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Orbene.
Questa storia merita
–richiede obbligatoriamente- una premessa, più
premesse.
-non
ha senso (ma proprio nessuno)
-io
NON vedo ASSOLUTAMENTE le cose in questo modo: questa coppia NON HA RAGIONE di
esistere ed è ridicola
-Mi è
venuta in mente (la coppia) mentre
stavo in casa a pirlare,
ma è stato solo uno stupido pensiero al quale non volevo dare corda.
Accidentalmente però, due soli giorni dopo, il pairing mi è stato risuggerito da un’individua riprovevole
cui sarebbe interessato leggere qualcosa in proposito. Prendetevela quindi
tutti quanti con la cara sourcream
per questo obbrobrio
-Questa fic è solo una
preparazione alla storia che scriverò appunto per la gentile signorina
in questione. Non è una slash
vera e propria, il pairing
è solo accennato (diavolo, devo pur prepararmi allo shock..) E’ una specie di
esercizio e di studio sui personaggi e sui cambiamenti che dovrò
apportare al loro rapporto visto che per me di solito non sono altro che
l’esempio perfetto e sublime di quel che significa il termine
“Amicizia”
Credo
sia tutto.
PICCOLA MODIFICA:
Ho
aggiunto a mo’ di presentazione alcuni versi di una canzone che mi piace
molto e mi pare calzante.
Marzo 1996
Cantare il tempo
andato
sarà il mio
tema
perché negli anni
è uguale
sempre il problema.
E dirò sempre
le stesse cose viste sotto mille angoli diversi,
cercherò i
minuti le ore i giorni i mesi gli anni e i visi
che si sono persi,
canterò
soltanto il Tempo.
E ora dove sei
Tu che sapevi
ridare ai giorni e ai
mesi
un qualche senso?
La giostra dei miei
simboli
fluisce uguale
per trarre anche dal
male
qualche compenso.
E dirò di
pietre consumate di città finite e morte sensazioni,
racconterò le
mie visioni spente di fantasmie gente
lungo le stagioni,
Le
storie, a me, è
sempre piaciuto viverle, tuffarmici
dentro, non guardarle o raccontarle. Sono
sempre stato così, è il mio carattere. Per questo
mi è tanto difficile, adesso, rimanere fermo a guardare gli altri che
agiscono senza poter fare nulla, nemmeno la più piccola cosa.
E lo stesso, non avevo intenzione di prendere in mano
la penna d’oca. Ma forse è lo scorrere delle ore, così
lente ed estenuanti, in questa casa che è la più detestabile
delle prigioni, che mi fa
cercare disperatamente un appiglio a cui aggrapparmi per far sì che i
minuti scorrano un po’ più rapidi, meno incisivi, più
leggeri. Non sono neanche un gran pensatore –e, colpa più grave,
non per stupidità, ma per pigrizia mentale, per comodità
d’azione- e solitamente alla riflessione sostituisco l’impulso,
l’istinto. Ma ora, nel silenzio della casa sempre vuota, la mente mi si
affolla, nelle lunghe ore di inoperosità,
finodiventare un garbuglio nel
quale ho bisogno di fare un po’ di ordine, mettere dei punti fermi,
scoprire un minimo di chiarezza.
Remus ha sempre detto che scrivere è il modo migliore per ordinare
la mente.
E allora, scriviamo.
A
volte sono seduto, qui, in silenzio-
Spesso
sono seduto qui in silenzio, non ho molto altro da fare, non posso andare da
nessuna parte, fare niente di utile
se non pulire questo posto odioso e immondo, con quell’Elfo psicopatico che mi ronza
intorno cercando di nascondere le reliquie, brontolando insulti rivolti alla
mia persona finchè
non lo scaccio a calci.
Spesso,
appunto, sono seduto qui, in silenzio, con una bottiglia e
l’accompagnamento musicale del fuoco nel camino che crepita, e penso.
Penso
a cosa sono diventato, a cos’è la mia vita adesso, e a quello che
era un tempo. Una volta, ero felice, me lo ricordo. Non so più bene cosa
si provasse, ma lo
ero davvero. Potevo –potevamo- ridere per ore ed ore consecutive, senza
fermarci mai, senza nemmeno che ci fosse
una vera ragione. Anche
verso la fine, quando tutto iniziava ad essere buio e minaccioso, ci riuscivamo
ancora. Lily ci guardava di sottecchi, non capiva – non poteva capire- mentre le
sghignazzate investivano ogni angolo, ogni vano della casa. Sprofondavo nel divano
dei Potter e ridevo
a piene ganasce, mentre James,
spalmato nella poltrona accanto, si teneva la pancia con le mani, la testa
piegata indietro e gli occhi chiusi, strizzati, sghignazzante. Mi prendeva una
mano cercando di dirmi qualcosa ma
non ce la faceva, ridevamo ancora di più, fino a star male.
Eravamo
molto innocenti.
Se ci ripenso, adesso, mi viene ancor più
tristezza.
Non
abbiamo mai capito niente. Vivevamo
tutto in modo pulito e trasparente, non capivamo le sfumature.
Forse l’unico che ha mai vagamente intuito qualcosa è stato Remus, che ci guardava
dall’esterno e vedeva quel che noi stessi rifiutavamo inconsciamente di
cogliere.
La
prima volta che ho parlato con JamesPotter l’ho
odiato. E’ buffo, pensando a quanto poi è stato importante per me.
Aveva ragione Piton, anche se è
seccante ammetterlo: non eravamo niente l’uno senza l’altro; non
avevamo stimoli, non c’interessavano obiettivi e risultati che non
potessimo raggiungere insieme. Vivevamo l’uno della presenza
dell’altro, e adesso voltandomi mi chiedo come sia possibile che nessuno di noi
due abbia mai capito niente. Era così ovvio.
Mi
ripetevo ossessivamente, quando abbracciavo James, che la sensazione di benessere e calma
che mi pervadeva era dovuta
al fatto che quello fosse il mio migliore amico, mio fratello. Durante quell’estate del
sesto anno, a casa dei suoi, quando per quasi due mesi abbiamo diviso lo stesso
letto –e dire
che ce n’erano altri nella cascina, ma mai nessuno di noi due
s’è sognato di farlo presente all’altro- e ci svegliavamo la
mattina appoggiati l’uno all’atro, la mia testa sul braccio di James, la sua gamba sopra
la mia, mi dicevo solo che avevo dormito con mio fratello. Non c’era
altro da prendere in considerazione.
E in effetti tanta granitica
certezza non fa che confermarmi quanto intensamente non volessimo percepire la
realtà.
Vivevamo
in una bolla, un mondo parallelo in cui normalmente i migliori amici passano la
maggior parte del tempo appiccicati,
uno addosso all’altro, senza che la cosa sia minimamente strana o
ambigua. A guardarci da fuori doveva essere un po’ strano, eppure Remus e Peter hanno sempre
assecondato questa recita involontaria con naturalezza, forse perché
anche per loro la realtà sarebbe stata troppo assurda, troppo
disturbante.
Che
cosa pensasse Lily,
di me e James, non
lo potrò mai sapere. Ma adesso che ho capito, mi rendo conto che la sua
gelosia nei miei confronti –quella stessa gelosia di cui tanto mi lamentavo con James, avvelenandogli le
giornate- non era poi così assurda e immotivata come professavo anche
con me stesso. La sua sensibilità, il suo amore per suo marito, dovevano aver spinto il suo
sguardo molto più in là di quanto arrivasse il nostro.
Spesso
mi chiedo cosa
sarebbe stato delle nostre vite, se avessimo ammesso con noi stessi che cosa
davvero ci univa. E’ un pensiero divertente, dolce e amarissimo al tempo
stesso, una piccola incognita di rimpianto e nostalgia che mi attanaglia nelle
ore vacue di GrimmauldPlace. Forse sarebbe
stata una storia da vivere, quella, un’avventura da romanzo intensa e toccante, come i grandi
amori dei film Babbani.
Grandi
amori… E’ la prima volta che uso la parola amore riferita a James, eppure è
questa la realtà. Eravamo innamorati, probabilmente molto più di
quanto lo siano tante
coppie “normali”. Il massimo di noi stessi lo davamo insieme, e sempre e comunque
l’uno per l’altro.
Azkaban non ha potuto nulla su di me –è
strano, come il ricordo della prigione sia sempre presente nella mia mente,
sbucando fuori anche quando non centra nulla- perché quando sono
arrivato lì ero già grossomodo lo stesso di oggi. Credono tutti che siano stati i Dissennatori a spezzarmi l’anima, e mi
sta bene che lo pensino. Ma
non è così. Ero già spaccato in due, dal momento stesso in
cui ho capito quello che era successo, e che la voce di JamesPotter, la sua risata, non le avrei sentite più. E
lo stesso, da quel poco che rammento
di quei momenti terribili, confusi, frenetici, mi ostinavo a negare a me stesso
la vera ragione della mia morte interiore.
