Il principe dei truffatori

di margheritanikolaevna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Ho pensato di dedicare questa fiaba alla dolce DeAnna perché (anche se non sono certa se la leggerà o meno, ma io ovviamente spero di si!) credo che il suo mood molto romantico le piacerebbe. Mi perdonino, invece, le utenti che detestano Kate, ma mi serviva una storia d’amore struggente.  La ff è ambientata in quella sorta di Medioevo fantastico nel quale si svolgono di solito le fiabe, mentre il dialogo tra Neal e Kate davanti al fuoco è una citazione delle battute di Miranda e Ferdinando di “La tempesta” di Shakespeare. Il titolo richiama quello del film su Robin Hood, “Il principe dei ladri”.
 

Infine: per Nike87, te l'avevo detto che prima o poi avrei scritto qualcosa in cui Mozzie ha un ruolo fondamentale...
Ovviamente questi personaggi non appartengono a me (e il loro creatore, sebbene sia persona di spirito, non tollererebbe di vederli conciati così...) ma a chi ne detiene tutti i diritti. Paghereste qualcosa per leggere questa fic? No, vero? Appunto, non è scritta a fini di lucro, ma grazie a chi leggerà e commenterà, dato che il vostro tempo e le vostre parole valgono molto di più.

 
 
Il principe dei truffatori
 
Capitolo primo
 
C’era una volta, in un paese lontano lontano, un piccolo regno governato da un re giusto e buono: il sovrano aveva nome Eduard e amava sopra ogni cosa la sua consorte, la dolce regina Lilian. Sarebbero stati una coppia felice e appagata se non fosse stato che gli Dei non avevano ancora voluto fare loro dono di un figlio; erano sposati da anni ormai e i consiglieri del re iniziavano a suggerirgli, in maniera sottile ma insistente, di ripudiare la sua diletta moglie - evidentemente incapace di dargli un erede -  e impalmare un’altra donna più giovane e sana.
Re Eduard amava profondamente la sua sposa e fino ad allora si era sempre rifiutato di cedere alle pressioni provenienti dai suoi uomini più fidati; tuttavia non poteva ignorare che in mancanza di un legittimo discendente di sangue si sarebbero posti, alla sua morte, gravi problemi di successione che avrebbero potuto condurre la sua gente e il suo regno alla rovina.
A sua volta la regina era straziata dall’angoscia e dal dolore: adorava il marito e sapeva che l’essere abbandonata l’avrebbe probabilmente uccisa, eppure era anche lei consapevole della necessità di dare al paese un erede che assicurasse la successione senza scossoni. Perciò le aveva tentate tutte, rivolgendosi a sedicenti medici stranieri dai nomi esotici, a stregoni dall’aspetto inquietante e ad astrologi che le avevano indicato, studiando la posizione delle stelle, il momento più propizio per concepire un bambino. Eppure niente: nessun consiglio, stratagemma o artificio era riuscito a regalarle la gioia di essere madre.
Sempre più preoccupata, la sovrana aveva, infine, deciso di recarsi in pellegrinaggio presso il santuario della Dea Bianca, divinità invocata dalle partorienti e protettrice delle madri e dei loro piccoli bimbi, che sorgeva in cima a una collina poco distante dalla capitale del regno di Daffodil. Accompagnata dalle sue dame di compagnia e da una scorta, ella era giunta al tempio e aveva eseguito scrupolosamente i riti di preghiera e purificazione che l’anziana sacerdotessa le aveva indicato, sperando con tutto il suo cuore che ciò l’aiutasse a ottenere quanto desiderava così ardentemente.
Al termine, non senza aver lasciato una munifica offerta in oro e pietre preziose, si era incamminata sulla via del ritorno con animo più sollevato: era un bel pomeriggio d’estate, l’aria era calda e le dame dopo aver percorso un po’ di strada le avevano chiesto di fermarsi a riposare e fare merenda.
La regina aveva acconsentito, scegliendo per la loro sosta un delizioso angolo nascosto tra le rocce bianche: lì il prato verde, trapunto di fiori colorati, era attraversato da un ruscello dalle limpide acque mormoranti e l’ombra di un grande frassino fronzuto avrebbe assicurato loro il desiderato refrigerio dall’afa pomeridiana.
Tuttavia, le cameriere al seguito avevano appena iniziato ad allestire il pic-nic quando d’improvviso si levò un vento impetuoso e insolitamente fresco per la stagione che sollevò gonne, scompigliò acconciature, rovesciò bottiglie e fece imbizzarrire i cavalli.
Le dame scattarono in piedi, le guardie strinsero istintivamente la mano sull’elsa della spada e le cameriere si lasciarono sfuggire un gridolino di sorpresa e spavento; come se non bastasse, il silenzio fu rotto da una voce esile ma perfettamente udibile che sembrava provenire dalle fronde dell’albero. Un mormorio che non era possibile confondere con il fruscio delle foglie al vento né con lo scorrere del quieto ruscello ai loro piedi e che non usciva da nessuna bocca mortale.
“Aiuto…nobili signore, vi supplico, aiuto…” disse la voce, sussurrante come uno zefiro.
Sebbene non fossero state pronunciate in un tono particolarmente spaventoso, quelle parole ebbero il potere di gettare nel panico non solo le donne del corteo regale, ma anche le stesse guardie: le prime, fossero dame di alto lignaggio o povere servette, se la diedero a gambe tenendo ben sollevate le sottane per correre via più in fretta e mormorando scongiuri, mentre i guerrieri avvezzi alle più rudi battaglie di fronte a quel prodigio soprannaturale lasciarono cadere le armi al suolo, fecero un gesto scaramantico e se la svignarono di corsa lasciando tutta sola, sotto l’albero, la regina Lilian. La sovrana, infatti, era più incuriosita che spaventata e al suo cuore pietoso non era sfuggita la nota di profonda sofferenza che quella voce sconosciuta rivelava; senza comprendere esattamente il motivo, sentiva dentro di sé e anzi sapeva che non le sarebbe accaduto nulla di brutto.
“Aiuto, vi prego, il dolore è insopportabile…” risuonarono di nuovo le sillabe ultraterrene.
Perciò la regina si avvicinò a una piccola spaccatura nel tronco nodoso del frassino, da dove le era parso fossero sgorgate quelle parole imploranti; pose l’orecchio sulla corteccia scabra e biancastra e ascoltò.
“Mia regina, perché tale dovete essere per nobiltà d’animo e coraggio se non avete avuto paura di me come il vostro seguito” proseguì la voce incorporea “… abbiate compassione della mia sofferenza e liberatemi dalla dolorosa prigione che mi serra ormai da cento anni…”.
“C-chi siete voi?” mormorò la sovrana, che era senza dubbio coraggiosa ma non abbastanza da riuscire a celare il tremito che le incrinava la voce.
“Ve lo dirò” rispose l’essere prigioniero nel tronco “Ma prima, vi imploro, liberatemi! Ve lo prometto, non vi farò alcun male…”.
La regina comprese che avrebbe dovuto fidarsi di quella strana creatura; sapeva di esporsi a un rischio senza nemmeno le sue guardie a proteggerla e non ignorava le leggende che circolavano sugli esseri fatati che abitavano quei paraggi, eppure ancora una volta scelse di seguire l’istinto.
“Come posso aiutarvi?” esclamò, senza allontanare l’orecchio dalla fessura del tronco.
“Allargate questo stretto passaggio in modo che io possa uscire” rispose la voce, finalmente speranzosa.
La sovrana si chinò a raccogliere la spada che il capo della sua scorta aveva lasciato cadere nell’impeto della fuga, ne infilò con cautela la lama all’interno della spaccatura nella corteccia e fece forza; ci volle un bel po’ di fatica (la regina non era avvezza ai lavori manuali e ben presto fu esausta e tutta sudata), ma alla fine l’apertura si allargò quel tanto da consentire al prigioniero di sgusciare fuori dalla sua angusta cella di legno. Infatti, all’improvviso soffiò una folata di vento così potente che la donna ne fu gettata a terra: con un fremito d’aria apparve, come una nuvola scesa sulla terra e palpitante, un essere fantastico. S’inchinò alla sovrana, che nel frattempo si era rialzata e lo fissava con evidente meraviglia, e la salutò con voce lieve e cantante facendo tintinnare i cimbali e i campanellini argentei attaccati al suo vestito color dell’aria.
Aveva l’aspetto di un uomo di mezza età, di bassa statura e con pochi capelli in testa: il suo corpo, la sua pelle e il suo abito erano cangianti nel colore - che andava dal grigio al bianco per tingersi a volte d’azzurro cupo - ondeggianti e  mutevoli come una brezza serotina. La sua figura era di secondo in secondo trasparente, traslucida, opaca, infine quasi solida e poi di nuovo sfuggente e incorporea.
Lilian sgranò gli occhi di fronte a quel prodigio, incapace di pronunziare una sola parola; per fortuna, però, fu la creatura a parlare.
“Mia pietosa regina” disse con voce incredibilmente dolce e sottile “Io mi chiamo Moz e sono uno spirito dell’aria: abitavo questa terra pacifica ed ero felice della mia vita solitaria e selvaggia, quando una strega crudele dagli occhi di nero cristallo vi giunse, ormai secoli fa. Grazie ai suoi poteri oscuri mi soggiogò e mi fece suo schiavo, ma io non potevo obbedire ai suoi comandi odiosi e malefici: così un giorno, al mio rifiuto di eseguire un suo ordine, lei, in preda a un furore immitigabile, mi rinchiuse nella cavità di questo albero. Questa tana fu per oltre cento anni la mia prigione di dolore; la strega alfine morì, lasciandomi rinchiuso a gridare i miei lamenti inestinguibili, così tristi che persino gli orsi e i lupi della foresta ne erano inteneriti. Era un supplizio atroce, che la sua creatrice non poteva più annullare…fino a che voi, mia buona signora, non vi avete pietosamente posto fine”.
“Ora io sono vostro debitore per sempre” proseguì lo spirito, ponendosi una mano sul petto e ripetendo un breve inchino “Non mi vedrete, ma quando avrete bisogno di me io accorrerò!”.
Con queste parole misteriose e prima che la sovrana riuscisse a riprendersi dalla sorpresa e ad articolare una risposta, l’essere celeste scomparve in una folata di vento.  
 
