Una nuova vita. Noi tre insieme

di Karmilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


australia1

Non mi sono mai cimentata con Georgie, finora ho scritto solo su Lady Oscar, ma essendo entrambi i due miei anime preferiti ed avendo appena terminato di leggere per la prima volta il manga di Georgie ho deciso di provare...

Spero che possiate apprezzare la mia storia, e comunque commentate sia in modo positivo che negativo, vi prego!!!!


Ormai era tutto pronto, il salone era gremito di gente, tutta l'alta nobiltà inglese era pronta ad accogliere trionfalmente il ritorno del Conte Gerald e a far debuttare sua figlia, la Contessina Georgie, attorno alla quale c'era moltissima curiosità.

Il Conte era entrato per primo in modo che nessuno si perdesse l'arrivo della sua amata figlia.

Georgie era sull'uscio, ed era palesemente tesa.

“Georgie, se non ti calmi rischi di svenire non appena entreremo, e non credo che tuo padre ne sarà felice!”

“Lo so, Abel, hai ragione. Ma cosa ci posso fare? Mi sembra di essere sul punto di entrare nella fossa dei leoni...”

“Sbagli.”

Georgie lo guardò con fare interrogativo, Abel se ne accorse e le si rivolse con un gran sorriso.

“Non sembra, stiamo davvero per entrare nella fossa dei leoni!”

“Grazie Abel, ora mi sento meglio, davvero...”

Ma poi lui cambiò tono, e con voce calma e ferma le sussurrò.

“Georgie, non permetterò che ti accada nulla, stai tranquilla.”

Il cuore di Georgie sobbalzò, era da ormai qualche settimana che non riusciva più a reggere lo sguardo di Abel e quando lui le parlava in quel modo sentiva la terra mancarle sotto i piedi. Non riuscì a guardarlo ma lo ringraziò e si strinse al suo braccio.

Una voce infine annunciò:

“La Contessina Georgie Gerald e il Signor Abel Buttman”.

Il loro ingresso fu salutato con il massimo silenzio, avvertivano su di loro la curiosità di tutta quella gente come se fossero lame pronte a vivisezionarli, e si sentirono molto a disagio. Raggiunsero il centro della sala e Abel fece un cenno all'orchestra, al che iniziarono a danzare.

Solo dopo qualche minuto Georgie riuscì ad alzare gli occhi e lo sguardo di Abel agganciò il suo, per non lasciarlo più per tutta la durata del ballo.

Si sentivano felici, ma non lo dissero.

Georgie guardava radiosa il suo Abel, e lo trovava se possibile ancora più bello del solito con quell'abito elegante blu scuro e la camicia di seta dello stesso colore che richiamava il blu dei suoi occhi. Continuò a fissarlo perdendosi in sogni ad occhi aperti finché Abel la riportò sulla terra.

“Georgie, a cosa stai pensando?”

Lei arrossì vistosamente, e cercò di evitare il discorso.

“A nulla, perché?”

“Non ti credo. Avevi l'aria di chi stava pensando a qualcosa di molto piacevole!”

“No...ma che dici! Io...figurati...non scherzare...io non...”

Abel rise all'imbarazzo di Georgie e decise di lasciar perdere, anche perché temeva che Georgie stesse pensando ancora a Lowell, e non voleva sentirglielo nominare.

“Va bene, ti lascio stare, ma solo per portarti da tuo padre e da tutte quelle dame che non vedono l'ora di parlare con te.”

“No Abel, ti prego, resta con me. Tu non hai idea, sono le stesse persone che mi hanno evitata, derisa ed umiliata quando sono andata al ballo con Lowell, e adesso vogliono a tutti i costi fare amicizia con me. Questo ambiente non mi piace.”

“Sono d'accordo con te, ma cerca di pensare a tuo padre, fallo per lui.”

“Già, ma dove erano tutte queste persone quando lui ha avuto bisogno? Tutte a fare i leccapiedi a Dangering, e mio padre ai lavori forzati...”

“Georgie, basta, non comportarti da bimba capricciosa. Piuttosto va da lui e dai una bella lezione a tutti, no?”

“Sì, forse hai ragione. Ma almeno accompagnami, credo che ci sia intorno a te la stessa curiosità che c'è intorno a me, o forse non hai notato come ti stanno guardando molte delle ragazze invitate a questo ballo?”

“Davvero? Guarda, non ci ho proprio fatto caso...”

“Sì, come no!”

Ma il loro scherzoso percorso verso il Conte Gerald fu interrotto da un brindisi ad alta voce.

“Per la Contessina Georgie! Una ragazza che ha ben chiaro dove vuole arrivare nella vita e come raggiungere il suo scopo.”

Georgie si voltò sconvolta, aveva subito riconosciuto la voce di Lowell. Abel stringeva i pugni con rabbia, il Conte Gerald guardava sua figlia senza parlare, aspettando una reazione che arrivò subito.

“Lowell! Sei ubriaco, è meglio che torni a casa con Elise.”

“Certo Georgie. Perché non mi ci porti tu? Tanto sei brava ad abbandonare le persone in stato di incoscienza, vero?”

Georgie lo guardò con rabbia, gli si avvicinò e lo spinse fuori sul balcone prendendolo per un braccio.

“Cosa vuoi da me, Lowell?”, gli chiese bruscamente.

“Sapere perché mi hai lasciato così! Non ero abbastanza per te? Sapendo che eri la figlia di un Conte hai pensato che era meglio prima farsi riconoscere?”

Un sonoro ceffone mise fine alle parole di Lowell.

“Smettila! Come ti permetti! Io non ho mai puntato né ai tuoi soldi né al titolo nobiliare. Io ti ho lasciato solo per salvarti la vita. Io non avrei mai potuto farti operare, ma Elise sì. E' per questo che ti ho riportato da lei, non volevo lasciarti...non volevo lasciarti morire...”

Lowell ascoltò in silenzio ciò che Georgie gli stava raccontando tra le lacrime e finalmente capì che aveva sbagliato tutto, che l'aveva giudicata severamente quando in realtà lei aveva compiuto un grande gesto d'amore, che non lo aveva abbandonato a se stesso.

“Oh, Georgie! Scusami. Io non avevo capito. Mi sono lasciato prendere dal mio rancore e non ho mai pensato che potesse esserci un'altra spiegazione. Ma se le cose stanno così...allora...possiamo ricominciare?”

Georgie alzò lo sguardo e fissò quegli occhi azzurri dei quali era stata tanto innamorata, ma all'istante si sovrapposero ad essi due occhi blu scuri come l'oceano tanto amato dalla persona alla quale appartenevano, una persona che ormai faceva parte di ogni fibra di Georgie e il cui pensiero la fece sorridere dolcemente.

“No, Lowell. Io non tornerò più indietro. Io voglio andare avanti. Voglio tornare in Australia con Abel. E con Arthur, non appena guarirà.”

“Abel! E così alla fine ce l'ha fatta a portarti via da me.”

“Nessuno mi ha portato via da te, tanto meno Abel. Lui mi ha lasciato libera per capire, e sono tornata io da lui...”

“Se le cose stanno così, allora il nostro è un addio?”

“Sì, Lowell...”, disse Georgie senza distogliere lo sguardo dal giovane di fronte a lei. Era risoluta e decisa, niente e nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea.

Nessuno dei due si accorse del fatto che Elise era dietro di loro.

“Lowell? E' ora di andare. Lo sai che l'aria fredda della sera ti fa male...”

Georgie non si voltò, lasciò che i due se ne andassero senza salutarli, non voleva che la vedessero piangere; solo Abel la raggiunse quando vide i due lasciare la sala.

“Georgie, va tutto bene?”

Non gli rispose, ma si tuffò tra le sue braccia piangendo disperata.

“Georgie! Cosa è successo? Ti ha fatto del male?”

“No, Abel, stai tranquillo. Ho solo bisogno di calmarmi un po'. Ti prego, tienimi stretta a te, ho bisogno di sentire il tuo calore...”

“Oh, Georgie! Lo sai che farei di tutto per te...”

Abel la strinse forte a sé e cominciò ad accarezzarle dolcemente i capelli, parlandole con dolcezza.

“Amore mio, dimmi solo cosa vuoi che faccia...”

Nel sentirsi chiamare così Georgie si spaventò, non riusciva ancora ad abbandonarsi al nuovo sentimento che provava per Abel e sentiva che la situazione si stava evolvendo troppo velocemente. Si staccò bruscamente da lui, guardandolo a bocca aperta.

“Abel! Io...”

“Oh, Georgie, scusami, ti prego. Non volevo spaventarti, davvero. Lo sai che sto cercando di comportarmi da fratello, ma non posso fare finta che i miei sentimenti non esistano.”

Fratello, fratello, fratello. Ma io ho smesso da tanto di considerarti un fratello. Arthur è mio fratello, tu no...

“Abel, io voglio tornare a casa.”

Abel si sentiva mortificato.

“Per favore, no. Per colpa mia ho rovinato il tuo debutto. Ti prego, torniamo dentro, prometto che non ti importunerò.”

“Abel, tu non hai fatto niente.”

Georgie lo guardò negli occhi e si alzò sulle punte per dargli un lieve bacio sulla guancia.

“Non sono arrabbiata con te, ma vorrei davvero tornare a casa. Ti va di accompagnarmi?”

Il sorriso dolce di Abel fu la più bella risposta che poté ricevere.

Il Conte Gerald rimase dietro ad una finestra guardando due figure che si allontanavano nella notte tenendosi per mano.

“Sofia, la nostra Georgie sta finalmente scoprendo l'amore. Spero faccia chiarezza dentro di sé prima che sia troppo tardi.”

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


australia2

Era passata più di una settimana da quando Arthur era stato liberato, ma purtroppo la strada per lui era ancora in salita. Il medico passava tutti i giorni, ma non poteva far altro che ripetere quello che aveva già detto la prima volta che lo aveva visto: il periodo di disintossicazione sarebbe stato lungo, doloroso sia per lui che per quelli che gli sarebbero stati vicino, ci sarebbero stati momenti molto brutti ai quali nessuno era preparato e Georgie sottovalutò le parole del dottore.

Era nella stanza di Arthur, gli teneva la mano sperando che si svegliasse, cosa che in quei giorni era capitata poche volte a dire il vero. Aveva voglia di parlargli, di sentire la sua voce chiamarla di nuovo come era accaduto la prima volta che aveva ripreso conoscenza, quando l'aveva subito riconosciuta e aveva pianto tra le sue braccia.

Era seduta sul letto, gli accarezzava i capelli, lo chiamava dolcemente e non si accorse subito che Abel era entrato nella stanza e osservava con dolcezza quella scena, ma quando si voltò lo trovò con le braccia incrociate, appoggiato all'uscio.

“Abel, che ci fai lì impalato?” gli chiese arrossendo.

“Nulla, vi osservavo. E' stato come tornare indietro negli anni. Mi ricordo ancora quando Arthur si ammalò e tu lo vegliasti per giorni, nonostante la mamma ti sgridasse.”

“Già, la mamma.... Purtroppo le sue paure erano vere, io ho distrutto la sua famiglia...”

Abel le si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle.

“Non dire così, ricordati le sue ultime parole. E' stato Arthur a scrivercele. Lei è stata felice grazie a noi tre, i suoi tre figli.”

“Sì, scusa Abel, hai ragione tu. Mi sono solo fatta prendere dalla tristezza per Arthur...”

In quel momento un lamento li distrasse, Arthur si stava svegliando e i due attesero con trepidazione, ma si accorsero subito che qualcosa non andava quando aprì gli occhi.

Arthur fissava il vuoto, non sbatteva le palpebre e teneva gli occhi spalancati, vuoti, spenti.

“Arthur...” sussurrò Georgie.

Arthur si scosse, con un solo gesto si mise a sedere rannicchiando le ginocchia al petto, dopodiché si mise ad urlare.

“Via! Andate via! Non mi toccate, lasciatemi stare!”

“Arthur! Sono io, Georgie!” lo chiamò lei, sconvolta.

Arthur si fece se possibile ancora più piccolo in quella posizione chiusa a riccio.

“Via ho detto! Non voglio che nessuno mi tocchi più! Basta, lasciatemi impazzire, fatemi morire!”

Abel cercò di intervenire, allontanò Georgie dal letto e provò ad afferrare un braccio del fratello, parlandogli con dolcezza, ma questi prese un abat-jour che era sul comodino e gliela scaraventò addosso, mancandolo di un soffio.

“Georgie, presto, vai via di qui e chiama aiuto, svelta!” le ordinò Abel.

Sebbene impietrita dal terrore, Georgie trovò la forza di muoversi e corse da suo padre, che essendo stato avvisato dal dottore delle possibili crisi di astinenza di Arthur, riuscì a calmarlo con l'aiuto di Abel e dopo averlo immobilizzato gli fece un'iniezione con un calmante che lo riaddormentò.

Abel rimase con suo fratello per un tempo interminabile, finché Georgie entrò nella stanza e lo chiamò.

“Abel...sei qui da ore.”

“Scusami Georgie, ma non ce la faccio a lasciarlo solo.”

Si voltò verso di lei e vide che era pallida.

“Hai avuto paura?”

“Sì, molta. Non credevo che una crisi potesse trasformarlo così. Ho avuto paura per lui e per te, ha cercato di aggredirti!”

“Non era in sé. Dio solo sa che inferno ha vissuto. Maledetto Irwin, spero che presto abbia la punizione che merita!”

“A proposito di Irwin, Arthur è l'unico che possa farlo imprigionare, ma in queste condizioni non potrà mai testimoniare, il processo è tra una settimana. Dangering è fuori gioco, ma suo figlio no...”

“Lo so, Georgie. Dobbiamo solo sperare che Arthur riesca a riprendersi un po'.”

“Già.”

Georgie rimase per un po' di tempo a fissare Abel e scoprì di avere una voglia incredibile di abbracciarlo e farsi abbracciare. Si vergognò di quei pensieri che lei giudicò così inopportuni date le condizioni di Arthur e non si accorse che Abel la stava guardando.

“Georgie? Cosa c'è?”

“Eh? Nulla...perché?”

“Hai di nuovo quell'aria sognante che avevi al ballo. Ho idea che tu mi stia nascondendo qualcosa...”

“Ma no, che dici!”

“Non mentire, lo sai che ti conosco meglio di chiunque altro.”

Aveva ragione, lui era l'unico che sapeva leggerle dentro, che aveva cercato di avvisarla su Lowell dicendole chiaro in faccia quella verità che lei stessa sapeva ma non aveva mai voluto ammettere, che le aveva detto che solo lui era l'unico che avrebbe mai potuto farla felice.

Georgie cercò una scusa per cambiare discorso.

“Davvero Abel, non c'è nulla. Pensavo all'Australia, a noi tre bambini, al fatto che, come adesso, tu ti sei sempre preso cura di noi. Abel, grazie per tutto quello che hai fatto per noi, e per me. Non te lo avevo mai detto finora.”

Abel si alzò e le si parò di fronte.

“Non mi devi ringraziare di nulla. Dalla prima volta che ti ho visto ho capito che tu saresti stata la mia unica ragione di vita, e questo non cambierà mai.”

Questa volta Georgie non distolse lo sguardo da quello di Abel, rimase a fissarlo negli occhi, rendendosi conto che stava arrossendo e tremando. Sentì il cuore accelerare i battiti quando lui le si avvicinò e le strinse le braccia attorno alla vita, ma non se ne andò, si appoggiò al suo petto e sentì il cuore di Abel battere veloce come il suo.

Sì, è questa la mia vita! Qui tra le braccia di Abel, lasciandomi scaldare dal tepore del suo corpo, sentendo il suo cuore battere come il mio. Ho deciso, voglio vivere con Abel per sempre. Devo trovare il coraggio di confessarglielo...

“Abel...io...io ti...”

Un fruscio dal letto li interruppe.

“Georgie, Abel...”

Abel si voltò di scatto verso il fratello, che finalmente si era svegliato.

“Arthur! Finalmente sei sveglio! Come stai, fratello?”

“Insomma.... Mi sento molto debole e intontito. Abel, ma cosa mi è successo?”

“Stai calmo adesso, ci sarà tutto il tempo per raccontarti tutto. Ora pensa a guarire.”

Abel era raggiante nel vedere il fratello finalmente lucido e in sé e Georgie li osservava rapita.

“Arthur, vado a prenderti un thé caldo, ti lascio qui con Georgie.”

“Va bene, Abel, vai pure. Noi due faremo due chiacchiere, vero Georgie?”

“Georgie! Mi raccomando, non farlo stancare, quando inizi a parlare tu non ti fermi più!”, la ammonì Abel.

“Stai tranquillo fratello, se per caso mi stanco la caccio via!”

“Abel, Arthur! Smettetela di trattarmi come se fossi ancora una bambina!” urlò Georgie puntando i piedi. I due risero e Abel li lasciò promettendo di tornare il prima possibile.

Arthur guardò Georgie con i suoi grandi occhi luminosi e la invitò a sedersi sul letto con lui, poi l'abbraccio e le chiese senza preamboli:

“Allora Georgie, quando hai intenzione di dire ad Abel che ti sei innamorata di lui?”

Georgie lo guardò perplessa.

“Arthur...ma come hai fatto...”

“Ero sveglio già da un po' e vi ho osservato. Sono felice per voi, davvero. E' bello vederti così, e credo che per Abel sia il coronamento di un sogno.”

Georgie si sentiva le guance in fiamme e se le toccò con le mani.

“Oddio Arthur, è così evidente?”

“Per me sì”, le disse sorridendo “vi conosco da sempre. E poi, Georgie, in tutti i momenti di incoscienza mi è sempre sembrato di sentire la tua voce che mi raccontava un sacco di cose.”

“E' vero, Arthur, l'ho fatto tante volte.”

“E mi hai anche parlato dei tuoi sentimenti per Abel, vero? Mi sembra di saperlo già da un po'...”

“Sì, Arthur. Allora mi sentivi?”

“Sì, e non sai quanto mi hai aiutato, Georgie! Per questo quando mi sono svegliato non mi sono stupito di vedervi qui con me, e appena mi sono reso conto di quello che stava succedendo ho voluto vedere se avevo ragione. Beh, a dir la verità ero troppo debole per parlare e ci ho messo un po' ad articolare la voce, ma direi che per quel che ho visto ne è valsa la pena!”

“Arthur...”, disse lei, sempre più imbarazzata.

“Sei adorabile, sorellina!” le disse schioccandole un bacio sulla fronte, “ma adesso cerca di trovare il momento adatto per dirglielo.”

Georgie non gli rispose, ma si strinse a lui abbracciandolo forte. Aveva appena ritrovato suo fratello, tutto il resto sarebbe venuto da sé.






Angolo dell'autrice:

Grazie a tutti quelli che hanno letto il primo capitolo della mia ff.

Medusa: Una mia vecchia conoscenza, che bello ritrovarti anche qui! Sono d'accordo con te sui manga/anime di Lady Oscar e Georgie, anche io preferisco l'anime nel primo caso e il manga nel secondo, anzi ho da poco letto il quarto volume e sono rimasta davvero basita, una storia splendida e tragica che mi ha commosso tantissimo.  Mi trovi in linea anche sui giudizi su Abel (lo adoro...) e sui due molluschi Lowell e Fersen, due personaggi senza spina dorsale e molto irritanti, specialmente il primo! Spero che tu voglia seguire anche questa mia nuova storia, e comunque non abbandonerò i cari Oscar ed André...

Andy Grim: si, nell'anime Abel non vuole andare al ballo, ma se mi attenessi così fedelmente all'anime, che ff sarebbe, ti pare? A presto!

Ponpon : grazie per la tua recensione. Chi segue le altre mie storie sa che i miei aggiornamenti non sono frequentissimi, ma prima o poi arrivano, giuro...

Ai Kiyo_sugi : spero che le ff su Georgie aumentino sempre di più, ma ho idea che questo splendido manga sia ancora troppo poco noto, purtroppo! Grazie per i bei commenti, spero che ti possa piacere anche il seguito.

Hikary: Il tuo commento è graditissimo, in quella frase è racchiusa tutta la storia, e tu lo hai capito.

La tua Call Me Brother è spettacolare, non l'ho ancora recensita, ma non hai idea di quante volte l'ho letta! Certo che una recensione positiva dalla persona che ha aperto la sezione dedicata a Georgie è un buon auspicio, no?

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


australia3

Abel ritornò insieme al Conte Gerald che, saputo che Arthur si era svegliato, aveva voglia di vederlo e parlargli.

Quando i due entrarono nella stanza furono sorpresi, ognuno per motivi diversi, di trovare Georgie tra le braccia di Arthur.

“Ehi, fratellino! Non ti sembra di essere un po' troppo cresciuto per farti coccolare così da Georgie?”

Arthur sorrise, sapeva che in realtà quello era un modo gentile per dire che doveva staccarsi da lei e dato che non voleva litigare con il fratello si allontanò leggermente, mentre il Conte chiese a Georgie come si sentiva ad avere nuovamente con sé i suoi fratelli.

“Bene, papà. Sono felice! Ho ritrovato te, Abel e Arthur. Cosa posso volere di più?”

“Sei stata felice in Australia con loro, vero, bambina mia?”

“Sì, papà, tanto.”

Gerald era visibilmente scosso, se Georgie era la ragazza allegra e felice che aveva davanti era tutto merito dei Buttman.

“Ragazzi, io vi ringrazio per esservi occupati della mia Georgie. Purtroppo non potrò mai ringraziare vostra madre, però vorrei sdebitarmi, a mio modo”.

“Conte, non deve. Abbiamo amato Georgie dal primo momento in cui è entrata in casa nostra, e sarà così per sempre”, rispose Arthur.

“Beh, Arthur, devi ammettere che in effetti è stata una sorellina un po' rompiscatole...”

“Abel!!!!”

Gerald rideva, era piacevole assistere ai loro finti battibecchi.

“No, ragazzi, dico sul serio. Siete cresciuti solo con vostra madre, vostro padre vi ha lasciato molto presto. Ora, io vorrei poter pensare a voi come ai miei figli, tutti e tre...permettetemi di essere  vostro padre, come Mary è stata una madre per Georgie.”

Abel e Arthur si guardarono sorpresi, poi accettarono, sinceramente commossi, entrambi.

“Grazie, mi fate felice... Bene, ora Arthur, veniamo a te. Come ti senti?”

“Un po' meglio, grazie. Vi chiedo scusa, Georgie mi ha raccontato come mi sono comportato...Abel, non era mia intenzione farti del male, lo sai.”

Abel si sedette sul letto, vicino al fratello.

“Lo so. Non è colpa tua. Non riesco neanche ad immaginare l'inferno che ti hanno costretto a vivere e spero proprio che tu possa guarire presto.”

“Abel, lo speriamo tutti, ma bisogna che ci mettiamo in testa che sarà un percorso molto lungo.”

“Ma, papà, cosa dici? Dobbiamo incoraggiarlo, non abbatterlo così!”

“Georgie, non voglio scoraggiare nessuno, ma purtroppo dobbiamo aspettarci altre crisi come quella di prima. So che Arthur è un ragazzo forte e con l'aiuto tuo e di Abel ce la farà, ma dobbiamo essere realisti”.

“Georgie, tuo padre ha ragione”, intervenne Arthur. “so che è così. Già durante la prigionia mi capitavano crisi di astinenza e allucinazioni, lo so a cosa vado in contro, ma non ho paura questa volta, adesso ci siete voi con me”.

“Arthur, tu forse non lo sai, ma la settimana prossima ci sarà il processo ad Irwin.”

“Sì, Abel, lo so, me ne aveva già parlato il Conte Wilson.”

“Bene. Allora sai anche che la tua testimonianza è cruciale...”

Videro Arthur impallidire, il solo pensiero di rivedere quell'individuo e rivivere ciò che gli aveva fatto lo terrorizzava. Georgie gli strinse la mano.

“Arthur...”

“Arthur, lo so che è penoso, ma devo farti delle domande”, continuò Abel.

“Abel, devi proprio, non vedi che sta male?”

“No, Georgie, va bene, ce la faccio. Dimmi, Abel, cosa vuoi sapere?”

“Beh, ecco...che ti drogassero lo sappiamo già ed è evidente sia per le tue condizioni che per le tue braccia...però...ho bisogno di sapere...ecco...sì...insomma, Irwin ha mai abusato di te?”

Arthur lo fissò negli occhi.

“Vuoi sapere se è riuscito a violentarmi?”

Abel abbassò lo sguardo, imbarazzatissimo.

“Sì...”

“No, non lo ha fatto.”

Abel e Gerald si guardarono sorridendo.

“Però...”

“Però cosa?”

Arthur si coprì il viso e scoppiò a piangere.

“Oddio, come mi vergogno...non mi ha violentato, però alcune cose le ha fatte...e me le ha fatte fare....Oddio, Abel, io ero in suo potere, mi teneva prigioniero con la droga e annullava la mia volontà e la mia resistenza! Io non ho mai voluto, ma non potevo evitare che lui.... Abel, mettiti nei miei panni...Irwin è un uomo malvagio, perverso...”

Abel si alzò di scatto, i pugni serrati e gli occhi pieni di lacrime.

“Maledetto! Giuro che se lo trovo lo uccido con le mie mani!”

La rabbia era tale che sferrò un pugno alla porta che dava alla stanza da bagno, spalancandola. Georgie si strinse a suo padre, aveva visto raramente Abel così furioso e non sapeva cosa fare per calmarlo, inoltre non aveva capito nulla di quello di cui i due ragazzi stavano parlando.

“Abel, calmati! Così non aiuti di certo tuo fratello!”

Ma Abel era fuori di sé. Arthur piangeva silenziosamente per la vergogna, Abel era appoggiato alla porta e piangeva anche lui, ma di rabbia e per il senso di colpa di non essere riuscito a salvare il fratello prima che avvenisse tutto questo.

“Arthur...perdonami, fratello. Se solo fossi arrivato da te prima...”

Arthur alzò lo sguardo verso Abel, poi cercò Georgie e le fece cenno di andare da lui, cosa alla quale lei, tremando, acconsentì.

“Abel...”, gli disse posando una mano sulla sua spalla, anche se lui non si girò a guardarla.

“Abel, smettila. Guarda Arthur. Non ce l'ha né con te, né con me. Lo sa che non abbiamo potuto fare nulla prima, lo sa anche lui che sfidare Dangering era impossibile; ora possiamo aiutarlo e possiamo anche fare in modo che Irwin paghi per il male che ha fatto.”

“Abel, ascolta Georgie... Tu sei mio fratello, mi hai salvato la vita rischiando la tua, come posso avercela con te?”

Ma Abel era tormentato e furioso ugualmente, riuscì a calmarsi solo quando sentì la piccola e calda mano di Georgie nella sua, allora si voltò e cercò di controllarsi.

Gerald non intervenne, capì quanto fosse penoso quel momento e preferì tenersi in disparte, ma quando vide Arthur impallidire e portarsi le mani alla testa, temendo una nuova crisi invitò tutti a lasciare la stanza, in modo che il ragazzo potesse riposarsi.

Georgie chiese ad Abel di accompagnarla in giardino, voleva fare una passeggiata e sperava che magari così Abel si sarebbe calmato.

“Georgie, scusami se ti ho fatto assistere a quella scenata...”

“Non ti scusare, Abel, era evidente quanto stessi soffrendo. Però posso chiederti una cosa?”

“Dimmi.”

Georgie arrossì.

“Beh, vedi...io non ho capito di cosa parlavate tu e Arthur...”

Abel la guardò pensando che stesse scherzando.

