Le relazioni pericolose (ovvero il buon vicinato)

di Haruakira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


cap. 1 relazioni pericolose
Le relazioni pericolose
 ovvero
 il buon vicinato









Questa storia ha inizio in una tiepida mattinata settembrina nella piccola città americana di Hidwich, una di quelle simpatiche cittadine tanto tranquille, con tanto verde, con le villette a schiera dai delicati colori pastello.
In una di queste graziose casette, una di quelle gialle, con la staccionata marroncina intorno a un bel giardinetto con le paperelle in ceramiche lungo lo stretto viale ciottolato, in questa casa, dicevo, abitavano due gemelli identici, ma solo nell' aspetto, che in quel momento discorrevano cortesemente del più e del meno.
-Sei una testa di rapa Saga!- sbottò il minore tra i due- tu socializzi col nemico!
-Col nemico? Col nemico?-fece stupito l' altro sgranando gli occhi all' inverosimile- è solo il reverendo. Il reverendo, Kanon.
-Sì ma un reverendo idiota che mi ha fottuto il parcheggio. Per colpa sua sono arrivato tardi al lavoro..-
-Se tu partissi prima da casa...- provò a obiettare il maggiore, ma l' altro non lo ascoltò neppure continuando nella sua Filippica.
 -E quel bastardo del preside mi ha beccato-

-Aiolos? Ma che dici? E' impossibile che ti abbia rimproverato è...
-E chi ha detto che mi ha rimproverato? Mi ha guardato con quella faccia da pesce lesso con quell' aria indulgente. Tsè, come se lui non sbagliasse mai. Oh come è perfetto Aiolos!- disse l' altro imitando qualche signora del posto e guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa- dov' è? Dov' è?- borbottava girando la testa a destra e a sinistra con scatti veloci
-E ora che diavolo cerchi?- sospirò il maggiore seguendolo.
-Cerco... cerco il telecomando- rispose Kanon, così velocemente che Saga quasi fece fatica a capire che avesse detto il gemello, poi realizzò:- Tu! Tu! Ma dove hai la testa? Ma che fai te li mangi i telecomandi? Ah- fece poi vittorioso adocchiando l' oggetto incriminato accanto al piede del tavolino del salotto-lo vuoi il telecomando?- chiese con ara di sfida.
-Sì- ribattè Kanon senza pensare
-E prenditelo!- urlò Saga gettando il povero telecomando contro la faccia del fratello che spostatosi velocemente riuscì a non ritrovarsi un occhio nero o il naso gonfio. Sì, peccato che il famoso telecomando fu catapultato fuori dalla finestra andando a finire dritto in fronte al povero Doko Liang che l' unica cosa che aveva fatto di male era stata quella di passare da lì, dal civico numero tre, dove abitavano quei due scapestrati, in bicicletta.
Doko Liang, medico esimio del paese, dall' età imprecisata e imprecisabile, era buono quanto saggio, padre di due bambini a loro volta già saggi e tranquilli, anche troppo, Shyriu e Shun-Rei.
-Doko! Doko!- urlò un disperato Sion correndo a soccorrere il malcapitato in compagnia dei suoi pargoli, Mu di vent' anni, ragazzo tranquillo e pacioso e studente di giurisprudenza, per essere un giorno un giudice imparziale come il padre, e Kiki un monellaccio di sette anni che in quel momento se la stava ridendo della grossa.
-Kiki!- lo ammonì il maggiore inutilmente mentre l' altro si rotolava a terra dalle risate.
-Che è stato?- chiese Doko massaggiandosi la fronte offesa tutti intontito- un missile terra-aria?
-No, un telecomando- precisò Sion aiutandolo a rialzarsi
-Che succede qui?- giunse a domandare Angelo Mancino, fidato meccanico dai prezzi esorbitanti mentre si ripuliva le mani sporche di benzina.
-Succede che quei due impiastri ne hanno combinata un' altra delle loro!- si lamentò Sion
-I gemelli?- comprese subito il giovane.
-Già.
-Mh. Passate in farmacia da Phro che grazie a quei due si sta arricchendo- consigliò Angelo, detto Death Mask a causa dell' insana passione per film horror e affini, sghignazzando.
E farmacia fu.
Il povero Doko zompettò all' interno del negozio abbarbicato compleatamente al giudice, anche egli, è doveroso dirlo, dalll' età indefinita e indefinibile, chi dice venticinque anni, chi trenta, chi quaranta, chi cento, chi addirittuara duecentocinquanta.
-Che è successo qui?- domandò il farmacista con un sorriso radioso e felice di far tintinnare ancora la cassa
-Un telecomando è volato fuori dalla finestra della casa dei gemelli e questo è il risultato- spiegò Shura che silenzioso sul posto aveva osservato tutta la scena- a proposito- chiese a un Doko ancora intontito l' abile poliziotto- vuole sporgere denuncia?
-No, no- disse stancamente l' uomo- sarà stato un caso.
-Un caso? E' la terza volta in questo mese che ti capita!- fece notare Sion mentre Aphrodite consegnava al povero sventurato ghiaccio, bende e medicine non ben definite.
-E che me ne faccio delle supposte?- chiese Doko al bel farmacista
Aprhodite fece spallucce:-Eh, non si sa mai, non si sa mai cosa possono combinare quei due. Intanto prendile. Paghi quaranta dollari tondi tondi- rispose amabile staccado lo scontrino e facendo impallidire il povero medico.
-Allora se qui nessuno ha bisogno di me io me ne ritorno in ufficio- sospirò Shura ormai rassegnato al fatto che in quella cittadina non capitasse niente di niente.
-Dov' è il tuo collega?- gli chiese Sion raggiungendolo.
-In pasticceria da sua madre- Shura guardò l' orologio- pausa ciambella. Credo che lo raggiungerò.


