Dietro la schiena

di Mrs C
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


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Dietro la schiena
I






Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.
Samuel Beckett




John non sa che ore sono. In Afghanistan teneva sempre l'orologio di Harry nel taschino della divisa, sincronizzato sul fuso orario di Londra. Si ripeteva spesso che se avesse continuato a tenerlo lì, guardandolo quando lo riteneva necessario, sarebbe tornato a casa. E l'ha fatto, John è tornato, eppure l'abitudine di sapere sempre che ore sono è rimasta. Ha pensato che non se ne sarebbe mai più liberato, almeno finché non ha conosciuto Sherlock. Con lui, tenere conto dell'ora, è assolutamente impossibile perché non ha un orario e non gli interessa minimamente averne uno. E John non sa che ore sono. C'è molta luce, ma non crede sia mattina. Probabilmente è primo pomeriggio, ma non se ne fa un problema, considerando che hanno finito d'indagare sull'ultimo caso alle cinque di questa mattina. Si alza, lento, perché la testa gli sta scoppiando. Ogni minimo suono è come una randellata e cerca di non fare più rumore del dovuto. C'è molto silenzio, troppo perché non gli risulti strano. Scende le scale piano, aggrappandosi alla parete mentre si strofino gli occhi con il palmo della mano. Non sente Sherlock trafficare in cucina per cui le alternative sono due: la prima è che sia collassato sul divano, la seconda è che sia uscito. Quando inizia a pensare che la seconda ipotesi sia più probabile della prima, due voci distinte giungono alle sue orecchie come se avessero urlato. Un calcio in piena faccia gli avrebbe fatto meno male, e in uno sprazzo di lucidità cerca di ricordare dove ha sistemato le pastiglie contro l'emicrania, dopo che Sherlock ha avuto la brillante idea di occupare l'armadietto dei medicinali con le dita in salamoia dell'ultimo cadavere giunto all'obitorio del Bart's.
- Buongiorno, John.
John inarca le sopracciglia. Non ha bisogno di alzare gli occhi per sapere chi gli ha appena rivolto la parola perché conosce quella voce troppo bene per sbagliarsi. Sente una risata di scherno ruggirgli in gola, ma la ricaccia giù all'altezza dello stomaco perché la situazione che si trova davanti è paradossale: nel suo salotto - seduto nella sua poltrona - c'è Mycroft, il fratello schizofrenico del suo coinquilino.
- Buongiorno a lei, Mycroft. A cosa dobbiamo l'onere di questa visita inaspettata?
Lui si morde il labbro inferiore, squadrando John da capo a piedi, indeciso se scatenargli contro l'Interpool o alzarsi e ficcargli l'ombrello su per il cu-
- John, prepara il té. Mio fratello non è capace e io sono troppo impegnato per alzarmi.
I suoi occhi si spostano da Holmes senior a Holmes junior nel giro di pochi secondi. Effettivamente, Sherlock è impegnato, questo è vero. A fissare suo fratello, per un motivo a John completamente oscuro. Ma con il cervello menomato dalla mancanza di sonno, il medico non si sforza nemmeno di provare a capire.
- Per l'amor di Dio, Sherlock! Almeno chiudi la vestaglia!
John si massaggia il naso a occhi chiusi, ricevendo in cambio uno sbuffo scocciato da parte di Sherlock. L'emicrania inizia a diventare più pressante, e preferisce rintanarsi in cucina, imbarazzato da morire, per evitare che il suo cervello scoppi in maniera definitiva. Prima di nascondersi in mezzo ai fornelli, riesce comunque a intravedere gli angoli della bocca di Mycroft piegarsi verso l'alto. Per un secondo, l'idea di tirargli il bollitore in fronte lo sfiora come un soffio di vento leggero e maledettamente tentatore, ma John è curioso, troppo curioso per procurare una commozione cerebrale a Mycroft prima che si decida a parlare. John non è intelligente come i fratelli Holmes, lo sa, lo capisce. Ma è un tipo sveglio, ed è un ex soldato. E annusa, quando nell'aria c'è qualcosa di grosso.
- Allora, fratello. Vediamo di chiarire perché sei piombato in casa mia così dopo puoi andartene.
Sherlock ha le mani allacciate sotto il mento e gli occhi fissi su Mycroft. Perfettamente immobile, come sempre quando cerca di scoprire qualcosa. Mycroft giocherella nervosamente con il suo ombrello, trasmettendo quello stesso nervosismo a John, che sente bruciare le mani dalla voglia di piegarlo fino a dargli la forma di un amo da pesca. 
- Fammi indovinare. Problemi con gli Affari Interni? Affari Esteri? - Sherlock inclina appena il capo, guardando suo fratello congestionarsi sulla poltrona - No, è qualcosa di peggio.
Si lecca le labbra, come un gatto che ha appena avvistato un topo particolarmente grosso. John ha ancora in mano le tazzine prese dal ripiano superiore cinque minuti prima.
- CIA? FBI?
Mycroft si muove, a disagio, e Sherlock spalanca gli occhi azzurri colto da un'illuminazione. A John sembra quasi di vedere l'adrenalina scorrergli nelle vene e pompare sangue più veloce del normale. Non lo ammetterà mai, ma guardarlo in questo stato è inebriante persino per lui.
- Interessante. Che cosa può essere successo di così grave da chiedere l'intervento dell'Impero Britannico da parte del Governo Federale degli Stati Uniti?
Mycroft simula una tosse inesistente e quella risata è sempre lì lì che fa il solletico nella gola di John. Il fischio del bollitore lo distrae, per fortuna, ricordandogli che se non vuole farlo esplodere dovrebbe spegnere il fuoco, ma in questo momento potrebbe tornare Moriarty dalla tomba e gliene ne importerebbe meno di zero. Se l'FBI ha chiesto aiuto a Mycroft - e Mycroft l'ha chiesto a suo fratello - c'è qualcosa di molto più grande di quanto si aspettasse.
- Se è grave o meno vorrei che me lo dicessi tu, dopo aver esaminato i casi.
John versa l'acqua bollente nelle tazze da tè, cercando nello stesso momento di guardare entrambi i presenti alla discussione. Sherlock schiocca la lingua, e John sa che Mycroft sarà la prossima vittima delle sue brillanti deduzioni. For God's sake.
- Mycroft, tu sottovaluti la mia intelligenza. Da quando sono tornato non mi hai mai coinvolto nei tuoi "problemi internazionali" per cercare di tenermi lontano dai guai, devi aver convinto Lestrade a fare altrettanto perché mi sottopone solo casi di scarsa rilevanza che potrebbe risolvere persino Anderson con quel mezzo neurone che si ritrova. Ma se sei venuto a cercarmi, e per giunta di persona, vuol dire che la situazione è più critica di quanto tu stia cercando di darmi a bere. Risparmia tempo e srotola la lingua, fratello, o dovrai spiegare ai gattini dell'FBI perché il loro aiuto ha disdetto l'appuntamento che tu hai fissato per lui. E, John, ora puoi chiudere la bocca.
John arrossisce, borbottando qualche parola incomprensibile e concentrando tutta la sua attenzione sulle tazze da tè. Interessanti, sono sicuramente interessanti questi disegni particolari sul manico. Si umetta le labbra, sinceramente colpito come la prima volta che si sono incontrati - e come tutte le volte che sono seguite - e Sherlock ha capito dopo dieci secondi che era un medico militare di ritorno dell'Afghanistan. Sente il cuore battergli forte nel petto, perché da quando il suo migliore amico è tornato a casa, questa è la prima volta. La prima volta che sente come tutto sia tornato alla normalità per davvero. Stenta ancora a crederci.
Per quanto si possa definire normale la vita con Sherlock Holmes, ovviamente.
- Senti, Sherlock - Mycroft sospira, massaggiandosi le palpebre con una mano - hai ragione. Avrei preferito non coinvolgerti per niente in questa storia. Ma non so di chi altro fidarmi, perché la situazione è davvero delicata e io non ho idea di come venirne fuori. Ho un fucile puntato alla schiena da ogni organizzazione per cui ho lavorato. Non è una situazione facile. Ho bisogno del tuo aiuto e mi devi dire se posso stare tranquillo affidando tutto nelle tue mani.
John poggia le tazze da tè sul tavolino, aprofittando della pausa di Mycroft. Non avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che prima o poi avrebbe abbassato la guardia e chiesto aiuto in maniera così diretta. Ma da vicino - e da medico - quasi si spaventa nel constatare il suo stato fisico, rimanendone impressionato molto più delle sue parole. Iridi arrossate, occhiaie visibili e violacee. Decisamente più pallido del solito. Non sa con quale forza d'animo - né con quale coraggio, a dirla tutta - ma lascia stare le tazze da tè per qualche secondo, chinandosi in avanti e prendendo il polso del maggiore degli Holmes fra due dita. Due paia d'occhi lo fissano stupiti, ma John li ignora entrambi.  Battito accelerato. Allunga l'altra mano verso la fronte dell'uomo e socchiude gli occhi, sentendo il corpo dell'altro irrigidirsi a un contatto a cui non è abituato. Fronte fredda ma sudata. John si alza in piedi, dirigendosi velocemente in cucina, prende un bicchiere con dell'acqua a temperatura ambiente, poi torna da Mycroft, versandoci dello zucchero.
- Mycroft, bevi tutto d'un sorso per favore. Stai avendo un calo di pressione. Non dormi da almeno tre giorni e mangi decisamente troppo poco per la tua costituzione, fammi il favore di non collassare sul pavimento perché sarebbe davvero problematico dare delle spiegazioni convincenti al resto del Governo e persuaderli che nessuno di noi due ha attentato alla tua vita.
Sherlock non dice nulla, ha ancora le mani sotto al mento e si limita a fissare suo fratello intensamente. Ma John lo sa - lo sa anche se Sherlock non lo dirà mai - che quella reazione da parte di Mycroft l'ha profondamente turbato, impotente e indifeso come un bambino, davanti alla natura umana e fragile di suo fratello, sempre così sicuro di sé e della sua intelligenza. Per questo Sherlock sta in silenzio e per questo non insiste a fare altre domande. Sta aspettando e aspetterà tutto il tempo necessario a suo fratello per riprendersi, ma anche questo, con ogni probabilità possibile, lo terrà per sé fino alla tomba. 
- Siamo passati dal lei al tu, dottor Watson?
Mycroft accenna a un sorriso, un po' più tirato delle altre volte, e John si ritrova a sedere nel bracciolo della poltrona di Sherlock, assicurandosi che il Governo Britannico si riprenda abbastanza da tornare ad avere un colorito quantomeno decente.
- Se ti da fastidio, no.
Mycroft non dice niente. John lo prende come una specie di assenso e sta in silenzio. Sherlock stringe più forte le mani, tanto da far sbiancare le nocche, e John se ne accorge ma non dice niente neanche questa volta. Mycroft sospira. Un sospiro profondo, ad occhi chiusi. E quando li riapre, è il solito Impero Britannico. John si sente quasi sollevato, e Sherlock smette di torturare le sue dita per una frazione di secondo.
- Verrà a prenderci un aereo privato. - Mormora Mycroft.
Sherlock lo squadra da capo a piedi.
- Destinazione?
- Quantico.
John inarca appena le sopracciglia.
- In Virginia? Dobbiamo spostarci di così tanto?
Mycroft schiocca appena la lingua.
- Se non vuoi venire puoi sempre rimanere qui a badare alla casa, come ogni buona moglie.
John storce il naso, maledicendosi per non aver messo una dose considerevole di morfina al posto dello zucchero.
- Vedo che ti riprendi in fretta, Mycroft. Peccato, mi piaceva vederti moribondo, ti rende più umano. - Replica il medico, piccato.
- Se John non viene puoi dimenticarti di me, fratello - Sherlock lo trapassa con un'occhiata, visibilmente seccato - E ora smettila di perdere tempo facendomi dire cose ovvie. A chi dobbiamo dare la caccia? 
Probabilmente è solo una sua sensazione, ma l'aria nella stanza sembra essersi fatta incredibilmente più fredda e John sente un brivido scorrergli lungo la schiena. Impercettibilmente si rannicchia di più verso Sherlock, e per una frazione di secondo sente gli occhi del Detective sulla pelle. Ha paura, John, ha paura che s'immischino di nuovo in qualcosa di troppo grosso per loro. E questo lo rende inquieto, perché lo shock per la finta morte del suo migliore amico gli ha lasciato una cicatrice profonda nell'anima. Ed è difficile - per Dio, se lo è - riabituarsi all'idea che Sherlock potrebbe correre di nuovo un rischio simile. E che lui potrebbe di nuovo essere impotente. Il suo pensiero vola alla pistola che tiene nel cassetto al piano di sopra. E John fa una promessa a se stesso, distruggendo in un secondo tutti i principi morali che si è prefissato da quando è entrato all'esercito: questa volta sparerà per uccidere, a chiunque oserà anche solo pensare di fare del male al suo migliore amico. E, che Dio lo assista, non avrà alcuna paura di finire in galera se servirà a proteggerlo. Mycroft prende un profondo respiro. Poi parla.
  - Hai mai sentito parlare dei Killer di River Creek?