***
 
Il regno di Daffodil fu attraversato da una gioia immensa quando, tre mesi dopo, giunse l’annuncio che da anni tutti attendevano con ansia: la regina Lilian aspettava un bambino! Non si sarebbe potuto immaginare un uomo più euforico di re Eduard quando diede la notizia ai suoi sudditi; quel giorno lieto fu proclamato di festa in tutto il paese e in ogni casa, dalla più modesta baracca fino ai palazzi ornati di marmo dei dignitari di corte, si brindò alla salute del tanto sospirato erede e dei suoi genitori.
Infine il momento del parto arrivò: sfortunatamente la situazione si presentò da subito molto difficile e i medici di corte non tardarono a rendersi conto che la stessa vita della regina era in pericolo. Il travaglio fu lungo e dolorosissimo; le nobili stanze risuonavano delle grida strazianti della sovrana e il re, angosciato, temeva d’impazzire di rabbia impotente.
Quando finalmente il bimbo nacque e subito l’aria si riempì dei suoi strilli sonori, la levatrice lo sollevò con aria di trionfo e disse all’esausta regina che si trattava di un maschio e che era senza dubbio il bambino più bello e sano che avesse mai visto. Re Eduard accorse al capezzale della moglie, il cuore lacerato tra gioia e disperazione in egual misura mischiate come non avrebbe mai creduto possibile, e le prese le mani che già perdevano calore.
“Non siate triste, mio adorato” disse la sovrana, tentando di frenare il tremito che le attraversava la voce “Pensate a nostro figlio, promettetemi che avrete cura di lui, che lo amerete come avete amato me e anzi di più e che non gli negherete mai nulla…”.
L’uomo, con gli occhi pieni di lacrime e il respiro spezzato dai singhiozzi, riuscì solo ad annuire.
Lilian posò il capo sul cuscino, consapevole che le forze la stavano abbandonando e che non le rimaneva più molto da vivere; almeno - pensò, stirando le labbra esangui in un lieve sorriso - era riuscita a dare a suo marito ciò che desiderava, la sua esistenza era compiuta, il suo destino aveva raggiunto la meta alla quale tendeva. Ormai delirava ma, prima di perdere coscienza, vide o le parve di vedere chino su di lei un volto traslucido, ondeggiante come la fiamma di una candela; udì o le sembrò di udire la stessa voce che aveva attirato la sua attenzione sotto un albero di frassino un caldo pomeriggio di nove mesi prima.
“Non temete, mia augusta regina” mormorò lo spirito con evidente dolore “terrò fede alla mia promessa, veglierò su vostro figlio e lo proteggerò…”.
Durò appena un istante e fu un bisbiglio che soltanto la puerpera morente poté sentire nella confusione di quegli attimi convulsi.
A quelle parole, la sovrana comprese che davvero poteva lasciarsi andare e smise di lottare: spirò con il cuore pieno di gioia e l’anima traboccante di amore per quel bambino che non avrebbe mai visto crescere. Un cristallo grigio-azzurro, aria solidificata dalla sofferenza, rotolò lungo la guancia incorporea dello spirito e s’infranse sul pavimento; con dita trasparenti chiuse gli occhi della morta e, senza essere scorto da nessuno, svanì facendo ondeggiare in un soffio le pesanti cortine cremisi del letto.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


 Capitolo secondo
 

 
Gli anni erano trascorsi e il principino, al quale era stato dato il nome di Neal, cresceva bello e sano. Nonostante la mancanza della madre era un bambino allegro, intelligente e vivace; adorava disegnare e aveva ricoperto le pareti della sua camera di affreschi dai colori sgargianti. Re Eduard lo amava alla follia e, tenendo fede alla promessa fatta alla moglie sul letto di morte, lo accontentava in tutto e per tutto.
Frequentando i rampolli dei nobili che abitavano nel palazzo, il principe aveva stretto un rapporto di profonda amicizia con un ragazzino di qualche anno più grande di lui di nome Matthew Keller, figlio di una nobildonna vedova di grande bellezza ma dal passato oscuro, che nessuno conosceva con precisione. Neal subiva il fascino dell’amico, più spregiudicato ed esperto, e lo seguiva in imprese a volte pericolose o poco consone all’educazione di un futuro re; lo imitava, cercando di imparare i trucchi che quello si vantava di conoscere, e spesso si lasciava trascinare finendo per combinare guai che soltanto la sua discendenza regale impediva al personale di servizio di punire con una solenne sculacciata.
La baronessa Althaea Keller, dal canto suo, incoraggiava l’amicizia tra i due, ben contenta di potersi in tal modo avvicinare al re che, dalla morte dell’amatissima moglie, non aveva mai accettato l’idea di risposarsi custodendo ancora nel suo cuore, inalterato, l’amore nei confronti della morta. Un giorno fece in modo che Matthew, con aria triste, suggerisse al principino l’idea che ben presto lui e sua madre sarebbero stati costretti a lasciare il palazzo e il regno se il sovrano non avesse sposato la nobildonna.
Neal, che si fidava ciecamente del ragazzo e non voleva perdere il suo compagno di giochi preferito, ne parlò col padre e tanto disse e tanto fece che alla fine il re, pur di non scontentarlo, cedette.
La baronessa era senza dubbio una bella donna, raffinata e intelligente, ma il sovrano rimaneva legato alla memoria della sua dolce compagna e soltanto il desiderio di non arrecare dolore al figlio lo spinse a celebrare le nozze. Per un po’ di tempo tutto andò bene: la nuova regina si sforzava di mostrarsi gentile e affabile con tutti e persino affettuosa con Neal il quale era, dal canto suo, sempre più affezionato a Matthew, tanto da non voler riconoscere l’indole a tratti violenta, quasi crudele, che piano piano stava rivelandosi nei suoi atteggiamenti.
Purtroppo dopo qualche tempo re Eduard fu colpito da una misteriosa malattia che nessuno dei medici di corte riusciva a spiegare (qualcuno parlò di “incantesimo” o di “maleficio”, ma si trattò di voci incontrollate che la regina non tardò a zittire con decisione) né a guarire; lo sfortunato sovrano si spense in pochi giorni lasciando suo figlio Neal affranto e solo al mondo e gettando il regno nella disperazione più cupa.
Ma la regina Althaea non aveva concluso ancora il suo piano ambizioso: la presenza del giovane principe, unico erede legittimo, era infatti di ostacolo ai suoi progetti. Ella mirava a mettere sul trono il figlio Matthew, che sapeva essere da lei facilmente manipolabile, per poter governare il regno da dietro le quinte. Quest’ultimo, dal canto suo, non aveva nulla contro il principe e anzi gli era in qualche modo affezionato, ma al tempo stesso vedeva in sua madre un essere dall’intelligenza superiore e non avrebbe mai osato opporsi ai suoi voleri. Lei, peraltro, aveva saputo parlare con insinuante dolcezza alle corde dell’ambizione che vibravano in Matthew, facendogli balenare davanti agli occhi la concreta evenienza di diventare re e spiegandogli che ciò non sarebbe mai stato possibile con Neal tra i piedi.
Il passo successivo fu, quindi, attirare il ragazzino - servendosi del figlio, che gli propose di andare a esplorare una grotta che aveva scoperto ai piedi della collina - in un luogo isolato del parco della reggia e farlo portare via legato, imbavagliato e chiuso in un sacco affinché nessuno si insospettisse, da un uomo di sua fiducia di cui già in passato si era servita per mettere a segno i suoi loschi piani senza sporcarsi le mani personalmente.
Il cavaliere, che si chiamava Garrett Fowler, caricò di traverso il fagotto che si dimenava disperatamente sulla sella del suo destriero e si allontanò a spron battuto, mentre la regina iniziava già a chiamare a raccolta il personale di servizio mostrando prima preoccupazione e poi disperazione per l’improvvisa scomparsa del figliastro.
 
