerca, qui ci sono i nomi delle persone più a rischio all’interno del Ministero. Ho allargato leggermente il campo, inglobando anche i figli e i parenti più stretti, come… fratelli, fidanzati o fidanzate, mogli, mariti. Ovviamente, sia Mary che Gillian sono nella lista. Ho… deciso di togliere dalla lista Dorea e Charlus, e anche te, Alastor, perché… beh, non siete connessi direttamente al progetto. Si, siete personalità importanti all’interno del Ministero, ma non avete rilasciato alcuna dichiarazione pubblica, per cui se anche le vostre preferenze in riguardo sono decisamente lampanti, non c’è niente di ufficiale nelle vostre scelte e un attacco rivolto a voi non sarebbe direttamente riconducibile al Progetto-.
 
-da quanto tempo lavori a questa lista, Emmeline?- chiede Caradoc allungandosi dal capo del tavolo a cui sta seduto fino a strappare dalle mani a Dorcas il ritaglio di pergamena. Con un gesto elegante della mano lo spiana per bene, mettendo in risalto l’inchiostro brillante e le varie frecce di ricongiunzione tra un nome e quelli che probabilmente sono i suoi più stretti parenti.
 
-non molto, in realtà, volevo mostrarla alla riunione di oggi. Benchè ne avessi l’intenzione da quasi una settimana, ho iniziato a fare ricerche solo un paio di giorni fa-.
 
Caradoc scorre con sguardo attento le diverse scritte, fermandosi di quando in quando su un nome particolare.
 
-Hestia, ci siete anche tu e Sturgis- mormora indicando i nomi in questione.
 
-beh, ora che sappiamo quali potrebbero essere gli obbiettivi successivi, non ci resta che sorvegliarli, aspettare e …-
 
-ci sono più di quaranta persone su quella lista, Pete!- esclamo io indicando il pezzo di pergamena, che nel mentre passa di mano in mano attraversando tutta la stanza.
 
-e poi- si intromette Benjy quando, da sopra alla spalla di Emmeline, riesce finalmente a dare uno sguardo ai nomi –fino ad ora è stata attaccata una persona per volta. L’agguato successivo è stato messo in atto una volta scoperta l’intera portata del precedente. Hanno fatto saltare in aria Chamberlain Square, e solo dopo essersi assicurati dello sconvolgimento causato dalla morte di Anita Robertson Jordan hanno rapito il figlio della Baker Morgan. Allo stesso modo, dopo essersi assicurati che la Baker Morgan avesse ricevuto la mano di Emmett, hanno ucciso la moglie di Julian Edwards. Hanno lasciato passare un giorno, e hanno rapito Mary, a quanto sem…-
 
-quindi Mary sarà morta quando colpiranno di nuovo, è questo che intendi?- chiede Lily portandosi una mano ai capelli, gli occhi lucidi e grandi fissi in quelli di Ben.
 
-in questo caso dobbiamo trovare un altro modo- sentenzia Emmeline con quel tono che usa spesso negli ultimi mesi, e che sta ad indicare che no, non accetta discussioni.
 
-potrebbe essere già morta- mormora Alice passandosi una mano sugli occhi per cancellare le tracce del pianto –potrebbe già essere troppo tardi. E le ultime cose che le ho detto sono state orribili-.
 
Quasi con rabbia Emme si volta verso Alice, scrollando il capo.
 
-Mary non è morta- ringhia con un tono così strano, per lei, da costringere qualcuno a guardarla con tanto d’occhi. Con un sospiro, mi avvicino a lei e le porto le mani alle spalle, cercando di farla rilassare.
 
-la Vance ha ragione. Mary non può morire così- si intromette Sirius alzandosi in piedi, con quel fare teatrale che talvolta usa per non mostrare veramente lo smarrimento che prova –è della Mac che stiamo parlando, starà… boh, probabilmente ha già convinto Bellatrix a spettegolare sulla sua prima notte di nozze con Rodolphus, e adesso fa da banco alle scommesse tra i mangiamorte riguardo alla durata del matrimonio di mia cugina la pazza e del brutto ceffo che ha sposato. Insomma, è Mary-.
 
Ad una prima occhiata potrebbe anche sembrare scemo, Sirius. E a dirla tutta, magari anche ad una seconda. Ma sa sempre cosa dire per spezzare un minimo la tensione, e per non cedere troppo alla melodrammaticità.
 
Con un sorriso, vedo Alice tentare un risolino e sento Emmeline rilassare le spalle. Gideon abbassa appena gli occhi, puntandoli al pavimento, e Dorcas per la prima volta da quando è entrata da in un sospiro un poco più disteso.
 
-cerchiamo qualcuno dei loro- esclama James alzando per la prima volta lo sguardo dal camino, e puntandolo in quello di Sirius, come febbricitante –Avery o… Mulciber! È un cretino, ma ha un’ossessione per Mary fin dal secondo anno-.
 
-James, accusare un ragazzo di soli diciotto anni di essere un mangiamorte è un’accusa molto grave- lo blocca Dorea sospirando –soprattutto se è uno dei figli dell’alta società. Magari non ti stanno simpatici ma…-
 
-ha ragione- interviene Marlene, scrollando il capo e attirandosi la maggioranza degli sguardi della sala –Mulciber ha davvero un’ossessione particolare per Mary. Fin dal terzo anno quando…-
 
-cara Marlene, dal vostro terzo anno è passato ormai molto tempo- la interrompe Silente con quel suo sguardo calmo e serio che basta a mettere i brividi –e, a meno di non sbagliarmi grandemente, il signor Mulciber non ha più infastidito Mary in nessun modo-.
 
-certo, perché a lei si rivoltava lo stomaco semplicemente a trovarselo davanti!- esclama Lily scrollando il capo –in ogni caso mi trovo d’accordo con Dorea, non possiamo andare da Mulciber e accusarlo di nulla, non abbiamo alcuna certezza-.
 
-però dobbiamo fare qualcosa- mormoro prima di sentire, quasi, lo sguardo di Moody e di Silente addosso.
 
-non è detto che si possa fare qualcosa, ragazzo, questo ti è chiaro?-.
 
La voce burbera è quella di Alastor, che subito si attira addosso quasi istantaneamente gli sguardi gelidi di Marlene e Lily. Con un pensiero che è quasi un lampo, capisco che quello che Emmeline sostiene praticamente dall’inizio di quest’anno catastrofico diventa ogni giorno più vero.
 
Ci stiamo abituando alla morte, tutti quanti.
 
A parlarne come se non fosse una cosa sconvolgente, morire a diciassette, diciotto anni. Come se fosse normale, per degli adolescenti, fare i conti con qualcosa di così grande, e immenso, e pauroso.
 
Alastor ha ragione: non è detto che si possa fare qualcosa.
 
-è detto, invece- sibila Emmeline appallottolando con un gesto nervoso la pergamena, nel bel mezzo del silenzio nuovamente teso –noi abbiamo il dovere di fare qualcosa-.
 
Emmeline è cambiata, ed è una di quelle cose che devo continuare a ripetermi perché, se me le dimentico per un solo attimo, mi sconvolgono. Emme ha raggiunto in questi mesi quel particolare equilibrio che nessuno di noi ha mai trovato. James, con la sua ricerca disperata di Lily; Sirius, con il suo odio per la famiglia; io, ibrido mostruoso e tuttavia capace di amare; Peter, sempre costretto a barcamenarsi per restare in sella a questo mondo che non ti vuole se non sei bello, bravo e capace. Emme è stata l’unica, l’unica che ha aperto gli occhi mantenendo comunque i suoi ideali. La guerra è brutta, e alla morte ci si può abituare. Ma non ci si può arrendere. Capire, ma senza rassegnarsi. Combattere, per guardare quella morte che tanto ci fa paura dritta negli occhi.
 
E questa è una cosa che stupisce tutti, e forse lei per prima.
 
-non sempre si può, Vance, non siamo eroi- le fa notare Moody con quel suo tono scortese che non muta di una virgola. Lo sa, diamine, lo sa perfettamente che questo è il modo migliore per far perdere le staffe a Emmeline! E, per Merlino, lo dice uno che non pensava fosse minimamente possibile far perdere le staffe a Emmeline Vance, alla cara, dolce, timida Emme. Questo, fino a qualche mese fa.
 
-ma non siamo nemmeno bestie da macello- ribatte scrollando le spalle, sempre più irrequieta –Mary non…-
 
-la signorina McDonald sapeva a cosa andava incontro quando è entrata nell’Ordine della Fenice, signorina Vance- le fa notare logica la McGrannitt. Si vede che è ella stessa poco convinta delle proprie parole. Siamo troppo giovani, lo ha sempre detto, lei.
 
-ma qui l’Ordine non c’entra nulla!- esclama a viva forza Marlene, perché è risaputo che una volta tolto il tappo la burrobirra uscirà fuori. E di solito il tappo lo toglie Emmeline –probabilmente loro non lo sanno nemmeno, dell’esistenza dell’Ordine. Se l’hanno… presa… Se l’hanno presa, è solo perché è la figlia di Fergus-.
 
-e in ogni caso si, è vero, Mary sapeva a cosa andava incontro unendosi all’Ordine. Lo sapevamo tutti- riprende Emme, forte del sostegno di Lène e di quello, più velato ma comunque manifesto negli sguardi, di Lily –ma questo non la rende sacrificabile-.
 
-Emmeline, nessuno qui intende lasciare Mary al suo destino, Alastor non voleva dire niente del genere- si intromette Hestia, con quello sguardo lucente e le guance già lievemente arrossate. Si emoziona di niente, la Jones –Mary fa parte dell’Ordine, e noi abbiamo il dovere di tirarla fuori da qualunque sia il buco in cui l’hanno cacciata. Dobbiamo provarci, con tutte le nostre forze. Quello che intende Alastor, è che in queste occasioni ci si deve muovere lentamente, con intelligenza. E che non sempre le cose vanno come vogliamo noi. È qualcosa che dobbiamo capire, accettare, se abbiamo intenzione realmente di entrare proprio nel bel mezzo di una guerra. Ci sono due schieramenti, e le perdite non stanno mai da una parte sola-.
 
-questo lo so be…-
 
-ah, Godric, Emmeline ha ragione- strepita alla fine Gideon, alzandosi dalla sedia e raggiungendo velocemente il tavolo. Con irruenza, prende la palla di pergamena che poco fa era solo un foglio, e lo ridistende con un colpo di bacchetta –dovremmo essere lì fuori a cercarla invece che qui dentro a ragionare di filosofia. Qualcuno ha qualche idea costruttiva che non comprenda una perdita immane di tempo prezioso?-.
 
A questo punto, cala definitivamente il silenzio.

 
 

*

 
 
Quasi sobbalzo quando Gideon esplode. Ho visto nascere questo fuoco scintilla dopo scintilla, ho notato l’accumularsi della pira legnetto dopo legnetto. A quella riunione in cui per la prima volta Emmeline è scattata, all’incontro ad Hogsmeade per il compleanno di Mary, e ad ogni visita successiva, ad ogni sorriso, ad ogni silenzio.
 
Sono in attesa da mesi. Ed è scoppiato nel modo peggiore.
 
Nella sala cade il silenzio più assoluto, mentre più di un paio di occhi puntano su di lui lo sguardo stralunato. Ce lo aspettavamo un po’ tutti eppure nessuno era davvero preparato, nemmeno Fabian.
 
Gideon fissa quel pezzo di pergamena che Emmeline ha tirato fuori come se fosse il libro magico di Merlino con tutte le soluzioni possibili ai più svariati problemi della gente, e nessuno si sente in diritto di strappargli dalle mani quell’unico appiglio alla speranza che gli è rimasto. Soprattutto non io, già così colpevole.
 
Mary si è allontanata per colpa mia. E le ultime cose che le ho detto… potrebbero davvero essere state le ultime. È una rivelazione che arriva a ondate, sommergendomi di tanto in tanto fino quasi a togliermi del tutto l’aria, e prendendomi in giro facendomi tornare a galla quel tanto che basta ad illudermi di poter sopravvivere ad un dolore così grande. Se Mary muore, è anche colpa mia.
 
-Voldemort ha proprietà sue? Magari proprietà di famiglia, posti in cui poter portare…-
 
-Lord Voldemort disprezza il ramo babbano della propria famiglia, Gideon- lo asseconda in tono gentile Silente, intento a riflettere. Mi basta pensare una cosa, sentendolo parlare, per ritrovare un po’ di serenità: oltre quegli occhiali con le lenti a mezzaluna e quella barba bianca, la mente migliore della Gran Bretagna e probabilmente di tutto il mondo magico ragiona su come tirare in salvo Mary McDonald. Non possiamo essere perduti –e quella babbana è l’unica parte facoltosa della famiglia. Da parte di sua madre, non c’è nulla da tenere in conto-.
 
Fabian si raddrizza sulla sedia, puntando lo sguardo alle spalle del fratello, preoccupato.
 
-chi sappiamo per certo essere dalla sua parte? Le proprietà dei mangiamorte più importanti sono…-
 
-immense- borbotta Marlene alzando gli occhi al cielo –e sono tantissime. I mangiamorte sono quasi tutti parte delle famiglie più antiche del mondo magico. I Black, i Lestrange. Prendi i Malfoy, hanno decine di proprietà sparse per il Regno Unito, e qualcosa anche in Francia. Non andremo da nessuna parte così-.
 
Dal posto in cui mi trovo, riesco a vedere la frustrazione dipinta negli occhi di Gideon. E ogni lampo è per me come una pugnalata.
 
 
Flashback-> ore 11.00 del 27 febbraio 1978
 
-a che ora avete detto che arriva la McDonald?- chiede Dorcas sporgendosi di poco fuori dalla porta della Testa di Porco –la strada è deserta-.
 
-Paul ha detto che lui e Lily avrebbero cercato di distrarla il più possibile per lasciarci il tempo di organizzare tutto- rispondo mentre, in piedi su una sedia traballante, attacco l’ennesimo striscione –ditemi che è l’ultimo, vi prego-.
 
-ce ne è ancora uno- mi smentisce James scollandosi un po’ di dosso quell’aria da funerale che ha ormai da dieci giorni a questa parte –ma forse… Sturgis, riesci ad allacciarlo al lampadario?-.
 
Chiamarlo lampadario è, a parer mio, un po’ un azzardo. È una struttura traballante di legno un po’ marcio che regge qualche candela incantata, e che basta a dare una penombra appena accettabile al locale fatiscente. Non ero mai stata alla testa di porco fino ad oggi, ma devo dire che passata la prima impressione non è male.
 
Vedo Dorcas rispondere con una risatina all’occhiata linciante di Aberforth Silente, dietro al bancone. Deve essere stato il modo in cui James ha detto la parola lampadario. O il semplice fatto di vedere la sala addobbata in questo modo qui.
 
-ma non sono troppi?- domanda da parte sua Benjamin, appoggiato al bancone e intento a discutere con Ab, probabilmente per rabbonirlo –insomma, questa stanza è così piena che vedrà a stento tutti noi, in mezzo a tutti i festoni…-
 
-oh, Mary adora i festoni. In realtà…- si corregge Emmeline spedendo con un colpo di bacchetta una lanterna colorata in aria e dando in uno sbuffo divertito –in realtà più che altro adora il suo compleanno. Nel modo più totale, è il giorno dell’anno che preferisce, compreso forse il Natale. E ogni anno le feste in suo onore sono più di una, a dire il vero-.
 
-più di una?- chiede incuriosito Gideon, accendendo l’ennesima candela su uno dei tavoli per rischiarare un po’ l’ambiente –quante volte festeggia il compleanno, scusami?-.
 
-oh, almeno tre- scrolla il capo Marlene, con un sorriso divertito –è incredibile quante persone si interessino a lei. Insomma, con tutti i ragazzi con cui è stata e che poi ha lasciato diresti che dovrebbe essere piena di nemici, invece no. Anche con Paul, guardala. Da quando non stanno più insieme sono addirittura più amici di prima-.
 
-si, Mary sta particolarmente simpatica ai Tassorosso, e l’anno scorso le hanno organizzato una festicciola anche lì. E ovviamente, poi, ci sta una bevuta solo con la squadra, riserve comprese-.
 
-stamattina, a colazione, per leggere tutti i gufi con gli auguri che le sono arrivati ci ha messo quasi un’ora- spiego io ritirandomi soddisfatta e guardando il soffitto della sala. L’entusiasmo per le feste di Mary contagia sempre un po’ tutti, ed in effetti anche quest’anno –pur in crisi come siamo- abbiamo deciso di seppellire l’ascia di guerra solo per un giorno. Cioè, non è proprio che Lily e Emmeline vadano di nuovo d’amore e d’accordo, ma comunque ci stiamo lavorando.
 
-Hestia e Amelia dovrebbero ormai essere qui- esclama Sturgis dopo aver appeso l’ennesimo striscione colorato al lampadario –passavano dalla pasticceria buona in Diagon Alley, a vedere se potevano arraffare qualcosa-.
 
-certo che Hes si approfitta del pasticcere- scherza Caradoc finendo di sistemare e accendere l’ultima lanterna colorata, spedendola in aria con un colpo di bacchetta –chiunque sa che Baptiste proprio non sa resistere ai suoi occhioni dolci-.
 
-fino a quando l’unico risultato è che gli regala i dolci può anche andarmi bene- mormora Sturgis guardandosi attorno lievemente piccato –pur che tenga le mani nella farina, e non sulla mia ragazza-.
 
-oh, che carino, state insieme da più di dieci anni e sei ancora geloso!- lo prende in giro Amelia, scendendo dalle scale che portano al piano di sopra e, probabilmente, all’appartamento di Ab. Con un sorriso dolcissimo, uno di quelli che gli fanno brillare le occhi e che le ho sempre invidiato, si rivolge all’uomo, che la guarda in risposta con uno sguardo mortifero stampato negli occhi –ci siamo materializzate di sopra per scongiurare il rischio che Mary ci scoprisse-.
 
-non vorremmo mai rovinare la sorpresa- conclude Hestia in coda ad Amelia, con in mano un vassoio dall’aria invitante confezionato con la carta della suddetta pasticceria. Con un sorriso ancora più dolce rivolto al proprio ragazzo, lo saluta con un bacio arrossendo fino alle orecchie –Baptiste ci ha regalato un vassoio e ci ha scontato a metà prezzo il secondo-.
 
-magari questa è davvero la volta che riusciamo a fargliela, questa benedetta sorpresa- ghigna James posizionando su uno dei tanti tavoli il vassoio in mano ad Amelia, e indicando a Hestia dove mettere il proprio –ogni anno si aspetta sempre qualcosa, ma questa volta, con voi…-
 
-un paio di dati tecnici, prima dell’arrivo di Mary- esclamo io interrompendo James, giacchè il suo discorso mi ha riportato alla mente quello quanto possono essere traumatiche le reazioni di Mary se non si è abituati ad avere a che fare con persone come lei. Mi rivolgo in particolare a quella che Ben chiama ormai da anni fuori dai denti la “Patria dei Bellocci”, di cui ormai fanno parte anche lui e Dorcas, da tempo –Mary potrebbe essere… emh… un tantino sovreccitata, non so se avete presente il tipo di persona-.
 
-Pix in confronto è il ritratto della calma- chiarisce Marlene dandomi manforte.
 
-già normalmente Mary è difficile da tenere sotto controllo- annuisco io –in questo periodo dell’anno è proprio incapace di stare ferma e buona. Questo per dire che se non siete abituati agli abbracci tipici da piovra gigante e la cosa vi potrebbe dar fastidio… beh, forse fareste meglio ad aspettare al piano di sopra che smaltisca il primo entusiasmo-.
 
-al piano di sopra?- scherza Marlene scrollando la testa –secondo me non basta… andate ai Tre Manici, o forse è meglio se cambiate regione. Stato. Pianeta-.
 
La precisazione di Lène fa ridere sia Sturgis che Caradoc ed Edgar.
 
-quello che mia cugina vuole dire, è che Mary è il tipo di persona che mentre ti abbraccia attenta alla tua vita, per mostrare al mondo quanto è contenta. Non lo fa con cattiveria, però- conclude James con un sorrisetto divertito, guardando verso la porta –ma dove diavolo è andato a finire Paul? Spero non l’abbia portata da Mielandia, altrimenti tra lei e Lily impiegheranno ore ad uscire di lì-.
 
-sai che Paul è un tipo intelligente, non lo farebbe mai- scrollo il capo –conosce bene Mary, probabilmente sono da ScrivenShaft. Vedrai che arriveranno presto. Anche Sirius e Peter sono con loro, no? E Merlino solo sa che non c’è persona più noiosa di Sirius Black costretto a passare del tempo in quel negozio-.
 
Proprio in questo momento, dall’esterno del locale, la voce decisamente alterata di una Mary entusiasta ci raggiunge riducendoci al silenzio.
 
-da quando ti dai all’esplorazione di Hogsmeade senza dirmi niente, Sanders?-.
 
Sento Paul e una ragazza, quindi probabilmente Lily, ridere e poco dopo la porta si apre sulla penombra della stanza. Dalla soglia, stagliate contro la luce esterna, le figure di Mary e Paul si fermano prima di entrare nella stanza.
 
Alla McDonald occorre giusto qualche attimo prima di abituarsi con gli occhi alla scarsa luce dell’interno. Quando si sposta leggermente di profilo e riesco finalmente a valutarne l’espressione, non posso fare a meno che unirmi alla risata di James.
 
-ah, ci siamo riusciti!- le fa notare infatti Potter, alzando le braccia in aria in segno di vittoria –sorpresa!-.
 
È una settimana, almeno, che la organizziamo. All’inizio pensavo bastassero un paio di lettere a Dorcas e Gideon, che corrispondono regolarmente anche con Mary, poi Fabian ha pensato alla Testa di Porco, Gid ha coinvolto Caradoc e Sturgis, Benjy si è preoccupato di trattare con Aberforth…
 
L’urlo pieno di entusiasmo di Mary, assolutamente previsto sia da me sia da Paul –che si è tappato le orecchie con gli indici in attesa di sentirlo-, non si fa attendere. Con il suo solito passo agile, Mary salta al collo della prima persona che si ritrova davanti –James- balbettando felice come una bambina. Caradoc, Sturgis, Hestia e Fabian scoppiano a ridere divertiti, seguiti da Dorcas e Ben –che più che ridere propriamente piega le labbra in un sorriso che gli illumina gli occhi-.
 
Seguendo la marea, Mary dedica ad ognuno uno dei suoi particolari abbracci, da cui lei esce sempre intatta mentre chi ne è vittima riesce a malapena a muovere le spalle.
 
-Per tutte le gonne di Priscilla, Mac, Alice ha ragione riguardo ai tuoi abbracci- esclama Caradoc quando, al suo turno, sembra uscirne lievemente intirizzito –ci credo che sei una battitrice, con quelle spalle e quelle braccia!-.
 
Fine flashback.
 
-cosa sappiamo per certo?- chiede con insistenza la voce di Lily, in piedi accanto a Gideon –oltre al fatto che è sparita nella notte tra ieri e oggi, intendo. Tipo, il posto?-.
 
-l’ultima volta che l’abbiamo vista è stata a casa di Dorcas- risponde veloce Fabian, prima di indicare suo fratello –è andata via dopo aver litigato con Ali, e Gideon l’ha seguita-.
 
-ma non l’ho trovata. Non conosce bene quella zona di Londra, potrebbe essersi smaterializzata ancora prima che io uscissi di casa- sbuffa Gid concentrato –oppure ha preso una delle tante strade che non…-
 
-io conosco quella zona- si intromette Dorcas con quella voce calma ma decisa che la contraddistingue da sempre –da qualche parte dovremmo pure iniziare. Io e Gideon potremmo tornare lì, mi fai vedere dove hai perso le sue tracce e magari c’è ancora qualcosa da trovare. Mary non mi sembra il tipo di persona da arrendersi senza lottare-.
 
-o magari si è smaterializzata e l’hanno presa a Godric’s Hollow- interviene Peter ragionevole –d’altronde, come facevano a sapere che sarebbe stata a cena da te? Avrebbero dovuto pedinarla, e credo che lei se ne sarebbe accorta. Magari da giorni spiavano la casa-.
 
-sarebbe stato rischioso tentare un’azione del genere a Godric’s Hollow. È vero che è un villaggio babbano, ma pullula di maghi. Perfino il cimitero ne è pieno. Non so se…-
 
-beh, tentare non nuoce, no?- domanda Remus alzandosi e sfregandosi le mani, come soddifatto. Finalmente abbiamo una linea d’azione, e anche tutti gli altri sembrano più tranquilli.
 
-i turni di sorveglianza al quartier generale aumentano a due persone alla volta, allora- annuisce Moody dopo un cenno ad Albus Silente –qualsiasi cosa si scopra, in qualsiasi caso, non ci si muove prima che Albus ne venga informato. Su questo non voglio ripetermi-.
 
 

*

 
 
Niente, a Godric’s Hollow non c’è assolutamente nulla.
 
Lui e Peter l’hanno girata tutta, due volte, tre, con particolare attenzione nei dintorni di Casa McDonald, ma non c’è assolutamente nulla, nemmeno un bacchetto spezzato che indichi un qualche segno di lotta. Tutto sepolto nell’immobilità più totale, così immobile che attendere fa quasi male.
 
Sale le scale che portano al piano di sopra con lentezza, una preghiera ogni gradino, alla ricerca di un silenzio meno teso, di un periodo più felice.
 
E adesso andrà di sopra, salirà quelle maledette scale, e ci troverà la propria ragazza intenta a inscatolare quelle poche cose che possiede, con l’intento di andarsene via di lì, anche lei. Prima Marlene, poi Sirius, e alla fine anche lei.
 
Arrivato oltre la porta socchiusa di quella che una volta era la stanza degli ospiti numero uno e che adesso è camera di Lily, si sporge leggermente per guardare dalla fessura quella ragazza che per sette anni gli ha impiastricciato i pensieri.
 
Ha addosso una sua maglia, che a lei sta lunga fino a metà coscia, e centinaia di pensieri tristi, visto il periodo. I capelli lunghi sono raccolti in una coda fatta a casaccio, quel tanto che basta per trattenerli lontani dagli occhi, e sotto quelle due pietre di giada che si ritrova incastonate sul volto sono visibili due cerchi neri, occhiaie, perché davvero, ha diciotto anni ma si sente stanchissima.
 
 

*

 
 
Sento la porta aprirsi lievemente, e senza nemmeno voltarmi riesco a capire che è lui. Certo, e chi dovrebbe essere? In casa ci siamo solo noi due, ma non è solo quello. Sembra tanto una frase fatta, un luogo comune. Ma è semplicemente impossibile non riconoscere il rumore del suo respiro, nemmeno se fosse tra diecimila altri respiri. Semplicemente impossibile.
                       
-credi che riusciremo a ritrovarla?- domando passando la mano sinistra sulla foto, con dolcezza, come a ripulire quel vetro da una polvere che in realtà non esiste.
 
L’abbiamo scattata nel bel mezzo degli esami, in sala comune, tra un gran caos di studenti e libri sparsi ovunque.
 
James, sempre sulla soglia, da in una risatina nervosa e quasi nevrastenica, come se avesse captato oltre le mie parole la mia vera domanda. Credi che sia ancora viva?
 
-certo che ci riusciremo- mormora guardandomi riporre il portafoto in uno degli scatoloni di carta che mi sono procurata. Ce ne sono cinque, sparsi per la stanza, e con un sorriso triste penso che anche se solo per un mese scarso, ormai mi sono ambientata a Casa Potter come non avevo fatto nemmeno ad Hogwarts.
 
A scuola non avevo mai tirato fuori dal baule tutta la mia roba. L’anno scolastico era più che altro un inframezzo tra una vacanza e l’altra, e quel baule era tutta la mia casa, con dentro tutta la mia vita.La sindrome della Lumaca, l’aveva chiamata James quando, dopo i M.A.G.O. mi aveva convinto a svuotare completamente il baule e a gettarlo via.
 
Ne comprerai un altro mi aveva detto. Alla fine mi sono convinta a cercarmi una casa vera, al posto di portarmene una finta in giro per il mondo. Più indipendenza, mi sono detta. Per me, per James, per la famiglia Potter in generale, che sicuramente si è stufata di concedere a destra e a manca asilo politico.
 
Più indipendenza, è quello che continuo a ripetermi. Per farmi forza, perché tutto quello che ho davanti mi fa paura e io non so se voglio tutta quest’indipendenza. Uscita da casa dei Potter, mi attende solo un salto nel vuoto, senza la presenza rassicurante di James affianco e i suoi sguardi innamorati.
 
-forse ho trovato una casa. Un monolocale piuttosto grazioso, sopra a Camden Town- mi caccio a forza le parole fuori di bocca raccogliendo l’ennesima cosa da una delle mensole e rigirandomela tra le mani. È un ciottolo levigato che ad una prima occhiata potrebbe sembrare esattamente uguale a tanti altri sassi. È l’unica cosa che mi sono permessa di portare via dalla casa dei miei genitori –l’affitto è piuttosto basso, quindi anche nel malaugurato caso in cui il colloquio di lunedì prossimo con il capo di Benjy dovesse andare male, posso permettermi di pagarlo senza lavorare. In caso non mi riuscisse con l’alchimia, posso provare a fare l’auror-.
 
-Lène non ti ha…-
 
-no, in realtà non ha fatto cenno dell’idea di andare a vivere insieme- scrollo il capo riponendo il ciottolo nello scatolone e guardando il tutto con scetticismo –credo che me ne servirà un sesto, di scatolone… non avevo idea di aver conservato tanta roba… immagino, comunque, che in caso le servisse un posto in cui stare, per i primi tempi potremmo anche dividere un monolocale. Per lei è più che altro una prova, quella di vivere da sola, e penso che dopo il primo impatto si ricrederà. Lei è fatta così, e io non ho voglia di ritrovarmi a dover pagare cifre astronomiche per causa sua-.
 
Ho il tono disincantato e stanco, esattamente come disincantata e stanca mi sento io.
 
-avete trovato qualcosa?- chiedo alla fine, più che altro per non lasciare che il silenzio invada la stanza, portando ricordi spiacevoli, sensazioni troppo forti.
 
-niente- scuote le spalle lui, entrando a piccoli passi e richiudendosi la porta alle spalle –magari, però, Gideon e Dorcas trovano qualcosa. Qualsiasi cosa. Credo che sia sparita ieri sera appena dopo essere uscita da casa di Dor, altrimenti non avrebbe senso. Quando Mary scappa è a Godric’s Hollow che viene, a casa sua, dai suoi. Se non c’è traccia qui, sicuramente è lì-.
 
 
Flashback-> ore 16.50 del 1 marzo 1978
 
-la partita contro i Corvonero secondo me potremmo vincerla- esordisco quando, finito l’allenamento del lunedì pomeriggio, guardo gli altri dirigersi agli spogliatoi tutti piuttosto arzilli.
 
È stato un bell’allenamento, tutto sommato, accompagnato dal sole nonostante la brezza fresca e decisamente positivo dopo l’ultima partita contro Tassorosso, per cui Mary ci tiene ancora più o meno il muso.
 
-dobbiamo vincerla, Evans- mi fa notare con un’occhiata lievemente ironica –è il nostro ultimo anno, e di arrivare dopo Tassorosso non se ne parla neanche. Voglio quella maledetta targa con il mio nome sopra-.
 
-modesto come al solito, Potter- rispondo con un sorrisino, nonostante quello strano disagio che mi prende quando lo sento chiamarmi per cognome. Insomma, fino a solo qualche mese fa era assolutamente normale, ma ora fa un male cane.
 
Ho rovinato tutto, ma riproverò a metterlo apposto. A farlo tornare come nuovo. A farlo tornare vero.
 
James sorride e, lo vedo, si sta quasi per mettere a ridere sul serio, con quegli occhi scuri così nocciola così densi di allegria da illuminare tutto come un lumos maxima.
 
-ti aiuto?- mi offro volontaria chinandomi per aprire il baule in cui sono custodite le palle per il quidditch. Mary ha la brutta abitudine di non chiudere mai i bolidi come si dovrebbe, e quelli che si ritrovano di solito ad aprire il baule senza saperlo passano il girono successivo in infermeria con la mandibola slogata.
 
-attenta ai bolidi- mi ricorda infatti lui, preoccupato. Con attenzione, mi sposto velocemente dalla traiettoria di quelle palle assassine sedendomi sull’erba del campo; sorprendentemente, tuttavia, i bolidi non partono.
 
-li ha davvero chiusi bene?- chiedo sincerandomi della cosa con attenzione. Le cinghie deputate a trattenere le palle sono infatti ben allacciate, cosa stranissima –cos’ha, sta male?-.
 
-Mary?- mi chiede lui rivolgendo uno sguardo nella direzione in cui è scomparsa –sono un paio di giorni che è strana. Insomma, strana se si tiene conto l’abitudinale idea di normalità che si può applicare a Mary McDonald-.
 
-Jamie…- lo correggo io, divertita –tu sei James Potter, non sei la persona migliore per parlare di normalità-.
 
James scoppia a ridere, sinceramente divertito questa volta.
 
-hai ragione, cara- annuisce e, per un solo attimo, tutto sembra esattamente come ogni altro giorno degli ultimi tre mesi. Perfetto. O quasi.
 
Poi però lui ricorda, io ricordo, arrossisco come un pomodoro e mi tiro in piedi spolverandomi la veste, sperando che una qualsiasi cosa venga ad interrompere questo silenzio imbarazzato e denso di ricordi dal sapore agrodolce.
 
-io devo…-
 
-credo che dovrei…-
 
Le parole imbarazzate di entrambi si accavallano le une sulle altre, e anche se ho tentato di dire qualcosa, quasi mi trovo a ringraziare questo momento perché davvero, ho aperto bocca più che altro per scongelare l’imbarazzo, senza una vera intenzione di dire qualcosa.
 
-dopo cena ricordati la riunione con i Prefetti, ok?- chiedo alla fine abbrancando la prima cosa che mi viene in mente, mentre chiudo il baule con un gesto della bacchetta dopo avervi messo il boccino che tenevo in tasca –nell’aula di…-
 
-incantesimi, certo- annuisce lui computo, abbassandosi a prendere il baule –abbiamo la ronda insieme, poi?-.
 