Il nuovo reverendo era un giovane ben messo a detta di Aprhodite. Era un peccato che avesse deciso di dedicarsi a quel ruolo ingrato. A complicare le cose c' era anche il fatto che fosse sposato. Il farmacista non era mai stato un uomo particolarmente credente, affatto, ma quella domenica aveva deciso di poter sopportare qualche sermone e rifarsi gli occhi. Gli pareva un po' imbranato a dire il vero e troppo giovane. Ma del resto chi era lui per meravigliarsi? Era un bene che ci fossero vocazioni così interessanti.
Alla fine della cerimonia il farmacista fermò il giovane:- Reverendo- trillò porgendogli la mano- molto piacere, sono Alex Brahe, il farmacista, mi chiami Aphrodite- e qui ammiccò strusciando la propria mano controquella dell' altro prima di lasciarla andare completamente- venga da me per qualsiasi cosa. Qualsiasi.- sottolineò
-Ehm... ah... sì, piacere signor Brahe.
-Aphrodite- lo corresse.
-Aphrodite. Sono il reverendo Martakis. Aiolia. Mi chiamo Aiolia.- si guardò intorno imbarazzato. Ma tu guarda se il primo che doveva andare a conoscere era un gay che ci provava con un sacerdote. Era insensato!- Ah, cara, vieni!
Una bella ragazza bionda e con gli occhi azzurri, o per lo meno Aphrodite ne era quasi certo -doveva essere così visto che era bionda- ma con gli occhi chiusi, si avvicinò ai due.- Ecco, signor Brahe.
-Aphrodite- sbuffò picchettando il piede a terra.
-Aphrodite- ripetè Aiolia- questa è mia moglie Sha...
-Perchè si è fermato? Sha...?
-Sha... Sha...-balbettò guardando in alto come se il nome fosse scritto sul tetto
-Kira- aggiunse la signora con foga- Shakira tutto attaccato.
-Ah- Aphrodite sorrise- Shakira. Ma che bel nome! E' così esotico! E dica, di dov' è? Spagna, Argentina, P-
-India.
-India?- E no, questo era troppo!- Ha madre tedesca o chessò, svedese...?
-No.
-E' indiana, indiana?
-Sì.
-Ah, va bene... io... io devo andare. Il dovere mi chiama- fece Aphrodite dirigendosi verso Death Mask a passo di marcia. Questo non era affatto giusto. Cioè, fosse stata mezza svedese o tedesca o russa, avrebbe anche potuto accettarlo. Ma così no, cazzo. Lui era svedese, tutto svedese, TUTTO, ed era costretto a tingersi i capelli di biondo!
Aiolia guardò la sua consorte:- No, ma... secondo te funziona?
-E perchè no? Non lo vedi quanto sono strani? Lo sai che il poliziotto grassone muore dietro alla maestrina della scuola? Tipico. E che il meccanico si mette all' ultimo banco perchè così può dormire durante il sermone? Se non ti senti tranquillo c' è la signora Mancino che fa le carte.
-Le che?
-Legge il futuro.
-Mh. Ti sei integrat...Ta. Integrata bene, vedo.
La donna si umettò le labbra prima di afferrre il reverendo per la collottola ringhiando:- Io sto facendo la mia parte, bello. Ho sopportato per tutta la mattinata le vecchie del paese e le casalinghe pettegole del club di cucito, ti conviene calarti come Cristo comanda nei panni di un fottuto reverndo! Ci siamo capiti?!



Aphrodite, Shura,  Death Mask e Aldebaran erano seduti all' interno della pasticceria dei genitori dell' ultimo. La conversazione languiva, ormai avevano parlato di tutto, del mal di schiena di Doko, del fatto che secondo la mamma di Death la linea dell' amore di Shura al momento faceva abbastanza schifo, della vicina di Phro che era spuntata il giorno prima con un paio di tettone, fino all' arrivo del nuovo reverendo e consorte.
-Che palle, non succede mai niente qui- sbuffò Shura.
-Lo ripeti sempre, non puoi accontentarti di una vita tranquilla?- domandò Aldebaran
-Ma è vero che non succede mai niente.- obiettò quello.
-Si vede che non abbiamo un cazzo di cui parlare- si intromise Death notando a quali livelli stava scendendo la conversazione.
-Bello il lampadario nuovo- affermò con noncuranza Aphrodite indicando il tetto.
Death Mask confermò quanto aveva appena detto prima:-Appunto.
-Non succ..Ehi ma che diavolo è quel coso?!- Shura saltò all' improvviso sulla sedia protendendosi verso la vetrina del negozio.
-Sembra un carro armato- ipotizzò Aldebaran
-Oh. Oh. Oh. Oh.
-Death- Aphrodite guardò l' italiano- ma ti pare il momento di mettersi a imitare Babbo Natale?
-Coglione, anzi coglioni, quello non è un carro armato. E' un automobile blindata con i vetri oscurati.
I quattro si guardarono con la medesima idea nella testa.
Shura si alzò con ostentata calma:- Bene, io vado a pagare.
Gli altri lo seguirono ad uno ad uno, arrivati alla porta si guardarono nuovamente:- Seguiamolo!
-E Cazzo! Non passiamo tutti assieme. Non ci entriamo- urlò Death una volta che si incastrarono nella porta del negozio.
-Madre de Dios- sospirò mamma Rodrigues- questi giovani moderni.
I quattro camminarono con noncuranza dietro all' auto:- Perchè va così lenta?!- sbottò Aphrodite.
-Forse non sa la strada- a rispondere Aldebaran.
Death si bloccò:- Si ferma.
-E' vicino la casa di Grandier- notò Shura prima di sentirsi trapanare il timpano da Aphrodite e sentire un tonfo. Quando si girò se lo ritrovò svenuto al suo fianco.

Quando Aphrodite rinvenne si trovava nel proprio letto.
-Perchè sei svenuto, idiota?- domandò Death Mask astioso.
-Oh no, me lo sono perso- pigolò l' altro.
Death Mask sbuffò:- Che ti sei perso, sentiamo?
-Milo.
-E chi diamine è questo qui?
Il farmacista era scandalizzato di fronte a tanta ignoranza:-Ma come? Non sai chi è Milo?! Il Magnifico Milo!
L' altro si limitò a un cenno negativo con la testa.
-Cioè, ma dove vivi? E' una rock star famosissima.
-E che cazzo c' è venuto a fare qui?
-Cosa vuoi che mi importi, so solo che è è meraviglioso.
-Una rock star, uhm?- chiese l' altro pensieroso, poi ghignò- sta vicino al ragioniere. Ci sarà da divertirsi.