“Cosa???”

“Sì, Abel...Oooh, dai, non guardarmi così...”

“Ma...ma...Georgie, mi stai prendendo in giro?”

“No...davvero...”

Abel non sapeva se crederle o meno, poi ripensò alla loro infanzia. In effetti loro non avevano mai fatto “certi” discorsi ed era sicuro che anche mamma Mary non le avesse spiegato molto, pudica com'era. Si schiarì la voce e poi cominciò.

“Allora, Georgie, cominciamo dall'inizio...cosa sai del rapporto tra uomo e donna?”

“Oh, quello lo so! Mi ha spiegato tutto Emma quando io e Lowell abbiamo deciso di scappare. Si era accorta che non sapevo nulla e ha voluto preparami”

“Ah. Bene”.

Abel non prese bene la notizia.

“E dimmi, Georgie...ti è servito saperlo?”

“Sì, almeno sapevo cosa aspettarmi...”

Georgie capì che Abel voleva sapere un'altra cosa e sapeva anche che quella non era la risposta che lui si aspettava, ma non disse altro, e Abel non chiese altro. Non sapeva perché, ma si vergognava a dire che tra lei e Lowell non era mai successo nulla e improvvisamente le venne invece in mente Jessica.

Abel si sedette con lei sotto ad un albero e cercò di spiegare a Georgie con tatto e delicatezza cosa intendevano lui ed Arthur, ma non poté fare a meno di traumatizzare la ragazza, che alla fine della spiegazione aveva gli occhi lucidi pensando al male che era stato fatto al fratello.

“ Oh mio Dio! Povero Arthur... Io non credevo che si potesse fare del male così ad una persona... Abel, perché si usa l'amore per ferire?”

Abel la guardò intenerito e l'abbracciò.

“Non lo so Georgie. Credo perché esistono tante forme di amore, ed alcune sono solo egoismo camuffato...”

Georgie si abbracciò le ginocchia e pensò alle parole di Abel.

“Sai, Georgie, credo che poter fare l'amore con la persona che si ama sia la più bella esperienza che si possa vivere, e credo che siano davvero pochi i fortunati che riescano a vivere una tale magia...”

Georgie si sentì avvampare e non riuscì a guardarlo perché capì che si riferiva a lei.

“Abel, ma...tu e Jessica...”

Abel la interruppe e rispose ancora prima che Georgie potesse terminare la domanda.

“Jessica non è mai stata niente. Cercavo solo di dimenticare te...”

“Allora l'hai usata...”

“Forse. Ma lo ha fatto anche lei con me. Georgie, io non sono perfetto, sono stato egoista anche io, credevo di riuscire a dimenticarti almeno per qualche ora, ma dopo stavo solo peggio.”

Georgie era imbarazzatissima ma felice, Abel le stava dichiarando nuovamente il suo amore e forse anche lei avrebbe potuto approfittarne per dichiararsi, bastava solo iniziare.

“Abel, io vorrei dirti una cosa...”

“Dimmi, Georgie, ti ascolto.”

“Ecco, io...è da un po' che...”

Una voce acuta interruppe il discorso.

“Abel! Abel!!!! Dove sei??”

“Ma è Joy! Che ci fa qui?”

Georgie la guardò con disappunto, proprio adesso che si stava decidendo a parlare.

“Joy, cosa è successo?”

“Abel, Georgie, meno male che vi ho trovati! Ascoltate, è da qualche giorno che qui in torno girano gli uomini di Dangering e Dick mi ha assicurato di aver visto anche Irwin nei paraggi!”

“Cercano Arthur, è evidente! Abel che facciamo?”

“Tranquilla, Georgie. Se Irwin verrà qui questa volta troverà me ad aspettarlo.”

Gli occhi di Abel erano diventati cattivi, Georgie ebbe paura.

“Dai, ragazze, ora entriamo in casa. Joy, ti fermi con noi a cena?”

“Sì, fratellone!”

La serata passo tranquilla e scherzosa, nessuno sembrava pensare al processo o ad Irwin, tuttavia Georgie non poté fare a meno di notare negli occhi di Abel un lampo di odio di tanto in tanto. Cercava vendetta, era evidente.

Non riuscì a prendere sonno quella notte, era preoccupata per Abel e continuavano a ritornarle in mente i discorsi fatti nel pomeriggio. Non riusciva a non pensare ad Abel e Jessica, e pensava a quanto fosse diverso il suo rapporto con Lowell; si era sentita in imbarazzo molte volte con lui, spesso aveva fatto finta di dormire quando lo aveva sentito avvicinarsi, temeva accadesse ciò che Emma le aveva raccontato e invece ora, quando pensava ad Abel tutto cambiava. Non aveva mai capito cosa fosse il desiderio finché non si era resa conto di amare Abel, perché ogni volta che lui le si avvicinava, ogni volta che si sfioravano, ogni volta che lui la guardava con quegli occhi blu lei si sentiva morire, sentiva una scarica arrivarle dritta al basso ventre, e non le era mai capitato prima d'ora. Lo desiderava, finalmente lo ammise a se stessa.

Un rumore improvviso proveniente dalla stanza di Arthur la fece sedere sul letto. Si mise ad ascoltare e udì un gemito soffocato, al che si alzò, prese il bastone che usava per chiudere le finestre e si avviò verso la stanza del fratello, dove trovò anche Abel, svegliato dagli stessi rumori.

“Abel, hai sentito anche tu?”

“Sì. Stai indietro.”

“Ma cosa sarà? Non avrà un'altra crisi?”

“Non lo so, Georgie. Lascia entrare prima me.”

Georgie si mise dietro alla schiena di Abel e aspettò che lui entrasse, ma non appena aprirono la porta si trovarono davanti Irwin che stava lottando con Arthur.

Georgie urlò, facendo accorrere suo padre, mentre Abel si mise ad inseguire Irwin che tentava di scappare.

I due cominciarono a salire per una scala, ignari del fatto che portasse ad una torre, mentre Georgie e Gerald scesero in giardino assieme ad Arthur.

Una volta fuori Arthur sentì un colpo di pistola provenire dall'alto e vide sul bordo del terrazzo della torre Irwin e Abel lottare in un disperato corpo a corpo.

“Guardate lassù! Abel è in cima alla torre con Irwin!”

Georgie si strinse ad Arthur, tremando di paura.

Il silenzio irreale di quella notte si squarciò poco dopo con un urlo, un urlo di disperazione di una donna che seguiva un corpo accasciarsi sul parapetto della torre e uno cadere giù nel vuoto.

“Abel!!!!”

Georgie gridò e poi divenne tutto buio, cadde svenuta tra le braccia di Arthur.



Angolo dell'autrice:

Grazie a tutte quelle che stanno seguendo questa mia nuova avventura su Georgie, sia che recensiate sia che leggiate solo.

Medusa: spero tu possa recuperare presto il quarto volume del manga, perché è davvero spettacolare! Conoscevo la storia, su Internet avevo già letto il vero finale, ma credimi, leggerlo direttamente è tutta un'altra cosa. E' bellissimo e toccante, mi sono commossa, e poi la storia tra Abel e Georgie è bellissima e tristissima...

P.S. Guarda che la mia ff su Lady Oscar sta andando avanti, non è mica finita!!!

Ponpon: grazie per il tuo bel commento. Certo che rispetto ad Abel Arthur è tutto un altro personaggio, ma mi aveva davvero lasciato amareggiata il calvario al quale è costretto nel manga, così vorrei dargli un po' di pace e serenità almeno nella ff. Spero che continuerai a seguirmi.

Patrizialasorella: Una cara conoscenza! Se posso darti un consiglio, leggi anche questo manga, non ha nulla a che vedere con l'anime (specialmente con lo scempio di finale che danno in TV...). E' una storia difficile, a tratti molto dura, ma davvero coinvolgente ed emozionante, e come manga è molto più bello di Lady Oscar, dove invece è più bello l'anime. Intanto spero che, manga o no, tu voglia seguirmi anche qui...

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


australia4

“Abel! Abel...”

Georgie non aveva ancora preso conoscenza dopo essere svenuta e nel sonno delirava, chiamando di continuo il nome di Abel. Gerald era accanto a lei e la vegliava, dopo essersi preso cura sia di Abel che di Arthur.

Il medico era passato a visitare entrambi i fratelli ed ora uno dormiva tranquillo, l'altro si stava recando nella stanza di Georgie.

“Non si è ancora svegliata?”

“No, Arthur. Sta sicuramente avendo degli incubi, non fa altro che ripetere il nome di tuo fratello ed è fradicia di sudore.”

“Poverina, se almeno si svegliasse, potremmo dirle che Abel sta bene.”

“Già, speriamo che...Georgie!”

Un urlo di terrore e Georgie si trovò seduta sul letto, con gli occhi spalancati e ansimante. Si guardò intorno e riconobbe suo padre ed Arthur.

“Papà, Arthur, cosa è successo?”

“Georgie, bambina. Hai urlato così forte che ti sei svegliata. Cosa stavi sognando?”

“Non so...era tutto confuso. Vedevo Abel, cercavo di raggiungerlo ma lui fuggiva via e poi tutto ad un tratto è caduto da un precipizio e io mi sono messa a gridare e...papà! Abel è caduto davvero, me lo ricordo! Abel, Abel!!!”

Fece per alzarsi, voleva correre da Abel e Gerald cercò di fermarla, aiutato da Arthur.

“Aspetta Georgie, prima lascia che ti raccontiamo cosa è successo!”

“No, voglio andare da lui, lasciatemi!!!”

“Georgie, calmati. Tuo padre ha ragione, aspetta un attimo.”

“NO!”, urlò Georgie tra le lacrime “volete solo indorarmi la pillola, lo so che è successo qualcosa di grave! Abel! Fatemelo vedere, vi prego!!!”

Arthur la strinse a se e le parlò con dolcezza, sperando si calmasse.

“Georgie, credimi, Abel sta bene.”

La sorella alzò lo sguardo e piantò i suoi grandi occhioni verdi direttamente in quelli azzurri del fratello.

“Davvero?”

“Si, davvero. Beh, è un po' malconcio, ma sta bene. Non è lui quello che è caduto dalla torre. Era Irwin.”

Il viso di Georgie si illuminò con un sorriso.

“Abel però è stato ferito”, continuò suo padre, “ma non è grave. Un paio di giorni di riposo e si riprenderà.”

Georgie spostava lo sguardo da uno all'altro, temendo di scovare minimo segnale che le dimostrasse che le stavano mentendo, ma non riusciva a trovarlo.

“Siete sinceri? Non...non...mi state mentendo, vero?”

“No, stai tranquilla. Credi che se fosse successo qualcosa a mio fratello starei cosi?”

Georgie si sentì improvvisamente sciocca ed egoista.

“E' vero, Arthur. Scusami. Abel è tuo fratello e io ho pensato solo a me stessa, ai miei sentimenti. Ti prego, perdonami”, gli disse abbassando lo sguardo, piena di vergogna.

“Non ti preoccupare. Dai, andiamo da lui. Non vuoi vederlo?”

“SI!”, poi si accorse di averlo quasi gridato.

“Sì...scusatemi...sì, certo che voglio vederlo”

Le si strinse il cuore quando lo vide addormentato in quel letto, ma si tranquillizzò quando si accorse che dormiva sereno, sul suo viso non c'era nessuna smorfia di dolore. Il dottore lo aveva medicato, gli aveva fatto una fasciatura che lo avvolgeva sul fianco e Georgie chiese come fosse stato ferito.

“E' stato Irwin. Prima di essere spinto giù dalla torre ha sparato e il colpo ha preso di striscio Abel al fianco. E' una ferita superficiale, stai tranquilla. Ha solo bisogno di un po' di riposo e nulla più.”

Georgie annuì, capendo solo all'improvviso quello che Arthur le aveva appena raccontato. Si voltò di scatto abbracciando il fratello.

“Arthur! Ma allora è finita! Sei finalmente libero! E' stupendo, i Dangering sono fuori dalla nostra vita e se Irwin è morto non ci sarà nessun processo e allora...”

Si accorse che Arthur stava impallidendo e iniziava a tremare.

“Arthur...cosa succede?”

“Georgie, lascia stare Arthur, ha solo bisogno di calmarsi e ricordargli Irwin non è il modo migliore”, intervenne Gerald.

Un po' perplessa, e intuendo che c'era dell'altro, Georgie diede retta a suo padre e tornò vicino ad Abel, si sedette sul bordo del letto e rimase incantata a guardarlo.

Dormiva profondamente e Georgie non riusciva a staccare gli occhi da lui. Osservava il suo viso, rilassato, con le labbra leggermente socchiuse e si sentì invadere dall'irrefrenabile bisogno di baciare quelle labbra. Era successo una volta sola e ancora si chiedeva perché quel bacio lei non era riuscita a respingerlo. Guardò i suoi occhi chiusi, sapendo esattamente che tonalità di blu avessero, guardò le lunghe ciglia nere che li adornavano e pregò che non si aprissero in quel momento, o lei gli si sarebbe gettata tra le braccia.

Scese con lo sguardo fino alle spalle, al torso nudo, ai fianchi stretti dalla fasciatura e si sorprese di scoprire un corpo così bello, forte, non eccessivamente muscoloso ma sicuramente modellato dal duro lavoro nei campi prima e sulle navi poi. Ricordava perfettamente cosa volesse dire essere stretta da quelle braccia, appoggiare la guancia su quel petto, conosceva con esattezza il profumo della pelle di Abel ed era sicura che lo avrebbe riconosciuto anche se l'avessero bendata. Senza rendersene conto il suo pensiero cominciò a vagare su terreni ancora sconosciuti nella realtà, ma sognati e risognati una miriade di volte da quando aveva capito di amare Abel. Aveva la tentazione di accarezzare quel collo, quel petto, stringerlo a sé e farsi stringere, voleva sapere che effetto faceva sentirsi pelle a pelle e finalmente ammise a se stessa che desiderava appartenergli in tutto e per tutto. Gli prese una mano, cominciò lentamente ad accarezzargli il braccio e si chinò a dargli un leggero bacio sulla guancia.

“Dormi e riposati, Abel. Quando ti sveglierai io sarò al tuo fianco, e non me ne andrò più, te lo prometto”.

Gerald e Arthur osservavano la scena incantati ed imbarazzati al tempo stesso, Georgie si era palesemente dimenticata della loro presenza nella stanza, presa com'era da Abel, così il conte fece un cenno ad Arthur e uscirono, era evidente che fosse meglio lasciarli da soli.

Georgie andò a prendere un abito che doveva finire per Emma, tornò da Abel e si mise a cucire in attesa del momento del suo risveglio, momento che avvenne ore dopo e al quale era presente anche Arthur, che ogni tanto faceva capolino per vedere le condizioni del fratello.

Georgie non si accorse subito che Abel si era svegliato, era intenta nel suo lavoro e stava parlando con Arthur, ma ad un certo punto si sentì osservata e quando si voltò vide Abel che la guardava sorridendo.

“Abel!”, esclamò buttando per terra il vestito e andando di corsa da lui, sedendosi sul letto. “Ma da quanto sei sveglio? Perché non ci hai chiamato? Come stai? La ferita fa male? La fasciatura è stretta? Vuoi che ti porti una tazza di thé?”

Abel la guardò un secondo e scoppiò a ridere, seguito da Arthur, mentre Georgie li guardava e arrossendo si chiedeva cosa avesse fatto.

“Oh, Georgie!”, continuò ridendo Abel, “vedessi che espressione buffa hai adesso!”

“Ma che ho fatto? Perché ridete così?”

“Georgie, hai assalito Abel con una raffica di domande! Dagli almeno il tempo di respirare!”

Georgie abbassò lo sguardo.

“Scusa...ma è che sono così felice di vederti che non me ne sono resa conto...”

Abel si mise a sedere e allargò le braccia, invito che Georgie accettò e vi si accoccolò subito.

“Grazie, Georgie.”

Rimase in silenzio ad ascoltare il cuore di Abel battere, e nuovamente pensò che non c'era suono più bello di quello.

“Abel, avevo così paura. Quando ho visto Irwin cadere sono svenuta, credevo fossi tu. Se ti fosse successo qualcosa io...io”

Non riuscì a continuare ma alzò gli occhi verso quelli di Abel, e lui rimase senza parole per la sorpresa. C'era qualcosa di diverso in quegli occhi e nel tono di voce di Georgie, non poteva sbagliarsi. Era dolce, abbandonata tra le sue braccia, era in ansia per lui e mentre la stava guardando si accorse che lo sguardo di Georgie si era spostato sulle sue labbra ed era arrossita. Il suo cuore prese a battere velocissimo, non staccava gli occhi di quelli di Georgie e neanche lei interrompeva quel contatto.

Non è possibile, sto sognando. Si, è tutto un sogno, ne sono certo. Adesso mi chinerò a baciarla e lei svanirà, come sempre...

Ma non fece in tempo ad avvicinarsi troppo perché con la coda dell'occhio vide Arthur e si fermò.

“Ehi! Ma sei ancora qui? Credevo fossi uscito, non ho fatto caso alla tua presenza!”

“Sì...me ne sono accorto”, rispose lui imbarazzato, “e sì che ti ho anche parlato! Bella botta in testa, eh?” e gli fece un occhiolino d'intesa.

“Sì...credo di sì....Come stai?”

“Bene...beh, più o meno. Diciamo che adesso posso davvero ricominciare. Abel, grazie, mi hai salvato la vita di nuovo”

“Arthur, tu avresti fatto lo stesso per me. Senti, mentre mi portavano qui non ero ancora completamente privo di sensi e mi è sembrato di sentirti imprecare e urlare, mentre Gerard gridava di portare via Georgie mentre badava a te. Cosa è successo?”

“Beh, vedi, quando ho visto Irwin lì a terra, morto e finalmente innocuo mi sono...ehm...accanito su di lui...”

“Cosa???”

“Si, ho iniziato a prenderlo a calci, a pugni, urlandogli dietro tutto ciò che pensavo, insultandolo per  tutto il male che mi ha fatto, ma poi la situazione è degenerata perché lui si è alzato, mi derideva, di diceva cose oscene e terribili...”

“Ma come? Papà mi ha detto che è morto sul colpo”

“E' stata un'allucinazione, Georgie.”

“Ah. Ecco perché prima sei impallidito.”

“Arthur, ora è finita, vedrai che anche queste crisi finiranno presto e finalmente potremmo ricominciare a vivere noi tre insieme.”

“Già, spero che tu abbia ragione, Abel.”

Georgie guardava i due ragazzi, pensando che non li aveva mai amati tanto come in quel momento ed era felice e commossa.

“Georgie?”

“Si, Abel?”

“Ti andrebbe di portarmi quel thé che mi avevi offerto poco fa?”

“Ma certo, te lo preparo subito.”

Si alzò e fece per uscire, poi tornò indietro, gli diede un bacio sulla guancia e senza riuscire di impedirsi a parlare esclamò:

“Torno presto, fratellone!”

Scese il gelo nella stanza. Lei si coprì la bocca con le mani, Arthur si batté una mano sulla fronte e Abel le lanciò uno sguardo furente.

“Abel! Io...scusami...non volevo...”

“Va via. Non lo voglio il thé. Non disturbarti a tornare.”

“Abel, per favore...”

“Va via, ho detto!”

Georgie uscì con le lacrime agli occhi, sapeva che quando Abel era arrabbiato così era meglio lasciarlo da solo, forse Arthur sarebbe riuscito a calmarlo. Continuava a darsi della stupida per aver detto quella frase e non riusciva a spiegarsi perché lo avesse fatto.

Abel non scese per cena e lei non lo vide fino a quando non decise di andare a dormire. Passando davanti alla sua stanza vide Arthur che usciva e ne approfittò per guardarlo un solo minuto.

“Dorme. Lascialo stare adesso. Vieni nella mia stanza, dobbiamo parlare”.

Seguì Arthur e parlarono a lungo. Era riuscito a calmarlo, ma voleva sapere da Georgie perché aveva detto una frase simile.

“Georgie, i sentimenti di Abel sono forti e sinceri. Non prenderlo in giro perché te lo impedirei.”

Non aveva mai sentito Arthur cosi deciso e lo tranquillizzò, non era sua intenzione ferire Abel. Forse quella situazione le aveva fatto ricordare quando vivevano in Australia, forse le mancava l'idea di avere due fratelli, ma sicuramente non considerava Abel un fratello e aveva ben chiari i suoi sentimenti.


Il giorno dopo Georgie decise di andare a casa di Emma, non voleva vedere Abel per paura che fosse ancora arrabbiato con lei, ignorando il fatto che lui invece voleva chiederle scusa e che rimase male quando scoprì la sua assenza. La aspettò per tutto il giorno e la seguì nel giardino d'inverno quando la vide tornare e recarsi là.

Georgie non si accorse di Abel finché non sentì le sue mani sulle spalle e la sua voce chiamarla; quando si voltò vide il suo solito sguardo dolce e caldo e allora capì che la burrasca era passata.

“Abel, scusami, io non so cosa mi sia preso...”

“Shhh. Non importa. Sono io che mi devo scusare. A volte dimentico che io so la verità da sempre, tu da poco meno di tre anni.”

“Abel, io devo parlarti, ma mi devi ascoltare senza interrompere. Vuoi?”

Annuì, la prese per mano e la fece sedere accanto a sé.

“Abel, io so perfettamente che non sei mio fratello, ma ogni volta che penso all'infanzia in Australia, tu e Arthur siete i miei fratelli, io all'epoca ne ero sicura, e miei ricordi sono questi. Spero che tu possa capirlo, credo che questa situazione per me non cambierà mai.”

“Certo che lo capisco. Purtroppo non posso dire lo stesso di noi, lo sai”

“Sì, lo so.”

Fece una pausa, poi continuò, decisa a confessargli i propri sentimenti.

“Sai, Abel, tu per me sei sempre stato un punto di riferimento, sei sempre stato la mia forza, il mio sostegno e sin da piccola ho cercato disperatamente il tuo affetto. Se ti facevo arrabbiare o se non approvavi il mio comportamento io soffrivo molto di più di quando capitava con Arthur, e non  capivo perché. Tu rappresentavi tutto per me ed ero così fiera di avere un fratello bello e forte come te. Sai che quando capitava di andare in città e vedevo come ti guardavano le ragazze io mi sentivo orgogliosa di poterti abbracciare e prendere per mano, mentre loro no?”

“Georgie! Non sapevo fossi così perfida!”

Lei lo guardò e rise.

“Non ero perfida. Ero gelosa di te, tanto quanto tu lo eri di me. Non sai quanto adorassi quando eri geloso, mi facevi sentire amata e protetta.”

Abel la guardò intenerito, era la prima volta che parlavano di loro dopo tutto quello che era successo.

“Mi sono sempre chiesta perché tra noi ci fosse quel senso di possesso reciproco, e credo che mamma lo avesse capito, per quello era così dura con me.  Sai che quando ti ho visto con Jessica ho creduto di averti perso? Ho pianto una notte intera, dandomi della stupida perché io ero tua sorella e non ti avrei mai perso, ma in realtà ero gelosa perché ci sarebbe stata un'altra donna che avrebbe avuto la tua dolcezza, oltre a me. Poi la tragedia, la scoperta della verità, il senso di vuoto, la paura di non vedervi mai più e lo shock della tua rivelazione. Mi servì, mi fu improvvisamente chiaro perché io e te avevamo quello strano rapporto, ma non seppi spiegarmi perché non rifiutai il tuo bacio.”

“Ho sbagliato, quella volta. Credevo che una volta saputa la verità tu avresti potuto amarmi, non capii che tu invece mi consideravi tuo fratello e non riuscivi a vedermi diversamente. E pensare che Arthur me lo ripeteva da anni...”

“Durante la traversata per arrivare in Inghilterra, ho cominciato a capirti di più. Il tuo pensiero mi dava forza, mi dicevo che se tu eri riuscito ad adattarti alla vita in mare ce l'avrei fatta anche io, e poi guardando l'oceano ho capito perché amavi tanto la vita da marinaio, e iniziai ad amarla anche io.”

“Davvero ti davo forza?”

“Sì. Tu non hai idea quanto. Non avevo ancora capito perché, ma ero certa che non avevo perso Arthur mentre avevo la sensazione di aver perso te. Solo quando ti ho visto dai Barnes quella sensazione di vuoto si è riempita, non ho potuto fare a meno di volarti tra le braccia e non sai quanto  mi sia mancato per mesi quel calore.”

Abel ascoltava senza parlare, sentirla parlare dell'affetto che provava per lui lo rendeva felice, ma aveva capito che Georgie doveva dirgli qualcosa di molto importante e che quello era solo un modo per arrivare al nocciolo della questione.

“Abel, quando sono tornata da te dopo aver lasciato Lowell è stato come se avessi imparato a conoscerti per la seconda volta e ora sono giunta ad una conclusione. Io non posso pensare di passare la mia vita senza averti accanto, senza il sostegno e la dolcezza del tuo sguardo, senza il calore del tuo abbraccio. Vorrei che tu continuassi ad essere il mio mondo, come lo eri in Australia...”

“Georgie, le cose sono cambiate, lo sai. Anche io vorrei stare sempre con te, ma non possiamo ricreare una bugia, la situazione è troppo diversa. Non posso più fare finta di essere tuo fratello, non ci riesco.”

Georgie si inginocchiò davanti a lui, gli prese le mani e lo guardò emozionata, con le guance arrossate.

“No Abel, non ti sto chiedendo di essere mio fratello...”

Abel la guardò perplesso, non riusciva a credere possibile che Georgie stesse cercando di confessargli una verità alla quale lui si era aggrappato per una vita intera come un sogno irrealizzabile.

“Georgie, ti prego, sii chiara. Sto rischiando di fraintenderti...”

“Credo di no, non penso che tu stia fraintendendo, Abel.... Io voglio passare la mia vita con te. Non so quando sia successo, ma ho capito di amarti.”

Troppo scosso per rispondere, Abel rimase a guardarla incredulo; cercò di parlare più di una volta, ma non riuscendo a proferire parola la fece sollevare e la fece sedere sulle sue gambe.

“Allora, cosa mi rispondi?”, le chiese lei divertita nel vedere la sua incredulità.

Non le rispose, ma le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, senza chiudere gli occhi, non voleva vederla scappare via e sentì la sua gioia aumentare quando la vide a sua volta avvicinarsi, chiudendo gli occhi e socchiudendo le labbra.

Si baciarono a fior di labbra e si staccarono per guardarsi, per chiedersi se fosse vero, per poi riavvicinarsi questa volta con passione, approfondendo il bacio e quando Abel la sentì lasciarsi baciare, schiudere la bocca per accoglierlo ed, emettere un leggero gemito, si sentì per la prima volta in vita sua completamente felice.

Rimasero nel giardino d'inverno per ore a parlare e a coccolarsi, non cenarono e solo quando si accorsero che era buio tornarono in casa.

Ad Abel non sembrava vero poter passeggiare abbracciando la sua Georgie, intrecciando le loro mani e potendola baciare augurandole la buona notte quando la lasciò sulla porta della sua stanza.

Era così felice che non riusciva a dormire, così si mise a leggere un libro, ma non immaginava che anche Georgie si girava e rigirava nel letto, tentando inutilmente di prendere sonno, tanto che alla fine si alzò decisa ad andare nella stanza di Abel.

Bussò vedendo una luce filtrare da sotto la porta e si sentì quasi mancare quando lui le aprì la porta indossando solo i pantaloni del pigiama. Sapeva da sempre che Abel dormiva così, ma in quel momento le fece uno strano effetto.