-si, io…- non so cosa dire, imbarazzata. Perché l’imbarazzo con James Potter mi sembra adesso una situazione inaccettabile quando fino a qualche mese fa ci sguazzavamo allegramente in mezzo?
 
-allora ci vediamo dopo- mormora lui indicando gli spogliatoi.
 
Con un sorriso, non mi resta che annuire.
 
Fine flashback.
 
 
 
 
 

 
NOTE:
 
capitolo un po’ in ritardo, colpa di incidenti e cose varie che mi hanno impedito di trovare il tempo per scrivere qualcosa di decente fino ad ora. I PoV del prossimo capitolo saranno Sirius/Mary/Regulus, e prometto che sarà ben nutrito e che arriverà molto più alla svelta di questo. Ora devo uscire, ma quando torno stasera rispondo a tutte le recensioni che mi avete lasciato allo scorso capitolo, ma anche a quelle di chi si è messo a recensire ogni capitolo precedente e (*.*) l’amore ai tempi del Caos, e Primavera non bussa. Wow. Giuro.
 
Per ora, aggiorno qui e vado a farmi la doccia.
Sperando che vi sia piaciuto,
Hir
 
 
 
p.s. Tanto per mettere le cose in chiaro, mi dispiace tanto ma Severus Piton non diventerà mai un protagonista di questa fan fiction. Fa la comparsa, di tanto in tanto, ma è una comparsa quasi trascurabile. Mi rammarica dirlo, ma non c’è persona in Harry Potter che mi stia antipatico come Piton, quindi non credo proprio che scriverò mai qualcosa su di lui.

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Capitolo 12
*** speranze e timori ***


LILY
JAMES
LèNE
SIRIUS
MARY
ALICE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
LONDRA, ORE 19.50 DEL 28 LUGLIO 1978
 
I due giovani camminano vicini, lentamente, frugando con occhi avidi gli anfratti oscuri dei vicoli e gli androni deserti dei palazzi della zona.
 
Lei cammina tranquilla, quasi fosse in visita di piacere, con quella calma che nemmeno la guerra è riuscita a scrollarle via di dosso; lui invece è nervoso, teso come il laccio di una trappola per lepri, pronto a scattare ad un minimo segnale, a un qualunque segno di riconoscimento.
 
-potremmo tornare indietro e vedere nella strada a destra, all’incrocio precedente- esordisce la ragazza spezzando dopo quasi mezz’ora un silenzio che sa di solennità –potrebbe essere che abbia preso quella direzione senza che tu la vedessi a causa del buio, ieri sera-.
 
-oppure potrebbe essersi smaterializzata appena uscita da casa tua, mentre io ancora ero intento ad infilarmi il mantello- borbotta rassegnato lui, senza però rassegnarsi a darsi pace con lo sguardo –magari l’hanno davvero presa a Godric’s Hollows, per quello che ne sappiamo. Per loro potrebbe essere stato più facile, trovarla a casa sua-.
 
La ragazza scrolla il capo, in risposta, indecisa.
 
Continuano l’esplorazione del vicolo ancora per qualche minuto, ripristinando il precedente, religioso, silenzio. Alla fine, costretti dall’evidenza dei fatti ad arrendersi, raggiungono l’incrocio citato poco prima dalla ragazza.
 
-tu credi che…-
 
È il giovane questa volta ad aprire la conversazione, con un tono tutt’altro che gioviale e lo sguardo nervoso che saetta da un angolo scuro all’altro, indagando scrupoloso. Dal suo atteggiamento pare quasi obbligarsi a tenere le spalle dritte sotto ad un peso e ad un dolore che potrebbero spezzarlo. Con decisione, poi, imbocca la strada poco illuminata che conduce a destra dell’incrocio.
 
-non voglio crederci, Gideon- lo rimprovera dura la ragazza –non posso… e non dovresti crederlo nemmeno tu. Siamo l’ultima speranza di Mary, non possiamo arrenderci così facilmente. È nostro preciso dovere cercarla fino a trovare tutte le risposte, senza disperare mai-.
 
Il ragazzo sospira, e per un secondo appena curva in avanti le spalle. Così posizionato, sembra più un vecchio di settant’anni che un uomo di venticinque.
 
-sai- mormora alla fine voltandosi verso la ragazza e guardandola con occhi chiari e luminosi di speranza –per un istante, quando ho visto la sua foto nella bacheca degli scomparsi al quartier generale, appena sono entrato… ho creduto veramente che fosse la fine. Non avevo mai sentito niente del genere. È stato come trovare una montagna parata davanti ad una strada che fino all’attimo prima credevo libera. Ostica, si, ma pur sempre praticabile. Un muro impossibile da scalare-.
 
-non lo è, Gideon- mormora dolcemente la ragazza, alzando una mano per raggiungergli la spalla e stringerla così dolcemente in una presa affettuosa –non è la fine. Ma, ti prego, fammi un favore-.
 
Con sguardo stranito lui la osserva dall’alto del suo metro e ottanta.
 
-quando la ritroveremo- continua Dorcas con una sicurezza che farebbe quasi pensare che in realtà Mary stia giusto per spuntare dal primo angolo buio –dille tutto quello che ti è passato per la testa negli ultimi mesi. Avete paure ingiuste, e ingiustamente vi state rovinando-.
 
Muto, forse travolto dal possibile significato della frase ancora nell’aria, si volta verso la fine della strada.
 
-ma lei…-
 
-se Merlino o chi per lui avesse davvero voluto farci sapere cosa pensano gli altri, ci avrebbe fatti nascere tutti Leggilimens. Non commettere l’errore di tirare le somme troppo presto su pensieri che non sono tuoi. La mente di Mary funziona in modo diverso dalla mia e dalla tua-.
 
Quasi non avesse nemmeno detto nulla, la ragazza ricomincia a camminare lasciando la presa sulla spalla dell’altro con la mano. Il mantello, di un viola intenso, le svolazza alle spalle agitato dalla fresca brezza estiva, come a cancellare quell’attimo di intimità fraterna.
 
-guarda cosa c’è qui, Gideon- lo richiama poi piegandosi sulle ginocchia, più avanti.
 
Davanti ad alcuni raccoglitori d’immondizia, un pezzo di legno delle dimensioni di un ferro da calza giace rotto in più punti, quasi come se qualcuno lo avesse calpestato.
 
 

*

 
 
VILLA SELWYN, ORE 20.50 DEL 30 LUGLIO 1978
 
-volete forse farmi morire di freddo, voi?- urla la ragazza verso la porta chiusa e fatiscente del proprio mattatoio personale.
 
-una questione è indubbia, ragazza- le risponde, al di là del battente, la voce già conosciuta del carceriere della villa –che sia di freddo o di qualcos’altro, un giorno di questi morirai. Fatti più indietro, sto entrando con il cibo-.
 
La risata rauca e aspra della ragazza non sorprende nessuno.
 
-ne hai di coraggio per chiamarlo cibo- esclama ironica senza muoversi di un muscolo dalla posizione in cui sta seduta, sul giaciglio di paglia marcia. La cella non è certo ampia, e non è che si possa fare molto più indietro di così –non fare i miei complimenti al cuoco, mi raccomando-.
 
Con un forte rumore di ferraglia, la porta si apre rivelando la figura dritta e slanciata di un uomo sulla quarantina. La poca luce non lo permette, ma se solo la luna fosse più piena si potrebbe scorgere tra i capelli neri qualche filo bianco, e occhi severi color nocciola ad illuminare un viso che un tempo dev’esser stato piuttosto elegante.
 
-devi andare in bagno?- le chiede alzando il mento in una richiesta dal sapore arrogante.
 
Succede tre volte al giorno, ed è una cosa piuttosto imbarazzante. Chiamarlo bagno è decisamente troppo, è sporco e scavato nelle profondità della roccia su cui è edificato tutto il baluardo. Però è anche un modo per uscire da quella cella, sono settanta passi e ventisei gradini che le permettono di evadere per qualche attimo da quell’ammazzatoio di cui lei sarà presto vittima, se tutto va secondo i piani.
 
Fuori dalla soglia fatiscente c’è un lungo corridoio a cui si affacciano due porte, e più in là una stanza grande quattro passi per quattro da cui partono due scaloni. La prima scala, ripida, porta al cosiddetto bagno, inoltrandosi in basso nell’oscurità. La seconda, più grande e statuaria, conduce sicuramente ai piani del maniero vero e proprio.
 
Tutto questo lo ha osservato per nove volte, in tutto: tre volte al giorno per tre lunghi, lunghissimi giorni di patimenti e nulla più totale. Tre giorni in cui l’unica conversazione, oltre quella con il proprio beffardo carceriere, è quella che può tenere con le onde dell’Oceano, che instancabili frustano la terra esterna portandola al confine tra la rabbia per essere tenuta lì e la pazzia per essere costretta ad attendere.
 
Ormai si saranno accorti che è sparita. Verranno a cercarla? E da dove si parte, esattamente, per cercare qualcuno in un mondo di terra e acqua?
 
-mi hanno detto di ricordarti che questa volta devi mangiare- dice il carceriere quando, di ritorno dal bagno, deve costringerla a rientrare in cella –normalmente rimandi indietro il cibo quasi intatto, ma dicono che non ne avrai altro finché non mangerai quello che ti hanno messo nel piatto-.
 
Perfino piatto è una parola troppo lussuosa per quella ciotola di legno in cui galleggiano lenticchie e zuppa.
 
-lo hai detto te che tanto devo morire. Cosa importa se lo farò per il freddo, o per la fame?- domanda beffarda la ragazza, alzando lo sguardo sull’uomo.
 
Il carceriere sembra colpito dalla riflessione, poi scuote la testa e slega con dita agili i lacci del proprio mantello.
 
È logoro, è vecchio e sa di fumo. Ma è di lana buona e tiene caldo, quindi la ragazza ci si arrotola dentro e cerca nella propria mente qualcosa a cui aggrapparsi per non battere i denti.
 
-tu sei una purosangue, dicono di sopra- borbotta alla fine l’uomo, piantandosi una mano sul fianco e guardandola dall’alto in basso. Mary può vedere gli occhi scuri luccicare alla luce debole della luna calante, ma il volto è quasi completamente in ombra –forse hai qualche possibilità di cavartela. Magari…-
 
-il vostro magari non mi interessa, grazie- risponde risoluta lei, scattando con il mento in alto in un gesto d’orgoglio da eroina romantica. Ma l’orgoglio non la salverà, e questo lo sanno sia lei che l’uomo, e per il romanticismo non c’è posto in mezzo al sangue e alla morte.
 
-come vuoi, ragazza- annuisce il carceriere divertito.
 
 

*

 
 
Lo guardo per un secondo e poi lo vedo voltare la testa, come ad andarsene.
 
-sei un magonò, vero?- domando, allora. Attirarlo in una conversazione, una conversazione qualsiasi, può servire ad occupare i prossimi minuti. Perfino pochi secondi, qualsiasi cosa pur di diminuire il tempo da passare da sola con la mia mente. La disperazione gioca brutti scherzi ad una ragazza che non vorrebbe altro che avere diciotto anni.
 
Lui si ferma a metà del movimento, e a rallentatore torna nella posizione di prima.
 
-tu non… come…-
 
-non dovevo saperlo, dici? Non fai mai magie, ed è una cosa difficile da non notare- domando ironica, scrollando le spalle e stringendomi di più nel mantello. Questa cella puzza talmente tanto che pure l’odore del fumo di cui è impregnato il mantello mi sembra un profumo –e che hanno paura che faccia, scusa? Che tenti di eliminarti per fuggire? E dove, nel bel mezzo del nulla come siamo adesso? Non hai nemmeno una bacchetta che mi possa fare comodo-.
 
L’uomo, come lo chiamo tra me e me, per qualche istante si ferma. Poi sembra sorridere, scoprendo i denti in una smorfia divertita.
 
-com’è che una furba come te è finita tra le mani di un idiota del calibro di Mulciber?- domanda alla fine, scrollando il capo.
 
-questi sono affari miei, dolcezza- replico bruscamente –e com’è che sei finito a fare il cagnolino dei Mangiamorte, quando sai che disprezzano quelli come te?-.
 
-loro hanno una bacchetta- mi fa notare ragionevole.
 
-ma tu potresti avere un cervello- ribatto io, scettica –e molto spesso un buon cervello è meglio di una cattiva bacchetta. Pessima, nel caso di Mulciber e compagnia bella. Ma, ora che ci penso, non so quanto sia saggio da parte mia dare pensieri del genere al mio carceriere-.
 
Alla fine delle mie parole, scoppia a ridere divertito.
 
-sai che ti dico, ragazza?- borbotta alla fine –potresti davvero salvarti, con la mente che hai. Dicono che tu sia la figlia di Fergus McDonald-.
 
Non capisco se è una domanda o un’affermazione che richiede una conferma. In ogni caso, mi irrigidisco.
 
-altrimenti perché sarei qui?- chiedo glaciale. Che lo abbiano scoperto? Della mia affiliazione all’Ordine, del fatto che li combatto da mesi, ormai. Che vogliano strapparmi una confessione o torturarmi per farmi rivelare tutto?
 
-perché tu sia ancora qui, credimi, è quello che mi stupisce- mi risponde evasivo uscendo e chiudendosi la porta alle spalle –mangia quel cibo, ragazza-.
 
Con quel suo commento dal sapore decisamente amaro mi lascia con nulla più di un vassoio e di una brocca sbeccata piena d’acqua.
 
Il cibo è drogato, di questo mi sono accorta dopo aver mangiato i primi due pasti al completo. È una droga che stordisce senza farti dormire del tutto. Serve a farmi sentire indifesa e debole come una bambina, ma non mi fa cedere all’oblio. Inibisce i senti, in qualche modo, senza lasciarmi addormentare del tutto.
 
Cerco di mangiarne il meno possibile, ma è davvero difficile resistere quando i crampi della fame mi mordono da dentro.
 
A volte, ferirsi serve a qualcosa. Se, ad esempio, con una delle pietre sfuggite al muro riesco a tagliarmi o procurarmi lividi, il dolore dovuto alla fame lo tengo a bada per più tempo. Ma non sempre ci riesco, ovviamente, non sono la persona adatta a farsi male da sola.
 
Sperare, sognare. Anche quella è una tortura. Mi fa capire quanto sono stata stupida, a sprecare tutto quello che ho sprecato.
 
Il cibo buono quando era in tavola e non lo volevo mangiare, una vasca piena di acqua calda e sapone, una burrobirra dal sapore dolce e spruzzata di cannella. Ogni respiro, ogni attimo, passato a lottare contro me stessa. Contro Alice, contro Gideon. Contro l’idea che è nata di lui e me. Soprattutto di questa nuova me che non sono stata capace a gestire.
 
Se fossi rimasta con loro, quella sera, forse…
 
Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte, mi dico. E in ogni caso, credo che per qualche altro giorno non andrò da nessuna parte in generale, se non, al massimo, in bagno, a trentacinque passi e tredici scalini da qui.
 
 
Flashback-> ore 12.50 del 27 febbraio 1978
 
-e così questa volta siamo riusciti a coglierti di sorpresa, Mac!- esclama divertito Jamie dandomi una gomitata allegra. Sono seduta tra lui e Gideon, piena fino a scoppiare di ogni genere di dolciume, e con un sorriso sicuramente ebete stampato in viso –beh, dai, per l’ultimo anno di scuola ci può stare-.
 
-in generale ti stai rammollendo, McDonald- mi appunta Marlene sfoderando un indice dall’aria indagatoria –insomma, ti fai sorprendere dalle feste a sorpresa, arrossisci a causa delle lettere di non meglio precisati corrispondenti…-
 
-non ho alcuna intenzione di dire una parola di più su questo argomento, McKinnon!- esclamo avvampando e piantandomi le mani sui fianchi –e con questo è tutto-.
 
-…arrossisci quando sei sotto esame… insomma, la McDonald arrossire, questa si che è una novità!- continua Alice ridendo dal suo posto, tra Lène e Frank, scuotendo la testa con aria improvvisamente curiosa –dai, solo un indizio! Come si chiama il tuo…-
 
-oh, io lo so!- salta su tutta contenta Emmeline, picchiando le mani come una bambina e rivolgendomi uno sguardo malizioso. Malizioso? Emmeline Vance? Qualcosa ha iniziato a girare per il verso sbagliato, gente.
 
Ad una sola voce, Caradoc, Amelia e Sturgis iniziano a chiedere ad Emmeline di cominciare con il racconto succoso. Accompagnata da Sirius, James, Paul e Alice, che battono a ritmo con la cadenza dell’ovazione le mani come fossimo allo stadio, Emmeline si alza in piedi con fare da protagonista.
 
-oh, non oserei se fossi in te, Emmeline Vance!- la minaccio alzandomi a mia volta.
 
Sono seduta più o meno a metà del grosso tavolo, con Paul, Caradoc e Hestia davanti e James e Gideon ai lati. Alla mia destra, dopo Gideon, Lily, Sirius e una buona parte della patria dei bellocci aspetta quasi febbricitante di vedere chi vincerà questa disputa tra me e Emmeline. Alla mia sinistra, James e il resto del suo schieramento, fanno direttamente il tifo per Emmeline sperando di trovare qualcosa su di me per cui ridere.
 
Se esce fuori il nome che io sto pensando e che Emmeline ha davvero intenzione di dire, prima uccido la Vance e poi mi seppellisco sotto al tavolo, e al diavolo la sporcizia del pavimento!
 
-vedete, qualche decina di giorni fa io ero in Guferia e…- comincia Emmeline assottigliando lo sguardo morbido quasi quanto lo era prima di tutto questo casino di Rabastan Lestrange. Credo sia tutto merito del mio compleanno, questa sorta di riappacificazione tra i due schieramenti… vabbè, più che vera e propria pace si tratta di una tregua, ma meglio di niente…
 
-e vuoi davvero che io riveli a tutti, Emmeline, con chi eri in Guferia e cosa ci stavi facendo?- domando quasi strillando pur di riattrarre l’attenzione, dal momento che tutti paiono pendere dalle sue labbra.
 
Lo sguardo di Emmeline si fa attento, quasi a sondare la capacità della mia sfacciataggine.
 
-non lo faresti mai- sibila fingendosi minacciosa.
 
Io scoppio a ridere.
 
-cara, io sono Mary McDonald, comprendi*?- chiedo con un sorriso beffardo sulle labbra. È come in un duello, ora una delle due spara e chi perde si seppellirà dalla vergogna.
 
-Mary riceve lettere da…-
 
-lei e Remus fanno cose sconce in giro per Hogwarts!- urlo a chiunque mi stia a sentire, coprendo con la mia voce quella di Emmeline, più fioca e decisamente meno votata alle luci della ribalta. Sentendomi addosso lo sguardo oltraggiato di Emme e quello divertito di tutti gli altri, mi invento di sana pianta, ricordandomi il più grande imbarazzo di Lupin. Far sapere cosa fa o non fa insieme ad Emmeline a quelle due canaglie che sono Potter e Black –Remus era senza maglietta, Emmeline stava sopra e c’era un sacco di lingua!-.
 
Ovviamente, come ogni volta, ottengo esattamente quello che voglio. Nessuno si fa più domande su di me e tutti si voltano verso i due piccioncini chi stupito, chi seriamente divertito. Perfino Emmeline, imbarazzata come raramente mi è capitato di vederla in tutti questi anni, pare accantonare l’idea di rivelare a tutti quel benedetto nome che mi costringerebbe al suicidio pubblico. Ovviamente il mio pettegolezzo è molto più succoso del suo, come del resto lo sono sempre quelli inventati e infiocchettati per bene.
 
-Emmeline! Che fine ha fatto la mia Emmeline!?- sta chiedendo Alice con la voce scioccata di una perpetua davanti al sacrilegio peggiore –la mia Emmeline non farebbe mai una cosa del genere in Guferia!-.
 
-però, Lupin, non ti facevo così intraprendente!- è invece la simpatica uscita di Fabian, che ride insieme a tutti gli altri. Un coro di fischi e commenti poco velati si leva dalla curva Caradoc-Sturgis-Sirius-Amelia per terminare nella risata melodiosa e divertita di Hestia Jones, dalle guance rosee e un luccichio divertito negli occhi.
 
-Mary, cosa c’entravo io? Perché te la prendi con me?- mi chiede invece Remus, più rosso di un peperone, con quello sguardo da cane bastonato che, ormai lo so, mette su a comando.
 
Dopo qualche altro secondo di commenti succinti e fischi decisamente poco galanti, Emmeline decide che deve trovare un qualunque modo per attirare l’attenzione su qualcuno che non sia lei o Remus. Invalidato completamente il pettegolezzo su di me, verso cui è ormai evaporata ogni aspettativa, punta il dito verso la McKinnon, colpevole di aver riso delle sue disgrazie.
 
-l’orsacchiotto di peluche di Marlene si chiama Sirius!- la denuncia con il dito puntato e lo sguardo profondamente malvagio, nonostante il rossore che le tinge le guance e la punta del naso non sia ancora completamente scomparso. Immediatamente, l’attenzione di tutti si punta su una rosea Marlene, con gli occhioni scuri sgranati e l’espressione innocente che basta di per se a dichiararla colpevole.
 
-ehi, cos’è questa, la fiera delle cose imbarazzanti?- domanda fintamente contrariata, cercando di riacquistare il contegno perso –ehm… allora.. ce l’ho! Alice in camera tiene una foto di Frank completamente nudo!-.
 
La stanza scoppia a ridere tutta insieme, talmente forte che quasi anche i tavoli tremano di gioia repressa. Alice punta lo sguardo al soffitto, come a pregare Merlino o chi per lui. Mi pare quasi di esserci, nella sua testa. Marlene non può davvero averlo detto davanti a tutti!
 
-sai, Lène, credo che tu abbia messo in imbarazzo più Frank che Alice- le faccio notare quando riesco a smettere di ridere, con le lacrime agli occhi.
 
Lei sbatte le palpebre con l’ingenuità di una bambina.
 
-in realtà, io volevo mettere in imbarazzo Sirius e i Malandrini!- esclama puntando lo sguardo nei quattro citati –mi sa che Frank è il più dotato della camerata. Più dotato di te, Black, di sicuro!-.
 
Sirius risponde allo sguardo come se la lite tra i due schieramenti, negli ultimi dieci giorni, non ci fosse stata affatto. La guarda proprio come la guardava prima, con uno sguardo dipinto negli occhi che sta a significare “preparati perché sto per saltarti addosso”.
 
-potevi chiamarlo Frank, allora, il tuo orsacchiotto di Peluche- le risponde a tono, un sopracciglio inarcato in un’espressione maliziosa che più di così proprio non si può.
 
-in realtà io…-.
 
Mi perdo il resto della risposta sicuramente colorita di Marlene quando sento qualcosa tirarmi la manica destra della maglietta. Con discrezione, mentre tutti sono impegnati a seguire lo scambio di battute tra Marlene e Sirius, Gideon mi sta guardando con simpatia dall’alto.
 
I suoi occhi, azzurri e sereni, mi invitano al sorriso con una naturalezza che ha quasi dell’anormale.
 
-sei furba, McDonald!- mi sussurra all’orecchio in tono divertito –sei riuscita a mettere in imbarazzo quasi tutti i tuoi amici mantenendo al sicuro il tuo segreto-.
 
Ridacchiando scrollo il capo e gli getto uno sguardo allegro e malandrino.
 
-se non sei furbo non ti crei una reputazione come la mia- gli svelo arricciando le labbra, complice.
 
Lui ride e per un attimo, solo un istante, lo vedo esitare come se volesse dire qualcosa in più. Poi, guardandomi, scrolla la testa e si fa più serio, mantenendo però il sorriso chiaro sulla labbra e negli occhi.
 
-ti abbiamo davvero sorpreso?- chiede interessato, inclinando verso di me il capo –ne parlavano come di un’eventualità quasi impossibile-.
 
Questa volta, ad esitare tocca a me.
 
-beh, loro no. Organizzano qualcosa ogni anno- spiego indicando con un cenno del capo Alice e gli altri, ora tutti intenti nel ricordare eventi imbarazzanti degli anni precedente –ma, in realtà, non mi aspettavo… tutti. Caradoc, Sturgis, Hestia, Amelia. Nemmeno te, in realtà-.
 
Gideon in risposta mi guarda un po’ stupito, ma soprattutto confuso.
 
-pensavo che Dorcas ti avesse detto che io, lei e Fabian ci saremmo stati in ogni caso- mormora aggrottando la fronte, perplesso.
 
-beh, si, ma…- al diavolo qualsiasi cosa sia quello che mi fa arrossire in presenza di Gideon Prewett! È solo un ragazzo come tutti gli altri, e non si è mai sentito di Mary McDonald che arrossisce davanti ad un ragazzo! –oh, insomma, dopo la partita non hai risposto alla mia lettera, credevo fossi arrabbiato con me!-.
 
La confusione sul suo volto si dissipa, per far spazio in parte alla consapevolezza ma, in parte decisamente maggiore, a qualcosa che assomiglia in modo orribile alla… tenerezza? Non voglio sembrare una bambina che piange implorando qualcuno di invitarla a giocare! Ma è sempre quello che sembro davanti a Gideon: solo e comunque una bambina.
 
-capisco che se visto sotto questa luce, il mio sia potuto sembrare un comportamento assolutamente infantile, mi dispiace- si scusa assottigliando gli occhi, terribilmente simile ad un gatto, sardonico –non era assolutamente mia intenzione-.
 
-no, non sei tu che…-
 
-in realtà, ho apprezzato molto quella lettera. Come tutte le altre- mormora un po’ a spezzoni, quasi gli riuscisse difficile esprimersi chiaramente. Poi scrolla il capo e dà in un sorriso genuino –non ho risposto perché giusto qualche attimo dopo ne avevo ricevuta una da parte di Alice, di lettera, in cui mi chiedeva se volevo aiutarla ad organizzare tutta la festa, e se potevo coinvolgere Cas e Fabian. Poi abbiamo dovuto scrivere a Ab per chiedergli il permesso per poter usare questo pub, ho chiesto a Caradoc e Sturgis una mano, poi c’erano Hes e Meli da avvertire, ho dovuto scrivere a Doree se poteva darci il giorno libero… beh, avevo anche paura di farti intuire qualcosa, rispondendoti, e allora potevo stare praticamente certo che Alice si sarebbe decisamente infuriata. Non volevo… rovinare tutto-.
 
Scrollo il capo in risposta, colpita. I suoi occhi sono talmente sinceri da trattenere il mio sguardo, e io sono già completamente persa.
 
Il suo tono, poi, così amichevole e privato, in un qualche modo, mi fa pensare che darei quasi ogni cosa pur di sentirlo di nuovo parlare così, a me, che per lui devo valere meno di zero.
 
-io…- sussurra alla fine, senza scostare gli occhi dai miei –non mi potrei mai arrabbiare con una persona come te, Mary-.
 
-…o crema, Mary?- mi domanda Alice dal lato opposto della tavolata, richiamando la mia attenzione –Mary! Per tutti i Folletti, McDonald, è la terza volta che te lo chiedo! Vuoi la parte alla crema o quella al cioccolato?-.
 
Indispettita, mi accorgo di essermi isolata del tutto dal resto della compagnia per parlare con Gideon. Non mi ero per niente accorta del fatto che Alice mi avesse richiamato più volte, prima. La stessa Alice che ora mi scruta con sguardo indagatore, come a voler osservare più a fondo… tutto.
 
-quella in mezzo, ovviamente- rispondo disinvolta come al solito, le sopracciglia inarcate scetticamente all’idea che una delle mie migliori amiche mi debba ancora chiedere una cosa del genere, dopo sette anni di convivenza –così mangio entrambe!-.
 
Tra le risate generali, mentre afferro il piattino che Alice mi porge, mi volto ancora una volta verso Gideon, che mi sta fissando di nuovo con quel sorriso sulle labbra e negli occhi che invita il mondo intero a ridere di gusto.
 
-sai, Gideon- gli dico sottovoce disinvolta mentre gli altri sono intenti a fare chissà che e il resto del mondo potrebbe andare a farsi friggere –sono davvero contenta che tu sia qui-.
 
Fine flashback.
 

 

*

 
 
THE TUBE, STAZIONE DI CHARING CROSS STATION, LONDRA
ORE 21.30 DEL 30 LUGLIO 1978
 
Terza riunione in altrettanti giorni, terzo buco nell’acqua.
 
-niente, le proprietà dei Rosier sono pulite- esclama una ragazza alta e slanciata entrando dalla porticina rossa, dopo essersi precedentemente annunciata come “rondine”. Ha i capelli lunghi e scuri raccolti in una lunga treccia laterale spessa un pugno, e le guance rubizze e rosee.
 
-sei sicura, Hes!?- le chiede un ragazzo dallo sguardo che potrebbe sembrare nero, ma che invece è di un blu scuro come gli zaffiri australiani –ci avrei scommesso la Nimbus di Caradoc! Ero sicuro fossero dai Rosier!-.
 
-ehi!- si lamenta il sopraccitato Caradoc con un’occhiata offesa rivolta al proprio compagno. Arriccia le belle labbra alla notizia che no, i Rosier sono puliti, e poi si sporge verso il tavolo per prendere l’ennesimo plico di pergamene –i Rowle? Hanno proprietà nel Sussex, nel Rutland e in Scozia, dalle parti di… Inverness?... mi pare-.
 
-Aberdeen, hanno una villa ad Aberdeen- lo corregge pazientemente Emmeline, leggendo da sopra alla sua spalle e scrollando il capo –potremmo dare un’occhiata, ma dubito siano loro. Guarda, c’è scritto che non si sospetta l’affiliazione famigliare ai Mangiamorte, solo quella dell’erede più giovane, un certo Thorfinn, che non ho mai visto-.
 
-me lo ricordo, alto, biondo e massiccio, Serpeverde di due o tre anni più grande di noi- borbotta Gideon prendendo l’ennesimo dossier in mano -…vediamo, i Lestrange? Marlene, non hai detto tu che il più piccolo dei Lestrange si è fatto marchiare sicuramente? Quindi anche Rodolphus deve averlo fatto, immagino-.
 
Marlene si ferma, davanti al caminetto spento di quella sala spoglia, quasi come preda di una rivelazione.
 
Sirius, seduto al tavolo grezzo al centro della stanza, è più che sicuro che la cosa non gli piacerà.
 
-possiamo chiedere a Regulus!- mormora voltandosi all’improvviso.
 
Come volevasi dimostrare.
 
 

*

 
 
Nella stanza cala il silenzio.
 
Da parte del resto dei malandrini, di Dorea e Charlus, delle ragazze, un silenzio consapevole. Da parte della Patria dei Bellocci e del restante mucchio dell’ordine, un silenzio incuriosito.
 
Voltano lo sguardo da me a Lène come aspettandosi lo scoppio della guerra, o la rivelazione della cura per il Vaiolo di Drago. Speranza e timore oscillano lievi di sguardo in sguardo, mentre io trattengo il respiro incerto se essere più scioccato o forse più arrabbiato.
 
-e, sentiamo, per quale motivo dovrebbe venire a dirlo a te?- mi ritrovo a chiedere, pesantemente sarcastico –ti odia. E odia me. In realtà ci odia tutti, e noi odiamo lui-.
 
Marlene si gira, mi guarda e aggrotta la fronte.
 
-lui non mi odia- scrolla le spalle –e dovremmo pur tentare qualcosa di costruttivo per riprenderci Mary. Lui sicuramente lo sa e…-
 
-Marlene, Regulus si è fatto marchiare- sottolineo alzandomi in piedi e guardandola negli occhi, con furia.
 
Perché lo difende, perché non capisce? Regulus non era obbligato a fare nulla di quello che ha fatto, ma lo ha fatto lo stesso. Questo, per me, significa scegliere da che parte stare.
 
E nel suo caso, sono state tutte scelte sbagliate.
 
-Regulus è sempre stato più debole di te. Le scelte che ha fatto…-
 
So che a Hogwarts, negli ultimi due mesi, hanno ripreso a parlarsi. È così chiaro che Regulus è innamorato di lei, da farla sembrare quasi stupida nel suo proposito di non accorgersene. Sembra farlo apposta.
 
-ah, Godric santissimo!- impreco frustrato, guadagnandomi gli sguardi perplessi di gran parte della sala –c’è sempre mio fratello fra me e te, vero? Regulus di qua, Regulus di là. Sai che ti dico? Fai quello che vuoi. Va da lui, pregalo di dirti dov’è Mary, ma quando si prenderà gioco di te e delle tue speranze… Regulus ha un padrone, ed è fedele a lui. Ha meno spina dorsale di un Elfo domestico, e la mente piena di molte meno romanticherie di te-.
 
-beh, ma…- si intromette Alice, nel silenzio. Come ad un sol uomo, tutti voltano su di lei lo sguardo –Sirius, secondo me Lène ha ragione. Tentare, in ogni caso, non nuoce. E Regulus la considera quanto di più vicino ad un’amica sia possibile avere in quei casi-.
 
-e credi davvero che le svelerà il nascondiglio segreto dei Mangiamorte per questo? Oh, insomma, a Natale aveva la possibilità di unirsi all’Ordine e l’ha rifiutata nonostante fosse chiaro come il sole che era innamorato di lei!- esclamo incredulo. Non possono davvero credere che lo farà, per Godric! –ha scelto di diventare un mangiamorte e di farsi marchiare come una mucca!-.
 
-Sirius, non te lo stanno chiedendo- ribatte Gideon dal suo posto, uno sguardo disperato negli occhi che farebbe stringere anche il cuore di mia madre e le mani torturate da questo piccolo scorcio di speranza, che è comunque meglio di niente –è l’unica cosa vagamente concreta che abbiamo tra le mani, adesso. Mary è sparita tre giorni fa, e noi non abbiamo niente. E anche se, come dici tu, è piuttosto improbabile che tuo fratello parli con l’unico stimolo di un pallido sentimento per Marlene, è anche la nostra unica speranza-.
 
Sospiro, mi passo le mani sulle tempie e poi ricambio lo sguardo di Gideon, che non ha ancora abbassato gli occhi.
 
-non ti attaccare troppo alla speranza, Gideon. Mio fratello ha la brutta abitudine di disilluderle tutte-.
 
Gideon distoglie lo sguardo e lo punta su Marlene.
 