DISCLAIMER: Saint Seiya e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


c. 2 il buon vicinato
Camus Grandier era sempre stato uomo assai colto e pacato. I più a dire il vero lo definivano gelido -e frigido- come una zitella.
Era un giovane meticoloso e preciso in tutto quello che faceva, amava la lettura e il teatro e odiava le chiacchiere e le perdite di tempo.
Ma le stelle, gli era stato evidente da quando era giunto in quella ridente cittadina, erano avverse perchè di chiacchieroni,  fannulloni e perdigiorno là ve ne erano di certo i campioni.
Ogni giorno finito il lavoro, Camus Grandier passava dalla pasticceria dei signori Rodrigues per fare incetta di calorico affetto.
Ogni giorno incontrava all' interno del locale il farmacista, il meccanico e a volte un paio di poliziotti.
Ogni giorno il farmacista lo invitava a sedersi un poco con loro per discorrere dei massimi sistemi del mondo conosciuto e ogni benedetto giorno Camus Grandier non aveva le forze di sottrarsi a quello sgradevole rito che lo faceva ritornare a casa con i nervi a fior di pelle, un po' per l' insistenza del suo invadente e autoproclamato amico, un po' per educazione in quanto sarebbe stato parecchio scortese rifiutare un tanto accorato invito.
Aphrodite era convinto infatti che fosse la missione della sua vita -chi gliela avesse affidata poi non si sa- e questione di vitale importanza informare l' intera cittadina di quanto avveniva. Se uno, per dire, voleva sapere quante volte Dhoko Liang si facesse la doccia allora doveva chiedere ad Aphrodite. Se uno, per dire ancora, voleva sapere se realmente la signora Robins avesse una tresca con l' idraulico e quante volte si vedevano, lo facevano ed eventualmente come e cosa si dicevano, allora bastava chiedere sempre a lui, tanto che Camus, per quanto fosse in parte ammirato da un simile talento spettegolatorio -e più volte si chiedeva come diavolo facesse quell' uomo a sapere tutto di tutti- da fare invidia ai servizi segreti mondiali, non poteva fare a meno di chiedersi perchè Aphrodite avesse aperto una farmacia e non invece una rivista scandalistica.
Avrebbe di certo fatto milioni a palate.
Era stato proprio il farmacista a dirgli che nel terreno attaccato alla sua casa avrebbero costruito una villetta ancor prima che iniziassero i lavori -o che più probabilmente lui, con la testa per aria che aveva, se ne accorgesse.
L' unica cosa in cui si era sbagliato era che quella non era una villetta, no, era un mostro edilizio tinteggiato nella maniera più assurda, con tonalità che andavano dal rosso all' arancione al giallo.
Persino i fiori erano una tale orgia di colori da diventare un pugno nell' occhio dell' ignaro passante.
L' effetto era ancora più sorprendente se quell' orgiastico obbrobrio veniva messo a confronto con la normalissima e assai anonima casetta che lo fiancheggiava. Era una casa bianca e grigia quella di Camus, con un piccolo giardino dall' erba rasa e ordinata e il viale ricco di ciottoli chiari che portava all' ingresso. Nulla era sporco o fuori posto, persino le foglie autunnali sembravano avere timore di entrare in quel santuario di assoluto ordine.
Camus era finito nella ridente città circa un anno prima, il giovane era infatti il rampollo orgoglioso di un' antica dinastia di ragionieri e affini.
Un suo stimato antenato fu il tesoriere fidatissimo di Filippo il Bello di Francia perchè sì, nel caso ci fosse ancora qualche dubbio, Camus era francese dentro, fuori e intorno.
Nella sua famiglia vigeva la tradizione che i figli ragionieri si spostassero in altre città, paesi e addrittura nazioni per colonizzare di volta in volta il territorio scelto con il loro sommo ingegno di ragionieri e accrescere in questo modo il prestigio della famiglia. Così suo nonno era emigrato in America e suo padre e i suoi zii avevano esercitato la sacra arte del numero in varie città, lo stesso avrebbero dovuto fare lui e i suoi fratelli. Il minore, Hyoga, un ragazzetto di quattordici anni, stava già venendo adeguatamente indottrinato, lui aveva scelto quella piccola città più per la vicinanza a casa che per altro, infine Degel, il maggiore di tutti, era finito a New York.
E qui c' è un problema perchè Degel faceva il professore.
E questo già era stato un colpo grosso in famiglia visto che il nonno per poco non lo diseredava,  papà Hugo non  si strangolava col caffè quando lo aveva saputo.  Il ragazzo era riuscito a salvare capre e cavoli solo perchè aveva promesso che avrebbe insegnato matematica ed entro la fine dell' anno si sarebbe sposato con una ragazza francese e avrebbero sfornato dei piccoli ragionieri.
La fine dell' anno era sempre più vicina ma ancora Camus non sentiva aria di matrimonio provenire dalla zona di New York. Iniziava a pensare che la parte di eredità sua e di Hyoga si sarebbe ben presto accresciuta.
Quando Camus tornò a casa trovò nella sua anonima cassetta postale una busta rossa con tanti piccoli scorpioncini dorati a far da cornice. Fece una faccia schifata e iniziò a massaggiarsi la pancia mentre rientrava nervosamente a casa.
Si tolse il cappotto, posò i dolci e la busta sul tavolo in cucina e si andò ad infilare un indumento più comodo, ovvero il pigiama. Fece capolino sull' uscio della piccola cucina un poco intimorito, sostò sulla soglia buttando uno sguardo al divano, tentato di abbandonare lì la busta e afferrare soltanto i dolci ma alla fine il suo senso del dovere e anche una buona dose di curiosità fecero il resto.
Camus scartò il pacchettino di dolci quasi con dispiacere perchè la signora Rodrigues usava dei nastrini davvero carini per abbellirli, ma come dice il proverbio "allo stomaco non si comanda".
Afferrò una pasta al cioccolato e tirò fuori il fogliettino che era all' interno della busta. In quel frangente, con gli occhi fissi sul folglietto e la pasta che gli otturava completamente la bocca in una posa poco epica, si domandò se fosse il caso di ridere o piangere. Ingoiò in fretta un pezzo di pasta tossicchiando per scoppiare infine in una sonora risata. Non aveva neppure più mal di pancia.
La faccia del suo vicino di casa troneggiava in posa figherrima -o per lo meno lo doveva essere secondo quel tizio che lui aveva già catalogato come deficiente visto che per Camus non era affatto così, tanto che il vicino gli pareva una scimmia che cercava di imitare Cleopatra sul sofà- su uno sfondo colorato, sotto a chiare lettere lo si invitava ad un party. Non ad una festa, ad un party, badate bene.
"Fossi matto!", pensò il francese prima di piegare l' invito per un paio di volte e gettarlo nel cestino della spazzatura in cucina, infine ritornò indietro per buttarsi comodamente sul divano e papparsi finalmente le sue adorate paste.