“Georgie, cosa succede?”, le chiese preoccupato.

“Nulla. Non riuscivo a dormire. Posso entrare?”

“Ma certo, vieni.”

La prese per mano e la fece sedere sul letto.

“Cosa c'è, sei agitata per qualcosa?”

“No. Pensavo ad oggi e non riuscivo a dormire. Avevo voglia di vederti”

Abel si sentì infiammare e la baciò non riuscendo a credere che il suo sogno si fosse realizzato e che Georgie gli stesse dimostrando il suo amore. Quel bacio ebbe lo stesso effetto su Georgie, che ormai faceva fatica a contenere il suo desiderio per Abel. Voleva dirglielo ma non sapeva come e così si accoccolò a lui, appoggiando la testa al suo petto e cominciando a fare cerchietti con le dita sulla  pelle nuda cercando un modo per parlargli,  ignorando la reazione che stava provocando in Abel.

“Georgie...” lo sentì dire con voce spezzata.

“Sì?”, rispose, continuando a giocare con il suo petto

“Ti prego, smettila.... Se continui a toccarmi così...”

Si alzò di scatto e vide un Abel diverso che la conquistò all'istante. Non aveva mai visto uno sguardo così pieno di passione, intuì tutto il desiderio che Abel aveva di lei e si avvicinò ancora di più, come se fosse attratta da una calamita. Si mise in ginocchio sul letto davanti a lui, lo costrinse con i suoi movimenti ad appoggiare la schiena alla testata del letto e a divaricare le gambe, in modo da poterglisi parare davanti e iniziò a baciarlo, a stuzzicarlo appoggiando le mani sul suo petto, accarezzandolo lentamente. Scese a baciarlo sul collo, si sentiva audace e l'abbandono di Abel la incoraggiava ad osare sempre di più. Abel fece scendere le sue mani ai fianchi di Georgie e la tirò a sé, facendo aderire i loro corpi, ma si bloccò di colpo quando lei, sussurrando, gli chiese di farla restare là quella notte.

“Georgie, sei sicura? Se resti qui io non so se sarò in grado di fermarmi se tu cambiassi idea...”

“No, non cambierò idea. Lo voglio anche io.”

“Georgie...”

“Ti prego, non guardarmi così”, disse arrossendo e abbassando lo sguardo “Abel, sto forse andando troppo di corsa?”

“Non lo so...” poi sorrise e la fece stendere sotto di lei “ma mi piace!”

Georgie rise ed accettò l'assalto di Abel, i suoi baci che scendevano sul collo e le sue mani che salivano dalle gambe cercando di liberarla dalla camicia da notte.

Un pensiero improvviso la fece fermare.

“Abel, aspetta un attimo...devo dirti una cosa...”

“Georgie...ti sembra il momento?”

“Sì. Decisamente sì!”

Colpito dalla serietà di quella frase Abel si fermò.

“Abel...io non...non ho mai...”

Abel la guardò e poi si alzò leggermente per poterla vedere meglio.

“Ma come...mi hai detto che tu e Lowell...”

“No, ti ho detto che erano servite le spiegazioni di Emma..., ma non ti ho mai di averle messe in pratica.... Abel, tutto bene? Mi sembri deluso...”

“Deluso??? No, sono solo sorpreso...ero sicuro che Lowell... .Non sai quanto mi sono roso di gelosia pensando a te e a Lowell insieme, e invece non è successo nulla. Che sollievo! No, scusa, non dovevo dirlo ad alta voce...però non posso fare a meno di esserne contento...”

Georgie rise e lui si chinò a baciarla, per poi parlarle con dolcezza.

“A maggior ragione, Georgie, sei sicura? Se vuoi puoi stare qui senza che facciamo nulla, io non ti voglio forzare.”

“No Abel. Io ti desidero tanto. Non mi sono mai sentita così con Lowell anzi, a volte se lui si avvicinava facevo finta di dormire....Seriamente, non hai idea di quante volte ho sognato tutto questo, non sono mai stata più sicura di adesso.”

“Allora va bene, ma promettimi che se ti senti a disagio mi chiedi di fermarmi.”

Per tutta risposta lei gli prese il viso, lo baciò appassionatamente e lo tirò su di sé, stringendolo forte e gli disse seria e tremante che voleva essere sua, che non lo avrebbe fermato e infatti non lo fece mai, neanche quando rimasero entrambi nudi, neanche quando si sentì toccare e lui volle essere toccato, neanche quando lo sentì pronto ad entrare in lei, ma titubante per paura di farle male. Non lo fece mai fermare finché non fu lui a fermarsi, ancora incredulo per una notte così tante volte sognata e così inaspettatamente realizzata.

Rimasero abbracciati, Georgie sul petto di Abel lasciava che lui le accarezzasse i capelli e sentiva di aver finalmente trovato il suo posto, si sentiva bene, a suo agio e si abbandonò fino a quasi addormentarsi, ma aprì gli occhi con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Sentiva il petto di Abel sussultare e ascoltando con attenzione si accorse che stava piangendo in silenzio, senza smettere di stringerla e accarezzarla.

Conosceva Abel e sapeva che non amava piangere in pubblico, sicuramente aveva aspettato che lei si fosse addormentata per poter sfogare le proprie emozioni e sentì il suo cuore battere ancora più forte per lui. Non era preoccupata, sapeva che quelle erano lacrime di gioia, ma sapeva anche che avrebbe messo Abel in imbarazzo se gli avesse fatto capire che era sveglia, così fece finta di stiracchiarsi nel sonno e lo abbracciò sussurrando il suo nome. Abel sorrise e le diede un bacio sulla tempia, dopodiché si addormentò vicino a lei.


Era mattina inoltrata quando Arthur entrò nella stanza per svegliare Abel e rimase sconvolto. I vestiti per terra gettati in modo disordinato, Georgie addormentata, distesa su un fianco, con il lenzuolo sotto le braccia, le spalle e la schiena scoperte e Abel che la stringeva, dormendo dietro di lei, con il lenzuolo che lo copriva dai fianchi in giù. Erano entrambi nudi, era evidente ciò che era successo e Arthur si sentì arrossire.

Per un momento ripensò a quando da bambini si svegliava per primo e trovava gli altri due nella stessa posizione, Abel proteggeva Georgie anche nel sonno, ma ora la situazione era molto diversa, soprattutto all'epoca erano entrambi vestiti!

Li guardò ancora un istante, avendo la sensazione di rubare un segreto, poi chiuse la porta e se ne andò nel giardino. Era felice per loro, ma non poteva mentire a se stesso, vedere Georgie così lo aveva ferito benché avesse da tempo abbandonato l'idea che lei potesse un giorno amarlo come un uomo. Ripensava a ciò che aveva detto Abel pochi giorni prima e pensò che era davvero iniziata una nuova vita per tutti e tre, ma si chiedeva quale sarebbe stato il suo posto nella vita di Abel e Georgie.

 

 



Angolo dell'autrice:

Heart: Ciao! Chi mi conosce già sa che non aggiorno proprio spessissimo, purtroppo gli impegni di lavoro e quelli a casa tolgono spazio alla scrittura, ma sono una persona che termina sempre quello che inizia e quindi anche le mie storie finiscono, non ci sono incompiuti e neanche questa lo sarà, giuro.

Patrizialasorella: grazie per l'apprezzamento del capitolo 3, ero molto perplessa sul fatto di postarlo così come lo avevo scritto o meno, proprio per la delicatezza dell'argomento. Purtroppo il tema è ben presente nel manga,,il povero Arthur se la vede davvero brutta tra sevizie e droga che gli viene iniettata per tenerlo soggiogato, credimi, sono pagine molto tristi, ma non mi sembrava corretto fare finta che tutto ciò non fosse mai accaduto, le censure nell'anime bastano e avanzano...

Ai Kiyo_sugi: una cosa che mi ha colpito da subito sia nel manga che nell'anime è la “fisicità” che c'è nel rapporto tra Abel e Georgie, in tutta l'evoluzione del rapporto. Sto cercando di trasmetterla anche io nella mia storia, sono felice di riuscirci, almeno per ora. Grazie!

Medusa: finalmente hai trovato il manga! Sono felice, almeno adesso ci parliamo e ci capiamo. Splendido, vero? Altro che il finale edulcorato e fiabesco dell'anime! Guarda, mi ha talmente straziato la fine del manga (giuro che quando ho letto per la prima volta le pagine in cui nasce il bimbo di Georgie e Gerard le regala il ritratto di Abel per poi dirle che li lascia a parlare tutti e tre mentre lui va a brindare con la moglie, mi sono commossa fino alle lacrime, non scherzo) che nella mia storia renderò loro giustizia, ci sarà il lieto fine.

Claura77: benvenuta! Qui non ci sono problemi di età (io non sono proprio una ragazzina...) anzi, più siamo donne over 30 meglio è! Spero anche io che tu voglia continuare a leggere questa mia storia, purtroppo i fan di questo anime sono ancora pochi, ma almeno noi facciamoci sentire.


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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


australia5

Mai risveglio fu più dolce per Abel. Sentiva il tepore del corpo di Georgie vicino al suo e si beava del contatto con la sua pelle nuda, accarezzandole le spalle per salire via via fino al collo, dove cominciò a lasciare una scia di piccoli baci nel tentativo di svegliarla, impresa che vide il successo dopo qualche minuto.

“Mmhhhh, Abel...lasciami dormire ancora, è presto...”  

“Come fai a sapere che sono io?”, le rispose sottovoce, osservando i suoi occhi ancora chiusi.

“Perché riconosco i tuoi baci, anche quando dormo.”

Georgie si tirò su e prendendogli il viso tra le mani gli diede un bacio.

“Buongiorno!”

“Buongiorno a te...”, le rispose, dolcissimo e sognante.

“Dai, giù dal letto, andiamo a fare colazione, ho una fame! E poi dobbiamo parlare con papà, e con Arthur, e io devo andare da Emma mentre tu...ma Abel! Mi stai ascoltando???”

Abel la guardava mentre saltellando per la camera si rivestiva, la guardava ma non stava ascoltando nessuna delle sue parole.

“Abel??? Ma cosa ti prende?”

“Nulla.” Le disse facendola sedere vicino a sé. “Ti guardavo”

Georgie arrossì fino alla radice dei capelli.

“Ieri mattina mi sono svegliato triste e arrabbiato per il nostro litigio, mentre stamattina sei qui, nella mia camera e stai uscendo nuda dal mio letto. Mi sembra un sogno”

“Ti capisco, provo lo stesso anche io. Abel, io sono così felice adesso che se solo potessi...

Un bacio mise fine alle parole di Georgie.

“Basta parlare, Georgie, vestiamoci e andiamo a fare colazione. Abbiamo tante cose da fare oggi!”

Ma i discorsi che entrambi volevano fare dovettero essere rimandati a causa dell'assenza dei due interessati, dato che Gerald ed Arthur erano usciti molto presto e nessuno della servitù sapeva dove fossero andati.

“Non preoccuparti, Georgie, glielo diremo stasera, no? Che fretta c'è? Dai, adesso non fare la bimba capricciosa! Non hai forse detto che dovevi andare da Emma?”

“Sì, ma...”

“Niente ma. Guarda, approfitto anche io del fatto che Arthur non ci sia e vado al cantiere, ormai è quasi un mese che non vedo il Signor Allen.”

“Abel, sei sicuro? E la tua ferita? Sei ancora debole, dovresti stare a riposo ancora un pò”

Abel la tirò a sé e le scompigliò i capelli.

“Sempre a preoccuparti! Mi sento benissimo, stai tranquilla. Non ti sei accorta che non mi sono mai lamentato di sentire dolore neanche stanotte?”

“E' vero, non ti sei mai lamentato.... E va bene, vai al cantiere, ma non ti affaticare!”

“Sì, tranquilla. Una giornata al cantiere non potrà farmi male e poi ho proprio voglia di rivedere sia il Signor Allen che Joy.”


Georgie entrò in volata a casa di Emma, in un turbinio di gonne e cappelli svolazzanti.

“Ciao Emma!”

“Georgie! Ma che vitalità stamattina! Tutto bene? Abel sta meglio?”

Georgie arrossì pensando alla notte trascorsa con Abel.

“Sì sì, sta decisamente meglio”, rispose sorridendo.

“Georgie?!”

“Su, Emma, siamo in arretrato con il lavoro. Quanti abiti abbiamo da consegnare?”

“Quindici...”

“E allora forza, dammi i modelli.”

Georgie si mise a lavorare cantando allegramente ed Emma la osservava con attenzione. Era evidente che fosse successo qualcosa, solo la mattina prima era di cattivo umore e aveva pianto tantissimo confidandole il litigio avuto con Abel, e adesso invece se na stava lì, seduta per terra a tracciare modelli canticchiando e con un sorriso che partiva direttamente dagli occhi, luminosi come non mai. Tuttavia, conosceva abbastanza bene Georgie da sapere che sarebbe stato inutile tentare di estorcerle informazioni con la forza, decise quindi di prendere il discorso alla lontana e cominciò con il chiedere se era riuscita a parlare con Abel, se erano riusciti a chiarirsi e solo dopo molte domande vaghe e risposte altrettanto elusive finalmente Georgie si decise a raccontare tutto.

“Emma, devo raccontarti una cosa molto importante.”

“Dimmi Georgie, ti ascolto”

“Ecco, vedi...ieri, quando sono tornata a casa...Abel mi ha seguita nel giardino d'inverno e...”

“E ti è saltato addosso, gettandoti tra le ortensie e strappandoti i vestiti di dosso!”

“Emma! Per favore! Sto cercando di farti una confidenza!”

“Ah, ah, ah! Scusami Georgie, ma è che sei talmente imbarazzata che ho cercato di sdrammatizzare.”

Georgie rise e si rilassò quel tanto che le bastò per continuare.

“Va bene, perdonata. Allora, ti dicevo che mi ha seguita, mi sono scusata con lui e lui con me e...”

“E...”

“E poi gli ho detto tutto...ecco”

“Tutto cosa?”, chiese Emma, sperando che quel “tutto” volesse dire confessargli i suoi sentimenti.

“Gli ho detto che sono innamorata di lui. Ho raccolto tutto il coraggio che avevo e gli ho parlato con sincerità.”

“Oh, Georgie!”, esclamò Emma abbracciandola, “ma è fantastico! Immagino che sarà stato un momento romanticissimo, vi sarete guardati negli occhi, e poi lui ti avrà baciata con passione e...oh, che meraviglia!”

Georgie guardava perplessa Emma che aveva gli occhi alzati al cielo, le mani giunte e appoggiate alla guancia e si dondolava da un piede all'altro.

“Emma, sai una cosa? Certe volte faccio fatica a distinguerti da Catherine e dalla Signora Barnes...”

“Oh, Georgie, non essere sciocca! Come puoi confondermi con loro? Io sono una persona seria e posata.”

Si guardarono e scoppiarono a ridere.

“Emma, aspetta, c'è dell'altro...”

“Sììììì? Bene, va avanti!”

“Ecco...beh, sì, insomma...io non riuscivo a dormire e così...sono andata nella sua stanza e Abel...beh...anche lui non riusciva a dormire e quindi...quindi...”

“Quindi?”

“Oh, così non ci riesco! Te lo dico e basta! Ho passato la notte con lui, ecco.”

“Wow! Ma è stupendo”

Emma saltava dalla gioia.

“Georgie, congratulazioni, amica mia! Sono immensamente felice per voi due. Ve la meritate un po' di felicità, sul serio. Oh Georgie”, le disse prendendole le mani “non permettere a nessuno di portarti via questo amore. Voi due siete fatti per stare insieme, ricordatelo.”

“Sì, Emma, lo so. Te lo giuro, nessuno mi separerà mai da Abel. Emma, sono così felice! E, a proposito...grazie.”

“Grazie? E di cosa?”

“Beh...”, Georgie arrossì e si mise la mani in grembo, giocherellando con i pollici “sei stata tu a spiegarmi...e quindi...se non fosse stato per te...”

“Ma, scusa, io credevo che quelle lezioni private ti fossero già servite con Lowell!”

“No...no...per niente...”

“Oh!”

“Emma, ora capisco cosa volevi dire quando mi raccontavi di cosa capita quando un uomo e una donna si amano. Io non ho mai provato una simile attrazione per Lowell, invece quando vedo Abel mi sento tutta scombussolata e la cosa più strana è che non me ne vergogno. Anche stanotte, è stato tutto così bello, così spontaneo, così...giusto, ecco, sì, giusto”

“Georgie, sei diventata proprio una donna, non c'è che dire. Ma senti, adesso che mi hai raccontato tutta la parte da favola...non è che mi racconteresti qualche dettaglio piccante?”

“EMMA!!!”

“Dai, Georgie, non fare la santarellina! Tanto lo sai che ti tormento finché non me lo racconti!”

La giornata proseguì tra risate, racconti e abiti che prendevano lentamente forma, finché non giunse il tramonto e quindi il momento per Georgie di tornare a casa. Al suo ritorno la accolse suo padre, che le chiese se sapeva dove fosse Abel.

“E' al cantiere. Credo che arriverà tra poco. Ma perché, è successo qualcosa?”

“No, cara, non preoccuparti. Arthur ed io vorremmo parlarvi, tutto qui.”

“Ah, va bene...allora appena arriva veniamo da voi.”

“Non c'è fretta, possiamo parlare a cena. A dopo, piccola.”

E con un bacio sulla fronte la congedò, lasciandola in preda ad una marea di dubbi e domande, tanto che alla fine decise di andarsene in camera.  Si stava quasi addormentando quando sentì bussare alla porta.

“Avanti, è aperto. Abel, sei tornato!”

Saltò giù dal letto e gli corse incontro, abbracciandolo.

“Ehi, che accoglienza!”

L'abbracciò a sua volta, affondando il viso nei suoi capelli biondi.

“Come sta la mia sartina? Avete finito di cucire abiti per le dame della nobiltà di Londra?”

“No, anzi, siamo sommerse di richieste. Se andiamo avanti così credo che chiederemo anche a Joy di unirsi a noi.”

“Mi sembra una bella idea.”

Poi Abel smise di parlare e si chinò per baciarla, meravigliandosi nuovamente del trasporto con cui Georgie rispondeva al suo bacio.

“Te l'ho già detto, forse sono monotono...ma non mi sembra ancora vero...”

Georgie sorrise compiaciuta, la riempiva di gioia vedere Abel così felice e sapere che era lei la causa di quella gioia.

Abel la prese per mano e la fece sedere sul letto, accanto a sé.

“Georgie, devo parlarti.”

Il tono serio in cui lo disse la fece allarmare.

“Oh no, anche tu! Ma cosa avete tutti quanti? E' la sera delle confessioni?”

“Di cosa stai parlando? Non ti seguo...”

“Volevo dirtelo appena sei arrivato. Prima è venuto mio padre a cercarci, deve parlarci anche lui.”

“Tuo padre? E non ti ha detto di cosa?”

“No. Anzi, in realtà ha detto che lui ed Arthur devono parlarci.”

“Arthur???”

“Sì, lo so, è strano, vero? Mi sembrava sereno, ma ti giuro che non riesco proprio ad immaginare cosa vogliano dirci...”

“Non saprei, non ne ho idea neanche io.”

“E tu, invece? Non tenermi sulle spine!”

Abel si appoggiò allo schienale del letto e la strinse al suo petto.

“Georgie, oggi il Signor Allen ha detto che ha cominciato a costruire la nave che ho progettato io.”

“Ma è fantastico! Abel, è una notizia splendida, immagino che soddisfazione sia per te!”

“Sì, lo è. Ma non è questo che devo dirti...”

“Abel, così mi spaventi...”

“Il Signor Allen mi ha proposto di diventare suo socio. Ferma, non interrompere! Prima di esultare lasciami finire.”

Georgie mise su un delizioso falso broncio e Abel non poté fare a meno di sorriderle.

“Vuole aprire un secondo cantiere ed affidarlo a me. In Australia...”

Alla parola Australia gli occhi di Georgie si illuminarono.

“Abel, allora questo vuol dire che torniamo a casa!”

“Georgie, tu torneresti davvero in Australia con me?”

“Ma che domanda mi fai? Certo che sì!”

“Georgie, pensaci bene. Tu qui hai tuo padre, hai questa casa, sei una nobile. In Australia c'è solo la nostra vecchia fattoria, io non ho certo la possibilità di farti vivere nel lusso...”

Georgie si mise in ginocchio sul letto, in modo da potergli parlare guardandolo negli occhi.

“Abel, a me tutto questo non serve. Io voglio tornare a casa con te. E' quella casa mia, nostra. Lo è sempre stata.”

“E tuo padre?”

“Capirà. Credo che preferisca sapermi felice in Australia piuttosto che vedermi qui triste. Abel, ti prego, non pensare di partire senza di me.”

Le sembrava che le sue parole non stessero convincendo Abel, così gli prese le mani, stringendole tra le sue.

“Io lo so che la nostra vita è stata completamente sconvolta negli ultimi due giorni, non sei solo tu quello che è ancora incredulo....Il fatto che io ci abbia messo tanto ad accettare i miei sentimenti per te e a confessarteli non vuol dire che io non sia sicura del mio amore. Te l'ho detto ieri e te lo ripeto, io voglio che tu continui ad essere il mio mondo.”

Abel ascoltava con attenzione, lo sguardo fermo e sicuro di Georgie erano un chiaro segno di quanto la ragazza fosse sincera e si diede mentalmente dello stupido per aver dubitato del fatto che lei volesse seguirlo. Sorrise e Georgie lo guardò curiosa.

“Abel...”

“Va tutto bene, tranquilla. Senti, Georgie...se le cose stanno davvero come dici...io ti vorrei porre una condizione...”

“Abel, ti ricordo che non sei più mio fratello e non puoi ricattarmi come facevi quando ero piccola!”

“Scema! Non intendevo ricattarti, per chi mi hai preso?”

“Sì, come se non ti conoscessi! Allora, che condizione è? Devo prendermi cura di Cesare e Lupp?”

“No.” Provò tanta nostalgia al ricordo di quei tempi lontani. “Georgie, se davvero vuoi tornare in Australia con me, io vorrei tanto che accettassi di farlo come mia moglie.”

Abel arrossì nel pronunciare questa frase, ma non fu nulla rispetto al rossore che fece avvampare le guance di Georgie.

“Oh, Abel...”

Si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi, l'emozione era troppa. Le mancarono le forze per rispondere, così l'unico gesto che le venne in mente di fare fu quello di abbracciare il suo Abel e di dargli un bacio sulla guancia. Lui la strinse sorridendo felice.

“Sarebbe un sì?”

Annuì con la testa, poi nascose il viso sulla spalla di Abel. Non capiva perché, ma si vergognava a piangere davanti a lui in un momento così felice e non si accorse che anche Abel aveva gli occhi lucidi.  

“Allora è deciso”, le disse con voce tremante “entro sei mesi saremo sposati”

“Sei mesi?”, chiese Georgie alzando di scatto la testa

“Sì, è il tempo che ci vorrà per costruire la mia nave. Torneremo in Australia con quella.”

“Sei mesi...sei lunghissimi mesi...”

Abel scoppiò a ridere e le diede un buffetto sulla fronte.

“Credevo ti sembrassero troppo pochi! Passeranno in un baleno, fidati. E poi viviamo già insieme, non sarà poi così difficile aspettare, non credi?”

“No, certo.”

“Adesso che ne dici di scendere a cena? Visto che ci saranno molti annunci, non è il caso di rimandare ulteriormente.”

“Sì, andiamo.”

Quando scesero in sala da pranzo trovarono Gerald e Arthur già seduti al tavolo.

“Georgie, Abel! Finalmente siete qui.”

“Scusa papà, ma stavamo finendo di prepararci”

“Non c'è problema, bambina. Venite, ragazzi, io e Arthur dobbiamo parlarvi.”

“Anche io e Georgie, Conte”

A queste parole Georgie arrossì, non aveva idea di come avrebbe detto al padre che si sarebbe sposata a breve. Gerald notò l'imbarazzo di Georgie e le sorrise intenerito.

“Va bene Abel, ma se non ti dispiace comincio io, così magari nel frattempo Georgie si calma...”

Invece di calmarsi, Georgie abbassò lo sguardo e si sentì ancora più in imbarazzo, suscitando in Arthur un sorriso divertito.

“Allora, il fatto è questo. Da quando sono stato completamente scagionato da tutte le accuse di Dangering, non solo ho riavuto il mio titolo, ma anche tutti i possedimenti che mi erano stati confiscati, tra i quali un enorme maniero fuori Londra. E' un luogo che amo particolarmente, era la tenuta preferita di tua madre, Georgie. C'è una bellissima villa, un laghetto e un enorme terreno che tanti anni fa era lussureggiante e coltivato con piante da frutto, fiori e sempreverdi. Oggi sono stato là e Arthur ha voluto accompagnarmi, anzi, in realtà gliel'ho chiesto io, conoscendo la sua passione per la campagna.”

“Sì, è vero. Georgie, Abel, non sapete che posto meraviglioso sia! Adesso è più un rudere che altro, e il terreno ha bisogno di essere ripulito, ma con un po' di lavoro tornerà come era tanti anni fa, ne sono certo.”

“Arthur...cosa stai cercando di dire?”

“Abel, ti prego, non guardarmi così, non sono più un bambino...Gerald mi ha chiesto di occuparmi della ristrutturazione di quella tenuta, e io ho accettato. Tra pochi giorni noi due lasceremo questa casa e ci trasferiremo là finché non saranno terminati i lavori”

Georgie guardò allibita suo padre, poi Arthur e infine Abel.

“Ma...papà...quindi te ne vai. E anche tu, Arthur? Ma perché? Abel...e adesso...noi...diglielo!”

“Cosa c'è, Georgie? Sei impallidita!”. Il conte era preoccupato per la reazione della figlia.

“Arthur, Conte, oggi il Signor Allen mi ha chiesto di diventare suo socio e di aprire un cantiere in Australia. Ne ho parlato con Georgie e lei accettato di seguirmi. Entro sei mesi partiremo, e lei ha accettato di diventare mia moglie.”

Il conte si alzò raggiante e andò ad abbracciare la figlia.

“Georgie, è una notizia meravigliosa. So che hai fatto la scelta giusta, anche se mi addolora enormemente il pensiero che ti perderò di nuovo, ma a quanto pare il mio destino è quello di vivere separato da te. Sono felice per voi ragazzi, davvero. Abel, mia figlia non avrebbe potuto scegliere un uomo migliore.”

“Grazie, Conte.”

L'unica a non parlare e ad avere le lacrime agli occhi era però Georgie, e solo Arthur se ne accorse.

“Georgie, cos'hai? La tua non è l'espressione felice che ci si aspetta da una futura sposa!”

Georgie lo guardò furiosa e senza preamboli gli chiese:

“Perché, Arthur? Perché stai scappando via?”

La domanda di Georgie lasciò tutti a bocca aperta, nessuno si immaginava una reazione simile.

“Ma no, Georgie...cosa vai a pensare, io non sto scappando...”

Arthur era imbarazzato e se ne accorse anche Abel.

“Ma...Arthur...Georgie ha ragione!?”

“Papà, per favore, esci di qua. Voglio restare a parlare con mio fratello. Abel tu se vuoi puoi rimanere. Credo che Arthur ci debba delle spiegazioni”

Arthur non ebbe la forza di mentire, non quando incrociò lo sguardo furente di Georgie.

“ E va bene, Georgie, come vuoi....Conte, per favore, faccia come ha detto lei. Abel, resta, ti prego, voglio che senti anche tu.”



