Il dilemma della Bella Addormentata

di Elos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E poi arrivarono i ragni ***
Capitolo 2: *** Resistenza ***
Capitolo 3: *** Mondi al collasso ***



Capitolo 1
*** E poi arrivarono i ragni ***




1. E poi arrivarono i ragni




“E tu sei sicura che funzionerà?”
Le due fiale nelle mani di Kingsley Shacklebolt sembrarono accendersi, alla luce di quella domanda, di un brillio minaccioso, qualcosa che proveniva, ancor più che dal riflesso sul vetro, dalla pozione al loro interno. Hermione serrò le labbra e sentì Draco, accanto a lei, irrigidirsi e poi rilassarsi deliberatamente, mentre con studiata noncuranza si lasciava ricadere contro la sedia e buttava un braccio oltre lo schienale.
“Sono pozioni,” affermò, la voce strascicata. “Non è una scienza esatta finché non vengono testate.”
“Qui si tratta di mettere in pericolo le vite di parecchi dei nostri, Malfoy,” intervenne quietamente il signor Weasley, qualche posto più in giù lungo il tavolo. “Non stiamo... non stiamo mettendo in dubbio quello che Hermione dice, ma...”
“No? Strano.” Draco tamburellò con impazienza le dita sul tavolo. “Ho avuto per un attimo come l'impressione che si stesse facendo precisamente questo.”
Hermione si schiarì la voce:
“Lascia stare, Draco.”
Il ragazzo girò il capo d'una frazione, il minimo necessario per poterle rivolgere un'occhiata disgustata:
“Stanno cercando un responsabile ancor prima che qualcosa sia andato storto, Granger. Così, quando e se andrà male, avranno qualcuno a cui dare la colpa.”
“Non è così, Draco...” Lei cercò di posargli una mano sul braccio, ma non si stupì di vederglielo ritrarre di scatto, come avesse paura di scottarsi.
“Se vuoi essere il loro capro espiatorio fa' pure, Granger: ma tienimi fuori da tutto questo.”
“Io non ho niente in contrario a testare la pozione,” affermò Remus in tono piano. “Mancano più di ventiquattro ore alla prossima luna piena. Farei ancora in tempo a prenderla insieme all'ultima dose dell'Antilupo.”
Angelina assentì in silenzio, l'espressione cupa. Dall'orlo della maglia a collo alto sbucavano i rami sottili della cicatrice che le copriva la gola e che saliva a tagliarle la mascella, come una colata d'inchiostro pallido in mezzo al color di cioccolato della sua pelle vellutata, scabrosa e irregolare e tanto profonda da averle danneggiato tutto quel che c'era sotto, le arterie e la laringe e le corde vocali. Neanche Madama Chips era riuscita a far tornare la sua voce com'era prima di Greyback, e ad Angelina non piaceva sentirsi parlare, così.
Arthur Weasley scosse la testa:
“Non si tratta solo di te e... e di Angelina, Remus, ma di tutti noi. Tutti quelli che dovessero far parte di questa squadra potrebbero trovarsi in pericolo, se la pozione non funzionasse. E' un rischio troppo grande da correre...”
“E' prioritario sbarazzarsi di Dolohov,” lo interruppe Michael Corner, il tono aspro. “Tu-Sai-Chi continua a reclutare truppe dai mannari, e finché avranno un capo forte...”
“La morte di Greyback li ha indeboliti.”
“Greyback è stato sostituito nel giro di una settimana. Non possiamo perder tempo ad uccidere un capobranco dopo l'altro, dobbiamo eliminarne il più possibile, disperderli!”
“Si potrebbe aspettare la prossima luna piena,” propose Padma Patil. “Testare la pozione in un ambiente controllato, prima di sperimentarla in campo aperto.”
“Potremmo non avere un'altra luna. Se Tu-Sai-Chi decide di scendere in battaglia, rischiamo di trovarci di fronte a...”
“Se avesse potuto spostare la guerriglia in campo aperto l'avrebbe già fatto, Michael!”
“Non puoi esserne certo, Arthur,” intervenne Amos Diggory. “Tutti e tre i Lestrange hanno lasciato Maeshowe la settimana scorsa e non sono ancora tornati. Le ronde di Mangiamorte ad Hogwarts sono aumentate: e se Tu... se Tu-Sai-Chi è riuscito a trovare il modo di entrare nell'ufficio del Preside...”
“Nell'ufficio del Preside potrebbe non esserci niente.”
“Se non ci fosse niente non avrebbe sprecato così tanto tempo a...”
“Basta così.”
La voce piana di Neville fece sì che ogni discussione si interrompesse immediatamente. Hermione alzò gli occhi dal tavolo e vide che il ragazzo si era alzato in piedi. Aveva l'aria stanca: erano tutti stanchi, tutti pallidi, tutti tesi, ma Neville lo era un po' più degli altri. Essere quello che prendeva le decisioni, le aveva detto una volta Draco, significava fondamentalmente essere quello con le occhiaie più grosse.
Neville si rivolse direttamente ad Arthur
“Voldemort sta radunando le forze.” Ignorò il brivido collettivo che scosse una buona metà del tavolo a quel nome e proseguì: “Non so se sia in grado di trascinarci effettivamente in campo aperto: ma, se dovesse riuscirci, non fatevi illusioni, non ne usciremo vivi. Ora come ora, il meglio che possiamo fare è portare avanti piccole sortite ed incursioni e tenere Grimmauld Place chiusa e protetta. Se riuscissimo a liberarci dei suoi mannari, invece, avremmo una possibilità di avere uno scontro alla pari. I mannari sono troppi. Sono pericolosi. Continuano a muoversi in branco e ad infettare civili, ed aumentano di numero ad ogni mese. Abbiamo bisogno che siano annientati. Che siano dispersi.”
Il silenzio rimase drappeggiato sul tavolo come una cappa. Per un attimo fu tale che si sarebbe potuta sentire una mosca volare. Neville lanciò una lunga occhiata circolare a tutti i presenti – i professori e gli adulti e quelli che tutti chiamavano gli studenti, anche se studenti non lo erano più da un po' – prima di fissare Remus. Parve avere un brevissimo, fugace istante d'esitazione, prima che la sua mascella s'indurisse in un'espressione pietrosa:
“Controindicazioni, Hermione...?”
“La pozione è pensata per prolungare il periodo durante il quale sarete sotto l'effetto della luna piena,” spiegò lentamente la ragazza, spostando lo sguardo da Remus ad Angelina. “Vi manterrà nella vostra forma di lupo mannaro per circa quarantotto ore: sarà meglio che lo scontro sia finito, per allora, perché quando tornerete umani sarete deboli e debilitati. Probabilmente resterete privi di conoscenza per diversi giorni. L'ingrediente principale è l'elleboro colto in periodo di luna nuova, perciò è possibile che per voi vi siano degli effetti collaterali a lungo termine: giramenti di capo, nausee, dolori renali. Vista l'alta presenza di belladonna, è possibile che abbia...” Hermione sentì la sua voce incespicare sulle parole. “... degli effetti negativi anche... per il cuore. Probabilmente curabili.”
Vi fu un altro, lunghissimo istante di silenzio, prima che Neville parlasse ancora:
“Se te la senti, Remus...”
Remus annuì.
“Angelina?”
Remus aprì bocca per obiettare, aggrottando la fronte, ma Neville alzò una mano per trattenerlo. Dall'altra parte del tavolo Angelina lanciò quella che pareva un'occhiata di sfida a Remus, prima d'annuire con fermezza.
Neville esalò un sospiro profondo:
“Partiremo domani mattina. Resteremo ai margini della Foresta Proibita finché la luna non sarà sorta e trascorsa: li tracceremo e li seguiremo, ma ci terremo lontani da loro. Non possiamo permettere che ci scoprano finché sono in forma di lupo. Dopodiché, quando la luna sarà calata, attaccheremo. Non possiamo andare tutti. Con loro andremo io e Bill. Bill, obiezioni?”
Bill scosse la testa.
“Bene. Altri due volontari?”
Diverse mani si alzarono attorno al tavolo: quella di Arthur svettò rigida sopra tutte le altre, gli occhi dell'uomo fissi sul viso di quello tra i suoi figli che sarebbe partito entro poche ore verso quello che si prospettava essere un gran brutto scontro. Hermione e Draco avevano alzato le mani ancor prima che Neville finisse di parlare, e poi c'erano quelle dei gemelli, quella di Terry Boot e quella di Millicent Bullstrode, seduta accanto a lui, quella di Shacklebolt e – un poco esitante – quella di Cho Chang, che faceva coppia con lui nelle missioni da più di sette mesi.
Neville contemplò per un istante il mare di mani levate, prima di prendere una decisione:
“Terry e Millicent.”
Draco ed Hermione levarono contemporaneamente un coro di obiezioni, parlando l'uno sulla voce dell'altra, confusamente. Neville alzò nuovamente le mani per interromperli ed Hermione si zittì; e, quando Draco fece per continuare a protestare, incurante, lei gli assestò una gomitata che ebbe l'effetto miracoloso di fargli chiudere la bocca.
“Avete già avuto il vostro turno con Greyback e i Lestrange,” disse Neville, mitemente. “Non possiamo lasciare sguarnita Grimmauld Place. Resterete qui. Qualcuno deve restare, e stavolta tocca a voi.”
Draco gli rivolse un'occhiata di ferocissimo disgusto e, quando Hermione cercò nuovamente di toccarlo, lungi dall'esserne placato, si ritrasse bruscamente e intrecciò le braccia al petto.
Neville scosse lievemente la testa. Aveva delle occhiaie veramente enormi, realizzò Hermione. Peste e nere. Harry aveva avuto occhiaie così, pensò, i giorni prima della Seconda Prova del Tremaghi... ma poi smise di pensarlo, perché pensare ad Harry – ricordare Harry – faceva malissimo. Draco, accanto a lei, se ne stava cupo e inferocito, amareggiato per non essere stato scelto e per non poter andare. C'erano migliaia di ragioni per le quali Hermione sapeva che gli avrebbe fatto piacere occuparsi del branco di Dolohov – ottime ragioni, che cominciavano tutte con la parola rancore. Rancore, vendetta, vendetta, vendetta. Sguazzare nel sangue. Ballare sulle tombe appena chiuse. Il sangue non poteva lavare via tutti i ricordi orribile e il dolore osceno, ma poteva sedare l'ira, la ferocia, quietare la vergogna.
Un'altra volta, si disse lei, un'altra occasione. C'era sempre Voldemort, in cima a quella pila di possibili bare.
“Domattina all'alba, allora,” stava dicendo Neville. “Sei e mezza. Portate poche provviste, pochi bagagli, viaggeremo leggeri. E siate puntuali.”
Hermione vide come in sogno le ampolle passare dalle mani di Shacklebolt in quelle di Remus ed Angelina. Ricordò il giorno della prima partita di Quidditch del suo primo anno ad Hogwarts: Angelina in una divisa rossa e fiammeggiante che sfrecciava sul campo verdissimo, la folla che urlava, il sibilo dei Bolidi e quello, più lieve e rapido, della scopa di Harry in mezzo alle altre. Ricordò il sorriso brillante che Harry aveva avuto solo per Remus – e per Sirius, ma Sirius era morto.
Dovette chiudere gli occhi, per un attimo, per non rischiare che la nausea la travolgesse. C'erano molte cose per le quali si poteva provare vergogna, pensò. Molte cose per le quali farsi venire le occhiaie.