-hai un’idea per come contattarlo?-
 

 

*

 
 
Al Testa di Porco c’è un uomo di cinquant’anni che ti cerca.
Aspetterà dall’ora di pranzo all’ora di cena, domani.
Ha un monocolo rivestito di corno e un cilindro come cappello. Chiedi di lui al barista.
Ti prego,
Morgana.
 

 

*

 
 
TESTA DI PORCO, HOGSMEADE, ORE 16.30 DEL 31 LUGLIO 1978
 
Quando la figura ammantata entra nel locale sudicio, dedicando appena uno sguardo schifato attorno, manca quasi mezz’ora all’ora di cena.
 
Il barista è dietro al bancone, sudicio quasi quanto i bicchieri che sta lucidando, ed è intento a parlare con una brutta donna rachitica senza un occhio. Vicino a lui, miagolante, un gatto soriano si strofina sulla vecchia, come a completare l’idea di poca pulizia che tutto l’insieme da ad occhio estraneo.
 
I robusti tavoli in giro per la stanza sono per lo più vuoti, se si escludono tre vecchi signori dall’aria dimessa attorno ad un tavolo con una bottiglia sopra e una strega velata nell’angolo, seduta a non far nulla.
 
-un uomo mi aspetta- è tutto quello che la figura scura mormora in direzione del barista.
 
Da dietro la barba sporca e arruffata, l’uomo ghigna sinistro, indica le scale e poi torna a lucidare i bicchieri.
 
-terza porta a destra, nel corridoio del primo piano- borbotta come se niente fosse.
 
Da sotto il cappuccio del mantello il ragazzo dagli occhi grigi lo scruta per un attimo, spostando poi lo sguardo sul gatto. Sembra quasi che lo stia analizzando con sguardo riprovevole.
 
-ah, via, bestiaccia!- esclama il barista in un impeto di malumore, scacciando l’animale con un gesto stizzito della mano.
 
Senza degnare di un altro sguardo l’ambiente intorno a se, il ragazzo si dirige alle scale.
 
 

*

 
 
-così, alla fine, sei qui- mormora l’individuo nella stanza. Ha un cappello a cilindro dall’aspetto piuttosto ridicolo e un monocolo rivestito in corno che gli da un aspetto quasi intellettuale. Un lungo bastone, un mantello verde smeraldo e un orologio da taschino concludono la lista degli accessori che si porta dietro. Con un cenno del capo rivolto all’orologio mi indica l’ora tarda –ancora mezz’ora e non mi avresti trovato-.
 
-come posso sapere con chi sto parlando?- domando alzando il mento senza togliermi il cappuccio del mantello –l’apparenza inganna-.
 
-c’è chi non si può prendere il lusso di andarsene, Regulus**-.
 
Lascia cadere la frase come se non si aspettasse una risposta, e infatti la risposta non arriva. Negli occhi, innaturalmente chiari dal momento che sono abituato a lasciarmi scrutare da lei tramite due perle di petrolio scuro in cui l’iride si fonde con la pupilla, ha uno sguardo che stona con il resto del travestimento.
 
Dolore, rabbia, speranza, paura.
 
Così tante emozioni insieme quante io non riuscirei mai a provarne. Così tante emozioni insieme che io ne uscirei sconfitto.
 
-è pericoloso sia per me che per te- gli faccio notare, scrollando le spalle –se avessero intercettato il biglietto sarebbe potuto venire qualcun altro-.
 
-ho le spalle coperte-.
 
Il silenzio invade la stanza, e per un attimo mi limito a guardarla da sotto le ciglia. Non siamo mai arrivati ad essere veramente amici, io e Marlene McKinnon, nemmeno prima che lei mandasse a monte il contratto che ci avrebbe dovuto legare. Dopo Natale, per qualche mese ho pensato che non le avrei mai più rivolto la parola, che non potesse esserci al mondo per me disgrazia più grande della McKinnon più giovane.
 
-perché mi hai cercato?-.
 
La vedo esitare, un secondo, cercando con gli occhi altri orizzonti in cui far fuggire lo sguardo.
 
-lo sai- ammette alla fine –so che lo sai-.
 
-non ti dirò nulla- nego immediatamente. Ed è vero, non lo farò. Non basterebbero nemmeno i suoi begli occhi –quelli veri- per farmi parlare e spifferare tutto… figurarsi se possono farmelo fare due occhi di un azzurro così banale su un uomo che ha passato i cinquant’anni da un pezzo.
 
-è la mia migliore amica- scatta guardandomi.
 
-e cosa conteresti di fare, una volta che sarai venuta in possesso delle notizie che vai cercando?- domando curioso. Cosa conta di farci, lei, una diciottenne come tutte le altre?
 
-quelli sono affari miei-.
 
-così non andiamo da nessuna parte- rispondo divertito.
 
Lei aspetta qualche secondo, tempo che sembra impiegare a riflettere voracemente. Riesco quasi a sentire le migliaia di voci della sua mente.
 
-è ancora viva?- domanda una volta realizzato che no, non le dirò dove trovarla.
 
-l’ultima volta che l’ho vista, era ancora viva- mormoro dopo una breve esitazione –ma non so per quanto lo resterà. È una purosangue, gli altri non lo erano. Questo fa la differenza-.
 
Ha un potere immenso, Marlene McKinnon. Per lo meno su di me.
 
Non posso far altro che osservarmi, intento a dare risposte che non dovrebbero uscire dalle mie labbra.
 
-dove…-
 
-no- la fermo prima che per me sia obbligatorio rispondere. Un sorso di Veritaserum è meno letale di lei, con le sue domande a migliaia, per le informazioni che io conservo –devo andare. Non mi cercare più, non risponderò. Io…-
 
Sono costretto ad uscire dalla stanza senza incrociare il suo sguardo, farfugliando agitato. Lo sapevo, quando a Hogwarts ho ripreso a parlarle, che tornare da lei poteva rivelarsi una scelta stupida. E adesso ne ho la conferma.
 

 

*

 
 
VILLA SELWYN, ORE 21.00 DEL 31 LUGLIO 1978
 
E così finisce un altro giorno.
 
L’uomo ripercorre il corridoio sudicio assicurandosi che tutte le celle siano chiuse, con catenacci e serrature esattamente dove dovrebbero stare.
 
L’urlo del mare, all’esterno, continua ininterrotto fin dall’inizio del mondo, e neppure oggi ha cessato di cantare la sua nenia per lui. Ormai si è quasi abituato, non ci fa più di tanto caso e a dire la verità non gli da nemmeno fastidio.
 
Si stringe nel mantello, l’uomo, un mantello nuovo e meno logoro del precedente. È di lana intrecciata e profuma di cibo, ed inspirandone l’odore riesce quasi a bloccare la nausea che quella sporcizia nelle fondamenta e quelle celle dall’aria putrida gli generano.
 
Ci vive la sua vita, in quelle celle, da quando l’hanno portato lì. Un elfo domestico crea più problemi di un servitore magonò, poiché la maggior parte del proprio tempo lo impiega a punirsi. Un magonò, certo, potrebbe essere meno leale. Ma la paura –un vero e proprio terrore, aumentato dalle punizioni e dai maltrattamenti- risolve la questione quasi più in fretta di un vincolo magico.
 
Le parole della ragazza, però, questa volta sono andate a segno.
 
Un buon cervello è meglio di una cattiva bacchetta.
 
 
 
 
 
 
*direttamente dal Capitan Jack Sparrow
**dal capitolo 30 dell’Amore ai Tempi del Caos
 
 
NOTE:
 
iniziamo con una notizia dolente. Il mio computer è morto. Stronk.
Io, che di tecnologia ci capisco poco e niente, ovviamente ho perso tutto quello che avevo scritto. Ora sono obbligata ad usare quello di un’amica –che tra l’altro mi sta odiando perché ha paura che le rompa anche il suo- nei ritagli di tempo in cui lei non lo usa, che vuol dire principalmente di notte. Indi per cui, non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, perché ci sono anche altre attività a cui sono solita dedicarmi nelle ore notturne, tra cui quella da tutti preferita: dormire. Credo in ogni caso che ci metterò un po’ di tempo, perché devo aggiornare anche “Primavera non bussa…” in cui sono rimasta un po’ indietro.
 
Coooooomunque! Grazie per le recensioni allo scorso capitolo!
Riguardo a quel capitolo lì, l’altra volta ho aggiornato in fretta e non mi sono ricordata di specificare l’asterisco che avevo piazzato nel PoV di Alice –mi pare-.
Una piccola puntualizzazione sull’Ordine. La Rowling –per quel che riguarda il primo ordine della fenice- ci mostra una foto e nient’altro. Ora, Moody facendo vedere la foto a Harry, dice “Marlene McKinnon, uccisa con tutta la sua famiglia due settimane dopo che la foto è stata scattata” o qualcosa del genere. Allo stesso tempo, nella lettera in HP7 che Lily scrive a Sirius, sappiamo che i McKinnon vengono assassinati poco prima del primo compleanno di Harry. Da ciò, dovrebbe derivare che quando la foto fu scattata, Harry era già nato. Tutto questo, a dire la verità, non c’entra moltissimo con quello che volevo specificare io, ma era una riflessione tanto per fare. La vera puntualizzazione è questa. Hestia Jones non fa parte dell’ordine originale, o per lo meno la Rowling non la mette nella foto. Allo stesso modo non c’è Arabella Figg, ma in HP4, quando Silente dice che bisogna allertare quelli dell’ordine, nomina anche lei. Quindi ho pensato: magari erano andate a fare due passi quando hanno scattato la foto, e loro non ci sono rimaste. In questa storia, comunque, ci sono tutte e due e ovviamente ce ne saranno anche di più.
Seconda piccola puntualizzazione sull’ordine. Noi ci basiamo sulla foto che Moody mostra ad Harry per definire l’ordine originario. Gran parte dell’ordine, però, muore nei mesi successivi a quando viene scattata la foto. Questo per dire che secondo me l’ordine non era formato solo da quelle persone, ma anche da altre, morte sicuramente prima che la foto venisse scattata e che quindi non sono state nominate. Sarebbe troppo strano, sennò, pensare che le morti siano iniziate con quella foto.

Avete qualche preferenza sui prossimi PoV? tanto, dal momento che ho perso qualsiasi cosa io avessi già scritto, posso spaziare tranquillamente!
 
Bene, la smetto di scassarvi le palle e vado a rispondere alle recensione e a contare i Nargilli in camera mia,
spero di sentire i vostri pareri, buona lettura,
Hir!



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Capitolo 13
*** gli ultimi pezzi del puzzle ***






Come al solito, mi scuso per il ritardo, non so con che faccia ho il coraggio di ripresentarmi.
Una precisazione su questo capitolo: i pov sono solo due, nel prossimo ne scriverò quattro per ricompensare.
Ci vediamo in fondo,
buona lettura,
Hir
 
 
 
 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS  
MARLENE
EMMELINE 
REMUS
MARY 
 ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
 

No, non chiamare l'orrore con altri nomi. Questo lascialo fare a loro*

 
 
 
 
 
LONDRA ORE 08.30 DEL 3 AGOSTO 1978
 
Seduto al tavolo di un anonimo caffè babbano e intento a leggere un giornale, Gideon Prewett si accorge a malapena di un uragano dai capelli ramati che, parlando a viva voce, si accomoda davanti a lui.
 
La ragazza ha gli occhi grigi e belli, e l’aria decisamente frizzante. Le è bastato poco tempo per aprirsi leggermente e lasciar scivolare via la timidezza, per cui adesso con fare spigliato si scusa del ritardo e ordina un caffè.
 
-…quindi mi dispiace se…- la ragazza si interrompe, guardandolo stupita con la testa ancora china tra i fogli di carta stampata –Gideon, mi stai ascoltando?-.
 
Richiamato dalla sua voce squillante, il giovane alza il volto con espressione colpevole, chiudendo di scatto i giornali per nascondere i fascicoli che fino a qualche secondo fa era intento a studiare.
 
-Daisy! Scusami, non ti avevo notato, è… sei arrivata da molto?-.
 
La giovane arriccia lievemente le labbra, guardandolo sorpresa.
 
-no, io non…- scrolla lievemente la mano per bloccarlo dal chiamare il cameriere –ho già ordinato, grazie-.
 
L’espressione di lui si fa molto più colpevole.
 
-scusami, davvero- si rammarica con un sorriso mesto –non voglio affatto apparire come un incivile-.
 
La ragazza si scioglie in un sorriso, che tuttavia non scaccia nemmeno per un attimo il senso latente d’inquietudine che le stringe lo stomaco. Sono usciti insieme due volte, e per quattro mattine hanno fatto colazione allo stesso caffè.
 
Certo, insieme stanno bene, ma ogni tanto Gideon pare concentrato su altro, e tirarlo fuori dal suo mondo pare quasi un’impresa titanica.
 
-non sei affatto un incivile, lo so- le risponde gentile, schiarendosi appena la voce –è molto che aspetti?-.
 
Il giovane scuote il capo.
 
-no, affatto-.
 
-c’è qualcosa sul giornale?-.
 
Sembra tanto un terzo grado, più che una normale conversazione tra persone che si interessano. Ancora una volta, Daisy scaccia la sensazione che ci sia qualcosa che non va.
 
-come?... oh, sul giorna… no, non c’è niente- scrolla di nuovo la testa, particolarmente sulle nuvole. Ha l’aspetto trasandato, ma è comunque molto carino, con la barba di qualche giorno sul viso e i capelli scompigliati quasi ad arte.
 
Daisy annuisce nuovamente, rivolgendo un mezzo sorriso al cameriere appena giunto con l’ordinazione.
 
-oh, beh, allora io…- tenta nuovamente rivolgendogli uno sguardo imbarazzato –vedi, pensavo che… venerdì sera, in un teatro qui vicino, ci sarà una rappresentazione per beneficenza di una nota tragedia babbana, L’Otello. Pensavo che potremmo….-
 
Gideon la guarda per un attimo soprappensiero, poi si accorge del tono vacuo del proprio sguardo e allora sorride, facendo mente locale.
 
-venerdì?- domanda pensieroso –non ho nessun impegno, potremmo andarci-.
 
-benissimo- esclama contenta con un sorriso enorme sul volto. Riesce per un attimo a scacciare via quella sensazione, e in un tentativo di conversazione decide di riprendere a parlare su qualcosa che possa apparire neutro. Un argomento che interessi entrambi: il lavoro –come pensi che andrà a finire questa brutta storia dei rapimenti e degli attentati?-.
 
Il ragazzo ci mette meno di un battito di ciglia a diventare bianco come un lenzuolo.
 
-cosa…-
 
Poi ricorda, in un lampo, il viso stanco di una ragazza carina. Un viso visto a Chamberlain Square, e poi nella foto della bacheca centrale degli Auror, in ufficio. Costernata si porta una mano a coprire la porzione inferiore del volto, sconvolta.
 
-scusami, io… la figlia di McDonald era tua amica! Io…-
 
-è- la corregge istantaneamente il ragazzo, brusco –è mia amica. Mary è mia amica-.
 
Il silenzio che deriva dalla fine di quella frase è decisamente opprimente.
 
-si, scusami- annuisce decisa Daisy, scrollando le spalle e tentando un sorriso –è una bella ragazza, sembra simpatica. Deve essere difficile per te e Fabian lavorare al suo caso-.
 
-sarebbe più difficile lasciare perdere-.
 
Di nuovo silenzio, di nuovo quella sensazione.
 
-è… la conoscete da tanto tempo? Voglio dire, la…-
 
-Mary è la migliore amica di mia cugina Alice, hanno frequentato Hogwarts insieme, nella stessa casa. In effetti, da mesi si è ormai infiltrata nella vita mia, di Fab e di Dorcas. Credo sia impossibile provare per lei qualcosa di negativo-.
 
Lievemente a disagio, Daisy scrolla il capo, cercando un modo per cambiare discorso. È strano pensare una cosa del genere, ma è esattamente quello il tono con cui vorrebbe sentirsi nominare da Gideon. Fa un rapido calcolo: ma quanto è stupida, quella ragazza ha più di sette anni in meno rispetto a Gideon… sicuramente non le interessa.
 
Alzando lo sguardo, benedice Fabian. Non dovrà cercare un altro stimolo alla conversazione.
 
Il ragazzo li raggiunge al tavolo con sguardo guardingo.
 
-Daisy- la saluta con un cenno del capo, riservato. Voltandosi verso il fratello, lo guarda appena –dovreste venire in ufficio, ci sono novità-.
 
 

*

 
 
CASA POTTER, ORE 12.40 DEL 3 AGOSTO 1978
 
James Potter sbuffa sonoramente.
 
-Jam, così mi deconcentri- lo rimprovera Sirius, spaparanzato sul letto dell’amico e intento a scrutare alcuni fogli con aria critica –Remus, hai tu la cartella sui Selwyn? I Shafiq sono puliti, ormai sono in decadenza e hanno solo due proprietà in s…-
 
-tieni, è questa- mormora Lupin porgendogli l’ennesimo plico di fogli, guardandolo da sopra la cartella con il nome dei Nott.
 
-ragazzi, avete pensato a quanto è illegale tutto questo?- domanda Peter dal suo posto, accanto ad una
delle finestre, mentre sfoglia una nutrita risma di carta.
 
-di che hai paura, Pete?- chiede in risposta James, facendo leva su un polso per guardarlo dal basso, sdraiato sul pavimento com’è –siamo a casa mia. È una delle case più protette del mondo magico-.
 
-si ma…-
 
-dobbiamo trovare Mary, Peter. Ora poche palle e lavora, questa situazione non piace a nessuno- lo interrompe bruscamente Sirius, voltando l’ennesimo foglio –ah, i Selwyn hanno tredici proprietà. Tredici, capisci? Se non si contano quelle a Londra, intendo. Ci metterò una vita a controllarle tutte-.
 
-Lily ti ha detto per quando sarà pronta la nuova tornata di Polisucco?-.
 
-ancora cinque giorni- borbotta di malumore James –sarà pronta la sera in cui avrà finito con il trasloco-.
 
Remus sorride appena, alzando di nuovo lo sguardo dalla propria cartella.
 
-non glielo hai ancora chiesto?-.
 
James alza gli occhi al cielo.
 
-non le chiederò di sposarmi mentre la nostra migliore amica è chissà dove in pericolo di morte. Prima troviamo Mary, poi andiamo al matrimonio di Alice e Frank, e alla fine…-
 
-…lei si innamorerà di me e ti lascerà- risponde Sirius alzando gli occhi al cielo, con un sorriso divertito sulle labbra.
 
-ovviamente sarai il mio testimone, il tuo colorito verde d’invidia s’intonerà perfettamente con il colore dei suoi occhi e con il mio farfallino- arriccia le labbra James, voltando pagina.
 
-non sposerei la Evans nemmeno sotto tortura. Simpatica, eh, ma presa a piccole dosi- precisa Sirius scansandosi quando un cuscino mira alla sua testa, arrivando in volo.
 
-ti ringrazio, Sirius, sei molto gentile- si intromette Lily con un sorriso stanco, affacciandosi dal corridoio e guardandoli benevolmente. Una leggera esitazione nel tono, però, li avvisa che probabilmente è successa l’ennesima, triste cosa.
 
-è successo…?-
 
-venite di sotto, vi prego- inclina il capo con gli occhi lucidi –Gideon e Fabian sono qui per riferirci qualcosa dall’indagine ufficiale su Mary e gli altri-.
 
 

*

 
 
Quando arriviamo di sotto noto subito che gli sguardi di Gideon e Fabian –normalmente chiari e sereni come un cielo estivo- sono adesso piuttosto rannuvolati. Gideon sembra particolarmente trascurato, con la barba lunga di qualche giorno e i capelli piuttosto spettinati.
 
-c’è qualche novità?- mi precede James.
 
Dallo sguardo che hanno entrambi i gemelli Prewett non sono certo di volerlo sapere.
 
-non…- scrolla il capo Fabian, abbassando di un tono la voce –non su Mary, no. Ma è stato rinvenuto il cadevere di Emmett Morgan, il ragazzo che era stato rapito quasi due…-
 
-si, quello di cui hanno inviato la mano amputata alla madre- mormora Remus annuendo, appoggiato alla ringhiera. È pallido, la luna ormai è quasi piena, e un velo malsano di sudore alle tempie mostra quanto in realtà sia provato da tutta la situazione.
 
-Godric!- sussulto io portandomi una mano alla fronte, scioccato –quanto tempo ci rimane? Pochi giorni? Poche… ore?-.
 
Gideon non ha ancora alzato lo sguardo.
 
-dove avete trovato il corpo?- chiede Lily senza perdersi d’animo, ignorando le mie parole.
 
Ma per quanto ancora potremmo ignorare tutte le parti terribili di questa storia?
 
-a Laide, in Scozia. I babbani lo hanno trovato sulla spiaggia, probabilmente si sono sbarazzati del corpo buttandolo in mare- spiega Fabian sospirando –il cadavere porta segni evidenti di magia e, sebbene in un primo momento non fosse riconoscibile a causa del… di ciò che le correnti profonde del Mare del Nord hanno causato… è lui. I medimaghi lo hanno accertato mezz’ora fa-.
 
Dorea è rimasta in silenzio fino ad ora, le mani a coprire il volto, quasi non volesse crederci. È il suo giorno di riposo, e Charlus non è ancora tornato a casa troppo impegnato nel caso.
 
-il Mare…- sospira Lily portandosi una mano alla tempia –le correnti del Mare del Nord. Se il corpo è stato trascinato fino a Laide, allora potremmo…-
 
-… restringere il campo- conclude Remus con uno sguardo fin troppo speranzoso a Lily –è vero! Dorea… avete in casa una cartina della Scozia?-.
 
-si, io… dovremmo avere qualcosa a…-
 
-vado a prendere i fascicoli, voi trovate la cartina!- esclama tutto ringalluzzito risalendo le scale a due a due. Gideon ha alzato lo sguardo, e adesso sta guardando l’ombra di Remus scomparire nel corridoio del piano di sopra.
 
Tempo un minuto e mezzo e Dorea brandisce vittoriosa un libro dall’aria consunta.
 
-è l’unico Atlante che Charlus tiene nello studio. È piuttosto vecchio e…-
 
-andrà benissimo- s’intromette Remus tornando dal piano di sopra con un plico disordinato in mano. Sono tutti i fascicoli che stavamo spulciando giusto cinque minuti fa, in camera di James.
 
Fabian e Gideon si affacciano sopra alle sue spalle mentre, inginocchiato davanti al divano principale, Remus apre l’atlante e si ferma su una cartina piuttosto dettagliata della Scozia.
 
-la circolazione delle acque nel Mare del Nord vicino alle coste avviene in senso anti-orario. Questo vuol dire che…-
 
-Laide è qui, non è vero?- domanda Dorea segnando con un dito il piccolo nome scritto con una grafia elegante proprio in un’insenatura delle Highland nord-occidentali –se le correnti circolano in senso anti-orario possiamo escludere totalmente tutta la parte a sud, quindi l’Inghilterra, il Galles e L’Irlanda-.
 
-quindi dovremmo concentrarci sulle proprietà scozzesi delle famiglie purosangue, secondo voi?- chiede Gideon curioso.
 
Dorea annuisce febbrilmente.
 
-in particolare direi da John O’Groats, che è uno dei punti più a nord-est della Gran Bretagna- mormora indicando tutto l’arco di costa compreso tra John O’Groats e Laide –quindi Caithness, Ross-shire e Shuterland-.
 
Il silenzio si spande a macchia d’olio mentre ci guardiamo tra noi. Alla fine scuoto le spalle.
 
-è una possibilità. Quante tenute magiche possono esserci in tre contee del nord della Scozia?- domando –potrebbe essere l’ideale per Voldemort e i Mangiamorte, dal momento che le Highland sono molto vaste e poco abitate. Un modo in più per seminare le proprie tracce-.
 
Bastano tre secondi, un paio di sguardi e qualche cenno con la testa. Gideon e Fabian devono rientrare al lavoro, e ci danno appuntamento per la riunione di questa sera, all’Ordine. Dorea decide di uscire, per tenere compagnia a Gillian, e noi cinque ci decidiamo a riprendere il lavoro.
 
Sento qualcuno battermi una pacca amichevole sulla spalla, e voltandomi incrocio lo sguardo nocciola di James.
 
Anche lui è provato dalla situazione, ovviamente, anche se per la maggior parte del tempo cerca di non darlo a vedere. Mac è quanto di più simile ci sia ad una sorella, per lui.
 
-oggi pomeriggio è tuo il turno al quartier generale, vero?- mi chiede passandosi una mano sulla fronte.
 
Annuisco.
 
-devo dare il cambio ad Edgar tra due ore, pressappoco-.
 
Sospirando affranto, si siede sul divano. Tira indietro la testa e chiude gli occhi.
 
-pensi che la troveremo?- mi chiede riaprendone uno solo e guardandomi da sotto in su.
 
-dobbiamo continuare a provarci-.
 
Lui sorride aspro, senza nemmeno una stilla di divertimento nel nocciola degli occhi.
 
-non è quello che ti ho chiesto-.
 
-James, sono una schiappa in Divinazione, lo sai anche tu- scherzo porgendogli la mano –ma credo che non la troveremo se stiamo qui sul divano ad aspettare che Mary ci cada tra le braccia dal cielo. Dobbiamo avvisare Emmeline, ha sempre un sacco di idee brillanti e non ci deluderà nemmeno questa volta. E anche Frank, Alice e Marlene. Più siamo meglio è-.
 
Ricaricato, nuovamente attivo, mi afferra il polso con la mano in una stretta amichevole e si tira in piedi, facendo leva su di me. Alla fine, mi da una spallata e con una risata si dirige alla porta.
 
-sono contento che tu sia ancora qui-.
 
E con precisione clinica, so a cosa si riferisce.
 
 
Flashback-> ore 23.40 del 4 marzo 1978
 
Quando entro in camera chiudendomi la porta alla spalle sono già quasi tutti sotto le coperte. Ormai va avanti così da giorni, e tutte le sere ritrovo solo Remus a guardarmi sconsolato dal suo letto, su cui è seduto intento come al solito a leggere o a fare i compiti.
 
Frank dorme della grossa, Peter guarda il soffitto ad occhi aperti e James fa solo finta di dormire, con gli occhi chiusi e il volto immobile.
 
Remus scuote la testa e alza gli occhi al cielo.
 
-come è andata con la McGrannitt?- mi chiede lanciandomi una mela e un tocco di pane –ti ha fatto lucidare ancora la stanza dei trofei?-.
 
-mhphm- rispondo poco loquace, rivolgendo un’occhiata di fuoco a lui e poi a James, in rapida successione. Potter deve aver sentito il mio sguardo trafiggergli la tempia, perché si volta “nel sonno” per darmi le spalle.
 
-oh, su, Sirius, te lo sei meritato- borbotta Remus infastidito probabilmente dalla tensione nell’aria –allora?-
 
-il bagno di Mirtilla- sibilo andando verso il mio baule e prendendo il mio pigiama, orgogliosamente rosso e oro.
 
È stata davvero la peggior punizione della mia vita, in ginocchio su quel pavimento, costretto a pulire da solo tutto il bagno senza magia. E senza alcuna compagnia.
 
Non sono mai finito davvero in punizione da solo; o meglio, normalmente quando finisco in punizione da solo so che posso contare su James, che farà una delle sue improvvisate con lo specchio per sollevarmi per un po’ il morale e per tenermi compagnia.
 
Questa volta, invece, inginocchiato lì per terra, con quel fantasma rompipluffe impegnato a darmi il tormento, sono rimasto per tre ore con lo specchietto appoggiato accanto, a sperare con tutto il cuore che James chiamasse e trattenendomi per orgoglio dal farlo io. Se lo avessi fatto, probabilmente avrebbe rotto il suo scagliandolo contro qualche muro.
 
Mary mi ha consigliato di dargli tempo, ma a me due settimane sembrano abbastanza.
 
-eri in punizione da solo?- mi chiede Remus spezzando il silenzio con tono innocente. Ora sento chiaramente Peter russare debolmente dal suo letto, e so con certezza che ormai si è addormentato anche lui.
 
-se escludi Mirtilla- rispondo tetro scrollando il capo e infilandomi la maglia del pigiama –non ne voglio parlare, comunque. Fatti gli affari tuoi-.
 
Al mio tono tagliente James si volta di nuovo, severo, questa volta con gli occhi bene aperti e i denti stretti.
 
-non parlare così a Remus. Te la sei meritata-.
 
Davanti alla sua faccia da schiaffi proprio non posso evitare di saltare in piedi, innervosito da tanta sfacciataggine.
 
-se sono finito in punizione, è solo colpa tua- lo accuso apertamente.
 
Non era mai stato così bastardo, prima. Aveva sempre capito, mi aveva sempre appoggiato.
 
-la McGrannitt mi ha chiesto cos’era successo e io glielo ho detto-.
 
Remus volta lo sguardo da me a lui, scrolla le spalle, alza gli occhi al cielo e poi ci guarda di nuovo rassegnato.
 
-sentite, ragazzi, potreste…-
 
-sei sempre stato dalla mia parte!- riprendo sbuffando –noi ci prendevamo gioco di chi faceva la spia, di chi ci denunciava all’autorità! Io e te, James e Sirius, in questa scuola siamo noi stessi delle autorità! Come ti è venuto in mente di…-
 
-volevo farlo, e l’ho fatto!- scatta in piedi anche lui, aggrovigliandosi per qualche attimo tra le coperte.
 
-mi hai denunciato alla McGrannitt per un incantesimo di adesione permanente fatto sulla veste di Mocciosus alla sedia! Come se tu non lo avessi mai fatto!-.
 
-non questa…-
 
-ragazzi, state urlando!- ci avvisa Frank, ormai sveglio e intontito –se continuate così sveglierete la McGrannitt-.
 
Già, meno male che ci ha avvisato.
 
Fine flashback

 
 

*

 
 
VILLA SELWYN, 3 AGOSTO 1978, ORE 14.15
 
-…quindi vai a prendere la ragazza e portala nella sala, in fretta- sbotta alla fine il ragazzo, lanciando un’occhiata verso la scala che porta al piano di sopra. Con uno sguardo che sembra vagamente a disagio, poi, torna sull’uomo zoppo che ha davanti agli occhi –muoviti. Sai che a lui non piace aspettare-.
 
-su nella sala, hai…-
 
-lascia perdere, Desmond, la prendo io- si intromette il secondo servitore, più alto e prestante del primo, indicando allo zoppo la scala che porta al piano superiore –vai in cucina e prendi la cena per gli altri, io mi occupo della ragazza-.
 
Il magonò zoppo, borbottando tra se con la voce e la pazzia di un vecchio, si incammina e, oltre le scale, scompare.
 
-ah, è talmente stupido che non riuscirebbe a contarsi le dita delle mani- esclama sdegnato il ragazzo riportando lo sguardo sul servitore più sveglio –figurarsi riuscire a portare una prigioniera come quella per più di dieci metri senza farsi stendere. Per fortuna voi siete sempre stati più furbi dei Bulstrode -.
 
L’uomo annuisce e, dopo aver dedicato al ragazzo un cenno deferente con il capo, si incammina verso la fine del corridoio. La cella che si affaccia su quella porzione di muro viene chiamata L’Ultima, ed è la peggiore fra le tante.
 
-stai indietro, adesso apro la cella- borbotta di malumore dando un colpo forte sulla porta, per svegliare la prigioniera nel caso questa stesse dormendo –ti devo portare fuori. Sappi che ci sono almeno trenta maghi potenti, in caso ti venisse la sfortunata idea di saltarmi addosso per…-
 
-cercherò di trattenermi- risponde la giovane dall’interno, sghignazzando ad alta voce –ma non posso prometterti niente, sei un così bell’uomo-.
 
Quasi riesce a fargli spuntare pure un sorriso, quella strana ragazza, con quelle parole così poco consone al luogo.
 
Sta semplicemente seduta su quel pagliericcio di fieno rancido, a gambe incrociate, con la stessa scioltezza con cui starebbe accomodata su una comoda poltrona. All’inizio, i primi giorni, sembrava quasi seduta sulle uova, tanto era tesa e pronta a scattare per un nulla. Ha sempre lo stesso sorriso da predatrice, sul volto, e nemmeno la morsa della prigionia –che ormai inizia a farsi sentire- le ha cancellato il malizioso scintillio da bambina che cova nello sguardo.
 
Ad occhio e croce non ha nemmeno vent’anni, e sicuramente deve avere una paura matta, ma sa nasconderlo molto bene.
 
Non che le si possa proprio dare torto.
 
In quel posto se vedono un accenno di indecisione ci si avventano contro come avvoltoi su una carogna.
 
-dove mi porti, Rius?- domanda probabilmente perplessa, vedendo l’uomo bloccato sulla soglia –andiamo anche quest’oggi fino alle Lande delle Latrine Putride?-.
 
-non…-
 
È indeciso, L’Uomo. Sa dove la porterà e sa che con tutta probabilità non la ricondurrà indietro con se. Quando gli è capitato, con gli altri, ha semplicemente cercato di vederli come bestie condotte al macello. Di pochi di loro conosceva il nome, di ancora meno lo sguardo. Spesso, i prigionieri se ne stavano per conto proprio, tenevano gli occhi bassi e tremavano e gemevano in una lenta litania di suoni sgradevoli, a cui poneva fine una luce verde.
 
Questa qui, invece, è diversa. Ha un nome, si chiama Mary McDonald. Abigail, di secondo nome, lo sa quasi per certo. Vibra di vita e, anche se è in prigione e tutto dovrebbe aspettarsi fuorchè vivere, lo guarda con la sfida impressa negli occhi, come se vedesse tutt’altro e avesse altri motivi per credere fermamente di poter continuare a vivere.
 
Non mi fermerà un lampo verde.
 
E sembra crederlo veramente. Come tutti i ventenni, sembra credere di poter cambiare il mondo.
 
-al piano di sopra- mormora poi senza nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi –ti vogliono al piano di sopra-.
 
Le serra i polsi in una morsa dura, ma meno tesa di quella dei giorni precedenti. Mary non ha mai accennato a voler scappare, come se sapesse di non potercela fare o avesse la solida certezza che, anche senza provare ad andarsene, qualcuno un giorno l’avrebbe trovata.
 
Lo ha capito. Lo ha capito perché non è stupida e perché è così furba, in effetti, da essere esattamente il tipo di ragazza che non ha bisogno di farsi spiegare le cose per afferrarle al volo. Lo ha capito con uno sguardo, e con un brivido che non è riuscita a fermare.
 