***
Il piccolo Neal, semisoffocato dal bavaglio e rinchiuso nel sacco sballottato rudemente durante la cavalcata, stava sperimentando per la prima volta nella sua giovane esistenza cosa voleva dire avere paura, anzi essere terrorizzato. Mai gli era capitato nulla di lontanamente paragonabile, essendo stato sempre circondato di premure e di affetto incondizionato; mai avrebbe potuto immaginare che esistesse qualcuno che voleva fargli del male e men che meno che questo qualcuno fosse la sua matrigna…
Perché il principe aveva capito tutto: sebbene fosse ancora piccolo e non avvezzo ad avere a che fare col male del mondo, erano bastati pochi istanti per mettere insieme i pezzi della storia. Ora ogni cosa era chiara, lo spietato disegno della sovrana si delineava in tutta la sua crudeltà e persino la morte del re suo padre si colorava di tinte inquietanti.
E Matthew, poi… Il pensiero del suo tradimento, del vincolo della loro amicizia infranto, lo faceva soffrire più di ogni altra cosa; non riusciva a capire il motivo di tanto odio nei suoi confronti e quell’idea riempiva di lacrime di dolore i suoi occhi di bambino. La sua infanzia dorata era bruscamente terminata, la sua innocenza perduta per sempre.
L’oscuro cavaliere attraversò al galoppo colline e radure fino a passare il confine con il limitrofo regno di Wallflower; quando ritenne di essersi allontanato abbastanza da Daffodil e di essere giunto in un luogo ove nessuno avrebbe potuto riconoscere né lui né soprattutto la sua giovane vittima, fermò il cavallo in un boschetto solitario e con malagrazia tirò giù dalla sella il ruvido sacco nel quale il giovane principe si dibatteva ancora disperato, gettandolo al suolo.
Sbattuto rudemente a terra, Neal emise un gemito di dolore soffocato dal bavaglio ma riuscì, nonostante avesse le mani legate, a strisciare fuori dal sacco arrivando dopo ore a rivedere la luce del giorno; non appena i suoi occhi iniziarono a riabituarsi al chiarore e la vista gli si snebbiò, si rese conto che l’uomo che l’aveva rapito era in piedi esattamente davanti a lui e gli puntava - sul viso un’espressione indecifrabile -  alla gola una lunga spada appuntita. Sentiva il metallo gelido della punta gravare sul suo collo e quel semplice peso già gli spezzava il respiro; gli occhi colmi di lacrime, non riusciva a pensare lucidamente, aveva soltanto una paura tremenda di morire lì da solo, in quel luogo sperduto.
D’improvviso, sebbene fosse ancora pomeriggio, il buio calò inatteso sulla foresta: l’uomo e il ragazzo non l’aspettavano quando, con nuvole pesanti precedute dal vento freddo del crepuscolo, cadde senza preavviso come un oscuro prodigio. Non era ancora ora, eppure la notte veniva offuscando il sole con nubi nere come l’inchiostro che attraversavano il cielo con incredibile rapidità; la temperatura scese bruscamente e i due si sorpresero a rabbrividire a causa del gelo che, senza alcuna avvisaglia, aveva attraversato loro le ossa.
Il cavallo iniziò a nitrire disperatamente, agitandosi e scuotendo la testa.
Neal vide il cavaliere alzare lo sguardo al cielo in un attimo di smarrimento subito represso, contorcere il volto butterato in una smorfia e portare indietro il braccio armato per menare il fendente che lo avrebbe di certo ucciso: aveva sperato di riuscire a tenere gli occhi aperti, ma all’ultimo non ne ebbe la forza. Tremante, la testa vuota e nessun pensiero memorabile a riempirla, attese il colpo fatale.
Ma il colpo non giunse: una folata di vento di forza straordinaria strappò l’arma di mano al suo carnefice, scagliandola lontano e facendola cadere al suolo con un clangore metallico che tagliò l’aria innaturalmente gelata spaventando il destriero che, ormai del tutto imbizzarrito, scappò al galoppo nella stessa direzione da cui era venuto.
Fowler urlò un’imprecazione cercando di mantenere il controllo nonostante gli si fossero rizzati i capelli sulla testa e un sudore gelido gli avesse coperto all’istante la faccia: no, decisamente quella non era una situazione normale. Era forse capitato in un luogo infestato dagli spiriti?
Deglutì e sbatté le palpebre, trasse un respiro profondo che riuscì a tranquillizzarlo solo in parte e fece alcuni passi verso la spada per recuperarla e portare a compimento la sua missione: di nuovo il vento, che si era momentaneamente placato, riprese a soffiare tanto forte da sbattergli sul viso con violenza le falde del mantello, quasi accecandolo. Il pesante tessuto, come sospinto da una propria crudele intelligenza, gli si avvolse intorno al corpo e alle gambe così che, quando il cavaliere tentò di muovere un passo, incespicò in esso e cadde malamente per terra soffocando un grido di terrore.
Quello era troppo, il suo limite di sopportazione era stato raggiunto e superato.
Garrett Fowler era un uomo spietato e senza scrupoli che si vantava di non aver paura di nulla, eppure quella volta non perse tempo a cercare spiegazioni razionali per ciò che gli era appena accaduto: dimenticato del tutto il compito che la regina gli aveva affidato, tremante di terrore come un bambino, scappò a gambe levate nel folto del bosco augurandosi di non rivedere più né quel luogo spaventoso né i suoi tremendi abitanti. 
Non appena il crudele cavaliere fu scomparso tra gli alberi, la tempesta  - velocemente com’era arrivata e in maniera altrettanto inattesa - si dissolse senza lasciare dietro di sé, nel cielo tornato di una meravigliosa serenità, alcuna traccia di ciò che lo aveva squassato soltanto fino a pochi minuti prima. Il giovane principe, ancora senza fiato per la paura e la meraviglia, si alzò faticosamente in piedi; sgranò gli occhi e quasi svenne quando si accorse che il bavaglio che gli serrava la bocca e le corde legate intorno ai suoi polsi venivano sciolti da mani invisibili eppure incredibilmente amorevoli. 
Col respiro ancora affannoso, fu solo capace di mormorare uno spaurito: “C-c’è qualcuno?”.
Gli rispose una risata lieve come una brezza serotina e davanti ai suoi occhi increduli l’aria iniziò a vorticare in maniera sempre più veloce, fino ad assumere una forma distintamente umana: la creatura, prima trasparente, poi traslucida e infine solida a dispetto della sua natura di spirito, si presentò all’attonito principe e - avendo cura di rassicurarlo circa le sue intenzioni - gli raccontò di come la buona regina sua madre l’avesse salvata anni prima. Non appena Neal si fu un po’ tranquillizzato, gli spiegò che aveva promesso alla sovrana in punto di morte che avrebbe vegliato su di lui e l’avrebbe protetto sempre, anche a costo della sua stessa vita.
Adesso, aggiunse, per lui sarebbe stato più prudente nascondersi, sparire, cambiare identità in maniera che la crudele regina Althaea non riuscisse a trovarlo; non potendosi occupare personalmente della sua crescita, aveva deciso di affidarlo a una persona che avrebbe avuto cura di lui fino a quando non fosse stato abbastanza grande da tornare a casa e rivendicare ciò che gli spettava per diritto di sangue.
Fu così che il principe Neal conobbe quello che sarebbe stato, per lui, una sorta di secondo padre: Vincent Adler era uno dei signori più ricchi e potenti del regno di Wallflower e abitava in un enorme palazzo di pietra scura al centro di un giardino tanto fitto che si diceva che la luce del giorno non riuscisse mai ad arrivare fin lì. La sua vita era circondata da un’aura di mistero dato che, sebbene nessuno fosse mai stato in grado di muovere contro di lui accuse concrete, più d’uno degli abitanti del regno sospettava che egli avesse acquisito la sua ricchezza gestendo traffici proibiti.
In particolare, si mormorava che falsificasse dipinti preziosi per venderli in paesi lontani e spacciasse denaro contraffatto; ma si trattava, appunto, solo di voci di popolo cui non era mai seguito nessun processo. Adler si presentava come un elegante signore di mezz’età dai modi raffinati, che conduceva un’esistenza fin troppo riservata; Moz aveva avuto modo di osservare il suo comportamento nei mesi precedenti e si era convinto che potesse essere la persona adatta per apprezzare il giovane principe, aiutarlo a sviluppare i suoi talenti e allo stesso tempo proteggerlo da chi voleva la sua morte.
Non era certo che l’uomo intendesse accogliere presso di sé Neal, ma decise di provare ugualmente: giunti alla soglia del palazzo, salutò il fanciullo ponendogli una mano sulla spalla e spiegandogli brevemente quali corde avrebbe dovuto toccare per indurre Adler a prenderlo sotto la sua protezione. Il principe era disorientato per i troppi avvenimenti di quel giorno e preoccupato di lasciare la sua vita precedente per un’esistenza che si prospettava completamente diversa, eppure sapeva dentro al suo cuore di potersi fidare dello spirito che gli aveva appena salvato la vita.
Era, anzi, consapevole che quella fosse la sua unica speranza.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