Adesso
sono stanco, piegato, senza
più forze. La nostalgia diventa insopportabile, fiaccante.
Non ho più voglia di alzarmi dal letto quando mi sveglio, né di
mangiare, di parlare, di affannarmi a cercare tattiche e strategie. Mi trascino
avanti solo per Harry.
Questo
figlio che per certi versi è anche mio, perché non è
così semplice distinguere la persona di suo padre dalla mia, e
perché James
davvero mi vedeva come il secondo padre di suo figlio, il che è
indubbiamente indicativo.
Mi
chiedo come sia, per Remus,
stare a guardarmi mentre
lentamente mi spengo. A volte, quando siamo soli qui in casa, nel salone,
rimane per minuti e minuti
in silenzio, a fissarmi. Uno sguardo triste, impotente. Lo sguardo di chi guarda una persona cara andare via.
Perché non io e
James, ma io e Remus sì, siamo
fratelli.
Quando leggerai queste pagine, amico mio, sappi che mi
dispiace. Non stare in pena per me, non sto neanche davvero soffrendo. Ti do la mia
benedizione di Black,
capostipite della famiglia, sposati la mia cuginetta e vivi in pace, finalmente.
E se non ti fa male, finisci di leggere, così
almeno qualcuno sarà stato testimone, in qualche strano, vago modo, di
questa strana storia, un amore bislacco e mancato.
Ma vero.
Chiedo
scusa a chi non apprezzerà e soprattutto chiedo scusa ai miei due
amatissimi per lo scempio che sto facendo di loro. Ramoso, Felpato (Siiiis… Ti
prego… Non fare quella faccia!)… Perdonatemi.
Nella cerchia degli amici intimi, sono stato
l’ultimoa
venire a sapere del matrimonio; fatto strano. Quando
ne chiesi la ragione a James, mi rispose che aveva
voluto aspettare “il momento adatto”. Fu anche l’istante in
cui mi chiese di fargli da testimone: accettai immediatamente.
Non ricordo che sensazioni avesse
provocato in me quella notizia: ero contento, credo; James
lo era molto. Se anche ne ho sofferto, devo essermi
detto come sempre che era la mia solita, fraterna sindrome del Migliore Amico
geloso.
Un
po’ mi seccava il fatto che da allora in avanti
il tempo che avremmo condiviso sarebbe drasticamente diminuito, com’era
ovvioe naturale: era il mio unico
cruccio. Il bisogno che io Jamesavevamo
l’uno dell’altro era una cosa fisica, la necessità di
toccare, guardare l’altro, sentire concretamente la sua presenza.
Ma credo anche che dentro di
me sapessi, in qualche modo, che le cose sarebbero cambiate molto meno di
quanto apparentemente ci si potesse aspettare. Se c’è una
cosa che non è mai mancata tra me e James
è la manifestazione d’importanza reciproca; sapevo esattamente quando grande fosse, esarebbe rimasto, il mio spazio nella
vita di James, fiori d’arancio o meno.
Dapprincipio, diventai strano, quasi febbrile. Mi
facevo vedere pochissimo dai Potter, per lasciare
loro l’intimità dovuta ai novelli sposi, anzi credo per qualche
settimana di aver esagerato, sparendo. Stavo con Remus,
o da solo; rimorchiavo tantissimo. Quando incontravo James diventavamo quasi melensi, incollati. Poi, con
l’andare del tempo, le cose si stabilizzarono. Lily parve abbandonare
l’iniziale ostilità e cominciare a non trovare più
intollerabile la mia presenza –o forse semplicemente si rese conto di dovercisi rassegnare- e arrivò addirittura a prendere
l’iniziativa di invitarmi a cena, di tanto in tanto.
Ricordo che una volta, non avevamo forse ancora vent’anni, mi disse che le
dispiaceva, che si era sempre sbagliata sul mio conto e che non ero
l’individuo insopportabile, meschino e deplorevole che aveva pensato
durante tutti gli anni della scuola; le risposi sinceramente che per me valeva
grossomodo lo stesso discorso. In sintesi, ci venimmo incontro a vicenda. Ne
sono tuttora molto orgoglioso: nonostante l’ambiguità
–inevitabile, data la situazione- del nostro rapporto, Lily Evans è stata una persona da cui ho imparato molto,
sulla dignità, il coraggio e la tolleranza.
Lei
sapeva –quanto dov’essere stato doloroso, umiliante, quanta
impotenza e quanta solitudine deve aver sofferto- che
il suo posto nella vita di James non sarebbe mai
stato lontanamente grande quanto il mio. Credo che sia arrivata alla
realtà dopo il matrimonio, perché non era il tipo di donna da
accettare un simile compromesso, affatto. Era forte,
determinata e fiera, aveva molto orgoglio e molta determinazione. Mi
piaceva, Lily; a modo mio le volevo bene, solo che si era presa l’uomo di
qualcun altro. Il mio.
Con me ostentava una gentilezza e una simpatia che
non sono mai sfociate nella vera confidenza. Dal canto mio, i miei sentimenti e le mie sensazioni proiettati su di lei
erano contraddittori. Da principio, adHogwarts, quando ci inseguiva per tutta la scuola tentando
di farci stare buoni, la detestavo, la trovavo una seccatrice perbenista e
conformista. Quando si sono messi insieme, al settimo
anno, non so come mi sono sentito. Più che altro mi
dava fastidio il fatto che lei cercasse di cambiare delle cose di James, smussare certi lati del suo carattere e certi
atteggiamenti che per me erano così caratterizzanti di lui. Ai
miei occhi era veramente perfetto, sotto ogni punto di vista, e mi seccava che
una persona che non sembrava pensarla allo stesso modo mi portasse via il suo
tempo. Ma ovviamente continuavo a trincerarmi dietro l’affetto fraterno e
la grande amicizia, imputando ad essa una normale,
vaga gelosia.
Con l’andare del tempo, comunque,
mi sono affezionato davvero a lei: il suo amore per James
era evidente, le si leggeva in faccia che non voleva altro che il suo bene.
Questo mi rilassava, era la stessa cosa che volevo io: che James
stesse bene e fosse felice.
Sempre perché era il mio migliore amico.
Che cosa abbia rappresentato
Lily, per lui, non credo di poterlo capire. L’ha inseguita per tanti anni, ma a
volte penso fosse solo un sistema inconscio per negare a se stesso ciò
che ero io: trovarsi un altro obbiettivo, una differente ossessione, per non
dover vedere quella che aveva a fianco. Del resto, non credo pensasse
davvero di poterla ottenere: si era scelto, e a questo punto direi non a caso,
la ragazza che meno di ogni altra sembrava potersi interessare a lui, e se da
un lato questo era nel suo carattere –una sfida difficile, il gusto della
difficoltà e cose del genere- dall’altro gli garantiva anche un
certo margine di rilassatezza. Io, comunque, non
l’ho mai visto realmente ossessionato: non era uno di quegli amori che ti
tengono sveglio la notte o ti tolgono il sorriso finchè
non sono realizzati: quando la vedeva attaccava un bottone, faceva il
magnifico, e quando non c’erano passatempi più pressanti si
dilungava nel parlare animatamente di lei, o nel guardarla passare con un
sorriso sornione. In sei anni, l’avremo pedinata sì e no quattro o
cinque volte.
Penso fosse la mia
controparte socialmente accettabile, per James. Alla
sua maniera l’ha amata molto, rappresentava
tutto quel che avrebbe voluto avere se non ci fossi stato, tutto quel che
avrebbe reso perfetta e apprezzabile la sua vita. Bella, intelligente, forte,
onesta, leale: una compagna invidiabile, che l’avrebbe illuminato di
riflesso.
Era
molto egoista, Ramoso. Una volta, al sesto anno, mi confessò che si era
messo a parlare con me, il giorno dello Smistamento, perché tra tutti i
ragazzini del primo anno gli ero sembrato quello
più impressionante alla vista, il più invidiabile. “Uno che
averlo per amico ti fa sembrare fico”, disse.
Lo stesso dev’essere
stato per Lily. E risvegliava anche, immagino, quell’istinto di protezione che io non potevo certo
muovere in lui. Era incollato al modello tradizionale di riuscita nella vita, bella-famiglia-bel-lavoro e tutto
il resto. Per me era diverso.
Io avevo rinunciato alla mia normalità
rinunciando ai Black; mi ero strappato di dosso ogni forma di
appartenenza alla norma con la dedizione di un adolescente, e se dovevo
essere diverso lo sarei stato a tutto tondo, avrei dato modo di parlare di me.
Di farmi ammirare.