Kanon era arrivato di nuovo tardi a scuola, sempre per colpa del reverendo. Prima o poi, aveva deciso, gli avrebbe tirato il collo come a una gallina.
Se ne stava tornando a casa fresco fresco di un' idea geniale da somministrare al più presto al gemello quando passò nei pressi di casa Grandier senza, per dire la verità, notarla. Ciò che attirò la sua attenzione fu infatti la costruzione super figa che si ergeva al suo fianco. Quella casa era uno spet-ta-co-lo! Ti investiva in pieno con quell' esplosione di colori che sembrava catapultarti in un altro mondo. E poi era una casa per ricconi, si vedeva.  Sospirò ebete e si incamminò verso il supermarket ricordandosi che mancavano latte e farina, se non li avesse presi Saga non avrebbe potuto fare la torta e se Saga non poteva fare la torta se la prendeva con lui.
-Che palle- sospirò varcando la porta scorrevole. Due secondi dopo il suo cellulare squillò al ritmo di "Ai se eu te pego"
-E adesso che diavolo vuole?- si chiese affranto prima di rispondere- Ehi, Saga... che c' è? Che ti serve? Sì, sono al supermercato. Perchè sono già al supermercato... storia lunga, poi ti spiego. Va bene, yogurt greco... sì, lo so che è per la torta. Greco, ho capito. Non sono stupido!
Kanon chiudendo la chiamata pensò davvero che certe volte gli sembrava di essere sposato con Saga invece di esserne il fratello, la cosa personalmente, manco a dirlo, gli faceva paura assai, così tanta che non la augurava a nessun disgraziato. Neppure al suo peggior nemico.
No, forse a pensarci bene al suo peggior nemico sì.
Volendo se si impegnava poteva cercare di combinare un matrimonio, così non solo si liberava di suo fratello ma già che c' era avrebbe inflitto una dolorosa sconfitta al detto nemico. Ora doveva solo scegliere a quale dei suoi odiati avversari infliggere una così ria sorte.
Trotterellò soddisfatto verso i banchi frigo, ormai quel supermercato lo conosceva meglio di chi ci lavorava visto che il gemello lo trascinava ogni sabato mattina a fare la spesa. Adocchiò in lontananza l'ultimo scatolo di yogurt e si mise a correre non appena vide un' altra testa diretta nella sua stessa direzione direzione. Doveva averlo a tutti i costi altrimenti Saga avrebbe dato tutta la colpa a lui comportandosi come una pazza isterica.
-Mio!- gridarono i due contendendi afferrando nello stesso istante la confezione.
-L' ho visto prima io- ringhiò Kanon
-Ma io l' ho preso prima- ribattè l' avversario con il medesimo tono.
-Cazzate. L' ho preso prima io.
-Dimostralo- lo invitò a fare l' altro senza mollare la presa sullo scatolo.
-Che?! Ma sei scemo. Lascia questo dannato yogurt. Mi serve!
-Anche a me serve! Io mangio solo yogurt greco.
-E per questa settimana non te lo mangi.
-No!
-Ti ho detto che mi serve questo cazzo di yogurt... ho una moglie incinta a casa!- ululò Kanon
In quell' istante esatto il cellulare di Kanon squillò nuovamente:- Che c' è Saga? Non è il momento. Che ti serve?  Anche... ma cazz... e non potevi dirlo prima? Continua a parlare a rate mi raccomando.
Il ragazzo di fronte a lui rimase sorpreso lasciando la presa dallo yogurt, si umettò le labbra abbassando leggermente lo sguardo e rialzandolo subito dopo:- Certo che... hai una suoneria fighissima!
Kanon pescò un sorriso enorme, finalmente qualcuno che lo capiva:- Vero, eh?! Pensa che a mio fratello fa schifo.
-Non capisce niente. Vuoi sentire la mia?- il ragazzo tirò fuori il telefonino facendo partire "Tacatà" e iniziando a dondolarsi insieme a Kanon a suon di musica.
-Io la ascolto sempre, tu si che hai gusto. Ah- Kanon sembrò ricordarsi solo in quel momento di un particolare importante e tese la mano libera verso l' altro- piacere io sono Kanon Avèrof.
-Milo, piacere mio.
-Ah... quel Milo. Sì, sì, ora è chiaro, in effetti mi pare di averti già visto da qualche parte. Sì! Aphrodite ha un poster grosso così- e mimò il "così" con le braccia-  in farmacia.
-In farmacia? Bho... ormai non mi stupisco più di niente- e Milo in quel momento pensò alla ragazza che aveva fatto lo strip sotto casa sua o al maggiordomo che gli rubava le mutande per rivendersele su ebay.
-Senti, mi stai simpatico ma... a me lo yogurt serve veramente.- disse accorato Kanon stringendogli il braccio e guardandolo dritto negli occhi per comunicargli in maniera efficace quel veramente. Volendo visto che aveva lo yogurt in mano sarebbe potuto scappare a gambe levate verso la cassa -e lo avrebbe fatto se quel ragazzo non fosse stato così simpatico- ma non gli sembrava giusto in quel momento.
Milo sospirò:- E va bene, però vieni alla festa che organizzo sabato per inaugurare la casa.
Kanon annuì vivacemente e lasciò il suo numero di cellulare all' altro, non era mica scemo. Aveva la possibilità di vedere la casa dei suoi sogni e nello stesso tempo di mangiare a sbafo e fare un po' di casino giustificato, non si sarebbe fatto scappare l' occasione.
-Porta anche tuo fratello se vuoi- gli disse Milo prima di lasciarlo.
-Nha... meglio di no.
Adesso doveva tornare indietro e passare dalla farmacia perchè erano finite le supposte nel caso a qualcuno venisse la febbre. Lui le supposte ovviamente non le usava, se ci teneva che lo facesse quello stupido di Saga.