          

 


Angolo dell'autrice:

Scusate per il tremendo ritardo, ma sono reduce da un trasloco e solo adesso ho finalmente di nuovo un PC! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, io invece sono un po' perplessa perché non credo di essere riuscita ad esprimermi al meglio. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Heart: grazie per il tuo sostegno e per i complimenti!

Medusa: Anche a me la scena in carcere piace da morire, è il coronamento del loro sogno, peccato che da lì in poi sia una tragedia.... L'Abel della mia storia è come l'ho sempre immaginato, estremamente caldo e passionale ma dolcissimo e protettivo nei confronti della sua Georgie e di Arthur. Non ti nascondo che è il personaggio maschile che più amo in assoluto, peccato che sia finto!!!

Patrizialasorella: Come vedi anche qui l'amore trionfa e romanticismo e sensualità vanno a braccetto! Arthur troverà una sua dimensione, già nel manga è sempre in secondo piano rispetto al fratello, qui non mi va proprio di lasciarlo da solo a fare l'eterno secondo!

Claura77:  Rispondo subito alla tua domanda. Secondo me nel cuore di Georgie non esisterà nessun altro dopo Abel. Non sono per niente d'accordo con chi dice che finirà con Arthur, lei lo considera un vero fratello. E' plausibile il fatto che ritornino a vivere insieme, ma secondo me per Georgie l'unico vero e insostituibile amore sarà Abel.

Ai Kiyosugi: Il bello di scrivere ff è anche che nelle recensioni si scopre come i lettori vedono i nostri beniamini! Io ho sempre pensato che Georgie non fosse audace (proprio come dici tu) finché non ho visto nel manga la scena della prigione...se non è audacia quella! Sicuramente sarà stata spinta dalla paura di perdere Abel per sempre, ma direi che là non si fa molti problemi a gettarsi tra le sue braccia, no?

Hikary: Mi fa piacere questa tua recensione, te l'ho già scritto nella tua ff. Grazie per l'apprezzamento per la presa di coscienza di Georgie, è stato un passaggio un pochino difficile ma sono contenta di come è venuto. Anche per me la sensualità e la passionalità di Abel vanno a braccetto con la sua dolcezza, è proprio una caratteristica di questo personaggio. Il nostro Arthur troverà una sua dimensione e uscirà dal suo male, è già troppo triste la sua storia nel manga, almeno qui mi sembra giusto risollevarlo. Sul Conte Gerald invece sono ancora in fase under construction...non ce lo vedo neanche io a scappare dai canguri, ma ti confesso che una vera e propria strada ancora non ce l'ho. Se hai idee, sono ben accette!

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 ***


australia6

La tensione era palpabile, Georgie era veramente arrabbiata e non faceva nulla per nascondere il suo stato d'animo.

Come accadeva quando erano bambini, toccò al fratello più grande cercare di rasserenare gli animi.

“Georgie? Non credi che sia meglio lasciar parlare Arthur prima di aggredirlo così?”

“Ma io non lo sto aggredendo!”

“No??? Dovresti vedere come lo stai guardando! Fai paura pure a me!”

“Oh....”

“Sentite”, li interruppe Arthur “forse è il caso che parli io, non credete?”

Abel annuì, Arthur raccolse tutto il coraggio che aveva e cominciò.

“Stamattina vi ho visto.”

Abel e Georgie si interrogarono a vicenda con lo sguardo, non capendo cosa Arthur intendesse dire.

“Vi ho visto. Sono entrato nella tua camera per svegliarti e vi ho visto.”

Georgie arrossì fino alla radice dei capelli e abbassò lo sguardo, Abel non riuscì a dire nulla.

“Non sono arrabbiato con voi, se è quello che temete. Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo e sono felice per voi, davvero, ma quello che ho visto mi ha fatto riflettere su me stesso....Ho bisogno di andare via, di allontanarmi da voi...devo rimettere in ordine la mia vita, e devo farlo da solo.”

“No, Arthur! Non puoi abbandonarci adesso che ci siamo ritrovati, ti prego! Abel ha rischiato la vita per salvarti, io l'ho visto piangere struggendosi di rimorso per te e tu adesso vuoi lasciarci? Perché?”

“Georgie, non prenderla così, ti prego. Ne ho bisogno! Non posso continuare a...”

E si fermò, temendo di dire troppo.

“Cosa, continua”, lo incalzò la sorella.

“A...vivere nella vostra ombra...”

Ecco, lo aveva detto, e ora aspettava la bufera. Che potesse provenire da Georgie o da Abel poco importava, sapeva che sarebbe arrivata comunque.

Georgie si alzò di scatto, Abel invece sembrava colpito, si prese la testa tra le mani e fissò il pavimento, senza parlare.

“Vi prego, cercate di capirmi”.

La voce di Arthur cominciava ad incrinarsi, era evidente che la sua confessione gli procurava dolore.

“Io...io...ho visto per mesi l'inferno e ...improvvisamente siamo di nuovo insieme...e ...mi sembra troppo bello per essere vero. Però, però, io sto male, sono un tossicodipendente, anche se in via di guarigione...sì, Georgie, è così, è inutile negarlo. Anche se non per mia scelta...non ho potuto nemmeno scegliere...mi sono salvato dalle sevizie per pura fortuna, ma ora sono devastato, nel corpo e nell'anima.”

Arthur si era nel frattempo alzato ed era andato verso la finestra, dando le spalle ad Abel e Georgie.

“Ci sono volte in cui prego di ricadere in quello stato di allucinazione costante nel quale mi avete trovato, così almeno non mi ricorderei più di tutto quello che ho subìto...”.

Ora singhiozzava, non cercava nemmeno più di nascondere il suo dolore.

“Vedo voi due, la vostra felicità, il sogno di una vita insieme e mi chiedo dove sia il mio posto in tutto questo...”

“Ma con noi, Arthur! Cosa dici? E tu, Abel, perché non dici nulla?”

“Georgie, lascialo finire.”

“Ma, Abel...”

“Stai zitta e ascoltalo, per favore”

Le salirono le lacrime agli occhi, odiava quando Abel era così duro con lei.

“Io ho bisogno di riprendermi, di capire quale sia il mio futuro e soprattutto devo scoprire se sono in grado di farcela da solo. Se rimanessi, mi appoggerei a voi e non saprò mai se è stata la mia forza o la vostra a farmi uscire dal baratro.... E poi devo imparare a fidarmi delle persone, ora non mi fido più di nessuno...”

Georgie piangeva silenziosamente, ogni parola di Arthur era una pugnalata e non riusciva a capirlo.

“Arthur, perché? Se stai così male perché vuoi andartene da noi due? Lo sai quanto ti amiamo, lo sai che per te faremmo di tutto, vero?”

“Georgie”, disse Abel con calma “lo fa proprio per questo.”

Il fratello minore si voltò a guardare il maggiore.

“Arthur sa che il nostro affetto lo proteggerebbe da qualsiasi cosa, anche da se stesso, e non vuole.”

Gli occhi di Arthur erano colmi di gratitudine. Abel aveva capito, lo avrebbe lasciato andare.

“No, no, no. Io non voglio!”, urlò Georgie, piangendo.

“Amore, calmati”.

Abel si sedette vicino a lei, le mise una mano sulla guancia e lei gliela prese, stringendola alla sua.

“Abel, Arthur vuole lasciarci e a te va bene così?”

Abel annuì.

“Ma perché? Io sognavo di tornare in Australia tutti insieme, di ritornare nella nostra fattoria...”

“Georgie, questo è il tuo sogno, non il suo!”, cercò di farla ragionare. “Georgie, io e te sappiamo benissimo cosa vuol dire scappare dalla propria casa per inseguire se stessi, ti pare?”

Georgie abbassò lo sguardo e capì quanto Abel avesse ragione. Si sentì una stupida e chiese scusa ad Arthur.

“Non ti devi scusare. Mi ha fatto piacere vedere la tua rabbia, vuol dire che mi vuoi bene...”

“Sì, Arthur, tanto.” Prese le mani del fratello. “Ti prego, promettimi una cosa...”

“Tutto quello che vuoi.”

“Fai ciò che credi sia meglio, ma poi torna da noi, non abbandonarci. Tu ti chiedi quale possa essere il tuo posto nella nostra vita...io ti dico che mi sono fatta questa domanda per mesi. Mentre venivo qui in Inghilterra vi immaginavo a casa, felici con la mamma e mi sentivo così sola...avevo perso i miei adorati fratelli, non avevo più un ruolo nella vostra vita. Mi ero ripromessa di tornare in Australia, volevo tornare da voi, ma al tempo stesso pensavo di avervi perso per sempre...voi due siete fratelli ed è un dato di fatto che non cambierà mai, io invece per voi non sono niente.... Ora mi sembra impossibile riavervi qui, tutti e due, anche se in modo diverso.... So di essere egoista, ma vorrei davvero tornare a casa nostra, tutti e tre anzi, a pensarci bene sono io che devo chiedere a te il permesso di poter tornare in quella casa, Arthur...”

“Oh, Georgie! Ma cosa dici?”

Arthur strinse a sé la sorella e si scaldò di quell'abbraccio, così fraterno, così pieno d'amore.

“Cosa vai a pensare, sciocchina. Quella è casa tua da sempre! E poi adesso ci tornerai come sposa del primogenito, no?” le diede un buffetto sulla fronte e la fece sorridere, “Georgie, ti prometto che tornerò da voi appena me la sentirò. Siamo australiani, torniamo sempre al punto di partenza, come un boomerang.”

Abel, che era rimasto in disparte ad osservare la scena, si unì a loro abbracciandoli e rimasero così per un po', finché Georgie non iniziò a ridere. I due fratelli Buttman si guardarono perplessi.

“Georgie???”, la chiamarono.

“Oh, non fate quelle facce! Vi ricordate a quando da bambini fantasticavamo su nostro futuro? Abel voleva fare il marinaio, Arthur il contadino ed io volevo sposare uno di voi due!”

“Già, lo avevo dimenticato!”, rispose Arthur.

“E' vero, anche io. Beh, direi che i nostri sogni li abbiamo quasi realizzati, no?”

“Sì, direi di s'”, continuò Georgie. “Però la mamma si arrabbiò tantissimo con me per il mio sogno, chissà se ora sarebbe felice...”

“Io dico di sì, Georgie. Le sue ultime parole sono state per te. Georgie, ti prometto anche che farò di tutto per far ritornare il maniero dei tuoi genitori bello com'era una volta. E poi, voi verrete a trovarmi prima di partire per l'Australia, vero?”

“Certo, fratello, che domande!”

Come era sempre accaduto, le burrasche in casa Buttman si dissipavano velocemente. I tre tornarono a cena, alleggerendo anche il cuore del Conte Gerald, e decisero che quella settimana che li separava dalla partenza sarebbe stata solo per loro, avrebbero passato insieme ogni momento possibile.



I preparativi del matrimonio andavano avanti velocemente, Georgie stava organizzando con Emma tutto quanto e ad Abel non rimaneva altro che assecondare gli sbalzi di umore della sua futura sposa, che un giorno era al settimo cielo e felicissima, il giorno dopo era terrorizzata dall'idea che non c'era abbastanza tempo per organizzare tutto alla perfezione.

Una mattina, appena svegli, Abel le saltò sopra, ricoprendola di baci e immobilizzandola perché lei lo aveva già stordito di parole mentre lui aveva in mente altre attività decisamente più interessanti.

“Georgie! Non me ne importa un accidenti se qualcosa va storto, hai capito? Io voglio sposare te e basta! Cosa mai stai organizzando? So che il titolo di tuo padre ti impone una certa etichetta da rispettare, però non credo che l'Imperatrice Vittoria sarà tra gli invitati, quindi rilassati! E poi perché tutta questa fretta? Mi sembra che comunque viviamo già come marito e moglie...”, le disse sussurrando con un tono che la fece rabbrividire.

Georgie lo lasciò parlare, non gli aveva detto che stava organizzando tutt'altro genere di matrimonio. La cerimonia si sarebbe tenuta nei quartieri poveri, dove lei ed Emma avevano il loro studio, mentre il ricevimento si sarebbe dovuto tenere sulla nave di Abel ed era proprio questo il problema. Se la nave non veniva terminata, addio ricevimento e sorpresa per Abel, ma lui questo certo non poteva saperlo.

In quel momento Georgie decise però che Abel non avesse tutti i torti e si abbandonò a lui, lo amò e si lasciò amare senza freni. Da quando suo padre ed Arthur erano partiti, loro due dormivano nella stessa camera, una vecchia abitudine che ormai si era evoluta insieme al loro rapporto. Georgie adorava gli assalti di Abel, lo assecondava sempre perché sapeva come andavano a finire quei giochi e quegli scherzi e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Abel riusciva ad usare nello stesso tempo tenerezza e passione, ironia e amore, dolcezza e sensualità in modo tale che lei ne rimaneva sempre stordita. Adorava le sue carezze, i suoi baci, il suo calore, il suo trasporto e non riusciva più a farne a meno.

Mentre erano ancora abbracciati e Abel accarezzava la pelle nuda della schiena di Georgie, appena i battiti dei loro cuori tornarono ad avere un ritmo normale, lui decise di farle una proposta:

“Senti, Georgie, sono mesi che non vediamo Arthur, perché non andiamo a trovarlo? Siamo in primavera, credo che sia anche la stagione giusta, che ne dici?”

E in meno di un giorno, raggiunsero padre e fratello, rimanendo meravigliati del posto fantastico in cui questi abitavano.

Un enorme parco pieno di piante e fiori attraversato da un torrente che si estendeva per tutta la pianura, un maniero antico ma ancora in ottimo stato, con tante stanze e un bellissimo giardino d'inverno con un'altalena. Era la prima casa di Georgie, e le si strinse il cuore a vedere quel luogo. Abel chiese dove fosse il fratello e Gerald rispose che era uscito a cavallo, come faceva ogni giorno dal primo giorno in cui erano arrivati là.

“Ah, e dove va?”

“Non lo so, Abel, con me non si confida. Ma ti posso dire che non mi preoccupo più di tanto perché lo vedo sereno e felice. Qualsiasi cosa faccia, o chiunque veda, è sicuramente una situazione piacevole per lui.”

Abel era perplesso, ma le parole del conte lo fecero in parte calmare.

Nessuno lo seppe mai, ma in quel lontano primo giorno Arthur uscì a cavallo per conoscere il luogo e si fermò al ruscello, colpito dalla somiglianza con il paesaggio della sua Australia. Rimase seduto sull'erba per ore, lasciando che la sua mente si alleggerisse da tutta la tensione accumulata fin ad allora, pensando a Georgie e ad Abel, insieme e felici. I suoi pensieri furono interrotti da un canto dolce e melodioso, da una voce femminile che catturò la sua attenzione e lo fece trasalire.

Non può essere..., pensò.

Rimase di sasso quando la proprietaria di quella voce si avvicinò così tanto a lui da poterla riconoscere.

“Maria!”

“Non...non...è possibile...Cain!”


 

 


Patrizialasorella: Lenta si, dispersa mai....Apparte gli scherzi, sai già che i miei aggiornamenti non sono frequenti per una serie di motivi, però non lascio mai incompiute le mie storie!

Australia: Grazie per la bella recensione doppia! Per quanto riguarda questa storia, come puoi benissimo immaginare da sola, anche per me la coppia Abel/Georgie è l'unica che abbia senso di esistere in questo manga/anime, e così sarà fino alla fine, giuro. Il “problema” di Arthur era quello che immaginavi tu? Fammi sapere!  Invece, per la ff su Lady Oscar, ti ringrazio tanto, mi fa piacere quando ricevo commenti su quella storia in particolare perché è stato il mio primo tentativo con un argomento un po' piccante e dato che sono una persona abbastanza timida è stata una vera e propria sfida contro me stessa. Non sarà una grande storia, ma per me ha è molto importante, quindi, ancora grazie.

Ai Kiyosugi: Ciao. Si, la mia idea è quella di non incentrare tutta la storia solo su Abel e Georgie, speriamo di riuscirci! Cercando video di Georgie su Youtube per la mia bimba (ha solo 18 mesi ma già dice Gioggi, Abe, e canticchia “La la la”...) ho visto i tuoi lavori, sei davvero bravissima, complimenti!

Claura77: Guarda, sbloccare una storia dopo aver descritto una notte d'amore non è così semplice, ti confesso che ci ho pensato su parecchio e mi fa piacere che non sia risultata banale. Grazie per i tuoi complimenti, mi fa effetto sentirmi definire scrittrice, in realtà grazie ad EFP ho solo la possibilità di realizzare una passione che ho sempre avuto, ma senza alcuna presunzione di ritenermi abile, davvero. Il finale del manga è interpretato in molti modi,  credo che ognuno lo veda a seconda delle sue “preferenze” e sicuramente da fan di Abel ho un certo rigetto a pensare ad un futuro tra Georgie ed Arthur, ma a parte questo non credo possibile un legame amoroso tra loro semplicemente perché per Georgie prova per Arthur un sincero e profondo affetto fraterno e anche lui rinuncia al suo amore quasi subito, infatti parte per l'Inghilterra non per riprendersela, come fa Abel, ma solo per riferire le ultima parole della madre.

Hikary: Ogni tuo commento è preziosissimo per me, sai quanto ti apprezzo come scrittrice e come esperta conoscitrice di questo manga. Sono felice di averti stupita con questa idea della separazione! Onestamente, farli ritrovare e farli partire subito per l'Australia e farli vivere tutti insieme appassionatamente mi sembrava troppo banale. Farò un buon uso di Arthur, te lo prometto, controindicazioni comprese!

Medusa: Certo che hai sollevato un bel quesito: Abel o André? Sono molto simili e li amo allo stesso modo. Sono entrambi dolci ed estremamente passionali, devoti fino alla morte alla loro amata, entrambi sfortunati nell'essere ripagati della loro dedizione solo alla fine delle loro vite. André perde le staffe con Oscar, Abel mai, però scappa da Georgie per non confessarle il suo amore, mentre André rimane stoicamente in silenzio al fianco di Oscar per tutta una vita...boh! Mi hai messa in crisi...

Arte: Il commento per Medusa in parte va bene anche per te! Se cerchi in manga in italiano, prova a rivolgerti alla Fnac. Non so di che città tu sia, ma io sono riuscita ad avere i due numeri mancanti in una settimana, cosa che in fumetteria sembrava impossibile. Concordo su tutto quello che hai scritto, direi che confermo anche per Georgie quello che ti ho scritto in una risposta alla ff su Lady Oscar, cioè che con  le tue recensioni riesci davvero a dare voce ai miei pensieri! Sarebbe bello se cominciassimo a scriverci, magari per confrontarci un po' di più, che ne dici? Ti ringrazio di avermi detto che ti trasmetto delle emozioni. Io scrivo per diletto mio, senza alcuna pretesa o presunzione, però mi fa piacere quando mi viene detto che riesco a creare emozioni, secondo me è il complimento più bello che si possa fare ad uno scrittore, anche se amatoriale come me. Grazie di cuore e a presto.


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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 ***


australia7

Scusate il tremendo ritardo, ma mi ero un pò arenata su questa storia. Ringrazio  chiunque mi abbia seguita fino a qui e chi vorrà continuare a farlo. Ho modificato questo capitolo infinite volte, ma alla fine ho deciso di pubblicarlo così, anche se non sono molto convinta.

 Questo capitolo è per Australia e Partizialasorella.



Una bella cavalcata era quello che ci voleva per ingannare il tempo nell'attesa del ritorno di Arthur, motivo per cui Georgie aveva accettato subito la proposta di Abel. Inoltre aveva capito quanto lui fosse turbato per quello che stava capitando al fratello e sapeva che aveva bisogno di sfogarsi.

Non fece obiezioni quando Abel la invitò a montare lo stesso cavallo, e si tenne stretta alle briglie mentre lui lanciava il cavallo ad un folle galoppo. Sì, Abel aveva decisamente bisogno di sfogare la tensione.

Non chiese nemmeno dove fosse diretto, e si accorse che non era importante. Le bastava che stessero insieme, tanto sapeva che sarebbe stato lui stesso a parlarle, quando avrebbe voluto.

Abel si fermò dopo tanto tempo, la tenuta dei Gerald era molto distante e non si vedevano altre ville  nei paraggi.

La radura nella quale erano arrivati era bellissima.

Un prato verde, un ruscello che lo attraversava, interrotto ogni tanto da qualche roccia che creava qualche piccola cascata, un bosco che costeggiava una riva del fiume e una parete rocciosa con delle cavità irregolari.

Georgie si sedette sull'erba, vicino al suo Abel, che invece era disteso, gli occhi chiusi e le braccia incrociate sotto alla testa.

Rimasero in silenzio per lungo tempo, ascoltando solo il rumore dell'acqua.

Fu Abel ad interrompere quel lungo silenzio.

“Sono preoccupato.”

“Lo so, l'ho capito.”

“Per Arthur.”

“Lo so, ho capito anche questo.”

“E non mi dici niente?”

Georgie rise.

“No, non servirebbe a nulla.”

Abel aprì gli occhi e la guardò, poi si tirò su, appoggiandosi ai gomiti.

“Grazie! Cosa vorresti dire?”

“Che sei talmente cocciuto che qualsiasi cosa io ti possa dire non servirebbe a nulla,  e rischieremo soltanto di litigare, cosa che non voglio.”

Abel la guardò in silenzio, poi si sedette accanto a lei e le passò un braccio intorno alla vita.

“Hai ragione”, disse dandole un bacio sulla guancia “Scusami, sono stato sgarbato con te, non lo meritavi.”

Georgie appoggiò la testa sulla spalla di Abel e si lasciò coccolare. Solo in quel momento vide un albero spaccato in due da un fulmine, e si accorse di quanto quel luogo somigliasse alla loro cara, vecchia Australia.

“Abel!”, disse all'improvviso “Guarda questo posto, non ti ricorda il ruscello vicino a casa nostra?”

Abel annuì e vagò con la mente in quei luoghi che li avevano visti nascere, crescere, perdersi.

Georgie, invece, si ricordò di una notte di temporale, notte in cui Abel si era comportato con lei in maniera troppo strana, notte in cui successe qualcosa che lo portò a decidere di imbarcarsi.

“Abel?”, lo chiamò con un filo di voce. “Cosa accadde veramente quella notte? Perché il giorno dopo hai deciso di imbarcarti?”

Non c'era bisogno di spiegare a che notte si stesse riferendo, Abel lo capì subito.

“Georgie...io ti amavo già allora.”

Georgie sgranò gli occhi, non si aspettava una risposta simile.

“Ti ricordi quanto pioveva?”

Lei annuì.

“Tu non te ne accorgesti, ma con la pioggia i tuoi vestiti, la tua camicia, era diventata trasparente...”

Lo sguardo di Abel era così intenso da ricordare il blu dell'oceano, ma al tempo stesso avvolgeva Georgie con la sua dolcezza.

“Non potei fare a meno di scendere con lo sguardo...”, e mentre lo diceva accarezzo con il dorso della mano il vestito di Georgie, all'altezza del suo seno, con un tocco lieve lieve, arrossendo ancora a quel pensiero.

“Nulla era nascosto, ma tu non te ne eri accorta, ed io mi sentii invadere dal desiderio. Mi girai, ma poi quel tuono, quel lampo e tu...”

“...e io mi sono gettata tra le tue braccia, me lo ricordo.”

“Sì. Mi sembrò di impazzire. Eri stretta a me, sentivo ogni singolo centimetro del tuo corpo schiacciato al mio e non potei fare a meno di stringerti.”

“Lo ricordo bene. Mi gettasti per terra e mi chiedesti di rimanere tra le tue braccia per un po'. Eri disteso vicino a me e mi stringevi forte. Mi sembrò tutto così strano...”

“Scusa, non volevo spaventarti. Non potei fare altro che stendermi vicino a te, altrimenti avresti capito tu stessa che ti desideravo, e ti saresti chiesta probabilmente il perché.”

Georgie arrossì violentemente, aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a dire nulla.

“Quella notte decisi di andarmene, perché avevo paura che un giorno o l'altro avrei fatto una pazzia,  ero certo che prima o poi sarei entrato in camera tua e ti avrei rivelato il mio amore nel modo sbagliato, distruggendoti, e distruggendo la nostra famiglia.”

Georgie non si accorse neanche di aver cominciato a piangere silenziosamente, lo realizzò solo quando sentì le dita di Abel asciugare quelle lacrime disobbedienti.

“Georgie, mi dispiace...”

“No, sono io che devo scusarmi con te. Io non avevo idea di tutto quello che stavi passando, non sapevo che la tua sofferenza fosse dovuta a me. Capivo che c'era qualcosa che ti faceva soffrire, ma come potevo immaginare?”

“Non potevi. Non devi farti nessuna colpa, perché non ne hai.”

“E invece sì, tu soffrivi per me e io invece non facevo altro che provocarti con il mio sciocco comportamento. Ma io ti volevo bene, Abel, eri il mio fratellone e adoravo stare a contatto con te, lo sai. Abel, io mi sono chiesta per tanto tempo il motivo della tua fuga, anche perché quel giorno, quando me lo dicesti, mi sembrò che il cuore mi venisse strappato dal petto, per quanto mi facesti male.”

“Davvero?”, le chiese Abel con voce languida, appoggiando la fronte a quella di Georgie. “E perché?”

“Non lo so. Non l'ho mai capito. So solo che quella notte, in quell'abbraccio così strano, io mi sentivo straordinariamente bene. Abel...tra di noi non c'è mai stato nulla di logico, e di normale.”

“Lo so, ed è per questo motivo che ho preferito lasciarti.”

In quel momento Georgie capì che Abel aveva fatto la scelta giusta, per entrambi. Anche in quel caso, per quanto sia stato doloroso, Abel aveva pensato a proteggerla, mettendola al riparo da se stesso, da quel sentimento travolgente che avrebbe potuto fare del male ad entrambi se solo si fosse palesato.

“Abel...”

Non riuscì a dire nulla perché un dolce bacio di Abel la mise a tacere, impedendole di portare avanti il discorso.

Rimasero in quella radura per molto, parlando di tutto e niente, fino a che a Georgie venne voglia di tornare a casa per poter passare un po' di tempo con suo padre, ricordando ad Abel che probabilmente anche Arthur era rientrato.

“Sì, hai ragione, ma questo vuol dire che dovrò parlargli, e non voglio discutere con lui.”

“E tu non discutere. Ascoltalo, comprendilo e soprattutto cerca di essere felice per lui. Sono certa che Arthur si aspetta solo questo, da suo fratello maggiore.”

“Sì, Georgie, ma è di Maria che stiamo parlando, ti rendi conto? E' la sorella di quel pazzo che...”

“E credi che loro due non lo sappiano? Se va bene a loro, perché tu devi crearti problemi inutili? E poi non è detto che abbiano una relazione, no? Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, poi deciderai cosa fare.”

“E va bene...”

Abel non era molto convinto, ma accettò il suggerimento di Georgie e decise di aspettare il racconto di Arthur.

Tornarono a casa al tramonto e trovarono sia il Conte Gerald che Arthur ad attenderli.

Georgie andò via con suo padre, non prima di essersi lanciata tra le braccia di Arthur con una tale foga che li aveva fatti cadere per terra, ricoprendo di baci il viso del fratello.

“Georgie! Ma non cambi davvero mai? Guarda che Abel poi diventa geloso!”

In realtà Abel si godeva ridendo la scena, accanto ad un Conte Gerald altrettanto divertito.