Il mattino dopo Hermione si alzò molto prima dell'alba. Scese le scale di Grimmauld Place e si sedette sull'ultimo gradino ad aspettare. Dopo un po' cominciarono ad arrivare tutti gli altri: Millicent con la sua grossa borsa grigia e la sua faccia squadrata che era diventata molto più asciutta negli ultimi anni, molto più dura, gli occhi piccoli del colore dell'oro che guardavano ogni cosa con infinita asprezza, Terry, che era alto e piuttosto bello e che accanto a lei faceva uno strano contrasto, e poi Angelina, da sola, con un marsupio appeso alla cintura e addosso i vestiti più vecchi che possedesse. Bill e Neville arrivarono trasportando bracciate di mappe sulle quali stavano discutendo ancora e che ridussero con un colpo di bacchetta alla dimensione di francobolli, prima di cacciarsele in tasca.
“Sei sicuro...” cominciò Hermione, quando Neville si fermò di fronte al suo gradino e intercettò il suo sguardo: ma il ragazzo alzò una mano e la fermò di nuovo.
“Sì.”
“E' pericoloso,” riprovò lei, molto piano. “E la pozione è stata una mia idea. Vorrei venire con voi.”
Neville scosse la testa, lentamente:
“Hai fatto quel che dovevi, Hermione. Tutto quel potevi. Sono certo che funzionerà.” E poi, con un piccolissimo sorriso: “Non ricordo una sola occasione in cui qualcosa fatto da te non abbia funzionato.”
Era stata lei a scrivere i calcoli che avevano permesso di trovare Ginny. Lei che aveva guidato Harry e Ron a Maeshowe. Ginny erano riusciti a salvarla, poi – quel che c'era rimasto da salvare – ma tutto il resto era andato in pezzi.
“Ogni tanto è capitato.”
Neville le posò una mano sul braccio e fece per dire qualcosa: ma Draco e Remus scelsero proprio quel momento per arrivare, e lui ed Hermione si fecero da parte per lasciarli passare. Draco aveva i capelli arruffati e l'espressione stanca, e sembrava amareggiato e di cattivo umore. Remus fece per toccargli una spalla e lui si ritrasse con un gesto secco. Remus non disse niente; lo superò e raggiunse Angelina nell'ingresso.
Da quando Draco era in qualche modo riuscito a rimuovere il ritratto della signora Black non c'era più ragione di parlare a bassa voce quando si era davanti alla porta, ma tutti lo facevano lo stesso, anche sapendolo, perché era diventata ormai un'abitudine troppo ingranata per poterla rimuovere.
Neville tirò fuori un tappo di Burrobirra, un paio di occhiali e l'incarto di un'Ape Frizzola e li distribuì, uno per uno, alle tre coppie.
“Le Passaporte ci porteranno ai margini occidentali della Foresta Proibita. Abbiamo tempo fino al tramonto per raggiungere un luogo sicuro e per attrezzarci a passare la notte. La luna non si leverà prima delle undici... questo ci darà un certo margine di sicurezza. Remus, la pozione...?”
Remus lanciò un'occhiata ad Angelina, che si limitò ad intrecciare le braccia sul petto con aria di sfida, in risposta, senza dire niente.
“L'abbiamo presa.”
Neville esitò:
“Tutto bene...?”
“Sì.”
Per ora, pensò Hermione, ma non lo disse. Neville e Bill tennero stretti gli occhiali e Neville allungò la bacchetta per toccarli. Draco fece per muovere avanti un passo e Remus alzò lo sguardo dal tappo che aveva in mano e gli sorrise leggermente. L'attimo dopo le Passaporte erano state avviate e nell'ingresso non c'era più nessuno: Hermione rimase immobile e zitta sull'ultimo gradino e sentì il respiro di Draco farsi affannoso nel silenzio, per un attimo, le luci del piano di sopra che disegnavano la linea troppo magra della sua schiena, curva e spigolosa come un arco rotto.
“Andrà tutto bene,” cominciò lei, ma Draco si volse di scatto, l'espressione feroce, e le lanciò un'occhiata carica di un tale disprezzo che Hermione si ritrovò con la bocca secca.
Il ragazzo – che era troppo vecchio per poter essere ancora pensato come tale, ma anche questa era una di quelle vecchie abitudini troppo ingranate delle quali era difficile liberarsi – le passò accanto, urtandole una spalla, ed Hermione si schiacciò ancor più contro la parete per lasciargli spazio.
Nell'ingresso buio non c'era più nessuno a respirare, adesso. Lei fissò il punto nel quale Remus ed Angelina erano scomparsi e si chiese, tutto ad un tratto, se ne fosse valsa la pena. Non sarebbe stato meglio rinunciare...? La guerra era persa, perduta, e loro non avevano più Harry per cercare di vincerla.
Ma potevano andare via di lì. Andarsene. Andare in un posto lontanissimo e isolato dove nessuno li avrebbe mai cercati: il Guatemala, il Nepal... la Nuova Zelanda... tutti posti dove Voldemort non era mai arrivato e dove, magari, non sarebbe arrivato mai finché loro erano vivi. Bastava non avere figli. Non avere bambini. Nessuno al quale lasciare il peso di quella guerra che loro avevano perso, nessuno che potesse soffrire quando Voldemort sarebbe arrivato – perché Voldemort sarebbe arrivato, alla fine, era solo questione di tempo. Troppo potere, troppa avidità. Finché c'era un mondo, non si sarebbe fermato.
Quando chiudeva gli occhi, Hermione poteva vedere ancora il viso di Ron che la guardava, in piedi sulla soglia di Maeshowe, e che poi le spingeva la Passaporta tra le mani e si girava, si girava, per tornare da Harry e non lasciarlo morire da solo. Poteva sentire ancora la voce di Harry, da qualche parte nel mezzo dei suoi ricordi, che le diceva con voce piena d'emozione che sarebbe stato bello vivere con Sirius, avere una famiglia, una casa vera. La voce piena di pianto di Harry quando Sirius era morto. Tutte le volte che Harry avrebbe potuto ignorare quel che gli accadeva attorno e andare avanti lo stesso e invece non l'aveva fatto, non aveva chiuso gli occhi.
C'erano cose, pensò Hermione, che lei avrebbe voluto poter evitare di fare. Cose orribili che la tenevano sveglia la notte e cose sporche che le avevano macchiato l'anima, ma c'erano cose che andavano fatte, lì ed ora, finché si era vivi. Finché si poteva.
Hermione strinse le labbra e riaprì gli occhi – perché, se li teneva aperti, non doveva vedere il viso di Ron, quello di Harry, e sentire la fitta atroce di dolore e solitudine che le gelava il cuore ogni volta di più.

In cima alle scale trovò Draco, che se ne stava davanti alla porta socchiusa della camera di Piton e guardava all'interno.
“E' già ora di portargli la colazione...?”
Draco non le rispose.
“Sei arrabbiato con me?” ritentò Hermione, pazientemente.
Draco sussultò come se lei l'avesse colpito. Esitò e le lanciò un'occhiata, prima di distogliere lo sguardo ancora una volta e scuotere la testa.
“Con chi sei arrabbiato, allora?”
“Con nessuno,” replicò lui bruscamente. E poi, gli occhi sempre fissi sul letto di Piton: “Saremmo dovuti andare anche noi con loro.”
Hermione annuì.
Draco si girò di scatto per fissarla con un'espressione ferocemente intensa. Aveva gli occhi troppo pallidi, di un grigio tanto chiaro e slavato da parere quasi inumani, le labbra troppo sottili, il naso adunco come quello di un uccello da preda. Non era mai stato bello, e gli ultimi tre anni avevano reso il suo viso più magro e più aspro: ma Hermione pensava che lo preferiva così, davvero. Sembrava più vivo, adesso. Più sveglio.
“Potremmo andare anche noi. Sappiamo dove sono andati, possiamo seguirl...”
“No.”
Draco parve sorpreso dalla brusca interruzione:
“Cosa...? Perché?”
“Perché no. Neville ci ha dato degli ordini e noi li eseguiremo.”
L'espressione di Draco passò dallo stupore all'irritazione e dall'irritazione al disprezzo. Le sue labbra sottili diventarono fini come un filo mentre lui le torceva in un atteggiamento che Hermione ricordava dai tempi della scuola:
“Perché tu e i tuoi piccoli amici siete sempre stati così bravi nell'eseguire gli ordini, non è vero? Tu e San Potter e...”
“Esattamente,” lo interruppe Hermione prima che potessero arrivare altri nomi ad aprirle una voragine di nulla nel cuore. “E guarda dove ci ha portati questo.”
Scese il silenzio.
“Non è la stessa cosa,” tentò Draco dopo un lunghissimo attimo, ma nella sua voce c'era già la nota desolata della sconfitta.
“E' esattamente la stessa cosa.”
Di nuovo silenzio.
“Dobbiamo portargli la colazione,” disse Hermione alla fine, gentilmente. “Madama Chips dice che ci sono stati dei miglioramenti.”
Draco lanciò alla stanza alle proprie spalle un'occhiata rancorosa.
“E' sempre lo stesso vegetale sbavante.”
Hermione aveva imparato che, se voleva avere a che fare con Draco, doveva imparare ad ignorare le sue bizze. Draco era incapace di non fare i capricci. Era stato educato a farne, educato ad essere un ragazzino viziato ed umorale, educato ad essere suscettibile e arrogante e irragionevole. Draco non era stato educato a farsi strada attraverso le asperità, le punte aguzze e spigolose che la vita metteva davanti a tutti, e quella era una lezione che aveva dovuto imparare da solo.
Era cominciato tutto con Maeshowe. Tutte le lezioni che erano venute dopo erano iniziate lì: come imparare a tirare avanti quando ogni speranza sembrava morta, come imparare a cavarsela anche quando non c'erano più profezie alle quali affidarsi, come imparare a ignorare il dolore anche per interi giorni alla volta – dimenticare, quello no, quello non si poteva fare, però ignorare sì, era possibile.
“Ti ho detto che abbiamo trovato una pianta integra di Mandragola?” tentò. Era sempre un buon argomento, potenzialmente utile a fare uscire Draco dal loop delle bizze infinite. “Piagnucolava sotto le macerie delle serre ad Hogwarts, l'abbiamo trovata così. Dev'essere scampata all'acqua dopo l'inondazione.”
Era stato un buon tentativo. Le orecchie di Draco si rizzarono, anche se la sua faccia mantenne l'espressione di un bimbo di cinque anni pronto a scatenare una crisi di capriccite acuta.
“Forse un infuso,” azzardò poi Hermione. “Potrebbe rimediare i danni al sistema nervoso. E' stata usata da Hermanno Malvoglius nel tredicesimo secolo per...”
“Un infuso...?” Le fece eco Draco, con una smorfia di disprezzo. “Un distillato, direi, Granger. Concentrato.”
“Dargli della Mandragola troppo concentrata potrebbe avvelenarlo.”
“Be', non starebbe peggio di così. Non trovi, Granger?”
Rimasero per un istante in silenzio. La porta aperta scricchiolò per uno spiffero ed Hermione si trattenne a stento dallo sbirciare all'interno: se non era proprio necessario, evitava di farlo, perché vedere era sgradevole e le svegliava dentro terribili pensieri.
Non era come se Piton le fosse mai stato veramente simpatico, era solo che... era solo che forse era stata colpa loro. Se l'avevano scoperto. Se l'avevano ridotto così. Colpa loro che non erano arrivati prima, che forse, forse, forse, si erano fatti scappare qualcosa. Che non l'avevano aiutato abbastanza. Era solo che nessuno si era mai abituato a vedere il professor Piton in posizione orizzontale, e senza i suoi vestiti neri, senza la sua camicia dalle maniche sporche di ingredienti per pozioni, bile di rospo e veleno di Acromantula e asfodelo tritato. Avevano dovuto anche tagliargli i capelli e non sembrava più lui, così, davvero. A nessuno a Grimmauld Place piaceva girare per il primo piano, perché in una delle stanze l'esempio vivente di quello che Voldemort avrebbe potuto fare a tutti loro, un giorno o l'altro, era estremamente occupato a sbavare su un cuscino, e due camere più in là vegetava la prova in carne ed ossa del fatto che, se avessero perso la guerra, sarebbe stato perché erano stati troppo sentimentali.
Hermione inclinò la testa da una parte.
“Un distillato,” ripeté.
“Concentrato.” La voce di Draco aveva ripreso un tono che, se non precisamente mite, suonava quantomeno conciliante. Hermione decise di considerarlo un buon segno.
“Non ho mai distillato della Mandragola. Le radici non sono troppo farinose...?”
Draco esitò.
“Potremmo usare una base lievemente acida. Del succo di limone. Qualche goccia di sangue di drago in un composto neutro...”

Dalla porta socchiusa due stanze più in giù arrivò improvvisamente la voce di Molly Weasley che, come tutte le mattine da tre anni a quella parte, cercava di convincere la più piccola dei suoi figli che era ora di aprire gli occhi.
Hermione non credeva che Ginny le avrebbe mai risposto.