Ps. I'm a Serial Addicted

Salve, mi chiamo Jess e sono tornata. *Ciao Jess*
Questa probabilmente è la fanfiction più difficile che io abbia mai scritto. Non mi sono mai cimentata con un Crossover (fatto bene, quando ero più giovane ci ho provato e... non voglio ricordarlo neanche). Di solito evito di infilarmi in qualcosa che non conosco, ma questa volta non sono davvero riuscita a trattenermi. Il Crossover in questione è fra Sherlock - ovviamente - e Criminal Minds, altra serie che io amo tantissimo. Considerando che gli argomenti trattati sono molto simili, ho pensato che potesse uscirne fuori qualcosa di carino - o quanto meno godibile - così semplicemente ci ho provato. Non ho la benché minima idea di quanto potrà durare, anche se non la tirerò troppo per le lunghe, perché potrei perdermi e fare un disastro, che renderebbe ogni mio sforzo per rendere questa storiella quanto meno buona, inutile. La citazione iniziale è presa da uno degli episodi di Criminal Minds (così come lo saranno tutte le altre, nei prossimi capitoli) e la colonna sonora che mi ha accompagnata durante gran parte della stesura è Set fire to the rain - Adele, una canzone a dir poco fantastica di cui mi sono profondamente innamorata. In un certo senso si potrebbe dire che c'azzecca, in qualche modo *Johnlock* ma per ora preferisco concentrarmi su altri particolari della storia, ma non escludo qualche piccola parte slashosa. Che altro dire? 
Questa storia è un tributo. Un tributo al Gruppo di Sherlocked di cui faccio parte e che mi fanno passare la giornata in maniera a dir poco fantastica (e che mi hanno ispirata per scrivere questa cosa, per cui sentitevi responsabili u.u), un tributo a me che ultimamente sono davvero giù di tono ma che scrivendo trovo sempre la forza di andare avanti e un tributo a Sir Arthur Conan Doyle, che oggi sarebbe stato il suo compleanno e ci tenevo davvero a postare questa prima parte oggi. Perché, per aver creato un personaggio così straordinario come Sherlock Holmes, un piccolo tributo ogni tanto ci vuole.
Spero solo non si rivolti nella tomba troppo a lungo. Quindi, ricordo che i personaggi non sono miei ma di Sir Doyle, e questa rivisitazione in chiave moderna appartiene a Moffiss (e i personaggi di Criminal Mind ai rispettivi creatori, ovviamente) *prega verso nord* vi auguro una buona lettura e ci si sente presto, aspetto i pomodori u_u



Jess

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Capitolo 2
*** II ***


II
Dietro la schiena
II



La vita dei morti si trova nelle memorie dei vivi.
Cicerone





- Sette. E' il numero delle vittime che sono state accertate fin'ora. Non so dirti se ce ne sono altre o se è un numero circostanziale. Non sono al corrente di dettagli rilevanti alla tua indagine. Non guardarmi così, Sherlock, so perfettamente che ogni dettaglio è importante ma dovrai accontentarti di quello che ti sto dicendo ora. Non ci sono testimoni, non ci sono impronte. La scena del crimine è più pulita di Buckingam Palace e la cucina di Mrs Hudson messe insieme.

John batte nervosamente il piede sul parquet dell'aereo, in volo da quasi un'ora. Ne mancano solo altre sette, ma il Dottore non è così sicuro di arrivarci vivo o con un briciolo di sanità mentale, considerando le persone con cui sta condividendo il volo. Mycroft e Sherlock non fanno altro che punzecchiarsi come due bambini da quando sono partiti e John sta considerando l'idea di aprire il portellone d'emergenza e lanciarsi giù. Di testa, possibilmente.
John alza gli occhi dal dossier che Mycroft gli ha passato solo quando non sente più la voce del suo coinquilino insultare il fratello. Il Governo Inglese è sparito in un'altra ala dell'aereo e, in un lampo che comprende tutte le domande inutili dell'esistenza, John si chiede quante ce ne siano che non ha ancora visto.
- Tre. Una è quella in cui siamo noi, la seconda è la zona per le hostess - o possibili hostess, non sono sicuro al cento per cento che qualcuno di così frivolo possa salire in un aereo privato del Governo Americano - e la terza, com'è ovvio, è la cabina di pilotaggio.
John si massaggia gli occhi.
- Sherlock.
- Dimmi, John.
- Smettila. Mi irrita il fatto che riesci a leggermi nel pensiero, ci deve essere un pizzico di privacy almeno lì.
- Mpuff, la privacy è noiosa e sopravvalutata da voi uomini dal cervello medio.
John cerca di non concentrarsi sull'insulto, e ignora l'amico che invece non sembra intenzionato a lasciarlo in pace almeno durante le ore di volo. Si toglie il giaccone e la sciarpa, lanciandoli malamente sul posto occupato in precedenza da Mycroft, avvicinandosi quatto e silenzioso come un gatto, a John.
Il Dottore alza di nuovo le iridi, trovandosi uno Sherlock inginocchiato di fronte a lui, con le mani puntellate sulle sue ginocchia.
Perché fa così caldo qui dentro?
- John - mugola.
Il Dottore cerca di ricordarsi come si respira.
- Mi annoio.
Il Detective si lancia sulla parte di divano non occupato dal Dottore, mettendosi un cuscino sulla faccia e posizionando parte del corpo sulle gambe dell'altro. John ne approfitta per riprendere fiato e recuperare un colorito normale.
- Ch-che ne pensi di questo killer? Oh, no, non guardarmi così, so perfettamente che ti sei fatto un'idea sulla questione e gradirei saperla prima di giungere a destinazione e fare la figura dell'allocco di fronte a tutta l'FBI. Per cui sputa il rospo.
Sherlock ghigna, tirandosi a sedere per metà.
- Non mi fido dei poliziotti, lo sai, li ritengo tutti incapaci, Lestrade compreso. Beh, forse un po' meno lui di Anderson, comunque, ho avuto modo di giocare con i soldatini dell'FBI e non amano dover richiedere aiuto a qualcuno sui loro casi, quindi la situazione è effettivamente grave. Non è un Serial Killer qualunque, ci deve essere qualcosa di più, qualcosa che in quel fascicolo che stai leggendo con tanto affanno non hanno riportato per cui non ci serve a niente, mettilo via, bravo. Ora, considerato tutto quello che ti ho detto fin'ora, qual è la tua prima considerazione?
John tamburella le dita sulla gamba di Sherlock quasi senza pensarci. Il Detective mugola e John arrossisce come una ragazzina.
- Mycroft sa più di quanto ci ha detto.
- E...?
- E noi siamo più coinvolti di quanto ci ha fatto intendere.
Sherlock schiocca le dita, e John capisce che il punto della questione è proprio questo.
- Ora credo che dovremmo dormire un po', John. E' probabile che nei prossimi giorni non riusciremo a riposare neanche un minuto.
John inarca le sopracciglia, sarcastico.
- Da quando ti preoccupi di dormire, machine?
Sherlock lo guarda dal basso, con un sorriso a metà tra l'ironico e il divertito.
- Da quando ho un compagno che necessita di farlo.
Mentre Sherlock ordina a suo fratello di far abbassare le luci della cabina e di lasciar lavorare Lestrade invece di telefonargli a ogni ora del giorno, John ringrazia mentalmente quella semi-oscurità che spera gli copra, almeno in parte, il rossore sulle guance e sul collo.
God, che caldo.