Passavo da una ragazza all’altra con la
frequenza con cui Peter cambiava i calzini, con
leggerezza, e con altrettanta leggerezza vivevo il mio
rapporto con loro. Se ci ripenso, mi sento in colpa.
Molte di quelle ragazze perdevano davvero la testa, stavano male da cani, mi
cercavano e ricercavano e tentavano di attaccarmi a loro, si disperavano
quando smettevo loro di rispondere, quando sparivo. Alcune si
appostavano persino sotto casa.
Io allora andavo dai Potter,
raccontavo l’ultima avventuraa James,
e attaccavamo a ridere. Adorava soprattutto i resoconti di
quando le scaricavo, e ora credo proprio di sapere il perché.
Ogni volta che ne conoscevo una nuova, commentava scrollando le spalle e
ridendo che era “uguale alle altre” e comunque
“tanto non dura”.
Melissa andò avanti quasi sei mesi. Un record, per i miei canoni che oscillavano tra una notte e due
settimane. Era una ragazza veramente bella, lei, di una bellezza piena,
interiore ed esteriore. Mi riempiva il tempo molto più
delle altre, anche se comunque non ero mai costante né minimamente
serio. Ritengo avesse capito quale fosse il modo
migliore per gestire il rapporto con me, mantenendo un certo distacco per non
farmi capire quanto fossi padrone della situazione. Credo sia stata la donna
che mi ha amato di più, nella mia vita, ma
anche quella che me lo ha dimostrato di meno. E le
piaceva molto, moltissimo andare in moto.
James non la sopportava.
Diceva che non avevano feeling,
semplicemente. Gli chiedevo come fosse possibile, visto che avendo feeling con
me avrebbe dovuto averne un minimo anche con lui, eravamo uguali. Faceva
spallucce, diceva che non aveva importanza, che
l’importante era che io stessi bene con lei.
Oggi, quasi mi riempie di orgoglio
e mi lusinga il sapere la vera motivazione: era geloso marcio.
A proposito della moto, poi, la sua gelosia
raggiunse toni quasi grotteschi.
James detestava la mia moto
volante: diceva che il solo modo sensato e sicuro per
volare era in sella ad una buona scopa, e non avrebbe accettare di fidarsi di
nessun altro trabiccolo. Io ne ridevo, anche se in fondo mi dispiaceva non
poter condividere con lui questa mia passione.
Un pomeriggio, ricordo, stavo raccontandoa Remus la gita che io e Mel
avevamo fatto sul LochNess
il giorno prima, ovviamente in moto, e mi trovai a dissertare su quanto fosse
straordinario poter spartire quella sensazione di libertà e gioia che mi
coglieva in volo con una persona cara. C’era anche James
lì con noi. Forse lo dissi anche per questo, perché non avrei mai
osato parlargliene direttamente o fare riferimento a lui. Mentre Remus, pacifico come sempre, annuiva ascoltando le mie
parole, James stiracchiò un sorriso e
osservò che conoscevo Melissa da poche settimane e non poteva certo
esserci già quella grande complicità.
Onestamente, lo guardai e gli risposi che “nella vita bisogna sapersi
accontentare”. Fu credo la cosa più audace che
gli abbia mai detto, e come tutte l’ho detta senza capirla davvero.
Quella stessa sera mi pare, come se niente fosse, James mi chiese un passaggio in moto per andare a casa. Da
allora prese l’abitudine di fare un violetto con me, di tanto in tanto.
Oggi, ci ripenso e mi sembra che fossimo
un ben strano triangolo, Lily, James e io. E Lily era l’anello debole della catena. E’
entrata in scena quando ormai tra me e lui c’era qualcosa di inattaccabile, profondo, consolidato e stabile da troppo
tempo. Non la mettevamo mai a parte dei nostri segreti, dei nostri
piccoli personali progetti: probabilmente ne soffriva, ma a parte
all’inizio, quando la sua ostilità nei miei confronti rasentava
l’isteria –avevo una pessima influenza sul suo ragazzo, a sentire
lei- l’ha sempre nascosto bene. Credo avesse capito che non ci poteva
proprio fare niente, che io venivo prima e sarebbe sempre stato così,
non c’era modo di evitarlo.
E non c’era davvero.
X eilantha:
Oh, grazie, molto composto e tranquillo il tuo commento, non mi sembri
sconvolta. Meno male. Mi fa piacere che tu voglia
continuare a leggerla, spero la tua impressione iniziale rimanga comunque positiva.
Mi ha fatto piacere di aver reso quasi credibile persino questo pairing… A presto
X Mary Cry:
Sì, non credo loro apprezzerebbero molto. ComunqueSirius non è morto
davvero, è stata una finta per potersene andare e rifugiarsi da una donna
a lui moooolto cara che so io… Un giorno vi
racconterò la storia. In realtà è molto fastidioso, sta
sempre appollaiato dietro le mie spalle a ficcanasare su cosa scrivo. E lo stile ti piace? Bene, mi fa molto piacere. Ho cercato
di fare in modo che sembrassero davvero pensieri buttati a ruota libera sulla
carta, non so se rende.
X sourcream:
brutta bestiaccia presuntuosa… Quante storie vuoi che ti dedichi? La tua
è quella che devo ancora iniziare… Ma
puoi accaparrarti anche questa, non credo che qualcun altro la
reclamerà.
Ke-rumph
Dedicata a Sourcreamandonions
InevitabilmenteSerpeverde, ottima autrice e futura mia coautrice –spero-
di una qualche storia,
nonché unica
appassionata di una coppia impensabile.
Se
vuoi metterti a litigare con gli altri commentatori
fai pure, basta che non mi coinvolgi.
X loyren: “se non ti
conoscessi come fanwriter”… Wow… Perché,
inizio ad avere delle credenziali? Wow, sarebbe una cosa strafica!
Mi fa piacere che l’hai trovata comunque ben
scritta, e quanto a Remus e Lily, se ti può
far piacere entrambi hanno un altro loro specifico spazio nei capitoli dopo
(come puoi vedere in questo…)
A
presto
X Mixky:… E la cosa mi riempie di orgoglio
e emozione. Ne deduco che nonostante il pairing non
ti è dispiaciuta. Mi aspettavo che mi mandassero tutti quanti a quel paese ma non è cosi… Che bello!
Adesso, che col filtro degli anni ho capito
cos’era veramente James Potter per me,e presumibilmente cos’ero a mia
volta per lui, credo di poter capire molte piccole cose degli atteggiamenti di
Remus nei nostri confronti. Certe occhiate, profonde, scavanti, che mi sono
ricordato solo di recente, quando finalmente ho capito. O quel suo tenersi
sempre appena al di là del margine, un filo soltanto, quasi
impercettibilmente ma mai davvero tra noi, come avesse intuito un legame
particolare, solo nostro.
Remus è –ti prego di crederci, credo di
conoscerti a sufficienza da poterti descrivere correttamente- una persona di
un’acutezza, una sensibilità e una capacità
d’osservazione notevoli; ed è anche di una discrezione
encomiabile: schivo per natura, tende allo stesso a modo a non farsi i fatti
altrui.
Non so cosa sapesse esattamente, lui. Se avesse
qualche legittimo sospetto, se ritenesse che fossero semplicemente
fraintendimenti dovuti alla sua troppo fervida fantasia, o se semplicemente
avesse capito. Ma ripensando a lui e al nostro rapporto, alla luce delle nuove
consapevolezze, mi rendo conto che Remus era estremamente ambivalente nei
nostri confronti.
Aveva una tendenza naturale all’isolarsi di
tanto in tanto, a prendersi il suo tempo in solitudine: riflessivo di
carattere, era diverso da noi sotto questo aspetto. Ho l’impressione
però che tendesse talvolta ad esasperare questa sua caratteristica, per
lasciarci i nostri momenti, la nostra intimità. Spesso chiudeva i ponti
con noi, spariva per qualche ora, e se restava presente fisicamente era
comunque altrove con la testa.
Altre volte invece, mi sono accorto che sfoderava
un’inaspettata malizia verso di noi. “Sis, non abbracci anche me?
Non ti vado piùa
genio?” sorrideva sornione, al momento dei saluti di fine o inizio
estate, quando mi attardavo a spupazzarmi James, immerso nel ripetermi mille
istruzioni su come comportarmi in caso di bisogno e nel farmi promettere che
avrei trovato un modo per scrivergli e anche magari per vederlo, fermi sulla
pensilina dell’Espresso. In quelle occasioni, Remus sembrava quasi
divertirsi alle nostre spalle. Ma forse sono io che traviso i ricordi, che li
vedo come li voglio vedere e non com’erano nei fatti.
