Redire

di eloise de winter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Redire ***
Capitolo 2: *** Vindicta ***
Capitolo 3: *** Pluvia et Nebula ***
Capitolo 4: *** Lux in umbra ***
Capitolo 5: *** Dolor et Lacrymis ***
Capitolo 6: *** Septuaginta ***



Capitolo 1
*** Redire ***


Redire
 

Nessuno credeva che avrebbero avuto nuovamente l'onore -o l'onere- di incontrarla, e invece eccola lì che camminava, il mento tanto in alto che per vedere dove passava doveva tenere gli occhi socchiusi, in un'espressione di superiorità ostentata ed esibita come si mostra, vanesi, al mondo un nuovo abito o un raffinato monile.

Ma, fiera ed orgogliosa, lei incedeva con il suo passo elegante tra due ali della folla che, come le acque del Mar Rosso di fronte al popolo ebreo, si aprivano di fronte a lei.

Rivolgeva un lieve, quasi impercettibile cenno del capo a coloro che le cedevano il passo inchinandosi, ma ignorava senza neanche far scorrere lo sguardo su di loro, coloro i quali non davano segno di volere neanche solo piegare leggermente il capo.

Arrivata alla base dell'antica scalinata che portava alla Cattedrale della Notte, prese con la mano di nero guantata l'orlo del vestito scuro e salì, un passo alla volta, ogni gradino candido che ostacolava il suo percorso.

Tutta la folla restava con il respiro imprigionato nei polmoni, trattenendo il fiato, ad aspettare il momento in cui, varcato l'arco affilato della Cattedrale, le croci benedette per bandire sarebbero improvvisamente arse e lei sarebbe caduta, bruciante, al suolo per la maledizione che, da prima dell'alba dei secoli, minacciava i redivivi .

Un passo….due.....ed entrò.

Le croci arsero, ma lei, impassibile se non per quel sorrisetto di scherno sulle labbra, si voltò verso il suo pubblico e disse

<< Signori, Eloise è tornata. >>


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Capitolo 2
*** Vindicta ***


Vindicta

 
 

C’era un odore acre nell’aria, quella sera.
 
Passi affrettati si potevano udire distintamente calpestare veloci l’acciottolato irregolare delle vie della Cittadella.
 
Quell’odore si impigliava nei vestiti e li impregnava con la sua essenza acre ma con un retrogusto di rose bruciate, come se un roseto si stesse lentamente consumando sotto le spietate, dolci fauci del fuoco ardente.
 
In effetti qualcosa stava realmente bruciando: un vecchio palazzo secolare, ora in rovina, stava ardendo da qualche parte nel borgo di Altieres.
 
Un fuoco vermiglio lo stava lentamente  logorando, ma nessuno era lì a godere di quello spettacolo macabro e meraviglioso.
 
L’edera rampicante un tempo verde e rigogliosa, ora ardeva tra le fiamme come un ornamento prezioso di un’opera d’arte, ormai consumata.
 
Le mura massicce, nonostante il fuoco, resistevano.
 
Una figura restava immobile, di spalle, ad osservare da sola tutto quello spettacolo.
 
Non aveva timore né di essere assalita per quei vicoli ormai deserti né di quel fuoco bruciante innanzi a lei.
 
Anzi, sembrava affascinata da quel gioco di luci e colori, e lo osservava, rapita.
 
Chiunque fosse passato di lì avrebbe certamente notato quell’odore ancora più accentuato di rose bruciate, ma avrebbe pensato che fosse dovuto all’incendio che divampava, ormai inestinguibile.
 
Ma la figura che osservava sapeva benissimo che la fonte di quell’aroma singolare non proveniva dalle fiamme, ma bensì dalle ceneri che esse avevano prodotto lambendo i non-morti e secolari corpi dei redivivi che lei aveva rinchiuso in quella che era diventata la loro tomba eterna.
 
Un ghigno si disegnò sul quel volto di siffatta bellezza e perfezione.

Quella creatura della notte così antica, ma pur sempre talmente giovane, era una delle più belle e perfette anche tra coloro che erano ritornati dopo la morte ultima.
 
Possedeva una grazia tale che era paragonabile soltanto al suo acume e alla sua intelligenza.