- Mi sembri un po' sbattuto, Dottore. Non hai dormito bene?
John fulmina Mycroft con un'occhiata. L'idea di prendere l'ombrello e piegarlo a forma di amo da pesca ritorna a ruggergli nelle orecchie ma la ignora, insieme all'altra: non sarebbe un'idea intelligente scaraventare l'Impero Britannico giù da un auto in corsa. Prima deve capire perché sono stati trascinati fino a Quantico, poi potrà farci un pensierino.
- Ho avuto qualche problema d'insonnia, Mycroft, grazie per averlo precisato.
John schiocca la lingua, lanciando un'occhiata in tralice al Consulting Detective che sonnecchia guardando fuori dal finestrino. Sarebbe riuscito a dormire tranquillamente - e anche con una certa soddisfazione - se il signorino non avesse deciso di cambiare posizione e dormire con la testa poggiata sulla sua spalla, con il respiro leggero dell'altro che si schiantava senza pietà sul suo collo.
Anche in questa macchina c'è un caldo soffocante.
- Siamo arrivati.
La sede dell'FBI di Quantico è immensa. John non ricorda di aver mai visto una struttura governativa tanto grande da quando è entrato nel palazzo di Sua Maestà, ma quello probabilmente non fa testo. Prima di entrare Mycroft consegna loro i cartellini di riconoscimento con sopra la scritta FBI, precedendoli all'interno. Sherlock, disgustato, se lo mette in tasca senza nemmeno accennare al movimento di appenderlo al cappotto e John non fa in tempo a fargli notare che non potrà entrare nell'edificio se non lo metterà in bella mostra che due guardie, con le braccia grosse come tronchi d'albero, lo bloccano all'ingresso.
Sherlock inarca le sopracciglia, facendogli poi notare come la loro relazione non avrà ripercussioni sul lavoro se lo faranno passare senza fare storie o domande. Inoltre, consiglia a quello più basso, di usare un lubrificante, la prossima volta che intendono fare sesso nella macchina del Capo - piuttosto scomoda, essendo una Berlina - così da non precurarsi quelle escoriazioni alle gambe e alle ginocchia.
John riesce a portarlo via di peso e per miracolo, prima che quei due gli mettano le mani - e forse anche i piedi - addosso.
- Possibile che devi per forza cacciarti nei guai? Non riesci a stare zitto nemmeno una volta? Una, dico!
Sherlock mugugna qualcosa sulla stupidità umana e John gli tira un calcio negli stinchi, ricevendo in cambio un'occhiataccia.
- Sappi che tuo fratello è molto più furbo di te: lui sa quando è il momento di chiudere la bocca e salvarsi il culo.
- Lui non è furbo ma infido, John, manovra tutti da dietro le quinte senza realmente esporsi. Io ho il coraggio di combattere faccia a faccia.
- Tuo fratello una volta mi ha detto che coraggio è solo il sinonimo più gentile di stupidità. E almeno lui non è stato costretto a saltare giù da un palazzo per aver stuzzicato più del dovuto il peggior criminale del paese.
Sherlock sta zitto e John sente un piccolo brivido da senso di colpa serpeggiargli nella schiena mentre la figura di Mycroft si staglia in una sala immensa, in cui le uniche cose distinguibili sono le scrivanie, le pile di fogli e le pistole. John si chiede perché gli abbiano recquisito la sua, se qui sono tutti armati fino ai denti.
- Dottor Watson, Mr Holmes, avvicinatevi prego.
John inarca le sopracciglia al tono freddo e altisonante di Mycroft, rispetto a quello sarcastico che ha sempre usato nei suoi confronti. Ingoia la risata che gli è salita alle labbra, assumendo una postura militare quasi senza accorgersene. Un uomo in giacca e cravatta, seguito da un Mycroft più che tranquillo - forse troppo, vista la situazione - si avvicina ai due. Fare autoritario, estremamente elegante, passo fiero. John si sofferma sui suoi occhi e in quegli occhi, vede lo stesso velo di tristezza che imperlava i suoi quando credeva che Sherlock fosse morto. E rabbrividisce.
- Agente Speciale Aaron Hotchner, Supervisore della squadra di Profiler dell'FBI.
Sherlock gli stringe una mano, e socchiude gli occhi. John prega perché tenga la bocca chiusa e non dica nulla, almeno per una volta. E, stranamente, succede esattamente così.
- Sherlock Holmes. Lui è il mio compagno-
- Collega.
- Collega. Il Capitano John Watson.
Hotchner gli stringe una mano con una stretta vigorosa, e John inarca le sopracciglia in direzione dell'amico. Non l'ha mai presentato con il suo grado di Capitano. Perché questa volta è stato diverso?
- Vi presento al resto della squadra.
John sente uno strano formicolio alla mano sinistra, e il viso della sua psicanalista gli compare davanti agli occhi: sembra che le parole stress post-traumatico siano ormai all'ordine del giorno, nella sua vita, ma sa bene che la tremarella non dipende da questo. Il suo istinto da soldato è attivo, allarmato. John trema per la paura.
- Mycroft, gradirei la sua presenza, ma capisco che in Inghilterra ci sia bisogno di lei per cui, se è necessario che parta subito, metteremo a disposizione il nostro aereo fra mezz'ora.
Mycroft sorride leggermente.
- Stia tranquillo, si può dire che... io sia in ferie. Ho un po' di tempo libero.
- Tu non hai mai tempo libero, Mycroft. - Mormora Sherlock, atono.
- Oggi e per i prossimi giorni , fratellino.
John si chiede se, al posto di Mycroft, non possa usufruire lui dell'aereo privato del Governo Americano e tornarsene a Baker Street ma sta zitto. Inizia ad essere tutto troppo surreale per fare dello spirito.
- Loro sono la mia squadra - Hotchner indica le cinque persone alle sue spalle con un gesto della mano - l'Agente Speciale David Rossi, Jennifer Jareau, Derek Morgan, Emily Prentiss e il Dottor Spencer Reid.
Sherlock stringe la mano ai presenti in un muto silenzio. John sente quasi i muscoli del suo cervello - e tutti i suoi neuroni - lavorare frenetici nel leggere tutta la vita delle persone in questione solo da quanti calli abbiano nelle dita.  
- Ho sentito tanto parlare di lei, Signore, sono un appassionato lettore del suo sito e credo che la sua ricerca sui vari tipi di tabacco sia davvero interessante, ho usufruito delle sue informazioni per un caso particolarmente difficile qualche settimana fa.
Sherlock sbatte le palpebre un paio di volte e stira il collo verso l'alto, come un pavone a cui è stato fatto un complimento sui colori della sua coda. John immagina Sherlock vestito di piume e ride a bassa voce, scatenando la curiosità dell'amico.
- C'è anche un'altra nostra agente che non è qui presente, l'Informatica Penelope Garcia, avrete modo di conoscerla più avanti.
- Anche perché è lei che ci procura tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, non ne potrete più fare a meno. - Replica con un sorriso Prentiss.
Sherlock fa un verso di disappunto - lui, che è abituato a trarre conclusioni solo affidandosi a se stesso e, occasionalmente, a John - mentre Mycroft si accomoda su una delle sedie della sala, più piccola dell'altra, in cui si sono spostati. John si avvicina cautamente a una lavagna bianca, in cui spiccano una cartina con dei puntini rossi, le foto delle vittime e qualche foglietto sparso. Gli occhi si confondono fra loro nel giro di pochi secondi, il modus operandi - sempre lo stesso, nota John -  e sembra di essere nuovamente catapultato in Anfghanistan. Ma la mano questa volta è ferma.
Derek Morgan, gli si para davanti, quasi impedendogli di guardare oltre, con un'espressione innocente e allo stesso tempo intimidatoria sul volto scuro. John inarca le sopracciglia, facendo un passo indietro e Sherlock gli è subito accanto.
Il Dottore non se ne accorge subito - ma se ne accorge - che c'è una strana atmosfera, in quella stanza e il silenzio si è fatto subito pesante.
E' il silenzio di chi fugge, John.
E' inquietante che, pure avendolo accanto, il Dottore senta la voce di Sherlock persino nella sua testa. Deve iniziare a preoccuparsi?
- Se abbiamo finito con i convenevoli, gradirei sapere che cos'è stato omesso nel fascicolo che Mycroft mi ha fatto recapitare - Mormora il Detective, impaziente - oh, so perfettamente che voi non gli avete dato alcun fascicolo, ma mio fratello ha i suoi mezzi per procurarsi ciò che gli serve senza chiedere niente a nessuno. E' l'unica cosa che sa fare, in effetti. Per cui, fatemi il favore di non perdere tempo nel chiedermi come faccio a saperlo, ho già detto di saltare i convenevoli e non amo ripetermi, per cui fatemi vedere quella prova che avete in tutti modi cercato di coprire durante la nostra permanenza in questa stanza senza farmi perdere altro tempo, possibilmente.
John alza gli occhi al cielo. Sherlock ha tenuto la bocca chiusa fin troppo tempo. L'Agente Hotchner si aggiusta la cravatta, allentandola di qualche centimetro.
- Prentiss.
La donna dai lunghi capelli neri annuisce leggermente, frugando in uno degli scatoloni sul tavolo. Il bossolo di proiettile cade sulla mano di Sherlock senza fare rumore. Cinque secondi. E' il tempo che John conta prima che Sherlock inarchi le sopracciglia, stringa la mano in un pugno e scagli il bossolo contro la prima vetrata disponibile. John mette una mano sul braccio di Sherlock ma è irritato. E Mycroft ride.
- E' divertente vedere come cerchiate di prenderci in giro. Credete che sia un idiota?
L'agente Hotchner incrocia le braccia al petto, con l'espressione più pacifica che conosce. E anche quella più irritante. John sente la strana voglia di prenderlo a pugni come la prima volta che ha incontrato Mycroft.
- Non capisco cosa intende dire, Signor Holmes.
- Oh, for God's Sake. - John alza gli occhi al cielo - Quello è un bossolo di una 44 magnum, esattamente come quella che porta l'agente Rossi alla cintura. E' recente, si vede persino da lontano, probabilmente avete sparato il proiettile prima che arrivassimo noi per... cosa? Valutare Sherlock?. Che stronzata.
Sherlock lo guarda con un brillio di ammirazione nelle iridi chiare e John sente un piacevole calore sul retro del collo.
- Mycroft, di solito mi diverte mettere in imbarazzo te e i tuoi amichetti, ma sappi che in questo particolarissimo caso sono solo irritato - Sherlock ringhia sommessamente - ho cercato di essere più cordiale possibile, ma vedo che l'FBI non cambia, e non si fidano di nessuno a meno di una prova pratica. Per cui vi accontento, perché ho capito molte più cose di voi di quante possiate immaginare. -
John stringe le labbra. E Sherlock riprende a parlare.
- Hotchner ha appena perso sua moglie e ha un relazione con una donna molto più giovane di lui, sua cognata probabilmente, un uomo in lutto non sarebbe tornato a lavoro subito dopo una simile perdita a meno che qualcuno non si sia offerto di prendersi cura di suo figlio, ma non una persona qualunque, no, non l'avrebbe permesso, si tratta di qualcuno di cui lui può fidarsi e che possa passare molto tempo con il bambino, una persona a cui affidare la persona più importante della sua vita, potrebbe essere sua sorella, certo, ma no, perché è qualcuno che è pronto ad abbandonare qualunque cosa per stare vicino a un familiare così stretto, e per quanto vicino, la cognata della moglie non è di certo un parentado così intimo, no, è qualcuno che condivide il dolore di aver perso qualcuno d'importante, potrebbe essere la madre di sua moglie, ma solitamente le madri hanno una sorta di rifiuto verso la morte dei loro figli e accusano chiunque potesse salvarli, lei, che fa questo particolare tipo di lavoro è giust'appunto propenso a questo ruolo, quindi ad esclusione, sua cognata. Elementare.
Cala un silenzio gelido. Prentiss si schiarisce la gola e Mycroft sta quasi per scoppiare a ridere ma nasconde tutto dietro un colpo di tosse fittizio ricevendo in cambio un'occhiata fulminante da parte di John.  
- E ora, invece di perdere tempo, fatemi vedere il vero bossolo che avete trovato sulla scena del crimine. Non lo chiederò una terza volta.
Reid si allunga verso di lui porgendogli una bustina sigillata. La scritta Prova 15 campeggia in bella vista sulla plastica trasparente.
- E' un 5, 56 mm. Sembra un proiettile da fucile di precisione, difficile da utilizzare per chi non ha praticità in questo genere d'arm-
Sherlock spalanca gli occhi, interrompendosi a metà parola. Rimane immobile a guardare un punto indefinito del muro, poi dalle sue labbra esce solo un oh. Solo un oh e i suoi occhi si fanno severi, addirittura glaciali. John sente qualcosa tremare dentro le viscere quando le sue iridi si posano per un secondo su di lui. Sherlock ha capito, e John sta iniziando a farlo. E quello che sta intuendo non gli piace.
Per niente.
- Sherlock, fammi vedere quel bossolo per favore.
Il Consulting Detective, forse per la prima volta da quando si conoscono, gli obbedisce. Fa appena in tempo a posare l'oggetto sul palmo aperto del compagno che lo vede tremare. Di rabbia, di frustrazione, di ricordi dolorosi. John ha capito, Sherlock lo sa, e sa anche che è come se un fulmine avesse trapassato il cervello di John e il principio di emicrania è solo una delle conseguenze minori delle conclusioni a cui è arrivato.
- Il bossolo di un fucile d'assalto. Un Bullpup, probabilmente. Se i miei occhi non m'ingannano, c'è un'altissima probabilità che si tratti di un Enfield SA-80, un L-85 per la precisione.
David Rossi lo guarda inclinando appena il capo.
- Lei come fa a saperlo?
Non è una domanda. Lo è per formula, ma non è una richiesta. Perché loro - tutti loro, tutti quelli che sono in questa stanza - sanno esattamente quello che sta succedendo. John è l'unico ignaro, lo era, finché Sherlock non l'ha aiutato a capire. E John ribolle di rabbia. Si alza in piedi, stringendo il bossolo fra le mani con tanta foga da farsi male ai palmi e si morde il labbro per non lasciarsi fuggire una risata isterica. Mentalmente, si ritrova a dover maledire chi l'ha privato della sua Browling all'ingresso.
- La usavo - John sorride, di un sorriso amaro - erano le armi in dotazione ai Fucilieri* in Afghanistan.
Per qualche secondo cala un silenzio spettrale, uno di quelli pesanti che non sai come interrompere senza scatenare una guerra. Ma lo sai, e lo sa anche John, che quella guerra è già in atto.
- Avrei dovuto aspettarmelo da te, Mycroft - Sherlock schiocca appena le labbra, disgustato - non pensavo saresti arrivato a questo punto, ma evidentemente ho un'opinione fin troppo alta di te.
- Mycroft non sapeva nulla. Non fino a questo momento, almeno. - Mormora Hotchner, avvicinandosi di qualche passo al Soldato e ricevendo in cambio un ringhio sommesso da Sherlock.
- Non ha lavorato sotto la CIA o il SIS per poi farsi prendere in giro da voi giocattolini dell'FBI, agente Hotchner. Le garantisco che mio fratello sapeva ben più di quanto ha detto a voi e a me, lo fa sempre, è una sua particolarità e disdicevole abitudine tenersi sempre un passo avanti agli altri, non è vero, fratello? - Sherlock, si pone fra l'amico e il resto della squadra dell'FBI, in un istintivo senso di protezione - Non rimarremo qui un minuto di più e vi assicuro che sette vittime sono solo un piccolo prezzo da pagare per chi non sa fare il suo lavoro.
Sherlock lo sa. Sa come irritare le persone, e John capisce che lo sta facendo solo per lui, per proteggerlo a modo suo. Il Dottore gli posa una mano sul braccio per fermarlo prima che metà della squadra di Profiler gli siano addosso. Specialmente quello più grosso, l'agente Morgan, sembra sul punto di puntargli la pistola in fronte e non avrebbe nemmeno tutti i torti. Sherlock gli rivolge un'occhiata. John si limita a fare un cenno con la testa.
E' tutto ok, nessuna mossa stupida.