In altri momenti ancora, Remus dava mostra di un’improvvisa
insofferenza nei confronti delle nostre effusioni affettive, o sembrava a
disagio: erano le occasioni in cui sbuffava ogni volta che ci avvicinavamo tra
noi anche solo per bisbigliare sottovoce, in cui si isolava in un angolo della
stanza per tutto il giorno con un gran librone dei suoi. All’epoca,
imputavamo quei repentini cambi d’umore alla sua doppia natura e al ciclo
lunare, ma forse non era così. Mi pare del resto di ricordare che quei
momenti coincidessero per lo più con situazioni di particolare
complicità tra me e James.
Non credo che fosse geloso
del nostro rapporto –non era proprio una cosa da lui, ed inoltre non ne
avrebbe avuto alcuna ragione, dal momento che la nostra apertura verso di lui
è sempre stata massima- quanto piuttosto che si rendesse conto che le
cose tra me e James erano un po’ diverse, un po’ anormali. A volte
lo diceva anche apertamente.
Ricordo un paio di occasioni
in particolare: James aveva quest’abitudine di pacioccarmi sempre i
capelli, diceva che gli piacevano perché erano luminosi, setosi
–sicuramente migliori dei suoi, ma non è che fosse un gran
primato- e a volte, soprappensiero, faceva lo stesso con Remus. Lui si
scostava, immediatamente: “Piantala, Jim, non sono Sirius”
ridacchiava. Ma ora mi pare che quella risata non si allargasse anche agli
occhi.
Forse eravamo proprio io e
James la causa della sua leggera, discreta omofobia.
Della mia, sicuramente.
Credo che, in fin dei conti,
Remus non volesse avere davvero un’idea precisa di cosa ci fosse tra me e
James: e del resto, il sapere la cosa con certezza l’avrebbe messo in una
posizione più che scomoda: difficile accettare una simile liaison tra i
propri migliori amici –soprattutto per un maschio sedicenne, per quanto
maturo quanto Remus- difficile disapprovarli o tagliare i ponti con loro per
una simile ragione, a meno di non essere veri idioti; difficile e pesante
sopportare il pensiero di loro due “insieme” e di quel che
“staranno facendo”, difficile tenersi per sé una simile
consapevolezza, schifoso rivelarla ad altri sputtanando i diretti interessanti.
Dopotutto la politica del “non vedo, non sento, non parlo”,
adottata del resto anche da me e James nei confronti di noi stessi, era la
più semplice e comoda.
E dopo, quando col passare degli anni forse avrebbe
potuto capire meglio, credo che davvero non lo volesse più:
l’immagine che avevamo gli uni degli altri, i nostri rapporti, era tutto
ormai troppo consueto, consolidato, familiare per rimetterlo in discussione in
modo simile anche solo nei propri pensieri; credo che avrebbe turbato troppo il
suo sistema di vita, e del resto Remus era già abbastanza turbato dalla
Licantropia, dalla guerra civile e tutto il resto.
Si avvicinò anche molto a Lily, con
l’andare del tempo: erano già amici sin dagli anni della scuola,
ma dopo si attaccarono ancora di più. Lui era estremamente fraterno con
La signora Potter; può darsi che in qualche modo si sentisse persino
colpevole, per non averla messa in guardia da quell’amore che la vedeva
spodestata dal primo posto nel gradino d’importanza.
Un altro che forse potrebbe aver intuito qualcosa
–ma non lo potrò mai sapere con certezza, perché sono
andate perdute e distrutte tutte le nozioni presenti nella sua mente, per colpa
di una banda di balordi assassini coi quali sono ovviamente imparentato-
è Frank.
Frank Paciock era veramente nato per essere un
Auror: aveva una capacità d’intuizione e una prontezza mentale che
non ho mai riscontrato in nessun altro. Sapeva leggere attraverso i gesti, le
parole, gli occhi di tutti quelli che gli stavano intorno, tanto che a volte mi
veniva da chiedermi se fosse un Legimens senza saperlo.
Ed era anche leale, onesto e colmo di rispetto per
ogni essere vivente. Aveva inoltre il dono naturale di saper portare conforto e
far sembrare meno fosca qualunque situazione, anche la più cupa: spesso
e volentieri, era da Frank che andavo a sfogarmi quando qualcosa non funzionava
nel verso giusto. Pertanto mi conosceva molto bene, come conosceva bene James.
E che considerasse in qualche modo speciale il nostro rapporto lo si intuiva dal
modo in cui si relazionava con noi, sempre tenendosi ad una certa affettuosa
distanza, sempre lontano da tutto quel che erano gli aspetti piùintimi della nostra amicizia, disinteressandosi
in troncoai nostri litigi, le
incomprensioni e similari, a meno che non si trattasse di episodi
particolarmente gravi. Per lui, comunque, sembrava ovvio che io e James fossimo
sempre insieme, avessimo tutto in comune. E quando ci vedeva ognuno per conto
proprio per più di qualche ora, pareva sinceramente perplesso.
Non mi pare che abbia mai fatto allusioni o battute,
almeno non in mia presenza, però mi sembra che ogni tanto, per esempio
quando parlavo di James quando lui non c’era –mi vengono in mente
un paio di occasioni in particolare, due riunioni dell’Ordine- mi
guardava con l’aria di chi la sa lunga.
Fabian e Kingsley, invece, ci trovavano un po’
fastidiosi qualche volta. Lo so per certo, il vecchio King pensava che avremmo
dovuto essere un po’ più “virili”: gli uomini non si
toccano fra loro, non si abbracciano –salvo per saluti spacconi- e per
Merlino non si coccolano! E sicuramente non con tanta poca discrezione quanta
me e Jim. E un’altra cosa che lo seccava era che fossimo sempre insieme,
che non agissimo quasi mai ciascuno per conto proprio e sempre un po’
controvoglia. Non era esattamente così, ovviamente –facevo anche
delle cose per conto mio- ma l’esasperazione doveva averlo portato a
cancellare le sfumature. Era comunque un buon amico, ed è il principale
responsabile del fatto che io mi trovi qui e non di nuovo ad Azkaban senza
più un’anima. Fabian invece era più morbido, ma anche lui
trovava un po’ eccessivo il nostro stare insieme. Era però
talmente elettrizzato dalla nostra compagnia –in mia presenza l’ho
visto sempre e soltanto ridere- ed aveva un umorismo tanto simile al nostro,
che l’amicizia con noi era in qualche modo inevitabile.
In generale, comunque, a parte appunto Remus e
Frank, che forse intuivano, i nostri amici ci consideravano semplicemente un
duo particolarmente affiatato; e se vedevano qualcosa di morboso o eccessivo
tra di noi, era sempre e soltanto a livello di amicizia.
Perlopiù erano certi che ci fossimo davvero
trovati. Una volta sentii Dung parlare con Dorcas, ricordo ancora le parole
perché mi rimasero impresse con un enorme senso di piacere: “Per
Merlino, quei due… Da qualche parte, il Dio dei Babbani sta stringendo in
mano due pezzi di puzzle perfettamente combacianti ed esclama: Ah! Lo sapevo che
erano qui da qualche parte!”[1]
Questa era l’idea comunemente diffusasi di
noi: che fossimo due individui fatti per essere amici che si sono semplicemente
trovati, in mezzo ai sei miliardi di umani che popolano oggi la terra. La
nostra, perciò, era una complicità se vogliamo del tutto normale.
Paradossalmente, quello che è andato
più vicino alla realtà è stato, ancora una volta, quella
malalingua di Piton. Lui, che andava in giro per la scuola a sibilare che il
vero partner di Potter ero io, non Lily, e che ripeteva quanto fossimo
disgustosi, sempre “avvinghiati”. E se anche aveva delle buone
ragioni per avercela con noi, non faceva che ripetere simili cattiverie,
ottenendo come unico risultato il fatto che gli altri studenti, sapendo quanto
tra noi e lui scorresse cattivo sangue, non credevano a un accidenti, mentre
invece in effetti aveva quasi ragione.
Comunque, se qualcun altro ha mai avuto sospetti o
intuizioni maliziose, le ha sempre nascoste più che bene, almeno a me. E
l’idea che circolassero voci su noi due, alle nostre spalle, mi pare
fondamentalmente ridicola, e probabilmente a quindici anni di distanza lo sarei
venuto a sapere.
Adesso, tutti cercano di evitare di pronunciare il
suo nome in mia presenza: come se non sentendolo potessi scordare che è
morto, e che l’ho ammazzato io. Come se non udendolo potessi
dimenticarmelo, il suo nome.
Oh, Jim, Jim, quanto poco hanno capito…
Mai poco quanto noi, non è vero?
… Merda… Sto conversando con un morto.
Vado a dormire, sono stanco.