Quando Shion quel giorno mise piede in farmacia per comprare la boccetta di lassativi, chè era stitico di natura come sua madre e le sue zie, la prima cosa che fece fu quella di coprire gli occhi al figlio maggiore che lo aveva accompagnato, uscire camminando all' indietro e mollare Mu ad aspettarlo fuori un secondo perchè quello stava diventanto un luogo di perdizione.
-A... Aphrodite...
-Dimmi Shion. I lassativi vero?- e qui sorrise con la faccia di uno che la sa lunga.
Shion si schiarì la voce resistendo all' insana voglia di urlare come un ossesso.
La porta si aprì un pochino mostrando la testa bionda del figlio che pigolò:- Papà qui inizia a piovere.
Il giudice emise un urlo belluino fiondandosi a sbattere fuori il ragazzo:- Non ti muovere- gli disse attraverso il vetro.
Aphrodite dal canto suo aggrottò le sopracciglia nel vano tentativo di capire che diamine avesse il giudice. Del resto l' età probabilmente c' era e forse iniziava a uscire fuori di banana.
-Aphrodite- Shion fece la voce grossa guardandosi intorno con sdegno- ti potrei denunciare per queste immagini... pornografiche. Questa è una farmacia. Non puoi tenere immagini di gente nuda.
-Mi offendi, Shion. Queste sono foto artistiche, del Magnifico Milo per di più.
-Non me ne frega niente di chi sono! Tu le chiami immagini artistiche, io qua vedo solo cul... sederi al vento! Toglile. Toglile o ti faccio chiudere. Questa non è una farmacia ma un... un bordello, ecco!
Shion si richiuse la porta alle spalle con un tonfo rumoroso e indignato, era decisamente troppo pudico. Si scandalizzava per un semplice calendario. Ma allora che avrebbe fatto se avesse visto la sua collezione di giochi erotici?
Proprio pochi minuti dopo il giudice rientrò afferrando gli indispensabili lassativi. Una volta a casa proibì ai due figli di mettere piede nella farmacia di Brahe.


Shakira era andata a fare la spesa di buon mattino quel giorno, aveva visto due deficienti che litigavano per uno scatolo di yogurt, un  ragazzino sostare scioccato davanti ai dei giornaletti di  dubbia moralità, il medico del paese  dondolarsi indeciso nel reparto dei vini e infine un omaccione rigirarsi tra le mani due scatole di cioccolatini. Si avvicinò al tizio afferrando una confezione di cioccolata al latte a forma di cuore e mettendola nel proprio carrello. Ovviamente non era per Aiolia ma per sè.
Il tizio si voltò verso di lei con un sorriso gentile:- Lei è la moglie del signor reverendo vero?
Shakira assottigliò gli occhi chiusi diffidente e l' altro dovette notarlo in quanto, pensandola cieca, la rassicurò dicendo:- Sono Aldebaran Rodrigues, uno dei poliziotti del paese. Ha conosciuto mia madre, ricorda?
Shakira fece mente locale e sì, in effetti si ricordava di un pezzo di torta piuttosto gustosa e di una signora che non si spiegava perchè il suo figliolo non avesse ancora trovato l' anima gemella.
In quel momento Shakira grazie al suo sovrumano ottavo senso intuì che il giovine era ancora zitello perchè affetto da imbranataggine permanente.
-Sì, ricordo- disse con voce pacata quella che ad Aldebaran parve subito una santa donna- sua mamma è molto gentile.
-Già ed è anche un ottima cuoca- Aldebaran rise gioviale mentre Shakira a giudicare dalla stazza del ragazzo non poteva che crederci senza dubbi- vorrebbe che mi sposassi- attaccò dopo qualche secondo con la faccia da cane bastonato.
Shakira pensò che a lui, cioè a lei, non gliene poteva fregare di meno ma non poteva tradirsi a quel modo, doveva fare la sua parte per quanto tediosa potesse essere:- E dica, c' è per caso qualcuno nel suo cuore?- domandò prendendo dalle mani una delle scatole che il poliziotto teneva tra le mani.
-Bè... sì- Aldebaran si grattò la testona imbarazzato- ma non so mai come comportarmi con lei.
Tipico, pensò Shakira. Era ovvio, come nella sua testa era ovvio che il poliziotto e la maestra -perchè era la maestra del paese, lo sapeva- si sarebbero sposati, avrebbero deliziato il mondo con una carrellata di marmocchi tali che sarebbero benissimo potuti passare per una squadra di calcio, sarebbero diventati nonni, avuto una famiglia unita e felice che non perdeva occasione per riunirsi e mangiare rompendo le scatole ai vicini per quanto avrebbero fatto casino con il loro chiacchiericcio e infine avrebbero tirato le cuoia senza dolore dopo una vita lunga e serena. Fine.
-E lei chi è?- chiese ugualmente.
-Si chiama Flora Gelsomino. Insegna alla scuola elementare.
-E' davvero un bel nome, mi pare di non averla ancora incontrata.
-Oh, lo farà presto. Viene in chiesa ogni domenica e fa parte del coro.
Shakira sorrise, per poco non moriva dal diabete:- Le regali questa scatola di cioccolato e un mazzo di fiori senza scordare i gelsomini e la inviti ad uscire, mio caro.
-Ma sono timido
E che cazzo.
-
Allora le scriva una lettera e le lasci tutto da qualche parte, lei lo trova ed è fatta- ringhiò spazientito alzando i tacchi.
Aldebaran la salutò con la mano ringraziando vivacemente la santa donna.
Solo che gli sorgeva il dubbio... ma come faceva a camminare senza bastone e a sapere esattamente dove si trovasse il cioccolato che aveva nel carrello?
Doveva proprio essere baciata dagli dei. Magari aveva delle capacità miracolose.
Aldebaran sostò ancora tra gli scaffali, poi gli sovvenne una cosa:
-Kanon ha una moglie incinta???








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NOTE: Allora, sulle due canzoni che sono state citate non ho alcun diritto anchè perchè non penso di avere un colpo di cisiamocapiticosa tale da fare una barca di soldi con un paio di  canzoncine che personalmente mi hanno  trapanato il cervelletto  senza che io potessi oppormi. Perchè sono dappertutto o.O
Per il resto vi ricordo sempre che io l' OOC  l' ho messo e che questa è una storia leggera e senza pretese soprattutto nei primi capitoli, se gli dei vogliono qualcosa di decente e magari fluffloso potrebbe arrivare in seguito, inoltre, ancora non ne sono sicura, ma potrebbe esserci qualche incursione di qualche personaggio pescato dal Lost Canvas, ma ripeto non ne sono sicura perchè già la storia è incasinata così.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