Il suo sarcasmo pungente e la sua freddezza stoica potevano competere solo con la passione che le accendeva gli occhi ogni qual volta che un libro le compariva tra le mani.
 
Non esisteva al mondo creatura più perfetta ed irraggiungibile di lei, a parte forse il leggendario Ashton Blackmore, che si diceva ella avesse conosciuto personalmente anni prima e che –ora che era tornata- avesse già visitato molte volte.
 
Ma anch’ella possedeva un segreto doloroso e mai svelato, di cui solo pochissimi di una cerchia eletta erano a conoscenza e che riempiva gli occhi di quella creatura della notte di ombre scure e di lacrime di sangue.
 
Un segreto inconfessato e mai perdonato.
 
Un segreto che tutti sapevano, ma che nessuno aveva considerato tale.
 
Per questo era così ben celato.
 
La rediviva si voltò.
 
Occhi scurissimi e infiniti si scontrarono con un paio di gemme violette.
 
« Sono morti, Ashton, li ho uccisi tutti. »

La creatura che aveva davanti le si avvicinò e, con gli occhi pieni di pietà e dolore, le disse:

« Hai avuto la tua vendetta, Eloise, ma Axel non tornerà mai più, e lo sai. È morto da troppo tempo. »

Una goccia di sangue imbrattò la superficie lastricata del vicolo e striò di rosso vermiglio le gote eburnee della fanciulla, che era immobile.
 
 
 

E una ragazza, in un angolo, scriveva.

 
 
Innanzitutto buosalve a tutti!

Detto questo posso anche andare a nascondermi in un angolino a scrivere cose idiote che nessuno leggerà mai.

Ma passiamo ai chiarimenti: ero veramente indecisa se continuare questa flash ma, in un attimo di follia, mi è venuta l’ispirazione, e allora ho scritto.

Questa fic doveva essere nel genere Sovrannaturale, ma ho preso troppi spunti dal libro Black Friars della nostra amatissima Savannah/Virginia de Winter ( il terzo, attesissimo libro sta per uscire a Luglio: Black Friars – L’Ordine della Penna!)

Quindi ho deciso di spostarla nel fandom del suo Libro.

Premetto però che non è necessario leggere i libri per capire ciò che io scrivo, perché è lontano e quasi del tutto slegato da ciò che Virginia ha scritto, solo i personaggi non mi appartengono, ma sappiate anche che li ho resi molto OOC.

Ecco, credo di aver detto tutto.

Spero che, qualunque siano le vostre emozioni riguardo questa folle fic, vogliate scrivermi e lasciare un commento.

Un bacio al sapore di neve

 
 

eloise
e.d.w.
 

p.s. il titolo, in latino, è Vendetta.

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Capitolo 3
*** Pluvia et Nebula ***


Pluvia et nebula.

 

 
Quella sera faceva freddo nella Vecchia Capitale: la pioggia si abbatteva, furiosa, sui vetri istoriati del Palazzo della Reggenza di Altieres, rimbombando per i corridoi deserti – o quasi.-
 
Solo in una stanzetta un camino ardeva ed illuminava due poltrone, producendo ombre sinistre che prendevano posto, in modo innaturale, su una di esse, che era rivolta verso le fiamme languenti del camino.
 
Qualcuno vi era seduto e sorseggiava da un calice pieno di un liquido vermiglio.
 
Immobile, davanti alla grande finestra che dava sul giardino verdeggiante e lucente di pioggia, stava una figura minuta circondata da vaporose gonne bianche, dal cui orlo si intravvedevano i merletti ed i pizzi neri delle sottogonne.
 
Il suo volto scolpito nel marmo era celato da una maschera di freddezza impassibile.
 
Le labbra sottili e vermiglie erano però atteggiate in una piega che tradiva lo sforzo di respingere i singhiozzi che minacciavano di squassarle il petto, ma gli occhi erano asciutti, non una lacrima imperlava le ciglia scure come merletto.
 
L’ombra seduta parlò:
 
« Eloise, io non sono la tua balia. Non posso sempre salvarti e starti dietro ogni volta che ti cacci in qualche guaio o fai qualcosa di assolutamente irrimediabile.»
 