- - -




La maggior parte di loro non aveva neanche una bacchetta. Avevano trascorso la notte precedente correndo per le vie di Hogsmeade e cercando di buttar giù le porte delle case, di passare per le finestre sbarrate, divellendo alberi e cespugli sul loro cammino; avevano trascinato in mezzo alla strada una vecchia strega che era uscita ignara dalla Testa di Porco ed al mattino la gente di Hogsmeade aveva dovuto ripulirne i pezzi dai gradini di casa per poter aprire la porta. Avevano puntato verso Newtonmore e c'erano stati ancora Babbani per le strade malgrado il freddo e il buio. Era stato un banchetto. La notte precedente erano stati cinquantuno, ma alla prossima luna piena sarebbero diventati sessantatré – se tutti i nuovi arrivati fossero sopravvissuti alla trasformazione, sicuro. I nuovi non sempre sopravvivevano, e quando erano così giovani... Adesso erano stanchi e stavano dormendo sdraiati sul terreno e non c'era nessuno a montare la guardia... perché nessuno si aspettava che ci fosse qualcosa del quale guardarsi. Non loro. Non qui.
Gli Incantesimi di Disillusione andarono giù nello stesso momento in cui Dolohov si svegliò all'improvviso e, alzando la testa e fiutando l'aria con l'espressione sospettosa di un lupo incattivito, si scagliò senza una parola addosso a Bill.
STUPEFICIUM!”
Ma Dolohov era un mago. Non era mai stato un'aquila neanche nei suoi giorni migliori, ma la trasformazione l'aveva reso più sveglio, più feroce: aveva estratto la bacchetta prima ancora di balzare, e il lampo rosso emerso dalla bacchetta di Bill venne disperso senza danni. Neville Trasfigurò le radici delle piante più vicine, e queste si svegliarono e presero a contorcersi in mezzo ai mannari. Uno di loro strillò quando le radici lo afferrarono e cominciarono a trascinarlo verso l'albero più vicino, e stava ancora strillando mentre veniva trascinato sotto terra. Il suolo che gli si richiuse sopra la testa, inghiottendolo, lo ammutolì bruscamente. Nel silenzio improvviso tutti sentirono il sibilo delle frecce e un'eco ovattata di zoccoli sul terreno morbido: a due passi di distanza da Neville uno dei mannari andò giù con una mano convulsamente stretta attorno alla gola ed alla stecca di legno che ci si era piantata dentro.
Nel buio erano i rumori la cosa più terribile. Tutte le forme erano come confuse sotto le fronde, vaghe come fantasmi, nere come i mantelli dei Dissennatori, e i contorni si mescolavano e si perdevano nel mezzo.
Tutti i mannari in possesso di una bacchetta ora ce l'avevano in mano. Dolohov e Bill stavano ancora duellando, il suono delle maledizioni che si mescolava allo sfrigolio degli incantesimi e all'occasionale lampo verde che schizzava da una parte all'altra e rischiarava per un istante il mondo prima di dissolversi.
Neville lanciò uno Schiantesimo nel mucchio, poi un altro; quando il primo mannaro gli balzò addosso pensò "Sectumsempra!" e mosse la bacchetta dall'alto verso il basso. Sul viso gli arrivò uno schizzo di qualcosa di caldissimo e vischioso e il mannaro cadde pesantemente al suolo. Sentì Terry e Millicent strillare incantesimo dopo incantesimo alla sua destra e al lampo di una maledizione li vide entrambi, le facce che si mescolavano e s'assomigliavano nella pallida luce, scarmigliati e ad occhi sgranati, e se Terry sembrava esitare ogni volta che alzava la bacchetta, Millicent scagliava incantesimi nella mischia come se non avesse mai fatto altro per tutta la vita. Non avevano mai fatto altro. Se l'avevano fatto l'avevano dimenticato.
Qualcosa di grosso e pesante passò correndo alla destra di Neville, qualcos'altro lo seguì dall'altra parte. Neville scagliò uno Schiantesimo alto nel mucchio e vide gli occhi del branco di Dolohov – i loro umanissimi occhi, perché nelle forme umane erano come... come tutti gli altri, come maghi e Babbani, solo qualche zanna che non cambiava più, come quelle di Greyback, perché avevano goduto e gioito un po' troppo della loro maledizione, speso troppo tempo a inseguirla, a gloriarsi della luna bianca che dava loro potere sui loro simili – sgranarsi quando Remus ed Angelina piombarono loro addosso ancora in forma di mannaro, il pelame arruffato per la corsa nella Foresta, i muscoli contratti in arti troppo lunghi e troppo nervosi e le fauci spalancate. Bill gridò per il dolore e Neville, girandosi, lo vide barcollare e arretrare. Dolohov avanzò e Neville corse verso di loro.
Incendio!”
La maglia sbrindellata del lupo mannaro prese fuoco: un colpo di bacchetta bastò a spegnerlo, ma a quel punto Neville era vicino abbastanza da scagliare qualcosa di meglio. Bill aveva una mano premuta sul braccio insanguinato e Neville cominciò a duellare, la bacchetta che guizzava da una parte all'altra senza sosta. Dovevano finire presto, pensò confusamente, senza dare a Dolohov il tempo di avvertire il suo Oscuro Signore, senza dargli il tempo di toccare il Marchio, di chiamare aiuto...
Crucio!” strillò Dolohov, ma Neville non rimase fermo ad aspettare che la maledizione arrivasse: balzò da una parte e mosse la mano destra in una rapida steccata.
Expelliarmus!”
La bacchetta tremò violentemente nella mano di Dolohov, minacciando di sfuggirgli, e il volto del lupo mannaro si contorse nella furia. Recuperò il controllò della bacchetta con uno strattone e vibrò una sferzata di rovescio. Neville si tirò indietro e sentì qualcosa di rovente sfiorargli la guancia, colpirgli la tempia, strusciargli contro lo zigomo e l'occhio. Il dolore arse terribile e metà del suo campo visivo scomparve in un'esplosione di sofferenza incandescente. Gridò, per la rabbia e per il dolore, e poi urlò mentre il fuoco sembrava divorargli la faccia, sciogliergli lo zigomo, mangiarsi l'occhio nell'orbita e poi colare più giù, più all'interno, sotto la pelle, dentro la pelle...
Scorse con l'occhio che gli restava Dolohov che si avvicinava, l'espressione trionfante, e non si fermò a pensare: fece guizzare la bacchetta in avanti.
Avada Kedavra!”
Il lampo verde si trasformò in una pallidissima aurora dai colori sbagliati, e nella luce malata Neville vide Dolohov sgranare gli occhi, stupito, sbalordito, e poi cadere indietro senza emettere un verso.
Sembrò calare il silenzio per un lunghissimo attimo, poi, ma erano solo le orecchie di Neville che ronzavano troppo forte per permettergli di sentire altro che non fosse il suono del suo stesso sangue che pulsava. Vide qualcosa che si muoveva e puntò la bacchetta per istinto, barcollando; fece appena in tempo, così, a riconoscere Bill e ad evitare di lanciargli una maledizione.
“Ce la stiamo facendo!” gli disse Bill. Lo gridò, in verità: doveva gridare per farsi sentire al di sopra dei rumori della battaglia che sembravano essere tornati tutto d'un tratto, sopra alle grida e ai ruggiti e agli strepiti e al pianto di qualcuno con una voce troppo piccola per essere quella di un adulto. “Si disperdono! Ce l'abbiamo...”
E poi arrivarono i ragni.





Note: Prima di tutto, si ringrazia di cuore e infinitamente duedicoppe, che come l'anno scorso si è prestata a betarmi una storia in mezz'ora. Se non è pazienza questa...

Se non sapete cosa sia la serie di Così come (non) doveva andare e non ci avete capito niente... non vi preoccupate, è tutto a posto.
Dato che ci si avvicina a piccoli balzelli alla fine della serie, ed adesso che tutti i punti principali sono stati introdotti, i personaggi illuminati, le scenette allestite, i soppalchi spolv... no, quelli no... è ora di dare uno scossone alla trama e di cominciare a far accadere qualcosa. E, per far questo, non potevo riprendere ancora una volta la descrizione di tutto quel che era accaduto. Nel prossimo capitolo ci sarà un breve riepilogo dal punto di vista di qualcuno all'interno della storia, ma sarà molto, molto breve e molto, molto riepilogante.

Questa storia nasce perché ho deciso di riprendere la mia lievemente psicopatica iniziativa delle domeniche buie dell'anno scorso: una storia per il fandom di Harry Potter per ogni domenica di maggio, e tutte le storie devono avere un'ambientazione in qualche modo cupa, distopica, angosciosa. Per quest'anno, tuttavia, almeno tre delle domeniche buie saranno occupate dagli aggiornamenti di questa storia in più capitoli... ebbene sì, sono riuscita a scrivere una storia della serie che non è una one-shot. x°D

Un grazie a tutti voi che avete letto e doppio con panna a quelli che avranno la pazienza di lasciarmi un'opinione. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Resistenza ***




2. Resistenza




Quando Millicent Bullstrode si Smaterializzò a Grimmauld Place, le barriere poste attorno alla casa tremarono, le si avvinghiarono attorno e cercarono di trattenerla: e per un attimo lei temette di essere troppo debole per contrastarle, e che sarebbe stata sbattuta fuori. Era sempre così. Arrivò sul pianerottolo del pianterreno e, sporgendosi oltre il tappetino all'ingresso, vomitò tutto quel che aveva nello stomaco.
Sentì i passi di qualcuno giù per le scale e poi una mano gentile posarsi sulla sua fronte per aiutarla a tenere la testa alta.
“Oddio, Millicent...” La voce di Hermione era soffocata e confusa. “... è tuo tutto questo sangue?”
Non era suo, pensò lei, confusamente. Non era suo. Avrebbe dovuto esserlo, ma non era...
“Dov'è Boot?” annaspò. “Sono arrivati?”
Hermione non le rispose e Millicent, alzando a fatica la testa, vide che era pallida e scarmigliata e che aveva il maglione grigio chiazzato di sangue come il grembiule di un macellaio. Millicent la spinse da parte e cominciò a correre su per le scale.
“Millicent!” le strillò dietro Hermione. “Aspetta...!”
Millicent non aveva la minima intenzione di aspettarla. Spintonò Draco, in cima alle scale, con tanta forza da farlo girare sul posto; ignorò il suo “Ehi!” indignato, ignorò la porta della stanza del professor Piton e spalancò la seconda porta sulla destra.
Lavanda Brown alzò gli occhi dal letto e la protesta automatica che già aveva sulla punta della lingua le morì sulle labbra quando vide di chi si trattava: gli occhi di Millicent colsero in un colpo solo la lacrima rossa e vischiosa che le colava da una ciocca di capelli, le chiazze sulla sua lunga veste marrone e poi quelle sulle sue mani, più fresche e più viscide e più liquide, e poi scesero e scesero ancora finché non si fermarono sul corpo sul letto.
Aveva già vomitato tutto quel che poteva vomitare. Non c'era più niente che potesse tirar fuori, ed una parte del suo cervello svuotato le disse che era stata stupida, che non si potevano sprecare così ottime e salutari cene, che non c'era abbastanza cibo per buttarlo via vomitando. Un'altra parte del suo cervello stava strillando a piena forza e non sembrava capace di smettere.
Sentì la voce di Hermione, dietro di sé, e poi quella di Lavanda che aveva davanti, e tra tutte e due riuscirono a spingerla su una sedia e a mettercela sopra. Hermione si mise alle sue spalle e le posò entrambe le mani sulla fronte – Millicent si sentiva bruciare, e le parvero fredde contro la pelle in fiamme – e Lavanda richiamò con un Accio un bicchiere d'acqua e glielo spinse tra le mani.
“Bevi.”
Millicent scosse la testa. Non riusciva a staccare gli occhi dal letto. Sentiva che se avesse distolto lo sguardo sarebbe accaduto qualcosa di terribile, se avesse distolto lo sguardo... se avesse distolto lo sguardo sarebbe tutto successo, sarebbe tutto...
Lavanda si mise in mezzo tra lei e il letto e il mondo di Millicent si riempì di marrone, marrone pieghettato con piccoli ricami più scuri e con grosse chiazze di sangue fresco. Tutto ad un tratto stava piangendo: sentiva le lacrime scorrere sulle guance e non riusciva a smettere di tremare, e tutta la sua gola era così piena di pianto che premeva da farle temere che sarebbe rimasta soffocata. Hermione le spostò le mani dalla fronte alle spalle e poi si piegò un altro po' e l'abbracciò. Boccheggiando per riprendere fiato nel mezzo dei singhiozzi, Millicent pensò che se fosse stato un altro l'avrebbe respinto, ma la Granger no, la Granger... la Granger sicuramente capiva, perché anche lei ci era passata, no? Non era forse così?
Lavanda Brown si era inginocchiata di fronte a lei e le stava toccando un ginocchio dopo l'altro con la punta della bacchetta. Era stata una delle ragazze più graziose del suo anno, una di quelle che Millicent ricordava di aver invidiato orribilmente: e tutto quel che non aveva avuto in vera bellezza, del genere che arriva alla nascita ed è assolutamente immeritato, l'aveva compensato in sorrisi e cerchietti ricoperti di lustrini e moine. Adesso portava un vestito marrone che Madama Chips le aveva prestato. Aveva i capelli tagliati corti, quasi come quelli di un uomo, e non sembrava sorridesse più molto.
“Ho bisogno che tu ti sdrai, Millicent,” le disse Lavanda in tono soffice. “Sei ferita. Ho bisogno di vedere se la ferita è grave, dobbiamo pulirla subito, Millicent...”
“Boot...” bisbigliò lei, esausta.
“Mi dispiace molto.”
“Sono state le Acromantule.” Millicent continuava a vederle, nella sua testa, dietro ai suoi occhi, e se abbassava le palpebre le sembrava di poterle sentire ancora, contro la pelle, sopra di lei, le zampe nere e pelose e gli artigli e gli occhi, tutti quegli occhi, troppi occhi troppo neri troppo lucidi e troppo scuri. “Stava andando tutto bene, ma poi sono arrivate le Acromantule. Dio. Oddio. Dov'è Weasley? Dovrebbe essere anche lui qui, doveva portare lui Boot...”
Hermione e Lavanda si scambiarono una lunga occhiata.
“E' nell'altra stanza,” replicò alla fine Hermione. “Il suo braccio è... non è in buone condizioni. Madama Chips si sta occupando di lui.”
“Perciò sono state le Acromantule,” disse Lavanda. C'era una strana vibrazione nella sua voce, un bizzarro miscuglio di cose che Millicent non riuscì a distinguere. “Tutte quelle lacerazioni. Sono artigli di Acromantula.”
Millicent non poteva vedere l'espressione di Hermione, che era ancora in piedi dietro di lei, ma sentì perfettamente le sue mani tremare, contrarsi e poi distendersi. Cercò di dare un senso a tutto ciò, ai loro discorsi, alle loro voci, ma era difficile pensare. Weasley era ferito. Paciock era ferito. Millicent si sentiva la testa come piena di burro. Weasley era ferito, Paciock era ferito. Avevano vinto, forse, ma tutto ciò sembrava così poco, adesso, così... così vacuo, e non sapeva se...
Terry era morto.
Si piegò sulla sedia ed affondò la testa tra le mani.
Sembrava tutto così inutile, adesso.