 Capitolo terzo
 

 
Vincent Adler si riteneva con ragione un uomo astuto e amava vantarsi con se stesso della propria abilità nello scoprire i talenti nascosti nelle persone che, per qualsiasi ragione, gli capitava d’incontrare. Perciò quando aveva iniziato a conoscere Neal si era subito reso conto che quel ragazzino dai grandi occhi blu pieni di paura e di meraviglia, giunto un pomeriggio alla soglia del suo palazzo per chiedere ospitalità e protezione, aveva un immenso potenziale.
Il giovane non aveva voluto raccontargli nulla delle sue origini, eppure il suo aspetto, i suoi modi e il suo carattere rivelavano nobili natali: era incredibilmente intelligente e riusciva ad affascinare subito chiunque dicendo sempre la cosa giusta al momento giusto. Qualunque cosa facesse, pareva a suo agio nel farla e allo stesso tempo era gentile e affabile con tutti.
E poi, come Adler aveva capito quasi subito, possedeva più di un talento: sapeva come conquistare la fiducia del prossimo, ingannandolo senza farsi scoprire, e se la cavava talmente bene con pennelli e colori che ben presto era diventato indispensabile per portare a termine alcuni dei “lavori” grazie ai quali il suo protettore si era arricchito.
Ormai erano passati quasi dieci anni e Neal era cresciuto, diventando un giovane uomo forte e coraggioso; quell’esistenza avventurosa in fondo era congeniale al suo carattere inquieto e gli piaceva, voleva bene a Vincent - che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva e lo aveva reso ciò che era diventato - e aveva quasi dimenticato la sua infanzia ovattata nel regno di Daffodil, nonché il suo destino di sovrano. Il solo pensiero di rivedere quel traditore di Matthew e la regina sua madre gli rivoltava lo stomaco: senza esitazioni preferiva rinunciare al trono anziché essere costretto a tornare lì e ad affrontare la loro malvagità.
Così era diventato un ladro e un truffatore; anzi il migliore sulla piazza.
Quanto a Moz, il giovane principe non lo aveva più rivisto dal giorno del loro incontro nella foresta, eppure più di una volta aveva sentito la sua rassicurante presenza accanto a lui nel vento sussurrante della sera e nell’ombra delle tende ondeggianti della sua stanza da letto.
 
***
Un giorno, Neal era stato mandato da Vincent nella cittadina di Rosehip a fare un sopralluogo in vista di un possibile futuro colpo; il ragazzo si aggirava con aria fintamente indifferente nei dintorni del palazzo del ricco messer Jordan, commerciante di cavalli che aveva di recente comprato una famosa gemma per farne dono alla figlia in occasione delle sue nozze, occhieggiandone le mura e le finestre senza farsene accorgere nel tentativo di individuare una possibile via di accesso.
Quel mattino nel villaggio si respirava un’eccitazione strana, quasi palpabile; agli angoli delle strade si erano formati capannelli di persone che chiacchieravano animatamente e persino i venditori del locale mercato parevano più interessati a discutere tra loro che non agli affari. Incuriosito, Neal si avvicinò a uno dei crocchi e, rimanendo in silenzio per non farsi notare, riuscì ad apprendere il motivo di tanto fermento: si era sparsa la voce che presto in paese si sarebbe fermato il corteo che accompagnava la principessa Kate, figlia del nobile Robert Moreau, sovrano del vicino regno di Green Ivy, nel suo ritorno a casa. Si diceva che fin da bambina la sua bellezza avesse destato meraviglia e che suo padre, ambizioso come pochi, sperasse di darla in sposa al re di uno stato più ricco e potente del suo, gravato da debiti e da sempre in difficoltà a proteggere i propri confini.
Per questo motivo la principessa Kate era stata affidata in tenerissima età alle religiose di un lontano monastero affinché la educassero come si confaceva a una futura regina, insegnandole la modestia e l’obbedienza che ogni buona moglie doveva al proprio marito, specie se ricco e nobile.
Nonostante l’isolamento in cui era vissuta (c’era chi sosteneva che suo padre avesse persino proibito l’accesso al monastero agli uomini per evitare che i loro sguardi potessero turbare l’educazione morale della ragazzina) e anzi forse proprio a causa di esso, la fama della sua bellezza si era sparsa in tutti i paesi circostanti e adesso non c’era uomo, donna o bambino del regno di Wallflower che non fosse divorato dalla curiosità di scoprire se la realtà fosse o meno pari alle aspettative.
C’è da dire che Neal negli anni non aveva mai fatto mistero del suo interesse nei riguardi del gentil sesso: non era abituato a soffrire di solitudine e il suo fascino brillante gli aveva conquistato i favori di più d’una tra nobildonne, ricche borghesi e anche semplici cameriere.
Tuttavia, non aveva mai sperimentato davvero l’amore. L’attrazione, l’affetto, la simpatia senza dubbio… ma l’amore vero, quello ancora non l’aveva incontrato; in fondo non era nemmeno certo che esistesse realmente e che non fosse altro che un’invenzione dei poeti, creata per alleviare la solitudine di annoiate nobildonne.
Anche lui, come tutti, aveva ascoltato più volte le leggende che erano sorte sulla principessa misteriosa, ma le aveva sempre giudicate sciocchezze e nulla più, non tali comunque da meritare la sua attenzione; nonostante ciò, però, la possibilità concreta - non solo fiabesca e ipotetica - di vedere con i propri occhi una creatura tanto immaginata, sognata e idealizzata lo fece fremere di curiosità allontanando dalla sua mente il pensiero del colpo che lui e Adler stavano progettando da tempo. Avrebbe scoperto di persona se la verità fosse all’altezza della leggenda.
Perciò, senza pensarci due volte risalì sul suo cavallo e si allontanò dal villaggio inoltrandosi verso il bosco nella direzione che riteneva avesse preso il corteo principesco. Era in viaggio da quasi un’ora quando la sua attenzione fu attirata dallo scalpiccio dei cavalli e da voci di donna, che il giovane attribuì al seguito della principessa; si nascose nel fitto della vegetazione e attese in silenzio il passaggio della carrozza.
Dopo qualche minuto scorse due cavalli montati da altrettante amazzoni armate di tutto punto (evidentemente - considerò con un sorrisetto - re Robert era ossessionato dalla protezione della virtù della figlia al punto tale da pretendere che anche la sua scorta fosse costituita solo da donne!) che precedevano una carrozza riccamente decorata; un’altra donna in armi la seguiva a piedi guardandosi intorno con aria circospetta.
Quello spettacolo era singolare e inusuale per il giovane, che pure ne aveva viste tante, ma la sua meraviglia si trasformò in panico non appena vide sbucare dal folto del bosco circostante una mezza dozzina di uomini incappucciati e armati fino ai denti, con tutta l’aria di predoni attirati dalla ricchezza del corteo e magari dalla prospettiva di estorcere al re un cospicuo riscatto per riavere indietro la sua preziosa bambina.
L’agguato fu rapidissimo e, prima che il ragazzo riuscisse a intervenire, le amazzoni vennero colte di sorpresa: si difesero strenuamente e, al termine del brevissimo e cruento scontro che ne seguì, riuscirono a sopraffare tutti gli aggressori tranne uno. Ma il prezzo che pagarono fu altissimo: il brigante superstite abbatté con un ultimo colpo di daga l’unica amazzone ancora rimasta in vita e si diresse, sporco di sangue e furibondo, verso la carrozza scavalcando i corpi delle altre guardie e delle due sfortunate cameriere della principessa, che non erano riuscite a fuggire.
Al truffatore si mozzò il respiro al pensiero di cosa quel bandito avrebbe mai potuto fare alla giovane, ormai del tutto indifesa: respirò profondamente cercando di calmare i palpiti del suo cuore e, sebbene detestasse con tutto se stesso la violenza e gli scontri fisici, scese da cavallo, raccolse la spada abbandonata al suolo accanto a uno dei cadaveri e si scagliò contro il predone.
Neal odiava le armi, eppure sapeva usarle alla perfezione grazie agli insegnamenti che gli avevano impartito prima suo padre e poi Vincent: in quell’occasione ciò che aveva imparato gli tornò estremamente utile e anzi può dirsi che salvò la vita sia a lui che all’infelice principessa Kate.
Va anche detto che il brigante era rimasto ferito durante il combattimento con le amazzoni, altrimenti forse il giovane, tanto meno esperto, non sarebbe riuscito a sopraffare la sua brutale ferocia; fatto sta che Neal in poche mosse riuscì a sconfiggerlo con un colpo di spada ben assestato, che gli penetrò il cuore spaccandolo in due. L’uomo crollò al suolo tingendo di sangue il terreno circostante e mentre Neal, ancora ansimante per lo sforzo tremendo, si raddrizzava vide una fanciulla fare capolino, spaurita, e poi lentamente uscire dalla carrozza.
Ora la principessa Kate Moreau era in piedi davanti a lui, tremante e col viso più bianco della veste immacolata che la fasciava, rivelandone il corpo giovane e flessuoso; sebbene i suoi soavi lineamenti tradissero ancora il terrore che li aveva attraversati il truffatore, rimasto senza fiato, non poté che constatare che per una volta era la realtà a superare la fantasia e non il contrario.   
Era senza dubbio la creatura più bella che mai avesse calpestato la terra e il giovane ladro al solo ammirarla fugacemente non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia. Visto che la fanciulla non si muoveva e non riusciva ad articolare nemmeno una parola, Neal fece qualche passo verso di lei e le tese una mano cercando contemporaneamente di rassicurarla con le parole; le disse il suo nome e le spiegò che non voleva farle alcun male ma che, anzi, se glielo avesse consentito l’avrebbe scortata fino al palazzo di suo padre proteggendola da eventuali pericoli.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