-vuoi dire che alla fine si sono ricordati che ci sono anche io?- cerca di scherzare con un ghigno che ha perso in parte il suo vigore iniziale –è quasi una settimana che sono qui e nessuno mi ha ancora dato il benvenuto-.
 
 

*

 
 
Camminare e stare zitta mi sembra quasi insopportabile.
 
Avrei voglia di ridere, oppure di piangere, ma la prima sarebbe decisamente fuori luogo, e la seconda… meglio non pensarci.
 
Non sono esattamente certa di aver afferrato totalmente il fatto che sto andando a morire. È un concetto così enorme, così… assoluto. Qualcosa che mi fa sentire una formica davanti alla grandezza mostruosa del mondo.
 
Come mi sento guardando il cielo scuro della notte, un cielo in cui luna, nubi e sprazzi di nulla cosmico mi fanno sentire terribilmente piccola.
O come quando a casa di Molly ed Arthur sono rimasta a fissare come inebetita i piccoli Fred e George**, contando e ricontando le piccole dita paffute delle manine strette a pugni, riflettendo sui miracoli della vita.
O come quando vedo mio padre abbracciare mia madre in un gesto complice che ha passato vent’anni d’amore, e mi chiedo, sentendomi stupidamente insulsa, se avrò mai la fortuna di essere abbracciata così.
 
La verità è che non sono pronta ad accettare tutto questo, quindi preferisco semplicemente fare finta di nulla.
 
Sento le mani grosse e callose di Rius stringermi i polsi con una morsa molto più delicata rispetto alle volte precedente in cui mi è capitato di dover essere scortata al bagno. Forse c’entra il fatto che non sono diretta al bagno, questa volta.
 
-mi…-
 
-si?- domando sentendolo esitare, e voltandomi appena verso di lui. Deve essere primo pomeriggio, poiché dalla scala che conduce al piano di sopra scorgo una luce dorata e morbida. C’è il sole, e la cosa in qualche modo mi rassicura.
 
-per quel che può contare, mi dispiace per come sono andate le cose- mormora alla fine l’uomo, voltandosi con una brusca spallata per richiudere la porta della cella.
 
Sorrido appena, poi ghigno quasi divertita.
 
-non parlarmi come se fossi già morta, e tieniti i tuoi rimpianti per te, bellezza- ribatto con quella solita aria lieve che mi caratterizza. È il mio carattere, e non mi smentisco nemmeno davanti alla morte –io, di mio, ne ho già troppi-.
 
Salgo i gradini ad uno ad uno, un passo davanti all’altro, studiando tutto ciò che mi ritrovo attorno. Quando giungo su quello più in alto sono costretta a serrare gli occhi, doloranti alla stilettata di intensa luce che proviene dal primo piano nobile del maniero.
 
-dimmi… almeno è un bell’uomo?- domando cercando di far passare quest’eternità immobile, che deve corrispondere, in fin dei conti, a non più che una manciata di secondi.
 
-chi?- mi chiede Rius in risposta, con quella voce quasi brusca.
 
-Lord Voldemort, ovvio!- ribatto io quasi scioccata. Di chi dovrei chiedere una cosa del genere?
 
-non lo chiamerei esattamente uomo- mi dice lui enigmatico, dopo qualche attimo di tentennamento. Alla fine mi fa voltare verso di lui piuttosto bruscamente, quando sentiamo dal corridoio attiguo alcuni passi diretti alla nostra posizione. Le sue labbra si tingono di un sorriso che sa quasi di paterno –hai qualche… richiesta?-.
 
Non deve aver fatto questa domanda spesso, agli altri prigionieri. Lo sguardo, esitante, non mi lascia un attimo.
 
-due, Rius- mormoro con un sorriso amaro, scrollando il capo –fai in modo, per quanto è in tuo potere, che io sia l’ultima. E poi fatti la barba-.
 
I passi si avvicinano, e io mi sorprendo ad essere sempre più triste. Non ho nemmeno vent’anni, e ci sono un sacco di cose che non proverò mai, nella vita che non vivrò.
 
-sei una persona ben strana, Mary McDonald- scrolla il capo quasi rassegnato –sei tutta tua madre-.
 
 

*

 
 
VILLA SELWYN, ORE 19.15 DEL 4 AGOSTO 1978
 
L’ha riportata in quella cella,l’uomo, contrariamente a qualsiasi aspettativa.
 
Svenuta, il corpo tremante d’involontari spasmi di dolore, le guance bagnate da lacrime salate e la gola provata a causa delle urla di sofferenza. Ma viva.
 
Per cosa la sta usando,lui? Gli altri prigionieri, a quell’ora erano già morti. Senza torture, senza grida. Erano solo corpi di valore, stimoli al terrore dei familiari coinvolti in progetti troppo azzardati.
 
Lei, invece, è ancora viva.
 
L’uomo le passa attentamente due dita sul polso, premendo piano. Provata, ma viva.
 
-…ho paura- soffia la ragazza, e solo allora lui si accorge che in realtà è sveglia.
 
Tieniti i tuoi rimpianti per te. Sembrano urlarglielo, quegli occhi, come prima urlava la sua voce.
 
-Mary…-
 
-conosci mia madre- mormora la giovane interrompendolo. E la frase suona un po’ come una domanda, un po’ come una constatazione.
 
-riposati, adesso- le risponde lui. Si alza, con calma, si avvicina ad un vassoio posato a terra e, raccogliendolo, glielo avvicina al volto. Nella ciotola, una brodaglia schifosa, e nella brocca un po’ d’acqua avvelenata –riposati-.
 
Si allontana e raggiunge la porta, e quando ha già la mano tesa alla maniglia la sente armeggiare alle proprie spalle.
 
-Rius?-.
 
-si?-.
 
Silenzio.
 
-hai mai pensato che sarebbe bastata una parola di meno, nella tua vita, o un solo gesto diverso, e magari tutto si sarebbe svolto in un altro modo?- gli chiede dopo qualche attimo di esitazione.
 
L’uomo si volta, la guarda. Sembra una bambina, intenta a riflettere sui dilemmi più oscuri della vita.
 
-è un rimprovero, Mary?-.
 
La domanda rimane per qualche secondo nell’aria, ferma e immobile. Poi sfuma, perché ogni istante –anche se congelato- è destinato a sfumare nel ricordo.
 
-verso me stessa- annuisce la ragazza, sussultando piano forse per una fitta particolarmente intensa di dolore –sono stata così stupida-.
 
Non può far altro, l’uomo, che richiudersi la porta alle spalle e salire verso la piccola camera, tre piani sopra alle celle, nell’ala destinata alla servitù che condivide con Desmond Bulstrode. Il Magonò zoppo dorme della grossa, russando e battendo i denti, a malapena coperto da una logora trapunta.
 
La luna, fuori dalla finestra, volge ad essere quasi piena e lui, dalla sua posizione, può scrutare l’esterno bagnato di luce d’argento. Le parole della ragazza non lo lasciano, e senza che nemmeno se ne accorga afferra l’unico libro che ha portato con se in quegli ultimi mesi, L’Otello.
 
Lo apre, strappa via la prima pagina che è quasi del tutto bianca e, tutto appallottolato sul davanzale si sporge per scrivere qualche parola, con un rimasuglio dell’unica piuma che possiede.
 
 

*

 
 
VILLA POTTER, ORE 06.30 DEL 5 AGOSTO 1978
 
Dorea Potter si sveglia con quell’ansia ormai costante alla bocca dello stomaco, quella che le ricorda costantemente che non sta facendo abbastanza.
 
Accanto a lei, nella parte sinistra del grande letto matrimoniale, suo marito dorme più o meno tranquillamente, russando appena in modo quieto. Ha la mattinata libera, lui, e come un bambino dorme sul fianco, il volto rivolto alla finestra e le labbra arricciate in una smorfia.
 
Per un attimo si domanda che cosa mai sia stato a svegliarla così improvvisamente, scuotendola da un sonno disturbato da un sogno non reale. All’improvviso se ne accorge e, fuori dalla finestra, dove il sole è già sorto, riconosce il profilo di un gufo.
 
 
 
 
 
 
 
*Stefano Benni.
 
** mi ero completamente dimenticata che Fred e George sono nati nel 78, ad aprile. Quindi li ho nominati qui e ho modificato il capitolo numero 4, in cui Gideon nomina i suoi nipoti.
 
 
 
 
NOTE:
 
ehilà! Sono ancora viva, si.
Beh, dai, credo che ormai si sia capito chi è L’uomo, anche detto Rius, di indizi ce ne sono parecchi.
Giuro che il prossimo capitolo arriverà entro e non oltre martedì prossimo, in parte è già scritto. Sarà, come ho anticipato sopra, composto da quattro pov che dovrebbero essere quelli di Mary, James, Emmeline e Remus.
Ci sarà più azione e si muoverà qualcosa in campo “Mary”. Si concluderà il discorso nel flashback tra Sirius e James, e ci sarà anche qualcosa tra James e Lily. Per il resto non ve lo racconto, altrimenti che lo scrivo a fare?
Adesso devo uscire, ma stasera quando rientro rispondo alle recensioni fantastiche allo scorso capitolo!
Che altro dire, spero di risentire i vostri pareri!
Un abbraccio,
Hir

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Capitolo 14
*** ritorni e ritrovi ***






COSE più o meno UTILI DA SAPERE PRIMA DI LEGGERE IL CAPITOLO.
 
Visto che ho motivo di credere che ormai le mie scuse non valgono più niente, eviterò di farvi perdere tempo per questo motivo. Tanto già lo sapete che mi dispiace avervi fatto aspettare troppo.
Ringrazio moltissimo chi mi ha recensito e mi ha mandato messaggi personali, non ho potuto rispondere perché mi sono rotta un polso e due costole un mese e mezzo fa, motivo per cui ho faticato a scrivere al computer e ho colto ogni occasione buona per scrivere il capitolo.
Ho riscritto questo capitolo seimila volte, alla fine mi sono convinta a riscriverlo da capo cambiando totalmente la scena, e ci sono riuscita. Il risultato mi piace, ma.
 
-Non ho inseritonessun flashback di Hogwarts dal punto di vista dei ragazzi, dal momento che questo capitolo è già pieno e caotico così, sommando il ritardo di mesi che ho avuto nella pubblicazione, sarebbe stato solo una complicazione in più e sarebbero stati inutili. Quindi i flashback riinizieranno nel prossimo capitolo, mi dispiace.
 
-L’albero genealogico dei Black ci dice che:
 
Violetta e Cygnus Black hanno generato quattro figli, di cui uno cancellato.
In ordine di nascita: Pollux, Cassiopeia, Marius (cancellato perché Magonò) e Dorea, che poi sposerà Charlus.
 
Il primo nome di Cassiopeia, in questa Fic è Fidelma. Quando ho iniziato questa ff non avevo mai visto l’albero genealogico dei Black, quindi ho inventato la sorella di Dorea di sana pianta, ma guarda un po’ che culo le ho dato come secondo nome Cassiopeia senza sapere di quanto mi avvicinassi alla verità. So che morivate dalla voglia di saperlo!
 
Come promesso, faccio un riassuntino dei punti salienti dei capitoli precedenti, soprattutto per chi ha dimenticato chi sono io e di cosa parla questa storia. Spero in ogni caso che riusciate a raccapezzarvi dopo tutto questo tempo.
 
Sento che avevo qualcos’altro da dire, ma in questo momento non me lo ricordo.
 
 
 
ECCO A VOI QUELLO CHE VI SIETE (probabilmente) DIMENTICATI DI “L’AMORE AI TEMPI DELL’ODIO”:
 
Al Ministero sta per essere approvato un “Progetto di Protezione e Sicurezza Babbani”, con cui i Mangiamorte non sono d’accordo. Una serie di attentati/rapimenti/omicidi vengono perpetrati ai danni dei pezzi grossi del Ministero che supportano questo progetto, con lo scopo di scoraggiarne l’approvazione con la paura.
 
Fergus McDonald, padre di Mary McDonald, da il suo appoggio al progetto, per cui la figlia viene rapita in una strada buia, a sera inoltrata, mentre sta fuggendo da un pesante litigio avuto con una delle sue migliori amiche, Alice.
Mary fa parte, insieme a tutti i suoi amici, dell’Ordine della Fenice. Tutti si accorgono che è scomparsa e cercano in ogni modo di trovare qualche traccia di lei. In un vicolo viene rinvenuta la sua bacchetta spezzata, il cadavere di un ragazzo ucciso dai Mangiamorte viene ritrovato in un’insenatura della città scozzese di Laide, e questo porterebbe a credere che Mary si trovi nelle Highland del nord.
 
Mary si risveglia prigioniera, conosce il suo carceriere e scopre che è un Magonò, Rius. Un giorno, quando va a prenderla per portarla davanti a Lord Voldemort, Rius le rivela di conoscere sua madre, e le dice che lei le assomiglia molto.
 
Lord Voldemort è venuto a conoscenza di un fantomatico Ordine che si opporrebbe a lui, l’Ordine della Fenice, e sospettando Mary di farne parte ne ordina la tortura per scoprire di più su questo gruppo.
 
Vedendo Mary torturata Rius prova pietà e, arrivato nella stanzetta che usa per dormire in condivisione con Desmond (Magonò zoppo che, come lui, è un servitore delle famiglie devote a Voldemort), decide di fare qualcosa.
 
La mattina dopo, all’alba, Dorea Black in Potter (migliore amica di Gillian Sidonie Mayfair McDonald) riceve un misterioso bigliettino.
 
Buona lettura,
Hir
 
 
P.S. dal momento che questo capitolo si svolge quasi tutto a Villa Selwyn, ho deciso di non scrivere all’inizio di ogni pov il luogo. Ho scritto però all’inizio di ogni pezzo di storia se si svolge all’INTERNO o all’ESTERNO della villa, per facilitare la comprensione del racconto.
 
 

 
 
 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
PETER
ALICE
FRANK
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 

CAPITOLO 13

 
 
 
CASA BULSTRODE/BLACK,
VENTIDUE ANNI PRIMA
 
La ragazza scostò il pesante broccato scuro della tenda per gettare uno sguardo fuori dalla finestra.
 
Oltre il grande roseto, davanti all’ingresso della villa, una squadra di servitori –un misto di elfi domestici e uomini in livrea- si stava occupando di posizionare grandi vasi di fiori al centro dei tavoli rotondi.
 
Camelie bianche e Gypsophila, probabilmente, ma da una così grande distanza e oltre il vetro della finestra non potè esserne sicura.
 
-Dorea, questi girasoli sono arrivati per te. La Signora Black ha chiesto di riferirti che gradirebbe non essere più importunata dalle tue richieste, impegnata com’è a controllare i preparativi per il matrimonio di Fidelma-.
 
La voce profonda del ragazzo sulla soglia richiamò l’attenzione della giovane donna. Ella, ritraendosi dalla finestra, lasciò ricadere al proprio posto il drappo pesante della tenda.
 
-per me? Non li avevo ordinati io-
 
Marius Black  esitò per qualche secondo sulla soglia, nelle mani un vaso di girasoli sgargianti. Gettando uno sguardo sui fiori, il ragazzo non riuscì ad evitare di arricciare le labbra. Se esistevano fiori più fuori posto dei girasoli, in casa Black, a lui proprio non venivano in mente.
 
-ho saputo che hai passato gli esami di fine corso all’Accademia-.
 
Dorea alzò sul fratello uno sguardo sorpreso.
 
Era raro che si permettesse di usare con qualcuno un tono così confidenziale. D’altronde, specialmente in famiglia, veniva trattato alla stregua di un estraneo, di solito. Un estraneo inferiore.
 
Violetta Bulstrode in Black, per volere del marito, era scesa a patti da anni con l’idea di avere un figlio disgraziato, e aveva accettato –seppur con tutto il suo dolore di madre- di non poterlo crescere come si sarebbe meritato un Black integro.
Pollux, loro fratello maggiore ed erede della maggior parte della fortuna di famiglia, si rifiutava di riconoscerlo come appartenente alla Nobile e Antichissima Casata dei Black, esattamente come il padre.
 
Dorea, quel suo fratello strano, proprio non lo capiva. Era la più piccola della famiglia, e aveva nove anni l’ultima volta che le era stato concesso di giocare con Marius. A quell’età, però, si dimentica in fretta: tutte le domande che aveva posto nei mesi successivi erano state messe bruscamente a tacere. Dopo un po’, come tutti i bambini, non aveva più chiesto e aveva preso per buono il fatto di essere zittita.
 
L’unica persona della famiglia ad avere una qualche sorta di rapporto con Marius, anche se logorato da un senso generale di inadeguatezza e inquietudine, era ormai Fidelma.
 
Fidelma che si sposava, Fidelma che se ne andava e lo lasciava solo.
 
Probabilmente è per questo, si disse Dorea, che proprio oggi si ferma a parlare un po’ con me.
 
-a pieni voti, sembrerebbe. All’inizio di Luglio dovrei entrare nella squadra di Aaron Scrimgeour-.
 
Marius annuì con un tiepido sorriso sulle labbra, incerto e un po’ imbarazzato.
 
Imbarazzata lo era anche Dorea, chiedendosi come dovesse andare avanti la conversazione.
 
Nel silenzio più completo il ragazzo parve ricordarsi del motivo per cui lo avevano spedito in camera di Dorea con un vaso tra le mani, quindi si avvicinò allo scrittoio di legno chiaro che risaltava in un angolo della stanza e vi posò sopra i girasoli.
 
-tra i petali c’è un biglietto, probabilmente li manda qualcuno- la avvisò indicandoglielo.
 
Lei annuì, spostando di nuovo lo sguardo sui fiori.
Di nuovo imbarazzo, posato ovunque come una coltre di polvere spessa un dito.
 
-senti, Marius, io…-
 
-a tua madre stanno per esplodere le coronarie, e non credo di averla mai sentito strillare tanto in vita mia- li interruppe una voce allegra proveniente dal corridoio. Un metro e sessanta di allegria e parlantina entrò dalla porta, trascinando con se una ventata d’aria fresca che stemperò la tensione –devono aver sbagliato il colore dei tovagl…-
 
Gillian si arrestò bruscamente quando s’avvide di non essere sola con la propria migliore amica. Con in volto un’espressione buffa inclinò appena il capo, in quel gesto tanto suo che la faceva assomigliare, nonostante i vent’anni passati, ad una bambina pensierosa.
 
-scusate, non volevo disturbare-.
 
Dorea spostò lo sguardo dal fratello all’amica e indicò Marius con un cenno della mano.
 
-Gillian, lui è…-
 
-… solo un servitore di casa Black- concluse Marius rivolgendo alla ragazza un cenno rispettoso con il capo.
 
Per un attimo nella stanza tornò l’assoluta immobilità che qualche istante prima era parsa a Dorea tanto odiosa, una quiete silenziosa intrisa di tensione.
 
Accortosene, Marius sembrò cercare con gli occhi la porta, all’improvviso, quasi fosse rimasto senz’aria.
 
–devo tornare di sotto, vogliate scusarmi. Miss Black, Miss… Mayfair-.
 
Mentre Jill si dirigeva verso lo scrittoio elogiando la bellezza dei girasoli nel vaso, Dorea, sulla soglia, fissò le spalle del fratello fino a quando non fu scomparso al piano di sotto, oltre le scale.
 
Nelle orecchie, sentiva la carezza della voce di Marius su quel cognome, che lei non gli aveva mai annunciato.
 
 
VILLA SELWYN,
5 AGOSTO 1978
 
INTERNO
ORE 07.05
 
Sono le sette del mattino e come impetuoso, unico sottofondo, si sente il rumore del mare.
 
Il Magonò zoppo è passato due volte: la prima per ritirare gli avanzi della cena del giorno precedente, la seconda per portare una misera colazione, che tanto nessuno toccherà.
 
Da qualche parte, poco lontano da lei, qualcuno fa cadere qualcosa a terra, forse una ciotola. Poi di nuovo silenzio, di nuovo il mare che torna a ruggire.
 
Potrebbe anche perforarle la testa, ucciderla, ma lei sa che non lo farà. Sarebbe troppo facile, finirebbe troppo in fretta. Perfino il mare è restio ad agire contro gli ordini del Lord Oscuro, e Lord Voldemort sarebbe capace di dichiarare guerra anche a Nettuno in persona se mai la uccidesse, strappandogli così la più ricca fonte d’informazioni sull’Ordine della Fenice a portata di mano.
 
Come diavolo ha fatto a saperlo? Dell’Ordine non dovrebbe essere a conoscenza nessuno.
 
La cella è fredda e le hanno portato via il mantello logoro di Rius, per cui non le resta che soffrire in silenzio sia il dolore che il freddo nelle ossa.
 
Potrebbe anche raggomitolarsi, e per un attimo ci pensa su. Sarebbe facile, portare le braccia intrecciate sotto alle ginocchia e chinare un po’ il capo. La parte difficile sarebbe poi districarsi, intirizzita dal gelo e dal male, da quella posa lì.
 
-dormi, McDonald?- chiede una voce folle da dietro alla porta.
 
È l’unica voce femminile che potrebbe mai ascoltare lì dentro, ma non serve certo il timbro per poterla riconoscere. Ogni parola gronda pazzia, e solo quello alla fine basta e avanza.
 
-se dico di si, Bella, te ne andrai?- mormora svogliata la ragazza nella cella, cercando di strapparsi dalla gola quelle poche parole.
 
È costretta a soffrire per il male al busto, alla schiena e alle coste; per il freddo, per l’immonda schifezza che tocca e respira. Non potrebbe lasciarla da sola, in quelle che con tutta probabilità saranno le ultime ore della sua vita?
 
Una risata cupa, due colpi alla porta e un altro sbuffo di risa.
 
-non mi va, no- è la folle risposta che riceve –e, dimmi, credi che ti verranno a cercare? I tuoi amichetti, quelli che proteggi tanto?-.
 
Nessuna risposta.
 
Mary, con le lacrime agli occhi per il dolore, il freddo e, si, anche per tutta quella dannata situazione, si copre il volto con la mano destra stando attenta a non far nessun rumore. Niente tirar su di naso, gemiti doloranti o singhiozzi. Niente che concederebbe a Bellatrix la consapevolezza di essere vicina un soffio alla vittoria più completa.
 
-morirai, McDonald, lo sai?- domanda ancora dall’esterno la Mangiamorte –moriranno anche loro. Uno a uno, faranno la fine del topo-.
 
Si morde il labbro, Mary, fino a farlo sanguinare ancora.
 
-prima le tue amichette. Quella Evans, dal sangue lordo, e quella con cui hai fatto amicizia ultimamente. La medimaga, che sembra sapere tutto lei- continua imperterrita la nuova Signora Lestrange.
 
Mary riesce proprio ad immaginarsela, fuori nel sudicio corridoio, appoggiata al muro e vestita di nero, bella e mortifera, mentre parla con quel tono lieve e si guarda le unghie, compiaciuta.
 
-Potter sarà il terzo, lui e quella sua irritante mania di scompigliarsi i capelli. Lui e la sua pessima abitudine di credersi il più grande. Sirius… no, Sirius lo lasceremo per ultimo. Che li guardi morire tutti, quel cane-.
 
Amarezza, questa volta. Nel sentirsi rifiutata, forse? Bella sa che Sirius ha rifiutato tutti loro per disprezzo. Che smacco, vedersi accantonare da una parte in favore di babbanofili e sangue sporco.
 
-la McKinnon, ovviamente. E anche quell’altra, certo. La Vance. Certo è stata proprio una bella scoperta, la Vance, da timido agnellino è riuscita quasi a diventare un lupo. Uno di quelli piccoli, però, spelacchiati. Che uggiola dietro al lupo più grande. E d’altronde, andando con il lupo…-.
 
Risata aspra.
 
-allora, McDonald, ti va di parlarne?- chiede melliflua, la Mangiamorte –quanti di loro sono in questo… fantomatico Ordine? Che sciocchezza, un insieme di bambini che giocano a fare gli eroi-.
 
Attenta a non fare rumore, Mary si alza e si avvicina alla porta, strascicando i piedi sulla pietra lercia. Appoggia un palmo alla porta, le dita bene aperte, la mano che sembra quella di una bambina.
 
Può sentirlo, il suo respiro, quello dell’avvoltoio che incombe su un campo di battaglia. Attende, lei.
 
-ma lo sai, McDonald?- domanda lenta, rigirandosi le parole in bocca e gustandone ogni sillaba –si diventa eroi solo da morti. Da viva, sei una povera pazza agli occhi di chi ti circonda-.
 
-se lo dici te, ci credo- mormora la ragazza con voce spezzata –sei una fonte inesauribile di informazioni, quando si parla di pazzia-.
 
-lo sai come sarà, morire per mano nostra?-.
 
Lo chiede come se stesse domandandole quali pasticcini preferisce per il tè pomeridiano. Al miele o alla vaniglia?
 
-preferirei vivere tutta la procedura una volta sola, grazie- risponde Mary computa, rifiutando l’orrore che ad ogni parola minaccia di sommergerla. Con la mano che ancora tiene lungo il fianco si aggrappa al muro di pietra, e con un occhio semichiuso si sporge per osservare dalla fessura tra i cardini. È troppo buio, e Bella è troppo vicina –sono piuttosto brava ad improvvisare, non serve fare le prove-.
 
-Mary, Mary, Mary- canticchia la Mangiamorte, una traccia di sorriso nella voce –davvero non capisco. Hai la possibilità di essere grande. Noi, te la offriamo. Una purosangue come te diventerebbe una splendida seguace del Signore Oscuro. Il mondo che vuoi conquistare, tu non lo vivrai mai. Spiegami perché rifiutare, in nome di uno sciocco ideale?-.
 
Sarebbe come mimare ad un sordo la melodia di un’arpa.
 
-sarà Dolohov, ovviamente- riprende Bellatrix, nuovamente folle, nuovamente se stessa –hai notato come usa bene quella sua frusta di fuoco, vero? È come un colpetto con il polso, lo avrai notato. Usa la bacchetta con la fluidità con cui uno spadaccino muove la propria arma. È arte, la sua-.
 
-non sono sicura di apprezzare appieno la tua scelta dei termini-.
 
-suvvia, McDonald- la blandisce con tono di scherno –non ti ha certo fatto molto male. Può fare di peggio; farà di peggio. A ben pensarci, però…-
 
Una leggera esitazione, come a ragionarci su.
 
-…potrebbe anche lasciare il posto a Walden. È bravo, come boia. Se parlerai, il Mio Signore ti concederà una fine rapida, e Macnair è famoso per questo. Lo ha ucciso lui, quell’altro. Come si chiamava, caro ragazzo? Emmett, o Emerald. Il figlio della Baker Morgan, faccia da volpe che non è altro- conclude con noncuranza, quasi fossero cose da tutti i giorni.
 
Un attimo di silenzio, il compiacimento dilaga, e poi una nota stizzita nella voce quando riprende, diretta a qualcun altro.
 
–ce ne hai messo di tempo. Muoviti, il Signore Oscuro vuole vederla ancora-.
 
E adesso, solo paura.
 
 

*

 
 
Non ho mai avuto così tanta paura.
 
Due giorni fa sono entrata in questa sala più o meno a testa alta, pensando, credendo, di andare incontro alla morte. Contro ogni aspettativa, la morte ha mancato il nostro appuntamento, e ha mandato il dolore a porgere le scuse al posto suo.
 
È stato davvero l’incontro più terribile che io abbia mai fatto nella mia vita. Ed è proprio questo a farmi paura, adesso: non temo la morte. Ma il dolore…
 
…il dolore è un’altra cosa.
 
Ti fa odiare la vita, il dolore; ti fa bramare l’oscurità perenne. E io… beh, io sono Mary McDonald. Ho sempre pensato che la vita mi piacesse troppo per poter arrivare mai a desiderare la morte.
 
Povera sciocca.
 
Sento le dita del Magonò zoppo stringermi i polsi, legati dietro alla schiena, mentre mi trascina avanti nella sala e poi quasi nel centro esatto del pavimento, ad occupare quella stessa pietra che solo due giorni fa ha visto tutte le mie sofferenze.
 
Come una compagnia di attori che si prepari ad andare in scena, tre uomini vestiti di scuro mi circondano, due dal lato destro e uno da quello sinistro. Uno di loro ha il sorriso beffardo e il viso scarno di Dolohov, mentre non conosco gli altri due. Poco più lontano, seduta su una ricca poltrona, Bellatrix Lestrange osserva.
 
Non vedo lui, ma non dubito che sia più vicino di quanto io non pensi.
 
-la nostra ospite ha deciso di... collaborare?-.
 
Infatti. Una serpe fatta e finita, Lord Voldemort, che immobilizza con un sibilo la propria preda.
 
-non credo, padrone- mormora estasiata Bella, le gambe accavallate sotto la lunga gonna nera. Gli occhi, perle scure di follia, brillano come quelli di una bambina.
 
Senza aggiungere nessuna nota personale alle parole della ragazza, alzo gli occhi verso il resto della sala.
 
 È una bella sala.
 
Siamo senz’altro in una grande tenuta, e da quello che riesco a vedere di stile chiaramente medievale. Le finestre, il camino e il soffitto assomigliano molto a quelli di Hogwarts, in un certo senso.
 
Incredibile quanto poco serva conoscere l’architettura di una magione se ti ci trovi imprigionata dentro e impossibilitata a fuggire. Davvero! Non fanno che raccontarti di come la cultura salvi la vita, e proprio quando la tua vita è in pericolo ecco che non ti serve assolutamente a nulla distinguere una volta a crociera da una volta a botte.
 
-allora, Mary- mi richiama all’ordine Lord Voldemort, sibilando –hai voglia di dirmi chi sono, i tuoi amici?-.
 
Ed è incredibile, guardarlo negli occhi. Ha il volto della morte, una morte che non è sonno eterno, ma incubo perpetuo e sofferente. Se solo mi fosse rimasto un po’ di coraggio, potrei fare una qualche battuta arguta per mascherare la paura. Se.
 
Invece rimango ferma, immobile, gli occhi sbarrati e la gola chiusa.
 
-non parla, non parla- cantilena Bellatrix dal suo posto, quasi sognante –sta muta e non parla-.
 
Chiudo gli occhi, ma non serve a nulla. Bella continua a canticchiare, sembra quasi una bambina felice, e quest’orrore non se ne va.
 
Non parla, non parla, sta muta e non parla.
 
Mi chiedo se è così che si sente il grano in attesa della falce che lo mieterà.
 
Non riesco ad aprire gli occhi: forse allora non sono così coraggiosa. Quella cantilena mi trapana la mente, e la voce strascicata di Bella mi lambisce i pensieri. Ho paura.
 
Non parla, non parla, sta muta e non parla.
 
E all’improvviso arriva il dolore, così acuto e improvviso da spezzarmi il fiato.
 
Hai notato come usa bene quella sua frusta di fuoco, vero?
 
 

*

 
 
ESTERNO,
ORE 08.15
 
 L’alba è ormai un ricordo e il sole mattutino, ancora freddo, stende lunghe ombre sulla brughiera scozzese.
 
Nove persone, tra le più pericolose bacchette di tutta la Gran Bretagna, attendono che i due Auror mandati in esplorazione tornino con notizie certe. 
 
-il percorso è sgombro, da questa parte non ci sono impedimenti. Ho trovato i cunicoli della servitù, stanno esattamente dove erano segnati, nella mappa- mormora Dorea Potter raggiungendo il resto del gruppo  -ho controllato anche altri punti di riferimento, le finestre del piano nobile e le altre entrate, le posizioni coincidono-.
 
-quindi la mappa negli archivi del Ministero è affidabile?-.
 
A chiederlo è una giovane donna dai capelli rossi legati in uno chignon sulla nuca.
 
-così sembrerebbe. Per esserne certi aspettiamo il ritorno di Fabian, vediamo cosa ha da dirci sugli altri due ingressi e sui presenti all’interno e all’esterno dell’edificio. Albert, hai trovato qualcosa di interessante in quella mappa?-.
 
-a giudicare dalla mappa della villa – risponde un uomo sui cinquant’anni alto e prestante, probabilmente uno dei membri di spicco della squadra Auror –potrebbero tenere la ragazza nei sotterranei. Sono praticamente irraggiungibili, scavati nella roccia, hanno piccole finestre affacciate sull’oceano e vi si può accedere solamente da uno stretto corridoio collegato al primo piano tramite una scala-.
 
-i cunicoli della servitù quindi non arrivano fino a lì- annuisce Dorea –arrivano solo alle stanze dei piani nobili-.
 
-quanta Polisucco abbiamo?- chiede un secondo uomo, più piccolo e paffuto del primo.
 
-Alastor è l’unico a tenerne una fiaschetta anche nel suo cunicolo, in ufficio. Approssimativamente direi che ne abbiamo per due ore e una persona, oppure per due persone ma per un’ora soltanto-.
 
-continuo a credere che questa sia una trappola- sussurra la più giovane del gruppo, la ragazza con i capelli rossi che ha parlato giusto una manciata di minuti prima. Tiene due dita sull’impugnatura della propria bacchetta e lo sguardo fisso sulla mappa che il suo collega ha tra le mani –non ci si può fidare di un biglietto piovuto dal cielo dopo secoli di silenzio-.
 
-potrebbe esserlo, Daisy- le risponde la signora Potter con leggerezza –il biglietto di Marius potrebbe essere una trappola; d’altronde, non vedo mio fratello da quasi vent’anni. Nonostante tutto, se teniamo in conto tutto ciò che abbiamo dedotto su questo caso fin dalla sparizione di Mary, anche grazie al ritrovamento del cadavere di Emmett Morgan, notiamo che i dati coincidono-.
 
-Marius Black potrebbe addirittura essere morto- sottolinea con apprensione la giovane Daisy. L’uomo accanto a lei, il cinquantenne di nome Albert, sembra condividere il parere della ragazza, nonostante non mostri apertamente il desiderio di contraddire Dorea Potter –la famiglia Black è quel tipo di famiglia che presta particolare attenzione alla propria reputazione… e se come hai detto lui è un Magonò, allora potrebbero…-
 
La Signora Potter scuote la testa per fare cenno alla ragazza di fermarsi. Sospira stancamente e, nonostante la mattinata sia iniziata da nemmeno due ore e mezza, ha sul volto l’espressione di chi non vede l’ora di concedersi un buon riposo.
 