“Arthur, non ti vedo da mesi e tu stai a pensare ad Abel! Sono o non sono la tua sorellina?”

“Beh, tecnicamente no...comunque accetto queste tue dimostrazioni d'affetto, lo sai che mi fa piacere!”

Abel aiutò Arthur ad alzarsi, si fissarono a lungo, ma si vedeva benissimo che entrambi avevano voglia di abbracciarsi. Si allontanarono, e Georgie vide Abel posare un braccio sulla spalla del fratello.  

“Allora, Arthur, come stai?”

“Meglio, decisamente meglio. Sai, stare qui mi ha permesso di ritrovare una certa serenità e anche di recuperare le forze. Ormai le crisi di astinenza sono davvero rare, e anche tutti quegli incubi stanno diventando un ricordo.”

“Bene, mi fa davvero piacere. Sono stato molto in pena, e anche Georgie.”

“A proposito, voi due siete davvero felici insieme, vero? Si vede, e tu soprattutto, sembri un altro”

Abel guardò Arthur con il solito sguardo sognante che aveva ogni volta che pensava a Georgie.

“Eh sì, sono davvero un uomo felice. Non hai idea di quanto amore sia capace di dare, e di come sia piena la vita insieme a lei. Se penso che ero ormai certo di averla persa per sempre! Sai, Arthur, spero di non deluderla mai.”

“Non potresti neanche se volessi. Il legame che vi unisce è talmente forte e particolare che nulla potrà scalfirlo. Sono davvero felice per voi, lo dico sul serio.”

Abel capì che era un riferimento al fatto che anche lui era stato innamorato di Georgie, pertanto si decise ad affrontare l'argomento che più gli stava a cuore.

“Arthur, io ho trovato la donna della mia vita, ma tu?”

“Sai già tutto, vero?”

“Qualcosa. Gerard mi ha detto che ti sei riavvicinato a Maria.”

Arthur annuì.

“E pensi che sia la cosa migliore per te?”

“Sì.”

Abel rimase sorpreso della fermezza della risposta del fratello.

“Arthur, io non credo che sia una buona idea.”

“Abel, tu non puoi capire...”

“No, hai ragione. Non posso. Però potresti provare ad aiutami a capirlo, no?”

Arthur lo guardò e notò la preoccupazione negli occhi del fratello.

“Abel, tu sai in che condizioni ero e cosa ho passato. Quando sono andato via da Londra ero più morto che vivo, non fisicamente perché ormai ero fuori pericolo, ma psicologicamente sì, e lo sai, te ne avevo già parlato, ricordi?”

Abel annuì e lo lasciò continuare.

“E' successo tutto per caso. Io non l'ho mai cercata, così come non lo ha fatto lei, ma nel momento in cui ci siamo rivisti, è venuto spontaneo ad entrambi chiederci scusa, reciprocamente.”

“Chierele scusa?! E di cosa ti saresti scusato, tu?”

“Di aver acconsentito alla farsa del fidanzamento, di averla illusa e...della morte di suo fratello...”

“Arthur, ma sei impazzito?”

“Sì, lo so cosa pensi, ma credimi, l'ho vista talmente affranta che credevo stesse soffrendo per la morte di Irwin. In realtà non era così, lei soffriva, sì, ma per me. Mi ha chiesto lei scusa per tutto il male che mi ha fatto la sua famiglia, e vorrebbe tanto chiedere scusa anche a te e a Georgie. Non ti biasima per aver ucciso Irwin, dice che se fossi morto tu, lei non se lo sarebbe mai perdonato.”

“Oh. Non lo avrei mai immaginato.”

“Già, Maria è fatta così. E' una ragazza dolce e sensibile.”

“Allora tu sei felice con lei?”

“Sì, e soprattutto sono libero di essere me stesso. Con lei non ho bisogno di nascondermi, posso renderla partecipe di tutte le mie emozioni, e anche della mia disperazione quando purtroppo mi capita di ricordare tutto ciò che mi ha fatto suo fratello. Dimmi, Abel, pensi che un'altra donna potrebbe mai accettare un uomo come me? Sono stato drogato, seviziato, ridotto in schiavitù...”

“Ti addossi colpe che non hai.”

“Sì, certo, non ho colpa, ma non sai che vergogna che provo ancora adesso. Con Maria non ho bisogno di nascondere questa vergogna, lei conosce il lato più nero della mia anima, e ama anche quello. E così è nei suoi confronti. Anche lei si sente esclusa, si vergogna a mostrarsi in società perché viene sempre e solo additata come “la povera Dangering”, invece sa che io la accetto, e le voglio bene, per quello che è.”

“Arthur...sei fantastico...”

“No, sono solo un essere umano che nella sua sofferenza ha incontrato una donna che viveva la stessa cosa, e così abbiamo unito le nostre disperazioni, trasformandole da nostre debolezze a nostra forza, e così ne siamo usciti insieme, più uniti che mai.”

Abel aveva ascoltato con attenzione e la serenità che traspariva dagli occhi e dalle parole di Arthur lo avevano convinto che quella fosse la cosa migliore per tutti, e si rilassò.

“Bene, allora Georgie aveva ragione a dire di non agitarmi troppo!”

“Sì, direi di sì. Però, sta maturando quella ragazzina!”

“Sì, ormai è una donna, e molto responsabile, anche se continua ad essere la solita mattacchiona di sempre! Arthur, sul serio, ora sono più tranquillo, e spero che mi farai conoscere presto la tua fidanzata.”

“Ma certo, lei non aspetta altro. Domani sera c'è un piccolo ricevimento a casa sua, se volete possiamo andarci tutti e tre.”

“Ne parlerò a Georgie, ma credo che accetterà.”

E così fu, Georgie accettò e di conseguenza la sera successiva i tre fratelli Buttman si recarono nella residenza di campagna dei Dangering.

Maria si gettò dapprima tra le braccia di Arthur, poi salutò sia Georgie che Abel abbracciandoli e ringraziandoli della loro presenza.

Abel si sentiva tremendamente in imbarazzo, ma la spontaneità di Georgie nel trattare Maria come una vecchia amica lo aiutò a trovare la calma necessaria per affrontare la serata.

Stavano per entrare nel salone quando Maria prese Georgie ed Abel in disparte.

“Georgie, Abel, devo chiedervi una cosa.”

I due si guardarono e Georgie la invitò a continuare.

“Nell'altro salone ci sono Elisa e Lowell. Non sapevo che sarebbero venuti e quando hanno saputo che ci sareste stati anche voi sono successi dei problemi. Lowell voleva andare via, mentre Elisa invece vorrebbe tanto parlarti. Ho chiesto loro di non partecipare alla festa, decidete voi cosa fare.”

“Maria”, disse Georgie prendendole le mani, “falli venire di qua. Io non ho nessun problema a vedere Elisa, e anche Lowell, se lui vorrà. Abel?”

“Va bene anche per me, chiamali.”

Maria li ringraziò e corse via felice.

Ma appena entrati nel salone, questa volta fu Arthur a raggiungere, allarmato, i fratelli.

“Arthur, che succede?”, chiese Abel preoccupato.

“Abel, Georgie, io non conosco ancora tutte le amiche di Maria...”

“E quindi?”, chiese Georgie, “non preoccuparti, ci presentiamo noi da soli!”

“Ma no! Non intendevo questo! Oh, insomma, guardate voi stessi, la riconoscete quella laggiù?”

Arthur si spostò, liberando il campo visivo di Georgie ed Abel in modo che notassero una donna dai lunghi capelli castani e gli occhi azzurri che era intenta a parlare con la madre di Maria.

Fu un attimo, la riconobbero subito ed entrambi esclamarono:

“Becky Clark!”

   

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 ***


australia8

Eccoci con una nuova puntata, un po' diversa dal solito...occhio, scena hot a fine capitolo...

Ciao, buona lettura!


Si guardarono tutti e tre, indecisi sul da farsi. Abel decise di entrare nel salone con Arthur, consapevole del fatto che Becky avrebbe potuto riconoscerli, mentre Georgie decise di seguire Maria nella sala dove l'aspettava Elise.

Pochi passi nel salone bastarono affinchè le amiche di Becky notassero l'avvenenza dei due fratelli e facessero un segno alla loro amica la quale, voltandosi, non potè fare a meno di sorprendersi.

“Ma non riesco a crederci, Abel Buttman!”, esclamò ad alta voce, facendo girare non solo lui ma anche la maggior parte degli invitati presenti.

Abel, si avvicinò a lei, le fece un inchino e con un baciamano la salutò.

“Vedo che hai imparato le buone maniere, finalmente! Sapete ragazze, lui è una mia vecchia conoscenza, ci incontrammo per caso durante il mio soggiorno in Australia tanti anni fa. Abbiamo avuto una storia, o meglio, lui si innamorò follemente di me, ma l'ho respinto, dato che non era altro che un contadinotto dai modi a dir poco rozzi...”

Le amiche guardavano Abel con aria sognante, chiedendosi se davvero quell'uomo così bello ed elegante potesse essere in realtà un rozzo contadino, e soprattutto attendevano una risposta da parte di Abel, che non perse tempo ad accontentarle.

“Sì, è vero, ci conosciamo da anni. Becky era molto affascinante già allora, ma non era una ragazza adatta a me, come ti dissi già all'epoca...te lo ricordi, vero Becky?”

Lo sguardo diretto e fermo con cui pronunciò l'ultima frase fecero arrossire Becky. La stava forse sfidando? Avrebbe trovato pane per i suoi denti, questo era certo.

“Sì, mi ricordo. E dimmi, sei sempre attaccato alle sottane della tua sorellina?”

“Mhh, in un certo senso...”, disse lui, sorridendo.

“Abel caro, ma quando ti deciderai a crescere? Così non troverai mai una donna disposta a stare al tuo fianco, lo sai? Vedete ragazze, Abel ha una sorella minore, una vera selvaggia abituata ad arrampicarsi sugli alberi e a correre scalza nei prati. Pensate che quando li ho invitati nella mia residenza di Sidney per la festa del mio compleanno lei si presentò con un orrendo vestito di cotone cucito da sola e si ubriacò con un pudding, una scena davvero vergognosa...”

“Ah, vedo che te lo ricordi...d'altraparte, però, povera Georgie, era una bambina e non era abituata a bere liquori, e il pudding che tu avevi così amorevolmente preparato per lei era pieno di rhum. Che sfortuna che tu ti sia dimenticata di dirglielo prima di offrirglielo, avresti potuto evitare quello spettacolo disdicevole.”

Le guancie di Becky diventarono paonazze, Abel la stava umiliando davanti alle sue amiche e lei non poteva reagire.

Rise sommessamente, fingendosi divertita al ricordo di quei momenti, per poi continuare.

“Abel, se dici così sembra che io l'abbia fatto apposta!”

“No, ma cosa dici, non potrei mai pensare che una ragazza dell'alta società, raffinata come te, possa usare questi biechi mezzucci per sbarazzarsi di quella che consideravi una rivale...”

Becky strinse i pugni, la situazione stava diventando pesante.

“E dimmi, Abel, come sta la cara Georgie? Ha imparato a comportarsi come si conviene o passa ancora il tempo a cucire sacchi di cotone?”

“Sta benissimo, grazie. E' qui a Londra anche lei, viviamo insieme ed è diventata una sarta molto richiesta. Il vestito che indossi l'ha cucito lei, sai?”

“Non posso crederci, vivi ancora con tua sorella...sei davvero senza speranza....Comunque se Georgie ha questa abilità nel cucito, potrei chiederle di confezionarmi l'abito da sposa, che ne dici?”

“Oh, certo, ne sarebbe felice! A proposito, congratulazioni per il tuo matrimonio.”

“Grazie, mi dispiace non poter contraccambiare, però.”

“Ti sbagli, anche io mi sposerò a breve e...anche Georgie...”, disse Abel, quasi ridendo.

“Oh, bene, sono felice per voi. E dimmi, continuerete a vivere tutti e quattro sotto lo stesso tetto?”

“E' probabile...”, ribattè Abel, questa volta scoppiando a ridere, “ma dimmi, Becky, cosa ci fai qui stasera?”

“Oh, beh, volevo chiederlo anche io a te. Io sono qui perchè so che stasera interverrà la Contessina Gerald e voglio assolutamente conoscerla. Chi l'ha vista ha detto che è una ragazza  più o meno della mia età, molto bella, gentile, raffinata e adesso, dato che i Dangering sono caduti in disgrazia, è necessario che noi pochi nobili rimasti rimaniamo uniti.”

“Vedo che non sei cambiata per niente....Bene, io invece sono qui perché Arthur è il fidanzato di Maria, e volevo stare un po' in compagnia di mio fratello.”

“Arthur è il fidanzato di Maria Dangering??? Non pensavo che la famiglia Dangering fosse caduta così in basso da permettere un tale fidanzamento, ma d'altraparte, povera Maria, a cosa può aspirare, ormai...”.

Questa volta Abel non rimase impassibile, la guardò con freddezza per poi risponderle a tono:

“Attenta, Becky, prova a far del male ancora una volta alla mia famiglia, o a parlare così di loro e farai i conti con me. Giuro, stavolta te ne farò pentire, non come tanti anni fa. Maria e Arthur si meritano tutta la felicità del mondo, tu non hai idea di cosa abbiano passato, e per quanto mi riguarda, Maria vale mille volte te, Dangering o non Dangering. Continua a vivere nel tuo mondo vuoto e cinico, e divertiti finchè puoi, ma stai attenta, la realtà è dietro l'angolo...”.

Si voltò e fece per andarsene, poi si voltò per dirle un'ultima cosa.

“Ah, buona fortuna con la Contessina Gerald, vedremo se lei vorrà stringere amicizia con te...non vedo l'ora di godermi il momento in cui la incontrerai...”

E se ne andò, lasciando Becky furiosa e umiliata tra le sue amiche che adesso guardavo Abel con occhi ancora più adoranti di quelli che avevano all'inizio.

Abel non si accorse della presenza di Lowell, che avendo assistito a tutta la scena, non potè fare a meno di congratularsi con lui.

“Sei sempre stato uno tosto, tu, non mi stupisco del fatto che alla fine tu sia riuscito ad ottenere ciò che volevi.”

“Se ti riferisci a Georgie, io non ho ottenuto proprio nulla. O credi che l'abbia costretta a stare con me?”

“No, non penso arriveresti a tanto. Ma credo che tu abbia saputo far leva sul vostro legame di fratelli. Avete sempre vissuto insieme, è normale che con te Georgie si senta a casa...”

Abel lo guardò incredulo, poi sogghignò fiero e orgoglioso.

“Io e Georgie viviamo insieme da sempre, è vero, ma ti assicuro che il rapporto che abbiamo adesso non è per niente fraterno...se hai capito cosa voglio dire...”

Lowell arrossì imbarazzato, poi si scusò.

“Scusa, sono stato scortese, ma è solo perché non riesco ad abituarmi al fatto che adesso lei sia tua.”

“Lowell, ascolta, il passato è passato, per tutti. Stiamo tutti cercando di andare avanti e rifarci una vita, e la tua è con Elise. Vi appartenete da sempre, così come ci apparteniamo io e Georgie, è una realtà che non potrà mai cambiare.”

“Lo so, ed è per questo che sono così piano di rabbia...”

Abel lo guardò seriamente, aveva capito perfettamente quale tumulto agitava l'animo di Lowell.

“Vieni, andiamo a prenderci qualcosa da bere, ne abbiamo bisogno entrambi”.

“Sì, credo che tu abbia ragione...”.


Nel frattempo, nella sala adiacente, Georgie era seduta sul divano insieme ad Elise, che tra pianti e singhiozzi, stava sfogando tutta la sua amarezza e il suo rimorso.

“Georgie, io non so davvero come scusarmi con te. Non riesco ancora a credere a ciò che mio zio e mio cugino hanno fatto alla tua famiglia. Sai, io sono sempre stata ambiziosa, ho preteso che ogni cosa desiderassi mi venisse concessa, lo credevo un mio diritto in quanto nobile, ma non ho mai immaginato che la realtà fosse quella...”

Georgie la guardava senza riuscire a proferir parola. Troppe cose erano successe, e il suo animo era ancora preda di sentimenti contrastanti. Aveva rischiato di perdere sia Abel che Arthur per colpa dei Dangering, era stata costretta a lasciare suo padre quando era ancora in fasce e tutta quella sofferenza non poteva essere cancellata con un colpo di spugna.

Tuttavia la sofferenza di Elise era reale, e Georgie non riusciva a rimanere indifferente. Le prese una mano, aspettando che la giovane si calmasse.

“Elise, è tutto così strano, e doloroso. Tu sai cosa è successo, ma non hai visto con i tuoi occhi le conseguenze. Arthur...Arthur...era devastato, nel corpo e nella mente...tu non sai cosa ha voluto dire vederlo in crisi di astinenza, in preda alle allucinazioni, o dormire per giorni interi....Io non so quando riuscirò a dimenticare tutto questo...e poi Abel...ho rischiato di perderlo...e se fosse successo...io...io..”.

Non riusciva neanche ad immaginare la sua vita senza Abel.

“Lo ami molto, vero?”, le chiese Elise.

“Sì, Elise. Come non ho mai amato nessuno in vita mia”, le disse, sperando che capisse il riferimento a Lowell.

“Sai, Georgie, io lo sapevo che sarebbe finita così. Tra te e Lowell, intendo. Lo sapevo che eravate troppo diversi per stare insieme. Vi siete amati, questo è un dato di fatto, ma ho sempre saputo che tu eri una ragazza troppo viva e troppo generosa per uno come lui. Noi nobili siamo egoisti, pigri, non abituati al sacrificio e una ragazza come te è sicuramente una calamita, per un'indole come quella di Lowell, così come Abel può esserlo per una come me. Ma non è possibile che i nostri mondi si mescolino. Tra poco anche tu e Abel ne entrerete a far parte, ma credo che sarà solo un ingresso formale, perchè continuerete a fare la stessa vita di sempre, vero, Georgie?”

“Sì, hai ragione. Ci sposeremo e poi torneremo in Australia. E' quella casa nostra, il nostro mondo.”

“Fai bene, scappa via da qui e proteggi la vostra purezza, è il miglior consiglio che posso darti.”

“Elise...sei così amareggiata...eppure stai per sposare Lowell, dovresti essere felice.”

“E lo sono, credimi, lo sono davvero. Finalmente la sua malattia è un ricordo, stiamo costruendo un cammino insieme e credo che prima o poi riuscirò a vederlo innamorato di me, tuttavia so che i fantasmi del passato ci perseguiteranno sempre. Tu non hai idea di cosa abbia sentito sussurrare al mio passaggio non appena sono arrivata qui, Georgie.”

“Ti sbagli, lo so benissimo. E' quello che è successo anche a me quando andai al ballo con Lowell, ti ricordi? Però ti dico io una cosa, adesso. Chi parla male di te, è perché non ha capito nulla di ciò che ti è successo. La ruota gira per tutti, e non è detto che quello che è capitato alla mia famiglia tanti anni fa, e alla tua adesso, un domani non possa capitare anche alle loro.”

“Già, hai ragione. Ma questo è il mondo dei nobili, Georgie. E' un covo di vipere, fai attenzione.”

L'arrivo di Maria a sollecitare la presenza di Georgie nel salone principale mise fine all'incontro con Elise.

“Elise, senti, vorrei che tu entrassi nel salone con me e Maria. Sarebbe un messaggio forte e chiato, ti pare?”

Elise sorrise e annuì.

“Grazie, Georgie. Forse noi due non saremo mai amiche, ma almeno abbiamo imparato a rispettarci.”


Nel salone principale era calato il silenzio, tutti attendevano l'ingresso della Contessa Gerald.

Becky era in prima fila, mentre Abel, Arthur e Lowell aspettavano vicino alla porta.

Non appena le tre donne fecero il loro ingresso, Lowell e Arthur si avvivinarono alle loro rispettive compagne, mentre Abel lasciò che la madre di Maria presentasse Georgie.

Becky impallidì quando la riconobbe e quasi svenne quando scoprì la sua identità, ma non fu nulla rispetto a quando la Signora Dangering presentò anche il futuro sposo della Contessa Gerald, invitando così Abel a prendere il suo posto accanto a Georgie. Lo shock e l'umiliazione furono tali che Becky lasciò la sala, furente e rossa di rabbia, giurando che non avrebbe mai più avuto nulla a che fare con i Dangering.

Georgie, Abel e Arthur scoppiarono a ridere, lasciando perplessi gli altri ospiti, che non capirono nulla di quanto fosse accaduto.

La serata proseguì tranquilla e serena, tra balli, chiaccherate, presentazioni inutili e battute divertenti, fino a che uno alla volta gli ospiti lasciarono la residenza dei Dangering per tornare alle loro case.

Era ormai notte fonda e Maria invitò Abel e Georgie a fermarsi per la notte, invito che loro accettarono.

Non appena giunti in camera, Georgie lanciò via le scarpe e si buttò sul letto, presa in giro da Abel che rideva, accusandola di essere ancora la stessa scimmietta di quando erano bambini.

“Oh, piantala, Abel! Non ne potevo più e non dirmi che non è così anche per te...”

“Si, ma almeno io mi comporto bene, Contessa!”

Georgie gli fece una linguaccia e gli tirò dietro un cuscino, ma mancò il colpo.

Abel, sempre ridendo, andò in bagno per prepararsi per la notte, mentre Georgie si sfilò il vestito e si mise a leggere a letto, aspettando il suo ritorno.

Quando uscì da bagno, Abel rimase incantato nel vedere la sua Georgie stesa sul letto, a pancia in giù, solo con corsetto e culotte, che dondolava i piedi su e giù mentre leggeva, talmente assorta da non accorgersi del suo arrivo.

Si scosse solo quando sentì Abel stendersi sopra di lei.

“Abel! Non ti ho sentito arrivare. Ma quanto ci hai messo, credevo non arrivassi più!”

“Ho fatto un velocissimo bagno, ne avevo bisogno.”

“Con l'acqua fredda?”

“Si...ma non sento freddo...mi basti tu per scaldarmi...”

Georgie cominciava a sentire il caldo respiro di Abel su collo e si accorse solo in quel momento del fatto che lui era ancora avvolto solo dal telo da bagno, che lo copriva dalla vita in giù.

“A...Abel...”, disse con voce spezzata, la sua vicinanza cominciava a stordirla.

Lui non le rispose, continuando a baciarle il collo e le spalle mentre le allentava i lacci che tenevano chiuso il corsetto e faceva scendere la culotte sempre più giù fino a toglierla completamente.

In preda ad un desiderio sempre più forte, Georgie non fece nulla per frenare l'assalto di Abel, lasciò che lui le facesse scendere leggermente il corsetto quel tanto che bastava per accarezzarle il seno, mentre lei sentiva l'eccitazione di Abel premerle addosso sempre di più. Gli fece scivolare via il telo, permettendogli di sistemarsi meglio sopra di lei, che contemporaneamente aveva iniziato a muovere i fianchi contro i suoi.

“Georgie...”

La desiderava da morire, e lei non si negò, lo aiutò alzando il bacino per andare in contro al suo e agevolarlo nel movimento, lasciando che la prendesse così, in un modo che non aveva mai fatto e che lei percepiva come pura e grandissima passione.

Abel si abbandonò a quella sensazione nuova, così forte e intensa, eccitato anche dal fatto che Georgie stava accettando di fare l'amore con lui in quella strana posizione e Georgie strinse le sue mani a quelle di Abel, non lo lasciò andare finchè entrambi non si fermerono esausti, increduli, ma profondamente appagati.

Abel ricominciò a tempestare il collo di Georgie di baci, questa volta leggeri e delicati, attendendo che lei si voltasse a guardarlo, gesto che però non faceva.

“Georgie”, le chiese preoccupato, “va tutto bene?”

Temeva di aver osato troppo, e che lei adesso fosse risentita per quel comportamento così eccessivo.

“Georgie, scusami, io non...”

“No, Abel, va tutto bene, non preoccuparti.”

“E allora guardami, ti prego.”

“No...”

“Georgie, guardami...ho bisogno di vedere il tuo viso...”

“No...Abel...io...mi vergogno...”

Abel rimase perplesso e poi scoppiò a ridere.

“Ti vergogni?! E di cosa?”

“Di quello che è appena successo....Io...tu...non so cosa penserai di me adesso...ma vedi, quando sei con me io...io...sento di perdere tutti i freni che ho...mi sconvolgi completamente...e mi fai perdere il controllo...”

“Georgie...”, la chiamò sussurrando e questa volta lei non potè fare a meno di girarsi, benchè sentisse le sue guance andare a fuoco.

“Georgie...io ti amo, e non voglio che tu ti costringa a trattenerti. Amami come senti di voler fare, e ti assicuro che da me avrai lo stesso. Vorrei che tu ti sentissi a tuo agio con me...qualsiasi cosa facciamo insieme.”

“E proprio questo il problema”, le disse lei sorridendo maliziosa “con te mi sento fin troppo a mio agio...”, continuò prima di baciarlo in modo languido e appassionato, dimostrandogli quanto ancora lo desiderasse.

“Georgie...aspetta un attimo per favore...devo dirti una cosa”.

Abel si scostò dal corpo della sua amata e si mise a sedere, invitandola a fare lo stesso.

“Georgie”, le disse prendendole la mano “rivedere Lowell, Elise e Becky questa sera mi ha mandato in confusione, e in ansia. So che ti sembrerò stupido e che non ho motivo di chiedertelo, però...senti...che dici se anticipiamo il matrimonio anche se la nave non è pronta? Potremmo restare a Londra fino al varo e poi partire, che dici?”

Georgie prese delicatamente il suo viso tra le mani e lo baciò, annuendo.

“Tutto quello che vuoi, Abel. Se il tuo desiderio è quello di far capire al mondo che ti appartengo, per me va bene, sposiamoci anche domani, se vuoi. Mi piace appartenerti e non ho nessun problema  a dimostrarlo a chiunque tu voglia.”

“Allora è deciso, anticipiamo...va bene la settimana prossima?”

“Sì, la settimana prossima sarò tua moglie per tutti quanti...ma stanotte...voglio esserlo solo per te...”

E si gettò su di lui, lasciando che quella notte fosse solo il loro desiderio e la loro passione ad avere il sopravvento su tutto.



Patrizialasorella: grazie per i tuoi complimenti, come vedi anche questa storia va avanti, anche se più lentamente rispetto a La Dama di Picche. Mi fa piacere che ti sia piaciuto il capitolo, io ho sempre visto il rapporto tra i due fratelli come un legame molto profondo e solido a prescindere da tutti i loro problemi e litigi, ed è quello che ho cercato di ricreare qui. In quanto a Becky, se hai letto le recensioni delle altre, avrai capito che non è un personaggio dell'anime molto amato!

Australia: Mia cara, grazie a te per la bellissima recensione! Sai che aspetto sempre un tuo commento ogni volta che scrivo? Dico sul serio, la tua “Hope” è per me una delle più belle storie su questo fandom, e ricevere un commento da una persona che conosce e ama così tanto questo manga e il personaggio di Abel è un vero e proprio onore. Spero tu apprezzerai anche questo capitolo,  e anche se hai appena aggiornato, ti dico che non vedo l'ora di leggere un seguito da parte tua!

Kaliangel: se è un po' di pepe che cerchi, aspetta che i due piccioncini tornino in Australia e incontrino Jessica...

Ai Kiyosugi: grazie del tuo commento. Come vedi, ho voluto prendere una piccola rivincita su Becky, non l'ho mai sopportata, anche se il suo ruolo è stato determinante per i sentimenti di Abel e Arthur. Spero di poter commentare presto il tuo aggiornamento!