 Capitolo quarto
 

 
Il viaggio verso la capitale del regno di Green Ivy durò due giorni e due notti e man mano che i due giovani, stretti l’uno all’altra in sella al cavallo di Neal, si avvicinavano alla meta si accorciava, allo stesso modo, anche la distanza tra di loro: mai avrebbero creduto di trovarsi in una situazione del genere, né tanto meno di essere travolti da emozioni così repentine e sconvolgenti.
L’ultima sera prima di arrivare a destinazione, Kate osservava il volto di Neal illuminato dai bagliori ondeggianti delle fiamme che il ragazzo aveva appena finito di attizzare: i suoi occhi, quei lineamenti decisi e al tempo stesso tanto dolci, le si erano impressi nel cuore in maniera incredibilmente profonda, nonostante fosse per lei quasi uno sconosciuto. 
“Avete cacciato, raccolto la legna, acceso il fuoco e cucinato per me” disse la principessa Kate fissando il giovane ladro “E’ notte fonda, non siete stanco?”.
“No, mia nobile signora” rispose lui ricambiando il suo sguardo, ma con voce soffocata dall’emozione “è prima mattina anche la notte per me, se mi siete vicina…”.
La giovane abbassò lo sguardo, ma non lasciò la mano che il ragazzo aveva preso e teneva dolcemente.
“Su molte donne ho posato gli occhi e più d’una volta un sorriso, una voce, il candore di un viso gentile mi hanno incantato” proseguì Neal senza staccare gli occhi dal volto, ormai tinto dal più soave rossore, della principessa “Ma in ognuna delle donne che ho incontrato ho trovato un difetto che me l’ha allontanata dal cuore. Solo ora mi rendo conto di avere sempre confuso i sensi con il sentimento…solo adesso che ho davanti a me voi, la più perfetta delle creature”.
“Io non conosco uomini, tranne voi e il mio amato genitore, eppure la mia fantasia non riesce a immaginarne altri diversi da voi, altri che non siate voi… Siete il secondo uomo che vedo in tutta la mia vita dopo mio padre e l’unico che mi abbia toccato il cuore e fatto sospirare” rispose in un soffio la fanciulla, tenendo gli occhi bassi. Quelle parole insperate e ancor di più il tono, morbido come il velluto eppure pieno di sicurezza, con cui erano state pronunciate regalarono a Neal il coraggio di tentare di rendere concreto ciò che si era figurato come il più irraggiungibile dei sogni.
A quel punto il principe le si inginocchiò davanti, le prese le mani e disse: “Mia dolce principessa, ascoltate la mia anima che parla alla vostra: non appena vi ho vista, ho saputo che il mio cuore era perduto. Perduto per sempre per essere ritrovato da voi. Volato tra le vostre braccia, sulla vostra fronte di alabastro, sulle vostre labbra di miele per rimanervi come uno schiavo per sempre”.
“O cielo, o terra, o Dei, vi chiamo a testimoni del mio amore puro!” esclamò, travolto dall’emozione.
A quelle parole gli occhi della principessa si riempirono di lacrime di commozione; fece rialzare il giovane e lo guardò in volto senza riuscire a parlare.
“Piangete…perché?” mormorò Neal.
“Per la timidezza” replicò la giovane “che non sa offrire ciò che vorrei dare, né tanto meno prendere ciò che desidero fino a morirne… Che senso ha esitare? Quanto più cerco di nascondere ciò che provo, tanto più questo si rivela immenso…Se mi volete, sarò la vostra sposa per sempre”.
“Mia signora, o mia diletta!” ripeté Neal, più felice di quanto avrebbe mai potuto sognare “La mia sposa…”
***
Giunti alla porta del palazzo del re Robert, i due innamorati dovettero a malincuore salutarsi: Neal non aveva raccontato a Kate la verità né sul suo passato regale né sulla vita che aveva condotto insieme a Vincent e sentiva che, per essere completamente degno del suo amore, avrebbe dovuto rinunciare per sempre alle sue avventure di ladro e truffatore.
Desiderava iniziare con lei una nuova esistenza nella quale la menzogna e i sotterfugi non avrebbero trovato posto, ma per farlo doveva per prima cosa chiudere con Adler e chiedergli di lasciarlo andare. Kate l’avrebbe aspettato, ne era sicuro, e non appena lui fosse stato pronto avrebbero parlato insieme con il re: lei credeva che il padre l’avrebbe accontentata, contando sull’affetto che le aveva sempre dimostrato, e Neal, dal canto suo, avrebbe usato il suo fascino per convincere il futuro suocero a concedergli la mano dalla principessa ed era certo che ciò sarebbe bastato.
“Addio, amore mio, arrivederci” mormorò Kate, trattenendo a stento le lacrime.
“Ecco il mio onore e la mia mano…” rispose Neal, stringendola a sé.
“Ed ecco la mia, con dentro il mio cuore…” concluse la principessa prima di allontanarsi.
 