La famiglia Black, si sa, è una famiglia inflessibile: non risparmia nemmeno i propri membri. Tuffarsi tra i ricordi è sempre stancante.
 
-Un Magonò non è riconosciuto dalla nascita. Marius è stato cresciuto come un Black a tutti gli effetti fino agli undici anni. L’assenza di magia accidentale aveva già fatto temere qualcosa, ma se ne è avuta piena certezza solamente quando la lettera da Hogwarts, tanto attesa, non è arrivata. Lo hanno cancellato dalle linee ereditarie e dall’albero genealogico di famiglia. Ricordo che Marius venne allontanato da noi per essere affidato alla nostra elfa domestica, Della. Capirai bene cos’avranno pensato: se non ci puoi onorare, per lo meno renditi utile. La cosa non suscitò granchè polverone, perché era Pollux l’erede primogenito della famiglia. In più, un elfo domestico è un servitore fedele, è vero, ma concorderai con me nel dire che non è certo il più intelligente essere sulla faccia della terra. Non sarebbe affatto stupido, da parte di Voldemort, assicurarsi servitori più forti e più intelligenti degli elfi domestici-.
 
-non avevo mai sentito di Magonò generati da famiglie purosangue- borbotta di suo Artemisia Tellman, membro della squadra da più di dieci anni.
 
-Desmond Bulstrode, nato tredici anni prima di Marius; Serafina Safiq, dovrebbe avere all’incirca sui trentasei anni; Tanya Burke, sulla trentina; Alistair Rosier, fratello di Chintia e Evan Rosier, ventidue anni- elencò pazientemente la donna a capo della squadra –se vuoi conoscere le parti marce delle famiglie purosangue, Misia, devi andarle a cercare per bene con unEngorgio, credimi. Ma se cerchi attentamente qualcosa trovi-.
 
-anche se fosse vero, se fosse riuscito a sopravvivere per tanto tempo, per quale motivo Marius Black dovrebbe voler aiutare proprio in questo caso?- insistette Daisy raccogliendosi i capelli in una coda, nervosamente –sono morte altre persone prima che Mary McDonald venisse rapita-.
 
Quello è un po’ il punto che non ha capito nessuno, nella squadra. Nessuno al di fuori di Dorea.
 
Cosa mai potrebbe aver spinto Marius Black –o un impostore, non si sa- a fornire il proprio aiuto dopo anni di silenzio ed una vita passata in schiavitù?
 
La Signora Potter, che prima di sposare Charlus è stata una “Signorina Black”, storce le labbra in quello che con un po’ di fantasia potrebbe anche sembrare un sorriso. Meno di tre minuti dopo, con l’arrivo di Fabian Prewett, la questione viene abbandonata; è proprio allora che Dorea, con dita sicure, estrae il biglietto ricevuto via gufo quella mattina stessa e getta uno sguardo su parole scure vergate da una mano frettolosa.
 
I Passaggi della servitù non sono sorvegliati, a Villa Selwyn.
Lei è tutta sua madre. M.
 
 

*

 
 
INTERNO,
ORE 08.23
 
-… Albus … Silente-.
 
Tregua. Ambita, sperata, pregata tregua.
 
Non sono solo rantoli quelli che mi escono dalla bocca.
 
Lettere, parole. Un nome.
Non un nome qualunque.
 
È il peso della colpa quello che mi schiaccia sul pavimento di marmo lucido.
 
-potresti ripetere?-.
 
Inspiro quasi prepotentemente e ogni refolo d’aria che inalo ha il morso pungente dell’aceto sulle ferite. Non c’è sangue, ma non per questo deve essere assente anche il dolore.
 
Non voglio ripetere. Non voglio tradire. Non voglio morire.
 
Ma, soprattutto, non voglio continuare a soffrire.
 
Quasi evocata da uno dei tanti pensieri spezzati che mi invadono la mente, la frusta torna a colpire, prepotente ed atroce. Il dolore arriva ad ondate ed è insopportabile, tende muscoli e nervi e pelle e ossa e mente. Tende il filo che mi tiene legata alla vita, alla sanità mentale, al mondo.
 
Ho paura che si spezzi, ho paura che mi spezzi.
 
-Silente… Albus Silente-.
 
-fa parte dell’Ordine?-.
 
Silenzio. Dolore. Atroce dolore. Poi di nuovo la pausa.
 
Silenzio, poi di nuovo dolore.
 
È come una ballata, una ballata macabra e inesatta, perché da qualche parte qui c’è qualcosa di profondamente, perversamente sbagliato. Le costole stridono tra loro e le mie urla sono degne di quelle di una Banshee, ho il fuoco nei polmoni e nella mente; annaspo alla ricerca d’aria in questo oceano di dolore vivo.
 
-Albus Silente è a capo dell’Ordine della Fenice-.
 
Sento le parole scivolarmi fuori dalla bocca, le posso quasi avvertire sfiorarmi la lingua e infiltrarsi tra i denti, a sgusciare fuori come vessilli di tradimento. Ogni parola che mi strappano è una pugnalata inferta alle spalle delle persone che stimo e rispetto di più al mondo, ogni gemito sofferente è il rinnegamento della donna che avrei voluto essere.
 
Se uscirò viva da qui non avrò il coraggio di guardare di nuovo loro negli occhi. Persone di cui mi fido, persone che si fidano di me. Al mio posto loro non cederebbero.
 
-brava Mary, vedo che stai iniziando a ragionare- si compiace il Signore Oscuro, alto davanti a me, con voce soddisfatta –il dolore è un pungolo addirittura più efficace del denaro. O della fama-.
 
Una scossa lieve, la punta di uno stivale sotto lo sterno che mi volta come fossi uno straccetto.
 
-uccidimi- mormoro al viso scarno e pallido che mi sta guardando. Come si chiama? Non lo ricordo.
 
-non c’è gusto nel frustare un morto- ribatte in tono di scherno.
 
-Albus Silente. Poi? Chi altro?-.
 
Con la calma con cui chiunque altro discuterebbe delle condizioni del tempo, Lord Voldemort riporta la concentrazione alla tortura precedente. 
 
Un’altra scossa al mio silenzio, più forte di prima. Lo stomaco, attorcigliato e vuoto, si ribella. Vomito il niente, ha un sapore acido.
 
-Chi altro?-.
 
Ancora dolore.

 
 

*

 
 
ESTERNO,
ORE 08.40
 
-ci muoviamo in coppie, all’interno voglio soltanto sei di noi. Meno siamo, meno possibilità ci sono di essere notati-
 
Dorea richiamò tutti all’ordine. Fabian, tornato dall’esplorazione, aveva notato due uomini lasciare la villa. Il riconoscimento di uno dei due, Evan Rosier, avrebbe dato il via all’operazione.
 
-Artemisia e Frida, voi due per prime terrete sotto controllo la parete ovest della villa: si trova dietro all’entrata principale, quindi prestate attenzione particolare. Voglio sapere chi entra e chi esce, Fabian ha individuato due uomini di guardia, state attente-.
 
Le due donne nominate annuiscono contemporaneamente e si scambiano uno sguardo, pronte a scattare al primo cenno di Dorea.
 
-Albert e Brigitte, voi starete all’entrata dei cunicoli della Servitù. Sono il punto più facile da cui accedere e, ovviamente, quelli più vicini in caso servissero rinforzi. Robert e Annie perlustreranno i piani superiori e le soffitte. Daisy e Fabian, al primo piano… fate attenzione, sarà il punto più trafficato della villa a quest’ora, non fate sciocchezze e, piuttosto che esporvi, tornate indietro. Gilbert, io e te ai sotterranei-.
 
-Dorea, provare a penetrare i sotterranei potrebbe essere…- tenta il cinquantenne a cui la donna si rivolge.
 
-lo so- sbotta in maniera spiccia la Caposquadra –un suicidio annunciato. Ci sono buone possibilità che Mary sia lì, però, e anche se ci si può accedere soltanto da una via d’entrata, non possiamo sapere se quella via è sorvegliata oppure no. Portiamo con noi la Polisucco. Ci sono domande?-.
 
Solo silenzio.
 
-l’operazione si conclude alle dieci. Se entro quell’ora non avete localizzato Mary, fate ritorno al quartier generale. Albert e Brigitte, se non vedete uscire nessuno entro quell’ora, fate ritorno al quartier generale comunque. Non entrate nella villa a meno che non vi venga espressamente chiesto da chi è già all’interno, e non entrateci dopo le dieci. Tutto chiaro?-.
 
Assentirono tutti.
 
 

*

 
 
INTERNO,
ORE 08. 50
 
-dovresti parlare, stupida ragazzina-.
 
Parole e borbottii, un dolore lento e costante da qualche parte tra il fegato e lo stomaco e la voglia assurda di morireora. La ragazza si sente sballottata da una parte all’altra, costretta ad alzarsi da quel pavimento freddo e ad uscire dalla grande stanza in cui ha appena passato due delle peggiori ore della sua vita.
 
Al di fuori della sala qualche raggio di luce impenitente riesce a trafiggerle lo sguardo mentre si appoggia con un gemito di dolore sulla figura che l’aiuta a camminare. Non è Rius, l’uomo che la sta portando via da lì, probabilmente di nuovo in quella cella che sa di morte; Mary non vede Rius dal giorno prima, o forse dal mese, o dall’anno prima. Da quanto tempo l’hanno presa? Quante ore, giorni o mesi è stata in quella sala, sotto lo frusta di fuoco di Dolohov? Sotto lo sguardo di Bellatrix, ad ascoltare la sua voce pazza canticchiare con la gioia repressa di una bimba folle?
 
Con passo claudicante –è il Magonò zoppo quello che la sta aiutando- passano attraverso tre stanze, tutte arredate con cupo lusso. Le vetrate dell’ultima stanza danno sull’oceano, su un cielo azzurro e su un pallido sole mattutino. L’ingresso è deserto, e per un attimo Mary riesce a convincere il suo carceriere a fermarsi e a riposare.
 
-dovresti dire loro tutto. Non tacere niente. Tanto lo verranno a sapere comunque-.
 
 

*

 

Daisy Empty non è certa che quello sia stato il modo più giusto di agire.
 
Si sono mossi troppo in fretta, seguendo una mappa piuttosto datata trovata da qualche parte degli archivi del Ministero, affidandosi ad un bigliettino piovuto dopo anni di silenzio da parte di qualcuno che potrebbe anche essere morto.
 
Fin da quando quella mattina Dorea Potter ha chiamato all’ordine l’intera squadra, quell’operazione è risultata essere costellata di troppi ma e di troppi se.
 
Non si preparano così le operazioni. In Accademia non ti insegnano nulla del genere.
 
Non si mette in pericolo la vita di dieci Auror solo sulla base di qualche intuizione. Servono prove, fatti. Serve un piano ben strutturato.
 
La verità è che, forse, ai piani alti del Ministero avrebbero dovuto affidare il Caso McDonald ad un’altra squadra. Chiunque, al Ministero, conosce i legami dei Potter con Fergus e Gillian McDonald, e se è vero che la ragazza scomparsa è figlia di due pezzi grossi del governo e quindi è d’obbligo l’uso della squadra migliore, è anche vero che è decisamente troppo legata a Dorea per lasciare alla Signora Potter il comando dell’operazione.
 
I cunicoli della servitù sono freddi e umidi, l’odore di muffa che impregna l’aria rende difficoltoso respirare.
 
Fabian, qualche passo dietro di lei, freme dalla voglia di entrare finalmente in quella maledetta villa. Come non detto, anche lui sembra troppo coinvolto in questo caso.
 
Per fortuna Dorea ha opposto a Gideon un netto rifiuto quando egli ha chiesto di unirsi all’operazione. Quella ragazzina deve stargli proprio a cuore, dalla reazione avuta alla notizia del biglietto di Marius Black.
 
-quella è la porta dalla quale dobbiamo entrare- le mormora Fabian all’orecchio, indicando con la bacchetta dalla punta illuminata una porta di legno nel muro di pietra.
 
-secondo la mappa la sala in cui ci andremo a trovare è un salotto, non è vero?-.
 
Fabian scrolla le spalle.
 
-nella mappa è segnato come camera delle api, abbiamo ipotizzato fosse un salotto-.
 
Ipotizzato. Quanto ti puoi permettere di ipotizzare in una missione segreta?
 
La verità è che se quella ragazza non fosse stata Mary McDonald, nessuno si sarebbe mosso prima di avere dati più che certi su ogni più piccolo angolo di quella villa.
 
Lo sguardo di risposta di Daisy è piuttosto eloquente, la ragazza lo intuisce dall’occhiata che riceve immediatamente da Fabian.
 
-sai, Daisy, non eri obbligata a partecipare all’operazione- mormora il giovane Auror avvicinandosi alla porta.
 
-è il mio lavoro-.
 
Una lunga occhiata.
 
-io non ti piaccio- sussurra l’Auror Empty, scrollando il capo quando vede Prewett aprire la bocca per rispondere –non era una domanda, la mia. Non mi sopporti, lo ho visto anche quelle poche volte che ci siamo parlati in presenza di Gideon. Stai pensando che io sia contraria a salvare la ragazza, e questo ti spinge a sopportarmi ancora meno-.
 
-non è così?-.
 
L’asprezza nel tono del ragazzo è malcelata, e a Daisy scappa appena un sorriso. Poi scuote il capo, riportandosi dietro all’orecchio una ciocca ramata sfuggita alla crocchia che ha sulla nuca.
 
-non è così, no- mormora alla fine rivolgendo uno sguardo alla porta –ma è pericoloso muoversi in questo modo. L’emotività non deve toccarci nel nostro lavoro, Fabian. Quante possibilità ci sono che quel biglietto sia stato scritto da Marius Black? E perché proprio adesso? E se Mary non fosse qui e questa fosse solamente una trappola?-.
 
-e se invece Mary fosse qui e morisse a causa dei nostri indugi?-.
 
Una seconda lunga occhiata da parte di Daisy, che scrolla la testa e afferra la maniglia della porta. Quella si apre, lasciandole intravedere uno spiraglio di un salotto vuoto.
 
-fuori dal tuo lavoro Mary potrà pure essere una tua amica, Fabian. Qui, è una persona come tutte le altre. Metteresti a repentaglio la vita di dieci Auror per un’estranea?-.
 
Senza attendere nessuna risposta, la ragazza scivola all’interno della stanza.
 
 

*

 
 
Il portone dell’ingresso si apre per far scivolare dentro una figura scura. Uno dei loro, sicuramente.
 
-McDonald, quale onore-.
 
È vestito elegantemente ed ha un aspetto pulito e curato. Ha gli occhi gelidi, quello sguardo che mette i brividi.
 
Prima, al tempo dell’attacco a Lily e Emme, faticavo a pensare un essere umano in grado di fare simili cose. Quale uomo degno di questo nome avrebbe compiuto una tale barbarie?
 
Ora so che ce l’ho davanti, e non fatico a crederlo.
 
In questi giorni ho avuto modo di farmi qualche idea su di loro, i seguaci di Lord Voldemort. Qualcuno di loro cerca la fama, l’ambizione, la gloria che seguirebbe se vincessero questa guerra logorante. Qualcuno, come Rabastan, o Bellatrix, è semplicemente pazzo: provano un gusto sadico tutto loro nel togliere quella che considerano sporcizia dal mondo; godono del dolore che provocano senza fare distinzione tra le persone a cui lo provocano. Sarebbero in grado di sbranarsi a vicenda crogiolandosi in un piacere senza senso. Dolohov fa parte invece di una terza categoria. Sono molto esigui, ma ci sono. Crede fermamente nella teoria del Purosangue e del Sanguesporco, e non ha paura di sporcarsi le mani per arrivare al mondo che vuole costruire.
 
Tutti gli altri –la maggior parte- sono solamente cani che hanno colto la prima opportunità per celare le proprie perversioni dietro al vessillo di una causa vincente.
 
-Lestrange, Bellatrix chiede di te-.
 
Dolohov, perfetto come se non avesse speso le ultime due ore della sua vita a torturare me, fa capolino dalla porta vicino a noi. Il suo sguardo scuro passa su me e sul Magonò quasi fossimo parte dell’arredamento, nemmeno degni di essere notati, e si ferma su Rabastan, che annuisce pigramente.
 
Il Mangiamorte più anziano ci oltrepassa per dirigersi alla porta d’ingresso, in uno svolazzo di mantello, pronto ad uscire. Alla fine, quando è quasi sulla soglia, si volta.
 
-tu, Bulstrode- sputa con disgusto rivolto al Magonò –non dovevi portarla di sotto?-.
 
Il Magonò, in risposta, mi da uno strattone violento che mi fa battere i denti, e mi costringe a riprendere a camminare in direzione della scaletta che riporta aisotterranei. Lestrange, piazzandosi davanti a noi, ci blocca di nuovo il passaggio.
 
Ha lo sguardo di un gatto randagio davanti a un topolino tremante.
 
 

*

 
 
Hanno oltrepassato due porte e fino ad ora non hanno trovato nessuno.
 
-…soltanto con la punta di una bacchetta-.
 
Una voce, più vicina di quanto non si aspettassero entrambi, attira la loro attenzione. Appoggiano le spalle al muro mentre Daisy tiene la mano sulla maniglia dell’ultima porta, gettando un’occhiata significativa a Fabian, che fa un cenno negativo con la testa e le indica di tacere.
 
-è un vero peccato, è una con il sangue pulito, questa-.
 
Di nuovo Fabian scrolla il capo, negativo. Non conosce quella voce, è quella di un ragazzo ma non gli pare per nulla famigliare.
 
-non altrettanto il suo corpo, da quanto dicono. Da come tiene il lutto uno dei Prewett, al Ministero in questi giorni, pare proprio che questa volta la sgualdrinella abbia preso un pesce grosso. Auror e Grifondoro, che pessimi gusti-.
 
Questa volta Fabian annuisce, con un’espressione tetra dipinta in volto.
 
-questo è sicuramente Dolohov- mormora avvicinando il viso a Daisy, per farsi sentire –a scuola non ci sopportavamo a vicenda-.
 
-non si può dire che adesso siate amiconi. Sono in due, sembra. Stanno parlando di lei?-.
 
-possibile. Probabile. Riesci a vedere qualcosa dalla serratura?-.
 
La ragazza scuote il capo, afferrando la bacchetta e sussurrando verso Fabian.
 
-provo ad aprire un minimo la porta tacitando conSilencio il suono dei cardini, tu prova a guardare dallo spiraglio-.
 
Al cenno affermativo del compagno l’Auror si affretta ad eseguire. Un tocco di bacchetta, lieve e silenzioso, e poi la porta si apre lievemente.
 
Sente Fabian irrigidirsi e soffoca un gemito di dolore quando le artiglia con due dita una spalla, per farle cenno di guardare.
 
Antonin Dolohov è rivolto verso un ragazzo più giovane di lui, di aspetto piuttosto affascinante ma incredibilmente freddo. Il ragazzo è vicino a due figure, il suo viso a una spanna dal volto di una giovane donna.
 
Ha visto alcune sue fotografie e ne ha sentito parlare, da tutti. Una volta l’ha perfino incrociata, a Chamberlain Square.
 
Mary è simpatica, estroversa, quando Mary ride porta l’estate. Mary è fresca, è leggera, è fantastica. A Mary basta uno sguardo per farti sorridere, Mary gioca splendidamente a Quidditch ed è assurdamente piena di difetti adorabili. Mary.
 
Mary Abigail McDonald.
 
Ha gli occhi chiusi, è sporca e quasi irriconoscibile. Sul volto ha segni di lacrime recenti in mezzo a luridume nero che le segna fronte e guance. I vestiti, probabilmente quelli che indossava al momento del rapimento, sono strappati in più punti. La maglia, un tempo chiara, porta evidenti tracce di sangue e vomito. È senza scarpe e senza calze, ha diversi lividi sulle braccia e uno che spicca violaceo sotto al mento.
 
Sembra ad un passo dall’incoscienza, una ragazzina mediocre e spezzata che, probabilmente, desidera ormai solo la morte.
 
Sentendo Fabian tremare affianco a sé, Daisy richiude la porta occultando con un colpetto di bacchetta il rumore della serratura. Serra le palpebre e fa un respiro profondo prima di tornare a guardare Fabian.
 
-Fabian…-
 
Il ragazzo sguaina la bacchetta velocemente, ma Daisy riesce ad afferrargli il polso prima che faccia qualche stupidaggine. Fuori dalla stanza, nell’ingresso della villa, i due Mangiamorte si scambiano ancora qualche frase ma nessuno dei due Auror sta ad ascoltare altro. La ragazza torna con lo sguardo a cercare la porta, poi parla velocemente.
 
-loro sono in due, se escludiamo il Magonò, quindi possiamo batterli. La porta è stretta e possiamo passare soltanto uno per volta, questo vuol dire che non possiamo colpirli entrambi nello stesso momento. Dobbiamo neutralizzarne prima uno, il più pericoloso, poi schiantare il secondo e il Magonò insieme. Possiamo farcela?-.
 
Fabian si morde un labbro, cercando di riflettere più velocemente possibile.
 
-se sbagliamo qualcosa nell’ingresso saremo troppo esposti per riuscire a far fuggire anche gli altri- mormora portandosi due dita alla radice del naso –dobbiamo prima avvisare il resto della squadra che abbiamo localizzato Mary, con un Patronus. Dorea e Gilbert sono poco lontani da qui, i sotterranei non sono distanti-.
                                                                                                                                                      
-tu pensa ad avvisare Dorea e Annie, io penso ai membri della squadra che sono all’esterno della villa. Una volta presa la ragazza dobbiamo uscire il più in fretta possibile da qui-.
 
 

*

 
 
ORE 08.55
 
Lestrange mi guarda per l’ultima volta, sprezzante, poi dopo aver fatto un cenno a Dolohov si dirige verso le sale interne della villa.
 
Antonin, che parlando con Rabastan si era nuovamente avvicinato, torna sulla soglia d’ingresso e la spalanca, pronto per riprendere in mano la maschera del buon cittadino. Lavora al Ministero, sono arrivati fino nel cuore della Londra magica senza che noi facessimo nulla.
 
Accade tutto in uno stralcio di tempo veloce che passa però molto lentamente. Io quasi non me ne accorgo, ma vedo il Mangiamorte passare accanto a me con uno sguardo incuriosito, e mi accorgo che una delle porte interne che conduce sicuramente ad uno dei numerosi salottini della villa si è aperta con un cigolio rumoroso.
 
Una corrente d’aria improvvisa?
 
Il rumore che segue è forte, ma non essendo in pieno possesso delle mie facoltà fisiche e mentali non riesco a capire cos’è. Sento alcune voci, il rumore dei passi di qualcuno –probabilmente è Rabastan Lestrange che torna a vedere cosa può essere capitato-, urla agitate e la testa che mi scoppia.
 
È un incantesimo, quello che colpisce Bulstrode? Sono troppo stanca e dolorante per reggermi in piedi da sola.
 
-Mary!-.
 
Dorea?
 
Cado, mi faccio male, ma riesco ad aprire gli occhi e a guardare l’inferno che mi circonda. Arrivano altre persone, sento l’urlo stridulo di Bellatrix, qualcuno si inginocchia accanto a me.
 
-Fabian, prendila e portala fuori. Vi copriamo la fuga-.
 
Non conosco la voce dell’uomo che sta urlando, ma riconosco Fabian, chinato accanto a me, che senza troppe cerimonie mi risolleva e mi porta oltre quell’inferno.
 
 
 

 
 

 
 

sono disponibilissima a prendermi in faccia critiche e pomodori, non fatevi problemi nell'insultarmi!
 
 

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Capitolo 15
*** di luci in fondo al tunnel e ritorni a casa ***


 



COSA SUCCEDE NEL PRESENTE:
grazie a diversi piccoli indizi ritrovati sia dagli Auror che dai membri dell’Ordine ma soprattutto grazie ad un biglietto spedito a Dorea firmato semplicemente con una “M”, si sospetta che Mary sia tenuta prigioniera a Villa Selwyn, nel nord della Scozia.
Dorea riconosce nella firma la persona di suo fratello, Magonò di cui lei non ha notizie fin dalla nascita di James, diciotto anni prima, e decide di muoversi nonostante il parere contrario di buona parte della squadra, che ritiene il tutto troppo pericoloso e non abbastanza organizzato. Si decide alla fine di fare un sopralluogo, per cercare tracce di magia e della presenza dei Mangiamorte nella zona.
All’interno della Villa, Mary viene torturata al fine di scoprire più cose possibile sull’esistenza dell’Ordine della Fenice. Stravolta dal dolore, Mary decide di parlare cercando di limitare però i danni alle persone più capaci dell’organizzazione. Inizia così a fare il nome di Albus Silente.
Proprio mentre stanno per riportare Mary alla sua cella, Fabian Prewett e Daisy Empty, nascosti in una seconda stanza, riconoscono la ragazza malconcia nelle mani di due Mangiamorte. Avvisando il resto della squadra decidono di intervenire e cercare di salvare la prigioniera.
 
COSA è SUCCESSO NEL PASSATO (flashback):
gli studenti del settimo anno Grifondoro sono in guerra tra di loro. Lily e Sirius hanno tenuto nascosto per mesi a tutti (escluso Silente) il fatto di sapere che a torturare Emmeline e Lily a novembre era stato Rabastan. Per causa di ciò, quindi, Emmeline e James sono costretti a riconsiderare il rapporto con i propri migliori amici, sentendosi da loro traditi. In particolare James, sentendosi considerato come un bambino in mezzo agli adulti, non riesce a perdonare il proprio migliore amico. A lezione, un pomeriggio, denuncia Sirius alla McGrannitt per uno scherzo fatto a Mocciosus. Quando Sirius torna in dormitorio dopo una lunga punizione, stremato, inizia a prendersi a male parole con James, e in breve finiscono per arrivare alle mani in piena notte.

 
 
 
LILY
JAMES
LèNE
SIRIUS
EMMELINE
REMUS
MARY
PETER
ALICE
FRANK
RABASTAN
REGULUS
CORRISPONDENZA
 


 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
PIANTERRENO, incidenti da manufatti, esplosioni di calderoni, ritorno di fiamma di bacchette, scontri tra scope eccetera…
ORE 11.03 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
-la sua mano sarà come nuova entro una settimana, Signora Webster. Torni venerdì prossimo per la rimozione della fasciatura, cerchi di non lasciare per troppo tempo il braccio a contatto con l’acqua e non rimuova le bende per nessun motivo. Il balsamo che le ho messo non deve prendere aria, deve restare protetto dalle garze-.
 
-grazie, Signorina-.
 
-si figuri, è il mio lavoro! Stia lontana dai calderoni almeno fino a quando non si sarà rimessa, la prego-.
 
A novantaquattro anni suonati sarebbe pure il caso, poi, di lasciarli perdere per sempre, i calderoni.
 
Dorcas Meadowes tira un sospiro di sollievo riponendo su uno scaffale alcune boccette e qualche garza. Con uno svolazzo della bacchetta sterilizza il tavolino su cui ha appena lavorato e getta uno sguardo attento all’interno del piccolo ambulatorio.
 
Il reparto Incidenti da Manufatti dell’Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche, che funge anche da Pronto Soccorso, raramente conosce un attimo di tregua: pare ci sia sempre, a qualunque ora del giorno e della notte, qualcuno che per un motivo o per l’altro riesce nel mirabolante intento di farsi esplodere la bacchetta in faccia.
 
-Dorcas, che cosa le è successo questa volta?-
 
Una ragazza scura di capelli fa capolino dalla porta con la testa, arricciando il nasino pieno di lentiggini in una smorfia fanciullesca.
 
La Vedova Webster –novantaquattro anni, miopia accentuata e decisamente dura d’orecchi- è una delle loro pazienti abituali. Potrebbe quasi essere definita una cliente affezionata, da tante volte se la ritrovano ad aspettare all’accettazione.
 
-ha infilato la mano nel calderone di Doxycida che stava facendo in casa. Pare abbia confuso il calderone con la sacca degli ingredienti-.
 
-potremmo fare una tessera a punti, ogni dieci visite regaliamo una tazza- propone la ragazza lentigginosa trattenendo una risata. Con un cenno della testa, poi, indica la sala d’accettazione oltre il corridoio –C’è il tuo amico che chiede a gran voce di te, il giocatore delle Vespe, quello che sembra un principe azzurro. Merlino, è così perfetto! Vorrei…-.
 
-Caradoc è gay, Tania- la frena Dorcas con un sorriso.
 
-quelli perfetti raramente non lo sono. E se sono etero sono già impegnati- borbotta la Medimaga scrollando le spalle e tornando in corridoio, seguita da Dorcas. Traffica per qualche secondo con i fogli della tavoletta che regge in mano e poi sospira quando insieme arrivano all’accettazione –comunque è una gioia anche solamente per gli occhi, dovresti dirgli di venire qui più spesso-.
 
-lo farò-.
 
La sala è in fermento, come al solito: una lunga fila di persone più o meno sane si snoda per tutto il perimetro davanti alla strega dell’accettazione, il baccano è quasi insopportabile.
 
Caradoc Dearborn, fremente davanti alla porta d’ingresso, appare elegante perfino se visibilmente preoccupato. A Dorcas basta un solo sguardo al volto angosciato del ragazzo per capire la gravità della situazione.
 
-l’hanno trovata, Fabian è arrivato con lei una decina di minuti fa. I guaritori del quarto piano non dicono nulla e…-.
 
-vai su- lo interrompe Tania guardandosi attorno e poi gettando un’occhiata alla cartellina che tiene tra le mani –vai su con lui, qui possiamo pensarci noi-.
 
 
*
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
QUARTO PIANO: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata d’incantesimi eccetera.
ORE 13.00 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
La prima volta che venni al San Mungo fu per la morte di mia nonna.
 
Era la mamma di mio papà e di lei non ricordo altro che il tono gentile della voce e l’odore penetrante della lavanda, che era anche il suo profumo preferito.
 
Una cosa però che mi è rimasta bene impressa è la tristezza che per la prima volta, sulla soglia della stanza in cui nonna Gana morì, potei vedere sui volti straziati dei miei genitori.
 
Avevo tre anni e la ferma certezza che mamma e papà fossero degli eroi. Loro non dovevano piangere mai, perché gli eroi non piangono come i bambini e non sono mai tristi, impegnati come sono a salvare il mondo.
 
Quel giorno, per la prima volta, vidi nei miei genitori due persone vere, e iniziai a capire, forse, che per quanto grande una persona possa essere non smetterà mai, dentro di se, di rannicchiarsi come un bambino in un angolo quando succede qualcosa di triste.
 
Da allora, associai al San Mungo quelle lacrime che avevo visto solcare le guance di mamma e papà. Tutto quello che è successo dopo la morte di Morgana Bones in Potter –le varie volte in cui mamma e papà sono finiti in ospedale a causa del loro lavoro, l’attacco a Lily dello scorso novembre, l’incendio a Diagon Alley con conseguente ricovero di Sirius e Marlene- non ha fatto che confermare l’aura di tristezza che secondo me aleggia su questo ospedale.
 
-Jamie, vuoi una Bolla Bollente?- domanda Sirius porgendomi un pacchetto di gomme.
 
Sta seduto di fronte a me, le spalle al muro opposto al mio, sul pavimento del corridoio del quarto piano del San Mungo. Dorcas è entrata nella sala in cui stanno visitando Mary da ormai quasi un’ora, ma non si vede ancora nessuno all’orizzonte che possa spiegarci come stia la mia migliore amica.
 
-se mi metto a masticare qualcosa potrei vomitare- borbotto a mezza voce tormentandomi le mani, nervoso.
 
Fergus McDonald segna a grandi passi il corridoio andando avanti e indietro, mentre Jill di quando in quando sbuffa per richiamarlo, mordicchiandosi le labbra per l’angoscia.
 
Forse sono troppo giovane per capirlo, ma invidio loro la calma che stanno nonostante tutto mostrando in questa occasione. Se fosse mia figlia quella che hanno ritrovato dopo diversi giorni di prigionia e non me la facessero vedere, tenendomi in sospeso con le notizie, probabilmente darei di matto.
 
-non hanno ancora fatto sapere niente?-.
 
Gideon, con le mani occupate da diversi generi procurati nella sala da tè al piano superiore, sorpassa trafelato l’angolo del corridoio. Porge una tazza con del caffè dentro a Sirius, poi si volta verso Charlus che fa un cenno negativo.
 
-Signora McDonald, le ho preso dei biscotti di frolla se le fanno piacere, per ingannare il tempo- mormora porgendogli un sacchettino con una decina di biscotti dentro –James, vuoi del tè?-.
 
Scrollo il capo in risposta, guardandolo mentre si siede su una delle panchine di ferro che costeggiano il corridoio. Lo vedo sbuffare.
 
-Gid, sai dove è il resto della squadra di mamma e papà?-.
 
Prewett mi guarda per un attimo, probabilmente perso nei propri pensieri, prima di riscuotersi e chiedermi di ripetere la domanda.
 
Fergus e Gillian si irrigidiscono, a quanto ho capito c’è stata tra loro e i miei genitori una lite furibonda al momento in cui sono venuti a sapere –come è logico che fosse- dell’esistenza dell’Ordine della Fenice.
 
-tua madre e tuo padre hanno indetto una conferenza stampa, Daisy e Artemisia sono tornati al quartier generale a stendere il rapporto, insieme a Robert e Albert. Fab è andato a… avvisare gli altri. Gli altri, immagino, saranno tornati al Ministero per rimettersi al lavoro. Si teme una risposta forte da parte dei Mangiamorte dopo la liberazione di Mary, per cui Gilbert e Annie stanno lavorando su una lista di possibili bersagli da mettere al sicuro al più presto-.
 
-la testimonianza singola di Mary sarà sufficiente per mettere in catene qualcuno dei loro?-.
 
Gideon scuote la testa, sospirando ancora. Ha sottili rughe che gli increspano la fronte e profonde occhiaie a cerchiargli gli occhi. Quando è arrivato al quartier generale, questa mattina, ad avvisare della manovra in atto per liberare Mac pareva furioso e collerico come una belva in gabbia. Ora sembra semplicemente stanco, e più preoccupato che mai.
 