c. 3 il buon...
Kanon era arrivato alla festa con l' intento di divertirsi e far casino. La prima cosa che aveva chiesto a Milo era stata un "ce li hai gli alcolici, vero?"
I suoi nobili propositi si erano  stati distrutti non appena tra la folla aveva distinto chiaramente Aiolos e il sindaco.
-Ehi, bastardo, cosa ci fai qui?
Aiolos aveva sorriso imbarazzato:-Bastardo è un brutto termine non trovi?
E Kanon pensò che il preside fosse proprio ottuso se ancora non era arrivato a capire che gli stava sui suoi nobilissimi goielli di famiglia.
-Non potevo rifutare l' invito. Sarebbe stato scortese. Saga non c' è?
Una lampadina si accese nella testa del minore dei gemelli che iniziò a ridere in maniera inquietante avvicinandosi al povero preside:-Saga, uhm? Cerchi Saga.
-Er... sì- Aiolos annuì con un groppone alla gola, Kanon gli aveva circondado il collo col braccio. Che fosse geloso del fratello? Era probabile. Del resto anche il suo fratellino da bambino era stato piuttosto possessivo nei suoi confronti.
Kanon sospirò:- Saga non c'è. E' a casa- e lo disse con uno sgurdo carico di allusioni che però Aiolos non colse- sai potresti andare a trovarlo.
-Oh, non mi sembra il caso. Non vorrei disturbarlo.
-Ho detto... potresti andare a trovarlo.
-Ma non mi-
-HO DETTO....
-Ok, ok
E Aiolos, grazie al cielo era velocemente uscito di scena salutando velocemente Milo.
-Milo. Perchè l' hai invitato?
Il ragazzo fece spallucce:- Ho invitato un sacco di gente. L' ho visto per strada e siccome aveva una faccia simpatica gli ho dato l' invito.
Kanon scosse la zazzera bionda:- Non farti ingannare dalle apparenze. E' un diavolo. E il sindaco?- il ragazzo indicò la donna che si guardava intorno smarrita.
-Mi deve dare il benvenuto. Ora si mette al centro della sala, fa il discorso e se ne va. Non preoccuparti, poi  possiamo divertirci.
-Uhm
La donnina fu accompagnata dal cantante al centro del grande salone e iniziò, prima timidamente, poi con maggior fermezza a blaterare qualcosa che a Kanon non interessava affatto su quanto Milo avrebbe dato lustro alla città e cose del genere. Piuttosto si diresse nella zona del buffet deciso a rimpinzarsi prima che iniziasse la ressa. Sì, era proprio una buona idea.
Quando Milo finalmente salutò la signorina Kido, Kanon era ormai sazio. Prese una bottiglia di vodka e con un colpo di sedere ben assestato mandò giù il dj dal palco prendendo possesso della consolle.


Shaka faceva avanti e indietro per il salotto sotto gli occhi di un Aiolia visibilmente turbato. Dopo l' ennesimo su e giù si fermò davanti al ragazzo, una mano stizzita sul fianco:- Perchè diavolo non possiamo andare alla festa?
Aiolia sospirò per la millesima volta. Aveva già risposto a quella domanda almeno una decina di volte:- Perchè io sono un reverendo...
-Io no.
-E tu sei la moglie di un reverendo- continuò- e quella è un festa non adatta a un reverendo e alla sua consorte.
-Chi te lo dice?
-Il fatto che ci sia Kanon?
-Ma abbiamo avuto l' invito!
-Ho già declinato quando Milo me lo ha consegnato, mi dispiace.
-Tch. Sei un idiota.
-Devo per caso ricordarti che è colpa tua questa situazione, Shaka? Se tu non avessi rubato il portafortuna della squadra di footboll dell' Horizon a quest' ora non ci saremmo dovuti dare alla macchia.
Shaka agitò la mano per aria arricciando il naso:- Era solo un vecchio calzino bucato. E puzzolente.
-Era quello del fondatore della squadra!
Shaka fece spallucce:- Loro non avrebbero dovuto mettersi contro la nostra università (o contro di me).
-La nostra università ci ha disconosciuti! Ci stanno dando la caccia. Hai creato un incidente diplomatico, te ne rendi conto?!
Il biondo aggrottò le sopracciglia:-A cuccia, gatto. Non stiamo parlando della sicurezza mondiale.
Aiolia abbassò la testa completamente afflitto con le mani tra i capelli-Meno male che il vecchio reverendo aveva fretta di andarsene.
-Tch. Quel ciccione se n' è andato alla Bahamas.
Aiolia si alzò all' improvviso urlando nel panico pià totale:- Dobbiamo restituire quel calzino! Non ce la faccio più! Non-
Shaka lo buttò sul divano schiacciandolo sotto il suo peso agguantandogli il collo con le braccia:- No- ringhiò al suo orecchio- e calmati, stupido!
-Tu sei troppo vendicativo!
-Può darsi. Ma il calzino per il momento rimane con me. Devo pensare alla prossima mossa. Quegli idioti faranno quello che vogliamo.
-Ahia, Mi fai male!
Shaka allentò la presa senza però togliere le braccia dal collo dell' altro o abbandonare la povera schiena dell' altro su cui era messo a cavalcioni. Aiolia si girò lentamente e sospirò:- Io nemmeno c' entro niente in tutta questa storia.
-Sei un amico schifoso.
Il ragazzo sorrise mettendogli le mani sui fianchi:- Sono qui, no?