***
 
Re Robert Moreau aveva quasi perso le speranze di ritrovare sana e salva sua figlia, per cui fu difficile immaginare la sua felicità quando invece se la vide davanti, sporca e con gli abiti laceri ma in perfetta salute e anzi con, stampato sul viso, il più splendente dei sorrisi.  La giovane principessa avrebbe voluto subito confidarsi col padre e chiedergli di rendere possibile la sua felicità, ma non immaginava i progetti che, al contrario, l’ambizioso sovrano aveva costruito anno dopo anno sulla bellezza e la virtù della figlia.
Il timore di perdere il suo lasciapassare verso il potere e una parentela illustre lo spinse, infatti, a rendere più serrati i suoi contatti con le famiglie reali dei paesi confinanti, fino a che gli giunse la notizia più attesa: la regina Althaea Keller, signora del potente e ricco regno di Daffodil, aveva mandato un’imponente ambasceria per chiedere la mano della principessa per suo figlio Matthew, futuro re del paese. L’abile sovrana sperava infatti che scegliendo una sposa sottomessa e umile per il ragazzo, costei non avrebbe mai rappresentato una minaccia per il proprio personale potere né per l’ascendente che conservava presso il principe ereditario.
Prima ancora di leggere la bozza di contratto matrimoniale e senza nemmeno aver consultato la ragazza, il re aveva già deciso di accettare quella proposta che andava ben oltre le sue più rosee aspettative: legarsi ai Keller e al regno di Daffodil significava, infatti, ricchezza, prestigio e potere per lui e il suo paese. Era inconsapevolmente così lontano dall’animo di sua figlia che, in piena buona fede, si aspettava che avrebbe accolto quella notizia con umile obbedienza e persino con gratitudine: la reazione di rabbia, lacrime e paura che al contrario ebbe la fanciulla fu, perciò, del tutto inaspettata.
Le spiegazioni che la giovane accampò, la confessione di essere già promessa a un altro - per di più a uno sconosciuto incontrato in un bosco - per poco non gli causarono un colpo apoplettico e solo l’ambizione di concludere quel vantaggioso matrimonio arrestò la sua furia, impedendogli di far scacciare o gettare nelle segrete la figlia infedele!
A quel punto, le nozze andavano anzi celebrate il più presto possibile per evitare complicazioni.
 
***
La principessa Kate singhiozzava da ore, rinchiusa nella sua camera ove aveva il permesso di entrare soltanto la cameriera che le portava da mangiare tre volte al giorno, e quando vide comparire nella stanza la familiare figura di Elizabeth, figlia di un consigliere del padre e sua più cara amica fin dall’infanzia, le corse incontro e l’abbracciò bagnandole il volto con le sue lacrime. La nobildonna era di qualche anno più grande e aveva sempre rappresentato la sorella maggiore che alla principessa era mancata; quando lei era stata spedita nel monastero, avevano giurato di scriversi ogni giorno per raccontarsi sogni, segreti e speranze e così effettivamente era stato.
Solo dalle sue lettere la fanciulla aveva appreso che Elizabeth si era innamorata di Peter Burke, comandante della guardia reale di Green Ivy, e l’aveva sposato con la benedizione delle rispettive famiglie. Quanto aveva desiderato essere presente nel momento in cui i desideri di felicità dell’amica si realizzavano e come era stato, invece, triste per lei non poterla abbracciare quel giorno! Prima di incontrare Neal aveva conosciuto l’amore solo attraverso i racconti di Elizabeth e in alcuni momenti, nella deprimente solitudine del suo isolamento, aveva persino dubitato che una cosa del genere potesse accadere anche a lei. Invece, adesso che l’aveva trovato, sarebbe stata costretta a rinunciarvi…
Lo disse scossa da singulti irrefrenabili, stringendosi a Elizabeth che, grazie al marito, era riuscita a violare il forzato esilio che il re aveva imposto alla figlia per piegarne la volontà e costringerla ad accettare quelle nozze tanto detestate. Le raccontò ogni cosa: come aveva incontrato Neal, come lui l’avesse salvata e come, pian piano, entrambi si fossero resi conto della forza del sentimento che li univa. Le descrisse gli amati lineamenti del giovane in maniera così vivida e traendo tanto conforto nel rievocarli che all’altra sembrò di averne appena visto l’effigie. A Elizabeth si stringeva il cuore nel vedere l’amica così disperata; tentò di confortarla con parole dolci e piene di speranza, ma era ella stessa consapevole che il re suo padre non avrebbe cambiato idea per nessuna ragione.
   
***
“Perdonatemi, signore” disse Neal a Vincent Adler, che lo ascoltava guardando fuori da una delle ampie finestre del suo studio “Mi avete accolto quando ero solo un bambino e mi avete reso ciò che ora sono…Vi sono grato per tutto ciò che mi avete insegnato in questi anni, ma il mio destino è un altro e io devo necessariamente seguirlo”.
“Me ne vado” concluse “Lascio il vostro palazzo e l’esistenza che ho vissuto qui insieme a voi”.
L’uomo si voltò verso di lui con un mesto sorriso; sapeva che quel giorno sarebbe giunto prima o poi e quando Neal gli aveva raccontato del suo incontro con Kate Moreau aveva acquisito la consapevolezza che alla loro separazione mancava davvero poco. Gli dispiaceva, il giovane truffatore era quasi un figlio per lui, il figlio che non aveva mai avuto…ma ancora di più si doleva del fatto che stesse per rinunciare a una vita che gli piaceva in nome di un amore irrealizzabile.
Infatti, gli era stato appena riferito delle imminenti (re Robert era riuscito a organizzare la cerimonia per il giorno dopo) nozze della principessa con Matthew Keller, principe ereditario del regno di Daffodil; non avrebbe voluto essere lui a dire la verità al ragazzo, spezzandogli così il cuore, eppure non se la sentì di tacere. L’espressione di stupefatto dolore che lesse nei suoi occhi quando lo seppe non fu certo inaspettata, sebbene l’astuto truffatore non potesse immaginare il motivo per il quale la notizia era stata per Neal doppiamente straziante.
Non solo la donna che amava stava per sposare un altro, ma si trattava proprio di colui che anni prima aveva attentato alla sua vita, l’aveva costretto a lasciare la sua casa e il suo regno privandolo del suo posto legittimo! A questo punto la rabbia travolse il giovane ladro, facendogli ribollire il sangue e spingendolo ad abbandonare di corsa il palazzo di Adler per dirigersi in tutta fretta verso il vicino regno di Green Ivy:  per troppi anni aveva rinunciato alle sue legittime aspirazioni, ciò che non aveva voluto fare per brama di potere o per sete di giustizia l’avrebbe fatto per amore.
Era lui il vero principe di Daffodil, a lui spettavano sia il trono sul quale ora sedeva un traditore che la mano di colei che quel bastardo stava per sposare senza un briciolo di amore; il matrimonio era vicinissimo e il giovane lanciò il suo cavallo al galoppo nella speranza di arrivare in tempo per impedirlo.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