Arte: ormai il nostro rapporto telematico attraversa vari fandom, mi piace avere una presenza costante in ogni cosa che scrivo, davvero! Che belle parole, grazie infinite per la tua recensione. Come ho detto a Patrizialasorella, ho cercato di ricreare almeno in parte la stessa complicità che io ho sempre visto tra i due fratelli, e data la storia che sto scrivendo, non poteva non essere che una complicità dovuta alle scelte setimentali di entrambi. I loro percorsi li hanno fatti crescere e maturare e solo in apparenza dividere, ma in realtà sono più uniti che mai. Ecco, questo era ciò che volevo esprimere, spero di esserci riuscita. Grazie ancora e alla prossima!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 ***


australia9

Era passato quasi un anno da quando Georgie era finalmente diventata la Signora Buttman, titolo del quale andava fiera e che non esitava mai a dichiarare. Essere la moglie di Abel per lei era un sogno, una benedizione che le sembrava di non meritare, tanto si sentiva bene in quel ruolo. Era felice, lo sapeva lei e tutti quelli che le stavano intorno, Abel compreso, che la ripagava cercando di non tradire mai la sua fiducia.

Non che il matrimonio fosse tutto una favola, avevano entrambi due caratteri difficili, erano cocciuti e irascibili, ma ormai erano talmente abituati ai loro difetti grazie a tutti gli anni che avevano trascorso vivendo insieme come fratello e sorella che adesso sapevano esattamente cosa fare quando uno dei due era arrabbiato, triste, apatico o semplicemente aveva una giornata storta.

Il lavoro al cantiere occupava Abel quasi tutto il giorno, ma quando rientrava a casa alla sera, Georgie non gli faceva mancare mai la sua attenzione, ascoltando i racconti dei suoi progressi, delle sue sconfitte, dei piccoli problemi quotidiani che rallentavano la realizzazione di quella nave che li avrebbe riportati in Australia.

Ogni volta che parlava del mare e dell'Australia, il viso di Abel si illuminava e i suoi occhi blu acquistavano una luce particolare, una luce che Georgie adorava e che per un certo periodo aveva invidiato, finché un giorno non si era accorta da sola che quella stessa luce si accendeva quando Abel posava lo sguardo su di lei.

Una sera, mentre erano seduti per terra, vicino al caminetto, ignorando le proteste bonarie del Conte Gerald che non riusciva a spiegarsi perché i suoi due ragazzi, come li chiamava lui, preferissero il pavimento al divano, Georgie si mise a sfogliare uno dei tanti quotidiani che suo padre acquistava.

“Cosa c'è di tanto interessante oggi?”, le chiese Abel con tono ironico.

“Nulla, come al solito. I soliti annunci mondani, feste, matrimoni e banalità tipiche dei nobili.”

“Mia cara, non devi parlare così, ormai siamo due nobili anche noi!”, le disse Abel raddrizzando la schiena e tirando su il colletto della camicia.

Georgie gli regalò uno sguardo di sufficienza, dandogli poi un pizzicotto sul braccio.

“Ahia! Ma che modi! Hai qualche rimostranza da fare, per caso?”

“Sì...non dire scemenze.”

Si guardarono e si misero a ridere, per poi mettersi a leggere insieme.

All'improvviso le braccia di Georgie si irrigidirono e Abel la strinse a sé.

“Georgie...”

“Non dire nulla.”, lo ammonì. “Non mi serve la tua pietà”.

In bella vista c'era l'annuncio della gravidanza dei coniugi Gray, freschi sposi che a soli tre mesi dal loro matrimonio comunicavano a tutta la società di Londra che presto sarebbero diventati genitori.

Georgie si alzò e andò verso la finestra, sforzandosi di non piangere, mentre Abel la seguì in silenzio e le cinse la vita con le braccia non appena lei si fermò.

“Georgie, ci riusciremo anche noi, non ti angosciare.”

Erano mesi che Georgie cercava di rimanere incinta, purtroppo senza successo. Ai primi tentativi, superati con la speranza che presto sarebbe successo, seguì presto una sorta di rabbia e di insoddisfazione dovuta al fatto che invece le persone a lei vicine sembravano non avere nessuna difficoltà a procreare.

Emma ormai era più larga che alta, prossima al parto, la Signora Barnes era rimasta incinta senza che neanche stesse cercando un secondo figlio e adesso anche Elisa e Lowell.

“Georgie...ti prego...”.

“Abel, tu non capisci. Io desidero dal profondo del cuore un figlio nostro, non vedo l'ora di poterti dare questa gioia...”

Abel la fece voltare verso di sé e cominciò a darle una serie di baci leggeri lungo il collo.

“Tesoro, se lo fai solo per me, sai già come la penso, no? Sarei felicissimo di diventare padre di un figlio tuo, ma anche se questo non dovesse accadere, io sono già felice così. Ho te, la donna che ho amato per una vita intera e che non avrei mai immaginato di poter avere, quindi credimi quando ti dico che sono felice anche senza un figlio.”

“Ma...”, Georgie cercò di ribattere mentre due dita di Abel si posarono delicatamente sulle sue labbra, costringendola a tacere.

“Vedrai che prima o poi ci riusciremo anche noi”, le disse abbracciandola, “e poi...”

“E poi?”, fece eco Georgie, intuendo già dove sarebbe andato a parare il suo adorato marito.

“E poi è così bello provarci...non mi stanco mai...”, le sussurrò facendola avvampare.

“Ab...Abel...”.

Abel rise, si divertiva tantissimo a metterla in imbarazzo e non perdeva mai occasione di farlo.

“Sei adorabile quando arrossisci così!”

E, come sempre, Georgie non poteva che lasciarsi confortare dal caldo abbraccio di Abel, sperando che lui avesse ragione.

Ma questo desiderio di maternità stava diventando per Georgie un chiodo fisso, un desiderio che voleva esaudire quanto prima e qualcosa le diceva che ci sarebbe riuscita solo se fosse tornata a casa sua, in Australia, in quel luogo che l'aveva vista crescere felice, ma che l'aveva anche vista scappare via facendo morire di crepacuore la madre adottiva. Non sapeva spiegarsi perché, ma sentiva che mamma Mary era legata a questo suo desiderio e forse era proprio il senso di colpa che provava nei confronti di quella donna ad impedirle di generare un figlio.

Aveva provato a parlarne con Abel, ma si era accorta che il ricordo di Mary era per lui ancora più doloroso, e così si era trattenuta dal raccontargli tutti i suoi pensieri.

L'Australia, comunque, era diventata l'obiettivo di entrambi, per un motivo o per l'altro. Solo Arthur sembrava non sentire alcun desiderio di ritornare a casa, ormai si era completamente ristabilito e viveva in campagna, nella vecchia tenuta dei Gerald, dove aveva la possibilità di stare vicino a Maria Dangering, che era diventata ufficialmente la sua fidanzata.

Arthur sembrava un'altra persona, non era più il timido ed introverso ragazzo australiano di qualche tempo prima, era un uomo consapevole della durezza della vita, ma estremamente positivo ed entusiasta di tutto ciò che la vita gli offriva, fosse un germoglio di un albero, una giornata di sole, un pomeriggio passato con Maria o una visita inaspettata dei suoi fratelli.

Fu proprio in occasione di una di queste visite non preventivate che Arthur e Maria annunciarono l'intenzione di sposarsi nel giro di pochi giorni, lasciando di stucco Abel e Georgie.

“Ma come tra pochi giorni? E avete già organizzato tutto? Da soli?”, chiese Abel.

Arthur guardò il fratello e non gli sfuggì lo sguardo duro che questi gli stava rivolgendo. Si sentiva escluso, era evidente.

Arthur non disse nulla, si alzò, gli cinse le spalle con un abbraccio e appoggiò il viso sulla forte spalla del fratello, attendendo che fosse lui a dire qualcosa.

Gli occhi di Abel si riempirono di lacrime e a Georgie non sfuggì il tremito delle sue mani.

“Arthur...”, gli sussurrò Abel, con la voce rotta per l'emozione.

“Abel, come fai a pensare che abbia voluto tagliarti fuori dall'avvenimento più importante della mia vita? Vedi, io e Maria abbiamo la fortuna di essere invisibili agli occhi della società, a differenza di Georgie, e così non ci serve nulla. Vivremo qui, il Conte Gerald ci lascia questa casa e quindi l'unica cosa che mi serve è sapere che mio fratello e mia sorella saranno presenti per farci da testimoni.”

Abel annuì e chinò la testa, nascondendo gli occhi sotto alla sua folta frangia scura, non volendo farsi vedere piangere da Maria ed Arthur perché quella era un'emozione che ormai era riuscito a vivere liberamente solo con Georgie, che in quel momento stava osservando i suoi fratelli con il cuore colmo di gioia e di orgoglio. Arthur la guardò e le fece l'occhiolino, sorridendo, felice di essere riuscito a far crollare il loro fratellone maggiore.

La serata proseguì serena e giocosa, con risate, ricordi, aneddoti dell'infanzia dei tre terribili fratelli Buttman che fecero ridere Maria fino alle lacrime, e che riempirono il cuore del Conte Gerald di nostalgia e rimpianto per tutti gli anni che era stato costretto a passare lontano da sua figlia, tanto che ad un certo punto si allontanò dal gruppo. L'unico a notare il cambiamento di stato d'animo del Conte fu Abel, che decise di seguirlo in giardino.

“Conte...”, lo chiamò.

“Abel...perché sei qui? Torna da tuo fratello e tua moglie...”

“No, resto un po' qui con lei, se posso.”

Abel si sedette ai piedi di una quercia, appoggiando la schiena al tronco.

“Non lo faccia, non è colpa sua”, disse al Conte.

“Cosa non devo fare, Abel?”

“Sentirsi in colpa per il tempo che non ha potuto passare con Georgie.”

Il Conte lo guardò sorpreso.

“Come hai fatto a capirlo?”, chiese un po' imbarazzato.

“Perché è quello che provo io nei suoi confronti quando penso che presto lascerò l'Inghilterra insieme a Georgie. Lei ancora non lo sa, ma la nave è pronta, tra un mese verrà varata e partiremo.”

“Ah, capisco...”.

Gerald si sedette vicino al genero e rimase insieme a lui in silenzio, guardando il cielo terso che diventava sempre più nero man mano che calava la notte. Dopo un tempo interminabile Gerald si alzò e diede la mano ad Abel invitandolo ad alzarsi a sua volta.

“Non so quante volte l'ho già detto, Abel, ma credo che per Georgie sia stata davvero una fortuna incontrare tuo padre e conoscere te ed Arthur. E' vero, sto per perdere Georgie nuovamente, ma questa volta so che va via per seguire il suo destino di moglie, e so che parte felice, quindi non posso che essere fiero ed orgoglioso di te, per tutto quello che hai fatto per lei e che continuerai a fare. Ora andiamo a dare a tutti la notizia della vostra partenza.”

Abel chinò il capo in segno di ringraziamento e seguì il Conte in casa, annunciando la notizia che la sua nave, la Lady Georgie, era pronta e che nel viaggio inaugurale ci sarebbero stati anche lui e Georgie, la quale gli gettò le braccia al collo, fiera ed orgogliosa che suo marito avesse finalmente realizzato il suo sogno di costruire una nave.

“Abel, è meraviglioso, ce l'hai fatta! Sei un costruttore navale...”

Anche Arthur guardava fiero suo fratello, ma improvvisamente la consapevolezza che presto avrebbe dovuto dirgli addio lo rattristò.

“Congratulazioni, Abel”, gli disse cercando di non far trasparire il suo stato d'animo, ma questa volta fu Abel a sorprenderlo abbracciandolo.

“Ehi, lo sai che quella casa è e sarà sempre casa nostra, di tutti e tre, vero? Anzi...quattro”, si corresse guardando Maria, che arrossì leggermente. “Ora pensiamo solo al vostro matrimonio, e poi ci sarà tutto il tempo per passare insieme gli ultimi giorni prima della partenza. Io non ti lascio, Arthur, quest'ultimo mese lo voglio trascorrere solo con te...e poi qualche consiglio da uomo sposato te lo dovrò pur dare, o no?”, gli disse assestandogli una pacca sulla spalla.

Georgie tossì in modo finto e artificiale, meritandosi un buffetto da parte di Abel, seguito da una generale risata di tutto il gruppo.

L'atmosfera leggera e festosa che si creò quella sera fu il sentimento predominante di tutta la settimana che portò al matrimonio di Arthur e Maria, evento che fu celebrato nella piccola chiesetta del paese, alla presenza delle due sole loro famiglie.

A Georgie sembrava impossibile che nel giro di poco più di un anno fossero successe così tante cose: il ritrovamento di suo padre, la disavventura di Arthur, la nascita del suo amore con Abel e finalmente i loro matrimoni. Il suo pensiero andò ai suoi genitori adottivi e il loro ricordo la fece rattristare lievemente.

“Cosa c'è, Georgie?”, le chiese Abel, preoccupato.

“Nulla, lascia perdere...”

“No, sei diventata improvvisamente triste. Siamo nel bel mezzo del matrimonio di nostro fratello, cosa c'è che non va?”, la incalzò lui.

Se c'era una cosa sulla quale Abel non era cambiato era proprio la sua apprensività nei confronti di Georgie e lei sapeva perfettamente che non l'avrebbe lasciata stare finché non gli avesse risposto.

“Sai, stavo pensando ai nostri genitori. Tu credi che sarebbero contenti, adesso?”

“Ma certo, cosa ti viene in mente? Perché dici una cosa simile? Non ti capisco!”

“No...voglio dire...sicuramente se la mamma fosse qui oggi sarebbe al settimo cielo, ma pensi che sarebbe stata felice di assistere al nostro matrimonio?”

“Georgie...ma cosa dici?”

“Abel, lo sai cosa pensava di me la mamma, mi ha sempre considerata una rovina per la vostra famiglia, tu credi davvero che sarebbe stata felice di vederci marito e moglie?”

Abel guardò Georgie con tenerezza. Era una donna, ma per certi versi era rimasta ancora una bambina, e inoltre non poteva biasimarla. Sapeva benissimo anche lui quanto astio ci fosse spesso tra Mary e Georgie, il loro rapporto teso e delicato non era certo un mistero per nessuno.

“Sai, Georgie, io sono convinto di una cosa. E' vero che probabilmente all'inizio nostra madre avrebbe potuto rimanere sconvolta dal nostro matrimonio, ma credo fermamente che vedendoci insieme, felici e sereni, anche lei alla fine avrebbe accettato la situazione, credimi.”

Georgie non riusciva a trattenere le lacrime mentre Abel le parlava, il dolore ed il rimorso che provava erano troppo forti.

“Oh, Abel, mi manca così tanto...”.

Abel le strinse una mano.

“Lo so. Manca molto anche a me. Ma ora basta, ti prego, questo giorno è solo per Arthur e Maria, non roviniamoglielo.”

Georgie annuì e tornò a concentrarsi alla festa, allontanando tutti i pensieri tristi, pensieri che non tornarono per tutto il periodo che ci volle affinché arrivasse il tanto agognato giorno della partenza.

Quella mattina, di buon'ora, Georgie ed Abel si recarono al porto, accompagnati da Maria, Arthur ed il Conte Gerald.

Il Signor Allen aspettava Abel per tutte le pratiche necessarie al varo della nuova nave e finalmente, dopo aver presentato alla stampa il nuovo socio della Allen Marine Engineer Office, l'imbarco ebbe inizio, non prima di interminabili saluti, abbracci, lacrime e promesse di lettere frequenti.

Dal ponte principale Abel e Georgie ammirarono il meraviglioso spettacolo della città di Londra che si allontanava, sentendosi al tempo stesso immensamente felici di tornare a casa e tristi per essersi nuovamente separati dai loro cari.

Quando Londra ormai non era che un segno sfocato all'orizzonte, Abel prese per mano Georgie e le fece fare un giro completo della nave, spiegando tutto quello che c'era dietro al risultato finale che al momento passeggeri ed equipaggio si stavano godendo con soddisfazione.

Al termine del giro, Abel condusse Georgie nella loro cabina.

“E ora, la nostra stanza. Spero che ti piaccia.”

Georgie rimase a bocca aperta. Era bellissima, curata sin nei minimi dettagli e ciò che la entusiasmò era un mazzo di mimose che faceva bella mostra di sé sul comò.

“Abel, è stupenda! E ci sono pure le mimose!”

“Sì”, le rispose abbracciandola, “quelle sono un mio regalo per te.”

“Davvero? E dove le hai trovate? Non è periodo di mimose a Londra!”

“Eh, in effetti riuscire a procurarmele è stato un lavoraccio, e mi è pure costato un patrimonio, ma per te questo ed altro. So quanto ti piacciono, riempivi sempre sia la tua che la nostra camera, quindi ho pensato che ti avrebbero fatto piacere...”

Georgie gli strinse forte le braccia intorno al collo, iniziando a dondolarsi come faceva da piccola.

“Georgie...non sei un po' cresciuta per giocare così? Ok, direi che le mimose ti sono piaciute...”

Ridendo e continuando a dondolarsi, Georgie spinse Abel fino a farlo cadere sul letto, mettendosi poi a cavalcioni su di lui.

“Abel, stiamo tornando a casa, stiamo tornando a casa!”

Era raggiante e il vederla così felice faceva sentire Abel leggero leggero.

“Non pensavo che sentissi così tanto la nostalgia dell'Australia, Georgie. Ormai pensavo che ti fossi abituata all'idea che sei Inglese, e che la tua famiglia è a Londra.”

“E' vero, sono Inglese di nascita e mio padre vive a Londra, ma il mio cuore è Australiano,  la mia famiglia siete tu ed Arthur e la mia casa è la fattoria nella quale siamo cresciuti e che non vedo l'ora di rivedere. Hai avvertito lo Zio Kevin?”

“Sì, tranquilla. Gli ho detto che saremmo partiti oggi e che avrei portato anche mia moglie con me...”

“Come? Ma così non capirà mai che sono io tua moglie!”

“Esatto, è una sorpresa che voglio fargli di persona!”

“Ma sei proprio diabolico! Io non ci avrei mai pensato!”

Abel rise di gusto, ribaltando le posizioni e portando Georgie sotto di sé.

“Esatto! Infatti dimentichi che sono sempre stato io il fratello più terribile...”

Mentre Abel giocava intrecciando le sue dita nei capelli di Georgie, lei lo sorprese con un'altra di quelle domande che rivelavano alcune sue angosce.

“Abel, credi che cambierà qualcosa tra di noi, una volta arrivati in Australia?”

Abel la guardò perplesso, non capendo a cosa si riferisse.

“Cambiare? E cosa?”

“Non so...ho paura che tornare in quella casa, tra le persone che ci hanno conosciuto come fratello e sorella, in quei luoghi che per noi hanno significato tanto, nel bene e nel male, possa...magari...”.

Abel non le rispose, ma la guardò con i suoi grandi occhi blu, che assunsero un tono profondo come l'oceano nel quale stavano navigando, tanta era l'intensità con cui la guardava.

Non le rispose, ma cominciò a baciarla con passione, slacciandole il vestito, cercando il suo corpo come non aveva ancora mai fatto, coinvolgendola in un gioco appassionato e delirante nel quale mise tutto l'amore e la passione che provava, sussurrandole di continuo che era sua, che era suo, che si appartenevano, da sempre e per sempre, e che nulla sarebbe mai cambiato.

E Georgie si lasciò coinvolgere, annullando tutta la sua volontà al cospetto di Abel, affidandosi completamente a lui e pensando che quel viaggio sarebbe stato bellissimo e, forse, anche troppo breve.



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Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 ***


australia10

Australia, un continente agli antipodi del mondo, un continente in cui la vita è rovesciata, una terra in cui è possibile ricominciare.

Questo era il pensiero di Georgie mentre vedeva quel lembo di terra, dapprima sfumato all'orizzonte, diventare sempre più chiaro e nitido, per poi sfocarsi nuovamente, ma questa volta per colpa delle lacrime che cominciavano a sgorgare copiosamente d ai suoi occhi.

Il calore di un palmo poggiatosi delicatamente sulla sua spalla la fece sussultare.

“Sono io. Cosa c'è?”. La voce calda e dolce di Abel aveva il potere di calmarla, qualsiasi fosse lo stato d'animo che l'agitava.

“Siamo a casa, Abel, siamo arrivati!”, esclamò felice.

“E piangi per questo?”

“Sì, no...cioè...in parte. Sai, quando sono partita, quel giorno lontano di tanti anni fa, sono rimasta sul ponte a guardare la mia terra che si allontanava e giurai a me stessa che un giorno sarei tornata, che sarei tornata da voi. Poi, mentre mi allontanavo, mi sembrò di sentire la voce di Arthur che mi chiamava; pensai ad un'allucinazione e mi chiesi come avrei potuto vivere senza voi due.”

Abel sorrise.

“Non era un'allucinazione, Georgie, era davvero Arthur.”, le confidò il fratello, perché in quel momento, per un breve istante, lei rivedette accanto a sé il suo fratellone maggiore.

“Giungemmo al molo troppo tardi, la nave era già partita, lontana...io rimasi sulla banchina a guardarti sparire all'orizzonte, Arthur si gettò in acqua per seguirti, e fu lì che capii quanto anche lui ti amasse. Ma Arthur ha fatto una scelta diversa, ha avuto la forza di preferirti come sorella...io no...me ne sono andato in quel momento stesso, ho lasciato Arthur e la mamma per seguirti e...il resto lo sai.”

Georgie guardava Abel con le lacrime agli occhi.

Quanto dolore in quel racconto, quanto dolore in quei momenti.

Si strinse a lui e si lasciò abbracciare, sperando di allontanare un po' quell'angoscia e cercando di trovare il coraggio per affrontare il ritorno in Australia.

Dopo quelle che sembrarono ore interminabili, l'attracco finì e terminarono anche le procedure di sbarco dei passeggeri, così Abel e Georgie noleggiarono una carrozza che li riportò a casa.

Trascorsero il tragitto in silenzio, un silenzio carico di complicità, di sguardi, di mani strette insieme, ognuno di loro perso nei propri pensieri e a fare i conti con i loro fantasmi, ma consapevoli che questa volta li avrebbero affrontati insieme. Poi, finalmente, eccola: la vecchia fattoria.

Georgie saltò giù dalla carrozza e si mise a correre, suscitando le risa di Abel che, sconsolato, scuoteva la testa ricordandole che adesso era una nobile donna sposata, non più una selvaggia contadinella, ma a nulla valse, lei voleva correre a casa.

Spalancò la porta di casa e si stupì di trovare tutto esattamente come lo aveva lasciato, evidentemente lo zio Kevin si era dato molto da fare perché il tempo, in casa Buttman, si fermasse.

Georgie camminò lentamente, guardando la cucina, le porte che conducevano alle stanze da letto, le mensole, le finestre, i quadri e in ogni piccolo oggetto rivedeva tre piccoli monelli che giocavano, ridevano, crescevano, si innamoravano e inevitabilmente si allontanavano. Rivedeva la mamma, seduta a cucire vicino al caminetto, inginocchiata vicino al forno, in piedi vicino alla porta pronta a sgridarla, chinata al tavolo mentre le insegnava ad impastare il pane, e non poté fare a meno di piangere invocando il suo nome.

Non si era accorta che Abel nel frattempo era giunto vicino a lei e la osservava in silenzio, appoggiato allo stipite della porta d'ingresso. Non si era accorta che quel fiume in piena che l'aveva travolta era giunto anche ad Abel, che la osservava con gli occhi lucidi, sforzandosi di non piangere. Non si era accorta che il rimorso che lei stava provando, lo provava anche lui.

E poi si voltò, e lo vide.

Fermo, rigido, vicino a lei ma distante quel tanto che bastava a lasciarle il suo spazio e riconobbe il suo Abel di sempre.

Era sempre stato così, da quando lei aveva memoria. Abel era sempre stato una presenza solida e silenziosa nella sua vita, una roccia alla quale aggrapparsi quando sentiva di essere sul punto di precipitare, un'ombra che celava tutto il suo tormento interiore per paura di ferirla, un'anima divisa in due da sentimenti troppo intensi e contrastanti per poter convivere in serenità, e riconobbe nello sguardo che lui in quel momento aveva la parte più cupa di quell'anima.

“Abel...”, sussurrò, cercando di riportarlo alla realtà.

Benché agitato come un oceano in tempesta, Abel le regalò uno di quei sorrisi intensi che donava solo a lei, e si sforzò di tranquillizzarsi, di tranquillizzarla.

“Va tutto bene, è solo un attimo...adesso passa...è difficile...anche per me”, si costrinse ad ammettere.

“No. E' difficile soprattutto per te. In fondo...lei non era mia madre...non mi ha mai voluta...”

E a quelle parole Georgie scoppiò, perse il suo autocontrollo e si accasciò a terra finché non sentì le forti braccia di Abel sollevarla e stringerla a sé, mentre la sua voce continuava a ripeterle che sarebbe andato tutto bene, che quello che diceva non era vero, che Mary l'amava, ma aveva troppa paura di quello che lui provava e non le aveva mai nascosto.

Georgie si lasciò cullare dal dolce tepore del corpo di suo marito finché non sentì il cuore rallentare i battiti e i singhiozzi cedere il passo a dei sospiri più sommessi, poi alzò lo sguardo e gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia che lo fece sorridere.

“Allora, Signora Buttman, adesso che ti sei calmata, che ne dici di sistemarci.”

Georgie annuì, sicura che, con Abel al suo fianco, sarebbe riuscita a vincere l'angoscia che sentiva stritolarle l'anima.

Passarono la mattina a scaricare bauli e valigie, sistemando tutto nella grande cucina, in attesa di riordinare le stanze. Si fermarono solo per consumare un veloce pasto e per decidere come organizzare il resto della giornata.

Abel tirò Georgie verso di sé e la fece sedere sulle sue ginocchia.

“Innanzitutto, dobbiamo sistemare la nostra camera”, disse lui.

“Giusto! Vado subito a prendere le lenzuola”, rispose Georgie dirigendosi verso quella che era stata la camera dei suoi fratelli.

Abel l'afferrò per un polso e quando lei si girò a guardarlo vide che stava scuotendo leggermente la testa in segno di diniego, con gli occhi che brillavano.

“Abel, cosa c'è?”, gli chiese, sorpresa.

“Non intendevo quella camera, Georgie.”

Lo guardò, confusa.

“Ah no? E quale? Non vorrai andare in camera mia? E' troppo piccola per due!”

Abel scosse nuovamente la testa e a quel punto Georgie, forse, capì.

“No...ti prego...no...” disse tremando.

“Sì. Quella. Mio padre diceva sempre che quella era la camera del capofamiglia”, disse Abel tirando Georgie a sé, “quando ero bambino mi diceva che quando mi sarei sposato quella sarebbe stata la mia camera, mia e di mia moglie, perché sarei diventato io il capofamiglia.”

“Abel...io non credo di farcela...non puoi chiedermelo!”

“Georgie, non hai nulla da temere. Adesso in questa casa ci siamo noi, è casa nostra. Dobbiamo cominciare a costruire la nostra vita, i nostri ricordi. Da oggi questa è la nostra nuova realtà. Guarda, abbiamo già cominciato!”, disse facendo voltare sua moglie, “tra qualche anno ripenseremo a questo giorno e ricorderemo questa stanza, piena di bagagli, la confusione che c'è adesso, il primo pasto consumato qui, e ci sentiremo fieri e orgogliosi del cammino che abbiamo fatto.”