Aveva trovato la Granger seduta su una sedia, una volta, accanto al letto nella stanza della ragazzina Weasley. La Weasley non era cresciuta molto dall'ultima volta che Draco l'aveva vista, quand'era stata ancora sveglia, ancora in piedi, ancora intera. Era sempre minuta e magrolina, con una gran massa di capelli troppo rossi attorno al viso lentigginoso: e avrebbe potuto essere carina, anche, se non fosse stato per la cicatrice che s'era mangiata metà della sua faccia ed era scesa, poi, sulla sua spalla. Scompariva sotto le maniche della sua camicia da notte ed arrivava al dorso delle braccia, ed aveva mangiato un pezzo della mano sinistra, pure, dove mancavano due dita, e l'altra mano era contorta come un gigantesco, pallido, mostruoso ragno a cinque zampe.
Aveva trovato la Granger seduta lì accanto, con una mano delle sue posata sulla mano-ragno e lo sguardo perso nel vuoto, ed era rimasto fermo sulla soglia a guardarla per un lunghissimo quarto d'ora, affascinato e stordito, perché la Granger stava piangendo. Aveva righe di lacrime a scorrerle sul viso e piangeva senza neanche cambiare espressione, senza contrarre il viso, mordersi le labbra, niente, senza un suono. Le lacrime uscivano, solamente, come se la pressione dentro di lei avesse appena raggiunto il punto di rottura.
Lui era rimasto a guardare perché guardare tutto quel pianto gli faceva male al cuore, ed era meglio che piangesse lei che non lui, e perché... perché pensava di non esserne più capace. Gli mancava una valvola di sfogo: tutta la pressione dentro di lui poteva solo continuare ad accumularsi, ed aveva paura che, un giorno, sarebbe semplicemente esploso.
La Granger non l'aveva guardato, non gli aveva rivolto la parola, neanche per dirgli di andarsene al diavolo e di chiudersi la porta alle spalle mentre usciva. Poi, tutto ad un tratto, aveva aperto bocca ed aveva cominciato a parlare: ed era così che gli aveva parlato della Bella Addormentata.
La Bella Addormentata era una di quelle cose che gli facevano pensare che i Babbani fossero effettivamente imbecilli. C'era questa bellissima tizia che era stata maledetta alla nascita, ma qualcuno aveva fatto un incantesimo per proteggerla e così lei non si era salvata, non proprio, ma avrebbe dormito per cento anni. Dormire era meglio che morire e, comunque, poi sarebbe arrivato qualcuno che sarebbe stato capace di svegliarla. Sarebbe andato tutto bene.
Se era così che le cose stavano, be', era fantastico. Bastava aspettare che il cadavere di Potter emergesse dalla tomba e venisse qui, strisciando sulle sue stramaledettissime ginocchia marcescenti, e anche la pianta avrebbe riaperto gli occhi. Certo, cento anni erano un bel po' di tempo da aspettare, ma non è che loro avessero molto altro da fare, no...?
L'aveva detto alla Granger, e lei gli aveva tirato un pugno. Aveva i pugni facili, la Granger, e nessun senso dell'umorismo.
La Weasley non si sarebbe mai svegliata. Era morta il giorno in cui era scomparsa ad Hogwarts durante la Grande Battaglia: quello che Potter e Weasley e la Granger avevano tirato fuori dai sotterranei di Maeshowe era solo un corpo, solo un involucro, come un baccello di piselli una volta che ti eri mangiato tutto quel che c'era dentro. Non era rimasto nulla di lei, e tutte le premure di sua madre, tutte le pozioni che le facevano trangugiare e gli incantesimi e i massaggi alle gambe per tenerle forti e attive non sarebbero serviti a niente. Potter non sarebbe mai tornato dalla tomba: nessuna Profezia l'avrebbe tirato fuori di lì, adesso. Weasley non sarebbe mai tornato dalla tomba e la Granger avrebbe continuato a portare il lutto.
Quando Millicent cominciò a singhiozzare – lui pensò a quante volte l'aveva vista piangere, ogni volta che la prendevano in giro e lei era troppo debole, troppo vergognosa e umiliata e impacciata per rispondere, e così piangeva, ma questo era un genere di pianto diverso, più scuro, macchiato – e la voce della Granger prese a mormorarle gentili insensatezze, Draco si tirò indietro e chiuse la porta della stanza.
I singhiozzi si persero dall'altro lato del battente.
Era tutto così. C'era un Prima della Morte di Potter e un Dopo la Morte di Potter.
Prima della Morte di Potter niente era andato bene, c'era stato Voldemort, la guerra, le battaglie e gli scontri e le morti, e Draco aveva avuto la morte di Silente sul cuore e sulle spalle e tutto l'orrore di aver lasciato i mannari a piede libero nella scuola.
Dopo la Morte di Potter niente era andato bene, c'era stato sempre Voldemort, la guerra, le battaglie e gli scontri e le morti, e Draco adesso apriva gli occhi ricordando i giorni trascorsi a farsi passare nel branco di Greyback dall'uno all'altro come uno straccio usato, e il sangue che aveva avuto sulle mani, dopo, la bambina e la madre così giovane che era stata quasi una bambina anche lei, svegliarsi credendo di avere i morti nel letto. C'era Piton che sbavava su un cuscino e la Granger che moriva poco a poco di dolore.
Le cose erano andate male sia prima che dopo, ma finché Potter era stato vivo tutti avevano creduto che avrebbero vinto. C'era una Profezia, c'era... c'era un eroe, e Potter ricopriva il ruolo così bene, sempre pronto a buttarsi tra i piedi di Voldemort per farlo inciampare, sempre pronto a salvare gattini dagli alberi e a... e a far attraversare le vecchiette e...
E loro avevano creduto che avrebbero vinto. Per questo sapere che era morto aveva portato via così tanto: perché nessuno aveva potuto continuare a crederci, poi.
Avrebbero perso. La guerra era finita e loro avevano già perso.


- - -




“Ecco, professore, abbiamo prodotto un concentrato di radici di Mandragola. Abbiamo provato prima con il succo di limone, ma, be', sembra non fosse abbastanza acido, e così siamo passati al sangue di drago. Ne abbiamo usato tre gocce in una gelatina di manioca... abbiamo scoperto che funziona molto meglio dell'olio di semi perché, be', perché è meno liquido e si può controllare meglio quel che il sangue di drago farà. Siamo riusciti a sciogliere solo un calderone, stavolta.”
Piton non espresse il suo disgusto per la loro imbecillità in alcun modo – a meno che sbavare dal lato sinistro della bocca invece che da quello destro non fosse un arguto sistema di mostrare disapprovazione – ed Hermione gli cacciò in bocca un'altra cucchiaiata di brodo.
Draco era Dio solo sapeva dove a fare Dio solo sapeva cosa. Forse con Remus. Forse era di nuovo al piano di sopra e stava, di nuovo, cercando di scrostare l'arazzo della Casata dei Black dalla parete. Sembrava avere meno successo, lì, di quanto ne avesse avuto con il ritratto della madre di Sirius, ma continuava ad accanircisi sopra con instancabile ferocia: era convinto che un po' di Ardimonio avrebbe risolto il problema, ma si erano tutti opposti a dargli il permesso di provarci. Se Grimmauld Place fosse accidentalmente crollata, nessun posto sarebbe stato sicuro.
Lei agitò la bacchetta e i muscoli della gola di Piton si rilassarono, permettendo alla cucchiaiata di brodo di passare senza strozzarlo. Ultimamente anche le reazioni involontarie sembravano venir meno all'uomo: fargli mandare giù un bicchiere d'acqua era divenuta un'impresa, e Madama Chips stava cominciando a parlare di incantargli il cibo in forma liquida direttamente nello stomaco.
Hermione temeva il giorno in cui i polmoni dell'uomo avrebbero smesso di dilatarsi. C'erano incantesimi anche per quello, sicuro... ma, dopo, l'impressione di prendersi cura di una pianta, solo di una pianta, sarebbe diventata insostenibile.
Mise da parte la ciotola di brodo ed intrecciò le mani sulle ginocchia. Dal bordo del comodino l'ampolla scintillava, piena per metà del distillato pallido che lei e Draco avevano speso una mattinata a preparare.
“Ora, professore...” cominciò lei, pianamente: non c'era nessunissima possibilità che Piton le rispondesse, ma era sempre meglio che parlare con il niente; “... il composto è piuttosto concentrato. Se le quantità di tossine al suo interno fossero solo leggermente più alte potrebbe essere versato in una tazza e usato al posto del cianuro. Ma, vede, Draco pensa che potrebbe darle la... la scossa giusta per svegliarsi. Potrebbe suscitare la risposta della sua corteccia cerebrale. Abbiamo provato tutto il resto, professore, lei lo sa. Abbiamo provato tutto quello che era possibile provare.”
La sua voce si perse nel niente mentre i suoi occhi si fissavano su un punto qualunque della tappezzeria che aveva di fronte.
“Non so se voglio darle questa roba, professore,” bisbigliò Hermione dopo un istante di silenzio. “Io e lei non siamo mai andati particolarmente d'accordo, ma ciò non vuol dire che io desideri ucciderla. Draco dice che lei non vorrebbe trascorrere il resto della sua vita in questo stato, e forse ha ragione, ma...”
Qualcuno bussò alla porta ed Hermione si interruppe. Alzando gli occhi mentre la maniglia girava, incontrò quelli della signora Weasley nello spiraglio lasciato aperto dal battente.
“Hermione?” la chiamò la signora Weasley, gentilmente. “Forse dovresti scendere in cucina e mangiare qualcosa, cara. Tutti gli altri stanno già scendendo per la riunione.”
Gli occhi di Hermione guizzarono verso l'orologio alla parete.
“E' già ora?”
“Sì, cara.”
“Arrivo subito, signora Weasley.”
La signora Weasley rimase a fissarla in silenzio per un istante. Nei ricordi di Hermione era una signora sorridente dal viso pieno, le guance tonde, gli occhi brillanti. Nei ricordi di Hermione aveva vesti vecchie e sgargianti e maglioni di lana fatti a mano. Adesso il suo viso non era più molto pieno, e non sorrideva molto spesso. Certe volte parlava con Ginny con la stessa dolcezza che aveva usato un tempo, ma quello non confortava Hermione, le faceva solo male al cuore.
Certe volte si guardavano in faccia ed Hermione si chiedeva se non la ritenesse responsabile. Almeno un po'. Per tutto. Per tutto, ma soprattutto per Ron.
Era stata colpa di Hermione. Se Ron era morto. Se Harry era morto. Se erano ancora in guerra. Era stata colpa di Hermione, perché lei aveva creduto di essere intelligentissima e brillante, un genio, e che i suoi piani non potessero fallire; aveva creduto che con Harry al fianco non potessero sbagliare, che lei e lui e Ron avrebbero potuto attraversare anche l'inferno e tornare senza un graffio. Ginny era stata catturata perché aveva voluto seguire Harry ed Harry era morto perché Hermione era stata arrogante. Tutti e tre avevano sbagliato, ma l'errore di Hermione sembrava... sembrava più sporco, in qualche modo. Era stata tutta colpa sua.
“Sembri un po' stanca, cara,” le disse la signora Weasley.
Hermione distolse lo sguardo.
“Ho passato la mattinata in laboratorio, signora Weasley.”
“Dovresti prenderti miglior cura di te,” le disse Molly, gentilmente. “Non servirà a niente ammalarsi.”
Hermione cercò qualcosa da dire; ma, alla fine, non poté fare niente altro se non annuire. Sentì, più che vedere, la presenza della signora Weasley ancora per un attimo sulla soglia: poi la porta si richiuse, e i passi di Molly si allontanarono lungo il corridoio.
Gli occhi di Hermione scivolarono ancora una volta sull'ampolla. Esitò, mordendosi un labbro, e fece per toccarla; ma alla fine cambiò idea, ritrasse la mano e usò la manica per asciugare la saliva dalla guancia di Piton.
“Mi dispiace,” bisbigliò.
Era un bene che il professor Piton non potesse dirle niente, pensò, uscendo nel corridoio. Probabilmente non le sarebbe comunque piaciuto quel che lui avrebbe avuto da dire.