Camus pensava che era umanamente impossibile fare tutto quel fracasso a un' ora così tarda. Perbacco! Erano già le undici passate e lui avrebbe dovuto dormire già da un' ora almeno. Era indubbiamente colpa del vicino e della sua sciocca festa. Oh, ma non poteva andare avanti così, non avrebbe più permesso a quell' essere di continuare ad attentare impunemente al suo udito nè tanto meno di contribuire all' inquinamento acustico dela città.
Sospirò pesantemente e si alzò dal letto con calma estrema, si infilò le inseparabili pantofole a forma di coniglio e ciabattò lentamente dalla propria casa fino a quella del vicino. Suonò una volta e attese pazientemente. Due volte. Tre volte. Quattro volte. Cinque. Sei. Sette.
L' occhio destro inizio a socchiudersi a scatti in maniera impercettibile. Non aveva una pazienza inesauribile, anzi. A voler essere onesti era incazzato nero ma la discpilina di cui si fregiava gli imponeva di non darlo a vedere. Se non fosse stato così arrabbiato non si sarebbe scordato di mettersi addosso qualcosa invece di presentarsi da quel degenerato del suo vicino in pigiama.
Strinse i denti e chiuse le mani a pugno sentendo le unghie contro la pelle. Perchè diamine non aveva preso per lo meno la vestaglia? Era colpa di quel capellone. Solo colpa sua.
Stava per suonare -ancora- dopo di che avrebbe buttato già la porta a calci se si fosse reso necessario ma finalmente, miracolo dei miracoli, l' idiota si era degnato di venigli ad aprire. Camus notò la sua faccia stupita -e stupida- nel trovarselo davanti, poi il sacco della spazzatura che reggeva nella mano destra.
-Buonasera- iniziò il rosso.
Milo si sciolse in un grosso sorriso:- Ciao!
A Camus scattò il sopracciglio sinistro verso l' alto:- La invito a darmi del lei, non mi pare di conoscerla.
Il biondo lo guardò nuovamente stupito. Come faceva ad alzare un solo sopracciglio?!
-Se vuole facciamo anche del voi- scherzò.
-Forse voi gente dello spettacolo siete a corto di buone maniere- il sopracciglio rimaneva ostinatamente alzato, le braccia si erano andate a incrociare elegantemente sul petto e Milo pensava che nonostante il pinguino avesse una faccia da schiaffi e una superbia pari a quella di un pavone che si gonfia le penne, qualcosa nelle sue mutande iniziava decisamente ad agitarsi. Tipo un idrante fuori controllo.
-Forse- annui sornione. Se avesse visto quali erano davvero le sue maniere probabilmente il vicino non avrebbe più i pantaloni addosso per prima cosa, per seconda probabilmente sarebbe scappato indignato. O forse no. Milo si chiese -e si domandò anche perchè se lo stesse chiedendo- come poteva essere tra le lenzuola quella specie di principino. Seguiva una specie di galateo del letto? Dovette trattenere una risata e il suo interlocutore se ne accorse perchè chiese, imperturbabile:- Cosa la fa ridere?
-Niente, assolutamente niente- il biondo oltrepassò l' uscio di casa passando accanto a Camus.
-Dove pensa di andare?- chiese il rosso scocciato.
Milo fece un cenno della mano, sulle labra un sorriso ampio e malizioso che non lo abbandonava.-Mi segua, amico mio, devo buttare la spazzatura. Ah... belle ciabatte.
Camus gli andò dietro indeciso se colpirlo alle spalle con il primo oggetto contundente che avesse trovato nei paraggi -ammesso che ne avesse trovato uno- ed effettivamente si guardò intorno.
Cercava di mantenere il suo glaciale distacco, ci provava davvero ma quella specie di ragno che con le sue zampette stava tentando di cambiare le sue abitudini -non sarebbe mai andato a dormire più tardi delle dieci- gli dava veramente sui nervi. Non gli era mai capitato, tranne in due casi, ovvero quando qualcuno osava interrompere il suo meritato sonno o se non poteva nutrirsi adeguatamente con un a porzione quotidiana di dolci degna di quel nome. Un calo di zuccheri o quella che secondo i suoi parametri poteva essere considerata mancanza di sonno erano cose che lo rendevano molto ma molto nervoso.
 Milo, oltre a stargli sugli zebedei, lo aveva privato del sonno.
Imperdonabile.
Inammissibile.
Quell' idiota in pratica si stava scavando la fossa da solo.
Assolutamente inaccettabile.
 Guardò l' orologio, segnava le undici e mezza. Ma dove voleva andare a buttare quel sacco? A New York?
-Ehi, mi ascolti. Non ho intenzione di seguirla per una passeggiata notturna. Io-
-Ah no?- Milo si girò sollevando le sopracciglia. Camus gli avrebbe strappato sia le sopracciglia che quel sorriso che.. era una sua impressione o era pieno di allusioni?!- e io che stavo proprio per ribadire tra me e me quanto sia romantico il bagliore della luna. Non trova?
Camus si fermò rendendosi tra l' altro conto di stare girando per la città in piena notte, con il pigiama e le ciabatte del coniglio e in compagnia di un probabile pazzo maniaco dal dubbio gusto in fatto di vestiti, chè ora che ci faceva caso aveva solo un paio di pantaloni rossi così stretti che c' era da chiedersi se il sangue potesse circolare -e che non lasciavano certo spazio all' immaginazione- e un gilet dello stesso colore. E la camicia? Che aveva fatto, se l' era per caso venduta?
-Non trovo. Affatto. Ero solo venuto per dirle di abbassare il volume della musica. E' un' ora tarda sa? E lei e i suoi amici state facendo parecchio rumore. I poliziotti di questa città non vedrebbero l' ora di potersi muovere un po'.
-Devo per caso leggere una velata minaccia tra le righe?
Camus fece spallucce:- Come crede.-
-Certo che per avere un così bel faccino sei proprio uno stronzo.
Il sopracciglio sinistro del ragioniere scattò nuovamente verso l' alto:- Prego?
-Stronzo- ribadì Milo aprendo le braccia.
-Non mi dia del tu.
-E perchè?
L' espressione di Camus non cambiò di una virgola, sembrava essere stata scolpita nel ghiaccio per immortalare quel momento anche se, diversamente che dall' esterno, nella sua testa ribolliva una specie di magma alimentato dall' irritazione:-Non ci conosciamo, per l' amor del cielo-
-Stiamo parlando da mezz' ora- gli fece notare Milo- siamo anche vicini...e non mi sembra di parlare con un vecchio. Quanti anni hai? Ti comporti come mio nonno.
-Si chiama educazione.
-Non ho mai dato del lei a un ragazzo della mia età.
-Io sì, la mia educazione me lo impone. Crede forse che la sua sia migliore?
Milo si accigliò:- Ma che diavolo vai blaterando. Non ho mai detto questo. E comunque io sono Milo Karedes. Milo, non signor Milo, signor Karedes o come diavolo ti pare. Milo. MI-LO.
-Ho capito. Non sono stupido. Io sono Camus Grandier.- sorrise- puoi chiamarmi signor Grandier.
Milo scoppiò in una sonora risata e lo afferrò per il polso:- Vieni Cam. Andiamo a buttare la spazzatura.
Il francese per tutta risposta inchiodò i piedi a terra:- Me ne devo andare a dormire. E tu e i tuoi amici animali state facendo troppo rumore.
-E' una festa.
-Tu non sai cosa sia il rispetto vero? Pensi di poter fare quello che vuoi solo perchè sei un cantante adorato dalle ragazzine stupide.
Il biondo si voltò lentamente verso di lui, serio in viso:- Non è così. Lo sai? Pensavo fossi diverso. Forse tu non te lo ricordi ma ci siamo incontrati altre volte e tu mi hai sempre ignorato. Anche ora... non sei venuto alla mia festa. La gente pagherebbe per essere al tuo posto. Era bello il fatto che mi ignorassi all' inizio, che non baciassi la terra su cui cammino... ma lo sai cos' è? In realtà mi ignori perchè sei un bigotto ottuso, pieno di te e di pregiudizi. Scommetto che pensi che sia stupido e che sia superficiale.
Camus lo guardava con quell' aria che non lo abbandonava mai, tra lo scocciato e l' indifferente:- Sì.- affermò secco.- credo che tu sia superficiale. Se sei stupido non lo so. L' altro giorno ho incontrato Aphrodite e mi ha fatto sentire le tue canzoni. Fanno schifo. Il tuo pubblico è composto da ragazzine con gli ormoni in subbuglio. Dai una festa senza rispettare il sonno dei tuoi vicini. Casa tua fa ad angolo quindi non c' è nessuno ma dall' altro lato ci sono io e di fronte ci abita Doko Liang che ha due figli di dodici e quattordici anni e che dovrà alzarsi alle cinque del mattino per il turno in ospedale. I Robins sono una coppia di pensionati che vanno a letto presto. Devo continuare? Questa è la nostra vita. Non possiamo fare quello che ci pare e quando ci pare.
Milo avrebbe voluto aggiungere qualcosa, dirgli che in parte si sbagliava, dirgli che non ci aveva pensato nè a lui e nè a Doko e nè al resto della gente del vicinato, dirgli che si sentiva ferito, che non lo conosceva. Voleva raccontargli di lui e che Camus lo stesse ad ascoltare ma non lo fece:- Ok. Puoi andartene a casa. Ora abbasso la musica.
-Bene. Buona notte.
Poi vide solo le spalle di Camus mentre si allontanava. Sorrise amaramente. Lo sapeva che il pinguino avrebbe alzato i tacchi, non gli avrebbe mai detto "ehi, sono stato troppo duro. Amici?", non gli avrebbe sorriso chiedendogli che aveva o se per caso lo avesse ferito. Se ne andava, semplicemente.
Eppure ci aveva sperato.