X Mixky: Uuuh… L’altra
sera ti ho infilata nella risposta al volo mentre pubblicavo, e non ho fatto
caso bene a cosa scrivevi… Mi hai citata! Era Because quella… Oh,
che emozione! “Sis”… Dovrei metterci su un copyright su quel
nomignolo, farei un sacco di soldi. Comunque, è fantastico che ti
piaccia tanto quello che scrivo. Davvero, per me è importantissimo. Non
mi piace fare l’ipocrita e dire che scrivo solo per me e menate simili. Scrivo
anche per me, così come scrivo per la gloria eccetera…
X giulia: Mh. Esaustiva e
molto lusinghiera. Ti ringrazio. Sapere di dare un’impressione di
realismo e coerenza è veramente una soddisfazione enorme. E’ anche
per questo che ero molto titubante prima di pubblicare la storia, non sapevo se
sarebbe sembrata solo una cazzata senza senso con pretese di serietà…
Grazie anche per l’autirevolezza che mi fornisci nel considerare la mia “firma”
su uno scritto come una garanzia, perché è fantastico anche
questo. Riguardo al pairing, come ho già scritto non lo condivido
minimamente neanche io. E’ tutta colpa di quel serpente di sourcream che
mi fa fare queste Cose Molto Cattive (alle quali, lo ammetto, mi piego senza
opporre una gran resistenza. E’ andata più o meno così: Mail sourcream: “pensavo che potresti
scrivere una James/Sirius (…)” Io, mentalmente:”Brrr, che
orrore –cervellino malato che si accende con un clic sinistro- Ma posso
riuscire a fare anche questo! Allora vediamo un po’, potrei fare che a
Grimmauld Place eccetera eccetera” il che dimostra che sono un
pessimo soggetto)
Peraltro, sicuramente il
fatto che sia tutto filtrato dai ricordi e dalla memoria porta, sì, sottolineare
determinate cose magari con più calore, a deformare eccetera.
X Lizzyluna: Personalmente,
mi trovo –purtroppo- d’accordo con la simpaticona che ha commentato
dopo di te. Cioè, in realtà non del tutto d’accordo. La
descrizione da te effettuata non coincide con la mia idea di Sirius. Ha un
carattere molto più forte, o meglio più definito ed autonomo
rispetto a quello che sembri indicare, almeno per quanto riguarda la mia idea
di lui, quella che cerco di dare nelle mie storie.
Quanto alla
credibilità, mi riempie d’orgoglio, grazie.
X sourcream: Vedi sopra, mia
cara, e comunque sì, è con me che avevi parlato di Harry –o
almeno, anche con me- e sì, lui non è autonomo. Ma essere Grifondoro
non è affatto un disturbo visto che gente come Sirius o Remus o James
è assolutamente ME-RA-VI-GLIO-SA. Se poi voi siete talmente fetenti da
non avere amici, la cosa non mi tange. Fatti vostri, insomma.
Dehehe.
[1]
Parafrasando e scopiazzando “Oceanomare” di A. Baricco
Più, con il passare dei giorni, vado avanti con le pagine, scendendo nei particolari, più la
scrittura si fa difficile, spinosa e sofferta. Ci sono aspetti della mia
storia che ancora oggi risvegliano in me sensazioni di una violenza che spezza
il fiato, intense come se tutto quanto fosse avvenuto pochi giorni fa.
L’odio è sicuramente la più forte, ed è canalizzato
quasi tutto verso un singolo, miserabile individuo, l’unico uomo in terra
che vorrei uccidere con le mie mani.
Voldemort, insomma era il cattivo
della storia: e quello era il suo ruolo, era quel che faceva. Era normale che
tentasse di ucciderci e distruggerci, era ciò
che ci aspettavamo da lui. Non era una sorpresa che utilizzasse
qualunque mezzo, che fosse pronto ad ogni meschinità. Era il suo posto
nella storia e tutti quanti lo sapevamo, regolandoci
di conseguenza.
Il tradimento è la
più schifosa delle colpe.
Ma non voglio stare qui a scrivere un’arringa di accusa contro PeterMinus, perché non saprei trovare le parole, perché
il solo pensiero mi fa tremare
d’ira, e perché suppongo che una simile arringa si scriva da
sé nella mente di chiunque venga a conoscenza dei fatti, perché
in nessun modo è giustificabile un simile orrore. Non è questione
di Grifondoro o Serpeverde:
anche Voldemort punisce i suoi traditori –sono
spesso tentato di avvisarlo riguardo a Snivellus (oh,
lo so, Remus, la devo piantare)- ed è anzi
quella per il tradimento la pena più dura
prevista nel suo codice.
PeteradHogwarts era di un’ingenuità che poteva
a tratti risultare imbarazzante per chi gli stava intorno. Che
potesse anche solo immaginare che i suoi due grandi amici si amassero in modo
anche vagamente distante dal fraterno, è assolutamente impossibile.
E’ altrettanto certo però, che in
qualche modo Peter fosse geloso della nostra
intimità, proprio perché non arrivava a capirne l’origine:
affinità elettive e cose del genere erano concetti troppo al di là della sua portata. James
e io avevamo, nei suoi confronti, un atteggiamento di
paziente, condiscendente affetto. Come si fosse trattato di un fratellino un
po’ tonto. So che da parte nostra non era troppo gentile, ma così eraPeter: un fratellino un
po’ tonto.
Non ho mai capito –né mi sono mai realmente voluto interrogare- su quale meccanismo
l’abbia spinto a fare quel che ha fatto. Ma quando mi guardo
indietro e ripenso a tutte le cose e abbiamo condiviso e tutto quel che abbiamo
fatto per lui… Perché sì, forse eravamo due stronzi e forse l’abbiamo tenuto un po’ in
disparte, ma del resto non era il genere di persona con cui sentirci a nostro
agio e alla pari come tra noi tre. Non è che lo facessimo
con cattiveria e con intenzione –quelle le riservavamo ai Serpeverde- ma era così che stavano le cose,
semplicemente: Peter non era come noi.
Arrivava
alle cose sempre un attimo dopo, e aveva sempre almeno il doppio di paura di quanta ne avessero James e Remus, e quando abbiamo scoperto della Licantropia è
stato l’unico di noi tre a sembrare terrorizzato o contrariato o
chissà cosa.
Eppure ne abbiamo fatte
delle cose per lui. Perché quando qualche Serpe
gli dava noia c’era James a tirare fuori la
bacchetta –in gola avrebbe dovuto ficcartela, la bacchetta, vigliacco
maledetto- e se Trasfigurazione andava storta quel povero cretino, quell’ingenuo abissale e demente di Sirius si affannava a passare le notti in bianco per dargli
ripetizioni. Come un fratello, l’ho trattato, e lui ridacchiava
mentre dodici persone saltavano in aria e la mia condanna
all’inferno veniva firmata con il loro sangue.
Stupido, debole, vile, disgustoso Peter.
James era certo della sua
fondamentale bontà d’animo. Quando era certo di qualcosa, del
resto, nemmeno a sbattergli in faccia prove lampanti dell’esatto
contrario di quel che erano le sue convinzioni bastava
a fargli cambiare idea. Sono testardo io, lo so. Ma a confronto di JamesPotter resto pur sempre un dilettante.
Penso che Jamessarebbe anche morto, per Peter.
Era fatto così, lui. Quando voleva bene, lo
faceva senza misura, senza limiti o punti di rottura; una volta arrivato a
conquistarti la sua stima, potevi star certo che solo macchiandoti dei crimini
più gravi l’avresti potuta perdere, e forse nemmeno. Per James, Peter era un amico un
po’ imbranato da tenere d’occhio con una
premura che, lo ammetto, alle volte era un po’ svogliata. Ma pur sempre sincera.
Non lo so, non lo so
cos’abbiamo sbagliato, ma qualcosa dev’essere
stato. Perché non si ammazza un amico
così, non si condanna un amico all’ergastolo dentro Azkaban senza una buona ragione. Non si può.
Ci ho dormito su.
Non arriverò a capo di nulla se non analizzo
le questioni oggettivamente, con calma. Non è a questo che serve
scrivere?
Ma perché, del resto,
devo essere oggettivo? E’ PeterMinus, Merlino, ha preso la mia vita, l’ha fatta in
briciole e le ha gettate nel fango per poi calpestarle a dovere.
Quel gran bastardo non ha avuto nemmeno le palle di
farsi ammazzare come si deve, si è messo a strisciare intenerendo Harry, uno spettacolo raccapricciante.
AncheJames
s’impietosiva facilmente.
Gli somiglia, molto. Ma, cosa realmente assurda, che
farà ridere chi legge –unoa caso, Lupin-somiglia molto anche a ME.
Noi ci fidavamo di Peter.
Ma è stata mia l’idea,
non me lo potrei perdonare nemmeno vivendo millenni interi.
James voleva me, come Custode,
me, me, me, me. Ho dovuto faticare per
convincerlo che Peter era l’uomo giusto. Lui voleva me, lui si fidava solo di me…
Non servono a niente neanche le lacrime. Quante ne ho già piante, non lo so.