Di sotto si erano già tutti radunati. I gemelli Weasley erano arrivati con grossi panini con la carne fredda in mano, ed erano sembrati relativamente contenti di cederne uno ad Hermione. Shacklebolt sedeva in un angolo con la testa reclinata contro la parete e gli occhi socchiusi; Cho Chang, accanto lui, sonnecchiava con il capo poggiato sulle braccia e il torso sdraiato sul tavolo. Hermione sapeva che erano stati fuori per una ronda attorno al Ministero per quasi trentasei ore di fila. Draco stava costruendo un castello di stuzzicadenti e continuava ad alzare la testa e a guardare male tutti quelli che, passando, smuovevano accidentalmente il tavolo e glielo facevano crollare. Dall'altra parte del tavolo Diggory e il signor Weasley parlavano a bassa voce, la signora Weasley seduta accanto a loro, ed una delle gemelle Patil sfogliava con aria annoiata una rivista lucida.
Hermione aveva appena fatto in tempo a sedersi e ad assestare un morso al panino quando Neville entrò nella stanza. Lei cercò di ingoiare il boccone e si strozzò nel tentativo.
Neville aveva la testa bendata: la guancia sinistra, l'occhio e parte del naso erano coperti dalla fasciatura, ciocche di capelli che spuntavano tra le bende e il bordo di una crosta insanguinata che gli arrivava fin sotto la guancia destra. L'unico occhio scoperto era affondato in un livido pesto, il labbro spaccato e l'espressione spossata; aveva il colorito malsano di qualcuno che avesse perso troppo sangue tutto insieme.
La signora Weasley tirò la manica del marito; e, quando questi si girò ed inquadrò Neville, lui ed Hermione si alzarono insieme per protestare:
“Non dovresti essere qui...”
“Madama Chips ha detto che dovevi restare con gli altri e riposarti, Neville.”
Neville si lasciò cadere seduto in una sedia e scosse la testa. Hermione si piantò i pugni sui fianchi, l'espressione bellicosa.
Neville.”
“Ho il permesso di Madama Chips per essere qui,” replicò lui in tono piano. “Non potevo mancare, adesso.”
“Bullstrode non è stata ancora dimessa?” intervenne Draco inaspettatamente. “Credevo non fosse grave.”
Neville esitò.
“Madama Chips ritiene che abbia bisogno di qualche altro giorno di riposo. Bill sta molto meglio...” aggiunse lui, girandosi verso Molly ed Arthur. “La maledizione che gli hanno lanciato rendeva inutile l'Ossofast, ma Lavanda e Madama Chips pensano di aver risolto il problema.”
Il sollievo sul volto dei signori Weasley fu così palese da risultare quasi doloroso. “E Angelina...?” chiese Shacklebol, mitemente.
Neville scosse la testa.
“Hanno bisogno solo di qualche altro giorno,” ripeté. “Nient'altro.”
Hermione serrò i denti. Nessuno guardò verso di lei, nessuno guardò verso di Draco, ma lei sapeva, tutti sapevano, che Angelina si era svegliata con la bocca piena di sangue e lo stomaco pieno di carne e non era stato un cervo, questa volta, o un cinghiale, un coniglio, un gufo. L'avevano sentita urlare a due piani di distanza, prima che Madama Chips la sedasse e la portasse via con sé.
“E' andata meglio di quanto potessimo sperare,” esclamò Neville in tono brusco: e la lunga occhiata circolare che fece passare attorno al tavolo fece distogliere lo sguardo a molti di loro. “Il branco di Dolohov è disperso. La maggior parte dei mannari sono morti, e quelli che non sono morti sono stati spinti nella zona dei Centauri: non apprezzeranno affatto l'invasione. E abbiamo dato fuoco al nido delle Acromantule, io e Millicent, prima di andarcene. Se non fosse stato per lei non ne saremmo usciti fuori vivi.”
L'ultima frase di Neville sembrava rivolta direttamente a Draco: ma quest'ultimo si limitò a rivolgergli una lunga occhiata neutra e non disse niente.
“Quel che resta da fare è decidere che cosa vogliamo fare adesso.”
“Dovremmo prendere del tempo,” intervenne Arthur Weasley. “Abbiamo troppi feriti. Dopo le perdite della settimana scorsa del gruppo di Luna siamo rimasti senza Susan Bones e Ebenezer Gauntler, e Hannah Abbot si sta ancora occupando dei Baston. Molti dei nuovi sono troppo giovani per sostituirli. Faremmo meglio ad aspettare che i feriti si siano ripresi.”
“Mentre aspettiamo, anche loro si riprenderanno,” intervenne uno dei gemelli – George, forse. Hermione non era mai stata capace di riconoscerli: anche quando avevano indosso i vecchi maglioni della signora Weasley, spesso se li scambiavano e non c'era da fidarsi, così, della lettera sul petto.
“Sarebbe meglio continuare con qualche piccolo assalto qui e lì,” aggiunse l'altro. “Per tenerli occupati. Magari a Notturn Alley: Sinister è un po' troppo rilassato, ultimamente.”
Kingsley scosse la testa senza aprire gli occhi.
“Non possiamo mandare nessuno a Notturn Alley,” disse. “Ci mancano i numeri. Il problema è sempre lo stesso: siamo troppo pochi.”
“Il gruppo di Luna...”
“Luna è rimasta con sette persone. Otto, se vogliamo contare Alicia Spinnet. Seamus ne ha una trentina, ma se si spostassero dall'Irlanda per venire qui la lascerebbero scoperta. Abbiamo già reclutato tutto il reclutabile tra i rifugiati sotto alla barriera del Fidelius; quelli che sono rimasti sono troppo giovani o troppo vecchi o troppo spaventati.” La voce di Shacklebolt suonava orribilmente stanca. “Voldemort ha fatto un buon lavoro, a Londra, e diventa sempre più pericoloso cercare di convincere quelli che ci sono rimasti: credono tutti che la guerra sia finita e che l'unica possibilità di sopravvivere sia allearsi ai Mangiamorte o restarsene buoni, neutrali e tranquilli. Maeshowe l'ha reso indistruttibile, e senza una Profezia a dare fiducia alla gente...”
La voce di Kingsley si perse nel vuoto.
Rimasero tutti per un lunghissimo istante in silenzio. Poi, Neville scosse la testa. Si mise in piedi, lentamente e con evidente fatica, e appoggiò le mani alla tavola per tenersi dritto.
“Io non penso che la guerra sia finita,” esclamò in tono piano. “E non penso che l'abbiamo persa.”
Shacklebolt aprì gli occhi.
“Io non ho detto questo.”
“No. No, è vero. Ma lo pensi.”
Shacklebolt inclinò il capo da una parte.
“Forse,” ammise alla fine, mitemente. “Questo non cambia le cose, tuttavia. Non ho intenzione di andarmi a consegnare ai Mangiamorte. Non ho intenzione di arrendermi.”
Hermione sentì un lungo, lunghissimo brivido risalirle su per la schiena: era come elettrico, liquido, e se lo sentì scorrere dentro la carne e dentro le ossa. Le diede l'impressione di avere troppa poca pelle indosso, troppo stretta, tirata, e di doversi muovere per scrollarsi di dosso uno sgradevole formicolio.
Neville annuì. Stava evidentemente faticando a rimanere in piedi, ma sembrava deciso a restare lì dov'era finché fosse stato necessario.
“Faremmo meglio ad aspettare domani pomeriggio per decidere che cosa fare. Dopo il funerale. Dean si è offerto di restare di guardia a Grimmauld Place: ha bisogno di almeno due volontari che rimangano con lui... ditelo a lui, se siete disponibili. Pensateci su, intanto.” Li guardò tutti, uno ad uno, l'occhio privo di bende che scorreva attorno alla tavolata. “Potrebbe essere un'occasione per farlo sapere anche ai Mangiamorte,” esclamò alla fine, quietamente. “Che non ci arrenderemo.”


- - -




Ed era questo il punto. Che avevano perso la guerra. Che Harry era morto, tutte le Profezie infrante, tutti i desideri bruciati. Harry era morto, non c'era più speranza. Ron era morto, non c'era più gioia. Erano morti ed avevano lasciato Hermione da sola. Ed era questo il punto, ed era questo il punto: la guerra era persa, forse, e loro non si volevano arrendere.
Non ne valeva la pena di aver sofferto così tanto, pensò Hermione mentre apriva l'ampolla, per poi cedere così. Sarebbe stato come aver gettato tutti quegli anni, buttati via in una nuvola di niente, dispersi mentre cedevano e lasciavano che l'impotenza avesse la meglio. Erano sopravvissuti a Maeshowe. Avevano ucciso Bellatrix. Avevano ucciso Greyback. Avevano disperso il branco di Dolohov. Loro non stavano cedendo ed Hogwarts – Hogwarts resisteva. Hogwarts era chiusa ai Mangiamorte, chiusa al Signore Oscuro, e neanche lui era riuscito a mettere piede nell'ufficio del Preside. Se anche chi era morto da anni continuava ad opporsi, non sarebbe stata una vigliaccata cedere per chi respirava ancora?
Portò l'ampolla alla bocca semiaperta del professor Piton e gli strinse una mano con forza.
“Buona fortuna, professore,” sussurrò Hermione.

L'ampolla cominciò a svuotarsi.





Note: Approfitto dell'interessante segnalazione trovata oggi nella chat di Nocturne Alley per indirizzarvi a questo articolo di Elena Stancanelli. Mi piacerebbe sottolineare in particolar modo l'uso che fa del termine paraletteratura. Paraletteratura, è una definizione che ha ancora senso? Ne ha mai avuto?

Passando a tutt'altri temi, dierrevi ha suggerito che il titolo di questa storia fosse ispirato dall'affascinante trittico Hermione/Piton/Ginny... con Hermione nella parte del Principe Azzurro che deve decidere chi baciare tra gli altri due. L'immagine mi ha causato non pochi traumi.

Cioccolato! Fragole e cioccolato a tutti voi che vi fermate, sempre con tanta pazienza, a lasciarmi un'opinione. Mi avete dato l'energia di finire questo capitolo alle dieci meno dieci di sera... dopo una deliziosa giornata trascorsa leggendo Pascoli. Pascoli. Ugh.

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Capitolo 3
*** Mondi al collasso ***




3. Mondi al collasso




Al principio i Babbani si erano chiesti come fosse possibile che solo l'Inghilterra stesse attraversando un lunghissimo, gelido inverno che non sembrava voler finire mai, mentre il resto dell'Europa si scioglieva in una delle primavere più calde del secolo. Anche quando il sole splendeva, la sensazione di gelo non se ne andava mai: rimaneva su tutte le cose, come una brina, una nebbia, uno strato sottilissimo di ghiaccio che si insinuava nel sangue e rendeva i pensieri lenti e pesanti. Dopo quella pallida primavera senza calore era arrivata l'estate... per tutti tranne che per gli inglesi... e poi di nuovo l'autunno, l'inverno... primavera...
Era successo tre anni prima.
Non c'era più stata alcuna primavera, per la Gran Bretagna, da quando Voldemort aveva lasciato i Dissennatori a piede libero: i Babbani non potevano vederli, ma potevano sentirli, sicuro, e mentre restavano sulle strade, colti da malori che nessun medico riusciva a spiegare, mentre non si svegliavano al mattino e trovavano i corpi gelidi nei letti, mentre morivano e non c'erano ragioni e non c'era modo di fermare tutto ciò, la paura cresceva, cresceva, cresceva. Una pandemia. Un morbo. Un attacco terroristico. Gli alieni. La fine del mondo, l'Apocalisse...
Il primo attacco di Voldemort ai Babbani non aveva avuto nulla di fisicamente visibile: era solo lì, nell'aria. Impalpabile. Nessuno usciva di casa se poteva farne a meno – ma nessuna casa era sicura.
Però, in quell'angolo di Cornovaglia, sotto agli strati su strati di barriere, incantesimi e schermi, l'aria era chiara, il cielo limpido: il vento filtrava tra una barriera e l'altra e neanche i Dissennatori riuscivano ad arrivare fin lì. L'erba era verde come una promessa, e c'erano drappi di papaveri che emergevano dal suolo con ostinata tenacia: tutti gli altri fiori morivano e appassivano nell'aria che crepitava di freddo e di maledizioni, e nessuno aveva tempo di seminare e far crescere niente che non fosse immediatamente convertibile in cibo, ma i papaveri riapparivano ad ogni aprile come niente fosse.
Le pietre bianche, lì in mezzo, erano come piccole vele: emergevano da un mare di fiori rossi ed erbe selvatiche e c'erano tanti nomi sottili scritti su ciascuna di esse. Al principio loro avevano cercato di metterne una per ognuno dei caduti, per quelli che conoscevano e quelli che non conoscevano, quelli che avevano combattuto e quelli che erano stati solo tirati in mezzo: ma dopo un po' si erano resi conto che i nomi erano troppi, semplicemente, e allora che fare...? Tirar su una pietra solo per i morti dell'Ordine? Solo per quelli che morivano a Grimmauld Place? Sembrava così ingiusto.
Non c'erano nomi più grandi o nomi più piccoli. Non c'erano date: avevano cominciato a scriverle, al principio, ma poi faceva male vederle, tutte quelle date che arrivavano fino a diciassette, fino a diciotto anni, e poi si fermavano. Tutte possibilità interrotte. Perdute.
C'era il nome di Ron, là in mezzo. C'era quello di Harry, due righe più giù del nome di Minerva McGranitt, Harry Potter, e ogni volta Hermione si chinava a cercarli sulla pietra bianca sperando che vederli avrebbe fatto meno male, almeno un po'.
Posarono la bara di legno in una fossa a poca distanza dalle pietre bianche. Millicent se ne stava prostrata in un angolo, gli occhi infossati e le labbra strette, e, quando il signor Weasley andò a chiederle se voleva dire qualche parola, scosse la testa con un barlume di terrore negli occhi. Luna era arrivata da pochi minuti, distratta e trasognata, con una Passaporta da Newcastle ed un gran mazzo di giunchiglie gialle in mano. Con lei era venuta Hestia Jones, ma non i Baston; tutti sapevano che Oliver aveva perso una gamba nell'ultimo attacco, e che probabilmente nessun incantesimo conosciuto sarebbe stato in grado di farla ricrescere. Aveva sperato di giocare a Quidditch da professionista. Dall'età di undici anni non aveva mai passato più di una settimana di fila senza salire su una scopa. In qualche modo, nel mezzo di tutti quelli che morivano, quella pareva una perdita più sporca. Era come vedere il mondo attraverso uno specchio deformante: tutto quel che aveva avuto importanza prima ne stava perdendo, adesso, a poco a poco.
Alla fine fu Anthony Goldstein a dire qualcosa. In piedi sulla tomba aperta parlò di quanto Terry fosse stato eccezionale, di quanto tutti gli avessero voluto bene, di quanto sarebbe mancato a tutti. Erano parole vuote, pensò Hermione, svuotate del loro significato perché le avevano ripetute troppo spesso in quegli anni, per troppe persone, in troppe occasioni; ma era tutto quel che si poteva dire. Terry Boot era stato coraggioso. Terry Boot non si era tirato indietro. Era stato buono e leale. Era stato vicino a Millicent quando non tutti erano stati disposti a correre il rischio. Aveva desiderato di fare altro e si era trovato incastrato come tutti loro, bloccato al di là del riflesso deformato di tutte le cose che erano andate male e che erano andate peggio: e, invece che fare la scelta più facile, aveva fatto quella giusta.
Quando fu il momento, tutti presero una vanga o ne Trasfigurarono una e cominciarono a buttare terra ed erba sulla cassa di legno. Millicent scavava come se avesse voluto seppellire, insieme al corpo di Terry, tutte le speranze che aveva dovuto impilare su di lui nel corso degli anni. Hannah, alla sua sinistra, era una figurina magrolina e smunta con troppi capelli del color della paglia.
Sotto ad una macchia d'alberi, Madama Chips si stava facendo aiutare da un gruppo di bambini a stendere per terra larghi teli colorati e i piatti del pranzo freddo che avevano preparato per tutti loro: Hermione li guardò fare, e ce n'erano alcuni così piccoli che le arrivavano a malapena a mezza coscia, altri che potevano essere quasi in età da Hogwarts, e poi tutte le età e le dimensioni nel mezzo. Sembravano relativamente contenti di essere lì; doveva essere bello essere autorizzati a starsene in mezzo a così tanta gente per una mezza giornata, doveva essere come una festa, là all'aperto sotto un cielo misericordiosamente azzurro. A qualche passo di distanza, Draco li stava osservando con un'espressione come ipnotizzata, trasfigurata, che ad Hermione non piacque affatto: fece per avvicinarglisi, ma Remus la precedette, raggiungendolo e toccandogli una spalla e convincendolo in qualche modo a spostarsi altrove.
Hermione non sapeva precisamente cosa fosse accaduto a Draco, prima; aveva appreso nel corso degli anni che non fare domande era una salutare abitudine e che la curiosità era qualcosa che avrebbe fatto meglio a rimanere, insieme a Ron, ad Harry ed al ricordo dei giorni verdi di luce di Hogwarts, tra i segmenti di una vita passata. Ma la notte Draco si agitava. Si lamentava nel sonno, e loro avevano diviso una delle tende del signor Weasley ogni volta che avevano lasciato Grimmauld Place per una missione... ed era difficile avere un po' di privacy in una di quelle. A Draco non piaceva essere toccato. A Draco facevano paura i bambini.
Non era che ci fosse precisamente bisogno di fare domande, a volte, per avere risposte. L'ultima palata di terra piovve sulla bara chiusa. Luna si chinò e posò le giunchiglie, gentilmente, in cima al cumulo.