  Capitolo quinto
 

 
Neal cavalcava da ore quando si accorse che il suo destriero era esausto e smontò, proseguendo a piedi per consentirgli di riposare almeno un po’; giunto nei pressi di un trivio, la sua attenzione fu attirata dalle grida rabbiose di un uomo, un cencioso mendicante, che tentava di difendersi dagli scherzi crudeli con cui una banda di ragazzacci lo tormentava.
A Neal ripugnava qualsiasi forma di sopraffazione di una persona debole e in difficoltà così, nonostante fosse divorato dall’ansia arrivare troppo tardi, decise di fermarsi e scacciare quei petulanti ragazzini: per fortuna non ci volle un grande sforzo e anzi fu sufficiente a vista del giovane cavaliere e della spada che portava alla cintola per disperdere la fastidiosa marmaglia. Quando tese la mano per aiutare l’uomo, che era stato spinto nel fango della via, a rialzarsi e lo tirò su si accorse che era meno anziano di quanto gli fosse inizialmente sembrato: le sue vesti lacere e sporche rivelavano un fisico muscoloso e allenato e il viso, sebbene ricoperto di sudiciume, richiamò subito nel giovane una sensazione di familiarità niente affatto piacevole.
Quel volto dalla pelle rovinata, quegli occhi tempestosi li aveva visti solo per pochi minuti dieci anni prima, eppure li aveva riconosciuti al primo sguardo: proprio così, quello era Garrett Fowler, colui che anni prima l’aveva rapito e aveva tentato di assassinarlo vilmente! Snudare la spada e puntarla alla gola dell’uomo fu un istante; il cavaliere decaduto però non indietreggiò né altrimenti si mosse, sostenendo il suo sguardo furioso.
“Uccidimi, ragazzo…” disse anzi con voce appena tremante “La mia vita è finita molti anni addietro, quando la regina Althaea, adirata per il mio fallimento con te, mi privò di tutti i miei beni e titoli, relegandomi fino a pochi mesi fa in una buia e immonda segreta; sono riuscito a evadere, ma ormai non sono che un povero vecchio cencioso da schernire… Avanti, fallo, dimostra il tuo coraggio!”.
Neal stese il braccio preparandosi a decapitare di netto l’avversario, quando d’improvviso udì risuonare alle sue spalle una voce nota e amata: senza essere visto, era giunto e si era materializzato Moz, lo spiritello dell’aria. Egli parlò brevemente e come al solito le sue parole furono piene di pietosa saggezza: non ce ne vollero molte, tuttavia, perché il giovane principe desistesse dai suoi propositi…forse avrebbe comunque fermato la sua mano anche senza l’intervento del soprannaturale protettore.
Neal salutò lo spirito con un sorriso e risalì a cavallo, scuotendo le briglie per farlo muovere, quando Fowler lo bloccò parandoglisi davanti: aveva capito che il ragazzo intendeva rivendicare il trono e gli propose di aiutarlo, ringraziandolo in tal modo per avergli risparmiato la vita. Odiava la regina - gli disse - come e forse anche più di lui! Al giovane principe avrebbe fatto comodo un aiuto, ma l’idea di allearsi con quell’uomo gli faceva orrore e quindi rifiutò l’offerta, riprendendo subito il suo viaggio.
Giunse dinanzi al castello di Green Ivy che era ormai tarda sera e subito si accorse che in ogni luogo fervevano i preparativi per le nozze dell’indomani mattina: le cucine, sature di profumi irresistibili di cibi succulenti, traboccavano di servi indaffarati e dietro le finestre del piano nobile, tutte illuminate, s’indovinavano stuoli di cameriere intente a lucidare l’argenteria, spolverare tappeti e lustrare pavimenti.
E Kate, la sua Kate, dov’era in quel momento? Cosa stava facendo? Non aveva dubitato nemmeno per un istante del suo amore e in quel momento gli si stringeva il cuore al pensiero di ciò che la ragazza poteva stare provando, senza sapere che lui era lì per salvarla da un destino odioso.
Neal comprese che era il caso di fermarsi a riposare: il destriero era sfinito e lui stesso si sentiva esausto per la lunga cavalcata. Ma dove avrebbe potuto trovare ricovero senza correre il rischio di essere riconosciuto? Aveva infatti validi motivi per temere che la regina Althaea potesse scoprire del suo ritorno e cercare di farlo tacere per sempre; non aveva nemmeno terminato di formulare quel pensiero che per la seconda volta in quel giorno avvertì accanto la presenza del suo amico fatto di aria e vento.
Liberato il cavallo, l’astuto Moz impiegò le sue arti magiche per creare un travestimento che avrebbe protetto il suo amico: con barba e baffi canuti e abiti dimessi, nessuno avrebbe infatti riconosciuto il bel giovane dagli occhi sfrontati nel povero vecchio curvo che adesso bussava alla porta del palazzo che l’abile spirito gli aveva indicato, assecondando un piano che solo lui conosceva.
Si trattava della dimora di Peter Burke e di sua moglie Elizabeth: erano persone gentili e generose e non avrebbero mai violato le sacre leggi dell’ospitalità rifiutando alloggio a un povero, esausto vecchio. Infatti, lo fecero accomodare accanto al caminetto affinché si riscaldasse e fu la stessa Elizabeth a porgergli una tazza di minestra fumante. Quando gli si avvicinò e i suoi occhi incrociarono per un istante quelli del principe, invero, la ragazza ebbe un sussulto; emise un gemito soffocato e impallidì tanto che, se la stanza non fosse stata in penombra e rischiarata solo dalle fiamme del camino, il marito avrebbe certamente notato il suo improvviso turbamento. Non ne fu subito sicura, ma bastò una seconda occhiata perché la fanciulla indovinasse sotto il travestimento i lineamenti che l’amica le aveva descritto con tanta amorosa attenzione.
 
***
Di solito Peter Burke dormiva come un sasso, ragion per cui fu veramente sorpreso quando all’alba si svegliò di soprassalto con una strana sensazione alla bocca dello stomaco; ancora semiaddormentato, pensò confusamente che forse a cena aveva esagerato con l’arrosto di cinghiale, salvo poi rendersi conto dopo un istante che sua moglie non era a letto accanto a lui. E questo era altrettanto strano.
Il capitano delle guardie era un uomo razionale, rigoroso e al tempo stesso profondamente innamorato della moglie, per cui all’inizio il sospetto di un possibile tradimento non lo sfiorò nemmeno; tuttavia, non riusciva a dormire se Elizabeth non era vicino a lui e quindi si alzò per andare a cercarla.
La grande casa era deserta e silenziosa, ma la sua attenzione fu attirata da una fioca luce che filtrava dalla fessura sotto la porta dell’ingresso: l’uscio era socchiuso e lui, in preda a un’inquietudine sempre più intensa che non riusciva a spiegare razionalmente, non seppe resistere alla tentazione di avvicinarsi e gettare lo sguardo all’interno della stanza. Non immaginava ciò che avrebbe visto, però la presenza di un estraneo sotto al suo tetto - per quanto vecchio e malmesso -  aveva finito con l’allarmarlo.
Il comandante guardò e fece un passo indietro, come se lo avessero colpito: vide lei, sua moglie, col vecchio… Non più vecchio e curvo ma diritto, elegante, che teneva in mano la parrucca di capelli bianchi che gli aveva aperto l’accesso alla loro profanata magione! Vide Elizabeth ascoltarlo mentre egli chinava la testa per sussurrarle qualcosa all’orecchio e aggiustare con le sue mani - le stesse che lui adorava - quella menzogna sulla testa di lui, piegando la testa di lato con un sorriso mentre lo faceva; infine, la vide accompagnarlo fuori nel chiarore spettrale dell’alba.
In un primo momento Peter strinse il pugno robusto come se volesse con quello abbattere una belva feroce, poi si guardò intorno in cerca di un’arma: prese la spada che aveva appoggiato come ogni sera sulla panoplia nell’ingresso e iniziò a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Era fuori di sé: fu all’improvviso attraversato dall’idea che passare a fil di lama non solo la moglie traditrice ma anche il suo vile amante fosse non solo una cosa giusta, ma addirittura l’unica da fare. Quel pensiero si dilatò nella sua mente fino a divenire un demone mostruoso che prese completamente possesso di lui, scacciando tutte le altre, più miti, considerazioni che fino a poco prima albergavano nella sua mente sconvolta. 
Udì un rumore di passi presso la soglia: Elizabeth stava rientrando in casa dopo avere congedato il suo amante… strinse le dita convulsamente intorno all’elsa della spada e attese.
In quell’istante, il fuoco morente del camino illuminò tutta la stanza con uno sprazzo improvviso, come suscitato da un vento impetuoso: il tempo arrestò il suo scorrere consueto e l’aria si riempì di mormorii e scintillii.
Peter sgranò gli occhi, incredulo, mentre in ogni angolo risuonava una voce incorporea che pronunciava parole dolci come un balsamo per il suo cuore piagato: “Questa è una casa felice, lo è stata ogni giorno per tanti anni” diceva la voce da sotto il tavolo da pranzo. “Lei ti ama sopra ogni cosa, non puoi dimenticarlo” rispondeva la stessa voce proveniente da dietro le tende della finestra. “Questo focolare, se non fosse stato per lei, altro non sarebbe che un ammasso di pietre bruciacchiate e cenere e non già il cuore pulsante e festoso della tua vita!” aggiungeva qualcuno invisibile, nascosto tra i mattoni del camino. Era un sussurro, un mormorio come di brezza, eppure infinitamente chiaro e deciso.
“Ogni cosa in questa dimora parla di lei e del suo amore per te” proseguì il mormorio celeste “E tu devi ascoltare, perché questa è la verità”.
Al soldato sfuggì un gemito, lasciò scivolare per terra la spada e cadde seduto su una panca con la testa tra le mani; in quell’istante, lo spirito dell’aria disparve, il tempo riprese il suo corso ordinario ed Elizabeth Burke mise piede in casa.  
 