Me lo ricorderò tutta la vita quel maledetto
momento, l’attimo in cui James ha annuitoe ha detto
sì. E per tutta la vita mi ricorderò il
sorriso falso e ipocrita di quel ratto mentre la porta si chiudeva alle mie spalle
pochi minuti prima che effettuassero l’Incantesimo.
Ma si può essere
più stupidi di me? Spesso me lo chiedo, è
quasi imbarazzante. Penso a tutta la mia buona fede, dieci anni di amicizia, insomma, come ho potuto essere così
cieco così a lungo? E lo stesso vale per James.
Ma eravamo solo due ragazzi che amavano la vita e
volevano credere in essa. Volevamo pensare che nel
mondo ci fossero cose buone più forti delle cose
cattive. PeterMinus
è stata la nostra dimostrazione di errore.
Si possono passare cento anni a costruire un
Castello enorme e bellissimo come Hogwarts.
Può bastare un terremoto assestato nella giusta maniera a distruggerlo
in pochi attimi.
Noi volevamo vedere solo il
Catello, e non la scossa.
Forse, alla fin fine, non abbiamo capito chi davvero
fossePeterMinus perché non abbiamo voluto, così come
non volevamo capire che non eravamo due migliori amici come gli altri.
Che teste di cazzo.
X Mixky:
Grazie per tutti quei complimenti su Beacuse. A me veramente non fa impazzire, anche se a tuttoggi
la confermo e sottoscrivo pienamente dal punto di vista di Remus.
Riguardo a marzo, invece, sto cominciando a notare
anche io una certa raccapricciante analogia con i fatti “reali” dei
Marauders.
Tu trovi Remus
noioso?... Ohibò… Non me l’aspettavo.
Ma il mio Remus o Remus come personaggio? Ma il mio Remus è noioso? Veramente? …
Strano. Temo di aver
sbagliato qualcosa allora perché non avevo intenzione di renderlo tale.
Ci lavorerò.
X sourcream:
… Da’ un’altra volta del limitato al mio can- ehm…
Uomo, e ti farò pentire di essere nata, serpe. Sei avvisata. Ma tu
davvero trovi che stiano bene insieme? Ma sai che più ci penso più mi spaventi?
X Elly: Guarda, ti capisco…
E’ lo stesso per me, questo pairing è
allucinante. Tuttavia è appunto un buon esercizio di stile, e
chissà, se riesco ad abituarmi un po’ all’idea va a finire
che mi diverto pure… (“diverto”, ho detto, NON “appassiono”)
Capitolo 5 *** Remus, conversazione nel presente ***
Remus, conversazione nel presente
L’ho fatto.
Questa mattina, dunque circa quattro ore fa, io e Remusstavamo facendo colazione,
da soli: Molly doveva fare delle spese e passare alla
Tana.
Stavo osservando il mio the, nella tazza, fumare lentamente
e sinuosamente spingendo il calore verso l’alto.
Non mi piace il the, non mi è mai piaciuto,
ma lo bevevo lo stesso, perché James ne preparava ogni dieci minuti.
Ho sollevato lo sguardo, lui
leggeva
la Gazzetta.
“Remus –ho
chiesto direttamente- Che cosa pensavi davvero di me e Jim?”
Ha sollevato gli occhi dorati verso di me –oro
e argento, fratello mio, te ne ricorderai quando non
ci sarò più, dei nostri occhi?- con stupore, guardandomi senza
guardarmi, poi ha posato lo sguardo da un’altra parte.
Ha detto qualcosa come “cosa intendi?” o
“in che senso?”, non so più.
Ho fatto spallucce, mi
tremavano
un po’ le mani.
“Non lo so, dimmelo tu”
Lui ha cominciatostropicciarsi il mento, e questo
per chi conosce Remus bene come me significa che
è a disagio e non sa cosa dire. Ho aspettato in silenzio.
“E’ passato tanto tempo…” ha
borbottato, e credo che volesse sottintendere che fosse meglio lasciar perdere.
Appunto, ho detto io, proprio per questo.
Non so, mi fa lui.
Fissando bellamente il lato opposto della stanza.
“Remus…”
ho iniziato io, cercando di dare una nota di bonario rimprovero alla mia voce,
scrollando la testa appena appena, come ho visto fare
qualche volta ad Albus.
Mi ha stupito, allora.
S’è alzato di scatto
facendo cadere il giornale, si è passato le mani tra i capelli.
Era arrabbiato.
“Che cosa vuoi che ti
dica, Sirius? –ha iniziato- A che cosa
serve?”
E mi sono arrivate addosso all’improvviso
talmente tante parole che non ce la facevo a sentirle
tutte. Non serve a niente, diceva, e non serve a
niente stare qui con i fantasmi, Sirius. E’
inutile stare a rimestare unpassato che tanto non ritorna
–l’ha ripetuto sette o otto volte, guardandomi negli occhi con
un’enfasi disperata, non ritorna, non ritorna, non ritorna, non ritorna-
e che quello che bisogna fare è accettare che quel che è stato
è stato.
E mentre mi ripeteva queste cose con tanta minuzia,
mi sono chiesto da quanto tempo non aspettasse altro
che dirmele. Mesi?
Quant’è che Remus si è stufato di guardarmi agonizzare, voltato
indietro verso storie che non esistono più? Quant’è
che voleva darmi un bello scrollane e cercare di farmi scivolare avanti?
Quando si è fermato, ed
è rimasto lì fermo a guardarmi, non sapevo cosa dire. Mi guardavo
le mani e mi mordevo un labbro, se non ricordo male. Pensavo.
Hai ragione, Remus, davvero, lo so anche io.
Non volermene, però, ma io non ne ho voglia.
Mi viene da dire che non ho la forza di andare avanti;
non so se sia così, ma di sicuro se anche c’è l’ho
non ho voglia di fare la fatica di sfoderarla e utilizzarla.
Non hai risposto, ho
mormorato.
Remus si è riseduto,
palesemente rassegnato dalla mia cocciutaggine.
Mi ha detto, sottovoce, che una volta James gli aveva confidato una cosa.
Quando già sapevamo della caccia che Voldemort avrebbe dato adHarry, quando già Jim
aveva deciso di essere pronto “ad affrontare qualunque cosa” per
salvare suo figlio.
Qualunque cosa, aveva aggiunto piano rivolto a Remus, eccetto una.
E il mio amico Licantropo, dopo aver raccolto il
giornale che gli era caduto al momento della sua
filippica, mi ha di nuovo guardato in faccia.
“Vuoi davvero sapere qual’era quella cosa, Sirius?”
mi ha chiesto sommessamente.
Ho chiuso gli occhi,
scuotendo piano la testa, non volevo più sentirlo, mi veniva da vomitare.
Remus mi è venuto vicino.
“Potrei sopportare qualunque tortura fisica,
potrei sopportare ogni violenza, potrei arrivare a sopportare persino la morte
di Lily, anche se mi distruggerebbe: così mi ha detto” ha
continuato Remus mentre i miei occhi restavano serrati.
“Ma –ho sentito il suo fiato caldo
contro il mio orecchio, e il suo sussurro che mi si incideva
in ogni nervo- non potrei mai sopportare che succeda qualcosa a Sirius”
Ho stretto talmente tanto la mascella che il muscolo
mi fa ancora male, a distanza di ore, e mi sono
accartocciato. Non riuscivo a respirare, è
stato orribile.
Quante volte ho pensato la stessa cosa di James, da ragazzo.
James non ti vorrebbe
vedere così mai, Sirius, ha continuato Remus. Non James. Non te. Aveva
la voce stanca, il mio amico Mannaro, ma io volevo solo che stesse zitto. Non
lo volevo più ascoltare, mi sentivo l’esofago attorcigliato nella
gola e le tempie che rimbombavano.
“Era innamorato di te, Sirius.
Ma ormai è andata così”
Un tono calmo, riflessivo.
Mi è sembrato irreale. Invece
no, è vero.
Ho chiesto quando gli
avesse detto quella cosa su ciò che non avrebbe sopportato.
Una volta, mi ha spiegato Remus,
in una di quelle serate in cui il vino bevuto è troppo per mantenersi
sobri ma troppo poco per essere abbastanza ubriachi, e allora ci si mette a
svelare cose che altrimenti ciascuno si terrebbe per sé.
Cos’hai pensato, gli
ho chiesto ancora.
CheJames
era innamorato di te, e tu di lui, e che in fondo dentro di me lo sapevo
già, mi ha risposto cheto Remus, o qualcosa di
simile.
E?
“E cosa, Sirius? James è
morto.”
Eh già. E’ proprio
morto, non è vero? Com’è allora che da quattordici
anni aspetto che una porta si apra su di lui, che entri nella stanza in cui mi
trovo e mi dica una cazzatadella
sue?