Sherlock lo capisce e non aggiunge altro.
- Sospettate sia un cecchino di Northumberland. Per questo mi avete fatto venire qui. - John non riesce a trattenere un fremito alla schiena mentre cerca di incastrare i pezzi che, lo sa, Sherlock ha già unito - Ma ci sono centinaia di Fucilieri nei vari reggimenti. E Dio solo sa quanti ne sono passati e quanti hanno fatto l'addestramento militare solo negli ultimi anni. Come credete possa aiutarvi?
John non riusce a collegare il puzzle. C'è un pezzo che stona, incastrato da qualche altra parte e che gli punzecchia il cervello per uscire ma non lo fa mai abbastanza forte e rimane lì, a solleticargli il lobo anteriore. E rimane lì, come un tarlo invisibile che scava nel suo cervello. John sente anche un fortissimo mal di testa che gli preme sul lobo frontale, ma in questo momento è proprio l'ultimo dei suoi pensieri.
- Perché il bossolo non è l'unica cosa che hanno trovato sulla scena del delitto.
Sherlock lo dice con lo stesso tono di quando ordina al Cinese.
Stasera non ho voglia che Mrs Hudson mi giri per casa, John, ordina il solito al take away.
John si volta di scatto verso di lui, incrociando i suoi occhi di giada. E lo sente di nuovo.
Il brivido freddo dell'eccitazione misto a qualcos'altro.
E' paura, John. Stai tremando come una foglia per la paura.
L'Agente Hotchner si schiarisce la gola, facendo un cenno con la testa verso quello più giovane. Reid, Spencer aveva detto. John ricorda bene tutti i nomi e i volti delle persone. In Afghanistan era l'unico modo per associare le facce alle piastrine dei morti.
- Nel quaranta per cento dei casi i messaggi su un cadavere indicano rimorso, vogliono essere un messaggio verso coloro che ritrovano il corpo, una specie di SOS per aiutarli a smettere, per intenderci. Il venti per cento, invece, è solo un modo stupido per sviare la polizia dalle indagini, solitamente con risultati disastrosi.
- I Serial Killer sono intelligenti, ma fanno errori banali. Cacciarli è più divertente quando sono in preda al panico per lo sbaglio commesso. Vai avanti.
Sherlock si lecca le labbra e anche questa volta John ha un brivido. Completamente diverso dagli altri. Spera solo che il Consulting Detective non si accorga della differenza.
- Sì, esatto - trilla il più giovane - il restante quaranta per cento invece, è un messaggio di natura diverso. E' rivolto a qualcuno in particolare ed è strano perché solitamente non vengono rinvenuti collegamenti ufficiali tra queste persone, ai predatori seriali basta uno sguardo per far scattare la molla della pazzia omicidia, mi ricordo di un caso del 1976 quando un ufficiale della marina tornato da poco da una missione di guerra-
- Reid. Arriva al dunque.
Il giovane agente accenna a un sorriso imbarazzato, mormorando qualche parola di scusa a tono basso. Il resto della squadra pare trattenere una risata. Sembra una cosa normale, fra loro, e John si sente un po' rincuorato. Ma solo un po'. Per qualche secondo c'è silenzio, mentre il giovane stacca dalla parete attrezzata un foglietto imbustato, lo stesso che Morgan ha impedito a John di vedere. Poi la sua attenzione si concentra tutta sul Dottore. John sente gli occhi di Sherlock puntati sulla schiena e il suo cuore sbattere forte contro la cassa toracica.
- Questo crediamo sia diretto a lei.
Il Dottore prende il foglietto con la mano sinistra. Sherlock ringhia. John sente la terra sotto ai piedi incredibilmente instabile, in quel momento. Sul foglietto a righe che tiene fra le dita, spicca una scritta in stampatello, rosso sangue.

Gioca con me, White Spider*.





Ps. I'm a Serial Addicted

Si beh, mi rendo conto di essere clamorosamente in ritardo. Me ne rendo conto, e mi scuso immensamente con tutte le splendide persone che hanno letto, recensito, aggiunto ai preferiti e alle seguite questo Crossover che vuole essere più un esperimento che altro. Ho dato molto (moltissimo) spazio a John, e alle sue sensazioni in questo capitolo, per questo la squadra di Hotchner compare più come un cameo che come vere e proprie co-star. Dal capitolo prossimo sarà tutto più amalgamato, ma mi serviva che in questo caso John e solo John fosse il protagonista. Un paio di piccole precisazioni, come sempre:

* L'Enfield SA-80 L-85 non è il fucile d'assalto usato dai fucilieri dell'Esercito Inglese, ma purtroppo ho fatto davvero una fatica immonda a trovare quello reale. Così ho optato per questo, che in realtà è usato dalla fanteria di Sua Maestà (me ne sono innamorata, lo ammetto, sono una dannata fanatica delle armi da fuoco). Prendetela come una piccola licenza poetica, ecco.

* Per quanto riguarda questo, invece, è un piccolo tributo alla bellissima Back to Afghanistan della meravigliosa Ermete <3 no, non nel senso che lei ha usato "White Spider", ma nel senso che ho usufruito della sua idea di dare dei "soprannomi" ai soldati nelle missioni speciali u_u non riuscivo davvero a venir a capo del problema "come faccio a far capire a John che il Killer lo conosce senza scrivere il suo nome nel foglietto?", e lei mi è venuta in aiuto senza saperlo, per cui mi sembra giusto renderle merito. Oddio, non se mi sono spiegata, mi esprimo come un cane in 'sti giorni ç_ç

Per il resto, ho faticato immensamente a buttar giù questo nuovo capitolo, ma spero di non avervi delusi, per cui nel caso fatemelo sapere e mangerò pomodori acerbi per chiedervi perdono u_u
see ya!


Jess

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Capitolo 3
*** III ***


Dietro la schiena III
Dietro la schiena
III







Non sempre le cose sono quello che sembrano. La prima impressione inganna molti. L'intelligenza di pochi, percepisce quello che è stato accuratamente nascosto.
Fedro








- John? John, rispondimi, for God's sake.
E' tutto ovattato, confuso. Una bolla di sapone che John non riesce a far scoppiare, avvolge il suo corpo come una calda coperta. Sente solo caldo, tanto caldo. Deve avere la pressione alle stelle. Non riesce a distinguere bene i colori, e le facce sono mischiate in uno strano accozzo di nasi e bocche. John non è neanche sicuro di ricordarsi dov'è, quando un potente schiaffo gli fa sbattere la palpebre e ritornare, con un vortice, dritto nella realtà. E fa male, cazzo, più male della pelle che brucia.
- Mycroft, non azzardarti mai più ad alzare le mani su John o ti ritroverai con un arto di meno!
- Era il metodo più sbrigativo per farlo rinvenire, fratello. Non torcerei mai un capello al mio futuro cognato. A meno che non si renda necessario, certo.
- Capitano Watson, si sente bene?
I colori tornano al loro posto, la testa gira ancora ma almeno John non sente più l'aria asfissiante che gli ottenebra i polmoni. E' in piedi, sì, e gli occhi sono ancora fissi sul foglietto in cui spicca la tinta rossa. Tutti lo guardano in maniera allarmata, e da medico, intuisce una specie di mancamento, pur rimanendo concentrato solo ed unicamente su quel pezzo di carta. Dalla faccia preoccupata - sul serio? - di Sherlock, immagina almeno un paio di minuti di vuoto totale.
Gli occhi spalancati per la paura.

- John, stai bene?
Il Dottore annuisce con non poca fatica, un braccio di Sherlock a cingergli la vita, protettivo e  possessivo.
- Come... come facevate a sapere che era riferito a me?
Lo sputa fuori dai denti, schiudendo appena le labbra e gli occhi in direzione di Hotchner che è rimasto fermo immobile a guardarlo per tutto il tempo. John è lucido ora, si regge in piedi perfettamente, e la rabbia che gli sta montando dentro non è eguagliabile a nessun altro sentimento che l'ha animato fino a quel momento.
- Abbiamo i nostri informatori, lei capirà le norme di sicurezza che regolano questi scambi non possono essere violate-
- Sì, sì, tutte quelle stronzate sulla privacy e il pericolo di morte imminente, ne sono a conoscenza. Non è quello che le ho chiesto.
Hotchner socchiude appena gli occhi.
- Nessuno sa che ho partecipato a quella missione. I nostri superiori nelle forze armate non erano a conoscenza delle nostre identità, per preservare la nostra e la loro incolumità. E' un ordine che è partito direttamente dall'alto, se capisce cosa intendo. Non c'è documentazione, non ci sono fogli, non esistono nomi. Solo questo, solo White Spider. L'unica persona che sapeva chi ero è morta durante la missione. E ho tutto il diritto di sapere chi ve l'ha riferito.
John non sa a cosa sta andando incontro. Nell'animo ha anche un po' paura di scoprirlo, ma la mano ferma di Sherlock sul suo fianco è salda, e lui non ha paura di cadere di nuovo.
- Se le dicessi che il suo compagno non è morto.
John sente distintamente il suono del suo stomaco che ribolle, unito allo sdegno di Sherlock che mormora un disgustato compagno in risposta alla frase del capo del BAU.
- L'ho visto saltare in aria. Con i miei occhi.
David Rossi ghigna leggermente.
- Ha anche visto il suo migliore amico lanciarsi giù da un palazzo. E ha toccato il suo corpo senza riuscire a misurarne i battiti. Eppure mi sembra che lui sia ancora qui, vivo e vegeto.
John vede rosso e tanto basta per farlo scattare.
- Brutto bastardo!
- John.
Sherlock lo ferma. Lo trattiene per un braccio proprio quando è a un centimetro dalla faccia di quello schifoso agente dell'FBI che solo per aver scritto due o tre libri e aver lavorato per il Governo si crede superiore a chiunque incroci la sua strada. Ma la voce di Sherlock lo calma, gli soffia dritto nell'orecchio poche parole che gli fanno ritrovare la solita flemma perduta. Inspira profondamente e il profumo dell'amico gli schizza dritto nel cervello. Il cuore accelera leggermente, ma non per la rabbia. E' un sentimento diverso che ora John non ha tempo né pazienza di analizzare. Non ora che la porta della stanza si è aperta.
- Capitano Watson, suppongo lei conosca già il Colonnello Sebastian Moran. - Hotchner fa un cenno con il capo verso l'uomo dinanzi alla porta - Non volevamo tenerglielo nascosto, ma per motivi di sicurezza nazionale, gli amici del Governo Inglese ci hanno chiesto... un piccolo favore. Lo abbiamo tenuto al sicuro fin quanto abbiamo potuto e ci è stato molto utile in tante indagini, compresa questa. Ci ha fatto capire che nell'Esercito c'è una talpa che è conoscenza del suo passato, Dottor Watson, una talpa potente. E a noi tocca stanarla, possibilmente con il vostro aiuto. Per questo siete qui.
John afferra Sherlock per un braccio tanto forte da fargli scappare un singulto. Sebastian Moran è sempre stato un uomo appariscente, dai lineamenti marcati, di una bellezza strana e particolare. Una pelle chiara e costellata di macchie solari, capelli neri e occhi verdi. Dannatamente freddi. Ha sempre attirato l'attenzione di tutti, persino al campo di addestramento. Era bravo, era un cecchino in gamba, per questo ha fatto carriera in fretta ed è stato assegnato a una missione speciale, segreta, pericolosa all'ennesima potenza. Hanno lavorato insieme, ma non sono mai stati veramente amici, nonostante John gli fosse profondamente affezionato. A ripensarci ora - a quella dannata missione, a quelle dannati notti insonni in cui lui parlava e Sebastian acoltava in silenzio - si chiede come abbia fatto - o, a questo punto, abbiano - a uscirne vivi.
- Deve essere colpa di un germe transoceanico che impedisce alle persone di trovare una via alternativa alla morte che non sia la morte presunta.
Sherlock si lascia scappare uno sbuffo divertito. John non lo è così tanto ma lo imita. Il calore umano del Consulting Detective riesce a stabilizzare la sua, di temperatura, che è crollata sotto zero. Non fosse umanamente possibile, si sarebbe ibernato seduta stante.
- Avremo modo e tempo di spiegarvi cos'è successo, ma non è questo e non è adesso. Dottor Watson, voglio che lei veda i cadaveri, e dia un suo parere specialistico, possibilmente.
John annuisce, come se fosse in trance. Sebastian gli si è fatto più vicino, gli ha stretto la mano con forza, gli ha sussurrato poche parole all'orecchio e John si sente trasportato indietro nel tempo con il rumore delle bombe che sembra farsi più forte che mai. La gamba torna quasi a far male come prima, ma questa volta il soldato scaccia quel dolore con un ringhio basso da bestia ferita.
- Mi fa piacere rivederti, John - Sebastian ha un tono di voce calmo, come se avesse aspettato quel momento da tutta una vita e ora lo stesse pregustando al meglio - ci sono un sacco di cose da... raccontare. Da dirci. Ci sarà il tempo. Te lo garantisco. E capirai.
No, John non capisce e non si sforza nemmeno di provarci. Non riesce a sillabare più di qualche parola di senso compiuto in fila all'altra e il suo dopobarba pungente gli invade lo spazio vitale mentre gli occhi di ghiaccio del suo coinquilino, collega e amico gli trapassano la schiena. Contemporaneamente. Non è una sensazione piacevole. Sherlock storce le labbra in un'espressione di disappunto che si propaga fino agli occhi.
- Evitando convenevoli che non sono necessari - il Detective scocca una rapida occhiata astiosa a Moran che ricambia con un sorriso luminoso - vorrei che il Dottor Reid venisse con noi. Ci farà da guida.
Le parole di Sherlock spezzano quel silenzio carico di aspettativa che ha invaso lo studio del BAU. Il Consulting Detective saltella nervosamente da un piede all'altro, abbandonando quell'aria di aristocrazia che lo circonda da quando John l'ha conosciuto. Con la coda dell'occhio, il Dottore vede Mycroft ridere in un angolo e si sente preso in mezzo in un triangolo tutt'altro che simpatico.
- Considerando che c'è un Serial Killer sulle vostre tracce preferirei venisse anche Morgan, con voi.
Sherlock alza appena un sopracciglio, fissando Hotchner con un sorriso storto.
- Volevo cercare di essere gentile ma se vuole sarò più chiaro. L'Agente Reid mi sembra l'unico del gruppo senza un cervello sottosviluppato con cui conversare senza incorrere in un ictus cerebrale. Non è la prima volta che un assassino cerca di uccidermi e temo per le forze armate che non sarà l'ultima. Per cui mi risparmi la commedia. Non abbiamo bisogno di nessuno.
Gli occhi di Sebastian seguono il Dottore oltre la porta. Avremo modo di parlare. Di chiarire, gli ripete, prima che Sherlock lo trascini via con un impeto per lui inusuale. Gli occhi di Sebastian sono freddi, più freddi da come John li ricordava. Ha quasi paura di quegli occhi e ancora non ha capito un accidente di quella storia. Di cosa devono parlare? Cos'hanno da chiarire? Ma oltre il corridoio e l'ingresso del BAU, il suo cervello riesce solo a registrare il rumore di una porta sbattuta con violenza e il ticchettio prepotente delle scarpe di Sherlock sul pavimento chiaro dell'FBI.
 