Sul viso della fanciulla di ghiaccio si disegnò una smorfia di sdegno.
 
« Ho anch’io la mia età, ragazzina umana.»
 
La smorfia si trasformò in un ghigno e poi in dolore.
 
Un singhiozzo proruppe attraverso la sua gola dai recessi del suo cuore freddo e gelido.
 
« Ragazzina umana » era così che la chiamava Ashton quando non era ancora morta ed un giovane dai biondi capelli ed una chiave d’oro al collo passeggiava ancora, tranquillo, nei giardini e tra le aule dello Studium.
 
Lottò contro le lacrime, senza lasciare che esse bagnassero le sue gote pallide.
 
« Perdonami, Eloise » il tono di Ashton era sincero e un’eco dolorosa trapelava da quella melodia onirica.
 
« Volevo solamente intendere che non puoi passare tutta la tua.. esistenza a scovare ed uccidere tutti gli assassini di Axel, perché sai che i veri artefici non li prenderai mai. Semplicemente, non puoi ucciderli.» un sussurro dolce e carezzevole di una voce che era come oro liquido.
 
« Ti sbagli, Blackmore. Ti porterò i loro cuori su di un piatto d’argento e Dio solo sa chi potrà impedirmelo. Axel è morto, ma io voglio vendetta, e la otterrò. » la voce gelida, il volto che ancora osservava la pioggia.
 
Si girò e si avviò verso la porta, lasciando dietro di sè una scia di profumo, rose e neve.
 
Uscendo, gli occhi violetti di Ashton seguirono l’orlo delle sue gonne, dove nebbie lambivano, strusciandosi, i veli bianchi e neri, risalendo lievi fin sulle mani ricamate di pizzo scuro e poi più su, sulla croce di argento e ossidiana, simbolo del passato e del futuro di un qualcosa di andato ma mai completamente scomparso, e adagiandosi sul collo eburneo, spostando  i capelli scuri.
 
Ella scomparve, inghiottita dalle ombre del corridoio.
 
Pioveva ancora.
 
 

E una ragazza, in un angolo, scriveva.

 

 
 

 
Il titolo significa «Pioggia e Nebbie».
Dedicata a Joan, Piperita e Claire.
 

 
eloise
e.d.w.

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Capitolo 4
*** Lux in umbra ***


Lux in umbra

 
 



La campana della Cattedrale rintoccò cupa le tre ore dopo Compieta, in una melodia lontana.
 
La chiesa era buia, solo i lumini accesi dalle perpetue lucevano ai piedi di volti di marmo candido, in attesa di consumarsi e spegnersi.
 
Sotto l’altare maggiore una figura incappucciata osservava gli occhi d’ametista della statua di una Madonna del Sangue dai lunghi capelli neri, era forse l’unica persona a sapere la sua vera storia, la sua maledizione.
 
Un alito di vento, lieve come il sussurro di un amante e  come il bacio di un demone dannato, lambì dolcemente i lembi del mantello nero, spostandoli.
 
Allora egli sollevò le mani candide celate da guanti, anch’essi neri, e fece scivolare via il cappuccio.
 
La luce dei lumini illuminò i suoi capelli dorati, su cui le languide fiammelle sembravano colare come oro liquido.
 
Il volto era ancora celato dall’ombra, la luce non arrivava a lambirlo.
 
Lanciò un’ultima occhiata alla statua della Vergine Sanguinaria, si voltò e si incamminò lungo la navata centrale con passo elegante e fluido, così inumano nella sua grazia perfetta.
 
Arrivato ai portoni mastodontici della Cattedrale si fermò: erano chiusi.
 
Non era un problema.
 
Saltò, aveva visto una finestra aperta.
 
Santi e angeli lo guardavano dagli affreschi del soffitto, nell’ombra, e sembravano lanciargli occhiate spiritate, ma lui non vi badava.
 
Atterrò perfettamente in piedi, come un felino, regale e letale nel suo fascino mortale, sul sagrato della Cattedrale, poi scomparve nell’ombra.
 
Una figura nascosta nel buio di un vicolo aveva però riconosciuto quella chioma dorata, anche se l’aveva vista solo di sfuggita.
 


Perché era identica alla sua.
 