E allora mi sono alzato e
sono salito in camera.
Quante ne ho passate di quelle serate, con James; lo sguardo lucido e intontito e le guance chiazzate,
una risata metallica e un po’ scema che partiva a macchinetta. A parlare,
parlare, parlare.
Parlavamo moltissimo, sempre. Vivevamo giorno e
notte insieme, non c’era niente che succedesse a
uno dei due a cui non assistesse anche l’altro, eppure avevamo sempre
qualche fottuta cosa da raccontarci. Non è
perfezione, questa?
Come si può imparare a farne a meno, quando
l’hai avuta, quella perfezione, come si può vivere sapendo di averla distrutta con le proprie mani? Merlino, che
qualcuno me lo insegni, non ne posso più.
Basta.
Non dovevo neanche iniziare a scrivere questa cosa. Mi
fa solo del male, e non ce n’è bisogno di ulteriore.
Interrompo. Comunque, non è una storia
interessante, è una storia che non c’è stata.
Le memorie finiscono qui.
X Mixky: D’accordo,m d’accordol, accantoniamo l’argomento Remus, ho capito cosa intendevi e sono parzialmente d’accordo
(soprattutto per quanto riguarda l’adorazione a Sirius,
geee). Quanto al capitolo su Peter,
beh… Grazie. E se non è colmo di rabbia
qui, allora dove? ^__^ A presto
X sourcream: punto primo, non t’inquietare. Secondo, NON
hai affatto ragione. Su Remus sono d’accordo
quanto al fatto che sia un bel personaggio –sì, l’hai
affermato tra le righe- e tralascerò la patetica sofferenza di cui parli
(a vanvera come tuo solito). No, non seguo mai scadenze fisse, per chi mi hai
presa? Lo sai, faccio le cose come e quando mi gira, non sono mica come
voialtri. Dulcis in fundo,
non lo so perché non mi leggono… In questo caso, forse perché
il pairing è disturbante? Ma non darti pena,
carissima.
Non ve l’aspettavate più, vero?
Invece vi siete un sacco sbagliati, perchè la fine è ancora ben lungi...
Peggio per voi
suni
Hogwarts: Primo anno
La primavera si fa largo a grandi falcate,
investendo Londra come un tornado di luce e vaghi profumi. Dalle finestre
socchiuse penetra un’aria diversa, più fresca e leggera.
In queste due settimane ho riflettuto su quale fosse
la cosa migliore che dovessi fare di queste pagine. Più volte sono stato
tentato di usarle per attizzare le ultime volte il camino, prima del grande
caldo durante il quale rimarrà inutilizzato, ma non ce l’ho fatta.
Non lo voglio, ma avverto la necessità
insopprimibile di andare fino in fondo, contro la mia stessa volontà: ne ho
bisogno.
Ieri ho capitolato, ho cominciato a pensare a quale
fosse il prossimo punto da toccare. E mi sono reso conto che curiosamente ho
saltato di palo in frasca, finora, creando solo una gran confusione.
Sarebbe d’uopo, allora, ritornare all’inizio di
tutto.
I miei primi undici anni di vita sono stati un
trionfo di esaltazione e capriccio. Tutto quello che i Black erano e credevano
è stato riversato in me come in un otre da riempire al più presto, prezioso e
magnifico. Quando sono partito per Hogwarts –accompagnato alla Stazione da una
specie di pomposa e fiera delegazione di famiglia, con tutti gli onori del
caso- non c’era Malfoy o Rosiel che tenesse, ero io il più snob, il più superbo
e il più malevolo.
Nei medesimi undici anni, James Potter cresceva e
frequentava la scuola elementare Babbana –per precisa scelta dei genitori-a Llandudno, nel Galles, un piccolo paese
poco lontano del confine con l’Inghilterra e sede della più profonda miniera
del Regno, seppur ormai in disuso. Viveva in una cascina con le galline e tre
cani, nonché due genitori che più diversi dai miei non avrebbero potuto essere:
Arnold Potter, professore di Storia della Magia Asiatica all’Accademia della
Magia, umanista e strenuo difensore dei diritti babbani, e Mirtle Annabel
Potter, ex-inviata all’estero della Gazzetta che aveva deciso di ritirarsi per
dedicare le restanti energie al terreno di famiglia, da lei coltivato con
ortaggi e frutteti, da cui le marmellate che avrebbero fatto la nostra gioia
nei Natali a venire.
Comprensibilmente, quindi, quando quello ragazzetto
alla buona si presentò sulla soglia del mio scompartimento sull’Espresso,
chiedendo se poteva sedere lì, la mia reazione fu grossomodo la stessa che
avrei avuto se qualcuno mi avesse lanciato in faccia una manciata di sterco di
vacca.
James comunque aveva già deciso di sedersi lì.
Quindi lo fece e basta, come ogni volta che stabiliva di fare qualcosa. Non ci
parlammo per tutti il viaggio, ma ricordo ancora che non fece altro che
osservarmi.
Lo Smistamento fu uno dei momenti peggiori della mia
vita. Non potevo credere che fosse successo veramente, che io, Sirius Black,
erede della più nobile e pura Casata d’Inghilterra, da secoli smistata a
Serpeverde, fossi finito a Grifondoro. E naturalmente avevo paura, un
sacrosanto terrore di quale sarebbe stata la reazione dei miei.
James scoppiava di gioia, suppongo, anche se non ci
feci caso, preso com’ero dai miei cupi ed indignati pensieri. Immagino che
dovessi essere piuttosto buffo, rigido e isolato in un angolo, col mio mantello
splendente e lo stemma argentato dei Black in bella mostra, la faccia
minacciosa di chi potrebbe uccidere se solo ci si azzarda ad avvicinarsi.
E fu in quella situazione, appunto, che James mi
notò veramente.
Per tre, infernali mesi rimasi rigido sulle mie
posizioni di boicottaggio alla mia nuova Casa. Credo che Walburga potrebbe
sentirsi molto orgogliosa di me, per quel periodo, perché la stronzaggine
innata che riuscii a dimostrare in ogni singolo istante verso i miei compagni
di Casa raggiunse picchi di maestria che, falsa modestia a parte, ho scorto in
poche altre persone –eccetto Lei, ovviamente, la
Maestra,
Sua Perfidia Bellatrix Black- e comunque quasi mai con tanta costanza, facendo
davvero onore al mio cognome. Feci a pugni con James almeno un paio di volte
tra settembre e novembre. Insultavo Remus in ogni occasione –e quando
l’occasione non c’era me la inventavo, o ne facevo a meno dandomi alla
gratuità.
Tirando le somme, un vero bastardello.
James, me l’ha detto più volte, mi detestava, eppure
non riusciva a darsi pace, perché lui aveva deciso durante quel maledetto
Smistamento che io ero l’amico giusto per lui, e siccome l’aveva deciso, solito
discorso, così doveva essere.
Capitolai poco prima delle vacanze di Natale.
Del resto i miei nervi di ragazzino cominciavano a
dare segni di scompensi, la cattiveria iniziava a diventare isteria, stavo
crollando. A Serpeverde, la Casa di tutti quelli che
conoscevo, nessuno avrebbe voluto rivolgermi la parola neanche con una
bacchetta puntata, visto che avevo “tradito” –come se l’avessi costretto, il
Cappello, a mandarmi in un’altra casa- e che in ogni caso non ero più degno
della loro attenzione, c’era evidentemente in me qualcosa di marcio.
Ero solo come un cane.
Come adesso.
No. Scusami, Remus, non è vero che adesso sono solo.
Comunque, James e io durante un litigio molto acceso
mandammo in pezzi un’armatura che accidentalmente rotolò su una ragazzina del
secondo anno di Tessorosso, facendola cadere dalle scale.
Galeotta fu la punizione, interminabile: lucidare a
mano tutta l’argenteria dei Saloni. Immagino che Albus avesse capito che brutta
aria tirava con noi due e volessemetterci in riga da subito, chè la punizione fu davvero dura. E forse
sperava anche che trascorrendo del tempo insieme ci saremmo ammorbiditi nei
confronti l’uno dell’ altro: riguardo al primo obiettivo, mi sento francamente
di dire che per una volta il nostro Preside fallì miseramente; per il secondo,
i risultati ottenuti andarono ben al di là di ogni più rosea aspettativa.