- Stai bene, John?
Sono in macchina. John ha fatto appena in tempo a guardare l'alta figura di Sebastian prima di venir trascinato via quasi di peso da Sherlock. Non è riuscito neanche a rivolgergli la parola come si deve. Reid è seduto di fronte a loro, accanto a Mycroft che sta animatamente parlando al telefono con uno dei suoi collaboratori in Inghilterra. Prepara la tua roba, Anderson, e fammi il favore di liberarci della tua presenza. Hai fatto abbastanza danni per una vita intera, in un moto di lucidità, John si chiede se l'Anderson di Mycroft sia parente dell'Anderson di Scotland Yard. Non è sicuro di voler avere una risposta.
- Sure, sto bene. Mai stato meglio.
Sherlock inarca un sopracciglio. Non avrebbe potuto utilizzare un tono di voce più falso neanche se l'avesse fatto apposta. Ha visto un amico - di nuovo, ancora - tornare dalla morte, non ha avuto quasi il tempo di parlargli. E per i suoi gusti è successo decisamente troppo in fretta. No, non stava bene, proprio per niente.
- Hai le pupille dilatate, stai sudando anche se la temperatura è stabile e non eccessivamente calda, senza contare che il tuo battito cardiaco è decisamente superiore al tuo normale-
John non lo fa apposta. Sul serio, non è premeditato né tanto meno lo fa di proposito. E' una reazione involontaria, ma lo fa. Scaccia la mano di Sherlock che gli ha appena afferrato un polso, come se fosse rovente. Ferro caldo sulla pelle. Ustionante. Il cuore galoppa così veloce che John teme che l'udito fine di Sherlock possa sentirlo. Se non l'ha già sentito, con la mano sospesa a mezz'aria. John apre la bocca un paio di volte. Sherlock lo fissa con gli occhi ridotti a fessure. Poi c'è solo silenzio. Reid non dice niente, non ha detto nulla da quando sono saliti in macchina. Mycroft sta ancora parlando al telefono. Sherlock e John non si rivolgono la parola per il resto del viaggio.

L'obitorio del Governo Federale puzza. John storce il naso. Non è odore di cadavere decomposto né di membra in putrefazione né di cervelli andati a male. A quelli ci è quasi avvezzo, per quanto sia sgradevole anche solo pensarlo ma fra l'Afghanistan, Sherlock Holmes e i suoi esperimenti, uno si abitua. E' puzza di qualcos altro, ma per il momento Sherlock - ma specialmente John - accantonano quell'informazione. Il medico patologo che compare dalla cella frigorifera - sul serio? Una cella frigorifera comune per i cadaveri? Come quella per i maiali? -  non assomiglia per niente a Molly. Prima di tutto è un maschio. Ne ha la costituzione, l'aspetto e sopratutto l'odore. In secondo luogo è palesemente alticcio, e questo non piace a John.
- Oh, lei deve essere il Signor Watson, tanto piacere.
Gli stringe una mano umidiccia, e Sherlock non riesce a trattenere il disgusto rifiutandosi di imitare John nel gesto più comune di cortesia.
- Dottore. Dottor Watson. - Replica John, piccato.
- Oh, sì, sì, Dottore, Signore, per me non fa differenza. Venga, venga. Queste sono i primi tre cadaveri, li hanno trovati in una zona periferica della città, erano morti da almeno tre giorni quando sono andati a cercarli, attirati probabilmente dall'odore fetido, il vento porta con sé molte cose, comprese quest-
Sherlock alza gli occhi al cielo, sfilandosi la sciarpa con stizza e lanciandola da qualche parte.
- Se avessi voluto leggere i referti li avrei chiesti all'Agente Hotchner, gradirei facesse silenzio e, se possibile, uscisse fuori dalla stanza. Nel caso non fosse possibile esca lo stesso, il suo cervello che fatica a utilizzare la giusta dose di sinapsi per collegare i pensieri più semplici mi disturba, mi irrita e mi annoia. Fuori.
Il medico patologo apre la bocca senza far uscire un suono. John tossisce, Reid aggiunge un per favore e l'uomo non se lo fa ripetere due volte. Lascia tutto esattamente com'è ed esce dalla stanza come se avesse visto uno dei suoi cadaveri alzarsi dal tavolo dell'obitorio. O peggio.
- Dovresti cercare di essere meno scontroso, Sherlock. I medici sanno maneggiare taglierini meglio dei criminali borseggiatori a cui sei abituato.  
- Considerando il suo grado di alcolismo e il principio di Alzheimer che lo sta colpendo e lo renderà incapace nel giro di pochi mesi, mi stupisce che abbia ancora il suo posto di lavoro, dovrebbe essermi grato del fatto che non ho tempo di occuparmi di lui ora. Reid, fammi un riassunto veloce delle conclusioni dell'FBI. Confido nel fatto che non dirai cose inutili e che so già.
Spencer Reid, dall'alto dei suoi 24 anni, batte le palpebre leggermente sorpreso.
- Ma lei ha detto-
- So cosa ho detto. Vi state mettendo d'impegno per farmi perdere tempo?
John non sa se sentirsi sollevato oppure offeso dal fatto che non sia stato consultato per una visita approfondita sui cadaveri. Ma sta zitto. Si sente ancora in colpa per prima, e non vuole sollevare altra polvere.
- I primi tre cadaveri ce li hanno fatti trovare insieme. Avevano delle bruciature sul braccio che non siamo ancora riusciti a identificare. Il quarto e il quinto invece-
Sherlock lo interrompe con un gesto della mano, scoprendo i cadaveri fino a questo momento nominati. Non hanno alcun segno di violenza fisica, eccezion fatta per un cerchio nero al centro del petto. Buco ai polmoni. Professionista. John rabbrividisce e Sherlock se ne accorge. Lui si accorge sempre di tutto.
- Dici che ve li hanno fatti trovare. Perché?
Reid fa spallucce, leggermente a disagio.
- Perché in ogni vittima hanno fatto in modo di lasciarci l'indirizzo di dove avremmo trovato quella successiva. Una caccia al tesoro piuttosto macabra, ma estremamente efficace.
John inarca le sopracciglia.
- Come hanno fatto? Il biglietto non era l'unico? - Chiede, curioso.
Spencer Reid scuote la testa. Si guarda intorno circospetto per pochi istanti, lancia un'occhiata di traverso alla telecamera nell'angolo a destra e poi si avvicina ai due, stranamente silenziosi.
- Piastrine. Ai piedi delle vittime venivano abbandonate delle piastrine militari. All'inizio non sapevamo perché ma, a forza di guardarle, ho pensato che, se davvero il Killer era un cecchino, giocare su questo fatto non sarebbe stato difficile per lui. Abbiamo fatto dei controlli incrociati e Garcia ha scoperto che tutti i proprietari delle piastrine si erano trasferiti in America, dopo essersi ritirati dall'Esercito. I cadaveri sono stati abbandonati nelle loro case. Nessuno si è accorto della loro assenza finché una certa puzza non ha infestato le strade, se mi capisce.
- Non tutti i cadaveri sono stati trovati a Quantico, suppongo. Per questo avete tardato tanto a chiamarci, anche se i soldati morti sono tutti inglesi.
Reid annuisce leggermente alle parole di Sherlock.
- Senza contare che le piastrine, per un po', non ci sono state consegnate per via di problemi burocratici. Hotch e Morgan si sono arrabbiati moltissimo per questo.
- Tipico delle persone incapaci. - Mormora Sherlock, schioccando la lingua.
- Comunque - continua a un certo punto, recuperando la sciarpa da sopra un tavolo libero - non c'è motivo di rimanere qui. Possiamo andare.
John rimane fermo per un secondo, tirando Sherlock per un braccio un istante dopo.
- Ma Sherlock, Hotchner mi ha detto di esaminare i cadaveri. Non ti sarà utile sapere qualche cosa in più su come sono morti?
- Non mi serve a niente il tuo constatare l'ovvio, John. Foro di proiettile ben visibile, nessun livido né violenza di altro tipo post-mortem escludendo l'escoriazione da bruciatura che ci ha già indicato Reid poco fa, assolutamente colti di sorpresa. Una morte chiara persino agli occhi di un principiante. Non mi servi, ora.  
John esce dall'obitorio con le mani in tasca e una gran voglia di urlare che gli raschia la gola. Il silenzio della morte è quasi più leggero del silenzio che sente dentro se stesso.

La meta di questo viaggio è, probabilmente, il centro federale del BAU. John lo sa, ma chiede comunque a Sherlock - solo ed esclusivamente a Sherlock - dove sono diretti. Il Consulting Detective sbuffa in risposta. John si sente stupido per la decima volta nel giro di mezza giornata. Decide che non è giusto continuare così, che devono chiarire... quella cosa, qualunque cosa sia.
- Senti, Sher-
- Non chiedere scusa. - John si blocca, con la bocca spalancata e gli occhi di Sherlock puntati nei suoi e si sente avvampare dall'imbarazzo - Non hai niente di cui scusarti, per cui non chiedere scusa.
Una parte della sua dignità cerca di resistere...
- Non volevo chiederti scusa.
- Stavi per farlo.
- Non è vero!
- Smettila di farmi ribadire cose ovvie, John, ti dirò sinceramente che oggi ti stai davvero davvero mettendo d'impegno per irritarmi. Hai qualche problema neurale improvviso che t'impedisce di formulare una frase logica?
... per poi capitolare subito dopo. E John decide, saggiamente, di stare zitto, avvinghiato al sedile della macchina per non alzargli le mani addosso. In ogni senso e doppiosenso che una frase del genere può avere. L'aria è pesante, John quasi non respira ma non muove neanche un dito per provare ad abbassare il finestrino. Sherlock si ostina nel suo silenzio e non lo guarda nemmeno. E' crollato un muro freddo fra di loro, e quel muro sono i suoi occhi di ghiaccio.
Il cellulare di Mycroft -  quando diavolo è entrato in macchina? - squilla, cancellando per un secondo il senso di colpa che stringe le viscere del soldato. Sherlock è allerta e anticipa il fratello con un sorriso storto.
- Un altro cadavere. Divertente. Amo i Serial Killer che sanno divertirmi.
John avrebbe da ridire in merito ma per la seconda volta - la terza? La quarta? - non dice niente, constatando come, rassegnarsi a Sherlock Holmes sia ormai diventata l'abitudine di tutta una vita.







Ps. I'm a Serial Addicted

Quest'oggi ho finalmente completato questo capitolo! Non sono tanto soddisfatta di come ho gestito Moran, è un personaggio davvero difficile e gli ho dato relativamente poco spazio anche se, prometto, ne avrà assolutamente negli altri capitoli, anche perché le sue gesta si snoderanno con quelle degli altri protagonisti... ho giocato sporco, perché avrei potuto usare decine di ruoli diversi per immischiarlo nella storia e io utilizzato quello più semplice: John. Me ne vergogno un po', ma ormai è fatta u_u a dirvela tutta volevo un capitolo un po' più fluffoso degli altri perché siamo quasi a metà (sì, ho deciso più o meno quando e come sarà la fine) e questo è uno dei capitoli centrali per il rapporto Johnlock e per quello che succederà alla fine... non dirò altro, giuro, altrimenti è decisamente spoiler u_u premetto un'altra cosa: io adoro David Rossi, ma il suo atteggiamento all'inizio della serie mi ha sempre urtato i nervi e ho pensato che potesse risultare fastidioso anche per i nuovi arrivati come Sherlock e John. A parte qualche dettaglio, ammetto sinceramente che questo è il capitolo che mi è piaciuto di più scrivere, specialmente per le battute di Sherlock. Ho adorato scrivere di lui, più che di tutti gli altri. Per il resto, spero che a voi piaccia, e di non aver sforato troppo nel ridicolo *si abbraccia le gambe dondolando* grazie ancora per tutte le recensioni, tutte le vostre letture e i complimenti, mi rendete davvero felice! A rileggerci!