C'erano cose luminose che Hannah ricordava di aver desiderato. Paure che ricordava di aver avuto. La Camera dei Segreti al secondo anno, ogni volta che Harry Potter le era passato a meno di cinque passi di distanza e lei aveva pensato che forse era lui il mostro, Sirius Black a piede libero, i manifesti appesi alle mura di Hogsmeade con le loro orribili facce scure e come aggrovigliate, temere di essere l'unica che sarebbe andata al Ballo del Ceppo da sola, ma poi Ernie si era deciso ad invitarla e tutte le cose si erano risolte. Cedric e la Umbridge e Silente, e poi Voldemort, sopra a tutto il resto, come un'ombra nera che aveva macchiato i suoi anni di scuola.
Tutti i ricordi di quelle cose luminose erano come spersi, adesso, in una nebbia di giorni neri e di mattine in cui si svegliava chiedendosi se ne valesse veramente la pena, di alzarsi, e tutte le paure che ricordava – vagamente, ma le ricordava – sembravano niente al confronto. Era diventato faticoso anche solo aver paura.
“Ho saputo di Ernì.”
Tutti sapevano di Ernie, pensò Hannah. Chi non lo sapeva?
“Sono molto dispiosciuta, Hannah.”
Hannah pensò per un attimo che si sarebbe messa ad urlare. Pensò che si sarebbe girata verso Fleur e che le avrebbe tirato i capelli e graffiato la faccia, perché c'era dentro di lei tutto un grumo di pensieri orribili e mostruosi che continuava a gonfiarsi, a gonfiarsi, a gonfiarsi, e che prima o poi sarebbe esploso. Ad Hannah non importava. Non importava che gli altri si dispiacessero e non importava che gli altri capissero. Avevano trovato il corpo di Ernie in una fossa ed erano occorse due pozioni ed un incantesimo per identificarlo, perché era stato irriconoscibile. Gli avevano strappato dei pezzi. Gli occhi, gli mancavano gli occhi. La sua faccia era stata torta in un'espressione di terrore tanto grande da essere percettibile anche senza la pelle. Doveva averci messo molto tempo a morire, e non era stata una bella morte.
Insieme con lui erano morte altre ventisette persone, uomini e donne, ma soprattutto bambini, tutti quelli che Ernie aveva custodito sotto la cupola dell'Incanto Fidelius.
C'era un limite oltre il quale la tortura spezzava tutte le cose, portandosi dietro strati dopo strati di pelle e viscere e pezzi e resistenza, strappando via l'umanità e con quella anche il ricordo delle cose che si volevano proteggere, salvare, la memoria delle cose che avevano avuto importanza. Ernie doveva aver detto ai Mangiamorte quel che volevano sentirsi dire pur di farli smettere, purché la tortura cessasse, perché il suo corpo era stato trovato dopo solo due giorni dalla sua scomparsa, e, quando l'Ordine era corso a controllare che il Fidelius fosse ancora al suo posto, avevano trovato ad aspettarli soltanto una trappola e ventisette cadaveri.
L'Ordine aveva cercato di tenere la storia per sé: c'erano ancora tre luoghi sicuri, protetti dal Fidelius e da uno strato di barriere contro i Dissennatori, contro le maledizioni, contro i veleni e contro il freddo e la paura... ma tutti i luoghi erano sicuri solo finché la persona che li custodiva lo era. Ernie doveva aver fatto una sciocchezza. Doveva aver commesso un errore. Un'imprudenza. Erano morti in ventotto per questo.
“Se sc'è qualcosa che posso fare... se hai bisogno di qualche giorno per riposare, qualche giorno per tu...”
Hannah aprì bocca e si trovò una replica crudele sulla punta della lingua: ma poi la ricacciò indietro, ingoiandola, perché Fleur stava solamente cercando di aiutare. Era inutile balzare gli uni alla gola degli altri, anche se questi altri stavano facendo di tutto, davvero, per provocare reazioni feroci, perché c'era già un mondo intero da affrontare, fuori di lì, non potevano litigare e discutere e incattivirsi anche qui.
“Io sto bene, Fleur,” replicò perciò, la voce piatta. “Davvero. I bambini sono sempre molto carini, ed ho la signora Hopkins ad aiutarmi con loro.”
I bambini erano carini. Anche la signora Hopkins era carina: carina sul modello vecchia zitella molto sola e un po' invadente, ma carina lo stesso. Erano stati molto gentili con lei, quando avevano saputo di Ernie. A loro Hannah non aveva raccontato che Ernie era stato il quarto del Fidelius, la quarta persona a reggere, con lei, Madama Chips e Fleur Delacour le barriere dei piccoli atolli protetti per Mezzosangue e Nati Babbani in Inghilterra. A loro non aveva raccontato che la morte di Ernie era stata la prima di una strage.
Ad Hannah la Hopkins e i bambini piacevano. Non voleva spaventarli, perché era quello il problema, no? Dopotutto, Ernie e lei erano stati amici, ma Hannah ne aveva persi già molti, di amici. Aveva perso i suoi genitori. I suoi cugini. Aveva perso Susan, e il dolore per quella morte era stato come una pugnalata, lancinante. Non era quello il punto – il punto era che il primo era stato Ernie, quale di loro sarebbe stato il prossimo?
A chi toccherà adesso? Era la domanda che si faceva tutte le mattine. C'erano giorni in cui Hannah pensava che morire non sarebbe stato poi tanto male, giorni in cui la speranza usciva dalla finestra insieme con il sonno, giorni bui dove pioveva più del solito e i Dissennatori passavano troppo vicini alle barriere: ma Hannah non voleva morire così, Hannah non voleva perdere la pelle del viso e le dita e gli occhi, e venire fatta a pezzi, pezzo dopo pezzo dopo pezzo, finché niente più di umano sarebbe rimasto in lei, finché avrebbe detto e fatto qualunque cosa, tradito chiunque, tutti, purché ogni dolore finisse.
Fleur aprì bocca di nuovo, e sembrava sul punto di dire qualcos'altro – presumibilmente, valutò Hannah, qualcosa che l'avrebbe spinta finalmente oltre il bordo, così avrebbe potuto cominciare a strillare e ad insultarla e a dar sfogo al grumo nero nel suo stomaco – ma non fece in tempo a parlare prima di essere interrotta dalla voce di Hermione.
“Hannah?”
Se anche lei le avesse detto che le dispiaceva, pensò Hannah con un vago sentimento di disperazione, l'avrebbe picchiata. Davvero.
“Stiamo tornando a Grimmauld Place,” disse invece Hermione, quietamente. “Emmeline ha chiesto una riunione generale. Madama Chips vuole venire con noi per dare un'occhiata al professor Piton, e speravamo che tu e Fleur poteste restare qui con Anthony fino a stasera per dare un'occhiata ai bambini.”
Grimmauld Place era un posto buio e freddo che ad Hannah non piaceva per niente; a Londra la concentrazione di Dissennatori era troppo alta per permettere ad una qualunque barriera di essere veramente efficace, e così il gelo filtrava anche lì, attraverso le pareti, e manteneva vivo l'inverno tutto l'anno. Alla riunione avrebbero probabilmente parlato di quanto le cose stessero andando male e di come sarebbero sicuramente andate peggio e alla fine, tra quello, il freddo e la depressione, Hannah avrebbe trovato molto, molto difficile alzarsi la mattina dopo senza pensieri neri.
Restarsene nell'angolo di Cornovaglia luminoso e azzurro come un mondo alieno alla realtà buia non era poi questo gran sacrificio.
Annuì e Fleur disse:
Mais oui.”
Hermione ne parve sollevata. “Madama Chips tornerà prima delle nove e vi riferirà tutto quel che è stato detto.”
Altre buone notizie, perciò, in previsione per le nove. Delizioso.
Hermione fece per allontanarsi, ma poi esitò. Spostò lo sguardo da Fleur ad Hannah e parve tentennare per un lunghissimo istante, prima di domandare:
“Posso parlarti per un attimo, Hannah? In privato.”
Fleur non aspettò che le venisse chiesto di farlo, prima di girarsi e andarsene. Alla luce del sole i suoi lunghissimi capelli scintillarono come argento pallido, così lunghi da perdersi sul cotone della gonna chiara, mentre si incamminava verso la cima della collina, dove Bill e gli altri stavano incidendo il nome di Terry su una delle pietre bianche. Hannah si morse un labbro.
“Che cosa c'è?”
La domanda era venuta fuori più bruscamente di quanto l'avesse intesa, ma ormai era tardi per rimangiarsela.
Hermione si guardò intorno, per esser certa che nessuno fosse a portata di orecchio, prima di affermare a bassa voce:
“Vorrei solo che tu sapessi che la signora Weasley ha detto di essere interessata ad occuparsi un po' più dei bambini. Vuole tenere loro lezione... una specie di scuola. Per insegnare a leggere... a scrivere... un po' di magia... soprattutto per quelli che non hanno più i genitori, o che li hanno lontani da qui. Non le dispiacerebbe prendere il tuo posto sotto il Fidelius, e, se tu preferisci, potresti avere un incarico diverso. Più attivo, magari. Con una delle squadre, o... o a Grimmauld Place, con noi. Millicent avrà bisogno di un altro compagno.”
Hannah la ascoltò parlare, un senso di incredulità crescente che le montava dentro, e sbatté le palpebre, al principio, confusa e perplessa. Dapprima non riuscì a credere a quel che le stava venendo offerto, ma poi ci credette, e l'indignazione prese il posto dell'incredulità, e dopo l'indignazione arrivò la rabbia.
Pensavano così poco di lei? Cos'era, un modo gentile per offrirle... per offrirle di tirarsi indietro? Credevano fosse spaventata e che volesse andarsene, tirarsi fuori, lasciare che il Fidelius passasse a qualcun altro? Fare di qualcun altro un bersaglio? Pensavano che fosse...
… pensavano che avesse paura?
Il gelo la invase e schiacciò anche l'ira.
Aveva paura. Aveva paura da morire. Aveva paura e se ne vergognava, ma non riusciva a smettere di averne. Aveva paura di venire uccisa, paura che l'incantesimo sbagliato la colpisse durante uno scontro, ma ancor più aveva paura di venire catturata, presa viva, torturata, che a lei fosse fatto quel che avevano fatto ad Ernie. Il resto non riusciva, proprio non riusciva, a spaventarla così tanto.
Hermione la stava osservando con gentilezza ed Hannah pensò che loro l'avrebbero capita. La signora Weasley avrebbe preso il suo posto ed Hannah... Hannah avrebbe potuto tornare a Grimmauld Place e far parte degli scontri, delle squadre. Certo, c'era sempre il rischio di farsi ammazzare, così, ma il rischio di far ammazzare qualcun altro sarebbe stato minore. Non avrebbe avuto il peso di tutti gli altri sulle spalle, solo... solo il suo.
E la signora Weasley avrebbe preso il suo posto.
Hannah aprì bocca e tutto dentro di lei gridò sì sì sì, e invece quel che le uscì fuori fu:
“No.”
No, perché i bambini le piacevano. I bambini le piacevano e la signora Hopkins le piaceva e lasciarli in mano a qualcun altro, fosse anche stato la signora Weasley, le sarebbe sembrato un tradimento. Lei non sarebbe stata come Ernie. Lei sarebbe stata prudente e sarebbe stata accorta ed avrebbe tenuto gli occhi aperti e sarebbe morta prima di farsi prendere viva. Nessuno sarebbe arrivato a loro finché c'era lei in mezzo.
“Non ce n'è bisogno,” ripeté.
Qualcosa si spezzò dentro di lei e per la prima volta da quelli che parevano mesi le sembrò di respirare.
“Andrà tutto bene.”