Georgie lo ascoltava in silenzio e ogni parola di Abel le scendeva fino al cuore, infiammandola dello stesso ardore che aveva lui, trasmettendole la stessa visione positiva della vita, dandole la stessa forza, tanto che alla fine annuì.

“Sì, Abel, hai ragione. Ora dobbiamo pensare alla nostra vita. Il passato farà sempre parte di noi, il passato ci ha permesso di arrivare qui e di essere quello che siamo adesso, ma ora è arrivato il momento di pensare solo al nostro futuro.”

“Brava, è così che ti voglio!”, le disse stringendola forte a sé. “E ora, se posso, io andrei dallo Zio Kevin. Sarà preoccupato, sapeva che saremmo arrivati oggi e immagino si stia chiedendo perché non ci siamo ancora fatti vedere.”

“Sì, vai pure, io sistemo la nostra camera e ti raggiungo.”

Abel era già in sella ad uno dei cavalli che lo zio aveva fatto trovare loro nella stalla quando sentì Georgie chiamarlo.

“Abel! Ricordati di non dirgli nulla!!!”

Lui alzò una mano in cenno di assenso e sparì al galoppo, lasciando Georgie alle sue faccende domestiche.



La fattoria dello zio Kevin era esattamente come Abel se la ricordava, l'unica differenza era la mancanza del vecchio Junior perennemente addormentato vicino alla porta.

Bussò leggermente, chiamando il vecchio zio, che rimase a bocca aperta quando si trovò faccia a faccia con il nipote.

Con gli occhi pieni di lacrime lo accolse in casa, gli strinse un braccio e lo guardò a lungo, non riuscendo a proferir parola.

In quel momento Abel si rese conto di aver avuto l'impressione sbagliata, non era vero che tutto era rimasto uguale: lo zio Kevin era invecchiato, e molto.

“Abel...ormai avevo perso le speranze di rivedervi...pensavo che sarei morto da solo, con i soli ricordi di voi tre a tenermi compagnia...”, disse l'uomo, asciugandosi le lacrime dagli occhi.

Abel lo guardava con tenerezza e lo abbracciò, facendo sparire quell'uomo ormai gracile nel suo petto ampio, coprendolo quasi interamente con il suo mantello.

Kevin guardava estasiato il nipote. Si ricordava un ragazzo ribelle e cocciuto, passionale e iroso, ora invece aveva di fronte a sé un uomo sereno, sicuro di sé, forte.

“Abel, i tuoi genitori sarebbero così fieri di te adesso. Sei il ritratto di tuo padre, con gli occhi profondi di tua madre.”

Abel sorrise e lo ringraziò.

Rimasero a parlare per ore, Abel raccontò tutto quello che era successo a Londra, omettendo il particolare che tra lui e Georgie era finalmente nato un amore che li aveva portati al matrimonio, ma non dimenticò di rassicurare lo zio sulla sorte di Arthur, dicendo che si era sposato e che viveva con il padre di Georgie.

Lo zio Kevin amava tutti i ragazzi Buttman, ma era innegabile che per Arthur provasse un affetto particolare e saperlo felice gli diede la gioia più grande che sentiva di aver provato fino a quel momento.

“Abel, e Georgie dov'è? Perché non è venuta qui con te?”, chiese poi, un po' spazientito per l'assenza della nipote.

“E' a casa, sta finendo di sistemare i bagagli e le camere.”

“Ah, capisco. Quindi arriverà dopo, con tua moglie, immagino.”

Abel rise, annuendo.

“Perché ridi? Non mi dire che ha già messo in riga anche la tua mogliettina! Eh, gliene dirò quattro a quella ragazza! Ora tua moglie è la padrona di casa e per quanto voi due siate legati, è giusto che si metta a fare la sorella!”.

“Sì, zio...hai ragione...”, continuò a sghignazzare il bel marinaio.

L'attesa terminò quando sentirono un cavallo nitrire nel giardino antistante la casa.

“Vieni, Georgie”, disse lo zio, senza alzarsi per andarla a ricevere.

Georgie entrò, e allo zio non sfuggì il sorriso complice che lei ed Abel si scambiarono.

“Ciao, Zio!”, disse lei, correndogli in contro, chinandosi a baciargli una guancia.

“Ma guardati, come sei diventata bella! Anche tu, sei una donna...ah, ragazzi, quanto tempo è passato...”, disse lo zio con un velo di malinconia, mentre Georgie si mise dietro alla sedia di Abel, poggiando una mano sulla sua spalla.

“Abel...e tua moglie? Georgie, non dirmi che l'hai lasciata a casa da sola!”

Georgie e Abel si guardarono, poi, con la mano nella quale portava la fede, Abel strinse la corrispondente mano di Georgie, mettendo in evidenza i loro anelli, vicini.

Lo zio Kevin ci mise un attimo a capire, ma quando la situazione divenne chiara ai suoi occhi si alzò, lasciando che le lacrime di gioia fluissero senza alcuna vergogna.

Non disse nulla, si avvicinò solo ai suoi due bambini e li strinse a sé, lasciando che le sue lacrime si mischiassero a quelle silenziose di Georgie e a quelle che Abel, finalmente, riuscì a liberare, vinto dal peso delle emozioni.

E fu così che il racconto di Abel proseguì con tutti quei dettagli che prima non aveva detto, intervallato dal racconto di Georgie,  e allo zio parve impossibile che i tre fratelli fossero riusciti a sopravvivere a tutto quel male e a quell'odio, ritrovandosi e avendo la forza e la voglia di ricominciare.

“Ragazzi, io non riesco ad esprimere a parole quello che provo nel vedervi così, uniti e felici”, disse lo zio. “Ho vissuto il nascere dei sentimenti di Abel, l'ho visto soffrire, combattere contro sé stesso, contro sua madre e suo fratello e tutto per te, Georgie. Ma sono felice, immensamente felice nel vedervi così, adesso. Non l'ho mai detto a nessuno, a Mary, specialmente, ma ho sempre pensato che voi due foste fatti l'uno per l'altra. L'unica cosa che dicevo sempre a vostra madre era che il destino di tutti noi è segnato, e per quanto noi ci fossimo messi in mezzo per separarvi, se voi due eravate destinati a stare insieme, nessuno ci sarebbe mai riuscito, e avevo ragione.”

Abel non aveva idea che lo zio e sua madre parlassero di questo argomento, era certo che Mary preferisse tenere per sé quell'angoscia.

“Ti sbagli, Abel. Ero l'unico con cui lei si confidava, perché ero l'unico a sapere la verità. A proposito, siete già andati a trovarla?”

Scossero la testa entrambi.

“Bene, allora credo che sia ora di andare da lei. Non abbiate paura, io sono certo che vi avrebbe accolto a braccia aperte.”

Georgie e Abel salutarono lo zio, promettendo che sarebbero tornati a fargli visita presto, dopodiché salirono ciascuno in sella al proprio cavallo e si allontanarono lentamente, lasciando che i cavalli passeggiassero l'uno accanto all'altro.

Quando giunsero al cimitero Georgie raccolse un po' di mimose da portare alla madre, dopodiché mano nella mano si avvicinarono a quelle due semplici lapidi.

Abel si chinò e ripulì il terreno circostante dalle erbacce e dalle foglie secche, poi ripulì le lapidi e si sedette per terra, incrociando le gambe.

“Ciao, mamma...”, cominciò a sussurrare, mentre Georgie lo guardava, adorante.

“Siamo tornati, hai visto?”, chinò il viso, come per raccogliere tutte le forze necessarie per continuare.

“Guardami, mamma...guardami...guarda cosa sono diventato. Sono un uomo che ha tanto sbagliato, che ha ferito tante persone per colpa del suo egoismo, però siete stati tu e papà a dirmi che bisogna perseverare per realizzare i propri sogni.”

Georgie lo lasciava parlare, completamente incantata da ciò che vedeva.

“Sono un uomo che non ti chiederà scusa mai abbastanza, ma sono anche un uomo felice. Sono felice, mamma, ho finalmente realizzato il mio sogno. L'unica donna che avrei mai potuto amare, che ho mai voluto avere, è qui con me, mi ama, mi ha voluto come compagno per la vita. Mamma, sono tornato con Georgie, e lei è ora mia moglie. Ti prego mamma, abbiamo entrambi bisogno del tuo perdono per poter vivere serenamente...”

Georgie piangeva, e nel frattempo si era inginocchiata vicino ad Abel, posando i fiori sulla tomba della mamma.

Rimasero vicini a lungo, mano nella mano, in attesa di una risposta che sapevano benissimo non sarebbe mai arrivata. Nessuna voce rispose alle loro suppliche, nessuna mano si strinse alla loro, però sentivano la natura pulsante che li circondava, sentivano gli uccelli cinguettare, sentivano il caldo tepore del sole che scaldava i loro visi, sentivano la brezza australiana che li solleticava e tutto ciò fece scendere un po' di pace sui loro cuori, come se tutta quella vita intorno a loro fosse stata mandata dai loro genitori per dir loro che ne facevano parte, che era giusto che vivessero la loro vita.

Rimasero così fino a che giunse il tramonto, poi Abel le tese la mano e la ricondusse, in silenzio, al cavallo.

“E' ora di tornare a casa, Georgie”, le disse.

Georgie annuì e si accinse a trascorrere la sua prima notte a casa, consapevole che dal giorno dopo sarebbe stato tutto diverso.

 


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Capitolo 11
*** CAPITOLO 11 ***


Australia11

Salve, popolo di questo fandom! Dopo mesi di latitanza, eccomi qui ad aggiornare. Lo so, no ho scusanti, quindi vi lascio alla lettura e basta. Vi annuncio già che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, questa storia è giunta al termine. Come sempre, ogni vostro commento, critica, suggerimento, è sempre ben gradito. Buona lettura!




La vita della neo famiglia Buttman procedeva tranquilla, i mesi si susseguivano l'uno all'altro vedendo non solo l'affiatarsi di quella giovane coppia, abituata a vivere insieme da sempre e ora intenta a scoprire quanto fosse diversa la vita da marito e moglie, ma anche l'evolversi e il concretizzarsi dei loro progetti lavorativi.

Il cantiere navale stava prendendo forma ogni giorno di più, Abel aveva trovato in città un edificio che era riuscito ad acquistare e che stava un po' alla volta sistemando con tutto ciò che era necessario al suo lavoro: libreria, pantografo, tecnigrafo, campioni di materiale navale e tessile, carte nautiche e tantissime altre cose che a volte riusciva a reperire da solo, altre si faceva mandare direttamente dall'Inghilterra dal signor Allen.

Anche la fattoria si stava trasformando, dato che Abel aveva costruito un piccolo studio al quale si accedeva direttamente dalla cucina. Erano stati necessari mesi di lavoro, ma l'esito era stato più che soddisfacente, tanto che Georgie spesso gli chiedeva se invece dell'ingegnere navale non fosse stato meglio se avesse fatto quello edile.

Inoltre, perché Georgie non sentisse troppo la mancanza delle comodità conosciute nella residenza inglese del padre, aveva anche progettato e costruito una stanza da bagno, con tanto di vasca, un vero lusso per la selvaggia Australia!

Dal canto suo, anche Georgie non era stata con le mani in mano. Aveva rifiutato la proposta di Abel di aprire un piccolo atelier vicino al cantiere, però aveva trasformato in sartoria la sua vecchia cameretta, ricavandone una saletta dove poteva disegnare, cucire e ricevere le clienti che, piano piano, stavano diventando sempre più numerose.

Tutto andava per il meglio, i due riuscivano a gestire sia le proprie attività lavorative e la fattoria, aiutati anche dallo Zio Kevin che trascorreva con loro tutto il tempo che poteva.

La situazione era talmente serena, benché spesso pesante e faticosa, che Georgie aveva addirittura cominciato ad essere meno angosciata dalla mancanza di un figlio, sogno che continuava a coltivare e che sperava di vedere realizzato presto.

Abel, invece, da un po' di tempo era preoccupato per la salute di Georgie. Sembrava sempre stanca, affaticata ed era anche diventata pallida, forse perché riusciva a mangiare con difficoltà. Una sera decise di affrontare seriamente il problema con la sua cocciutissima moglie.

“Georgie!”, esclamò spazientito “senti, non puoi continuare a sostenere che non c'è niente!”

“Uffa, Abel, ma quante volte devo ripetertelo? Sto bene, basta!”

“No, non stai bene! Guardati, non fai altro che dormire...”

“E dov'è la novità?”, gli chiese lei, un po' ironica.

“Sì, è vero che in confronto a me e ad Arthur tu sei sempre stata la più dormigliona, ma adesso non hai più limite! E sì che la sera vai a letto presto...da un po' di tempo...mi trascuri anche un po'...”, le rispose Abel con fare sornione, giocando la carta del marito trascurato.

“Ecco, forse è colpa tua...mi hai talmente sfinita che adesso devo recuperare”, disse Georgie, sfuggendo dall'abbraccio di Abel e facendogli l'occhiolino.

“Ah sì, è così? Bene, allora non ti disturberò più finché non verrai tu a cercarmi!”

Georgie rise, ben sapendo quanto fosse assurda la frase di Abel.

Poi Abel la prese di nuovo tra le braccia, facendola sedere sulle sue ginocchia.

“Georgie, ascoltami, ti prego. Sono preoccupato davvero per te. Ti vedo troppo strana...non è solo per il sonno...mangi poco, sei pallida, hai spesso dei capogiri...”

Georgie sbiancò leggermente.

“Sì, me ne sono accorto...cosa credi, che non ti osservo abbastanza, forse?”

“No...non è quello...è che...”

“Senti, adesso non mi interessano le tue scuse. Domani esigo che tu venga in città con me e che  vada a farti visitare dal dottor Steward. Guarda che se rifiuti ti porto di peso!”

Georgie lo guardò per un po', perdendosi in quegli occhi blu che sapevano scrutarle dentro come nessun altro e accettò. Forse era davvero giunto il momento di andare da un medico e verificare se i suoi sospetti erano fondati o meno, e poi non era giusto che Abel si preoccupasse così.

“Va bene, domani verrò con te. Ma adesso io vorrei andare a dormire, sono stanca...”

“Ecco, come non detto...”, le disse lui sorridendole e portandola in camera in braccio.

Ma la mattina dopo, Georgie si svegliò da sola.

“Abel?”, lo chiamò piano e, non udendo risposta, uscì dalla camera.

“Abel? Ma dove sei?” ripeté.

“Ma guarda, prima dice che devo andare con lui e poi se ne va...che testa!”

Poi lo sguardo le si posò sul tavolo, dove trovò un biglietto:

Ciao tesoro, scusa se sono uscito da solo, ma ieri sera mi sono ricordato che stamattina doveva passare un corriere per consegnare della merce, e siccome generalmente passa molto presto, non ho voluto svegliarti. Ho preso il cavallo, tu vieni con il calesse e poi torniamo a casa insieme. Ti aspetto. Abel.

“Ecco spiegato il motivo...va bene, allora vestiamoci e non lasciamo aspettare troppo il maritino!”

E così, non appena pronta, Georgie si mise alla guida del calesse, diretta dal Dottor Steward, sperando di poter presto dare ad Abel una bella notizia.


Dopo aver trascorso quasi tutta la mattina in città, impegnata prima nella visita, poi in acquisti necessari per l'atelier, Georgie si recò al cantiere ed entrò, ben sapendo che probabilmente Abel era al piano superiore intento a lavorare a qualche progetto.

Fece un paio di scalini e poi si fermò, impietrita, sperando di aver frainteso la voce che sentiva provenire dallo studio. Rimase in attesa, poi la sentì nuovamente.

“Mi stai ascoltando? Ti ho chiesto perché non sei mai venuto a trovarmi da quando sei tornato!”

Era lei, non poteva sbagliarsi. Jessica. Jessica era di sopra con Abel.

“Jessica, se non sono venuto a trovarti non pensi che sia perché non mi andava di farlo?” rispose Abel, un po' scocciato.

“Ah sì? Dopo tutto quello che c'è stato tra di noi, tu mi rispondi così?”

“Ancora quella storia...Jessica, mettiti l'animo in pace! Sono passati tanti anni, siamo cambiati tutti, e inoltre sai benissimo che per me non sei stata altro che un ripiego...”

Il suono di uno schiaffo fece sussultare Georgie, che nel frattempo era rimasta sulla scala, indecisa se salire o scappare via. Sapeva che non era corretto ascoltare una conversazione privata, ma quella non era una normale conversazione, erano Abel e Jessica, il suo Abel e la donna che per un certo periodo gliel'aveva portato via.

No, non me l'ha portato via lei...è Abel che ha cercato di fuggire da me...ma io...non sapevo...non potevo...

“Certo, un ripiego...una donna qualsiasi con la quale dimenticare il tuo grande amore, la tua Georgie!”, rispose Jessica, quasi urlando.

“Jessica...ti prego...”

“E adesso chi c'è a farti dimenticare il tuo grande infelice amore, eh?”

“Cosa intendi?”, chiese Abel, un po' perplesso.

“Non dirmi che un uomo come te vive da solo rimpiangendo la cara sorellina irraggiungibile...”

Abel alzò la mano sinistra e le fece notare la fede che portava al dito.

“Ohhh, non ci credo, ti sei sposato! E dimmi, per amore, o per disperazione?”

Abel rise.

“Per amore, Jessica, solo per amore!”

Georgie sorrise, la risposta schietta e sincera di Abel trasmetteva lo stesso sentimento che lui, in quel momento, stava proclamando.

“Ma dai! E così esiste una donna che è riuscito a far dimenticare al gelido Abel Buttman la cara Georgie! Vorrei conoscerla, dev'essere una gran donna...”

“Oh, non immagini quanto!”, rispose Abel, sorridendo.

“E dimmi, quando ti sei sposato?”

“Quasi due anni fa, a Londra.”

“E Georgie lo sa?”

“Beh, direi proprio di sì...”

“E non ti ha ostacolato?”

“No, per niente, anzi...”

Abel si stava divertendo da morire, mentre Jessica si stava irritando sempre di più.

“Tua moglie adesso è qui in Australia, con te?”

“Certo, Jessica. Che domande fai?”

“E tua sorella?”

“C'è anche lei...”

“Non dirmi che vivete ancora tutti insieme? Ma sei davvero impossibile...”

Georgie ascoltava in silenzio, e non poteva che congratularsi mentalmente su come Abel si stesse prendendo gioco di Jessica.

“Sì, viviamo tutti insieme, perché?”

“Come perché? Tua moglie sa del tuo amore per tua sorella?”

“Certo che lo sa, sa tutto di me”, continuò Abel, troppo divertito per mettere fine a quel gioco crudele.

“Mh, però, che donna strana...mi piacerebbe conoscerla...”, aggiunse Jessica.

“La conoscerai molto presto, dovrebbe essere qui a momenti...anzi, adesso che mi ci fai pensare...è in ritardo...”, disse Abel, perplesso.

Georgie lo sentì e scappò subito nell'atrio, aprendo la porta di scatto, in modo da far rumore.

“Abel, sei qui?”, gridò dall'ingresso.

La voce giunse dal piano superiore.

“Sono su, Georgie, sali.”, rispose lui, felice.

“E ti pareva che non arrivasse tua sorella!”, esclamò Jessica.

Georgie salì lentamente, il cuore le martellava in petto e si pregustava il momento in cui lei ed Abel avrebbero messo finalmente a tacere una volta per tutte quella strega.

Il sorriso di Abel fu il più bel benvenuto che lei potesse ricevere.

“Abel...” sussurrò, guardandolo negli occhi.

Abel le si avvicinò e la baciò, lasciando Jessica di stucco.

“Jessica, ti presento mia moglie, Georgie Gerald”

Jessica rimase immobile, con gli occhi spalancati, incapace di proferire parola.

“E' così”, le venne in soccorso Abel “a Londra ci siamo ritrovati e, finalmente, innamorati. Ora lei è mia moglie e come vedi, non sono un povero sognatore illuso...”

Georgie continuava a guardare Jessica e improvvisamente lo sguardo che vide negli occhi di lei la fece tremare. Era uno sguardo di odio, di cattiveria, di vendetta.

“Bene, congratulazioni!”, esclamò la mora, “così ora posso parlare ad entrambi. Sai Abel, il motivo per cui sono venuta a trovarti, e per il quale speravo che tu passassi da me, uno di questi giorni, è che vorrei presentarti una persona.”

Abel la guardò con aria interrogativa.

“Chi?”

“Tuo...anzi...nostro figlio!”, gli disse Jessica, senza abbassare lo sguardo.

Abel aprì la bocca, ma senza riuscire a parlare, mentre sentì Georgie irrigidirsi vicino a lui.

“Non è possibile, Jessica, e tu lo sai...”, le rispose Abel.

“Sai, Abel...non è sempre facile stare attenti ed evidentemente...almeno una volta...hai sbagliato momento...”, disse Jessica, ridendo, “e così, otto mesi dopo la tua partenza alla volta di Londra, è nato James. Quando verrai a conoscerlo? Sai, lui ci tiene tanto a conoscere il suo papà...”

Abel era livido di rabbia. Era certo che Jessica lo stesse prendendo in giro, ma come provarlo? Era sicuro di essere stato sempre attento e di non aver mai sbagliato momento, a differenza di quello che diceva lei, ma la verità era che era la sua parola contro quella di lei, che però aveva una carta a sua favore: un bambino.

Voleva voltarsi e guardare Georgie, ma temeva di leggere negli occhi di sua moglie, delusione, odio, disprezzo. Jessica stava sbattendo loro in faccia tutto il doloroso passato di casa Buttman, tutti i loro errori e soprattutto, stava rivelando a Georgie che razza di uomo era stato suo fratello.

“Jessica...vattene...”, le disse.

“Abel...non fare così...capisco che tu possa essere sconvolto”, cercò di intervenire Jessica, con voce falsamente dolce.

“Jessica, te lo dico per l'ultima volta...vattene...”, le ripeté lui, senza neanche guardarla in faccia.

“E va bene, me ne vado, immagino che avrete delle cose da discutere tra voi....Georgie, noi non siamo mai state amiche, ma mi auguro che non ti metterai in mezzo...non vorrai tenere un padre lontano da suo figlio...”, disse Jessica passando vicino a Georgie, che, furiosa, le regalò un'occhiata di puro disprezzo.

Abel e Georgie rimasero da soli, in silenzio, per molto tempo. Georgie era seduta su una poltrona e guardava Abel, seduto per terra, le mani a sorreggere la testa, il viso nascosto dalla lunga frangia scura. Era evidente che Abel stesse combattendo contro sé stesso, ed era anche evidente che stava aspettando una sua parola, ma cosa dirgli?

Alla fine si fece forza e si inginocchiò davanti a lui.

“Abel...”, lo chiamò piano, poggiando una mano sulla sua.

E Abel davvero non aspettava altro, perché si gettò su di lei, piangendo, e caddero sul pavimento, l'uno addosso all'altra, come era successo tanti anni prima, in una notte di temporale, quando quell'abbraccio aveva spaventato entrambi. Anche adesso avevano paura, ma era una paura diversa. Era la paura di una notizia più grande di loro, paura di perdersi, paura di ammettere un errore che poteva costare un'intera vita di felicità.

“Georgie...Georgie...”

Abel continuava a ripetere il suo nome tra i singhiozzi, come se il suo nome fosse un'ancora di salvezza, un appiglio che potesse salvarlo da quella tempesta che li stava travolgendo.

“Abel...calmati...ti prego...”, gli sussurrava Georgie tra le lacrime, accarezzandogli i capelli, cercando di tranquillizzarlo.

“Abel, dimmi cosa vuoi che faccia...” gli disse, temendo la sua risposta.

Abel si tirò su e la guardò negli occhi.

“Cosa vuoi dire?”

“Dimmi cosa vuoi che faccia! Vuoi che ti lasci libero? Vuoi andare a conoscere il bambino? Cosa vuoi fare...”, disse Georgie, con gli occhi pieni di pianto.

“Georgie, io non voglio nulla di tutto ciò! Ma come ti viene in mente?”

Georgie lo guardò allibita.

“Come no? Abel, hai sentito o no cosa ha detto Jessica? Voi due avete un figlio!”

“No! Quello non è mio figlio, ne sono certo! Io non voglio andare da lei, io voglio restare con te!”

“E tu non sai quanto lo voglio io...ma ha ragione Jessica, non posso privare il bambino di un padre...”

“Georgie, no! Io non voglio lasciarti, né ora né mai! Io...vorrei...solo...sapere che tu mi ami...comunque...anche se sai..ciò che ho fatto...con lei...”

Georgie prese il volto di Abel tra le mani e lo baciò, come non aveva mai ancora fatto, mettendoci tutta la passione e l'amore che poteva, sperando che lui lo percepisse.

“Io ti amo adesso e per sempre, Abel Buttman. So perfettamente cosa è successo tra te e Jessica, e non sono certo qui per giudicarti. Non serve rivangare la disperazione che attraversavamo tutti in quel periodo. Abbiamo fatto degli errori imperdonabili, errori che purtroppo hanno segnato la vita di tante persone. Mamma Mary è morta per colpa nostra, ma ora, almeno tu, hai la possibilità di rimediare...”

“No, Georgie...no”, Abel la teneva stretta a sé e non voleva sentire ragioni. Per lui quel bambino non esisteva punto e basta, non avrebbe permesso a Jessica di intromettersi nella sua vita con Georgie.

“Senti, Georgie, che ne dici se torniamo a casa? Ce ne stiamo un po' sul dondolo nel portico, o ci facciamo un bel bagno caldo insieme, così magari ci rilassiamo e riusciamo a parlare con più calma, che ne dici?”, le chiese Abel con dolcezza, accarezzandole una guancia.

Georgie annuì, e si lasciò guidare a casa dal suo Abel.

Ma la piccola pace e ritrovata intimità di quella sera non furono altro che una piccola tregua prima dell'ennesima tempesta che il giorno dopo li avrebbe colpiti.

Abel uscì per andare al cantiere, felice perché aveva trascorso una notte d'amore con Georgie e l'aveva sentita vicino a sé, e si dimenticò della visita che lei aveva fatto il giorno prima.

Georgie, invece, aveva deciso di non dire nulla ad Abel perché non voleva influenzare la sua decisione di accettare o meno il figlio di Jessica. Aveva amato il suo Abel con passione, con amore, con tutta se stessa, quasi fosse l'ultima volta che aveva la possibilità di farlo.

Con gli occhi velati di lacrime si apprestò ad andare nella sua camera per terminare dei vestiti, ma come si alzò vide tutto nero, e cadde.



Abel cavalcava verso casa come un pazzo. Aveva ricevuto il messaggio dello Zio Kevin che lo informava di aver trovato Georgie a terra priva di sensi e aveva sentito una voragine inghiottirlo al solo pensiero che le potesse succedere qualcosa.

Quando giunse a casa, spalancò la porta con la mano e si trovò davanti lo Zio Kevin e il dottor Steward.

“Abel, benedetto ragazzo! Che modi sono? Vuoi farci morire d'infarto?”, lo rimproverò il vecchio zio.

“Zio, dov'è Georgie? Cosa è successo?”, chiese lui, sconvolto dalla preoccupazione.

“E' in camera. Sta dormendo”

Abel andò da lei e la trovò a letto, pallida, sudata, ansimante. Stava soffrendo molto, era evidente.

“Dottore, cosa è successo alla mia Georgie, cos'ha?”