See ya,


Jess

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Capitolo 4
*** IV ***


IIII
Dietro la schiena
IV




Ci sono molti sentieri che portano allo stesso posto.
Detto Apache







Fa freddo. In questo periodo non è normale, ma ancora di più non lo è a Quantico. John si stringe prepotentemente nel cappotto, rabbrividendo appena arrivato sulla scena dell'ultimo crimine. Il vicolo in cui sono stati trovati i corpi è stato chiuso, blindato, e una manica di poliziotti impedisce ai curiosi di avvicinarsi più del dovuto. Sherlock ha già litigato con tre di loro, ma questa volta John non è intervenuto. Ha semplicemente scavalcato il nastro giallo e bianco, e si è avvicinato alle vittime, constatando con stupore il loro perfetto mantenimento post-mortem. Non ha mai visto un cadavere così... perfetto e John sente una brutta sensazione alla spina dorsale quando si rende conto di aver appena pensato una cosa del genere. Disgusto. Per se stesso, per la situazione, per tutto quanto.
- Dottor Watson?
John sbatte appena le palpebre, voltandosi indietro. L'Agente Morgan gli è davanti, a maniche corte e occhiali scuri a coprirgli le iridi severe. Hai ancora voglia di tirargli un pugno in faccia come a metà della squadra di Profiler, ma dopo il mezzo bisticcio con Sherlock e la vista dei corpi... semplicemente si sente svuotato. Non ha più voglia di discutere, vuole solo chiudere in fretta questa faccenda e tornarsene a casa. E' troppo coinvolto, e questo non fa bene all'indagine.
- Sta bene? Dottor Watson?
- Sì - sospira piano, John - sto bene.
Morgan inarca appena le sopracciglia.
- Che cosa può dirci di questi uomini?
John fa spallucce, con un ghigno triste a imperlargli le labbra.
- Che sono morti.
Morgan si fa scappare una risatina.
- Che altro?
- Veleno. Mh. Via orale, probabilmente ma sembra ci sia sangue coagulato sotto la bruciatura - perché, perché la bruciatura? Cosa volevano nascondere? - sia su questi corpi che su quelli in obitorio. Non l'hanno fatto con delicatezza perché non avevano tempo, ma i cadaveri sono puliti, come gli altri, nessun segno di violenza gratuita. Sono stati colti di sorpresa. Mentre dormivano, probabilmente. I sensi da soldato non hanno aiutato, chiaramente.
Sherlock non tocca i cadaveri. Non lo fa mai, ci volteggia intorno come un'ape sul fiore, pronto a recuperare il miele nel momento più opportuno. O in questo caso, più indizi possibili. A un'occhiata interrogativa di Morgan, John si limita ad annuire.
- E' giusto. Veleno, preso via orale, probabilmente. Un paio di secondi e sono morti stecchiti. Non se ne sono neanche resi conto.
- Che tipo di veleno, è in grado di dircelo, Dottor Watson?
John fa spallucce.
- Sento odore di mandorla in bocca. Forse cianuro o acido cianidrico ma non posso esserne sicuro senza un esame approfondito. E per favore, mi chiami John.
Sherlock si toglie i guanti neri con un gesto secco, leccandosi appena le labbra e avvicinandosi al trio, a cui nel frattempo si è aggiunto Reid.
- In tutto sono nove vittime - John annuisce meccanicamente - tutte quante uccise con il veleno. Probabilmente lo stesso. Visto il fisico, doveva essere una grossa quantità per avere un effetto così immediato, più del dovuto in modo che la morte fosse istantanea. Come gliel'hanno somministrato? Oralmente, bene, e perché non hanno reagito? Ricatto, chiaro, professionisti. Devono aver preso in ostaggio qualcuno a loro caro. Ci saranno altre vittime. Minimo altre dieci.
Morgan s'irriggidisce.
- Perché parla al plurale?
Sherlock alza un sopracciglio, squadrando l'Agente Speciale con un ghigno storto. Reid e John si lanciano una velata occhiata e a quest'ultimo scappa un singhiozzo.
- Crede sul serio che se avessero potuto non si sarebbero ribellati? Mi sembra di parlare con Anderson, for God's Sake. E' così tremendamente ovvio che mi rifiuto di spiegarglielo - con un gesto piccato sorpassa sia John che Morgan, avviandosi verso la macchina - telefoni alla sua amica informatica, le faccia scoprire se da qualche parte negli Stati Uniti ci sono stati furti di qualunque tipo di sostanza che, se somministrata in grossa quantità, possa portare alla morte in breve tempo. Nell'ultimo mese dovrebbe andare bene. Quello sarà il nostro inizio.
John vorrebbe urlare un fantastico, grandioso, spettacolare ancora una volta. Ma il pronostico catastrofico di "minimo altre dieci vittime", gli ha lasciato un profondo sapore di morte in bocca e non riesce a dire nulla. Segue Sherlock a capo chino, con il cuore un po' più lento, lasciando un Morgan turbato sulla scena del crimine che telefona a Garcia come gli è stato detto di fare.

Una volta tornati alla sede dell'FBI, John si lascia cadere stancamente su una sedia. Non dorme da quasi un giorno intero, e il suo stomaco gorgoglia in un disperato bisogno di cibo, acqua e possibilmente un digestivo. Ma niente di tutto questo, ovviamente, gli sarà dato. Sherlock si è allontanato insieme a Mycroft e Reid per fare un riassunto veloce alla squadra dei Profiler di ciò che hanno scoperto dai cadaveri in obitorio - vi consiglio anche di cambiare medico patologo, gli ubriaconi e i malati non sono il massimo per un lavoro di quel tipo - e da quelli rinvenuti neanche un'ora fa. La figura algida di Sebastian Moran gli si para davanti senza che se ne accorga. John ricaccia indietro un singulto, constatando come le doti di mimetizzazione del soldato che ha davanti non si siano dileguate nel corso degli anni.
- Sei un po' fuori forma, Johnny.
John rabbrividisce appena a quel nomignolo.
- Ho avuto momenti migliori.
Sebastian si siede di fronte a lui, accavallando le gambe con grazia. Anche nell'Esercito l'aria da aristocratico non l'ha mai abbandonato.
- Che ti è successo? Come sei finito in questo posto?
Sebastian fa spallucce.
- Sono caduto in mani nemiche dopo essere "saltato per aria". Mi era stata affidata una missione dietro a quella con te. Capirai, ordini dell'alto, non potevo coinvolgerti. I cazzoni dell'FBI mi hanno tirato fuori da una situazione difficile. Mi danno protezione e una vita tranquilla, in cambio io faccio da... informatore. Se capisci cosa intendo.
Oh, capisce, John. Capisce fin troppo bene.
- Sì, mh. Chi credi che sia? Voglio dire... i nomi. White Spider. Lo sapevamo tu e io.
Sebastian scaccia l'ultima frase con un cenno della mano e John si zittisce.
- Sciocchezze. Eravamo tenuti sotto sorveglianza da un sacco di gente, John. Dovevano tenere me sott'occhio, la preda difficile, sai. Potrebbe essere chiunque a questo punto, le notizie volano veloci. Che tu sappia potrebbe anche essere stato l'amico tuo, Sherlock Holmes.
John s'irriggidisce quel tanto che basta per squadrare Sebastian con occhi freddi.
- Non dirlo mai più.
Sebastian ride tirando fuori una sigaretta da un pacchetto stropicciato. Zip. Ne tira una profonda boccata, schioccando la lingua.
- Non fidarti, John. Nessuno è al sicuro qui, tantomeno tu. Qualcuno ti sta col fiato sul collo, e non puoi permetterti di abbassare la guardia.
L'ex cecchino si alza in piedi, dando una sonora pacca sulla spalla al collega e poi si avvia ciondolando verso la macchinetta del caffè dall'altro lato della stanza. John si chiede se l'aereo di quella mattina sia ancora disponibile per poter tornare a casa.

- Garcia, hai trovato qualcosa?
Seduti allo stesso tavolo di prima, John inizia a considerare l'idea di uccidersi con la pistola che ha lasciato all'ingresso. Inizia ad averne abbastanza di tutto, specialmente dell'atteggiamento di Sherlock con cui, tra l'altro, non ha ancora chiarito. La porta della stanza si apre, mentre una donna sulla trentina, capelli rosa (e bianchi, sono ciocche bianche, quelle?) e un vestito improponibile si precipita sul tavolo, posando tutto quello che ha in mano, compreso il cellulare ancora aperto alla conversazione con Morgan. Sherlock la guarda come se fosse appena uscita da un film di Star Trek. John è troppo stanco anche solo per pensare di ridere.
- Scusate il ritardo dolcezze, ho avuto qualche piccolo problema a infiltrarmi nei computer del Governo Britannico, Dio mio come siete avanzati, vi chiederò un riassunto preciso preciso dei vostri sistemi quando sarà finita questa storia.
La donna gira intorno alla stanza come una mosca, spargendo foglietti e cartelle ovunque e continuando a parlare a macchinetta.
- Garcia, allora?
Prentiss la fa tornare alla realtà con un gesto della mano e lei sorride, resasi conto all'improvviso di non trovarsi solo davanti al suo gruppo di lavoro. John pensa che sia una pecuniarità della squadra non riuscire a stare zitti un attimo, Sherlock ci starebbe da dio in mezzo a tutti loro.
- Sì, uhm, c'è stato un furto in un laboratorio chimico di un'industria d'Inghilterra, circa tre settimane fa. Non hanno dato la notizia ai mass media perché-
- Pratiche illegali per il Governo, tipico.
Garcia annuisce, un po' a disagio.
- Corrisponde all'inizio degli omicidi. - Osserva Sherlock, senza staccare gli occhi da quelli della donna.
- Perché rubarli proprio in una base inglese situata in America? Mi sembra troppo per essere una semplice coincidenza.
Un pensiero comune sfiora la mente dei presenti ma è Rossi a parlare per primo con uno schiocco di lingua, irritato per non esserci arrivato prima.
- Volevano attirarvi qui. E' una trappola.
- E ci siamo cascati con tutte le scarpe.
John rimane in silenzio per qualche istante. Ha una fastidiodissima ape che gli ronza nelle orecchie e non riesce a scacciare. Non fidarti, John. Nessuno è al sicuro qui, tantomeno tu. Le parole di Sebastian fanno male contro lo sterno. Ignorarle, deve ignorarle e basta. Sorride appena, il labbro tremulo e un'espressione leggermente isterica.
- E chi potrebbe... voglio dire. Lui ormai è... non c'è pericolo, no?
Mycroft guarda Sherlock. Sherlock guarda Mycroft. E a John questo non piace.
- Oh, no davvero - si alza in piedi, portandosi una mano alle labbra - tu non puoi... avevi detto che era finita! Sherlock! - Sherlock si alza in piedi, allarmato, facendo il giro del tavolo e prendendo John per le spalle ma questa volta viene respinto ancora più bruscamente, con convinzione e consapevolezza - Sherlock, lui è morto. Dimmi che è morto. Devo sapere che è morto, Sherlock!
Sherlock deglutisce. John è in uno stato di shock e rabbia tale che se provasse anche solo a fare una mossa riceverebbe un pugno sul naso.
- Lui è morto, John.
La voce pacifica di Mycroft interrompe lo scambio di battute. John gli rivolge una sola lunga occhiata gelida.
- Lui è morto. Non c'è nessun Moriarty in questo mondo né ci sarà mai più - deglutisce appena, il Governo - ma c'è qualcuno di altrettanto pericoloso. Il suo braccio destro. E non sappiamo chi sia. E' lui è qui. E' tutta opera sua, ormai è evidente.
John fa un mezzo giro. Respira. Deglutisce. La squadra di Profiler osserva tutto con occhi critici ma nessuno dice una parola. Mycroft deve aver parlato con loro riguardo a tutto quello che è successo, probabilmente con qualche velata minaccia. Ma non importa, non ora. E' troppo, troppo da sopportare. Rivivere quegli istanti, quell'inferno... no, John, non può. Non vuole.
- Io... aria. Ho bisogno di aria.
Scaccia via di malo modo la mano di Sherlock che cerca di fermarlo, incrociando le sue iridi chiare e quasi spaventate, spalanca la porta dell'ufficio, mettendosi a correre nel corridoio per poi scomparire giù per le scale. Vorrebbe fumare, John, si maledice in questo momento di essere sempre stato un salutista. Avrebbe volentieri acceso una sigaretta e aspirato il fumo fin dentro i polmoni per scacciare un po' d'ansia e la tremarella che gli sta sconquassando ogni parte del corpo. Non è pronto a questo. Omicidi, serial killer, piromani... qualunque cosa. Ma Moriarty no, non di nuovo.
Qualche secondo dopo una mano si posa sul suo braccio, la voce di Mycroft gli penetra nelle orecchie e John sbuffa, pronto a scacciarlo via come una mosca fastidiosa. Ma non fa in tempo. Un colpo. Il corpo di Mycroft per terra. Il suo, a fargli compagnia. Ed è buio.