- - -



Hermione fece il giro del tavolo e Draco spinse una sedia vuota con il piede, pigramente, per farle spazio; lei ci si lasciò cadere seduta sopra e si piegò verso di lui.
“Qual è il problema, adesso?” bisbigliò. “Credevo avessimo deciso di rimandare tutti gli incontri a domani.”
“La Vance è tornata da Edimburgo,” replicò Draco, gli occhi socchiusi e l'espressione annoiata. “Hanno preso MacNair.”
Hermione rabbrividì.
Walden MacNair...?”
Draco scosse la testa.
“Il padre.”
Non era MacNair. Il disappunto era gelido e sapeva di ricordi scuri e sporchi. L'ascia sulla testa di Fierobecco, il Ministero al quinto anno, la Battaglia di Hogwarts e... e tutti sapevano che era il boia di Maeshowe, tutti sapevano per le mani di chi passavano quelli dell'Ordine che venivano catturati. Saperlo morto le avrebbe lasciato in bocca un buon sapore. Poi, qualcosa di quel che Draco aveva detto la colpì come assurdo e la spinse ad alzare la testa:
“E l'hanno preso vivo?”
“Esattamente.”
I Mangiamorte facevano prigionieri, qualche volta. I Mangiamorte facevano prigionieri e poi li facevano a pezzi un po' alla volta. Facevano arrivare le teste nelle ceste davanti alle case di Diagon Alley e appendevano le pelli alle porte – come avevano fatto sei mesi prima sul battente sfasciato dei Tiri Vispi Weasley. Nessuno ad Hogsmeade aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a quella cosa sottile come pergamena, come la pergamena tesa, asciutta, che aveva ondeggiato nel vento per giorni e giorni, finché a Grimmauld Place non erano venuti a saperlo e non avevano organizzato una spedizione per rimuoverla. Nessuno aveva mai trovato il coraggio, poi, di dire a Susan Bones che la pelle inchiodata al legno era stata quella di sua zia.
Ad ogni modo, l'Ordine non faceva prigionieri. Prigionieri – e per metterli dove? Ad Azkaban? Non c'era più nessuna Azkaban, e il resto dell'Europa si era delicatamente rifiutato di ospitare nelle sue prigioni i Mangiamorte. A nessuno faceva piacere il pensiero di poter essere il prossimo probabile bersaglio di Voldemort.
Draco dovette leggerle la perplessità in faccia, perché reclinò ancor più il capo all'indietro, le gambe allungate sotto al tavolo e le braccia abbandonate nella postura di qualcuno che si trovava lì solo perché costretto, e che non aveva intenzione di far niente per nasconderlo.
“Le Patil...” spiegò oziosamente, “... stanno portando avanti non si sa quale ricerca e hanno chiesto a tutte le squadre di far avere loro Mangiamorte vivi, quando possibile. Sembra che Paciock lo sapesse.”
Hermione aggrottò la fronte.
“Io non lo sapevo.”
Draco sogghignò, aprendo un occhio quel tanto che serviva per guardarla:
“Forse perché pensavano che tu avresti fatto di tutto per non farglieli avere vivi, Granger.”
Hermione serrò le labbra. Non era così. Lei non era così. Fece per aprire bocca e dire a Malfoy di ficcarsi la lingua tra i denti e di tenerla lì, ben stretta, invece di sputare stupide sentenze su cose delle quali non sapeva niente, quando ripensò a MacNair, che era il boia di Maeshowe, che torturava quelli che Voldemort gli dava, che forse aveva avuto le mani su Ginny, su Harry, su Ron...
Si ritrovò a fissare il sopracciglio inarcato di Draco con i pensieri in fiamme e la bocca inaridita.
Madama Chips, accanto a lei, si mosse sulla sedia e la fece scricchiolare, ed Hermione lanciò una lunga occhiata circolare alla stanza, improvvisamente allarmata: ma sembrava che nessuno avesse seguito la loro conversazione. Kingsley era in piedi in un angolo e parlava con il signor Weasley ed Amos Diggory, Cho seduta accanto a lui e Millicent ad ascoltare quel che stavano dicendo. Sembrava in condizioni lievemente migliori, Millicent, e non aveva più lo sguardo spaventosamente infossato che aveva esibito solo poche ore prima: pensare alle cose che poteva fare, evidentemente, le faceva bene. C'erano altri in giro per la sala, i gemelli Weasley e Bill, il braccio ferito stretto in una fasciatura fissata al petto, Michael Corner afflosciato su una sedia e, inaspettatamente, Dedalus Lux accanto a lui. Le rivolse un piccolo cenno della mano ed un minuscolo sorriso, e lei rispose dopo una lieve esitazione.
Dopo alcuni minuti arrivarono Neville ed Emmeline, le braccia piene di pergamene arrotolate, seguiti dalle gemelle Patil. Hermione ricordava Calì come una ragazza dal viso grazioso, con un gusto per tutto quel che era colorato e scintillante. Ricordava il suo vestito molto rosa il giorno del Ballo del Ceppo e la farfalla che la McGranitt le aveva fatto togliere dai capelli e il modo in cui si era chinata, l'espressione adorante, ad ascoltare quel che Sibilla Cooman diceva a lezione. Padma, a confronto, le era sempre sembrata un poco scura, un poco tetra: ma adesso erano come due gocce d'acqua, come un riflesso in uno specchio, uguali in una maniera in qualche modo differente da quella in cui lo erano i gemelli Weasley. Mentre Neville ed Emmeline sedevano, loro rimasero in piedi e cominciarono a srotolare le pergamene sul tavolo: erano ricoperte di grafici e di appunti in una grafia minuta e strettissima. Hermione adocchiò un disegno familiare e sgranò gli occhi, sporgendosi attraverso il tavolo per guardare meglio; sentì Draco, alla sua sinistra, far scricchiolare la sedia mentre faceva lo stesso.
Fu uno dei gemelli Weasley, tuttavia, a dar voce a quello che loro avevano solo pensato:
“Ehi, questa non è Maeshowe?”
Tutta la tavolata, stavolta, si sporse per guardare meglio.
“L'abbiamo trovato,” disse una delle gemelle – Calì, forse. Portava i capelli sciolti.
“Abbiamo scoperto come ha fatto Tu-Sai-Chi a trasformare Maeshowe in una fonte di potere,” disse l'altra.
“E' il Cerchio di Brodgar,” spiegò Calì. “Maeshowe non è niente più che una tomba. Poteva essere trasformata in una fortezza, una volta che sono riusciti a superare le barriere e ad accedere alle vere stanze sotterranee, ma questo non spiegava come Tu-Sa... come lui fosse in grado di accedere a tutto quel potere. E' colpa del Cerchio di Brodgar. L'ha spostato attorno a Maeshowe e...” Le sue dita sottili tracciarono percorsi sulla carta, spostandosi al di sopra dello schizzo della bassa collina erbosa di Maeshowe e indicando le pietre che Voldemort aveva posto attorno ad essa – ventisette pietre lavorate antiche di migliaia di anni, disposte attorno ad un diametro di oltre cento metri, sature con tutto il potere che aveva continuato ad accumularsi attorno ad esse da quando i primi maghi della Gran Bretagna le avevano alzate verso il cielo; “... l'ha trasformato in un imbuto. E' il Cerchio di Brodgar che fa da sifone a tutto il potere dell'isola. Ha tutto il potere della Gran Bretagna, tutto quello che gli viene dai siti magici sparsi per il Paese. L'unico posto che non può toccare è Hogwarts... perché le barriere della scuola la proteggono... ma anche le barriere non dureranno a lungo. L'Inghilterra è piena di luoghi adatti – Diagon Alley, Skara Brae, le pietre di Stenness... continuerà a succhiare potere finché ce ne sarà. Finché non sarà tutto prosciugato.”
“Finché sarà legato al Cerchio di Brodgar, ed il Cerchio di Brodgar a Maeshowe...” sostenne Padma, “.. non ci sarà modo per fermarlo.”
Pensare a Maeshowe era pensare a cose che Hermione avrebbe preferito dimenticare; ma lei toccò lo stesso con un dito la pergamena, sporgendosi per leggere gli appunti segnati sul bordo di questa.
“Mi sembra avessimo già ipotizzato qualcosa del genere,” affermò Kingsley Shacklebolt, cautamente.
Le gemelle Patil alzarono gli occhi verso di lui.
“Ma noi abbiamo il rito, adesso,” disse Padma. C'era una vena di soddisfatta eccitazione che le vibrava nella voce. “Tutto il rito, completo di incantesimo e presupposti e materiali... Ce l'aveva Edmund MacNair.”
“Edmund MacNair deve avere cento anni o giù di lì...” disse Draco, la voce strascicata. “E' un vecchio rincretinito. MacNair se ne vergognava, lo teneva chiuso in casa per non farlo vedere a nessuno.”
“... e per tenerlo lontano dal Ministero,” intervenne Emmeline Vance, aspramente. “E' vecchio, ma non è rincretinito per niente. Era amico di famiglia dei Nott e dei Lestrange, ed aveva sostenuto neanche troppo velatamente la campagna dei Mangiamorte. Dopo la scomparsa di Voldemort ha faticato a dimostrare la propria innocenza, e solo il denaro di famiglia gli ha evitato Azkaban. Il figlio ha portato al processo la testimonianza di una mezza dozzina di guaritori che hanno sostenuto che MacNair era vecchio e non del tutto lucido, e sembrava non avesse il Marchio Oscuro, perciò... Dopodiché si è chiuso in casa e nessuno l'ha più visto né incontrato. E adesso se ne va in giro con i Mangiamorte, e il Marchio Oscuro ce l'ha eccome!”
“Ha aiutato Tu-Sai... be', lui, ad alzare il Cerchio di Brodgar,” disse Padma, nel silenzio che seguì le parole di Emmeline. “Insieme ad altri quattro Mangiamorte – tutti morti. Voldemort si è sbarazzato di loro, ma MacNair doveva essergli utile, perché è rimasto vivo.”
Le possibili conseguenze di quel che Padma e Calì stavano dicendo colpirono per la prima volta Hermione, dritte attraverso uno strato di incredulità e di sospetto che era la naturale conseguenza a tre anni di cose andate storte. Era così strano pensare che potesse essere vero, che ci fosse qualcosa – soltanto qualcosa! – che potesse... funzionare.
“Che ne avete fatto di lui?” domandò, un brivido di panico improvviso a scorrerle lungo la schiena.
“Non l'abbiamo ucciso,” esclamò Calì, la voce nuovamente orgogliosa. “Il professor Lumacorno l'ha Obliviato e noi l'abbiamo rimesso esattamente dove l'avevamo trovato.”
“Lumacorno sa di tutto ciò?” Nella voce del signor Diggory c'era più di una semplice punta di sfiducia.
Le gemelle Patil gli lanciarono un'occhiata infastidita. Calì aveva vissuto, dopo la morte di Sibilla Cooman, un periodo di generale depressione che si era concluso quando il professor Lumacorno, che non faceva precisamente parte dell'Ordine, ma quasi, aveva cominciato ad interessarsi a lei ed alla sorella. Lumacorno era intelligente, ed era un abile mago, ed era qualcuno che pensava sempre diversi passi avanti rispetto agli altri, ed anche se a nessuno piaceva davvero – non abbastanza da permettergli l'accesso a Grimmauld Place, almeno – non potevano negare che sapesse rendersi molto utile quando voleva.
“E cosa ne pensa lui, di questo?” chiese Neville, indicando le pergamene sul tavolo.
“Pensa che abbiamo ragione. Gli abbiamo lasciato una copia del rito, e ha detto che ci penserà su.”
Ci fu un altro, lunghissimo istante di silenzio; e in questa pausa parve quasi di riuscire a sentire le rotelle di tutti che ronzavano.
“Abbiamo preparato una copia anche per te, Hermione,” disse Calì, lentamente. “Potremmo trovare una falla. Un modo per staccare il Cerchio da Maeshowe, per indebolire Tu-Sai...” prese un respiro percettibilmente profondo, “... V-Voldemort. Per renderlo umano. Se si potesse...”
“Hermione!” La porta della stanza si spalancò e la signora Weasley apparve sulla soglia, trafelata e sconvolta, boccheggiando come se avesse sceso le scale di corsa. “Hermione, sei... Oh, Madama Chips! Presto, dovete... dovete venire!”
Hermione realizzò di essersi alzata in piedi senza accorgersene. Quando parlò, si stupì che la voce riuscisse ad uscirle dalle labbra malgrado il groppo pulsante che si sentiva in gola:
“Che succede?” Ginny. Ginny. Ginny.
“E' il professor Piton...” annaspò Molly Weasley.
Oddio.

Quando arrivarono nella sua stanza, il professor Piton doveva aver smesso di respirare già da alcuni minuti. Aveva le labbra bluastre, il viso cianotico, le pupille come due striature nere al di là delle palpebre semichiuse. Il petto non si alzava e non si abbassava sotto il camice, e quando Madama Chips gli batté la bacchetta due volte sul torace non si levò alcuna scintilla dorata a segnalare che c'era ancora un cuore che batteva, lì dentro.
Hermione sentì qualcosa andarle in pezzi, dentro, esplodere in un milione di minuscoli frammenti che si lasciarono dietro solo strie brucianti, al principio, e poi, il vuoto.
La voce di Draco arrivò soffocata da dietro la porta socchiusa, e lei fece per girarsi e fermarlo, per impedirgli di entrare nella stanza, di vedere, di sapere, ma le sue gambe sembravano di piombo e non volevano saperne di muoversi. La porta cigolò e Draco apparve nel riquadro di spazio tra il battente e lo stipite.
Hermione non si mosse. Continuò a guardare dritta di fronte a sé.
Era stata lei. Era stata lei a versargli il distillato in bocca. Lei a dargli il veleno, era... era colpa sua. Come per Ron. Per Harry. Colpa sua. Colpa sua se stavano perdendo la guerra, colpa sua, colpa sua se sarebbero tutti morti, colpa sua, colpa sua, colpa sua. Aveva ucciso il professor Piton.
“E' morto?” chiese Draco, nel silenzio. La sua voce suonò piccola e vacua come quella di una persona molto, molto più giovane.
Madama Chips esitò per un lunghissimo istante, prima di annuire. Piegandosi, sollevò la mano del professor Piton per stringerla per un attimo tra le sue, accarezzandone il dorso prima di posarla nuovamente sulle lenzuola del letto.
“Il cuore ha ceduto,” affermò quietamente.
Draco avanzò d'un passo nella stanza; ma poi, come colto da un improvviso terrore, si ritrasse di nuovo:
“Tutto qui? E non... non può... non si può fare niente?”
Poppy Chips alzò gli occhi, finalmente, e guardò verso di lui prima di scuotere la testa.
“Temo sarebbe inutile,” mormorò, la voce che scivolava verso il mite tono gentile che Hermione le sentiva usare ogni volta che c'era una cattiva notizia da dare. “Era molto debole.”
Ed io l'ho ucciso, pensò Hermione. Il colpo di grazia. Gli aveva versato il veleno tra le labbra e gli aveva augurato buona fortuna. Dio. Gli aveva augurato buona fortuna.
Forse era quello che Piton avrebbe voluto. Morire, morire finalmente, morire e farla finita con le pozioni che gli andavano di traverso e le cose che sperimentavano su di lui nella speranza che si svegliasse, morire finalmente e farla finire con la bava sul cuscino e le mutande che dovevano essergli cambiate e dover esser visto in quelle condizioni... lui che era stato così pieno di orgoglio, ferocissimo, spietato orgoglio.
Hermione ricordava che c'era stato un tempo in cui l'aveva odiato, Piton, aveva odiato la sua lingua tagliente e l'aveva odiato per essersela presa con Harry, Harry così buono, Harry così candido, così piccolo, e l'aveva odiato per averla insultata e derisa e umiliata, sicuro, ma mai una volta avrebbe pensato – mai una volta aveva pensato – di poterlo uccidere.
“Avete fatto tutto quel che potevate,” stava dicendo Madama Chips, dolcemente. “E molto di più, per lui.”
Hermione si trovò sul punto di dire abbiamo fatto di più – io, ad esempio, l'ho ucciso, ma si trattenne. Lei aveva dato la Mandragola a Piton, ma era stato Draco a dirle di distillarla perché fosse più potente. E Draco, Dio, l'ultima cosa della quale Draco aveva bisogno era un'altra dose di senso di colpa.
Sentiva la voce della signora Weasley, al di là della porta, parlare con qualcun altro in toni bassi e concitati. Aveva la voce rauca di pianto ed Hermione si chiese per chi stesse piangendo esattamente, se per Piton o per Ginny... perché era stato Piton a morire, ma c'era anche Ginny, addormentata su un letto da anni senza mai riaprire gli occhi, senza mai svegliarsi, e il suo risveglio sembrava diventare un sogno lontano ogni giorno di più. Hermione scivolò più vicina al letto e vide con la coda dell'occhio Draco appoggiarsi alla parete, come se anche stare in piedi fosse diventato improvvisamente faticoso.
Dovevano trovare Remus, pensò lei, confusamente. Allungò una mano e la posò sulle lenzuola fredde, a meno d'un millimetro dalle dita gelate di Piton. Trovare Remus, perché Remus avrebbe saputo cosa dire a Draco, cosa fare per farlo sentire solo un po' meglio, così come stava facendo con Angelina adesso. Ed Hermione poteva... lei poteva tornare giù dalle Patil e prendere la sua copia dello stramaledettissimo rito e fare la cosa che le riusciva meglio, pensare, perché era stato il suo cervello a cacciarli in quella situazione orribile, il suo cervello e il suo orgoglio a farle dire ad Harry che, sicuro, potevano farcela ad andare a prendere Ginny, certo, potevano farcela e sarebbero tornati indietro, vivi, e non avevano pensato che Voldemort fosse diventato così oscenamente potente in così poco tempo, ed era stato il suo cervello a farle tirar fuori la Mandragola, e così Piton era morto, ed Harry era morto e Ron era morto e stavano morendo, tutti, e se solo lei fosse riuscita a pensare, pensare, pensare ad una soluzione, ad un modo...
Quando Piton spalancò gli occhi e le afferrò un braccio, di scatto e con forza, convulsamente, facendole dolere anche l'osso, la prima reazione di Hermione fu quella di mettersi ad urlare.
Poi la stanza si riempì di gente, e fu il caos.