EPILOGO
 
Poche ore dopo il provvidenziale incontro tra Peter Burke e Moz lo spiritello, il palazzo di Green Ivy  si preparava a celebrare l’evento del secolo: il matrimonio tra la bella principessa Kate Moreau e il nobile principe Matthew Keller.
In verità, raramente fu dato di vedere una sposa più affranta e disperata la mattina delle sue nozze di quanto non fosse la dolce Kate. Nonostante il giorno precedente Elizabeth avesse cercato in ogni modo di consolarla, ella aveva preso la sua decisione: preferendo morire anziché vivere senza il suo amore, aveva deciso irrevocabilmente che la sua prima notte di nozze sarebbe anche stata l’ultima che avrebbe trascorso sulla terra. Veleno, pugnale o altro non importava; avrebbe trovato comunque il modo di farla finita.
Avanzò nell’ampia sala riccamente addobbata tra due ali di dignitari eleganti e festosi, provenienti da tutti i regni vicini: al suo passaggio dalla folla assiepata si levò un mormorio di ammirazione, perché la principessa era meravigliosamente bella anche con la morte nel cuore. Presso il trono, guardò per la prima volta in faccia colui che stava per diventare suo marito: il pensiero che lui avrebbe stretto tra le braccia solo il suo freddo cadavere la rincuorò e le rese quasi sopportabile il supplizio della cerimonia.
Mancavano pochi istanti al momento nel quale il celebrante avrebbe pronunciato le solenni formule rituali che li avrebbero legati e nessuno, tra la folla che gremiva la sala, fece caso al fatto che Elizabeth Burke sgusciasse da vicino al marito per sparire sul fondo della grande stanza. Non vista, aprì la porta e fece entrare un uomo che, avanzando dritto e atletico nonostante i capelli bianchi, attraversò la sala facendosi largo rudemente tra gli ospiti. Giunto innanzi al trono, la sua strada fu sbarrata dal capitano Burke, che fronteggiandolo con la spada sguainata gli impedì di proseguire.
I presenti indietreggiarono in un mormorio di spavento e confusione, mentre Elizabeth corse verso il marito e gli afferrò il braccio, fermando il colpo che l’uomo stava per infliggere a colui che riteneva un nemico.
“Fermati, non farlo! Lui è Neal, è l’uomo che ha salvato Kate” gridò a Peter, guardandolo fisso negli occhi “L’ho riconosciuto ieri sera e l’ho aiutato a entrare qui perché so che lei lo ama e che lui è venuto qui per impedirle di sposare un altro!”.
Quelle parole tolsero in un istante il peso che da alcune ore gravava sul cuore del povero capitano, il quale senza dire nulla abbassò la spada e lasciò avanzare il giovane.
Tutto avvenne in pochi, convulsi, momenti: Neal si liberò con un gesto della parrucca e del mantello e gridò forte il suo nome, il suo cognome e il suo titolo, mentre la gente ammutoliva per lo stupore, Kate Moreau si lasciava cadere semisvenuta per terra e il re Robert a gran voce chiedeva all’attonita Althaea e a suo figlio spiegazioni per quell’evento increscioso che rischiava di mandare a monte i suoi piani.
La sovrana fu la prima a riprendersi, attraversò la sala e si pose davanti al ragazzo con le mani sui fianchi e negli occhi uno sguardo di aperta sfida; Matthew la raggiunse e con aria sprezzante accusò il giovane di essere un millantatore, un pazzo, un traditore.  
“Dici di essere lo scomparso principe Neal” esclamò, arrogante “Ma quali prove puoi portare? Noi sappiamo solo che il mio fratellastro è sparito da anni, nessuno ne ha più avuto notizie. Per quanto ci riguarda potrebbe essere morto e tu un impostore…”.
“L’unico impostore qui sei tu!” ruggì Neal che, tuttavia, si rendeva conto della debolezza della propria posizione: solo, in mezzo ai suoi nemici, come aveva potuto sperare di cavarsela?
“Avanti” insistette Matthew “Dicci, che prove hai?”.
Ciò che non si aspettava di vedere fu la folla fendersi in due per il passaggio di un uomo alto e vestito miseramente: si fermò di fronte alla regina Althaea e tirò fuori dalla blusa macchiata un foglio di carta tutto spiegazzato ma ancora ben leggibile, sul quale spiccavano chiaramente i colori del sigillo dei Keller. La sovrana impallidì all’improvviso, riconoscendo sia il viso dell’uomo che il suo scritto, vergato anni prima.
“Mi chiamo Garrett Fowler” esclamò quello, mostrando il pezzo di carta a chi gli era vicino affinché constatasse che ciò che diceva era la verità “Dieci anni orsono Althaea Keller mi ordinò di rapire e uccidere il principe Neal per impadronirsi del trono di Daffodil… io non riuscii nel mio compito e lei mi rinchiuse nelle sue oscure prigioni fino a che non sono riuscito a scappare. Il principe ha avuto la possibilità di vendicarsi di me e non lo ha fatto, risparmiandomi la vita: egli merita di essere re e governare con saggezza il nostro paese! Questo è il salvacondotto che mi diede la regina per consentirmi di lasciare il regno con il bambino senza avere problemi con le guardie di frontiera. Riconoscete il suo sigillo?”.
Adesso gli sguardi di riprovazione dei presenti si concentrarono sulla sovrana e sul figlio: mentre il ragazzo si guardava intorno senza sapere bene cosa fare, invece la madre, fuori di sé per la rabbia e la vergogna di vedere il suo diabolico piano smascherato davanti a tutti, istintivamente indietreggiò in direzione dell’ampia finestra che dava sulla piazza d’armi del castello.
Voleva solo mettere quanta più distanza poteva tra lei e i suoi nemici, ma non si avvide che una delle tende che ornavano la cornice della finestra, senza alcuna spiegazione naturale, si era d’improvviso sollevata, come sospinta da un vento che spirava solo in quell’angolo della sala.
Per Althaea Keller inciampare in quel lembo di tessuto fu inevitabile, come lo fu perdere l’equilibrio e cadere all’indietro nel vuoto, sfracellandosi al suolo tra le urla di terrore dei presenti.
 
***
 
E fu così che i regni di Daffodil e Green Ivy vissero la loro giornata più memorabile e intrecciarono i loro destini per l’eternità.
Il principe Neal, riconosciuto come legittimo sovrano, riprese il posto che gli era stato sottratto e che invece gli spettava di diritto; l’usurpatore Matthew ammise le sue colpe e, atteso che il re gli fece grazia della vita, fu condannato all’esilio perpetuo; Fowler fu perdonato e rientrò in possesso dei suoi beni, mentre il re Robert Moreau non vide naufragare le sue mire di potere perché non si sarebbe potuta immaginare una coppia di sposi altrettanto radiosa e felice del principe Neal e della principessa Kate. 
Quel giorno fu dichiarato festa nazionale, furono organizzati grandiosi banchetti e tornei per divertire i sudditi; tutti mangiarono, bevvero, ballarono e si divertirono a sazietà e quando furono soddisfatti…ricominciarono da capo.
 
FINE
 
 
Note: come avrete notato, dovendo scrivere una fiaba ho cercato di giocare con i luoghi comuni delle fiabe ma utilizzando i personaggi della serie tv nel tentativo di rispettarne i caratteri e anche la storia personale: infatti, anche qui Neal è un truffatore e Peter più o meno un poliziotto, Matthew è prima amico e poi rivale di Neal, Adler è il suo mentore, Moz suo amico e aiutante, Kate la donna che ama, Elizabeth colei che da subito si fida di lui e lo aiuta, Fowler prima un suo nemico - che Neal vorrebbe, ma alla fine non riesce a uccidere - e poi in qualche modo un suo alleato, etc...
 

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