- Mr Holmes.
Sherlock alza gli occhi su Hotchner. Una lunga occhiata indagatrice. Si alza in piedi, lo fronteggia. Hotch si sente nudo sotto quello sguardo ma non lo ammetterà mai.
- Dov'è. John. E mio fratello. Dove sono?
Hotch fa in tempo a sospirare appena che Sherlock ha già capito.
- Li abbiamo persi.




Ps. I'm a Serial Addicted

Ritardissimo, mi merito ogni tipo di scarpa in faccia e pugno allo stomaco, me ne rendo conto ç_ç ma non riuscivo a trovare la vena giusta per il Crossover e la nuova raccolta ha prosciugato ogni mia energia. Ora che sto calibrando entrambe, direi che posso andare. La storia sta per giungere alla sua conclusione (tre, quattro capitoli al massimo compreso questo, ecco) ma da qui in avanti la cosa si farà un po' più veloce, scusate se questo capitolo è lento e pieno di cose inutili @_@ spero che non vi annoi più del dovuto. A rileggerci al presto e come al solito ringrazio chi ha la pazienza di leggere e lasciare recensioni (e chi mi segue, che è sempre un piacere vedere il contatore aumentare **). See ya, un abbraccio e tanto amore per voi!


Jess

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Capitolo 5
*** V ***


V CM
V





Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce.
Platone






John apre gli occhi a fatica. Non sa con quale forza d'animo riesca a farlo e preferisce non chiederselo, per la paura di rendersi conto che non ce la fa davvero. Avezzo com'è alle emicranee, non fa caso alla sua testa che sembra spaccata in due dal dolore, mentre un liquido caldo e secco gli è rimasto appiccicato ai capelli e alla guancia. Sangue, bene. Da quanto tempo è fermo in quella posizione? Da parecchio, visto il dolore che sente alle braccia legate neanche fosse un prigioniero di guerra. Il suo cervello rimane in panne per qualche secondo, e non riesce a pensare in maniera decente. La stanza è buia, fredda, uno scantinato al centro di chissà quale casa abbandonata a se stessa nel pieno centro di Quantico.
- Si dice che se vuoi nascondere un albero devi piantarlo in mezzo ad altri alberi, Dottore.
John strizza le palpebre, individuando una figura all'altro capo della stanza, legata come un salame un po' come lui. I suoi occhi si abituano al buio, e bastano pochi secondi per accorgersi che quella stessa figura è quella di Mycroft.
- Non sono abituato a vederti senza il tuo ombrello.
Ride piano, John, cercando di scacciare l'angoscia e la paura, ma una fitta dolorosa all'addome lo costringe ad accartocciarsi su se stesso, per quanto le mani legate glielo consentano.
- Farebbe meglio a non muoversi troppo, Dottore. Fa male?
John fa spallucce, recuperando il respiro perso.
- Non più del tuo braccio rotto. E comunque avevamo superato la barriera del lei, o sbaglio?
- Oh, te ne sei accorto.
- Sono un medico.
Mycroft si fa scappare una flebile risata. John non lo può dire con certezza ma sembra terrorizzato e, non lo ammetterà ora né mai, lo è un po' anche lui.
- Da quanto siamo qui?
- Circa tre ore. Forse quattro.
Quattro ore. John sente un brivido freddo attraversargli la schiena, quando l'ultimo ricordo rimasto nella memoria, gli pulsa nelle iridi. Tramortiti fuori dal BAU, bella figura.
- Mycroft. Tu sai chi c'è dietro a tutto questo, vero?
Il Governo non dice niente per qualche secondo. Dei passi rimbombano prepotenti nel corridoio oltre le pareti di quella cella improvvisata, e John trattiene il respiro, cercando di liberarsi i polsi con un uno strattone.
- Se ci pensi bene, lo sai anche tu.
La porta si apre e John socchiude gli occhi quando la luce prepotente dell'esterno lo colpisce. Forse è vero, John sa chi ha organizzato tutto questo. Solo che non vuole pensarci.

***

- Li abbiamo persi. Che diavolo vuol dire li abbiamo persi?
Sherlock sbatte i piedi a terra, stringendo le nocche così tanto da farle sbiancare. Hotchner si aggiusta la cravatta, estremamente a disagio, e il Consulting Detective pensa che tirargli un gancio sul muso - per quanto non sia avvezzo a utilizzare questi mezzi - non sarebbe poi tanto una cattiva idea.
- Avevamo le guardie fuori dal palazzo, ma sono spariti anche loro. Supponiamo che i due fatti siano collegati.
- Supponete... voi supponete.
Sherlock si avvicina a Hotchner così tanto da sfiorargli il naso con il proprio, sbuffando aria dalla bocca come un toro inferocito.
- John e mio fratello sono stati catturati da un criminale perché voi non siete capaci di scegliere i vostri uomini per la sorveglianza di un palazzo che dovrebbe essere a prova di bomba.
- Abbiamo fatto tutto il meglio che potevamo per tenere entrambi al sicuro.
- Il vostro meglio non è stato abbastanza, allora.
Sherlock non sa cosa fare. E' in preda al panico, come quella volta a Baskerville, perché adesso tutti i pezzi si stanno riunendo e lui non ha la più pallida idea di cosa fare. Semplicemente perché John e Mycroft sono in pericolo, per colpa sua. Ha scartato varie ipotesi, quelle più banali, sotto un'attenta e accurata analisi: non può credere di essere stato ingannato in maniera così stupida, dal suo ego. Ma più va avanti più tutto s'incastra alla perfezione, sotto un unico nome: Sebastian Moran. Avrebbe dovuto capirlo, ci sarebbe dovuto arrivare prima.
- Ho bisogno che tutti si riuniscano, Morgan chiama Rossi. E dì a Garcia di passare la notizia via radio a tutte le pattuglie in città, non devono essere andati troppo lontano.
- Oh certo, passiamo la notizia via radio che tutta la polizia li sta cercando così si libereranno prima degli ostaggi, bravi, un'idea intelligente.
Sherlock sbatte la mano sul tavolo, in preda a una crisi di nervi simile solo a quando non ha un caso su cui indagare. Alza gli occhi - fiammeggianti, disperati, arrabbiati - e li punta su Hotchner con un ghigno spaventoso che si estende sul viso pallido e sconvolto.
- Siate discreti, voglio che cerchiate nelle zone più visibili, nei palazzi più in mostra. Dividetevi in gruppi da due, in borghese, tre armi ciascuno.
Sciorina tutto molto velocemente, Sherlock, tamburellando le dita sulla mappa della città appesa alla parete. Hotchner segue i movimenti del giovane uomo e annuisce piano, dividendo la sua squadra come gli è stato detto, perché anche lui crede sia la scelta più giusta. Sherlock lo sa: Hotchner non ha la benché minima fiducia in lui come persona, ma in questo momento non può permettersi di perdere un uomo con la sua intelligenza. E questo è abbastanza per lavorare insieme, per adesso.
Prima che tutti i gruppetti escano dalla stanza, Sherlock afferra prontamente Hotchner per un braccio e lo inchioda sul posto con uno sguardo opaco.
- Sapete chi cercare.
Il capo dell'Unità annuisce piano.
- Bene. Sappiate che se John muore perché non sapete fare il vostro lavoro, avrete un motivo in più per preoccuparvi dell'Inghilterra.
Sherlock esce dall'edificio velocemente, con il cuore che batte un po' più forte e una paura strisciante di aver sbagliato. Perché se si fosse accorto prima del fatto che tutto era così dannatamente ovvio, forse ora John e Mycroft non sarebbero in questa situazione.
John. Non gli ha neanche chiesto scusa.

***

- Sei terribilmente prevedibile, Sebastian.
Il Colonnello e piegato su se stesso, e fissa John negli occhi già da qualche minuto. Non ha ancora detto una parola, ma il Capitano dei Fucilieri può leggere nelle sue iridi che tutto il tempo trascorso insieme, nelle ultime ventiquattro ore, non ha fatto altro che fingere. E lui non si è accorto di niente. L'assistente del miglior Consulente al mondo più stupido che si sia mai visto.
- Forse. O forse non vedevo l'ora di farmi trovare, non credi?
John inarca un sopracciglio.
- Allora perché non sei venuto a cercarci a Londra, una volta saputo che Sherlock era vivo?
- Perché gli americani mi avevano già messo sotto sequestro, non era una bugia. Certo, non sapevano del mio collegamento a Moriarty, altrimenti mi avrebbero messo sotto chiave da un pezzo, invece di usarmi per avere informazioni preziose sui ranghi alti dell'esercito.
Mycroft fa un respiro un po' più forte degli altri, attirando l'attenzione di entrambi.
- Mi diverte sapere che ti sei dovuto servire di terzi per la tua vendetta, Moran. Terribilmente noioso essere costretto a non sporcarsi le mani, vero?
John non capisce subito cosa succede. E' troppo veloce perché possa fare qualcosa, per fermare Sebastian. Un veloce movimento del polso, un tuff e Mycroft si piegato su se stesso, con un grido strozzato e gli occhi spalancati dal dolore. Una pallottola in pieno ventre, non troppo in alto per essere fatale, non troppo in basso per non sentire dolore. La perfetta tortura di un ex cecchino dell'esercito.
- Sebastian, è Sherlock che vuoi! Non verrà più in fretta se ucciderai suo fratello!
Ma Sebastian è un ex Colonnello, con il cuore fermo e gli occhi di ghiaccio. Forse John si sta sbagliando, perché quello che gli dice lo spiazza totalmente.
- Oh no, John. Mi hai frainteso.
Si avvicina quatto, Moran. John sente il suo respiro sulla pelle, e le sue labbra sfiorargli piano la mandibola.
- Sherlock patirà la mia stessa agonia. Qualunque cosa abbia fatto a Jim io gliela renderò dieci volte. [1]
Vorrebbe vomitare, e gridare, e chiedere a Mycroft se va tutto bene e di piegarsi in avanti come può per premere sulla lacerazione del proiettile e fermare la fuoriuscita di sangue. Ma Moran gli soffia addosso e l'unico pensiero che corre nella sua mente è la speranza che Sherlock arrivi in fretta.
Sherlock. Non gli ha ancora chiesto scusa.

***

Troppo grande, troppo caotica, troppo tutto. Sherlock è in preda al panico. Sa a memoria ogni edificio, ogni via, ogni dannato buco di questa città eppure non sa dove guardare. Sente che il tempo gli sta sfuggendo di mano, e ogni cosa perde d'importanza. Gli sembra di impazzire e non riesce a mantenere la calma. Quelle che sente non sono le urla di John, è solo il suo cervello in sovraccarico. Respira, Sherlock. It's okay, gli aveva detto una volta. E questa volta è lui che vorrebbe urlare a se stesso it's not okay.
Il telefono squilla e Sherlock si blocca in mezzo al marciapiede, sentendo molte occhiate stranite su di sé.
- Garcia, dimmi che hai novità per me.
La voce trapela più ansia di quanta vorrebbe ma al momento non è importante. L'Informatica snocciola qualche frase senza senso e poco importante prima che il suo cervello registri qualcosa come rilevante.
- Garcia? Cos'è questo suono?
And I never could repay the look that's in your eyes
- La musica? Ho una chiamata aperta con uno dei nostri agenti.
So to pledge myself to you would be no sacrifice
- Da dove viene? Dimmi il posto esatto, Garcia!
All my love in my life 'til it's through, i owe you [2]
- Un incrocio fra Neville Road e Barnett Avenue.
Sherlock non sa come riesce a pronunciare parole che abbiamo un senso una in fila all'altra, mentre corre a perdifiato verso la direzione che gli è stata indicata. Chiama tutti, dice, avvisali che ci sono almeno tre cecchini nei palazzi di fronte all'edificio da cui proviene la musica. Dì loro che ce ne sono almeno altri quattro all'interno e forse tre nei condotti dell'aria, io vi precedo!
Tlack, chiamata chiusa.
Sebastian Moran, braccio destro di Moriarty, vuole essere trovato e Sherlock Holmes, oh, Sherlock Holmes lo troverà. E sarà l'ultima volta.