-non ne ho la più pallida idea- mormora coprendosi gli occhi con una mano –non lo so proprio-.
 
Un silenzio lungo una vita che dura ancora un’intera ora, prima che quella porta oltre cui dicono sia sparita Mary si apra per lasciar passare Dorcas.
 
La Medimaga che è entrata due ore fa non è quella che ne esce, e questa è la prima cosa che capisco guardando il volto stanco e tirato della Meadowes. Il sorriso normalmente gentile esce ora a stento, preoccupato, tra quei lineamenti morbidi.
 
-è viva?-.
 
Gli occhi di Fergus, dal colore così simile a quelli di Mary, si aggrappano speranzosi al camice verde di Dorcas e alla mano che ora impugna la bacchetta. La Medimaga annuisce passandosi una mano sul volto accaldato.
 
-non volete parlarne in privato?-.
 
Gillian passa uno sguardo acceso di speranza su Gideon, ora vivo e fremente, e poi su me e Sirius, ancora seduti ai piedi del muro. Torna con un’occhiata su Dorcas, scuotendo la testa e facendole cenno di parlare pure con tutti e cinque.
 
-è viva, e i Guaritori sono tutti concordi nel dire che ogni ferita fisica esterna guarirà con il tempo. Mary presenta pochi segni di tortura visibili dall’esterno, la maggior parte delle ferite appaiono auto inferte ai palmi delle mani o sui polsi. Ha solamente una ferita che desta più preoccupazione, che all’altezza della spalla destra le attraversa una buona porzione di schiena, e che sicuramente lascerà una cicatrice visibile. I danni più preoccupanti, in ogni caso, li ha subiti agli organi interni, e non siamo a conoscenza della maledizione che li ha provocati. In un primo momento sembrerebbe che i danni vadano a riassorbirsi da soli, ma in ogni caso monitoreremo comunque la situazione costantemente. In particolare, i reni sembrano colpiti in modo piuttosto serio. Aspetteremo il risveglio di Mary per saperne di più. Le è stata somministrata una pozione per il sonno che dovrebbe cessare il suo effetto entro stasera alle sette-.
 
Fergus, che per ascoltare Dorcas ha interrotto il suo cammino per il corridoio, si lascia cadere sfinito su una sedia. Un secondo dopo piange come un bambino, le guance arrossate e le mani a tenersi la testa.
 
-possiamo vederla?- domanda Sirius passandosi le dita tra i capelli.
 
Dorcas scuote il capo.
 
-quando si sarà svegliata potranno vederla i parenti più stretti, secondo la procedura standard del San Mungo, e in base al modo in cui reagirà si programmeranno le successive visite-.
 
-Dorcas…-
 
Non so come porre la domanda, ancora scombussolato.
 
-hai qualche domanda, James?-.
 
Il suo tono gentile mi spinge ad essere più fiducioso. Professionale ma non troppo distaccata, la Meadowes sembra ora molto meno preoccupata di quanto non fosse quando è uscita dalla sala.
 
-in che senso le ferite che Mary ha addosso possono essere auto inferte?-.
 
Gillian, alle mie spalle, si irrigidisce.
 
-Mary si è fatta del male da sola? L’hanno costretta? Cosa le hanno fatto?-.
 
-dall’angolazione e dalla profondità della ferita pensiamo che siano ferite auto inferte, ma non sappiamo spiegarlo con certezza- mormora la Meadowes sospirando e rivolgendo uno sguardo gentile a Jill –Signora McDonald, Mary è una ragazza forte e molto furba, potrebbe doversi essere ferita da sola per le più svariate ragioni. È fortemente disidratata, quando è arrivata era sporca e mostrava segni di denutrizione. Forse Mary si è ferita utilizzando il dolore come un diversivo, magari ai morsi della fame o alle torture. Faremo più chiarezza non appena si risveglierà, ma è necessario da parte nostra mantenere la calma-.
 
-non sappiamo se si salverà, hai detto- ribatto tanto per chiarire che Mary non è ancora del tutto in salvo, caso mai se lo fosse dimenticata –è ancora in pericolo-.

 
 
*
 
 
Perdere la calma e farsi sopraffare dall’agitazione non aiuterà nessuno.
 
-Signori McDonald- interviene alla fine di un lungo silenzio Dorcas –Mary dormirà fino a questa sera, e sarà vegliata ogni minuto da occhi vigili. Se volete andare a casa a riposare, a cambiarvi o rinfrescarvi, vi posso giurare che mi occuperò personalmente di tenervi informati ogni ora, anche se le condizioni di Mary restassero senza alcun cambiamento fino alle sette. Forse vi farebbe bene anche solo una boccata d’ari…-
 
-io resto qui- taglia corto Jill tornando a sedersi su una di quelle scomode sedie –non ho intenzione di muovermi fino a stasera-.
 
La Medimaga, davanti allo strenuo orgoglio di quella madre, non fa altro che sorridere. Lavora in quel campo da abbastanza tempo da averne viste di tutti i colori, e pare naturalmente già portata ad essere una persona paziente. Pare in qualche modo felice di quelle parole, quasi come se pensasse che Jill, rifiutando di tornare a casa lasciando sua figlia appena dopo averla ritrovata, stesse facendo la cosa più giusta.
 
-come preferite. Qualsiasi cosa sceglierete di fare, qualunque domanda avrete da porre, potrete venire allora a cercarmi giù all’accettazione. Tornerò in questo reparto ad ogni ora, comunque, per avere qualche notizia-.
 
Fergus e Gillian sembrano ora più rincuorati. Seduti l’uno accanto all’altra, le mani intrecciate, sembrano darsi conforto a vicenda.
 
Passato lo scoglio più duro, Dorcas si volta verso i due giovani ragazzi seduti sul pavimento.
 
-James, Sirius, credo sarebbe meglio che qualcuno portasse queste notizie agli altri. Dite che non c’è alcun bisogno che vengano qui in massa, stasera di certo non li faranno entrare in visita. Secondo la procedura saranno ammessi alla presenza della degente solo i genitori ed eventuali Auror-.
 
Sirius Black annuisce, alzandosi in piedi e rassettandosi i jeans con un elegante gesto distratto. Vedendo James fare lo stesso si volta lievemente verso Gideon, ancora seduto sulla sedia senza l’aria di volerla abbandonare per il resto della vita, e gli scocca un’occhiata in tralice.
 
-cosa…?-
 
-voi andate, ci penso io- mormora Dorcas seguendo lo sguardo del giovane. Rassicurato, Black passa un braccio sulle spalle del proprio migliore amico, forse in un blando tentativo di rassicurarlo, e si avvia all’uscita con passo barcollante.
 
Solo quando vede entrambi i ragazzi uscire dal reparto in direzione delle scale si avvicina cauta a Gideon e gli posa una mano esitante su un braccio.
 
-Dorea non ti ha permesso di prendere parte alla missione, vero?-.
 
Prewett scrolla il capo, dimostrando la sua attenzione nonostante lo sguardo vacuo di nuovo puntato sulla parete opposta.
 
-troppo coinvolto. Probabilmente avrei mandato a rotoli tutto-.
 
-resta qui di guardia, se vuoi, allora. Lei non vorrebbe altri che te a proteggerla-.
 
Sgranando gli occhi Gideon si volta verso Dorcas. Lei sorride appena e gli accarezza la guancia lasciandogli un piccolo buffetto su una gota, in uno di quei rari contatti che si permette ogni tanto con i suoi amici.
 
-in realtà ho come l’impressione che, nonostante quanto ho detto prima a James e Sirius, ben presto questo corridoio sarà molto affollato. Se dovesse succedere, o meglio quando dovesse succedere, puoi anche decidere di andare a riposare un po’. Hai la faccia di chi non dorme da giorni-.
 
-resterò qui, invece. Io non voglio che sia qualcun altro a proteggerla-.
 
 
*
 
 
La banchina della metro a Charing Cross è tutto sommato piuttosto libera dalla calca di gente che normalmente l’assiepa a quest’ora del giorno. James, col viso ora più rilassato, mi cammina affianco mentre ci dirigiamo alla porta rossa che rimane in fondo al canale.
 
-pensi che Mary sarà tanto diversa, d’ora in poi?- domando spezzando il silenzio che ci accompagna fin dalla nostra uscita dal San Mungo.
 
James si ferma proprio davanti alla porta e mi rivolge un lungo sguardo.
 
-chissà cosa è successo in quel posto. Ho paura al solo pensarci. Tu avevi messo in conto che una cosa del genere potesse succedere quando siamo entrati nell’Ordine?-.
 
-mettere in conto qualcosa non è come trovarsi di fronte al fatto compiuto. E io… io non credo di essere fatto per rassegnarmi davanti alla certezza di una morte del genere, mia o dei miei amici. No, non ero preparato. Non lo sarò mai-.
 
Lo sento sospirare, al mio fianco, poi vedo che si appoggia al muro accanto alla porta senza dare alcun segno di voler entrare. Deve essere qualcosa che gli pesa terribilmente, questo pensiero e questa paura, perché oltre quella porta, dietro un lungo corridoio e una seconda porta c’è Lily che lo aspetta. E se non  fa di tutto per raggiungerla vuol dire semplicemente che c’è qualcosa che lo turba e che non vuole mostrare davanti a lei per non agitarla ancora di più.
 
-ho una paura infernale. Ricapiterà, lo sappiamo tutti. Non a Mary, forse, ma a qualcun altro. Uno dopo l’altro, tutti ne pagheremo il prezzo. Questo non vuol dire che io abbia voglia di tirarmi indietro, sia chiaro!-.
 
-lo so, James- lo rassicuro –ti conosco. E ti capisco, perché per me è lo stesso. Anche io ho paura, e anche io ho intenzione di lottare fino alla fine contro questo terrore che non mi abbandona. Siamo fratelli, no?-.
 
Quando James Potter sorride gli si forma una ruga lieve proprio in mezzo agli occhi. La vedo ogni giorno da quando avevo undici anni, ormai, e per me è diventato sinonimo di quello che siamo. James sorride così solo quando è con me, quando è con suo fratello. È il nostro sorriso.
 
Non voglio nemmeno pensare a cosa mi succederebbe se il prossimo a finire in mezzo a tutto questo disastro che è la guerra fosse lui. O Lène. O addirittura la Evans.
 
Preferirei che prendessero me.
 
 
Flashback  
HOGWARTS, SERRA NUMERO 7 DI ERBOLOGIA
ore 01.15 del 5 marzo 1978
 
-prego, consegnatemi le bacchette- ringhia furiosa la McGrannitt –e che non vi passi in mente di fare tutto il caos che stavate facendo in dormitorio, sia chiaro. Alla prossima l’espulsione a vuoi due non la toglie nessuna. Da due studentelli del primo anno potrei anche aspettarmi un tale colpo di testa, ma siete adulti ormai e da due studenti del settimo come voi, Signor Potter e Signor Black, mi aspetto un minimo di ragionamento. Zitto, Potter, non osare aprire quella bocca o mi costringerai a legarti la lingua con un incantesimo. Verrò domani mattina a ricontrollare a che punto siete, e non mi importa se vi ritroverò a brandelli, la cosa importante è che facciate silenzio-.
 
Frank ci aveva avvisato che a forza di urlarci contro, in pieno notte in dormitorio, la McGrannitt sarebbe accorsa a dividerci. E a punirci. Ho finito la mia punizione dei bagni di Mirtilla nemmeno due ore fa ed ora eccomi di nuovo in detenzione, con le braccia coperte fino ai gomiti del concime in cui giacciono le piante di fagioli sopoforosi della Sprite.
 
Io non odio il mio migliore amico, ma in questo momento lo detesto fin dal profondo di me stesso.
 
-è inutile che fai quella faccia- mi borbotta contro non appena la McGrannitt si chiude la porta della serra alle spalle. Probabilmente ci chiuderà dentro fino all’alba con un incantesimo, ma non mi importa. Anzi, questa notte avrò occasione di fare chiarezza, dopo più di due settimane, con quella testa calda del mio migliore amico, che non mi rivolge più la parola se non per insultarmi –te lo sei meritato!-.
 
Poso la zappa da giardinaggio con cui dovrei smuovere il concime e mi siedo per terra a gambe incrociate. Non ho intenzione di fare il diavolo a quattro, il mio migliore amico mi manca davvero. Voglio riaverlo anche a costo di essere per una volta io la persona seria della situazione.
 
Chissà se Remus si sente così ogni santo giorno.
 
-è vero, me lo sono meritato- ammetto provando ad intavolare una conversazione civile –io mi sono meritato di finire in questa punizione, io mi sono meritato di finire nella punizione precedente, io ho attaccato la veste di Mocciosus alla sedia con un incantesimo di adesione permanente, io. Da solo. Per le ultime due settimane. Qualunque cosa io facessi, tu non c’eri. Anzi, di più, mi hai remato spietatamente contro-.
 
James si agita, rimanendo inginocchiato a spalare concime con sempre più forza, cacciandone ovunque attorno a noi. Non mi importa, mi tocca fare la persona seria.
 
-ti posso ricordare… che hai anche deciso… tu da solo.. anzi, no… insieme alla mia fidanzata… di nascondermi qualcosa di… così importante… come il nome… della persona che… ha torturato Lily?-.
 
Scandisce ogni frase con uno sbuffo, accanendosi sempre di più sul vaso di quelli che un tempo erano fagioli sopoforosi.
 
Alle sue parole inizio ad agitarmi anche io, quindi taccio per un secondo e tiro un sospiro lento e lungo.
 
-hai ragione- ammetto di nuovo, abbassando la testa –quello che ho fatto è stato terribile, da parte mia. Ti chiedo scusa, l’ho già fatto e se sarà necessario sono disposto a farlo per il resto della nostra vita, ma… per favore. Non…-
 
Non cosa?
 
Non tradirmi così?
 
Sembro una fidanzata delusa, e non è quello che voglio dire.
 
James lo sa. Lo deve sapere, lo ha sempre saputo.
 
Lui è mio fratello, dannazione! È sempre stato al mio fianco, sempre vicino a me, pronto a trascinarmi in ogni scherzo ma, di più, pronto in prima linea a subirne le conseguenze, insieme a me, al mio fianco.
 
Sempre.
 
Anche nei momenti peggiori, anche al tempo dello scherzo a Mocciosus sulla pelle di Remus, anche se mi odiava, non mi ha mai abbandonato.
 
Voglio bene a tante persone, e di alcune di queste sono quasi dipendente. Eppure James è l’unico a condizionare sempre, con ogni sua scelta, tutta la mia vita. È la mia Stella Polare, la mia bussola. Lui punta al nord, lui mi salva la vita. Se lui non ci fosse stato, o mi avesse rifiutato fin dall’inizio di questa nostra amicizia, io sarei diventato come mio fratello.
 
E lui questo lo sa. Lui lo sa, dannazione, che è lui il tronco, tra i due. Io sono solo un ramo, mezzo rinsecchito, che senza il tronco è buono solo a bruciare, a rinsecchirsi del tutto e ad autodistruggersi.
 
Mentre io lo guardo, ragionando, lui continua a picchiare vasi e fagioli sopoforosi.
 
Il disastro attorno a noi ormai è indescrivibile. Lui deve sfogare la rabbia, e guardandomi attorno non posso far altro che ringraziarlo per aver evitato di farlo prendendomi a pugni. Questo indica che tiene ancora a me più di quanto tenga a quei vasi di fagioli sopoforosi, se non altro.
 
-non mi lasciare solo-.
 
Sull’eco delle mie parole lui si ferma, le braccia sporche fino ai gomiti di concime e lo sguardo scuro ancora un po’ adombrato.
 
-non mi lasciare solo, James-.
 
Deglutendo, lascia perdere l’ennesimo vaso e lentamente si siede per terra. Si rigira la zappa tra le mani riflettendo.
 
-mi ha fatto male quello che avete fatto tu e Lily. In un modo che non avrei mai creduto possibile- sussurra alla fine.
 
-lo so, io…-
 
-no. Non è il fatto che mi abbiate taciuto di Rabastan, anche se sarebbe bastato in se a farmi girare le palle. Voi pensate a me come a un bambino, a quanto pare. James Potter l’immaturo, anzi, l’infantile, che non è capace di trattenersi. Meglio che ci pensino gli adulti, a tenerlo fuori dai guai-.
 
-James, no, io non…-
 
-si, Sirius- alza la voce zittendomi –io non sono il tuo migliore amico, sono il tuo amichetto del cuore. Non sono il fidanzato di Lily, sono il suo ragazzino. Se questo è vero, ti prego di dirmelo, perché vuol dire che ho sbagliato tutto-.
 
Ha gli occhi lucidi ed è nervoso, lo vedo da come si rigira l’attrezzo da giardinaggio tra le mani.
 
Restiamo in silenzio per un po’, poi mi guardo attorno. I fagioli sopoforosi sparpagliati dall’attimo di furia di James indicano che dovremmo fare un gran lavoro per rimettere tutto in ordine prima dell’arrivo della McGrannitt, ma ora la cosa inizia a non terrorizzarmi più così tanto.
 
Negli occhi di James vedo una luce, ed è la luce in fondo a questo tunnel che è stato lungo due settimane e mi ha spezzato come non immaginavo qualcuno sarebbe mai arrivato a fare.
 
-James, hai presente i tavolini da tè?- chiedo all’improvviso.
 
Lui mi scruta per un attimo arricciando la fronte.
 
-e cosa c’entrano adesso?-.
 
Sorrido appena, amaro.
 
-ne esistono di tanti tipi, sai. Esistono quelli che hanno quattro gambe,quelli che ne hanno di più. E poi ci sono quelli che ne hanno una sola, un po’ più grande, proprio nel mezzo. Hai presente, no?-.
 
-si-.
 
-se a uno dei tavolini da tè con quattro gambe tu ne spacchi via una, il tavolino rimane in piedi lo stesso. Un po’ malconcio, non proprio nuovo di pacca, è vero. Ma resta in piedi. Se tu togli ad un tavolino da tè con una gamba sola quell’unica gamba che si ritrova, cade tutto. Non cade solo la superficie del tavolo, non crederlo: cade il ripiano di legno, cadono le tazzine di ceramica che sicuramente si ritrova sopra, la teiera, la zuccheriera, pure il contenitore del latte e il piattino dei pasticcini. Tutto, in un gran fracasso, e di quello che c’era prima restano solo macerie-.
 
James resta ancora in silenzio, probabilmente in attesa di scoprire dove voglio andare a parare.
 
-io e Lily lo sappiamo che quello che abbiamo fatto è sbagliato, e che puoi decidere tu se perdonarci o rimarcarcelo per tutta la vita che ci resta. Però siamo solo due tavolini con un’unica gamba, e quell’unica gamba, per entrambi, sei tu. Sei libero di fare quello che vuoi, ma devi sapere che in caso decidessi di cadere tu, ti trascineresti dietro tutti e due. E lo so che è un discorso tremendamente egoistico da parte nostra, che sei tu la parte offesa e noi non dovremmo aver diritto di replica, ma le cose stanno così. Quindi, se credi davvero che valga la pena buttare tutto all’aria per questo va bene, ma avrai sulla coscienza anche la nostra caduta. Forse è ingiusto e egoista, ma è così-.
 
-quindi sarei la… vostra gamba?- sorride dopo un po’ di silenzio con un ghigno divertito –è davvero la cosa più originale che sei riuscito a tirare fuori? Perdi colpi, Pads-.
 
È lusingato, dietro a quel sorrisetto sornione. La cosa mi fa venir voglia di piangere dal ridere, ma forse è meglio se mi contengo.
 
-ah, eddai, era per dire- sbuffo scherzando e dandogli, timidamente, una gomitata scherzosa –che poi ha anche una sua poesia, questa cosa dei tavolini. Seriamente, non ti commuove nemmeno un po’?-.
 
È un abbraccio che ho aspettato per giorni, questo. E credo sia valsa anche la pena di aspettarlo tanto, se porterà nuovamente un po’ di pace.
 
Staccandosi dall’abbraccio, alla fine, James si guarda attorno con lo sguardo impietosito da tutto il casino che ha fatto lui stesso solo poco prima.
 
-credi che la McGrannitt ci ucciderà quando vedrà tutto questo concime ovunque?- domanda giulivo, alzandosi –perché senza magia non credo proprio riusciremo a sistemarlo a dovere-.
 
Sorrido, divertito. Vedere James scherzare è come tornare a casa dopo tanto tempo.
 
All’alba, quando la McGrannitt apre la porta della serra, ci trova ancora nel concime fino ai denti, e tuttavia fa una cosa strana: sorride vedendoci scherzare come abbiamo sempre fatto.
 
Annuendo come se non si fosse aspettata altro che questo, ci consegna le nostre bacchette e poi ci dice di tornare in dormitorio per prepararci alla colazione.
 
Fine flashback.
 
 
-Alastor pensa che abbiano tenuto Mary viva per tutto il tempo perché hanno scoperto dell’esistenza dell’Ordine. Ho sentito che lo diceva questa mattina alla mamma, in ospedale. È vero, secondo te? Sanno di noi?-.
 
La domanda di James mi distoglie dai ricordi.
 
-beh, non potevamo certo aspettarci di rimanere segreti per sempre- mormoro scrollando il capo e aprendo la porta che dà sul corridoio interno –segreti come questi non restano mai nascosti per troppo tempo-.
 
Ad aprirci la porticina in fondo al corridoio, quella che ci fa accedere finalmente al quartier generale, è Emmeline. Ci scruta con occhi nervosi e colmi d’ansia, ma quando James non riesce a trattenere un sorriso Emme scoppia in una risata argentina, lasciandosi andare ad un abbraccio inaspettato da una normalmente controllata come la Vance.
 
All’interno del quartier generale decine di paia di occhi ci osservano affamati di informazioni. La stanza è più affollata del previsto, quasi tutti sono presenti, e allo scoppio della risata di Emmeline esplodono pianti e applausi.
 
-Mary non è ancora del tutto fuori pericolo- esclama James per richiamare il silenzio, abbracciato a Lily e con una mano sulla spalla di Alice, in lacrime –adesso è sotto l’effetto di una pozione del sonno che cesserà la sua azione non prima di stasera. Dorcas dice che, questa sera, le visite saranno permesse esclusivamente ai genitori ed ai parenti stretti, quindi non ha senso andare adesso tutti in massa all’osp…-
 
-non ha senso?- esclama scandalizzata Alice, alzandosi di scatto dalla sedia su cui sta seduta –togliti di mezzo, James Potter. Voglio stare vicino alla mia migliore amica anche se non me la faranno vedere, e non saranno di certo Guaritori e Medimaghi ad impedirmelo-.
 
Mentre l’onda di gente provocata dalle parole di Alice si dirige verso la porta, intenta chi a raccogliere mantelli chi ad organizzarsi per uscire con ordine, guardo Jamie e lo trovo a sorridermi, ancora abbracciato alla Evans.
 
-che avete da sghignazzare, voi due?- domanda Lily con gli occhi lucidi dalla commozione.
 
Io scrollo le spalle, fingendomi innocente.
 
-tu hai intenzione di uscire in maniche corte sotto questa pioggia?- le ritorce contro James indicandole i mantelli appesi all’entrata. Lily sbuffa, poi gli scocca un bacio sulle labbra prima di dirigersi verso gli altri.
 
Alla fine torna serio, quasi lontano, senza distogliere lo sguardo da tutti gli altri.
 
-lo affronteremo a tempo debito, ad ogni modo. Tutto quello che succederà, intendo, lo affronteremo a tempo debito- mi dice arricciando le labbra.
 
Annuisco con un sorriso triste.
 
-a suo tempo, e tutti insieme-.

 
 
*
 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
QUARTO PIANO: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata d’incantesimi eccetera.
ORE 18.45 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
-Dottoressa, l’effetto della pozione sta svanendo. La ragazza sarà perfettamente cosciente entro
mezz’ora. Siamo pronti per far entrare i parenti più stretti-.
 
La Guaritrice alza lievemente lo sguardo occhialuto dalla cartellina che sta compilando e scrolla il capo rivolta ai numerosi ospiti che sostano in quel corridoio. Alcuni tallonano la porta fin dalla mattina, con lo sguardo stanco e preoccupato, altri sono arrivati mano a mano nel pomeriggio come una lenta processione di pellegrini. Gente di tutte le età e di tutte le forme, ma per di più ragazzi della stessa età della giovane degente che occupa dalla mattina la camera più grande del piano.
 
Sorride lievemente, la donna, guardando diverse coppie o gruppetti occupati a tenersi le mani e a rassicurarsi a vicenda. Spicca soprattutto una ragazza florida dai capelli corti e scuri, con gli occhi particolarmente brillanti di preoccupazioni: sta seduta accanto a due giovani molto simili, gemelli, e tiene una mano appoggiata alla schiena di quello più vicino a se.
 
-no. Tre ore fa è arrivata la richiesta, firmata personalmente dal Ministro, di far accedere prima di ogni altra persona la squadra Auror che si è occupata del caso, in modo da dare l’opportunità alla ragazza di fornire ogni dichiarazione con la mente più lucida possibile-.
 
-ma, Dottoressa, la procedura stabilisce che….-
 
-la richiesta del Ministro è chiara, Sullivan-.
 
-la ragazza potrebbe reagire male alla presenza esclusiva di estranei all’interno della stanza. È stata rapita e tenuta segregata per giorni!-.
 
-non sono tutti estranei per lei. Il suo caso fu a suo tempo affidato alla squadra dei Potter, che sono per lei amici di famiglia…- mormora la donna sistemandosi gli occhiali sul naso con un dito –guardi là. I due gemelli sono i fratelli Prewett, entrambi membri della squadra Auror dei Potter e ottimi amici della giovane. Facciamo entrare prima loro due, e si mandino a chiamare il Signore e la Signora Potter con la solo squadra. Al termine delle dichiarazioni faremo entrare i famigliari più stretti e poi, solo dopo, gli amici-.
 
Il tirocinante Marcus Sullivan, alto e allampanato come una cicogna, scrolla il capo guardando di sottecchi la Guaritrice Hamilton uscire dal reparto. Sembra che diventare guaritore indurisca il cuore.
 
-i parenti di Mary McDonald?-.
 
Una decina di sguardi si fissano su di lui, all’improvviso, non appena il suono della sua voce va a spegnersi nella tensione ora quasi elettrica del corridoio.
 
-si è svegliata?-.
 
La donna che parla, ancora vestita di una lunga sottoveste rosa antico malamente ricoperta da un mantello, deve essere la madre della degente.
 
-l’effetto della pozione è svanito, tra non più di quindici minuti la Signorina McDonald dovrebbe essere completamente sveglia. Mi dispiace informarvi, Signora McDonald, che il Ministro in persona ha richiesto che fossero i membri della squadra Auror che si è occupata del caso a vedere Mary non appena la ragazza si sveglierà e…-
 
-la squadra Auror?- lo interrompe il vocione inquieto di quello che con ogni probabilità deve essere il Signor McDonald, membro eminente del Wizengamot –per quale ragione? Le procedure stabiliscono che…-
 
-al caso di sua figlia è stata data la massima priorità, e il Ministro vuole assicurarsi che le dichiarazioni della degente siano fatte a mente quanto più lucida possibile. Capisco che la situazione sia inaspettata ed angosciosa, tuttavia le assicuro che al termine delle dichiarazioni sarà dato ai parenti più stretti il permesso di vedere la ragazza-.
 
Gillian McDonald pianta uno sguardo furente negli occhi del tirocinante, letale come una tigre a cui minaccino un cucciolo. Prima che chiunque tra i presenti riesca a raccattare il coraggio di aprire bocca, è lei a rispondere con una tale asprezza da far indietreggiare Marcus Sullivan di un paio di passi.
 
-mia figlia è stata rapita e torturata per giorni, riportata come una bambola rotta in quest’ospedale e trascinata in quella stanza stamattina sotto i miei occhi. Sono passate sette ore, tacete la maggior parte delle informazioni e vi divertite a giocare con me e mio marito come fossimo pedine su una scacchiera… -
 
-Jill!- tenta di rabbonirla il marito.
 
-Mary non è ancora fuori pericolo, Fergus!- ribatte energicamente  -e se l’interrogatorio fosse troppo per lei? Se non lo sopportasse? Sarà come rivivere tutto! Permetterai davvero a loro di interrogarla, magari per ore, rischiando in questo modo che lei possa avere un crollo, dopo nemmeno sette ore dalla sua liberazione? Ti importa così poco di tua figlia?-.
 
Lo sguardo con cui McDonald si rivolge alla moglie ha il singolo potere di tenerle testa. Sciocco colui che crede di non dover temere Fergus McDonald. Lo descrivono innocuo come un agnellino, e forse lo è davvero nella maggior parte delle situazioni.
 
Nel corridoio, ancora negli abiti da notte con cui  i due coniugi sono accorsi in ospedale, si stanno sfidando potenze titaniche.
 
Davanti alla coppia, in piedi, Sullivan si sente come una barchetta a remi nel bel mezzo di un tornado.
 
 -la nostra rabbia non aiuterà Mary in alcun modo, né lo farà stare qui a discutere per ore su una questione del genere. Provare a sbattere ad Azkaban quei bastardi, forse questo la aiuterà-.
 
Un padre, con una pena incancellabile addosso e il peso del mondo sulle spalle: ecco come si sente il Signor McDonald. Negli occhi, una stanchezza secolare; sul viso, un dolore immutabile.
 
Alla fine nello sguardo compare uno stralcio di dolcezza.
 
-tesoro- mormora alla moglie, sfiorandole un braccio con la mano destra –lascia che gli Auror parlino con lei, ti prego. Mary è una persona forte, e a mente fresca forse potrà fornire più dettagli per favorire la cattura di quelli che le hanno fatto questo. È per il suo bene, amore mio-.
 
Jill abbassa lo sguardo lasciando che una piccola, semplice lacrima si tuffi oltre l’orlo delle sue ciglia per ricadere sulla guancia arrossata dalla passata furia. Fa male non poter ancora rivedere Mary, soprattutto ora che ha questa voglia incredibile di stringersela al petto per non lasciarla andare mai più. Quanto più sopportare il cuore di una madre?
 
Forse Fergus ha ragione, forse può sopportare ancora qualche ora.
 
-fate come volete-.
 
Anche Fergus, allora, dopo un sorriso si rilassa visibilmente.
 
-fra quanto si risveglierà, Mary?- domanda al tirocinante.
 
Sullivan, con gli occhi ancora socchiusi e l’espressione impaurita di chi si aspetti lo scoppio di un’altra bufera da un momento all’altro, si raddrizza.
 
-la pozione ha cessato il suo effetto dieci minuti fa, signore. Per quanto ne so potrebbe essere già sveglia, ma se ancora non lo è non impiegherà a svegliarsi che dieci minuti al massimo a partire da adesso. Dipende soprattutto dal suo fisico e da come ha metabolizzato l’infuso-.
 
-Gideon, potresti entrare tu mentre Fabian chiamerà Dorea e Charlus?-.
 
 
*
 
 
Non so dire esattamente da quanto tempo sono riemersa da quella specie di tenebra comoda in cui sono caduta dopo aver sentito parlare Fabian, tuttavia mi rendo conto che ormai devono essere passati diversi minuti.
 
Per un attimo ho temuto di essermi immaginata tutto, la voce di Fabian, gli Auror, quella che deve essere stata una fuga, e di essere ancora a Villa Selwyn. Ma qui non c’è il rumore del mare, né il tanfo del sangue rappreso e della sporcizia di quel letamaio in cui mi tenevano rinchiusa. Allora ho pensato di essere morta, e in qualche modo mi è sembrata una cosa dannatamente ingiusta.
 
È vero, è quello che ho sperato per gran parte della prigionia, e tuttavia morire a diciotto anni –anche se per sfuggire a tutto quel dolore- è un’idea che non mi ha mai attirato molto prima di quest’ultima settimana.
 
Alla fine sento una porta aprirsi, con un lieve cigolio. Dubito che nell’aldilà ci siano porte, personalmente, e se anche ci fossero dubiterei del cigolio. Quindi sono viva.
 
E, per la prima volta da una settimana –me ne accorgo con una felicità che non pensavo di poter ancora provare- sono pienamente in possesso delle mie facoltà mentali.
 
Sono dolorante, stanca, spaesata e un po’ impaurita. Ma sono viva, e talmente cosciente di me da saper indicare con precisione ogni punto, giuntura, osso o tessuto, lacerato, rotto o offeso. Sento il dolore quasi come una benedizione, e accolgo con gioia quest’aria pulita che mi sfiora il volto per finirmi nei polmoni, a spazzare via l’ultimo rimasuglio del fetore di quella lattrina.
 
Comunque torno con la mente in questa stanza pulita e profumata in cui una porta si è aperta e, presumibilmente, qualcuno è entrato.
 
Cosa dovrò fare? Ho di nuovo paura.
 
Se apro gli occhi, vedrò quello che mi hanno fatto. Distrutta, sporca, ferita e lacera. Un relitto, in pratica. Apro gli occhi e dovrò affrontare tutto quello che mi è successo, ma soprattutto il modo in cui ho reagito: questa nuova consapevolezza di me davanti alla morte, impaurita come una bambina e ignorante con una qualsiasi mortale.
 
La coscienza di non essere un’eroina, ma una formica.
 
E, a farmi più paura di tutto, è sapere che dovrò farlo da sola, contando solo sulle poche forze che mi restano.
 
Passi lenti si avvicinano, il fruscio di una tenda che si sposta, e poi una sedia trascinata per un breve tratto sul pavimento. Qualcuno si siede, e quel qualcuno profuma del profumo più buono del mondo.
 
Scoppierei a piangere subito, lo so, ma quel qualcuno fa una cosa inaspettata e mi sfiora con poche dita la guancia. Poi il profilo del naso, poi le labbra. La sua mano, alla fine, si ferma tra i miei capelli, restando lì, in sospeso.
 
Sono sempre stata una persona molto fisica: i miei amici mi prendono in giro per la forza stritolatrice del mio abbraccio, famosa in tutta Hogwarts e anche fuori, o per la mania che ho di salutare quasi chiunque –indipendentemente dal grado di importanza nell’ambiente sociale e culturale- con il classico bacio sulla guancia.
 
Tra tutti i tipi di contatto fisico che si possono considerare dimostratori d’affetto, però, quello che amo di più è la carezza.
 