 
 


E una ragazza, in un angolo, scriveva.

 
 

Ho pubblicato due capitoli in mezz’ora.
Li avevo scritti qualche giorno fa, in treno e a scuola, durante una lezione particolarmente noiosa.
Mentre le finivo ascoltavo Turning Tables, di Adele, è veramente bella.
Non so perché ve lo dico, probabilmente nessuno leggerà mai queste righe, o se lo farà, sarà per caso.
A presto
 
 
eloise
e.d.w.

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Capitolo 5
*** Dolor et Lacrymis ***


Dolor et Lacrymis

 


Era appena sceso il buio, quando Eloise scese le scale del ballatoio di pietra di una vecchia residenza nobiliare nel Borgo di Aldenor, dove si era stabilita dal suo ritorno –in tutti sensi-.
 
I tacchi degli stivaletti neri risuonavano in un ritmico, ipnotizzante ticchettio e le gonne scure frusciavano sfiorando con l’orlo i bordi dei gradini duri e freddi, gelidi.
 
Gli alamari d’argento del mantello nero erano ben chiusi ed il cappuccio tirato fino a coprire la fronte lasciava intravedere solo lo scintillio innaturale dei suoi occhi scuri.
 
Pizzo del color della notte le ricamava le braccia e le mani, fino a poco al di sopra della conca morbida e pallida del gomito.
 
Arrivata al termine della lunga scalinata, prese a camminare nell’ombra, sempre più svelta, sulle pietre irregolari del selciato antico del Borgo di Aldenor.
 
Era immersa nei suoi pensieri, non riusciva a comprendere.
 
Perché dopo così tanti anni e dopo la morte di tutti –meno uno- dei suoi assassini, lei non riusciva ad accettare o solo a comprendere la morte di Axel?
 
Per giunta, rimuginò, Axel non era l’unico ad essere stato ucciso quella notte, anni fa, eppure il suo dolore era sempre stato incentrato sulla perdita del Princeps.
 
No, tutti e quattro i Vandemberg erano morti.
 
Tutti e quattro.
 
Su cinque.
 
Il quinto non era ancora nato al tempo di quel massacro, e nessuno a parte una ristretta cerchia di eletti ed amici sapeva della sua esistenza.
 
Anna aveva appena scoperto di essere incinta di un bambino quando…tutto ciò che era successo era accaduto.
 
Poi, Alexander William Vandemberg era nato.
 
Un povero bambino orfano di padre e nato nel dolore di una perdita immane, per la famiglia e per il Regno.
 
Gli rimaneva soltanto la madre e un vecchio consigliere del nonno come famiglia.
 
E lei.
 
Ma lei si era rinchiusa nel suo dolore, aveva passato mesi assente, lasciando che il tempo le scivolasse tra le dita sottili e bianche, senza neanche tentare di fermarlo, e ad adattarsi a…lei.
 
La nuova lei.
 
Avevano tutti cercato di aiutarla, ma avevano fallito.
 
Solo una persona era riuscita a starle accanto e ad alleviarle in modo infinitesimale  la sua pena: Ashton.
 
 Ma non si era mai ripresa, anche se era uscita dal suo doloroso e volontario isolamento.
 
Era riuscita a svegliarsi e a trovare qualcosa per cui valesse la pena –letteralmente- lottare: la vendetta.
 
Aveva passato anni a rintracciare, scovare ed uccidere tutti i responsabili della sua morte.
 
Ce l’aveva fatta, ma mancava ancora la persona –se così si poteva definire-  che era stata il mandante e il vero colpevole di tutto.
 
Lui aveva già tentato di uccidere lui, ma soprattutto lei, però doveva aver rivisto le sue prerogative ed allora aveva attaccato lui.
 
Uccidendolo.
 
E lei non avrebbe più avuto pace –per quanto potesse ottenerne un essere come lei- finché non avesse avuto il suo sangue a imbrattarle il volto, la sua testa su di un vassoio d’argento e il suo cuore, ancora pulsante, tra le mani.
 
Lo aveva giurato sulla sua anima dannata e su tutto ciò di sacro, per quanto questo potesse valere.
 