Quando Milo rientrò a casa trovò Kanon che ballava su un cubo indossando solo un paio di pantaloncini sadomaso che gli lasciavano scoperto il sedere sventolando tra l' altro un boa rosso mentre il farmacista, in succinti abiti tigrati, gli palpava vergognosamente il detto sedere ridendo come un matto.
Quando il ragazzo abbassò la musica Kanon lo raggiunse, accaldato e su di giri:- Ehi Milo, dove diavolo sei stato? E perchè hai abbassato il volume?
-Troppo casino- spiegò sorridendo dispiaciuto
Kanon spalancò gli occhi preoccupato:-Non sarai come mio fratello, eh?
-N-no... non credo almeno, com' è tuo fratello?- volle sapere.
-Un rompicoglioni.- il minore dei gemelli lo guardò attentamente girandogli intorno, si avvicinò al suo viso con fare sospetto- che hai?
-Niente. Perchè pensi che abbia qualcosa?
Kanon sorrise soddisfatto incrociando le braccia al petto e appoggiandosi al tavolo:- Io ho occhio per queste cose, anche se sono ubriaco. E poi la tua faccia è troppo espressiva. Parla da sola.
-Non appoggiare la chiappe al mio tavolo.
-Farò di peggio su questo tavolo- ammiccò il ragazzo sbattendo la mano sul legno- e allora?- Kanon gli mise l' altra mano sulla spalla con fare solenne- me lo puoi dire. Non ti sputtanerò in giro. Non me ne frega niente di questo, mai fatto (tranne se si tratta di Aiolos). Per me sei solo uno che mi sta simpatico e che ha dei dei bei gusti musicali.
Milo lo ascoltò sorpreso, finalmente sorridendo di nuovo:- Grazie Kanon. Non sia quanto sia importante per me.
il più grande rise di gusto:- Eh sì vecchio mio, non è da tutti poter dire di avere il sottoscritto come amico. Sono un amico fantastico, sai?
-Modesto soprattutto.
-Anche. In effetti credo di avere molte virtù.


Il mattino dopo in pasticceria, Aldebaran, Shura, Aphrodite e Death Mask erano seduti a fare colazione.
-Ehi ragazzi- fece a un certo punto Al dopo aver bevuto un altro sorso di caffè- voi lo sapevate che Kanon ha una moglie incinta?
...
A Shura il cornetto caddè nel cappuccino. Lui odiava il cornetto inzuppato. Death aggrottò le sopracciglia come a dire "ma che cazzo dici?", Aphrodite oltre a non spiegarsi il fatto che lui non fosse stato il primo a saperlo -e quindi a dirlo a tutti- fissò intensamente il suo caffè indeciso sul da farsi.
Alla fine parlò:-Ma io ieri (qualche ora fa a dire il vero) ho fatto sesso con Kanon sul tavolo delle cucina del Magnifico.
-Ah. E sei dispiaciuto?- domandò Shura- intendo... tra voi c' era qualcosa di più?
Aphrodite si tirò indietro arricciando il naso:- Ma scherzi? Sarà un bel ragazzo ma è decisamente fuori dagli schemi.
-E' imperdonabile-fece Aldebaran- tradire una moglie in un momento così delicato per entrambi. Metteranno al mondo una creatura!
-Facciamo una cosa- sospirò il farmacista- sarà la prima e l' ultima volta che mi sentirete dire una cosa del genere. Facciamo finta che tra me e Kanon non sia successo nulla, non lo diremo a nessuno.
Death Mask lo guardò come se avesse tre teste:-Phro, ma hai preso una botta in testa?
-Infatti ho detto che questa sarà la prima e ultima volta. Verrò meno ai miei principi per il bene di quel bambino. Per questa volta un segreto deve restare tale, anche se non sapete quanto mi faccia male il cuore.
-Qualcuno sa chi è la fortunata?- domandò Shura cedendo il suo cornetto a Death Mask.
-Magari è Shaina- fece l' albino- mi pare che uscissero insieme.
-E' possibile- concluse Aphrodite- in effetti mi è se... aspetta! Sì, è lei di sicuro! E' lei!- si abbassò verso il centro del tavolo invitando anche gli altri a fare lo stesso- è venuta a prendere un test di gravidanza un paio di settimane fa.
-Aaah, sì mi ricordo- fece Death- ce lo avevi detto.
Aprhodite si mise a battere le mani entusiasta:- Bene, adesso organizzeremo una bella festa ai due piccioncini!
-Almeno avremo qualcosa da fare- affermò Shura laconico prima di alzarsi a prendere un altro cornetto.

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