Quando papà mi sfiorava la fronte, la sua carezza aveva il potere di scacciare i mostri da sotto il mio letto, nel bel mezzo della notte, se per caso mi svegliavo urlando. La carezza della mamma, invece, come per magia mi infondeva torpore appena prima di andare a dormire, la sera, dopo la favola della buona notte. Mia nonna mi accarezzava la guancia destra con una specie di piccolo buffetto, ogni volta che dimostravo di saper fare qualcosa da grande, come mettere le palline sull’albero di Natale da sola o riuscire per la prima volta a dare da mangiare alla sua civetta senza meritarmi nessuna beccata da parte di quell’animale infernale.
 
Una carezza, che sia data in punta di dita o a pieno palmo, tra i capelli o sulla spalla, ha il meraviglioso compito di informarti che, qualunque cosa tu abbia fatto, qualunque mondo tu abbia sognato, con ogni tuo pregio o difetto, ci sarà sempre qualcuno pronto ad accettarti e ad amarti.
 
Riesco a trattenere le lacrime giusto il tempo che impiego per aprire gli occhi: voglio vedere Gideon, almeno per un secondo, senza la patina di lacrime a sfumarmi la vista. Voglio guardare la linea decisa della sua mandibola e quella lunga e dritta del suo naso, la piega lieve e carnosa delle labbra e il chiarore dei suoi occhi azzurri.
 
Quello che mi vince, alla fine, è qualcosa che mi stupisce: la traccia salata di una lacrima sulla sua guancia, che serve forse da richiamo a tutte quelle assiepate giusto sull’orlo dei miei occhi.
 
Per giorni ho immaginato tutto questo, e adesso non so fare altro che piangere. Dopo pochi secondi scoppio in singhiozzi, ignorando il male ai polmoni e a ogni costola, quando con delicatezza lui si sporge sul lettino dell’ospedale per abbracciarmi.
 
-sei ancora tu, Mary?-.
 
È una domanda che ne contiene mille.
 
Quello che ti è successo ti ha cambiata? Ti ha uccisa? Sai ancora sorridere come prima? quanto male ti hanno fatto? Mi riconosci? Sei completamente in te? Sai ancora scherzare e ridere dopo aver visto il buio?
 
-malconcia, sporca e distrutta- mi sento di dire in tutta coscienza, con una voce flebile ma nonostante tutto senza esitazioni –forse mi ci vorrà un po’, ma sono ancora io-.

 
 
*
 
 
Sdraiata su quel lettino, pallida tra quelle lenzuola pallide, gli è sembrata ancora più piccola.
 
Il tirocinante che lo ha accompagnato alla stanza in cui tengono in osservazione Mary gli ha spiegato le funzioni principali della pozione che le hanno somministrato questa mattina, un infuso creato apposta per reintegrare in parte energie ai malati esausti e capace di far cadere chi lo prende in un sonno riposante e senza sogni. Lo ha avvisato che l’infuso non rimetterà a nuovo Mary, e che anzi lei resterà molto stanca per i primi giorni, ma cosciente di se fin dal suo risveglio, e quindi completamente in possesso di ogni facoltà mentale almeno per tre o quattro ore.
 
Ha capito subito, quindi, che è sveglia, fin da quando attraversando la soglia ha notato il lieve fremito delle ciglia e lo spasmo involontario di una mano. Avvicinarsi, guardarla e sfiorarle il viso sono state azioni quasi involontarie, che non si è nemmeno accorto di aver fatto, azioni tuttavia assolutamente necessarie per rendersi conto della realtà che lo circonda. Ha fatto mille sogni quasi uguali, ma mai il profilo di Mary è parso tanto solito sotto i suoi polpastrelli.
 
Egoisticamente ha pianto di gioia vedendola avvolta fino a metà del busto in calde coperte, e constatando la veridicità delle affermazioni di Dorcas quando aveva detto che Mary non presentava gravi ferite esterne.
 
Per brevi attimi hanno pianto insieme, lei probabilmente per il dolore, la pena e il sollievo di trovarsi in salvo, lui per l’incanto stupito del piccolo sorriso che ha visto nascere sulle sue labbra quando aprendo gli occhi e si è accorta della sua presenza.
 
Alla fine, dopo un breve scambio di parole commosse, Mary ha insistito per tirare leggermente più in alto la testa. Lui, dopo giorni in pace con se stesso e con il mondo, ha evocato un cuscino e lo ha aggiunto a quello già presente.
 
Adesso, di nuovo seduto al suo fianco, la guarda senza staccarle gli occhi di dosso, con impresso nello sguardo lo stupore con cui si osserva un miracolo.
 
-fuori da qui ci sono tua madre e tuo padre. E… beh, in realtà ci sono un po’ tutti-.
 
A spezzare il rinnovato silenzio è Gideon, che non riesce a smettere di sorridere.
 
-tutti?- sorride Mary.
 
Prewett annuisce, tornando poi lentamente serio.
 
-Mary, io… io non…-
 
-non sei qui in veste di amico, lo avevo immaginato- lo interrompe lei dando in una piccola smorfia –in qualità di Auror che si occupa del caso devi interrogarmi-.
 
-in realtà sono qui soprattutto come amico, e non mi frega assolutamente niente di quello che può dire il Ministro della Magia di tutto questo. Ma il motivo per cui sono entrato per primo è che, per richiesta del Ministro, sarebbe meglio se rilasciassi tutte le dichiarazioni sui fatti a noi Auror. È la nostra squadra che si è occupata del tuo caso, e tra un po’ arriveranno anche Dorea e qualcun altro per aiutarci a fare luce sulla questione. Tu… te la senti?-.
 
Mary volta lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, guardandosi attorno. Ha un livido scuro su una guancia, un sopracciglio e un labbro spaccati e ancora un po’ di sporcizia sfuggita agli incantesimi pulitori dei Guaritori. Vederla così getta per qualche attimo Gideon in uno stato di rabbia nascente.
 
-non è che abbia molta scelta, vero?- domanda retoricamente.
 
Gideon risponde dapprima con un lunghissimo silenzio. Segue il suo volto con gli occhi come se avesse ora un terrore cieco di perderlo di nuovo. Si beve ogni movimento su quel viso come un assetato berrebbe ad una fonte nel deserto.
 
-non importa quello che ti impongono, tu scegli liberamente. Te la senti?-.
 
Mary lo guarda negli occhi limpidi e scuote il capo.
 
-no, ma è la cosa giusta da fare, e la farò- mormora sorridendo appena –tu… mi faresti un favore?-.
 
-qualsiasi cosa-.
 
-abbracciami. Forte. E poi tienimi la mano, così non rischierò di perdermi-.
 
Ha la voce di una bambina e lo sguardo di un’adulta, Mary.
 
Abbracciandola, Gideon soffoca ancora una volta le proprie lacrime. Dicono che Mary non sia ancora fuori pericolo, ma una con così tanta forza non può morire.
 
Non va ancora tutto bene, ma per la perfezione –ora che Mary è salva- hanno un sacco di tempo.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
non so se vi ricordate di me. Ciao. Ormai non so nemmeno più cosa dire per scusarmi per il ritardo, quindi forse è meglio se rimango zitta, che ci faccio una figura un poco migliore. Forse.
Come al solito non ho scuse, quindi passo a ringraziare chi ancora mi segue con pazienza facendomi commuovere ogni volta che accedendo a EFP trovo una magnifica recensione piena di parole splendide che in fondo sento di non meritarmi. Grazie anche a chi non mi ha ancora mandato a quel paese continuando semplicemente a leggere. Bastonatemi se è necessario, perché me lo merito alquanto.
Dunque, questo capitolo mi piace molto anche se non sono riuscita ad inserirci tutto quello che volevo. Nel prossimo rispuntano anche altri personaggi oltre a Mary… è che trattando questo punto del rapimento e del ritrovamento di Mary, è proprio indispensabile parlare così tanto di lei. Non ci sono mezze misure, mi spiace.
Da adesso fino a nuovo ordine ho intenzione di scrivere un sacco di fluff e un po’ di momenti ciccipucci, perché ne ho mentalmente bisogno e mi piacerà un sacco tornare alle tenerezze dopo tutto questo angst.
E quindi niente, ringrazio ancora tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono, ricordano o recensiscono e vado a rispondere a quelle chicche di recensioni che ho fatto aspettare per un sacco di tempo.
Sperando che vi piaccia,
Hir

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Capitolo 16
*** Quattro voci al femminile (prima parte) ***



NOTE DA UNA SCIAGURATA:

So benissimo che la maggior parte di voi probabilmente mi odiano e hanno pure ragione. So che è passato un anno dall'ultimo aggiornamento di questa FF e che chi non mi odia probabilmente non lo fa solo perchè si è dimenticato di me. Come dargli torto.

Non posso garantire nulla, tra l'altro, per quanto riguarda i prossimi capitoli. Questo capitolo è diviso in 2 parti che verranno pubblicate una oggi e una domani, perchè era un capitolo davvero troppo lungo e necessitava di un'interruzione, secondo me. 

Siccome in questo capitolo compare un nuovo personaggio (già presente in Primavera non bussa) volevo pubblicare questo capitolo insieme al 17° di Primavera in modo che fosse più comprensibile come carattere. Purtroppo non ci sono riuscita, mi dispiace. Comunque, come ho già sottolineato altrove, nè questa nè quella ff sono o rimarranno incomplete, lo giuro. Probabilmente ci metterò tutta la vita, ma vedranno la fine.

Buona lettura a chi è rimasto,
Hir


ECCO A VOI QUELLO CHE VI SIETE (sicuramente) DIMENTICATI DI “L’AMORE AI TEMPI DELL’ODIO”
 
Nel presente: Al Ministero sta per essere approvato un “Progetto di Protezione e Sicurezza Babbani”, con cui i Mangiamorte non sono d’accordo. Una serie di attentati/rapimenti/omicidi vengono perpetrati ai danni dei pezzi grossi del Ministero che supportano questo progetto, con lo scopo di scoraggiarne l’approvazione con la paura. Fergus McDonald, padre di Mary McDonald, da il suo appoggio al progetto, per cui la figlia viene rapita in una strada buia, a sera inoltrata, mentre sta fuggendo da un pesante litigio avuto con una delle sue migliori amiche, Alice.
Mary fa parte, insieme a tutti i suoi amici, dell’Ordine della Fenice. Grazie all'arrivo di un misterioso bigliettino e ad alcuni ritrovamenti Mary viene localizzata in una tenuta nel nord della Scozia, dove viene tratta in salvo da una squadra di Auror del Ministero e prontamente portata al San Mungo. 

LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
ALICE
FRANK
REMUS
PETER
REGULUS 
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
CAPITOLO 15


VILLA MCKINNON
 
 
Sono due ore ormai che Alecto Carrow tiene banco con le proprie chiacchiere vuote.
 
Cinthia Rosier in McKinnon non riesce davvero a credere di essere stata amica di una tale oca giuliva, ai tempi della scuola.
 
Il pensiero le sovviene proprio mentre torna ad appoggiare la teiera bollente, con la quale ha versato il tè ai suoi tre ospiti, sul vassoio d’argento dei folletti.
 
<< Mi ha fatto davvero piacere poter fare di nuovo due chiacchiere con te, cara >>  la sente infatti dire con quel tono tanto affettato quanto falso con cui è sempre stata solita rivolgerle la parola << Dopo il tuo matrimonio ti sei praticamente isolata. Vivi chiusa nelle proprietà dei McKinnon e questa cosa non ti fa affatto bene. Guarda la tua bella pelle, hai un colorito così sciupato! >>.
 
<< Per fortuna che ho un’amica come te, allora, che ha così a cuore il mio ricordo da poter sprecare ore preziose per farmi visita >>
 
Il tono velato di sarcasmo non sfugge ad Alecto, che raddrizza la testa stupita assomigliando per un attimo ad un gufo colto di sorpresa.
 
Quando ancora andavano a scuola tra di loro era tutto diverso. Era Hogwarts, a rendere tutto diverso. Lì era facile inneggiare alla supremazia del Sangue Puro, quando qualche commento audace e denigratorio pesava soltanto qualche sguardo impaurito e qualche lacrima da parte delle persone più deboli.
 
Sono stata una persona orribile, pensa Cinthia cinicamente portandosi la tazza di fine porcellana alle labbra.
 
Seduta sulla poltrona davanti alla sua, Alecto le rivolge un lungo sguardo inquisitorio. Si sente scrutata anche dagli altri due ospiti, Cinthia.
 
<< Come stanno mamma e papà, Evan? E Al? >>.
 
Lei e suo fratello non hanno mai avuto un vero e proprio rapporto.
 
Cresciuti con troppi anni di distanza a separarli, forse. Molto più probabilmente, a separarli realmente è quella luce fanatica che Cinthia riesce a scorgere negli occhi di lui, e il tatuaggio nero che nemmeno il polsino bianco d’una camicia d’alta sartoria riesce a celare del tutto.
 
<< I nostri genitori ti mandano i loro saluti >> risponde a mezza voce Evan, ignorando deliberatamente l’ultima domanda << Ti mandano le loro scuse per non aver potuto farti visita negli ultimi giorni, purtroppo nostro padre lavora molto e nostra madre è preda di violente emicranie >>
 
<< Nulla di grave, spero >>.
 
Chissà se se lo immaginavano, ai piani alti, che i progetti per non perdere il controllo dei McKinnon avrebbero portato anche una Rosier a sfuggire dalle loro grinfie.
 
<< Nulla di grave, no. Tuttavia nemmeno tu vieni a trovarli. Nostra madre si chiede il perché di questo repentino allontanamento >>.
 
No, nessuno l’aveva previsto. Si, tutti l’hanno notato.
 
Rabastan Lestrange, seduto nella poltrona accanto a quella di Alecto, la guarda come un gatto guarderebbe un topolino grasso. Quel ragazzo la inquieta, i suoi occhi fanno paura e Cinthia non ha la minima idea di che cosa voglia dire la sua presenza lì. Ha gli occhi più folli di quelli di Evan.
 
<< Non dire sciocchezze, Evan, non mi sto allontanando proprio da nulla >> mormora disinvolta appoggiando nuovamente la tazza di porcellana sul vassoio per evitare che il tremito delle sue mani si noti << Mi sono appena sposata, sono solo piena di impegni >>.
 
<< Tuo marito lavora molto, Cinthia? >>.
 
<< Signora McKinnon per te. Max è un uomo impegnato, Lestrange >>.
 
<< Hai legato molto con il resto della famiglia? Timothy? Marlene? >>.
 
Cinthia solleva uno sguardo perplesso davanti alla strana tensione nel tono di Rabastan. Ora anche Evan sta rivolgendo un lungo sguardo pensieroso all’amico, tuttavia non sembra particolarmente scocciato dall’invasione della domanda. Dall’ingresso giunge il rumore sordo del battente del portone, segno che l’elfo domestico ha appena fatto entrare qualcuno in casa.
 
<< Penso che questi non siano affari che ti riguardino, Lestrange >>.
 
<< Mi stavo chiedendo semplicemente con quale stato d’animo la piccola di casa McKinnon avesse appreso la notizia del miracoloso ritrovamento della sua amichetta, avvenuto due giorni fa. Cinthia. >>
 
<< E io mi chiedo da quando io e te possiamo ritenerci talmente amici da giustificare una tua visita per il tè in un tranquillo pomeriggio estivo >>.
 
<< Ti invito a ricordare i motivi per cui hai sposato Mc… >>
 
 << Signora McKinnon, Padrona? Emmeline Vance e Paul Sanders sono all’ingresso. Fiddie li fa accomodare? >>.
 
La vocetta gracidante dell’elfo domestico irrompe nella conversazione richiamando l’attenzione dei tre ospiti e di Cinthia, bloccatasi nell’atto di alzarsi dalla poltrona in preda ad una furia a stento trattenuta. Entrare in quella casa a dettare ordini, ecco cosa ha intenzione di fare quel ragazzino folle che è Rabastan Lestrange! Un bambino che ancora va a scuola, presuntuoso arrogante!
 
<< Padrona? >>
 
I pensieri irosi passano con un solo lampo negli occhi della nuova Signora McKinnon. D’altronde, la dissimulazione è un’arte che si impara presto tra i Purosangue, mondo fatto d’apparenza, teatro perpetuo.
 
<< Fai accomodare qui con noi i nuovi arrivati, Fiddie, ma va a chiamare Marlene in camera sua. Gli ospiti sono per lei >>.
 
Uno sguardo veloce alla pendola del salotto. Gli ospiti si tratterranno ancora per almeno un quarto d’ora. Un lunghissimo quarto d’ora.
 
Che Merlino mi conceda la pazienza.
 
 
*
 
 
<< Sono molto influenti i McKinnon nel mondo magico, vero? >>.
 
La domanda di Paul Sanders mi coglie di sorpresa mentre ancora sono intenta a guardarmi meravigliata intorno. L’androne di Villa McKinnon è… opulento, direi. È una grande sala riccamente decorata da stucchi barocchi e drappeggi dai colori chiari, e sul fondo, vicino ad una porta che deve portare probabilmente alla zona giorno, parte una grande scalinata di marmo bianco che dovrebbe condurre, a rigor di logica, alla zona notte. Il soffitto è abbellito da affreschi dai colori vivaci e alle pareti fanno bella mostra di sé numerosi quadri che ritraggono scene mitologiche.
 
<< Da cosa lo deduci? >> chiedo in risposta con un sorrisetto.
 
Non avevo mai messo piede a casa di Marlene, la immaginavo più simile a quella di James e Mary che non a Buckingham Palace se devo essere onesta.
 
Un elfo domestico dall’aria ordinata, lo stesso che è venuto poco fa ad aprirci il portone di casa, ci viene incontro chiedendoci di seguirlo dalla padrona.
 
Paul, accanto a me, sembra addirittura più stupito della sottoscritta. Anche lui è di origini babbane e forse, come me, non si aspettava di ritrovarsi catapultato in questo splendore barocco semplicemente bussando alla porta di casa di una nostra compagna di scuola.
 
<< Sto resistendo all’impulso di rubare un posacenere >>.
 
Mica per niente è l’ex ragazzo di Mary McDonald, ricordo. Il pensiero mi fa sorridere.
 
<< Voi dovete essere compagni di scuola di Marlene, se non sbaglio >>.
 
Vorrei prendermi qualche attimo per poter osservare meglio il bellissimo salotto in cui l’elfo domestico ci ha condotto, ma una voce cortese e fredda mi distrae. I ragazzi della Patria dei Bellocci mi avevano detto che la nuova moglie del fratello di Marlene, Cinthia, è molto graziosa. E tuttavia non credo che l’aggettivo “graziosa” renda al meglio l’idea.
 
La donna slanciata ed elegante che ho davanti è molto più che graziosa; avvenente, direi. Ha i capelli chiari raccolti in una complicata treccia che parte dalla nuca per arrivare oltre la spalla destra fino a sotto il seno, e gli occhi chiari, dal taglio lievemente felino.
 
<< Si, infatti >>.
 
Quando mi rendo conto della poca cortesia con cui ho risposto alla domanda cerco di porvi rimedio, imbarazzata dal silenzio e dalla situazione.
 
<< Noi... ci scusiamo per il disturbo, siamo solo… eravamo d’accordo con Lène di uscire insieme questo pomeriggio per andare a trovare una nostra amica al San Mungo. Non volevamo disturbare >>.
 
Nello sguardo della ragazza, imperscrutabile, passa un lampo di curiosità e poi, per un secondo, quella che sembra preoccupazione. Alcune figure comodamente sedute nella stanza si palesano ai nostri occhi. Fissa com’ero su Cinthia non le avevo ancora notate.
 
<< Dunque è vero quello che dicono, la cara Mary è tornata a casa >>.
 
Lo scherno nella voce di Rabastan Lestrange basterebbe da solo a mettere addosso una gran rabbia perfino al più santo degli uomini. Io, oltre che arrabbiata, sono anche impaurita. Non riesco nemmeno a guardare questo essere immondo negli occhi.
 
Mi ci vuole qualche attimo per capire che, oltre la paura, provo solo uno sbalordimento indignato.
 
Come osa mostrarsi in pubblico, o anche solo in questa casa? O forse, proprio perché stiamo parlando della casa di Marlene, migliore amica mia e di Lily, e poi di Mary, con quello che è successo…
 
<< All’ospedale, hai detto? Spero di cuore che sia ancora tutta intera. Povera creatura >>.
 
Prima ancora che io riesca a riprendermi dallo stupore di sentirlo ancora parlare sento vicino a me Paul scattare.
 
<< Razza di fetente bastardo >> sbotta rivolto a Lestrange << Come osi dire addirittura il suo nome con quella tua bocca lurida? >>.
 
Delle due figure che si trovano insieme a Rabastan, entrambe a me sconosciute, l’unica donna arriccia il naso guardandoci con aria disgustata.
 
<< Cara Cinthia, permetti che due ragazzini parlino in questo modo ai tuoi ospiti in casa tua? >>.
 
<< Questa, Carrow, non è casa sua più di quanto non lo sia tua >> sibila la voce gelida di Marlene dalle nostre spalle.
 
Lène è appoggiata allo stipite della porta, vestita di tutto punto e perfettamente pronta per uscire.
 
<< Ti sarei grata, Cinthia >> continua poi la mia amica guardando gli ospiti con furia a stento trattenuta << Se evitassi di ricevere i tuoi amici criminali sotto questo tetto >>.
 
<< Io non… >>.
 
<< Sto uscendo. Ne riparliamo stasera, comunque. Emme, Paul, volete seguirmi? >>.
 
Mentre seguo Marlene senza emettere alcun suono non posso fare a meno di chiedermi di quali strane dinamiche siamo stati inaspettati spettatori io e Paul.
 

 
 
*
 
 
C’è un sentiero in mezzo al bosco.
 
È fatto di terra, sale su per una collina che lei non può vedere ed è delineato di grandi lastre di pietra bianca e corrosa.
 
Probabilmente sono vicino al mare.
 
È un pensiero, il suo. Un pensiero stupido, forse, perché non senta alcun odore salmastro e, anche se ci prova, non riesce ad alzare lo sguardo per scrutare il panorama. Tutto quello che vede è questo, un sentiero ripido che sale in collina, di quando in quando sconnesso e delineato di pietra bianca e corrosa.
 
Il mare deve essere vicino.
 
No. Stop. Da qui ci siamo già passati. Ci sono già state riflessioni su un mare probabilmente inesistente e i pensieri paiono aver fatto un giro completo.
 
Comunque.
 
Il sentiero è in mezzo ad un bosco. Gli alberi, mani scheletriche che si protendono verso il cielo in quello che sembra un urlo disperato, sono spogli.
 
Quindi è inverno. È inverno, ed il mare è vicino.
 
Non che abbia molto senso pensare cose del genere, ma d’altronde i sogni non devono averlo per forza, un senso. È proprio per questo, crede, che di tanto in tanto il cervello si permette di sognare cose illogiche: perché la realtà non lo permette, e la mente ha pur bisogno di staccarsi dal mondo.
 
Perché quello è un sogno, e la ragazza lo sa di stare solo sognando.
 
È un pensiero veloce quest’ultimo, un pensiero veloce che velocemente si allontana –ma forse è lei stessa ad allontanarlo- così come è giunto. E di nuovo riesce a concentrarsi sul sentiero e sul bosco –perché di certo è un bosco- d’alberi spogli, d’inverno, vicino al mare perché la pietra è corrosa.
 
Comunque.
 
Non scosta lo sguardo dal bosco, lei, ma vede un margine di cielo. Grigio, forse nuvoloso. Non piove.
 
Gli alberi sono neri, ma non sono bruciati. Il sentiero si arrampica sulla collina –che pare più ripida, ora- delineato da lastre di pietra bianca che oltre ad essere corrosa è chiaro adesso sia anche macchiata.
 
Lastre di pietra bianca macchiata di gocce di denso nero. Inchiostro?
 
La ragazza si china, con due dita tocca una delle macchie e non si sorprende quando, ritraendole, le trova sporche.
 
Anche la mia felpa è sporca di nero.
 
Terzo pensiero che rapidamente svanisce, che poi lei neanche ce l’ha una felpa a casa. Sono anni che non ne indossa una.
 
Il sentiero continua per quelli che saranno un centinaio di passi, più o meno, prima di interrompersi improvvisamente.
 
Una casa? Una villa.
 
Ha un portone davanti al naso e non ci aveva nemmeno fatto caso. Legno nero, anche questo come quello degli alberi, e la villa sembra più un castello e il castello è fatto di pietra bianca e corrosa, per colpa del ma…
 
No, Alice, non ricominciare.
 
Il portone si apre da solo –nei sogni questo succede-.
 
Se nel mondo magico una porta si apre da sola, la cosa meno saggia che tu possa fare è attraversarne la soglia.
 
Naturalmente anche questo, come tutti gli altri pensieri, è qualcosa che la sfiora ma non la cattura. Un pensiero che poi va via, lasciandola da sola ad entrare nella stanza.
 
Quelle stesse gocce di inchiostro che prima macchiavano solo le pietre del sentiero ora macchiano anche il pavimento –bianco, nemmeno a dirlo- attraversandolo tutto fino all’altro capo della sala.
 
La sala forse è vuota, forse no. Non le interessa.
 
La seconda porta è più piccola del portone d’ingresso, ma è anch’essa di massiccio legno nero.
 
Inquietudine. I rami spogli, l’inchiostro nero, il sentiero ripido e in salita, grigio e bianco, e il cielo forse nuvoloso.
 
Manca solo un lamento tetro.
 
<< Alice! >>.
 
<< Mary! >>.
 
Mary è in fondo alla stanza, dall’altro lato, ed è poco più che un mucchio di stracci bianchi che respira. Un mucchio di stracci bianchi macchiati –come le pietre, il pavimento e la felpa-. Un mucchio di stracci bianchi macchiati di nero che respira affannosamente con difficoltà.
 
<< Mary! >>.
 
Muoversi diventa difficile davanti a quella visione, e chinarsi sulla ragazza la obbliga a guardare.
 
Mary è pallida e magra. Troppo magra.
 
La pelle tirata del volto esangue si annerisce sotto e attorno agli occhi, in vistose e terribili occhiaie. I capelli, radi ciocche nere, sono appiccicate al viso dal sudore.
 
E l’inchiostro? Cola dal petto, sulle braccia, sulle mani. E poi dalle labbra, nero come la pece da quelle labbra così esangui.
 
È sangue.
 
Questa volta il pensiero non vola via velocemente, ma batte, ritmato, proprio al centro della fronte, nella mente. Martella, ruggisce, stordisce. È sangue.
 
<< Mary, dobbiamo… >>
 
<< mi hai uccisa tu, Alice >>.
 
Pietra bianca macchiata di sangue, corrosa dal mare che forse c’è e forse non c’è. È inverno, il mare è vicino, la pietra bianca è macchiata di sangue e il sentiero corre in salita e alla fine c’è un castello -che è una villa e che è Villa Selwyn, la ragazza lo sa- il cielo è grigio e la porta è nera, e il pavimento bianco è macchiato di sangue e anche i suoi vestiti lo sono –la felpa, la felpa è macchiata di sangue- e poi c’è Mary, che è un insieme di stracci che respira con affanno e poi c’è il sangue, sul suo petto e tra le sue labbra e.
 
Mi hai uccisa tu, Alice.
 

 
 
*
 

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE
QUARTO PIANO, Lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata di incantesimi, eccetera
ORE 9.00 DEL 6 AGOSTO 1978
 
 
<< Alice! Prewett, svegliati! >>.
 
Diverse voci preoccupate e un paio di mani grandi che la scrollano per le spalle. Gentilezza, anche se con un lieve accenno di tensione nelle dita artigliate sulle braccia.
 
<< …mi fa male la gola >> mormora la ragazza portandosi una mano alla bocca e poi lungo il collo.
 
Guarda in alto e vede un paio di occhi blu scrutarla con uno sguardo serio, meditabondo.
 
<< Hai urlato per l’ultimo mezzo minuto, quasi. Credo che sia meglio andare a prendere qualcosa di caldo, ti farà passare il mal di gola >>.
 
Benjamin Fenwick si rivolge alla ragazza in tono sommesso, aiutandola ad alzarsi dalle piastrelle su cui è stata seduta per gran parte della notte e su cui, quella mattina presto, ha ceduto alla stanchezza addormentandosi.
 
<< No, io non… Mary… >>
 
<< Non era una proposta, Alice. Vieni di sopra con me >>.
 
 
 
*

 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
quinto piano: sala da tè per i visitatori e negozio.
 
 
<< Sarebbe meglio che mangiassi qualcosa, sei molto pallida >>.
 
Fenwick sussurra con un tono di comando quando mi porge un piccolo involto di biscotti al burro. Li ha appena comprati al grande bancone della sala da tè, e adesso, seduto davanti a me, zucchera il suo caffè senza fretta ne agitazione, quasi fossimo in pausa pranzo.
 
<< Non ho fame, ti ringrazio >>.
 
Sento ancora il sangue di Mary addosso e sono costretta a fare violenza su me stessa per impedirmi di strofinare le mani sul maglione per ripulirmi di macchie immaginarie.
 
<< Dovresti mangiarne almeno uno, davvero >> insiste.
 
<< Tu invece non dovresti essere qui, mi pare >> ribatto stranamente irosa << Moody ha detto chiaramente a tutti voi di non venire a trovare Mary. È pericoloso, per voi e per l’integrità dell’Ordine >>.
 
La perfetta occhiata innocente che mi viene restituita riesce a strapparmi un sorriso divertito. Quei grandi occhioni blu che ora mi guardano dall’alto riuscirebbero ad ingannare Merlino in persona, grazie alle abili doti recitative di Benjamin.
 
<< Non sono mica qui per Mary >> scrolla le spalle leggermente << Jared, un mio collega di lavoro, si è fatto esplodere il calderone tra le mani. Ho dovuto accompagnarlo qui all’ospedale per forza, dal momento che in laboratorio non c’era nessun altro >>.
 
Hanno strappato Mary dalle mani dei Mangiamorte solo due giorni fa, eppure sembrano anni quelli che ho passato sul pavimento all’esterno della sua stanza qui in ospedale. I primi a vederla sono stati gli auror, per raccogliere la deposizione. Poi i parenti più stretti.
 
Dalla sua stanza esce ed entra una fiumana di persone, una processionaria che pare destinata a non finire mai. Emmeline è uscita dalla stanza con gli occhi colmi di lacrime e un sorriso meraviglioso e contraddittorio dipinto in volto.
 
Non so cosa Mary abbia rivelato agli auror che per primi sono entrati ad ascoltarla, ma so che una volta uscito dalla sua stanza Alastor Moody vantava un’espressione più truce del solito. Ero appoggiata al muro con le spalle, seduta sul pavimento poco distante dalla porta della stanza, e ho sentito benissimo cosa ha detto quando si è rivolto verso Caradoc e Amelia intimando loro di lasciare l’ospedale e non farvi più ritorno per visitare Mary.
 
<< I muri hanno orecchie. Vigilanza costante, ragazzi >>.
 
Le parole di Benjamin mi riportano alla realtà, alla sala da tè e alla scomoda sedia di ferro battuto che occupo davanti a lui.
 
<< Alastor si preoccupa troppo, in fondo è una chioccia >> scherza scrollando una mano per indicarmi di lasciar perdere il discorso << Piuttosto, dimmi. È tutto pronto per il matrimonio? Mancano solo un paio di settimane, ormai >>.
 
Sono categorica quando sospiro.
 
<< Non ho intenzione di partecipare ad alcun matrimonio fino a quando Mary non si reggerà in piedi da sola >>.
 
Il ragazzo davanti a me mi osserva con un piccolo, enigmatico sorrisetto.
 
<< Pensavo lo sapessi. Mary si regge già in piedi perfettamente >>.
 
<< Volevo dire che… >>
 
<< Ovviamente non sei andata a visitarla, altrimenti l’avresti vista con i tuoi occhi >> mi interrompe prendendo a sorseggiare il suo caffè <>.
 
Posso sentire lo sguardo perforante di Benjamin fisso su di me mentre abbasso il mio e mi porto alla bocca uno dei biscotti che lui stesso mi ha offerto poco fa. Pesa come un macigno l’occhiata che mi sento rivolgere.
 
<< Perché tutti voi volete che io la incontri? >>.
 
Alla fine riesco ad alzare lo sguardo fino ad incrociare quello di Benjy, e quello che vi leggo è una calma piatta e imperturbabile. Ciò mi rincuora; Emmeline ha tentato per tutta la mattina di convincermi ad entrare in quella benedetta stanza, e ho sentito per tutta la giornata di ieri gli occhi colmi di rimprovero di Lily sulla nuca.
 
<< Io non voglio che tu la incontri >> sospira Benjamin portandosi ancora la tazza di caffè alle labbra << Cosa vuoi che me ne importi, di chi incontri oppure no? Solo per curiosità… di cosa hai paura, Alice? >>.
 
Mi hai uccisa tu, Alice.
 
Non riesco a trattenere un brivido. Tutto quel sangue.
 
<< Io… >>.
 
Non riesco ad andare avanti. Chiudo la bocca, la riapro e prego che esca qualcosa di tutto quello che ho dentro. Niente.
 
<< Tu? >> mi asseconda lui con un gentile sorriso sulle labbra.
 
Sospiro.
 
<< Ho paura di tutto. Di quello che è successo e di quello che succederà. Di quello che le hanno fatto. Più di tutto il resto ho paura di quello che le ho fatto io prima che questa storia avesse inizio. Se lei non mi perdonasse, non riuscirei a perdonarmi neanche io stessa >>.
 
Ora Benjy ha chiaramente un’espressione confusa dipinta in volto.
 
<< E cosa dovrebbe perdonarti esattamente Mary? >>.
 
Ripenso a quello che è successo prima che venisse rapita. Non solamente durante l’ora prima, al nostro ultimo litigio, ma anche ai giorni, e ai mesi in cui mi sono permessa di giudicarla e di intromettermi nella sua vita come non avevo assolutamente il diritto di fare.
 