“Ha una violenta febbre, molto alta. Stanotte dovete vegliarla e fare in modo che la febbre non salga. Non fatele mai mancare un panno bagnato sulla fronte, e se dovesse sudare troppo, cambiatele spesso i vestiti. Io passerò domani mattina a vedere come sta, e spero di trovarla meglio.

Certo che, nelle sue condizioni, una febbre così non ci vuole proprio...”

Abel, che stava riempiendo il catino con dell'acqua fresca, si voltò di scatto.

“Quali condizioni? Cosa mi nascondete?”

“Come? Non te ne ha parlato? Ieri Georgie è venuta da me, credevo lo sapessi...”

“Sì, lo sapevo...ma poi...ecco...non ne abbiamo parlato. Dottore, cosa sta succedendo?”

“Abel, Georgie è incinta.”

La brocca che Abel teneva tra le mani si infranse sul pavimento e lui cadde in ginocchio, battendo i pugni sul pavimento.

Il dottore e lo Zio Kevin si guardarono spaventati.

“Abel...oddio...Abel...non fare così...vedrai che Georgie si riprenderà”, disse lo zio mentre cercava di aiutarlo a tirarsi su.

“No Zio, tu non capisci, non puoi capire...adesso è tutto chiaro...adesso ho capito perché Georgie ieri si è comportata così...”

“Abel...io non capisco cosa tu stia dicendo...”

“Nulla, zio, nulla....Per favore, lasciami solo con Georgie.”

“Ma Abel, non puoi fare tutta la notte di veglia accanto a lei, lasciati aiutare.”

Ma Abel fu irremovibile. Prese una sedia e si mise accanto a Georgie, le prese una mano e la tenne stretta tra le sue, mentre sorridendo disse allo zio di andare a casa.

“No Zio, baderò io a mia moglie e a nostro figlio. Ma ti ringrazio, e ti prometto che ti farò subito chiamare se avrò bisogno di aiuto.”

E così fece. Si occupò di Georgie tutta quella notte, e quella dopo, e quella dopo ancora perché, nonostante le cure e le aspettative del medico, Georgie continuava a non riprendere conoscenza.

Abel non si allontanava mai da lei, notte e giorno, ed era ormai sfinito. Lo Zio Kevin si era trasferito da loro nonostante tutte le rimostranze di Abel che alla fine aveva dovuto ammettere che senza il suo aiuto, non ce l'avrebbe fatta. Insieme cercavano di nutrire Georgie con brodi e la facevano bere, ma erano entrambi preoccupatissimi del fatto che lei non si riprendesse.

Era cosciente, questo sì, perché passava le ore a chiamare il nome di Abel, e lui, ogni volta che si sentiva chiamare, le prendeva una mano, si sedeva accanto a lei e le parlava, sperando che questo l'aiutasse a riprendersi.

Il quinto giorno, il Dottor Steward chiamò Abel e gli disse che aveva intenzione di chiamare un suo collega da Sidney, perché non riusciva a trovare una motivazione scientifica a quella febbre.

“Motivazione scientifica? Cosa vuol dire, Dottore, non vi capisco...”

“Abel...ti parlerò con franchezza....Quando è venuta da me, Georgie era terrorizzata dal possibile esito della visita. Voleva con tutte le sue forze che fosse positivo, continuava a ripetere che il suo più grande desiderio era quello di darti un figlio, che lo considerava il modo migliore per dimostrarti il suo amore. Ora...scusa la domanda...ma tu...questo figlio lo desideri?”

Abel lo guardava perplesso.

“Sì, certo. Che domande mi fa?”

“Quindi Georgie non avrebbe dovuto temere il momento in cui te lo avrebbe confessato, giusto?”

“No, assolutamente. E lo sapeva! Dottore...state dicendo che può essere un motivo di origine...emotiva...o mentale...?”

“Esatto. Ora, se lei non aveva motivo di aver paura della tua reazione, perché non te ne ha parlato?”

Abel ripensò a quel giorno, e scoppiò a piangere.

“Abel! Che succede? Scusami, io non voglio intromettermi tra di voi, ma se vogliamo aiutare Georgie, devo sapere tutto...”

E così Abel raccontò tutto ciò che era successo, non tralasciando nessun particolare, affinché il medico avesse un quadro chiaro della situazione. A fine racconto, il medico scoppiò a ridere.

“E' assurdo! E' assurdo! Ora ho capito...”, disse, ridendo.

“Dottore, per favore...”

“Sì, Abel, scusa, ora ti dico tutto”, continuò sempre ridendo “Oddio, scusami. Ecco, adesso posso raccontare tutto, Vedi, il fatto è che Jessica ti ha raccontato una miriade di fandonie!”

Abel sgranò gli occhi.

“Ne siete certo?”

“Sì, ragazzo mio, sì. Sono io che ho fatto nascere il bambino di Jessica e mi ricordo perfettamente quella sera, perché avevo appuntamento con tuo zio per andare a prendere la lapide per tua madre.”

“Mia madre? E cosa c'entra mia madre?”, chiese Abel, un po' perplesso.

“Vedi, Abel, qualche settimana prima un violento temporale aveva arrecato danni al cimitero e la lapide di tua mamma si era rotta, così lo zio Kevin ne ha ordinata un'altra, questa volta in marmo e mi ha chiesto di aiutarlo a montarla.”

“E quindi?”

“Il fatto è che il giorno in cui dovevamo montare la lapide era il primo anniversario della morte di tua mamma, quindi se ti fai due conti, capirai da solo che non puoi essere tu il padre di quel bambino!”

Abel si alzò in piedi di scatto.

“Dottore, è sicuro di ciò che dice?”

“Ma certo! Lo ricordo come se fosse ieri!”

Abel rise felice, talmente felice che prese in braccio il dottore, ringraziandolo all'infinito, dopodiché andò in camera da Georgie, si stese accanto a lei e cominciò a ripetere, come una litania che doveva aprire gli occhi, che aveva scoperto la verità, che il suo unico figlio era quello che aveva in grembo lei.

Sapeva che Georgie poteva sentirlo, per tanto la vegliò nuovamente tutta la notte, coccolandola, parlandole, cullandola e quando finalmente alla mattina sentì la fronte di lei più fresca, pianse di gioia.

Ci vollero altri due giorni, ma alla fine, una mattina Abel, che si era appisolato vicino a Georgie, stremato dalla fatica, si svegliò con la sensazione di essere osservato e si trovò i grandi occhi verdi di lei puntati addosso.

Non le disse nulla, la strinse a sé e pianse di gioia, godendosi quel momento che sembrava non voler arrivare mai.

“Abel...” si sentì chiamare, con il cuore che stava esplodendo dalla gioia.

“Shhh, Georgie. Non dire nulla...abbiamo tutto il tempo per parlare.”

Lo Zio Kevin, svegliato dalla voce di Abel, li scoprì abbracciati e rimase un po' a guardarli, incerto se interrompere quel momento tanto privato, ma quando Georgie alzò lo sguardo e lo vide, corse anche lui a stringere i suoi nipoti.

Quella giornata trascorse serena, i due aiutarono Georgie ad alzarsi, a lavarsi, a vestirsi e attesero anche il responso del Dottor Steward che, dopo aver visitato Georgie, in presenza di Abel, come lei aveva imposto, confermò che anche il bambino sembrava stare bene.

“E certo!”, esclamò Georgie “è un Buttman, ovvio che sia forte!”

Abel le schioccò un bacio, e poi decise di giocare un po' con lei

“Perché un Buttman? Magari è una Buttman...”

“No no, è un lui, fidati. Lo so, me lo sento. Sarà un lui, che mi farà disperare tanto come suo padre...”, disse Georgie, scherzando.

Lo sguardo di Abel si oscurò.

“Georgie, potrai mai perdonarmi?”, le chiese, affranto.

“Abel io non ho nulla da perdonarti, lo sai...”

“Non è vero. Ho rischiato di buttare tutto all'aria, di perdere tutto...di perdere te, e il bambino...”

“Ma non è successo, ed è questo quello che conta. Basta, non mi interessa più il passato, quello che è stato è stato, adesso pensiamo solo a noi, vuoi?”

“Certo. E giuro che non permetterò mai più a nessuno di interferire nella nostra vita...”

Georgie si accoccolò tra le braccia di Abel, beandosi di quel calore che lui le riusciva a trasmettere e si addormentò, finalmente serena.

Quella sera, quando tutti lasciarono la casa, Abel si mise a guardare Georgie mentre dormiva e si commosse nel vederla così forte, determinata, ma anche tanto fragile. Era la sua Georgie, la bambina che aveva amato dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei, e adesso era lì con lui, viveva con lui, per lui, soffriva con lui e per lui, sognava con lui e di lui. Era la sua Georgie, nella loro camera, che dormiva serena, ed era incinta. Tutto il suo mondo era in quella camera da letto, non aveva bisogno di altro e così, dopo aver trascorso un tempo infinito ad ammirarla, si stese accanto a lei, a loro, per trascorrere una notte serena finalmente insieme.


 



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Capitolo 12
*** CAPITOLO 12 ***


australia12

E' passato quasi un anno dall'ultimo aggiornamento e me ne scuso caldamente, ma a mia giustificazione vi posso dire che è stato un anno particolare che ha visto un tremendo calo di ispirazione e anche l'arrivo della mia seconda figlia, quindi le energie le ho investite in altro... 

Ecco a voi la conclusione di questa mia stora su Georgie, spero tanto che la apprezzerete e se vorrete lasciare un commento piccino piccino io ve ne sarò molto grata! Un  grazie a tutti quelli che l'hanno letta, commentata, messa tra le seguite e preferite. Spero di ritrovarvi presto, perché ho già in mente una nuova storia, un cross-over tra Georgie e Lady Oscar...follia pura da fanwriter!!! 

Un bacio dalla vostra Karmilla 





Come capitava ormai da alcuni giorni, Georgie sentiva provenire dal giardino il rumore del martello che batteva su assi di legno di varia fattura.

Non aveva bisogno di chiedersi cosa stesse accadendo perché conosceva la risposta da sola, pertanto prese in braccio il bambino ed uscì.

“Abel, cosa stai combinando ancora?”

Trattenne a stento una risata nel vedere l'ultima creazione di suo marito: una barchetta, con tanto di vela e remi, che poggiava su ruote.

“Come sarebbe a dire, Georgie? Sei stata tu a dirmi che avevo costruito un regalo che non era adatto ad Andrew!”

“Sì, è vero...ma spero che tu sia d'accordo con me nel dire che una casa sull'albero non è propriamente adatta ad un bambino di tre mesi!!!”

“Come sei difficile...non ti ricordi che ce l'avevamo anche noi?”

“Certo che mi ricordo, ma non eravamo così piccoli!”

Certe volte Georgie faceva fatica a credere all'ingenuità di Abel.

“E non ti è andato bene nemmeno il pony! Io vorrei che nostro figlio imparasse a cavalcare...”

“Va bene, lo vorrei anch'io, ma che dici se prima gli insegniamo a camminare?”

“Hai sempre ragione tu...almeno questa barchetta ti andrà bene, spero...”

“Abel...”, disse Georgie con lo stesso tono di voce che usava quando voleva comunicare con il loro bambino, “Andy non sta ancora seduto, è un po' prematuro, ma se magari lo porti con te possiamo provare...”. Georgie pensò che forse patteggiare con il marito era la strada migliore per non urtare nuovamente la sua suscettibilità.

Da un po' di tempo a quella parte, casa Buttman era sempre uno scontro su cosa si poteva o non si poteva fare per il piccolo Andrew. La lotta era iniziata già durante la gravidanza, quando Georgie aveva deciso che se il piccolo fosse stato un maschio, avrebbe portato avanti la tradizione di un nome che iniziasse con la “A”, mentre Abel avrebbe voluto tanto che il piccolo portasse il nome di suo padre.

“Georgie, da che mondo è mondo è il padre che decide il nome per il figlio maschio, quindi se il piccolo sarà un maschietto si chiamerà “Eric” e su questo non accetto discussioni!”

“Va bene, Abel, va bene...”

E infatti, pochi mesi dopo venne alla luce un bel maschietto di nome Andrew, che era la gioia di mamma e papà, oltre che un perfetto connubio tra le caratteristiche estetiche dei due: bello come Abel e con i suoi stessi capelli scuri, ma con i vivaci occhi verdi di Georgie.

Quel piccolo esserino aveva completamente trasformato Abel, lo aveva reso suo schiavo tanto che spesso Georgie si chiedeva se Andy fosse già più maturo del padre.

La realtà era che Abel era fuori di sé dalla gioia, si sentiva finalmente un uomo realizzato e felice e per questo non perdeva occasione per regalare al piccolo qualsiasi cosa gli passasse per la testa, anche a costo di sembrare ridicolo.

Georgie, dal canto suo, adorava prendere in giro Abel e lo faceva il più possibile principalmente per evitare di mettersi a piangere dalla commozione ogni qual volta lo vedeva armeggiare con travi, viti e martello per il loro piccolino. Era contenta di vedere Abel così sereno e felice, sentiva di non aver bisogno di niente altro al mondo che suo figlio e suo marito.

Spesso si sedevano fuori nel porticato insieme al loro bambino, dondolandolo nella culla che aveva già protetto i sonni dei tre Buttman e che Abel aveva trovato nel solaio, ristrutturandola completamente in previsione della nascita del suo primo figlio.

Rimanevano ore intere in silenzio a guardare il loro bambino, e un giorno Georgie si decise a chiedere ad Abel a che cosa stesse pensando.

“Nulla in particolare, mi chiedevo solo se fosse giusto essere così felici”

“Perché ti chiedi questo? Non ti sembra che abbiamo sofferto abbastanza?”, gli chiese Georgie, un po' perplessa.

“Vedi, Georgie, io ho desiderato questo da sempre, sono andato contro tutto e tutti, ho fatto del male alla mamma, ad Arthur e anche a te, per colpa di questo mio desiderio. Sono stato egoista per molto tempo, e adesso mi sembra impossibile che sia andato tutto a posto...”

Georgie lo guardava con lo stesso sguardo rapito ed innamorato di tanti anni prima.

“Non devi dire così, Abel. Io credo che non abbia più senso rivangare ciò che è successo tanti anni fa. Penso che le cose dovevano andare così, il nostro destino era quello...”

“Georgie, c'è un'altra cosa alla quale penso spesso, o meglio, mi chiedo spesso.”

Il tono serio con cui Abel aveva parlato allarmò Georgie.

“Dimmi, Abel. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, vero?”

“Ecco, vedi...spesso mi chiedo se tutto questo sia davvero giusto per te. Voglio dire...tu sei una contessa, se fossi rimasta a Londra avresti un tenore di vita completamente diverso e ora che abbiamo un figlio mi chiedo se sia stato giusto portarti via da lì. Georgie, dimmi la verità, sei davvero felice di vivere in una casa così modesta, di dover lavorare per vivere, di non avere i lussi e gli agi che potrebbe darti tuo padre?”

Georgie si alzò e si appoggiò ad uno dei pali che reggevano il porticato.

“Abel, non devi mai più pensare una cosa del genere. Io sono felice qui, non potrei essere più felice in nessuna parte del mondo. Ho te e il nostro bambino, e questo non solo mi basta, ma è molto di più di quanto ho mai sognato.

Abel, ricordi cosa mi dicesti nella serra di Lowell? Avevi ragione! Io, una ragazza che era abituata a correre a piedi nudi nei prati, non avrei mai potuto abituarmi alla vita di città. Io sono felice qui, la mia terra è l'Australia, e la mia vita siete voi due.”

Abel si alzò ed abbracciò forte sua moglie, felice di ciò che lei le aveva appena detto, ma consapevole del fatto che il rimorso di aver allontanato Georgie e suo padre non lo avrebbe mai lasciato.

“Georgie, non desideri rivedere tuo padre?”

“Certo che sì, ora più che mai. E vorrei rivedere anche Arthur, e Maria, e tutti gli amici che abbiamo lasciato a Londra....Chissà, magari un giorno, quando Andy sarà più grande, potremo fare un viaggio e andarli a trovare, no?”

“Certo, lo faremo. E mi piacerebbe portare anche lo Zio Kevin. Sta invecchiando e la fattoria è diventata un compito troppo gravoso per lui. Vorrei tanto aiutarlo di più, ma il cantiere navale mi occupa la maggior parte del tempo. Se solo Arthur fosse qui...”

Rimasero ancora un po' abbracciati a godersi lo splendido tramonto australiano, ma entrambi pensarono la stessa cosa: era giunto il momento di contattare Arthur.


Tre anni dopo...

“Georgie! Georgie dove sei? Muoviti, siamo in ritardo e la nave sta quasi per arrivare, rischiamo di non arrivare al porto in tempo!”

Abel era già seduto sul calesse, con Andrew seduto sulle sue gambe che cercava di togliergli le briglie di mano.

“Piccolo, sta' buono, altrimenti il cavallo si imbizzarrisce!”, Abel l'ammonì dolcemente

“Sìììì, colli colli cavallino, colli veoce veoce!”

“Georgie! Ti prego, o qui Andy fa scappare il cavallo!!!”

“Arrivo!!!” rispose Georgie tutta trafelata.

In un attimo eccola comparire sulla porta, tenendo il cappello in una mano e portando in braccio una bimba di poco più di un anno.

“Scusa, Abel, non riuscivo a trovare le scarpine di Sophie, questa monella le aveva nascoste!”

Disse Georgie salendo sul calesse, accanto a suo marito e al loro primogenito.

“Va bene, ma adesso andiamo, o davvero arriveremo dopo la nave!”

Non stavano più nella pelle.

Arthur, Maria ed il Conte Gerald stavano arrivando. Era stato Abel a scrivere al fratello, chiedendogli di tornare in Australia almeno un'ultima volta finché lo Zio Kevin era ancora in vita. Abel aveva raccontato con esattezza quale fossero sia le condizioni di salute del vecchio zio, che i problemi alla fattoria e sperava in cuor suo che il fratello avrebbe accettato di tornare, anche solo per un breve tempo, ma di sicuro non si aspettava la risposta che ricevette.

Arthur sarebbe tornato, sì, ma per restare. Anche lui sentiva la nostalgia di casa e così aveva proposto a Maria di trasferirsi, proposta che lei aveva accettato subito, stanca di essere ancora emarginata ed additata per la sola colpa di portare il cognome Dangering.

Quando i due ragazzi avevano raccontato il loro progetto al padre di Georgie, questi aveva chiesto di poter partire con loro, perché non avrebbe avuto senso restare a Londra mentre i suoi tre figli erano in Australia.

E così, appena terminati tutti i preparativi, il viaggio era cominciato: Arthur stava tornando.

Arthur e Maria avrebbero alloggiato nella fattoria dello Zio Kevin; la casa era stata modificata in modo da poter garantire a tutti i giusti spazi e la giusta libertà e lo Zio si era subito dimostrato entusiasta dell'idea, non vedeva l'ora di riabbracciare il suo adorato nipote.

Fritz, invece, sarebbe rimasto ospite per un breve tempo a casa della figlia, ma aveva già fatto sapere di essere in trattativa per l'acquisto di una casa in città e che si sarebbe trasferito non appena fosse stato tutto pronto.

E così questo giorno così tanto atteso da tutti loro era finalmente arrivato, a breve i tre fratello Buttman si sarebbero ritrovati, e questa volta per non separarsi più.

Georgie, se possibile, era anche più euforica di Abel, non vedeva l'ora di riabbracciare Maria, suo padre e il suo adorato Arthur.

Ma prima, aveva ancora una questione in sospeso da risolvere.

“Abel, per favore, prima di arrivare in città fermati al cimitero, voglio passare dalla mamma”, chiede ad Abel con un'espressione molto seria.

“Ma Georgie! Faremo tardi...” cercò di ribattere Abel prima di scorgere in sua moglie quello sguardo serio che lo fece desistere dall'andare oltre.

“E va bene...ma fai in fretta, però, d'accordo?”

“Certo!”, rispose Georgie con un gran sorriso.

Arrivati al cimitero, Georgie si diresse di corsa alla tomba della madre, lasciando Abel con i due bambini.

Raccolse un paio di rami di mimosa e poi si inginocchio vicino alla lapide, ripulendola dall'erba che era cresciuta intorno.

Dopo aver recitato una breve preghiera, decise di parlare con sincerità.

“Ciao, mamma. Sono Georgie. Non so se ti fa piacere che io continui a venire a trovarti, so che per te sono stata un peso e un problema, però vorrei che mi perdonassi. Io non avevo di certo intenzione di distruggere la tua famiglia...la mia famiglia....

Spero che tu, dal Paradiso, insieme a papà, ci stia guardando, soprattutto Abel. E' felice, è diventato un uomo meraviglioso, forte ed ostinato come te, ma estremamente dolce e generoso, come papà. La nostra vita è serena, allegra, gioiosa anche se dura...lavorare in due e contemporaneamente mandare avanti la casa e due bambini non è facile, ma ci sosteniamo a vicenda e ci aiutiamo moltissimo. Io spero che tu abbia visto tutto questo, e ti sia tranquillizzata. Sto facendo di tutto per rendere felice Abel, mamma, e non lo faccio per il rimorso che ho nei tuoi confronti, lo faccio perché lo amo, lo amo da impazzire e se dovessi mai vederlo infelice so che morirei. Non credevo che sarei mai stata così felice, e se solo avessi capito da subito che Abel era l'uomo giusto per me, chissà, magari non sarei scappata e le cose sarebbero andate in maniera diversa.

Ma ormai il passato è passato, non possiamo tornare indietro, vero?

Sai una cosa? Arthur sta arrivando! Sarà qui tra poche ore, insieme a sua moglie Maria e a mio padre, che vorrà sicuramente venire qui da voi a conoscervi e a ringraziarvi. Tra poco saremo di nuovo tutti insieme, finalmente.

Ho da chiederti un favore, mamma, devo dirti una cosa che Abel ancora non sa. Non temere, non gli sto nascondendo nulla, è solo che prima ho bisogno di dirlo a te...

Mamma, io vorrei il permesso di chiamare nostra figlia come te. Abel non lo sa ancora, ma sono incinta e so che sarà una bambina, lo sento.

Ti prego, mamma, dimmi di sì...”

Georgie rimase in silenzio in attesa di quelle parole che non avrebbe mai sentito, ma così come era successo ad Abel tanti anni prima, una leggera brezza agitò le fronde degli alberi e fece rotolare un rametto di mimosa direttamente sul grembo di Georgie che raccolse quel fiore delicato e, scoppiando in lacrime, ringraziò mamma Mary, dopodiché si alzò e corse felice da Abel.

“Eccomi, possiamo andare!”, disse ridendo e buttando le braccia al collo del suo adorato marito.

“Ehi, ferma un attimo, signorina. Cosa succede? Hai un sorriso radioso...devo pensare ad un incontro galante tra le lapidi?”, le chiede Abel, ridendo.

“Scemo....No, sono andata a chiedere alla mamma il permesso di chiamare nostra figlia con il suo nome”, disse Georgie pregustandosi già la sorpresa.

Abel guardò perplesso prima lei, poi la piccola Sophia che si era addormentata nel calesse, vicino ad Andy.

“Ma...Georgie...abbiamo sempre chiamato nostra figlia Sophia...perché vuoi cambiarle nome?”

Georgie scoppiò a ridere.

“Ma non lei! Quella che tra circa sette mesi arriverà!”

“Ah, ho capito...”, disse Abel, non realizzando però bene ciò che Georgie gli aveva appena detto.

Abel mise un piede sul predellino e poi si voltò sgranando gli occhi.

“Cosa...cosa hai detto? Una...bambina...Georgie...tu...”

Georgie rideva felice e in men che non si dica si senti stringere e sollevare in braccio da Abel, che rideva felice.

“Ma è meraviglioso, amore mio, un altro figlio! Non ci posso credere, è una notizia fantastica! Ma...come fai a sapere che sarà una bimba?”

Georgie si godeva le coccole e gli abbracci di Abel e, senza staccarsi da lui, disse che non lo sapeva con certezza ma che se lo sentiva, così come era successo per gli altri due bambini.

Si scambiarono un bacio e poi risalirono sul calesse alla volta del porto.

“Siamo arrivati appena in tempo, Georgie, ecco la nave!

Georgie, Abel e i due bambini si fecero largo tra la folla e arrivarono proprio nel momento in cui Arthur, Maria e Fritz stavano scendendo dal pontile.

Abel ed Arthur si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro, abbracciandosi e piangendo come due bambini, mentre Georgie e Maria li guardavano commosse.

Poi Georgie si girò verso suo padre, con le lacrime che le rigavano il viso, incapace di muovere anche un solo passo.

“Papà...”

Fritz aprì le braccia e solo a quel punto Georgie ci si tuffò dentro, continuando a chiamarlo e a riempirlo di baci.

“Papà, quanto sono felice che tu sia qui. Non sai quanto ho sentito la tua mancanza...”

“Anche io, bambina mia, anche io. Ti avevo appena ritrovata e l'idea di averti persa ancora una volta mi straziava. Solo il pensiero di sapere che qui con Abel sei felice mi ha consolato in tutti questi anni.”

“Sì, papà, sono molto felice e vedrai che lo sarai anche tu. L'Australia è un paese meraviglioso”, disse Georgie prendendo le mani del padre, mani che tremavano, e lei sapeva bene perché.

Fritz si voltò a guardare la nave, dalla quale scendevano persone allegre, sorridenti, felici di tornare in patria a riabbracciare i propri cari o felici perché cariche dei sogni tipici degli emigranti che sognano una nuova vita migliore di quella che hanno lasciato.

“Georgie, per me è così difficile...” disse stingendo la mano della figlia. “La prima volta che ho attraversato quella passerella, avevo catene ai polsi e alle caviglie...non so dirti neanche se fosse giorno o notte, perché non ho alzato lo sguardo da terra. Pensavo solo a te e a Sophia, ero certo che non vi avrei mai più riviste...”

Fritz tremava ancora, e alla vista degli occhi di suo padre inumiditi, Georgie si commosse.

“Papà, ora è tutto diverso...capisco che il dolore per quello che è successo te lo porterai nel cuore per sempre, ma riuscirai ad amare questo posto, vedrai. Ti insegnerò a vederlo con i miei occhi, e con quelli di Abel e vedrai che a poco a poco l'Australia non sarà più il luogo della tua prigionia, ma la tua nuova casa. Guarda, papà, guarda tu stesso, e cominciamo da subito.”, disse Georgie facendo voltare Fritz.

Non lontano da loro, Abel stava ridendo con Arthur, il quale aveva preso Andy sulle spalle, mentre Maria si stava facendo tirare il cappello da Sophia, che rideva felice tra le braccia della zia.

“Guarda, papà, è questa la tua famiglia adesso. Ci aspetta solo serenità, e nulla più!”

Fritz sorrise guardando quell'allegro quadretto famigliare e annuì. Era sicuro che, con Georgie al suo fianco, l'Australia avrebbe smesso di essere un incubo.

Arthur si voltò verso di lei e la guardò intensamente, mentre faceva scendere Andy dalle sue spalle. Non le disse nulla, ma si capirono con uno sguardo.

Georgie si mise a correre, spalancando le braccia.

“Arthur, fratellino mio!”

Arthur e Georgie si abbracciarono fortissimo e dopo pochissimo tempo anche Abel si unì a loro.

Sì, finalmente siamo tutti insieme. Dopo tanti anni, tante sofferenze, tante lacrime e dolore siamo qui, abbracciati, sotto il cielo caldo dell'Australia. Da oggi comincia una nuova vita. Noi tre, insieme.

Georgie non si era mai sentita più felice.










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