Ps. I'm a Serial Addicted

Oh, scuoiatemi pure. Me lo merito. Tre mesi. Come ho potuto aspettare tre mesi per poi presentarvi questa merdina? Lo so, picchiatemi. Non mi oppongo. Vi amo profondamente, e spero non mi abbiate abbandonato (grazie anche alla stupenda personcina che mi ha scritto qualche giorno fa per chiedermi se avevo intenzione di continuarla, me ti lowwa profondamente T_T). Non avevo l'ispirazione adatta, ho iniziato duemila cose e questo Crossover è rimasto lì, piccino piccino, aspettando di essere continuato.
Una precisazione:

[1] Citazione di Robin Hood di Ridley Scott. Sì. Me l'avrò visto dieci volte in tre giorni.

[2] Canzone di Victoria Adams. I owe you. Modo stupidissimo per far capire a Sherlock dove fosse John, ma giuro che spiego meglio nel prossimo capitolo D:

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Imploro ancora il vostro perdono perché questo è... una schifezza immane. *Manda bacini*


Jess

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Capitolo 6
*** VI ***


VI
VI





Non esiste circostanza, né destino, né fato che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato.
 Ella Wheeler Wilcox








- Non è stata colpa di Sherlock se James è morto, Sebastian.


John non sa quanto tempo è passato da quando il Colonnello è arrivato. Forse mezz'ora, forse di più, forse dieci secondi. La musica rimbomba con prepotenza nelle pareti della stanza, in tutto l'edificio, fuori anche, forse. Il suono che sbatte con forza contro gli amplificatori, strisciando per le strade, giungendo alle orecchie di chi è presente, e sperando che giunga a chi deve ancora arrivare. John non è stupido, ha ascoltato il testo di quella canzone che si sta ripetendo in loop da quasi venti minuti.
I own you. Sebastian sta attirando Sherlock come una mosca nella tela del ragno. E la cosa peggiore, è che non può impedirlo.
- Lo so.
Sebastian ha gli occhi chiari - più chiari di quanto li ricordasse - e tranquilli. Come se avesse già preventivato una sua possibile fine in tutta questa faccenda. Sherlock non arriverà da solo, ma sa che anche Sebastian non lo è. E la sua espressione - così pacifica e discreta, quella che non ti aspetteresti mai da un killer - è pacata. Troppo, per non apparire spaventosa.
- Solo che, quando perdi tutto quello che hai, l'unico modo di sopravvivere è avere qualcuno a cui dare la colpa. Non posso farlo con Jim... nemmeno con te, nonostante tutto. Siamo amici. Siamo amici, John?
John vorrebbe dire che no, non è amico di un assassino, amante dello psicopatico che ha spinto il suo migliore amico a far finta di suicidarsi, vorrebbe dirgli che non sa come una persona del suo stampo sia riuscito ad ottenere il grado di colonnello e a uscire dall'inferno dell'Afghanistan senza quasi un graffio. Vorrebbe dirgli, che se Jim si è ucciso, forse è stata in parte anche colpa sua, che non ha saputo proteggerlo, o che è la giusta punizione per tutto il male che ha fatto, anche dopo la sua morte. Ma la verità è che John non dirà nessuna di queste cose, perché Sherlock arriverà presto, e lui deve tenere Sebastian occupato senza farlo incazzare più del dovuto.
- Lo eravamo. 
Sebastian allunga una mano, sfiorando appena la fronte di John che non si ritrae, per quanto senta il disgusto salirgli dalla bocca dello stomaco. 
- Sapevo che Sherlock avrebbe capito il collegamento con i cadaveri... solo che l'ha fatto troppo tardi. È intelligente, il tuo uomo.
- Non è il mio uomo. 
- Siamo io e te, in una situazione che prescinde la normalità, Capitano. Negare, ormai, che senso ha?
John sta in silenzio, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Lancia un'occhiata alle spalle di Sebastian, vedendo Mycroft riverso contro il muro, respirare pesantemente e dalla carnagione più pallida del normale. Sospira. Non c'è più molto tempo.  
- Se nego, ci sarà più possibilità di non farmi male. 
Sebastian ride piano, accarezzando la pistola come se fosse un amante. 
- Questa è una bugia. No, John? Quando si è suicidato non era il tuo ragazzo. Eppure sei morto lo stesso... 
- È diverso. 
- In cosa? - ringhia, il Colonnello - In cosa, è diverso? Sei innamorato di lui! Lo eri prima, lo sei adesso, qual è la differenza?
John apre la bocca per replicare, ma le parole non escono fuori. Rimane in silenzio, con Sebastian che si alza in piedi e si mette a girare in cerchio, più nervoso di lui. Quando sta per dire qualcosa, quando il suo reale pensiero o un altra bugia, sta per uscire dalle sue labbra, la musica smette di suonare, e un rumore concitato di passi arriva al suo orecchio. 
Sherlock è arrivato.



- Speravo ci avresti messo meno tempo, Holmes. I tuoi riflessi sono lenti, rispetto all'ultima volta.
John vede Sherlock entrare nella stanza con la grazia predatrice di un falco. Lo guarda, assottiglia gli occhi e tira un imperccettibile sospiro alla constatazione che sta bene. John irriggidisce le spalle, e fa un cenno. Sherlock si volta, e vede suo fratello a terra, che ormai ha praticamente perso coscienza. Moran lo lascia avvicinare, beandosi del suo viso impassibile che nasconde la paura e la rabbia. Sherlock sfiora appena i vestiti di Mycroft, macchiati di sangue, e osserva la sua mano imbrattata di rosso. Suo fratello riesce ad aprire gli occhi per qualche secondo, un mezzo sorriso a increspargli le labbra, un pensa a John, e poi cade di nuovo nell'incoscienza. Sherlock sente le viscere contorcersi, e per un secondo vorrebbe avere a portata di mano una qualibro 9 da piantare in testa all'uomo che ha davanti.
- Sappiamo bene entrambi che non uscirai vivo da qui, Moran. Risolviamo la questione: che diavolo vuoi?
- Ucciderti. Mi piacerebbe tanto, Holmes, lo confesso. Per molto tempo ho pregato di averne la possibilità. 
Sherlock assottiglia lo sguardo, stringendo appena il braccio di suo fratello. I soccorsi stanno arrivando, resisti.
-
Adesso siamo qui. Fallo. 
- No!
John cerca di tirarsi in piedi, ma Moran gli punta la pistola ad altezza del viso ed è costretto a stare immobile contro il muro. Sherlock allunga una mano verso di lui, poi la lascia cadere mollemente lungo il fianco. Un respiro, uno sguardo. John cerca di non farsi prendere dal panico. Lontano, le sirene dell'FBI stanno arrivando. 
Sta per finire, sta per finire.
- Tutto questo è accaduto per colpa tua.
Sherlock alza un sopracciglio. 
- Mia? Non sono io che tengo una pistola in mano. 
- No, è vero - sorride, Sebastian - ma in questo momento, sono io che reggo il gioco. Sai perché? Perché forse hai ragione. Io morirò. Ma prima di farlo, Holmes, voglio farti provare la stessa paura che ho provato io. Lo stesso dolore. Un dolore che John conosce bene... 
Sebastian punta la pistola verso Sherlock e spara. Strizza gli occhi, Sherlock, più per la sorpresa che per il reale terrore di stare per morire. Non sente niente, a parte il rimbombo sordo dello sparo nelle orecchie. Il profumo della polvere da sparo e della carne lacerata gli arriva alle narici, e un conato di vomito sale spontaneamente in gola quando si accorge che lui non ha nemmeno un graffio. John è a terra, lamentoso, e per un secondo Sherlock sente la stanza girargli attorno.
- John! 
Il dottore mugugna qualcosa, ma il dolore è forte e non riesce a parlare. Sebastian ride, mentre Sherlock lo libera dalle corde, e lo volta, con il terrore a colorargli gli occhi azzurri. La ferità è chirurgica, niente organi interni lesi, la pallottola è rimbalzata fuori. Non è in pericolo, quanto meno, non ora. Sherlock tira un sospiro di sollievo così forte che John ridacchia, allungando una mano verso i suoi zigomi e Sherlock abbandona il capo sulle sue dita gentili e impacciate. Una carezza leggera, che non si sono mai permessi di scambiarsi dal ritorno del Detective.
C'è una luce tiepida, oltre la vetrata della stanza, e la paura di non uscirne illesi ormai presente, come tante altre volte, ma lo spettro degli errori e dei rimpianti, grava su di loro come se fossero già morti.
- Hai visto, John? Siamo ancora amici.
La voce di Moran è intrisa di una dolcezza gelida che non gli appartiene, e un secondo dopo, il colpo di un altro sparo li fa trasalire entrambi, finché il corpo del loro comune nemico non cade a terra e l'FBI non sfonda la porta quando ormai è già tutto finito.



Come previsto da John, la ferita di Mycroft non era grave, e così nemmeno la sua. Entrambi ricoverati all'ospedale di Quantico - area riservata -, ci rimangono il tempo di tre o quattro giorni, Mycroft per riprendersi dall'operazione subita per estrarre il proiettile e John da... beh, da tutto. I colleghi del BAU sono passati a salutarli, lasciando fiori e biglietti da visita, se mai dovreste aver bisogno di qualcosa, chiamateci, ha detto Rossi, nonostante è palese che sarà la prima e ultima indagine a cui prenderanno parte oltre oceano. John crede di aver sentito anche Reid parlare delle ferite infette del diciottesimo secolo dovute a batteri di 'cellosiqualcosa, ma era troppo intontito dai medicinali per aver capito correttamente. Quando riapre gli occhi, il bianco e azzurro della stanza lo acceca per un secondo. Sherlock gli stringe piano la mano, e il suo viso è la prima cosa che John vede quando riesce a mettere a fuoco l'ambiente. 
- Questa è stata brutta, eh. - Ridacchia piano, John.
- Ce l'eravamo già vista brutta. 
- Questa è stata peggio. [1]
Ridono entrambi, un po' più forte. Poi Sherlock tace di nuovo, e John lo guarda in silenzio. Sa cosa sta pensando, il suo piccolo genio, ma preferisce che glielo dica lui.
- Ti ho coinvolto in una cosa che comprendeva solo me, John... 
- Noi. 
Sherlock alza la testa, sorpreso. 
- Sto sempre dietro la tua schiena perché voglio proteggerti, Sherlock. [2] Se coinvolge te, coinvolge anche me. 
Gli lascia una leggera carezza fra i capelli ricci, e si sforza di tirarsi su con il busto. Sherlock cerca di fermarlo, ma John lo sorprende di nuovo, attirandolo più vicino. È un primo bacio ruvido, e John non aspetta che il suo migliore amico si riprenda dallo shock prima di infiltrarsi nella sua bocca e sentire il sapore della sua lingua. Ma sono stati, di nuovo, a tanto così dal morire. E John non vuole più tirarsi indietro rispetto a ciò che prova. Sebastian aveva ragione, in un certo senso, e si sente quasi grato a quell'uomo che per poco non li impallinava tutti e tre. Sherlock si aggrappa alle braccia di John, cercando di non cadere dal letto, almeno finché John non si allontana, respirandogli addosso. 
- John...
- Non chiederò scusa, - lo anticipa - sono stanco di far finta di niente, Sherlock. So che non vuoi parlare di lui, ma Sebastian aveva ragione... sono innamorato di te. Lo sono da sempre. E non smetterò, è giusto che tu ne sia consapevole. 
Lo dice con un tono di scherno, eppure dentro, John, sta tremando forte. Il Detective ringhia qualcosa, socchiudendo gli occhi. Non è né un sì, né un no, ma l'abbraccio che gli regala dopo, fa ben sperare John per un proseguo. E per adesso, va bene così ad entrambi.


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- La mamma sarà molto felice di vedere queste foto, Sherlock. 
- La mamma si ritroverà con un figlio maschio in meno, se non torni immediatamente a letto e la smetti di spiarmi come un voyeur di quarta quategoria!
- Sei così suscettibile, Sherly. Sono sicuro che John saprà come farti tacere. Vero, Dottore?
- ... avrei dovuto pregare Moran di prendere una buona mira per tuo fratello, Sherlock.




Ps. I'm a Serial Addicted


[1] Una semi-citazione del film "la mummia 2".
[2] Ed eccoci alla spiegazione del titolo. Direi che la frase di John è piuttosto esplicativa, no?

Ci ho messo una vita, ma l'ho finita. In questo capitolo non ho dato molto spazio agli agenti del BAU, ma oh, a questo punto - dopo tutto questo tempo - sento tutto molto distaccato e non l'ho finita come vorrei (nonostante ovviamente, le piccole comparse di Rossi e Reid). Ci sono ancora molti punti in sospeso, e forse la parte thriller non l'ho sfruttata al meglio, per cui non ne sono molto soddisfatta. Comunque, è assolutamente colpa mia, perché è passato troppo tempo. Vi chiedo scusa, e vi ringrazio come sempre per essermi stati attaccati come manguste, in questa specie di esperimento. Vi amo tutti immensamente!

Jess

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