 << So che non è colpa mia se quella sera sono riusciti a rapirla. Sono consapevole che non fu il nostro litigio a fare in modo che finisse tra le mani di… insomma, hai capito. La tenevano d’occhio da giorni, l’avrebbero comunque rapita. Ma non cambia niente, vedi… le parole, tutto ciò che le ho urlato contro. Avrebbero potuto essere le ultime parole tra di noi, e sono state orribili. Io le ho detto cose orribili, e in quel momento ero decisa nel dire ciò che stavo dicendo. Se lei fosse morta lo avrebbe fatto con la consapevolezza che io quelle cose le pensavo davvero. Per lo meno in quel momento. E Mary… non dovevo permettermi di giudicarla, davvero. Come ho potuto pensare di poterlo fare? Come?  >>.
 
Se Fenwick rimane tramortito dal flusso di pensieri che mi esce dalle labbra non lo da per nulla a vedere. Continua, con uno sguardo gentile e un piccolo sorriso, a sorseggiare il suo tè con calma. Quello che dice alla fine del mio piccolo monologo mi sorprende.
 
<< è bello che tu te ne sia resa conto da sola, Alice >>.
 
Posa la tazza sul tavolo, con lentezza, guardandomi negli occhi. E io penso all’improvviso che forse non c’è persona migliore di Benjamin Fenwick per parlare di questo: l’atipico Serpeverde alchimista che vive la sua vita amando alla luce del sole un uomo, e che nella sua vita giudicato dagli altri forse lo è stato molto più spesso di quanto non si possa pensare.
 
<< Pensare che il proprio modo di vivere sia quello giusto porta a credere che ogni modo diverso con cui entriamo in contatto sia per sua natura sbagliato. Ma è una cosa bella che tu ti sia resa conto da sola di non avere il diritto di giudicare Mary. Anche se ci hai messo qualche tempo per capirlo >>.
 
<< Mi sono intestardita sul far cambiare idea sul matrimonio a Mary perché sono ancora una stupida ragazzetta appena uscita da Hogwarts >>.
 
<< E ti sei accorta di sbagliare perché stai maturando >>.
 
Il sorriso dolce di Benjy è talmente spontaneo da costringermi a ricambiarlo.
 
<< Credo che questo clima orribile aiuti >> ed è chiaro che non mi sto riferendo al rarissimo sole estivo di Londra << Con questa guerra in corso tra qualche mese ci sentiremo tutti novantenni >>.
 
Benjamin non aggiunge nulla, e continua a sorseggiare il suo caffè con estrema lentezza. Tace per minuti interi, ma il suo silenzio non mi mette a disagio.
 
Alla fine accenna nuovamente un sorriso, posa sul tavolino la tazza ormai vuota e si alza in piedi.
 
<< Andrai a visitarla? >>.
 
Nella sua domanda colgo un pizzico di curiosità ma nessun rimprovero. Se io non gli rispondessi adesso, lui non solo non me ne farebbe una colpa, ma sarebbe totalmente capace di uscire da questa stanza dimenticandosi della questione, senza morbosità.
 
Ecco una persona capace di farsi i fatti suoi.
 
<< Ho ancora paura >> chiarisco ripensando a cosa farò quando finalmente mi deciderò ad entrare e rivedere Mary. Ormai sono giorni che non penso ad altro che a quello.
 
<< Sarebbe peggio se tu non l’avessi. Vuol dire che tieni a lei. Ma fidati se ti dico che rimandare il momento in cui chiederai scusa non può fare altro che incrementare la paura. Di certo non risolverai nulla restando a guardare quella porta in eterno >>.
 
 

 
*
 
 
La stanza non è molto grande, ma due vetrate a malapena coperte da tendaggi sottili fanno si che sia molto luminosa.
 
Sull’armadietto accanto al letto e sul tavolino vicino ad una delle due finestre fanno bella mostra di sé numerosi vasi colmi di fiori variopinti. Gardenie, camelie, girasoli e margherite colorate. Ce n’è per tutti i gusti. Perfino un voluminoso mazzo di rose bianche e delicate, posizionate con particolare cura proprio vicino al letto. Quando la ragazza entra nella stanza, quelle rose sono la prima cosa che vede e, sorpresa ed intenerita, sorride.
 
Il letto dell’ospedale è vuoto, le lenzuola candide sono ammonticchiate sul fondo del materasso e il cuscino è sgualcito.
 
<< Sei qui >>.
 
È un sussurro roco quello che proviene dal lato opposto della stanza.
 
Mary Abigail McDonald è appoggiata al muro vicino alla finestra, quella più lontana dal letto, e la osserva con interesse. Sul volto emaciato e pallido i suoi occhi scuri sembrano grandi come piattini da tè. Avvolta nella vestaglia bianca è talmente pallida da fare luce.
 
<< Io non… >>.
 
Alice non sa cosa dire. Si capisce, mentre si osserva attorno e l’aria della stanza sembra rarefarsi al punto da non lasciarla respirare.
 
<< Non ho portato niente. Sono proprio una stupida; tutti ti hanno portato qualcosa, ma io niente. Libri, fiori, dolci, io… >>.
 
<< Oh, si, sono arrabbiatissima con te per questo >>.
 
La risposta di Mary è addolcita da un sorriso caldissimo e brillante. La voce è un po’ roca e sul volto ha ancora i segni di qualche graffio, eppure ha la forza di sorridere ancora così, quasi prepotentemente.
 
Alice fatica perfino a deglutire, perché vorrebbe correre incontro alla sua migliore amica e stringerla tra le braccia tanto forte da poterla sentire, veramente. Ma sa che non può farlo, perché Mary è ancora debole e l’ultima volta che si sono parlate si sono urlate cose orribili. Che diritto ha lei di abbracciarla e goderne la presenza quando è stata la causa del suo rapimento?
 
<< Come stai? >>.
 
Alla fine si risolve a porre solo una domanda, la più importante di tutte.
 
Mary sembra sapere esattamente cosa intende, poiché il sorriso luminoso di poco prima diventa ancora più brillante.
 
<< Se vieni fino a qui e mi abbracci starò anche meglio. Scusa per tutto quello che ho detto quella sera e i giorni prima e… >>
 
E non c’è più spazio per scuse inutili, soffocate dall’abbraccio consolatorio tanto agognato da entrambe.
 
 
 

ANCORA NOTE DA UNA SCIAGURATA:

Per chi è rimasto fino a qui, grazie. Ora potete tranquillamente insultarmi se ne avete voglia. A domani con Lily e Lène!

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Capitolo 17
*** Quattro voci al femminile (seconda parte) ***


Come promesso ecco la seconda parte del capitolo. Colma di litigi e riappacificazioni.
Ringrazio di cuore chi continua a leggere, seguire, preferire, ricordare e recensire,
buona lettura, 
Hir

LILY 
JAMES
SIRIUS
LèNE
MARY
EMMELINE
ALICE
FRANK
REMUS
PETER
RABASTAN
REGULUS
CORRISPONDENZA


 
Capitolo 15
seconda parte


 
<< Lily, ridammeli immediatamente >>.
 
Scappando da James, che mi insegue, non riesco ad evitare il divano. Lo prendo in pieno con lo stinco destro e ci rotolo sopra rischiando quasi di accoppare Adone, intento a perleccarsi sdraiato comodamente su un cuscino.
 
Ho cambiato casa da poco tempo e ancora faccio fatica a ricordarmi esattamente la posizione dei mobili –ammesso che quel divano tutto sgangherato possa essere considerato parte del mobilio e non un avanzo di discarica-.
 
James, distratto dalla mia caduta, smette di seguirmi piazzandosi le mani sui fianchi come a rimproverarmi la mia sbadataggine.
 
<< Se li hai rotti ti strozzo, amore >>.
 
Il tono della sua voce, il modo in cui accenta l’ultima parola, lo sguardo gentile.
 
Io amo tutto di questo ragazzo.
 
Lo fisso –e no, non sono incantata- per qualche attimo, o forse anche di più, e alla fine lui riesce a prendermi di sorpresa e a rimpossessarsi dei suoi occhiali, ancora tra le mie dita. Fortunatamente nella mia ruzzolata sul divano le lenti non sono rimaste danneggiate, per cui dopo una veloce controllata alla montatura torna a indossarli in quel modo mezzo storto che è tipico di James Potter e che io, in fondo, adoro.
 
Stiamo insieme da mesi, ormai, eppure ho scoperto soltanto ieri pomeriggio che nulla riesce a fare imbestialire Potter più di qualcuno che tenti di fregargli gli occhiali.
 
<< Non è per niente divertente questo tuo nuovo gioco, sai? >> domanda passando ben lontano dal gatto e accomodandosi sul bracciolo sgangherato del divano ugualmente sgangherato. Era in dotazione con la casa, il divano, quindi tanto vale tenerlo. Anche se è sgangherato.
 
<< Questo lo dici tu >>.
 
Pretendere un bacio è un obbligo, quando è così vicino e ha quell’espressione sul volto.
 
<< Sei di buon umore >>.
 
La sua è una constatazione. Socchiudo gli occhi e sento i polpastrelli delle sue dita passare sulla mia guancia, quindi sul naso e poi sull’altro zigomo, in una dolcissima carezza. Sentire il suo respiro sulle labbra mi costringe a inarcarle in un sorriso beato.
 
<< Siete un acuto osservatore, Signor Potter >> mormoro.
 
È vero, sono di buon umore. Fino a due settimane fa mi guardavo attorno e tutto ciò che vedevo era paura. Una ragazzina di diciotto anni senza una casa, senza un lavoro e senza una famiglia cosa dovrebbe aspettarsi dal futuro? Vedevo l’incertezza del domani come fosse l’unica via possibile. E invece…
 
<< Sto cominciando a credere di nuovo che sia possibile per me essere felice >> rivelo aprendo gli occhi e fissando il mio sguardo nel suo. I suoi occhi nocciola sono sicuri, forti. Sono caldi e mi amano.
 
<< Dovessi dannarmi l’anima, Lily Evans, giuro che sarai felice. O, per lo meno, farò di tutto per fare in modo che tu lo sia. Mi credi? >>.
 
James. Seduto su un divano sgangherato in una casa che non è nemmeno mia, con quegli occhiali storti sul viso e quei capelli perennemente scompigliati -quasi fosse appena uscito da una centrifuga in lavatrice- James mi guarda con quella fede incrollabile nel futuro che ho scoperto in lui negli ultimi tempi.
 
Nemmeno quando Mary è sparita la sua fede è vacillata. C’erano un sacco di persone riunite nel quartier generale dell’ordine, e nessuno credeva davvero che l’avremmo ritrovata viva.
 
<< Un giorno mi dirai quale è il tuo segreto? >> chiedo sottovoce.
 
<< Il mio segreto? >>
 
<< Il tuo segreto per non arrenderti mai >>.
 
Lo osservo mentre mi guarda e posso sentire la calma che si prende per farlo. Pensavo che la pace in questi giorni di guerra fosse relegata alle sole fiabe per bambini, ma qui, tra le braccia di James, io posso sentirla.
 
<< Davvero >> riprendo abbassandomi su di lui fino quasi a sedermi sulle sue gambe << Volevi trovare Mary e non hai mai smesso di credere che l’avremmo trovata, volevi diventare Auror e ce la stai facendo, volevi combattere una volta uscito da scuola e adesso sei in prima linea. Quante volte non ti sei arreso per avere quello che volevi? >>.
 
<< Combattere è l’unico modo per ottenere quello che vuoi. Forza di volontà, ecco cosa serve. Volevo te quando avevo solo dodici anni, e adesso sei qui, giusto? >>
 
Come fai a non amare un ragazzo che ti dice una cosa del genere, e te la dice guardandoti negli occhi?
 
<< Siamo qui >> lo correggo bonariamente, cercando di non far vedere quanto la cosa mi abbia colpita << Insieme >>.

 
 
 
Flashback-> ore 13.00 del 12 marzo 1978
 
La grande pendola di Hogwarts batte l’ultimo rintocco scandendo la fine delle lezioni del mattino. L’aria di metà marzo è frizzante nel cortile interno, e il mantello che indosso non basta proteggermi dalla pietra fredda del muretto su cui sono seduta.
 
<< Quindi fammi capire, i quaranta centimetri di pergamena per la McGranitt sono per giovedì mattina e il tema per Lumacorno per giovedì pomeriggio; la Sprite vuole la ricerca sulla Margula Petrifis per mercoledì pomeriggio e secondo loro dovremmo anche riuscire a vincere la partita contro i Corvonero domenica? >> domanda stralunata Mary in tono sarcastico << Non so voi, ma io faccio magie, mica miracoli >>.
 
Alice la guarda facendo un sorriso sornione e poi si sporge per lasciarle una leggera sberla sulla nuca.
 
<< Ho come la sensazione che nella tua personale visione della vita, le cose sacrificabili tra quelle che hai appena elencato siano tutte escluso il Quidditch >>.
 
<< Mi rifiuto di perdere un’altra partita >>.
 
<< Beh, per quanto riguarda il tema di pozioni ovviamente ce lo passerà Lily >> interviene Marlene accanto a me, sorridendomi fulgidamente con quello sguardo da bambina che chiede un gattino ai genitori << Ti giuro che cambierò il posto alle parole e Lumacorno non arriverà mai a capire che la fonte del mio tema è il tuo!>>
 
A guardarci adesso sembrerebbe che la tempesta sia ormai passata.
 
Marlene, seduta sul muretto accanto a me, è intenta a torturarmi intrecciandomi i capelli in quei modi tipici suoi, impossibili poi da disfare senza l’ausilio della magia. Mary e Alice ridacchiano tra loro come se nessuna ombra fosse mai passata su di noi. Una debole traccia di ciò che nelle ultime settimane ha scosso il nostro gruppo permane unicamente in Emmeline, che si limita, vicino a noi, a un sorriso ancora un po’ gelido, specie quelli rivolti a me. Anche le tensioni tra i Malandrini si stanno appianando, Jamie e Sirius paiono tornati gli amiconi di un tempo.
 
Per carità divina, non sono gelosa. So di essermi meritata tutto quello che è successo nascondendo una simile notizia a tutti, specie a Emme e James.
 
Però per quale diamine di motivo James fa ancora il ritroso con me se ha perdonato Sirius?
 
Due settimane fa ho promesso di aspettarlo, di dargli tutto il tempo che gli serve per riprendere tra le mani le fila di ciò che c’era tra noi e che, da qualche parte, sotto il rancore e la rabbia, sicuramente è ancora vivo.
 
Come evocato dai miei pensieri, James compare nel cortile alla testa della sua banda di sfaticati. Peter Minus, Sirius Black e Remus Lupin camminano al suo fianco come intrepidi cavalieri. Frank, poco dietro di loro, sembra godersi la ritrovata pace con una tranquillità unica.
 
<< Buon giorno donzelle! >> ulula al nostro indirizzo quello scoppiato totale di Black << Il sole è alto anche se siamo in Scozia e il pranzo sta per essere servito. Potrebbe questa giornata andare meglio di così? >>.
 
L’inguaribile ottimismo di Sirius spinge James, accanto a lui, al sorriso.
 
<< Potrebbero non esserci due ore di Storia della Magia nel pomeriggio, ad esempio >> ribatte dandogli una pacca amichevole sulla schiena.
 
<< Si, amico, però tu stai col leone! >>.
 
<< Rosso e oro nel cuore >>.
 
Negli ultimi giorni questi siparietti avvengono con una frequenza quasi preoccupante. Non si sa bene cosa esattamente sia successo tra Sirius e James in quella notte di punizione che hanno scontato nelle serre ma, qualunque cosa sia stata, è servita a farli tornare amici come e più di prima.
 
Sono contenta, eh, per carità. Anche perché a conti fatti Sirius ha taciuto a James di Rabastan solo su mia richiesta.
 
Però darei tutto pur di tornare a rivolgere la parola a James senza imbarazzi o tensioni di sorta.
 
E se mi lasciasse definitivamente? Sarebbe questa la pantomima per il resto della nostra vita?
 
Che poi, una volta finita la scuola come potrei restargli vicino se non stessimo più insieme? Ci perderemmo per forza di cose.
 
<< Lily? >>.
 
Mi rendo conto di essermi persa nei miei pensieri quando la voce del protagonista unico e indiscusso dei miei pensieri mi richiama all’ordine. Quando torno al presente mi rendo conto di come James mi stia fissando con sguardo stranito.
 
<< Dove sono gli altri? >>
 
<< Io… Sei sicura di sentirti bene? >> mi chiede in risposta << Due secondi fa ti ho chiesto se potevamo parlare e tu mi hai risposto di si e… >>.
 
Che perfetta imbecille.
 
<< Chiedo scusa, io… ero sovrappensiero. Dimmi pure >>.
 
Reprime male un sogghigno e un sorrisetto gli spunta agli angoli della bocca.
 
<< Quanta formalità >> mi prende in giro.
 
Tiro un sospiro.
 
<< In realtà non so come devo parlarti. Non so neanche cosa dirti >>.
 
<< Parlami come preferisci. Non esiste un modo giusto, un manuale per fidanzati che non stanno più insieme non lo hanno ancora scritto >>.
 
Fidanzati che non stanno più insieme.
 
Quando? Quando mi ha lasciato? O mi sono persa anche questo mentre stavo pensando a cosa fare in caso mi avesse lasciato?
 
<< Ah >>.
 
Per un attimo, mentre cerco di guardare ovunque tranne che guardare lui, non mi viene in mente altro da dire. Quel semplice verso per un istante mi pare anche qualcosa di sensato. Poi capisco che non lo è.
 
Cosa fa un ferito agonizzante sul campo di battaglia? Va incontro alla morte?
 
Batte in ritirata per salvare il salvabile.
 
<< Scusami, Potter, ma devo andare a mangiare >>.
 
Oppure a vomitare, devo ancora decidere.
 
Nemmeno lo sento quando mi richiama indietro. È una mia impressione o i primi passi li muovo barcollando? Ma non scoppierò a piangere per lui, dannazione.
 
Rientro nel castello e mi trovo sulle scale. Scendo un piano quasi di corsa, poi il secondo correndo spedita. Passo davanti alla Sala Grande senza mostrare la minima voglia di entrarci e poi, oltre il portone, nel parco.
 
<< Lily! Lily, maledizione, aspetta! Fermati! >>.
 
Solo quando arrivo in prossimità della riva del Lago Nero mi fermo. James mi ha seguito, e solo adesso mi rendo conto di essere fuggita come l’eroina di una di quelle soap opere che mia madre e Petunia si divertivano a guardare in tv.
 
Altra figura da imbecille. Non avrei mai pensato che James Potter potesse farmi fare cose del genere.
 
<< Vai a mangiare, Potter >>.
 
<< E smettila di chiamarmi Potter. Non volevo dire… hai capito male, Lily! >>.
 
Pure! Quindi oltre che imbecille sono anche stupida.
 
<< Che cosa avrei capito male, esattamente? >> sbotto voltandomi verso di lui e urlandogli contro. Urlare contro qualcuno è più liberatorio che scappare, decisamente << Sei stato chiaro, credimi. Trasparente. Non stiamo più insieme. Che diavolo c’è da capire male in questo? Solo, dimmi, quando me lo avresti detto, eh? Ti sei preso il tuo tempo, certo. E io qui come una cretina ad aspettare, Potter. Volevi vendicarti? Volevi farmi male? Bravo, complimenti, ci sei riuscito. Ti aspetti un applauso? Vuoi passarmi sopra come fossi uno zerbino? Fallo, non ti preoccupare, non chiedermi neanche il permesso. Anzi, non avvisarmi proprio, agisci. Non è quello che ti piace, agire? >>.
 
Mi sento come una pazza che urla ad un idiota su un prato vicino ad un lago. Probabilmente sono una pazza che urla ad un idiota su un prato vicino ad un lago, ma questo non toglie il mio essere maledettamente ferita. Scuote la testa sbalordito ma non gli lascio dire nemmeno una parola. Voglio urlargli tutto prima che con una sua parola mi dia il colpo di grazia.
 
<< Io… lo avevo anche preso in considerazione, sai? Avevo pensato che alla fine di questo… questo… periodo di pausa, chiamiamolo. Ecco, periodo di pausa. Avevo pensato che alla fine di questo periodo di pausa tu avresti anche potuto decidere di non poterti più fidare di me, e che quindi forse avresti deciso di lasciarmi e poteva anche andare bene, ok? Cioè, no, non sarebbe andato bene per niente ma è una di quelle scelte che puoi fare. Ma lasciarmi così! Senza nemmeno dirmelo, fregandotene di me e dei miei sentimenti e di quello che io… >>.
 
<< Frena, ok? Lily, fermati ti prego perché stai iniziando a farmi paura >>.
 
Il mio tono di voce si è mano a mano abbassato fino a raggiungere la tonalità di un singhiozzo stranito, così per lui è facile parlarmi sopra e riportarmi al silenzio.
 
<< Mi sono spiegato male. No, tieni chiusa la bocca, adesso parlo io >> blocca il mio intervento sul nascere avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulle labbra << Come diamine puoi pensare che io possa vivere senza di te? Tu mi hai visto negli ultimi anni in questa scuola? Hai visto come ho fatto qualsiasi cosa per attirare la tua attenzione e averti tutta per me? E secondo te io adesso, proprio sul più bello, dovrei tirarmi indietro? >>.
 
Vedendomi silente scosta le sue mani dalla mia bocca guardandomi dall’alto della sua statura. Non me ne ero accorta fino ad ora, ma in questo momento siamo più vicini di quanto non lo siamo stati nelle ultime due settimane e più. Il suo profumo mi è mancato, e me ne accorgo proprio mentre sento i polpastrelli delle sue dita accarezzarmi le labbra dolcezza.
 
<< Amore mio, ci vuole molto più che Rabastan Lestrange per separarmi da te. Questo non vuol dire che tu abbia fatto bene a mentirmi e ti pregherei di non rifarlo mai più ma… non è cambiato niente. Io ti amo, mi sono innamorato di te probabilmente quando ti ho visto per la prima volta e continuerò ad amarti fino a quando non sarò un vecchietto rincoglionito che metterà la dentiera sul comodino quando va a dormire alla sera. E se avrò la possibilità di decidere, il mattino dopo, di fianco a chi mi vorrò svegliare, vecchio e senza denti e con un sacco di acciacchi, quella persona sarai tu. Mattino dopo mattino, per sempre. E puoi provarci quanto vuoi a farti lasciare, Lily, puoi darmi dello stronzo e uccidermi a parole ma credimi, ti stancheresti prima te di provarci che io di resistere e continuare ad amarti >>.
 
Ho sentito scendere la prima lacrima quando ha iniziato a blaterare di dentiera e allora ho chiuso gli occhi perché non ne scendessero altre. Per questo non vedo le dita di James lasciare le mie labbra e la sua bocca sostituirle, ma lo sento il morbido morso del suo bacio. Quanto mi è mancato?
 
Forse adesso, mentre rido e piango e lo bacio senza alcuna logica, mi sento ancora più pazza di prima, mentre gli urlavo contro. Odio quando tra le braccia di James divento la ragazzina stupida ed emotiva che a diciotto anni sono. Eppure, in questo mondo e in questi tempi, forse le braccia di James sono l’unico posto dove davvero posso esserlo, una ragazzina. E ho tutte le intenzioni di godermele fino in fondo.
 
<< Non mi stai prendendo in giro, vero? >>.
 
<< Ti piacerebbe. No, tu dovrai davvero sopportarmi tutta la vita. Tu mi sposerai, avremo almeno nove figli e un cane. Il primo figlio lo chiameremo Tobias e… >>
 
<< Ora mi stai prendendo in giro! >>.
 
Ridacchia sulle mie labbra e annuisce.
 
<< Forse un poco >>.
 
<< Bene >> mormoro approfondendo il seguente bacio << Perché non ti lascerò chiamare nessuno dei miei figli Tobias >>.
 
 
fine flashback

 
 
 
*
 
 
 
[...]But we'd both agree
it's for the best you didn't listen
it's for the best we get our distance... oh...
it's for the best you didn't listen
it's for the best we get our distance*
 
 
 
VILLA MCKINNON, ora di cena
 
 
Max è il primo uomo della famiglia McKinnon quella sera a fare ritorno a casa. Ha dipinto in volto lo stress della giornata di lavoro intenso e, uscendo dal camino, già pensa a quanto gli piacerà riposarsi per qualche minuto prima di cena sulla poltrona morbida del salotto, la sua preferita, quella più vicina alla finestra.
 
<< Davvero non so come tu ti sia permessa di fare entrare gente del genere in questa casa! Chi diamine ti credi di essere!? >>.
 
Le soavi urla di sua sorella Marlene lo raggiungono facendo sfumare il piacevole pensiero di qualche minuto di dolce far niente, seduto in poltrona a rilassarsi.
 
<< L’ospitalità è una delle regole di base nel galateo, Marlene >>.
 
Cinthia, un metro e ottanta di grazia e compostezza, segue Marlene McKinnon quando questa piomba in salotto con l’atteggiamento di una furia.
 
<< Era anche l’ora che tu arrivassi >> sbraita la ragazza più piccola rivolta al fratello << Bell’esemplare di stronza che ti sei sposato >>.
 
L’uomo, venticinque anni sulla carta –ma quella sera se ne sente addosso almeno quaranta-, non può far altro che sospirare, vinto. Da quando lui e Cinthia si sono sposati e, come da tradizione, si sono trasferiti nell’ala separata della villa, sua sorella è pronta a fare un dramma per ogni piccola sciocchezza. Detesta Cinthia con tutte le sue forze, e ci tiene a dimostrarlo in ogni modo possibile.
 
<< Non osare parlare così a mia moglie >> ribatte alla sorella cercando in un solo sospiro di fare incetta di tutte le forze che gli serviranno per tenerle testa anche in questo scontro.
 
<< Bel corredo che si è portata dietro, tua moglie >> sbotta arrabbiata Marlene puntando contro la diretta interessata un dito accusatore << Mangiamorte! Certo! Io mi sento vomitare addosso ingiurie quando oso portare qui Sirius, però lei può raccattare per strada Mangiamorte come fossero gattini e offrirgli il tè nel nostro salotto! >>.
 
Capendo di essersi perso un pezzo piuttosto consistente di storia, Maxwell rivolge uno sguardo interrogativo a Cinthia, che assiste alla discussione impassibile.
 
<< Mio fratello è venuto a farmi visita, oggi. Lo hanno accompagnato Alecto e il più piccolo dei Lestrange. Abbiamo bevuto un tè qui in salotto e scambiato qualche convenevole. Non si sono trattenuti per più di una mezz’ora >>.
 
Maxwell conosce Cinthia da ormai così tanti anni da aver perso il conto, ma solo negli ultimi mesi può dire di averla saputa veramente. Prima di quei mesi, solo una parola avrebbe utilizzato per descrivere la sua attuale moglie: gelida.
 
Per questo motivo è disposto a scusare, quasi, la rabbia che Lène sembra nutrire per lei. Cinthia parla in modo educato e formale e pare impassibile. Ma è solo una durezza esterna, lui lo sa. Marlene invece no.
 
<< Marlene, sai benissimo che le uniche obbiezioni che mamma e papà muovono contro Sirius è il fatto di avere la reputazione di un ragazzo poco serio >>.
 
<< Sarà anche un ragazzo poco serio, ma almeno non rapisce ed uccide le persone per strada! Quella gente ha fatto saltare in aria una piazza e da mesi ormai rapisce la gente per incutere paura in nome di ideali folli! Quelle che oggi prendevano il tè nel nostro soggiorno sono le stesse persone che hanno rapito la mia migliore amica e che… >>
 
<< Sono accuse molto serie quelle che muovi nei confronti di Evan e degli altri. E sono infondate, altrimenti il ministero si sarebbe già mosso >> gli fa notare con voce stentorea Max, accomodandosi sulla tanto adorata poltrona. Purtroppo le urla della sorella hanno attizzato l’emicrania, che ora gli fa bruciare la testa come fosse invasa da fuoco liquido.
 
<< Accuse infondate? Mary è stata rapita, gettata a marcire all’interno di una cella piena di sangue per giorni e torturata più volte da quelle menti malate, e tu mi vieni a parlare della giustizia del ministero. Forse non hai capito che è stato Rabastan Lestrange ad uccidere mesi fa una ragazzina dentro le mura di Hogwarts, e a torturare Lily e Emmeline fino quasi ad ammazzarle. Anche se non posso provare la colpevolezza di Lestrange sono assolutamente certa di star dicendo la verità. Quel ragazzo è malvagio. Mette i brividi >>.
 
<< Oh, Lène, stai esagerando come al solito. Sei la regina del melodramma! Lestrange è un ragazzo come un altro, secondo me >>.
 
Una fiammata verde improvvisa proveniente dal caminetto indica l’arrivo di un altro membro della famiglia. Con fare sicuro, dal fuoco esce Timothy McKinnon, che non si acciglia a vedere parte della famiglia in assetto di guerra: ormai in quella casa è una scena comune.
 
<< Cosa è successo questa volta? >> domanda stanco facendo passare lo sguardo dalla nuora alla figlia.
 
Marlene, con fare stizzito, alza le mani in segno di arresa.
 
<< Va bene, sapete che vi dico? Tenetevi la vostra bella famigliola tutta pace e amore. Io non costruirò la mia pace quotidiana ignorando che fuori da quella porta i massacri sono all’ordine del giorno, e non ignorerò nemmeno il fatto che gli artefici di quei massacri sono quelli come voi >>.
 
Con passo deciso si dirige alle scale che portano al piano superiore, ma sulla soglia del salotto si ferma, voltandosi per qualche istante.
 
<< Se mai vi interessasse sapere cosa davvero succede nel mondo, oltre a quelle porcate che leggete su giornali di parte come la Gazzetta ogni giorno, venite a chiedermelo a casa di Sirius, perché io vivrò lì da adesso in poi >>.
 
 
*
 
 
La gonna di seta nera mi cade ancora una volta di mano mentre cerco scompostamente di piegarla per riporla nel baule.
 
La mia camera da letto appare come un campo di battaglia perfino ai miei occhi di disordinata cronica, con lunghi abiti gettati a casaccio sul letto e sullo scrittoio, mantelli appallottolati a terra e un armadio mezzo aperto in cui pare essere stato scagliato un bombarda.
 
Il baule ai piedi del mio letto, mezzo pieno di cose raccattate a casaccio, riassume velocemente la situazione.
 
Non ne posso più, la misura è colma.
 
Al mattino quando mi sveglio passo qualche minuto a crogiolarmi nell’illusione che il mondo non sia veramente in guerra. Osservo quei pochi raggi di sole che riescono a penetrare la coltre delle spesse tende alla finestra e penso che, se perfino su questa terra maledetta dal dio del clima può splendere il sole, allora forse la situazione non è tanto nera quanto appare.
 
Ma sono solo attimi. Poi la realtà torna a farla da padrona, e quando il gufo mi porta il giornale e sul giornale c’è la notizia di un’altra morte accidentale tutto crolla miseramente.
 
Qui a casa è una lotta continua fin da quando sono tornata da Hogwarts. Cinthia occupa il suo posto di Nuova Signora McKinnon con la grazia che le è propria e quel distacco professionale che me la fa tanto odiare: sembra un mestiere, il suo. Aspetta che mio fratello torni dal lavoro, alla sera, sorseggiando tè e dando ordini agli elfi domestici, da perfetta padrona di casa qual è.
 
Non esce, mai. Sono due mesi, ormai, che vive qui. Due lunghi mesi che non mette il naso fuori di casa e che comunica con l’esterno tramite rarissimi gufi.
 
Come può una persona essere così vuota e odiosa?
 
Un timido bussare mi coglie nell’atto di buttare cinque libri presi alla rinfusa nel baule.
 
<< Mamma? >>.
 
Deve essere appena rientrata. È l’unica occupante della casa a darsi la pena di me, ultimamente. Papà è sempre al lavoro, Max non mi è mai parso tanto lontano quanto lo è adesso.
 
Di nuovo, il rumore si ripete, obbligandomi a raggiungere la porta con nervosismo.
 
<< Mamma, cosa stai…? >>.
 
Non è mia madre alla porta, con quello sguardo apprensivo che ha ogni volta che si deve rapportare con me. A sua discolpa va detto che perlomeno ci prova.
 
Dall’altra parte della porta invece c’è nientemeno che Cinthia, solito sguardo imperscrutabile negli occhi e in volto un’espressione seria.
 
<< Possiamo parlare? >>.
 
La sua voce è roca e per un attimo, in quegli occhi bellissimi, passa uno scintillio indeciso. Ma è un istante, forse d’immaginazione, poi dita eleganti aprono di più la porta e lei entra nella mia stanza, quasi obbligandomi a lasciarla passare.
 
La guardo entrare, indispettita dal suo modo di fare. Cinthia ha l’atteggiamento di chi non si è mai sentita dire no in tutta la sua vita. Cosa, per altro, che la rende simile a me. Uniche figlie femmine di famiglie Purosangue molto ricche: in breve, viziate come poche.
 
La guardo osservarsi attorno come fosse nella più lussuosa delle botteghe di Diagon Alley, attenta. Si avvicina con passo elegante allo scrittoio in noce e sembra non fare caso al fatto che sia sepolto sotto strati di vestiti. Con una mano pallida e dalle dita lunghe accarezza il contorno di una cornice d’argento appesa di lato, al muro, al cui interno fa bella mostra di sé una foto del dormitorio ad Hogwarts che ho occupato per anni insieme alle altre ragazze. È stata scattata al quarto anno, quando Mary aveva ancora i capelli lunghi e io avevo la mania di andare in giro con alcune ciocche colorate di tinte improbabili.
 
<< Mi manca, Hogwarts >> sussurra con una dolcezza che non le attribuirei mai, se non la vedessi parlare qui davanti ai miei occhi << Lì dentro si vive al riparo >>.
 
Penso di poter parlare con cognizione di causa quando dico che la bellezza non mi ha mai impressionato. Io stessa sono molto avvenente, pare essere una caratteristica di famiglia da secoli.
 
Eppure adesso guardandola sono talmente stranita da non trovare parole con cui risponderle. Proveniente dalla finestra, la luce del tramonto, di un rosso infuocato, disegna la sua figura con una grazia fulgida, bagnando i suoi capelli di riflessi così dorati da farli apparire preziosi.
 
Quando si volta verso di me e mi guarda, i suoi occhi di norma imperscrutabili sono limpidi come quelli di una bambina, grandi e lucidi. Riesce perfino ad apparire umana mentre mi osserva esitante.
 
<< Ti prego, raccontami cosa succede veramente fuori da questa casa >>.
 



* Some Nights, Fun

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