Quella giornata di punizione fu la prima bella
giornata che trascorsi ad Hogwarts, la prima di una lunghissima serie. Oh,
vorrei saper descrivere quegli anni, ma non credo di poterlo fare: come
spiegare la gioia, la sicurezza, la fiducia in me stesso, in noi, la sensazione
che di lì a poco, finiti i corsi, avremmo avuto in mano le redini della nostra
vita, avremmo conquistato il mondo con le nostre sole forze, noi quattro
insieme? Come raccontare il senso di appoggio inattaccabile che i mie amici
sapevano darmi, la consapevolezza di averli accanto sempre e comunque, di poter
contare su qualcuno come me, che mi capiva al volo, che condivideva le mie idee
e quantomeno le capiva e accettava? Hogwarts era un nido caldo e confortevole
in cui il massimo problema che poteva presentarsi era un test a sorpresa di
Pozioni o una baruffa con i Serpeverde in corridoio, che puntualmente si
concludeva con qualche malcapitato colto da accessi irrefrenabili di risate
isteriche o labbra spaccate –pochi anni dopo, poveri cadaveri sarebbero rimasti
sul campo in seguito agli scontri tra quelle stesse persone- mentre tutto il
resto del tempo era divertimento, era sicurezza, era spensieratezza
soprattutto, perché non avevamo niente di cui davvero preoccuparci, e quelle
poche cose per cui riuscivamo comunque a sentirci in ansia –i brufoli enormi di
James due ore prima di un appuntamento, un Eccezionale di Remus al posto
dell’Oltre da lui previsto, Snivellus che mi spiava in corridoio per capire che
cosa nascondessimo, tutte queste erano cose che comunque non lasciavano vere
conseguenze. Non si finisce ad Azkaban, durante Hogwarts.
Divago troppo, e divento noioso. Ma ho così tanti
ricordi, su Hogwarts, tanti pensieri mi si affollano in mente…
Nelle vacanze di Natale, James mi spedì un biglietto
di auguri. La cosa provocò una specie di trucida guerra civile a Grimmauld
Place e credo di poter affermare che dopo le mie guance non tornarono più le
stesse, tanti furono i ceffoni che mi presi.
MA il mio nuovo amico mi aveva spedito un biglietto
di Natale; non mi era mai successo prima.
Durante la seconda parte dell’anno, si formò quel
sodalizio che determinò lo scorrere delle nostre vite per intero. James, Remus,
Peter ed io cominciammo a trascorrere sempre più tempo insieme. Dapprincipio
non fu semplice: Jim mi piaceva, con lui ridevo molto e facevo un mondo di cose
ganze, ma Remus era uno sporco Mezzosangue e Peter un idiota –e su questo
secondo punto James avrebbe dovuto darmi retta- e non volevo stare con loro.
Sparivo per ore ed ore finchè James non restava solo, così da non doverli avere
intorno. Ma erano i suoi amici, e a lui dispiaceva.
Discutevamo molto. Era piuttosto strano per due
bambini così piccoli, dialogavamo veramente tantissimo, e fu su quella base che
nacque un rapporto che per tutta la sua durata, in effetti, si basò proprio su
un dialogo aperto e cristallino, una totale condivisione di idee e pensieri
senza schermature.
Forse, se dapprincipio non ci fossimo trovati così
distanti, con idee tanto antitetiche da opporre l’una all’altra metodicamente,
durante conversazioni lunghe ore, tra noi non sarebbe stato così.
James a volte mi spiazzava. C’erano parti dei suoi
ragionamenti, sui Purosangue, che mi spingevano senza che me ne rendessi conto
ad analizzare spietatamente e oggettivamente tutte quelle che erano le mie più
radicate convinzioni. E’ così che sono andate le cose. Senza James Potter,
Sirius Black non sarebbe stato quello che è stato. Così come senza di me, James
non sarebbe stato il James che tutti abbiamo conosciuto. Sono stato io a
risvegliare e rendere ciclopico in James quel gusto del proibito che diventò in
così grande quantità parte naturale di lui. E immagino sia dovuta a me la
naturalezza con cui viveva le sue idee e le sue convinzioni apertamente, a mia
immagine: io ero quello che sbatteva in faccia al mondo la sua unicità, sempre
a causa dei Black.
James arrivò a dimostrarmi con una semplicità quasi
innaturale, dovuta alla gradualità della cosa, che anche uno straccione
Mezzosangue può essere una persona straordinaria: un giorno, d’un tratto, mi
resi conto di essere amico di Remus J. Lupin senza capire bene come fosse
successo. Semplicemente, era così e basta. Tra tutti noi le cose funzionarono
sempre in questo modo: accadevano, tutto qui, senza essere ponderate o
programmate; il nostro rapporto seguiva un andamento lineare del tutto
spontaneo esincero dal quale ogni
traccia di calcolo o strategia era completamente esclusa.
Come ho detto fu graduale, in un certo senso. La
violenta metodicità con cui quotidianamente ricercavamo lo scontro fintanto che
restammo nemici, nei primi mesi, svanì per lasciare il posto ad un placido
conoscersi in cui ci svelavamo poco a poco, annusandoci quasi con timore. Mi
sembra quasi che già sapessi quanto James sarebbe stato importante per me –come
sono strani i ricordi, non è vero, Remus? Ti fanno sembrare tutto così
consequenziale,,,- e lo stesso per lui. Era come se sapessimo che non c’era più
nessuna fretta, eravamo arrivati esattamente dove dovevamo arrivare: uno di
fianco all’altro.
Arrivato a giugno, Sirius Black era un altro
ragazzino rispetto al giovane Lord che aveva preso l’Espresso qualche mese
prima: durante la seconda metà dell’anno la conoscenza approfondita con James,
l’inizio del “Protettorato” che per sette anni avremmo esercitato su Peter per
difenderlo da quel Pianeta Terra che tanto lo intimoriva e l’immensa sorpresa
costituita da persone come Remus, nonché la constatazione della meschinità e
della pochezza di quelli che avevo ritenuto i miei simili –gentaglia come
Rosiel, Avery, quel clan di bestie- tutto questo insomma, il mondo esterno alle
mura del 12 di Grimmauld Place, aveva esercitato su di me un’influenza che
niente avrebbe più potuto cancellare. Furono mesi di un’intensità fuori dalla
norma, in cui ogni giorno era una scoperta che non effettuavo mai da solo: i
miei amici erano con me, James era con me. Più passava il tempo, più
sorprendenti punti in comune scoprivamo tra noi. Certi erano talmente bizzarri
e rari da non poter costituire banali casualità –il fatto che entrambi non
sopportassimo di infilarci il calzino sinistro prima del destro quando ci
vestivamo, o che il ritratto di Sir Hampshington nel corridoio del secondo
piano ricordasse a entrambi i nostri zii paterni, peraltro diversissimi tra
loro- arrivando a rappresentare ai nostri occhi un qualche genere di segno
karmico a dimostrare la nostra affinità innata.
Credo di aver già detto quanto ridevamo, io e James
insieme: ma è qualcosa che se non lo si è visto è difficile da capire. So per
certo che a volte mettevamo in imbarazzo la gente che ci stava insieme, perché
ridevamo talmente a lungo da farli sentire decisamente di troppo.
Comunque, quando arrivammo a giugno, tra la nascita
dei Malandrini –il cui nome fu decretato ufficlmente soltanto durante la prima
settimana dell’anno successivo, Lily Evans e Snivellus, l’anno mi sembrò essere
volato via in pochi istanti.
Ero felice.
X sourcream: mio lume... Ti
ho mai detto quanto mi sei cara? No? Te lo dico ora. Sei straordinaria e
insospettabilmente gentile, pensa tu. E io sono troppo ruffiana per la mia
Casa. Come già sapevi Marzo non è affatto finita ed eccola qua che torna con
dolore e depressione come tu sognavi. Sei felice? Sì vero? Il cagnaccio un po’
meno...
X Angel Natalie: In effetti il
pairing non è proprio usuale, perciò sono doppiamente contenta quando qualcuno
apprezza. Spero continuerai.
X Mixky: Grazie. E’ un po’
l’immagine che mi dà Grimmauld Place nel 5, un uomo morto in gabbia e un altro
che puo solo stare a guardare. Penso sempre che a un certo punto al suo posto
scoppierei. E qui é scoppiato. Non è facile stare a guardare una persona a cui
vuoi bene che affonda volontariamente, lo so perchè l’ho provato. Non riesci a
stare solo fermo. Grazie
X Giulia: carissima, grazie.
Condivido assolutamente le tue parole percio’ non aggiungo nulla se non “si,
hai ragione, che bello che ti abbia trasmesso queste cose!” Azzeccato il Rocky
Horror. Quanto all’ultima domanda, la risposta é il capitolo...
X elrohir: Orbene, sono
lusingata che la tua recensione sia stata per me. Anche io amo molto Sirius
–morbosamente- e James, li amo insieme in tutti i modi, è vero, ma questo qui è
il modo assurdo, che mi fa un po’ ribrezzo. Oddio, la parola è un po’ forte,
diciamo che mi stona. Quanto all’immagine di cui parli, credo di aver
specificato che non è mia, percio’ complimentiamoci tutti con Baricco, anche se
non è tanto simpatico. E grazie ancora