Venne riscossa da questi macabri pensieri da una mano che le si posò su volto e da un’altra che la attirò per la vita in un vicolo stretto e buio.
 
Con uno strattone si liberò e si voltò a fronteggiare il suo assalitore, al che la figura che aveva tentato di rapirla le parlò:
 
«Eloise, basta.»
 
Quella voce la folgorò, l’aveva sentita molte volte, ma ora era diventata, se possibile, ancora più musicale e morbida, ipnotizzante più di quanto –tanto tempo prima- non fosse.
 
Non riusciva a muoversi, non poteva muoversi, non voleva muoversi: temeva di spezzare l’illusione.
 
Non poteva essere.
 
Lui era morto!
 
Aveva pianto sul suo cadavere ancora tiepido, aveva visto il suo viso sparire in una bara e la bara venire tumulata in una cappella antica come la sua stirpe.
 
La figura nell’ombra avanzò fino ad entrare nel cono di luce proiettato dalla luna, che nel frattempo era sorta, piena e scintillante.
 
Alzò le mani e si abbassò il cappuccio: una chioma dorata catturò un raggio lunare e lo rifletté in un lampo d’oro.
 
Gli occhi di Eloise si riempirono di lacrime cremisi che scivolarono sul viso eburneo della fanciulla immobile, lasciando strisce di sangue scuro e denso.
 
«Tu dovresti essere morto» sussurrò, incredula.
 
 
 
 
 
 
 
 
lo so, è una carognata lasciarvi così sul più bello –ammesso che qualcuno abbia letto-.
Mi dispiace, ma mi sembrava la scelta più adatta.
Non so quando riuscirò ancora ad aggiornare, causa vacanze, ma spero di riuscire a farlo prima di Agosto almeno un’altra volta.
Detto questo, vi lascio, grazie di tutto.
 
 
 
eloise
e.d.w.
 

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Capitolo 6
*** Septuaginta ***


Septuaginta



Non c'era mai più stato niente che aveva potuto sorprenderla da quando Axel era morto, ma in quel momento si era dovuta ricredere: il volto che aveva davanti ne era la prova lampante.
 
Eloise osservava la figura nerovestita che le stava di fronte. La sua innata eleganza, i riccioli dorati che cadevano con grazia perfetta sugli occhi blu-azzurri che, nonostante vedessero perfettamente lo stupore della fanciulla, non lasciavano intravvedere alcuna emozione.

I minuti passavano interminabili, in un silenzio attonito e sconvolto. Lui aspettava solamente che la fanciulla si riprendesse, lasciandole tempo e spazio per realizzare che ciò che i suoi occhi le mostravano corrispondeva al vero.

Eloise non comprendeva.

Come era possibile che proprio lui fosse lì, quando sapeva bene che erano tutti morti?

L'unica risposta possibile poteva dargliela solamente colui che le stava davanti.

<< Perchè sei vivo?>>

Lui la guardò, interdetto e anche un poco divertito, << E' così che si saluta un vecchio amico, Milady? I tempi devono essere veramente cambiati, perchè permettano una tale scortesia, non trovate mia cara? Oh, e giusto per sapere, quali sarebbero i suddetti tempi?>>.

<< Oh, Bryce!>>, gemette lei gettandogli le braccia al collo.

Lui la strinse forte, sapendo che comunque non avrebbe potuto farle nulla, neppure volendo.

Sul volto della fanciulla comparve, silenziosa, una lacrima rossosangue, che scivolò sulla gota pallida perdendosi nelle labbra della giovane. 

Si staccarono lentamente e lei, guardandolo negli occhi, gli disse con voce imperiosa, ma che suonava alle sue orecchie così tremendamente implorante << Dovrai dirmi tutto, Bryce>>.

I suoi occhi si offuscarono << Settant'anni. Sono passati settant'anni>>.









Ehm, ciao.
Si, lo so, sarei da uccidere ma...va beh lasciamo stare.
Comunque, eccomi qui di nuovo. Il titolo del capitolo significa Settanta, penso si capisca abbastanza.
Vorrei precisare che il titolo della storia non è inglese, ma latino e significa "ritornare", in riferimento a tutte le seconde nascite di questa storia e soprattutto a quella di Eloise.
Un bacio




eloise
e.d.w.

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