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Tre ore, ventiquattro minuti e una manciata di secondi più tardi il peggio sembrava essere stato tamponato. Il cuore di Piton aveva collassato una seconda volta a cinque minuti di distanza, e poi erano collassati i polmoni, il fegato, ancora i polmoni, i reni... Madama Chips era andata avanti a salmodiare incantesimi per una ventina di minuti di fila, poi era arrivata Lavanda a darle il cambio, poi Hermione aveva tenuto la situazione sotto controllo finché Madama Chips non se l'era sentita di rimettersi in piedi e di ricominciare. Piton aveva sputato sangue, per un po', e poi aveva smesso. Aveva anche urlato – per dodici orribili minuti – con gli occhi sgranati spalancati a fissare il soffitto, gemendo e gridando e contorcendosi tanto violentemente che alla fine, quando anche gli incantesimi lanciati per calmarlo avevano fallito, avevano dovuto Schiantarlo.
Draco era stato mandato fuori quasi subito – non aveva mai avuto i nervi troppo saldi, Draco, e non serviva a nessuno avercelo intorno mentre faceva di tutto per rendersi il più inutile possibile.
Da ventiquattro minuti anche Hermione era stata sbattuta fuori dalla stanza del professore: quando aveva cominciato a barcollare su piedi che sembravano reggersi su un mondo estremamente instabile, Madama Chips le aveva ordinato di levarsi di lì e di andare a farsi un tè. Non era andata molto lontana: la signora Weasley la stava aspettando proprio dietro la soglia, con un vassoio già pronto con tazze di tè, tazze di caffè, tartine, cioccolata, panini... Hermione aveva svuotato due tazze di tè e aveva provato, davvero, a mangiare qualcosa, ma il primo boccone che era andato giù era sembrato pronto a prendere la strada del ritorno verso la bocca così in fretta da dissuaderla dal pensiero di provare con un altro pezzo.
Non sentiva la fame. Non sentiva neanche sollievo, non realmente, né paura né gioia né speranza... niente. La stanchezza si era mangiata qualunque altro pensiero.
Avevano spostato una mezza dozzina di sedie nel corridoio al primo piano, e su quelle sedie avevano continuato ad alternarsi, tutti, a turno: fino a cinque minuti fa c'erano stati Shacklebolt e il signor Diggory con loro, ma adesso c'erano solo Draco ed Hermione. Hermione aveva accostato due sedie per potersi sdraiare, le braccia intrecciate su uno dei sedili e la testa posata in mezzo ad esse, ma Draco se ne stava rigido e dritto seduto sull'orlo della sedia.
“Non c'è più tanto rumore, adesso, no?” le chiese lui tutto ad un tratto. Aveva le mani che gli tremavano ancora, per il nervosismo, gli occhi di un grigio così pallido che, nella penombra, parevano quasi bianchi.
Hermione scrollò le spalle e non disse niente. Le sarebbe piaciuto pensare che non c'era più tanto rumore perché le cose stavano andando meglio – ma pensare ciò avrebbe deragliato il treno dei suoi neuroni verso strade più buie, era colpa sua se Piton stava così, se stava male, se l'avevano quasi perso e se avevano creduto fosse morto – e perciò non pensava.
La porta della stanza del professor Piton si aprì e Lavanda Brown si affacciò sulla soglia. Sembrava invecchiata di cinque anni nell'arco di poche ore, era pallida e sudata ed aveva una grossa chiazza di sangue sulla camicia marrone, ed aveva l'espressione più esausta che Hermione le avesse mai visto sulla faccia; scivolò a sedere diritta e vide Draco, di fronte a lei, quasi schizzare in piedi con un saltello.
“Ti vuole il professor Piton, Hermione,” disse Lavanda, e per un attimo tutto quel che Hermione poté fare fu fissarla vacuamente e sbattere le palpebre, senza capire.
“Il professor Piton...?” le fece eco in tono incolore.
Draco, per una volta, sembrò afferrare le cose più in fretta di lei:
“Si è svegliato?”
Lavanda aggrottò la fronte. La stanchezza sembrava renderla irritabile e suscettibile e, nel complesso, assai poco paziente.
“Credevo fosse ovvio. Hermione, vuole te. Dobbiamo dargli una dose di Pozione Calmante entro dieci minuti, se non vogliamo rischiare il sesto collasso della serata, e lui non ha fatto altro che insistere per parlare con te da quando ha aperto bocca. Merlino, mi mancava proprio, prendere ordini da Piton...”
Hermione non rimase ad ascoltare il resto della tirata. Si trovò in piedi senza ricordare di essersi alzata, scivolò accanto a Lavanda come in sogno e si fermò sulla soglia della porta, per un lunghissimo istante, dimenticandosi di battere le palpebre.
Il professor Piton era sveglio. Sveglio. . Aveva i capelli incollati alla fronte e il volto sfregiato tirato in un'espressione di dolorante insoddisfazione, e l'occhiataccia che le rivolse era un po' annebbiata e non del tutto convinta, ma era un'occhiataccia. Di Piton. Che era sveglio. Hermione aveva passato così tanto tempo ad immaginarsi la scena che, adesso che ce l'aveva sotto mano, sembrava irreale. Sentì Draco trattenere il fiato, alle sue spalle, e fece un passo avanti per muoversi verso il letto.
“Con comodo,” bisbigliò Piton. Aveva a malapena fiato per respirare, ma sembrava che il sarcasmo fosse emerso sano ed immutato dall'altra parte di tre anni di bava e incoscienza.
Madama Chips richiamò una sedia dall'altro angolo della stanza con un colpo di bacchetta ed Hermione ci si lasciò cadere seduta sopra per poter chinare la schiena ed avere il capo all'altezza di quello di Piton. Da vicino, l'uomo aveva un aspetto ancor più orribile.
“Dovrebbe riposare, professore...” non riuscì a trattenersi dal mormorare, mentre un'ondata di sensazioni contrastanti la sommergeva; tutto quel che riuscì a provare per l'uomo che aveva di fronte, per un attimo, fu incalcolabile affetto.
Piton, sfortunatamente, sembrava aver conservato intatta e immutabile la capacità di smontarla in ogni occasione, perché all'espressione di preoccupato interesse di Hermione replicò con un'occhiata di vago disgusto.
“Signorina Granger...” iniziò quel che sembrava predisporsi ad essere un promettente insulto. Il fiato sembrò mancargli, per un attimo, e la cosa troncò l'offensiva a metà. “Granger.” esalò poi. “Per quanto tempo sono rimasto...?”
Lasciò la domanda in sospeso, ma non era necessario che proseguisse.
“Tre anni, professore,” replicò Hermione, la voce rauca. “Quasi tre anni.”
Per la prima volta dall'inizio della conversazione, gli occhi di Severus Piton guizzarono verso Draco. Il ragazzo si avvicinò impercettibilmente, piazzandosi in piedi, pallido e turbato, alla destra di Hermione. Piton sgranò lievemente gli occhi, e poi tutta la sua espressione si ammorbidì impercettibilmente.
“Potrebbe essere tardi...” mormorò l'uomo, la voce spenta. “Tre anni. Tardi... tardi per...” Si guardò intorno, e per un attimo i suoi occhi sembrarono non riuscire a mettere a fuoco quel che aveva intorno: ora che non stava più guardando con disgusto nessuno, Hermione si rese conto di quanto confuso e stanco l'uomo le sembrasse. Tre anni sotto forma di pianta, pensò, non passavano senza conseguenze.
Madama Chips si avvicinò con una fiala in mano.
“Severus...?” lo chiamò, gentilmente. “Devi riposare, adesso.”
Il professor Piton riportò lo sguardo su di lei, gli occhi nuovamente lucidi, e foschi e torvi, l'espressione un miscuglio intensissimo di irritazione e disprezzo:
“Credo di aver già riposato abbastanza, Poppy... Granger. La bacchetta...”
Hermione la sollevò, incerta, pensando che Piton avrebbe allungato una mano ed avrebbe cercato di prenderla: e invece tutto quel che l'uomo fece fu guardarla. Dopo un istante dai suoi occhi cominciò a colare una materia pallida ed argentea, impalpabile come fumo. Hermione sussultò, sorpresa, e fece per toccarla; ma si trovò con la mano bloccata da Draco, che le bisbigliò furiosamente:
“Usa solo la bacchetta per toccarla!” e poi, guardandosi intorno: “Una bottiglia! Ci serve una bottiglia!”
Afferrò una fiala piena di un liquido giallastro dal comodino e Lavanda gliela strappò di mano, con un mugolio di disappunto, un istante prima che lui potesse rovesciarne il contenuto per terra, allungandogli invece un'ampolla vuota. Usando la punta della bacchetta, Hermione cominciò a tirare e a spingere la materia fumosa che usciva dagli occhi di Piton verso l'ampolla.
“Che cos'è?” chiese, confusa.
“Memorie,” replicò Draco, il viso fisso su quello del professore. “Sono ricordi!”
Ad ogni memoria che gli veniva tolta, gli occhi di Piton parevano schiarirsi: la lucidità gocciolava in essi come acqua in una crepa, e l'uomo sbatté le palpebre come ad un dolore improvviso, le dita serrate in una morsa sulle lenzuola e il viso contratto, mentre i suoi occhi piangevano memorie pallide e nebbiose.
Tutto ad un tratto gemette e spalancò gli occhi. Ancora una volta fece guizzare una mano per afferrare il polso di Hermione, ed ancora una volta Hermione si trovò, impreparata, con il braccio che le faceva male per la stretta feroce.
Piton annaspò e la tirò verso di sé, e fu solo la prontezza di riflessi di Draco che impedì all'ampolla piena di ricordi di finire a terra.
E:
“Harry Potter è vivo!” le bisbigliò l'uomo in tono d'urgenza. “Harry Potter è ancora vivo!”
Nel silenzio del suo stesso cuore che smetteva di battere e perdeva colpi, per un attimo, Hermione sentì distintamente la fiala sfuggire dalle mani di Madama Chips ed infrangersi al suolo.





Note: Ta-ta-ta-taaaaaan !Questa è quel che si dice (dierrevi docet) una sana dose di angstanfughguhangstangstangst.
... d'accordo. x°D La smetto.

Innanzitutto, vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo: ma ieri pomeriggio mi sono resa conto che le otto graziose pagine previste per questo capitolo erano improvvisamente diventate di più, e che c'era un'intera sezione che andava riscritta. Così ho rimandato la pubblicazione. Alle undici di stasera stavo ancora battendo sulla tastiera, e sospetto di aver scritto le ultime righe del capitolo dormendo: per fortuna c'era dierrevi pronto a sobbarcarsi l'ingrato compito di rileggersi tutto il papiro.

La serie di Come (non) doveva andare tornerà presto; forse anche con un capitolo dal punto di vista di Harry... che sarà sicuramente pubblicato su Nocturne Alley, se mai sarà scritto, perché nel capitolo che avete appena letto ho già dato fondo a tutto il Vietato-Ai-Pulcini che mi sento disposta a pubblicare su EFP. Perdonatemi.
Non ci sarà quest'anno, invece, un altro capitolo per le domeniche buie - salvo divina e gratificante illuminazione durante questa settimana - perché la storia che avevo in progetto non è ancora conclusa e forse - per questioni di concorso - non potrà essere pubblicata anche se finita per tempo. Salvo cambiamento di programma dell'ultimo minuto, invece, domenica sera riprenderà la pubblicazione dei capitoli già pronti di La strada sbagliata. Per rispondere a chi me l'aveva chiesto. x°D

Un ringraziamento a tutti voi che vi fermate a lasciarmi un parere, dandomi la scarica d'entusiasmo necessaria a scrivere un capitolo dopo l'altro, una storia dopo l'altra. Sperando che la storia vi sia piaciuta... che non vi abbia lasciati delusi... e, soprattutto, che non vi abbia annoiati!

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